Atti degli Apostoli 8801027605, 9788801027600

Gli Atti degli Apostoli rappresentano la seconda parte di un testo in due volumi che gli studiosi hanno denominato Luca-

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Atti degli Apostoli
 8801027605, 9788801027600

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Sacra Pagina Volutne 5

Luke Timothy Johnson



ELLEDICI

Titolo originale: The Acts of Apostles © The Liturgica} Press, Collegeville, Minnesota (USA) Traduzione di Mario BERNABÒ SILORATA e Salvatore MELE Revisione italiana a cura di Prohemio Editoriale (Firenze)

© 2007 Editrice ELLEDICI- 10093 Leumann (TO) Internet: www.elledici.org E-mail: [email protected] ISBN 978-88-01-02760-0

SOMMARIO

IX XI

Prefazione Abbreviazioni INTRODUZIONE

A. TI testo degli Atti B. Gli Atti dal punto di vista storico C. Gli Atti come apologia D. Dimensioni letterarie degli Atti E. La struttura profetica di Luca-Atti F. Temi religiosi Bibliografia generale

1 2 7 9

11 13 17

TRADUZIONE, NOTE E INTERPRETAZIONE l. IL PROFETA RISORTO E IL POPOLO RICOSTITUITO

l. Profezia e ascesa (1,1-11) 2. Preparazione del popolo (1,12-26) 3. Pentecoste: il dono dello Spirito Santo (2,1-13)

4. Il discorso di Pietro a Pentecoste (2,14-36) 5. Ritratto del popolo ricostituito (2,37-48) 6. L'opera del profeta risorto (3,1-26) 7. La risposta del popolo e dei capi religiosi (4,1-22) 8. Il potere degli apostoli (4,23-5,11) 9. Il secondo processo (5,12-42) 10. La successione dell'autorità profetica (6,1-15) 11 . Il discorso di Stefano: le promesse ai patriarchi (7,1-16) 12. Il discorso di Stefano: il profeta Mosè (7,17-53) 13. La morte di un profeta (7,54-8,3)

21 29 36 42 50 56 --66 72 81 90 98 106 119

Il. L'ESPANSIONE DEL POPOLO DI DIO

14. La missione in Samaria (8,4-25) 15. Filippo e l'Etìope (8,26-40) 16. Saulo incontra il Signore risorto (9,1-19a) 17. L'accoglienza di Paolo a Gerusalemme (9,19b-30) 18. Prodigi compiuti da Pietro (9,31-43) 19. Le due visioni (10,1-23a)

124 132 138 146 151 154

VI

A t t i degli A p o s t o l i

20. I Gentili ricevono lo Spirito Santo (10,23b-48) 21. La difesa di Pietro (11,1-18) 22. La comunità di Antiochia (11,19-30) 23. Fuga di Pietro e morte di Erode (12,1-25) 24. Missioni e sviluppo (13,1-12) 25. La predicazione ad Antiochia di Pisidia (13,13-41) 26. Accoglienza e rifiuto nella diaspora (13,42-52) 27. Gli apostoli a Iconio e a Listra (14,1-18) 28. Ritorno ad Antiochia (14,19-28) 29. Conflitto sulla conversione dei Gentili (15,1 -21) 30. Decisione della Chiesa sulla libertà per i Gentili ( 15,22-35)

161 167 172 178 187 194 204 208 214 219 233

III. L APOSTOLO DEI GENTILI '

31. La missione in Europa (15,36-16,10) 32. Gli avvenimenti a Filippi (16,11-24) 33. Incarcerazione e liberazione (16,25-40) 34. Difficoltà a Tessalonica (17,1-15) 35. Paolo ad Atene (17,16-34) 36. Fondazione della Chiesa a Corinto (18,1-11) 37. Difficoltà e un nuovo discepolo (18,12-28) 38. La missione a Efeso (19,1-20) 39. Tumulto a Efeso (19,21 -41) 40. In viaggio verso Gerusalemme (20,1-16) 41. Il discorso di addio di Paolo (20,17-38) 42. Profezia sul destino di Paolo (21,1-14) 43. Paolo e le autorità di Gerusalemme (21,15-26) 44. Sommossa a Gerusalemme (21 ,27-40) 45. Il discorso di Paolo in città (22,1-29)

239 247 254 258 263 272 276 284 291 298 303 310 314 320 325

IV. L'APOSTOLO IMPRIGIONATO

46. La difesa di Paolo davanti al sinedrio (22,30-23,11) 47. Fuga a Cesarea (23,12-35) 48. La difesa di Paolo davanti a Felice (24,1-23) 49. Paolo e Festo (24,24-25,12) 50. Davanti al governatore e al re (25,13-27) 51. La difesa di Paolo davanti ad Agrippa (26,1-32) 52. Pericoli durante la navigazione (27,1-26) 53. Naufragio e salvataggio (27,27-44) 54. Da Malta a Roma (28,1-16) 55. La speranza di Israele, la salvezza dei Gentili (28,17-31)

332 338

344

351 357 361 373 381 386 393

So m m a r io

VII

INDICI ANALITICI Indice scritturistico Indice dei testi antichi Indice degli autori moderni

403 457 480

PRESENTAZIONE DELLA COLLANA

La collana Sacra Pagina è un commentario in diversi volumi ai libri del Nuo­ vo Testamento. L'espressione Sacra Pagina originariamente si riferiva al testo della Scrittura. Nel Medioevo fu estesa anche allo studio della Scrittura, nel quale l'interprete applicava gli strumenti della grammatica, della retorica, del­ la dialettica e della filosofia. Così Sacra Pagina venne a comprendere sia il testo che si voleva studiare sia l'attività di interpretazione. Questa collana presenta un commento moderno di tutti i libri del Nuovo Te­ stamento. Scritta da un gruppo internazionale di biblisti cattolici, la collana è pensata per i biblisti, per gli studenti universitari, per i teologi, per il clero e per gli insegnanti di religione. I volumi presentano per ogni libro informazioni in­ troduttive fondamentali e una dettagliata esposizione. Pur adottando prospet­ tive metodologiche specifiche in ogni caso, non perdono di vista i temi presen­ tati dalle singole composizioni del Nuovo Testamento. Lo scopo che si propone la collana Sacra Pagina è quello di presentare una solida analisi critica senza compromettere in alcun modo la sensibilità per il significato religioso. La colla­ na pertanto è cattolica nel doppio senso della parola: universale nell'impiego di metodi e prospettive, e plasmata nel contesto della tradizione cattolica. Il Concilio Vaticano II ha definito lo studio deHa Sacra Pagina «l'anima stes­ sa della sacra teologia>> (Dei Verbum 24). I volumi di questa collana illustrano il modo in cui gli studiosi cattolici contribuiscono all'invito del Concilio di ren­ dere la Sacra Scrittura accessibile a tutti i fedeli cristiani. Anziché aver la pretesa di dire l'ultima parola su un qualsiasi testo, questi volumi si propongono di far notare le ricchezze del Nuovo Testamento e di invitare quanti più fedeli possibile a studiare seriamente la Sacra Pagina. DANTEL J. HARRINGTON, S.J.

PREFAZIONE Questo commentario sul libro degli Atti è abbinato al commentario del Van­ gelo secondo Luca, nella serie Sacra Pagina, e ne continua l'esegesi. Per ogni parte del testo esso fornisce la traduzione della CEI (talvolta leggermente ri­ toccata), Wla serie di note dettagliate, un'esegesi e una succinta bibliografia. Tutto ciò, preceduto da un'Introduzione ove sono enunciati i principi che re­ golano l'esegesi, nonché da una bibliografia generale. Ogni commentario rientra in una lunga tradizione culturale, dalla quale di­ pende direttamente. Inoltre, ogni commentario porta inevitabilmente a una certa forma d'acquisizione selettiva. Forse, la cosa migliore che un conunenta­ rio possa augurarsi è quella di assicurare un certo nutrimento spirituale ai let­ tori assieme a qualche pezzo utile per il commentatore della generazione suc­ cessiva. Mentre mi inoltravo nella narrazione di Luca, vari commentari di edi­ zioni più antiche mi hanno fornito utili informazioni e inquadrature alternati­ ve. Per i commenti specifici su questioni testuali, Jessicali e storiche mi sono stati preziosi i commentari di Cadbury-Lake e di F. F. Bruce. Per quanto riguar­ da gli studiosi tedeschi, ho controllato regolarmènte le opere di Conzelmann e di Haenchen. Altro aiuto, non meno prezioso, mi è venuto dal commentario te­ stuale di Metzger, che ha reso tutto più facile ai suoi successori. E, come ad al­ tri prima di me, un grande aiuto per tutti i problemi di grammatica e sintassi mi è venuto dall'opera di Moule e Zerwick. Tra le varie cose che ogni commentatore prende dai predecessori, ci sono i ri­ ferimenti alla vasta letteratura del mondo ellenistico pertinente all'esegesi di Luca-Atti. Il libro degli Atti tocca in un modo o nell'altro, virtualmente, ogni aspetto della società del mondo mediterraneo del I secolo. Pochi di noi cono­ scono alla perfezione quel mondo. Pertanto è usanza molto diffusa attingere a quelle fonti. Infine, tutti noi abbiamo un debito con J .J. Wettstein. Ho sicura­ mente tratto utile profitto seguendo gli esempi offerti dai miei predecessori, e dalle voci sempre esaurienti che si trovano nei vocabolari di Liddell-Scott-Jo­ nes-Mckenzie e di Bauer-Amdt-Gingrich-Danker. Nessuna citazione e nessun riferimento sono stati qui inseriti senza prima essere stati da me personalmen­ te controllati e verificati, e ne sono stati aggiunti più di quanti me ne erano sta­ ti passati. Devo dire anche che, controllando i riferimenti esposti nei commen­ tari più antichi, ne ho trovati alcuni inesatti e non appropriati, con il risultato che ho dovuto eliminarli. Un commentario non dovrebbe essere semplicemente un elenco di riferi­ menti e di arcane informazioni sul testo in oggetto. Esso dovrebbe interpretare il testo, e questo è il compito per cui la presente opera va a situarsi tra i grandi commentari suddetti. I commentari di Cadbury-Lake e di Bruce trattano il libro degli Atti principalmente come fonte storica, e sotto questo aspetto sono per­ t�nto ottimi per quanto riguarda i fatti, ma scarsi in materia di significato. Haenchen, al contrario, è un grande pioniere nella ricerca sull'autore creativo che opera in seno agli Atti, così la sua interpretazione sugli episodi specifici è spesso viva e perspicace. Purtroppo Haenchen soffre del tipico disagio tedesco

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A t t i degli A p o s toli

in materia di teologia di Luca-Atti, ed è portato a identificare i fatti storici con i fatti veri e propri, sì che qualsiasi incoerenza nella parte storica viene usata per legittimare la conclusione, ossia che Luca scrisse semplicemente «un pietoso racconto». In particolare Haenchen è incapace di sfuggire a un'impostazione atomistica di ogni segmento del testo, e di vedere il significato che, nel com­ plesso, Luca crea con la sua storia. Ho cercato di rispettare il carattere del libro degli Atti come storia apologe­ tica, il che significa che, pur prendendo in seria considerazione l'aspetto fat­ tuale della storia, non mi fermo a quell'aspetto. Riconosco che ciò che noi chia­ meremmo «creazione romanzesca» è una caratteristica che appartiene non so­ lo alla storiografia antica, ma anche a quella moderna ogni qualvolta si tenta di creare un resoconto narrativo degli eventi, ed è proprio in quella formazione creativa che possiamo scoprire gli intenti religiosi e letterari dell'autore. Ho cercato, soprattutto, di trattare come un tutto unico il prologo letterario di Luca-Atti, il che significa che il libro degli Atti va letto come continuazione del Vangelo secondo Luca. Il lettore scoprirà nelle note e nell'esegesi reciproci e continui riferimenti fra i due libri, mentre nella mia esposizione su ogni sin­ gola parte cerco di promuovere una visione generale dell'insieme. Sono con­ vinto che è nell'insieme di Luca-Atti, ossia nel suo fattore narrativo, che si deb­ ba scoprire il significato più vero, voluto dall'autore. Nella prefazione al commentario del Vangelo secondo Luca ho reso omag­ gio ad Adrian Hastings per avermi aperto gli occhi sulla singolarità di quel Vangelo. In modo ancor più ovvio, gli studiosi contemporanei che lavorano sul testo Luca-Atti devono sentirsi profondamente in debito verso il magnifico lavoro di Jacques Dupont, il quale nelle piccole e nelle grandi cose ha portato cultura, intuizione e integrità allo studio del primo storico del cristianesimo. Prendo atto in particolare anche dell'opera in due volumi di Robert Tannehill sull'esegesi di Luca-Atti che, sotto molti aspetti, è affine alla mia impostazione del problema. Con questo scritto si concludono i miei due anni trascorsi sulle pagine di Lu­ ca-Atti. Ringrazio Dio per avermi concesso l'occasione di imparare qualcosa, e ringrazio anche tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di una si­ mile impresa: Michael Glazier, che per primo ha sponsorizzato questa serie di commentari e mi ha consentito di scrivere due volumi; Daniel Harrington, che si è dimostrato il più gentile fra gli editori; nonché gli editori della Liturgica! Press per aver salvato queste opere e per il loro grande sostegno. Mia moglie Joy e mia figlia Tiffany, che hanno sopportato la mia stanchezza e il mio ner­ vosismo per lunghi periodi di tempo, si sono comportate con tanta grazia che non ho parole per esprimere loro la mia incondizionata gratitudine. Spero che questo lavoro possa in qualche modo compensare le sofferenze subite nel cor­ so dell'opera.

ABBREVIAZIONI. AER AnBib AncB ASeign ASNU ATR BETL Bib BiBi BJRL BK BZ BZNW BZWANT CBQ ComSpirNT CTNT EBib ET [ExpTim] ETL ETR EvQ FB.B FRLANT FzB GLNT .. HeyJ HTR HTS Int JAAR JBL JQR JSNT JTS LoB NCeB NIGTC NovT NovTSupp NRT

American Ecclesiastical Review Analecta Biblica Anchor Bible Assemblées du Seigneur Acta Seminarii Neotestamentici Upsaliensis Anglican Theological Review Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium Biblica Biblioteca Biblica Bulletin of the John Rylands Library Bibel und I> che gli apostoli abbiano sofferto per mano del sinedrio nei primi giorni di vita della comunità (cf l Ts 2,14-15), ma non c'è motivo di pensare che Luca disponesse di trascrizioni di ciò che essi ç1vevano ascoltato (At 4,5); quel­ le scene, come le leggiamo noi oggi, sono sue stesse creazioni drammatiche. Lo stesso va detto dei discorsi di Pietro alla folla o delle preghiere della comu­ nità. Nella prima parte del libro degli Atti, lo storico può vedere che la portata creativa di Luca è vastissima, per il semplice motivo che non era in alcun mo­ do limitato da precedenti narrativi o da ricchezza di informazioni. Qualunque sia la base storica del suo racconto, essa va ricercata a livello di sostanza e strut­ tura piuttosto che a livello di particolari o di avvenimenti specifici. Nella seconda parte di Atti, invece, specie quando il racconto tratta dei viag­ gi e delle sofferenze di Paolo (c. 13), le informazioni di cui dispone Luca pare siano più sostanziali e più affidabili. Alcune di esse possono essergli pervenu­ te da Paolo o dai suoi condiscepoli. Luca può essere stato anche il testimone oculare responsabile delle «sezioni-noi». Lo storico è molto avvantaggiato nel­ l'emettere giudizi su questa parte della narrazione a motivo di tutte le altre prove di cui dispone: quelle topografiche, archeologiche e letterarie. Disponiamo, soprattutto, di un elemento di verifica, rappresentato da un certo numero di lettere di Paolo ancora esistenti. Vi è un notevole accavalla­ mento di particolari tra il racconto in At 16-20 e i fatti casuali che possiamo ri­ cavare dalla Prima e Seconda lettera ai Corinzi, dalla Prima e Seconda lettera ai Tessalonicesi, dalla Lettera ai Galati e dalla Lettera ai Romani. Sebbene si con­ tinui a discutere che il motivo di tale accavallamento v ada ricercato nel fatto che il libro degli Atti si è servito delle lettere di Paolo per la costruzione del suo racconto, le prove esistenti non possono avvalorare quella tesi. Non solo Luca non dice più di quanto avrebbe potuto riferire se avesse usato le epistole paoline -come la missione ai Galati, ad esempio, o le controversie fra i Corin­ zi - ma nei punti in cui si verifica l'accavallamento appaiono tante discrepan­ ze che rendono più probabile l'ipotesi di informazioni indipendenti rispetto all'ipotesi di una dipendenza letteraria. La relativa indipendenza dei racconti rende molto più preziosa la loro testimonianza, sia quando concordano sia quando non concordano. 2. Attendibilità Fino a che punto è preciso il racconto di Luca, quando lo si valuta alla luce delle altre informazioni? In linea generale, la sua precisione è impressionante in tutte le questioni di colore e particolari locali. I luoghi si trovano proprio do­ ve egli dice che sono; le cose che egli descrive sembrano essere accadute pro­ prio come dice lui; riporta fedelmente i titoli, le funzioni e la durata del man­ dato dei vari funzionari locali. Conosce alla perfezione le caratteristiche delle diverse regioni. Tutto questo ci induce a pensare che l'autore doveva essere molto vicino alla scena dei fatti. Inoltre, quando si paragonano i movimenti di Paolo negli Atti, rispetto a quelli riportati nelle sue lettere, risulta che Luca -

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malgrado la sua selezione e la formazione del materiale - ci fornisce un quadro attendibile anche se parziale per ricostruire quella parte della vita di Paolo. In effetti, il libro degli Atti è indispensabile per qualsiasi tentativo mirante a tale ricostruzione. Quando la possiamo verificare nei dettagli, questa precisione dei fatti nell'ultima parte del testo è veramente eccezionale. Una simile meticolosità dei fatti richiede, però, una valutazione molto accu­ rata. Dopo tutto, la perfetta descrizione dei particolari e dei colori locali è anche una caratteristica della buona narrativa! Siamo maggiormente sicuri che Luca ha descritto bene il suo «mondo» più di quanto non abbia invece descritto bene la successione o il significato o il carattere degli eventi che costituiscono la sostanza della sua narrazione. Sappiamo, prima di tutto, che egli è molto selettivo in tutto ciò che dice. li fatto che nell'ultima parte del testo egli si concentri esclusivamen­ te su Paolo che non sugli apostoli è di per sé una libera scelta interpretativa. E an­ che se la fisionomia della narrazione è essenzialmente circoscritta ai fatti, ciò non­ dimeno è evidente che l'aggiunta decorativa delle varie scene è solo il frutto del­ la potenza letteraria di Luca. Come nel caso del Vangelo, l'autore plasma con ve­ ra creatività le sue descrizioni a imitazione dei modelli o dei motivi biblici, e con una cosciente appropriazione dei traslati sociali e letterari ellenistici. Per il modo in cui Luca tratta l'apostolo Paolo, ad esempio, vediamo questo suo eroe collocato in ambienti e scene che evocano i modelli ellenistici. A Listra, Paolo e Barnaba sono presi per Zeus e Hermes (At 14,8-18); la scena ricorda il racconto di Ovidio di Bauci e Filemone (Metamorfosi 8,613-738). Il suo discorso ad Atene davanti agli stoici e agli epicurei (17,16-34) ci ricorda i dibattiti filo­ sofici che avvenivano in quella città, descritti da Luciano di Samosata (L'eunu­ co). La sua accoglienza da parte degli isolani di Malta, dopo il naufragio (28,16), evoca una scena analoga che troviamo in Dione Crisostomo nell' Orazione 7 («Il discorso euboico» ). Ancor più ovvio è l'uso di immagini bibliche per la caratterizzazione di Pao­ lo. Luca inserisce Paolo nella presentazione letteraria dei seguaci di Gesù come suoi successori profetici. Paolo è un uomo ripieno di Spirito Santo, un uomo che annuncia la parola di Dio con audacia, che opera segni e prodigi e che crea una divisione tra la gente. È vero che, in questo suo stereotipo letterario, Luca riesce a esaltare anche alcune caratteristiche paoline che noi conosciamo tra­ mite le sue epistole: la sua consapevolezza di una missione presso il popolo dei Gentili, il suo operare come parte di una squadra, l'uso che egli fa dei cen­ tri urbani per diffondere il Vangelo, persino un pizzico di quel singolare intel­ letto di Paolo (20,25-35) e un accenno alla Torah (13,39). Gli Atti, però, non al­ ludono al Paolo che noi ben conosciamo. Non c'è nulla che ci faccia pensare che Paolo scrisse mai una lettera! In breve, Luca si prende notevoli licenze lettera­ rie nel trasmetterei un ritratto di Paolo, così come fa nella sua presentazione di Gesù e degli altri apostoli. Non possiamo ignorare le notevoli discrepanze che si riscontrano tra le te­ stimonianze che vi sono nelle lettere di Paolo e quelle che si trovano nel libro degli Atti. Le prime riguardano i rapporti di Paolo con la comunità di Gerusa­ lemme. Nella Lettera ai Galati 2,1-10, Paolo parla di uno straordinario incontro tra lui e «le colonne» della Chiesa di Gerusalemme sulla validità e sul futuro

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della sua missione presso i Gentili. In At 1 5 è riportato il racconto di un incon­ tro degli apostoli e degli anziani di Gerusalemme in merito alla stessa questio­ ne. Le fonti, però, non concordano sull'occasione, sui partecipanti, sullo svol­ gimento e sulla conclusione di tale incontro, nonché sulla sequenza degli av­ venimenti prima e dopo. Una mancanza di concordanza nei dettagli può esse­ re interpretata, naturalmente, come una conferma del fatto storico essenziale che in un tempo della prima generazione Paolo e gli altri capi si erano riuniti a Gerusalemme per discutere il problema della missione presso il popolo dei Gentili. Un problema simile e forse ancor più ingarbugliato è quello che riguarda la grande colletta di Paolo tra le comunità dei Gentili a favore della Chiesa di Ge­ rusalemme. Le sue lettere ritornano ripetutamente su questo argomento in tut­ te le sue dimensioni pratiche e simboliche (Gal 2,10; l Cor 16,1-4; 2 Cor 8-9; Rm 15,25-28). Appare, pertanto, strano che, sebbene Luca narri di una riunione dei delegati di Paolo, precedente il suo ultimo viaggio a Gerusalemme (20,4-6), e del fatto che Paolo portò con sé una somma di denaro più che sufficiente per­ ché Felice potesse sperare in una tangente (24,26), Luca faccia sì che Paolo, nel suo discorso difensivo, si riferisca a quella forma di corruzione solo indiretta­ mente: «Sono venuto a portare elemosine al mio popolo e per offrire sacrifici» (24,17). E quando Paolo incontra Giacomo in città, nessuno dei capi parla di quel grande dono di Paolo. Al contrario, Giacomo suggerisce un gesto di ri­ conciliazione diverso con quei soldi (21,23-24)! Certamente Luca conosce più di quanto non racconti. Perché è così circo­ spetto? È solo perché si erano realizzati i timori di Paolo e perché il suo dono non era stato accettato? Non ne possiamo essere sicuri. Cosa ancor più strana, Luca coinvolge Paolo in una colletta per i poveri di Gerusalemme non come un gesto di riconciliazione fra le Chiese dei Giudei e quelle dei Gentili alla fine della sua carriera, ma come una forma di elemosina da parte della comunità di Antiochia prima che abbia inizio la sua missione presso i Gentili (cf At 11,29-30; 12,25). Anche in questo caso lo storico può affermare con fiducia che Paolo, a un certo punto, partecipò a una grande impresa per portare sollievo alla Chiesa di Gerusalemme. Per quanto riguarda, però, i particolari del tempo e del si­ gnificato sembra impossibile riconciliare del tutto il racconto riportato in Atti con la versione che si trova nelle lettere di Paolo. Vanno, pertanto, evitate le posizioni estreme per quanto riguarda l'uso del­ le fonti di Luca e la loro attendibilità storica. È vero che, a motivo del livello ar­ tistico di Luca, non possiamo stabilire la portata né persino l'esistenza delle fonti scritte, ma ciò non vuoi dire che Luca non si servì della tradizione o che egli ricavò gli avvenimenti unicamente dalla sua immaginazione. Parimenti, il fatto che Luca abbia scelto e plasmato il suo racconto non significa che si tratti semplicemente di narrativa. Queste sono false alternative. Tutti gli scritti sto­ rici, dopotutto, richiedono una selezione e una formazione creativa del mate­ riale, e ogni grande storia ha una grossa componente di immaginazione. Non è affatto realistico vedere in Luca solo una «perfetta precisione dei fatti», ve­ nendo meno la quale egli debba essere messo da parte come romanziere. La narrazione può essere plasmata in modo rilevante dall'immaginazione del-

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l'autore e, ciò nonostante, riportare delle informazioni storiche sostanziali. Non vi è storico serio che possa scartare le Antichità. giudaiche di Flavio Giuseppe o Le vite dei Cesari di Svetonio per il semplice fatto che sono intessute di pettego­ lezzi e di esagerazioni. Invero, riconoscere i modi in cui Luca plasma e model­ la, dal punto di vista letterario, il suo racconto è un passo importante per rico­ noscere il genere di storia che egli tenta di scrivere. C. Gli Atti come apologia

Luca non aveva alcuna intenzione di scrivere Wl testo scientifico imparzia­ le - anche se dovesse esistere una cosa del genere. Ci racconta che egli scrive al­ lo scopo di dare la «piena certezza» (asphaleia) ai suoi lettori per il modo in cui racconta le cose «in ordine» (kathexes, cf Le 1,3). Nel suo insieme Luca-Atti an­ drebbe letto come un'apologia sotto forma di narrazione storica. L'onere della difesa di Luca non è quello di voler dimostrare il carattere filantropico del mo­ vimento cristiano (per influenzare l'impero romano) o la benevolenza dell'im­ pero (per influenzare i credenti). Né scrisse solo per una difesa di Paolo men­ tre questi subiva il processo davanti alle autorità imperiali, o per voler model­ lare la difesa di Paolo come maestro di Israele davanti a una giuria di giudeo­ cristiani teologicamente influenti. Nel senso più ampio, l'apologia di Luca è piuttosto una teodicea. Il suo sco­ po è quello di difendere l'opera di Dio nel mondo. Il testo Luca-Atti è manife­ stamente rivolto a un pubblico più vasto sotto le spoglie di letteratura elleni­ stica, ma il suo fine ultimo è quello di costruire una continuazione del raccon­ to biblico per i credenti del popolo dei Gentili, allo scopo di aiutarli a capire il mistero o l'enigma sorto dalla loro recente esperienza. A livello più ovvio, Luca-Atti celebra il successo della missione presso il po­ polo dei Gentili. Le ultime parole di Paolo negli Atti, «sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l'ascolteranno!» (28,28), vanno intese come una profezia che - come tutte le profezie -è porta­ ta adesso a compimento. Teofilo e i lettori che egli rappresenta sono tra i frutti di questa missione. Buona parte del racconto in Atti è volta a dimostrare come Dio ha voluto e ordinato questa sorprendente scelta di «scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome» (At 15,14) e come gli agenti umani di que­ sta espansione abbiano dovuto lottare per tenere il passo con l'iniziativa di Dio e per capirla (cf in particolare At 10-15). Il Vangelo di Luca sin dall'inizio ha an­ nunciato che > di Luca, os­ sia le dichiarazioni pronunciate nei punti critici del racconto che forniscono un valido commento agli eventi successivi. L'esempio più ovvio di una simile pro­ fezia programmatica è l'annuncio di Gesù in At 1,8 quando dice che i suoi di­ scepoli gli saranno testimoni a Gerusalemme, in Giudea e Samaria, e fino agli estremi confini della terra; il resto degli Atti, come abbiamo visto, rappresenta l'adempimento narrativo di quella profezia (cf anche 3,22; 11,27; 13,46-47; 19,21; 20,25; 21,11; 23,11; 27,22; 28,28). Un tale adempimento della profezia non solo serve a rafforzare la presentazione da parte di Luca dei missionari quali figure profetiche mosse dallo Spiritq, ma anche ad aiutare il lettore a intendere come «le cose che si sono adempiu� fra di noi» sono eventi preordinati da Dio. Tal­ volta Luca si serve di questo schema con tanta precisione che gli avvenimenti immediatamente susseguenti una dichiarazione profetica servono da adempi­ mento della stessa dichiarazione, spesso in modo ironico (cf, ad esempio, 7,5160 e 13,40.48-49). E. La struttura profetica di Luca-Atti

L'uso letterario della profezia da parte di Luca arriva fino alla descrizione dei suoi protagonisti e alla strutturazione generale dell'opera intera in due vo­ lumi. L'impiego assai diffuso dell'immaginativa e dello schema profetico è la chiave per capire come Luca sia riuscito in modo tanto convincente a imposta­ re il racconto di Gesù e degli inizi del cristianesimo come prolungamento del­ la storia biblica. La prima parte degli Atti è di particolare importanza per capi-

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gli intenti letterari e religiosi d i Luca, giacché in questa parte del racconto l'autore non si è trovato molto limitato dalle esigenze della tradizione. Il letto­ re di questo commentario potrebbe voler consultare l'esposizione molto più ampia che si trova nell'Introduzione al commentario del Vangelo secondo Lu­ ca. I punti principali dell'esposizione sono i seguenti: re

l. Luca descrive gli apostoli come profeti: negli Atti tutti i credenti ricevono lo Spirito Santo, ma Luca ricorre a una forma immaginativa stereotipa per de­ scrivere i suoi protagonisti, una forma immaginativa che nel linguaggio bibli­ co è chiaramente profetica. 2. Gesù è descritto come un profeta simile a Mosè: lo spirito profetico éhe opera negli apostoli proviene dal Gesù risorto, che s'identifica nel profeta «si­ mile a Mosè», promesso in Dt 18,15-18, e che ora è il «profeta risorto», colui che parla in maniera autorevole mediante i prodigi e i discorsi degli apostoli. 3. Mosè rappresenta lo schema profetico di base: nella parte che riguarda il discorso di Stefano (A t 7) dedicato a Mosè, Luca struttura il racconto in mo­ do da farlo corrispondere esattamente alla storia di Gesù come lui stesso ce la racconta: il profeta è inviato all'inizio a salvare Israele, ma il popolo lo rifiuta proprio per la sua ignoranza. Egli è costretto ad andarsene, ma mentre è in esi­ lio riceve i pieni poteri da Dio e viene inviato per la seconda volta a offrire la salvezza, e questa volta con segni e prodigi potenti. Se il P?Polo dovesse re­ spingerlo di nuovo, esso, anziché lui, andrebbe in esilio. E in questo modo che Luca comprende come la storia di Gesù «sta in Mosè e in tutti i profeti» (Le 24,27). 4. Lo schema profetico caratterizza il testo Luca-Atti: i primi capitoli del li­ bro degli Atti, in particolare il discorso di Stefano, rappresentano la chiave di lettura necessaria per capire che Luca-Atti è la storia del «profeta e del popolo». Luca si serve dello schema profetico stabilito dalla sua lezione della storia di Mosè per svolgere tutta la sua opera in due volumi. Il Vangelo rappresenta il tempo del primo invio del profeta. ll libro degli Atti continua la storia del se­ condo e più potente invio del profeta al popolo, con l'offerta di una seconda possibilità di accettare la «visitazione di Dio» e quindi la salvezza. 5. Il libro degli Atti degli Apostoli andrebbe letto alla luce del Vangelo: pro­ prio come il primo volume di Luca può essere meglio compreso alla luce degli schemi letterari stabiliti nella prima parte di Atti, in modo che gli elementi re­ lativi alla presentazione di Gesù, dei discepoli e dei loro oppositori che, tutto sommato, potrebbero altrimenti rimanere impliciti, siano invece rivelati in for­ ma più chiara e più esplicita; il racconto in Atti va letto come continuazione e conferma del racconto evangelico. Il Vangelo ci mostra Gesù come il profeta in­ viato da Dio a «visitare il suo popolo» e che attua la sua missione della «buona novella ai poveri» con opere di pietà e con il suo insegnamento - ciò che è chia­ mato nel prologo degli Atti «tutto quello che Gesù fece e insegnò» (At 1,1 ). Il suo invito ai poveri e il rifiuto di unirsi al popolo di Dio ricostituito è ascoltato da loro con gioia, ma i capi del popolo lo respingono e lo condannano a morte. Dopo la risurrezione, egli appare a coloro che lo avevano seguito nel suo mi­ nistero, e ai quali dice di attendere in città finché non riceveranno «la potenza

In t r o d u z io n e

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dall'alto)) (Le 24,49), il che consentirà loro di predicare a tutte le genti nel suo nome «cominciando da Gerusalemme)) (Le 24,47). La polarizzazione geografica del racconto di Luca a Gerusalemme e lo sche­ ma di accettazione o rifiuto del profeta di Dio convergono nel racconto sulla fondazione della comunità cristiana in At 1,7. Qui la storia del profeta e del po­ polo raggiunge il suo apice. Manderà Dio di nuovo il profeta alle genti con una seconda offerta di salvezza ed esse respingeranno ancora una volta il profeta? Saranno esse allora respinte definitivamente dal popolo di Dio? Oppure, l'of­ ferta delle benedizioni sarà accolta in seno al popolo giudaico? Queste dram­ matiche domande sono poste e trovano risposta proprio in questi capitoli. Per quanto lungo, dettagliato o affascinante possa essere il resto del racconto negli Atti, in termini drammatici esso deve essere rigorosamente considerato come un epilogo. Il problema riguardante la fedeltà di Dio al suo popolo viene risol­ to nel racconto in At 1-7; il resto della storia porta semplicemente quella deci­ sione a una felice conclusione. F.

Temi religiosi

Nell'Introduzione del commentario al Vangelo secondo Luca, troviamo ri­ portati e discussi numerosi argomenti religiosi che nel complesso si applicano al testo di Luca-Atti: affermazione mondiale, grande capovolgimento, salvez­ za, parola di Dio, conversione, risposta della fede. Negli Atti emergono in mo­ do più esplicito anche vari altri temi religiosi, la cui conoscenza può trasfor­ mare la lettura del drammatico racconto di Luca in un'esperienza molto più ric­ ca, prospettando certe costanti preoccupazioni religiose che nella narrazione del racconto possono anche non apparire ovvie in superficie.

l. Lo Spirito Santo D libro degli Atti degli Apostoli può essere giustamente chiamato «il libro dello Spirito Santo)). Luca non solo riporta cinque racconti separati sulla di­ scesa dello Spirito Santo sui credenti (2,1-4; 4,28-31; 8,15-17; 10,44; 19,6), deli­ mitando, come si noterà, lo sviluppo geografico e demografico della «parola di Dio)) ma mostra anche lo Spirito che interviene attivamente nel racconto, sti­ ' molandolo e guidandolo (cf At 8,29.39; 10,19; 11,15; 13,2; 15,28; 16,6; 20,22; 21,4.11). Poiché Luca, ben sapendo che questo Spirito è lo «spirito della profe­ zia)) (At 2,17-21) proveniente dal Risorto (2,33), è in grado di collegare Gesù e i suoi seguaci in una successione profetica come quella di Mosè e Giosuè (Dt 34,9) o di Elia ed Eliseo (2 Re 9-14). Qui, però, c'è qualcosa che è più di una tecnica letteraria, dato che Luca ha afferrato il principio paolina secondo cui l'opera essenziale dello Spirito non è estrinseca bensì intrinseca, ed è la trasformazione dell'identità umana. L'ope­ ra dello Spirito Santo non è rivelata solo in quelle manifestazioni spettacolari che sono «il parlare in altre lingue e il profetizzare», sebbene Atti abbia molti episodi del genere (2,4; 10,44-46; 13,2; 19,5-6; 21,7-11); proclamare e compiere

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prodigi «nel nome d i Gesù» non è un'opera che s i trova solo nelle capacità dei missionari, ma soprattutto e anche in quelle loro capacità di imitare le soffe­ renze del Messia (5,41; 7,59; 9,16; 12,4; 14,22; 16,23; 20,19.22-24.35; 21,11-14). Stabilendo una funzione narrativa per lo Spirito Santo, Luca ha fatto un note­ vole passo avanti verso il riconoscimento teologico dello Spirito Santo come «persona». 2. La vita della Chiesa Ovviamente Luca considera lo Spirito Santo come il «principio della vita» della Chiesa, e nel suo racconto egli ci trasmette un ritratto del popolo messia­ nico di Dio così completo da fare impressione. Come Paolo, anche Luca è pri­ ma di tutto un testimone della convinzione che la preoccupazione di Dio nella storia sia quella di costituire «un popolo per consacrarlo al suo nome» (15,14). Luca pensa in termini di realtà sociale della «Chiesa» (ekklèsia; 5,11; 8,1 .3; 9,31; 11,22; 12,1.5; 13,1; 14,23.27; 15,3.22; 16,5; 18,22; 20,17.28). Nei «sommari princi­ pali» di At 2,42-47 e 4,32-37, il narratore descrive brevemente la vita interna di questa comunità in termini idealistici: praticare il battesimo accompagnato dal­ la discesa dello Spirito Santo, ascoltare l'insegnamento degli apostoli, essere di una stessa mente e di uno stesso cuore, mettere in comune i propri beni, rompere il pane alla propria mensa, unirsi agli altri in preghiera. Che queste descrizioni non siano però interamente idealizzate lo vediamo nella narrazione dal ripetersi di queste attività nelle brevi descrizioni della vi­ ta della comunità, dando risalto ai successi della missione degli apostoli. In tal modo egli moltiplica i casi di preghiera della comunità e di adorazione (1,24; 4,24-30; 6,4.6; 12,5.12; 13,2; 16,25; 20,36; 21,5.14), ivi compreso lo spezzare il pa­ ne (20,7). Luca ci mostra, inoltre, come le comunità mettevano in comune i pro­ pri beni (6,1-7; 11,27-30), e ascoltavano l'insegnamento degli apostoli (6,1-7; 11,1-18; 15,30-35; 20,7-12.1 7-35). A loro volta gli apostoli non sono semplice­ mente degli evangelisti itineranti, ma sono i capi della comunità, che si preoc­ cupano della propria identità e della propria stabilità, ivi compresa l'istituzio­ ne di capi locali (6,1-7; 8,14-24; 11,22-26; 14,21-23; 15,22-27.31-32.36; 19,21-22; 20,2.17.28). 3. Discernimento dell'attività di Dio Luca, nella cura che pone nel descrivere l'azione decisionale degli uomini, riunisce i temi della Chiesa e dello Spirito Santo. La missione, come si è visto, è voluta, iniziata, stimolata e guidata da Dio mediante lo Spirito Santo. Dio precede gli altri protagonisti, ma a livello umano Luca mostra quanto sia diffici­ le e complesso lo sforzo della Chiesa per mantenersi al passo con l'azione di Dio, per seguire le iniziative di Dio, per capire i precedenti che si vengono a sta­ bilire. Luca descrive attentamente varie grandi decisioni adottate dalla Chiesa nei suoi primi giorni di vita: l'elezione di Mattia (1,15-26), la risoluzione di con­ tinuare a pregare nonostante le persecuzioni (4,23-31); la scelta dei sette (6,1-6); l'accettazione di Paolo come apostolo dalla comunità gerosolimitana (9,26-30).

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Tutta la narrazione riportata in At 10-15 è dedicata, in modo più dettaglia­ to, alle varie fasi della decisione ecclesiastica relativa all'ammissione e alla si­ tuazione dei Gentili. Con abilità artistico-letteraria e con genuina sensibilità teologica, Luca mostra, attraverso la narrazione stessa, come le varie esperien­ ze dell'azione divina da parte dei singoli assurgano lentamente a livello di rac­ conto comunitario, che a sua volta deve essere verificato da tutta la comunità in un delicato e difficile processo di dissenso, dibattito e discernimento della Scrit­ tura. Con una narrazione attentamente ben costruita, Luca trasmette una vi­ sione della Chiesa come comunità di prediche morali e di discernimento dello Spirito. 4. Universalità L'opera dello Spirito Santo nella storia non si limita a precedenti stabiliti dalla percezione umana, dall'istituzione o dalla Scrittura. Il dramma essenzia­ le del racconto di Luca è nell'avanzata impetuosa ed elettrizzante dell'opera dello Spirito. Il vento che investe i Dodici e i loro compagni a Pentecoste non è inteso da Luca come una potenza destinata unicamente a loro, ma come una potenza prima per la restaurazione di Israele, e poi per la salvezza di tutti gli es­ seri umani. Non poteva esserci un modo migliore per far capire che lo stesso Spirito operante nel Messia, che annuncia la buona novella ai poveri e ai reiet­ ti tra le genti, invitandoli a sedersi alla mensa di Dio, opera anche nei suoi se­ guaci, nonché per mostrare poi i successori profetici di Gesù che annunciano la stessa offerta universale di salvezza, non solo a quelli che per retaggio fanno parte del «popolo di Dio», ma a «tutti quelli che sono lontani, quanti ne chia­ merà il Signore Dio nostro» (At 2,39). La più chiara espressione del tema di universalità è la missione presso i Gen­ tili, che domina il racconto di Luca dopo il c. 9. Per Luca l'esordio è la predica­ zione epocale alla casa del centurione Cornelio (10,34-48), subito seguita dalla missione presso i Greci di Antiochia (11,19-25) e dalle lunghe campagne di Pao­ lo con i suoi coadiutori Barnaba, Giovanni detto Marco, Sila, Timoteo, Aquila, Priscilla, Apollo, Erasto, Sòpatro, Aristarco, Secondo, Gaio, Tichico e Trofimo l'Efesino (cf cc. 13-21). Ma ancor prima di ciò, Luca ci mostra l'annuncio della buona novella ai detestati Samaritani (8,4-13), all'eunuco etiope (8,27-39) e al popolino nelle città di Lidda e Giaffa (9,32-43). Questi primi slanci rappresen­ tano una continuazione del grande abbraccio di Gesù verso gli elementi di­ sprezzati ed emarginati del popolo. La conversione dei Gentili è il più chiaro esempio della convinzione di Lu­ ca che tutte le genti saranno salvate «per la grazia del Signore Gesù» (15,11), ma non è l'unico esempio. Il tema dell'universalità si ritrova nel modo in cui la missione dei cristiani è offerta a tutti, potenti o deboli, ricchi o poveri, maschi o femmine: il messaggio è costantemente enunciato attraverso il proclama o l'azione misericordiosa rivolta verso le povere vedove (9,39), i semplici cittadini (14,15-18), i mercanti (16,14), i detenuti (16,30-32) e i marinai (27,25), nonché i potenti ufficiali militari (10,34-48), i proconsoli (13,7), i governatori (24,10), i re (26,2) e i filosofi (17,18).

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Stando così l e cose, ci dovremmo aspettare anche che la salvezza resti vali­ da per i Giudei, perché essi sono soprattutto il popolo che Dio ha visitato. Lu­ ca lotta contro quella realtà storica, che la maggioranza dei Giudei della prima generazione non volle accettare l'offerta salvifica rappresentata dal profeta Ge­ sù, e che nella sua stessa generazione la missione presso i Giudei appare rudi­ mentale o futile. Come si è visto, l'elaborazione del racconto lucano risponde alla crisi di fede che lo sviluppo storico presenta ai credenti fra i Gentili. Mal­ grado tutto ciò, Luca non perde mai di vista la «speranza di Israele)) (28,20). Come nel Vangelo, Luca si rifiuta di definire totale o uniforme il rigetto dei Giudei. Nell'episodio di Gerusalemme sono i capi e gli anziani dei Giudei a opporsi agli apostoli come avevano fatto con Gesù (4,1-2.5-21; 5,17-42; 6,12-15; 9,1-2). Qui la gente comune appare non solo favorevole verso la Chiesa (2,47), ma si converte in gran numero in seguito all'annuncio degli apostoli. Luca fa notare la progressiva crescita della comunità (costituita da Giudei) in 2,41.47; 4,4; 5,14; 6,1.7, e precisa che la crescita è dell'ordine di migliaia (2,41; 4,4). Una notevole porzione del giudaismo storico a Gerusalemme diventa, in breve, par­ te del ricostituito popolo di Dio. Come si è visto, la restaurazione a Gerusalemme è un elemento importante nella discussione apologetica di Luca, dimostrando così che Dio è fedele al suo popolo storico. Ciò apre la strada alla sicura diffusione della buona novella ai Gentili, ma Luca non dimentica Israele. Persino a Pentecoste, nel numero di coloro che si convertono sono compresi i pellegrini giudei della diaspora (2,511). E all'inizio della sua missione, vediamo che Paolo predica prima di tutto e con coerenza ai suoi compagni giudei nella sinagoga (13,5; 14,1; 16,13.16; 17,12.10; 18,4; 19,8). E anche se il messaggio paolina viene colà respinto, Paolo di­ chiara in modo molto esplicito che si rivolgerà allora ai Gentili (13,46-47; 18,6), pur non smettendo mai di adoperarsi con zelo per convincere i suoi compagni giudei. Invero, nella scena finale del libro degli Atti troviamo Paolo che predi­ ca Gesù proprio ai capi giudei di Roma «in base alla Legge di Mosè e ai Profe­ ti» (28,23). Per di più, Paolo riporta anche un certo successo persino nella diaspora. In ogni punto Luca mostra che tra i Giudei il rifiuto del Vangelo non è totale, ma parziale. Molti Giudei e molte persone timorate di Dio si uniscono alla Chiesa (13,43.49; 14,1; 17,4.11; 19,9). L'opposizione e il rifiuto non vengono da tutti, ma da «qualcuno» (19,9), anche se quel «qualcuno» sembra essere talvolta pro­ prio la maggioranza (17,5; 18,6). Il fatto è che Luca non ha alcun bisogno di presentare un suo qualsiasi successo. La sua ripetuta enfasi su questo fatto è in­ tenzionale. Il libro degli Atti non termina comunque con il totale abbandono dei Giudei; nonostante l'uso che Paolo fa dei versetti di Isaia sulla «cecità» e la sua svolta programmatica verso i Gentili, «essi l'ascolteranno)) (28,28), perché persino in quel posto alcuni capi giudei «aderirono alle cose da lui dette» (28,24). La storia del testo Luca-Atti nel suo insieme ci dimostra che per quan­ to possa essere difficile discernere tra la complessità degli eventi storici, la vo­ lontà di Dio rimane costante nel «ricercare un popolo per il suo nome)>, il che si­ gnifica tanto la visitazione dei Gentili quanto la riedificazione «della tenda di Davide che era caduta)) (Am 9,11; At 15,14-16).

In troduzione

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BIBLIOGRAFIA GENERALE

Questa selezione fra un'enorme serie di volumi riporta soltanto alcuni tito­ li che saranno molto utili per la lettura del libro degli Atti. La bibliografia si ac­ cavalla, in un certo senso, a quella relativa al Vangelo secondo Luca, sebbene il presente elenco sia concentrato particolarmente sul libro degli Atti. Per riferi­ menti più tecnici su punti specifici di questo studio (ivi compresi anche i testi non in lingua inglese) si veda alla fine di ogni singola parte del commentario; anche i riferimenti più completi rappresentano solo un piccolo esempio di una bibliografia che con il tempo va sviluppandosi sempre più. Forse la bibliogra fia più esauriente fino al 1984 è quella di R. PESCH, Die Apostelgeschichte, 2 voli. (EI> (che vanno intesi come Mosè ed Elia) in Ap 11,12. Si trova una nuvola anche nel­ l'ascensione di Enoc in 2 Enoc 3,1 (mentre in 1 Enoc 39,3 è un turbine d'aria), nella mor­ te di Mosè narrata da Giuseppe in Antichità giudaiche 4,326 e in modo ancor più detta­ gliato nella descrizione dell'ascensione di Gesù riportata nell' Epistula Apostolorum 51. C'è anche un'altra traduzione del termine hypolambano secondo cui la nuvola «lo ac­ coglierebbe» sottraendolo così alla loro vista (Haenchen). 10. due uomini in bianche vesti: Questa descrizione ricorda i «due uomini in vesti sfolgo­ ranti» - che a sua volta riporta alla descrizione di Mosè ed Elia, nella trasfigurazione ­ visti dalle donne presso la tomba di Gesù (Le 24,4), che parlano con il Signore dell'e­ xodos che stava per compiere in Gerusalemme (Le 9,30). L'all usione pare più probabi­ le dato che sia Mosè che Elia sono figure alle quali la tradizione ha riconosciuto un'«ascesa al cielo» (cf Dt 34,6; 2 Re 2,11-12; Filone, Vita di Mosè 2,291). 11. Uomini di Galilea: La traduzione mantiene qui «uomini» poiché il greco ha andres, come si ha anche in 1,10. In effetti, il vocativo di aner è usato spesso negli Atti per le conver­ sazioni in pubblico (1,16; 2,14.22.29.37; 3,12; 5,35; 7,2; 13,15-16, ecc.). L'origine galilea dei primi cristiani è stata ripetutamente sottolineata nell'ultima parte del Vangelo (Le 22,59; 23,5.49.55). La dichiarazione fatta ai due uomini ricorda molto quella rivolta al­ le donne presso il sepolcro vuoto (cf l'interpretazione). Questo Gesù: Gesù scompare definitivamente dalle pagine del libro degli Atti. n suo no­ me è citato ottantasei volte, circa, nel Vangelo, mentre appena sessantotto volte nel li­ bro degli Atti. L'espressione «questo Gesù» (houtos ho lésous) ricorre in 2,32.36 e ricor­ da le parole «questo Mosè)) in 7,35.

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tornerà u n giorno allo stesso modo: I l testo greco dice letteralmente «verrà così, nel modo in cui voi l'avete visto andare». L'analogia parrebbe essere la nuvola che, nella visione di Daniele - riportata nel Nuovo Testamento (Dn 7,1 3) - diventa il veicolo per l'attesa del futuro ritorno di Gesù come Figlio dell'uomo (Mt 24,30; 26,4 4; Mc 13,26; 14,62; Ap 14,14; Le 21,27). Luca ripete quattro volte la frase «in cielo)) (eis ton ouranon) nei vv. 10· 11. Il Codice D omette la terza ripetizione, ma essa probabilmente dovrebbe essere compresa nell'accento posto all'inizio da Luca (cf At 7,55-56). I N T E R P R E TA Z I O N E

Conforme al consiglio di Luciano di Samosata, riportato nel suo trattato Co­ me scrivere la storia 55, il prologo di Luca nel secondo volume non solo è più bre­ ve di quello del Vangelo, ma riassume brevemente il contenuto del primo rac­ conto prima di passare oltre. Ritroviamo la stessa prassi in Giuseppe, Contro Apione 1,1 e 2,1 E importante ricordare il carattere riassuntivo di At 1,1-11, se il lettore non vuole essere distratto inutilmente dalle questioni riguardanti i va­ ri e contrastanti racconti dell'ascensione. Luciano avverte lo storico: «Il primo e secondo tema non devono essere semplicemente vicini, ma devono avere in comune il soggetto e l'accavallamento». Il modo migliore per capire il senso della parte introduttiva del libro degli Atti è pertanto quello di afferrare che non solo i primi cinque, ma i primi undici versetti nella loro interezza servono da passaggio a una nuova fase del rac­ conto, passaggio in cui l'autore non presenta un soggetto nuovo, anzi rielabo­ ra e approfondisce una parte del racconto precedentemente narrata. Credo che il lettore farebbe bene a prendere i segni e le parole che si trovano in At 1,1-11 come una variante minuziosa di quelli che si trovano in Le 24,36-53. Le limitazioni imposte dalla forma del prologo agiscono da compenso a una sintassi alquanto ingarbugliata, ma Luca cerca di supplire a questa critica, ab­ bastanza suggestiva, del contenuto del Vangelo: l) insegnamento e azioni di Gesù nel suo ministero; 2) scelta degli apostoli; 3) sofferenze di Gesù; 4) appa­ rizioni di Gesù post-risurrezione; 5) pasti consumati con i discepoli; 6) incari­ co loro affidato come suoi testimoni da Gerusalemme alle nazioni della terra; 7) promessa dello Spirito Santo; 8) ascesa al cielo. Che importa se i dettagli sono diversi o se la disposizione dei fatti non è del tutto identica? Questa parte del racconto è, a malapena, una questione storico-scientifica, comunque essa sia narrata. Dopotutto l'oggetto è la trasformazione spirituale e l'investitura di certi poteri dall'alto. Riconoscendo a quest'introduzione una sua funzione letteraria, possiamo osservare più da vicino gli elementi che secondo Luca sono importanti e van­ no approfonditi e sottolineati per meglio comprendere la parte successiva del suo racconto. Notiamo che per Luca è più che sufficiente accennare brevemen­ te al ministero, alla sofferenza e alla risurrezione. Pone, invece, un accento spe­ ciale sulla questione rivolta a Gesù dai suoi seguaci in merito alla profezia sul­ la loro missione di testimoni e sul messaggio datoai discepoli al momento del­ l'ascensione. Prendere in considerazione questi elementi significa riconoscere l'importanza che Luca assegna a questa seconda parte del racconto sul profe­ ta e sul popolo. .

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La domanda dei discepoli sulla restaurazione del regno di Israele (1,6) segue naturalmente il discorso di Gesù sul «regno di Dio» (1,3). La curiosità ci porta a chiedere: qual è il rapporto tra questi regni e come si ricollegano essi alla so­ vranità di Gesù, quella che Luca, nell'ultima parte del suo Vangelo, si è tanto preoccupato di stabilire (cf Le 11,2.20; 12,22; 13,18-21; 17,20-21; 19,11-27.38; 22,29; 23,2.37.38.42)? In questa domanda viene messa in dubbio la legittimità della pretesa di Gesù di essere il Messia, come pure la sicurezza dei Gentili di far parte del popolo di Dio. La risposta fornita da Gesù è sfumata e quindi non del tutto soddisfacente, in quanto svia la speculazione sui «tempi e i momen­ ti», senza però negare che tutto ciò rientra nei poteri di Dio (1 ,7). In senso piuttosto rilevante Gesù sposta l'attenzione dalla «Conoscenza» al­ la missione, e in ciò vediamo non solo un'antitesi drammatica tra la preoccu­ pazione dei Vangeli apocrifi ultimi e l'opera rivelatrice del Signore risorto (co­ me, ad esempio, Epistula Apostolorum, Pistis Sophia, La sapienza di Gesù Cristo), ma anche la vera risposta alla restaurazione del «regno» di Israele. La risposta di Gesù implica una ridefinizione del «regno» e pertanto del modo di capire che Gesù è il Messia. Il regno di Dio non è un territorio o un reame politico. È la legge di Dio nei cuori umani. Inizia con l'opera profetica di Gesù, non solo con esorcismi e guarigioni, ma soprattutto con la «guarigione del popolo»: la chiamata dei reietti nel Regno. E siccome Gesù è investito dei poteri di Re-Mes­ sia, egli può concedere lo Spirito Santo ai suoi successori apostolici attraverso il cui governo la sua legge verrà esercitata sulle genti (At 2,33-36). Pertanto, per Luca, il «regno di Israele» significa la restaurazione di Israele come popolo di Dio. Per lui, ciò vuoi dire che esso riceverà lo Spirito Santo, rico­ noscerà gli apostoli come guide del popolo e beneficerà delle benedizioni mes­ sianiche di amicizia e armonia spirituale (At 2,41-47; 4,32-37). La restaurazione del regno di Israele avverrà attraverso la testimonianza degli apostoli quando essi avranno ricevuto la «forza dallo Spirito Santo» (1,8). In nessun modo, quindi, Luca respinge l'idea del ripristino della legge di Dio per Israele, o la sostituisce semplicemente con una nozione più universale del «regno di Dio». Esprime, invece, una nuova definizione della legge di Dio come la legge per un popolo ubbidiente, e collega in forma dialettica la ricosti­ tuzione di questo popolo in seno a Israele alla missione universale «agli estre­ mi confini della terra»: l'una precede l'altra, la seconda si edifica sulla prima. Luca con la lezione del suo racconto invita il lettore a scoprire il mistero dei «tempi e dei momenti». Con Gesù che risponde alle pressanti domande dei discepoli e dei lettori, al­ l 'inizio del suo secondo volume, Luca approfondisce maggiormente la sua esposizione letteraria di Gesù come profeta. Gesù impartisce le sue disposi­ zioni ai discepoli, ma nel senso più ovvio predice anche il loro futuro (1,8). Dal­ la trama successiva il lettore apprenderà come si adempie la «profezia pro­ grammatica» di Gesù, giacché lo scenario geografico del racconto si adatta esat­ tamente a quanto da lui preconizzato. Già tre volte è stato menzionato lo Spirito Santo: come artefice della scelta di Gesù per il mandato agli apostoli (1,2); come il battesimo che darà loro «la pro­ messa del Padre» (1,4-5) e come forza dall'alto che darà loro la capacità di es-

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sere suoi testimoni (1,8). La ripetizione crea un'anticipazione dell'immediato adempimento della profezia. Ma Luca fa capire anche che gli strumenti con i quali opera lo Spirito Santo, così come ha operato in Gesù, saranno proprio gli apostoli. Così come lui è un profeta, essi pure saranno figure profetiche. Siamo pertanto spinti a riconoscere nell'ascensione di Gesù la condizione adatta per la trasmissione della potenza profetica come si trova nei racconti di Mosè (Dt 34,9) e di Elia (2 Re 2,9-22). Questa sequenza ci è data anche dalla frase «mi sa­ rete testimoni» (martyres mou), poiché l'ambiguità del genitivo greco ci con­ sente un duplice significato: gli apostoli testimorueranno verso Gesù e saranno anche i suoi testimoni, ossia i suoi rappresentanti profetici verso le genti. Il racconto dell'ascensione di Gesù, narrato da Luca, è unico nel Nuovo Te­ stamento, ma non nella letteratura ellenistica. Il poeta romano Ovidio, nelle Metamorfosi 14,805-851, narra l'ascensione di Romolo al cielo: il fondatore del­ la città continua a legiferare persino quando ascende al cielo degli dei (cf anche Ovidio, Fasti 2,481-509). Nella tradizione giudaica, l'ascensione di Elia in un carro di fuoco e in un turbine di vento (2 Re 2,11) è veramente favolosa e stabi­ lisce un precedente per la narrazione di altre ascese al cielo, come quella di Enoc che sale al cielo in un turbine di vento (1 Enoc 39 ,3). Nel volume Antichi­ tà giudaiche, Giuseppe pare preoccupato nel raccontare in termini naturalistici la scomparsa di Mosè «in una nube», sì da evitare la suggestione di un ritorno alla divinità. Ma Filone narra l'ascensione di Mosè in maniera analoga a quel­ la di Ovidio per Romolo: Mosè continua a profetizzare anche quando ascende (Vita di Mosè 2,29 1 ). Lavorando sulla versione di Luca e su altre tradizioni, l'a­ scensione di Gesù appare ancor più particolareggiata nei racconti riportati in certi scritti cristiani apocrifi come l'Apocrifo di Giacomo 14-16, 1'Epistula Aposto­ lorum 5 1 e Il martirio e l'ascensione di Isaia 11,22-33. Il modo specifico in cui Luca narra l'ascensione può essere rapidamente spiegato. Prima di tutto, per Luca si tratta chiaramente dell'investitura di Ge­ sù a re e pertanto a Messia. Mediante quest'ascesa, Luca ci permette di conce­ pire il Gesù risorto, non come un cadavere risuscitato o un fantasma, ma come un essere vivente in potenza (LXX Sal 109,1; A t 2,34-36; 7,55). Secondo, per Lu­ ca la rimozione fisica di Gesù è la condizione per il dono dello Spirito Santo. Mosè deve andarsene affinché Giosuè possa operare con il suo spirito profeti­ co (Dt 34,9); Elia deve partire affinché Eliseo possa ottenere una doppia parte del suo spirito profetico (2 Re 2,9) Finché Gesù rimase fisicamente presente, egli lo fu solo per quelli che incontrava direttamente; mediante lo Spirito egli diviene potentemente presente a molti attraverso i suoi successori profetici. Queste osservazioni possono aiutarci a capire altri due aspetti del racconto piuttosto sobrio dell'ascensione vera e propria. Nella tradizione biblica il sim­ bolismo della nube è connesso non solo al Figlio dell'uomo (cf note), ma ancor di più alle figure profetiche di Mosè (Es 19,16) e di Elia (l Re 18,44). Questo collegamento ci porta a considerare più attentamente l'azione dei discepoli e il messaggio rivolto a loro dai due uomini. Indubbiamente i due fatti vanno pre­ si insieme. Ovvia è l'analogia tra questi due uomini in vesti sfolgoranti e quel­ li accanto a Gesù durante la trasfigurazione (Le 9,30), come pure i due uomini che parlano alle donne presso il sepolcro vuoto (Le 24,4-5). Ci sono validi mo.

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tivi per pensare, con l'aiuto dell'immaginazione, che essi siano i precursori pro­ fetici di Gesù che ascendono al cielo, vale a dire Mosè ed Elia (cf in particolare Le 9,31 e la nota a Le 24,4). Inoltre il modo in cui gli uomini rivolgono la domanda ai discepoli richiama formalmente l'acuta interrogazione rivolta dai due uomini alle donne che si erano recate al sepolcro, ossia: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?», su­ bito seguita dalla rettifica: «Non è qui, è risuscitato» (Le 24,5-6). E ancora: «Per­ ché rimanete a guardare verso il cielo?», seguita poi dalla rettifica: «Tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo» (At 1,11). L'errore delle donne che stanno cercando il vivente tra i sepolcri appare ovvio. Ma co­ sa c'è di tanto strano negli apostoli che guardano verso il cielo? Forse anche in questo caso il prototipo letterario di Elia ci fornisce la chiave per risolvere il problema. Prima che Elia scomparisse, Eliseo gli chiese la dop­ pia parte del suo spirito profetico, ed Elia rispose che quella era una richiesta difficile, ma che se Eliseo fosse riuscito a vederlo mentre partiva, allora avreb­ be ricevuto ciò che chiedeva, in caso contrario nulla avrebbe ricevuto (2 Re 2,10). Eliseo lo vide mentre scompariva con il carro di fuoco e nel turbine. L'ac­ cento posto da Luca sulla frase «fu elevato in alto sotto i loro occhi>) mentre ascendeva al cielo (At 1,9) riprende questo tema letterario; sappiamo che essi ri­ ceveranno lo Spirito Santo promesso, ma perché ciò avvenga essi devono os­ servare il comandamento di ritornare a Gerusalemme e ivi aspettare che la po­ tenza dall'alto scenda su di loro. Pertanto il messaggio dei due uomini (forse Elia e Mosè) ha la stessa dupli­ ce funzione del messaggio rivolto alle donne che si trovavano al sepolcro. Cer­ cando Gesù nel sepolcro, le donne attestano che Gesù non c'è, è risorto. Ma poi viene loro detto di «ricordare» che questa è la profezia di Gesù che si è realiz­ zata (Le 24,6-8). Il racconto della tomba vuota ci riporta al ministero di Gesù e, a sua volta, il racconto dell'ascensione ci conduce al ministero dei suoi succes­ sori. I due uomini, pertanto, confermano adesso che Gesù è stato assunto al cielo e che i discepoli ne sono stati i testimoni, ma non devono restare là a guar­ dare, poiché la potenza di Gesù sarà con loro esattamente con la discesa dello Spirito Santo che stanno per ricevere. Ora devono rientrare a Gerusalemme, per ricevere la potenza dall'alto e adempiere la loro testimonianza profeti ca. PER

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2. Preparazione del popolo (1,12-26) 12. Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Ge­ rusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. 13. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C'erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filip­ po e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. 14. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui. 15. In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone radunate era circa centoventi) e disse: 16. «Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fe­ ce da guida a quelli che arrestarono Gesù. 17. Egli era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. 18. Giuda comprò un pezzo di terra con i pro­ venti del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. 19. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusa­ lemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. 20. Infatti sta scritto nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta, e nessuno vi abiti il suo incarico lo prenda un altro. 21. Bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Si­ gnore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, 22. incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, te­ stimone della sua risurrezione». 23. Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia. 24. Allora essi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato 25. a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto». 26. Get­ tarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli. NOTE 12. monte detto degli Ulivi: Questo luogo è menzionato solo nella versione di Luca, quando

Gesù sale verso Gerusalemme (Le 19,29) e anche quando Gesù insegna nel tempio (e di notte va a dormire sul monte degli Ulivi, Le 2 1,37) Betania è citata come il luogo del­ l'ascensione in Le 24,50, mentre in 19,29 Luca situa quel luogo presso il monte degli .

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Ulivi o Oliveto. Pertanto, Luca tratta le due località come se fossero identiche, benché le distanze indicate da Giuseppe per l'Oliveto (Antichità giudaiche 20,169) e da Gv 11,18 per Betania siano molto diverse. cammino permesso in un sabato: Cf il comando in Es 16,29 e la discussione rabbinica in m.Erub 4,1-11. Con queste sue parole Luca non solo ricorda ai lettori la vicinanza a Ge­ rusalemme (in adempimento all'ordine di Gesù in Le 24,49), ma parla anche dei se­ guaci di Gesù come Giudei fedeli (cf Le 23,54-56). 13. al piano superiore: Sebbene in questo caso venga usato un termine diverso (hyperDon), l'autore forse aveva in mente quella stessa «sala superiore o al piano di sopra» (ana­ gaion) che era stata usata per l'ultima Cena (Le 22,12). Per la sala superiore adibita a luogo di riunione dei discepoli, cf At 9,37.39; 20,8. Pietro e Giovanni, Giacomo: Si tratta qui del secondo elenco degli apostoli fatto da Luca (cf anche Mc 3,13-19 e Mt 10,1-4). I nomi riportati sono gli stessi di quelli che troviamo in Le 6,13-16, tranne qualche variante nell'ordine di trascrizione. Giovanni, che nel li­ bro degli Atti svolge la funzione di compagno di Pietro (3,1 .3.4.11; 4,13.19; 8,14), è qui riportato accanto a Giacomo (la cui morte è narrata in At 12,2), ma prima di Andrea, che non ha alcuna parte nella narrazione degli eventi. Tommaso è addirittura posto do­ po Filippo. Il fatto più interessante in questo elenco è l'omissione di Giuda Iscariota, a spiegazione del racconto che segue. 14. assidui e concordi nella preghiera: L'avverbio qui tradotto con «concordi», ossia «di un cuor solo» (homothymadon) è tipico di Luca nel Nuovo Testamento, ed è una delle sue espressioni favorite sia per l'unità spirituale dei credenti (2,46; 4,24; 5,12; 8,6; 15,25) sia per i loro oppositori (7,57; 12,20; 18,12; 19,29). n tema della preghiera spazia in en. trambi i volumi (Le 3,21; 5,16; 6,12; 9,28-29; 11,1-4; 18,1; 22,41-44.46; At 1,24-25; 4,24-30; 6,6; 8,15; 9,11 .40; 10,9.30; 12,12; 13,3; 14,23; 16,25; 20,36; 21,5; 28,8). con alcune donne: Qui Luca intende le donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea (8,1-3), e che erano state testimoni della sua morte (23,49), della sua sepoltura (23,5456) e della sua risurrezione (24,1-10.22). E qui devono spartire il dono dello Spirito Santo con gli uomini (At 2,17). Il Codice D non riporta la parte che le donne hanno nel racconto lucano, e aggiunge le parole «e i bambini», il che esige una traduzione «con le loro mogli e i figli» - trattasi forse di una sfumatura domestica non voluta da Luca! Maria, la madre di Gesù: L'inserimento di Maria non può essere casuale. Qui si ha la prima menzione del nome di Maria a partire dal racconto dell'infanzia di Gesù, poiché l'autore omette quegli accenni negativi sulla famiglia di Gesù, che si trovano in Mc 3,31-35 e 6,3. Come lo Spirito scende su Maria per la nascita del Messia (Le 1,35), così essa è presente al dono dello Spirito che fa nascere la Chiesa, ed è una di quelle «figlie» di Israele che hanno lo spirito di profezia (At 2,17). 15. Pietro si alzò in mezzo ai fratelli: D riferimento temporale «in quei giorni» stabilisce un chiaro collegamento tra questa storia e l'elenco precedente dei discepoli. Nel Codice D il termine «fratelli» (adelphoi) è sostituito con «discepoli» (mathetai), e ciò forse per evi­ tare di confonderli con i «fratelli di Gesù» ivi elencati. il numero delle persone radunate era circa centoventi: Questa è la prima volta che Luca usa la parola «nome» ( onoma) per indicare le «persone», e ciò forse in dipendenza dalla versione dei LXX Nm 1,18.20.22, ecc. D numero centoventi ha una sua importanza a causa dei dodici apostoli e attraverso loro le «dodici tribù» di Israele ricostituito (cf in particolare Le 22,29). Il testo di m. San 1,6 riporta il numero centoventi come un parere sulle dimensioni minime che una città deve avere per poter legittimare l'impianto di una sinagoga. Come il termine homothymadon, anche la frase epi to auto («in un po­ sto»/ «insieme>>) è un'espressione favorita dell'autore (At 2,1.22.47; 4,26; 14,1). Deriva dalla versione dei LXX del termine ya�ad («in uno» l «insieme»), come nei Sal 2,2; 132,1.

P r ep a r a z i o n e del p o p o l o ( 1 , 1 2 - 2 6 )

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n termine haya�ad a Qumran è quasi un'espressione tecnica per indicare la comunità

(cf, ad esempio, 1QS 1,1; 3,7). 16. Fratelli: Essendo un ostacolo insolubile per qualsiasi traduzione, sperando che il genere maschile e femminile sia compreso, notiamo l'abitudine persistente di Luca di usare il termine «uomini» (andres) molto spesso nel libro degli Atti come qui: «uomini fratelli» (cf anche 2,14.22.29.37; 3,2; 5,35; 7,2.26; 13,15.16.26.38; 14 1 5; 1 5,7.13; 17,22; 19,35; 21,28; 22,1; 23,1.6). La traduzione in questo caso elimina semplicemente il su ffisso maschile uomini, dato che nulla esso aggiungerebbe se lo si lasciasse al posto suo. dallo Spirito Santo per bocca di Davide: Per la forma di questa introduzione, si raffronti 4,25 In Le 20,41-42 e in At 2,25 Davide è chiamato anche autore dci Salmi o salmista. Siccome i Salmi, come tutta la Scrittura, sono considerati dei testi profetici (Le 24,44; At 1,20; 13,33) essi possono essere attribuiti allo Spirito Santo (cf At 28,25). La stessa con­ vinzione si ritrova in Rm 1,2. era necessario che si adempisse: Trattasi di un'espressione classica relativa al convinci­ mento dei primi cristiani sulla profezia e sul suo adempimento. È caratteristico come Luca si serva del verbo impersonale dei («deve») nelle frasi sull'inesorabilità della vo­ lontà divina (cf Le 9,22; 17,25; 24,7.26.44; At 3,21; 9,16; 14,22) e in particolare in rapporto con la realizzazione dei passaggi scritturali (Le 22,37; 24,26.44; At 1,21; 17,3). Il termi­ ne «Scrittura» (graphe) è al singolare, riferendosi alla prima citazione da LXX Sal 68,26 v. 20: doveva adempiersi e già lo è stata; la seconda si adempirà con l'elezione del so­ stituto di Giuda. chefece da guida: Qui la traduzione interrompe una frase molto lunga nel testo greco. Come in Le 6,16, il verbo ginomai è preso nell'accezione più forte di «diventare/ dive­ nire», piuttosto che nel suo significato più debole di «era». È sorprendente che Pietro cominci il suo racconto di Giuda Iscariota con il ricordo specifico che si trova in Le 22,47. L'uso del termine syllambano («arresto») riporta direttamente alla scena narrata da Le in 22,54. 17. era stato del nostro numero: Non può sfuggire qui l'attenzione al termine «numero» in tutto il brano. L'uso di katarithmeo («numero») ricorda il racconto di Luca su satana che entra in Giuda (Le 22,3), ove egli aggiunge «che era nel numero [arithmos} dei do­ dici». e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero: Luca si serve di un complesso simbolismo di possesso in tutto questo brano. n verbo geco lanchano può significare «ottenere per sorte» e in senso esteso «ottenere una parte» di qualcosa. A sua volta il termine «con­ dividere» deriva esattamente dal contesto di tirare a sorte . . . ; il termine kleros è nel pri­ mo caso una «sorte». Nella tradizione biblica la nozione di «retaggio/eredità» asso­ ciata alla terra è legata rigorosamente all'idea che le varie tribù hanno ricevuto la loro parte «per sorte» da Dio (cf Nm 16,14; 26,55; 33,53). Il rapporto con «ministero» o «ser­ vizio» (diakonia) è stabilito in questa tradizione dalla «sorte» (kleros) distribuita ai Le­ viti (Nm 18,21-26). Non ricevettero nessuna terra, ma la loro parte fu il Signore. Si mantenevano con le decime provenienti da tutte le altre tribù. Nel caso presente (come il v. 1,25 rende ancor più esplicito), il «servizio» si riferisce alla funzione svolta dagli apostoli. Luca prepara un linguaggio per la «sorte», che segue più avanti nel brano 1,26, e per la trasmissione del ministero nel v. 6,4. 18. Costui dunque: Al pronome dimostrativo greco, houtos, viene data tutta la forza possi­ bile e l'elemento di congiunzione oun funge da passaggio narrativo piuttosto che da elemento di interferenza. n racconto dell'operato e del destino di Giuda è decisamen­ te diverso da quello che si legge in Mt 27,3-10. comprò un pezzo di terra: L'esatta etimologia del v. 1,19 («Campo di sangue») richiede questa traduzione di chorion, ma le immagini che si ricavano fanno pensare a qualco,

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sa che è più di una semplice fattoria o tenuta di campagna con edifici, piuttosto che un semplice e spoglio «pezzo di terra)). con i proventi del suo delitto: La frase in greco ricorda l'espressione caratteristica della «disonesta ricchezza» in Le 16,9 e il caso genitivo potrebbe consentire una traduzione come «malvagia ricompensa», ma quella applicata qui si adatta meglio al contesto. Non è il denaro che è malvagio, ma il modo in cui Giuda lo ottiene e lo spende. precipitando in avanti: Dobbiamo pensare a qualcuno che cade da una certa altezza, for­ se da un edificio, e non dovremmo certamente tentare di far collimare questa descri­ zione con la versione del suicidio di Giuda per impiccagione come riporta Mt 27,5. Una correlazione simile si trova in bT Hullin 56b: «Una volta un pagano vide un uomo cadere per terra dal tetto e il suo ventre si squarciò e le viscere uscirono fuori)). Una ca­ duta a capofitto di un malvagio si ritrova in Sap 4,19 e una fuoriuscita delle viscere nel­ l'uccisione di Amasa in 2 Sam 20,10. Si veda anche la fine miserevole di Erode in At 12,23. Per una morte causata da caduta dalle scale cf Caritone di Afrodisia, Avventure di Cherea e Calliroe 1,3,1. 19. Akeldamà, cioè Campo di sangue: Questo è l'unico particolare che si trova anche in Mt 27,9. Luca vi aggiunge il termine aramaico originale e pone in risalto la diffusione del­ la notizia ai Gerosolimitani, laddove Matteo dice che il nome è rimasto «fino a oggi». Entrambe le espressioni rivelano che si tratta di un racconto eziologico. Per un rac­ conto del genere cf Plutarco, La malignità di Erodoto 15 [Mor. 858b ]. 20. La sua dimora diventi deserta: La citazione è presa da LXX Sal 68,26 con qualche lieve mo­ difica come, ad esempio, l'aver messo i pronomi al singolare perché si adattino a Giu­ da. Il termine epaulis («dimora») fa pensare che l'acquisto di Giuda sia una fattoria piuttosto che un campo o un pezzo di terra. Il Sal 68 è usato spesso nell'apologetica del Nuovo Testamento (cf, ad esempio, Mc 15,23.36 e par.; Gv 2,17; Rm 11,9-10; 15,3). Ciò che è strano in questa versione è che sia Giuda il malvagio, ma sia la proprietà ad es­ sere maledetta! il suo incarico lo prenda un altro: Solo la congiunzione kai congiunge la citazione del Sal 108,8 a quella del Sal 68,26, nella versione dei LXX. Nel Nuovo Testamento questa è l'unica citazione diretta del Sal 108, ed è interessante notare che questa applicazione è più comprensibile e più adatta grazie alla versione dei LXX. Nel contesto l'espres­ sione ebraica pl�udiito yiqqa� 'a�er è più comprensibile con il senso di «possa un al­ tro impossessarsi dei suoi beni». Nei LXX il termine pe�uda è tradotto con episkop� («ufficio/magistratura»), che-va molto bene per gli scopi di Luca. È usato in l Tm 3,11 per «ufficio del sovrintendente» (episkopos), un incarico che Luca riconosce in At 20,28. 21. Bisogna dunque che: Questo uso di dei («è necessario») ricorda quello in 1,16, e con i due passaggi scritturali struttura tutto il brano. Il primo «deve» si riferisce alla defezione e alla morte di Giuda; il secondo all'adempimento del secondo brano, «il suo incarico lo prenda un altro». 22. incominciando dal battesimo di Giovanni: In tanti altri punti Luca usa il battesimo di Gio­ vanni per definire l'inizio del ministero di Gesù (Le 3,23; 16,16; At 1,5; 10,37; 11,16; 13,24-25; 18,25; 19,3-4). Per l'espressione «testimone della risurrezione», che definisce il ruolo degli apostoli, cf At 4,33. 23. Nefurono proposti due: Nel Codice D una piccola ma affascinante variante rende «pro­ posti» al singolare, il che farebbe sì che il proponente sia Pietro anziché la comunità. Ciò sarebbe in contrasto con la procedura suggerita da At 6,5-6. Giuseppe detto Barsabba: Nonostante un tardivo inserimento nel circolo apostolico, Mattia non è più ricordato nel Nuovo Testamento. Né riappare Giuseppe Barsabba, sebbene in A t 15,22 si parli di un Giuda, detto Barsabba, che viene inviato alla Chie-

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sa di Antiochia con Paolo e Barnaba. C'è forse un po' di confusione o una ripetizio­ ne di nomi? Alla luce di At 4,36, ove un altro Giuseppe è «soprannominato dagli apostoli Barnaba» (usando lo stesso verbo, epikaleo, al passivo aoristo), si potrebbe vedere qui l'aggiunta di «Giusto)) non semplicemente come un soprannome latino, ma come un nuovo nominativo simbolico («giusto, probo))) da parte del circolo de­ gli apostoli. 24. che conosci il cuore di tutti: L'epiteto kardiognostes viene usato un'altra volta riferito a Dio in At 15,8. Che Dio conosca il cuore degli uomini è un fatto assiomatico nella tra­ dizione biblica (cf LXX Dt 8,2; Sal 7,9; 43,21; 64,6; 139,23; l Cor 4,5; 14,25; Eb 4,12; 1 Gv 3,20; Ap 2,23). 25. per andarsene al posto da lui scelto: In alcuni manoscritti si trova kleros («sorteggio, sorte))), ma la prova testuale esterna e il gioco letterario sul termine topos («luogo l posto))) ci convincono che questa è la lezione migliore. n termine topos può essere usato per in­ dicare il destino ultimo, come in Tb 3,6 o in 1 Clemente 5,4 o (con la stessa frase «il suo proprio posto)>, ossia ton topon ton idion) Ignazio di Antiochia, Ai Magnesiani 5,1. E può esserci qui un riferimento alla morte o al destino di Giuda. Ma c'è anche un gioco nel­ le parole ton topon ton idion intese come l'abbandono del circolo apostolico simbolizzato dall'acquisto di quella proprietà, in antitesi agli apostoli che «avevano lasciato tutte le loro cose)> (ta idia, Le 18,28). La forma dell'infinito «per andarsene. . . » non descrive un'attività postuma alla sua apostasia, ma vuole essere un'espressione simbolica del­ la medesima. 26. Gettarono quindi le sorti su di loro: La correzione fatta dallo scriba di autois in auton faci­ lita la comprensione della frase, «gettarono le loro sorti», invece di «gettarono le sorti su di loro», ma forse non è originale. La pratica di tirare a sorte, come sistema per de­ terminare la scelta di Dio, era una cosa tradizionale nel giudaismo (cf Lv 16,8; Nm 26,55; 33,54; Gs 19,1-4; Gio 1,7-8; Mie 2,5) ed è attestata come pratica contemporanea tra i primi cristiani di Qumran (cf 1QS 5,3; 6,16) . che fu associato agli undici apostoli: Luca in questa frase usa un verbo greco raro (synka­ tapsephizomai) che unisce le forme di «votato» e «riconosciuto» (cf At 19,19). La tradu­ zione cerca di ottenere la stessa combinazione. Malgrado la correzione del Codice D in «dodici», andrebbe mantenuto il numero undici come lezione più difficile. D senso è «con gli altri undici apostoli». INTERPRETAZIONE

Con la sequenza degli eventi che caratterizzano i l suo racconto (Le 1,1-4), Luca vuole fornire al suo lettore una «sicurezza». Raramente, però, la sequen­ za può rivelare le preoccupazioni religiose dell'autore in modo così chiaro co­ me in questo passaggio, dove il fatto più importante è dato proprio dalla sua collocazione. Per quale motivo Luca fa sì che l'ascensione di Gesù sia seguita da un elenco degli apostoli (At 1,13-14) in cui splende l'assenza di Giuda? E per­ ché mai Luca pone così in risalto il fallimento di Giuda, descrivendo (At 1,1526) in modo così pittorico l'elezione del sostituto? All'inizio la sequenza appare ancor più complicata, perché normalmente in Luca le profezie letterarie vengono a compimento il più rapidamente possibi­ le attraverso la narrazione. In questo caso, egli ribadisce varie volte la promes­ sa dello Spirito Santo sia alla fine del Vangelo (24,49) sia all'inizio del libro de­ gli Atti (1,5.8). Fa vedere come i discepoli ritornano ubbidientemente a Geru­ salemme per attendere qui la discesa della «forza» dall'alto (24,49; At 1,12). Ci

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A t t i d eg l i A pos t o l i

aspettiamo naturalmente d i vedere subito i l racconto d i quell'atto giunto a compimento. Se Luca interrompe il flusso naturale degli eventi, ciò è dovuto al fatto che deve affrontare un problema rimasto insoluto nel Vangelo. La serietà con cui egli affronta il problema e l'attenzione narrativa che dedica alla sua solu­ zione sono entrambi elementi molto istruttivi. Come dimostra l'elenco in­ compiuto degli apostoli, il circolo dei Dodici si è interrotto. Uno di quelli scelti da Gesù (Le 6,12-16) perché entri a far parte dei Dodici, sia investito del potere di predicare e guarire (Le 9,1) ed eserciti la legge sulle dodici tribù di Israele (Le 22,29-30) è diventato un traditore con il cuore posseduto da sa­ tana (Le 22,3) e spinge i nemici di Gesù ad arrestarlo (Le 22,47). A partire dal momento in cui Gesù sfama le cinquemila persone (9,17) e cominciando dal­ la sua profezia durante l'Ultima Cena (22,30), Luca ha chiarito che il significa­ to del numero dodici è collegato al popolo di Israele ricostituito. Quando Ge­ sù raccoglie attorno a sé il nucleo di questo popolo, egli prepara una nuova guida per esso al fine di sostituire i capi che hanno respinto la visitazione del profeta. Il tradimento di Giuda è, pertanto, molto più che il semplice fallimento di un uomo. Egli spacca l'integrità numerica e simbolica di quel gruppo, che rap­ presenta l'inizio e l'autorità essenziale del popolo di Dio ricostituito. Dopotut­ to anche Pietro rinnegherà Gesù, ma il fallimento di Pietro è un fatto dovuto al­ la debolezza umana, e tanto la sua caduta quanto la sua ripresa rientrano nel­ le profezie di Gesù. Si ricordi, però, che Gesù aveva detto anche che Pietro avrebbe confermato i suoi fratelli (Le 22,32), ed è proprio con questa funzione che lo ritroviamo in questo brano mentre si erge in mezzo a loro interpretando la Scrittura con autorità,· alla luce della volontà divina, proprio come aveva fat­ to Gesù stesso (1,15.22). Il peccato di Giuda è, però, un'apostasia dal suo ufficio di apostolo, e come tale rappresenta una minaccia per l'adempimento della promessa di Gesù, non­ ché per tutto il piano di Dio. La defezione di Giuda pone un problema unico e richiede una soluzione altrettanto unica. Quando altri membri dei Dodici mo­ riranno non ci sarà alcun bisogno di sostituir li. Perché? Perché una volta che i Dodici siano stati definitivamente costituiti nel cuore delle genti e lo Spirito effuso, allora sarebbe esistito il fedele Israele e la promessa di Dio si sarebbe pie­ namente realizzata. Questo è il motivo per cui Giuda deve essere rimpiazzato prima della Pentecoste, perché l'integrità del circolo apostolico dei Dodici sim­ boleggia la restaurazione del popolo di Dio. L'arte letteraria di Luca appare evidente non solo nella collocazione del rac­ conto, ma anche nella sua redazione. Il discorso di Pietro deriva sicuramente da ciò che secondo Luca si sarebbe dovuto dire in quell'occasione, e rispecchia in particolare le sue convinzioni sulla «necessità» che i testi scritturali giungano a compimento. Notiamo qui come il duplice uso di «essere necessario che/biso­ gna che» (1,16.21) - in rapporto ai versetti del Sal 1,20 - conferisce al brano una simmetria retorica. Secondo noi il Pietro storico non avrebbe dovuto presenta­ re Giuda ai suoi ascoltatori con un inciso così esteso, né riferirsi al toponimo Akeldamà usando la «loro lingua», né adoperare certi testi presi dai Salmi, che

P rep a r a z i o n e del p o p o l o ( 1 , 1 2 - 2 6 )

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avrebbero potuto servire ·ai suoi scopi retorici solo nella versione greca dei LXX e non in quella ebraica. Molto spesso, però, Luca applica a tutta la scena il «colore» del tempo e del luogo, richiamando così il genere di linguaggio e le pratiche di un'altra setta giudaica del I secolo, quella che si considerava la parte superstite del popolo di Dio. I rotoli del Mar Morto di Qumran offrono numerosi paralleli alle preoc­ cupazioni che si riscontrano in questo brano: il simbolismo di Israele riflesso in una guida di dodici elementi (1QS 8,1), l'interpretazione dei Salmi in riferi­ mento all'esperienza della comunità (4QpSal 37 2,6-25), la messa in comune dei beni della comunità (1 QS 5,1-3; CD 10,18-20). Una simile verosimiglianza fa pensare a un tipo di tradizione che è a monte del racconto, ma che è stata cer­ tamente plasmata da Luca. Possiamo individuare la mano di Luca soprattutto nel racconto sulla fine di Giuda, perché lo possiamo confrontare con quello di Mt 27,3-10. Le uniche cose che i due racconti hanno in comune sono la morte violenta e il nome del campo. Per il resto le due versioni divergono sotto ogni aspetto. In quella di Matteo, Giuda si pente delle sue azioni e cerca di restituire il denaro ai sacer­ doti, confessando di aver peccato (Mt 27,3-4), poi esce e va a impiccarsi. Il suo pentimento è tardivo e inutile, ma è sincero e ciò trova conferma nel desiderio di restituire la somma ricevuta. Sono i sacerdoti che utilizzano quella somma per acquistare il campo del vasaio da destinare a sepoltura dei forestieri (Mt 27,7), e quel nome deriva dal fatto che per il suo acquisto era stato usato il co­ siddetto «prezzo del sangue» (27,8). Infine l'evangelista. Matteo conclude con una citazione scritturistica (usando Ger 32,8-9 e Zc 11,11-12) riferita al prezzo del campo, non al destino di Giuda (Mt 27,9). Nella versione di Luca tutto, ivi comprese le citazioni, è concentrato sulla defezione di Giuda come uno dei Dodici. E laddove tale defezione è spesso ri­ petuta, la comunità dei beni è esaltata come un fatto simbolico. Giuda non re­ stituisce il denaro in segno di pentimento, ma va a comprare un podere con i soldi dell'ingiustizia (1 ,18). Questo comportamento è in antitesi con il fatto che «aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero» (1,17). Anziché essere uno di quelli «che lasciano ogni loro cosa» e «che venderanno i loro poderi» e «che nulla posseggono», Giuda si stacca dal gruppo acquistando un podere per se stesso. Si noti che, come nel caso di Ananìa e di Saffìra, gli stessi che in seguito saranno accusati di aver fatto le stesse cose, Giuda è descritto come co­ lui che è posseduto da satana (Le 22,3; At 5,3) e che ha preso parte a una con­ giura per soldi (Le 22,4-6; At 5,9). Il disamore spirituale è qui simboleggiato dall'avidità fisica. In modo analogo è intrecciato il destino di Giuda e quello della sua pro­ prietà. Egli muore in quel campo e la sua dimora diventerà deserta (1,20). E così, proprio come vacante resta la sua proprietà, altrettanto vacante diventa il suo ufficio nel circolo apostolico, e, quindi, che «il suo incarico lo prenda un al­ tro» (1,20). In ogni sua fase questo racconto è simboleggiato dall'alienazione dei beni: l'apostasia di Giuda dai Dodici si concretizza nell'acquisto di un podere, la sua perdizione si realizza nel fatto che quel podere o dimora diventerà de­ serto, e quella dimora deserta esprime la vacanza che si verifica nel circolo apo-

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A t t i degli A p o s t o l i

stolico. Che la nozione d i autorità e i l simbolismo della proprietà siano inter­ pretati da Luca in tal modo, è dimostrato dalle sue ultime parole su Giuda, os­ sia che egli lasciò il suo «posto» (topos) nel ministero per «andarsene al posto da lui scelto» (ton topon ton idion, 1,25). Il racconto non riguarda l'uso dei beni, ma Luca si serve della potenza evo­ cativa del linguaggio dei beni per narrare la storia del tradimento di Giuda e la ricostituzione del circolo apostolico. Così facendo, non solo risolve il problema posto dal tradimento di Giuda, reintegrando la guida dei Dodici per il popolo che attende il dono promesso dello Spirito Santo, ma prepara anche il lettore a vedere in quel popolo ricostituito una comunità in cui nessuno possiede al­ cunché e dove tutti mettono in comune i propri beni, quale segno della sua unanimità spirituale (At 2,41-47; 4,32-37). P E R ULTE R I O R I R I F E R I M E NTI E A P P R O F O N D I M E N T I

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3. Pentecoste: il dono dello Spirito Santo (2,1-13) l. Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stes­ so luogo. 2. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte ga­ gliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3. Apparvero loro lingue come di fuo­ co che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4. ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. 5. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. 6. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. 7. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dice­ vano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8. E com'è che li sentiamo eia-

P e n t e c o s t e : il d o n o d e l l o S p i r i t o S a n to (2 , 1 - 1 3 )

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scuno parlare la nostra lingua nativa? 9 . Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10. della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, 11. Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». 12. Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l'un l'altro: «Che significa questo?». 13. Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto».

NOTE l . giorno di Pentecoste: D costrutto greco è parafrastico e solenne come quello in Le 9,51. ll

termine pentekoste (+ hemera «cinquantesimo giorno») si trova due volte nella ver­ sione dei LXX ed è tradotto come ((Festa delle Settimane» (Tb 2,1; 2 Mac 12,32). Di so­ lito la versione dei LXX traduce letteralmente la frase h�orte hebdomadon (cf Es 34,22). La legislazione di questa festa in Es 23,16; 34,12; Lv 23,15-21; Dt 16,9-12 rivela le origi­ ni agricole delle tribù nomadi nella tipica offerta dei primi frutti e degli agnelli . È una delle tre grandi feste giudaiche di pellegrinaggio dell'antico Israele; cf in At 20,16 l'an­ sia di Paolo di trovarsi a Gerusalemme proprio per quella festa. 2. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento: Il rombo ricorda il rumore della teo­ fania sinaitica (Es 19,16-19) e un forte vento è associato alla teofania di Elia (l Re 19,1112) come pure alla sua ascensione (2 Re 2,11). In questo caso il rombo è paragonato a quello prodotto dal soffiare impetuoso del vento; è il suono che riempie la casa, non il vento. 3. lingue come di fuoco che si dividevanoi Letteralmente «divise, singole)) (diamerizD) (cf Le 11,17-18; 12,52-53; 22,17; 23,34). Viene usata la traduzione «che si dividevano» perché le lingue di fuoco sono separate l'una dall'altra, piuttosto che separate fra di loro (o a zig-zag); la Riveduta traduce «distribuite». Ancora una volta la particella hosei denota il paragone con il fuoco. Per fuoco (pyr), come normale caratteristica delle teofanie bi­ bliche, cf Gn 15,17; Es 3,2; 13,21-22; 14,24; 19,18; 24,17; Dt 4,12.24.33.36; 5,4; 10,4; l Re 19,12; 2 Re 2,11; LXX Sal 17,9). Si noti in particolare la combinazione di «suono» e «fuo­ co» nel LXX Sal 28[29],7: «la voce del Signore spezza fiamme di fuoco». Naturalmente il collegamento più ovvio è quello con lo «Spirito Santo e il fuoco», ossia con il batte­ simo loro promesso (Le 3,16). 4. pieni di Spirito Santo: Luca usa qui il passivo aoristo di pimplemi («riempire») così come fa nel suo Vangelo in riferimento allo Spirito Santo nel racconto dell'infanzia di Gesù (Le 1,15.41 .67), nonché nel libro degli Atti (4,8; 9,17; 13,9). Qui si verifica il compimen­ to della promessa fatta da Gesù (Le 24,49; At 1,4-5.8). in altre lingue: Nel contesto questa è la traduzione appropriata di heterais glOssais, poi­ ché Luca preferisce porre in maggior risalto l'aspetto comunicativo piuttosto che quel­ lo estatico del discorso; quel discorso che accompagna il dono dello Spirito Santo an­ che in At 10,45 e 19,6. Altrove, nel Nuovo Testamento, lo troviamo solo in Mc 16,17 («nuove lingue») e nell'ampia discussione di Paolo (l Cor 12,14). Valutare le testimo­ nianze neotestamentarie rispetto all'ambiente dei fenomeni religiosi ellenistici porta al­ la conclusione che una tale glossolalia si riferiva in origine a una forma di borbottio estatico ampiamente connesso con la profezia divinatoria (cf Cicerone, Sulla divinazio­ ne 1,32,70-71; Plutarco, Sulla grave decadenza degli oracoli 14 [Mor. 417c]; 40 [Mor. 432c-f] e Apuleio, L'asino d'oro 8,27). Questa forma di profezia era molto stimata perché si cre­ deva provenisse dal possesso diretto della divinità (enthusiasmos; cf Platone, Fedro 244a­ b; Timeo 71e-72b; Plutarco, Sul significato dell'E incisa sul tempio di Delfi 6-24 [Mor. 387b406f]). Un esempio del genere si trova anche nel Testamento di Giobbe 48-52, quando si dice che le figlie di Giobbe parlano il linguaggio «degli angeli». =

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Atti degli Apostoli

come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi: Luca pone in risalto il fatto che lo Spirito stesso ordinava (edidou «dava») il discorrere di ciascuno. La traduzione «esprimersi» si propone il carattere sentenzioso dell'annuncio dato da apophthengomai (si confronti­ no i vv. 2,14 e 2,25). Giudei osservanti: n termine eulabes (tradotto con «osservanti») è usato da Luca altrove nella sua specifica connotazione religiosa (Le 2,35; At 8,2; 22,12). Alcuni manoscritti hanno incontrato una certa difficoltà a inserire il termine Giudei, apparentemente inu­ tile - d'altra parte, pensavano loro, quali altre persone potevano esserci a Gerusalem­ me? - ma qui la descrizione specifica come si trova al v. 11 spiega il significato lettera­ rio e religioso dell' aut