Internazionale 20/26 ottobre 2023. Numero 1534. Gaza senza scampo

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20/26 ottobre 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1534 • anno 30

internazionale.it

4,50 €

Economia I grandi armatori si spartiscono l’Africa

Scienza Cresce la speranza per i calvi

Visti dagli altri Un anno di governo di Giorgia Meloni

Gaza Senza scampo

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

20/26 ottobre 2023 • Numero 1534 • Anno 30 “I capelli che abbiamo in testa sono solo il residuo di un’epoca passata”

Sommario 20/26 ottobre 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1534 • anno 30

internazionale.it

4,50 €

Economia I grandi armatori si spartiscono l’Africa

Scienza Cresce la speranza per i calvi

Visti dagli altri Un anno di governo di Giorgia Meloni

Senza scampo

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Giovanni De Mauro

Di cosa parliamo quando parliamo di Gaza. La superficie della Striscia di Gaza è di 360 chilometri quadrati. Roma, per fare un confronto, con i suoi 1.285 chilometri quadrati è tre volte e mezzo più grande. Gli abitanti di Gaza sono 2.098.389, quelli di Roma sono 2.748.109. Il 71 per cento degli abitanti di Gaza ha lo status di rifugiato. A Gaza le persone tra 0 e 14 anni sono il 39 per cento della popolazione (in Italia sono il 12 per cento); quelle con più di 65 anni il 2,9 (in Italia sono il 23 per cento). A Gaza l’età media è di 18 anni, in Italia di 46 anni. Il tasso di crescita della popolazione è dell’1,9 per cento, mentre in Italia è negativo: -0,1 per cento. A Gaza il tasso di mortalità infantile è di 14 morti ogni mille bambini nati vivi, da noi è di 3 morti ogni mille. La speranza di vita alla nascita è di 75 anni a Gaza, di 82 anni in Italia. A Gaza nel 2022 l’elettricità c’è stata in media per 13 ore al giorno. E il 96 per cento dell’acqua dell’unica falda acquifera non è adatta al consumo umano: 1,8 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria per l’acqua, i servizi igienico-sanitari e l’igiene. A Gaza la densità di letti ospedalieri è di 1,3 ogni mille abitanti, in Italia è quasi il triplo. A Gaza nel 2022 più di ventimila pazienti hanno chiesto un permesso per potersi curare all’estero; Israele ha respinto o ritardato il 34 per cento di queste richieste. A Gaza ci sono 32 alunni e alunne per ogni insegnante. L’aspettativa di vita scolastica è di 13 anni a Gaza, di 16 anni da noi. Il tasso di disoccupazione tra i giovani di Gaza è del 75 per cento, in Italia del 21 per cento. Il pil pro capite di Gaza è di circa 900 euro, quello italiano è di 30.855 euro. L’80 per cento degli abitanti di Gaza dipende dagli aiuti umanitari e le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono l’81 per cento della popolazione, il 9,4 per cento in Italia. Gli abitanti della Striscia di Gaza non possono andar via né tornare liberamente. u

Senza scampo

Gaza

Vita

IN COPERTINA

Nei decenni le politiche israeliane hanno contribuito a creare una situazione insostenibile nella Striscia di Gaza. Che ha portato all’esplosione della violenza di Hamas (p. 22). Foto di Mohammed Abed (Afp/Getty)

STATI UNITI

35 Il partito più pazzo del mondo Associated Press POLONIA

39 L’epoca dei sovranisti si avvicina alla fine Krytyka Polityczna BIRMANIA

43 L’esilio non ferma l’informazione Nikkei Asia OPINIONI

46 La guerra

48

in Medio Oriente indebolisce l’occidente Pankaj Mishra L’apparenza moderata dell’estrema destra italiana David Broder VISTI DAGLI ALTRI

50 Un anno di governo Meloni Der Spiegel PARAGUAY

58 Il mate ritrovato Dromómanos AFRICA

Cultura

SCIENZA

68 Più capelli per tutti New Scientist

88

Cinema, libri, suoni

18

Domenico Starnone

88

Giorgio Cappozzo

Le opinioni

PORTFOLIO

72 Il cerchio del futuro Luca Locatelli RITRATTI

78 Dmitrij Sytij. L’erede The Wall Street Journal VIAGGI

82 Danzica e la storia Le Monde CULTURA

90

Nadeesha Uyangoda

92

Giuliano Milani

94

Claudia Durastanti

99

Leonardo Caffo

Le rubriche 10

Dalla redazione di Internazionale

18

Posta

21

Editoriali

111

Strisce

113

L’oroscopo

114 L’ultima

85 La misura dei capolavori The Independent

Articoli in formato mp3 per gli abbonati

POP

96 La riscoperta della mia Mumbai Shruti Swamy SCIENZA

101 Alle origini del sistema solare Nature ECONOMIA E LAVORO

107 Confessioni di un economista Neue Zürcher Zeitung

64 I grandi armatori si spartiscono l’Africa Le Monde

Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.

Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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internazionale.it/sommario

La settimana

JOSHUA HOWGEGO A PAGINA 71

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1I9F

Internazionale Kids In edicola dal 25 ottobre 2023 ◆ Sembra incredibile ma in cinquanta numeri di Internazionale Kids non avevamo mai dedicato una copertina all’acqua potabile. Abbiamo rimediato con un lungo articolo, tradotto dal giornale tedesco Dein Spiegel, che racconta perché dobbiamo difenderla e considerarla un diritto umano universale. E magari prendere spunto da Copenaghen, che da qualche anno cerca di assorbire l’acqua piovana per poi rilasciarla gradualmente nel terreno, come se fosse una “città spugna”. Così aumenta il verde e diminuiscono gli allagamenti. La copertina è di Pierre-Emmanuel Lyet.

IN COPERTINA

Dov’è finita l’acqua

SCIENZA

TEST

Continuate a sognare a occhi aperti Sognatrici e sognatori di tutto il mondo, è ora di far capire a tutti il vostro potenziale.

Che mostro sei Se emetti grida terrificanti potresti essere il Bunyip.

ATTUALITÀ

La pace è lontana Che succede in Medio Oriente. BRASILE

Avere dieci anni a Rio de Janeiro Una giornata nella vita di Elloá, 10 anni, che vive nella favela Rocinha. POSTER

Paura, eh? Di Viola Gesmundo.

PORTFOLIO

Lo spettacolo dell’universo Le più belle foto di astronomia. FUMETTO

Una merenda disgustosa A base di polvere di vermi, occhi di rospo e farina di unghie. CONFRONTO

I ricchi dovrebbero pagare più tasse? Votate sì se volete distribuire la ricchezza in modo più equo. Votate no se pensate che ne paghino già troppe.

internazionale.it Guerre

10

ISRAELE-PALESTINA

I pomodori nelle mani delle mafie

Come uscire dalla trappola dell’estremismo Bisogna riconoscere che esistono voci concilianti da entrambe le parti e metterle al centro del dibattito.

Nel 2022 l’Italia ha prodotto più pomodori di qualsiasi altro paese europeo. La criminalità organizzata è da anni infiltrata in questo settore e riesce a fornire prodotti a basso costo soprattutto grazie al sistema del caporalato, che sfrutta la manodopera dei migranti. Il video del Guardian spiega che il 10 per cento del ricavato di tutte le attività mafiose arriva dal settore agroalimentare.

◆ Parole Chiave è la nuova collana nata dalla collaborazione tra Bur Rizzoli e Internazionale. Guerre è il titolo del primo volume, in cui attraverso reportage, analisi, schede e infografiche si approfondiscono cause, dinamiche e conseguenze di dieci conflitti in corso nel mondo.

POLONIA

Ha vinto la coalizione filoeuropea I polacchi hanno voltato pagina premiando l’opposizione liberale. INTERNAZIONALE KIDS

Raccontare la guerra ai bambini I consigli degli esperti.

Cile 1973 In edicola, in libreria e online c’è il volume di Internazionale storia Cile 1973. A cinquant’anni dal colpo di stato militare che rovesciò il governo di Salvador Allende e aprì la terribile stagione della dittatura di Augusto Pinochet, 192 pagine di articoli della stampa internazionale dal 1971 a oggi.

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

MUSICA

DR

In libreria, 256 pagine, 18 euro

VIDEO

Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

L’album meno amato di Madonna American life ha permesso alla cantante di evolversi e andare avanti per altri vent’anni.

In edicola, in libreria e online

EA3227

#EAsustainable

Immagini L’amico americano Tel Aviv, Israele 18 ottobre 2023 Il presidente statunitense Joe Biden arriva a Tel Aviv, accolto dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, la mattina del 18 ottobre 2023. Il suo incontro con i leader di Egitto, Giordania e Autorità nazionale palestinese è stato annullato dopo l’attacco a un ospedale di Gaza, che ha causato centinaia di morti. Per Biden è la seconda visita in un paese in guerra da quando si è insediato alla Casa Bianca. Il 20 febbraio 2023 aveva incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj a Kiev. Foto di Evelyn Hockstein (Reuters/ Contrasto)

Immagini Pericolo pubblico Londra, Regno Unito 17 ottobre 2023 L’attivista per il clima Greta Thunberg, 20 anni, arrestata dalla polizia britannica durante una manifestazione di protesta a Londra. Thunberg è stata fermata insieme ad altre 26 persone per aver ostruito le vie di accesso a un hotel dove era in corso l’Energy intelligence forum, una conferenza a cui partecipavano gli amministratori delle aziende petrolifere Shell e Total e alcuni ministri del governo britannico. In seguito è stata denunciata e rilasciata su cauzione. La prima udienza del suo processo è prevista il 15 novembre. Foto di Kin Cheung (Ap/Lapresse)

Immagini Anello di fuoco Mérida, Messico 14 ottobre 2023 Una coppia di sposi e un gruppo di invitati al loro matrimonio guardano con gli occhiali protettivi un’eclissi anulare di Sole. Il 14 ottobre la Luna ha attraversato lo spazio tra la Terra e il Sole e ha coperto parzialmente il disco solare. Trovandosi all’apogeo, cioè nel punto più distante dalla Terra, la Luna appare un po’ più piccola del disco, lasciando così visibile un anello luminoso. Il fenomeno si è potuto osservare negli Stati Uniti, in Messico e in alcuni paesi dell’America centrale e del Sudamerica. Foto di Martin Zetina (Ap/Lapresse)

[email protected] Come uscire dalla trappola dell’estremismo u L’articolo di Slavoj Žižek (internazionale.it) mi ha fatto comprendere chiaramente qual è la situazione alla base del conflitto israelo-palestinese. Condivido pienamente la posizione di portare la questione a una chiusura ragionevole e umana. Martino Leporiere

Civili u Penso che l’editoriale dell’ultimo numero (Internazionale 1533) sia toccante ed equilibrato. E una speranza finale: “I terribili eventi di questi giorni potrebbero cambiare le cose. Devono farlo. Per tutti noi tra il fiume e il mare”. Sono stata a Gaza nel 1992 e a manifestare a Gerusalemme con le donne in nero, israeliane e palestinesi. Sono stata in Cisgiordania. In questi giorni non riuscivo a leggere un articolo fino in fondo, questa è stata la prima volta. Daniela Minerdo

Il Mondo u Vorrei ringraziarvi per come avete trattato e state trattando la guerra in Palestina nel podcast quotidiano (il Mondo). Siete una certezza nello scenario desolante e fazioso dell’informazione italiana. Grazie per le interviste svolte e le fonti scelte, e per la lucida e necessaria contestualizzazione che in molti casi viene tralasciata. Francesca Romana Nardecchia

Così il baseball è riuscito a fermare il suo declino u È sempre un piacere leggere articoli sul baseball a prescindere da chi li scrive. Poi si può essere più o meno d’accordo sui contenuti. Nel caso specifico (internazionale.it), è particolarmente condivisibile l’approfondimento sull’impatto nostalgico che oggi ha uno sport come questo. Mi trovo un po’ meno in sintonia sulla bontà delle nuove regole perché a loro modo non sono amiche del gioco ma esclusi-

vamente di fattori legati ai mass media e al marketing. Inoltre è inaccettabile che l’atleta sia sempre più considerato un oggetto e solo raramente sia fedele a una squadra. Questa è la malattia del baseball moderno. Difficile affezionarsi. Difficile riuscire a essere romantici. Nonostante ce la si metta tutta. Sportivi saluti. Davide Perego

Parole

Errata corrige

u L’imperativo oggi più diffuso è: non essere ideologico. Le ideologie sono una fodera a copertura dei fatti grezzi: la fodera delle religioni, delle filosofie, delle teorie politiche, di qualsiasi scienza più o meno azzardata. Basterebbe sfoderare i fatti e quelli verrebbero fuori nudi e crudi, pronti per essere affrontati. Ma affrontati da chi, secondo quale modo di guardarli? Quello buono, è ovvio, quello oggettivo, quello scientifico, cioè il nostro. Cosa che naturalmente insospettisce tutti gli altri: perché il vostro modo non è ideologico e invece il nostro sì? A questo punto, per amore del quieto vivere, è necessario ammettere che anche se i fatti sono lì, in bella ineccepibile evidenza, il problema è che è impossibile non avvolgerci intorno un modo di raccontarceli, sarebbe troppo angoscioso. Di qui forse il trionfo odierno della parola narrazione, che pare meno complicata di ideologia, più accattivante, più accessibile a tutti: non sono ideologico, semplicemente ti racconto come stanno i fatti. Ma c’è narratore e narratore: una cosa è il racconto di Pinco Pallino, altro è il racconto di Marcel Proust. E Proust naturalmente siamo noi, e se gli altri non riconoscono questa verità, be’, è la rissa, gli odi, le guerre, i massacri, non per ideologia – sia chiaro – ma solo per chiarire che la nostra narrazione è del tutto aderente alla realtà dei fatti.

u Su Internazionale 1533, a pagina 63, la superficie complessiva di Panamá è di 75.420 chilometri quadrati. Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU

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Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Un figlio e basta Io e la mia compagna abbiamo un figlio di quattro anni e abbiamo deciso di non averne altri. Secondo te è una scelta egoistica lasciarlo senza fratelli o sorelle? –Adam Anche se avere un figlio solo sta diventando la norma in molti paesi dell’occidente, lo stigma contro i genitori che decidono di non avere altri figli è ancora molto vivo, come lo stereotipo secondo cui i figli unici sono viziati e antipatici, e si sentono soli. Qualche mese fa l’opinionista del Guardian Rihannon Lucy Cosslett

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ha pubblicato un articolo sui one and done parents, che in italiano suona più o meno come “genitori un figlio e basta”. Durante le interviste che ha raccolto si è resa conto che questi genitori sono bersagliati di domande accusatorie, prima tra tutte quella che ti fai anche tu. “La convinzione che i ‘genitori un figlio e basta’ siano egoisti è molto diffusa, ma parlando con tanti di loro mi sono resa conto che spesso è proprio il contrario: questi genitori danno la precedenza al benessere e alla felicità del figlio o della figlia già nata, sia che decidano di non avere al-

Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

tri bambini per non togliere tempo e risorse alla prima sia che lo facciano perché sanno che è nell’interesse di tutti mantenere l’equilibrio familiare che loro hanno scelto”. Cosslett racconta di essersi commossa di fronte all’empatia e all’attenzione con cui i “genitori un figlio e basta” affrontano questa decisione. E conclude: “È davvero un peccato che tanta gente ancora non veda la scelta di avere un solo bambino per quello che è: un atto di responsabilità genitoriale”. [email protected]

Domenico Starnone

I fatti secondo noi

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Editoriali

Fermare la guerra a Gaza “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli, Gea Polimeni Imbastoni Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Francesco De Lellis, Andrea De Ritis, Davide Lerner, Giusy Muzzopappa, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ijin Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Le Monde, Francia Migliaia di morti, devastazioni ovunque, centinaia di migliaia di profughi: la mattina del 18 ottobre era questa la situazione a Gaza, sotto embargo da più di un decennio, con il 65 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà e la fornitura di acqua ed elettricità già precaria da tempo. Undici giorni dopo i terribili massacri compiuti il 7 ottobre da Hamas, per Israele l’applicazione del diritto a difendersi rischia di minacciare proprio i princìpi che lo distinguono dagli stati terroristi. Chi può credere che il caotico spostamento di almeno un milione di persone permetterà di separare i civili dai miliziani di Hamas? Come distruggere le infrastrutture militari sotterranee senza abbattere contemporaneamente centinaia di abitazioni? Israele rischia di ritrovarsi in trappola. Il trauma innescato dall’incapacità dello stato ebraico di proteggere i suoi cittadini ha spinto le istituzioni israeliane a indicare imprudentemente un obiettivo molto difficile da raggiungere: la distruzione completa di Hamas. Ciò presuppone una campagna militare particolarmente intensa, senza garanzie di successo. Al tempo stesso una tale dimostrazione di forza farà solo aumentare il rischio di pericolose sbandate, che indeboliranno Israele anche nei confronti dei paesi arabi con i quali ha appena

avviato relazioni ufficiali. Ma Israele non è l’unico a dover fare i conti con questo dilemma. Anche gli alleati occidentali, che in Ucraina continuano a presentarsi come intransigenti difensori del diritto internazionale, sono in difficoltà. Il presidente statunitense Joe Biden ha visitato in gran fretta la regione, a conferma delle preoccupazioni di Washington per una possibile escalation. Ma la missione di Biden del 18 ottobre è cominciata male: l’incontro previsto con i leader di alcuni paesi arabi è stato cancellato in seguito a un’esplosione avvenuta il giorno prima in un ospedale di Gaza, di cui le milizie palestinesi e l’esercito israeliano si rimpallano la responsabilità. Senza dubbio Biden conta su questa visita per cercare di calmare la rabbia degli israeliani, dopo aver già messo in guardia contro i pericoli di un’eventuale occupazione di Gaza e aver invitato le autorità israeliane a rispettare il “diritto di guerra”. Tuttavia il presidente statunitense sa bene che una simile esortazione non ha molto senso a Gaza, dove questo diritto, come il diritto umanitario, è regolarmente violato. I fatti degli ultimi giorni c’impongono di sottolineare che il desiderio di vendetta non può essere considerato un obiettivo di guerra e che bisogna fermare al più presto questa corsa verso l’abisso. ◆ adr

Il valore delle proteste pacifiche Die Tageszeitung, Germania

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 18 ottobre 2023 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 111 103 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi

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I massacri di civili israeliani compiuti da Hamas sono stati paragonati agli attenti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti per la loro spaventosa brutalità. Alcuni punti in comune ci sono. All’indomani dell’attacco di Hamas, per esempio, c’è stata un’ondata di razzismo antiarabo. E hanno cominciato a circolare astruse teorie del complotto antisemite. La solidarietà con Israele è stata travolgente. E il fatto che i crimini di Hamas siano stati celebrati anche in Germania ha giustamente provocato orrore. Glorificare l’omicidio non può essere tollerato. Perché alla propaganda possono seguire i fatti, come dimostra l’uccisione di un insegnante in Francia. Ma oltre all’antisemitismo, sui social media sono apparsi anche i pregiudizi contro i palestinesi, identificati senza distinzioni con il terrorismo di Hamas e guardati con sospetto. Alle scuole di Berlino è stata data la possibilità di

vietare simboli come la kefiah palestinese, considerati capaci di “mettere in pericolo la pace scolastica”. Anche la bandiera palestinese è stata confiscata. Sia chiaro: non quella di Hamas, ma quella della Palestina, che sventola anche davanti alle Nazioni Unite a New York. Già prima dei fatti più recenti, in Germania non c’era quasi spazio per le voci palestinesi, che ora rischiano di sparire del tutto. La polizia interrompe le manifestazioni di solidarietà, perfino quelle di attivisti ebrei e israeliani. A Berlino vivono più di ventimila persone di origine palestinese. In Germania sono circa centomila. Molte hanno familiari nella Striscia di Gaza e assistono con ansia alla campagna militare israeliana. A chi manifesta pacificamente per la fine della violenza dev’essere garantita la libertà d’espressione e di associazione. Dovremmo ascoltare queste persone . ◆ Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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In copertina

Senza scampo Benjamin Barthe, Le Monde, Francia

Decenni di politiche israeliane hanno contribuito a creare una situazione insostenibile a Gaza. Fino all’esplosione della violenza terroristica di Hamas del 7 ottobre e alla nuova guerra

L’

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Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

Wolfensohn aveva già raccolto nove miliardi di dollari in promesse di donazioni. Sembrava lecito sperare. L’editorialista del New York Times Thomas Friedman prevedeva per Gaza un destino da “Dubai sul Mediterraneo”.

Il covo del male Un pronostico che oggi lascia un sapore amaro. Sotto assedio dal 2007, bombardato a intervalli regolari, questo lembo di terra palestinese si è trasformato in un vulcano. E all’alba del 7 ottobre ha cominciato a eruttare. Tra raffiche di razzi, più di mille uomini armati di Hamas, il movimento islamista al potere nella Striscia di Gaza dal 2006, hanno sfondato la barriera che separa il territorio da Israele. I miliziani sono arrivati nelle località israeliane vicine, con pick-up, moto e perfino parapendii, seminando il terrore. Secondo l’esercito israeliano, il bilancio dell’attacco è stato di almeno 1.400 morti, per la stragrande maggioranza civili, e 199 persone rapite. La peggiore strage di israeliani dalla creazione dello stato ebraico nel 1948. In risposta, una pioggia di bombe e missili si è abbattuta su Gaza, decimando intere famiglie. Edifici alti più di dieci piani si sono polverizzati uno dopo l’altro. Quasi 3.500 persone, anche qui per la maggior parte civili, sono morte in un’o-

BELAL KHALED (ANADOLU/GETTY)

11 settembre 2005 fu ammainata l’ultima bandiera israeliana sulla Striscia di Gaza. Dopo aver mandato via i coloni che si erano stabiliti lì, le truppe dello stato ebraico abbandonarono quel territorio, conquistato nel 1967 durante la guerra dei sei giorni. Bastione della resistenza all’occupazione israeliana, Gaza passò sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), come previsto dal piano di “disimpegno” voluto dal premier israeliano dell’epoca, Ariel Sharon. L’enclave costiera di 360 chilometri quadrati e due milioni di abitanti, un concentrato di collera e miseria, avrebbe detto addio alle armi? Sarebbe diventata l’espressione dei sogni dei palestinesi, il prototipo dello stato a cui aspiravano? Per guidare i suoi primi passi fu scelto un multimilionario ebreo statunitense che aveva familiarità con i grandi del mondo: James Wolfensohn. A 73 anni l’ex presidente della Banca mondiale, appena andato in pensione, accettò il ruolo d’inviato speciale del “quartetto” (Stati Uniti, Unione europea, Russia, Nazioni Unite). La sua missione era risollevare l’economia della striscia di sabbia, dissanguata dalla repressione della seconda intifada (2000-2005). Usando i suoi contatti,

perazione che probabilmente è solo all’inizio (il 17 ottobre un bombardamento su un ospedale di Gaza ha provocato centinaia di vittime). Diciotto anni dopo il ritiro del 2005, l’esercito israeliano potrebbe invadere di nuovo la Striscia. Si preparano piani nell’ipotesi di una lunga campagna per smantellare l’infrastruttura militare di Hamas. Nella mente dei leader israeliani il movimento palestinese è “il nuovo Stato islamico”, “un flagello”. E “il covo” di questo male assoluto è Gaza. La stigmatizzazione dell’enclave palestinese ha una

Khan Yunis, Striscia di Gaza, 15 ottobre 2023

storia antica. All’inizio degli anni novanta, dopo la prima intifada (1987-1993), in Israele si usava l’espressione “lekh le-Azza!” (va’ a Gaza!) per dire “va’ al diavolo”. Anche prima degli attentati suicidi che segnarono quel decennio, la Striscia di Gaza era considerata un luogo pericoloso e ripugnante. Questa anomalia geografica è però opera dei fondatori di Israele. Alla fine del 1948, in piena “guerra d’indipendenza”, David Ben Gurion, primo capo del governo israeliano, rinunciò ad attaccare Gaza, dove erano trincerate le truppe egiziane

andate in soccorso dei palestinesi. Nel 1949 l’armistizio firmato con Il Cairo diede vita a questo angusto territorio, popolato da 80mila abitanti originari del luogo e da 200mila rifugiati palestinesi che erano stati cacciati dalle loro case, a nord e a est, dalle milizie sioniste. Temendo che lì scoppiasse un focolaio nazionalista, Ben Gurion cercò di neutralizzarlo. Nel suo libro Storia di Gaza (2012), lo storico e arabista francese Jean-Pierre Filiu spiega che il primo ministro israeliano aveva proposto all’Onu di annettere Gaza, in cambio di un reinsediamento dei rifugiati in terra

israeliana. Gli egiziani si erano opposti, diventando automaticamente gli amministratori della regione. Così un’anomalia nata dalla guerra si è consolidata. Fu allora, negli anni cinquanta, che la resistenza palestinese ottenne i primi successi militari. Israele rispose con l’occupazione di Gaza, dal novembre 1956 al marzo 1957. Una parentesi che causò la morte di un migliaio di palestinesi. Le azioni dei fedayin, i guerriglieri palestinesi, proseguirono dopo l’occupazione del 1967. Al comando sul fronte meridionale, Ariel Sharon reagì nel 1971 lanciando blindati e Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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In copertina

Verso la chiusura Hamas emerse in quel momento. Si appoggiava alla rete di un’organizzazione religiosa, Al Mujamaa al islami (Il centro islamico), che si era stabilita nella Striscia di Gaza con il sostegno – inizialmente tacito, poi attivo – dell’occupante. La burocrazia militare israeliana aveva scommesso su questa filiazione dei Fratelli musulmani, che si disinteressava alla politica, per indebolire il fronte nazionalista incarnato dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat. Nella Striscia di Gaza tra il 1967 e il 1986 il numero di moschee affiliate alla confraternita passò da 76 a 150. Nel 1987 Ahmed Yassin, il leader di Al Mujamaa, decise di dare priorità alla lotta contro l’occupante rispetto all’islamizzazione della società. Le basi del movimento Hamas erano pronte. Il rallentamento della prima intifada nel 1991 coincise con una misura molto importante: la revoca del “permesso di uscita generale”. Da diritto concesso a tutti i palestinesi, la libertà di spostarsi tra Gaza, Israele e la Cisgiordania si trasformò in un privilegio, accordato solo ad alcune categorie sociali (studenti, uomini d’affari e chi lavorava in Israele). Questa decisione, presa alla vigilia della prima

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L’ospedale Al Shifa di Gaza, 17 ottobre 2023

ABED KHALED (AP/LAPRESSE)

bulldozer israeliani contro i campi profughi. Rastrellamenti, uccisioni, espulsioni, demolizioni di massa tramortirono Gaza. L’anno seguente i toni cambiarono: Israele concesse ai palestinesi dei territori occupati un “permesso di uscita generale”, che li autorizzava a muoversi senza restrizioni tra il mare e il fiume Giordano. Il numero di abitanti di Gaza che lavoravano in Israele come operai, camerieri, autisti, cuochi o giardinieri salì da cinquemila nel 1968 a 61mila nel 1973. La manovra aveva l’obiettivo di diluire il nazionalismo palestinese nel mondo del lavoro israeliano. E in un primo momento funzionò. Gli stipendi offerti erano nettamente superiori a quelli di Gaza e procurarono una forma di pace sociale. Ma gli effetti dell’occupazione e della colonizzazione, con le violenze e le umiliazioni che portavano, ripresero il sopravvento. La prima intifada esplose nel dicembre 1987. Gaza fu l’epicentro della sollevazione popolare che il ministro della difesa israeliano Yitzhak Rabin promise di sedare “rompendo le ossa” dei giovani lanciatori di pietre.

guerra del Golfo (gennaio-febbraio 1991) fu presentata come una misura precauzionale temporanea. Ma la sua portata era molto più ambiziosa. I generali israeliani avevano capito che, favorendo con il “permesso di uscita generale” una riunificazione di Gaza e della Cisgiordania, avevano generato uno slancio che non era estraneo allo scoppio della prima intifada. I teorici in divisa a Tel Aviv raccomandavano ora la “separazione”. Si trattava di disgregare il corpo sociale e politico palestinese. A questo nuovo regime di mobilità si aggiunse la chiusura. Bastava che l’esercito desse l’ordine per sbarrare il checkpoint di Erez, la porta di uscita da Gaza verso Israele e la Cisgiordania. Il primo ordine arrivò nel marzo 1993, un anno prima che Hamas – che nega ogni legittimità a Israele – lanciasse una serie di attentati suicidi. Ogni giorno di chiusura significava centinaia di migliaia di shekel di stipendi persi. Il paradosso è che in quel momento cominciava il processo di pace a Oslo. 10 km

Valico di Erez Mar Mediterraneo

Striscia di Gaza (PALESTINA) Khan Yunis Rafah

EGITTO

Valico di Rafah

Gaza

Wadi Gaza

ISRAELE

Yitzhak Rabin era diventato primo ministro. “Vorrei che Gaza sprofondasse nel mare, ma questo non accadrà e una soluzione si deve trovare”, dichiarò all’epoca. Furono elaborati dei progetti per creare zone industriali miste alle porte dell’enclave, con capitale israeliano e manodopera palestinese. Ma a ogni azione violenta di Hamas lo stato maggiore israeliano stringeva la morsa sulla Striscia. Chiusure, riduzione dei permessi: queste misure, denunciate come “punizioni collettive”, fecero salire il tasso di disoccupazione nel territorio fino al 70 per cento. Nel 2000, quando scoppiò la seconda intifada, Israele intensificò la strategia punitiva. Il corridoio aperto qualche mese prima per facilitare i viaggi verso la Cisgiordania fu chiuso. L’aeroporto di Gaza, in funzione da un anno, fu bombardato. Agli studenti di Gaza iscritti all’università in Cisgiordania fu revocato il permesso di uscita. Lo stato ebraico, che controllava il registro anagrafico palestinese, vietò anche i cambiamenti di domicilio tra i due territori. I palestinesi di Gaza che abitavano in Cisgiordania senza un’autorizzazione apposita furono rispediti nella Striscia. Poi arrivò il ritiro israeliano da Gaza nel 2005. Yasser Arafat era morto nel 2004 e Abu Mazen, il suo successore alla guida dell’Anp, vide l’opportunità di rilanciare il processo di pace. Sperava di restituire un po’ di credito al suo regime, logorato dal fiasco del processo di Oslo, e contenere così la spinta di Hamas. Il movimento islamista riteneva, non a torto, che

il disimpegno israeliano fosse la conseguenza della sua strategia armata. A Ramallah gli sforzi di Abu Mazen per coordinare la partenza da Gaza degli 8.500 coloni israeliani si scontrarono con la tattica unilaterale di Ariel Sharon, diventato premier di Israele. Qualche mese prima del ritiro, il consigliere di Sharon, l’avvocato Dov Weissglas, confessava al quotidiano israeliano Haaretz: “Il senso del disimpegno è congelare il processo di pace. Tutto il pacchetto chiamato stato palestinese è stato rimosso a tempo indeterminato dalla nostra agenda”. L’11 settembre 2005 i pezzi grossi di Gaza boicottarono la cerimonia del ritiro dell’esercito israeliano. Avevano la sensazione che invece di restituirgli la chiave di quel territorio le loro controparti l’avessero buttata via.

Constatare il fallimento Il miliardario James Wolfensohn si mise al lavoro. Il suo strumento principale si chiamava Agreement on movement and access, un accordo israelo-palestinese firmato con il sostegno di Condoleezza Rice, all’epoca segretaria di stato statunitense, che aveva l’obiettivo di rompere l’isolamento di Gaza. Prevedeva il ripristino dei passaggi e dei collegamenti stradali con la Cisgiordania, la creazione di un porto e l’eventuale riapertura dell’aeroporto. Ma molto rapidamente le cose presero un’altra direzione. Il terminal di Karni, via di accesso al mercato israeliano, apriva solo a intermittenza. Nei giorni in cui era chiuso un ingorgo di camion pieni di pomodori e peperoni si formava davanti ai cancelli. Molti prodotti dovevano essere buttati. Karni si trasformò in un vicolo cieco. Questioni di sicurezza, rispondeva Israele. Il 13 gennaio 2005 sei civili israeliani furono uccisi da miliziani di Hamas che si erano infiltrati nel terminal. Tra il 2005 e il 2006 i lanci di razzi e mortai sulle località nel sud di Israele aumentarono del 300 per cento. La strategia degli islamisti alimentò l’ossessione d’Israele per la sicurezza. Wolfensohn non si scoraggiò. A Karni furono installati scanner giganti per permettere ai militari israeliani di rilevare la più piccola minaccia nascosta nel rimorchio di un camion. Ma l’interlocutore di Wolfensohn era Amos Gilad. Generale in pensione, capo dell’ufficio politico e di sicurezza del ministero della difesa israeliano, era lui l’uomo dietro il blocco di

Gaza. “Con lui la minima richiesta può richiedere mesi”, raccontò all’epoca un diplomatico occidentale. “Non dice mai di no, mai di sì, ma ‘bisogna vedere’ oppure ‘valuteremo’. Inventa tutte le scuse per non fare nulla”. Le sessioni di lavoro tra la squadra di Wolfensohn e quella di Amos Gilad erano spesso molto animate. Ma nel gennaio 2006 le controversie si appianarono. Hamas aveva appena vinto le elezioni legislative, logica conseguenza del discredito dell’Anp tra la popolazione. Per Washington la priorità non era più risollevare Gaza, ma piuttosto distruggere gli islamisti. Sotto l’influenza di Elliott Abrams, viceconsigliere per la sicurezza nazionale e conservatore, restio a fare qualunque pressione su Israele, la diplomazia statunitense abbandonò l’inviato speciale del “quartetto”, che si dimise nell’aprile 2006. Il suo ultimo rapporto constatava il fallimento: Karni chiuso un giorno sì e uno no, nessun porto, nessun aeroporto, nessun corridoio con la Cisgiordania. Keith Dayton, coordinatore degli Stati Uniti per la sicurezza in Israele e Palestina, raccolse il testimone. Propose di far uscire i prodotti di Gaza dall’Egitto, attraverso altri due terminal, Kerem Shalom e Rafah. Ma i suoi tentativi s’infransero contro l’intransigenza israeliana e gli sgambetti dei falchi di Washington. “Invece di ritrovare la speranza, i palestinesi hanno capito di essere stati rimessi in prigione. Con un tasso di disoccupazione al 50 per cento il conflitto è inevitabile”, dichiarò Wolfensohn. A metà giugno del 2007 le forze di Al Fatah, fedeli ad Abu Mazen, furono sconfitte da Hamas nel corso di una guerra civile durata cinque giorni. Il movimento islamista s’impadronì di tutta la Striscia di Gaza, sotto lo sguardo affranto dei negoziatori palestinesi, che avevano lavorato per ridarle ossigeno. Uno di loro spiegò: “Se Karni, Rafah e Kerem Shalom fossero stati aperti prima del colpo di mano di Hamas la situazione sarebbe stata diversa. Viene da chiedersi se gli israeliani non abbiano deliberatamente favorito l’ascesa di Hamas”. Secondo un dispaccio del dipartimento di stato statunitense reso pubblico da WikiLeaks, il 13 giugno, un giorno prima del naufragio di Al Fatah, il capo dei servizi d’intelligence militari israeliani disse all’ambasciatore di Washington a CONTINUA A PAGINA 26 »

Da Gaza

Nessun posto dove andare Ruwaida Kamal Amer e Mahmoud Mushtaha, +972 Magazine, Israele al 13 ottobre decine di migliaia di abitanti del nord della Striscia di Gaza sono in fuga verso sud, dopo che Israele ne ha ordinato l’evacuazione. Il tentativo di trasferire più di un milione di persone somiglia a una seconda nakba, la catastrofe palestinese del 1948. Molti cercano rifugio in casa di familiari o amici. Ma tutti sanno che a Gaza non ci sono luoghi sicuri. La maggior parte delle istituzioni internazionali con uffici a Gaza – compresa l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e le agenzie di stampa come Associated Press – hanno spostato a sud i dipendenti. Nonostante questo, molti abitanti sono rimasti nella città di Gaza e in altre aree nel nord. Per tanti di loro, che sono profughi dal 1948, andarsene di nuovo è impensabile. Alcuni non possono farlo perché sono malati o feriti. Altri non sanno dove andare o temono le difficoltà del viaggio. Samar Siyam, che si è rifugiata con la famiglia a Khan Yunis, a sud, ha avuto difficoltà a trovare un mezzo di trasporto: “Abbiamo contattato il centralino dei taxi, ma non c’erano più auto disponibili”. Kamal Obeid, 32 anni, è andato con i parenti in una scuola gestita dall’Unrwa a Tal el Hawa, nella zona ovest della città di Gaza: “Non scapperò due volte. Abbiamo perso tutto quello che avevamo. Se dobbiamo morire, moriremo qui. Nessuna morte è peggiore della situazione in cui viviamo, senza acqua, viveri o elettricità”. Ahmed Masoud, 22 anni, ha deciso di scappare: “Dobbiamo andarcene, anche se finiremo per strada”. Umm Abed è tra le migliaia di persone in viaggio a piedi, lungo la strada Salah al Din, che collega la Striscia da nord a sud, insieme a figli e nipoti. “Questo è un genocidio”, dice. “Dove dovrebbero andare tutte queste persone? Le nostre anime e le nostre vite contano”. ◆ gim

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In copertina Tel Aviv: “Israele sarebbe felice se Hamas s’impossessasse di Gaza, perché così l’esercito potrebbe trattare Gaza come uno stato ostile”.

A intervalli regolari I sedici anni successivi sono la cronaca di un cataclisma annunciato. Dichiarato “entità ostile” da Israele, il fazzoletto di terra palestinese è sottoposto a un blocco quasi ermetico dal 2007. È occupazione sotto un’altra forma, il controllo a distanza. “L’idea è mettere i palestinesi a dieta, senza farli morire di fame”, spiegava Dov Weissglas, che dopo l’ictus di Sharon passò al servizio del nuovo primo ministro israeliano, Ehud Olmert. I nutrizionisti dell’esercito israeliano hanno calcolato la razione che permette di mantenere un abitante medio di Gaza appena al di sopra della soglia di malnutrizione: 2.279 calorie al giorno. Sulla base di questa stima lo stato maggiore ha stabilito che ogni giorno potevano entrare a Gaza 131 camion. Ma secondo l’ong israeliana Gisha, specializzata nei problemi di accesso nella Striscia, spesso non si raggiungeva quel numero. La lista dei prodotti vietati, accusati di “duplice uso”, ha sconcertato gli osservatori. “Avete mai visto bombe a base di lenticchie? Qualcuno ucciderà con la pasta?”, chiedeva nel 2009 il deputato democratico statunitense Brian Laird, di ritorno da una visita a Gaza. Il contrabbando attraverso i tunnel di Rafah, fiorente in quegli anni, ha permesso di evitare penurie troppo gravi. A intervalli regolari i cacciabombardieri israeliani hanno attaccato Gaza in risposta al lancio di razzi di Hamas: 20082009, 2012, 2014 e 2021. Si sono susseguite quattro guerre, che hanno provocato la morte di migliaia di palestinesi. Si trattava di “falciare l’erba”, hanno spiegato gli strateghi israeliani, cioè di mantenere le capacità offensive di Hamas a un livello sopportabile. Una ricetta per la guerra perpetua. Hamas e Al Fatah hanno annunciato più volte una riconciliazione o la formazione di un governo di unità nazionale. Ma queste iniziative sono sempre fallite. Nessuno dei due gruppi rivali era pronto a condividere l’esiguo potere esercitato nel suo feudo. Pressato dalla comunità internazionale, nel 2017 Hamas ha modificato il suo manifesto, un testo spesso astruso, infarcito di frasi antisemite. Il nuovo docu-

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mento, più presentabile, parlava di uno stato in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza come di una “base comune per tutte le fazioni palestinesi”. Ma non riconosceva Israele, la condizione dei paesi occidentali per aprire un dialogo con il movimento. Nel 2018 e nel 2019 Hamas e altre organizzazioni palestinesi hanno partecipato alle “marce del ritorno” lungo la recinzione di Gaza, un’iniziativa della società civile per protestare contro un assedio soffocante. La mobilitazione è stata repressa con violenza. Nel giro di un anno i cecchini israeliani hanno ucciso quasi duecento persone e ne hanno ferite 7.100. La rabbia che montava a Gaza e la disperazione della popolazione non hanno allarmato Benjamin Netanyahu, al potere dal 2009. Valigie di dollari dal Qatar, accordi occasionali e riservati con Yahya Sinouar (il capo di Hamas), bombardamenti meticolosamente dosati: Netanyahu credeva di aver trovato la formula giusta per contenere gli islamisti e realizzare il suo piano. “Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno stato palestinese deve sostenere la nostra politica di rafforzamento e d’invio di denaro a Hamas”, spiegava nel marzo 2019 ai parlamentari del Likud, il suo partito. “Fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza da quelli della Cisgiordania”. Mezzo secolo di occupazione ha creato un mostro. Il 7 ottobre quel mostro si è svegliato. u fdl

Da sapere

Attacco all’ospedale

u La sera del 17 ottobre 2023 un’esplosione ha colpito l’ospedale Al Ahli al arabi nella città di Gaza. Il bilancio delle vittime è ancora incerto, ma fonti del ministero della salute locale parlano di almeno cinquecento morti. Nell’ospedale avevano trovato rifugio migliaia di persone le cui case erano state distrutte dai bombardamenti israeliani. Le autorità palestinesi hanno attribuito la responsabilità dell’attacco a Israele, secondo cui invece l’ospedale sarebbe stato colpito per errore da un missile del gruppo palestinese Jihad islamica. Dopo la notizia del massacro, a Ramallah, in Cisgiordania, sono scoppiate proteste contro l’Autorità nazionale palestinese, represse dalla polizia palestinese. Altre manifestazioni si sono svolte davanti alle ambasciate israeliane in Turchia e in Giordania, e a quella statunitense in Libano, dove le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni contro i manifestanti. Reuters

Dall’Egitto

La debolezza del Cairo Mada Masr, Egitto l valico di Rafah, l’unico passaggio che i palestinesi possono usare per uscire dalla Striscia di Gaza dal lato egiziano, è stato chiuso il 10 ottobre, dopo tre attacchi aerei israeliani. Cinque fonti politiche e diplomatiche egiziane, che hanno parlato a patto di restare anonime, hanno identificato due questioni centrali per Il Cairo. La prima riguarda la fuga di decine di migliaia di abitanti di Gaza verso il confine nel tentativo di raggiungere la penisola egiziana del Sinai. La seconda chiama in causa lo storico ruolo dell’Egitto come mediatore regionale nella gestione degli affari palestinesi, ora messo in discussione. Il Cairo si oppone all’arrivo dei palestinesi, ma ha avviato un piano che prevede l’allestimento di tende sul confine, cordoni di sicurezza e un divieto per i profughi di andare oltre la zona cuscinetto lunga 14 chilometri e larga 500 metri a Rafah, in costruzione dal 2014. Tradizionalmente l’Egitto ha un peso significativo nelle mediazioni tra Israele e la resistenza palestinese e in passato è riuscito a evitare che la situazione a Gaza degenerasse. Ma ora è diverso. Secondo le fonti, il governo israeliano e i suoi alleati negli Stati Uniti e in Europa accusano l’Egitto di non aver impedito l’escalation di Hamas. E le critiche sono amplificate dalla corsa delle potenze del Golfo, soprattutto Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a diventare i nuovi intermediari. Tutto questo avviene mentre l’Egitto sta vivendo una delicata situazione politica ed economica: tra meno di due mesi ci saranno le elezioni presidenziali, in un clima teso a causa di un’inflazione e di una crisi del debito senza precedenti. Ci sono dubbi sulla capacità dell’Egitto di resistere alle pressioni. Secondo le fonti, la debolezza del Cairo potrebbe portare Israele, sostenuto da Washington, a proporre un piano di reinsediamento dei palestinesi nel Sinai, in cambio di incentivi economici. u fdl

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punta, Hezbollah, nel tentativo di salvare Hamas da una grave disfatta. E deve considerare la possibilità di scivolare in un confronto militare indiretto.

Soldati israeliani vicino al confine con il Libano, 18 ottobre 2023

JALAA MAREY (AFP/GETTY)

Ostaggi e diplomazia

Israele si muove su più fronti Amos Harel, Haaretz, Israele Le tensioni con Hezbollah lungo il confine con il Libano fanno temere la possibilità di un allargamento del conflitto entre si parla di quello che succede nella Striscia di Gaza, la situazione è sempre più critica anche al confine tra Israele e Libano, dove il gruppo armato libanese Hezbollah compie attacchi quotidiani, la cui intensità aumenta di giorno in giorno. In circostanze normali, probabilmente Israele avrebbe già risposto avviando una campagna militare. Per ora ha reagito con l’artiglieria, i raid aerei e intercettando i gruppi che cercano di entrare in Israele. Il motivo di questa moderazione, si può supporre, è il desiderio di concentrarsi sulla Striscia di Gaza. Hezbollah cerca di dissuadere Israele dall’invadere il territorio palestinese, costringendolo a schierare le sue forze anche sul fronte settentrionale. Hezbollah sta calibrando le sue risposte, scegliendo rappresaglie mirate alle

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azioni di Israele. La situazione è molto incerta: c’è un notevole rischio di errore di calcolo, che potrebbe portare a una guerra su più fronti tra Israele e i suoi nemici, cioè a una guerra regionale. Sembra che la decisione finale sarà presa dall’asse che unisce i leader iraniani a Teheran e il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, a Beirut. L’Iran deve decidere se mettere a rischio il suo progetto di LIBANO Alma al Shaab Shtula Alture del Golan Mar Mediterraneo

Tel Aviv

Cisgiordania (PALESTINA) Ramallah Gerusalemme

Striscia di Gaza (PALESTINA)

Mar Morto Linea verde

EGITTO

ISRAELE

GIORDANIA 30 km

Intanto Israele deve affrontare la questione degli ostaggi. Il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha dichiarato che Washington è in contatto con un altro paese, probabilmente il Qatar, per realizzare uno scambio di prigionieri. Si tratterebbe di un rilascio di donne e bambini israeliani in cambio di donne e minori palestinesi imprigionati in Israele per reati legati alla sicurezza. Hamas ha un certo interesse a un accordo di questo tipo, dopo che il suo orribile massacro di civili ha provocato un forte shock in tutto il mondo. Il movimento islamista si sta comportando come se avesse lanciato una guerra totale e non mostra alcun segno di voler arrivare a un compromesso, soprattutto da quando Israele ha annunciato l’intenzione di distruggerlo in ogni caso. Gli obiettivi dell’operazione, presentati in termini piuttosto generici all’opinione pubblica, parlano dell’eliminazione del governo di Hamas o, in un’altra versione, delle sue capacità militari e organizzative. Sorgono altre domande: cosa farà Israele con il sud della Striscia di Gaza, dove saranno ammassati i civili con i militanti di Hamas certamente nascosti tra loro? L’ingresso a Gaza scatenerà una guerra lungo il confine nord di Israele? Nei colloqui tenuti dai leader politici e militari israeliani, sullo sfondo della guerra nel sud e della tensione nel nord del paese, ci sono stati momenti in cui si è pensato a un allargamento del conflitto. Si può ipotizzare che l’arrivo di Blinken e poi del presidente statunitense Joe Biden non siano solo un’espressione di solidarietà, ma della necessità di Washington di accertarsi che Israele rimanga entro i limiti di una risposta dura nella Striscia di Gaza, dissuadendo al contempo l’Iran e Hezbollah dall’infiammare il nord. Il sostegno di Washington è forte, ma Israele non ha ottenuto dagli statunitensi carta bianca per fare quello che vuole per un tempo illimitato. I mezzi d’informazione arabi riferiscono di tentativi iraniani di trasportare milizie sciite in Libano e in Siria e di un aumento delle spedizioni di armi. SeconInternazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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In copertina do la difesa israeliana, finora non ci sono stati segnali di istruzioni iraniane ad Hamas su quando e come attaccare le comunità e le basi dell’esercito al confine con Gaza. Tuttavia, è chiaro che l’idea generale e la natura dell’attacco del 7 ottobre sono state formulate con gli iraniani e che Teheran ha contribuito alla costruzione della forza militare e all’addestramento di Hamas. Si può interpretare il sostegno iraniano al movimento palestinese come parte della lotta tra l’asse iraniano e l’asse statunitense-saudita in questa regione, con l’Iran che vuole interrompere la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele. Nell’ultimo decennio è stata costruita una grande ed efficace “macchina” per colpire simultaneamente più obiettivi. Questa macchina è ora collaudata a Gaza, ma il suo vero banco di prova arriverà in un confronto più grande, se scoppierà, con il Libano. u dl

Da sapere La posizione di Washington u Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la risposta di Israele il governo statunitense ha cercato di trovare un equilibrio tra il sostegno al governo di Tel Aviv e la necessità di evitare un allargamento del conflitto nella regione. “Sono giorni intensi per il segretario di stato Antony Blinken, che nel giro di poco ha incontrato, oltre al premier israeliano Benjamin Netanyahu, i leader di Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto”, scrive Politico. Blinken ha messo in chiaro che Washington “coprirà sempre le spalle a Israele”, poi ha aggiunto: “La maniera in cui Israele risponde è importante. Deve farlo in modo da affermare i valori condivisi che abbiamo sulla vita e la dignità umana, prendendo tutte le precauzioni possibili per evitare di danneggiare i civili”. Queste parole sono state interpretate come un tentativo di convincere Israele a non lanciare un’invasione di terra della Striscia di Gaza. Lo sforzo diplomatico di Blinken serviva anche a preparare la visita di Joe Biden, che avrebbe dovuto mostrare agli attori regionali l’impegno americano in favore della pace. Ma i piani del presidente sono stati sconvolti dall’attacco a un ospedale di Gaza, che il 17 ottobre ha causato centinaia di morti e ha fatto salire la tensione in Palestina e in altri paesi a maggioranza musulmana. Il 18 ottobre Biden ha incontrato Netanyahu a Tel Aviv, ma è stato cancellato il vertice previsto in Giordania con il re Abdallah II, il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.

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Dal Libano

Tra l’incudine e il martello Anthony Samrani, L’Orient-Le Jour, Libano Di fronte al rischio di un conflitto con Israele i politici libanesi mostrano tutta la loro incapacità e incompetenza ssam Abdallah faceva parte della generazione che è scesa in piazza contro il governo nel 2019. Quella che voleva farla finita con il Libano di prima, il Libano della guerra e delle milizie, dei compromessi al ribasso e del settarismo religioso. Il 13 ottobre il giornalista della Reuters è stato ucciso da colpi israeliani diretti contro la regione di Alma al Shaab, nel sud del Libano. Nei video si vede un gruppo di giornalisti chiaramente identificabili e nient’altro all’orizzonte. Nulla che potesse giustificare che il luogo fosse preso di mira, se non la presenza di questi soldati dell’informazione, sei dei quali sono rimasti feriti. Israele è in grado di puntare dei bersagli in movimento con una precisione formidabile, come ha dimostrato più volte in Siria negli ultimi anni. Si può credere a una svista? Sembra poco probabile dato che lo stato ebraico ha seri precedenti in materia. Secondo l’ong statunitense Committee to protect journalists, tra il 2000 e il 2022 Israele ha ucciso venti giornalisti palestinesi. Dall’inizio dell’operazione israeliana su Gaza ne sono stati uccisi altri dieci. Hezbollah ha reagito duramente alla morte di Issam Abdallah, accusando Israele e denunciando “la parzialità e la cecità dell’Onu, della sua forza nel sud del Libano (Unifil), della Casa Bianca, della Reuters e di molti altri mezzi d’informazione che hanno consapevolmente evitato di citare il responsabile”. Sull’onda dell’emozione si potrebbe quasi dimenticare che Hezbollah è accusato di aver ucciso molti intellettuali, giornalisti e politici negli ultimi vent’anni. Tutti questi fatti tragici riassumono bene quello che è diventato il Libano nel 2023: un non-stato in un non-paese, che dichiara guerra agli omosessuali e ai ri-

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fugiati siriani, ma la cui piccolezza emerge quando si tratta di prendere una decisione o almeno di impedire a Hezbollah di decidere se entrare in guerra (vera, questa volta) contro l’esercito più potente della regione, appoggiato dall’esercito più potente del mondo.

Con chi prendersela Nella sciagura, quello che sta succedendo ha almeno un merito: dipingere un quadro del Libano, spogliato di tutti i fronzoli, nella sua verità più cruda e crudele. Non conta più nulla, né il governo farsa, il cui primo ministro uscente ammette la sua impotenza di fronte al rischio di una guerra; né la sedicente opposizione, che passa il tempo a fare a gara a chi critica di più Hezbollah ma nel momento più importante assiste da spettatrice mentre il partito-milizia prende in ostaggio un intero paese; né i calcoli astrusi e discutibili degli uni e degli altri, troppo occupati a difendere i loro piccoli interessi per evitare che il Libano precipiti verso l’abisso. Siamo tra il martello israeliano e l’incudine di Hezbollah. E in questa trappola infernale non abbiamo né stato né statisti a proteggerci. Sarà l’ayatollah iraniano Ali Khamenei, dietro consiglio del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah e di altre eminenze grigie, a stabilire se il Libano sarà o meno distrutto per la “causa iraniana” nelle prossime settimane. E noi ci piangeremo addosso per la nostra sorte, invocando la storia e la geografia, accusando l’occidente e gli arabi di averci abbandonato, insultando Israele che non avrà alcuna pietà per il Libano. Ma possiamo prendercela solo con noi stessi. Perché siamo stati noi libanesi, per paura o per opportunismo, ad aver consegnato il paese a Hezbollah. E siamo noi che accettiamo oggi di lasciargli decidere la nostra sorte senza reagire. u fdl Anthony Samrani è il direttore del quotidiano libanese L’Orient-Le Jour.

SAID KHATIB (AFP/GETTY)

Dopo un raid israeliano nel campo profughi di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, 17 ottobre 2023

La questione palestinese vista dalla stampa araba Le ripercussioni globali Vanessa Ghanem, Al Arabiya, Emirati Arabi Uniti entre infuria la guerra tra Hamas e Israele, la regione si trova ad affrontare la possibilità che succeda il peggio. Le implicazioni potrebbero essere catastrofiche se altri gruppi o paesi, come Hezbollah e perfino l’Iran, decidessero di entrare nella mischia. Secondo Imad Salamey, consulente per la politica mediorientale e professore di scienze politiche all’università americana del Libano, le turbolenze in Medio Oriente possono avere profonde ripercussioni globali, a causa del ruolo centrale della regione nelle forniture di energia e in una rotta fondamentale per il trasporto marittimo: “La sicurezza del Medio Oriente è imprescindibile per la stabilità di tutto il mondo. La regione ha un’importanza strategica per il commercio globale”. Salamey sottolinea che un conflitto esteso a tutta l’area avrebbe un effetto a catena sui mercati azionari ed energetici,

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portando a un aumento dei prezzi del petrolio. “Questa situazione avrà ampie ricadute, non solo sul Medio Oriente, ma anche nei paesi vicini, compresi quelli europei”. Oggi l’economia globale è fragile e sta cercando di riprendersi dall’inflazione, aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina. “C’è il rischio di nuovi rincari, con conseguenze che vanno da possibili rivolte nel mondo arabo a ripercussioni sulle prossime elezioni presidenziali statunitensi, perché i prezzi del carburante potrebbero influenzare in modo significativo il voto”, conclude Imad Salamey. u Al Arabiya è un’emittente fondata nel 2003 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

Per una soluzione politica Ghassan Charbel, Asharq al Awsat, Regno Unito l conflitto in corso è più pericoloso di quelli passati. Alcuni osservatori temono che la guerra a Gaza possa esse-

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re il primo capitolo di una battaglia più grande che cambierebbe tutto il Medio Oriente. Gaza è legata alla regione. Un eventuale attacco di terra causerebbe perdite catastrofiche in termini di vite umane, per questo è urgente salvare i civili e rispettare il diritto internazionale umanitario. Ma non si può tornare alla situazione precedente, deve esserci un percorso verso una soluzione politica. Essenzialmente questo è quello che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha detto al segretario di Stato statunitense Antony Blinken. Non è un segreto che gli Stati Uniti siano la potenza più influente per fermare l’escalation e preparare le parti ad accettare la fine della guerra. Questa missione significa salvare Gaza da un disastro umanitario e la regione da un terribile crollo. u Asharq al Awsat è un quotidiano panarabo legato alla famiglia reale saudita. Ha sede a Londra e un’edizione in arabo e una in inglese.

L’importanza del mare Laleh Khalili, Al Jumhuriya, Siria urante gli anni di assedio, i servizi di sicurezza israeliani hanno rafforzato il controllo sui confini terrestri e marittimi di Gaza e hanno intensificato la sorveglianza della costa e delle spiagge. Oltre a ridimensionare le acque territoriali della Striscia di Gaza, Israele ha strangolato la sua economia, ha azzerato la vita quotidiana e ha trasformato il territorio in una delle più grandi e popolate prigioni a cielo aperto del mondo. Gli scontri frequenti con le pattuglie navali israeliane impediscono ai pescatori palestinesi di guadagnarsi da vivere. I pattugliatori sono noti per i loro attacchi arbitrari ai pescherecci, che non possono spingersi alla distanza e alla profondità necessarie per trovare il pesce. Così sono

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In copertina stati costretti a interrompere la maggior parte delle loro attività. Anche passare il tempo sulle spiagge di Gaza è diventato pericoloso, perché diversi bambini e passanti sono stati uccisi dai proiettili dei cecchini e dai missili israeliani. Nonostante questo, il mare rimane una finestra sul mondo per i palestinesi. La Palestina è un paese costiero i cui poeti sognano le onde del Mediterraneo, i cui bambini imparano a tuffarsi, a nuotare e a giocare a calcio sulla sabbia, la cui cucina si distingue per i frutti di mare. Le case che si affacciano sul mare aprono le porte per far entrare aria fresca e acqua salata. È vero che i porti famosi della Palestina, come Haifa, Jaffa e Acri, sono stati conquistati durante la nakba (l’esodo del 1948), ma il popolo palestinese continua a pensarci, perché il mare fa parte della sua identità. Mentre i palestinesi di Gaza vivono all’ombra delle flotte da guerra israeliane e statunitensi – che trasformano il mare “in una delle fonti dell’inferno”, come ha scritto il poeta Mahmoud Darwish – il Mediterraneo attende il loro ritorno. ◆ Al Jumhuriya è un sito di approfondimento sulla Siria e il Medio Oriente fondato nel 2021 da un gruppo di intellettuali e scrittori siriani.

La complicità dell’occidente Abdelaziz Rahabi, Tsa, Algeria sraele dovrebbe rendersi conto che non ha il monopolio dell’intelligenza né della forza. Ha il sostegno incondizionato dell’occidente: del Regno Unito, che ha creato Israele e la mappa del Medio Oriente postcoloniale; e della Germania, che ha un pesante debito storico e lo fa pagare diplomaticamente ai palestinesi. Tuttavia, non sempre la storia è scritta dai più potenti e nulla è immutabile. Fra trent’anni le persone nere e quelle di origine sudamericana e asiatica saranno la maggioranza della popolazione degli Stati Uniti, il che porterà senza dubbio a un’evoluzione delle priorità della politica estera di Washington.

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Il mondo sta cambiando e non solo al ritmo occidentale, ma sempre più secondo quello stabilito dalle potenze emergenti in Asia, America Latina e Africa. In queste regioni i leader e la pubblica opinione non condividono la giustificazione occidentale dell’occupazione della Palestina. La pace in Medio Oriente comporterà il recupero dei diritti politici dei palestinesi con tutti i mezzi, compresa la resistenza armata, proprio come nella storia dell’Algeria. ◆ Tsa – Tout sur l’Algérie è un sito algerino di attualità, in lingua francese, fondato nel 2007.

Due realtà distanti Hojat Mirzaei, Shargh, Iran embra che la cappa della violenza, della rabbia e della sofferenza sul Medio Oriente sia inevitabile. Negli ultimi settant’anni paesi come Palestina, Libano, Iraq e Afghanistan hanno vissuto buona parte della loro storia in una violenza continua e spesso crescente. È come se oggi quando si parla di Medio Oriente ci trovassimo davanti a due mondi distanti. Mentre diversi paesi della regione, arabi e musulmani, parlano di una possibile europeizzazione, un gruppo di persone della loro stessa origine e religione vive a Gaza i giorni più bui degli ultimi settant’anni. In un periodo in cui paesi musulmani del golfo Persico, del Mediterraneo (la Turchia) e del sudest asiatico (Indonesia e Bangladesh) parlano della loro grande crescita economica e dei progressi nel campo dell’industrializzazione, come si può comprendere il dolore e la sofferenza delle persone indifese della Striscia di Gaza? Le vittime principali di questa violenza sono la perdita di speranza nello sviluppo e nella pace, la sospensione e l’allontanamento di un domani migliore e più sicuro, non solo per il popolo palestinese ma anche per molti paesi arabi e musulmani vicini. ◆

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Shargh è un quotidiano riformista iraniano fondato nel 2003.

Il futuro degli accordi Jassim Ahdani e Réda Dalil, Tel Quel, Marocco a mattina del 15 ottobre il centro di Rabat era bloccato da un corteo di solidarietà con Gaza. Una manifestazione come non se ne vedevano da almeno tre anni, la prima autorizzata dal governo marocchino dopo che ha riallacciato i rapporti con Israele, alla fine del 2020. Migliaia di persone sono arrivate nel centro della capitale. Il loro slogan era: “Il popolo marocchino non approva il ‘diluvio di Al Aqsa’ né la normalizzazione”. Per i paesi arabi che hanno firmato gli accordi di normalizzazione con Israele, ma anche per l’Arabia Saudita che stava per farlo, gli ultimi eventi hanno cambiato la situazione. Mai il progetto voluto da Jared Kushner, il genero dell’ex presidente statunitense Donald Trump, è stato così vicino al fallimento. Gli accordi hanno aperto al Marocco e a Israele moltissime opportunità militari, economiche, culturali. Ma con il passare del tempo il progetto ha tenuto sempre meno conto della variabile Palestina. Rabat, però, aveva chiarito fin dall’inizio che il suo avvicinamento a Israele non avrebbe interferito con il sostegno costante alla causa palestinese. Oggi il futuro dei cosiddetti accordi di Abramo dipenderà da quanto saranno violente le operazioni israeliane a Gaza. Il Marocco sta agendo nell’ombra per far rivivere la possibilità di un dialogo che porti a una riduzione delle ostilità. ◆

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Tel Quel è un settimanale marocchino.

Chi approfitta del caos Al Ayyam, Palestina al 7 ottobre i coloni israeliani, con il sostegno dell’esercito, hanno ucciso 58 palestinesi in Cisgiordania secondo il ministero della salute palestinese, approfittando del caos a Ga-

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ABED KHALED (AP/LAPRESSE)

Gaza, Palestina, 17 ottobre 2023

za. Karam Ayman Dweikat, di 17 anni, è stato ucciso durante gli scontri nella città di Beita e altre persone sono state uccise o ferite tra Nablus e Betlemme. Le uccisioni sono accompagnate da una campagna di arresti. I coloni hanno dichiarato guerra ai villaggi palestinesi dei territori occupati e hanno attaccato negozi e abitazioni. Queste azioni e le minacce dei coloni costituiscono un pericoloso precedente in Cisgiordania, dove nel 2023 le forze israeliane hanno ucciso più di 170 palestinesi. Il 17 ottobre i negozi della cittadina di Hawara sono rimasti chiusi. In alcuni villaggi, come Deir Jarir, che si trova vicino a Ramallah ed è sovrastato dalla colonia di Ofra, tutte le notti gruppi di giovani palestinesi fanno le ronde per garantire la sicurezza. Nella Cisgiordania occupata accanto a tre milioni di palestinesi vivono mezzo milione di coloni ebrei, in insediamenti considerati illegali dal diritto internazionale e a volte anche dalla stessa legge israeliana. ◆ Al Ayyam è un quotidiano palestinese con sede a Ramallah.

Un profondo cambiamento Hugh Lovatt, The New Arab, Regno Unito on è chiaro come Israele intenda mettere fine all’attuale ciclo di violenze. Ma il ritorno allo status quo non è possibile. Dopo gli attacchi del 7 ottobre il governo israeliano ha promesso di sradicare Hamas e finora a subirne le conseguenze è stata la Striscia di Gaza. Nonostante abbia uno degli eserciti più sviluppati del mondo, Israele faticherà a imporsi su un avversario molto determinato. Anche se riuscirà a sconfiggere Hamas a Gaza, il gruppo resterà forte e potente in Cisgiordania e in Libano, da dove potrà continuare a compiere attacchi in collaborazione con altri gruppi armati. Nel frattempo Israele si ritroverà a controllare una Striscia devastata, in condizioni umanitarie talmente gravi che porteranno solo a un’ulteriore radicaliz-

N

zazione degli abitanti. Israele probabilmente si rivolgerà alla comunità internazionale perché paghi il conto dell’occupazione e della ricostruzione, come ha fatto con la Cisgiordania, oppure potrebbe affidare Gaza ad Abu Mazen. Ma l’Autorità nazionale palestinese è in condizioni pessime, a causa degli sforzi dei vari governi israeliani per indebolirla e dell’incapacità dei suoi stessi leader. Sul lungo periodo il ritorno di Israele a Gaza continuerà a intrappolare israeliani e palestinesi nella realtà di un unico stato di apartheid, in guerra perenne. Dovrebbe essere chiaro ormai che la forza militare non è una soluzione percorribile. Per assicurare un futuro dignitoso e sostenibile alla Striscia il blocco israeliano deve finire e si deve ripristinare il collegamento politico con la Cisgiordania. Questo potrà avvenire solo con un profondo cambiamento della politica israeliana e un processo di riforma del movimento nazionale palestinese. ◆ The New Arab è un quotidiano panarabo con sede a Londra. La sua versione in arabo è Al Araby al Jadid. Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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ENERGIA

La tentazione del nucleare Il Burkina Faso e il Mali hanno firmato due memorandum d’intesa con la Rosatom, l’agenzia russa per l’energia atomica, che porteranno alla costruzione di centrali nucleari nei due paesi africani, scrive il sito burkinabé Le Faso. L’inizio di questa cooperazione è stato annunciato alla Settimana russa dell’energia, che si è svolta a Mosca dall’11 al 13 ottobre. Lo sviluppo del nucleare per scopi civili è una delle carte giocate dal Cremlino per estendere la sua influenza sul continente. Al momento l’unica centrale nucleare africana è attiva in Sudafrica, vicino a Città del Capo, dove sorge l’impianto di Koeberg (nella foto), entrato in funzione nel 1984. In Egitto, a El Dabaa, sulla costa mediterranea, sta per nascere una centrale nucleare della Rosatom, a cui anche l’Uganda ha chiesto di costruire un impianto, ricorda The East African. Il Ruanda, invece, ha recentemente firmato un accordo con l’azienda canadese-tedesca Dual Fluid, che costruirà un reattore nucleare di prova entro il 2026.

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ISOLE CHAGOS

IRAN

Dopo la colonizzazione

Lutto nel cinema

The Continent, Sudafrica

Un noto regista iraniano, Dariush Mehrjui, 83 anni, è stato ucciso a coltellate insieme alla moglie Vahideh Mohammadifar (nella foto, con Mehrjui), 54 anni, la sera del 14 ottobre nella loro casa a Karaj, una città vicino alla capitale Teheran. Regista, produttore e sceneggiatore, Mehrjui era considerato uno degli autori più importanti del cinema iraniano. I suoi film a sfondo sociale hanno subìto la censura delle autorità prima e dopo la rivoluzione islamica del 1979. Il 15 ottobre il quotidiano Etemad ha pubblicato un’intervista a Mohammadifar, sceneggiatrice e scenografa, nella quale denunciava che lei e il marito erano stati minacciati e che la loro casa era stata svaligiata.

“Il sogno è a portata di mano. La popolazione originaria delle isole Chagos sarà autorizzata a tornare nell’arcipelago”. Nel 2019 la Corte internazionale di giustizia, il più alto tribunale delle Nazioni Unite, ha stabilito che le isole, ancora sotto il controllo britannico, fanno parte del territorio di Mauritius. Mentre vanno avanti i negoziati sul trasferimento di sovranità, il premier mauriziano Pravind Jugnauth ha fatto sapere che permetterà agli abitanti originari dell’arcipelago e ai loro familiari – circa diecimila persone – di tornare alle Chagos. Negli anni sessanta e settanta Londra aveva costretto gli isolani a trasferirsi altrove (Regno Unito, Seychelles, Mauritius) per fare spazio alla costruzione di una base militare statunitense. La prospettiva del ritorno è considerata una vittoria da molti, ma una parte della comunità prova un senso di disillusione, racconta The Continent. C’è chi teme che finire sotto il controllo mauriziano non cambi le cose e chiede una forma più accentuata di autonomia, simile a quella dell’isola Rodrigues, un territorio che dipende da Mauritius ma ha forti poteri di autogoverno. ◆

LIBERIA

Ballottaggio presidenziale Dopo il primo turno delle elezioni presidenziali che si è svolto in Liberia il 10 ottobre, il presidente uscente George Weah e il suo principale avversario Joseph Boakai, che dal 2006 al 2018 è stato il vice della presidente Ellen Johnson Sirleaf, non hanno ottenuto un numero sufficiente di voti per evitare il ballottaggio. I due candidati si erano affrontati al secondo turno anche alle elezioni del 2017, ricorda il quotidiano nigeriano Premium Times. Weah, ex calciatore, concorre per il secondo e ultimo mandato, ed è in leggero vantaggio. Secondo i dati pub-

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blicati dalla commissione elettorale Weah ha ottenuto il 43,8 per cento delle preferenze contro il 43,5 di Boakai. Quelle del 10 ottobre sono state le prime presidenziali organizzate in Liberia dopo la fine, nel 2018, della missione di pace delle Nazioni Unite, creata dopo le guerre civili che tra il 1989 e il 2003 avevano causato la morte di più di 250mila liberiani. Alla vigilia del voto la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao/Ecowas) aveva avvertito le formazioni politiche di evitare annunci prematuri di vittoria e di aspettare i risultati definitivi. Lo scrutinio si è svolto in maniera pacifica. I sei anni di presidenza di Weah sono stati offuscati dalle accuse di corruzione e dalla crisi economica.

HANIEH ZAHED (AFP/GETTY)

DWAYNE SENIOR (BLOOMBERG/GETTY)

Africa e Medio Oriente

IN BREVE

Senegal Il 12 ottobre la sentenza di un tribunale ha permesso di reinserire nelle liste elettorali il nome del leader dell’opposizione Ousmane Sonko, attualmente in carcere. Secondo i suoi avvocati, potrà candidarsi alle presidenziali del 2024. Il 17 ottobre Sonko ha ripreso uno sciopero della fame, cominciato a settembre, per protestare contro la sua prigionia. Uganda Due turisti, originari di Regno Unito e Sudafrica, e la loro guida ugandese sono stati uccisi il 17 ottobre in un attacco nel parco nazionale Queen Elizabeth attribuito ai miliziani delle Forze democratiche alleate (Adf ).

Americhe

MELISSA GOLDEN (REDUX/CONTRASTO)

L’attivista conservatrice Jenny Beth Martin (a destra). Washington, 2013

mera – ruolo che costituzionalmente è il secondo nella linea di successione della presidenza degli Stati Uniti – evidenzia il caos perpetuo tra i conservatori. McCarthy è stato il quinto repubblicano a diventare speaker della camera nei 19 anni dal 1995 in cui i repubblicani l’hanno controllata, e il primo della storia a essere destituito con un voto. I democratici, invece, hanno avuto una sola presidente durante gli otto anni in cui hanno controllato la camera nello stesso periodo, Nancy Pelosi.

La forza del risentimento

STATI UNITI

Il partito più pazzo del mondo J. Carr Smyth e N. Riccardi, Associated Press, Stati Uniti I repubblicani statunitensi sono in conflitto tra loro sul piano federale e statale. Somigliano sempre di più ai loro elettori, quasi mai disposti ad accettare compromessi el 2022 i repubblicani dell’Ohio hanno consolidato la loro maggioranza nel parlamento statale con un grande risultato alle elezioni di metà mandato, ma subito dopo si sono divisi su chi doveva essere il presidente della camera. La spaccatura tra i conservatori più giovani e impazienti e quelli più tradizionalisti si è ricomposta solo quando i deputati democratici sono intervenuti per sbloccare la situazione. Da allora i repubblicani sono stati paralizzati dalle lotte intestine, al punto che nel 2023 sono riusciti a far passare solo dieci leggi anche se controllano saldamente tutti i rami del governo locale. Dall’Ohio all’Arizona fino al congresso di Washington, le lotte di potere e gli scontri alle primarie sono diventati un

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tratto distintivo del Partito repubblicano, come i tagli alle tasse e la retorica contro la criminalità. In Michigan il presidente di una sezione ha detto a un agente di polizia di essere stato “preso a calci nelle parti basse” da un collega di partito durante una riunione. Nel 2022 in Arizona i democratici hanno conquistato tutti gli incarichi per cui si votava – tra cui quelli di governatore e rappresentante al senato federale – dopo che i repubblicani più estremisti avevano ottenuto la candidatura a spese dei più moderati. In Texas il procuratore generale repubblicano ha superato indenne una procedura di destituzione avviata dal suo partito, e ora minaccia di aprire procedimenti penali contro alcuni suoi colleghi. Il culmine della tensione è stato raggiunto al parlamento federale all’inizio di ottobre, quando un piccolo gruppo di repubblicani si è alleato con i democratici per destituire il presidente della camera (speaker), il conservatore Kevin McCarthy, lasciando il ruolo scoperto proprio mentre in Medio Oriente scoppiava una nuova guerra. Lo scontro interno sul nome del prossimo presidente della ca-

Questa dinamica tra i repubblicani è cominciata negli anni novanta, quando l’ex deputato Newt Gingrich diventò speaker dopo aver preso di mira alcuni esponenti del suo partito, accusandoli di non essere abbastanza conservatori. “Dopo l’ascesa del Tea party, a destra del partito c’è stata una spinta costante per modificare le dinamiche di Washington”, spiega Jenny Beth Martin, direttrice del Tea party patriots action, un’organizzazione che è si ripetutamente scontrata con i vertici del partito. “Se vuoi ottenere un cambiamento rilevante, prima di affrontare lo schieramento opposto devi contrastare le persone che fanno parte del tuo stesso partito ma sostengono lo status quo”. Molti leaeder repubblicani danno la colpa della conflittualità anche ai mezzi d’informazione di destra, che favoriscono la polarizzazione e le prese di posizione aggressive. Ma alla fine dei conti il conflitto nasce dagli elettori: i sondaggi mostrano che chi vota per i repubblicani è molto meno incline al compromesso rispetto a chi vota per il Partito democratico, e questo alimenta inevitabilmente i contrasti. “L’elettorato repubblicano è convinto di essere sotto assedio. I cristiani vedono un paese sempre meno bianco e cristiano, mentre i rappresentanti della classe operaia vedono un paese dove i laureati hanno tutti i vantaggi”, dice Jack Pitney, politologo del Claremont McKenna college della California. Di contro, l’elettorato democratico (gli immigrati e i loro figli, i neri, i giovani laureati) vedono un futuro con migliori prospettive. “È la coalizione dell’ascesa sociale contro quella del risentimento”, spiega Pitney. La collisione tra queste due realtà è emersa a livello nazionale nelle elezioni di metà mandato del 2022, quando diversi candidati repubblicani estremisti, spesso Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Americhe STATI UNITI

ECUADOR

Aggressioni ai musulmani

Noboa eletto presidente

Il 14 ottobre a Plainfield, una cittadina nell’area di Chicago, Joseph M. Czuba, un uomo di 71 anni, ha ucciso a coltellate un bambino di sei anni e ha gravemente ferito la madre di 32. “Secondo la polizia, Czuba avrebbe agito spinto dall’odio contro i musulmani e dall’attacco di Hamas contro Israele, avvenuto il 7 ottobre 2023”, scrive il Los Angeles Times. Secondo le ricostruzioni dei giornali, le vittime sono di origine palestinese. Le autorità e le forze dell’ordine temono un aumento dei crimini d’odio contro gli ebrei e i musulmani che vivono nel paese.

Da sapere

Estremi politici

Distribuzione dei voti alle elezioni di metà mandato* del 2022, stime per genere e gruppo etnico, percentuale

FONTE: PEW RESEARCH CENTER

Democratici

Repubblicani

Voti

48

51

Uomini

44

54

Donne

51

48

Bianchi

41

57

Neri

93

5

Ispanici

60

39

Asiatici

68

32

Uomini bianchi

38

60

Donne bianche

44

55

Uomini neri

93

6

Donne nere

93

5

Uomini ispanici

56

43

Donne ispaniche

64

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* Le elezioni per il congresso che si tengono ogni quattro anni a metà del mandato del presidente in carica

◆ All’inizio di ottobre il presidente della camera degli Stati Uniti, il repubblicano Kevin McCarthy, è stato rimosso dall’incarico su iniziativa di un gruppo di deputati di estrema destra vicino all’ex presidente Donald Trump. Le divisioni all’interno del Partito repubblicano hanno reso molto difficile trovare un accordo per eleggere un nuovo presidente. Cnn

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Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

MICHAEL DANTAS (AFP/GETTY)

Manaus, 13 ottobre

BRASILE

Il fumo copre Manaus Dall’11 ottobre gli incendi nella foresta amazzonica hanno provocato un fumo denso e tossico che ha coperto la città di Manaus, nel nordovest del Brasile, scrive la Folha de S.Paulo. Il 13 ottobre il governo del presidente Lula ha intimato agli allevatori e agli agricoltori di smettere di appiccare il fuoco nell’Amazzonia. Da settimane la regione vive anche una terribile siccità, aggravata dal fenomeno climatico del Niño.

Un sostenitore di Daniel Noboa. Salinas, 12 ottobre

SANTIAGO ARCOS (REUTERS/CONTRASTO)

sostenuti da Donald Trump, hanno sconfitto i candidati più moderati alle primarie in stati decisivi, ma sono stati poi sbaragliati dagli avversari democratici. In alcuni stati la disfunzionalità dei repubblicani potrebbe essere paradossalmente il prodotto del loro dominio politico. “È facile trovare accordi e compromessi quando tutti sono indispensabili per battere i democratici”, spiega Ryan Stubenrauch, stratega repubblicano dell’Ohio. “Invece quando non c’è nessun democratico che rappresenti una minaccia non c’è bisogno di trovare un’intesa, quindi cominciano le liti interne”. “È una guerra civile in corso ormai dal 2015”, spiega David B. Cohen, professore di scienze politiche presso il Bliss institute dell’università di Akron, in Ohio. “Tutto è cominciato quando Donald Trump è entrato in scena e ha ottenuto la nomination alle presidenziali. C’è stata una trasformazione che ha attraversato il paese, e tra le vittime ci sono stati molti repubblicani della vecchia guardia”. ◆ as

Daniel Noboa, un imprenditore di 35 anni candidato con la coalizione di centro Alleanza democratica nazionale, il 15 ottobre ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali con il 52,1 per cento delle preferenze, scrive il sito ecuadoriano Gk. Luisa González, la candidata di sinistra sostenuta da Revolución ciudadana, il partito dell’ex presidente Rafael Correa, ha ottenuto il 47,9 per cento dei voti. Noboa, il più giovane presidente ecuadoriano di sempre, è figlio di uno degli uomini più ricchi del paese, Álvaro Noboa, che ha fatto fortuna con l’esportazione delle banane e in passato si è candidato cinque volte alla guida dell’Ecuador, senza mai essere eletto. Il futuro presidente, che s’insedierà a dicembre, ha poca esperienza politica e non si definisce né di destra né di sinistra, ma la sua vicinanza al mondo imprenditoriale, la volontà di ridurre le tasse e di favorire gli investimenti stranieri lo avvicinano al centrodestra, sottolinea El País. Noboa resterà in carica solo sedici mesi, fino a maggio del 2025, quando sarebbe dovuto terminare il mandato dell’ex presidente conservatore Guillermo Lasso, che a maggio ha sciolto il parlamento per evitare un procedimento politico per corruzione. Eredita un paese con un’economia in crisi e una violenza fuori controllo. Il 9 agosto Fernando Villavicencio, giornalista e candidato 150 km di sinistra alle presidenCOLOMBIA ziali, è stato ucciso a Quito: l’ennesimo epiQuito sodio che mostra il poE C UA D OR tere crescente dei grupSalinas Guayaquil pi legati al narcotraffico Oceano e ai cartelli della droga Pacifico messicani, colombiani e PERÙ albanesi. ◆

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Einaudi

Europa

OMAR MARQUES (GETTY)

Sostenitori del partito Coalizione civica, Varsavia, 15 ottobre 2023

POLONIA

L’epoca dei sovranisti si avvicina alla fine Michał Sutowski, Krytyka Polityczna, Polonia Nel voto del 15 ottobre le forze dell’opposizione democratica polacca hanno sconfitto il partito ultraconservatore al governo dal 2015. Per il paese si apre una fase nuova er settimane siamo stati sicuri che l’esito delle elezioni legislative del 15 ottobre sarebbe stato deciso al photo finish. Oggi sappiamo che l’opposizione guidata da Donald Tusk (il suo partito, Coalizione civica, Ko, più la sinistra di Lewica e l’alleanza moderata di centrodestra Terza via) ha raccolto circa trenta seggi in più di un’eventuale coalizione tra gli ultraconservatori di Diritto e giustizia (Pis, al governo dal 2015) e l’estrema destra di Konfederacja. Il leader di questo partito, Sławomir Mentzen, ha riconosciuto la sconfitta, come ha fatto, a denti stretti, anche Jarosław Kaczyński, alla guida del Pis. Tuttavia il premier Mateusz Morawiecki ha annunciato che Diritto e giustizia cercherà comunque di formare un governo. Il presi-

dente della repubblica, Andrzej Duda, anche lui del Pis, potrebbe infatti dare l’incarico a una figura indicata dalla leadership del suo partito, che – per quanto ridimensionato – è risultato il più votato. Kaczyński ha quattordici giorni dalla data del voto per mettere insieme una coalizione che abbia la maggioranza in parlamento. È evidente che non ce la farà, ma in questo modo il Pis avrà almeno un mese per cancellare le tracce del suo operato e garantirsi un’uscita di scena senza traumi. La vittoria è stata decisa da uno scontro tra due fazioni: quella di chi si è arreso

P

Da sapere Il nuovo parlamento

FONTE: GAZETA WYBORCZA

I risultati delle elezioni legislative in Polonia del 15 ottobre 2023; seggi del sejm, la camera bassa del parlamento polacco Percentuale

Seggi

Pis (ultraconservatore)

35,3

194

Ko (liberale)

30,7

157

Terza via (centrodestra)

14,4

65

Lewica (sinistra)

8,6

26

Konfederacja (estrema destra)

7,1

18

e quella di chi, nonostante tutto, è riuscito a conservare la speranza. Per essere più precisi, la lotta è stata tra quelli convinti che ci si possa occupare, insieme e seriamente, dei problemi della Polonia e del mondo e quelli per i quali la soluzione migliore è delegare tutto a un partito che “ruba, certo, ma poi almeno condivide la ricchezza”. Naturalmente tra i sostenitori delle due fazioni ci sono anche persone con idee diverse: per esempio c’è chi è convinto che il Pis difenderà la Polonia dai flagelli del mondo contemporaneo, aiutandola a recuperare il ritardo economico nei confronti della Germania, e chi interpreta la sconfitta del partito di Kaczyński come un ritorno alla normalità. Di sicuro non saranno gli elettori più fanatici (in maggioranza nelle file del Pis) a decidere chi governerà, per quanto il partito, alimentando l’odio con una campagna elettorale molto aggressiva, abbia fatto di tutto per spingere soprattutto loro ad andare a votare. Ci si aspettava che gli indecisi restassero a casa, spaventati o disgustati dai toni fascistoidi e dalla cacofonia di insulti della campagna elettorale. Fortunatamente non lo hanno fatto. Anzi, sono andati a votare così numerosi come non era mai successo nella terza repubblica polacca, cioè dal 1989: l’affluenza è stata del 74,4 per cento. Solo nelle elezioni del 1919 ci furono più votanti.

Un’alternativa Questa campagna elettorale è stata segnata da momenti e argomenti davvero odiosi. Penso a come il Pis ha agitato cinicamente lo spauracchio dei migranti alle frontiere polacche. Ci sono stati episodi imbarazzanti, come le pseudo-domande negli pseudo-dibattiti organizzati dalla tv di stato, ormai diventata tv di partito. Ma ci sono state anche situazioni confortanti: per esempio quando alla manifestazione dell’opposizione del 1 ottobre uno dei leader di Lewica, Włodzimierz Czarzasty, ha tenuto il miglior discorso della sua carriera e Tusk ha mandato i suoi saluti ai leader (assenti in quell’occasione) della coalizione Terza via, o quando abbiamo visto l’affluenza al voto schizzare alle stelle. Ci sarà tempo per analizzare la campagna elettorale, gli errori commessi e i motivi che hanno portato al successo dell’opposizione; sicuramente questi ultimi avranno molti padri e molte madri, a differenza della sconfitta, che è sempre orfana. Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Europa

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Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

FRANCIA

BELGIO

Un terrorista a scuola

Attentato a Bruxelles

Il 16 ottobre alunni e insegnanti di tutte le scuole secondarie francesi hanno osservato un minuto di silenzio in omaggio a Dominique Bernard, l’insegnante pugnalato a morte tre giorni prima ad Arras, nel nord del paese. Il professore di letteratura francese, 57 anni, è stato ucciso nel parcheggio del liceo in cui insegnava da un giovane russo di origini cecene, Mohammed Mogushkov. L’uomo è stato arrestato. Arrivato in Francia nel 2008, era “attivamente monitorato” dai servizi di sicurezza, scrive La Voix du Nord.

UCRAINA

Mosca attacca di nuovo Nell’est dell’Ucraina dal 1o ottobre la città di Avdiïvka è sotto il fuoco delle forze di Mosca. È il primo grande attacco militare russo dopo mesi di controffensiva ucraina, scrive la Reuters. Tuttavia, secondo i generali di Kiev, negli ultimi giorni l’offensiva è rallentata e ha perso d’intensità. Per quanto riguarda la diplomazia, il 17 ottobre il presidente russo Vladimir Putin è arrivato a Pechino, dove ha incontrato il leader cinese Xi Jinping e il premier ungherese Viktor Orbán. Aree sotto il controllo russo R U S S I A Dati aggiornati al 18 ottobre2023

UCRA I NA

Luhansk

Avdiïvka Donetsk

Bruxelles, 17 ottobre 2023

MARTIN MEISSNER (AP/LAPRESSE)

Per il momento, mi permetto di indicare intuitivamente un punto di svolta: mi riferisco al momento in cui l’opposizione ha proposto un patto informale di non aggressione tra tutte le forze democratiche. È stato in quel momento che gli elettori hanno visto delinearsi tre cose. In primo luogo hanno capito che la diversità è una ricchezza tra cui scegliere e non uno strumento di divisione ed esclusione. In secondo luogo, è diventato chiaro che nell’opposizione ci sono forze capaci di lavorare insieme senza perdere la propria identità e a prescindere dalle differenze esistenti. Infine, hanno capito che i leader dell’opposizione, pur occupandosi dei propri interessi, sanno di essere sulla stessa barca della maggioranza dei polacchi. In breve, nelle ultime settimane moltissime persone hanno capito che c’era qualcuno o qualcosa per cui votare. Sul piano economico, un ipotetico governo formato dai partiti finora all’opposizione dovrà affrontare le difficoltà più gravi dalla transizione degli anni novanta; sul piano politico, invece, l’unico paragone possibile è con il governo di Mieczysław Rakowski, in carica nel complicato periodo a cavallo tra il 1988 e il 1989. Anche se oggi i problemi sono diversi, non sono meno gravi: il clima d’incertezza (anche solo per i continui rincari dell’energia), l’inflazione, la mancanza di chiarezza sulle finanze pubbliche, il collasso di diversi settori del servizio pubblico, il problema demografico, le guerre alle porte dell’Europa, la crisi climatica, le migrazioni. Un governo di coalizione guidato da Piattaforma civica dovrà inoltre fare i conti con un’opposizione incivile e chiusa al dialogo, che in questi anni ha politicizzato diverse cariche istituzionali, dalla presidenza della repubblica alla corte costituzionale fino alla banca nazionale. Ci vorrà tempo per capire non solo come sistemare lo stato e affrontare le sfide della civiltà, ma anche come assicurare la stabilità di una coalizione di governo che inevitabilmente subirà pressioni da ogni parte. Tuttavia, oggi i polacchi hanno il diritto di rallegrarsi. Nella disgraziata politica del paese finalmente sono riusciti a fare qualcosa di buono. Sappiamo che la democrazia è viva e vegeta e funziona, anche se molti volevano affossarla, imbavagliarla e renderla odiosa. La cosa più importante è che i polacchi si sono ripresi il diritto di continuare a sperare. ◆ dp

È morto la mattina del 17 ottobre, durante un’operazione di polizia nel quartiere di Schaerbeek, a Bruxelles, l’autore dell’attentato del giorno prima, in cui erano stati uccisi a colpi d’arma da fuoco due cittadini svedesi e ne era stato ferito un altro. Si tratta di Abdesalem Lassoued, 45 anni, di nazionalità tunisina, che aveva chiesto asilo in Belgio nel novembre 2019 ed era noto alla polizia e ai servizi segreti perché sospettato di traffico di droga e di esseri umani, di soggiorno irregolare e di attentato alla sicurezza dello stato. Secondo Le Soir nel 2016 era stato segnalato da “un servizio di polizia straniero” che gli attribuiva un profilo radicalizzato e l’intenzione di partire per il jihad in una zona di conflitto. Il procuratore Frédéric Van Leeuw ha confermato l’esistenza di alcuni video di rivendicazione: in uno, girato poco prima dell’attacco, l’attentatore fa riferimento ai roghi del Corano in Svezia. Le autorità non escludono che l’autore avesse dei complici. ◆ SLOVACCHIA

La coalizione imbarazzante Il leader populista slovacco Robert Fico, vincitore delle elezioni del 30 settembre, ha trovato un accordo per formare un governo di coalizione. Il suo partito, Smer, si dovrebbe alleare con i socialdemocratici di Hlas e con l’estrema destra del Partito nazionale slovacco. Molto critico verso l’intesa il sito Dennik N: Peter Pel-

legrini, che ha fondato Hlas dopo aver rotto con Fico in seguito a un grave scandalo, “ha assicurato che sarà il garante dell’ancoraggio del paese all’Unione europea e alla Nato. Belle parole. Ma la verità è che d’ora in poi la Slovacchia farà parte di queste organizzazioni solo formalmente”. A conferma dei problemi internazionali di Fico, subito dopo l’annuncio della nuova coalizione i partiti Smer e Hlas sono stati sospesi dal Partito socialista europeo.

Vite d i Ro ccia ERIC GIRARDINI G uida Alpina | M e m b r o d e l t e a m a t l e t i S a l e w a

CRESCERE ALL’INFERNO Benvenuti all’Inferno. Dove il calore non concede tregua, la luce abbagliante è amplificata dalla roccia bianca, e le pendenze rendono il lavoro di uomini e vigne più arduo. Qui l’uva matura con maggiore energia regalandoci un vino intenso, fruttato, con una struttura tannica densa e avvolgente. Nino Negri presenta Vigna Ca’ Guicciardi, un Nebbiolo di Montagna forgiato dalla luce.

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Asia e Pacifico BIRMANIA

L’esilio non ferma l’informazione Yuichi Nitta, Nikkei Asia, Giappone Dopo il golpe militare, molte redazioni si sono trasferite nei paesi vicini, dove continuano il loro lavoro grazie a una rete di reporter sotto copertura rimasti in Birmania l giornalista Toe Zaw Latt, veterano della testata indipendente birmana Mizzima, vive da un anno in Thailandia, dove gestisce programmi di formazione per giornalisti in una “zona liberata” sulle montagne al confine con la Birmania. “Accogliamo reporter da tutta la Birmania e teniamo gli incontri in presenza. Poi i partecipanti tornano da dove sono venuti per mettere a frutto quello che hanno imparato. Offriamo formazione sui fondamenti del giornalismo, sull’uso dello smartphone per fare i reporter, sulla verifica dei fatti e così via”,

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YE AUNG THU (AFP/GETTY)

L’arresto di Kay Zon Nwe, giornalista di Myanmar Now. Yangon, 27 febbraio 2023

spiega Toe Zaw Latt. Finora ha organizzato quattro sessioni di formazione, ciascuna con quindici giornalisti. “Alcuni lavorano già per una testata, altri diventeranno citizen journalist, ma tutti vengono dalla Birmania”, aggiunge. La zona di confine è spesso controllata da organizzazioni armate delle etnie locali che collaborano con le forze filodemocratiche. Attraversare il confine all’insaputa delle autorità quindi non è facile, ma nemmeno impossibile. Dopo il colpo di stato militare del febbraio 2021 molti mezzi d’informazione indipendenti birmani, incluso Mizzima, si sono trasferiti in Thailandia o in altri paesi confinanti. La repressione dell’esercito contro i gruppi filodemocratici ha preso di mira i giornalisti. Ma, anche se si sono trasferite all’estero, le redazioni hanno continuato a raccontare le tensioni nel paese. “Un piede dentro e uno fuori, questa è la strategia”, dice Toe Zaw Latt. “La raccolta d’informazioni avviene per lo più in Birmania, mentre il confezionamento e la diffusione avvengono fuori”.

Racconta poi che i mezzi d’informazione indipendenti hanno mantenuto una rete di reporter sotto copertura che operano in tutta la Birmania, dalla capitale commerciale Rangoon alle zone rurali. “I giornalisti lavorano sempre in piccole unità. Si conosce solo lo stretto indispensabile per lavorare, perfino sulle persone con cui si collabora”, spiega. “In questo modo, anche se una persona della rete viene arrestata, non può essere collegata alle altre. La maggioranza resta in Birmania a raccogliere le notizie”. Non è la prima volta che i mezzi d’informazione indipendenti birmani devono lavorare clandestinamente. Testate come Mizzima, Democratic voice of Burma e Irrawaddy sono state fondate fuori dalla Birmania negli anni novanta, durante il precedente regime militare, e sono conosciute come “mezzi d’informazione in esilio”. Dopo il passaggio a un governo civile nel 2011, le autorità avevano invitato queste testate a rientrare nel paese. In nemmeno dieci anni, nel 2021, il golpe le ha però costrette a un nuovo esilio.

Impugnare la penna Negli ultimi dieci anni l’ampia diffusione di smartphone e piattaforme social ha dato a chiunque la possibiliità di trasmettere informazioni. Dopo l’ultimo colpo di stato sono nate molte piccole organizzazioni attive sui social network per raccontare quello che succede in Birmania. La vita dei giornalisti dissidenti non è facile: spesso i gruppi che sostengono i militari divulgano le informazioni personali dei reporter su Telegram. La giunta, inoltre, esercita pressioni arrestando i familiari e sequestrando le abitazioni. Un reporter di quarant’anni che lavorava per un’agenzia di stampa indipendente è stato arrestato nel marzo 2021 e condannato. Rilasciato un anno e mezzo dopo, si è rifugiato a Mae Sot, nel nordovest della Thailandia, dove vivono molti esuli, e ha ripreso il suo lavoro. “Quando dopo l’arresto mi hanno interrogato, una persona trattenuta nella stessa stanza mi ha supplicato di aiutarla: ‘Non riesco a respirare’, mi ha detto. Se qualcuno moriva durante un interrogatorio, la polizia mi costringeva a raccontare ai suoi familiari che non era stato maltrattato”, racconta. Durante il governo della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Asia e Pacifico

INDIA

Dieci anni di via della seta

DAVID ROWLAND (REUTERS/CONTRASTO)

200 km

CINA

Il Partito nazionale, di centrodestra, ha sconfitto i laburisti del governo uscente, ottenendo 50 seggi in parlamento. L’Act, il suo alleato, ha ottenuto 11 seggi e insieme avrebbero i 61 necessari per governare. Ma data la maggioranza esigua si dovrà aspettare il 3 novembre per sapere se la coalizione dovrà allargarsi ai populisti di New Zealand First. Lo scrutinio dei circa 570mila voti dall’estero e fuori dai collegi elettorali, che in genere premiano la sinistra, è ancora in corso, e il risultato potrebbe cambiare gli equilibri. Tra le promesse del leader conservatore, Christopher Luxon (nella foto), ci sono sgravi fiscali per i redditi medi, lotta contro la criminalità giovanile, divieto di usare gli smartphone nelle scuole.

Fondi in esaurimento Malgrado la pesante repressione, i giornalisti birmani sono determinati a resistere. Il loro problema è la sostenibilità finanziaria. “Grazie alle entrate pubblicitarie riuscivamo a pagare metà dei costi. Ma da un giorno all’altro non è stato più così. I mezzi d’informazione dipendono di nuovo dai donatori”, dice Toe Zaw Latt. Tuttavia anche i finanziamenti, provenienti soprattutto dai paesi occidentali, stanno finendo, perché l’attenzione del mondo si è spostata sulla crisi ucraina. Alcuni criticano le testate internazionali per aver approfittato del desiderio dei giornalisti locali di raccontare i problemi della Birmania, chiedendo il loro aiuto nella raccolta delle notizie senza però pagarli abbastanza per i rischi che correvano. Anche l’etica e le responsabilità dei mezzi d’informazione stranieri andrebbero discusse. u gim

NUOVA ZELANDA

Problema nazionale

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LAOS

Naypyidaw

Golfo del Bengala

Yangon

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Il 17 e 18 ottobre a Pechino si è tenuto il forum per il decimo anniversario della Belt and road initiative (Bri), il gigantesco piano infrastrutturale noto come nuova via della seta con cui la Cina vuole collegare il mondo intero. “Dal punto di vista cinese, la Bri ha raggiunto i due obiettivi originari: usare la capacità costruttiva e finanziaria in eccesso nel paese per progetti che generano profitti all’estero e diffondere un’immagine positiva della Cina nei territori interessati dalla Bri, aumentando l’influenza politica sui loro governi”, scrive Nikkei Asia. Finora 150 paesi e trenta organizzazioni internazionali hanno aderito alla Bri, firmando accordi di cooperazione, e i contratti per la costruzione di infrastrutture hanno raggiunto i duemila miliardi di dollari. Ma secondo il Fondo monetario internazionale negli ultimi otto anni sono anche raddoppiati i paesi in difficoltà a causa dei debiti con la Cina. u

AUSTRALIA INDIA

BIRM A NIA

Pechino, 16 ottobre 2023

EDGAR SU (REUTERS/CONTRASTO)

guidato da Aung San Suu Kyi, il reporter aveva scritto anche dei punti deboli di quel governo. “Un esponente dell’Lnd mi consigliò di andare in un luogo più sicuro. Gli risposi che, pur essendo noi dalla stessa parte, quando la Birmania fosse tornata alla democrazia mi sarei occupato anche della corruzione nel suo partito. Mi disse: ‘Va bene, capisco perfettamente’. Sappiamo che la rivoluzione richiederà molto tempo. Non sono il tipo da impugnare le armi, preferisco usare la penna e continuare a denunciare”, dice.

No ai matrimoni omosessuali In risposta a una serie di richieste di legalizzare i matrimoni omosessuali, il 17 ottobre la corte suprema indiana si è rifiutata di farlo, dicendo che la decisione spetta al parlamento. Sulla questione la corte ha dichiarato di essere divisa e ha scritto quattro sentenze separate, scrive Scroll.

Gli indigeni senza voce Come previsto dai sondaggi, gli australiani il 14 ottobre hanno bocciato il referendum costituzionale per il riconoscimento ufficiale delle popolazioni indigene e per la creazione di un organo che consigli il parlamento sulle questioni che le riguardano. Il no ha vinto con il 60 per cento dei voti. “Qualunque sarà il risultato, la riconciliazione è mor-

ta”, aveva commentato prima del voto la scrittrice indigena Marcia Langton sul Saturday Paper. “La campagna referendaria ha cementato il razzismo nel paese, e il rifiuto infondato del sì renderà cupo il futuro dell’Australia”. “Serve un nuovo approccio per colmare le disuguaglianze”, scrive The Age, mentre per il Sydney Morning Herald “il risultato non è solo frutto di falsità politiche e razzismo: molte persone rispettabili hanno votato no e bisogna capire perché”.

Le opinioni

La guerra in Medio Oriente indebolisce l’occidente Pankaj Mishra l governo del primo ministro israeliano alla domanda sollevata dall’attivista palestinese MuBenjamin Netanyahu ha ordinato un bom- stafa Barghouti in un’intervista alla Cnn: “Perché gli bardamento punitivo su Gaza dopo che Ha- Stati Uniti sostengono l’Ucraina nella lotta contro mas ha massacrato più di 1.400 israeliani in l’occupazione” mentre in Medio Oriente appoggiano quello che è stato descritto come l’11 set- “l’occupante, che ci priva delle nostre terre?”. tembre di Israele. Le guerre scatenate dagli Non sorprende che né la Russia né la Cina (enStati Uniti in risposta agli attentati di quel giorno del trambe in buoni rapporti con Tel Aviv di recente) ab2001 danneggiarono gravemente la forza e la credi- biano manifestato il proprio cordoglio a Israele. Mobilità dell’occidente, per non parlare degli effetti de- sca e Pechino assaporano un’altra vittoria nella loro leteri per la coesistenza di popoli e religuerra di propaganda globale che pregioni. Una nuova invasione in Medio La Russia e la Cina senta i paesi occidentali come un maniOriente potrebbe avere conseguenze assaporano polo di ipocriti e arroganti. Sfortunataun’altra vittoria ancora più catastrofiche. mente questa manovra riceve un conNei mesi successivi al peggior attac- nella loro campagna tributo dell’occidente stesso, a cominco terroristico della storia, gli Stati Uniti di propaganda ciare dalla decisione della Commissioricevettero la solidarietà del resto del globale che presenta ne europea (annullata subito) di somondo. Il presidente russo Vladimir i paesi occidentali spendere gli aiuti all’Autorità nazionale Putin fu uno dei primi leader stranieri a come un manipolo palestinese. Di sicuro Cina e Russia chiamare la Casa Bianca. Oggi, invece, trarranno vantaggio dalle immagini di di ipocriti molti paesi puntano il dito contro Israemorte in arrivo da Gaza, causate anche le per la sua “occupazione illegale delle e arroganti dalle bombe costruite negli Stati Uniti. terre palestinesi e per l’oppressione del Al tempo stesso Israele verificherà popolo palestinese”, come ha sottolineato la ministra ancora una volta che il ricorso alla violenza per tenedegli esteri sudafricana Naledi Pandor. Il primo mini- re il paese al sicuro porta ben pochi risultati. Colpenstro indiano Narendra Modi è l’unico leader del sud do nel cuore del territorio israeliano, Hamas ha fatto globale a essersi schierato dalla parte di Israele. fare un balzo in avanti alla propria immagine, e non Nella politica internazionale il sostegno nei con- solo tra i suoi militanti. La sensazione di poter prevafronti dello stato ebraico ha sempre seguito quella che lere che si sta diffondendo tra i musulmani indignati Du Bois chiamava la “linea del colore”. Alla fine degli di tutto il mondo non va sottovalutata. C’è il rischio anni trenta, quando i palestinesi attaccavano i coloni immediato che le immagini della feroce crudeltà di sionisti arrivati dall’Europa, fu addirittura Gandhi a Hamas rimbalzate ovunque possano ispirare degli giustificarne la violenza. La necessità morale della imitatori nel resto del mondo. D’altronde le due ricreazione di Israele, innegabile dopo la shoah, non era volte palestinesi contro l’occupazione del 1987 e del stata riconosciuta nemmeno da remote nazioni 2000 produssero impennate globali della militanza dell’Asia e dell’Africa, figuriamoci da quelle del Me- musulmana. dio Oriente. Perché i palestinesi erano puniti per criOggi tanti musulmani che vivono in Europa – ma mini commessi dai paesi europei? anche in Asia meridionale, Nordafrica e Medio Oggi non è a rischio solo il tentativo di Israele di Oriente – sentono di non avere più nulla da perdere, normalizzare i rapporti con i vicini arabi. Un conflitto come gli abitanti di Gaza. Come già successo dopo esteso in Medio Oriente ridurrebbe le risorse dedica- l’11 settembre 2001, una guerra vista in tv e su interte dall’occidente a contrastare la Russia in Ucraina, net potrebbe trasferirsi sulle strade dell’occidente, che tra l’altro già cominciavano a scarseggiare. Inol- mentre la Cina e la Russia continuano a rafforzarsi. tre è probabile che resterebbe ben poco del piano Possiamo solo sperare che la sensazione di vulnedell’amministrazione Biden per opporsi all’influenza rabilità condivisa da israeliani e palestinesi riesca a di Pechino in Medio Oriente attraverso un accordo tra favorire una riapertura delle trattative. Il risultato delIsraele e Arabia Saudita, o della proposta di un corri- la normalizzazione dovrebbe essere uno solo: la fine doio economico tra India ed Europa. Anche se la bat- dell’occupazione israeliana e la nascita di uno stato taglia sarà limitata alla Striscia di Gaza, attirerà co- palestinese in cui le organizzazioni terroriste come munque l’attenzione su quello che quest’anno Amne- Hamas non possano più sfruttare la disperazione delsty international ha definito “il sistema dei due pesi e le persone. Se questo scenario continuerà a restare un due misure” occidentale sui diritti umani. Per molti miraggio, faremo meglio a prepararci a giorni ancora popoli del mondo non c’è una risposta convincente più bui di quelli successivi all’11 settembre. u as

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PANKAJ MISHRA

è uno scrittore e saggista indiano. Collabora con il giornale britannico The Guardian e con la New York Review of Books. Il suo ultimo libro è Figli della nuova India (Guanda 2023). Questo articolo è uscito sul sito statunitense Bloomberg.

Kim de l’Horizon

Perché sono da sempre un corso d’acqua

«Per me le tue mani sono sempre state gli animali più feroci del mondo, perché ho sempre sentito che avrei ereditato la loro storia. Non volevo appartenere alla tua famiglia, non volevo discendere da te, ma se respingi la tua eredità non puoi tornare a casa.»

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Le opinioni

L’apparenza moderata dell’estrema destra italiana David Broder el primo anniversario del governo der Leyen sono disposti ad accogliere questa destra formato dal Movimento 5 stelle e nella loro corrente. dalla Lega, rimasto in carica dal giuOggi molti allarmismi europei sul primo anno del gno 2018 al settembre 2019, i mezzi governo Meloni si sono rivelati infondati. Non ci sono d’informazione internazionali era- stati scontri con Bruxelles, anzi. La presidente del no frustrati. Le previsioni secondo consiglio è addirittura andata in Tunisia per il vertice cui un governo “populista” avrebbe potuto produrre sull’immigrazione accompagnata da Ursula von der una frattura con l’Europa si erano dimostrate esage- Leyen. Il supporto all’Ucraina è stato il criterio decirate: un acceso conflitto sul deficit di bilancio aveva sivo della normalizzazione. Grazie a questo impegno portato a una sostanziale ritirata di RoMeloni è riuscita a stringere relazioni ma, e nonostante l’aggressività di Mat- Fratelli d’Italia è cordiali con la Casa Bianca e si è avviciteo Salvini alcuni stati europei avevano diventato un partito nata al Partito popolare europeo (Ppe). accettato di accogliere solo un numero moderato? Le battute d’arresto elettorali in Sparidotto di migranti sbarcati in Italia. In Un ragionamento gna e in Polonia hanno sventato i piani politica interna, idee come la flat tax simile si può per creare un asse di governi di destra, erano rimaste lettera morta. C’erano spiegare solo con ma potrebbero perfino facilitare il tencomunque segnali di radicalizzazione: il fatto che la nostra tativo d’integrare Meloni nel Partito alle elezioni europee del maggio 2019 idea di cos’è una popolare europeo. la Lega aveva conquistato un terzo dei Quindi Fratelli d’Italia è diventato destra “normale” voti. Ci si aspettava una nuova egemouna forza moderata? Un ragionamento è molto cambiata nia leghista. simile si può spiegare solo con il fatto Il modo in cui i giornali guardano al che la nostra idea di cos’è una destra primo anno del governo guidato da Fratelli d’Italia è “normale” è molto cambiata. Forse c’è una divisione diverso. Dagli articoli più rassicuranti sulla “svolta dei compiti: il partito presenta Meloni come una stamoderata” di Giorgia Meloni a quelli che descrivono tista, mentre ai ministri tocca rinvigorire la base con i suoi “molteplici volti”, leggiamo spesso di una lea- attacchi contro le famiglie lgbt o le “toghe rosse”. E der più pragmatica. Tuttavia questa è anche una de- teorie complottiste come quella della sostituzione stra che, secondo le previsioni, avrebbe dovuto spo- etnica sono ancora ben radicate nel partito. Non si stare gli equilibri di potere a Bruxelles, creando un tratta solo di brutte parole, ma di posizioni che stanpatto di centrodestra europeo sul modello italiano. A no riuscendo a spingere l’Europa verso un controllo settembre, all’assemblea nazionale di Fratelli d’Ita- delle frontiere esterne ancora più rigido, affidato a lia, Meloni ha affermato: “Noi siamo stati capaci di regimi autoritari. fare qualcosa che era impensabile in Italia”. E poi si è Il governo Meloni entra nel suo secondo anno con chiesta: “Siamo in grado di fare qualcosa d’impensa- un consenso paragonabile a quello degli inizi. Sarebbile anche in Europa?”. be rischioso prevedere un crollo imminente di FratelQuesta domanda fa capire com’è cambiato il mon- li d’Italia, come quello di Salvini dopo il 2019. Ci sono, do. Mentre l’ascesa di Salvini seguiva il voto per la però, dei punti deboli. Le pagine di Fratelli d’Italia sui Brexit e l’elezione di Donald Trump, alimentando i social network non fanno che strombazzare i successi timori di possibili sconvolgimenti nella politica occi- del governo nel far ripartire il paese e dare speranza dentale, oggi questo rischio è messo in secondo piano agli italiani più poveri (esclusi quelli che prendevano da conflitti esterni all’occidente. Alcuni commenta- il reddito di cittadinanza). Sul piano pratico, però, le tori si sono perfino chiesti se il picco del populismo misure si limitano a seguire una ricetta fallimentare, non sia stato ormai superato. fondata sull’abbassamento del costo del lavoro e la È riduttivo fondere l’estrema destra con una cate- distribuzione di sussidi alle categorie predilette. goria così indeterminata come il populismo, e il trumL’opposizione non è ancora riuscita a trasformare pismo non è di certo sparito. Partiti un tempo critici le difficoltà degli italiani più poveri in una spinta per verso l’Unione europea oggi preferiscono cercare di una mobilitazione su vasta scala. La forza dell’estrecambiarla dall’interno. Non solo perché nell’era post- ma destra oggi è dovuta non solo alla sua capacità di pandemia Roma resta attaccata al salvagente dei fon- sfruttare il rancore, ma anche al fatto che la sinistra di del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), non riesce a convincere l’altra Italia di poter cambiama anche perché leader cristianodemocratici come re le cose, visto che per tanti anni non è stata capace la presidente della Commissione europea Ursula von di farlo. u gim

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DAVID BRODER

è uno storico britannico esperto di comunismo italiano e francese. Scrive sulla rivista statunitense Jacobin. Il suo ultimo libro uscito in Italia è I nipoti di Mussolini. Il fascismo nell’Italia contemporanea (Ponte alle Grazie 2023). Questo articolo è stato scritto per Internazionale.

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valsport.it

Visti dagli altri

Un anno di governo Meloni La presidente del consiglio ha stretto buoni rapporti con Bruxelles per avere mano libera nella politica interna. Dove sta attaccando i diritti individuali e sociali, scrive il settimanale tedesco Der Spiegel Frank Hornig, Der Spiegel, Germania a cripta dov’è sepolto Benito Mussolini è un luogo piuttosto strano. Una guardia dal volto severo è seduta all’ingresso. La sua camicia nera ricorda i tempi in cui il dittatore fascista era al potere ed era alleato con Adolf Hitler. La guardia non si allontana neanche di un metro dai visitatori. Ci segue da vicino mentre scendiamo nella cripta e presta anche particolare attenzione quando sfogliamo il libro su cui i fan esprimono la loro ammirazione per Mussolini. “La famiglia non vuole”, afferma. Poi accetta di rispondere ad alcune domande. Cosa sono quegli oggetti nella nicchia dietro il sarcofago? “Sono gli stivali che indossava l’ultimo giorno”, dice con un sorriso reverenziale. E la piccola scatola di marmo lì accanto? “Contiene il suo cervello”. Gli americani portarono parte del cervello di Mussolini negli Stati Uniti per farlo esaminare e lo restituirono solo nel 1966. “Grazie Duce”, recita il nastro su una corona di fiori. Davanti al sarcofago c’è un lume acceso a forma di fiamma, la

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stessa fiamma che si può vedere sulle bandiere di Fratelli d’Italia(Fdi). Fa parte del simbolo del partito di cui Giorgia Meloni è la leader. Chi visita Predappio, il paese d’origine dell’ex dittatore, non deve aspettarsi di trovare prove di una rivalutazione critica della storia italiana della seconda guerra mondiale. La cittadina nella campagna riminese è il luogo in cui si venera un eroe. Alla fine di luglio i nostalgici hanno celebrato il 14oo anniversario della nascita del loro idolo. A ottobre del 2022 hanno commemorato la marcia su Roma, che cent’anni fa diede il via al regime fascista. Ma è tutto qui? Il culto di Mussolini ci può fornire qualche indizio in più sulla politica italiana di oggi? Su Giorgia Meloni, definita la leader italiana più di destra dal 1945? O gli avversari stanno semplicemente sfruttando i fantasmi del passato per screditare una normale conservatrice, come dicono i suoi sostenitori ? Un anno fa, il 25 settembre 2022, il partito di Giorgia Meloni ha vinto le elezioni. È stato un trionfo personale: in ap-

pena dieci anni è stata capace di far crescere Fratelli d’Italia, che ha contribuito a fondare, dall’1,96 al 26 per cento. Il successo di questa populista di 46 anni ha suscitato timore nei cuori di molti italiani ed europei, ma ha anche catturato la fantasia di molti altri. Inizialmente si temeva che avrebbe portato il paese verso l’estrema destra. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva espresso la preoccupazione che in Italia fosse in pericolo la democrazia. Invece, a luglio, dopo aver ospitato la presidente del consiglio alla Casa Bianca, ha dichiarato: “Siamo diventati amici”.

Assorbire o emarginare Ma quello che Meloni vuole veramente e rappresenta non è ancora chiaro. La sua storia sembra quasi troppo perfetta. Una donna di origini semplici che si è fatta strada fino al vertice. I nonni non avevano neanche un divano nel loro appartamento e la madre manteneva la famiglia Giorgia Meloni durante la campagna elettorale. Ancona, 23 agosto 2022

JEAN-MARC CAIMI & VALENTINA PICCINNI

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vasto programma cinese d’investimenti. “Open to meraviglia” è lo slogan che il governo italiano sta usando in una campagna di promozione globale in cui s’immagina la Venere di Botticelli, con i riccioli di un biondo rossastro, come una moderna influencer che posa per un selfie in piazza San Marco a Venezia o sfila in bici davanti al Colosseo. Lo slogan in inglese, a dire il vero, violerebbe una proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia che sanziona l’uso delle parole straniere con multe fino a centomila euro. Ma l’obiettivo della campagna è chiaro: l’opinione pubblica deve dimenticare i toni bellicosi che la leader di Fratelli d’Italia ha usato per mobilitare i suoi sostenitori in vista delle elezioni. Meloni si sta reinventando, il mondo del populismo di destra è diventato troppo piccolo per lei. Anzi, è così ansiosa di stare sotto i riflettori della politica globale che a volte sembra quasi che stia evitando di occuparsi delle faccende interne. Ma ci si può fidare di lei? Ha davvero messo da parte la rabbia per proporsi come una moderata? O sta cercando di farlo credere per consolidare il suo potere, prima di riprendere con più forza le sue vecchie posizioni xenofobe, nazionaliste, omofobe e antiabortiste? Meloni dà l’idea di creare un modello da imitare per altri populisti di destra: mostrare solidarietà con l’Unione europea e la Nato all’estero per avere mano libera nel proprio paese.

Ci si può fidare di lei? Ha messo da parte la sua rabbia per proporsi come una moderata? O vuole solo cementare il suo potere?

mente i loro interessi. Dall’Algeria alla Tunisia alla Libia e all’Etiopia, ha lanciato un’offensiva diplomatica in Africa che le è valsa il rispetto di tutta l’Europa, anche se i suoi sforzi hanno lo stesso obiettivo di quelli di Salvini: impedire agli stranieri di raggiungere l’Italia. Con il suo netto atteggiamento filoccidentale sull’Ucraina si è guadagnata il rispetto anche degli alleati della Nato. Nel 2022, appena arrivata a palazzo Chigi, la sede del governo italiano, ha subito messo fine alla sua campagna contro l’Unione europea. Un mese prima di vincere le elezioni aveva detto: “L’Europa è preoccupata? È finita la pacchia”. Si è schierata con l’occidente sulla politica cinese e sta cercando di tirar fuori l’Italia dalla Belt and road initiative di Pechino (la nuova via della seta) senza perdere la faccia, dopo che nel 2019 il suo paese era stato l’unico del G7 ad aderire a questo

La vittoria a Catania

Da sapere La crescita di Fratelli d’Italia Intenzioni di voto per i partiti della coalizione di destra al governo. Media dei sondaggi aggiornata al 4 settembre 2023, percentuale Elezioni 2018

Elezioni 2022

40 Lega 30 26 20

Fratelli d’Italia

10 4,4 Forza Italia 0 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023

FONTE: POLITICO

scrivendo romanzi rosa. Meloni ha lavorato come baby-sitter e cameriera prima di entrare in politica. Questo, almeno, è ciò che racconta nella sua autobiografia, criticata perché incompleta. Abituati alla sua presenza in politica da tanto tempo, molti italiani non la consideravano un’estremista, nonostante le sue dichiarazioni passate dimostrassero chiaramente quali erano le sue simpatie. “Ho un rapporto sereno con il fascismo”, spiegava molti anni fa. Da adolescente ha fatto parte dell’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano, un partito mussoliniano. Nel 1996 dichiarò che Mussolini era stato un “buon politico”. Oggi non le piace che le vengano ricordate queste affermazioni, anche se di recente ha imitato il saluto romano di fronte ai suoi alleati di partito. Per scherzo, dice. Meloni vuole trasformare Fratelli d’Italia in un movimento nazional-conservatore, sotto la sua guida, senza concorrenti. I suoi alleati sono in difficoltà: il segretario della Lega Matteo Salvini e i parlamentari di Forza Italia possono scegliere se unirsi a lei o diventare insignificanti, questo è il suo calcolo politico. E non ha molto da temere a sinistra, visto che i partiti all’opposizione sono ai ferri corti su varie questioni. Assorbire o emarginare: sembra questa la strategia di Meloni, con l’obiettivo finale di non essere spazzata via dalla scena politica dopo uno o due anni, come è toccato a tanti suoi predecessori. Vuole rimanere al potere per molto tempo. I parlamentari del suo partito hanno già cominciato a parlare di una “terza repubblica”. La prima era cominciata con la fine della monarchia nel 1946 e la seconda con l’elezione di Berlusconi nel 1994. Ora, dicono, sta nascendo una nuova epoca: l’era di Giorgia Meloni. Le sue ambizioni vanno ben oltre i confini dell’Italia: dopo aver preso il potere a Roma, ora ha gli occhi puntati su Strasburgo e Bruxelles. A otto mesi dalle elezioni del parlamento europeo, sta cercando di mettere insieme un’alleanza di partiti populisti e conservatori di destra. Immagina un’Europa dominata da una destra unita quando questa trionferà il prossimo anno. La presidente del consiglio italiana ha dimostrato un’abilità politica di gran lunga superiore a quella di Salvini, che quando era ministro dell’interno ha fatto innervosire molti parlamentari europei con le sue leggi razziste sull’immigrazione. La posizione di Meloni sui migranti è più cauta, come se avesse prima di tutto in

Il palazzo degli Elefanti, come è chiamata la sede del municipio nel cuore di Catania, si trova a pochi passi dal mercato del pesce. Tutto in questa città sulla costa orientale della Sicilia è nero. Anche la scultura dell’elefante nel cortile è modellata in roccia lavica scura. Il sindaco Enrico Trantino, di Fratelli d’Italia, è nel suo ufficio al secondo piano. Grosse tende dorate incorniciano le alte finestre e un dipinto a olio della patrona della città, sant’Agata, è appeso dietro la sua scrivania. Da mesi la città metropolitana di Catania, un milione di abitanti, è la roccaforte di Fratelli d’Italia. Mai prima dello scorso maggio il partito postfascista, fondato nel 2012, aveva vinto le amministrative in una grande città. Ma Catania dimostra che Meloni non è stata eletta per caso. La sua coalizione di destra ha vinto in quasi tutte le regioni, ma in pochissime parti il successo è stato così netto come in

SIMONA GRANATI (CORBIS/GETTY)

Giorgia Meloni riceve il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj. Roma, 13 maggio 2023

questa città all’ombra dell’Etna: Trantino ha ottenuto il 66 per cento dei voti, quasi il doppio di quelli ottenuti da Meloni alle politiche dello scorso anno. Il nuovo sindaco è un intellettuale che ama la letteratura. Con voce calma, cita una pagina della sua opera preferita, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. “Dormire. Questo vogliono i siciliani. E odieranno sempre chi cerca di svegliarli, non importa quanto siano belli i regali che porta”. Purtroppo, dice, c’è una forte tendenza alla rassegnazione, una sorta di decadenza, soprattutto morale. La gente non crede più in niente e nessuno, “e questa città ne soffre”. Trantino, 59 anni, descrive timidamente il suo successo. “Non ero nemmeno tra i possibili candidati”, dice, aggiungendo che il mestiere di avvocato lo impegnava molto. Ma la sera del 4 aprile 2023, racconta, Meloni lo ha chiamato e gli ha chiesto di presentarsi alle elezioni. “Enrico, devi farlo”, gli ha detto. Poco più di un anno fa Fratelli d’Italia era ancora

un piccolo partito d’opposizione. Ora Meloni sta cercando di allontanarlo dall’estremismo e guidarlo verso il conservatorismo di centrodestra, verso persone come Trantino. “La sua capacità di leadership, le sue idee e le sue doti comunicative sono ormai riconosciute da tutti”, dice Trantino. “Penso che come politica Giorgia sia cresciuta e continuerà a crescere”. Il sindaco è molto abile nel tradurre gli slogan estremisti del vecchio mondo di Fratelli d’Italia in una politica conservatrice che suona sobria ma ancora decisamente di destra. Come quando il partito ha cancellato il cosiddetto reddito di cittadinanza, una delle poche iniziative di sostegno sociale in Italia. “Uno dei motivi della degenerazione del sud è che abbiamo sviluppato il gusto per l’assistenzialismo”, afferma Trantino. Questo ha complicato la ricerca di nuovi dipendenti per molte aziende, continua. Usa toni di destra quando mette in discussione le richieste di asilo: “Se limitiamo le migrazioni dal Nordafrica, non lo facciamo per andare contro i nostri fratelli con i quali il destino è stato meno generoso”. Naturalmente l’Italia deve acco-

gliere i rifugiati, ribadisce. Purtroppo, però, aggiunge, lo spazio per l’integrazione non è ampio. Secondo Trantino, i problemi che affliggono la sua città e l’Italia in generale possono essere risolti solo se le persone riflettono sulla propria identità. “Dobbiamo essere consapevoli della nostra unicità come italiani, come siciliani, come catanesi”. Questo, dice, rende più facile pianificare un futuro migliore. Le speranze che sono state risvegliate dal populismo di destra sono evidenti a Pesaro, sul mare Adriatico, dove in estate le lunghe spiagge sabbiose sono coperte da file di ombrelloni colorati. Sabina Cardinali guarda il mare con un profondo sospiro: “Non sappiamo se abbiamo un futuro qui”. Per decenni la sua famiglia ha sistemato ombrelloni e lettini sul tratto di spiaggia che ha in concessione. I Bagni Tino hanno le cabine e un piccolo ristorante di pesce. L’Unione europea, però, chiede che il mercato delle spiagge italiane sia liberalizzato. Il piano prevede di fare un bando di gara europeo per assegnare le concessioni dei tratti balneabili. Questa decisione preoccupa molto Cardinali e altri opeInternazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Visti dagli altri ratori del settore, che lei rappresenta come presidente del gruppo Cna stabilimenti balneari: “Siamo quasi tutte aziende a conduzione familiare. Qui non ci sono catene di hotel anonimi e società da miliardi di euro come sulla Costa Brava”. La battaglia per le spiagge ha mobilitato persone in tutto il paese, e Meloni l’ha usata in campagna elettorale per alimentare l’ostilità verso l’Unione europea, sostenendo che trentamila operatori stavano per essere “espropriati”. Cardinali sfoglia un libro su Pesaro in cui ci sono vecchie foto di vacanzieri che fanno sci d’acqua e la pubblicità del Campari. L’età dell’oro. “Questa è la storia di Pesaro. Ma è anche la storia dell’Italia”, dice. “Le nostre spiagge hanno plasmato l’identità italiana”. Cardinali e l’associazione che rappresenta hanno condotto una lunga battaglia contro la Commissione europea, andando perfino a Bruxelles. Inutilmente, spiega. “Il governo italiano avrebbe dovuto sostenere i nostri interessi in Europa, ma non l’ha fatto. L’Italia non ha difeso le sue aziende”. Non importa quale governo ci fosse, nessuno ci ha aiutato, racconta. “Ci hanno tutti mollato come una patata bollente”. Sulle concessioni c’è ancora molta incertezza (dovrebbero scadere alla fine del 2024 e poi dovrebbe cominciare la competizione a livello europeo). In futuro, le spiagge di tutto il mondo potrebbero finire nelle mani di grandi investitori, spiega Cardinali: “E allora l’identità italiana scomparirà”. Dice di essere di sinistra, ma è diventata una fan di Meloni. “Ho grande fiducia nella presidente del consiglio. È una persona pragmatica. Per la prima volta qualcuno ci ascolta e presta attenzione al nostro problema”.

Macchina per la propaganda

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Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

genere”. “Sono una donna! Sono una madre! Sono cristiana!”, ha ripetuto durante le sue numerose apparizioni pre-elettorali. “Se tu ti senti offeso da un crocifisso, vai a vivere da un’altra parte”. La sua campagna, focalizzata sulla politica identitaria, non solo l’ha fatta vincere, ma sta avendo degli effetti ancora oggi. In un sondaggio fatto all’inizio di luglio dall’istituto Demos per il quotidiano la Repubblica, solo il 31 per cento dei sostenitori di Fratelli d’Italia ha dichiarato di fidarsi dell’Unione europea. Per Meloni, questo si traduce in un delicato gioco d’equilibrio. Come presiden-

Da sapere La destra in Europa Voti ricevuti alle ultime elezioni nazionali dal più forte partito populista di destra in parlamento, paesi dell’Unione europea (in Irlanda e Lituania questi partiti non sono in parlamento). Dati al 17 ottobre 2023, percentuale

0 10 20 30 40 50 60

Svezia Finlandia

Paesi Bassi

Estonia Lettonia Danimarca Lituania

Irlanda Belgio

Polonia Germania Rep.Ceca Slovacchia Lussemburgo Austria Ungheria Slovenia Francia Romania Italia Bulgaria Croazia Spagna Grecia Portogallo

FONTE: DER SPIEGEL

Il filo conduttore della carriera politica di Meloni è sempre stato la lotta contro l’Europa e contro i valori di una cosiddetta cultura di sinistra. Nel suo racconto i precedenti governi italiani erano sciocchi “che si vendevano agli interessi dei francesi e dei tedeschi”. Oppure erano servi di Bruxelles. “Vogliamo uscire dall’euro”, inveiva. L’alto debito pubblico dell’Italia, gli stipendi relativamente bassi e i problemi nella politica migratoria: per Meloni è sempre colpa dell’Europa. Il paese, come dice spesso, ha un disperato bisogno di veri “patrioti” disposti a difenderlo e a combattere il “fondamentalismo climatico” e “l’ideologia di

La sua campagna elettorale, focalizzata sulla politica identitaria, non solo l’ha fatta vincere, ma sta avendo degli effetti ancora oggi

te del consiglio deve stare attenta a non bruciare i ponti con Bruxelles. Non vuole mettere in pericolo i duecento miliardi di aiuti che l’Unione europea ha concesso al paese per riprendersi dalla pandemia di covid-19 (l’Italia riceve più fondi di qualsiasi altro stato). Ecco perché sorride davanti alle telecamere insieme alla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. E perché ha cercato di stabilire legami più stretti con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron. Meloni non vedeva l’ora di far cadere il governo di Mario Draghi, ma poi ha mantenuto la sua stessa linea su alcune questioni di fondamentale importanza. Al ministero più importante, quello dell’economia, c’è Giancarlo Giorgetti, come nel governo Draghi. Anche il governatore della Banca centrale è considerato uno della squadra di Draghi. E visto l’attuale dibattito sul bilancio, si potrebbe pensare che ci sia lui al potere, e non la leader di Fdi. Meloni è più draghiana di Draghi, è la battuta che circola a Roma. Ma il rovescio della medaglia è evitare la rabbia di una base elettorale che si è innamorata di lei proprio per la sua retorica antieuropea. Questo spiega perché la presidente del consiglio parla così spesso di “patria”. E perché difende le spiagge italiane contro Bruxelles, come baluardi identitari. La sua strategia di comunicazione è studiata in parte per aiutarla a mantenere questo equilibrio. Meloni non ama le conferenze stampa né le interviste e ha rifiutato di rispondere a diverse domande inviate dal nostro giornale. Preferisce comunicare le sue decisioni senza filtri. “Appunti di Giorgia”, è il nome che ha scelto per la sua serie di video, diffusi sui social media. “Le persone spesso mi chiedono perché vado sempre in giro con un quaderno”, dice nella prima puntata. “Scrivo tutto: cosa devo fare, cosa devo ricordare, i miei pensieri”. Naturalmente nei filmati parla solo di buone notizie. Anche la Rai la sta aiutando. Meloni ha persone a lei vicine a capo delle varie reti televisive e nei più importanti talk show politici. A proposito dell’epurazione ha dichiarato che voleva rompere “l’egemonia” della sinistra e “liberare la cultura italiana”. Da allora la Rai è spesso chiamata scherzosamente “Tele-Meloni”. Sono pochissime anche le critiche provenienti dalle reti private, dato che la maggior parte dei canali è di proprietà della famiglia Berlusconi, che finanzia

PAUL HANNA (BLOOMBERG/GETTY)

Giorgia Meloni con Katrín Jakobsdóttir, premier islandese, e Viktor Orbán, capo del governo ungherese. Granada, Spagna, 5 ottobre 2023

Forza Italia, uno dei partiti della coalizione di governo. L’ottimo funzionamento di questa macchina per la propaganda è dimostrato dalla politica migratoria. Nei primi otto mesi di quest’anno il numero di migranti arrivati in Italia via mare è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando era in carica Draghi. Se fosse ancora all’opposizione, Meloni sarebbe senza dubbio infuriata per questa “invasione” e per l’incompetenza di chi è al governo. Oggi, invece, i numeri record non sono considerati un problema neanche dai mezzi d’informazione. I titoli negativi quasi non toccano la leader, che sembra aver stabilito un’efficiente divisione di compiti con gli altri componenti della sua coalizione: lei brilla sulla scena internazionale mentre le provocazioni destinate a uso interno sono lasciate ai sottoposti. Uno di questi è Francesco Lollobrigida, suo cognato e ministro dell’agricoltura, che ama diffondere la teoria della so-

stituzione etnica, cara agli estremisti di destra, secondo cui esiste una congiura per sostituire il popolo italiano con gli africani. Poi c’è la ministra della famiglia Eugenia Roccella, un’ultracattolica che ha detto che “purtroppo” esiste il diritto all’aborto. Secondo Roccella, la legge italiana sulle unioni omosessuali è un segno della fine dell’umanità, anche se comunque non garantisce gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. Il suo collega al ministero dell’istruzione, Giuseppe Valditara, nel frattempo ha elogiato le virtù dell’educazione autoritaria, affermando che “l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. Il sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi ha usato la visita a un museo per esprimere opinioni sessiste e parlare dei suoi genitali. Per non essere da meno, il presidente del senato Ignazio La Russa, seconda carica dello stato, ha tenuto un busto di Mussolini nel suo appartamento per un bel po’ di tempo, e ha parlato di “donne grasse, brutte, stupide” in politica. Il governo Meloni è andato avanti anche sulle politiche più controverse. A luglio ha inviato un sms a 169mila persone

che ricevono il reddito di cittadinanza per comunicare che il programma sarebbe stato interrotto alla fine di agosto, nonostante i sindacati avessero avvertito il governo che sarebbe potuta scoppiare “una bomba sociale”.

Le prossime elezioni europee In un caldo pomeriggio d’estate Lucio Malan ci riceve nel suo ufficio in parlamento. Il capogruppo di Fratelli d’Italia è uno dei parlamentari più longevi del paese, visto che è senatore da ventidue anni. Prima faceva parte di Forza Italia, ora del partito di Meloni. È di ottimo umore. “Non ho mai visto una coalizione unita come questa”, dice, esaltando la “capacità di leadership” e “l’affidabilità” della presidente del consiglio. Poi elenca tutte le cose che, a suo avviso, stanno andando nella giusta direzione. “Il mercato azionario è salito di circa il 30 per cento e l’inflazione è in calo”. I disastri che molti avevano previsto dopo la vittoria elettorale della destra, dice con orgoglio, “non si sono materializzati”. Più a lungo si parla con Malan, più luminoso sembra essere il futuro dell’Italia. “La maggior parte dei cittadini ha fiInternazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Visti dagli altri ducia nella stabilità del governo. Questo crea un buon clima per gli investimenti, per i consumi e per fare figli”, dice. “Stiamo facendo il possibile per mettere il paese su un percorso di crescita”. E cosa pensa degli slogan aggressivi e antieuropeisti che Meloni ha diffuso fino alla sua vittoria elettorale? “Solo pochissimi politici si astengono dall’usare un linguaggio forte durante la campagna elettorale”, dice Malan. “Noi crediamo nell’Europa”. Se la destra riuscirà a ottenere la maggioranza al parlamento europeo con il voto del 2024, spiega Malan, l’Unione dovrà finalmente cambiare direzione. Per esempio sulla questione del clima. La Commissione europea, dice, diffonde l’idea che “gli esseri umani sono nemici della natura”. Questo, per lui, è fuorviante. Tuttavia, i governi e i partiti che vedono le cose in modo diverso, sembra far capire Malan, non devono preoccuparsi. “L’Italia ha dimostrato di saper dialogare con chiunque”. Abbozza una visione del mondo in cui c’è posto per tutti, citando come esempio le parate del Pride, con cui la comunità lgbt+ rivendica i suoi diritti. “Si può essere orgogliosamente gay, lesbica, transessuale, eccetera eccetera”, dice. “Ma anche orgogliosi di essere italiani, di avere una famiglia e di avere valori imprescindibili”.

Camerati scontenti C’è veramente spazio per tutti? Alla fine di giugno Chieti – una piccola città universitaria sulle colline abruzzesi – ha ospitato il suo primo Pride. I genitori dello stesso sesso, con i loro figli, sono stati presi a sputi, insultati e minacciati. Hanno dovuto essere protetti dalla polizia mentre si dirigevano verso le loro auto per fuggire. Alessia Crocini, presidente dell’associazione Famiglie arcobaleno, era partita da Roma per partecipare alla manifestazione. È stata a decine di eventi di questo tipo nella sua vita. “In vent’anni non avevo mai visto nulla di simile”, dice. Ha riflettuto a lungo su come è cambiato l’umore in Italia: “Fratelli d’Italia è sempre stato in minoranza con le sue posizioni contro la comunità lgbt+, ma oggi occupa alcune delle più alte cariche del paese. Naturalmente un ragazzo di vent’anni che vuole essere provocatorio si sente più forte se le persone al governo condividono le sue idee”. Come presidente del consiglio, dice Crocini, Meloni è la massima rappresentante di uno dei paesi fondatori dell’U-

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La sua metamorfosi sembra ormai quasi completa: vuole prendere il posto di Viktor Orbán e diventare la stella della destra europea

nione europea. Non può più usare i suoi slogan populisti al tavolo con le altre potenze del continente. “Ma può tranquillamente attaccare le famiglie arcobaleno”, dice. In Italia i bambini con due madri o due padri hanno già meno diritti che negli altri paesi dell’Europa occidentale. Crocini lo ha sperimentato personalmente con suo figlio. “Per anni sono stata una madre ombra”, racconta. Visite dal medico, appuntamenti in uffici pubblici, non poteva fare niente di tutto questo senza la madre biologica. Il nuovo governo intende inasprire ulteriormente le regole. Il divieto della gestazione per altri è già stato ampliato e un parlamentare di Fratelli d’Italia lo ha definito “un reato più grave della pedofilia”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha criticato questa linea quando ha parlato con Meloni, e il parlamento europeo ha approvato una risoluzione contro la legge italiana, ma Crocini è convinta che la discriminazione continuerà: “L’intera comunità lgbt+ è sotto attacco”. Cosa possono aspettarsi l’Italia e l’Unione europea da Giorgia Meloni? Esistono varie correnti del populismo di destra europeo. C’è Vox, il partito spagnolo alleato di Meloni, che si concentra su questioni molto più radicali, una strategia che a luglio si è dimostrata fallimentare quando il partito ha perso delle elezioni che molti pensavano avrebbe vinto. Poi c’è Viktor Orbán, il primo ministro ungherese. Da anni è il leader indiscusso della destra europea, una sorta di idolo. Le sue politiche sono state un riferimento per molti giovani populisti ambiziosi. Meloni, però, ha scelto di seguire una strada diversa. Ha capito che la retorica estremista non è

particolarmente ben accetta in Italia ed è riuscita a liberarsi abilmente di Orbán come mentore. Il primo ministro ungherese è invecchiato e anche le sue idee. La presidente del consiglio italiana ha lasciato passare quasi un anno dalla sua elezione prima di fare una breve visita al patriarca della destra a Budapest. La sua metamorfosi sembra ormai quasi completa: vuole prendere il posto del leader ungherese e diventare la nuova stella nei cieli della destra europea. Alcuni timori che accompagnavano la sua vittoria non si sono avverati. Meloni non ha per il momento spaccato l’Unione europea. E durante il suo primo anno in carica non ha avuto atteggiamenti apertamente neofascisti o postfascisti. Tuttavia la coalizione di governo sta sostenendo un tipo di politica nazionalista tutt’altro che inclusiva. Con l’approvazione di Meloni. La prima donna a guidare un governo in Italia resta un personaggio con molte contraddizioni. Nella terra di Mussolini, Francesco Minutillo, a Forlì, accetta di rilasciarci un’intervista. Nel suo studio legale, dietro la scrivania, c’è un busto del duce, che lui ammira e considera un grande statista. “Ha costruito l’Italia”, dice. Conosce Meloni da molti anni. Mentre lei fondava Fratelli d’Italia a Roma, lui si occupava di costruire il partito a Forlì e di appoggiare la sua campagna elettorale nella regione. Ma oggi afferma di non riconoscerla più. “Giorgia Meloni non era un’atlantista. Era contraria alle sanzioni contro la Russia”, osserva Minutillo. “E oggi stiamo perfino mandando armi all’Ucraina!”. E sull’euro: “Abbiamo sempre detto che una moneta italiana sarebbe il primo segno di libertà e autodeterminazione”. Ma da quando Fdi guida il governo, l’euro è diventato improvvisamente una cosa meravigliosa. Meloni parlava di un blocco navale. “Ma adesso non ha nessuna intenzione di attuarlo”. Per la frustrazione Minutillo ha lasciato il partito. Meloni è una donna estremamente astuta e intelligente, una giovane di destra che si è spostata al centro, commenta. “Si vergogna delle sue idee. Si vergogna della sua eredità politica. Si vergogna di essere fascista”. u bt L’AUTORE

Frank Hornig ha studiato storia e scienze politiche a Bonn, Berlino e Parigi. Dal 1999 scrive per il settimanale Der Spiegel. Dal 2019 è corrispondente per l’Italia.

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Paraguay

Il mate ritrovato Santi Carneri Tamaryn, Dromómanos, Messico

Dietro l’erba mate più apprezzata del Sudamerica c’è una storia d’amore. Di un uomo per una donna, per le tradizioni del suo villaggio guaraní e per una foresta minacciata dal disboscamento

N

150 km

BRASILE

PA R A G U AY

Dipartimento di San Pedro

Asunción

ARGENTINA

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sistema l’erba mate macinata in una zucca cava e intagliata, poi aggiunge l’acqua calda e sorseggia il liquido con una canna di legno. Non c’è giorno che passi senza berlo, “se ho tempo”, puntualizza. Quando offre la bevanda a Victoria, la moglie, fuori albeggia.

Nelle mani di pochi Secondo alcuni studiosi i nativi guaraní svolgono cerimonie simili in queste terre tropicali, luogo di nascita dell’erba mate, da almeno mille anni. La vegetazione è sacra per questa popolazione: ci sono cerimonie per il mais e per le nuove piante, ma l’erba mate, la ka’a, è la più sacra di tutte, spiega il capo spirituale. È la pianta madre. Anticamente si usava metterla in bocca, morderla e bere l’acqua del fiume con le mani. Bastava per apprezzarne il sapore e le proprietà stimolanti. Nei rituali importanti l’erba mate si beve per purificarsi, prepararsi, essere più forti, più sani e connessi alla Terra. Eppure, un giorno di vent’anni fa, Victoria disse al marito che non l’avrebbe più bevuta. “Come? Che male può farti?”, le aveva chiesto Vera. “Ogni volta mi fa venire mal di stomaco”, gli aveva risposto la moglie. Di solito Victoria tiene gli occhi bassi quando risponde al padre dei suoi quattro figli, ma quel giorno, racconta Ernesto Vera, gli aveva parlato guardandolo dritto in faccia. Le parole della moglie lo fecero riflettere: da vent’anni avevano smesso di bere l’erba mate più autentica, nella sua ver-

MAYELI VILLALBA

on sono ancora le quattro del mattino a Tekoha Y’apy (che in guaraní significa territorio della sorgente), un villaggio del Paraguay settentrionale a meno di duecento chilometri dal confine con il Brasile. Un uomo anziano esce da una casa di mattoni senza intonaco. È l’ottobre del 2022, siamo nella primavera australe, ma fa freddo. Ernesto Vera – l’uomo si chiama così – indossa un cappotto grigio di quasi due taglie troppo grande. Dal cappuccio s’intravedono una frangia di capelli neri, un naso largo e degli zigomi rotondi. È il tamoi, il capo spirituale, e cammina su ramoscelli così umidi che quando li calpesta non fanno rumore. Dopo essere entrato nella grande casa comunale, un edificio rettangolare con un tetto di canne gialle, accende un fuoco e mette a bollire l’acqua. Quindi

sione selvatica, che vive nel sottobosco. Con l’aumento della deforestazione era diventato impossibile trovarla. Anche se è una pianta fondamentale nella dieta dei guaraní e nei loro rituali, ormai era diventata quasi un capriccio, dato che bisognava piantare innanzitutto mais, manioca e fagioli. Poi dar da mangiare alle galline e lavorare per sfamarsi, sistemando le recinzioni dei terreni di un proprietario terriero, che manda un camion a prendere i braccianti per meno di cento dollari. Così Ernesto Vera e Victoria compravano l’erba mate in un negozio. La portavano a casa già macinata e avvolta nella carta. Per più di vent’anni avevano con-

Ernesto Vera con gli attrezzi per raccogliere le foglie di mate. Paraguay, 9 ottobre 2022 sumato questa versione industriale dell’erba, prodotta da aziende che possiedono grandi monocolture e controllano il destino dei piccoli agricoltori. Sono queste imprese a raccogliere le foglie di erba mate, a usare prodotti chimici, ad accelerarne la lavorazione senza rispettare i tempi giusti, abbassando il prezzo pagato ai produttori e vendendole a buon mercato ai consumatori. Poi lo stomaco di Victoria ha detto basta. Quel giorno Ernesto andò nell’oga guasú, la casa grande del villaggio. Cantò e pregò Tupá, una delle più importanti divinità guaraní. Ed ebbe un’idea: avrebbe cercato un tesoro. Avrebbe attraversa-

to le grandi proprietà terriere per trovare i resti della foresta dove crescono le piante di mate. Avrebbe portato a Victoria le foglie più tenere e naturali che esistono. A Tekoha Y’apy 1.800 agricoltori proteggono 850 ettari di foresta pluviale e vivono su altri 650 ettari riservati alle case e agli orti. A pochi chilometri di distanza, tre proprietari terrieri possiedono circa 300mila ettari nello stesso dipartimento, San Pedro, ormai quasi completamente deforestato. In Paraguay il 2 per cento della popolazione controlla quasi l’80 per cento della terra coltivabile e l’80 per cento della foresta si trova in proprietà private, per lo più latifondi. Decine di migliaia

di ettari di terra fertile, fiumi, montagne, sorgenti e valli sono nelle mani di una sola persona, come il brasiliano Tranquilo Favero, l’ex presidente paraguaiano Horacio Cartes o Carlos Casado, discendente di argentini e spagnoli. Sono dei feudatari del ventunesimo secolo, che regnano sulle terre dove prima vivevano le popolazioni native. Il nonno di Ernesto Vera gli aveva insegnato come trovare l’erba mate selvatica, che cresce sotto i robusti alberi di lapacho dai fiori rosa o quelli di yvyra pytã, ricoperti di muschio e circondati da felci giganti. All’epoca era facile raccogliere l’erba mate molto vicino a Tekoha Y’apy, ricorda Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Paraguay Vera. Bastava un’ora di cammino per trovarla, godendosi lungo la strada il profumo delle orchidee e l’orchestra di uccelli, scimmie e grilli. Ma quando Vera si è messo alla ricerca dell’erba mate per Victoria, la sua comunità era già un’isola di giungla scura e lussureggiante circondata da pascoli e mucche dei grandi allevatori. Dal 1950 il Paraguay ha perso otto dei nove milioni di ettari della sua foresta atlantica dell’alto Paraná, il nome ufficiale della foresta subtropicale che si estende anche in Argentina, Uruguay e Brasile. Oggi in quello che è uno dei dieci maggiori produttori di carne bovina al mondo, le mucche (circa 14 milioni) sono quasi il doppio degli abitanti. “Prima dell’arrivo degli stranieri, c’erano più alberi e animali. E anche più piante medicinali e più frutti. Faceva fresco. Oggi la foresta è diminuita e spesso fa caldo”, dice Vera in guaraní mentre camminiamo intorno a casa sua con il nipote Fernando, 19 anni, che sta per entrare all’università grazie a una borsa di studio e mi fa da interprete. Più di vent’anni fa Vera camminò per giorni attraverso questi allevamenti di bestiame, schivando nuove recinzioni e guardie armate, finché trovò quello che stava cercando vicino a un ruscello. Si arrampicò sull’albero di mate senza guardare in basso e ne scese solo dopo essersi messo in tasca un centinaio di foglie. “Queste non ti faranno male”, disse a Victoria, posando il suo tesoro a terra. Essiccarono le foglie sul fuoco, le fecero riposare per qualche giorno, le macinarono e poi assaggiarono l’erba mate. Sentirono il vero sapore, che dura sul palato, di foglia affumicata, verde, dolce e amara allo stesso tempo. Da quel momento Victoria non ha più avuto nessun bruciore di stomaco.

Il cerchio della parola L’Argentina, il Paraguay e l’Uruguay celebrano le loro giornate nazionali dell’erba mate in date diverse. Il Paraguay ha anche una giornata dedicata al tereré, la stessa erba bevuta fredda ma con identica passione. In ognuno di questi paesi esistono più di duecento versioni diverse: con o senza steli, più o meno macinata, con l’aggiunta di menta o stevia, con il limone o puro. Il mate rimane la bevanda analcolica più consumata in Argentina, Paraguay, Uruguay, Cile e Brasile meridionale. Ogni uruguaiano – sono loro i maggiori bevitori, ancora più degli argentini – può consumarne circa otto chili

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Anche bevendolo da soli, nasce un dialogo con noi stessi. Tutti ricordano la prima volta che l’hanno consumato immersi nei loro pensieri

all’anno. Forse uno straniero associa subito il cono sud all’immagine di un famoso calciatore, ma probabilmente la seconda cosa che gli viene in mente sono le persone che vanno in giro con il thermos di mate sotto il braccio. Le foglie di mate hanno la caffeina come ingrediente psicoattivo e contengono xantine, alcaloidi presenti anche nel caffè e nel cioccolato. Hanno virtù stimolanti, depurative e antiossidanti. Ma per gli abitanti del cono sud l’erba mate è soprattutto una cerimonia. Spesso le persone care si ritrovano per parlare intorno a un mate o a un tereré. Sono “i cerchi della parola” usati ancora oggi dai guaraní e da quasi tutte le popolazioni native d’America al posto del feroce individualismo dei nostri tempi. Anche bevendo da soli, nasce un dialogo con noi stessi: tutti ricordano la prima volta che hanno consumato il mate immersi nei loro pensieri. Il mate dev’essere alimentato muovendo delicatamente l’erba con la cannuccia, la bombilla. Serve a creare un po’ di spazio per l’acqua da versare, cercando di non bagnare tutta l’erba nel recipiente in modo che non rilasci subito tutto il sapore e che duri più a lungo. Si fa a ogni giro di mate. Berlo significa usare per ore le stesse foglie di una pianta e un po’ d’acqua. Non consumare, non comprare, non spendere in modo compulsivo. È un simbolo e un segno. Il mate è identità. Senza tutto questo, non si spiegherebbe perché in Siria e in Libano il mate è consumato quotidianamente. Dopo la prima guerra mondiale e la caduta dell’impero ottomano, molti mediorientali arrivarono nelle Americhe per co-

minciare una nuova vita. Impararono ad amare quella terra e diventarono parte fondamentale del suo sviluppo. Centinaia di migliaia di persone si stabilirono lì. Chi tornò nei paesi d’origine portò con sé l’usanza del mate e la trasmise ai figli e ai nipoti come simbolo e ricordo di quell’esperienza. Io sono figlio di una famiglia di migranti argentini in Spagna e ricordo che mio padre, mentre andavamo all’aeroporto di Madrid, si chiedeva quanta erba mate avessero portato i nonni, gli zii o la madrina. Ricordo anche quando mi mangiavo le unghie per il nervosismo accanto a una valigia piena di pacchi, come se fosse un Natale anticipato, e rivedo la mia famiglia che grida, piange e ride intorno a un mate. Nel mondo cresce il consumo di erba mate. Negli Stati Uniti e in Europa la si trova anche in forme insolite, come lattine o bustine da tè nei supermercati. È venduta come un’alternativa più naturale ad altre bevande energetiche ed estremamente lavorate. Un esempio: quella più diffusa in Europa è una bevanda tedesca che contiene la caffeina estratta dal mate ma anche dieci grammi di zucchero ogni 33 centilitri, più altri 23 ingredienti. Il paese che ne produce e ne esporta di più è l’Argentina, con una media annua di 35mila tonnellate: secondo l’istituto nazionale dell’erba mate le principali destinazioni sono la Siria (72 per cento), il Cile (14 per cento), il Libano e gli Stati Uniti (2 per cento).

Permesso A partire dal primo decennio degli anni duemila il Paraguay è diventato un paese di mucche e soia. Molti pascoli si sono trasformati in campi di soia transgenica, l’alimento iperproteico che oggi è una materia prima indispensabile per l’alimentazione del bestiame in Europa e in Cina. I campi di soia sono cresciuti fino a occupare circa 3,5 milioni di ettari. Oceani verdi dove non è rimasto neanche un albero incombono sulle ultime popolazioni native e le foreste del Paraguay, del Brasile e dell’Argentina. Mentre nel nord del mondo i derivati del mate erano sempre più spesso disponibili nei supermercati, Ernesto Vera, guaraní, proseguiva il suo viaggio alla ricerca della pianta autentica tra molte difficoltà. La parola “permesso” accompagnava la sua ricerca. Doveva chiedere il permesso agli allevatori, a una famiglia o alle grandi aziende proprietarie della terra. Il permesso di aprire il cancello di una

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KATHRIN HARMS (LAIF/CONTRASTO)

MAYELI VILLALBA

Qui sopra: la lavorazione delle foglie di mate nel villaggio Tekoha Y’api, 9 ottobre 2022. A destra: recipienti per il mate e il tereré ad Asunción, 2019

tenuta senza farsi sparare, di camminare tra le mucche, di prendere alcune foglie e rami. Il permesso di attraversare i grandi campi di soia dove una sola persona su un trattore, con lo schermo touch screen e l’aria condizionata, raccoglie il frutto di centinaia di ettari in un pomeriggio o spruzza sostanze chimiche tossiche intorno alla comunità di Vera. La situazione gli ricordava fin troppo bene quello che i suoi antenati avevano subìto per centinaia di anni. Nel cinquecento i primi colonizzatori europei furono testimoni del consumo di erba mate nel territorio che oggi è il Paraguay e allora era il vicereame del Perù. Lo vietarono immediatamente. Nel 1610 l’inquisizione del regno di Castiglia proibì l’uso della pianta e nella città di Asunción impose pene di cento frustate per i nativi e cento pesos di multa per gli spagnoli che avessero consumato o venduto erba mate, come racconta l’argentino Jerónimo Lagier nel libro La aventura de la yerba mate.

Solo vent’anni dopo gli spagnoli la legalizzarono e ne fecero la base della loro espansione economica e territoriale nella regione, dando vita alla Provincia Paraquaria, una sorta di stato gesuita che arrivò a coprire parte dell’Argentina, della Bolivia, del Brasile, del Cile, del Paraguay e dell’Uruguay, quando la Spagna e il Portogallo erano ancora impegnati a dividersi il territorio americano con dei trattati. Questo ramo della chiesa cattolica, insieme ai francescani e ai domenicani, gestì relazioni diplomatiche, militari e religiose con quasi tutti i popoli guaraní. Per circa due secoli impose la sua religione e i suoi costumi agli indigeni, assorbendo allo stesso tempo le loro conoscenze, la loro forza lavoro e non solo l’erba mate, ma anche le loro terre. Le loro foreste. I gesuiti furono i primi europei a creare delle monocolture destinate all’esportazione dal Sudamerica. “E il capitano grande, Duiy, che è venuto l’altro giorno, ha picchiato davanti a noi con le sue stesse mani un indigeno che era appena arrivato da Mbaracayú, cercando di riportarlo a Mbaracayú”, si legge in un manoscritto conservato nella biblioteca nazionale di Rio de Janeiro. Il

documento è intitolato: “Risposta degli indigeni alle disposizioni reali che ordinano agli indigeni delle Riduzioni di non prestare servizio per più di due mesi, come ordinato da sua maestà, e di non essere portati a Mbaracayú in tempi di malattia”. È datato 25 agosto 1630 e ci è noto grazie al lavoro del linguista gesuita spagnolo Bartomeu Melià. Torture, omicidi, fame, stupri e percosse. Le cose non cambiarono quando i gesuiti furono espulsi da Carlo III nel 1767 né quando, più tardi, gli spagnoli furono cacciati dai creoli che proclamarono l’indipendenza del Paraguay. I discendenti dei guaraní, i contadini di origine mista – nativa, spagnola, africana e portoghese – continuarono a coltivare l’erba mate in condizione di schiavitù. Li chiamavano mensú, perché teoricamente avrebbero dovuto ricevere un compenso mensile, anche se non succedeva mai. Un’unica azienda, la Industrial paraguaya, possedeva una delle più vaste aree del Paraguay. “Quello non è più un uomo, è un bracciante dell’erba mate. Forse dentro di lui ci sono ribellione e lacrime. Si sono visti dei minatori piangere con un sacco di maInternazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Paraguay te sulle spalle. Altri, incapaci di suicidarsi, sognano la fuga. Pensate che molti sono appena adolescenti. Il loro salario è illusorio. I criminali possono guadagnare in alcune prigioni. Loro no. Devono comprare dall’azienda quello che mangiano e gli stracci che indossano”. Queste righe furono scritte nel 1909 da Rafael Barret, un giornalista e poeta anarchico spagnolo che visse un po’ in tutti i paesi dove si consuma l’erba mate. E da quasi tutti fu allontanato. Oggi la situazione è migliorata, ma le aziende produttrici pagano così poco che solo associandosi in cooperative i contadini paraguaiani possono guadagnare un salario equo. È il caso del marchio Oñoirũ, un modello di produzione biologica che rappresenta molte famiglie di agricoltori del dipartimento di Itapúa, nel sud. La storia ha tenuto quasi tutti i nativi guaraní lontano dalla produzione di erba mate: perché coltivarla se poi si vende per due soldi? Perché rivivere il trauma dei genitori e dei nonni? Stanco di cercare una foresta che non esisteva più e di vedere come la pianta di mate cresceva a fatica in luoghi che si contavano sulle dita di una mano, Ernesto Vera cominciò a farsi una domanda: “Per quanto tempo mi daranno il permesso?”. Poi gli venne un’idea: doveva far crescere l’erba mate nella sua comunità. “Per fortuna l’ho fatto”, dice davanti al tatuape, un forno fatto di rami a forma di scheletro di armadillo, dove si essiccano quintali di foglie di mate.

Amicizia e affari Si sono conosciuti dieci anni fa durante un mitakarai, una cerimonia in cui i giovani della comunità ricevono il loro nome spirituale. Ernesto Vera ballava al ritmo che la moglie Victoria e le altre donne del villaggio battevano a terra con i bastoni cavi di tacuara. Lui agitava le mbaraká, le maracas, intonando una melodia che provoca uno stato di trance. Norma Ávila, cantante e artista, era arrivata da Asunción, la capitale, ed era stata invitata a entrare nell’oga guasu. Si era lasciata trasportare dalla musica, in comunione con gli altri. Ne è nata un’amicizia e anche un rapporto d’affari. Vera, insieme ad altre famiglie locali, coltivava la sua erba mate, e invitava gli altri abitanti del villaggio a fare lo stesso. Quando Norma Ávila è arrivata a Tekoha Y’apy, questa comunità e altre vicine ne avevano accumulato diversi quintali. Se l’idea di raccogliere le foglie per Victoria e di coltivare la pianta nella co-

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Il forno, su cui Ernesto Vera si arrampica senza fatica, può sostenere quintali di rami e foglie di mate, e perfino diverse persone

munità è stata di Ernesto Vera, fu la moglie a proporre di offrire alla visitatrice il mate preparato come una volta, magari per poterlo vendere nella capitale. Ernesto Vera e Victoria hanno mostrato a Norma Ávila tutto il processo. La comunità Tekoha Y’apy raccoglie i rami carichi di foglie e accende un falò per il sapecado, un primo processo di essiccazione che consiste nell’esporre molto brevemente i rami alle fiamme. Dopo si lasciano a essiccare per diversi giorni nel tatuape, una struttura alta circa tre metri, accuratamente legata insieme con le radici del güembé, il filodendro, le stesse usate per gli archi da caccia, senza chiodi né viti. Il forno, su cui Vera si arrampica senza fatica, può sostenere quintali di rami e foglie di mate, e perfino diverse persone. Poco sotto, una fossa scavata nella sabbia argillosa e rossiccia ospita un fuoco progettato e preparato per durare diversi giorni. La legna brucia, affumicando e cuocendo lentamente le foglie. Dopo circa tre settimane comincia il processo di macinazione manuale in enormi mortai ricavati da tronchi d’albero. Poi, quando l’erba è pronta, viene lasciata riposare un anno affinché possa raggiungere il suo sapore ottimale. Dall’intesa tra Ernesto Vera e Norma Ávila è nata Sea. Sul pacchetto di carta marrone è stampato un paragrafo che ricorda i tempi dell’inquisizione: “L’erba mate è vietata: voce ed erba del diavolo. Sarà bruciata sulla pubblica piazza, scomunica per chi la beve, quindici giorni di carcere per chi la porta in città, cento frustate per chi è trovato in suo possesso”. Sea è diventata una delle erbe mate mi-

gliori del mondo. È l’unica elencata nell’Arca del gusto, una lista di cinquemila alimenti che l’umanità dovrebbe preservare per il suo stesso bene, secondo la fondazione Slow food per la biodiversità, che dal 1986 promuove questo catalogo mondiale. Oggi Ávila vende, promuove e distribuisce quest’erba mate ad Asunción e nel resto del mondo. Insieme al prodotto, diffonde anche la sua storia. Racconta da dove viene, com’è lavorata e chi è il tamoi Ernesto Vera. Di recente è andata a Berlino, in Germania, con una valigia piena di pacchetti di erba mate creati dagli avá guaraní. Partecipa a molte fiere, pubblicizza il prodotto e parla dell’importanza di tutelare l’ambiente. Ha creato il suo “rituale del mate”, una cerimonia che combina la storia e la mitologia guaraní con le sue canzoni. È una sorta di degustazione per onorare le persone che l’hanno creato e la natura che gliel’ha permesso. “Come un piccolo viaggio attraverso le storie e il sapore ancestrale, il gusto della foresta. Con la cerimonia del mate cerco di toccare i cuori”, dice Ávila. Mentre la sua erba mate viaggia per il mondo, a Tekoha Y’apy comincia un nuovo giorno di primavera. Victoria va nei campi per controllare il mais, la manioca, le arachidi, l’ananas e le patate dolci. Altri si danno il cambio per sorvegliare il tatuape o per essiccare altri rami. Ernesto Vera, appollaiato sulla gigantesca montagna di rami e foglie, coordina il lavoro con un grande tridente di legno. È lui a decidere quando l’erba è sufficientemente tostata. È una specialità nella catena di lavoro familiare e comunitaria che si è trasformata nella moderna industria dell’erba mate. Alle quattro di mattina sono tutti svegli. Vera va nella casa comunale e mette l’acqua sul fuoco. Non è ancora l’alba quando beve i primi sorsi di mate in quest’angolo di foresta, uno dei pochi posti in Paraguay dove ogni tanto fa ancora freddo. u fr

QUEST’ARTICOLO

Santi Carneri Tamaryn è un giornalista, fotografo e documentarista argentino. Vive ad Asunción, in Paraguay, da dieci anni. Dromómanos è nato nel 2011 su iniziativa della giornalista messicana Alejandra Sánchez Inzunza e dello spagnolo José Luis Pardo Veiras con l’obiettivo di produrre giornalismo indipendente in America Latina. Quest’articolo fa parte del progetto Colapso, che racconta le conseguenze della crisi climatica nella regione.

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ART DIRECTOR: EMANUELE RAGNISCO

Le menti poliedriche che hanno spostato le frontiere della conoscenza

Africa

ANDREW ESIEBO (PANOS/PARALLELOZERO)

Porto di Lomé, Togo, 2017

I grandi armatori si spartiscono l’Africa Marion Douet, Le Monde, Francia

Tre compagnie marittime europee controllano i principali porti del continente. Ora mirano a gestire i trasporti terrestri. Ma non è detto che ci riusciranno 64

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800 km

Tangeri Med Port-Said

MAROCCO

EGITTO TOGO

Dakar Freetown

Gibuti

Lagos

Berbera

Lomé

San Pédro Abidjan Pointe-Noire

FONTE: LE MONDE

Oceano Atlantico

ltre alle lunghe spiagge e ai chilometri di palme da cocco battute dal vento, il litorale della Costa d’Avorio ha due grandi porti commerciali: quello di Abidjan, la dinamica capitale economica del paese, punto di riferimento anche per tutti gli stati del Sahel senza sbocco sul mare; e quello di San Pédro, leader mondiale nell’esportazione di cacao. Dal 2022 queste due importanti infrastrutture sono nelle mani di un unico operatore, l’armatore italosvizzero Msc. L’anno scorso, dopo un negoziato lampo, la prima compagnia di trasporti marittimi del mondo ha

O

CONGO

SUDAFRICA

Città del Capo

Durban

Principali hub (snodi logistici) africani

inglobato per appena 5,7 miliardi di euro le redditizie attività logistiche del gruppo francese Bolloré. L’operazione ha permesso alla Msc di assumere il monopolio sulla movimentazione dei container in questo paese chiave dell’Africa occidentale. Lo stesso è successo un po’ più a est nel golfo di Guinea, a Lomé, in Togo, dove la Msc sfrutta i due terminal per i container di quello che è ormai il primo hub (snodo logistico) della regione. Con le recenti acquisizioni, il gruppo con sede a Ginevra aumenta notevolmente la sua presenza in Africa. Quando ha rilevato le attività del concorrente francese, la Msc aveva ottomila dipendenti nel continente, mentre la Bolloré Africa Logistics (Bal) ne aveva 21mila. Installandosi ad Abidjan e a Lomé, oltre che a Dakar (Senegal), Freetown (Liberia) e Pointe-Noire (Congo), il gruppo è passato a controllare diciotto terminal per i container, invece dei due che aveva gestito finora. Queste infrastrutture sono fondamentali per servire meglio la sua flotta di navi e per ridurre i costi. La Msc ha recuperato anche una delle prime reti logistiche del continente, cioè le ferrovie che collegano la Costa d’Avorio al Burkina Faso, un corridoio vitale per il Sahel, oltre a decine di bacini di carenaggio e di depositi, tra cui 70mila metri quadrati di magazzini per lo stoccaggio delle merci, anche refrigerati, in Costa d’Avorio. Anche se sono meno vistose dei grandi porti e delle loro immense gru, queste infrastrutture sono essenziali nella strategia degli armatori. “È in corso una battaglia sia per la costa sia per l’entroterra africano”, conferma il dirigente di una di queste grandi compagnie marittime. Gli specialisti del container vogliono infatti proporre un servizio chiavi in mano in grado di controllare una consegna

per tutto il tragitto via mare e via terra, dalla sua partenza, per esempio da Amsterdam, fino a un possibile destinatario finale a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. In Africa, come in altre parti del mondo, “le grandi compagnie marittime vogliono integrare verticalmente la catena del valore”, cioè gestire direttamente tutti i passaggi, conferma una fonte della Africa Global Logistics (Agl), il nuovo nome della Bal. Secondo la fonte, questi colossi hanno un bel po’ di denaro da investire perché hanno messo da parte un “tesoretto” durante la pandemia, quando il prezzo del trasporto delle merci era esploso. “La Msc ha portato a termine un’impressionante operazione strategica”, osserva Yann Alix, direttore della fondazione Sefacil, un centro studi specializzato nella logistica portuale. “È riuscita quasi a diventare la numero uno in Africa, battendo due concorrenti come la Maersk e la francese Cma Cgm”, rispettivamente numero due e tre al mondo. Anche gli altri due grandi armatori non nascondono le loro ambizioni. La Cma Cgm, con sede a Marsiglia, ha messo le mani sul resto delle attività della famiglia Bolloré, in particolare in Europa e in Asia. In Africa sarà il futuro operatore del porto di Lekki, in Nigeria, e sta espandendo la sua rete logistica Ceva in Africa orientale. A maggio la danese Maersk ha inaugurato un sito di stoccaggio e di distribuzione di diecimila metri quadrati a Città del Capo, in Sudafrica. “La logistica è il cuore pulsante del commercio e l’Africa ha un grande potenziale ancora da sfruttare”, afferma Thomas Theeuwes, il direttore per l’Africa centrale e occidentale. “La rapida crescita della produzione e dei consumi rafforza la nostra convinzione che le soluzioni logistiche integrate miglioreranno i commerci nel continente”.

Consumi in crescita Nei nuovi shopping centre di Abidjan o di Nairobi, ci sono degli ipermercati con scaffali perfettamente riforniti che offrono decine di prodotti occidentali o degli Emirati Arabi Uniti. Quando vanno al mercato gli abitanti del Ghana e quelli del Benin comprano grandi quantità di polli surgelati provenienti dall’Europa, mentre ogni mese in Kenya entrano tonnellate di abiti usati e auto straniere, soprattutto giapponesi. Questi veicoli sono diventati un simbolo di appartenenza alla classe media. Secondo i dati della Banca mondiale, Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Africa tra il 2001 e il 2021 nell’Africa subsahariana le spese per i consumi sono salite da 320 a 1.400 miliardi di dollari, in un periodo in cui la crescita economica è stata in media del 4 per cento. Il continente è indubbiamente un mercato di dimensioni ridotte rispetto alle principali rotte commerciali mondiali, ma le importazioni – e in alcuni casi, le esportazioni – hanno causato un forte aumento del volume degli scambi, soprattutto di quelli via mare: secondo la fondazione Sefacil, tra il 2009 e il 2019 il traffico di container è cresciuto del 75 per cento. In questi ultimi vent’anni i terminal marittimi africani si sono moltiplicati, per lo più grazie al rilascio di nuove concessioni, offrendo ai grandi armatori delle opportunità d’investimento. Solo in Sudafrica e in Kenya i grandi porti sono controllati dal governo. Inoltre l’azienda pubblica sudafricana Transnet, che gestisce i porti, le ferrovie e gli oleodotti del paese, si prepara a fare entrare un operatore privato nel porto di Durban, il più grande hub a sud del Sahara. “Sono attività strategiche per lo stato, ma per mantenere un certo dinamismo è bene accogliere altri attori nel sistema”, ha dichiarato a giugno l’amministratrice delegata della Transnet Portia Derby (che di recente ha dato le dimissioni in seguito alle forti critiche per la sua gestione dell’azienda), senza però svelare chi aveva vinto l’appalto.

Concentrazione Con il passare del tempo, tra fusioni e acquisizioni, il trio formato da Msc, Maersk e Cma Cgm è diventato dominante sulle coste dell’Africa, dove le regole sulla concorrenza sono meno rigide che altrove. Ci sono anche porti gestiti da armatori asiatici e degli Emirati Arabi Uniti. Tra questi, la Dp World di Dubai gestisce lo scalo marittimo di Berbera, in Somaliland. Dell’azienda si è parlato molto quando è stata estromessa da Gibuti, a favore della cinese China Merchants. Ma, a parte qualche eccezione, l’importanza di questi operatori è relativa, spiega Yann Alix. “Da vent’anni assistiamo a una concentrazione sul continente africano, con aziende sempre più potenti ma sempre meno numerose. La Msc e la Maersk dovrebbero ormai rappresentare il 55 per cento del traffico di container in Africa. È una percentuale considerevole”, sottolinea l’esperto, giudicando questa situazione “contraddittoria” rispetto a un mercato sempre più aperto. Sulla terra-

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Trasporti Prospettive promettenti Porti con la maggiore crescita annuale nel 2020, % Porti africani 0

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Gioia Tauro Nantong Tangeri Med Mundra Cai Mep Abu Dhabi Lomé Port-Said Fonte: Le Monde, Sefacil, Unctad, Banca africana d’import-export

ferma la situazione è molto diversa. Qui non ci sono concessioni, a parte qualche linea ferroviaria. Nel campo dei trasporti i camion la fanno da padroni. La situazione è più incerta e caotica. Bisogna mettere in conto le preoccupazioni legate alla sicurezza – come la presenza di gruppi terroristici nel Sahel o le violenze dovute alle milizie ribelli nell’est della Repubblica Democratica del Congo – ma anche le cattive condizioni delle infrastrutture, a partire dalle strade. In generale la logistica in Africa è considerata un rompicapo. Chilometri e chilometri di camion, a volte bloccati per settimane senza potersi

Da sapere Perché i prodotti sono più cari u L’Africa è ancora un mercato piccolo per i grandi armatori perché rappresenta meno del 5 per cento del trasporto marittimo mondiale, anche se il continente importa l’80 per cento delle sue merci. I costi legati alla logistica sono tra le 3 e le 4 volte più alti della media mondiale. Nei porti africani si scaricano in media 20 container all’ora, contro i 25-30 di terminal più moderni, e i costi di queste operazioni sono del 50 per cento più elevati che nel resto del mondo. Sulla terraferma, i treni scarseggiano: la maggior parte dei paesi africani conta tra i 30 e i 50 chilometri di ferrovie per milione di abitanti, contro una proporzione compresa tra 200 e mille chilometri nei paesi europei. Anche per questo l’80 per cento delle merci è trasportato su camion. Tuttavia il 53 per cento delle strade non è asfaltato e l’insicurezza è molto diffusa. Queste difficoltà contribuiscono a far salire il prezzo finale di un prodotto di circa il 75 per cento. Le Monde, Banca africana d’import-export, Banca africana di sviluppo

muovere, nel caldo e nella polvere: le foto delle file di veicoli che cercano di entrare nel porto di Lagos, in Nigeria, sono diventate leggendarie. Dall’altro lato del continente la frontiera tra Kenya e Uganda è tristemente famosa per le complicate trafile burocratiche e per la corruzione degli agenti. “Talvolta l’intero sistema è fuori uso o c’è un camion che blocca il passaggio. E non si può far altro che aspettare, non puoi lasciare il tuo veicolo e mangiare diventa un problema”, conferma Joseph Mbirua, che da quindici anni lavora come autista in Kenya. I tragitti notturni fuori dalle città possono essere rischiosi: “Può succedere che i ladri approfittino delle salite, dove i camion procedono lentamente, per salire a bordo, aprire il rimorchio e rubare il carico”. Un’altra difficoltà è rappresentata da un mercato del trasporto terrestre estremamente frammentato. Le reti spesso hanno un carattere informale e sono gestite da poche famiglie allargate che da decenni fanno circolare sempre gli stessi vecchi camion. “Questi piccoli operatori godono della fiducia dei clienti, con i quali lavorano da generazioni”, spiega Alix. “Sono strutture particolari, una specie di logistica fatta su misura. I grandi operatori invece arrivano con dei modi di lavorare che non si adattano a una gestione così ramificata”. Queste considerazioni possono essere un ostacolo per i colossi del trasporto marittimo? I loro grandi progetti non sempre sono accolti con entusiasmo. Ad Abidjan, per esempio, un fabbricante d’imballaggi è irritato per il loro eccessivo potere di controllo. Sostiene di dover usare i servizi offerti dai gruppi occidentali per trasportare le merci che ha ordinato dal porto fino alla fabbrica, altrimenti rischierebbe di essere penalizzato logisticamente e finanziariamente. “Approfittano della loro posizione dominante per fare cose che altrove non potrebbero fare”, afferma l’imprenditore, che dice di aver osservato negli ultimi tre o quattro anni una forte reazione degli industriali della Costa d’Avorio. Un importante trasportatore della regione si arrabbia contro il “sequestro dei clienti” o le pratiche di dumping usate per conquistare alcuni mercati. L’imprenditore prevede il fallimento dei grandi armatori sulla terraferma africana: “Non ce la faranno. Le compagnie marittime sono come gli albatros: magnifici quando planano sopra il mare, ma goffi quando sono a terra”. u adr

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MAGNUM/CONTRASTO

Scienza

Più capelli per 68

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Finora nessun trattamento si è rivelato veramente efficace contro la calvizie. Ma alcune recenti scoperte lasciano immaginare che la svolta possa essere dietro l’angolo Joshua Howgego, New Scientist, Regno Unito Foto di Alec Soth i confesso che una parte di me non voleva scrivere questo articolo. Quando mi sono reso conto per la prima volta che stavo perdendo i capelli, ho pensato che fosse importante parlarne spesso. Ero così imbarazzato che stavo provando una sorta di psicosi al contrario. Ma ho capito che se c’era una cosa ancora meno interessante della mia testa calva era il fatto che ne parlavo continuamente. Ovviamente sto scherzando, non c’è niente di male a essere calvi. Eppure, per me, la prospettiva è terrificante. I capelli costituiscono una parte importante della mia identità, quindi perderli è straziante. E non sono il solo. Verso i 50 anni, dal 30 al 50 per cento degli uomini comincia a perdere i capelli. Nonostante ci siano molti begli uomini calvi in giro, gli studi suggeriscono che di solito il loro aspetto è considerato meno attraente e meno amichevole. E non abbiamo bisogno che la scienza ci dica quanto questo può essere profondamente irritante. Quindi, anche se ho smesso di parlare della mia testa sempre più pelata, ho cominciato a scavare silenziosamente nella scienza della perdita dei capelli, e quello che ho scoperto vale la pena di essere raccontato. È risaputo che alcuni trattamenti possono rallentare la caduta dei capelli. Ciò che è meno noto è che mentre stiamo arrivando a capire i motivi della calvizie maschile, stiamo anche scoprendo nuove strategie per ripristinare la chioma. Forse è possibile non solo rallentare la perdita, ma anche invertire il processo. In un campo in cui le storie sulle cure miracolose sono all’ordine del giorno, è importante non promettere troppo. Tuttavia sembra che la scienza dei capelli stia avanzando a gran velocità. “C’è entusiasmo perché stiamo per raggiungere un punto di svolta”, afferma il biologo Maksim Plikus dell’università della California a Irvine. Sono molti i motivi per cui le persone perdono i capelli. Può succedere improv-

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visamente dopo un’infezione o una chemioterapia. A volte si possono perdere chiazze di capelli a causa di una malattia autoimmune chiamata alopecia areata. Ma il caso più comune è quello dell’alopecia androgenetica, o calvizie maschile/ femminile. Sappiamo che negli uomini la perdita comincia intorno alla corona e alla fronte, ed è correlata agli ormoni sessuali maschili, ma non conosciamo l’esatto fattore scatenante. La versione femminile tende a causare un diradamento generale che raramente arriva alla calvizie totale. Si pensa che anche questo sia causato dagli ormoni sessuali, ma la meccanica ci sfugge.

Rimedi improbabili Nel corso dei secoli le persone hanno provato una varietà di rimedi improbabili per la calvizie, dagli zoccoli d’asino nell’antico Egitto all’aria fresca e l’esercizio fisico nell’Inghilterra vittoriana. Basta cercare su internet per constatare che le soluzioni moderne sono altrettanto strambe: massaggi del cuoio capelluto, shampoo alla caffeina, pettini laser, microperforazioni, per citarne solo alcuni. L’ultima tendenza è l’olio di rosmarino. TikTok è pieno di giovani che ne esaltano le proprietà. Personalmente, non ho intenzione di provarlo, per il semplice fatto che non voglio odorare come una patata arrosto. Alcuni di questi trattamenti possono portare piccoli benefici in alcuni casi, ma abbiamo poche prove scientifiche del fatto che rallentino o invertano la calvizie. Quelli che funzionano possono avere effetti collaterali e non sempre vanno bene per tutti Per vederci più chiaro sono andato a trovare l’esperto di capelli e cuoio capelluto Hugh Rushton, che mi ha parlato di come funziona la perdita dei capelli. In primo luogo, dobbiamo sapere che ogni capello attraversa un ciclo di vita: cresce per diversi anni prima di fermarsi per circa tre mesi e poi cadere. Normalmente il 10-15 per cento dei capelli si trova in questo stato di sospensione. Con l’invecchiaInternazionale 1534 | 20 ottobre 2023

tutti questi quotidiani, riviste e libri sono frutto del lavoro esclusivo del sito eurekaddl.skin per favore lasci perdere i ladri parassiti che rubano soltanto vanificando il lavoro degli altri e venga a sostenerci scaricando da noi, la aspettiamo!

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Scienza mento del corpo maschile, i capelli sani possono passare attraverso un processo chiamato miniaturizzazione, in cui si trasformano da normali “peli terminali” in “peli del vello”, sottili e quasi invisibili. Sappiamo da tempo che l’ormone diidrotestosterone (dht), che stimola lo sviluppo delle caratteristiche maschili, svolge un ruolo chiave. Il dht spinge i follicoli a perdere volume e, se fosse possibile abbassarne il livello, la calvizie potrebbe essere rallentata. Negli ultimi anni, tuttavia, i ricercatori hanno compiuto progressi spettacolari nella comprensione della complessa biologia che circonda la crescita e la perdita dei capelli, e le molte componenti biologiche coinvolte. È stato il biologo cellulare Karl Koehler dell’università di Harvard a fare un passo avanti fondamentale una decina di anni fa. Lui e il suo team stavano usando le cellule staminali per coltivare un tipo di cellula dell’orecchio interno, quando hanno scoperto che queste sono strettamente correlate a quelle della pelle, per cui come prodotto collaterale crescevano sempre alcune chiazze di pelle. “Per noi era come un’erbaccia da eliminare”, dice Koehler. Poi si sono resi conto che questi frammenti di pelle, se lasciati crescere, avrebbero formato due strati – il derma e l’epidermide – e infine anche i follicoli piliferi. Avevano inavvertitamente creato un organoide della pelle, con tutto il suo contorno. A quel punto Koehler e i suoi colleghi hanno deciso di concentrarsi sulla coltura della pelle, modificando la ricetta chimica che somministravano alle cellule per guidarle verso questo obiettivo. Nel 2018 hanno pubblicato un articolo che dimostrava il loro successo nello sviluppo della pelle di topo, e nel 2020 hanno ripetuto l’impresa con la pelle umana. Ci vogliono circa 50-70 giorni per coltivare una cellula staminale fino a farla diventare un piccolo pezzo di pelle con i peli, che assume la forma di un bulbo largo circa quattro millimetri. Koehler dice di aver già innestato questi bulbi sul dorso dei topi, dove cominciano a sviluppare dei peli. Secondo lui la prima applicazione di questa scoperta potrebbero essere i test sui farmaci per le malattie della pelle. Ma è tentato di chiedersi se potrebbe essere anche un modo per innestare i capelli su una testa calva. I trapianti di capelli esistono già, ma hanno degli svantaggi. Con l’estrazione delle unità follicolari, per esempio, si prendono i follicoli dai lati e dalla parte posteriore della testa, dove i capelli stan-

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no ancora crescendo, e li si trapianta su un’area diradata. Il problema, a parte il costo, è che questo metodo si limita a ridistribuire i capelli, quindi non può trasformare un cuoio capelluto vuoto in una criniera rigogliosa. Con gli organoidi pelosi di Koehler, invece, stiamo parlando della crescita di nuovi peli, ed è facile immaginare che si possa usare questo metodo per invertire la calvizie. “Ci stiamo pensando”, dice Koehler. Tuttavia non mancherebbero i problemi, come far crescere porzioni di pelle più grandi e superare il rigetto dell’innesto: la pelle dovrebbe probabilmente essere coltivata da cellule staminali prelevate dal soggetto stesso. “Sarebbe molto costoso e non succederà presto, non abbastanza per gli uomini che stanno perdendo i capelli”, afferma Koehler. Ma forse esiste un’alternativa più semplice.

In banca Alla radice di ogni capello c’è un gruppo di cellule della papilla dermica, coinvolte nella regolazione della crescita. Sappiamo che in alcuni follicoli piliferi, come quelli sulla testa, queste cellule cruciali vanno perse a ogni ciclo di crescita dei capelli, fino a quando non spariscono del tutto. Di conseguenza i segnali che indicano ai peli

Il congelamento dei follicoli è molto popolare tra i genitori di figli adolescenti di crescere cessano e i capelli si miniaturizzano. Allora perché non sostituire le cellule della papilla dermica? Colin Jahoda, dell’università di Durham, nel Regno Unito, ci aveva pensato diversi decenni fa. Aveva preso queste cellule dai peli del mantello dei topi e le aveva iniettate nelle loro orecchie, che hanno peli molto più fini. Ben presto i peli dell’orecchio erano diventati più lunghi e più spessi. Nei primi anni 2000 l’imprenditore della medicina rigenerativa Paul Kemp ha fondato un’azienda per cercare di capire se l’iniezione di cellule della papilla dermica nel cuoio capelluto umano potesse stimolare la crescita di capelli completamente nuovi. I ricercatori hanno scoperto che funzionava, ma i nuovi capelli erano molto sottili. Tuttavia hanno anche osservato che i capelli diradati era-

no diventati più spessi. Il trattamento è stato sottoposto a studi clinici di fase I e II, che ne hanno dimostrato la sicurezza. Ma per ragioni poco chiare questa linea di ricerca è stata abbandonata. Nel 2015 Kemp ha fondato la HairClone per rilanciare il lavoro sulle cellule della papilla dermica. Il piano era duplice. In primo luogo, le cellule sane della papilla dermica sarebbero state estratte da giovani e congelate. Poi, quando i capelli di quelle persone avessero cominciato a diradarsi, le cellule sarebbero state coltivate e iniettate nuovamente nel cuoio capelluto. “L’idea è che se quelle cellule vanno perse possiamo iniettarle di nuovo”, afferma la responsabile della ricerca della HairClone, Jennifer Dillon. A differenza degli organoidi cutanei, questo trattamento non è in grado di restituire i capelli a chi è in uno stadio avanzato di calvizie, perché rivitalizzerebbe solo i follicoli che stanno invecchiando e non quelli che si sono già miniaturizzati. Ma sarebbe un grosso passo avanti, perché potrebbe risolvere il problema dei follicoli che muoiono. La HairClone ha già creato una banca dei follicoli, dove le persone possono conservare alcune delle loro cellule della papilla dermica. Secondo Dillon questo servizio è molto popolare tra i genitori che vogliono conservare i follicoli dei loro figli adolescenti, in modo da evitare che diventino calvi come i loro padri. Ma anche le donne vi fanno ricorso. Nel 2018 una londinese ha visto diradarsi i suoi capelli dopo un’infezione e in seguito ha scoperto di avere un cancro al seno. Con la prospettiva di perdere il resto dei capelli a causa della chemioterapia, ha deciso di stipulare una “polizza assicurativa” e di mettere da parte cento dei suoi follicoli. “Sarei stata una sciocca se avessero inventato un modo per ringiovanire i capelli e non avessi colto l’occasione per farlo”, dice. L’operazione è costata duemila sterline, e dovrà pagarne 120 all’anno per mantenere i suoi follicoli sotto ghiaccio. Il prossimo passo sarà dimostrare che l’iniezione di cellule coltivate è sicura ed efficace. Nel Regno Unito la HairClone offre il trattamento off label, cioè l’azienda non può fare alcuna affermazione sulla sua efficacia, ma può usarlo per raccogliere dati sul miglior regime di trattamento prima degli studi clinici. Maria Kasper, che studia la biologia della pelle e dei capelli presso il Karolinska institute di Stoccolma, in Svezia, affer-

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ma di non avere abbastanza dati per giudicare quanto il metodo sarà efficace sul cuoio capelluto umano. Inoltre sottolinea che ogni ciclo di clonazione tende a ridurre la capacità di indurre la crescita dei capelli, il che potrebbe essere un problema. “Ma se funzionasse probabilmente sarebbe una soluzione a lungo termine”, dice: i capelli rivitalizzati potrebbero durare per decenni.

Segnali incoraggianti Le cellule della papilla dermica offrono grandi promesse, ma forse non c’è bisogno di coltivarle. Magari possiamo semplicemente replicare i segnali chimici che inviano. Per questo è necessario stabilire esattamente cosa fa crescere i capelli. “È quello che abbiamo studiato negli ultimi 15 anni”, afferma Plikus. In tutta la pelle ci sono cellule staminali epiteliali che possono continuare a formare altri tipi di cellule a seconda dei se-

gnali chimici che ricevono. In teoria, se si potesse dirottare questa segnalazione cellulare, si otterrebbe una terapia per la perdita dei capelli. Ovviamente è una questione complicata. Due delle vie di trasduzione del segnale che favoriscono la crescita dei capelli sono chiamate wnt e hedgehog. L’idea sarebbe quella di aumentare la loro attività. Ma purtroppo questa attività aumenta anche nel caso di molti tumori. Possiamo pensare a queste vie di trasduzione del segnale come a una fila di tessere del domino che si dirama in molte direzioni. Toccando la prima tessera si innesca una reazione a catena disordinata e inarrestabile, che potrebbe causare il cancro. Ma secondo Plikus forse si potrebbe scatenare la reazione molto più avanti, quando gli effetti sarebbero più controllabili. Lui e il suo team hanno cominciato a studiare il problema modificando geneti-

camente i topi in modo da aumentare l’attività dei loro percorsi hedgehog. Un topo in particolare sembrava promettente, perché gli crescevano più peli degli altri. Confrontando tutte le molecole di segnalazione coinvolte con quelle di topi non modificati, hanno identificato una proteina chiamata Scube3. Ulteriori indagini hanno dimostrato che questa molecola è attiva anche nei follicoli piliferi umani all’inizio di un ciclo di crescita. Plikus dice che si potrebbe immaginare di iniettare la Scube3 nel cuoio capelluto, o forse somministrare una terapia a mRna che fornisca alle cellule le istruzioni per produrre la proteina, in modo simile al funzionamento di alcuni vaccini contro il covid-19. Il primo passo è capire se la Scube3 sarebbe sicura come farmaco. Un’azienda chiamata Amplifica ha cominciato i primi studi clinici per stabilirlo. Plikus non si è fermato qui. Ha già prodotto un altro potenziale farmaco, basato sullo strano fatto che sui nei cutanei spesso i peli sottili tendono a diventare spessi e lunghi. Forse si può scoprire il loro segreto e usarli per invertire la calvizie. Lo scorso giugno insieme ai suoi colleghi ha pubblicato un articolo in cui dimostra che una molecola chiamata osteopontina è un segnale importante per la crescita di peli spessi sui nei. “La cosa interessante di questa molecola è che la natura ha condotto un esperimento per noi”, afferma Plikus. I nei pelosi compaiono su persone con un’ampia varietà di corredi genetici, perciò sappiamo che probabilmente gli effetti dell’osteopontina non sono limitati a un piccolo gruppo di persone. L’ottimismo in questo campo non è legato a un singolo trattamento, ma al fatto che la migliore comprensione dei segnali che determinano la crescita e la perdita dei capelli ci fa pensare che in futuro ci saranno molti modi di intervenire in quel processo. Questo aumenta le probabilità di trovare una strategia efficace. Quando mi sento forte dico a me stesso che dovrei radermi i capelli a zero e farla finita o semplicemente smettere di preoccuparmene. Ma si può anche vederla in un altro modo. La maggior parte dei mammiferi ha peli su tutto il corpo, mentre noi umani abbiamo perso la maggior parte dei nostri millenni fa. Considerato questo, forse posso consolarmi con l’idea che i capelli che abbiamo in testa sono solo il residuo di un’epoca passata. u bt Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Il cerchio del futuro Il fotografo italiano Luca Locatelli ha viaggiato per due anni in Europa alla ricerca di realtà innovative che propongono progetti di economia circolare e sostenibilità ambientale. Le sue foto sono in mostra alle Gallerie d’Italia di Torino

Una struttura in plastica chiamata biosfera che contiene all’interno una pianta di tabacco, ancorata sul fondo del mar Ligure, Italia, 2021

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Un impianto dell’azienda austriaca Ecoduna che produce microalghe, 2022. Questi organismi vegetali permettono di convertire l’anidride carbonica, dannosa per il clima, in ossigeno, purificando l’ambiente. I bioreattori verticali in cui crescono sono progettati per essere colpiti dalla luce da tutti i lati, permettendo uno sviluppo ottimale della coltura.

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Reti da pesca recuperate dal mare in un magazzino dell’azienda Aquafil, in Slovenia, 2022. Le reti abbandonate, dette fantasma, sono tra le principali cause dell’inquinamento dei fondali. Molte sono di nylon o altri composti plastici che possono durare secoli. L’azienda slovena produce uno speciale tipo di nylon ricavato da materiali di scarto rigenerati, tra cui le reti da pesca. Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Portfolio er due anni il fotografo italiano Luca Locatelli ha viaggiato in Europa alla ricerca di realtà che studiano e propongono soluzioni innovative alla crisi climatica. Il lavoro s’intitola The circle (Il cerchio), per evocare i processi di economia circolare che accomunano queste storie. Nel corso dei suoi viaggi Locatelli è riuscito a individuare diciotto esperienze, sparse in dieci paesi, dall’Austria alla Spagna, dalla Romania all’Italia, impegnate su geotermia, riciclo tessile, riconversione di aree industriali dismesse e alimentazione. “Purtroppo ormai sappiamo cos’è la crisi climatica, ma le soluzioni per combatterla spesso finiscono in rapporti scientifici difficili da leggere, quindi non entrano nella discussione pubblica”, dice Locatelli. Da quindici anni il fotografo esplora le possibili soluzioni per affrontare gli effetti del cambiamento climatico nel mondo, mescolando arte, scienza e giornalismo: “Finora però l’avevo fatto per i mezzi d’informazione”. Questa volta le sue foto sono state pensate per essere esposte in un museo: “Il progetto è nato su committenza di Intesa Sanpaolo con l’obiettivo di realizzare una mostra allestita negli spazi delle Gallerie d’Italia di Torino e quindi ho voluto immaginare qualcosa di diverso”. Così ha deciso di tradurre informa-

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zioni scientifiche in fotografie spettacolari, in grado d’incuriosire il pubblico. “Lo scopo del progetto è portare la cultura della circolarità nell’immaginario comune. Solo dando un volto a questo futuro potremo davvero sostenerlo”. Tra le esperienze documentate da Locatelli ci sono quella dell’orto di Nemo a Noli, in Liguria, il primo esperimento al mondo di agricoltura subacquea; un’ex miniera tedesca trasformata in un museo a cielo aperto, alimentata solo da fonti di energia rinnovabile e un’azienda in Slovenia che ricicla reti da pesca per creare tessuti alternativi. In mostra ci sono settanta immagini accompagnate da infografiche e opere interattive per approfondire ogni realtà. “Se non capiamo il valore che queste innovazioni possono avere nella nostra vita, in futuro rischiamo di ignorarle e di farci sfuggire delle possibilità”, dice Locatelli. u

Da sapere La mostra u La mostra Luca Locatelli. The Circle. Soluzioni per un futuro possibile è esposta alle Gallerie d’Italia di Torino fino al 18 febbraio 2024. A cura di Elisa Medde, è stata realizzata da Intesa Sanpaolo con il sostegno della fondazione Ellen MacArthur e in collaborazione con la fondazione Compagnia di San Paolo e fondazione Cariplo.

Nella foto grande: Ferropolis, Gräfenhainichen, Germania, 2022. Un’ex miniera di carbone a cielo aperto trasformata in un museo open air di macchine industriali risalenti alla metà del novecento. È anche uno spazio per eventi e un parco tematico. Grazie all’installazione di un impianto solare sui tetti di una delle strutture, gli eventi che ospita sono alimentati solo da fonti di energia rinnovabile. Sotto, a sinistra: l’orto di Nemo, a Noli, in Liguria. È il primo esperimento al mondo di agricoltura subacquea. Il progetto è nato nel 2012 per ricreare le condizioni ideali di coltivazione del basilico. L’obiettivo è quello di ottenere una completa sostenibilità nel ciclo di vita delle piante, riutilizzando ciò che il mare offre in maniera spontanea e rispettando l’ambiente.

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Qui accanto: la salina Turda è stata una delle miniere più importanti della Transilvania, in Romania, fino al 1932. Dal 2008 al 2010 sono stati eseguiti lavori di modernizzazione e oggi è aperta ai turisti con diverse attrazioni, tra cui una ruota panoramica e dei tavoli da biliardo. Ogni anno sono 680mila le persone che la visitano. Al centro: larve di mosca soldato allevate dall’azienda italiana Bef, con sede a Torino, 2023. L’azienda è specializzata nell’allevamento di insetti e nella produzione di derivati destinati all’alimentazione animale. Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Dmitrij Sytij L’erede Benoit Faucon e Gabriele Steinhauser, The Wall Street Journal, Stati Uniti Dopo la morte di Evgenij Prigožin è diventato il responsabile delle attività economiche in Africa della milizia privata russa Wagner. Ma il suo futuro, come quello dei mercenari, è un’incognita settembre nelle strade della capitale della Repubblica Centrafricana sono apparse magliette con l’immagine di un uomo con la barba, i capelli lunghi e un’aria da santo. Il volto, che ricordava Che Guevara, era quello di Dmitrij Sytij, 34 anni, uno dei leader più influenti del gruppo paramilitare russo Wagner in Africa. Da quando ad agosto il fondatore dell’organizzazione, Evgenij Prigožin, è morto in quello che è sembrato un attentato, Sytij è finito al centro della battaglia per il controllo dell’impero multimiliardario della Wagner in Africa, fatto di mercenari, oro, legname e diamanti. Grazie alla sua conoscenza delle aziende di copertura e delle reti di contrabbando dell’organizzazione, Sytij, un poliglotta che ha studiato in occidente, avrà probabilmente un ruolo di primo piano. La Repubblica Centrafricana è uno dei centri nevralgici dell’attività della Wagner nel continente, oltre che uno snodo delle sue operazioni finanziarie. Sytij è vicino ai politici locali, tanto che vive e lavora in una villa della capitale Bangui che un tempo era la residenza del presidente. Attorno alla struttura è stato allestito un campo militare occupato dai miliziani della Wagner. Sytij percorre le strade della città a bordo di un suv argentato senza targa, facendo la spola tra i ristoranti più esclusivi

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e gli uffici dei funzionari governativi. Spesso si sposta nei paesi vicini, come il Camerun e il Ciad. Non è chiaro se il regno africano della Wagner resterà intatto dopo la morte di Prigožin né fino a quando Sytij manterrà il suo potere. Alcuni funzionari russi, infatti, hanno comunicato agli alleati africani della Wagner – leader autoritari, capi militari e signori della guerra – che Mosca vuole assumere il controllo dell’organizzazione. Nel frattempo altre aziende di mercenari gestite dagli oligarchi legati a Vladimir Putin stanno cercando di metterci le mani sopra. Sytij non ha i contatti con il Cremlino che avevano permesso a Prigožin di entrare in confidenza con i leader africani. Inoltre la sua vicinanza con il fondatore dell’organizzazione alimenterà i dubbi dei nuovi dirigenti sulla sua lealtà. Questo articolo è basato su interviste condotte con più di una decina di persone, compresi miliziani, partner commerciali, politici di paesi dove il gruppo è attivo e funzionari del settore della sicurezza. Sytij non ha risposto alle nostre richieste di un commento, e lo stesso vale per i rappresentanti della Concord, l’impresa di Prigožin specializzata nei servizi di catering che ha allargato il suo raggio d’azione

Biografia ◆ 1989 Nasce a Minsk, in Bielorussia. ◆ 2011 Si laurea in commercio internazionale a San Pietroburgo, in Russia. ◆ 2015 Si specializza in marketing a Parigi. ◆ 2017 Si trasferisce nella Repubblica Centrafricana con le milizie della Wagner. ◆ 2022 Viene ferito da un pacco bomba recapitato in un centro culturale da lui fondato a Bangui. ◆ 2023 In seguito alla morte di Evgenij Prigožin diventa il responsabile delle attività economiche della Wagner in Africa.

al settore immobiliare, all’attività mineraria e all’accumulo di risorse in Russia e all’estero. Negli ultimi cinque anni Sytij ha gestito l’attività finanziaria e di propaganda della Wagner. I suoi capelli arruffati e il suo fisico esile stonano con l’aspetto tipico dei mercenari, di solito muscolosi e coperti di tatuaggi. Dmitrij Sytij ha studiato economia a Parigi e sostiene di parlare fluentemente russo, inglese, spagnolo e francese. Secondo diverse fonti, gestisce una rete di società di facciata che il gruppo ha usato per esportare oro, diamanti, legname e altri materiali dalla sua base nella Repubblica Centrafricana. Sytij ha inoltre diretto campagne sui social network finanziate dalla Wagner per diffondere messaggi contro l’occidente e sostenere i leader vicini a Mosca.

Liste nere Le autorità europee e statunitensi hanno inserito il nome di Sytij nelle loro liste nere, rendendo illegale fare affari con lui e congelando tutti i beni che l’uomo possedeva nelle loro giurisdizioni. Le operazioni finanziarie della Wagner hanno permesso all’organizzazione di mantenere attivi cinquemila mercenari in almeno quattro paesi africani. I miliziani – accusati dal governo statunitense e da diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani di aver stuprato, rapito e ucciso civili – hanno permesso al Cremlino di sostenere militarmente gli alleati della Russia senza usare le forze armate regolari. In cambio, a Prigožin era stato permesso d’incrementare il suo patrimonio personale grazie all’accesso a minerali e altre risorse. Secondo alcuni funzionari europei che si occupano di sicurezza, nelle settimane successive alla morte di Prigožin il presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadéra ha chiesto

AFP/GETTY

Dmitrij Sytij a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, ottobre 2021 al Cremlino di non richiamare in patria Sytij e altri leader della Wagner, perché allontanarli potrebbe compromettere gli sforzi del governo per sgominare le organizzazioni ribelli. Le magliette con il volto di Sytij sono state distribuite a Bangui alla fine del 2022 da un centro culturale russo gestito da lui in città. Secondo alcune fonti, poco tempo prima era stato ferito da un pacco bomba recapitato per posta nella sede del centro. Di recente le magliette con la sua immagine sono state indossate dai giornalisti vicini alla Wagner e dai giovani sostenitori del governo di Bangui. Una foto fornita da un’organizzazione filogovernativa di Bangui mostrava Sytij in un letto d’ospedale con la mano ferita. In un’intervista rilasciata alcune settimana fa al giornale russo Pravda, Sytij ha dichiarato che sta continuando a lavorare per il bene della Russia. Quando un corrispondente in visita a Bangui gli ha chiesto un’opinione sulla morte di Prigožin, ha risposto: “Dobbiamo continuare a lavorare. Non possiamo perdere la speranza”. In un video pubblicato sul sito della Pravda, ha spiegato cosa l’ha spinto a tornare nella Repubblica Centrafricana dopo l’esplo-

sione del pacco bomba, che gli ha provocato ferite al torace e l’amputazione di tre dita, sottolineando che prelevare agenti esperti come lui dal continente potrebbe mettere a repentaglio le reti di contatti create per difendere gli interessi russi. “Se cominciamo a ritirarci, quello che abbiamo costruito crollerà”, ha dichiarato indossando un guanto di pelle nera per nascondere la menomazione alla mano. Nella Repubblica Centrafricana, un’ex colonia francese senza sbocchi sul mare, vivono cinque milioni di persone. Nonostante le abbondanti risorse naturali, è uno dei paesi più poveri al mondo. La Wagner è arrivata nel 2017 su invito del presidente Touadéra, un matematico diventato l’uomo forte del paese ma il cui governo è osteggiato da gruppi ribelli. Tra i primi a raggiungerlo c’è stato Sytij, che ha lasciato in Francia un figlio e la ex moglie. Sytij ha studiato commercio internazionale a San Pietroburgo prima di laurearsi in marketing a Parigi. “Sono interessato a lavorare in un’azienda internazionale nel campo della tecnologia, per mettere alla prova le mie capacità e competenze con incarichi esaltanti”, si legge in un curriculum pubblicato online dopo

la laurea, nel 2015. Secondo il dipartimento del tesoro degli Stati Uniti, Sytij è stato successivamente assunto dalla Internet Research Agency di Prigožin, una “fabbrica di troll” con sede a San Pietroburgo. Nel rapporto stilato nel 2019 dal procuratore speciale Robert Muller si legge che la Internet Research Agency aveva usato profili falsi sui social network per diffondere la propaganda russa e alterare il risultato delle presidenziali statunitensi del 2016. Il governo russo nega di aver interferito con il voto, ma nel 2022 Prigožin aveva lasciato intendere il contrario. Il primo incarico di Sytij nella Repubblica Centrafricana è stato quello d’interprete per gli imprenditori del settore minerario a nome di una delle società di Prigožin, la M Invest (oggi sottoposta a sanzioni), e dei mercenari della Wagner. Nel giro di pochi mesi ha registrato la prima azienda dell’organizzazione nel paese, la Lobaye invest, che si occupa di estrazione di oro e diamanti. Secondo l’Unione europea, la Lobaye ha finanziato una nuova emittente radiofonica che trasmette propaganda filorussa e antioccidentale, oltre ad aver commercializzato vodka e birra prodotte dalla Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Ritratti Wagner. Qualche mese fa l’azienda è stata sottoposta a sanzioni dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. Una copia della rubrica telefonica di Sytij risalente al 2018 e ottenuta da All Eyes on Wagner, un’organizzazione senza scopo di lucro, dimostra il suo pieno coin­ volgimento nelle attività economiche del­ le milizie. Tra i contatti presenti nella ru­ brica figurano quello di un responsabile di spedizioni di container e quello di una ditta sudafricana che vende macchinari per l’estrazione dei diamanti.

Un ottimo amico Tra i politici della Repubblica Centrafrica­ na con cui Sytij ha stretto amicizia ci sono Hassan Bouba, un leader ribelle diventato ministro, i cui uomini hanno combattuto insieme ai mercenari della Wagner nella Repubblica Centrafricana; e Fidèle Gou­ andjika, consulente per la sicurezza di Touadéra. In un’intervista, Gouandjika ha definito Sytij “un ottimo amico” e ha rac­ contato di aver approfondito la sua cono­ scenza durante una serie di cene a base di vodka e prelibatezze locali come bruchi saltati, trippa di vacca avvolta in foglie di manioca, banana verde e pesce persico del Nilo. Mentre espandeva le operazioni nella Repubblica Centrafricana, la Wagner ha cominciato a offrire i propri servizi ad altri governi africani che si sentivano abban­ donati dall’occidente. Nel 2018 la milizia ha cominciato a fare affari con il generale Mohamed Hamdan Dagalo, all’epoca tra i vertici militari del Sudan, paese sottopo­ sto alle sanzioni degli Stati Uniti per i suoi legami con il terrorismo internazionale. Oggi Dagalo e la sua organizzazione para­ militare, le Forze di supporto rapido, stan­ no combattendo una guerra civile contro l’esercito del Sudan. Secondo gli esper­ ti occidentali Dagalo collabora con la Wagner allo sfruttamento delle riserve d’oro sudanesi. Nel 2019 i mercenari della compagnia militare russa sono stati impiegati in Mo­ zambico per combattere i ribelli islamisti. Due anni dopo, il gruppo ha firmato un accordo con la giunta militare maliana per contrastare i ribelli jihadisti. Ogni paese in cui la Wagner ha operato è stato risucchiato nell’orbita di Mosca. E Sytij ha contribuito a gestire le operazioni non militari del gruppo. Le campagne online per elogiare la Russia e attaccare l’occidente sono spuntate come funghi nei paesi africani, soprattutto nelle ex co­ lonie francesi. Le aziende statunitensi co­

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me la X Corp (ex Twitter) e Meta (Face­ book) hanno stabilito che all’origine di queste attività c’era l’Internet Research Agency di Prigožin. I funzionari francesi hanno dichiarato che la disinformazione alimentata dalla Wagner ha favorito i golpe militari e l’e­ spulsione dei soldati occidentali da molti paesi, tra cui il Mali e il Burkina Faso. I ver­ tici della Wagner sono stati ricompensati con l’accesso alle risorse naturali. Nel 2020 una società legata alla milizia, la Mi­ das Resources, ha ottenuto il controllo della miniera di Ndassima, nella Repubblica Centrafricana. Un anno dopo Sytij è stato promosso a direttore della Casa russa di Bangui, un’istituzione fondata per promuovere i valori culturali russi. Quest’anno la Wagner ha cominciato a produrre la propria birra, Africa Ti L’Or, che in lingua sango signifi­ ca L’Africa è oro. Il birrificio di un’azienda concorrente è stato bruciato. Quando sono cominciate le vendite, Sytij era in Russia per riprendersi dalle fe­ rite riportate a causa del pacco bomba in­ viato alla Casa russa. Prigožin sosteneva che all’origine dell’attentato ci fossero i francesi, un’accusa che il governo di Parigi

remo a realizzare tutti i nostri progetti sotto la guida di Evgenij Prigožin”, aveva dichiarato. A quel punto le attività di Prigožin in Russia erano ormai sotto attacco. Era sta­ to costretto a interrompere alcune opera­ zioni redditizie, tra cui le attività di disin­ formazione. Inoltre aveva perso sostan­ ziosi contratti per la sua azienda di cate­ ring. Secondo alcune fonti, nella Repub­ blica Centrafricana la Wagner ha registra­ to nuove aziende di facciata dopo che le precedenti erano state sanzionate. L’orga­ nizzazione stava cercando d’im­ pedire che filtrassero troppi det­ tagli sulle sue operazioni nel paese. I camionisti che hanno lavorato per la Wagner riferisco­ no di essere stati costretti a con­ segnare i propri smartphone prima di ef­ fettuare trasporti dalla miniera d’oro di Ndassima. Ad agosto Sytij ha accompagnato Prigožin per il suo ultimo tour in Africa. I due hanno partecipato a un evento orga­ nizzato dalla Casa russa dove sono state scattate le ultime foto del fondatore della Wagner. Prigožin è morto in un incidente aereo il 23 agosto, pochi giorni dopo il suo ultimo incontro con Sytij.

Ad agosto Sytij ha accompagnato Prigožin per il suo ultimo tour in Africa

La memoria nel continente

ha respinto. In alcune interviste concesse ai mezzi d’informazione russi, Sytij ha di­ chiarato che l’attacco era stato preceduto da una serie di minacce alla sua famiglia in Francia, il cui obiettivo era convincere la Wagner a ritirarsi dalla Repubblica Centrafricana. Più o meno nello stesso periodo in cui Sytij è rientrato a Bangui, i rapporti tra la Wagner e il Cremlino hanno cominciato a incrinarsi. A giugno, dopo che Prigožin aveva accusato i vertici militari di aver ostacolato la fornitura di armi e munizio­ ni alle sue truppe in Ucraina, i mercenari avevano cominciato a marciare verso Mosca. La rivolta si era conclusa con un accordo tra Prigožin e Putin che prevede­ va l’allontanamento della Wagner dal fronte ucraino. Sytij aveva appoggiato Prigožin in un video in cui prometteva di continuare a operare per la milizia nono­ stante l’ultima serie di sanzioni occiden­ tali. “Continuiamo a lavorare e continue­

Dopo l’incidente Gouandjika, il consulen­ te per la sicurezza del presidente della Re­ pubblica Centrafricana e amico di Sytij, ha pubblicato su Facebook una foto in cui indossava una maglietta con la scritta “Je suis Wagner”. Bouba, l’ex ribelle diventa­ to ministro, è volato a San Pietroburgo per fare visita a un memoriale improvvisato per Prigožin. Secondo un socio d’affari della Wagner e un funzionario europeo che si occupa di sicurezza, nelle settimane successive alla morte di Prigožin Sytij ha lavorato per conservarne la memoria nel continente africano, facendo la spola con Douala, in Camerun, principale porto d’uscita per le merci della Wagner dall’Africa centrale. La città è anche la sede di Afrique Média, un canale televisivo filorusso che il gover­ no statunitense considera legato a Prigožin. Le immagini satellitari indicano che la miniera d’oro di Ndassima è ancora operativa. Il corrispondente della Pravda ha chiesto a Sytij quale sia il futuro della Wagner in Africa. E lui ha replicato: “Non ho risposte a queste domande. Presumo che tutto resterà uguale e che continuere­ mo a lavorare”. u as

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Viaggi

Danzica e la storia Thomas Doustaly, Le Monde, Francia

l motto latino dei marinai della Lega anseatica Navigare necesse est, vivere non est necesse (Navigare è necessario, vivere no) si adatta perfettamente a Danzica. Lo si trova scritto anche sulle facciate delle case. La città polacca, soprannominata la perla del Baltico, non sarebbe nulla senza lo sbocco sul mare, le imbarcazioni e le merci. Nel corso della storia ha fatto parte della Germania e a più di trent’anni dalla fine del comunismo in Polonia è cambiata molto. Dal centro storico alle strade lungo il fiume Vistola, passando per la grande spiaggia della città di Sopot, sono molti i cantieri aperti. Fino a notte tarda in strada i turisti si mescolano agli abitanti del posto. Un criterio per scoprire la città è la storia, cominciando dalla più recente – il cuore operaio della città, i vecchi cantieri navali – per poi risalire al medioevo verso il castello di Malbork e arrivare fino a Sopot, sulle rive del Baltico. L’edificio che ospita il Centro europeo Solidarność – un museo e una biblioteca dedicati alla storia del sindacato nato a Danzica nel 1980 – è stato inaugurato nel 2014 ed è costruito in acciaio patinato color ruggine. Si trova dove un tempo sorge-

I

100 km

Danzica

BIELORUSSIA Varsavia

GERMANIA

POLONIA

Vist

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UCRAINA

REP. CECA

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vano gli antichi cantieri navali Lenin. Di quell’epoca è rimasto solo il cancello d’ingresso originale. Il museo racconta la trasformazione della storia politica della Polonia: il grande sciopero degli operai dei cantieri navali di Danzica nel 1980, ma anche le lotte precedenti in cui gli operai furono sconfitti, e la fine dei regimi comunisti nell’Europa dell’est.

L’estate del 1980 Questi eventi non suscitano le stesse emozioni tra tutti i visitatori. È una questione generazionale. Solo i meno giovani ricordano la penna colorata usata il 31 agosto 1980 da Lech Wałęsa per firmare gli accordi di Danzica davanti alle telecamere di tutto il mondo. Chi non ha vissuto questi momenti fa fatica a credere che durante l’estate del 1980 la Polonia era quotidianamente sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Il paese era rappresentato dai volti che il museo oggi fa rivivere: quello baffuto di Wałęsa, leader degli scioperanti, o quello con gli occhiali scuri del presidente polacco Wojciech Jaruzelski. Oltre a papa Giovanni Paolo II, sostenitore degli operai in sciopero, e Jerzy Popiełuszko, cappellano di Solidarność ucciso dalla polizia politica comunista nel 1984. Volantini, foto, immagini della tv di stato, copertine di riviste, testimonianze, il museo riporta i visitatori agli anni ottanta. Wałęsa, premio Nobel per la pace nel 1983 e primo presidente polacco democraticamente eletto nel 1990, ha ancora i suoi uffici in una parte del museo. Ma esplorare questo passato recente porta anche verso altri luoghi. La chiesa di santa Brigida che servì da luogo sicuro ai sindacalisti, in particolare tra il 1981 e il 1984 in cui in Polonia era in vigore la legge marziale. La chiesa ospita un altare con più di ottocento chili di ambra pura. La crociera di una decina di chilometri su un’antica barca a vela dal molo principale di Danzica verso la penisola di We-

MICHAEL ABID (MAURITIUS IMAGES GMBH/ALAMY)

La città polacca mostra ai visitatori il suo ricco passato: dalle fortezze medievali alle lotte sociali degli anni ottanta con il sindacato Solidarność

sterplatte permette di osservare il porto dal mare: i container, gli stabilimenti dove si assemblano gli impianti eolici o il cantiere navale degli yacht di lusso. Sono circa diecimila le persone che ogni giorno lavorano sulle sue banchine, tra stabilimenti industriali, gru e silos di cereali. Con la città vecchia scopriamo invece l’età dell’oro preindustriale di Danzica. Nel quartiere Glowne miasto (città principale) ci sono i monumenti più antichi. Nel centro storico si possono ammirare le facciate del cinquecento e del seicento opera degli architetti fiamminghi o nello stile caratteristico di Amsterdam e Anversa. La corte di Artù (Dwór Artusa), il palazzo del quattrocento dalla facciata bian-

Danzica, Polonia

ca e oro, era il luogo dove un tempo si riunivano i mercanti. In seguito è diventato un mercato del grano. La grande sala di ricevimento, con le sue decorazioni grandiose e i modelli delle antiche navi mercantili sospese al soffitto, testimonia il passato glorioso. Quando l’esercito tedesco invase la Polonia, nel settembre 1939, Adolf Hitler, come testimonia una foto terribile, tenne qui un discorso per proclamare la “liberazione” del paese. Nella piazza del mercato un termometro del 1752 rende omaggio a Daniel Gabriel Fahrenheit, nato a Danzica nel 1686. Nella vicina via Mariacka le gioiellerie vendono l’ambra, la resina fossile che si è formata più di quaranta milioni di anni fa

nel mar Baltico. La città ha dedicato un museo alla sua pietra caratteristica. Infine la basilica Mariacka, splendida chiesa gotica in mattoni, completa la serie dei monumenti più importanti della città. Il suo orologio astronomico del quattrocento si anima tutti i giorni con un balletto. Alcuni personaggi biblici escono dai lucernari, ma poi è la morte, personificata da un cadavere con una falce in mano, che rimane sola sulla scena. Tempus fugit.

La lunga spiaggia Prima che il commercio facesse di Danzica la capitale della Pomerania, la città viveva sotto il dominio dei cavalieri teutonici. Il castello di Malbork, cinquanta chilo-

metri a sudest della città, fu la sua capitale dal 1309 al 1457. Una vera e propria Versailles in mattoni. È il più imponente castello medievale d’Europa, grande come una città. Ma non si può visitare Danzica senza andare a vedere il mare a Sopot, a meno di mezz’ora dal centro. Il molo in legno, lungo più di mezzo chilometro si getta nelle acque immobili del Baltico. Dando le spalle al mare si può ammirare il Grand hotel, uno dei cinque stelle più famosi d’Europa, che con la sua elegante architettura belle époque domina una spiaggia lunga più di venti chilometri. In autunno, dopo le tempeste, sulla sabbia si possono trovare preziosi pezzi di ambra. u adr Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Cultura

Cinema

UNIVERSAL PICTURES

Christopher Nolan sul set di Oppenheimer

La misura dei capolavori Louis Chilton, The Independent, Regno Unito Lamentarsi per la durata dei film è diventata una moda. Ma l’arte richiede tenacia e pazienza, scrive Louis Chilton na folla armata di forconi si ammassa alle porte di Hollywood al grido di: “Basta con i film lunghi!”. Tutti sembrano essere d’accordo. Ridateci i bei film di una volta, che non superavano l’ora e mezza. L’argomentazione di base è che abbiamo una vita frenetica, e nel vortice dell’esistenza nessuno vuole stare fermo più del necessario. Eppure gente come Martin Scorsese sembra non aver capito l’antifona. Il leggendario regista torna nelle sale con Kil­ lers of the flower moon, filmone di tre ore e mezza su una serie di omicidi tra i nativi

U

della nazione Osage, negli anni venti. Il film precedente di Scorsese, The irish­ man, è altrettanto lungo, ed entrambi sono comunque più brevi rispetto alle quattro ore del suo documentario Il mio viaggio in Italia. Ma Scorsese non è l’unico regista convinto che sia meglio abbondare. Le statistiche indicano che la durata media dei film è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni. Pur non volendo negare la piacevole scorrevolezza di un film da un’ora e mezza, sarebbe stupido credere che l’arte sia qualcosa da consumare il più rapidamente possibile. I film lunghi sono un piacere in cui crogiolarsi: più spazio per le sfumature e per i dettagli. Una bottiglia di vino sorseggiata lentamente invece di uno shot di tequila. Nonostante l’ossessione collettiva per i film brevi, i dati suggeriscono che il pubblico ha più pazienza di quanta gliene at-

tribuiamo. Quest’anno Oppenheimer di Christopher Nolan ha ottenuto un successo strepitoso nonostante la durata di più di tre ore. Lo stesso discorso vale per Ava­ tar – La via dell’acqua di James Cameron. Inoltre basta esaminare la lista dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema per accorgersi che sono quasi tutti mastodontici: Titanic, 195 minuti; Aven­ gers: Endgame, 181 minuti, Avatar, 162 minuti. Magari, oltre che dal desiderio di guardare questi film, siamo spinti anche dalla tentazione di lagnarcene collettivamente. “Hai visto Oppenheimer? Dio quanto era lungo!”.

Battaglie eroiche Naturalmente dietro la tendenza ad allungare i film ci sono ragioni che vanno al di là delle leggi del mercato. La trilogia del Signore degli anelli realizzata da Peter Jackson, uno degli esempi più famosi di cinema “lungo”, non poteva sfuggire alle nove ore di durata, non tanto perché doveva coprire tutto il materiale letterario a cui si ispirava quanto perché i dettagli sono essenziali per comporre un’epica. Ci rendiamo conto della portata delle traversie vissute dagli hobbit proprio perché i film sono così sconfinati. Certo, forse non abbiamo camminato fino a raggiungere Mordor, ma i crampi per l’immobilità sulle poltroncine del cinema sono stati comunque una battaglia eroica. Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Cultura

Cinema

PARAMOUNT PICTURES

Lily Gladstone e Martin Scorsese sul set di Killers of the flower moon

Il dibattito non si limita allo schermo, grande o piccolo che sia. Le stesse tesi sono state applicate alla letteratura. Molti, infatti, non riescono a tollerare l’indulgenza nei confronti dei mattoni da mille pagine. Ma anche in questo caso la lunghezza è spesso necessaria. In ogni epoca e all’interno di ogni movimento letterario sono emersi lunghi e pesanti capolavori del tutto indifferenti alle regole per una “lettura facile e veloce”. Limitarsi a ciò che è breve e digeribile significa perdersi alcune delle opere migliori. Ma davvero è così importante dilungarsi? Il vecchio detto “il troppo stroppia” si applica raramente al mondo dell’arte.

Certo, Bruce Springsteen potrebbe cantare per un’ora e mezza, eseguire i suoi più grandi successi e lasciare comunque tutti gli spettatori con la sensazione di aver speso bene i propri soldi. Ma la verità è che anche dopo tre ore, prima ancora del bis, nessuno tra il pubblico spera mai che il boss “ci dia un taglio”. Artisti come Taylor Swift si stanno allontanando sempre di più dalla classica idea del disco composto da una decina di canzoni, privilegiando formati più lunghi che abbondano di tracce bonus. Perché mai non dovrebbero? Se non volete ascoltare tutto il disco nessuno vi costringe, ma è bello averne la possibilità.

Da sapere Il doppio degli anni trenta u I film si allungano, è un fatto. Usando i dati pubblicati sul database cinematografico Imdb, il settimanale britannico The Economist ha analizzato più di centomila lungometraggi distribuiti a livello internazionale dagli anni trenta del novecento. La durata media delle produzioni risulta aumentata circa del 24 per cento, da un’ora e 21 minuti degli anni trenta a un’ora e 47 minuti del 2022. E considerando i dieci titoli più popolari (quelli con i voti più alti

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assegnati dal pubblico) la durata media arriva a circa due ore e mezza, praticamente il doppio rispetto agli anni trenta. I registi hanno cominciato a sfornare film sempre più lunghi all’inizio degli anni sessanta. Il cinema viveva un boom e gli autori volevano distinguersi dalla tv. Lawrence d’Arabia di David Lean, del 1962, supera la soglia delle tre ore e mezza. Dopo decenni di alti e bassi, un nuovo slancio si è avuto dal 2018. Le serie giocano un ruolo di primo piano

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ed è una strategia che in alcuni casi ha dato buoni frutti: Avengers: Endgame, tre ore, nel 2019 è diventato il secondo miglior incasso della storia. Il peso degli autori è un altro fattore determinante. Chi oserebbe dire a registi come Christopher Nolan di tagliare i loro film? E le piattaforme di streaming, che non hanno problemi di programmazione, ne approfittano producendo i film di registi che non disdegnano le lunghe durate come Martin Scorsese e Ridley Scott.

Una via di mezzo che forse può mettere tutti d’accordo è saltata fuori per l’imminente Napoleon di Ridley Scott, con Joaquin Phoenix nel ruolo del tiranno francese. Scott ha suscitato diverse perplessità quando ha cominciato a parlare di una versione del film di quattro ore e mezza, obiettivamente difficile da mandar già per lo spettatore medio. Ma alla fine Apple Tv+ e il regista hanno trovato un compromesso: una versione relativamente breve di 158 minuti sarà proiettata nei cinema, mentre gli abbonati al servizio di streaming avranno a disposizione sulla piattaforma, poco dopo l’uscita nelle sale, la versione curata dal regista e lunga quattro ore e mezza. Alla fine ecco la sintesi della questione: nessuno vi costringe a guardare film lunghi. Se Killers of the flower moon vi sembra troppo impegnativo, non guardatelo. D’altronde avete alternative in abbondanza. Per esempio, la splendida commedia adolescenziale Bottoms: 92 minuti. Ma forse, alla lunga, anche un’ora e mezza sembrerà troppo per le nostre capacità di attenzione stravolte da internet. Tra qualche anno personaggi all’antica come me potrebbero tessere le lodi dell’estenuante commedia epica Borat, con i suoi 84, lunghissimi minuti. Se non staremo attenti, una forma d’arte che ha definito un intero secolo sarà compressa in un battito di ciglia. u as

BY ANTHONY VACCARELLO PRESENTA UNA PRODUZIONE EL DESEO

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Cultura

Schermi C’era due volte Gianni Rodari Sky Arte, lunedì 23 ottobre, ore 21.15, Now Questo ritratto affianca al Rodari scrittore per ragazzi, il meno noto autore civile: coltissimo ma mai oscuro, spinto da una tensione morale espressa nella dimensione del gioco, dell’utopia e della fantasia. Hobbyhorse revolution Apple Tv+, Google Play, Prime Video Aisku, Elsa e Alisa sono tra le praticanti di un hobby che solo un paese con uno spiccato umorismo poteva inventare: in Finlandia le gare di corsa e salto con i cavallini giocattolo sono diventate una cosa seria. Il mondo a scatti RaiPlay La grande Cecilia Mangini, fotografa, documentarista, sceneggiatrice e animatrice culturale, si racconta a Paolo Pisanelli, a sua volta regista e fotografo, in un dialogo che riflette sul mondo e la storia attraverso le immagini. La Polonia nel vortice della tensione Arte.tv Dialogando con guardie di frontiera, giovani di destra e donne in lotta per il diritto all’aborto, il regista Marcin Wierzchowski ha ritratto una società lacerata. PrimAscesa. La montagna creata dall’uomo InQuota.tv Due alpinisti sui generis all’assalto di una delle ultime cime inviolate: una montagna di rifiuti, quella che ognuno di noi contribuisce a creare ogni giorno. Un’impresa surreale e inedita.

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In rete Affinità digitali

PARAMOUNT+

Documentari

Serie tv Bargain Paramount+, Apple Tv+, 6 episodi La serie del sudcoreano Jeon Woo-sung, che ha adattato un cortometraggio del 2015 del connazionale Lee Chung-hyeon, comincia in una stanza d’albergo dove un uomo sta negoziando con una ragazza, presumibilmente vergine, il prezzo per un rapporto sessua-

le. Ma quella della perversione sessuale è una falsa pista, una delle tante, in una serie che mescola thriller e satira, catastrofe e commedia, in un gioco al massacro che è impossibile non paragonare a quello di Squid game. La vera differenza con la serie Netflix è che non c’è nessuno per cui fare il tifo. The Guardian

Dimenticate fidanzati virtuali o sistemi operativi di cui innamorarsi come nel film Lei di Spike Jonze. Whitney Wolfe Herd, creatrice dell’app di incontri Bumble, ha spiegato come intende sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare gli abbinamenti e affinare la compatibilità tra i profili. Wolfe Herd, che ha creato Bumble nel 2014 dopo essersi licenziata da Tinder, ha detto: “Non vogliamo usare l’intelligenza artificiale per sostituire le persone con i robot, ma come strumento per facilitare gli incontri. Invece di dover chattare con dozzine di persone per trovare qualcuno compatibile con te, puoi parlare solo con le tre persone che secondo l’intelligenza artificiale hanno le caratteristiche che cerchi”. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

Percezione Il successo del debutto di Fabio Fazio sul Nove (la prima puntata di Che tempo che fa ha superato i due milioni di spettatori) più che un trionfo di numeri è un caso esemplare di percezione, quella di un servizio pubblico possibile anche oltre la Rai. Certo, come ha dichiarato Alessandro Araimo di Discovery, l’operazione Fazio è puramente commerciale, sfrutta un prodotto testato e con un pubblico già compreso nell’offerta, e nessun canale privato ha la velleità d’indossa-

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re abiti istituzionali. Ma per ragioni legate alla tracotanza della politica, anche programmi che per natura relegheremmo all’azienda di stato scoprono nuovi territori e, a vedere l’umore di Fazio e Littizzetto, anche nuovi entusiasmi. Si potrebbe considerare un punto a favore del libero mercato, ma sarebbe riduttivo. È l’esodo da RaiTre di un modo di concepire e fare tv che negli anni ha costituito un genere, un linguaggio e un punto di vista. Lo stesso avviene con Massimo

Gramellini, approdato su La7 e, in modi diversi, con Bianca Berlinguer su Rete4. Cellule sparse che si legano a realtà già esistenti (Maurizio Crozza, Diego Bianchi, Giovanni Floris, Corrado Formigli) che da tempo ottemperano con i loro contenuti ai criteri del servizio pubblico. A vederla con ottimismo, la diaspora originata da contrapposizioni potrebbe portare del bene alla tv e forse anche alla Rai, laddove tornasse ad amarsi e a tutelare senza imporre. u

I consigli della redazione

Totally killer Nahnatchka Khan, Prime Video

A passo d’uomo Di Denis Imbert. Con Jean Dujardin, Izïa Higelin. Francia 2023, 116’. In sala ●●●●● Il 20 agosto 2014 lo scrittore e viaggiatore Sylvain Tesson cadde dal tetto di uno chalet in Alta Savoia: trauma cranico, diverse fratture e coma farmacologico. Al suo risveglio lo attendeva una lunga rieducazione, che lui ha voluto condurre a modo suo per mezzo di un progetto folle: attraversare la Francia a piedi, incrociando la cosiddetta diagonale du vide, dalla Provenza alla Bretagna. Da questa impresa Tesson ha tratto Sentieri neri (Sellerio). Denis Imbert ha deciso di tradurre in immagini questo libro con Jean Dujardin nei panni dello scrittore, che nel film è ribattezzato Pierre. Taciturno e scostante, sarà la nostra guida, scrivendo su un quaderno i suoi pensieri, alcuni dei quali ci arrivano attraverso una voce fuori campo, onnipresente, che interrompe il “silenzio puro” evocato da Tesson. Allo stesso modo, l’uso assiduo di flash back spezza il ritmo (lento) della camminata e riempie i vuoti “miracolosi” dei sentieri evocati dall’autore. Véronique Cauhapé, Le Monde

Killers of the flower moon Di Martin Scorsese. Con Leonardo DiCaprio, Lily Gladstone, Robert De Niro. Stati Uniti 2023, 206’. In sala ●●●●● Si può essere tentati di dire che con Killers of the flower moon Martin Scorsese si sia cimentato nel western e, soprattutto all’inizio, sembra di vederlo crogiolarsi nei grandi spazi e nella frenesia senza legge tipica del genere. Ma la storia di una serie di omicidi irrisolti che colpiscono il popolo osage, diventato ricchissimo dopo la scoperta del petrolio nel territorio dell’Oklahoma dov’è stato trasferito dal governo, fanno pensare anche a un’epopea gangster, molto familiare nella filmografia del regista. Nell’adattare il libro del giornalista David Grann, Gli assassini della terra rossa (Corbaccio), Scorsese e lo sceneggiatore Eric Roth hanno cambiato il punto di vista della storia mettendo al centro la relazione tra Mollie Brown (Lily Gladstone), che fa parte di una ampia e ricca famiglia osage, ed Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), veterano della prima guerra mondiale, che lavora per lo zio William Hale (Robert De Niro), una specie di padrino locale. Il matrimonio

tra Mollie ed Ernest, contorto e tragico, diventa il centro della storia. Secondo la legge gli osage sono “incompetenti” e per gestire i loro soldi devono ricorrere a dei tutori. Hale e il suo giro ne approfittano, ed Ernest, ingenuo e facile da suggestionare, è coinvolto nel complotto per mettere le mani sulle ricchezze dei nativi. Quello che nel libro di Grann è una rivelazione, Scorsese lo sfrutta per sottolineare come la cospirazione è alimentata dall’avidità e dall’idea che le vittime derubate, uccise e sfruttate, cioè i nativi, non siano persone. Un aspetto scomodo del film non è tanto la spettacolare criminalità mostrata, ma il fatto che tanti personaggi la trattino come se non fosse poi un gran problema. Un’idea tipicamente scorsesiana, come la violenza intrinseca delle relazioni e la tensione del servire due padroni. Questo, per più di un motivo, è il film di Lily Gladstone. Interpreta Mollie con un misto di freddezza ed esausta speranza. Sa che il marito insegue i suoi soldi, ma sa anche che la ama. Se ci crede lei, non possiamo fare altrimenti. E questa, per più di un motivo, è la vera grande e irrisolta tragedia al cuore di questa vicenda. Bilge Ebiri, Vulture

Kafka a Teheran Ali Asgari, Alireza Khatami, in sala

Foto di famiglia Di Ryôta Nakano. Con Kazunari Ninomiya, Haru Kuroki. Giappone 2020, 127’. In sala ●●●●● Masashi Asada fin da piccolo sogna di diventare un fotografo professionista, incoraggiato dai suoi familiari che si prestano a posare per lui. Si troverà a recuperare le fotografie delle vittime dello tsunami del 2011, raccolte in mezzo alle macerie. Invece che puntare su un registro drammatico, Nakano opta per un quadro luminoso che mostra con ironia le tensioni all’interno della famiglia. È toccante vedere come i familiari fanno di tutto per proteggere Masashi, certi che la sua passione lo porterà a realizzarsi anche se la realtà sembra contraddirli. Poi una catastrofe immane piomba nel ritratto intimo della famiglia, dando al film una scossa inaspettata e un respiro più ampio. Augustin Pietron-Locatelli, Télérama

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OFFICINE UBU

01 DISTRIBUTION

Killers of the flower moon

Film

Fair play Chloe Domont, Netflix

Foto di famiglia Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Cultura

Libri Europa

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Michael Braun del quotidiano berlinese Die Tageszeitung.

In piazza per progredire

Ferruccio Pastore Migramorfosi Einaudi, 160 pagine, 12 euro ●●●●● Migrazioni uguale emergenza: è questa l’equazione riproposta in continuazione, che influenza pesantemente l’opinione pubblica, che inquadra in larga parte il dibattito e le politiche pubbliche. Tenta un approccio del tutto diverso Ferruccio Pastore, uno dei massimi esperti del fenomeno migratorio in Italia e non solo. Nel suo libro Migramorfosi. Apertura o declino ci racconta, da un lato, come l’immigrazione degli ultimi trent’anni abbia già profondamente cambiato la società italiana, dall’altro lato, sottolinea che l’Italia non ha davvero fatto i conti con questa trasformazione, lasciando la “migramorfosi” (questo il felice neologismo creato dall’autore) a metà. Offre tante istantanee del fenomeno migratorio: come ha cambiato la demografia del paese (rimanendo al momento l’unica salvezza contro l’invecchiamento galoppante), quale impatto ha sul mercato del lavoro e anche sul crimine (campo in cui i migranti sono soprattutto vittime). Viene così fuori l’immagine di un paese chiamato a fare i conti con l’immigrazione, non come “minaccia”, ma come risorsa, come occasione per l’Italia se non vuole arrendersi al declino. Un declino che si evita solo con l’apertura del sottotitolo: un’apertura fatta anche di conoscenza. u

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In Beauty is in the street Joachim C. Häberlen guarda al microscopio i movimenti di protesta nell’Europa del dopoguerra Nell’estate del 1965 decine di biciclette bianche invasero le strade di Amsterdam. Erano a disposizione di tutti e volevano contrastare “il terrore d’asfalto delle masse motorizzate”. Le autorità non gradirono l’iniziativa, probabilmente perché arrivava dal gruppo anarchico Provo, che già nel nome si proclamava provocatorio. Due anni dopo uno dei componenti del gruppo fu eletto nel consiglio comunale e propose di istituire il bike sharing, che forse con una certa miopia non fu approvato. Di Provo e di tanti altri movimenti simili si parla in Beauty

GAMMA-RAPHO/GETTY

Italieni

Amsterdam, agosto 1967

is in the street dello storico Joachim C. Häberlen, un libro sulle proteste che hanno animato le piazze europee tra il 1958 e il 1989. Se l’idea di protesta è affrontata nel modo più ampio possibile, l’approccio del libro è al contrario “microscopico”. Il 1968, per esempio,

non è solo quello francese. Il progetto è molto ampio e non può essere esaustivo ma ha il pregio di farci ragionare sul fatto che protestare è un nostro diritto e che, anche quando la protesta non porta a nulla, ci avrà aiutato comunque a progredire. Financial Times

Il libro Nadeesha Uyangoda

Alla ricerca della verità Simone Salomoni Operaprima Alter Ego, 176 pagine, 15,20 euro Penso che la maggior parte dei libri presenti uno scoglio nella lettura. In questo caso è il primo capitolo, almeno per qualcuno non avvezzo a periodi così lunghi, in un miscuglio di discorso diretto e indiretto. Dal secondo capitolo si rimane impigliati nello scheletro, e una volta che ci sembrerà di aver preso le misure alla scrittura di Simone Salomoni, questa ci spiazzerà, cambiando di

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nuovo, dispensando indizi, seminando tracce. Siamo a Monghidoro, sull’Appennino bolognese, e il romanzo raccoglie le confessioni di un pittore di quasi quarant’anni sul suo incontro con un altro artista, un giovane che ha lo stesso nome dell’autore. Quel che sappiamo del ragazzo è mediato da alcuni racconti che ha scritto e che – oltre a creare un altro punto di vista – inframmezzano i monologhi del narratore. Lo scopo del suo raccontare è la ricerca della verità sulla relazione a tratti os-

sessiva che lega i due, anzi, di una delle sue possibili versioni visto che il narratore si rivela inaffidabile. È un incontroscontro che si focalizza sui corpi, in senso fisico e sessuale, sull’arte, visuale e letteraria. La stessa scrittura rispecchia questa ricerca compulsiva, nella verbosità, nella prosa totalizzante, nel ritmo progressivamente più travolgente. L’esordio di Salomoni è complesso, ma colpisce la consapevolezza con cui gestisce l’ambiguità di chi cerca sempre la verità. u

I consigli della redazione

Ariel Dorfman Indagine su un colpo di stato Guanda

Il romanzo

Eliza e gli impostori Zadie Smith

DAVID LEVENSON (GETTY)

Zadie Smith L’impostore Mondadori, 492 pagine, 22 euro ●●●●● Zadie Smith è così brava da far sembrare plausibile qualsiasi cosa, ma gli elementi più scan­ dalosi del suo nuovo romanzo, L’impostore, sono veri. Negli anni sessanta dell’ottocento un macellaio dal passato oscu­ ro affermò di essere sir Roger Tichborne, il figlio dato per morto di lady Tichborne ed erede di una vasta fortuna. Le prove contro il macellaio sem­ bravano schiaccianti: non ri­ cordava i suoi presunti compa­ gni di scuola, non ricordava gli aspetti fondamentali dell’edu­ cazione di un gentiluomo e non sapeva nemmeno parlare il francese, la prima lingua di Tichborne. Questo scandalo avrebbe potuto alimentare L’impostore dall’inizio alla fine. Smith, tuttavia, tiene sullo sfondo i processi del cosiddet­ to pretendente di Tichborne. Al centro della storia troviamo Eliza Touchet, un’altra figura riscattata dai margini della storia. Giovane vedova dalle risorse limitate, Eliza si trasferì a vivere dal cugino per ricopri­ re l’ambiguo ruolo di padrona di casa e governante. Per di­ versi anni, godette – o soppor­ tò – una posizione curiosa nella scena letteraria londinese per­ ché suo cugino era William Harrison Ainsworth, che oggi è ricordato come un triste esempio della natura effimera del successo. E L’impostore suggerisce il motivo: era uno scrittore straordinariamente noioso. Nel romanzo di Smith, Ainsworth è un tipo simpatico

e allegro. Ma Eliza teme che sia troppo generoso, quasi vo­ lontariamente ignaro delle umiliazioni che subisce per mano di Charles Dickens, dell’illustratore George Cruik­ shank e di altri nemici. Nei rari momenti in cui Ainsworth confessa di essere in preda a un’ansia paralizzante per il suo talento, spetta a Eliza convin­ cere il cugino che non è, in re­ altà, un impostore. Eliza colti­ va un interesse obliquo ma in­ tenso per il caso di Tichborne che domina le notizie di Lon­ dra. La sua attenzione è rivolta in particolare a Andrew Bogle, un ex schiavo giamaicano che insiste, in un rigoroso con­ trointerrogatorio, sul fatto che il macellaio è sicuramente l’uomo che un tempo conosce­ va come Roger Tichborne. In quanto abolizionista, Eliza è certa che Bogle sia sincero ma in qualche modo si sbagli. In definitiva, Eliza desidera una “teoria della verità”, ma se l’a­ vessimo non avremmo biso­ gno di romanzi. Ron Charles, The Washington Post

Alain Mabanckou Otto lezioni sull’Africa Edizioni e/o

Bret Easton Ellis Le schegge Einaudi, 752 pagine, 23 euro ●●●●● L’anno è il 1981 e Bret è un di­ ciassettenne all’ultimo anno della prestigiosa Buckley school di Los Angeles. Esce con la ragazza più sexy della sua classe, Debbie, ed è il mi­ gliore amico del re e della regi­ na del ballo, Thom e Susan. Bret è un ragazzo pieno di se­ greti: in realtà è attratto dagli uomini e intrattiene relazioni clandestine con i maschi suoi compagni di classe; sta anche lavorando a un romanzo che analizza brutalmente il suo ambiente benestante. Accado­ no due eventi bizzarri che Bret non può fare a meno di colle­ gare tra loro: il primo è l’arrivo di uno splendido studente mentalmente instabile di no­ me Robert Mallory, che crea delle spaccature nel gruppo di Bret; il secondo è la notizia di un serial killer noto come il Trawler, che ha cominciato a uccidere e mutilare adolescen­ ti in tutta la San Fernando val­ ley. Questi sono gli elementi del nuovo romanzo di Ellis, Le schegge, un interessante e sgra­ ziato mostro di Frankenstein che innesta una tipica ricostru­ zione autobiografica su un’o­ pera di oltraggioso horror pulp. È tutto molto inquietan­ te, ma per i lettori di Ellis sarà anche piacevolmente familia­ re. Tutto questo conferisce al libro un’inconfondibile sensa­ zione di fan fiction. Se uno non conosce bene l’opera di Ellis, è probabile che rimanga indiffe­ rente. A un fan, invece, i sov­ vertimenti della vita e della scrittura di Ellis sembreranno ben congegnati. Più la storia diventa folle, più la sua veste di candore emotivo si trasforma in un altro provocatorio sotter­ fugio. Sam Sacks, The Wall Street Journal

Mia Oberländer Anna Rulez

Azareen Van der Vliet Oloomi Chiamatemi Zebra Keller, 402 pagine, 19 euro ●●●●● Bibi Abbas Abbas Hosseini, la protagonista del secondo ro­ manzo della scrittrice iraniana americana Azareen Van der Vliet Oloomi, è nata nella bi­ blioteca della casa di famiglia, tra il mar Caspio e i monti Al­ borz dell’Iran, all’inizio della guerra del paese contro l’Iraq. Figlia unica, è l’ultima di una lunga serie di sapienti autodi­ datti il cui credo è: “Non ama­ re nulla tranne la letteratura”. All’età di cinque anni, mentre la guerra si aggrava, Bibi fugge con i genitori verso il confine turco, ma sua madre muore quando un edificio le crolla ad­ dosso mentre è fuori casa in cerca di cibo. Bibi e suo padre proseguono da soli, attraver­ sando il Kurdistan, la Turchia e la Spagna. Alla fine, anni do­ po, si fermano a New York. È qui, quando Bibi ha poco più di vent’anni, che suo padre muo­ re. Mentre osserva la luce che cade a strisce sulla bara, Bibi decide di assumere una nuova identità: si chiamerà Zebra, un nome che “rappresenta l’in­ chiostro sulla carta” e che la renderà “una martire del pen­ siero”. Così armata, intrapren­ derà un altro viaggio, tornando nei luoghi che aveva visitato come rifugiata, ispirata non dal bisogno di scoprire se stes­ sa ma dalla sete di vendetta. La sua mappa sarà la letteratu­ ra. Azareen Van der Vliet Olo­ omi racconta le cervellotiche e sventurate lotte di Zebra nella forma di un tragicomico ro­ manzo picaresco la cui fervida logica e il cui capriccio cere­ brale ricordano le opere di au­ tori come Roberto Bolaño e Jorge Luis Borges. Liesl Schillinger, The New York Times

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Cultura

Libri ronico (ma accurato) come “una specie di biologa hippy che parla con gli alberi”. Entrambe le metà del romanzo hanno i loro punti di forza, ma quella di Alevtina è di gran lunga la più brillante, capace di cogliere il potere celato nell’ordinarietà delle cose. Come quando Syvert mette a posto le vecchie scatole di suo padre, “non per avvicinarmi a lui, ma piuttosto per allontanarlo da me, per rimetterlo nelle sue scatole, con le sue cose”. I lupi nel bosco dell’eterno non parla di nulla, ma ha molto da dire. Simon Ings, The Daily Telegraph Stephanie LaCava Ho paura che ti interessi il mio dolore Edizioni e/o, 192 pagine, 17,50 euro ●●●●● Margot è giovane, quasi famosa. Ed è sola, figlia di genitori e nonni famosi che l’hanno emotivamente trascurata. Suo padre, Steve, una rockstar, le

riserva attenzioni solo in pubblico. Sua madre, Rose, si preoccupa per lei ma non sa come starci insieme. Il più delle volte, Rose lascia Margot con la nonna, Josephine, un’ex ballerina che tira le fila della famiglia. Da ragazza, Margot si taglia: desiderosa di attenzioni, quasi non si accorge di non provare dolore fisico. Il secondo romanzo di Stephanie LaCava si apre quando Margot lascia New York per il Montana rurale. Lì incontra un ex neurologo, Graves. Lei non si lamenta di un brutto taglio alla gamba e lui ne trae una sorprendente deduzione. “Sei nata con un’insensibilità al dolore”. È una premessa elegante: esplorare la sofferenza e la disaffezione attraverso le esperienze di una ragazza privilegiata che non può provare dolore. Stephanie LaCava suggerisce che l’invulnerabilità di Margot è proprio ciò che la rende indifesa. Daisy Hildyard, The Guardian

Non fiction Giuliano Milani

Il quadrato costruito Paolo Zellini Il teorema di Pitagora Adelphi, 157 pagine, 14 euro Che la somma dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo sia uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa è un principio che s’impara presto e che non ci si dimentica più, anche se è raro applicarlo. Meno nota è la storia di questo teorema associato al nome di un personaggio misterioso, Pitagora, secondo la tradizione vissuto nel sesto secolo avanti Cristo. Il matema-

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tico Paolo Zellini in questo libro prezioso la ricostruisce, a partire dalla Mesopotamia antica e dall’India vedica dei primi millenni prima di Cristo, quando il teorema era già noto, probabilmente perché aiutava a riflettere su un problema che stava a cuore a queste culture: come riuscire a ingrandire gli altari lasciando inalterata la loro forma. Anche all’epoca di Pitagora il teorema era un principio usato nella religione e nella filosofia, che aiutava a interpretare il mondo e addirittura a com-

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portarsi, dato che il quadrato era associato in modo sistematico alla giustizia. Così, la storia del teorema dopo Pitagora diventa la vicenda di un progressivo processo di distacco della matematica dalle radici rituali, metafisiche e morali. Un processo che passa per Euclide, che nei suoi elementi ne offre, secondo Zellini, una dimostrazione arida. E continua con la rivoluzione scientifica, che rende il numero, principio del mondo nel pensiero pitagorico, solo la sua misura. u

Paesi Bassi CLAUDETTE VAN DE RAKT

Karl Ove Knausgård I lupi nel bosco dell’eterno Feltrinelli, 832 pagine, 28 euro ●●●●● È il 1986. Syvert Løyning, diciannove anni, torna a casa dopo il servizio in marina e trova la madre vedova che fuma compulsivamente. Se non sta morendo di cancro ai polmoni, ci sta provando. Cosa dobbiamo pensare del lento declino di Syvert tra le terre marginali della Norvegia meridionale (boschi, brughiere e laghi, campi da calcio e stazioni di servizio)? E che dire della sua altrettanto lenta ripresa, quando trova una fidanzata (Lisa), un lavoro (in un’impresa di pompe funebri) e uno scopo: rintracciare la seconda famiglia segreta del padre morto in Unione Sovietica? A metà strada, il romanzo s’interrompe e si sposta nella Russia di oggi per seguire Alevtina, la sorellastra di Syvert, mentre va alla festa per gli ottant’anni del patrigno. Alevtina si descrive in modo autoi-

Sacha Bronwasser Luister Ambo Anthos Parigi dagli anni ottanta a oggi: una logica inesorabile lega Philippe, un nevrotico borghese, Marie, una studente olandese disillusa, e Flo, fotografo d’arte ossessionato da se stesso. Sacha Bronwasser è nata a Rijswijk nel 1968. Saskia Goldschmidt Kukuruznik J.M. Meulenhoff Dopo la morte del padre, Noa trova uno scrigno pieno di documenti su delle coraggiose aviatrici e scopre che qui c’è la chiave del suo passato. Saskia Goldschmidt è nata ad Amsterdam nel 1954. Fien Veldman Xerox Atlas Contact In una città europea non nominata, un’impiegata molto stressata di una start up confida alla stampante le sue paure, i suoi sogni, il suo passato. Fien Veldman è nata a Leeuwarden nel 1990. Tommy Wieringa Nirvana De Bezige Bij Hugo trascorre tre anni dell’adolescenza nella tenuta dei nonni, lontano dal fratello gemello. Vive questa separazione come un esilio dalla sua famiglia. Tommy Wieringa è nato a Goor nel 1967. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

Ragazzi Amore lacerato Katya Balen Ottobre, Ottobre Einaudi, 240 pagine, 14,90 euro Con Ottobre, Ottobre Katya Balen scrive un libro dal sapore antico, in perfetto stile britannico e con un pizzico di fantasia che non guasta mai. Un libro fatto di luoghi, rumori, sentimenti contrastanti. C’è una figlia, Ottobre appunto, narratrice dell’intera vicenda, che racconta la sua “storia” cercando di darle una forma, una cornice, una direzione. Katya Balen riesce a fare il perfetto ritratto di una ragazza inquieta, lacerata, creativa, piena di amore ma anche di odio. Ottobre oscilla tra due poli. Uno è il padre amatissimo e la sua vita insieme a lui nella foresta. Poi, dopo un catastrofico incidente del padre, la madre non amata e la sua vita a Londra, una vita che soprattutto all’inizio del suo soggiorno lei detesta. Katya Balen cerca di farci vedere i personaggi nella loro funzione: la madre non è così detestabile, ma è la lacerazione, la spaccatura dell’ordine familiare a far stare male Ottobre. E la dicotomia foresta-libertà e cittàprigione enfatizza tutto. Un personaggio importante è un barbagianni che incontriamo nelle prime righe del romanzo e che Ottobre salva, cura, porta con sé a Londra e qui ha un’altra chance, di tornare in natura. Il barbagianni in fondo è un alter ego della ragazza. Che anela a quella natura più di se stessa. Una natura senza internet, social, like e cuoricini. Igiaba Scego

Ricevuti Sandro Campani Alzarsi presto Einaudi, 184 pagine, 16 euro Andare a funghi è camminare con uno scopo. Due fratelli seguono le orme del padre nel bosco, tra le querce e i faggi, esplorandolo in tutte le stagioni. A.K. Blakemore Le streghe di Manningtree Fazi, 336 pagine, 18,50 euro In una cittadina dell’Essex durante la guerra civile inglese, le donne sono abbandonate a loro stesse, soprattutto le anziane, le povere, le non sposate. L’arrivo di un uomo scombussola la loro vita.

Fumetti

Assenza e presenza Anders Nilsen The end Add editore, 160 pagine, 25 euro Se The end, esito di varie versioni pubblicate nel corso degli anni, non è il miglior libro di un vero poeta del fumetto come Nilsen (lo è piuttosto Big questions), nondimeno è un’opera assolutamente unica e potente, quanto umile, sul lutto: quello per la morte prematura della compagna dell’autore, Cheryl, avvenuta nel 2005. Un’opera sperimentale e insieme semplice e diretta, un briciolo surrealista, teatrale e un po’ beckettiana, fondata su un segno grafico etereo vicino alla poesia e, all’opposto, su grafiche concettuali. La struttura è quella di sketch-capitoli che contengono dialoghi-monologhi con un essere che non c’è più. Una sorta di proiezione della memoria e

dell’incapacità di accettare che una persona amata si dissolva nel nulla, poiché con una perdita del genere “scompare anche il tuo futuro”, come scrive l’autore in postfazione, oltre al “sé che era metà di una coppia”. Nilsen narra con intensità e in qualche modo anche leggerezza il calvario suo e della compagna, imponendone la presenza tramite la rappresentazione visiva dell’assenza: se, come abbiamo spesso scritto, il procedimento della sottrazione grafica è fondamentale, qui rasenta l’astrazione e prende un senso esistenziale. Il vuoto che lascia la pienezza di una persona che non c’è più. Eppure, Nilsen riesce malgrado tutto a comunicare amore per la vita oltre a essere, come attestano le appendici, anche terapeutico. Francesco Boille

Francesco Chiodelli Cemento armato Bollati Boringhieri, 192 pagine, 14 euro Una raccolta di storie da diverse città italiane, da nord a sud, afflitte per decenni da corruzione, abusivismo, infiltrazioni criminali. Francesca Scotti, Uragami Kazuhisa Shimaguni Bompiani, 160 pagine, 25 euro Questo racconto restituisce l’essenza di un paese arcipelago, composto da isole grandi e minuscole, popolose e disabitate, ospitali e inaccessibili, che tramandano storie piene di mistero. Lorenzo Ghetti e Rita Petruccioli Isa vince tutto Rulez, 112, pagine, 20 euro A metà tra fumetto e romanzo illustrato, la vita di Isabella d’Este reinventata “con il piglio da adolescente pestifera e gli strumenti di un’abile influencer contemporanea”.

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Cultura

Suoni Podcast La cosa giusta

Dagli Stati Uniti

Sam Holder e Anishka Sharma Please protect Abraham Bbc Four Nel 2018 il giovane Abraham Badru, 26 anni, viene ucciso con dei colpi di pistola a Hackney, quartiere nell’est di Londra. È il tragico epilogo di una vicenda lunga dodici anni in cui Abraham ha pagato prima con l’ingiustizia e poi con la morte la scelta di aiutare una persona in difficoltà. Quando lui aveva 15 anni, Hackney era ancora un quartiere difficile alla periferia di una metropoli: una sera aveva visto alcuni ragazzi che facevano parte di una banda del quartiere che stupravano una ragazza. Aveva deciso d’intervenire, di chiamare la polizia e di fornire alcuni dettagli poi risultati fondamentali per arrestare gli aggressori. Da quel momento ha cominciato a subire aggressioni e minacce di morte finché non ha deciso di trasferirsi a Bristol per studiare. Nel frattempo è stato costretto ad attraversare il percorso giudiziario come testimone, in un sistema che persegue l’unico obiettivo di arrivare a una condanna senza dare nessuna protezione a chi decide di parlare. Quando la vicenda sembra ormai conclusa, Abraham torna a Hackney per stare vicino alla madre, ma viene ucciso davanti a casa da un assassino rimasto fino a oggi sconosciuto. Questo podcast giornalistico di Bbc Four ricostruisce in undici puntate la vita e la tortura giudiziaria di un ragazzo nero di periferia che ha pagato con la vita la scelta di fare la cosa giusta.

Il film-concerto di Taylor Swift registra un ottimo esordio al botteghino

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Taylor Swift è abituata a stabilire record e ne ha appena messo a segno un altro. Taylor Swift. The Eras tour, il suo film tratto dai sei spettacoli della cantante statunitense al SoFi Stadium di Los Angeles della durata di quasi tre ore, ha fatto registrare il più grande incasso di sempre nel weekend di apertura per un film-concerto. Taylor Swift. The Eras tour ha incassato circa 126 milioni di dollari in tutto il mondo, di cui 95 milioni provenienti dalle sale nordamericane e 31 milioni da 94 territori internazionali. Il film del 2011 Justin Bieber. Never say

M. ANZUONI (REUTERS/CONTRASTO)

Un altro record

Taylor Swift never deteneva finora il record con 41 milioni di dollari nelle sale nordamericane e 138 milioni di dollari in tutto il mondo (entrambe le cifre sono adeguate all’inflazione). Per quanto riguarda le vendite totali dei biglietti, però, This is it di Michael Jackson del 2009 resta anco-

ra imbattuto. Diretto da Sam Wrench, Taylor Swift. The Eras tour segue Swift e i suoi ballerini sul palco in quaranta canzoni estratte da dieci album, senza filmati dietro le quinte. I biglietti del film costano 19,89 euro per gli adulti, un omaggio all’anno di nascita di Swift e all’album omonimo, e 13,13 euro, il suo numero preferito, per i bambini e gli anziani. Visto che incassa il 57 per cento delle entrate dei biglietti, secondo le prime stime la cantante ha portato a casa 55 milioni di dollari dal botteghino nordamericano: un profitto notevole, considerando che il film è costato circa quindici milioni di dollari. Nicole Sperling, The New York Times

Canzoni Claudia Durastanti

Malinconia urbana Tre segnalazioni, due di artisti ascoltati dal vivo, la terza che nasce da un suggerimento di chi ascolta più musica stradaiola di me in questo momento. I Real Timpani sono una band che si muove nella provincia lombarda con all’attivo un ep dal titolo The great torre. Se fosse una microcategoria da classifica di fine anno su Spotify sarebbe jazz + Stranger things, con delle stratificazioni di ragionato istinto in più; Io non sto più qui è di una gentilezza che mi riporta alle astrazioni di Grouper senza il sovraccarico esistenziale.

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I Turbetto sono un duo di San Marino che canta in italiano e in un set intervallato dalle migliori incursioni di stand up involontaria mi hanno ricordato che, in mezzo alle tante importazioni americane, il surrealismo slacker dei Neutral Milk Hotel da queste parti non ha ispirato la nascita di molte band, ed è un peccato. Dalla struttura ritmica ruvida e basilare, in brani come Claudio arrivano a fare ironia sugli alberi che parlano tra di loro per proteggersi dall’incendio, ma che lo fanno a fare se non possono scappare? Infine c’è

Ele A, rapper e cantante svizzera, che appena la senti pensi “old school” e “West Coast”, anche se più che alla Los Angeles hip hop di Dr. Dre e Snoop Dogg, in El clásico, con Guè e DJ Shocca, rimanda alla malinconia urbana di Drinking in L.A. dei Bran Van 3000, uscita cinque anni prima che lei nascesse. C’è un sacco di genealogia nei suoi pezzi ma anche istinto, pulizia e riconoscibilità, e speriamo che non finisca anche lei nella spirale dei dischi di diciotto tracce che impestano la produzione del genere che tanto la appassiona. u

Classica Scelti da Alberto Notarbartolo

Francesco Corti Frescobaldi and the south Arcana

Wolfgang Sawallisch Mendelssohn: Elias Bso Recordings

Bad Bunny

L’Rain I killed your dog Mexican Summer ●●●●● I precedenti due album di Taja Cheek, in arte L’Rain, contenevano miscugli sor-

prendenti di musiche originali e registrazioni ambientali. In I killed your dog la cantante affronta il tema dell’amore in ogni sua forma con un candore penetrante, senza alcuna finzione, attingendo a vari territori musicali, tra cui lo psych-rock, il folk e il postrock. Il dolore è onnipresente, come anche il rapporto della musicista newyorchese con le emozioni e la femminilità. L’Rain mostra ancora una volta una grande versatilità: in 5 to 8 hours a day (WWwaG) mette in primo piano pedal steel e chitarre elettriche, giusto per chiarire che il suo punto di riferimento non è il jazz, come spesso viene scritto. Non bisogna trascurare inoltre gli interludi, importanti anche nel disco precedente, che funzionano da istantanee potenti e umoristiche, e fanno parte a pieno titolo del processo creativo dell’artista. I killed your dog parte dall’amore e non lo abbandona mai, costruendo un tour de force nell’universo sonoro di L’Rain. Anche se ha un titolo crudele, in realtà è un disco ricco di una tenerezza disarmante, soprattutto nei momenti più minimalisti. Devon Chodzin, Paste Magazine

Rumon Gamba Ouvertures dalla Finlandia Oulu Sinfonia, direttore: Rumon Gamba Chandos ●●●●● Nove dei dieci lavori di questo album dimostrano che Jean Sibelius non lavorava in un vuoto culturale: in Finlandia esistevano altri musicisti di talento, se non di genio. Se fosse morto dopo la composizione dell’ouverture Karelia (1893) – come Ernst Mielck dopo la sua brahmsiana Ouverture drammatica (1898) – non avrebbe mai messo in ombra il suo amico Robert Kajanus, la cui raffinata Overtura sinfonica (1926) ha un to-

no molto tedesco. L’Ouverture lyrique (1892) di Armas Järnefelt, cognato di Sibelius, è uno dei pochi esempi d’influenza apertamente russa, ma gli elementi francesi del suo stile prevalgono, soprattutto nel delizioso Praeludium (1900). Il culmine è Nummisuutarit (1936) di Uuno Klami. L’apertura rigida e drammatica dell’Ouverture commedia (1923) di Leevi Madetoja smentisce il suo stato d’animo giocoso. C’è un vero splendore orchestrale nelle aperture fiabesche delle suite teatrali di Erkki Melartin (La bella addormentata nel bosco, 1904) e Selim Palmgren (Cenerentola, 1902). Più leggeri nel tono, hanno più autorità dell’esile Preludio op. 7 (1912) di Heino Kaski. Il programma è eseguito con energia e delicatezza dalla Oulu Sinfonia, ben diretta da Rumon Gamba. Guy Rickards, Gramophone

Newsletter Musicale è la newsletter settimanale di Internazionale su cosa succede nel mondo della musica. Esce ogni lunedì. Per riceverla: internazionale.it /newsletter L’Rain

TONJE THILESEN

Bad Bunny Nadie sabe lo que va a pasar mañana Rimas Entertainment. ●●●●● C’era una volta Bad Bunny, il re di un movimento chiamato latin trap. Sette anni fa, prima delle copertine di Rolling Stone e delle pubblicità di Gucci con Kendall Jenner, Benito Antonio Martínez Ocasio era un nuovo arrivato. Il suo album del 2022 Un verano sin ti, capolavoro pop immerso nell’umidità caraibica, l’ha catapultato in testa alle classifiche, rendendolo una pop star in grado di riempire gli stadi. Ma chi lo segue da tempo sa che Bad Bunny è soprattutto un bravo rapper. Nadie sabe lo que va a pasar mañana è il suo ritorno alla casa della trap ed è incentrato su alcuni dei passatempi preferiti di Benito: fare sesso, contare i soldi e ricordare il suo amore per Puerto Rico. Mentre abbraccia la spensierata incoscienza e arrapatezza che hanno fatto innamorare il mondo, alcuni potrebbero rallegrarsi del fatto che sia tornato alle sue radici. Ma anche se sono divertenti e spesso disinvolte, solo una parte di queste canzoni si avvicina alla vitalità dei suoi inni del passato. Bad Bunny può rappare su sesso e soldi quanto vuole, ma è capace di farlo con molta più magia di questa. Per usare le sue parole, non puoi semplicemente dire che sei il migliore. Devi anche dimostrarlo. Isabelia Herrera, Pitchfork

ERIC ROJAS

Album

Igor Levit Fantasia Sony Classical

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Pop La riscoperta della mia Mumbai Shruti Swamy Mumbai a novembre. Cioè fa caldo. Mi sua Mumbai. Ila Mami aveva capito qualcosa della sono trovata dove mi trovo ora molte sua città, e forse anche di me. volte in passato, in ogni fase della mia Una volta, quando ero adolescente, comprammo vita: da bambina, quando a malapena un cd piratato di musica hindi da un tizio per la strada. mi reggevo sulle gambe; poi quando ero A casa, nell’appartamento che oggi non esiste più, Ila una ragazzina occhialuta con le ginocMami si alzò di scatto per ballare e mi diede il tormenchia sbucciate; poi da adolescente impacciata che si to finché, alla fine, cominciai a ballare anch’io. Un’altirava giù la gonna per non attirare troppo l’attenziotra volta, davanti al mercato dov’eravamo andate a ne; poi da giovane donna con lo zaino in spalla, dopo fare la spesa, si fermò a un carretto di guava: li vuoi? l’università; infine da novella sposa, in viaggio con Ovviamente sì, li volevo sempre. Lei li strofinò con il mio marito. fazzoletto per pulirli e me li porse. E poi, eccola merStavolta sono qui come scrittrice, moglie e macanteggiare alle bancarelle per prendermi un paio di dre. Sono a poche decine di metri da un pantaloni; oppure ferma al carretto dei parco gremito di camminatori mattuti- Ogni città ha un gelati per comprarmi un kulfi, il tipico ni, nel quartiere immerso nel verde di universo al suo dessert freddo tagliato a fette prima di Vile Parle, sulla strada dove i miei non- interno, soprattutto essere servito con il coltello. Una volta, ni, e poi mia zia, abitavano in un palaz- Mumbai. Ci sono sorprese dalla pioggia, siamo scoppiate zo che si chiamava Nav Samaj. Ne ri- innumerevoli a ridere, zuppe e felici, sotto uno di quecordo ogni dettaglio: l’odore minerale percorsi che gli acquazzoni che arrivano e se ne vandella scala; il divano letto dove da bam- la attraversano, no in un attimo. Con Ila Mami non ho bina passavo ore a leggere pile di Reacondiviso solo gioia e divertimento: è ma non c’è più der’s Digest; le mattonelle fresche del come se avesse illuminato la città per nessuno a farmi pavimento dove mi stendevo quando il me. Adesso però siamo nel 2023, e mia caldo era insopportabile; la cucina buia da guida zia, esuberante e innamorata della vita, dove sono stati sfornati i pasti più spetnon c’è più, se n’è andata prima del temtacolari della mia vita. E poi l’almirah in camera da po. Quasi tutti i miei parenti si sono trasferiti altrove, letto dov’erano appesi i sari di mia nonna, inamidati e alcuni hanno addirittura lasciato l’India. e odorosi di naftalina. Ogni città ha un universo al suo interno, soprattutOra la visuale è cambiata: il Nav Samaj non c’è to Mumbai. Ci sono innumerevoli percorsi che la atpiù. Al suo posto sarà costruito un nuovo palazzo, il traversano, ma non c’è più nessuno a farmi da guida. Navasamaj: il nome è in bella mostra a grandi lettere A sette anni dalla mia ultima visita, sono a Mumbai d’oro sulla falsa facciata dell’edificio, con l’immagine con mio marito, bianco, e mia figlia, di origini miste, di un complesso mastodontico tre volte più grande per cercare di scoprire la città di oggi. Lo so, da queste dell’originale. Lo indico per farlo vedere a mia figlia parti saremo sempre stranieri. Ma ci sarà pure un momento, un pasto, uno scambio che ci renderà Mumbai Kavi, di quattro anni, cercando di spiegarle la spaccatura nel mio sguardo. Lei non è mai stata in India: è leggibile? E riuscirò a trovarlo, come mia zia riusciva troppo piccola per vedere questo fantasma. sempre a trovarlo per me? Per me non esiste una città più bella e più ricca di L’indomani prendiamo un risciò per andare a Juhu storia personale di Mumbai, dove i miei genitori sono beach, la lingua di sabbia più lunga e più frequentata cresciuti e si sono innamorati prima di trasferirsi nedi Mumbai. Lungo il litorale ammiriamo i volti segnagli Stati Uniti a vent’anni. Ma non c’è neanche una ti dal mare delle case in stile déco di Bombay affacciacittà che mi faccia sentire più estranea. Negli anni te sull’oceano, un tempo splendide, le tinte sbiadite e sono venuta qui tante volte, ma di Mumbai non ho le finestre sbarrate da assi di legno. Le trovo ancora visto quasi nulla. Scaricata come un pacco postale tra bellissime. Mi ritornano in mente le passeggiate a pai miei familiari, senza spendere un soldo, non uscivo gamento in sella ai pony e perfino agli elefanti, i venmai da sola e passavo buona parte del tempo nelle ditori di palloncini, i banchi di bhel puri, riso soffiato stanze dei miei parenti. È stata la cognata di mia macroccante avvolto in coni di carta da giornale. Ma dre (la mia Mami, in gujarātī) a farmi conoscere la quando ero bambina andavamo anche a Girgaon

È

SHRUTI SWAMY

è una scrittrice indiana. Il suo ultimo libro pubblicato in italiano è Una casa è un corpo (Racconti 2022). Questo articolo è uscito sul bimestrale statunitense Afar, che si occupa soprattutto di esperienze di viaggio, con il titolo Meeting Mumbai again after a lifechanging loss.

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BEATRICE BANDIERA

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Pop BRIGITTE FONTAINE

è una cantante, attrice e scrittrice francese nata nel 1939. Figura di spicco dell’underground degli anni sessanta e settanta, in quel periodo si lega al musicista Areski Belkacem. Questa poesia chiude la raccolta Vers luisants (© Le Tripode 2021). Traduzione dal francese di Francesca Spinelli.

Storie vere La Japan Airlines, compagnia di bandiera giapponese, è stata costretta ad aggiungere un aereo per un volo sulla linea che collega Tokyo ad Amami Ōshima, un’isola nel sud del paese dove si stava per svolgere un evento sportivo. Ha dovuto prendere questa decisione quando si è accorta che tra i passeggeri c’erano molti lottatori di sumo, che pesano in media 120 chili l’uno contro i 70 previsti nel calcolo del peso di un aereo.

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Chowpatty beach, nella zona sud di Mumbai, e i ricordi con il tempo si sono talmente confusi che non riesco a distinguere tra una spiaggia e l’altra. Oggi Juhu beach è piena di donne giovani o mature in scarpe da jogging, famiglie che fanno picnic e bambini e uomini di tutte le età che giocano a cricket. Il litorale fa una curva, scomparendo nello smog e nella foschia marina a nord di Versova, dove la gente pesca su barche con gli occhi dipinti sugli scafi. Arriviamo a piedi fino alla fine della spiaggia e poi torniamo indietro, accaldati e un po’ affamati. Compriamo una noce di cocco a mia figlia ma non riusciamo a spiegare al venditore che la vorremmo spaccata per poter scavare la polpa con il cucchiaio: è una piccola incomprensione che io e mio marito supereremmo con una risata, ma per mia figlia è una tragedia. C’inginocchiamo sulla sabbia, da bravi genitori statunitensi, con i nostri “ti ascolto” e “sembri molto frustrata”, sotto gli occhi di venditori e passanti perplessi che evidentemente non hanno mai assistito a capricci del genere o a due genitori tanto incapaci. “Avevate promesso”, piagnucola, ed effettivamente è vero. Sconfitti, la prendiamo in braccio e ce ne torniamo a casa. Sul risciò, il conducente sbaglia l’indirizzo che gli ho dato con il mio accento americano e va nella direzione opposta a Vile Parle: alla fine, una corsa che all’andata è durata quindici minuti al ritorno dura tre volte tanto, con il conducente che prima c’interroga in hindi con aria esasperata e poi scuote la testa di fronte alla nostra stupidità. Tornati finalmente nel nostro appartamento, provati ed esausti, ci arrendiamo troppo presto al jet lag. La notte rimango sveglia nel letto, irrequieta per la frustrazione. L’incapacità di farmi capire a Mumbai, come quando non sono riuscita a comunicare nel risciò, mi ha fatto vedere la faccia chiusa della città. Mi rendo conto che nessun posto mi fa sentire lo stesso senso di fallimento. È un sentimento doloroso che si collega al privilegio di essere americana: la mia faccia dice che sono di qui, ma la mia voce e la mia postura sono quelle di una straniera. Come farò a trovare la mia strada? Il parco nazionale Sanjay Gandhi è adagiato come uno smeraldo nella città sterminata e in continua espansione. Per me è una tabula rasa, priva di ricordi. Anche se sono stata a Mumbai decine di volte non ho mai visitato questo parco, che ha aperto un paio di anni prima che i miei genitori lasciassero l’India. È un posto che ha più o meno la mia età. È il nostro terzo giorno a Mumbai: prendiamo il treno (scendiamo alla stazione sbagliata, poi risaliamo) e affittiamo un risciò a un prezzo che si rivela assurdo quando scopriamo che il viaggio si poteva fare comodamente a piedi. Il parco si estende per un centinaio di chilometri quadrati: i numerosi campi da gioco e i terreni usati per il cricket e il badminton senza rete lasciano spazio ad aree più selvagge man mano che ci si sposta verso l’interno. Vaghiamo per il paesaggio alberato ammirando le fantastiche farfalle a macchioline e altre, grandi come il palmo di una mano, con le ali di un impossibile azzurro iridescente. Troviamo un’area gio-

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Poesia

Eroica Spirale arancio un po’ contratta lacrime a fiotti scorrono dentro sprazzi di riso in fuga matta e ogni tanto pure un lamento i titoli di coda eccoli qua musiche di Areski Belkacem parole di Brigitte Fontaine morta e rinata per un babà eroica proprio la nostra Brigitte pervasa ovunque da grandi fitte sopporta solo la sua penna ma resta in piedi e non tentenna resta in piedi orizzontale al caduceo in tutto uguale sul letto sul lago o lo stagno dove fuoco e caffè fanno il bagno nei tunnel bui dell’inferno la locomotiva si va smarrendo statue di vetro nelle stazioni s’accendono a volte come lampioni è la malattia immortale perché ovunque e sempre ancora è la sorte dei ragazzi ribelli che dormono quando spunta l’aurora Brigitte Fontaine

chi e mia figlia si arrampica su un albero, impressionando un bambino più piccolo. Una bambina si avvicina a Kavi tentando di fare amicizia: mia figlia, presa da un attacco di timidezza, si porta le mani al petto e comincia a saltellare come un coniglietto. La bambina la copia. Quando ci mettiamo a chiacchierare con i genitori la sensazione è la stessa di quando parliamo con la gente a casa, come se per la prima volta ci vedessero per quelli che siamo. Vicino al lago navigabile del parco i venditori ambulanti spazzano via la polvere e stendono lenzuoli per esporre le loro merci: carambole acerbe e spolverate di spezie dolci-salate, succo di canna da zucchero e bibite gassate al lime. Prendiamo dell’acqua di cocco per mia figlia e vediamo il suo viso arrossato che si distende mentre beve. Senza bisogno di chiederglielo, il venditore spacca in due la noce di cocco e le porge una scheggia da usare come cucchiaio per la polpa.

BEATRICE BANDIERA

È una di quelle cose che Ila Mami avrebbe fatto per me e che finalmente posso condividere con mia figlia: un piccolo successo da contrapporre ai tanti piccoli fallimenti, fraintendimenti e capricci. Kavi ha la pelle chiara e i capelli ramati, ma qui al parco porta con orgoglio il suo nome sanscrito. Ha il visto striato di sporcizia e le scarpe impolverate di terra rossa, gli occhi indagatori aperti ai movimenti delle farfalle e degli alberi scossi dal vento, alla minaccia vagante di scimmie fin troppo socievoli e al fiume gioioso dei volti. Ho pochissimi ricordi dei miei primi viaggi in India. Cosa ricorderà lei di tutto questo? Sul treno per il ritorno siamo stanchi ma felici. Mia figlia si rannicchia sulle mie ginocchia e dorme mentre attraversiamo questa città in continuo cambiamento, con le torri scintillanti di appartamenti di lusso che svettano nei quartieri periferici e dove prima c’erano boschi e ora ci sono strade ad alto scorrimento. Dentro di me si fa largo una sensazione diversa – non di padronanza, ma di giocosità, di apertura al nuovo. Mumbai è una città che ricompensa la flessibilità, credo che mia zia lo sapesse molto bene. Nei giorni seguenti ci delizieremo davanti a piccole coppe di terracotta di chai ricco di cardamomo e ciotole di sabudana khichdi, piccante fino al limite della sopportazione, la tapioca morbida e gommosa che contrasta con il croccante delle arachidi e l’asprezza del lime. La mattina l’aria è mielosa e fresca e Mumbai sembra la città più bella del mondo, rigogliosa e gentile, con i suoi guava, la sua crema di mele e i suoi frutti del drago, che faccio assaggiare per la prima volta a mia figlia. Andrò a vedere una mostra di artigianato molto simile a quella che ho visto l’ultima volta con Ila Mami e guarderò Umar, il venditore, che srotolerà delicatamente i suoi lucenti foulard, uno dopo l’altro, ricordandomi l’immenso piacere di fare shopping in India. Mio marito si tufferà in un involtino di lifafa e ci metteremo quasi a gridare per la deliziosa commistione di menta e grasso, mentre il pepe-

roncino piccante emerge poco a poco: come addentare un’opera d’arte. Una piccola banda di ottoni ci farà fermare in mezzo alla strada: la festa che stanno celebrando rimane un mistero, ma i nostri corpi esplodono comunque di gioia. Vedrò mia figlia ridere mentre si lancia dallo scivolo più alto della scuola vicino al nostro appartamento di Vile Parle. Guarderò mio marito, che porta con allegria il suo essere fuori posto e ha al dito l’anello che abbiamo comprato insieme con Ila Mami. Un momento dopo l’altro, questa città m’insegnerà a stare sveglia nel presente, a prestare attenzione, a seguire il filo della connessione umana, a trarre il piacere ovunque si trovi. Non sarà mai la Mumbai di Ila Mami quella che potrò offrire alla mia famiglia o a me stessa. Ma il suo ricordo ci ha aiutato a trovare una città tutta nostra. ◆ fas

Altri animali Leonardo Caffo

Equilibrio amazzonico La Fondation Cartier ha recentemente portato alla Triennale di Milano la mostra Siamo foresta. Per capire meglio la mostra e osservare senza troppi filtri teorici quelle che chiamiamo “altre forme di vita” è uscito anche Lo spirito della foresta (Nottetempo 2023) di Bruce Albert e Davi Kopenawa. Sono due strumenti importanti per avvicinarci in modo meno retorico del solito alla cosmologia indigena, per esempio quella

degli sciamani yanomami del nord del Brasile. Attorno a noi esistono un pensiero e una pratica quotidiana di perfetto equilibrio con la totalità delle forme di vita – umane, animali e vegetali, ma anche visibili e invisibili – che popolano quell’immenso meta-organismo che è la foresta amazzonica. La concezione del mondo degli indigeni che abitano in questa regione, contrariamente a quella antropocentrica tipica di tutta la

nostra storia culturale, non contempla una divisione netta tra “umani”, “animali” e “natura”. Niente nel mondo è periferico o subordinato al destino dell’Homo sapiens. Alla Triennale è in mostra la urihi, la “terra-forestamondo, una sorta di iper-forma di vita” in cui tutti gli esseri coesistono in armonia nonostante le loro apparenti differenze. Siamo una foresta dove l’armonia del gruppo si crea nella libertà degli opposti. ◆ Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Scienza

NASA/JPL-CALTECH/ASU (CC BY)

Un’illustrazione dell’asteroide Psyche

ASTRONOMIA

Alle origini del sistema solare Alexandra Witze, Nature, Regno Unito L’asteroide Psyche, obiettivo dell’ultima missione della Nasa, potrebbe essere il nucleo di un antico protopianeta. Studiarlo può aiutarci a comprendere meglio il passato della Terra l 13 ottobre un veicolo spaziale della Nasa costato 1,2 miliardi di dollari è partito dalla Florida per un viaggio di 3,6 miliardi di chilometri verso un asteroide diverso da qualsiasi cosa studiata finora. La destinazione è un corpo celeste chiamato Psyche, il più grande oggetto metallico del sistema solare. Secondo gli scienziati potrebbe essere il nucleo di un pianeta che non si è mai sviluppato completamente. Se questa ipotesi si rivelerà corretta, studiare Psyche sarà come viaggiare indietro nel tempo di miliardi di anni e osservare la formazione dei pianeti del sistema solare. In base alle misurazioni “almeno parte della superficie è composta da metallo”, spiega Lindy Elkins-Tanton, planetologa dell’università dell’Ari-

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zona a Tempe nonché capo della missione. “È proprio questo l’aspetto che ci interessa”. Nel sistema solare ci sono più di un milione di asteroidi, quasi tutti composti da roccia o da un misto di roccia e ghiaccio. Solo pochi, quelli del “tipo M”, sembrano essere costituiti soprattutto da metalli come il ferro e il nickel. Con un diametro di circa 220 chilometri, Psyche è il più grande di questo gruppo. Le sue caratteristiche lasciano pensare che si tratti del nucleo di un antico protopianeta. I ricercatori ritengono che più di 4,5 miliardi di anni fa, poco dopo la nascita del Sole, la materia che vorticava intorno alla nostra stella si sia addensata formando gli elementi costituivi dei pianeti. Il calore sviluppato all’interno di questi protopianeti ne avrebbe fuso una parte, permettendo agli elementi di separarsi e formare nuclei metallici circondati da roccia. In seguito le collisioni con altri oggetti spaziali avrebbero spogliato alcuni asteroidi della parte esterna rocciosa, esponendone l’interno metallico. È quello che potrebbe essere successo a Psyche. Anche la Terra possiede un nucleo ferro-

so, che però è sepolto sotto migliaia di chilometri di roccia. Dunque si pensa che studiare Psyche possa aiutarci a comprendere l’interno del nostro pianeta, a cui gli scienziati non hanno accesso diretto. Psyche orbita intorno al Sole nella principale cintura di asteroidi situata tra le orbite di Marte e Giove. La sonda raggiungerà Marte nel 2026, utilizzando la gravità del pianeta per lanciarsi verso Psyche, dove dovrebbe arrivare nel 2029. Orbiterà intorno all’asteroide per più di due anni, avvicinandosi sempre di più e raccogliendo dati sul campo magnetico, la gravità e la composizione mineralogica. In passato i planetologi supponevano che Psyche fosse composto da metalli fino al 90 per cento, ma le osservazioni con i telescopi terrestri e spaziali hanno gradualmente rivelato che contiene anche grandi quantità di roccia e altri materiali. Le ultime stime suggeriscono che su Psyche la percentuale di metallo oscilli tra il 30 e il 60 per cento. “Non sappiamo esattamente cosa ci sia su Psyche oltre al metallo”, sottolinea Elkins-Tanton. Se l’ipotesi del protopianeta sarà smentita, un’altra teoria è che sia composto da materiale primordiale risalente alla formazione del Sole che non si è mai fuso e separato in strati diversi. Le recenti osservazioni con il telescopio spaziale James Webb suggeriscono addirittura la presenza di acqua, forse legata a minerali mescolati con granelli metallici. Al momento sono molte le teorie plausibili. Secondo Katherine de Kleer, planetologa del California institute of technology di Pasadena, questo è il motivo per cui la missione è così affascinante: “Ci sono ottime probabilità che rimarremo sorpresi”. u as

Da sapere

Prime notizie da Bennu u Il primo esame dei campioni dell’asteroide Bennu, raccolti dalla missione Nasa OsirisRex e recapitati sulla Terra il 24 settembre, ha rivelato un’elevata presenza di carbonio e acqua. Secondo gli scienziati questo rafforzerebbe la teoria in base alla quale i due elementi, fondamentali per lo sviluppo della vita, sarebbero stati portati sul nostro pianeta da corpi celesti simili a Bennu. Finora è stata esaminata solo la polvere depositata all’esterno del contenitore inviato dalla sonda, mentre l’analisi del campione vero e proprio deve ancora cominciare. Bbc

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IL ROSA CHE FA BENE

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Anche quest’anno Lauretana sostiene il progetto Pink is good di Fondazione Veronesi volto a promuovere la prevenzione e dare un sostegno concreto alla ricerca sui tumori tipicamente femminili.

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Scienza BIOLOGIA

I portieri sono diversi

L’atlante del cervello

I portieri di calcio vedono il mondo in modo diverso rispetto agli altri giocatori. Secondo una ricerca condotta in Irlanda, che ha coinvolto sessanta soggetti tra calciatori dilettanti, professionisti e persone senza alcuna esperienza calcistica, la finestra temporale per integrare e distinguere segnali provenienti dai diversi sensi, nota come temporal binding window, è più stretta nei portieri. Significa che riescono a combinare più rapidamente le informazioni provenienti da stimoli sensoriali diversi. Inoltre hanno una maggiore capacità di distinguere i segnali sonori da quelli visivi. A differenza dei calciatori che giocano in altri ruoli, spiegano gli scienziati su Current Biology, i portieri devono prendere decisioni in un tempo molto breve basandosi su informazioni sensoriali limitate o incomplete. Non è ancora chiaro se queste differenze dipendano dall’allenamento o da un’abilità innata che spinge i giovani giocatori a diventare portieri.

Science, Stati Uniti È stata realizzata una nuova mappa del cervello umano che potrebbe aiutare a combattere le malattie neurologiche. Il progetto, avviato nel 2017 da una rete di centri in Europa e Stati Uniti, puntava a identificare gli 86 miliardi di neuroni che compongono il nostro cervello insieme a un numero simile di cellule non neuronali. I risultati sono stati pubblicati in 21 articoli sulle riviste Science, Science Advances e Science Translational Medicine. Lo studio aveva diversi obiettivi. Il primo era distinguere i vari tipi di cellule presenti nel cervello umano e analizzarne il materiale genetico. I ricercatori inoltre volevano mappare il cervello delle scimmie, come i macachi, e confrontarlo con quello umano. Un altro obiettivo era studiare i diversi tipi cellulari durante lo sviluppo del feto, in previsione di un’applicazione pratica per la valutazione dei modelli in vitro. Un’ulteriore linea di ricerca è stata infine dedicata al confronto tra le cellule umane e quelle dei roditori. Nel complesso il lavoro ha anche portato allo sviluppo di nuove tecniche di indagine. ◆

IN BREVE

VESUVIUS CHALLENGE

SALUTE

Le cause del covid lungo È stata proposta un’ipotesi per spiegare l’origine del covid lungo (long covid), e in particolare la persistenza dei sintomi neurocognitivi a distanza di mesi dall’inizio dell’infezione. Secondo uno studio pubblicato su Cell le sindromi postvirali sarebbero associate al calo della concentrazione di serotonina nel sangue. Questa molecola regola la digestione, la memoria, il sonno e altre funzioni corporee. Il calo potrebbe essere dovuto a tre meccanismi diversi e influirebbe sul funzionamento del sistema nervoso.

STEPHANE MAHE (REUTERS/CONTRASTO)

NEUROSCIENZE

Genetica. Sono stati creati polli parzialmente resistenti all’influenza aviaria, scrive Nature Communications. Con la tecnica crispr/cas9 negli animali è stato modificato il gene per la proteina anp32, facendoli diventare resistenti a piccole dosi di virus dell’influenza. Lo studio ha usato più ceppi di virus, tra cui l’h5n1, che può infettare anche gli esseri umani. Antropologia La tipologia dei sogni può dipendere anche dalla cultura di appartenenza. Uno studio ha confrontato i sogni degli hadza e dei bayaka, due comunità di cacciatori-raccoglitori africane, con quelli di persone residenti in Svizzera, Belgio e Canada. I sogni degli hadza e bayaka tendevano a essere più dinamici, presentavano più situazioni di pericolo e modi per superarle e avevano una maggiore dimensione sociale, scrive Scientific Reports.

ZOOLOGIA

Stasera sono morta

TECNOLOGIA

Leggere l’impossibile Grazie all’intelligenza artificiale è stata decifrata una parola da un rotolo carbonizzato trovato a Ercolano, la città distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dC, scrive New Scientist. A riuscirci in modo indipendente sono stati due partecipanti al concorso Vesuvius challenge, che offre un premio a chi troverà il modo di leggere i papiri ancora arrotolati, finora illeggibili. Impiegando tecniche diverse, i due hanno usato l’intelligenza artificiale per analizzare le scansioni tridimensionali di un rotolo (nella foto), identificando la parola “porpora” in greco.

Le femmine della rana comune europea (Rana temporaria) usano tre strategie per evitare l’accoppiamento con i maschi, che può essergli letale. Secondo Royal Society Open Science la più comune è la rotazione improvvisa del corpo per evitare il contatto. Un’altra è l’emissione di grugniti. La terza, più frequente tra le femmine giovani, è l’immobilità tonica: fingersi morte con gli arti distesi e rigidi. I comportamenti sono stati osservati in laboratorio e non in natura.

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Il diario della Terra THOMAS PETER (REUTERS/CONTRASTO)

Il nostro clima

Svolta verde in Kenya

Risorse idriche Secondo il rapporto State of global water resources dell’Organizzazione meteorologica mondiale, nel 2022 molte regioni del mondo hanno sperimentato condizioni più aride rispetto ai trent’anni precedenti. La siccità ha colpito soprattutto alcune aree in Europa, Asia occidentale, il bacino dello Yangtze in Cina (nella foto un suo affluente), l’Africa orientale e settentrionale, il bacino del rio de la Plata in Sudamerica e parte del Nordamerica. La portata dei corsi d’acqua è risultata invece più alta che in passato in Australia orientale, in Bangladesh, India e Pakistan, nel bacino del Niger, in Sudafrica e in alcune parti del Sudamerica. Il rapporto chiede di espandere i sistemi di monitoraggio dei fiumi, soprattutto in Africa e Asia.

Radar

Un’altra scossa a Herat Terremoti Un nuovo sisma di magnitudo 6,3 ha colpito la provincia di Herat, nel nordovest dell’Afghanistan, uccidendo almeno due persone. Il 7 ottobre un terremoto della stessa magnitudo aveva provocato almeno duemila vittime nella regione.

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si è riscaldata di oltre un grado, più della media degli oceani, e si è spostata di circa dieci chilometri verso la costa del Nordamerica.

Fiumi Dopo mesi di siccità nel bacino del Rio delle Amazzoni, il livello del fiume è calato al punto più basso mai raggiunto dall’inizio delle misurazioni nel 1902.

Ozono Il buco nella fascia di ozono al di sopra dell’Antartide (nell’immagine) ha raggiunto un’estensione di 26 milioni di chilometri quadrati, una delle più ampie mai registrate. Le dimensioni del buco oscillano nel corso dell’anno e raggiungono il picco a ottobre. L’anomalia attuale potrebbe essere dovuta al Niño o all’eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai nel 2022.

Tsunami Un’onda anomala di circa sessanta centimetri è stata registrata nelle isole Izu, al largo del Giappone. Gli scienziati ipotizzano che sia stata provocata dall’attività di un vulcano sottomarino ancora sconosciuto. Correnti Secondo un nuovo studio, negli ultimi vent’anni la corrente del Golfo, che attraversa l’oceano Atlantico e contribuisce a regolare il clima dell’Europa nordoccidentale,

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COPERNICUS/ESA

Alluvioni Cinque persone sono morte nelle inondazioni nel nord della Thailandia, portando il totale delle vittime dall’inizio della stagione dei monsoni a 23. ◆ Quattro bambini sono morti nel crollo di una chiesa provocato dalle forti piogge a Kiyange, in Burundi.

Incendi Una persona è morta in uno dei settanta incendi scoppiati nei giorni scorsi nello stato del New South Wales, in Australia.

◆ In Kenya è in costruzione uno dei primi impianti per produrre fertilizzante senza ricorrere alle fonti fossili. Lo stabilimento di Nairobi userà energia solare per estrarre idrogeno dall’acqua e farlo reagire con l’azoto in modo da ottenere ammoniaca. Il prodotto finale sarà usato nei campi della regione circostante. Secondo Bloomberg il progetto può aiutare ad abbattere le emissioni di gas serra, ridurre i costi e limitare la dipendenza dalle importazioni. All’inizio l’impianto produrrà solo una tonnellata di fertilizzante al giorno, ma in seguito potrebbe essere ampliato. Il Kenya sta investendo molto sulla transizione energetica, scrive lo Spiegel. Il paese produce più dell’80 per cento della sua elettricità da fonti rinnovabili, e il governo punta ad abbandonare completamente le fonti fossili entro il 2030. Ma lo sviluppo delle rinnovabili ha dovuto superare molti ostacoli. L’impianto eolico del lago Turkana, composto da 365 turbine, produce il 15 per cento dell’energia elettrica del paese. Per costruirlo è stato spostato un villaggio, che non è ancora allacciato alla rete elettrica. L’incertezza sulla proprietà dei terreni, la burocrazia e la corruzione possono rendere difficile la realizzazione di grandi impianti nella regione. Nonostante i problemi, però, le potenzialità sono enormi, e non solo nel solare e nell’eolico. Un esempio è lo sfruttamento dell’energia geotermica nella Rift valley. L’impianto di Olkaria è in funzione dal 1985, e il know-how accumulato in questi anni potrebbe essere esportato in altri paesi.

Il pianeta visto dallo spazio 03.10.2023

L’isola Kodiak, in Alaska

Nord 5 km

Stretto di Šelichov

EARTHOBSERVATORY/NASA

Fiume Karluk

◆ Questa immagine scattata dal satellite Landsat 9 mostra l’estremità orientale dell’isola Kodiak, a poca distanza dalla costa meridionale dell’Alaska, negli Stati Uniti. L’isola, che fa parte del Kodiak national wildlife refuge, ospita vaste foreste di conifere, ma il versante che si affaccia sullo stretto di Šelichov è caratterizzato da un clima più freddo e arido ed è quasi privo di alberi. L’ecosistema dominante è la tundra, composta da piante erbacee e muschi, mentre il

fondo delle valli è occupato da torbiere acquitrinose. Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre la flora e la fauna dell’isola cominciano a prepararsi per affrontare il rigido inverno. Le piante, che durante l’estate hanno approfittato delle lunghe giornate di sole per concentrarsi sulla crescita e la riproduzione, interrompono la fotosintesi e perdono la clorofilla, tingendo il panorama di colori autunnali. Nel frattempo i circa 3.500 orsi dell’arcipelago Kodiak,

All’inizio di ottobre la flora e la fauna dell’arcipelago Kodiak cominciano a prepararsi per affrontare il lungo e freddo inverno che le attende



che costituiscono una delle sottospecie più grandi di orso bruno e possono arrivare a pesare più di seicento chili, si affrettano ad accumulare riserve di grasso prima di entrare in letargo, nutrendosi soprattutto di bacche e di salmoni, che in questa stagione stanno completando la risalita dei corsi d’acqua. Nel fiume Karluk si svolge una delle più spettacolari risalite di salmoni in Alaska, a cui possono partecipare milioni di esemplari.–Nasa

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Sei film su informazione, attualità e diritti umani Edizione 2023-2024 A cura di CineAgenzia

Le tappe del tour Arzignano (Vi)

Brescia

Savona

Biblioteca comunale fino al 9 novembre

Nuovo Eden novembre

Find the cure /Nuovo Filmstudio gennaio – febbraio 2024

Montebelluna (Tv)

Schio (Vi)

Cinema Italia Eden 30 ottobre – 4 dicembre

Lanificio Conte novembre

Bologna

Lamezia Terme (Cz)

Find the cure /Cinema Massimo gennaio – marzo 2024

Pop Up Cinema 30 ottobre 2023 – marzo 2024

Civico Trame novembre 2023 – aprile 2024

Verona

Santa Maria Capua Vetere (Ce)

Genova

Fucina culturale Machiavelli febbraio – marzo 2024

Cinema Sivori e Filmstudio dicembre 2023 – marzo 2024

Castelfranco Emilia (Mo)

Università degli studi Dipartimento di Giurisprudenza ottobre 2023 – aprile 2024

Castelfranco Veneto (Tv) Multisala Hesperia 17 gennaio – 21 febbraio 2024

Sestri Levante (Ge) Zucchero amaro 1 – 29 novembre

Il cinema del carbone 23 gennaio – 27 febbraio 2024

Palazzo comunale marzo – maggio 2024

Gorizia Asti Find the cure / Spazio Kor gennaio – febbraio 2024

Fonzaso (Bl) Dolomiti Hub 9 novembre 2023 – 11 aprile 2024

Sala comunale Gabriella Degli Esposti marzo – maggio 2024

Castiglion Fiorentino (Ar) Mantova

Bergamo Cinema Teatro Del Borgo 7 novembre – 12 dicembre

Torino

Prato

Assid - Associazione degli Studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche aprile – maggio 2024

Terminale cinema gennaio – febbraio 2024

Schede dei documentari, tappe della rassegna e calendario delle proiezioni: cineagenzia.it/mondovisioni Per informazioni e per portare Mondovisioni nella tua città scrivi a: [email protected]

Economia e lavoro

MEL EVANS (AP/LAPRESSE)

Angus Deaton a Princeton, Stati Uniti, nel 2015

CULTURA

Confessioni di un economista Thomas Fuster, Neue Zürcher Zeitung, Svizzera Nel suo ultimo libro Angus Deaton, premio Nobel per l’economia nel 2015, rivolge critiche durissime ai suoi colleghi e a se stesso per l’eccessiva fiducia nei poteri del mercato ra i privilegi di un premio Nobel non ci sono solo il ricco assegno e la fama. Un effetto collaterale per chi ottiene questo riconoscimento è che tutto quello che dice o scrive ha una grande risonanza. Una simile attenzione può essere usata in modi diversi. In genere chi riceve il premio cerca di dare più peso al suo lavoro. Angus Deaton, insignito nel 2015 del premio Nobel per l’economia per i suoi studi su consumo, povertà e benessere, ha fatto l’opposto: ha messo in guardia l’opinione pubblica dalla sua categoria. Il suo ultimo libro, Economics in America, è un piatto indigesto per molti economisti: molti non ne escono bene. L’autore, originario della Scozia ed emigrato nel 1983 negli Stati Uniti, non risparmia dure critiche ai colleghi. Ma condivi-

T

de con loro il banco degli imputati. Anche lui in passato ha creduto in molti dei dogmi che oggi si sono rivelati illusori, scrive Deaton. Riconoscere di aver sbagliato è un segno di grandezza. Ma per gli economisti citati nel libro per nome e cognome dev’essere una magra consolazione. A essere attaccato è soprattutto Lawrence Summers, l’ex capo economista della Banca mondiale, che ha ricoperto importanti cariche sotto le presidenze di Bill Clinton e Barack Obama. Negli anni novanta, insieme al segretario al tesoro Robert Rubin e al presidente della Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) Alan Greenspan, formava un potente trio che lasciò il segno ben oltre i confini degli Stati Uniti. Summers, questo il rimprovero di Deaton, ha usato la sua intelligenza e la sua forza di persuasione per rimuovere gli ostacoli ai flussi di capitali speculativi e agli strumenti finanziari. Tutto questo avrebbe in seguito contribuito non solo alla crisi asiatica del 1997, ma anche al crollo finanziario del 2008. All’epoca tuttavia molti economisti, tra cui anche Dea-

ton, erano convinti che si potessero rimuovere senza rischi i limiti alla crescita della finanza. La fiducia nella stabilità dell’economia era illimitata. È un buon esempio di come Deaton prenda di mira i cosiddetti “fondamentalisti del mercato”. Da parte sua lo scozzese si dichiara un keynesiano di vecchia scuola e sostenitore di uno stato piuttosto dirigista. Arrivato negli Stati Uniti, era infastidito dal modo in cui gli studiosi liberali dichiaravano che “il governo è un furto”. “Ero cresciuto in un paese in cui io, i miei genitori e i nostri amici vedevamo il governo come un amico nei momenti di necessità”. L’origine scozzese e un’infanzia povera – il padre lavorava nelle miniere di carbone dello Yorkshire – hanno plasmato Deaton. Oggi accusa i suoi colleghi di aver dimenticato che l’economia classica si fonda sulla filosofia morale scozzese del settecento: “Non tutto può essere mercificato. La nostra categoria si è fatta guidare dall’idea che il denaro è tutto, e che tutto si possa misurare con il denaro. I filosofi non hanno mai pensato che il denaro sia l’unica unità di misura del bene”. Deaton stana il cieco economismo, un chiodo fisso secondo cui l’efficienza coinciderebbe con il benessere e i soldi dei più ricchi filtrerebbero fino agli strati più bassi della società. Sottolinea la totale mancanza di senso di responsabilità: quando crolla un ponte o esplode un razzo spaziale, gli ingegneri devono risponderne. Quando invece il capitalismo statunitense – come oggi – è al servizio esclusivo di una ristretta élite, nessuno si chiede se gli economisti siano responsabili.

Apostoli della globalizzazione Quello tracciato da Deaton è un inglorioso ritratto dei colleghi. Sarebbero apostoli di una globalizzazione che distrugge milioni di posti di lavoro, che sposta la ricchezza dal basso verso l’alto, che erode intere comunità e che spinge i lavoratori disorganizzati nelle braccia di Donald Trump. Le sue critiche colpiscono soprattutto gli Stati Uniti. Quando ancora lavorava a Cambridge, nel Regno Unito, la disuguaglianza era un tema importante. Negli Stati Uniti, e soprattutto a Chicago, di solito si negava la questione. Molti dei rimproveri ai colleghi sembrano esagerati, ma quando Deaton scrive che negli ultimi decenni la società statunitense è diventata “più cupa”, non lo fa per dispetto. Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

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Economia e lavoro

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Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

CINA

PORTOGALLO

I ricchi fuggono

Ospiti troppo costosi

Spinte dalle incertezze economiche e dalle tensioni geopolitiche, molte famiglie ricche cinesi si stanno affrettando a spostare i loro soldi all’estero, scrive Bloomberg. Dal momento che il governo limita a cinquantamila dollari all’anno la cifra che può essere mandata in altri paesi, in tanti ricorrono a metodi clandestini. In particolare, affidano il denaro a più estranei che s’impegnano a farli arrivare fuori della Cina. Non ci sono cifre ufficiali sull’attività, ma un’inchiesta giudiziaria nella provincia di Gansu ha fatto venire alla luce nel 2021 un’operazione che ha coinvolto 10,3 miliardi di dollari distribuiti su più di ottomila conti bancari.

REGNO UNITO

Approvazione per la Microsoft Il 13 ottobre la Competition and markets authority (Cma), l’antitrust britannico, ha approvato l’accordo con cui la Microsoft ha comprato la casa di videogiochi Activision Blizzard per 69 miliardi di dollari, scrive il New York Times. Inizialmente la Cma aveva bloccato l’operazione, chiedendo alla Microsoft garanzie sul mercato del gioco online.

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Lisbona, Portogallo, 22 agosto 2023

HORACIO VILLALOBOS (CORBIS/GETTY)

Forse più di qualsiasi altro studioso ha misurato con esattezza l’impoverimento di vasti strati della popolazione statunitense. Il suo libro del 2020, Morti per disperazione e il futuro del capitalismo (Il Mulino 2021), scritto insieme alla moglie Anne Case, è un’impressionante testimonianza del declino della classe lavoratrice e del sogno americano. È fuori di dubbio che la globalizzazione e l’automazione abbiano creato, accanto a dei vincitori, anche dei perdenti. L’argomento standard degli economisti in favore di una maggiore globalizzazione è però che i guadagni sono così alti che i perdenti possono essere compensati. Deaton non è d’accordo. Prima di tutto, non si tratta sempre di soldi, ma anche di status sociale. E poi la compensazione dei perdenti non avviene mai. Non solo per l’avversione nei confronti della regolamentazione dei mercati, ma anche perché chi incassa i profitti è convinto che gli spettino e non intende rinunciarci. Anche questa critica è rivolta più agli Stati Uniti che all’Europa. La rete delle garanzie sociali in America è più lacunosa che nel vecchio continente, se non del tutto inesistente. Chi perde un lavoro negli Stati Uniti deve cavarsela da solo. Il consiglio “in stile Maria Antonietta” che molti economisti danno ai disoccupati, cioè trasferirsi in città dove ci sono più opportunità, è secondo Deaton poco utile. Anzitutto, in questi luoghi il costo della vita è spesso insostenibile. Inoltre la maggior parte dei posti di lavoro richiede qualcosa che chi è sfavorito dalla globalizzazione possiede raramente: una laurea. Spesso gli economisti che si rifugiano volentieri nei loro modelli astratti sono accusati di vivere fuori dal mondo. Non vale però solo per quelli di destra. Deaton ammette che anche a sinistra ci si può sbagliare: “Se a destra non si vedono gli errori del mercato, a sinistra si possono trascurare quelli del governo”, scrive. Ma questa precisazione non cambia il fatto che Deaton lascia molto in ombra le colpe dello stato rispetto a quelle del mercato. Eppure gli esempi di fallimenti statali non mancherebbero, anche negli Stati Uniti. Per esempio il pacchetto di stimoli all’economia da vari miliardi di dollari voluto da Joe Biden nel 2021, che ha alimentato l’inflazione. Ci sono stati economisti che fin dall’inizio hanno messo in guardia dai suoi effetti, tra cui Larry Summers. u nv

Nel 2009 il Portogallo aveva introdotto generosi incentivi fiscali per attirare stranieri nel paese e di conseguenza aiutare l’economia nazionale. Il programma era destinato a chi era disposto a trascorrere in Portogallo almeno sei mesi all’anno per dieci anni. Dal 2024, scrive Die Tageszeitung, la misura non sarà più in vigore, perché “i conti non tornano: l’unico effetto delle agevolazioni è stato che ogni anno il governo registra perdite consistenti”. Secondo il ministro delle finanze, infatti, le agevolazioni concesse finora a 74mila persone sono costate ogni anno 1,6 miliardi di euro. In più, i prezzi degli immobili sono aumentati a un ritmo senza precedenti: la maggior parte degli stranieri, spiega il quotidiano tedesco, ha comprato appartamenti nella capitale Lisbona e nelle coste del sud. “Tra il 2012 e il 2021 i prezzi delle case in Portogallo sono aumentati del 78 per cento, più del doppio rispetto alla media registrata nel resto d’Europa. Solo nella prima metà del 2023, inoltre, gli affitti sono cresciuti dell’11 per cento”. u MAROCCO

Meno olio d’oliva all’estero Il 12 ottobre il Marocco ha annunciato che fino al 31 dicembre 2024 sarà necessaria un’autorizzazione del governo per esportare l’olio d’oliva. Con questo provvedimento, spiega Le Monde, Rabat si propone di “stabilizzare i prezzi al consumo”. Negli ultimi mesi l’olio d’oliva ha registrato

forti rincari. E la situazione rischia di peggiorare a causa della siccità, non solo in Marocco. In Spagna e in Italia, i leader mondiali del settore, il caldo estremo ha colpito i raccolti: il 12 ottobre un chilo di olio extravergine costava nove euro alla borsa spagnola di Jaén, mentre un anno fa valeva meno di sei euro. Secondo gli esperti del settore, quest’anno la produzione marocchina di olio dovrebbe diminuire di un terzo.

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Strisce

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

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L’oroscopo

Rob Brezsny Non amo particolarmente l’opera di Shakespeare. Mi piace il suo uso creativo del linguaggio, ma trovo poco interessante la sua visione del mondo. I suoi personaggi e i loro problemi non mi sembrano realistici. Se volessi incontrare personaggi sfaccettati che affrontano dilemmi affascinanti mi rivolgerei al romanziere francese Honoré de Balzac (1799-1850). Non dico che Balzac sia bravo e Shakespeare no. Sto solo esprimendo i miei gusti personali. T’invito a fare lo stesso: nelle prossime settimane difendi i tuoi gusti personali.

ARIETE

L’illustratrice e designer JooHee Yoon dice: “Fare arte consiste per lo più nel conoscere se stessi attraverso il processo creativo: commettere errori e addentrarsi nel labirinto della sperimentazione, che a volte ha un’uscita e a volte no”. E aggiunge: “I fallimenti sono importanti quanto i successi”. Estenderei questa saggia riflessione al modo in cui costruiamo la nostra personalità e la nostra vita. Spero che lo terrai a mente quando, nelle prossime settimane, improvviserai, sperimenterai e trasformerai te stesso. TORO

A volte ci tiriamo indietro di fronte a qualcosa che ci sfida a diventare più forti e più intelligenti. A volte facciamo del nostro meglio per risolvere un enigma fondamentale con equilibrio, ma non ci riusciamo. Nei prossimi mesi non ti si presenterà nessuno di questi due scenari. Penso che attingerai a riserve di capacità nascoste che non sapevi di avere. Troverai risposte audaci a misteri affascinanti. E realizzerai trionfi che un tempo potevano sembrare al di là delle tue capacità.

stesso, caro Gemelli. Arriverà il tuo momento. CANCRO

Alcuni astrologi sostengono che voi Cancerini siete contrari all’avventura e preferite rilassarvi nelle vostre zone di sicurezza. A riprova che questo non è sempre vero, vorrei citare un grande avventuriero del Cancro, lo chef itinerante Anthony Bourdain. Nelle prossime settimane, spero che sarai ispirato da queste sue parole. 1) “Se c’è qualcosa di cui sono convinto è la necessità di muoversi. Andare il più lontano possibile, più spesso possibile. Dall’altra parte dell’oceano o semplicemente dall’altra parte del fiume. Aprite la mente, alzatevi dal divano, muovetevi”. 2) “Che bella vita se potessimo sempre fare le cose che c’interessano con le persone che c’interessano”. 3) “Più ci penso e più mi rendo conto di quanto poco conosco, di quanto ho ancora da imparare. Forse è già abbastanza illuminante sapere che non esiste un luogo di riposo definitivo per la mente”. 4) “Viaggiare dà la meravigliosa sensazione di barcollare nell’ignoto”. LEONE

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

GEMELLI

La scrittrice dei Gemelli Meg Wolitzer suggerisce che “uno degli obiettivi della vita è sentirti a tuo agio nella tua pelle, nel tuo letto e nella tua terra”. Sospetto che nelle prossime settimane non raggiungerai questo obiettivo, ma getterai le basi per farlo. Scoprirai esattamente di cosa hai bisogno per sentirti a casa nel mondo e formulerai piani per riuscirci. Sii paziente con te

L’autore Iain S. Thomas scrive: “L’universo cerca disperatamente di spingerti nell’unico posto che ti appartiene veramente, lo spazio in cui solo tu puoi stare. Sta a te decidere ogni giorno se vuoi avvicinanti o allontanarti da quel posto”. Le sue idee corrispondono ai princìpi che espongo nel mio libro La pronoia è l’antidoto alla paranoia (Spazio interiore 2015), in cui affermo che la vita spesso cerca di aiutarci a liberarci

dall’ignoranza e dalla sofferenza. Riceviamo continuamente delle opportunità per diventare più intelligenti, più liberi e più buoni. Nelle prossime settimane, tutto ciò che ho detto finora sarà particolarmente adatto a te. Tutto il creato ti spingerà a sentirti intensamente a casa con la parte migliore di te. Collabora, per favore! VERGINE

“Non fare mai nulla che gli altri possono fare per te”, diceva la scrittrice Agatha Christie. Non è un atteggiamento proprio da Vergine, vero? Molti astrologi direbbero che di tutti i segni zodiacali, il tuo è il più desideroso di servire gli altri, ma non cerca spesso i servizi degli altri per sé. Sospetto che nelle prossime settimane questa dinamica potrebbe cambiare. Sorprendentemente, i ritmi cosmici cospireranno per darti più aiuto e sostegno di quanto tu sia abituata ad avere. Ti consiglio di accoglierli con gioia. SCORPIONE

Per quanto io ami la logica e il pensiero razionale, nelle prossime settimane ti concederò un’esenzione dalla loro ferrea supremazia. Per capire cosa succede e rispondere con intelligenza, dovrai in parte trascendere la logica e la ragione. Queste, infatti, non saranno guide sufficienti per affrontare i grandi enigmi che incontrerai. Tra qualche settimana potrai citare l’autore latino Tertulliano, che a proposito della sua religione, il cristianesimo, diceva: “Credo perché è assurdo”. SAGITTARIO

Come persona del Sole in congiunzione con Urano, amo l’iperbole e l’eccesso. “Stravaganza” è uno dei miei secondi nomi e nella mia comunità pagana sono conosciuto come “Robbie l’Irriverente”. Tienilo in considerazione quando ti consiglio di meditare sulle affermazioni di Oscar Wilde secondo cui “tutte le grandi idee sono pericolose” e “un’idea che non è pericolosa non è degna di essere chiamata idea”. Oscar e io non vogliamo dire che tutte le opportunità interessanti debbano

essere un rischio per la salute o la sicurezza, ma che, secondo noi, probabilmente costituiscono una perturbazione dei propri dogmi, abitudini e zone di comfort. Spero che nei prossimi giorni incoraggerai queste perturbazioni. CAPRICORNO

Qualcuno potrebbe pensare di aver raggiunto il culmine del lusso sorseggiando uno champagne Moët & Chandon Imperial Vintage su un divano di pelle bianco tempestato di diamanti a bordo di uno yacht Sunseeker. Ma io credo che tu ti sentirai pienamente soddisfatto da forme più sottili di lusso. Per esempio? Ricevere ondate di apprezzamento per il tuo buon lavoro; costruire buone relazioni con influenze che ti interessano e ti aiuteranno in futuro; provare l’emozione che deriva dall’agire con integrità. ACQUARIO

Esistono più di venti soluzioni all’enigma che la tua mente superiore sta esaminando. Molte sono intelligenti razionalmente ma non emotivamente. Altre hanno senso da una prospettiva egoistica, ma non sarebbero una benedizione per alcune persone della tua vita. Poi ce ne sono alcune che potrebbero essere efficaci ma non molto divertenti. Secondo me ci possono essere solo due o tre risposte intellettualmente ed emotivamente intelligenti, utili a te e agli altri e potenzialmente divertenti. PESCI

Al naturalista John Muir non piaceva il verbo “camminare”. Pensava che le persone dovessero attraversare i luoghi naturali passeggiando, non camminando. “Camminare” implica un movimento diretto, intenzionale, mentre “passeggiare” significa vagare, essere rispettosi dell’ambiente circostante e lasciarsi distrarre dalla propria curiosità. Nella prossime settimane ti consiglio questo secondo approccio, non solo in natura ma in ogni campo della tua vita. Sei più adatto a esplorare, vagabondare e divagare.

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internazionale.it/oroscopo

BILANCIA

COMPITI A CASA

È uscito il mio nuovo libro Astrology is real

GADO, KENYA

L’ultima

Vladimir Putin: “Faccio appello a palestinesi e israeliani per un immediato cessate il fuoco e la rinuncia alla violenza”.

LACOMBE, FRANCIA

GUTIÉRREZ, SPAGNA

Francia: dopo che un insegnante è stato ucciso da un terrorista, Emmanuel Macron rende omaggio ai “prof ”. “I nostri eroi!”. “Allora ci aumentate lo stipendio?”. “Non cambi argomento”.

LEIGHTON

STUTTMANN, GERMANIA

La terra promessa.

“Se potessi, butterei fuori tutti voi stranieri”.

“La primavera è stata piovosa e l’estate secca, quindi il fogliame autunnale dovrebbe essere in anticipo o in ritardo, più bello o più brutto del solito”.

Le regole Cucinare 1 Il cuoco ha sempre ragione. 2 Tutto quello che usi va lavato. 3 Chi cucina non mangia: assaggia. 4 Via il telefono, il tablet e tutte le distrazioni tecnologiche. 5 Se stai seguendo un tutorial, ignora la regola precedente.

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Internazionale 1534 | 20 ottobre 2023

Siamo tutti parte della soluzione.

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