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Italian Pages 737 Year 2003
ATTI DEGLI APOSTOLI Charles K. Barrett Edizione italiana a cura di Donatella Zoroddu
Volume 1 Prolegomeni. Commento ai capp. 1-14
PAIDEIA EDITRICE
ISBN
8 8 39406522
Titolo originale dell'opera: A Criticai and Exegetical Commentary on The Acts of the Apostles
by C.K. Barrett Volume 1 Preliminary Introduction and Commentary on Acts l-XIV (The lnternational Criticai Commentary, Edinburgh) Traduzione italiana di Vincenzo Gatti Revisione di Donatella Zoroddu ©T. & T. Clark, Edinburgh 1994, •1998 © Paideia Editrice, Brescia 1003
PREMESSA
Per chi debba affrontare la teologia del Nuovo Testamento passando per la storia del Nuovo Testamento lo studio degli Atti degli Apostoli è essen ziale, affascinante e, si spera, fecondo. Ha probabilità ancora maggiori di risultare fecondo se condotto alla luce delle epistole paoline e dell'altra grande miniera di teologia che è il quarto vangelo. Per questo motivo non rimpiango troppo i lunghi anni in cui si è protratta la stesura di questo commento, poiché il motivo principale di indugio è stato proprio il lavoro su Paolo e Giovanni, al quale non mi sono potuto sottrarre. Il dattiloscrit to di questo primo volume era terminato nel Natale del 1 990. Un certo ri tardo nella preparazione del testo per la stampa è l'ultima cosa di cui ram maricarsi: significa che il secondo volume ha raggiunto una fase più avan zata di elaborazione di quanto potessi sperare. Ovviamente non posso né intendo affermare di avere letto tutto ciò che avrei desiderato. Se si deve portare a termine un libro su un argomento così vasto, arriva il momento in cui occorre saper dire basta e rovesciare la fra se di Ponzio Pilato: ciò che ho letto ho letto. E ci si deve fermare. Può darsi che nel secondo volume riesca a inserire qualche sguardo retrospettivo sui capp. 1-14, visti sotto la nuova luce che studi recenti vi hanno gettato. Spiego altrove (sotto, pp. 3 1 s.) perché in questo volume manchi un'in troduzione tradizionale. Qualcosa del genere si troverà nel secondo. Il resto del libro si attiene a un modello abbastanza tradizionale. Da quando, mol to tempo fa, ho letto i grandi commenti di J.B. Lightfoot, mi è parso super fluo appesantire un commento con note a piè di pagina. Un commento do vrebbe essere leggibile correntemente, come una monografia, per quanto, specie in un'opera non destinata specificamente a principianti, il lettore s'at tenda evidentemente di trovare rinvii e citazioni, non tutte nella sua lingua. Sono profondamente grato al mio vecchio amico e collega professor C. E.B. Cranfield, che in veste di editore della serie neotestamentaria per l'In ternational Criticai Commentary, ha visto parti della prima stesura, come pure al suo successore professor G.N. Stanton, cui debbo suggerimenti utili e segnalazioni bibliografiche che mi erano sfuggite. Il riconoscimento gradito e generoso di un «Forschungspreis» da parte della Fondazione Alexander von Humboldt mi ha incoraggiato a trascor rere a Tubinga e Miinster più tempo di quanto avrei fatto altrimenti, e rin-
8
PREMESSA
grazio la Fondazione, le biblioteche di Tubinga e i colleghi neotestamenta risti del luogo (vari studiosi più giovani, oltre a professori i cui nomi sono universalmente noti), nonché il professor K. Aland e la professoressa B. Aland e i loro collaboratori presso la Stiftung zur Forderung der neutesta mentlichen Textforschung di Miinster. C.K. Barrett
INDICE DEL VOLUME
7 I3 25 3I 32
6o 77 85
Pren1essa Bibliografia Abbreviazioni e sigle Prolegon1eni I. Il testo 2. Gli Atti e il loro autore 3 · Aui 1-14. Le fonti e il piano 4· Aui I-14· I contenuti AlTI DEGLI APOSTOLI
1. Passi prelin1inari necessari ( I , I-26) I22
I37 I58 I90 207 220 25 I 277 288 294 29 8 309 JI6 337
I. Introduzione e ricapitolazione ( I ,I-14) 2. Giuda e Mattia ( I , I 5-26)
11. La chiesa a Gerusalen1n1e ( 2,I-5,42) 3· L'evento della pentecoste (2,I-I 3 ) 4· Il discorso di Pietro a pentecoste (2,14-40) 5· La con1unità di pentecoste ( 2,4 I-47) 6. Il nliracolo nel ten1pio (3,I-10) 7· Discorso di Pietro sul nliracolo (3,n-26) 8 . Arresto e interrogatorio di Pietro e Giovanni (4,I-22) 9· Ritorno di Pietro e Giovanni (4,23-3 1 ) Io. Una con1unità di condivisione e tesrinlonianza (4,3 2-3 5) n. Un esen1pio: Barnaba (4,3 6-37) n. Un esen1pio negativo: Anania e Saffira ( 5 ,I- n ) I 3 . Una con1unità operatrice d i miracoli o soprannaturale ( 5 ,n-I 6) 14· Arresto e interrogatorio degli apostoli ( 5,I7-40) l I 5. Con1unità di gioia e di testimonianza. Son1n1ario «conclusivo» ( 5,4 I-42)
INDICE DEL VOLUME
IO
111. Difficoltà e persecuzioni conducono all'inizio dell'espansione ( 6, I -8, 3 ) 340
I 6. Designazione dei sette e prosperità ulteriore ( 6, I -7)
356
I7. L'azione contro Stefano ( 6,8- I 5 )
3 69
I 8 . Il discorso di Stefano (7, I - 5 3 )
4I8
I9. Martirio di Stefano (7,54-8,Ia)
428
20. La persecuzione ( 8, I b-3 ) IV.
L'evangelo raggiunge Samaria ( 8 ,4-40)
43 3
2 1 . L'evangelizzazione di Samaria. Simon Mago (8,4-2 5 )
459
22. Filippo e l'etiope ( 8 ,26-40)
v. Saulo, il grande evangelizzatore, viene preparato per la missione (9, I -3 1 ) 478
23 . Conversione di Saulo (9, I - I9a)
500
24. Saulo da Damasco a Gerusalemme (9,I9b-3o)
5 14
2 5 . La chiesa in Giudea, Galilea e Samaria. Sommario (9,3 I ) VI.
Il primo predicatore ai gentili e la prima chiesa di gentili (9,32-I I , I 8 )
5I8
26. I miracoli di Pietro lungo la strada per Cesarea (9.3 2-4 3 )
530
27. Pietro e Cornelio. Cesarea ( I o, I -48 )
576
28. Contestazioni a Pietro e Cornelio ( I I , I - I 8 )
vn. La chiesa fondata a d Antiochia e approvata d a Gerusalemme ( I I , I 9-30) 5 89
29. La fondazione della chiesa ad Antiochia ( I I,19-26)
603
30. La chiesa indipendente di Antiochia (u,27-30) VIII.
Il ritorno a Gerusalemme ( 1 2, I -2 5 )
612
3 1 . Giacomo, Pietro ed Erode ( 1 2, I-23)
639
3 2. Nesso di raccordo ( 1 2,24-25)
INDICE DEL VOLUME IX.
644 654 666 709 73 7
Antiochia dà inizio alla missione di più vasta portata ( I 3,1- I 4,28) 3 3· L'incarico di Barnaba e Saulo da parte di Antiochia ( I 3 ,I -3 ) 34· Barnaba e Saulo a Cipro ( 1 3 ,4-12) 3 5. Attraverso la Panfilia fino ad Antiochia di Pisidia. ll discorso di Paolo ( 1 3 ,1 3-52) 3 6. A Listra e dintorni ( I 4,1-23 ) 37· Ritorno ad Antiochia ( 14,24-28 )
II
BIBLIOGRAFIA
COMMENTARI
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ABBREVIAZIONI E SIGLE
Winer-Schmiedel Winer, G.B., Grammatik des neutestamentlichen Sprachidioms 1, ed. Schmiedel, P.W., GOttingen 81894 WMANT Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament WTJ Westminster Theological Journal WUNT Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament ww Wordsworth, J. - White, H.J. - Sparks, H.F.D. - Adams, A.W. (edd.), Novum Testamentum Domini nostri Iesu Christi secundum editionem Sancti Hieronymi, Pars Tertia. Actus Apostolorum etc. , Oxford 1954 wz Wissenschaftliche Zeitschrift der Martin-Luther-Universitat Halle Zerwick Zerwick, M., Graecitas Biblica, Roma 1960 ZKG Zeitschrift fii.r Kirchengeschichte ZKT Zeitschrift fiir katholische Theologie ZNW Zeitschrift fii.r die neutestamentliche Wissenschaft ZTK Zeitsclu:ift fii.r Theologie und Kirche abbreviazioni di testi antichi sono di norma quelle impiegate in Balz, H. - Schneider, G. (edd.), Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, 2 voli., Brescia 1995-1998. Le sigle dei mss. e di altre fonti del testo del Nuovo Testamento sono quelle della 26" edi zione di Nestle-Aland. Le
PRO LEGOMENI
È importante che il lettore sappia che cosa aspettarsi, e che cosa non aspet tarsi, in questa parte del commento. Le introduzioni ai commenti conten gono di norma il punto di vista del commentatore, fondato su dati e argo mentato, su questioni quali il tempo e il luogo in cui l'opera in esame è stata scritta, il suo autore, le fonti che ha usato, l'intento che l'ha animato e i destinatari cui si rivolgeva, la società alla quale apparteneva, la preci sione del suo racconto e le idee teologiche che ha affermato e ha cercato di comunicare ai lettori. Sono tutti temi di grande importanza, certo non in feriore nel caso degli Atti degli Apostoli, ma non saranno trattati in questi prolegomeni: presuppongono tutti domande alle quali si potrà dare una ri sposta, semmai, solo sulla base dell'esegesi ponderata e puntuale d�ll'inte ra opera. La collocazione logica di un'introduzione siffatta non è all'inizio bensì alla fine di un commento, sicché in questo comparirà nel secondo vo lume, dove spero di essere in grado di esporre le conclusioni cui sono per venuto riguardo agli argomenti tradizionalmente affrontati, e magari an che su alcuni meno usuali. Ci sono tuttavia certi dati che lo studioso degli Atti deve avere dinanzi allorché si addentra nello studio approfondito del testo. Gli Atti sono tràditi da un gran numero di manoscritti, in greco e in svariate altre lingue. Essi differiscono tra loro, a volte in modo assoluta mente stupefacente. Sono da evitarsi giudizi a priori sulle diverse forme di testo; ogni variante significativa va considerata soppesandone il valore in trinseco. Ma è giusto che lo studioso sappia quali sono le varie fonti che testimoniano il testo degli Atti e le famiglie in cui si suddividono, e abbia qualche nozione in proposito, come pure che sia consapevole delle questio ni più salienti sorte da questi dati e delle considerazioni che si devono te nere presenti quando tali questioni vengono prese in esame. I manoscritti e le citazioni degli scrittori antichi sono essi stessi prova dell'esistenza e del l'uso degli Atti. Sarà possibile e utile raccogliere ulteriore documentazione non solo sull'esistenza degli Atti ma anche sulle idee della chiesa antica ri guardo all'opera, su come, in quali aree e a quali scopi era utilizzata, e for se dove non lo era. I passi più importanti saranno proposti più avanti. Gli scrittori antichi espressero altresì opinioni sull'autore degli Atti; anche a questo proposito è possibile raccogliere i passi relativi. Questi prolegomeni sono perciò tali nel senso più stretto del termine.
PRO LEGO MENI
Essi introducono gli Atti al lettore presentando la tradizione attraverso la quale il libro è giunto sino a noi in un'esposizione articolata in due sezioni, che trattano l'una il testo, l'altra gli Atti e il loro autore. A seguire un bre ve resoconto delle fonti e del piano di Atti I-I4.
I. IL TESTO Per ricostruire il testo degli Atti si deve ricorrere a un vasto numero di mss. greci, stilati in periodi assai diversi della storia cristiana, a una serie di ver sioni antiche e a citazioni fatte da scrittori antichi. Qui non si ha né lo spa zio né la necessità di descrizioni puntuali, che si possono trovare in varie Opere di riferimentO. I n tentatiVO di restituire il testO OriginariO, 0 forSe Si dovrebbe dire i testi originari,.. degli Atti degli Apostoli costituisce forse il più complesso fra tutti i problemi testuali che il N.T. presenti, e qui occor re menzionare i testimoni più importanti. I dati che essi, o alcuni di essi , forniscono saranno considerati e valutati nel corso del commento, e nel se condo volume si compirà un tentativo di delineare la storia del testo. Qui ci si linpterà a presentare i lineamenti essenziali della questione.
I materiali I testimoni greci si suddividono in tre categorie: papiri; codici pergamena cei scritti in caratteri onciali; codici in minuscola. 3
Papiri.4 n libro degli Atti è contenuto in 1) 8 1) ..9 1) 33 1) 38 1)4 I
(che ne pre senta anche una traduzione in lingua copta) 1)45 (contenente anche i van 6 geli) 1)48 1) 5 ° l) H (anche con versetti di Matteo) 1) 5 1) 57 1)74 (comprenden te anche le lettere cattoliche) 1) 9 I . Perlopiù sono frammentari e non recano che pochi versetti.
1) ..9 contiene Atti 26,7.8.20. Rinvenuto a Ossirinco,s la sua datazione
probabile è al III secolo, sebbene lo si sia talora situato nel IV. È inserito qui perché, nonostante la brevità, è stato annoverato fra i testimoni del te 6 sto occidentale; non presenta però alcuna lezione occidentale distintiva.
I Ad es. Ropes, in Begs. m; Metzger, Text; Versions; Alami, Text; anche introduzioni al N.T., ad es. Kiimrnel, Einleitung, 4S4· 478. D lavoro di Nesde von Dobschiitz (I9:Z.3 ) è ancora utile. •
>.
V. sotto, pp. 51 s.
3 Sui lezionari v. sotto, pp. 3 7 s.
4 Per informazioni particolareggiate sulla loro scoperta, pubblicazione e la trattazione relativa (fino a
1)7• ) v. K. Aland, Repertorium der griechischen christlichen Papyri,
1.
Biblische Papyri, Berlin - New
York I9 6. 7 5 Pubblicato la prima volta in POxy 13 (1919) 1 597. 6 Su questa definizione v. sotto, p. p..
IL TESTO
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1) 3 8 contiene 1 8,27-19,6. 1 2- 1 6. Il luogo del rinvenimento è ignoto; at tualmente è conservato ad Ann Arbor, Università del Michigan. 1 Fra le datazioni proposte la più alta rimonta agli anni 200-250, la più bassa al IV o v secolo; la stima più cauta è probabilmente quella che conduce al 300 o poco dopo. Non c'è dubbio che questo papiro rechi un testo in relazione con quello noto da D 614 syhmg; 2. in 1 8,28, per esempio, inserisce ÒtaM:yO p.Evoc;, con D 614; e in 19,14 condivide con qualche variante la lezione di D (w syhmg). 1)45 conteneva in origine i quattro vangeli e gli Atti; ora è frammentario, ma restano parti di tutti i vangeli e una porzione considerevole di Atti (che inizia in 4,27 e termina in 17,17). Rinvenuto probabilmente ad Afrodito poli nel Fayyum, fa parte della collezione Chester Beatty. 3 È ampio il con senso sulla sua datazione nel III secolo; indicando il 250 d.C. non si andrà molto lontano dal vero. Non è facile attribuire un'etichetta precisa al suo testo negli Atti. Per il vangelo di Marco è classificato fra i rappresentanti (8 ecc. ) del testo cesariense.4 Si è forse nel giusto se si pensa a un tipo si mile in Atti; oppure può darsi che quella cesariense non sia tanto una fa miglia testuale indipendente quanto piuttosto una combinazione del testo onciale antico 5 con lezioni occidentali. Nel complesso 1)45 si mantiene ab bastanza vicino ai grandi mss. alessandrini· che si menzioneranno nel pro sieguo, ma contiene anche lezioni occidentali; così in 5,34 dà àv-Bpwnouc; con � A B al, contro D E "l. gig h sy mae al, e in 14,20 ha aù-tou per aù-t6v, con D (E). Si è fatto giustamente notare che concorda con le varianti occi dentali minori anziché con le maggiori, e non di rado segue una sua strada. 1)48 contiene 23 , 1 1-17.23-29. È stato trovato a Ossirinco ed è ora a Fi renze. 6 Appartiene probabilmente al III secolo, forse al IV. Contiene un ti po di testo occidentale. 7 In 23,14, per esempio, dopo ')'Eooaa-Bat aggiunge 'tÒ auvoì..ov, con gig h; Lcf. 8 1)74 appartiene alla collezione Bodmer di Ginevra.9 Contiene parti di tutte e sette le lettere cattoliche e una porzione considerevole di Atti com' PMich 3 ( 1 9 3 6) 1 3 8. Pubblicato la prima volta da H.A. Sanders: HTR 2.0 (1927) 1-9; v. anche Begs. 262-2.68.
v,
1 Per questi testimoni v. sotto, pp. 3 5 s. 37· 42 s. Senza dubbio il testo è di tipo in senso lato occiden tale; v. inoltre B. Aland: ETL 62 ( 1986) 12-36.
3 PBeatty 1;
un
foglio è a Vienna, PVindG 3 1974; v. H. Gerstinger: Aegyptus 13 ( 1 93 3 ) 67-72.
4
V. B.H. Streeter, The Four Gospels, London 1924, S 1 9 3 6, 77-102, e le opere successive di critica testuale. O testo alessandrino; v. sotto, pp. 5 1 s.
5
7 V. B. Aland, art. cit., 3 6-40. Nella sua forma attuale D non ha brani in comune con �··. 9 PBodm XVII.
6 Nella Biblioteca Laurenziana, PSI n6s. 8
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PRO LEGO MENI
presa tra r,2 e 28,3 r. Si ignora il luogo del rinvenimento; è stato scritto nel VII secolo, o forse nel VI. In linea di massima concorda con � A B, vale a dire con il testo onciale antico, o alessandrino. 1 l)�1 è ora suddiviso in due parti, una a Sidney, in Australia/ e una a Milano. 3 Contiene Atti 2,30-37; 2,46-3,2. PMilVogl è stato pubblicato da C. Gallazzi in BASP I9 ( r982) 39-4 5; v. ora S. Pickering: Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik 65 ( r986) 76-78. Può essere datato alla «me tà del m secolo, ovvero qualche anno appresso» ( Gallazzi, 40). «Alcune lezioni 'occidentali' sono definitivamente escluse e nessuna può essere am messa con sicurezza» (Pickering, 76).
Oncia/i. 4 Come gruppo va considerato seriore rispetto ai papiri, ma ci so no papiri tardi (ad es. l) 74 ) posteriori di non poco ai primissimi onciali.
� o S (or),S codex Sinaiticus, ora presso la British Library,6 fino alla me tà del XIX secolo si trovava nel monastero di Santa Caterina sul Monte Si nai. Non se ne conosce il luogo d'origine, ma il suo testo è in linea genera le di tipo alessandrino, sia pure con sporadiche lezioni occidentali. 7 In ori gine conteneva l'intera Bibbia. Parte dell'A.T. è andata perduta, ma resta tutto il N.T., compresi gli Atti. La sigla � 1 è usata per correzioni apportate fra il IV e il VI secolo, �2. per correzioni inserite a partire dal vn secolo cir ca, �c per correzioni del XII secolo; v. Aland, Text, r o8. A (02), codex Alexandrinus, si trova nella British Library.8 È stato scritto nel v secolo ed è giunto in Inghilterra nel 1 627 come dono del pa triarca Cirillo Lucaris a re Carlo I. Al pari di �. era in origine una Bibbia completa. Parti dell'Antico e del Nuovo Testamento sono andate perdute, ma è presente per intero il libro degli Atti. Il testo di Atti (che differisce da quello dei vangeli) è vicino a quello di � e B e dev'essere considerato un buon esempio del tipo alessandrino. B (03), codex Vaticanus, è custodito nella Biblioteca Vaticana,� dove si trova con certezza al più tardi dal 14 7 5. È stato scritto nel IV secolo ed è il testimone principale del testo alessandrino io o onciale antico. OriginariaI
V. P. Prigent: RHPR 42. ( I �62.) I 6�-I74· :1. PMacquarie lnv. 3 6o. 4 V. speç. Ropes, in Begs. 111, XXXI-LXXXVI II, e sopra, n. 1. 5 I riferimenti numerici di Gregory sono utili allo scopo di distinguere tra mss. indicati co n la medesima lettera. 6 Add. 4372.5. 7 Per l'origine egiziana di questo ms . v. Ropes, in Begs. m , XLVI-XLVIII. 8 Royal 1 D VIII. � Gr. 12.09. IO Per la sua origine ad Alessandria v. Ropes, in Begs. m, XXXIV-XXXV III.
3 PMiiVogl Inv. 1 2.2.4.
IL TESTO
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mente una Bibbia completa, ha perso le pagine iniziali (parte di Genesi) e finali (da Ebr. 9.14. comprese 1-2 Timoteo, Tito, Filemone e Apocalisse). n libro degli Atti è rimasto. C (04), codex Ephraemi rescriptus,X come ms. biblico fu copiato nel v secolo; nel XII secolo venne riutilizzato (come palinsesto) per accogliere gli scritti di Efrem. Il testo è del tipo bizantino o della Koinè, benché sembri avere una base alessandrina e contenga alcune lezioni occidentali. 1 Dopo lo smembramento e il riutilizzo del ms., degli Atti sopravvivono solo parti. D (05), codex Bezae Cantabrigiensis, è �ttualmente posseduto dalla bi blioteca dell'Università di Cambridge. 3 In origine conteneva i quattro van geli, gli Atti e le lettere cattoliche, delle quali è rimasto solo un frammento di 3 Giovanni; mancano inoltre Atti 8,29-10,14; 21,2-10. 1 6-18; 22,10-20; 22,29-28,J I . È un ms. bilingue, con una colonna per pagina, il greco in quella di sinistra, il latino (le cui lezioni sono indicate con d) sulla destra. In entrambe le lingue il testo è suddiviso in righe corrispondenti al senso (xwÀa). Il suo bilinguismo appare prova valida che venne scritto e utilizza to in un'area in cui erano correnti entrambe le lingue, presumibilmente in qualche zona della parte occidentale dell'impero (o di quello che era stato l'impero), ma si sono congetturate varie località. Fu donato all'Università di Cambridge nel 1 5 8 1 da Teodoro Beza, il quale disse che era stato trova to nel monastero di Sant'lreneo a Lione durante la sommossa del 1 562. Non ne consegue necessariamente che il ms. sia stato copiato in Gallia. Si è parlato altresì dell'Italia Meridionale, della Sicilia e della provincia ro mana d'Africa.4 Lo scritto rimonta probabilmente al v secolo, benché sia no state sostenute datazioni tanto precedenti quanto successive. Si dice che Beza abbia dato il ms. a Cambridge perché convinto che fos se meglio tenerne celato il contenuto anziché pubblicarlo.5 Senza dubbio esso si discosta più nettamente di qualsiasi altro ms. greco, specie negli At ti, dai testi correnti della revisione della Koinè 6 e dal testo alessandrino o onciale antico.? È impossibile anticipare qui le numerose varianti che sa ranno segnalate nel corso del commento; se ne possono menzionare alcune a scopo illustrativo. Di quando in quando viene aggiunta un'informazione totalmente nuova: l'esempio migliore si ha in 1 2,10, dove D (con scarso sostegno) aggiunge che l'angelo e Pietro xa-rÉ�YJaav -roÙç !;' �a-8[.Lot)ç. Talo ra una scena è tratteggiata in modo diverso, come in 3,1 1 (dove D eviden temente intende il rapporto del portico di Salomone con il tempio in maParigi, Bib. Nat. Gr. 9 1 Ropes, in Begs. m, LV. 3 Nn. 11 4 1 . Ropes, in Begs. 111, LXIII-LXVIII; Nesde - von Dobschiitz, 89. V. vol. 11. s Scrisse: asservandum potius quam publicandum. 6 V. sotto, p. 5 1 . 1
4
7 V. sotto, pp. S I s.
PRO LEGO MENI
niera difforme dagli altri mss. greci). Talvolta a uno stesso evento è dato un taglio diverso, come in 8,i4, dove la notazione in D sulle lacrime di Simone rivela una più profonda sincerità nel suo pentimento, e in I 5,20.29; 2 I ,25, dove D e i mss. del suo gruppo pongono un accento differente sui termini del decreto apostolico. I Spesso D aggiunge un particolare, col ri sultato di rendere il racconto più vivace e icastico: nel presentare le dispute fra Paolo e i giudei, per esempio, D (con scarso sostegno) premette. a I 8,6 le parole 7tOÀÀou òè: Àoyou ytvo(J-Évou x11l. yp11q>wv Òttp(J-'YJVEUO(J-Évwv. Sovente mostra predilezione per formule pie ma non particolarmente significative, preferendo per esempio «il Signore Gesù Cristo» a «il Signore>> o a «GesÙ>> o a « Gesù Cristo» . 2 D non è l'unico rappresentante del cosiddetto testo oc cidentale - sul quale v. anche sotto, pp. 5 2-57, e vol. n -, ma è il più im portante. Non lo si deve tuttavia identificare senz'altro con quel testo. E (o8), come D, è un ms. bilingue, greco-latino; il testo latino è indicato con e. Contiene solo gli Atti, 3 nei quali manca peraltro il passo 26,29-28, 26. Posseduto un tempo dall'arcivescovo Laud, è noto come codex Lau dianus. 4 Molto prima era stato usato da Beda nel suo commento agli Atti; v. sotto, p. 5 I . Ha in comune molte lezioni con D, ma poche tra le sue più caratteristiche, e spesso concorda con il testo tardobizantino o della Koinè. È tuttavia relativamente antico: VI o forse VII secolo. H (oi4), codex Mutinensis, contiene solo gli Atti.5 D ms. è del IX seco lo, il suo testo è bizantino. L (o2o), codex Angelicus; 6 ms. del IX secolo, testo bizantino. Oltre agli Atti contiene le epistole cattoliche e paoline. P (025), codex Porphyrianus/ palinsesto che contiene (con numerose lacune) oltre agli Atti le lettere cattoliche e paoline e l'Apocalisse. Risale al IX secolo e presenta perlopiù il testo bizantino, affiancandosi solo in raris sime occasioni (ad es. I 5,25; I9,27) a D e ai mss. del suo gruppo. I Dire che il testo onciale antico propone un decreto rituale e il testo occidentale semplicistico; v. C.K. Barrett: ABR 3 5 ( I987) so-59. 2 V.
3
4
un
decreto etico è
Epp, Tendency, ma am:he C.K. Barrett, in Fs Black ( I979), I 5-27.
Non lo si deve confondere con E (o7), che reca i vangeli. A Oxford, presso la Bodleian Library, Laud. Gr. 3 5 ·
s Una pane considerevole del testo è andata perduta; il ms . è custodito neUa Biblioteca Arciducale di Modena, G I96. 6 Nella Biblioteca Angelica di Roma, 39· 7 NeUa Biblioteca Pubblica di Leningrado, Gr. 2.2 5 .
IL TESTO
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1F (044), codex Athous Laurensis, I dell'viii o IX secolo, trasmette, con alcune lacune, tutto il N.T. eccetto l'Apocalisse. ll testo è bizantino. Parti (spesso esigue) degli Atti sono contenute anche nei seguenti onciali:
048 049 057 o66 076 077 093 09 5 096 097 0 1 20 0140 0165 0 1 66 0175 01 89 023 6 0244, e i n una messe d i mss. i n minuscola. Non è qui necessa rio menzionarne più di due:
614,
ms. relativamente tardo (xiii secolo), ma di notevole importanza segnatamente per gli Atti (contiene anche le lettere), poiché presenta una serie di lezioni antiche che lo contraddistinguono rispetto al testo bizanti no. l. Per la loro incidenza sul problema del testo occidentale v. sotto, p. 57 · Certo 614 risulta non di rado in sintonia con D e gli altri mss. del suo l gruppo. In 6,7, per esempio, concorda con D E 'l' it vgc sy h nell'attestare la lezione xuptou (anziché -8eoù); in 1 5,29 si unisce a D 1739 e ad altri te stimoni nell'annette�e al decreto apostolico la regola aurea; in 19,5 dopo ·· 'I YJcroù inserisce Xptcr"roù e:lç &c:pe:crtv li!J-ap"rtwv, con (> (Metzger, Versions, 1 3 4 s.). Ropes spiega il fenomeno supponendo che «il testo greco da cui è stata ricavata la traduzione sahidi ca degli Atti fosse la copia di un ms. in cui un testo 'occidentale' era stato corretto quasi completamente in base a un modello del tipo B» (Begs. m, CXLIII). 1 Un'affermazione di questo genere dipende necessariamente da.I modo in cui il testo occidentale viene inteso. Se si ritiene che il testo occi dentale abbia origine in un momento specifico in seguito a una specifica operazione redazionale, l'idea di Ropes è sostenibile, ma. è forse meglio pen I
V. anche Ropes-Hatch, Vulgate, cit., 86-88.
44
PRO LEGO MENI
sare all'origine del testo occidentale come a un processo di sviluppo conti nuo, del quale si potrebbe reputare che la versione sahidica segni uno sta dio. V. sotto, pp. 5 8 s., e vol. 11. La versione bohairica, in precedenza attribuita al vn secolo fino anche al 700, ora, sulla scorta di rinvenimenti papiracei, è datata al IV secolo, forse persino prima. n suo testo è molto più vicino a quello di B e � rispet to alla versione sahidica e ha pochissime lezioni del tipo D (Metzger, Ver sions, 1 3 8; anche Ropes-Hatch, art. cit., 88-90). Di grande rilievo è la versione medioegiziana, ignota a Ropes ( 1926). Un ms. contenente Atti 1,1-1 5,3 in questo dialetto copto è noto dal 1961; non è stato ancora pubblicato, ma in NA2.6 ne sono inserite lezioni ricavate da microfìlm. I Lo si è variamente datato nel IV, v e VI secolo. La forma stessa è problematica, in quanto inizia senza titolo e termina improvvisa mente con 1 5,3, ma non perché siano andate perdute pagine. Finisce sul recto di un foglio, il cui verso è stato lasciato vuoto e che è seguito da un foglio aggiuntivo, sul recto del quale è dipinto un motivo ornamentale. n testo è palesemente di tipo occidentale. In 3 , 1 1 si unisce a D h nel presen tare un'immagine diversa del tempio e del portico di Salomone; in 3,17 con corda con D (E h) nella lezione èh•�peç ti�eÀq>ot, È1ttcr'tci(J.dìa o-rt U(J.Etç (J.Év; in 6,3 con D h p nella lezione 'tt oùv Ècr-rtv tiòeÀq>ot; È1ttcrxé�acr.Se è� U(J.WV aù-rwv avòpaç; in 9,8 con h (p w) nella lezione sed ait ad eos: Levate me de terra. Et cum levassent illum; in I I ,25 con D( 2.) (gig p sy hmg ) nella lezione
tXXOUcrtxç �è: O'tt �ixuÀoç Ècr'ttV dç 8txpcrÒv È�ijÀ.Sev tivtxl;lJ'tWV aÙ'tov, xat wç Cl'UV'tU"J}uv 1ttlpEXcZÀECl'EV aÙ'tÒV ÈÀ.fìEtV.2. Si vedano Ropes, in Begs. m, cxu s., per la versione etiopica; CLXXXI
CLXXXIV, per quelle armena, georgiana e araba; Metzger,
Versions, 1 5 3268, per le traduzioni armena, georgiana, etiopica, araba, nubiana. Nessu
na ha particolare rilievo per lo studio degli Atti. r � CopG67 nella collezione Glazier, a New York. V. Metzger, Versions, 1 1 8 n. I. Ma v. ora H.M. Schenke, Apostelgeschichte I . I-IJ.J im mitte/-Qgyptischen Dialekt des Koptischen (Codex Glazier) (TIJ 137), Berlin 199I. 2. Altri esempi, tratti da T.C. Petersen: CBQ 2.6 ( I 944l n.s-2.41, in Metzger, Versions, 140 s. Metzger cita inoltre come casi di lezioni di tipo occidentale non riscontrati altrove :z.,:z._s; 6,I; 7,3 1-34; 7.42.; 7.48; 8,3 s; 8,39; 1 1,30; 12.,8.9. In Egitto tra 400 e 500 vi erano ancora manifestazioni vivaci della libertà peculiare del testo occidentale. V. pure Epp, Tendency (indice), ed E. Haenchen - P. Weigandt: NTS I4 ( 1968) 469-48I. Si può avanzare l'ipotesi che I 5,3 costituisse un punto favorevole in cui far concludere una versione più breve degli Atti. Vi è stato il mandato di I,8, il dono pentecostale dello Spirito (:z.,I-4), i grandi discorsi cristologici, il martirio di Stefano, la conversione di Paolo, la prima missione ai gentili e la constatazione che ( I 5,3 ), nonostante le difficoltà, essa era un motivo di gioia.
IL TESTO
45
Le
citazioni patristiche hanno potenzialmente importanza enorme, poiché, se si può attribuire a uno scrittore ecclesiastico noto una citazione precisa di un testo biblico, si conosce la forma, o almeno una delle forme, in cui il testo circolava in un tempo e in un luogo determinati. Esse devono tutta via essere usate con grande cautela. 1 . Gli scrittori (specie prima che vi fos sero le concordanze) avevano la propensione a citare a memoria, e la loro memoria non era infallibile. 2. Dove era nota più d'una forma di un testo, i Padri tendevano a citare la forma che meglio si adattava alla loro argo mentazione. 3 · Gli stessi testi patristici devono essere preliminarmente ri costruiti sulla base della tradizione manoscritta e in pochi punti correvano il rischio di subire corruttele quanto nelle citazioni bibliche: era ovvio per un copista ritenere che l'autore venerato dovesse aver citato la Scrittura secondo quello che egli, il copista, considerava il testo autentico. Per tale ragione è sempre importante confrontare il testo citato con l'argomenta zione in cui è inserito, dalla quale a volte emergerà che vi si presuppone una lezione diversa da quella data nel lemma. Nel prosieguo si tenterà di indicare in forma quasi di elenco alcuni tra i più importanti testimoni patristici del testo degli Atti, secondo un ordine approssimativamente cronologico. Secondo secolo Testimoni anteriori a Ireneo. Di fatto non ve ne sono. Può darsi che vi sia qualche attestazione di conoscenza degli Atti prima dell'epoca di Ireneo (v. sotto, pp. 63-74), ma non tale da fornire un testo preciso. Ropes, in Begs. III, CLXXXV, ritiene «probabile» che Barn. 5,8.9 ( XYjpuaae:tv 'tÒ e:ùr:x.yyÉ Àtov r:x.ù·cou È�e:ÀÉ�r:x.-ro ) mostri di conoscere il testo occidentale di Atti 1,2: possibile, forse, più che probabile. Egli (CLXXXVI ) reputa inoltre «non im probabile » che Did. 1,2 abbia attinto la propria forma della regola aurea dal testo occidentale di Atti 1 5,20.29. Ma la regola aurea era troppo nota perché questa ipotesi sia plausibile. Qui la questione più rilevante riguarda Giustino Martire, ma concerne l'uso più che il testo; v. sotto, pp. 70-73 . Ropes, in Begs. m, C LXXXVI , rav visa in alcune delle citazioni veterotestamentarie di Giustino elementi che rivelano la conoscenza del modo in cui tali passi sono presentati nel testo occidentale degli Atti. Ma v. P. Prigent, Justin et l'Ancien Testament, 1964, il quale mostra che nell'uso dell'A.T. Giustino è indipendente. L'argomen tazione di Zahn, I che collega Giustino al primo capitolo degli Atti sulla base della ripetizione di una sequenza in quattro fasi (apparizioni dopo la risurrezione, ascesa visibile al cielo, ricezione dello Spirito, predicazione a tutte le nazioni), dimostra al più l'esistenza di una tradizione parallela. .••
•••
r
Th. Zahn, Geschichte des neutestamentlichen Kancms 1/z., Erlangen-uipzig r 8 89, 508 s.
5I5
s.
5 So.
PRO LEGO MENI
Ireneo è il primo autore cristiano noto che citi esplicitamente gli Atti, e lo fa spesso e a lungo. La testimonianza è problematica in quanto è ricavata dalla traduzione latina e non dall'originale greco di Ireneo, anche se c'è mo tivo di ritenere che il latino riproduca il greco con una certa precisione. I Ropes, loc. cit., descrive il testo degli Atti degli Apostoli in Ireneo come un «perfetto testo 'occidentale', che presenta soltanto poche deviazioni rispet to al tipo 'occidentale' integrale» . Questa opinione è stata ampiamente ac colta, ma è revocata in dubbio da B. Aland, � la quale afferma in conclusio ne (p. 56) che «il testo degli Atti utilizzato da Ireneo era un ms. arcaico di tipo parafrastico», non un testo occidentale in senso proprio. È chiaro 3 che la questione verte in parte sulla definizione dei termini usati, segnatamente dell'espressione «testo occidentale», e di conseguenza sull'idea che si ha ri guardo all'origine di questo testo. Non c'è dubbio che Ireneo concorda di frequente con le lezioni riscontrate in D, nei mss. della Vetus Latina, nella Harclensis o in combinazioni di questi manoscritti. Basti qualche esempio: 2,1 7: o -8-Ec)ç] xt}pto "tÒv ulòv 'tou -8-Eou Elv11t 'llJaouv Xpta"tov) Cyp 14,10: cpwvTi] + aot ì..i:yw Èv 't ÒVO!J-11'tt 'tou xuptou 'llJaou Xpta'tou con h varianti C D E '1. min (compreso 1739) h t sy P sy mg co; Ir lat 3 , 1 2,9 ( 1 2) (in nomine domini (nostri) Iesu Christi ambulare fecisset) 14,1 s : u[J-&. voli., London 192.7-19:z.8.
legge T.:iaw come maschile. s
Quantomeno nei brani col «noi•.
6 Crescente, Lino, Clemente.
62
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Luca, medico di Antiochia, non era ignaro della lingua greca, come mostrano i suoi scritti. Seguace dell'apostolo Paolo e suo compagno in tutti i suoi viaggi (omnis eius peregrinationis comes), I scrisse il vangelo, del quale lo stesso Paolo dice: > , Il vangelo perciò lo scrisse secondo quanto aveva sentito, ma gli Atti degli Apostoli li compose secondo quanto egli stesso aveva visto. È sepolto a Costantinopoli, città nella quale le sue ossa, insieme ai resti dell'apostolo Andrea, furono traslate nell'anno ventesimo di Costanzo.5 Sono approssimativamente di questo periodo e di poco posteriori le ben note liste dei li bri canonici del N.T. 6 Quella che segue basterà a i ll ustrare come nel IV secolo fosse accettato un N.T. identico o quasi a ll 'attua le, e che ovviamente comprende gli Atti. Non è senza importanza che in questi elenchi la loro posizione relativa vari, il che riflette verisimilmente una pro lungata incertezza sul loro scopo, se non sul loro posto nel canone.
La lista di Cheltenham (o mommseniana) ( 3 60 d .C. circa) Quattro vangeli
Matteo, Marco, Giovanni, Luca,
Il totale ammonta a
2700 linee (versetti)
I 700 linee I 8oo linee 3 300 linee I o ooo linee 7
I Il che non pare possibile, anche se fosse lui il responsabile di tutti i brani col «noi».
Cor. 8,r8; Col. 4,14; .z Tim. 4,1 1. 3 Apostolirorum Ilpci�v. Gerolamo conserva il termine greco, benché si comporti come se fosse
2. .z
maschile o neutro - forse pensando ad Acta?
4 Presumibilmente Gerolamo intende dire che Luca aggiornò la sua opera scrivendo a Roma e, se ne deve dedurre, nel quarto anno di Nerone (57-sS).
5 343-344 d.C.
6 Per altre liste e particolari sulla provenienza di queUe presentate qui v. B.F. Westcott, A Generai Survey of the History of the Canon of the NT, London 71 896; A. Souter, The Text and Canon of the NT, London 1 9 1 2.; B.M. Metzger, The Canon ofthe NT, Oxford 1987. 7 L'aritmetica lascia a desiderare, a meno che la lista preveda anche gli spazi tra i vangeli.
GLI ATri E IL LORO AUTORE
Lettere di Paolo, I 3 di numero 1 Gli Atti degli Apostoli, L'Apocalisse, Lettere di Giovanni, 3 , u na sola 2 Lettere di Pietro, 2, una sola 3
3 600 linee I 8oo linee 3 50 linee 300 linee
In questa lista è da notare l'ordine dei vangeli: Luca è l'ultimo, il che po trebbe essere testimonianza di un periodo in cui i due libri, Luca e Atti, non erano separati. Qui peraltro il libro degli Atti non funge visibilmente da ponte tra i vangeli e le lettere apostoliche. Si confronti il papiro Chester Beatty, 1)45, che contiene i vangeli nell'ordine consueto e gli Atti.
Atanasio. La. lista più antica che presenti contenuti identici a quelli del N.T. attuale si trova nella Lettera festa/e 39 di Atanasio ( 3 67 d.C.) . Dopo un'introduzione, in cui gioca sulle parole del prologo del vangelo di Luca (Le. I , I -4), e un elenco di libri dell'A.T., Atanasio prosegue: «Non è oneroso menzionare i libri del N.T. Ci sono quattro vangeli, se condo Matteo, secondo Marco, secondo Luca, secondo Giovanni. 4 Dopo questi, gli Atti degli Apostoli, le cosiddette lettere cattoliche degli apostoli, in numero di sette, come segue... Oltre queste ci sono quattordici lettere di Paolo l'apostolo ... s E ancora l'Apocalisse di Giovanni » .
Cartagine. Gli stessi libri furono approvati dal terzo sinodo di Cartagine nel 397 d.C. (canone 39); il sinodo sembra aver ripreso la lis�a prodotta a Hippo Regius nel 3 9 3 · Si deliberò che nella chiesa non si dovesse leggere nulla sotto i l nome di divine Scritture in aggiunta alle Scritture canoniche, che sono: 6 Del N. T.: Dei vangeli, quattro libri Degli Atti degli Apostoli, un libro Di Paolo l'apostolo, tredici lettere Del medesimo, agli Ebrei, una 7 Dell'apostolo Pietro, due 1
Presumibilrnente è omessa la lettera agli Ebrei. prima e la seconda lettera di Giovanni non erano universalmente accettate.
1 La
3 La seconda lettera di Pietro non Giacomo. 4 L'ordine è
era
universalmente accettata; in questo elenco manca la lettera di
quello consueto, attestato, per esempio, in '!)45; ora Atti è separato da Luca.
Qui è compresa la lettera agli Ebrei. 6 Precede un elenco dei libri veterotestamentari. 7 Persiste il dubbio sulla paternità letteraria dell'epistola agli Ebrei, e qui trapela palesemente. s
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Di Giovanni, tre Di Giacomo, una Di Giuda, una Dell'Apocalisse di Giovanni, un libro. Qui gli Atti precedono le epistole paoline, mentre nella lista di Atanasio sono contigui alle lettere di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda. Non è necessario procedere oltre. Chi desiderasse farlo troverà in Begs. n, 234-245, ulteriori citazioni da Gerolamo e una da Adamanzio, nonché il cosiddetto prologo monarchiano a Luca, opera probabilmente della scuo la priscillianista, se non dello stesso Priscilliano (morto nel 3 8 5 d.C.). Fra queste testimonianze vale forse la pena di riportare il breve passo di Gero lamo, Epist. 5 3 ,9: « Gli Atti degli Apostoli sembrano esporre in effetti la storia pura e semplice (nudam historiam) e narrare (texere) l'infanzia della chiesa neonata, ma se riconosciamo che l'autore degli Atti è Luca, un me dico 'la cui lode è nel vangelo' (2 Cor. 8 , r 8 ) , ci rendiamo conto che tutte le sue parole sono allo stesso modo medicine per l'anima malata » . Si compie qui in qualche misura un tentativo di definire lo scopo e l'uso del libro, che è in apparenza storico, ma ha un impiego più profondo, di natura religiosa. Sarà bene ora cominciare dall'altro capo, partendo dagli scrittori più an tichi, con l'intento di scoprire quando si iniziò a utilizzare gli Atti e come il libro fosse interpretato da chi se ne serviva. Bisogna prendere in considera zione due passi compresi nello stesso N.T.: 2 Tim. 3 , r r accenna a persecuzioni subite da Paolo ad Antiochia, Ico nio e Listra. Di persecuzioni in queste località si parla in Atti r 3 e q. La seconda lettera di Timoteo non fornisce particolari di sorta ed è del tutto possibile che l'informazione sia giunta all'autore mediante una tradizione indipendente dagli Atti in quanto opera scritta. Mc. r 6, r 5 riporta un mandato affidato ai discepoli dal Gesù risorto: essi devono predicare a tutta la creazione; cf. Atti r , 8 . In r 6, r 7 si prean nuncia che parleranno lingue nuove (yÀwcrcrtzt> . Seguono rinvii ad Atti 4,3 1.3J; 5.3o-3 2.42• - Nel resto di 3 , 1 2 si leggono richiami ai capitoli degli Atti 7; 8; 9; Io; 14; 1 5;
17. 3,13,3: «Se dunque si studia attentamente, sulla base degli Atti degli Apo
stoli, il tempo in cui, secondo quanto sta scritto, egli [Paolo] salì a Gerusa lemme per la questione citata sopra, 1 si troverà che gli anni menzionati in precedenza da Paolo concordano. L'affermazione di Paolo è dunque con sonante e per così dire identica alla testimonianza di Luca riguardante gli apostoli>> . - Qui Ireneo si vale di un esempio storico particolare per illustra re l'unità esistente fra Paolo e gli altri apostoli, punto importante questo nel la sua argomentazione contro gli eretici. 3,14,1: « Che questo Luca fosse inseparabile da Paolo e dai suoi colla boratori nell'evangelo, lo mette in luce invero proprio lui, non vantando I
lreneo ha parlato deU'incontro descritto in Gal.
2.
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sene, bensì sospinto dalla verità stessa » . - lreneo sta conducendo e porta avanti un'argomentazione su due versanti: primo, che Paolo non è l'unica fonte della verità apostolica (come sostenevano i marcioniti) e, secondo, che egli concordava con gli altri apostoli (e la sua testimonianza non doveva essere rigettata, come facevano gli ebioniti). Gli Atti costituivano un soste gno importante per la difesa di entrambe queste tesi. 3,1 5,1: lreneo sostiene qui piuttosto diffusamente come gli ebioniti non abbiano diritto di accogliere materiale del vangelo di Luca se non sono di sposti ad accettare dagli Atti il racconto della vocazione e del conferimen to di autorità a Paolo da parte di Dio. Egli aggiunge che l'insegnamento degli apostoli è chiaro e fermo e non sottace alcunché, poiché essi non hanno insegnato un determinato complesso di verità in privato (in abscon dito) e uno diverso in pubblico. 4,23,2: Ireneo fornisce un resoconto completo su Filippo e sull'eunuco etiope (Atti 8).
È chiaro che Ireneo ha trovato gli Atti utili nella sua replica agli eretici contro i quali scriveva. L'unica questione che resta da porre (ma che non viene affrontata compiutamente a questo punto) è il rapporto fra gli Atti e Marcione, di importanza primaria per la comprensione dell'origine del li bro in esame e del processo che nel corso del n secolo lo fece inserire nel canone neotestamentario. La situazione si presenta, almeno esteriormente, nelle forme del paradosso. L'unico vangelo utilizzato da Marcione era una versione mutila 1 di Luca, ma egli non si servì degli Atti, che furono in ef fetti impiegati contro di lui da Ireneo e Tertulliano. 1 Per Marcione Paolo era l'unico vero apostolo e fonte della dottrina cristiana; gli Atti conten gono un resocon�o lungo e lusinghiero dell'opera di Paolo, e tuttavia Mar cione non fece uso di quel libro. Si può in realtà sostenere 3 che Marcione abbia sostituito gli Atti con le sue Antitesi. Le attestazioni degli inizi del n secolo sull'esistenza degli Atti sono esi gue e incerte, ma non è il caso di inferime che il libro non fu scritto prima della metà di questo secolo. C'è documentazione bastante per provare che a quel tempo gli Atti erano noti, e non come opera prodotta di recente. A questo punto è utile richiamare i passi negli Atti che mostrano cognizioni delle province romane nella condizione in cui si trovavano nel 1 secolo e 1 J. Knox, Marcion and the NT, Chicago 1941., ritiene che la fonna di Luca che si incontra in Mar cione fosse quella originaria, successivamente ampliata in senso antimaicionita. z. Tertulliano si rifà agli Atti molto meno spesso di quanto ci si potrebbe aspettare da uno scrittore anrimaicionita. 3 C.K. Barrett, in Fs Borgen, 3 1 s.
AlTI 1-14. LE FONTI E IL PIANO
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non in quella assunta nel n. 1 Gli Atti erano noti; il dubbio è però se nella prima metà del II secolo la chiesa sapesse come servirsene. 3 · AlTI 1-14. LE FONTI E IL PIANO
La parte degli Atti presa in esame in questo volume inizia a Gerusalemme e si conclude ( 14,28) ad Antiochia, dove Paolo e Barnaba riferiscono ai cristiani del luogo, essi stessi un gruppo misto di giudei e gentili, il succes so del viaggio missionario compiuto fra le comunità dell'Asia Minore com poste in parte da gentili. Dio aveva aperto a costoro la porta della fede. Pochi i dubbi (e conferme di varia natura giungono dai capp. 1 5-28) che fosse intenzione di Luca in questi capitoli introduttivi presentare un passo decisivo, grazie al quale la fede di un gruppo di giudei e l'evangelo che era stato loro affidato vennero trasmessi a persone appartenenti a un diverso retroterra religioso ed etnico. Questo fatto, già abbastanza evidente in sé, è reso esplicito in 1,8, dove Gesù invia suoi testimoni da Gerusalemme in Giudea, in Samaria e fino all'estremità della terra. Una rapida scorsa del testo conferma il quadro della progressiva espansione. L'evangelo viene predicato a Gerusalemme; con 5,16 è oramai noto nelle città dei dintorni (ossia le città della Giudea); in 8,5 ha raggiunto la (o una) città di Sama ria. Nella seconda parte del cap. 8 un devoto etiope e al cap. 10 un devoto romano si convertono. ll primo episodio è riportato senza commenti, ben ché si faccia capire chiaramente che è conseguenza diretta della guida dello Spirito santo; il secondo induce i cristiani di Gerusalemme a concludere: «Ebbene, anche ai gentili Dio ha concesso il pentimento che conduce alla vita» ( n,I8). Quasi subito dopo ( n ,2o) si legge dell'evangelizzazione ad Antiochia di greci, non giudei, condotta che riceve l'approvazione e vede la partecipazione di Barnaba, il rappresentante della chiesa madre di Gerusa lemme. La questione del rapporto dei gentili con l'evangelo, e attraverso l'evan gelo con il popolo giudaico, viene dibattuta al cap. 1 5, dopo di che la mis sione ai gentili prosegue senza ostacoli, sebbene il decreto emanato dal concilio in 1 5,29 venga ripetuto in 21,25. Tale decreto è di capitale impor tanza per comprendere le idee di Luca sull'evangelo e la chiesa, ma non è da trattarsi qui. Basti osservare che nei capp. 1-14 Luca ha posto la mis sione ai gentili come un dato di fatto, che non manca di suscitare problemi e richiede una regolamentazione, ma non è mai messa in discussione se non da coloro la cui opinione può essere di fatto ignorata, e dopo la deci sione presa dagli apostoli e dagli anziani viene perseguita con energia, per raggiungere infine Roma stessa. 1
Le attestazioni si trovano soprattutto negli ultimi capitoli degli Atti; v. vol.
11.
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È a una lettura più attenta dei primi quattordici capitoli che emergono problemi e difficoltà, che saranno segnalati nel corso del commento. Qui se ne può menzionare qualcuno fra i più salienti. Chi erano gli Ellenisti (6,r; cf. 9,29; u,2o) ? L'uso del termine in 6, 1 implica che l'evangelo fosse già stato predicato ai gentili? Che dire dell'etiope? Non era un giudeo, non era un proselito; se egli poté essere convertito e battezzato, quale impor tanza può avere ancora Cornelio? Nell'episodio che lo riguarda qual è il significato della visione di Pietro? Concerne il cibo o le persone? Nel primo caso, non contraddice forse il decreto, visto che non pone limiti al cibo con sentito? Nel secondo, fino a che punto si spinge? Permette la predicazione ai gentili (i quali, se convertiti, devono poi sottostare a determinate norme) o un rapporto con loro senza restrizioni di sorta ? Se la conclusione della discussione che segue ( : p, r 8 ) significa ciò che dice, non rende forse super fluo il dibattito che nasce da 1 5 , I . 5 ? E che dire di Paolo, che in 9, 1 5 è introdotto come colui che porterà il nome di Cristo dinanzi ai gentili e dal cap. I 3 in avanti sarà definito come il principale missionario presso i gentili? Non appena introdotto egli viene peraltro soppiantato da Pietro, che Luca evidentemente considera il primo se non il più grande tra i missionari ai gentili ( I 5,7). Si sollevano qui tali questioni per:ché attengono sia al piano degli Atti sia alle fonti in essi utilizzate. Sono stati compiuti numerosi tentativi di pro porre disamine letterarie e storiche del libro. Si può supporre che l'autore lo abbia progettato informandosi a criteri letterari artistici o a uno svilup po storico, oppure a una combinazione di entrambe le prospettive. Tutti questi tentativi incontrano difficoltà allorché sono posti di fronte alle que stioni menzionate e ad altre similari. Occorre tenere presenti i seguenti da ti: I . l'autore non ha assistito agli eventi narrati nei capp. I-q. Se questi è Luca, il compagno di Paolo, egli fa la sua prima comparsa nel racconto, per sua stessa ammissione, in I 6,Io, prima occorrenza nella narrazione del la prima persona plurale. I Resoconti di episodi precedenti devono essergli giunti di seconda mano (nel migliore dei casi) . Se l'autore non è uno dei compagni di viaggio di Paolo, si trova a una distanza ancora maggiore da quegli eventi; 2. l'ingresso dei gentili nella chiesa fu accompagnato da seri problemi e aspre controversie, come dimostrano chiaramente le epistole paoline, mentre negli Atti gli indizi al riguardo sono rari; 3 · è a priori im probabile che lo sviluppo della missione ai gentili procedesse dappertutto con gli stessi ritmi e passasse attraverso le medesime fasi. Altrettanto im probabile che a Gerusalemme, o in altri centri cristiani, si fosse al corrente di quanto stava accadendo in tutti gli altri centri cristiani. La questione del piano di Luca e quella delle sue fonti vanno considera I
Sul «noi• in 1 1,:z.8
v.
ad loc.
ATTI 1 - 1 4 . LE FONTI E IL PIANO
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te l'una in connessione con l'altra. Non c'è dubbio che uno dei suoi inte ressi primari fosse l'estensione dell'evangelo ai gentili. L'ipotesi che Luca si sia impegnato a raccogliere storie di contatti precoci coi gentili ovunque potesse averne notizia merita di essere vagliata. Egli aveva a disposizione quattro fonti principali alle quali attingere. 1. A prescindere dall'opinione sul valore storico di 2I,8, il versetto af ferma che l'autore ha avuto un contatto di qualche tipo con l'evangelista Filippo. Anche se esso fosse stato meno diretto di quanto lasci credere una lettura superficiale del versetto, l'autore ebbe accesso a tradizioni su Filip po, forse a lui riportabili, e questo - si può aggiungere altresì per non sbi lanciarsi troppo - quale che sia il loro valore storico. Di qui egli trasse gli episodi della città samaritana ( 8 ,4-8 ) 1 e dell'etiope ( 8,26-40). I samaritani erano, al più, non pienamente giudei, l'etiope non era affatto giudeo. 2. La menzione di Filippo in 21,8 è anche una menzione di Cesarea; e Cesarea come località in cui si trova Filippo è citata pure in 8,40.1 L'auto re scrive in modo da affermare i propri contatti con Cesarea: egli vi è sta to. Non pare avventato congetturare che (anche se in Atti 2I i suoi con tatti furono meno profondi di quelli di un compagno di viaggio) egli abbia chiesto ai cristiani del luogo in quale modo fosse sorta la loro chiesa (sen z'altro una chiesa mista, composta di giudei e gentili, al tempo in cui egli fu in rapporto con essa), e che essi gli abbiano raccontato di Cornelio, una storia forse molto più breve e più semplice di quella narrata al cap. IO, ma nella quale Pietro ricopriva un ruolo abbastanza rilevante da spingere Lu ca a introdurre il racconto di una visione di animali puri e impuri, che ave va attinto altrove. 3· La tradizione antica presenta Luca come nativo di Antiochia,3 il che può essere vero o meno. Risulta chiaro dal suo libro che egli conosceva An tiochia come centro cristiano importante e in particolare come una delle basi da cui Paolo aveva condotto le sue missioni. Tutto il viaggio descritto ai ca pp. I 3 e 14 fu compiuto sotto gli auspici della chiesa di Antiochia, che diede il mandato ai missionari e ne ricevette altresì il resoconto ( I 3,3; 14,27 s.), per inviarli successivamente a Gerusalemme a trattare della posi zione dei gentili ( r 5,2). Certo è che Luca ha ricevuto materiale tradizionale da Antiochia e che il racconto che gli antiocheni fornivano delle origini della loro chiesa conteneva l'affermazione che quasi sin dall'inizio vi erano stati compresi i gentili. 4· L'autore degli Atti o era un compagno di Paolo o si presentava come I
Forse anche 8,9-15, ma è possibile che la storia di Simon Mago provenga da altra fonte. Ulteriori cenni a Cesarea si leggono in 9,30; 10,1.14; 1 1, 1 1 ; 1 2.,19; 1 8,2.2.; 2.1,16; 2.3,2.3 ·33; 2.5,1.4. 6.1 3 . Non c'è dubbio che Luca fosse interessato a Cesarea. 3 Così, ad es., Hier. ViT. ili. 7; v. sopra, p. 62.. 1
8o
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tale o attinse alle memorie di uno di loro. Con sicurezza ancora maggiore si può dire che era un ammiratore di Paolo e la sua ammirazione implicava la convinzione che Paolo fosse stato un missionario di spicco presso il mon do dei gentili. Che il suo legame con Paolo fosse stretto o remoto, diretto o di seconda o terza mano, egli ha chiaramente utilizzato tutte le informa zioni che ha potuto trarre dalle fonti paoline e, benché a quanto pare non abbia fatto uso delle lettere, da queste si può concludere che le informa zioni su Paolo dovevano comprendere anche materiale relativo all'inclusio ne dei gentili e forse ai problemi che sorsero in seguito a questa iniziativa. Queste furono le fonti di informazione, I e il loro impiego fornì a Luca non soltanto notizie, ma al tempo stesso le linee generali della prima parte degli Atti. Suo primo compito era gettare le fondamenta a Gerusalemme,� mostrando nel modo migliore possibile quali parole gli apostoli avessero dovuto rivolgere ai loro compagni giudei, come fu costituita la chiesa e co me adempì il precetto dell'amore impartito dal Signore. Dopo di che pro cedette fornendo vari esempi - forse tutti quelli che conosceva - dei modi in cui l'evangelo era stato portato ai gentili. Era naturale prendere le mos se dai samaritani, che erano i più vicini al giudaismo, e una storia su Filip po se ne portò dietro una seconda. Si trattava poi di collocare, in vista di 1 5 ,7, l'episodio di Pietro e Cornelio. Spiaceva che il centurione romano do vesse essere preceduto dall'alto funzionario etiope, ma non tanto da indur re Luca a separare i due episodi di Filippo. Seguiva la vicenda di Antio chia, dalla quale scaturiva il racconto della prima missione di Paolo. A de terminare il piano di Luca non furono considerazioni né artistiche né cro nologiche; egli semplicemente presenta una serie di incursioni nel mondo pagano. Con ciò non si esaurisce tutto il racconto di Luca. Che dire della conver sione di Paolo e dei fatti immediatamente successivi (9,1-30) ? È chiaro che tale conversione fu per Luca, che la racconta tre volte, un evento di enor me rilievo. I punti in cui la colloca dipendono dal suo desiderio di presen tare Paolo quale successore di Stefano (d. 2.2,20) e forse compagno di Fi lippo, ma nel cap. 9 non fornisce un resoconto accurato dell'attività mis sionaria svolta da Paolo perché conosce anche la tradizione ( 1 5,7) secondo cui era stato Pietro a dare avvio alla missione al di fuori del giudaismo, nonché altre storie indipendenti sul conto di Pietro (9,3 2-43 ; 1 2,3-19). C'è anche una linea di connessione che risale dalla fondazione della chiesa di Antiochia ( 1 1 , 1 9 s.) alla persecuzione dopo la morte di Stefano (8,1-3 ) e alla designazione dei sette (6, 1 ). È probabile che questo materia le facesse parte della tradizione antiochena. Le prime chiese fondate al di I Non necessa riamente fonti letterarie. � Tornerò sulla questione di quali fonti Luca possa aver utilizzato a questo scopo; v. sotto, pp. 8x s.
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fuori di Gerusalemme dovevano essere desiderose di dimostrare di aver in trattenuto solidi contatti con la chiesa originaria di Gerusalemme. Samaria aveva Filippo, ma (forse) pensò che fosse bene rafforzare quel rapporto col racconto di una visita da parte di Pietro e Giovanni. Cesarea poteva ri chiamarsi allo stesso Pietro, e così forse Lidda e Joppe. Antiochia sfruttò al massimo un legame piuttosto remoto con il primo martire, aggiungendo Barnaba, e anche Saulo, per quanto egli sia poi forse caduto in disgrazia e sia stato sostituito da Pietro (cf. Gal. 2, 1 3 ). In questo stadio è probabilmente meglio pensare a tradizioni, senza spe cifìcame la forma, che non a fonti scritte o anche orali, se per fonti orali s'intendono quelle fissate verbalmente. È opportuno tuttavia prendere in considerazione in breve due teorie relative alle fonti scritte, una che riguar da interamente, l'altra principalmente il materiale dei capp. 1-14. Entram be hanno ricevuto la loro formulazione classica a opera di Hamack, I an che se vi sono stati in seguito numerosi contributi al dibattito. 1 La prima è basata su osservazioni condotte sui capp. 2-5, che - si so stiene - contengono doppioni. È possibile presentare due serie di episodi. Eccoli secondo l'esposizione di Hamack, un po' condensata: A I. Pietro e Giovanni si recano al tempio e lì accade un miracolo sor prendente ( 3 , 1 - 10) 2.. Pietro coglie l'occasione per tenere un grande discorso missionario (3,I I-26) 3. Il miracolo e il discorso hanno come conseguenza la conversione di cinquemila persone (4, 1-4) 4· Pietro e Giovanni appaiono di fronte al consiglio: sono minacciati ma non si spaventano; vengono rilasciati perché il consiglio teme la folla (4.5-2.2) 5. Pietro e Giovanni tornano dai loro fratelli; preghiera e ringraziamen to (4,23-30) 6. Terremoto, effusione dello Spirito e condivisione dei beni (4,3 1-3 3 ) 7 · Non vi sono bisognosi; l'esempio terribile di Anania e Saffira (4,345,I I ) 8. Segni e miracoli ( 5 , 1 2- 1 6)
B 1 . Effusione dello Spirito e parlare in lingue ( 2,1- 1 3 ) 2.. Discorso missionario d i Pietro, che presuppone prodigi (non menzio nati) ( 2, 14-3 6) 3· Il miracolo e il discorso hanno come conseguenza la conversione di tremila persone ( 2,37-4 1 ) I 1
The Acts of the Apost/es, tr. ingl., London I909, I61-2.o2..
In panicolare J. Dupont, The Sources of Acts, tr. ingl., London 1964; anche Haenchen, 91-99; Schneider, 82.-89; Bulanann, in Fs Manson, 68-So.
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PRO LEGO MENI
4· Gli apostoli sono gettati in prigione ma liberati da un angelo ( 5 , 1 721a) 5. Le autorità giudaiche arrestano di nuovo gli apostoli; temono la folla e Pietro si rifiuta di obbedire al divieto di predicare; flagellazione e ri lascio (5,21b·4 1 ) 6 . Gli apostoli continuano la loro attività ( 5 ,42). Hamack, 183, commenta: ccA mio modo di vedere è talmente chiaro che si è qui in presenza di una seconda narrazione dei medesimi accadimenti, che ci si può solo meravigliare di come il riconoscimento di tale dato di fatto non sia divenuto di dominio comune molto tempo fa » . Aggiunge come continuazione di A 8,5-40; 9,3 J·1 1,18; 1 2, 1-23 . Questa è la fonte geroso limitano-cesariense o petrino-filippina. B è un racconto parallelo ad A di taglio più soprannaturale (e secondo Hamack meno attendibile). Luca ave va a disposizione entrambe le fonti e le ha combinate insieme. Oggi questa ipotesi è quasi completamente abbandonata, benché sia stata in qualche modo riesumata da Reicke, I che traccia paralleli fra 2,42-4,3 1 e 4,32-5, 42. Essi investono due temi: la vita comunitaria (per cui i paralleli sono tra 2,42-47 e 4,3 2-5,14) e la persecuzione a opera dei sadducei (fra 3,1-4,3 1 e 5,1 5-42). L'idea di Hamack è parsa non plausibile per motivi di ordine ge nerale: è improbabile che la chiesa dei primissimi tempi tenesse registrazio ni scritte,1 inoltre, secondo l'osservazione di Jeremias, 3 i due racconti del l'arresto e rilascio degli apostoli non sono paralleli ma sequenziali. Nella prassi giudaica un'infrazione della legge poteva essere punita soltanto se il trasgressore era consapevole che la stava commettendo e che si stava ren dendo passibile di punizione. Chi, come Pietro e Giovanni, era lòtW'tlJ.SYJ) al cielo e si assise alla destra di Dio. Giovanni parla di un andarsene (tmtiye:t'll ) e di un salire (à.'llct�ctt'lle:t'll ) di Gesù al Padre, ma non è chiaro in quale momento ciò debba collocarsi (se invero lo si deve pensare come un evento databile): forse bisogna intendere che accade dopo la conclusione del libro, ma c'è chi ritiene implicito che Gesù è asceso fra 20, 17 ( «Non mi toccare, perché non sono ancora salito, ou1tw yàp à.'llct�É�lJKGt») e 20,20 («mostrò loro le mani e il costato» ), o 20,27 (dove Tommaso è invitato a toccare il corpo di Gesù). Ef. 4,8-Io; I Pt. 3,22 sono asserti teologici che non contribuiscono a risolvere il problema, né soccorre Fil. 2,9- I I . Le. 24, 5 1 (òtÉa'tlJ à.7t'ctù'tw'll xa.t à.'IIE:qlÉpno e:lc; 't'Ò'II oùpa.va'll ) corrisponde al raccon to più completo degli Atti, ma c'è chi ha sostenuto (specialmente Bertram, in Fs Deissmann, I 87-2 I7) che Le. 23,43 presupponga un'ascensione di Ge sù dalla croce al momento della morte. Sarebbe una tradizione prelucana, abbandonata da Luca a favore di una permanenza temporanea di Gesù (quaranta giorni, secondo il v. 3 ), terminata con un'ascesa. La presunta tra dizione prelucana implicherebbe una discesa per ogni apparizione successi va alla risurrezione, ma non ve n'è traccia nei racconti lucani e si può du bitare che sia mai esistito tale stadio intermedio fra la persuasione che Ge sù fosse, o fosse diventato xuptoc;, con il corrispondente uso metaforico di verbi come à.'llct�t'IIE:t'll , u7tct"(e:t'll , 7tope:Ue:a.Sa.t, e il convincimento che un da to giorno Gesù salì al cielo, pensato come luogo, trasportatovi da una nu be. Bruce, Book, 40, sensatamente osserva che dopo ciascuna apparizione tramandata dalla tradizione Gesù dev'essere «svanito», in un caso per l'ul tima volta. C'è una considerazione ulteriore che può avere conferito a questa «ulti ma volta» la forma che ha negli Atti. Le immagini alle quali Luca fa ricor so sono largamente debitrici della convinzione arcaica che Gesù, in quanto
94
INTRODUZIONE E RICAPITO LAZIONE
messia o figlio dell'uomo, sarebbe venuto con le nubi del cielo, quadro che risale a Dan. 7, I 3 . In senso teologico ciò significa che la salvezza era stata iniziata dal Gesù storico e sarebbe stata condotta a consumazione da lui alla fine. Sul piano storico per Luca vuoi dire che la storia che s'accinge a raccontare è la storia dell'attività salvifica di Gesù. Egli, il Signore, domina in cielo; a volte comparirà personalmente sulla terra per dar compimento ai propri intenti (ad es. 9,5 . Io); più spesso opera mediante lo Spirito (ad es. I 3 ,I-3; I 6,6 s.). I. -ròv tJ.È:V 7tpw-rov J..Oyov. Àoyo� può indicare un' «opera storica » o una «sezione di un'opera storica » (come poi f3tf3Ào�) » (LSJ, I058, s.v., v.3 ), co me anche una «sezione, divisione di un dialogo o trattato» (v1.3d). Che qui designi il vangelo di Luca è chiaro, e forse non ha senso chiedersi se l'auto re avrebbe considerato la sua composizione in due libri alla stregua di ope ra storica oppure di dialogo o trattato. Egli stesso parlando del primo dice che contiene sia azione sia insegnamento; così è di fatto, il che vale anche per il secondo, ed è verisimile che Luca avrebbe affermato che entrambi contemplavano sia gli eventi basilari su cui era fondata la fede cristiana sia le sue dottrine capitali. L'uso di -ròv 1tpw-rov (anziché -ròv 1tpO't€pov «il pri mo fra due», o -ròv 1tpoa-8Ev, o -ròv 1tpoa€À-8ov-rcx, «il precedente» ) non im plica necessariamente che Luca intendesse scrivere più di due libri. Proba bilmente era diffuso un uso scorretto di 1tpw-roc; (a rigore il > . Pochi i dubbi che o Luca abbia scritto Òta, oppure la sua costruzione abbia lo stesso significato. Nell'uso classico òta col genitivo ha il significato di «durante» ( BDR, § 223 .2a, con la precisazione in nota che è implicito che le apparizioni ebbero luogo «non in modo continuato », ma «di quando in quando>> ). Al riguardo tuttavia Moule, 5 6, osserva che «si è rilevato come 'a intervalli' sia concetto ricavato non dalle parole bensì da una conoscen za indipendente delle tradizioni. In sé il complemento significa semplicemen te 'durante' o 'nel corso di' ... Così in 1 6,9 » . Wilson, Genti/es, 102, può ave re ragione nel credere che il periodo di quaranta giorni sia stato dedotto (come approssimazione attendibile) dalla notazione sul cinquantesimo gior no (2, 1 ) . L'intervallo di quaranta giorni è successivamente menzionato in Tertullian. Apol. 2 1 . Le. 24, 50- 5 3 ; Barn. 1 5 ,9 lasciano pensare a un'ascen sione nel giorno di pasqua. Si immaginarono altri periodi di tempo: gli gno stici citati in Iren. Haer. 1,3,2; 1,30,14 parlano di 1 8 mesi, Asc. Is. 9,16 di 545 giorni, l'Apocryphon Iacobi di 5 50 giorni.
IOO
INTRODUZIONE E RICAPITO LAZIONE
Èv 7tOÀÀotç 'tE:X!J.YJpiotç. V. Lys. 1 2,5 1, citato sopra; l'F.v di Luca (assente in Lisia) è segno di uno sviluppo ellenistico prodottosi nel greco. Il 't"EX!J.Tr ptov è la «prova »; in Aristot. Rhet. 1,2, 1 6 s. i nx!J.�ptet sono le prove «ne cessarie», àvetyxeti:a, che conducono a conclusioni certe; cf. Quint. Inst. Orat. 5,9: dividuntur autem in has duas speeies: quod eorum alia sunt (ut dixi) quae necessaria sunt, quae Graeci vocant 't"EX(J.wta; alia non neces saria, quae alJ!J.E:i:et. Dodd, More New Testament Studies, Manchester 1968, 123, rinvia ad Aristot. Poet. 1 6,1454b,21, ma benché nel passo si tratti del le prove di riconoscimento, non vi compare il termine 't"EX!J.�ptov. Il riman do di Dodd a Aesch. Choeph. 205 mostra come esso sia usato nel senso di prova di riconoscimento, ma non serve molto a stabilirne la valenza: il ò&U 't&pov 't"EX!J.�pwv di Elettra (della presenza di Oreste) non depone granché a favore della sua capacità di logica. Ò7t'tetVO!J.&voç, seguito non da tmo col genitivo ma dal dativo, deve essere deponente intransitivo, «apparendo loro»; BDR, § 3 1 3 · La forma Ò7t'tci:v& a-:9at è un presente tardo derivato dall'aoristo òt:p-:9-ijvett; è usato anche Ò7t -.ci:'ç&a·.9at. Cf. È(J.t:petvij y&vÉa-:9at, 10,40. Per Ò1t'tCLVO(J.EVOç Esichio dà opw(J.E voç, È(J.t:petvt'ço�J.&Voç; cf. anche 2 Cron. 5,9; 3 Baa. 8,8; Tob. 1 2, 1 9. Gesù apparve agli apostoli, provando in tal modo di essere vivo, e parlò di cose riguardanti il regno di Dio. Il Gesù risorto non insegna dunque una nuova dottrina (gnostica), ma ciò che è stato insegnato durante il suo mini stero (Weiser, 5 5 ). « Regno di Dio» è ricorrente negli Atti quale espressione di portata generale che abbraccia l'intera proclamazione cristiana ( 1,3; 8, 1 2; 19,8; 20,25 [qui senza la menzione di Dio]; 28,23 . 3 1). Forse altrove, e molto probabilmente qui, la locuzione è utilizzata per creare un nesso fra l'annuncio di Gesù dopo la risurrezione e quello che egli aveva proclamato durante il suo ministero; serve inoltre a preparare il v. 6. È impossibile de sumere esclusivamente dagli Atti un'idea chiara e globale del significato dell'espressione, e del resto è altrettanto impossibile esaminare adeguata mente qui il suo impiego nel vangelo di Luca. lvi sembra coprire uno spet tro semantico in certa misura più largo rispetto agli altri vangeli sinottici, anticipando così l'uso più lato negli Atti. Indica un bene futuro, per il cui avvento gli uomini possono pregare (ad es. Le. n,2), come si faceva già nel giudaismo (Le. 23,5 1 ). È a portata di mano (Le. 10,9. n). Si può dire che è già venuto nella presenza di Gesù e nella sua opera (in particolare nel suo attacco al regno di Satana; Le. n,2o). È dono di Dio ai suoi, che ma nifesta che sono i suoi (Le. 6,20; 9,62; 1 2,3 2), e benché essi ora soffrano, allorché giungerà il tempo stabilito, godranno di questo dono (Le. 1 3 ,28. 29; cf. Atti 14,22). Non è dato rispondere alla domanda su quando verrà il regno (Le. 17,20): è una realtà interiore, il cui possesso è spirituale (Le. 17, 21, luogo spesso interpretato in modo differente; v. Marshall, ad loe. ). In
Am
1,1-14
101
questo versetto l'espressione anticipa la domanda posta dagli apostoli al v. 6. D vocabolo �exatÀe:tex è sempre stato esposto a fraintendimenti orientati nel senso di una sovranità terrena (cf. 1 7,7); nella prospettiva di Luca l'ascensione e il dono dello Spirito erano indispensabili prima che persino i discepoli prescelti potessero comprendere il vero significato del regno. V. inoltre al v. 6. Schneider, 193, esagera quando afferma che gli Atti non parlano dell'avvento (Kommen) del regno ma della sua natura ( Wesen). Lu ca presuppone entrambi gli aspetti, ma non si adopera molto per definire né l'uno né l'altro. 4· Secondo Schneider, 195-21 1, il racconto dell'ascensione inizia qui. Aug. Fel. 4 connette questo versetto al v. 2 scrivendo: et quomodo conver satus est... (dipendente da sermonem feci del v. r ). auvexÀt'l;op.e:voç. auv�Àt'l;e:tv (con ex lungo in terzultima sillaba) significa «mettere insieme, raccogliere, riunire» (transitivo); al passivo «mettersi in sieme, riunirsi » (intransitivo) . Il congregans eos di Calvino legge il versetto come se il verbo fosse attivo, il che non è. auvtiì.. t'l;e:a&xt (con ex breve) si gnifica «mangiare sale insieme, mangiare alla stessa mensa con» (LSJ, 1 694, s.vv.) La variante (in r 69 al) auvexuì.. t'l;op.e:voç «alloggiando insieme a>> pog gia su attestazioni troppo scarne ed è troppo palesemente ledio facilior per raggiungere un buon grado di probabilità; e la variante (di D) auvexÀtaxop.e: voç «tenuto prigioniero insieme a » , con la correzione di una mano seriore auvexÀtayop.e:voç «contaminato con >> , produce un senso inaccettabile. auv�Àt 'çop.e:voç è una voce che non ci si aspetterebbe di trovare al singolare (tutti i passi citati in LSJ, s.v., sono al plurale); in effetti non significa ((incontran dosi con loro » . Si dovrebbe di conseguenza leggere auvtiì.. t'l;op.e:voç, nel senso di «mangiare (sale) insieme a loro » . Tale notazione richiama le storie lucane della risurrezione: Le. 24,30.3 1 . 3 5 ·4 I-43 · Questi passi sono proposti: a) come prova della realtà corporale del Gesù risorto, e b) per indicare che il contesto del suo manifestarsi è un pasto comune. Nel passo in esame non si pone affatto l'accento su a, benché tale aspetto sia coerente con l'uso di -re:x fL�ptov (v. 3 ); più avanti negli Atti si incontreranno cenni ( 2,42.46; 20,7; 17,3 5 ) allo spezzare il pane, che possono far pensare a un contesto speciale di comunione con Cristo. Al riguardo si vedano le note esegetiche ai passi menzionati e la trattazione generale nel vol. n. Resta sorprendente che Luca scriva auvexÀt'!;op.e:voç anziché (diciamo) auve:a.Stwv. Può darsi che l'allusione al sale sia totalmente caduta e che Luca pensi semplicemente al mangiare in sieme: è questa forse la prospettiva più plausibile. Ci sono tuttavia vari passi che lasciano intuire un uso significativo del sale nel pasto sacro della chiesa. La documentazione è raccolta da Fitzmyer, Essays, 474 (Stendahl, Scrolls, 117 s.), il quale cita Ps.-Clem. Hom. 4,6; 1 1,34; 19,25 (à:Àwv p.e:'t'ex-
102
INTRO DUZIONE E RICAPITO LAZIONE
Àcx(3E'Lv) e I4,8 ((.LE't!Ì 't�v cD..wv xotvwvlcxv); cf. Ps.-Clem. Epist. 9,1. auvcxÀt 'çta8cxt ricorre in Ps.-Clem. Hom. 1 3 ,4, e sale e pane sono menzionati insie me in Diamartyria 4,3 . Val la pena notare la congettura (che risale a Hem sterhuis) secondo cui invece di auvcxÀt'çO(.LEVoc; si dovrebbe leggere auvcxÀt'ço (.LÉvotc;. Cadbury, in Begs. IV, 4 s., ad loc., e JBL 45 ( 1926) J IO-J I 2, ha giu dicato auvcxÀt'çOfLEVoc; variante ortografica di auvcxuÀt'ço(.LEvoc;. Moule: NTS 4 ( 1958) 6o, propone di leggere e intendere auvcxÀt'çOfLEVoc; in relazione al l'«alloggiare in occasione di una festività» : «Ancora una volta i galilei sono in procinto di celebrare una festa, stavolta la pentecoste; ancora una volta si trovano alloggiati temporaneamente nei dintorni di Gerusalemme, e di nuo vo il Signore è con loro» . Il testo è p�eso in esame da Wilcox, 106-109, il quale rifiuta la spiegazione di Torrey che rinvia all'aramaico mtm/1_, « man giare sale in compagnia di », adducendo il fondato motivo che la radice m/1_, non ricorre con questo significato ( benché qui possa esserci un siriacismo) e richiama l'attenzione sulla possibile influenza di una radice ebraica rara ll_,m. Non sembra però vi siano ragioni per chiamarla in causa: per quanto insolito, il greco di Luca non è tanto difficile da autorizzare congetture. Agli undici vengono impartite istruzioni di cbtò 'ItpoaoÀufLWV (Luca usa a volte 'lEpoaoÀufLCX a volte 'lEpouacxÀT)(.L; si è tentato di dar conto della varia zione, nia senza successo) (.L� x.wpl'çta8cxt. Può darsi che Luca (cf. Le. 24,6) stia correggendo una tradizione (attestata in Matteo, Marco e Gv. 2 1 ) rela tiva ad apparizioni di Gesù in Galilea dopo la risurrezione. In Begs. IV, 6, si rileva come sia Eusebio sia Crisostomo abbiano inteso fL� x.wpl'çe:a8cxt nel senso di «ritornare a » . Davies, Land, 264, facendo notare l'infinito presen te, affaccia la possibilità che fosse in atto uno spostamento dei discepoli ver so la Galilea, che doveva essere fermato. Egli peraltro rigetta questa tesi e non è propenso a insistere sulla distinzione fra x.wpl'çe:a8cxt e x.wpta8ijvcxt. Osserva giustamente che il motivo per i discepoli di restare a Gerusalemme è che quello era il luogo in cui dovevano aspettare il dono dello Spirito san to. L'accento su Gerusalemme come luogo santo, scenario della crocifissio ne, risurrezione (e apparizioni), ascensione e del dono dello Spirito è tipica mente lucano (per Conzelmann, 21, ad loc., «Gerusalemme rappresenta la continuità fra Israele e la chiesa » ) . Può darsi che Davies in questo senso ab bia ragione, almeno per quanto riguarda gli interessi specifici di Luca. Ci si deve chiedere altresì se fra gli eventi sacri fosse compresa la parusia (cf. I , I I, e ad loc.; il versetto rimanda forse a una parusia con nubi sul Monte de gli Ulivi?). È possibile che un detto tradizionale sotteso a (.L� x.wpl'çe:a&t abbia impedito ad alcuni dei discepoli originari di svolgere attività missio naria lontano da Gerusalemme. O altrimenti può darsi che un detto quale quello presente nel testo si sia sviluppato a partire dalla convinzione che fosse un errore lasciare Gerusalemme ed evangelizzare i gentili. Per il lessico
ATII 1 , 1 - 1 4
1 03
cf. Demosth. 21,168 ( 5 69): 'twv 'tptl)papx.wv i:x.ov'twv 7tapayy&À!J.a Il� x.wpl �&a-8at EWÉÀlJ tntéÀ�v cxù-.òv xcxt è7djp-8-lJ cbt'
CXU'tWV. È� òrp·.9cxÀ!J-wv è citato da LSJ, 1 278, in passi di Erodoto e Alcifrone; > ed É7t&cr&v o xÀljpO> siano un duplicato. Il costrutto !J. ) e cf. Iuv. Sat. 6, I 59 (observant ubi festa mero pede sabbata reges). 34· In questo versetto si ha una combinazione di Es. 3 ,7.8. 10. Le prime dieci parole sono riprese esattamente da Es. 3 ,7. Poi, per -.ou anvcxy!J.oli cxthwv (B D recano cxù'tou, che concorda con Àcxoc;) �xouacx, i LXX hanno -.ijc; xpcxuyijc; cxù-.wv cix-.lxocx CÌ1tÒ 'twv Èpyoòtwx-.wv. Lo anvcxy!J.Oc; di Luca può essere una versione alternativa (di �'qtm), ma è più probabile derivi da Es. 2,24; 6,s. n tempo del verbo non è rilevante, e può darsi sia in qualche misura dovuto all'influsso di quegli stessi versetti (tla-.lxouatv, ela-.lxouacx). Il cenno ai sorveglianti non avrebbe aggiunto nulla all'argomentazione di Stefano. xcx'tÉ�lJV È�ÀÉa'!9cxt cxù-.oUc; è tratto alla lettera da Es. 3 ,8; era su perfluo riportare il resto del versetto; l'essenziale era l'affermazione che Dio (che ora ha preso il posto dell'angelo di 7,30; Es. 3 ,2) è venuto perso nalmente a liberare il suo popolo. Le ultime sette parole sono mutuate da Es. 3,10, se si eccettua che per tlç Atytm'tov i LXX hanno 1tpòc; Wcxpcxw �cx atÀÉcx Al..,V1t-:ou (ebraico '1-pr'h). x.cxt vuv sta per whnh «ora vieni»; cf. Io, s ; 22,I6; 3 , I 7; ma v. anche BDR, § 442.8d n. 26. Non è solo in ebraico che «ora» può avere un debo le valore consequenziale oltre che temporale. n congiuntiVO CÌ1tOO''tttÀW è stato sostituito da 'F CJJl col futuro ci1toanÀw (v. Moule, 22). l LXX hanno CÌ1toa-:e:tÀw. Non si dovrebbe parlare al riguardo di un mero errore orto grafico; «è questione di sintassi, non di ortografia» (MH, 70). Secondo Moulton, I 8 5, l'impiego originario del congiuntivo . aoristo con valore di futuro «riaffiora nella koinè, dove nei papiri seriori si può incontrare il
ATII
7, 1 - 5 3
40 1
congiuntivo al posto del futuro semplice» . Moulton aggiunge: «Così Atti 7,34 (LXX) » . L'intercambiabilità (non però in questo caso) è illustrata dall'affermazione di Thackeray, Grammar, 9 I , secondo cui «i traduttori del Pentateuco amavano usare il futuro indicativo nella prima frase di un periodo, seguito da un congiuntivo deliberativo nelle successive: Gen. 22,5 ... , 4 3,4 ... , 44,I 6 ... ; Es. . 8,8: è�cmoauÀw ... xcxì. '!9oowaL v » (Es. 8,4 in altre edizioni). Secondo BDR, § 3 64.I n. I, il congiuntivo è legato al Òtupo pre cedente (cf. ci� con èx[3ci.Àw in Mt. 7,4 = Le. 6.42); d. Apoe. I7,1; 2I,9; Eur. Ba. 3 4 I : òtup6 aou a-.é�w xcipcx; Ps.-Clem. Hom . I3,3 (v. I ): Macx-.é !LE 7tpocxyciyw u111iç. Non v'è dubbio che il significato stia in qualche modo a metà strada fra «Vieni, ti manderò», e «Vieni, che io ti mandi»; nella re sa sarebbe da preferirsi una formulazione diversa dalla prima, che sarebbe stata espressa perfettamente da à:7toa'ttÀw. 35· Inizia a questo punto (secondo Stahlin, 109) una sorta di inno a Mo sè, connesso all'inno a Cristo di Col. I,I 3-20. I . L'uomo rifiutato dal po
polo diventa capo e signore; 2. diviene liberatore tramite segni e prodigi compiuti da Dio; 3 . è sia profeta sia prototipo di colui che verrà; 4· è me diatore fra Dio e il popolo; 5 . è colui che riceve e dà parole di vita; 6. il suo popolo lo rifiuta. Che questo versetto e i seguenti esaltino grandemen te Mosè, assegnandogli un posto centrale nei disegni di Dio, è incontro vertibile. Sorgono nondimeno interrogativi anzitutto per quanto concerne la forma del presunto inno. Le sezioni 1 e 6 paiono sostanzialmente identi che. Sono appropriate alla vicenda di Mosè, ma non s'inseriscono altret tanto bene in una sua lode. Un secondo interrogativo è: se è davvero un inno, dove ha avuto origine? tra i giudei o tra i cristiani? La seconda non è una congettura impossibile; cf. L Cor. I0,2, ove è probabile che l'idea del battesimo in Mosè sia nata per analogia con la prassi esistente del batte simo in Cristo. Se per converso questo materiale è di origine giudeo ellenistica, si ha un esempio ulteriore di sviluppo postbiblico nel pensiero giudaico riguardo a Mosè in quanto fondatore di una religione. Mosè era stato respinto dai connazionali, ma Dio era di diverso parere e si contrappose alla loro reazione per il loro bene. Per dargli rilievo, l'og getto di à:7tÉa'tcxÀxtv è posto all'inizio del periodo: -.ou-.ov -.òv Mwuaijv, pro prio quest'uomo. Per ijpvYjacxv'to cf. 3 , 1 3 ; il parallelo è significativo. Mosè è stato trattato da Israele come in seguito sarebbe stato trattato Gesù. Per la costruzione di ijpvYjacxno tl7t6v-.eç v. BDR, § 420.3 n. 4· ll participio ao risto qui non si riferisce (come accade assai sovente) all'azione che precede quella del verbo principale (il dire e il negare erano la stessa cosa e coinci devano nel tempo); il tempo verbale è giustificato perché è il participio che introduce il dato di fatto del parlare. Cf. Gv. 1 1,28; Le. 22,8; Atti 21,14.
4 02
I L DISCORSO DI STEFANO
't'te; ae xcnÉa'tlJaev... V. il v. 27. Qui, per assimilazione, � C D 'F 3 6 8 I 453 I I75 pc co aggiungono lq�'Tj(Lwv, E 3 3 94 5 1739 pm iq�'Y)!Lac;. 'tou'tov riprende l'oggetto del verbo e ora compare il soggetto: ò -8eoc;. E la volontà di Dio riguardo a Mosè a determinare ciò che Mosè è. Viene conservato il termine tipx.wv, omesso Òtxcxa't'Yjc; (Mosè, per quanto grande sia, non è giu dice), in luogo del quale si dice che egli è Àll'rpw't'Yjc; del suo popolo. All'in terno del N.T. la parola ricorre soltanto qui; ma cf. Àthpov (Mt. z.o,28 = Mc. 10,4 5 ), Àtl'rpoua·.9cxt (Le. 24,2.1; Tit. 2,14; I Pt. x , x 8 ) e ÀVrpwatc; (Le. x,68; 2.,38; Ebr. 9,12). Questo gruppo di vocaboli è caratteristico degli scritti deuteropaolini e postpaolini, laddove Paolo gli preferisce cbtoÀVrpw atc; (Luca: xx; Paolo: 3x; Efesini e Colossesi: 4x; Ebrei: z.x). In LSJ, 1067, si citano esclusivamente passi biblici per Àtl'rpw't-1jc;, e in BA, 980, si osserva che D ha o·n; questa lezio ne sembra impossibile, ma potrebbe essere dovuta a un errore prodottosi in uno stadio aramaico della tradizione; v. Black, Aramaic, 74· L'ipotesi è tuttavia improbabile. Vi sono testimonianze a favore del pronome di se conda persona in luogo di lj(J.wv, ma molto meno consistenti che al v. 3 8 (solo '1. 8 1 pc sams mae). Alla luce del v . 2 7 è verisimile che si debba inten dere come oggetto sottinteso di &:1twcrtXv"t'o Mosè, benché sia possibile in al ternativa gli «oracoli viventi» (Schneider, 464). I padri si volsero (Ècr"t'paqll) atXv; D pc hanno cX1tECI''tflcXqlY)CI'tXv, per assimilazione a Num. 14,3 ), nei loro cuori, verso l'Egitto, espressione non molto chiara per significare il loro de siderio di tornare in quella terra. La schiavitù in Egitto appariva preferibi le alla libertà associata al servizio a Dio e ai rigori della vita nel deserto. 40. Et1tO'I'tEnia fu chiesto «di invocare l'Altissimo e di far grazia della vita all'uomo che stava oramai esalando l'ultimo respiro» (3,3 1 ). «Sii molto riconoscente a Onia, il sommo sacerdote, poiché per merito suo il Signore ti ha fatto grazia della vita. E tu, che sei stato flagellato dal cielo, annuncia a tutti la grandiosa potenza di Dio» ( 3 , 3 3 ·34). Questi punti di contatto sono effettivi, ma relativamente superficiali. ll nucleo sostanziale del resoconto di Eliodoro al re che lo aveva inviato sta nella sua raccoman dazione secondo cui, se il re dovesse mandare un altro messaggero per otte nere l'oro del tempio, farebbe bene a incaricare uno dei suoi peggiori nemi ci, poiché costui per certo andrebbe incontro a una disastrosa batosta. Un altro parallelo cui si rivolge sovente l'attenzione è il racconto della conver sione di Asenet, in · Giuseppe e Asenet. Asenet «cadde sulie ceneri e pianse un pianto grande e amaro per tutta la notte, sospirando e gridando fino all'alba» ( 10, 1 5 ). «L'uomo la chiamò una .seconda volta e disse: 'Asenet, Asenet!'. Ed ella rispose: 'Ecco, sono qui, Signore. Dimmi chi sei'. E l'uomo disse: 'lo sono il capo della casa del Signore e il comandante di tutto l'eser cito dell'Altissimo. Alzati e sta' in piedi, e io ti dirò ciò che ho da dirti'» (14,6-8). Anche in questo caso le affinità sono innegabili� ma superficiali. Nella storia di Saulo non vi sono paralleli alla lunga preghiera penitenziale di Asenet, e benché costei, in quanto convertita al giudaismo, divenga un esempio da seguire, il contesto della sua conversi�nè, il matrimonio tra lei e Giuseppe che la conversione rende possibile, sono privi di paralleli nel racconto lucano su Paolo. Come paralleli sono più importanti le storie veterotestamentarie della chiamata dei profeti, segnatamente Is. 6,1-1 3 ; Ger. 1,4-10; cf. Gal. 1,1 5 . Questi paralleli inducono a porsi l a domanda, formulata in termini netti
CONVERSIONE DI SAULO
da K. Stendahl, Pau/ among ]ews and Genti/es, 1977, 7-23, se l'evento deb ba essere definito conversione o chiamata. Ma è l'una e l'altra cosa: una conversione in senso cristiano è sempre al tempo stesso una chiamata. È ve ro che Paolo non ha trovato un Dio nuovo da adorare; egli insisterà sem pre nel dire che il Dio da lui adorato da cristiano è il medesimo Dio che aveva adorato da giudeo, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Ma 'il Signore' al quale egli si rivolge e che gli si rivolge è Gesù, ed è Gesù che de termina l'idea di Dio in questione. Quale che fosse la concezione di Dio nel giudaismo in generale, per Paolo era stato uno presso cui era possibile ac cumulare crediti (Fil. 3,7), e questo obbedendo alla legge. Tali crediti ora Paolo li giudicava altrettanti debiti, giacché potevano soltanto rendergli più difficoltoso quanto ora occorreva evidentemente fare, vale a dire ripor re interamente la propria fiducia non nei propri successi sul piano legale, morale e religioso, ma unicamente in Gesù Cristo. Ciò costituiva un muta mento radicale nell'orientamento religioso, ed era accompagnato da un cam biamento altrettanto radicale nell'azione. n persecutore attivamente impe gnato divenne un predicatore ed evangelizzatore ancor più zelante. Se mu tamenti radicali di tal fatta non equivalgono a una conversione, è difficile dire in che cosa essa dovrebbe consistere, il che peraltro non deve indurre a eliminare o sottovalutare l'elemento della vocazione. Tale elemento, la cui presenza è palese negli Atti (9,6. 1 5; 22, 1 5.21; 26,17.I 8.2o), trova confer ma in Gal. 1,16 ( tva EÙClyyEÀt'çw(Lat aù-tòv Èv 'totc; €-BvEatv). Conversione e vocazione sono dunque necessariamente complementari; è peraltro legittima l'osservazione che il peso dei due elementi è diverso nei vari resoconti dell'episodio disponibili. Non sorprende che vi sia maggiore equilibrio nel racconto fatto dallo stesso Paolo in Gal. 1, dove l'apparizio ne di Cristo ( 1 , 1 6), la comunicazione dell'evangelo ( 1, 1 2), il IlUltamento ra dicale di vita ( 1 ,23 ) e la chiamata all'attività missionaria ( 1, 1 6) figurano tutti uno di fianco all'altro. Probabilmente è giusto constatare negli Atti una accentuazione crescente dell'elemento della vocazione. Bauernfeind, I J I, per esempio, scrive: «La chiamata di Paolo da parte del Signore si manife sta sempre più chiara, sempre più diretta» . Ciò per Luca significa, aggiun ge Bauernfeind, «completamento e non contraddizione» . In Atti 9 l'effetto esercitato su Paolo viene descritto vividamente, ma soltanto tramite le pa role del Signore ad Anania (9, 1 5 . 1 6) si apprende quel che lo «strumento eletto» dovrà fare in seguito. Al cap. 22 Paolo narra il suo ritorno a Geru salemme e la visita al tempio, dove il Signore lo manda lontano, dai gentili (22,17-21). Al cap. 26 il mandato è inserito all'interno dell'evento di Da masco ed esposto con più ampio respiro ( 26, 1 6- 1 8). Queste osservazioni evidenziano gli aspetti che stanno a cuore a Luca, e inoltre incidono sulla questione della fonte o delle fonti che egli può aver utilizzato (v. sotto).
Nelle linee essenziali i tre racconti degli Atti concordano fra loro, e con la testimonianza delle lettere paoline, contenuta in Gal. x , x s s.; Fil. 3,7n; I Cor. 9, 1; 1 5,8. Rom. 7 non è un resoconto della conversione di Pao lo: v. Barrett, Romans, 142-144; Cranfìeld, Romans 1, 340-347. L'esperien za vissuta da Paolo non è stata la risoluzione di un conflitto interiore di un uomo infelice, lacerato, insoddisfatto; è stata l'apparizione di Cristo a un uomo compiaciuto di sé e persuaso di essere nel giusto, apparizione che ha avuto l'effetto immediato e di fornire una nuova base per la sua vita per sonale e di dare avvio alla missione ai gentili ( Gal. 1,17: ci1tijì..-8ov dc; 'Apcx �lcxv, che manca negli Atti; v. Barrett, Freedom, 8). I tre racconti della conversione lasciano aperte svariate questioni. Qui se ne possono menzionare tre in particolare. 1 . Come e quando è stata comunicata a Paolo la sostanza dell'evangelo? Malgrado le congetture di molti, gli Atti non dicono che Paolo venne istrui to dai cristiani a Damasco o forse, poco dopo, dalla chiesa a Gerusalem me. Lo stesso Paolo asserisce che il suo evangelo gli è giunto per rivelazio ne (Gal. 1,1 2) e che non gli è stato insegnato. Non c'è ragione di non accet tare tale affermazione. Se è vero (e al riguardo si hanno le parole di Paolo stesso, oltre a quelle di Luca) che Paolo ha profuso notevole impegno nella persecuzione della chiesa, si può ragionevolmente supporre che ne abbia speso anche per informarsi sull'insegnamento erroneo che s'era assunto il compito di soffocare. L'apparizione di Gesù provò al tempo stesso che egli era vivo e (poiché Dio lo aveva accreditato) che aveva ragione, mentre i suoi avversari avevano torto, e che la nuova fede, incentrata su di lui, era vera. ll resto seguì, non nei particolari e immediatamente, bensì come ri sultato di riflessione teologica. Merita rilevare come, quantunque Luca mo stri che Paolo si unì immediatamente ai discepoli a Damasco (9,19b) e s'affrettò a recarsi a Gerusalemme (9,26), egli non dica, come d'altronde neppure lo stesso Paolo fa, che in un dato momento Paolo sia stato istruito su quanto avrebbe dovuto annunciare come predicatore cristiano. 2. Una differenza notevole tra i racconti della conversione fomiti negli Atti e in Paolo sta nel silenzio di Paolo su Anania. Egli ha omesso di men zionarlo per presentarsi più indipendente di quanto non fosse in realtà? Oppure Luca ha introdotto Anania per stabilire un legame tra Paolo e la chiesa che egli avrebbe disorientato? Formulati in q uesti termini, tali inter rogativi potrebbero condurre a posizioni estreme. È comprensibile che per Paolo l'apparizione e la presenza di Cristo fossero così dominanti, che po co contavano gli attori secondari nella storia e non occorreva menzionarli. Per Luca d'altro canto è importante (come ha rilevato Wilson, Genti/es, 165) che Anania agisca come rappresentante non della chiesa ma di Dio, sicché egli non invalida l'asserzione di Paolo di essere apostolo non da par-
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te di uomini né per mezzo di un uomo ( Gal. I , I ). È quanto mai impro babile che Anania sia un personaggio fittizio, benché Luca possa non aver saputo con precisione chi fosse e che cosa avesse fatto. 3 · Nelle lettere Paolo sostiene che la sua visione di Cristo è stata un'ap parizione successiva alla risurrezione congenere a quelle concesse ad altri; l'ultima della serie, ma che di tale serie fa parte in modo autentico ( I Cor. I S,s-8). Essa ha fatto di lui un apostolo (I Cor. 9,I ). Negli Atti questa apparizione risulta separata rispetto a quelle successive alla risurrezione dall'ascensione, ed è di tipo diverso. Conformemente, gli Atti differenziano Paolo dai dodici ed evitano di chiamarlo apostolo. Sulle due eccezioni a questo enunciato (Atti I4,4. I4) v. ad loc. Risulta altresì chiaro dalle lette re che c'era chi negava che Paolo fosse un apostolo ( I Cor. 9,2). Qual era la posizione di Paolo all'interno della chiesa e quale il suo rapporto con co loro che erano stati apostoli prima di lui ( Gal. I,I7)? Una trattazione esauriente del ruolo che Luca assegna a Paolo (e di quello che Paolo asse gna a se stesso) deve attendere l'esame delle sue vicende narrate nei capito li successivi degli Atti. Per ora può bastare la citazione di Haenchen, 3 I8: W'tta&ì.ç ci1tÒ aou [gnosi] ) . Paolo stesso ha inteso l'evento come rivelazione (Gal. x , n. 1 5 ), ma non in senso gnostico. E per Luca la luce non significa illumina zione di tipo gnostico; è una rappresentazione fisica della .gloria divina di Cristo o un fenomeno visibile che l'accompagna. In 22,6 compare lo stesso verbo 7te:ptcxa'tpci7tntv, in 26, 1 3 7te:ptÀcif17te:tv. 22, 1 1 fa pensare a un acceca mento fisico provocato da una luce abbagliante. La luce proveniva Èx 'tOu oùpcxvou; è ozioso chiedersi se Luca voglia dire «dal cielo» in senso religioso o in senso geografico, due concetti che non erano distinguibili. 4· Paolo cadde a terra, un altro tratto tipico delle teofanie. Cf. Ez. 1,28; 2 Macc. 3 e in Giuseppe e Asenet si veda l'introduzione a questa sezione. l)xouae:v regge l'accusativo; per l'uso di cixoUe:w con il genitivo v� al v. 7. In questo versetto risulta chiaro che Paolo sentì un suono e insieme distinse le parole che venivano pronunciate. Secondo Delebecque, 4 5 , l'accusativo significa che Saulo non vide chi par lava. Ci si rivolge a lui col nonie ebraico, :EcxouÀ, s'wl; cf. 26, 14. Sia qui sia al cap. 22 i suoi compagni sono relegati in una posizione subordinata. Essi non sono in grado di cogliere il significato di quanto sta accadendo. Dan. 8,17; Apoc. 1 , 1 7. Per i paralleli in
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'tt � 8twxe:tc;; Saulo stava perseguitando i cristiani. L'interpretazione tra dizionale, da Agostino (passim) a Barth, Church IV/ x, 666; IV/2, 658, ha dato grande rilievo all'unità implicita fra il capo e le membra del corpo, il che non è errato, ma non si deve presupporre che il pensiero di Luca sia qui di natura profondamente teologica. Così Schneider, n, 26, che per questo concetto chiama a confronto Mt. 25,3 5-40.42-45 (passi ai quali già Beda aveva rinviato) piuttosto che la dottrina paolina del corpo di Cristo; Pesch, 303, ravvisa qui un rapporto fra Luca e Paolo. Di fatto, ogni capo subisce oltraggio se i suoi seguaci sono attaccati. Cf. Eur. Ba. 784-79 5. È interes sante notare che questo parallelo contiene il proverbio utilizzato in 26, 14, che alcuni mss. inseriscono qui, altri al v. 5; quasi tutti gli studiosi lo rifiu tano perché convinti che non faccia parte del testo originario del cap. 9, ma v. Clark, 345, il quale ritiene che la doppia occorrenza di òtwxe:tc; nei vv. 4 e 5 indusse all'omissione di un intero a'tt'X,oc;. Luca, a suo credere, non sarebbe stato così privo di senso artistico da non citare il proverbio nel suo primo racconto della conversione. La domanda produce l'effetto non solo di dare avvio alla conversazione ma anche di porre in questione le azioni e la vita di Paolo. Iren. Haer. 3 , 1 2,9 spiega nitidamente: 1:Òv t8tov 8e:a1t01:lJV iòlwxe: òtwxwv ,;oÙç (J.CX-8lJ1:ètc; cxù1:oii 5· ,;le; e:l, xupte:; La domanda corrisponde all'iyw e:l(J.t che segue. Saulo si rende conto di trovarsi di fronte a un essere sovrumano; il contesto (la luce dal cielo, la caduta a terra, la domanda misteriosa) mostra che, sebbene Saulo non abbia ancora identificato il suo interlocutore, xupte: non è un me ro allocutivo urbano col quale ci si rivolge a un altro uomo (come potreb be essere in molti contesti). La domanda conduce all'identificazione: l'estra neo di natura sovrumana è Gesù, il che implica la proposizione inversa: Ge sù, prima morto, ora è vivo ed è più che un uomo. La scoperta che il Gesù crocifisso è in realtà vivo concorda con quanto dice lo stesso Paolo sul l'origine della propria vita cristiana ( Gal. I,1 5 . 1 6; I Cor. 9,1; 1 5,8; cf. Fil. 3,7- u ), e fu alla radice della sua nuova concezione dell'A.T. e della rein terpretazione del giudaismo, fondamenti della sua teologia. V. Rom. 7-9. Sul modo in cui Gesù si qualifica Beda commenta: Non dixit, ego sum deus, ego sum dei filius, sed humilitatis, inquit, meae infirma suscipe et tuae superbiae squamas depone. ll contrasto con la figura convenzionale del l'«uomo divino» è stridente. V. anche Pass. Petr. et Paul. 39 (L.-B., I, 1 5 2) e Act. Petr. et Paul. 6o (L.-B., I, 205 s.); in entrambi i passi Gesù è identifi cato con lì cH lj-8e:tcx, che Saulo perseguita. ..
6. Paolo non riceverà ulteriori istruzioni sul margine della strada, ma de ve proseguire il viaggio fino a Damasco, dove gli sarà detto che cosa fare.
49 1 Luca sottolinea non tanto la condizione di impotenza di Saulo, quanto piuttosto la potenza di Cristo (Haenchen, 3 1 1 ). (Biass, 1 19). In BDR, S 347.i, il piucchepperfetto è spiegato come «aoristo + imperfetto» . dc; 'toifro anticipa l a successiva proposizione introdotta d a rva e ne è chia� rito. Al riguardo d. 9 , 2; dc; 'ltpouae&ÀlJ!J. di quel versetto è sostituito qui da È1tÌ. 'toùc; cXpXtEpetc; «al cospetto dei somini sacerdoti » (in quanto costitui scono o rappresentano il sinedrio). e:lç 'ltpouae&ÀlJ!J. è già stato usato in questo periodo. Per ÒEÒE!J.Évouc; v. a 9,2.
22. Non importa quanto restassero sorpresi; Saulo non faceva che for tificarsi sempre più ( ( C) E pc h l p (mae) aggiungono (Èv) 't> .4 3 9 Pietro si alzò e andò con loro. Quando arrivò lo condussero alla stanza superiore e con lui erano presenti tutte le vedove, che piangevano e gli mostravano le tuniche e i man telli che Dorcas confezionava mentre era fra loro. 40 Pietro fece uscire tutti, s'inginocchiò e pregò. Si rivolse al corpo e disse: «Tabita, alzati! » . Ella aprì gli occhi e quando vide Pietro si mise a sedere. 4 1 Egli le diede la mano e la fece alzare. Chiamò i santi e le vedove e la presentò loro viva. 42. Il fatto fu risapu to per tutta Joppe, e molti credettero nel Signore. 43 Pietro rimase a Joppe parecchi giorni, presso un uomo di nome Simone, conciatore.
Impegnato evidentemente in un giro missionario o in un'ispezione dei cen tri cristiani paragonabile a quella di 8,14, o forse a un tempo in entrambe le attività, Pietro giunse a Lidda, dove esisteva già un gruppo di cristiani (&ytot, per il significato del termine e la possibilità che abbia un referente alx
•Queste regioni• in greco non c'è. •ti guarisce; NEB, NJB: •ti cura •. 3 Begs.: •preparati la tavola•. 4 Begs.: •Non mancare di venire da noi•; NJB: «Vieni da noi se nza indugio•; analogamente NEB.
� Begs., RSV:
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tro dai cristiani, per esempio i membri della setta di Qumran, v. al v. p .). L'origine della presenza cristiana a Lidda è argomento sul quale Luca non fornisce informazioni. Volendo, si può congetturare che le chiese fossero state fondate da Filippo nel suo viaggio da Azoto a Cesarea. Nella località di Lidda c'era un uomo malato, Enea. Non si sa se fosse giudeo o gentile, o se si fosse convertito al cristianesimo; la cosa più probabile è che si trat tasse di un giudeocristiano. Enea viene guarito da Gesù Cristo (v. 34; qui non si menziona il «nome», come accade invece in 3,6. 1 6; 4,7. 10.30) e la sua guarigione produce numerose conversioni, per quanto ancora si ignori se egli fosse già cristiano o se lo sia diventato; ma è proprio perché non si dice che è diventato cristiano dopo · la guarigione che si dovrà concludere che lo fosse già sin dall'inizio della storia. Molti, non solo a Lidda ma in tutta la pianura di Saron, si convertirono al Signore. Nella vicina città di Joppe viveva una discepola (quasi certamente Luca pensa a una discepola cristiana, anche se è possibile che la sua fonte intendesse una donna appar tenente a un diverso gruppo religioso), di nome Tabita (in greco Dorcas), nota per le sue opere di carità. Alla sua morte i condiscepoli mandano a chiamare Pietro a Lidda (il che significa senz'altro che erano discepoli cri stiani), ed egli si reca a Joppe e risuscita Tabita dai morti. Anche questo nuovo miracolo conduce a numerose conversioni, e per alcuni giorni Pietro si ferma a Joppe. Ciò funge da anello di congiunzione con l'episodio suc cessivo, la conversione di Cornelio ( xo, x-48). Tra i due racconti vi sono analogie: la menzione del nome delle persone interessate (Enea, Tabita), il verbo ci:vaa"tl)'!9t, l'uso di &ytot. Ha probabilmente ragione Schneider, n, 49, a concludere che erano già collegati prima che Luca ne facesse uso. Il primo dei due miracoli è riferito con le parole più semplici possibili, ma in una forma comune ai racconti di miracoli in generale; esso richiama alcuni tratti di Mc. 2., 1 - 1 2.. È difficile individuare quale altro motivo possa aver indotto Luca a raccontare l'episodio oltre ai seguenti: 1 . il racconto forniva un esempio ulteriore (cf. 5,1 5 . 1 6) della potenza di Gesù che ope rava tramite Pietro; 2.. nella tradizione era connesso con Lidda e serviva così a condurre Pietro sulla strada per Cesarea (cap. xo). Luca doveva por tare Pietro a Cesarea, ma non aveva bisogno di inserire tappe intermedie, sicché si può presumere che Lidda (non menzionata altrimenti e irrilevante nella narrazione lucana) si trovasse nella tradizione in connessione con que sto episodio. È probabile che Luca sia intervenuto redazionalmente all'ini zio e alla fine del brano. Il secondo racconto, in quanto narra una risurrezione, è ancor più inci sivo ed è esposto con maggiore dovizia di particolari, ma non sembra ac quisire motivazioni aggiuntive né essere inteso a insegnare ulteriori veri tà. Se ne ricava la notizia che a Joppe vi era un gruppo cristiano con un'or-
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ganizzazione caritativa abbastanza evoluta, comprendente un insieme di vedove assistite, o a questo legato (cf. 6, 1 ; I Tim. 5,9- 1 6), alle quali veni vano distribuiti vestiti. Non costituivano un ordine, né si dice che prestas sero qualche servizio per la chiesa; ne erano anzi beneficiarie. La loro esi stenza lascia pensare a una comunità di origine non recente. D racconto ri chiama Mc. 5,36-43 ; I Re 17,17-24; 2 Re 4,18-37 (si veda la tavola di Wei ser, 23 8). Haenchen ha probabilmente ragione a scorgere qui l'intenzione di mostrare che gli apostoli non erano inferiori ai profeti; è più dubbio che si debba pensare alle «opere più grandi» di cui parla Gv. 14, 1 2. La risur rezione di Tabita non pare opera più grande di quelle riferite in Mc. 5 o Gv. 1 1 - o Le. 7· La ciicostanza (v. sopra) che il gruppo cristiano a Joppe sembri aver raggiunto uno stadio relativamente avanzato di sviluppo ricorda che non si ha modo di datare questo ciclo di storie su Pietro. È suggestivo prospet tare che 1 2.,17 (Pietro si spostò tlc; €npov -r61tov) segni il punto cronologico in cui Pietro lasciò Gerusalemme per un più vasto campo di attività mis sionaria (v. Roloff, 1 5 9); ma v. ad loc. D duplice racconto è un buon esempio dell'Episodenstil di Luca (Pliima cher, 1 1o), ma va inteso come parte dello sviluppo della narrazione lucana nel suo complesso. Si sa che la storia di Cornelio rivestiva per lui impor tanza considerevole; la reputava l'inizio della missione ai gentili ( 1 5,7). Qui le sta preparando la strada. Saulo è stato chiamato e si sa che dovrà essere missionario ai gentili, ma è tenuto da parte fino a 1 1 ,25. Filippo ha quasi oltrepassato i confini del giudaismo (8,4- 1 3 .26-40). Pietro (che in questo stadio del libro ricopre un ruolo di grande rilievo) è in cammino, ma è ancora missionario e pastore di giudei. In 8,40 si dice che Filippo ar riva a Cesarea; non c'è traccia di lui al cap. 10, ma è possibile che sia pas sato per Lidda e Joppe nel suo viaggio da Azoto. Sembra probabile (v. sot to, pp. 5 3 7 s.) che la storia del centurione Cornelio costituisse un resocon to tradizionale di Cesarea sulla fondazione in questa città di una chiesa mista di giudei e gentili. È possibile che i due miracoli siano sempre stati col legati alla storia di Cesarea, quale spiegazione locale di come a Pietro capi tò di trovarsi nei pressi della città ( 10, 5 ): un suo giro complessivo, missiona rio o di supervisione, presumibilmente limitato ai giudei, lo aveva condot to nelle vicinanze di Cesarea, preparando in tal modo la sua puntata al di fuori dei confini del giudaismo. In alternativa, ma è forse meno probabile, si deve supporre che Luca abbia mutuato una coppia di brani, o un brano duplice, da una tradizione a sé stante, e sia stato lui a decidere di servirse ne come introduzione al racconto che trovò a Cesarea. Schmithals fa nota re giustamente come ciò significhi per Luca che il cristianesimo gentile non costituisce una frattura bensì un compimento del giudaismo. La coppia di
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storie presenta, secondo Schille, 2.37, un ritratto di Pietro diverso da quello lucano: lo dipinge quale apostolo itinerante, laddove Luca lo immagina residente in modo stabile a Gerusalemme. La realtà sembra piuttosto un'altra: agli occhi di Luca Pietro è sempre un evangelizzatore, che ampliò gradualmente il proprio raggio d'azione, fino a contemplare l'intero pano rama etnico e religioso raggiungibile, anche se non tutta l'area geografica.
32.. lyÉ�t-ro (v. a ·:h5) richiama la costruzione ebraica con wjhj, ma poi ché qui regge accusativo e infinito, non ne è riproduzione fedele. La mede sima espressione quasi biblica ricorre al v. 37· Ora Luca torna a rivolgere l'attenzione a Pietro, che non è stato menzionato per nome da 8,2.0, per quanto la sua presenza sia implicita in 9.''-7· L'autore prepara adesso la storia di Cornelio del cap. ro, che svolge un ruolo importante nello svilup po del suo resoconto sulla diffusione dell'evangelo. Per òtép-x.ta-8a.t v. a 8,4. 40; in questi due versetti il termine indica senza ombra di dubbio un viag gio missionario, seguito com'è da sùcxyytÀL�ta-8a.t. Qui questo verbo non ricorre, ma è possibile che òtép-x.ea-8a.t conservi lo stesso significato. Esso dipende in cena misura dal valore di ò tà 1t��-.w�. Torrey, 34, lo spiega con una retroversìone in aramaico: «Pietro percorse 'l'intera (regione)', òtà 7tliv-rw�, bkl'. kl' è usato spesso assolutamente, quando dal contesto risul ta evidente il senso. Per uno scrittore giudeo, per il quale la Palestina era 'la terra' (cf. kl 'r" in 1 1 ,2.8 . ), era questa senza dubbio l'espressione abi tuale in un contesto siffatto» . Se tale idea è valida, si può chiamare a con fronto 9,3 1 ( xa.-8'8)..� -rij� 'Iouòcxlcu; ) e r,8; ciò peraltro non spiega il plu rale, né dice quale sostantivo si debba sottintendere accanto al pronome plurale. È improbabile che esso anticipi -toÙç &:y&ouç, benché sia stata pro posta la resa: «Pietro passò fra tutti i santi (ossia tutte le comunità cristia ne) fino a che giunse a quelli di Lidda» . Potrebbe riferirsi a città e villaggi, ricollegandosi così a 8,2. 5, solo nel caso Luca scriva in una forma sciatta (giacché 7toÀt� e xWfJ.YJ sono entrambi femminili). L'espressione resta oscu ra, e Begs. IV, 108, ha forse ragione quando osserva c;he, se a questo punto inizia una nuova fonte, è possibile che in origine fosse il contesto a fornire il significato. Questa considerazione depone a favore dell'idea che qui Lu ca si attenga a una fonte scritta. Preuschen, 6 1 , ritiene che il òtà 1toÀtw� della Peshitta possa essere la lezione originaria. p ha transeuntem per om nes civitates et regiones. Haenchen reputa che Luca intenda tutte le aree menzionate in 9,3 1 . Resta altresì d a chiarire i l xcxl (prima d i 7tpo�), «anche presso i santi». Oltre a chi ? Forse ai cristiani in Giudea, Galilea e Samaria (9,3 1 ), se non fosse che tra questi sarebbe già compreso chiunque si trovasse fra Gerusa lemme e Lidda. Secondo l'interpretazione più ovvia, -roùc; &:yiouc; sono i cri..
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stiani, sebbene questa designazione, comune nelle lettere paoline, sia rara negli Atti: si possono citare soltanto 9, I 3 ; 26, Io (entrambi i luoghi legati a Paolo) e, in questa pericope, i vv. J2 e 4 I . Di parere contrario Kosmala, Hebraer, 5 3 : le medesime persone (o[ xcx-rotxouvnc; AUòòcx) sono menzio nate al v. 3 5 ed è a questo punto che vengono convertite al cristianesimo. Non erano cristiani (secondo lo studioso), bensì membri della comunità lo cale degli esseni. Che vi fossero anche comunità siffatte oltre al gruppo prin cipale a Qumran (ammesso che sia adeguata per costoro la definizione di esseni) è certamente vero (Kosmala cita Philo Hyp. I I,I; Prob. 76; Ios. Beli. 2, I24); v. inoltre ai vv. 3 8.4 1 . Sembra tuttavia improbabile che uno scrit tore cristiano, che poteva in qualche caso usare &ywc; col significato di cri stiano, utilizzi poi il termine in un altro senso, anche se si può sostenere che la fonte di Luca impiegasse la parola a proposito degli esseni e che Lu ca l'abbia fraintesa ritenendo che indicasse i cristiani. Su Lidda (nell'A.T. Lod, poi Diospolis) v. NS n, I90-I98. Era situata sul la strada che va da Gerusalemme a Joppe (v. 3 6), a una giornata di viaggio da Gerusalemme; un villaggio (xw[.L YJ) «di dimensioni non inferiori a quelle di una città » (los. Ant. 20, 1 30; ivi Giuseppe usa la forma Auòòcx, singolare della prima declinazione, come fanno qui C E t1-1)pT)c; ( «che abbonda di» ) si pensi alla espressione frequente «pieno di Spirito santo » (6,3.;; 7,55; 1 1 ,24; cf. an che l'uso di ttÌì:fJpoucn9at).; per l'uso dell'aggetit vo in relazione a qualità m� rali e religiose cf. 6,8; 1 3 ,�o; 19,z8. Tabita era costantemente impegnata a fare del bene e a distribuire elemosine. Le opere buone sono definite da Cal� vino, 278, «atti d'amore volontari», e quali fossero quelle compiute da Ta bita è specificato al v. 39· .••
37· La frase inizia con iyéve't'o 5eg)lito da accusativo e infinito., rome al 3 z; v. ad loc. Qui l'infinito ha un participio appositivo: «si ammalò (par ticipio aoristo� lia&vlja(Xa!XV) e morÌ». « In quei giorni»· significa al tempo in cui Pietro si trovava in quella regione. Il corpo di Tabita fu preparato per il funerale. La lavanda del cadavere era una pratica assai diffusa; così Hom. Il. 1 8,3 50 (le>Uativ 't'e xcù Tjlaljav
v.
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I MIRACO LI DI PIETRO LUNGO LA STRADA PER CESAREA
Àm'D.cxitV); Eur. Phoen. I 3 I 8 s. ( I 3 28 s.); Plat. Phaed. u sa; Vergil. Aen. 6,2 I9 ( ... corpusque lavant frigentis et unguunt); e questo del pari tra i giudei; così Shabb. 23,5 ( «Possono preparare di sabato tutto ciò che è ne cessario per il defunto, e ungerlo e lavarlo ... » ). Come emerge da questi (e molti altri) passi, era usanza anche ungere il corpo, rito che qui non viene menzionato. La salma fu posta (il pronome cx&t�v in alcuni mss. precede &.STjxcxv, in altri lo segue, ed è omesso, forse a ragione, da B 3 6 4 5 3 6I4 pc) in una (o nella: -ttj> si legge in 1)53 1)74 A C E 36 3 23 945 1 1 75 I739 mg al, è omesso da 1)45 � B lJ' CJR) stanza superiore. Per inte:ptj>ov v. I , I 3 ; 20,8. Luca pensa forse a un luogo usato regolarmente dai cristiani per le loro as semblee, la loro sala di riunione. Bauernfeind, I4o, richiama l'attenzione su I Re I7,I9, passo che può avere condizionato la narrazione dell'episo dio. Pesch, 323, sostiene d'altro canto che una stanza superiore era l'unico luogo possibile in cui esporre un cadavere e che il parallelo veterotesta mentario può essere irrilevante. Ancora diversa la prospettiva di Schille, 239: «si fa strada l'immagine della signora facoltosa » . 3 8 . La distanza fra Lidda e Joppe è di oltre I 5 km . Nell'idea di Luca i discepoli (cf. il v. 3 6 ) dovevano essere cristiani; ma si veda il commento a quel versetto per le riserve di Kosmala, Hebriier, 54· Essi mandarono a Pie tro «due uomini»; òoo èivòpoo; è omesso peraltro da CJR, e non è facile capir ne il perché. Non è d'altro canto verìsimile che tutti i mss. più antichi ab biano semplicemente inserito questo dato riprendendolo da IO,?, intenzio nalmente o per distrazione (v. anche Le. 7,I9; Io, I ; Atti I 9,22; 23,23 ) , sicché si può accogliere il testo lungo, anche se l'origine di quello più breve è destinata a restare dubbia. Sull'invio di emissari in coppia v. J. Jeremias, Paarweise Sendung im NT, in Fs T.W. Manson, I 3 6-I43· !L'ÌJ òxv�al)c; è considerato spesso niente più che una forma cortese di imperativo, o meglio di richiesta: «Vieni, per favore; sii così buono da ve nire». È dubbio che la documentazione addotta basti a comprovare una simile riduzione della formula a nient'altro che un'educata introduzione a una richiesta. Il parallelo più vicino è Num. 22, 1 6: !J.'ÌJ òxv�� ÈÀ.Se:tv 7tpoc; (LE ('l-n' tmn' mhlwk 'lj); cf. Sir. 7·3 5 = !L'ÌJ oxve:t ÈmaxÉ1t'te:0'-8CXt èippw O''tOV èiv.Spw7tov. Ma pure in questi passi (e ancor più in los. Vita 2 5 1 ; Ap . r , r s e nei papiri citati da MM, 444 s.) sopravvive il senso di esitazione o di ritardo che si trova nell'uso classico, dove il termine indica riluttanza, causata da vergogna, paura, pietà, codardia o indolenza (LSJ, I 2 I 2 ) ; così Soph. Phil. 93 s.: òxvw l 7tpoÒO'tT)c; xcxÀe:ta&t «rifuggo dall'essere chiamato traditore ». Che la richiesta sia introdotta in tal modo non è una pura for malità; è indizio del timore che per qualche ragione Pietro possa non essere disposto ad andare. Perché? Difficilmente perché la distanza di I 5 km era
eccessiva: Pietro era impegnato in un giro (v. 3 2) che lo aveva già condotto da Gerusalemme a Lidda. Forse perché Joppe era una città greca (v. 3 6); forse addirittura perché i cristiani a Joppe non erano giudei, ma ciò cree rebbe confusione all'interno dello schema cronologico di Luca ed è assai improbabile. ÒtÉçrx.ea.fiat in questo versetto non può avere il senso che probabilmente ha nel v. 3 2; se Pietro non viene senza indugio (e questo può essere in par te il senso di tJ.YJ ÒX'IIlJ> . 2I Pietro scese incontro agli uomini e disse: «Io sono l'uomo che state cercando. Qual è il motivo per cui siete venuti? » . 22 Dissero: « Il centurione Cornelio, uomo giu sto e che teme Dio, di buona reputazione presso l'intera nazione dei giudei, ha ricevuto istruzioni da un angelo santo di mandarti a chiamare per andare nella sua casa e ascoltare parole da te» . 23 Egli allora li invitò a entrare e li ospitò. Il giorno seguente si alzò e andò con loro, e alcuni dei fratelli di Joppe lo ac compagnarono. 24 Il giorno dopo entrò a Cesarea. Cornelio li stava aspettan do e aveva riunito i congiunti e gli amici intimi. 25 Mentre Pietro entrava, Cor nelio gli andò incontro, cadde ai suoi piedi e lo riverì. 26 Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anch'io sono un uomo» . 27 Conversando con lui, entrò e tro vò riunite molte persone. 28 Disse loro: « Vòi sapete che è illecito per un uo mo giudeo accomp�gnarsi o accostarsi a un uomo di altra etnia; ma Dio mi ha mostrato che non devo chiamare profano o impuro nessun essere umano. 29 Per questo motivo quando sono stato mandato a chiamare, sono venuto sen za obiettare. Vi 2 chiedo dunque per quale ragione mi avete mandato a chia mare» . 30 Cornelio disse: «Quattro giorni fa, proprio a quest'ora, 3 stavo re citando la preghiera dell'ora nona nella mia casa quand'ecco un uomo si pre sentò dinanzi a me in splendida veste 3 I e disse: 'Cornelio, la tua preghiera è stata ascoltata e le tue elemosine ricordate al cospetto di Dio. 3 2 Manda dun que a Joppe e fa' venire Simone che è soprannominato Pietro; egli è alloggiato nella casa di Simone, conciatore, vicino al mare'. 3 3 Così ho mandato subito a cercarti e tu sei stato tanto gentile da venire. Ora dunque noi siamo tutti alla presenza di Dio ad ascoltare tutto ciò che ti è stato ordinato dal Signore>> . 34 Pietro aprì la bocca e disse: «In verità mi rendo conto che Dio non ha favoriti, 3 5 ma che in ogni nazione chi lo teme e pratica la giustizia è a lui ac cetto. 3 6 La parola che Dio ha inviato4 ai figli d'Israele, recando la buona no vella della pace per mezzo di Gesù Cristo (egli è Signore di tutti) .. 37 Voi co noscete l'evento che è accaduto per tutta la Giudea, incominciando dalla Gali lea dopo il battesimo che proclamò Giovanni, 38 Gesù di Nazaret, come Dio lo unse con Spirito santo e potenza, egli che passò facendo del bene e guaren.
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Begs.: •due uomini ti stanno cercando•; RSV: •tre uomini ti stanno cercando» . •Vi• non c'è i n greco. 3 NJB: ·A quest'ora tre giorni fa • . 4 Begs.: • Egli h a inviato l a parola • ; RSV: •Voi conoscete l a parola che egli h a inviato•; NEB: •Egli ha inviato la sua parola• ; NJB: •Dio ba inviato la sua parola •. 2
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PIETRO E CORNELIO. CESAREA
do tutti coloro che erano dominati dal diavolo, perché Dio era con lui. 39 E noi siamo testimoni di tutto ciò che egli compì nella terra dei giudei e a Geru salemme. Essi lo uccisero appendendolo a on albero; 40 Dio lo risuscitò il terzo giorno e gli concesse di essere rivelato, 4 1 non a tutto il popolo, ma a te stimoni che erano stati preventivamente designati da Dio,. ossia a noi, che ab biamo mangiato e bevuto con lui dopo che era stato risuscitato dai morti. 42. Ed egli ci ha incaricato di proclamare al popolo e di attestare che egli è colui che è stato stabilito da Dio giudice dei vivi e dei morti. 4 3 Tutti i profeti rendono testimonianza a questo, che chiunque crede in lui ottiene per mezzo del suo nome il perdono dei peccati». 4 4 Mentre Pietro stava ancora dicendo. queste cose7 lo Spirito santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il SU(} discorso. 45 E i credenti circoncisi che avevano acoompagnato Pietro rimasero meravigliati che il dono dello Spi rito santo fosse stato effuso anche sui gentili 46 li sentivano infatti parlare in lingue e magnificare Dio. Allora Pietro dichiarò: 47 «Può qualcuno vietare l'acqua così da impedire che siano battezzati questi uomini che hanno ricevuto lo Spirito santo, proprio come noi? » . 48 E dispose che essi fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Allora gli chiesero di fermarsi alcuni: gi'Of'Ili. -
Come nel caso della pagina sulla conversione di Saulo (9,1-I9a), Luca ci proporrà questo racconto, segnalando così l'importanza che gli assegnava. Non era necessario ripetere tanti partù:olari nella sezione immediatamente successiva a questa ( n,:t-I 8); sarebbe bastato dire in I I ,-4: «A questo pun to Pietro raccontò loro tutti i fatti, esattamente come erano accaduti», e quindì passare subito a I I , I 8 e alla conclusione dell'argomento trattato. Luca invece non solo ripropone il racconto alquanto diffusamente, ma per sottolineare ancor più l'importanza che egli ravvisa nell'evento attribuisce a Pietro un cenno significativo al riguardo in I 5,7-9, dove l'episodio è pre sentato come l'inizio dell'evangelizzazione dei gentili per dec:isione e scelta di Dio. La partecipazione e il controllo divini emergono chiari nell'elabo rata costruzione della storia, con le sue visioni tra loro complementari ac curatamente combinate, con i suoi messaggeri angelici e· infine con il dono spontaneo dello Spirito. La rilevanza di questo racconto per Luca e per il suo libro è dunque irrefutabile. Esso segna Io stadio criti'Co finale nell'esten sione dell'evangelo e nell'espansione della chiesa. Inizialmente l'evangelo è predìcato ai giudei e da loro accettato; poi si sposta fino ai samaritani; quindi giunge al devoto etiope, che è tutto meno che un proselito, il quale si reca in pellegrinaggio a Gerusalemme e legge la Bibbia privatamente. C'è infine Cornelio, sulla cui conversione persino i cristiani di Gerusalemme, che in un primo momento contestano i rapporti di Pietro con un incircon ciso, soiw costretti a osservare: «Ebbene, anche ai gentili Dio ha concesso il pentimento per la vita ( I I,I 8 ) >> . È questo lo schema di Luca. Ma il letto re attento avrà notato una serie di difficoltà, e c'è una lunga storia di dibat-
533 tito critico sull'episodio, Haenchen, 343 s., fornisce un buon resoconto dei suoi sviluppi principali da Zeller a Dibdius. V. Dìbelius, 109-1 22.. 1 6 1 - 1 64; nonché Wilso� Gen.tiles, 171-1 78. Lo stesso Haenchen, 347, ritiene che Di belius sia in errore, in quanto non è verisimile che la chiesa delle origini, convinta com'era che la fine di tutte le cose fosse prossima , abbia conser vato quello che, secondo Dibeli� era un mero racconto di conversione. L'idea cardìne del racconto va individuata in due serie di ripetizioni: 1 . Io, 14.2.8.47; u ,2.. 8. 17: iniziahnente i cristiani si erano opposti ad accogliere gentili tra le loro fila; 2.. IO,J . I I- I 6.l.l..Jo; 1 1 ,5-IO. I J : Dio rovesciò le lo ro obiezioni e introdusse egli stesso i gentili. Più avanti si menzionerà qual che altra tesi sull'origine e il signllìcato del racconto; di particolare interes� se
la trattazione di Weiser, 2.49-2.62, le cuì conclusioni meritano di essere
citate:
Luca accolse una tradizione certamente già scesa per iscritto, che aveva come contenmo la visione del comandante romano Cornelio, la mediazione compiu ta dai suoi messaggeri e fordine impartito a Pietro dallo Spirito, quindi gli ac cadimenti nella casa di Cornelio: }�incontro fra Pietro e il comandante, il rac• conto della visione di Cornelio, la ricezione dello Spirito e il battesimo. Sono dovuti alla penna di Luca principalmente: l'inserimento della visione di Pietro,
che proveniva da altro materiale tradizionale,. 10,9-1 6, e, connessi a questa, 10,2.8�293; 1 1 ,2. s.; i discorsi, la cui composizione è integralmente redazionale, di 10,34·43; u,j-1 7,. e le affermazioni che ne dipendono di 10;22.24b·3 3 b;
n,4; la caratterizzazione religiosa di Cornelio, xo,2.4.2.2. J, 1 ; la menzione de gli accompagnatori di Pietro, IO,l.Jb·45;. I I ,1 2b; i versetti di transizione e quel li conclusivi, 1 1 ,1; 10.48b; 1 1 ,18, nonché la rielaborazione completa anche delle parti mutuate dalla tradizione (262).
È
trattazione approfondita, e tut suoi elementi. Samaritani ed eunuchi avevano una posizione speciale. Per gli atteggia menti (disparati) dei giudei nei confronti dei samaritani v. a 8,5; gli eunu chi erano esclusi dall'assemblea del Signore da De��t. 2,;.,1, ma ls. 56.4 s. aveva dato loro motivi di speranza (v. a 8,27). n cristianesimo si era già dif fuso a Damasco, Lidda e Joppe (9,2-Jl..J6·4J ), bem:hé non vi sia motivo di pensare che i convertiti fossero non giudei, o che la cronologia relativa di Luca sia corretta. L'inizio tu,.z.o) di una predicazione ad Antiochia ri volta ai gentili oltre che ai giudei da parte di cristiani, dispersi dalla perse cuzione sorta a causa di Stefano, residenti a Cipro e Cirene, appare anch'es sa considerata come esordio della missione ai gentili. Questo nuovo svilup po doveva, a quanto pare, essere sottoposto al vaglio della chiesa di Geru salemme, che inviò Barnaba come supervisore ( u ,u.). Dopo n , I S questa iniziativa poteva sembrare non necessaria, e così pure� dopo I I,.I - 1 8, tutto un
giudizio importante, fondato su
una
tavia non ugualmente persuasiva in tutti i
5 34
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il dibattito descritto in Atti 1 5, 1 -29, almeno in quanto era inteso a tratta re, e di fatto trattò, le questioni suscitate in 1 5, 1 . 5 . È vero che vi sono dif ferenze, sottolineate sia da Stahlin, 149, sia da Weiser, 2 5 2, tra la storia del l'etiope e quella di Cornelio; la seconda riguarda un gruppo di gentili, non un singolo individuo; l'agente cristiano non è Filippo ma l'apostolo Pietro; la nuova condizione di convertiti è riconosciuta a Gerusalemme e in termi ni generali ( 10,4 5; n , 1 8 ) ; la posizione religiosa dell'eunuco era rimasta in vece poco chiara. Queste differenze mitigano in qualche misura le difficol tà, ma non le rimuovono. Le questioni considerate sin qui precedono l'esame puntuale dei conte nuti di 10,1-48. Qui gli interrogativi non concernono il meccanismo del rac conto, la sua cornice narrativa. Si possono riscontrare difficoltà in relazio ne al numero di messaggeri inviati da Cornelio e al tempo che impiegaro no per il viaggio, e a complicarle interviene la presenza di varianti. Questi sono tuttavia problemi minori, che scaturiscono dall'ambiguità od oscurità espressiva, e forse da una certa negligenza nella trattazione dei particolari; v. ai vv. 10. 1 5 . 19.30. 3 6. Sono più serie le questioni esposte nel prosieguo. 1 . Il senso della sezione nel suo insieme, specie se considerato nella col locazione che gli assegna Luca, è che l'accadimento segna un passo notevo le nell'estensione dell'evangelo al mondo esterno al giudaismo. Questo pun to è già stato sottolineato sopra; 1 5 ,7-9 è particolarmente importante a tal riguardo. Nondimeno, all'interno del racconto Luca si premura di mostra re quanto Cornelio fosse vicino al giudaismo. È vero, non era giudeo e non era proselito; ma faceva elemosine e pregava costantemente; tra i giudei godeva di grande reputazione. La conversione di persone come quelle de scritte in I Cor. 6,9.10 avrebbe potuto suscitare un'impressione maggiore. 2. La visione di Pietro solleva un insieme di problemi. A Pietro viene ordinato di uccidere (per -:9Ue:�v v. al v. 1 3 ) e mangiare; egli presume imme diatamente - senza che il testo così come Luca lo presenta giustifichi que sta sua interpretazione - di dover uccidere e mangiare un animale impuro. Perché non optare per uno consentito? La forma in cui l'ordine è riportato in Aug. Faust. 3 1 ,3 - quicquid in vase vides, macta et manduca - (le paro le vengono attribuite a Fausto) non rimuove la difficoltà. Pietro pensa for se che il Signore gli stia tendendo un tranello per indurlo a fare ciò che non dovrebbe? Il Signore non può davvero volere che Pietro compia quanto gli viene detto. Deve trattarsi di una tentazione, e per questo Pietro t�ova il coraggio sufficiente per rispondere negativamente: [J.YjÒatJ.{òç, xup�E (v. 14). Questo è in sé sorprendente: era forse abitudine di Gesù tendere trappole a persone sprovvedute? Stupisce ancor più che Pietro evidentemente non contempli la possibilità che il Signore (Gesù) possa non avere alcuna obie zione a che egli uccida e mangi un animale che la legge considera impuro.
AlTI
1 0, 1 -4 8
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Non si può esaminare qui la storicità di Mc. 7, I 5-I9 ma, se il testo di Marco non è del tutto fuorviante, è presumibile che Pietro abbia udito da Gesù qualche considerazione secondo cui nessun tipo di cibo che entra nell'uomo dall'esterno può contaminarlo, che abbia sentito Gesù (nella formulazione marciana) dichiarare puri tutti i cibi. È vero che in Luca non si leggono paralleli a Mc. 7,I-23 ( = Mt. I 5 , I-2o), il che può spiegare la sua presentazione letteraria del tema e la possibilità che egli ha di proporre questo taglio senza cadere in contraddizioni, ma sui problemi di carattere storico ciò non è di alcun aiuto. È inoltre da notare che dall'esposizione lu cana del concilio di Gerusalemme (spec. Atti I 5 ,20.29) emerge che la chie sa di Gerusalemme (la quale avrà seguito senz'altro le direttive di perso naggi come Pietro) non aveva rinunciato alla convinzione che alcuni cibi producessero contaminazione. Come rileva Haenchen, 349, ciò che pare si voglia dire nella visione del cap. IO non concorda né con le idee di Gerusa lemme o di Pietro, né con il decreto. ll decreto (si vedano il commento e le osservazioni complessive svolte nel vol. n) non traccia invero una distin zione tra animali puri e animali impuri analoga a quella di Num. u ; Deut. I4; ma presuppone che mangiare cibo offerto a idoli causi contami nazione (si noti la differenza terminologica tra I 5,20 e I 5 ,29, àÀtay�(J-11'tl1 e EÌÒwÀo'l9u't11), e che consumare sangue o carne di animali non uccisi secon do la legge sia anch'esso contaminante e perciò vietato. Si pone infine la questione dell'applicazione della visione di Pietro. Se il racconto della vi sione venisse- estrapolato dal suo contesto, costituito dall'episodio di Cor nelio, il lettore concluderebbe senz'altro che essa concernesse la questione dei cibi che i cristiani, compresi i giudeocristiani, erano autorizzati a man giare. Essi restavano vincolati alle norme alimentari della torà? Non appe na cominciarono le conversioni cristiane di non giudei, la questione diven ne di grande importanza, e, si direbbe, la visione le forniva una risposta. Ma in Io,28 alla visione viene data un'interpretazione diversa: Dio mi ha mostrato che non devo trattare alcun essere umano (&v.O.pw7tov, in senso pregnante) come profano o impuro. È vero che queste affermazioni non era no slegate fra loro, giacché in parte ( benché solo in parte) l'impurità dei gentili era dovuta al cibo impuro di cui si nutrivano. Resta tuttavia una dif ferenza non trascurabile, che è quantomeno sufficiente a indurre il lettore a chiedersi se Luca abbia attribuito alla visione un significato diverso da quello che essa aveva in origine. 3 . La visita di Pietro alla casa di Cornelio suscita la contestazione di I I , 2. s. Pietro s i giustifica facendo i l resoconto d i quanto è accaduto, col risul tato che gli autori delle proteste glorificano Dio concludendo: «Ebbene, an che ai gentili Dio ha concesso il pentimento per la vita » . Si vedano le note esegetiche a questo versetto ( n , I 8 ) . A meno che non si sostenga l'impro-
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babile ipotesi che t6wxtv alluda esclusivamente a un'occasione precisa, da cui sia impossibile evincere che anche in altre occasioni Dio avrebbe per messo a gentili incirconcisi di ricevere la vita (la salvezza) sulla base del pentimento e della fede soltanto, ciò significa che era stata accordata l'ammissione dei gentili alla chiesa senza la necessità che essi diventassero prima proseliti. Questo episodio - si è detto - dovrebbe essere definito qua le primo concilio di Gerusalemme; quello presentato al cap. I s è il secon do. Non solo: il primo sembra rendere il secondo superfluo; la questione sollevata in 1 5, 1 . 5 (che prima facie Luca presenta come la questione dibat tuta nel resto del cap. I 5 ) era già stata risolta, e in termini più liberali di quelli di I 5,10.2.9, poiché ai gentili non si impone di ottemperare ad alcu na richiesta. Se si deve leggere n,I-I8 così com'è, il cap. 1 5 risulta super· fluo, a meno che non si ritenga che tratti non dell'ammissione dei gentili, bensì delle condizioni di comunione (di mensa) tra giudeocristiani ed etni cocristiani - interpretazione a favore della quale non manca qualche argo mento (si veda la trattazione complessiva al vol. II). La prima questione era: possono entrare nella comunità? La seconda: ora che sono al suo in terno, qual è il rapporto tra loro e noi (giudeocristiani) ? Quali norme giu daiche, se ne esistono, devono osservare i gentili che ora sono ammessi alla chiesa affinché essa sia una? Che fosse questo lo scopo del concilio di Atti I 5 non concorda con I 5,1.5, ma può essere dedotto da qualche testimo nianza. Ve ne sono tuttavia altre discordanti; v. al cap. I 5 e la trattazione generale nel vol. II. Secondo Liidemann, I 3 6, «non ci si può dunque chie dere, su un piano storico, perché furono possibili gli accadimenti di At ti I 5 dopo quelli di Atti Io ·s ., e spiegarli sulla base di un legalismo più ac centuato della comunità di Gerusalemme . . È una storicizzazione affretta ta, che non dà ragione di ciò che Luca intende asserite» . È giusto dire che non si deve trattare la questione storica senza prima considerare gli inten dimenti di Luca, ma essa alla fine va affro�tata. Questo proliferare e complicarsi di problemi comporta che l'interpreta zione del capitolo IO degli Atti degli Apostoli non potrà verisimilmente es sere semplice. Una cosa è chiara: a Luca premeva che i lettori si rendessero conto che egli offriva testimonianza di un passo decisivo, forse il passo de cisivo, nell'espansione del cristianesimo nel mondo non giudaico. L'interpre tazione teologica di questo passo affiora in 10,47; n , I 8 e viene espressa esplicitamente in I 5 ,7-9. D suo fondamento è che presso Dio non vi sono riguardi personali ( Io,34); i non giudei sono benaccetti nel popolo di Dio, e l'unico segno della loro iniziazione è il battesimo. Non si richiede loro di farsi circoncidere e, a quanto sembra, Pietro non solo li battezzò, ma man giò insieme a loro ( n ,3; cf. I0,48). Che egli abbia effettivamente consu mato i suoi pasti con etnicocristiani incirconcisi è confermato da GaL 2.,1 2 .
537 (mangiò con loro finché subì minacce dall'esterno). Si è già visto d'altro canto che la vicenda reale, nella sua completezza, non fu così lineare. Che cosa ha fatto dunque l'autore degli Atti ? È possibile che si sia costruito un racconto che gli fornisse il punto dì partenza di cui aveva bisogno dovendo scrivere la storia successiva dell'espandersi del cristianesimo nel mondo dei gentili. Ciò sembra improbabile; vorrebbe dire che il suo intervento creati vo è stato eccessivamente libero, giacché, a prescindere da questo, in Luca compaiono altri racconti degli «esordi » della missione ai gentili. Inventan do questo, se è vero che l'ha fatto, si è procurato una serie di difficoltà non necessane. Pesch, 3 30, sostiene che il racconto appartiene alla tradizione prelucana su Pietro e al medesimo gruppo di storie di cui fanno parte 9,3 2·3 5 · 3 6-43 · Anche la composizione sarebbe prelucana ( 3 3 3 ), e Cornelio appare soltan to una figura subordinata. Doveva esservi compresa una predica di Pietro, che fu tuttavia sottoposta alla revisione redazionale lucana. Roloff, 1 64 s., ha una posizione analoga e la sostiene in negativo, adducendo contro l'ipo tesi che il brano sia anzitutto una storia di conversione in cui Cornelio è il personaggio centrale quattro argomenti. 1. La forma del racconto è deter minata da una coppia di «visioni in parallelismo», che hanno l'effetto di provocare l'incontro delle due parti. 2. n protagonista è Pietro; è la sua visione a suscitare la resistenza che dev'essere vinta affinché la conversione possa aver luogo. 3 · Cornelio è una figura subordinata. Tutto ciò che egli desidera è la piena appartenenza al popolo di Dio. Non è lui a essere «con vertito», bensì Pietro. 4· Vari tratti del racconto rimandano a un ambiente originario giudeocristiano. Sulla scorta di queste argomentazioni Roloff, 1 6 5 , conclude: «La narrazione era in origine una leggenda giudeocristiana di carattere missionario. Sulla base di una esperienza fondamentale di Pie tro valse come autenticazione della missione ai 'timorati di Dio' e della loro completa integrazione nella comunità, senza l'obbligo della circoncisione» . Dei quattro argomenti, quello esposto al punto 1 è un'osservazione vali da; la storia verte sull'incontro fra il giudeocristianesimo e un gruppo di gentili, tema questo non marginale a Cesarea (v. sotto). Per determinare il peso del punto 2 occorre stabilire se l'interesse biografico per Pietro fosse già presente nella forma più antica della tradizione o sia stato introdotto da Luca. n punto 3, nella formulazione di Roloff, non è convincente. n punto 4 è un aspetto particolare della circostanza che la chiesa di Cesarea, comunque abbia avuto origine, dev'essere stata fondata da giudeocristiani e deve aver serbato un elemento giudeocristiano. Un'altra ipotesi è che Luca abbia trovato il racconto già esistente, ma in una forma meno elaborata e investito di significati di portata assai meno vasta. Era sostiene Dibelius - una pia leggenda di conversione, narrata -
PIETRO E CORNELIO. CESAREA
per l'edificazione di chiunque vi entrasse in contatto. È necessario doman darsi se ci fossero motivi che inducessero a conservare storie siffatte, se gnatamente quando afferivano non a personaggi di rilievo come Paolo, ben sì a figure secondarie e altrimenti sconosciute. È dubbio che la motivazione che «è un ufficiale romano>> sia sufficiente; in ogni caso sposterebbe im mediatamente il materiale su un piano diverso, giacché l'ufficiale romano non poteva essere certamente un giudeo, e questo fatto coinvolgerebbe l'intera questione di una missione ai gentili. V. inoltre Haenchen, 347 s. L'ipotesi più convincente è che nella storia narrata in Atti IO e n, o sotte so a essa, vi sia il resoconto locale della fondazione a Cesarea di una chie sa che comprendeva i gentili, e del riconoscimento conclusivo a Gerusa lemme della legittimità di questa iniziativa. Essa era talmente priva di pre cedenti, e così densa di significato teologico (a quel tempo percepito solo in parte), che ne era stato probabilmente conservato il ricordo in più di una chiesa, anche se soltanto nella loro memoria popolare. Antiochia (v. n, 20) aveva una tradizione simile, che non era ricollegata (se non in ,un se condo livello - v. 1 1 ,22.25) a nessuno dei grandi nomi, ma solo ad alcuni uomini di Cipro e di Cirene, le cui azioni erano conseguenti o congiunte all'espulsione dei cristiani ellenisti da Gerusalemme. Luca non si è limitato a riprendere la storia di Cesarea. Due interroga tivi in particolare chiedono una risposta. I . Le difficoltà inerenti al raccon to della visione di Pietro sono già state segnalate (v. sopra, pp. 5 3 4 s.); è possibile che fosse parte originaria del racconto cesariense? 2. In 8,40 Fi lippo è giunto a Cesarea; in 2I,8 vi si trova ancora. Dopo aver predicato ai samaritani e averli battezzati, dopo aver conversato con un eunuco etiope e avere battezzato anche lui, non avrà contribuito alla fondazione di una chiesa a Cesarea ? È suggestiva l'idea che Luca, consapevole della par tecipazione determinante di Pietro all'evangelizzazione dei gentili ( Gal. 2, n ; I Cor. I , n; 9, 5 ) e desideroso di attribuire ai dodici, oltre che ai sette, un ruolo nella fondazione di chiese gentili, o miste, abbia isolato un rac conto in origine relativo a Filippo per attribuirlo a Pietro, utilizzando la sto ria della visione per compiere il trasferimento. Ma l'ipotesi non regge: co struisce troppo sulla base di 8,40, e presuppone altresì la priorità cronolo gica delle storie su Filippo. Per di più non prende in considerazione le diffi coltà rilevate nel racconto della visione di Pietro. Si deve concludere, a quanto pare, che nella chiesa di Cesarea circolava una storia della sua fondazione da parte di Pietro, nella quale si asseriva tra l'altro che essa era stata sin dall'inizio una chiesa composta anche di gentili, e che ciò era stato accettato dai cristiani a Gerusalemme. Per que sta ipotesi cf. Knox, Acts, 3 3 ; Brandon, Fall, 1 78; e v. Barrett, NT Essays, 1 1 2-1 14. Il profilo del racconto si può rintracciare in Io,I-8 . 1 7-24.3 0-48;
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1 1 ,2. 3 . 1 8 , anche se probabilmente all'interno di questi passi Luca è re sponsabile non soltanto delle suture, come 10, 1 7a.1 9a,. ma anche dei con tenuti della predica di Pietro, che segue lo schema consueto delle prediche negli Atti (v. sopra, pp. 1 59- 1 64). Schneider, n, 6o, sostiene che la predica è adeguata alla situazione, perché pone in risalto l'universalità della salvez za; ma non pare si possa dire che lo faccia con maggior forza di 2,3 9. Può darsi che vi fosse in origine una «predica » nella fonte che Luca ha combi nato col proprio materiale; ciò potrebbe spiegare l'intollerabile struttura sintattica di 10,37· 3 8 . Luca ha ricevuto inoltre dalla tradizione il racconto di una visione avuta da Pietro, che era stato conservato quale spiegazione di «come Pietro cambiò idea » - non forse quale risposta alla domanda «che cosa si può mangiare? » bensì a quella «con chi si può mangiare? » (v. Schneider, n, 62). Luca stabilì che questo punto si prestava all'inserimento della visione, anzitutto perché gli consentiva di asserire con raddoppiato vi gore che la conversione dei gentili era volontà e opera di Dio: Dio aveva gui dato Pietro e Cornelio a un incontro reciproco. Ciò comportò verisimilmen te una reinterpretazione della visione, non solo, in positivo, perché Pietro doveva apprendere che tutti gli uomini (o quantomeno alcuni uomini che non erano giudei) erano graditi agli occhi di Dio, ma anche, in negativo, perché la questione del cibo non si sarebbe posta. Cornelio (come afferma il racconto) era così vicino alla sinagoga, che non avrebbe mai pensato di offendere un ospite giudeo servendogli a tavola carne di maiale. L'interpre tazione lucana della visione evita inoltre contraddizioni con 1 5,20.29. È impossibile datare questo episodio, benché sia da tener presente che Cesarea non era lontana da Gerusalemme e che il racconto tradizionale ce sariense sarebbe privo di senso se non rimontasse a una datazione piutto sto alta. Roloff, 1 66, parla giustamente dell'episodio come di uno dei nu merosi passi verso il mondo dei gentili. Da qui emergono alcune altre que stioni che si possono trattare in breve. Schmithals, 102 s., ravvisa qui segni ulteriori della polemica lucana contro gli iperpaolinisti, i quali avrebbero voluto sganciare il cristianesimo dalle sue origini giudaiche e veterotesta mentarie. No, sostiene Luca, anche la chiesa gentile nacque da radici giu deocristiane. Egli insiste ancora una volta (v. sopra, p. 222) nell'affermare che gli apostoli, per quanto siano portatori insignì e taumaturgici della pa rola di Dio, sono esseri umani e non divini (vv. 25 .26). Calvino, 288-290, coglie una profonda questione teologica, perlopiù ignorata dai commenta tori. Qual è il significato dell'asserzione del v. 3 5 secondo cui in ogni po polo chi teme Dio e pratica la giustizia è a lui gradito? Deve voler dire che Cornelio è già accettato da Dio. Ma in tal caso perché predicargli l'evange lo, perché battezzarlo? Secondo Calvino; le opere di Cornelio erano gradi te a Dio perché erano precedute dalla fede. Che egli avesse fede è provato
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dal fatto che pregava, cosa che non si fa se non si crede. «Inoltre il suo ti more di Dio e la sua pietà dimostrano con chiarezza che egli eca rinato dallo Spirito,. (2.88 ). Di più: si- può provare che Cornelio aveva conosciuto Cristo, benché egli «debba essere collocato nella categoria dei padri dei tempi antichi, che speravano nella salvezza a opera di un redentore non ancora rivelato » '( 290). Non si può dire che queste osservazioni (o il passo di lnstitutes 3., 1 7.4) siano davvero soddisfacenti. Calvino, teologo
noto
per il rigore dell'argomentazione logica, non era molro adatto a capire Lu ca, il quale, nella misura in cui io era, era un teologo propenso a esprimere il contenuto delle proprie riflessioni in termini non rigorosi e popolari . Ciò che Luca intende dire è che Dio giudica gli uomini equamente, secondo le opportunità che hanno avuto. Cornelio non può essere condannato perché non crede in un evangelo di cui non ha mai sentito parlare; va anzi pre miato per aver sfruttato le possibilità avute concedendogli di apprendere di più e di credere di più. Dio guarda con benevolenza chi, per quanto lo conosce, lo teme e, per quanto sa che cos'è la giustizia, la pratica. Luca non ba intenzione di negare l'amore di Dio per il peccatore. Egli affronta un punto alla volta, senza l'attenzione e la capacità di Paolo di vedere si multaneamente e tenere uniti entrambi i versanti di una proposizione teo logica. A Calvino bisogna riconoscere il merito di aver- individuato e trova to il coraggio di trattare le questioni suscitate dal testo, anche se le sue ri sposte non soddisfano. n problema è colto anche da Rackham, 1 5 5 s., che tuttavia non lo affronta in modo più soddisfacente. 1. Per l'introduzione di un nuovo personaggio {à:VÌJ@ ÒÉ 'ttç) e di un nuo vo racconto d. 8,9. Per Cesarea v. a 8,40; anche Sevenster, Greek, IO}- IO]. C'erano molti giudei nella città, ma la lingua principale era il greco, e Ce sarea «era il centro dell'amministrazione romana e il quartier generale del l'esercito romano nella provincia, specie nel periodo in cui essa era gover nata da procuratori romani » (Sevenster, 1 04). Bauemfeind, 1 4 3 , prospetta la possibilità che Luca abbia pensato che Filippo ( 8,40) non fosse ancora ar rivato a Cesarea; è più probabile che a Luca fossero semplicemente manca te altre informazioni su Filippo, ma egli non intendesse perciò rinunciare a esporre il suo racconto sulla fondazione della chiesa in quella città. Fra -rr..; ed Èv è posto ljv in va rial lacciato a ÒtYj7tOpe:t: «Pietro dubitava tra sé e sé ... » . L'imperfetto fa pensare a uno «stato durevole di sconcerto» (Schneider, 11, 69 ) ll verbo è lucano: Le. 9,7; Atti 2,1 2; 5,24; 1 0, 17 ; mai altrove nel N.T. Egli si chiedeva che cosa la visione · (Opt%fJ.t:x, v. 3 ) potesse essere, ossia potesse significare. ElYj, ottativo; la maggior parte degli ottativi neotestamentari si incontrano negli scritti lucani, indizio questo di uno stile letterario. �" aggiunge un elemen to ulteriore di dubbio (Page, 145: «che cosa potesse essere» ). Ci si aspetta che il lettore di Luca capisca che la visione è una comunicazione misteriosa (Weiser, 265 ). Mentre (WtÀouc; m ptÉ!J.e:tVEv. La variante produce una differenza di senso lieve o nulla. Corne lio aveva radunato un gruppo di persone per ascoltare Pietro; evidente mente era convinto che l'annuncio divino non fosse destinato a lui soltan to. Luca non specifica se nella selezione degli ospiti da parte di Cornelio abbiano pesato considerazioni religiose, ma viene spontaneo supporto e ri tenere che fossero tutti gentili relativamente «irreprensibili» • Sono presenti i «congiunti» (auyye:ve:ic;) di Cornelio. Per un soldato in servizio ciò deve voler dire quasi certamente (la moglie e) i figli. Sono presenti altresì -roÙç à:va:yxa:iouc; 1>tÀouc;. Detto di persone, à:va:yxa:icx; può indicare quanti sono legati da vincoli necessari o naturali, vale a dire di sangue. Ma non può es sere questo il significato qui, giacché i «congiunti» sono già stati men zionati, e se si fosse voluto esprimere tale concetto, difficilmente si sareb be utilizzata la parola �Àm. Probabilmente si pensa ad amici così stretti da avvicinarsi ai legami di sangue (come con necessarius in latino). Una espressione pressoché identica (auyye:vwv xa:i à:va:yxa:iwv à:v-8pW7twv) ricor re in Demosth. 19,2.90 (434); cf. Eur. Andr. 671 (-roùc; à:va:yxa:touc; 1>tÀouc;); Ios. Ant. 7,3 50. •••
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�s. Pietro, che al v. 24 è entrato a Cesarea, ora entra nella casa di Cor nelio. Questi gli va incontro e, associandolo evidentemente alle esperienze soprannaturali che ha vissuto, cade ai suoi piedi, considerandolo più che un uomo. Che questo atto esprima più del rispetto normalmente tributato a un'insigne figura religiosa di maestro (e già di per sé sarebbe riuscito ab bastanza sorprendente se compiuto da un romano verso un giudeo - così Weiser, 265 ), è dimostrato dalla repllca di Pietro (v. 26). Se Cornelio ave va accolto il giudaismo, quale che fosse il suo grado di adesione, non avreb be potuto reputare Pietro divino; presumibilmente lo ha preso per un an gelo; cf. Apoc. 19,10; 22,9. « È chiaro che in Pietro Cornelio intende ren dere onore a Dio stesso» (Schille, 247); ma questa osservazione non sem bra dire abbastanza. All'interno del N.T. 7tpoaxuve:tv è rivolto a Dio o a Cri sto, ma può essere anche un gesto di grande rispetto (indica «segnatamen te il costume orientale di 'prostrarsi al cospetto di' . re e superiori» [LSJ, I 5 I 8), più tardi però il saluto rispettoso). La configurazione grammaticale delle parole iniziali non è chiara. Se si considera � òè tyévno un semitismo (secondario, a imitazione dell'ebrai co wjhj), il 't'oU è pleonastico; cf. 3 , 1 2. MH, 427, richiama Act. Barn. 7: � 8f: !yéve:'t'o -rou nÀéaa� aù-roùc; òtòciaxov't'a�. Moule, 1 29, ritiene 1:ou e:lae:À &rv soggetto di !yéve't'o (cf. 2,1D): «Quando ebbe luogo l'ingresso di Pie tro . . . >> , Cf. Le. 1 7 ,1 ; Atti 27, 1 . Forse per la durezza della costruzione, ma più probabilmente per presentare la scena in termini più vividi, il testo oc cidentale riscrive la proposizione iniziale: 7tpoae:yyl�oV't'� òf: 1:ou Ilé"t'pou e:� 't'�v Katacipe:tav 7tpoaòpa!J-Ùlv e:C� "t'wv òouÀwv (secondo Metzger, 3 74, uno dei messaggeri; per Epp, Tendency, 161, una guardia; per Hanson, 1 23, uno schiavo di Pietro) òte:acicplJae:v 1tapaye:yovévat aÙ't'ov. o òf: Kop�Àt� !x1tlJÒ�a� xai auvav't'�a� aÙ't'�. Clark, XXIII. 346, è persuaso che sia que sto l'originale in tutta la sua vivacità, e giudica il testo degli onciali antichi una «sbiadita riduzione» . Sono pochi a concordare, ma tra questi Delebec que, p , il quale sostiene che D evita una forma greca scorretta ed è lucano nello stile e nel lessico . .26. Questo non è il trattamento opportuno per un apostolo, che, sebbe ne gli sia stato affidato un messaggio divino, è in sé un essere umano e nul· la più. Nemmeno l'angelo di Apoc. 19,10 accetta l'ossequio dovuto a Dio soltanto; cf. Sap. 7,1 , dove Salomone nega di occupare una posizione più elevata di quella dei comuni mortali (tt(J-i !J-Èv xàyw -8-vlJ't'Ò� èiv-Spw1t� rao� &1taatv). Non adorazione (Anbetung) bensì omaggio (Huldigung) è quanto viene offerto dal centurione (così Bauemfeind, 147); ciò nondimeno Pietro lo respinge. Solleva Cornelio prostrato (l'uso di à.vta't'civat non è accostabi le a quello del v. 2.0) e dichiara di essere anch'egli un uomo. Quale che sia
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PIETRO E CORNELIO . CESAREA
l'idea che Luca ha degli apostoli, non li concepisce come «uomini divini»; v. sopra, p. 222, e a 3 , 1 2. Cf. Aelian. Var. Hist. 8,1 5 , ove Filippo affida a un suo servo la mansione di ricordargli 8·n &'\1'8pw1to� Èa'tt. Anche qui il testo occidentale carica i toni della narrazione. Al posto di à:vcia'tl)-Dt, D ha 'tL 1tOLEt�;, parole che p (w) sy hmg premettono ad à:vcia'tl)-Dt. Alla fine del versetto D* E it mae bo mss aggiungono w� xaì. au. Conzelmann, 63, considera i vv. 27-29 un'inserzione a opera di Luca nel la sua fonte, perché rimandano alla visione di Pietro, essa stessa, a suo pa rere, un'inserzione. È vero che il v. 26 potrebbe ricollegarsi direttamente al v. 30, il che tuttavia in sé non prova che i versetti inframmezzati non fos sero parte originaria del racconto. 27. Conversando (auvofJ.tÀwv) con Cornelio, Pietro entra in casa e vi tro va molte persone radunate; v. il v. 24. Non c'è un motivo palese che giusti fichi in D l'omissione di auvofJ.tÀwv e la lezione xal. EtaEÀ-Dwv 'tE xaì. Eù pEv ; essa è grammaticalmente impossibile (in greco, non però in aramai co; v. Black, Aramaic, 69), ma è probabilmente parte di una riscrittura complessiva compiuta dal testo occidentale (così Ropes, in Begs. m, 96). Pur non essendo essenziale al racconto, auvofJ.tÀwv fornisce un buono spun to per il v. 28. •..
28. La conversazione privata con Cornelio è seguita da parole rivolte ai «molti » che si sono radunati (1tpÒ� aù'to�). Tutti sono sufficientemente vicini al giudaismo per rendersi conto che sta accadendo qualcosa di inso lito: U!J.EL� È1tta'taa-DE. Probabilmente si pensa anche ai visitatori prove nienti da Joppe. D (cf. mae) ha [3ÉÀ'ttov Ècpta'taa-DE (sic). �ÉÀ'ttov è definito da Moulton, 78. 236, comparativo elativo, per il quale si adducono a con fronto 4,16 (D); 24,22; 25,10 (v. anche Gv. 1 3,27; 2 Tim. 1,1 8). MT, 30, concorda. È questo un altro esempio del modo in cui il redattore occiden tale intensifica il testo: non «voi sapete••, ma ); Apoc. I , I . n verbo è usato negli oracoli. n famoso detto di Eraclito (93 [ n ] : ò èlva�, oò 'tÒ (Letne:tov Èa'tt 'tÒ Èv .!\e:Àcpotç, o1Yre: ÀÉye:t o� -re: xpu1t'tEt ciÀÀà O"TJ!J-Gttve:t) qui non è particolarmente adatto, poiché in que sto caso non si tratta di nascondimento o nascondimento parziale. Schille, •••
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LA CHIESA INDIPENDENTE DI ANTIOCHIA
266, è certamente in errore quando osserva: « Qui in a7)1J-CXt"Et"··· vi è il senso di un discorso oracolare enigmatico» . n rinvio al futuro trova un pa rallelo in Thuc. 2,8,2 ( ... ÈÒOXEt È1tt 't'Otç !J-ÉÀÀOOOL ')'E"lJI1Ea-8cxt O"lJ!LlJVCXt), ma ivi, rispetto agli Atti, si parla di un portento (un terremoto). Per il si gnificato di predizione v. anche Ios. Ant. 6,50; 8,409. Di fatto il termine è usato spesso semplicemente nel senso di «comunicare, indicare, dichiara re» (LSJ, 1 592 s.), e qui non ha un valore molto più pregnante. n rinvio al futurO è espreSSO da !J-ÉÀÀEt" (omeSSO da 1)45 1)74 3 6 3 23 453 614 945 1739 pc) e l'infinito futuro. Tale impiego dell'infinito futuro è co mune nel greco classico, ma nel N.T. si trova 84 volte l'infinito presente, 3 (tutte negli Atti) il futuro, 5 o 6 (compreso 1 2,6, v.l. ) l'aoristo; così Moul ton, 1 14; MT, 79· L'accadimento avvenire è una Àt!J-Ò> qualcuno; qui è seguito soltanto da un infinito che funge da complemento (quasi che l'au tore voglia evitare di diffondersi sui particolari ? - così Bauernfeind, 1 59). Con un infinito sarebbe più normale èx�aÀÀe:tv (o èx-re:tve:tv, cf. Le. 22,53), che richiamerebbe l'ebraico si!J jdjm e si potrebbe rendere «tentò di» o «si impegnò a >> . Begs. IV, 1 3 3 , fa notare che èm(3ci.ÀÀe:tv x.e:ipcxc; ricorre in Poli bio e nei papiri e perciò non può essere ritenuto un semitismo. Qui l'infinito xcxxwacxt (cf. I 8,IO) dev'essere considerato epesegetico del verbo principale: «egli mise le mani (su di loro), per far (loro) del male>>. Cf. I Esd. 9,20 ( LXX). xcxxouv è voce lucana ( indica maltrattamenti fisici in 7, 6. I9; I 2,I; I 8,Io; il provocare ostilità in I4,2; altrove nel N.T. ricorre so lo in I Pt. 3 , I 3 ). L'attacco di Erode è esemplificato nelle storie seguenti di Giacomo e Pietro. Erode (a giudicare da questo resoconto) pensò che la strategia migliore fosse muovere contro la comunità cristiana prendendone di mira i capi, come conferma l'uso di -rtvcxc;: non tutta la chiesa ma alcuni dei suoi membri. Schille, 268, suppone invece che Luca scrisse -rtvoo; poiché era in grado di citare solo due esempi. ci1tÒ -rijc; èxxÀT)atcxc; vorrà dire «della chiesa>> (di coloro che appartene vano alla chiesa). Per l'uso lucano di èxxÀT)atcx v. 5,I I e la trattazione al ·· vol. II. Qui D p w sy h mae aggiungono èv -rn 'louòcxiq, integrazione ra gionevole ma secondaria; si è appena parlato della chiesa di Antiochia e il testo occidentale chiarisce che ora ci sarà un cambio di scena. 2. Negli Atti civcxtpe:iv è usato I 8 volte (nel resto del N.T. Ix in Matteo; 2x in Luca; I x in 2 Tessalonicesi; IX in Ebrei), sempre in senso negativo, eccetto in 7,21. Per Giacomo fratello di Giovanni v. r , I 3 , dove non è defi nito così, e Mc. 3,I7, dove il rapporto di parentela è espresso in termini in-
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GIACOMO, PIETRO ED ERODE
vertiti. È chiaro che questo Giacomo dev'essere distinto da quello menzio nato al v. 17 (e presumibilmente in 1 5, 1 3 ; 2. r, r 8 ) ; di solito questo secondo Giacomo è considerato fratello del Signore, ma Calvino, 3 3 7, ritiene che sia il figlio di Alfeo. V. sotto. Giacomo fu ucciso !J-IX'X.IXLP1J (per -TJ dove ci si aspetterebbe� v. BDR, S 43.1). Secondo Brandon, Trial, 48, seguito da Derrett, Law, 340, l'uso della spada anziché di altri strumenti per l'esecuzione capitale mostra che l'accusa mossa a Giacomo era politica, vale a dire, che Erode vedeva nel movimento cristiano una minaccia politica al suo regime. L'osservazione si basa su Sanh. 7,3 («L'ordinanza per coloro che devono essere decapitati è la seguente: essi usavano mozzare la testa con una spada come fa il gover no [romano]. R. Judah dice: 'Ciò è ignominioso per lui; essi invece ne pog giano il capo su un blocco e lo mozzano con un'ascia'»). Merita peraltro notare che nel breve accenno di 9.3 la decapitazione risulta eseguita con la spada (bsjf). Dal passo citato è inoltre evidente che l'usanza più antica era la decapitazione con la spada. Queste considerazioni gettano qualche dub bio sulla posizione sostenuta da Brandon e Derrett; a loro favore si può tuttavia rilevare che, sebbene !J-tX'X,CXtpcx sia usato per diversi tipi di spade e pugnali (e per un coltello da scalco; v. LSJ, ro8 5, s.v.), in Catai. Cod. Astr. 8(4),173: È1tt !J-CX'X.cxtpt:f "tcxaao!J-€vot significa «avendo potere di vita e di mor te (ius gladii) » (anche LSJ). Se si può desumere qualcosa del genere dalla parola che usa Luca, vuoi dire che la situazione è progredita rispetto alla fase delineata dai capp. 4 e 5. I cristiani ora sono più che un fastidioso pro blema di ordine religioso; essi minacciano la sicurezza dello stato. D v. 3 lascia pensare che Erode inizialmente abbia agito di propria iniziativa; sol tanto dopo la morte di Giacomo si rese conto dell'apprezzamento dei giu dei. Nel resto degli Atti tuttavia le azioni contro i cristiani, a Gerusalemme come altrove, appaiono avviate dalle autorità religiose giudaiche piuttosto che da quelle romane o da altre autorità civili. Al martirio di Giacomo si accenna in una epitome di Filippo di Side (430 d.C. circa, contenuta nel codex Baroccianus 142., Oxford, pubblicata da C. de Boer [TU 5.2], r 888, 170), nelle parole: «Nel suo secondo libro Papia dice che Giovanni il Divino e Giacomo suo fratello furono uccisi dai giudei (ù1tÒ 'louòcxtwv cìv-npé-8lJacxv)». Si noterà l'uso di cìvcxtpEi"v; che negli Atti il soggetto del verbo (attivo) non siano i giudei bensì Erode non è ne cessariamente un'incongruenza, dacché Luca osserva (v. 3 ) che la morte di Giacomo fu gradita ai giudei. Non sarebbe una lettura troppo forzata del le testimonianze sostenere che Erode abbia agito con l'intenzione di com piacere i giudei, di fare ciò che avrebbero fatto essi stessi se avessero potu to. Per ulteriore documentazione afferente al presunto martirio dei due fra telli in una datazione alta v. Barrett, St fohn, 103 s. La notizia non convin-
Am
1 2, 1 -23
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ce. Si noterà che negli Atti non vi è cenno alla morte di Giovanni fratello di Giacomo (per quanto talora lo si sia introdotto nel testo congetturai mente) . Bauernfeind, I 6o, si oppone all'idea che Luca abbia deliberata mente tenuto nascosta la morte di Giovanni osservando come, se ne avesse avuto intenzione, avrebbe menzionato Giovanni nel suo resoconto del con cilio (cap. I 5 ). V. anche Liidemann, I49· 3· Qui Erode è distinto dai «giudei » (che avevano gradito la sua inizia tiva), benché in genere egli amasse associarsi a loro e considerarsi per quanto possibile uno di loro. Probabilmente Luca lo riteneva il primo fra i gentili nemico della chiesa, la cui fine miserevole avrebbe potuto costituire hm un monito adeguato per altri. Dopo 'Iouòatotç D p • sy g (mae) aggiungo no (come soggetto di èa"ttv) i} bt'X,E:tpYJcrtç È1tÌ. -roù.:; 7tta-roU74 A 3 3 945 1739 al CÌ1tÒ 'lepooocxÀlJ(J. D E 'l. 3 6 3 23 4 5 3 614 I I75 al. Per le versioni latine WW, m, r r9, segnala: «ab apud nostros non fluctuat», osservando che potrebbe corrispondere a È� o ad CÌ1to. In E 104 3 23 94 5 r r75 1739 pc p w syP sa si legge anche el� 'Anto'X,etcxv (in quasi tutti i casi aggiunto a iE o CÌ1tÒ 'le:pooocxÀlJ(J.).
Delle prime tre lezioni, l a prima, che sembra affermare che Barnaba e Saulo tornarono al luogo in cui già si trovavano, è indubbiamente la più difficile; troppo, se letta in tal modo: non ha alcun senso. D'altro canto è chiaro che È� e CÌ1to sono correzioni del difficile e:t� (con l'aggiunta frequen te di el� 'AV't'tO'X,etcxv per rendere più agevole il nesso, e forse conservare l'd�) e non possono essere accettate. Le possibilità che restano sono: a) po stulare una corruzione assai antica del testo e congetturare la lezione origi naria; b) individuare un'interpretazione alternativa del testo greco, a quan to sembra, scritto da Luca. Se si opta per a, la via più semplice è suppor re che l'ordine delle parole sia errato e modifìcarlo in tal senso: 't'�v el� 'le pouacxÀ�(J. 1tÀ1Jpwacxn� Òtcxxovtcxv (così Hort, Notes 11, 94), per tradurre: •avendo svolto il loro ministero verso Gerusalemme», oppure (in virtù del la sostanziale equivalenza tra el� ed Èv nel greco ellenistico) «avendo svol to il loro ministero a Gerusalemme» . La seconda versione peraltro non pa re richiedere una congettura: non sempre Luca adotta l'ordine «corretto» delle parole, talché si può giungere alla resa proposta partendo dal testo
NESSO DI RACCORDO
così com'è; b è probabilmente l'opzione preferibile. Si rinvia alla tratta zione assai esauriente, che perviene a questa conclusione, di J. Dupont: NT I ( I956) 275-303, poi in Études, 2I7-24 I . Lo studioso richiama l'atten zione sulla difficoltà di spiegare il cenno a Giovanni Marco (v. a I 2,I2) se si traduce: «tornarono a Gerusalemme» . Secondo Begs. IV, I4I, se si legge e:lç, è possibile intendere il v. 25 come una ripetizione di n,3o, volta a mo strare che la carestia e la visita conseguente ebbero luogo dopo la morte di Erode. Per Schmithals, n9, Luca ha scritto È� o &:7to, che alcuni copisti modificarono in e:lç fissando così in quel tempo la data d'arrivo di Barnaba e Saulo a Gerusalemme, perché sembrava incredibile che essi si trovassero nella città durante gli eventi di I 2,I-23 senza tuttavia avervi preso parte. V. anche Black, in Fs Nida, I 23 s., e J.C. Hurd, The Origin of I Corin thians, I965, 34 s. Collegata alla questione testuale è la trattazione di Moulton, I 3 3 , sui tempi dei participi 7tÀlJpwcravnç e O'U!J.7tapaÀaf36vnç. Rackham, I 84, pro pose la traduzione: «tornarono a Gerusalemme e svolsero il loro ministero e presero con loro Giovanni», ma Moulton commenta: « 'Tornarono ... a compiere .. .' è un buon esempio di aoristo d'azione coincidente, ed è pie namente accettabile. Ma leggere in questo senso O'U!J.7tapaÀa�6ne:ç presup pone un aoristo manifestamente riferito ad azione 'successiva', per il quale devo dire di non avere ancora trovato paralleli né all'interno del N.T. né altrove» . Moulton preferisce la congettura di Hort (v. sopra); in ogni caso, la versione più soddisfacente dal punto di vista grammaticale è: «Tornaro no (ad Antiochia, da dove erano partiti) ... avendo svolto ... e avendo preso Marco (come futuro collaboratore; cf. 2 Tim. 4,n : &:vaÀa�wv )». Per al tre congetture v. Metzger, 3 98-400. Williams, I 5 2, rinvia a C.D. Chambers: JTS 24 ( I922) 1 8 3 ss. e a W.F. Howard, art. cit., 403 ss., per la traduzione «allo scopo di compiere», che nonostante 2 5 , I 3 è quanto mai improbabile. Considerato ÈmxÀlJ-8Éna, forse non si dovrebbe attribuire a Luca un'attenzione eccessiva nell'uso dei tempi; cf. I 2, I 2, dove si impiega È7tt xaÀ01J!J.E:VOV. Al v. 25 si legge il presente in 1)74 � A 3 3 8 I I I 75 249 5 al; l'aoristo in B D E 1F > (LSJ, 1068); è dunque naturale l'uso del ver bo (che conosce un impiego analogo sin dai tempi di Horn. Il. 1,305: Àooav o'ciyop�v) per indicare lo sciogliersi dell'assemblea sinagogale. Qui auvarwr� ha un'accezione diversa rispetto al v. 14; è l'assemblea, non l'edificio, che si scompone nelle sue parti. Molti tra i giudei seguirono Paolo e Barnaba, e così fecero anche molti 'twv crE[3o(J.Évwv 7tpocrYJÀVrwv. Qui Luca usa un sostantivo che aveva acqui stato un significato preciso; i proseliti erano convertiti al giudaismo che avevano adempiuto a tutte le richieste della loro nuova religione: erano stati sia circoncisi sia battezzati, e avevano offerto (o fatto offrire) un sa crificio. Non c'è motivo di espungere il termine quale glossa di un copista (Roloff, 209 ); se causa difficoltà, occorre anzitutto tentare di risolverle sen za alterare gli elementi coinvolti. Le persone in questione sono ulterior mente definite da un participio, cre:�o[J.Évwv. Negli Atti crÉ!3e:cr&t ricorre qui e in 1 3,50; 1 6,14; 1 7,4. 1 7; 1 8,7. 1 3 ; 19,27 (altrove nel N.T. soltanto in Mt. 1 5,9; Mc. 7,7, entrambi citazioni di ls. 29, 1 3 ). Nell'uso lucano crE(» (J.Evoc; è connesso chiaramente a a'toÀoc;, e così Barnaba; altrove il termine è riservato ai dodici (escluso Giu da Iscariota e compreso Mattia), vale a dire a uomini che non solo erano stati testimoni del Cristo risorto, ma lo avevano accompagnato durante il suo ministero (v. spec. r,2.1.2.2 ) . Al v. I4 sorge un problema testuale (per il quale v. ad /oc.), ma non si può escludere quantomeno la possibilità che in questo versetto sia Paolo sia Barnaba siano chiamati apostoli. È più arduo evitare tale conclusione al v. 4, ove (v. ad loc.) le spiegazioni alternative sono deboli. Sulla questione se questi versetti debbano essere considerati frammenti di materiale tradizionale (così ad es. Roloff, 2.I I ) , O{>pure reda zione lucana (così ad es. Schneider, n, r s:z.), le opinioni sono divergenti. Se condo Maddox, 71 s. 8 5 n. r 8, in questi passi «trapela la tradizione anti ca», ma si può quantomeno sostenere la possibilità di riconoscere qui gli apostoli della Didachè ( n ,3-6), predicatori itineranti che certo non erano fra i dodici. Dal punto di vista letterario la conclusione migliore è forse que sta: il termine 1Ì:1toa1:oÀ� ricorreva nel materiale antiocheno dal quale Lu ca attinse, ove tuttavia non era usato nel senso di «uno che apparteneva ai dodici, designato dallo stesso Gesù» (porre Barnaba su questo piano sa rebbe ancor più difficile che per Paolo), ma nel senso di «uno inviato come missionario dalla chiesa (di Antiochia) » . In altre parole, in questo capitolo Paolo e Barnaba sono 1Ì:1toa'toÀot Èxx.Àl)atwv (2 Cor. 8,23 ), inviati delle chiese, in questo caso della chiesa di Antiochia (di Siria). Luca non userà più il termine in relazione a Paolo, perché non sarebbe stata una definizio ne adeguata. Dal cap. 16 in avanti Paolo sarà un missionario indipendente (cf. Gal. I , I ), che non tornerà più ad Antiochia a rendere conto (ed è forse in qualche misura separato da quella comunità per disaccordi: Gal. 2,n14). Se è così, il termine 1Ì:1toa1:oÀ� apparterrebbe alla fonte antiochena (che lo intendeva in senso lato); in tal caso, è probabile che ai vv. 4 e 14 si accompagnasse nella fonte qualche elemento del loro contesto immediato: la divisione nella popolazione di Iconio e la resistenza opposta.da Barnaba e Paolo agli onori divini offerti loro a Listra. Ma non basta. U problema è trattato da Wilson, Gentiles, n s-n8, con rude buon senso: a Luca anda va bene che due impieghi logicamente contraddittori del termine 1Ì:1toa'to À� stessero uno di fianco all'altro nel suo libro. Entrambi erano validi. Era appropriato dire che era apostolo chi aveva conosciuto Gesù· durante .il suo ministero, era in grado di testimoniarne la risurrezione ed era stato spe cificamente designato da Gesù. Ma era altrettanto adeguato definire Paolo
A LISTRA E DINTORNI
apostolo: dove trovare una figura più realmente apostolica ? Fin qui va be ne: Luca non sta scrivendo né un manuale di teologia sistematica né un co dice di diritto canonico. Ma, è da osservare, sono molti i modi di essere «apostoli delle chiese». Alcuni possono essere delegati cui è affidata una funzione particolare, come gestire e portare somme di denaro (2 Cor. 8,23 ). Ma Paolo e Barnaba erano stati designati dallo Spirito santo ( 1 3,2) prima di essere nominati dalla chiesa di Antiochia ( 1 3,3). Erano stati inviati non da uomini bensì da Dio, proprio come i profeti (v. ad es. Gal. 1 , 1 3 e d. Ger. 1,5; Is. 49, 1 ) . Luca perciò era pronto a chiamarli apostoli, e lo ha fat to, ma così di rado forse perché sapeva che c'era chi non li avrebbe definiti tali (I Cor. 9,2; v. Barrett, Signs, 3 5-47). Cf. Liidemann, 1 6 5 . 1. Per l'uso in Luca di (xcxt) èyéve:'to (ò€), seguito qui da accusativo e infinito, v. ad es. a 5,7; 9,32.37· Egli ricorre al suo stile « biblico» . Per Ico nio v. a I J , p . La città si trovava lungo la Via Sebaste, che la collegava verso Occidente con Antiochia di Pisidia e verso Oriente con Listra e Der be. Molti episodi (fittizi) ambientati a Iconio sono riportati negli Atti di
Paolo e Tec/a. Si ritiene sovente che xcx't'èr. 't'Ò cxÙ't'o abbia lo stesso significato di È1tÌ. 't'Ò cxÙ't'o (v. a 2,47), «insieme» . La Vulgata traduce simul, e in 3 Bcxa. 3,18 l'espressione rende j!Jdw. Blass, 1 5 6, tuttavia scrive: «recte Gigas [si può aggiungere d] similiter... pessime vulg. simul» , Non sembra vi siano buone ragioni per cui Luca debba sottolineare che i due missionari entrarono nella sinagoga insieme; perché avrebbero dovuto fare altrimenti? Calvino, n, 1, ritiene che l'espressione riguardi i giudei: Paolo e Barnaba entrarono insieme alla folla. Ma anche in questo caso non sembra un particolare che meriti di essere annotato. È meglio ritenere che Luca intenda segnalare che i due si comportarono come al solito (cf. 1 7,2). L'esperienza vissuta nella sinagoga di Antiochia di Pisidia era stata incisiva, ma non tanto da indurii a cambiare linea di condotta o tattica. Luca sta pensando presumibilmente alla liturgia del sabato, quando chiunque avesse il permesso di parlare po teva essere certo di avere un uditorio nutrito. Per la sinagoga come istitu zione v. a 6,9. Altrove nel N.T. oth-tJX; è ripreso da wrrce: solo in Gv. 3 , 1 6, ma il costrut to è classico; ad es. Hdt. 7,1 74: 8e:aacxÀoÌ.. .. oih-w òl} èp.l}òtacxv... wan... Ètpcxtvov't'o . .. Senza dubbio Luca intende dare ai lettori l'idea che fra questa gente Paolo e Barnaba proposero un discorso di tenore analogo a quello che egli attribuisce a Paolo . nella sinagoga di Antiochia di Pisidia ( I J , I 64 I ) e con analoghi risultati ( 1 3 .42 s.). 1tÀij&� è voce lucana (Luca: 8x; Atti: 1 7 [ 1 6]x; resto del N.T.: 7x); 1tÀij� 1toÀu ricorre in 1 7,4 (si noti an che la lezione di E al v. 7). Sembra probabile che Luca qui stia ampliando
quello che forse era poco più di uno scarno cenno a Iconio. Può darsi che non si sia chiesto in quale modo i greci ("EÀÀlJVE:c;) avessero potuto udi re come i giudei quanto Paolo e Barnaba dissero nella sinagoga. È difficile che i greci possano essere proseliti e, benché secondo Stahlin, 1 88, ad esem pio, dovesse trattarsi di «timorati di Dio», Luca non li definisce col solito cn:�O(.LE:VOL (o rpo�oUp.E:voL). A lui preme arrivare presto al punto in cui poter rimproverare ai provocatori giudei la divisione sorta in città e l'attacco mosso ai missionari. Un gran numero di giudei e greci divenne credente (per il significato del l'infinito aoristo 1tLa-r&ùacxL v. a 2,44); ma il v. 5 lascia ritenere che la mag gioranza degli esponenti di entrambi i gruppi non fu persuasa. 2.. Per la prima volta fra gli avversari sono menzionati giudei disobbe dienti, ossia increduli (per quest'uso di à:mL-8étv d. 19,9; Gv. 3,36; Rom. 2,8; I Pt. 3,1; 4,17 ecc. ; in 28,24 si ha !Ì:1tLan'tv). Dacché è difficile che èrrfr YE:Lpcxv sia intransitivo, condividerà con èxaxwacxv l'oggetto -r!Ìc; 4ux.tic;. Hdt. 7,I 39,5 (oÙ'rot, gli ateniesi, 'Ì)acxv ot èmyE:tpcxv-r&ç [-rò 'EÀÀlJVLxov), il resto della Grecia, contro Serse) è un parallelo interessante ma non molto rile vante. xcxxoùv vuoi dire più spesso «danneggiare, affliggere, maltrattare». In Begs. IV, I6I, è reso con «irritare», con rinvio a Ios. Ant. 1 6,Io.205. 262 (tutti passi che sembrano consentire, se non esigere, un'accezione di versa) e PTebt 2 ( I 907) 407,9 (interpretato in un senso piuttosto discorde da BA, 8o8). Nel presente contesto il verbo deve voler dire che i giudei in dussero i gentili (é-8vlJ) all'ostilità verso i fratelli. Non è chiaro se questi é-8vlJ debbano essere identificati con gli "EÀÀlJvE:c; del v. I oppure ne siano distinti; se sono diversi, è più probabile che i greci siano non giudei con qualche legame con la sinagoga, mentre gli É-8vlJ saranno estranei al giu daismo. È questa forse l'interpretazione migliore dei due termini, ma è va no (v. sopra) cercare nel v. I una precisione assoluta. I giudei eccitarono gli animi dei gentili e li spinsero alla contrapposizione, xcx-r!X -rwv à:ÒE:Àq>wv. Da I,1 5 in avanti !Ì:ÒE:Àq>Ot indica di norma i cristiani, eccetto nei casi in cui si parla di correligionari giudei (ad es. in 2.,2.9). In questa fase, tuttavia, benché in molti fossero diventati credenti (v. I ), non sembra ci sia stato il tempo perché si formasse un gruppo riconosciuto di «fratelli»; l'altro pos sibile referente sarebbero i due fratelli evangelizzatori, Paolo e Barnaba. Lo stesso Paolo usa il termine in senso analogo (ad es. I Cor. I,I: l:wa-8É VlJc; b !Ì:ÒE:ÀrpOc;). Nel complesso la soluzione migliore sembra sia quella di immaginare che Luca, se stava elaborando un breve resoconto della mis sione a Iconio sulla scorta di conoscenze poco precise, non abbia avvertito la difficoltà che poteva suscitare la menzione di un gruppo di «fratelli». E può darsi che la difficoltà non fosse poi così insormontabile: I Tessaloni-
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cesi documenta bene come la nuova comunità a Tessalonica si sia guada gnata ben presto l'impopolarità. Nel testo occidentale sembra di cogliere la volontà di «migliorare» l'esposizione alquanto lacunosa di questo versetto. E 614 pc gig syh forni scono un oggetto a È7tlJ'Y&Lpa;v (v. sopra): oi ÒÈ ti7t&t.oz9ouv"t'� (presente anzi ché aoristo) 'Iou&x'tot bljy&tpav ÒtwytL6v. D (syhms) presentano un avvio più completo e circostanziato: ot ÒÈ àp'X,tauvaywyot "t'WV 'Iouaa;lwv xa;i o[ �'X.ov -r� riJc; auva;ywyijç (che reduplica tXp'X,tauvliywyOt, per cui v. 1 3 ,1 5 ) È7tlJ'YtX yov a;Ù"t'otç (segnalato da Biade., Aramaic, 104, cf. Wilcox, 1 3 1, quale dati vo etico che richiama l'aramaico) Òtw"((JoÒ V xa;"t'à -rwv òtxa;lwv. Questo so stituto di «fratelli» tradisce la mano di un redattore che mutua un altro ter mine cristologico per definire i cristiani e che forse non perde occasione per affermarne l'innocenza; Rarnsay, Church, 46, osserva che Òtwy(J.Òv xa;"t'à -rwv Òtxa;lwv «sembra un'espressione stereotipata, che si era affermata nel l'uso cristiano• , ma non adduce attestazioni al riguardo. « Si considera "t'wv òtxa;lwv, come sovente in buon greco, un neutro, 'il diritto', e non un ma schile, 'i giusti'» (Delebecque, 70). Ciò sembra meno probabile nel greco bi blico che non in « buon greco» . Alla fine di questo versetto, e senza dubbio per, spiegare l'inizio del prossimo, vengono inserite alcune aggiunte: D gig p w syhms mae hanno o ÒÈ xiJptoç eòwx&v "t'tX'X,Ù dpl)Vl)v; E ha o ÒÈ x{,pt� d
PlJVl)V È1tOtl)a&v. 3�'Se si rigettano, come si dovrebbe, le lezioni occidentali appena men zionate, si ha una connessione problematica tra i vv. 2. e 3 : «i giudei sobil larono i gentili contro i fratelli, così (!J.ÈV oùv) Paolo e Barnaba si fermaro no,per un tempo considerevole, parlando con franchezza » . Questa lettu ra ;non è inaccettabile: Paolo e Barnaba si fermarono perché i fratelli ave vano bisogno del loro sostegno, e più cresceva l'opposizione più essi si fa cevano arditi. È vero d'altra parte che invertendo i due versetti, come si propone in Begs. IV, 161 s. (ove tuttavia la congettura viene anche respin ta, poiché è chiaro che la difficoltà c'era già quando intervennero i redatto ri occidentali), il nesso risulterebbe più agevole, senza richiedere che si at tribuisca un senso avversativo assai insolito a (J.èv oùv, che dopo il v. 1 po trebbe avere il suo consueto valore riepilogativo. La congettura è menzio nata, ma senza prese di posizione conclusive, da MT, 3 3 7 s., e da Moule, 163, il quale però fa notare un uso analogo di (J.Èv oùv in 17,17 (forse); 2.5-.4; 2.8,5; e forse in Ebr. 9, 1, con l'effetto di avallare la forma attuale del testo. Può darsi che la soluzione migliore (cf. i vv. 1 .2.) sia pensare che Lu ca ·stesse mettendo insieme, senza collegare troppo bene i vari elementi fra loro, . un resoconto dell'attività svolta a Iconio, che a parer suo doveva aver seguito uno schema analogo a quello di Antiochia di Pisidia. Malgrado le •..
difficoltà, Paolo e Barnaba si fermarono per un periodo considerevole ( lxcx VÒ'J �'lo'l, espressione lucana; v. 9,43). Pure 8tcx"t'pt!3Ew è voce lucana (At ti: 1 2,19; 14,3 ·28; 1 5,3 5; 1 6, 1 2; 20,6; 25,6.14; Giovanni: 2x). ÒtÉ"t'pt4cx'� è un aoristo constativo: MT, 72; anche BDR, § 3 3 2. 1 n. 2, dove si fa notare l'imperfetto di 14,28; lì non vi è limite di tempo; qui un termine è indicato dai versetti 5 .6. D ha 8ta."t'pt4cxnEc;, che è stato ritenuto semitico; v. Wil cox, 1 22 s. Anche 1tcxpp"f)atci�Ea.f)a., è vocabolo lucano (v. a 9,27), il che conferma l'idea che qui Luca stia componendo autonomamente un racconto. Talora il verbo può denotare il parlare ispirato, e verisimilmente Luca non avreb be posto in dubbio che Paolo e Barnaba in questa occasione fossero pieni di Spirito santo, ma nel contesto si parla della minaccia ai missionari e qui Luca intende porre l'accento sulla loro franchezza più che non sull'ispira zione. È1tt con il dativo "t'(j) xuptC9 non pare possa indicare il contenuto delle parole di Paolo e Barnaba ( «recando una testimonianza franca a ... »); mostrerà piuttosto il fondamento della loro fiduciosa franchezza ( «parlan do con franchezza nel Signore ... » ) . ll Signore li incoraggiava unendo la propria testimonianza alla loro, in quanto consentiva o faceva sì (per que st'uso di ÒtÒo'la.t v. a 2,27; esso richiama l'ebraico ntn; v. BDR, § 392. 1 n. 6) che aTJ!J.ELIX xcxi "t'Épa.'tcx (per questa espressione comune negli Atti v. a 2, 22) accadessero per mano loro (altro ebraismo, ricalcato dai LXX: bjdm). In luogo di òtòo'J"t't � 81 249 5 hanno òtòonoc;; 104 3 23 945 1 175 1739 pc xa.i òt86nt. È molto probabile che Luca abbia scritto òtòOnt, che è la lezione di quasi tutti i mss., ma deve aver avuto difficoltà a decidere se con cordare il suo participio con xuptC9 e [J.ap'tupount oppure con a.Ù"t'ou. Per «se gni e prodigi>> come testimonianza cf. 1 5, 1 2 (anche, ad es., Mc. x6,17.20, la «chiusa lunga» di Marco, che forse rivela una familiarità con gli Atti); ma qui la testimonianza è «alla parola della sua (del Signore) grazia »; in somma, il concetto centrale, anche se Luca sta usando un'espressione fissa, quasi un cliché (cf. 20,32), non è quello della potenza taumaturgica, ma della benevolenza amorevole di Dio (così in questo contesto, cf. 1 1,23; 1 3 ,43; 14,26) resa manifesta nell'evangelo predicato da Paolo e Barnaba. 4· Ora il 1tÀij&c; non è il vasto gruppo di quanti sono diventati credenti (v. x ), ma l'intera popolazione della città, o almeno la maggior parte. Essa si divise, iax_ia.f)"f}. D ha ij'l ÒÈ iax.ta[J.É'IO'I, il che riflette la presenza di iax.i a.f)"f} in D già al v. 2; il perfetto perifrastico indica che la divisione perma neva insanata. I termini della divisione sono enunciati in proposizioni cor rispondenti introdotte da ot [J.É'I e ot ÒÉ. Cf. Xenoph. Symp. 4,59: ... iax.i a.f)"f}aa.'l, xa.i ol [J.È'I Et1tov ... , ol ÒÈ . . La parola che fa da fulcro in entrambe è auv, che secondo MT, 265, «ha qualcosa del valore inclusivo di 'dalla .
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parte di' », il che pare abbastanza naturale, ed è un'accezione comune della preposizione; v. LSJ, 1 690, s.v., A.2, e cf. Xenoph. Hist. 3,1: ... �ouÀotv-ro
aùv -roi:r; "EÀÀlJat fl.liÀÀov 'Ìj aùv -r> basta a dimostrare (cf. anche il v. 2 1 ) che Paolo non era stato sconfitto dall'opposizione; d'altro canto era giunto il momento di andar sene. Per Derbe v. al v. 6. Paolo dev'essere stato in buona salute per af frontare un viaggio di circa. 100 km, anche se Luca non dice quanto tempo impiegarono i 2 per arrivare a destinazione. n testo occidentale integra lo scarno racconto dei vv. 19.20. Ecco le va,. rianti più significative; per ulteriori particolari v. Metzger, 424: anziché È1t'iJÀ&v ÒÉ si legge a�a'tpt(30v'tWV òè (om. D"') aÙ'tWv xaì (om. C) ÒtÒa axonwv È1tijì..&v (C D( "', E) 6 3 3 3 6 8 1 3 23 4 5 3 94 5 I I 75 1 7 3 9 al h sylung mae) . Per 1te:taavnc; D ha imaeiaane:ç, .e al posto dell'intera proposizione xal... . ox.ì..ouç in ( C) 6 36 8 1 104 3 2.6 4 5 3 94 5 I I75 1739 al (h) syhmg mae
è tràdito xat ÒtaÀe:yop.Évwv aÙ'tw" 1tClpplJatGf (à.v)É1te:taav oro� è5x.ì..ouç à1to a'ti]va� à1t'aÙ'twv ÀÉyovnc; éht oùòèv àì..�èc; ÀÉyouatv àì..ì.> . Sarebbe però un errore tentare una definizione assolutamente precisa. In questo luogo Luca vuoi dire ciò che aveva già scritto in I I , I 8 (v. ad loc. ): i gentili possono pentirsi e in tal modo avere la vita. Qui intende che i gentili possono credere e ri cevere così tutte le benedizioni alle quali conduce la fede; in altre parole: per loro è aperta la via della fede, la fede può giungere a loro, e grazie alla
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loro fede essi diventano cristiani. Cf. Roloff, 220: la fede è «l'essere cristia no, l'appartenere al popolo dei credenti »; Pesch, n, 65: i gentili ottengono «l'accesso al tempio escatologico del popolo di Dio». Paolo usa .Supa in senso metaforico: I Cor. 1 6,9; 2 Cor. 2, 1 2; cf. Col. 4,3; v. anche Le. 1 3,24 (ma il termine non figura nel parallelo matteano); Gv. 10,7.9; Apoc. 3,8. 20; e si confrontino altresì le oscure parole attribuite in Egesippo {Eus. Hist. Ecci. 2,23,8) ai giudei che interrogavano Gesù: ·dç 1j -8upa 'tou 'I l)aou; 28. ÒtÉ'tpt�ov, imperfetto; v. di contro 14,3 : Òte'tpt�v, aoristo. La diffe renza è che lì {v. ad loc. ) la durata della permanenza è delimitata (da 14, 5.6), qui no. Il loro soggiorno resta indefinito. Così BDR, § 3 3 2. 1 n. 2. L'af fermazione è ripetuta in 1 5 ,3 5, una probabile indicazione che il racconto del concilio al cap. 1 5 è stato inserito in questo punto {Stahlin, 197). "12ovov oùx ò'Alyov, un esempio di litote, tipica degli Atti; cf. 1 2, 1 8; 1 5, 2; 1 7,4. 1 2; 1 9,23 .24; 27,20. È impossibile sapere se Luca pensi a una setti mana o ad alcuni mesi, o anche più, ed è molto probabile che non lo sa pesse nemmeno lui. Egli vuole dire che Paolo e Barnaba si reinserirono nel la vita della chiesa che li aveva inviati a compiere la missione { 1 3 ,1-3 ) e che il concilio del cap. 1 5 non fu tenuto subito {Roloff, 221). I (l-CX'I9l)'tCXL sono l'ixxÀl)aia del v. 27 scomposta nei suoi singoli elemen ti. L'equivalenza va tenuta presente quando si prenderanno in considera zione altre occorrenze del termine (1-CX.Sl)'tal (ad es. 1 8,23 ; 21,4).