Gli Atti degli Apostoli 9788888270159, 8888270159

Una delle caratteristiche lette­rarie più rilevanti degli scritti di Luca è il fatto di essere scritti nello stile della

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Gli Atti degli Apostoli
 9788888270159, 8888270159

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I Gruppi Biblici Universitari sono il ramo italiano della International Fellowship of Evangelica! Students, movimento internazionale che opera nelle università di molti paesi del mondo con lo scopo di suscitare e approfondire la conoscenza della fede cristiana. Le attività dei Gruppi Biblici Universitari comprendono le Edizioni G.B.U. (via Poggioli 9/17, 00 161 Roma, tel.: 06/4957964).

I. HOWARD MARSHALL

GLI ATTI DEGLI APOSTOLI INTRODUZIONE E COMMENTARIO

EDIZIONI G.B.U. ROMA

Titolo originale:

The Acts of the Apostles An Introduction and Commentary Autore:

l. Howard Marshall M.A., B.D., Ph.D. Professore di Esegesi del Nuovo Testamento, Università di Aberdeen Edizione originale:

Inter-Varsity Press 38 De Montfort Street, Leicester LEl 7GP, England, 1980 © I. Howard Marshall, 1980 Traduzione di:

M arcella Fanelli Copertina di: Roberto Pecchioli

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

A Frederick Fyvie Bruce per il SUG settantesimo compleanno

INDICE

I•KEFAZIONE GENERALE . I'KEFAZIONE DELL ' AUTORE AHUREVIAZIONI PRINCIPALI . (:ARTA: IL VICINO ORIENTE NEL PRIMO SECOLO INTRODUZIONE

. Pag. »

.

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d. C.



l. II. III. IV. V.

Lo La La Le La

scopo di Atti . teologia di Atti . storicità di Atti origini di Atti . significanza imperitura di Atti .

ANALISI COMMENTARIO HIIU .IOGRAFIA DELL ' AUTORE . BIBI..IOGRAFIA DI OPERE SU AITI IN LINGUA ITAUANA .

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PREFAZIONE GENERALE ALL'EDIZIONE INGLESE

I Commentari iniziali della serie Tyndale avevano lo scopo di essere di aiuto al comune studioso della Bibbia; si concentra­ vano sul significato del testo senza addentrarsi in tecnicismi eruditi e si prefiggevano di stare nel giusto mezzo fra una brevità e un'estensione eccessive per poter essere utili al let­ tore cui si rivolgevano. Secondo la maggior parte di coloro che si sono serviti di quei commentari lo scopo è stato in buo­ na misura raggiunto. Ma i tempi cambiano. I primi Commentari Tyndale risal­ gono a più di venti anni fa e ci si rende conto che alcuni volumi non rispondono alle mutate esigenze del momento. In alcuni campi si sono raggiunte conoscenze nuove, la discus­ sione delle questioni critiche · ha progredito, le abitudini ri­ guardo alla lettura della Bibbia sono cambiate. N egli anni pas­ sati la maggior parte dei lettori inglesi usava la Authorized Version della Bibbia e su quella si potevano basare i com­ menti. Ma la situazione non è più tale, ed in effetto l'ultimo commentario della serie iniziale è stato basato sulla Revised Standard Version. Date tutte queste circostanze, si è pensa­ to di poter venire meglio incontro alle esigenze odierne rim­ piazzando alcuni dei volumi originali. Con ciò non si inten­ de che quelli fossero insoddisfacenti; rispondevano bene al bi­ sogno del momento, ma oggi ad alcune esigenze nuove si ri­ sponderà meglio con libri nuovi. Gli scopi iniziali permangono. I nuovi commentari non sono né troppo brevi né indebitamente lunghi. Sono esegeti­ ci più che omiletici. Non si prefiggono di risolvere tutte le questioni critiche, ma nulla è stato scritto senza tener conto dei problemi che impegnano l'attenzione degli studiosi del Nuovo Testamento. Di norma tali problemi sono attentamente presi in esame nell'Introduzione, ed a volte in Note addizio-

lO

GU A1TI DEGLI APOSTOLI

nali. Ma il proposito principale dei commentari non è quello critico; essi sono scritti per aiutare il lettore non tecnico a capire meglio la Bibbia. Non presumono la conoscenza del greco, e tutte le parole greche prese in esame sono traslitte­ rate, ma gli autori hanno davanti a loro il testo greco e i lo­ ro commenti sono fatti sulla base degli originali. Il testo in­ glese usato è di norma la Revised Standard Version, ma si è tenuto conto che i lettori odierni usano una gran varietà di traduzioni. La serie iniziale è immensamente debitrice al professor Tasker; egli ha curato tutta l'edizione ed ha scritto quattro dei commentari. È giusto e doveroso dare questo riconosci­ mento del nostro debito. Non posso quindi concludere in mo­ do migliore che facendo eco a quanto il professor Tasker disse per la serie iniziale: la speranza di tutti coloro che si sono messi al lavoro per la sostituzione di questi volumi è che Dio, nella sua misericordia, voglia servirsene e farli essere di aiu­ to ai lettori, ponendoli in grado di comprendere più in pro­ fondità e con tutta la chiarezza possibile il significato del Nuovo Testamento. ·

Leon Morris

NOTA ALL'EDIZIONE ITALIANA La traduzione italiana del Commentario agli Atti degli Apostoli si basa sulla «Versione Riveduta - Revisione 1 980 sul testo greco» del Nuovo Testamento e Salmi. Per le citazioni dal Vecchio Testa­ ·mento si basa sulla Versione Riveduta Luzzi, edizione del 1972.

PREFAZIONE DELL'AUTORE

In un periodo in cui i commentari ai libri del Nuovo Testa­ mento sono quasi innumerevoli, chiunque osi aggiungerne un altro è in dovere di giustificare questa sua aggiunta. Nel no­ stro caso non è sufficiente appellarsi al fatto che la serie dei Commentari Tynda/e al Nuovo Testamento doveva essere com­ pletata, perché essa già conteneva un volume su Atti di cui l'autore era il ben noto classicista professar E .M. Blaiklock. Tuttavia, per diverse ragioni si è pensato fosse utile sostitui­ re quel volume. Prima di tutto, il professar Blaiklock si era deliberata­ mente limitato a scrivere un «commentario storico», nel sen­ so che aveva impegnato la sua attenzione ad illustrare e spie­ gare il testo di Atti sullo sfondo storico del periodo greco­ romano. Da quando il suo commentario è stato pubblicato, si è avuta la tendenza a mettere in luce l'importanza teologi­ ca del libro degli Atti, ed è perciò sembrato utile tenere in conto questo interesse. È significativo il fatto che l'eccellen­ te rassegna di F � Bovon degli studi recenti sulle opere di Lu­ ca sia intitolata Luc le théologien. I problemi storici, però, non possono essere messi da par­ te per dare la preferenza ad un approccio puramente teologi­ co, e ciò conduce ad una seconda ragione per tentare di stu­ diare Atti in modo nuovo. Poco prima che uscisse l'opera del professar Blaiklock era apparso un altro commentario in te­ desco, scritto dal professar E . Haenchen; in esso, con estre­ ma maestria e grande attenzione ai particolari, l'autore ave­ va fatto apparire Luca molto più come uno scrittore di un romanzo storico che non uno storico scrupoloso. La proposta di Haenchen va presa sul serio e valutata con la massima at­ tenzione. Se, perciò, la presente opera appare a volte ecces­ sivamente polemica e concentrata particolarmente sulle que-

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GLI ATn DEGLI APOSTOU

stioni storiche, ciò Io si può spiegare col fatto che fino ad ora i commentatori (con la eccellente eccezione del commen­ tario di R.P·.C. Hanson) non si sono molto preoccupati di con­ &ontarsi con l'approccio di Haenchen. Per quanto questo com­ mentario si dimostri assai spesso critico sullo scetticismo per JDe ingiustificato di Haenchen riguardo alla storicità degli Atti, va però detto che la sua opera è di notevole levatura ed ha molto contribuito a riaccendere r interesse degli studiosi per Atti. In linea con lo scopo della serie dei Commentari, anche questo è soprattutto esegetico, ma si spera che abbia pure dato sufficienti indicazioni del valore didattico del testo. Il com­ mentario è inteso per una vasta cerchia di lettori; in più ho cercato di renderlo utile a chi studia teologia, e a questo fine ho fatto alcuni riferimenti alla letteratura concernente Atti apparsa dopo la pubblicazione del commentario di Haenchen e non elencata nella sua bibliografia. Desidero esprimere il mio caloroso ringraziamento al cu­ ratore della serie, Leon Morris, ed a Colin J. Hemer per i loro preziosi commenti al manoscritto, ed alla signorina T .. Clark ed alla signora P. Henderson per il loro aiuto nel dat­ tilografarlo. TI commentario è stato scritto all'Università di Aberdeen, dove William Ramsey ha insegnato e il professar F.F. Bruce ha studiato. Come ben può immaginarsi, sono stato molto in­ fluenzato da quanto questi esimi scrittori hanno scritto sul libro degli Atti; mi dà immenso piacere esprimere la mia gra­ titudine al secondo dei due - per la sua amicizia e per aver­ mi incoraggiato in mille modi - dedicandogli questo .libro. l. Howard Marshall

ABBREVIAZIONI PRINCIPALI

AG

A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature a cura di W. F. Arndt e F.W. Gingrich (C ambridge, 1 957) . Apostolic History and the Gospel a cura di W.W. Gasque e R.P. Martin (Exeter, 1970) . The Beginnings of Christianity a cura di F.]. Foakes-Jackson e K. Lake (London, 1920- 1933).. Biblica. Bulletin of the fohn Ry/ands University Library of Manchester. The Catholic Biblica/ Quarterly. The Evangelica/ Quarterly. The Expository Times. The Good News Bible (Today's English Version). Old Testament, 1976; New Testament, Fourth Edition, 1976. The Harvard Theological Review. The Jerusalem Bible, 1966. The Journal of Biblica/ Literature. Giuseppe (Ant.: Antichità giudaica; Ap.: Contro Apione; Bel.: Le guerre giudaiche). The ]ournal /or the Study of the New Testament. The Journal o/ Theological Studies. A Greek-English Lexicon compilato da H.G. Lid­ dell e R. Scott, nuova edizione riveduta da H.S. Jones e R. Mackenzie, 2 voll. (Oxford, 1940) . La Septuaginta o Versione dei Settanta (versio­ ne greca pre-cristiana del Vecchio Testamento) . Testo Masoretico. The New Bible Dictionary a cura di J. D. Dou­ glas et al. (London, 1962) . .

AHG BC Bib. B]RL CBQ EQ ET GNB HTR JB ]BL Gius. JSNT JTS LS LXX

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NIV Nov. T NTA NTS PLA

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GLI AITI DEGLI APOSTOU

The New English Bible, Old Testament, 1970, New Testament, Second Edition, 1970. The New International Dictionary o/ New Testa­ ment Theology a cura di Colin Brown (Exeter, 1975- 1 978) . The New International Version, Old Testament, 1979; New Testament, 1973. Novum Testamentum. New Testament Abstracts. New Testament Studies. Perspectives on Luke-Acts a cura di C H Talbert (Danville and Edinburg, 1 978) . American Revised Standard Version, Old Testa­ ment, 1952 ; New Testament, Second Edition, 197 1 . Kommentar zum neuen Testament aus Talmud und Midrasch di Herman L. Strack e Paul Billerbeck, 1956. The Scottish Jo�rnal of Theology. Studies in Luke-Acts a cura di L.E. Keck e J.L. Martyn (Nashville, 1976) . Theological Dictionary of the New Testament, trad. di Geoffrey W . Bromiley del Theologisches Wor­ terbuch zum neuen Testament, voll. 1-4 a cura di G. Kittel, 5-10 a cura di G. Friedrich (Grand Rapids, 1964- 1 976) . The Translator' s New Testament, 1973 . Tyndale Bulletin. Theologische Zeitschrift. Zeitschrift /iir die Neutestamentliche Wissenscha/t. Zeitschrift /iir Theologie und Kirche. .

.

Versioni della Bibbia in italiano:

CEI Conc. Diod.

La Sacra Bibbia, Edizione ufficiale della Confe­ renza Episcopale Italiana, UECI, 1977. La Bibbia Concordata, Mondadori, 1 969. La Sacra Bibbia. Tr .. di Giovanni Diodati, luc-

ABBREVIAZIONI PRINCIPAU

Gar. Mart .

N ard.

Paol. Ricc.

Riv. RR

15

chese (15 76- 1649) . Soc. Biblica Britannica e Fo­ restiera, 1974 . La Sacra Bibbia, tradotta e commentata a cura di Mons . Salvatore Garofalo, Marietti, 196 7. La Bibbia, Vecchio e Nuovo Te st amento secon­ do la Volgata. Tr. di Mons . Antonio Martini. 2 voli . Milano, Sonzogno, 1889, 1890. La Bibbia, tr. di Fulvio Nardoni. Libreria Edi­ trice Fiorentina, 1 96 8 . La Sacra Bibbia, tr. dai testi originali. Ed. Pao­ line , 1963. La Sacra Bibbia, tr. di Bonaccorsi, Castaldi, Gio­ vannozzi, Mezzacasa, Ramorino, Ricciotti, Zam­ pini. lntr. e note di Giuseppe Ricciotti. Salani, 1958. La Sacra Bibbia. Versione riveduta in testo ori­ ginale dal Dott. Giovanni Luzzi. Società Biblica Britannica e Forestiera, 1972. TI Nuovo Testamento . Versione Riveduta. Revi­ sione 1982 sul testo greco. Soc. Biblica di Gine­ vra, 1983 .

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IL VICINO ORIENTE NEL PRIMO SECOLO d.C.

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BITINIA

MARNERO

INTRODUZIONE

l. Lo SCOPO DI AT'I1 Il giudizio del lettore sul contenuto e sulla qualità di un li­ bro dipende in massima parte da quello che egli si aspetta dal libro stesso, in bru;e allo scopo espresso dall' autore riguardo alla sua opera, ma pure ai presupposti del lettore al momen­ to di prenderla in mano. Probabilmente la media dei lettori considera il libro de­ gli Atti degli Apostoli come il libro di storia della chiesa pri­ mitiva . Lo legge perché vuole sapere per quali vicende è pas­ sata la chiesa nei primi anni della sua esistenza, e in risposta alla sua aspettativa ne troverà certamente narrate diverse: pri­ ma fra tutte l'ascensione di Gesù, l'avvenimento che segna­ va la fine del suo ministerio terreno (Luca 24.50-53) , ma ad­ ditava pure la futura, continua opera di Gesù per il tramite della chiesa. Il libro narra poi come venne dato ai discepoli di Gesù quanto loro occorreva per l'opera da svolgere, e cioè il dono dello Spirito; prosegue raccontando la storia emozio­ nante degli inizi della chiesa a Gerusalemme, della sua espan­ sione per tutte le vaste zone della Giudea e della Samaria, quindi del suo rapido muoversi da Antiochia di Siria, per l'A­ sia Minore, la Macedonia e la Grecia, fino all' arrivo di Pao­ lo a Roma, simbolizzante la presenza del vangelo nella città centro del mondo antico. La storia è narrata con ricchezza di particolari; scene drammatiche o pittoresche si alternano a semplici cronache; temperamenti ricchi di forza si ergono al centro dell'azione. L'autore ha il dono di saper tratteggia­ re il vario modo di vivere del mondo antico, portandoci da località fuori mano, come Listra, al centro intellettuale di Ate-

GLI ATI'l DEGU APOSTOLI

ne e mettendoci in contatto con personaggi indimenticabili, giudei e greci, nobili e schiavi. Il suo libro è «una storia in­ teressantissima, raccontataci da un narratore eccellente» ( 1) . Quasi senza accorgercene siamo passati da quello che Luca ci racconta a come ce lo racconta, e ci siamo resi conto della studiata abilità con cui la storia è narrata. È un'opera lettera­ ria, e il lettore antico se ne sarebbe accorto nel momento stesso di prendere il libro e leggervi la dedica introduttiva a «Teo­ filo» nella tipica maniera dell , antico mondo delle lettere. Il linguaggio e lo stile di Luca si distinguono nel Nuovo Testa­ mento per essere quelli di uno scrittore forse più di ogni al· tro conscio di star scrivendo un'opera letteraria per un pub­ blico colto, e non semplicemente qualche operetta da usarsi in una chiesa priva di aspirazioni o interessi letterari. Ma se Luca scriveva qualcosa dalle chiare caratteristiche di storia e lo faceva con deliberata abilità letteraria, inevita­ bilmente vien fatto di domandarci quale fosse il suo scopo. Perché scrisse le vicende della chiesa primitiva? Dopo tutto non sembrava essere quello il tema più congeniale ad uno scrit­ tore cristiano, e ce lo dimostra il fatto che Atti sia l'unico esempio del primo secolo, in nostro possesso, di questo tipo particolare di letteratura. Altri cristiani scrissero Lettere e Van­ geli, ma solo Luca redasse una storia della chiesa primitiva: cosa lo spinse a farlo? È stata proposta tutta una varietà di ragioni, e probabilmente non dovremmo cercare una sola ri­ sposta alla domanda, ma diverse da considerare insieme. Si deve cominciare con lo stabilire due importanti punti preliminari. Il primo è questo: una delle caratteristiche lette­ rarie più rilevanti degli scritti di Luca è il fatto di essere scritti nello stile del Vecchio Testamento greco, la Septuaginta o Set­ tanta (LXX) . Poiché Luca poteva scrivere anche con uno sti­ le diverso (Luca 1 . 1-4), quello scelto era in qualche modo vo­ luto. Probabilmente egli si considerava un narratore di storia sacra. Credeva che gli avvenimenti da lui narrati fossero l'a­ dempitn:ento delle profezie contenute nelle Scritture e perciò avvenimenti divinamente suscitati tanto quanto gli altri già (l) Edwards, ad Atti.

p.

9. D libro di Edwards

è

una vivacissima introduzione

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INTRODUZIONE

riportati nelle Scritture. Luca può non aver dato a quello che stava scrivendo la definizione di «Scrittura», ma la sua affer­ mazione implicita era che la storia della chiesa primitiva fa­ ceva parte della storia in atto dell'opera di Dio, ed aveva le stesse caratteristiche riscontrabili nelle Scritture del Vecchio Testamento. Il secondo punto preliminare è che il libro degli Atti è la seconda parte di un 'opera in due volumi, la cui prima parte è il Vangelo di Luca (2). L'ordine in cui sono oggi disposti i libri nel Nuovo Testamento ci induce purtroppo a pensare ad Atti come ad un'opera a sé stante. Ma nel mondo antico uno scrittore organizzava di norma la sua opera suddividen­ dola in diverse sezioni (conosciute come «libri>>) , ognuna con la sua breve introduzione. TI contemporaneo di Luca, Giu­ seppe, scrisse per gli ebrei un'apologia divisa in due libri, il secondo dei quali comincia: «Nel primo volume di quest'o­ pera, o eccellentissimo Epafrodito, ho dimostrato l'antichità della nostra razza. . . Ho anche messo in discussione le affer­ mazioni di Manetone, Cheremone ed alcuni altri. Ora proce­ derò a confutare il rimanente degli scrittori che ci hanno at­ taccati» (Gius. , Ap. 2.1). Questo estratto è interessante per il modo in cui fa da parallelo ai particolari dell'introduzione d i Luca alla sua opera (A t ti 1 . 1 s.), ma noi lo citiarno ora per far rilevare il suo apporto a sostegno del fatto che Atti e Vangelo sono due parti della stessa opera. Perciò porsi do­ mande sullo scopo di Atti staccate dalla domanda più gene­ rale riguardante lo scopo di Luca-Atti significa iniziare da un punto di partenza sbagliato, la cui conseguenza � di solito quel­ la di arrivare alla destinazione sbagliata. Dobbiamo dunque domandarci quale sia lo scopo di Luca­ Atti considerandoli un tutt'unico. Se però qui vogliamo con­ centrare l'attenzione su Atti, il giusto modo di porre la que­ stione sarà di chiederci perché Luca, distinguendosi in que­ sto dagli altri evangelisti, abbia voluto aggiungere un secon-

(2) Insieme con la grande maggioranza degli studiosi dò

il Vangelo e Atti siano del medesimo autore.

per

certo che

20

GU A ITI

DEGLI

APOSTOU

do volume al Vangelo invece di contentarsi di scrivere sem­ plicemente un Vangelo. Una possibile risposta è che Luca avesse in mente il pro­ getto di scrivere la storia degli «inizi cristiani» in un senso più ampio. Quando Marco intitolò il suo Vangelo «Inizio del van­ gelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio», indicava che il ministe­ rio di Gesù, dal suo battesimo alla sua risurrezione, era l'ini­ zio e la base del vangelo. Ma Luca unisce insieme la storia di Gesù e la storia della chiesa primitiva, e le vede formare entrambe una narrazione unica, quella della fondazione della chiesa. Il suo intento è spiegare come la buona novella abbia avuto inizio e come si sia diffusa fino a coprire il mondo me­ diterraneo da Gerusalemme a Roma. Infatti al principio di Atti afferma che nel suo primo volume aveva parlato di «tutto quello che Gesù cominciò a fare e ad insegnare» (RSV, Nard.) e sembra molto probabile che per implicazione nel secondo volume debba · parlare di «tutto quello che Gesù continuò a fare e ad insegnare>> (3). In questo modo i due volumi copro­ no l'inizio del vangelo, l'instaurazione della salvezza nel mi­ nisterio di Gesù e la proclamazione della salvezza da parte della chiesa primitiva. Questa visione fondamentale può es­ sere sviluppata in vari modi. Primo, in un suo importante articolo, W.C. van Unnik sostiene che il libro degli A t ti è la conferma del Vangelo (4). Egli ipotizza che nel Vangelo Luca abbia presentato l'attivi­ tà salvifica di Gesù mostrandone la realtà, e che poi, in At­ ti, abbia esposto il modo in cui la chiesa proclamò e confer­ mò questa salvezza. In effetto Atti ci fa vedere come la sal­ vezza rivelata da Gesù durante la sua vita terrena, in una limitata zona del paese e per un breve periodo di tempo, di.. venisse una realtà per un numero sempre crescente di perso­ ne in una zona geograficamente vasta e per un lungo periodo di tempo. Come risultato, Luca-Atti può essere considerato come un'opera evangelistica proclamante la salvezza ai suoi let-

(3) Marshall, Luke, p. 87, n. 2. (4) Van Unnik, pp. 340-373; originalmente come «The 'Book of Acts' the Confirmation of the Gospel�, Nov. T. 4, 1960 , pp. 26-59.

INTRODUZIONE

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tori. Anche secondo J.C. O'Neill lo scopo princ ipale di Atti a evangelistico, e specificamente inteso per un pubblico for­ mato da romani colti (5) . L'ipotesi è interessante, ma non sem­ bra rendere giustizia alla considerevole quantità di materiale, contenuto in Luca-Atti, in apparenza destinato ad un p ub­ blico più vasto. ·Secondo, un punto chiave di At ti è quello di dimostrare che il vangelo era inteso tanto per i gentili (6) quanto per i giudei. Una parte dell a dimostrazione sta nell'affermazione di Luca secondo cui quanto avvenne nella chiesa primitiva si ac­ cordava con la profezia; quindi, non solo la venuta di Gesù adempiva la profezia, ma anche il sorgere della chiesa e l a diffusione della salvezza fra i gentili adempivano le profe zie del Vecchio Testamento e le promesse di Gesù (vedi Luca 24.47; Atti 1.4 s.,20; 2. 16-21; 3.24; 10.43; 13 .40 s. , 47; 15 . 15 - 1 8; 28.25-28) (7) . Terzo, poiché l'interesse principale di Luca è senza dub­ bio la salvezza (8) , c'è da domandarsi se la maggioranza del suo pubblico fosse non cristiana. Ma se consideriamo quanto ci dice lo stesso Luca nel prologo della sua opera riguardo al suo scopo (9), lo vediamo r ivolger si specificamente a «Teo­ filo•, il quale, già cristiano secondo la più plausibile compren­ sione di Luca 1 . 1-4, può essere ritenuto come un esempio ti­ pico dei let tori di Luca . Il suo scopo esplicito era di conferer

(5) O'Neill, p. 176. (6) Nel corso del commentario si troverà che rAutore usa la parola �en­

tili» nel suo senso proprio, e cioè per indicare «coloro che per gli ebrei erano stranieri», e quindi per i «non ebrei». Ciò risulta chiaro so· prattutto quando vengono sviluppati i concetti di «ebrei cristiani» e «gentili cristiani», cioè ebrei e non ebrei convertiti al cristianesimo. Le versioni inglesi, compresa la moderna New International Version (NIV) e molte versioni italiane (Riv., Conc. , Ricc., Nard., Paol.) ado· perano la parola «gentili», laddove la versione da noi riportata in que­ sto commentario (la RR- e cosl pure CEI e Gar.) rendono il vocabo­ lo con «pagani». N.d.t. (7) Dupont, pp. 393-4 19; Bovon, Etudes, pp. 343-345. (8) Marshall, Luke, pp. 88-94; Bovon, pp. 255-284. (9) Il prologo al Vangelo è probabilmente inteso come prologo a tutta intera l'opera� Marshall, Commentary, p. 39.

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GLI A ITI DEGLI APOSTOLI

mare la fede di Teofilo fornendogli un'ordinata rassegna del­ le cose da lui apprese nel corso della sua istruzione cristiana. Forse qualche scettico aveva cercato di persuadere Teofilo che la sua fede si basava su nient'altro che «miti astutamente esco­ gitati». In risposta Luca gli dava un racconto degli inizi del cristianesimo basati su quanto era stato tramandato da «quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola» (Luca 1 .2) . Il Vangelo riportava i fatti relativi al ministerio di Gesù, gli Atti dimostravano come la predicazione con l'annuncio di Gesù, il Cristo, corroborasse e confermasse i fatti riportati nel Vangelo; quando la buona novella fu predicata, lo Spirito rese efficace la parola e con­ dusse gli ascoltatori all'esperienza della salvezza. Secondo que­ sto modo di vedere, il libro degli Atti era inteso come un resoconto degli inizi del cristianesimo atto a rafforzare la fe­ de e a dare la sicurezza della stabilità del suo fondamento. Ovviamente, un libro scritto con questo proposito ha uno sco­ po evangelistico, ma il campo di interesse di Luca-Atti si esten· de al di là di un materiale puramente evangelistico. Se si adotta questo punto di vista su Luca-Atti, diventa assai improbabile, come scopo principale di Atti, quello di for­ nire qualche sorta di apologetica politica per il cristianesimo. Un'altra ipotesi vede come scopo di Atti quello di dimostra­ re l'innocenza dei cristiani accusati di crimini politici, inno­ cenza confermata dagli ufficiali romani incaricati di esamina­ re quei casi e giunti alla conclusione che i cristiani non ave­ vano in alcun modo recato offesa alle leggi dell'impero roma­ no. Si è perfino ipotizzato che Atti fosse stato scritto per for­ nire le prove necessarie alla difesa di Paolo quando dovette presentarsi all'imperatore Nerone. Ma questa è un'ipotesi de­ cisamente troppo azzardata. Non neghiamo che Luca avesse una motivazione apologetica nel comporre Luca-Atti, special­ mente nel caso di Atti. Ma è uno scopo subordinato se lo si paragona al tema principale, la presentazione della base sto­ rica della fede cristiana. Altrettanto improbabile è che lo scopo principale di Luca­ Atti fosse di controbattere le eresie o di suscitare l'interesse per quakhe particolare aspetto teologico sostenuto dall'autore. È stato detto, per esempio, che lo scopo di Luca fosse di con-

INTRODUZIONE

trobattere un tipo di eresia gnostica (10) , ma, come si è potuto dimostrare in modo assolutamente convincente, Luca non si riferisce esplicitamente a nessuna specifica eresia di carattere gnostico e nel suo scritto non vi è nessuna indicazione di una conscia volontà di far polemica ( 1 1). Un altro scopo suppo­ sto è quello della riabilitazione di Paolo nei confronti dei suoi detrattori all'interno della chiesa (12), ma non può trattarsi che di uno scopo subordinato. Un proposito di Luca assai più importante è di mostrare come la chiesa, composta di giudei e gentili, è una continuazione del giudaismo, e questo può es­ sere considerato un aspetto essenziale del tema principale di Luca. Un'ulteriore ipotesi estremamente importante vede Luca alle prese col problema in cui si dibatteva la chiesa per il fat­ to che la seconda venuta o parusia di Gesù non si fosse an­ cora verificata malgrado che l'attesa della chiesa fosse per un tempo molto vicino nel futuro; Luca avrebbe quindi scritto per favorire un nuovo modo di vedere teologicamente le cose, il modo in cui la venuta dello Spirito e la missione della chiesa riempivano la breccia causata dal ritardo della parusia (13). Non è chiaro se i sostenitori di questa teoria la ritengano la moti­ vazione conscia e deliberata di Luca per comporre la sua opera, oppure una motivazione soggiacente e inconscia dalla quale fu spinto a concepire la sua opera cosl come fece. In ogni caso, sembra molto improbabile rintracciare nel ritardo della parusia la principale motivazione con·scia dell'opera di Luca, ed altrettanto improbabile sembra vedervi un fattore incon­ scio decisivo per la strutturazione dell'opera ( 14) . Se si pen­ sa alla concezione teologica di Luca come in gran parte de­ terminata dal ritardo della parusia si ha il risultato di com­ prendere Atti in modo distorto.

(lO) C.H. Talbert, Luke and the Gnostics (Nashville, 1 966).

( 1 1) (12)

Van Unnik, pp. 402-409; originalmente come «Die Apostelgeschich­ te und die Haresien», ZNW 58, 1967, pp. 240-246. E. Trocmé, Le «Livre des Actes» et l'histoire (Paris, 1957); A.]. Mat­ till, Jr. , >. Portare testimonianza a Gesù era lo scopo della chiesa cristiana, e specialmente dei Dodici, che erano stati con Gesù durante il suo ministerio terreno e lo avevano veduto risorto dai morti ( 1 .2 1 s.), ed erano perciò i meglio preparati a portare la loro testimonianza a Israele. Ma in nessun senso il compito era limitato ai Dodi­ ci, e molti altri cristiani presero parte all'evangelizzazione. TI messaggio proclamato è esposto in una serie di discor­ si pubblici sparsi per tutto il libro. In linea generale, esso con­ cerneva il fatto che Gesù, da Dio risuscitato dai morti dopo aver subito la morte per mano dei giudei, era stato dichiara­ to il Messia giudaico e il Signore e perciò la fonte della sal­ vezza. Mediante lui il perdono dei peccati venne offerto agli uomini, e da lui era provenuto il dono dello Spirito sceso sulla chiesa. In Atti non si spiega con chiarezza in che modo Ge­ sù abbia operato per essere il Salvatore; non si mette in stretta relazione la sua morte con la possibilità di salvezza (eccetto che in 20.28), e si ha piuttosto l'impressione che egli abbia ricevuto l' autorità di dare salvezza e compiere atti potenti nel-

INTRODUZIONE

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la chiesa in seguito alla sua risurrezione dai morti ed al suo in­ nalzamento ad opera del Padre. Quindi, in Atti, al centro della predicazione troviamo la risurrezione e l' innalzamento di Gesù (3) . Le benedizioni associate alla salvezza si riassumono nel perdono dei peccati e nel dono dello Spirito. Quest'ultimo si manifestò con esperienze di gioia e di potenza spirituale . Atti non dice molto sull'esperienza Paolina della sua unione con Gesù, e si potrebbe essere tentati di supporre la religio­ ne di Luca meno mistica di quella di Paolo. Sarebbe però più corretto il dire che Luca parla della stessa esperienza cristia­ na fondamentale descritta da Paolo, ma con una terminolo­ gia diversa. Il posto dato in Atti alla preghiera e alle visioni, cosl come ad esperienze carismatiche quali il parlare in lin­ gue e il profetare, indica quanto in questo libro sia reale e profondo l'elemento della comunione con Dio. La linea conduttrice della narrazione in Atti ha come te· ma la diffusione di questo messaggio. Comincia con l'esistenza di un piccolo gruppo di seguaci del Gesù terreno riuniti a Gerusalemme, e descrive come accadde che sotto l'impatto del dono dello Spirito essi divennero testimoni di Gesù e ra­ dunarono un numero sempre crescente di convertiti. I primi capitoli ritraggono la crescita e il consolidamento del gruppo a Gerusalemme. Dal sesto capitolo in poi ci troviamo davan­ ti a orizzonti più spaziosi. Molti sacerdoti si convertono, e contemporaneamente la testimonianza cristiana raggiunge varie sinagoghe fondate a Gerusalemme da ebrei della Diaspora (6. 9) . Quando molti cristiani sono costretti a lasciare Geru­ salemme a causa della persecuzione, il messaggio comincia a diffondersi per gran parte della Giudea e fa poi un decisivo passo avanti con la eonversione di alcuni samaritani e perfi­ no di un viaggiatore proveniente dall'Etiopia. A metà del ca­ pitolo 9 l'autore può parlare della «chiesa, per tutta la Giu­ dea, la Galilea, la Samaria». Ma con l'inclusione della Sama­ ria si è fatta la prima, importante mossa verso gente non pre-

(3) Luca non ignora il significato espiatorio della morte di Gesù, ma non fa nulla per metterlo in risalto; �arshall,

Luke, pp. 169- 175.

28

GU

A m DBGU APOSTOLI

cisamente giudea, e subito dopo vari avvenimenti danno alla chiesa la convinzione di essere chiamata a portare la buona novella ai non ebrei. In un primo momento i contatti sono fatti con i gentili che già adoravano Dio nelle sinagoghe, ma non occorre che passi molto tempo perché altri gentili si sen­ tano attratti dal messaggio. Non appena la chiesa si è ben stabilita ad Antiochia, la missione tra i gentili diviene un pro­ gramma fisso, e da Antiochia ne parte una, ben pensata e bene organizzata. Come Pietro era stato il leader durante i primi tempi della chiesa a Gerusalemme, guidandola dalla sua infanzia fino al punto in cui essa seppe riconoscere che il van­ gelo era anche per i gentili, così Paolo prende il suo posto di leader nello sviluppo della missione partita da Antiochia: la seconda parte di Atti è in essenza il racconto del modo in cui Paolo, con la cooperazione di altri evangelisti, procede per stabilire chiese in Asia Minore e in Grecia; al capitolo 20 si vede il vangelo già efficacemente proclamato per tutto il mondo mediterraneo orientale, e Paolo parla della sua ope­ ra come di un'opera compiuta. Ma qui siamo solo al capitolo 20, e c'è ancora un buon quarto del libro. Vi troviamo un resoconto del ritorno di Paolo dai suoi viaggi, del suo arrivo a Gerusalemme e del suo arresto con un'accusa montata; il racconto descrive le sue varie comparizioni davanti ai tribu­ nali e ai governatori, nel corso delle quali egli si difende dai giudei e dai romani protestando la sua innocenza e riuscendo in definitiva a farsela riconoscere dalle autorità romane. Alla fine abbiamo il racconto assai particolareggiato del suo viag­ gio verso Roma. La narrazione, presa in senso geperale, sem­ bra voler seguire il percorso del vangelo fino a quando, nella persona di Paolo, non raggiunge Roma; ma chiaramente la sto­ ria riportata in Atti, iniziata come storia di un'espansione mis­ sionaria, non ha solo questo scopo. Dobbiamo chiederci qua­ li altri elementi teologici Atti contenga. 3. Progresso malgrado l'opposizione

Atti parla molto dell'opposizione contrastante da ogni parte la diffusione del vangelo. «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» ( 14 .22) . Come la via percorsa

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da Gesù lo condusse a passare in mezzo ali' opposizione cul­ minata nella condanna a morte, cosl, riconosce Luca, pure la via della Parola di Dio è assediata da ogni parte dall'opposi­ zione . Si comincia con il dileggio rivolto agli apostoli il gior­ no della Pentecoste e si continua con i tentativi del Sinedrio di costringerli a non parlare di Gesù. Si raggiunge rapidamente un apice con la morte del primo martire Stefano, e ad essa segue un'ondata di persecuzione. Un re giudeo cerca di ac­ cattivarsi il favore del popolo mettendo a morte Giacomo, e solamente un miracolo salva Pietro dallo stesso destino. Quando i missionari penetrano nel mondo romano, sono tal­ lonati dall'opposizione. Di solito a darvi inizio sono gli ebrei, perché non vedono con piacere che si evangelizzino i gentili; ma in molti casi essi riescono a guadagnarsi l'appoggio dei simpatizzanti pagani, inducendoli ad atti di violenza contro i missionari. Come risultato, capita ai missionari di essere an­ che condotti davanti ai magistrati. Questi ultimi si compor­ tano in modo ambivalente: a volte sono pronti ad ammini­ strare giustizia sommaria contro gente in apparenza respon­ sabile di disturbare la pace; altre volte, però, sembrano non tanto difensori dei missionari quanto protettori disinteressati e imparziali della legge secondo le cui norme non si riscon­ trava in alcun modo nelle attività dei missionari un'offesa al­ la legge ed ai costumi romani. Il caso paradigmatico · è quello di Paolo, e l'interesse di Luca a questo argomento è tale da fargli dedicare molto spa­ zio a quel periodo della sua prigionia. Luca mette in rilievo con grande chiarezza che Paolo non era colpevole di nessuna offesa contro le leggi di Roma e perciò, in un certo senso, fu solo un cavillo legale ad impedire al governatore romano di !asciarlo libero. Ma allo stesso tempo la narrazione impli­ citamente accusa i governatori romani di non essere esenti da biasimo per il modo in cui condussero il processo. Fintan­ to che i governatori erano pronti a comperarsi il favore degli ebrei e a farsi corrompere dagli imputati, i cristiani non po­ tevano aspettarsi di ottenere giustizia. Qui Luca dimostra di essere molto conscio delle due realtà della vita; malgrado la loro innocenza, i cristiani potevano sempre aspettarsi di es­ sere vittime dell'ingiustizia.

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GLI AITI DEGLI APOSTOU

Per quanto concerneva i giudei, essi accusavano Paolo di cercare di profanare il tempio, e più in generale, di farsi promotore di un'eresia giudaica ovunque egli andasse. La pri­ ma di queste accuse (niente altro che un pretesto per farlo arrestare) è semplicemente negata, e anzi egli è presentato co­ me un fedele ebreo rispettoso della legge. La seconda accusa è controbattuta con l'affermazione che Paolo stava semplice­ mente adorando e servendo Dio secondo le prescrizioni con­ tenute nel Vecchio Testamento, e in quanto alle sue convin­ zioni, egli era e rimaneva un fariseo. In altre parole, il cri­ stianesimo è vero giudaismo. Questo punto fondamentale è pre­ sentato in tutti i suoi particolari, ma chiaramente non fa presa sugli ebrei, per quanto alcuni farisei si dimostrino simpatiz­ zanti. Anche in questo caso Luca non può far altro che rife­ rire la dura realtà: molti ebrei rifiutano di accettare quanto afferma il cristianesimo, di essere cioè il compimento del giu­ daismo. Contemporaneamente Luca usa lo stesso tema per sot­ tolineare che da un punto di vista romano il cristianesimo deve essere considerato come un legittimo sviluppo del giudaismo e perciò deve godere della stessa posizione privilegiata di re­ ligione tollerata all'interno dell'impero; le dispute fra ebrei e cristiani sono di natura teologica e non devono rientrare nelle competenze della legge romana. Di fronte all'opposizione emergono due fatti importan­ ti. Il primo è questo: i cristiani sono chiamati a rimanere fer­ mi e ad essere fedeli malgrado le tribolazioni che devono sop­ portare. Quando ricevono l'ordine di smettere di predicare, la loro risposta è un aperto rifiuto di ubbidienza. Nella pra­ tica pensano sia meglio ritirarsi dalle città in cui è stato loro proibito di continuare a predicare, e proseguire l'evangeliz­ " zazione là dove trovano t'opportunità di farlo; il mandato di predicare il vangelo non esigeva che continuassero a battersi in una situazione in cui non erano bene accetti; in quei casi, dopo aver fedelmente portato la loro testimonianza, sarebbe­ ro dovuti andare altrove (Luca 9.5). Nel processo di Paolo emerge un dato diverso. Paolo usa la corte di giustizia come . luogo dove dare la testimonianza; non ha tanto interesse a difendere se stesso quanto a proclamare il vangelo (Luca 21 . 12- 15). L'opposizione diventa un'occasione per evangeliz-

INTRODUZIONE

31

zare. Ciò, naturalmente, è vero anche per Pietro e per Stefa­ no quando devono presentarsi davanti ai tribunali. L'altro fatto è che malgrado l'opposizione la Parola di Dio continua ad avanzare trionfalmente. La mano di Dio è sui missionari anche quando sono perseguitati. Non li allontana dal pericolo e dalla sofferenza, ma a volte li protegge dai ne­ mici. Anche qui viene in luce il realismo di Luca: Giacomo muore, ma Pietro sopravvive per lottare ancora; Paolo è por­ tato sano e salvo da Gerusalemme a Roma malgrado ogni sorta di ostacoli e di pericoli. Lo scopo designato da Dio sarà rag­ giunto a dispetto dell'opposizione. Atti è la narrazione del cammino trionfante della Parola di Dio. 4.

L 'inclusione dei gentili nel popolo di

Dio

Atti riflette la esasperata tensione esistente nella chiesa pri­ mitiva riguardo al fondamento della missione tra i gentili. Mal­ grado che i Vangeli riportino il mandato di Gesù ai suoi di­ scepoli, secondo cui avrebbero dovuto diffondere il vangelo fra tutte le nazioni, in un primo momento la chiesa si com­ pose di soli ebrei e tra di loro svolse la sua missione evange­ listica. Contrariamente all a credenza popolare largamente dif­ fusa, Luca non menziona gentili presenti il giorno della Pen­ tecoste ad eccezione dei giudei proseliti (2 . 1 1) . Ma nel corso di pochi anni la chiesa si trovò impegnata a predicare il van­ gelo ai samaritani, a incirconcisi timorati di Dio ed infine a gentili pagani. Questo progresso è visto da Luca come volu­ to da Dio e profetizzato; fu un cambiamento di rotta per il quale non vi era stata alcuna conscia programmazione pre­ ventiva della chiesa. La chiesa dovette accettare il fatto compiuto. Il nocciolo del problema consisteva in questo: la nascita e la crescita della chiesa aveva o no prodotto una nuova so­ cietà diversa dal giudaismo? Dato che i primi cristiani erano ebrei, con tutta naturalezza vivevano da ebrei - facevano circoncidere i loro figli e vivevano secondo la legge di Mosè, anche se ammettevano la possibilità di qualche variante nel­ l' interpretazione della legge e riconoscevano che Gesù aveva

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GLI AlTI DEGLI APOSTOLI

messo in atto una certa libertà nei confronti di alcuni suoi aspetti. Ci si poteva attendere la stessa maniera di vivere an­ che dagli ebrei proseliti convertiti al cristianesimo, e quindi il cristianesimo poteva essere considerato come un vero e pro­ prio compimento del giudaismo; il Messia promesso era ve­ nuto ed aveva portato un rinnovamento al suo popolo. Ma c'erano due fattori a dar disturbo a questa convin­ zione piuttosto superficiale. Da un lato, divenne sempre più evidente che i leader giudei e molta parte della popolazione non erano pronti ad accettare Gesù come Messia e si dovet­ te escludere una facile evoluzione dal giudaismo del primo se­ colo al cristianesimo con il semplice incorporamento del mes­ saggio cristiano di Gesù Messia. In realtà il giudaismo dei con­ temporanei della chiesa primitiva aveva abbandonato la veri­ tà. Fu Stefano a criticare apertamente gli ebrei del suo tem­ po: essi non avevano saputo seguire tutta la legge di Mosè e la loro adorazione di Dio nel tempio gli recava dispiacere. Non sorprende che questo attacco provocasse l'opposizione dei capi giudei e possiamo anche sospettare una certa resi­ stenza da parte dei membri della chiesa, dei quali non tutti probabilmente condivisero il giudizio di Stefano. Ad ogni mo­ do divenne sempre più chiaro che il giudaismo ufficiale si op­ poneva alla chiesa e riteneva le sue idee eretiche. D'altro lato, c'era il problema dell'immissione dei genti­ li nella chiesa, fatto che non solo intensificava l'opposizione del giudaismo contro di essa, ma faceva anche sorgere in se­ no alla chiesa stessa accese dispute riguardo all'individuazio­ ne delle sue caratteristiche e del suo stile di vita. Si è molto discusso su quale sia stato il modo in cui Luca si figurava la natura della chiesa. Secondo alcuni, egli la vedeva come un'istituzione giudaica in essenza, come il popolo di Dio, fatto di ebrei, e dal quale gli ebrei che rifiutavano di pentirsi si autoescludevano, ed al quale i gentili credenti potevano unirsi (4). Secondo altri, Luca vedeva Dio mettere in atto un suo piano, in cui radunava insieme un nuovo Israele composto da ebrei e gentili, e descriveva la progressiva separazione della (4) Jervell,

p.

41-74.

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33

chiesa dal giudaismo (5) . La verità sta probabilmente a metà strada fra questi due estremi; secondo la nostra opinione, Luca pone l' accento sull'origine giudaica della chiesa, le cui radici si rintracciano nelle profezie del Vecchio Testamento, ma di­ mostra che essa è un popolo di Dio, è composta di credenti ebrei e gentili, ed in essa gli ebrei possono trovare il compi­ mento del giudaismo e ai gentili non si chiede di diventare ebrei. Ma come era possibile che ciò avvenisse in pratica? ll problema aveva due aspetti. Primo, potevano gli ebrei cristiani avere comunione con i gentili senza diventare «impuri» a causa del contatto con gente che non osservava la legge di Mosè? Secondo, potevano i gentili entrare in una vera comunione con Dio e con il suo popolo semplicemente accettando Gesù come Messia? N on avrebbero essi dovuto accettare la legge giudaica, ivi compresa la circoncisione? È assolutamente chiaro che per Luca i gentili non avevano bisogno di essere circon­ cisi. Ma questa soluzione creava laceranti scrupoli di coscienza •tgli ebrei cristiani, e per molti anni continuò ad esistere in Palestina un gruppo di ebrei cristiani strettamente osservanti della legge, isolati dal resto della chiesa. Luca ci dice come fu risolto il problema nei primi tem­ pi. Quando Dio mandò lo Spirito sui gentili, Pietro fu istruito ad accettarli come membri del popolo di Dio, ed a mangiare ron loro. La visione mandatagli da Dio gli insegnava a non fare più una divisione fra cibi puri e impuri. Ma c'è da du­ bitare che gli altri ebrei cristiani accettassero prontamente il punto di vista di Pietro (e persino lui ebbe difficoltà a man­ tenersi costantemente coerente con esso) . Quando la chiesa di Gerusalemme si incontrò con i rappresentanti venuti da Antiochia per discutere la questione, il punto fondamentale su cui si trovò un accordo fu che i gentili non avevano biso­ gno di essere circoncisi. Allo stesso tempo, comunque, si chie· deva loro di evitare di essere la causa dell'allontanamento dei fratelli giudei, e ciò potevano fare astenendosi dal cibo sacri­ ficato agli idoli e dalla carne non macellata alla maniera giu(') O'Neill. Vedi

la

discussione in Wilson; anche Bovon, pp.

342·361 .

34

GLI AITI DBGU APOSTOU

daica, ed osservando gli standard giudaici nel comportamen­ to sessuale. Quelle richieste erano in buona parte corrispon­ denti alle regole già accettate dai timorati di Dio che lo ado­ ravano nelle sinagoghe. L'unico punto veramente difficile era la regola riguardo alla carne, e probabilmente essa trovò la sua applicazione solo nei pasti presi in comune con gli ebrei. Con quei provvedimenti gli ebrei strettamente osservanti della legge si sentirono disposti a riconoscere la validità della mis­ sione tra i gentili. Non si sa per quanto tempo quelle regole rimasero in vigore; si può supporre che fossero rigorosamen­ te osservate a Gerusalemme, specialmente a motivo della cre­ scente pressione degli zeloti per la conservazione dell'identi­ tà nazionale e culturale giudaica. Paolo stesso visse fra gli ebrei come uno stretto osservante della legge, anche se spesso af­ fermava con forza la sua libertà di coscienza. È comunque poco probabile che le regole emanate da Gerusalemme abbiano avuto lunga vita o una vasta diffusione; è invece più proba­ bile che siano cadute in disuso. Quando se ne parla in Apo­ calisse 2 . 14,20, la regola riguardante la carne sembra fosse stata semplicemente ignorata. Contemporaneamente al consenso dei gentili Luca regi­ stra il crescente rifiuto degli ebrei di accettare il vangelo. L'u­ suale comportamento di Paolo era di cominciare la sua mis­ sione nella sinagoga locale, e come ci pare di capire, egli si rivolgeva ai gentili solo quando gli ebrei rifiutavano il vange­ lo (Atti 13 .46) . Sarebbe più preciso dire che la missione tra i gentili aveva luogo non appena gli ebrei avevano avuto l' op­ portunità di udire per primi il vangelo ( 6) . Paolo riconosceva che il vangelo era per la salvezza «del Giudeo prima e poi del Greco» (Rom. 1 . 16) . Quando gli ebrei rifiutavano il van­ gelo erano rifiutati da Dio come suo popolo, fatto simboliz­ zato dall ' atto dei missionari quando scuotevano via la polve­ re dai piedi in disapprovazione del comportamento degli ebrei che rifiutavano di ascoltarli, e si rivolgevano ai gentili (7) . (6) Jervell, pp. 60 s., fa quanto può per minimizzare il significato di 13.46. Ha però ragione di insistere che la missione tra i gentili non è moti­ vata solamente dal . rifiuto degli ebrei di accettare il vangelo. (7) Forse � sottintesa la motivazione indicata in Rom. 1 1 . 13 s.

INTRODUZIONE

3.5

Al punto messo in evidenza in Atti 13 .46 viene dato di nuo­ vo grandissimo rilievo all' apice della narrazione contenuta nel libro, 28 .25-28. Eppure, un fatto stranamente assente in At­ ti è un qualsiasi riferimento al giudizio divino su Gerusalem­ me, presente in modo cosl accentuato nel Vangelo (Luca 13 .34 s. ; 19.41-44; 21.20-24; 23.28-3 1). Gerusalemme, vista nel Van­ gelo come il luogo del rifiuto del Signore, diventa il luogo in cui egli risorge dai morti, dove avviene l'effusione dello Spirito, dove ha inizio l'opera della chiesa. In Atti, a riceve­ re la condanna per aver rifiutato il vangelo, non è Gerusa­ lemme, ma il giudaismo ufficiale. 5.

La vita e l'organizzazione della chiesa

Luca si preoccupa di dare un quadro della vita e dell'adora­ zione nella chiesa senza dubbio per fornire un modello che serva di guida alla chiesa del suo tempo. Dai brevi cenni dei primi capitoli di Atti (2 .42-47 ; 4 . 32-37) ricaviamo il quadro di piccoli gruppi radunati insieme per ricevere insegnamento, per aver comunione, per pregare e rompere il pane. Si entra a far parte della chiesa con il battesimo con acqua. Luca dà un risalto particolare all'importanza dello Spiri­ to nella vita della chiesa. Lo Spirito è possesso comune a tutti i cristiani, è fonte di gioia e di potenza, e leader cristiani so­ no coloro particolarmente ripieni di Spirito per adempire le loro varie funzioni. Lo Spirito guida la chiesa nello scegliere i suoi leader e nelle sue attività evangelistiche ad un grado tale da far dire a volte, di Atti: è il libro degli «Atti dello Spirito Santo» (8) . Inizialmente la conduzione della chiesa era affidata agli apostoli presenti a Gerusalemme insieme con gli anziani, e la chiesa di Gerusalemme aveva un posto di rilievo in rela­ %ione alle altre chiese sorte in seguito . Nelle chiese locali c'e­ rano degli anziani, e particolare importanza avevano i profe(8) J.H.E. Hull, The Ho/y Spirit in the Acts of � Apost/es (London, 1968); F.F. Bruce, «The Holy Spirit in the Acts of the Apostles», Interpre­ tation 27, 1973, pp. 166- 183 .

36

GLI ATn DEGU APOSTOLI

ti e gli insegnanti, alcuni dei quali sembra fossero residenti, ed altri itineranti. Luca non dice molto sul criterio con cui quelle persone venivano scelte e sulle loro incombenze, tanto da farci concludere che egli non vi annettesse molta impor­ tanza. Ci viene però descritto come venne designato un apo­ stolo al posto di Giuda, e come furono scelti sette uomini per aiutare gli apostoli . Ci viene brevemente narrato in che modo la chiesa di Antiochia scelse e fece partire dei missio­ nari, e come procedeva Paolo per l'elezione degli anziani nelle chiese da lui fondate . Ci viene detto quel tanto sufficiente a farci capire quali fossero per Luca i fattori significativi: le qualità spirituali delle persone scelte e la guida dello Spirito nelle riunioni in cui esse venivano designate ai loro incarichi. Veniamo a conoscenza pure di alcuni particolari sul la­ voro dei missionari. Fin dall ' inizio fu stabilito il principio del lavoro d'équipe, e per la maggior parte delle volte i missio­ nari viaggiarono in gruppi di due o più persone ; Pietro e Fi­ lippo (capitoli 8- 10) furono eccezioni alla regola. Lo stile con cui Luca fa il suo racconto ha indotto molti lettori a pensare che Paolo e i suoi colleghi stessero mettendo in pratica un preciso programma di «viaggi missionari», ma uno studio più attento della narrazione mette in luce soste di Paolo conside­ revolmente lunghe nei centri abitati più importanti . Non è chiaro se Luca avesse una conoscenza diretta dei principi guida del lavoro di Paolo; ma certamente ci dà le prove che i viag­ gi di Paolo erano ben lontani dall ' essere «viaggi elettorali». Luca riporta diversi sermoni come esempi del modo in cui era predicato il vangelo, ed uno come esempio del modo in cui Paolo parlava a leader cristiani riguardo alle loro re­ sponsabilità (20 . l 7-35) . La varietà di questi sermoni missio­ nari e dei discorsi dei cristiani sotto processo davanti alle au­ torità giudaiche e romane è certamente intesa ad illustrare i diversi modi in cui era presentato il vangelo a differenti grup­ pi di persone, a ebrei e a greci, a gente colta e a gente senza istruzione, ed è difficile non ricavarne I' impressione di un 'e­ sposizione di questi sermoni con lo scopo di farli servire di modello, ad uso dei lettori di Luca, per la loro opera di evan­ gelizzazione. È stato il materiale di questo tipo a far attri­ buire ad Atti la qualifica di libro «edificante». Pure se il ter-

37

INTRODUZIONE

mine, nel modo in cui lo usa Haenchen (pp. 103-1 10) sem­ bri, per dire il meno, leggermente dispregiativo, è un termi­ ne appropriato e onorevole per descrivere il libro, essendo esso inteso ad illustrare ai cristiani contemporanei di Luca quale fosse il significato di essere chiesa e come essi avrebbero do­ vuto continuare a vivere per attenersi al modello stabilito nei primi tempi. La narrazione è strutturata in gran parte attorno alle vi­ cende dei due capi cristiani, Pietro e Paolo. Si fanno notare interessanti paralleli tra i due uomini, e si può anche rilevare qualche parallelismo tra le vicende di Gesù e quelle di Pao­ lo . Alcuni studiosi hanno con molta abilità scoperto questo parallelismo fin nei particolari e probabilmente arrivando ad esagerarne la presenza (9) . In generale, comunque, la teoria persuade, e dimostra che Luca vide nella vita del loro Mae­ stro terreno un modello per la vita della chiesa e dei suoi mis­ sionari.

III.

LA

STORICITÀ DI ATTI

Nella sezione precedente abbiamo notato alcuni degli interessi teologici che vengono alla luce nella composizione di Atti. La loro presenza ha indotto un numero sempre più folto di stu­ diosi a domandarsi quale sia il valore storico di Atti ( 1). Nel diciannovesimo secolo la scuola critica cosiddetta di Tubinga riteneva Atti un tardo tentativo di dare una verniciata sopra al conflitto fra Pietro e Paolo, pesantemente incombente (si asseriva) sui primi anni della chiesa; Atti dava il quadro di uno smussato compromesso e mascherava le dure realtà del conflitto (2) .· Verso la fine del secolo, le ricerche - in parti­ colare quelle fatte da Willi am Ramsey - dettero un grosso contributo a screditare questa interpretazione di Atti e a riaf-

(9) M.D. Goulder, Type and History in Acts (London, 1964); W. Radi, Paulus und ]esus im lukanischen Doppelwerk (Bern u. Frankfurt 1 975). (1) Per una storia della critica con speciale riferimento a questo proble­ ma, vedi Gasque. (2) H. Harris, The Tubingen School (Oxford, 1975) . ,

38

GU ATI1 DEGLI APOSTOLI

fermare l'elevato valore storico dell'opera di Luca (3) . Ram­ sey non vi sono dubbi, sostenne la sua tesi con assai più for­ za di quanta molti suoi contemporanei sarebbero stati dispo­ sti ad accettare, e si spinse a fare sue alcune asserzioni sul­ l'accuratezza storica di Luca che andavano al di là di quanto potesse essere provato dall'evidenza allora disponibile . Al prin­ cipio del ventesimo secolo un punto di vista essenzialmente · simile ma più moderato nella sua presentazione comparve nella grande opera prodotta dagli studiosi angloamericani di At ti, The Beginnings of Christianity. I collaboratori di quest 'opera provenivano da varie scuole di pensiero e certamente non si dimostravano ciechi adulatori di Luca; al contrario, valutava­ no la sua opera secondo gli standard dell'erudizione liberale; in generale riconoscevano in Atti un'opera storica di valore considerevole. Questo giudizio fu sancito poi nei commenta­ ri post-bellici di F.F. Bruce e C . S . C . Williams. Nel frattempo si stava sviluppando una forte reazione. In Germania, M. Dibelius esprimeva in una serie di saggi una posizione assai più scettica sul valore storico di Atti, al quale aveva applicato i metodi della critica della forma . Vi fu poi un ulteriore sviluppo espresso dalla critica della redazione: gli scrittori del Nuovo Testamento avevano creato una teologia servendosi liberamente delle tradizioni a loro disposizione. Per quanto l'importante studio di H. Conzelmann sulla teologia di Luca, pubblicato nel 1954, concentri la sua attenzione sul Vangelo, sembra a molti suoi lettori presentare soprattutto un Luca teologo, considerandolo invece assai scadente come storico. Due anni più tardi segul la prima edizione di un co­ lossale commentario ad Atti di E . Haenchen. Chiunque avesse pensato che R. Bultmann rappresentava il punto estremo a cui potesse giungere lo scetticismo storico nei riguardi del Nuo­ vo Testamento, doveva prepararsi a ricevere un duro colpo . D metodo seguito da Haenchen era quello di dirsi per ogni punto di Atti : «Luca sta tentando di fare qualche cosa. Che cosa?>> e di credere possibile spiegare la maggior parte di At(3) W .M. Ramsey, St Pau l the Traveller and the Roman Citizen (London,

1895 , '61920); The Bearing o/ Recent Discovery on the Trustworthiness of the New Testament (London, 1914).

INTRODUZIONE

39

ti in questi termini: Luca sta creando un resoconto edifican­ te della chiesa primitiva in cui nulla deriva da fonti scritte e tutto si basa su tradizioni orali assolutamente insufficienti e inadeguate. Come risultato, l'accuratezza storica di Luca ve· niva ridotta a brandelli: la narrazione non aveva quasi nessu· na base nella tradizione, era piena di incoerenze e improba­ bilità storiche, ed era fondamentalmente il prodotto della fer· tile mente di uno scrittore di romanzi storici poco o per nul­ la preoccupato di prendere in considerazione cose fastidiose come i fatti. La stessa linea fu seguita, in un commentario apparso un po' più tardi, da H. Conzelmann, per quanto la brevità della sua trattazione faccia apparire il suo scetticismo storico molto più arbitrario e peggio basato di quello di Haen· chen. Al presente, la posizione Haenchen-Conzelmann è quella dominante quasi incontestata nell' Europa continentale (4) . l.

Scetticismo storico

Quali fattori hanno condotto a valutare con tanto scetttcl­ smo la storicità di Atti? Primo, vi è il retroterra generale dello scetticismo storico collegato con la critica della forma e con la critica della redazione. Secondo la congettura più ricorrente, i circoli della chiesa preposti a preservare e trasmettere le tra­ dizioni e poi ad incorporarle negli scritti, avevano motivazioni teologiche e perciò non avevano interesse a quanto era real­ mente accaduto e/o erano incapaci di fare dei controlli per vedere quali fossero i fatti storici. La chiesa primitiva, cosl ci viene detto, non si interessava alla storia. Ma questa è una conclusione generale logicamente ingiustificata - il corsivo

(4) Per una recente ricapitolazione di questo approccio, vedi E. Pliima� cher, > nelle qua­ lifiche richieste, ma esso è assolutamente naturale nel caso della ricerca del successore di uno dei Dodici che erano stati discepoli di Gesù ed il cui compito (possiamo ragionevolmente supporre) era connesso con la testimonianza agli ebrei . Se in Atti l'apostolato sia o no prospettato come limitato ai Dodi­ ci (vedi 14.4, 14 e commenti) , è tutta un' altra questione. 23-2 .5 . Essi ne presentarono due: Giuseppe, detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono e dissero: Tu, Signore, che conosci i cuori di tutti, indicaci quale di que­ sti due hai scelto per prendere in questo seroizio e apostolato il posto che Giuda ha abbandonato per andarsene al suo luogo.

L'uditorio presentò due possibili candidati a quell'incarico; Giuseppe Barsabba è distinto dalle altre persone di nome Giu­ seppe per mezzo del suo patronimico «Figlio del Sabbath» (cfr. 15 .22); egli ha anche un nome latino, Justus (cfr. Col. 4. 1 1) , secondo una pratica adottata da molti ebrei. Nient'altro si sa di lui, anche se si sparse una leggenda secondo cui bevve veleno e non ne riportò alcun danno. Mattia è la forma ab­ breviata di Mattithia, altro nome assai comune. La scelta ve­ ra e propria, comunque, fu lasciata al Signore, poiché non so­ no gli uomini a consacrare all'apostolato; perciò l'assemblea pregò perché il Signore volesse fare la sua scelta in virtù del­ la sua conoscenza del cuore degli uomini (cfr. 15.8 e speciaJ... mente I Sam. 16. 7) . Non è chiaro se la preghiera era rivolta a Dio Padre o a Gesù; ma poiché in 1 .2, quando si parla della scelta degli apostoli fatta da Gesù, viene usato lo stesso ver­ bo, è · più probabile che questa preghiera sia rivolta a lui. n

80

AITI

1 . 26

compito dell'apostolo è descritto come un seroizio; questo è il significato della parola greca diakonia (originariamente ser­ vizio alla tavola del pasto) , che è usata per il lavoro cristiano di qualsiasi specie, il cui modello proviene da Colui che non venne per essere servito ma per servire (Mar. l O. 4 5) . ll luo­ go al quale Giuda andò è un eufemismo corrente per indica­ re la destinazione ultima di una persona, sia essa il cielo o l'inferno. 26. Tirarono quindi a sorte, e la sorte cadde su Mattia, che fu

associato agli undici apostoli.

Il tirare a sorte è l'espediente usato per permettere al Signo­ re di fare la sua scelta (Prov. 16.3 3). Anche la setta di Qum­ ran seguiva quella pratica (lQS 5 .3), ma è dubbio che la chiesa l'avesse copiata da Qumran. Analogamente, non si deve ne­ cessariamente ritenere il npmero di dodici apostoli ricalcato sul modello dei dodici laici i quali (insieme con tre sacerdoti) formavano il consiglio della setta di Qumran ( lQS 8 . 1 ; non è chiaro se i membri erano in totale quindici o dodici) . Se­ condo alcuni commentatori il ricorso alla sorte è tipico della situazione della chiesa prima della Pentecoste, quando anco­ ra non aveva la guida dello Spirito; altri commentatori sono più drastici e sostengono che la chiesa commise un errore nello scegliere Mattia in quel modo - essa avrebbe dovuto aspet­ tare la venuta del «dodicesimo uomo» scelto da Dio, Paolo, invece di circoscrivere la scelta di Dio a due altri di cui non si sente mai più parlare. Ma in Atti non sentiamo più parla­ re nemmeno di altri membri del gruppo dei Dodici (eccetto Pietro, Giacomo e Giovanni), e Paolo non possedeva le qua­ lifiche essenziali per essere uno dei Dodici. Il massimo che si possa dire è questo: nel periodo precedente alla Penteco­ ste la chiesa doveva cercare la guida divina con altri mezzi, diversi dall' aiuto dello Spirito, ma il metodo adottato (la pre­ ghiera e il tirare a sorte) era assolutamente corretto. Infatti la chiesa stava domandando al Signore di fare la «sua» scelta dell'uomo giusto, e solo dopo questa scelta l'uomo fu «regi­ strato» come apostolo; non si può dire che sia stata la chiesa ad >) si accor­ da male con questo oggetto. È stato ipotizzato che la diffi­ coltà sorga dall'aver adottato una frase della LXX (cfr. Giobbe 39.2) in cui il vocabolo ebraico senza vocali pbl è stato preso per bef?el, «doglie», invece del (corretto) f:;ef?el, «corda», «le­ game». Secondo Lindars (pp. 39 s.), Pietro avrebbe potuto avere in mente il Salmo 18.5, compreso alla luce e nei termi­ ni del Salmo 16.6, e perciò avrebbe parlato dei lacci della morte che erano stati sciolti, ma Luca aveva frainteso la fra­ se. Comunque questa interpretazione non spiega perché Lu­ ca abbia usato un oggetto che non si accorda col verbo. È preferibile adottare l'opinione espressa a suo tempo da F . Field, secondo cui il verbo adoperato può voler dire «portare ad un termine>>. Si avrebbe allora «una notevole doppia me­ tafora, in cui la morte è vista come se fosse in travaglio di parto e incapace di trattenere il . suo bambino, il Messia» (20) . Se ci domandassimo perché la morte non poteva trattenere Gesù, la risposta di Pietro sarebbe che Gesù era il Messia (vedi l'evidenza al versetto 22) e il Messia non poteva essere trattenuto dalla morte. 25 -28 . Jnfatti Davide dice di lui: Io ho avuto del continuo il Signore davanti agli occhi, perché egli è alla mia destra, affin(19) Tutte le versioni italiane (ad eccezione della CEI e della Diodati) han­ no «sciolto (o "liberato") dai legami (o "lacci") della morte». Dioda· ti ha «sciolte le doglie di morte», e CEI ha «sciogliendolo dalle ango­ sce della morte». La versione inglese seguita dall'Autore ha «having loosed the pangs of death>>, «avendo sciolto le doglie della morte». È su questa versione che l'Autore basa le sue osservazioni. N .d. t. (20) AG, s.v. lyo.

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A'ITI 2.29

ché io non sia smosso. Per questo si è rallegrato il mio cuore, la mia lingua ha giubilato e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non lascerai l'anima mia nel soggiorno dei morti e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposi­ zione. Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita. Tu mi riem­ pirai di gioia con la tua presenza.

Quest'ultimo argomento è difeso con la citazione del Salmo 16.8- 1 1 , preso come un'affermazione di Davide riguardante il Messia. Il salmo è la preghiera innalzata da un uomo pio: egli professa la sua fede in Dio e si dichiara fiducioso per­ ché, essendo il Signore (per modo di dire) > (cfr. II Sam. 7. 12-16; Sal. 89.4 s. ,36-3 8) . In effetto, secondo questi riferimenti Davide sarebbe stato il padre di una stirpe di re; il trono sarebbe rimasto alla sua famiglia e nessun usurpatore di qualche altra famiglia lo avreb­ be preso . Nondimeno, Pietro interpreta le parole come se si intendessero riferite a un discendente particolare. 3 1 . previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione.

Egli dunque dichiara che nel Salmo 16 Davide stava pronun­ ciando una profezia riguardante il Messia, il quale sarebbe (2 1) Anche Giuseppe attesta l'esistenza di un monumento conosciuto co­ me la tomba di Davide. Sfortunatamente non possiamo essere sicuri se l'edificio medievale ora conosciuto con questo nome e che si trova nei pressi di Siloam, al sud della città, sorga proprio sull'antico luo­ go. Vedi J. Wilkinson, ]erusalem as ]esus Knew It (London, 1978), pp. 166-170. (22) J.A. Fitzmyer, «David, 'Being therefore a prophet . . '», CBQ 34, 1972, pp. 332-339, fa notare che l'attività di Davide ha la qualifica di atti­ vità profetica in II QPs a 27 .l l. .

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ATTI 2.32

stato suo discendente. Invece di essere abbandonato nell'A­ cles, il Messia sarebbe stato risuscitato dai morti. La formu­ lazione del Salmo 16. 10 è lievemente alterata per adattarla al contesto; la parola carne, presa dal Salmo 16.9, si riferisce alla persona di Gesù nella sua interezza, e non vuole indiriz­ zare il pensiero ad un dualismo carne/anima. 32 . Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni.

Ed ecco la conclusione dell' argomento in corso. Quanto era stato profetizzato si è adempiuto in questo Gesù. Secondo la profezia del Vecchio Testamento, il Messia sarebbe risorto dai morti. Gesù era risorto dai morti (versetto 24) , perciò era certamente lui il Messia profetizzato; nessun altro, lo si po­ teva presumere con certezza, sarebbe potuto risuscitare dai morti prima della risurrezione generale. Il ragionamento di Pietro ovviamente non significa che Gesù divenne Messia a motivo della sua risurrezione dai morti, ma piuttosto: poiché il Messia deve risuscitare dai morti, e poiché Gesù è risusci­ tato dai morti, ne consegue che Gesù, durante la sua vita ter­ rena, era già il Messia. Nel _ragionamento ci si imbatte in due difficoltà. Primo, l'interpretazione prima facie del Salmo 16 è che Davide espri­ meva la sua speranza di essere salvato dallo Sheol per poter godere la comunione con Dio, interpretazione possibile an­ che perché la stessa speranza è espressa pure altrove nei Sal­ mi (Salmo 73) . Secondo, non è così certo che il Salmo 132 si riferisca ad uno specifico discendente di Davide come se fosse il Messia. Comunque, probabilmente l'uditorio di Pie­ tro accettava la tradizione secondo cui i passi riguardanti i discendenti di Davide includevano un riferimento particolare al Messia; un testo Qumran (4Q Florilegium) interpreta chia­ ramente II Samuele 7 . 10- 16 come un riferimento al Messia, e molto probabilmente anche il Salmo 132 sarebbe stato in­ terpretato allo stesso modo . Riguardo alla citazione del Sal­ mo 16, qui Pietro sembrerebbe dare al Salmo un'interpreta­ zione nuova, dichiarandolo inapplicabile in tutto e per tutto

AITI 2.33

97

a Davide; doveva perciò essere inteso nel senso che vedeva in anticipo la risurrezione del Messia e parlava nel nome del Messia. Secondo il ragionamento di Pietro, Davide stava perciò profetizzando la risurrezione del Messia consapevolmente, e non pronunciando parole in cui era insito un significato più profondo di quello di cui lui era conscio. Possiamo prendere a paragone Abraamo e Isaia, ai quali è attribuita la stessa per­ cezione (Giov. 8.56; 1 2 .4 1 ; cfr. anche, forse, Mosè, Ebr. 1 1 .26) . Certamente i cristiani ascrivevano con tutta natura­ lezza e senza ombra di dubbio ai grandi santi dell'età passa­ ta una conoscenza profetica del Messia. Si deve comunque ricordare quanto lo stesso Pietro ci rammenta, e cioè la na­ tura limitata di questa conoscenza profetica ( l Pie. 1 . 1 0- 12); « essa non implicava una conoscenza chiara e distinta degli eventi predetti. . . ciò che lo Spirito Santo rivelava in antici­ po era, per i profeti, chiaro solo in parte, sia per quel che riguardava la data dell' adempimento sia per quel che riguar­ dava la concretizzazione storica» (Knowling, pp. 87 s.) . . . .

3 3. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e aven­

do ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quel­ lo che ora vedete e udite.

Dopo aver stabilito che Gesù come Messia doveva risuscita­ re dai morti, Pietro può proseguire e spiegare la discesa dello Spirito. La risurrezione deve essere intesa come l' esaltazione di Ges ti . Non era stata solo un ritorno alla vita, ma anche un'ascensione per essere con Dio. Pietro ritiene il fatto evi­ dente di per sé, ma probabilmente c'era nella chiesa primiti­ va, a contribuire a comprenderlo, il fattore di un riferimento al Salmo 1 10. 1 (vedi avanti al versetto 34) del quale si ha qui l'eco. Gesù era ora diventato «l'uomo della mano destra di Dio» (vedi il contrasto col versetto 25) . Può darsi, come suggerisce Lindars, che vi sia una coperta allusione alla stes­ sa frase nel Salmo 16. 1 1, in cui si parla delle delizie in serbo presso la mano destra di Dio. Si tratta di una posizione di autorità, e quindi, asserisce Pietro, proprio in virtù di questa sua esaltazione Gesù ha ricevuto dal Padre il dono promesso

98

A 'ITI 2.34,35

dello Spirito e lo ha sparso sui suoi. Anche qui vi può essere un'allusione al Vecchio Testamento, questa volta al Salmo 68. 19 (23). Nel Testo Masoretico si legge: «Tu ascendesti l'alto monte, conducendo prigionieri al tuo seguito, e ricevendo doni tra gli uomini», ma un' altra versione, citata in Efesini 4.8, legge: «Salito in alto, egli ha portato con sé dei prigionieri, e ha fatto dei doni agli uomini». La formulazione del riferi­ mento di Pietro e la citazione di Paolo stanno ad indicare l'esistenza di un'antica interpretazione cristiana del Salmo, alle cui parole può essere facilmente dato il significato di «tu hai ricevuto doni per gli uomini». Anche nel Targum è riflessa la stessa interpretazione, salvo che Il sono le parole della leg­ ge a costituire il dono fatto agli uomini. Se questa interpre­ tazione delle parole del Salmo risale al primo secolo, il ver· setto che stiamo commentando potrebbe allora contenere un'implicita contrapposizione tra il dono della legge data agli uomini (come abbiamo notato sopra, associato nel giudaismo del secondo secolo alla Pentecoste) e il dono dello Spirito; ma quest'opinione è in certo qual modo solamente congettu· rale, ed è dubbio che Luca avesse colto l'allusione. In ogni caso, qualunque fosse il modo in cui Pietro era giunto alla sua deduzione - lo Spirito come dono del Gesù esaltato il fatto importante è l'ulteriore testimonianza data a Gesù co­ me Messia dall'elargizione dello Spirito. Della risurrezione era­ no solo i discepoli a poter testimoniare, ed infatti cosl essi facevano (versetto 32) ; ma tutto l'uditorio di Pietro poteva vedere gli effetti dell'elargizione . dello Spirito. -

34-35 . Davide infatti non è salito in cielo; anzi egli stesso di­ ce: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, fin­ ché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi.

Il ragionamento non è ancora completo. Nel versetto 33 l'ar­ gomentazione di Pietro andava dal Gesù esaltato al Gesù da(23) J. Dupont, «Ascension du Christ et don de l'Esprit d'après Acts 2.35», in B. Lindars e S . S . Smalley (curatori), Christ and Spirit (Cambridge, 1973), pp. 2 1 9-228. Vedi, comunque, Wilckens, p. 233 .

AITI 2.J6

99

tore dello Spirito, ma il suo scopo ultimo era di dichiarare Gesù non solo Messia, ma anche Signore - con tutto quan· to vi fosse stato di implicito nella dichiarazione per i suoi ascoltatori. Perciò egli introduce ora la citazione · fondamen­ tale del Vecchio Test amento in cui viene espressa la signoria di Gesù . Lo fa indicando un versetto in cui è concepibile ve­ dere un riferimento ad un'ascensione di Davide al cielo:. il Salmo 1 10. 1 . Non è chiaro se vi fosse in realtà qualcuno che credesse Davide asceso al cielo, anche se il Salmo avrebbe potuto essere inteso in questo senso se lo . si fosse ritenuto rivolto a Davide. La maggior parte degli studiosi moderni cn­ sidererebbe in effetto le parole del Salmo come parole di un profeta rivolte a un re israelita, esprimenti metaforicamente l'onore e l'autorità datigli da Dio. Ma per gli ebrei e per Gesù, e per la chiesa primitiva, le parole erano intese come pronun­ ciate da Davide e, cosl come nei versetti 29-3 1 , erano rite­ nute un riferimento di Davide al Messia. È dunque il Mes­ sia al quale Dio si rivolge come al Signore di Davide e invita a sedere alla sua destra. Possiamo notare un'ambiguità nel­ l'uso della parola «Signore», assente nel Salmo ebraico, dove la prima parola tradotta «Signore» è YHWH, il nome di Dio, e la seconda parola è 'al}on, da potersi usare per signori e padroni umani. In entrambi i casi il greco ha kyrios, e ciò facilita il trasferimento su Gesù di altri testi veterotestamen­ tari il cui riferimento è a Jahweh. Qui, comunque, è sempli­ cemente l'attributo di signoria dato a Gesù; egli non è equi· parato a Jahweh. 36. Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso.

Da tutta questa evidenza si ricava che Dio aveva costituito Gesù sia Signore (versetti 34 s.) sia Cristo o Messia (versetti 25-32) . Non vi è nessun elemento per il quale si possa pen· sare ad un atto di costituzione avvenuto alla risurrezione o dopo la risurrezione. Come abbiamo veduto, Gesù fu risusci­ tato dai morti perché era il Messia (cfr. 2.22 ; 10.38 ss.), e ad essere sollecitato a sedersi alla destra di Dio era Uno già

100

AlTI

2.3 7,38

chiamato in precedenza Signore. Ciò denuncia con maggior vigore la terribile gravità dell'azione dei giudei nel crocifig­ gere Gesù. Essi avrebbero dovuto tremare al pensiero di es­ sersi annoverati, mediante quell'azione, nel numero dei «ne­ mici» i quali sarebbero stati sopraffatti e vinti dal Messia (ver­ setto 35). 3 7 . Udite queste cose, essi furono compunti nel cuore, e dissero a Pietro e agli altri apostoli: Fratelli, che dobbia­ mo fare?

Gli ascoltatori di Pietro presero quelle parole e le applicaro­ no personalmente a se stessi. Forse molti fra loro avevano tacitamente approvato r operato dei loro capi quando questi avevano messo Gesù a morte . Le parole rivelatrici di Pietro riguardo alla posizione ed alla dignità di Gesù dettero loro una drastica scossa, e ne furono colpiti nel cuore. Si pensa che la frase usata sia tratta dal Salmo 109. 16, lo stesso Sal­ mo già citato in 1 .20b, ma se cosl fosse, sarebbe stato sem­ plicemente e solo l'uso di un linguaggio veterotestamentario senza alcun significato più profondo. Il pensiero è quello di avere il cuore rotto e di essere convinti di peccato. Era na­ turale che persone cosl convinte di peccato chiedessero quale dovesse essere il loro prossimo passo (anche se la domanda può essere stata la drammatizzazione di Luca della situazio­ ne venutasi a creare) . 38. E Pietro a loro: Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezza­

to nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo.

La risposta di Pietro è servita di modello ai predicatori cri­ stiani per i loro appelli all'uditorio. Conteneva due richieste, le quali in definitiva assommavano ad una sola. La prima era un appello al ravvedimento (cfr. 3 . 19; 8 .22; 1 7 . 30; 20.2 1 ; 26.20) . In esso riecheggiava sia la predicazione di Giovanni Battista col suo battesimo di ravvedimento per il perdono dei

AITI

2.38

101

peccati (Luca 3. 3) sia quella dello stesso Gesù (Marco 1 . 15; Luca 1 3 . 3 ,5; 24.47) . La parola indica un cambiamento di di­ rezione nella vita di una persona, e non soltanto un cambia­ mento di atteggiamento mentale o un sentimento di rimorso; significa un volgere le spalle a un modo di vita peccaminoso ed empio. In un certo senso, l'uomo è incapace di fare da sé questo cambiamento; e perciò, anche se viene ordinato agli uomini di ravvedersi, si deve peraltro considerare il ravvedi­ mento un dono di Dio (5 . 3 1 ; 1 1 . 18 ; II Tim. 2 .25) . Il ravve­ dimento va anche inteso come una parte essenziale della con­ versione e della risposta o reazione al vangelo; Calvino dice­ va: (Istituzioni, III, 3 , 1), ma sarebbe più rispondente a verità il vedere il ravvedimento e la fede come le due fac­ ce di una stessa medaglia. Infatti, qui il ravvedimento è uni­ to all'essere battezzato. Poiché altrove ravvedimento e fede sono strettamente collegati (20.2 1; Marco 1 . 15), è dunque cer­ to che, oltre a tutti gli altri suoi possibili significati, il batte­ simo è un'espressione della fede. Per Giovanni Battista, il bat­ tesimo era un'espressione di ravvedimento . I primi cristiani presero quel rito e lo fecero proprio, ma ampliandone il si­ gnificato. Il battesimo era fatto nel nome di Gesù; «nel nome di» può essere un'espressione usata in commercio col significato di «sul conto di (GesÙ)»; o può essere una frase .ebraica idio­ matica: > o profezie riguardanti le sofferenze del Messia (Ger. 1 1 . 19; Dan. 9.26; Zacc. 1 3 . 7; Sal. 22; 69) ; tali riferimenti potrebbero essere tratti da tre dei quattro li· bri degli «ultimi profeti» (Isaia, Geremia e Libro dei Dodici, omettendo Ezechiele) e dal libro dei Salmi. in

19. Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati

L,operato di Dio ha ora creato le condizioni favorevoli al rav­ vedimento dei giudei ed al perdono dei loro peccati. n signi­ ficato di ravvedetevi (2 . 38) è reso più chiaro facendolo subito seguire da convertitevi o meglio «voltatevi verso (Dio)>> (cosl

120

ATI1

3.20,21

altre versioni moderne) . Il verbo illustra l'azione di allonta­ narsi (voltando le spalle) da un precedente modo di vivere, specialmente dall'adorazione degli idoli, per iniziare un nuo­ vo modo di vivere basato sulla fede e sull'ubbidienza a Dio (9 .35; 1 1 .2 1 ; 1 4 . 15; 15. 19; 26. 18,20; 28 .27; cfr. Is. 6. 10; Gioe. 2 . 12-14) . Il risultato immediato sarà «la cancellazione dei loro peccati»; l'elenco di accuse contro di loro sarà an­ nullato (e/r. Col. 2 . 14) un altro .modo per dire che i loro peccati saranno perdonati (2 . 3 8) . -

20-2 1 . e affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di refrigerio e che egli vi mandi il Cristo che vi è stato destina­ to, cioè Gesù, che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi del­ la restaurazione di tutte le cose; tempi dei quali Dio parlò per bocca dei suoi santi profeti che sono stati fin dal principio.

Sono poi indicate altre due conseguenze. La prima è che dal Signore verranno dei tempi di refrigerio. Questa frase è alquanto singolare e i commentatori generalmente pensano si riferisca all ' èra finale della salvezza. Se l'interpretazione è giusta, al­ lora il plurale tempi può forse stare ad indicare la lunghezza del periodo in questione (forse si può fare un confronto con «i tempi dei gentili>> di Luca 2 1 .24) . Vi può anche essere un legame con > (cosl Nard., Conc.; 2 1 . 1 3 ; III Giov.

A ITI 6. 1-7

167

7), cioè per amor di Gesù. Qui abbiamo un esempio concre­ to di quel «rallegrarsi nella sofferenza» che dovrebbe essere il segno distintivo del cristiano sotto la persecuzione (l Pie. 4. 1 3 ; cfr. Matt. 5 . 1 1 s. ; Rom. 5 . 3 s. ; II Cor. 6. 10; I Pie. 1 . 6 s.) . Ed infine, come c'era da aspettarsi, l'esperienza non arrecò nessuna diminuzione all'ardore della testimonianza degli apostoli a Gesù come Messia. Probabilmente il sinedrio avreb­ be potuto fare ben poco per fermare la loro opera di evange­ lizzazione da essi condotta nelle proprie case. Ma gli apostoli continuarono la loro attività pure nel tempio, apparentemen­ te, per il momento, senza ricevere molestie. 111.

LA CHIESA COMINCIA AD

a.

ESPANDERSI

(6. 1

-

9. 3 1)

L'elezione dei sette (6 . 1-7)

Nei primi cinque capitoli di Atti abbiamo visto la chiesa in­ staurarsi a Gerusalemme e l'opposizione scatenarsi contro la sua predicazione, il cui oggetto era Gesù. Si arriva ora alla terza sezione di Atti, dedicata all'inizio dell'espansione del­ l' opera missionaria condotta dalla chiesa, ed ai vari aspetti che prende. Prima abbiamo la storia della crescita della chie­ sa a Gerusalemme e la sua diffusione nel mondo ebraico di lingua greca; ciò portò al martirio di Stefano (6. 1 - 8. 3) ( 1 ) . Secondo , abbiamo il diffondersi della chiesa in Samaria (8 .4-25) . Terzo, c'è la conversione di un etiope (8.26-40) . Quarto, c'è la conversione di Saulo, che doveva diventare il più significativo_ dei missionari cristiani tra i gentili (9. 1-30) . La persecuzione giudaica contro i cristiani raggiunge il suo culmine con la morte di Stefano, ma allo stesso tempo da que­ sto episodio deriva la diffusione geografica della chiesa e quindi l'inizio della testimonianza al di fuori dei circoscritti limiti del giudaismo; si prepara così il terreno per la questione cri­ tica del posto dei non ebrei nella chiesa. La narrazione comincia con un biasimo espresso dai cri­ stiani di lingua greca, concernente le disposizioni prese nella (l) M. Hengel, > dove correva la strada verso la Palestina. L'or­ dine divino dato ad Abraamo e riportato qui è preso da Ge­ nesi 12 . l , dove è in effetto pronunciato a Charan. Comun­ que, poiché da Genesi 15 .7 e da N ehemia 9. 7 è chiaro l'or(14)

O'Neill , pp.

89-94.

182

AITI 7.4,5

dine di Dio ad Abraamo di uscire da Ur, si può ragionevol­ mente desumere che egli ricevesse una chiamata divina ad Ur prima di andare a vivere a Charan; infatti anche Filone giunge alla stessa deduzione. Parrebbe perciò naturale concludere che una medesima sostanza permeava il messaggio divino dato ad Ur e quello dato a Charan; quindi sarebbe fuor di luogo par­ lare qui di un errore di Luca. L'essersi discostato dal raccon­ to di Genesi 1 1 .3 1 - 12 .5 è stato un atto deliberato. 4-S . Allora egli lasciò il paese dei Caldei, ed andò ad abitare

in Ca"an; e di là, dopo che suo padre mon� Dio lo fece venire in questo paese, che ora voi abitate: in esso però non gli diede in proprietà neppure un palmo di te"a, ma gli promise di darla in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, quando egli non aveva ancora alcun figlio.

Perciò Abraamo lasciò la sua patria in ubbidienza alla chia­ mata divina. In un primo tempo egli e la sua famiglia si sta­ bilirono a Ca"an. In quel momento egli era presumibilmente sotto il controllo del padre Terah, il quale non lasciò mai Car­ ran. Secondo Genesi 1 1 .26,32, Terah aveva settant'anni quan­ do gli nacque Abraamo, e ne aveva 205 quando morl a Cha­ ran; in Genesi 12.4 Abraamo aveva settantacinque anni quan­ do lasciò Charan. Quindi egli partì quando Terah aveva 145 anni, e cioè sessant'anni prima che il padre morisse e non dopo la sua morte, come afferma Stefano. Poiché Filone, come Ste­ fano, fa lasciare Charan ad Abraamo dopo la morte di Terah e poiché la versione samaritana della Genesi dà a Terah l'età di 145 anni al momento della sua morte, chiaramente qui Ste­ fano segue una tradizione con una variante del testo di Ge­ nesi. Poiché di solito Luca, da parte sua, segue la versione dei Settanta e poiché non conosciamo nessuna versione gre­ ca della Genesi nel cui testo vi sia questa variante, se ne può dedurre che qui Luca stia attenendosi ad una fonte precisa e non componendo liberamente il discorso. La destinazione di Abraamo era il paese, che ora voi abi­ tate. Vi è, implicito, il pensiero dell'adempimento della pro­ messa fattagli da Dio, in quanto i suoi discendenti stanno vi-

AITI 7. 6, 7

183

vendo nella terra promessa. Comunque, per Abraamo era tut­ tora solo una terra «promessa». In quanto a lui, non gli fu dato nessuno possesso in essa neppure un palmo di terra (CEI, «neppure quanto l'orma di un piede») , dice Stefano, prendendo a prestito una frase biblica da Deuteronomio 2.5 («neppure quanto ne può calcare un piede») . Anche la pro­ messa in sé dovette apparire ad Abraamo senza sostanza, poi­ ché egli non aveva alcun figlio (cfr. Rom. 4. 16-22, in cui è descritta la forza della fede di Abraamo nella promessa di Dio malgrado l' apparente impossibilità del suo adempimento) . Abraamo, in realtà, acquistò un sepolcro (Gen. 23) , ma Ste­ fano giustamente lo ignora; un cimitero non può essere un luogo in cui vivere o un simbolo di un futuro insediamento. È anche vero che egli ebbe altri figli prima e dopo Isacco, ma nessuno di essi fu considerato come l'erede promesso. L'a­ dempimento della promessa avrebbe pOtuto accadere solo con un intervento divino. -

6-7. Dio parlò così: lA sua progenie soggiornerà in terra stra­

niera, e sarà ridotta in schiavitù e maltrattata per quattrocen­ t'anni. Ma io giudicherò la nazione che avranno seroito, disse Dio; e dopo questo essi partiranno e mi renderanno il loro cul­ to in questo luogo.

Segue un'ulteriore promessa. È introdotta al negativo come una profezia in cui si dice che quando Abraamo avesse avu­ to una progenie, questa sarebbe stata «pellegrina» (CEI, Conc.) in una terra «appartenente ad altri» (RSV) e ivi sarebbe ri­ masta schiava per 400 anni; solo dopo di ciò Dio avrebbe posto sotto giudizio i suoi padroni e guidato il suo popolo a servirlo in Canaan. Quindi l' adempimento della promessa di Dio ad Abraamo è dimostrato dal fatto che Stefano e i suoi contemporanei erano a Gerusalemme e vi potevano ado­ rare Dio . Può contemporaneamente esservi il pensiero che Dio era col suo popolo durante l'esilio dalla Palestina. La profe­ zia è citata da Genesi 15 . 1 3 s. e il riferimento è al soggiorno in Egitto. Quattrocent'anni è una cifra tonda (contrapporla a Es . 12 .40); i problemi sorgono quando si fa un confronto con

184

ATTI 7. 8

r.affermazione cronologica di Galati 3 . l 7, ma essi competo­ no ad un commentatore di Galati; Stefano qui sta semplice­ mente seguendo quanto è detto in Genesi 1 5 . 1 3 . La prima parte del versetto 7 cita Genesi, ma la seconda parte ha una fraseologia tratta da Esodo 3 . 12, in cui si- promette a Mosè, quando il popolo avesse lasciato l'Egitto, di poter adorare Dio «su questo monte>>, cioè Horeb (Sinai) ; Stefano invece parla di questo luogo, intendendo Canaan - sta perciò parafrasan­ do per i suoi ascoltatori quanto Dio aveva detto ad Abraa­ mo, usando un linguaggio Scritturate basato su Esodo 3 . 12; va oltre le parole effettivamente dette in Genesi per dimo­ strare il suo punto, che qui non è esplicito ma può essere ra­ gionevolmente ritenuto implicito. 8. Poi gli dette il patto della circoncisione; cosi Abraamo, do­ po aver generato [sacco, lo circoncise l'ottavo giorno; e !sacco generò Giacobbe, e Giacobbe i dodici patriarchi.

Come pegno della promessa che ·Stava facendogli, Dio diede ad Abraamo il rito della circoncisione. Fece un patto con lui, e il segno della validità del patto era l'atto della circoncisio­ ne (Gen. 1 7 . lO) . Il patto consisteva nella promessa di Dio di essere l'Iddio di Abraamo e dei suoi discendenti, facendo­ li oggetto della sua cura speciale; da parte dell'uomo, la sot­ tomissione al rito della circoncisione era il segno dell'impe­ gno preso con Dio. Nulla fa pensare ad un'opposizione di Ste­ fano al rito della circoncisione in quanto tale; il rito divenne materia di contenzione solo quando i gentili incirconcisi en­ trarono a far parte della chiesa. Lake e Cadbury hanno para­ frasato il così con cui ha inizio la seconda parte del verset­ to in questo modo: «Per cui, mentre non c'era ancora un luogo santo, tutte le condizioni essenziali per la religione d'Israele erano adempiute» (BC , IV, p. 72); questa è forse un'esagera­ zione, ma nella narrazione è implicito che Abraamo ricevette da Dio la promessa mentre non possedeva nessun territorio in Canaan. Come risultato della promessa egli mise al mon­ do !sacco, ed in ubbidienza al comandamento ad essa asso­ ciato, lo circoncise (Gen. 2 1 .4) ; così cominciò la stirpe che portò alla nascita dei patriarchi, i dodici figli di Giacobbe.

AITI 7. 9-13

185

9- 10. I patriarchi, portando invidia a Giuseppe, lo vendettero, perché fosse condotto in Egitto; ma Dio era con lui, e lo liberò da ogni tribolazione, e gli diede sapienza e grazia davanti al fa­ raone, re d'Egitto, che lo costituì governatore dell'Egitto e di tutta la sua casa.

Poi Stefano arriva alla storia di Giuseppe, di cui è costituita la seconda grande sezione del suo discorso (versetti 9- 1 6). Vi sono riportati i fatti, e non è chiaro quale sia l'elemento teo­ logico dei particolari. Probabilmente Stefano sta dimostran­ do come si fosse adempiuta la profezia del versetto 6, ed al­ lo stesso tempo indicando come il popolo, rappresentato dai fratelli di Giuseppe, dette inizio al processo di opposizione ai capi designati da Dio, e come Dio sostenne il capo che si era scelto. Quindi la storia comincia con la gelosia, o piut­ tosto con l'invidia dei fratelli di Giuseppe quando egli co­ minciò ad avere dei sogni in cui veniva rivelata la sua futura posizione di superiorità (Gen. 3 7 . 1 1) ; poi, prosegue la sto­ ria, essi lo vendettero come schiavo (Gen. 37 .28; 45 .4) , ma Dio fu con lui nelle sue difficoltà e lo liberò dalle · sue affli­ zioni (Gen. 39.2,2 1); (15) gli fece avere grazia davanti al fa­ raone come risultato della saggezza da lui dimostrata nell'in­ terpretare i sogni del re e nel programmare i provvedimenti per l'imminente carestia (Gen. 4 1 .38 s. , 4 1 ; Sal. 105 . 1 6-22) . Possiamo notare come la sapienza fosse associata particolar­ mente con l' Egitto (7 .22) ; da parte sua, Luca l'associa con Stefano (6 . 3 , 10) ed anche con Gesù (Luca 2 . 40,52) . 1 1 - 13 . Sopraggiunse poi una carestia in tutto l'Egitto e in Ca­

naan; l'angoscia era grande, e i nostri padri non trovavano vive­ ri. Giacobbe, saputo che in Egitto v 'era grano, vi mandò una prima volta i nostri padri. La seconda volta, Giuseppe fu rico­ nosciuto dai suoi fratelli, e così il faraone venne a sapere di che stirpe fosse Giuseppe. (15) Non è chiaro se questa è un'allusione tipologica al modo in cui Dio liberò Gesù dalle sue afflizioni ed al modo in cui agisce con i cristia­ ni nelle loro afflizioni (Atti 14.22; 20.23).

1 86

·

AITI

7. 1 4-16

La parte successiva della storia è dedicata a spiegare perché la famiglia di Giacobbe scese in Egitto. Stefano narra breve­ mente una vicenda senza dubbio assai ben conosciuta dai suoi ascoltatori: la carestia sopravvenuta sull'Egitto aveva causato afflizione anche a livello mondiale (Gen. 4 1 .5 7) e colpito in particolare Canaan (Gen. 42 .5). Forse è vista come una for­ ma di castigo divino sui fratelli di Giuseppe; in ogni caso servl a mandarli in Egitto a comperare grano da quei magazzini di cui Giacobbe aveva udito parlare (Gen. 42 . 1-5) . Nella lo­ ro seconda visita, «Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fra­ telli» (RSV, CEI, Conc. ; Gen. 45 .3) ( 16). 14- 16. Poi Giuseppe mandò a chiamare suo padre Giacobbe e tutta la sua parentela, composta di settantacinque persone. Gia­ cobbe discese in Egitto, dove perirono lui e i nostri padri; poi furono trasportati a Sichem, e deposti nel sepolcro che Abraamo aveva comprato con una somma di denaro dai figli di Emmor in Sichem.

Quando Faraone conobbe la famiglia di Giuseppe, la invitò

a stabilirsi in Egitto, cosl che tutto il gruppo, compreso Gia­

cobbe, scese in quella nazione. La cifra di settantacinque per­ sone si basa sulla versione dei LXX di Genesi 46.27 e di Eso­ do 1 .5 , mentre il testo ebraico ha settanta. Il totale più alto lo si raggiunge omettendo Giacobbe e Giuseppe e includen­ do i sette figli sopravvissuti dei riove di Giuseppe. In entrambi i casi la cifra rappresenta il totale dei discendenti di Giacob­ be, cioè della sua progenie che discese in Egitto o vi nacque. E tutti costoro vi morirono pure. Ma, anche se la promessa del ritorno all a terra di Canaan non si era ancora adempiuta, la loro sepoltura in Canaan può essere intesa come un'espres­ sione di fede nel fatto che al momento designato Dio avreb­ be mantenuto la promessa. La relazione della vicenda della sepoltura con le tradi(16) L'ipotesi che possa esservi qui un riferimento tipologico alla seconda venuta di Gesù come al tempo in cui sarà riconosciuto come Messia dagli ebrei che non lo riconobbero tale alla prima venuta, parrebbe del tutto �mprobabile.

AITI 7. 1 7-19

187

zioni del Vecchio Testamento è complicata. Secondo Atti, essi furono tutti sepolti a Sichem. . . nel sepolcro che Abraamo ave­ va comprato . . . dai figli di Emmor. l) Secondo Genesi 49.29-32 ; 50. 1 3 , Giacobbe fu sepolto nella spelonca di Macpela, vicino ad Hebron, che Abraamo aveva acquistata da Efron l'Hitteo (Gen. 23) . 2) Giuseppe fu sepolto a Sichem (Gios. 24. 32) in un terreno che Giacobbe aveva acquistato dai figli di Hemor (Gen. 33 . 18-20) . 3) Nelle sue Antichità (2 . 199), Giuseppe Fla­ vio afferma che gli altri figli di Giacobbe (e, per implicazio­ ne, lo stesso Giacobbe) erano sepolti a Hebron, tradizione riportata anche nei Giubilei e nei Testamenti dei Dodici Pa­ triarchi. 4) Secondo una tradizione locale, i dodici figli di Gia­ cobbe erano sepolti a Sichem. Per cui, come sembra, Stefa­ no si distacca dal racconto del Vecchio. Testamento, in quan­ to situa la tomba comprata da Abraamo a Sichem e non ad Hebron, ed in quanto aggiunge il particolare dei fratelli di Giuseppe anch'essi sepolti in quello stesso luogo. Secondo Bru­ ce (Book, p. 149, n. 39) , Stefano ha riunito qui in uno i due racconti degli acquisti di terra in Canaan, come aveva fatto nel versetto 2 con le due chiamate di Abraamo ad Ur ed a Charan, e nel versetto 7 con i due messaggi divini. Probabil­ mente egli ha seguito una tradizione secondo la quale non solo Giuseppe (a lui, piuttosto che a Giacobbe, si fa riferi­ mento nell' «egli» - >) . Si rivolse allo sconosciuto interlocutore chiamandolo Signore, ma da questo suo appellativo non possiamo capire a chi egli pensasse di ri­ volgersi . La voce replicò, dichiarando che si doveva cessare di considerare profano ciò che Dio aveva purificato; la scena si ripeté altre due volte prima che vi fosse silenzio e la tova­ glia sparisse alla vista. La visione ebbe quindi l'effetto di an­ nunciare a Pietro la cancellazione della distinzione fatta nel Vecchio Testamento fra cibi «puri» e perciò adatti ad essere consumati dagli uomini, e quelli impuri; quindi da allora in poi gli ebrei cristiani avrebbero potuto mangiare qualsiasi ci­ bo senza timore di contaminarsi. Ma quando era stata operata da Dio l'abolizione della distinzione? Evidentemente nel momento in cui ciò era stato affermato. Più tardi i cristiani dovevano rendersi conto che l'abrogazione di quella legge faceva parte del nuovo ordine portato da Gesù, e che da alcuni dei suoi detti appariva im­ plicita l'abolizione della distinzione ebraica tra cose pure e impure. Era la deduzione da trarsi dal suo insegnamento quan­ do aveva dichiarato non necessario lavarsi le mani per ragio­ ni rituali (considerate distinte dalle ragioni igieniche) prima di prendere cibo, per cui Marco aveva commentato: «Così di­ cendo dichiarava puri tutti i cibi>> (Marco 7 . 19). Analogamente, Paolo aveva dichiarato: «io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in se stesso» (Rom. 14. 14) , e pos­ siamo concluderne che quel principio fosse stato accettato a Corinto dai cristiani ebrei i quali probabilmente si erano ispi­ rati a Pietro; Paolo voleva insegnare loro non che il cibo pro­ fano fosse «puro», ma che anche il cibo offerto agli idoli e venduto al mercato era «puro» perché gli idoli non esisteva­ no (I Cor. 10. 19) . È quindi certo che, in un momento abba­ stanza vicino all 'inizio della chiesa primitiva, Pietro e gli al­ tri cristiani ebrei �iunsero a comprendere di poter mangiare

258

ATTI 10. 1 7-20

ogni sorta di cibo e di poter ignorare i regolamenti del Vec­ chio Testamento a quel riguardo perché non più validi. Non tutti i commentatori hanno rilevato l'importanza del sogno in relazione con la situazione immediata di Pietro, e secondo alcuni di loro il sogno dovrebbe essere preso in modo allego­ rico, nel senso che tutti gli uomini sono puri, e quindi Pietro non doveva aver paura di andare nella casa di un gentile. Ma l'interpretazione allegorica è forzata e artificiale (anche se po­ trebbe trovare una sua ragione d'essere in 1 1 . 12 e 15.9) per cui alcuni hanno argomentato che il sogno sia un' aggiunta se­ condaria alla vicenda. È più probabile, perciò, interpretarlo nel senso che l'ordine del Signore liberava Pietro dal farsi scru­ polo di andare a casa di un gentile e mangiare qualsiasi cibo gli fosse posto davanti. Dal riconoscere che il cibo dei genti­ li era puro al rendersi conto che i gentili erano anch'essi «pu­ ri>>, il passo sarebbe stato breve (3) . 17-20. Mentre Pietro, dentro di sé, si domandava che cosa si­

gnificasse la visione, ecco gli uomini mandati da Cornelio, i quali, avendo domandato della casa di Simone, si fermarono alla por­ ta. Chiamarono, e chiesero se Simone, detto anche Pietro, al­ loggiasse lì. Pietro stava ripensando alla visione, quando lo Spi­ rito gli disse: Ecco tre uomini che ti cercano. Alzati dunque, scendi, e va ' con loro, senza fartene scrupolo, perché li ho man­ dati io.

Mentre Pietro riprendeva coscienza e si domandava quale po­ tesse essere il significato di quell'insolito sogno, i messaggeri di Cornelio arrivarono alla porta di quella che probabilmente era un'umile dimora, e domandarono se egli fosse in casa. Qui chiaramente si vuole che i lettori considerino l'arrivo degli uomini in quel preciso momento non casuale ma provviden­ ziale. Mentre essi erano ancora sulla porta, Pietro ricevette nel suo intimo la guida dello Spirito; era una forma di comu-

(3) Una «separazione dall'impurità sempre e contemporaneamente è una separazione dalle persone impure» (Schiirer, II, p. 396).

A ITI 1 0.21-2Ja

259

nicazione divina diversa dalla visione e probabilmente impli­ cava lo svilupparsi di una convinzione interiore; Pietro fu av­ visato che c'erano tre uomini alla porta (4) , e gli fu racco­ mandato di andare con loro poiché essi erano stati mandati da Dio (lo Spirito parla a nome di Dio dicendo: «io») (5). Ecco la situazione alla quale il sogno voleva preparare Pietro. 2 1 -23a. Pietro, sceso verso quegli uomini, disse loro: Eccomi, sono io quello che cercate; qual è il motivo per cui sieti qui? Essi risposero: Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, del quale rende buona testimonianza tutto il popolo dei Giudei, è stato divinamente avvertito da un santo angelo, di farti chiamare in casa sua e di ascoltare quel che avrai da dirgli. Pie­ tro allora li fece entrare e li ospitò.

Pietro, allora, scese ed accolse i messaggeri, facendosi cono­ scere. Essi gli riferirono il loro messaggio in una forma cal­ colatamente atta a dargli un'impressione favorevole del loro padrone, che descrissero come un uomo timorato di Dio, il quale aveva mandato a cercare Pietro in seguito ad un ordi­ ne ricevuto da un angelo, e voleva sentire quello che Pietro aveva da dirgli; quest'ultimo punto è per il lettore una «nuo­ va informazione», perché Luca l'ha tenuta in serbo fino a que­ sto momento per accentuare l'effetto letterario e drammati­ co del racconto; si deve presumere che facesse parte del mes­ saggio angelico originale ricevuto da Cornelio. Essendo ormai troppo tardi per intraprendere il viaggio di ritorno a Cesa­ rea, Pietro invitò i messaggeri ad essere suoi ospiti ed a trat­ tenersi per la notte; ciò probabilmente non andava al di là

(4) Alcuni manoscritti hanno «due uomini», cioè ritenendo il soldato una guardia più che un messaggero; ma 10 7 sembra dargli un ruolo più importante di quello di una guardia. (5) La frase tradotta senza fartene scrupolo può forse voler dire «senza fare distinzioni». Vedi 1 1 . 12, dove è usata una diversa forma dello stesso verbo (e dove Gar. la rende: «senza fare distinzioni»); non è chiaro se nel greco del Nuovo Testamento le due forme possano es­ sere usate come sinonime. ..

260

A ITI l 0.2Jb-29

di quanto avrebbe fatto un ebreo osservante della legge (6) . Pietro poteva comportarsi da ospite, pur essendo a sua volta ospite in casa di un altro; Simone, il conciatore di pelli, do­ veva essere anch'egli un cristiano, e avrà trattato Pietro col rispetto dovuto ad un apostolo. 23b-2 9. Il giorno seguente andò con loro; e alcuni fratelli di

Ioppe l'accompagnarono. L 'indomani arrivarono a Cesarea. Cor­ nelio li stava aspettando e aveva chiamato i suoi parenti e i suoi amici intimi. Mentre Pietro entrava, Cornelio, andandogli incon­ tro, si inginocchiò davanti a lui. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: Alzati: anch 'io sono uomo! Conversando con lui, entrò e, tro­ vate molte persone lì riunite, disse loro: Voi sapete come non sia lecito ad un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua; ma Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere ritenuto impuro o contaminato. Perciò, essendo· sta­ to chiamato, sono venuto senza fare obiezioni. Ora vi chiedo: qual è il motivo per cui mi avete mandato a chiamare?

La terza scena della vicenda inizia il giorno dopo con la par­ tenza per Cesarea di Pietro accompagnato da un certo nume­ ro di cristiani di loppe; in 1 1 . 12 apprendiamo che Pietro aveva con sé sei compagni e più tardi nella storia essi ebbero il ruolo di testimoni di quanto era accaduto ( 10.45 s.), anche se in un primo momento essi potevano essere andati con Pietro mos­ si solo da curiosità. Alla compagnia occorse tutta una giorna­ ta e parte di quella successiva per raggiungere Cesarea; ed al loro arrivo trovarono Cornelio già ad attenderli insieme con un gruppo di parenti ed amici. Si può presumere che Corne­ lio sapesse almeno qualcosa riguardo a chi fosse Simon Pie­ tro come pure riguardo al nuovo movimento religioso che stava diffondendosi per tutta la regione, e perciò aveva radunato la sua famiglia ed altre persone per ascoltare quanto Pietro avrebbe detto. Gli sarebbe stato anche possibile calcolare il (6) Una cosa era che un ebreo esercitasse l'ospitalità nei riguardi di un gentile, un'altra che un ebreo accettasse l'ospitalità di un gentile (Har­ vey, p. 437).

A ITI 1 0.JO-JJ

261

probabile momento del loro arrivo. Il suo primo atto, incon­ trandosi con Pietro, fu quello di inginocchiarsi davanti a lui in segno di reverenza, ma, come sempre nel Nuovo Testa­ mento, Pietro si rifiutò di accettare un tale onore, che dove­ va essere dato solo a Dio (14. 14 s.; Ap. 19. 10; 22.9) . I due uomini entrarono quindi in casa, parlando insieme come due eguali, e Pietro vide il gruppo radunato per ascoltarlo. Le pri­ me parole di Pietro furono una pubblica dichiarazione della sua disponibilità - di recente acquisita - ad incontrarsi con i gentili, ed una richiesta di spiegazione del perché gli era · stato domandato di venire. Da quanto Pietro disse emerge quale fosse stata la sua interpretazione della visione avuta: la questione riguardante il considerare certi cibi «profani o impuri» era stata un mezzo per insegnargli che nessun uomo doveva essere ritenuto impuro o contaminato . Aveva capito che gli scrupoli ebraici erano stati tolti di mezzo da Dio. Da ciò si può dedurre quale fosse la nuova applicazione trovata da Pietro per la sua visione. 30-33 . Cornelio disse: Quattro giorni or sono io stavo pregan­

do, all'ora nona, in casa mia, quand'ecco un uomo mi si pre­ sentò davanti, in veste risplendente, e disse: Cornelio, la tua pre­ ghiera è stata esaudita, e le tue elemosine sono state ricordate davanti a Dio. Manda dunque qualcuno a Ioppe e fa ' venire Si­ mone, detto anche Pietro; egli è ospite in casa di Simone, con­ ciatore di pelli, in riva al mare. Perciò, subito io mandai a chia­ marti, e tu hai fatto bene a venire; or dunque siamo tutti qui presenti davanti a Dio, per ascoltare tutto ciò che ti è stato co­ mandato dal Signore.

La risposta di Cornelio è in sostanza una ricapitolazione di quanto il lettore già sa (7) . L' «angelo» del versetto 3 è de(7) Nel testo greco il versetto 30 è assai confuso. Letteralmente legge: «Dal quarto giorno fino a quest'ora io stavo pregando alla nona ora in casa mia, ed un uomo si presentò davanti a me». «Dal quarto gior­ no» può voler dire quattro giorni or sono (cioè, secondo il modo di calcolare un periodo di tempo includendo il giorno iniziale e quello

262

AITI

10.34,35

scritto ora come un uomo in veste risplendente (cfr. 1 . 10), per amor di varietà. Nella formulazione dei due resoconti di quello che l'angelo aveva detto vi sono alcune differenze di poco conto, e ciò è un'altra conferma del fatto che gli scrittori del Nuovo Testamento non avevano la preoccupazione di riferi­ re parola per parola le conversazioni e i discorsi. Infine, Cor­ nelio ringraziò Pietro per essere venuto, e lo invitò a parla­ re, osservando che quella riunione si stava svolgendo davanti a Dio. Questo commento incidentale puntualizza che quando la gente si riunisce insieme per ascoltare il vangelo (e a for­ tiori quando una congregazione cristiana si riunisce), lo fa al­ la presenza di Dio. La frase, usata in questo senso, compare solo qui nel Nuovo Testamento, anche se è comune il pen­ siero che le azioni degli uomini sono visibili agli occhi di Dio. Ma per lo stesso pensiero espresso in altri modi, possiamo riferirei a Matteo 1 8 .20; I Corinzi 5 .4. 34-35 . Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: In verità io · comprendo che Dio non si comporta con parzialità; ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito.

Pietro non avrebbe potuto avere un uditorio meglio prepara­ to e disposto ad ascoltarlo, e fu pronto ad afferrare la situa­ zione ed a farne il punto di partenza del suo discorso. Forse Luca, con la solenne fraseologia con cui introduce il discorso di Pietro, ha voluto sottolinearne la significanza («Pietro aprl la bocca», RSV; cfr. Conc. Vedi 8.35; Matt. 5 .2), ma più pro­ babilmente questo è solo un caso di stereotipata fraseologia antica. Pietro parlò di ciò di cui si era reso conto, e �ioè che finale, «tre giorni fa»); la vera difficoltà si trova in «fino a quest'o­ ra>> che non ha senso dato quello che segue. Può essere possibile tra­ durre la frase: . Cioè: mantiene il (Luca 1 .79; 2. 14; Rom. .5. 1 ; Ef. 2 . 1 7 ; 6. 15), e denota non semplicemente l' assenza di conflitto e di inimicizia tra l'uomo e Dio, ma · anche le be­ nedizioni positive che si sviluppano in uno stato di riconci­ liazione ( 1 1) . Ma questo messaggio non è limitato agli ebrei. Per quanto diretto ai figli d'Israele, era inteso per tutta l'uma­ nità, poiché (aggiunge enfaticamente Pietro tra parentesi) Ge­ sù, autore della pace, è il Signore di tutti gli uomini. Que­ st'ultima frase la si può trovare tanto in autori pagani quan­ to in autori ebraici, ed è quindi molto adatta ad appoggiare il punto in discussione. Quel messaggio di pace, ribadisce Pietro, era venuto du­ rante la vita di Gesù. I suoi ascoltatori dovevano già essere almeno vagamente al corrente di quanto era successo per tutta la Giudea. È una caratteristica del Vangelo di Luca di insi­ stere sul fatto che il ministerio di Gesù si fosse esteso a tut­ ta la Giudea, includendo la Galilea nonché la zona del sud attorno a Gerusalemme, anch'essa chiamata a volte Giudea in senso più stretto (Luca 4. 44; 7. 17; 23 .5). È pure caratte­ ristico il dire che il ministerio era cominciato in Galilea (Lu­ ca 23 .5) ed era associato al ministerio del battesimo di Gio­ vanni ( 1 .22 ; 13 .24); qui si può fare un paragone col più anti­ co dei Vangeli, il Vangelo di Marco, che comincia anch'esso a quel punto. Poi abbiamo una descrizione brevissima di quan­ to avvenne. Dio . . . ha unto Gesù con lo Spirito; qui viene ado­ perata la formulazione delle parole di Isaia 6 1 . 1 per interpre­ tare quanto accadde a Gesù al Giordano, cosl come era stato fatto nel sermone di Gesù in Luca 4 . 18 (cfr. Atti 4.27) . Il dono dello Spirito comunica potenza; fu quella potenza a dar modo a Gesù di aiutare guarendo (Sal. 107 .20) chi era sog­ giogato dal diavolo; il pensiero soggiacente è che i miracoli di guarigione liberassero la gente dalla potenza del male, re­ sponsabile della loro sofferenza (Luca 1 3 . 16) . ll verbo reso facendo del bene è interessante; il sostantivo corrispondente, (1 1) H. Beck

e

C . Brown,

NIDNIT, Il,

pp.

776-783.

267

ATTI 1 0. 39-41

«benefattore», era adoperato dai governatori del tempo per descrivere se stessi (Luca 22 .25), quindi qui Gesù viene im­ plicitamente paragonato a loro e mostrato come colui che ve­ ramente dava aiuto alla gente. Anche il tema dell'antagoni­ smo e dell'opposizione al male è significativo; deriva dal con­ cetto del governo di Dio; quel governo, Gesù era venuto a stabilirlo contro le forze del male che gli si opponevano (Lu­ ca 1 1 . 1 7 -20) . Qui non si fa menzione della predicazione di Gesù; ad essa c'era stato un riferimento al versetto 36, ed è degno di nota che la predicazione e le opere potenti siano viste come opera di Dio, il quale agisce tramite Gesù, suo rappresentante. 39-41 . E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute

nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; essi lo uccisero, appen­ dendolo a un legno. Ma Dio lo ha risuscitato il .terzo giorno e volle che egli si manifestasse non a tutto il popolo, ma ai testi­ moni prescelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e be­ vuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.

Nei suoi sermoni Pietro si riferisce regolarmente agli aposto­ li come ai testimoni della risurrezione. Ma poiché essi erano stati con Gesù fin dal momento in cui aveva iniziato il suo ministerio ( 1 .2 1 s.), potevano anche essere considerati testi­ moni del ministerio nel suo insieme, sia quello itinerante nella Giudea sia quello a Gerusalemme. Nei suoi primi sermoni Pie­ tro si era rivolto ai giudei esplicitamente accusandoli di aver messo Gesù a morte; l'accusa non poteva essere ripetuta in un sermone rivolto a gente non giudea. Infatti, la morte di Gesù per mano dei giudei è menzionata quasi incidentalmen­ te, anche se se ne sottolinea l'importanza dicendola predetta nel Vecchio Testamento; la frase appendendolo a un legno è indubbiamente un'eco di Deuteronomio 2 1 .22 s. (citato an­ che in 5 .30), passo del quale Paolo vide un «adempimento» nella vicenda processuale di Gesù (Gal. 3 . 13) ( 12) . Era que(12) Vedi M. Wilcox, «'Upon the Tree' Deut. 2 1 .22-23 in the Testament», ]BL 96, 1977, pp. 85-99. -

New

AITI 10.42, 43

268

sto Gesù, crocifisso dai giudei, che Dio aveva risuscitato il terzo giorno ( 13). Poi Dio aveva permesso che fosse visto da un gruppo selezionato di testimoni, da lui scelti in anticipo a questo scopo. Le apparizioni di Gesù risorto non erano av­ venute in modo da poter essere vedute dalla gente in genera­ le, e questa ne era stata la ragione: chi vide Gesù fu destina­ to ad essere testimone a pro di tutti coloro che non avevano potuto vederlo; l'incarico pon era stato affidato a persone non idonee, ma solamente a quelle ad esso preparate per il trami­ te di una lunga associazione con Gesù e per aver condiviso con lui la sua opera e la sua missione. La realtà della loro esperienza di lui è rafforzata dall'osservazione: avevano man­ giato e bevuto con lui ( 1 .4; Luca 24 .30,43) . 42-43 . E ci ha comandato di predicare al popolo e di testimo­ niare che egli è colui che è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome.

Dopo la sua risurrezione, Gesù aveva comandato agli aposto­ li di predicare al popolo (cioè ai giudei) , ed in questo loro mes­ saggio dovevano pure testimoniare che Gesù era stato desi­ gnato da Dio ad agire come giudice di tutti gli uomini, sia vivi sia morti. Questa funzione di Gesù è asserita anche in II Timoteo 4. 1 e I Pietro 4.5, ma non è specificamente men­ zionata quando si riferisce ciò che Gesù risorto aveva coman­ dato ai discepoli di proclamare; perciò può trattarsi di una deduzione ricavata da insegnamenti precedenti di Gesù, se­ condo i quali il Figlio dell'uomo si sarebbe seduto alla destra di Dio e sarebbe stato giudice con lui (cfr. Giov. 5.22 ,27) . Infine Pietro dichiara che, come era stato profetizzato, chiun­ que credt in Gesù può ricevere il perdono dei suoi peccati (cfr. Luca 24.46 s.). Non possiamo essere certi di quali fossero le profezie cui Pietro stava riferendosi, ma i testi possibili in-

( 13) Questo e

I Cor. 15.3 sono i soli riferimenti, a prescindere dai Van­ geli, al fatto che la risurrezione è avvenuta il terzo giorno.

A TTI 1 0.44-46

269

eluderebbero Isaia 33 .24; 53.4-6, 1 1; Geremia 3 1 .34; Danie­ le 9.24. 44. Mentre Pietro parlava così, lo Spirito Santo scese su tutti quelli che udivano la Parola . ll riferimento fatto da Pietro a tutti coloro che credono in lui (nel versetto 4 3) � a inteso come a «tutti quelli di Israele che credono in lui», ma in vista dei versetti 34 s. probabil­ mente gli va dato un significato più vasto. In ogni caso, non poté aggiungere altro perché lo Spirito Santo discese su quelli che ascoltavano il messaggio. Poiché in altre occasioni il do­ no dello Spirito scende su gente che si pente e crede (cfr. 1 1 . 1 7 s.), si possono trarre qui due deduzioni: primo, i gen­ tili presenti reagirono al messaggio con una risposta di fede; e secondo, Dio li accettò e suggellò la loro fede col dono dello Spirito. Una volta data ai gentili l'opportunità di udire il mes­ saggio, essi avevano risposto e Dio li aveva accolti. ll verset­ to segna la fine del particolarismo religioso. 45 -46 . E tutti i credenti circoncisi, che erano venuti con Pie­

tro, si meravigliarono che il dono dello Spirito Santo fosse dato anche ai pagani, perché li udivano parlare in altre lingue e glo­ rificare Dio.

A comparire sulla scena tocca ora ai compagni di Pietro. Non si sa se Pietro fosse o no sorpreso da quanto era accaduto, ma loro certamente lo furono. Un conto era fare un tentati­ vo di predicazione ai gentili, un altro conto era vedere il ser­ mone interrotto da chiari segni della loro conversione e ac­ cettazione del dono di Dio. Non ci si poteva sbagliare su quan­ to era accaduto. Alla stessa maniera in cui i primi credenti giudei avevano ricevuto lo Spirito e lodato Dio in altre lin­ gue nel giorno della Pentecoste, questi gentili ricevevano ora da Dio lo stesso dono. Non possiamo dire con certezza se il dono delle lingue accompagnasse sempre e senza eccezioni la discesa dello Spirito; dal fatto che sia menzionato cosl di

270

ATTI 1 0.47,48

rado e dall'altro fatto che Paolo lo ritenga un dono speciale non elargito a tutti i membri della chiesa si può trarre la de­ duzione che probabilmente non era un invariabile segno del­ la conversione. La ricezione del dono in questa occasione ac­ centua la realtà della conversione dei gentili contro ogni pos­ sibilità di dubbio. (Certamente il dono delle lingue può esse­ re contraffatto; ma non è tanto facile contraffare la genuina lode a Dio. Tutto il contesto esclude qualsiasi supposizione di inganno.) I gentili, liberati dal loro senso di inferiorità re­ ligiosa, e sentendosi il cuore riscaldato da una strana fiam­ ma, non avrebbero forse espresso la loro emozione in manie­ ra insolita? 47-48. Allora Pietro disse: C'è forse qualcuno che possa negare

l'acqua e impedire che siano battezzati questi che hanno ricevu­ to lo Spirito Santo come noi? E comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Allora essi lo pregarono di rimanere alcuni giorni con loro.

Se Dio aveva accolto i gentili, alla chiesa non rimaneva che fare altrettanto. n battesimo era diventato il segno esteriore dell'ammissione a far parte del popolo di Dio. Era il segno del lavaggio dal peccato e quindi del perdono (2 .38) , ma era contemporaneamente inteso come il segno che accompagnava esteriormente il fatto di essere interiormente battezzati dallo Spirito; quest'ultimo non sostituiva il battesimo in acqua. Poi­ ché i gentili erano stati battezzati con lo Spirito Santo, era­ no perciò in possesso dei requisiti necessari al loro battesimo con acqua. Quindi Pietro pose la sua domanda agli ebrei cri­ stiani presenti lì con lui, considerandoli come i rappresentan­ ti della ·chiesa. È possibile che l'uso del verbo «impedire» (ado­ perato anche in 8.36 in riferimento all'eunuco etiope) riflet­ ta una formula usata al battesimo. Nessuna obiezione fu sol­ levata, quindi Pietro dette istruzioni perché i convertiti fos­ sero battezzati. Bruce (Acts, p. 228) ritiene che la frase indi­ chi un ordine dato ai convertiti («siate battezzati»; cfr. 2.38; 22 . 16) , ma è forse più probabile doversi intendere come un ordine rivolto agli altri cristiani presenti, perché procedesse-

A ITI 1 1 . 1-J

271

ro al rito. Possiamo fare un paragone con Paolo; di solito non impartiva lui personalmente il battesimo ai credenti, anche se lo fece a Corinto, dove era stato l'evangelista fondatore della chiesa (I C or. 1 . 14- 1 7); non era necessario che il batte­ simo fosse impartito da un apostolo . Si può pure notare che nella narrazione non vi è nessun accenno ad una circoncisio­ ne di Cornelio o dei suoi amici; anzi essa sembra decisamen­ te esclusa (cfr. 1 1 .3) . Infine la nuova comunione nella chiesa tra ebrei e gentili viene cementata da un breve soggiorno di Pietro in casa di Cornelio. Contemporaneamente, questo in­ tervallo dette modo alla notizia di raggiungere Gerusalemme prima che vi ritornasse Pietro. 1 1 . 1 . Gli apostoli e i fratelli che si trovavano nella Giudea ven­

nero Dio.

a

sapere che anche i pagani avevano ricevuto la parola di

Dal punto di vista di Luca, la vicenda della conversione di Cornelio sarebbe stata incompleta se egli non vi avesse ag­ giunto la quarta scena, quella cioè in cui vengono descritti gli effetti prodotti sulla chiesa dall'avvenimento. Luca si preoc­ cupa degli apostoli, in quanto leader della chiesa, e dei fratel­ li, i membri ordinari di essa ( 1 . 15), e parla della chiesa nella Giudea (8 . 1; 9.3 1), consistente nel gruppo di Gerusalemme insieme con i cristiani sparsi nella regione circostante. La rea­ zione di questi giudei cristiani alla risposta data dai gentili al vangelo era di estrema importanza per il futuro. 2-3 . E quando Pietro salì a Gerusalemme, i credenti circoncisi

lo rimproveravano, dicendo: Tu sei entrato in casa di uomini non circoncisi, e hai mangiato con loro!

Se si segue la versione RSV, sarebbe stato «il partito della circoncisione» a interpellare Pietro su quanto era accaduto, non appena egli tornò a Gerusalemme. Ma la traduzione del­ Ia RSV («il partito della circoncisione») è travisante; la frase greca significa semplicemente «quelli appartenenti alla circon-

272

AlTI 1 1.4-1 7

cisione» (Conc . Riv.), cioè «coloro che di nascita erano giu­ dei» (Neb, Gar.) . Non vi è nessun indizio che a quell'epoca vi fosse nella chiesa un partito ben definito, specialmente per­ ché la questione della circoncisione non era ancora esplosa in modo tale da spingere la gente a schierarsi da una parte o dall ' altra. Nondimeno, secoli di pratica giudaica li aveva resi critici riguardo a quanto era stato loro riportato delle azioni di Pietro, specialmente riguardo al fatto che avesse mangiato con i gentili. Anche se i gentili si erano convertiti, il proble­ ma ancora sussisteva. Se i giudei cristiani si sentivano legati alle leggi ebraiche sul cibo, non potevano avere comunione con i gentili cristiani (o contatti con gentili non-cristiani) a meno che i gentili fossero circoncisi ed osservassero anch'es­ si quelle leggi ebraiche sul cibo. Che questo problema non fosse semplicemente un prodotto della fantasia di Luca lo si vede dal modo in cui esso era tuttora vivo all'epoca dell'epi­ sodio riportato in Galati 2. 1 1 - 14 (quando persino Pietro era ritornato a conformarsi alle pratiche ebraiche) . Dietro a quella forte presa di posizione dei giudei cristiani poteva esserci stata la paura di venire a trovarsi - se mai avessero cessato di seguire le pratiche ebraiche - sotto l' attacco dei loro conna­ zionali ebrei, come era capitato a Stefano ed ai suoi compa­ gni. La situazione è perciò perfettamente plausibile, e non c'è ragione di condividere lo scetticismo di Dibelius (pp. 109- 12 1) secondo il quale la questione di consumare del cibo insieme con i gentili non aveva nessuna parte nella storia originale. 4- 17. Ma Pietro raccontò loro le cose per ordine fin dal princi­ pio, dicendo: Io ero nella città di Ioppe in preghiera e, rapito in estasi, ebbi una visione: un oggetto, simile a una gran tova­ glia, tenuto per i quattro capi, scendeva giù dal cielo, e giunse fino a me; io, fissandolo con attenzione, lo esaminai e vidi qua­ drupedi della terra, fiere, rettili e uccelli del cielo. Udii anche una voce che mi diceva: Pietro, alzati, ammazza e mangia. Ma io dissi: No, Signore; perché nulla di impuro o contaminato mi è mai entrato in bocca. Ma la voce ribatté per la seconda volta dal cielo: Le cose ché Dio ha purificato, non le far tu impure. E ciò accadde per tre volte, poi ogni cosa fu ritirata in cielo.

A ITI 1 1.4-1 7

273

Ed ecco che in quell'istante tre uomini, mandatimi da Cesarea, si presentarono alla casa dove eravamo. Lo Spirito mi disse di andar con loro, senza farmene scrupolo. Anche questi sei fratel­ li vennero con me, ed entrammo in casa di quell'uomo. Egli ci raccontò di aver visto l'angelo presentarsi in casa sua e dirgli: Manda qualcuno a Ioppe, e fa ' venire Simone, detto anche Pie­ tro. Egli ti parlerà di cose, per le quali sarai salvato tu e tutta la tua famiglia. Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo scese su di loro, come era sceso su di noi al prin­ cipio. Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: «Giovanni ha · battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo». Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato anche a noi, che abbiamo creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io da potermi opporre a Dio?

Pietro reagì alla domanda postagli raccontando al suo udito­ rio tutta la storia per ordine (per quest'ultima espressione cfr. Luca l . 3), convinto che quando essa fosse stata riportata lo­ ro correttamente (e non per il tramite di rapporti frammen­ tari e probabilmente imprecisi come quelli ricevuti) , i suoi ascoltatori avrebbero per forza dovuto riconoscere che a gui­ darlo verso quel modo di agire era stato Dio. Quindi la sto­ ria viene brevemente raccontata di nuovo con differenze mi­ nimamente significative in rapporto alla stesura precedente, a parte il fatto di essere questa volta considerevolmente ab­ breviata e narrata in prima persona secondo il punto prospet­ tico di Pietro. Naturalmente il resoconto inizia dall'esperienza di Pie­ tro invece che da quella di Cornelio; vi si riferisce come egli, mentre stava pregando, aveva avuto un'estasi accompagnata dalla visione di un lenzuolo fatto discendere dal cielo, pieno di varie creature viventi (qui, insieme con gli altri nominati precedentemente, il racconto include «animali da preda», cioè selvaggi) . il raccondo della conversazione fra la voce dal cie­ lo e Pietro è ripetuto senza varianti significative. Immediata­ mente dopo il sogno, erano arrivati tre uomini; essi avevano invitato Pietro a recarsi a Cesarea, e Pietro era stato esorta­ to da un messaggio proveniente dallo Spirito ad andare con loro (RSV, Gar. , «senza far distin-

274

AITI 1 1 .4-1 7

zione»; vedi 10. 1 7-20, commento e nota) , cioè senza trattarli modo differente (cioè nello stesso modo con cui avrebbe trattato dei giudei). Egli era perciò andato con i suoi sei amici in casa di quell'uomo; l' «uomo» è naturalmente Cornelio, di cui non è fatto il nome, perché sia gli ascoltatori di Pietro (i quali già sapevano qualcosa della vicenda) sia i lettori di Luca avrebbero riconosciuto di chi si sta parlando. Perciò si deve fare obiezione all'affermazione di Haenchen (p. 355) se­ condo cui il racconto non sarebbe stato comprensibile all ' u­ ditorio di Pietro. Non vi è nemmeno ragione di ritenere che un racconto si contraddica nei confronti dell'altro e con «con­ traddizioni notevoli». Haenchen le vede nel fatto che al ver­ setto 1 1 , quando arrivarono i messaggeri di Cornelio, i sei giudei cristiani di loppe si trovavano già nella casa di Simo­ ne, il conciatore di pelli; in ogni caso l'osservazione è assur­ damente insignificante, ma nel capitolo 1 0 nulla prova che . quegli uomini non si trovassero nella casa in quel momento. Nel versetto 1 3 Cornelio racconta brevemente di aver visto l'angelo; anche qui il modo di esprimersi di Luca è chiara­ mente inteso per i suoi lettori e non c'è ragione di pensare che Pietro parlasse in maniera non intelligibile al suo udito­ rio. Comunque, solamente a questo punto veniamo a sapere che il messaggio angelico prometteva a Cornelio la spiegazio­ ne del modo in cui avrebbe dovuto essere salvato insieme con la sua casa (vers. 14) . Questo particolare spiega le afferma­ zioni fatte da Cornelio in 10.22,33. Dicendo sarai salvato, l'an­ gelo si esprime col linguaggio dei primi predicatori cristiani (cfr. 16.3 1), ma tale fraseologia era già nota perché usata nel Vecchio Testamento e non sarebbe stata di difficile compren­ sione per dei giudei o dei proseliti. Un altro elemento di dif­ ficoltà è il seguente: Pietro dice che lo Spirito Santo era sce­ so sull'uditorio quando egli aveva appena cominciato a parla­ re, mentre nel capitolo l O aveva già predicato per un certo tempo prima che ciò accadesse. Ma anche qui si tratta di una difficoltà apparente . Qui Pietro vuoi semplicemente intende­ re di non aver finito di dire tutto quello che voleva, e nel greco ebraicizzante non va data troppa forza al verbo «co­ minciare». L'esperienza dei convertiti gentili :- questo vuoi mettein

AITI 1 1.4-1 7

275

re in luce il commento di Pietro - era la stessa avuta dai primi che avevano ricevuto lo Spirito al principio, cioè nel giorno di Pentecoste. Significativamente, paragona l'esperienza dei gentili con quella del gruppo riunito nella «sala di sopra», e non con quèlla dei primi convertiti dal giudaismo: non vi è nulla che insinui uno stato di «cittadini di seconda classe» per i gentili. Inoltre, Pietro vede nella loro esperienza un adempimento delle parole di Gesù di 1 .5 , quando aveva ri­ cordato ai suoi discepoli che, mentre Giovanni aveva battez­ zato con acqua, essi sarebbero stati battezzati con lo Spirito Santo. Da questo ricordo emergono due elementi. Primo, per i gentili il fatto di aver ricevuto lo Spirito doveva essere con­ siderato uguale aa un loro battesimo con lo Spirito (per il significato di questa terminologia vedi commento a 1 .5), poi­ ché si trattava dello stesso tipo di esperienza vissuta a Pen­ tecoste, la quale era a sua volta il primo adempimento della profezia di Gesù. Secondo, se i gentili erano stati battezzati con lo Spirito, allora a fortiori avevano i requisiti necessari per essere battezzati con acqua. Questa deduzione in un pri­ mo momento può non sembrare ovvia, dato che il detto di Gesù riportato nel versetto 16 (cfr. 1 .5) sembra mettere in contrasto il battesimo con acqua con quello dello Spirito; ma probabilmente il detto significa: «Giovanni battezzò (solo) con acqua, ma voi sarete battezzati (non solo con acqua ma an­ che) con lo Spirito Santo» ( 14) . La chiesa, la quale continua­ va a praticare il battesimo con acqua, aveva perciò l'obbligo di battezzare i gentili credenti; altrimenti avrebbe impedito a Dio di fare ciò che era la sua volontà. Da questa dichiara­ zione emerge quanto segue: Pietro prese per detto che lo Spi­ rito è dato a chi crede nel Signore Gesù Cristo; il battesimo con acqua è somministrato in risposta alla confessione di fe­ de, ed anche se il conferimento dello Spirito evidenziava il fatto di una fede presente, è probabile che il battesimo dei gentili includesse la loro confessione di fede.

( 14)

Marshall , Commentary,

pp . 145

s. (seguendo J. Jeremias) .

276

ATTI 1 1. 18-30

18. Allora, udite queste cose, si calmarono e glorificavano Dio, dicendo: Dio dunque ha concesso il ravvedimento anche ai pa­ gani affinché abbiano la vita.

TI ragionamento di Pietro fu convincente. Non solo le criti­ che incipienti furono ridotte al silenzio, ma l'uditorio espres­ se la sua lode a Dio per aver concesso anche ai gentili come agli ebrei l'opportunità di pentirsi dei loro peccati e quindi di ottenere la vita eterna (5 .20; 13.46,48) . Questa opportu­ nità era stata data mediante la predicazione del vangelo. Nel suo ragionamento, Pietro aveva implicitamente as­ serito che i gentili erano in tutto e per tutto membri della chiesa, e che perciò la circoncisione e l'osservanza della legge non erano necessarie per la salvezza; c'era in esso anche un'im­ plicazione più vasta: l'obsolescenza della distinzione giudaica fra cibi puri e impuri e gente pura e impura. Ma quel con­ cetto era troppo sconvolgente per gli ebrei, e non sarebbe stato accettato se non dopo molta controversia e profonda rifles­ sione. Luca non mette in luce subito questo tema, quindi non veniamo a sapere fino a che punto, in un primo momento, tutte quante le conseguenze della linea di azione di Pietro fossero state percepite a Gerusalemme. Come si vedrà nella seguente sezione di Atti, l'iniziativa della missione tra i gen­ tili passò ad Antiochia, e non è chiaro se la chiesa di Geru­ salemme fosse pronta o no a seguire l'esempio di Pietro. Non dobbiamo intendere il versetto 1 8 nel senso che la chiesa di Gerusalemme prendesse immediatamente e zelantemente parte ad una missione tra i gentili; in effetto, sembra non averlo mai fatto, e come conseguenza di ciò nel corso del tempo perse la sua importanza.

c.

La chiesa di Antiochia (1 1 . 19-30)

Mentre avevano luogo questi sviluppi nella zona di missione della chiesa giudeo-cristiana, i giudei ellenisti cristiani, i qua­ li al tempo della morte di Stefano erano stati costretti ad al­ lontanarsi da Gerusalemme, si erano sparsi al nord fino alla grande metropoli di Antiochia. Durante i loro spostamenti ave-

AITI 1 1. 1 9-30

2 77

vano diffuso il vangelo, ma solo ad Antiochia cominciarono a rivolgersi a gente non ebrea ed a vincerne molta alla fede. La chiesa crebbe rapidamente. La chiesa di Gerusalemme, avu­ tane notizia, si sentl in dovere di mandare un delegato a ve­ dere che cosa stesse succedendo. ll visitatore prescelto, Bar­ naba, non ebbe alcun dubbio sul valore dell'opera in corso e vi si aggregò attivamente esortando Paolo da Tarso a dare anch'egli il suo aiuto. L'evangelizzazione della chiesa ebbe un impatto tale che ai suoi membri fu dato dalla popolazione lo­ cale il soprannome di «gente di Cristo». Costoro erano ben consci dei loro legami con la chiesa di Gerusalemme, e quan­ do udirono una profezia sul sopraggiungere di una carestia, mandarono un dono in denaro per aiutare quella chiesa. Senza alcun dubbio la formazione della chiesa di Antio­ chia fu un avvenimento di grande importanza nell'espansio­ ne della chiesa stessa e nella sua missione tra i gentili. Si può presumere con sufficiente certezza che ai convertiti gentili non venisse richiesto di farsi circoncidere o di osservare la legge; probabilmente essi formavano un gruppo considerevolmente consistente nella chiesa, anche se non si hanno evidenze cer­ te da cui concludere che ne costituissero la maggioranza. La questione riguardante la legge ebraica sorse solamente quan­ do da Gerusalemme giunsero dei visitatori e cercarono di im­ porla (Gal. 2 . 1 1-14) . I commentatori più antichi ritenevano l'informazione di questa sezione derivante da una «fonte antiochena», proba­ bilmente trasmessa da Sila a Luca; originariamente poteva comprendere 6. 1 - 8.4, la storia di Stefano alla quale c'è un aggancio in 1 1 . 19. L'ipotesi è stata messa in dubbio da com­ mentatori più recenti, quali Haenchen (pp. 368-3 72) ; essi fan­ no notare nella sezione l'assenza di particolari concreti e la presenza di un vocabolario e di concetti caratteristici di Lu­ ca. Secondo Haenchen, Luca era in possesso solo di alcune reminiscenze storiche, le quali includevano lo spostamento di Barnaba da Gerusalemme ad Antiochia con la sua conseguente attività in quella chiesa ed il suo susseguente viaggio insieme con Paolo da Antiochia a Gerusalemme. In realtà, dice Haen­ chen, furono Barnaba e Lucio di Cirene a fondare la chiesa, mentre invece Luca racconta la storia in modo tale da far ap-

278

AITI 1 1 . 1 9

parire Barnaba sotto un altro ruolo, sotto quello, cioè, di «ispettore» venuto da Gerusalemme . Inoltre Haenchen (pp. 3 75-3 79) ritiene difficile poter collocare la visita dei profeti provenienti da Ge�salemme ad una data cosl alta, e in par­ ticolare obietta che la profezia di una carestia non si adem­ pl, e giudica molto improbabile l'invio a Gerusalemme di un aiuto da parte dei cristiani di Antiochia in relazione a quella profezia; egli perciò preferisce pensare che Luca abbia data­ to in modo errato la profezia di Agabo e si sia fatto un'idea sbagliata dei particolari concernenti l'attività di Paolo nel rac­ cogliere una colletta per la chiesa di Gerusalemme. Luca avreb­ be perciò costruito una falsa immagine della chiesa in quel suo rimanere in stretto contatto con Gerusalemme e addirit­ tura quasi nell'esserle sottomessa. Questa ricostruzione è mera speculazione e il suo valore si regge o cade a seconda che si giudichino reali o infondate le difficoltà trovate da Haenchen nella narrazione esistente. Egli, si è tentati di concludere, vuoi mettere Luca in condi­ zione di avere torto ad ogni costo: se la narrazione manca di particolari concreti, 'si decreta che non ha fonti a sua di­ sposizione; se fa un quadro particolareggiato di un episodio, lo si rifiuta come leggenda costruita per abbellire la narrazio­ ne. In effetto, essa è particolareggiata in modo ragionevole, e nei suoi tratti principali non ha nulla di incredibile. Il dubbio espresso da Haenchen sulla verosimiglianza del sollecito in­ vio, da parte degli ellenisti scacciati da Gerusalemme, di un dono per aiutare la «città omicida>>, non solo sembrerebbe far pensare ad una sua incredulità nei riguardi della carità cri­ stiana, ma dimostra pure una sua svista sul particolare della destinazione del dono: esso era mandato alla chiesa. Riguar­ do al problema del viaggio di Paolo e Barnaba a Gerusalem­ me per portare il dono ed alla datazione dell'intera vicenda, la soluzione migliore è di considerare questa visita la stessa di quella riportata in Galati 2. 1- 10, soluzione rifiutata da Haenchen su basi per nulla convincenti. 19. Quelli che erano stati dispersi dopo la persecuzione avve­

nuta a causa di Stefano, andarono sino in Fenicia, a Cipro e

279

ATTI 1 1. 19

ad Antiochia, annunziando la parola solo ai Giudei, altro.

e a

nessun

Luca introduce questa sezione riportando il lettore indietro fino a 8.2-4, brano in cui si parla dell'ondata di persecuzio­ ne contro la chiesa, suscitata dalla morte di Stefano, e della conseguente dispersione di molti cristiani. Con tutta proba­ bilità i cristiani nominati qui erano giudei facenti parte della Diaspora; era stato naturale per loro andarsene in zone oltre i confini della Giudea, fra cui quelle dei tre luoghi nominati. La Fenicia (il moderno Libano) era la zona formata dalla stretta striscia di terra che iniziava dal Monte Carmelo e si spinge­ va lungo la costa per circa 242 km; le sue città principali. erano Tolemaide, Tiro, Zarephath e Sidone; più tardi udiremo par­ lare di gruppi cristiani in tre di questi luoghi (2 1 . 3 , 7; 27.3), senza dubbio formatisi all'epoca di cui parla il nostro verset­ to. Cipro, già menzionata come la patria di Barnaba (4 .36) , aveva avuto fra la sua popolazione elementi giudaici almeno fino al secondo secolo prima di Cristo (l Macc. 15 .23 ); fu poi il primo luogo evangelizzato da Barnaba e Paolo quando partirono insieme come missionari (13 .4- 12) . Questo vuoi di­ re che a Cipro vi erano dei cristiani già prima dell'arrivo di Barnaba e Paolo; ciò, secondo me (con tutto il rispetto per Conzelmann, p. 67) , non è in disaccordo col racconto di Lu­ ca in 13 .4- 12, anche se in quel brano egli non li menziona. Il terzo luogo nominato è il più importante per il ruolo avu­ to nel successivo sviluppo della vicenda. Antiochia, capitale della provincia romana della Siria, era rapidamente cresciuta fino a diventare la terza città (dopo Roma e Alessandria) del­ l'impero; si stima che avesse circa 500.000 abitanti. Fu fon­ data da Seleuco I e le fu dato il nome di Antiochia in onore del padre di Seleuco I, Antioco (un onore che toccò pure a circa altre sedici città; cfr. 13. 14). Vi era stanziato un grosso nucleo di popolazione ebraica ( 15).

( 1 5 ) Di recente sono stati fatti degli scavi sul luogo. Vedi G. Downey, Ancient Antioch (Princeton, 1963).

280

AlTI 1 1.20,21

20-2 1 . Ma alcuni di loro, che erano Ciprioti e Cirenei, giunti ad Antiochia, si misero a parlare anche ai Greci, annunziando il Signore Gesù. La mano del Signore era con loro; e grande fu il numero di coloro che credettero e si convertirono al Signore.

Quando i giudei esiliati furono giunti nella loro nuova pa­ tria, predicarono in un primo momento il vangelo solamente ai loro compatrioti ebrei. n cambiamento decisivo ebbe ini­ zio per opera di alcuni ebrei provenienti da Cipro e da Cire­ ne, i quali predicarono la buona notizia riguardante Gesù an­ che ai Greci di Antiochia ( 1 6). Senza alcun dubbio si era iniziato un proficuo periodo di evangelizzazione fra i gentili, durante il quale non si esi­ geva dai convertiti l'osservanza della legge ebraica. Non sap­ piamo però come la chiesa fosse stata indotta a prendere quella Une a di azione. Per convincere Pietro a seguirla era occorso uri intervento divino, ma qui sembra che ciò sia accaduto quasi casualmente, senza alcuna enunciazione di principi né all'ini­ zio né più tardi. Probabilmente il fatto può essere spiegato abbastanza semplicemente osservando quanto segue: nella Dia­ spora era molto più alta la probabilità di un'associazione dei gentili alle sinagoghe, e quindi la chiesa, evangelizzando, avreb­ be dovuto confrontarsi col problema della loro presenza con molta più frequenza e in modo molto più diretto di quanto non avvenisse in Giudea; se alcuni degli evangelisti erano es­ si stessi dei proseliti, quella linea d'azione sarebbe stata del tutto naturale; si deve presumere che il nuovo gruppo cristiano perdesse presto contatto con le sinagoghe, e non fosse perciò obbligato ad osservare la legge ebraica, come era invece il caso a Gerusalemme, predominantemente abitata da giudei; non sappiamo se la conversione di Cornelio fosse già avvenuta e (16) Luca deve voler intendere gentili, ma il testo è incerto: Invece di «greci», la maggior parte dei manoscritti (compreso il Codex Vatica­ nus) ha «ellenisti», lo stesso vocabolo adoperato in 6. 1 e 9.29 per indicare ebrei di lingua greca. Gli indizi testuali a favore di quest'ul­ tima lezione sono molto forti; se la si adotta, si deve allora pensare che il vocabolo si riferisca alla popolazione mista di lingua greca stan­ ziata ad Antiochia (Metzger, pp. 386-389).

ATri 1 1 .22-24

28 1

già conosciuta ad Antiochia, nel qual caso sarebbe servita da precedente. 22-24. La notizia giunse alle orecchie della chiesa di Gerusa­

lemme, la quale mandò Barnaba fino ad Antiochia. Quand'egli giunse e vide la grazià di Dio, si rallegrò, e li esortò tutti ad attenersi al Signore con cuore risoluto, perché egli era un uomo buono, pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla molto nu­ merosa fu aggiunta al Signore.

Non sorprende affatto che la notizia di quanto stava acca­ dendo ad Antiochia raggiungesse la chiesa di Gernsalemme, per­ ché vi era senza dubbio un consistente traffico fra le due città. In occasioni precedenti (8 . 1 4; cfr. 9. 32), i capi della chiesa di Gerusalemme avevano mandato dei loro rappresentanti a seguire l'opera missionaria in atto fuori della città, e qui si trattava di un'occasione particolare di cui chiaramente dove­ vano interessarsi. Non è necessario presumere una loro azio­ ne motivata da sospetto, e ancor meno da ostilità. Al più po­ teva essersi dimostrato necessario prendere dei provvedimen­ ti per placare un gruppo «di destra>> dei giudei cristiani di Gerusalemme, il quale avrebbe creato difficoltà nel futuro e probabilmente si era già opposto all'ammissione nella chiesa di gentili non consenzienti alla richiesta di farsi circoncidere; nulla indica che questo gruppo fosse dominante nella chiesa e che i capi facessero del loro meglio per tenerio calmo (vedi Hanson, p. 130) . L a simpatia di fondo della chiesa di Gerusalemme per quanto stava accadendo ad Antiochia, la si può dedurre dal­ l' aver scelto Barnaba come proprio delegato. Pur provenendo da una famiglia della Diaspora, godeva di una assoluta fidu­ cia a Gerusalemme ed agiva come cardine o legame tra gli elementi ebraici e que_lli ellenistici della chiesa. Il suo carat­ tere si adattava molto bene a quella funzione, poiché nella sua vita aveva dimostrato di eccellere in qualità cristiane; è l'unico ad essere descritto da Luca in Atti come buono, e per i suoi doni spirituali stava allo stesso livello di Stefano . Egli non poté fare a meno di vedere la mano di Dio nella crescita

282

AITI 1 1 .25,26

.della chiesa ad Antiochia, e si rallegrò a quell'evidenza della grazia divina. Non fece nessuna pressione sui nuovi conver­ titi con richieste legalistiche, ma li istrul invece a rimanere fermi nella fede; e qui possiamo vedere come Barnaba meri­ tasse di essere chiamato «figlio di incoraggiamento» (4 .36, RSV; Gar. , CEI, «figlio di esortazione») . Il fatto che Barna­ ba fosse, per intuito spirituale, capace di vedere ad Antio­ chia un adempimento del piano di Dio ebbe un'importanza decisiva per la crescita della chiesa. 25-26. Poi Barnaba partì verso Tarso, a cercare Saulo; e, dopo averlo trovato, lo condusse ad Antiochia. Essi parteciparono per un anno intero alle riunioni della chiesa; e istruirono un gran numero di persone; ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani.

Barnaba percepl quanto la situazione fosse ricca di potenzia­ lità per un progresso ulteriore, e quanto fosse necessario l'aiuto di un'al tra persona per l'opera di evangelizzazione e di inse­ ·gnamento. Andò perciò in cerca del suo vecchio amico Pao­ lo, impegnato a Tarso, e lo persuase ad unirsi a lui nell'opera ad Antiochia. Forse Paolo aveva l'impressione di aver com­ piuto tutto quello che doveva fare a Tarso? Semplicemente non lo sappiamo, e non sentiamo più parlare di un qualche suo ulteriore contatto con quella città; ma Paolo doveva avervi trascorso un periodo di tempo considerevolmente lungo; e nelle sue future campagne missionarie la sua strategia sarebbe sem­ pre stata quella di soggiornare in ogni luogo tanto a lungo da potervi stabilire una chiesa, e quindi di andare altrove. L'opera condotta da Barnaba e Paolo ad Antiochia è defini­ ta come un'attività di istruzione della chiesa, ma ciò può ri­ ferirsi tanto all'evangelizzazione quanto all'edificazione dei convertiti già esistenti. Un risultato importante di tutta quella attività fu che per la prima volta i discepoli furono conosciuti come cristiani ( 1 7) , Luca ne fa una speciale menzione perché, al tempo in (17

W.

Grundmann, TDNT, IX,

pp. 536

s.

AITI 1 1 .27,28

283

cui scriveva, il termine > perciò sarebbe stato preso come un nome proprio, anche se originariamente era un appellativo di Gesù equivalente a «il Messia». Dal verbo furono chiamati si può presumere che molto probabil�ente «cristiani» fosse un so­ prannome coniato dal popolino di Antiochia; per cui può ben darsi che esso avesse preso «Cristo» come nome proprio, an­ che se a quell'epoca i cristiani stessi lo usavano ancora come appellativo; comunque non trascorse molto tempo, e l' appel­ lativo si trasformò sempre più diffusamente in un altro no­ me di Gesù. Forse il nome «cristiano>> poteva anche contene­ re un elemento di ridicolizzazione (cfr. Atti 26.28; I Pie. 4. 16, i soli due altri luoghi del Nuovo Testamento in cui è usato) . I cristiani preferivano indicarsi in altri modi, con nomi quali «discepoli», «santi» e «fratelli». 27-28. In quei giorni, alcuni profeti scesero da Gerusalemme ad Antiochia. E uno di loro, di nome Agabo, alzatosi, predisse mediante lo Spirito Santo che ci sarebbe stata una grande care­ stia su tutta la terra; la si ebbe infatti durante l'impero di Claudio.

Una caratteristica importante della chiesa primitiva era l'at­ tività dei profeti, predicatori carismatici i quali potevano es­ sere associati ad una chiesa locale oppure impegnati in un mi­ nisterio itinerante (13 . 1 , commento) ( 18) . Le loro funzioni era­ no varie e includevano sia l'esortazione sia la predizione del futuro; avrebbero anche potuto dare spiegazioni del Vecchio Testamento, servendosi della loro intuizione spirituale per mo­ strare come le sue profezie si fossero adempite negli avveni( 1 8) E.E. Ellis, >, cosa che, egli disse, aveva sempre cercato di fare (Gal. 2. 1-10) . S i deve considerare quella visita come la stessa di Atti 1 1? Possono essere sollevate le obiezioni seguenti: l) Atti 15 ri­ porta il racconto di un'altra visita a Gerusalemme nella qua­ le l'esplicito argomento in discussione fu la questione dei gen­ tili; anche· se i racconti di Atti 15 e di Galati 2 differiscono -

(20) Knox,

p. 36.

286

Am 1 1.29,30

nei particolari, si può arguire che si riferiscano allo stesso epi­ sodio, e sembrerebbe improbabile che lo stesso argomento fos­ se stato discusso due volte. Però, non ci sembra tanto im­ probabile il fatto di discutere intorno ad un argomento diffi­ cile più di una volta prima di raggiungere finalmente un ac­ cordo, e lo sa bene chiunque sia stato attivo in un comitato. 2) Galati 2 tratta di una controversia teologica, mentre in Atti 1 1 si parla di un dono in denaro. Ma presumibilmente Luca voleva riservare la controversia per il capitolo 15. Inoltre, il senso di Galati 2 . 10 potrebbe essere questo: Paolo non solo era già pronto ad aiutare i poveri, ma in effetto lo stava già facendo (2 1); nel qual caso non c'è un vero conflitto fra i due brani. Perciò ci sembra assai grande la probabilità che la visita riportata qui sia la stessa di quella di Galati 2. 1-10 (22) .

(2 1) Malgrado il fatto che Haenchen lo neghi (p. 3 77 s.), questa è la pro­ babile interpretazione del versetto; vedi D.R. Hall , «St Paul and Fa­ mine Relief: A Study in Galatians 2: 10», ET 82, 1970-7 1 , pp. 309-3 1 1 . (22) F.F. Bruce, > - per usare la dicitura comunemente apposta alle carte geografiche che correda»o le edizioni della Bibbia. I periodi successivi furono soprattutto dedicati ad un'attività prolun­ gata in importanti città chiave del mondo antico; ci facciamo (29) Un elemento di questo versetto ci causa delle perplessità: mentre nella maggior parte dei manoscritti il versetto dice che Barnaba e Paolo ritornarono da Gerusalemme, nei manoscritti migliori e più antichi, ivi inclusi i codici Vaticanus e Sinaiticus, il versetto dice che torna­ rono a Gerusalemme. Questo sintagma è cosl strano nel suo contesto che proprio per tale ragione potrebbe essere la lezione meglio atte­ stata; d'altra parte, se si fa dire al versetto che Barnaba e Paolo tor­ narono a Gerusalemme, si ha un sintagma senza senso nel suo conte­ sto. Sia vi deve essere stato un errore iniziale nel testo (giustamente emendato nei manoscritti più tardi), sia dobbiamo tradurre: «Barna­ ba e Paolo ritornarono, dopo aver compiuto la loro missione a Geru­ salemme . . . » (con il greco eis equivalente a un en e con un insolito ordine delle parole) . Vedi Metzger, pp. 398-400.

A ITI 13. 1

299

una falsa immagine della strategia di Paolo se ce lo raffigu­ riamo spostarsi rapidamente da un luogo all'altro in viaggi mis­ sionari lasciandosi dietro piccoli gruppi di convertiti somma­ riamente istruiti; in generale la sua tattica era di rimanere in un luogo fino a quando non vi aveva edificato delle solide fondamenta per una comunità cristiana, o fino a quando non era obbligato ad andarsene per circostanze esulanti dal suo controllo. Nella sua campagna missionaria in Asia Minore fu questo lo schema di base da lui seguito (cfr. 13 .50; 14.3, 5-7,20) . L'importanza della presente narrazione sta nel fatto di descrivere il primo caso di «missione in terra straniera» pro­ grammata e intrapresa da alcuni rappresentanti di una chiesa particolare, piuttosto che da individui isolati, ed iniziata con una decisione deliberatamente presa da una chiesa sospinta dallo Spirito, piuttosto che derivata da una causa più fortui­ ta, come poteva essere la conseguenza di una persecuzione (1). Quindi Luca descrive in modo solenne e particolareggia­ to la maniera in cui i missionari furono eletti in un' assem­ blea di chiesa sotto la guida dello Spirito. Egli è molto con­ scio di essere impegnato nella descrizione di un avvenimento cruciale per la storia della chiesa. 1 . Nella chiesa di Antiochia c 'erano profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaen, amico d'infan­ zia di Erode il tetrarca, e Saulo.

La narrazione comincia col dire che la chiesa di Antiochia era assistita da un gruppo di profeti e di insegnanti (o dotto­ ri) . Sono elencati cinque nomi: viene per primo Barnaba, il quale in quanto leader cristiano proveniente da Gerusalem­ me poteva essere stato considerato come il più importante del gruppo, o forse come il cristiano di più vecchia data (per il modo in cui i primi convertiti potevano diventare i _leader della chiesa, vedi I Cor. 16. 15 s.). Come secondo viene Si(l) E. Best, >), , ma si metteva pure in atto un buon senso pratico stabilendo un punto di contatto per il vangelo (4) . Non ci viene detto se in questa occasione la predicazio­ ne fosse o no efficace. Troviam� invece l'annotazione che Gio­ vanni li aiutava nell' opera; il riferimento è a Giovanni Mar­ co ( 12 . 12; 1 3 . 1 3 ; 15 .37-39) . Il momento in cui si dà questa informazione non sembra quello più naturale; chiaramente Lu­ ca I 'ha inserita per spiegare i futuri riferimenti al suo distac­ co dal gruppo, ma il problema consiste nel capire perché non abbia incluso questa nota informativa all ' inizio della narra­ zione. Si vuole forse insinuare che Giovanni non era stato mandato dallo Spirito, e questa fosse la ragione per cui non portò a termine il suo compito? Oppure Luca evita di dire esplicitamente che era stato mandato dallo Spirito per non dover poi dare l'impressione di una sua resistenza alla guida (4) Questa linea di condotta è stata rifiutata, in quanto ritenuta assolu­ tamente non storica, da Schmithals (pp. 46-62) , ma la sua opinione· (basata su una dubbia interpretazione di Gal. 2. 7- 10) contrasta con la chiarissima affermazione di Paolo in I Corinzi 9.20 s.

ATTI 13.6-12

.305

dello Spirito? Ma Giovanni era semplicemente un assistente; il suo nome non si trova nel gruppo dei profeti e dei dottori elenca ti in 13 .l- 3, per cui non era necessario parlare di lui a quel punto. Inoltre era consuetudine di Paolo di prendere con sé dei giovani come assistenti nell'opera, e non c'è nes­ suna buona ragione per mettere in dubbio che questo parti­ colare incarico non fosse stato dato in buona fede. Poiché Bar­ naba era di Cipro, e più tardi ritornò a Cipro con Giovanni, è possibile che anche Giovanni avesse dei legami famigliari con gente dell'isola e per questa ragione fosse stato scelto per accompagnare gli altri missionari. Potrebbero essere stati i suoi legami famigliari con gente di Cipro a motivare l'accenno a lui in questo particolare punto della narrazione. n ruolo di Giovanni come assistente è incerto. I commentatori divergo­ no nel decidere se egli aiutò i missionari ad un livello pratico (cfr. l'uso del verbo corrispondente in 20. 34; 24.23) oppure se lo fece nell'opera di evangelizzazione, ma si possono in­ tendere entrambe le cose; è improbabile che qui Luca voglia designarlo come «ministro della Parola» (Luca 1.2) . 6-12. Poi, attraversata tutta l'isola fino a Pafo, trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Gesù, il quale era col proconsole Sergio Paolo, uomo intelligente. Questi, chia­ mati a sé Barnaba e Saulo, chiese di ascoltare la parola di Dio. Ma Elima, il mago (questo è il significato del suo nome), face­ va loro opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede. Allora Saulo, detto anche Paolo, pieno di Spirito Santo, guardandolo fisso, gli disse: O uomo pieno d'ogni frode e d 'ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, non cesse­ rai mai di pervertire le diritte vie del Signore? Ecco, ora la ma­ no del Signore è su di te, e sarai cieco per un certo tempo, sen­ za vedere il sole. In quell'istante, oscurità e tenebre piombarono su di lui; e andando qua e là cercava chi lo conducesse per la mano. Allora il proconsole, visto quello che era accaduto, cre­ dette, colpito dalla dottrina del Signore. Da Salamina i missionari si spostarono verso· occidente fino a Pa/o, sede del governo. Qui il centro d'interesse si colloca

306

Arn 13. 6-12

sull'incontro di Paolo con un ebreo che si guadagnava da vi­ vere praticando la magia e proclamandosi un profeta; proba­ bilmente si trattava di un tipo di persona come Sceva, il quale pretendeva di essere un sommo sacerdote ebreo a Efeso (19. 14) . Anche se gli ebrei avevano la proibizione di pratica­ re la magia, chiaramente la legge al riguardo non era osser­ vata da tutti. Questo trasgressore fu forse considerato da Luca un praticante di «magia nera» (come la chiamiamo noi) piut­ tosto che un mago. Il suo nome, Bar-Gesù, vuoi dire «figlio di Joshua»; più oltre viene chiamato Elima, il cui significato è, secondo Luca, «mago» (5). Il fatto che siano stati usati due nomi è stato preso come un'indicazione di due fonti di pro­ venienza della notizia, ma nella narrazione non vi è alcun se­ gno di questa duplica fonte, ed oltretutto molti ebrei hanno più di un nome; Luca giudicò significativi entrambi i nomi. Il mago apparteneva al seguito del governatore romano dell'isola, correttamente qualificato come proconsole. Antiche identificazioni di questo Sergius Paulus, come quella con L. Sergius Paullus, curatore del fiume Tevere, hanno deboli ba­ si; ma è possibile che egli sia il Q. Sergius (Paulus) menzio­ nato in una iscrizione recentemente scoperta proveniente da Cipro (6) . Egli è detto uomo intelligente, volendo con ciò si­ gnificare che non si era lasciato circuire dal mago, ma era aper­ to e pronto ad udire il vangelo. Invitò perciò i missionari ad andare da lui, avendo presumibilmente ricevuto qualche no­ tizia sul loro operato. Il mago, timoroso di scadere dalla sua posizione, fece del suo meglio per opporsi a quanto diceva­ no. La sua scoperta opposizione al vangelo indusse Paolo ad agire in modo deciso contro di lui; non gli si rivolse come ad un incaricato dell'ordine del culto, ma qui· sem­ bra che ve ne fossero almeno due (possibilità attestata in una iscrizione ebraica) (8) . Paolo fu invitato a parlare, forse per­ ché c'era già stato qualche contatto con lui prima del culto .

16-20. Allora Paolo si alzò e, fatto cenno con la mano, disse: lsraeliti, e voi che temete Dio, ascoltate. Il Dio di questo popo­ lo d 'Israele scelse i nostri padri, fece grande il popolo durante la sua dimora nel paese di Egitto, e con braccio potente lo tras­ se fuori. E per circa quarant'anni sopportò la loro condotta nel deserto. Poi, dopo aver distrutto sette nazioni nel paese di Ca­ naan, distribuì loro come eredità il paese di quelle. Dopo que­ ste cose, per circa quattrocentocinquant'anni, dette loro dei giu­ dici fino al profeta Samuele. Paolo accettò l'invito. Seguendo quanto probabilmente era l'u­ so nelle sinagoghe ellenistiche, si alzò in piedi per insegnare (9) , e sottolineò il suo dire con gesti appropriati. Le sue pa­ role di apertura indicavano che l'uditorio era composto di ebrei e di gentili timorati di Dio (vedi 10.2, nota) . Egli si lanciò subito in una rapida corsa lungo la storia ebraica, il cui sco­ po era di dimostrare che Israele era stato scelto da Dio ed aveva ricevuto da lui una terra e dei governanti, la cui suc­ cessione aveva raggiunto il suo apice quando era stato man­ dato Gesù come Salvatore. L'esposizione dei fatti comincia con la scelta divina dei patriarchi e passa velocemente alla crescita di numero dei loro discendenti i quali, durante il lo­ ro soggiorno in Egitto, diventarono una vasta nazione. TI verbo fece grande si riferisce alla crescita in numero ed in forza del popolo (Es. 1 .7,9). Quindi Paolo fa un rapido accenno al modo (8) W. Schrage, TNDT VII, pp. 844-84 7 specialmente pp. 846 cui si cita Corpus Inscriptionum Iudaicarum, Il, p. 803 . (9) Filone, Spec. Leg. , 2.62. '·

s.,

in

3 12

AITI 13.21,22

in cui Dio esercitò la sua potenza per far uscire il popolo dal­ l'Egitto (per la fraseologia vedi Es. 6 . 1 ,6; Sal. 136. 1 1 s.) , e portarlo poi attraverso il deserto. Il verbo greco tradotto sop­ portò differisce di una sola lettera dalla variante di lezione «assisté» o «si prese cura» (RSV mg., CEI, Nard.) ed entrambe sono una possibile traduzione del soggiacente verbo ebraico (Deut. 1 .3 1) . Per quanto la prima lezione sia quella meglio attestata, la seconda dà un senso migliore; è stato ipotizzato che la prima lezione sia una ortografia ellenistica della secon­ da ( 10) . Dopo di ciò, Dio liberò al popolo la strada per en­ trare in Canaan, facendone uscire sette nazioni che occupa­ vano a quel tempo il paese (Deut. 7 . 1) . Il periodo di quattro­ centocinquant'anni è difficile da interpretarsi (1 1). La soluzione migliore sembra quella di considerarlo riferito al soggiorno in Egitto (400 anni) , alle peregrinazioni nel deserto (40 anni, versetto 18) ed all'occupazione del paese (10 anni) . Per pren­ dersi cura delle necessità del popolo furono dati i giudici, l'ul­ timo dei quali fu Samuele.

21-22. In seguito chiesero un re; e Dio diede loro Saul, figlio di Chis, della tribù di Beniamino, per un periodo di quarant'an­ ni. Poi lo rimosse, e suscitò loro come re Davide, al quale rese questa testimonianza: Io ho trovato Davide, figlio di lesse, uo­ mo secondo il mio cuore, che seguirà ogni mio volere. Quando gli israeliti chiesero un re (l Sam. 8.6), Dio soddisfe­ ce la loro richiesta e dette loro Saul. Il periodo di quaran­ t'anni assegnato al suo regno è probabilmente ricavato dalla tradizione giudaica (cfr. Giuseppe, Antichità, 6.3 78); il testo (corrotto) di I Samuele 13 . 1 dà l'impossibile cifra di due an­ ni. Ma Saul fu «rimosso» dal suo autorevole ruolo per essere (lO) Vedi anche R.P. Gordon, «Targumic Parallels to Acts XIII 18 and Didache XIV 3», Nov.T 16, 1974, pp. 285-9. (11) Nella RSV, e nelle versioni italiane Conc, CEI (e cfr.. Ricc. e Gar.) l'espressione si riferisce al periodo di occupazione del paese di Ca­ naan. Nelle versioni italiane RR, Riv. e Nard. la si riferisce specifi­ camente al periodo dei Giudici; quest'ultima è una forma del testo assai diffusa, ma in contrasto con I Re 6. 1 .

A 1TI 13.23-25

313

stato giudicato non adatto al suo compito, e fu rimpiazzato da Davide. Questi aveva per il suo compito delle credenziali divine, e Paolo vi si riferisce con una citazione composita. Io ho trovato Davide proviene dal Salmo 89.2 1 , mentre uomo secondo il mio cuore è tratto da I Samulele 1 3 . 1 4 . Che ese­ guirà ogni mio volere è una fraseologia simile a Isaia 44.28 (dove la frase è detta nei riguardi di Ciro) ; ma è stato osser­ vato che la fraseologia potrebbe essere dovuta al targum (tra­ duzione parafrasata in aramaico) in cui il Salmo 89, là dove dice «un uomo secondo il mio cuore>> viene reso con «un uo­ mo che fa la mia volontà» (Wilcox, pp. 2 1-24) . Se l'osserva­ zione è corretta, ciò dimostrerebbe che questa parte del di­ scorso potrebbe aver avuto un'origine aramaica. La citazione ha lo scopo di stabilire la collocazione di Davide come il re ideale per Israele. 23-25. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio ha suscitato a Israele un salvatore nella persona di Gesù. Giovan­ ni, prima della sua venuta, aveva predicato il battesimo del rav­ vedimento a tutto il popolo d'Israele. E quando Giovanni stava per concludere la sua missione disse: Che cosa pensate voi che io sia? Io non sono il Messia; ma ecco, dopo di me viene uno, al quale io non son degno di sciogliere i sandali. Erano dunque i discendenti di Davide quelli per mezzo dei quali si poteva prevedere l'adempimento delle promesse di Dio fatte al popolo. Si trattava delle promesse fatte a Davide ri­ guardo ad una sua progenie che avrebbe governato dopo di lui per sempre (II Sam. 7 . 12-16; cfr. 22. 5 1 ; Sal. 89.29,36 s . ; 132. 1 1 s. , 1 7) . Questa progenie è identificata in Gesù, e la sua funzione è descritta come quella di un salvatore. Qui il linguaggio di Paolo riecheggia quello di Pietro (5 .3 1). Nel Vec­ chio Testamento il termine, applicato a volte ai giudici (Giu. 3 . 9, 15), lo era più specificamente a Dio (per es . , Sal. 27 . 1 , LXX); può considerarsi significativo ritrovare il sostantivo re­ lativo «salvezza» nel Salmo 89 .26 . A questo punto c'è come una digressione, in cui si parla dell'opera di Giovanni, il Battista. L'apparizione di Gesù, af-

314

ATTI 13.26-29

ferma Paolo, fu preceduta da quella di Giovanni; egli procla­ mò un battesimo di ravvedimento e dichiarò di non essere lui la persona attesa dagli ebrei, ma solamente l'umile servitore di Colui che doveva venire (Luca 3 . 15 s . ; Giov. 1 .20,26 s.) . Si può spiegare la ragione di questo riferimento a Giovanni col fatto che il suo ministerio segnava l'inizio della nuova era (10. 37); Giovanni è citato come testimone di Gesù, ma lo scopo principale sembra essere quello di confermare che non era lui la persona attesa. Quando Gesù apparve, egli stava portando a termine il suo compito e fu contento di assumere nei suoi confronti un ruolo umile. Forse alcuni stavano tri­ butando a Giovanni troppo onore, ed era quindi necessario rammentare loro che Giovanni aveva rifiutato qualsiasi ono­ re (cfr. Giov. 1 . 8; 3 .28-30) . 26-29. Fratelli miei, figli della discendenza d'Abraamo, e tutti voi che avete timor di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza. Infatti gli abitanti di Gerusalemme e i loro ca­ pi non hanno riconosciuto questo Gesù e, condannandolo, adem­ pirono le dichiarazioni dei profeti che si leggono ogni sabato. Benché non trovassero in lui nulla che fosse degno di morte, chie­ sero a Pilato che fosse ucciso. Dopo aver compiuto tutte le cose che erano scritte di lui, lo trassero giù dal legno, e lo deposero in un sepolcro. n discorso ha come un nuovo inizio, con la ripetizione, lie­ vemente variata nella fraseologia, delle parole di apertura già rivolte all'uditorio. Si vuole cosl richiamare l'attenzione de­ gli ascoltatori sul fatto che il messaggio riguardante il Salva­ tore (cfr. vers. 23) è diretto a loro ed essi devono prenderlo in considerazione. Paolo li ritiene come appartenenti ad una categoria diversa da quella di chi aveva già udito parlare di Gesù e lo aveva rifiutato, ed il resto del discorso è in so­ stanza un appello a non disprezzare l'opportunità di salvezza, a non seguire l'esempio degli abitanti di Gerusalemme e dei loro capi, i quali avevano rifiutato Gesù e lo avevano con­ dannato a morte, e ciò perché non avevano saputo né rico­ noscere chi fosse veramente Gesù, né capire il significato della

ATTI 13.30-3 7

315

testimonianza profetica del Vecchio Testamento di cui rego­ larmente udivano la lettura fatta loro nelle sinagoghe; in ef­ fetto, inconsapevolmente essi adempivano quelle profezie, ri­ fiutando Gesù (per es. , Sal. 1 18.22; Is . 5 3 . 3). Per la verità, non avevano avuto nessun motivo plausibile per condannare a morte Gesù nel modo in cui lo avevano fatto, e nondime­ no lo consegnarono nelle mani del governatore romano per­ ché la sentenza fosse eseguita. La parte avuta dai romani nel condannare e nel mettere a morte Gesù è quasi passata sotto silenzio, in quanto Paolo pone l'accento sul modo in cui i giu­ dei avevano contribuito all'adempimento di tutto ciò che era stato profetizzato riguardo alla morte di Gesù ed erano poi stati loro a trarre giù dalla croce il suo corpo ed a seppellirlo (Luca 23 .53) . 30-37 . Ma Dio lo risuscitò dai morti; e per molti giorni egli apparoe a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusa­ lemme, i quali ora sono suoi testimoni davanti al popolo. E noi vi portiamo la buona notizia che la promessa fatta ai padri, Dio l'ha adempiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come an­ che è scritto nel salmo secondo: Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato. Siccome lo ha risuscitato dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla decomposizione, Dio ha detto così: Io vi manten'Ò le sacre e fedeli promesse fatte a Davide. Difatti egli dice altrove: Tu non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione. Or Davide, dopo aver eseguito il vo­ lere di Dio nella sua generazione, si è addormentato, ed è stato unito ai suoi padri, e il suo corpo si è decomposto; ma colui che Dio ha risuscitato, non ha subito decomposizione. In contrapposizione all' azione ostile degli uomini (che faceva nondimeno parte del piano divino) viene ora posta l' azione compiuta da Dio nel risuscitare Gesù dai morti (cfr. 2.24; 3: 15; 4 . 10; 5 . 30; 10.40), e la si fa immediatamente seguire da un riferimento alle ripetute apparizioni di Gesù risorto ai suoi seguaci. Essi, si precisa, erano le persone vissute con Gesù lungo tutto il suo ministerio; erano venute con lui dalla Ga­ lilea a Gerusalemme prima della crocifissione ed erano perciò

A m 13.30-3 7

3 16

qualificate ad essere suoi testimoni davanti al popolo (10.39,41). A questo punto Paolo non parla della sua esperienza perso­ nale col Crsito risorto, forse perché sta soprattutto pensando alla testimonianza degli apostoli ai giudei in Palestina (al po­ polo, vers . 3 1) , mentre la sua testimonianza si era rivolta ai gentili. Il suo ruolo andava considerato piuttosto come quel­ lo di un evangelista, di uno che recava agli ebrei della Dia­ spora ed ai timorati di Dio una buona notizia: Dio aveva adempiuto le promesse fatte agli antenati della nazione ebraica, e le aveva adempiute facendo risorgere Gesù dai morti. Le promesse sono quelle di cui si parla al versetto 23, ed ora Paolo procede a riportarle citando tre testi in cui il loro adem­ pimento è in Gesù. Quando Paolo si riferisce a noi, loro figli ( 12) presumibilmente intende gli ebrei del suo uditorio; d'al­ tra parte, se si considera l'accento posto nei versetti 16 e 26 sui timorati di Dio in quanto facenti parte dell'uditorio, è difficile evitare l'impressione che qui ci si voglia riferire a loro, ritenendoli la progenie spirituale dei padri (cfr. Rom. 4. 1 1 s.) . La prima delle tre citazioni proviene dal Salmo 2. 7, un salmo in cui si parla dell'opposizione esercitata dalle nazioni e dai loro governanti verso l'unto del Signore, cioè il sovra­ no del suo popolo. ll sovrano ripete quello che Dio aveva de­ cretato e detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato>>. Nel suo contesto ciò si riferisce al modo in cui Dio legittima il re come figlio suo, così come fa il padre quando accetta il bambino di sua moglie come realmente un figlio suo proprio e gli promette cura amorevole e protezione; il concetto del generare è puramente metaforico. Il Salmo era unanimamen­ te accettato come riferentesi in primo luogo al Messia (Salmi di Salomone 1 7 .26) , e i primi cristiani lo applicavano a Gesù (4 .25 s . ; Luca 3 .22; Ebr. 1 .5 ; 5 .5). Le parole divine pronun­ ciate al battesimo di Gesù riflettono probabilmente queste. Ma poiché la risurrezione di Gesù era considerata come un atto della potenza di Dio che lo aveva portato a nuova vita, è possibile prendere il «generato>> del Salmo come spiritual­ mente adempiuto alla risurrezione. Si è spesso prospettata l'i(12) ll testo è confuso; i migliori manoscritti hanno

trebbe esserci stata una corruzione all'origine.

«ai nostri figli», e po­

ATTI 13.30-37

317

potesi che sia stato l'uso di versetti come questo ad aprire la strada alla chiesa verso la supposizione di un'adozione di Gesù da parte di Dio per farne suo Figlio al momento della risurrezione (per cui solamente in un'epoca più tarda la chie­ sa sarebbe giunta a ritenere Gesù già Figlio di Dio durante la sua vita terrena) . Ma è assai improbabile che la chiesa pri­ mitiva vedesse la risurrezione come un atto generativo e si servisse poi di questo concetto per sostenere che Gesù era divenuto Figlio di Dio alla risurrezione. Al contrario, il Sal­ mo 2 poté essere applicato a Gesù e preso come un presagio della sua risurrezione proprio perché si sapeva che Gesù era il Figlio di Dio . Il concetto può essere accostato a quello espresso in II Samuele 7 . 14- 16 e può avere implicito in sé il pensiero del regno universale ed eterno di Colui che veni­ va onorato in questo modo da Dio come suo Figlio (13) . La seconda e la terza citazione sono strettamente colle­ gate tra loro. Quando Dio risuscitò Gesù dai morti, fa nota­ re Paolo nel versetto 34, lo fece entrare in una nuova esi­ stenza la quale non sarebbe andata verso la morte e la conse­ guente decomposizione del suo corpo . Il vocabolo decomposi­ zione è preso dal Salino 16 . 1 0, salmo già citato per le stesse ragioni da Pietro nel suo sermone di Pentecoste (2 .25-28); ora ritorna come la terza delle citazioni di Paolo (versetto 3 5); i versetti 36 s. affermano poi che chiaramente il Salmo 16 non può applicarsi a Davide: egli eseguì la volontà di Dio nella sua generazione ( 1 4), e morl di morte naturale cui fece segui­ to la decomposizione; ma il corpo di Gesù non subì la de­ composizione dopo la morte ( 15) . Abbiamo però sorvolato il versetto 34b , in cui si trova la seconda citazione, tratta da Isaia 55 . 3 . Qui il profeta pro( 1 3) Abbiamo presunto che il verbo «risuscitare» del versetto 33 si riferi­ sca alla risurrezione. Alcuni commentatori pensano che si riferisca al­ l' azione di Dio di portare Gesù alla ri�alta della storia durante il suo ministerio terreno. (14) O forse «sulla base della sua generazione (naturale)» in contrasto col Messia che era stato generato da Dio; K.H. Rengstorf, TDNT, VIII, l>· 540, n. 87. ( 15) E anche possibile tradurre «Davide servl la sua generazione e poi morl secondo il volere di Dio ». ...

3 18

AITI 13.30-37

mette al derelitto popolo di Dio: plurale) ; quelle promesse sarebbero state la salvezza per il tramite del Messia, espresse nel perdono e cose simili. Ma in tal caso è difficile individuare il legame col versetto 3 5 . 2) Il versetto 34 è una promessa della signoria permanente del Messia (cfr. II Sam. 7 . 16), il che sarà possibile solo se egli vivrà per sem­ pre e non subirà mai la decomposizione (versetto 3 5) . 3) Il versetto 3 5 può essere preso come spiegazione del significato di «le sante cose» del versetto 34, nei termini del Santo che non subl la decomposizione; in tal caso il versetto 34 signifi­ ca: «ristabilirò per voi il Santo di Davide, il fedele>> e i ver­ setti 36 s. dimostrano che il Santo deve essere il Messia, Gesù il quale risuscitò dai morti, e non Davide che subl la decom­ posizione. 4) Il versetto 34 si riferisce alle promesse divine - specialmente alla preservazione dalla morte - fatte (non a Davide, ma) alla promessa discendenza di Davide, Gesù. Ma in questo caso sarebbe richiesto un singolare nel versetto 34 (invece del plurale vi) . 5) La promessa fatta a Davide nel Salmo 1 6 è stata trasferita a voi (ls. 55.3) e perciò non può (16) L'aggettivo greco hosios è adoperato in Is. 55.3 per tradurre la for­ ma plurale dell'ebraico hesed (, e ci fa conoscere quale fosse la fraseologia tipica per descrivere la conversione dei gentili. Qui però manca nel discorso l'elemento corrispondente alla sua continuazione, fatta da Paolo in I Tessalonicesi 1 . 1 0, «e per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha risuscitato dai morti: cioè Gesù che ci libera dall'ira che viene», oppure al­ l' affermazione di Paolo che il suo messaggio è semplicemente «Cristo crocifisso» (I Cor. 1 . 23 ; 2 .2) . L'omissione non indica un silenzio di Paolo su quest'argomento; Luca vuole solo ar-

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AITI 14. 1 9,20

ricchire i suoi precedenti resoconti della predicazione aposto­ lica con gli elementi che vi venivano aggiunti quando essa era rivolta ad un uditorio di gentili pagani. Infatti dal resto del discorso si deduce una sua continuazione in cui viene predi­ cato il vangelo in termini caratteristicamente cristiani. La de­ scrizione di quanto Dio aveva fatto durante il tempo delle passate generazioni esige una contrapposta descrizione di quan­ to sta facendo ora per rivelarsi in un modo nuovo. Nel pas­ sato aveva lasciato vivere i gentili come volevano, con l'im­ plicita conseguenza di non averli ritenuti colpevoli della loro ignoranza nei suoi riguardi. Sarebbe nondimeno stato possi­ bile agli uomini di percepire la sua esistenza, poiché egli ave­ va dato testimonianza di sé nel mondo della natura, provve­ dendo buone cose agli uomini; mandando le piogge e il ciclo delle stagioni per fare maturare le.. messi aveva permesso agli uomini di nutrirsi e perciò di avere il cuore pieno di gioia. Ecco quindi che il mondo della natura avrebbe dovuto indi­ rizzare gli uomini al riconoscimento dell'esistenza, della po­ tenza e della bontà del Creatore. Ma questa rivelazione «na­ turale>> di Dio apparteneva al passato; ad essa (come farà di nuovo rilevare Paolo in 1 7 . 30 s.) Dio aggiunge ora una nuo­ va testimonianza, la buona novella; Paolo ne parla al verset­ to 1 5 , ma per il momento non la illu stra ulteriormente. Le parole dell'apostolo furono sufficienti a trattenere la folla dalla sua iniziale intenzione di offrire sacrifici ai missionari, ma non di più; la loro superstizione era profondamente radicata e i miracoli avevano fatto loro grande impressione. 1 9-20. Allora giunsero da Antiochia e da !conio alcuni Giu­ dei, i quali sobillarono la folla; essi lapidarono Paolo e lo tra­ scinarono fuori della città, credendolo morto. Ma mentre i di­ scepoli venivano attorno a lui, egli si rialzò ed entrò nella città. Il giorno seguente partì con Barnaba per Derba. La vicenda prende una svolta imprevista. Quei giudei che ave­ vano forzato Paolo ad andarsene da Antiochia e da Iconio, comparvero a Listra e, probabilmente unendosi a giudei lo­ cali (di cui però non si fa menzione qui) avvelenarono la mente

AITI 1 4. 21 -28

335

della gente volgendola contro i missionari. Ne segul un'ag­ gressione, apparentemente compiuta proprio dai giudei; lapi­ darono Paolo e credendolo morto lo gettarono fuori della cit­ tà. Il cambiamento di comportamento nei riguardi di Paolo è stupefacente (cfr. Luca 4 .22/28), ma per nulla incredibile . Se la gente non aveva accettato il vangelo, come si deduce dal versetto 18, sarebbe stata facilmente persuasa che i mis­ sionari erano solo degli impostori, e non avrebbe avuto diffi­ coltà a consentire alle azioni che i propri compatrioti crede­ vano opportuno intraprendere. In ogni caso la storicità del­ l' episodio non va messa in dubbio; è questa la vicenda cui lo stesso Paolo si riferisce in II Corinzi 1 1 .24 s . ; altri riferi­ menti ad essa sono probabilmente rintracciabili in Galati 6. 1 7' e II Timoteo 3 . 1 1. n racconto non offre elementi per cui pen­ sare a un Paolo veramente morto e poi tornato in vita, an­ che se vi è stato chi si è lasciato conquistare da questa con­ clusione; ma il modo in cui Luca si esprime, credendolo mor­ to, e la mancanza di qualsiasi osservazione positiva o negati­ va riguardo al fatto della sua morte indicano che in questo caso non ci fu nessuna risurrezione miracolosa. Paolo rientrò in città - e la cosa non deve sorprendere: la punizione era stata somministrata ed egli non sarebbe stato più molestato, alla condizione però di una sua immediata partenza; questo egli fece recandosi a Derba. In un primo tempo si pensava che il luogo fosse identificabile con Gudelisin, a circa 97 km a sud di Konya (!conio), ora lo si identifica con Kerfi Huyuk, a circa 97 km a sud-est di Konya; un'iscrizione trovata sul posto stabilisce l'identità (23) . f. D

viaggio di ritorno ad Antiochia (14.2 1 -28)

In questo viaggio missionario, Derba fu il punto più ad est, data la sua posizione sul confine orientale della Galazia. Do­ po avervi condotto un'opera di evangelizzazione, i missiona(23) B. van Elderen, «Some Archaelogical Observations on Paul's First Missionary Journey», in AHG, pp. 1 5 1 - 16 1 ; la scoperta originale è riportata da M. Ballance, >) , esattamente come devono credere i gentili. Le traduzioni che rendono la frase «noi crediamo di essere salvati» (versetto 1 1 , RS V, RR e tutte le altre italiane) sono fuorvianti, perché qui Pietro parla del tipo di fede in Dio dal quale si è condotti alla salvezza (cfr. versetto 7) . Se giudei e gentili sono salvati in questo mo­ do, chiaramente ai gentili non è richiesta l'ubbidienza alla leg­ ge. E, possiamo aggiungere noi, quest'ubbidienza alla legge come mezzo di salvezza non è richiesto nemmeno ai giudei (Gal. 5 .6) . Ad alcuni studiosi questa deduzione è sembrata troppo radicale per essere credibile sulle labbra di un giudeo cristiano come Pietro; essi si chiedono perché allora i giudei cristiani non smisero di praticare la circoncisione. Secondo Luca, molti giudei cristiani continuarono ad osservare la leg­ ge; i giudei cristiani non videro la necessità di rimuovere l'e­ videnza fisica della circoncisione (vedi il contrasto con I Macc. 1 . 15), e continuarono ad osservare la legge di Mosè, anche se dai Vangeli si ha l'impressione di un graduale abbandono delle sottigliezze farisaiche riguardanti l'osservanza della leg­ ge, insieme con l'acquisizione della convinzione che in certi suoi aspetti la legge di Mosè era stata superata dalla- nuova rivelazione della volontà di Dio in Gesù. Ma non tutti i giu­ dei cristiani erano arri vati a questa convinzione ed in molti di loro era tuttora potente la forza delle abitudini e dei co­ stumi di un ambiente strettamente giudaico-palestinese. Per­ ciò quello che Pietro metteva in discussione era il bisogno di ubbidire alla legge per poter essere salvati; se i giudei os(27) J. Nolland, «A Fresh Look at Acts 15 . 10», NTS 27, 1980-8 1, 1 05-1 12.

pp.

350

AITI 15. 12-15

servavano la legge per altre ragioni, la cosa era di importan­ za secondaria. 12 . Tutta l'assemblea tacque e stava ad ascoltare Barnaba e Pao­ che raccontavano quali segni e prodigi Dio aveva fatto per mezzo di loro tra i pagani. lo,

L'opposizione fu ridotta al silenzio dalle osservazioni di Pie­ tro, senza dubbio molto più sviluppate di quanto siano rife­ rite in questo breve riepilogo. L' assemblea era ora disposta ad ascoltare un resoconto di Barnaba e Paolo, in cui essi de­ scrissero come la loro opera fra i gentili era stata accompa­ gnata da segni miracolosi dati da Dio. L'allusione si riferisce a episodi del tipo di quello narrato in 14.3 (cfr. Ebr. 2.4) ; quei segni ponevano l'opera missionaria della chiesa di An­ tiochia allo stesso livello della conversione di Cornelio, e di­ mostravano che quell'opera era benedetta da Dio. La forza probante dei miracoli era tenuta per certa anche se la chiesa primitiva sapeva di avere la responsabilità di controllare se i segni miracolosi non fossero contraffazioni ispirate da Sata­ na (cfr. II Cor. 1 1 . 14; I Giov. 4. 1 e specialmente II Tess. 2.9 s.) . 13- 1.5. Quando ebbero finito di parlare, Giacomo prese la pa­ rola e disse: Fratelli, ascoltatemi: Simone ha riferito come Dio fin dall'inizio ha voluto scegliersi tra i pagani un popolo consa­ crato al suo nome. E con ciò si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: Ma in quell'assemblea non sarebbero stati né Pietro né i de­ legati provenienti da Antiochia a pronunciare la parola deci­ siva, bensì Giacomo. Ciò forse fu dovuto in parte alla sua sempre più affermata posizione di leader - e il leader più importante - della chiesa ( 12 .l 7), ed in parte per essere egli considerato il rappresentante della posizione giudaica conser­ vatrice. Nella letteratura più tarda Giacomo fu il simbolo del giudeo cristiano rispettoso della legge, e probabilmente era

Am 15. 13-1.5

35 1

proprio questa sua precedente posizione a trovarsi alla radice delle osservazioni di Paolo in Galati 2. 12. Quindi i suoi com­ menti nella presente circostanza potrebbero indicare un suo cambiamento di opinione. La riflessione fondamentale del suo ragionamento è che le parole di Pietro rivelino un adempi­ mento della profezia. Egli si riferisce a Pietro chiamandolo col nome giudaico di Simone (cfr. II Pie. 1 . 1) - un appro­ priato elemento di colore locale - e definisce r episodio di Cornelio come una «visitazione» di Dio (RSV; Riv., «Simo­ ne ha narrato come Dio ha primieramente visitato i Gentili per trarre da questi un popolo . . . ») ; il termine è usato per si­ gnificare un intervento divino, sia per la salvezza sia per il giudizio (per la prima vedi Luca 1 .68,78; 7 . 16) (28) . Lo sco­ po di Dio era di scegliersi tra i pagani (o «gentili» o «le nazio­ ni») un popolo consacrato al suo nome. Colpisce il paradosso insito nella contrapposizione di «gentili» (o «nazioni») a «po­ polo>>, dato che quest'ultimo termine era spesso usato per par­ lare dei giudei come del popolo di Dio in contrasto con i gen­ tili. Invece ora si precisa che il popolo di Dio include i gen­ tili. Mentre nel Vecchio Testamento ad essere popolo di Dio era Israele e non i gentili (Es. 19.5; 23 .22; Deut. 7.6; 14.2; 26. 18 s.), ora nel popolo di Dio sono inclusi anche i gentili (29) . Inoltre, quanto era accaduto concordava con la profe­ zia (30) . Giacomo cita solamente un testo, ma poteva darsi che, quando si riferisce ai profeti, pensasse anche ad altri passi (per es. , Zacc. 2. 1 1) (3 1). Comunque, in ogni caso il riferi(28) Per episkeptomai vedi L. Coenen, NlDNIT, I, pp. 188�192 . (29) Dupont, pp. 361-365 , prende i n esame la frase «un popolo fra le na­ zionh> ed osserva quanto segue: l) nella LXX, Es . 19.5 parla di Dio che prende un popolo (Israele) distinto dagli altri popoli, mentre qui Egli prende un popolo fra le nazioni; 2) la distinzione fra «popolo» e «nazioni» si trova nella LXX ma non nel Testo Masoretico. Per cui, egli conclude, il discorso si basa sulla LXX e non sul testo ebrai­ co. Questa conclusione non è del tutto valida, dato che il Testo Ma­ soretico fa una distinzione fra «un popolo che gli appartenga» e «po­ poli», ed è questa distinzione che Giacomo poteva avere in mente. (30) Dupont, pp. 393-4 19, segue la traccia di questo tema lungo tutto il libro degli Atti. (3 1) N.A. Dahl, «'A People for bis Name' (Acts XV. 14)», NTS 4, 1957-58, pp. 3 19-327.

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AITI 15. 16-18

mento è al >, frase che cosl com'è non ha senso. La Macedonia era una provincia romana anomala, essendo divisa in quattro sottoprovince; Filippi apparteneva alla prima di queste sottoprovince, la cui capitale era Anfi­ poli. Il testo greco non è chiaro, e i manoscritti danno alcu­ ne versioni, diverse l'una dall'altra, di una frase evidentemente ingarbugliata fin da un primo momento; ma «una città del primo distretto della Macedonia» (che è il modo in cui la ren­ dono GNB e TNT, e CEI, Gar.), è probabilmente quanto si voleva dire. La descrizione di Luca rivela una conoscenza dei luoghi (Sherwin-White, p. 93) e vuole essere una prepa­ razione al racconto del primo incontro di Paolo con una si­ tuazione romana in una amministrazione locale romana ( 10) .

13. Il sabato andammo fuori della porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite. La strategia missionaria di Paolo era quella di recarsi prima di tutto nella sinagoga e proclamare la venuta del Messia agli (10) Vedi inoltre R.P. Martin, Philippians (New Century Bible) (London, 1976) , pp. 2-9. W. Elliger Paulus in Griechenland (Stuttgart, 1978), dà un riassunto delle informazioni archeologiche ora disponibili su Fi­ lippi, Tessalonica, Atene e Corinto. ,

Arn 1 6. 1 4

373

ebrei ed ai proseliti che vi si radunavano (13 .4-5 , commen­ to) . Perciò egli non iniziò la sua opera missionaria fino al sa­ bato, e solo allora andò al luogo ebraico di riunione. Dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera: dalla frase si capisce che Paolo e i suoi compagni non sapevano per certo dove si riunissero gli ebrei, e non avevano preso alloggio presso de­ gli ebrei. Ciò non deve sorprendere, se il luogo di culto ebraico era frequentato solo da un gruppetto di donne delle quali una almeno era una proselita; i missionari avrebbero avuto a di­ sposizione solo qualche vaga informazione raccolta presso la gente locale. Ma anche qui il testo è incerto, ed è possibile una sua forma originaria in cui si potrebbe leggere «dove d'a­ bitudine si faceva la preghiera», nel qual caso non vi sarebbe nel testo nessuna osservazione sulla difficoltà di trovare il luo­ go . Si poteva aprire una sinagoga solo quando vi fossero al­ meno dieci uomini. Poiché qui non si parla di uomini, pro­ babilmente luogo di preghiera significa semplicemente un po­ sto in cui le donne avevano l'abitudine di riunirsi per prega­ re (forse in una casa) ; ma la frase può essere presa pure per indicare l'edificio di una sinagoga. Si trovava fuori città pro­ babilmente perché le autorità non permettevano agli ebrei di radunarsi all'interno di essa. La. prossimità del luogo ad un fiume (il Gangites, o il Cremides, corso d'acqua distante dal­ la città il cammino di un giorno di sabato) può indicare una scelta determinata dal bisogno di avere a disposizione dell' ac­ qua per i riti giudaici di purificazione. 14. Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio, ci stava ad ascoltare. Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo.

Fra le donne riunite per pregare, ce ne era una proveniente da Tiatiri (A p. 2 . 1 8-29) , città di quella parte dell'Asia Mino· re che si chiamava Lidia; alla donna era stato dato il nome della zona da cui proveniva; essa si occupava di vendere arti­ coli tinti con la porpora per i quali la Lidia andava famosa. A Tiatiri vi era una comunità ebraica, e poteva essere stato sia in quella città sia altrove che Lidia aveva aderito alla re-

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AITI 16. 15

ligione ebraica. Ora essa rispose al messaggio di Paolo, senza dubbio centrato sulla venuta del Messia nella persona di Ge­ sù (cfr. 1 7 .3); la sua conversione è attribuita al fatto che il Signore le aprì il cuore (per la frase, cfr. Luca 24 .45 ; II Macc. l . 4), ponendo con quella conversione il suggello della sua ap­ provazione all'ubbidienza dei missionari, i quali al suo ordi­ ne avevano fatto vela per la Macedonia. Luca vuole mettere in rilievo il fatto che la conversione è dovuta all'azione di Dio; è lui ad aprire i cuori, cioè le menti .di uomini e donne perché ricevano la sua Parola. Questo è anche il pensiero di Paolo: pure per lui le persone non cre­ dono perché la loro mente è stata ottenebrata dal dio di questo mondo (Il C or. 4 . 4), ma si convertono quando il vangelo si avvicina loro «non soltanto con parole, ma anche con poten­ za, con lo Spirito Santo e con piena convinzione» (l Tess. 1 . 5) . Tale modo di considerare la questione non diminuisce certamente la responsabilità del missionario di pregare ed im­ plorare la gente perché riceva la Parola (Il Cor. 5 .20; 6. 1 ) , e non toglie nemmeno a chi ascolta la responsabilità di pen­ tirsi e credere al vangelo. 1.5 . Dopo che fu battezzata con la sua famiglia, ci pregò dicen­ do: Se avete giudicato eh 'io sia fedele al Signore, entrate in casa mia, e alloggiatevi. E ci costrinse ad accettare.

Non è chiaro se il battesimo di Lid.ia fu fatto immediatamente dopo la sua prima conversazione con Paolo. Ma non vi fu certamente un intervallo molto lungo, per cui il suo battesi­ mo era in effetto l'espressione esteriore della salvezza che ave­ va ricevuta e della fede che mostrava di avere. Nell'atto del battesimo era inclusa anche la sua famiglia. I sostenitori del battesimo dei bambini puntano molto su questo versetto e su altri simili ( 1 1 . 14; 16.33; 18.8; I Cor. 1 . 16) sostenendo assai possibile (e in qualche caso probabile) la presenza di bam­ bini nella famiglia. Chi è di opinione contraria fa rilevare che bambini, ed in particolare neonati, non sono mai espressa­ mente nominati. Nel nostro caso, l'indicazione dell'impegno di Lidia in un' attività commerciale potrebbe essere un forte

AITI 16. 1 6

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indizio di un suo stato di nubile oppure di vedova; come mem­ bro della sua famiglia sarebbe stato incluso qualsiasi servito­ re o dipendente il quale vivesse nella sua casa ( 1 1) . . La conversione di Lidia fu immediatamente seguita dal­ la sua offerta di ospitalità a Paolo ed al suo gruppo; quindi la donna si dimostrò subito pronta non solo a seguire la pra­ tica cristiana dell'ospitalità (Rom. 12 . 13 ; I Tim. 3 .2; Ebr. 1 3 .2; I Pie. 4. 9; III Giov. 5-8) , ma anche alla condivisione dei propri beni materiali con quelli che predicavano la Paro­ la (Gal. 6.6; cfr. I Cor. 9. 14) .

16. Mentre andavamo al luogo di preghiera, incontrammo una serva posseduta da uno spirito di divinazione. Facendo l'indovi­ na, essa procurava molto guadagno ai suoi padroni. La seconda parte della storia ci porta fuori dal mondo giu­ daico e ci mette in contatto con la superstizione popolare del mondo ellenistico. In una delle visite al luogo di preghiera, Paolo e i suoi compagni si incontrarono con una serva (o «gio­ vane schiava», RSV, CEI) che aveva il dono della chiaroveg­ genza e guadagnava denaro per i suoi padroni predicendo la ventura. Luca attribuisce il suo dono a uno spirito di divina­ zione, letteralmente, «uno spirito, un Pitone>>. Quest'ultima parola significava originariamente un serpente, ed in partico­ lare il serpente custode del famoso oracolo di Delfi, il quale si diceva fosse stato ucciso da Apollo. La parola veniva an­ che usata per indicare un ventriloquo. I ventriloqui si esibi­ vano come gente capace di predire il futuro, senza dubbio sfruttando r effetto magico degli insoliti suoni che produce­ vano; probabilmente li si pensava abitati da un demone. Nel nostro caso si può presumere che la ragazza parlasse come una

(1 1) I lettori interessati possono confrontare le affermazioni rappresenta­ tive dei due punti di vista in J. Jeremias, Infant Baptism in the First Four Centuries (London, 1960), pp. 19-24, e G.R. Beasley-Murray, Baptism in the New Testament (Exeter, 1972), pp. 3 12-320 .

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ATTI 16. 1 7, 1 8

ventriloqua ed avesse il dono della chiaroveggenza, e perciò Luca dice di lei che aveva uno spirito (cioè uno spirito mali­ gno), vale a dire uno spirito abile nel ventriloquio.

17. Costei, messasi a seguire Paolo e noi, gridava: Questi uomi­ ni sono servi del Dio altissimo, e vi annunziano la via della salvezza.

La ragazza si incontrò per la strada con Paolo ed i suoi com­ pagni e gridò loro dietro che erano servi del Dio altissimo e proclamavano la via della salvezza. Parole di questo tipo per descrivere il Dio supremo si trovano anche altrove, pronun­ ciate da pagani (Luca 8.28), tna erano adoperate anche da ebrei di lingua greca; probabilmente i pagani imitavano quanto fa­ cevano gli ebrei quando si riferivano al loro Dio. Salvezza era un termine comune per indicare il contenuto del messaggio cristiano (4. 12; 13 .26,47) . Le grida della ragazza potevano per­ ciò essere state ispirate semplicemente da quanto era comu­ nemente risaputo sull' attività dei missionari a Filippi. Comun­ que, la storia è narrata nello stile dei racconti di esorcismo contenuti nei Vangeli, e nei quali le persone possedute da de­ moni proclamano di conoscere l'identità di Gesù (Luca 4 . 3 4,4 1 ; 8 .28), come un mezzo per dimostrare la loro sedi­ cente superiorità nei suoi confronti. Pare qui che Luca attri­ buisse la conoscenza della ragazza all'intuizione soprannatu­ rale di chi è posseduto da un demone. Anche in altre parti del Nuovo Testamento è difficile tracciare delle linee di di­ visione tra possessione demoniaca, squilibrio mentale e ciar­ lataneria.

18. Così fece per molti giorni; ma Paolo, disturbato, si voltò e disse allo spirito: lo ti ordino, nel nome di Gesù Cristo, che tu esca da costei. Ed egli uscì in quell'istante.

L'effetto delle parole gridate dalla ragazza, ripetute ormai da alcuni giorni ogniqualvolta essa si incontrava con Paolo, fu

AITI 16. 1 9

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quello di dare un'inaspettata pubblicità ai missionari. Per ra­ gioni non chiare, Paolo non fece nessun tentativo di prende­ re in mano la situazione la prima volta che si verificò l'inci­ dente. In un primo momento le grida della ragazza erano po­ tute sembrare innocue; ed infatti non vi è nessun indizio di una sua ostilità verso i missionari. Ma Paolo si convinse di trovarsi di fronte ad una persona posseduta da uno spirito ma­ ligno, e procedette ad esorcizzare lo spirito per mezzo del no­ me di Gesù. Il racconto non dice se la ragazza si converti. L'interesse di Luca si concentra solo sull'effetto che l'episo­ dio poteva avere sulla sorte di Paolo e dei suoi compagni. Di conseguenza, da questo incidente non possiamo trarre con­ clusioni sul problema dell'esorcismo nella chiesa moderna. Il fatto certo è che l'esorcismo tolse alla ragazza la capacità o la volontà di predire la ventura. 19. I suoi padroni, vedendo che la speranza del loro guadagno era svanita, presero Paolo e _Sila e li trascinarono sulla piazza davanti ai magistrati Non si sa se i padroni della ragazza fossero o no stati presen­ ti all'esorcismo; ad ogni modo ben presto scoprirono che non solo lo spirito se ne era andato dalla ragazza, ma se ne era andata anche la loro fonte di guadagno (nei versetti 18 e 1 9 Luca usa deliberatamente lo stesso verbo, senza dubbio a scopo umoristico) e sapevano chi ne fosse il responsabile. Come suc­ cesse più tardi ad Efeso ( 19.23-27), il vangelo aveva l'effetto di mandare all' aria gli affari di coloro i quali facevano com­ mercio oppure si servivano delle superstizioni e dei vizi umani. Quindi i padroni, senza dubbio con l'aiuto di amici o di spet­ tatori occasionali, agirono prontamente a propria difesa af­ ferrando Paolo e Sila e trascinandoli nella piazza della città dove presentarono ai magistrati una denuncia contro di loro. Gli altri membri del gruppo (Timoteo e Luca) non furono coin­ volti (l'uso del «noi» cessa al versetto l 7) sia perché erano personaggi meno importanti sia perché in quel momento si trovavano altrove (oppure, ad essere arrestati furono solo i membri ebrei «puri» del gruppo? Così Bruce, Book, p . 3 35) .

3 78

AITI 1 6.20,21

La piazza della città, che è stata messa in luce dagli scavi de­ gli archeologi, era il centro degli affari. 20-2 1 . e, presentati/i ai pretori, dissero: Questi uomini, che so­ no Giudei, turbano la nostra città, e predicano riti che a noi Romani non è lecito accettare né praticare. Nel versetto 19 magistrati è una qualifica generalizzata equi­ valente a «governatori»; qui essi sono designati in modo più specifico. Il titolo appropriato era duoviri, come attestano le iscrizioni. La parola greca adoperata qui, strate/oi, può essere semplicemente l'equivalente greco che più si accosta a quel vocabolo (Shervin-White, pp. 92 s.), ma può anche essere usa­ ta per tradurre il titolo più magniloquente di praetores; se­ condo gli antichi commentatori, i magistrati avrebbero potu­ to ostentare quel titolo (cosl come avevano fatto a Capua nel primo secolo a.C .; Bruce, Book, p. 335), ma era molto im­ probabile che fosse ancora in vigore quell'uso arcaico. È si­ gnificativo il fatto che gli accusatori presentarono la loro de­ nuncia battendo in ritirata sulle considerazioni economiche e trovando altri pretesti. La denuncia è divisa in due parti. Nella prima si accusano Paolo e Sila di essere la causa di un di­ sturbo pubblico; a sostegno delr accusa si commenta che essi erano ebrei, in modo da far prendere in considerazione i sen­ timenti anti-giudaici non inconsueti a quell'epoca (vedi 18.2, 12- 1 7) . Nella seconda parte della denuncia si accusano Paolo � Sila di patrocinare costumi che non erano romani, e con ciò si colloca resorcismo nel più vasto contesto d eli' attività missionaria. Qui si vede chiaramente l'esaltazione della pro­ pria identità romana, caratteristica specifica di una colonia. Ufficialmente i romani non avrebbero dovuto seguire culti stra­ nieri, anche se in pratica potevano farlo fintanto che ciò non recasse offesa ai costumi romani. Il principio era chiaramen­ te flessibile quel tanto da permettere di ricorrervi quando fosse stato necessario. Durante il primo secolo ed oltre fu invoca­ to nel caso in cui i culti stranieri portassero a pratiche crimi­ nali; qui il reclamo era del tipo arcaico, basato solo sul fatto che il culto era «non-romano». A volte si è anche prospetta-

AITI 1 6. 22-24

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ta un'altra ragione: agli ebrei era proibito far proseliti, ma non sembra fosse questo il caso qui (Sherwin-W�te, pp. 78-83) . 22 . La folla insorse allora contro di loro; e i pretori, strappate loro le vesti, comandarono che fossero battuti con le verghe. La folla radunatasi per assistere al processo si era schierata dalla parte dei padroni della ragazza schiava, e fu evidente­ mente emotivamente toccata dal linguaggio dell'accusa. Co­ me secondo passo dopo la presentazione di una denuncia da parte di privati cittadini, i magistrati (i pretori) dovevano ar­ restare l' accusato e tenerlo in custodia fino a che il caso non fosse stato portato davanti al proconsole. Questa volta, l' ar­ resto fu subito seguito dalla battitura dei prigionieri. Come atto preliminare furono strappati loro i vestiti di dosso (se­ guendo la normale procedura romana) e quindi battuti con le verghe dai littori che assistevano i magistrati (littori: il vo­ cabolo è reso in 16.3 5 con la «polizia» da RS V e con > ( 16. 1 7) è quella di credere in Gesù. Non solo questo, ma il dono of­ ferto al carceriere è offerto anche a tutta la sua famiglia. Il Nuovo Testamento prende sul serio l'unità della famiglia, e quando viene offerta la salvezza al capo di una casa, è cosa naturale renderla disponibile anche a tutto il resto del grup­ po famigliare (inclusi i dipendenti ed i servi) (cfr. 16. 15) . Es­ sa è comunque offerta loro negli stessi termini: anch'essi de­ vono ascoltare la Parola (16 .3 1 ,32) , credere ed essere battez­ zati; la fede del carceriere non includeva la loro. 32 . Poi annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quel­ li che erano in casa sua . Ma la cosa richiedeva una spiegazione più esauriente di quel­ la contenuta in una semplice formula, e quindi fÙ immedia­ tamente data al carceriere ed alla sua famiglia un'istruzione cristiana. L'urgenza del vangelo ebbe la precedenza nei con­ fronti del benessere dei prigionieri. Incidentalmente possia­ mo notare quanto sia insufficiente dire alle persone sempli­ cemente un versetto il cui suono è quasi quello di uno slogan evangelico; di norma c'è bisogno di un'accurata istruzione adatta all a particolare situazione e una cura pastorale perso­ nale, se si vuole che il compito dell'evangelizzazione porti dei frutti duraturi (l Tess. 2 . 7 s.). 33-34. Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe, e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. Poi li fede salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, poiché aveva creduto in Dio.

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AITI 1 6.3.5,36

L'effetto del cambiamento di cuore del carceriere si vede per prima cosa nella sua preoccupazione per le necessità fisiche dei missionari; egli fece quanto poté per alleviare le conse­ guenze delle battiture da loro ricevute il giorno precedente (cfr. Matt. 25 .36; Ebr. 10.34) . Dopo di ciò egli e la sua fa­ miglia furono senza indugio battezzati negli stessi locali della prigione. Va notato questo: mentre Paolo e Sila misero la pre­ dicazione del vangelo prima del loro benessere personale, il carceriere pensò prima a ciò di cui i prigionieri avevano bi­ sogno, e poi a farsi battezzare. Alla cura presa per i suoi pri­ gionieri il carceriere aggiunse ancora qualcosa: li fece entrare in casa sua e provvide alle loro necessità con un pasto, che era contemporaneamente un'espressione di comunione cristiana e un atto di gioia per la conversione sua e della sua famiglia. Il pasto potrebbe anche avere incluso una celebrazione della Cena del Signore, ma Luca non lo dice esplicitamente. Dopo di ciò presumibilmente i missionari dovettero ritornare al lo­ ro posto nella prigione, ed anche gli altri prigionieri furono di nuovo incatenati; ma Luca non parla di questi particolari, non necessari per la narrazione (anche se qualche antico seri­ ba volle aggiungere un commento di questo tenore nel Testo occidentale del versetto 30) . 3S. Fattosi giorno, i pretori mandarono i littori a dire: Libera quegli uomini. Quando si fece giorno, i pretori mandarono i loro servi, i lit­ tori, alla prigione per autorizzare il rilascio dei detenuti. Senza dubbio ritenevano di avere esercitato in modo sufficiente la loro autorità sui disturbatori infliggendo loro le battiture e una notte di · prigione; se li avessero deferiti alla corte supre­ ma per una trasgressione di cosl poco conto, si sarebbero fatti ridere dietro. 36. Il carceriere riferì a Paolo queste parole, dicendo: I pretori hanno mandato a dire che siate rimessi in libertà; or dunque usci­ te, e andate in pace.

AITI 16.37-40

385

Fu data al carceriere la comunicazione del rilascio, ed egli a sua volta la comunicò ai prigionieri all'interno della prigione. Fu il carceriere stesso a ordinare ai missionari di andarsene in pace, servendosi della forma ebraica di saluto, diventata di uso comune fra i cristiani (Luca 8.48) . 3 7. Ma Paolo disse loro: Dopo averci battuti in pubblico senza essere stati condannati, noi che siamo cittadini Romani, ci han­ no gettati in prigione; e ora vogliono rilasciarci di nascosto? No davvero! Anzi, vengano loro stessi a condurci fuori. Ma per Paolo e per Sila essere lasciati andare in quel modo sarebbe stato un pericoloso precedente per il futuro compor­ tamento dei magistrati nei riguardi dei missionari ed avreb­ bero lasciato esposti i cristiani di Filippi al loro arbitrio. I magistrati avevano sbagliato. Non solo avevano battuto e im­ prigionato i missionari senza prima indagare con la dovuta cura sulle accuse fatte contro di loro, ma non avevano nem­ meno preso in considerazione la possibilità che essi fossero dei cittadini romani. Questi erano, in quanto tali, esentati dalla pena della battitura, anche se c'era poco .da fare per fer­ mare gli eccessi di potere di un magistrato locale lontano dal controllo dei suoi superiori. Non sembra che il giorno prima fosse stata data a Paolo l'opportunità di protestare facendo valere la sua cittadinanza romana. In un caso famoso avve­ nuto in tempi più antichi, un cittadino romano era stato bat­ tuto per ordine di Verre, il ben noto governatore della Sici­ lia, anche se egli aveva continuato a gridare «Civis Romanus surn». Non si poteva passare sopra a quell'ingiustizia. Paolo esigeva una pubblica scusa: i magistrati responsabili del suo imprigionamento dovevano venire essi stessi a porvi fine. 38-40. I littori riferirono queste parole ai pretori; e questi ebbero paura quando seppero che erano Romani; essi vennero e li pregaro­ no di scusar/i; e, accompagnandoli fuori, chiesero loro di andarse­ ne dalla città. Allora Paolo e Sila, usciti dalla prigione, entrarono in casa di Lidia; e visti i fratelli, li confortarono, e partirono.

.386

AITI 1 7. 1 -15

I littori riportarono la cosa ai magistrati, e questi ne furono •ssai imbarazzati: se fosse arrivata alle orecchie delle autori­ tà superiori la notizia di quanto era accaduto, si sarebbero trovati nei guai. Perciò fecero buon viso a cattiva sorte an­ dando personalmente a blandire i missionari (scusarli è forse troppo forte) . Ad ogni modo chiesero loro di lasciare la cit­ tà, forse per paura che i disturbi continuassero; dopo tutto, avevano da temere non solo la reazione dei missionari per es­ sere stati puniti illegalmente, ma anche il prolungarsi del com­ portamento della gente locale, per esempio i padroni della ra­ gazza schiava, e ciò avrebbe potuto creare loro nuovi guai . Non è chiaro se i magistrati avessero legalmente il diritto di espellere i missionari, ma certamente avevano il potere effet­ tivo per farlo (Sherwin-White, pp. 77 s . ) . Il racconto si com­ pleta con il rilascio dei missionari, la loro ultima visita a Li­ dia ed agli altri membri della chiesa appena nata, e la loro partenza. Presumibilmente Luca rimase (vedi 20.5 s.).

�.

Tessalonica e Berea ( 1 7 . 1 - 1.5)

Da Filippi Paolo andò direttamente a Tessalonica, la capitale della Macedonia; là condusse una proficua campagna missio­ naria nella sinagoga ebraica, portando alla conversione sia degli ebrei sia dei proseliti gentili. Questa volta i guai furono cau­ sati dalla gelosia degli ebrei per il successo avuto da Paolo con i gentili. Non riuscendo a mettere le mani su Paolo, essi presero i suoi amici e li trascinarono davanti alle autorità cit­ tadine accusandoli di tradimento . I magistrati sistemarono la faccenda dichiarando gli accusati responsabili del mantenimen­ to della pace; da parte loro i cristiani fecero partire Paolo e Sila per la vicina città di Berea. Essi, niente affatto scorag­ giati, vi cominciarono di nuovo una campagna missionaria nella sinagoga ottenendo anche qui risultati assai incoraggianti, fi­ no a che non giùnse da Tessalonica una deputazione di ebrei a incitare la gente contro i cristiani. Ancora una volta si giu­ dicò prudente che Paolo partisse, ed egli se ne andò ad Atene. La narrazione non presenta problemi storici insuperabi­ li, anche se per avere un quadro completo degli avvenimenti

A1TI 1 7. 1

387

dobbiamo aggiungere quanto_ si ricava dalla I Tessalonicesi. Secondo Haenchen (p. 5 13), dalla I Tessalonicesi non risulta che Paolo avesse avuto delle noie causategli dagli ebrei; quel­ le noie, egli sostiene, erano dovute piuttosto ad un movimento gentile anti-cristiano: «voi avete sofferto da parte dei vostri connazionali le stesse tribolazioni che quelle chiese (della Giu.. dea) hanno sofferto da parte dei Giudei» (l Tess. 2 . 14). Con­ tro tale punto di �ista si deve controbattere questo: le espe­ rienze di Paolo di cui erano stati responsabili gli ebrei sono quelle riferite in I Tessalonicesi 2 . 15 s . , indubbiamente un riferimento ad esperienze vissute a Tessalonica, ben conosciute dai lettori di Paolo; quindi nel versetto 1 4 si parla dei genti­ li e degli ebrei che avevano avversato la chiesa nella città. 1. Dopo esser passati per Amfipoli e per Apollonia, giunsero Tessalonica, dove c'era una sinagoga dei Giudei;

a

La via Egnazia, la grande strada romana, cominciava a Nea­ polis e passava per Filippi, Amfipoli (commento a 16. 12), Apollonia e Tessalonica, poi si dirigeva verso occidente attra­ versando la Macedonia e giungendo a Dytrachium, sulla co­ sta del Mare Adriatico; da qui i viaggiatori potevano far ve­ la per l'Italia. Le campagne missionarie di Paolo erano assai avvantaggiate quando c'erano buone «vie>> (le autostrade del mondo antico) a facilitargli il cammino. I missionari percor­ sero i primi 53 km per giungere ad Amfipoli, poi ancora 4 3 km fino ad Apollonia, e quindi con altri 56 km arrivarono a Tessalonica; se con ognuna di queste distanze si vuole in .. tendere un singolo giorno di viaggio, i viaggiatori dovettero aver fatto uso di cavalli (vedi 2 1 . 15) ; ma Luca poteva voler indicare solo le - principali città per cui passarono. Se il lavo­ ro missionario fu svolto anche in quelle città, Luca non lo dice; probabilmente in esse non vi erano sinagoghe (non si hanno evidenze di ne·ssuna sinagoga) , oppure Paolo si preoc­ cupava solo di raggiungere la città principale della provincia e di svolgere Il la sua opera. Tessalonica, come Filippi, era un'antica città a cui si erano aperte prospettive di una vita migliore durante l'epoca ellenistica. Nel 42 a.C. fu fatta cit-

3 88

AITI 1 7. 2,3

tà libera dai romani e poté perciò usufruire del diritto di au­ togovernarsi seguendo un modello di governo greco piuttosto che romano (Sherwin-White, pp. 95-98) . Aveva una popola­ zione ebraica, probabilmente largamente sufficiente a stabi­ lirvi una sinagoga. Da recenti scoperte archeologiche si ha l'e­ videnza della presenza nella città, in epoca più tarda, di una sinagoga samaritana. 2 . e Paolo, com 'era sua consuetudine, entrò da loro, e per tre

sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture,

L' abitudine di Paolo di visitare la sinagoga in una città stra­ niera ( 1 3 .4-12, commento) non aveva per scopo solo l'adora­ zione, ma anche un'opera evangelistica fra i frequentatori dei culti (cfr. Luca 4. 16) . Egli continuò questa sua attività a Tes­ salonica per tre sabati; ma la sua permanenza nella città do­ vette essere più lunga, poiché da quanto sappiamo (Fil. 4. 1 6) (12), ricevette almeno un dono da Filippi e dovette lavorare per mantenersi (l Tess. 2. 9) . 3 . spiegando e dimostrando che il Cristo doveva morire e risu­ scitare dai morti. E il Cristo, egli diceva, è quel Gesù che io vi annunzio.

Della visita di Paolo a Tessalonica, Luca non ha da racconta­ re nessun vivace episodio di conversione, ed ha già indicato abbastanza per esteso quale sarebbe stato il tipo di discorso da lui fatto all'interno della sinagoga ( 13 . 16 ss.) . Perciò qui egli si limita a dare un riepilogo generale dell' evangelizzazio­ ne di Paolo. Essa era basata sulle Scritture, la cui autorità era accettata sia dagli ebrei sia dai cristiani, ed era portata avanti per mezzo dell' argomentazione. Paolo spiegava il si­ gnificato delle Scritture (Luca 24. 32) e prendeva quanto esse (12) Per la corretta traduzione di questo versetto (mal tradotto dalle ver­ sioni più recenti, salvo che dalla JB) vedi R.P. Martin, Philippians (Tyndale New Testament Commentaries, London, 1 959), pp. 180 s .

ATTI 1 7.4

389

dicevano per convalidare la sua tesi. Probabilmente con grande stupore degli ebrei, egli dichiarava che il Messia doveva sof­ frire (cioè morire, commento a 1 . 3) e poi risuscitare dai morti; quindi, egli argomentava, siccome Gesù aveva risposto a quelle condizioni, Gesù è il Messia, che doveva morire e risuscitare perché quella era la volontà di Dio, da lui accettata (Luca 9.22) e dalle Scritture rivelata (Luca 24 .26 s.) . Paolo faceva in sostanza le stesse affermazioni sul Messia in I Corinzi 1 5 . 3-5 - passo basato sull' antica tradizione cristiana - e quindi anche qui egli non stava cercando di far propaganda a un'idea sua personale, ma semplicemente ripetendo cose co­ munemente accettate nell'insegnamento cristiano. Possiamo a ragione essere certi che le Scritture citate da Paolo avrebbe­ ro incluso i Salmi 2, 16, 1 10; Isaia 53; e forse Deuterono­ mio 2 1 .23 (vedi commento a 26.23) . 4. A lcuni di loro furono convinti, e si unirono a Paolo e Sila; e così vi fu una gran folla di Greci pii, e non poche donne del­ le famiglie più importanti. La predicazione di Paolo fu efficace. I suoi convertiti inclu­ devano alcuni ebrei nonché un considerevole numero di pro­ seliti gentili i quali andavano alla sinagoga, e delle donne. Que­ ste ultime sono descritte come «donne importanti» (o delle famiglie più importanti, «nobili», «della nobiltà>>) per cui ap­ partenevano alle classi altolocate della città; alternativamen­ te il significato della frase può essere «mogli di uomini im­ portanti», senso reso in modo esplicito in alcune antiche te­ stimonianze testuali. Sia nell'uno sia nell' altro caso, il fatto non sorprende perché sappiamo che nelle alte classi della so­ cietà si trovavano donne ebree; anche dell'amante e poi mo­ glie di Nerone, Poppea, si diceva avesse delle simpatie per persone ebree (Giuseppe, Ant. , 20. 195). Haenchen (p. 507) osserva quanto sia strano che queste donne importanti non avessero potuto impedire la persecuzione dei cristiani qui o a Berea, ma evidentemente sorvola sul fatto che in entrambi i casi la persecuzione era suscitata da ebrei (sui quali quelle donne avevano poca, o nessuna influenza) e non dalle autori-

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A-TTI 1 7. 5

tà cittadine. I convertiti, ci dice Luca, si unirono a Paolo e Sila; probabilmente ciò implica la formazione di un gruppo separato i cui incontri avvenivano fuori della · sinagoga, evi­ dentemente a casa di Giasone ( 1 7 .5). Ma i Giudei, mossi da invidia, presero con loro alcuni uo­ mini malvagi tra la gente di piazza; e, raccolta quella plebaglia, misero in subbuglio la città; e, assalita la casa di Giasone, cer­ cavano di trascinare Paolo e Sila davanti al popolo. S.

Che Paolo fosse riuscito ad allontanare dei gentili dalla sina­ goga suscitò l'invidia dei Giudei. Quei gentili erano dei po­ tenziali convertiti al giudaismo, ma Paolo si era dimostrato più efficace della sinagoga nel persuaderli a fare il passo di un'adesione completa. Molti gentili erano attratti dagli aspetti più spirituali del giudaismo, ma non si sentivano di decidersi a farsi circoncidere e si contentavano di rimanere timorati di Dio. I giudei dunque decisero di agire. Da come sembra, ave­ vano a disposizione due diversi modi di entrare in azione . Tessalonica, essendo una città libera, aveva un'assemblea po­ polare (in questo versetto chiamata il popolo, in greco demos) davanti alla quale potevano essere sporte le denunce. I giu­ dei tentarono di trascinare Paolo e Sila davanti a questa as­ semblea, e per farlo ingaggiarono in loro aiuto un gruppo di oziosi sfaccendati pronti a creare subbuglio; questo poteva es­ sere il mezzo di cui servirsi per accusare poi i missionari di aver disturbato la quiete e quindi presentare all'assemblea una denuncia più grave. La plebaglia fu scatenata e radunata da­ vanti alla casa di Giasone dove si sperava di trovare Paolo. Giasone era evidentemente l'ospite di Paolo; Haenchen (p . 5 12) fa un'ipotesi suggestiva: probabilmente egli aveva in un primo momento semplicemente dato lavoro e alloggio ai mis­ sionm i, poi per mezzo del contatto avuto con loro si era con­ vertito. Non sappiamo se egli era un giudeo o un gentile; se era giudeo, il suo nome giudaico avrebbe potuto essere Gio­ suè e Giasone il nome greco più vicino come suono, e di es­ so si sarebbe servito in ambiente greco (cfr. Giuseppe, Ant. , 12 .239) .

AITI 1 7. 6, 7

391

6 . Ma non avendoli trovati, trascinarono Giasone e alcuni fra­ telli davanti ai magistrati della città, gridando: Costoro, che hanno messo sottosopra il mondo, sono venuti anche qui, Ma il piano dei giudei fallì perché i missionari non erano in casa: delusi, i facinorosi afferrarono le persone che poterono trovare nell'abitàzione, cioè lo stesso Giasone ed alcuni dei cristiani (indicati da Luca, secondo il suo punto di vista, co­ me fratelli) . Ma invece di portarli davanti all'assemblea, scel­ sero l'altro possibile modo di agire e li portarono davanti ai magistrati. Questi vengono designati col titolo di «politarchi>>, assai insolito per dei funzionari di una città non romana in Macedonia; le iscrizioni confermano però l' accuratezza della terminologia riportata qui. N on è chiaro il perché del cam­ biamento di rotta della plebaglia; forse era sembrata cosa mi­ gliore trascinare in giudizio dei cittadini tessalonicesi davan­ ti ai magistrati, oppure potevano aver temuto che l'assemblea cittadina sarebbe stata troppo comprensiva con dei concitta­ dini. Secondo la denuncia sporta, quella gente, dopo aver cau­ sato sconvolgimenti dappertutto nel mondo, era ora arrivata anche nella loro città. Il linguaggio era naturalmente sfaccia­ tamente esagerato, ma almeno se ne poteva desumere che le notizie dei disordini avvenuti a Filippi avevano già raggiunto Tessalonica, e forse si sapeva anche qualche cosa, o lo si in­ dovinava, di quanto era successo durante i precedenti viaggi dei missionari venuti dalla Palestina e passati per l'Asia Mi­ nore. Hanno messo sottosopra il mondo non è una traduzione corrispondente con esattezza al senso dell'originale, anche se ci piacerebbe assai pensare che proprio quello fosse stato l'ef­ fetto del vangelo; il significato corretto è «hanno causato di­ sordini dappertutto>> (GNB) . 7. e Giasone li ha ospitati, ed essi tutti agiscono contro i decre­ ti di Cesare, dicendo che c'è un altro re, Gesù . Si arriva adesso al nocciolo dell'accusa; Giasone sta proteg­ gendo i missionari e simpatizza con loro; è coinvolto nella denuncia generale secondo cui quei missionari agiscono con-

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AITI 1 7.8, 9

tro i decreti di Cesare proclamando un altro re, vale a dire im­ peratore, cioè Gesù � Questa è una felice descrizione del con­ tenuto positivo del vangelo, con la sua proclamazione che Gesù è Signore (cfr. 16.3 1); fa pure vedere come il punto focale del messaggio sia scivolato assai agevolmente dalla proclama­ zione del «regno» nel ministerio di Gesù alla proclamazione del «re» nell'evangelizzazione della chiesa primitiva. Il pro­ clama cristiano poteva facilmente essere frainteso come un im­ plicito attacco all ' imperatore (malgrado I Pie. 2. 1 7) , special­ mente quando le affermazioni di Cristo erano giudicate in­ compatibili con quelle dell'imperatore. La cosa non molto chia­ ra è il riferimento ai decreti di Cesare in questo contesto. I decreti di Claudio, osserva Sherwin-White (pp. 5 1 ,96, 103), riguardavano i giudei, ritenuti «fomentatori di quella ben co­ nosciuta piaga che infetta tutto il mondo» ( 1 3), ma ciò non equivale a un'accusa di tradimento contro l'imperatore, per cui, conclude Sherwin-White, il resoconto di Luca è impreci­ so. La soluzione del problema può comunque essere quella tro­ vata da E .A. Judge, il quale si domanda se la predicazione di Paolo non fosse stata architettata come una predizione di un cambiamento di governatore. Contro queste predizioni c'e­ rano dei decreti imperiali. Giuramenti di fedeltà a Cesare era­ no considerati impliciti nei suoi decreti, e i magistrati locali si sarebbero incaricati di farli rispettare ( 14) .

8-9. E misero in agitazione la popolazione e i magistrati della città, che udivano queste cose. Questi, dopo aver ricevuto una cauzione da Giasone e dagli altri, li lasciarono andare. Supposta quella situazione, era ben possibile che la popola­ zione locale e i magistrati fossero messi in agitazione dall' ac­ cusa, anche se i magistrati, da parte loro, in quanto - funzio­ nari di una città libera, potevano pure non essere disposti a ( 1 3) Lettera di Claudio al popolo di Alessandria (Barrett, Background, n° 45) . ( 1 4) E .A. Judge, «The Decrees of Caesar at Thessalonica», Reformed Theo­ logical Review 30, 197 1, pp. 1-7.

ATTI 1 7. 1 0�12

393

prendere l'accusa troppo sul serio: che fossero i romani stes­ si a trattare la faccenda! Quindi si contentarono di esigere da Giasone una cauzione (RSV, Gar., «garanzia»), cioè un suo impegno a non permettere a Paolo di rimanere più a lungo con lui e a prendersi la responsabilità di controllare che non tornasse più in quella città. La frase adoperata è un latini­ smo, e la procedura è ben attestata. 10. Ma i fratelli subito, di notte, fecero partire Paolo e Sila per Berea; ed essi, appena giunti, si recarono nella sinagoga dei Giudei. Presumibilmente per timore di altre violenze da parte della plebaglia, i cristiani fecero partire Paolo e Sila in segreto, di notte; non si parla di Timoteo, che ricompare nella narrazio­ ne a 1 7 . 14. I missionari andarono a Berea, (la moderna Ver­ ria distante circa 72 km ad ovest-sud-ovest di Tessalonica) ( 15) . Probabilmente Paolo non si spinse più lontano nella spe­ ranza di poter ritornare abbastanza presto a Tessalonica; ma, egli ricordava più tardi, «Satana ce lo ha impedito» (l Tess. 2 . 18). Comunque il tempo non fu speso nel riposo o nell'at­ tesa oziosa e Paolo nemmeno si scoraggiò per le sue recenti esperienze, ma si recò immediatamente alla sinagoga per co­ , minciarvi l opera di evangelizzazione. 1 1- 12. Or questi erano di sentimenti più nobili di quelli di Tes­ salonica, perché ricevettero la Parola con ogni premura, esami­ nando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così. Molti di loro, dunque, credettero, e così pure un gran numero di nobildonne greche e di uomini. Il resoconto del modo in cui Paolo fu accolto a Berea è la classica descrizione della reazione di giudei meglio disposti e ( 15) I commentatori sono stranamente confusi riguardo alla posizione di Berea; alcuni la danno ad una distanza di 56 km, o addirittura affer� mano che si trovava a sud di Tessalonica, sulla Via Egnazia.

394

ATTI 1 7. 13-15

con la mente più aperta (più nobilz1 verso il vangelo. Essi erano ansiosi di udire quanto Paolo aveva da dire, e si incontraro­ no perciò con lui ogni giorno (e non solamente di sabato) . Inol­ tre non accettavano le sue parole in maniera superficiale e acritica, ma esaminavano essi stessi le Scritture per vedere se la tesi tratta da quelle e sviluppata da Paolo (come in 1 7 . 2 s . ) fosse o no fondata. Non s i trattava di una risposta al van­ gelo puramente emotiva, ma di un assenso basato su di una convinzione dell'intelletto. Il risultato fu un numero consi­ derevole di convertiti, sia giudei sia greci benestanti, uomini e donne; l'ordine delle parole può voler indicare che le don­ �ne erano particolarmente importanti · nel nuovo gruppo cristiano.

13. Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a sapere che la parola di Dio era stata annunziata da Paolo anche a Berea, �i recarono là, agitando e mettendo sottosopra la folla. Apparentemente non c'era uno spirito ostile verso i missio­ nari, nemmeno fra i giudei non persuasi dai ragionamenti di Paolo . I guai ricominciarono solo quando i Giudei di Tessalo­ nica scoprirono la presenza di Paolo a Berea, ed allora crea­ rono disordini agitando e mettendo sottosopra la folla esatta­ mente come avevano fatto in precedenza. Secondo Sherwin­ White (pp. 97 s.), l' azione legale condotta contro i missiona­ ri a Tessalonica non avrebbe avuto una sua validità altrove, e la pronvicia non aveva nessun tipo di sistema poliziesco che le permettesse di tenere sotto controllo i criminali da una città all ' altra. Per cui la sola risorsa a disposizione dei giudei era quella di ripetere le imprese del passato.

14- 1 5 . I fratelli, allora, fecero subito partire Paolo, conducen­ dolo fino al mare; ma Sila e Timoteo rimasero ancora là. Quel­ li che accompagnavano Paolo, lo condussero fino ad Atene; e, ricevuto l'ordine di dire a Sila e a Timoteo che quanto prima si recassero da lui, se ne tornarono indietro.

A ITI 1 7. 1 6-34

395

Poiché Paolo era ovviamente la persona al centro dell' attac­ co, i cristiani decisero fosse cosa saggia farlo partire, e lo man­ darono alla costa. Di Il egli ed alcuni compagni bereani si im­ barcarono per Atene ( 16) . Sila e Timoteo rimasero, ma Paolo mandò loro istruzioni perché lo raggiungessero. Anche se Atti non lo dice, risulta che essi seguirono le istruzioni e si riuni­ rono a lui ad Atene, da dove egli li rimandò indietro in Ma­ cedonia (probabilmente uno a Filippi e l'altro a Tessalonica) ; poi, quando egli arrivò a Corinto, lo raggiunsero là {18.5 ; I Tess. 3 . 1 -6) . f. Atene: il discorso dell' Areopàgo ( 17. 16-34)

Si è spesso detto che per Luca il discorso di Paolo ad Atene era il momento più saliente della sua carriera missionaria; mol­ to più probabilmente dovremmo vedere in quella scena una sua presentazione dell'incontro di Paolo col paganesimo col­ to . Luca ci illustra il tipo di approccio usato da Paolo con il pagano istruito, allo stesso tempo ammettendo che il van­ gelo era «pazzia per i greci» o almeno per la maggior parte di loro (cfr. I Cor. 1 .22-24). Il quadro della città fornito da Luca ha dato l' impres­ sione ad alcuni studiosi di essere notevolmente aderente alla realtà e ad altri di essere un brillante prodotto letterario. In effetto ad Atene vi era una mescolanza di idolatria supersti­ ziosa e di filosofia illuminata. Il discorso di Paolo, da lui fat­ to ad un uditorio di filosofi, era - secondo il pensiero di alcuni - alquanto irrilevante nei confronti dei loro veri in­ teressi, perché aveva piuttosto di mira l'idolatria popolare. Ma sarebbe comunque stato molto importante per gli epicurei, i quali non consideravano necessaria la ricerca di Dio e non (16) Questo è il significato del testo greco (tradotto nelle versioni italia­ ne, nel versetto 14, con > piuttosto che «dibattere» (20. 7 ,9) . 18. E anche alcuni filosofi epicurei e stoici conversavano con lui. Alcuni dicevano: Che cosa dice questo ciarlatano? E altri: Egli sembra essere un predicatore di divinità straniere; perché an­ nunziava Gesù e la risurrezione. Paolo aveva nel suo uditorio anche dei seguaci delle filosofie epicurea e stoica. La prima, che prendeva il nome dal suo fondatore Epicuro (34 1 -270 a.C.), tendeva ad essere mate­ rialistica. Per gli epicurei, gli dèi o non esistevano od erano talmente remoti dal mondo da non esercitare nessuna influenza (19) R.E. Wycherley, «St Paul at Athens�, ]TS 19, 1968,

pp.

6 19-62 1 .

AITI 1 7. 1 9

399

su quanto vi accade. Essi insegnavano una rudimentale teo­ ria atomica, e la loro etica dava valore al piacere ed alla tran­ quilli tà. Sono stati spesso falsamente accusati di concepire edo­ nisticamente l'esistenza, ma in effetto avevano un'elevata con­ cezione del «piacere» e disprezzavano il sensualismo. Gli stoici, seguaci della scuola fondata da Zenone (340-265 a.C .), presero il loro nome dalla stoa, o portico, sotto il quale egli insegnava. Essi esaltavano l'importanza della Ra­ gione, ritenuta il principio inerente all a strutturazione dell'u­ niverso e quello per il quale gli uomini devono vivere. Ave­ vano una concezione panteistica di Dio come anima del mondo e la loro etica insisteva sull'autosufficienza e sull'ubbidienza ai dettami del dovere. In un primo momento non ebbero un'impressione favo­ revole di Paolo; lo respinsero dandogli sprezzantemente del ciarlatano; la parola designava un uccello che becchetta bri­ cioli nei rigagnoli, e venne cosi ad essere usata per indicare i bighelloni buoni a nulla (quel tipo di persone che oggi an­ drebbero in giro raccogliendo cicche per fumarsele) ed anche chi acquisiva solo bricioli di sapere. Poi gli si attribuisce la proclamazione di divinità straniere, deliberatamente richiaman­ dosi alla tradizione socratica (la parola greca per divinità, dai­ monion, è usata nel suo significato neutro) . Le divinità sa­ rebbero state Gesù e RisutTezione, quest'ultima forse presa co­ me una divinità femminile; ma sarebbe pure possibile l'inter­ pretazione di uno sprezzante rifiuto del concetto di risurre­ zione, cosi come lo insegnava Paolo. 19. Preso lo con sé, lo condussero su nell'Areopàgo, dicendo: Po­ tremmo sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi? Paolo fu condotto all'Areopàgo perché desse una spiegazione più precisa di quanto stava insegnando. Nell'antica Atene, un «consiglio», incaricato in un primo tempo di importanti fun­ zioni giudiziare, era solito riunirsi nell' Areopàgo (20) , una col(20) In greco Areios Pagos, letteralmente >, si riferi­ sca ad un'azione avvenuta in coincidenza con quella del tem­ po principale «riceveste» - una ·costruzione greca accettata ( 1 1 . 1 7 ; Ef. 1 . 13) . Alcuni studiosi propongono la traduzione «Riceveste lo Spirito Santo dopo aver creduto?» in cui è im­ plicita la ricezione dello Spirito come dono, successivamente all'aver creduto in Gesù. Se però la frase ipotizzata è una possibile interp·retazione della sintassi, è senza alcun dubbio un'errata interpretazione di queste parole in questo contesto; pone una accentuazione ingiustificata sul «dopo» e va contro la costante associazione neotestamentaria dello Spirito con la conversione. Nessuno può diventare un vero credente in Ge­ sù senza ricevere lo Spirito (commento al versetto l) (4) . ll gruppo rispose negando e dicendo di non avere nemmeno mai sentito parlare dello Spirito; la risposta è stata presa da alcu­ ni come un'implicita dimostrazione di una loro ignoranza dello (3) K. Haacker, «Einige Falle von "Erlebter Rede" im Neuen Testament», Nov. T 12, 1970, pp . 70-77. (4) Per un'ulteriore discussione dell'argomento, vedi Dunn, Baptism, pp. 83-89.

432

AITI 1 9.3,4

Spirito perché Giovanni Battista non lo aveva mai menzio· nato (ma ciò è contrario a quanto è riportato nei Vangeli: Matt. 3 . 1 1 ; Giov. 1 .33) . Non dobbiamo però mai collegare troppo strettamente l'insegnamento di Giovanni con quanto veniva incorrettamente tramandato come tale e poteva esse .. re in circolazione in Asia Minore venti anni dopo; il com· mento degli uomini del gruppo vuole semplicemente essere una dichiarazione di ignoranza del fatto che lo Spirito era già stato dato (cfr. Giov. 7 . 39). 3. Egli disse loro: Con quale battesimo siete dunque stati bat­ tezzati? Essi risposero: Col battesimo di Giovanni. Poiché essi dichiaravano di non sapere nulla dello Spirito, Pao­ lo fece un altro passo avanti nel suo esame e li interrogò sul.. la natura del loro battesimo: con quale battesimo erano stati battezzati? (o «in che cosa>> erano stati battezzati?, RSV) . Che tipo di battesimo avevano ricevuto? E la loro risposta fu: «Il battesimo di Giovanni». Dal modo in cui è concepita la ri· sposta si pot�ebbe dedurre l'esistenza di vari tipi di battesi· mo in contrasto l'uno con l' altro (come in Ebr. 6.2), e Luca potrebbe avere condensato nella risposta una frase più elabo· rata, quale: «Siamo stati battezzati nel modo comandato da Giovanni». Co.n quella risposta quegli uomini dimostrarono di essere seguaci di Giovanni Battista e di avere qualche co· noscenza riguardo a Gesù. Sembra come se ad Efeso e pro­ babilmente anche altrove si fossero in qualche modo divulga· te notizie su Gesù separatamente dal messaggio cristiano sul· la sua risurrezione e sull'effusione dello Spirito. 4. Paolo disse: Giovanni battezzò con il battesimo di ravvedi­

mento, dicendo al popolo di credere in colui che veniva dopo di lui, cioè, in Gesù.

Allora Paolo rammentò al gruppo quanto aveva detto lo stes­ so Giovanni Battista. Il suo battesimo era stato associato al ravvedimento; dava un'opportunità, offerta da Dio, di un rav·

A ITI 1 9 .5, 6 .

433

vedimento (cfr. 5 . 3 1 ; 1 � . 1 8) il quale doveva essere contem­ poraneamente unito a frutti concreti di ravvedimento sotto forma di un cuore mutato e di un corrispondente mutamen­ to nel modo di vivere. Ma lo stesso Giovanni aveva parlato all a gente della venuta di >. 14. Quelli che facevano questo erano sette figli di un certo Sceva,

giudeo, capo sacerdote. Il gruppo di ebrei il quale cercava di sperimentare questa in­ vocazione era conosciuto come quello dei sette figli di Sce­ va, un capo sacerdote giudeo . Nessuna persona con quel no­ me è mai stata il capo sacerdote giudeo. O Sceva era sempli­ cemente un membro della famiglia di un capo sacerdote, o si era appropriato del titolo per scopi professionali così da impressionare e ingannare il pubblico : un capo sacerdote, o i suoi figli, avrebbero avuto uno stretto contatto col sopran­ naturale; possiamo paragonare questo fatto col modo in cui i ciarlatani moderni si fregiano dei titoli di . Secondo Haenchen (p . 565) , Luca riporta come se fosse vera la falsa informazione di Sceva capo sacerdote; Lu­ ca, egli pensa, avrebbe considerato degno di essere riportato solo un trionfo su un vero capo sacerdote (e non su qualche insignificante esorcista); ma il punto saliente della vicenda non è lo stato sociale degli esorcisti, ma il loro tentativo di ser­ virsi del nome di Gesù ( 6) . 1 5 - 1 7 . Ma lo spirito maligno rispose loro: Gesù lo conosco, e Paolo so chi è, ma voi chi siete? E l'uomo che aveva lo spirito maligno si scagliò su due di loro; e li trattò con tale violenza, che fuggirono da quella casa, nudi e feriti. Questo fatto fu risa­ puto da tutti, Giudei e Greci, che abitavano a Efeso; e tutti furono presi da timore, e il nome del Signore Gesu era esaltato. (6) B.A. Mastin, «Scaeva the Chief Priest», ]TS 27, 1976, pp. 405·4 12 , pensa che Sceva possa essere stato un membro della famiglia di un capo sacerdote: i suoi figli sarebbero stati sacerdoti e perciò conside­ rati capaci di operare esorcismi. Quindi lo scetticismo di Haenchen è del tutto ingiustificato.

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AITI 1 9. 18-20

n tentativo di invocazione fallì, lo spirito maligno nell'uomo sul quale essi stavano sperimentando il loro metodo curativo confessò di sapere chi era Gesù e chi era Paolo il quale si serviva del nome di Gesù, ma contestò il loro diritto di usa­ re quel nome. Non solo, ma sotto la sua influenza l'uomo di­ venne violento e li attaccò, così che essi furono felici di ca­ varsela con la sola perdjta dei vestiti. L'episodio presume lo stesso tipo di conoscenza soprannaturale da parte del posse­ duto di cui leggiamo nei Vangeli (Luca 4 . 34,4 1 ; 8.28), e ciò ci porta in un campo di esperienza ritenuto da molti lettori moderni strano e sconcertante. La vicenda e presumibilmen­ te altre analoghe divennero note sia fra gli ebrei sia fra i greci della zona, causando nella gente superstiziosa contemporanea­ mente paura e sentimenti di lode per il nome di Gesù. In una situazione in cui la gente era attanagliata dalla supersti­ zione, forse per il cristianesimo il solo modo di diffondersi era quello di poter dimostrare la superiorità del potere di Gesù su quello dei demoni, anche se coloro i quali giungevano a credere in Gesù erano tentati di pensare al suo potere ed al­ la sua persona in modi ancora condizionati dalle loro antiche categorie di pensiero; alla chiesa occorse del tempo per puri­ ficare il suo concetto di Dio dal modo di pensare pagano; e la tendenza di permettere ai nostri concetti su Dio di farsi influenzare dalle correnti contemporanee e spesso fuorvianti di pensiero filosofico e scientifico è tuttora una cosa che la chiesa deve combattere.

18-20. Molti di quelli che avevano creduto venivano a confes­ sare e a dichiarare le cose che avevano fatte. Fra quanti aveva­ no esercitato le arti magiche molti portarono i loro libri, e li bruciarono in presenza di tutti; e, calcolatone il prezzo, trovaro­ no che era di cinquantamila dramme d'argento. Così la parola di Dio. cresceva e si affermava potentemente. Ad ogni modo il processo di purificazione del pensiero cri­ stiano dal paganesimo fu aiutato da quanto era accaduto. I cristiani non sono completamente convertiti o perfezionati in un istante, ed il modo di pensare pagano può persistere con-

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temporaneamente ad una genuina esperienza cristiana; la storia della chiesa di Corinto ci mostra quanto tempo occorse per­ ché quei cristiani si persuadessero dell'incompatibilità esistente fra la fede cristiana e immoralità sessuale e adorazione degli idoli (l Cor. 6.9- 1 1) . Presto o tardi i cristiani devono arriva­ re ad un momento in cui si rendono conto del bisogno di con­ fessare la peccaminosità delle loro pratiche; se poi è anche possibile fare ancora un passo avanti e rimuovere la causa della tentazione, come nel caso narrato qui, tanto meglio. La di­ mostrazione dell'inutilità dei tentativi pagani di controllare gli spiriti maligni spinse molti efesini convertiti da Paolo a rendersi conto che la magia pagana alla quale erano ancora attaccati era tanto inutile quanto peccaminosa. Portarono per­ ciò tutti i loro manuali di magia e i vari elenchi di invoca­ zioni e formule magiche dai quali non si erano ancora sepa­ rati e se ne distaccarono definitivamente bruciandoli pubbli­ camente. TI fascino particolare esercitato sugli efesini da quelle «schiocchezze» è dimostrato dal fatto che esse erano cono­ sciute come «lettere efesine». Il valore in moneta di quelle «schiocchezze» era alto - corrispondente alla paga di 50.000 operai per una giornata lavorativa a testa - ma non neces­ sariamente esagerato nell'ambito di una città, nemmeno quan­ do lo si paragona a quanto spende la gente di oggi in simili cianfrusaglie e frivolezze. Su questa nota di trionfo Luca ter­ mina il suo resoconto del fortunato ministerio di Paolo ad Efeso, anche se la storia di quanto accadde in quella città non è ancora finita. 2 1 . Dopo questi fatti Paolo si mise in animo di andare a Ge­ rusalemme, passando per la Macedonia e per l'Acaia. Dopo es­ sere stato là, diceva, bisogna che io veda anche Roma. Sotto la guida çlello Spirito Paolo si convinse che la sua atti­ vità per stabilire una chiesa ad Efeso aveva raggiunto il pun­ to in cui egli poteva considerarla compi'"'ta e perciò sentirsi libero di dedicarsi alla realizzazione di altri piani (7) . Egli de(7) L'espressione «si mise in animo» (e tradotta anche «stabffi in spiri­ to», Ricc.) è resa dalla RSV «decise nello Spirito» e può avere en-

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cise di rivisitare la Macedonia e l' Acaia prima di tornare a Gerusalemme. Luca lascia al lettore di intuire quale fosse lo scopo del ritorno di Paolo ai suoi primi campi di missione, cioè quello di incoraggiare le giovani chiese, come in 14.22 s. ; 15.36,4 1 ; 18.23. Qui egli non dice nemmeno che uno de­ gli scopi di Paolo era quello di raccogliere le offerte messe da parte per Gerusalemme, per poi portarvele. Hanson (pp . 1 94 s.) fa la seguente, corretta osservazione: Luca, scrivendo da un punto di vista prospettico più ta1 do nel tempo, vede­ va l'arresto di Paolo e quanto ne segul come un fatto più si­ gnificativo di quello della consegna della colletta a Gerusa­ lemme, anche se allo stesso Paolo, in quel momento, sembrasse più importante la consegna della colletta (vedi Rom. 15 .25-33; I Cor. 16. 1-4; II Cor. 8-9; che Luca fosse al corrente della colletta lo si vede di sfuggita in Atti 24. 1 7) . Paolo guardava oltre Gerusalemme, ed espresse il suo desiderio di visitare Ro­ ma; più precisamente disse di «dovere» vedere Roma, non cosl come un turista direbbe «Devo vedere Venezia>>, ma con lo stesso senso di consapevolezza di Gesù, quando sentiva il corso della sua vita soggetto ad un «devo>> la cui origine era nel proposito di Dio (Luca 4 .43; 9.22) . Senza dubbio gli scettici vedranno questa intuizione di Luca delle intenzioni di Paolo solo come una ricostruzione immaginaria sulla base di quan­ to accadde dopo, ma lo direbbero senza tener conto dell'evi­ denza di prima mano fornitaci da Romani 1 5 .22-24, da cui risulta essere precisamente quello il programma di Paolo a quel tempo. 22 . Mandati in Macedonia due dei suoi collaboratori, Timoteo ed Erasto, egli si fermò ancora per qualche tempo in Asia. Paolo si preparò per il suo viaggio mandando in Macedonia due dei suoi colleghi. Dando questa notizia, Luca implicita­ mente afferma che Paolo non fu costretto ad abbandonare subitaneamente Efeso dalle macchinazioni di Demetrio e dei trambi i significati; per ambiguità analoghe e/r. 18.25 ; 20.22 . Bruce, p. 3 6 1 , preferisce con ragione «decise nello Spirito».

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suoi amici (20.23-4 1), in quanto aveva già fatto i preparativi per la sua partenza. Secondo la I Corinzi, Timoteo aveva già visitato Corinto e probabilmente era ritornato ad Efeso (l Cor. 4. 17; 16. 10, 17, visita che, però, non può essere quella di cui si parla qui, perché ciò non darebbe un tempo sufficiente­ mente lungo tra la composizione di I Corinzi e quella di II Corinzi) . Secondo alcuni studiosi, il viaggio prospettato qui sarebbe quello di cui si parla in Filippesi 2 . 19 , il quale dove­ va essere seguito da una visita dello stesso Paolo in quella regione (Fil. 2.24; questa opinione richiede di presumere la Lettera ai Filippesi scritta da Efeso intorno a quel tempo) . Si è anche cercato di collegare la I Timoteo a questo periodo (l Tim. 1 .3) (8) . In quanto a Erasto, abbiamo notizia di una persona con questo nome la quale era «tesoriere» di Corinto (Rom. 16 23; cfr. II Tim. 4.20) , ma sembra improbabile, per una persona con un impiego ufficiale di quel tipo, la possibi­ lità di essere libera di fare dei viaggi nell'ambito di un'opera missionaria; in ogni caso il nome era assai comune. Haenchen (pp. 569 s.) attira l'attenzione sull'assenza del nome di Tito in questo versetto (e in effetto negli Atti in generale), e se­ condo lui qui sarebbe più appropriato un riferimento a lui piuttosto che a Timoteo (e/r. II Cor. 2. 13); egli conclude, senza però averne una vera prova, giudicando confuso il resoconto di Luca; ma al massimo possiamo dirlo incompleto. .

f. La reazione del paganesimo ad Efeso ( 1 9.23-41)

L'opposizione contro Paolo scatenat asi ad Efeso poteva esse­ re paragonata a quella di Filippi in quanto entrambe aveva­ no le loro radici nel paganesimo. All'accusa secondo cui Pao­ lo stava interferendo negli interessi finanziari di chi si pro­ cacciava il proprio sostentamento per mezzo dell'idolatria fu aggiunta quella di un suo attacco all a stessa religione pagana. L'episodio così come Luca lo racconta, mette in luce quanto fosse stata vasta la risonanza della missione cristiana, ed an­ che rivela l'arbitrarietà e la confusione dell'opposizione, la qua(8) J.A.T. Robinson, Redating the New Testament, pp. 82-84, collega la I Timoteo con la partenza di Paolo da Efeso in · Atti 20. 1 .

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le evidentemente non aveva concertato nessun piano d' azio­ ne. Viene messo in luce anche un altro elemento: chi era in una posizione di autorità si opponeva ad un'azione contro i missionari, quando non fosse condotta per mezzo di processi in tutto e per tutto legali. In effetto la vicenda risulta essere una dichiarazione della non pericolosità dei cristiani nei con­ fronti dello stato ed un'argomentazione a difesa del loro di­ ritto di essere trattati con tolleranza in una società pluralisti­ ca; solamente quando fossero state pronunciate contro di lo­ ro accuse per azioni a buon diritto giudicate criminali, essi avrebbero potuto essere convocati davanti ai tribunali. Nel suo commentario, Haenchen (pp. 576-5 79) sottopo­ ne questo racconto (così come tutta la vicenda svoltasi ad Efe­ so) ad una critica severa giudicandolo pieno di improbabilità storiche: l) se Paolo avesse davvero cercato di far abolire il culto di Artemide (o Diana), si dovrebbero vedere altri grup­ pi interessati - compreso specialmente quello dei sacerdoti - unirsi ai suoi oppositori. 2) Sorprende vedere Demetrio, dimostratosi in possesso di grandi doti di agitatore fra i suoi colleghi argentieri, apparire invece privo di qualsiasi chiara idea di come avrebbe poi agito all'assemblea; infatti sparì quie­ tamente dalla scena, e non accadde nulla malgrado l' appog­ gio popolare dato alla sua causa. 3) Come fecero gli asiarchi a comparire così prontamente sulla scena a dar consigli a Paolo, e perché mai i guardiani del culto imperiale sarebbero dovu­ ti correre in suo aiuto? 4) Che senso ha l' «intermezzo ebrai­ co» durante l'assemblea? Sembra immotivato e non conduce a nulla. 5) L'azione del segretario, il quale cercò di eliminare le lagnanze contro i cristiani richiamandosi alla riconosciuta grandezza di Artemide, è strano, ed egli ignora il fatto che i cristiani negavano la divinità di Artemide (la qual cosa equi­ valeva ad una bestemmia contro la dea) . 6) Come argomento principale della sua critica, Haenchen osserva che lo stesso Paolo afferma di aver patito in Asia un'afflizione quasi in­ sopportabile, equiparabile ad una condanna a morte, dalla qua­ le solo Dio poté liberarlo (II Cor. 1 . 8- 1 1); quel fatto non è menzionato da Luca, perché quest'episodio non corrisponde certo a quei termini. Perciò, conclude Haenchen, in realtà Lu­ ca non sapeva che cosa fosse accaduto ad Efeso e, basandosi

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su alcune poche informazioni riguardanti Efeso e sulla tradi­ zione di una qualche sorta di esperienza in cui c'entrava un tumulto e per la quale era passato Paolo prima della sua par· tenza, decise di costruire un resoconto drammatico ma com­ pilato in modo da gettare grandissima gloria su Paolo e sul successo riportato dalla sua opera evangelistica e da fare allo stesso tempo risaltare ironicamente l'insignificanza dell'oppo­ sizione di cui era stato oggetto. Anche se a prima vista l' accusa può sembrare grave, ad un esame attento la gravità scompare : l) è molto improbabi­ le che la missione cristiana costituisse una seria minaccia per l'adorazione di Artemide nel suo tempio, e dobbiamo ammet­ tere qualche esagerazione da parte di Demetrio (e forse an­ che di Luca; cfr. 19 . lO, 17 per esempi di un generalizzato uso Lucano di «tutti») . Infatti non ci fu nessun notevole calo ne­ gli affari di Demetrio; probabilmente egli si preoccupava di quanto sarebbe potuto accadere e non stava descrivendo fat­ ti già accaduti. In una pluralista società politeistica i sacer­ doti di Artemide potevano non avere intrapreso nessuna azione contro una setta, secondo la loro valutazione abbastanza irri­ levante. 2) In realtà Demetrio non spari dalla scena, se dob­ biamo credere a quanto dice 19. 38. Luca non ha riportato quanto Demetrio disse o fece nell'assemblea, ma le sue accu­ se contro i missionari sembrano chiaramente vaghe e difficili da provare. Demetrio emerge come un demagogo abile a sol­ levare le folle, ma con le idee confuse riguardo alle azioni spe­ cifiche da intraprendere. 3) Si può presumere che la riunione in assemblea fosse avvenuta qualche tempo dopo l'inizio del­ la marcia di protesta, dando così il tempo ad uno o due asiar­ chi di venire a conoscenza di quanto stava accadendo. Non vi è una ragione per la quale Paolo non avrebbe potuto co­ noscere qualcuno di loro; essi potevano avere avuto una buo­ na impressione di lui, come era accaduto con altri ufficiali romani. Dobbiamo ammettere di non sapere come mai fosse­ ro in posizione tale da permettersi di ammonire Paolo di non recarsi all'assemblea, ma non abbiamo nemmeno elementi per negare che ciò fosse potuto accadere. 4) Il fatto della man­ canza di motivazione dell' «intermezzo ebraico» sta a favore della sua storicità. Secondo Haenchen, Luca se ne servì per

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dimostrare quanto i greci fossero ostili agli ebrei (cfr. 18 . 1 7, ma vederne il commento) ; ma non spiega perché Luca avreb­ be voluto dimostrarlo. Anche se Luca aveva un suo motivo per introdurre l' episodio, non per questo ne viene dimostra­ ta la sua non-storicità. 5) Nel suo ragionamento, il segretario si preoccupava di quali erano le prove realmente portate al­ l'assemblea a sostegno delle accuse, e voleva inoltre avverti­ re l' assemblea del pericolo corso nell'agire illegalmente, cioè quello di incorrere nell'ira dei romani; egli cercava quindi di «tenerla calma» minimizzando la gravità dell'accusa contro i missionari. 6) La narrazione di Luca riguardo al tempo tra­ scorso da Paolo ad Efeso è certamente incompleta. Vi sono alcune ragioni per supporre che Paolo andasse in prigione (al­ cune delle afflizioni elencate in II C or. 1 1 .23 possono collo­ carsi bene in quel periodo) , ed egli dice metaforicamente di avere «lottato con le belve ad Efeso» (I Cor. 15 .32) . Paolo soffrì la sua «grande afflizione» in Asia, ed è possibile inten­ dere a Efeso. Questa «afflizione» sarebbe potuta essere una grave malattia per la quale fosse stato per morire, invece di un'esperienza di persecuzione. Sia Luca sia Paolo fanno de­ gli elenchi incompleti di queste esperienze, quindi non deve �orprendere se Paolo non si riferisce specificamente a questo episodio, o se Luca, il cui interesse verteva principalmente sulle relazioni di Paolo con i suoi avversari all'esterno della chiesa, passa sotto silenzio la sua malattia. È perciò dubbio che ci si possa basare su un «argomento del silenzio» per ri­ fiutare il racconto di Luca. A questi punti possiamo aggiun­ gere la notevole concordanza del racconto con la situazione politica di Efeso così come è stata ricostruita da Sherwin­ White (pp. 63-92) che commenta: > (Sherwin­ White , p. 90) . Erano quindi membri di un gruppo religioso e politico delle città dell'Asia , ed appartenevano all'aristocrazia. È interessante che Paolo avesse degli amici in quell'ambiente e che essi si preoccupassero della sua incolumità, soggetta ad essere messa in pericolo se egli si fosse presentato alla folla. 32 . Intanto, chi gridava una cosa, chi un 'altra; infatti l'assem­ blea era confusa; e i più non sapevano per quale motivo si fos­ sero riuniti. Nel teatro la riunione vera e propria era alquanto disorganiz­ zata e andava avanti senza l'ordinata procedura propria di una

(lO) Questa è una traduzione di demos da preferirsi a «folla» (RSV) o po­ polo (RR), anche se > l'autore sembrerebbe voler dire «Paolo ed io», e forse qualcun altro, non nominato; ma do­ vremmo anche prendere .in considerazione l'ipotesi (Haenchen, p. 582) secondo cui il «questi» del versetto 5 si riferisca solo a Tichico e Trofimo, ed allora il «noi» includerebbe tutte le altre persone menzionate nel versetto 4 . I due dell'Asia sa­ rebbero andati avanti a fare i preparativi per accogliere il grup­ po principale. Paolo e gli altri aspettarono, partendo subito dopo la festa degli azzimi. Probabilmente si intende che la Pasqua cristiana fu celebrata con la chiesa di Filippi (I Cor. 5. 7 s.) e dunque la frase non deve essere presa solo come un'indicazione cronologica (cfr. 20 . 16 e paragonare a 27 .9) . TI viaggio da Neapolis, il porto di Filippi (16. 1 1), a Troas prese più tempo di quanto ne avesse preso nella direzione inversa, senza dubbio a causa delle condizioni avverse del tempo. 7-8. Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti a spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, s 'in­ tratteneva con i discepoli, e prolungò il suo discorso fino a mez­ zanotte. Nella sala di sopra, dov 'eravamo riuniti, c 'erano molte lampade; A Troas i discepoli si riunirono il primo giorno della setti­ mana (Luca 24 . 1) per spezzare il pane e cogliere l'ultima op­ portunità di ascoltare Paolo. «Spezzare il pane» è l' espressio­ .ne usata, specialmente in Atti, per indicare la celebrazione della Cena del Signore (2 . 42; cfr. I Cor. l O . 16), e questo passo è particolarmente interessante perché per la prima volta vi si parla dell'abitudine cristiana di radunarsi il primo giorno della settimana a tale scopo ( 1 3) . Non è del tutto �hiaro qua­ le calcolo del tempo stia seguendo Luca. Secondo il metodo ebraico, che fa partire il nuovo giorno dal tramonto del sole, Paolo si sarebbe incontrato con i cristiani in un momento cor(13) Una riunione cristiana nel primo giorno della settimana è implicita in I Corinzi 16.2, ed è generalmente inteso che «il giorno del Signo­ re» menzionato in Apocalisse 1 . 1 O sia la domenica.

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rispondente, secondo il nostro calcolo, alla sera del sabato, ed avrebbe ripreso il viaggio la domenica mattina ( 14) . Se­ condo il metodo romano di calcolo, in cui il nuovo giorno partiva dall'alba, i cristiani si sarebbero incontrati o la sera della domenica (il primo giorno della settimana ebraica) o la sera del sabato ·(il primo giorno della settimana romana) . Poi­ ché altrove Luca conta le ore del giorno partendo aall' alba (3 . l) , egli sembra seguire il metodo di calcolo romano unita­ mente al calendario ebraico (cfr. Luca 24 . 1) . Secondo Bruce (Book, p. 408, n. 25), Luca intende il giorno seguente, nd quale Paolo doveva partire, come la mattina del giorno dopo, . e l'in­ terruzione di cui parla nel versetto 1 1 la intende come l'ini­ zio del nuovo giorno, quindi la riunione fu tenuta la sera della domenica e Paolo partl la mattina del lunedì (15). Il discorso di Paolo alla chiesa durò fino a mezzanotte. Ciò può sembrare un tempo molto lungo se misurato sugli standard occidentali moderni (cfr. anche 28.23), ma in alcuni paesi, specialmente del Terzo Mondo, sono assai comuni cul­ ti che si prolungano per diverse ore, con sermoni lunghi in proporzione. Oltre al fatto della lunghezza del culto, che po­ teva aver stancato alcuni membri della congregazione, c'era anche quello della sala di sopra ( 1 . 1 3 ; 9. 3 7) dove i discepoli erano riuniti, illuminata da lampade ad olio. La semplicissi­ ma spiegazione della menzione delle lampade ad olio è l , odo­ re da esse emanato, che contribuì a conciliare il sonno di Eu­ tico . Haenchen (p. 585 , n. 2) fa questo commento: se Euti­ co, seduto vicino ad una finestra, si era addormentato, quanto più avrebbero dovuto combattere la sonnolenza le altre per­ sone sedute nella stanza, lontanto dalla ventilazione; eviden­ temente egli dimentica che alcune persone sono colpite dalla

(14) Per questa opinione vedi M.D. Goulder, Midrash and Lection in Mat­ thew (London, 1974), p. 177, n . 38. ( 15) li passo non dà un appoggio a quanto sono soliti fare gli Avventisti del Settimo Giorno, i quali considerano il periodo che va dal tramonto del sole del venercD. al tramonto del sole del sabato come sabato e come il giusto giorno della adorazione cristiana; anche se la riunione fosse stata tenuta il sabato sera, essa non faceva parte del sabato ebraico.

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sonnolenza più rapidamente di altre. Certamente qui abbia­ mo un'informazione di un testimone oculare dell'episodio. 9- 10. un giovane di nome Eutico, che stava seduto sul davan­ zale della finestra, fu colto da un sonno profondo, perché Paolo tirava in lungo il suo dire; egli, sopraffatto dal sonno, precipitò giù dal terzo piano, e venne raccolto senza vita. Ma Paolo di­ scese subito giù, si chinò su di lui, e, abbracciatolo, disse: Non vi turbate, perché è ancora in vita.

Tutta la nostra simpatia va ad Eutico, ragazzo fra gli 8 ed i 14 anni (questa era l'età tradizionale di un «ragazzo»; cosl egli è chiamato al versetto 12, RSV, Conc., CEI) il quale non riuscl a sopportare la lunghezza del discorso di Paolo e il cal­ do, e sopraffatto dalla stanchezza cadde addormentato, e dalla finestra posta al terzo piano precipitò al suolo; il terzo piano corrisponderebbe a un nostro «secondo piano» (due piani so­ pra il pianterreno), e dalla scena descritta si potrebbe dedur­ re · trattarsi di una casa popolare di un tipo abbastanza comu­ ne nelle abitazioni delle classi meno abbienti delle città ro­ mane. Il ragazzo fu sollevato dal suolo morto, senza vita. L'in­ tenzione di Luca era certamente quella di mostrare la capaci­ tà di Paolo di far risorgere il morto (come Pietro, 9. 36-43) ; il commento di Paolo, secondo cui il ragazzo era ancora in vita si riferisce alla condizione dopo l'assistenza di Paolo. Luca non avrebbe perso tempo a parlare di qualcuno sollevato da terra morto solo in apparenza. Naturalmente, ci sarà sempre chi vorrà sostenere che Luca aveva capito male quanto era realmente accaduto. 1 1 . Poi risai� spezzò il pane e prese cibo; e dopo aver ragiona­

to lungamente sino all'alba, partì.

Dopo l'interruzione della riunione, Paolo spezzò del pane e mangiò . La descrizione non chiarisce se egli avesse semplice­ mente spezzato il pane alla Cena del Signore oppure se aves­ se mangiato un pasto, ma il verbo reso prese cibo può certa-

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mente avere quest'ultimo significato (10. 1 0) . Haenchen (p . 586) trova strano che i cristiani fossero stati disposti ad aspet­ tare fino a mezzanotte per il pasto, ed adotta quindi la pri­ ma interpretazione; ma egli non tiene nella dovuta conside­ razione l'entusiasmo dei cristiani, e quanto essi potevano es­ sere disposti a fare; inoltre ci sono buone attestazioni del fatto di avere, a quell'epoca, un pasto insieme alla Cena del Si­ gnore; in I Corinzi 1 1 . 17 ss. in effetto implicitamente risul­ ta che i cristiani potessero sentirsi affamati prima del momento del pasto in comune con i membri di chiesa (versetti 2 1 ,34) , come implicitamente risulta che alcuni probabilmente consu­ mavano un pasto prima di recarsi alla riunione della chiesa. Dopo il pasto Paolo continuò a predicare ancora più a lungo. 12 . Il giovane poi fu ricondotto vivo, ed essi ne furono oltre­ modo consolati.

Luca riferisce la sorte del ragazzo a mo' di riflessione: egli era stato riportato in vita e la gente del luogo ne era stata grandemente >, qui Paolo parla del potere e dell'autorizzazione, contenuta nelle let­ tere. In 9.2 il potere era di provenienza del sommo sacerdo­ te, ma qui è dato dai capi dei sacerdoti, cioè dai funzionari a capo dell'ordine sacerdotale (9. 14,2 1). 13- 14 . Il mezzogiorno io vidi per strada, o re, una luce dal cie­ lo, più splendente del sole, la quale sfolgorò intorno a me e ai miei compagni di viaggio. Tutti noi cademmo a terra, e io udii una voce che mi disse in lingua ebraica: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo. Era mezzogiorno, il momento in cui la luce del sole è più vivida (22.6), quando Paolo si sentì investito da una luce pro­ veniente dal cielo e molto più vivida di quella del sole; im­ plicitamente viene detto che anche i suoi compagni si accor­ sero di essa (22 . 9) . Sopraffatti da quanto stavano sperimen­ tando, tutti caddero a terra; contrapporre a 9.4 e 22 . 7 , dove il solo Paolo cade a terra. Qui nulla è detto della cecità ca­ gionata a Paolo dalla luce, che in ògni caso non ebbe nessun effetto sui suoi compagni. In questo racconto l'attenzione è diretta soprattutto su quanto il Signore disse a Paolo, ed è questa la ragione per cui non vengono menzionate le questioni della sua cecità e della reazione dei suoi compagni: in effetto la storia della conversione non è portata ad una conclusione

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. (contrapporla a 9. 7·9; 22 . 1 1), e Paolo passa direttamente a parlare della sua risposta al mandato del Signore (22 . 19) . Tutta l' accentuazione è fatta dunque cadere sulla voce del cielo; essa si rivolge a Paolo in lingua ebraica, per la qua· le s'intende in generale l' aramaico (2 1 .40); questo fatto è in· dicato dal modo in cui la voce si rivolge a Paolo chiamando· lo con la forma semitica del suo nome, Saoul, mentre altrove Luca, quando scrive di Paolo, usa la forma greca Saulos. In tutte e tre le versioni del racconto compare la stessa doman· da: Perché mi perseguiti? ma in questa versione è aggiunto un commento: Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo. Queste pa· role riflettono uno stile proverbiale di discorso, attestato in diversi scrittori in greco classico, specialmente in Euripide, Le baccanti 794 s., dove Penteo, avverso al culto di Dioniso, è ammonito: «Tu sei un mortale, lui è un dio. Se io fossi te, controllerei la mia rabbia e gli farei sacrifici, piuttosto che ticalcitrare contro il pungolo» (26) . Ma la frase proverbiale era conosciuta anche nel giudaismo (Salmi di Salomone 16.4), e Filone parlava della coscienza che trafigge l'uomo (Decal. 87) . Secondo Bruce, qui si intende una lotta di Paolo contro la sua coscienza, ma, fa notare Hanson (p. 238) , nella lette· ratura greca il proverbio si riferisce alla lotta contro il pro· prio destino, e questa sembra l'interpretazione più probabi­ le. Le opinioni differiscono sulla natura delle parole, se cioè esse rappresentino esattamente quanto disse la voce dal cie· lo, o se ritraggano graficamente la lotta in atto nel pensiero di Paolo, sempre più conscio di stare dalla parte sbagliata del combattimento; spesso i commentatori hanno osservato che quanto egli vide durante la morte di Stefano doveva essere rimasto indelebilmente impresso nel suo pensiero. t; . Io dissi: Chi sei, Signore? E il Signore rispose: Io son Ge· sù, che tu perseguiti.

La replica di Paolo alla voce e la risposta di Gesù sono ri­ portate più o meno come in precedenza, ma questa volta Paolo (26) P. Vellacott, Euripides: The Bacchae and other Plays (Harmondsworth, 1954), p. 205 .

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si riferisce a chi gli parla come al Signore; identifica così im­ plicitamente Gesu con «il Signore», logicamente pensando che, se Gesù gli si rivolgeva in quel modo dal cielo, ciò era prova della sua esaltazione ad una posizione di autorità insieme con Dio (cfr. 22 . 10). 1 6 . Ma alzati, e sta in piedi perché per questo ti sono apparso: per farti ministro e testimone delle cose che hai visto, e di quel­ le per le quali ti apparirò ancora, TI Signore continua a parlare senza interruzione (contrappor­ re a 22 . 10) ordinando a Paolo di alzarsi. Ma mentre nei rac­ conti precedenti gli viene detto di andare nella città, e là avrebbe ricevuto istruzioni, questa volta il racconto è sem­ plificato e quanto Dio gli disse per il tramite di Anania nelle versioni precedenti del racconto, qui diventa un'altra parte di quanto gli viene detto lì, sulla strada; questo modo di con­ densare una narrazione è presente anche in altri punti della Bibbia (paragonare, per esempio, con Matt. 9. 18 e Marco 5 .22 s. ,35); qui serve a concentrare l'attenzione sull'ordine divino dato a Paolo, in seguito al quale egli avrebbe fatto prendere alla sua vita quel corso che lo aveva condotto ad essere pro­ cessato. Qui non c'era ragione di soffermarsi sulla parte avu­ ta da Anania, né per raccontare esattamente cosa accadde né per far notare la pietà dell'uomo che venne in aiuto di Paolo (contrapporre a 22 . 12) . Paolo riceve un ordine - non quello di rimanere in una posizione di paura e reverenza, ma quello di alzarsi perché il Signore gli avrebbe assegnato un lavoro. Il Signore gli era apparso con lo scopo di «farlo» un mini­ stro, o servitore, e un testimone delle cose, o forse un testi­ mone sulla base delle cose già vedute e ancora da vedere. Que­ sto è un riferimento alla visione del Signore risorto sperimen­ tata da Paolo, ed alle altre visioni che avrebbe avute nel fu­ turo ( 18 . 9 s . ; 22 . 1 7-2 1 ; 23 . 1 1 ; II Cor. 12 . 1-4,7) . La descri­ zione di Paolo come «ministro e testimone» ricorda Luca 1 .2, in cui la tradizione del vangelo, dice Luca, derivava da colo­ ro i quali erano stati testimoni e ministri della parola, indi­ cando che questo gruppo includeva persone come Paolo, il

AITI 26. 1 7, 1 8

quale non aveva accompagnato Gesù durante il suo ministe­ rio terreno. liberandoti da questo popolo e dai pagani, ai quali io ti mando 17.

-D racconto della chiamata di Paolo ricorda le chiamate dei profeti d'Israele (cfr. Ez. 2 . 1 ) ; anche la promessa di prote­ zione divina riecheggia quelle del Vecchio Testamento (Ger. 1 . 8; I Cron. 16.35) . Egli sarebbe stato al sicuro dal popolo, cioè dai giudei, e dai gentili; questa potrebbe essere un' allu ­ sione, fatta da Luca a beneficio dei suoi lettori, ad un buon esito del processo in corso contro Paolo, ma va ricordato che essendo i servi di Dio mortali, la sua promessa si applica alla buona riuscita della loro parte nella sua opera, e non neces­ sariamente a qualcosa di più di questo; il servo del Signore può dover sottostare ad esperienze come quelle avute più tardi da Paolo: « per il vangelo soffro fino ad essere incatenato come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata» (II Tim. 2 . 9) . L'opera è quella di apostolo: Paolo è mandato (Ger. 1 . 7 ; Ez. 2 .3) sia ai giudei sia ai pagani, ma specialmen­ te a questi ultimi. . . .

18. per aprir loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità tra i san­ tificati.

Il suo compito è meglio specificato con un linguaggio basato sulla descrizione del mandato affidato al Servo in Isaia 42 .6 s.; egli dovrà aprire gli occhi accecati dal peccato, convertire la gente e farla uscire dal regno delle tenebre perché entri in quello della luce, cioè dal potere di Satana a quell'area dove Dio regna (cfr. Is. 42 . 16 e specialmente Col. 1 . 1 3 s. in cui vi è un parallelo notevolmente stretto con le enunciazioni espresse qui) . Chl risponderà a questa chiamata otterrà il per­ dono dei peccati ed il posto designatogli fra i santificati per

A TTI 26. 1 9,20

5 73

la fede in Gesù (cfr. 20. 32) . Probabilmente il linguaggio teo­ logico usato qui sarebbe stato troppo profondo perché Agrippa potesse comprenderlo; riflette il modo tradizionale cristiano in cui veniva spiegata la natura della conversione, ed e forse un riassunto, fatto per il lettore, di quanto Paolo poteva aver detto in modo più semplice ad Agrippa. 19-20. Perciò, o re Agrippa, io non sono stato disubbidiente alkz visione celeste; ma, prima a quelli di Damasco, poi a Gerusa­ lemme e per tutto il paese della Giudea e ai pagani, ho predica­ to che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento.

Ora Paolo passa al nuovo periodo della sua vita scaturito dalla sua visione del Signore risorto. Egli dice di non aver disubbi­ dito all'ordine ricevuto, e con questa frase vuole sottolineare il fatto di avere ubbidito con entusiasmo. Perciò aveva co­ minciato subito a predicare la conversione, accompagnata dal­ l'evidenza di un vero pentimento. La fraseologia ricorda 20.2 1, ma specialmente 3 . 19, quando Pietro rivolse lo stesso appel· lo ai giudei; un parallelo di questa accentuazione posta sul fatto di dare una prova pratica del pentimento lo si trova nella predicazione di Giovanni Battista (Luca 3 .8) . Paolo aveva co­ minciato a predicare a Damasco (9. 19·22 ,27) e aveva conti­ nuato a farlo a Gerusalemme (9.28 s.). La frase seguente, e per tutto il paese della Giudea, presenta delle difficoltà: non si colloca grammaticalmente bene nella proposizione (gli altri sintagmi sono nel caso dativo, questo è nell' accusativo) , e il suo contenuto non corrisponde alla descrizione precedente­ mente fatta in Atti dell'attività di Paolo (Atti 9.26-30; cfr. la netta dichiarazione di Paolo in Gal. 1 .22) . Parrebbe trat­ tarsi di una probabile corruzione del testo. Tutta la frase po­ trebbe essere la glossa di uno scriba (Haenchen, pp. 686 s . ) , o forse dovremmo emendarla e leggere: , possono trovare in Mar­ co 12.34 una valida alternativa.

578

Am

26.29·31

2 9. E Paolo: Piacesse a Dio che per poco o per molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi. ascoltano, di­ ventaste tali, quale son io, all'infuori di queste catene.

La risposta di Paolo vuole esprimere il suo desiderio di vede­ re tutto il suo uditorio diventato cristiano come lui, ma sen­ za dover essere per questo messo in catene. È senza senso è l'ultima affermazione di Paolo - imprigionare o punire gli uomini perché sono cristiani. Nell'espressione per poco o per molto sono riprese le parole della risposta di Agrippa e questo sarebbe il loro senso: (29) . -

30. Allora il re si alzò, e con lui il governatore, Berenice, e quanti sedevano con loro;

La seduta era terminata, e la gente sul palco si ritirò. Luca continua a considerare Agrippa il personaggio principale del­ la riunione. Quanti sedevano con loro potrebbe indicare il con­ siglio formato dai consulenti del giudice (25 . 12) , ma proba­ bilmente qui la frase non contiene questo significato tecnico. 3 1 . e, ritiratisi in disparte, parlavano gli uni agli altri, dicendo: Quest'uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o la prigione.

Non è probabile che Luca fosse venuto a sapere quanto si stavano dicendo dietro le porte chiuse i membri del seguito del governatore. Ma correttamente giudica che essi non avreb· bero potuto condannare Paolo considerandolo colpevole sulla base della conversazione appena conclusa. Presumibilmente, a Roma furono mandate con Paolo informazioni di questo tenore. (29) Ma l'espressione può essere un gioco di parole, con un riferimento al versetto 22 , col significato: «sia nel caso di gente piccola sia nel caso di gente grande» (P. Harlé) ; ma questa interpretazione sembra piuttosto forzata.

ATTI 26.32 - 28. 1 6

579

32 . Agrippa disse a Pesto: Quest'uomo poteva essere liberato, se non si fosse appellato a Cesare.

Ma se Paolo non aveva fatto nulla che secondo i romani me­ ritasse la morte o la prigione, rimane aperta la questione del perché non fosse stato subito liberato. Precedentemente ab­ biamo espresso l'opinione secondo cui prima uno poi l'altro governatore romano si erano rifiutati di liberarlo per guada­ gnarsi il favore dei giudei. Ma ora entra in gioco un altro fattore. Luca lo fa sortire dalle labbra di Agrippa, ma può trattarsi semplicemente di una drammatizzazione della situa­ zione. Ci si sarebbe potuti aspettare che in un caso come que­ sto, in cui l'innocenza del prigioniero era evidente, l'impera­ tore sarebbe stato contento se gli fosse stata risparmiata la seccatura delle procedure per la causa d'appello. In modo stret­ tamente legale, secondo Sherwin-White (p . 65) , a quel punto un'assoluzione sarebbe stata possibile, ma «assolverlo malgrado l'appello avrebbe significato offendere sia l'imperatore sia la provincia». Quindi il desiderio di Paolo, a lungo ostacolato, di ve­ dere Roma aveva fatto ancora un passo avanti verso il suo adempimento. Senza dubbio egli avrebbe potuto raggiungere Roma in altri modi, ma con l' andarvi per presentarsi all'im­ peratore, poteva aver sperato di ottenere un giudizio di tol­ leranza per i cristiani, e quel giudizio avrebbe avuto il valore di un caso che faceva testo. i. D . viaggio

verso l'Italia (27 . 1 - 28. 16)

Dopo diversi capitoli dedicati ai processi ed ai discorsi, Luca dà inizio ad una vivace conclusione del suo racconto, rife­ rendo con una considerevole dovizia di particolari il viaggio per mare di Paolo, dalla Palestina all'Italia. La lunghezza di questo resoconto in rapporto a quella di tutto il libro è note­ vole, specialmente perché in un primo momento esso non sem­ bra dare un gran contributo agli scopi teologici di Atti. For­ se Luca seguiva la moda letteraria del suo tempo: dall'epoca delle opere di Omero in poi, le storie di viaggi per mare osta-

AITI 2 7. 1

580

-

28. 1 6

colati d a naufragi erano comuni nel mondo antico e presumi­ bilmente ben accette ai lettori di allora, come d'altronde av­ viene anche oggi . È stata pure prospettata l'ipotesi secondo cui Luca potesse aver avuto in mente il concetto dell'uomo malvagio giustamente destinato alla morte per annegamento (28.4) (30), e quindi si rallegrava di poter raccontare che Paolo invece scampò dagli abissi. Allo stesso tempo Paolo è presen­ tato come l'eroe della storia, la quale è soprattutto un reso­ conto della parte da lui avuta in essa, avvertendo i marinai della catastrofe imminente, poi prodigandosi a dar loro co­ raggio durante il naufragio, e persino contribuendo a salvare la vita della ciurma e dei passeggeri. Viene quindi posto l'ac­ cento sull'elemento del controllo e della protezione divina nei riguardi della vita di Paolo. Dobbiamo perciò ammettere l'e­ sistenza di una totale armonia della narrazione con gli inte­ ressi letterari e teologici dell' autore (3 1) . N on sorprende quindi di vedere messa in dubbio la sua storicità. Secondo l' ipotesi di vari studiosi, è possibile sot­ trarre senza difficoltà al resoconto del viaggio vero e proprio i riferimenti a Paolo (27 .9- 1 1 ,2 1-26,3 1 ,33-36,43) e rimanere con una qualsiasi storia di mare presa da Luca come base per la sua narrazione del viaggio di Paolo (Dibelius, pp. 204-206; cfr. Conzelmann, pp. 146 s.). Il racconto - questo però lo si deve ammettere è fondato su dei fatti, e ciò suscita in Hanson (p. 243) un commento giustificatamente ironico: , ad est del Mar di Galilea) al tempo di Erode Agrippa II. Qui c'è un problema: poteva es­ sere data ad un centurione di un reggimento ausiliario la re­ sponsabilità di scortare dei prigionieri fino a Roma? Secondo Ramsay (pp. 3 1 5 ,348) , Giulio faceva parte di un gruppo di frumentarli i quali agivano come corrieri dell'imperatore; ma nel primo secolo questi uomini parrebbero essersi incaricati, così come indica il loro appellativo, esclusivamente dell' ap-

AITI 2 7.2,3

583

provvigionamento di grano dalle province a Roma, e solo più tardi furono affidati loro incarichi di polizia; quindi questa supposizione andrebbe respinta (Sherwin-White, p. 109) . 2. Saliti sopra una nave di Adramitto, che doveva toccare i porti della costa d'Asia, salpammo, avendo con noi Aristarco, un ma­ cedone di Tessalonica .

Il racconto del viaggio di Paolo ci dà uno scorcio interessan­ tissimo degli antichi viaggi per mare. In generale le navi si tenevano vicine alle coste del mare Mediterraneo ed evitava­ no di viaggiare d'inverno. La prima nave su cui si imbarcò il gruppo era di Adramitto, un porto al nord della costa egea dell'Asia Minore, non distante da Troas; stava probabilmen­ te ritornandovi passando, lungo la rotta, per altri porti della costa d'Asia; il centurione avrebbe sperato di poter trasferire il gruppo, in uno di questi porti, su una nave diretta in Italia. Luca aggiunge il particolare della presenza fra i viaggia­ tori di Aristarco, che era di Tessalonica, e la deduzione natu­ rale è che egli stesse tornando in patria su una nave in navi­ gazione verso la zona egea; ma in Filemone 24 e Colossesi 4 . 1 0 lo ritroviamo come collaboratore di Paolo e come un pri­ gioniero insieme con lui; se quelle lettere furono scritte du­ rante la prigionia di Paolo a Roma, è allora possibile che in quel momento Aristarco stesse accompagnandolo a Roma. lh ogni caso, insieme con Paolo c'era Luca. La menzione di Ari­ starco non aggiunge nulla alla vicenda, e questo è un segno di autenticità. 3. Il giorno seguente arrivammo a Sidone, e Giulio, usando be­ nevolenza verso Paolo, gli permise di andare dai suoi amici per ricevere le loro cure.

La nave procedette da Cesarea a Sidone, percorrendo una di­ stanza di circa 69 miglia marine (e non di terra, come pensa Bruce, Book, p. 501 ) , da potersi quindi coprire con u·na in­ tera giornata di navigazione. A Paolo fu permesso di andare

AITI 27. 4,5

584

a visitare i suoi amici e riceverne le . . cure, cioè godere della loro compagnia; potrebbero avergli dato anche un pasto (non sappiamo di che tipo potesse essere l'approvvigionamento di una nave antica, forse non ad alto livello) e dei doni utili per n viaggio (cfr. 28. 14) . Il testo greco dice letteralmente «gli amici», e questo potrebbe essere un modo di designare «i cri­ stiani», come in III Giovanni 1 5 ; il vocabolo era in uso fra altri gruppi del primo secolo, e Stahlin (p. 3 14) ipotizza che i discepoli di Gesù lo avessero preso facendone un termine cristiano (Luca 12.4; Giov. 1 1 . 1 1 ; 15 . 13 ss .). Chiunque ab­ bia familiarità con la navigazione costiera sa quanto tempo occorra a queste navi per le operazioni di carico e scarico ad ogni scalo in un porto. Sarebbe stato naturale, per passegge­ ri comuni, scendere a terra per far passare il tempo, mentre i prigionieri sarebbero stati fatti rimanere a bordo per ragio­ ni di sicurezza; ma il centurione si mostrò condiscendente ver­ so Paolo e lo lasciò andare a terra, presumibilmente con la scorta di un soldato. .

Poi, partiti di là, navigammo al riparo di Cipro, perché i venti erano contrari.

4.

Da Sidone, la rotta diretta per Mira passava ad ovest dell'i­ sola di Cipro, la stessa percorsa da Paolo, nella direzione in­ versa, quando salpando da Patara era andato a Tiro (2 1 . 1 -3 ) . M a i venti dominanti dell' estate e del primo autunno soffia­ vano da ovest o nord-ovest, e la nave trovò perciò più con­ veniente doppiare Cipro dal lato orientale, tenendosi sotto­ vento, non allontanandosi dalla costa ed approfittando della brezza notturna proveniente da terra. E, attraversato il mare di Cilicia e di Panfilia, arrivammo a Mira di Licia. ;



Dopo aver doppiato Cipro, la nave doveva prendere il mare aperto, ma probabilmente si tenne sempre vicino alla costa e avanzò lungo la Cilicia e la Panfilia con l' aiuto della brezza

ATI1 2 7. 6, 7

5 85

notturna e di una corrente marina diretta ad ovest, fino a giungere a Mira (2 1 . 1 , commento e nota), porto della Lieia (32) .

6 . Il centurione, trovata qui una nave alessandrina che faceva vela per l'Italia, ci fece salire su quella.

Tra l'Egitto e l'Italia c'era un'importante rotta commerciale per il trasporto del grano necessario ali' approvvigionamento della vasta popolazione di Roma. Non essendo le navi anti­ che attrezzate per poter navigare controvento, la rotta da es­ se seguita si sarebbe usualmente diretta da Alessandria più o meno verso il nord fino a Mira, poi avrebbe approfittato della costa dell'Asia Minore per il successivo tratto del viag­ gio. Il commercio del grano era nelle mani di proprietari pri­ vati, i quali venivano trattati con speciale considerazione dal governo romano data l'importanza per Roma di quelle forni­ ture così vitali. Certamente il centurione responsabile di Paolo aveva sempre fatto conto su quel tipo di nave per arrivare a Roma. 7 . Navigando per molti giorni lentamente, giungemmo a fatica, per l'impedimento del vento, di fronte a Cnido. Poi veleggiam­ mo sotto Creta, al largo di Salmone;

Presumibilmente la nave alessandrina si diresse ad ovest nel­ la ragionevole speranza di poter raggiungere l'Italia prima che il sopraggiungere delle condizioni metereologiche invernali ren­ desse la navigazione impossibile. Ma già subito dopo la par­ tenza da Mira il cattivo tempo cominciò a contrastare quel­ l'intenzione. La nave poté procedere verso occidente solo con grande difficoltà, ed a causa del vento dominante da nord­ ovest le occorse molto tempo per raggiungere Cnido, la peni­ sola che forma la punta sud-occidentale dell'Asia Minore. Non . (32) Nel Testo occidentale c'è l'osservazione che il viaggio durò quindici giorni i quali, a prescindere da quanto scrisse Luca, sono un giusto calcolo del tempo che sarebbe occorso.

5 86

ATTI 27.8, 9

chiaro se il riferimento al vento vada inteso collegato alla difficoltà di raggiungere C.nido, o alla difficoltà di procedere oltre Cnido (RSV, Conc., CEI, Ricc.). La rotta normale avreb­ be fatto oltrepassare Creta dall a parte settentrionale dell'iso­ la; ma in quel frangente la nave doppiò la punta ad est di Creta (Capo Salmone) per potersi dirigere verso occidente te­ nendosi sottovento, a sud dell'isola. è

8. e, costeggiandola con difficoltà, giungemmo a un luogo det­ to Beiporti, vicino al quale era la città di Lasea.

Malgrado quelle precauzioni il viaggio fu difficoltoso, e con fatica si raggiunse il primo porto accessibile, la piccola baia di Beiporti; questa risulta sconosciuta nelle fonti antiche, ma va .identificata con la moderna Limeonas Kalous (o Caiolo­ mania), a 10 miglia ad est di Capo Matala, il punto in cui la costa si dirige a nord e non è più protetta. Beiporti è una baia aperta e col cattivo tempo un ben misero porto. Luca aggiunge che si trovava vicino a Lasea, città identificabile con le rovine esistenti nelle vicinanze e corrispondenti alla città di Lasos menzionata da Plinio il Vecchio . 9. Intanto era trascorso molto tempo, e la navigazione si era fatta pericolosa, poiché anche il giorno del digiuno era passato. Paolo allora li ammonì dicendo :

Il viaggio aveva già preso un tempo considerevolmente lungo e da come sembra la nave non riusciva ad uscire dal porto per le condizioni atmosferiche sempre avverse. Ne consegui­ va che la data in cui di solito la navigazione sicura sostava per l'inverno era ormai passata. Luca vi si riferisce parlando­ ne come del giorno del digiuno , cioè il giorno giudaico dell'e­ spiazione, che cadeva il decimo giorno del mese di Tishri; ma poiché il calendario giudaico si basava sulla luna, la posizio­ ne del mese variava di anno in anno nell'ambito del periodo di settembre-ottobre. Secondo Bruce (Book, p. 506), nell'an­ no 59 d.C. il giorno dell'espiazione cadeva tardi, cioè il 5

AITI 27. 1 0

587

ottobre. Ciò corrisponderebbe a quanto afferma Vegezio, scrit­ tore di cose militari romane, e cioè che la navigazione era considerata pericolosa dopo il 15 settembre ed era sospesa per l'inverno dall' 1 1 novembre al 10 marzo. Vi sono delle diffi­ coltà connesse con questo punto di vista; ai marinai accorse­ ro circa quindici giorni per andare da Creta a Malta, ed a Malta essi trascorsero solo tre mesi prima di ricomirièiare il viaggio; seguendo questi calcoli, ricominciarono a navigare ver­ so la fine di gennaio o all'inizio di febbraio, date precedenti di molto il· lo marzo. La difficoltà può essere in parte sor­ montata se si tiene conto della possibilità di poter riprendere la navigazione in febbraio se le condizioni del tempo fossero state favorevoli (cosl Plinio il Vecchio), e forse anche se si segue quanto propone Conzelmann (p. 1 4 1 ) , e cioè che Luca stesse servendosi di un calendario siriaco-giudaico il quale fa­ ceva cadere il decimo giorno di Tishri addirittura il 28 otto­ bre . In ogni caso, l' anno 59 sembra essere quello più proba­ bile per il viaggio, perché negli anni immediatamente prece­ denti la festa giudaica cadeva molto prima. 10. Uomini, io vedo che la navigazione si farà pericolosa con grave danno, non solo del carico e della nave, ma anche delle nostre persone. A questo punto Paolo fa il suo intervento; è un semplice av­ vertimento di pericolo, quale avrebbe potuto fare chiunque avesse preso nota dell'epoca dell'anno e del cattivo tempo im­ perversante in quel momento. Avventurarsi per mare in quelle condizioni avrebbe potuto arrecare danno alla nave, al cari­ co, all a ciurma ed ai passeggeri. Vi sono due elementi incer­ ti. Primo, non è chiaro se si voglia presentare Paolo nell'atto di pronunciare una profezia ispirata (cfr. 2 7 . 2 1 -26) ; se dietro a quelle parole dettate dal buon senso c'era una rivelazione divina, non ci viene detto; ma poiché Paolo parlava di un sicuro disastro e non solo della sua possibilità, si può sup­ porre che le sue affermazioni fossero divinamente guidate. Se­ condo, non è chiaro a chi si rivolgesse Paolo. Ramsay (pp. 332-3 35) ipotizza un'assemblea generale formata dalla ciur-

588

AITI 27. 1 1, 12

ma e dai passeggeri e presieduta dal centurione. Non abbia­ mo elementi sufficienti, riguardo alla situazione, per negare questa possibilità, ma sembrerebbe strano che Paolo, in quanto prigioniero, avesse potuto prendere parte alla discussione. Si potrebbe presumere una conversazione più informale, ma nel versetto 2 1 è implicitamente evidente la libertà di Paolo di rivolgersi a tutta la gente sulla nave. Se Paolo aveva modo di parlare col centurione, come chiaramente pare fosse il ca­ so, e se era trattato con qualche considerazione in quanto cit­ tadino romano sotto costrizione ma non ancora condannato per qualche crimine, allora non è impossibile che egli potesse esprimere le sue opinioni al centurione e persino agli ufficiali della nave. Va ricordato come sarebbe stato difficile mante­ nere separati l'uno dall'altro i vari gruppi degli ufficiali, del­ la ciurma e dei passeggeri . nelle condizioni di relativa ristret­ tezza in cui si viveva nella nave. 1 1 . Il centurione però aveva più fiducia nel pilota ne della nave che non nelle parole di Paolo .

e

nel padro­

Il centurione è presentato come la persona più autorevole che ci fosse a bordo. La nave, ipotizza Ramsay, apparteneva alla flotta imperiale, e perciò l'ufficiale delle forze militari pre­ sente a bordo poteva dare le direttive agli ufficiali di mari­ na. Ma studiosi più moderni lo hanno contraddetto; secondo loro la nave non era sotto il controllo dello stato, ma faceva semplicemente gli interessi dello stato. Perciò sembra più pro­ babile una richiesta degli ufficiali della nave al centurione per­ ché esprimesse il suo parere, ed in risposta un suo rimettersi alla loro esperienza delle cose riguardanti la navigazione. Pre­ sumibilmente il capitano si schierò dalla parte del padrone della nave, evidentemente presente a bordo; il primo sarebbe sta­ to responsabile della navigazione vera e propria, mentre il se­ condo si sarebbe assunto tutta la responsabilità. 12. E, siccome quel porto non era adatto a svernare, la mag­ gioranza fu del parere di partire di là per cercare di arrivare a

AITI 27. 13

589

Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale, e di passarvi l'inverno.

Sulla decisione degli ufficiali ebbe il suo peso il fatto che Bei­ porti non era un porto adatto per passarvi l'inverno. Quindi, evidentemente la discussione riportata nei due versetti pre­ cedenti concerneva solo la convenienza di uno spostamento fino ad un porto migliore lungo la stessa costa e non la pos­ sibilità di tentare di raggiungere l'Italia. Ma, sostiene J. Smith (The Voyage and Shipwreck of St Paul, p. 84) , con le condi­ zioni del tempo avverse, persino un viaggio lungo la costa cre­ tese fino ad un porto più riparato sarebbe stato estremamen­ te rischioso. Il luogo a cui avevano pensato era Fenice, espo­ sto ai venti spiranti da sud-ovest (libeccio) e da nord-ovest (maestrale) . Questa frase è stata interpretata col significato di un porto orientato verso la direzione in cui soffiano quei venti, e cioè nord-est e sud-est. Ciò lo farebbe corrispondere alla moderna Lutro, orientata ad est. Ma per comprendere in questo modo la frase greca occorre interpretarla in manie­ ra assai innaturale; si dovrebbe invece pensare ad un porto orientato ad ovest . Un luogo con questa caratteristica sulla stessa penisola è la moderna Phineka, che conserva il nome antico. Ora il porto è ostruito, ma nei tempi antichi era più accessibile (3 3 ) . 13. Intanto si era alzato un leggero scirocco ed essi, credendo di poter attuare il loro proposito, levarono le ancore e si misero a costeggiare l'isola di Creta più da vicino .

Comincia adesso il drammatico racconto della tempesta e del naufragio, dimostrazione che Paolo aveva valutato corretta­ mente la situazione. Il tratto di mare da coprire per attuare il loro proposito era molto breve - un giorno di navigazio­ ne - e sembrò facile poterlo affrontare poiché spirava una leggera brezza da sud. La nave partì, tenendosi ben vicina alla costa. .

(33) R.M. Ogilvie, «Phoenix)), ]TS 9, 1958,

pp.

308-314.

AITI 2 7. 1 4-16

590

14. Ma poco dopo, si scatenò giù dall'isola un vento impetuo­ so, chiamato Euroaquilone;

Ma i marinai non avevano preveduto un repentino cambia­ mento del tempo. Da terra cominciò a soffiare un forte ven­ to di burrasca, che scendeva impetuoso dalle montagne situate a nord-est . Il nome del vento, Euroaquilone, trova un' atte­ stazione in una iscrizione latina (34) e sembra essere un com­ posto ibrido formato dal greco Euros, il vento da est, e dal latino Aquilo, il vento dal nord; potrebbe perciò essere stato un t ermine marinaresco per il vento nord-orientale. lS . la nave fu trascinata via e, non potendo resistere al vento,

la lasciammo andare ed eravamo portati alla deriva.

La nave fu presa dalla sopravvenuta tempesta. Le antiche navi non potevano risalire il vento, né affrontare di prua un mare molto agitato, quindi ai marinai non restò altra scelta se non quella di assecondare il vento, che li portava al largo; secon­ do Haenchen (p. 70 1 , nota 4) , dovette essere issata la vela di trinchetto, altrimenti sarebbe stato impossibile manovrare la nave. 16. Passati rapidamente sotto un 'isoletta chiamata Clauda, a sten­ to potemmo impadronirci della scialuppa .

La nave passò rapida sotto l'isola di Clauda, la moderna Ghav­ dos o Gozzo, a circa 20 miglia da Creta. Qui i marinai pote­ rono, ma solo con gran fatica, issare a bordo la piccola scia­ luppa normalmente rimorchiata dalla nave; durante una tem­ pesta avrebbe corso il pericolo di essere spazzata via o ridot­ ta in pezzi sbattendo contr� la nave. L'uso del «noi>> potreb­ be voler indicare che anche Luca dette il suo aiuto a quella manovra, ma più probabilmente esprime il modo in cui un passeggero o uno spettatore si identifica con l'azione in· corso. "(34) C.J. Hemer, . Ciò è stato interpretato in vari modi: l) funi legate verticalmente attorno ai fianchi della nave per tenere insieme più saldamente il fasciame (Bruce, Book, p. 509) ; 2 ) funi legate longitudinalmente attorno alla parte esterna dello scafo da prua a poppa per rafforzarlo (Haenchen, p. 703 , n. l ) ; 3) funi legate da una parte all' altra della nave all'inter­ no della stiva per rafforzarla, o 4) funi legate longitudinal­ mente sopra la nave da prua a poppa e tirate per prevenire lo sfasciarsi della chiglia (H.J. Cadbury, BC, V, pp. 345�354) . Per quanto ne sappiamo al presente, non è possibile scegliere con sicurezza l'una o l'altra di queste alternative. Tutto quan� to sappiamo per certo è che nell'equipaggiamento delle navi da guerra greche erano compresi degli «aiuti>>, cioè delle funi o gomene, di solito quattro o sei, e (per lo meno in un caso) ognuna abbastanza lunga da circondare la nave longitudinal� mente. Abbiamo attestazioni del metodo l) in tempi moder� ni («frapping») , e del metodo 4) nelle navi dell'antico Egitto (per evitare la rottura della chiglia) . I marinai temevano che malgrado le precauzioni prese la nave andasse a finire nelle Sirti, zona di sabbie mobili e (35) La Conc. rende: «si servirono dei rinforzi per cingere con gomene la nave». La CEJ: « adoperarono gli attrezzi per fasciare di gomene la nave)>.

592

AITI 2 7. 1 8-20

di secche di fronte alle coste della Libia, leggendaria a moti­ vo dei pericoli in cui incorreva chi vi navigava, come avvie­ ne oggi per il ; era ancora distante 330 miglia, ma i marinai non volevano tentare la sorte. Co­ me terza precauzione calarono le vele. Nel testo greco, anche qui il senso è incerto. Può voler dire ammainare o terzarola­ re la vela maestra, o forse spiegarla, o calare il pennone di maestra sul quale era stata issata la vela di fortuna, oppure buttare a mare il materiale superfluo che si trovava a bordo (ma «calare>> non significa mai «gettare») , o forse con mag­ giore probabilità, calare qualche tipo di ancora che avrebbe ridotto la velocità della nave e l'avrebbe fatta scarrocciare ver­ so il nord così da evitare la zona pericolosa.

18 1 9 . Siccome eravamo sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno dopo cominciarono a gettare il carico. Il terzo giorno, con le loro proprie mani, buttarono in mare l'attrezzatura della nave. ..

Ma tutte quelle precauzioni non furono sufficienti. La nave era presa nella tempesta, e probabilmente imbarcava acqua; cominciarono perciò ad alleggerirla gettando a mare il carico (cfr. Giona 1 .5) . Il terzo giorno si continuò ad alleggerirla sba­ razzandola dell'attrezzatura, e ciò può voler dire gettando in mare il materiale di ricambio, · o forse la pesante vela maestra (ma vedi commento e nota al versetto 40) e il pennone. I marinai, dice Luca, lo fecero con le toro proprie mani, frase . che stupisce perché non avevano altri mezzi per farlo. I ma­ noscritti più tardi hanno emendato la frase sostituendo «noi buttammo» a «(essi) buttarono», e ciò ha migliorato il senso. Oppure si vuoi dire che non avevano una carrucola, come avrebbero invece avuto a disposizione in un porto?

20. Già da molti giorni non si vedevano né sole né stelle,

e

sopra di noi infuriava una forte tempesta, sicché ogni speranza di scampare era ormai persa .

Arn 2 7.21-24

593

In questa descrizione della tempesta, il fatto più grave sem­ bra essere quello dell'ignoranza dei marinai riguardo al pun­ to in cui si trovavano in relazione alla terra, o alle rocce o alle secche. Il cattivo tempo impediva l'osservazione del sole o delle stelle e la possibilità quindi di fare una stima della posizione in cui si trovavano. Umanamente parlando, non sem­ bravano esserci possibilità di scampo, e lo scoraggiamento si abbatté sulla nave.

2 1 -22 . Dopo che furono rimasti lungo tempo senza mangiare, Paolo si alzò in mezzo a loro, e disse: Uomini, bisognava darmi ascolto e non partire da Creta, per evitare questo pericolo e questa perdita. Ora però vi esorto a stare di buon animo, perché non vi sarà perdita della vita per nessuno di voi ma solo della nave.

Nella vicenda c'è ora il secondo intervento di Paolo. Esso è preceduto dall'osservazione del fatto che nessuno prendeva cibo, fatto ripreso poi solo al versetto 3 3 ; in questo contesto vuoi solo illustrare un ulteriore aspetto delle condizioni di­ sperate in cui si trovava la gente sulla nave. A causa della tempesta doveva essere rimasto ben poco cibo disponibile, e la gente si sentiva troppo male o troppo abbattuta per poter mangiare . Tutte quelle sofferenze e quei pericoli avrebbero potuto essere evitati se la nave fosse rimasta a Beiporti, e Paolo fa ora un commento sul fatto che il suo avvertimento non era stato preso in considerazione; la sua profezia di dan­ no e di perdita si era avverata, anche se fino a quel momen­ to aveva colpito (ed alla fine avrebbe colpito) solo la nave e non le persone a bordo come egli aveva invece profetizza­ to; ora modifica quella parte della sua precedente profezia, insistendovi nello sforzo di rincuorarli; è sicuro che nessuno di loro avrebbe perso la vita, ma la nave sarebbe andata perduta.

23-24. Poiché un angelo del Dio, al quale appartengo e che io servo, mi è apparso questa notte, dicendo: Paolo, non temere;

AITI 2 7. 25, 26

bisogna che tu compaia davanti a Cesare, ed ecco, Dio ti ha dato tutti quelli che navigano con te.

Paolo riferisce quale fosse il fondamento su cui si basava la sua sicurezza: su una visione da lui avuta la notte preceden­ te e nella quale gli era apparso un angelo di Dio. Il messag­ gio angelico confermava la rivelazione precedentemente avu­ ta in 2 3 . 1 1 : Paolo avrebbe raggiunto Roma; secondo il piano di Dio egli avrebbe dovuto dare la sua testimonianza in quella città (23 . 1 1) alla presenza di Cesare. Perciò era sicuro di so­ pravvivere alla tempesta, non solo, ma, come gli era stato an­ che detto, Dio gli garantiva la vita di tutti coloro che stava­ no navigando con lui. La formulazione della frase è tale da sottintendere che Paolo aveva pregato per i suoi çompagni di viaggio, e Dio aveva udito la sua preghiera. Vi è qui un parallelo con la storia di Abraamo: anche lui aveva interce­ duto presso Dio per la gente di Sodoma ed aveva chiesto la salvezza di tutta quanta la città per amore del piccolo nume­ ro di giusti che vi vivevano (Gen. 1 8 .23-3 3 ) . 25-26. Perciò, o uomini, state di buon animo, perché h o fede in Dio che avvetTà come mi è stato detto. Dovremo però essere gettati sopra un 'isola .

Paolo poté cosl incoraggiare i suoi ascoltatori a stare di buon animo, e in sostanza a condividere la sua fede nell'esaudimento delle promesse fatte da Dio. La sua profezia andò oltre ad una generica speranza di salvezza e si precisò in una affer­ mazione specifica: sarebbero stati tutti gettati sulla spiaggia di un'isola; se doveva esserci la perdita della nave (versetto 22) , era segno che gli eventi dovevano prendere quel corso per la salvezza della gente a bordo. Anche su questo discorso cade il sospetto della critica. Ma esso si accorda con l'esperienza di Paolo riguardo alle vi­ sioni mandategli da Dio (Il Cor. 1 2 . 1 ,9) ; è del tutto natura­ le che Paolo avesse condiviso le sue certezze con i suoi com­ pagni di viaggio, e il racconto si basa sulla testimonianza di qualcuno presente ai fatti; non c'è necessità di mettere in dub-

AITI 27.27,28

bio un discorso di questo tipo . Haenchen (p. 709) è scettico intorno alla possibilità che Paolo avesse potuto pronunciare un'allocuzione ben preparata, in condizioni di tempo tempe­ stoso a bordo di una nave, ma la sua idea di un Paolo che si comporta come · un pubblico oratore in quelle circostanze . è fuori luogo. 27. E la quattordicesima notte da che eravamo portati qua e là per l'Adriatico, verso la mezzanotte, i marinai sospettavano di essere vicini a terra;

Ora si compie la profezia di Paolo. Erano passati quattordici giorni, presumibilmente da quando la nave aveva lasciato Bei­ porti. Da calcoli fatti è risultato esatto il periodo di tempo occorso alla nave per coprire la distanza risultante dalla nar­ razione (circa 475 miglia marine), se stava andando alla deri­ va nella maniera descritta. V a anche ammesso qualche cam­ biamento nella direzione del vento, cosa abbastanza natura­ le. Ai giorni nostri per mare Adriatico si intende il golfo tra l'Italia e la penisola balcanica, ma nell'uso antico il termine includeva anche la zona tra la Sicilia e Creta. L'isola di Mal­ ta sta all'estremità occidentale di questa zona, al sud della Sicilia. I marinai si accorsero dell'avvicinarsi della terra, pro­ babilmente dal rumore delle ondate (36) . .28. e, calato lo scandaglio, trovarono venti braccia; poi, passati un po ' oltre e scandagliato di nuovo, trovarono quindici braccia .

Cominciarono perciò a scandagliare il fondo per misurare quan­ to era profonda l'acqua sotto la nave. Le cifre date concor­ dano con quelle dei sondaggi moderni nel luogo probabile del naufragio, ma malgrado ciò Conzelmann (p. 144) preferisce (36) TI Codice Vaticano ha un vocabolo insolito: «che la terra stava risuo­ nando» invece di «che la terra stava avvicinandosi»; ciò dà probabil­ mente il senso preciso e può essere forse la lezione originale, anche se potrebbe trattarsi di una correzione erudita del testo.

ATTI 2 7.29,30

596

crederle frutto di un'invenzione letteraria, sulla base dell'im­ probabilità che Luca si trovasse vicino a chi gettava lo scan­ daglio; questo è uno scetticismo spinto all'eccesso. 29. Temendo allora di urtare contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che si facesse giorno . La poca profondità "dell'acqua e insieme ad essa il fragore delle onde, spingevano a prendere misure di sicurezza, per cui i marinai gettarono quattro ancore. Si trattava di ancore molto leggere, giudicandole con i criteri moderni - questa era la ragione del loro numero e furono calate da poppa per im­ pedire alla prua di virare e per preparare la nave ad essere spinta sulla riva quando si fosse fatto giorno e si fossero tro­ vati il momento e il luogo opportuni. Nel frattempo si pote­ va solo aspettare con ansia e in preghiera l'apparizione della luce del giorno. -

30. Ma siccome i marinai cercavano di fuggire dalla nave, e già stavano calando la scialuppa in mare col pretesto di voler getta­ re le ancore da prua,

Sono date varie spiegazioni all'episodio che segue. Secondo Luca, i marinai (presumibilmente solo alcuni di loro) cercaro­ no di calare in mare la scialuppa (versetto 1 6) per poter fug­ gire dalla nave; avevano messo come pretesto l'intenzione di andare a calare delle ancore a prua - in quelle circostanze roperazione poteva essere fatta solo trasportandole con la scia­ luppa in modo da farle cadere non troppo vicino alla prua. Ma secondo molti commentatori, tentare quel tipo di fuga sa­ rebbe stato come suicidarsi nella tempesta e nelle tenebre di fronte ad una spiaggia sconosciuta, mentre la cosa più saggia da fare sarebbe stata quella di rimanere a bordo fino a quan­ do non fosse venuta la luce del mattino. I lettori di Robin­ son Crusoe ricorderanno un episodio in cui la situazione era molto simile a questa: la nave si era incagliata all'alba e la ciurma si imbarcò sulla scialuppa e tutti perirono, salvo Cru-

Arn 2 7. 3 1-JJ

soe, che poté più tardi ritornare sulla nave; egli aveva fatto questa osservazione: «Vidi chiaramente che se fossimo rima· sti a bordo, ci saremmo salvati tutti - voglio dire, saremmo andati tutti sani e salvi sulla spiaggia». Come illustra il rac· conto di Defoe, gli uomini possono fare cose senza senso d'altra parte era anche possibile che i passeggeri avessero er­ roneamente interpretato le vere intenzioni dei marinai. 3 1- 32 . Paolo disse al centurione e ai soldati: Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potete scampare. Allora i soldati tagliarono le funi della scialuppa, e la lasciarono cadere.

Qualunque fosse stata l'intenzione dei marinai, Paolo fece no­ tare al centurione quale pericolo stessero correndo; se la ciur­ ma avesse abbandonato la nave, tutti gli altri sarebbero stati perduti. Se così stavano le cose, commenta Haenchen (pp. 706 , 7 10) , Paolo era responsabile della perdita della nave, per­ ché senza la scialuppa non rimaneva altra possibilità se non quella (risultata impossibile) di tentare di portare a riva la na­ ve; contemporaneamente Haenchen è d'accordo con chi ri­ tiene questo versetto un'interpolazione di Luca frutto della sua fantasia, al solo scopo di creare un Paolo salvatore dei viaggiatori. D' altro lato, si può osservare, sarebbe stata mi­ glior fortuna incagliarsi su un fondale basso invece che sulla spiaggia, e forse i soldati agirono con troppa precipitazione quando tagliarono le funi della scialuppa invece di tenerla sotto sorveglianza. Luca certamente ascrive l'iniziativa dell'opera­ zione a Paolo e la considera un'operazione utile; non sareb­ be certamente fuor di luogo figurarsi soldati e passeggeri col­ ti dal panico, e conseguentemente portati a interpretare in modo errato quello che volevano fare i marinai, tanto più che - come è ben attestato dalle narrazioni del tempo antico poteva accadere che la ciurma piantasse in asso i passeggeri. 3 3. Finché non si fece giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo, dicendo: Oggi sono quattordici giorni che state aspettan­ do, sempre digiuni, senza prendere nulla.

598

A T11 2 7.J4-J6

Ecco un altro episodio di cui Paolo è il protagonista. Aspet­ tando il giorno, mentre la nave restava all'ancora, Paolo co­ -minciò a indurre la gente a bordo a mangiare qualcosa. Lo si presenta come se parlasse agli occupanti della nave in ge­ nerale; fece loro notare che non avevano preso cibo fin da quando era cominciata la disastrosa tempesta, quattordici gior­ ni prima (cfr. versetto 2 1) . Per quanto non vi siano indica­ zioni di un digiuno fatto per indurre qualche divinità da lo­ ro adorata ad aver misericordia di loro, questa potrebbe es­ serne stata una motivazione, e Paolo potrebbe in realtà in­ tendere con le sue parole che la loro preghiera era stata esau­ dita e non avevano bisogno di digiunare oltre. In alternati­ va, si potrebbero· prendere le parole di Paolo in senso iper­ bolico: per lungo tempo avevano mangiato assai poco. Anche in questa occasione può sorprendere che Paolo avesse sulla nave una posizione di cosl gran rilievo da poter ottenere l' at­ tenzione di tutte le persone presenti, ma ad un sant'uomo, com.e appariva essere Paolo, in circostanze critiche come quelle, sarebbe stato dato più ascolto che non ad una persona qua­ lunque. 34. Perciò, io vi esorto a prendere cibo, perché questo contri­ buirà alla vostra salvezza; e neppure un capello del vostro capo perirà.

Paolo fece pressione su coloro che lo ascoltavano perché man­ giassero; ciò sarebbe stato nel loro interesse ed a pro della loro salvezza: senza essersi nutriti a sufficienza non avrebbe­ ro potuto affrontare l'ardua fatica di raggiungere la spiaggia. Li assicurò nuovamente della loro salvezza, ed usando una fra­ se proverbiale disse pure che sarebbero stati preservati dal pericolo (cfr. I Sam. 14.45 ; Matt. 10.36 parallelo a Luca 12 . 7; Luca 2 1 . 1 8) . 3.5-36. Detto questo, prese del pane e rese grazie a Dio in pre­ senza di tutti; poi lo spezzò e cominciò a mangiare. E tutti, in­ coraggiati, presero anch 'essi del cibo .

ATTI 27.J7

599

Paolo rafforzò l'esortazione con l'esempio personale. Comin­ ciò col prendere del pane e , secondo la normale abitudine giu­ daica e cristiana, col «rendere grazie» a Dio per averlo prov­ veduto, quindi lo spezzò e cominciò a mangiare. La descri­ zione ha una somiglianza con quanto fece Gesù quando nu­ trl le folle (Luca 9. 16), quando celebrò l'Ultima Cena (Luca 22 . 1 9) , e quando si sedette a tavola con i discepoli diretti ad Emmaus (Luca 2 4 . 3 0) . Non sorprende quindi che molti commentatori abbiano veduto in questo episodio una celebra­ zione della Cena del Signore o, come la chiama Luca, dello «spezzare il pane». Poiché la chiesa primitiva associava la Cena del Signore con un pasto vero e proprio (l Cor. 1 1 . 17 -3 4) , è possibile che Paolo stesse davvero facendo una celebrazio­ ne dello «spezzare il pane>> cristiano, alla quale presero parte Luca e forse anche altri. Comunque, la scena descritta non va oltre i limiti di una normale consuetudine giudaica relati­ va ad un pasto, ed ha luogo alla presenza di un gruppo mi­ sto di persone. Sembra perciò più probabile che Luca stia sem­ plicemente descrivendo un normale pasto e non un sacramento cristiano o una «prefigurazione» di quel sacramento a benefi­ cio di coloro i quali avrebbero potuto più tardi divenire cre­ denti. Paolo condivise il pane con i suoi compagni cristiani (3 7) , e dette cosl un esempio che ebbe l'effetto desiderato sugli altri. 3 7. Or sulla nave eravamo duecentosettantasei persone in tutto.

Con una certa inconseguenza Luca aggiunge l'informazione del totale delle presenze sulla nave, e cioè 276 persone. Per quanto alcuni manoscritti riportino una cifra minore (76, pro� babilmente l'errore di uno scriba nella copiatura), il numero è perfettamente credibile, perché Giuseppe ci dà un resocon­ to di un viaggio analogo in una nave poi affondata nel mare Adriatico, e parla della presenza di 600 persone a bordo. Il numero delle persone può essere stato menzionato come pre(37) J. Jeremias, The Eucharistic Words o/ ]esus (London, 1966), n. 6.

p.

133,

600

Arn 27.JB,J9

parazione alla narrazione del modo in cui tutti guadagnarono la riva. 38. E, dopo essersi saziati, alleggerirono la nave, gettando il /m­ mento in mare.

Dopo aver mangiato a sazietà, la ciurma sentì di avere più energie e ricominciò a gettare in mare il rimanente del cari­ co per alleggerire la nave il più possibile cosl da farla arriva­ re più facilmente sulla spiaggia; anche se ne avevano già get­ tato in mare una parte in precedenza (versetto 1 8) , un'altra parte avevano dovuto tenerla come zavorra quando la nave era trascinata dal vento. }9. Quando fu giorno, non riuscivamo a riconoscere il paese; ma scorsero un 'insenatura con spiaggia, e decisero, se possibile, di spingervi la nave. Lo spuntare del giorno fece scorgere la terra, ma i marinai non avevano idea di dove fossero. Di importanza immediata assai maggiore fu il fatto di scorgere un 'insenatura con spiag­ gia che sembrava il luogo adatto per il tentativo di farvi are­ nare la nave. Secondo la tradizione, il luogo di cui parla il racconto è la odierna Baia di San Paolo sulla costa nord-orientale di Malta. All'entrata della baia vi è una secca, ora ad un livello più profondo di quello dei tempi antichi, e questo potrebbe essere il luogo dove la nave andò ad arenarsi. N on vi è dun­ que necessità di prendere in considerazione la teoria non plau­ sibile secondo cui il luogo era l'isola di Mljet nell'odierno Adriatico, la quale è oltretutto troppo lontana dalla probabi­ le rotta della nave (38) .

(38) A. Acworth, «Where was St Paul Shipwrecked?», ]TS 24 , 1 973, pp . 190- 1 93; vedi, comunque, C.J. Hemer, «Euraquilo and Melita», ]TS 26, 1975, pp. 100- 1 1 1 .

AITI 27. 40-42

60 1

40. Staccate le ancore, le lasciarono andare in mare; sciolsero al tempo stesso i legami dei timoni e, spiegata la vela maestra, si diressero verso la spiaggia .

I marinai si prepararono per far arrivare la nave sulla spiag­ gia; dal ponte fecero scivolare le ancore in mare, sciolsero pure i legami con i quali avevano immobilizzato le due pale del timone come misura di sicurezza durante la tempesta, ed is­ sarono la piccola vela di trinchetto (39) (cfr. versetto 1 5 ; do­ vrebbe essere stata serrata quando la nave era all' ancora) co­ sì da poter manovrare la nave dirigendola verso la spiaggia. 41. Ma essendo incappati in un luogo che aveva il mare dai due lati, vi fecero arenare la nave; e mentre la prua, incagliata, ri­ maneva immobile, la poppa si sfaciava per la violenza delle onde.

Ma i loro piani furono frustrati perché la nave urtò contro una secca (così RSV, CEI) ; il greco ha «un luogo di due ma­ ri>>; Smith (op. cit. , pp. 1 3 7- 1 3 9) ha supposto si trattasse del canale tra il lato della baia e la piccola isola di Salmonetta, canale in cui le acque sarebbero state un po' agitate e dove il fondo era di argilla; la nave vi si sarebbe conficcata salda­ mente rimanendo alla mercé delle onde. Haenchen (p. 708) è a favore della secca menzionata prima (vedi commento al versetto 3 9), situata più verso il centro dell'entrata della baia; pensa anche più probabile che la poppa si fosse sfasciata non tanto per via delle onde quanto a causa del forte impatto (la parola onde, RSV: , è omessa in alcuni manoscritti) . 42 . Il parere dei soldati era di uccidere i prigionieri, perché nes­ suno fuggisse a nuoto . (39) Cosf RSV; Conc., CEI, Nard . , Paol. hanno «l'artimone»; Gar. «la vela randa di mezzana»; Riv. e Ricc ., come RR, «la vela maestra», che però, secondo il commento al versetto 19, poteva essere stata get­ tata in mare per alleggerire la nave. Questa versione escluderebbe quel­ la interpretazione. N .d. t.

602

AITI 2 7.43 - 28. 1

Nella confusione, i soldati volevano uccidere i prigionieri per impedirne la fuga; per chi sapeva nuotare non sarebbe stato difficile raggiungere la spiaggia e inoltrarsi nell'entroterra, e là avrebbe potuto essere raggiunto e ripreso solo con grande difficoltà. I prigionieri avrebbero dovuto avere i ceppi ai piedi o le manette ai polsi, e ciò costituisce un problema, perché ad ogni modo non avrebbero avuto la possibilità di fuggire; ma forse nelle non normali condizioni di un naufragio non avevano mani o piedi i�catenati. 4 3. Ma il centurione, volendo salvar Paolo, li distolse da quel proposito, e ordinò che per primi si gettassero in mare quelli che sapevano nuotare, per giungere a ten'a,

Anche questa volta è Paolo a fornire l'occasione di salvezza per i suoi compagni di prigionia. Il centurione, a prescindere dal suo atteggiamento verso gli altri prigionieri, non voleva far correre pericoli alla vita di Paolo, specialmente a causa di quanto Paolo aveva fatto durante il viaggio. Dette quindi l'ordine che gli uomini cercassero di raggiungere terra come potevano; chi sapeva nuotare avrebbe potuto arrivare facil­ mente alla riva, non molto distante. 44. e gli altri vi arrivassero, chi sopra tavole, e chi su rottami della nave. E così avvenne che tutti giunsero salvi a ten'a .

Gli altri li avrebbero seguiti servendosi di tavole o di altri relitti usati come galleggianti. Comunque la costruzione gre­ ca può significare che queste altre persone fossero portate dalle persone capaci di nuotare, ma non necessariamente col signi­ ficato che i primi avanzassero faticosamente nell' acqua por­ tando gli altri sulle spalle, come pehsa Haenchen (p. 708); il senso è piuttosto questo: essi si servirono dei mezzi di sal­ vataggio a loro disposizione per nuotare verso la salvezza in­ sieme con loro. 28. 1 . Dopo essere scampati riconoscemmo che l'isola si chia­ mava Malta.

ATTI 28. 2,3

603

Solo dopo essere arrivata sana e salva sJill'isola, la compagnia scoprl quale isola fosse; era Melita, la moderna Malta (vedi 2 7 . 3 9 , commento) . Nella lingua semitica parlata a quel tem­ po in quel luogo, fa notare Bruce (Book, p. 52 1), il nome significava «rifugio», ma non si sa se quel significato fosse o no noto a Luca. 2. Gli indigeni usarono verso di noi bontà non comune; infat­ ti, ci riunirono tutti intorno a un gran fuoco acceso a motivo della pioggia che cadeva e del freddo.

La gente di Malta era di provenienza fenicia, ed il suo lin­ guaggio nativo era un dialetto punico. Specialmente in una zona rurale la gente avrebbe parlato in vernacolo invece che in greco, quindi Luca si riferisce ad essa come ai «barbari» (Riv. , Conc. , Ricc . ; RSV, Gar. , «nativi») usando un vocabo­ lo il cui significato è semplicemente «senza conoscenza del greco»; potrebbe anche esservi .insito un accenno al fatto che erano gente semplice, rustica. Si poteva temere di trovarli ostili verso gli stranieri, come è attestato da autori greci, ma in quell'occasione essi mostrarono una bontà non comune verso i marinai senza risorse, accendendo un fuoco e facendo sen­ tire agli stranieri di essere i benvenuti . Come fa giustamente notare Haenchen (p. 7 1 3), la temperatura non doveva essere molto inferiore ai 1 0 ° C , ma la gente della nave era certa­ mente bagnata e infreddolita dopo quella durissima prova; però gli sembra difficile immaginare 276 persone attorno ad un fuo­ co e suppone che Luca parli soprattutto del gruppo di cri­ stiani. Anche Paolo appare in condizioni di grande libertà, ma ciò non dovrebbe sorprendere date le circostanze; trovan­ dosi il gruppo in un'isola, per un uomo come Paolo ci sareb­ bero state ben poche opportunità di fuga, ed in ogni caso egli voleva che lo si processasse davanti a Cesare. 3 . Mentre Paolo raccoglieva un fascio di rami secchi e li pone­ va sul fuoco, ne uscì fuori una vipera, risvegliata dal calore, e gli si attaccò alla mano.

604

A171 28. 4-6

Paolo ebbe quindi l'opportunità di rendersi utile raccoglien­ do legna per il fuoco, ma quando cercò di gettare uno dei rami sulla fiamma, si vide che era invece un serpente. Bruce (Book, p. 52 1) cita un parallelo da Lawrence d'Arabia, in cui da un fascio di rami raccolti e posti sul fuoco sbucò contor­ cendosi un serpente . Il vocabolo greco significa letteralmente vipera, e ciò ha dato luogo a commenti scettici, perché non ci sono vipere oggigiorno sull'isola. Ma anche se le persone presenti ritenevano velenoso quel serpente, potrebbero esse­ re state in errore; molta gente moderna confonde ancora le bisce con le vipere. In .ogni caso i dati ecologici moderni ri­ guardanti Malta non sono necessariamente una guida per le condizioni ambientali dell' antichità, e la gente del luogo non avrebbe pensato ad un serpente velenoso se sull'isola non c'e­ rano serpenti velenosi. 4. Quando gli indigeni videro la bestia che gli pendeva dalla mano, dissero tra loro: Certamente, quest'uomo è un omicida perché, pur essendo scampato dal mare, la Giustizia divina non lo lascia vivere.

Bruce (Book, p. 522, nota 1 1) cita un poema greco in cui si parla di «un assassino il quale scampò da una tempesta e naufragò sulla costa libica, solo per essere ucciso da una vi­ pera». In questo tipo di atmosfera culturale la reazione dei maltesi all'esperienza di Paolo è perfettamente comprensibi­ le. Un assassino avrebbe potuto scampare ad una morte per annegamento, ma la Nemesi lo avrebbe sempre raggiunto . Con la parola Giustizia (con la lettera maiuscola) si pensa alla dea greca della giustizia, ma i maltesi potrebbero essersi riferiti ad una loro divinità corrispondente . .5-6. Ma Paolo, scossa la bestia nel fuoco, non ne patì alcun male. Or essi si aspettavano di veder/o gonfiare o cadere morto sul colpo; ma dopo aver lungamente aspettato, vedendo che non gli avveniva nessun male, cambiarono parere, e cominciarono a dire che egli era un dio .

ATTI 28. 7

605

Però Paolo scosse semplicemente via l'animale e non ne ri­ portò alcun male. Non è chiaro se egli lo avesse o no ritenu­ to velenoso, e in caso affermativo, se si considerasse sotto la protezione divina; la promessa contenuta nella parte finale più lunga del Vangelo di Marco (Mar. 1 6 . 1 8) si basa proba­ bilmente su questo episodio e non viceversa. In ogni modo i maltesi continuarono ad osservarlo; erano certi che il mor­ so avrebbe prodotto qualche sorta di enfiagione o persino una morte subitanea, ma non accadde nulla di simile. Allora essi cambiarono rapidamente parere e decisero che Paolo era un dio. Chiaramente Luca non pensava a Paolo come a un dio (14. 15), tuttavia riteneva gli apostoli in possesso di poteri mi­ racolosi; non ci sarebbe perciò da stupirsi se li credeva in pos­ sesso di alcune delle caratteristiche proprie dei cosiddetti «UO­ mini divini» conosciuti nel mondo antico, anche se dagli stu­ di più recenti è risultato doversi usare quell'espressione solo con grande cautela. Comunque, nella nostra vicenda egli sem­ bra quasi fare della leggera ironia sulla superstizione, capace di oscillare da un estremo all' altro al minimo soffio di vento. In altre parole, se nel pensiero di Luca era presente l'argo­ mento dell' «uomo divino», egli è decisamente critico nei suoi confronti (40) . 7. Nei dintomi di quel luogo vi erano dei poderi dell'uomo prin­ cipale dell'isola, chiamato Publio, il quale ci accolse amiche­ volmente e ci ospitò per tre giorni.

Segue un altro episodio riguardante il soggiorno di Paolo a Malta (versetti 7- 1 0) . È una storia di miracoli, dello stesso tipo di quelli raccontati nei Vangeli, ed ha una rassomiglian­ za con la storia in cui Gesù guarisce la suocera di Pietro e dopo di lei una folla di altri malati (Luca 4 . 3 8-4 1) . Il luogo in cui Paolo aveva toccato terra era vicino ad una tenuta di cui era proprietario il governatore romano dell'isola. n suo (40) Non è giusto seguire Conzelmann (p. 147) e considerare l'atteggia­ mento di Luca a questo punto come privo di critica, in contrasto con 14. 1 1 ; Luca non è cosl incoerente specialmente nel punto culminan­ te del suo libro.

606

A 'ITI 28. 8-10

titolo, l'uomo principale, è confermato dall'evidenza delle iscri­ zioni. Luca gli dà il nome di Publio (in greco, Poplios) ; è un nome abbastanza insolito, ma non privo �i paralleli. Il go­ vernatore ricevette il gruppo e lo ospitò per tre giorni. N on possiamo sapere se l'invito era stato esteso a tutta la gente che aveva fatto naufragio, ma certamente includeva Paolo e il narratore. 8- 10. Il padre di Publio era a letto colpito da febbre e da dis­ senteria. Paolo andò a trovar/o; e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì. Avvenuto questo, anche gli altri che aveva­ no delle infermità nell'isola, vennero, e furono guariti; questi ci fecero grandi onori; e, quando salpammo, ci rifornirono di tutto il necessario.

Il padre di Publio era ammalato e soffriva di attacchi di feb­ bre gastrica e di dissenteria (mali endemici a Malta, noti co­ me «febbri maltesi») , e Paolo poté guarirlo con la preghiera e con l'imposizione delle mani (9. 12, 17) . Paolo guarl allo stesso modo altre persone dell'isola, le quali avevano senza dubbio saputo quanto era accaduto. Come risultato della sua attività di guaritore, a Paolo, ed insieme con lui ai suoi amici, la gente dell'isola offrì dei doni, ed in particolare provvide loro il ne­ cessario per il resto del viaggio. L'uso del «noi» in questo pun­ to ha indotto a pensare che Luca possa aver esercitato le sue capacità professionali a fianco di Paolo; ciò può anche darsi, ma Luca si interessa semplicemente dell'attività svolta da Paolo . A prima vista la fine della storia colpisce: non si dice una sola parola riguardo ad una predicazione del vangelo da parte di Paolo, ed ancora meno si parla di una risposta alla predicazione, ma solo della gratitudine per i servizi resi (con­ trapporre la narrazione a quella analoga del rapporto fra Paolo e il governatore di Cipro in 1 3 . 6- 12); ma la semplice ragione di questo silenzio può essere che in effetto nessuno si fosse convertito durante il soggiorno di Paolo. Nella vicenda egli continua ad essere presentato nella veste di chi aiuta i suoi amici e li salva dal pericolo.

A TTI 28. 1 1-13

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1 1 . Tre mesi dopo, ci imbarcammo su una nave alessandrina, recante l'insegna di Castore e Polluce, la quale aveva svernato nell'isola .

I tre mesi sono il periodo di tempo durante il quale la navi­ gazione era sospesa. Altre navi erano state ostacolate dal so­ praggiungere dell'inverno e costrette ad attendere oziosamente di poter riprendere il viaggio in primavera. Non sorprende di trovare a Malta un'altra nave di Alessandria in attesa di continuare il viaggio; anch'essa doveva essere stata ingaggia­ ta per il trasporto del frumento. È dato un vivace particola­ re alla narrazione con l'informazione (priva di utilità) di qua­ li erano le figure della polena: Castore e Polluce o «i Dioscu­ rh>, i due fratelli gemelli figli di Giove; essi erano i patroni della navigazione, e la loro costellazione (Gemelli) era un se­ gno di buona sorte quando la si vedeva durante una tempesta. 12. Approdati a Siracusa, vi restammo tre giorni.

Come prima tappa la nave salpò per Siracusa, la città capo­ luogo della Sicilia, e vi sostò tre giorni; non essendo l'infor­ mazione di alcuna importanza per la storia, è più probabil­ mente ancora un'informazione di un dato autentico. 13. Di là, costeggiando, arrivammo a Reggio. Ed essendosi le­ vato, il giorno seguente, un vento di scirocco, in due giorni giun­ gemmo a Pozzuoli. Costeggiando - alcune versioni (RSV, Gar.) hanno invece, se­ guendo il testo greco: >, Guida alla lettura della Bibbia (Claudiana, Torino, 1978) . Jacques Dupont , Studi sugli Atti degli Apostoli, pp. 968 ; tr. Carlo Danna (Paoline, Roma, 1 9752) . Jacques Dupont, Nuovi studi sugli Atti degli Apostoli, pp. 48 0 ; tr. Carlo Danna (Paoline, Roma, 1985) .

COMMENTARI IN LINGUA ITALIANA

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Charles E. Erdman, Note al libro degli Atti, pp. 199; tr. Giulio Montagna (Centro Biblico, Napoli, 1976) . Rinaldo Fabris (tr. e a cura di) , Atti degli Apostoli, pp. 786 (Boria, Roma, 19842) . Martin Hengel, Storiografza protocristiana, pp. 192; tr. V. Cessi; a cura di O. Soffritti (Paideia, Brescia, 1985) . Marilyn Kunz e Catherine Schell, Studi biblici sugli Atti degli Apostoli per discussioni in gruppo, pp. 1 10 (Centro Bibli­ co, Napoli, 1988) . Josef Kiirzinger, Atti degli Apostoli, l 0 vol. pp. 328, 2° vol. pp. 224; tr. C . Vivaldelli (Città Nuova, Roma, 19683 e 19722) . Gerlando Lentini, Gli Atti degli Apostoli oggi, pp. 248 (Ro­ gate, Roma, 1984) . Giovanni Luzzi, Fatti degli Apostoli. Commentario esegetico­ pratico del Nuovo Testamento. l . a ed. 1899 (Claudiana, Firenze) ; 2.a ed. ristampa anastatica, pp. 269 (Claudia­ na, Torino, 1 988) . Gerhard Scheider, Atti degli Apostoli, testo greco e traduzio­ ne. Introduzione e commento. Parte I, capp. 1 . 1 - 8.40, 1985 ; Parte II, capp . 9.1 - 28.3 1 , 1986; tr. V. Gatti, a cura di O. Soffritti (Paideia, Brescia) . Emil Schiirer, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo (1 75 a. C. 135 d. C.), l 0 vol., pp. 740; tr. G. Soffritti, a cura di O. Soffritti (Paideia, Brescia, 1 985). Gustav Sta'h/in, Atti degli Apostoli, pp . 608; tr. Bruno Livera­ ni, a cura di Enzo Gatti (Paideia, Brescia, 1972) . Pietro Vanetti, Atti degli Apostoli, Lettere e Apocalisse, pp. 96 (Piemme, Casale Monferrato, AL, 1986) . AHred Wikenhauser, Atti degli Apostoli, pp. 384; a cura di P. G . Rinaldi (Morcelliana, Brescia, 1979) . -

EDIZIONI G.B.U.

Commentari ai libri del Nuovo Testamento cura di R. V. G. Tasker:

a

l. Howard Marshall : GLI ATTI DEGLI APOSTOLI, pp. 624 Frederick F. Bruce: L'EPISTOLA AI ROMANI, pp. 354. Leon Morris: L A PRIMA EPISTOLA A I CORINZI, pp . 294. R.V.G. Tasker: LA SECONDA EPISTOLA AI CORINZI, pp. 256. Alan Cole: L'EPISTOLA A I GALATI , pp. 24 7. Herbert M. Carson: L E EPISTOLE AI COLOSSESI E A FILEMONE, pp. 160. Leon Morris : LE EPISTOLE A I TESSALONICESI, pp. 20 l . Donald Guthrie: LE EPISTOLE PASTORALI , pp. 266. Thomas Hewitt: L'EPISTOLA AGLI EBREI, pp. 262. R.V.G. Tasker: L'EPISTOLA DI GIACOMO, pp. 190. }ohn Stott: LE EPISTOLE DI GIOVANNI, pp. 258 . .

Collana «Pensiero»

Henri Blocher:

LA CREAZIONE.

L'inizio della Genesi, pp. 343 .

L'Autore analizza le varie interpretazioni date al ben conosciuto e molto discusso racconto del «principio» contenuto nelle pri­

me pagine della Bibbia, proponendosi di scoprirne il valore fon­ damentale per l'uomo.

Tom Kitwood: CHE COS'È UMANO? Umanesimo, esistenzialismo e cristianesimo a confronto, pp. 19 0 . Ai punti di vista sull'uomo sostenuti dall'umanista e dall'esi­

stenzialista, l'Autore contrappone la visione dell'uomo propria

EDIZIONI G.B. U.

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del cristianesimo e la risposta che esso dà alla domanda: «Che cos'è l'uomo?».

C . S . Lewis:

SCUSI, QUAL

È

IL SUO DIO? ,

pp. 224 .

L' Autore contesta varie forme di cristianesimo che singoli in­ dividui o determinate confessioni hanno elaborato e ad esse contrappone, risalendone all'essenza, quello che egli chiama «cri­ stianesimo puro>>. LA MANO NUDA DI DIO.

Uno studio preliminare sui mira­

coli, pp. 2 1 4 . L'Autore mostra che Dio è sempre all'opera nel mondo, ma che a volte, appunto in quelle occasioni da noi chiamate «mi­ racoli», Egli fa a meno della lunga catena di eventi «normali», sfila il grande guanto della N atura e agisce con la mano nuda. IL PROBLEMA DELLA SOFFERENZA,

pp. 1 3 6 .

·Gli uomini e non Dio hanno inventato strumenti di tortura, prigioni , schiavitù, fucili, bombe; è per l' avarizia o la stupidi­ tà umana, non per la vill ania della natura, che abbiamo la po­ vertà e il superlavoro . Ma anche se tutte le sofferenze fossero causate dall'uomo, vorremmo ancora sapere la ragione per cui Dio permette ai peggiori fra gli uomini di torturare i loro fratelli .

Edoardo Labanchi: OLTRE LA RELIGIONE ovvero l'essenza del cristianesimo secondo la Bibbia, pp. 184. Basandosi sulle Scritture, l'Autore considera in che modo il cri­ stianesimo si pone di fronte alle religioni della terra, mostra la sua diversità da esse, il suo stretto rapporto con la fede ebrai­ ca e allo stesso tempo la sua unicità e originalità. La fede cri­ stiana supera la religione tradizionale; Gesù Cristo va oltre la religione.

John Stott: MISSIONE pp. 160 .

CRISTIANA NEL MONDO MODERNO,

Missione, evangelizzazione, dialogo, salvezza, conversione. Dal­ l'insegnamento biblico che soggiace a quei termini, l'Autore ri­ sale alle implicazioni pratiche di quella che è la «missione>> se­ condo il vangelo.

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BDIZIONI G.B. U.

Collana di Etica biblica

Marcello Cicchese:

LE DIECI PAROLE,

pp. 127 .

I dieci comandamenti, che Gesù è venuto per portare a termi­ ne e non per abolire, devono diventare una legge dal profon­ do che coordina i pensieri prima ancora di determinare le azioni.

David Field:

OMOSESSUALITÀ,

pp. 64.

C 'è qualche cosa di sbagliato nella pratica dell'omosessualità o essa va accettata come una lecita alternativa all' eterosessua­ lità? L'Autore propone tre prospettive teologiche (le dottrine del sesso, della creazione e dell'amore) per individuare una ri­ sposta nella Bibbia.

Collana «Vita»

John White: SCACCO MATTO ! Le gioie e le lotte della vita cri­ stiana, pp. 24 8 .

La vita cristiana è una battaglia e per combatterla bisogna sa­ per identificare le «forze della malvagità» da affrontare e vin­ cere. Le armi: fede, preghiera, conoscenza della Parola di Dio; saper discernere la Sua volontà, avere comunione con gli altri cristiani, saper comunicare la propria fede.

W alter Trobisch:

L'AMORE

È

UN SENTIMENTO DA IMPARARE,

pp.

38. L' amore, oggetto di consumo o relazione basata sulla compren­ sione e s� rispetto reciproci? L'Autore indica errori inconsa­ pevolmente o volutamente commessi, esamina le soluzioni co­ munemente proposte e le discute.

Walter Trobisch:

TI HO SPOSATO,

pp. 268 .

In una città africana in cui uomini e donne vivono in tensione fra antichi ma sempre vivi costumi tribali, ideologie e propa­ gande importate dall'Occidente e la loro fede cristiana, un con­ sulente matrimoniale narra la cronaca di quattro giornate fitte di conferenze, colloqui, incontri, e situazioni a volte dram­ matiche.

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EDIZIONI G.B. U.

Ingrid Trobisch: IMPARARE A DIRE ADDIO. Storia di un viag­ gio nel mare del dolore, pp . 128 .

· Per sopravvivere dopo esser rimasta vedova, L'Autrice deve pas­ sare per una rinascita che è come un lungo viaggio in cui essa rievoca fatti del passato , riflette con sincerità su se stessa, ap­ profondisce il suo rapporto con Dio, Signore e Consolatore. D alle pagine che lngrid scrive emanano forza e incorag­ giamento.

Helen Roseveare:

DAMMI QUESTA MONTAGNA, pp .

172 .

L' autobiografia della dr. Roseveare, già pubblicata a puntate sulla rivista «Certezze>> ed ora raccolta in volume. Helen Ro­ seveare racconta la sua vita fino a quando ha esercitato la sua professione di medico in una missione cristiana nella foresta del Congo Belga e si è trovata a vivere in prima persona le vicende connesse al periodo in cui il Congo è diventato Zaire.

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