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Italian Pages 122 Year 2023
13/19 ottobre 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo
n. 1533 • anno 30
internazionale.it
4,50 €
Cosmin Nicolae La regina rom di New York
Scienza I sogni dei ragni
Corea del Nord Una fuga d’amore
Ashkelon, 7 ottobre 2023
SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €
Israele/Palestina Il ciclo della violenza
Gaza, 9 ottobre 2023
13/19 ottobre 2023 • Numero 1533 • Anno 30
La settimana
KERI BLAKINGER A PAGINA 61
13/19 ottobre 2023
n. 1533 • anno 30
internazionale.it
4,50 €
Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo
Cosmin Nicolae La regina rom di New York
Scienza I sogni dei ragni
Corea del Nord Una fuga d’amore
IN COPERTINA
Il ciclo della violenza
Ashkelon, 7 ottobre 2023
SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €
Civili
Israele/Palestina Il ciclo della violenza
Giovanni De Mauro
Dovrebbe essere scontato, ma vale sempre la pena ripeterlo: attaccare i civili è un crimine dei peggiori. Lo stabilì già nel 1945 la Carta del tribunale militare internazionale di Norimberga, che all’articolo 6c definì così i crimini contro l’umanità: “Assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù e altri atti inumani commessi contro popolazioni civili prima o durante la guerra”. Sono dei crimini gli attacchi terroristici di Hamas: lanciare migliaia di razzi sulle città israeliane, uccidere i civili, prendere degli ostaggi. E sono dei crimini le rappresaglie del governo israeliano di Benjamin Netanyahu: bombardare le città palestinesi e le aree densamente abitate, assediare e privare di cibo, acqua ed elettricità un’intera popolazione. Un gruppo di ex soldati israeliani che si battono contro l’occupazione, riuniti nell’ong Breaking the silence, l’8 ottobre ha scritto: “L’attacco di Hamas e gli eventi che si sono susseguiti da ieri sono indescrivibili. Potremmo parlare delle loro azioni crudeli e criminali o concentrarci sul modo in cui il nostro governo suprematista ebraico ci ha portato a questo punto. Ma come ex soldati israeliani il nostro compito è di parlare di quello che siamo stati mandati a fare. La politica di sicurezza di Israele, da decenni ormai, è ‘gestire il conflitto’. I governi israeliani che si susseguono insistono in un’ondata di violenza dopo l’altra, come se tutto ciò potesse fare la differenza. Parlano di ‘sicurezza’, ‘deterrenza’, ‘cambiare l’equazione’. Tutte queste sono parole in codice per ‘bombardare a tappeto la Striscia di Gaza’, sempre con la giustificazione di colpire bersagli terroristici, ma sempre anche con
Gaza, 9 ottobre 2023
un pesante bilancio di vittime civili. Tra un’ondata e l’altra di violenza, rendiamo la vita impossibile ai cittadini di Gaza e poi ci sorprendiamo quando la situazione esplode. Parliamo di ‘normalizzazione’ delle relazioni con gli Emirati Arabi Uniti e ora con l’Arabia Saudita, sperando che il mondo chiuda un occhio sulla prigione a cielo aperto che abbiamo costruito nel nostro cortile. Oltre all’insostenibile violazione dei diritti umani, abbiamo creato un enorme problema di sicurezza per i nostri stessi cittadini. La domanda che tutti gli israeliani si fanno è: dov’erano i soldati ieri? Perché l’esercito era apparentemente assente mentre centinaia di israeliani venivano massacrati nelle loro case e nelle strade? La triste verità è che erano ‘impegnati’. In Cisgiordania. Mandiamo i soldati a proteggere le incursioni dei coloni nella città palestinese di Nablus, a inseguire i bambini palestinesi a Hebron, a proteggere i coloni durante i pogrom. I coloni chiedono che le bandiere palestinesi siano rimosse dalle strade di Hawara; i soldati sono mandati a farlo. Il nostro paese ha deciso, decenni fa, che è disposto a rinunciare alla sicurezza dei suoi cittadini nelle nostre città per mantenere il controllo su una popolazione civile di milioni di persone tenuta sotto occupazione, in nome degli obiettivi messianici dei coloni. L’idea di poter ‘gestire il conflitto’ senza doverlo risolvere sta ancora una volta crollando sotto i nostri occhi. È un’idea che ha retto finora perché solo pochi osavano sfidarla. I terribili eventi di questi giorni potrebbero cambiare le cose. Devono farlo. Per tutti noi, tra il fiume e il mare”. ◆
Con l’incursione nel territorio israeliano, Hamas ha stravolto la storia del conflitto. (p. 20). Foto di Tsafrir Abayov (Ap/Lapresse) e Eyad Baba (Afp/Getty)
DIRITTI
RITRATTI
31 Lettera
78 Sahra
da un carcere iraniano Le Monde NARCOTRAFFICO
35 La Costa Rica non
Wagenknecht Die Zeit ARTE
81 Superare gli stereotipi Art Review
è più un’eccezione Folha de S.Paulo
POP
94 La regina rom
POLONIA
39 I polacchi alle urne divisi e impauriti Europp
di New York Cosmin Nicolae SCIENZA
101 Perché fa ancora così caldo The Conversation
AFGHANISTAN
42 Dopo il terremoto mancano gli aiuti The New Humanitarian
ECONOMIA E LAVORO
107 La guerra
Financial Times
non ferma l’industria tessile Le Monde
STATI UNITI
Cultura
COREA DEL NORD
48 Una fuga d’amore
56 Prigioni per draghi The Marshall Project PANAMÁ
62 Un passaggio troppo affollato Le Monde SCIENZA
84
Cinema, libri, suoni
16
Domenico Starnone
44
Gideon Levy
Le opinioni
46
Anthony Samrani
84
Giorgio Cappozzo
86
Nadeesha Uyangoda
88
Giuliano Milani
92
Claudia Durastanti
98
Leonardo Caffo
Giancarlo Ceraudo
8
GRAPHIC JOURNALISM
Dalla redazione di Internazionale
16
Posta
66 I sogni dei ragni Knowable
internazionale.it/sommario
Sommario
“Erano i resti di un mondo di fantasia popolato da stregoni e orchi”
PORTFOLIO
70 L’ultimo volo
76 Cartoline
dall’Iraq Alessio Lo Manto, Emiliano Barletta
Le rubriche
19
Editoriali
111
Strisce
113
L’oroscopo
114 L’ultima
Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
7
Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1I65
Internazionale.it Articoli
DR
Video
Il bullismo in Europa Il 7 settembre un adolescente francese si è ucciso nella periferia di Parigi. Era vittima di bullismo, come molti altri, e la sua vita era diventata un inferno. Questa tragedia ha spinto la Francia ad adottare un piano d’emergenza per contrastare il fenomeno. Un problema che riguarda tutta l’Europa e che ogni paese affronta in modo diverso. Il video della tv franco-tedesca Arte.
ISRAELE-PALESTINA
FRANCIA
Un attacco che divide il mondo in tre gruppi C’è chi sostiene Israele e chi Hamas. Ma una grande maggioranza si dice neutrale.
Dieci cose da sapere sulle cimici dei letti Di cosa si nutrono, dove si annidano e cosa fare per debellarle.
MIGRANTI
CINEMA
L’accordo europeo non è una vittoria per l’Italia Giorgia Meloni lo ha presentato come un successo, ma è un testo con molte criticità per i paesi di frontiera.
Il lato oscuro degli esseri umani La moglie di Tchaikovsky è un romanzo storico sulla condizione umana e una fredda opera di analisi sociologica.
SOCIETÀ
MUSICA
Malta sovraffollata Negli ultimi dieci anni la popolazione è aumentata del 25 per cento, provocando problemi di rifiuti e d’inquinamento.
La voce ultraterrena di Jo Stafford American folk songs è una pietra miliare della discografia statunitense del dopoguerra.
Newsletter Risucchiati da TikTok
Il Medio Oriente Cile 1973 visto da Washington
◆ Sigrid, Benjamin e Amanda hanno tra gli 11 e i 14 anni, vivono in Svezia e hanno tutti e tre un profilo su TikTok. In questo articolo, tradotto dal giornale svedese Kamratposten, raccontano i loro dubbi a proposito del social network nato per condividere video e amato dagli adolescenti.
Nella newsletter che esce domenica 15 ottobre cerco di spiegare qual’è stata la reazione negli Stati Uniti all’attacco di Hamas e alla rappresaglia del governo israeliano nella Striscia di Gaza. E anche come questa nuova guerra in Medio Oriente chiama in causa il governo di Washington in un momento già molto complicato per la politica estera statunitense, segnato dalla competizione con la Cina e dal sostegno alla resistenza ucraina. Inoltre racconto la storia straordinaria di Keri Blakinger, la giornalista che ha scritto l’articolo pubblicato in questo numero a pagina 56. Per iscriversi: internazionale.it/newsletter Alessio Marchionna
In edicola
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Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
Guerre
In edicola, in libreria e online c’è il nuovo volume di Internazionale storia: Cile 1973. A cinquant’anni dal colpo di stato militare che rovesciò il governo di Salvador Allende e aprì la terribile stagione della dittatura di Augusto Pinochet, 192 pagine di articoli della stampa internazionale dal 1971 a oggi.
Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo
In edicola, in libreria e online
◆ Parole Chiave è la nuova collana nata dalla collaborazione tra Bur Rizzoli e Internazionale. Guerre è il titolo del primo volume, in cui attraverso reportage, analisi, schede e infografiche si approfondiscono cause, dinamiche e conseguenze di dieci conflitti in corso nel mondo. In libreria, 256 pagine, 18 euro
Immagini Si trema ancora Herat, Afghanistan 8 ottobre 2023 La ricerca dei superstiti sotto le macerie nel distretto di Zenda Jan dopo il terremoto che ha colpito la provincia di Herat il 7 ottobre. Il sisma di magnitudo 6,3 è stato il più disastroso degli ultimi vent’anni in Afghanistan e si calcola che siano morte quasi tremila persone. L’11 ottobre c’è stato un nuovo terremoto della stessa intensità, sempre nella zona di Herat. Foto di Ebrahim Noroozi (Ap/Lapresse)
Immagini Le ali della vittoria Hangzhou, Cina 8 ottobre 2023 La cerimonia di chiusura della 19a edizione dei Giochi asiatici, che si era aperta il 23 settembre. La manifestazione, a cui hanno partecipato 41 paesi del continente, avrebbe dovuto svolgersi nel 2022, ma era stata rinviata di un anno a causa della pandemia di covid-19. Le competizioni sono state dominate dalla Cina, che ha conquistato 201 medaglie d’oro. Il Giappone, secondo classificato, si è fermato a 52. Tingshu Wang (Reuters/Contrasto)
Immagini Giganti marini Cebu, Filippine Squali balena a Cebu, nelle Filippine. Con quest’immagine Erwin Lim ha partecipato all’Epson international Pano awards, un premio dedicato alla fotografia panoramica. Lo squalo balena è il più grande vertebrato non mammifero vivente. Da anni turisti e scienziati visitano i suoi habitat marini per osservarlo e fotografarlo. Secondo uno studio pubblicato su Nature, l’interazione con l’uomo rischia di influenzare il comportamento di questi pesci e l’ambiente in cui vivono. Foto di Erwin Lim (The 14th Epson international Pano awards)
[email protected] In guerra perdono tutti u Sabato 7 ottobre mi sono svegliato e ho notato che la maggior parte dei miei contatti su Instagram postava la frase “Pray for Israel”. Mi sono chiesto perché nessuno pregasse anche per i palestinesi. In una guerra perdono tutti e non ci sono morti meno importanti di altri. Giorgio Esposito
La valle del Po avvolta nell’inquinamento u Nell’articolo sull’inquinamento nella zona di Cremona (Internazionale 1531) sono evidenziate diverse cause e tra queste l’uso indiscriminato dell’auto, nonostante sia acclarato che hanno un impatto ambientale molto inferiore rispetto ad altre attività umane. Ciò che colpisce, in questo come in altri articoli analoghi, è l’assoluta indifferenza al numero di voli civili, militari e commerciali che impegnano i nostri cieli. Cremona, per esempio, ha in un raggio di 150 chilometri la bellezza di cinque
aeroporti. Sarebbe inutile dilungarsi sull’impatto ambientale generato dall’attività di tutti questi aeroporti, ma sarebbe interessante sapere quanti ambientalisti, vegani e animalisti rinunciano al fascino del Tibet, alla magia dell’aurora boreale, all’incanto delle balene in Patagonia o, banalmente, agli acquisti online per proteggere l’ambiente dagli effetti degli aerei supersonici. Fabio Zanaglia
La moglie di Tchaikovsky u Ho trovato magistrale la recensione del film La moglie di Tchaikovsky scritta da Francesco Boille (internazionale. it). Grazie per l’approfondimento e lo stimolo intellettuale, così rari in questo oceano di ottusità e superficialità. Luciana Albites
Il bullismo nelle scuole europee u Ho visto il video sul bullismo a scuola (internazionale.
it). Credo che questo fenomeno si alimenti dei pregiudizi, della paura del diverso e sia un riflesso dell’intolleranza che si manifesta oggi in tutti i paesi. Mara Matrone
u Su Internazionale 1532, a pagina 52, Istanbul non è la capitale della Turchia; a pagina 101, il titolo del quadro di Vermeer è Bicchiere di vino. Su Internazionale 1531, i luoghi citati nell’articolo a pagina 43 sono nella pianura Padana. Su Internazionale 1528, a pagina 53, il costo globale del cancro tra il 2020 e il 2050 potrebbe essere di 25.200 miliardi di dollari, ai prezzi costanti del 2017, e non 25,2 milioni di miliardi. Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE
Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it
Corpi bellissimi
Anche se non mi dici quanti anni ha tua nipote, la risposta non cambia: non è troppo piccola per questi discorsi. Questo perché il bombardamento so-
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ciale e mediatico sulla forma fisica delle donne comincia subito e non è mai troppo presto per fornire alle bambine più strumenti per non finire in quella “gabbia”. Ci sono una moltitudine di ricerche che indicano quanto la pubblicità, la tv, internet e i social impongano modelli fisici irrealistici, e quindi malsani per bambine, ragazze e donne. Ma vorrei soffermarmi su uno studio condotto dalla School of psychology dell’università di Sydney, in Australia, secondo cui un’esposizione, anche breve, a profili social che sostengono la body positivity, cioè modelli fisici più
Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
Domenico Starnone
A sangue versato
Errata corrige
Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli
Oggi ho sentito mia nipote rivolgere a sua madre domande del tipo: “Sono bella? Sono brutta?”. Siccome quello che accade alla sua età avrà ripercussioni sulla futura persona che sarà, mi chiedevo se ci fosse un modo per spiegarle che la questione della bellezza non deve diventare una “gabbia”. O se invece è ancora troppo piccola. –Samuela
Parole
realistici e non incentrati sulla magrezza, fa aumentare di molto la soddisfazione delle ragazze per il proprio fisico. Una cosa che puoi fare con tua nipote è sottolineare la bellezza di corpi considerati grassi. Io con i miei figli ho usato tutti i modelli che ho trovato: le mie amiche con corpi morbidi, la cantante Adele, la modella Precious Lee, Fiona (la moglie di Shrek). Non importa di chi si tratta, tu non perdere mai occasione di far notare a tua nipote la bellezza di una donna considerata sovrappeso. [email protected]
u Non se ne può più. La dose quotidiana di ferocia, sangue, morte, sta diventando di anno in anno, di mese in mese, di ora in ora, intollerabile. Meno male che in tv e sui giornali c’è sempre gente che la sa molto lunga e appena il tg racconta l’orrore del momento, ecco che di quell’orrore mostrano di sapere tutto da tempo. Spesso non è una vanteria, sanno davvero tutto, cause e concause che covavano il peggio d’oggi da decine o migliaia d’anni. Il bello – anzi il brutto – è che mentre loro parlano, voi seduti davanti allo schermo vi scoprite nella testa le stesse informazioni e pensate: guarda un po’, anche io sapevo tutto, solo che preso da mille guai ho tirato avanti per i fatti miei. E vi viene in mente che se sapevano già tutto gli ospiti televisivi e hanno tirato avanti per i fatti loro, se sapevate già tutto perfino voi e avete tirato avanti per i fatti vostri, a maggior ragione dovevano sapere già tutto i grandi del mondo con le loro schiere di valvassini grandicelli, tutti sapientoni. E concludete che questa scheggia di roccia è governata da gente che sa tutto sempre a sangue versato, a orrore trionfante, ma se si tratta di sistemare le cose prima, sono ferocissimi ottusi mentecatti che corrono dietro soltanto agli orrendi fatti loro e se ne fottono, autocrati e democratici, del grande puzzle dell’Orrore che pezzo dietro pezzo vanno loro stessi componendo.
ROMAJAZZFESTIVAL.IT — AUDITORIUM.COM — TICKETONE.IT — DICE.FM
Editoriali
Una strada difficile per la pace “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli, Gea Polimeni Imbastoni Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Sarah Victoria Barberis, Giuseppina Cavallo, Stefania De Franco, Francesco De Lellis, Andrea De Ritis, Davide Lerner, Giusy Muzzopappa, Andrea Sparacino, Mihaela Topala, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ijin Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]
Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 11 ottobre 2023 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 111 103 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi
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The Hindu, India L’attacco senza precedenti di Hamas contro Israele dovrebbe servire da promemoria dell’insostenibilità della situazione nei Territori palestinesi occupati, e dei pericoli che organizzazioni come Hamas rappresentano per Israele. Le tensioni in Cisgiordania aumentavano da tempo, ma nessuno si aspettava un’incursione coordinata così sanguinosa dalla Striscia di Gaza. Negli ultimi mesi in Cisgiordania le violenze sono state quotidiane. Da gennaio al 7 ottobre, giorno degli attacchi, sono morti duecento palestinesi e una trentina di israeliani. Il governo Netanyahu ha ignorato queste violenze e ha tirato dritto con le sue altre priorità politiche, come la riforma della giustizia. Riguardo a Gaza, l’esercito israeliano parlava di “stabile instabilità”: la situazione, si diceva, per quanto potenzialmente esplosiva era comunque sotto controllo. Poi sono arrivati gli attacchi di Hamas. Il gruppo islamista, che negli anni novanta e nei primi duemila ha compiuto molti attentati suicidi, non ha fatto distinzioni tra civili e militari, infliggendo a Israele il colpo più duro della sua storia recente. L’attacco solleva interrogativi morali e pratici. La violenza indiscriminata di Hamas è ripugnante e non aiuterà in nessun modo la cau-
sa palestinese. Al contrario, metterà in pericolo un numero ancora maggiore di palestinesi, mentre Israele bombarda l’enclave sotto assedio, senza curarsi delle vittime civili. Allo stesso tempo i Territori palestinesi sono un vulcano pronto a eruttare. Il processo di pace non esiste. Israele ha continuato a costruire insediamenti in Cisgiordania, alzando muri e posti di blocco, limitando i movimenti dei palestinesi senza rinunciare mai all’uso della forza o delle punizioni collettive per mantenere il controllo. Questo non ha fatto che radicalizzare i palestinesi. Ora Israele ha dichiarato guerra, anche se gli attacchi del passato – invasioni di terra e bombardamenti – non hanno mai indebolito Hamas. La regione negli ultimi anni ha assistito a un riallineamento geopolitico, con la riconciliazione tra Israele e alcuni paesi arabi, e la distensione tra Iran e Arabia Saudita. In questi cambiamenti, però, l’occupazione della Palestina, il peccato originale, è stata messa in secondo piano. Se Israele e gli altri paesi vogliono la pace e la stabilità nella regione, devono sforzarsi di trovare una soluzione. Se non si affronta il nodo centrale le operazioni militari saranno solo interventi di facciata. ◆ gim
Confusione a Bruxelles La Vanguardia, Spagna Il 9 ottobre i ministri degli esteri dell’Unione europea si sono riuniti in videoconferenza per discutere della guerra tra Israele e Hamas. Il giorno prima il commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, l’ungherese Olivér Várhelyi, aveva dichiarato che la Commissione avrebbe sospeso gli aiuti ai palestinesi, ma è stato smentito dallo sloveno Janez Lenarčič, commissario alla gestione delle crisi, secondo cui i fondi non sarebbero stati toccati. Con un comunicato la Commissione ha parlato di “una revisione urgente degli aiuti europei alla Palestina”. Infine Bruxelles, per salvare la faccia, ha precisato che non c’erano fondi da congelare perché non c’erano pagamenti pendenti. Con questa risposta caotica, la Commissione ha dato un’immagine di sé che di certo non rafforza la sua pretesa di leadership geopolitica. Le dichiarazioni di Várhelyi hanno evidenziato
il disaccordo nell’esecutivo comunitario. Alla fine della riunione del 9 ottobre, l’alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell ha detto che la maggioranza degli stati vuole continuare a cooperare con l’Autorità nazionale palestinese e che saranno aumentati gli aiuti alle vittime della guerra. La posizione ufficiale dell’Unione sul conflitto israelo-palestinese è il sostegno alla soluzione dei due stati. Per anni la politica europea è stata prudente e misurata, anche se di recente non sono mancati gli scontri con il governo Netanyahu. Mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è affrettata a riconoscere il diritto di Israele a difendersi, Borrell ha aggiunto che va rispettato il diritto internazionale umanitario. In pochi giorni abbiamo visto in Europa una mancanza di coordinamento e l’emergere di posizioni differenti. In questo caso l’Unione è partita proprio con il piede sbagliato. ◆ as Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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In copertina
Il ciclo della v Samuel Forey, Le Monde, Francia
ulla sembrava in grado di rompere la tranquillità di Ofakim. Questo borgo, sperduto tra le dune del deserto del Negev, a pochi passi dalla Striscia di Gaza, si è svegliato la mattina di sabato 7 ottobre, giorno del riposo settimanale ebraico che concludeva la settimana della festività di Sukkot. Eliakim Cohen, un ragazzo atletico con il mento appuntito sottolineato da un pizzetto, era solo nel suo appartamento che si affaccia su una stradina. Improvvisamente alle 6.30 le sirene hanno rotto il silenzio. Annunciavano una raffica di razzi lanciati dalla Striscia di Gaza, una routine della guerra a cui sono abituati tutti gli abitanti nei dintorni dell’enclave, che conoscono a memoria quanto tempo hanno a disposizione per precipitarsi nel rifugio più vicino, uno degli innumerevoli blocchi di cemento disseminati
N
Punti da dove i miliziani di Hamas sono entrati in Israele
10 km
Ashkelon
I luoghi degli attacchi di Hamas del 7 ottobre
Checkpoint di Erez
Sderot
Gaza
Striscia di Gaza (PALESTINA)
Kfar Aza Supernova Festival Beeri Base militare di Reim
ISRAELE
Ofakim Nir Oz
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Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
nel sud d’Israele. Cohen ha un rifugio proprio sotto casa. Però ha scelto di non andarci. Che senso aveva uscire? L’Iron dome, il dispositivo di difesa antiaerea israeliano, intercetta il 90 per cento dei razzi che partono da Gaza. Ma le sirene hanno suonato a lungo quella mattina, quasi un quarto d’ora. Poi è tornata la calma, fino a quando non si sono sentiti gli spari. “Ho visto arrivare quattro persone, armate, con uniformi che somigliavano a quelle dei militari israeliani”, racconta il giovane, che ha ripreso con il telefono quello che succedeva fuori dalla sua finestra. Ha notato che il verde delle mimetiche era meno scuro del solito, e che gli uomini non indossavano stivali o caschi, e imbracciavano dei kalashnikov. Ma perché preoccuparsi, dato che Gaza è a più di venti chilometri in linea d’aria, che le manifestazioni al confine con Israele erano state fermate una settimana prima, e che la zona è considerata una delle più sorvegliate al mondo? “Due o tre civili, persone del quartiere, gli sono andati incontro. Sono stati uccisi”, racconta Cohen. I miliziani sono avanzati. Da dietro un bidone un poliziotto in borghese, che era uscito per capire l’origine degli spari, ha agitato il berretto in direzione degli uomini armati, gridando: “Polizia, polizia!”. Quelli si sono avvicinati con calma, i fucili puntati a terra, poi uno ha premuto il grilletto e l’agente è morto sul colpo. “Pensava che fossero soldati israeliani. E anch’io lo credevo”, continua Cohen. L’uomo che ha sparato si è impossessato dell’arma del poliziotto e si è accorto di essere osservato attraverso le per-
SERGEY PONOMAREV (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)
L’incursione del gruppo islamista palestinese Hamas, che ha seminato morte e terrore nel territorio israeliano, segnerà la storia del conflitto. Con conseguenze inimmaginabili
siane. Ha fatto fuoco, con altrettanta pacatezza, verso Eliakim, che si è nascosto in fondo alla stanza. Gli assalitori non si sono fermati. Nella stessa strada sono entrati nel cortile di una casa. Michal Bilya, una giovane ma-
violenza Kfar Aza, Israele, 10 ottobre 2023
dre, ha visto da lontano “i soldati”, come li ha definiti: “Ma quando si sono avvicinati abbiamo capito che non erano israeliani. Dal modo in cui si comportavano, e parlavano arabo tra di loro”. Ai primi spari la famiglia, quattro adulti e sei bambi-
ni, è salita al piano di sopra. Improvvisamente, hanno sentito dei colpi sordi al piano terra e hanno visto il fumo. Forse granate? Lanciarazzi? Non importava, bisognava fuggire, c’era la figlia di Bilya di un mese da salvare. Mentre scoppiava-
no raffiche furibonde, sono passati attraverso una minuscola finestra, sono saltati su un tetto di lamiera, hanno raggiunto il tetto della casa vicina e si sono nascosti tra il muro e il serbatoio dell’acqua calda, uno dopo l’altro. Tranne l’ultimo. Uno Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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In copertina
MOHAMMED FAYQ ABU MOSTAFA (REUTERS/CONTRASTO)
Palestinesi sfondano la barriera al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, il 7 ottobre 2023
degli assaltatori gli ha sparato quando aveva solo una gamba fuori. Lui si è fermato, si è afflosciato, poi è caduto. “Era mio fratello”, dice Bilya. È finito sul tetto di lamiera e si è dissanguato, formando una pozzanghera. Gli assalitori se ne sono andati, senza voltarsi. La famiglia è rimasta nascosta per quattro ore, fino a mezzogiorno, sotto il sole ancora cocente di questo ottobre, coperta dalla polvere e dalla cenere, ricorda Bilya con la voce rotta per la morte del fratello.
Qualcosa di inedito Non era finita. I miliziani sono tornati indietro e hanno fatto irruzione nella casa del poliziotto che avevano appena ucciso per prendere in ostaggio una coppia, David e Rachel Edri. In altre case si sentivano esplosioni e sparatorie. Ofakim, con i suoi numerosi rifugi, era pronta per le raffiche di razzi. Ma non per un assalto di miliziani palestinesi che l’hanno rastrellata alla ricerca di bersagli da uccidere. Per quasi ventiquattr’ore hanno seminato il terrore. Stanati uno dopo l’altro, gli ultimi assalitori a morire nella notte tra il 7 e l’8 ottobre sono stati quelli che aveva-
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no guidato la cattura degli ostaggi. I miliziani sono arrivati da Gaza a bordo di due pick-up, abbandonati sulla strada principale per questo viaggio senza ritorno, in un’offensiva di Hamas che sta sconvolgendo la storia del conflitto israelo-palestinese. Il partito islamista ha lanciato un’invasione via terra, mare e aria, con dei parapendii motorizzati. Se si tralascia un attentato compiuto da due uomini del Fronte popolare di liberazione della Palestina-Comando generale, che una notte del 1987 partirono con due deltaplani dal sud del Libano, questa è la prima vera operazione aerea della storia militare palestinese. Il bilancio è sconvolgente: almeno 1.200 morti e più di 2.700 feriti, un centinaio di persone sequestrate (dati aggiornati all’11 ottobre). Qualcosa d’inedito nella storia di Israele. L’esercito israeliano ha contato ventinove punti d’incursione lungo una barriera ritenuta impenetrabile. Forse è stata furtivamente sabotata durante le manifestazioni che si sono svolte per tutto il mese di settembre, nel pieno delle festività ebraiche? Sembra che le difese fossero inesistenti. I combattenti sono svaniti sul-
le strade che circondano l’enclave, e sono ricomparsi in una decina di località seminando il panico. Sono piombati nel mezzo di un festival di musica elettronica dove c’erano ancora centinaia di persone a ballare nelle prime ore del mattino e hanno fatto irruzione a Sderot, una città di medie dimensioni che si trova proprio accanto a Gaza. Si sono impossessati di un commissariato, “un duro colpo”, ha ammesso Richard Hecht, portavoce dell’esercito israeliano. Hanno attaccato le basi militari di Reim e Zikim. Ma soprattutto sono penetrati nell’immenso checkpoint di Erez, che con le sue file di muri di cemento in successione e le alte torri era uno dei simboli del blocco israeliano dell’enclave, cominciato nel 2007. Da lì transitavano ancora, una settimana prima, i circa 18mila abitanti della Striscia autorizzati a lavorare in Israele. Mohammed Deif, il comandante delle Brigate al Qassam (il braccio armato di Hamas), ha annunciato l’inizio dell’operazione “Diluvio di Al Aqsa”. Il nome è un riferimento alla Spianata delle moschee, o monte del Tempio per gli ebrei, a Gerusalemme, terzo luogo santo dell’islam, di cui
Hamas si presenta come il protettore. “Il primo attacco, che ha colpito le posizioni, gli aeroporti e le fortificazioni militari del nemico, ha superato i cinquemila missili”, ha affermato Deif. Ha esortato i palestinesi di Israele e della Cisgiordania a “mettere il fuoco sotto i piedi degli occupanti”. E ha invitato anche il Libano, l’Iraq e la Siria a partecipare all’assalto. Considerato che ad aprile alcuni razzi erano stati lanciati su Israele dal territorio libanese, questa minaccia è da prendere sul serio. A Gaza i miliziani della Jihad islamica hanno annunciato di essersi uniti all’operazione lanciata da Hamas. Con queste azioni i combattenti di Hamas hanno cambiato i rapporti di forza sul campo. Intorno a Gaza l’indifferenza nei confronti dei razzi ha lasciato il posto alla paura per i miliziani infiltrati. Ofakim rappresenta il punto più avanzato dell’offensiva. Anche se la città è stata riconquistata, nessuno osa uscire. Alcuni abitanti rimproverano all’esercito la sua inazione. Altri, più radicali, lo definiscono complice. I soldati che cercavano d’impedire agli abitanti di Ofakim di smontare uno dei pick-up dei miliziani palestinesi si sono sentiti ribattere: “Lasciateci fare! Voi non c’eravate durante l’attacco! Non ci avete protetto!”. Nessuno capisce come sia potuto accadere un disastro di questa portata. “Israele si è svegliato in una mattina terribile”, riassume Richard Hecht. Cosa ancora più grave per lo stato ebraico, Hamas ha preso decine di ostaggi, dotandosi di uno strumento di pressione formidabile nei confronti del nemico. Sono stati portati via anche dei cadaveri. Fatto eccezionale, l’esercito ha ammesso i rapimenti, anche dei suoi soldati. Le forze armate israeliane cercano di evitarli a ogni costo. Negli anni ottanta elaborarono perfino il “protocollo Hannibal”, che concede alle truppe d’intraprendere qualunque azione necessaria per impedire il sequestro di un militare – “meglio un soldato morto che un soldato prigioniero” – che potrebbe essere scambiato con centinaia se non migliaia di detenuti palestinesi. Sembra che la procedura sia stata usata per l’ultima volta nel conflitto tra Hamas e Israele del 2014, quando furono catturati Oron Shaul e Hadar Goldin, dichiarati poi morti. Carri armati, artiglieria e caccia bombardarono l’area in cui Goldin era stato rapito il 1 agosto 2014, causando la morte di circa 120 abitanti di Ga-
za secondo fonti palestinesi. Si tratta di uno degli episodi più sanguinosi di quella guerra. Le Brigate al Qassam, tramite il portavoce Abu Obeida, suggeriscono che il protocollo sia stato riattivato. In una dichiarazione rilasciata l’8 ottobre il gruppo ha annunciato che in seguito al rapimento di un gruppo di prigionieri “il nemico ha ucciso un certo numero di suoi soldati dopo la cattura”.
Sostegno psicologico La risposta israeliana è cominciata già il 7 ottobre. A un incrocio non lontano dalla base aerea di Tel Nof alcune centinaia di veicoli erano parcheggiati a bordo strada. Alcuni riservisti si aggiustavano la divisa prima di presentarsi in servizio. Secondo il portavoce Richard Hecht hanno risposto all’appello in migliaia, anche alla frontiera libanese e nella Cisgiordania occupata. Al “Diluvio di Al Aqsa” l’esercito israeliano ha risposto con l’operazione “Spade di ferro”. A sud di Sderot l’esercito israeliano è avanzato poco alla volta, lasciando vedere le devastazioni dell’incursione di Hamas. Sulla superstrada regnava la desolazione: alcune auto erano abbandonate sul ciglio della strada, contro la barriera centrale; alcune erano mitragliate; altre erano incendiate; si vedevano tracce di sangue sull’asfalto. Le forze di sicurezza hanno organizzato delle ronde per cercare gli uomini di Hamas nascosti dietro le linee israeliane. I miliziani hanno continuato ad attaccare. Il 9 ottobre un ufficiale israeliano ha detto che la sua compagnia ne aveva uccisi due nei pressi della località di Mefsalim. I cadaveri giacevano ancora a terra, vicino al pick-up. Poco lontano, verso Gaza, due carri armati si muovevano sollevando un’immensa nube di polvere, che sembrava fondersi con il pennacchio scuro che sovrasta l’enclave. Fissavano la città con i loro cannoni. Qualche minuto prima un immenso convoglio di una trentina di carri armati trasportati su camion, talmente lungo da impiegare quindici minuti a passare, si dirigeva verso sud. Anche le ambulanze della Magen David Adom, il servizio di emergenza del paese, giravano alla ricerca dei feriti o dei morti. I soccorritori avevano appena chiuso in un sacco per cadaveri il corpo di CONTINUA A PAGINA 24 »
Cronologia
Dal terrorismo alla guerra u All’alba del 7 ottobre, dopo aver attraversato la barriera di confine dalla Striscia di Gaza, centinaia di miliziani di Hamas hanno assalito vari luoghi nel sud d’Israele. L’offensiva è stata condotta via terra, aria e mare, e Hamas ha sparato migliaia di razzi. Il bilancio degli attacchi è di più di 1.200 morti e 2.700 feriti. Decine di persone risultano disperse o in ostaggio (dati aggiornati all’11 ottobre). u L’esercito israeliano ha reagito bombardando la Striscia di Gaza e ha proclamato un “assedio totale” del territorio, sotto embargo dal 2007, sospendendo le forniture d’acqua, elettricità e generi alimentari. Secondo le autorità locali, i raid israeliani hanno ucciso più di mille persone e ne hanno ferite 4.500. u L’8 ottobre è cominciato anche uno scambio di colpi tra Israele e Hezbollah, il movimento libanese filo-iraniano alleato di Hamas. Il 9 ottobre tre soldati israeliani e tre miliziani di Hezbollah sono morti negli scontri al confine. In risposta al lancio di razzi, l’esercito israeliano ha colpito anche la Siria. u Il 9 ottobre l’Egitto ha chiuso il valico di frontiera di Rafah, l’unico punto di passaggio per la popolazione della Striscia di Gaza, colpito dai raid israeliani. u Il presidente statunitense Joe Biden ha affermato il 10 ottobre che aiuterà Israele a difendersi dal “male assoluto”. Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri, ha ribadito che Israele ha il diritto di difendersi, ma deve rispettare il diritto internazionale, e che i paesi dell’Unione manterranno gli aiuti ai palestinesi. L’Onu ha dichiarato che l’assedio totale di Gaza viola il diritto internazionale. u Il 10 ottobre Israele ha ripreso quasi del tutto il controllo del confine con la Striscia di Gaza e ha schierato migliaia di soldati. Si teme un attacco via terra. u L’11 ottobre il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il capo dell’opposizione Benny Gantz hanno annunciato un accordo per creare un governo di unità nazionale per la durata della guerra. Afp Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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In copertina un tassista il cui veicolo crivellato di proiettili era uscito violentemente di strada. “È stato ucciso ieri, ma lo stiamo raccogliendo solo oggi. Ci sono cadaveri ovunque. Riceviamo chiamate da tutto il paese. Alcune persone cercano i loro cari. Noi facciamo di tutto per ritrovarli”, dice un infermiere. Perché, oltre ai morti e agli ostaggi, ci sono i dispersi. Le forze israeliane hanno aperto il loro servizio investigativo nel quartiere di Airport city, un centro commerciale vuoto e immacolato non lontano dall’aeroporto. L’annuncio è stato diffuso a mezzanotte del 7 ottobre sulla radio pubblica. “Alle 4 del mattino c’erano già centinaia di persone. Per un disperso possono venire decine di parenti o amici e ci sono molte richieste. Chiediamo alle persone di portare foto e cose che possono servire per il test del dna, come spazzolini da denti o vestiti. Se c’è una correlazione vengono passate alla polizia. Vogliamo incoraggiare i cittadini a venire. Qui troveranno un po’ di supporto”, dice un ufficiale che chiede di restare anonimo, come tutte le persone intervistate intorno al centro. “Sto cercando due ragazzi. Non so cosa gli sia successo. Ho le loro magliette e un rasoio da barba”, dice una ragazza, con gli occhi spenti dalla stanchezza. Come tutti gli altri visitatori, prima ha parlato con un assistente sociale. Uno di loro, che lavorava già durante la seconda intifada (2000-2005), spiega il suo ruolo: “Lascio che raccontino la loro storia. Valuto i bisogni e se devono ricevere assistenza li indirizzo all’aiuto psicosociale. Israele non ha mai subìto un trauma simile. In un giorno centinaia di persone sono state uccise. Non avevamo mai visto niente del genere. Neanche cinquant’anni fa, con la guerra del Kippur. Erano i soldati a essere presi di mira, non i civili”. A quasi cinquant’anni da quel conflitto, in cui Israele fu colto di sorpresa da un attacco coordinato di Egitto e Siria che dimostrò che lo stato ebraico non era invincibile, lo scenario sembra ripetersi. Ma l’aggressione del 2023 si è verificata nel cuore del suo territorio, e la prima vittima è stata la popolazione. Nel cupo centro commerciale l’unità di ricerca dei dispersi risplendeva debolmente, come un faro lontano. Era una serata tranquilla e calda, senza troppi lanci di razzi. Hamas ne ha lanciati parecchi. Ora conserva le sue scorte. La guerra sarà lunga. u fdl
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Israele
Il dilemma degli ostaggi The Times of Israel, Israele Hamas tiene prigioniere decine di persone. Il loro destino peserà sulle decisioni del governo di Netanyahu a cattura di decine di israeliani tra soldati e civili – donne anziane, bambini, intere famiglie – compiuta dai terroristi di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre ha suscitato emozioni più viscerali di qualunque altra crisi nella memoria recente del paese, e ha messo il governo di estrema destra del primo ministro Benjamin Netanyahu di fronte a un dilemma impossibile. Il rapimento nel 2006 di un solo soldato, Gilad Shalit, ossessionò la società israeliana per anni, spingendo Israele a bombardare la Striscia di Gaza e infine a rilasciare più di mille prigionieri palestinesi, molti dei quali condannati per attacchi terroristici contro israeliani, in cambio della libertà di Shalit. Oggi, la cattura di un numero così alto di ostaggi aumenta la pressione su Netanyahu e sui suoi alleati di estrema destra. La promessa di scatenare tutta la forza militare contro Hamas ha sollevato timori per la sicurezza dei civili israeliani trattenuti in località sconosciute nella Striscia densamente popolata. Localizzare gli ostaggi a Gaza – cosa che l’intelligence israeliana non fu in grado di fare nel caso di Shalit – pone ulteriori sfide. Anche se Gaza è molto piccola, soggetta a una costante sorveglianza aerea e circondata da forze terrestri e navali, gli esperti sostengono che questo territorio ad appena un’ora da Tel Aviv resta opaco per le agenzie d’intelligence. “Non sappiamo dove sono gli israeliani”, dice Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu. “Quindi l’esercito dovrebbe bombardare tutto”. Hamas ha già dichiarato di volere il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane – circa 4.500 persone secondo l’organizzazione israeliana di sinistra B’Tselem – in cambio degli
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ostaggi israeliani. La sorte dei prigionieri è una questione emotiva sia per i palestinesi sia per gli israeliani. Si stima che 750mila palestinesi siano passati dalle carceri israeliane da quando Israele ha conquistato la Cisgiordania nel 1967. Israele li ritiene terroristi, ma i palestinesi li considerano eroi. L’Autorità nazionale palestinese (Anp), che amministra parti della Cisgiordania, destina l’8 per cento del suo bilancio a sostenere queste persone e le loro famiglie.
Estrema sensibilità “Il rilascio dei prigionieri sarebbe una cosa grossa per Hamas”, dice Khalil Shikaki, direttore del Palestinian center for policy and survey research, con sede a Ramallah. “Consoliderebbe la sua posizione e ridurrebbe ulteriormente la forza e la legittimità” dell’Anp. Ma Tel Aviv si oppone a qualunque gesto possa essere considerato come una resa ai palestinesi. Non c’è “alcuna possibilità” che il governo accetti il rilascio di prigionieri palestinesi, sostiene Gayil Talshir, politologa dell’università ebraica di Gerusalemme. “I radicali e gli estremisti all’esecutivo vogliono radere al suolo Gaza”. Ma per Netanyahu potrebbe essere politicamente rovinoso che i civili israeliani finiscano sotto i bombardamenti o a languire per anni nelle prigioni di Hamas mentre Israele s’impegna in una campagna senza una fine chiara. Quando si tratta di ostaggi l’opinione pubblica israeliana è punta sul vivo e questo spiega quanto può essere potente l’arma del sequestro in un paese dove la leva è obbligatoria dai diciotto anni e l’esercito si vanta di non abbandonare mai i suoi uomini e donne. In passato la pressione e le campagne della società israeliana per mettere fine alla prigionia di suoi cittadini hanno indotto i governi ad accettare scambi sproporzionati. u fdl Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta dall’agenzia di stampa Associated Press.
urla, mentre il suo fidanzato viene portato via a piedi, con un braccio piegato dietro la schiena.
Sderot, Israele, 7 ottobre 2023
OREN ZIV (AFP/GETTY)
Kfar Aza Il 10 ottobre i soldati israeliani sono passati di casa in casa a Kfar Aza, un kibbutz attaccato da Hamas a poca distanza dal confine con Gaza, per controllare se c’erano trappole e recuperare i cadaveri. I giornalisti del New York Times che sono andati nel villaggio hanno visto corpi su sentieri e prati, nelle case e in altri luoghi. “È un massacro”, ha dichiarato il generale Itai Veruv. “È qualcosa che non ho mai visto prima, ricorda uno dei pogrom avvenuti ai tempi dei nostri nonni”.
La scia di morte di Hamas The New York Times, Stati Uniti L’assalto nei kibbutz, nelle strade, alla festa: i giornalisti del New York Times hanno verificato le notizie e le testimonianze egli attacchi nel sud di Israele, gli uomini di Hamas hanno ucciso più di mille persone, tra cui donne e bambini, e ne hanno rapite centinaia. Forze armate, soccorritori e sopravvissuti hanno raccolto le prove di quello che è successo: filmati di telecamere di sicurezza, video e foto scattate con gli smartphone. Questo materiale dimostra che i miliziani hanno attaccato i civili israeliani nei luoghi in cui si trovavano in un sabato mattina qualunque, durante una festa all’aperto o nelle loro case, in strade frequentate e nel centro della città.
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Kibbutz di Beeri L’assalto è cominciato intorno alle 6 del mattino di sabato 7 ottobre. Le telecamere di sicurezza al cancello del kibbutz mostrano due uomini armati che cercano di entrare. Quando un’auto si ferma sulla
strada, i due sparano alle persone a bordo e poi entrano. Un’ora dopo almeno otto uomini armati erano all’interno del kibbutz. Un altro video sembra mostrare diversi israeliani presi prigionieri. Alla fine i soccorritori hanno rimosso i corpi di più di cento persone, dice Moti Bukjin, portavoce dell’organizzazione di soccorso Zaka. “È stato un lavoro orribile, c’erano tanti bambini”, racconta. Festival Supernova Poco dopo l’alba di sabato centinaia di uomini armati hanno sfondato le barriere tra Gaza e Israele e hanno attraversato i terreni agricoli della zona di confine, raggiungendo un festival cominciato la sera prima e hanno aperto il fuoco. “Fumo, fiamme e spari”, dice uno dei sopravvissuti, Andrey Peairie, 35 anni. I miliziani hanno rapito un numero imprecisato di persone presenti all’evento, che si svolgeva a circa cinque chilometri dal confine con Gaza. Un video, verificato dal New York Times, mostra due miliziani di Hamas che se ne vanno su una motocicletta con una donna israeliana stretta tra loro che
Sderot Anche l’attacco a Sderot, una città a poco più di un chilometro da Gaza, è cominciato la mattina presto del 7 ottobre, con almeno due pickup che trasportavano uomini armati e una mitragliatrice. Sono stati colpiti civili in auto e a piedi. Alcuni sono stati uccisi sotto un cavalcavia mentre aspettavano l’autobus. A un’altra fermata dell’autobus sono stati trovati morti sette civili. I filmati girati dai residenti di Sderot mostrano i miliziani che sparano sui civili, affrontano i poliziotti in strada e prendono il controllo della stazione di polizia. Nir Oz I dettagli stanno ancora emergendo da molte comunità nel raggio di chilometri intorno alla Striscia di Gaza, e non c’è un bilancio chiaro delle vittime. Ma video, foto e sopravvissuti raccontano di molti attacchi in tutta la regione. Un video di trenta minuti che è stato pubblicato su Facebook e la cui posizione è stata verificata mostra dei palestinesi armati che attraversano il confine e si dirigono verso la comunità di Nir Oz. Si sentono forti grida e spari. Alla fine, nel video si vede l’interno di una stanza dove giacciono a terra almeno sei corpi. Un uomo armato spara sui corpi e il video s’interrompe. L’esercito israeliano ha dichiarato di non essere ancora in grado di stimare quante persone sono state uccise o rapite a Nir Oz. Ma quando, dopo l’attacco durato almeno otto ore, tutti i sopravvissuti sono stati radunati in un asilo, una donna e sua figlia hanno notato che era scomparsa circa la metà degli abitanti. u bt Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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In copertina
YAHYA HASSOUNA (AFP/GETTY)
Gaza, Palestina, 11 ottobre 2023
Un fallimento senza precedenti Chaim Levinson, Haaretz, Israele La situazione attuale è il risultato di anni di scelte politiche sbagliate. Ora Israele deve cambiare strada ualsiasi cosa Israele faccia da questo momento in poi non ha senso. Come nella guerra del Kippur del 1973, la sconfitta è arrivata subito. Il resto è storia. L’esercito e lo Shin bet, i servizi di sicurezza interni, con tutti i loro mezzi, i droni, le intercettazioni, l’intelligence, lo sfruttamento degli informatori, l’intelligenza artificiale e i geni dell’unità d’élite 8200: nessuno aveva idea di cosa stava per accadere. L’operazione di Hamas è stata un evento
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cruciale per Israele. Il senso di sicurezza è crollato. Il nemico ha portato la guerra in territorio israeliano senza incontrare ostacoli. L’esercito è nudo. Per non parlare della polizia, incapace anche di fermare i ladri d’auto. E soprattutto c’è la crescente consapevolezza che lo stato in Israele non c’è, che non è il caso di dirsi “se mi succede qualcosa, arriverà qualcuno”. È successo qualcosa e non è arrivato nessuno. Le persone sono rimaste intrappolate nelle loro case per ore, di fronte a terroristi in jeep, e nessuno è venuto. La società israeliana non sarà più quella che era prima del 7 ottobre. Proprio come la guerra del Kippur, anche questo attacco ha cambiato Israele. Come accadde allora con il governo di Golda Meir, quello
attuale ha fallito sotto i nostri occhi, troppo impegnato a cavalcare l’euforia e la convinzione che l’inazione sia meglio dell’azione. Per quattordici anni Benjamin Netanyahu ha rimandato ogni decisione. Per quattordici anni c’è stata un’assuefazione alla menzogna dello status quo, ai combattimenti continui, all’ingannevole idea che i nemici fossero scoraggiati. E, grazie a quattordici anni di Netanyahu, un po’ alla volta sono cresciute le mutazioni che mettono in pericolo la nostra esistenza qui.
Punto di svolta I nove mesi precedenti sono stati solo l’anteprima. Milizie armate di coloni che agiscono in Cisgiordania con il sostegno del governo; lo stato di diritto indebolito; elementi fascisti all’interno del governo; un fallimentare ministro della sicurezza nazionale; parlamentari che glorificano gli assassini; un insieme di ministri del Likud sprovveduti, senza alcuna esperienza professionale rilevante; una pubblica amministrazione allo sfascio, servizi sociali inesistenti. Mancano agenti di po-
lizia e vigili del fuoco. Gli avvertimenti sono stati ignorati. E questo è il prezzo. Israele è a un punto di svolta. In uno scenario ottimistico, abbandoneremo questo branco di leader falliti preferendo persone valide e di talento, capaci di rimettere in moto il paese. Il governo si occuperà di sanità, welfare, sicurezza e istruzione per il bene dei cittadini. La ministra dell’informazione Galit Distal-Atbaryan tornerà a fare film per l’emittente pubblica israeliana. Il fronte progressista che si è unito negli ultimi nove mesi combatterà per il paese. Nello scenario pessimistico, le fazioni fasciste del governo approfitteranno della crisi per individuare i nemici e i traditori responsabili del disastro: chi ha fatto sì che non reagissimo, chi ci ha fatto diventare più deboli. Cercheranno di cacciarli, di reprimerli, di mandare la guardia nazionale a cercarli. I regimi fascisti hanno sempre approfittato delle crisi sociali e di sicurezza per marchiare i traditori. Siamo in guerra per la nostra casa, con Hamas fuori e i fascisti dentro. Per loro la crisi è un’opportunità. Non possiamo permetterci di chiudere gli occhi. u dl
Da sapere Cos’è Hamas u Hamas (in arabo “zelo” o “coraggio”, da Hms, sigla del Movimento islamico di resistenza) è un’organizzazione politica e paramilitare palestinese fondata da Ahmed Yassin nel 1987, durante la prima intifada. Nel 2006 ha vinto le elezioni parlamentari e l’anno successivo ha preso con la forza il controllo della Striscia di Gaza, sottraendolo all’Autorità nazionale palestinese. Israele ha risposto con il blocco della Striscia, limitando i movimenti di merci e persone e mettendo in ginocchio l’economia locale. Oggi i leader dell’organizzazione sono Yehia Sinwar e Ismail Haniyeh, che hanno avvicinato il gruppo all’Iran e ai suoi alleati, incluso il movimento libanese Hezbollah. Le Brigate al Qassam sono la sua ala militare. I suoi obiettivi sono la liberazione dei territori palestinesi dalla presenza ebraica e la distruzione di Israele. I militanti hanno compiuto molti attacchi suicidi, e dall’inizio degli anni duemila hanno lanciato dalla Striscia di Gaza migliaia di razzi contro Israele, con cui negli ultimi quindici anni Hamas è stata impegnata in quattro conflitti armati: nel 2008, nel 2012, nel 2014 e nel 2021. È considerata un’organizzazione terroristica da Stati Uniti, Unione europea e altri paesi occidentali. Al Jazeera
Opinioni a confronto
Vittoria e vendetta Alcuni commenti della stampa araba, palestinese e israeliana mostrano posizioni opposte e inconciliabili li attacchi di Hamas e la reazione d’Israele hanno scatenato commenti forti e schierati nella stampa palestinese, araba e in quella israeliana. Lo scrittore e intellettuale libanese Elias Khoury dice sul quotidiano panarabo Al Quds al Araby che per tutti i palestinesi è già una vittoria “qualunque sia il prezzo da pagare”, perché “la più grande prigione a cielo aperto, il ghetto di Gaza, ha dichiarato guerra a Israele. E ha dimostrato che l’occupazione può disintegrarsi sotto i colpi degli ultimi, la povera gente di Gaza”. Secondo Khoury, “ora sappiamo che il popolo palestinese non morirà. Il vecchio gioco in cui Israele uccideva a suo piacimento, bruciava villaggi, dava lezioni alle sue vittime e non gli importava di giustificarsi è finito, come è finita la menzogna della pace. I palestinesi non hanno altra scelta che resistere in difesa della propria esistenza”. Molti osservatori palestinesi sottolineano lo squilibrio a favore d’Israele nella copertura giornalistica internazionale. L’attivista e poeta Mohammed el Kurd scrive su Twitter: “Durante il notiziario delle 22 della Bbc hanno parlato del bombardamento su Gaza per due minuti. Il 90 per cento del telegiornale era dedicato a leccare i piedi all’esercito israeliano. Non si tratta nemmeno di pregiudizio: è una dichiarazione di fedeltà al regime sionista”. Il quotidiano palestinese Al Ayyam, vicino all’Autorità nazionale palestinese, condanna le reazioni dei paesi occidentali che dimostrano “radici profondamente razziste”. Dalle loro dichiarazioni traspare la convinzione che “la vita dei palestinesi non può essere equiparata a quella degli israeliani”. Sul canale tv conservatore statunitense Fox News, Michael Levin esorta
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il premier israeliano a “mostrarsi all’altezza del suo compito” e a proteggere Israele con ogni mezzo: “Non stiamo parlando di vendetta, anche se il desiderio di vendetta è grande. La vendetta ci renderebbe non migliori dei nostri nemici. Stiamo parlando di sicurezza, di fare tutto il possibile, dovunque e per tutto il tempo necessario, per prevenire un’altra esplosione di violenza”. Yossi Yehoshua esprime la stessa opinione sul giornale israeliano Yedioth Ahronoth: “Ora il mondo è solidale con Israele, sulla scia del sostegno mostrato dagli Stati Uniti, ma è una posizione temporanea. Il momento per agire non durerà a lungo: prima che passi, Gaza dovrà pagare un prezzo che le lascerà un trauma così profondo da impedirle di considerare azioni del genere in futuro. È obbligatorio battere il ferro finché è caldo, perché tra poco le attestazioni internazionali di solidarietà saranno rimpiazzate da richieste di mettere fine al conflitto nella maniera più pacifica possibile”. Sul Times of Israel, l’editorialista Haviv Rettig Gur cita Moshe Dayan, ex ministro della difesa che esortava Israele a muoversi come una “tigre ferita, imprevedibile e disperata”, per dissuadere i suoi nemici dall’attaccare. Secondo Rettig Gur, “Hamas sta mettendo alla prova questo vecchio adagio: ha fatto di tutto per cambiare la mente israeliana e farla passare da una comoda fiducia nelle proprie forze a un senso di terribile vulnerabilità. Ma presto conoscerà le conseguenze di questo errore di calcolo. Un Israele forte può tollerare un Hamas bellicoso ai suoi confini; uno più debole non può. Un Israele sicuro può dedicare tempo e risorse alle ricadute umanitarie di una guerra di terra a Gaza; un Israele vulnerabile non può. Un Israele ferito e indebolito è un Israele più feroce. Hamas una volta era una minaccia tollerabile. Si è reso intollerabile, convincendo gli israeliani di essere troppo fragili per rispondere con la vecchia moderazione”. u Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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In copertina Da sapere
Gaza, Palestina, 7 ottobre 2023
Le vittime in quindici anni
Nella Striscia di Gaza sotto assedio
Palestinesi
Israeliani
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899
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2009
1.066
11
2010
95
8
2011
124
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2012
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2016
109
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2019
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2020
30
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2021
349
11
2022
191
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2023 (settembre)
227
29
6.407
308
Mohammed R. Mhawish, +972 Magazine, Israele
Totale
I palestinesi sono stati lasciati senza alternative, scrive un giornalista che vive a Gaza con la famiglia
della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, l’80 per cento fa affidamento sugli aiuti esteri e il futuro dei giovani è incerto: il 64 per cento è disoccupato, e i loro sogni e le loro aspirazioni sono soffocati dal blocco. La maggior parte degli abitanti di Gaza sono rifugiati che vivono in un esilio perenne, dopo essere stati espulsi durante la nakba, la catastrofe del 1948. Nel 2018 e nel 2019 la richiesta di mettere fine all’assedio ha risuonato in tutto il mondo, quando migliaia di palestinesi hanno manifestato contro il muro di separazione durante la grande marcia del ritorno (una protesta che è stata rilanciata nelle ultime settimane). Israele ha risposto uccidendo centinaia di persone. Il mondo è stato a guardare mentre vivevamo qui, intrappolati in questa prigione a cielo aperto. Abbiamo sopportato per decenni e ci siamo aggrappati alla speranza e alla nostra determinazione a resistere: se mai ne avessimo avuto la possibilità, lo avremmo fatto. Quello che Israele e gran parte delle persone chiama “calma” è l’angosciosa quiete che aleggia prima della tempesta, prima che Gaza sia gettata ancora una volta nel caos. “Cal-
amas è evaso dalla sua gabbia di Gaza lanciando un’operazione senza precedenti che ha preso alla sprovvista l’esercito israeliano. Per chi come noi si trovava dentro la Striscia di Gaza assediata è stato terrificante. Poco dopo l’inizio dell’attacco Israele ha dichiarato lo stato di guerra, avviando una raffica di raid aerei in tutta la Striscia, colpendo ospedali, luoghi pubblici e complessi residenziali. Il bilancio delle vittime a Gaza ha già superato i mille morti, i feriti sono migliaia e sembra inevitabile che il peggio debba ancora venire. Da quando si sono diffuse le prime notizie dell’attacco la mattina del 7 ottobre vivo un incubo a occhi aperti con mia moglie, mio figlio Rafik di due anni, mia sorella e i nostri genitori. Durante i bombardamenti israeliani ci stringiamo, tenendoci le mani. Le nostre preghiere appaiono fragili, a ricordarci che non siamo in grado di proteggere noi stessi.
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Questa non è la nostra prima esperienza con le guerre israeliane a Gaza. Mio figlio ha provato cosa fanno le bombe già nel 2021, mentre era ancora nel grembo di sua madre. I miei genitori subiscono questa tragedia dal 1967. Io ho vissuto cinque guerre in appena vent’anni. Ma l’idea che possiamo normalizzare la paura è falsa. Ogni conflitto sembra il primo.
Solo una facciata Il nuovo attacco di Hamas segue una serie d’intense settimane di violenza dello stato e dei coloni israeliani nei territori occupati, che hanno avuto un ruolo importante nella crisi attuale. I palestinesi avevano lanciato l’allarme, avvertendo che il blocco, l’impoverimento persistente, le ripetute aggressioni israeliane e la frammentazione delle loro comunità avrebbero prima o poi portato a un’esplosione. Quello che ha sorpreso la maggior parte dei palestinesi, sia in patria sia nella diaspora, sono le dimensioni e la forza dello scoppio. La vita quotidiana a Gaza si è deteriorata negli ultimi sedici anni di assedio israeliano. Oggi circa il 97 per cento dell’acqua è considerata non potabile, più
FONTE: UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE PER GLI AFFARI UMANITARI
SAMAR ABU ELOUF (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)
Numero di palestinesi e israeliani uccisi in Palestina e in Israele dal gennaio 2008 al settembre 2023
ma” è quando Gaza è bombardata, mentre i villaggi e le città nel resto delle nostre terre occupate sono invase, le case demolite, i giornalisti uccisi, le ambulanze attaccate, le moschee vandalizzate, le scuole colpite con i lacrimogeni e i palestinesi massacrati. Questa facciata di calma va in frantumi quando i palestinesi, spinti al limite, alla fine rispondono alle pressioni incessanti. Magari il mondo guarderà sconvolto, ma per noi è il culmine di anni di sofferenza e disperazione. È il momento in cui difendiamo la nostra esistenza e il diritto a vivere pacificamente in libertà.
La valigia pronta È vero che le carenze dell’intelligence israeliana hanno permesso a Hamas di cogliere Israele alla sprovvista, ma la situazione è anche il risultato di una mancanza d’immaginazione, empatia e moralità. È un’incapacità di comprendere che non ci si può aspettare da un popolo la sopportazione stoica e passiva di decenni di occupazione. Israele conduce una guerra contro il popolo palestinese da più di settant’anni attraverso la pulizia etnica, l’occupazione, l’apartheid e l’assedio a Gaza. Eppure, nonostante il suo potere militare di gran lunga superiore, i fatti recenti mostrano il fallimento della retorica dei leader israeliani, che non sono stati in grado di realizzare la pace e la sicurezza. Quello che il mondo non riesce a capire è che il popolo palestinese ha il diritto di usare la resistenza armata nella lotta per la libertà e di difendersi dall’aggressione israeliana. Da anni ormai a Gaza famiglie come la mia hanno tutti gli oggetti più importanti sempre pronti in valigia, nel caso in cui dovessero andar via da un momento all’altro. Nelle borse ci sono prodotti essenziali per sopravvivere in mezzo al caos: medicine, documenti, caricabatterie per cellulari, effetti personali e kit igienici. Ora, mentre scrivo queste parole, io e la mia famiglia stiamo radunando in tutta fretta le nostre valigie per lasciare casa, perché ci è stato detto che il nostro quartiere sta per essere bombardato. Ho vissuto cinque guerre contro Gaza, ma non ho mai avvertito tanto orrore e visto tanta distruzione. u fdl Mohammed R. Mhawish è un giornalista e scrittore palestinese che vive a Gaza.
Opinioni a confronto
Il mondo si è capovolto Un giornalista palestinese e una israeliana denunciano che la facciata di normalità di Israele non è più sostenibile ochi giorni dopo il noioso discorso pronunciato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu all’Onu per annunciare la creazione di un nuovo Medio Oriente centrato su Israele e i suoi nuovi alleati arabi, i palestinesi, completamente omessi dalla sua fantasiosa mappa regionale, hanno inflitto a lui e a Israele un colpo fatale, sul piano politico e strategico”, scrive l’analista Marwan Bishara su Al Jazeera. “Quello che Hamas voleva ottenere non è un segreto: voleva vendicarsi e punire Israele per l’occupazione, per gli insediamenti illegali e la profanazione di simboli religiosi palestinesi, in particolare la moschea Al Aqsa a Gerusalemme. C’era poi il desiderio di colpire la normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo, che ha accettato il regime di apartheid instaurato da Tel Aviv. Infine, voleva garantirsi uno scambio di prigionieri, come quello con cui è stato rilasciato Yahya al Sinwar, il leader di Hamas nella Striscia di Gaza che ha trascorso più di vent’anni in una prigione israeliana. Al pari di tanti altri palestinesi, anche Mohammed Deif, il capo dell’ala militare di Hamas, ha perso i suoi cari a causa della violenza israeliana. È chiaro perciò che l’operazione ha anche un risvolto punitivo e vendicativo”. Bishara considera la risposta militare israeliana “un gravissimo errore” che “isolerà Israele come mai prima. La scandalosa umiliazione che ha subìto sta già indebolendo la sua posizione nella regione. I regimi arabi che hanno normalizzato le relazioni e collaborano con il governo di Netanyahu sembrano decisamente sciocchi”. Secondo Bishara anche l’Autorità nazionale palestinese “sta fallendo sul piano politico, nel tentativo di tenersi in equilibrio tra la condanna
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dell’occupazione e la collaborazione con Israele nel campo della sicurezza. Questo equilibrio non è più sostenibile. Il cambiamento riguarda i due popoli e la loro volontà di vivere in pace o morire combattendo. Non c’è più tempo e spazio per le vie di mezzo”. Su Haaretz la giornalista israeliana Amira Hass scrive: “In pochi giorni gli israeliani hanno vissuto quello che i palestinesi vivono da decenni: incursioni militari, morte, crudeltà, bambini uccisi, corpi ammucchiati per strada, assedio, paura, ansia per i propri cari, prigionia, vendetta, fuoco indiscriminato, distruzione di edifici, vacanze o feste rovinate, impotenza di fronte a uomini armati e umiliazione. Ve l’avevamo detto. L’oppressione e l’ingiustizia esplodono in momenti e luoghi inaspettati. Lo spargimento di sangue non conosce confini. Il mondo si è improvvisamente capovolto e l’incubo quotidiano dei palestinesi ha mandato in frantumi la facciata di normalità che ha caratterizzato la vita di Israele per decenni. Hamas l’ha schiacciata con un’operazione che ha mostrato ingegnosità militare e capacità di fare piani, tenerli segreti e usare tattiche diversive. I suoi uomini si sono lanciati in questa campagna con la volontà di sacrificare la vita, sapendo di avere buone probabilità di essere uccisi”. Amira Hass si chiede: “Hamas ha un progetto e un obiettivo politico realistici, o cercava soprattutto di riabilitarsi agli occhi dei residenti di Gaza? L’operazione militare è affiancata da un piano per assistere e salvare i civili di Gaza sotto attacco? O il compito spetterà ancora una volta alle agenzie umanitarie internazionali?”. Come in passato, osserva Hass, la conclusione dell’esercito israeliano e di molti cittadini è che servono altra morte e altra distruzione. “A quanto pare è anche la conclusione dei governi occidentali, che si sono affrettati a esprimere il loro sostegno a Israele, ignorando la sua violenza e la sua crudeltà strutturale e il contesto di espropriazione del popolo palestinese dalla sua terra”. u gim, dl Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Il nuovo libro di ERIK ANGNER come sfruttare il potere dell’economia per migliorare la nostra vita “Un perfetto promemoria su come l’economia possa aiutare a strutturare il nostro pensiero critico per affrontare questioni esistenziali, come il cambiamento climatico o quelle più quotidiane, come la genitorialità”. Financial Times
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Africa e Medio Oriente
REIHANE TARAVATI (AFP/GETTY)
Narges Mohammadi. Teheran, 4 febbraio 2021
DIRITTI
Lettera da un carcere iraniano Narges Mohammadi, Le Monde, Francia Da anni in prigione per aver difeso i diritti umani, Narges Mohammadi ha appena ricevuto il Nobel per la pace. A giugno ha scritto un testo che dà voce a chi lotta contro i regimi autoritari Carcere di Evin, Teheran, giugno 2023 o scopo delle mie parole è dare un volto agli esseri umani che, ovunque nel mondo, subiscono una prigionia, tra le mura di un carcere o di un paese oppressivo, e che nonostante tutto aspirano a far cadere questi e altri muri: quelli dell’ignoranza, dello sfruttamento, della povertà, della privazione e dell’isolamento. Sentite in Iran il rumore sordo del muro della paura che s’incrina? Presto lo sentiremo crollare grazie alla volontà implacabile, alla forza e alla determinazione incrollabile degli iraniani. In quanto donna, e come milioni di altre donne iraniane, mi sono sempre dovuta confrontare con la prigionia imposta dalla cultura patriarcale, dal potere reli-
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gioso e autoritario, dalle leggi discriminatorie e repressive e da ogni tipo di restrizione in qualsiasi ambito della mia vita. La nostra infanzia non è sfuggita a questa prigionia culturale. “Loro” non ci hanno permesso di vivere la nostra giovinezza e, in una parola, la nostra vita. La triste verità, in fondo, è che il governo autoritario, misogino e religioso della Repubblica islamica ci ha rubato la vita. Da una parte e dall’altra delle mura del carcere di Evin, dove siamo state imprigionate, non siamo rimaste immobili. In quanto donne, a volte sole e senza sostegno, spesso travolte da accuse e umiliazioni, abbiamo spezzato a una a una le nostre catene fino a quando è nato il movimento rivoluzionario Donna, vita, libertà. Allora abbiamo mostrato la nostra forza al mondo.
Colpevole di vivere Al liceo ho studiato matematica e fisica, poi ho proseguito all’università gli studi di fisica applicata. Sono diventata ingegnera. Tuttavia, a causa del mio impegno per i diritti umani, la mia formazione e la mia carriera si sono scontrate con “il muro
dell’ostruzione”. Ho fatto la giornalista ma, per ordine della guida suprema della Repubblica islamica e dopo la chiusura dei mezzi d’informazione indipendenti, i nostri giornali e le nostre riviste sono finite sotto il “muro della censura” e la nostra libertà d’espressione è stata imbavagliata. Sono diventata portavoce del Centro per la difesa dei diritti umani, per partecipare alla formazione in Iran di un grande movimento associativo e tentare di dare corpo a una società civile organizzata, reale e forte. Ahimè, queste organizzazioni si sono scontrate con la barriera innalzata dalle autorità, dopo attacchi ripetuti delle forze di sicurezza, sostenute dai servizi segreti e dai guardiani della rivoluzione. Ho protestato e lottato contro le politiche distruttive e repressive, al fianco di migliaia di manifestanti e oppositori che sono stati anch’essi accerchiati dalle mura della prigione, dell’isolamento e della tortura. Infine, sono diventata “madre”, ma da molto tempo tra me e i miei figli si è levato “il muro dell’emigrazione e dell’esilio forzato”, come per centinaia di migliaia di altre madri che soffrono l’allontanamento dai propri figli. Mi mancano le parole per descrivere questa maternità rimasta dietro “il muro della crudeltà e della violenza”. Nonostante questa prigione in cui ci troviamo non abbiamo mai smesso di batterci. Siamo diventate madri e padri universali, abbiamo conservato i nostri valori, il nostro entusiasmo, il nostro amore, la nostra forza e la nostra vitalità, abbiamo ricreato la vita vera. Anche se ostacolate da tutte queste serrature, siamo state capaci di far emergere il potere di chi si oppone e la forza della contestazione. Il nostro impeto ci ha portato più in alto dei muri che ci opprimono e ora siamo più forti e solide di loro. Se le nostre sbarre sono l’immobilità, il silenzio e la morte, noi siamo movimento, eco e vitalità, ed è qui che si disegna la promessa della nostra vittoria. Il governo della Repubblica islamica nega i diritti fondamentali alla vita, alla libertà d’opinione, d’espressione e di religione; il diritto a praticare la danza e la musica, e perfino il diritto all’amore. Se guardate con attenzione la società iraniana vedrete che ciascun individuo, in ogni momento della sua vita e in ogni luogo, è Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Africa e Medio Oriente
La protesta delle donne u Il 7 ottobre 2023 l’accademia di Oslo ha assegnato il premio Nobel per la pace all’attivista iraniana per i diritti delle donne Narges Mohammadi, 51 anni, rinchiusa nel carcere iraniano di Evin. A giugno di quest’anno Mohammadi, che si batte per l’abolizione della pena di morte in Iran, ha scritto e fatto uscire clandestinamente la lettera che pubblichiamo. Il comitato per il Nobel ha affermato che “la coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali. Il regime iraniano l’ha arrestata tredici volte, condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate”. Altre quattro attiviste per i diritti umani, tutte detenute nel carcere di Evin, tranne una che c’è stata in passato, hanno fatto uscire dei testi clandestinamente. Nel carcere a nord di Teheran sono rinchiuse molti oppositrici e oppositori che fanno parte del movimento di protesta nato dopo la morte nel 2022 di Mahsa Jina Amini, la ragazza arrestata e presa in custodia dalla polizia perché non indossava correttamente il velo. Le Monde, Ansa
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NIGER
Il ritiro francese Il 10 ottobre è cominciato il ritiro delle truppe francesi dal Niger (nella foto, un veicolo militare francese), come richiesto dalla giunta militare che ha preso il potere a Niamey il 26 luglio dopo aver deposto il presidente Mohamed Bazoum. In Niger, precisa Africa News, la Francia aveva inviato 1.400 soldati per affiancare le forze armate locali nella lotta contro i jihadisti. Lo stesso giorno gli Stati Uniti hanno ufficialmente dichiarato che quello in Niger è stato un colpo di stato. Di conseguenza hanno sospeso gli aiuti economici al paese, stimabili in centinaia di milioni di dollari.
MAURITIUS
Progressi lgbt sull’isola Il 4 ottobre la corte suprema di Mauritius ha depenalizzato i rapporti sessuali tra uomini con una sentenza considerata una vittoria per la comunità lgbt locale. Ha abolito una legge risalente ai tempi della colonizzazione britannica, che prevedeva cinque anni di carcere per il reato di sodomia, spiega The East African. L’isola va in controtendenza rispetto al resto del continente, dove sono state approvate norme molto dure contro le persone lgbt. Il programma delle Nazioni Unite per l’hiv/aids (Unaids) teme che la criminalizzazione ostacoli gli sforzi per eradicare la malattia. Uno studio realizzato in dieci stati africani ha dimostrato che l’incidenza dell’aids tra i maschi gay è cinque volte più alta nei paesi che hanno leggi repressive, rispetto ai paesi più tolleranti. u
AMBIENTE
Nelle mani degli Emirati La Blue Carbon, una società con sede a Dubai, ha firmato il 29 settembre un memorandum d’intesa con lo Zimbabwe, che le concederà un quinto del suo territorio per produrre crediti di carbonio. L’azienda è presieduta dallo sceicco Ahmed Dalmook al Maktoum, della famiglia reale di Dubai. In cambio di 1,5 miliardi di dollari, la Blue Carbon avrà il controllo di 7,5 milioni di ettari di foreste zimbabweane, scrive Middle East Eye. Nelle settimane precedenti l’azienda aveva concluso una serie di accordi simili con altri paesi del continente. Tra questi c’è la Liberia, che vuole concedere all’azienda un’area pari al 10 per cento
del suo territorio per trent’anni, anche se la decisione infrange le leggi locali che regolano la proprietà della terra. “La serie di contratti stipulata dalla Blue Carbon arriva poco prima della conferenza sul clima delle Cop28, prevista a Dubai a fine novembre, in cui i crediti di carbonio saranno una questione di primaria importanza”, scrive il sito. Lo Zimbabwe è il terzo produttore di crediti di carbonio in Africa. Dal 2011 ospita il progetto Kariba, che mira a proteggere 785mila ettari di terreni per sequestrare 3,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. L’iniziativa ha raccolto cento milioni di euro, di cui una parte doveva essere devoluta alle comunità locali, che però non hanno ancora ricevuto il denaro promesso.
Niamey, 10 ottobre
AFP/GETTY
Da sapere
La marcia del Pride a Mauritius, 2016
L’EXPRESS ARCHIVES
colpevole del desiderio di vivere. Rischia per questo reato le sanzioni peggiori, di essere punito, umiliato, arrestato, tenuto in carcere e perfino di essere condannato a morte. Ognuno di noi è diventato un oppositore al regime. Il mondo è testimone delle proteste in Iran e della creatività del movimento, che ogni giorno inventa nuove forme di mobilitazione. Questo movimento conduce a una transizione che passo dopo passo allontana la Repubblica islamica e ci porta verso la democrazia, l’uguaglianza e la libertà. Il ruolo dei mezzi d’informazione indipendenti, della società civile, delle organizzazioni per i diritti umani, in tutto il mondo, è cruciale in questa lotta. Care lettrici, cari lettori, la pubblicazione di questa lettera dimostra che la nostra voce è stata abbastanza potente da raggiungervi. Siate anche voi la nostra voce, trasmettete il nostro messaggio di speranza, dite al mondo che noi non siamo dietro queste mura per nulla e che ora siamo più forti dei nostri aguzzini che usano tutti i mezzi possibili per mettere a tacere la nostra società. Questa voce risuonerà nel mondo. Questo orizzonte ci motiva e ci rallegra. Trionferemo insieme. Sperando di veder arrivare molto presto quel giorno. u fdl
SIRIA
La Turchia bombarda i curdi Nell’ultima settimana la Turchia ha condotto bombardamenti nel nordest della Siria controllato dai militanti curdi, in risposta a un attentato ad Ankara il 1 ottobre rivendicato dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Tra gli obiettivi, scrive Arab News, un centro di addestramento militare ad Al Malikiyah, in cui sono stati uccisi almeno 29 agenti.
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Americhe NARCOTRAFFICO
La Costa Rica non è più un’eccezione Sylvia Colombo, Folha de S.Paulo, Brasile
a Costa Rica è stata sempre considerata la nazione più pacifica dell’America Centrale. Una canzone che si suona in tutte le feste popolari s’intitola “Costa Rica, la Svizzera centroamericana”. Nelle ricerche sulla qualità della vita, l’istruzione, la salute e la fiducia nella democrazia, a cominciare dal sondaggio condotto ogni anno dalla società Latinobarómetro, con sede in Cile, il paese è sempre ai primi posti, accanto all’Uruguay. Mentre gli stati vicini sono da tempo devastati dalla violenza, una delle particolarità della Costa Rica è che ha abolito le forze armate 75 anni fa. L’economia è stabile, basata sull’esportazione di prodotti agricoli, sull’elettronica e su una forte industria del turismo, grazie alle spiagge e altre bellezze naturali. Eppure il paese centroamericano non è immune al degrado economico, istituzionale e sociale che colpisce la regione. E cominciano a emergere le tendenze autoritarie che hanno colpito il Nicaragua, El Salvador e il Guatemala.
L
Strategia regionale La crescita della violenza ha sorpreso e spaventato la popolazione. Già nel 2022 la Costa Rica aveva registrato un picco di omicidi: 666. Nel primo semestre di quest’anno quella cifra è stata superata e gli analisti prevedono che entro la fine di dicembre le vittime saranno novecento. Fino al 2020 erano la metà. L’incremento è dovuto alla penetrazione nel territorio dei cartelli della droga messicani di Sinaloa e Jalisco, oltre che delle maras, le ban-
CARLOS GONZALEZ (AP/LAPRESSE)
Il paese è stato considerato per decenni un’oasi di pace in mezzo alla violenza della regione. Oggi è alle prese con l’aumento della criminalità e del traffico di droghe
Un posto di blocco a San José, 18 agosto 2023 de criminali salvadoregne, i cui leader in patria sono arrestati e rinchiusi nelle megaprigioni di cui tanto si vanta il presidente salvadoregno Nayib Bukele. Il quotidiano messicano El Universal ha rivelato che il governo di San José sta seguendo una strategia già adottata nel passato recente dai paesi vicini, cioè quella di negoziare delle tregue e stringere accordi con i gruppi criminali. Questo metodo, molto diffuso nell’area dopo la fine delle guerre civili, è stato sempre fallimentare, perché non affronta i problemi alla radice: l’immenso flusso di droga che attraversa l’America Centrale in direzione degli Stati Uniti. Oltre al fatto che il narcotraffico si è intensificato con la presenza di cartelli stranieri, sono diventati comuni i crimini per affermare il proprio dominio sul territorio, le estorsioni nei confronti dei commercianti e l’imposizione di un “pedaggio” illegale nelle strade. La calma della Costa Rica è stata stravolta. Il governo del presidente Rodrigo Chaves, un economista conservatore eletto nel 2022, nega qualsiasi trattativa con i criminali. Tuttavia la magistratura
locale ha già chiesto l’avvio di un’inchiesta dopo la denuncia del giornale messicano. Ad alimentare le critiche verso il governo ci sono anche gli abusi contro i migranti, soprattutto quelli che attraversano il Tapón del Darién, al confine tra Panamá e la Colombia. Una volta entrati nella Costa Rica sono caricati a bordo di autobus diretti a nord, ma molti riescono ugualmente a restare nel paese. Come risultato sono in aumento i sentimenti xenofobi e la polarizzazione politica. Tutti i paesi della regione affrontano il problema della violenza provocata dalle bande criminali solo sul piano interno, con soluzioni che non varcano mai le frontiere. Ma sbagliano. Oggi in America Latina la criminalità organizzata è molto più integrata dei governi nazionali, e questo le dà più libertà di azione: attraversare le frontiere è diventato facile. Bisogna prendere delle misure comuni sul piano regionale. Neanche la Svizzera centroamericana si sta salvando. u as Sylvia Colombo è una giornalista brasiliana esperta di America Latina. Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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MICHAEL DANTAS (AFP/GETTY)
Americhe STATI UNITI
GUATEMALA
Critiche a Biden per il muro
La protesta permanente Dall’inizio di ottobre nel paese centroamericano ci sono proteste e blocchi stradali per chiedere le dimissioni della procuratrice generale Consuelo Porras Argueta. Secondo il futuro presidente Bernardo Arévalo, che dovrebbe insediarsi a gennaio, la procuratrice guida “un piano golpista” per impedirgli di nominare il suo governo, ricorrendo a vari cavilli giuridici. Alle manifestazioni partecipano popoli nativi, studenti universitari, organizzazioni sociali e di commercianti, uniti dalla volontà di chiedere che sia rispettato il risultato delle urne. “Il 9 ottobre il presidente conservatore Alejandro Giammattei si è rivolto per la prima volta alla popolazione condannando la violenza e gli atti di vandalismo”, scrive l’agenzia di stampa Efe.
Migranti a El Paso, in Texas, 21 settembre 2023
Manaus, 6 ottobre 2023 BRASILE
STATI UNITI
Un Kennedy nella mischia Robert Kennedy Jr, avvocato e propagatore di teorie complottiste e antiscientifiche, si candiderà come indipendente alle presidenziali statunitensi del 2024. Kennedy Jr è erede di una lunga dinastia politica. Suo padre Robert fu ucciso nel 1968 mentre era candidato alla presidenza degli Stati Uniti, invece lo zio John Fitzgerald è stato presidente dal 1961 al 22 novembre 1963, giorno del suo assassinio a Dallas. “Alcuni commentatori si chiedono se toglierà voti al candidato democratico, anche se su molte questioni è più vicino all’ala radicale del Partito repubblicano”, osserva la Npr.
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L’amministrazione Biden ha annunciato che userà i fondi stanziati nel 2019 per la costruzione di un nuovo tratto di muro al confine tra il Texas e il Messico. “Gli attivisti per i diritti dei migranti hanno criticato il presidente per questa scelta”, scrive Time. “Durante la campagna elettorale del 2020 aveva promesso che, se eletto, non avrebbe autorizzato la costruzione di ‘neanche un nuovo metro di muro’”. Biden ha detto di essere consapevole che le barriere fisiche non servono e che la crisi migratoria va affrontata in altri modi, ma ha aggiunto che per legge non poteva bloccare l’uso di fondi già stanziati a quello scopo. Negli ultimi mesi è aumentato il numero delle persone – per lo più provenienti dall’America Centrale e dal Venezuela – che cercano di attraversare la frontiera. u ECUADOR
Vigilia del voto violenta Le autorità ecuadoriane hanno reso noto che sei colombiani sono stati uccisi il 6 ottobre in un carcere di Guayaquil. Erano stati arrestati per l’omicidio, avvenuto il 9 agosto, del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio. “Il settimo uomo coinvolto nell’omicidio”, si legge sul País, “era di nazionalità ecuadoriana ed è stato trovato morto il 7 ottobre in una prigione vicino alla capitale Quito. Gli Stati Uniti avevano da poco offerto una ricompensa di più di quattro milioni di euro per avere infor-
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mazioni sui mandanti dell’assassinio di Villavicencio. Il presidente Guillermo Lasso si trovava fuori dall’Ecuador quando ha saputo dell’uccisione dei sei sicari colombiani. È tornato nel paese e ha annunciato la destituzione del comandante della polizia e del direttore del sistema penitenziario nazionale. Il 15 ottobre nel paese andino si terrà il ballottaggio delle elezioni presidenziali tra il candidato di destra, l’imprenditore Daniel Noboa favorito nei sondaggi, e la candidata di sinistra Luisa González, del partito Revolución ciudadana dell’ex presidente Rafael Correa, condannato nel 2020 in contumacia per corruzione.
Guatemala, 7 ottobre 2023 JOSUE DECAVELE (REUTERS/CONTRASTO)
L’estrema siccità nella regione amazzonica ha lasciato isolate decine di comunità che dipendono dai fiumi per ricevere alimenti, combustibile e acqua potabile. Secondo il Centro nazionale di controllo e allerta dei disastri naturali, otto stati amazzonici da luglio a settembre hanno registrato il livello di piogge più basso in quarant’anni. Crescono le pressioni politiche per asfaltare la strada Br-319, che collega Manaus e Porto Velho. Le conseguenze per l’ambiente sarebbero pesanti, scrive la Folha de S.Paulo.
BRANDON BELL (GETTY)
In Amazzonia non piove
IN BREVE
Venezuela La procura del paese ha annunciato il 5 ottobre di aver emesso un mandato di arresto nei confronti del leader dell’opposizione Juan Guaidó e di aver chiesto la collaborazione dell’Interpol per la sua cattura. L’annuncio è stato dato dal procuratore Tarek William Saab. Guaidó, che si è trasferito negli Stati Uniti, è accusato di tradimento, usurpazione di funzioni, riciclaggio e associazione a delinquere. Il governo venezuelano ha aperto finora ventisette procedimenti contro di lui, ma è la prima volta che ne chiede l’arresto.
Il nuovo romanzo di Bret Easton Ellis: la sua storia piú personale, emozionante e oscura. BRET EASTON ELLIS LE SCHEGGE
Bret Easton Ellis incontra i suoi lettori EINAUDI
FIRENZE mercoledí 18 ottobre, ore 21.00 con Marcello Fois Teatro della Pergola In collaborazione con La città dei lettori Prenotazione obbligatoria: www.lacittadeilettori.it
Einaudi
TORINO sabato 21 ottobre, ore 18.00 introduce Giuseppe Culicchia con Diego De Silva il Circolo dei lettori Anteprima del festival Radici
Europa Una manifestazione dell’opposizione. Varsavia, 1 ottobre 2023
Da sapere
PIOTR LAPINSKI (NURPHOTO/GETTY)
Cosa dicono i sondaggi
POLONIA
I polacchi alle urne divisi e impauriti Jarosław Kuisz, Europp, Regno Unito Alla vigilia delle elezioni del 15 ottobre la Polonia è spaccata. Ma c’è una cosa che unisce tutti i partiti e gli elettori: l’idea che la sovranità nazionale sia in pericolo uando i commentatori stranieri si occupano della Polonia di solito si concentrano sulle divisioni politiche del paese: liberali e democratici contro populisti, filoeuropei contro nazionalisti e via discorrendo. Queste analisi colgono l’essenza della situazione, ma sono parziali. Perché i due schieramenti hanno anche una caratteristica in comune: un legame ossessivo con la sovranità nazionale. In un sondaggio condotto dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’84 per cento dei polacchi ha dichiarato di aver paura che il conflitto possa arrivare nel loro paese. Da allora è passato oltre un anno, ma in Polonia non esiste parola più importante di “sovranità”. Di solito equiparata al concetto di sicurezza, la sovranità è diventata
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onnipresente nel dibattito pubblico. In un certo senso i polacchi sono abituati alle guerre combattute ai loro confini orientali. Sono preoccupati per problemi quotidiani di dimensione europea (inflazione) e locale (crisi della sanità pubblica). Ma la minaccia di un’invasione russa è sempre in cima ai loro pensieri. La questione della sovranità è dunque essenziale, specialmente nei periodi di campagna elettorale, come quello che il paese sta vivendo in vista del voto del 15 ottobre. L’importanza della sovranità industriale, sanitaria e in materia di politica migratoria oggi è discussa in tutto il mondo. Tuttavia gli stati dell’Europa centrale e orientale, compresa la Polonia, considerano il problema nel più classico dei modi: hanno paura di essere cancellati dalle mappe geografiche o di finire assoggettati a governi manovrati dall’estero. Per paesi come la Polonia e la Lituania queste paure non sono teoriche. Guadagnare e poi perdere l’indipendenza è un’esperienza che negli ultimi trecento anni hanno già sperimentato. E ogni volta il collasso dello stato ha portato con sé esplosioni di violenza, la scomparsa delle vecchie forme di vita
u Il 15 ottobre 2023 la Polonia andrà alle urne per le elezioni legislative, in un voto che avrà conseguenze rilevanti sugli equilibri politici nell’Unione europea. In testa ai sondaggi, con il 36 per cento delle intenzioni di voto, c’è il partito ultraconservatore e sovranista Diritto e giustizia (Pis), guidato da Jarosław Kaczyński. Al potere dal 2015, il Pis ha spesso avuto contrasti con l’Unione europea per violazioni dello stato di diritto e del principio della separazione dei poteri. A sei punti di distacco c’è la principale forza di opposizione, Coalizione civica (Ko, europeista e liberale), costruita intorno al partito Piattaforma civica dell’ex premier e presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Le altre forze di opposizione sono Lewica (Sinistra, 10 per cento delle intenzioni di voto) e l’alleanza di centrodestra Terza via (Trzecia droga in polacco, 10 per cento). Con il 9 per cento delle intenzioni di voto, c’è il partito ultranazionalista ed euroscettico Konfederacja, che potrebbe sottrarre voti al Pis da destra.
pubblica, emigrazione, confische di beni, incarcerazioni e terrore. Queste paure collettive sono basate sulla storia reale e sono trasmesse nei discorsi pubblici e privati. Costituiscono il prisma attraverso cui sono giudicate le scelte politiche ed è immaginato il futuro. In Polonia la guerra in Ucraina sta riportando in vita questo trauma, ma va detto che la visione “post-traumatica” della sovranità ha forgiato la politica estera e interna del paese fin dal 1989. Per fare un esempio, le due più importanti decisioni geopolitiche prese negli ultimi anni dagli stati dell’Europa centrorientale – l’ingresso nella Nato e quello nell’Unione europea – sono state motivate dal desiderio di migliorare il benessere materiale ma, soprattutto, da quello di sfuggire a vecchie trappole storiche. Varsavia, Vilnius, Riga e Tallinn avevano cercato per secoli di allontanarsi dalla sfera d’influenza di Mosca.
Tra est e ovest Questo ci riporta alla situazione politica della Polonia di oggi. Al momento ci sono due partiti dominanti. Diritto e giustizia (Pis), populista e illiberale, è al potere, mentre l’europeista e liberale Piattaforma civica (Po), guidata da Donald Tusk, è all’opposizione. L’atteggiamento nei confronti della sovranità è diventato il criterio Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Europa
Jarosław Kuisz è un politologo polacco, direttore della rivista Kultura liberalna.
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UCRAINA
GERMANIA
Bombe sui civili
Una sconfitta per Scholz
In Ucraina la prima settimana di ottobre è stata segnata da uno dei peggiori attacchi russi dall’inizio della guerra. Il 5 ottobre le forze di Mosca hanno colpito con missili Iskander un bar e un negozio nel villaggio di Hroza (nella foto), nei pressi della città di Kupjansk, uccidendo 53 civili, tra cui un bambino di sei anni. Gli attacchi sono continuati anche nei giorni successivi in diverse parti del paese, provocando la morte di altre due persone. Intanto, scrive Kyiv Independent, il presidente Volodymyr Zelenskyj è andato in visita ufficiale in Romania, il paese dove si trova il porto di Costanza, da cui transita il grosso delle esportazioni ucraine di grano.
Tagesspiegel, Germania
YAN DOBRONOSOV (GLOBAL IMAGES UKRAINE/GETTY)
principale per giudicare un avversario politico. Per il governo populista le minacce alla sovranità arrivano da est ma anche da ovest. Il Pis, infatti, mette quasi sullo stesso piano Bruxelles e Mosca, posizione che lascia interdetti i commentatori europei ma convince i sostenitori del governo. Sul fronte opposto, la formazione di Tusk ritiene che i problemi provengano principalmente da est. Piattaforma civica accusa il Pis di demonizzare l’occidente, fino al punto di ipotizzare l’uscita di Varsavia dall’Unione europea. Se questo accadesse, la Polonia si troverebbe ancora una volta in una zona grigia tra est e ovest, e in pratica tornerebbe nella sfera d’influenza della Russia, in una situazione simile a quella di Ucraina, Bielorussia e Moldova. La concezione post-traumatica della sovranità riguarda sia le forze governative e antieuropee sia quelle progressiste ed europeiste. In proposito vanno sottolineati due aspetti. Anche se il concetto di “sovranità post-traumatica” può sembrare astratto, per gli europei dell’est è figlio dell’esperienza reale. Come prima conseguenza, spinge a dotarsi di un esercito sempre più potente. A prescindere da chi governerà, la spesa militare polacca è destinata ad aumentare, perché le preoccupazioni legate alla sicurezza sono condivise dagli elettori di tutti gli orientamenti. In secondo luogo, la “sovranità posttraumatica” comporta una spinta verso gli Stati Uniti. I paesi dell’Europa centrorientale stanno cercando di garantirsi un appoggio concreto in caso di aggressione, e per loro ormai la Nato e gli Stati Uniti coincidono. In questo senso non sono diversi da Finlandia e Svezia, che dopo lo scoppio della guerra in Ucraina hanno abbandonato la loro tradizionale neutralità per chiedere di entrare nella Nato. Per paesi come la Polonia, tuttavia, è anche importante mantenere una certa distanza da Germania e Francia. Le preoccupazioni economiche legate alle politiche europee sono certamente rilevanti, ma non quanto la difesa della sovranità. Anche perché senza sovranità non può esserci successo economico, tesi confermata non solo dal tragico destino dell’Ucraina, ma anche dai trent’anni di prosperità che la Polonia ha vissuto dopo essersi allontanata dall’orbita di Mosca. u as
FINLANDIA
Gasdotto sabotato Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre è stato rilevato un calo di pressione nel Balticconnector, il gasdotto sottomarino tra la Finlandia e l’Estonia. Helsinki sospetta che si tratti di un sabotaggio russo, scrive la Bbc. Per la Finlandia il Balticconnector è l’unico canale per il gas naturale da quando sono state interrotte le importazioni dalla Russia.
“Il cancelliere a un bivio”, titola il quotidiano di Berlino Tagesspiegel. La coalizione di governo composta da Partito socialdemocratico, Partito liberaldemocratico e Verdi ha perso le elezioni dell’8 ottobre in due importanti land e ora “Olaf Scholz si trova davanti a un muro”. In Assia, il land di Francoforte, i cristianodemocratici della Cdu hanno ottenuto il 34,6 per cento dei voti, mentre i socialdemocratici sono arrivati solo terzi. In Baviera, invece, l’Unione cristiano-sociale si conferma prima forza con il 37 per cento, e potrebbe quindi continuare a controllare il governo locale alleandosi con la formazione di destra dei Liberi elettori, arrivata seconda con il 15,8 per cento, davanti ai Verdi. Il successo maggiore lo registra però l’estrema destra di Alternative für Deutschland (Afd) che si attesta come secondo partito in Assia e terzo in Baviera. Per la prima volta, commenta la stampa tedesca, l’Afd esce dal suo tradizionale bacino elettorale, quello dell’ex Germania Est. u
REGNO UNITO
I giudici e il piano sui migranti Si sono svolte dal 9 all’11 ottobre davanti alla corte suprema le udienze sul disegno di legge del governo che prevede di deportare in Ruanda i migranti arrivati irregolarmente nel Regno Unito. Nel giugno scorso la corte d’appello di Londra aveva dichiarato illegale il progetto perché, secondo due giudici, esiste un “rischio reale” che i richiedenti asilo rimandati nel loro paese d’origine siano sottoposti a persecuzioni. Il primo ministro Rishi Sunak ha quindi deciso di fare ricorso alla corte suprema. Il
Guardian riporta la testimonianza di Raza Husain KC, rappresentante dei richiedenti asilo, che ha raccontato in aula le violazioni dei diritti umani che avvengono nel paese dell’Africa orientale. Ha detto che gli oppositori del governo rischiano la violenza della polizia e una “repressione assoluta”. Il Ruanda è un paese che “imprigiona, tortura e uccide” i suoi oppositori, compresi quelli che sono già fuggiti all’estero, ha ricordato Husain. Finora nessun migrante è stato espulso dal Regno Unito, anche per l’opposizione della Corte europea dei diritti umani. La decisione del tribunale londinese arriverà entro novembre.
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Asia e Pacifico AFGHANISTAN
Dopo il terremoto mancano gli aiuti Ali M. Latifi, The New Humanitarian, Svizzera
na serie di scosse di terremoto ha colpito l’Afghanistan occidentale la mattina del 7 ottobre uccidendo almeno 2.400 persone, anche se le autorità taliban parlano di quasi tremila morti. Si stima che i feriti siano quattromila e gli sfollati nelle province di Herat, Badghis e Farah 1.400. La provincia di Herat è stata la più colpita dal sisma di magnitudo 6,3 e dalle successive violente scosse di assestamento. Il distretto di Zinda Jan, a circa quaranta chilometri dal capoluogo, ha subìto i danni più gravi, con tredici villaggi gravemente colpiti. Fazulhaq Ahadi, che lavora nel mondo dell’informazione e vive a Herat, racconta che molti dei villaggi, se non sono stati rasi al suolo dal terremoto, sono stati comunque distrutti almeno per il 50 per cento. “Qui vivevano le persone più povere, in semplici case di fango”, dice Ahadi al telefono pochi istanti dopo una scossa di assestamento. Spiega che la devastazione nei villaggi di Zinda Jan è un esempio di quello che succede quando un disastro naturale colpisce un’area remota già segnata da anni di sottosviluppo e insicurezza. Durante il governo sostenuto dall’occidente a Zinda Jan scoppiarono molte autobombe, ci furono attacchi su strada ed esponenti del governo e delle forze di sicurezza furono uccisi. “C’erano aree raggiungibili solo dopo un’ora e mezza di tragitto sulle strade sterrate non asfaltata”, prosegue Ahadi. “Pensate a come si potranno trasportare i morti e i feriti”. Nella provincia di Herat si continuano ad avvertire scosse di assestamento, e
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EBRAHIM NOROOZI (AP/LAPRESSE)
Quasi tremila persone sono morte nel sisma peggiore degli ultimi vent’anni. Ma il paese governato dai taliban è sempre più isolato e gli aiuti internazionali sono diminuiti
Zanda Jan, Afghanistan, 9 ottobre 2023 questo non fa che aumentare il senso di paura. A Herat Sayed Wesal Fahim, 23 anni, racconta che nelle due notti successive al sisma migliaia di persone hanno scelto di dormire all’aperto per non rischiare di trovarsi in casa durante una scossa. “La gente dorme per strada, vicino alle rotonde, nei parchi, purché non sia vicino a edifici alti”, spiega Fahim, che ha da poco abbandonato gli studi perché non poteva permettersi la retta. Il disastro arriva appena un anno dopo un altro violento terremoto, di magnitudo 5,9, che aveva provocato almeno mille morti nelle province orientali di Paktika e Khost.
Soccorsi difficili Iran, Pakistan, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar hanno promesso al governo taliban un sostegno nei soccorsi. Ma, visti i tagli agli aiuti per l’Afghanistan decisi dalle agenzie internazionali, si teme che Kabul avrà maggiori difficoltà a soccorrere i feriti e gli sfollati rispetto al passato. Ad agosto l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un appello per raccogliere 125 milioni di dol-
lari e poter continuare così a sostenere 33 ospedali nel paese. Nello stesso mese, il Comitato internazionale della Croce rossa ha dichiarato che avrebbe smesso di finanziare 25 ospedali gestiti dal governo, tra cui quello di Herat, la città con il maggior numero di feriti. Fahim ha visto con i suoi occhi l’impatto di queste scelte all’ospedale provinciale, che non serve solo Herat, ma l’intero Afghanistan occidentale: “È stracolmo, hanno dovuto visitare e curare le persone fuori, in giardino”. Le aziende locali stanno cercando di fare il possibile, fornendo gratuitamente beni di prima necessità e medicinali. “Alcune farmacie private stanno distribuendo bende, garze e antidolorifici a chiunque sembri aver riportato ferite per il terremoto”, dice Fahim. Il World food program, che non molto tempo fa aveva annunciato di dover tagliare gli aiuti per dieci milioni di persone nel paese, ha inviato squadre sul posto che hanno cominciato a distribuire biscotti ad alto contenuto energetico a settecento famiglie in tre distretti di Herat. In una dichiarazione online l’agenzia ha riferito di essere pronta “a raggiungere con generi
Herat
Badghis
TAGIKISTAN
Kabul
Herat AFGHANISTAN Farah
IRAN 200 km
Kandahar
PAKISTAN
guardano l’economia, lo sviluppo sociale e la popola zione in Cina. L’ultimo cen simento, che si svolge ogni dieci anni, risale al novem bre 2020.
PAPUA NUOVA GUINEA
Rispettare i patti SOCIETÀ
Riciclaggio al casinò In tutto il sudest asiatico proliferano le attività legate al gio co d’azzardo, che sono diventate i pilastri di un grande siste ma clandestino per riciclare miliardi di dollari di denaro sporco. Lo rivela una ricerca dell’Ufficio dell’Onu sulla dro ga e il crimine (Unodc), che ha condiviso alcuni risultati con il centro di giornalismo investigativo ProPublica. In Cam bogia, Laos, Filippine e Birmania – dove i controlli non sono molto severi – si contano più di 340 casinò (e una quantità ancora maggiore di siti di scommesse). Molti hanno subìto l’infiltrazione dei gruppi criminali, che sempre più spesso trafficano in criptovalute e organizzano truffe informatiche.
COREA DEL NORD
CINA
Traffico sospetto
Come cambia la popolazione
Secondo Beyond Parallel, un sito legato al centro stu di statunitense Center for strategic and international studies, con sede a Wash ington, immagini satellitari del 5 ottobre hanno rilevato “un aumento sostanzioso del traffico sulla linea ferro viaria tra la Corea del Nord e la Russia”. Secondo il sito, scrive l’Associated Press, potrebbe trattarsi dello scambio di armi di cui il le ader nordcoreano Kim Jongun e il presidente rus so Vladimir Putin avrebbe ro parlato quando si sono incontrati a Mosca in ago sto. Le coperture impedi scono di capire quale sia il contenuto dei vagoni merci avvistati alla stazione di Tu mangang, in Corea del Nord, spiega il sito.
A novembre l’ufficio nazio nale di statistica cinese farà un sondaggio a campione per capire com’è cambiata la popolazione, scrive il China Daily. Il sondaggio si svolgerà nelle aree rurali e urbane di tutto il paese e servirà a capire come inver tire l’andamento demogra fico, per la prima volta in stallo. Il governo userà i ri sultati del sondaggio per formulare politiche che ri JADE GAO (AFP/GETTY)
UZBEKISTAN TURKMENISTAN
Il Fully light international hotel, Birmania
FULLY LIGHT
alimentari o denaro fino a 70mila persone colpite dal terremoto”. Il ministro dell’economia ad interim Din Mohammad Hanif ha promesso che i soccorsi per le vittime del sisma saranno al centro delle preoccupazioni del gover no. Anche il ministero della difesa ha in viato soccorsi nelle aree più colpite. “L’in tero governo è in quei villaggi, ma c’è mol to da fare”, dice Ahadi, confermando che nella zona sono operative delle squadre che stanno facendo un buon lavoro. Anche la popolazione civile si è mobili tata, arrivando da tutto il paese. “Questa gente è stata ignorata per tanto tempo”, continua Ahadi. “È bello sapere che ci so no persone che vengono a dare una ma no”. La solidarietà verso i superstiti si è diffusa nelle grandi città. A Kabul, Hasi bullah Popal, 32 anni, fa parte di un gruppo di ottanta persone che raccoglie denaro da parenti e amici in Afghanistan e all’e stero per aiutare chi in questo momento è in difficoltà. “In caso di disastri naturali, soprattutto terremoti e inondazioni sta gionali, cerchiamo di prestare soccorso”, spiega. Il gruppo ha raccolto più di mille dollari in 48 ore. A Jalalabad, capitale della provincia orientale del Nangarhar, alcuni giovani hanno allestito una tenda per rac cogliere fondi. Murshid Khan Murshid, che dà una mano per organizzare i volon tari, spiega che “tante persone vengono qui e danno quel che possono”. Nel frattempo anche le celebrità e gli imprenditori del paese si stanno dando da fare per sostenere le vittime. La stella del cricket Rashid Khan ha dichiarato che do nerà ai sopravvissuti i compensi delle par tite della coppa del mondo che sta giocan do in India. La sua fondazione ha anche lanciato una campagna di raccolta fondi. Ma ci vorrà molto tempo prima che gli af gani riescano a riprendersi, spiega Ahadi: “La gente ha paura e questa paura non passerà facilmente”. u gim
Pechino, Cina
Se il governo australiano non finanzierà più il pro gramma umanitario della Papua Nuova Guinea, allo ra Port Moresby spedirà in Australia i rifugiati e i ri chiedenti asilo che ospita da dieci anni per conto di Canberra. Il governo pa puano accusa l’Australia di aver smesso di pagare le spese per settanta persone, quasi tutte con lo status di rifugiato, e di non voler as sumersene la responsabili tà. Per anni la Papua Nuo va Guinea ha ospitato sull’isola di Manus un cen tro di detenzione per i mi granti che cercavano di raggiungere le coste au straliane via mare. Inter cettati dalla guardia costie ra australiana, erano dirot tati nel centro papuano, fi nanziato da Canberra. L’accordo tra i due paesi è scaduto nel dicembre 2021, ma 140 rifugiati e dieci richiedenti asilo sono rimasti in Papua Nuova Guinea. L’Australia, scrive il Guardian, ha quindi fir mato un accordo confiden ziale con cui s’impegnava a pagare a Port Moresby una somma ignota per “servizi di welfare” ai profughi che dovevano essere ricolloca ti in Canada e negli Stati Uniti. I tempi si sono allun gati perché i due paesi nor damericani richiedono il certificato di vaccinazione contro il covid19, e dal 2022 il governo australiano ha interrotto i pagamenti.
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Le opinioni
È successo l’impensabile e Israele non ha capito perché Gideon Levy ietro ai fatti degli ultimi giorni si nasconde l’idea che noi israeliani possiamo fare quello che ci pare, tanto non saremo mai puniti. Continueremo indisturbati. Arresteremo, uccideremo, esproprieremo e proteggeremo i coloni impegnati nei loro pogrom. Visiteremo la tomba di Giuseppe, la tomba di Othniel e l’altare di Giosuè nei territori palestinesi, e naturalmente la Spianata delle moschee (chiamata Monte del tempio dagli ebrei), dove nel fine settimana precedente all’attacco c’erano più di cinquemila ebrei in occasione della festa religiosa del Sukkot. Spareremo su persone innocenti, strapperemo gli occhi e le picchieremo. Confischeremo, deruberemo, le trascineremo fuori dai loro letti, faremo pulizia etnica, continueremo ad assediare la Striscia di Gaza, e tutto andrà bene. Costruiremo una recinzione terrificante intorno a Gaza (il solo muro sotterraneo è costato tre miliardi di shekel, circa 721 milioni
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Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha una grande responsabilità, ma questa situazione non finirà con lui. Ora dobbiamo piangere per le vittime israeliane, e dovremmo farlo anche per Gaza di euro) e penseremo di essere al sicuro. Ci affideremo allo spionaggio informatico dell’esercito e agli agenti del servizio di sicurezza Shin Bet, che sanno tutto. Ci avvertiranno in tempo. Trasferiremo mezzo esercito dal confine di Gaza alla cittadina di Hawara, in Cisgiordania, solo per proteggere il deputato di estrema destra Zvi Sukkot e i coloni. E tutto andrà bene sia ad Hawara sia al valico di Erez verso Gaza. In realtà abbiamo scoperto che anche l’ostacolo più avanzato e costoso del mondo può essere superato con un vecchio bulldozer, se chi lo guida ha una forte motivazione. Questa barriera di arroganza può essere attraversata in bicicletta e in motorino, nonostante i miliardi che è costata. Pensavamo di continuare a scendere a Gaza, spargere qualche briciola sotto forma di qualche migliaio di permessi di lavoro israeliani, sempre condi-
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zionati alla buona condotta, e tenere comunque in prigione quelle persone. Faremo la pace con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti e i palestinesi saranno dimenticati fino a che non saranno cancellati, come vorrebbero alcuni israeliani. Continueremo a tenere prigionieri migliaia di palestinesi, a volte senza alcun processo, in gran parte per motivi politici. E non accetteremo di discutere il loro rilascio. Pensavamo di poter continuare a rifiutare qualsiasi tentativo di soluzione diplomatica e che tutto sarebbe continuato così per sempre. Ma ancora una volta ci siamo sbagliati. Il 7 ottobre quasi duemila palestinesi armati hanno invaso Israele in un modo che nessun israeliano immaginava possibile. Poche centinaia di uomini armati hanno dimostrato che è impossibile imprigionare per sempre due milioni di persone senza pagare un prezzo crudele. Proprio mentre il malandato bulldozer palestinese sfondava la barriera più intelligente del mondo, il 7 ottobre ha fatto a pezzi anche l’arroganza di Israele. E ha distrutto l’idea che sia sufficiente attaccare ogni tanto Gaza con droni kamikaze, e venderli a mezzo mondo, per mantenere la sicurezza. Il 7 ottobre Israele ha assistito a immagini mai viste prima: veicoli palestinesi che pattugliano le sue città, ciclisti che entrano dalle porte di Gaza. I palestinesi di Gaza hanno deciso di pagare qualsiasi prezzo per un momento di libertà. C’è speranza in questo? No. Israele imparerà la lezione? No. Il giorno stesso parlavano già di spazzare via interi quartieri, di occupare la Striscia e di punire Gaza “come non è mai stata punita prima”. Ma Israele non ha smesso di punirla dal 1948, nemmeno per un momento. Dopo 75 anni di abusi, ci attende ancora una volta lo scenario peggiore possibile. Le minacce di “spianare Gaza” dimostrano solo una cosa: non abbiamo imparato proprio niente. L’arroganza non sparirà, anche se Israele sta pagando comunque un prezzo alto. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha una grande responsabilità per quanto è successo e deve risponderne, ma questa situazione non è cominciata con lui e non finirà con lui. Ora dobbiamo piangere amaramente per le vittime israeliane, ma dovremmo farlo anche per la Striscia di Gaza. Gaza, dove i residenti sono soprattutto rifugiati creati da Israele. Gaza, che non ha mai conosciuto un solo giorno di libertà. u dl
GIDEON LEVY
è un giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Haaretz, che ha pubblicato questo articolo.
«Questi consigli sono come i cappelli. Se uno non va bene provane un altro.»
Kevin Kelly
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Le opinioni
Il Medio Oriente non sarà più lo stesso Anthony Samrani a mattina del 7 ottobre sono stato sve- con un Israele che vuole ridurre in cenere Gaza. L’Agliato dai messaggi di mio padre. “Hai rabia Saudita, che sognava di trasformare il Medio visto cosa sta succedendo? Non capita- Oriente in una “nuova Europa”, si trova intrappolata va una cosa simile dal 1973”. Mi sono tra un “asse della resistenza” che minaccia la regione precipitato a leggere le notizie e ho capi- e un Israele governato dall’estrema destra che sogna to che si riferiva all’attacco a sorpresa di cancellare i palestinesi. lanciato da Hamas contro Israele. “Stai esagerando”, Da parte sua il primo ministro israeliano Benjagli ho risposto lì per lì. Come può l’ennesimo scontro min Netanyahu ha vissuto la più grande sconfitta deltra Hamas e Israele essere paragonabile alla guerra la sua carriera. In Israele è considerato il responsabile del Kippur di cinquant’anni fa? Devo di questo fallimento. Come rispondere? ammettere, però, che mi sbagliavo. Presa in ostaggio Tagliare le ali ad Hamas, eliminando i Nessuno immaginava che Hamas fosse dall’Iran, la causa suoi combattenti, non basterà. E come in grado di mettere in piedi un’opera- palestinese sarà annientare Hamas nella Striscia di Gazione di questo tipo, bombardando i riportata indietro za, così densamente popolata? Israele territori israeliani e infiltrandosi in di- di decenni, perché le ha vissuto il 7 ottobre come il suo 11 setverse località, facendo centinaia di atrocità commesse tembre e la sua risposta seguirà il momorti, migliaia di feriti e prendendo da Hamas sui civili dello dell’alleato americano. Non avendecine di ostaggi. Nessuno ipotizzava rischiano di segnare do nulla da offrire sul piano politico, un tale tracollo dell’apparato di sicurezNetanyahu risponderà scatenando la l’opinione pubblica za e militare israeliano. violenza su Gaza con l’approvazione Ci sarà un prima e un dopo il 7 otto- occidentale della comunità internazionale. Non sobre per gli israeliani, per i palestinesi e lo questo non risolverà nulla, ma poper tutta la regione. Questo non vuol dire che i rap- trebbe anche indebolire l’alleanza dello stato ebraico porti di forza siano cambiati, ma che gli argini sono con i paesi arabi. saltati. L’offensiva di Hamas rischia di essere percepiIsraele inoltre è minacciata dell’apertura di un seta come una “grande impresa” in tutto il mondo ara- condo fronte al confine con il Libano. Hezbollah trabo, dove la superiorità israeliana è un trauma colletti- scinerà tutta la regione in un’escalation incontrollabivo. Il movimento islamista si presenterà come l’unico le? Il partito sciita e il suo sponsor iraniano saranno difensore della causa palestinese, eliminando un Al tentati di assestare un altro colpo a un Israele indeboFatah, il partito più importante all’interno dell’Orga- lito, ma il costo di questa operazione potrebbe essere nizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), già alto. Neppure Teheran può rischiare la distruzione in fin di vita. Il 7 ottobre ha piantato l’ultimo chiodo del Libano senza ottenere qualcosa in cambio. nella bara degli accordi di Oslo. E la causa palestinese? L’operazione di Hamas Se Hamas ha potuto sorprendere il nemico israe- porterà alla distruzione di Gaza, all’accelerazione liano, lo deve senza dubbio al suo riavvicinamento al della colonizzazione israeliana e alla morte di migliapartito libanese sciita Hezbollah e all’Iran. Dopo anni ia di palestinesi, se non di più. Presa in ostaggio dall’Idi contrasti a causa della guerra in Siria, il loro rappor- ran, la causa palestinese sarà riportata indietro di to sembra più solido che mai. Lo testimonia il fatto decenni, perché le immagini delle atrocità commesse che una parte della dirigenza del movimento si è sta- da Hamas sui civili rischiano di segnare l’opinione bilita in Libano. La decisione dell’attacco quindi è pubblica occidentale. stata presa a Teheran? Il centro di comando dell’opeEd è questo il dramma più grande, oltre alla morte razione si trova in Libano? Per ora queste sono solo di civili da una parte e dall’altra. Israele uccide e imipotesi, che però paiono plausibili. L’operazione porta prigiona palestinesi in totale impunità da decenni e il marchio del cosiddetto asse della resistenza (liba- non gli lascia alcuna alternativa oltre alla violenza. nesi, palestinesi, siriani e altri gruppi sostenuti dall’I- Hamas offre al tempo stesso l’unica e la peggiore riran contrari a Israele). Anche l’Iran ne esce rafforzato, sposta a questa umiliazione. Hamas è un cancro per la posizionandosi come unico sponsor della causa pale- causa palestinese, perché porta avanti un progetto di stinese e ricordando che qualsiasi accordo di pace società reazionario, perché governa la Striscia di Gadovrà passare per la Repubblica islamica. za con il terrore, perché antepone gli interessi del moL’attacco infatti sembra aver stroncato sul nasce- vimento a quelli dei palestinesi ed è sempre più dire, almeno a breve termine, il processo di normalizza- pendente dai desideri di Teheran. Ma niente nutre zione israelo-saudita. Il regno non può firmare la pace questo cancro più dell’arroganza di Israele. u fdl
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ANTHONY SAMRANI
è un giornalista libanese. Dirige il quotidiano L’OrientLe Jour, per il quale ha scritto questo articolo.
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Una fuga d’amore Dopo essere scappata al sud con la famiglia, Kim Joo-kyung continuava a pensare al ragazzo che aveva lasciato a Pyongyang. Un giorno ha deciso di contattarlo e di convincerlo a raggiungerla E. White e K. Buseong, Financial Times, Regno Unito. Foto di Yang Jihoon on può essere lui, pensò Kim Joo-kyung sedendosi in un vagone affollato della metropolitana di Seoul. Attraverso la giungla oscillante di gambe, borse e giubbotti cercò di dare qualche occhiata a quelli che sembravano gli stessi zigomi alti, i capelli neri cortissimi, le spalle affilate, perfino il completo giacca e pantaloni. Il treno entrò stridendo e sobbalzando in una stazione che non era quella a cui lei doveva scendere. Prima di rendersene conto, però, uscì dal vagone e si mise a seguire l’uomo. Camminava in fretta, aveva paura di perderlo di vista. Poi si fermò di colpo. Non era possibile che fosse Jang-hyeok. Con il cuore che le batteva, Joo-kyung tornò al binario e prese il treno successivo. Era poco più che ventenne, snella e con i capelli scuri. Da quando si era trasferita nella capitale sudcoreana e aveva cominciato gli studi per diventare insegnante, aveva preso lo stile e i modi dei coetanei che la circondavano, adottando le cadenze più dolci dell’accento meridionale. I
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suoi pensieri riandarono all’ultima volta che aveva visto Hyeok, due anni prima in Corea del Nord, dov’erano cresciuti. Dieci mesi dopo essersi innamorati, Jookyung era scappata dal paese con la sua famiglia. I pericoli della fuga imponevano segretezza assoluta, perciò Joo-kyung era partita senza avvisare Hyeok e senza dargli nessuna spiegazione. Un giorno era semplicemente scomparsa. Dopo quell’incontro illusorio sulla metro, cominciò a pensare a lui sempre più spesso. A volte arrivava a immaginare l’impossibile: rifare in senso inverso il viaggio più lungo e pericoloso della sua vita, solo per rivederlo. Poi raccontò a un’amica l’episodio della metro e le confidò un’idea che le si era ficcata in testa: voleva trovare un sistema per contattare Hyeok.
Il piano L’Hamgyong settentrionale, dov’è nata Joo-kyung, è una provincia montuosa all’estremità nordorientale della Corea del Nord. Con catene alpine coperte di foreste e una costa per lo più intatta, contie-
ne aree di straordinaria bellezza. Ma è anche tra le regioni più colpite dalle crisi economiche del paese, e i generi alimentari a volte scarseggiano. Joo-kyung, come la sorella minore, ha avuto un’infanzia relativamente stabile. Intelligente e studiosa, aveva preso il diploma con ottimi voti e sperava di frequentare una delle migliori università nella capitale Pyongyang, per migliorare la propria condizione. Ma poi i genitori le avevano detto che erano stati vittime di una truffa e che i loro debiti erano ingestibili. Non potevano più pagarle gli studi. Poco dopo, la madre di Joo-kyung decise che avrebbero provato a scappare. Era l’agosto 2012. Kim Jong-il, leader supremo della Corea del Nord per quasi due decenni, era morto l’anno prima e il potere si era trasferito al figlio maggiore, Kim Jong-un, di 27 anni. Il nuovo dittatore era circondato da un vortice di intrighi internazionali. La sua famiglia deteneva il potere da quando il nonno di Kim era diventato il fantoccio di Josif Stalin, dopo la seconda guerra mondiale, e gli analisti occidentali si chiedevano se lui, che aveva
Kim Joo-kyung, Corea del Sud, 3 marzo 2023
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Corea del Nord studiato in Svizzera ed era un tifoso dei Chicago Bulls, avrebbe finalmente aperto le porte del paese. Ma per la maggioranza dei 26 milioni di abitanti intrappolati nella Corea del Nord cambiò ben poco. L’economia non si è mai realmente ripresa dal crollo dell’Unione Sovietica (che mandava aiuti) e dalla successiva, devastante carestia degli anni novanta. Erano anni che lo stato non forniva assistenza e protezione ai suoi cittadini.
Si strinsero una corda intorno alla vita, legandosi insieme nel caso qualcuno scivolasse, e poi guadarono il fiume
Oltre la frontiera Joo-kyung e la sua famiglia volevano raggiungere dei parenti in Cina, dove vivono sette milioni di persone di etnia coreana. Con poche eccezioni, chi fugge dalla Corea del Nord passa in Cina attraversando la frontiera di 1.400 chilometri che divide i due paesi. Il riparo migliore di solito si trova negli angoli più remoti del fiume Yalu, che scorre per quasi la metà del confine e gela durante i lunghi inverni, quando le bufere siberiane ricoprono la penisola di ghiaccio e neve. Ma la famiglia arrivò sulla riva dello Yalu intorno alla fine dell’estate, e il fiume era in piena. Si strinsero una corda intorno alla vita, legandosi insieme nel caso qualcuno scivolasse, e poi guadarono il fiume. Le zone di frontiera sono pericolose, disseminate di pattuglie per scovare i disertori. La riuscita della fuga spesso dipende da una segreta rete di sostegno: intermediari in Corea del Nord e in Cina che vendono informazioni, cellulari usa e getta e servizi per trasferire denaro, ma anche ong, in alcuni casi finanziate da chiese statunitensi, che coordinano una catena di case sicure e punti di smistamento in Cina e nel sudest asiatico. La famiglia di Joo-kyung non poteva permettersi un intermediario, perciò fece tutto da sola. Si trascinò per due settimane in aree paludose e lungo pendici costellate di piccole fattorie. La ragazza non osava fare domande ai genitori, ma dopo qualche giorno cominciò a sentire una disperazione strisciante. La stagione dei monsoni stava finendo, e l’aria pesante era piena di zanzare. Il volto di sua sorella era gonfio per le punture. Gli abitanti del luogo si rifiutavano di aiutarli. Per mangiare raccoglievano cetrioli da campi minuscoli. Finalmente raggiunsero un parente in un villaggio. Ma il sollievo durò poco. Alcuni giorni dopo, un vicino sospettoso li denunciò. La Cina segue un protocollo di frontiera concordato con il regime dei Kim nel
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1986, che prevede la cattura e il rimpatrio dei disertori nordcoreani. Una volta tornate in Corea del Nord, quelle persone devono affrontare persecuzioni, torture e lavoro forzato; in alcuni casi sono condannate a morte e uccise. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sostengono che rimpatriando i nordcoreani pur sapendo cosa li aspetta, il governo cinese viola due trattati delle Nazioni Unite: la convenzione sui rifugiati del 1951 e la convenzione contro la tortura del 1984. “Siamo tutti morti”, pensò Joo-kyung quando arrivò la polizia. La famiglia fu trattenuta in Cina per settimane prima di essere caricata su un suv da agenti della sicurezza e riportata in Corea del Nord. Nei ricordi della ragazza, il viaggio è ammantato di grigio. Le guardie della sicurezza sembrano grigie, i loro volti scuri, i lineamenti confusi. Alla fine la famiglia se la cavò relativamente bene. I genitori passarono sei mesi in un campo di lavoro, dove i detenuti malnutriti sgobbano per ore e ore prima di rientrare in dormitori sovraffollati e infestati dalle malattie. Joo-kyung e la sorella rimasero in un centro vicino alla frontiera, 600 km COREA DEL NORD Pyongyang COREA DEL SUD
CINA
GIAPPONE INDIA Kunming TAIWAN
Sudest asiatico
Mar Cinese Meridionale FILIPPINE
dove furono sottoposte a perquisizioni invasive e umilianti, sorveglianza e interrogatori. Le autorità volevano conoscere ogni dettaglio della loro fuga, perfino che tipo di corda avevano usato per attraversare il fiume. Le ragazze dovevano memorizzare il regolamento e l’orario del centro. A che ora bisogna svegliarsi? A che ora si mangia? Quando fu rilasciata, la famiglia andò nella città natale della nonna di Joo kyung. La loro situazione era ancora peggiore: non avevano soldi ed erano degli emarginati. Joo-kyung vide la madre sprofondare sotto il peso dei rimorsi, perché si sentiva responsabile della loro rovina. Poi il padre cominciò ad avere problemi di salute. “Molte cose andarono storte”, racconta. “Mio padre si ammalò e morì rapidamente. Mia madre si dava la colpa di tutto”. Ma, invece di rassegnarsi al destino, la donna decise che avrebbero provato di nuovo a scappare.
L’incontro Joo-kyung dice che il cuore le trema ancora quando ripensa al suo primo incontro con Hyeok. Erano passati quasi tre anni dal loro primo tentativo di fuga. Lavorava in cambio di vitto e alloggio in uno studio fotografico di Chongjin, la capitale industriale della provincia dell’Hamgyong settentrionale. Un giorno, all’inizio del 2015, Hyeok – un tecnico di passaggio – le aveva messo una mano sulla spalla chiedendole come stava. L’aveva scambiata per un’altra. Lei si era voltata e si erano trovati faccia a faccia. Alto e di una bellezza classica, Hyeok aveva tratti spigolosi che si addolcivano e illuminavano quando sorrideva. Hyeok era cresciuto a Chongjin ed era stato uno studente modello, tanto da attirare l’attenzione dei funzionari dell’istruzione a Pyongyang. Non ancora ventenne, era stato selezionato per la squadra nazionale di matematica ed era andato a Pechino, un fatto abbastanza eccezionale visto che i viaggi internazionali sono riservati alla classe dirigente o a emissari che si procurano soldi per il regime. Aveva studiato scienza dei dati all’università delle scienze, un ateneo prestigioso della capitale, e dopo la laurea era stato assunto dal Partito dei lavoratori, che guida lo stato sotto la direzione del regime di Kim. Per motivi di sicurezza personale preferisce non rivelare i dettagli del suo lavoro. I ricercatori stranieri hanno documentato una varietà di ruoli che nel regime di Kim possono essere assegnati a chi ha
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un’ottima formazione matematica e competenze informatiche. Alcuni mettono a punto e controllano l’intranet nazionale, una versione limitata del web a cui determinati cittadini possono accedere attraverso le istituzioni statali. Ad altri viene chiesto di rubare segreti sulle armi nucleari o di generare liquidità per il regime con frodi internazionali o rubando criptovalute. Si sa che qualcuno si dedica anche ad attività collaterali, come ripristinare smartphone di fabbricazione cinese che consentono di accedere ad applicazioni e contenuti stranieri vietati. Intorno al 2010, Hyeok, che aveva circa 25 anni, lasciò Pyongyang per tornare a Chongjin, dove cominciò a guadagnare fornendo assistenza tecnica alle aziende locali. Era uno dei pochi residenti che aveva frequentato un’università d’élite e
viaggiato all’estero e poi era tornato per avviare un’attività redditizia, perciò suscitò interesse e pettegolezzi. Quando scambiò Joo-kyong per un’altra, lei aveva già sentito parlare di lui dagli amici.
La partenza In Corea del Sud la cultura della coppia è un labirinto di regole non dette e di prove da superare, che in molti casi implicano doni, galanterie e celebrazione degli anniversari, a partire dai cento giorni dopo il primo incontro e i cento giorni dopo essere diventati una coppia. In Corea del Nord i momenti romantici si ritagliano tra interminabili ore di lavoro, faccende domestiche e commissioni. Joo-kyong e Hyeok riuscivano a trovare questi momenti. Se finivano il lavoro abbastanza presto, andavano a fare la spesa insieme, portando a
casa dal mercato uova e legna da ardere. A volte camminavano sulla spiaggia guardando le stelle. Nei giorni in cui si sentivano stanchi, mettevano le ciabatte per terra, ci si sedevano sopra e mangiavano cioccolata. Ma mentre si stavano innamorando, Joo-kyong nascondeva un segreto. La severa attenzione delle autorità sulla sua famiglia si era allentata, la vita sembrava tornata normale. Però la sorella minore non aveva potuto riprendere la scuola e lavorava in una fattoria, mentre la madre era tornata nella sua città d’origine, vicino alla frontiera con la Cina, e progettava un secondo tentativo di fuga con le figlie. Per mesi Joo-kyong resistette alle pressioni della madre. Si tormentava su come e quando dirlo a Hyeok. Solo immaginare che lui le chiedesse di restare era un tormento, ma anche l’idea che la spingesse a partire era difficile da sopportare. Ed era terrorizzata dalla possibilità di essere arrestata di nuovo. Alla fine, mentì: disse a Hyeok che doveva andare a trovare la nonna. “Non potevo restare solo per quel rapporto”, dice. “Partii e basta, senza dirgli la verità”. Alla fine dell’ottobre 2015, quando Joo-kyung, la sorella, la madre, una zia e una cugina si misero in viaggio, nei territori di frontiera nevicava. I fiumi e i torrenti non erano ancora ghiacciati, ma l’acqua era gelida. Intanto, dal loro primo tentativo di fuga, Kim Jong-un aveva rafforzato il suo potere rivelando una crudele vena machiavellica che in pochi avevano previsto. Lo zio di Kim, uno degli uomini più potenti del paese e reggente del giovane leader, era stato messo a morte nel 2013. La zia, che si riteneva avesse avuto un ruolo centrale nella sua ascesa, era scomparsa dalla scena pubblica. Il fratellastro sarebbe stato ucciso con il gas nervino all’aeroporto di Kuala Lumpur, in Malaysia, nel 2017. Per Kim, chi fuggiva dal paese era un traditore. I confini del paese erano stati fortificati con altro filo spinato, guardie e pattuglie di frontiera. Le punizioni per chi cercava di scappare diventavano sempre più spietate. Non sveliamo i dettagli del viaggio di Joo-kyung per non ostacolare futuri disertori che vogliano seguire lo stesso tragitto. Dopo aver camminato per quasi due settimane dal lato nordcoreano del confine, a volte affondando nella neve fino alle cosce e strisciando sotto il filo spinato, le donne superarono il fiume Yalu ed entrarono in Cina. Il piano era contatInternazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Corea del Nord tare una persona della rete di sostegno, che le aspettava dall’altra parte. Ma le cinque donne furono individuate a distanza da una pattuglia della polizia cinese. Si misero a correre. In preda al panico, si divisero in due gruppi puntando in direzioni opposte. Joo-kyung si ritrovò sola con la zia e si nascose per evitare la cattura. Era preoccupata per le altre, ma capiva che dovevano andare avanti. Riuscirono a incontrare la loro guida, “una brava persona”, dice, che faceva parte di una rete segreta finanziata da Liberty in North Korea, un’ong gestita da Seoul e dalla California. Sokeel Park, direttore del gruppo per la Corea del Sud, spiega che la rete usa molti collaboratori e vari mezzi di trasporto per consentire ai rifugiati nordcoreani di attraversare la Cina e il sudest asiatico, seguendo percorsi che cambiano continuamente. Per alcuni tratti del viaggio si possono usare autobus, macchine e barche, ma bisogna anche camminare intere giornate per evitare la sorveglianza cinese. Pezzi di strada che si potrebbero fare in cinque minuti richiedono ore perché bisogna spesso tornare indietro. Dopo parecchie settimane, Joo-kyung e la zia riuscirono a raggiungere Kunming, la capitale della provincia montagnosa e tropicale dello Yunnan, nella Cina meridionale, che confina con Birmania, Vietnam e Laos. Da lì entrarono via terra nel Laos e navigarono su un fiume fino alla Thailandia a bordo di una barca che faceva acqua. Rispettando le istruzioni ricevute, si consegnarono alle autorità del paese. La Thailandia riconosce ai nordcoreani lo status di rifugiati, li trattiene in un campo a Bangkok per accertamenti e poi li consegna alle autorità sudcoreane. A dicembre, le due donne finalmente arrivarono a destinazione. La madre, la sorella e la cugina di Joo-kyung le raggiunsero due mesi dopo. Erano tornate libere grazie alla gentilezza della moglie di un funzionario cinese che aveva avuto pietà di loro. Invece di denunciarle agli agenti della sicurezza nordcoreana, le aveva aiutate a proseguire il viaggio verso sud.
La verità Intanto, a Chongjin, Hyeok non aveva più notizie della sua ragazza. Dopo settimane di silenzio, andò nel villaggio della nonna di lei per trovare risposte. Quando finalmente scoprì la verità si sentì smarrito. Che significato aveva la loro relazione se poteva finire così bruscamente? Forse era condannata fin dall’inizio, si disse.
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Nei tre anni sucessivi si concentrò sul lavoro, raggiungendo un livello di benessere raro per chi vive in Corea del Nord, uno dei paesi più poveri del mondo. Poi, un giorno del 2019, ricevette un messaggio sconcertante da un intermediario di Hyesan, un’altra città di frontiera nordcoreana: in Corea del Sud, una ragazza diceva di conoscerlo. Voleva che andasse a Hyesan per poter parlare con lui da un telefono sicuro. La conosceva, chiedeva l’intermediario? Sarebbe andato? Hyeok esitò per giorni. Era elettrizzato all’idea di parlare di nuovo con Jookyung, ma sapeva che gli agenti della sicurezza nordcoreana non prendevano alla leggera i contatti con il sud. Non avrebbe messo in pericolo soltanto se stesso, ma anche la madre e la sorella minore. Lo irritava essere così asservito al regime, ma sapeva che potevano incastrarlo come spia solo per aver accettato di ricevere la telefonata. All’università, Hyeok una volta aveva visto un film indiano in cui un personaggio va negli Stati Uniti. Come tutti i nordcoreani, era stato sottoposto per anni alla propaganda antiamericana, ma le immagini dei grattacieli di Manhattan lo avevano colpito. Ora si faceva le stesse domande: era possibile che i paesi capitalistici in realtà fossero superiori al paradiso socialista dei Kim? Joo-kyung si era davvero trasferita al sud? E lei, da nordcoreana, poteva essere felice laggiù? Alla fine, prevalse la curiosità. Hyeok andò a Hyesan per incontrare l’intermediario, che gli diede un cellulare. Come lo avvicinò all’orecchio, riconobbe una voce che non sentiva da anni. “Jang-hyeok, oppa?”, chiese incerta Joo-kyung usando il termine nordcoreano per fratello maggiore, che è anche un appellativo affettuoso. Hyeok non riusciva a parlare. “Sei Jang-hyeok, oppa?”, ripeté lei con la voce spezzata. Hyeok aprì la bocca, ma non riusciva a emettere un suono. Era paralizzato. Nel silenzio, Joo-kyung si mise a singhiozzare. E poi la linea s’interruppe. L’intermediario gli disse di tornare il giorno dopo per tentare di nuovo. Quella notte Hyeok dormì poco o niente. Il giorno successivo l’intermediario gli mostrò una serie di foto di fogli a righe coperti dalla grafia di Joo-kyung. C’era anche l’immagine di un piccolo ciondolo a forma di motocicletta che un giorno lui le aveva regalato. Questa volta, quando arrivò la telefonata, Hyeok ritrovò la voce, e
Jang-hyeok e Kim Joo-kyung in Corea del Sud, 3 marzo 2023
scoppiò a piangere. “Vorrei che scappassi e mi raggiungessi qui al sud”, gli disse Joo-kyung. Sua madre si era offerta di aiutarli a pagare la fuga. Hyeok era confuso, la sua istintiva prudenza non lo abbandonava. Non stavano riallacciando i contatti solo per sapere come andavano le cose? Lui viveva bene al nord, era addirittura ricco per gli standard locali. Scappare sembrava una fantasia pericolosa. “Se ti preoccupa l’idea di lasciare la tua famiglia, possiamo aiutarti a organizzare anche la loro fuga”, aggiunse Joo-kyung. Siamo adulti ora. Non siamo più ragazzini che escono insieme, replicò Hyeok. Non possiamo semplicemente fare la vita che vogliamo. Abbiamo delle responsabilità. La telefonata fu agrodolce e inconcludente. Entrambi erano sicuri di avere ragione, e nessuno dei due riuscì a convincere l’altro. Era come se non si riconoscessero e non capissero la diversa realtà delle loro vite. Poco tempo dopo, Hyeok fece uno strano sogno. Era in America, viaggiava e ed era emozionato. Si svegliò con un senso di stupore ma con una chiara consapevolezza: essere felice in Corea del Nord era come essere una rana in un pozzo. “Mi resi conto che a impedirmi di andare in Corea del Sud era una paura radicata”, dice. “Stavo voltando le spalle al mondo reale. Dopo quel sogno diventai più onesto con me stesso”. Alla fine del 2019 era pronto a partire. Vicino a Hyesan incontrò un intermediario pagato da Joo-kyung e la sua famiglia che lo guidò fino alle sponde dello Yalu. Dopo essersi accertato che la traversata fosse sicura, Hyeok guardò davanti a sé. Il fiume era illuminato da luci molto intense. Si vedrebbe persino una formica, pensò. L’intermediario disse che non c’era tempo per farsi domande. E così Hyeok andò. Da quel momento e per intere settimane, fu un fuggitivo. Si sentiva una pistola puntata alla testa, pronta a sparare in qualunque momento. Percorse la Cina, diretto verso la città meridionale di Chengdu. Passava da un intermediario all’altro, attraversando paludi e foreste per evitare posti di blocco e controlli. Gli intermediari spesso lo accompagnavano per un tratto e poi lo mandavano da solo fino al luogo dell’appuntamento successivo. Hyeok non aveva altra scelta che fidarsi. Sapeva bene che, senza nessun preavviso, un agente cinese poteva Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Corea del Nord fermarlo e spedirlo ai lavori forzati o addirittura, se i propagandisti di Pyongyang volevano dare un esempio, davanti a un plotone d’esecuzione. Ma, nonostante tutto, seguì Joo-kyung, passando dalla Cina al Laos e per la giungla montuosa prima di raggiungere finalmente la Thailandia. Il viaggio via terra dalla Corea del Nord alla Thailandia è lungo più di quattromila chilometri. Più o meno la stessa distanza che separa la costa orientale degli Stati Uniti da quella occidentale o, in linea d’aria, il Regno Unito dal Mali. Dopo aver rischiato tutto per raggiungere la salvezza, i disertori devono vivere sei mesi sotto la custodia delle autorità sudcoreane: per tre mesi per sono interrogati dai funzionari dei servizi di sicurezza coreani e statunitensi, e per altri tre mesi seguono delle lezioni per integrarsi. Per i servizi segreti, i nuovi arrivati offrono spiragli particolarmente preziosi sulla Corea del Nord. Considerando che il regime di Kim Jong-un possiede armi nucleari, ogni informazione, perfino di gente comune lontana dai palazzi del potere di Pyongyang, può essere interessante. Gli ultimi prodotti e i prezzi dei mercati locali, per esempio, permettono di capire lo stato dell’economia e il ritmo degli scambi con la Cina. Queste notizie servono a valutare la forza del regime e, in ultima analisi, il pericolo di una guerra nucleare. Le autorità devono anche essere certe che non stanno accogliendo delle spie. Hyeok, un uomo del governo con una certa conoscenza dei programmi informatici e tecnologici del regime, era un caso particolarmente interessante. Il servizio d’intelligence sudcoreano vieta ai disertori di parlare dei loro interrogatori. Per cui, anche tre anni dopo, Hyeok non racconta cosa gli hanno chiesto e cos’ha detto. Una volta conclusi gli interrogatori, i disertori sono trattenuti nel Centro di sostegno per l’inserimento dei rifugiati nordcoreani, un purgatorio meglio noto come Hanawon. Istituita alla fine degli anni novanta, la struttura aiuta i fuggiaschi ad adattarsi alla società sudcoreana con programmi educativi e professionali, comprese lezioni su come usare un bancomat e sui princìpi della democrazia. Pochi mesi dopo l’arrivo di Hyeok, è scoppiata la pandemia. La Corea del Sud, che aveva imparato dalle precedenti epidemie di sars e mers, ha reagito rendendo obbligatorio l’uso delle mascherine e
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Tutti sapevano di essere testimoni di una storia improbabile. Nessuno di loro aveva mai sentito parlare di diserzione per amore
introducendo i test di massa e il tracciamento dei contatti. Durante la sua permanenza a Hanawon, Hyeok ha comunicato con Joo-kyung attraverso messaggi e videochiamate su Google Meet. Parlavano per ore ogni giorno. Le videochiamate sembravano strane, anche senza mascherina chirurgica. Erano passati cinque anni dall’ultima volta che si erano visti. Erano entrambi più prudenti, meno ingenui. Ma intimamente speravano che la fiamma non si fosse spenta. Poco prima di lasciare il nord Hyeok aveva scritto a Joo-kyung chiedendole educatamente: “Quando ci rivedremo, va bene se ti abbraccio?”. Il giorno in cui è stato autorizzato ad andarsene da Hanawon, hanno fissato un’ora per incontrarsi nell’appartamento in affitto che era stato assegnato a Hyeok, come a tutti i disertori nordcoreani. Jookyung è entrata nell’ascensore al piano terra proprio mentre lui usciva. Si sono quasi scontrati. È stato un momento stranamente imbarazzante. “Era come se le nostre anime fossero vicinissime, ma i volti sembravano sconosciuti”, ricorda Hyeok. Sono andati nell’appartamento e hanno parlato, sentendosi pian piano più rilassati e più a loro agio. Dopo qualche ora, Hyeok ha ripetuto la sua domanda: “Posso abbracciarti?”. Poteva.
Cicatrici nascoste All’inizio del 2022 Joo-kyung e Hyeok si sono sposati a Seoul. Lei aveva 27 anni, lui 34. Quando li abbiamo intervistati, sembravano quasi una vecchia coppia: sereni, affettuosi e premurosi. Decisa a garantirsi la sicurezza economica che era mancata alla sua famiglia in Corea del Nord, Joo-kyung insegna e ha avviato
un’attività commerciale online. Hyeok studia scienza dei dati e insieme alla moglie ha creato un canale YouTube per condividere esperienze della loro nuova vita e frammenti del passato. Joo-kyung aveva sempre sognato una bella festa di nozze e si sentiva piacevolmente emozionata prima del gran giorno. Hyeok invece faticava a godersi i preparativi. Era nervoso e non riusciva a spiegare chiaramente il suo stato d’animo. Partecipava malvolentieri alle decisioni e all’organizzazione della cerimonia. La cosa più importante non era lo scambio di promesse? È stata la loro prima lite da fidanzati. Ma quando è arrivato il momento, la tensione si è sciolta. Hanno visto una sala piena di persone che sorridevano radiose: i pochi familiari fuggiti e i tanti amici conosciuti a Seoul, che in molti casi erano profughi come loro o lavoravano per aiutare chi fuggiva. Tutti sapevano di essere testimoni di una storia improbabile. Nessuno aveva mai sentito parlare di una diserzione per amore. Con l’inizio della pandemia, la Cina si è chiusa al resto del mondo. La Corea del Nord, ancora più spaventata dalla possibilità che un’epidemia incontrollata mandasse in tilt il suo sistema sanitario, ha sigillato la frontiera con la Cina, tagliando quasi tutti gli scambi commerciali tra i due paesi. Kim Jong-un era così preoccupato per il virus, e troppo orgoglioso per accettare i vaccini stranieri, che ha ordinato di uccidere chiunque si spostasse senza autorizzazioni in prossimità della frontiera. Tre anni dopo, gli strumenti adottati per impedire che il contagio raggiungesse il paese sono usati per la repressione. L’ordine di uccidere, i severi coprifuoco e la forte presenza militare nelle zone di frontiera sono stati mantenuti. Le immagini satellitari diffuse dalla Reuters a maggio mostrano centinaia di chilometri di nuove infrastrutture di sicurezza lungo il confine, tra cui estesi tratti di muro e posti di guardia. Dal 2020 pochissimi nordcoreani sono riusciti a raggiungere il sud dalla Cina, il flusso di profughi si è quasi completamente interrotto. Hyeok è stato sicuramente uno degli ultimi. Durante le nozze, ha ripensato ai parenti rimasti in Corea del Nord. Quando Joo-kyung si è alzata per inchinarsi davanti a sua madre, anche lei ha pensato alla famiglia e agli amici al nord. “Noi disertori abbiamo tutti delle cicatrici”, dice Hyeok. “Abbiamo cercato di non farlo vedere”. ◆ gc
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Prigioni per draghi Keri Blakinger, The Marshall Project, Stati Uniti Foto di Glenna Gordon
Tony Ford è stato condannato alla pena di morte per una rapina andata male. In carcere ha trovato conforto in un gioco di ruolo, Dungeons & dragons. E così ha stretto un’amicizia speciale uando scoprì il gioco di ruolo Dungeons & dragons (D&d), Tony Ford era un ragazzino nero magro che non aveva mai visto l’interno di una prigione. Sua madre, una poliziotta di Detroit, aveva lasciato le forze dell’ordine e si era trasferita con la famiglia nel Texas occidentale. A Ford sembrava di essere finito in un mondo alieno: la gente parlava in modo strano ed El Paso era quasi deserta. Ma almeno c’erano tanti spazi dove poteva scorrazzare con lo skateboard. Dopo un po’ fece amicizia con un ragazzo bianco, un nerd appassionato di D&d, e si innamorò immediatamente del gioco. Era una saga complessa in cui poteva perdersi. E negli anni ottanta sembrava che piacesse a tutti. D&d era stato messo in commercio dieci anni prima, senza troppo clamore, ma con il passare del tempo era diventato famoso per le statuette in miniatura e il dado a venti facce. I ragazzi erano conquistati dal modo in cui combinava la collaborazione di squadra con la possibilità di creare la propria avventura. In D&d i partecipanti creano i propri personaggi (nella maggior parte dei casi creature magiche come elfi e maghi) per lanciarsi in lunghe missioni in mondi di fantasia. Un narratore e arbitro chiamato Dungeon master guida i giocatori attraverso ogni svolta della trama. C’è un elemento di fortuna: il dado può determinare se un colpo è abbastanza forte da abbattere un mostro o se qualcuno correrà in soccorso. Nel corso degli an-
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ni il gioco è diventato uno dei più popolari al mondo ed è stato celebrato in film e serie tv nostalgiche. Oggi le persone ci giocano in casa, in grandi tornei per appassionati e anche in carcere. Alle superiori Ford trovò nuovi interessi: le ragazze, le auto e gli amici, che nel suo caso spacciavano droga e facevano parte di gruppi criminali. Riuscì a evitare guai seri fino al 18 dicembre 1991. Quel giorno, intorno alle nove di sera, due afroamericani bussarono alla porta di una piccola casa nel sud di El Paso. Chiesero di parlare con “l’uomo di casa”, ma la donna dall’altro lato della porta, Myra Murillo, si rifiutò di lasciarli entrare. Pochi minuti dopo i due tornarono e sfondarono la porta, pretendendo soldi e gioielli. Uno di loro aprì il fuoco, uccidendo il figlio diciottenne di Murillo, Armando. Nel giro di poche ore la polizia fermò un sospettato che fece il nome di Ford, all’epoca diciottenne. Il giorno dopo il ragazzo fu arrestato. Ford ha sempre sostenuto che a sparare erano stati due fratelli e che lui era rimasto in macchina per tutto il tempo. Gli inquirenti non trovarono prove schiaccianti del suo coinvolgimento nel crimine, quindi Ford si rifiutò di patteggiare, sicuro che la giuria l’avrebbe assolto. Il processo si svolse nel luglio 1993. Ford fu condannato. A ottobre era nel braccio della morte. Aveva vent’anni. All’epoca i detenuti condannati a morte venivano mandati in una prigione a Huntsville, in Texas, dove centinaia di
persone erano ammassate in celle anguste. I carcerati potevano trascorrere il tempo insieme guardando la tv, giocando a basket, facendo vari tipi di lavori. E, dato che le celle erano chiuse da sbarre e non da porte blindate, i detenuti potevano parlarsi. Un giorno Ford ha sentito frasi familiari arrivare dal piano superiore: “Faccio un incantesimo!”, “Non credi che siano troppi?”, “Penso che devi lanciare il dado”. Era il suono di D&d. Attualmente i penitenziari del Texas ospitano circa duecento condannati a morte, meno della metà rispetto al picco del 1999. Negli ultimi vent’anni il numero di detenuti colpiti da questa sentenza si è
Gli appunti e le mappe di Billy Wardlow per giocare a Dungeons & dragons progressivamente ridotto, perché i costi processuali sono aumentati ed è diminuito il sostegno dell’opinione pubblica. Le persone che arrivano nel braccio della morte ogni anno sono sempre di meno, ma tendono a restarci più a lungo. Alcuni stati fanno fatica a procurarsi i farmaci da iniettare, e varie sentenze hanno bloccato le esecuzioni di persone con disabilità mentali. A volte gli avvocati cercano per anni di dimostrare che i loro assistiti hanno gravi problemi cognitivi – quindi mettere fine alla loro vita sarebbe un atto di crudeltà – o che le nuove tecnologie basate sul dna potrebbero dimostrare la loro innocenza. All’inizio degli
anni ottanta i detenuti di tutto il paese trascorrevano in media sei anni nelle sezioni per i condannati a morte prima dell’esecuzione. Oggi può capitare che ci restino anche vent’anni. In molti casi vivono in un isolamento così estremo che le Nazioni Unite lo considerano una forma di tortura. “Secondo le norme internazionali, l’isolamento dovrebbe essere una misura da usare solo in casi estremi”, dice Merel Pontier, avvocata del Texas che ha studiato le condizioni di reclusione nel braccio della morte. Decenni di ricerche indicano che l’isolamento a lungo termine può provocare allucinazioni e psicosi. Tra i detenuti costretti a
vivere separati dagli altri il tasso di suicidi è superiore a quello della popolazione carceraria nel suo complesso. Alcuni rinunciano ai processi d’appello e si offrono volontari per l’esecuzione. Non in tutti gli stati, però, i condannati a morte restano in isolamento: in Missouri e in California alcuni vivono insieme agli altri carcerati; in Arizona possono uscire in cortile e trascorrere qualche ora in compagnia; in North Carolina possono lavorare; in Florida possono guardare la tv in cella; in Louisiana ricevono visite di amici e i parenti. La sezione dei condannati a morte di Huntsville, dove era finito Ford, concesse Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Stati Uniti in parte queste possibilità fino al 1998, quando un incidente cambiò tutto. La sera del giorno del ringraziamento, il 23 novembre, sette detenuti organizzarono una fuga. Un complice rimase nel cortile a giocare a basket, facendo rumore per coprire il suono del seghetto con cui gli altri stavano aprendo un varco nella rete metallica. Le guardie trovarono i fuggitivi e cominciarono a sparargli. Sei di loro si arresero, mentre uno riuscì a raggiungere il bosco vicino al penitenziario. Una settimana dopo alcune guardie fuori servizio ritrovarono il suo corpo in un torrente.
Ogni tre mesi Quando tornò l’estate, i condannati a morte sapevano che la loro vita sarebbe cambiata in peggio. Le autorità avevano annunciato che li avrebbero trasferiti in un nuovo carcere di massima sicurezza, l’Allan B. Polunsky, a Livingston, in Texas. Ford ricorda di essere stato caricato sul secondo autobus diretto verso la struttura. Da allora i detenuti rinchiusi lì passano le giornate in isolamento quasi totale: sono autorizzati a lasciare le loro celle tre volte alla settimana e per due ore, da soli, stando nelle sale ricreative o in aree recitate. I detenuti raccontano che a volte trascorrono intere settimane senza uscire all’aperto o fare la doccia (il dipartimento di giustizia penale del Texas risponde che non è vero). I dirigenti del penitenziario concedono ai condannati a morte una telefonata di cinque minuti ogni novanta giorni. Per questi detenuti l’unico contatto fisico regolare con altri esseri umani è quando vengono ammanettati dalle guardie. Poco dopo l’inizio della pandemia un nuovo direttore della prigione ha introdotto dei cambiamenti, ha fatto portare televisori in alcune sale ricreative e ha permesso ai condannati di scambiarsi messaggi scritti con un gruppo di detenuti che gestisce un’emittente radiofonica. Nel 2022, quando il sistema carcerario statale ha ricevuto in dotazione i tablet, i condannati a morte hanno avuto accesso limitato alle email, che comunque vengono controllate attentamente dalle guardie. In ogni caso il braccio della morte di Polunsky resta uno dei più duri del paese. Per questo articolo mi sono scritta per anni con i condannati a morte. Le telefonate con i giornalisti non sono permesse e ho potuto fare solo interviste di un’ora, strettamente supervisionate, una volta ogni tre mesi. Per alcuni di questi uomini sono
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stata la persona che li andava a trovare più spesso. Contro l’isolamento, gli uomini nel braccio della morte cercano per buona parte della giornata modi per allontanare i pensieri negativi e i rimorsi. Alcuni leggono o trovano la fede. Altri giocano a Scarabeo o a scacchi (comunicando le mosse attraverso bigliettini). Altri ancora scelgono D&d, assaporando briciole di quella libertà che si sono lasciati alle spalle. Quando Ford ha sentito per la prima volta le voci dei giocatori di D&d, a Huntsville, ha capito che si trattava di una versione accelerata e “potenziata” del gioco. I partecipanti erano affiliati della cosiddetta mafia messicana, e hanno fatto entrare Ford nel giro dopo aver scoperto che era bravo a disegnare. Ford ricorda che il capo della banda, un certo Spider, aveva sfruttato le sue conoscenze per farlo trasferire in una cella vicina alla sua, in modo che potesse fare disegni per lui. Ford guadagnava un
In quel carcere Ford avrebbe finalmente giocato con Billy Wardlow po’ di soldi creando intricati motivi aztechi, e nel frattempo partecipava anche alle sessioni di D&d. Alla fine è diventato un master e ha cominciato a gestire partite in tutta la sezione. Giocare a D&d in prigione è più difficile che in qualsiasi altro posto. Come succede nel mondo libero, ogni sessione può durare ore e fa parte di una trama più vasta che spesso va avanti per mesi o anni. Ma in carcere i giocatori non possono controllare le regole online o consultare i pesanti tomi con i dettagli sulla preparazione, sui personaggi e gli incantesimi, che sono costosi e difficilmente superano il controllo degli addetti alla posta. In alcuni stati i libri su D&d sono vietati, mentre in altri è proibito qualsiasi volume con la copertina rigida. In generale i libri che contengono mappe non sono mai ammessi, mentre i dadi sono considerati pericolosi perché possono incentivare il gioco d’azzardo. Spesso i condannati a morte li sostituiscono con ruote a spicchi fabbricate usando carta e pezzi di macchine da scrivere. Nel vecchio braccio della morte di Huntsville i prigionieri riuscivano a comunicare le mosse facilmente attraverso
le sbarre e potevano giocare seduti intorno ai tavoli di ferro negli spazi comuni o sotto il sole del cortile. È lì che Ford, alla fine degli anni novanta, vide quattro detenuti che giocavano a D&d. Quando chiese chi fossero, scoprì che il bianco alto due metri e con gli occhiali e i capelli a spazzola era Billy Wardlow. Ford non lo conosceva – le loro celle non erano mai state vicine – ma ne aveva sentito parlare. “Da quello che dicevano tutte le persone informate, era chiaro che Billy era considerato universalmente uno di ‘quelli buoni’”, ha scritto Ford in un documento processuale del 2019. Wardlow era un uomo leale che non piantava grane. Una volta, a metà degli anni novanta, aveva partecipato a uno sciopero della fame organizzato dai detenuti neri per protestare contro la frequenza crescente delle esecuzioni. “Ci sembrava strano che un bianco si unisse a noi. In carcere è molto difficile superare le barriere razziali”, mi ha scritto Ford. Nel penitenziario Polunsky era decisamente più difficile partecipare alle partite di D&d. Quando sono arrivati nella nuova struttura, i detenuti hanno scoperto che molti dei loro bagagli erano stati confiscati. Inoltre erano andate perse le annotazioni, le mappe disegnate a mano, le ruote a spicchi e gli schizzi dei personaggi. Soprattutto, non avrebbero più potuto giocare insieme seduti a un tavolo. Così hanno dovuto escogitare forme di comunicazione clandestine, tra cui i messaggi chiamati “aquiloni”, passati da una cella all’altra. Ma per Ford c’era un lato positivo. A Polunsky avrebbe avuto finalmente la possibilità di giocare a D&d con Billy Wardlow, la leggenda del braccio della morte.
Un piano sbagliato Per gli standard dei detenuti condannati a morte, il passato di Wardlow non aveva niente di eccezionale. Era cresciuto nella cittadina di Cason, in Texas, dove suo padre lavorava in fabbrica e la madre era custode in una chiesa battista. Aveva un fratello maggiore (ne avrebbe avuti due se il secondogenito non fosse morto quando aveva sei mesi). Wardlow ha raccontato che sua madre visitava la tomba del bambino e si aggrappava alla terra pregando dio che le regalasse un altro figlio. “Da quando ho memoria mia madre mi ha detto che ero un dono di dio”, ha scritto Wardlow in un documento processuale. “Ma non sempre mi sono sentito così”. La madre di Wardlow era irascibile e lo pic-
Le descrizioni dei personaggi creati da Wardlow
chiava con la cintura, con le antenne delle auto e con tubi di plastica. Una volta, quando lui aveva dieci anni, la donna gli puntò contro una pistola dopo averlo sor preso a rubare dal suo portafoglio. “Mi diceva che mio padre era un alieno arriva to da un altro pianeta e che nessuno mi avrebbe mai amato, a parte lei”, mi ha scritto in una lettera. “Le credevo”. A scuola Wardlow era un solitario, an che se prendeva buoni voti ed era bravo con l’elettronica. Quando aveva sedici anni incontrò Tonya Fulfer nella bibliote ca della scuola. Anche lei veniva da una famiglia problematica. Durante l’ultimo anno decisero di partire insieme, ma pre sto tornarono a Cason, dove il 14 giugno del 1993 Wardlow bussò alla porta di Carl Cole e chiese di usare il telefono. La giova ne coppia voleva rubare la macchina di Cole e scappare in Montana per comincia re una nuova vita, ma il piano fallì. Ward low, che aveva diciotto anni, sparò a Cole, poi fuggì con Fulfer a bordo del furgone. Furono arrestati due giorni dopo in South Dakota. Lui fu condannato alla pena capi tale l’11 febbraio del 1995. Due giorni do po fu trasferito nel braccio della morte. A differenza di Ford, Wardlow non aveva mai giocato a D&d prima di finire in
Alcune ambientazioni create da Wardlow
carcere. Qualche mese dopo il suo arrivo un detenuto gli prestò un libro pieno di no mi di fantasia e creature magiche. “Que sto è il gioco”, gli disse. “Domani devi es sere pronto”. Nei vent’anni successivi Wardlow ha giocato decine di partite con molti personaggi, tra cui uno che lo ha re so famoso tra i detenuti. Si chiamava Ar thaxx d’Cannith, un prodigio della magia. Veniva da Eberron, un pianeta stravolto dalla guerra. Il posto era già famoso tra i giocatori di D&d, ma Arthaxx era intera mente una creazione di Wardlow, che lo ha sviluppato scrivendo centinaia di pagi ne di annotazioni e illustrazioni. Nato da un inventore e da una docente, Arthaxx aveva una sorella gemella che era morta da piccola. Dopo la morte della bambina, la madre di Arthaxx si rifiutò di permettere che quella tragedia compro mettesse la sua carriera accademica e si buttò sul lavoro. Affidò il figlio a dei tutori, che diedero al ragazzo gli strumenti per diventare un mago. Dopo aver completato in anticipo gli studi in una prestigiosa scuola di magia, Arthaxx ottenne un lavo ro in un’importante associazione, per cui inventò armi da guerra segrete. Arthaxx poteva fare incantesimi per controllare gli elementi, manipolare l’elettricità e sca
gliare muri di fuoco sul campo di batta glia. Ogni giorno Arthaxx usava le sue ca pacità per aiutare i leader della Casa di Cannith a perfezionare l’invenzione che avrebbe messo fine a un secolo di guerre. La notte tornava a casa dalla moglie, che era stata la sua ragazza al liceo. In un certo senso Arthaxx era un alter ego di Wardlow, con qualche differenza: non aveva una madre squilibrata, i genito ri lo amavano e lo avevano iscritto a una scuola importante, le sue abilità con l’elet tricità gli permettevano di vivere comoda mente, la fuga non era la sua unica scelta e soprattutto il suo errore peggiore non lo aveva fatto finire in prigione.
Amici e complici “‘Amico’ è una parola molto forte in carce re”, mi ha scritto Ford in una lunga lettera battuta a macchina che mi ha spedito tre anni fa. “Molte persone qui hanno tradito i loro ‘amici’. In carcere si parla piuttosto di complici, complici stretti”. Ma D&d ha trasformato i complici in una squadra. Dopo aver cominciato a giocare insieme a Polunsky, Ford si è accorto che quando Wardlow amministrava la partita gli altri non litigavano mai. Come master, Ward low creava mondi enormi e intricati. Pote Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Stati Uniti va gestire le partite senza affidarsi ai libri e alle mappe, improvvisando la trama. Nel penitenziario Polunsky alcuni gruppi giocavano a D&d in orari casuali, lanciandosi nel mondo di fantasia ogni volta che erano dell’umore giusto. Ma se c’era Wardlow a gestire le partite, si seguiva un programma preciso. Di solito si cominciava alle nove del mattino tutti i lunedì, mercoledì e venerdì, e a volte i condannati giocavano fino a quando crollavano dal sonno. Era uno dei pochi appuntamenti che Ford e i suoi amici attendevano con trepidazione, un momento in cui nessuno avrebbe parlato di processi e appelli respinti. Attraverso i loro personaggi, alcuni condannati riuscivano ad aprirsi e ad affrontare argomenti che in altre circostanze non avrebbero mai discusso – genitori violenti, infanzie disperate, dipendenze da sostanze – rivelando i propri traumi personali e ricoprendoli di un sottile velo di fantasia. “Con Billy D&d è diventato una sorta di psicoterapia”, ha scritto Ford nel 2019. Il carcere Polunsky non offre i programmi educativi e di assistenza psicologica disponibili nei normali penitenziari. Con i condannati a morte l’obiettivo non è la riabilitazione. Per gli appassionati di D&d il gioco serviva anche da corso per la gestione della rabbia e terapia di trattament0 delle dipendenze. Come Ford e Wardlow, molti condannati a morte sono entrati in prigione da giovani e non hanno mai avuto la possibilità di essere adulti nel mondo esterno.
Valutare i rischi Wardlow ha regalato agli altri qualcosa a cui aspirare, non solo perché le sue partite davano ai giocatori uno scopo e una struttura, ma anche perché il suo caso giudiziario avrebbe potuto determinare un importante precedente. In Texas i carcerati possono essere condannati a morte solo se una giuria decide che sono pericolosi per la società. La pericolosità è stabilita in base al “rischio futuro”, un concetto che fa parte della legge statale sulla pena di morte dagli anni settanta. Da allora le neuroscienze si sono evolute e oggi gli esperti pensano che non sia possibile determinare con precisione il livello di pericolosità futura se il crimine è stato commesso da un ragazzo di diciotto o diciannove anni. Le ricerche indicano che la corteccia prefrontale, una parte del cervello associata alla regolazione delle emozioni e alla comprensione delle conseguenze delle
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proprie azioni, continua a svilupparsi fino ai vent’anni. Gli avvocati di Wardlow si sono affidati alla scienza nell’istanza presentata al tribunale, sostenendo che un cervello di un diciottenne non è molto diverso da quello di un diciassettenne. Quando gli altri condannati hanno scoperto i dettagli dell’appello, hanno cominciato a nutrire una speranza. “Credevamo che la corte suprema avrebbe preso la decisione giusta”, mi ha raccontato Ford l’anno scorso. Nel frattempo, D&d era l’unica occasione per imparare come funziona il mondo. I giocatori dovevano assicurarsi di avere abbastanza oro per affittare un edificio o comprare un cavallo. Quando erano a corto di fondi, dovevano valutare il percorso migliore per rimpinguare le casse: trovare un lavoro nella taverna locale, per esempio, o partire alla ricerca di un tesoro. Se sceglievano la seconda opzione, dovevano essere prudenti e valutare i rischi. I condannati hanno stretto nel mondo di fantasia le amicizie che non potevano fare nella realtà. Dal re-
D&d era l’unica occasione per imparare come funziona il mondo cinto nell’area ricreativa del cortile, Wardlow consigliava Ford su come gestire i problemi con un altro prigioniero. Altre volte convinceva uno dei detenuti comuni che lavoravano come inservienti a consegnare a Ford il cibo che preparava nella sua cella. Ogni volta che si ritrovavano in celle vicine, Ford e Wardlow giocavano a D&d. Nella maggior parte dei casi Wardlow era il master, ma in qualche occasione cedeva il ruolo a Ford. Nel 2013 la madre di Ford è morta e lui ha smesso di giocare. Ma Wardlow ha continuato a parlargli, anche se era una conversazione a senso unico attraverso le sbarre. Wardlow raccontava quello che gli passava nella testa, con voce calma e ipnotica. Lentamente Ford ha cominciato ad aprirsi, parlando della madre e scoppiando spesso in lacrime. Ricordava quanto fosse orgogliosa del suo lavoro nella polizia, ma anche tutte le cose che gli aveva insegnato sui computer quando era stata assunta in un magazzino Atari e di quella volta in cui gli aveva spiegato le regole degli scacchi. Un giorno Wardlow ha fatto
avere a Ford delle caramelle gommose, perché sapeva che le adorava. “E così ho smesso di piangere quando parlavo di mia madre”, mi ha raccontato Ford due anni fa durante una delle nostre prime interviste di persona. “Pensavo a lei, ma non piangevo”. Qualche settimana dopo ha deciso di riprendere a giocare.
Salvezza rischiosa Alla fine del 2019 Wardlow è stato trasferito nella sezione conosciuta come “guardia della morte”, destinata ai detenuti per cui è stata fissata la data dell’esecuzione. Quella di Wardlow era il 29 aprile 2020. All’inizio Wardlow ha deciso che non avrebbe più giocato a D&d, ma poi Ford gli ha elencato tutti i personaggi che rischiavano di morire se non avesse partecipato. Wardlow sapeva che doveva intervenire per salvare la storia. “Va bene, ci sto”, ha detto. E così Arthaxx ha aperto di nuovo gli occhi. In una mattina di sole, all’interno di un’area lussureggiante di Eberron, il protagonista della storia lavorava intensamente a una nuova invenzione quando all’improvviso su di lui è calata una nebbia verde dagli edifici circostanti. Arthaxx se n’è accorto e ha lanciato un incantesimo, ma la magia si è infranta contro la foschia e si è animata, attaccando il suo creatore. Arthaxx ha perso i sensi. Quando si è svegliato, ha visto il volto di uno straniero coperto di rune magiche. Erano passati sette anni e il mondo che conosceva era in rovina. Una luna maligna chiamata Atropus aveva cominciato a orbitare intorno al pianeta, scaricandovi una pioggia nauseante che resuscitava i morti dalle tombe. Gli dei erano scomparsi, rinchiusi in una prigione a forma di clessidra, e senza di loro la magia buona non era più efficace. Così Arthaxx ha ideato un piano per sconfiggere la luna e salvare il mondo, ma la vittoria ha avuto un prezzo enorme. Metà degli avventurieri sono morti e i sopravvissuti si sono resi conto che dovevano ancora liberare gli dei. Per riuscirci, Arthaxx ha lanciato un incantesimo trasformandosi in un essere più potente. Era una mossa potenzialmente vincente, ma anche rischiosa. La nuova creatura, infatti, aveva la tendenza a esplodere, soprattutto se colpita duramente. Quando il gruppo ha dovuto affrontare un’orda di esseri malvagi il risultato è dipeso dal caso. “Una delle basi di D&d è il lancio del dado”, mi ha ricordato Ford sporgendosi verso il vetro durante una delle mie visite. “Se tiri il dado e il punteg-
La cittadella disegnata da Wardlow per il personaggio di Arthaxx d’Cannith gio è troppo basso per salvarti la vita, allora non c’è niente da fare”. Così, con uno sfortunato giro di ruota, Arthaxx ha smesso di vivere. Gli altri hanno continuato a combattere, ma senza l’aiuto del loro leader alla fine sono morti tutti. Dopo la conclusione della partita alcuni condannati hanno deciso di ricominciare. Ma non Wardlow. Sapeva di non avere abbastanza tempo. Lo stato del Texas aveva cancellato l’esecuzione fissata per aprile a causa della pandemia, ma aveva stabilito un’altra data: l’8 luglio 2020.
Memoria viva Mentre le settimane passavano e il giorno dell’esecuzione si avvicinava, Ford e Wardlow si sentivano intrappolati in una trama in cui non avevano la possibilità di immaginare una fuga. “È una realtà immutabile”, mi ha spiegato Ford. “Non solo ti dicono che uno dei tuoi migliori amici morirà in un dato giorno, ma tu non puoi fare assolutamente niente per impedirlo”. Nella primavera del 2020 Wardlow ha deciso di cominciare un’ultima partita: un’avventura minore, più semplice, creata
per i suoi amici e incentrata su una città mitologica e su una missione per recuperare una spada magica. “Sono sicuro che ti sarà capitato di vedere gli episodi finali di una serie che hai amato”, mi ha scritto Wardlow nella sua ultima lettera, il 24 giugno 2020, battuta a macchina nella sua cella. “Questa è la stessa cosa. Anche se spero che non sia davvero l’ultimo episodio”. Due settimane dopo lo stato del Texas lo ha ucciso. Qualche ora dopo la sua morte, nella camera ardente, la ragazza di Wardlow – un’amica di penna di lunga data e un’attivista contro la pena di morte – lo ha toccato per la prima volta, singhiozzando e accarezzando il suo volto dentro la bara. In seguito mi ha scritto un messaggio chiedendomi se volessi la scatola con l’attrezzatura per i giochi di Wardlow. Dentro c’era un vecchio pezzo di carta che mi ha fatto sussultare. Era una lettera di scuse, scritta a mano e rivolta al figlio di Carl Cole. Era datata 1997. Piegata a metà, era rimasta lì, tra centinaia di pagine di schizzi di personaggi, tabelle e mappe. Erano i resti di un mondo di fantasia popolato da
stregoni e orchi. Di recente l’avvocato di Wardlow mi ha confermato che quella lettera non è mai stata inviata, ma che un’altra, rivolta alla famiglia Cole, era stata recapitata dopo l’esecuzione. Dopo la morte di Wardlow, Ford ha difficoltà a leggere e a fare le piccole cose che un tempo gli piacevano. “Questo posto ha un effetto pesante sulle persone”, mi ha spiegato durante una delle mie visite. Man mano che i suoi amici e i suoi compagni di D&d ricevevano la notizia della data dell’esecuzione, Ford ha cominciato a preoccuparsi di quando lo stato fisserà la sua. Nel frattempo un gruppo di avvocati l’ha convinto a intentare con altri detenuti una causa per cambiare le condizioni d’isolamento nella sezione dei condannati a morte. La documentazione è stata depositata a gennaio e il caso è ancora aperto. Se Ford e gli altri vinceranno, gli uomini di Polunsky potranno giocare a D&d insieme, seduti intorno a un tavolo per la prima volta in vent’anni. Wardlow non ci sarà. “Ma fino a quando avremo il gioco”, mi ha assicurato Ford, “manterremo viva la sua memoria”. u as Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Panamá
MAURICIO VALENZUELA (PICTURE ALLIANCE/AP/LAPRESSE)
Navi in attesa di entrare nel canale di Panamá, oceano Pacifico, 26 agosto 2023
Un passaggio troppo affollato Marie Delcas, Le Monde, Francia Per far fronte alla siccità prolungata, le autorità panamensi hanno ridotto il numero di navi che possono attraversare il canale l parco nazionale Soberanía, che costeggia il canale di Panamá, è verdeggiante. Sottili cascate scorrono lungo le rocce. Guardandolo, è difficile credere che il paese centroamericano stia attraversando una siccità senza precedenti. “L’acqua dovrebbe arrivare alla linea gialla, mancano più di due metri”, dice con un
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sospiro l’ingegnere Nelson Guerra indicando la parete della chiusa di Pedro Miguel, a una decina di chilometri dall’ingresso del canale sull’oceano Pacifico. Normalmente piove per otto mesi all’anno, da maggio a dicembre. Ma quest’anno le piogge sono arrivate tardi e rimangono scarse. A differenza del canale di Suez, che è al livello dei due mari e quindi non può prosciugarsi, quello di Panamá comprende il lago artificiale Gatún, 26 metri sopra il livello del mare, che si riempie d’acqua dolce. Per far fronte alla carenza d’acqua le autorità nazionali hanno limitato il transito da quaranta a 32 navi al giorno e diminuito il pescaggio autorizzato da 15 a 13
metri. Oggi meno navi possono attraversare la via d’acqua, lunga 80 chilometri, che collega l’oceano Pacifico all’Atlantico e quelle che lo fanno portano anche un carico minore. Le misure, annunciate alla fine di luglio, dovrebbero durare un anno. “Lo scopo è mantenere la fiducia dei nostri clienti, consentendogli di pianificare meglio le loro operazioni”, si legge nel comunicato dell’Autorità del canale di Panamá (Acp), l’azienda pubblica autonoma che gestisce l’idrovia. “La decisione è stata presa in vista di un 2024 che si annuncia molto secco”, ha sottolineato Ilya Espino de Marotta, viceamministratrice dell’Acp. “Se da qui a dicembre pioverà abbastanza le misure saranno sospese”. L’Acp cerca di
essere rassicurante, ma le compagnie di navigazione, i loro clienti, gli esperti e i governi s’interrogano sull’impatto economico di queste restrizioni al traffico marittimo. Sono una minaccia per gli affari del periodo natalizio e l’inflazione in tutto il mondo. “Siamo in alta stagione”, dice Víctor Vial, vicepresidente finanziario dell’Acp. “In questo periodo di solito passano i carichi per le feste di fine anno”. Nel 2022 circa 518 milioni di tonnellate di merci sono transitate sulla rotta interoceanica, più del 5 per cento del commercio marittimo mondiale. Il canale si vanta di connettere “180 rotte marittime tra 1.920 porti di 170 paesi”. Lo attraversano più di quattordicimila navi all’anno. Le due grandi rotte commerciali che dipendono da Panamá sono quelle che vanno dall’Asia alla costa orientale degli Stati Uniti, e dalla costa occidentale dell’America Latina a quella orientale degli Stati Uniti. I flussi di merci maggiori sono statunitensi e cinesi. Il lago Gatún, che si estende su più di quattrocento chilometri quadrati, è alimentato dal fiume Chagres e da corsi d’acqua secondari. Un secondo lago artificiale, l’Alajuela, serve da bacino idrico di riserva. Un sistema di chiuse permette di sollevare le navi all’altezza del lago e farle scendere dall’altro lato. La prima serie di chiuse risale al 1914; dal 2016 una terza serie permette di ospitare le navi molto grandi, che non esistevano cent’anni fa. A settembre le foto dal satellite delle decine di navi parcheggiate nel blu dei due oceani ha alimentato la preoccupazione generale. Il mese prima il numero di navi ferme che aspettavano di passare era arrivato a 163, un record assoluto. L’attesa è salita a ventuno giorni, contro i quattro dei tempi normali. “Ci sono sempre state navi in sosta da una parte e dall’altra del canale”, dice Vial. “Alcune arrivano prima della data prenotata, altre fanno scalo per fare rifornimento di viveri e carburante o perché hanno bisogno di qualche riparazione”. Vial è preoccupato dai discorsi “inutilmente allarmisti”, anche se il 15 settembre le navi in rada erano 122, alcune da più di dieci giorni. Una guida spiega il funzionamento del canale ai turisti che ammirano le gigantesche chiuse di Miraflores, vicino alla capitale, sulla costa pacifica. “Le porte dell’ultima chiusa si aprono, la nave accelera e lascia il sistema del canale”, dice la voce al microfono. “La sua traversata è durata una decina di ore. Se avesse aggirato il continente sudamericano, la stessa nave
100 km
Mar dei Caraibi Canale di Panamá Colón
PA NA M Á
Lago Gatún
Panamá
Oceano Pacifico
avrebbe impiegato tre o quattro settimane in più”. Pausa. Poi di nuovo: “Con lei, duecento milioni di litri d’acqua dolce se ne vanno nell’oceano”.
Risparmio idrico Per l’Acp, che gestisce le acque del lago Gatún, la sfida è duplice: “Dobbiamo fornire acqua al canale e acqua potabile alla popolazione”, spiega l’ingegnere Ayax Murillo, capo dell’ufficio di meteorologia e idrografia. Dal lago Gatún dipendono i 2,2 milioni di abitanti della capitale, cioè metà della popolazione del paese. “La stampa internazionale dimentica che la siccità è prima di tutto un problema locale”, aggiunge l’economista Felipe Chapman. “Panamá ha bisogno di acqua per bere e irrigare i campi, alimentare il bestiame, produrre elettricità e far funzionare la sua economia. Ma ha bisogno anche del canale”, che rappresenta circa il 10 per cento delle entrate dello stato e il 6,2 per cento del pil. “Considerando tutte le attività legate indirettamente al canale questa cifra può salire al 20 per cento”, dice Chapman. La pressione demografica è forte in questo paese di 175mila chilometri quadrati, la cui popolazione è raddoppiata in meno di quarant’anni. “Nel 1930, quando fu costruita la diga dell’Alajuela per rafforzare l’approvvigionamento idrico del lago Gatún, a Panamá vivevano 400mila persone”, ha spiegato Jorge Quijano, ex amministratore del canale. “Servono dei lavori per affrontare la crescita esponenziale del consumo di acqua”. “Panamá ha delle risorse idriche enormi. Ma non dove ne abbiamo bisogno”, dice Murillo. Dietro di lui uno schermo gigante mostra in tempo reale il livello dei laghi Gatún e Alajuela. “Il livello di riempimento a ventiquattro metri nel Gatún non si era mai visto in questo periodo dell’anno”, osserva. “Dovrebbe essere a più di 26 metri e raggiungere i 27 a dicem-
bre, quando arriverà la stagione secca”. La siccità è il risultato della concomitanza tra il fenomeno climatico del Niño e il riscaldamento globale. “Da gennaio i nostri esperti hanno riscontrato delle temperature anomale sulla superficie dei due oceani”, continua l’ingegnere. “Abbiamo subito adottato delle misure per il risparmio idrico”. Con un limite però: se il recupero dell’acqua delle chiuse nei bacini adiacenti e il loro riutilizzo consentono di risparmiare un quarto dell’acqua dolce usata per il canale, questo accelera la salinizzazione dell’acqua del lago Gatún. “Non avevo mai visto il fiume così”, afferma Larengis Mercado, che vende noci di cocco lungo la strada tra Panamá e Colón, sulla costa caraibica. Le erbe selvatiche hanno invaso gli argini prosciugati del fiume, alcuni ciuffi di verde emergono qua e là nella poca acqua che resta. “È colpa degli esseri umani”, dice urlando una persona che passa in bici. “Per riempire le dighe prima della stagione secca, che comincia a dicembre, ci vorrebbero dei nubifragi tropicali. Ma sono sempre catastrofici per la popolazione”, dice Murillo. “Paradossalmente, i risultati finanziari del canale sono stati eccellenti quest’anno”, afferma Vial. Le previsioni parlano di 4,6 miliardi di dollari nel 2023 (circa quattro miliardi di euro) – cioè il 10,2 per cento in più rispetto al 2022 – il che dovrebbe consentire all’Acp di versare all’amministrazione fiscale di Panamá circa due miliardi e mezzo di dollari. Ad agosto l’Acp stimava che senza questi problemi avrebbe guadagnato 200 milioni di dollari in più. Le compagnie di navigazione temono di pagare il prezzo più alto. “Per far fronte alla riduzione del pescaggio ed evitare un’interruzione delle catene logistiche abbiamo mobilitato più navi”, spiega António Domínguez, presidente per l’America Latina e i Caraibi dell’azienda danese Maersk. È la seconda compagnia di trasporto marittimo al mondo, la principale utilizzatrice del canale e ha più di cinquecento portacontainer. “Solo l’esercito degli Stati Uniti ha più navi di noi”, dice Domínguez. Ma non tutte le compagnie hanno il margine di manovra della Maersk. L’azienda, che si dice preoccupata dalla crisi climatica e spera in “una solida regolamentazione per tutti gli attori del trasporto marittimo”, ha inaugurato il 14 settembre a CoInternazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Panamá penaghen la prima nave al mondo alimentata a biometanolo. Le portacontainer possono prenotare e pagare in anticipo il loro diritto di passaggio alla tariffa fissata dal canale. Le operazioni delle navi portarinfuse, dei trasportatori di gas naturale liquido o di petrolio liquefatto sono più incerte: queste imbarcazioni arrivano senza prenotazione e devono aspettare il loro turno in ordine di arrivo, oppure comprare uno dei diritti di passaggio messi all’asta. Alla fine di agosto una compagnia di navigazione ha pagato 2,8 milioni di dollari affinché la sua nave potesse attraversare il canale. “Una tariffa inusuale”, precisa Vial. “Non siamo noi a fissare i prezzi, ma il mercato. E l’urgenza”. Per una grossa nave aspettare o fare il giro del continente sudamericano significa un costo di milioni di dollari.
Pochi benefici I conquistatori spagnoli sognavano di aprire un passaggio nell’istmo fin dall’inizio del cinquecento. Ma bisognò aspettare le macchine e le tecniche dell’ottocento per realizzare il progetto. All’epoca Panamá era una provincia della Colombia e Bogotá si rivolse alla Francia, che nel 1869 aveva appena concluso con successo il canale di Suez. L’ingegnere Ferdinand de Lesseps progettò un canale al livello del mare. I lavori cominciarono nel 1880. “Ma Panamá non è un deserto”, ricorda il breve filmato presentato ai turisti. La roccia della montagna, le inondazioni del fiume Chagres, la giungla e le montagne fecero naufragare le ambizioni francesi. Migliaia di operai morirono per la malaria e la febbre gialla. Per ridurre i lavori di scavo, nel 1887 Lesseps accettò finalmente l’idea di un canale a chiuse. Gustave Eiffel ne realizzò le porte. Ma la Compagnia universale interoceanica fu travolta dagli scandali e fallì. Nel 1902 i francesi rivendettero per 40 milioni di dollari i diritti e le loro proprietà agli statunitensi che, prima di riprendere i lavori, debellarono le zanzare e incitarono segretamente Panamá a separarsi dalla Colombia. Tre giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza il piccolo stato centroamericano concesse al suo potente vicino del nord una zona sovrana esclusiva di sedici chilometri da una parte e dall’altra della via d’acqua. Il canale fu inaugurato nell’agosto del 1914, quando la prima guerra mondiale era appena cominciata. Sarebbe rimasto in mano agli Stati Uniti per 75 anni. “Per tutto il novecento la lotta contro l’enclave statu-
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nitense ha forgiato lo spirito nazionale panamense”, dice Harry Brown, ricercatore del Centro internazionale di studi politici e sociali. Fu il presidente democratico Jimmy Carter, in cerca di prestigio internazionale dopo il fallimento della guerra in Vietnam, a restituire la zona esclusiva. Nel 1977 i trattati Torrijos-Carter, dal nome del presidente panamense Omar Torrijos, stabilirono il progressivo trasferimento del canale e la futura neutralità. Il 31 dicembre 1999 il canale diventò panamense. Alcuni si auguravano che la piccola e fragile Panamá, corrotta come i suoi vicini, non riuscisse a gestire quel mostro di ingegneria che è il canale. “I più pessimisti dicevano che nel giro di qualche anno il lago Gatún sarebbe diventato una pozza per maiali”, ricorda Abraham Teran, un pensionato, contemplando la gigantesca portacontainer bianca che i rimorchiatori accompagnano verso la prima chiusa. “La navigazione non si è mai interrotta e non abbiamo mai avuto incidenti gravi”, afferma l’ingegnere Nelson Guerra. Per attraversare il canale le navi passano sotto
Il canale occupa un posto importante nell’immaginario nazionale il controllo di un pilota e issano bandiera panamense. “Le operazioni sono più complicate che in un canale a livello”, prosegue Guerra. Le imbarcazioni dette “Neo-Panamax”, che passano nelle nuove chiuse, possono misurare 365 metri di lunghezza e trasportare più di 12mila container. A volte questi mostri marini hanno poche decine di centimetri di margine per entrare nel sistema di chiuse. Lungo il canale gli edifici lasciati dagli statunitensi sono mantenuti con cura e i prati tagliati alla perfezione. “Il canale occupa un posto importante nell’immaginario nazionale”, dice Brown. “E la sua gestione è oggetto di un certo consenso”. Certo, c’è chi dice che l’Acp avrebbe dovuto avviare prima i lavori per garantire l’approvvigionamento idrico del lago Gatún. I sindacati denunciano regolarmente nepotismo e illeciti nell’ente. Ma in quasi venticinque anni nessun grande scandalo di corruzione ha macchiato l’azienda pubblica, un fatto raro in America Latina.
Ad agosto l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è tornato a criticare la restituzione del canale a Panamá nel 1999, affermando che ormai è “controllato dalla Cina”. “Trump si sbaglia”, ha risposto il presidente panamense Laurentino Cortizo. “Tutto il mondo sa che il canale è ben amministrato”. “I panamensi sono fieri del loro canale e al tempo stesso sono convinti che non gli porti nessun vantaggio”, sottolinea Brown, ridimensionando di proposito l’entusiasmo. “Il canale non ha mantenuto le sue promesse di sviluppo e benessere per la popolazione, e i problemi di acqua potabile lo dimostrano”. Nel 2006 i lavori di ampliamento sono stati oggetto di un referendum: il 76 per cento dei votanti si è detto a favore della costruzione del terzo sistema di chiuse. “Gli ambientalisti erano divisi”, ricorda Alida Spadafora, consulente del Centro internazionale per lo sviluppo sostenibile. Oggi gli ambientalisti sono preoccupati dal rinnovo del contratto Cobre Panamá per lo sfruttamento di una miniera di rame a cielo aperto estesa su dodicimila ettari, 120 chilometri a ovest della capitale. Firmato con una filiale dell’azienda canadese First Quantum Minerals, il nuovo contratto dev’essere ancora approvato dal parlamento. “In futuro il progetto potrebbe avere ripercussioni sulle acque del lago Gatún, se le autorità decideranno di ampliare il suo bacino di alimentazione”, conclude Spadafora. I lavori per potenziare l’approvvigionamento idrico del lago sono allo studio dal 2020. Secondo Chapman, “il fatto che un paese tropicale umido come Panamá abbia problemi idrici la dice lunga sullo stato del clima del pianeta e sull’urgenza di intervenire”. Qualche settimana fa l’amministratore del canale, Ricaurte Vásquez Morales, ha detto in conferenza stampa che le autorità stanno valutando di costruire un nuovo bacino sul fiume Indio, a ovest del canale, e di trasformare il lago Bayano a est in un bacino di riserva. “Dobbiamo trovare delle soluzioni per poter continuare a essere una tratta di primaria importanza per il commercio internazionale. Se non ci adattiamo, scompariremo”, ha detto Vásquez. Le autorità panamensi e le compagnie di navigazione si rifiutano di parlare di una possibile interruzione delle attività del canale, se la siccità continuerà. u fdl
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Scienza
I sogni dei ragni Carolyn Wilke, Knowable, Stati Uniti
I segnali tipici del sonno rem sono stati individuati in animali molto distanti evolutivamente dagli esseri umani. Ma se queste specie sono davvero capaci di sognare è possibile che siano anche dotate d’immaginazione? notte, e in un laboratorio alcuni giovani ragni saltatori sono appesi a un filo dentro una scatola. Ogni tanto le loro zampette si contraggono, le filiere hanno un fremito, e la retina degli occhi, visibile attraverso l’esoscheletro traslucido, si muove avanti e indietro. “Quello che stanno facendo somiglia moltissimo al sonno rem,” dice Daniela Rößler, ecologa comportamentale all’università di Costanza, in Germania. Durante la fase rem (da rapid eye movement, movimento oculare rapido), gli occhi di un animale sfrecciano qua e là in modo imprevedibile. Negli esseri umani è la fase in cui si sviluppano quasi tutti i sogni, soprattutto quelli più vividi. Il che fa sorgere un interrogativo affascinante. Se i ragni hanno il sonno rem, anche il loro cervello, grande quanto un seme di papavero, produce dei sogni? Rößler e i suoi colleghi hanno scritto un articolo sui movimenti degli occhi dei ragni nel 2022. Filmando con le videocamere 34 esemplari, hanno scoperto che avevano brevi fasi simili al sonno rem ogni 17 minuti circa. Il movimento oculare era limitato a questi periodi: non si verificava quando i ragni saltatori si muovevano, si stiracchiavano, risistemavano i loro filamenti di seta o si pulivano con una zampa. Anche se i ragni sono immobili nei momenti che precedono queste fasi, l’équipe non ha ancora dimostrato che stanno effettivamente dormendo. Ma se lo accertassero – e se quello che sembra rem è veramente rem – il sogno è una possibilità concreta, dice Rößler. Per lei è fa-
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cile immaginare che i ragni saltatori, per i quali la vista è fondamentale, possano usare i sogni per elaborare le informazioni acquisite durante il giorno. Rößler non è l’unica a riflettere sul tema studiando animali molto lontani da noi. Oggi gli scienziati trovano segni del sonno rem in una varietà di specie molto più ampia che in passato: ragni, lucertole, seppie, pesci zebrati. Questo ha spinto alcuni ricercatori a chiedersi se l’attività onirica – che un tempo si credeva fosse esclusiva degli esseri umani – sia molto più diffusa di quanto si pensi. Oltre che dal movimento oculare rapido, normalmente il sonno rem è contraddistinto da una serie di caratteristiche: la paralisi temporanea dei muscoli scheletrici, periodiche contrazioni del corpo, aumento dell’attività cerebrale, accelerazione della frequenza respiratoria e cardiaca. Individuato nei neonati nel 1953, il sonno rem fu osservato ben presto in altri mammiferi come gatti, topi, cavalli, pecore, opossum e armadilli. Quello che succede nel cervello umano duran-
Le seppie attraversavano delle fasi in cui muovevano rapidamente gli occhi, contorcevano i tentacoli e cambiavano colore
te il sonno rem è stato chiarito. Nei periodi non rem, detti anche sonno tranquillo, l’attività cerebrale è sincronizzata: i neuroni si attivano contemporaneamente e poi tacciono, soprattutto nella corteccia celebrale, creando lampi di attività noti come onde lente. Durante la fase rem, invece, il cervello mostra scoppi di attività elettrica che ricordano la veglia. Anche tra i mammiferi il sonno rem non è sempre uguale. Le echidne, dei mammiferi marsupiali, mostrano caratteristiche di sonno rem e non rem contemporaneamente. Alcuni studi suggeriscono che le balene e i delfini potrebbero non avere affatto la fase rem. Negli uccelli il sonno rem è caratterizzato dalla contrazione di becco e ali, e dalla perdita di tono nei muscoli che sostengono la testa. Eppure i ricercatori cominciano a trovare stati di sonno simili in molti rami dell’albero della vita animale. Nel 2012, per esempio, è stata osservata una condizione paragonabile al sonno rem nelle seppie, durante la quale gli animali si comportavano in modo curioso: muovevano rapidamente gli occhi, contorcevano i tentacoli e cambiavano colore. La biologa comportamentale Teresa Iglesias ha approfondito il fenomeno filmando sei esemplari. Tutti mostravano periodi simili al sonno rem, che si ripetevano a intervalli di circa trenta minuti: improvvisi scatti dei tentacoli e degli occhi, durante i quali la loro pelle assumeva diverse colorazioni e motivi. Dato che il cervello del cefalopode controlla direttamente la pigmentazione della pelle, “il fenomeno suggerisce un’intensa attività
US GEOLOGICAL SURVEY/SCIENCE PHOTO LIBRARY/AGF
Un ragno saltatore Phidippus clarus
cerebrale”, dice Iglesias. In seguito altri scienziati hanno osservato un comportamento simile nei polpi. Se i cefalopodi sognano, “in un certo senso crollano le basi della nostra idea che gli esseri umani siano così speciali”, commenta Iglesias.
Rivivere il passato Gli studiosi hanno osservato una fase paragonabile al rem nei draghi barbuti, una specie di lucertola australiana, registrando i segnali provenienti da elettrodi applicati al loro cervello. E hanno individuato almeno due stati di sonno nei pesci zebrati, basandosi sulle loro onde cerebrali. In una di queste fasi l’attività neurale si sin-
cronizzava, come avviene nei mammiferi durante la fase non rem. In un’altra fase i pesci mostravano un’attività neurale che ricordava lo stato di veglia, come succede nel sonno rem, ma non il movimento oculare rapido. Osservando diverse fasi di sonno in un animale così lontano da noi a livello evolutivo, gli scienziati hanno ipotizzato che questa differenziazione sia apparsa centinaia di milioni di anni fa. Ora sappiamo che anche le mosche possono passare da una fase all’altra, mentre i nematodi sembrano averne una sola. I ricercatori valutano la possibilità che gli animali sognino durante la fase che so-
miglia a quella rem perché in questa fase esibiscono comportamenti tipici della veglia, come i cefalopodi che cambiano colorazione o i ragni che agitano le filiere. Gianina Ungurean dell’Istituto Max Plank per l’intelligenza biologica di Monaco, in Germania, ha osservato che durante la fase rem le pupille dei piccioni si restringono come succede nel corteggiamento. Questo spinge a chiedersi se gli uccelli stanno sognando o in qualche modo rivivendo quanto è successo durante gli episodi di corteggiamento da svegli, dice. Anche in alcuni animali il sonno rem è stato associato a una ripetizione dell’esperienza. Per esempio, quando i ricercatori Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Scienza
In prima persona Il ruolo della fase rem è ancora oggetto di discussione. “Nessuno sa veramente che funzione abbia il sonno”, dice Paul Shaw, un neuroscienziato dell’università di Washington a St. Louis, negli Stati Uniti. Una delle ipotesi più accreditate è che il sonno rem aiuti il cervello a formare e riorganizzare i ricordi. Secondo altre teorie favorisce lo sviluppo del cervello e dei sistemi motori del corpo, mantiene in funzione i circuiti necessari alle attività della veglia in modo che non si deteriorino durante il sonno, oppure aumenta la temperatura cerebrale. Ma se fosse accertato che è presente in specie molto diverse dagli umani, questo farebbe pensare che svolga un ruolo importante, dice Iglesias. Non tutti gli scienziati credono che quello osservato negli altri animali sia davvero sonno rem. Forse gli autori degli studi stanno semplicemente confermando il preconcetto che tutte le specie abbiano due fasi di sonno e interpretano una di queste fasi come rem, dice Jerome
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Un esemplare di Sepia smithi
SCUBAZOO/SCIENCE PHOTO LIBRARY/AGF
hanno esaminato l’attività elettrica del cervello di topi addormentati che precedentemente avevano corso in un labirinto, hanno visto che si attivavano i neuroni usati per orientarsi, che sono collegati alla direzione della testa, anche se le teste dei topi non si stavano muovendo. Hanno anche rilevato attività in neuroni associati ai movimenti oculari. I due fenomeni suggeriscono che i topi potrebbero aver avuto un’esperienza simile al sogno, in cui stavano esaminando l’ambiente. Tutti questi elementi fanno pensare che gli animali stessero sognando, continua Ungurean. “Ma se li prendiamo uno per uno, nessuno è sufficiente”. L’attività cerebrale associata alla ripetizione, come quella dei topi che hanno corso nel labirinto, non si verifica solo durante il sonno, precisa la studiosa. Può manifestarsi anche durante la pianificazione e i sogni a occhi aperti. E il legame tra rem e sogno non è assoluto: gli esseri umani sognano anche durante la fase non rem, e negli esperimenti in cui sono usati farmaci per sopprimere il sonno rem i partecipanti possono comunque avere sogni lunghi e bizzarri. In fondo le persone sanno di sognare perché possono raccontarlo, dice Ungurean. “Ma gli animali non possono, e questo è il maggiore problema che abbiamo per stabilire con certezza e in termini scientifici se sognano”.
Siegel, neuroscienziato dell’università della California a Los Angeles. Alcune specie – come i ragni – potrebbero non dormire affatto. “Gli animali possono fare cose che sembrano uguali a quelle che fanno gli esseri umani, ma la fisiologia non è necessariamente la stessa”, spiega Siegel. Gli scienziati continuano a cercare indizi. L’équipe di Rößler sta tentando di mettere a punto dei coloranti per visualizzare i cervelli dei ragni: questo potrebbe rivelare un’attivazione in aree funzionalmente simili a quelle che usiamo noi quando sogniamo. Iglesias e altri hanno impiantato elettrodi nel cervello di alcuni cefalopodi e monitorato l’attività elettrica durante due fasi del sonno – una che mostra uno stato simile alla veglia e un’altra tranquilla, con onde cerebrali paragonabili a quelle che si osservano nei mam-
miferi. E Ungurean ha addestrato i piccioni a dormire in una macchina per la risonanza magnetica, scoprendo che molte aree cerebrali che si accendono nel sonno rem umano si attivano anche in questi volatili. Se seppie, ragni e molte altre creature sognano, nascono interrogativi interessanti su quello che sperimentano, dice David M. Peña-Guzmán, filosofo della San Francisco state university. Dato che nei sogni la prospettiva è quella di chi dorme, gli animali che sognano dovrebbero avere la capacità di vedere il mondo dal loro punto di vista, dice. Il sogno suggerirebbe anche che hanno capacità immaginative. “Ci piace pensare che gli umani siano gli unici a potersi prendere questa pausa dal mondo”, commenta PeñaGuzmán. “Ma forse dovremmo pensare un po’ di più agli altri animali”. u gc
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L’ultimo volo Pochi mesi fa uno degli aerei usati per i voli della morte durante la dittatura militare è stato riportato in Argentina. Il fotografo Giancarlo Ceraudo, che in un’inchiesta ne aveva seguito le tracce per vent’anni, ha atteso il suo arrivo insieme ai familiari delle vittime
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a notte del 14 dicembre 1977 tre piloti fecero volare un aereo per più di un’ora sopra l’oceano Atlantico. Sul registro tecnico compilato al decollo dichiararono che non c’erano passeggeri, ma non era vero: sul pavimento della cabina posteriore c’erano otto donne e quattro uomini, che erano stati drogati, torturati e avevano perso conoscenza. Quella notte furono tutti gettati in mare dal retro dell’aereo, precipitando per migliaia di metri. I loro corpi riaffiorarono qualche giorno dopo su una spiaggia a circa trecento chilometri da Buenos Aires. Furono sepolti senza nome e identificati solo nel 2005, grazie al lavoro degli antropologi forensi. Tra loro c’erano le suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet, e Azucena Villaflor, fondatrice delle Madri di plaza de Mayo, l’associazione formata dalle madri dei desaparecidos. I cosiddetti voli della morte furono regolarmente usati durante la dittatura militare argentina, al potere tra il 1976 e il 1983, per eliminare gli oppositori politici. “Quando sono stato per la prima volta in Argentina, vent’anni fa, questa storia mi ossessionava”, dice il fotografo Giancarlo Ceraudo. “Andavo in giro a chiedere a tutti: ‘Dove sono quegli aerei?’ Ma nessuno lo sapeva”. Per trovare delle risposte Ceraudo ha cominciato il progetto Destino final, durato più di vent’anni e realizzato in parte insieme alla giornalista argentina Miriam Lewin, sopravvissuta alla Escuela de mecánica de la armada (Esma), la scuola della marina militare di Buenos Aires, usata dalla giunta militare come centro di detenzione e tortura. Grazie alle loro indagini
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nel 2010 hanno scoperto che due aerei Skyvan usati per i voli della morte erano stati abbattuti durante la guerra delle Malvine (Falkland), altri tre erano stati venduti, e uno solo era integro.
Destinazione finale Lo Skyvan PA-51 si trovava a Fort Lauderdale, in Florida. Apparteneva a un’azienda di trasporti che fa consegne alle Bahamas. All’interno dell’aereo Ceraudo e Lewin hanno trovato i piani di volo, con i luoghi di partenza e arrivo e i nomi dei tre piloti. “Era la prima volta che qualcuno aveva accesso a un documento di questo tipo”, dice Ceraudo. “L’abbiamo fatto decifrare a Enrique Piñeyro, un pilota di lungo corso che ha individuato anomalie di durata, origine, destinazione e data dei voli”. Incrociando diversi dettagli è stato possibile dichiarare che quello era l’aereo usato la notte del 14 dicembre 1977. I piani di volo sono stati consegnati alla giustizia nel dicembre 2009 e nel 2017 hanno permesso di condannare due dei piloti, Mario Daniel Arru e Alejandro Domingo D’Agostino, per crimini contro l’umanità. Il terzo pilota citato nel registro di volo, Enrique José De Saint Georges, è morto per cause naturali in attesa della sentenza. Nel 2023, su richiesta dei familiari delle vittime, il ministero dell’economia argentino ha acquistato l’aereo e ne ha organizzato il trasferimento dagli Stati Uniti. Il 24 giugno è atterrato all’aeroporto di Buenos Aires e sarà esposto nel museo della memoria allestito nell’Esma, oggi patrimonio dell’Unesco: “Quell’aereo è il simbolo di tutti i voli della morte che hanno messo a tacere i desaparecidos”, ha detto Ceraudo. u
Sopra: Aty Alemida, una delle Madri di plaza de Mayo e Miriam Lewin durante l’atterraggio dello Skyvan PA-51 a Buenos Aires, il 24 giugno 2023. Qui accanto: la manovella da cui si apriva la porta posteriore dell’aereo, azionata solo dopo l’ordine del comandante, aprile 2013. In basso al centro: l’interno dello Skyvan, aprile 2013. A pagina 72: il fratello di Patricia Oviedo, una delle dodici vittime del volo del 14 dicembre 1977, mostra la foto della sorella, davanti all’aereo, il 26 giugno 2023. Nelle pagine 70-71: lo Skyvan all’Aeroparque di Buenos Aires, il 24 giugno 2023. È lo stesso aeroporto da cui partiva per effettuare i voli della morte. Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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In alto: il funerale di Horacio Bua, un desaparecido, novembre 2007. I familiari hanno potuto seppellirlo grazie al lavoro degli antropologi forensi che hanno ritrovato e identificato il corpo nel 2005. In basso: il volto di una desaparecida, in una foto affissa sui muri dell’Esma, settembre 2022.
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Sopra: Miriam Lewin fotografata nel centro di detenzione Virrey Cevallos, dove è stata tenuta per circa un anno prima di essere trasferita all’Esma, settembre 2010. Qui accanto: Vera Vigevani Jarach è un’attivista e giornalista italiana che vive in Argentina. Di origine ebraica, si era rifugiata in Argentina nel 1939 per sfuggire alle leggi razziali fasciste. È entrata nell’associazione delle Madri di plaza de Mayo dopo la morte della figlia Franca Jarach negli anni della dittatura militare. Nella foto getta un fiore nel rio de la Plata in omaggio alle vittime dei voli della morte, novembre 2007.
Da sapere Il libro e la mostra ◆ Il progetto Destino final è stato realizzato dal fotografo italiano Giancarlo Ceraudo. Hanno collaborato anche la giornalista argentina Miriam Lewin, un’ex desaparecida, ed Enrique Pineyro, un ex pilota e produttore cinematografico argentino di origini italiane. Il lavoro è diventato un libro nel 2017, pubblicato dalla casa editrice Schilt. E nell’estate del 2023 è stato esposto al Centro cultural Kirchner di Buenos Aires, in Argentina.
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Graphic journalism Cartoline dall’Iraq
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Alessio Lo Manto (disegni) ed Emiliano Barletta (testi) sono gli autori del fumetto Diario di scavo. Considerazioni finali (Oblò 2021). Collaborano con stormi.info e con il trimestrale ANTIFA!nzine. Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Ritratti
Sahra Wagenknecht L’altra sinistra Bernd Ulrich, Die Zeit, Germania. Foto di Steffen Roth Intellettuale di origine iraniana, è una figura di spicco della sinistra tedesca, ma è critica verso l’ambientalismo e l’accoglienza dei migranti. E sta per fondare un partito che può cambiare il panorama elettorale i potrebbe dire che Sahra Wagenknecht è un grande enigma. Non ama i partiti, ma vuole fondarne uno. È un’intellettuale, ma vorrebbe dare una voce a chi non sopporta il ceto medio colto. Ha origini iraniane e da giovane ha subìto discriminazioni nella Repubblica Democratica Tedesca, ma sostiene la politica migratoria più restrittiva di tutta la sinistra tedesca. È lontanissima dalla cosiddetta gente comune nei gesti, nel modo di vestire e nella sua storia, ma se la prende con i politici della coalizione semaforo, quella tra socialdemocratici (rossi), liberali (gialli) e Verdi, perché li considera troppo distanti dal popolo. Ha difficoltà con le alleanze ed è sposata con una delle personalità più complicate del dopoguerra tedesco, Oskar Lafontaine, fondatore di Die Linke ed ex ministro delle finanze. La loro è una coppia che per molti è difficile perfino da immaginare. Ha già avuto un esaurimento nervoso, ma ora vuole cimentarsi nel lavoro più faticoso per un politico: creare un partito praticamente da zero. Qualche tempo fa abbiamo pranzato insieme in un minuscolo ristorante persiano di Charlottenburg, un quartiere di Ber-
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lino. Dopo un paio d’ore ho chiesto il conto, ma il ristoratore mi ha detto: “È già pagato, il signore là davanti voleva invitare la signora Wagenknecht”. “Lo ha fatto perché sono di sinistra”, ha commentato lei. Ma non era quello il motivo. Quando l’uomo è venuto al nostro tavolo, ha detto di essere iraniano. Le aveva offerto il pranzo perché erano connazionali. Le succede spesso: non sa interpretare bene i gesti degli altri. Anche i suoi seguaci, cioè le persone con cui in teoria dovrebbe fondare il nuovo partito, non sembrano i classici burocrati. Piuttosto appaiono “disfunzionali”, nel senso buono del termine. Forse la scarsa capacità di Wagenknecht di gestire i rapporti e reclutare forze potrebbe anche essere un punto di forza. In fondo non si lascia corrompere dalle azioni, dalle parole, dalle minacce malcelate, dalle lusinghe reciproche, dalle piccole bugie, in pratica dalle convenzioni che reggono una società. A differenza della maggior parte di noi, essere diversa, essere un’outsider, non la spaventa. In genere un buon enigma non si può
Biografia 1969 Nasce a Jena, nella Repubblica Democratica Tedesca (Rdt). 1989 S’iscrive al Partito socialista unificato di Germania, il partito egemone nell’Rdt. 2009 È eletta in parlamento con Die Linke. 2017 Chiede lo scioglimento della Nato e un nuovo accordo che leghi Germania e Russia. 2020 Si schiera contro l’obbligo vaccinale per il covid-19. 2023 Dopo l’invasione dell’Ucraina propone di aprire dei negoziati di pace con Mosca.
risolvere subito, bisogna girarci attorno. Prendiamo il caso di una politica che vuole formare il settimo partito tedesco da un altro punto di vista: cosa sta succedendo in Germania, dov’è una nicchia promettente per un partito antisistema, anche se esiste già la formazione di destra Alternative für Deutschland (Afd)? Del resto anche i Liberi elettori (Fw) e Die Linke hanno tratti populisti. In altre parole, non è Sahra Wagenknecht a volere un nuovo partito: è un nuovo partito che vuole lei. Chi è fuori dagli schemi tradizionali evidentemente cerca una donna che a sua volta non segue le convenzioni.
Contro i Verdi Wagenknecht considera il dibattito sugli studi di genere e il pensiero che lei definisce “politicamente corretto” il peccato originale di Die Linke, un partito che secondo lei non si occupa abbastanza della condizione materiale dei lavoratori e dei precari. L’ironia è che forse per una parte dei lavoratori e dei precari la propria condizione materiale è meno importante del rancore nei confronti del ceto medio intellettuale, cioè i Verdi. In tal caso, l’indice puntato da Wagenknecht sull’enfasi che la sinistra ambientalista mette sulle questioni culturali sarebbe coerente. Ma prima di dichiarare risolto l’enigma Wagenknecht, o l’enigma Germania, la questione si complica ulteriormente. Quando mi è arrivata la notizia della fondazione del Partito Sahra Wagenknecht (Swp), mi trovavo a Vienna per fare ricerche su Andreas Babler, nuovo presidente del Partito socialdemocratico d’Austria.
Sahra Wagenknecht a Berlino, febbraio 2020
Babler ha cinquant’anni, è figlio di operai e a sua volta operaio, è diventato sindaco della cittadina di Traiskirchen con una grande maggioranza di voti. È un vero lavoratore, uno che parla e si muove come un lavoratore, uno del popolo e – ciò nonostante – di sinistra. Ma la cosa più incredibile è che si occupa anche di questioni di genere. E dice cose per le quali sarebbe accusato di tradire i lavoratori da Wagenknecht, lettrice del Faust e di Hegel. Per esempio che dobbiamo mangiare molta meno carne. Wagenknecht ha scelto diversamente, o forse non ha scelto affatto e si limita ad agire come ci si aspetta dal suo rango sociale. Socialmente distanziata, ma unita “alla gente comune” nell’avversione contro il politicamente corretto. Quindi ora dovrebbe esserci un altro partito che se la prende soprattutto con il flusso internazionale dei capitali? No, questo è troppo difficile, anche per Wagenknecht. I suoi principali avversari sono i Verdi, che a differenza dei soldi non vanno all’estero. Qui è tutto un po’ più semplice. Sorprende il fatto che il partito cristianodemocratico (Cdu) e l’Unione cristiano-sociale (Csu), nonché i Liberi elettori e Partito liberaldemocratico
(Fdp), abbiano dichiarato come loro principale nemico gli ambientalisti, che hanno solo il 15 per cento dei voti. Senza contare che, dopo aver perso molti consensi dopo l’approvazione della nuova legge sul riscaldamento (pensata per sostituire gradualmente i termosifoni a gas con le pompe di calore), i Verdi non contano più niente nella coalizione semaforo e che, se si tralasciano alcune dichiarazioni di routine, sono rimasti praticamente in silenzio. Allora perché tutta questa rabbia contro di loro? La domanda porta diretti nel salotto della famiglia Wagenknecht-Lafontaine. Lì, stando a un articolo del settimanale Stern, un paio di mesi fa i vecchi nemici Gerhard Schröder (ex cancelliere del partito socialdemocratico) e Oskar Lafontaine (suo ministro dell’economia nel 1998) si sarebbero riconciliati, chiudendo una ferita vecchia di 24 anni. Anche le mogli erano presenti. Nel 1999, dopo essersi dimesso da ministro, Lafontaine abbandonò il centro politico della Repubblica Federale di Germania e si spostò ai margini. Ora, un quarto di secolo più tardi, Schröder l’ha raggiunto. I due condividono la stessa posizione sulla crisi ucraina, e anche Sahra
Wagenknecht vuole che la politica pacifista nei confronti del guerrafondaio Vladimir Putin diventi un caposaldo del suo nuovo partito. Il che ci riporta ai Verdi, che più degli altri partiti sostengono che chiunque faccia affari con la Russia acquistando il suo gas e la lasci accumulare armi a più non posso dovrà poi pagarne le conseguenze, e dovrà anche fornire armi all’Ucraina. La vecchia normalità è finita, d’ora in poi le persone devono pensare alle conseguenze di quello che dicono e fanno, a quello che mangiano e a quanti aerei prendono. I Verdi non osano più dirlo. Ma la gente lo intuisce benissimo. Anche questo fa parte della soluzione dell’enigma: la Germania è in rivolta per difendere la normalità. E la rivolta è così diffusa e così poco compresa dal governo che creerà sicuramente almeno una nuova forza politica. Pochi giorni fa ho telefonato a Wagenknecht. Sembrava molto concentrata e di buon umore. Ha messo in crisi Die Linke e ha un’idea molto precisa del nuovo partito. La probabilità che venga fondato, se ho ben capito, è del novanta per cento. Il venti per cento invece è la fetta di elettori che spera di raggiungere. ◆ nv Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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4 euro Internazionale Kids è in edicola! In questo numero: tre adolescenti alle prese con TikTok, perché il mondo del cinema è in sciopero, il linguaggio dei gatti, a che serve l’economia, scopri quale rivoluzione sei e molto altro Ogni mese articoli, giochi e fumetti dai giornali di tutto il mondo per bambine e bambini
Cultura
Arte
GL ARCHIVE/ALAMY
William Hogarth, O the roast beef of old England (The gate of Calais) (1748)
Superare gli stereotipi Ismail Einashe, Art Review, Regno Unito L’arte può avere un ruolo fondamentale nel cambiare la percezione delle migrazioni forzate n gruppetto di persone sbarca su una spiaggia fangosa del Kent, sul promontorio di Dungeness. In questo paesaggio arido e remoto, una centrale nucleare svetta sopra il giardino acciottolato creato da Derek Jarman, regista e artista britannico morto nel 1994. La scena è immortalata in una piccola fotografia, pubblicata a luglio dal quotidiano britannico The Guardian. L’immagine di queste figure anonime che vengono aiutate a raggiungere la terraferma dai soccorritori svela poco sul loro conto. Chi sono e perché sono venute qui? Perché è stato
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necessario salvarle da un barchino nel canale della Manica? La maggior parte di noi penserà che sono migranti “illegali”. E poi girerà pagina. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2022 per la prima volta il numero di sfollati, rifugiati o profughi ha superato i cento milioni. I movimenti migratori globali provocati dall’aggravarsi della crisi climatica, dalle guerre e dalla povertà continuano a crescere. La foto pubblicata dal Guardian è l’ennesimo esempio di una retorica visuale (insieme al filo spinato e alle barche) che si ripete così spesso sui mezzi d’informazione occidentali da risultare ormai banale. Ritratti abitualmente come orde senza volto, vittime vulnerabili o intrusi pericolosi, diventano oggetto di un dibattito pubblico in cui le loro storie sono moneta di scambio. In che modo l’arte può mostrarci la loro di-
gnità e la loro personalità? Gli artisti possono offrire una prospettiva alternativa all’allarmismo che accompagna costantemente l’idea della migrazione.
Un pezzo di manzo Dall’altra parte della Manica c’è Calais, ultima sponda da cui tentare la traversata dall’Europa verso il Regno Unito. Qui William Hogarth ha ambientato nel 1748 il suo dipinto satirico O the roast beef of old England (The gate of Calais), a testimonianza di quanto questo confine sia da secoli politicamente rilevante. Nel quadro si vede un’enorme porzione di manzo destinata all’English Inn di Calais, guardata con cupidigia da francesi e scozzesi giacobiti (fuggiti in Francia dopo la fallita ribellione scozzese del 1745). La città fortificata di Calais è l’ultimo baluardo contro la minaccia di chi viene da fuori. Densa di sentimenti nazionalistici e xenofobi, la scena di Hogarth contrappone l’onesta carne dell’inglesità al perfido altro. Oggi lo straniero che sbarca sulle coste britanniche può essere afgano, siriano o eritreo, giunto qui in cerca di sicurezza, ma non per questo meno “invasore”. Da tempo questa rotta è stata percorsa dai migranti, dagli ugonotti nel seicento agli ebrei all’inizio del novecento ai kosovari alla fine degli anni novanta. Le fortificazioni non sono mai state quello che sembravano. I confini sono sempre stati porosi. Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Cultura
Arte
DAVID LEVENE (GUARDIAN/EYEVINE/CONTRASTO)
Christoph Büchel, Barca nostra
La realtà umana di questi viaggi è evocata da un paio di valigie verdi e gialle, collegate da lunghe ciocche di capelli, nell’opera Exodus II (2002) dell’artista britannica-palestinese Mona Hatoum. Hatoum realizza un’arte dello sfollamento che coglie, su un piano intimo e domestico, l’esperienza di chi è costretto a fuggire da conflitti, violenze o persecuzioni. Le ciocche di capelli testimoniano i fragili legami rimasti con la propria casa. Anche se un migrante raggiunge la sicurezza dall’altra parte del mare, il legame con il suo passato resiste. La tangibilità di questi legami è stata indagata da Zarina Hashmi, artista indiana-americana musulmana morta nel 2020, in Letters from home (2004), una serie di otto stampe monocromatiche su blocchi di legno e metallo ispirate alle lettere che la sorella le aveva scritto in urdu. Sono opere che disegnano una mappa dell’identità fratturata del migrante, conciliando senso di perdita e ricordi. Uno spazio che si colloca tra il dimenticare di ricordare e il ricordare di dimenticare. Per ogni artista che affronti la brutale realtà della politica di estrema destra, dei sistemi capitalistici e della violenza alle frontiere la sfida sta nel trattare questi temi con sensibilità e attenzione. Gli aspetti reali delle migrazioni forzate spesso occupano uno spazio problematico tra le pareti bianche di una galleria e stridono con un pubblico che sa poco o niente dei soggetti
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presentati. Da quando è esplosa la “crisi dei migranti”, a volte l’arte ha ceduto alle tendenze, cadendo quindi in una dimensione di sfruttamento. Alla Biennale di Venezia del 2019 Christoph Büchel ha presentato l’opera Barca nostra che esponeva un’imbarcazione naufragata nel 2015 nel Mediterraneo tra la Libia e Lampedusa con molte centinaia migranti a bordo. Solo 28 persone erano sopravvissute. La barca è stata esposta senza nessuna contestualizzazione, senza testi di accompagnamento, privando così i naufraghi di umanità e inducendo i visitatori a fotografarsi davanti all’opera, in un crudo incontro tra due mondi diversi.
Lontano da casa Conosco a fondo la sensazione che si prova quando si è costretti a lasciare la propria casa; l’esperienza non ti abbandona mai. Sono nato a Hargeisa, in Somalia, e nel 1988, quando avevo tre anni, la città mi ha sputato fuori. Mentre nei cieli oscurati i caccia sfrecciavano sganciando bombe, mia madre si affannava a scavare una buca fuori casa per seppellire le foto di famiglia sotto un albero dove pensava di poter tornare. Non è mai tornata, e di quella casa non resta più niente. Resistono solo la perdita e i frammenti di memoria. Quando cerco immagini della guerra civile in Somalia, m’imbatto in bambini malnutriti e città distrutte che non mi av-
vicinano alle fotografie in quella buca. Il lavoro del fotografo somalo Mustafa Saeed invece mi porta più vicino ai miei ricordi perduti e al me stesso di tre anni. In Monument (che fa parte della serie Home and me del 2014), scattata appena fuori Hargeisa, Saeed rievoca la bellezza del paesaggio somalo, mostrando un albero di acai sullo sfondo delle vaste terre aride della savana. Le sue immagini mi provocano una risposta quasi sensuale. Il modo in cui raffigurano i rassicuranti rituali della casa somala mi ricordano quando mangiavo il fegato a colazione o bevevo lo shah, un tè speziato tipico della Somalia, o accendevamo il dabqaad, o girgiri, un bruciatore di incenso. In somalo la parola buufis significa “soffiare” o “gonfiare”. Fa riferimento all’atto spirituale della migrazione in una cultura che per decenni è stata definita dagli spostamenti forzati del suo popolo, dopo l’inizio della guerra civile nel 1988. Attraversare i confini, imbarcarsi su gommoni e sopravvivere a viaggi pericolosi sono profondi atti non solo di sopravvivenza ma anche d’immaginazione. Anche se molti continuano a morire inutilmente, sono comunque spinti dall’idea di un futuro diverso quando si mettono in viaggio. Fare arte è un atto altrettanto immaginativo e condivide con questi viaggi attraverso i confini e il mare aperto un profondo senso di speranza. u gim
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Cultura
Schermi Documentari
In rete Un oggetto per il futuro
Grazia Deledda, la rivoluzionaria RaiPlay Alla scoperta, attraverso documenti e testimonianze, del mondo e dell’opera della prima scrittrice italiana a vincere il premio Nobel per la letteratura, nel 1926. Il viaggio dell’angelo Rai Storia, sabato 14 ottobre, ore 22.40 Un road movie attraverso i luoghi della guerra nell’ex Jugoslavia, sulle note del rock balcanico, per incontrare giovani che riprendono in mano il loro futuro, cercando di superare ogni divisione. Le buone intenzioni Zalab View Dopo sette anni passati lontano, la regista Beatrice Segolini usa il film di diploma alla scuola di cinema per affrontare un tabù familiare e aprire un coraggioso dialogo con genitori e fratelli sul tema della violenza domestica e psicologica. Mr. Bachmann e la sua classe AppleTv+, Chili, Google Play, Mediaset Infinity, Prime Video In un documentario premiato alla Berlinale, Maria Speth ha seguito le giornate di un eccentrico maestro di scuola tedesco prossimo alla pensione, e della sua classe di alunni di diverse origini, spesso con vicende familiari complicate. Venezuela, la maledizione del petrolio Pluto.tv, Prime Video Vent’anni dopo la rivoluzione bolivariana, uno dei paesi più ricchi di risorse dell’America Latina è vittima di una grave crisi umanitaria e sull’orlo della guerra civile.
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Serie tv Lessons in chemistry AppleTv+, 8 episodi Alla sua prima serie tv, Brie Larson interpreta Elizabeth Zott, una brillante chimica che si scontra con un ambiente profondamente maschilista negli Stati Uniti degli anni sessanta. Licenziata da un laboratorio, Elizabeth si ricicla come presentatrice in uno show gastronomico, cercando in modo
tortuoso e sotterraneo d’insegnare la chimica a tutte le casalinghe d’America. Tratta dal bestseller di Bonnie Garmus, la serie di Lee Eisenberg (The office) prende la scienza sul serio, ma affronta argomenti come sessismo, razzismo e politiche di genere. Ed Elizabeth Zott è una vera eroina contemporanea. The Wrap
Cosa succede se l’azienda più celebre nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, OpenAi, incontra il designer che ha contribuito a creare oggetti come l’iMac, l’iPod e l’iPhone? Potremmo scoprirlo molto presto. Secondo la Reuters, infatti, l’azienda che ha presentato l’anno scorso ChatGpt sta dialogando con Jonathan Ive, celebre designer che ha lavorato per quasi trent’anni con la Apple. Secondo il Financial Times, inoltre, la holding finanziaria SoftBank sarebbe stata coinvolta nelle conversazioni, e porterebbe un finanziamento di un miliardo di dollari. L’obiettivo è creare un “iPhone dell’intelligenza artificiale”, ossia un oggetto realizzato da Ive, con un cuore della OpenAi. Gaia Berruto
Televisione Giorgio Cappozzo
Karma Report, fortunato programma d’inchieste e ricevitore automatico di querele, torna in onda al posto che fu di Fazio, la domenica sera su Rai3. Come su tutto, ci si divide anche sul lavoro di Sigfrido Ranucci e colleghi: se siano obiettivi o faziosi, se il loro agire sia puramente giornalistico o costruito intorno a tesi precostituite, e ben venga il dibattito, ma agli inviati di Report nessuno può negare la cintura nera della resistenza non violenta. Ogni volta che li vedo impegnati a
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farsi spazio tra gli energumeni della sicurezza di un politico che rilascia dichiarazioni a tutti tranne che a loro, che a tutti sorride tranne che a loro, che per tutti trova un minuto tranne che per loro, laddove per tutti intendiamo cronisti la cui domanda più molesta si limita a un “giornata importante, vero?” , ogni volta che dopo chilometri all’inseguimento riescono finalmente a porgere il microfono, e ogni volta che il potente di turno, come Romano La Russa, fratello di Igna-
zio, insofferente alle domande su appalti a dir poco bizzarri, sottrae il microfono, sposta la telecamera, dà buffetti minacciosi per poi allontanarsi sghignazzando come se fosse un fatto privato e non una scena pubblica, io agli inviati di Report, se fossi un cardinale, darei un attestato di adamantina cristianità “per sostanziare il detto porgi l’altra guancia” e mettere un argine al karma negativo di noi spettatori che quel potente vorremmo strangolarlo. u
I consigli della redazione
La moglie di Tchaikovsky Kirill Serebrennikov, in sala
dall’algoritmo di Netflix. C’è sesso, certo, e anche un duello psicologico. Ma zero desiderio perverso. È un film sgradevole e questo non è un difetto. Fair play parla di quel tipo di uomo con cui molte donne hanno avuto a che fare, che sembra perfetto e sta al loro fianco finché ha il controllo della situazione. E parla anche di quel tipo di donna che molte temono di diventare, che si rendono conto troppo tardi di essersi illuse. Emily (Phoebe Dynevor) e Luke (Alden Ehrenreich) sono colleghi in un fondo d’investimento di New York e hanno poco saggiamente mescolato lavoro e amore. La loro relazione va contro la politica aziendale e così la tengono segreta. Quando un dirigente viene licenziato, si aspettano che Luke sia promosso, invece il posto va a Emily. Lui sembra contento, ma un’ombra passa sui suoi occhi. Domont, che ha scritto anche la sceneggiatura, ha trovato un bel modo per destabilizzare il pubblico. Luke è pessimo ed Ehrenreich lo rende molto credibile. Ma, nella visione della regista, anche Emily dev’essere un po’ mostruosa. E l’orribile mondo della finanza è ritratto in modo realistico. Clarisse Loughrey, Independent
Dogman Di Luc Besson. Con Caleb Landry Jones. Francia 2023, 114’. In sala ●●●●● Un giorno Luc Besson ha scoperto che in inglese dog (cane) letto al contrario è god (dio). E così ecco Douglas (Caleb Landry Jones), alias Dogman, il suo nuovo esemplare di bambino maltrattato che ha solo solitudine e violenza da offrire a un mondo marcio. Trattato come un cane e ridotto in sedia a rotelle da un padre violento, Douglas si preferisce travestito da donna e vive circondato da cani la cui “unica colpa” è quella di “fidarsi degli esseri umani”. La sua via crucis, raccontata a una psicologa attraverso dei flashback, sembra un remix dei grandi successi di Besson (Nikita, Léon) con l’inserimento di elementi di moda (un cabaret di drag queen, una madre single con un ex violento) in un misticismo da fumetto pesante come la sua debilitante misantropia. Il film ha un jolly (anzi meglio un joker): Caleb Landry Jones attraversa con grazia miracolosa questo pasticcio pensato per accompagnare la riabilitazione mediatica dell’autore. Nicolas Schaller, L’Obs
Normale Di Olivier Babinet. Con Benoît Poelvoorde, Justine Lacroix. Francia/Belgio 2023, 87’. In sala ●●●●● Lucie (Justine Lacroix), 15 anni, e William (Benoît Poelvoorde), suo padre, vivono praticamente in povertà, dopo l’incidente in moto in cui è morta la madre e con la sclerosi multipla che ha colpito William. Lui è un buon diavolo, indebolito dalla malattia. Trabocca di affetto per la figlia e prova a far finta che tutto fili liscio. Lucie non è stupida. La sua priorità è tenere il padre accanto a sé il più a lungo possibile, e finisce per trascurarsi. Il quadro potrebbe sembrare pietistico. Non è così. Soprattutto perché con Olivier Babinet l’umorismo, la fantasia e la poesia trapelano da ogni fessura. Già in Swagger (2016) e Poissonsexe (2019) ha cancellato i confini tra reale e fantastico, pesantezza e leggerezza. E con Normale continua a farlo. Véronique Cauhapé, Le Monde Fair play Di Chloe Domont. Con Phoebe Dynevor, Alden Ehrenreich. Stati Uniti 2023, 113’. Netflix ●●●●● Fair play non è il thriller erotico disperatamente cercato
Gen V 8 episodi, PrimeVideo
Totally killer Di Nahnatchka Khan. Con Kiernan Shipka. Stati Uniti 2023, 87’. PrimeVideo ●●●●● Gli slasher movie sono un terreno fertile per i mash-up (potremmo coniare il termine slash-up). La Blumhouse lo sa bene visto che ha prodotto Happy death day (che è Ricomincio da capo con le coltellate) e Freaky (Un pazzo venerdì con le coltellate). Ora gira il coltello nella piaga con Totally killer ovvero Ritorno al futuro con le coltellate. Quando riemerge un killer che nel 1987 aveva ucciso tre adolescenti, Jamie (Kiernan Shipka), che è finita nel mirino dell’omicida, torna accidentalmente indietro nel tempo. Dovrà salvare la madre e forse anche qualcos’altro. Questa commedia sanguinosa non è un capolavoro, ma una combinazione da urlo tra Halloween e Ritorno al futuro. Ben Travis, Empire
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Dogman
Film
Sick of myself Kristoffer Borgli, in sala
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Cultura
Libri Svezia
I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.
Dar voce all’indicibile
Claudio Morandini La conca buia Nottetempo, 224 pagine, 16,50 euro ●●●●● Asciutto, breve, pesante d’impatto ma leggero come lettura. Queste sono le parole che userei per descrivere l’ultimo libro di Claudio Morandini, La conca buia. La storia del sindaco Franco Gavaglià e della sua assurda campagna elettorale, è anche divertente a tratti, ma eviterei comunque di inserire quella parola nell’elenco dei suoi pregi. Lo evito perché non voglio creare delle false aspettative. Insomma La conca buia è tutt’altro che una commedia. È un libro abbastanza breve e piuttosto scorrevole, che lascia nel lettore un segno forte e importante, una traccia profonda come l’impronta di una scarpa da montagna nel fango umido. E leggerlo richiede lo stesso sforzo di una camminata in montagna. Hai una meta, un punto da raggiungere, un picco magari, ma il cammino verso quella destinazione offre tantissime emozioni e impressioni: bellezza, stanchezza, sudore, risate e dolore. Poi alla fine ci si arriva, e solo allora si può dire se la gita valeva la fatica. Essendo arrivata all’ultima pagina di La conca buia, posso dire con certezza che ne è valsa la pena. u
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Il drammaturgo e scrittore norvegese Jon Fosse, 64 anni, ha vinto il premio Nobel per la letteratura Quando l’accademia svedese ha assegnato al norvegese Jon Fosse, 64 anni, il premio Nobel per la letteratura 2023, ha riassunto il suo colossale corpus di opere che abbracciano tutti i generi in poche parole: “Dare voce all’indicibile”. Probabilmente l’accademia intendeva dire che, attraverso le più di quaranta opere teatrali di Fosse, i suoi romanzi, i suoi saggi e i suoi libri per bambini, ciò che è indicibile – la profondità assoluta dell’abbandono, della vergogna, dell’amore e della grazia – è sentito e riconosciuto senza bisogno di essere chiamato
EIRIK HAGESAETER (AFP/GETTY)
Italieni
Jon Fosse
per nome, superando la semplice disposizione delle parole su una pagina. Questo è un concetto sicuramente più chiaro se osservato alla luce delle opere di Fosse, molte delle quali troppo poco conosciute. Rivelatorio l’inizio del suo capolavoro in sette libri,
Settologia (La nave di Teseo), in cui il protagonista s’interroga sulla possibilità di trascendenza di un dipinto. Per raggiungerla non basta osservarlo nella realtà. Serve uno sforzo di fede o d’immaginazione. Chiamatelo come volete, ma fatelo. The New Yorker
Il libro Nadeesha Uyangoda
Un esordio confortante Nicolò Moscatelli I calcagnanti La nave di Teseo, 288 pagine, 20 euro Timoteo vive nella Casa della Buona Volontà, insieme, tra molti altri, a Madame, un certo numero di ragazze molto belle, il coniglio Sansusì, e fra’ Gaetano, sua guida morale nonché cuoco di questa casauniverso che è l’unico mondo che Timoteo conosce. Il ragazzino cresce ascoltando le “molte storie di bombaroli ma nessuna storia di santi” che gli racconta il frate, sognando di
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diventare un fuorilegge. Finisce per unirsi alla banda che dà il titolo al libro quando fra’ Gaetano è condannato all’impiccagione per l’omicidio di un gendarme. Nicolò Moscatelli, vincitore del Premio Calvino, con un linguaggio favolistico costruisce un mondo fantastico che si fa barocco nei dettagli. Il suo libro è una scatola cinese piena di storie i cui protagonisti vivono ai margini della società e parlano una lingua popolare (“Sentila sentila, la serpentina di sant’Alto! meglio che salmeggiare in contrap-
punto. Altro che truccanti e cerretani, date retta a un gonzo: di dritti come i bistolfi ce n’è pochi”), combattono contro i ricchi e i potenti ed escono da una penna che conosce bene miti e folklore della tradizione italiana. Un po’ romanzo d’avventura, un po’ fiaba di formazione, quello di Moscatelli è un esordio diverso rispetto a quanto ci siamo abituati ultimamente, e forse si adegua a un comune bisogno di conforto e di rifugio in un mondo alternativo, quasi anarchico. u
I consigli della redazione
Scholastique Mukasonga Sister Deborah Utopia editore
Il romanzo
Cormac McCarthy Stella Maris Einaudi, 200 pagine, 18,50 euro ●●●●● Il titolo Stella Maris non si riferisce a una giovane donna a cavallo, come potremmo immaginare conoscendo la Trilogia della frontiera di Cormac McCarthy, ma a un ospedale psichiatrico di Black River Falls, nel Wisconsin. È qui che la ventenne Alicia Western, dottoranda in matematica all’università di Chicago, si è fatta ricoverare perché ha delle allucinazioni. Al centro delle sue visioni c’è un nano malandato con le pinne e un senso dell’umorismo distorto, noto come Thalidomide Kid. Alicia ha anche una borsa di plastica con 40mila dollari, che cerca di dare alla receptionist. I romanzi non sono fatti, in genere, per essere riempiti interamente di chiacchiere. Ma Stella Maris è proprio questo: trascrizioni di sedute di terapia con uno strizzacervelli dell’ospedale. Funziona? Sì. Funziona meglio se abbiamo già letto Il passeggero? Assolutamente sì. Tra le prime cose che apprendiamo durante le sedute di Alicia c’è il fatto che sta elaborando il lutto per la morte apparente di suo fratello Bobby, che è rimasto in coma a lungo dopo un incidente automobilistico in Italia. Alicia e Bobby condividono un’eredità maledetta: il padre era un fisico del progetto Manhattan. Insieme formano una combinazione ad alta tensione. Condividono la genialità matematica e sono così legati che l’incesto è un sottotema che ribolle in
ALBUM/ALAMY
Combinazione fraterna
Cormac McCarthy entrambi i romanzi. Se Stella Maris è il romanzo di Alicia, Il passeggero è quello di Bobby, che è un thriller cosmico mentre l’altro è un romanzo piccolo e spesso elegiaco. È meglio leggerlo quando si è ancora in fibrillazione per Il passeggero. I suoi temi sono cupi, eppure ti riporta a casa. Alicia gioca con la sua strizzacervelli. È come se respirasse sul finestrino di un’auto e disegnasse fiori e teschi sulla condensa. Ha anche tendenze suicide. Non è più a distanza di sicurezza dal suo nichilismo epistemologico. Uno dei passaggi più belli di questo libro è la sua lunga analisi di quanto sarebbe miserabile cercare di uccidersi annegando. I momenti più commoventi di Stella Maris intrecciano i sentimenti per il fratello, che la attraversano come una lancia, con il suo senso di inutilità intellettuale. Leggere Stella Maris dopo Il passeggero è come aggrapparsi a un sogno inquietante, sintonizzato sulla staticità dell’universo. Dwight Garner, The New York Times
Marco Armiero La tragedia del Vajont Einaudi
Kirk Wallace Johnson Il ladro di piume Nutrimenti, 416 pagine, 21 euro ●●●●● Nel museo di storia naturale di Tring, nell’Hertfordshire, a circa un’ora a nordovest di Londra, si trova una delle più grandi collezioni di esemplari ornitologici del pianeta. In una sera di giugno del 2009, un flautista statunitense di vent’anni di nome Edwin Rist si è introdotto in questo museo, si è diretto verso le teche che contenevano i resti di questi rari e bellissimi uccelli e ha cominciato a caricarli in una valigia. Il bottino, come racconta Kirk Wallace Johnson, comprendeva “esemplari impeccabili, raccolti in condizioni quasi impossibili nelle foreste vergini della Nuova Guinea e dell’arcipelago malese centocinquant’anni prima”. Il ladro di piume è in realtà tre libri in uno. Il primo è la storia del furto in sé, dell’arresto di Rist e delle successive ripercussioni legali, nonché del destino dei beni rubati. Il secondo è la storia degli eroici sforzi di Alfred Russel Wallace, contemporaneo di Darwin, alla ricerca di questi uccelli esotici. L’ultimo è un resoconto in prima persona del tentativo dell’autore di rintracciare i pezzi ancora mancanti dalla collezione del museo. Johnson ha spulciato tra i forum online, ha visitato e intervistato il personale del museo di Tring, si è consultato con la polizia e ha perfino contattato alcuni di coloro che avevano acquistato illecitamente esemplari da Rist. Così ha scoperto che c’è una battaglia, cominciata in epoca vittoriana, tra chi lavora per proteggere le specie in via di estinzione e chi le colleziona o le commercia per piacere o guadagno. Tom Nolan, The Wall Street Journal
Brodskij-Olejnikov La ballata del piccolo rimorchiatore Adelphi Maria Larrea La gente di Bilbao nasce dove vuole Feltrinelli, 176 pagine, 16 euro ●●●●● Una ragazza prende un appuntamento. La scena si svolge nel condominio parigino dove vive la madre, custode e addetta alle pulizie. La figlia adora la madre, Victoria, ma questa volta vuole metterla alle strette. Maria, la voce narrante di questo romanzo autobiografico, deve farle una domanda. Ha bisogno di sapere esattamente da dove viene. Questo tête-à-tête è il punto di svolta del libro. Maria ha un compagno, dei figli e una vita di successo, ma un malessere interiore la divora. È forse la vergogna per la sua condizione di figlia d’immigrati spagnoli nella Parigi degli anni ottanta e novanta? Dopo un prologo non del tutto convincente il libro passa a un argomento più duro: l’infanzia misera dei genitori nella Spagna di Franco. Nel bel mezzo di un inverno galiziano, una donna a braccia nude, con la pancia “pronta a esplodere”, ha appena ucciso un polpo con un bastone. Poco dopo Dolores darà alla luce Victoria per poi affidarla a un convento. Quattro anni prima, una prostituta bulimica di Bilbao aveva partorito un maschio, e l’aveva lasciato a un istituto religioso: era Julian, il futuro padre di Maria. Questa storia familiare ci immerge in un cupo periodo post-franchista fatto di menzogne e accordi meschini per preservare l’ordine morale. La narratrice conduce le sue indagini assumendo detective e ricorrendo al test del dna. Il suo è anche un viaggio emotivo attraverso la tenerezza che la lega ai goffi ma amorevoli genitori. Frédérique Fanchette, Libération
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Cultura
Libri dolore di quell’uomo è troppo simile alla sua paura. Questo è un romanzo sulle emozioni più profonde, sull’amore, sulla paura e sulla gioia. Che Ned torni o meno nel luogo dove ha visto la balena, deve capire di non essere semplicemente il “fratellino senza guerra” di Bill e Toby. Arnott dimostra che il fantastico può essere un elemento che creiamo nella nostra vita per sopportare qualcosa di insopportabile. Kimberley Starr, The Sydney Morning Herald Laura Lippman La ragazza del ballo Bollati Boringhieri, 276 pagine, 18 euro ●●●●● Una studente del New Jersey partorisce durante il ballo di fine anno e abbandona il bambino che muore. Ma non è questo l’argomento del libro. La ragazza del ballo esplora l’inquietante triangolo amoroso tra la protagonista, il padre del bambino e la moglie di
quest’ultimo, nonché le conseguenze a lungo termine di quella fatidica notte. La protagonista Amber Glass – allo stesso tempo prismatica e trasparente, come il suo nome – è “così brava con i segreti che era riuscita a tenerne uno per sé”. Amber non sopporta di essersi assunta tutta la colpa, anche se il padre, Joe, all’epoca non sapeva che lei fosse incinta. Joe, un ragazzo debole e sfortunato, diventa un uomo di successo nel settore immobiliare. Sua moglie è Meredith, una chirurga plastica in gamba; Joe ha anche un’amante. Dopo essere stata rilasciata dal carcere, Amber torna nella città natale, a nord di Baltimora. La coppia si riavvicina e si perde per un soffio, poi finalmente si unisce. Ma questo non è un romanzo d’amore. Mano a mano che la pandemia si diffonde e i problemi aumentano, la storia acquista ritmo e intensità, fino a trasformarsi in un thriller. Eliza Nellums, The Washington Post
Non fiction Giuliano Milani
Città criminali Francesco Chiodelli Cemento armato Bollati Boringhieri, 192 pagine, 14 euro Tra i frutti più avvelenati della lunga stagione politica che si è snodata a cavallo del secolo c’è senza dubbio l’abusivismo edilizio. È vero che, come si spiega in questo libro, il primo condono fu deciso nel 1985 quando al governo c’era Bettino Craxi, ma fu grazie ai condoni del 1994 e del 2003 che si diffuse l’idea che ogni nove anni le irregolarità si potessero sanare. Secondo il geografo
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Francesco Chiodelli, nonostante la fine dei condoni, quest’idea è ancora diffusa a causa della lentezza e dell’opacità delle procedure che favoriscono un generale senso d’illegalità. La stessa atmosfera si respira anche in altri aspetti dell’amministrazione delle città: le (ormai assenti) politiche abitative che provocano “l’ordinarietà carsica delle occupazioni”, molto più rilevante dei pochi casi (di solito quelli legati a immigrati) di cui parlano i giornali; l’opposizione (incostituzionale)
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alla costruzione di moschee che costringe i musulmani a pregare in luoghi nascosti e degradati. Secondo Chiodelli in tutti questi casi si osserva una volontà politica che, creando uno spazio d’incertezza, una zona grigia, favorisce la corruzione e gli interessi criminali. È questo “mondo di mezzo” (come fu definito nell’inchiesta Mafia capitale) che permette alla politica d’incontrare le organizzazioni mafiose e che scandisce, più di quanto non appaia, la vita di chi abita le città italiane. u
Medicina DAVID LEVENSON (GETTY)
Robbie Arnott Ned e la balena NN editore, 240 pagine, 19 euro ●●●●● Ned ha cinque anni e vive in un frutteto che suo padre fatica a gestire. Da una barca presa in prestito il bambino osserva una balena che, a quanto si dice, è impazzita per la perdita della sua famiglia. Questo è un ricordo a cui Ned tornerà più volte. Il libro ripercorre tutta la sua vita intervallata da scene di un’estate, dieci anni dopo l’incontro con la balena, mentre aspetta il ritorno dei suoi fratelli dalla seconda guerra mondiale. Ned venera i suoi fratelli scomparsi. Non può “cavalcare come Bill” o “correre e sorridere” come Toby. Scaccia la paura di non vederli più con “sogni di cattura, di caccia” e, soprattutto, sogna di risparmiare abbastanza soldi per comprare una barca. La acquisterà da un uomo il cui figlio è morto in guerra nel Pacifico. Ned non riesce a guardarlo in faccia. Il
Simon Schama Foreign bodies Ecco Appassionata storia delle epidemie e delle scoperte scientifiche e mediche che possono tenerle sotto controllo. Simon Schama è professore alla Columbia university di New York. Roberto Pelta Fernández Puro veneno La Esfera de los Libros Compendio delle sostanze più letali ottenute dalla natura o in laboratorio nel corso della storia e di come sono state usate per uccidere o curare. Roberto Pelta Fernández insegna medicina all’università Complutense di Madrid. Emily Monosson Blight Norton Studio affascinante e inquietante sui funghi infettivi, “gli agenti patogeni più devastanti del pianeta”. Emily Monosson è una tossicologa, docente presso la University of Massachusetts Amherst. Pierre Boisserie, Jean-Noël Fabiani-Salmon, Vincent Wagner Ambroise Paré Les Arènes Biografia a fumetti di Ambroise Paré (1510-1590), grande figura storica della medicina e della chirurgia che sviluppò pratiche innovative in particolare sulle ferite di guerra. Maria Sepa usalibri.blogspot.com
il podcast quotidiano di
GIOVEDÌ 12 OTTOBRE 2023
LUNEDÌ 9 OTTOBRE 2023
La vita sospesa degli israeliani con Sarah Parenzo ricercatrice e traduttrice, da Tel Aviv
L’attacco senza precedenti di Hamas contro Israele con Meron Rapoport giornalista di +792 Magazine, da Tel Aviv
Le elezioni di domenica in Polonia sono cruciali per l’Europa con Andrea Pipino editor di Europa di Internazionale
La legge sugli extra profitti delle banche è inutile con Stefano Feltri giornalista
MERCOLEDÌ 11 OTTOBRE 2023 L’assedio di Gaza con Wasim Dahmash saggista e docente palestinese Il Nobel a Claudia Goldin è anche un atto politico con Marcella Corsi docente di economia all’Università Sapienza di Roma
VENERDÌ 6 OTTOBRE 2023 La Thailandia ha un problema con le armi con Junko Terao editor di Asia di Internazionale Il governo statunitense ha fatto la prima multa per abbandono di rifiuti nello spazio con Emilio Cozzi giornalista e divulgatore scientifico
MARTEDÌ 10 OTTOBRE 2023 Da dove viene Hamas e come ha cambiato Gaza con Paola Caridi giornalista e presidente di Lettera 22
Ogni giorno due notizie scelte dalla redazione di Internazionale con Claudio Rossi Marcelli e Giulia Zoli
Il terremoto non rompe l’isolamento dell’Afghanistan con Junko Terao editor di Asia di Internazionale
Dal lunedì al venerdì dalle 6.30 sulle principali piattaforme di ascolto internazionale.it/ilmondo
INSERZIONE PUBBLICITARIA
CHI È INKIOSTRO BIANCO? UN BRAND CHE DÀ VITA ALLE EMOZIONI ATTRAVERSO LA CREATIVITÀ. La ricerca e l’osservazione della bellezza nel mondo circostante è ciò che alimenta la passione creativa e che fa nascere il desiderio di creare qualcosa di altrettanto bello. Il desiderio di sentirsi a proprio agio in un ambiente e di risvegliare emozioni sono il punto di partenza dell’idea di progettazione del brand. Il pensiero creativo è la guida che permette di sperimentare soluzioni sempre nuove e versatili, adatte a ogni interior, dando vita a un nuovo modo di concepire gli spazi. Inkiostro Bianco è un laboratorio di idee applicate all’interior design specializzato nella produzione di superfici continue, decorativi artistici e personalizzabili su carta da parati, rivestimenti in legno, tappeti, sanitari decorati e altri materiali innovativi. Inkiostro Bianco viene definito innovatore e questo rientra nei suoi valori e nel cuore della sua originalità. Il suo pubblico ideale è costituito da tutti coloro che amano esprimere la propria personalità in modo creativo e che desiderano progettare spazi che parlino di loro. La sperimentazione su diversi materiali è fondamentale, ma lo è anche stare a contatto con le persone. Ascoltare i desideri dei clienti e le loro necessità per creare relazioni e realizzare insieme progetti che soddisfino appieno la richiesta iniziale.
Relazione, empatia, affidabilità sono alcuni dei concetti che guidano il brand per fornire un servizio di valore. Inkiostro Bianco è in grado di dare una veste nuova a qualsiasi spazio offrendo soluzioni versatili e definendo un nuovo modo di fare progettazione dove la creatività e la tecnologia vengono messe a completa disposizione dell’interior design. Ogni progetto viene reso unico e irripetibile grazie alla competenza del brand e alla massima cura nel dettaglio che viene applicata. L’anima di Inkiostro Bianco è un team di creativi con una grande passione per il mondo che ci circonda, per la cultura e per l’arte. Le Collezioni sono l’esito di un’esplorazione continua per mettere a disposizione di tutti la possibilità di portare bellezza all’interno delle proprie vite. Le collaborazioni con artisti e designer giocano un ruolo fondamentale: lo scambio di idee e pensieri alimenta costantemente l’ispirazione. Il Creative Thinking, ovvero l’abilità di portare la decorazione su materiali diversi e la possibilità di personalizzare il progetto in modo sartoriale, è ciò che rende unico Inkiostro Bianco. via Monte Bianco, 55 41042 Fiorano Modenese (MO) Italy www.inkiostrobianco.com +39 0536 803.503 [email protected]
Cultura
Libri Ragazzi Strumenti di libertà Marianna the influenza Nera con forme Le Plurali, 161 pagine, 16 euro Marianna the influenza è una influencer, attivista black e ora scrittrice che con ironia parla di body shaming, grassofobia e identità nera italiana. Il suo libro, che ricalca allegramente, ma sempre con grande profondità, le sue incursioni su Instagram, ci racconta attraverso un genere, il saggio autobiografico, cosa significa essere donna in un contesto dove il suo corpo e la sua pelle devono combattere quotidianamente contro sessismo, razzismo e rifiuto della grassezza. C’è grande orgoglio nelle parole di Marianna the influenza. E anche quando ripercorre vicende apparentemente innocue ma cariche di stereotipi razzisti cerca di andare oltre il vissuto, per collocare il tutto in una prospettiva storica. Lo fa per esempio quando i compagni di classe le affibbiano il soprannome di “Popo”, nome di un personaggio immaginario di Dragon Ball, grosso e nero, con alcuni tratti caricaturali, e lei dice che vent’anni fa non aveva ancora gli strumenti per difendersi, per capire che la stavano trasformando in uno stereotipo, in un personaggio da minstrel show, in un blackface. Sottintendendo: ora ho gli strumenti e li uso per creare una rete. Consapevolezza è la parola giusta per descrivere il libro, che come prima cosa fornisce parole chiave che accompagneranno la lettura, diventando strumento di liberazione. Igiaba Scego
Ricevuti A cura di Anna Pisterzi Traiettorie. Guida psicologica all’espatrio Tau editrice, 232 pagine, 20 euro Vivere un espatrio è un’esperienza complessa e ricca di significati, che ogni persona attraversa in maniera differente. Una guida per affrontarla con consapevolezza. Ezio Mauro La caduta Feltrinelli, 208 pagine, 20 euro Cronache degli ultimi giorni del fascismo, attraverso il racconto di un paese in bilico tra un regime in declino e un futuro ancora informe.
Fumetti
Attrazione ossessiva Ben Gijsemans Aaron Coconino press, 208 pagine, 26 euro Il belga Ben Gijsemans fa un uso sottile della specificità della tavola a fumetti che consente al lettore una visione immediata e globale di una sequenza: ogni gesto o microevento personale o familiare cattura la sua attenzione, incollandolo ad analizzare ogni battito d’ali di una quotidianità apparentemente immobile. Aaron è un ventenne attraente e gentile ma timido, che vive con i genitori e sta completando gli studi. Nulla smuove la palude in cui vive, tranne la raccolta di fumetti di supereroi trash, che leggiamo a sprazzi. Al contempo, Gijsemans si rifa al segno grafico di Winsor McCay. All’inizio del novecento l’autore di Little Nemo creò Dream of a rarebit
fiend, dove metteva alla berlina le ossessioni e le paure borghesi con modalità surrealiste, alla Buñuel prima del tempo, giocando sull’espressività dei volti e sul minimalismo dei movimenti insieme alla sottolineatura della ripetitività di gesti e situazioni, grazie al lavoro sulla sequenza nell’architettura della tavola. Il metafumetto è qui strumento d’interpretazione della realtà: Aaron è attratto, affascinato, intenerito, da un bambino che vede giocare e che diventa un’ossessione. E la sua condizione esistenziale, un inferno. Cosa fare? Quanto vuoto, quanto non detto, è espresso negli interstizi di questi superquadri, divisi per frammenti com’ è frammentato l’uomo postmoderno. Tutto è davvero grigio, ma molto intenso e umano. Francesco Boille
Antonella Galli, Pierluigi Masini I luoghi del design in Italia Baldini+Castoldi, 304 pagine, 22 euro Da Milano a Roma, dalla costiera sorrentina a Murano. Quattordici tappe sulla via della nascita e dello sviluppo del design italiano. Dacher Keltner Wow! Il Saggiatore, 376 pagine, 26 euro Un’indagine sullo stupore e una guida per riappropriarci del suo potere e spiegare come la scienza della meraviglia quotidiana può trasformare la nostra vita. David Thomson La formula perfetta Adelphi, 605 pagine, 34 euro Il critico cinematografico David Thomson (New York Times, New Republic, Salon) “ha qui tentato una storia di Hollywood” con “piglio caustico e malandrino”.
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Cultura
Suoni Podcast Crimini in alto mare
Dalla Giamaica
Ian Urbina The outlaw ocean CBC e Los Angeles Times Ian Urbina è un giornalista investigativo del New York Times. Un giorno ha ricevuto un video da una sua fonte che lavora all’Interpol, con un messaggio allegato che dice “fatti forza”. Il video è stato trovato su un cellulare dimenticato sul retro di un taxi alle isole Fiji: si vede un piccolo peschereccio malconcio con alcune persone a bordo. Tra queste un uomo con le mani alzate in segno di resa, circondato da colpi d’arma da fuoco che lo mancano, colpendo l’acqua che si fa sempre più rosso sangue. Si sentono delle voci che, in quattro lingue diverse, incitano a sparargli, fino a quando un colpo non lo colpisce in pieno e lui cade, su un cumulo di altri cadaveri. Da questi pochi minuti di video parte l’inchiesta che il giornalista condurrà nel mondo della pesca in alto mare e che porterà, otto anni dopo, alla condanna del comandante della nave che ha ordinato il massacro di quel gruppo di pescatori. Gli oceani sono, come dice lo stesso autore, l’ultima nuova frontiera, uno spazio non governabile dove le attività criminali prosperano indisturbate. Il podcast ricalca le tappe del libro best seller Oceani fuorilegge, pubblicato in Italia da Mondadori, ma nel formato audio la formula funziona solo in parte: si ha la sensazione che ci sia troppo materiale condensato in pochi episodi e si vorrebbero avere più informazioni sulle varie inchieste del giornalista. Jonathan Zenti
I festival musicali giamaicani crescono, ma servono più investimenti pubblici
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Con il recente successo del Soca+ Festival – che si è tenuto dal 30 settembre al 1 ottobre a Kingston e ha ospitato artisti reggae, dancehall e afrobeats – i protagonisti dell’industria dell’intrattenimento credono che la Giamaica possa diventare una destinazione di riferimento per la musica dal vivo. Attualmente il paese ospita tre festival importanti: il Reggae Sumfest, il Rebel Salute e il Dream Wknd. Si svolgono nelle zone turistiche giamaicane di Montego Bay, Plantation Cove e Negril. Ma Ron Burke della Dream Entertain-
SOCA+ FESTIVAL
Si può fare meglio
Soca+ festival, 2023 ment, l’azienda che organizza il Dream Wknd, vede un potenziale ancora maggiore. “Il nostro festival sta per compiere quindici anni e la maggior parte delle persone che partecipano ogni anno viene da tutto il mondo”. Burke ritiene che le varie parti interessate dovrebbero
unirsi per promuovere la scena locale. Un collega di Burke, Ibrahim Konteh dello Strictly 2K Throwback Music Fest di Kingston, aggiunge: “È un peccato che il nostro paese non sia un punto di riferimento, data la nostra storia. Alcuni paesi in Europa, per esempio, ottengono più riconoscimenti di noi per i loro festival reggae. Spetta ora a noi organizzatori e al governo sederci a un tavolo, confrontarci e capire come raccogliere i frutti di quello che stiamo seminando”. Anche la ministra della cultura, Olivia “Babsy’” Grange, ha detto che sta lavorando in questa direzione. Kevin Jackson, Jamaica Observer
Canzoni Claudia Durastanti
Un mondo intero Era da tempo che volevo assistere a un concerto di Valentina Magaletti, batterista di origini baresi trapiantata nel Regno Unito da diversi anni. Ho vissuto a lungo vicino al Cafe Oto di Londra, il leggendario “scantinato” culturale che ospita performance e improvvisazioni dei migliori musicisti sperimentali in circolazione e che ha pubblicato l’apprezzato A queer anthology of drums di Magaletti nel 2020 (il disco è apparso in forma fisica grazie alla bié Records nel 2022 con l’aggiunta di un brano
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inedito). Però ho potuto sentirla per la prima volta solo al Romaeuropa Festival. C’è un che di spettrale nell’assistere alla performance di una musicista in una conversazione solitaria con il suo strumento, ma nonostante questa esclusività della presenza, Valentina Magaletti sa convocare un mondo intero, anche grazie ai field recordings che imperversano nei brani. Spogliata dalle sue retoriche di fracasso e rabbia, la batteria di Magaletti è uno strumento laconico e affollato allo stesso tempo, dotato di una nervosa
eleganza. In un momento in cui patisco l’evocare di magie e stregonerie a casaccio all’interno dei discorsi femministi, grazie a Magaletti rientro in un circolo di spiritualità che passa attraverso tante geografie, ma mantiene un che di costantemente arcano. Qualcosa che trascende il genere, prima di arrivare a un finale che per me ha echi quasi storico-politici, perché mi ricorda l’inaspettato arrivo di una forza autoritaria nella giungla e tutta l’energia che sarà necessario raccattare per resisterle. u
Dance Scelti da Claudio Rossi Marcelli
Romy The sea
Laufhaus & Robbie Williams feat. Sophie Ellis Bextor Immortal
Sufjan Stevens
Oneohtrix Point Never Again Warp ●●●●● In una recente intervista al New Yorker, il musicista di elettronica sperimentale statunitense Daniel Lopatin ha giudicato eccessive tutte le preoccupazioni riguardanti l’uso dell’intelligenza artificiale nella creazione di musica. Quello che è più interessante, dichiara, è proprio
osservare come questa tecnologia crei arrangiamenti sorprendenti. La tensione tra organico e sintetico, o meglio tra ciò che percepiamo come naturale e non, definisce Again, il decimo disco di Lopatin con lo pseudonimo di Oneohtrix Point Never: un lavoro che suona come se ogni file mp3 su un hard disk si fosse rovinato al punto di non essere riconoscibile, anche se le composizioni restano piene di grazia e bellezza ultraterrena. Per il musicista di Boston niente nella nostra epoca può sfuggire al paesaggio tecnocratico, infernale e inarrestabile in cui viviamo, e così anche i passaggi più classici di Again contengono qualche interferenza. Gli archi barocchi di Gray subviolet sembrano infettati da un virus informatico mentre il brano che dà il titolo all’album comincia con dei bordoni vocali sottoposti a rapidi cambi di tonalità, come per imitare un vero vibrato. Lopatin sembra avere un atteggiamento sereno nei confronti della composizione: in A barely lit path porta avanti osservazioni umaniste, suggerendo che anche in un mondo altamente tecnologizzato la
ricerca di connessioni umane non finirà mai. Paul Attard, Slant Magazine Can Çakmur Schubert +. Musiche di Schubert e Schönberg Can Çakmur, piano Bis ●●●●● Can Çakmur aveva già affrontato Schubert con un notevole Schwanengesang nella trascrizione di Liszt. Ora comincia un nuovo progetto dal titolo Schubert +: lavori per piano del compositore austriaco accompagnati da pagine di altri musicisti che ne sono stati ispirati. Nel primo degli undici volumi previsti, il pianista
STRASSER LOVEJOY E PERRI
Sufjan Stevens Javelin Asthmatic Kitty ●●●●● Nel suo nuovo album, il cantautore statunitense Sufjan Stevens vede se stesso come una persona in rovina in un mondo meraviglioso. Quando è amato il suo dolore è sospeso, ma questa misericordia ormai appartiene al passato. Un profondo nichilismo dà forma al suono e alle storie di Javelin, ma il banjo di Stevens ci aiuta a non annegare. Con una sensibilità che ricorda i Beatles, la dolorosa apertura Goodbye evergreen, dedicata al compagno Evans Richardson IV, morto ad aprile, è un grido di aiuto, come una pioggia violenta su un letto di ninfee. In A running start, la cadenza di Stevens ha lo scintillio di una favola sdolcinata. Genuflecting ghost trova la libertà nell’affrontare gli orrori (“Now we dance in our catastrophe”) e Shit talk, che dura otto minuti, lancia un’ultima supplica: “Stringimi forte per non cadere”. Distillando con grazia il disprezzo verso se stessi, Javelin ha un effetto straziante sull’ascoltatore. Nessuno vive il dolore come Sufjan Stevens. Lucy Fitzgerald, The Skinny
EVANS RICHARDSON
Album
Dimension DJ turn it up
propone un dialogo tra Schubert e il giovane Schönberg, cosa che gli permette di esplorare i temi della rottura, del silenzio e del caos, come spiega lui stesso nelle note di copertina del disco. Già notato per l’originalità dei suoi programmi di concerto, il pianista turco non è però un provocatore. Il suo pianismo è limpido, senza superficialità, e affronta con lo stesso rigore la prima sonata di Schubert (D 537) e una delle ultime (D 959). È un approccio luminoso, ma che sa trovare con una regia magistrale le tenebre dello spirito schubertiano, con una ricchezza d’immaginazione che scopriamo anche nel tormento dei tre klavierstücke op. 11 di Schönberg, affascinanti compagni delle due sonate. Questo album è la scommessa vinta di un musicista che ha il coraggio di uscire dai sentieri più battuti. Melissa Chong, Classica
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Oneohtrix Point Never Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Pop La regina rom di New York Cosmin Nicolae mezzanotte passata e le persone amBrâncuși, Diego Rivera, Buckminster Fuller, Edgar mucchiate nella taverna dentro una Varèse, E.E. Cummings ed Ernest Hemingway sono mansarda traballante cercano di farsi solo alcuni dei clienti fedeli, amici e discepoli. Rocapire in mezzo alla foschia appiccicosa many Marie fa e disfa amicizie, combina matrimoni e di nuvole di fumo e di vapore che arrivarimette in sesto artisti in crisi con pasti caldi e parole no a folate dalla cucina. Dalle pentole si di conforto. Dal 1914 fino alla fine degli anni quaranta riversano nei piatti zuppe, peperoni ripieni, carne non c’è persona in città che non pronunci il suo nome alla griglia, sarmale (involtini in foglie di verza o vicon ammirazione. Le sue taverne occupano una mezte). E poi caffè turco. Pittori, poeti, perdigiorno, za dozzina di soffitte, seminterrati e sale fuori uso. scultori, drammaturghi, attivisti, giudici, tossicodiQuando uno dei centri chiude, un pezzo di carta appendenti, medici, compositori incrociano i loro depeso alla porta annuncia: “La carovana ha traslocato stini nel Greenwich village, a New York, in un novein un altro posto”. cento appena cominciato. Romany è un soprannome che riUna donna vivace, vestita con una Una donna vivace, chiama la sua terra d’origine. Marie è di gonna colorata, la sigaretta all’angolo vestita con una madre ebrea. Nel vecchio mondo, della bocca e le orecchie sempre allerta, gonna colorata, Esther Rosen è una forza della natura serve agli ospiti caffè nero. È la loro re- la sigaretta venuta da un altro secolo. È madre, gina senza corona, veggente, psicotera- all’angolo della oste, guaritrice, sintonizzata sulle vipeuta, tuttofare, custode d’arti: Ro- bocca e le orecchie brazioni di un mondo destinato all’omany Marie, vero nome Marie Mar- sempre allerta, blio. Lavora duramente giorno dopo chand, nata Yuster nel 1885 a Răchitoaserve agli ospiti caffè giorno, cura con erbe e canti i malati sul sa, un villaggio in Romania, da qualche letto di morte, tiene a bada il dispotico nero. È la loro regina capofamiglia, Lupu Yuster, e non si azparte tra la Moldavia e la Muntenia. Il nome di Marie appariva regolar- senza corona zarda a sognare orizzonti più felici. Mamente nelle mie ricerche tra le pubblirie cresce all’ombra dei carri dell’accazioni dedicate ai personaggi più singolari di New campamento, vicino a Răchitoasa, assorbendo tutto York. Gli articoli ripercorrevano i punti salienti della quello che la circonda come un liquore stregato: le sua vita, ma io volevo sapere di più di questa donna usanze, le canzoni, i giochi, le formule contro il maleggendaria, che gestì locali in cui si dava appuntalocchio, le pietanze cucinate nel paiolo, le notti all’amento la bohème newyorchese di quasi un secolo fa. perto, i bagni nudi nella calura di mezzogiorno. Ho seguito il filo dei suoi incontri, intrecci e ricostruEsther tiene la contabilità familiare senza carta e penzioni con l’idea di sviluppare una sceneggiatura per na, conserva la frutta in secchi di sabbia, affumica una miniserie tv ispirata al suo mondo. carni, cuoce il pane, guarisce l’ulcera con strane tin“Immagina!”. Cominciava così la pubblicità delture, tesse fazzoletti di filaticcio. La gente intorno a la taverna di Romany Marie. “In questi giorni aridi e Marie si occupa del commercio di catrame e sale, cotristi, l’intera Manhattan sbadiglia in una morsa di struisce liuti, pesta tessuti di lana, curva il legname noia. Broadway e le sue luci accecanti? No! E allora con il vapore, fabbrica alcol. dove si va? Cosa c’è da fare? E se ti dicessi che in citA quindici anni Marie decide di tentare la fortuna tà esiste un posto con un’atmosfera che ricorda un in America. Un’amica di New York le invia i biglietti villaggio di campagna? Un posto che ti fa conoscere della nave e la partenza avviene in grande segretezza, uno scorcio della Romania più romantica? Dove la per paura del padre. Dopo qualche settimana arriva brace arde sotto la griglia e al posto del jazz regnano negli Stati Uniti con l’idea di farsi raggiungere il prima i canti malinconici dei Carpazi? Dove puoi sorsegpossibile dalla madre, dalla sorella e dal fratello. Cugiare caffè turco e liquori aromatizzati? Che ne pence, taglia, stira, seguendo il percorso della maggior si? Ti viene voglia di uscire di casa? Un posto del parte delle immigrate come lei. Poi arriva il primo genere esiste e si chiama Taverna Romany Marie, è shock culturale: le dicono che, con i suoi 75 chili, è nel Greenwich village”. troppo grassa. Sintomo di povertà in Europa, nell’ATheodore Dreiser, Isadora Duncan, Constantin merica d’inizio secolo la magrezza è invece simbolo
È
COSMIN NICOLAE
è un giornalista e scrittore romeno. Questo articolo è uscito su Scena9, un periodico romeno che racconta la vita culturale del paese. Il titolo originale era Viaţă și cârciumile lui Romany Marie, regina boemei newyorkeze.
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FRANCESCA GHERMANDI
di vita sana. Su consiglio delle sue colleghe prova la dieta dell’aceto e perde venti chili. A New York, invece di trovare una città all’altezza di Vienna o Parigi, Marie trova una metropoli sporca, ossessionata dal commercio, con fabbriche perfino nel centro della città. Il tempo per visitare un museo o ascoltare le bande al parco è un privilegio di cui godono solo i ricchi, mentre la maggior parte degli immigrati vive in condizioni deplorevoli. Marie mette da parte lo stipendio e affitta una cameretta. Il primo mobile che compra è una sedia a dondolo, per mamma Esther.
Damon Marchand aveva intravisto per la prima volta Marie in una fiera vicino alla città di Bârlad. I lineamenti di quell’adolescente scalza avevano ossessionato per anni il giovane ufficiale di cavalleria. Dopo aver girato il mondo, alla fine aveva attraversato l’Atlantico ed era finito a lavorare come traduttore nel centro di smistamento degli immigrati di Ellis island, gomito a gomito con il futuro sindaco di New York, Fiorello La Guardia. Lì, quando Marchand incontra di nuovo Marie le chiede quasi subito di sposarlo. Rimarrà con lei per tutta la vita. I due non sono fatti per un matrimonio come tutti gli altri: ognuno ha faticose Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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FRANCESCA GHERMANDI
Pop
Storie vere “La mia vita è stata molto noiosa”, ammette Dorothy Hoffner, un’operatrice telefonica in pensione di Chicago in Illinois, negli Stati Uniti. Così cinque anni fa si è lanciata con il paracadute. Aveva cento anni. Ora ne ha 105 e ha deciso di riprovarci, anche perché la prima volta avevano dovuto spingerla fuori dall’aeroplano. Vuole farlo anche per entrare nel Guinness dei primati come la paracadutista più vecchia della storia. Il record è di una donna che aveva 103 anni.
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relazioni extraconiugali, a cui la coppia dà il nome di yontiff, che in yiddish significa vacanza. Quel che Marie desidera di più è ricongiungersi con la sua famiglia (senza il padre Lupu) e farsi una cerchia di amici intellettuali. Invece di seguire corsi serali d’inglese, preferisce imparare la lingua andando a teatro e prendendo parte a conferenze e assemblee notturne. L’incontro con Emma Goldman, un’anarchica descritta dai giornali come una terrorista isterica, è uno dei tanti avvenimenti folgoranti della sua vita. Alle sue conferenze sente parlare per la prima volta di contraccezione, diritti delle donne, libertà sessuale, lotta contro la violenza generata da uno stato monolitico. Marie desidera farsi amicizie tra le menti più brillanti che partecipano alle conferenze dell’attivista lituana. Un mondo nuovo e colorato. Per qualche tempo lavora per Goldman e per la sua scuola, che intendeva offrire un’educazione libera dall’influenza della religione e dello stato e promuoveva il pensiero critico, la giustizia sociale e la libertà individuale. L’istituto era tutelato dalla cerchia anarchica newyorchese, si proclamava antidogmatico e voleva sostituire il tradizionale curriculum di studi con seminari, corsi e dibattiti liberi. Marie si occupa, tra le altre cose, dell’organizzazione dei corsi di pittura, tenuti da Robert Henri. In breve tempo comincia a raccogliere intorno a sé un gruppo di amanti dell’arte e della conversazione. Affascinati dalla cucina romena e dal caffè turco, gli amici non solo la incoraggiano ad aprire una taverna, ma fanno una colletta per aiutarla ad aprirla. Il poeta David Ross le trova anche un soprannome:
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Romany Marie. “Perché no?”, pensa lei, intravedendo nel suo nuovo nome l’opportunità di chiudere il cerchio che si era aperto nella sua infanzia in un villaggio della Romania. A New York i balli, in maschera o meno, sono ribattezzati gipsy dances e spesso sono organizzati dal giornale del quartiere. Romany Marie, soprannominata “regina dei gitani”, è ospite immancabile tanto delle piste da ballo quanto delle pagine dei giornali scandalistici, che descrivono le sue apparizioni con dovizia di dettagli: “Romany Marie indossava una blusa del Beluchistan sopra una gonna di paglia d’ispirazione indo-africana”. Con la sensibilità di oggi si potrebbero dire cose non proprio indulgenti su quest’amalgama di prestiti culturali, ma l’esotismo e l’ambiguità identitaria a quei tempi avevano la funzione di rompere gli stereotipi patriarcali e razziali. Il nome di Marie Yuster Marchand appare nelle cronache dell’epoca perché coinvolto nelle situazioni più esplosive: scioperi, manifestazioni, processi ad attivisti radicali. Nello stesso periodo va a ingrossare le file dei sostenitori del movimento che promuove la contraccezione ed entra a far parte della cerchia di Martha Sanger, fondatrice dell’American birth control league. Il movimento a cui aderisce Marie è eterogeneo e comprende tutto lo spettro del progressismo: i sostenitori del suffragio universale, della libertà d’espressione, delle pari opportunità, della causa dei lavoratori, dell’alfabetizzazione e della contraccezione, poi i sindacalisti e gli idealisti che si oppongono alla violenza generata dai governi e dagli stati nel periodo appena precedente la prima guerra mondiale. La povertà è alimentata dall’inflazione, l’analfabetismo, la mancanza di accesso ai servizi medici. Gli scioperi terminano ogni volta con morti e feriti. In determinate circostanze gli idealisti diventano pragmatici e organizzano attentati nella speranza di arrivare a mobilitare una massa critica. Il più delle volte il risultato è l’opposto: una campagna furibonda nei giornali vicini al potere che riesce a delegittimare anche gli obiettivi più lodevoli. Più tardi Marie prenderà pubblicamente le distanze dall’etichetta di “anarchica” che le era stata cucita addosso, ma le idee progressiste rimarranno sempre al centro del suo pensiero. Dal 1914 fino alla fine degli anni cinquanta Marie Marchand offre uno spazio ideale per discutere, vivere idilli illeciti e ballare sui tavoli. Nei suoi bistrot si mangia, ci si confronta, si fanno e si disfano matrimoni. Marie consola il pioniere della musica atonale Edgar Varèse, devastato dalle critiche rivolte alle sue composizioni: per tutta la vita sarà sua amica e musa. Trova una moglie allo scrittore Theodore Dreiser. Quando la famosa gallerista Edith Alpert porta nel suo locale Nelson Rockefeller per fargli leggere i fondi del caffè, scherzando Marie gli predice che diventerà enormemente ricco. Il mistico George Gurdjieff passa sempre da Romany Marie quando è a New York. I locali di Marie Marchand nel Greenwich village diventano però rapidamente vittime del loro stesso successo e di certe voci. Da tutti gli Stati Uniti, e perfi-
no dall’estero, i turisti si riversano nelle strade del quartiere più bohémien di New York alla ricerca di quella stessa atmosfera che oggi in molti cercano a Berlino, Amsterdam o Lisbona. Le leggende sulla frivolezza sessuale, i balli orgiastici, i fiumi di alcol o di droghe attirano orde di temerari in cerca di avventura, che trovano ospitalità in locali adeguati alle loro richieste. Il più delle volte sono copie di cartapesta delle osterie autentiche, allestite in tutta fretta come scenografie teatrali, con ragnatele, oggetti pirateschi, candele nelle bottiglie. Il Pirate’s den, con i camerieri vestiti da pirati e i pappagalli che insultano i clienti, apre in una delle taverne di Romany Marie, al 133 di Washington place, e diventa presto uno dei principali bersagli delle retate della polizia, fino alla fine del proibizionismo, nel 1933. Nonostante i cambi d’indirizzo, nelle sue taverne c’è un elemento che non cambia mai: l’angolo degli artisti, i tavoli riservati agli intellettuali, ai poeti, insomma alle persone capaci di cambiare il corso della storia con le loro idee all’avanguardia, scomode, folli. Richard Buckminster Fuller, architetto, inventore, filosofo, futurista, arriva per la prima volta all’osteria di Marie nel 1919 e osserva entusiasta la musicista Genevieve Pitot che balla nuda sui tavoli di legno. Dieci anni più tardi, fallito, depresso e con intenzioni suicide, trova un rifugio da Romany Marie. Insieme al drammaturgo Eugene O’Neill, lei diventa la sua mecenate e confidente. In cambio di pasti gratuiti, “Bucky” tiene discorsi pubblici ed espone bozzetti. Nessuna delle sue idee appare assurda a chi frequenta i locali di Marie. È così per Isamu Noguchi, un giovane scultore nippo-americano appena arrivato da Parigi, che si ferma da Marie su consiglio del suo mentore, Constantin Brâncuși. In breve tempo Noguchi e Fuller diventano collaboratori e sviluppano progetti come il parco Moerenuma di Sapporo e l’Hart plaza di Detroit. Il nucleo alla base delle teorie di Buckminster Fuller è la dymaxion (parola composta da parti di tre vocaboli: dynamism, maximum, tension), che illustra la capacità di ottenere il massimo vantaggio con il minimo apporto di energia. Tra le sue prime applicazioni c’è proprio il design degli interni del ristorante di Romany Marie in Minetta street: un interno con pareti, sedie e tavoli in alluminio, intensamente luminoso. È un flop, le sedie e i tavoli sono sostituiti in tutta fretta con un più prosaico mobilio di legno. L’interno pensato da Fuller e Noguchi resiste solo qualche giorno, ma Marie rimane una grande sostenitrice della sua visione idiosincratica, che farà storia con un sistema di pensiero capace d’influenzare intere generazioni di architetti, designer e filosofi. Nelle stanze mal illuminate dell’osteria prende vita anche il cosiddetto movimento tecnocratico. Howard Scott, uomo di mondo e d’esperienza, diventa celebre come “l’ingegnere della bohème” con le sue idee per rendere più efficiente la produzione industriale mediante metodi scientifici e pianificazione centralizzata, in opposizione allo spreco tipico del regime capitalista.
FARYAD SHIRI
Poesia
Lo scherzo del pastore Sono pastori bugiardi e indossano vesti da angelo sul campo di battaglia dove Dio non li perdonerà o forse sì, chissà. In questi giorni i satelliti sono puntati sul Medio Oriente, nelle orecchie risuonano bastonate e pugni. Hanno mandato in licenza anche la guerra così che gli angeli di carta mettessero razioni di cioccolato in bocca a ogni soldato. “È arrivata la pace, è arrivata la pace…”. Poi ecco che qualcuno arriva e strappa [le vesti da angelo gridando: la pace è solo nel letto dei presidenti.
è un poeta e traduttore curdo iraniano nato nel 1969. Ha pubblicato raccolte poetiche in persiano e in curdo. Questa poesia, tratta dalla raccolta Va tan forooshi nist (“E il corpopatria non è in vendita”, Negah 2010), è stata tradotta dal persiano da Faryad Shiri, Francesca Cosi, Alessandra Repossi, Sara Asareh e Sahar Tavakoli durante una residenza presso la Translation house Looren, a Hinwil, in Svizzera, nell’estate del 2023.
Faryad Shiri
All’inizio degli anni venti, tra Montparnasse, Berlino e il Greenwich village c’è un continuo via vai di artisti, sognatori e avventurieri, in cerca di affitti economici e di una brillante vita notturna. Da Romany Marie arriva Matisse, che più tardi porta con sé anche Marcel Duchamp e Brâncuși. Con l’occasione della sua celebre mostra a New York nel 1926, lo scultore romeno passa notti intere nella taverna, suonando la chitarra e chiacchierando con Gurdjieff. Marie ricambia la visita con un lungo viaggio in Europa. Secondo il racconto dell’editrice americana Margaret Anderson, una loro tipica notte a Parigi va più o meno così: lo scultore macina e prepara il caffè turco, poi tira fuori il violino e canta canzoni romene, balla, chiede a Duchamp di suonare la batteria, fa foto a tutti con grande serietà. Verso l’una di notte il poeta Tristan Tzara propone al gruppo di prendere d’assalto l’Opéra e sostituire le statue esistenti con i lavori di Brâncuși. Intorno alle sette del mattino arrivano quasi strisciando al bois de Boulogne, animati dall’intento di catturare un’anatra per cucinarla al forno. Non è uno scherzo: è la specialità culinaria di Brâncuși, famoso per essere un grande cuoco. Infine tornano esausti all’atelier, dove mangiano pollo freddo, insalata e formaggio e bevono vino. Nei ruggenti anni venti le frontiere tra l’amicizia, l’amore e la semplice affinità intellettuale sono molto sfumate. Il marito di Marie, Damon Marchand, è una figura taciturna, burbera, che però spesso tocca vette di genialità. Appassionato di farmacologia, sperimenta su se stesso pozioni che a volte gli sono quasi fatali. Alcune alleviano gastrite, tonsillite o malattie nervose e lui diventa una piccola celebrità locale. Gli passano per la testa idee per produrre caffè istantaneo, crema deInternazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Pop pilatoria e una soluzione chimica per rammendare le calze. Non s’interessa di gastronomia né di arte d’a vanguardia, ma è piuttosto attirato del lato esoterico dell’osteopatia. Quando sua moglie si ammala grave mente, propone un rimedio da lui inventato. Cresciu ta da una madre guaritrice, che per curarla usava tin ture, erbe e filastrocche scaramantiche, Marie diven ta una sorta di campo di battaglia tra la medicina praticata da suo marito e quella scientifica. Se dobbia mo credere alle sue parole, Marchand aveva ragione e lei guarisce dopo aver seguito il trattamento. Incre dulo, il suo medico diventa un ammiratore di Mar chand e tenta, senza troppo successo, d’introdurre i suoi precetti nella medicina scientifica. La cieca fiducia che Marchand nutre nelle sue ca pacità di diagnosi e guarigione lo porta inevitabil mente a una lenta, ma straziante fine. Marie rinuncia all’ultima apertura di un ristorante per stargli accan to. E dopo la sua morte non trova più le risorse per ri cominciare da capo. D’altronde intorno a lei la realtà si sta implacabilmente trasformando. Al Greenwich village le generazioni cambiano. L’élite bohémien è sostituita dai nuovi beatnik. Alla fine, del vecchio Vil lage rimangono solo racconti buoni per far addor mentare i turisti californiani o gli ubriaconi di Wash ington square. Nel 1939, numerosi ex frequentatori di Ma rie – Edgar Varèse, il pittore Yasuo Kuniyoshi, l’esplo ratore Vilhjalmur Stefansson, l’anarchico Leonard Abbott, la curatrice Edith Halpert – lanciano un ap pello per radunare i vecchi amici e organizzare un evento in suo onore. Una lunga lista raccoglie i loro nomi: ci sono Brâncuși, Diego Rivera, Marcel Du champ, Theodore Dreiser, E.E. Cummings ed Ernest Hemingway, ma anche Harry Kemp, Muriel Draper, Edna St. Vincent Millay e altri. Nei suoi ultimi vent’anni di vita, Marie Marchand vive di ricordi, suoi e degli altri. Non si occupa più di
gastronomia, se non per la collaborazione a un risto rante il cui proprietario desidera soprattutto avere clienti dai nomi altisonanti. È di fatto una specie di influencer che porta nei locali i suoi amici, quelli che sono ancora in città o in vita, in cambio di un pasto e di qualche sigaretta. Il modello, però, non funziona più: anche se sono ormai anziani, gli amici di Marie sono abituati a uscire dopo la mezzanotte, ma i risto ranti chiudono alle dieci di sera. Marie affronta la vecchiaia con la grazia e la gene rosità che l’hanno resa celebre, e con una profonda discrezione. Quando viene trovata morta a casa sua, in seguito a una malattia polmonare che l’aveva co stretta a letto, il Village Voice titola “La reine est morte – There is no other”, la regina è morta – non ce n’è un’altra. La messa si celebra in una piccola stanza con il semplice rituale del movimento religioso bahá’i, che Marie aveva frequentato negli anni venti. Dopo qualche decennio Romany Marie era ormai dimenticata, destino forse ovvio in una città in cui le cose cambiano da un giorno all’altro a ritmi vertigi nosi. Può sembrare bizzarro che concetti e idee co me l’uguaglianza di genere, la salute riproduttiva, la musica atonale, la meditazione o il poliamore fosse ro argomenti di conversazione già nella New York di cent’anni fa, magari davanti a un piatto di ciorba de perișoare (zuppa di polpette). Dei locali di quell’epo ca non esiste più nessuna traccia fisica. Forse per questo è difficile credere che queste persone siano esistite davvero, che Romany Marie non sia solo uno strabiliante personaggio di fantasia. Eppure questi uomini e queste donne non solo hanno vissuto, ma hanno fatto molto di più: hanno rotto convenzioni sociali, hanno organizzato feste mirabolanti e poi sono evaporati dalla memoria collettiva con la stessa splendida velocità con cui avevano attraversato le loro esistenze. La carovana è partita, una volta per tutte. u mt
Altri animali Leonardo Caffo
Spari nel santuario Recentemente, complice la paura per la peste suina, è saltata all’ono re delle cronache una vicenda strana: alcuni maiali che vivevano in un rifugio (santuario), dunque maiali salvati dall’allevamento in tensivo, sono stati abbattuti per precauzione anche se i veterinari avevano detto che erano sani. Ne è nata una protesta che, all’improv viso, ha riacceso le frange più radi cali del movimento animalista ita liano: con quale diritto le istituzio ni vengono a fucilare dei maiali li beri, di cui alcuni attivisti si pren
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devano cura da anni? Qualche hanno fa la storica dell’arte Valen tina Sonzogni ha curato un libro dal titolo Salvi! Animali, rifugi e libertà (Safarà 2016) in cui insieme a molti intellettuali e attivisti ha provato a chiarire una cosa: i san tuari per animali sono luoghi spe ciali in cui è possibile sperimenta re l’empatia profonda che lega ogni essere vivente, con l’idea di costruire un futuro di pace, cura e sostenibilità per tutte le creature. I santuari sono vie di fuga dal siste ma di sfruttamento e uccisione
della vita animale, sperimentano una possibilità alternativa di esi stenza e convivenza e mostrano che quello che facciamo agli ani mali non solo è grave ma anche stupido, perché ci toglie la possibi lità di conoscere individui straor dinari che non hanno nulla da invi diare ai cani o ai gatti che tanto amiamo. Ucciderli a fucilate, den tro i confini di questo rifugio, è sta to orribile, perché dove qualcuno cercava di diffondere pace e amo re, qualcun altro ha preferito anco ra una volta guerra e violenza.u
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Scienza tivo per il clima attuale. Dalla fine del 2019, quando era al minimo, l’attività del Sole è in crescita. Nel complesso però questo contribuisce solo per alcuni centesimi di grado al riscaldamento.
ANGELO MONNE
L’eruzione del vulcano Hunga Tonga Il 15 gennaio 2022 il vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’pai, nel Pacifico del sud, è esploso liberando grandi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera. Dato che il vapore è un gas serra, l’aumento della sua concentrazione intensifica l’effetto serra. Ma, come per il calo dell’inquinamento e l’aumento dell’attività solare, si parla di pochi centesimi di grado.
CLIMA
Perché fa ancora così caldo Andrew King, The Conversation, Australia A settembre le temperature globali hanno registrato un balzo da record rispetto al passato. Ci sono diversi motivi, ma il più importante è senza dubbio il cambiamento climatico n questo momento il mondo è molto caldo. Non solo si registrano temperature senza precedenti, ma i record vengono superati con margini mai visti. A settembre la temperatura media globale è stata 1,7 gradi più alta rispetto all’era preindustriale, un’anomalia di 0,5 gradi maggiore rispetto al record precedente. Quali sono le ragioni?
I
El Niño Uno dei motivi è l’intensificarsi del Niño, un fenomeno ricorrente che causa il riscaldamento della superficie del mare nella fascia tropicale del Pacifico. Questo contribuisce a innalzare le temperature medie globali di 0,1-0,2 gradi. Se si considera che siamo appena usciti da tre anni della Niña, un fenomeno che invece abbassa la temperatura media globale,
non sembra strano che faccia più caldo del solito. Ma El Niño da solo non basta a spiegare le assurde temperature che stiamo osservando. Il calo dell’inquinamento L’inquinamento atmosferico dovuto alle attività umane raffredda il pianeta, e ha compensato in parte il riscaldamento causato dalle emissioni di gas serra. Ci sono stati diversi sforzi per ridurre questo inquinamento, e nel 2020 è stato raggiunto un accordo internazionale per limitare le emissioni di anidride solforosa del trasporto marittimo. Si è ipotizzato che l’aria più pulita abbia favorito le temperature estreme, specie nelle regioni dell’Atlantico e del Pacifico settentrionale dove il traffico è maggiore, ma questo fattore contribuisce solo per alcuni centesimi di grado. Si stima che l’accordo del 2020 farà salire la temperatura di appena 0,05 gradi entro il 2050. L’aumento dell’attività solare La quantità di energia emessa dal Sole non è sempre la stessa. Esistono diversi cicli solari, ma uno lungo undici anni è il più significa-
La sfortuna Il caldo attuale potrebbe essere in parte dovuto a dei sistemi meteorologici che si trovano al posto giusto per riscaldare le terre emerse. Quando l’alta pressione staziona sui continenti, com’è avvenuto di recente in Europa occidentale e in Australia, le temperature locali aumentano. Dato che per riscaldare l’acqua ci vuole più energia e che l’oceano si muove, il riscaldamento dei mari non è altrettanto veloce. Quindi anche la posizione dei sistemi meteorologici è probabilmente un motivo del caldo eccezionale. Il cambiamento climatico Il principale responsabile dell’anomalia da 1,7 gradi, però, è di gran lunga il cambiamento climatico causato dalle attività umane. Nel complesso le nostre emissioni hanno provocato un aumento delle temperature di circa 1,2 gradi. Se la tendenza continuerà dobbiamo aspettarci che il riscaldamento acceleri. Pur spiegando l’aumento delle temperature di settembre negli ultimi decenni, però, le nostre emissioni non spiegano la grande distanza tra il settembre del 2023 e quello del 2022, quando l’effetto serra era a livelli simili a quelli attuali. Buona parte della differenza è dovuta al passaggio dalla Niña al Niño e alla posizione di alcuni sistemi meteorologici. È la prova che la concomitanza tra cambiamento climatico e altri fattori può produrre temperature estreme. Per scongiurare conseguenze disastrose, l’umanità deve quindi accelerare sulla strada verso l’azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica. u sdf Andrew King è un climatologo dell’università di Melbourne, in Australia. Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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IL ROSA CHE FA BENE
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Scienza GENETICA
Nel cervello di una madre
Vegetariani si nasce
La gravidanza modifica profondamente il cervello delle femmine dei topi, scrive Science. I ricercatori dell’Istituto Francis Crick di Londra hanno riscontrato cambiamenti indotti dagli ormoni nell’area preottica mediale, che si trova davanti all’ipotalamo. Gli estrogeni determinano una diminuzione dell’attività di base dei neuroni e li rendono più reattivi ai segnali esterni. Il progesterone aumenta la formazione di sinapsi, creando maggiori connessioni con altre regioni cerebrali. Questi cambiamenti sarebbero permanenti e innescherebbero gli istinti genitoriali ancor prima della nascita della prole. Qualcosa di simile potrebbe succedere anche negli esseri umani, con possibili implicazioni sul legame genitoriale e su disturbi come la depressione post-partum. I ricercatori sottolineano che il comportamento umano è influenzato anche da fattori esterni, come l’ambiente e l’apprendimento basato sull’osservazione.
Plos One, Stati Uniti
THOMAS MUKOYA ( REUTERS/CONTRASTO)
NEUROLOGIA
La capacità di seguire un’alimentazione vegetariana potrebbe dipendere dai propri geni. Uno studio condotto nel Regno Unito ha infatti individuato nel dna di persone che non consumano carne o pesce alcune varianti genetiche che le distinguono dal resto della popolazione. Confrontando il genoma di 5.324 vegetariani con un gruppo di controllo composto da 329.455 soggetti, sono state trovate varianti associate a 34 geni che potrebbero essere collegate all’alimentazione. Alcuni hanno un ruolo nel metabolismo dei lipidi e nel funzionamento del cervello. I soggetti presi in esame erano esclusivamente vegetariani, una minoranza nella popolazione. Molte persone cercano di eliminare carne e pesce dalla loro dieta, ma poi tornano a un consumo saltuario di questi alimenti. Nel Regno Unito solo il 2,3 per cento degli adulti è davvero vegetariano. Gli autori dello studio si sono chiesti se la difficoltà di fare a meno di carne e pesce derivi da qualche fattore biologico, per esempio legato al metabolismo. Capire l’influenza dei geni sul metabolismo potrebbe aiutare a personalizzare i consigli nutrizionali. ◆
IN BREVE
NASA
Zoologia Molti animali selvatici temono la presenza umana più di quella dei leoni, scrive Current Biology. I ricercatori hanno piazzato degli altoparlanti, nel parco nazionale Kruger, in Sudafrica, trasmettendo registrazioni di spari e di suoni emessi da leoni, cani ed esseri umani. Questi ultimi spingevano gli animali a fuggire molto più rapidamente. Salute Uno studio pubblicato su Pnas afferma che la pandemia di influenza del 1918-19 ha fatto più morti tra gli individui in cattiva salute, contraddicendo la tesi secondo cui la malattia aveva colpito in modo simile tutta la popolazione. L’analisi dei resti ossei di 369 giovani vittime statunitensi ha rivelato che i soggetti con problemi di salute avevano più probabilità di morire. Si stima che la pandemia abbia causato 50 milioni di morti in tutto il mondo.
ZOOLOGIA
I segreti delle fusa Finora si credeva che le fusa del gatto fossero generate da contrazioni muscolari e richiedessero input costanti dal cervello. Ma la scoperta di masse di tessuto connettivo sulle corde vocali fa ipotizzare un’origine diversa, scrive Current Biology. Questi cuscinetti potrebbero aumentare la densità delle corde vocali e permettere l’emissione di suoni a bassa frequenza automaticamente dopo il primo segnale inviato dal cervello. Anche le fusa sarebbero quindi fenomeni passivi come gli altri suoni emessi dai gatti, il miagolio e il soffio.
SALUTE
Ictus in aumento
GEOLOGIA
Una tempesta fossile Sulle Alpi francesi è stata trovata traccia di un evento Miyake, una delle tempeste solari più violente che abbia mai raggiunto il nostro pianeta. È stato possibile ricostruire l’evento analizzando gli anelli di crescita di alberi semifossilizzati trovati lungo il torrente Drouzet. I tronchi mostrano un picco del contenuto di radiocarbonio corrispondente a 14.300 anni fa, scrive Philosophical Transactions of the Royal Society A. Se avvenisse oggi, una tempesta simile potrebbe danneggiare i satelliti e mettere fuori uso le reti elettriche.
I casi di ictus sono destinati a crescere a livello globale, scrive Lancet Neurology. La mortalità passerà dai 6,6 milioni del 2020 a 9,7 milioni nel 2050. L’aumento maggiore è previsto nei paesi a basso e medio reddito. I costi, diretti e indiretti, passeranno dai 912 miliardi di dollari del 2017 a circa 1.590 miliardi nel 2050. Dato che l’ictus si può prevenire, secondo i ricercatori sarebbe utile migliorare la sorveglianza dei fattori di rischio, oltre alla cura e alla riabilitazione delle persone colpite.
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MAURICIO DE PAIVA
Il diario della Terra Il nostro clima
La malaria cambia zona
Archeologia Si stima che in Amazzonia esistano più di diecimila strutture in terra costruite da civiltà precolombiane (nella foto). Sono coperte dalla vegetazione, ma è stato possibile individuarle dall’alto grazie al lidar, un laser per il rilevamento a distanza. In un’area di circa cinquemila chilometri quadrati, lo 0,08 per cento del bacino amazzonico, sono state trovate 24 strutture, tra cui villaggi fortificati, siti cerimoniali e geoglifi. Intorno a esse la composizione della foresta è diversa, con una maggiore abbondanza di alberi usati dalle popolazioni locali. Secondo lo studio, pubblicato su Science, è possibile che in Amazzonia siano presenti da 10.272 a 23.648 strutture ancora da scoprire, soprattutto nell’area sudoccidentale. Il bacino amazzonico è abitato da circa dodicimila anni.
Radar
Il monte Bianco è più basso Alluvioni Almeno 28 persone sono morte nelle inondazioni provocate dalle forti precipitazioni a Yaoundé, la capitale del Camerun. ◆ Le piogge torrenziali che hanno colpito il nord del Vietnam hanno fatto almeno tre vittime. ◆ Circa 14mila persone hanno dovuto lasciare le loro case a causa delle alluvioni nel sud della Birmania.
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Caldo Le autorità delle Canarie hanno ordinato la chiusura delle scuole a causa dell’ondata di caldo eccezionale che ha investito l’arcipelago, favorendo la ripresa degli incendi a Tenerife. ◆ Nell’est del Canada la temperatura ha raggiunto i 29,3 gradi, superando di più di due gradi il precedente record per il mese di ottobre. Cicloni L’uragano Lidia ha colpito il nordovest del Messico, uccidendo almeno una persona. Montagne Una nuova misurazione del monte Bianco ha stabilito che la vetta si trova a 4.805,59 metri, cioè 2,22 metri in meno rispetto al 2021. La variazione potrebbe essere dovuta alla scarsità di precipitazioni, che ha provocato la riduzio-
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ne dello strato di ghiaccio sulla sommità. La vetta rocciosa del monte si trova a 4.792 metri. Anfibi Secondo una nuova valutazione il numero di specie di anfibi a rischio di estinzione (nella foto un rospo giallo della Guyana, Atelopus balios) continua ad aumentare: oggi sono più del 40 per cento, il dato più alto tra i vertebrati. Tra il 2004 e il 2022 altre quattro specie sono state dichiarate estinte, portando il totale a 37. Gli effetti del cambiamento climatico sono diventati il principale fattore di rischio, seguiti dalla perdita di habitat.
ULI DECK (DPA/GETTY)
Terremoti Una scossa di magnitudo 6,7 è stata registrata in Nuova Guinea. Non si ha notizia di vittime. ◆ Un altro sisma di magnitudo 6,3 ha colpito l’ovest dell’Afghanistan, dopo quello che il 7 ottobre ha pro-
vocato la morte di almeno duemila persone.
◆ Il cambiamento climatico potrebbe ridurre la diffusione della malaria, almeno in alcune aree geografiche. È una delle ipotesi formulate dai ricercatori che studiano le conseguenze del fenomeno sulla salute umana. “Non è facile delineare i complessi effetti del cambiamento climatico sulle malattie infettive”, scrive Science. Alcune potrebbero diffondersi maggiormente, altre cambiare area geografica. La malaria è un caso molto studiato. Quando a trasmetterla è la zanzara Anopheles gambiae, la temperatura ideale per il contagio è intorno ai 25 gradi. In alcune zone del pianeta il clima diventerà troppo caldo, mentre in altre aree, oggi troppo fresche, le condizioni diventeranno favorevoli. La zanzara Aedes aegypti, che trasmette la dengue e il virus zika, dovrebbe invece essere generalmente favorita dall’aumento delle temperature. Le malattie virali seguono schemi ancora diversi. Il morbillo non dipende dalla temperatura, e la sua diffusione rimarrà probabilmente inalterata. L’influenza invece si diffonde meglio con il freddo. Con l’aumento della temperatura le epidemie di influenza potrebbero perdere di intensità, ma anche smettere di essere stagionali, con effetti imprevedibili sull’evoluzione dei virus. Non è solo l’aumento della temperatura a influire sull’incidenza delle malattie, però. La diffusione del batterio del colera, per esempio, potrebbe essere favorita dal moltiplicarsi delle alluvioni, che provocano la contaminazione dell’acqua potabile.
Il pianeta visto dallo spazio 17.06.2023
Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti Nord 3 km
Jazirat al Lulu
Golfo Persico Qasr al Hosn
Sabkha Abu Dhabi
EARTHOBSERVATORY/NASA
Parco nazionale delle mangrovie
◆ Questa immagine, scattata da un astronauta a bordo della Stazione spaziale internazionale, mostra Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti. L’insediamento originario è sorto intorno a Qasr al Hosn, una fortezza costruita alla fine del settecento sulla costa del golfo Persico per proteggere una piccola comunità di pescatori. Prima della fondazione degli Emirati Arabi Uniti, negli anni settanta, la città aveva meno di 62mila abitanti, ma con lo sviluppo dell’industria
petrolifera e del settore finanziario è cresciuta rapidamente fino ad arrivare a quasi 1,5 milioni di persone. Per aumentare la superficie disponibile sono state realizzate diverse isole artificiali nelle acque davanti alla città. Jazirat al Lulu, che misura 4,2 chilometri quadrati, è stata completata all’inizio degli anni novanta ma non è stata ancora edificata. Il territorio di Abu Dhabi è caratterizzato da sabbia portata dal vento, mangrovie, affioramenti rocciosi e piane di ma-
La capitale degli Emirati Arabi Uniti sorge sulla costa del golfo Persico in un panorama modellato dalle maree e dal vento, tra foreste di mangrovie e distese di sabbia
◆
rea. A sudovest della città è visibile una sabkha, una distesa di sabbia creata dall’erosione delle dune e dai sedimenti lasciati dalle maree. L’aspetto spoglio della sabkha, dovuto all’elevata salinità che impedisce la crescita della vegetazione, contrasta con il verde delle foreste di mangrovie, le cui radici difendono la costa dall’erosione. Il parco nazionale delle mangrovie è un’area protetta che offre riparo a diverse specie, tra cui l’airone schistaceo. Nasa
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vi aspettiamo a
RIMINI: 7 - 10 NOVEMBRE 2023 PAD D3 - STAND 100-201
Economia e lavoro
ALEX MCBRIDE PER LE MONDE
Una sartoria industriale in Ucraina, 26 settembre 2023
UCRAINA
La guerra non ferma l’industria tessile Juliette Garnier, Le Monde, Francia In Ucraina la produzione di abbigliamento continua a pieno ritmo perché nelle fabbriche lavorano molte donne. La fornitura elettrica, però, non è costante e gli ordini sono calati ataliy è stata la prima a cui la guerra ha distrutto la vita. Il 23 febbraio suo figlio è morto in combattimento nella regione di Donetsk, nell’est dell’Ucraina. Da allora altre cinque delle 130 donne impiegate nella fabbrica di cappotti Lener Cordier di Berezne, nell’ovest del paese, hanno perso un marito o un figlio. Nataliy, però, non si è assentata un giorno, perché il lavoro le serve ed è pagata a cottimo. Guadagna circa novemila grivne al mese, l’equivalente di 230 euro. “Nonostante la guerra le fabbriche di abbigliamento in Ucraina continuano a produrre”, fa notare Frédéric Lener, capo dell’azienda francese che produce cappotti e li vende con il marchio Trench & Coat, o li realizza per clienti come la Laco-
N
ste e il gruppo Monoprix. Lo stabilimento inaugurato nel 2008 a Berezne e quelli di una decina di subappaltatori locali tirano avanti, come succede in tutto il mondo, grazie alle donne, che fanno le sarte, le modelliste o le stiratrici. Per questo l’industria tessile ucraina, che dà lavoro a 133.500 persone, non ha problemi di manodopera. Le sue attività “resistono meglio di altre”, assicura Tetjana Izovit, presidente di Ukrlegprom, la federazione del settore tessile. Anche se “nel 2022 le vendite sono diminuite del 26 per cento, il calo è stato inferiore a quello del pil, sceso del 30 per cento”. Nonostante “il 20 per cento del parco industriale sia stato diBIELORUSSIA Kovel
Černihiv Rivne Berezne Kiev
UCRAI NA
Charkiv
MOLDAVIA
Donetsk
ROMANIA 250 km
Crimea Mar Nero
RUSSIA
strutto o danneggiato” dagli attacchi russi nel nord e nell’est, e “il 25 per cento del personale sia emigrato o abbia dovuto scappare dalle zone di guerra”, la produzione di giubbotti e cappotti continua. E raggiunge l’estero: il 66 per cento delle esportazioni ucraine consiste in capi di abbigliamento. L’industria tessile ucraina è molto attraente per le grandi marche di moda. Le operaie sono in grado di affrontare lavorazioni complesse come quelle di abiti di lana pesante o di impermeabili. Allo stesso tempo, percepiscono uno stipendio basso, tra i 200 e i 750 euro. Il costo della manodopera può essere anche di 20 centesimi al minuto (12 euro all’ora), un terzo di quello francese. Da quando è cominciata la guerra, “il 50 per cento dei committenti europei è scomparso”, lamenta Tetjana Izovit. L’azienda tedesca Hugo Boss ha lasciato due dei quattro fornitori ucraini “per ragioni economiche”. Invece i marchi francesi Bensimon, Zadig & Voltaire, Mugler e Vanessa Bruno hanno confermato gli ordini in segno di solidarietà o, più semplicemente, per la competitività dell’offerta locale. In Ucraina, nonostante l’inflazione che si aggirava intorno al 20 per cento nel 2022, gli stipendi sono rimasti bassi. Alcuni stabilimenti lavorano a pieno ritmo, soprattutto nell’ovest. A Kovel, a 60 chilometri dalla frontiera polacca, una fabbrica di abbigliamento nel 2022 ha realizzato 130mila capi, 40mila in più rispetto al 2021. Nel 2023 la Zadig & Voltaire ha ordinato lì 76mila giacche, che in negozio si vendono a prezzi che vanno dai 575 ai 745 euro. Anche a nordest di Kiev, in una zona che era stata parzialmente occupata dalle truppe russe nella primavera del 2022, la Elegant produce a ritmo sostenuto, assicura la direttrice Nataliya Romanovska. Sempre in quest’area, in un’altra fabbrica nata nel 1943, i ritmi di lavoro sono intensi. La direttrice, vedova di guerra da un anno, chiede di non rivelare il nome dello stabilimento né il suo né quello della città. “I russi potrebbero trovarla su LinkedIn o Google Maps”, si preoccupa. Lavora per l’esercito ucraino e fa parte ormai di un “settore strategico”. Il 26 settembre i suoi 370 dipendenti hanno terminato di confezionare 94mila giubbotti per i soldati, da usare nei primi giorni d’inverno. La quantità enorme di giacconi imbottiti con il cappuccio dai motivi mimetici mette i brividi: la stoffa color kaki è su tutte le Internazionale 1533 | 13 ottobre 2023
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Economia e lavoro
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CRISI ALIMENTARE
Attenti alla speculazione
“Perché le donne sono sottorappresentate nel mercato del lavoro e guadagnano meno degli uomini? Con l’aiuto di dati e statistiche che riguardano un periodo di duecento anni, l’economista statunitense Claudia Goldin ha indagato su questi temi”, scrive il quotidiano svedese Dagens Industri, dando la notizia che Goldin il 9 ottobre ha ricevuto il premio Nobel per l’economia. È la terza donna a ottenere questo riconoscimento. “Grazie alle sue ricerche conosciamo i fattori che determinano la minore partecipazione delle donne al mondo del lavoro e quali sono gli ostacoli da rimuovere in futuro”, ha spiegato il capo del comitato per il Nobel, Jakob Svensson. REBA SALDANHA (REUTERS/CONTRASTO)
L’incognita Gli imprenditori e le imprenditrici si dicono spinte dalla volontà di servire il loro paese e dare lavoro agli ucraini. Ma tutti si preparano anche al dopoguerra, cercando di entrare in contatto con il maggiore numero possibile di marchi esteri per essere pagati in euro. Resta il problema, però, di “rassicurare gli stranieri sulla capacità di completare gli ordini”, osserva la presidente della federazione dell’industria tessile. Il tessile ucraino sopravvivrà a un secondo inverno di guerra? Tutti s’interrogano sulla fornitura di elettricità. A Rivne, dove l’azienda francese Verallia produce bottiglie di vetro, Vitaliy Koval, il capo delle autorità militari, ammette che i blackout sono un problema per le aziende che non hanno gruppi elettrogeni. Quelli forniti dallo stato sono riservati alle infrastrutture come gli ospedali. Ma gli imprenditori si organizzano. La Cap Est ha già fornito un generatore del costo di 60mila euro allo stabilimento di Kovel. Altri invece puntano sull’energia solare. A Černihiv Nataliya Romanovska pensa di investire centomila dollari per ricoprire il tetto dello stabilimento di pannelli solari, ma esita perché sarebbero facilmente individuabili dal satellite. u adr
PREMIO NOBEL
Il lavoro delle donne
ANUWAR HAZARIKA (NURPHOTO/GETTY)
macchine da cucire, in ognuna delle sette catene produttive dotate di macchine robotizzate nuove di zecca. “Non m’interessa comprare una Mercedes. Reinvesto quello che guadagno per la mia gente, per l’Ucraina”, spiega la donna, che dice di “aver completamente cambiato mentalità” dopo la morte del marito. Per soddisfare gli ordini dell’esercito, l’imprenditrice ha assunto 70 persone, tra cui quindici sfollate dall’est del paese. Una di loro, Svetlana, è scappata da Charkiv nel marzo 2022 e si è rifugiata in questa città con il marito e il figlio. Ex operaia di una fabbrica di lievito, la donna ha imparato a cucire ed è stata assegnata al reparto delle polo. Altre donne sfollate arriveranno prossimamente. Per dargli alloggio, l’azienda ha preparato dei monolocali. Un nuovo laboratorio sarà “inaugurato nella primavera del 2024”, spera la responsabile, che ha ottenuto dalle autorità il diritto di far lavorare nel cantiere degli uomini che in teoria potrebbero essere reclutati. Sottoterra ci sarà anche un rifugio antiaereo.
Assam, India, 22 maggio 2023
“Le Nazioni Unite hanno chiesto maggiori controlli sul commercio di materie prime, spiegando che le attività non regolamentate stanno peggiorando la crisi alimentare globale dovuta all’invasione russa dell’Ucraina”, scrive Bloomberg. Secondo un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) pubblicato il 4 ottobre, ormai è la speculazione finanziaria a dominare il mercato alimentare, anche perché i trader riescono ad aggirare le leggi presentandosi come aziende produttrici invece che come operatori finanziari. L’Unctad chiede di indagare sul legame tra speculazione e prezzi alimentari, facendo notare che questi ultimi sono scesi dopo il picco raggiunto nel marzo 2022, ma restano più alti del periodo precedente alla pandemia. L’agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ad agosto ha registrato un prezzo record del riso, cresciuto del 31 per cento rispetto all’anno prima, una conseguenza della scarsità del prodotto e della decisione dell’India di bloccare le esportazioni. u
FINANZA
Più voce per l’Africa Dal 9 ottobre il Marocco ospita la riunione annuale della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, la prima a tenersi in Africa dal 1973. Aumentano le pressioni sulle due organizzazioni per dare voce ai paesi meno industrializzati, per esempio con un terzo seggio per l’Africa nel comitato esecutivo dell’Fmi, scrive The Africa Report.
GERMANIA
Un altro inverno con il carbone “In vista di un inverno che sarà probabilmente caratterizzato dalla scarsità di gas, la Germania ha deciso il 4 ottobre di ritardare di un altro anno la chiusura delle centrali a lignite”, scrive il sito Euractiv. Berlino ha adottato un piano di transizione verso le energie rinnovabili, del costo di 40 mi-
lioni di euro, che prevede una rinuncia progressiva al carbone entro il 2030. Tuttavia nel 2022 le centrali a lignite, un tipo di carbone, erano state riattivate a causa del calo delle importazioni di gas russo e per i problemi nelle centrali nucleari francesi. Sono in grado di generare in totale 1,9 gigawatt, che si aggiungono ai 45 gigawatt prodotti negli altri impianti a carbone. Il governo prevede di riattivarle nuovamente da ottobre a marzo.
Vogliamo smettere di lavorare.
Certo suonerà strano, soprattutto in una pubblicità. Eppure, non potremmo fare promessa migliore. Siamo Latte Creative: l’agenzia per l’impatto sociale che tiene così tanto al suo lavoro da desiderare di perderlo. Per questo, da tredici anni lavoriamo perché la crisi climatica, le disuguaglianze e la guerra non siano più problemi apparentemente insormontabili. Crediamo nella creatività come chiave per il cambiamento sociale e collaboriamo con i nostri partner per creare campagne con l’ambizione di cambiare il mondo, conquistare nuovi diritti e farci finalmente sentire inutili. E ci impegniamo anche noi, attivisti oltre che professionisti. Dalla strategia alla campagna, dall’online all’offline, proponiamo soluzioni innovative per esplorare direzioni inaspettate ed efficaci. Insieme, perché è così che si cambiano le cose.
lattecreative.com
Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti
Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti
War and Peas E. Pich Pich ee J. J. Kunz, Kunz, Germania Germania E.
Strisce
Mafalda, 1964 Quino, Argentina
PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI
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L’oroscopo
Rob Brezsny Il filosofo e scrittore della Bilancia Michel Foucault aspirava ad aprire la mente dei suoi lettori con nuove idee. Diceva che il suo compito era costruire finestre dove c’erano muri. Vorrei che tu prendessi in prestito il suo approccio e lo usassi nelle prossime settimane. Potrebbe essere molto divertente abbattere i muri che suddividono il tuo mondo e t’impediscono di avere scambi facili e liberi. Ma non credo che sia molto realistico. È più probabile ottenere un successo parziale: aprire finestre nei muri.
Gli indigeni semai della Malaysia hanno un tabù insolito: fanno di tutto per non causare infelicità agli altri. Questo li rende riluttanti a imporre i propri desideri a chiunque. Perfino i genitori esitano a costringere i figli a fare qualcosa. Ti consiglio di sperimentare questa pratica. È il momento ideale per modificare la tua influenza sugli altri rendendola più benevola e accogliente che puoi. Se per un po’ di tempo sarai dolce e gentile potresti migliorare la tua vita relazionale.
cherai e la celebrerai. Per aiutarti, ti offro cinque perle: “Qualunque cosa ami è bella. Maggiore è la tua capacità di amare, maggiore sarà la bellezza che trovi nel mondo” (Jane Smiley). “Il mondo è incomprensibilmente bello, una sfilza infinita di magie e meraviglie”(Ansel Adams). “Una cosa bella non è mai perfetta” (proverbio egiziano). “Puoi rendere bello il mondo rifiutandoti di mentire su di esso” (Iain S. Thomas). “La bellezza non è un’aggiunta speciale. È semplicemente vita, vita pura che scorre chiara e forte” (H. G. Wells).
TORO
CANCRO
L’autore del Toro William Shakespeare ha trasformato la lingua inglese. Ha coniato centinaia di parole e modificato il significato di altre centinaia. Con lui hanno avuto origine espressioni come “mostro dagli occhi verdi” (invidia) e “latte della gentilezza umana” (bontà). Ma il Bardo introdusse anche alcune espressioni che in inglese sono quasi scomparse. “Recover the wind” (dare la caccia) appare in Amleto ma è ormai molto rara. Altre espressioni cadute in disuso sono: “take eggs for money” (accettare uova al posto dei soldi/accontentarsi) e “from smoke to smother” (dalla padella alla brace). Tuttavia, il bilancio dei neologismi duraturi di Shakespeare è impressionante. Con questa storia t’invito a celebrare tutti i tuoi successi, più che pensare ai fallimenti. È il momento giusto per essere fiero di te stesso.
Ho letto in una recensione che un certo film era dotato di “una morbida, tenue incandescenza, simile a una nebbia illuminata dal bagliore delle lucciole”. Sembri tu in questi giorni, Cancerino. Sei misterioso ma luminoso, difficile da decifrare ma traboccante di energia vitale, sei sfocato ai bordi ma irradi calore e benessere. Per ora t’invito a rimanere fedele a questa immagine. Non è uno stato in cui vivrai per sempre, ma è necessario per il prossimo futuro.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
ARIETE
GEMELLI
Spero che nelle prossime settimane la bellezza sarà la tua priorità. Mi auguro che la cer-
LEONE
L’autore del Leone Thomas de Quincey ha scritto molte opere e ha ispirato scrittori famosi come Edgar Allan Poe, Charles Baudelaire, Nikolaj Gogol e Jorge Luis Borges. Eppure ha anche usato oppio per 54 anni e ne è stato spesso dipendente. Lo storico Mike Jay afferma che de Quincey era interessato a “esplorare i recessi nascosti della sua mente”. Lo usava per cercare stati di coscienza altrimenti irraggiungibili. Non ti sto incoraggiando ad assumere
droghe, Leone. Ma credo che sia il momento giusto per esplorare i recessi della tua mente. Con quali mezzi? Lavorando sui sogni? Meditando fino a sfinirti? Facendo sesso rinnovatore?
CAPRICORNO
Il giornalista della Vergine Henry Louis Mencken diceva: “La persona comune non vuole essere libera. Vuole essere al sicuro”. C’è del vero in questo, ma credo che sarà irrilevante per te nei prossimi mesi. Secondo la mia analisi, sarai più sicura e più libera di quanto tu non sia da tempo. Spero che ne trarrai il massimo vantaggio! Pensa alle imprese insolite che potresti compiere in questo stato di grazia.
Nella mitologia romana Venere era la dea dell’amore e della bellezza. Eppure la scienza moderna ci dice che il pianeta Venere è avvolto da nubi di acido solforico, ha una temperatura superficiale di 460 gradi e ha 85mila vulcani. Perché le due Veneri sono così diverse? L’esoterista Dion Fortune diceva che la dea Venere è spesso disturbante perché ci allontana dalle cose serie. Posso testimoniare che la mia attrazione per l’amore e la bellezza mi ha distratto dal diventare un’imprenditrice miliardaria. Ma non potrei fare altrimenti. E tu, Capricorno? Prevedo che nei prossimi mesi la versione divina di Venere sarà molto presente nella tua vita.
SCORPIONE
ACQUARIO
Sempre più persone anziane cambiano sesso. Un articolo del quotidiano britannico The Guardian racconta di Bethan Henshaw, una magazziniera diventata donna a 57 anni, e di Ramses Underhill-Smith, diventato uomo a circa 40. T’invito, Scorpione, a rivedere la tua definizione di genere. I presagi astrali indicano che trarrai vantaggio da un’apertura mentale. La cantante dello Scorpione Sophie B. Hawkins dice di essere onnisessuale: “La mia sessualità nasce dalla connessione emotiva con l’anima di qualcuno. Non è necessario fare una scelta di genere e mantenerla”.
Migliaia di specie alimentari antiche negli Stati Uniti sono di proprietà privata. Un tempo appartenevano ai nativi americani ma ormai non vengono coltivate da decenni. I discendenti degli indigeni stanno cercando di riaverle per coltivarle di nuovo – un processo chiamato rematriation (ritorno ai valori della madre Terra) – ma incontrano la resistenza delle aziende e degli enti pubblici che possiedono i semi. Hanno però fatto alcuni progressi. I nativi ho-chunk del Wisconsin hanno recuperato in parte semi antichi di mais, fagioli e zucca. È un buon momento per te, Acquario, per rivendicare ciò che originariamente era tuo e ti appartiene.
VERGINE
SAGITTARIO
L’autore del Sagittario Mark Twain affermava che in circostanze difficili imprecare “garantisce un sollievo negato perfino a chi prega”. Aggiungo che certe parole possono essere curative, soprattutto per te in questo momento. Ecco le situazioni in cui nelle prossime settimane imprecare potrebbe essere terapeutico. 1) Quando le persone si prendono troppo sul serio. 2) Quando ti senti impotente. 3) Quando i saccenti cercano di limitare quello che si può dire. 4) Quando le persone sembrano paralizzate e non sanno più cosa fare. In tutti questi casi, un’imprecazione al momento giusto darebbe una scossa all’energia bloccata.
PESCI
Mi piace la definizione della poeta dei Pesci Jane Hirshfield di ciò che “è alla base di un rituale”: “L’accesso a un mistero che può essere toccato ma non posseduto”. Il mio augurio per te, in questo momento, Pesci, è che tu possa sperimentare misteri che possono essere toccati ma non posseduti. Farlo ti darà accesso ai rebus principali del tuo destino. Entrerai in comunione con enigmi che suscitano sentimenti profondi e ricche intuizioni inspiegabili per la tua mente logica. Ti invito a eseguire qualche rituale sacro fai da te.
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internazionale.it/oroscopo
BILANCIA
COMPITI A CASA
Da quale fardello non riesci a staccarti?
MORLAND, REGNO UNITO
L’ultima
EL ROTO, SPAGNA
Il premio Nobel per la pace assegnato all’attivista iraniana Narges Mohammadi
GROSS
BRAMHALL, STATI UNITI
BARON, REGNO UNITO
“Quello a destra è un bombardamento dei buoni e quello a sinistra dei cattivi”.
“Fermati e pensa”. “È qualcosa che ti fa fermare e pensare, no?”.
Le regole Millennial 1 Ammettiamolo: la vostra massima espressione culturale sono stati gli hipster. 2 Tutti vi odiano, fino a quando non c’è da convertire un documento in pdf. 3 Il miglior ritratto della vostra generazione è un selfie. 4 La più grande trasgressione per voi è non farsi un tatuaggio. 5 Occhio: il vostro nemico non sono più i boomer, ma la generazione z.
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I GRANDI FILM CAMBIANO IL MODO IN CUI VEDIAMO LA NOSTRA VITA. E LA NOSTRA VITA CAMBIA IL MODO IN CUI VEDIAMO I GRANDI FILM. ANCHE MOLTO TEMPO DOPO AVERLI VISTI... SONO ANCORA CON TE.
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