Internazionale 27 ottobre/2 novembre 2023. Numero 1535. Se il conflitto si allarga

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27 ott/2 nov 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1535 • anno 30

internazionale.it

Scienza Martín Caparrós Il potere dei cervelli L’Argentina al bivio tra populismo e peronismo sincronizzati

4,50 € Visti dagli altri Senza i bambini non si va avanti

ISRAELE/PALESTINA

Se il conflitto si allarga l Il ruolo dell’Iran e degli altri

paesi della regione

l Il trauma degli ostaggi

nella storia israeliana

l Amira Hass sulle vittime nella

Striscia di Gaza

l Adam Shatz sull’inutilità

della vendetta

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

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27 ottobre/2 novembre 2023 • Numero 1535 • Anno 30 “Chipping Barnet è una località improbabile per un’utopia femminista”

Sommario 27 ott/2 nov 2023 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo

n. 1535 • anno 30

internazionale.it

Scienza Martín Caparrós Il potere dei cervelli L’Argentina al bivio tra populismo e peronismo sincronizzati

4,50 € Visti dagli altri Senza i bambini non si va avanti

Se il conflitto si allarga

ISRAELE/PALESTINA

Preziosa

Se il conflitto si allarga l Il ruolo dell’Iran e degli altri

paesi della regione

l Il trauma degli ostaggi

nella storia israeliana

l Amira Hass sulle vittime nella

Striscia di Gaza

l Adam Shatz sull’inutilità

della vendetta

SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL 353/03 ART 1, 1 DCB VR • AUT 9,60 € • BE 8,60 € CH 10,30 CHF • CH CT 10,00 CHF D 11,00 € • PTE CONT 8,30 € • E 8,30 €

Giovanni De Mauro

Si chiamava Roshdi Sarraj e faceva il giornalista. È stato ucciso il 22 ottobre durante un bombardamento israeliano a Gaza. Era palestinese, aveva 31 anni, una moglie e una figlia di un anno. Sono già ventitré i giornalisti uccisi dal 7 ottobre: 19 palestinesi, tre israeliani, un libanese. Nelle ultime due settimane a Gaza sono stati uccisi più giornalisti di quanti ne siano stati uccisi dal 2001, ha detto Sherif Mansour, coordinatore del Committee to protect journalists per il Medio Oriente e il Nord Africa. “A Gaza un piccolo gruppo di giornalisti sta cercando di raccontare la guerra mentre affronta gli stessi problemi della popolazione palestinese assediata: dove vivere, dove procurarsi cibo e acqua e come stare al sicuro”, ha scritto David Bauder dell’agenzia di stampa Associated press (Ap). Oltre ai giornalisti dell’Ap, a Gaza sono rimasti quelli di Bbc, Reuters, Afp e Al Jazeera. A tutti gli altri, Israele impedisce di entrare. Anche i giornalisti che lavorano in Israele affrontano delle difficoltà, seppure d’altro tipo. “Esprimere il proprio dissenso è diventato ancora più complicato”, ha detto Anat Saragusti, dell’Unione dei giornalisti israeliani. Emma Goldberg ha raccontato sul New York Times che chi critica Netanyahu deve affrontare gli attacchi dei colleghi, mentre – come tutti in Israele – è ancora traumatizzato per le azioni terroristiche di Hamas del 7 ottobre in cui tanti hanno perso parenti o amici. “Nebbia di guerra” è un’espressione attribuita al generale prussiano Carl von Clausewitz e indica quanto sia arduo, durante un conflitto militare, ottenere informazioni attendibili. Perché di solito nessuna delle parti ha interesse a raccontare fino in fondo la verità e quindi tende a sminuire le proprie sconfitte, a esagerare i propri successi, o addirittura a mettere in circolazione notizie false, approfittando della difficoltà, o perfino impossibilità, di verificarle. Per questo la presenza dei giornalisti sul campo è preziosa. Sono i nostri occhi e le nostre orecchie. u

IN COPERTINA

Finora in Medio Oriente ha prevalso la volontà di evitare un’escalation. Ma le valutazioni strategiche potrebbero cambiare, mettendo Iran e Israele in rotta di collisione (p. 22). Foto di Ashraf Amra (Reuters/Contrasto)

REGNO UNITO

35 I conservatori si preparano alla sconfitta The Spectator INDONESIA

39 Il presidente pensa al futuro della famiglia East Asia Forum OPINIONI

43 A Gaza nessuno 46

è al sicuro Amira Hass In Argentina il favorito ora è Sergio Massa Martín Caparrós VISTI DAGLI ALTRI

48 Senza i bambini non si va avanti The Guardian NAMIBIA

54 La scommessa dell’idrogeno verde Unbias The News REGNO UNITO

58 E vissero insieme felici e contente The Guardian SCIENZA

62 Un coro

PORTFOLIO

ECONOMIA E LAVORO

66 Alla ricerca della giusta distanza Anders Petersen

108 I segnali

di una crisi che sembrava impossibile The Wall Street Journal

RITRATTI

72 Pieter Omtzigt. Il centrista De Standaard

Cultura 84

VIAGGI

76 Goa

Schermi, libri, suoni

Le opinioni

portoghese Nikkei Asia GRAPHIC JOURNALISM

78 Cartoline

18

Domenico Starnone

84

Giorgio Cappozzo

86

Nadeesha Uyangoda

88

Giuliano Milani

90

Claudia Durastanti

99

Leonardo Caffo

che ballano Libération

10

Dalla redazione di Internazionale

18

Posta

POP

21

Editoriali

111

Strisce

113

L’oroscopo

dal Giappone Michele Petrucci MUSICA

81 Quarantenni

92 Israeliani e palestinesi, patologia della vendetta Adam Shatz SCIENZA

Le rubriche

114 L’ultima Articoli in formato mp3 per gli abbonati

103 Cosa succede quando sbadigliamo Die Zeit

di cervelli Mediapart

Il nuovo Internazionale Kids è in edicola

Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.

Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

9

internazionale.it/sommario

La settimana

ANITA CHAUDHURI A PAGINA58

Dalla redazione di Internazionale Per ritrovare gli articoli di cui si parla in questa pagina si può usare il codice qr o andare qui: intern.az/1Ie3

Internazionale.it Video

Articoli ISRAELE-PALESTINA

MUSICA

I palestinesi hanno bisogno di nuovi leader Anche se ora sembra inimmaginabile, il processo politico dovrà ripartire. Chi sarà a negoziare la pace?

Viaggio nella psiche di Walt Disney Un omaggio all’immaginario, anche oscuro e pauroso, dei film del maestro dell’animazione.

MIGRANTI

Un film che scava nella storia oscura dell’America Alcune opere parlano bene del presente parlando del passato. Come Killers of the flower moon di Martin Scorsese.

DR

CINEMA

Anatomia di un attacco All’alba del 7 ottobre il movimento islamista palestinese Hamas ha lanciato un’offensiva accuratamente pianificata contro Israele. Il quotidiano francese Le Monde ha analizzato decine di filmati dell’attacco, dalle registrazioni delle telecamere a circuito chiuso ai video di propaganda, ricostruendo come è stata eseguita e programmata l’operazione.

Guerre

Dov’è finita l’acqua ◆ Sulla Terra c’è moltissima acqua, ma solo una piccola parte è potabile. Per questo dobbiamo difenderla, distribuirla equamente e trovare nuovi modi per non sprecarla. “Visto che il problema riguarda l’intero pianeta, collaborare conviene a tutti”, racconta l’articolo di copertina.

◆ Parole Chiave è la nuova collana nata dalla collaborazione tra Bur Rizzoli e Internazionale. Guerre è il titolo del primo volume, in cui attraverso reportage, analisi, schede e infografiche si approfondiscono cause, dinamiche e conseguenze di dieci conflitti in corso nel mondo. In libreria, 256 pagine, 18 euro

10

I costi esorbitanti dei centri di detenzione in Italia Molti sollevano dubbi sull’efficacia, le violazioni e i costi di queste strutture. SETTEGIORNI IN EUROPA

FOTOGRAFIA

Un segnale di speranza dalla Polonia L’opposizione democratica ha spodestato gli ultraconservatori anche grazie al voto dei giovani.

Atterraggi di speranza Il fotografo palestinese Maen Hammad ha seguito un gruppo di ragazze e ragazzi del suo paese che vanno in skateboard.

SCIENZA

Cile 1973

Continuate a sognare a occhi aperti Sognatrici e sognatori di tutto il mondo, è ora di far capire a tutti il vostro potenziale. ATTUALITÀ

La pace è lontana Che succede in Medio Oriente. BRASILE

Avere dieci anni a Rio de Janeiro Una giornata nella vita di Elloá, 10 anni, che vive nella favela Rocinha.

In edicola, in libreria e online c’è il volume di Internazionale storia Cile 1973. A cinquant’anni dal colpo di stato militare che rovesciò il governo di Salvador Allende e aprì la terribile stagione della dittatura di Augusto Pinochet, 192 pagine di articoli della stampa internazionale dal 1971 a oggi.

Cile 1973 Il governo di Allende, il golpe e la dittatura di Pinochet nella stampa di tutto il mondo

TEST

Che mostro sei Se emetti grida terrificanti potresti essere il Bunyip. PORTFOLIO

In edicola

Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

Lo spettacolo dell’universo Le più belle foto di astronomia.

In edicola, in libreria e online

Autumn/Winter 23-24 location - archivioleonardi.it

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Immagini Le donne si fermano Reykjavík, Islanda 24 ottobre 2023 La manifestazione durante lo sciopero generale delle donne in Islanda. Con lo slogan “Questa la chiami uguaglianza?”, il 24 ottobre decine di migliaia di donne, compresa la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, si sono fermate per un’intera giornata per protestare contro la disuguaglianza di genere e il divario salariale. Anche se l’Islanda è considerata uno dei paesi più avanzati del mondo per la parità di genere, secondo l’ufficio statistico nazionale le donne guadagnano almeno il 20 per cento in meno rispetto ai colleghi uomini. Foto di Arni Torfason (Ap/Lapresse)

Immagini Tutti in piazza Seoul, Corea del Sud 9 ottobre 2023 Sostenitori del Liberty unification party a una manifestazione nella capitale. Spesso i cortei di protesta a Seoul sembrano dei concerti rock, con musica a tutto volume, folle festanti, caricature gonfiabili dei leader politici e anche famiglie con bambini. Nel centro della metropoli sudcoreana quasi ogni fine settimana si tengono manifestazioni pro o contro il presidente conservatore Yoon Suk-yeol. Foto di Chang W. Lee (The New York Times/Contrasto)

Immagini Un aiuto dal cielo Ciamis, Indonesia 18 ottobre 2023 Contadini pregano per chiedere il ritorno della pioggia in un campo di riso bruciato dalla siccità. In Indonesia la stagione secca normalmente dura da giugno ad agosto, ma quest’anno si è protratta molto più a lungo a causa del Niño e di altri fenomeni climatici ricorrenti. La mancanza di precipitazioni ha favorito gli incendi e danneggiato i raccolti, provocando un forte rincaro dei generi alimentari in un paese già colpito dal rallentamento dell’economia globale. Il governo ha prorogato la distribuzione gratuita di riso alle famiglie più povere. Foto di Adeng Bustomi (Antara/Reuters/Contrasto)

[email protected] Atterraggi di speranza u Mi ha fatto molto piacere leggere l’articolo sulla mostra fotografica Landing (internazionale.it). Credo che la cultura possa essere uno strumento ineguagliabile di dialogo anche tra mondi apparentemente distanti. Il dialogo permette di conoscersi e riconoscersi, di capire che l’altro siamo noi. Solo così si può costruire un mondo di pace. Si continuano a confondere i popoli con i loro governi, ma tutti noi possiamo lottare perché questo non avvenga, anche con un gesto piccolo come andare a vedere una mostra fotografica. Paola Giustini

La misura dei capolavori u In merito all’articolo di Louis Chilton (Internazionale 1534) sulla durata dei film, recentemente ho riguardato insieme a mia figlia Via col Vento, Apocalypse Now e 2001: odissea nello spazio. Già che c’ero mi sono rivisto in solitaria, su schermo grande, tre capolavo-

ri di David Lean: Lawrence d’Arabia, Il dottor Zivago e Il ponte sul fiume Kwai. Le visioni mi sono sembrate leggerissime, il mio cuore palpitava e le mie pupille erano più dilatate di quelle di Alex DeLarge. Non ho voglia di sforzarmi, non sono tenace, non ho pazienza, ho una soglia dell’attenzione di un organismo monocellulare se ho sbadigliato continuamente prima di arrivare alla fine di Tenet, di Oppenheimer e pure di Killers of the flower moon? Che ragione c’è di continuare a ribadire concetti già chiari nell’ultima ora di tanti film? A volte si ha l’impressione che l’eccessiva durata nasconda la necessità di riempire il tempo a disposizione, come nelle serie tv. Ma un film non è una serie tv, la gente non salta le puntate al cinema. Aldo Manfredi

capelli; in piscina non devo mettere la cuffia; la mattina appena sveglio sono già pronto e “pettinato”; se faccio a botte nessuno mi può tirare i capelli; il vento al massimo mi scompiglia le idee, ma soprattutto non devo andare dal barbiere e leggere riviste orrende. #pelatopride Alessandro Di Meo

u Su Internazionale 1534, a pagina 50, Predappio è in provincia di Forlì-Cesena; a pagina 54, Giancarlo Giorgetti nel governo Draghi era ministro dello sviluppo economico; a pagina 75, Aquafil è un’azienda italiana che ha alcune sedi in Slovenia; a pagina 82, l’ambra si è formata nella regione del Baltico.

Più capelli per tutti

Errori da segnalare? [email protected]

u Ho letto l’articolo sui trattamenti contro la calvizie (Internazionale 1534). Sono pelato, quindi: dopo la doccia o il bagno non mi devo asciugare i

Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it

PER CONTATTARE LA REDAZIONE

Costruire città

Per molti anni ho visto giocare i miei figli ai videogiochi senza riuscire davvero a capire come partecipare al loro divertimento. Prima di tutto perché la mia esperienza di gaming era ferma al Gameboy, la console portatile degli

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anni novanta, e poi perché le poche volte che avevo provato a cimentarmi in titoli famosi come Fortnite o Grand theft auto ne ero uscito tramortito e un po’ sconvolto dal livello di violenza. Per non parlare di Minecraft, che non ho ancora capito che razza di gioco sia. Poi però un giorno ho chiesto a mio figlio: “Secondo te qual è un videogame che potrebbe piacermi?”. E lui non ha avuto dubbi: SimCity! In effetti, visto che sono un appassionato di mappe e geografia, un gioco che simula la gestione e lo sviluppo di una metropoli si è rivelato perfetto. E anche se

Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

Domenico Starnone

Risposte farfugliate

Errata corrige

Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli

Mio figlio di 11 anni va matto per i videogame: ci gioca da solo, con la sorella più grande, con gli amici e con suo padre. Ma io, che per quanto provi a giocare li trovo troppo noiosi, sono destinata a restare esclusa da questa sua passione così importante?–Emma

Parole

non è tra i titoli più avventurosi, a mio figlio piace tanto vedermi giocare che è ben felice di sedersi accanto a me e rinunciare a sparare ai mostri per costruire insieme una città. E per me la cosa più piacevole sono le chiacchiere che ci facciamo davanti allo schermo. Secondo una stima fatta dalla xBox, ci sono 831mila videogiochi in circolazione. Sono sicuro che, se ti metti a cercare, anche tu ne troverai uno che fa esattamente al caso tuo, e a cui potrai giocare con tuo figlio. [email protected]

u Forse le vittime, se avessero voce, dovrebbero porre un’unica domanda: perché ci avete immolato? Ci sarebbe un bel po’ di imbarazzo e un confusissimo farfugliare. Già, perché le abbiamo immolate? Perché un qualche dio ha voluto, vuole e vorrà sempre olocausti e ostie. Per colpirne migliaia ed educarne milioni. Perché quella che ritenete casa vostra è invece indiscutibilmente casa nostra. Perché noi siamo civili e voi no. Perché il sangue, l’odio e le guerre sono l’eterno banco di prova dei forti destinati al governo del pianeta. Balbettii folli, insomma. Tra i quali anche: vi abbiamo immolato perché più crescono i numeri del massacro, meglio si arriva a una qualche pace che almeno per un po’ tenga in equilibrio il mondo. Cosa che di fatto significa: vi abbiamo sacrificato per niente, siete stati massacrati perché non sappiamo fare altro che potenziare l’anti, rafforzare il pro e passare da una finta pace a una vera guerra, da una vera guerra a una finta pace. Vera guerra poi bisogna vedere. Le guerre i militari le fanno ormai davanti agli schermi: a debita distanza, si distruggono case e cose, si sterminano civili. Nell’era inaugurata in gran pompa da Hiroshima e Nagasaki e perfezionata dalla tecnologia digitale sono in massima parte gli inermi ad agonizzare e bruciare tra le rovine. Chi ne ammazza o ne storpia di più, guadagna punti. Il resto è ipocrisia.

Editoriali

Un piccolo gesto di umanità “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (scienza, ambiente), Camilla Desideri (America Latina), Francesca Gnetti (Medio Oriente), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Stefania Mascetti (Europa, caposervizio) Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao (Asia e Pacifico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore) Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Beatrice Boncristiano, Pasquale Cavorsi (caposervizio), Marta Russo Podcast Claudio Rossi Marcelli, Giulia Zoli (caposervizio) Web Annalisa Camilli, Simon Dunaway (notizie), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa Internazionale Kids Alberto Emiletti, Martina Recchiuti (caporedattrice) Internazionale a Ferrara Luisa Ciffolilli, Gea Polimeni Imbastoni Segreteria Monica Paolucci, Gabriella Piscitelli Correzione di bozze Lulli Bertini, Sara Esposito Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla fine degli articoli. Francesco De Lellis, Andrea De Ritis, Susanna Karasz, Davide Lerner, Giusy Muzzopappa, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella, Davide Trovò, Nicola Vincenzoni Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto grafico Mark Porter Hanno collaborato Giulia Ansaldo, Cecilia Attanasio Ghezzi, Francesco Boille, Jacopo Bortolussi, Catherine Cornet, Sergio Fant, Claudia Grisanti, Ijin Hong, Anita Joshi, Alberto Riva, Concetta Pianura, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pauline Valkenet, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e diffusione Angelo Sellitto Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del Marketing Editoriale srl Tel. +39 06.69539344 - Mail: [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Internazionale, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza agli articoli che compriamo dai giornali stranieri. Info: [email protected]

Registrazione tribunale di Roma n. 433 del 4 ottobre 1993 Iscrizione al Roc n. 3280 Direttore responsabile Giovanni De Mauro Chiuso in redazione alle 19 di mercoledì 25 ottobre 2023 Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Pubblicazione online ISSN 2499-1600 PER ABBONARSI E PER INFORMAZIONI SUL PROPRIO ABBONAMENTO Numero verde 800 111 103 (lun-ven 9.00-19.00), dall’estero +39 02 8689 6172 Fax 030 777 23 87 Email [email protected] Online internazionale.it/abbonati LO SHOP DI INTERNAZIONALE Numero verde 800 321 717 (lun-ven 9.00-18.00) Online shop.internazionale.it Fax 06 442 52718 Imbustato in Mater-Bi

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The Guardian, Regno Unito Quando Yocheved Lifshitz, un’attivista per la pace israeliana di 85 anni, è stata liberata da Hamas, l’hanno filmata mentre stringeva la mano di un miliziano incappucciato, forse uno dei suoi carcerieri. Lifshitz gli ha detto shalom, pace in ebraico. È stato un momento toccante di umanità in un mondo diviso. Nella conferenza stampa la donna ha raccontato di essere stata trattata bene durante la prigionia, nonostante il brutale rapimento dal kibbutz in cui viveva. I suoi valori, e il fatto che il marito era ancora nelle mani di Hamas, avranno inciso su queste parole, ma il comportamento di Lifshitz offre una lezione importante: un gesto di gentilezza verso una persona che rappresenta il nemico può dimostrare che siamo tutti umani, mentre l’istinto di vendetta riporta a galla il passato. Gli israeliani sono feriti e arrabbiati. Il massacro di 1.400 persone e il rapimento di 220 ostaggi compiuti da Hamas sono crimini terribili. Ma la giustizia dovrebbe essere amministrata all’interno di un quadro istituzionale, non devono essere i palestinesi innocenti a pagare. Finora più di 6.500 palestinesi sono morti a Gaza e gran parte erano bambini. I crimini di guerra di Hamas contro i civili israeliani non giustificano i crimini di guerra delle forze israe-

liane contro i civili palestinesi. Bisogna permettere che altri ostaggi lascino Gaza, ma la possibilità di riportare a casa donne, bambini e anziani sta svanendo in fretta. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto più tempo per le trattative sugli ostaggi e ha spinto per far avere aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Ancora meglio sarebbe ascoltare l’invito del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres per un “cessate il fuoco umanitario immediato” nella Striscia di Gaza. Israele deve pensare al futuro. Guterres ha ragione quando sottolinea che gli attacchi di Hamas “non sono arrivati dal nulla” e che i palestinesi hanno subìto 56 anni di “occupazione soffocante”. Dopo la fine di Hamas servirà una risposta migliore di un conflitto irrisolvibile. Israeliani e palestinesi sono intrappolati in una spirale in cui ognuno cerca di vendicare un torto: quando una parte pensa di essersi vendicata, l’altra ritiene che i conti non siano stati saldati. Il risultato è una storia recente impregnata di sangue. Entrambe le parti devono cominciare a mostrare un minimo di empatia per l’altra, in modo che la violenza smetta di segnare il presente. u as

I miliardari non pagano le tasse Die Tageszeitung, Germania È pazzesco: i miliardari pagano pochissime tasse. Possono sfruttare gli stratagemmi consentiti nei loro paesi, creando holding con lo schema delle scatole cinesi o investendo nel settore immobiliare. Anche per le grandi multinazionali l’imposizione fiscale è minima. Si è sempre sospettato che i ricchi fossero trattati con i guanti. Ma ora a dimostrarlo c’è il primo rapporto dell’Osservatorio fiscale dell’Unione europea. Uno stato funziona solo se può contare sulle entrate fiscali. E dall’esistenza dello stato tutti traggono vantaggi, compresi quei miliardari che non vogliono pagare le tasse. Questa palese ingiustizia mette in pericolo la democrazia, che implica una promessa di uguaglianza attribuendo un voto a ciascun cittadino. Ma se i ricchi diventano sempre più ricchi anche perché quasi non pagano le tasse, a questa promessa politica non crederà più nessuno. Indignarsi però non

basta. La vera domanda infatti è un’altra: perché gli elettori continuano a votare chi appoggia leggi fiscali a esclusivo vantaggio dei ricchi? Due meccanismi in particolare sono dannosi. Innanzitutto, considerare gli stati come aziende in concorrenza tra loro fa sembrare legittimo sottrarre entrate fiscali al vicino offrendo aliquote stracciate. A nobilitare questa follia ci si mette anche la teoria neoliberista, che ama molto la “competizione fiscale”, come se le tasse fossero merci. In secondo luogo, c’è l’idea che lo stato sia solo un fattore di disturbo, e che quindi le società di successo sarebbero quelle che impongono meno tasse. Ma istruzione, assistenza sanitaria, infrastrutture e tutela dell’ambiente sono settori essenziali e costosi allo stesso tempo. Per finanziarli il modo migliore è imporre una tassazione equa, in modo che anche i ricchi facciano la loro parte. u sk

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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In copertina

Se il conflitto s Dalia Dassa Kaye, Foreign Affairs, Stati Uniti

opo l’attacco lanciato da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023 molti commentatori avevano previsto che la guerra avrebbe coinvolto solo lo stato ebraico e l’organizzazione islamista palestinese. D’altronde i principali attori coinvolti sembrano avere ottime ragioni per evitare un allargamento del conflitto: Israele è impegnato nella risposta militare a Gaza, l’Iran non vuole finire in rotta di collisione con gli Stati Uniti e Washington non vuole alimentare un caos che inciderebbe sul mercato petrolifero, farebbe crescere l’estremismo e distoglierebbe l’attenzione dalla guerra in Ucraina. Inoltre l’organizzazione libanese Hezbollah, principale alleata regionale dell’Iran, è in difficoltà e teme che una nuova guerra con Israele faccia peggiorare la crisi politica ed economica del Libano. Nemmeno gli altri paesi della regione vogliono un’escalation. Gli stati arabi come la Giordania e l’Egitto devono gestire

D LIBANO Cisgiordania Striscia di Gaza

ISRAELE EGITTO

SIRIA IRAQ

IRAN

GIORDANIA ARABIA SAUDITA QATAR

EMIRATI ARABI UNITI

YEMEN 500 km

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

vari problemi sociali ed economici che sarebbero aggravati dall’arrivo di migliaia di profughi palestinesi, mentre per i paesi del Golfo una guerra allargata bloccherebbe il tentativo di normalizzare i rapporti di vicinato e risolvere i conflitti in Libia, Siria e Yemen. La Striscia di Gaza, intanto, continua a vivere una devastante crisi umanitaria alimentata da bombardamenti israeliani senza precedenti. Buona parte dello stato ebraico è ormai un bersaglio costante dei missili di Hamas. Nessuno, insomma, vuole che la situazione vada definitivamente fuori controllo. Il problema è che gli argomenti logici a favore del contenimento dello scontro sono diventati meno solidi dopo l’esplosione che ha causato molti morti all’ospedale Al Ahli di Gaza, il 17 ottobre. La Casa Bianca ha detto che la responsabilità non è di Israele, ma paesi come Bahrein, Egitto, Giordania, Marocco, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno incolpato il governo di Tel Aviv. Da quel giorno ci sono state proteste in tutto il Medio Oriente, è stato cancellato un vertice tra i leader di Giordania, Egitto, Palestina e Stati Uniti e si fanno più insistenti le ipotesi di uno scontro tra Iran e Israele. In un’intervista ad Al Jazeera, il 15 ottobre, il ministro degli esteri iraniano ha dichiarato che fino a quando Israele proseguirà la sua campagna militare nella Striscia di Gaza “l’apertura di altri fronti resterà altamente probabile”, aggiungendo che se Israele “deciderà di entrare a Gaza, i leader della resistenza la trasformeranno in un cimitero di soldati dello

HOSSEIN BERIS (MIDDLE EAST IMAGES/AFP/GETTY)

Finora in Medio Oriente ha prevalso la volontà di evitare un’escalation. Ma le valutazioni strategiche potrebbero cambiare, mettendo Iran e Israele in rotta di collisione

stato occupante”. La guida suprema Ali Khamenei ha lanciato minacce simili, dichiarando che l’Iran non fermerà i suoi militanti se Israele continuerà ad attaccare Gaza. Secondo alcuni esperti di que-

si allarga

Una manifestazione contro Stati Uniti e Israele a Teheran, in Iran, il 17 ottobre 2023 stioni iraniane queste parole esprimerebbero una posizione politica o sarebbero la prova che Teheran vuole prendere le distanze dalle azioni dei suoi alleati, come Hezbollah in Libano e i gruppi militanti

sciiti in Iraq. Tuttavia, la possibilità di uno scontro aperto tra Iran e Israele non può essere esclusa, soprattutto considerando che il sostegno pubblico dei leader iraniani alle milizie ridurrebbe la possibi-

lità di negare il proprio coinvolgimento. Teheran e Tel Aviv erano in rotta di collisione da molto prima che scoppiasse l’attuale conflitto e da decenni sono impegnate in una sorta di “guerra ombra” comInternazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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In copertina battuta via terra, aria e mare. Dopo che gli Stati Uniti sono usciti dall’accordo sul programma nucleare iraniano e Teheran ha portato avanti il suo programma atomico, questa guerra si è intensificata, creando una sorta di escalation controllata, in cui ognuno dei due fronti sembrava convinto di poter tracciare limiti invalicabili prima che le ostilità diventassero troppo pericolose. Ma il conflitto a Gaza ha reso ancora più fragile questo equilibrio. Più durerà lo scontro, meno saranno gli incentivi alla moderazione.

La forza di Hezbollah All’inizio della guerra tra Israele e Hamas tutti gli attori chiave hanno cercato di evitare un allargamento del conflitto. I leader israeliani, sconvolti dalla brutalità del peggior attacco nella storia del paese, hanno preparato la loro risposta militare concentrandosi sull’obiettivo di fermare la minaccia terroristica da Gaza. Quando il Wall Street Journal ha scritto che l’Iran aveva contribuito a organizzare l’operazione di Hamas, i funzionari della difesa israeliana hanno subito smentito. Anche se tutti sanno che Teheran fornisce aiuti economici e militari ad Hamas, gli israeliani hanno voluto sottolineare che non c’erano prove di una partecipazione attiva dell’Iran. Gli statunitensi hanno adottato una posizione simile. Quando gli è stato chiesto se dietro l’attacco ci fosse l’Iran, il presidente Joe Biden ha risposto che non esistevano “prove concrete” e che il governo statunitense non aveva motivo di pensare che Teheran sapesse delle intenzioni di Hamas. L’Iran, da parte sua, ha negato qualsiasi coinvolgimento, anche se i suoi leader hanno elogiato pubblicamente l’attacco. Nonostante la retorica diventi sempre più aggressiva e il bilancio delle vittime continui a crescere, è lecito sperare che l’Iran proseguirà sulla linea della prudenza. I suoi leader, indeboliti dal calo di legittimità sul fronte interno e da un’economia in crisi, si preoccupano della loro sopravvivenza politica e probabilmente non vogliono rischiare un conflitto con gli Stati Uniti, con i quali erano impegnati in colloqui diplomatici. L’attuale decisione del governo statunitense di spostare due portaerei nel Mediterraneo orientale serve ad avvertire gli iraniani che una loro partecipazione al conflitto provocherebbe una reazione

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americana. Lo stesso Hezbollah ha mostrato una certa misura nella sua risposta iniziale alla guerra tra Israele e Hamas, limitandosi ad attacchi su scala ridotta che sembravano calibrati per evitare che lo scontro degenerasse. Ma negli ultimi giorni i leader iraniani hanno cominciato a fare dichiarazioni in cui sembrano lasciare la porta aperta a un proprio coinvolgimento diretto: nei giorni scorsi Hezbollah ha lanciato missili anticarro con tecnologia avanzata sul nord di Israele, superando i limiti fissati dallo stato ebraico. Israele ha risposto bombardando il sud del Libano. Un peggioramento della situazione al confine libanese sarebbe estremamente pericoloso. Hezbollah ha capacità militari molto superiori a quelle di Hamas: i suoi missili sono più potenti e precisi e possono colpire tutto il territorio israeliano, quindi un suo attacco metterebbe le difese antimissile israeliane più in difficoltà dei razzi di Hamas. Su entrambi i lati del confine, israeliano e libanese, è cominciata l’evacuazione degli abitanti per risparmiare ai civili di trovarsi nel mezzo di una nuova zona di combattimento. Tuttavia, l’apertura di un nuovo fronte a nord non è inevitabile. Al momento Isra-

Da sapere Bombe e diplomazia u L’esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti nella Striscia di Gaza in preparazione di una probabile offensiva di terra. Secondo Hamas, nella notte tra il 23 e il 24 ottobre 2023 sono morte 140 persone, portando il bilancio degli attacchi israeliani in territorio palestinese a più di 6.500 vittime, tra cui almeno 2.700 bambini (dati aggiornali al 25 ottobre). Il ministero della salute palestinese ha annunciato che più di cento palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania dal 7 ottobre. u La mattina del 24 ottobre il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e nel pomeriggio è stato ricevuto dal presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah, in Cisgiordania. Poi ha continuato il suo viaggio nella regione. u Nel nord d’Israele, al confine con il Libano, sono continuati gli scontri a fuoco tra l’esercito israeliano e Hezbollah, alleato di Hamas e sostenuto dall’Iran. Secondo l’Onu, più di diciannovemila persone sono state costrette a lasciare le loro case in Libano, mentre Israele ha evacuato alcune località vicino al confine. Afp

ele è concentrato sull’operazione a Gaza, che sarebbe complicata da un’escalation alla frontiera settentrionale. A sua volta Hezbollah potrebbe esitare a espandere le sue operazioni militari, soprattutto perché una guerra totale con Israele potrebbe comportare l’intervento degli Stati Uniti. Inoltre l’organizzazione libanese deve considerare la pressione interna: negli ultimi giorni le strade del Libano si sono riempite di manifestanti che protestavano per i morti di Gaza provocati dagli israeliani, ma la rabbia della popolazione è rivolta anche contro una serie di crisi interne che un impegno militare aggraverebbe. Quindi l’obiettivo degli attacchi di Hezbollah potrebbe essere semplicemente esprimere solidarietà ad Hamas e impegnare i militari israeliani lontano da Gaza. Inoltre l’Iran non vuole che Hezbollah si esponga troppo per difendere Gaza: la minaccia di rappresaglie dell’organizzazione libanese è infatti una componente fondamentale della strategia di Teheran per evitare un attacco su larga scala di Israele che potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza del regime iraniano. Allo stesso tempo, questa guerra sta cambiando i calcoli di sicurezza sia in Iran sia in Israele, al punto da rendere plausibile un conflitto diretto tra i due paesi, che si stava già profilando prima del 7 ottobre. Durante la “guerra ombra” tra Israele e Iran, gli attacchi israeliani contro le forze alleate di Teheran in Siria si sono allargati alle strutture navali e militari iraniane all’esterno come all’interno del paese, comprese alcune azioni contro gli impianti nucleari iraniani. Questa dinamica è un elemento portante della strategia adottata da Israele contro l’Iran, chiamata “piovra”: si comincia colpendo i tentacoli (le forze sostenute da Teheran in altri paesi) per poi procedere verso “la testa”, in Iran. Dato che in questi anni i governi israeliani hanno confermato questa linea, gli attacchi iraniani contro obiettivi legati a Israele (comprese alcune navi commerciali) sono diventati sempre più audaci. Eppure prima della guerra attuale entrambi i paesi sembravano convinti di poter controllare la portata del conflitto. L’Iran aveva risposto in modo piuttosto moderato alle provocazioni di Stati Uniti e Israele, in particolare dopo l’omicidio di Qassem Soleimani, comandante della forza Quds, ucciso dagli americani nel 2020, e i bombardamenti israeliani in Si-

MAHMOUD ZAYYAT (AFP/GETTY)

Militanti di Hezbollah a Khirbet Selm, in Libano, 10 ottobre 2023

ria e Iran. A quel punto i leader israeliani si erano convinti di essere riusciti a dissuadere Teheran dall’idea di allargare il conflitto. Una supposizione simile a quella che Tel Aviv aveva fatto su Hamas. Israele credeva di poter ridurre di volta in volta le capacità militari dell’avversario senza rischiare rappresaglie pesanti o una guerra diretta.

Espansione ed equilibrio Anche i leader iraniani oggi pagano le conseguenze della loro presunzione. Nel corso degli anni si sono convinti di avere una solida posizione regionale, rafforzata dai legami con la Russia e dal riavvicinamento con la maggior parte dei paesi arabi, compreso il principale rivale, l’Arabia Saudita. La violenta repressione delle proteste interne dopo l’autunno del 2022 ha ulteriormente confermato le certezze del regime, e lo stesso vale per i recenti passi avanti sul fronte del nucleare. Si pensa che dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo del 2015 l’Iran si sia avvicinato alla possibilità di costruire armi nucleari, e lo scambio di prigionieri di settembre con Washington non riguardava il programma

atomico di Teheran. Probabilmente l’Iran credeva che le proprie capacità dissuasive (compresa la minaccia rappresentata per Israele da Hezbollah) fossero sufficienti a proiettare un’immagine di forza nella regione e a portare avanti il programma nucleare senza una reazione dello stato ebraico. Le proteste dei cittadini israeliani contro il governo di Benjamin Netanyahu negli ultimi mesi hanno rafforzato la convinzione di Teheran che un Israele più debole non avrebbe reagito alle provocazioni. Il fatto che entrambi i governi pensassero di avere un vantaggio sull’altro li stava già mettendo in rotta di collisione. E ora alcuni degli ostacoli a un conflitto aperto si stanno sgretolando. Le barriere potrebbero crollare del tutto se la guerra a Gaza portasse a un attacco su vasta scala di Hezbollah contro Israele, a un’operazione di Israele contro Hezbollah o a un intervento degli Stati Uniti contro le strutture nucleari iraniane. Davanti alla percezione di una minaccia alla propria esistenza, i leader di Israele e Iran potrebbero abbandonare ogni prudenza. Questo scenario catastrofico non è ancora

inevitabile, ma le valutazioni su entrambi i fronti sembrano spingere il conflitto verso una pericolosa espansione invece che verso l’equilibrio. I leader iraniani potrebbero considerare la guerra tra Israele e Hamas come un’occasione per indebolire Israele attraverso attacchi per procura dal Libano o dalla Siria, o per incoraggiare la ripresa di quelli contro le forze statunitensi in Iraq e Siria. Queste operazioni potrebbero già essere in corso: il 18 ottobre gli Stati Uniti hanno intercettato alcuni droni che avevano preso di mira una base irachena delle forze americane. Davanti alla possibilità di sostenere che le proprie azioni sono una risposta alla sofferenza dei palestinesi a Gaza, l’Iran potrebbe convincersi che uno scontro diretto con Israele o perfino con gli Stati Uniti non danneggerebbe i suoi rapporti al livello regionale e globale. Teheran potrebbe inoltre pensare che in una situazione simile le grandi potenze resterebbero fuori del conflitto. Di sicuro la Russia apprezzerebbe un aumento del caos in Medio Oriente, che distoglierebbe l’attenzione dall’Ucraina. La Cina sarebbe meno disposta a tollerare un’azione iraInternazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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In copertina niana che alimentasse l’instabilità regionale, anche perché ha interesse a mantenere al sicuro le forniture di petrolio dal Medio Oriente. Ma difficilmente interverrà per contrastare Teheran, soprattutto se l’Iran dovesse riuscire a indebolire la posizione degli Stati Uniti.

Foto di persone rapite o uccise da Hamas. Tel Aviv, Israele, 22 ottobre 2023

Dal punto di vista iraniano potrebbe essere arrivato il momento di rispondere agli attacchi israeliani degli ultimi anni. Oppure i suoi leader potrebbero optare per un attacco preventivo, se pensassero che Israele si concentrerà sull’Iran dopo l’operazione a Gaza. In Israele l’attacco di Hamas ha messo in crisi le convinzioni su come affrontare gli avversari. L’idea che un nemico possa essere “contenuto” o “gestito” è stata smentita. Se Israele prendesse di mira l’Iran, potrebbe decidere di colpire direttamente la testa della piovra con un attacco su vasta scala contro obiettivi in territorio iraniano. Il forte sostegno militare garantito dall’amministrazione Biden fin dall’inizio della guerra rafforzerà la sicurezza degli israeliani di poter contare sull’appoggio degli americani nel caso di un attacco all’Iran. L’aumento delle schermaglie tra Israele e Iran potrebbe destabilizzare la regione, alterare i mercati globali, provocare danni inimmaginabili ai civili, trascinare gli Stati Uniti in un conflitto e forse spingere Teheran a dotarsi di armi atomiche. I fragili presupposti alla base dell’escalation controllata tra Israele e Iran potrebbero essere spazzati via dalla rabbia, dagli errori di valutazione o dai cambiamenti di strategia. Finora l’amministrazione Biden è sembrata consapevole dei rischi e ha cercato di contenere la guerra tra Hamas e Israele. Gli statunitensi sembrano voler dialogare con l’Iran dietro le quinte. Questa comunicazione è cruciale per evitare un’escalation disastrosa. Il problema è che il conflitto potrà essere arginato solo se tutte le parti coinvolte avranno interesse a scongiurare una guerra regionale. Per ora ci sono le condizioni, ma la situazione potrebbe mutare. Un cambiamento nei calcoli strategici in Israele, in Iran o in entrambi i paesi potrebbe spingere i loro leader a credere che per la sopravvivenza del paese evitare un conflitto sia più pericoloso di una guerra aperta. ◆ as

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LEON NEAL (GETTY)

Rischi a confronto

Gli ostaggi sono un trauma nella storia israeliana R. Bacqué e B. Gurrey, Le Monde, Francia Dagli anni sessanta, una serie di sequestri ha segnato la vita del paese. Costringendolo a passare dall’intransigenza al negoziato na minaccia eterna. Una paura esistenziale, nascosta in un angolo oscuro della memoria collettiva. In nessun altro posto al mondo oggi la liberazione degli ostaggi è così centrale come per chi governa in Israele, un paese creato settantacinque anni fa per offrire un rifugio sicuro agli ebrei della diaspora. “In Francia, negli Stati Uniti o in Russia lo stato ha il compito di riportare a casa gli ostaggi. Ma se il governo non ci riesce, non si rimette in discussione lo stato dalle sue fondamenta. In Israele sì”, spiega Vincent Lemire, docente dell’università Gustave-Eiffel di Parigi ed ex direttore del Centro di ricerca francese a Gerusalemme. Non importa a che prezzo, ma quelle persone devono tornare “a casa”: è il contratto implicito sottoscritto con chi guida il paese. La sicurezza e l’integrità dei cittadini non è una questione secondaria, ma un’esigenza fonda-

U

mentale. “Per capirne l’importanza, basta guardare come sono considerati gli ostaggi, anche se sono già stati uccisi. Lo stato è pronto a fare concessioni importanti per recuperare i corpi”, aggiunge Lemire. C’entra la necessità di celebrare i rituali religiosi, ma non solo. È come uno scongiuro contro un destino che si ripete all’infinito, alimentato da un circolo vizioso di vendette reciproche. “Nella storia del conflitto israelo-palestinese”, dice lo storico Gilles Ferragu, “la cattura di ostaggi è una realtà antica e ricorrente, qualunque sia l’avversario, dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) a Settembre nero fino ad Hamas”. Una delle serie tv più famose in Israele, Hatufim (rapiti, in ebraico), parla del ritorno dei prigionieri di guerra. Secondo il suo regista, Gideon Raff, “il ricordo dei sequestri è nel nostro dna. Quando ero bambino, queste vicende non erano così lontane, segnavano la società. Non si poteva sfuggire a quella paura”. Raff non fa differenza tra ostaggi civili e militari: “Israele è un paese molto piccolo. Tutti conoscono una famiglia o una persona coinvolta. Quando capita una cosa simi-

le, ti tocca per forza da vicino, è una questione personale”. Dalla fine degli anni sessanta la vita dello stato israeliano è stata segnata dagli attentati e dai dirottamenti aerei, rivendicati per lo più dall’Fplp. A causa della continua cattura di ostaggi e dopo numerose tragedie, Israele ha dovuto rivedere la sua dottrina. Dall’intransigenza delle origini si è passati a scambi sempre più consistenti di prigionieri: negli ultimi trent’anni Israele ha liberato quasi settemila prigionieri in cambio di 19 israeliani, spesso soldati dell’esercito. È una strana aritmetica, secondo cui una vita non vale mai solo una vita. Poi il 7 ottobre 2023 il paese ha subìto il rapimento di più di 220 persone, una cosa mai vista che ha seminato il terrore. Svelando la vulnerabilità di Israele, questi fatti hanno cambiato tutto.

Le Olimpiadi di Monaco Finora il caso più clamoroso era stato quello dei giochi olimpici del 1972 a Monaco di Baviera, in Germania. Quale luogo più simbolico della città culla del nazismo, a trenta chilometri dal campo di concentramento di Dachau, dove dovevano sfilare gli atleti israeliani? Con il grande evento sportivo, seguito in tutto il mondo, i tedeschi si proponevano di far dimenticare le Olimpiadi di Berlino del 1936, monumentale esibizione nazista orchestrata da Adolf Hitler. Questi “giochi della gioia” dovevano inaugurare una nuova era. La sicurezza era conforme all’immagine: leggera, quasi inesistente. Era garantita da “guardiani della pace olimpica”, vestiti di azzurro e disarmati. Gli atleti della delegazione israeliana si stupirono di dover viaggiare, contrariamente alle loro richieste, su un volo di linea della Lufthansa, senza protezioni particolari. Nel villaggio olimpico, inoltre, si entrava e si usciva senza problemi. Il commando di Settembre nero, ramo dissidente dell’organizzazione politica e paramilitare palestinese Al Fatah, era composto da otto uomini accuratamente addestrati per l’operazione. Questi scavalcarono senza grandi difficoltà una recinzione alta due metri, con l’aiuto di atleti canadesi ingannati dalle tute e dalle sacche sportive. Quel 5 settembre 1972, poco dopo le 4 del mattino, raggiunsero con pochi balzi il padiglione degli israeliani. Allarmato dal rumore dei fucili, delle pistole e delle granate che uscivano dalle sacche, l’arbitro di

lotta greco-romana Yossef Gutfreund cercò di respingere i terroristi e fu ucciso. Uno dei sopravvissuti, Tuvia Sokolovsky, raccontò che quel gesto e il suo grido d’allarme gli salvarono la vita: ruppe una finestra con una sedia e scappò a piedi nudi nella notte. Un altro atleta, Moshe Weinberg, cercò di resistere ma fu ucciso. Cominciò un’attesa interminabile per nove ostaggi tra atleti e allenatori, legati e, in alcuni casi, feriti. Le richieste dei terroristi furono rese note subito: la liberazione di 234 palestinesi, di Andreas Baader e Ulrike Meinhof, fondatori dell’organizzazione terroristica

La sicurezza e l’integrità dei cittadini sono un’esigenza fondamentale tedesca Rote Armee Fraktion (Raf ), e un aereo per raggiungere un paese arabo con gli ostaggi. La scadenza dell’ultimatum fu prima rinviata e poi anticipata, dopo che in Israele la prima ministra Golda Meir fece sapere che non intendeva negoziare. Meir chiese invano di fermare i giochi. Gli statunitensi rimpatriarono in fretta e furia il loro campione di nuoto Mark Spitz, di origine ebraica, che aveva appena vinto sette medaglie d’oro. Verso le dieci di sera i nove ostaggi e gli otto terroristi salirono a bordo di minibus per raggiungere tre elicotteri, che li porta-

Da sapere Nelle mani di Hamas u Il 23 ottobre 2023 Hamas ha liberato due donne di 85 e 79 anni, che erano state rapite il 7 ottobre e tenute da allora in ostaggio nella Striscia di Gaza. Il portavoce del gruppo, Abu Obeida, ha dichiarato in un comunicato che le due donne sono state rilasciate “per urgenti motivi umanitari” grazie alla mediazione di Qatar ed Egitto. Questa liberazione arriva tre giorni dopo quella di due statunitensi, madre e figlia di 59 e 17 anni. Sarebbero più di 220 gli ostaggi israeliani, stranieri e con doppia cittadinanza ancora nelle mani di Hamas. Il presidente statunitense Joe Biden ha detto che le discussioni su un cessate il fuoco nel conflitto tra Israele e Hamas saranno possibili solo quando tutte le persone sequestrate dal movimento islamista palestinese saranno state liberate. Afp

rono alla base Nato di Fürstenfeldbruck, a nord di Monaco. Le autorità tedesche non avevano mai avuto intenzione di far decollare alcun aereo, ma l’improvvisazione totale di quell’operazione provocò una carneficina. Dopo un’ora e un quarto di spari in tutte le direzioni, a volte al buio, i nove ostaggi furono uccisi dai terroristi, a bruciapelo o con l’esplosione di una granata. La risposta israeliana, chiamata Collera di dio, cominciò quattro giorni dopo. L’aviazione bombardò le basi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) in Siria e in Libano, provocando duecento vittime. Ci sono voluti cinquant’anni, fino al 31 agosto 2022, perché la Germania firmasse un accordo per risarcire i familiari degli atleti. E, cosa ancora più importante, perché una commissione di storici tedeschi e israeliani fosse incaricata di fare luce sugli errori commessi.

I bambini di Maalot Il terrore di tutti i paesi è che i bambini diventino un bersaglio. Da quasi cinquant’anni questo terrore in Israele ha un nome: Maalot, un paesino a sette chilometri dalla frontiera con il Libano. Il 15 marzo 1974 tre uomini armati dell’Fplp, all’epoca guidato da Ahmed Jibril, entrarono in Israele dal Libano. Indossavano uniformi simili a quelle dell’esercito israeliano e parlavano perfettamente ebraico. Erano degli assassini. Attaccarono un furgone, uccidendo due donne arabe israeliane, poi entrarono in un edificio che ospitava più che altro immigrati. Si finsero poliziotti e uccisero una coppia e il figlio di quattro anni. Poi andarono verso la scuola elementare Netiv Meir. Erano le tre del mattino. Lì dormivano 115 persone, tra cui 105 studenti tra i 12 e i 14 anni che erano in gita con i loro insegnanti. Il commando separò subito le bambine dai bambini e affidò a uno degli insegnanti una lista con i nomi di una ventina di militanti palestinesi prigionieri in Israele che dovevano essere liberati. Tra loro c’era il giapponese Kozo Okamoto, che apparteneva all’Armata rossa giapponese e in nome dell’Fplp aveva ucciso due anni prima 26 persone all’aeroporto di Lod, a Tel Aviv. Gli attentatori esigevano inoltre la presenza degli ambasciatori francese e romeno, Jean Herly e Joan Covaci, che li dovevano accompagnare in aereo verso un paese arabo viciInternazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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WILLIAM KAREL (GAMMA-RAPHO/GETTY)

In copertina

Il ritorno degli ostaggi del volo Air France 139. Tel Aviv, Israele, 4 luglio 1976 no. Altrimenti, il commando minacciava di uccidere gli ostaggi. Era la prima volta che dei terroristi sequestravano dei bambini. Fu come se la vicenda avesse strappato il contratto di sicurezza che ogni ebreo stipulava con lo stato israeliano: il giorno prima l’esercito aveva ritirato l’unità incaricata di proteggere la cittadina. La popolazione, indignata, ne chiese conto. Il generale Moshe Dayan, arrivato in fretta e furia in elicottero, fu sommerso dai fischi. La linea ufficiale escludeva ancora qualsiasi forma di negoziato, ma come fare quando un paese intero era sospeso davanti alle immagini dei genitori in lacrime? Il governo di Golda Meir sembrava esitare. Fu liberata prima Fatma Bernaoui, una terrorista condannata a quarant’anni di carcere per aver messo una bomba in un cinema di Gerusalemme nel 1967. Poi toccò ad altri due prigionieri. Ma gli ambasciatori francese e romeno, che dicevano di aspettare una “parola d’ordine” dall’Fplp, non arrivavano. L’organizzazione sosteneva che Israele aveva di fatto rinunciato a negoziare.

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

Un quarto d’ora prima dello scadere dell’ultimatum, sui tetti e all’ingresso della scuola si sentirono dei colpi di armi automatiche: un’unità della fanteria israeliana aveva lanciato l’attacco. Dieci minuti dopo i terroristi erano stati uccisi, ma erano morti anche 25 ostaggi, di cui 22 studenti, e altri 68 erano stati feriti dalle mitragliatrici e da una granata lanciata dal capo del commando. Meir spiegò in tv: “Avevamo accettato di negoziare, ma la parola d’ordine non è mai arrivata. A quel punto, con il cuore pesante, abbiamo deciso di attaccare”. Pochi giorni dopo, il 4 giugno 1974, avrebbe lasciato la politica.

Il salvataggio di Entebbe Nella tarda mattinata del 27 giugno 1976 il volo 139 dell’Air France da Tel Aviv a Parigi era appena decollato dopo uno scalo ad Atene. A bordo c’erano 246 passeggeri e dodici membri dell’equipaggio. L’aereo stava sorvolando il canale di Corinto quando tre uomini e una donna annunciarono ai passeggeri senza andare troppo per il sottile che il volo era stato dirottato. A bordo si scatenò il panico. Due terroristi

appartenevano alle Revoltionäre Zellen (un gruppo armato di estrema sinistra attivo in Germania) e gli altri due all’Fplp. A Bengasi, in Libia, fecero il pieno di gasolio, per poi dirigersi verso Entebbe, in Uganda. Alle quattro del mattino l’aereo atterrò sulla pista. Tutti i passeggeri furono trasferiti in un terminal abbandonato, sotto la custodia dei soldati ugandesi e dei terroristi, presto raggiunti da tre complici palestinesi. Il dittatore del paese, Idi Amin Dada, assicurava acqua, viveri e condizioni di vita decenti. Le rivendicazioni del commando avevano il triste sapore di un dèjàvu: la liberazione di 53 prigionieri filopalestinesi, tra cui il giapponese Kozo Okamoto e alcuni militanti della Raf. Poi liberarono 47 passeggeri, donne, bambini e anziani, e il giorno dopo, il 1 luglio, altri cento che non avevano passaporto israeliano. Nel vecchio terminal erano rimasti gli ebrei, un centinaio di persone in tutto. Fino a quel punto il governo israeliano aveva rifiutato di negoziare. Ma quelle due ondate di liberazioni e la forte mobilitazione delle famiglie degli ostaggi cambiarono la

situazione. Israele sembrava pronto a scambiare prigionieri. Intanto in gran segreto, con il sostegno logistico del Kenya, preparava un raid su Entebbe, guidato da Yonatan Netanyahu, fratello maggiore di Benjamin. Il brillante ufficiale di appena trent’anni fu l’unico morto israeliano dell’operazione Thunderbolt (Tuono). I sette terroristi furono tutti uccisi e 102 dei 105 ostaggi rimasti vennero salvati. La distinzione degli ostaggi in base al passaporto ricorda il dirottamento della nave da crociera italiana Achille Lauro nel 1985. Lo scrittore ebreo polacco Marek Halter raccontò le sue conversazioni con il capitano della nave, Gerardo de Rosa, su Le Monde. L’8 ottobre 1985, verso le 15, il capitano sentì due colpi d’arma da fuoco e poco dopo vide arrivare uno dei terroristi, ricoperto di sangue, con il passaporto di Leon Klinghoffer, un ebreo statunitense paraplegico di 73 anni, appena gettato in acqua con la sua sedia a rotelle dopo essere stato ucciso con due proiettili alla testa. “American Kaputt!”, urlò l’uomo. “Tra tante lingue era proprio necessario che quel palestinese, nato tanti anni dopo la guerra, scegliesse quella parola in tedesco per annunciare la morte di un ebreo?”, scriveva Halter.

Gilad Shalit I suoi tratti giovanili e soprattutto il suo nome, Gilad Shalit, sono rimasti scolpiti negli animi. Per cinque anni questo nome fu scandito nelle manifestazioni, citato da ministri, e il suo volto apparve ogni giorno in tv. La figura di Shalit ha assunto un’importanza enorme, non solo perché suo padre Noam smosse mari e monti per farlo liberare, ma perché incarna il patto siglato tra la società israeliana e l’esercito, in cui tutti i giovani israeliani con più di 18 anni devono fare un lungo servizio militare. Gilad Shalit, 19 anni, era stato arruolato pochi mesi prima e assegnato, nonostante le cattive condizioni fisiche, a una squadra di carristi in una postazione nel sud del paese, vicino alle frontiere con l’Egitto e con la Striscia di Gaza. Qui il 15 giugno 2006 un commando attaccò il piccolo gruppo. Due giovani militari furono uccisi, un terzo venne ferito gravemente. Gilad fu portato a Gaza attraverso uno dei tunnel scavati da Hamas e chiuso in una grotta senza luce. Non sapeva che ci sarebbe rimasto cinque anni.

Shalit non era certo il primo soldato a essere rapito. I tre gruppi armati palestinesi che lo avevano in custodia conoscevano bene i precedenti e l’imperativo dello stato ebraico: “Nessun soldato dev’essere abbandonato al nemico”. In un piccolo paese con meno di dieci milioni di abitanti, sottolinea lo storico Ferragu, “l’esercito non può sacrificare i soldati, perché il rischio è di esaurire i reclutamenti”. Nel 1983 tre soldati israeliani erano stati liberati in cambio di quattromila palestinesi. Due anni dopo altri tre erano tornati a casa in cambio di 1.150 “prigionieri della sicurezza”, come li definisce Israele. Nella lista c’era il nipote di Ahmed Jibril, fondatore e capo dell’Fplp. La sua

Cosa si può fare quando più di 220 civili sono usati come scudi umani? liberazione era stata importante per far avanzare i negoziati. Non erano mancate le polemiche: nel 1983 i vertici dell’esercito avevano molto criticato quei sei soldati “che si erano arresi senza combattere” e il presidente Chaim Herzog aveva ritenuto “indecente” la festa organizzata dai parenti per la loro liberazione. Dopo aver ribadito più volte che non avrebbe mai negoziato con “un’organizzazione terroristica”, all’inizio del 2007 il primo ministro Ehud Olmert avviò una trattativa con Hamas usando la mediazione dell’Egitto. Un primo accordo non portò a nulla: i palestinesi esigevano la liberazione dei capi di Al Fatah e dell’Fplp, Marwan Barghouti e Ahmed Saadat. Ma gli israeliani non cedevano. A quel punto entrò nei negoziati Gerhard Conrad, un uomo del Bundesnachrichtendienst (Bnd), il servizio segreto tedesco. Parlava un arabo perfetto e aveva già negoziato nel 2008 uno scambio di prigionieri tra Israele e l’organizzazione paramilitare libanese Hezbollah. Fu lui che, per conto del governo di Benjamin Netanyahu, ottenne la liberazione di Shalit il 18 ottobre 2011, in cambio del rilascio di un primo gruppo di 447 palestinesi, seguito due mesi dopo da un altro di 550 persone. Dal 1985 nessun soldato vivo era stato riportato a casa. Shalit aveva 25 anni.

Da allora questa sproporzione negli scambi è stata criticata aspramente. “Chiedendo la liberazione di più di mille prigionieri in cambio di un solo soldato, Hamas ammette la cruda realtà militare di questo squilibrio: migliaia di loro che si battono con coltelli, cinture esplosive e missili artigianali valgono un solo soldato israeliano”, disse all’epoca lo scrittore Abraham B. Yehoshua. Altre voci però contestarono lo scambio. “Stiamo liberando 1.027 terroristi, bestie selvagge”, disse il leader di estrema destra Baruch Marcel. I parenti delle vittime degli attentati palestinesi presentarono quattro ricorsi alla corte suprema. Secondo loro lo scambio incoraggiava Hamas a fare altri rapimenti. I giudici rifiutarono d’intervenire: consideravano la questione di esclusiva competenza del governo. Il 1 agosto 2014 Israele decise di bombardare il convoglio che aveva catturato il giovane soldato Hadar Goldin. Furono uccisi quattordici palestinesi. Goldin, vivo o morto, sparì. Hamas ha sempre dichiarato che il tenente Goldin e il sergente di prima classe Oron Shaul, sparito nel corso di un attacco nel 2014, erano ancora vivi. Israele giurava il contrario, giustificando così il fatto che da allora non era stato più tentato nessuno scambio di prigionieri. Questa rinnovata fermezza dello stato israeliano ha fatto vacillare il contratto morale tra l’esercito e i suoi soldati. La polemica non si è mai spenta. Il 9 ottobre 2023, due giorni dopo gli attacchi di Hamas, il quotidiano conservatore Jerusalem Post ha pubblicato l’opinione di un israeliano padre di un ragazzo ucciso durante un’operazione militare a Nablus, nel 2002. Si scagliava contro lo scambio del 2011 per liberare Shalit: “In quel momento”, scriveva, “Hamas ha capito che prendere ostaggi ebrei era il modo più sicuro di ottenere delle concessioni da Israele e perseguire il suo cammino di morte”. I fatti del 7 ottobre obbligano Israele a modificare la sua linea, a meno che non voglia liberare la quasi totalità dei prigionieri palestinesi. Ma cosa si può fare quando più di 220 civili sono usati come scudi umani? Questi nuovi ostaggi hanno ricordato al paese che il terrorismo è una guerra senza regole, che imprime un segno indelebile nella memoria, oltre che nella carne. u gim

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Africa e Medio Oriente SUDAN

GABON

SENEGAL

Speranze di tregua

Marcia indietro sui diritti

Aspettando le presidenziali

Le fazioni in lotta nella guerra civile in corso in Sudan hanno deciso d’incontrarsi in Arabia Saudita per riprendere i negoziati per il cessate il fuoco. Tuttavia, scrive il Sudan Tribune, trovare un accordo non sarà facile, perché l’esercito regolare chiede il ritiro dei paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf ), che a loro volta pretendono la smilitarizzazione della capitale Khartoum e il ritiro dei soldati governativi dalle zone di conflitto. La guerra si trascina da aprile ed è stata causata dal fallimento del tentativo d’integrare nell’esercito le Rsf, guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, già vice del capo della giunta militare, Abdel Fattah al Burhan.

Jeune Afrique, Francia

In Senegal, dove nel 2024 si voterà per le elezioni presidenziali, diversi candidati dei partiti di opposizione sono stati fermati dalle forze dell’ordine mentre viaggiavano nel paese per fare campagna elettorale. Alcune ong hanno denunciato l’atteggiamento intimidatorio della polizia. “Il 21 ottobre”, racconta Radio France Internationale, “le auto del team del candidato Khalifa Sall sono state fermate dalla polizia del dipartimento di Fatick e trattenute sul ciglio della strada per più di cinque ore. La ragione? La loro carovana, una trentina di veicoli, non era autorizzata”. Come spiega il sito francese, sono problemi che non riguardano il primo ministro e candidato alla presidenza Amadou Ba, che può spostarsi a suo piacimento per tutto il paese senza essere infastidito. “La campagna elettorale non è ancora ufficialmente cominciata”, dice Alioune Tine, del centro studi Afrikajom, “ma dovrà essere uguale per tutti”.

A due mesi dal colpo di stato militare del 30 agosto, il sistema di potere messo in piedi dalla dinastia dei Bongo, rimasta alla guida del Gabon per 56 anni, si sta progressivamente sfaldando. E i cittadini stanno presentando alle nuove autorità, guidate dal generale Brice Oligui Nguema, una serie di proposte per riformare le istituzioni, in previsione di un “confronto pubblico” che dovrebbe svolgersi tra aprile e giugno del 2024 e portare all’approvazione di una nuova costituzione. Come racconta Jeune Afrique, oltre a chiedere di “mettere in carcere i ladri, liberare i prigionieri politici, combattere il nepotismo e organizzare elezioni libere e trasparenti” – obiettivi che evidenziano la volontà di rompere con la presidenza di Ali Bongo – i gabonesi hanno anche chiesto l’abolizione della legge che nel 2020 aveva depenalizzato l’omosessualità. Da allora il tema ha continuato a dividere il paese, e con il cambio di regime le posizioni omofobe e contrarie a concedere diritti alla comunità lgbt si sono rafforzate. Il Gabon, ricorda Jeune Afrique, non è l’unico paese africano a prendere di mira la comunità omosessuale. ◆

Nord Kivu Kitshanga Kinshasa

RDC TANZANIA

Due giornaliste condannate

500 km

RDC

Si torna a combattere

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MEHRDAD ALADIN (PICTURE ALLIANCE/GETTY)

Dopo una tregua durata sei mesi, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) sono ripresi i combattimenti tra le forze filogovernative e i ribelli del gruppo M23. Come spiega Bbc Africa, i ribelli hanno occupato la città di Kitshanga, nella provincia del Nord Kivu. L’area, che era controllata da una forza di pace internazionale formata da soldati di paesi confinanti con l’Rdc, era già più volte passata di mano dall’inizio dell’anno.

Il 22 ottobre due giornaliste iraniane, Elaheh Mohammadi e Nilufar Hamedi (nella foto), sono state condannate a sei e a sette anni di prigione per aver contribuito a rendere pubblica la morte di Mahsa Jina Amini, avvenuta nel settembre 2022 mentre era

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sotto la custodia della polizia. Mohammadi, 36 anni, e Hamedi, 31, sono detenute nel carcere Evin di Teheran dal settembre 2022. I processi contro di loro erano cominciati a maggio. Sono state ritenute colpevoli di “cooperazione con il governo ostile degli Stati Uniti”. Radio Farda ricorda che il 17 ottobre Saleh Nikbakht, avvocato della famiglia Amini, è stato condannato a un anno di carcere per propaganda contro lo stato. Il 22 ottobre, inoltre, alcuni mezzi d’informazione iraniani hanno diffuso la notizia che Armita Garawand, entrata in coma in circostanze poco chiare all’inizio di ottobre, è in stato di morte cerebrale. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, Garawand, 16 anni, ha subìto un’aggressione della polizia religiosa.

Lagos, Nigeria

IN BREVE

Nigeria Il 21 ottobre settantasei persone sono state arrestate dalle forze di sicurezza nigeriane per aver organizzato un matrimonio tra persone dello stesso sesso in una località del nord del paese, dove le unioni gay sono vietate e le violenze contro la comunità lgbt sono all’ordine del giorno. In Nigeria i matrimoni gay sono proibiti da una legge del 2014. Le pene arrivano fino a quattordici anni di carcere.

TEMILADE ADELAJA (REUTERS/CONTRASTO)

IRAN

ANGOLA

Americhe Rio, 23 ottobre 2023

ARGENTINA

STATI UNITI

Rimonta per Sergio Massa

Mercato nero degli affitti

BRASILE

Rio de Janeiro bloccata Una milizia paramilitare di Rio de Janeiro il 23 ottobre ha incendiato almeno 35 autobus e un vagone di un treno come rappresaglia per la morte di Matheus da Silva Rezende, braccio destro del leader del gruppo, ucciso dalla polizia. Gli incendi, scrive O Globo, hanno paralizzato il traffico in almeno dieci quartieri della zona ovest della città, con ripercussioni su più di un milione di persone. Il governatore dello stato Cláudio Castro, alleato dell’ex presidente Jair Bolsonaro, si è congratulato con le forze di sicurezza.

MARTIN COSSARINI (REUTERS/CONTRASTO)

BRUNO KAIUCA (AFP/GETTY)

Sergio Massa a Buenos Aires, 23 ottobre 2023

Contrariamente a tutti i pronostici, il 22 ottobre il ministro dell’economia Sergio Massa, della coalizione peronista (centrosinistra) al governo, ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali con il 36,6 per cento dei voti. Andrà al ballottaggio il 19 novembre con il candidato di estrema destra Javier Milei, che ha fondato il partito La libertad avanza e ha avuto il 29,9 per cento delle preferenze. In caso di vittoria, Massa ha detto che formerà un governo di unità nazionale, basato sulla meritocrazia e non sulle alleanze politiche. Secondo elDiarioar Massa è arrivato in testa grazie ai voti presi nella provincia di Buenos Aires, la più popolosa dell’Argentina. u

VENEZUELA

L’opposizione ha scelto “María Corina Machado ha vinto il 22 ottobre le primarie dell’opposizione venezuelana e dovrebbe essere la candidata che sfiderà il presidente socialista Nicolás Maduro, al potere da più di dieci anni, alle elezioni del 2024”, scrive Efecto Cocuyo. Ma lo scorso giugno Machado, ingegnera ed ex deputata liberale di 56 anni, era stata dichiarata ineleggibile per quindici anni dal governo per corruzione e per aver sostenuto le sanzioni internazionali contro Caracas. Secondo El País, è presto per capire se il governo di Maduro autorizzerà Machado a correre per la presidenza.

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STATI UNITI

Criminalità in calo “Gli omicidi negli Stati Uniti sono diminuiti in modo significativo nel 2022 e sono calati ancora più rapidamente nel 2023”, scrive il Los Angeles Times. I crimini violenti erano aumentati in tutto il paese nel 2020 e nel 2021, una dinamica che secondo gli esperti era stata causata principalmente da tre fattori: le conseguenze sociali ed economiche della pandemia di covid-19, che avevano fatto crescere povertà ed emarginazione; un incremento nella vendita di armi; la riduzione del numero di agenti delle forze di sicu-

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rezza in molte città. I dati sulla criminalità sono tornati ai livelli di prima della pandemia. “Ma queste cifre difficilmente rassicureranno l’opinione pubblica”, continua il giornale. In generale la criminalità negli Stati Uniti è in netta diminuzione dal 1991. Ma secondo l’istituto di sondaggi Gallup, in quasi tutti gli ultimi 24 anni gli statunitensi hanno dichiarato che era in aumento. “La distanza tra realtà e percezione dipende in parte dal fatto che in un paese di quasi 340 milioni di persone ogni ora, ogni giorno, si verifica un crimine. E questi episodi rimangono impressi nella mente delle persone”. Inoltre il caos politico potrebbe contribuire alla sensazione di insicurezza.

Un mese fa New York ha introdotto delle norme per regolamentare gli affitti brevi, in modo da arginare la crisi degli alloggi che ha colpito la città negli ultimi anni. Per affittare un’abitazione bisogna avere l’autorizzazione dal comune, e le piattaforme come Airbnb e Booking devono accertarsi che il proprietario l’abbia ottenuta. “Il nuovo sistema sembra aver fatto nascere un mercato irregolare per gli affitti brevi”, scrive Gothamist. La maggior parte degli annunci che era su Airbnb è stata rimossa, ma quelle case non sono scomparse dal mercato. Molte proposte sono su gruppi Facebook o WhatsApp e su siti come Craigslist e Facebook Marketplace, dove ci sono meno controlli.

IN BREVE

Messico Il 23 ottobre un attacco di un commando armato a Coyuca de Benítez, nello stato sudoccidentale di Guerrero, ha provocato la morte di almeno undici agenti e di due guardie di sicurezza. La regione è da tempo teatro di violenze tra gruppi criminali rivali che si contendono le rotte della droga. Stati Uniti Più di tre settimane dopo la destituzione del repubblicano Kevin McCarthy, la camera dei rappresentanti è ancora senza un presidente (speaker). Il deputato Jim Jordan ha rinunciato alla candidatura dopo che per tre volte non è stato eletto.

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Europa

EUAN DUFF (GETTY)

Il premier britannico Rishi Sunak in Scozia, il 31 luglio 2023

REGNO UNITO

I conservatori si preparano alla sconfitta Patrick O’Flynn, The Spectator, Regno Unito Dopo tredici anni di governo il partito del premier Rishi Sunak sta perdendo consensi. Se la tendenza sarà confermata, alle elezioni del 2024 potrebbero vincere i laburisti di Keir Starmer egli ambienti conservatori si discute molto delle elezioni legislative del 2024 e ci si chiede se somiglieranno di più alla vittoria di misura del 1992 o alla sconfitta del 1997. Nessuno, però, ha proposto finora un paragone con il Canada del 1993. Eppure, dopo che alle suppletive del 19 ottobre due collegi considerati fedelissimi ai tory (Tamworth e Mid-Bedfordshire, nell’Inghilterra centrale) sono stati nettamente espugnati dal Partito laburista, è ora che i conservatori comincino a riflettere anche sul 1993. Le elezioni di quell’anno in Canada si conclusero con una sconfitta catastrofica per i conservatori locali, che passarono da una solida maggioranza al parlamento di Ottawa ad appena due seggi. Sarebbe

N

sorprendente vedere i tory sprofondare così in basso, ma l’ipotesi di una batosta, peggiore di quella che nel 1997 li lasciò con appena 165 seggi alla camera dei comuni, sembra realistica. Per i conservatori britannici la portata dei cambiamenti che hanno reso possibile il recentissimo trionfo laburista è difficile da digerire. Nel collegio di Mid-Bedfordshire i tory sono passati da una maggioranza di più di 25mila voti a una sconfitta per 1.200 preferenze. A Tamworth, dove nel 2019 avevano vinto con un margine di ventimila voti, il Labour si è imposto con 1.300 voti di scarto. Nel primo collegio i conservatori hanno preso sottogamba anche i socialdemocratici, che hanno invece raccolto quasi il 25 per cento dei consensi.

Promesse e impegni Naturalmente, vista la bassa affluenza, i tory possono consolarsi pensando che i loro elettori abituali non sono passati ai laburisti ma sono semplicemente rimasti a casa. Ma chi può garantire che torneranno alle urne il prossimo anno? Sembra che molti di quei vecchi sostenitori siano di-

ventati i più convinti avversari del partito. A un anno esatto dell’insediamento di Rishi Sunak a Downing street, è ovvio che si tratta di una sconfitta da addebitare al primo ministro e alla sua leadership debole e poco incisiva. Un premier che non gode di nessuna di popolarità, se non tra i suoi colleghi parlamentari, e che ha deluso l’elettorato britannico. Le cinque grandi promesse che aveva fatto a gennaio – in particolare il blocco degli arrivi di migranti attraverso la Manica e la riduzione delle liste d’attesa negli ospedali – non sono state mantenute, e anche gli impegni presi al congresso tory dell’inizio di ottobre sono caduti nel vuoto. La proposta di riformare gli esami di maturità e innalzare di un anno l’età legale per fumare non erano certo le idee rivoluzionarie che Sunak e la sua ristretta cerchia immaginavano. Anche aver demolito l’operato dei leader conservatori che l’hanno preceduto negli ultimi tredici anni, cercando di convincere l’elettorato che il governo attuale rappresenta un grande cambiamento, non è sembrata un’idea così brillante. Il problema è che gli elettori hanno creduto a Sunak quando criticava i vecchi primi ministri, ma non quando prometteva una leadership diversa. Tutto fa pensare che per i conservatori ci siano due problemi cruciali. In primo luogo, i loro sostenitori tradizionali non hanno più paura dei laburisti. La scelta di Keir Starmer di isolare la sinistra del Labour ha funzionato e la sua leadership ha acquisito una certa solidità, impressione rafforzata anche dalla posizione chiara assunta sulla crisi di Gaza. È un risultato significativo, che toglie ai tory la loro principale arma – l’idea dell’inadeguatezza dell’opposizione – e introduce il secondo fattore: milioni di persone non hanno più intenzione di turarsi il naso e continuare a votare i conservatori. Oggi possono punire il partito per le promesse non mantenute e gli altri errori fatti. La vittoria nelle due roccaforti conservatrici “dimostra che i britannici vogliono a tutti costi un cambiamento e sono pronti a dare fiducia ai laburisti”, ha detto Starmer , nel suo stile tradizionalmente poco retorico e molto concreto. Forse qualcuno saprà trovare un’argomentazione convincente per confutare quest’affermazione. A me non ne viene in mente neanche una. u bt Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Europa SVIZZERA

UNGHERIA

La destra cresce ancora

La solitudine del sovranista

Tribune de Genève, Svizzera

La sconfitta dei sovranisti polacchi si fa sentire anche nell’Ungheria del leader autoritario Viktor Orbán. Secondo Magyar Narancs, “Orbán ha perso il suo principale alleato in Europa. E ora è solo”. Per questo ha scelto di cercare alleati a est e di partecipare a Pechino a un vertice per celebrare l’espansione globale della Cina, occasione in cui ha anche incontrato il leader russo Vladimir Putin. “Il cambio di maggioranza a Varsavia”, aggiunge Rzeczpospolita, “avrà conseguenze anche sull’applicazione dell’articolo 7 del trattato di Lisbona, usato per privare del diritto di voto nel consiglio dell’Unione europea i paesi che violano lo stato di diritto. Finora Polonia e Ungheria si sono protette a vicenda. D’ora in poi non sarà più così”.

L’Unione democratica di centro (Udc, destra) ha vinto le elezioni legislative del 22 ottobre per il rinnovo del consiglio nazionale, il parlamento svizzero. L’Udc ha ottenuto il 29 per cento dei voti: rispetto al voto del 2019 si tratta del 3,4 per cento in più e di una crescita di nove seggi. La piattaforma elettorale antimmigrazione dell’Udc includeva l’impegno a mantenere la popolazione del paese, che oggi conta 8,7 milioni di abitanti, al di sotto dei dieci milioni. “Abbiamo problemi con l’immigrazione, con i clandestini e con l’approvvigionamento energetico”, ha dichiarato il leader dell’Udc Marco Chiesa alla Tribune de Genève. La campagna in favore della sanità pubblica ha invece favorito il Partito socialdemocratico, che si conferma secondo partito del paese, conquistando 41 seggi. I Verdi invece hanno subìto gravi perdite, non riuscendo a consolidare il successo del 2019. Comunque, come scrive il quotidiano di Ginevra, “in molti paesi questi risultati porterebbero a un cambiamento di rotta. Non in Svizzera. Gli equilibri principali su cui si basa il nostro sistema politico cambiano poco”. ◆

UCRAINA

Missili sui civili Mentre l’attenzione del mondo è monopolizzata dalla crisi di Gaza, la Russia continua a colpire obiettivi civili in Ucraina. Come spiega Rfe/Rl, tra il 22 e il 24 ottobre l’esercito russo ha lanciato una serie di attacchi con droni e missili contro bersagli diversi nelle aree di Cherson, Beryslav, Sumy, Odessa e Donetsk, distruggendo infrastrutture e uccidendo complessivamente almeno dieci persone. Nel frattempo, l’offensiva russa su Avdiïvka procede molto lentamente, e sta costando a Mosca ingenti perdite.

ISLANDA

La protesta delle donne

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Il 18 ottobre la Commissione europea ha annunciato una serie di misure per combattere le reti criminali del narcotraffico. Secondo la Commissione il traffico di droga è “una delle più gravi minacce alla sicurezza” che l’Europa deve affrontare e il pe-

Madrid, 21 giugno 2023 MATIAS CHIOFALO (EUROPA PRESS/GETTY)

Migliaia di donne e persone non binarie, tra cui la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, hanno interrotto il lavoro – retribuito e non – il 24 ottobre. Le organizzatrici dello sciopero protestano per il divario retributivo tra i sessi e contro la diffusa violenza sessuale e di genere nel paese. È il secondo sciopero delle donne in Islanda: il primo, nel 1975, portò a cambiamenti cruciali, tra cui l’elezione della prima presidente. Tuttavia, scrive il Guardian, in alcune professioni le islandesi sono ancora pagate il 21 per cento in meno degli uomini e più del 40 per cento di loro ha subìto violenza sessuale o di genere.

UNIONE EUROPEA

Un piano contro la droga

Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

ricolo si sta “aggravando”, dato che ha provocato “un’ondata di violenza nelle strade” del continente. Tra le vittime ci sono una bambina di undici anni uccisa a gennaio ad Anversa, in Belgio, durante uno scontro a fuoco; un bambino di dieci anni morto a Nîmes, in Francia, in agosto; e un ragazzo di 13 anni a Stoccolma, in Svezia, a settembre, ricorda l’Irish Examiner. Nel 2021 nell’Unione europea sono state sequestrate 303 tonnellate di cocaina, ma quest’anno in sole due settimane di agosto ne sono state sequestrate otto nei Paesi Bassi e 9,5 in Spagna. La Commissione ha dichiarato che stanzierà più di 200 milioni di euro nel 2024 per finanziare attrezzature che aiutino le autorità doganali a ispezionare con sistemi a raggi x container e auto.

KACPER PEMPEL (REUTERS/CONTRASTO)

A.ERMOCHENKO (REUTERS/CONTRASTO)

Donetsk, 24 ottobre 2023

IN BREVE

Turchia Il presidente Recep Tayyip Erdoğan (nella foto) il 23 ottobre ha inoltrato al parlamento la richiesta di approvare l’adesione della Svezia alla Nato. Spagna La coalizione tra Partito socialista e Sumar ha annunciato il 24 ottobre di aver chiuso un accordo di governo, che prevede un ampio pacchetto di misure: la più importante è la riduzione della settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore. Francia Un centinaio di lavoratori stranieri senza documenti hanno bloccato il 17 ottobre a Parigi un cantiere delle Olimpiadi, chiedendo di essere regolarizzati.

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WONG MAYE-E (AP/LAPRESSE)

Asia e Pacifico Jokowi li ha superati diventando l’unico presidente con due familiari sindaci, il figlio Gibran e il genero Bobby Nasution. Jokowi ha bisogno di salvaguardare l’eredità della sua famiglia, soprattutto sullo sfondo di questioni ancora aperte, come lo spostamento della capitale del paese da Jakarta al Kalimantan orientale.

Scelta strategica

Il presidente Joko Widodo e il figlio Kaesang Pangarep, Singapore, 2014 INDONESIA

Il presidente pensa al futuro della famiglia Yoes C Kenawas, East Asia Forum, Australia Il figlio minore nominato al vertice di un partito a lui fedele e il primogenito candidato alla vicepresidenza nel 2024: le mosse di Joko Widodo per mantenere il potere al termine del suo incarico ppena tre giorni dopo aver aderito al Partito della solidarietà indonesiana (Psi, di centrosinistra), il figlio minore del presidente indonesiano Joko “Jokowi” Widodo, Kaesang Pangarep, è stato nominato presidente del partito. Forse l’ascesa al potere più rapida mai vista nella politica indonesiana. Meno di tre settimane dopo, è arrivata un’altra notizia sorprendente per l’opinione pubblica indonesiana: la corte costituzionale (guidata dal cognato di Jokowi, Anwar Usman) ha deciso che chi ha ricoperto una carica elettiva nella pubblica amministrazione potrà candidarsi alle elezioni presidenziali anche se ha meno di quarant’anni. La sentenza consente al figlio maggiore di Jokowi, Gibran Rakabuming Raka, 36

A

anni e sindaco di Surakarta, di candidarsi a vicepresidente nel 2024. I due eventi indicano che Jokowi sta preparando una dinastia in vista del voto, cioè un piano per conservare l’influenza della famiglia dopo il 2024, quando il presidente dovrà lasciare il suo incarico. La politica dinastica richiede una meticolosa pianificazione della successione, e questi sono passi necessari per raggiungere l’obiettivo.

L’eredità L’ascesa di Kaesang è fondamentale perché Jokowi non controlla il Partito democratico indonesiano di lotta (Pdi-P), a cui lui e Gibran sono affiliati. La sua ambizione di rimanere influente anche dopo il 2024 potrebbe essere compromessa se si affidasse solo al Pdi-P, che in fin dei conti è ancora influenzato dall’ex presidente Megawati Sukarnoputri. A differenza di Megawati e di Susilo Bambang Yudhoyono, entrambi leader del Partito democratico e capi dello stato, quando Jokowi è diventato il settimo presidente dell’Indonesia nel 2014 era solo un funzionario di partito. Nove anni dopo la sua elezione,

La scelta di servirsi del Psi, invece del Pdi-P, per l’ascesa del figlio Kaesang merita attenzione. Nel 2019 il Psi non è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 4 per cento, ma è stato premiato per la sua fedeltà a Jokowi con la nomina di un viceministro tra i suoi esponenti. Il Psi non ha ancora un leader tra le sue file. Gli altri partiti hanno dei capi o dei meccanismi di promozione che impedirebbero a Kaesang di occupare subito il centro della scena. In breve, anche se il Psi non è il partito ideale per Kaesang, è l’unico disponibile da subito a trasformarsi in uno strumento politico per la famiglia Jokowi. Se Gibran diventerà il vice di un candidato alla presidenza diverso da quello del Pdi-P, nei prossimi mesi la potenziale tensione tra gli schieramenti è destinata ad aumentare e a destabilizzare il clima politico indonesiano. Jokowi e il Pdi-P sono l’uno ostaggio dell’altro. Jokowi ha ancora bisogno del Partito democratico per garantire la stabilità del suo governo nell’ultimo anno di mandato. D’altro canto, il Pdi-P ha bisogno di Jokowi come calamita elettorale in vista delle elezioni del febbraio 2024. L’aperta ostilità tra i due schieramenti ostacolerebbe senza dubbio i piani per le prossime elezioni. Al momento Jokowi potrebbe mobilitare milioni di voti per la persona o il partito che deciderà di sostenere. Secondo un sondaggio condotto ad agosto dall’Indonesian survey institute, il 71 per cento degli intervistati ha detto di aver fiducia e un ulteriore 18 per cento ha detto di avere molta fiducia nell’istituzione della presidenza, e Jokowi mantiene un solido indice di gradimento personale. Anche se Jokowi non è un leader di partito, dispone di una falange di volontari fedeli, la maggior parte dei quali non si identifica con un particolare partito e sceglierà il candidato da votare solo quando lui darà delle indicazioni chiare. Per il solo fatto di essere guidato dal figlio del presidente, il Psi si aspetta un effetto

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Asia e Pacifico

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I fondi bloccati

Battaglia navale

PETROS GIANNAKOURIS (AP/LAPRESSE)

Un’ombra sulla democrazia

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MAR CINESE MERIDIONALE

Un anno fa è stato creato in Svizzera un fondo per il popolo afgano che avrebbe dovuto usare 3,5 miliardi di dollari della Banca centrale afgana per sostenere la stabilità economica del paese asiatico. Ma il denaro è ancora fermo, scrive The Diplomat. Si tratta di metà del patrimonio del governo di Kabul congelato dall’amministrazione Biden nel 2021, dopo il ritorno dei taliban al potere. La gestione del fondo è affidata a due economisti afgani, un rappresentante del governo statunitense e uno di quello svizzero. Finora però non è stato sborsato un dollaro.

Da sapere u Il 23 ottobre 2023 la corte costituzionale indonesiana ha formato un consiglio etico per indagare sulla legittimità della sentenza che ha aperto la strada alla candidatura alla vicepresidenza di Gibran Rakabuming Raka, primogenito del premier Joko “Jokowi” Widodo e nipote del presidente della stessa corte Anwar Usman. La decisione di avviare un’indagine è stata presa dopo diverse richieste di alcuni avvocati, attivisti e singoli cittadini. “La democrazia funziona sull’assunto che tutti rispettino le stesse regole del gioco e che ogni giocatore abbia uguale accesso alle stesse risorse”, ha scritto il Jakarta Post in un editoriale. “La decisione della corte non solo metterà in dubbio la credibilità delle elezioni del 2024, ma getterà anche una lunga ombra sulla democrazia indonesiana”. Jokowi, ex imprenditore, nel 2014 era stato il primo candidato a vincere le elezioni presidenziali pur non appartenendo all’elite politca o militare del paese. “Ma come Suharto, leader autoritario, Widodo ha ceduto alla dipendenza che deriva dall’essere lodato e idolatrato”, ha commentato Goenawan Mohamad, ex direttore del settimanale Tempo ed ex sostenitore di Jokowi”, scrive Asia Times. “Non lo si può più criticare, non ascolta i consigli: per esempio, quello di non affrettarsi a costruire una nuova capitale. E alla fine, si è scoperto poco a poco, sta facendo quel che fece Suharto: riservare ai suoi figli un trattamento speciale. Forse con una leggera differenza”, aggiunge Asia Times. “Mentre i figli dell’ex dittatore Suharto si arricchirono intestandosi contratti redditizi, Widodo sta costruendo una dinastia politica in stile filippino, in cui continuerà a svolgere un ruolo dietro le quinte”.

AFGHANISTAN

Kabul, 2021

ARMED FORCES OF THE PHILIPPINES/AP/LAPRESSE

traino, migliorando le sue possibilità di superare il 4 per cento dei voti necessario per ottenere seggi in parlamento. Purtroppo per la democrazia indonesiana, l’ascesa di Kaesang alla presidenza del Psi potrebbe essere una cattiva notizia per la tanto sperata normalizzazione dei partiti politici. Né la nomina di Gibran può essere interpretata come un trionfo per i giovani indonesiani. Entrambi rappresentano una triste realtà: nella democrazia elettorale di questa Indonesia, solo chi è ricco e ha buoni contatti può avere successo. Interessi elettorali, ambizioni politiche individuali e status familiare hanno ancora una volta minato le speranze di avere un sistema politico trasparente, basato sul merito e inclusivo. u gim

Mar Cinese meridionale, 22 ottobre 2023

Il 23 ottobre le Filippine hanno accusato navi cinesi di aver speronato “intenzionalmente” due loro imbarcazioni impegnate in un’operazione di rifornimento nella zona economica esclusiva filippina al largo dell’atollo Second Thomas Shoal (o Ayungin) nel mar Cinese meridionale. Manila, che accusa Pechino di non rispettare il diritto internazionale, ha definito l’incidente “una grave escalation” nelle attività illegali della Cina nei territori filippini e ha convocato l’ambasciatore cinese per condannare l’accaduto. Pechino, che rivendica la quasi totalità di quest’area del Pacifico, ignorando le rivendicazioni di Filippine, Vietnam e Malaysia e la sentenza del 2016 di un tribunale internazionale, ha a sua volta espresso disappunto per la presenza delle navi filippine nelle acque dell’atollo. Nella foto, lo scontro tra una nave filippina e una cinese nel mar Cinese meridionale. u

PENISOLA COREANA

Fuga via mare Una piccola barca con a bordo quattro profughi nordcoreani è stata requisita dalle autorità di Seoul dopo che ha oltrepassato il confine marittimo con la Corea del Sud, scrive NKNews. A segnalare la presenza dell’imbarcazione alla guardia costiera è stato un pescatore surdcoreano, che ha raccontato al JoongAng Ilbo di aver visto un uomo e due donne, e che probabilmente a bordo c’era anche un bambino.

PAKISTAN

Il ritorno di Nawaz Sharif Il 21 ottobre Nawaz Sharif, per tre volte primo ministro del Pakistan, è tornato nel paese dopo quattro anni di esilio volontario, scrive The News. Sharif ha una condanna pendente per corruzione e un residuo di pena detentiva da scontare, ma prima del suo ritorno l’alta corte di Islamabad gli ha concesso la libertà su cauzione, evitandogli l’arresto all’arrivo.

“Siamo prontissimi per le elezioni”, ha detto Sharif, accolto da una folla di sostenitori. Probabilmente, scrive la Bbc, il suo ritorno è stato negoziato con i vertici militari, per i quali Sharif è stato per molti anni una spina nel fianco. Ora che il suo rivale, l’ex premier Imran Khan, una volta sostenuto dall’esercito, è caduto in disgrazia, Sharif si prepara a governare di nuovo. Ma la sua vittoria non è affatto scontata, innanzitutto perché in teoria la sentenza per corruzione l’ha bandito a vita dalla politica.

VERONICA RAIMO LA VITA È BREVE, ECCETERA «La primavera era vicina e noi due non dovevamo prometterci niente». Undici storie dall’autrice di Niente di vero.

Mona Kuhn, Natalie, 2003, dalla serie Evidence. © Mona Kuhn.

Einaudi

Le opinioni

A Gaza nessuno è al sicuro Amira Hass elle prime ore del mattino di sabato 21 ottobre – poco dopo la liberazione delle israeliane Judith e Natalie Raanan, rilasciate da Hamas che le teneva in ostaggio, e poche ore prima che il valico di Rafah fosse aperto per l’invio di aiuti umanitari – i bombardamenti israeliani hanno ucciso circa sessanta palestinesi in tutta la Striscia di Gaza, in base a quanto riportato dall’agenzia di stampa palestinese Sama. Secondo il ministero della sanità della Striscia di Gaza i bombardamenti israeliani hanno già causato più di cinquemila morti, il 40 per cento dei quali bambini. Più di mille persone risultano disperse: la maggior parte sono quelle che le squadre di soccorso non sono riuscite a estrarre da sotto le macerie e che sono rimaste sottoterra. Alcune sono state uccise nell’impatto delle bombe, altre sono morte lentamente. Alcune stanno morendo mentre scrivo queste parole. Tra le persone uccise la mattina del 21 ottobre ce ne sono sette a Rafah, nel sud della Striscia, come ripor-

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Molti dei miei amici vivono a Rafah o sono stati costretti a fuggire lì dopo che i bombardamenti israeliani li hanno spinti a lasciare le loro case nella città di Gaza tato da Al Jazeera. La pressione costante, che soffoca la Striscia di Gaza dal 7 ottobre, si è solo intensificata. Molti dei miei amici e conoscenti vivono a Rafah o sono stati costretti a fuggire lì dopo che gli avvertimenti e i bombardamenti israeliani li hanno spinti a lasciare le loro case di Gaza e dei campi profughi di Al Shatti e Jabaliya, alla periferia della città. Da qualche giorno è difficile raggiungerli al telefono. O l’infrastruttura è stata danneggiata o la rete è sovraccarica. Ogni giorno lascio messaggi su WhatsApp, che di solito ottengono un solo segno di spunta, cioè non vengono letti perché non c’è internet. Anche le parole scritte su Facebook Messenger sono rimaste senza risposta. In realtà non sono veri e propri messaggi. Scrivo solo il nome dell’amico, oppure scrivo habibi o habibti (“mio caro” o “mia cara”), o “dove sei?”. Voglio fargli

sapere che sto aspettando notizie. Ogni singola spunta o mancanza di risposta è un altro macigno sul cuore. Tra le persone a cui ho scritto ci sono una madre e sua figlia della famiglia Samouni, sopravvissute all’operazione militare israeliana Piombo fuso nel 2009, quando furono uccisi 29 parenti della loro famiglia allargata. Ventuno di loro morirono nel bombardamento di una struttura in cui i soldati avevano radunato un centinaio di persone, dopo avergli ordinato di lasciare le case. Anche la madre e la figlia, al momento, non rispondono. Secondo il ministero della salute della Striscia di Gaza a partire dal 18 ottobre 79 famiglie hanno perso dieci o più parenti. Circa 85 famiglie ne hanno persi tra sei e nove e 320 famiglie ne hanno persi tra due e cinque ciascuna. Un ricercatore di B’tselem a Gaza, Ulfat al Kurd, ne ha persi quindici in un bombardamento. La più anziana era una donna di 65 anni, il più giovane un bambino di due. Uno degli obiettivi dei bombardamenti israeliani del 19 ottobre è stato il complesso della chiesa grecoortodossa nel quartiere Zeitun di Gaza. Come in ogni guerra, anche stavolta la chiesa era servita da rifugio per centinaia di persone, cristiane e musulmane. In quell’attacco sono state uccise 18 persone, tra cui quattro parenti di miei amici che si erano trasferiti a Ramallah dieci anni fa. Alle 10.30 del mattino del 22 ottobre la mia amica Salma mi ha risposto su WhatsApp. Che sollievo. “Buongiorno”, ha scritto, e ha confermato: “È stata una dura notte di bombardamenti, difficile da descrivere”. Una settimana fa è fuggita da Gaza con il figlio e i nipoti per raggiungere la casa della sorella a Rafah. Le ho risposto: “Spero che tu riesca a dormire ora, perché hanno appena comunicato che il valico di Rafah sarà aperto per venti camion con aiuti umanitari, e sicuramente non bombarderanno durante quel periodo”. Ma lei ha replicato: “Amira, la mia casa a Gaza non c’è più”. “Da quando?”, ho chiesto. “Ora, hanno bombardato tutto il nostro complesso”. L’unica cosa che potevo scriverle è: “Non ho parole”. Cinque miei amici e conoscenti hanno perso la casa per i bombardamenti israeliani. Due famiglie hanno perso l’abitazione nei primi due giorni di attacchi. Immagino che anche molti altri dei miei conoscenti, che non sono riuscita a contattare, abbiano avuto lo stesso destino. A Beit Hanun, a Beit Lahia, a Jabaliya. Non so dove stiano vagando ora. Non sono nemmeno sicura che siano vivi. Una mia amica e la Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Le opinioni sua famiglia, compresa la madre anziana, si trovavano in un appartamento a Gaza fino a pochi giorni fa, insieme al cognato sulla sedia a rotelle, quasi completamente paralizzato, il che gli ha impedito di fuggire verso sud. “Siamo nel corridoio. È un po’ protetto”, ha scritto. Quando siamo riuscite finalmente a parlare, mi ha fatto sapere che ero in viva voce, così tutti potevano sentirmi, ma la connessione era discontinua. “Stiamo bene”, mi ha scritto il 20 ottobre. “È stata una notte terribile. Come all’inferno”. Da allora non ho più avuto sue notizie. Vivono vicino all’ospedale Al Ahli , dove la sera del 17 ottobre un’esplosione ha provocato molte vittime. Il 20 ottobre l’ospedale ha ricevuto un avviso dall’esercito israeliano in cui si diceva che i pazienti dovevano lasciare la struttura insieme al personale e agli sfollati che si erano rifugiati lì. “Almeno il 30 per cento di tutte le unità abitative della Striscia di Gaza è stato distrutto o danneggiato dall’inizio delle ostilità, secondo il ministero degli alloggi della Striscia”, si legge in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato il 22 ottobre.

Negli ospedali i chirurghi sono costretti a operare con le torce dei cellulari perché non c’è corrente. Le strutture ancora funzionanti ospitano inoltre migliaia di sfollati in cerca di un riparo Venticinque anni fa avevo accompagnato dei miei amici quando avevano aggiunto un piano alla casa di famiglia nel campo profughi, e poi quando alcuni di loro hanno lasciato il campo o si sono trasferiti a Gaza, risparmiando centesimo per centesimo e perfino indebitandosi. Sono appartamenti in cui ho dormito, in cui sono stata ospite, in cui ho giocato con i bambini, che ormai hanno diciotto o vent’anni. Immagino i libri nell’appartamento della mia amica Salma e in quello sottostante, di suo figlio Karmel. Libri sepolti sotto le macerie, o bruciati. Penso ai giocattoli dei nipoti, ai computer su cui i miei amici hanno scritto storie e articoli, ai documenti di ricerca e alle lettere e alle foto. Quanti di questi sono stati salvati sul cloud? Penso ai mobili nella casa di R e a quelli in quella di N. Ai giardini che alcuni di loro sono riusciti a curare in cortili minuscoli. Quando l’incubo finirà, prima o poi dovrà finire, saranno poveri. Come lo erano i loro genitori nel 1948. E se Israele dovesse dar seguito alla sua minaccia di restringere ulteriormente la Striscia di Gaza (cioè di occuparne e annetterne una parte), perderanno anche la terra su cui è stato costruito il loro appartamento o la loro casa. Ancora. Secondo le autorità della Striscia, il 22 ottobre i feriti erano almeno 13mila. Alcuni di loro si trovano negli ospedali, dove i chirurghi sono costretti a operare con le torce dei cellulari perché non c’è corrente. Le strutture ancora funzionanti ospitano anche migliaia

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di sfollati che cercano un riparo e un minimo di sicurezza. Dopo l’esplosione all’ospedale Al Ahli, la gente sa che nessun luogo è sicuro. L’Organizzazione mondiale della sanità ha documentato 62 attacchi contro operatori sanitari: 29 strutture che forniscono servizi sanitari sono state colpite e danneggiate, tra cui 19 ospedali e 23 ambulanze. Sette ospedali hanno cessato l’attività perché danneggiati gravemente o perché hanno dovuto far uscire pazienti e personale. Sarà così anche per il grande ospedale Al Ahli o gli sforzi delle Nazioni Unite e delle organizzazioni mediche internazionali lo impediranno? Tra le vittime incluse nelle statistiche ci sono anche sette persone di una famiglia di miei amici a Rafah. Una bomba israeliana ha colpito una casa vicina alla loro. Due occupanti sono rimasti uccisi. Le schegge, le onde d’urto, i crolli di muri, le finestre saltate, i vetri in frantumi nella casa dei miei amici hanno ferito sette persone. È successo il 12 ottobre, quando gli abitanti del nord della Striscia di Gaza stavano fuggendo verso il sud e verso Rafah. Il 13 ottobre ho scritto come al solito a Yazan, che ho conosciuto durante la prima intifada, quando aveva 16 anni. “Stiamo bene”, mi ha risposto. Ho approfittato del fatto che internet funzionava e ho fatto una chiamata vocale. Poi mi ha raccontato delle loro ferite. Uno dei bambini è stato trattenuto in ospedale per tutta la notte. Il 20 ottobre mi ha scritto ancora una volta: “Stiamo bene”. Mi ha detto che c’era poca acqua, ma non ha fornito altri dettagli. Ho deciso di non disturbarlo più con ulteriori domande. Un altro amico costretto a fuggire da Gaza verso Rafah a casa della sorella ha scritto che hanno pagato 400 shekel (circa 92 euro) per una cisterna d’acqua da 500 litri. Ma non si tratta di acqua potabile. Attualmente l’acqua potabile pulita costa 15 shekel al litro, circa 3,5 euro. Un’altra famiglia di Gaza si è rifugiata nell’appartamento di amici a Deir al Balah, e un’altra famiglia a Khan Yunis. Il 20 ottobre sono state uccise 15 persone nel bombardamento a Deir al Balah e 38 a Khan Yunis. Secondo le Nazioni Unite in questi attacchi sono rimaste ferite centinaia di persone. Un’altra famiglia di amici ha trovato rifugio in una scuola dell’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) nel centro della Striscia. Tredici persone della famiglia sono in un’aula di venti metri quadrati. Una nonna è cieca e paraplegica. L’altra soffre di fibrosi. Entrambe erano bambine nel 1948. Uno dei fratelli ha il parkinson. E ci sono due neonati di diciotto mesi, che richiedono l’attenzione richiesta da tutti i bambini. “Ognuno di noi gioca a nascondino con i colpi mortali israeliani. Vinceremo”, ha scritto il mio amico. E poi ha aggiunto: “Finora, fisicamente, stiamo bene”. ◆ dl AMIRA HASS

è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz, che ha pubblicato questo articolo.

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Le opinioni

In Argentina il favorito ora è Sergio Massa Martín Caparrós ette mesi fa, chiacchierando con un ami- peronista) e il 3 per cento della sinistra. A quel punto co giornalista, il presidente argentino gli basterà incamerare il 4 o 5 per cento del 23 per cenAlberto Fernández aveva dichiarato che to ottenuto da Patricia Bullrich, un’ex ministra di deavrebbe “messo fine a vent’anni di stra. È uno scenario plausibile, perché all’interno kirchnerismo”, riferendosi al populismo dell’alleanza della destra ci sono migliaia di persone di sinistra incarnato da Néstor Kirchner e che non voterebbero mai per Milei. Cristina Fernández de Kirchner. Un’affermazione Massa ha proposto un governo di unità nazionale curiosa, considerando che del kirchnerismo Alberto di cui facciano parte i migliori “senza fare caso all’apFernández era considerato il rappresentante al pote- partenenza politica”, e ha annunciato che la frattura re. Il suo obiettivo, a quanto pare, era tra gli argentini kirchneristi e antifarsi rieleggere e poi farlo dimenticare. Il trionfalismo kirchneristi è stata ricomposta. È stato E invece, non avendo il sostegno neces- narcisista di Javier il suo modo per dichiarare che il sario, il peronista Fernández non ha Milei ha diviso la kirchnerismo è finito, ma anche per potuto nemmeno presentarsi alle ele- destra e ha fatto in inaugurare un nuovo peronismo. zioni e sarà ricordato come il presiden- modo che il 36 per Fino a poco tempo fa tutti davano te più impalpabile della storia argenti- cento dei voti per morto il peronismo, ma si sbagliana. Detto questo, è probabile che la sua ottenuto da Massa vano. Il peronismo non muore perché profezia si avveri, perché il kirchneri- fosse sufficiente non esiste, perché può trasformarsi in smo rischia di scomparire presto dal qualsiasi cosa. Dalla sua creazione, orper vincere panorama politico argentino. A seppelmai 78 anni fa, è stato nazionalista muslirlo sarà Sergio Tomás Massa, un per- il primo turno soliniano, operaio e resistente, guevarisonaggio singolare, grazie a Javier Gesta, socialdemocratico, democristiano, rardo Milei, un personaggio inquietante. neoliberista e tanto altro. In ogni contesto ha saputo Massa è stato il più votato al primo turno delle pre- adattarsi alle rivendicazioni della gente, perché in residenziali del 22 ottobre, nonostante Milei pensasse altà la sua essenza è rimasta intatta, quella di una di essere in vantaggio e sperasse addirittura di vince- macchina per ottenere e mantenere il potere. I re senza dover ricorrere al ballottaggio. Il risultato in Kirchner l’hanno fatto per decenni. Dopo anni di goeffetti è sorprendente. Da settimane l’unica certezza verno neoliberista nella loro provincia, si sono traera che, dopo la fine di un governo disprezzato da tut- sformati in statalisti falsamente di sinistra perché la ti, i peronisti non avessero la minima possibilità di situazione lo richiedeva. Ora non ci resta che scoprire conservare il potere. Per riuscirci, davanti alla minac- cosa farà Sergio Massa, mago del mimetismo. Quale cia di perdere tutto, hanno messo sul tavolo la loro posizione gli converrà adottare? esperienza decennale e i trucchi di sempre – prebenPer prima cosa dovrà convincere milioni di persode, soldi, riscossione di vecchi debiti, sfruttamento di ne, soprattutto i giovani, che vale ancora la pena sovecchie alleanze – ma soprattutto hanno approfittato stenere la democrazia. In un recente sondaggio il 50 di un nemico apparentemente insuperabile. per cento degli argentini ha ammesso che accetterebMassa deve il suo trionfo (parziale) a Milei in al- be una dittatura se fosse in grado di risanare l’economeno due sensi: da un lato il carattere squilibrato mia. Questa è la base di Milei, ma anche la minaccia dell’economista ultraliberista ha spaventato milioni più brutale alla convivenza. Massa dovrà conquistare di persone, contribuendo a creare il miracolo in cui un queste persone, anche se al momento non è chiaro terzo abbondante degli argentini ha votato per un mi- come possa riuscirci. nistro dell’economia che ha portato l’inflazione al Se vincerà, avrà bisogno di una base solida per 140 per cento e la povertà al 40 per cento. Dall’altro, chiedere agli argentini di fare i sacrifici necessari a il trionfalismo narcisista di Milei ha diviso la destra e rimettere in sesto l’economia. Non è detto che bastiha fatto in modo che il 36 per cento dei voti ottenuto no le parole. Chiunque governi dovrà usare una certa da Massa (peggior risultato peronista della storia) forza, e Massa non sembra la persona indicata a prenfosse sufficiente per vincere il primo turno. dere decisioni difficili. Ma magari questa sarà la sua Tra un mese si tornerà alle urne. Possono succede- ennesima trasformazione. Il massismo, la grande inre molte cose, ma allo stato attuale il peronista Massa cognita del momento, sta per compiere i primi passi. ha molte più probabilità di vincere rispetto al paladi- Il peronismo continua a resuscitare, sempre diverso, no del libero mercato Milei. Al suo 36 per cento, Mas- sempre uguale. E l’Argentina lo subisce e al tempo sa aggiungerà il 7 per cento di Juan Schiaretti (un altro stesso lo celebra. u as

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MARTÍN CAPARRÓS

è un giornalista e scrittore argentino. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Ñamerica (Einaudi 2022). Questo articolo è uscito sul quotidiano spagnolo El País.

Visti dagli altri

Senza i bambini non si va avanti Tobias Jones, The Guardian, Regno Unito. Foto di Andrea Frazzetta La popolazione italiana cala da anni. E la destra rilancia la teoria della sostituzione etnica, invece di proporre soluzioni efficaci, scrive Tobias Jones e scritte sui muri – “osteria”, “bar” – sono sbiadite, anche perché le due attività sono chiuse da anni. In giro non ci sono cantieri. In un giardino una betoniera è stata capovolta, dipinta di giallo e trasformata in un vaso. Molte case sono vuote e hanno il cartello “vendesi” affisso alla porta. Siamo in Piemonte, a Massiola, un paese di montagna a 772 metri sul livello del mare, a ovest del lago Maggiore. È un posto incantevole: i vicoli serpeggiano tra le case e i giardini terrazzati. Nell’aria c’è odore di concime e di legna bruciata. Ma a parte il rumore del fiume che scorre nella valle e quello lontano dei campanacci, c’è un silenzio spettrale. “Qui non c’è più nessuno”, mi spiega un anziano. A Massiola non nascono bambini dal 2015. Nel frattempo sono morte 23 persone. In 23 anni la popolazione è passata da 173 a 117 persone. Massiola sta morendo lentamente. È un paese rimasto legato a un’epoca più semplice di quella in cui viviamo. La via principale è talmente stretta che le auto vanno lasciate in cima o in fondo al paese. Il telefono non sempre prende. Nel 2020 una valanga ha colpito il centro abitato distruggendo l’ultimo negozio. Da allora il pane viene depositato in un armadietto sotto gli archi della chiesa. Eppure fino alla metà degli anni sessanta Massiola contava 350 abitanti, aveva una segheria ed era specializzata nella produzione di cucchiai di legno e tasselli per le botti di vino. Poco lontano c’era an-

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che una cava di marmo. A Omegna, un paese a valle, c’erano le fonderie in cui si lavoravano lo stagno, il peltro e l’alluminio. “Era tutto così diverso”, ricorda il sindaco Renzo Albertini, 74 anni. “A metà degli anni sessanta c’erano due negozi di alimentari, tre bar, l’osteria, duecento pecore. Ogni famiglia aveva una mucca e quasi tutte avevano un maiale”. Ma la cava di marmo è stata chiusa negli anni sessanta, mentre la richiesta di cucchiai e sostegni di legno è calata inesorabilmente. La scuola del paese non accoglie studenti dall’inizio degli anni duemila. Anno dopo anno le famiglie hanno abbandonato Massiola per trasferirsi in centri più grandi. “Oggi nessuno lavora nei boschi”, racconta Albertini con amarezza. “Qui non c’è più vita”. Un’anziana aggiunge che senza i giovani “non c’è futuro”.

Un grave problema economico Massiola è un prisma attraverso cui osservare al rallentatore la crisi che sta colpendo l’Italia, il suo “inverno demografico”. I dati dell’Istat, pubblicati ad aprile di quest’anno, hanno rivelato che nel 2022 la popolazione residente si è ridotta di 179mila persone, ovvero dello 0,3 per cento. I decessi ormai superano di gran lunga le nascite, che l’anno scorso sono scese sotto le 400mila per la prima volta. Poco dopo la diffusione dei dati, il miliardario 50 km

SVIZZERA Verbania Massiola

Lago Maggiore Orta San Giulio

Piemonte Torino

I TA L I A

sudafricano-statunitense Elon Musk ha scritto in un tweet che “l’Italia sta scomparendo”. Secondo il sito d’informazione Tuttoscuola, dall’anno scolastico 20142015 in Italia hanno chiuso 2.600 scuole dell’infanzia e primarie. Il numero di studenti è in calo costante. Le previsioni dicono che quest’anno gli alunni saranno 127mila in meno rispetto all’anno scorso. Nel campo della demografia c’è un numero di riferimento: 2,1. Indica il tasso di fecondità che permette alla popolazione di restare stabile, chiamato anche “indice di sostituzione”. Oggi il tasso di fecondità italiano è 1,24 e in alcune regioni è addirittura più basso. In Basilicata non supera l’1,09 e in Sardegna è 0,95. Ogni anno l’età media della popolazione italiana aumenta lentamente. Oggi è di 46,4 anni. Quasi un quarto degli italiani ha più di 65 anni. La tradizionale piramide della popolazione – con un’ampia base di giovani che si assottiglia progressivamente fino a raggiungere il vertice composto dai pochi anziani – oggi somiglia a un’urna. Se le tendenze attuali saranno confermate, si trasformerà in una piramide capovolta. Le stime indicano che la popolazione italiana passerà dagli attuali 59 milioni di persone a poco meno di 48 milioni entro il 2070. Al sud e nelle isole, invece, da 20 a 14 milioni. Dato che il sistema pensionistico ha bisogno di nuovi contribuenti per finanziarsi, questo squilibrio demografico produrrà un grave problema economico, per il quale le uniche soluzioni saranno un aumento vertiginoso delle tasse o il taglio delle pensioni. Demografi e sociologi sono da tempo consapevoli del problema della natalità in Italia, ma ora l’argomento è improvvisamente finito al centro del dibattito politico. La presidente del consiglio Giorgia Meloni lo considera un cavallo di battaglia dell’estrema destra, perché sembra confermare una teoria del complotto co-

GUARDIAN NEWS & MEDIA

Massiola, Verbano-Cusio-Ossola, 22 giugno 2023

stantemente riesumata da lei e dai suoi colleghi di partito: quella della “sostituzione etnica” o “grande sostituzione”. Nel 2017 Meloni ha dichiarato che era in corso “un’invasione pianificata e voluta” di migranti, mentre un anno dopo ha riproposto la tesi antisemita secondo cui il banchiere ungherese George Soros “finanzia la sostituzione etnica”. L’idea ridicola che un ricco ebreo possa deliberatamente introdurre manodopera a basso costo dai paesi poveri per ridurre le spese, aumentare i profitti e contrastare i valori cristiani è condivisa da molti politici di Fratelli d’Italia.

Famiglia tradizionale Ad aprile Francesco Lollobrigida, marito della sorella di Meloni e ministro dell’agricoltura, ha collegato la crisi demografica a questa teoria del complotto, dichiarando che il problema delle nascite dev’essere affrontato con urgenza per non “arrendersi alla sostituzione etnica”. Anche i mezzi di comunicazione tradizionali alimentano la paranoia. A maggio di quest’anno il set-

timanale Panorama ha pubblicato in copertina la foto di persone nere o con il velo e il titolo “Un’Italia senza italiani”. La questione della natalità permette al governo Meloni di riaffermare un concetto di famiglia rigidamente tradizionale. La presidente del consiglio usa il vecchio slogan mussoliniano “Dio, patria, famiglia” e spesso apre i suoi comizi dichiarando “sono una madre”. Per la destra italiana parole come “famiglia” e “vita” sono diventate una specie di talismano. Il Family day, istituito nel 2007 da un gruppo di organizzazioni cattoliche per opporsi a un disegno di legge del governo Prodi a sostegno delle coppie dello stesso sesso, è stato riproposto nel 2015 e nel 2016 per contrastare una normativa simile. Di recente il numero di associazioni e partiti politici legati al cattolicesimo tradizionale e contrari all’aborto e alle unioni civili è aumentato, con nomi come Pro vita & famiglia, Culle per la vita, Il popolo della famiglia e Difendere la vita con Maria (che costruisce cimiteri per i feti abortiti segnando sulle tombe il nome delle

madri, così da esporle alla gogna). La barriera che separa queste organizzazioni dal governo è piuttosto porosa. Il fondatore del Family day, Massimo Gandolfini, è stato nominato consulente antidroga da Meloni. L’ex portavoce dell’evento, Eugenia Roccella, è la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, e questo nonostante sia contraria alle unioni civili e alle famiglie con genitori dello stesso sesso. Ha messo dei limiti alla procreazione assistita e ostacola l’aborto. “L’aborto è una grande contraddizione per la donna”, ha dichiarato di recente, “perché è una scelta libera ma anche una ferita”. Essendo Fratelli d’Italia un discendente diretto del Partito nazionale fascista di Benito Mussolini, non stupisce che abbia una forte inclinazione verso le politiche che incentivano la natalità. Nel discorso dell’Ascensione pronunciato il 26 maggio 1927, in un tentativo di far acquisire all’Italia lo status di grande nazione attraverso la forza dei numeri, Mussolini annunciò che gli italiani sarebbero dovuti passare da 40 a 60 milioni. Senza una popolazione ade-

venga sul sito eurekaddl.skin

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nei movimenti per i diritti civili degli anni sessanta e settanta (i suoi genitori erano impegnati nel Partito radicale). Lei stessa da ragazza si considerava una femminista, ma le cose cambiarono quando scoprì di avere una sorella più giovane, Simonetta, nata prematura e abbandonata dalla madre quando ancora era nell’incubatrice. Simonetta non era sopravvissuta, e i genitori, impegnati nell’attività politica, non avevano partecipato alla sepoltura del corpo. Roccella, sconvolta da una madre che aveva una “drastica repulsione” nei confronti della maternità, sviluppò il fanatismo di una convertita, seguendo una carriera politica che l’ha portata da Forza Italia di Silvio Berlusconi a Fratelli d’Italia di Meloni. Quando la ministra è salita sul palco a Torino, le attiviste hanno fatto irruzione impedendole di parlare, tra slogan e striscioni. Il gruppo femminista Non una di meno (un riferimento al rifiuto di accettare la violenza sulle donne) ha partecipato sia alla protesta a Trento sia a quella di Torino. “Per questo governo di estrema destra”, spiega Eleonora, un’attivista, “si tratta di un tema assolutamente ideologico”. Secondo lei, la battaglia per la natalità è una scusa per cancellare diritti otte-

Da sapere Nascite e morti in Italia Periodo 2008-2022, migliaia. *Dati provvisori Nascite Morti

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FONTE: ISTAT

Finora l’esecutivo guidato da Meloni ha approvato poche misure concrete a favore della famiglia, limitandosi a dimezzare l’iva per i pannolini, il latte in polvere e i seggiolini (portandola al 5 per cento). Ma ogni mese la retorica sulla natalità diventa più intensa. A maggio Meloni e papa Francesco hanno condiviso il palco (entrambi vestiti di bianco) in occasione della riunione annuale delle organizzazioni pro famiglia, il cui slogan “Quota 500mila” si riferiva alle nascite annuali da raggiungere entro il 2033. L’evento era organizzato da Gigi De Palo, cattolico e padre di cinque figli, che mi ha parlato delle “conseguenze traumatiche” del calo delle nascite. “Come pil siamo al nono posto nel mondo, ma tra vent’anni saremo al venticinquesimo”, mi ha spiegato. “Il sistema pensionistico collasserà, così come quello sanitario”. Il timore che il governo Meloni stia cercando di riportare le donne a casa a fare le casalinghe e le madri, ha spinto molte femministe ad agire. Nel novembre 2022 Agnese Vitali, che insegna demografia all’università di Trento, non schierata politicamente, avrebbe dovuto partecipare a una conferenza intitolata “L’emergenza demografica in Italia”, presieduta da un giornalista del settimanale Famiglia cristiana. “All’improvviso sono comparsi gli striscioni con la scritta ‘Il corpo è mio e decido io’”, racconta. “C’erano megafoni, i cori. Era impossibile andare avanti”. Un volantino distribuito dalle attiviste denunciava i “ruoli di genere reazionari che la società patriarcale c’impone: essere mogli o madri sforna-figli per la madrepatria”. Trento ha alle spalle una lunga storia di radicalismo – è stata il centro delle rivolte del 1968 in Italia, paragonabili a quelle di Parigi – dunque le proteste non sorprendono. Tuttavia le stesse scene si sono ripetute a maggio in un contesto più istituzionale e apparentemente controllato. Durante la fiera del libro di Torino, la ministra Roccella avrebbe dovuto presentare il suo libro Una famiglia radicale, che racconta la sua bizzarra conversione dal mondo radicale all’ultratradizionalismo. Roccella è cresciuta in una famiglia attiva

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Le proteste

La coalizione guidata da Giorgia Meloni ha presentato quattro proposte di legge contro l’aborto, e una riconosce i diritti legali del feto

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guata, disse Mussolini, “non si fa l’impero, si diventa una colonia!”. Per questo il suo governo introdusse una tassa per gli scapoli tra 25 e 65 anni, vietò la vendita di contraccettivi e istituì sussidi per i matrimoni e le nascite.

nuti dopo intense lotte politiche. “Nei consigli comunali amministrati da Fratelli d’Italia i diritti di maternità e paternità delle coppie omosessuali sono stati eliminati. Queste persone non possono più visitare i figli in ospedale e nemmeno andarli a prendere a scuola”. A giugno la procura di Padova ha impugnato gli atti di nascita di 33 bambini nati dal 2017 da altrettante coppie omogenitoriali, chiedendo di cancellare dal registro il nome della madre non biologica. Il ricorso sarà discusso a novembre. Nel suo primo anno di governo la coalizione guidata da Meloni ha già presentato quattro proposte di legge contro l’interruzione di gravidanza, inclusa una che riconosce i diritti legali del feto e che, se fosse approvata, metterebbe sostanzialmente fine alla possibilità di abortire. In Italia la gestazione per altri è già vietata, ma il governo di Meloni ha presentato un disegno di legge per rendere illegale anche andare all’estero per trovare una madre surrogata. Il governo ha manifestato un disprezzo palese per qualsiasi famiglia che non rientra nella norma. Roccella si oppone al “commercio dei gameti” e al “transumanesimo” (l’uso della tecnologia per migliorare l’umanità). “Sono a destra perché mi batto per quella che chiamo ‘la conservazione della condizione umana’”, ha dichiarato la ministra. Il dibattito sulla natalità si colloca quindi sul fronte della guerra culturale: uno schieramento lancia l’allarme sull’erosione dei diritti mentre l’altro denuncia l’avvento della cancel culture (cultura della cancellazione) e di una polizia del pensiero. Dopo le proteste, Roccella ha parlato di “una sempre minore libertà di pensiero e di espressione: alcune cose non le puoi più dire, e nemmeno pensare.” Più a valle rispetto a Massiola c’è Verbania, una tranquilla cittadina sulle sponde del Lago Maggiore. Verbania è capoluogo di una provincia che nel 2022 ha registrato un calo delle nascite da record: meno 12,8 per cento. “Tutto questo mi rende triste”, confessa Magda Verazzi, consigliera provinciale con delega per le pari opportunità e le politiche giovanili, schierata a destra. Verazzi indossa vestiti dai colori accesi e sorride spesso. “È una forma di egoismo. Un figlio viene visto come una limitazione, perché siamo ossessionati dall’aspetto fisico, dalla posizione sociale, dall’auto che abbiamo, dalla carriera”. Verazzi non ha figli e quando parla sembra quasi che rivolga una critica a se stessa. Ma poi scoppia a ridere e mi indica

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Il sindaco di Massiola Renzo Albertini seduto davanti alla sede del comune, 22 giugno 2023

tutti i cani della piazza. “Abbiamo sostituito l’amore per i bambini con l’amore per gli animali”. La sindaca di Verbania, Silvia Marchionini, è una moderna donna di sinistra convinta che l’arretratezza dell’Italia rappresenti un ostacolo per le giovani famiglie. “Qui è tutto vecchio: gli orari delle scuole, le attività extrascolastiche, la mancanza di parità tra donne e uomini”. Marchionini, che non ha figli, crede che le poche nascite riflettano un profondo malessere. “La gente non crede nel futuro, pensa che ormai sia impossibile costruire una vita che abbia un valore. L’Italia è un paese malato. Se la destra vince non è certo perché nell’aria si respira allegria”. Che il tasso di natalità sia un metro del benessere è confermato da diverse statistiche. La pandemia di covid-19 ha colpito l’Italia in modo particolarmente duro, e nel gennaio 2021 le nascite sono state il 14,7 per cento in meno rispetto allo stesso mese del 2020. Un ospedale di Trieste ha registrato un calo del 20 per cento dopo l’introduzione dei lockdown. “L’Italia è

un paese nervoso e pessimista”, mi spiega una donna sulla sessantina. “Non è più gioioso. I giovani sono arrabbiati perché non hanno quello che avevano i loro genitori”.

Rapporti instabili Se il pessimismo sembra un contraccettivo efficace, lo stesso si può dire del materialismo sfrenato che imperversa nel paese. Molti anziani con cui ho parlato criticano il modo in cui i genitori viziano i loro figli unici. “Fa parte della mentalità provinciale degli italiani”, spiega Roberta, insegnante in pensione con un figlio e un nipote. “Tuo figlio deve avere le scarpe migliori, tutte le cose di prim’ordine. Quindi è naturale che non si possa averne più di uno”. Oltre ai problemi economici, molte donne decidono di non avere figli perché vogliono evitare i problemi che ne derivano. Alessia, 32 anni, lavora in un autonoleggio e vive con il suo compagno. Guadagna 1.300 euro al mese e paga 300 euro di affitto. “Non voglio avere figli”, spiega.

“Non mi interessa. Ma se li volessi non potrei comunque permettermeli. Già con un cane faccio fatica ad arrivare alla fine del mese”. Alessia ha sei amiche che hanno da poco compiuto trent’anni. Solo una ha un figlio. “I rapporti sono più instabili rispetto al passato”, osserva. “Non siamo come le nostre madri. Vogliamo un compagno al nostro fianco, non un marito per cui devi cucinare ogni sera. Ci sono molte opzioni interessanti per chi non è genitore”. Tra i demografi c’è un largo consenso su ciò che bisognerebbe fare per aumentare il tasso di natalità, ed è l’esatto opposto del ritorno alla famiglia tradizionale. “Ormai da decenni sappiamo che esiste una correlazione positiva tra la partecipazione al mercato del lavoro femminile e la natalità”, spiega Francesco Billari, rettore e professore di demografia dell’università Bocconi di Milano. “Nei paesi e nelle regioni con un mercato del lavoro più attento alla parità di genere, la natalità è più alta”. Tutti i dati statistici suggeriscono che il tasso di natalità cresce se ci Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

14,1 per cento). La mancanza di opportunità di lavoro e di meritocrazia ha costretto i giovani più capaci ad andarsene. Dal 2006 il numero di italiani che vivono all’estero è raddoppiato, avvicinandosi ai sei milioni, secondo i dati dell’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire). Secondo la sociologa Chiara Saraceno, uno dei grandi paradossi della situazione italiana è che il tasso di natalità è basso proprio perché la famiglia è predominante. “È ancora un’istituzione molto forte da cui ci si aspetta solidarietà dal punto di vista economico e dell’assistenza”, spiega Saraceno. “Le politiche sociali danno per scontata questa solidarietà, e in alcuni casi la impongono. È un meccanismo che sovraccarica le famiglie e riduce l’autonomia delle giovani generazioni”. Secondo Saraceno, l’Italia è intrappolata in una spirale in cui le famiglie sono costrette a colmare le lacune dell’assistenza sociale e della cura degli anziani e la mancanza di nidi d’infanzia per la figlia o il figlio. Di conseguenza si riduce il desiderio di fare altri bambini. Una soluzione al problema esiste, ma è politicamente delicata. “Le nascite non possono risolvere questo squilibrio”, spiega Sabbadini. “È impossibile dal punto di vista demografico. Immaginiamo di arrivare a due figli per donna. Questi bambini cominceranno a lavorare tra 20 o 25 anni. E nel frattempo? Abbiamo bisogno d’immigrati”. Sabbadini crede che il governo stia ignorando il rimedio più ovvio ed efficace. “Ripete frasi demagogiche che non riflettono la realtà. Solo con un aumento degli immigrati in età da lavoro la popolazione crescerebbe immediatamente e potrebbe sostenere il sistema pensionistico di un paese che invecchia rapidamente. Angela Merkel aveva lo stesso problema, lo ha capito e ha accolto un milione di siriani”.

L’Italia ha una delle percentuali più basse di donne che lavorano, il 51,3 per cento. In Germania e nel Regno Unito si supera il 70 per cento tori è un contraccettivo efficacissimo”. L’età media in cui le italiane affrontano il primo parto (31,4 anni) è la più alta d’Europa. Se si comincia tardi è difficile avere molti figli. La maggior parte dei ragazzi italiani resta in casa con i genitori perché non può permettersi di andare via. Lo stipendio netto medio in Italia è di 1.501 euro, e quando si entra nel mondo del lavoro si è pagati molto meno. Il prezzo degli affitti continua a salire, con un incremento del 12 per cento medio in tutto il paese tra il maggio 2022 e lo stesso mese del 2023. Secondo l’Istat, 5,6 milioni di persone in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta, mentre Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione europea) calcola che oltre il 20 per cento degli italiani sia esposto al rischio di povertà. Queste difficoltà finanziarie sono ancora più proibitive per chi è in età fertile. All’interno dell’Unione europea l’Italia presenta la percentuale più alta di neet (not in education, employment or training), giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano: sono il 23,1 per cento, contro una media del 13,1 per cento (in Portogallo e Spagna, paesi paragonabili all’Italia, la percentuale è rispettivamente del 9,5 e del

Da sapere Flussi in uscita e in entrata

Complicarsi la vita

Iscrizioni anagrafiche dall’estero e cancellazioni per l’estero, migliaia. *Dati provvisori Immigrazioni Emigrazioni Saldo migratorio estero 400 300 200 100

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sono politiche sociali progressiste. In Svezia, dove ci sono generosi congedi di maternità e paternità e agevolazioni per le famiglie, il tasso di natalità è 1,84. In Germania, che a metà degli anni novanta aveva un percentuale simile a quella attuale dell’Italia (1,3), ora il tasso è di circa 1,6. “Oltre a potenziare i sussidi e gli sgravi fiscali”, spiega Billari, “la Germania ha favorito l’accesso alla scuola dell’infanzia e ha prolungato l’orario scolastico e il congedo di paternità. In poche parole, il governo tedesco ha migliorato significativamente l’equilibrio tra lavoro e famiglia, soprattutto per le donne che in precedenza erano costrette a scegliere se lavorare o stare con i bambini”. L’ipotesi che le politiche progressiste favoriscano le nascite è avvalorata dalle differenze statistiche che si registrano in Italia. Nella provincia autonoma di Bolzano le famiglie ricevono duecento euro al mese per ogni figlio sotto i tre anni, vengono aiutate nell’acquisto della prima casa e possono usufruire di buoni servizi scolastici e sanitari. A Bolzano il tasso di natalità è 1,65, più vicino a quello della Danimarca (1,72) che a quello di gran parte dell’Italia. Vitali sottolinea che nella provincia di Bolzano i nidi d’infanzia hanno una copertura del 67,5 per cento. Davanti a questi numeri molti esperti concludono che il problema è diverso da come appare in superficie. “Non sono convinta che la vera emergenza sia la natalità”, spiega Linda Laura Sabbadini, dirigente dell’Istat ed ex presidente del gruppo Women 20, creato nell’ambito del G20. “Il problema riguarda le donne e i giovani. Abbiamo una delle percentuali più basse di donne che lavorano, il 51,3 per cento. In Germania e nel Regno Unito è oltre il 70 per cento, mentre in Francia è il 68 per cento”. Anche per le donne che hanno un impiego le difficoltà da superare per gestire la maternità sono enormi: l’Italia ha pochi nidi gratuiti. Diverse ricerche indicano che le italiane vorrebbero avere lo stesso numero di figli delle loro coetanee nel Nordeuropa (dove la media è di poco superiore a due), per cui i demografi ne concludono che in Italia ci sono elementi che ostacolano questi desideri. Il più ovvio è che gli italiani vivono in casa con i genitori fino all’età adulta: in media i maschi non vanno a vivere da soli prima dei 31 anni, le donne prima dei 29 (in Svezia, per entrambi i sessi, l’età media è di 19 anni). Come ha dichiarato ironicamente l’ex ministro britannico David Willetts, “vivere con i geni-

Poco lontano dal lago Maggiore c’è uno specchio d’acqua più piccolo, il lago d’Orta, con un’isola che ospita un monastero. Davanti all’isola c’è Orta San Giulio, uno splendido borgo medievale con vicoli stretti e palazzi antichi. Nel 2019 Orta ha conquistato le prime pagine dei giornali quando, nonostante i 1.322 abitanti, non ha registrato neanche una nascita a fronte di 29 decessi. Da allora la popolazione si è ridotta di 160 abitanti. Il sindaco Giorgio Angeleri è un uomo gioviale e orgoglioso del suo paese, ma sa anche che il turismo è un’arma a doppio

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Giorgio Angeleri, sindaco di Orta San Giulio, Novara, 22 giugno 2023

taglio perché provoca un aumento dei prezzi e allontana i giovani in difficoltà economiche. “La nostra missione è evitare che Orta diventi un parco a tema”, spiega. Tenere aperte le scuole è un aspetto importante di questa strategia. “Offriamo gratuitamente i bus e le attività extrascolastiche”. L’amministrazione comunale copre una parte del costo della mensa e il 60 per cento della spesa per i campi estivi. Tutti i nuovi nati ricevono un bonus di 500 euro. Angeleri, che dice “di non avere figli, purtroppo”, sa bene di combattere una battaglia disperata. “Oggi la gente è molto egoista. Tutti pensano a se stessi, vogliono lavorare, crescere, viaggiare, studiare. L’idea di sposarsi non li sfiora, figuriamoci quella di avere figli”. Molti ritengono che la povertà sia il fattore principale dietro il calo delle nascite, ma Angeleri crede che anche il benessere incida. “Qui le persone stanno bene, in genere hanno una situazione economica ottima. Non vogliono complicarsi la vita con un figlio”. Il sindaco di Orta è tra quelli che pensano che in futuro la popolazione italiana sarà composta in misura sempre maggiore da stranieri. “È inevitabile. Quando ho pubblicato le gare d’appalto per i servizi di

pulizia, le aziende avevano solo dipendenti stranieri: sudamericani, albanesi, ucraini. Lo stesso vale per l’assistenza agli anziani e l’agricoltura. Braccianti, allevatori, macellai: sono tutti stranieri”. Angeleri, che è cresciuto in Perù e si è trasferito in Italia da adolescente, non è preoccupato da questo processo. “La terra è rotonda e gli incroci migliorano la razza umana”, commenta sorridendo. “Tutti questi discorsi sulla sostituzione etnica sono solo una distrazione”. Ma i demografi temono che l’improvviso clamore intorno a questi temi ostacoli l’introduzione di misure efficaci e trasversali. “Diventare genitori è una scelta a lungo termine che cambia la vita. Proprio per questo è cruciale che le politiche pubbliche appaiano stabili e non siano influenzate dalle alternanze di governo”, sottolinea Billari. Trasformando il problema della natalità in una causa della destra, il governo Meloni “introduce una componente ideologica nella questione”, aggiunge Saraceno. “Quasi quasi mi spingono a non avere altri figli”, ammette Silvana, una mamma che passeggia tra le vetrine mentre il suo bambino dorme nel passeggino. Silvana si dichiara di sinistra e sottolinea che oggi

chiunque abbia più di due figli è considerato un ultracattolico o un simpatizzante di destra. Anche gli immigrati temono di essere sfruttati solo per colmare un divario. Solomon, un elegante commesso originario del Ghana, scoppia a ridere quando gli chiedo se il problema della natalità può migliorare l’accoglienza nei confronti dei migranti. “Se ci permettono di stare qui solo per pagare le pensioni degli anziani non è esattamente un’accoglienza calorosa”, risponde. Tra l’altro Solomon sottolinea che molti dei suoi amici sono pagati in contanti, quindi un aumento dell’immigrazione non risolverebbe la crisi delle finanze pubbliche. La sfida per Roccella e Meloni è convincere gli italiani che il problema del crollo delle nascite non è né di destra né di sinistra e riguarda tutto il paese. Forse solo allora l’inverno demografico dell’Italia lascerà il posto a una primavera. u as L’AUTORE

Tobias Jones è un giornalista britannico. Vive a Parma. L’adattamento televisivo del libro suo libro Sangue sull’altare è attualmente in onda su Rai 1 con il titolo Per Elisa.

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Namibia

VW PICS/UNIVERSAL IMAGES GROUP/GETTY

Il parco nazionale di Namib-Naukluft

La scommessa dell’idrogeno verde Lisa Ossenbrink, Unbias The News, Germania

La Namibia e la Germania hanno stretto un accordo per la produzione di combustibile. Ma non è chiaro se gli investimenti aiuteranno il paese africano 54

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ANGOLA

250 km

NAMIBIA Swakopmund Windhoek

BOTSWANA

Oceano Atlantico

a migliorare la situazione, ma è ancora troppo costosa. Nella baraccopoli dove vive Queenie migliaia di chilometri di cavi elettrici ille­ gali, ben sepolti sottoterra, vanno dalla zona dell’abitato connessa alla rete elet­ trica pubblica alla zona che non lo è. Prendere energia da una di queste linee costa 800 dollari namibiani (50 euro). Per avere un termine di paragone, il sala­ rio medio nel paese è di circa quattromila dollari namibiani al mese (253 euro). Il costo non è l’unico inconveniente: quan­ do tante persone da un’unica abitazione si connettono alle prese illegali, le inter­ ruzioni di corrente sono frequenti. “Si corrono tanti rischi quando vivi senza l’elettricità”, spiega Queenie. “I più comuni sono gli incendi causati dalle candele. Conosco persone che hanno perso la casa in questo modo. Inoltre, in quest’area c’è molta criminalità quando fa buio”.

Ricadute positive

ueenie (nome di fantasia), 37 anni e quattro figli, vive in una baraccopoli di Wind­ hoek, in Namibia. Guarda il cielo per capire se stanotte riuscirà a caricare il telefo­ no. La giornata nuvolosa fa svanire le spe­ ranze di poter avere un po’ di luce la sera: il pannello solare installato sul tetto della sua baracca non avrà immagazzinato ab­ bastanza energia. “Con il tempo ci si fa l’abitudine”, commenta. In Namibia, dove quasi un milione di persone non ha accesso all’elettricità, il sole splende in media trecento giorni all’anno. L’energia solare potrebbe servire

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La Namibia, nel sudovest del continente africano, ha un’estensione di 824.292 chi­ lometri quadrati. Con i suoi 2,5 milioni di abitanti è il secondo paese meno densa­ mente popolato al mondo. Eppure, le sti­ me più recenti mostrano che solo il 56 per cento dei namibiani ha accesso alla rete elettrica. La carenza di energia non dipende unicamente dal fatto che la rete naziona­ le non ha ancora raggiunto le parti più remote del territorio, un’operazione che comporterebbe dei costi molto alti, ma è legata alla disponibilità di fonti energeti­ che: con le risorse a sua disposizione, la Namibia può coprire meno di un terzo del proprio fabbisogno. E anche se l’energia solare ha un enorme potenziale, i costi delle rinnovabili sono ancora molto alti, insostenibili senza l’afflusso di capitali stranieri. Tuttavia potrebbe esserci una soluzione promettente ai problemi ener­ getici del paese africano: l’idrogeno ver­

de. La Germania e la Namibia, che hanno alle spalle una complicata storia colonia­ le e oggi sono coinvolte in un dibattito sulla questione dei risarcimenti, collabo­ rano per produrlo. La Namibia ha a disposizione una grande quantità di luce solare e spazi molto ampi per la produzione, ma allo stesso tempo ha bisogno di investimenti internazionali per creare da zero questo settore industriale. Agli occhi della Ger­ mania, la Namibia potrebbe avere un ruolo di primo piano nella strategia per soddisfare i futuri bisogni energetici dei tedeschi. Secondo il governo di Wind­ hoek, servirebbero 190 miliardi di dollari statunitensi (181 miliardi di euro) entro il 2040 per poter diventare il primo centro per la produzione di idrogeno verde in Africa, con un possibile contributo al suo pil di sei miliardi di dollari (5,6 miliardi di euro). I finanziamenti sono la sfida più urgente. Di recente il paese ha firmato un accordo da dieci miliardi di dollari (9,43 miliardi di euro) con la Hyphen, l’azienda energetica tedesca responsabile della re­ alizzazione dell’impianto per l’idrogeno verde nel parco nazionale namibiano di Tsau Khaeb. Chigozie Nweke­Eze, amministratore delegato dell’azienda Integrated Africa power (Iap) e consulente per progetti su larga scala nel settore delle rinnovabili, dice: “Ci saranno anche dei vantaggi geo­ politici. Vediamo la Namibia emergere all’improvviso sulla mappa energetica”. Tra le ricadute positive che il paese po­ trebbe avere sviluppando l’idrogeno ver­ de, Nweke­Eze cita “nuovi posti di lavo­ ro, crescita economica e industrializza­ zione”. L’idrogeno verde è quello prodotto esclusivamente da fonti rinnovabili come il sole o il vento. A causa della loro intrin­ seca volatilità è difficile garantire dei li­ velli di produzione costanti. Per superare questo inconveniente e garantire una produzione stabile, bisognerà produrre energia solare e acqua – ottenuta da im­ pianti di desalinizzazione – in abbondan­ za. La domanda è: cosa ne sarà di quello che viene prodotto in eccesso? “La Namibia ha lanciato un program­ ma per l’idrogeno verde molto ottimisti­ co”, ha dichiarato Irene Hoaes, portavoce della NamPower, l’azienda energetica pubblica namibiana. “Se queste fonti raggiungeranno la portata e le dimensio­ ni di cui abbiamo parlato, le ricadute sul settore energetico nazionale saranno davvero importanti”. Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Namibia Hoaes aggiunge che la NamPower ha annunciato di avere in programma la realizzazione di diversi impianti con una capacità totale di produzione pari a 220 megawatt. Il paese punta a raggiungere l’85 per cento di autosufficienza e a soddisfare il 70 per cento dei suoi bisogni energetici con fonti rinnovabili. Non si è ancora stabilito, però, se si potrà conteggiare anche l’energia in eccesso ricavata dall’impianto per l’idrogeno verde. Si farà uno studio per determinare se sarà possibile “avere accesso a 2-3 gigawatt di energia da fonti rinnovabili, con il vantaggio di costi decisamente più bassi grazie alle economie di scala e al fatto che sarebbe un prodotto ‘di scarto’ degli impianti per l’idrogeno verde”. Il governo namibiano e la Hyphen hydrogen energy hanno firmato di recente un accordo “che regola il processo di sviluppo, la realizzazione e la gestione del più grande progetto per la produzione di idrogeno verde di tutta l’Africa subsahariana, l’unico a essere del tutto integrato verticalmente”, cioè a comprendere tutte le fasi della produzione. Nei dettagli dell’accordo, però, non si parla dell’energia in eccesso prodotta negli impianti.

Condizioni ideali Secondo i suoi dati, la Hyphen avrà bisogno di circa settemila megawatt di elettricità per condurre il processo di scissione dell’acqua in ossigeno e idrogeno, e per la successiva produzione di ammoniaca. Al momento il consumo massimo di elettricità della Namibia supera di poco i 600 megawatt. Sono attive anche imprese sociali come la Ebikes4Africa, che fornisce biciclette elettriche dotate di batterie a energia solare per aiutare i namibiani a spostarsi più facilmente, soprattutto nelle comunità più isolate. Di recente l’ong ha provato a integrare la batteria a energia solare che usa nelle sue biciclette a un hub elettrico off grid (non connesso alla rete) che può aiutare i negozianti delle località remote a mantenere al fresco le verdure. Le batterie solari off grid si stanno dimostrando una soluzione efficace per i namibiani delle aree più sperdute. Anche se offrono una fonte affidabile di energia, però, non contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi che il paese si è posto in termini di elettrificazione. L’energia in eccesso generata dagli impianti per l’idrogeno verde è più promettente. La Namibia non è l’unico paese coinvolto nella corsa globale alla produzione di idrogeno verde. Anche la Nigeria sta

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emergendo come uno dei principali attori in questo settore. Il governo tedesco ha riconosciuto il potenziale dell’idrogeno verde nigeriano e ha firmato degli accordi con il paese. In Nigeria la situazione è simile a quella della Namibia: il paese più popoloso dell’Africa deve fare i conti con un’elettrificazione insufficiente e con alti costi dell’elettricità, a cui la popolazione ha poco accesso. Anche in Nigeria sono in corso sperimentazioni di soluzioni off grid incentrate sulle batterie solari. Secondo Nweke-Eze, però, queste soluzioni non porteranno a un cambiamento strutturale. “Ogni paese ha bisogno di industrializzarsi, e per farlo deve avere una rete elettrica, che arrivi ovunque, anche quando si tratta di energia solare. È così che si fa progredire un’economia”, ha detto. Gli impianti a idrogeno verde in Namibia e in altri paesi africani possono davvero portare la luce nei cieli e nelle case di migliaia di persone, ed esportare allo stesso tempo il grosso della loro produzione in Europa? “L’aspetto più importante di questo progetto è che rafforza l’approvvigionamento energetico della Namibia, rendendolo al tempo stesso più rispettoso del clima”, ha detto Robert Habeck, ministro tedesco dell’economia e della protezione del clima, durante una visita a Windhoek alla fine del 2022. L’equazione è semplice: se l’impianto per la produzione di idrogeno verde genera energia in eccesso e questa finisce nella rete elettrica nazionale, le ricadute positive potrebbero essere notevoli. Ma è ancora tutto in fase di discussione. Grazie alle sue condizioni ideali per la produzione di idrogeno verde e a una bassa domanda di energia dovuta alla popolazione poco numerosa, in Namibia le cose potrebbero comunque cambiare. Ma per chi come Queenie vive senza elettricità, ricaricare i telefoni di notte sarà più facile solo quando la baraccopoli sarà connessa alla rete elettrica e l’elettricità sarà più accessibile per chi ci vive. u gim

La Namibia ha a disposizione una grande quantità di energia solare e spazi molto ampi per produrre idrogeno verde

Energia

La tentazione africana Europa ha fissato l’ambizioso obiettivo di produrre dieci milioni di tonnellate di idrogeno da fonti rinnovabili entro il 2030 e di importarne la stessa quantità. E come molte altre volte in passato, scrive il quotidiano britannico Financial Times, si rivolge all’Africa per le risorse di cui ha bisogno. Secondo un rapporto dell’Unione europea e dell’Unione africana, il continente ha uno “straordinario potenziale di idrogeno verde”. Ma se l’Europa vuole evitare gli errori coloniali del passato e garantire che i più di 600 milioni di africani senza accesso all’elettricità ottengano benefici dall’economia dell’idrogeno, qualsiasi progetto dovrà essere finanziato e realizzato con attenzione, sottolinea il quotidiano britannico. L’idrogeno verde – ottenuto attraverso l’elettrolisi dell’acqua usando energia elettrica da fonti rinnovabili come l’eolico e il solare – potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel sostituire i combustibili fossili in settori industriali difficili da decarbonizzare, come l’acciaio, i prodotti chimici e la navigazione. “Per molti settori industriali, l’idrogeno verde è l’unica via verso la sostenibilità”, afferma Donal Cannon, del gruppo di consulenza non europeo della Banca europea per gli investimenti, che ha contribuito al rapporto. La produzione di idrogeno verde richiede molta energia rinnovabile a basso costo, quindi i climi soleggiati, come quello africano, in genere sono i luoghi migliori. “Probabilmente l’Africa, insieme all’India e al Cile, sarà uno dei luoghi dove l’idrogeno verde potrà essere prodotto su larga scala al costo più basso”, prevede Cannon. “Oggi”, continua il Financial Times, “il 50 per cento della popolazione nell’Africa subsahariana non ha accesso all’elettricità. Secondo la Commissione europea l’avvio di progetti di idrogeno verde contribuiranno alla crescita economica e alla stabilità sociale e politica. Non tutti ne sono convinti. Il Corporate Europe observatory, un’ong con base a Bruxelles, sottolinea che i progetti europei per l’idrogeno rappresenterebbero l’ennesimo accaparramento neocoloniale di risorse compiuto dall’Europa. u

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Chi dispone un lascito nel proprio testamento a favore di Amnesty International sceglie prima di tutto di lasciarci in eredità i suoi valori, le idee nelle quali ha creduto e lottato per tutta la vita. Se anche tu vuoi che i tuoi ideali vengano portati avanti anche quando non ci sarai più, scrivici a [email protected] o contattaci al numero 06 4490215. Ti daremo tutte le informazioni di cui hai bisogno e ti invieremo la nostra guida informativa.

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Regno Unito

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Angela Ratcliffe parla con Hedi Argent e Hilary Vernon-Smith. New Ground, Londra, 7 agosto 2023

E vissero insieme felici e contente Anita Chaudhuri, The Guardian, Regno Unito. Foto di Jill Mead A Londra un’esperienza di cohousing riservata a donne di più di cinquant’anni si rivela un modello di vita alternativo che ha molti aspetti positivi hipping Barnet, un verdeggiante quartiere residenziale nella zona nord di Londra, è una località improbabile per un’utopia femminista. Eppure è lì che si trova la prima comunità di cohousing (coabitazione) del Regno Unito riservata a donne di più di cinquant’anni.

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L’ingresso di New Ground, con molte vetrate e cartelli scritti in caratteri grandi, potrebbe essere scambiato per uno spazio di coworking, e lo stesso vale per la sala comune in cui mi fanno accomodare. Tutto è luminoso, arioso e pulitissimo. Alle pareti sono allineate delle raffinate librerie bianche e una tv con schermo gigante. L’unico indizio dell’età delle inquiline è il puzzle da mille pezzi lasciato incompleto sul tavolo che dà sul grande giardino. Un gruppo di donne eleganti mi accoglie calorosamente insieme a un buon odore di caffè. “Abbiamo dai 58 ai 94 anni”, dice Jude Tisdall, 71 anni, consulente d’arte. Come la maggior parte delle inquiline, vive qui da quando la struttura è stata

completata, nel 2016. “Molte di noi lavorano ancora, altre fanno volontariato e sono attive nella comunità. Chi viene qui può pensare che effettivamente abbiamo tutte una certa età. Ma non possiamo essere definite vecchie”. Ed è vero che nessuna qui somiglia agli stereotipi delle anziane, tanto meno Tisdall, la cui foto è stata pubblicata da Vogue in un numero dedicato a “persone che rompono le regole” in quanto “pioniera del cohousing”. A New Ground ci sono 25 appartamenti per 26 inquiline (c’è una coppia sposata), e otto sono unità di edilizia residenziale pubblica. Le case danno su un giardino pieno di fiori selvatici, bacche e alberi da frutto. La sala comune è usata per cene

Charlotte Balazs

GUARDIAN NEWS & MEDIA

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Angela Ratcliffe

settimanali, serate di cinema e lezioni di yoga (“e non yoga sulla sedia, yoga quello vero”). C’è anche un appartamento per gli ospiti in visita che si fermano per la notte. L’allusione alle visite mi spinge a porre la domanda scottante: gli uomini possono entrare? “Ma certo!”, dice Tisdall. “Abbiamo fratelli, padri, figli, nipoti, amanti e tutto quello che sta in mezzo. L’unica cosa che non possono fare è vivere qui”. Perciò se una di loro sposa un uomo deve trasferirsi? “Non necessariamente”, ride Tisdall, che è divorziata. “Avrebbe una scusa fantastica per poter dire: ‘Mi dispiace caro. Non posso vivere con te ma possiamo trascorrere dei bellissimi fine settimana insieme!’” Il cohousing non somiglia affatto a una comune. Le persone occupano appartamenti che possono essere di proprietà o in affitto, e poi ci sono degli spazi condivisi per socializzare, seguire dei corsi e fare giardinaggio. Di certo è un’idea perfetta per quest’epoca. Nel 2021 nel Regno Unito 3,6 milioni di persone sopra i 65 anni vivevano da sole, e le donne erano il 70 per cento. Secondo l’ultimo rapporto del Center for ageing better, nel giro di dieci anni le persone di età superiore ai 65 anni saranno aumentate del 19 per cento, rag-

giungendo il 22 per cento della popolazione. Un ulteriore motivo di riflessione è il fatto che continua a scendere il numero di anni che possiamo prevedere di trascorrere senza malattie invalidanti: oggi è di 62,4 per gli uomini e 60,9 per le donne. Nonostante questi dati, il cohousing è ancora in uno stadio embrionale: ci sono solo 302 case in dieci comunità. Facciamo un giro della struttura con un’altra inquilina, Hilary Vernon-Smith, 72 anni. Con le scarpe da ginnastica giallo limone e un taglio di capelli geometrico, ha l’aspetto di un’artista al lavoro, e in effetti il suo appartamento serve anche da studio. Prima di andare in pensione è stata per 28 anni caposcenografa al National theatre. Indicando il prato ovale al centro della struttura, spiega che le donne hanno lavorato in stretta collaborazione con gli architetti. “Gli studi indicano che un cervello affetto da demenza risponde in modo più positivo alle curve, e questa è una cosa di cui abbiamo tenuto conto”. Data l’atmosfera rilassata, è facile sottovalutare la forza del gruppo. Per trasformare in realtà il sogno di New Ground ci sono voluti 18 anni di sviluppo, informazione, intense attività di rete e moltissimi incontri. Maria Brenton è ambasciatrice

di Uk cohousing network e ha contributo a facilitare la nascita di New Ground nel 1998. “Le donne che hanno dato il via a tutto questo erano irremovibili: non volevano starsene sedute in una sala ricreativa per il resto della vita”, racconta. “Ci opponevamo con fermezza alle discriminazioni nei confronti degli anziani, al paternalismo e all’infantilizzazione da parte dei servizi sociosanitari”.

Un’idea illuminante A New Ground le donne gestiscono tutto da sé e i compiti sono divisi tra squadre di responsabili della manutenzione, del giardinaggio, delle comunicazioni, delle pulizie e delle questioni legali. A beneficio di chi non comprende la necessità del modello per sole donne, Brenton racconta la storia eloquente di un complesso di cohousing in Canada che ha deciso di ammettere anche gli uomini “così ci sarebbe stato qualcuno a cui far cambiare le lampadine”. “Nel giro di sei mesi tutti i componenti del comitato di gestione erano uomini. Le donne che sono qui sanno cambiare una lampadina da sole”. Brenton era una ricercatrice e si stava preparando a tenere un master sull’invecchiamento. Durante un viaggio di ricerca

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Regno Unito nei Paesi Bassi, ha scoperto il cohousing e si è chiesta se un’idea simile potesse pren­ dere piede anche nel Regno Unito. “Dagli anni ottanta il governo olandese ha inco­ raggiato la pratica del vivere in gruppo come alternativa alle costose case di cura e agli istituti assistenziali. L’idea era che non solo sarebbe stato più economico, ma avrebbe permesso alle persone anziane di supportarsi a vicenda e di mantenersi più sane, più felici e più attive”. Una volta tornata a Londra, Brenton ha contattato le principali reti di donne e ha organizzato un laboratorio. “Poi sei persone che vivevano da sole hanno dato vita all’Older women’s cohousing group”. Brenton ha ricevuto dei finanziamenti per far funzionare il gruppo e diverse centina­ ia di donne si sono unite all’iniziativa nel corso degli anni, ma non tutte sono vissu­ te abbastanza a lungo da vedere il sogno diventare una realtà.

Vincere le diffidenze Perché ci è voluto tanto? “Uno dei proble­ mi era che non sapevamo cosa stavamo facendo”, racconta. “Nessuna aveva espe­ rienza in materia di alloggi, edilizia o pro­ gettazione. Eravamo in tutto e per tutto delle principianti”. Il desiderio del gruppo di includere l’edilizia sociale complicava ulteriormente le cose. C’era bisogno di un’associazione per l’edilizia abitativa. Ma anche dopo aver trovato il sito, che nemmeno a farlo apposta era quello di una ex scuola femminile e confinava con un convento, hanno dovuto combattere per cinque anni contro il consiglio munici­ pale per la progettazione. L’inquilina più anziana, Hedi Argent, di 94 anni, descrive un atteggiamento a suo avviso poco collaborativo: “Ricordo benissimo uno di loro che ci ha detto: ‘A Barnet vivono già abbastanza persone an­ ziane’”. Secondo lei non ne volevano altre perché pensavano che questo avrebbe gravato ulteriormente sui servizi sociali e sanitari. In realtà però la struttura fa ri­ sparmiare soldi. Per esempio, le donne hanno istituito il sistema delle “amiche della salute”, in cui ogni persona ha una cerchia di due o tre amiche che passano a trovarla regolarmente per vedere come sta e si offrono di dare una mano per fare la spesa o cucinare se ha subìto un inter­ vento di protesi al ginocchio o un’altra procedura che ne limita la mobilità. “Facciamo attenzione le une alle al­ tre, ma non ci accudiamo le une con le altre né ci occupiamo della cura persona­ le”, spiega Argent. “Chi ha bisogno di as­

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sistenza fa venire qualcuno da fuori che l’aiuti”. Argent è entrata nel gruppo undi­ ci anni fa, quando il suo compagno è mor­ to e lei si è trovata a vivere da sola. “Le mie due figlie erano preoccupate per me e io ho cominciato a preoccuparmi delle loro preoccupazioni. Ora questo circolo vizioso è finito”. Argent vive comunque una vita piena di impegni. Un tempo editor di libri, accet­ ta ancora degli incarichi da free­ lance e ha da poco finito di scri­ vere un’autobiografia in cui rac­ conta della sua esperienza di fuga dall’Europa nazista quando aveva nove anni. Va spesso a parlare nelle scuole e a breve si unirà a lei Charlotte Balazs 70 anni, anche lei un’in­ quilina la cui famiglia è legata alla storia dell’olocausto. “Questo posto è fantastico per fare re­ te”, dice Balazs, che prima viveva da sola in un appartamento senza spazi esterni. “Ho capito quanto fossi fortunata a vivere qui durante la pandemia. Ogni giorno alle due del pomeriggio facevamo ginnastica nel parcheggio e poi ci sedevamo in giar­ dino. Ci facevamo consegnare la spesa e alcune di noi le prescrizioni mediche. Sembra melodrammatico, ma penso che senza questa comunità avrei avuto un esaurimento nervoso”.

Non si tratta solo di alleviare la solitudine, ma di diventare parte di un ecosistema Un altro esempio dei benefici di questa struttura lo offre Tisdall raccontando di quando è caduta e si è rotta una spalla: “Mia figlia e mia nipote venivano a trovar­ mi, ma non dovevano starsene tutto il tempo qui per assicurarsi che mangiassi e bevessi. C’erano persone che facevano la spesa per me e che venivano a farmi visita per bere un bicchiere di vino”. Sembra un idillio, ma sul serio non ci sono aspetti negativi? Mi viene in mente che una persona naturalmente portata alla discrezione come me potrebbe trova­ re tutto questo particolarmente difficile. “Be’, c’è un’ottima insonorizzazione”, dice Argent, ridendo. “L’unica cosa che la mia vicina sente è l’acqua del mio bagno scorrere. Anzi, l’altro giorno è venuta a chiedermi se stavo bene perché non l’a­ veva sentita”. C’è poi l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto che

ogni decisione va presa con il consenso di tutte. Ann Beatty, 58 anni, aveva dei dub­ bi prima di trasferirsi. “Mi sono chiesta se fossi pronta per una cosa così. Però ero appena tornata dopo aver vissuto all’este­ ro e non avevo né una casa né dei progetti per il futuro. All’inizio prendere delle de­ cisioni condivise era un freno. Impediva alle persone di fare cose molto semplici come per esempio andare a comprare un orologio per la sala comune”. Da allora però, racconta, le cose sono migliorate. “Abbiamo im­ parato che non tutto richiede una decisione condivisa. Ab­ biamo fatto una formazione sul consenso e il processo decisionale, ci ha aiutate molto”. I benefici del cohousing vanno oltre i servizi offerti a chi ci vive. Gli abitanti del quartiere frequentano New Ground e par­ tecipano alle feste e alle giornate dedicate al giardinaggio. “La magia del cohousing è data dalla combinazione di persone fan­ tastiche e di una progettazione collabora­ tiva”, spiega Frances Wright, facilitatrice di comunità per l’impresa sociale di co­ struzione Town. Insieme alla sua partner di recente è andata a vivere in un apparta­ mento più piccolo in un complesso della Town a Cambridge che mette a disposi­ zione un laboratorio per il fai da te, una palestra e un negozio di prodotti tipici. C’è anche un servizio di automobili condivise e questo ha spinto Wright a rinunciare per la prima volta alla sua vettura. “Prendere le decisioni insieme può essere difficile. Però abbiamo lasciato una casa per vivere in un appartamento di due stanze, e non abbiamo la sensazione di aver sacrificato qualcosa”. Mellis Haward, direttrice del gruppo di architetti Archio, ha diretto molti progetti di cohousing. “Le persone attratte dal cohousing di solito danno molta impor­ tanza alla possibilità di vivere accanto ai vicini. Non si tratta solo di alleviare la soli­ tudine, ma è un modo per permettere alle persone di diventare parte di un ecosiste­ ma di famiglie e individui”. Haward è convinta che occorra un cambio di mentalità per favorire la nasci­ ta di più progetti simili. “Nell’edilizia sta emergendo la tendenza a costruire dei complessi di cohousing”. All’improvviso ci si è accorti dei benefici dell’economia della condivisione? “In realtà nella rete del cohousing ci sono molte persone che cercano una casa. Quindi per i costruttori è un affare. Ma forse sono solo molto ci­ nica”. u gim

4 euro Internazionale Kids è in edicola! In questo numero: dov’è finita l’acqua, sognare a occhi aperti ha i suoi vantaggi, la pace è lontana, avere dieci anni a Rio de Janeiro, una merenda disgustosa e molto altro Ogni mese articoli, giochi e fumetti dai giornali di tutto il mondo per bambine e bambini

Scienza

Un coro di cervelli Lise Barnéoud, Mediapart, Francia Foto di Cristina Garcia Rodero

iù la scienza cerca di comprendere cosa ci rende individui unici, dotati di una coscienza propria, e più si scopre quanto siamo in realtà legati e interdipendenti, perfino all’interno delle nostre scatole craniche. Studiando diversi cervelli in interazione tra loro, gli scienziati hanno trovato qualcosa di sorprendente: la sincronizzazione intercerebrale, ovvero il fenomeno per cui due o più cervelli finiscono per ritrovarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Fino a vent’anni fa questo campo di ricerca era considerato come una scienza occulta. E per buoni motivi: la prima volta che dei ricercatori hanno applicato degli elettrodi su due cervelli allo stesso tempo, infatti, il loro obiettivo era affermare l’esistenza di una “comunicazione extrasensoriale” tra due coppie di gemelli situati in due stanze diverse. Era il 1965 e la serissima rivista Science aveva accettato di pubblicare l’esperimento. Le critiche non mancarono. Secondo molti osservatori il fatto di ritrovare segnali elettrici sincronici nei cervelli di due coppie di gemelli identici poteva spiegarsi con la similitudine biologica degli individui e con i contesti simili in cui erano immersi. Per non parlare della debolezza statistica dello studio: due coppie di gemelli non sono un campione rappresentativo. In ogni caso il mondo della parapsicologia sposò subito l’idea di una comunicazione extrasensoriale, e questo

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spiega la reticenza degli scienziati a ripetere esperimenti simili. All’inizio degli anni duemila diversi gruppi di ricercatori si sono concentrati sull’osservazione simultanea di cervelli diversi, usando due tipi di strumenti: la risonanza magnetica funzionale (fmri), che misura indirettamente l’attività nervosa attraverso il tasso di ossigenazione dei capillari sanguigni, e l’elettroencefalogramma (eeg), che registra direttamente l’attività elettrica di gruppi di neuroni. Quando si verifica la sincronizzazione, i picchi e le valli dei segnali elettrici finiscono per essere sovrapponibili. Inizialmente la maggior parte degli studi si basava sull’osservazione di due individui impegnati in un’interazione controllata: compiti online, esercizi teatrali, simulazione di volo con pilota e copilota, giochi di carte, prove musicali. Altri invece analizzavano più cervelli separatamente, per esempio valutandone la reazione alla stessa scena di un film (come Il buono, il brutto, il cattivo). Dagli esperimenti è emerso che le onde elettriche di alcune popolazioni di neuroni di cervelli diversi si sincronizzavano. “In precedenza questo fenomeno era stato osservato tra diverse aree del cervello, ma non tra cervelli distinti”, ricorda Julia Sliwa, ricercatrice del Centre national de la recherche scientifique (Cnrs) francese. Quei risultati però non rappresentavano una grande sorpresa. Immersi in un ambiente simile, infatti, i nostri cervelli tendono a reagire nello

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Alcuni studi hanno dimostrato che le onde cerebrali di persone diverse tendono a sincronizzarsi durante le interazioni. Questo potrebbe cambiare la nostra idea della socialità e dei suoi disturbi

Meditazione collettiva durante il Boom festival a Idanha-a-Nova, in Portogallo, luglio 2018

stesso modo. Dopo tutto siamo fatti con lo stesso stampo. Ma c’è dell’altro. Osservando coppie di individui impegnati in interazioni spontanee, senza che facessero la stessa cosa o guardassero lo stesso film, i ricercatori hanno scoperto che l’accoppiamento cerebrale si verificava ugualmente. “I cervelli sono più sincronizzati per il semplice fatto di essere impegnati in un’interazione sociale”, spiega Guillau-

me Dumas, uno dei primi ad aver studiato le interazioni spontanee tra individui nel 2011. “All’inizio nessuno ci credeva”, ricorda. Le interazioni, tra l’altro, producevano sincronizzazioni estremamente precise, con le oscillazioni che si sovrapponevano con differenze di pochi millisecondi. Da allora decine di ricercatori di tutto il mondo hanno studiato questa sincronia intracerebrale, che avviene tra gli esseri umani ma anche tra gli altri animali, dai topi ai pipistrelli fino alle scimmie. Anche gli animali, infatti, entrano in sincronia quando interagiscono tra loro.

L’abbondanza di ricerche ha permesso di svelare in parte il funzionamento di questo misterioso fenomeno. Innanzitutto la sincronizzazione non è sistematica, ma la sua precisione varia in base a diversi criteri. Naturalmente gli stimoli esterni possono incrementare la concordanza delle onde elettriche cerebrali. Se gli individui ballano insieme, se ascoltano le stesse parole o gli stessi suoni, se si guardano negli occhi o se si toccano, allora le sincronizzazioni saranno più evidenti. “Più numerosi sono i canali per scambiare informazioni e più sarà facile la sin-

cronizzazione”, conferma Dumas, che oggi dirige il laboratorio di psichiatria di precisione e fisiologia sociale dell’ospedale Sainte-Justine di Montréal, in Canada. Cosa ancora più sorprendente, il livello di sincronizzazione è influenzato anche dal rapporto tra le persone coinvolte nell’interazione. Più è stretto e duraturo, più la sincronizzazione è forte. Le relazioni tra amici, coppie o genitori e figli presentano una maggiore sincronia rispetto a quelle tra estranei. Di recente Dumas e i suoi colleghi hanno dimostrato che il livello della sincronizzazione tra una madre e suo figlio è Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Scienza più forte rispetto a quello tra un estraneo e il bambino, ma non se l’estraneo indossa una maglietta impregnata dell’odore materno e parla con il bambino guardandolo negli occhi. “L’olfatto e il contatto fisico possono incrementare i livelli di sincronizzazione tra gli individui”, spiega il neurobiologo. Lo stesso vale per i rapporti tra pipistrelli: quelli che trascorrono più tempo vicini presentano onde elettriche più sincronizzate durante un’interazione di gruppo. Infine esistono elementi peculiari di ciascun individuo che possono accrescere o interferire con la sincronia. Il livello di stress delle persone, per esempio, sembra correlato negativamente con la sincronizzazione. Quando una madre si dichiara stressata, si osserva una sincronizzazione più debole durante le sue interazioni con il bambino. Il livello di empatia è invece correlato positivamente alla sincronizzazione. Se i soggetti sono attenti e motivati durante l’interazione, il livello di sincronizzazione cerebrale è migliore. In una classe, per esempio, gli studenti che sono più concentrati e apprezzano maggiormente l’attività proposta sono più in sincronia con il resto del gruppo. Inoltre più sono affezionati al professore e ai compagni e maggiore è la sincronia con loro. È stato anche notato che le interazioni collaborative comportano una sincronizzazione più forte rispetto a quelle competitive. Negli esperimenti sui pipistrelli, i ricercatori hanno voluto stabilire se il fenomeno potesse essere innescato da una

L’olfatto e il contatto fisico possono far aumentare la sincronizzazione tra gli individui. Lo stress, invece, sembra interferire

vocalizzazione qualsiasi, dunque hanno insegnato ad alcuni esemplari a emettere suoni per ottenere cibo. Risultato: durante le vocalizzazioni condizionate non è stato registrato nessun fenomeno di sincronizzazione. Era come se gli altri pipistrelli non vi prestassero attenzione, perché il segnale non veicolava informazioni relative alle loro attività sociali.

Più che una correlazione Non c’è bisogno di immaginare una specie di connessione bluetooth tra i nostri cervelli. Gli studi, soprattutto quelli condotti sui topi, hanno permesso di identificare popolazioni di neuroni che rispondono specificamente alle interazioni sociali e sembrano innescare la sincronizzazione, spiega Julia Sliwa.

Da sapere Socializzare previene la demenza ◆ Uno studio pubblicato recentemente su Neurology ha individuato un collegamento tra l’isolamento sociale e la riduzione della massa cerebrale, un fenomeno spesso associato alle malattie neurodegenerative. I ricercatori dell’università Kyushu di Fukuoka, in Giappone, hanno sottoposto a risonanza magnetica 8.896 persone con un’età media di 73 anni non affette da demenza senile, scoprendo che negli individui con meno contatti il tessuto cerebrale occupava una porzione della scatola cranica

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minore che in quelli socialmente più attivi. La riduzione riguardava aree del cervello associate alla memoria e alla demenza, come l’amigdala e l’ippocampo. I soggetti più isolati presentavano inoltre un maggior numero di lesioni nella sostanza grigia, segno di danni cerebrali. In parte il fenomeno sarebbe collegato ai sintomi della depressione. Gli autori dello studio non hanno stabilito un nesso causale tra l’isolamento e la perdita di tessuto cerebrale, ma in precedenza altri studi hanno individuato un collegamen-

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to tra la solitudine e il rischio di declino delle funzioni cognitive e demenza negli anziani. Alcuni suggeriscono che mantenere frequenti contatti sociali possa incoraggiare uno stile di vita più salutare e abbassare i livelli di stress e la pressione sanguigna, che influiscono negativamente sulla salute del cervello. Ma il legame potrebbe essere anche inverso, dato che le persone con funzioni cognitive ridotte hanno maggiori difficoltà nelle interazioni sociali e hanno quindi più probabilità di restare isolate.

Il fatto che questi neuroni seguano esattamente lo stesso schema di oscillazioni in cervelli diversi si spiega con le similitudini esterne (condivisione dello stesso ambiente visuale, sonoro e olfattivo durante l’interazione) e interne (i nostri cervelli e le nostre reti neurali sono simili), ma anche con gli effetti della comunicazione stessa (scambio di informazioni, necessità di attenzione, eccetera). Secondo i ricercatori queste similitudini aumentano con la prossimità sociale. Più ci evolviamo nella stessa rete sociale e più le nostre reti neurali si somigliano. Potrebbe anche darsi che il meccanismo sia quello opposto, e che sia dunque la somiglianza delle reti neurali a favorire la tendenza a sviluppare rapporti stretti. A prescindere da quale sia la direzione di questo processo, è probabile che il ciclo si alimenti da sé: più ci evolviamo insieme e più aumentano le similitudini; più comunichiamo e più creiamo similitudini. E più ci si ritrova in sincronia. Resta da capire se questo fenomeno sia solo un effetto collaterale delle nostre interazioni sociali e delle nostre similitudini o se invece svolga un ruolo attivo. “Siamo convinti che la sincronizzazione sia qualcosa di più che una correlazione neuronale”, risponde Dumas. In effetti diversi studi indicano che la sincronizzazione potrebbe facilitare la comunicazione e l’apprendimento. Suzanne Dikker, dell’università di New York, studia l’abbinamento intercerebrale nel contesto scolastico. Un suo recente esperimento suggerisce che gli studenti più in sincronia tra loro sono anche quelli che apprendono meglio. Dikker è convinta che “la sincronizzazione tra un cervello e l’altro” sia “uno strumento eccellente per studiare i diversi fattori che possono contribuire alla comunicazione e all’apprendimento”. Un altro studio, pubblicato nel 2021, ha ritrovato la stessa correlazione analizzando il comportamento di alcuni studenti di informatica: il livello di sincronizzazione tra loro ma anche tra studenti e professori era positivamente correlato ai risultati dell’esame. “È un po’ come se avessero creato un ‘super-individuo’”, ipotizza Sliwa. Secondo la biologa, anziché ricercare le chiavi dell’intelligenza esaminando unicamente il modo in cui i nostri neuroni interagiscono nella nostra scatola cranica, forse dovremmo interessarci anche al modo in cui i nostri cervelli si coordina-

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Idanha-a-Nova, Portogallo, luglio 2018

no. Trinh Nguyen, dell’Istituto italiano di tecnologia, si concentra sui bambini e ha potuto osservare che maggiore è la sin­ cronizzazione tra una madre e suo figlio, maggiori sono la rapidità e l’accuratezza con cui riescono a riprodurre delle figure con il tangram, l’antico rompicapo ci­ nese. “Abbiamo ottenuto risultati simili con i padri”, aggiunge la ricercatrice. “Inoltre è emerso che più la qualità delle intera­ zioni genitore/figlio è elevata – ovvero non si riducono a un monologo del geni­ tore ma costituiscono un vero scambio – più la sincronizzazione è forte. La cosa più impressionante è che la capacità di entrare in sincronizzazione si osserva già a quattro mesi di età”.

Coscienza collettiva Al di là dell’impatto del fenomeno sulle nostre performance cognitive, i nuovi stu­ di hanno evidenziato un altro elemento. Indipendentemente dalle caratteristiche delle interazioni (tra le coppie, tra gli estranei, all’interno di una classe o duran­ te un concerto) più gli individui si sincro­ nizzano e più riferiscono di provare una sensazione di piacere e appagamento.

Dal punto di vita evolutivo è logico, spiega Dumas. Le interazioni sociali so­ no infatti essenziali per il nostro sviluppo, in particolare per i bambini. Dunque è lecito immaginare che la capacità di en­ trare in sintonia con gli altri abbia facili­ tato la nascita della socialità, incorag­ giandoci a interagire. Uno studio pubblicato nel 2021 da Na­ ture Neuroscience sembra confermare l’ipotesi: quando gli scienziati hanno atti­ vato artificialmente una sincronia tra due cervelli di topi (attraverso la tecnica dell’optogenetica, che permette di stimo­ lare i neuroni con raggi luminosi) hanno osservato una maggiore complicità tra gli animali, che si pulivano e annusavano a vicenda più spesso. Queste scoperte potrebbero cambiare il modo in cui affrontiamo alcuni disturbi neurobiologici, a cominciare dall’auti­ smo. Più che da una disfunzione di alcu­ ne regioni cerebrali, questi disturbi po­ trebbero infatti nascere da una minore capacità di entrare in sincronia. “In un certo senso queste persone si trovano fuori sincrono rispetto al loro ambiente sociale, e questo amplifica la loro altera­ zione”, ipotizza Dumas. Così si innesca

un circolo vizioso: la mancata sincroniz­ zazione ostacola la comunicazione. Secondo Tom Froese, filosofo dell’i­ stituto delle scienze e delle tecnologie di Okinawa, in Giappone, questo nuovo campo di ricerca trasforma profonda­ mente la nostra comprensione della co­ scienza. Le oscillazioni neuronali che si propagano nelle diverse aree del nostro cervello sono considerate alla base della nostra coscienza, spiega Froese in un ar­ ticolo intitolato “Quello che ci lega”, cu­ rato insieme ad Ana Lucía Valencia dell’università nazionale autonoma del Messico. Il fatto che queste oscillazioni possa­ no propagarsi anche tra diversi cervelli ci spinge a mettere in dubbio la nostra “vi­ sione standard della coscienza umana come fenomeno esclusivamente indivi­ duale”. È possibile immaginare una sorta di coscienza estesa o addirittura colletti­ va? Secondo gli esperti una cosa è certa: le interazioni tra i miliardi di neuroni all’interno di un cervello non bastano a definire la nostra coscienza. Ormai biso­ gna tenere conto anche dei fenomeni di sincronizzazione con i cervelli che ci cir­ condano. u as Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Portfolio Nel suo nuovo lavoro Anders Petersen racconta la città di Napoli, mostrando al tempo stesso i suoi sogni e desideri, scrive Christian Caujolle a adolescente ha vissuto per qualche anno nel Värmland, una regione svedese poco abitata e piena di foreste a cui, insieme all’amico ed ex assistente JH Engström, ha dedicato il libro From back home (Max Strom 2009). Ma Anders Petersen è un uomo di città. Nato nel 1944 a Solna, nella contea di Stoccolma, è rimasto molto influenzato da un’esperienza di gioventù: un soggiorno di sei mesi ad Amburgo, in Germania, dove era stato mandato a diciassette anni per migliorare la conoscenza della lingua tedesca. Nel quartiere di Sankt Pauli, dove si era dedicato alla scrittura e alla pittura, si era avvicinato a una comunità di persone ai margini della società, che frequentavano alcuni bar della città portuale. In quegli anni conobbe il grande fotografo svedese Christer Strömholm e quell’incontro cambiò la sua vita. Una notte, nel laboratorio della scuola di fotografia di Stoccolma, Petersen fu sorpreso a sviluppare e stampare i suoi negativi di nascosto. Notandone il talento, Strömholm lo invitò a seguire i corsi che teneva. L’anno dopo, nel 1967, riuscì a convincerlo a tornare ad Amburgo per fotografare le persone che avevano attirato la sua attenzione. Così è nato il lavoro Café Lehmitz, in cui Petersen ha ritratto un mondo di prostitute, marinai e alcolisti del quartiere. Con immagini empatiche e crude ha mostrato senza giudizi morali gioie e disperazioni, difficoltà e tensioni, fragilità ed eccessi. “Per la prima volta mi sentivo accettato per quello che ero”, ha detto il fotografo. “Lì avevi il permesso di essere disperato, vulnerabile, di rimanere nel tuo angolo o di integrarti nella comunità. Tra quelle persone alle prese con le difficoltà della vita, c’erano molto calore e tolleranza”. Nel 1970 Petersen espose sui muri del caffè 350 fotografie di questo album di famiglia, incoraggiando i clienti a prendere le stampe in cui si riconoscevano. Il libro

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Portfolio Café Lehmitz fu pubblicato in Germania nel 1978 e in Francia l’anno successivo, prima di uscire in Svezia nel 1982. Diventò subito un punto di riferimento, un nuovo modo di fare fotografia documentaria. Il cantante statunitense Tom Waits ne scelse un’immagine per la copertina del suo album Rain dogs.

Una nuova città Da allora, il principio d’immersione in un universo chiuso è diventato per Petersen un metodo di lavoro, che ha poi usato in altre serie realizzate in una prigione, in una casa di riposo e in un ospedale psichiatrico. Ogni volta ha messo in luce l’essere umano, con i suoi enigmi, la sua solitudine e l’insieme di sentimenti complessi. Per arrivare a questa profonda “verità”, il fotografo ha vissuto insieme alle persone che fotografava. Petersen spiega così il suo dilemma: “So che per fare delle buone foto, per essere alla giusta distanza, devo avere un piede dentro e uno fuori. Il problema è che finisco sempre per avere tutti e due i piedi dentro!”. Ecco perché l’artista preferisce spesso allontanarsi per qualche tempo e poi tornare. Dopo queste serie Petersen ha girato il mondo per il progetto City diary, in cui ha ritratto piccole e grandi città – tra cui Roma, Sète, Londra, Tokyo, Valparaíso – con il suo stile inconfondibile: immagini in bianco e nero, contrastate, illuminate da flash rabbiosi, spesso verticali e statiche. Curiosamente ha avuto bisogno di molto tempo prima di riuscire a fotografare Stoccolma, la sua città, forse a causa di una paura profonda. Dal 2015 al 2018 ha girato per la capitale svedese per farne un ritratto soggettivo, libero da elementi seducenti, in grado di sorprendere. Il risultato è in un certo senso una proiezione dell’autore negli spazi, negli abitanti che incontra e accompagna. Questo lavoro è diventato poi una mostra e un libro bellissimo.

Siamo lontani dagli stereotipi su Napoli, i suoi colori, la sua agitazione, ma si avverte un’incontestabile energia 68

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Ora è la volta di Napoli, dove, invitato dalla Spot home gallery, Petersen ha passato in tutto un mese, probabilmente per “evitare di avere due piedi dentro” e per trovare la giusta distanza rispetto ai soggetti fotografati. Ha svolto il lavoro in tre fasi, tra maggio, ottobre e novembre del 2022. Alla fine ha scelto una sessantina di fotografie, tutte verticali, perché “quando si fotografa verticalmente, ci si avvicina alla gente”. Le ha stampate in medio e grande formato, e le presenta isolate o in grandi composizioni, come sembra preferire negli ultimi anni. Siamo lontani dagli stereotipi sulla città, i suoi colori, la sua agitazione, ma si avverte un’incontestabile energia e la forte curiosità di un autore sempre pronto a lasciarsi stupire. Le lunghe foglie di un’agave dialogano con i tentacoli di un polpo, un uomo tiene misteriosamente un fiore nella mano destra mentre due fratelli gemelli fissano la macchina fotografica; la natura morta di una piramide di dolci sembra comunicare con le forme di un capitone in un’altra natura morta, questa volta di pesci. Mentre il ritratto, molto classico, del profilo di una ragazza dai tratti particolari appare diverso dalle altre immagini. Accanto a qualche elemento di architettura, ci sono semplici elementi scenografici, poi un cane, un soggetto ricorrente nei lavori di Petersen, che si affida molto al suo istinto, interrogandosi sull’aspetto umano e animale. Nei suoi vagabondaggi napoletani Petersen ha attinto alle sue radici per comporre un ritratto della città che mette insieme primi piani, attimi fugaci, ritratti,

prospettive complesse, dettagli apparentemente banali, offrendoci un punto di vista che stupisce e fa riflettere. Ma oltre a questi elementi, proprio perché ogni fotografia è basata sull’emozione di un istante, questo lavoro rappresenta anche una sorta di autoritratto: “Voglio essere il più vicino possibile per sentire quello che fotografo, i miei lavori devono essere vicini quasi come un autoritratto. Voglio che le mie foto facciano parte di me, voglio sentire i miei sogni e i miei desideri”. È Napoli quello che vediamo? Sicuramente no. Ma è la Napoli di Anders Petersen, qualcosa di probabilmente più complesso. u adr

Da sapere Le mostre e i libri u Fino al 31 gennaio 2024 la serie Napoli di Anders Petersen è esposta alla Spot home gallery di Napoli, che ha commissionato il lavoro. Il libro Napoli, Anders Petersen (L’Artiere Edizioni 2023), curato dal grafico Ramon Pez, con un testo di Valeria Parrella, sarà presentato alla fiera di fotografia Paris Photo, in Francia, a novembre. La casa editrice Steidl pubblicherà quattro nuovi volumi della serie City diary, mentre per Contrasto all’inizio del 2024 uscirà, nella collezione FotoNote, una monografia aggiornata in formato tascabile. Dal 9 febbraio al 15 settembre 2024 l’Hasselblad center di Göteborg, in Svezia, presenterà una grande retrospettiva dedicata al fotografo.

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Ritratti

Pieter Omtzigt Il centrista Ruud Goossens, De Standaard, Belgio. Foto di Linelle Deunk È un politico olandese cattolico e moderato che ha appena fondato un partito. A sorpresa, è in testa ai sondaggi per le elezioni di novembre. E potrebbe cambiare il volto del paese va González Pérez ricorda bene il suo primo contatto con Pieter Omtzigt. Nella primavera del 2017, non sapendo più dove sbattere la testa, ha inviato al politico olandese una lunga email. In qualità di avvocata, González Pérez era da tempo impegnata nella difesa di più di quaranta vittime dello “scandalo dei sussidi per l’infanzia”. Il caso era nato quando nei Paesi Bassi un gruppo di persone economicamente svantaggiate era stato privato da un giorno all’altro dei sussidi per l’assistenza ai figli. Molte di loro erano state costrette a rimborsare migliaia, se non addirittura decine di migliaia di euro all’agenzia delle entrate. La situazione era sfociata nel dramma. Alcune avevano perso la casa ed erano state costrette a dare in affidamento i figli. González Pérez ha portato il caso in tribunale. E ha cominciato a vincere le cause. Nonostante questo, l’agenzia delle entrate non ha cambiato rotta. “Non conoscevo di persona Omtzigt, ma sapevo che si occupava di questi temi”, racconta l’avvocata. “Gli ho mandato l’email tra le dieci e mezzanotte. Dopo dieci minuti mi ha risposto: ‘Dammi altri dettagli’. Il giorno dopo ci siamo incontrati e da allora si dedica al caso ogni giorno. È infaticabile”. Lo scandalo dei sussidi per l’infanzia è diventato l’emblema di tutto quello che è andato storto nei Paesi Bassi sotto il go-

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verno del primo ministro Mark Rutte. Per anni, decine di migliaia di genitori erano stati ingiustamente perseguitati dal fisco. In molti casi si trattava di discriminazione per motivi etnico-razziali. La notizia è passata a lungo in sordina finché Omtzigt, insieme ad alcuni parlamentari e giornalisti, ha voluto vederci chiaro. “È stato decisivo”, dichiara González Pérez. “Con le sue indagini ha ottenuto informazioni cruciali dal governo. I miei clienti finalmente hanno avuto la sensazione di essere ascoltati. Ci ha dato speranza”. Oggi Pieter Omtzigt, 49 anni, corre con un partito tutto suo alle elezioni dei Paesi Bassi, in programma il 22 novembre. Due anni fa si è lasciato alle spalle l’esperienza nel Partito cristiano-democratico Cda. Ora il suo Nieuw sociaal contract (Nuovo contratto sociale), fondato ad agosto, è in testa ai sondaggi. È grande la tentazione di vederci l’ennesima infatuazione passeggera del paese. Dopo l’omicidio del politico di estrema destra Pim Fortuyn nel 2002, i potenziali salvatori della patria non sono mancati, da Geert Wilders a Rita Verdonk e Thierry Baudet. Trascorso un periodo di entusiasmo iniziale, però, molti sono tornati nell’ombra. Stavolta ci sono alcune differenze. Omtzigt, al contrario di Wilders o Bau-

Biografia ◆ 1974 Nasce all’Aja, nei Paesi Bassi. ◆ 1992 Si trasferisce a Exeter, nel Regno Unito, per studiare economia. ◆ 2003 È eletto al parlamento olandese con il Partito cristiano-democratico (Cda). ◆ 2017 È nominato relatore speciale dal Consiglio d’Europa nell’indagine sull’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia. ◆ 2023 Due anni dopo essere uscito dal Cda, fonda un nuovo partito, il Nieuw sociaal contract.

det, non è un urlatore. È un uomo a cui piace immergersi nelle questioni complesse. Non si sottrae a una conferenza sul futuro del sistema pensionistico o sull’Europa. Anzi, dedica intere giornate a questi temi. Nei mesi scorsi, durante le prime interviste da leader di partito, ha scherzato un po’ su questo suo atteggiamento serioso. “Non si può risolvere il problema della mancanza di case con frasi di trenta secondi”, ha dichiarato a un inviato del quotidiano Trouw, per poi sfornare uno slogan.

Comunità umana “Era il primo della classe”, racconta Pieter van Geel, leader del gruppo del Partito cristiano-democratico nella camera bassa tra il 2007 e il 2010. “Seguiva il dossier delle pensioni per noi, un lavoro legato al suo passato da studioso di econometria”. Omtzigt, a differenza di molti altri presunti salvatori della patria, non è un estremista. La sua scossa al paese parte dal centro. Il manifesto del suo nuovo partito si basa su valori d’inconfondibile matrice cristiano-democratica. Omtzigt non si aspetta che la salvezza arrivi dal libero mercato o dallo stato, ma dalla “comunità umana”. Non è facile posizionarlo sull’asse sinistra-destra. Sul piano socioeconomico ha tendenze progressiste, dal punto di vista culturale è più conservatore. “Sembra aver trovato la combinazione vincente”, afferma Simon Otjes, politologo dell’università di Leida. “Omtzigt insiste sulle tutele sociali, ma allo stesso tempo vuole arginare i flussi migratori. Questi tratti lo rendono molto interessante per gli elettori della sinistra conservatrice, che giudicano troppo estremi il Partito della libertà (Pvv) dell’islamofobo Geert Wilders e il Partito socialista. Da tempo i politologi parlano di un vuoto nei Paesi Bassi. Omtzigt ci si sta tuffando

Pieter Omtzigt

nes ha analizzato l’era Rutte. Secondo Chavannes è stata caratterizzata da “temporeggiamenti, capacità decisionale malriposta, segretezza e procrastinazione”. In un paese che vuole uscire da questa situazione, Omtzigt si presenta con un curriculum allettante. Negli ultimi anni è diventato l’avversario per eccellenza di Rutte. E si è reso antipatico all’intero establishment. Sono emersi atti del consiglio dei ministri in cui deputati del suo partito affermavano di aver provato invano a “farlo ragionare”. Si è cercata per lui una “carica altrove”. In una nota risalente a due anni fa, Omtzigt elencava gli insulti ricevuti: da “bastardo” a “coglione”, passando per “psicopatico” e “malato”. Questo per lui ha significato un esaurimento nervoso. Ma ha anche cementato l’immagine di un idealista che sfida lo status quo.

LUMEN

I vecchi valori

a pesce”. Per la prima volta dal 2002 e dalla fine dei governi di coalizione tra socialdemocratici e liberali, il campo di gioco politico è tornato a essere aperto. Alla fine di luglio, dopo tredici anni, il primo ministro Mark Rutte ha annunciato di voler abbandonare il suo incarico. Seguendo il suo esempio altri leader hanno dichiarato di voler cercare altri sbocchi. Così si è creato spazio per nuove figure. Il Partito liberale (Vvd) di Rutte candida per la prima volta una donna immigrata, Dilan Yesilgöz. I laburisti del Partito del lavoro (Pvda) e i Verdi (Groen Links) uniscono le forze sotto la guida di Frans Timmermans. I populisti del Movimento civico-

contadino (BoerBurgerBeweging) vogliono sfondare a livello nazionale. E poi c’è Omtzigt. Wilders è stato a poco a poco dimenticato, come una fotografia sbiadita di un’epoca passata. Nessuno sa come andrà a finire, ma tutti sentono che i Paesi Bassi sono alla ricerca di una svolta. Oltre allo scandalo dei sussidi per l’infanzia, c’è stata la vicenda del giacimento di gas di Groningen: per anni sono state minimizzate le pericolose conseguenze del sito di estrazione, a partire dai terremoti che provocava. Anche in quel caso le vittime hanno avuto scarsa voce in capitolo. Sul sito di De Correspondent, l’esperto giornalista Marc Chavan-

Geert Buelens, studioso di lingua e letteratura olandese fiamminga e da anni docente a Utrecht, commenta: “Per la prima volta, dopo vent’anni di vuoto ideologico oggi c’è la possibilità di condurre una campagna elettorale basata sui contenuti. Non è un rivoluzionario, esprime piuttosto i vecchi valori cristiano-democratici. Ritengo che anche nelle Fiandre ci sia spazio per una figura del genere. Omtzigt sta cercando di riportare all’Aja la sensibilità umana e un po’ di empatia”. Omtzigt non è un semplice uomo del popolo. A diciotto anni è andato a Exeter, nel Regno Unito, per studiare economia. Ha ottenuto un dottorato presso il prestigioso Istituto universitario europeo di Firenze. Durante gli anni fiorentini ha anche conosciuto l’esponente della sinistra statunitense Elizabeth Warren, un incontro molto significativo. Warren gli ha aperto gli occhi sull’impoverimento della classe media, che secondo Omtzigt “ormai è evidente anche nei Paesi Bassi”. Nonostante la sua carriera accademica, tornato nei Paesi Bassi dopo dieci anni di assenza, Omtzigt non è entrato a pieno titolo nell’establishment. I colleghi politici lo descrivono in tono ironico come un solitario che durante i viaggi di lavoro all’estero non si fa vedere al bar dell’hotel. Abita con la moglie e i figli nella regione orientale del Twente, lontano dalla frenesia delle grandi città. È la regione in cui è cresciuto dopo che i suoi genitori si erano trasferiti da Wassenaar, poco fuori L’Aja, quando aveva quattro anni. Il padre aveva lasciato un impiego alle poste nazionali per diventare un sacerdote laico. Per Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Ritratti Omtzigt la fede rappresenta una “fonte d’ispirazione”. Dimostra di avere un legame con i Paesi Bassi che a volte viene trascurato dai politici durante i talk show in televisione o nelle liste elettorali dei partiti. Se insiste sulla necessità di un rinnovamento, è anche per questo motivo. È a favore di un sistema con molte circoscrizioni più piccole, sulla falsariga del modello belga, per fare in modo che alcune province, come Groningen, siano meno abbandonate a se stesse. Non vuole che il suo partito sia costituito da “politici di professione”, ma che diventi un “movimento di persone comuni”.

Una buona amministrazione Per Omtzigt la messa a punto dei meccanismi politici e amministrativi non è un problema di secondaria importanza. Da sondaggi passati è emerso che agli elettori questi temi non interessano. Il mistero è come Omtzigt, con idee del genere, sia comunque in testa ai sondaggi. In una conferenza tenuta qualche mese fa a Thorbecke, ha chiarito quali sono le sue priorità. “Ora che sempre più persone non hanno da mangiare, non è forse un po’ elitario parlare di riforme amministrative?”, si è chiesto. “Non dovremmo forse prima costruire case per risolvere il problema dei senzatetto nei Paesi Bassi? La risposta è forte e chiara: no. Una buona amministrazione è un requisito imprescindibile di una buona politica”. Secondo il politologo Simon Otjes può essere una strategia efficace, perché associa in maniera esplicita l’efficienza amministrativa alla tutela sociale. Omtzigt sottolinea che tutti i diritti sociali inclusi nella riforma costituzionale dei Paesi Bassi nel 1983 sono stati sistematicamente violati. Oggi tante famiglie non arrivano alla fine del mese. Molte persone della classe media non possono più accedere al mercato immobiliare. Il governo, dice lui, ha “lasciato correre”. Omtzigt si schiera contro la sperequazione della ricchezza e vuole eliminare gli sconti fiscali per i più abbienti, per esempio per chi possiede auto Tesla. “Dà voce alle persone che i cristianodemocratici hanno perso di vista negli ultimi anni”, afferma Marc Janssens, caporedattore del periodico Christen Democratische Verkenningen. “Rutte rappresentava le persone benestanti dei Paesi Bassi. Ce ne sono tante. Ma ci sono anche tanti altri olandesi in difficoltà”. Come detto in precedenza, Omtzigt non è di sinistra. Nei suoi comunicati

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stampa ricorda l’importanza di famiglia, identità e tradizione. Ed è a favore di una politica migratoria più severa. Ritiene infatti che i richiedenti asilo dovrebbero essere accolti in paesi al di fuori dell’Unione europea, come il Ruanda. È anche preoccupato dal grande numero di lavoratori e studenti stranieri. Ecco perché chiede la difesa del neerlandese come lingua standard nell’istruzione superiore. Inoltre è molto critico nei confronti dell’Ue. Non è antieuropeista, ma le sue dichiarazioni di solito si soffermano soprattutto su ciò che a Bruxelles non funziona. “Spero per il bene del nostro paese che continui a vedere il quadro generale”, dichiara Pieter van Geel, suo ex capogruppo. “La cosa mi preoccupa. Da un esponente cristiano-democratico non mi aspetto uno che fa solo i conti in tasca a Bruxelles. Si tratta di un progetto importante a livello geopolitico. Spero che se ne renda conto. Così come spero che riesca a essere un po’ meno insistente. Con la sua determinazione spesso ottiene risultati, ma a volte esagera”. Finora Omtzigt ha sempre interpretato il ruolo di pubblico accusatore. E in tal senso ha fatto un lavoro egregio. Nel 2018

Secondo alcuni, il suo atteggiamento critico non è sempre privo di una certa ipocrisia ha contribuito a smascherare lo scandalo sulla corruzione al Consiglio europeo, quando diversi deputati sono stati accusati di aver ricevuto tangenti dall’Azerbaigian per chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani nel paese. Inoltre ha indagato sull’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia. Quel caso ha portato alla caduta del premier maltese. In alcune occasioni, tuttavia, Omtzigt è uscito dal seminato. Nel 2017 il Partito cristiano-democratico gli ha tolto il dossier sull’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines perché aveva presentato un falso testimone in una sala gremita di parenti delle vittime. L’uomo aveva detto di aver visto altri velivoli in cielo al momento del disastro. Così facendo, ha dato credito alla teoria del complotto russa secondo cui il volo MH17 era stato abbattuto da aerei caccia ucraini e non da Mosca. La reputazione di Omtzigt ne è uscita inde-

bolita. Altre volte si lascia prendere la mano dai sospetti. Attraverso interrogazioni parlamentari ha alimentato la caccia alle streghe contro un alto funzionario ingiustamente accusato di pedofilia. In veste di leader di un partito non si può permettere scivoloni del genere. È un ruolo diverso da quello di outsider nel Cda. Ora è lui a dover tenere insieme la squadra. Non sarà facile, soprattutto se il suo partito dovesse governare. Ecco perché raccomanda cautela: non vuole che il Nieuw sociaal contract diventi il primo partito e lui primo ministro, ma punta alla “crescita sostenibile”. Però è difficile scegliere le persone giuste da una lista di un migliaio di candidati. Omtzigt, inoltre, deve ancora spiegare qual è il suo programma elettorale riguardo alle questioni ambientali. Ha votato, a suo dire per motivi tecnici, contro l’istituzione di un fondo per il clima. Si schiera dalla parte della scienza? O cerca di sedurre gli elettori del populista Bbb? Dove troverà i soldi per finanziare tutti i suoi progetti? Con chi è disposto ad allearsi? Vuole governare insieme alla destra o preferirebbe la sinistra? “Al momento è come una tela bianca”, osserva il politologo Simon Otjes. “Ognuno può proiettare su di lui desideri e aspettative. Naturalmente non potrà continuare così all’infinito”. Secondo alcuni, tuttavia, il suo atteggiamento critico non è sempre privo di una certa ipocrisia. Quando è riapparso dopo l’esaurimento nervoso, si è lamentato su Twitter di essere stato preso d’assalto dai fotografi, mentre invece sarebbe stato lui stesso, ha scritto di recente il quotidiano Nrc, a informarli la sera prima.

Intorno a un tavolo A una conferenza stampa il 6 settembre Omtzigt ha detto di non aver alcun interesse a partecipare ai dibattiti elettorali in televisione con una sfilza di candidati che devono rispondere in due parole. È un sistema che a suo avviso “non porta chiarezza e soluzioni”. “Affrontiamo piuttosto singoli temi con due o tre persone alla volta. Vorrei partecipare a un dibattito sulla politica dell’edilizia sociale, sulla sicurezza, sull’immigrazione o la politica climatica. Non è possibile se ci sono otto persone sedute a un tavolo”. Dopodiché ha ribadito ancora una volta i suoi princìpi: “Lo so, il mio programma è complesso, noioso, poco eccitante. Ma va attuato comunque. È questa l’essenza della politica”. u dt

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Viaggi

Goa portoghese Kalpana Sunder, Nikkei Asia, Giappone

Quepem, cittadina nello stato indiano occidentale di Goa, i campi lussureggianti costellati dalle palme creano uno stretto percorso che porta al maestoso Palácio do Deão, costruito nel 1787 dal fondatore della città, il nobile portoghese Jose Paulo de Almeida. Alla morte di Almeida, il palazzo fu occupato prima da un prete della vicina chiesa della Santa croce e poi dalle suore, che l’avevano trasformato in un ricovero per donne indigenti. Oggi, dopo un restauro finanziato dagli attuali proprietari, l’ingegnere Reuben Vasco da Gama e la moglie Celia, microbiologa, il palazzo e i suoi splendidi giardini terrazzati sono aperti al pubblico. La coppia che l’ha comprato nel 2002, quand’era in stato di abbandono, vive nell’enorme edificio insieme ai due figli, ed è consapevole di avere il compito di preservarlo. “Volevamo mantenere l’insolita architettura del palazzo e arredarlo con manufatti e mobili dell’epoca”, spiega Vasco da Gama. Costruito durante il dominio coloniale portoghese (1510-1961), il palazzo è in sti-

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50 km

Siolim

Panaji Loutolim

Goa

INDIA

Goa Quepem

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le indolusitano, con una serie di adattamenti alle usanze locali. Dopo averlo rilevato, Vasco da Gama e la moglie sono tornati in Portogallo per studiare architettura e botanica. Una volta rientrati a Goa, hanno avviato un processo di restauro durato tre anni. Ogni stanza del palazzo è decorata con oggetti e motivi legati al passato: una collezione di francobolli vecchia di 130 anni che racconta gli oltre quattro secoli di dominio portoghese, una cassapanca di legno di canfora che aprendosi diventa una scrivania e finestre e porte con persiane di gusci d’ostrica che filtrano la luce esterna. C’è addirittura un armadietto pieghevole che si trasforma in toletta. I coniugi servono tipiche pietanze indoportoghesi su prenotazione.

Viaggio nel tempo Il Palácio do Deão è solo uno degli edifici storici disseminati in tutto il territorio di Goa, annesso dall’India nel 1961 e diventato uno stato nel 1987. Alcuni sono stati riportati alla loro gloria passata, mentre altri versano in pessime condizioni o sono stati per gran parte demoliti. La casa Menezes Braganza, nel villaggio di Chandor, è un’altra villa del seicento piena di pezzi d’antiquariato, porcellane cinesi, lampadari di cristallo e mobili antichi, con una grande sala da ballo e un salone. La famiglia originaria ne occupa ancora la struttura labirintica e la mostra ai visitatori in cambio di una piccola offerta. Questi palazzi sontuosi, costruiti dai facoltosi mercanti e dai proprietari terrieri di Goa, in gran parte cattolici, regalano uno scorcio della ricchezza storica e architettonica del territorio: porcellane di Macao, lampadari belgi, mattonelle italiane e mobili in palissandro creati dalle maestranze locali. Parecchi hanno anche cappelle e sale da ballo. Anche se di solito sono indicate genericamente come “case portoghesi”, queste strutture fondono le influenze locali con elementi dell’architettura portoghe-

LLOYD VAS (ALAMY)

Alla scoperta delle dimore storiche, che fondono influenze locali con elementi dell’architettura portoghese, indiana e goana

se, indiana e goana. Motivi come i serpenti e le divinità indù sono molto comuni, insieme ai porticati, alle lunghe verande, ai pavimenti intarsiati con cocci di vasellame e alle ringhiere di cemento o ferro con disegni floreali e geometrici. “L’architettura di Goa ha una lunga storia d’integrazione con l’ambiente”, spiega Sanjeev V. Sardesai, promotore del patrimonio di Goa che gestisce un’organizzazione locale chiamata Storici sul campo. “I laterizi che abbondano nella zona, la calce di conchiglie per impermeabilizzare i muri e le tegole di terracotta disposte su travi di legno come pezzi di un puzzle si combinano ingegnosamente per creare una dimora ariosa, ben illuminata e visivamente impressionante”. Probabilmente è stata l’ampia scelta di materiali ad attirare l’attenzione dei coloni portoghesi che, con l’aiuto degli artigiani locali, hanno abbinato l’architettura

Il quartiere di Fontainhas, Panaji, Goa, India, 2021

europea alle tecniche indiane per creare alloggi grandiosi, esteticamente apprezzabili ma anche molto pratici. A Fontainhas, il cosiddetto quartiere latino nella capitale Panaji, si trovano numerose case antiche. Molte sono state costruite all’inizio dell’ottocento, quando la sede del governo coloniale si spostò qui dalla vecchia città di Goa a causa di un’epidemia di peste. Passeggiando per le strade strette del quartiere, dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità nel 1984, sembra di viaggiare nel tempo. I vicoli tortuosi sono costeggiati da case con tegole dipinte in spettacolari sfumature di blu, verde bottiglia e rosso. Le chiese imbiancate, i piccoli forni, i muri e gli ingressi decorati con piastrelle di ceramica provenienti dalla penisola iberica offrono un assaggio del Portogallo. Tanti edifici sono ancora usati come abitazioni, mentre altri sono stati trasformati in

boutique, ristoranti e alberghi di lusso. La guida turistica locale Jonas Monteiro ci spiega che le case di Fontainhas sono protette dalla legge statale, insieme ad altre situate in aree diverse. Tuttavia le regole riguardano solo una piccola parte del patrimonio immobiliare di Goa. Molte vecchie case sono ancora in stato di abbandono, perché troppo costose da mantenere ma anche difficili da vendere perché la proprietà è divisa tra molte persone e c’è il rischio di prolungate battaglie legali. La rapida urbanizzazione e il boom immobiliare “hanno attirato organizzazioni criminali che hanno distrutto diversi vecchi edifici per accaparrarsi i terreni”, spiega Monteiro. Ma ci sono anche case che sono state acquistate e ristrutturate, spesso da persone originarie di Goa che volevano tornare alle loro radici e proteggere il patrimonio locale. Casa Susegad, nel villaggio di Loutolim, è stata riportata in vita

da un magnifico restauro. Circondata dalla giungla, oggi è un boutique hotel di cinque camere con interni variopinti. Vivenda dos Palhacos, nel villaggio meridionale di Majorda, è un’incantevole casa indù restaurata le cui mura sono state realizzate con la tecnica del pisé. L’abitazione si trova di fronte a una villa portoghese costruita nel 1929. Casa Siolim, invece, è una dimora del seicento in stile indoportoghese che si trova nell’omonimo piccolo villaggio settentrionale ed è stato proposto all’Unesco per i suoi apprezzabili restauri. Gran parte dei boutique hotel offre cucina goana, tour guidati e assaggi della cultura locale e della semplice vita del villaggio. L’architetta Rochelle Santiman, di Studio Praia, ha restaurato molte vecchie case nello stato e sostiene che “il matrimonio tra vecchio e nuovo” sia essenziale per un buon restauro. “La sfida principale è mantenerne l’ossatura in modo da conservare la struttura, il fascino antico e le caratteristiche architettoniche, introducendo elementi di design che siano rappresentativi del ventunesimo secolo”. L’attivista e scrittrice Heta Pandit ha fondato nel 2002 il Goa heritage action group insieme agli architetti Raya Shankhwalker e Poonam Verma Mascarenhas, e secondo lei non è chiaro quante siano le case storiche a Goa. Per questo chiede la compilazione di una lista ufficiale, che sarebbe il primo passo verso la protezione adeguata del patrimonio unico dello stato. “Come possiamo proteggere qualcosa se non sappiamo quello che abbiamo?”, si domanda Pandit. Il suo libro Stories from Goan houses documenta l’esperienza di alcune famiglie che hanno acquistato e ristrutturato importanti abitazioni nello stato, comprese meraviglie come la villa Figueiredo di Loutolim, costruita negli anni ottanta del cinquecento e più antica del Taj Mahal, completato nel 1653. La vecchia proprietaria, Maria de Lourdes Filomena Figueiredo de Albuquerque era una donna molto nota a Goa. Tra il 1965 e il 1969 rappresentò l’ex colonia nel parlamento portoghese, anche se il territorio era sotto il controllo indiano già dal 1961. “Non ho i mezzi per restaurare tutte le dimore storiche di Goa”, spiega Pandit. “Ma posso far conoscere la loro bellezza e il loro valore come contenitori di cultura e storia goana, familiare e di comunità. Credo che tutto cominci con l’amore e la passione per questi edifici. Il resto viene da sé”. u as Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Graphic journalism Cartoline dal Giappone

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Michele Petrucci vive e lavora a Fano, nelle Marche. Il suo ultimo libro è Il sogno di Vitruvio (Saldapress 2021).

venga sul sito eurekaddl.skin

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Cultura

Musica

JEROME SESSINI (MAGNUM/CONTRASTO)

Le Trabendo club, Parigi, ottobre 2015

Quarantenni che ballano Olivier Pernot, Libération, Francia Le serate techno tendono a escludere chi non è più molto giovane. Ora ci sono delle alternative gni volta che vado con il mio compagno al festival I love techno, a Montpellier, c’è un pubblico molto giovane. I ragazzi sono simpatici ma ci fanno sempre le stesse domande: ‘È incredibile, avete l’età dei nostri genitori. Ma cosa ci fate qui?’. I modi sono gentili, ma al tempo stesso un po’ offensivi”. Karine Chauvet, 50 anni, vive a Mauguio, nella periferia di Montpellier. Fa un lavoro che la soddisfa – è notaia – e il suo compagno, Alex, 52 anni, è grafico e dj, con lo pseudonimo Alcid. Tra gli anni novanta e duemila, da appas-

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sionati di musica elettronica hanno partecipato a tutti i grandi eventi del sud della Francia: rave, festival, serate in fattorie o in stalle, nei club, sempre a ballare musica techno, house o drum’n’bass. Chauvet continua: “Una volta al Cabaret Sauvage, a Parigi, mentre facevamo la coda per una serata dubstep-drum’n’bass qualcuno ci ha chiesto: ‘Ma lo sapete cosa siete venuti ad ascoltare?’”. Molti quarantenni o cinquantenni si trovano in situazioni simili quando vanno alle serate di musica elettronica. Uno è Eric Labbé, 52 anni, addetto stampa e produttore con il nome d’arte di Poison Gauchiste: “Quando esci la sera e hai i capelli grigi, ci sono sempre sguardi stupiti. Una volta ero insieme alla mia compagna e un ragazzo ci ha detto: ‘Ciao papà, ciao mamma, è simpatico vedervi qui!’. Era divertente e sgradevole al tempo stesso”. Labbé

ne ha anche parlato in un post su Facebook nel settembre 2021: “Questa follia di musica e festa è stata inventata trent’anni fa da gente come me e come i tuoi genitori. Ti chiedo solo un po’ di rispetto quando c’incontri in una festa, evita di giudicarci solo perché hai vent’anni”. Ma c’è un’età in cui non è più ragionevole andare a una festa electro? Nel 2015 una società britannica ha fatto un’inchiesta, ripresa dalle riviste Mixmag e DJ Mag. Secondo questo sondaggio, a 37 anni gli adulti sono considerati troppo vecchi per andare a ballare in discoteca. E il 37 per cento delle persone interpellate ha dichiarato che non c’è niente di peggio di quarantenni o cinquantenni circondati da giovani ventenni. Molti di quelli che andavano ai rave e contribuirono alla nascita del clubbing in Francia, compiuti i quaranta hanno deciso di smettere con le uscite notturne, preferendo il comfort delle loro case o le serate tra amici. Oppure escono in modo diverso. È il caso di Frédéric Martinez, 47 anni, agente immobiliare a Montpellier: “Alle serate electro non mi sento più a mio agio. L’ultima volta in cui sono andato al club La Dune, i ragazzi mi hanno preso per un poliziotto dell’antidroga!”. Intorno ai vent’anni era un assiduo frequentatore di serate rave, club e after, poi la famiglia ha imposto uno stop radicale al suo sonnambulismo. “Era un sacrificio”, Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Cultura

Musica

LAURENT LE CRABE (HANS LUCAS/CONTRASTO)

Club Badaboum, Parigi

sospira Frédéric. Ma dopo aver divorziato qualche anno fa ha ripreso a uscire la sera. Ora privilegia i bar sulla spiaggia o le serate nelle fattorie. “È più conviviale delle discoteche”, spiega Frédéric. La vita di coppia o le esigenze quotidiane della famiglia sembrano il principale freno alle uscite. Altri due ostacoli sono il fisico, che recupera più lentamente di quello di un ventenne, e gli orari. “Il problema è che nei club i grossi nomi non si esibiscono prima delle due del mattino. È veramente seccante”, si lamenta Chauvet. Un altro elemento da prendere in considerazione è l’accelerazione del ritmo della musica. “In vent’anni anni c’è stato un aumento di venti battiti per minuto (bpm)”, osserva Labbé. “Oggi vanno molto la techno industriale o la psytrance, e a 160 bpm i più vecchi non ce la fanno più!”.

Serata con la famiglia Ma la generazione dei rave ha saputo adattarsi e negli ultimi vent’anni ha dato la spinta a molti eventi come i festival di giorno e concerti electro che finiscono verso mezzanotte. La Ferme du bonheur, a Nanterre, ha organizzato delle serate memorabili. “A Montpellier, alla Halle Tropisme, fanno delle feste la domenica dalle 16 alle 22”, spiega Chauvet. “C’è gente più in là con gli anni che ci si sente più a proprio agio. Nella mia testa ho sempre

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vent’anni, ma alcuni miei coetanei possono sentirsi in imbarazzo se sono circondati da giovani”. Gli eventi diurni permettono un piacere diverso, più rilassato. “Ci sono andato anche con mia moglie e mio figlio di otto anni”, racconta Stéphane Sadoux, 44 anni, ricercatore all’università Grenoble Alpes. “Il rapporto con la musica cambia completamente. È più sano e rigenerante”. Per piacere a un pubblico di età più avanzata, gli organizzatori di festival propongono dj della loro generazione. Così questa estate Carl Cox si è esibito al Brunch electronik, a Parigi, e al Family piknik, vicino a Montpellier; o Richie Hawtin e Dixon al Peacock society a Parigi, di giorno. La scelta di chiamare nomi famosi degli anni novanta e duemila si basa molto sulla voglia di uscire dei più “vecchi”. “Adesso m’interessa meno la scoperta”, conferma Fred Bladou. “Ho i miei punti di riferimento, come Jennifer Cardini o Maceo Plax”. Stéphane Sadoux preferisce uscire quando un amico dj passa nella zona di Grenoble e Lione. Non perde mai un concerto di Scan X, Paul Nazca o Jack de Marseille. Trent’anni fa la scena elettronica francese non era grande e spesso dj e clubber finivano per conoscersi. Grazie al loro celebre passato, alcuni eventi o luoghi riuniscono spettatori di età diverse, come il festival Astropolis in

Bretagna o il Rex Club di Parigi. È lì che Manu Casana, uno dei primi organizzatori di rave in Francia, ha lanciato dieci anni fa le serate Pure dinosaures party (gratuite per chi ha più di quarant’anni), che poi avrebbero avuto un seguito al Warehouse di Nantes. Se non trovano eventi in Francia, alcuni quaranta e cinquantenni hanno preso l’abitudine di andare all’estero, in particolare nel Regno Unito. “Gli inglesi hanno una vera cultura musicale, escono per andare a un concerto o per ballare a qualunque età”, si rallegra Karine Chauvet. “Là se sei un fan della techno o della drum’n’bass lo sei per tutta la vita. È uno stato d’animo!”. A Stéphane Sadoux piace molto andare a Londra, dove ha vissuto da giovane. “Qui ritrovo amici che animavano la scena acid techno. Una comunità di dj e di appassionati, sempre gli stessi. Alcuni hanno quasi 65 anni e la notte fa parte della loro vita”. Eric Labbé, invece, è un fan di Berlino. “In questa città c’è una cultura della festa e del clubbing con persone di tutte le età”. Probabilmente è solo in Francia che a volte i più vecchi sono guardati in modo strano alle serate di musica elettronica. Karine Chauvet si ricorda di una serata londinese in cui ha incontrato un uomo con la barba bianca: “Doveva avere settant’anni e indossava una maglietta con la scritta ‘Raver forever’”. u adr

Cultura

Schermi Documentari

In rete Scorrettezze automatiche della Meta

Big pharma – Il crimine del secolo Sky Documentaries, sabato 28 ottobre, ore 21.15, Now Un’accusa contro accordi e norme che hanno permesso di produrre, distribuire e abusare di oppiacei sintetici, traendo grandi profitti da una tragedia sanitaria enorme. Capelli quasi biondi, occhi quasi azzurri Sky Documentaries, giovedì 2 novembre, ore 21.15, Now Settantotto lettere inviate a Pier Paolo Pasolini da aspiranti protagonisti del Vangelo secondo Matteo raccontano il rapporto dell’intellettuale con i giovani degli anni sessanta. Medio Oriente tra guerra e pace Arte.tv L’Arabia Saudita normalizza le relazioni con Tel Aviv e migliaia di turisti israeliani vanno in vacanza negli Emirati: gli accordi del 2020 hanno sconvolto lo scenario geopolitico della regione, senza risolvere le tensioni. Salsedine Chili Un viaggio attraverso sei regioni italiane per ripercorrere storie, tradizioni e culture legate ai mestieri del mondo della pesca e incontrare persone che continuano a dedicare la vita al mare. Yellow door Netflix Nella Seoul degli anni novanta, tornata da poco alla democrazia, i cineclub diventarono laboratori di un immaginario che avrebbe conquistato il mondo. Uno era lo Yellow door film club, animato dal regista Bong Joon-ho.

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Serie tv La caduta della casa degli Usher Netflix, 8 episodi E se Edgar Allan Poe avesse scritto Succession? Mike Flanagan, autore e regista di La caduta della casa degli Usher, affronta la domanda con uno stile allegramente macabro. Questa miniserie su una famiglia mostruosamente ricca e la sua meritata punizione è un miscuglio di storie, poesie e

personaggi di Poe. Per gli spettatori c’è la soddisfazione di seguire le disgrazie di un miliardario malvagio ma carismatico e la competizione a volte brutale dei figli per accativarselo. Ma la serie funziona soprattutto come raccapricciante storia di Natale. Lili Loofbourow, Washington Post

La Meta, azienda madre di Instagram, si è scusata dopo che qualcuno ha notato l’inserimento della parola “terrorista” nei profili di alcuni utenti del social network che si definivano palestinesi. “Un problema di traduzione automatica dall’arabo all’inglese”, è stata la giustificazione ufficiale. Ma le scuse non sono bastate a placare le polemiche: dall’inizio del conflitto in Medio Oriente l’azienda di Mark Zuckerberg è stata accusata da più parti di censurare i post a sostegno della Palestina sulle sue piattaforme. Instagram ha ammesso che un problema tecnico ha reso meno visibili le storie, ma ha negato che ciò fosse legato a uno specifico argomento. Gaia Berruto

Televisione Giorgio Cappozzo

Grand tour Succede che un uomo morde un cane e t’insegnano che, data l’eccezionalità, il fatto assurge a notizia. Succede che l’ufficio corrispondenza della Bbc, l’emittente il cui prestigio è diventato un luogo comune, riceve numerosi appelli perché prenda esempio dall’italiana Rai. Il caso non riguarda la nuova governance né i programmi più blasonati, ma Via dei matti numero 0, lo spazio quotidiano con Stefano Bollani e Valentina Cenni su Rai 3. Gli amanti britannici del jazz e

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della buona musica discutono di “Crazy street, number zero” come fosse un unicorno fuggito dai palinsesti, e si chiedono come sia possibile che un canale generalista mandi in onda all’ora di cena, per tradizione dominata da telegiornali e quiz leggeri, l’esecuzione di brani di Satie e di Duke Ellington, conquistando anche un pubblico di giovani. Il conduttore britannico Colin Muirhead, autore di trasmissioni musicali, raccontando la scoperta con stupore da grand

tour ha scritto articoli, diffuso puntate del programma e chiamato a raccolta colleghi per incalzare Bbc, Itv e Channel 4 a seguire l’esempio tricolore. Certo, non basta trasmettere Coltrane, bisogna avere a disposizione il talento circense di Bollani, la naturalezza con cui combina chiacchiera e virtuosismo pianistico. Ma in attesa che ne trovino uno, ci crogioliamo nel sollazzo autarchico di avere per venti minuti al giorno la tv più invidiata dalle monarchie. u

I consigli della redazione

Killers of the flower moon Martin Scorsese, in sala

la sua eroina, risolve in modo imprevedibile. Murielle Joudet, Le Monde

Anatomia di una caduta

Saw X Di Kevin Greutert. Con Tobin Bell. Stati Uniti/Canada/ Messico 2023, 118’. In sala ●●●●● Nell’ultimo film della serie Saw, un caposaldo del torture porn, il protagonista John Kramer, il solito cattivo, affronta una diagnosi terminale di cancro. Quando viene a sapere di un nuovo trattamento vola a Città del Messico, incoraggiato dalla promessa di una cura. Poi scopre che si tratta di una truffa e giura di dare ai colpevoli una lezione indimenticabile. I film di Saw sono un test di resistenza per ragazzi. Alcuni dei sequel riuscivano a inventarsi un gioco divertente, pieno di colpi di scena squilibrati. Qui invece in mezzo a tutto il sangue c’è ben poco. Benjamin Lee, The Guardian

LES FILMS PELLÉAS

Anatomia di una caduta Di Justine Triet. Con Sandra Hüller, Swann Arlaud. Francia 2023, 15o’. In sala ●●●●● Con Anatomia di una caduta, il suo quarto lungometraggio vincitore della Palma d’oro a Cannes, Justine Triet fa un film giudiziario non tanto per giocare sulla suspense quanto per perfezionare il suo stile, che non è mai sembrato così vicino alla perfezione. Ci sono frasi pronunciate e tagliate a metà, rubate alle nostre orecchie e a quelle dei personaggi come prove confuse. E quando un testimone distoglie l’attenzione, il giudice gli dice: “Parli bene alla corte, per favore”. È una frase perfetta per descrivere un film in cui si dialoga senza capirsi né “ascoltare”. Del resto, non è tanto una caduta quanto uno zampillo quello che Triet si sforza di filmare. Qualcosa, infatti, “è venuto fuori”: ricordi dell’imputato e dei testimoni che rivedevano le immagini della loro vita, indizi per cercare di scoprire cosa c’è di “chimicamente incasinato” nella coppia Samuel e Sandra, deposito di una realtà coordinata con la misoginia ordinaria (la donna di successo, una colpevole ideale). Ancor prima che il marito,

un fantasma astuto, sia ritrovato con la testa sanguinante nella neve, tutto in Anatomia di una caduta suggerisce che stiamo già vedendo dei provini. È un film tentacolare sulla coppia, sulla famiglia e più in generale sull’animo umano. Marilou Duponchel, Les Inrockuptibles Petites. La vita che vorrei… per te Di Julie Lerat-Gersant. Con Pili Groyne, Romane Bohringer, Victoire Du Bois. Francia 2022, 90’. In sala ●●●●● A sedici anni, Camille è incinta ma non vuole proprio avere un figlio. Visto il rapporto burrascoso che ha con la madre, un giudice decide di mandarla in un centro specializzato. Indisciplinata, Camille lotta tra le altre ragazze madri e cerca di sfidare l’autorità di un educatore premuroso. Poi si ambienta, fa amicizia, ma non cambia rotta: non vuole tenere il bambino. Primo film dell’attrice Julie Lerat-Gersant, Petites si sviluppa lungo un percorso chiaro: il ritratto di una giovane forte che non si lascia controllare dalle istituzioni. E noi ci lasciamo prendere dagli attori e da una suspense che la regista, nonostante la pressione esercitata per tutto il film sul-

Retribution Di Nimród Antal. Con Liam Neeson. Francia/Germania/ Spagna/Stati Uniti 2023, 90’. In sala ●●●●● Abbiamo visto Liam Neeson cercare vendetta a Parigi (Io vi troverò), nella neve (Un uomo

Bodies 8 episodi, Netflix

tranquillo), su un aereo (Nonstop) e su un treno (L’uomo sul treno). Ora gli tocca cavarsela con una bomba sotto il sedere. Interpreta Matt Turner, un banchiere che sta accompagnando i bambini a scuola quando una chiamata misteriosa lo informa che sotto il sedile dell’auto c’è una carica che esploderà se tenta di uscire. Remake di un film che era a sua volta una copia di Speed (1994), Retribution è fondamentalmente la lotta di Liam Neeson contro un gps. Bloccato nella sua macchina esplosiva, Matt deve girare per la città ed eseguire una serie di compiti assurdi. Il film di Nimród Antal ha senso soprattutto come allegoria della carriera di Neeson, intrappolato in un eroe d’azione che mette a segno una serie di acrobazie sempre più ridicole. L’attore ha pagato il suo debito: siate buoni, lasciatelo in pace. Tom Shone, The Sunday Times

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ESCAZAL FILMS

Film

C’è ancora domani Paola Cortellesi, in sala

Petites Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Cultura

Libri Cuba

I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Salvatore Aloïse , collaboratore della tv francotedesca Arte.

Una protesta dal basso

Alberto Riva Ultima estate a Roccamare Neri Pozza, 224 pagine, 17 euro ●●●●● L’ultima estate del titolo è quella del 1985. Roccamare è una spiaggia della Maremma, affacciata sulla pineta di Castiglione della Pescaia. Qui, 38 anni fa, avevano casa alcuni grandi della cultura italiana: Italo Calvino, colpito proprio quell’estate dall’ictus che poi lo porterà alla morte, Carlo Fruttero, Pietro Citati, Furio Scarpelli e altri. Alberto Riva fissa quel momento magico in cui scrittori e artisti condividono questo luogo “a cui dobbiamo tanto”, perché ha dato vita a capolavori che “leggiamo e rileggiamo ancora”. Ne viene fuori un ritratto di uomini, prima che di scrittori. Un racconto di amicizie, di una comunità. Qui facevano insieme il bagno e le passeggiate, si scambiavano visite, cene, libri, consigli e parlavano di cinema. Quello dell’autore è un viaggio letterario ma anche reale. Da Milano, dove vive, va in Maremma facendosi guidare dalla sua luce, dai suoi venti, alla ricerca dei testimoni di quegli anni. In origine doveva essere un’intervista alla figlia di Fruttero ma è diventato un libro di memorie e di emozioni. Nella suggestiva copertina un quadro di uno dei più famosi dei macchiaioli, Telemaco Signorini: la passeggiata solitaria in spiaggia di un uomo che, per chi legge, non può che essere un malinconico scrittore. u

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In Los intrusos Carlos Manuel Álvarez racconta la vicenda del movimento San Isidro e la dissidenza degli artisti cubani Lo scrittore e giornalista cubano Carlos Manuel Álvarez è stato l’ultimo a entrare nella casa di Damas 955 a San Isidro, un quartiere povero dell’Avana. Era il 23 novembre 2020, in piena pandemia. Tre giorni dopo la polizia, con la scusa di dovergli fare un esame medico, ha buttato giù la porta dell’appartamento in cui artisti e intellettuali cubani erano rinchiusi in sciopero della fame per chiedere la liberazione del rapper Daniel Solís, arrestato pochi giorni prima e condannato per oltraggio con un processo sommario. Nel libro Los intrusos

ALEXANDRE MENEGHINI (REUTERS/CONTRASTO)

Italieni

Protesta per gli artisti dissidenti. L’Avana, Cuba, 2020

Álvarez racconta la storia di quell’esperienza dando spazio ai ritratti dei quindici dissidenti che l’hanno condivisa con lui, “persone tutte diverse tra loro ma con una cosa in comune: sono state emarginate dal regime cubano, magari per il fatto di essere artisti, ne-

ri, poveri e senza i contatti giusti per aspirare a un’uscita dignitosa dal paese sotto forma di una borsa di studio universitaria”. Attraverso le loro vite e la vicenda del movimento San Isidro si ripercorrono anche gli eventi recenti di Cuba. El País

Il libro Nadeesha Uyangoda

Donne dominicane Elizabeth Acevedo Family lore HarperCollins, 384 pagine, 20 euro Non sono riuscita a leggere libri in italiano in questi giorni (e per le uscite di novembre è troppo presto), dunque eccezionalmente il romanzo di questa settimana è in inglese, non (ancora) tradotto in Italia. Anche se ogni pagina contiene almeno un paio di parole in spagnolo, è una scrittura molto gestibile quella di Elizabeth Acevedo, che con Family lore pubblica il suo primo romanzo

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per adulti. Le protagoniste sono quattro sorelle Marte, che hanno tutte un dono, o per meglio dire, un sesto senso: per la musica, la morte, la verità e le erbe. Il romanzo si apre con Flor, la secondogenita, che decide di tenere la propria veglia funebre mentre è ancora in vita. I momenti che ruotano intorno a questo evento sono l’occasione per le quattro sorelle e le loro figlie di ripercorrere una vita sbilanciata tra Repubblica Dominicana e New York. La prima cosa che ho pensato leggendolo è che

Acevedo è stata intelligente: è riuscita a sottrarsi al rischio di chi racconta l’alterità di svendere l’identità collettiva delle generazioni passate in nome della ricerca di quel successo commerciale che chiede sempre l’autenticità dell’esperienza delle minoranze. Lo ha fatto con un pizzico di realismo magico, con i commenti tra parentesi con cui la nipote antropologa, Ona, amplia la prospettiva delle donne di famiglia. Un romanzo che non perde per strada la capacità di far leggere una bella storia. u

I consigli della redazione

Zadie Smith L’impostore Mondadori

Il romanzo

Terreno familiare Kim de l’Horizon, 2022

THOMAS LOHNES (GETTY IMAGES)

Kim de l’Horizon Perché sono da sempre un corso d’acqua Il Saggiatore, 344 pagine, 19 euro ●●●●● Il bambino in questione è timido. Si sente più vicino alla natura che alle persone. Parla con le castagne, i lamponi, gli alberi. Si sottrae alle voci che lo chiamano, alle mani ruvide, si rende invisibile. “Il bambino lo sa: non deve diventare un uomo”. L’amore di sua madre è enorme, divorante, ma finisce dove comincia la virilità. Così il bambino corre nel pollaio e prova a fare incantesimi per trovare il sesso che un giorno gli andrà bene. La storia del bambino raccontata in questo romanzo d’esordio fa parte di un’inquieta ricerca del vero significato che si nasconde dietro la superficie delle cose; una ricerca che comincia con la malattia della nonna, la sua demenza, e che poi sfocia nella ricerca del proprio corpo, di ciò che dà forma al proprio sesso. Un libro costruito come una matrioska: di volta in volta uno strato narrativo cade, è osservato da tutti i lati e rivela il successivo, e per ognuno Kim de l’Horizon trova il tono adatto. Descrivere un libro del genere è difficile. Proprio come il bambino, il libro rifiuta le categorie. Un romanzo familiare? Un romanzo di formazione? Un romanzo sulla queerness? Kim de l’Horizon riesce a far percepire il disagio di quando il nostro corpo ci rimane estraneo. La ricerca conduce alle biografie segrete di due donne della famiglia, una morta giovane e un’altra rimasta incinta

e poi finita in prigione. Dai segreti familiari Kim de l’Horizon spera di trarre spunti di riflessione su se stessa. Solo molto più tardi, la sofferenza femminile è rivelata dall’ampio albero genealogico delle donne della famiglia compilato dalla madre. Donne capaci e disadattate, donne uccise per la loro bellezza o perché si diceva che diffondessero la peste. In modo sottile e poetico, la storia parla dell’esperienza che si tramanda tra genitori, nonne e bisnonne, e di come le persone siano radicate l’una nell’altra. La lettura richiede dedizione, ma la si concede volentieri a questa voce narrante ostinata e ai suoi voltafaccia linguistici, alla sua capacità di tenere insieme immagini e pensieri per centinaia di pagine, di trasformare con sensibilità il materiale di ricerca e di manomettere maliziosamente il canone e le convenzioni senza mai perdere di vista la tradizione. Elena Witzeck, Frankfurter Allgemeine Zeitung

Paolo Zellini Il teorema di Pitagora Adelphi

Priscilla Morris Le farfalle di Sarajevo Neri Pozza, 240 pagine, 18 euro ●●●●● Sono passati trent’anni dall’assedio di Sarajevo, nato dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia in fazioni serbe, croate e musulmane. Il romanzo d’esordio di Priscilla Morris è ambientato in questo conflitto terribile e caotico, e rimane radicato nella disordinata realtà delle strade. Zora è un’insegnante in crisi di mezza età, ma c’è molto di peggio in arrivo per lei. Di notte bande di uomini mascherati barricano le strade con divani ricoperti di filo spinato e al mattino i residenti – siano croati, serbi o musulmani – buttano giù le barriere che vorrebbero separare le loro comunità. I cecchini appaiono sui tetti. Si preparano quattro anni di bombardamenti e colpi di mortaio dalle colline vicine. Zora ha una figlia e una nipote in Inghilterra e all’inizio del conflitto manda la sua anziana madre e il marito Franjo a raggiungerle. Rimane intrappolata nella città assediata, dove ha una relazione appassionata con il proprietario di una libreria islamica, Mirsad. Organizzata su quattro stagioni di un anno, Le farfalle di Sarajevo suona autentico come un’esperienza raccontata in diretta. Morris è per metà jugoslava e il libro è liberamente ispirato alle vicende della sua famiglia. Il titolo si riferisce alle pagine bruciate dei libri che svolazzano nell’aria: “Frammenti bruciati di poesia e arte che si impigliano nei capelli della gente”, dice Mirsad. Zora è una pittrice e durante l’assedio continua a insegnare, mentre i suoi studenti si riuniscono in stanze gelide. In mezzo all’orrore della città distrutta, con i cadaveri per le strade, Morris sottolinea

Anders Nilsen The end Add editore

la resilienza, l’amicizia e la generosità delle persone che circondano Zora. C’è anche una sobria enfasi sul potere dell’arte: i quadri di Zora testimoniano che le guerre vanno e vengono, ma l’arte è immortale. Phil Baker, The Times David Trueba Cari bambini Feltrinelli, 448 pagine, 24 euro ●●●●● All’inizio degli anni settanta l’idea di verità è in crisi. È ridotta dai suoi nemici a un’illusione collettiva. È l’habitat ideale per il fiorire di falsi e mezze verità utili alla propaganda politica. In questo terreno paludoso sguazza Basilio, soprannominato Ippopotamo per la sua grassezza, la voce narrante di Cari bambini. È un autore fallito che scrive i discorsi per Amelia, professoressa di storia che si ritrova candidata alle elezioni per un partito conservatore. Durante la campagna elettorale, Basilio e Amelia formano un duo complementare: lui, in qualità di consulente di comunicazione, mostra il più crudo cinismo con un unico obiettivo: conquistare voti. Contro di lui, Amelia rappresenta l’onestà di chi ha delle convinzioni. La doppiezza, l’inganno, il ricatto e l’illusionismo che Basilio gestisce così bene contaminano gradualmente Amelia. L’autoritratto di questo reazionario inverecondo, zotico intelligente, fustigatore del puritanesimo di sinistra, nemico delle regole, gaudente e rozzo, è forse il risultato più brillante del romanzo. La cronaca di una campagna elettorale immaginaria offre divertimento e irritazione, come ogni buona satira di costume. Domingo Rodenas De Moya, El País

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Cultura

Libri sformare chi la usa in un fantasma. La storia si muove agilmente tra passato e presente, articolando il fascino, ma in ultima analisi la fallacia, delle amicizie basate solo su segni d’identità condivisi. Nonostante i nodi irrisolti, i racconti di Ling Ma colpiscono, e confermano il talento di una scrittrice che esplora con curiosità i limiti del possibile. S’intrecciano e si trasformano in modi imprevedibili, e anche se il viaggio non è sempre tranquillo il lettore non si pente mai di essere salito a bordo. Lovia Gyarkye, The New York Times Danielle Evans L’ufficio delle correzioni storiche minimum fax, 241 pagine, 18 euro ●●●●● Che conforto c’è nella verità? La domanda è rifratta in mille modi diversi nell’Ufficio delle correzioni storiche di Danielle Evans, una magnifica raccolta

di sei racconti e una novella. L’autrice esamina coraggiosamente i punti d’intersezione tra le vite dei bianchi e dei neri. L’immersione in questa inestricabilità è spesso fatale, per l’impatto di molte forme di violenza e costrizione. C’è anche un ritratto vivido, concreto e dai toni fantascientifici di un’agenzia governativa fittizia, l’Ufficio delle correzioni storiche, che identifica e corregge i falsi documenti dopo anni di notizie false. Tuttavia, a rendere coinvolgente questa raccolta è la costante attenzione all’amore nero, in particolare tra amici. Evans ritrae l’amicizia come una forma di dibattito riflessivo, che implica un impegno profondo. Si può dire che questo libro porterà i lettori ad affrontare il presente con un coinvolgimento ancora più forte per la devastazione che la storia ha portato ai personaggi di Evans e a tutti noi. Chaya Bhuvaneswar, Washington Post

Non fiction Giuliano Milani

Colonizzare lo spazio Eyal Weizman Spaziocidio. Israele e l’architettura come strumento di controllo Mondadori, 360 pagine, 14 euro Mentre il conflitto palestineseisraeliano tocca picchi di violenza inediti è opportuno ricordare cosa succedeva prima, quando si combatteva a un’intensità più bassa, tra una guerra e l’altra. Per farlo è utile questa ricerca di Eyal Weizman, architetto e animatore del sito forensic-architecture.org, che ricostruisce in modo accurato

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episodi di violazione dei diritti umani soffermandosi sulla trasformazione dei territori occupati dopo il 1967. Racconta in modo chiaro i modi in cui “le diverse forme dell’occupazione israeliana si sono impresse nello spazio”con la costruzione progressiva di una “frontiera elastica” che variando ha registrato fedelmente le battaglie politiche e legali che le scoppiavano intorno e l’elaborazione di tecnologie che sono state al tempo stesso strumenti di occupazione coloniale e di divisione. Emerge che l’orga-

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nizzazione dello spazio nei territori palestinesi non è stata decisa da una gestione razionale univoca, ma attraverso un “caos strutturato” che ha favorito un processo di appropriazione violenta da parte di Israele tramite la creazione di condizioni “troppo complesse e illogiche per poter attuare una separazione territoriale definitiva”. Questa politica riserva allo stato israeliano il monopolio del potere di sbrogliare la matassa che lui stesso ha prodotto. Fino all’esplosione successiva. u

Storia

KOWOHLT

Ling Ma La donna che scompare Codice, 212 pagine, 17 euro ●●●●● Le donne che popolano gli otto racconti di Ling Ma non sono semplicemente il centro delle storie. Mentre si muovono languidamente nel mondo, osservando e operando con freddo distacco, le loro scelte discutibili – pedinare un ex amante, fare sesso con uno yeti, vivere con il marito e cento ex fidanzati – alimentano la narrazione. Questa raccolta sorprendente si basa sugli elementi del perturbante e del surreale. Alcuni racconti sono compiuti nella loro stranezza e ambiguità, altri sembrano abbozzi promettenti di narrazioni più solide, altri ancora si collocano nel mezzo. In uno dei testi più forti della raccolta, due amiche che si erano perse di vista trascorrono insieme una serata a base di droga per rivivere la loro giovinezza. Prendono la g, una potente pillola che può tra-

Kai-Ove Kessler Die Welt ist laut Rowohlt Buchverlag Storia dei rumori. Oltre a esplorarne le varie fonti, questo studio esamina i continui sforzi dell’umanità per misurarli e valutare il loro impatto sulla salute. Kai-Ove Kessler è giornalista, storico e musicista e vive ad Amburgo. Volker Ullrich Deutschland 1923 C.H. Beck Nel 1923 la Germania affronta un crollo vertiginoso: l’inflazione è spaventosa, estremisti di destra e di sinistra minacciano l’esistenza del Reich e a Monaco un uomo sta preparando un colpo di stato: Adolf Hitler. Volker Ullrich è uno storico tedesco nato nel 1943. Ian Morris Geography is destiny Farrar, Straus & Giroux Diecimila anni di storia britannica in un libro che cerca di spiegare come si è arrivati alla Brexit. Ian Morris è uno storico britannico nato nel 1960. Christopher I. Beckwith The scythian empire Princeton University Press Spesso considerati tribù selvagge, in questa monumentale storia gli sciti emergono come un fattore fondamentale nella costruzione del mondo antico. Christopher I. Beckwith è un filologo statunitense. Maria Sepa usalibri.blogspot.com

Ragazzi In cerca dell’amicizia Rébecca Dautremer Qualcosa di formidabile Rizzoli, 64 pagine, 28 euro Jacominus Gainsborough torna a emozionarci con una nuova avventura scritta, illustrata e interpretata dalla grande Rébecca Dautremer. Un album che ha dentro di sé la gemma più preziosa di tutte: l’amicizia. Tutto comincia con un pisolino pomeridiano. Quando si sveglia Jacominus (che per chi non lo conoscesse è un simpatico coniglio rosa) sente crescere dentro di sé una strana, meravigliosa sensazione di benessere. Un ricordo felice ma inafferrabile gli ha attraversato la mente. Cosa lo ha reso per un attimo così felice e appagato? Non lo sa. E confessa al vecchio amico Policarpo che vorrebbe tanto scoprirlo. Purtroppo non si ricorda nulla. È allora che i due amici si mettono a viaggiare nel tempo alla ricerca di quel bel momento. E passano per storie antiche, barzellette, sensazioni, colori, fino ad arrivare a una biglia. Un ricordo nato infelice che poi diventa quella cosa formidabile che Jacominus Gainsborough stava proprio cercando. Nella pagina finale il libro ha un Qrcode dove si può ascoltare il testo e la canzone finale. Basta inquadrarlo e la lettura diventa anche un po’ teatro. Senza dimenticare le fastose e dolcissime illustrazioni di Rébecca Dautremer, che danno sale a un albo delicato e tenero. Igiaba Scego

Ricevuti Abraham Riesman Stan Lee Rizzoli Lizard, 496 pagine, 25 euro La sua storia equivale alla storia della Marvel, di cui era sceneggiatore e direttore editoriale. Una biografia che si legge come un giallo. Simone Pieranni Tecnocina Add, 256 pagine, 20 euro La storia della tecnologia cinese dal 1949 fino a oggi: dalle prime forme di automazione industriale alla corsa ai semiconduttori, dalla genetica alla bomba atomica e alle conquiste spaziali.

Fumetti

Il teatro di una bambina Camille Jourdy Juliette Oblomov, 240 pagine, 27 euro Arriva finalmente in Italia un’autrice talentuosa come la francese Camille Jourdy. Capace di creare un proprio universo partendo però dalla realtà quotidiana più comune, Jourdy si rivela acuta e rigorosa anche in termini di osservazione di caratteri, comportamenti e situazioni. Commedia umana con le sembianze di un teatrino coloratissimo, il suo mondo grafico è avvolto nella soffice nuvola dell’infanzia, dell’eterna bambina che (ri)trova sempre l’incanto, a cominciare dall’uso dei colori. Quando rielabora le tappezzerie orientali punteggiate di un Matisse, Jourdy recupera la magia e la meraviglia dello sguardo infantile: i paesaggi potrebbero essere disegni di una bimba attaccati

sul muro della cameretta, disegni che sembrano nascondere un folletto, uno gnomo o un fantasma che può sorgere all’improvviso. Sono rappresentati fantasmi ben reali, angosce, ma con la speranza del risveglio, dell’acquisizione di una consapevolezza, come evidenzia il sottotitolo I fantasmi ritornano in primavera. Nel raffigurare la dialettica tra mentalità (originaria) della provincia e (acquisita) della grande città, nel cogliere il ruscello del tempo e del non detto che scorre sottotraccia nelle relazioni familiari, l’autrice fissa dialoghi e situazioni con finezza e precisione, in un misto di humour e profondità. Mettendo sempre in evidenza l’amore per i rapporti umani, come fossero un tutt’uno con la natura. Francesco Boille

Andrea Baranes O la borsa o la vita Ponte alle grazie, 288 pagine, 16,90 euro Quasi tutte le banche vantano la loro sostenibilità e la loro attenzione all’ambiente. Le stesse banche, però, finanziano l’industria dei combustibili fossili con centinaia di miliardi di dollari l’anno. Heike Behrend La scimmia in bermuda Bollati Boringhieri, 224 pagine, 22 euro Un’importante antropologa e africanista mostra nella sua autobiografia i dubbi e le frustrazioni del lavoro etnografico. A cura di Mariann Lewinsky Albert Samama Chikli Cineteca di Bologna, 336 pagine, 40 euro Un saggio corredato da una ricca parte iconografica ripercorre la storia del pioniere del cinema tunisino, geniale fotografo e inventore.

venga sul sito eurekaddl.skin

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Cultura

Suoni Podcast L’impero dell’avena

Dal Ghana

Katz Laszlo The Oatly chronicles The European Podcast Durante il Super Bowl del 2021, la finale del campionato di football americano, tra le pubblicità piene di celebrità realizzate con budget da film di Hollywood a un certo punto ne è comparsa una con un ragazzo in un campo d’avena. Accompagnato da una tastierina Casio, cantava una canzone il cui ritornello diceva: “Wow, no cow”. Era Toni Petersson, l’amministratore delegato di Oatly, azienda svedese leader mondiale nella produzione di latte d’avena che, grazie anche a quella pubblicità, è diventato il secondo latte vegetale più consumato al mondo, superando il latte di soia e insidiando il primato di quello di mandorle. Petersson è anche la mente dietro il rilancio commerciale dell’azienda, capace di usare a proprio vantaggio perfino le critiche e i boicottaggi. I prodotti di Oatly si sono inseriti in un mercato, quello dei consumatori che cercano di evitare i derivati del latte per ridurre l’impatto ambientale, molto esigente sui valori veicolati dai marchi. E su questo aspetto l’azienda svedese è stata molto ambigua, come quando si è scoperto che gli scarti della lavorazione dell’avena venivano rivenduti come mangimi per allevare maiali da macello. In questa trilogia Katz Laszlo ricostruisce sia l’impatto sull’ambiente del consumo europeo di latte e di carne sia le vicende che hanno riguardato uno dei più potenti marchi dell’industria alimentare. Jonathan Zenti

La band angloghanese Onipa spiega all’occidente cos’è la musica africana

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In un momento in cui il rapporto tra la musica tradizionale africana e il pop occidentale non è mai stato così fluido, il quartetto anglo-ghanese Onipa ha scelto di scavare più a fondo in questa storia. Con il suo secondo album Off the grid, ci ricorda come la musica occidentale moderna debba tanto a quel continente. Con artisti come WizKid e Fireboy DML in cima alle classifiche grazie a un afrobeat dell’Africa occidentale fortemente influenzato da trap, rnb e dancehall, gli Onipa vogliono dimostrare che la ricchezza del materiale origi-

NELSON AUTEFAULT

Unire i puntini

Onipa nale contiene la chiave per una comprensione più profonda della nascita dei suoni occidentali. “Quando ascolto i dischi tradizionali africani penso: ‘Questa è techno!’, ‘Questo è jazz’”, dichiara il cofondatore degli Onipa, Tom Excell. In Off the grid si può sentire la scrittura pop

radicata nell’high life ghanese di brani come Ayo, le percussioni proto hip-hop suonate dall’ogene nigeriano (una specie di campana di metallo) di Machine 2. E la conversazione tra musica house statunitense e il kwaito sudafricano di Sh33me rappresenta un’ondata di energia panafricana altamente ballabile. “Quei collegamenti esistevano già, bastava farli vedere”, afferma Excell. “Penso che per noi si tratti semplicemente di scavare un po’ più a fondo e vedere come possiamo provare a unire i puntini. Lo facciamo sempre, istintivamente, quando scriviamo una canzone”. Max Pilley , Bandcamp daily

Canzoni Claudia Durastanti

La voce della poeta C’è una canzone dal ritmo e dal suono antico, nata tuttavia da poco, che ci è quasi inaccessibile e non perché non possiamo attingere al passato, ma perché la poeta che ha dato le parole alla canzone si è spostata su un altro piano, dove ha perso la carne per guadagnare l’immanenza stellare: la canzone s’intitola Sempre così, la voce principale è di Chiara Civello e la poeta che ne ha immaginato la melodia è Patrizia Cavalli, morta nell’estate del 2022. Si può cantare o scrivere una canzone d’amore lasciando il

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passo al languore e all’immaginazione senza collassare per lo strazio, come succedeva un po’ a Mina, alle cui pene d’amore abbiamo sempre creduto perché ci credeva lei, ben sapendo che il giorno successivo quel sentimento poteva già cambiare perché era un tipo di dolore particolare, già pronto a contaminarsi di futuro e ostinato nel suo voler essere sensuale, una cosa che spesso ho pensato delle poesie di Cavalli. Civello, musicista con una voce fatta per fondersi e resuscitare in uno scambio ravvicinato, era molto vicina a

Cavalli ed è riuscita a portare a termine il brano che la poeta aveva in testa, “una canzone che fa piangere”, perfetta per il cortometraggio This is how a child becomes a poet con cui Céline Sciamma ha fatto omaggio alle stanze abitate da Cavalli. Anni fa vidi la poeta a un premio nella sua città, Todi, che lei non amava molto. Salì su un palco e lesse Cado e ricado circa sette volte di seguito. La sala temeva: Cavalli non stava bene, Cavalli ci stava prendendo in giro, Cavalli andava protetta. Io ricordo solo l’ardore di una libertà infinita. u

Resto del mondo

Classica Orchestra Afrobeat Circles Brutture moderne

Scelti da Marco Boccitto

The Rolling Stones

stile molto tedesco, soprattutto nella Toccata e variazioni. Nei Sette pezzi brevi, dei quali solo uno supera i due minuti, c’è una concisione molto francese e il secondo dei Tre pezzi è un omaggio a Ravel. Ma la scrittura rigorosa è chiaramente in debito con la tradizione tedesca. Il caso di Martin è diverso: il suo sguardo è più ampio, come sentiamo nella Fantasia su ritmi flamenco, ispirata dalle musiche dell’America Latina. Lo stile di base è classicamente tonale, ma arriva ad avvicinarsi alla dodecafonia viennese, cosa che gli dà un tono molto personale. Conus, che spiega di avere molto riflettuto sull’identità musicale del suo paese, riesce a trovare un ottimo equilibrio tra il rigore e lo charme. E rivela una personalità potente: svizzera ma mai neutrale. Jacques Bonnaure, Diapason

ancora essere rilevanti, questo brano finale dimostra che possono fare di meglio: essere senza tempo. Jeremy Winograd, Slant Sampha Lahai Young ●●●●● Sono passati più di sei anni da quando Sampha ha pubblicato Process, il disco vincitore del Mercury Prize che aveva messo il cantautore londinese al centro della scena musicale indie britannica. Process era un’esplorazione della mortalità, travolto dal dolore e dalla perdita della madre, e guidato da una cupa miscela di strumentazione acustica ed elettronica, il tutto contraddistinto dalla voce intensa di Sampha. L’atteso seguito, Lahai, sembra il prodotto di anni di meditazione ed esplorazione. Prende il nome dal nonno paterno del cantante, il cui nome è anche il secondo nome di Sampha, ed è uno studio intimo e personale sull’esistenza, il tempo, la scienza, la famiglia, l’amore e la spiritualità. Lahai estende la carriera di Sampha mettendo in mostra la sua ispirazione, la sua capacità di scrivere canzoni e, inevitabil-

mente, la sua anima. Ben Jardine, Under the Radar Jérémie Conus Swiss piano music: musiche di Honegger e Martin Jérémie Conus, piano Prospero ●●●●● Il giovane pianista svizzero Jérémie Conus non ha scelto una strada facile per il suo disco dedicato a opere rare ma interessanti di Arthur Honegger (1892-1955) e Frank Martin (1890-1974). La produzione pianistica di questi due compositori non è molto nota, ma permette di andare al cuore del loro lavoro. Nei pezzi di Honegger troviamo uno

Newsletter Musicale è la newsletter settimanale di Internazionale su cosa succede nel mondo della musica. Esce ogni lunedì. Per riceverla: internazionale.it /newsletter Sampha

JESSE CRANKSTON

The Rolling Stones Hackney diamonds Universal ●●●●● Come ogni album dei Rolling Stones che è stato definito “il migliore dai tempi di Some girls del 1978”, Hackney diamonds si presenta con testi abbastanza imbarazzanti, riff di chitarra ambigui e autoplagi (come Keith Richards che suona Tumbling dice all’inizio di Driving me too hard) che lo tengono fuori dal pantheon delle loro più grandi uscite. Ma si distingue per uno stile genuinamente contemporaneo che gli Stones non riuscivano a incarnare con successo da quando avevano fatto incontrare il punk emergente con la disco alla fine degli anni settanta. La batteria frizzante, i ritornelli accattivanti e le voci peperine di questo album hanno una lucentezza pronta per la radio senza compromettere i tratti essenziali degli Stones. Il fatto che la band non sembri completamente fuori dal tempo – anzi, suona più energica di quanto non lo fosse da decenni – non è un’impresa da poco considerando che non pubblicavano un album di materiale originale da quasi vent’anni. Per quanto sia energico e orecchiabile, Hackney diamonds, suggerisce che gli Stones farebbero meglio ad abbracciare la loro età piuttosto che affermare la loro eterna giovinezza. L’album si chiude con una cover di Rolling stone blues, il classico di Muddy Waters del 1950 che ha dato il nome alla band. Registrato dal vivo con solo Richards alla chitarra e Jagger alla voce e all’armonica, è una performance spettrale e da brivido. Se la maggior parte di Hackney diamonds prova che gli Stones possono

Ana Carla Maza Caribe Persona Editorial

MARK SELIGER

Album

Titi Bakorta Molende Nyege Nyege Tapes

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Pop Israeliani e palestinesi, patologia della vendetta Adam Shatz l 16 ottobre Sabrina Tavernise, conduttrice to a Tavernise che lui e la sua famiglia erano rannicdel podcast The daily del New York Times, chiati tutti nella stessa stanza, in modo che potessero ha parlato con due palestinesi nella Striscia almeno morire insieme. di Gaza. Rivolgendosi ad Abdallah Hasanin, La situazione a Gaza ha raggiunto estremi indiciun abitante di Rafah, vicino al confine egibili negli ultimi giorni, ma non è una novità. Nel racziano, che riusciva a prendere il segnale del conto del 1956 Lettera da Gaza, Ghassan Kanafani la telefono solo dal balcone, ha detto: “Abbiamo parlato descrive come “più stretta del respiro di uno che sodegli attacchi aerei che ci sono stati da sabato scorso, gna un incubo terribile, con l’odore particolare dei e ovviamente l’altra cosa che è successa quel giorno suoi stretti vicoli, l’odore della povertà e della sconfitè stato l’attacco micidiale di Hamas contro Israele. ta”. Il protagonista del racconto, un insegnante che Come lo interpreti? Cos’hai pensato al riguardo?”. per anni ha lavorato in Kuwait, torna a casa dopo un “Non puoi mettere le persone in una prigione, pribombardamento israeliano e vede che alla nipote è varle dei diritti fondamentali e pensare stata amputata una gamba: è rimasta di cavartela senza conseguenze”, ha ri- “Siamo ferita mentre cercava di proteggere i sposto Hasanin. “Non puoi disumaniz- sopravvissuti al fratelli dalle bombe. zare le persone e non aspettarti nulla. Io 1948, e tutto quello Nelle parole di Amira Hass, giornalinon sono mai stato un sostenitore di che chiediamo è sta israeliana che per anni ha scritto reHamas. Ma quello che sta succedendo avere pace per portage dalla Striscia, “Gaza incarna la qui non c’entra niente con Hamas”. contraddizione centrale dello stato di crescere i nostri Tavernise (con imbarazzo): “E di co- figli”, ha detto Israele: democrazia per alcuni, spoliasa si tratta?”. zione per altri; è il nostro nervo scoperElsaka. “Perché la Hasanin: “Si tratta di pulizia etnica to”. Le autorità di occupazione l’hanno storia si ripete? Cosa sempre trattata come una terra di fronai danni del popolo palestinese, si tratta di 2,3 milioni di palestinesi. Ecco perché vogliono?” tiera, più simile al sud del Libano che la prima cosa che ha fatto Israele è stata alla Cisgiordania, dove le regole sono tagliare l’acqua, l’elettricità e i viveri. Quindi non si diverse, e più severe. Dopo la conquista di Gaza nel tratta, mai, di Hamas. Si tratta della nostra colpa di 1967 Ariel Sharon, all’epoca generale responsabile essere nati palestinesi”. per il comando meridionale di Israele, ordinò l’uccisione senza processo di decine di palestinesi sospetLa seconda ospite di Tavernise era una donna di tati di aver partecipato alla resistenza e la demolizionome Wafa Elsaka, da poco tornata a Gaza dopo aver ne di migliaia di case: fu chiamata “pacificazione”. lavorato come insegnante in Florida per trentacinque anni. Elsaka è fuggita dalla casa della sua famiNel 2005 Sharon coordinò il “disimpegno”: Israele glia, dopo che Israele ha ordinato a 1,1 milioni di abiritirò ottomila coloni dalla Striscia, ma il territorio ritanti del nord della Striscia di andare verso sud, avmase essenzialmente sotto il controllo israeliano, e vertendo di un’imminente invasione di terra. Decine da quando Hamas ha vinto le elezioni nel 2006 ha di palestinesi sono stati uccisi nei bombardamenti subìto un blocco, imposto con l’aiuto del governo egimentre viaggiavano su strade che secondo Israele ziano. “Perché non abbandoniamo questa Gaza e sarebbero state sicure. “Siamo sopravvissuti al 1948, fuggiamo?”, chiedeva il narratore di Kanafani nel e tutto quello che chiediamo è avere pace per cresce1956. Oggi queste riflessioni sarebbero fantasia. La re i nostri figli”, ha detto Elsaka. “Perché la storia si popolazione della Striscia (non è corretto chiamarli ripete? Cosa vogliono? Vogliono Gaza? Cosa faranno gazawi, dato che due terzi di loro sono figli e nipoti di di noi? Cosa faranno delle persone? Voglio una risporifugiati provenienti da altre parti della Palestina) è di sta a queste domande, così sapremo. Vogliono getfatto prigioniera in un territorio che è stato amputato tarci in mare? Avanti, fatelo, non continuate a farci dal resto del paese. Potrebbero lasciarla solo se gli soffrire! Fatelo e basta. Prima dicevo che Gaza è una israeliani gli ordinassero di stabilirsi in un “corridoio prigione a cielo aperto. Ora dico che è una tomba a umanitario” nel Sinai, qualora l’Egitto dovesse cedecielo aperto. Pensi che le persone qui siano vive? Sore alle pressioni statunitensi e aprire il confine. no zombi”. Il giorno successivo Hasanin ha raccontaLe ragioni del “diluvio di Al Aqsa”, come Hamas

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ADAM SHATZ

è un giornalista della London Review of Books. Ha collaborato anche con il New Yorker, la New York Review of Books e il New York Times Magazine. È stato corrispondente da Algeria, Palestina, Libano ed Egitto. Questo articolo è uscito sulla London Review of Books con il titolo Vengeful pathologies.

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NAZARIO GRAZIANO DA FOTO AFP/GETTY, AP/LAPRESSE, PICTURE ALLIANCE/GETTY

ha chiamato la sua offensiva, sono tutt’altro che misteriose: riaffermare l’importanza della lotta palestinese quando sembrava che la comunità internazionale se ne stesse disinteressando; ottenere il rilascio dei prigionieri politici; affossare il riavvicinamento israelo-saudita; umiliare ulteriormente l’impotente Autorità nazionale palestinese; protestare contro l’ondata

di violenza dei coloni in Cisgiordania e contro le provocatorie visite dei fedeli ebrei e dei funzionari israeliani alla moschea Al Aqsa a Gerusalemme; e mandare agli israeliani il messaggio che non sono invincibili, che c’è un prezzo da pagare per mantenere lo status quo a Gaza. Ha ottenuto un orribile successo: per la prima volta dal 1948 sono stati i combattenti palestiInternazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Pop

Storie vere La biblioteca pubblica della contea Huntsville-Madison dell’Alabama, negli Stati Uniti, ha deciso di non tenere più un libro per bambini accusandolo di promuovere esplicitamente l’ideologia gay. Il libro s’intitola Read me a story, Stella ed è della popolare autrice canadese Marie-Louise Gay, il cui nome, ovviamente, è scritto in copertina e nel frontespizio del volume.

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nesi, non i soldati israeliani, a occupare le città al confine e a terrorizzare i loro abitanti. Mai Israele è apparso un rifugio tanto precario per il popolo ebraico. Come ha detto Mahmoud Muna, proprietario di una libreria a Gerusalemme, l’attacco di Hamas ha avuto la capacità di “concentrare gli ultimi cento anni in una settimana”. Eppure il frantumarsi dello status quo, il colpo inflitto in una sorta di macabro contrappeso alla formidabile macchina da guerra israeliana, ha chiesto un prezzo enorme. I miliziani di Hamas e della Jihad islamica hanno ucciso più di mille civili, tra cui donne, bambini e neonati. Non è chiaro perché Hamas non era soddisfatta dopo aver raggiunto gli obiettivi iniziali. La prima fase dell’attacco è stata la classica – e legittima – guerriglia contro un potere occupante: i miliziani hanno sfondato la recinzione di Gaza e hanno attaccato gli avamposti militari israeliani. Le prime immagini dell’assalto hanno suscitato una comprensibile euforia tra i palestinesi, così come l’uccisione di centinaia di soldati israeliani e la cattura degli ostaggi. In occidente pochi ricordano che quando i palestinesi della Striscia hanno protestato alla frontiera nel 2018-2019 durante la grande marcia del ritorno, le forze israeliane hanno ucciso 223 manifestanti. I palestinesi invece lo ricordano, e la strage di manifestanti disarmati ha aumentato l’attrattiva della lotta armata. La seconda fase, però, è stata molto diversa. Affiancati da abitanti di Gaza, molti dei quali uscivano dalla Striscia per la prima volta nella loro vita, i miliziani di Hamas si sono dati a una frenetica carneficina. Hanno trasformato il festival israeliano Supernova in un sanguinoso baccanale, un altro Bataclan. Hanno braccato famiglie nelle loro case nei kibbutz. Hanno ucciso non solo ebrei, ma anche beduini e lavoratori immigrati (molte vittime erano ebrei noti per la loro attività di solidarietà con i palestinesi, in particolare Vivian Silver, un’israelo-canadese che ora è in ostaggio a Gaza). La meticolosità e la pazienza dei combattenti di Hamas sono state agghiaccianti. Niente nella storia della resistenza armata palestinese a Israele si avvicina alla portata di questo massacro, non l’attentato del gruppo Settembre nero alle Olimpiadi di Monaco del 1972 né il massacro di Maalot compiuto dal Fronte democratico per la liberazione della Palestina nel 1974. Il 7 ottobre sono morti più israeliani che nei cinque anni della seconda intifada. Come spiegarlo? La rabbia alimentata dall’intensificarsi della repressione israeliana è senz’altro un motivo. Nell’ultimo anno più di duecento palestinesi sono stati uccisi dall’esercito e dai coloni israeliani; molti erano minorenni. Ma le radici della rabbia affondano più lontano delle politiche di destra del governo Netanyahu. Quello che è accaduto il 7 ottobre non è stata un’esplosione; è stato un atto compiuto con metodo. La sistematica uccisione di persone nelle loro case è stata una tragica imitazione del massacro di Sabra e Shatila commesso in Libano nel 1982 dai falangisti sostenuti da Israele. La pubblicazione dei video delle uccisioni sugli account dei social network delle vittime fa pensare che la vendetta fosse

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una delle motivazioni dei comandanti di Hamas: Mohammed Deif, il capo dell’ala militare del gruppo, ha perso la moglie e due figli in un attacco aereo nel 2014. Viene da pensare all’osservazione di Frantz Fanon secondo cui “il colonizzato è un perseguitato che sogna continuamente di diventare persecutore”. Il 7 ottobre questo sogno si è realizzato per coloro che hanno sconfinato nel sud di Israele: finalmente gli israeliani avrebbero sperimentato l’impotenza e il terrore che i palestinesi conoscono da tutta la vita. Lo spettacolo dell’esultanza palestinese è stato disturbante ma non certo sorprendente. Nelle guerre coloniali, scrive Fanon, “il bene è semplicemente quello che a ‘loro’ fa del male”. Quello che ha fatto del male agli israeliani quasi quanto l’attacco stesso è stato il fatto che nessuno l’avesse previsto. Il governo israeliano aveva ricevuto un avvertimento generico dagli egiziani che la Striscia era irrequieta. Ma Netanyahu e i suoi collaboratori credevano di aver contenuto efficacemente Hamas. Quando di recente gli israeliani hanno spostato un numero consistente di soldati dal confine con la Striscia alla Cisgiordania, dove sono stati incaricati di proteggere i coloni che commettevano i pogrom nelle città palestinesi, si sono detti che non c’era da preoccuparsi: avevano i più raffinati sistemi di sorveglianza del mondo e vaste reti di informatori. La vera minaccia era l’Iran, non i palestinesi, a cui mancava la capacità – e la competenza – di lanciare un attacco di rilievo. Sono stati questa arroganza e il disprezzo razzista, alimentati da anni di occupazione e di apartheid, a causare il “fallimento dell’intelligence” del 7 ottobre. ono state proposte molte analogie per il diluvio di Al Aqsa: l’offensiva del Têt, Pearl Harbor, l’attacco dell’Egitto che nell’ottobre 1973 diede il via alla guerra del Kippur e, naturalmente, gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Ma l’analogia più suggestiva è un episodio cruciale, e in gran parte dimenticato, nella guerra d’indipendenza algerina: la rivolta di Philippeville dell’agosto 1955. Circondato dall’esercito francese, temendo di perdere terreno nei confronti dei politici musulmani riformisti che preferivano una soluzione negoziata, il Fronte di liberazione nazionale (Fln) lanciò un terribile attacco nella città portuale di Philippeville. Contadini armati di granate, coltelli, mazze, asce e forconi uccisero – e in molti casi sventrarono – 123 persone, per lo più europei ma anche un certo numero di musulmani. Ai francesi quella violenza apparve ingiustificata, ma gli esecutori credevano di vendicare le decine di migliaia di musulmani uccisi dall’esercito francese con il sostegno delle milizie di coloni dopo le sommosse per l’indipendenza del 1945. In reazione a Philippeville il governatore generale francese, il liberale Jacques Soustelle, che gli europei in Algeria consideravano un inaffidabile “amante degli arabi”, lanciò una campagna di repressione in cui furono uccisi più di diecimila algerini. Reagendo in maniera sproporzionata, Soustelle cadde nella trappola dell’Fnl: la

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brutalità dell’esercito spinse gli algerini nelle braccia dei ribelli, proprio come la feroce reazione di Israele probabilmente rafforzerà Hamas almeno temporaneamente, anche tra i palestinesi della Striscia che non sopportano il suo potere autoritario. Soustelle ammise di aver contribuito a scavare “un fossato attraverso il quale è corso un fiume di sangue”. Oggi a Gaza si sta scavando un fossato simile. Deciso a superare l’umiliazione inflitta da Hamas, l’esercito israeliano non si è comportato in modo diverso né più intelligente dei francesi in Algeria, dei britannici in Kenya o degli statunitensi dopo l’11 settembre. Il disprezzo di Israele per la vita dei palestinesi non è mai stato tanto spietato e plateale, ed è alimentato da un discorso che definire “genocida” sembra meno eccessivo che in passato. Solo nei primi sei giorni di attacchi aerei Israele ha sganciato più di seimila bombe, che hanno già ucciso il doppio dei civili morti il 7 ottobre. Queste atrocità non sono eccessi o “danni collaterali”: avvengono di proposito. Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha detto che “stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza” (Fanon: “Il linguaggio del colono, quando parla del colonizzato, è un linguaggio zoologico” e “si riferisce costantemente al bestiario”). Dopo l’attacco di Hamas la retorica dello sterminio dell’estrema destra israeliana ha raggiunto l’apice ed è diventata opinione comune. Un esponente del Likud, il partito di Netanyahu, ha dichiarato che l’obiettivo di Israele dovrebbe essere “una nakba che eclisserà quella del 1948”. “Davvero mi sta chiedendo dei civili palestinesi?”, ha detto l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett a un giornalista di Sky News. “Ma che problemi ha? Noi stiamo combattendo contro i nazisti”.

La “nazificazione” degli oppositori di Israele è una vecchia strategia, che mette al riparo le sue guerre e le sue politiche espansionistiche. Nel 1982 Menachem Begin disse che stava combattendo i nazisti nella sua guerra contro l’Organizzazione per la liberazione della Palestina in Libano. In un discorso del 2015 Netanyahu ha ipotizzato che i nazisti avrebbero deportato gli ebrei europei invece di sterminarli, se Haj Amin al Husseini, il mufti di Gerusalemme, non avesse messo in testa a Hitler l’idea della soluzione finale. Nella spudorata strumentalizzazione dell’olocausto e denigrando i palestinesi come peggiori dei nazisti, i leader israeliani “ridicolizzano il vero significato della tragedia ebraica”, osservò Isaac Deutscher dopo la guerra del 1967. Per giunta queste analogie contribuiscono a giustificare una brutalizzazione ancora peggiore ai danni del popolo palestinese. Il sadismo dell’attacco di Hamas ha reso questa nazificazione molto più facile, ridestando le memorie collettive, tramandate di generazione in generazione, dei pogrom e dell’olocausto. Era inevitabile che gli ebrei, sia in Israele sia nella diaspora, cercassero spiegazioni alla loro sofferenza nella storia della violenza antisemita. Il trauma intergenerazionale è reale tanto tra gli ebrei quanto tra i palestinesi, e l’attacco di Hamas ha toccato il punto più debole della loro psiche: la paura dell’annientamento. Ma la memoria può anche accecare. Da molto tempo gli ebrei non sono più dei paria indifesi, gli “altri” dell’occidente. Lo stato che dichiara di parlare in loro nome ha uno degli eserciti più potenti del mondo e un arsenale nucleare, l’unico nella regione. Le atrocità del 7 ottobre potrebbero ricordare i pogrom, ma Israele non è l’equivalente di una zona di residenza (la regione dell’impero russo Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Pop dove gli ebrei avevano il permesso di vivere). Come ha osservato lo storico Enzo Traverso, il popolo ebraico “occupa oggi una posizione pressoché unica nelle memorie del mondo occidentale. Le sue sofferenze sono riconosciute e sono oggetto di tutela legale, come se gli ebrei dovessero sempre essere soggetti a una legislazione speciale”. Data la storia della persecuzione antisemita in Europa, la preoccupazione occidentale per la vita degli ebrei è comprensibile. Ma quella che Traverso chiama la “religione civile dell’olocausto” va a discapito dell’attenzione verso i musulmani e di qualsiasi sincera riflessione sulla questione della Palestina. “Quello che distingue Israele, gli Stati Uniti e altre democrazie quando si tratta di situazioni difficili come questa”, ha detto l’11 ottobre il segretario di stato americano Antony Blinken, “è il nostro rispetto per il diritto internazionale e, dove opportuno, per il diritto di guerra”. Nel frattempo Israele stava onorando il diritto internazionale spianando quartieri e uccidendo intere famiglie, un invito a ricordare che, come ha scritto Aimé Césaire, “la colonizzazione lavora per decivilizzare il colonizzatore, per abbrutirlo nel senso proprio del termine”. ei giorni successivi all’attacco di Hamas l’amministrazione Biden ha promosso politiche di trasferimento della popolazione che potrebbero produrre un’altra nakba. Per esempio, ha sostenuto il reinsediamento, temporaneo sulla carta, di milioni di palestinesi nel Sinai in modo che Israele possa continuare il suo attacco contro Hamas (il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha replicato che se Israele fosse davvero interessato al benessere dei profughi di Gaza li trasferirebbe nel Negev, dal lato israeliano del confine con l’Egitto). A sostegno del suo attacco Israele ha ricevuto ulteriori carichi di armi dagli Stati Uniti, che hanno anche mandato due portaerei nel Mediterraneo orientale, come avvertimento ai principali alleati regionali di Hamas, l’Iran e l’organizzazione libanese Hezbollah. Il 13 ottobre il dipartimento di stato ha diffuso una nota interna che esorta i funzionari a non usare espressioni come “cessate il fuoco”, “fine della violenza” e “riportare la calma”. Pochi giorni dopo una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che chiedeva una “pausa umanitaria” a Gaza è stata prevedibilmente bloccata dal veto di Washington. Nel programma Face the nation della Cbs, Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, ha definito “successo” nella guerra “l’incolumità e la sicurezza a lungo termine dello stato e del popolo ebraico”, senza considerazione per l’incolumità e la continua apolidia del popolo palestinese. In uno straordinario lapsus, Sullivan ha praticamente appoggiato il diritto al ritorno palestinese: “Quando le persone lasciano la loro casa in un conflitto, meritano il diritto di tornarci. E questa situazione non è differente”. Forse, ma è improbabile, soprattutto se Hezbollah abbandonerà le cautele e si unirà alla battaglia, scenario che un’offensiva di terra israeliana rende più

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probabile. Il sostegno degli Stati Uniti all’escalation potrebbe avere un senso elettorale per Biden, ma porta con sé il rischio di provocare una guerra regionale. Fino alla devastante esplosione all’ospedale Al Ahli del 17 ottobre – per la quale Netanyahu ha subito incolpato i “barbari terroristi di Gaza” – gli articoli dei principali giornali statunitensi per lo più suonavano come comunicati stampa dell’esercito israeliano. Le crepe che avevano cominciato a fare spazio alla realtà palestinese, a parole come “occupazione” e “apartheid”, sono svanite: prova forse di quanto piccole e fragili fossero state queste vittorie retoriche. Il New York Times ha pubblicato un editoriale in cui sosteneva che Hamas ha attaccato Israele “senza una provocazione immediata” e presentava un ossequioso profilo di un generale israeliano in pensione che “ha preso la sua pistola e ha affrontato Hamas”: il suo consiglio all’esercito era di “spianare il terreno” a Gaza. Ancora una volta il quotidiano israeliano Haaretz ha mostrato la vigliaccheria dei mezzi d’informazione statunitensi, accusando il governo di Netanyahu “che annette ed espropria” di aver causato la guerra. I tre conduttori musulmani di Msnbc hanno temporaneamente smesso di andare in onda, a quanto pare per riguardo alle sensibilità israeliane. Rashida Tlaib, deputata palestinese-statunitense di Detroit, è stata accusata di guidare una “lobby pro-Hamas” a causa delle sue critiche all’esercito israeliano. Ci sono stati crimini d’odio contro i musulmani, alimentati almeno in parte da un’ondata di islamofobia a livelli senza precedenti dai tempi della guerra al terrore. Tra le sue prime vittime c’è stato un bambino palestinese di sei anni a Chicago, Wadea al Fayoume, ucciso dal padrone di casa in una presunta ritorsione per il 7 ottobre. In Europa esprimere sostegno per i palestinesi è diventato un tabù ed è stato criminalizzato. La Fiera del libro di Francoforte ha annullato la cerimonia di premiazione del romanzo Un dettaglio minore della scrittrice palestinese Adania Shibli, basato sulla storia vera di una ragazza beduina palestinese stuprata e uccisa dai soldati israeliani nel 1949. La Francia ha vietato le manifestazioni a favore della Palestina, e la polizia francese ha usato i cannoni ad acqua per disperdere una mobilitazione a sostegno di Gaza. La ministra dell’interno britannica Suella Braverman ha avanzato l’ipotesi di vietare l’esposizione della bandiera palestinese. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato che la “responsabilità derivante dall’olocausto” obbliga la Germania a “battersi per l’esistenza e la sicurezza dello stato di Israele” e ha incolpato Hamas di tutte le sofferenze di Gaza. Uno dei pochi funzionari occidentali ad aver espresso orrore per quello che succede a Gaza è stato Dominique de Villepin, ex primo ministro francese. Su France Inter si è scagliato contro “l’amnesia” dell’occidente sulla Palestina, “l’oblio” che ha permesso agli europei di immaginare che gli accordi economici e la compravendita di armi tra Israele e i suoi nuovi amici arabi nel Golfo avrebbero fatto sparire la questione palestinese. Il 14 ottobre Ione Belarra, ministra spagnola per i diritti sociali ed esponente del partito di sinistra Po-

NAZARIO GRAZIANO DA FOTO AFP/GETTY, REUTERS/CONTRASTO

demos, ha accusato Israele di punizione collettiva genocida e ha chiesto che Netanyahu sia processato per crimini di guerra. Ma Tlaib, Villepin e Belarra sono in netta minoranza rispetto ai politici e ai commentatori occidentali che si sono schierati con Israele in quanto parte “civilizzata” nel conflitto, che esercita il suo “diritto di autodifesa” contro gli arabi barbari. Parlare di occupazione, delle radici del conflitto, è sempre più equiparato all’antisemitismo. Gli ebrei “amici di Israele” potrebbero considerarlo un trionfo. Ma, come sottolinea Traverso, il sostegno acritico dell’occidente a Israele, e la sua identificazione con la sofferenza ebraica a scapito di quella dei palestinesi, finisce per far identificare gli ebrei con le classi dominanti. Peggio ancora, l’abbandono della neutralità sulla condotta di Israele espone gli ebrei della diaspora a un crescente rischio di violenza antisemita, sia di gruppi jihadisti sia di lupi solitari. La censura delle voci palestinesi lungi dal proteggere gli ebrei li farà sentire più in pericolo. Il sistema dei due pesi con cui è trattata la guerra nei mezzi d’informazione occidentali è speculare a quello nel mondo arabo e in gran parte del sud globale, dove il sostegno dell’occidente alla resistenza ucraina contro l’aggressione russa e il suo rifiuto di affrontare l’aggressione di Israele contro i palestinesi avevano già provocato accuse di ipocrisia (queste divisioni ricordano le fratture del 1956, quando il “mondo in via di sviluppo” si schierò con la lotta per l’autodeterminazione dell’Algeria, mentre i paesi occidentali appoggiavano la resistenza dell’Ungheria all’invasione sovietica). Nei paesi che hanno combattuto i regimi coloniali, la dominazione bianca e l’apartheid, la lotta palestinese per l’indipendenza in condizioni

di grottesca asimmetria risuona con forza. E poi ci sono gli ammiratori di Hamas nella sinistra “decoloniale”, molti dei quali comodamente sistemati nelle università in occidente. Alcuni di questi sembrano quasi ammaliati dalla violenza di Hamas e la definiscono come una forma di giustizia anticoloniale del tipo propugnato da Fanon in Della violenza, il controverso primo capitolo di I dannati della terra. “Cosa pensavate che significasse la decolonizzazione?”, ha chiesto su X (ex Twitter) la scrittrice somalo-statunitense Najma Sharif. “Sentimenti? Articoli? Saggi? Perdenti”. “La decolonizzazione non è una metafora”, hanno intonato i fan del Diluvio di Al Aqsa. Altri hanno lasciato intendere che i giovani al festival Supernova abbiano meritato quello che gli è successo, per aver avuto la sfacciataggine di organizzare una festa a pochi chilometri dal confine con la Striscia di Gaza. È vero che Fanon sosteneva la lotta armata contro il colonialismo, ma lui si riferiva all’uso della violenza da parte del colonizzato come “disintossicazione”, non “pulizia”, un errore di traduzione ampiamente diffuso. La sua interpretazione delle forme di violenza anticoloniale più sanguinarie era quella di uno psichiatra che diagnosticava una patologia vendicativa generata sotto l’oppressione coloniale piuttosto che dare una prescrizione. È naturale, scriveva Fanon, che “la persona a cui non si è mai smesso di dire che capiva solo il linguaggio della forza, decida di esprimersi con la forza”. Evocando l’esperienza fenomenologica dei combattenti anticoloniali, osservava che nelle fasi iniziali della rivolta “la vita può sorgere solo dal cadavere in decomposizione del colono”. Ma Fanon ha anche scritto in modo struggente degli effetti dei traumi di guerra, compreso quello subìto Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Pop INESE ZANDERE

è una poeta, editrice e autrice di libri per bambini e ragazzi lettone nata nel 1958. Questo testo è tratto dalla raccolta Mantojumi (“Eredità”, Neputns 2021), che nel 2022 ha vinto il Premio annuale di letteratura lettone. Traduzione dal lettone di Margherita Carbonaro.

dai ribelli anticoloniali che hanno ucciso civili. E in un passaggio avvertiva: Il razzismo, l’odio, il risentimento, ‘il legittimo desiderio di vendetta’ non possono alimentare una guerra di liberazione. Quei lampi nella coscienza che gettano il corpo per strade tumultuose, che lo lanciano in un onirismo quasi patologico in cui la faccia dell’altro m’invita alla vertigine, in cui il mio sangue richiama il sangue dell’altro, […] quella grande passione delle prime ore si sfascia se intende nutrirsi della propria sostanza. È vero che le interminabili angherie delle forze colonialiste reintroducono gli elementi emozionali nella lotta, offrono al militante nuovi motivi di odio, nuove ragioni di andar alla ricerca del ‘colono da far fuori’. Ma il dirigente si rende conto giorno per giorno che l’odio non potrebbe costituire un programma.

Fanon riteneva che per organizzare un movimento efficace i combattenti avrebbero dovuto superare le tentazioni della vendetta primordiale e sviluppare quella che Martin Luther King, citando Reinhold Niebuhr, chiamava “disciplina spirituale contro il risentimento”. La visione della decolonizzazione di Fanon abbracciava non solo i musulmani colonizzati, che si liberano dal giogo dell’oppressione coloniale, ma anche gli esponenti delle minoranze europee e gli ebrei (anche loro in precedenza un gruppo “indigeno” in Algeria), purché si unissero alla lotta di liberazione. In Un colonialismo morente Fanon ha reso omaggio ai non musulmani in Algeria che, insieme ai loro compagni musulmani, hanno immaginato un futuro in cui l’identità e la cittadinanza algerina sarebbero state definite da ideali comuni, non dall’etnia o dalla fede. Il fatto che questa visione sia scomparsa, grazie alla violenza francese e al nazionalismo islamico autoritario dell’Fln, è una tragedia dalla quale l’Algeria non si è ancora ripresa. La distruzione di questa visione, sostenuta da intellettuali come Edward Said e da una piccola ma influente minoranza di militanti di sinistra israeliani e palestinesi, è stata non meno dannosa per il popolo di Israele-Palestina. Lo storico palestinese Yezid Sayigh mi ha scritto in una email: Quello che mi riempie di angoscia è che ci troviamo a un punto cruciale nella storia del mondo. I profondi cambiamenti in atto da almeno due decenni, che hanno fatto sorgere movimenti (e governi) di destra e perfino fascisti, già si stavano accumulando, quindi io vedo il massacro di civili di Hamas come l’equivalente di Sarajevo nel 1914 o della notte dei cristalli del 1938 nell’accelerare o scatenare tendenze molto più ampie. Su una “scala minore”, sono infuriato con Hamas per aver sostanzialmente cancellato tutto quello per cui abbiamo combattuto per decenni, e inorridito da chi non è in grado di mantenere la facoltà critica di distinguere l’opposizione all’occupazione israeliana dai crimini di guerra, e da chi chiude un occhio su quello che ha compiuto Hamas nei kibbutz nel sud di Israele. Etnotribalismo.

Le fantasie etnotribaliste della sinistra “decoloniale” sono perverse. Come ha affermato lo scrittore palestinese Karim Kattan su Le Monde, sembra sia

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Poesia

alberi terra, fai di noi alberi e le radici si incontrino invisibili e profonde cielo, fai di noi alberi e i rami si tendano oltre le ferite dei tronchi venti, date agli alberi di diventare bosco dove l’uno sia rifugio all’altro sole, schiudi i nostri occhi incalzaci a far foglie a svernare poi ancora a far foglie tutto il resto sapremo sbrigarlo noi Inese Zandere

diventato impossibile per alcuni dei sedicenti amici della Palestina “dire: massacri come quello del festival Supernova sono un orrore inaudito, e Israele è una potenza coloniale feroce”. In un’epoca di sconfitta e smobilitazione, in cui le voci più estreme sono amplificate dai social network, il culto della forza sembra avere sopraffatto parti della sinistra, mandando in cortocircuito qualsiasi empatia per i civili israeliani. Ma il culto della forza della sinistra radicale è meno pericoloso, perché ha effetti meno significativi, di quello di Israele e dei suoi sostenitori. Per Netanyahu la guerra è una lotta per la sopravvivenza, sua e di Israele. Generalmente ha preferito manovre tattiche, evitando offensive su vasta scala. Pur avendo guidato Israele in diversi attacchi contro Gaza, Netanyahu è anche l’artefice dell’intesa con Hamas, una posizione che ha giustificato nel 2019 in un incontro con gli esponenti del Likud al parlamento, in cui ha affermato: “Chiunque voglia contrastare la creazione di uno stato palestinese deve sostenere il rafforzamento e il trasferimento di denaro a Hamas”. Netanyahu ha capito che finché il gruppo fosse stato al potere a Gaza non ci sarebbero stati negoziati sullo stato palestinese. L’offensiva di Hamas non solo ha infranto la sua scommessa sul fatto che il fragile equilibrio tra Israele e Gaza avrebbe tenuto; è arrivata in un momento in cui il primo ministro si stava difendendo contemporaneamente dalle accuse di corruzione e da un movimento di protesta scatenato dal suo progetto di erodere il potere della magistratura e ristrutturare il sistema politico sul modello del leader ungherese Viktor Orbán. Nel disperato tentativo di superare queste difficoltà si è lanciato nella guerra, definendola una “battaglia tra i figli della luce e i figli dell’oscurità, tra l’umanità e la legge della giungla”. I fascisti coloniali israeliani, rappresentati nel suo esecutivo da Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, entrambi espliciti sostenitori della pulizia etnica, dopo l’attacco di Hamas hanno ucciso diversi palestinesi in Cisgiordania (contando anche quelli uccisi dall’esercito il bilancio è di più di 60 morti). I cittadini palestinesi di Isra-

ele temono attacchi simili a quelli commessi da gruppi di estremisti ebrei nel maggio 2021 durante l’intifada dell’unità. Quanto alla popolazione di Gaza, non solo è costretta a pagare per le azioni di Hamas, ma è costretta, ancora una volta, a pagare per i crimini di Hitler. E l’imperativo di invocare l’olocausto è diventato l’Iron dome ideologico di Israele, lo scudo contro qualunque critica alla sua condotta. Qual è l’obiettivo di Netanyahu? Eliminare Hamas? È impossibile. Per quanto Israele si sforzi di dipingerla come il ramo palestinese del gruppo Stato islamico, e per quanto sia reazionaria e violenta, Hamas è un’organizzazione nazionalista islamica, non una setta nichilista, ed è parte della società politica palestinese; si nutre della disperazione prodotta dall’occupazione, e non può essere semplicemente liquidata, proprio come i fanatici fascisti nel governo di Netanyahu. Le uccisioni dei leader di Hamas non hanno ostacolato la crescente influenza dell’organizzazione, anzi l’hanno aiutata. Netanyahu immagina di poter costringere i palestinesi a rinunciare alle armi, o alla rivendicazione di uno stato, bombardandoli fino alla sottomissione? Non sarebbe il primo tentativo e il risultato è sempre stato una nuova e ancora più incattivita generazione di militanti palestinesi. Israele non è una tigre di carta, come hanno capito i leader di Hamas dopo il 7 ottobre, esultanti per aver ucciso soldati israeliani nei loro letti. Ma è sempre più incapace di cambiare rotta, perché alla sua classe politica mancano l’immaginazione e la creatività – oltre al senso di giustizia e il rispetto della dignità degli altri – necessarie per perseguire un accordo duraturo. Un’amministrazione statunitense responsabile, meno soggetta alle ansie per le prossime elezioni e meno vincolata all’establishment filoisraeliano, avrebbe approfittato della crisi per esortare Israele a rivedere non solo la sua dottrina di sicurezza ma an-

che le sue politiche verso l’unica popolazione del mondo arabo con cui non ha mostrato interesse a stringere una vera pace: i palestinesi. Invece Biden e Blinken hanno fatto eco alle banalità di Israele sulla lotta contro il male, dimenticando opportunamente la responsabilità di Israele per l’impasse politica in cui si trova. La credibilità statunitense nella regione, mai stata molto forte, è ancora più debole che sotto Donald Trump. Il 18 ottobre Joshua Paul, che per più di undici anni è stato direttore degli affari pubblici e dei parlamentari presso l’ufficio per gli affari politico-militari del dipartimento di stato, si è dimesso in polemica con i trasferimenti di armi a Israele. Un atteggiamento di “cieco sostegno a una sola parte”, ha scritto nella sua lettera di dimissioni, ha portato a politiche “miopi, distruttive, ingiuste e in contraddizione con i valori che sposiamo pubblicamente”. Non c’è da stupirsi che tra gli stati arabi gli unici ad aver criticato il Diluvio di Al Aqsa siano stati gli Emirati Arabi Uniti. I doppi standard statunitensi – e la spietatezza della reazione israeliana – l’hanno reso impossibile. La verità è che Israele non può estinguere la resistenza palestinese con la violenza, così come i palestinesi non possono vincere una guerra di liberazione in stile algerino: gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi sono inestricabilmente legati gli uni agli altri, a meno che Israele, la parte di gran lunga più forte, non costringa una volta per tutte i palestinesi all’esilio. L’unica cosa che può salvare il popolo di Israele e Palestina e impedire un’altra nakba – una possibilità reale, mentre un altro olocausto resta una traumatica allucinazione – è una soluzione politica che riconosca entrambi come cittadini uguali e gli consenta di vivere in pace e libertà, in un unico stato democratico, in due stati o in una federazione. Diversamente possiamo aspettarci solo un continuo deteriorarsi della situazione e una catastrofe ancora più grande. u fdl

Altri animali Leonardo Caffo

Nietzsche sullo stretto Secondo Friedrich Nietzsche l’animale, in quanto volontà di potenza pura, è qualcosa da cui l’essere umano ha da imparare. Molte di queste sue riflessioni sulla volontà di potenza sono state stimolate da un lungo soggiorno a Messina nel 1882, almeno così sembra dai suoi diari. Nel palazzo di via Cesare Battisti dove il filosofo abitò non c’è nessuna traccia del suo passaggio (come invece capita nella casa dove soggiornò a Torino). Di celebre, in quel palazzo, c’è solo una rosticceria. Lì, sullo stretto, Nietzsche scrisse gli Idilli di Messina,

una raccolta di otto poesie, l’unica sua opera strettamente poetica. “Sprofondarono sensi e pensieri / In un’eternità indistinta, / E un abisso senza confini / Si spalancò”, recita una delle poesie, in cui Nietzsche crea un’analogia meravigliosa tra il modo in cui pensava l’animale e quello con cui pensava lo stretto. Potenze pure, senza limiti né confini, che ci mostrano possibilità e alternative per l’esistenza su questo pianeta. Ecco una modesta proposta, senza nulla togliere agli arancini che si vendono dove ha vissuto il più grande filo-

sofo di sempre: una targa, un ricordo, qualcosa che spieghi la capacità che Nietzsche ha avuto, anche osservando il Mediterraneo, di dirci qualcosa di così profondo sulla natura, sugli animali, e dunque su noi stessi. Si potrebbe usare questo suo brano: “L’uomo chiese una volta all’animale: ‘Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della felicità?’. L’animale voleva rispondere e dice: ‘Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire’ – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l’uomo se ne meravigliò”. u

venga sul sito eurekaddl.skin Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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GIAPPONE: L’ARTE CONTEMPORANEA HA RADICI ANTICHE In Giappone si può andare per tanti motivi. Si può prendere un aereo e sbarcarvi alla ricerca del fascino del passato, ma anche vivere lo spaesamento del presente nelle aree più futuristiche delle città. Ci si può recare in un tempio per meditare su sé stessi e sul mondo, o si può partire alla ricerca dei miti dell’infanzia fatti dei colori sgargianti della gloriosa industria dell’animazione. Non tutti però sanno che il Giappone è il posto giusto per ammirare grande arte contemporanea, realizzata da artisti da tutto il mondo attirati da un contesto curioso e tendente a creare sintesi tra uomo e natura, tra società e individuo, tra destino e ambizione, tra diverse arti e procedure. Sono decine i luoghi in cui l’arte contemporanea si manifesta in un Paese che ha sempre, nella sua lunga storia, puntato a essere un’avanguardia. Si va dai grandi contenitori museali delle città – come il Tokyo National Art Center o l’iconico Mori Art Museum di Tokyo – ai parchi d’arte che lasciano ammirati o, anche, spiazzati. È il caso, per esempio, del parco di Yoro, che si trova nella prefettura di Gifu. Lì l’architetto Arakawa Shunsaku e l’artista Madeleine Gins hanno collocato nel 1995 il loro progetto più originale: il Site of Reversible Destiny, un luogo concepito per andare incontro all’inatteso. Si tratta di uno spazio di circa 18.000 metri quadrati, formato da un padiglione principale – Critical Resemblance House – e un grande Campo ellittico, con nove padiglioni. Entrati in questa struttura ci si trova in un universo magico fa perdere le coordinate, invitando il visitatore a mettere in discussione l’orientamento spaziale e spirituale della propria vita. La caratteristica di molti dei luoghi dell’arte in Giappone è la capacità di mettere insieme natura e tecnica, tradizione e contemporaneità. Un caso paradigmatico è il Benesse Art Site di Naoshima, che organizza tra l’altro la Setouchi Triennale, il festival di arte contemporanea che si tiene tra le isole del Mare interno di Seto. Questa struttura è al centro di una rete collocata nelle diverse isole, in un contesto naturalistico estremamente suggestivo e in qualche modo reso famoso anche all’estero grazie a Drive My Car, il film premio Oscar del regista Ryusuke Hamaguchi. Tra queste isole è possibile imbattersi in opere significative. A Teshima è esposta l’installazione Matrix della scultrice Naito Rei all’interno del Teshima Art Museum progettato da Nishizawa Ryue. Due opere in diretto dialogo tra loro e assieme comunicanti con l’opera più grande che le sovrasta tutte: la natura.

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Four Seasons Arcade Aomori Contemporary Art Center

Echigo Tsumari Art Tunnel Niigata

Oppure è possibile recarsi a Les Archives du Coeur (Gli Archivi del Cuore), progetto lanciato dall’artista franco-ucraino Christian Boltanski e aperto al pubblico nel 2008. I visitatori vi possono registrare e donare i loro battiti del cuore, ricevendo un CD in cui questi sono incisi. L’artista, archiviando il pulsante suono dei cuori di tutti i visitatori, punta a creare una memoria condivisa – al di là della nazionalità, dello status sociale, del percorso di vita – affinché tutti i partecipanti si sentano parte di quell’insieme che è l’“umanità”. Il concetto di base è quello della relazione, che è una costante nella cultura giapponese. “Kizuna” (絆)” è un legame, un vincolo che si crea attraverso gli umani, inseriti in un continuum con la natura. È questo lo spirito, per esempio, di un evento come l’Echigo Tsumari Triennale: ogni tre anni la campagna della prefettura di Niigata è “invasa” dalle installazioni di artisti provenienti da tutto il mondo. Spesso gli artisti sono chiamati a realizzare le proprie opere in appezzamenti di terreno di proprietà di residenti locali e non è raro che gli abitanti del luogo finiscano con il contribuire alla messa in posa dell’opera. Sempre, nella stessa zona del Giappone, è possibile visitare il museo “più veloce” mai pensato. Si tratta del Genbi Shinkansen, un treno che copre a 210 km all’ora i circa 54 minuti tra le stazioni di Echigo Yuzawa e Niigata. All’interno di questo treno sono esposte opere di otto artisti, per fare un viaggio che non sia soltanto uno spostamento del corpo, ma anche dell’anima. E per non dimenticare che il Giappone è un paese che, oltre ad apprezzare la contemplazione, ama anche la velocità.

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The National Art Center Tokyo - Copyright Jonas Jacobsson

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Scienza FISIOLOGIA

Cosa succede quando sbadigliamo Lena Toschke, Die Zeit, Germania Sbadigliare non offre vantaggi evidenti a livello evolutivo e non è chiaro perché lo facciamo. Ma i ricercatori cominciano a fare luce su questo fenomeno e avanzano nuove ipotesi badigliamo una decina di volte al giorno, ognuna delle quali dura in media sei secondi. In totale ammonterebbe a un minuto di sbadigli al giorno, ma di solito succede solo quando siamo stanchi o annoiati. Cominciamo a farlo già nel grembo materno, come ha dimostrato uno studio olandese. Lo sbadiglio si può suddividere in tre fasi, dice Ulrich Gößler, otorinolaringoiatra e medico del sonno: “Una lunga fase di inspirazione, un breve momento apicale e una corta fase espiratoria”. Per riflesso spalanchiamo la bocca e inspiriamo profondamente, e nel frattempo tendiamo la muscolatura facciale. Gli occhi possono lacrimare, e a causa della chiusura delle trombe di Eustachio, che collegano l’orecchio medio alla rinofaringe, il nostro udito peggiora per un attimo. Dal punto di vista evoluzionistico lo sbadiglio sembra svantaggioso, dato che tra l’altro risulta poco attraente. Allora perché lo facciamo? Nell’antica Grecia, Ippocrate suppose che sbadigliando i polmoni espellono “l’aria cattiva” (cioè l’anidride carbonica). Dal punto di vista fisiologico è vero. Ma la tesi secondo cui lo scopo dello sbadiglio sia aumentare la quantità di ossigeno nel sangue è stata confutata dal neuropsicologo Robert Provine nel 1987. Provine fece respirare a un campione di persone aria con un alto tasso di anidride carbonica e aria normale, confrontando poi la frequenza degli sbadigli. Risultò che i soggetti respiravano più velocemente, ma non sbadigliavano più spesso. Secondo un’altra teoria sbadigliare ci aiuterebbe a rimanere vigili. Adrian Gug-

CONEYL JAY (GETTY)

S

gisberg, neurologo dell’Inselspital di Berna, in Svizzera, l’ha messa alla prova misurando i flussi cerebrali di alcune persone che sedevano in una stanza buia. “Più i soggetti erano stanchi, più onde delta apparivano nei loro encefalogrammi – e più frequentemente sbadigliavano. Ma le onde delta rimanevano costanti anche dopo gli sbadigli”, dice. Cosa succede esattamente nel cervello quando sbadigliamo è ancora oggi poco chiaro. “È una complessa interazione tra diverse regioni del cervello”, dice Guggisberg. “Si ritiene che l’esecuzione motoria dello sbadiglio sia diretta dal tronco encefalico”. Ma sarebbero coinvolte anche l’ipofisi e l’ipotalamo. Quest’ultimo produce l’ossitocina, l’ormone associato all’affettività, che viene immagazzinata nell’ipofisi e che come la dopamina ha scatenato degli sbadigli negli esperimenti con i ratti. Quindi lo sbadiglio ha una funzione sociale? Probabilmente sì, dice Guggisberg: per questo è contagioso. “Quando vediamo qualcuno sbadigliare, i lobi frontali e temporali del nostro cervello si attivano. Sono le stesse aree responsabili dell’em-

patia”. Gli studi hanno dimostrato che le persone più empatiche sono contagiate più facilmente dagli sbadigli degli altri. I pazienti autistici e schizofrenici, invece, lo sono meno.

Aria fresca Forse la teoria più sorprendente viene da Andrew Gallup, professore di psicobiologia alla State university di New York: “Abbiamo scoperto che sbadigliare abbassa la temperatura del cervello, e che più l’ambiente circostante è caldo, più spesso sbadigliamo”. Gallup ha studiato la durata dello sbadiglio di più di cento specie di mammiferi e uccelli. “C’è una correlazione molto evidente tra la durata dello sbadiglio di un animale e le dimensioni e la complessità del suo cervello”. Gli animali con cervelli più grandi devono sbadigliare più a lungo per rinfrescare il loro cervello, ipotizza lo scienziato. Non è ancora stata detta l’ultima parola sugli sbadigli. Ma se Gallup ha ragione, allora con il cambiamento climatico e le ondate di calore dovremmo anche sbadigliare di più. E succederà soprattutto ai capodogli. u as Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

Scienza NASA

PALEOGENETICA

TECNOLOGIA

Più malattie con l’agricoltura

L’enciclopedista artificiale

L’incidenza delle malattie infettive tra gli esseri umani sarebbe aumentata con l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento. Uno studio preliminare pubblicato su bioRxiv ha esaminato 1.300 resti umani rinvenuti in Eurasia, risalenti fino a 37mila anni fa. In due terzi dei campioni sono state trovate tracce genetiche di oltre 2.400 specie di batteri, virus e parassiti. Tra questi ci sono germi veicolati dal cibo, come i batteri Yersinia enterocolitica e Shigella, che causano infezioni intestinali, e patogeni trasmessi dagli animali, come il Plasmodium vivax della malaria ricorrente e la Yersinia pestis della peste. Ricostruendo come queste malattie si sono diffuse si nota un aumento a partire da circa 6.500 anni fa, con un picco in coincidenza dell’insediamento dei pastori provenienti dalla steppa eurasiatica, circa cinquemila anni fa. La ricerca non tiene conto dei virus a rna come quelli dell’influenza e i coronavirus, ma fornisce la prima prova diretta della relazione tra domesticazione degli animali e diffusione di malattie infettive a partire dall’età della pietra.

Nature Machine Intelligence, Regno Unito L’intelligenza artificiale potrebbe aiutare gli esseri umani nella revisione delle voci di Wikipedia. Un software chiamato Side, attualmente disponibile solo per l’inglese, è stato sviluppato per migliorare la verificabilità dei testi già presenti nell’enciclopedia online, valutando la qualità delle fonti che dovrebbero accompagnare ogni affermazione. Quando Side esamina un passo dell’enciclopedia, cerca in un elenco di documenti disponibili su internet, e se trova una fonte che considera migliore di quella citata la propone al revisore umano, che può accettare il suggerimento o ignorarlo. Il programma si basa su una rete neurale ed è stato allenato sulle voci di Wikipedia considerate esempi da seguire per la citazione delle fonti, per poi essere sperimentato su voci nuove. Un test ha mostrato che in circa la metà dei casi le citazioni esistenti erano le stesse individuate da Side come le migliori. Quando il software ha proposto nuove fonti, nel 10 per cento dei casi i revisori umani hanno preferito quelle vecchie, nel 20 per cento quelle nuove e nel 40 per cento dei casi non hanno espresso preferenze. ◆

IN BREVE

MARCIAL QUIROGA-CARMONA

Astronomia La Luna potrebbe avere circa 40 milioni di anni in più rispetto a quanto si pensava. Secondo uno studio pubblicato su Geochemical Perspectives Letters, il satellite terrestre si è formato almeno 4,46 miliardi di anni fa. La stima si fonda sull’analisi dei piccoli cristalli contenuti nei campioni di polvere lunare raccolti dagli astronauti della missione Apollo 17 (nella foto Harrison Schmitt) nel 1972. Antropologia In Europa gli esseri umani si sono nutriti per millenni di alghe e piante acquatiche. Secondo Nature Communications l’uso di queste risorse alimentari è stato abbandonato solo di recente, durante il periodo medievale. Lo studio, basato sull’analisi chimica del tartaro di denti ritrovati nei siti archeologici, potrebbe essere utile a identificare le specie commestibili.

ASTRONOMIA

BOTANICA

Un lampo dal passato

Nelle felci del genere pteride è stata scoperta una famiglia di proteine con proprietà insetticide. Queste molecole hanno una struttura simile a quelle prodotte dal batterio Bacillus thuringiensis, che hanno effetti tossici per gli insetti. Le proteine delle felci agiscono soprattutto contro i parassiti del mais e della soia, e potrebbero quindi essere sfruttate per proteggere queste coltivazioni, scrive Pnas.

Un radiotelescopio australiano ha intercettato il lampo radio veloce (fast radio burst) più potente e lontano mai rilevato. Ha percorso il cosmo per circa otto miliardi di anni, emettendo una quantità di energia 3,5 volte superiore a quella massima prevista dalle teorie cosmologiche. Il lampo potrebbe essere stato originato dalla collisione tra un gruppo di galassie, spiega Science. Lo studio di questi fenomeni permette di risalire alle condizioni dell’universo primordiale.

L’insetticida delle felci ZOOLOGIA

Topi d’alta quota Si pensa che i topi della specie Phyllotis vaccarum (nella foto) possano vivere a più di seimila metri di altezza, un record per i mammiferi, scrive Current Biology. Alcuni esemplari mummificati sono stati trovati sulla cima di tre vulcani nella regione andina della Puna de Atacama, al confine tra Cile e Argentina, fino a una quota di 6.233 metri. In precedenza era stato catturato un topo vivo sul vulcano Llullaillaco, a 6.739 metri. Non è chiaro perché gli animali si spingano ad altitudini così estreme.

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TIMM REICHERT (REUTERS/CONTRASTO)

Il diario della Terra Il nostro clima

L’ora del solare

Foreste Nel 2022 nel mondo sono stati distrutti circa 6,6 milioni di ettari di foresta, il 4 per cento in più rispetto all’anno precedente. Per la maggior parte (4,1 milioni di ettari) erano foreste primarie. Preoccupa inoltre la situazione della foresta amazzonica, che potrebbe essere vicina a un punto di declino irreversibile. Alla 26a conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop26) nel 2021 più di cento paesi si erano impegnati a fermare la deforestazione entro il 2030, ma molti non sono ancora sulla traiettoria giusta. Tuttavia più di cinquanta stati, tra cui l’Indonesia e la Malaysia, potrebbero raggiungere l’obiettivo. In alcune regioni, come l’Europa e il Nordamerica, le foreste sono invece sempre più spesso minacciate dagli incendi. Nella foto: una foresta in Germania.

Radar

In Alaska scompaiono i granchi

Tempeste La tempesta Babet ha investito l’Europa nordoccidentale, causando danni e inondazioni che hanno ucciso otto persone nel Regno Unito e una in Germania.

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Granchi La popolazione di granceola artica (Chionoecetes opilio) nel mare di Bering orientale si è ridotta del 90 per cento tra il 2018 e il 2021, perdendo dieci miliardi di esemplari. Il fenomeno potrebbe essere dovuto alle temperature eccezionalmente alte raggiunte dall’acqua tra il 2018 e il 2019: il caldo ha accelerato il metabolismo dei granchi, che non hanno trovato cibo sufficiente per sopravvivere. Nuove ondate di calore potrebbero far scomparire del tutto i granchi dalla regione, con conseguenze disastrose per l’industria della pesca in Alaska.

Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

Cicale L’emergere di una generazione eccezionalmente numerosa di cicale del genere Magicicada (nella foto), che in Nordamerica si ripete ogni 13 o 17 anni a seconda delle specie, ha conseguenze a cascata su tutto l’ecosistema. Secondo uno studio che ha analizzato l’evento del 2021, l’improvvisa abbondanza di questi animali spinge gli uccelli insettivori a trascurare altre prede abituali, come i bruchi, che sopravvivono in numero maggiore. Questo a sua volta influenza i cicli vitali delle piante di cui i bruchi si nutrono, e quindi il resto della catena alimentare.

MARTHA WEISS/GEORGETOWN UNIVERSITY

Cicloni L’uragano Otis si è abbattuto sulla costa occidentale del Messico, provocando gravi danni nella regione di Acapulco. ◆ Il ciclone Hamoon ha ucciso almeno due persone nel sudest del Bangladesh. Più di 270mila persone hanno dovuto lasciare le loro case. ◆ Il ciclone Tej ha provocato almeno due vittime e diecimila sfollati nel sudest dello Yemen.

Terremoti Un sisma di magnitudo 6,1 ha colpito Katmandu, in Nepal, senza causare vittime. Altre scosse sono state registrate in Nuova Zelanda, Islanda, Taiwan e nella provincia cinese del Gansu.

◆ L’energia solare è destinata a diventare la fonte di elettricità più economica e più diffusa entro il 2050. È la conclusione di uno studio pubblicato su Nature Communications che ha analizzato gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni. Tra il 2010 e il 2020 il costo del solare fotovoltaico è diminuito in media del 15 per cento ogni anno, mentre la capacità installata è aumentata del 25 per cento all’anno. La diffusione di questa tecnologia porta al suo miglioramento e alla diminuzione dei costi, che a loro volta favoriscono l’installazione di altri impianti. Questo circolo virtuoso potrebbe continuare per anni anche senza interventi degli stati. Dato che l’energia solare e quella eolica sono intermittenti, nei prezzi bisogna includere anche il costo per conservare l’energia, per esempio immagazzinandola nelle batterie o usandola per produrre idrogeno. Secondo le stime degli autori tra il 2023 e il 2027 il solare ad accumulo potrebbe diventare la fonte di energia più economica quasi ovunque, a parte l’Europa settentrionale e la Groenlandia, dove l’eolico continuerà a essere più conveniente. I ricercatori indicano quattro fattori principali che possono ostacolare l’espansione del fotovoltaico: l’inadeguatezza delle attuali reti elettriche, la difficoltà di accedere ai finanziamenti, le incertezze sull’approvvigionamento delle materie prime necessarie e le disuguaglianze socioeconomiche legate alla competizione per la terra e le risorse idriche e alla perdita di posti di lavoro.

Il pianeta visto dallo spazio 24.02.2023

San Salvador, El Salvador Nord 3 km

Colata di lava del 1917

Vulcano San Salvador San Salvador

EARTHOBSERVATORY/NASA

Lago Ilopango

◆ Lungo la costa occidentale dell’America Centrale una ca­ tena di vulcani si estende per più di mille chilometri dal Guatemala a Panamá. È l’arco vulcanico centroamericano, formato dalla subsidenza tra la placca tettonica di Cocos e quella caraibica. Fa parte della cintura di fuoco del Pacifico, una fascia geologicamente at­ tiva lunga quarantamila chilo­ metri che circonda questo oceano. Il Salvador ha una superfi­ cie di appena ventimila chilo­ metri quadrati, ma il suo terri­ torio conta ben venti vulcani. Il più attivo è il San Miguel, che ha eruttato l’ultima volta nel

maggio 2023. Questa immagi­ ne, scattata dal satellite Land­ sat 8, mostra l’area metropoli­ tana della capitale del paese, San Salvador, che ospita 6,6 milioni di persone e sorge in un panorama dominato da co­ ni e caldere. Appena a ovest della città, l’omonimo vulcano raggiunge i 1.900 metri di altezza. La sua eruzione più recente, nel 1917, generò una colata di lava anco­ ra visibile sul fianco settentrio­ nale del cono e causò la morte di più di mille persone. L’even­ to fu preceduto da un terremo­ to di magnitudo 6,3 che durò 35 minuti e provocò altre mille vittime. Scosse di forte intensi­

La capitale del Salvador sorge in corrispondenza dell’arco vulcanico centroamericano, una fascia geologicamente attiva formata dallo scontro tra due placche tettoniche



tà hanno colpito San Salvador anche nel 1965, nel 1986 e nel 2021, distruggendo molti dei suoi edifici storici. Il lago Ilopango, a est della città, è uno dei più grandi del paese. Si è formato nella calde­ ra lasciata da una potentissima eruzione vulcanica avvenuta al tempo dei maya. Fino a pochi anni fa si credeva che le emis­ sioni provocate dall’eruzione dell’Ilopango fossero state la causa di un decennio di freddo anomalo nell’emisfero setten­ trionale cominciato verso il 540 dopo Cristo, ma uno stu­ dio del 2020 ha situato l’even­ to più di un secolo prima, in­ torno al 431 dopo Cristo.–Nasa

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Economia e lavoro

CFOTO/FUTURE PUBLISHING/GETTY IMAGES

Huai’an, Cina, 5 ottobre 2023

CINA

I segnali di una crisi che sembrava impossibile Greg Ip, The Wall Street Journal, Stati Uniti Finora la Cina è riuscita a controllare i problemi finanziari perché le banche e i capitali sono nelle mani dello stato. Ma tutto cambierebbe se i cittadini non si fidassero più del governo ella seconda economia mondiale il sistema bancario è pesantemente coinvolto in una bolla immobiliare e ha prestato denaro ad amministrazioni locali che non riescono a ripagare i loro debiti. In qualunque altro paese questa situazione sarebbe interpretata come il segnale di una crisi finanziaria. Ma tutti dicono che la Cina ne è al riparo, perché il suo debito appartiene a investitori locali, il governo sostiene già gran parte del sistema finanziario e al comando ci sono abili tecnocrati. Il senso comune però rischia di essere smentito. È vero che difficilmente ci sarà un crollo come quello che si scatenò nel 2008 dopo il fallimento della Lehman Brothers negli Stati Uniti. Tuttavia gli squilibri finanziari in Cina sono così estesi da averla

N

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spinta in un territorio sconosciuto. Non sappiamo quanto l’economia e la leadership del paese oggi concentrata nelle mani del presidente Xi Jinping siano in grado di districarsi in queste difficoltà. La portata del problema emerge da una serie di studi del Fondo monetario internazionale (Fmi). In primo luogo, anche se nel terzo trimestre del 2023 la Cina ha registrato una crescita del 4,9 per cento, più alta rispetto alle attese, le sue prospettive a medio termine sono peggiorate: l’Fmi prevede nei prossimi quattro anni una crescita media del 4 per cento, in diminuzione rispetto a un anno fa, quando si parlava del 4,6 per cento. L’Fmi, inoltre, ha rivisto i dati sul deficit pubblico, che nei prossimi cinque anni passerà dal 7,1 al 7,8 per cento del pil. I problemi non riguardano il governo centrale, ma le amministrazioni locali, che hanno contratto enormi debiti fuori bilancio per finanziare progetti edilizi urbani. Ora le loro passività sono pari al 45 per cento del pil, ma se fossero inglobate nel debito nazionale cinese, il totale arriverebbe al 149 per cento del pil entro il 2027. Le amministrazioni locali, inoltre,

hanno avuto difficoltà a ripagare i debiti perché le vendite dei terreni, la principale fonte delle loro entrate, si è esaurita. Secondo le stime dell’Fmi, il 30 per cento degli strumenti di finanziamento delle amministrazioni locali non è “sostenibile senza l’aiuto del governo centrale”. Questo è un grosso problema per le banche cinesi, che detengono circa l’80 per cento di quei debiti. L’Fmi stima che anche solo la metà dei costi di ristrutturazione del debito comporterebbe per le banche svalutazioni pari a 465 miliardi di dollari. Le banche cinesi non sono capitalizzate bene: una recessione ne indebolirebbe in modo significativo il capitale, come dimostrano gli stress test condotti dall’Fmi sulle banche di tutto il mondo. L’istituto ha simulato uno scenario con una crescita media dell’1 per cento in tre anni, invece del 5 per cento, e i valori immobiliari in calo: il risultato è che il coefficiente patrimoniale delle banche cinesi (il rapporto tra patrimonio e attività) passerebbe dall’11 per cento del 2022 al 7,1 per cento nel 2025, il dato peggiore di tutti i paesi sottoposti agli stress test. C’è la possibilità che con l’aumentare delle perdite sui prestiti, le banche tendano a concedere meno finanziamenti. A quel punto le amministrazioni locali, non potendo più ricevere crediti, taglierebbero sugli investimenti e i servizi sociali.

Indebitato con se stesso Quant’è probabile questo scenario? Le crisi finanziarie in America Latina negli anni ottanta, nel sudest asiatico negli anni novanta e nell’eurozona negli anni duemila furono amplificate dalla fuga di capitali stranieri. La Cina, al contrario, è un prestatore netto verso il resto del mondo ed esercita un rigido controllo sui flussi di capitale in entrata e in uscita. Il paese è indebitato con se stesso. Le banche, inoltre, sono in larga misura possedute o controllate dal governo centrale o dalle amministrazioni locali, che presumibilmente non le lascerebbero fallire, impedendo corse agli sportelli e panico. Nell’ultima crisi bancaria cinese di vent’anni fa i prestiti in sofferenza furono trasferiti a enti statali di gestione patrimoniale. A volte, però, le crisi finanziarie scoppiano perché gli investitori interni fuggono. Non sono sempre rapide e violente, come la crisi finanziaria globale del 2008. Alcune si sviluppano nell’arco di anni, co-

SVEZIA

FISCO

Il rimpianto dell’euro

I miliardari pagano poco

Gli svedesi non sono più convinti di aver fatto bene a rifiutare l’adozione nell’euro nel 2003, quando con un referendum scelsero di tenersi la corona. Oggi, scrive la Reuters, molte persone nel paese scandinavo, perfino tra chi vent’anni fa votò contro l’euro, rimpiangono quella scelta, perché “la valuta nazionale sta penalizzando il paese”. In tutti questi anni la corona ha perso quasi il 25 per cento rispetto all’euro: una pessima notizia se si considera il fatto che “il 69 per cento delle importazioni svedesi arriva dall’Unione europea e i rincari dei beni comprati all’estero contribuiscono ad alimentare l’inflazione”. La questione di un’adesione all’euro, comunque, non è all’ordine del giorno, aggiunge la Reuters. “Ci vorrebbero anni in ogni caso prima che Stoccolma possa passare alla moneta unica. Sicuramente il paese non potrebbe farlo prima del 2028. Tuttavia il tema interessa l’opinione pubblica, visto che oggi solo il 47 per cento degli svedesi è contrario all’euro, contro il 54 per cento dello scorso maggio e il 58 per cento del giugno 2022. Grazie ai conti pubblici in perfetto ordine e a un debito pubblico pari appena al 32 per cento del pil, la Svezia sarebbe uno dei paesi più forti dell’eurozona”.

Newsletter Economica è la newsletter settimanale di Internazionale che racconta cosa succede nel mondo dell’economia. Per riceverla: internazionale.it/newsletter

Malaga, Spagna

JOHN KEEBLE (GETTY)

me successe in Spagna negli anni settanta e negli Stati Uniti negli anni ottanta. Le radici dell’enorme debito cinese, tuttavia, sono un caso da manuale di azzardo morale (quando si fa un’operazione rischiosa perché le conseguenze ricadranno su altri). I costruttori e le amministrazioni locali hanno potuto contrarre prestiti così elevati perché i finanziatori hanno dato per scontato che Pechino li avrebbe salvati. Quest’assunto si basa però su garanzie non scritte. Secondo Logan Wright, direttore della ricerca sulla Cina per il centro studi Rhodium group, una crisi finanziaria nel paese asiatico non avrà origine da uno shock esterno o da un’improvvisa svalutazione dei patrimoni. Succederà invece quando investitori che avevano dato per scontato l’intervento del governo scopriranno che questo non ci sarà. “In passato il settore immobiliare era considerato troppo grande per fallire, finché la percezione delle priorità politiche di Pechino è improvvisamente cambiata”, spiega Wright. “A quel punto sono emersi molto rapidamente i rischi relativi al credito ed è aumentato lo scetticismo sulla solidità finanziaria di un numero crescente di costruttori”. Mentre il governo ritira il suo sostegno implicito ad attività marginali, aggiunge Wright, gli investitori potrebbero presumere che farà lo stesso anche per le piccole banche, i mutui e le amministrazioni locali. I vertici cinesi sono consapevoli di questi rischi e hanno adottato misure provvisorie per ristrutturare i debiti delle amministrazioni locali e spingere i costruttori in difficoltà a portare a termine i loro progetti. Tuttavia i debiti sono troppo alti e la crescita troppo lenta perché la Cina possa nascondere i crediti inesigibili sotto il tappeto come fece vent’anni fa, osserva Martin Chorzempa, esperto di Cina del Peterson institute for international economics: “Sono preoccupato dalla fuga di talenti, dalla riduzione degli indicatori economici resi pubblici e dalla riduzione dello spazio per il dibattito economico in Cina. Questo mi fa temere che il governo non abbia un quadro chiaro della situazione”. Che implicazioni ci sono per gli altri paesi? Il sistema finanziario cinese è poco connesso con il resto del mondo, ma è gigantesco. Se dovesse cominciare a vacillare, in un modo o nell’altro le onde d’urto si farebbero sentire anche all’estero. u gim

La classe media paga, i miliardari no, scrive Die Tageszeitung nel presentare uno studio dell’Osservatorio fiscale europeo, il centro studi sugli abusi fiscali nell’Unione europea guidato dall’economista francese Gabriel Zucman. In realtà oggi è più difficile nascondere le ricchezze nei paradisi fiscali, dal momento che le autorità nazionali si scambiano automaticamente i dati dei contribuenti. Il problema, spiega l’osservatorio, è che nei paesi di residenza i miliardari sono tassati poco: possono fondare aziende con cui nascondere i profitti. Secondo l’Osservatorio, i miliardari hanno un carico fiscale che corrisponde al massimo allo 0,5 per cento del loro patrimonio. Per questo Zucman propone di introdurre un’imposta minima globale sui patrimoni pari al 2 per cento, simile a quella del 15 per cento varata per i profitti delle multinazionali. Lo studio dell’osservatorio ha anche realizzato una mappa mondiale dell’elusione fiscale: nel solo 2022 le grandi imprese hanno nascosto al fisco mille miliardi di dollari. u GERMANIA

La Ig Metall sceglie Benner Dopo più di 130 anni di storia il più importante sindacato tedesco sarà guidato da una donna: Christiane Benner, 55 anni, è stata eletta il 23 ottobre dal congresso nazionale della Industriegewerkschaft Metall (Ig Metall, la federazione dei metalmeccanici, che ha 2,1 milioni di iscritti) con

il 96,4 per cento dei voti. Un grande traguardo non privo di rischi, commenta la Süddeutsche Zeitung, visto che Benner arriva ai vertici della Ig in un periodo molto difficile per l’industria tedesca, alle prese con il rincaro dell’energia e con la transizione ecologica, che potrebbe costare benessere e posti di lavoro. Per esempio nel settore automobilistico, che ha di fronte la grande sfida dell’avvento del motore elettrico.

venga sul sito eurekaddl.skin

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dal Manifesto Montura

Searching for a new way

montura.com

Hervé Barmasse – photo: Alex D’emilia

«Siamo appassionati di outdoor e montagna impegnati ad onorare, rispettare e proteggere le persone e l’ambiente.»

Peanuts, 1960 Charles M. Schulz, Stati Uniti

Buni Ryan Pagelow, Stati Uniti

War and Peas E. Pich e J. Kunz, Germania

Strisce

Mafalda, 1964 Quino, Argentina

PEANUTS ©PEANUTS WORLDWIDE LLC. DIST. DA ANDREWS MCMEEL SYNDICATION. RIPRODUZIONE AUTORIZZATA. TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2023, SUCESORES DE JOAQUÍN S. LAVADO (QUINO)

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L’oroscopo

Rob Brezsny L’autore dello Scorpione Ófeigur Sigurðsson scrive: “Non dovresti fare sempre ciò che ci si aspetta da te. Ci sono molti percorsi nella vita oltre a quello che hai da‑ vanti”. Non suggerirei questo atteggiamento a nessun altro se‑ gno zodiacale se non allo Scorpione. E lo consiglierei solo al 40 per cento degli Scorpioni il 10 per cento delle volte. Le prossime settimane fanno parte di quel 10 per cento. Quindi, preparati a vivere in modo originale e fantasioso come non hai mai fatto. Suggerimento per il costume di Halloween: un unicorno, un drago o una fenice.

ARIETE

Il lavoro sull’ombra (shadow work) è una pratica psicolo‑ gica che mi è stata estremamente utile. Consiste nell’esplorare i lati oscuri dell’anima ed entrare in contatto con le sue parti più im‑ mature e ferite. Impegnarmi in questo difficile lavoro permette al‑ le mie qualità peggiori di non prendere il sopravvento. Te ne parlo, Ariete, perché le prossime settimane saranno un momento favorevole per questo lavoro. Sug‑ gerimento per il costume di Hal‑ loween: la tua ombra, il tuo demo‑ ne o il tuo io immaturo.

ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI

TORO

Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno messo al ban‑ do più di 2.500 libri. Sono inorri‑ dito dall’ignoranza di questo auto‑ ritarismo. Ma c’è stato un lato di‑ vertente: a volte questo provvedi‑ mento ha causato un aumento delle vendite. È stato così per Gender queer di Maia Kobabe (più 130 per cento) e per Maus 1 e Maus 2 di Art Spiegelman (più 50 per cen‑ to). Spero che questo ti ispiri nelle prossime settimane. Se qualcuno cerca di reprimerti o respingerti, continua a fare quello che stai fa‑ cendo ancora meglio. Usa la sua ostilità per aumentare la tua forza. Suggerimento per il costume di Halloween: un ribelle, un dissi‑ dente o un contestatore. GEMELLI

Ti senti trattato ingiusta‑ mente sul lavoro? Il tuo po‑ sto di lavoro può essere dannoso per la salute? È plausibile che qualche piccola innovazione pos‑ sa determinare un grande miglio‑

ramento del tuo stato d’animo mentre lavori? Raramente c’è un momento perfetto per affrontare questi problemi, ma le prossime settimane saranno più favorevoli del solito. Se decidi di introdurre dei cambiamenti, escogita una strategia infallibile. Suggerimento per il costume di Halloween: una persona che fa il tuo lavoro ideale. CANCRO

L’umorista del Cancro Da‑ ve Barry afferma che da vecchio vuole “rimanere immatu‑ ro”. Questo sentimento si basa forse sul fatto che il suo umorismo è spesso infantile e sciocco (però mi piace!). Immagino che sia an‑ che perché aspira a rimanere gio‑ vane, innocente e facile da sor‑ prendere. Te lo dico, amico Can‑ cerino, perché le prossime setti‑ mane saranno un ottimo momen‑ to per celebrare e onorare le parti di te che non sono ancora in piena fioritura. Che ne diresti di rivivere alcune gioie dell’infanzia e dell’a‑ dolescenza? Suggerimento per il costume di Halloween: il tuo io più giovane.

nedizioni, aiuto e fortuna. Acces‑ sori per il costume di Halloween: un quadrifoglio, una ghianda, un occhio di tigre, una chiave della vita, un drago, un Budda che ride, una statua di Ganesha e un ferro di cavallo. VERGINE

Non ci sarebbe vita sulla Terra se non fosse per il So‑ le. È la forza vitale che consente la nascita e il sostentamento di tutti gli esseri umani, gli animali e le piante. Eppure dobbiamo evitare di riceverne troppa. Un eccesso di calore e radiazione solare può cau‑ sare siccità, disidratazione, cancro della pelle e incendi. Ci sono altri elementi nella tua sfera che sono nutrienti in quantità moderata ma malsani in eccesso? È un buon mo‑ mento per rifletterci. Suggerimen‑ to per il costume di Halloween: Riccioli d’oro, la dea della giustizia o un costume con il simbolo gigan‑ te di yin e yang.

CAPRICORNO

Di tutte le idee proposte dalle principali religioni, la più triste è l’affermazione cristia‑ na che tutti nasciamo peccatori, che veniamo al mondo imperfetti, contaminati, colpevoli. Rifiuto questa sciocchezza. Nella mia filo‑ sofia spirituale nasciamo come es‑ seri meravigliosi e amorevoli. Le esperienze difficili possono ridurre la nostra radiosità e rendere diffici‑ le dare il meglio di noi, ma non perdiamo mai lo splendido genio che abbiamo dentro. Nelle prossi‑ me settimane il tuo compito è en‑ trare in stretto contatto con questa fonte di purezza. Suggerimento per il costume di Halloween: il tuo splendido genio amorevole. ACQUARIO

BILANCIA

Uno dei primi insediamen‑ ti umani conosciuti è Gö‑ bekli Tepe, in quella che oggi è la Turchia. Quando gli archeologi lo scoprirono, nel 1994, si resero conto che era stato costruito più di undicimila anni prima. Fu una no‑ tizia sconvolgente, perché con‑ traddiceva tutte le precedenti ipo‑ tesi sulla nascita dei primi villaggi. Prevedo un cambiamento simile nella comprensione del tuo passa‑ to, Bilancia. Presto comincerai a fare scoperte interessanti. Sugge‑ rimento per il costume di Hal‑ loween: un’archeologa, una viag‑ giatrice nel tempo o te stessa in una vita passata.

LEONE

Il ferro di cavallo simboleg‑ gia la fortuna in molte cul‑ ture. Un uso comune è appenderlo sopra la porta d’ingresso. Ma c’è disaccordo sul modo migliore per attirare la buona sorte. Alcuni so‑ stengono che il lato aperto do‑ vrebbe puntare verso l’alto per raccogliere la fortuna. Secondo al‑ tri è meglio che sia rivolto verso il basso per far piovere la fortuna su chi entra ed esce di casa. Io ti con‑ siglio di puntarlo verso l’alto. Per te è il momento di raccogliere be‑

convertire le cose che butteresti in oggetti di valore. Suggerimento per il costume di Halloween: un addetto alle pulizie con perle e co‑ rona d’oro.

SAGITTARIO

I pannolini usa e getta sono al terzo posto tra i rifiuti nelle discariche del mondo. Sem‑ bra che siano tra i prodotti meno ecologici. O forse no. I ricercatori giapponesi dell’università di Kita‑ kyushu ne hanno ricavato materia‑ le da costruzione in combinazione con ghiaia, sabbia e cemento. Nel‑ lo spirito di questa gloriosa tra‑ smutazione alchemica, e in accor‑ do con i presagi astrali, ti incorag‑ gio a riflettere su come potresti

Secondo la mia meticolosa analisi dei presagi astrali, in questo momento hai il sacrosanto diritto di espandere il tuo ego di al‑ meno una taglia. Il tuo angelo cu‑ stode, le tue muse, i tuoi antenati e Dio stesso ti invitano a pavoneg‑ giarti. Spero che supererai qualsia‑ si timidezza nell’esprimere i tuoi talenti, la tua intelligenza e la ca‑ pacità di comprendere il mondo. Suggerimento per il costume di Halloween: un affascinante sbruf‑ fone, un egomaniaco carismatico o un bellissimo narcisista. PESCI

“Il segreto per produrre e godere al massimo è vivere pericolosamente!”, diceva il filo‑ sofo Friedrich Nietzsche. “Co‑ struite le vostre città alle pendici del Vesuvio”, aggiungeva. “Man‑ date le vostre navi in mari inesplo‑ rati”. Nelle prossime settimane, Pesci, non ti consiglio di vivere pericolosamente ma di vivere in modo avventuroso. Supera i tuoi limiti, vai oltre le tue aspettative. Queste attività saranno ricom‑ pensate. Suggerimento per il co‑ stume di Halloween: un temera‑ rio, un giocatore d’azzardo, un cacciatore di fortuna.

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internazionale.it/oroscopo

SCORPIONE

COMPITI A CASA

Lascia che la tua bellezza ti spaventi

CÔTÉ, CANADA

L’ultima

Gaza. “Non è una bomba. Sono gli aiuti alimentari”. PAZ Y RUDY, ARGENTINA

CHAPPATTE, SVIZZERA

Argentina. “Notizie buone e cattive. La buona è che non è successo il peggio”. “E la cattiva?”. “L’agonia pre-elettorale durerà fino a novembre”.

Intanto in Ucraina. “Le bombe fanno questo: quando cadono da un’altra parte ci si dimentica di quelle che cadono qui”. “A me non succede”.

ELLIS

GUTIÉRREZ, SPAGNA

Svizzera, sconfitta dei Verdi e vittoria della destra dell’Udc. “Menù vegano inclusivo”. “Fonduta, salsicce e fuori gli stranieri!”.

“Hai detto scherzetto? Forse è così. Forse è solo un lungo, orribile scherzetto”.

Le regole Foliage 1 Se le foglie che cambiano colore non ti commuovono, il foliage non fa per te. 2 Coordina l’abbigliamento alla natura: vestiti di giallo, arancione o rosso. 3 Non puoi permetterti un viaggio nel New England? Metti un acero giapponese sul terrazzino. 4 Puoi raccogliere le foglie da terra, non dall’albero. 5 Se le foglie sono ancora verdi, procedi verso nord.

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Internazionale 1535 | 27 ottobre 2023

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