Internazionale 3/9 novembre 2023. Numero 1536. L'amico americano

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3/9 novembre 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1536 • anno 30

internazionale.it

4,50 €

Amira Hass Le reazioni all’orrore delle stragi di Hamas

Hong Kong Autocensura in redazione

Scienza Conversazioni animali

L’amico americano

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Il rapporto con Israele impedisce agli Stati Uniti di essere un mediatore credibile in Medio Oriente. E le altre potenze ne approfittano

P R E C I S I O N E A D O G N I L I V E L LO PLANET OCEAN Co-Axial Master Chronometer Il Seamaster è da sempre un affidabile compagno di avventure per gli amanti del mare, chi si immerge in solitaria e gli equipaggi delle imbarcazioni da regata. Il nuovo Seamaster Planet Ocean 600M da 39,5 mm in acciaio inossidabile prosegue con questa illustre tradizione. Realizzato con il caratteristico logo del cavalluccio marino sul fondello, si contraddistingue per il quadrante smaltato Summer Blue spazzolato a raggi di sole e una speciale finitura che richiama la sua impermeabilità fino a 600 metri. Celebriamo la nostra icona oceanica, con la promessa di sfidare le profondità continuando a elevare i livelli di precisione.

3/9 novembre 2023 • Numero 1536 • Anno 30 “Un topo può imparare una nuova canzone?”

Sommario La settimana

SONIA SHAH A PAGINA 49

3/9 novembre 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1536 • anno 30

internazionale.it

4,50 €

Amira Hass Le reazioni all’orrore delle stragi di Hamas

Hong Kong Autocensura in redazione

Scienza Conversazioni animali

L’amico americano

Trenta SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Il rapporto con Israele impedisce agli Stati Uniti di essere un mediatore credibile in Medio Oriente. E le altre potenze ne approfittano

IN COPERTINA

L’amico americano Il rapporto con Israele impedisce agli Stati Uniti di essere un mediatore credibile in Medio Oriente. E le altre potenze ne approfittano (p. 22). Illustrazione di Nazario Graziano da foto Getty; The New York Times/Contrasto (2); The Boston Globe/Getty; Afp/Getty

Giovanni De Mauro BRASILE

32 La siccità sta cambiando la vita in Amazzonia Folha de S.Paulo TURCHIA

35 Il regime di Erdoğan non ha niente da celebrare Cengiz Aktar per Internazionale

HONG KONG

ECONOMIA E LAVORO

62 Limiti

108 Ancora poche

invisibili The Initium

donne al comando delle aziende Süddeutsche Zeitung

PORTFOLIO

66 Occasioni d’amore Mel McVeigh

Cultura

VIAGGI

di Cristina Mazzotti uccisa dalla ’ndrangheta nel 1975 Le Monde OPINIONI

44 Le reazioni

46

RITRATTI

76 David Popovici. Stile più libero Das Magazin

dalla Toscana Fulvio Risuleo e Manfredi Ciminale LIBRI

fasulla The Observer POP

di pastori senza scrupoli New Lines Magazine

Il nuovo Internazionale Kids è in edicola

Giorgio Cappozzo

88

Nadeesha Uyangoda

90

Giuliano Milani

94

Claudia Durastanti

Le rubriche

80 Cartoline

96 La grande storia

KENYA

86

GRAPHIC JOURNALISM

SCIENZA

56 I culti pericolosi

Domenico Starnone

101 Leonardo Caffo

83 Autenticità

animali The New York Times

18

Le opinioni

minori Afar

all’orrore delle stragi di Hamas Amira Hass La crisi del debito aggrava la fame nel mondo Jayati Ghosh

48 Conversazioni

Schermi, libri, suoni

72 Montagne

VISTI DAGLI ALTRI

41 Gli ultimi segreti

86

10

Dalla redazione di Internazionale

18

Posta

21

Editoriali

111

Strisce

113

L’oroscopo

114 L’ultima Articoli in formato mp3 per gli abbonati

del latin rock Emmanuel Ordóñez Angulo SCIENZA

103 Perché c’è vita dopo la menopausa Nature

Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.

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internazionale.it/sommario

“Quando iniziammo le nostre pubblicazioni, nell’autunno del 1943, ci sembrò che una delle necessità più urgenti, nei riguardi degl’italiani che leggono, fosse di metter loro davanti un saggio, il più variato ed esteso che si poteva, della sostanza intellettuale di cui si cibano normalmente i pubblici delle democrazie. Se questa poi fosse o no più gustosa e più nutriente di quella somministrata loro dal fascismo, toccava agl’italiani giudicare”. L’editoriale del primo numero di Internazionale cominciava con la citazione di una breve nota del Mese, una rivista che un gruppo di antifascisti italiani pubblicava da Londra durante la seconda guerra mondiale e in cui erano tradotti i migliori articoli dei migliori giornali stranieri. Quando Internazionale arrivò in edicola era il 6 novembre del 1993, un sabato. In questi trent’anni tante cose sono successe e il mondo è cambiato. Poco alla volta, Internazionale è diventato il punto di riferimento per un gran numero di persone che ogni settimana si ritrovano intorno al giornale, con un senso di appartenenza a una collettività cresciuta nel corso degli anni. Questo, forse, è il risultato più importante e più prezioso raggiunto finora: la condivisione dell’idea che quello che succede nel mondo ci riguarda da vicino, perché i destini di tutti noi sono incrociati e legati. “Un giornale ha bisogno di vivere e crescere. E per vivere e crescere un giornale ha bisogno di lettrici e lettori esigenti, e pazienti”. L’editoriale del primo numero si concludeva così. Queste lettrici e questi lettori abbiamo avuto la fortuna di incontrarli. Ed è insieme a loro che spegniamo le nostre prime trenta candeline. u

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1IgZ

Internazionale.it Articoli

VASILY FEDOSENKO (REUTERS/CONTRASTO)

Video

Oppositori in esilio In Lituania si sono rifugiati circa sessantamila oppositori al regime di Aleksandr Lukašenko, al potere in Bielorussia dal 1994. A Vilnius, capitale della repubblica baltica, vivono molti esuli politici che Minsk cerca di ostacolare in ogni modo. E l’atteggiamento sempre più ostile del governo bielorusso comincia a preoccupare anche le autorità lituane. Il video della tv franco-tedesca Arte.

Soldi

Dov’è finita l’acqua ◆ Sulla Terra c’è moltissima acqua, ma solo una piccola parte è potabile. Per questo dobbiamo difenderla, distribuirla equamente e trovare nuovi modi per non sprecarla. “Visto che il problema riguarda l’intero pianeta, collaborare conviene a tutti”, racconta l’articolo di copertina.

◆ Soldi è il secondo volume di Parole Chiave, la collana nata dalla collaborazione tra Bur Rizzoli e Internazionale. Articoli, reportage, analisi, schede e infografiche approfondiscono i meccanismi che oggi muovono l’economia: dalle banche all’inflazione, dalla logistica al consumo. In libreria, 240 pagine, 18 euro

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STATI UNITI

AMBIENTE

Invischiati ancora in un conflitto in Medio Oriente Le risposte di Washington sulla questione palestinese sollevano alcuni dubbi legittimi.

Il Polesine mostra i rischi dell’estrazione del gas Nel Veneto meridionale le trivelle hanno già fatto finire diverse aree sottacqua.

MIGRANTI

MUSICA

Nuovi respingimenti dopo la sospensione di Schengen Il ministro dell’interno italiano ha ammesso di avere respinto una trentina di persone alla frontiera con la Slovenia.

Max Roach e la sua suite per la libertà Un disco jazz d’avanguardia del 1960 ci racconta che la lotta per l’autodeterminazione dei popoli oppressi non finisce mai.

SETTEGIORNI IN EUROPA

SESSO

In cerca di una posizione comune Il conflitto tra Israele e Hamas causa divisioni all’interno delle istituzioni europee.

Benvenuto nel lato oscuro Stai chattando con due tizi più anziani e muscolosi che vorrebbero sottomettersi, ma sei insicuro. Come si comincia?

SCIENZA

Cile 1973

Continuate a sognare a occhi aperti Sognatrici e sognatori di tutto il mondo, è ora di far capire a tutti il vostro potenziale. ATTUALITÀ

La pace è lontana Che succede in Medio Oriente. BRASILE

Avere dieci anni a Rio de Janeiro Una giornata nella vita di Elloá, 10 anni, che vive nella favela Rocinha.

In edicola, in libreria e online c’è il volume di Internazionale storia Cile 1973. A cinquant’anni dal colpo di stato militare che rovesciò il governo di Salvador Allende e aprì la terribile stagione della dittatura di Augusto Pinochet, 192 pagine di articoli della stampa internazionale dal 1971 a oggi.

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

TEST

Che mostro sei Se emetti grida terrificanti potresti essere il Bunyip. PORTFOLIO

In edicola

Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

Lo spettacolo dell’universo Le più belle foto di astronomia.

In edicola, in libreria e online

Segui @EnelEnergia

Immagini Scuola di guerra Sebastopoli, Ucraina 28 ottobre 2023 Un gruppo di ragazzi partecipa a un’esercitazione con le maschere antigas a Sebastopoli, in Crimea, nell’ambito del programma “scuola per futuri comandanti”, organizzato dalle autorità russe che governano la penisola dal 2014, quando Mosca l’ha annessa illegalmente. Il conflitto tra Russia e Ucraina è in una fase di stallo. La controffensiva di Kiev procede più a rilento del previsto e la Russia continua ad attaccare infrastrutture e obiettivi civili. Il 30 ottobre i missili di Mosca hanno colpito diverse regioni ucraine, uccidendo almeno una persona e provocando decine di feriti. Foto di Afp/Getty

Immagini Dopo la tempesta Acapulco, Messico 28 ottobre 2023 Il lungomare di Acapulco devastato dal passaggio dell’uragano Otis, che il 24 ottobre ha provocato la morte di almeno 48 persone. La città è stata colta di sorpresa dalla violenza del fenomeno, che fino a poche ore prima era considerato un’innocua tempesta tropicale ma si è intensificato improvvisamente fino a raggiungere la categoria 5, la più alta sulla scala Saffir-Simpson. Secondo le stime i danni economici potrebbero superare i dieci miliardi di dollari. Il governo messicano ha mobilitato l’esercito per ripristinare i servizi essenziali e fermare i saccheggi. Foto di Rodrigo Oropeza (Afp/Getty)

Immagini Spettacoli da paura Galway, Irlanda 29 ottobre 2023 La performance della compagnia di artisti di strada Macnas in occasione della tradizionale parata di Halloween, che quest’anno s’intitola Cnámha la loba. Cnámha in irlandese significa ossa, mentre la leggenda della loba – una donna lupo che ridà vita a persone, animali e divinità del passato cantando sulle loro ossa – deriva dal folclore slavo e sudamericano. Il regista della compagnia ha spiegato di voler “rivisitare il passato, guardando a popolazioni e divinità che abbiamo quasi dimenticato e portandole in strada in un glorioso technicolor”. Foto di Clodagh Kilcoyne (Reuters/ Contrasto)

[email protected] Il Polesine mostra i rischi dell’estrazione del gas u Trovo che sia un bellissimo articolo (internazionale. it). Una storia molto vecchia, che quelli della mia età ricordano benissimo. Malgrado i toni minimalisti, emerge un giudizio più che feroce sulle inaccettabili intenzioni del governo. Gianfranco Poncini

Senza bambini non si va avanti u Riguardo all’articolo di Tobias Jones sul calo della popolazione italiana (Internazionale 1535) penso che quando la gestione delle politiche occupazionali e le misure di supporto alla famiglia sono adeguate, una società non soffre di questi deficit. Marianna Piccolo u Dovremmo iniziare a fare politiche in modo che le aziende paghino equamente i loro lavoratori. Forse così i

figli nascerebbero. Per un genitore non poter garantire nemmeno il suo tenore di vita a un bambino è un segnale che qualcosa non funziona. Gli stipendi sono da fame, il tempo a disposizione è dedicato quasi esclusivamente al lavoro e il costo della vita è sempre più alto. Giulia

L’album meno amato di Madonna u Tra i suoi dischi, penso sia uno dei migliori e lo ascolto ancora (internazionale.it). Mi stupisce come, nonostante quarant’anni di carriera, Madonna sia ancora così sottovalutata come artista. Andrea Arati

Quarantenni che ballano u Anche in Italia oltre che in Francia c’è la “discriminazione” nei confronti degli attempati descritta da Olivier Pernot nell’articolo (Internazionale 1535). La cosa divertente, musica elettronica di

qualità (io ho 53 anni ), tanti ventenni mi guardano intimoriti: è uno della security? Un poliziotto? Un malavitoso? Quando spieghi il tuo passato da “raver” che è cominciato prima che loro nascessero rimangono allibiti. Peace, love and happiness! Franco Manfredi

u Su Internazionale 1535, a pagina 105, la foto mostra le vette della regione andina della Puna de Atacama (Credit: Jay Storz, Università del Nebraska–Lincoln/ CC BY-NC-ND). Errori da segnalare? [email protected] PER CONTATTARE LA REDAZIONE

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU

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Manutenzione di coppia

La terapia di coppia, specialmente se fatta con convinzione da entrambe le parti, funziona eccome. Quando due persone non riescono più a comunicare serenamente e finiscono subito a litigare muro contro muro, confrontarsi con una terza persona può dare un aiuto molto effi-

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cace per cambiare il modo in cui si parla, e per scardinare una dinamica che ormai sfocia subito nel conflitto. Il terapeuta aiuta le due persone a mediare e a cercare di ritrovare una strada di comunicazione sana, perché interrompe il meccanismo secondo cui “è la tua parola contro la mia”. Il problema però è che spesso ci si arriva come un disperato tentativo di salvare il rapporto. Io sono stato in terapia di coppia già due volte e non escludo che ci andrò di nuovo, perché lo trovo un ottimo strumento di manutenzione, per superare momenti

Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

Domenico Starnone

Ciechi al comando

Errata corrige

Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Io e mia moglie attraversiamo un momento un po’ burrascoso, anzi non proprio un momento ma un periodo che sta durando troppo. Cosa pensi della terapia di coppia? Funziona? –Lettera firmata

Parole

in cui la coppia si incricca, anche se non è in dubbio la sua sopravvivenza. Se fosse possibile, io consiglierei a tutte le coppie di farsi qualche seduta ogni tanto, un po’ come facciamo il tagliando dell’auto. Ma è meglio fare i passi per tempo se si vuole raggiungere l’obiettivo, perché spesso ci si trova a curare un rapporto che si è completamente rovinato. Vale comunque la pena provarci, perché al limite si può trasformare in un sostegno per lasciarsi in modo sereno. [email protected]

u L’intelligenza del mondo non è cosa da prendere alla leggera. È necessario trascegliere nella ressa dei fatti, comporre un coerente quadro d’insieme, saperlo leggere evitando di prendere fischi per fiaschi. Il mondo, si sa, è sempre più immondo e basta un erroruccio di decifrazione perché dalle sue fogne dilaghino vecchi e nuovi liquami. Di qui la tradizionale presenza, di lato ai governanti, di oracoli, teste d’uovo, reti di computer stupefacenti. Sbagliare nella lettura, oggi più che mai, con gli odi che si sono accumulati, con i pregiudizi che si fanno beffe dei giudizi, con la potenza distruttiva che c’è negli arsenali, è pericolosissimo. Segnala che lì dove si comanda, malgrado il dispiego di tecniche della preveggenza, si è spesso più ciechi, a est come a ovest, di chi non vuole obbedire e protesta. Biden, è noto, ha ammesso che gli Stati Uniti, dopo l’11 settembre, si sono mossi con sguardo appannato. Bene, ma attenzione. Ne deriva che non solo gli strateghi americani, ma quelli dei paesi satelliti, i coltissimi fabbricanti di opinione pubblica, tutto l’occidente che conta ha sbagliato e governa nell’errore sommando i propri disastri a quelli d’oriente. Con una frase un po’ vaga, insomma, Biden ci ha messo di fronte agli orrori di una pessima, opportunistica intelligenza del mondo. Meglio pensare alla solita gaffe di un vecchietto malconcio in campagna elettorale?

EINAUDI

CRUDO. MALINCONICO. RANDAGIO. Illustrazione di Nicola Magrin – Published by arrangement with The Italian Literary Agency

PAOLO COGNETTI GIÚ NELLA VALLE

Editoriali

Per un cessate il fuoco a Gaza “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli, Gea Polimeni Imbastoni Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Stefania De Franco, Francesco De Lellis, Davide Lerner, Giusy Muzzopappa, Andrea Sparacino, Francesca Spinelli, Bruna Tortorella, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ijin Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di martedì 31 ottobre 2023 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 111 103 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi

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Financial Times, Regno Unito Nelle ultime tre settimane i resoconti in arrivo fare pressione su Israele affinché protegga i cividalla Striscia di Gaza si sono fatti ogni giorno li e rispetti le regole della guerra. La portata delpiù terrificanti: corpi ammassati nei furgoni, la devastazione nella Striscia di Gaza è davanti bambini estratti dalle macerie, quartieri resi- agli occhi di tutti, e le Nazioni Unite hanno sotdenziali rasi al suolo, migliaia di morti. Al mo- tolineato che sono in corso “chiare violazioni mento gli sfollati sono circa un milione, per non del diritto internazionale umanitario”. Israele parlare delle devastanti carenze di viveri, di ac- sta assediando Gaza e ha invitato metà della poqua e del carburante necessario per far funzio- polazione a spostarsi verso sud, accusando Hanare i dissalatori e i generatori. I servizi di base, mas di usare i civili come scudi umani. già insufficienti prima che Israele scatenasse la Poi ha ordinato l’evacuazione delle scuole e sua rappresaglia contro Gaza dopo gli attacchi degli ospedali nel nord di Gaza, obiettivo di Hamas del 7 ottobre, sono ormai inesistenti. dell’offensiva, dove si erano rifugiate decine di La situazione può solo peggiorare. La sera del 27 migliaia di persone e dove, secondo le forze ottobre i carri armati israeliani armate israeliane, vivono ancora hanno fatto irruzione a Gaza co- Gli alleati di Israele fra le trecentomila e le quattroperti da un feroce bombardamen- devono spingere il centomila persone. Nel frattemto aereo, mentre il primo ministro governo di po Israele sta lasciando passare Benjamin Netanyahu annunciava Netanyahu a con il contagocce gli aiuti umanitari diretti a Gaza: solo 131 cal’avvio di una nuova e più ampia interrompere mion dall’inizio dell’offensiva rifase della guerra. l’assedio. E spetto ai cinquecento che entraconvincerlo a In trappola concepire un piano vano ogni giorno prima del 7 otIsraele, un paese nato dal conflit- più sensato per tobre. to e con un profondo senso di vulSullo sfondo, la violenza creneutralizzare la nerabilità, ha tutto il diritto di disce anche in Cisgiordania, dove minaccia di Hamas finora più di cento palestinesi sofendere i suoi cittadini e rispondere all’attacco dell’organizzano stati uccisi dalle forze di sicuzione islamista militante Hamas, che ha provo- rezza e dai coloni israeliani. Mentre la tensione cato più di 1.400 vittime ed è stato il più brutale sale in tutta la regione (e non solo), i diplomatimai portato a termine sul suolo israeliano. ci temono che possa esplodere un conflitto più Hamas ha commesso atrocità. Ha ucciso don- ampio. È arrivato il momento di decretare un ne, bambini e anziani, e ha preso in ostaggio cessate il fuoco umanitario. Solo questo potrà più di 230 israeliani, tra cui molti civili. alleviare le sofferenze dei palestinesi e smorzaMa la punizione collettiva inflitta da Israele re le tensioni regionali. E Hamas deve rilasciaa 2,3 milioni di persone intrappolate a Gaza, di re tutti gli ostaggi. cui quasi metà sono bambini, deve finire. Secondo le autorità sanitarie palestinesi più di L’unica soluzione ottomila persone, tra cui almeno tremila bam- Gli alleati di Israele devono invece spingere il bini, hanno perso la vita nelle tre settimane di governo di Netanyahu a consentire l’accesso bombardamenti israeliani su Gaza. Il numero degli aiuti umanitari a Gaza e a interrompere delle vittime supera di gran lunga quello di tut- l’assedio. E devono anche convincerlo a concete le guerre che Israele ha combattuto contro pire un piano più sensato per neutralizzare la Hamas da quando l’organizzazione ha assunto minaccia di Hamas, una strategia che non trascini Israele e l’intera regione nell’abisso. il controllo di Gaza, nel 2007. Il 7 ottobre Hamas ha assestato un colpo La settimana scorsa il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato di non credere “ai durissimo a Israele, che però non può cadere numeri sulle vittime diffusi dai palestinesi”. nella trappola di permettere ai militanti (per i Eppure in passato, dopo la fine dei vari conflitti quali tutti i palestinesi uccisi sono martiri) di tra Israele e Hamas, non sono mai state riscon- approfittare della situazione. Più i civili palestitrate grandi discrepanze tra le cifre comunica- nesi soffriranno e più sarà alta la probabilità te dalle autorità di Gaza e le verifiche fatte a che Israele perda il sostegno dell’occidente, posteriori dalle agenzie delle Nazioni Unite. alimentando nel frattempo la rabbia del monInvece di cavillare sui numeri, Biden dovrebbe do arabo e musulmano. ◆ as Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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In copertina

I dubbi di Biden Piotr Smolar, Le Monde, Francia

Joe Biden piace presentarsi come un “incorreggibile ottimista”. Ma finora il presidente degli Stati Uniti non ha dato prova di questa qualità in politica estera, preferendo un freddo realismo. All’inizio del suo mandato si è impegnato a ricostruire i rapporti con alcuni alleati storici, messi in discussione dal suo predecessore Donald Trump, e a occuparsi della rivalità con la Cina. Per lui il conflitto israelo-palestinese era una causa persa, una crisi fastidiosa che poteva essere contenuta ma non risolta. Poi le priorità di Washington sono state stravolte, prima dall’invasione russa dell’Ucraina e poi dall’attacco di Hamas in Israele. Ora la Casa Bianca è di nuovo costretta a interessarsi al Medio Oriente, e lo fa usando schemi del passato. La guerra tra Israele e Hamas è una catastrofe per Washington da vari punti di vista. Comporta seri rischi di un’escalation regionale, con il possibile intervento dell’organizzazione libanese Hezbollah o perfino dell’Iran. Biden voleva lasciare il segno con la sua presidenza archiviando la guerra senza fine in Afghanistan nell’estate del 2021. E ora eccolo sulla soglia di un’altra porta sfiorata dalle fiamme. Le basi statunitensi in Siria e in Iraq sono già bersaglio di milizie armate – alcune legate

A

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Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

a Teheran – che hanno compiuto più di venti attacchi soprattutto simbolici. Sul piano diplomatico gli Stati Uniti sono isolati nel loro sostegno incondizionato a Tel Aviv. L’amministrazione Biden aveva puntato molto sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, al punto da accettare che la risoluzione del conflitto israelo-palestinese non fosse un presupposto per lo storico riavvicinamento. Dopo il disimpegno dal Medio Oriente, simboleggiato dal rifiuto di Barack Obama di colpire il regime siriano per l’uso di armi chimiche nel 2013, ora la Casa Bianca commette un altro errore di valutazione: i rapporti commerciali e i progetti d’investimento non sono un’autostrada verso la pace.

Parole di circostanza La Russia, e in misura minore la Cina, stanno approfittando dell’occasione che si è creata per presentarsi come difensori dei civili della Striscia di Gaza e promotori di una politica equilibrata in Medio Oriente. Gli occidentali possono scandalizzarsi davanti all’ipocrisia di Mosca, dopo tanti crimini di guerra russi in Ucraina, ma resta il fatto che stanno perdendo terreno nella regione. Anche se dietro le quinte i funzionari di Washington lanciano avvertimenti agli israeliani su piani d’invasione affrettati e

KENNY HOLSTON (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)

L’invasione russa dell’Ucraina e l’attacco di Hamas a Israele hanno spiazzato gli Stati Uniti. Che ora temono di impantanarsi in una nuova guerra e perdere influenza

senza obiettivi realizzabili, le loro parole in pubblico hanno infastidito i paesi arabi, che accusano gli statunitensi di essere faziosi e ipocriti. La Casa Bianca sostiene che un cessate il fuoco è fuori discussione perché andrebbe a vantaggio di Hamas. Israele ha l’appoggio di Washington per “distruggere Hamas”. Ma cosa significa concretamente? Nessuno lo sa. Naturalmente l’amministrazione Biden raccomanda di fare tutto il possibile per “proteggere i civili” a Gaza. Ma lo stesso presidente il 25 ottobre ha detto: “Sono sicuro che siano stati uccisi degli

Biden con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Tel Aviv, 18 ottobre 2023

innocenti, ma questo è il prezzo da pagare per aver scatenato una guerra”. Un modo per scaricare su Hamas la responsabilità dei morti civili nella Striscia di Gaza, senza considerare le scelte fatte dal governo e dall’esercito di Israele. Da un lato un’empatia totale e necessaria verso le vittime israeliane; dall’altro parole di circostanza per i palestinesi. È in un contesto così complicato che si colloca l’ottimismo di Biden. Il presidente conosce bene Israele, e al suo arrivo al potere aveva subito preso atto dello stallo sulla questione palestinese: Abu Mazen, leader dell’Autorità nazio-

nale palestinese (Anp), sempre più impotente e arroccato in Cisgiorndania; una destra israeliana, ormai dominata dai nazionalisti religiosi e dai coloni, che crede solo alla forza e alle azioni unilaterali. Nel luglio 2022 Biden aveva incontrato a Betlemme Abu Mazen, ribadendo il suo impegno per la soluzione dei due stati. Ma aveva concluso che “il terreno non è fertile” per rilanciare i negoziati. Oggi quel terreno è intriso di sangue, ma Washington spera paradossalmente che il dramma vissuto da Israele possa risolvere lo stallo e far tornare d’attualità la soluzione dei

due stati. Se un tempo era sembrato un progetto concreto e a portata di mano dopo gli accordi di Oslo del 1993, di recente l’espressione è diventata una sorta di spettro che infesta i comunicati occidentali e le preghiere di chi si ostina a difendere la coesistenza dei due popoli. Coesistenza: una parola che oggi sembra tristemente fuori luogo. Nessun confronto storico sarebbe eccessivo per sottolineare la portata del trauma emotivo, morale, di sicurezza e politico vissuto dagli israeliani. È l’atroce vittoria di Hamas, che per sua stessa natura non è interessata a una soluzione Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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In copertina politica basata su un compromesso. A quanto pare gli Stati Uniti chiedono uno scambio agli israeliani: sostengono totalmente il loro obiettivo di distruggere Hamas ma gli chiedono di riaprire i negoziati con l’Anp, unico modo per riallacciare i rapporti con i paesi arabi. “Non si può tornare allo status quo del 6 ottobre”, ha avvertito Biden. “Questo significa fare in modo che Hamas non possa più terrorizzare Israele e usare i civili palestinesi come scudi umani. E significa anche che quando questa crisi sarà finita bisognerà elaborare un’idea di ciò che verrà dopo. Dal nostro punto di vista, questo significa promuovere la soluzione dei due stati”.

Evoluzione imprevedibile L’offerta sembra logica. Si basa sul precedente di un altro trauma israeliano: la guerra del Kippur del 1973. Sei anni dopo quel conflitto Menachem Begin e Anwar al Sadat firmarono a Washington un trattato di pace tra Israele e l’Egitto. Un capovolgimento inaudito. Ma oggi la tacita offerta degli Stati Uniti sembra screditata già prima di essere formulata ufficialmente. Innanzitutto ci sono i dubbi legati alla probabile operazione terrestre. L’incertezza di una guerra è nota: si decide quando comincia, ma non si può prevedere l’evoluzione né la fine. In secondo luogo, questa offerta presuppone la presenza di interlocutori affidabili che si comportino da statisti. La sopravvivenza politica di Benjamin Netanyahu è appesa a un filo. Il politico che un tempo si presentava come il garante della sicurezza nazionale è considerato il responsabile del suo fallimento. Dopo sedici anni al potere, gli attentati di Hamas definiranno la sua eredità. Netanyahu ha legato la sua sorte a un’estrema destra che crede ciecamente nell’annessione dei territori in Cisgiordania e a Gerusalemme, e nega l’esistenza del popolo palestinese. Inoltre Netanyahu non ha mai creduto alla possibilità di una pace. Con cinismo, ha scommesso sull’indebolimento dell’Anp, accettando degli accordi non scritti con Hamas per preservare una calma relativa. Sull’altra sponda, Abu Mazen è un leader senza idee a capo di un sistema marcio, screditato agli occhi di gran parte del suo popolo, che lo considera un collaboratore di Israele. Il presidente dell’Anp non ha nessuna voglia di tornare ad amministrare una Striscia di Gaza devastata dal

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Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

conflitto. Prova ancora un forte risentimento contro i suoi abitanti, che considera responsabili della vittoria di Hamas su Al Fatah alle elezioni legislative del 2006. Il suo risentimento include anche i politici arabi della regione, accusati di aver abbandonato la causa palestinese. In queste condizioni instabili e sfavorevoli, la Casa Bianca non può limitarsi a chiedere a Israele di non essere “consumato dalla rabbia” e a invocare la formula vuota della soluzione dei due stati. Per non essere sospettata di voler guadagnare tempo e ricercare un’ennesima pacificazione traballante – che sarebbe solo il preludio a una futura esplosione di violenza – l’amministrazione Biden dovrà affrontare questioni dolorose e immutabili. Cosa ne sarà dei 700mila coloni israeliani a Gerusalemme Est e in Cisgiordania? Quali saranno le prerogative di uno stato palestinese? Come superare la divisione politica e territoriale tra la Cisgiordania e Gaza? Quale sarà lo status di Gerusalemme? Nell’ultimo anno l’amministrazione statunitense ha condannato in modo netto la riforma giudiziaria voluta dalla destra israeliana al governo. Ma non sembra avere una visione più ampia della situazione. Eppure la fotografia è chiara. A fronte di un asse sciita ostile a Israele e agli Stati Uniti, è nell’interesse strategico di Washington promuovere una soluzione negoziata al conflitto. Ma il passato di mediatore di parte gioca a suo sfavore. Per il momento naturalmente la Casa Bianca si preoccupa soprattutto di gestire la crisi. Nella fase successiva non dovrà dettare le risposte. Il 2023 non è il tempo degli sponsor e degli allineamenti. Allo stesso tempo Washington non potrà limitarsi a lasciare ai due protagonisti la ricerca di una soluzione alle questioni più urgenti. Inoltre i paesi arabi dovranno assumersi finalmente le loro responsabilità, e non intervenire solo per finanziare la ricostruzione a Gaza. Se non ci saranno queste condizioni, potremmo dover dire addio alla soluzione dei due stati, senza che nel frattempo sia emersa un’alternativa praticabile. Si rischia anche di doversi rassegnare alla trasformazione di una questione politica in un macabro banchetto per estremisti religiosi e identitari. Così cresceranno nei decenni futuri i semi dell’odio reciproco e della negazione dell’altro. Una generazione dopo l’altra. Un funerale dopo l’altro. u fdl

Ultime notizie

Tensioni in aumento u In una conferenza stampa trasmessa in tv il 28 ottobre 2023, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che l’esercito è entrato nella Striscia di Gaza, dando il via a quella che ha definito “la seconda fase della guerra”. Netanyahu ha avvertito che l’operazione per sconfiggere Hamas sarà “lunga e difficile”. L’esercito ha continuato a bombardare il territorio palestinese nei giorni successivi e ha affermato di aver colpito “più di seicento obiettivi” in ventiquattr’ore. Le Nazioni Unite hanno espresso il timore che ci sia una “valanga di sofferenza umana” a Gaza, dove secondo Hamas gli attacchi israeliani che vanno avanti dal 7 ottobre hanno causato più di 8.500 vittime (dati del 31 ottobre). Con l’ingresso dell’esercito israeliano nella Striscia la sera del 27 ottobre si sono interrotte le telecomunicazioni e i collegamenti via internet, isolando completamente il territorio dal resto del mondo. La rete ha cominciato a essere ripristinata la mattina del 29 ottobre. Il ministero della salute di Hamas ha affermato il 31 ottobre che almeno cinquanta persone sono morte nel bombardamento israeliano del campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. u Cinque palestinesi sono stati uccisi il 30 ottobre nelle operazioni condotte dall’esercito israeliano in Cisgiordania, secondo il ministero della salute dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e Israele. Dall’inizio della guerra quasi 120 palestinesi sono stati uccisi da soldati o coloni israeliani in Cisgiordania. u Il 31 ottobre le autorità israeliane hanno affermato che 238 ostaggi sono nelle mani di Hamas. Una di loro, la soldata Ori Megidish, sequestrata il 7 ottobre, è stata liberata durante l’operazione di terra nella Striscia, mentre il ministero degli esteri ha confermato la morte di un ostaggio, Shani Louk, una donna dalla doppia nazionalità israeliana e tedesca. u Decine di migliaia di persone hanno manifestato a sostegno dei palestinesi il 28 ottobre in varie città europee, tra cui Londra, Parigi, Zurigo e Roma.

MOHAMMED ABED (AFP/GETTY)

Rafah Striscia di Gaza, 31 ottobre 2023

Gli Stati Uniti sono ancora indispensabili? The Economist, Regno Unito Il paese sembra in declino ma può contare comunque su alcuni punti di forza, scrive l’Economist entre le truppe israeliane attendevano l’ordine di invadere Gaza, due portaerei statunitensi sono state inviate nella zona per dare sostegno allo stato ebraico. Il loro compito è dissuadere l’organizzazione Hezbollah e i suoi alleati iraniani dall’aprire un secondo fronte al confine con il Libano. Nessun altro paese avrebbe potuto impegnarsi così: le due navi sono una manifestazione della potenza statunitense in un momento in cui gran

M

parte del mondo pensa che sia in declino. I prossimi mesi ci diranno qual è la verità. La posta in gioco è alta. Il 20 ottobre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che siamo a un “punto d’inflessione”, mettendo sullo stesso piano l’attentato di Hamas e l’invasione della Russia in Ucraina. Sullo sfondo, intanto, incombe la minaccia di un’aggressione cinese contro Taiwan. Washington deve affrontare un contesto internazionale complicato e ostile. Per la prima volta dagli anni settanta, quando l’Unione Sovietica cominciò a perdere terreno, gli Stati Uniti fronteggiano un’opposizione seria e organizzata, guidata da Pechino. Questo mentre la politica interna è sempre più squilibrata. Il momento

attuale definirà non solo il futuro di Israele e del Medio Oriente ma anche quello degli Stati Uniti e del resto del mondo. Dall’estero arrivano tre minacce per Washington. La prima è il caos alimentato dall’Iran in Medio Oriente e dalla Russia in Ucraina. Le aggressioni e l’instabilità compromettono le risorse politiche, finanziarie e militari degli Stati Uniti. Se la Russia avrà la meglio in Ucraina, il conflitto potrebbe diffondersi nel resto d’Europa. E gli spargimenti di sangue in Medio Oriente potrebbero esasperare la popolazione in molti paesi, spingendola a rivoltarsi contro il proprio governo. Trascinata in nuove guerre, l’America sarebbe un facile bersaglio per le accuse di bellicismo e ipocrisia. Tutto questo contribuInternazionale 1536 | 3 novembre 2023

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In copertina isce a destabilizzare l’ordine mondiale. La seconda minaccia sta nella complessità della situazione geopolitica. Un gruppo di paesi, di cui fanno parte India e Arabia Saudita, considera le relazioni internazionali sempre più come una questione d’affari, concentrandosi quasi esclusivamente sui propri interessi. A differenza dell’ Iran e della Russia, questi paesi non vogliono il caos ma allo stesso tempo non sono disposti a prendere ordini da Washington (perché mai dovrebbero?). Questa dinamica indebolisce il potere degli Stati Uniti. Basta pensare ai tentennamenti della Turchia sull’adesione della Svezia alla Nato, una questione che si è risolta dopo mesi di dispute sfiancanti.

Strapotere economico

Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

Da sapere Soldi e armi Distribuzione del prodotto interno lordo a livello mondiale, percentuale 100

Polo d’attrazione

Resto del mondo Russia

75

Cina 50 Altri paesi Nato 25 Stati Uniti 0 1992

1998

2004

2010

2016

2022

Spesa militare nel mondo, migliaia di miliardi di dollari 2,5

2,0 Russia Resto del mondo 1,5 Cina

1,0

FONTE: THE ECONOMIST

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mo della popolazione globale, un rapporto che è rimasto immutato negli ultimi quarant’anni, nonostante l’ascesa economica della Cina. Inoltre possono ancora contare su una supremazia nel settore tecnologico e su un forte dinamismo, soprattutto rispetto a un paese, ancora la Cina, in cui la crescita economica è subordinata al fatto che il Partito comunista mantenga il controllo su tutto. Un altro elemento di forza, sottovalutato da molti, è la capacità di creare alleanze. La guerra in Ucraina ha ridato slancio alla Nato. Nella regione del Pacifico Washington ha stretto il patto di sicurezza con Australia e Regno Unito (Aukus) e ha rafforzato i rapporti con molti paesi tra cui Giappone, Filippine e Corea del Sud. Di recente Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha spiegato sulla rivista Foreign Affairs che i paesi intenzionati a perseguire i propri interessi possono comunque rivelarsi partner essenziali. L’esempio principale di questo comportamento è l’India, sempre più coinvolta nei progetti statunitensi per la sicurezza in Asia nonostante la sua determinazione a non fare parte di alcuna alleanza.

FONTE: THE ECONOMIST

La terza minaccia è la più seria. La Cina vorrebbe creare un’alternativa ai princìpi che stanno alla base delle attuali istituzioni globali, favorendo un modello in cui lo sviluppo va a scapito della libertà personale e la sovranità nazionale è più importante dei valori universali. Cina, Russia e Iran non formano una squadra coordinata ma sono animati da interessi convergenti: l’Iran fornisce droni alla Russia e petrolio alla Cina, mentre alle Nazioni Unite Mosca e Pechino hanno usato la diplomazia per proteggere Hamas, alleato di Teheran. Queste minacce sono amplificate dalla situazione interna degli Stati Uniti, dove i repubblicani tendono all’isolazionismo in economia e in politica estera, come ai tempi della seconda guerra mondiale. Questo atteggiamento non riguarda solo Donald Trump, e solleva dubbi sulla capacità del paese di mantenere un ruolo di primo piano nel mondo quando uno dei suoi partiti principali rifiuta il concetto di responsabilità globale. Per capire come questa dinamica può danneggiare gli interessi statunitensi nel mondo basta considerare il caso dell’Ucraina. I repubblicani trumpiani vorrebbero interrompere l’invio di denaro e armi a Kiev. Sarebbe una scelta insensata anche in termini puramente egoistici, perché la guerra permette agli Stati Uniti di arginare Vladimir Putin e scoraggiare un’invasione cinese di Taiwan senza mettere a repentaglio la vita dei propri soldati. Abbandonare l’Ucraina lascerebbe il campo a un attacco russo contro la Nato

che avrebbe un costo enorme in termini di soldi e vite umane, oltre a dimostrare a nemici e alleati che Washington non è più un partner affidabile. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti possono anche contare su alcuni punti di forza. Il primo riguarda il peso dell’apparato militare. Oltre ad aver inviato le due portaerei in Medio Oriente, Washington fornisce armi, informazioni e consulenza a Israele, esattamente come fa con Kiev. La Cina ha rapidamente aumentato i fondi per le forze armate, ma nel 2022 gli Stati Uniti hanno comunque speso per l’esercito quanto i dieci paesi che seguono nella classifica della spesa militare mondiale messi insieme (tra l’altro molti di questi paesi sono alleati di Washington). Il secondo elemento di forza riguarda l’economia. A livello mondiale gli Stati Uniti producono un quarto della ricchezza anche se rappresentano solo un ventesi-

Altri paesi Nato

0,5

Stati Uniti 0 1992

1998

2004

2010

2016

2022

In che posizione sono quindi gli Stati Uniti, mentre cercano di fermare l’escalation del conflitto in Medio Oriente? Alcuni vedono una vecchia superpotenza che si è di nuovo lasciata trascinare in Medio Oriente dopo aver cercato per quasi quindici anni di uscirne. Allo stesso tempo bisogna dire che per gli statunitensi la crisi attuale non comporta un impegno paragonabile a quello nelle guerre in Afghanistan e in Iraq. La lettura di Biden, in questo caso, è condivisibile: per l’America questo è un punto di svolta che metterà alla prova la sua capacità di adattarsi a un mondo più complesso e con più rischi. Gli Stati Uniti hanno ancora molto da offrire, soprattutto se sapranno collaborare con gli alleati per garantire la sicurezza e il libero commercio. Anche se messi in pratica in modo discutibile, i valori degli statunitensi continuano ad attirare le popolazioni di tutto il pianeta, cosa che non riesce al comunismo cinese. Se Biden riuscirà a gestire la crisi di Gaza farà un favore agli Stati Uniti, al Medio Oriente e al mondo. u as

I cinque grandi che non vogliono la pace Rasna Warah, The Elephant, Kenya La guerra di Israele contro la Striscia di Gaza dimostra che il Consiglio di sicurezza dell’Onu è un organismo superato e inutile sorprendente che il presidente degli Stati Uniti, il leader del cosiddetto mondo libero, sia volato in Israele per offrire sostegno militare a un regime che non ha remore a commettere un massacro di civili a Gaza. L’offerta di miliardi di dollari di aiuti militari fatta da Joe Biden al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha creato sconcerto non solo tra i palestinesi di Gaza, uccisi a migliaia da armi statunitensi, ma anche tra milioni di persone e diverse organizzazioni per i diritti umani nel mondo secondo cui le azioni di Israele a Gaza sono paragonabili a un genocidio. Ecco quali sono le priorità degli Stati Uniti. L’apatia della Casa Bianca (e dei mezzi d’informazione occidentali, che sembrano diventati un megafono della propaganda statunitense e israeliana) davanti al massacro in corso a Gaza dimostra che esiste una gerarchia tra le vittime delle guerre nel mondo: gli ucraini bombardati dalla Russia meritano solidarietà e sostegno, i palestinesi meritano il loro destino. L’ipocrisia del governo statunitense è sotto gli occhi di tutti. Com’è possibile che le azioni di Vladimir Putin in Ucraina siano considerate crimini di guerra mentre l’attacco a Gaza e la negazione di viveri, acqua ed elettricità a un popolo assediato da Israele non siano considerati una punizione collettiva, un crimine di guerra? Il mondo ha visto finalmente il vero volto del governo degli Stati Uniti, un paese che ha perso l’autorità morale di fare prediche sui diritti umani e la democrazia al mondo. La cosa ancora peggiore è che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, creato nel 1945 con lo scopo di impedire o contenere le guerre, non è riuscito ad approvare una risoluzione che condannasse

HATEM ALI (AP/LAPRESSE)

È

Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 30 ottobre 2023 Israele per le sue azioni e invocasse un cessate il fuoco perché gli Stati Uniti, che contribuiscono fino al 20 per cento al bilancio delle Nazioni Unite e sono uno dei cinque membri permanenti con diritto di veto, si sono opposti. Come comunità internazionale, quindi, dobbiamo chiederci a cosa serva un Consiglio di sicurezza se non è in grado di prevenire le guerre.

Senza parità Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato istituito dopo la seconda guerra mondiale. È formato da quindici membri, dieci dei quali non permanenti ed eletti a rotazione per due anni. Possono dire la loro, ma le decisioni finali spettano ai cinque membri permanenti con diritto di veto: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina, i cosiddetti P5. Quindi se uno dei P5 decide di andare in guerra, di sostenere criminali di guerra o di fornire armi a una fazione o a uno stato in guerra, gli altri non possono farci niente. Qualsiasi risoluzione di condanna di queste azioni può essere respinta da uno dei P5. Il Consiglio di sicurezza non è quindi un club dove sono tutti alla pari. I dieci

membri non permanenti non rappresentano una minaccia seria per i P5, anche se hanno l’illusione di essere influenti. Prendiamo il caso del Ruanda. Il piccolo paese dell’Africa centrale era stato eletto membro non permanente del Consiglio di sicurezza nel 1994. Il Consiglio fece poco per prevenire l’orrendo genocidio che proprio quell’anno devastava il paese e che provocò la morte di circa un milione di persone. I P5 distolsero lo sguardo mentre i ruandesi erano massacrati. E il Ruanda rimase a guardare mentre il genocidio infuriava sotto gli occhi del mondo. Un altro esempio è la guerra in Iraq. Nel marzo 2003 Stati Uniti e Regno Unito invasero l’Iraq senza il voto unanime del Consiglio di sicurezza, con la scusa che il leader iracheno Saddam Hussein era in possesso di “armi di distruzione di massa” e aveva legami con l’organizzazione terroristica Al Qaeda (entrambe le affermazioni sono state smentite). Il Consiglio non riuscì a fare nulla per prevenire l’invasione dell’Iraq, anche se il segretario generale dell’epoca, Kofi Annan, espresse pubblicamente il suo disappunto per la decisione di Washington e Londra e si Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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In copertina spinse fino a dichiarare “illegale” la guerra, dato che non era stata autorizzata dal Consiglio di sicurezza e violava lo statuto delle Nazioni Unite. La guerra proseguì nonostante le proteste in tutto il mondo (proteste simili nelle capitali occidentali e nel mondo arabo non hanno convinto Biden né Netanyahu a fermare la guerra contro Gaza). I governi guidati da George W. Bush e Tony Blair non ascoltarono le voci di milioni di persone, neanche quando il numero delle vittime in Iraq diventò allarmante.

I membri permanenti con diritto di veto non si sono mai davvero impegnati per la pace nel mondo perché le guerre mantengono in piedi l’industria bellica. Questi paesi sono i principali produttori di armi al mondo. Gli Stati Uniti sono il primo esportatore di armi, seguiti da Russia, Francia, Cina e a poca distanza dal Regno Unito. Hanno tutti forti interessi nei conflitti e nella possibilità di vendere armi a paesi che non ne producono in Asia, Africa e nel mondo. Non hanno autorità morale per predicare la pace quando sono i primi a trarre vantaggi economici e geopolitici dalla guerra. I conflitti nelle ex colonie francesi in Africa tengono in attività il complesso militare industriale di Parigi. Quelli in Medio Oriente sono una manna per i produttori di armi britannici e statunitensi. Senza guerre o conflitti civili, queste industrie avrebbero meno clienti o non ne avrebbero affatto. D’altra parte, le guerre e le altre catastrofi forniscono all’Onu l’opportunità di raccogliere fondi per i profughi o gli sfollati interni: la sua campagna nello Yemen, per esempio, non ha come obiettivo la fine della guerra dell’Arabia Saudita contro i ribelli sciiti huthi, ma la raccolta di donazioni per milioni di persone che soffrono a causa della crisi, che le Nazioni Unite considerano umanitaria, non politica. E dato che le crisi umanitarie riempiono le casse delle sue agenzie, queste si concentrano meno sul mettere fine alle crisi politiche, cosa che porterebbe alla fine di quelle umanitarie. La guerra a Gaza ha messo in evidenza la necessità di un Consiglio di sicurezza più democratico e inclusivo. Dare a cinque paesi un seggio permanente e poteri di veto poteva forse avere un senso quando le Nazioni Unite sono state fondate. Ma

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Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

ALI JADALLAH (ANADOLU/GETTY)

Democratico e inclusivo

Gaza, 23 ottobre 2023

in un mondo dove la maggioranza della popolazione è concentrata in Asia e in Africa e in cui stanno emergendo nuove potenze regionali, è ora di cambiare e includere i paesi che s’impegnano seriamente per la pace e la stabilità. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu di oggi rappresenta gli interessi dei vincitori della seconda guerra mondiale, anche se da allora il mondo è cambiato dal punto di vista geopolitico, demografico e dell’influenza economica. Economie emergenti come l’India (il secondo paese più popoloso del mondo dopo la Cina), il Brasile e la Nigeria (entrambe potenze regionali) non hanno solo popolazioni numerose, ma stanno diventando importanti potenze economiche, in alcuni casi anche nucleari. Insieme ad altri paesi dovrebbero poter dire la loro sulle decisioni del Consiglio. Tra l’altro le guerre più feroci in corso le ingaggiano gruppi ribelli o terroristici, che sono diventati transnazionali. Servono quindi nuove forme di cooperazione multilaterale.

Voce in capitolo Ci sono paesi in Africa, Asia e America Latina (dove vive la maggioranza della popolazione mondiale) che devono chiedere un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. La maggioranza delle risoluzioni del Consiglio ha a che fare con conflitti in Africa, ma i paesi del continente non hanno quasi voce in capitolo nella loro approvazione, che si tratti di sanzioni, missioni di pace o invasioni. Cosa ancora più im-

portante, nel Consiglio di sicurezza dovrebbero avere un seggio parmanente paesi che non hanno interessi nell’industria bellica, non hanno condotto guerre dal 1945 e non sono potenze nucleari. Tuttavia, se non è possibile riformare il Consiglio di sicurezza (perché i P5 si opporrebbero), forse è venuto il momento di scioglierlo del tutto. Non ha senso continuare a far finta che alle Nazioni Unite ci sia davvero un organismo che vuole prevenire le guerre e le violazioni dei diritti umani e che ha l’influenza e la volontà per farlo. L’attacco di Israele contro Gaza ha dimostrato una volta di più che il Consiglio di sicurezza non sa proteggere i diritti umani di tutti i popoli né prevenire i conflitti. Le guerre continueranno finché serviranno a soddisfare gli interessi economici o geopolitici dei suoi cinque membri permanenti, soprattutto degli Stati Uniti. Questa guerra potrebbe alimentarne un’altra estesa al resto del Medio Oriente e oltre, e una volta scatenata potrebbe essere difficile da contenere. Se succederà, gli Stati Uniti dovranno essere chiamati a rispondere per l’aiuto e il sostegno a una guerra ingiustificata che ha inasprito le tensioni nella regione e ha provocato un numero colossale di vittime e di violazioni dei diritti umani. u gim Rasna Warah è una giornalista e scrittrice keniana esperta di conflitti. Collabora regolarmente con giornali keniani e internazionali. The Elephant è un sito di approfondimento keniano.

Dalla Striscia di Gaza

Sopravvivere alle bombe isolati dal mondo Aseel Mousa, Al Jazeera, Qatar Mentre le forze israeliane entravano nella Striscia, è stata interrotta ogni comunicazione. Aumentando angoscia e paura rano circa le sei di sera del 27 ottobre quando tutti gli abitanti della Striscia di Gaza hanno perso i contatti con il mondo esterno e tra di loro nel territorio assediato. La mia famiglia era radunata insieme a quella di mio zio nella sua casa nel campo profughi di Maghazi, nel centro della Striscia. Noi avevamo lasciato casa nostra in una zona occidentale e ci eravamo spostati più a sud seguendo gli ordini israeliani. Stavamo tutti in un’unica stanza per un semplice motivo: se fossimo morti sotto un bombardamento saremmo stati insieme. Nessuno di noi vuole che l’altro debba patire la sofferenza del lutto da solo. Come faccio sempre, quella sera ho preso il portatile per assicurarmi che la batteria fosse carica. Stavo parlando con un giornalista canadese della terribile situazione nella Striscia di Gaza. Mio padre era al telefono con mio fratello Adham, che abita negli Stati Uniti, cercando di rassicurarlo. Nella stessa stanza mia cugina Reem leggeva le notizie su Telegram, dandoci aggiornamenti sulle località che erano state attaccate, in modo che potessimo metterci in contatto con i nostri cari che ci vivevano. In un altro angolo mio fratello di 13 anni giocava con mio nipote, Hammoud, che il mese prossimo compirà due anni. Improvvisamente, la mia connessione internet è saltata. Nello stesso momento mio padre ha detto: “Ho perso il contatto con Adham”, e mio zio ha aggiunto: “Non ho segnale sul telefono”. Ci rimaneva solo la radio. Quando l’abbiamo accesa abbiamo sentito l’annunciatore di Al Jazeera riferire che Israele aveva

E

interrotto le comunicazioni e l’accesso a internet in tutta la Striscia di Gaza. Siamo rimasti sconvolti e in silenzio. Ci siamo chiesti se quella sarebbe stata la nostra ultima notte da vivi. I miei pensieri sono andati agli amici fuori della Striscia, immaginavo la loro angoscia non ricevendo nostre notizie. Pensavo anche ai parenti che avevano scelto di restare nelle regioni più pericolose di Gaza. Ero consapevole di non poter raccontare la verità al resto del mondo a causa del blackout e della mancanza di connessione. Non esiste una sensazione più angosciosa della combinazione di impotenza e paura che mi inghiottiva. Ci siamo affidati al Corano e abbiamo pregato, supplicando Dio di proteggere noi, le nostre case e i nostri cari. Dormire quella notte è stato impossibile, perché i colpi di artiglieria sono proseguiti incessanti. I frammenti delle esplosioni hanno raggiunto il giardino di casa. Provate a immaginare: completa oscurità, bombardamenti continui, isolamento e disconnessione dal mondo. Quella notte è stata la più lunga della mia vita.

Lotta disperata Il 26 ottobre, il giorno prima di questa tragedia, gli aerei israeliani avevano bombardato la casa di alcuni parenti nel campo profughi di Maghazi. Erano morte nove persone, tra cui sette bambini. I miei familiari erano fuggiti spaventati per le strade. Tra loro c’era una donna anziana, che ha perso il figlio, la nuora e i nipoti. È una persona gentile, spesso la vedevo ridere e ascoltavo le sue storie sulla mia infanzia. Mio fratello Karam, che si era appena iscritto a un dottorato in economia a Gaza, trasportava i feriti nella sua auto. Oggi le università sono ridotte in macerie. La notte del 26 ottobre l’esercito israeliano ha preso di mira l’unico fornaio

nel campo di Maghazi, che si è aggiunto al triste bilancio degli oltre undici forni bombardati in tutta la Striscia dopo il 7 ottobre. È evidente che la strategia di Israele è sterminare e affamare. Durante questo attacco ho afferrato la borsa con il mio passaporto e la mia carta d’identità, preparandomi a fuggire di nuovo. Ma stavolta non sapevo dove cercare rifugio. Il bombardamento del forno ha causato la morte di dieci civili. I frammenti hanno raggiunto una scuola dell’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi (Unrwa) dove si trovavano circa seimila sfollati dal nord della Striscia, uccidendo una persona. Questo è solo un assaggio dell’illusione di “sicurezza” che Israele afferma di offrire nel sud della Striscia di Gaza. Quando finalmente è tornata la connessione internet non ho provato gioia, ma sono stata sopraffatta da un senso di angoscia. Ho preso il cellulare per vedere come stessero amici e parenti. Sono andata sul mio account X (ex Twitter) per aggiornarmi su cosa fosse successo nei due giorni in cui ero stata tagliata fuori del mondo, e ho letto i messaggi che descrivevano gli orrori vissuti durante i bombardamenti. Ero ansiosa di conoscere gli sviluppi politici e l’entità della devastazione a Gaza, sperando di sentire una qualunque notizia su un cessate il fuoco. È stato sconfortante apprendere che i bombardamenti sarebbero proseguiti, e che non c’era alcun segnale di tregua in vista. Il mondo forse non può capire quanto sia straziante stare in coda per quattro ore solo per comprare pane pagando l’equivalente di due dollari, e poi vedere il forno ridotto in macerie da una bomba. In simili situazioni si è costretti a ricorrere a metodi primitivi, come usare la legna per accendere un fuoco, in modo da dar da mangiare a cinquanta persone accalcate in un edificio a due piani. La disperata lotta per garantirsi una minima quantità di acqua potabile, appena sufficiente per la sopravvivenza, è una pena che pochi possono comprendere. E l’agonia di essere isolati dal resto del mondo, nel pieno dei bombardamenti navali e aerei israeliani, è un’esperienza al di là di ogni immaginazione. u fdl Aseel Mousa è una giornalista freelance che vive nella Striscia di Gaza. Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Africa e Medio Oriente El Hierro, 21 ottobre 2023

KENYA

ALGERIA

I conti con il passato

Vietato scioperare

MIGRAZIONI

Viaggi rischiosi verso le Canarie Da gennaio a ottobre del 2023, sono stati registrati 15mila sbarchi alle Canarie, un territorio autonomo spagnolo nell’oceano Atlantico. Non sono paragonabili ai 150mila migranti arrivati a Lampedusa nello stesso periodo, scrive il quotidiano El País, ma tutto indica che il fenomeno si sta ampliando: tra il 20 e il 22 ottobre sono arrivati via mare alle Canarie 1.500 migranti (nella foto). Pochi giorni dopo è naufragata un’imbarcazione partita dal Senegal con a bordo un numero imprecisato di passeggeri, tra cui una trentina di giovani donne. Sono stati ritrovati solo i corpi di quattro ragazze tra i 15 e i 20 anni. Il viaggio in piroga dalla costa africana è molto pericoloso: secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni da gennaio sono morte 140 persone, mentre l’ong Caminando fronteras conta almeno 778 vittime. El País attribuisce l’aumento delle traversate alla crisi politica e sociale in Senegal, dove da giugno l’opposizione protesta contro l’incarcerazione del leader politico Ousmane Sonko. MAROCCO

Isole Canarie

(SPAGNA)

Sahara Occidentale

MAURITANIA Dakar 400 km

30

SENEGAL

Il governo di Algeri ha emanato il 23 ottobre un decreto che regolamenta rigidamente il ricorso allo sciopero in vari settori considerati strategici, scrive il sito Tsa. I presidi delle scuole, gli addetti al controllo aereo e marittimo, le guardie forestali, ma anche gli imam – che in Algeria percepiscono uno stipendio da dipendenti pubblici – sono alcune delle categorie di lavoratori a cui è stato vietato di scioperare per, spiegano le autorità, “mantenere la continuità nei servizi pubblici essenziali”. Secondo il quotidiano Le Monde le restrizioni all’attività sindacale rientrano in una più ampia svolta autoritaria intrapresa dalle autorità algerine dopo la dura repressione del movimento di rivolta popolare hirak (2019-2020).

Dal 31 ottobre al 3 novembre il re britannico Carlo III compie una visita di stato in Kenya, la prima in Africa e in un paese del Commonwealth, l’associazione formata in gran parte da ex colonie britanniche. Il settimanale keniano The Weekly Review commenta il forte valore simbolico della visita alla luce della storia dolorosa che lega i due paesi. Alcune organizzazioni per i diritti umani e attivisti politici keniani hanno chiesto al sovrano britannico delle scuse ufficiali per gli abusi commessi ai tempi della colonizzazione. Tra questi gruppi c’è la Kenya human rights commission, che nel 2013 ha condotto una battaglia legale nel Regno Unito, ottenendo un risarcimento per le violenze subite dai combattenti dell’Esercito della terra e della libertà, noti anche come mau mau, durante la lotta per l’indipendenza. Il presidente keniano William Ruto pensa invece di poter trarre vantaggio dall’incontro con il re, scrive il giornale. Il Regno Unito “vede in lui un uomo che può portare avanti gli interessi di Londra in Africa. Ruto è già considerato un fedele alleato degli Stati Uniti. Dopo la visita di Carlo, spera di avere una voce più forte anche nel Commonwealth”. ◆ IRAN

La morte di una ragazza La studente liceale Armita Garawand, entrata in coma in circostanze poco chiare un mese fa, è morta il 28 ottobre. Una settimana prima era stata dichiarata in stato di morte cerebrale. Garawand, 16 anni e originaria di una regione a maggioranza curda, era ricoverata all’ospedale Fajr di Teheran dal 1 ottobre. Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani è stata aggredita dalla polizia religiosa in metropolitana perché non indossava il velo, mentre le autorità sostengono che ha avuto un malore. Radio Farda racconta che Garawand è stata sepolta a Teheran il 29 ottobre sot-

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to la stretta sorveglianza delle autorità e che durante la cerimonia sono state arrestate diverse persone, tra cui due parenti e la nota avvocata e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh. L’emittente ricorda che subito dopo l’incidente in metropolitana le autorità hanno isolato i familiari di Garawand, impedendo ai giornalisti di contattarli. Secondo quanto riferito da un parente, “gli agenti della sicurezza hanno detto alla famiglia che avrebbero restituito il corpo a condizione che il funerale si tenesse a Teheran e non nel loro villaggio di origine nella provincia occidentale di Kermanshah”. Questo caso ricorda quello di Mahsa Jina Amini, la cui morte nel settembre 2022 ha dato il via a mesi di proteste contro il regime.

ALEXIS HUGUET (AFP/GETTY)

AFP/GETTY

The Weekly Review, Kenya

IN BREVE

Rdc Il numero degli sfollati interni ha raggiunto la cifra record di 6,9 milioni di persone, soprattutto a causa dell’aumento delle violenze nell’est del paese (nella foto, un campo profughi vicino a Goma, 2 ottobre 2023). Camerun Joshua Osih è stato scelto il 29 ottobre come leader del partito di opposizione Fronte socialdemocratico. Prende il posto di John Fru Ndi, il fondatore del partito, morto a giugno. Nigeria Il 26 ottobre la corte suprema ha respinto i ricorsi degli avversari del presidente Bola Tinubu alle elezioni di febbraio, confermando la sua vittoria.

Americhe la peggiore siccità che abbia mai visto. Prima l’acqua arrivava fino alle case”. Le famiglie vengono dalla comunità Renascer, a quattro chilometri in linea retta dal banco di sabbia dove ora vivono. La comunità è rimasta isolata a causa dell’abbassamento del livello del fiume: gli abitanti non avevano accesso all’acqua e non riuscivano più a pescare. Per questo molti si sono trasferiti nelle canoe agganciate ai banchi di sabbia sulle rive dell’arcipelago. Oggi Renascer si può raggiungere a bordo di piccole imbarcazioni, dopo alcune ore di navigazione. Silva e la sua famiglia vivono in canoa da più di un mese. Nella barca, oltre a lui, dormono la moglie e un figliastro con sua moglie e i loro tre figli. Hanno l’acqua potabile, ricevuta con una donazione. Prima però bevevano l’acqua del rio Negro, non filtrata né trattata. “Torniamo a casa solo per prendere la farina e i contenitori o per occuparci delle galline e dei cani”, racconta Silva. “Potremo rientrare quando l’acqua del fiume salirà, forse all’inizio di dicembre”.

LALO DE ALMEIDA (FOLHAPRESS)

Novo Airão, Brasile, 17 ottobre 2023

BRASILE

La siccità sta cambiando la vita in Amazzonia

Attività illegali

V. Sassine e L. de Almeida, Folha de S.Paulo, Brasile Uno dei più grandi affluenti del rio delle Amazzoni si è quasi prosciugato. Le popolazioni dell’area sono state costrette a spostarsi in cerca d’acqua. Molte famiglie abitano nelle canoe ntere famiglie che vivevano sulle rive di uno dei più grandi arcipelaghi fluviali del mondo si sono spostate nelle canoe per restare vicino all’acqua. La siccità estrema che colpisce l’Amazzonia ha ridotto la portata del rio Negro a un livello mai visto nella storia recente, spingendo molte persone a trasferirsi e ad adottare modi di vita inimmaginabili per un luogo di solito molto umido e ricco di corsi d’acqua. L’arcipelago fluviale di Anavilhanas, tra Manaus e Novo Airão, comprende più di 400 isole e sessanta laghi lungo il rio Negro, affluente del rio delle Amazzoni. Secondo i tecnici dell’istituto Chico Mendes per la conservazione della biodiversità, che amministra il parco nazionale di

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Anavilhanas, è il secondo arcipelago fluviale più grande del mondo. La siccità sta avendo un impatto diretto sulla zona, creando più isole e banchi di sabbia, drenando l’acqua, alterando il paesaggio, prosciugando i ruscelli e isolando intere comunità che vivono principalmente di pesca di sussistenza. Da mesi ormai grandi canoe ancorate alla sabbia sono state trasformate in case, a circa un’ora di navigazione da Novo Airão. Abbiamo incontrato otto famiglie che le occupano. “Non avevo mai vissuto in canoa”, racconta Carlos Alberto da Silva, 53 anni. “È COLOMBIA

Oceano Atlantico Parco nazionale di Anavilhanas

Novo Airão Manaus

BRASILE PERÚ BOLIVIA

Brasília

PARAGUAY ARGENTINA

700 km

In passato, durante altri periodi di siccità, la famiglia aveva costruito una capanna improvvisata alla bocca del canale che porta alla comunità. Ma questa volta il livello del fiume è sceso tanto che si sono trasferiti nelle canoe per avvicinarsi all’acqua. Una figlia di Silva vive in un’altra canoa, distante venti minuti a piedi lungo il banco di sabbia emerso. Il 17 ottobre la donna è andata a Renascer per caricare il cellulare che il giorno dopo le sarebbe servito a Novo Airão, dove doveva andare per incassare il sussidio del programma sociale Bolsa família. Per raggiungere Renascer e tornare alle canoe serve un giorno intero. Bisogna partire presto, verso le otto. “A casa l’acqua pulita era vicina. Ma ho paura che se qualcuno si sente male lì poi non possa spostarsi”, spiega Silva. Alcuni piccoli pannelli solari, donati alla famiglia, forniscono un po’ di luce nella canoa. I bambini fanno i compiti che un barcaiolo raccoglie nella scuola di Renascer. La siccità sta colpendo duramente le piccole e grandi comunità fluviali che vivono nell’arcipelago. È il caso di Sobrado, a quaranta minuti di navigazione da Novo

COLOMBIA

STATI UNITI

Brutti segnali per Petro

Vittoria per il sindacato

STATI UNITI

Nuovo speaker alla camera Il 25 ottobre è stato eletto il nuovo presidente della camera (speaker) degli Stati Uniti. “È Mike Johnson, avvocato della Louisiana, che in passato si è distinto per gli attacchi ai matrimoni gay e alle donne che vogliono abortire”, scrive il Los Angeles Times. La camera era senza presidente dall’inizio di ottobre, quando il repubblicano Kevin McCarthy è stato sfiduciato per iniziativa dell’ala più radicale del suo partito.

Sterling Heights, Michigan, 23 ottobre 2023

EMILY ELCONIN (BLOOMBERG/GETTY)

Il 29 ottobre i colombiani sono andati alle urne per eleggere più di 1.110 sindaci e 32 governatori provinciali. Il voto era importante anche per misurare la popolarità del presidente di sinistra Gustavo Petro (nella foto), salito al potere circa un anno e mezzo fa. “Non sono arrivate buone notizie per Petro”, scrive El País. Il Pacto histórico, la coalizione guidata dal presidente, non ha vinto in nessuna delle grandi città, è riuscita a far eleggere solo due governatori e non avrà la maggioranza in nessuna assemblea locale. Sono andati bene invece i partiti conservatori e centristi. VANNESSA JIMENEZ (REUTERS/CONTRASTO)

Airão, tra la città e i banchi di sabbia dove sono ormeggiate le canoe. Il corso d’acqua che era alle spalle di Sobrado si è prosciugato. Alcuni residenti vivono a più di cinque chilometri dal centro dell’abitato. Il rio Negro non è più balneabile. Per cercare di estrarre un po’ d’acqua relativamente pulita, le famiglie usano delle strutture di legno di forma quadrata (le cacimbas) situate vicino alle pozze d’acqua in modo da tenere lontani i sedimenti. Buona parte della comunità di Sobrado, dove vivono 129 famiglie, è servita da un pozzo artesiano. Ma l’acqua comincia a scarseggiare anche nel pozzo. “Chi vive vicino al ruscello usa le cacimbas, tutto l’anno. Ma non tutti hanno un pozzo e la siccità di quest’anno ha spinto molte altre persone a ricorrere allo stesso metodo”, spiega Aldeni Texeira da Silva, 38 anni, guida turistica dell’associazione dei produttori agricoli di Sobrado. “Non avevo mai visto una siccità come questa. È comparsa una spiaggia nel mezzo del fiume”, aggiunge. Quello che resta dell’acqua del ruscello non si può usare: sono pozze stagnanti e fetide, piene di sedimenti e pesci in decomposizione. La siccità ha un impatto anche sulla routine del parco nazionale di Anavilhanas. Le attività illegali come la pesca sportiva e la caccia alle tartarughe sono diventate più frequenti perché è diventato più facile catturare gli animali. “Tutte le comunità hanno difficoltà ad accedere all’acqua potabile”, spiega Enrique Salazar, analista ambientale dell’istituto Chico Mendes. “Quelli che hanno i pozzi tirano su acqua fangosa”. Novo Airão è a duecento chilometri dal centro di Manaus ed entrambe le città si affacciano sul rio Negro. Il 16 ottobre è stato stabilito un record: il fiume ha raggiunto il livello più basso nei 120 anni di misurazioni nel porto di Manaus: 13,5 metri. Il giorno dopo il livello era di 13,3 metri. Jean, 14 anni, è uno dei figli di Silva che vivono nella canoa. Trascorre le giornate sui banchi di sabbia. “Preferisci abitare nella comunità o qui in spiaggia, in canoa?”, gli chiedo. “Qui”, risponde. “Perché?”. “Perché là è triste”. “E perché?”. “Perché non c’è nessuno”. u as

“I lavoratori del settore automobilistico sono sul punto di far ottenere al movimento sindacale una delle più importanti vittorie degli ultimi decenni”, scrive il New York Times. Dopo sei settimane di scioperi (nella foto, una protesta davanti a una fabbrica della Stellantis), i rappresentanti della United automobile workers (Uaw) hanno raggiunto un accordo preliminare con i dirigenti delle tre grandi case automobilistiche di Detroit: Stellantis (di cui fa parte la Fiat Chrysler), General Motors e Ford. “I patti provvisori, che devono ancora essere ratificati dagli iscritti al sindacato, sono stati interpretati anche come un successo per il presidente Joe Biden, che ha messo a rischio il suo capitale politico partecipando al picchetto con gli operai in sciopero in uno stabilimento della General Motors in Michigan a settembre”. I dettagli degli accordi non sono ancora stati resi noti, ma includono un aumento di stipendio del 25 per cento nei prossimi quattro anni e mezzo e strumenti per garantire che il miglioramento salariale non sia assorbito dall’inflazione. Grazie ai nuovi contratti la retribuzione massima dei lavoratori iscritti all’Uaw passerà da 32 a 40 dollari all’ora. Questo consentirebbe ai dipendenti che fanno quaranta ore a settimana di guadagnare circa 84mila dollari all’anno. Gli accordi affrontano anche alcuni timori sul passaggio dalle auto con motore a combustione a quelle elettriche, una questione centrale durante le trattative. “Saranno coperti dai nuovi contratti anche i lavoratori di alcune fabbriche in costruzione in cui si produrranno batterie elettriche”. I rappresentanti delle aziende hanno avvertito che a lungo termine dovranno aumentare i prezzi delle auto per mantenere i profitti. Secondo gli analisti gli aumenti salariali non saranno un peso insostenibile per le case automobilistiche. u Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Europa

DIDEM MENTE (ANADOLU/GETTY)

Nel mausoleo dedicato ad Atatürk. Ankara, 29 ottobre 2023

TURCHIA

Niente da festeggiare per il regime di Erdoğan Cengiz Aktar per Internazionale La Repubblica turca ha compiuto cent’anni. Una ricorrenza che non ha senso ricordare, perché le vecchie istituzioni sono state distrutte e il paese è in crisi, scrive Cengiz Aktar l centenario della Repubblica di Turchia è stato festeggiato, il 29 ottobre, con celebrazioni decisamente in tono minore; per intenderci, niente di paragonabile alla festa per il bicentenario dell’indipendenza della Grecia o alle commemorazioni della rivoluzione francese. Il massacro in corso a Gaza ha fornito al governo un’ottima scusa per cancellare perfino la tradizionale festa al palazzo presidenziale. Il vero motivo, tuttavia, è che il regime non ha alcun interesse a onorare un simbolo contro cui sta combattendo. La repubblica turca moderna – filoccidentale, basata sul rispetto della legge e soprattutto laica – che nacque dalle ceneri dell’impero ottomano per volere di Mustafa Kemal Atatürk e dei suoi compagni il

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29 ottobre 1923 oggi non esiste più. Se i nemici della repubblica oggi dovessero festeggiare qualcosa, sarebbe piuttosto il suo collasso e la sua sostituzione con il “secolo della Turchia”. Ma come ha fatto il paese ad arrivare a questo punto? Il sistema di governo della Turchia moderna è stato fondato su una sanguinaria pulizia etnica che nell’arco di trent’anni (1894-1924) eliminò tre milioni di cittadini non musulmani, un quinto della sua popolazione dell’epoca. Fondamenta così fragili non potevano che produrre conseguenze nefaste. In quegli anni, inoltre, la Turchia distrusse la sua borghesia, composta principalmente da armeni, greci e altre minoranze non musulmane. La cosiddetta borghesia musulmana creata dal nulla dopo il 1923 era per definizione asservita allo stato. Sotto il giogo di un regime onnipotente diventato l’unico attore in grado di dettare le regole, il contratto sociale si trasformò in un’illusione. Ancora oggi il paese è composto da gruppi in contrasto tra loro, che vivono ognuno nel suo mondo: i laici e i fedeli sunniti turchi, gli aleviti e i curdi, i privile-

giati e gli emarginati, i giovani e i vecchi. Questi gruppi hanno pochissimi punti di contatto. Dal punto di vista legale, la frammentazione si traduce nell’assenza di una cittadinanza che sia costituzionalmente riconosciuta a tutti nello stesso modo. In Turchia ci sono cittadini di prima, seconda e terza classe. Oggi la prima classe è costituita dai turchi sunniti, gli elettori di Erdoğan. Poi vengono gli altri. Ma la debolezza più critica riguarda le istituzioni. Durante i primi decenni della repubblica la classe media laica aveva garantito allo stato una relativa stabilità. Quando il caos sociale diventava ingovernabile, i fallimenti del sistema erano corretti da colpi di stato militari. La stabilità era possibile anche per il posizionamento internazionale della Turchia durante la guerra fredda dalla parte del “mondo libero”. Ma quest’illusoria solidità è stata spazzata via da una serie di fattori interni ed esterni, a cominciare dal principale avversario della repubblica laica: l’islam politico. Quello che è successo in Turchia dal 2013 è molto istruttivo. Quando l’islam politico ha cominciato ad attaccare le istituzioni repubblicane ne ha evidenziato tutta l’inconsistenza. Sprovviste di un sistema di contrappesi, incapaci di mantenere un contratto sociale solido e prive di meccanismi di controllo, queste istituzioni hanno mostrato una totale mancanza di resilienza. E sono state distrutte: l’economia, l’amministrazione, l’esercito, l’università, la diplomazia, il sistema giudiziario, i mezzi d’informazione.

Alla deriva Oggi la Turchia è un paese malato con uno stato fallito, popolato da persone in preda alla paranoia e con un’economia in crisi che cerca di sopravvivere affidandosi alle donazioni dei paesi arabi più ricchi. Il sistema scolastico è devastato e le persone istruite fuggono all’estero. Inoltre la Turchia è in uno stato di guerra perenne con buona parte della sua popolazione (a cominciare dai curdi), mentre all’estero è coinvolta nelle eterne guerre combattute nel Caucaso, in Iraq e in Siria. La Turchia non è più un paese dove vige lo stato di diritto, ma un regime totalitario in cui l’arbitrio è diventato la norma. Per quanto riguarda il presidente Recep Tayyip Erdoğan, la sua ossessione resta Atatürk, l’unica figura storica di cui Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Europa

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SPAGNA

Gli abusi della chiesa

Più di sessanta attivisti del gruppo ambientalista Just stop oil sono stati arrestati il 30 ottobre a Londra davanti al parlamento (nella foto), dove hanno lanciato una campagna di un mese contro i nuovi progetti per l’estrazione di petrolio e gas annunciati dal governo, scrive il quotidiano The Standard. Gli attivisti avevano appena avviato un lento corteo per disturbare il traffico cittadino. Secondo un comunicato dell’organizzazione le proteste continueranno “ogni giorno fino a quando la polizia non interverrà per perseguire i veri criminali: quelli che facilitano l’estrazione di nuovo petrolio e gas pur sapendo che questo ucciderà centinaia di milioni di persone”.

El País, Spagna

TURCHIA

Appoggio ad Hamas Secondo il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan “Hamas non è un’organizzazione terroristica, ma un gruppo di liberatori che proteggono la loro terra”. Lo ha detto il 25 ottobre in parlamento e poi durante una manifestazione in sostegno dei palestinesi, scrive la Reuters, accusando Israele di commettere a Gaza “crimini contro l’umanità”.

Si stima che siano almeno 440mila gli spagnoli vittime di abusi sessuali avvenuti in ambiente religioso: lo afferma il rapporto presentato il 27 ottobre in parlamento dal defensor del pueblo (il difensore civico, l’istituzione che tutela gli interessi dei cittadini). Su impulso di un’inchiesta del quotidiano El País, una commissione ha ascoltato per 18 mesi ottomila spagnoli: l’1,13 per cento degli intervistati ha raccontato di aver subìto abusi e di questi circa la metà (lo 0,06 per cento, quindi in proporzione 233mila persone) li attribuisce a religiosi, il resto a laici legati alla chiesa. “Le cifre sono sconcertanti. La Spagna detiene ora il triste primato, in base al campione, di paese con il più alto numero di probabili vittime di abusi sessuali nella chiesa cattolica. Purtroppo, i vertici religiosi spagnoli non hanno compreso la legittimità e l’importanza dell’indagine. La loro collaborazione è stata intermittente e, anche se alcune diocesi hanno condiviso informazioni preziose, i dati forniti dai vescovi tendono a minimizzare il problema”. u RUSSIA

Assalto all’aeroporto La sera del 29 ottobre decine di persone hanno partecipato a un assalto antisemita all’aeroporto di Machačkala, in Dagestan (nella foto), una repubblica autonoma del Caucaso a maggioranza musulmana. Gli assalitori hanno invaso la pista e il terminal dell’aeroporto dopo l’atterraggio di un aereo proveniente da Israele e diretto a Mosca, e hanno cominciato a controllare tutti i passeggeri, in cerca di cittadini israeliani. Gli uomini hanno abbattuto le barriere e si sono diretti verso l’aereo sventolando

bandiere palestinesi. L’attacco è legato alle tensioni innescate dai raid israeliani su Gaza e costituisce un motivo di preoccupazione per il presidente russo Vladimir Putin. L’agenzia Ria Novosti ha scritto che Mosca ha definito “nostri nemici” i protagonisti dell’attacco e ha accusato “i traditori ucraini” di aver organizzato i disordini. Sessanta persone sono state arrestate.

AP/LAPRESSE

Cengiz Aktar è un saggista turco e professore di scienze politiche all’università di Atene. Il suo ultimo libro è Il malessere turco (Il Canneto 2022).

REGNO UNITO

Basta petrolio

PETER NICHOLLS (GETTY)

non è riuscito a sbarazzarsi. Il presidente si considera la nemesi del fondatore della repubblica. Crede di poter cancellare Atatürk e prenderne il posto come il maggiore statista della nazione, proprio come il “secolo della Turchia” dovrebbe cancellare e sostituire la repubblica nata cent’anni fa. Il regime totalitario messo in piedi da Erdoğan gli sopravvivrà finché la maggioranza delle popolazione penserà e si comporterà come lui. Di conseguenza, per diventare un paese normale, la Turchia dovrà attraversare un processo simile alla denazificazione vissuta dalla Germania dopo il 1945. Oggi non c’è molto da celebrare. Alcuni elementi ci danno il quadro della situazione. Negli anni cinquanta l’economia della Corea del Sud e quella della Turchia erano allo stesso livello di arretratezza, oggi la Corea è molto più avanzata; il valore aggiunto delle esportazioni turche è inferiore a quello greco o armeno; i componenti fondamentali dei droni assassini, orgoglio dell’industria militare turca, sono tutti importati, e anche il settore automobilistico si riduce al semplice assemblaggio di componenti; la Turchia non fa più parte del gruppo ristretto dei paesi autosufficienti dal punto di vista agricolo, oggi importa più di quanto esporti; il paese è tra quelli di media industrializzazione che inquinano di più; in un modo o nell’altro Ankara è in conflitto con quasi tutti i suoi vicini e la società turca è consumata da una violenza infinita; la Turchia ha gravi lacune per quanto riguarda il rispetto dei diritti e delle libertà; il livello d’istruzione delle ragazze è più basso che in Iran; il paese è in fondo a tutte le classifiche internazionali sulla qualità della scuola; la maggioranza degli scienziati di valore lavora all’estero; non esistono premi Nobel turchi, tranne uno per la letteratura; nel campo della letteratura e delle arti non ci sono figure di rilevanza globale; tra le personalità internazionali, per esempio mediatori o negoziatori, non c’è un solo nome turco; e nemmeno tra gli studiosi islamici più importanti si contano cittadini turchi. Insomma, non c’è niente da celebrare. u as

ATHIT PERAWONGMETHA (REUTERS/CONTRASTO)

Asia e Pacifico Dhaka, 28 ottobre 2023

CINA

THAILANDIA

Il partito dei Shinawatra

MALAYSIA

Un nuovo sovrano I nove sultani della conferenza dei reggenti della Malaysia hanno eletto il nuovo re del paese, Ibrahim Sultan Iskandar, dello stato meridionale di Johor, scrive Al Jazeera. Il sovrano s’insedierà il 31 gennaio 2024. La carica è in larga misura formale ma negli ultimi anni di instabilità politica il re ha assunto un ruolo più attivo e ha scelto gli ultimi tre primi ministri.

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BANGLADESH

Scontri a Dhaka Mirza Fakhrul Islam Alamgir, 75 anni, leader del Partito nazionalista bangladese (Bnp, all’opposizione), è stato arrestato in seguito alle violenze scoppiate il 28 ottobre a Dhaka durante le proteste contro il governo organizzate dal suo partito e dal partito Jamat-e-islami. Migliaia di persone hanno manifestato chiedendo le dimissioni della prima ministra Sheikh Hasina, al governo dal 2009, e la formazione di un governo neutrale che porti il Bangladesh alle elezioni legislative di gennaio. Negli scontri è morto un poliziotto e, secondo l’Afp, Alamgir e 164 iscritti al Bnp sono ora accusati di omicidio.

DIPLOMAZIA

L’ex primo ministro cinese Li Keqiang (nella foto) è morto d’infarto il 27 ottobre a 68 anni. Per un decennio, sotto il presidente Xi Jinping, Li era stato il leader numero due del paese e il capo del consiglio di stato (il consiglio dei ministri). Tra il 2007 e il 2022 aveva anche fatto parte del comitato permanente del politburo, il più alto organo decisionale del Partito comunista cinese, e si era ritirato lo scorso marzo, sostituito da Li Qiang. “Un leader comunista dal volto umano”, lo definisce Nikkei Asia. “Un combattente leale e un riformista”, ricorda Caixin. “Li era un economista orientato alle riforme, un’importante voce moderatrice tra i vertici del partito”, scrive la Bbc. “Questo potrebbe significare ancora meno limiti al potere di Xi Jinping”.

Più greggio russo in Asia Nikkei Asia, Giappone Il 4 novembre il primo ministro australiano Anthony Albanese sarà in Cina, il principale partner commerciale del paese, nella prima visita di questo livello dal 2016. “Quell’anno Pechino e Canberra cominciarono a litigare su una serie di questioni spinose: Hong Kong, il mar Cinese meridionale, accuse di spionaggio e interferenze cinesi nella politica australiana”, scrive Nikkei Asia. La Cina avviò una rappresaglia commerciale nei confronti dell’Australia. All’epoca il 40 per cento delle esportazioni australiane era diretto in Cina. “Oggi l’amministrazione Albanese ha ripristinato gran parte delle relazioni con la Cina, compresi i legami commerciali e i dialoghi ministeriali”, continua Nikkei Asia. “La rottura e la successiva ripresa dei legami bilaterali con la Cina hanno dimostrato al mondo cosa succede quando una superpotenza emergente come Pechino decide di dare una lezione a una media potenza allineata agli Stati Uniti nell’Asia-Pacifico”, commenta il settimanale. ◆

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Pechino, 5 marzo 2023

IN BREVE

Thailandia È salito a 22 il numero ufficiale dei cittadini tailandesi rapiti da Hamas in Israele il 7 ottobre. India Tre persone, tra cui una bambina di 12 anni, sono morte il 29 ottobre vicino a Kochi, nello stato del Kerala, a causa di una serie di esplosioni avvenute a un raduno di testimoni di Geova a cui stavano partecipando più di duemila fedeli. Oltre cinquanta persone sono rimaste ferite. Un uomo che aveva postato un video in cui rivendicava la responsabilità degli attacchi è stato fermato dalla polizia.

NOEL CELIS (AFP/GETTY)

Il 26 ottobre il Pheu Thai, il partito che guida la coalizione di governo, ha nominato presidente Paetongtarn Shinawatra (nella foto), 37 anni e figlia dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra. Prende il posto di Chonlanan Srikaew, che si era dimesso per aver infranto la promessa di non allearsi mai con i partiti vicini all’esercito. Il Pheu Thai era arrivato secondo alle elezioni di maggio ma ha ricevuto l’incarico di formare un governo di coalizione dopo che il partito progressista Move forward, che ha ottenuto il maggior numero di voti, non ha ottenuto la fiducia del senato, in mano ai militari. La scelta di Paetongtarn conferma alla guida del partito la famiglia Shinawatra e indica il tentativo di conquistare l’elettorato giovane di Move forward, scrive Asia Sentinel.

MAMUNUR RASHID (NURPHOTO/GETTY)

Addio a Li Keqiang

Matteo Bussola Emilio Pilliu

Un manga d’autore. Una commedia sentimentale, brillante e commovente.

ZEROVENTI EINAUDI STILE LIBERO MANGA

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illustrazione di Matteo Bussola ed Emilio Pilliu.

NADINE E DAVIDE

un progetto internazionale sulla relazione tra gioco e apprendimento

PER Play Explore Research 16 novembre 2023 ore 17.30

conferenza di lancio con

Luca Vecchi · Carla Rinaldi Sidsel Marie Kristensen Vanna Iori · Mitchel Resnick 17 novembre 2023 ore 17.00

esperienza | workshop presentazione della nuova app di coding creativo OctoStudio con

Mitchel Resnick e Lifelong Kindergarten – MIT Media Lab

Reggio Emilia - Centro Internazionale Loris Malaguzzi www.frchildren.org

Visti dagli altri Gli ultimi segreti di Cristina Mazzotti uccisa dalla ’ndrangheta nel 1975 Thomas Saintourens, Le Monde, Francia La ragazza fu rapita nei pressi del lago di Como. I mandanti del sequestro sono ancora ignoti. Ora nuove rivelazioni dei collaboratori di giustizia hanno permesso di riaprire il caso una vecchia storia, un caso d’altri tempi che porta quattro uomini, di età compresa tra 69 e 78 anni, davanti al tribunale di Milano e ci riporta indietro di quasi mezzo secolo, all’estate del 1975. Siamo all’inizio della stagione dei sequestri, quando in Italia i rapimenti e le richieste di riscatto seminavano il panico. Secondo l’accusa, i quattro pensionati sono legati alla ’ndrangheta e in tribunale dovranno rispondere dei fatti legati a quella che si può definire una missione di inizio carriera, viste le esperienze successive. Ma il caso Mazzotti è molto di più: è una vicenda che perseguita i magistrati come una storia maledetta.

È

Partiamo dalle presentazioni del quartetto. Demetrio Latella, condannato all’ergastolo in un altro processo, da allora cerca di non attirare l’attenzione facendo una vita da modesto giardiniere. Giuseppe Calabrò, detto u dutturicchiu (il dottorino), un’allusione ai suoi studi di medicina, è stato condannato diverse volte per traffico di droga e si è stabilito a Milano. Antonio Talia è sospettato di essere vicino ai clan di Africo, in Calabria. Quanto a Giuseppe Morabito, il più anziano del gruppo, è un boss della ’ndrangheta che si è stabilito da tempo in Lombardia. Questi quattro uomini, che ora sono in libertà nonostante il curriculum, rischiano l’ergastolo. Sono sospettati di essere i responsabili del rapimento, avvenuto nelle vicinanze del lago di Como nell’estate del 1975, e dell’omicidio di Cristina Mazzotti, una studente allora diciottenne. All’epoca l’organizzazione criminale cala-

ANSA

A duecento metri da casa

Cristina Mazzotti in un’immagine d’archivio brese si affidava ai riscatti che otteneva con i rapimenti. Accumulava denaro e faceva paura in tutta Italia. Intanto metteva le radici anche nel nord della penisola. Il più famoso di questi rapimenti fu quello dell’allora sedicenne John Paul Getty III,

avvenuto nel 1973. All’erede della dinastia industriale statunitense fu tagliato un orecchio, poi il ragazzo venne liberato su un’autostrada dopo cinque mesi di prigionia e il pagamento di un riscatto di 1,7 miliardi di lire (equivalenti a 12,6 milioni di Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Visti dagli altri

BENZI/RCS/CONTRASTO

Novara, novembre 1976. Durante un’udienza del primo processo

euro di oggi). In questo contesto, due anni dopo, fu presa di mira la famiglia Mazzotti. Helios, il padre, era un ricco commerciante di cereali che viaggiava spesso in Argentina. Lui e la moglie Carla avevano tre figli: Vittorio, Marina e la più piccola, Cristina, soprannominata “Cri-Cri”. Nell’estate del 1975 la gioventù dorata di Milano prolungava le sue serate nei bar e nelle ville sulle rive del lago di Como, cullata dalla musica di Claudio Baglioni trasmessa alla radio. Il 30 giugno era un giorno speciale per Cristina: aveva festeggiato la fine del liceo e il suo diciottesimo compleanno. A bordo di una Mini blu metallizzata Cristina, Carlo ed Emanuela, un trio inseparabile, stavano rientrando a Eupilio, il paese dove la famiglia Mazzotti aveva una casa di campagna. La villa era a poche centinaia di metri quando due auto, un’Alfa Romeo e una Fiat 125, sbucarono dal nulla e bloccarono la Mini. Dentro le due auto c’erano quattro uomini incappucciati. Uno di loro urlò: “Chi è Cristina Mazzotti?”. La ragazza fu portata via con la forza. Pochi giorni dopo una sua foto in

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bianco e nero era sulle prime pagine dei giornali: un volto da Monna Lisa con un sorriso gentile e occhi neri. La villa di Eupilio si trasformò nel quartier generale dove la famiglia e i carabinieri aspettavano che il telefono squillasse. La prima chiamata non tardò ad arrivare: un uomo che si presentò come “il marsigliese” chiese il pagamento di un riscatto da cinque miliardi di lire. Una cifra da capogiro, impossibile da trovare anche per un imprenditore di successo come Mazzotti. Fu subito chiaro che la vita di Cristina era in pericolo. Cominciò una corsa contro il tempo. A metà luglio i rapitori ridimensionarono le loro ambizioni e chiesero un miliardo di lire. Helios Mazzotti vendette tutti i suoi beni, chiese dei prestiti, ipotecò la casa e riuscì a raccogliere la somma richiesta, consegnata poi ai rapitori secondo le indicazioni del marsigliese. Ma Cristina non fu liberata e la famiglia non ebbe più sue notizie. Il 1 settembre, a due mesi dall’inizio del sequestro, su segnalazione di un sospettato le forze dell’ordine scavano in

una discarica di Galliate, in provincia di Novara, un paese a un’ora di auto da Eupilio. Sotto un cumulo di rifiuti trovarono il corpo scheletrico di Cristina. Secondo la polizia scientifica, la giovane, denutrita e drogata, era morta da un mese e mezzo.

La folla ai funerali A Eupilio arrivarono più di trentamila persone per i funerali. Quando il 5 aprile 1976 il padre di Cristina morì le indagini erano quasi concluse. Un banchiere svizzero aveva contattato la polizia italiana dopo aver notato un versamento sospetto, che si scoprì far parte del riscatto. L’uomo che aveva versato il denaro era Libero Ballinari, un contrabbandiere noto alla polizia di Milano. Una volta arrestato fece i nomi di alcuni complici del sequestro. Nel 1977 dodici uomini e una donna furono condannati dalla corte d’assise di Novara, otto di loro all’ergastolo. Un gelataio, un macellaio, un geometra dedito al traffico di droga. Ma erano solo pesci piccoli, abitanti del posto travolti da un’operazione criminale più grande di loro. È come se questo rapimento simbolico –

Cristina Mazzotti è stata la prima donna uccisa dalla ’ndrangheta dopo una richiesta di riscatto – non fosse stato ideato e organizzato da nessuno. Nemmeno dal “marsigliese”, la persona incaricata delle telefonate. Il suo nome era Stefano Spadaro, ed era di origine calabrese. Ma da lui non potrà più arrivare nessuna informazione: è morto in una clinica romana, da latitante, durante un intervento alle corde vocali per farsi modificare la voce. Quanto agli occupanti dell’Alfa Romeo e della Fiat – “con accento meridionale”, sottolinea l’amica di Cristina – anche loro sono scomparsi. “Sapevamo che non erano tutti presenti al processo”, dice oggi a Le Monde una fonte in ambiente giudiziario.

Il volto di Cristina Mazzotti perseguitò a lungo le persone che vivono sulla riva del lago di Como, dai giornalisti locali ai carabinieri

A casa era meglio non parlare

il mistero, fino a quando nuove tecniche investigative non hanno cambiato tutto”. Il caso fu riaperto nel novembre 2006 grazie a un’impronta digitale, quella del palmo di una mano destra presa all’epoca dei fatti sulla Mini. Era stata trovata una corrispondenza nel database del sistema d’identificazione delle impronte digitali, appena inaugurato. Era di Demetrio Latella, detto Luciano, un killer della ’ndrangheta con una fedina penale molto lunga. Latella ha confessato di essere stato a bordo della Fiat 125 la notte del 30 giugno 1975 e ha fatto altri tre nomi di ’ndranghetisti tra cui Calabrò (”il dottorino”) e Talia. A trent’anni dall’omicidio, si apriva finalmente la pista mafiosa. Nonostante la svolta, il caso, rinviato alla procura antimafia di Torino, si arenò e nel 2012 intervenne la prescrizione. Poi, tre anni dopo, una nuova legge cambiò la situazione: i reati puniti con l’ergastolo – come il caso Mazzotti – non erano più soggetti a prescrizione.

La famiglia Mazzotti dovette accontentarsi di questa sentenza in contumacia e vivere con la certezza che gli organizzatori erano ancora in libertà. Anche i soldi del riscatto sparirono nel nulla. “A casa era meglio non parlarne, per proteggere soprattutto la madre di Cristina. Era un dolore latente, ma senza spirito di vendetta”, ricorda Arianna Mazzotti, nipote di Cristina, responsabile della fondazione creata da Helios nel 1975 in memoria della figlia. “Sapevamo che i responsabili erano ancora in libertà”, continua, “e abbiamo saputo gli sviluppi giudiziari dai giornali”. Eppure il volto di Cristina perseguitò a lungo le persone che vivono sulla riva del lago di Como, dai giornalisti locali ai carabinieri. Perseguitò anche Pierangelo Ceruti, l’impresario di pompe funebri la cui sagoma s’intravede, di spalle, in una foto scattata il giorno del ritrovamento del corpo. Sotto shock, il giovane incaricato di recuperare il corpo cominciò a raccogliere qualsiasi possibile informazione sul caso, fino al più piccolo ritaglio di giornale. Quando nel 1977 nacque sua figlia decise addirittura di chiamarla Cristina. Lei ha poi studiato criminologia con l’unico obiettivo di scrivere una tesi sul caso Mazzotti. “Le indagini sono state condotte con i mezzi a disposizione all’epoca, soprattutto intercettazioni telefoniche e codici alfanumerici sulle banconote”, spiega Cristina Ceruti. “Ma le persone condannate nel 1977 facevano parte della bassa manovalanza, gente inconsapevole in cerca di soldi facili. Con il loro silenzio sui mandanti hanno permesso di prolungare

SVIZZERA Lago di Como Como

Eupilio

Lago di Garda

Lombardia

Galliate Novara

Lago d’Iseo

Milano

I TA LI A Po

Piemonte

Emilia-Romagna 50 km

Il procedimento a quel punto ha preso una nuova direzione. I nomi sono stati fatti trapelare goccia a goccia da alcuni collaboratori di giustizia durante gli interrogatori per altri reati o con confessioni scritte. “Le vere menti e gli organizzatori sono rimasti impuniti”, afferma Antonio Zagari, un collaboratore di giustizia considerato affidabile, oltre che un profondo conoscitore dei legami tra i clan calabresi e la microcriminalità milanese. Nel suo libro Ammazzare stanca (Aliberti 2008) riporta le parole di Fabio Repici, avvocato della famiglia Mazzotti: “Le banconote del riscatto potrebbero essere state riciclate anche nei casinò del Norditalia e della Costa Azzurra, uno dei tratti distintivi della ’ndrangheta”. Sulla base di questi elementi il 9 novembre 2022 la procura di Milano, che ha preso in carico il caso, ha chiuso le indagini. Secondo l’ordinanza di rinvio a giudizio, i quattro imputati “hanno partecipato attivamente alla fase esecutiva del sequestro”. Tre di loro sono sospettati di aver partecipato direttamente. Il quarto, Morabito, il cui ruolo non è ancora chiaro, è sospettato di essere stato uno degli organizzatori.

Processo a porte chiuse In casa Mazzotti la notizia di questo nuovo processo è stata accolta con pacatezza. Solo Carla Mazzotti non potrà seguire i nuovi sviluppi: è morta il 6 luglio 2023, all’età di 98 anni, e ora riposa nel cimitero di Eupilio accanto alla figlia Cristina. Per gli inquirenti, le speranze di usare il caso Mazzotti come lente d’ingrandimento sulla storia della ’ndrangheta sono poche. Tanto più che la strategia difensiva degli imputati è fedele ai precetti di omertà dell’organizzazione. Dopo essersi avvalsi della facoltà di non rispondere, due di loro hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato, un procedimento speciale che si svolge a porte chiuse e che prevede che si venga giudicati solo in base agli atti raccolti nel corso delle indagini. In questo caso non c’è il rischio di nuove testimonianze che potrebbero vanificare quarantotto anni di silenzio. Nonostante l’intrigante quartetto, il caso Mazzotti potrebbe mantenere ancora parte del suo mistero. u gim Il processo comincerà il 25 settembre 2024 davanti ai giudici della corte d’assise di Como. Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Le opinioni

Le reazioni all’orrore delle stragi di Hamas Amira Hass e reazioni dei palestinesi e dei loro so- mondo e umiliate, quando a pochi chilometri di distenitori in occidente all’attacco di Ha- stanza i loro occupanti vivono in un giardino dell’Emas del 7 ottobre 2023 contro le comu- den, su terre appartenute a famiglie palestinesi che nità israeliane di confine sono state va- ne sono state espulse?”. rie: giustificazione per l’operazione, Giustificare gli orrori di Hamas, ignorarli o disincon tutti i suoi orrori; giustificazione, teressarsene – come fanno in occidente gli esponenti gioia e soddisfazione per le sofferenze degli altri; giu- della sinistra radicale che appoggiano i palestinesi – stificazione e indifferenza per le prove degli orrori; ricorda l’atteggiamento delle organizzazioni comunigiustificazione per l’attacco e orgoglio per i soli aspet- ste e dei movimenti di liberazione del cosiddetto ti militari; giustificazione per l’azione “terzo mondo” di fronte ai metodi spamilitare, insieme alla comprensione o I palestinesi ventosi impiegati nel blocco sovietico e alla spiegazione del fatto che si è tra- non hanno una nei paesi considerati socialisti. In altre sformata in un’ondata di massacri sadi- leadership politica parole, la posizione di un individuo nelci come risultato diretto di lunghi anni e intellettuale lo spettro politico-ideologico determidi oppressione. na la misura della sua sensibilità o inforte e rispettata Altre reazioni: attenzione per le po- in grado di tracciare sensibilità alla crudeltà che prevale nel che notizie sul massacro che si sono ri- la linea di suo stesso schieramento politico. È una velate non accurate, nel tentativo di demarcazione spiegazione più facile da digerire rispetmettere in dubbio tutte le altre; la dito a quella che collega l’apatia di alcuni tra attività lecite stinzione tra i combattenti armati di ambienti della sinistra europea al fatto Hamas e la “marmaglia” che ha attra- e illecite che i morti del 7 ottobre erano per lo più versato il confine con Israele, attribuenebrei. Il classico concetto di sinistra sedo a quest’ultima le uccisioni e il sadismo; giustifica- condo cui un movimento di liberazione nazionale o di zione dell’azione militare da un lato, shock e disgusto classe non deve farsi trascinare in atti terroristici conper i brutali omicidi dall’altro; shock e condanna tro i civili sembra essersi perso in questi ambienti di aperta o espressa in privato di ciò che è stato fatto; l’i- sinistra in declino. potesi che Hamas “non si aspettasse di avere così tanAttualmente i palestinesi non hanno una leaderto successo” e abbia perso il controllo; comprensione ship politica e intellettuale forte, accettata e rispettata per il contesto da cui è nato l’attacco e rabbia espressa dal popolo, in grado di tracciare pubblicamente la liin privato contro Hamas; comprensione di come si nea di demarcazione tra attività lecite e proibite. Man sono svolti i fatti e shock, condanna e rifiuto di classi- mano che i bombardamenti israeliani sulla Striscia di ficare le sofferenze o di fare una distinzione tra gli atti Gaza aumentano, che il numero dei morti e dei feriti di orrore e di crudeltà; infine, shock e critiche aperte, cresce e che la distruzione si espande, diventa più difma solo su questioni pragmatiche (che l’attacco è sta- ficile esprimere pubblicamente o anche privatamente to dannoso per la lotta palestinese e la sua immagine). shock e contrarietà per i massacri di Hamas. Certo Nel nostro mondo, in cui non esistono risposte non ci si può aspettare che lo facciano gli abitanti delunivoche, gli israeliani e i loro sostenitori considera- la Striscia, che rischiano di essere uccisi in qualsiasi no le spiegazioni relative al contesto politico, storico momento. Più i paesi occidentali continuano a sostee perfino psicologico degli attacchi come tentativi di nere la campagna israeliana di distruzione e morte, giustificarli. Non s’interessano alla violenza struttu- più la denuncia dell’attacco di Hamas da parte dei rale del regime israeliano. I palestinesi e i loro soste- palestinesi e dei loro sostenitori è considerata una nitori considerano la condanna pubblica dell’attacco collaborazione con un diffuso razzismo bianco. Se i di Hamas un’assoluzione dell’occupazione israelia- palestinesi dissentono sulla logica degli atti di Hamas na. La giustificazione totale o parziale dell’operazio- e sul suo percorso, lo fanno in privato o semplicemenne di Hamas è ancorata al principio che ogni gruppo te ne accennano qua e là. Come ha detto un amico oppresso ha il diritto di resistere con ogni mezzo pos- palestinese: “Tutto questo per quattromila prigioniesibile: non c’è da stupirsi che le popolazioni locali ri- ri palestinesi?”, in riferimento ai detenuti nelle carcespondano con crudeltà. ri israeliane. “Sono convinto che quelle persone non Una mia amica palestinese che ha molti amici e vogliono essere rilasciate al prezzo di migliaia di paparenti a Gaza ha detto: “Cosa vi aspettavate da per- lestinesi uccisi e della distruzione della Striscia di sone che sono state imprigionate per tutta la vita in Gaza”, ha commentato, aggiungendo che non può un’enclave impoverita, che sono tagliate fuori dal certo esprimere la sua opinione in pubblico. ◆ dl

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AMIRA HASS

è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz, che ha pubblicato questo articolo.

Illustrazione di Barbara Baldi

Abitare il bianco. Ascoltare il grigio. Respirare il nero.

Le opinioni

La crisi del debito aggrava la fame nel mondo Jayati Ghosh ra le tante crisi esplose in giro per il do diversi paesi importatori: la fine della moratoria mondo, si fa riferimento alla tragedia sul rimborso dei debiti sovrani, cioè quello che ogni della fame solo di sfuggita. Secondo paese ha con chi possiede i suoi titoli di stato; il pasil nuovo rapporto dell’Organizzazio- saggio a politiche monetarie più restrittive e a tassi ne delle Nazioni Unite per l’alimen- d’interesse più alti nelle economie avanzate, che ha tazione e l’agricoltura (Fao), intitola- portato alla fuga di capitali dalle economie in via di to “Stato della sicurezza alimentare e della nutrizio- sviluppo; l’aumento dei prezzi dell’energia. ne nel mondo 2023”, nel 2021 circa il 42 per cento La Fao ha individuato dieci paesi in cui, nel terzo della popolazione mondiale – più di 3,1 miliardi di trimestre di quest’anno, i prezzi dei generi alimentapersone – non ha potuto permettersi ri sono aumentati ben oltre le tendenze La Fao ha una dieta sana. globali: Argentina, Ecuador, Ghana, A livello mondiale l’insicurezza ali- individuato Malawi, Birmania, Pakistan, Sud Sumentare è inoltre ancora molto al di dieci paesi in cui dan, Sudan, Zambia e Zimbabwe. Tutsopra dei livelli precedenti alla pande- nel terzo trimestre ti hanno gravi problemi con il debito mia: nel 2022 ha riguardato circa 122 di quest’anno pubblico e una forte carenza di valuta milioni di persone in più rispetto al i prezzi dei generi estera. 2019, e il dato è in aumento in tutta l’A- alimentari Con l’esclusione dell’Ecuador (che frica, l’Asia occidentale e i Caraibi, in sono aumentati ha un’economia dollarizzata), dall’iniparte a causa del rialzo dei prezzi. zio dello scorso anno questi stati hanben oltre le tendenze Se si considerano i singoli paesi è no anche subìto pesanti svalutazioni possibile osservare uno schema preoc- globali monetarie, che vanno dal 24 per cento cupante: gli stati in cui l’insicurezza dello Zambia all’abnorme 344 per cenalimentare è peggiorata sono anche quelli travolti to dell’Argentina. La cattiva gestione economica dalla crisi del debito e tra i più danneggiati dal cam- c’entra solo in parte. A incidere di più sono le forti biamento climatico. oscillazioni dei flussi di capitale con l’estero, dovute Oggi c’è una crescente consapevolezza della con- alle politiche macroeconomiche messe in campo centrazione di potere nel settore agroalimentare e dalle principali economie mondiali. della capacità dei colossi del settore di influenzare i Tutto questo vuol dire che il tentativo di controlprezzi. Entrambi i fattori sono stati approfonditi in lare l’attività finanziaria nei mercati globali dei beni dettaglio nel rapporto del 2023 della Conferenza del- di prima necessità, pur essendo necessario, non bale Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, secon- sta per combattere la fame. I responsabili politici do cui “durante i periodi di maggiore volatilità dei dovranno pensare ad altri strumenti per stabilizzare prezzi, alcune grandi società nel settore alimentare i prezzi, da politiche agrarie nazionali a regimi comregistrano profitti amplificati”. merciali internazionali che – suolo e clima permetLa forte impennata dei prezzi (in particolare del tendo – assicurino l’autosufficienza nei prodotti aligrano) cominciata alla fine del 2021, mentre si prepa- mentari di base. rava la guerra in Ucraina, ha raggiunto il picco nel Costruire riserve cuscinetto di cereali per sostemaggio del 2022, per poi calare altrettanto rapida- nere l’approvvigionamento locale è ancora una volta mente. Nell’agosto di quest’anno, per esempio, i cruciale. Altrettanto essenziale sarà la protezione prezzi del grano erano ben al di sotto dei livelli sociale per prevenire l’insicurezza alimentare. Ciò dell’agosto 2021. In molti paesi però i prezzi dei pro- significa che i governi dovranno concentrarsi magdotti alimentari sono rimasti alti o hanno continuato giormente sugli investimenti pubblici, incentivando a crescere, anche se a livello globale stavano scen- allo stesso tempo il settore privato a investire nelle dendo. coltivazioni sostenibili dei piccoli agricoltori. Non è una novità. Qualcosa di simile era già sucPer contrastare la fame nel mondo occorre che cesso sulla scia della crisi alimentare del 2007-2008, chi governa comprenda e affronti le cause alla radiquando i prezzi in molti stati a basso e medio reddito ce. Regolamentare l’attività finanziaria nei mercati salivano anche dopo il calo significativo a livello glo- volatili dei beni di prima necessità è solo uno dei bale. cambiamenti istituzionali necessari. Per resistere Il problema può essere ricondotto in larga misura alle fluttuazioni dei prezzi sarà necessario anche aiualla capacità d’importare generi alimentari. Dallo tare i paesi e le regioni a costituire riserve di prodotti scorso anno una serie di shock a cascata sta colpen- alimentari essenziali. u gim

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JAYATI GHOSH

è un’economista indiana. Insegna all’università Jawaharlal Nehru di New Delhi e collabora con diversi giornali indiani. Questo articolo è uscito sul Bangkok Post.

fope.com

Scienza

JACEK STANKIEWICZ (COMEDY WILDLIFE)

Verdoni (Chloris chloris) nella foresta di Białowieża, in Polonia

Conversazion 48

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ni animali

Per millenni il linguaggio è stato considerato una prerogativa degli esseri umani. Ma le ultime ricerche sembrano suggerire che non siamo così speciali Sonia Shah, The New York Times, Stati Uniti n topo può imparare una nuova canzone? La do­ manda può sembrare stravagante. Ma anche se gli esseri umani vivono accanto ai topi da alme­ no 15mila anni, pochi di noi li hanno senti­ ti cantare, perché lo fanno in frequenze che vanno oltre la gamma percepibile dall’orecchio umano. Da cuccioli, con le loro vocine acute indicano alle madri do­ ve si trovano. Da adulti, cantano in ultra­ suoni durante il corteggiamento. Per de­ cenni i ricercatori hanno pensato che le canzoni dei topi fossero istintive e fisse come le melodie di un carillon, e non espressioni mutevoli di singole menti. Ma nessuno aveva mai controllato se fosse veramente così. Nel 2012 un gruppo di neurobiologi della Duke university, gui­ dato da Erich Jarvis, un neuroscienziato che studia l’apprendimento vocale, ha progettato un esperimento per scoprirlo. I ricercatori hanno assordato chirurgica­ mente cinque esemplari e registrato le lo­ ro canzoni in uno studio a misura di topo, dotato di telecamere a infrarossi e micro­ foni. Poi hanno confrontato le canzoni dei topi sordi con quelle degli altri topi. Se queste canzoni fossero innate, come si è pensato a lungo, l’alterazione chirurgica non avrebbe fatto nessuna differenza. Jarvis e i suoi collaboratori hanno ral­ lentato il tempo e cambiato la tonalità del­ le registrazioni, in modo da poterle ascol­ tare. Quelli dei topi udenti erano “note­ volmente simili ai canti di alcuni uccelli”, ha scritto Jarvis in un articolo del 2013. Erano fatte di sillabe simili a fischi, come quelle dei canarini e dei delfini. Le canzo­ ni dei topi sordi, invece, private del feed­ back uditivo, si degradavano e diventava­ no quasi irriconoscibili. Secondo gli scien­ ziati sembravano “urla e schiamazzi”. Non solo le melodie di un topo dipendeva­

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Scienza

BRANDI ROMANO (COMEDY WILDLIFE)

Pesci chirurgo e uno squalo pinnanera del reef a Moorea, Polinesia Francese

no dalla sua capacità di sentire se stesso e gli altri, ma un topo maschio poteva alterare il tono della sua voce per competere con altri maschi per l’attenzione delle femmine, come i ricercatori hanno scoperto in un altro esperimento. Queste abilità contengono gli indizi per risolvere quello che molti hanno definito “il problema più difficile della scienza”: le origini del linguaggio. Negli esseri umani, l’“apprendimento vocale” è considerato fondamentale per la lingua parlata. I ricercatori avevano già scoperto questa capacità in specie diverse dagli esseri umani, tra cui uccelli canori, colibrì, pappagalli, cetacei come delfini e balene, pinnipedi come le foche, elefanti e pipistrelli. Ma data la secolare convinzione che un profondo abisso separasse il linguaggio umano dalle comunicazioni animali, la maggior parte degli scienziati ha interpretato le capacità di apprendimento vocale di altre specie come estranee alle nostre, evolutivamente divergenti come l’ala di un pipistrello da quella di un’ape. L’apparente assenza di forme intermedie di lin-

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guaggio – per esempio, un animale che parla – ha impedito di risolvere empiricamente la questione di come si sia evoluto il linguaggio. Quando hanno sezionato il cervello dei topi udenti e sordi, i ricercatori della Duke university hanno trovato una versione rudimentale del circuito neurale che consente al prosencefalo degli animali capaci di apprendimento vocale, come gli esseri umani e gli uccelli canori, di controllare direttamente i loro organi fonatori. I topi non sembrano avere la flessibilità vocale degli elefanti. Non possono fare come l’elefante africano di Tsavo, in Kenya, che imitava il rumore dei camion sulla vicina autostrada Nairobi-Mombasa. Né hanno le capacità mimiche delle foche: un esemplare del New England Aquarium sapeva pronunciare frasi in inglese con un perfetto accento del Maine (“Hoover, vieni qui”, diceva. “Dai, dai!”). Ma le abilità rudimentali dei topi fanno pensare che la capacità fondamentale di usare il linguaggio potrebbe collocarsi su un continuum, come un ponte di terra

sommerso può indicare che due continenti oggi separati un tempo erano collegati. Negli ultimi anni una serie di scoperte ha rivelato un ampio paesaggio sonoro non umano: tartarughe che emettono suoni per coordinare i tempi della loro uscita dalle uova; larve di corallo che possono sentire il rumore delle barriere coralline sane; e piante in grado di rilevare lo scrosciare dell’acqua corrente e il masticare degli insetti erbivori. In questa cacofonia i ricercatori hanno riscontrato intenzionalità e significato, l’uso mirato di suoni diversi per trasmettere informazioni. E hanno teorizzato che uno degli aspetti che più ci confondono del linguaggio, la sua struttura interna basata su regole, sia emerso da spinte sociali comuni a una vasta gamma di specie. A ogni scoperta, il divario cognitivo e morale tra l’umanità e il resto del mondo animale si è ridotto. Per secoli, le espressioni linguistiche dell’Homo sapiens sono state considerate uniche in natura, giustificando il nostro dominio su altre specie e avvolgendo l’evoluzione del linguaggio

nel mistero. Oggi gli esperti di linguistica, biologia e scienze cognitive sospettano che le componenti del linguaggio possano essere comuni a molte specie, aprendo una finestra sulla vita interiore degli animali che potrebbe aiutarci a collocare il linguaggio nella loro storia evolutiva, e nella nostra.

Il gene mancante Per secoli il linguaggio ha segnato “la vera differenza tra uomo e bestia”, come scrisse il filosofo Cartesio nel 1649. Ancora alla fine del novecento archeologi e antropologi ipotizzavano che tra i quarantamila e i cinquantamila anni fa una “rivoluzione umana” avesse interrotto la storia evolutiva, creando un divario incolmabile che separa le capacità cognitive e linguistiche dell’umanità da quelle del resto del mondo animale. Linguisti e altri esperti hanno rafforzato questa idea. Nel 1959 il linguista del Massachussetts institute of technology Noam Chomsky, che all’epoca aveva trent’anni, scrisse una sferzante critica di 33 pagine al libro del celebre comportamentista B.F. Skinner, secondo cui il linguaggio era solo una forma di “comportamento verbale” (così si intitolava il volume) accessibile a qualsiasi specie sottoposta a un sufficiente condizionamento. Qualcuno la definì “forse la recensione più devastante che sia stata mai scritta”. Tra il 1972 e il 1990 la critica di Chomsky è stata citata più volte del libro di Skinner, che fu un fiasco. L’idea del linguaggio come superpotere unicamente umano, che ha permesso all’Homo sapiens di scrivere poemi epici e andare sulla Luna, presumeva una biologia unicamente umana. Ma i tentativi di trovare quegli speciali meccanismi biologici – siano essi fisiologici, neurologici o genetici – che si pensava lo rendessero possibile sono tutti falliti. Un esempio particolarmente interessante è arrivato nel 2001, quando un team guidato dai genetisti Cecilia Lai e Simon Fisher ha scoperto un gene – chiamato Foxp2 – in una famiglia londinese in cui ricorreva l’aprassia infantile, un disturbo che compromette la capacità di coordinare i muscoli necessari per produrre suoni, sillabe e parole in una sequenza intelligibile. Secondo alcuni era stato finalmente trovato il gene che permette agli esseri umani di parlare, ma poi lo stesso gene è stato individuato nei genomi di roditori, uccelli, rettili, pesci e ominidi come i neandertal, la cui versio-

ne di Foxp2 è molto simile alla nostra. Anche la ricerca di un’anatomia vocale esclusivamente umana è fallita. In uno studio del 2001 lo scienziato cognitivo Tecumseh Fitch ha indotto capre, cani, cervi e altre specie a vocalizzare mentre si trovavano all’interno di una macchina cineradiografica che filmava a raggi X il movimento delle loro laringi. Ha così scoperto che le specie con laringi diverse da quella umana – la nostra si trova nella gola invece che nella bocca – possono comunque muoverle in modo simile. Il cervo rosso ha la laringe nella stessa posizione degli esseri umani.

L’idea che il linguaggio fosse un’anomalia evolutiva ha cominciato a svanire Fitch e il biologo evoluzionista Marc Hauser cominciarono a chiedersi se per caso non avessero pensato al linguaggio in modo sbagliato. I linguisti consideravano il linguaggio un’abilità unica, come saper nuotare o cucinare un soufflé: o ce l’hai o non ce l’hai. Ma forse era più simile a un sistema complesso che includeva tratti psicologici, come la capacità di condividere le intenzioni; fisiologici, come il controllo motorio sulle vocalizzazioni e sui gesti; e capacità cognitive, come quella di combinare i segnali secondo regole, molte delle quali potrebbero essere presenti anche in altri animali. Fitch e Hauser scrissero un articolo che contraddiceva le tesi di Chomsky, e gliene mandarono una bozza. Una sera ricevettero la risposta: Chomsky diceva che non solo era d’accordo, ma che sarebbe stato disposto a firmare il loro prossimo articolo sull’argomento come coautore. Il testo è stato pubblicato sulla rivista Science nel 2002, e da allora è stato citato più di settemila volte. Il dibattito su quali componenti del linguaggio fossero condivise con altre specie e quali esclusive degli umani è continuato. I temi in discussione erano, tra gli altri, l’intenzionalità del linguaggio, il suo modo di combinare segnali, la sua capacità di riferirsi a concetti esterni e a cose separate nel tempo e nello spazio e il suo potere di generare un numero infinito di espressioni a partire da un numero finito di segnali. Ma la convinzione che il linguaggio fosse

un’anomalia evolutiva ha cominciato a svanire. “I biologi hanno pensato che finalmente i linguisti avevano cominciato a ragionare”, ricorda Fitch. Le prove della continuità tra la comunicazione animale e il linguaggio umano si sono moltiplicate. Nel 2010 il sequenziamento del genoma dei neandertal ha suggerito che non ci siamo discostati significativamente da quel ceppo, come postulava la teoria della “rivoluzione umana”. Al contrario, i geni dei neandertal e quelli di altri antichi ominidi permangono nel genoma umano moderno, a riprova di quanto intimamente fossimo legati. Nel 2014 Jarvis ha scoperto che i circuiti neurali che permettono agli uccelli canori di imparare a produrre nuovi suoni corrispondevano a quelli degli esseri umani e che i relativi geni si sono evoluti in modo simile. Le prove lasciavano “poco spazio al dubbio”, ha osservato Cedric Boeckx, un teorico del linguaggio dell’università di Barcellona, sulla rivista Frontiers in Neuroscience: “Non c’è stato nessun ‘grande balzo in avanti’”. A mano a mano che la nostra comprensione della natura e dell’origine del linguaggio cambiava, sorgevano fruttuose iniziative interdisciplinari. I colleghi di Chomsky, come il linguista dell’Mit Shigeru Miyagawa, hanno collaborato con primatologi e neuroscienziati per studiare come il linguaggio umano sia correlato al canto degli uccelli e ai richiami dei primati. Sono nati centri interdisciplinari dedicati specificamente all’evoluzione della lingua, come quelli delle università di Zurigo e di Edimburgo. Gli interventi a una conferenza biennale sull’evoluzione del linguaggio, che un tempo erano “puramente teorici”, come ha osservato lo scienziato cognitivo Simon Kirby, sono diventati presentazioni “ricche di dati empirici”.

Pensieri e parole Uno dei problemi più spinosi che i ricercatori hanno cercato di affrontare è stato il legame tra pensiero e linguaggio. Filosofi e linguisti hanno a lungo sostenuto che il linguaggio dev’essersi evoluto non per facilitare la comunicazione ma per consentire il pensiero astratto. Le regole grammaticali che lo strutturano, caratteristica comune a tutte le lingue, sono più complesse di quanto sarebbe necessario ai fini della comunicazione. Il linguaggio, si diceva, deve essersi sviluppato per aiutarci a pensare, più o meno nello stesso modo in Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Scienza

WAYNE SORENSEN (COMEDY WILDLIFE)

Due wallaby di Parry a Cape Hillsborough, in Australia

cui le notazioni matematiche ci permettono di fare calcoli complessi. Ev Fedorenko, una neuroscienziata cognitiva dell’Mit, ha pensato che fosse “un’idea interessante”, così una decina di anni fa ha deciso di metterla alla prova. Se il linguaggio è il mezzo del pensiero, ragionava, allora formulare un pensiero e comprendere il significato delle parole pronunciate o scritte dovrebbero attivare nel cervello gli stessi circuiti neurali, come due corsi d’acqua alimentati dalla stessa sorgente sotterranea. Precedenti studi di imaging cerebrale avevano dimostrato che i pazienti affetti da grave afasia potevano risolvere problemi matematici, nonostante la loro difficoltà a decifrare o produrre linguaggio, ma non erano riusciti a trovare nel loro cervello distinzioni tra le regioni dedicate al pensiero e quelle dedicate al linguaggio. Fedorenko sospettava che ciò potesse essere dovuto al fatto che la posizione precisa di queste regioni varia da individuo a individuo. In uno studio del 2011 ha chiesto a dei soggetti sani di fare calcoli e decifrare stralci di linguaggio parlato e scritto mentre osservava come il sangue scorreva verso le zone attivate del loro cervello usando la risonanza magnetica (mri), te-

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nendo conto dei loro circuiti neurali unici nella successiva analisi. I suoi studi hanno dimostrato che pensare e decodificare parole coinvolgono percorsi cerebrali distinti. Linguaggio e pensiero, dice Fedorenko, “in un cervello umano adulto sono davvero separati”. All’università di Edimburgo, Kirby ha scoperto un processo che potrebbe spiegare come si è evoluta la struttura interna del linguaggio. Questa struttura, in cui elementi semplici come suoni e parole sono disposti in frasi e ordinati gerarchicamente l’uno nell’altro, conferisce al linguaggio la capacità di generare un numero infinito di significati. È una caratteristica fondamentale del linguaggio, come della matematica e della musica, ma le sue origini sono poco chiare. Poiché i bambini intuiscono le regole che governano la struttura linguistica anche senza ricevere istruzioni esplicite, i filosofi e i linguisti hanno sempre sostenuto che doveva essere il risultato di un processo cognitivo unicamente umano. Ma i ricercatori che hanno esaminato i reperti fossili per determinare quando e come si è evoluto quel processo non hanno ottenuto risultati: le prime frasi pronun-

ciate non hanno lasciato nessuna traccia. Kirby ha progettato un esperimento per simulare l’evoluzione del linguaggio nel suo laboratorio. Prima ha inventato dei codici per sostituire il caotico insieme di parole che si ritiene abbia preceduto l’emergere del linguaggio strutturato, usando sequenze casuali di luci colorate o di gesti. Quindi ha chiesto ad alcuni volontari di usarli in varie condizioni, e ha studiato come i codici cambiavano. I soggetti dovevano usare il codice per risolvere compiti comunicativi, oppure passarselo come nel gioco del telefono senza fili. Ha ripetuto l’esperimento centinaia di volte usando parametri diversi e con diversi soggetti, tra cui una colonia di babbuini in un recinto seminaturalistico dotato di computer sui quali potevano scegliere di partecipare ai suoi giochi sperimentali. Quello che ha scoperto è stato sorprendente: indipendentemente dalla lingua madre dei soggetti o dal fatto che fossero babbuini, studenti universitari o robot, i risultati erano gli stessi. Quando se lo passavano tra loro, il codice diventava più semplice ma anche meno preciso. Ma quando se lo passavano e lo usavano an-

che per comunicare, il codice assumeva gradualmente un’architettura precisa. Sequenze casuali di luci colorate si trasformavano in sequenze riccamente elaborate. Gesti contorti o pantomime per parole come “chiesa” o “poliziotto” diventavano segnali astratti ed efficienti. “Abbiamo visto emergere spontaneamente le strutture linguistiche che ci aspettavamo”, dice Kirby. Le sue scoperte suggeriscono che il potere mistico del linguaggio – la capacità di trasformare segnali casuali in formule intelligibili – potrebbe essere emerso da un compromesso tra la semplicità, che facilita l’apprendimento, e quella che Kirby chiama “espressività”, necessaria per una comunicazione inequivocabile. Per Cartesio l’equazione tra linguaggio e pensiero significava che gli animali non umani non avevano alcuna vita mentale. Rompere il legame tra linguaggio e biologia umana non ha solo demistificato il linguaggio, ma ha anche ristabilito la possibilità che gli animali abbiano una mente e che qualunque specie sociale in teoria abbia accesso alle capacità linguistiche.

Pittogrammi acustici La ricerca delle componenti del linguaggio negli animali non umani si estende ora ai confini del nostro albero filogenetico, comprendendo creature che possono comunicare in modi del tutto sconosciuti. Recentemente ho incontrato il biofisico Marcelo Magnasco e la psicologa dell’Hunter college Diana Reiss, che studia la cognizione dei delfini. Il laboratorio di Magnasco alla Rockefeller university di New York è una stanza luminosa affacciata sull’East river, con file di vasche gorgoglianti abitate da polpi, di cui sperava di decodificare i misteriosi segnali. La sua curiosità per le capacità cognitive e comunicative dei cefalopodi è nata durante le sue immersioni, mi ha raccontato Magnasco: spesso ha incontrato dei cefalopodi e avuto la netta sensazione che stessero cercando di comunicare con lui. Durante il lockdown per il covid-19, quando ha dovuto interrompere lo studio sulla comunicazione dei delfini con Reiss, Magnasco ha comprato le vasche per i polpi e le ha installate nel suo laboratorio. Durante la mia visita, i tentacoli grigio-rosa di un polpo aggrappato alla parete di vetro della sua vasca hanno cominciato a lampeggiare di un bianco brillante. Era arrabbiato? Stava cercando di dirci qualcosa? Era consapevole della nostra presenza? Non c’era modo di saperlo, ha detto Magnasco. In passato i tentativi di

scoprire capacità linguistiche in altre specie sono falliti anche perché abbiamo ipotizzato che sarebbero state simili alle nostre, mi ha spiegato. Ma in realtà i sistemi di comunicazione di altre specie potrebbero essere davvero molto diversi. Per esempio, una specie in grado di riconoscere gli oggetti attraverso l’ecolocalizzazione, come i cetacei e i pipistrelli, potrebbe comunicare usando pittogrammi acustici, che a noi potrebbero sembrare suoni senza senso. Per comprendere il significa-

I delfini imitavano spontaneamente i fischi generati dal computer to dei segnali degli animali, come gli schiocchi dei delfini o il canto delle balene, gli scienziati avevano bisogno di capire dove cominciavano e finivano le loro componenti, mi ha spiegato Reiss. “In realtà non abbiamo idea di quale sia l’unità minima”, ha detto. Se gli scienziati analizzano i richiami degli animali usando la segmentazione sbagliata, espressioni significative si trasformano in sciocchezze senza senso: “unca nescap pato” invece di “un cane è scappato”. Un’iniziativa internazionale chiamata Project Ceti, fondata dal biologo David Gruber, spera di aggirare questo problema inserendo le registrazioni degli schiocchi dei capodogli in modelli computerizzati, che potrebbero essere in grado di discernere degli schemi ricorrenti, come ChatGpt è stato in grado di cogliere il vocabolario e la grammatica del linguaggio umano analizzando materiale pubblicamente disponibile. Un altro metodo, dice Reiss, è quello di fornire ai soggetti animali codici artificiali e osservare come li usano. La ricerca di Reiss sulla cognizione dei delfini è uno dei pochi progetti sulla comunicazione animale che risale agli anni ottanta, quando i fondi stanziati per il set-

Da sapere Le foto di questo articolo u Le foto di queste pagine sono tra le finaliste dell’edizione 2023 dei Comedy wildlife photography awards, un concorso creato nel 2015 dai fotografi Paul Joynson-Hicks e Tom Sullam che premia immagini e video di animali selvatici ripresi in pose involontariamente comiche. Ogni anno l’iniziativa sostiene un’organizzazione per la conservazione sostenibile.

tore furono tagliati dopo che un ricercatore di alto livello ritrattò la sua affermazione, molto pubblicizzata, secondo cui uno scimpanzé potrebbe essere addestrato a usare la lingua dei segni per conversare con gli umani. Per uno studio pubblicato nel 1993 Reiss aveva fornito ai tursiopi di una struttura nel nord della California una tastiera subacquea che gli permetteva di scegliere specifici giocattoli, che poi il computer gli consegnava emettendo fischi come una sorta di distributore automatico. I delfini avevano cominciato a imitare spontaneamente i fischi generati dal computer quando usavano il giocattolo corrispondente, come i bambini che lanciano una palla e dicono “palla, palla, palla”, mi ha detto Reiss. “Il loro comportamento era sorprendentemente simile alle prime fasi dell’acquisizione del linguaggio nei bambini”. I ricercatori speravano di replicare il risultato dotando la vasca di un polpo con una piattaforma interattiva e osservando le reazioni dell’animale. Ma non sembrava che il dispositivo suscitasse l’interesse di quel cefalopode solitario. Per far emergere le sue capacità comunicative forse bisognerebbe che fosse affascinato dagli scienziati quanto loro lo sono da lui.

Arriva il leopardo Anche se sperimentare con animali intrappolati in gabbie e vasche può rivelare le loro facoltà latenti, per capire quello che comunicano tra loro bisogna spiarli in natura. Gli studi precedenti spesso mettevano sullo stesso piano la comunicazione in generale, in cui gli individui attribuiscono un significato ai segnali inviati da altri individui, e il sistema più specifico, flessibile e aperto del linguaggio. In un famoso studio del 1980, per esempio, i primatologi Robert Seyfarth e Dorothy Cheney avevano usato la tecnica del playback per decodificare i segnali di allarme emessi dai cercopitechi nel parco nazionale di Amboseli, in Kenya. Quando la registrazione dei versi emessi da un cercopiteco che aveva incontrato un leopardo è stata fatta ascoltare ad altri cercopitechi, quelli sono scappati tra gli alberi. La registrazione dei bassi grugniti di un cercopiteco che aveva avvistato un’aquila spingevano gli altri a guardare in alto. La registrazione dei suoni acuti emessi da un cercopiteco che aveva visto un pitone li spingeva a guardare a terra. All’epoca, il New York Times pubblicò in prima pagina un articolo che annunciava la scoperta di un “rudimentale ‘linInternazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Scienza guaggio’” dei cercopitechi. Ma molti obiettarono che quei richiami potevano non avere nessuna delle proprietà del linguaggio. Piuttosto che essere messaggi intenzionali per comunicare significati, potevano essere suoni involontari, frutto delle emozioni, come il pianto di un bambino affamato. Queste espressioni involontarie possono trasmettere informazioni a chi le ascolta, ma a differenza delle parole e delle frasi, non consentono di parlare di cose lontane nello spazio e nel tempo. I latrati di un cercopiteco in preda al terrore indotto dal leopardo possono avvisare altri cercopitechi della presenza di un leopardo, ma non permettono di parlare, per esempio, del “leopardo davvero puzzolente che ho visto al burrone ieri mattina”. Toshitaka Suzuki, un etologo dell’università di Tokyo che si definisce un linguista animale, ha trovato un metodo per distinguere i richiami intenzionali da quelli involontari mentre faceva un bagno. Quando abbiamo parlato su Zoom, mi ha mostrato l’immagine di una nuvola. “Se sentiamo la parola ‘cane’, possiamo vederci un cane”, mi ha fatto notare, mentre guardavo la massa bianca. “Se sentiamo la parola ‘gatto’, possiamo vederci un gatto”. Questo, ha detto, segna la differenza tra una parola e un suono: “Le parole influenzano il modo in cui vediamo gli oggetti, i suoni no”. Usando il metodo del playback Suzuki ha determinato che le cinciallegre giapponesi, una specie di uccelli canori che vive nelle foreste dell’Asia orientale e che lui studia da più di 15 anni, emettono una vocalizzazione speciale quando incontrano i serpenti. Quando altre cince giapponesi sentono una registrazione di quel suono, che Suzuki ha chiamato “jar jar”, fissano il terreno, come se cercassero un serpente. Per determinare se “jar jar” significava “serpente” nel linguaggio delle cince giapponesi, ha aggiunto un altro elemento ai suoi esperimenti: un bastoncino di 20 centimetri, che trascinava sulla superficie di un albero usando cordicelle nascoste. Di solito gli uccelli lo ignoravano. Nella sua analogia, era una nuvola passeggera. Ma se era accompagnato dalla registrazione del richiamo “jar jar”, il bastoncino sembrava assumere un nuovo significato: gli uccelli gli si avvicinavano, come per capire se era veramente un serpente. Come una parola, il verso “jar jar” aveva cambiato la loro percezione. Cat Hobaiter, una primatologa dell’università di St. Andrews che lavora con le

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grandi scimmie, ha sviluppato un metodo altrettanto raffinato. Poiché le grandi scimmie sembrano avere un repertorio relativamente limitato di vocalizzazioni, Hobaiter studia i loro gesti. Per anni, lei e i suoi collaboratori hanno seguito gli scimpanzé della foresta di Budongo e i gorilla di Bwindi, in Uganda, registrando i loro gesti e le reazioni degli altri. “Fondamentalmente, il mio lavoro consiste nell’alzarmi la mattina per incontrare gli scimpanzé quando scendono dall’albero, o i gorilla quando escono dal nido, e passare la giornata con loro”, mi ha detto. Finora, dice, ha registrato circa 15.600 esempi di scambi gestuali tra scimmie. Per determinare se quei gesti sono involontari o intenzionali, usa un metodo che ha adattato dalla ricerca sui bambini.

I bambini preverbali usano molti gesti del repertorio delle scimmie Cerca segnali che producano quello che lei chiama un “risultato apparentemente soddisfacente”. Il metodo si basa sulla teoria che i segnali involontari continuano anche dopo che gli ascoltatori hanno compreso il messaggio, mentre quelli intenzionali si interrompono appena chi li emette si rende conto che il suo ascoltatore ha compreso il messaggio. È la differenza tra il lamento di un bimbo affamato, che continua anche quando i suoi genitori sono andati a prendere il biberon, spiega Hobaiter, e la mia richiesta di versarmi del caffè, che cessa appena qualcuno prende

Da sapere Niente da dirvi u I recenti progressi dell’intelligenza artificiale e della bioacustica hanno spinto diversi scienziati a ipotizzare lo sviluppo di software per “tradurre” il linguaggio degli animali, che in un futuro non troppo lontano ci consentirà di comunicare direttamente con loro, scrive Der Standaard. Alcuni sono convinti che questo potrebbe aumentare la nostra empatia verso le specie non umane, spingendoci ad abbandonare il consumo di carne e altri abusi. Altri sono meno ottimisti: invece che nell’interesse degli animali, una tecnologia simile potrebbe essere usata per facilitare il loro sfruttamento. E non è detto che gli animali abbiano voglia di dialogare con noi: se potessero parlarci, probabilmente ci manderebbero a quel paese.

in mano la caffettiera. Per cercare un modello, lei e i suoi ricercatori hanno esaminato “centinaia di casi, decine di gesti e individui diversi che usano lo stesso gesto in giorni diversi”. Finora l’analisi di 15 anni di scambi videoregistrati ha individuato decine di gesti che producono “risultati apparentemente soddisfacenti”. Questi gesti possono essere intellegibili anche da noi, sebbene al di sotto del livello di coscienza. Hobaiter ha applicato la sua tecnica a bambini di uno e due anni che non sono ancora in grado di parlare, registrando i loro gesti e il modo in cui influivano sugli altri, “come se fossero piccole scimmie, cosa che fondamentalmente sono”, dice. Poi ha pubblicato su internet brevi videoclip di gesti di scimmie e ha chiesto ai visitatori adulti che non avevano mai trascorso del tempo con le grandi scimmie di indovinare che cosa volevano dire. Così ha scoperto che i bambini in età preverbale usano almeno 40 o 50 gesti del repertorio delle scimmie, e gli adulti hanno indovinato correttamente il significato dei gesti registrati in una percentuale “significativamente più alta di quanto fosse prevedibile” se avessero tirato a indovinare, come hanno raccontato Hobaiter e la sua assistente Kirsty E. Graham in un articolo uscito nel 2023 su Plos Biology. Le ultime ricerche fanno pensare che non ci sia nulla di speciale nel linguaggio umano. Altre specie usano segnali intenzionali simili a parole proprio come facciamo noi. Alcune, come le cince giapponesi e i garruli bicolore, sono notoriamente capaci di combinare segnali diversi per creare nuovi significati. Molte specie sono sociali e praticano la trasmissione culturale, soddisfacendo ciò che potrebbe essere un prerequisito per un sistema di comunicazione strutturato come il linguaggio. Eppure rimane un fatto indiscutibile. Le specie che usano caratteristiche del linguaggio nelle loro comunicazioni condividono poche evidenti somiglianze geografiche o filogenetiche. E nonostante anni di ricerche, nessuno ha scoperto un sistema di comunicazione con tutte le proprietà del linguaggio in una specie diversa dalla nostra.

Il silenzio è d’oro Per alcuni scienziati le crescenti prove di continuità cognitiva e linguistica tra esseri umani e animali superano quelle di differenze fondamentali. “Non c’è una distinzione così netta”, ha detto Jarvis in un podcast. Fedorenko è d’accordo. L’idea di un abisso che separa l’uomo dalle

BERNARD OMWAKA (COMEDY WILDLIFE)

Due babbuini nel parco nazionale del lago Nakuru, in Kenya

bestie è il prodotto di “un elitarismo linguistico”, dice, e di una miope concentrazione su “quanto è diverso il linguaggio da tutto il resto”. Ma per altri la mancanza di prove chiare della presenza di tutte le componenti del linguaggio in altre specie è, di fatto, la prova della loro assenza. In un libro sull’evoluzione del linguaggio intitolato Perché solo noi (Bollati Boringhieri 2016), scritto in collaborazione con lo scienziato informatico e linguista computazionale Robert C. Berwick, Chomsky descrive le comunicazioni animali come “radicalmente diverse” dal linguaggio umano. In un libro del 2018, Seyfarth e Cheney notano la “sorprendente discontinuità” tra l’eloquio umano e non umano. I richiami degli animali possono essere modificabili, possono essere volontari o intenzionali, ma raramente sono combinati secondo regole come le parole umane, e “sembrano trasmettere solo informazioni limitate”, scrivono. Se gli animali avessero qualcosa di simile alla sequenza completa di componenti linguistiche che abbiamo noi, dice Kirby, ormai lo sapremmo. Gli animali con capacità cognitive e sociali simili alle nostre raramente si esprimono sistematicamente come fac-

ciamo noi, con segnali per distinguere diverse categorie di significato. “Semplicemente non vediamo quel livello di sistematicità nei metodi di comunicazione di altre specie”, ha detto Kirby in un discorso del 2021. Questa anomalia evolutiva può sembrare strana se si considera il linguaggio un puro e semplice vantaggio. E se non lo fosse? Anche le abilità più straordinarie possono presentare degli svantaggi. Secondo la popolare ipotesi dell’“autoaddomesticamento” sulle origini del linguaggio, proposta da Kirby e James Thomas in un articolo del 2018 pubblicato su Biology & Philosophy, i toni variabili e le locuzioni fantasiose possono impedire ai membri di una specie di riconoscere i loro simili. Oppure, come altri hanno sottolineato, possono attirare l’attenzione dei predatori. Questi rischi potrebbero in parte spiegare perché le specie domestiche dei fringuelli bengalesi hanno canti più complessi e sintatticamente ricchi rispetto ai loro parenti selvatici, i passeri striati, come ha scoperto il biopsicologo Kazuo Okanoya nel 2012; perché le volpi e i canidi addomesticati mostrano maggiori capacità di comunicare, almeno con gli umani, ri-

spetto ai lupi e alle volpi selvatiche; e perché gli esseri umani, definiti da alcuni esperti come eredi addomesticati dei loro antenati scimmie e ominidi, sono i più loquaci di tutti. Un divario persistente tra le nostre capacità e quelle di altre specie, in altre parole, non lascia necessariamente il linguaggio al di fuori dell’evoluzione. Forse, dice Fitch, il linguaggio è una caratteristica unica dell’Homo sapiens, ma non lo è in modo unico: è solo tipico degli esseri umani, come la proboscide lo è per gli elefanti e l’ecolocalizzazione per i pipistrelli. La ricerca delle origini del linguaggio deve ancora arrivare all’anello di re Salomone, che conferisce magicamente a chi lo indossa il potere di parlare agli animali, o al futuro immaginato in un racconto di Ursula K. Le Guin, in cui i terolinguisti studiano i manoscritti delle formiche, le “scritture cinetiche marine” dei pinguini e i “delicati evanescenti versi dei licheni”. Forse non ci arriveremo mai. Ma in ogni caso ciò che sappiamo oggi ci lega ai nostri parenti animali. Non più persi tra oggetti senza mente, ci siamo ritrovati in un mondo nuovo, animato dalle conversazioni di altri esseri pensanti, anche se imperscrutabili. u bt Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Kenya

JAMES WAKIBIA (SOPA/LIGHTROCKET/GETTY)

Preghiera di gruppo a Nairobi, Kenya, 17 maggio 2023

I culti pericolosi di pastori senza scrupoli Elle Hardy, New Lines Magazine, Stati Uniti

Dopo che un predicatore radicale ha convinto centinaia di fedeli a lasciarsi morire di fame, il Kenya cerca di imporre delle regole alle chiese e ai loro leader 56

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lla fine del giugno scorso Joseph Juma Buyuka è morto dopo dieci giorni di sciopero della fame in un carcere keniano. Non era un prigioniero politico: era stato arrestato insieme ad altri 64 seguaci del predicatore radicale Paul Nthenge Mackenzie, capo dei Good news international ministries, un culto apocalittico responsabile di più di quattrocento morti accertate. Buyuka era uno dei principali assistenti di Mackenzie nel periodo in cui si era trasferito a vivere nella foresta di Shakahola, un’area isolata a nord della città

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di Mombasa, sulla costa del Kenya. Lì è avvenuto uno dei massacri più sanguinosi in tempi di pace della storia africana moderna: secondo le forze dell’ordine keniane potrebbero essere almeno ottocento le persone che si sono lasciate morire di fame. Parte dei 428 corpi ritrovati finora mostra segni di violenza, facendo pensare che alcune vittime siano state uccise. Le autorità avevano fatto irruzione nella tenuta ad aprile, dopo le denunce degli anziani dei villaggi vicini che avevano visto bambini emaciati andare in giro a mendicare da mangiare e l’obitorio locale riempirsi di cadaveri di persone ridotte pelle e ossa. Plagiate da Mackenzie, le vittime di Shakahola – in gran parte giovani poveri e famiglie disperate – si erano sottoposte a un digiuno estremo per accelerare l’incontro con Gesù. Buyuka e altre 64 persone erano finite sotto inchiesta per i reati di omicidio e omicidio colposo, tentato suicidio, radicalizzazione religiosa, crudeltà e negligenza nei confronti di minorenni. Mackenzie, che ha negato ogni responsabilità nel massacro, proviene dalle frange più radicali del movimento evangelico carismatico-pentecostale. Nel 2020 la pubblicazione World Christian Encyclopedia contava 644 milioni di pentecostali e carismatici in tutto il mondo, di cui 230 milioni in Africa. Un fattore chiave nell’ascesa di questi movimenti, che enfatizzano il ruolo svolto dallo spirito santo, è l’assenza di una struttura gerarchica all’interno delle congregazioni, dove mancano figure dedicate alla supervisione e al controllo dei predicatori, che nella tradizione pentecostale hanno bisogno solo di seguaci per esercitare un’autorità morale e spirituale. Lo stesso Mackenzie è un autodidatta ed è diventato uno dei leader religiosi più seguiti di questo secolo grazie alla sua personalità forte. Come ha dimostrato la morte di Buyuka, anche dal carcere riesce a mantenere la presa sui suoi seguaci. A Shakahola, varie settimane dopo la scoperta dei primi morti, sono stati trovati 65 sopravvissuti nascosti tra gli arbusti, che hanno rifiutato di bere e mangiare anche dopo essere stati trasferiti in un rifugio. A quel punto le autorità hanno accusato queste persone di tentato suicidio, un reato minore punibile con due anni di carcere, cercando di alimentarle con la forza. Nel corso di un’udienza in tribunale ad agosto, Mackenzie ha ribadito la sua

linea, dicendo ai giornalisti che chi vuole incontrare Gesù deve superare delle prove mentre è in vita. L’unico suo peccato, così si è difeso Mackenzie, era stato di mangiare: nel momento in cui avesse smesso, avrebbe incontrato Dio. Polizia e familiari delle vittime continuano a setacciare i cumuli di terra smossa alla ricerca di resti umani nei 320 ettari di terreni color ocra di Shakahola. Un anatomopatologo che lavora al caso ha detto che le vittime mostrano segni di grave inedia. Alcune portano segni di soffocamento e traumi da corpo contundente. Si stima che manchino all’appello ancora quattrocento persone. A Shakahola ne erano arrivate da tutto il paese e anche dall’estero, attirate dalle prediche di Mackenzie diffuse online.

Nell’ombra All’inizio, come ha raccontato un ex seguace della congregazione a un giornalista keniano, i sermoni di Mackenzie “erano normali”, ma dal 2010 “sono cominciati i messaggi apocalittici”. Non è chiaro cosa l’abbia portato a radicalizzarsi. È certo però che ha trovato dei seguaci disposti a seguirlo. In vista dell’obiettivo di ritirarsi dal mondo per prepararsi all’apocalisse, Mackenzie e i suoi accoliti hanno tolto bambini da scuola, hanno costretto i fedeli a contrarre matrimoni combinati e li hanno isolati dalle loro comunità d’origine. Julius M. Gathogo, docente di teologia all’università Kenyatta di Nairobi, osserva che, anche se per un periodo è stato un telepredicatore, Mackenzie era “praticamente uno sconosciuto” prima che venisse alla luce il massacro di Shakahola. Prima di fondare i Good news international ministries nel 2003, Mackenzie aveva lavorato come tassista di notte nella capitale Nairobi. In quel periodo, aggiunge Gathogo, Mackenzie è stato “arrestato quattro volte per i suoi sermoni controversi, ma è sempre stato assolto per insufficienza di prove”. Nell’ottobre del 2017 la polizia ha salvato 93 bambini che gli erano stati affidati e lui è stato accusato di promuovere idee estremiste. “Il pastore ha fatto il lavaggio del cervello agli abitanti” mettendoli contro le scuole e gli ospedali del posto, ha raccontato un poliziotto, secondo il quale Mackenzie insegnava ai bambini una forma radicale di cristianesimo in una scuola religiosa non registrata. Anche quella volta, però, Mackenzie è stato rilasciato. Un anno dopo gli abitanti Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Kenya di una cittadina vicina alla foresta di Shakahola hanno distrutto una delle sue chiese, in segno di protesta contro quelli che secondo loro erano dei falsi insegnamenti cristiani. Nel 2019 il predicatore è stato arrestato un’altra volta per aver istigato i membri della sua congregazione a rifiutare la nuova carta d’identità voluta dal governo, la huduma namba (numero di servizio). Quella protesta aveva contribuito a portarlo alla ribalta, ma è stata la pandemia di covid-19 ad accelerare il suo messaggio apocalittico e a radicalizzare i suoi seguaci. Per molti di loro la diffusione della malattia era la conferma che il mondo stava per finire e che Mackenzie era un profeta. Progressivamente sempre più persone hanno lasciato il lavoro e si sono trasferite a vivere nella foresta, dove alcune hanno acquistato lotti di terreno per ottanta dollari – all’incirca il prezzo di una pecora, nonostante la terra valesse circa quaranta volte tanto – in appezzamenti chiamati Galilea e Betlemme. Poi dall’ottobre del 2020 sono saltate varie stagioni delle piogge in Africa orientale provocando la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni. A quel punto Mackenzie ha cominciato a dire ai suoi seguaci che dovevano “digiunare per incontrare Gesù”.

Lupi come agnelli Anche se quello di Mackenzie è un gruppo marginale, il Kenya ha mostrato di essere un terreno fertile per nuovi movimenti religiosi, molti dei quali sono emersi da quello pentecostale. In uno dei paesi più devoti del mondo, più dell’85 per cento dei keniani si professa cristiano. Nel ventunesimo secolo, spiega Gathogo, il movimento afropentecostale è diventato uno tra quelli dominanti nel paese ed è arrivato ad attirare circa un terzo della popolazione, tra i 15 e i 20 milioni di persone. Per restare al passo, religioni più tradizionali come quella cattolica o anglicana accolgono pratiche in stile pentecostale, come le guarigioni miracolose e il presunto parlare in lingue sconosciute. “Il governo coloniale britannico non incoraggiava il pentecostalismo prima del 1963, l’anno dell’indipendenza”, racconta Gathogo, e questo contribuisce a spiegare perché la prima ondata del movimento sia stata percepita come qualcosa di più locale e autentico. Un elemento cruciale del fascino esercitato da questa corrente evangelica è “la capacità di fare

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In Kenya i confini tra chiesa e stato spesso si confondono. Ai raduni politici è comune vedere esibizioni di cantanti gospel pentecostali presa facilmente tra le culture indigene”. In particolare, osserva Gathogo, “grazie alle funzioni religiose vivaci, rumorose e accoglienti, anche verso le persone più semplici”. I canti e i balli a cui i fedeli si abbandonano nei tendoni, fa notare il teologo, sono tipici anche della religiosità africana. “L’Africa postcoloniale balla al ritmo del pentecostalismo, la cui influenza va oltre le divisioni socioreligiose”. In Kenya i confini tra chiesa e stato spesso si confondono. Ai raduni politici, racconta Gathogo, è comune vedere esibizioni di cantanti gospel pentecostali. “Influenzano gli eventi politici”, portando in scena ottimi spettacoli e facendo appello alle convinzioni cristiane più profonde che, con una spruzzata di spiritualità africana, attraversano tutto il paese. Da questo punto di vista, la congregazione Good news international ministries era un lupo travestito da agnello. Appariva come tante altre chiese afropentecostali, osserva Gathogo, “e ti col-

piva per la fede evangelica che prendeva la Bibbia alla lettera e credeva in Gesù Cristo come signore e salvatore”. Kapya John Kaoma, esperto dell’influenza statunitense sulle chiese dell’Africa orientale, racconta che negli anni duemila una seconda ondata di missionari evangelici americani ha dato un contributo significativo al panorama religioso locale. Gruppi finanziati da organizzazioni statunitensi hanno aperto scuole e hanno importato i programmi televisivi cristiani. Fondamentalisti locali e internazionali hanno potuto mettere piede in paesi dove le norme sull’istruzione erano molto deboli. Durante la presidenza di George W. Bush (2001-2009) i gruppi evangelici statunitensi più oltranzisti furono incoraggiati a promuovere la loro ideologia all’interno dei programmi finanziati da Usaid (l’agenzia governativa per lo sviluppo internazionale) nel continente africano. Questi gruppi, prosegue Kaoma, “monopolizzarono” i giornali, la radio e, infine, la tv. Le chiese pentecostali tradizionali cominciarono a discutere di temi tipicamente statunitensi, da cui emergevano posizioni fortemente omofobe e antiabortiste, spianando la strada a predicatori come Mackenzie, con le loro idee sempre più radicali. Mentre le chiese africane autoctone avevano una loro teologia, che non per forza si contrapponeva a questi punti di

Da sapere Gli errori delle autorità ETIOPIA

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SOMALIA

UGANDA

K E N YA Oceano Indiano Nairobi Shakahola Malindi

TANZANIA

u I fallimenti dei tribunali e delle forze di polizia keniane hanno permesso al predicatore radicale cristiano Paul Nthenge Mackenzie di continuare a diffondere la sua dottrina basata sul digiuno estremo, nonostante il pastore – in carcere dal 14 aprile 2023 e attualmente sotto inchiesta per la morte di almeno 428 persone – fosse stato più volte segnalato alle autorità. Lo afferma un recente rapporto di una commissio-

ne d’inchiesta del senato keniano, secondo la quale il bilancio delle vittime, anche se non ancora definitivo, è più grave di quello di qualsiasi attacco jihadista avvenuto nel paese. Una volta completata la ricerca delle vittime nella foresta di Shakahola, Mackenzie e altri 29 suoi collaboratori saranno incriminati formalmente. Il predicatore, hanno fatto sapere gli inquirenti, sarà accusato di terrorismo. Il massacro di Shakahola è probabilmente il più grande suicidio di massa per motivi religiosi dopo quello del Tempio del popolo di Jim Jones nel 1978 in Guyana, che coinvolse più di novecento persone. Il Kenya è un paese a maggioranza cristiana, l’85 per cento della popolazione (il 33 per cento protestante, il 21 per cento cattolica, il 21 per cento evangelica), mentre i musulmani sono l’11 per cento. Nel paese ci sono più di quattromila chiese registrate. Secondo un sondaggio del 2022 dell’organizzazione Afrobarometer, i cittadini hanno più fiducia nei leader religiosi che in quelli politici. Africa News, New Lines Magazine

YASUYOSHI CHIBA (AFP/GETTY)

Scavi per cercare i corpi delle vittime del massacro di Shakahola, 25 aprile 2023

vista esterni, molti leader locali storicamente concentrati sulla questione della guarigione hanno tratto nuovo vigore “dalla modernità della destra cristiana statunitense che vedevano in televisione”. Anche la più statunitense delle idee, cioè il vangelo della prosperità (l’idea che la ricchezza sia un segno della benedizione divina e che la povertà sia una punizione), è diventata una potente forza d’attrazione. Le emittenti religiose, ma anche i politici con idee affini, hanno beneficiato di questo tipo di cristianesimo incentrato su “salute e ricchezza”. Kaoma aggiunge che molti cristiani in Africa hanno una particolare venerazione per la parola che viene dall’occidente. “In Africa tutto ciò che è associato all’essere bianchi acquista legittimità”, osserva. “Quando Mackenzie legge un libro o cita qualcosa scritto da un bianco, il suo potere aumenta”. Questo potrebbe spiegare perché secondo gli investigatori la svolta radicale di Mackenzie è avvenuta quando è diventato un seguace di William Branham, un predicatore dell’apocalisse statunitense che ha goduto di una certa notorietà negli anni quaranta e cinquanta e che fino alla tragedia di Shakahola era famoso soprat-

tutto per aver influenzato Jim Jones, il predicatore responsabile di un massacro e suicidio di massa avvenuto nel 1978 in Guyana, in cui morirono 909 persone. Branham proveniva dal Latter rain movement (movimento della seconda pioggia), emerso nel secondo dopoguerra. I suoi leader volevano esercitare i poteri conferiti dallo spirito santo ai discepoli di Gesù, come scacciare i demoni, guarire i malati e resuscitare i morti. L’effetto del Latter rain movement sul cristianesimo di oggi non va sottovalutato: per esempio, i discendenti diretti del movimento hanno influenzato l’insurrezione del 6 gennaio 2021 al congresso degli Stati Uniti. Tra loro ci sono parecchi predicatori brasiliani e coreani a capo di congregazioni enormi, o persone responsabili di omicidi di massa, come Mackenzie. Secondo Doug Weaver, docente di studi religiosi all’università di Baylor, negli Stati Uniti, Branham fu uno dei principali guaritori religiosi statunitensi della sua epoca, e lanciò delle “crociate” anche all’estero. Branham si definiva “il secondo Giovanni Battista” e predicava il ritorno di Gesù Cristo. Anche se Branham era “eccentrico”, osserva Weaver, i suoi sermoni erano so-

lo variazioni sulla fine del mondo e il bisogno di un profeta. Per i suoi seguaci era diventato un’“autorità infallibile” da seguire senza discutere. Branham sosteneva che chi avesse avuto fede nel suo messaggio sarebbe stato “rapito”, cioè portato dalla terra in cielo nella seconda venuta di Gesù.

Scarso controllo In Kenya, e anche oltre i suoi confini, i sistemi di credenze esoteriche e i movimenti religiosi emersi dal pensiero pentecostale mostrano quanto sia scarso il controllo delle istituzioni sul movimento. L’avvento dei social network offre anche incentivi perversi. Il Kenya è “sommerso di reclutamenti in rete, in cui i soggetti che aderiscono sono spinti verso l’estremismo”, spiega Gathogo. I credenti sono persuasi da “promesse di una vita migliore o di un lavoro”, oltre alla possibilità di trovare qualcuno da sposare. In Africa orientale e centrale “l’incapacità di offrire una solida formazione teologica” e la “scarsa selezione dei leader afropentecostali” hanno fatto sì che signori della guerra e trafficanti di droga come Joseph Kony e il suo Esercito di resistenza del signore riuscissero a stabilire Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Kenya delle enclave teocratiche fondate su culti estremisti. Predicatori senza scrupoli promettono “svolte in ogni aspetto della vita”, continua Gathogo, compresi visti per lavorare all’estero, oppure offrono a madri esauste gli strumenti per far rigare dritto i figli adolescenti. “Una chiesa in cui il fondatore non può essere disciplinato da un’autorità superiore o da strutture riconosciute”, sostiene, “non può essere attendibile”. Esiste un mercato spirituale di persone che cercano conforto e quelli come Mackenzie “ne approfittano”, spiega Kaoma. Ogni successo individuale diventa il successo del leader. Quando i seguaci trovano lavoro o l’amore spesso ne attribuiscono il merito alla chiesa e donano del denaro che va ad arricchire il capo. Kaoma sottolinea un aspetto insolito nel caso del massacro di Shakahola: di solito queste sette trovano maggior seguito nelle aree urbane, dove le pressioni per il costo della vita e l’isolamento dalle comunità tradizionali sono problemi comuni. Nelle aree rurali fanno più presa i movimenti religiosi di origine africana, legati alla salute e alla comunità. Il fatto che Mackenzie abbia agganciato molti seguaci afflitti da preoccupazioni “cittadine” e li abbia fatti trasferire nella foresta, spingendoli a morire per la loro nuova fede, potrebbe aver contribuito al terribile successo del suo movimento. In questa confusione di confini tra fedi religiose urbane e rurali, il movimento di Mackenzie non è unico nel suo genere. Shakahola è l’esempio più recente e noto di movimenti pentecostali africani estremi che esercitano un’influenza negativa sugli abitanti nelle comunità rurali. Nel 2014 un sedicente “professore” sudafricano, Lesego Daniel, aveva incoraggiato i suoi fedeli a bere sostanze chimiche velenose come forma di comunione, sostenendo di avere il dono di trasformare “la benzina in ananas”. Due anni dopo un suo protetto, il pastore Lethebo Rabalago, è stato riconosciuto colpevole di violenza privata perché aveva spruzzato sui fedeli dell’insetticida con la scusa di volerli aiutare a scacciare i demoni che si presentavano sotto la forma dell’aids. Quest’anno un pastore ghaneano ha ordinato ai membri della sua chiesa di denudarsi per permettere allo spirito santo di muoversi liberamente attraverso di loro. L’ascesa di predicatori radicali ha scatenato reazioni in tutto il continente. In

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Esiste un mercato spirituale di persone che cercano conforto e quelli come Mackenzie “ne approfittano”, spiega Kaoma Ruanda il presidente Paul Kagame ha fatto approvare una legge che impone ai predicatori di avere una laurea in teologia per poter fondare delle congregazioni. Pare che dopo l’entrata in vigore siano stati chiusi circa seimila luoghi di culto.

Un compito difficile Mentre le autorità keniane continuano a esaminare i cadaveri, il massacro ha fatto emergere un serio dibattito sull’opportunità di imporre delle regole ai leader religiosi e sui confini tra stato e chiesa. Il presidente keniano William Ruto, anche lui di fede evangelica, ha creato una task force che sta lavorando su nuove leggi per reprimere le chiese e i predicatori estremisti, mettendo però in allerta il Consiglio nazionale delle chiese (l’associazione delle chiese protestanti e altre organizzazioni cristiane presenti in Kenya), che teme un attacco alla libertà di culto. Ha inoltre invitato i cittadini a presentare proposte sui cambiamenti necessari per imporre dei limiti all’estremismo religioso. “L’operazione contro i criminali che si nascondono dietro la religione non è da intendersi come una guerra contro una fede o un’istituzione religiosa”, ha precisato il ministro dell’interno Kithure Kindiki quando la commissione è stata istituita. “Il crimine non ha religione”. La commissione deve individuare le lacune che hanno permesso ai gruppi religiosi estremisti di prendere piede in Kenya e delineare un quadro giuridico per impedire che operino nel paese. Questo potrebbe voler dire fissare degli standard per l’istruzione dei predicatori, una cosa piuttosto insolita per le chiese e i movimenti che derivano dal pentecostalismo. “Secondo me è necessario”, nota Gathogo. Per alcuni, però, è problematico che il governo cerchi di tracciare una linea di demarcazione tra ciò che si può o non si può predicare. Chi si oppone alle nuove regole sostiene che le chiese do-

vrebbero potersi esprimere liberamente. Secondo altri il massacro è stato un caso isolato e sicuramente le autorità sarebbero dovute intervenire prima, ma in generale le chiese dovrebbero essere lasciate libere di autoregolarsi per conquistare il rispetto delle comunità. In un paese così religioso è difficile conciliare questioni spirituali con preoccupazioni politiche. Molti sostengono che la separazione tra stato e chiesa è un’idea coloniale, che non riflette i valori di uno stato africano moderno. C’è anche la possibilità concreta che i predicatori “fuorilegge” attirino seguaci proprio in virtù del loro carattere sovversivo. Chi è a favore di un irrigidimento delle regole chiede al parlamento di prendersi tutto il tempo necessario per consultarsi con le comunità. A prescindere dalle leggi che saranno introdotte, non è scontato che riescano ad affrontare una cultura della fede che sta cambiando. Gathogo osserva che Mackenzie è il simbolo dell’ascesa di nuovi movimenti religiosi nell’Africa del ventunesimo secolo. “Interpretano la Bibbia da un punto di vista radicale ed evitano la formazione teologica, perché sostengono che quella ricevuta dallo spirito santo sia più che sufficiente”, spiega. “Rifiutano l’onestà e finiscono per diventare artisti della truffa”. Tra questi predicatori “il leader assurge al rango di divinità, la sua parola è legge e la gente è indotta a temerlo”. Se riuscisse a contrastarli, il Kenya potrebbe diventare un modello e le sue leggi uno strumento utile ad arginare i predicatori disonesti. Tuttavia il paese si trova di fronte un campo minato dal punto di vista legale ed etico, per non parlare del rischio di trasformare persone come Mackenzie in martiri. Secondo Gathogo, l’introduzione di nuovi standard per i leader religiosi rientra in un problema più ampio di gestione politica e sociale in Africa, dove i predicatori riempiono il vuoto lasciato da stati che non sono capaci di soddisfare i bisogni materiali dei cittadini, e men che mai quelli spirituali. “L’Africa non ha bisogno di uomini forti”, dice Gathogo, “ma di istituzioni forti”. u gim L’AUTRICE

Elle Hardy è una giornalista australiana che vive negli Stati Uniti. Ha scritto il libro Beyond belief: how pentecostal christianity is taking over the world (Hurst/Oup 2021).

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Hong Kong

Limiti invisibili Yu Wanlan e Zhang Xinying, The Initium, Singapore

Nei mezzi d’informazione dell’ex colonia britannica l’autocensura è diventata la norma. Vale non solo per i giornali di politica e attualità, ma anche per le riviste di moda, cultura e spettacolo

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attualità e società, ma con la nuova legge ci sono argomenti che si salvano? Se si parla di cantanti, recensioni di ristoranti o libri, si può essere certi di non incorrere nella censura?

Fuori dai denti “Pensi che non voglia intervistare cantanti che si sono schierati politicamente come Anthony Wong o Denise Ho?”, mi chiede Hongyan, un critico cinematografico che dirige una rivista. Nel 2019, quando era uscito il film Beyond the dream, aveva intervistato il regista Kiwi Chow. All’epoca Chow era conosciuto solo come uno dei registi di Ten years, un film collettivo che immaginava Hong Kong nel 2025 sotto la totale influenza cinese. Beyond the dream è stato uno dei dieci migliori film di Hong Kong del 2020. Un’opera campione d’incassi che ha vinto anche il Cavallo d’oro al festival di Taipei. Hongyan aveva chiesto a Chow se intendesse trattare anche temi politici e lui aveva risposto un convinto sì. “Solo dopo ho saputo che stava lavorando a Revolution of our times, il documentario sulle proteste del 2019 e 2020. Avrei voluto contattarlo, ma non potevo perché dirigo una rivista”. E spiega: “Se provassi a intervistare Anthony Wong o Denise Ho il mio editore mi richiamerebbero immediatamente. Da quando è stata introdotta la legge sulla sicurezza nazionale, si fa un sacco di scrupoli”. Ci sono altre personalità che dal luglio 2020 appaiono raramente sui mezzi d’informazione. Molte sono indagate o già sotto processo. Dopo la proiezione in anteprima al 74° fe-

STEVE MCCURRY (MAGNUM/CONTRASTO)

o chiameremo K. Lavora per una rivista di moda di Hong Kong ed era abituata a cambiare al volo le interviste da mettere in pagina. Negli ultimi anni, però, il suo lavoro è diventato più noioso e stancante. “Negli ultimi anni” significa dopo le proteste del 2019, la legge sulla sicurezza nazionale del luglio 2020, la pandemia e tutti gli altri grandi cambiamenti che Hong Kong ha attraversato di recente. Anche se K. non si è mai occupata di attualità, politica o giustizia, la situazione del paese influisce pesantemente sul suo settore. In passato la scelta di chi intervistare dipendeva dalle tendenze culturali, dalle scelte editoriali, dalle pubblicità e dalla forza dei temi, ma oggi bisogna attenersi a tutt’altri criteri. Gli intervistati da che parte stanno? Sono gialli (a favore del movimento per la democrazia) o blu (dalla parte della polizia che ha represso il movimento)? Per mettere un personaggio in copertina bisogna tener conto anche delle sue posizioni politiche? Cosa bisogna evitare di scrivere? Queste domande sono via via diventate più pressanti, non solo nella quotidianità di K. A tre anni dall’entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale, che ha istituito i reati di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere, il mondo dell’informazione è stato stravolto da nuove, invalicabili, linee rosse. Nell’informazione culturale la trasformazione è più lieve rispetto a quella che ha investito chi si occupa di

stival di Cannes, Revolution of our times ha vinto il premio a Taipei ed è stato proiettato in Giappone, in Europa e in Nordamerica. Ma nel frattempo a Hong Kong gli investitori si sfilavano dal nuovo progetto di Kiwi Chow, gli attori lo abbandonavano, gli accordi per l’uso delle location saltavano e, anche se in teoria a Hong Kong nessun regista è esplicitamente messo al bando, i critici (compreso Hongyan) non avevano il coraggio di intervistarlo. Questa situazione è durata fino al gennaio 2023, quando Kiwi Chow ha finito di girare Say I do to me, un film commerciale, e ha co-

Hong Kong, Cina, 2019 minciato a promuoverlo. Il suo nome è riapparso sui mezzi d’informazione tradizionali, ma niente in confronto alla copertura ricevuta per Beyond the dream. Anche se il momento era passato, Hongyan è riuscito a intervistarlo di nuovo per la sua rivista. “Certo, ero pieno di domande e mi rendevo conto che avrei avuto molti limiti, ma mi sono convinto che girando intorno al problema sarei almeno riuscito a disegnarne i contorni. Se quando eravamo uno spazio libero dovevamo fare attenzione a cosa ci dicevano registi e attori, ora mi concentro su cosa non dicono e sugli argo-

menti che cercano di evitare: i contorni del problema, appunto”. L’esperienza di K. è molto simile: “Dopo il 2019 il mondo dell’informazione è diventato ridicolo. Nessuno prende l’iniziativa, tutti hanno paura di sembrare provocatori”. I redattori delle pagine culturali non avevano mai vissuto queste sensazioni. Un elemento fondamentale delle riviste di moda è la pubblicità, che è cambiata: i marchi, grandi e piccoli, hanno selezionato attentamente le personalità con cui collaborare, eliminando quelli “po-

tenzialmente pericolosi”. K. racconta che alcune aziende avevano puntato su una giovane attrice per poi scaricarla quando lei si è esposta pubblicamente a favore dei movimenti per la democrazia. “È tutto molto triste”, commenta. Hongyan racconta che negli ultimi anni ha fatto una sola intervista completamente libera, a una cantante. “Ha detto apertamente che stava valutando se restare o andar via, e ha parlato di censura. Tutta la redazione faceva finta di lavorare, ma avevamo le lacrime agli occhi. E non credo solo per le sue belle parole. Era Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Hong Kong tanto tempo che qualcuno non si esprimeva con coraggio durante un’intervista”. Ovviamente poi Hongyan non è riuscito a pubblicarla. “L’editore era preoccupato che potesse succedere all’artista qualcosa, e lo capisco. Bisogna usare tutte le cautele, fare un passo alla volta. Da giornalista e autore sono stato censurato diverse volte e da direttore ho a mia volta censurato. È inevitabile”.

Gialli e blu Dal 2019 la popolazione di Hong Kong si è divisa in gialli e blu, una separazione che si è gradualmente estesa a tutti i settori. Celebrità, registi, ristoranti, canali tv, aziende di moda si sono schierati, a prescindere dal fatto che fossero più o meno attivi politicamente. Questa presa di posizione è diventata un tratto identitario e, oltre a rovinare le relazioni familiari e quelle affettive, ha investito i giornali, il modo in cui sono letti e i contenuti che offrono, anche i più leggeri. K. ricorda che nel 2019 questa divisione toccava ogni aspetto della sua vita e che, nel settore delle pubbliche relazioni, era quasi vietato parlare di politica. La polarizzazione era ancora più evidente sul web. L. è un giornalista che lavorava per quotidiani e supplementi culturali prima di diventare autore di contenuti video. Accorgendosi che la libertà d’espressione per i giornalisti si stava drammaticamente restringendo, insieme a dei colleghi ha deciso di specializzarsi in ambiti più leggeri come la cucina e la moda. Per avere una linea riconoscibile, avevano deciso di non recensire ristoranti o negozi “blu”. “Prima di cominciare un video, facevamo ricerche sui social network e intervistavamo i vicini: se si trattava di un esercizio commerciale che simpatizzava per i blu, non l’avremmo coperto”. Ma anche così bisognava stare attenti. I video rendono visibili molti dettagli che possono sfuggire all’intervistatore. Anche un piccolo adesivo poteva scatenare l’odio in rete. Chen Jing ha lavorato come redattrice culturale per cinque anni, prima di diventare una freelance. L’ultima testata per cui ha lavorato a tempo pieno era una rivista. La legge sulla sicurezza nazionale non era ancora entrata in vigore, ma gli arresti erano più frequenti. Una delle interviste che ricorda con più piacere è quella a Dalu Lin Kok-cheung, ex direttore creativo che avrebbe vinto le elezioni distrettuali del 2019 grazie anche a una

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campagna molto all’avanguardia. All’epoca Chen Jing credeva che non fosse rischioso chiedergli cosa pensava della comunità di quel distretto. Poi, racconta, “ci ho ripensato: e se gli fosse successo qualcosa?”. Negli ultimi anni gli intellettuali, i parlamentari, gli analisti politici e i leader delle liste civiche che parlavano più spesso con la stampa sono stati arrestati o si sono trasferiti in altri paesi. “Oggi a Hong Kong non ci sono più molti esperti da intervistare su uno specifico tema”, si lamenta Y., un giornalista. “Quelli con cui ho lavorato in passato se ne sono andati, specialmente chi si occupava di politica e società civile. Il tessuto sociale è cambiato”. Secondo S., ex redattore di una rivista culturale, la libertà di stampa a Hong Kong ha raggiunto il suo punto più basso. Negli ultimi anni è cresciuto l’uso di pseudonimi, mentre sono sempre meno le persone disposte a farsi fotografare. Il fenomeno è talmente vasto , racconta Y., che “gli art director hanno creato soluzioni per aggirare il problema, come coprire i volti con maschere tribali. Alla fine alcuni servizi sono forse più interessanti e potenti”. Chen Jing è convinta che negli ultimi due o tre anni il suo lavoro sia diventato più stimolante e creativo: “Non mi aspetto più un’opinione sulla politica, ma chiedo sempre ai miei interlocutori quali valori si sono persi. Qualsiasi osservazione sui temi sociali è interessante”. Quando le chiediamo cosa cercano i lettori delle riviste culturali risponde senza tentennare: “Coraggio”. Ma precisa: “Non bastano parole coraggiose, serve che l’intervistato sia coraggioso. E anche l’intervistatore. Un insieme di fattori che non è facile mettere

Da sapere La legge bavaglio ◆ Nel marzo 2019 centinaia di migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro una norma che avrebbe permesso l’estradizione verso la Cina continentale delle persone ricercate dalle autorità di Pechino. Le proteste durarono mesi e a settembre la governatrice Carrie Lam ritirò la norma senza però rispondere alle altre richieste dei manifestanti. Le manifestazioni continuarono fino all’arrivo della pandemia. Nel maggio 2020 la tensione è salita di nuovo quando Pechino ha deciso d’imporre a Hong Kong la legge sulla sicurezza nazionale, che introduce i reati di sovversione, sedizione, terrorismo e collusione con organizzazioni straniere. Bbc

insieme”. Anche S. ammira i giornalisti che cercano di rimanere in prima linea e trovano gli spazi per parlare di quel che ritengono interessante: “Si vede la loro etica dagli articoli che scrivono”. Anche se ci sono redattori giovani che resistono come Chen Jing, l’intero settore sta andando incontro a cambiamenti strutturali. “Meno persone sono disposte a intraprendere la professione”, dice il presidente dell’associazione dei giornalisti di Hong Kong, Chen Langsheng. Nel 2019 gli iscritti erano novecento, il numero più alto nella storia dell’associazione. All’inizio del 2023 erano meno della metà, di cui solo duecento ufficialmente iscritti. Si è creato così un gap generazionale: secondo S. con meno giornalisti esperti nelle redazioni culturali diventa difficile anche formare quelli alle prime armi.

Senza voce in capitolo Nonostante tutto, il gruppo editoriale per cui lavora Y. cerca ancora nuove leve da assumere. In una società in cui i diritti vengono cancellati, afferma, il problema più grande è che i più giovani si ritrovano senza voce in capitolo. “Puoi frequentare l’università, ma non fondare un’associazione studentesca; puoi vivere la tua vita, ma il tuo diritto di voto e di dissenso sono limitati al punto che dubiti di avere ancora qualche peso. È per questo che i giovani si sentono impotenti e soffrono di depressione”. Hongyan una volta ha confessato: “Non scrivere è già diventata la regola base. L’assurdità è che c’è sempre qualcosa su cui fare un articolo, ma c’è anche sempre un motivo per non scriverlo”. Negli ultimi anni Hongyan è entrato in contatto con un gruppo di artisti della Cina continentale. “Hanno tante idee molto più potenti di quelle degli artisti di Hong Kong. Ma appena si tocca la politica, perdono la voce. Sono liberi, entusiasti e pieni d’iniziativa, a parte quando il discorso vira sul politico. Nella Repubblica popolare questo vale anche per le riviste letterarie e culturali”. Hongyan è pessimista: “Questo non è il futuro di Hong Kong, sta già succedendo”. “Tra partire e restare, abbiamo scelto di creare”, ha scritto Y. sul suo profilo social. “Siamo in un tempo sospeso. Non sappiamo come sarà la città tra sei mesi, né dove saremo il mese prossimo. È una follia”. Eppure ci sono ancora persone che continuano a lavorare nei mezzi d’informazione e a raccontare Hong Kong. “Se ancora esistiamo, abbiamo il dovere di farlo”. ◆ cag

«Siamo appassionati di outdoor e montagna impegnati ad onorare, rispettare e proteggere le persone e l’ambiente.» dal Manifesto Montura

Searching for a new way Nepal

Rarahil Memorial School Una scuola a Kirtipur, in Nepal, che garantisce istruzione a più di mille bambini e ragazzi. Un progetto ideato da Fausto De Stefani e promosso da Fondazione Senza Frontiere Onlus.

montura.com

Portfolio

Occasioni d’amore Per cinque anni Mel McVeigh ha fotografato gli uomini conosciuti attraverso un’app di incontri online. Ora ne ha fatto un libro, in cui riflette su questa esperienza urante un corso di fotografia che si svolgeva in una zona remota della Francia, la fotografa britannica Mel McVeigh non riusciva a trovare persone da ritrarre. Così la sua insegnante le aveva suggerito di cercarle usando Tinder, un’app per incontri online. Da allora, per cinque anni, McVeigh ha usato spesso l’app, sia per conoscere uomini con cui uscire sia per trovare nuovi soggetti per le sue immagini. Sul suo profilo aveva scritto la domanda “Posso farti un ritratto?” e incontrava solo chi le rispondeva sì, scegliendo le persone che suscitavano realmente il suo interesse. La priorità per lei era la connessione, il ritratto arrivava dopo. “La fiducia era tutto.Non sapevano come li avrei fotografati né se fossi una truffa. E io dovevo avventurarmi nelle case di sconosciuti, perciò mettevo subito in chiaro le mie intenzioni”. La maggior parte delle foto le ha scattate in circa trenta minuti, subito dopo le presentazioni e qualche chiacchiera al telefono nei giorni precedenti. Con alcuni è uscita una o due volte, altri non li ha fotografati pur avendoli incontrati. “All’inizio l’idea era di concludere il progetto quando mi fossi innamorata. Ma non è successo”. Ognuno di questi uomini aveva un motivo per accettare la proposta di McVeigh: alcuni erano curiosi, altri non erano mai stati fotografati da una professionista, per altri ancora era un modo per conoscere qualcuno. “Ma sia per loro sia per me c’era anche la possibilità di trovare l’amore”, dice McVeigh. A chance of love (Possibilità d’amore) è il titolo scelto per il libro che ha autopubblicato nel 2022, in cui ha raccolto alcuni di questi ritratti. “Mi sono chiesta se fosse giusto affidare

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Accanto: schermate dell’app Tinder

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alla tecnologia scelte così significative per noi esseri umani”, spiega l’artista. “Siccome parliamo sempre più spesso d’intelligenza artificiale, mi sembrava opportuno riflettere sul fatto che queste app lavorano su semplici calcoli matematici. Se ti piace un tipo di persona ti propongono solo quello. Ma così si perde la bellezza del caso. Ecco perché ho provato a sfidare l’algoritmo per vedere che tipi di persona mi avrebbe proposto”. Il libro è stato realizzato in collaborazione con alcuni degli uomini ritratti: uno ha contribuito alla stesura finale e un altro ha scritto una poesia. Anche McVeigh ha composto dei versi ispirati ai suoi appuntamenti. Oltre ai ritratti ha scelto di inserire le foto di alcune delle conversazioni avute su Tinder e WhatsApp. “Contengono quello che ci siamo scritti: le banalità, la pianificazione dell’incontro e delle foto, il sexting”, racconta McVeigh.◆

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Viaggi

Montagne minori Tre giorni di trekking in solitaria per scoprire la natura e i castelli del Liechtenstein, il paese incastonato tra le Alpi a prima cosa che ho scoperto una volta arrivato in Liecht enstein, il piccolo principato stretto tra la Svizzera e l’Austria, è che ne avevo sempre pronunciato male il nome. Anche se è il tedesco la lingua ufficiale, il ch della parola Liechtenstein non corrisponde al suono duro e germanico simile a una k, e nemmeno a quello svizzero, molto più vellutato, di chalet, che ho avuto l’opportunità di ascoltare all’aeroporto di Zurigo. È un suono più complesso, simile allo stridore aspirato della parola ebraica chutzpah: Lihhtenshtain. La seconda cosa che ho scoperto è che la crema solare che avevo portato per la mia escursione di tre giorni nel Liechtenstein Trail – un percorso di 75 chilometri che attraversa tutte gli undici comuni dello stato, dal confine svizzero a sudovest fino a quello austriaco, a nordest – sarebbe stata inutile. Le previsioni, infatti, annunciavano pioggia. Molta pioggia. Ogni giorno. Alla vigilia della partenza dalla

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Obere Burg Schaanwald Nendeln

AUSTRIA

Planken

LIECHTENSTEIN Vaduz

SVIZZERA

Triesenberg Triesen no Re Balzers

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capitale Vaduz ho incontrato un gruppo di escursionisti di Filadelfia, negli Stati Uniti. Erano esausti. Mi hanno raccontato che le condizioni meteorologiche avevano reso il percorso molto più difficile del previsto e mi hanno messo in guardia sui pericoli delle discese nel fango. Ma nel mio primo giorno di cammino le discese non sarebbero state certo un problema: gli undici chilometri iniziali del percorso, che comincia appena fuori il centro di Balzers, sono infatti piuttosto pianeggianti. Quando mi sono caricato in spalla lo zaino e mi sono messo a camminare sotto una pioggerella sottile ero sicuro che sarei stato all’altezza della sfida. Certo, ho 53 anni e da decenni non partecipavo a un’escursione più lunga di cinque o sei chilometri. Inoltre, nella fitta nebbia, riuscivo a malapena a scorgere il luogo dove avrei trascorso la notte: il villaggio di Triesenberg, situato circa cinquecento metri più in alto, in cima a quella che mi sembrava una parete verticale. Ma non avevo nessuna intenzione di permettere a un po’ di pioggia di rovinare un’avventura che sognavo da anni. Soprattutto, dovevo considerare il fatto che la mia valigia era già a Triesenberg. In un modo o nell’altro avrei dovuto domare quel pendio.

Un’altra avventura Il mio amore per i viaggi in solitaria non ebbe un inizio incoraggiante. A diciannove anni avevo avuto la fortuna di fare una vacanza-studio a Parigi. La prima sera, a causa di un errore di prenotazione, ero finito in un alberghetto economico dalle parti della Rive Gauche. Anche se ero entusiasta per il mio primo viaggio in Europa, quella notte piansi fino ad addormentarmi. Non avevo nostalgia di casa né mi sentivo solo. Era una sorta di solitudine esistenziale, l’improvvisa consapevolezza di quanto fosse grande il mondo e piccolo il posto che io occupavo.

THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO

Andrew Altschul, Afar, Stati Uniti Foto di Laetitia Vancon

Il castello di Vaduz, Liechtenstein, 25 maggio 2021 Passai gli anni tra i venti e i trenta viaggiando in posti che nessuno dei miei conoscenti aveva mai visitato, usando i miei miseri risparmi per “imprese” solitarie in Belize, Messico, India, Nepal, Bolivia. A 28 anni misi in vendita tutto quello che possedevo e mi trasferii a Cuzco, in Perù, dove avrei vissuto per gran parte dei due anni successivi. In quel periodo imparai a gestire, e perfino ad apprezzare, lo shock iniziale prodotto dalla lontananza, la sensazione di fluttuare nello spazio, scollegato da tutte le cose e le persone che conoscevo. Ma imparai anche ad apprezzare la fatica di orientarmi e la soddisfazione di capire come muovermi in luoghi sconosciuti, fino al momento in cui mi svegliavo e non mi sentivo più smarrito. Quando tornai negli Stati Uniti ero sicuro che in tutto il pianeta non esistesse

posto che non potessi visitare da solo. Ma dopo i trent’anni ottenni il primo lavoro a tempo pieno come professore, e dopo i quaranta arrivò il matrimonio, con i figli e la casa di proprietà. I giorni in cui potevo mollare tutto e salire su un aereo mi sembravano persi per sempre. Per questo, quando ho scoperto l’esistenza del Liechtenstein Trail, inaugurato nel 2019, ho cominciato a sviluppare una specie di ossessione. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di irreale nel Liechtenstein, il sesto paese più piccolo del mondo, con una superficie di appena 160 chilometri quadrati e 39mila abitanti, più o meno il numero di studenti dell’università in cui insegno, in Colorado. Era una specie di Brigadoon, il villaggio immaginario del vecchio film di Vincente Minnelli. Mi vedevo mentre salivo su un autobus svizzero al confine, attraversavo passi montani innevati e bevevo schnapps in compagnia di liechtensteiniani alti e con i capelli rossastri. Il pro-

blema era che il protagonista di quei vaneggiamenti aveva vent’anni in meno di quelli che ho io nella realtà. Ce l’avrei fatta?

Lungo il sentiero Balzers è sulla riva del Reno, di fronte alla città svizzera di Sargans. Il monumento principale è il castello di Gutenberg. Costruito nel tredicesimo secolo, svetta come un bastione bianco su una rocca alta una settantina di metri. Nelle giornate di bel tempo è visibile anche da Vaduz, otto chilometri più a nord. Dall’inizio del sentiero ho camminato di buon passo lungo il confine svizzero, fermandomi di tanto in tanto per controllare il percorso su LIstory, un’applicazione creata per accompagnare gli escursionisti, che illustra i 147 “punti d’interesse” lungo la rotta: una sorta di storia dell’Europa centrale dal medioevo a oggi. In meno di un’ora ho raggiunto il castello di Gutenberg, dove mi sono fermato per ri-

posare all’interno del cortile, circondato da montagne che salivano fino a bucare le nuvole più basse. Il castello, che è appartenuto agli Asburgo per secoli, prima di cadere in rovina nel settecento, può essere visitato solo su appuntamento. Ho pensato che non fosse un problema, perché LIstory prometteva un tour virtuale delle sale interne. Quello che l’app non poteva garantire, però, era un segnale telefonico affidabile, e LIstory “sblocca” un punto d’interesse solo se il telefono è lì vicino e prende. Per dieci, frustranti minuti mi sono aggirato intorno al castello, salendo in piedi sulle panchine e agitando il mio smartphone verso il cielo, nel vano tentativo di connettermi. Quando una nuova scarica di pioggia mi ha sorpreso, ho deciso di lasciar perdere. Ho ingurgitato una barretta energetica e mi sono avviato per la mia strada. Il resto della mattinata è stato più un piacevole vagabondaggio che una vera escursione. L’aria fredda mi ha spinto oltre un mulino del nono secolo e fino a un santuario dedicato alle centinaia di donne accusate di stregoneria e giustiziate nel seicento. Mi sono fermato per pranzare tra i fiori di campo della riserva naturale di Matilaberg, aspettandomi che da un momento all’altro Julie Andrews scendesse piroettando dalle colline. Fino a quel momento avevo mantenuto un buon ritmo, ma sentivo incombere la salita. Avvolta da nuvole scure, Triesenberg non si vedeva più. Più mi allontanavo dal fiume e più l’area circostante mi sembrava remota. Dopo un po’ ho incrociato un anziano equipaggiato con bastoncini da escursione che procedeva in direzione opposta. Mi ha salutato in tedesco. Era il primo incontro che facevo da quando ero sceso dall’autobus proveniente da Vaduz, la mattina presto. Secondo l’app sarei dovuto salire per circa due ore. Ma in realtà l’app non aveva idea di dove fossi. Così, con le migliori intenzioni, mi sono messo in marcia nel punto in cui si trova la cappella di San Mamertus, una piccola e austera chiesa con affreschi del trecento e del quattrocento. La vera pioggia è arrivata dieci minuti dopo. La strada lastricata e i piccoli vigneti hanno subito lasciato il posto a ripidi pascoli. Improvvisamente sotto di me si trovava la valle del Reno, di un verde invitante sotto quel cielo di nuvole nere. Mi sono fermato per indossare un impermeabile leggero e mi sono catapultato verso la foresta pregando che le gambe e i polInternazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Viaggi moni mi portassero fino alla fine del percorso, fangoso e sempre più stretto. Le grosse radici degli alberi offrivano un appiglio fondamentale per i piedi. Dopo quaranta faticosi minuti sono uscito dal bosco e mi sono trovato davanti una decina di lama perplessi. Erano di alcuni allevatori locali che offrivano escursioni e pasti a base di fonduta. A quel punto ero bagnato fradicio e tremavo dal freddo, ma secondo l’applicazione – che m’indicava con un puntino rosso che continuava a lampeggiare vivacemente – ero ad appena un chilometro e mezzo dalla meta. Poco prima delle cinque del pomeriggio ho finalmente raggiunto Triesenberg, un paese di 2.600 persone. Dopo aver indossato rapidamente dei vestiti asciutti, ho cenato in una terrazza coperta, osservando il tramonto sulla valle bagnata dalla pioggia. Poi mi sono disteso sul piccolo letto della mia stanza d’albergo congratulandomi con me stesso per aver completato la prima giornata. Ho controllato le previsioni del tempo: altra pioggia in arrivo. Triesenberg era completamente silenzioso. Mentre mi assopivo, ho pensato che in tutto il mondo solo pochissime persone sapevano dove mi trovassi. Ero da solo in uno dei luoghi più remoti che avessi mai visto. E mi piaceva.

Per pochi fortunati “Il Liechtenstein non è, e probabilmente non lo sarà mai, un paese adatto al turismo di massa. E comunque un gran traffico di persone lungo il Trail non avrebbe senso”, mi ha spiegato Nicole Thöny, dirigente della Liechtenstein Marketing, l’agenzia che ha progettato il Liechtenstein Trail. Nel 2017 – in vista dei trecento anni del principato, che si sono celebrati nel 2019 – la sua azienda ha tracciato un percorso che avrebbe collegato alcuni segmenti di una rete di sentieri lunga complessivamente 400 chilometri. L’obiettivo era mostrare la bellezza e la cultura del paese. Il piano originario prevedeva una distanza di 42 chilometri, pari a quella della maratona, ma i funzionari comunali e gli storici locali avevano altri progetti. “‘Il percorso deve assolutamente toccare questa chiesa, e anche questa collina, e poi quell’altro luogo…’, dicevano. Così si è allungato fino a 75 chilometri”, mi ha spiegato Thöny. Quando è scoppiata la pandemia, l’iniziativa, che era stata ideata per attirare i turisti, si è rivelata in qualche modo lungimirante. All’epoca il percorso era aper-

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Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

to da meno di un anno, e per la gente del Liechtenstein (ma anche per gli svizzeri e i tedeschi) era una delle poche opportunità di svago, e consentiva agli alberghi e ai ristoranti di continuare a lavorare. Poi, dall’estate del 2020, il turismo ha ricominciato a crescere. Come ci ha spiegato Martin Knöpfler, a capo della squadra che ha progettato il percorso, oggi i turisti sono il 30 per cento in più rispetto al periodo precedente all’apertura del Trail. Considerato che l’accesso è gratuito e non richiede una registrazione, non si può sapere quante persone abbiano percorso i sentieri (Liechtenstein Marketing vende pacchetti che includono soggiorni in albergo, pasti e trasferimenti di bagagli, ma i suoi clienti sono solo una piccola parte delle persone che fanno il trekking). Nel centro per il turismo di Vaduz

Il Liechtenstein non è, e probabilmente non sarà mai, un paese per il turismo di massa c’è un libro che gli escursionisti possono firmare. I nomi dei miei amici di Filadelfia occupavano le caselle dalla 259 alla 262, un numero irrisorio considerato che il percorso esiste da quattro anni. Alle sei del mattino le campane di Triesenberg hanno cominciato a suonare all’impazzata. I rintocchi non sono stati sei, e nemmeno sessanta, ma una raffica durata almeno dieci minuti. Disorientato ed esausto, mi sono avvicinato alla finestra e ho osservato un panorama che somigliava a una zuppa di patate, da cui emergeva solo il profilo del campanile. Mi sono chiesto se il mondo stesse per finire. Qualche ora dopo sono uscito dal villaggio attraversando banchi di nebbia fitta e un silenzio rotto solo dai sonagli a vento e dai campanacci delle capre. Triesenberg è stata fondata nel trecento da coloni del popolo walser, la cui presenza è ancora percepibile nel bosco, dove sculture in legno a grandezza naturale si annidano tra gli alberi e capanne abbandonate popolano i prati isolati. La pioggia non cadeva: sembrava colare. Attraverso gli alberi potevo cogliere qualche scorcio della vallata, mentre la nebbia si sfilacciava come zucchero filato. A metà mattina mi sono fermato per esplorare le rovine del Wildschloss, una

fortezza del dodicesimo secolo affacciata sulla vallata. Poi ho proseguito la discesa fino al castello di Vaduz e alla capitale. Anche se la costruzione del castello risale al duecento, gli esponenti del casato di Liechtenstein lo trasformarono nella loro dimora solo a metà del novecento, dopo che l’annessione dell’Austria alla Germania nazista li aveva costretti ad abbandonare la storica residenza di Vienna. Il castello è situato a metà di un pendìo ai margini dell’abitato. Si vide da Vaduz, ma è difficile da raggiungere ed è chiuso al pubblico. I visitatori possono ammirarlo attraverso un altro tour virtuale su LIstory, oppure aspettare il 15 agosto, la giornata nazionale del Liechtenstein, in cui il principe Giovanni Adamo II invita la popolazione nel roseto reale. Più a valle, buona parte del circuito che attraversa Vaduz è dedicata al principe e alla sua famiglia. In città è possibile visitare un museo che ospita molte opere della collezione della corona; la cattedrale di San Florino, con una cripta in cui sono sepolti diversi reali; e il Vigneto del principe, che comprende dieci acri di vitigni di pinot nero e chardonnay, un ristorante di lusso e una sala per le degustazioni. Prima d’intraprendere il Trail, avevo trascorso tre giorni a Vaduz. Così, scendendo dal castello, ho provato un certo orgoglio: conoscevo la città, ne avevo percorso le strade, avevo usato i suoi trasporti pubblici e visitato le sue bellezze. Non ero più un turista. Ich bin ein Liechtensteiner! Ma avevo ancora tredici chilometri da percorrere, così mi sono incamminato di buona lena per le austere strade della città, superando antichi fienili e case con facciate stuccate e persiane verdi coperte di edera. Poi sono tornato a immergermi nel bosco. A metà pomeriggio il sole ha fatto finalmente capolino. Il sentiero aveva ripreso a inerpicarsi lungo una salita di trecento metri fino al villaggio di Planken. A un certo punto l’applicazione ha di nuovo perso il collegamento, e dopo un paio d’incroci non segnalati ero completamente smarrito, in una strada sterrata che ho percorso per mezz’ora prima di decidere di tornare indietro. La vivacità con cui avevo coperto i primi trentacinque chilometri stava svanendo. Ero impaziente di arrivare a Nendeln, dove avrei trascorso la notte. Ho superato, senza fermarmi, il sito dove nel 1939 alcuni simpatizzanti della Germania nazista organizzarono un tentativo di golpe, un cri-

THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO

Liechtenstein, 25 maggio 2021

nale in cui gli svizzeri tesero un’imboscata alle truppe asburgiche nel 1499 e un convento costruito dalle Suore adoratrici del sangue di Cristo. Secondo l’app, per raggiungere Nendeln avrei dovuto camminare per circa tre chilometri. Ero abbastanza vicino da poter fantasticare sulla birra che mi aspettava in albergo. È a Planken che ho visto i panorami più spettacolari. Il cielo era di un blu sottile e lattiginoso, mentre la vallata, con i suoi campi verdi e immacolati, correva verso il fiume e le alpi svizzere, sul versante opposto. La pioggia aveva trasformato i sentieri in fiumi di fango, spostando le rocce che permettevano agli escursionisti di attraversare i torrenti. In alcuni punti in cui il pendio era particolarmente ripido c’erano corde fissate agli alberi per fornire un’appiglio, ma spesso con i piedi non riuscivo ad aderire a terra, così mi ritrovavo a roteare le braccia in cerca della corda mentre scivolavo pericolosamente a valle. A 23 anni avrei trovato l’esperienza esaltante, avrei riso di gusto sprofondando fino al ginocchio in un torrente e sarei stato orgoglioso di arrivare a Nendeln, un’ora e mezzo dopo, con i vestiti coperti di fango. Ma a 53 anni ero semplicemente felice di aver completato la discesa senza farmi male e sognavo la doccia calda che mi aspettava in albergo. E poi c’era la birra. Due anni fa, vista la crescente popolarità delle biciclette elettriche, Knöpfler e la sua squadra hanno cominciato a progettare una pista ciclabile, per cui servi-

vano una nuova segnaletica e una nuova versione dell’app. La linea rende il percorso accessibile ai turisti anziani o meno in forma, ma anche a chi non ha molto tempo. “Però sono convinto che vivrai un’esperienza più profonda andando a piedi”, mi ha detto Knöpfler. Tuttavia, con più di 32 chilometri ancora da percorrere, ero sicuro che non sarei riuscito ad arrivare in tempo. Così l’ultima mattina ho affittato una bici elettrica nel villaggio di Eschen e ho pedalato. Il cielo era ancora scuro, ma l’aria cominciava a riscaldarmi. Ho superato le colline di Güediga, dove nel medioevo i conti di Vaduz allestivano le forche per le condanne a morte, con inebriante facilità. Nei primi due giorni di cammino avevo trovato un mio ritmo e ora – mentre sfrecciavo attraverso i villaggi di Bendern e Ruggell, le paludi di torba e l’erba scura del Ruggeller Riet – provavo già nostalgia delle lente passeggiate nei boschi, che mi davano la possibilità di osservare tutto con calma e di riflettere. Ho capito che dovevo rallentare e fermarmi spesso per assorbire quello che vedevo.

Fino alla fine A causa dell’assenza di pendii, la gente del Liechtenstein chiama Unterland (pianura) il nord del paese. In ampi tratti del percorso lungo la riva del Reno e la collina di Schellenberg il terreno è agevole, così ho deciso di ridurre la velocità per godermi la brezza e il profumo dei fiori. Ma quando è cominciata la lunga salita

verso l’Obere Burg (il Castello superiore), quattro chilometri di strada con un dislivello di trecento metri, ho inserito la modalità turbo, completando in venti minuti un percorso che avrebbe richiesto novanta minuti di camminata. L’Obere Burg, costruito nel duecento dai signori di Schellenberg, è il pezzo forte dell’ultima parte del percorso: una fortezza in rovina sulla cima rocciosa di una collina, con vista sulla valle e sull’Austria. Il monumento è facilmente raggiungibile in auto, per questo ho trovato una famiglia che faceva un picnic e un gruppo di turisti che vagavano all’interno delle mura facendosi dei selfie. Erano più persone di quelle che avevo visto nei tre giorni precedenti. Abituato alla solitudine, ho avuto la tentazione di abbandonarmi al fastidio, ma il tempo era diventato incantevole. Mentre uno strato di nuvole aleggiava sulla vallata, mi sono seduto su un muro vecchio di otto secoli, ho sgranocchiato l’ultima barretta energetica e ho chiuso l’app. Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite, il Liechtenstein è uno dei paesi meno visitati al mondo. Nemmeno ottantamila turisti all’anno. Io ero uno di loro. Avevo attraversato tutto il suo territorio, da sud a nord, fermandomi in 147 punti d’interesse (forse quasi tutti…) e sfidando la pioggia, il fango e le bizze dell’app LIstory fino a raggiungere quella fortezza medievale nel cuore nascosto dell’Europa. Ero felice che il percorso non fosse stato troppo comodo, perché gli imprevisti mi avevano costretto ad affidarmi all’istinto, a commettere errori e a ritrovare le abitudini che avevo a vent’anni, quando non esistevano gli smartphone e il gps. Avevo dimostrato qualcosa a me stesso. E anche se non vedevo l’ora di tornare a casa e dalla mia famiglia, una parte di me era ansiosa di andare alla ricerca di un’altra avventura. La giornata stava per finire. L’ultima nebbia abbandonava il pendio. Mi restava da compiere la discesa finale, gli ultimi otto chilometri. Quando si è alzato il vento e il sole è scivolato dietro una nuvola, sono salito in sella alla bici e mi sono avviato verso Lauren, e da lì fino a Schaanwald, il solitario valico di frontiera dove finisce il percorso. E anche il Liechtenstein. ◆ as Andrew Altschul è uno scrittore statunitense. Il suo ultimo romanzo è The Gringa (New York 2020). Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Ritratti

David Popovici Stile più libero Christof Gertsch, Das Magazin, Svizzera. Foto di Matei Buta È romeno e ha solo diciannove anni, ma è considerato la nuova stella del nuoto maschile. Ha stabilito il record mondiale sui cento metri stile libero. Merito anche di un allenatore che ha creduto in lui avid Popovici, il nuotatore più veloce del mondo, entra nel circolo sportivo Dinamo Bucarest quando non sono neanche le sette del mattino. Lascia una borraccia sul bordo della vasca e dispone i pochi oggetti che userà: pinne e tavoletta. Saluta l’allenatore e tira fuori dalla borsa un paio di occhialetti. Fa qualche saltello e un po’ di stretching. Niente di speciale. Ma poi si tuffa in acqua e tutto sembra avere un senso. È quello il suo posto, tra le corsie. Gli esseri umani non sono nati per nuotare, ma per correre. In genere quando vediamo qualcuno nuotare, perfino chi è bravo, percepiamo la sua fatica. Non è così per David Popovici, che oltre a essere veloce è anche leggero. Ed è il migliore sia per i risultati sia sul piano estetico. Ha diciannove anni, frequenta l’università a Bucarest, la capitale della Romania, e nel tempo libero guarda film, legge testi di filosofia antica e ascolta musica con la fidanzata. È un essere acquatico, afferma il padre, Mihai. “Quando corre è come se avesse due piedi sinistri”, dice l’allenatore, Adrian Rădulescu. “Mi creda, non vorrebbe vederlo fare jogging”. Nell’estate del 2022, non ancora maggiorenne, Popovici ha battuto il record

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mondiale nei cento metri stile libero. Ha una struttura fisica diversa rispetto ai campioni del passato. Prima di lui, i cento metri stile libero erano dominati da atleti muscolosi che pesavano tra i novanta e i cento chili e passavano un sacco di tempo in sala pesi. Popovici, invece, pesa solo ottanta chili per un’altezza di un metro e 91. Quando si allena non punta solo ad aumentare la massa muscolare. Allena i muscoli in modo che non interferiscano con il suo stile di nuoto. Si è visto ai campionati europei di nuoto di Roma del 2022, prima dell’inizio della gara, quando gli otto finalisti si sono allineati a torso nudo dietro i blocchi di partenza. Tutti si riscaldavano come dei velocisti di atletica leggera. Tutti tranne Popovici. Quali muscoli avrebbe dovuto flettere? Era lì fermo che osservava la piscina, scrutando gli avversari. E gli altri atleti lo studiavano a loro volta. Dopotutto, la sua reputazione l’aveva preceduto. Si parlava di lui come di un fenomeno. Eppure, sembravano chiedersi, possibile che tutti questi muscoli siano inutili contro di lui? Nel giugno 2022 i campionati mondiali in Ungheria, a luglio gli europei juniores in Romania, ad agosto gli europei di Roma, a

Biografia ◆ 2004 Nasce a Bucarest, in Romania. ◆ 2008 Comincia a nuotare nella piscina Lia Manoliu su consiglio di un pediatra, per correggere la scoliosi. ◆ 2013 Comincia ad allenarsi con l’attuale preparatore atletico, Adrian Rădulescu. ◆ 2018 Diventa il giovane under 15 più veloce nella storia del Festival olimpico della gioventù europea. ◆ 2022 Stabilisce il record mondiale sui cento metri stile libero agli europei di nuoto di Roma con un tempo di 46 secondi e 86 centesimi.

settembre i mondiali juniores in Perù: è stata una lunga estate di competizioni. Ed è stata la stagione in cui Popovici (la i in fondo non si pronuncia) ha reinventato il nuoto. Non tanto andando più veloce di tutti. Ma nuotando in modo diverso. Come, esattamente? La domanda ci riporta alla primavera del 2023 a Bucarest, dove Popovici vive con i genitori, Mihai e Georgeta. In genere si allena nella piscina Lia Manoliu, nell’est della città, un edificio degli anni ottanta che mostra i segni del tempo. È una piscina all’aperto che in inverno viene coperta da un tendone a cupola. Il pavimento di mattoni è crepato, le docce sono difettose. “Sono cresciuto qui”, dice Popovici. “È vicino a casa”, aggiunge la madre Georgeta. “L’aria non è pesante come nelle piscine al chiuso”, afferma il padre, “e poi si sentono gli uccellini dal parco che la circonda”.

Il turno mattutino Come tutti i giorni, tranne la domenica, Popovici si alza alle 4.30 del mattino. O meglio: alle 4.30 suo padre gli porta la colazione a letto. Il ragazzo avvicina a sé il vassoio ancora mezzo addormentato, poi si sdraia di nuovo. Ci sono uno yogurt con frutti rossi, nocciole, mandorle, banane e miele. Miahi e Georgeta Popovici lo chiamano il “turno mattutino”. Si danno il cambio nel preparare la colazione. Gli atleti e le atlete eccezionali hanno spesso genitori che erano a loro volta sportivi. Ma non è il caso dei Popovici. Mihai non sa nuotare. Georgeta ha studiato psicologia e lavorava con bambini affetti da disturbi dello sviluppo. Il marito, invece, è un dipendente di una ditta farmaceutica. Hanno adattato la loro vita alle esigenze

David Popovici a Bucarest, 24 maggio 2022

strato i limiti della mia conoscenza”. Uno dei segreti di una relazione di successo tra insegnante e studente o tra allenatore e atleta è che non deve basarsi sul divario gerarchico, ma anzi può, e forse deve, contemplare la reciprocità. “In quanto allenatore, ti aspetti che i nuotatori facciano da subito quello che gli dici. Ma non è per forza un bene. A volte è meglio ascoltare i tuoi atleti, adattarti a loro per renderli migliori”.

Quanto basta

del figlio. David aveva nove anni quando si sono accorti, come dicono loro, che si divertiva in piscina. Presumibilmente hanno notato anche qualcos’altro: che aveva un talento straordinario. Georgeta ha lasciato il lavoro per fare in modo che David trovasse il pranzo pronto quando finiva gli allenamenti e per aiutarlo con i compiti. E anche Mihai, dal 2022, ha un nuovo ruolo: fa il manager di David ed è il responsabile della squadra giovanile della piscina. “Dormo quattro, forse cinque ore a notte”, dice. Dieci anni fa era diverso. Popovici faceva parte della migliore squadra di nuoto del paese. Ma aveva la testa altrove. Gli allenatori, innervositi, a un certo punto

avevano consigliato al padre di provare con un altro preparatore, indicandogliene uno che si occupava dei principianti: Adrian Rădulescu. All’epoca Rădulescu aveva 25 anni e aveva appena terminato gli studi in scienze motorie. Era considerato un nerd, uno che di notte leggeva libri sullo sport e guardava video su YouTube. Il fatto che Rădulescu e Popovici lavorino ancora insieme è tanto sorprendente quanto i risultati del ragazzo. La maggior parte dei nuotatori passa da un allenatore all’altro. Ma Rădulescu e Popovici sono saliti alla ribalta insieme. Tutto quello che Popovici sa sul nuoto l’ha imparato da Rădulescu. E l’allenatore afferma: “David mi ha mo-

Quando Rădulescu ha accolto il giovane Popovici nel suo gruppo ha subito capito perché con gli altri allenatori le cose non avevano funzionato: “David non è il tipo che esegue ciecamente un compito. Vuole sapere perché gli viene chiesto di fare qualcosa”. All’epoca nella piscina di Popovici c’era un gioco popolare: tutti gli allievi si mettevano in fila uno accanto all’altro sul bordo della piscina e cominciavano a nuotare insieme. L’ultimo ad arrivare dall’altro lato veniva eliminato. E così via, vasca dopo vasca. Popovici non era il più veloce del gruppo – era magro e più piccolo – ma a quel gioco vinceva sempre, raccontano. Mentre gli altri davano il massimo a ogni vasca per mostrare da subito quanto fossero bravi, e si stancavano, lui nuotava veloce quanto bastava per arrivare sempre penultimo e non essere mai eliminato. Non era pigro. Era intelligente. Era fuori dagli schemi. Una delle prime lezioni che impara un giovane nuotatore è che nello stile libero non deve mai prendere fiato da un lato solo, ma alternarli ogni tre o cinque bracciate. Sinistra, destra, ancora sinistra. Popovici invece respira sempre ogni due o quattro bracciate: sempre a destra. Inoltre la sua parte superiore del corpo oscilla su e giù in modo piuttosto asincrono. Esteticamente non è impeccabile e infatti, come racconta lui dal bordo della piscina di Bucarest, ai tempi spesso lo rimproveravano per questo. Ma c’è un ritmo nella sua asincronia. E dato che il suo corpo resta molto alto nell’acqua, anche perché lui ha una bracciata molto potente, l’impressione è quasi che galleggi sopra l’acqua. A volte il successo arriva perché accade l’imponderabile. Popovici, con il suo stile peculiare, ha incontrato Rădulescu, che era disposto a non snaturarlo perché considerava la sua originalità un grande vantaggio. In questa mattina della primavera 2023 a Bucarest Popovici sta per affrontare un allenamento impegnativo: i cento Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Ritratti metri per sedici volte consecutive, quasi alla massima potenza e con partenze ogni due minuti e mezzo che includono tra l’una e l’altra una pausa di circa novanta secondi. Non abbastanza per riprendersi del tutto. Un buon modo per imparare qualcosa di fondamentale su di sé: quanta fatica riesco a sopportare? So restare concentrato fino alla fine? È un esercizio pesante: la stagione invernale focalizzata sulla costanza, con nuotate di lunga distanza a bassa intensità, è finita; l’allenamento estivo per lo sprint (brevi distanze, alta intensità) deve ancora cominciare. Ora Popovici lavora sulla resistenza. Per un nuotatore specializzato nei cento metri è la qualità più importante, ma anche la più difficile da allenare. Ogni nuotatore rallenta verso la fine, ma chi ha una resistenza maggiore rallenta più lentamente.

Una lunga estate Mancano mesi alle Olimpiadi di Parigi del 2024, ma Popovici ha già la testa lì, sono il suo grande obiettivo. Sa che, se vuole vincere l’oro come ha fatto ai mondiali di Budapest l’anno scorso, deve affrontare questi allenamenti. Solo che gli esercizi non sono divertenti. Sono fatti di lavoro monotono e solitario. Dove trova la motivazione? Sorride: “Nel nuoto agonistico di alto livello, le competizioni che contano davvero sono due o tre all’anno. Il resto del tempo nuoti in una corsia fissando una linea nera. Non c’è altro da fare che accettare questa noia. È una parte difficile, ma a suo modo anche bella”. Arriviamo alla grande domanda: nuotare per lui è davvero così facile come sembra? Ride. “Ci sono momenti mentre nuoto in cui penso ‘ok, questa è casa mia’. Ma non mi riesce facile. Una delle cose a cui tengo di più è che possa sembrarlo”. Il tutto, altra cosa sorprendente, spiegato con perfetto accento britannico. Ci sono quattro stili di nuoto – farfalla, dorso, rana e stile libero – e diverse distanze, dai cinquanta ai 1.500 metri. Dire che il detentore del record mondiale sui cento metri stile libero David Popovici sia il nuotatore più veloce della storia non è del tutto esatto, dato che c’è anche il detentore del record sui cinquanta metri, la cui velocità, data la distanza più breve, è perfino maggiore. La gara più prestigiosa è però quella dei cento metri. Prima di tutto, i cinquanta metri sono una disciplina olimpica solo dal 1988, i cento metri già dal 1896. Inoltre, i cento metri sono più noti al pubblico dato il parallelo con la gara di atletica leggera che è al cuore delle Olim-

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piadi. A Roma, nell’estate del 2022, Popovici ha nuotato i cento metri in 46,86 secondi. Cosa rende David Popovici il nuotatore dei cento metri più veloce della storia, più veloce di tutti gli avversari muscolosi, più veloce del brasiliano César Cielo, che nel 2009 aveva stabilito il record mondiale precedente (46,91 secondi) in un’epoca in cui si poteva ancora nuotare con le tute intere (che riducevano l’attrito sull’acqua)? Non si può mai scoprire tutto di un campione sportivo, è impossibile carpire i suoi segreti. Ma se ne può sapere di più grazie a Dennis Born, uno studioso di scienza dell’allenamento dell’università elvetica dello sport di Magglingen, in Svizzera. Born ha visto tanti video di Popovici. Insieme a colleghe e colleghi ha analizzato lo sviluppo delle prestazioni del nuotatore e l’anno scorso ha pubblicato un articolo scientifico al riguardo. Da lui si possono imparare tre cose. La prima: un nuotatore muscoloso non ha necessariamente più forza di un altro meno muscoloso. Questo perché la forza è composta da due fattori: la grandezza del muscolo e la sua qualità. Si tratta dell’interazione neuromuscolare. “Guarda chi fa il salto in alto”, dice Born, “Nonostante la magrezza nelle gambe hanno grandissima forza. In parte è genetica, ma è anche una questione di allenamento. Si può diventare molto forti senza mettere su peso”. Riferito a Popovici, vuol dire: forse è molto più forte di quanto il suo aspetto suggerisca. La seconda: ci sono sport in cui è fondamentale la forza assoluta, per esempio il sollevamento pesi. Il nuoto non è uno di questi. Nel nuoto conta la forza relativa, cioè il rapporto tra la forza assoluta e il peso corporeo. “In acqua il peso non gioca lo stesso ruolo che ha sulla terra, perché è l’acqua a trasportarci. Tuttavia, nell’acqua un corpo muscoloso va naturalmente più

La resistenza nel nuoto è anche una questione di testa: più riesci a rimanere concentrato più mantieni il controllo sulla tecnica

a fondo di uno leggero ed esercita una maggiore resistenza”, spiega Born. Tradotto per Popovici: il suo corpo snello richiede meno forza per avanzare. La terza: Popovici pesa tra i dieci e i venti chili meno degli avversari. Se per nuotare cento metri ha bisogno di 67 bracciate, significa che per 67 volte deve trascinare in acqua tra i dieci e i venti chili in meno. Non c’è da stupirsi che si stanchi più tardi. Ma questa è solo una delle spiegazioni per cui alla fine della gara è più veloce degli altri. L’altra è legata alla resistenza già citata. Nel nuoto, la resistenza è anche una questione di testa: più riesci a rimanere concentrato, più sai mantenere il controllo sulla tecnica. Ma c’è un aspetto quasi esoterico. Anche Born, che si occupa di fatti e di cifre, usa un’espressione che solo i nuotatori possono capire: la sensazione dell’acqua. “Sono pochi quelli come Popovici che anche in momenti di grande stanchezza riescono a mantenere un buona sensazione dell’acqua”, dice. Sentire l’acqua significa sapere come tagliarla con la mano per andare avanti, e qual è il momento migliore per piegare il gomito. A quanto pare, David Popovici ha trovato una risposta a tutte queste domande. Mantiene la perfezione, fino alla fine. Concludendo la nostra lunga conversazione a Bucarest, ho l’impressione che anche Popovici a volte si meravigli di quanto è riuscito a dimostrare al mondo: non servono i muscoli per battere i muscoli. Mi racconta un aneddoto. Qualche tempo fa il suo sponsor gli ha chiesto di pensare a un animale con cui identificarsi. Stanno ideando una linea di prodotti dedicata a lui, con costumi “Popovici” e cuffie “Popovici”. Si è sentito onorato. E come sempre quando reputa importante qualcosa, ci ha pensato a lungo. Un’aquila, uno squalo o forse un’orca assassina: quale potrebbe essere il suo simbolo? La sua ragazza ha avuto un’idea diversa. “Quando nuoti mi ricordi una libellula”, ha detto. La libellula sa nuotare e volare, ma in genere non fa nessuna delle due cose. Piuttosto si libra, ronzando, sull’acqua, veloce come una freccia e senza sforzo. Un insetto poco appariscente, che rivela la sua intelligenza quando lo si guarda da vicino. È questo il messaggio di David Popovici, il ragazzo che ha rivoluzionato il nuoto: non permettete a nessuno di dirvi che il vostro corpo è sbagliato. Probabilmente è il contrario. u nv

4 euro Internazionale Kids è in edicola! In questo numero: dov’è finita l’acqua, sognare a occhi aperti ha i suoi vantaggi, la pace è lontana, avere dieci anni a Rio de Janeiro, una merenda disgustosa e molto altro Ogni mese articoli, giochi e fumetti dai giornali di tutto il mondo per bambine e bambini

Graphic journalism Cartoline dalla Toscana

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Fulvio Risuleo è un regista cinematografico e autore di fumetti. In questi giorni al festival Lucca Comics presenta L’eletto (Coconino Press), scritto insieme ad Antonio Pronostico. Manfredi Ciminale è un illustratore e autore di fumetti nato a Bologna nel 1989. Vive a Roma. Su Instagram è @manfrediciminale. Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Cultura

Libri

ULLSTEIN BILD/GETTY

Britney Spears in concerto, 2000

Autenticità fasulla Edward Helmore, The Observer, Regno Unito Le autobiografie delle celebrità possono vendere molte copie, ma non se il pubblico conosce già tutte le rivelazioni scottanti

prossimi due mesi. Gli editori sperano almeno che le vendite siano sufficienti per recuperare i ricchi anticipi versati. Ma sarà davvero così?

Fase complicata ritney Spears, a quattordici anni, beveva daiquiri con sua madre a Biloxi, nel Mississippi. Lo chiamavano “ponce”. Jada Pinkett Smith vendeva crack nelle strade di Baltimora e il suo matrimonio con Will Smith è finito molto prima che lui lo scoprisse. Barbra Streisand si è truccata da sola per il provino di Funny girl. Julia Fox racconta che uscire con Kanye West era “insostenibile” perché le sembrava di avere “due bambini”. Tutti questi aneddoti (e molti di più) sono contenuti nelle biografie che compariranno sugli scaffali delle librerie nei

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Dopo il picco durante la pandemia, le vendite di libri che non siano di fiction hanno rallentato sensibilmente, dunque oggi gli editori vogliono autobiografie autentiche e piene di storie interessanti. Il mercato è piuttosto affollato, e tra l’altro i vip hanno la possibilità di parlare direttamente (e in modo più trasparente) attraverso i loro profili social. Come prodotto editoriale, l’autobiografia di una celebrità vive una fase difficile, anche e forse soprattutto a causa della pressione dei social network. “L’autobiografia di un personaggio famoso deve avere contenuti più profondi e ricchi rispetto a dieci anni fa”, sottolinea

David Kuhn, agente letterario della Aevitas creative management. In vista della pubblicazione di The woman in me di Britney Spears sono circolati diversi estratti del libro. Così abbiamo scoperto che quando lei è rimasta incinta, Spears e Justin Timberlake avevano deciso di mettere fine alla gravidanza. “Per me non è stata una tragedia”, si legge nel libro. La cantante di …Baby one more time e Oops!… I did it again ha accennato anche al futuro. “Ci sono molte cose che la gente non sa di me. Ora voglio che si sappiano”, ha dichiarato l’artista in un video pubblicato su X. “È una strategia perfetta”, spiega Robert Thompson, docente di comunicazione dell’università di Syracuse. Per essere rilevante, un’autobiografia deve necessariamente contenere qualcosa che non sia già disponibile gratis. “I social network sono un mezzo di comunicazione promiscuo. Le celebrità cercano in continuazione di aumentare al massimo il loro pubblico, dunque devono proporre qualcosa che non hanno ancora fatto. Non è facile”, sottolinea Thompson. “Mentre in passato rappresentava la prima apertura del confessionale, in questo momento sembra che l’autobiografia sia diventata l’ennesima tappa in un percorso fatto di esposizione perpetua. Di conseguenza per funzionare deve contenere cose diverse da quelle comparse sui Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Cultura

Libri

MOVIEPIX/GETTY

Barbra Streisand in Funny girl, 1968

social network. L’autobiografia di Britney in questo senso è un successo”. Ma è altrettanto indispensabile trovare un equilibrio nella promozione. Troppe informazioni prima dell’uscita del libro possono far pensare ai lettori di non aver bisogno di comprarlo. Ma se sono troppo poche, la pubblicazione passerà inosservata. “C’è una forte domanda per le autobiografie delle celebrità, ma credo che negli ultimi anni ci sia stato anche un certo bilanciamento, dopo che alcuni editori hanno pagato enormi anticipi basandosi solo sul nome e poi non hanno incassato quello che prevedevano”, spiega Eve MacSweeney, agente della Calligraph. “La qualità e il livello delle rivelazioni devono essere alti. E magari affrontare temi delicati. Questo favorisce le vendite”. “I desideri del pubblico, le convenzioni legate al genere e la formula economica si combinano tra loro creando la necessità di rivelazioni piccanti”, spiega la docente di comunicazione Hannah Yelin, convinta che per le donne le richieste di rivelare aspetti della propria vita personale siano molto più pressanti che per gli uomini. “Questo è particolarmente vero nella cultura mediatica contemporanea, estremamente sessista, in cui alla donna si chiede di esporsi totalmente dal punto di vista fisico e psicologico”. Streisand, che oggi ha 81 anni, non si è fermata a trecento pagine. La sua autobio-

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grafia, che sarà in libreria il 7 novembre, arriva a 992. Secondo le anticipazioni di Vanity Fair, nel libro c’è il racconto della volta in cui nel 1966, durante una festa, Marlon Brando si “offrì” alla giovane attrice. “Mi piacerebbe scopare con te”, disse Brando secondo la versione di Streisand. In seguito i due diventarono ottimi amici.

Senza esagerare Ma a volte qualcuno si spinge troppo oltre. L’attore Klaus Kinski era stato denunciato per diffamazione dalla figlia Nastassja, e Marlene Dietrich aveva minacciato di querelarlo dopo la pubblicazione della sua edonistica biografia (secondo Werner Herzog altamente fittizia) Ich bin so wild nach deinem Erdbeermund (Vado matto per la tua bocca di fragola) e successivamente rititolata All I need is love. Un altro memorabile fallimento è stato quello di Priscilla, Elvis and me, le rivelazioni di Michael Edwards, fidanzato di Priscilla Presley, pubblicato nel 1988. All’epoca un recensore confessò di non aver finito di leggere il libro “per lo stesso motivo per cui non finisco un panino che ha dentro un capello. Troppo disgustoso per andare avanti”. La pietra di paragone delle nuove autobiografie è senza dubbio Spare, del principe Harry. Quando gli abbiamo chiesto se quel libro abbia alzato l’asticella nel settore, un noto editore di New York ci ha

risposto che più che altro “ha fatto aprire il sacchetto per il vomito”. Eppure Spare è stato un investimento redditizio (nonostante i 20 milioni di anticipo che si dice siano stati versati al principe), anche se a causa del libro Harry è stato emarginato dalla sua famiglia. “Spare ha avuto successo, ma è stato un fuoco di paglia”, spiega Jon Malysiak dell’agenzia Story Terrace, specializzata in autobiografie. “Ha venduto bene, ma le informazioni più salienti sono subito circolate sui mezzi d’informazione e le vendite sono calate rapidamente”. All’inizio di ottobre, la stella di Diamanti grezzi ed ex “dominatrix” Julia Fox ha pubblicato Down the drain, un’autobiografia che in seconda di copertina riportava le seguenti parole: “A volte devi dire vaffanculo e buttare la tua vita nel cesso, solo per vedere come uscirai dall’altra parte della fogna”. Al momento Fox sta vendendo biglietti a cento dollari per il suo spettacolo/presentazione previsto per i primi di novembre a Times square. Secondo un editore di New York, le prossime settimane ci diranno quali opere avranno successo nel mondo dell’autenticità artificiosa delle autobiografie. I personaggi famosi vogliono attenzione e fanno il possibile per ottenerla, ma la competizione è serrata e bisogna osare. Sempre di più. u as

Cultura

Schermi Documentari

In rete Contro i bot

Banksy e la ragazza del Bataclan Rai 5, mercoledì 8 novembre, ore 21.15 A Parigi nel gennaio 2019 fu rubata la porta dell’uscita di emergenza del Bataclan su cui Banksy aveva dipinto un omaggio alle vittime. La porta è stata ritrovata nel 2020, in provincia di Teramo. Checkpoint Berlin Rai Storia, sabato 4 novembre, ore 23.05 Il regista Fabrizio Ferraro, in città per la proiezione di un suo film, esplora la capitale tedesca riflettendo sul suo passato attraverso l’esperienza berlinese di un lontano parente nella Germania divisa. Sport e scommesse: un business multimilionario Arte.tv Le piattaforme per le scommesse legate allo sport hanno grande successo e sono tra gli sponsor più generosi. Inchiesta su un settore che è capace di causare notevoli danni economici e psicologici. The yellow queen Openddb.it Christian, autista tedesco, si mette in viaggio da Colonia a Bamako, in Mali, per consegnare un indistruttibile autobus Mercedes che in Europa non può più circolare, ma in Africa è molto richiesto. Un film dramatique Mubi Per quattro anni l’artista Eric Baudelaire ha animato un laboratorio di cinema in una scuola media della periferia parigina. Un documentario segue la maturazione dei ragazzi: da soggetti ad autori di una creazione collettiva.

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Serie tv Rūrangi Arte.tv, 5 episodi Dopo dieci anni di assenza, l’attivista transgender Caz (Elz Carrad) torna nella cittadina neozelandese dove è nato e cresciuto, con l’idea di riallacciare i rapporti con il padre. Ritrova la sua migliore amica Anahera (Awhina-Rose Ashby), a sua volta impegnata ad affermare la sua identità di

donna maori, e il ragazzo che stava con lui prima della transizione. Ma la comunità di Rūrangi è conservatrice e molto chiusa e non tutti sono pronti a riabbracciare Caz. Se la narrazione a tratti può sembrare un po’ semplicistica, il protagonista è magnetico e la storia non manca di tenerezza. The Observer

X, prima conosciuto come Twitter, è diventato a pagamento per i nuovi iscritti nelle Filippine e in Nuova Zelanda. Resta gratuito per leggere, ma se si vuole commentare o scrivere si paga un dollaro all’anno. “Non è per profitto”, specifica l’azienda, ma per provare a diminuire la creazione di account falsi e la conseguente presenza di migliaia di messaggi automatizzati di spazzatura e disinformazione. Per questo la sperimentazione è stata chiamata Not a bot. “Reprimere i bot, che imitano le persone reali, è stato l’obiettivo di Musk da quando ha acquistato la piattaforma”, nota Npr. “Ma nonostante i suoi migliori sforzi, i robot e i loro prodotti rimangono un problema”. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

Topolino Hamas aveva una sua tv, Al Aqsa, con talk show e intrattenimento d’ispirazione religiosa. Fu aperta nel 2006 e andò avanti fino al 2008, quando la sede fu bombardata. La trasmissione più seguita e discussa era dedicata ai bambini, Pioneers of tomorrow, condotta da una ragazza di nome Saraa e un pupazzo di gommapiuma, Farfur, identico a Topolino. Il gioco più trasmesso era un quiz telefonico infarcito d’invettive contro gli ebrei occupanti e gli Stati Uniti figli di Sa-

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tana. In uno studio coloratissimo e scenografato con tappezzerie per l’infanzia, i conduttori esortavano il giovane pubblico a pregare almeno cinque volte al giorno e a farsi “pietra angolare” per il dominio del mondo islamico. “Morte a Bush e a Condoleezza Rice”, canta Farfur, posticcio Mickey Mouse votato alla jihad, in un corto circuito visivo degno della distopia più cinica. Segnalata dall’organizzazione ebraica Anti-defamation league, il programma fu condannato an-

che dalla laica Al Fath. I produttori dello show dapprima si difesero sostenendo che le parole del topo rispecchiavano i pensieri dei bambini palestinesi, poi dovettero cedere, sostituendo il pupazzo con un’ape (altrettanto inferocita). Ma per motivare l’avvicendamento, gli autori fecero massacrare di botte Farfur in diretta da un finto agente dello Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, con Saraa a commentare sul jingle finale “l’eroica morte” di Topolino. u

I consigli della redazione

Anatomia di una caduta Justine Triet, in sala

Mi fanno male i capelli Roberta Torre, in sala

Film Il libro delle soluzioni Di Michel Gondry. Con Pierre Niney, Blanche Gardin. Francia 2023, 102’. In sala ●●●●● Dopo una lunga assenza Michel Gondry torna al cinema e alla fiction. E non deve stupire che lo faccia con un intrigo metafilmico, perché tutta le sue opere – comprese quelle statunitensi – in definitiva sono pezzi di un puzzle autobiografico. Dopo una proiezione disastrosa davanti ai produttori, Marc (Pierre Niney), regista torturato e incompreso, decide di “rubare” il suo film per completarlo a casa della zia sui monti delle Cevenne. Seguiamo la caotica fine delle riprese e del montaggio, e le tribolazioni di questo eroe artigiano deciso a contrastare l’omologazione del sistema. Marc è insopportabile e ciclotimico, fragile e candido. Più che Se mi lasci ti cancello, Il libro delle soluzioni è il vero film d’amore di Michel Gondry, il cui principio si basa sul modello inarrivabile dello Scottie di La donna che visse due volte, che mettendo in scena la sua Madeleine senza lasciarsi ingannare era già il sosia simbolico di Hitchcock. Thierry Méranger, Cahiers du cinéma

The new toy Di James Huth. Con Jamel Debbouze, Daniel Auteuil. Francia 2023, 112’. In sala ●●●●● Per far fronte ai suoi debiti, Sami trova lavoro come guardiano alle Galeries Lafayette di Parigi. Una sera si addormenta tra gli scaffali e finisce per essere scelto dal figlio del gran capo dei magazzini, in cerca del regalo per il suo compleanno. Sostenuta dalla regia da cartoon di James Huth, questa commedia per famiglie (a dire la verità un po’ lunga) mette in contrapposizione il mondo di chi sta in “alto” con quello di chi sta in “basso”, mettendo in evidenza i fallimenti dell’uno e dell’altro con lo stesso umorismo un po’ scanzonato e un’ironia sempre giocosa. Di fronte a Daniel Auteuil, fin troppo rigido nel suo abito da uomo d’affari trattenuto, Jamel Debbouze, divertente e tenero, mette in scena il suo spettacolo da comico gentile. Le Journal du Dimanche Dirty difficult dangerous Di Wissam Charaf. Con Clara Couturet, Ziad Jallad. Francia/ Libano 2023, 83’. In sala ●●●●● Il realismo sociale è così dominante che è sempre un sollievo scoprire che ci sono altri modi

di raccontare il destino degli oppressi. Alle tragedie geopolitiche si accompagna spesso una maledizione estetica. Dirty difficult dangerous di Wissam Charaf è una di quelle opere che spezza la maledizione. Il giovane siriano Ahmed incontra la giovane etiope Mehdia in un campo profughi di un Libano dissanguato da un governo corrotto e reso dalla posizione geografica un rifugio per tutto il Medio Oriente. Il paese si è ormai riorganizzato come una società stratificata nella miseria dove gli stessi libanesi vivono come apolidi. Al tracciare un confine netto tra oppressi e oppressori Charaf ha preferito mettere in piedi un immenso teatro dell’assurdo in cui la xenofobia non è un’esclusiva dei benestanti, ma il sentimento più diffuso al mondo. Dietro la lente del regista il Medio Oriente diventa un parco giochi in cui il caos e l’onirismo si nutrono a vicenda. Murielle Joudet, Le Monde

un’allegra banda di marinai fascisti è affrontato di petto dal regista Edoardo De Angelis e dal suo cosceneggiatore Sandro Veronesi, usando il protagonista come portavoce per trovare una via d’uscita di fronte a questioni politiche spinose. Di fronte all’equipaggio del suo sottomarino è proprio il comandante Todaro (Pierfrancesco Favino) a promettere una tregua dalle leggi del duce e del re, perché il mare è un mondo a sé. E così Comandante diventa fondamentalmente un appello alla tolleranza. Dopo un’ora piacevole ed episodica, il film entra nel vivo quando il sommergibile ingaggia un duello con una nave belga. In un atto di disobbedienza Todaro accoglie a bordo i naufraghi belgi. Senza cedere alla sottigliezza e alle complesse sfumature morali, De Angelis riesce comunque a destreggiarsi negli spazi angusti del sottomarino. Ben Croll, The Wrap

Comandante Di Edoardo De Angelis. Con Pierfrancesco Favino. Italia 2023, 120’. In sala ●●●●● Il fatto che questo dramma ambientato durante la seconda guerra mondiale segua

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DR

DR

Il libro delle soluzioni

La caduta della casa degli Usher 8 episodi, Netflix

Comandante Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Cultura

Italieni

Stati Uniti

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Michael Braun del quotidiano berlinese Die Tageszeitung.

Affare fatto

Patrizio Ruviglioni L’arte di essere Marco Pannella Blackie, 256 pagine, 19,90 euro ●●●●● Chi entra in politica di solito mira a una cosa: il potere. Non fraintendiamoci, può farlo anche con le migliori intenzioni, pensando di usare quel potere per realizzare politiche tese a migliorare lo stato delle cose. Se questa è la regola, esiste almeno una grande eccezione: Marco Pannella. Lui, leader pluridecennale dei Radicali, non puntava mai al potere. Puntava invece a cambiare la società, ad affermare diritti come il divorzio, l’aborto, l’obiezione di coscienza, il fine vita, senza mai aver fatto parte di nessun governo. Lui, leader di un partito che non superava mai il tre per cento, concepiva la politica in un modo particolare: facendo scioperi della fame, usando i referendum o anche fumando spinelli in pubblico. Era un antesignano a tutti gli effetti, nelle sue campagne come nella mobilitazione dell’opinione pubblica. Quel politico non raro ma unico ce lo racconta brillantemente Patrizio Ruviglioni. Non fornisce una biografia classica, piuttosto ci presenta i dieci princìpi guida del leader radicale, aggiunge venti giorni cruciali nella sua vita e correda questo racconto con testimonianze di compagni di strada, creando un affascinante mosaico di quel “rompicoglioni”, “irregolare”, che lasciò un segno profondo nella politica e nella società italiana. u

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L’azienda finanziaria di private equity Kkr ha acquistato la casa editrice Simon & Schuster per 1,62 miliardi di dollari Lunedì 30 ottobre l’operatore finanziario Kkr ha completato l’acquisto della Simon & Schuster, una delle case editrici più grandi e prestigiose degli Stati Uniti. Si tratta di un evento di grande peso nel settore editoriale. La casa editrice apparteneva alla multinazionale Paramount Group che ha accettato la proposta di 1,62 miliardi di dollari, mettendo fine a un processo lungo e tumultuoso cominciato nel 2020, quando l’azienda aveva messo in vendita la Simon & Schuster. Quella che allora si chiamava ViacomCbs aveva trovato

SAM MELLISH (GETTY)

Libri

abbastanza rapidamente un accordo con la grande rivale Penguin Random House, il più grande editore statunitense, per 2,18 miliardi. Ma l’amministrazione Biden aveva bloccato tutto, contestando la vendita per motivi di antitrust. La Kkr

fornisce molte garanzie in termini di investimenti, ma ci sono alcuni aspetti che potrebbero rendere complicato il matrimonio, visto che i tempi dell’editoria sono molto più lenti di quelli della finanza. The New York Times

Il libro Nadeesha Uyangoda

Resistenza perenne Morena Pedriali Errani Prima che chiudiate gli occhi Giulio Perrone Editore, 260 pagine, 18 euro Sinto, sinta… Mi rendo conto, appena leggo le prime pagine di questo romanzo d’esordio, che quel sostantivo non deve essere per forza invariabile: sinti. Come se la comunità fosse l’unica declinazione possibile. Morena Pedriali Errani invece ci riporta anche alle individualità, alle sfaccettature, alle storie diverse della più larga

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minoranza transnazionale, che è anche, da sempre, la più perseguitata in Europa. L’autrice ferrarese, di famiglia sinta di artisti circensi, tesse la storia di Jezebel, una bambina che ha imparato presto a giurare “non siamo sinti, no, soltanto artisti” davanti al sospetto della polizia che “controlla i documenti, storce il naso sul cognome italiano”, li porta in caserma e qualche volta li picchia. Ambientato nel periodo fascista, Prima che chiudiate gli occhi racconta con

una lingua lirica una storia intima, familiare, che incrocia la storia del paese. E mentre anche i sinti sono condannati a rispondere alla chiamata alle armi e poi a finire nei campi fascisti, la protagonista si unisce alla resistenza. Quella di Errani è una lingua allegorica che attraverso diversi piani temporali porta il lettore in tradizioni e leggende sommerse da secoli di odio. È una scrittura che vuole rendere giustizia a una minoranza in resistenza perenne, quotidiana. u

I consigli della redazione

Fatimah Asghar Quando eravamo sorelle 66thand2nd

Il romanzo

Brenda Navarro Cenere in bocca La Nuova Frontiera, 192 pagine, 17,90 euro ●●●●● Cenere in bocca è un romanzo che resiste a un certo tipo di consumo librario, in particolare a quello che riduce i libri all’argomento di cui parlano. In questo caso: migrazione, xenofobia, sfruttamento del lavoro, violenza, corruzione, femminismo. Il tutto all’interno della storia di una famiglia disastrata costretta a migrare dal Messico alla Spagna e poi a fare i conti con il ritorno in un paese in via di decomposizione. I personaggi del romanzo sono in vario modo legati a questi temi, e accompagnano la protagonista nel raccontare il suicidio del fratello, la lontananza dalla madre, le poche e mal pagate alternative di lavoro che trova come immigrata, il brutale ritorno in Messico. Il libro, tuttavia, non è solo una rassegna di temi rilevanti per il mondo in cui viviamo. Cenere in bocca combina molto bene l’aspetto contenutistico (la dissoluzione dei legami affettivi di una famiglia che cerca di far fronte allo sfruttamento e al razzismo che subisce quotidianamente) con un modo di narrare che rifiuta il melodramma e il sentimentalismo. In effetti, l’aspetto più riuscito di questo romanzo è la sottigliezza con cui presenta l’impossibilità di comunicare l’esperienza dell’immigrazione – la dissoluzione dell’identità in un luogo straniero, il dolore della

ALBERTO CRISTOFARI (A3/CONTRASTO)

Un paese in decomposizione

Brenda Navarro non appartenenza, la discriminazione, la perdita, l’abbandono – e decide di non ridurla a una compilazione di luoghi comuni facilmente digeribili. Per esempio: leggete il romanzo e contate quante volte i personaggi schioccano la bocca invece di dire qualcosa. In quello schiocco, in quel rumore, è contenuta l’idea centrale del libro. Questo non vuol dire che non ci siano momenti in cui i personaggi parlano esplicitamente di ciò che pensano o sentono. Il punto è che, anche quando ci sono, è chiaro che la complessità della costruzione artistica di Brenda Navarro consiste più nel nascondere che nel mostrare, come se la narrazione fosse tesa fino ad arrivare, di nuovo, allo schiocco della bocca. Cenere in bocca è una riflessione su tutto ciò che si accumula nella perdita e nel lutto e sull’impossibilità di liberarsi di quel peso che ci accompagna per lungo tempo. Jorge Téllez, Gatopardo

Benjamín Labatut Maniac Adelphi

Emma Cline L’ospite Einaudi, 280 pagine, 18 euro ●●●●● Emma Cline sa scrivere in modo luminoso sulla nebulosità del desiderio femminile. È abile nel ritrarre il calore impetuoso della lussuria – non necessariamente rivolta al sesso, ma anche al potere e al lusso – con fredda noncuranza. Il romanzo segue Alex, una lavoratrice sessuale ventenne che soggiorna per l’estate da Simon, un ricco mercante d’arte sulla cinquantina, a Long Island. Simon non sa nulla della professione di Alex. Non sa nemmeno che Alex è completamente al verde: i suoi coinquilini l’hanno sfrattata dall’appartamento di Manhattan perché non pagava l’affitto e la maggior parte dei suoi clienti abituali se ne sono andati. Non avendo altre prospettive, Alex viaggia con Simon “verso est”. Partecipa a una festa organizzata da una ricca amica di lui, Helen. La cosa più interessante di Helen è che ha un secondo marito molto più giovane, Victor, ed è proprio su Victor che Alex mette gli occhi. Simon li sorprende e rispedisce Alex nel vuoto della sua vita a Manhattan. Alla stazione ferroviaria, però, Alex escogita un piano. Decide di aspettare il momento giusto, andando alla deriva tra le case estive attraverso una combinazione di autostop, occupazioni abusive, feste e seduzione, fino alla fine dell’estate, quando con Simon riderà di tutto questo e Alex potrà tornare a far parte della sua vita agiata. Evocativo e a tratti incandescente, L’ospite è una storia sul modo in cui le persone si trasformano in fantasmi per diventare più visibili. Michelle Hart, Los Angeles Times

Daisy Letourneur Uomini non si nasce Fandango

James Hynes Il passero Guanda, 456 pagine, 22 euro ●●●●● Il protagonista del romanzo di Hynes è uno schiavo orfano che non conosce la sua età, le sue origini e il suo nome. Vive nella città fatiscente di Carthago Nova (l’attuale Cartagena, in Spagna) durante gli ultimi giorni dell’impero romano. Il suo mondo è confinato nel luogo in cui è costretto a lavorare, che è “una cucina angusta e fumosa e uno stretto giardino di dieci passi”. La cucina fa parte di Helicon, un bordello con taverna. Qui il ragazzo dorme in un angolo, in mezzo agli scarafaggi. È affascinato dagli uccelli e per questo si fa chiamare Passero, un nome che gli permette di entrare in un mondo immaginario dove può dimenticare la paura e il dolore e volare alto sopra i confini della sua travagliata esistenza. L’unica amica di Passero è Euterpe, una delle prostitute che cerca di educarlo e curarlo. Ma nel mondo di Helicon non c’è posto per la gentilezza ed Euterpe non ha alcun potere contro il gestore del bordello, Audo. Passero ci dice che “Audo è un martello e ogni problema è un chiodo”. Quando gli abitanti di Carthago Nova si convertono al cristianesimo, il bordello comincia a perdere denaro e Audo si rende conto che Passero è “un bel ragazzo”. “Lettore, so che sai come andrà a finire”, dice Passero. Il lettore in effetti lo sa. Euterpe e Passero decidono di tentare la fuga. Ma sappiamo che non è possibile un lieto fine. Di solito, uno scrittore usa la tecnica dell’anticipazione per mantenere l’interesse del lettore. In questo caso, la prefigurazione è usata per uccidere qualsiasi aspettativa. Alice Jolly, The Guardian

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Cultura

Libri della fame, McCann si sposta a Galway. Qui la maturità di un adolescente è segnata dallo sciopero della fame dello zio. Kevin non lo ha mai conosciuto, eppure ne riproduce la protesta, affidandosi ai giornali. Il risultato sorprendente di McCann è che non risuona mai una nota dissonante nonostante la dissonanza nelle vite dei suoi personaggi. Denise Gess, The Washington Post Patrick DeWitt L’uomo che amava i libri Neri Pozza, 320 pagine, 18 euro ●●●●● L’uomo che amava i libri ci trascina avanti e indietro nella vita di Bob, bibliotecario in pensione. Il romanzo è ambientato principalmente a Portland, nell’Oregon. La commedia giocosa e un po’ burlesca che lo attraversa culmina, verso la fine del libro, in un flashback di cento pagine che ci riporta al 1945, quando Bob, a undici anni, scappa di casa e salta su

un treno. Lì lo aspetta una vera e propria avventura con un duo di vaudeville, Ida e June, e i loro cani da spettacolo. Questa digressione è solo apparente: l’episodio della fuga è un momento chiave nella vita del protagonista. Il libro si apre nel 2005, quando Bob si sveglia e scopre che “aveva di nuovo sognato l’Hotel Elba, una località costiera ormai scomparsa”. Era lì che era finito con Ida e June. I sogni sono vividi e provocano una forte reazione. Ecco quindi un indizio che la vita dell’uomo non è esattamente come sembra. O che, almeno, alcune parti della sua vita sono sfuggite alla narrazione ufficiale di un’intera carriera di bibliotecario e di una vita vissuta in solitudine. Bob, per certi versi, rimane una pagina bianca. Funge da punto fermo, da custode della continuità. Attorno a lui ruotano personaggi memorabili, passati e presenti. E avrà sempre l’Hotel Elba. Isabel Berwick, Financial Times

Non fiction Giuliano Milani

Il lungo passato di Gaza Joe Sacco Footnotes in Gaza, Metropolitan Books; Gaza 1956, Futuropolis Quello che succede a Gaza nelle ultime settimane è frutto di una storia più lunga, di cui tuttavia non è facile datare l’inizio. Per alcuni comincia nel 2005, con lo smantellamento degli insediamenti israeliani e la vittoria di Hamas alle elezioni dell’anno successivo. Per altri va fatta cominciare dopo il 1994, quando in seguito agli accordi di Oslo ebbe inizio l’imperfetto controllo palesti-

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nese. Per altri ancora si avvia nel 1967 con la guerra dei sei giorni e l’occupazione israeliana. Nel 2009, quando l’operazione Piombo fuso aveva provocato l’uccisione di molti civili palestinesi, uscì questo libro di Joe Sacco, grandissimo disegnatore e reporter dai fronti più caldi del pianeta, che indagava un massacro ancora più antico: la morte di alcune centinaia di palestinesi avvenuta nel 1956 a Khan Younis e Rafah. In attesa che questo capolavoro, che mette insieme indagine storica, fonti

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orali e ricerca sul campo, sia di nuovo disponibile in italiano lo si può leggere in inglese e in francese. Frutto di ripetuti soggiorni nella regione, fa capire con la precisione e la concretezza di un racconto per immagini come antichi traumi possano condizionare la storia delle generazioni seguenti. Mostrandosi in prima persona, con i dubbi e i tratti di umanità che gli sono propri, Sacco costruisce un reportage esemplare per capire attraverso il passato cosa succede nel presente. u

India

PETER DRESSEL

Colum McCann Come ogni cosa in questo paese Feltrinelli, 128 pagine, 16 euro ●●●●● Quando leggerete il nuovo libro di Colum McCann, saprete cosa significa ascoltare una sinfonia senza strumenti. In due racconti e una novella ambientati nella nativa Irlanda, McCann mette i bambini al centro di storie moralmente complesse. Attraverso di loro trasmette profondità emotiva e intellettuale. Nel racconto che dà il titolo al libro, Katie è costretta a scegliere tra la lealtà verso il padre cattolico e la gentilezza verso i soldati britannici che hanno aiutato a salvare il cavallo da tiro della famiglia. Il padre e il cavallo sono tutto ciò che rimane di un tempo più felice, ma lei è motivata da un principio più alto e, in un atto che cambia il suo mondo, rischia di scatenare la rabbia del padre piuttosto che negare la gratitudine ai soldati. Nel racconto Sciopero

Jai Chakrabarti A small sacrifice for an enormous happiness Knopf Nelle quindici storie di questa raccolta, personaggi diversi tra loro sono accomunati dall’ansia di costruire una famiglia e di avere dei figli. Nato a Calcutta, Jai Chakrabarti ora vive a New York . Nishanth Injam The best possible experience Pantheon I personaggi di questi racconti non sanno come comunicare le loro emozioni, inibiti dalle aspettative della società rispetto a genere, sessualità e religione. Nato a Talangana, Nishanth Injam vive in Illinois. Janika Oza A history of burning Grand Central In questa saga che percorre un secolo, una famiglia passa dall’India all’Africa al Canada, cercando di preservare le sue tradizioni. Oza vive in Canada. K.R. Meera Assassin Harper Una donna di mezza età che vive da sola a Bangalore è aggredita da uno sconosciuto. Rimane illesa ma viene a sapere dal padre che quello è solo l’ultimo di una serie di tentativi di ucciderla. K.R. Meera è nata nel Kerala nel 1970. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

Cultura

Libri Ragazzi I segni della vita Baptiste Beaulieu Le persone sono belle Illustrazioni di Qin Leng. Rizzoli, 40 pagine, 18 euro Baptiste Beaulieu è un nome conosciuto in Francia. Nel blog Alors voilà, diventato poi un libro pluritradotto, ha raccontato le vicende quotidiane di un medico e di quella speciale relazione che si crea con il paziente. Beaulieu è specializzato in dipendenze e in contrasto alla violenza e alle discriminazioni. Il suo Le persone sono belle, albo illustrato dalle sapienti mani di Qin Leng, è un compendio di saggezza destinato ai più piccoli, ma che anche gli adulti farebbero bene a leggere. C’è una bambina e i suoi due nonni: Papou, medico in pensione, e Yaya. Papou ha una grande cicatrice in faccia e, raccontando alla nipote come se l’è procurata, aggiunge una frase che sarà il leit motiv dell’intero albo: “Questa cicatrce è la mia storia, tutti ne hanno una”. Durante una sortita nonno-nipote in città, alla Tour Eiffel, incontrano tante persone che il nonno conosce per la sua passata attività. Papou spiega alla nipote che il corpo, parlando del passato (e a volte del presente), si porta addosso delle cicatrici. Aggiunge che “tutte possono avere un lieto fine, ci vogliono tempo e amore” e conclude il discorso con quella che definisce la domanda giusta: “Cosa ne faccio ora di quello che mi è successo?”. Igiaba Scego

Ricevuti A cura di Giovanni Nucci Atlante delle emozioni nella mitologia Illustrazioni di Lorena Canottiere, Il Saggiatore, 176 pagine, 26 euro Un viaggio lungo le strade del mito, ovvero nei luoghi più nascosti delle nostre anime, alla ricerca di nuove terre in cui riconoscerci e dimorare. Autori vari Instant finance Gribaudo editore, 256 pagine, 16,90 euro Inflazione, banche centrali, mutui, azioni, spread, truffe, trading e criptovalute. L’economia e la finanza in un linguaggio semplice e comprensibile a tutti.

Fumetti

Disorientamento condiviso Martin Quenehen, Bastien Vivès Corto Maltese. La regina di Babilonia Cong, 184 pagine, 21 euro Dopo Oceano nero, arriva il secondo Corto Maltese trasposto nel mondo di oggi ed è sempre notevole e sempre più nero. I due francesi anche qui danno spazio alla meta-narrazione: d’avventura, di guerrareportage e di cinema (Terminator). Se a tratti azione e sparatorie sono avvolte in una notte nera come l’inchiostro, anche il grigio, grazie all’uso dei retini, si fa più nero e si mangia il bianco. Perché tutto si è fatto oscuro, avvolto dal presagio che qualcosa di totalmente disorientante sta per succedere, simboleggiato dal finale. È il sentimento che pervade tutti, in questo momento. In una vicenda imperniata su traffici d’armi con

mercenari della guerra nell’ex Jugoslavia e su vacue e orribili giornaliste diventate torturatrici di musulmani per l’esercito statunitense, Corto s’innamora di Semira, abbreviativo di Semiramide, regina di Babilonia. Ragazza risoluta, bosniaca, musulmana e modernissima, che compie efferati omicidi. Malgrado il suo desiderio di vendetta lo sguardo di Corto la renderà regina. Storia d’icone inanimate che diventano animate e viceversa, il segno di Vivès crea squarci di onirismo positivo e luminoso nella realtà, degni di un Pratt ma anche di Vittorio Giardino (La porta d’Oriente). Come all’inizio, con l’apparizione a Venezia dell’attivista di Oceano nero. Apparizione simbolica di un altro mondo possibile, anche se sempre più utopico. Francesco Boille

Andrea Antoni Teoria del disagio contemporaneo Il Saggiatore, 176 pagine, 16 euro Manuale per imparare a convivere con l’impaccio dell’esistenza quotidiana. Orio Giorgio Stirpe Gli errori di Putin. Ucraina: una guerra a tutti i costi Mimesis, 222 pagine, 18 euro Come un conflitto che doveva essere una veloce operazione militare si è trasformato in una vera guerra nel cuore dell’Europa. Leo Ortolani Trilogia dello spazio Feltrinelli comics, 688 pagine, 40 euro Un cofanetto riunisce i tre libri che Leo Ortolani ha dedicato all’esplorazione del cosmo. “Tra scienza e fantascienza, umorismo e avventura, parodia e malinconia”.

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Cultura

Suoni Podcast Vivere il conflitto

Dal Regno Unito

Daniel Denvir Hamas The Dig, Jacobin Magazine L’esplosione improvvisa e inaspettata dell’ultimo conflitto tra Israele e Palestina ha fatto emergere con un contrasto più netto del solito anche alcuni cambiamenti nel dibattito pubblico. Negli Stati Uniti, per esempio, parte della società civile, anche di cultura ebraica, per la prima volta si è sentita coinvolta dal conflitto, s’informa e condivide notizie, scende in piazza per chiedere il cessate fuoco e usa con molta più disinvoltura di quanto si faccia in Europa parole come apartheid o genocidio nei confronti delle scelte politiche e militari del governo israeliano per reagire alla strage messa in atto da Hamas il 7 ottobre scorso. È una reazione sorprendente per un paese di solito insensibile alle questioni di politica estera: nasce nell’emisfero democratico e la sua spinta sta condizionando anche la politica attendista del presidente Joe Biden. Il podcast The Dig di Jacobin Magazine è uno degli specchi di questa nuova coscienza civile della sinistra statunitense. Nell’episodio Hamas, il giornalista Daniel Denvir fa una chiacchierata di due ore con Tareq Baconi, storico e presidente della rete per le politiche sulla Palestina, per ricostruire la storia del gruppo che ha ideato la strage del 7 ottobre, dalla sua nascita durante la seconda intifada alle elezioni palestinesi del 2006 fino ai rapporti controversi con il governo israeliano e i cittadini della striscia di Gaza. Jonathan Zenti

Paul McCartney e Ringo Starr hanno completato un demo di John Lennon. Sarà l’ultimo singolo della band

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Esce Now and then, un nuovo singolo dei Beatles. Fu scritto da John Lennon nel 1978 per una potenziale reunion della band. È uno dei demo su cassetta a cui Lennon lavorò prima della morte, avvenuta nel 1980, e che aveva raccolto con il nome “For Paul”. Now and then fu registrata con voce e pianoforte a casa di Lennon, nel Dakota Building di New York. Nel 1994 la moglie di Lennon, Yoko Ono, consegnò la registrazione a Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr, insieme ad altri demo, Free as a bird e Real love, suc-

APPLE CORPS

Una novità dei Beatles

The Beatles cessivamente completati e pubblicati come singoli nel 1995 e nel 1996. Paul, George e Ringo registrarono anche nuove parti e completarono un mix di Now and then. All’epoca, però, la tecnologia non era in grado di separare la voce e il piano di Lennon per ottenere un risultato accettabi-

le, così il pezzo fu scartato. Poi nel 2021 è uscito il documentario The Beatles: Get back di Peter Jackson, che ha sperimentato nuove tecniche di restauro della pellicola e dell’audio. Una di queste ha finalmente permesso di separare la voce dal pianoforte nella registrazione. Così nel 2022 Paul McCartney e Ringo Starr, i due componenti della band ancora vivi, hanno deciso di completarla. Oltre alla voce di Lennon, Now and then contiene anche la chitarra registrata nel 1995 da George Harrison, una nuova parte di batteria di Ringo Starr e il basso, la chitarra e il piano di McCartney. “È stato come se John fosse lì”, ha detto Ringo Starr. Nme

Canzoni Claudia Durastanti

Finta pelle Se fossimo in un film di John Hughes, l’intervallo di tempo tra l’ottimo album di esordio dei bolognesi Leatherette Fiesta, del 2022, e il nuovo Small talk (Bronson Recordings) coinciderebbe con l’anno tra la fine delle superiori e l’inizio dell’università: quando i ragazzi con le giacche di jeans smanicate e le magliette bianche strappate che ti sfasciavano la macchina se gliela prestavi per una festa diventano quasi irriconoscibili, con un taglio di capelli no wave, gli occhiali da avanguardia letteraria europea

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e un’intrepida tenerezza contorsionistica derivata da nuove letture, nuove amicizie, nuovi interessi (la sequenza Fade away/Ponytail è tra i momenti migliori di questo 2023). La mia interpretazione nasce sicuramente dall’abuso dei film di Hughes negli anni della pubertà, e sarebbe più corretto pensare invece allo scarto tra l’album di esordio degli Iceage e la loro seconda prova, quando nel passaggio da New brigade a You’re nothing mollarono i Joy Division per i Birthday Party e addirittura una cover di Mina. In realtà i Leatherette non mollano

nessuno, soprattutto la loro immediatezza, ma le analogie servono a spiegare che in questo anno di tour e di passaggi radiofonici all’estero ci sono stati dei cambiamenti nei loro accenti, si sono deamericanizzati a vantaggio di una crepuscolarità più inglese. Ma sono solo i brandelli di una formazione musicale, che rischiano di essere inadeguati per contenere l’energia mutevole della vocazione quasi jazzistica di una band che si nasconde dietro la finta pelle per restare impressa in quella vera. u

Jazz/impro Scelti da Antonia Tessitore

Artisti vari Allen Ginsberg’s the fall of America II Ginsberg Recordings

Idris Ackamoor + The Pyramids Afro futuristic dreams Strut Taylor Swift

Billy Bragg The roaring forty (1983-2023) Cooking Vinyl ●●●●● Nella sua storia della musica di protesta, 33 revolutions per minute, il giornalista Dorian Lynskey dice: “Se chiedi a qualcuno di nominare un cantante di protesta britannico la risposta è invariabilmente: Billy Bragg”. Il cantautore è da anni un punto fisso della musica alternativa e della politica di sinistra, ed è bello ritrovarlo in questa compilation che celebra i quarant’anni della sua carriera solista (la versione super deluxe è di 14 cd, ma ce n’è anche una da due). Bragg è popolare e apprezzato dalla critica, ma ha avuto successo negli anni ottanta, e gli artisti legati a un momento storico preciso di solito non riescono a trascenderlo. I suoi primi due album, Life’s a riot with spy vs spy (1983) e Brewing up (1984), riflettevano un mondo monocromatico, oggi in gran parte dimenticato grazie alla nostalgia che domina la cultura pop. Eppure il suo lavoro è sempre attuale e The roaring forty fa capire perché. Il suono si è sempre arricchito e presenta un grande eclettismo musicale. Sorge il dubbio

che la sua vera forza non sia nella politica. Bragg è anche riuscito nella rara impresa d’invecchiare insieme al suo pubblico, onesto nel sentirsi sempre più disorientato dal mondo moderno e aggrappato a idee “comode come una poltrona”. Vale sempre la pena di applaudirlo. Alexis Petridis, The Guardian Igor Levit Fantasia. Musiche di Bach, Liszt, Berg, Busoni Igor Levit Sony Classical ●●●●● Il programma di Igor Levit comincia con la trascrizione di Aleksandr Siloti dell’Aria dalla

suite per orchestra n. 3 di Bach, un momento di quiete presto dissipata da un’esecuzione sorprendentemente aspra della Fantasia cromatica e fuga. Lo stesso rigore intellettuale è alla base della sua sonata in si minore di Liszt: c’è qualcosa di terrificante nei fortissimo dei suoi accordi. Con la trascrizione lisztiana di Doppelgänger di Schubert l’intensità non diminuisce, come nel frammento brahmsiano del Klavierstück in si minore e nella sonata op. 1 di Berg. Debitrice di Bach e Liszt, la Fantasia contrappuntistica di Busoni può essere un’opera impenetrabile. L’approccio di Levit è lucido e poco sentimentale, mentre l’autore spinge le possibilità della fuga in un territorio inesplorato. È un risultato straordinario. Solo alla fine la Nuit de Noël ci concede qualche minuto di tregua. Rebecca Franks, Bbc Music Magazine

Newsletter Musicale è la newsletter settimanale di Internazionale su cosa succede nel mondo della musica. Esce ogni lunedì. Per riceverla: internazionale.it /newsletter Billy Bragg

PETE DUNWELL

Taylor Swift 1989 (Taylor’s version) Universal Music. ●●●●● L’epica pop massimalista di 1989 risale a un periodo dell’universo di Taylor Swift molto lontano da quello di oggi. Era il 2014 e Spotify fu la prima multinazionale a subire l’ira divina della musicista statunitense, che tolse il suo catalogo dal servizio di streaming per contestarne la politica sui diritti economici degli artisti. Poi uscì il disco che trasformò Swift da ottima artista pop country a grande industria. La perfezione raggiunta da 1989, grazie anche alla produzione dello svedese Max Martin (responsabile anche di ...Baby one more time di Britney Spears), significava semplicemente che quello sarebbe stato l’album più difficile da replicare. Nonostante questo anche 1989 è stato riregistrato e ripubblicato, come altri tre dei suoi primi lavori. In questa nuova versione, gli ormai abituali produttori Christopher Rowe e Jack Antonoff non fanno decollare le tracce che nel 2014 avevano giovato del tocco di Martin (tra cui Style e New romantics), mentre quelle che non aveva prodotto lui sono sicuramente migliorate (come Out of the woods o Welcome to New York). Un altro aspetto negativo è la voce: se le versioni aggiornate degli altri dischi di Taylor Swift avevano beneficiato della maturità dell’artista, qui si punta solo a dei miglioramenti tecnici, perdendo l’energia dell’originale. È un’operazione non del tutto riuscita, che serve a ricordarci l’intoccabile grandezza di 1989. Adam White, The Independent

BETH GARRABRANT

Album

tellKujira tellKujira Superpang

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Pop La grande storia del latin rock Emmanuel Ordóñez Angulo l Jacalito non era esattamente un bar o colorito e in parte rappato rivolto ora ai messicani ora una sala concerti. Qualunque fosse il al governo, all’epoca ancora in mano al Partido revosuo status giuridico (è stato chiuso lucionario institucional che da settant’anni spadromolte volte dalle autorità), per dodici neggiava nel paese: “E se ti trattano come un delinanni, fino alla chiusura definitiva nel quente, non è colpa tua, ringrazia il presidente”. E poi 2016, per i nostalgici del latin rock, era “Dammi, dammi, dammi tutto il power così te lo metun’isola felice, una delle poche rimaste a Città del tiamo nel culo”. Messico. L’altra, il Multiforo Alicia, che tutti credevaCantare queste cose, per un ragazzo che intorno mo intoccabile, ha chiuso quest’anno. A quanto pare, al 2015 frequentava il Jacalito, voleva dire comunicanoi millennial siamo stati gli ultimi appassionati di re con tempi e luoghi distanti, ma in qualche modo questa musica. vicini. Anche noi ci sentivamo disperati, anche noi L’elettronica e il reggaeton si sono impossessati avevano bisogno di uno sfogo: non perché vivessimo della vita notturna messicana, e sono sotto una dittatura o perché una giunta sempre meno i locali che suonano rock I nottambuli erano militare avesse schiacciato la nostra en tu idioma, “rock nella tua lingua”, co- accolti dal democrazia, ma perché c’era comunme fu etichettato il genere alla fine degli frastuono: i riff dei que qualcosa che ci opprimeva. O così anni ottanta. Dopo una serata electro- Soda Stereo, le voci credevamo. pop o techno in un cocktail bar fighetto dei Café Tacvba. E In Rompan todo. La storia del rock in di Roma Norte, i nottambuli entravano ballavano, bevevano America Latina, un documentario in al Jacalito accolti dal frastuono, ampli- e cantavano finché sei puntate uscito nel 2020 su Netflix, ficato dalle dimensioni minuscole della ricorre continuamente la parola “libernon erano troppo sala e dai bassi esagerati delle casse da tà”. Il rock è “fottuta libertà”, dice il ubriachi o il locale quattro soldi: i riff selvaggi dei Soda Stecantautore argentino Fito Páez all’inireo, le voci urlate dei Café Tacvba, la chiudeva zio della prima puntata. “Chiedevamo batteria brutale dei Molotov. E ballavasolo un cambiamento per la libertà”, no, bevevano e cantavano finché non erano troppo dice Armando Suárez del leggendario gruppo messiubriachi o il locale chiudeva. cano Chac Mool. “Qual era per te il messaggio o il Il locale stesso ricordava gli hoyos funky (buchi sentimento di quell’epoca?”, domanda l’intervistafunky), gli spazi che negli anni settanta ospitavano tore a Norberto “Pappo” Napolitano, uno dei primi illegalmente i primi concerti rock. I bagni puzzolenti, chitarristi rock argentini. “Be’, la libertà”, risponde la mancanza di un vero bar, il senso di clandestinità: lui, senza esitazioni. “Era la ragione di tutto. Vivere gli ingredienti erano gli stessi. Quello che si ascoltava in libertà”. al Jacalito, però, non era underground: era la versioRompan todo è il primo documentario esaustivo ne più commerciale del latin rock, quella suonata sul rock latinoamericano, e sposa l’idea che dietro aldalla fine degli anni ottanta in poi, quando le case la musica ci fosse una motivazione politica. Il raccondiscografiche usarono finalmente le orecchie e coto ripercorre le tappe fondamentali del movimento – i minciarono a investire cifre più consistenti per orgaconcerti storici, i gruppi più importanti, gli album più nizzare concerti e produrre album. Anche in questo influenti – presentandole non come una realtà lontasound ripulito, però, si percepiva lo spirito di rivolta na dalla lotta politica ma come una risposta diretta a che faceva sentire i frequentatori degli hoyos funky quelle turbolenze. dei ribelli anticonformisti. Era presente nella voce La prima parte della serie, che va dagli anni cindelicata di Gustavo Cerati, il cantante del gruppo arquanta agli anni ottanta, analizza le tensioni tra le gentino Soda Stereo. In Cuando pase el temblor (1985), dittature e i giovani che le contrastavano attraverso le una canzone che mescola influenze new wave e ritmi proteste e i movimenti artistici. Si sofferma in partiandini: “C’è una crepa nel mio cuore… So che t’incolare sulla presidenza di Luis Echeverría in Messico contrerò tra queste rovine… Svegliami quando finisce e sui regimi militari di Jorge Videla in Argentina e Auil terremoto”. È presente in Gimme tha power (1999) gusto Pinochet in Cile. La seconda parte si focalizza della band messicana Molotov, nel flusso del testo su conflitti politici ed eventi politico-economici più

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EMMANUEL ORDÓÑEZ ANGULO

è uno scrittore e professore messicano. Insegna negli Stati Uniti, alla Rutgers university, nel New Jersey, e alla New York university. Questo articolo è uscito sulla New York Review of Books con il titolo Give me all the power. È una recensione della serie tv Rompan todo. La storia del rock in America Latina (Netflix 2020).

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specifici – le guerre della droga in Messico e in Colombia, la firma dell’Accordo nordamericano per il libero scambio (Nafta), la crisi finanziaria degli anni novanta in Argentina – e su come le ultime incarnazioni del latin rock hanno reagito a questi processi o, a volte, li hanno sfruttati commercialmente. La storia comincia nel 1958 con Ritchie Valens, un azzimato cantante che faceva furore negli Stati Uniti con la sua versione rock’n’roll di La bamba, una canzone tradizionale messicana. Anche i ragazzi a sud del Rio Grande cominciarono ad apprezzare il brano, in parte per le origini messicane di Valens, in

parte perché era la dimostrazione che il rock poteva essere cantato in spagnolo. Fino a quel momento, la musica commerciale era stata per lo più importata dagli Stati Uniti: Elvis Presley, Frank Sinatra, le big band. Valens insegnò ai giovani messicani che potevano tradurre i testi nella loro lingua e perfino scrivere cose loro. Il risultato era una musica che condivideva lo spirito allegro e ottimista del rock’n’roll ma che suonava nuova. “Un sacco di musicisti guardano la nostra musica dall’alto in basso”, dice Rafael Acosta del gruppo messicano Los Locos del Ritmo. “Dicono che siamo Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Pop

Storie vere La comunità costiera di Finisterre, in Francia, ha risolto il mistero dei telefoni fissi a forma di Garfield, il popolare gatto dei fumetti, che dagli anni ottanta inquinano le spiagge bretoni. È stato trovato il container affondato da cui emergono e che ne contiene ancora centinaia: è in una profonda grotta marina non lontana dal mare d’Iroise, sul versante occidentale della regione. L’ha scoperto René Morvan, un agricoltore locale, dopo aver fatto una ricerca subacquea con suo fratello.

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solo degli imitatori”. Eppure, nonostante la sua banalità, questo rock canalizzava quello che i giovani messicani vedevano o proiettavano in Valens: uno spirito di rivolta. Anche se il bersaglio, all’epoca, era solo il dominio della musica statunitense e inglese. Dopo essere arrivato in Messico dal Nordamerica, il rock’n’roll si diffuse rapidamente a sud. I primi rocker sudamericani tendevano a imitare le loro band preferite: in Uruguay, Los Shakers diventarono una sorta di Beatles locali. Ma l’imitazione richiedeva un vero stile. “Sono stati capaci di estrarre l’essenza musicale dei Beatles, decodificarne il dna e tradurlo nella cultura uruguayana”, osserva il musicista argentino Pedro Aznar. Come racconta Rompan todo, con l’arrivo degli anni sessanta, quando il rock si lasciò alle spalle lo stile composto ed educato e alcune band cominciarono ad avere successo, emerse una frattura. “All’inizio il beat e il pop andavano a braccetto”, dice l’argentino Gustavo Santaolalla, che interviene spesso nella serie e l’ha anche prodotta. “Poi il beat si è trasformato in musica commerciale, mentre il pop è diventato più progressista”. Non è un caso se lui si schiera dalla parte non commerciale, visto che è stato uno dei produttori di maggior successo di quella musica per tutti gli anni novanta e i primi duemila. È la musica che ha seguito il solco tracciato dai Beatles, quella “associata alle proteste studentesche, alle droghe, all’amore libero”, come dice il dj messicano Camilo Lara. “Abbiamo cominciato ad avere una coscienza sociale”, spiega il suo connazionale Martín del Campo. “Alcuni di noi s’interessavano di filosofia, di problemi che riguardavano la società e la politica”, racconta Emilio del Guercio, che suona nel gruppo argentino Almendra. I governi autoritari dell’America Latina non vedevano di buon occhio questi fermenti di cultura hippy. “La polizia ci seguiva dappertutto e ci provocava di continuo”, ricorda Litto Nebbia, della band argentina Los Gatos. “Ci sbattevano sempre in galera”, dice del Guercio. “Alla fine ci lasciavano andare, ma prima dovevamo passare lì un po’ di tempo. Una volta hanno tagliato i capelli a uno della band. Tagliarci i capelli era come amputarci un braccio”. All’orizzonte c’erano problemi ben più gravi. Nel 1968 il presidente Gustavo Díaz Ordaz decise di sedare le proteste studentesche che minacciavano le Olimpiadi di Città del Messico, così il ministro dell’interno Luis Echeverría inviò le forze armate, scatenando quello che sarebbe passato alla storia come il massacro di Tlatelolco, che provocò 325 morti e migliaia di feriti. La dittatura “morbida” non poteva essere più definita così. La maschera della democrazia era caduta: dietro c’era un partito che si era impadronito della presidenza nel 1929 ed era rimasto al potere grazie al sequestro, la tortura o l’omicidio dei dissidenti. L’autoritarismo si stava diffondendo. Un serie di colpi di stato – nel 1955, nel 1962 e nel 1966 – vide una parata di despoti prendere il potere in Argentina. In Perù nel 1968 s’insediò una giunta militare. In Cile si stava preparando il golpe che nel 1973 avrebbe rove-

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sciato Salvador Allende. Gran parte dell’America Latina, in altre parole, era alla mercé di questo o quel dittatore, e avrebbe continuato a esserlo fino alla fine degli anni ottanta. L’ultimo sussulto fu un festival organizzato nel 1971 sulle rive del lago Avándaro, vicino a Città del Messico. Avándaro – la Woodstock messicana, come viene ancora chiamata – fu una tre giorni all’insegna di droghe, nudismo e rock. Inizialmente doveva essere una serata musicale per attirare il pubblico di una gara automobilistica che si sarebbe svolta il mattino dopo. Gli organizzatori si aspettavano 25mila persone, invece ne arrivarono oltre 250mila. Sul palco si esibirono molti dei primi gruppi rock messicani: i Three Souls in My Mind (progenitori degli El Tri, poi diventati una delle band più famose del paese), Los Dug Dug’s e i Peace and Love. Buona parte delle canzoni, con i loro testi banali e le loro melodie che ne imitavano altre, non era niente d’indimenticabile, ma la particolarità fu che canzoni erano rivolte direttamente al governo, dal 1970 guidato da Echeverría. La più significativa era Tenemos el poder, abbiamo il potere, dei Peace and Love. “Il ritornello orecchiabile intonato da decine di migliaia di bocche finì per spaventare l’esecutivo”, ha scritto nel 2011 il critico musicale messicano Federico Rubli Kaiser. La stampa controllata dal regime denunciò l’evento accusandolo di promuovere la degenerazione e addirittura il satanismo. Poco dopo, il rock fu sostanzialmente messo al bando e dovette passare in clandestinità. Era facile vedere in tutto questo la reazione di un potere spaventato. Qualcuno, però, si domandava se i giovani rockettari avessero davvero la forza, o la voglia, di mettere paura a un governo sanguinario. Nel suo pionieristico saggio sul rock latino e la cultura che lo circondava, pubblicato lo stesso anno del festival, l’autrice messicana Margo Glantz descriveva il movimento da lei stessa ribattezzato Onda (“estar en la onda” era un’espressione gergale messicana per dire essere “in”) come un collettivo di artisti, soprattutto scrittori e musicisti, che con il loro stile esprimeva una sensibilità controculturale. Nel loro rifarsi al rock e al beat statunitensi, scriveva Glantz, questi artisti non combattevano per un ideale politico: la loro era solo una posa. Uno combatte per una causa perché sa cos’è l’oppressione, osservava Glantz, perché è direttamente interessato dall’esito della lotta, e questi ragazzi non lo erano. Costituita in gran parte da giovani della classe media, l’onda non contemplava la presenza di adolescenti indigeni, contadini, o anche solo provenienti dalle piccole città. “La gioventù ribelle che si oppone alla società e critica le vecchie generazioni, in realtà, è un fenomeno comune nella storia”, scriveva. “Questi ragazzi usano il linguaggio del sottoproletariato e lo vestono con i ritmi della musica rock”. I frequentatori degli hoyos funky e dell’Avándaro, secondo Glantz, non volevano il cambiamento politico, volevano solo essere en la onda. Eravamo così anche noi, una generazione dopo. El Jacalito ha permesso a tutti quelli che non avevano

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vissuto gli anni sessanta e settanta di crogiolarsi nell’imitazione di quella ribellione velleitaria. Una volta Paco Ayala, il bassista dei Molotov, ha detto che la canzone Puto (1997) – in cui il titolo, un insulto omofobo, viene gridato rabbiosamente contro un de­ stinatario non specificato – non è stata scritta pensan­ do ai gay ma “ai politici vigliacchi e corrotti”. La spie­ gazione mi ha sorpreso. Qual era, in effetti, il motivo per cui facevamo tremare le pareti del Jacalito urlan­ do all’unisono “Putoooo!” ogni volta che la parola ri­ correva nella canzone? Ce l’avevamo davvero con i politici? O volevamo semplicemente scaricare la ten­ sione gridando un generico vaffanculo? La risposta di Glantz sarebbe stata inequivocabile: quella era musi­ ca per dei ribelli senza una causa. Alla fine, il latin rock entrò a far parte del main­ stream. La svolta arrivò con quando il Regno Unito vinse la guerra delle Falkland del 1982. Incattivito dalla resa forzata, il governo argentino, ancora guida­ to da una giunta militare, vietò la musica inglese e così le emittenti locali cercarono materiale in lingua spagnola che fosse abbastanza innocuo da poter esse­ re mandato in onda, ma allo stesso tempo abbastanza popolare da convincere gli ascoltatori a rimanere sin­ tonizzati. Il latin rock era la scelta più ovvia. Per san­ cire l’ingresso del genere nella cultura ufficiale, il go­ verno riesumò il festival Buenos Aires Rock, che si era tenuto l’ultima volta dieci anni prima. Le band non sembravano avere problemi a lavorare con un potere contro il quale si erano sempre schierate. Anche in Messico si stavano aprendo nuove opportunità com­ merciali per il rock locale dopo l’elezione, sempre nel 1982, di Miguel de la Madrid, primo di una serie di presidenti più favorevoli al mercato. In Argentina la democrazia fece il suo ritorno nel 1983, quando si ten­ nero le prime elezioni dall’inizio della dittatura del 1976, e in Cile nel 1990, dopo il referendum che mise fine al regime di Pinochet. La regione si aprì al commercio globale e agli in­ vestimenti esteri, e le aziende nordamericane dell’intrattenimento ne approfittarono. Nel 1990, l’unica casa discografica che pubblicava musica rock in Messico era la Arrabal Producciones; nel 1998, l’86 per cento del mercato era controllato da etichet­ te straniere – Bmg, Warner Music, Polygram, Emi, Sony Music, Universal Music – più la messicana Fo­ novisa. Nel 1993 l’arrivo di Mtv in America Latina fu uno spartiacque, perché radicò le imprese statuni­ tensi e diede un profilo internazionale al rock locale. L’emittente contribuì a rendere i musicisti famosi all’estero. Il rock messicano riempiva gli stadi in Ci­ le, quello argentino li riempiva in Messico, e negli Stati Uniti e in Europa vendeva bene. Gli autori non potevano più coltivare la loro immagine da outsider: erano diventati delle celebrità. L’iniezione di denaro contribuì anche ad alzare il livello delle produzioni. E il successo, a sua volta, por­ tò il latin rock a prendere più consapevolezza di sé. Diretto discendente di quello nordamericano, era sempre stato un genere destinato ad allargare il suo pubblico. Oggi i gruppi della prima ora suonano molli

e datati. Quelli nati dagli anni ottanta in poi alzarono l’asticella. Non solo registravano in studi professiona­ li con strumenti d’importazione, ma suonavano con più energia e gridavano più forte. Ascoltandoli era impossibile rimanere fermi. Questa evoluzione era studiata a tavolino. Santa­ olalla, che lavorava per case come la Sony Bmg e la Warner Music, era abilissimo a riconoscere le band che avrebbero potuto attirare le folle. “Lo chiamavo il guru”, dice Tito Fuentes dei Molotov all’inizio di Rompan todo. Santaolalla lanciò molti dei più grandi nomi del genere negli anni novanta e duemila: Maldi­ ta Vecindad, Molotov e Café Tacvba in Messico; Jua­ nes in Colombia; Los Prisioneros in Cile; Bersuit Ver­ garabat in Argentina e molti altri. Gli appunti al docu­ mentario si sono concentrati soprattutto su questa selezione, e in particolare su chi ne fu lasciato fuori. Molti si sono lamentati dell’esclusione delle donne, di band importanti anche se meno commerciali, delle scene musicali di interi paesi come Brasile, Ecuador, Venezuela, Panamá e Perù. La critica Macarena Polanco ha ribattezzato la serie “la passione del rock secondo Santaolalla”. Per quanto queste accuse siano fondate, è inevita­ bile che un documentario che parla di un argomento così ampio faccia una selezione. Forse gli artisti scelti dalla serie non sono i più interessanti, ma sono co­ munque i più rappresentativi e popolari. E spesso so­ no stati scoperti da Santaolalla. C’è però un’omissione più grave, se la storia che Rompan todo pretende di raccontare è quella della resistenza della musica all’autoritarismo in America Latina. È l’esclusione della nueva canción, un genere più impegnato e vittima di una repressione ben più dura. La nueva canción, come il latin rock, sbocciò negli Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Pop SHARON OLDS

è una poeta statunitense nata nel 1942. Insegna alla New York university. Questo testo è uscito sulla rivista Poetry nell’aprile 2023. Traduzione dall’inglese di Elisa Biagini.

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anni sessanta e settanta, ma seguì la traiettoria opposta, diffondendosi dal sud al nord. Era un movimento molto radicato nel territorio. Si usavano soprattutto la chitarra e la voce, a cui spesso si aggiungevano strumenti indigeni come il charango, la quena e la zampoña. Ascoltare la nueva canción voleva dire entrare in contatto con l’America Latina rurale: la voce di Mercedes Sosa faceva eco ai ritmi di San Miguel de Tucumán, la città in cui era nata, nel nord dell’Argentina: percussioni profonde, quasi primitive, accompagnavano il suo canto ardente. L’ensemble degli Inti-Illimani – bombo, archi, quena – era letteralmente il prodotto dei boschi delle Ande, da dove venivano gli strumenti usati nelle prime esibizioni del gruppo a Santiago alla fine degli anni sessanta. Non c’era nessuna ricerca di virtuosismo musicale o raffinatezza estetica. L’esperienza della nueva canción era imperniata sui testi delle canzoni – che parlavano di gauchos, di giustizia, della realtà sociale del paese – e sull’idea di suonare per entrare in contatto con la gente che soffre. La nueva canción nacque dagli incontri clandestini – peñas – che i giovani organizzavano nelle case o, a volte, nelle chiese durante gli anni della dittatura in Cile e in Argentina (il clero, protetto in qualche misura dalla violenza dello stato, era spesso coinvolto nei movimenti di sinistra). Gli amici s’incontravano in questi spazi per comporre e suonare canzoni, mangiare e bere insieme e formarsi politicamente, soprattutto sulla “filosofia della liberazione”. Sviluppata da intellettuali latinoamericani come Enrique Dussel, Rodolfo Kusch, Arturo Roig e Leopoldo Zea, la filosofia della liberazione fondeva l’economia marxista e la teologia con l’obiettivo di fare luce sulla vita politica della regione e analizzare l’autoritarismo che l’opprimeva. Parte del lavoro di questi intellettuali era favorire l’alfabetizzazione e la presa di coscienza tra i poveri nelle favelas brasiliane, nei villaggi sperduti del nord dell’Argentina, nelle comunità isolate delle Ande. E anche se il movimento era nato nelle università, si radicò rapidamente tra le fasce emarginate della popolazione. I suoi sostenitori non erano figli di avvocati o banchieri della classe media ma appartenevano ai due estremi dello spettro socioeconomico: da una parte contadini e operai, dall’altra l’élite intellettuale rappresentata da poeti e filosofi. Siamo di fronte a due modi chiaramente distinti di fare musica per reagire all’oppressione. Mentre il latin rock è urlato e punta alla distrazione, la nueva canción è mite, quasi suadente. Le voci del primo vibrano di disperazione, l’altra è quasi sempre pacata. I testi rock parlano di esperienze individuali, la nueva canción si rivolge alla collettività. Il rock tende a essere un’espressione del desiderio, la nueva canción sembra una dichiarazione di princìpi. La canzone più famosa di questo genere, Gracias a la vida, sottolinea l’importanza di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e di contare sul proprio lavoro e la propria fatica. Più immediatamente riconoscibile nella versione di Mercedes Sosa ma resa famosa negli Stati Uniti da Joan Baez all’inizio degli anni settanta, la

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Poesia

Sonetto della dipendenza Un pregiudizio è una dipendenza, ed è contagioso – i genitori infettano i propri figli. E la dipendenza è ossessiva, se un uomo trova difficile mostrare il suo amore a suo figlio, può essere perché suo padre è fuggito con la sua vita da un villaggio in cui il suo di padre era stato appena ucciso in un pogrom, il suo modello di padre un uomo terrorizzato. Ma la dipendenza da tale silenzio può essere curata, come Carl e suo figlio hanno provato a fare con il duro lavoro. Lavoratori del mondo, unitevi, non abbiamo nulla da perdere se non la morte della terra. Sharon Olds

canzone fu scritta dalla poeta cilena Violeta Parra un anno prima che si suicidasse, nel 1967. Le parole sono allo stesso tempo dolci e aspre, delicate e cariche della tragedia incombente, sia nella vita di Parra sia in America Latina dopo il 1968, l’anno del massacro degli studenti a Città del Messico. Sarebbe sbagliato dire che il rock latino e la nueva canción non si sono mai fusi, ma sarebbe altrettanto scorretto dire che sono la stessa cosa. Rompan todo fa di tutta l’erba un fascio in un episodio in cui accenna brevemente a uno dei principali esponenti della nueva canción, il cantante cileno Victor Jara. A differenza dei musicisti rock, nel documentario Jara non viene presentato come un artista da apprezzare per la sua musica (lo si sente cantare in sottofondo nei pochi minuti che gli vengono dedicati), ma come il martire. Il suo nome viene citato solo per dire che fu assassinato nel 1973 dal regime militare che rovesciò Allende. Dato che la musica praticamente non si sente, lo spettatore non può sapere che, in realtà, questa tragedia non ha niente a che fare con il rock latino. L’episodio finale di Rompan todo racconta di come il latin rock è stato politicamente rinvigorito dall’insurrezione del 1994, quando l’Esercito zapatista di liberazione nazionale, un collettivo di militanti in maggioranza maya del Chiapas, lo stato più povero del Messico, si dichiarò indipendente. Dopo la ratifica del Nafta, le terre comunali indigene avevano perso la protezione legale per non essere vendute. L’insurrezione era l’ultima spiaggia degli zapatisti. “A un tratto, la nostra generazione, che consideravamo un po’ nichilista, sposò la causa zapatista”, dice Camilo Lara.

I Café Tacvba e altri gruppi oggi classici come Santa Sabina, La Lupita, Botellita de Jerez e Maldita Vecindad tennero un concerto di beneficenza sul piazzale dell’Unam, l’università più grande dell’America Latina, a Città del Messico, devolvendo parte dell’incasso agli zapatisti. Animate da un senso di urgenza politica, le esibizioni furono ancora più rumorose del solito. Rubén Albarrán dei Café Tacvba ricorda: “Credo che quel concerto ci abbia riempiti di energia e di vibrazioni positive. Ci siamo detti, ‘Wow, la nostra musica è al servizio della società!’”. In tutto questo, Óscar Chávez, il più importante esponente della nueva canción in Messico, andò di persona in Chiapas e per anni continuò a fare visita ai militanti. Nel 2000, il comandante David, uno dei leader zapatisti, gli scrisse una lettera aperta scusandosi per l’assenza dei capi del movimento a un concerto che Chávez aveva tenuto a Oventic, la capitale del territorio zapatista. “Non è comune che un artista della statura morale e del prestigio di Óscar Chávez si esibisca su una terra insorta”, scrisse dal suo nascondiglio. “Ci creda, per noi è più vicino di quanto queste parole possano esprimere; sentiamo che il suo canto avrà la stessa eco che la speranza ha sempre da queste parti”. Chávez continuò a esibirsi fino alla vecchiaia alla Peña Tecuicanime di Città del Messico, dove l’ingresso costava circa dieci dollari e dove i musicisti condividevano non solo musica, ma anche i pasti (molletes, comprese nel prezzo del biglietto) e il tempo per conversare con il pubblico. È morto di covid nel 2020, in uno dei tanti ospedali pubblici scandalosamente sottofinanziati di Città del Messico. Forse è ingiusto accusare i musicisti rock di essere diventati ricchi e di aver dato alla resistenza politica solo “energia e vibrazioni positive” anziché, come alcuni artisti della nueva canción, la vita. Dal loro

punto di vista, fare rock poteva essere un modo per sentirsi vicini alla lotta degli attivisti e degli intellettuali. Ma sostenere, come fa Rompan todo, che il valore del latin rock sia nel suo presunto peso politico significa oscurare i suoi meriti reali – quello di aver dato una valvola di sfogo ai giovani e di aver trasformato una cultura importata in un’esperienza locale – e dimenticare che altri artisti hanno combattuto e sofferto davvero in nome del progresso. Anni fa, a Buenos Aires, in qualità di unico messicano a un karaoke, mi hanno chiesto di cantare una canzone che tocca il cuore del mio paese. Nella lista dei brani disponibili c’erano molte canzoni rock, alcune orribili, altre bellissime, e anche alcuni classici della nueva canción che amo. Eppure, non ho potuto fare a meno di scegliere la cosa più ovvia e allo stesso tempo più inaspettata: gli argentini Soda Stereo. Il latin rock ci permetteva di esprimere un sentimento di esperienza condivisa. La nueva canción non era in grado di fare lo stesso, proprio perché aveva posizioni politiche radicali, quindi divisive. Però al loro meglio, entrambi i generi hanno cercato di reagire a un senso d’impotenza. Noi latinoamericani non c’infiammiamo per i Soda Stereo, i Caifanes o Los Prisioneros perché dicono cose in cui crediamo, come invece facevano Victor Jara, Mercedes Sosa e Óscar Chávez. Non è questo che ci aspettiamo da loro. Il rock latino ci coinvolge perché abbiamo ancora bisogno di una catarsi, perché ci sentiamo ancora soffocati da società profondamente repressive. Perché anche se le dittature fanno ormai parte del passato, ci sentiamo ancora intrappolati nella periferia del globo. Sì, vogliamo essere liberi, ma ogni tanto vogliamo semplicemente unirci agli altri: non per cambiare la nostra condizione ma, almeno per una notte e dopo fiumi di birra, non esserne oppressi. u fas

Altri animali Leonardo Caffo

La liberazione dei tarocchi Mettere in crisi l’antropocentrismo, il sistema cognitivo avvolgente che non ci permette di vedere al di là dei bias, dei pregiudizi, legati all’appartenenza alla nostra specie, non significa solo aprirsi alle vite animali o vegetali. Richiede di riconsiderare tutte le epistemologie che fin dalla nascita dell’antropocentrismo, e poi con la sua esaltazione più grande e pervasiva, cioè il capitalismo, abbiamo pian piano eliminato dalla scena. A volte, in filosofia, per capire a fondo una teoria si può tentare con il gioco. I tarocchi sono un perfetto

sistema di riconcettualizzazione non antropocentrica del mondo: con il loro sistema di arcani maggiori e minori, figure mitiche e animalesche, trasmettono soprattutto l’idea che il nostro destino sia connesso alle forze della natura, dell’universo, del caso. E che dunque il controllo totale sul reale, perno decisivo dell’antropocentrismo, sia un dogma ingiustificabile proprio come credere nel volere degli astri. Hegel chiamava “forma generale della presupposizione” tutto ciò che concerne gli atti di fede ma, come ha mostrato l’e-

pistemologia moderna, ogni conoscenza, anche la più scientifica, è vera solo dentro un contesto di riferimento e non può mai giustificare i suoi stessi presupposti. Non che si debba sostituire la psicoanalisi con i tarocchi, tanto per dirne una, ma ogni tanto credere anche ai simboli aiuta il percorso di liberazione dall’antropocentrismo: pensare che il nostro destino dipenda da un animale lontano e perso nel tempo, personalmente mi rilassa. Comunque vada, la vita non è niente più che un gioco con il destino. u Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Scienza trebbero vivere in un ambiente protetto: il loro gruppo è isolato e meno esposto alle malattie e alle attività umane rispetto a comunità simili. E nelle altre popolazioni di scimpanzé di solito le femmine muoiono subito dopo la fine dell’età fertile.

ANGELO MONNE

La teoria della nonna

ZOOLOGIA

Perché c’è vita dopo la menopausa Dyani Lewis, Nature, Regno Unito La scoperta che le femmine di scimpanzé possono vivere a lungo dopo la fine dell’età fertile getta nuova luce sulle origini di questo fenomeno, finora osservato in pochissime specie ra le femmine di un gruppo di scimpanzé selvatici (Pan troglodytes) è stato documentato per la prima volta l’insorgere della menopausa in una specie di primati non umani. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, approfondisce il mistero del perché solo le femmine di pochi mammiferi sopravvivano oltre l’età fertile. I ricercatori hanno studiato 185 femmine di scimpanzé della foresta di Ngogo, che si trova nel parco nazionale di Kibale in Uganda. Ne è emerso che, come in altri scimpanzé e negli umani, il numero delle gravidanze calava dopo i 30 anni per interrompersi del tutto a 50. Molte femmine però continuavano a vivere dopo l’età fertile, a volte superando i 60 anni e passando circa un quinto della loro esistenza

T

adulta nel periodo della postmenopausa. Le scimpanzé attraversano una transizione ormonale simile a quella delle donne. Nelle loro urine è stato rilevato un calo di estrogeni e progestina e un aumento degli ormoni follicolo-stimolante e luteinizzante, che controllano l’ovulazione e il rinnovamento dell’endometrio dopo la mestruazione. Resta da capire se le scimpanzé di Ngogo siano un caso eccezionale. In un altro studio la biologa Angela Goncalves del Centro di ricerca tedesco sul cancro di Heidelberg spiega che la cessazione definitiva dell’ovulazione è frequente tra gli animali che vivono negli zoo, in laboratorio e in altre situazioni di cattività. È stata rilevata in sei dei venti ordini di mammiferi per cui esistono dati, ed è seguita da una fase di vita sterile. Secondo Goncalves studiare la cessazione dell’ovulazione potrebbe aiutarci a scoprire i meccanismi biologici coinvolti e capire se il fenomeno abbia origine nelle ovaie oppure nell’ipofisi, la ghiandola che produce gli ormoni. La biologa ipotizza che, come gli animali in cattività del suo studio, anche le scimpanzé di Ngogo po-

Finora una lunga postmenopausa nei mammiferi selvatici era stata documentata in sole cinque specie: l’orca, il globicefalo di Gray, il narvalo, il beluga e la pseudorca. In base alla cosiddetta teoria della nonna, che spiegherebbe l’evoluzione della vita oltre la riproduzione piuttosto che la menopausa in sé, le femmine più anziane possono favorire la sopravvivenza del loro patrimonio genetico aiutando le figlie ad allevare i nipoti. Ma per l’antropologo Brian Wood la teoria non funziona con gli scimpanzé, perché per accoppiarsi le giovani femmine lasciano il gruppo familiare e si allontanano dalla madre. Un’ipotesi evolutiva alternativa che potrebbe spiegare la menopausa delle scimpanzé di Ngogo è quella del cosiddetto conflitto riproduttivo: all’interno di un gruppo le femmine più vecchie smettono di riprodursi per evitare la competizione con le più giovani che, con il passare del tempo, hanno sempre più probabilità di essere loro parenti strette. Ma non tutti i biologi credono che la menopausa sia un adattamento evolutivo. Secondo l’ecologa evoluzionista Pat Monaghan la menopausa ha origini evolutive, ma non dipende da fattori sociali. Le femmine devono fare in modo che i loro ovuli abbiano buoni mitocondri, gli organelli all’interno delle cellule che producono energia. La loro qualità è importante soprattutto per i neuroni dei mammiferi con il cervello grande, come gli umani. Quando raggiungono la mezza età le femmine, che nascono con tutti i loro ovuli, hanno ormai finito quelli con i mitocondri buoni. I maschi invece non trasmettono i mitocondri ai figli, quindi la loro vita riproduttiva non è limitata. Per il primatologo Kevin Langergraber il fatto che l’età della menopausa negli esseri umani sia ereditaria suggerisce che possa essere un tratto adattivo selezionato nell’arco dell’evoluzione: la selezione naturale avrebbe potuto ritardarla, ma dato che non è successo dev’esserci una pressione evolutiva che la mantiene stabile intorno ai cinquant’anni. u sdf Internazionale 1536 | 3 novembre 2023

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Scienza SALUTE

Polli allo specchio

Speranze contro la malaria

Riconoscere la propria immagine allo specchio è considerato un segno di autocoscienza. Questa capacità è stata osservata in pochi animali oltre gli esseri umani, tra cui alcuni primati, i cavalli, i delfini e le gazze, ma potrebbe essere propria anche dei polli (Gallus gallus domesticus), sostiene una ricerca pubblicata su Plos One. In natura i galli usano il canto per allertare i propri simili della presenza di un predatore, ma se sono soli restano in silenzio per non attirare l’attenzione. I ricercatori hanno messo un gallo in uno spazio diviso da una rete e hanno proiettato sul soffitto la sagoma di un falco. Se oltre la rete c’era un altro gallo i richiami di allarme erano più frequenti rispetto a quando l’animale era solo o si trovava di fronte a uno specchio. Probabilmente il riflesso non era identificato come un compagno reale. Se davvero i polli riescono a distinguere la propria immagine riflessa dalla vista di un altro esemplare della loro specie, concludono gli scienziati, la capacità di riconoscersi potrebbe essere più comune tra gli animali di quanto si pensasse.

Science, Stati Uniti Il primo vaccino approvato contro la malaria ha ridotto le morti tra i bambini del 13 per cento, afferma uno studio presentato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) il 20 ottobre. Tra i bambini che hanno ricevuto la tripla dose i casi gravi sono calati del 22 per cento. Il vaccino, chiamato Rts,s o Mosquirix, è stato approvato nel 2021 ed è in uso in Ghana, in Kenya e in Malawi. Il programma è cominciato nel 2019 e ha portato alla vaccinazione di quasi due milioni di bambini. Al momento dell’approvazione il vaccino era stato presentato come un prodotto dall’efficacia modesta, ma i primi dati sul campo mostrano invece che ha effetti rilevanti. Nella prima fase dello studio era emerso che il farmaco è sicuro e che non ostacola le altre campagne vaccinali. Dal 2024 l’uso del vaccino sarà quindi esteso ad altri stati, ma ci sarà da superare il problema dei costi. Il prezzo di una dose è di circa dieci dollari, troppo per i paesi più poveri. Di recente l’Oms ha approvato un secondo vaccino, chiamato R-21, che dovrebbe costare meno ed essere disponibile in quantità maggiore. ◆

IN BREVE

THIBAUT ROGER/NCCR PLANETS/ETH ZURICH (CC BY-NC-SA)

GEOLOGIA

Tsunami nell’Egeo Lo tsunami che nel 1650 ha devastato le isole di Santorini, Ios e Sikinos nel mar Egeo è stato provocato dal vulcano sottomarino Kolumbo. Secondo una ricostruzione pubblicata su Nature Communications, durante l’eruzione c’è stata una frana sul fianco nordoccidentale del vulcano, seguita da un’esplosione. Si è così generata un’onda che ha raggiunto i venti metri di altezza. Lo studio può essere utile per il monitoraggio dei vulcani sottomarini attivi.

J. CASANA ET AL./NASA1398

ZOOLOGIA

ASTRONOMIA

Cosa c’è dentro Marte Il centro di Marte potrebbe essere formato da ferro liquido molto denso circondato da un sottile strato di roccia fusa, residuo di un oceano di magma che un tempo copriva la superficie del pianeta. Secondo due studi pubblicati su Nature il nucleo avrebbe una raggio compreso tra i 1.650 e i 1.675 chilometri, meno di quanto si pensava finora. Il modello è stato elaborato a partire dai dati raccolti dalla sonda InSight, che ha registrato le scosse sismiche generate dalla caduta di un meteorite sul pianeta nel settembre del 2021.

Archeologia Circa quattrocento forti, presumibilmente di età romana, sono stati individuati tra la Siria e l’Iraq, riferisce Antiquity. Le strutture (nella foto) sono state identificate attraverso l’analisi di migliaia d’immagini scattate dai satelliti spia statunitensi durante la guerra fredda, tra gli anni sessanta e ottanta. La loro distribuzione non sembra indicare che facessero parte di una linea difensiva di frontiera. Un’ipotesi è che i forti servissero piuttosto per facilitare lo scambio di merci. Neuroscienze Uno studio pubblicato su Neuron ha esaminato due aree del cervello che valutano le ricompense associate alle decisioni e sono responsabili dell’errore di previsione, un segnale generato quando una ricompensa non corrisponde a quella attesa. Nelle persone con dipendenza da cocaina il sistema potrebbe produrre un segnale alterato, incidendo sulla capacità di apprendimento.

BIOLOGIA

Il mistero degli elefanti Uno studio pubblicato su Nature Communications ha individuato il probabile responsabile dell’improvvisa morte di decine di elefanti in Botswana e Zimbabwe nel 2020. In sei esemplari è stato trovato un batterio sconosciuto, simile al Pasteurella multocida, che potrebbe provocare un tipo di setticemia. Gli animali morti erano probabilmente già sotto stress a causa dell’elevata densità di popolazione e della siccità.

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Il diario della Terra UESLEI MARCELINO (REUTERS/CONTRASTO)

Il nostro clima

L’uragano imprevisto

Ghiacci La banchisa dell’Antartide occidentale potrebbe sciogliersi sempre più velocemente nel corso di questo secolo a causa del rapido riscaldamento degli oceani. La perdita del ghiaccio potrebbe essere irreversibile, cioè avvenire anche se si riuscirà a rispettare l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media globale a meno di 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, il riscaldamento del mare di Amundsen potrebbe diventare tre volte più veloce. Privati della protezione fornita dalla banchisa, i ghiacciai sulla terraferma potrebbero destabilizzarsi e scivolare in mare, causando un aumento del livello degli oceani superiore al previsto. Nella foto: un iceberg al largo della Penisola antartica, febbraio 2020

Radar

L’aviaria minaccia l’Antartide

Terremoti Un sisma di magnitudo 5,4 sulla scala Richter

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Incendi Gli incendi attivi da giorni nello stato del Queensland, nel nordest dell’Australia, hanno causato la morte di almeno una persona e distrutto decine di abitazioni. Tempeste La tempesta tropicale Pilar ha investito la costa pacifica dell’America centrale, uccidendo almeno due persone in Salvador. Uccelli L’influenza aviaria H5n1 è stata individuata per la prima volta nella regione antartica. Il virus, che ha già ucciso cinquecentomila uccelli marini e ventimila leoni marini in Cile e in Perù, è stato trovato in alcuni stercorari antartici sull’isola di Bird, nell’arci-

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pelago della Georgia del sud. Gli scienziati temono che la sua diffusione in Antartide potrebbe avere effetti catastrofici sulle colonie di uccelli del continente. Vulcani Il vulcano Sakurajima (nella foto), nel sud del Giappone, ha eruttato per la seconda volta nel giro di due settimane. ◆ Secondo i sismologi lo sciame sismico registrato nella penisola di Reykjanes, nel sudovest dell’Islanda, è il segno che nell’isola potrebbe essere imminente una nuova eruzione vulcanica.

:THE ASAHI SHIMBUN/GETTY

Piogge Almeno tre persone sono morte a Kiev a causa degli alberi abbattuti dalle forti precipitazioni che hanno investito il nordovest dell’Ucraina. Il maltempo ha messo fuori uso gran parte della rete elettrica, già indebolita dai bombardamenti russi, lasciando senza corrente trecentomila persone. ◆ Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sono stati colpiti da precipitazioni insolitamente intense, che hanno bloccato i trasporti e causato lievi danni.

ha colpito il nordest della Giamaica, senza causare vittime né danni significativi. Altre scosse sono state registrate a Vanuatu, a Tonga e in Iran.

◆ Nelle prime ore del 25 ottobre l’uragano Otis ha colpito Acapulco, sulla costa orientale del Messico, provocando la morte di almeno 48 persone ed enormi danni materiali. La violenza dell’evento ha sorpreso tutti: fino a un giorno prima Otis era classificato come una tempesta tropicale, ma nel giro di dodici ore si è intensificato improvvisamente fino a raggiungere la categoria 5, la più elevata sulla scala Saffir-Simpson. La velocità dei venti è passata da 113 a 257 chilometri orari, un record per il Pacifico orientale. Il fallimento dei sistemi di allerta ha fatto discutere. Secondo New Scientist negli ultimi anni i modelli meteorologici sono diventati più accurati nel predire l’intensificazione dei cicloni, ma sono meno affidabili quando il processo è molto rapido. In definitiva l’evoluzione di un uragano dipende soprattutto da fattori interni, scrive Science. I dati ambientali come la temperatura dell’oceano, l’umidità e la variazione dei venti sono relativamente facili da misurare, mentre la struttura interna di una tempesta è più difficile da rilevare: spesso i satelliti non possono osservarla a causa delle nuvole. Nel caso di Otis le simulazioni a partire dai dati disponibili prevedevano un’intensificazione graduale. Solo quando un aereo è riuscito a volare all’interno dell’uragano si è scoperto l’errore. Alcuni scienziati pensano che fenomeni come questo potrebbero diventare più frequenti a causa del riscaldamento degli oceani provocato dal cambiamento climatico.

Il pianeta visto dallo spazio 30.09.2023

Il delta del Betsiboka, in Madagascar

EARTHOBSERVATORY/NASA

Nord

◆ Quando gli astronauti osservano il Madagascar dalla Stazione spaziale internazionale, la loro attenzione è spesso attirata dai fiumi. Le acque in molti casi sono di un intenso color ruggine a causa della forte presenza di minerali in sospensione, soprattutto dopo periodi di forti precipitazioni dovute ai cicloni. Questa foto mostra il delta del fiume Betsiboka, sulla costa nordoccidentale del paese. La maggior parte dei fiumi del Madagascar nasce dalle

alture nell’interno dell’isola. Qui raccolgono grandi quantità di sedimenti dal suolo ricco di ferro, per poi trasportarli fino a uno dei molti delta sabbiosi che si susseguono lungo la costa. Le aree montuose del paese sono punteggiate di formazioni erosive chiamate lavaka (“buco”, in malgascio). Si tratta di fenditure che si aprono sui fianchi delle alture quando l’acqua si infiltra in profondità nel terreno e degrada il substrato roccioso, fino a trasformarlo in una roc-

I fiumi del Madagascar hanno spesso un colore rosso ruggine. È il risultato dell’erosione del suolo, che negli ultimi anni è stata fortemente accelerata dalle attività umane



cia friabile chiamata saprolite. In seguito possono espandersi sotto l’azione degli agenti atmosferici fino a raggiungere grandi dimensioni. Le lavaka possono formarsi naturalmente, ma negli ultimi decenni la distruzione di gran parte delle foreste dell’isola per far spazio all’agricoltura e all’allevamento ha accelerato sensibilmente l’erosione del suolo, che oggi rappresenta una delle principali minacce per gli ecosistemi e per l’economia del paese.–Nasa

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Economia e lavoro

BERNDHARTUNG (FOCUS AGENCY/CONTRASTO)

Darmstadt, Germania. Belen Garijo, presidente della Merck

GERMANIA

Ancora poche donne al comando delle aziende Kerstin Bund, Süddeutsche Zeitung, Germania In Germania cresce la presenza femminile ai vertici delle imprese quotate in borsa. Ma nel paese ci sono troppi ostacoli economici e culturali che impediscono una vera parità di genere el Dax, il principale indice azionario della borsa tedesca, arriverà presto una novità: il gruppo Allianz sarà la prima azienda del Dax 40, il gruppo delle quaranta maggiori imprese quotate a Francoforte, ad avere quattro donne nel consiglio d’amministrazione. Con la nuova direttrice finanziaria, Claire-Marie CosteLepoutre, la presenza femminile in ruoli dirigenziali sale al 44 per cento. Non s’erano mai viste quattro donne in un consiglio d’amministrazione di una grande azienda quotata in borsa. Ma non è l’unico caso in cui le donne ai piani alti sono in aumento. Alla Beiersdorf, multinazionale che produce beni per la cura personale, le consigliere d’amministrazione sono tre

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su sette. Nel gruppo chimico-farmaceutico Merck e nel negozio online Zalando sono due su cinque. L’azienda di tecnologia medica Siemens Healthineers ha un consiglio d’amministrazione diviso equamente: due uomini e due donne. Ogni anno sono circa cento le nuove nomine nei consigli d’amministrazione delle 160 aziende quotate alla borsa tedesca. Nel 2022 più di un terzo di queste nomine (il 37 per cento) è andato alle donne, come mostra uno studio della fondazione Allbright. L’anno precedente la quota era del 23 per cento. Attualmente le donne ricoprono 121 dei 695 posti nei consigli d’amministrazione di queste aziende: la quota è cresciuta di più di tre punti in un anno. Per la fondazione Allbright di tratta del “secondo aumento più cospicuo mai registrato nel corso di un anno”. Nelle aziende del Dax 40 la percentuale di donne oggi è pari al 23,2 per cento, anche questo un record. Per la prima volta, inoltre, in Germania sono più numerose le aziende quotate in borsa con almeno una consigliera d’amministrazione (94) rispetto a quelle che ancora non ne hanno neanche

una (66). Ma le buone notizie finiscono qui. Oggi le aziende sono sottoposte a enormi pressioni dell’opinione pubblica perché raggiungano gli obiettivi sulla parità di genere. Quasi nessuna può più permettersi un consiglio d’amministrazione senza donne. Solo che, appena una donna si siede al tavolo dei dirigenti, l’impegno per l’inclusività sembra esaurirsi. Settantuno delle centosessanta aziende quotate, riporta sempre lo studio della fondazione Allbright, hanno una sola consigliera d’amministrazione. Sembra quasi un alibi. “C’è una nuova norma nelle aziende: dev’esserci una donna in ogni consiglio d’amministrazione. Però una, non di più”, dice Wiebke Ankersen, direttrice della fondazione tedesco-svedese. Una moda “discutibile”, aggiunge. Se vogliamo che donne e uomini abbiano le stesse opportunità di carriera, serve “una percentuale sostanziale di donne nei consigli d’amministrazione”, rivendica Ankersen.

Consigli di vigilanza Anche nel 2023 ai vertici del potere aziendale – alla guida dei consigli d’amministrazione e di vigilanza – ci sono quasi esclusivamente uomini. Qui le donne sono addirittura meno rispetto al 2022: il numero di amministratrici delegate nelle centosessanta aziende più grandi è calato da nove a sette rispetto all’anno scorso. Nel Dax 40 c’è una sola presidente del consiglio d’amministrazione a fronte di trentanove presidenti uomini: Belén Garijo, del gruppo farmaceutico Merck. Nei consigli di vigilanza le cose non vanno molto meglio: solo in sei delle centosessanta aziende quotate – due in meno dell’anno precedente – è una donna a dirigere il massimo organo di controllo aziendale, per esempio Simone BagelTrah alla Henkel e Clara Streit nel gruppo immobiliare Vonovia. Secondo lo studio della Allbright, la Germania sta recuperando terreno sul piano internazionale, ma è ancora molto indietro rispetto ad altri paesi. Per quanto riguarda le quaranta società più grandi quotate in borsa, gli Stati Uniti sono primi con una quota di alte dirigenti pari al 32,6 per cento, seguiti dal Regno Unito con il 29,5 per cento, dalla Francia con il 27,9 per cento e dalla Svezia con il 27,2 per cento. In questi paesi i consigli d’amministrazione con più di una

PORTOGALLO

REGNO UNITO

Tutti via di casa

Assicurazioni costose

Il Portogallo è noto come una delle principali mete dei nomadi digitali (lavoratori che sfruttano le nuove tecnologie per lavorare da remoto), a cui Lisbona riserva tra l’altro un regime fiscale agevolato, ma le sue aziende hanno enormi difficoltà a trovare il personale di cui hanno bisogno, scrive Bloomberg. Il Banco Comercial Português, per esempio, non trova giovani informatici che l’aiutino a sviluppare i suoi servizi online. Il motivo principale è che negli ultimi anni molti giovani portoghesi hanno lasciato il paese in cerca di opportunità migliori all’estero: secondo alcune stime, ogni anno quasi il 40 per cento dei laureati va via dal Portogallo.

GERMANIA

Recessione in vista Nel terzo trimestre del 2023 l’economia tedesca è arretrata dello 0,1 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, aumentando i timori che possa entrare in recessione per la seconda volta nel giro di un anno, scrive la Süddeutsche Zeitung. La Germania era già stata in recessione tra l’ultimo trimestre del 2022 e il primo trimestre del 2023.

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Bristol, Regno Unito

MATT CARDY (GETTY)

donna sono ormai da tempo la norma. Negli Stati Uniti, in particolare, più della metà dei consigli d’amministrazione analizzati dallo studio conta già più del 30 per cento di donne tra i componenti, e la tendenza è in aumento. In Germania invece si trova in questa situazione solo il 28 per cento delle aziende. Per cambiare davvero la cultura aziendale, dicono gli economisti comportamentali, servirebbe una “massa critica” femminile almeno del 30 per cento: solo così sarebbe possibile modificare lo stile dirigenziale, le relazioni e il dibattito interno. Secondo Ankersen il ritardo della Germania rispetto agli altri paesi dipende anche dalla politica. Nel paese cresce la consapevolezza delle pari opportunità, ma i modelli tradizionali sono ancora molto diffusi. In quasi nessun altro stato occidentale sono tante le donne che lavorano part-time, fatto che le ostacola nelle promozioni ai vertici. “Molte temono che un ruolo di comando non si possa conciliare con una buona gestione familiare”, spiega Ankersen. Servirebbe quindi un aumento degli asili nido e delle scuole a orario continuato. Inoltre, andrebbero aboliti “forti disincentivi come lo splitting degli oneri fiscali dei coniugi”, in base al quale le tasse da pagare sono sommate e divise equamente per due. Ne traggono vantaggio soprattutto le coppie sposate, in cui uno dei partner, di solito l’uomo, guadagna molto e l’altro, di solito la donna, poco. Anche l’assegno familiare dovrebbe essere strettamente legato alla condivisione equa del congedo parentale all’interno delle coppie, sostiene Ankersen. Alla fine lo studio riserva una bella sorpresa: la “lista rossa” della AllBright, cioè l’elenco delle aziende che non hanno una donna nel consiglio d’amministrazione quest’anno è più corta che mai. Nel Dax 40 solo la Porsche e l’Adidas – dopo le recenti dimissioni di Amanda Rajkumar come direttrice delle risorse umane – hanno un consiglio d’amministrazione interamente maschile. E almeno lì le cose cambieranno presto: una legge approvata nel 2021 impone alle aziende una presenza femminile a partire dalle nuove nomine. La norma, in particolare, obbliga le aziende quotate in borsa con più di tre consiglieri a includere almeno una consigliera. L’assenza di donne nel consiglio d’amministrazione dell’Adidas ha quindi le ore contate. u nv

Nell’ultimo anno le aziende assicurative hanno aumentato drasticamente il prezzo delle polizze per le auto elettriche, al punto che oggi sono molto più care di quelle riservate ai veicoli con motore tradizionale, scrive il Financial Times. Secondo alcune stime, i costi assicurativi di un’auto elettrica sono cresciuti del 72 per cento, contro il 29 per cento registrato per le auto con motore a combustione. Nel Regno Unito la John Lewis ha sospeso la vendita delle sue polizze sulle auto elettriche in attesa che siano rivalutati i costi di riparazione dei veicoli. Il problema, spiega il quotidiano britannico, è che un’auto elettrica ha costi e tempi di riparazione nettamente più lunghi: rispettivamente del 25 e del 14 per cento in più rispetto alle auto tradizionali. I pezzi di ricambio e i tecnici specializzati sono decisamente più difficili da trovare. A questo si aggiunge il fatto che le compagnie assicurative hanno ancora una mole di dati ristretta per elaborare previsioni affidabili sui guasti e gli incidenti con le auto elettriche. u GIAPPONE

Mai senza il carbone Come molti altri paesi avanzati, il Giappone si è impegnato a eliminare le sue emissioni di anidride carbonica entro il 2050, ma in realtà rifiuta tutt’ora di mettere fine all’uso del carbone, la fonte d’energia fossile più inquinante. Dal paese asiatico, scrive Bloomberg, è arrivata più della

metà dei 6,6 miliardi di dollari investiti nel 2019 nel settore dai paesi del G7. Tra l’altro Tokyo si è battuta per approvare norme che permettono nuovi investimenti nelle miniere di carbone e, dal momento che importa dall’estero buona parte di questa materia prima, organizza corsi di formazione in cui i minatori giapponesi preparano una nuova generazione di lavoratori del settore anche in altri paesi, per esempio nel Vietnam.

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Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti

Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti

War and Peas E. Pich e J. Kunz, Germania

Strisce

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2023, SUCESORES DE JOAQUÍN S. LAVADO (QUINO)

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L’oroscopo

Rob Brezsny Riuscite a immaginare degli elefanti batteristi? Durante un viaggio in Thailandia il musicista dello Scorpione Dave Soldier scoprì che, muniti di bacchette, i pachidermi potevano percuotere dei tamburi a un ritmo più cadenzato rispetto agli esseri umani. Alcuni erano così talentuosi che registrò i loro suoni e li fece sentire a un critico musicale, il quale non capì che erano stati prodotti da animali. In accordo con i presagi astrali, propongo a voi Scorpioni di cercare qualcosa di altrettanto stupefacente. In questo momento avete la capacità di fare scoperte senza precedenti.

ARIETE

“Il nostro corpo a volte è un terreno simbolico sul quale l’ordine e il disordine lottano per la supremazia”, scrive la narratrice Caroline Kettlewell. Ho una buona notizia per te, Ariete: nelle prossime settimane l’ordine trionferà sul disordine. Grazie alla tua forza di volontà e all’aiuto della vita stessa, domerai il caos e vivrai una fase in cui quasi tutto ha un senso. Non dico che avrai zero problemi, ma sospetto che avrai una maggiore capacità di risolverli. La tua mente e il tuo cuore coordineranno i loro sforzi con un intuito eccezionale.

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

TORO

Di recente ho subìto una cura canalare di tre ore. Terribile, vero? Invece no! Perché mi ha dato una gioia profonda. Il dentista mi ha sedato con il protossido di azoto e l’euforia che ne è derivata ha scatenato una grande epifania. Per tutta la durata dell’intervento ho avuto luminose visioni di tutte le persone che mi amano. Sentivo il loro affetto. Mai prima di allora ero stato così felice. In conformità con i presagi astrali, ti invito a vivere un’esperienza simile, anche senza protossido di azoto. È un momento perfetto per meditare su quanto sei apprezzato, necessario e amato. GEMELLI

A meno che tu non sia una persona particolare, immagino che indossi vestiti e consumi alimenti che non hai prodotto né confezionato tu, e che non hai costruito la tua casa, né i tuoi mobili. Come la maggior parte di noi, sai

ben poco di come ti arrivano l’acqua e l’elettricità. Hai idea di cosa facessero i tuoi nonni quando avevano la tua età? Di recente hai recitato una preghiera per esprimere gratitudine alle persone che ti hanno dato così tanto? Non intendo metterti in difficoltà, Gemelli. Spero solo di ispirarti a entrare in connessione con tutto ciò che ti nutre e ti sostiene. Onora le fonti della tua energia. Rendi omaggio alle tue fondamenta. CANCRO

La cantautrice del Cancro Suzanne Vega ha avuto una carriera modesta ma ininterrotta. Con nove album, ha venduto più di tre milioni di dischi, ma non è nella Rock and roll hall of fame. “Ho sempre pensato che se fossi diventata famosa, allora stavo facendo qualcosa di sbagliato”, dice. Penso che voglia dire di aver cercato di rimanere fedele alla sua creatività piuttosto che inseguire un successo stereotipato. Ecco la buona notizia per te, amico Cancerino: nei prossimi mesi potresti essere più apprezzato che mai restando fedele alle inclinazioni e agli impulsi della tua anima.

verità velate e camuffate. Supponiamo anche che tu abbia una straordinaria capacità di andare oltre le apparenze e di accedere a realtà finora sconosciute. Hai il coraggio e la determinazione per andare più in profondità di quanto tu abbia mai osato? Io credo di sì. VERGINE

Quante lucciole dovrebbero riunirsi in un luogo per creare una luce brillante come il Sole? Probabilmente più di un trilione. E quante formiche sarebbero necessarie per portare via un cesto di cibo da otto chili? Immagino più di 90mila. Per tua fortuna, i singoli sforzi che dovrai fare per realizzare grandi imprese non saranno così numerosi. Per esempio, potresti essere in grado di fare un grande balzo in avanti dopo solo sei piccoli passi. BILANCIA

Nel seicento John Milton scrisse un lungo poema intitolato Paradiso perduto. Non l’ho mai letto e sono indeciso se farlo. Da un lato sento di dover affrontare un’opera che ha avuto un’enorme influenza sulla filosofia e sulla letteratura occidentali. D’altra parte non mi interessa molto la vicenda, che comprende noiose conversazioni tra Dio e Satana e la triste storia di come Dio abbia esiliato gli esseri umani dal paradiso. Quindi ho deciso di leggere una guida allo studio di Paradiso perduto con un breve riassunto della storia. Ti consiglio di trovare scorciatoie simili, Bilancia. Il tuo motto sarà: se non riesci a fare la cosa completamente giusta, prova la cosa parzialmente giusta. SAGITTARIO

LEONE

“Tutto nel mondo ha un significato nascosto”, dice lo scrittore greco Nikos Kazantzakis. Proprio tutto? Il tuo sogno di ieri notte, il tuo programma televisivo preferito, il modo in cui ridi? Facciamo un esperimento divertente e diciamo di sì: tutto ha un significato nascosto. Ipotizziamo che gli attuali presagi astrali suggeriscano che in questo momento hai un talento speciale per comprendere

Tempo fa, la romanziera del Sagittario Shirley Jackson ha scritto: “Nessun organismo vivente può continuare a resistere a lungo in condizioni di assoluta realtà. Anche le allodole e le cavallette sognano”. Da allora gli scienziati hanno dimostrato che quasi tutti gli animali sognano e che il sogno ha avuto origine almeno 300 milioni di anni fa. Con questa ispirazione e in accordo con i presagi astrali, ti esorto a go-

derti un periodo di intenso contatto con i tuoi sogni. Questo ti aiuterà a fuggire dalla realtà assoluta, migliorerà la tua salute fisica e mentale e ti offrirà indizi inaspettati su come risolvere i problemi. CAPRICORNO

Secondo lo scrittore libanese Khalil Gibran le aspirazioni umane vanno sempre espresse. Tutti noi vogliamo stanare la luce dentro di noi dal suo nascondiglio e mostrarla al mondo. Se la sua teoria è valida anche per te, nei prossimi mesi saprai esprimerti meglio e incontrerai più persone che mai interessate a sapere quello che hai da dire. Cerca di capire se hai paure o inibizioni che ti impediscono di rivelarti, e liberatene. ACQUARIO

Novembre è il mese della fiducia in se stessi. Nelle prossime settimane sei destinato a ottenere facili vittorie e avrai il coraggio di cercare audaci trionfi. Resta vicino a persone che ti rispettano e ti amano. Se pensi di avere ammiratori segreti, incoraggiali a essere meno riservati. Hai targhe, medaglie o coppe? Mettile bene in mostra oppure vai in un negozio di trofei e fanne realizzare di nuovi per celebrare le tue abilità, come quella di pensare in modo originale, vivere avventure uniche e ispirare i tuoi amici a ribellarsi alle loro abitudini. PESCI

Sono contento che ci siano tanti maestri ad aiutarci a capire come stare nel qui e ora e concentrarci sul presente. Sono felice che i libri sull’arte della consapevolezza siano ormai diffusi quanto quelli sui gatti e sulla cucina. Ma secondo me è fondamentale anche lasciare la mente libera di vagare al di fuori del presente. Se non riflettiamo su ciò che è accaduto in passato e su ciò che potrebbe accadere in futuro, non possiamo prendere decisioni intelligenti. Vagabondare nel mondo della fantasia è la chiave per avere nuove intuizioni e avviare il processo creativo. Nelle prossime settimane concedi alla tua mente il privilegio di vagare in lungo e in largo.

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internazionale.it/oroscopo

SCORPIONE

COMPITI A CASA

Qual è la cosa più gentile che tu abbia mai fatto? Ti va di farla di nuovo?

MOIR, AUSTRALIA

L’ultima

WHAMOND, CANADA

CAMBON, FRANCIA

“Questa deprimente sensazione d’inutilità non mi abbandona, dottore”.

CHAPPATTE, SVIZZERA

“Ha dolcetti prodotti localmente? Solo biologici! Non posso mangiare noci. Ha dolcetti senza glutine? Cioccolata vegana? Ho un’avversione al glucosio. Sono intollerante al lattosio. Ho una fobia per le caramelle. Sono allergico alle nocciole”.

CAB

Volodymyr Zelenskyj: “Gloria all’Ucraina!”. Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Joe Biden verso il Medio Oriente: “Democrazie contro la barbarie”.

“Non avrei mai pensato di diventare uno di quei gatti che vivono con una single trentenne”.

Le regole In bagno 1 Tira l’acqua quando hai finito, non quando è finito il video che stai guardando. 2 Non rimettere un rotolo nuovo quando finisci la carta igienica è una cattiveria. 3 Lavarsi i denti in due nello stesso momento non è mai un bello spettacolo. 4 Non importa quanti prodotti include la tua skincare quotidiana: lo spazio nell’armadietto va diviso in parti uguali. 5 Prima di uscire dal bagno, lavati le mani.

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