Proverbi. Introduzione, traduzione e commento 9788821576157, 8821576159

Testo ebraico a fronte. Il volume presenta il testo ebraico e la nuova traduzione italiana del Libro dei Proverbi, un sa

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Italian Pages 298/297 [297] Year 2013

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Proverbi. Introduzione, traduzione e commento
 9788821576157, 8821576159

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SEBASTIANO PINTO, nato a San Vito dei Nor­ manni nel 1973, è presbitero dell'arcidiocesi di Brindisi-Ostuni. Ha conseguito la Licenza in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico, il Dottorato in Teologia Biblica presso la Pontifi­ cia Università Gregoriana e la Laurea in Sociolo­ gia presso l'Università degli Studi di Lecce. Inse­ gna esegesi deii'AT presso la Facoltà Teologica Pugliese ed è direttore della rivista teologica dei­ I'ISSR di Brindisi Parola e Storia. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni tra le quali: Ascolta Figlio. Au­ torità e Antropologia dell'insegnamento in Proverbi /-9, Roma 2006; "Saremo anche noi come tutti i popoli". La nascita della monarchia (l Sam 8-1 l) e il ritorno dall'esilio (Esdra) riletti in chiave biblico-so­ ciologica, Cinisello Balsamo 2008; Dove abita la Sapienza? La ricerca dei saggi per la vita dell'uomo, Cinisello Balsamo 2009; "/o sono un Dio geloso". Manuale sul Pentateuco e i LibriStorici: introduzione ed esegesi, Roma 20 l O; "Guardate gli uccelli del cielo".Gli animali nella Bibbia e il/oro insegnamento, Monopoli-Roma 20 l l.

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

Presentazione '\rO\"\ \ LllSIO E DEl. L\ 13TBRI \ D \l TI::-. rr \ \TIU Il

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a Nuol'a t•ersione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee.

I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo; dall'altro, soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione. Un approfondimento, posto

PRESENTAZIONE

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in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria"', ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini

Annotazioni di carattere tecnico '\LO\ \ \ [

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Il testo in lingua antica Il testo ebraico stampato in questo volume è quello della Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS), quinta edizione. Le correzioni alla lettura di alcuni termini, indicate dai masoreti (qerè l ketib), sono segnalate da parentesi quadre, con il seguente ordine: nel testo compare la forma "mista" che si trova nel manoscritto, nelle parentesi si ha prima la forma presupposta dalle consonanti scritte (ketìb) e poi quella suggerita per la lettura dai masoreti (qerè).

La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi scostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: i segni • ' indicano che si adotta una lezione differente da quella riportata in ebraico, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase ebraica. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato.

I testi paralleli Se presenti, vengono indicati i paralleli al passo commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno affinjtà di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo +.

La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi con riferimento non alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale tra caratteri ebraici e caratteri latini.

ANNOTAZIONI

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L'approfondimento liturgico Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati), rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi alla versione CEI del 2008.

PROVERBI Introduzione, traduzione e commento

a cura di Sebastiano Pinto

SAN PAOLO

Biblia H ebraica Stuttgartensia, edited by Karl Elliger and Wilhelm Rudolph, Fifth Revised Edition, edited by Adrian Schenker, © 1977 and 1997 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

ri;;J EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2013

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino ISBN 978-88-215-7615-7

INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Il libro in ebraico prende il nome dalle prime battute con le quali si apre «proverbi di Salomone» (mislé Selomoh), mettendo immediatamente in evidenza l 'unità fondamentale di cui si compone, cioè il miisiil o proverbio (da cui anche la denominazione «Libro dei mesiilfm» ). Il testo greco si apre in modo simile: Paroimiai Salom6ntos, cioè «detti», «paragoni», «sentenze» di Salomone, richiamandosi alla tradizione del re saggio per antonomasia (IRe 3; 5). Nel canone ebraico il libro rientra tra gli «Scritti» (i Ketubim), la terza parte della Bibbia, che viene nell'ordine dopo le altre due grandi tradizioni: quella legislativa (la Torii) e quella profetica (i Nebi'im). Nel canone cristiano esso è tra i libri sapienziali. Sia per gli ebrei che per i cristiani i Proverbi sono collocati tra i primi libri delle rispettive sezioni, a conferma del ruolo che viene loro tributato di scritto didattico tipico. Il miisiil è, infatti, l'unità di base (sia formalmente sia contenutisticamente) attorno alla quale i sapienti elaboreranno le loro riflessioni nelle altre opere. Il Nuovo Testamento non lo cita spesso: solo due passaggi sono richiamati direttamente: Pr 3,11-12 in Eh 12,5 (a proposito della correzione) e Pr 25,2122 in Rm 12,20 (circa la modalità con cui trattare i nemici). Nel Nuovo Testamento allusioni alla Sapienza e a Salomone si possono rintracciare ma non rinviano a un testo preciso e univoco (M t 12,42; Le 2,52; 7 ,35; Gc 3, 13-18).

INTRODUZIONE

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ARTICOLAZIONE E ASPETTI LETTERARI

Il testo nella sua forma finale si presenta articolato in sette principali sezioni introdotte da un titolo: l) i primi sette versetti fungono da prologo (l, 1-7) ali 'intero libro e da titolo alla prima collezione (1,8-9,18); 2) l O, 1-22,16 («proverbi di Salomone», l O, l); 3) 22,17-24,22 («le parole dei sapienti», 22, 17 1); 4) 24,23-34 («anche queste sono parole per i saggi», 24,23); 5) 25,1-29,27 («anche questi sono proverbi di Salomone, raccolti dagli scribi di I:Iizqiyya, re di Giuda», 25, l); 6) 30,1-33 («massime di Agur, figlio di Yaqeh, da Massa», 30,1); 7) 31,1-31 («massime di Lemuel, re di Massa», 31, l). Questa suddivisione, generalmente condivisa, si ricollega a quanto si legge in Pr 9, l a proposito delle «sette colonne» sulle quali la Sapienza ha costruito la propria casa e che ha personalmente intagliato2• In sede di critica letteraria emerge la possibilità di evidenziare altre sotto-sezioni che rivelerebbero l'eterogeneità del materiale scritturistico che nei secoli si è sedimentato e che poi è stato racchiuso nel libro. Per esempio nel capitolo 31 si individuano i vv. 10-31 che costituiscono un autonomo poema acrostico sulla donna ideale. La prima sezione I primi sette versetti del primo capitolo costituiscono il prologo all'intero libro e, nell'immediato, ai nove capitoli che seguono, nei quali, più che dettare puntuali norme di comportamento, si offrono i criteri per essere saggi. Dopo il primo versetto che pone sotto l'autorità salomonica lo scritto indicando nei «proverbi» (mesiilfm) il suo genere costitutivo, nei vv. 2-6 si indica lo scopo per cui vengono scritti i proverbi (acquisire la sapienza, l'arguzia, l'istruzione, ecc.) anticipando i termini, qui solo enunciati, che ritorneranno lungo tutto il libro. Si menzionano anche i destinatari che sono, innanzitutto, gli inesperti e i giovani chiamati a 1 Cfr.

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la nota al versetto nel commento. L. Alonso SchOkel - J. Vilchez Lindez, l Proverbi, Boria, Roma 1988, p. 111.

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INTRODUZIONE

maturare la prudenza, la conoscenza e la riflessione. Anche chi è già avanti nel cammino sapienziale (il saggio e l'uomo intelligente) ricava da detti di questo libro maggiore destrezza. Nel v. 7a compare per la prima volta la categoria fondamentale del timore di YHWH alla quale sono legati l'inizio e il compimento (9,10) della ricerca sapienziale. In 7b la menzione dei folli anticipa una di quelle categorie negative (i malvagi, i beffardi, ecc.) che si incroceranno nel libro dei Proverbi e che rifiutano ogni tentativo di ammaestramento da parte dei maestri. Al prologo segue la prima collezione (1,8-9,18) che presenta un'articolazione interna diversa rispetto alle altre: non vengono illustrati semplici detti sganciati gli uni dagli altri e/o solo blandamente legati al contesto del capitolo in cui si trovano, ma si offre una serie di poemi in stretta relazione con i capitoli della stessa collezione e con il resto del libro. La prima serie di sentenze articolate trova forma espressiva nel genere letterario «istruzione» che si ripete con regolarità per dieci volte (1,8-19; 2,1-22; 3,1-12; 3,21-35; 4,1-9; 4,10-19; 4,20-27; 5,1-23; 6,20-35; 7,1-27). Questo genere veicola un insegnamento tramite le parole del padre-maestro (coadiuvato anche dalla figura materna in l ,8 e 6,20), rivolte al figlio-discepolo affinché acquisisca la sapienza della vita. Il numero di queste istruzioni si ricava dalla loro struttura, che è ispirata alla retorica classica e orientata al raggiungimento efficace e fruttuoso degli obiettivi pedagogici ritenuti fondamentali dai maestri (equilibrio, dominio di sé, rispetto, pietà, umiltà, fedeltà matrimoniale, ecc.). Tale struttura si compone di tre parti, exordium,propositio e peroratio, ed è di grande importanza in ordine ali' efficacia della comunicazione educativa. Il padre-maestro si introduce con lo scopo di orientare all'ascolto senza ancora consegnare un vero e proprio ammonimento, ma facendone intuire la bontà (prima fase); successivamente entra nel merito della lezione fornendo i contenuti centrali della sua esposizione, illustrando i vantaggi e gli svantaggi legati ali' accoglienza o al rifiuto delle sue parole e, soprattutto, specificando la ragionevolezza dell'ammaestramento (seconda fase); infine rinforza la sua parola reiterando il senso stesso dell'istruzione, ravvivando

INTRODUZIONE

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l'entusiasmo di chi ascolta in vista dell'applicazione concreta (la terza fase è il momento «pateticO>) del discorso )3 • Circa la tripartizione del discorso va sottolineato che nella retorica classica l'oratore non è vincolato nel seguire tutti i passaggi che le regole impongono; in base alla situazione egli può liberamente adattare le parti del discorso, salvaguardando un canovaccio di fondo 4• Anche nel libro dei Proverbi la struttura del discorso può essere semplificata o, al contrario, applicata in loto, a seconda della natura e della portata dello stesso: anche se nella tripartizione delle istruzioni bibliche formalmente manca, per esempio, un elemento importante del discorso retorico come la probatio, è plausibile ipotizzare che il/i redattore/i di Proverbi 1-9 abbia/no voluto porre in essere un testo intriso di tradizioni giudaiche ma, per quanto attiene alla struttura, in forma ellenistica. Dalla storia degli studi sul libro dei Proverbi emerge, tuttavia, che le pericopi più conosciute della prima collezione non sono i testi didattici ma i poemi in cui la Sapienza parla in prima persona, 3 L'intuizione di questa suddivisione è di O. Plllger (Spriiche Salomos [Proverbia], Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1984, pp. 23-24) ed è stata successivamente sviluppata da M .V. Fox («ldeas ofWisdom in Pr 1-9)), Journal ofBiblica/ Literature 116 [1997), 614615). Sul senso di un testo scritto in ebraico ma in forma greca cfr. S. Pinto «Proverbi l-9: sapienza ebraica o greca?)), in Rivista di Scienze Religiose 42 (2007), 207-223. 4 Ermagora di Temno (II secolo a.C.), p. es., scandisce il discorso in cinque parti (inventio, dispositio, e/ocutio, memoria, actio) mentre per Quintiliano (Proemio 4,2,4) la struttura è ridotta a quattro momenti (prohoemium, narratio, probatio e peroratio) secondo quanto già Aristotele aveva ipotizzato: prooimion, prothesis (proposizione), pistis (argomentazione: conjirmatio + rejùtatio), epilogos (conclusione). Cicerone nel De Oratore (2,79-80) espone il suo punto di vista esaminando la precettistica greca in cui le parti di un'orazione oscillano tra quattro e sette, elencando immediatamente dopo i sei momenti che compongono la causa (exordium, narratio, propositio o divisio causae, confirmatio, rejùtatio e peroratio). Leggendo il De oratore si assiste a una progressiva riduzione del discorso a tre fasi (esordio, parte centrale e perorazione), che si distinguono in rapporto alla tipologia degli argomenti (2,314). Egli dice, a tal proposito, che l'exordium deve essere grave e solenne, ispirato a dignità e a serenità, che servono a colui che parla a entrare per la via della stima e dell'ammirazione degli uditori. Deve essere non vago, non troppo comune, non troppo lungo, affinché non sortisca l'effetto contrario per cui è stato posto in essere. Egli riconosce tre virtù che si accompagnano all'exordium, e cioè la benevolentia, la docilitas e l' attentio: la prima tende alla captatio benevo/entiae de li 'uditorio, la seconda mira a suscitame la docilità all'ascolto e l'attenzione nell'uditorio e la terza si sforza di stimolame l'atteggiamento interessato. La peroratio, invece, compie e termina tutto il discorso, e ha, a sua volta, una tripartizione: l'enumeratio (che ricapitola i punti salienti del discorso), l' indignatio (che vuole eccitare contro fatti o persone), la conquestio (che muove alla commiserazione o alla pietà dell'uditorio).

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si auto-presenta (come una profetessa o come una ricca padrona di casa) e offre la sua parola affinché sia accolta con urgenza e praticata con frutto (1,20-33; 8,1-36; 9,1-6.13-18). Questi testi si offrono come genere differente e complementare rispetto al precedente. La complementarità tra le istruzioni e i poemi emerge, per esempio, da 1,20-33 (la Sapienza che ride e si fa beffa di coloro che non l'hanno ascoltata), che aggiunge ironia alle minacce della prima istruzione (1,8-19), così come da 8,1-36 (l'invito pubblico della donna Sapienza}, che contrasta con la proposta furtiva della straniera di 7,9-10; il motivo dell'invito è ripreso e rielaborato nel tema delle due vie anche in 9,1-6.13-18 (la donna Sapienza a confronto con la donna Follia) che ha un diretto richiamo alla casa della donna descritta in Pr 7. Il risultato di questa alternanza di generi è quello di una maggiore efficacia nella proposta sapienziale, che è affidata a una pluralità di soggetti ma con il medesimo scopo di raggiungere e formare i destinatari (gli inesperti e con essi tutti gli uomini). Questo spiega la presenza di alcune tematiche delle istruzioni nei poemi: l'invito a cercare la sapienza (2,4; cfr. l ,28}, ad ascoltarla (2,2; 4,20; 5, l; cfr. 1,24; 8,32), a invocarla (2,3; cfr. 1,28), a trovarla (4,22; cfr. 1,28; 3,13; 8,17.35); le cattive conseguenze che vengono dal non ascoltare la sapienza (5,12-14; cfr. 1,29-32); la personificazione della sapienza ( seppur abbozzata) che lungo le istruzioni ricorre come metafora tra le altre (2,3-4; 4,8-9; 6,22; 7 ,4). Inoltre la donna Follia ha alcuni aspetti in comune con la donna straniera: la sua casa deve essere evitata (5,8; 7,25; cfr. 9,13-18), il suo sentiero porta alla morte (2,18-19; 5,5; 7,27; cfr. 9,18).

La sezioni centrali Le quattro sezioni centrali del libro (l O, 1-22, 16; 22, 17-24,22; 24,23-34; 25,1-29,27) accolgono ammonimenti in forma di sentenze binarie - cioè costruite su due stichi - che affrontano varie tematiche sapienziali: a differenza della prima collezione (fatta eccezione per il testo di 23,15-28 che rappresenta l'undicesima istruzione didattica dellibro) 5, in questi capitoli si descrivono le 5 Cfr. D.A.N. Nguyen, "Figlio mio, se il tuo cuore è saggio". Studio esegetico-teologico del discorso paterno in Pro 23. l 5-28, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2006.

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regole della condotta che il saggio deve interiorizzare ponendo attenzione a quei comportamenti che, al contrario, vanno aborriti, richiamando nello specifico e ampliando quanto accennato nella lunga introduzione (l ,8-9, 18). Il nome del libro (mesiilim) deriva, con giusta ragione, dalla forma letteraria che lo caratterizza e che costituisce la sua cellula connettiva. Il miisiil («proverbio», «aforisma», «detto», ma anche «parabola») è un genere letterario diffuso in ogni cultura (arcaica o moderna) che avverte la necessità di fissare in una forma facilmente trasmissibile il proprio patrimonio di valori, usi e costumi. Gli elementi che caratterizzano il proverbio sono quattro: a) la presenza di una struttura ritmica; b) il ricorso al parallelismo dei due stichi che compongono il versetto; c) l'assonanza vocalica o consonantica; d) lo stile conciso e vivace. Proprio in ragione del loro genere, nel commentario è stato spesso necessario accostare i mesiilim interpretandoli singolarmente. In questo senso il miisiil è un prezioso medium ai fini dell'interiorizzazione dei contenuti trasmessi, in quanto ne facilita la memorizzazione grazie allo stile efficace, facendo cogliere con una piccola frase - quasi una giaculatoria - la verità che si vuole comunicare. Un esempio ben riuscito di miisiil si ritrova in 26,14: «La porta gira sui cardini, il pigro nel suo letto». Nel testo ebraico in sette parole (haddelet tiss6b 'al-.yiriì W" 'ii.yel 'a/-mittiit6) è condensata la dinamica del comportamento monotono e ripetitivo del pigro. Come si può evincere da questo esempio il miisiil si distende, quasi sempre, su due emistichi paralleli. Tale parallelismo trova espressione in tre forme: quella sinonimica, quella antitetica e quella sintetica. N ella prima i due membri esprimono la stessa idea: «Uno sguardo luminoso dà gioia all'anima, una notizia lieta rinvigorisce le ossa» (15,30); nella seconda forma i due stichi si oppongono nel contenuto: «Chi opprime il povero lo arricchisce, chi dà a un ricco non fa che impoverirsi» (22, 16); nella terza tipologia il secondo stico aggiunge al primo un elemento nuovo: «Correggi tuo figlio, ti darà riposo e ti procurerà soddisfazioni» (29, 17). Prevale nel libro il parallelismo antitetico, attestando la

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contrapposizione bene/male che segna l'esperienza e la didattica dei sapienti. Il ricorso al parallelismo si attesta anche nel prologo dei Proverbi (l, 1-7), sebbene in questi primi versetti esso sia riferito più al contenuto e meno alla forma. Gli argomenti centrali del libro vengono illustrati attraverso una lunga serie di sinonimi (massime, proverbi, enigmi, parole dei sapienti, ecc.), termini e forme verbali affini (sapienza, scienza, disciplina, destrezza, assennatezza, acutezza, c~moscere, comprendere, ascoltare, ecc.). Gli elementi di questa elencazione non sono la semplice ripetizione o fotocopia l 'uno dell'altro, in quanto il termine successivo aggiunge a quello precedente una sfaccettatura nuova: tale modalità comunicativa del saggio - abbozzata mediante il «parallelismo di idee» - chiama in causa e coinvolge attivamente il lettore. Egli, cioè, deve decodificare tale linguaggio, che può risultare anche difficile a un primo approccio, aprendosi di fatto alla sapienza che sta ricercando. Questa forma di pensiero «paratattico» esprime, sia in Pr l, 1-7 sia altrove, una logica differente rispetto a quello «ipotattico», che funziona per deduzione dal concetto generale alla specificazione particolare, aprendosi a dimensioni dell'apprendimento inedite rispetto alla logica classica del pensiero greco. Le due sezioni finali I due capitoli che chiosano il libro dei Proverbi (30--31) si differenziano ulteriormente rispetto agli altri, offrendosi come composizioni alquanto compatte alloro interno. Il ricorso al procedimento letterario numerico («tre cose ... anzi quattro», c. 30) e al poema alfabetico (in Pr 31, l 0-31 ogni versetto si apre con una lettera dell'alfabeto) rivela una strategia compositiva efficace in ordine alla ricapitolazione degli argomenti salienti che sono stati precedentemente trattati, disegnando allo stesso tempo con i capitoli 1-9 una cornice letteraria all'intero libro. Tale ripresa è esplicita soprattutto in riferimento alla figura femminile della «donna forte», 'eset-l:zayil, di Pr 31,10 che, riprendendo i brani sulla «donna straniera» - descritta a più riprese nei capitoli 2, 5 e 7 - e quelli sulla stessa donna-Sapienza, funge da epilogo dell'intero libro.

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Confronto con la sapienza dell'antico Vicino Oriente La sapienza biblica non è cresciuta indipendentemente dal suo contesto storico-geografico. Anche nella cultura egizia e in quella assiro-babilonese esiste una lunga tradizione sapienziale che nasce, molto prima di quella israelitica, con lo scopo di formare alla vita politica i giovani dell'élite. Si pensi, per esempio, alle opere didattiche egizie Insegnamento di Ptahhotep (circa 26702195 a.C. nella sua prima fase orale anche se l'opera scritta è databile a circa 2065-1781 a.C.), Insegnamento per Merikara (circa 2195-2065 a.C.), Insegnamento di Ani (circa 1300 a.C.), Insegnamento di Amenemope (circa 1100 a.C.) e Insegnamento di Ankhsheshonqy (circa 300-200 a.C.) o alle istruzioni babilonesi i Consigli di Sapienza (1500-1200 a.C.) e i Proverbi di A/:liqar (circa 400 a.C.). Numerosi sono, infatti, i testi didattici indirizzati, in un primo periodo, principalmente ai rampolli di corte affinché imparassero l'arte del buon governo e sapessero far fronte alle situazioni più disparate (trattare con i potenti, saper stare a tavola, usare bene la ricchezza, amministrare la giustizia, reprimere una sommossa, rendere un culto gradito agli dèi, ecc.); tali opere, in un secondo periodo, si rivolsero anche a ceti sociali più umili. La vicinanza tra la sapienza biblica e quella extrabiblica si evince anche dal confronto di alcune figure divine e semi-divine del Vicino Oriente antico con la donna Sapienza. Le scoperte archeologiche e linguistiche, che dal XIX secolo si intensificarono significativamente, condussero ad accostare la dea egizia Ma 'at, che presiede alla giustizia, alla donna Sapienza di Proverbi. Se in un primo momento si tendeva a leggere i dati biblici come semplice reiterazione delle tradizioni più antiche, successivamente si giunge alla constatazione che, se esistono delle somiglianze superficiali, abissali sono le differenze contenutistiche 6 • Circa la dea Ma 'at, per esempio, si palesa una radicale differenza in ragione della parola: mai essa è presentata nell'atto di proferire un discorso. Nei brani dei Proverbi (1,20-33; 8,1-36; 9,1-6.1318), invece, è la Sapienza stessa, parlando in prima persona, a 6 Cfr. S. Pinto, : v. 6) si delinea l'ampio spettro di significati evocati dal genere letterario «proverbiO>>. L'itinerario proposto può avere due esiti. Uno positivo: l'accrescimento del discernimento di cui necessitano particolarmente il «giovane)) e gli «inesperti)), insieme ali 'affinamento delle abilità intellettivo-operative in parte già possedute dal sapiente (vv. 4-5). Uno negativo: il rifiuto sprezzante della saggezza da parte dei «folli)) e la conseguente vanificazione di ogni tentativo posto in essere dai maestri (v. 7). · Sin da questi primi versetti si collega la sapienza alla fede, indicando nel timore di YHWH la categoria chiave che raccoglie l'intera sezione di Pr 1-9, situandosi all'inizio e alla fine della collezione (1,7; 9,10), e che connota religiosamente l'intero percorso sapienziale.

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(2Re 18,36; Est 3,3), oppure è riferito ad altri leader come Mosè (Gs 22,5) o Yonadab (Ger 35,14-16), per cui esso è sempre veicolato con una certa autorità. Questa connotazione della parola magistrale, che si ritrova in Pr

1,26-30 //proposito In questi versetti si dichiara l'indisponibilità della Sapienza: essa si attribuisce azioni (ridere della sventura colpevole: Sal2,4; 37,13; 59,9) e si esprime per immagini (la tempesta segno del castigo divino: Is 10,3; 47,11; Ez 38,9; Sof 1,15) che, normalmente, sono legate a YHWH. Il senso complessivo dei versetti è il seguente: la chiamata è stata disattesa e superficialmente liquidata con sprezzante allegrezza; la sentenza è, dunque, irrevocabile poiché provocata dali' ostinata chiusura a ogni forma di disponibilità religiosa. Il malvagio viene presentato non solo come eticamente cattivo ma anche come empio, cioè «non-pim>. 1,31-33 La condanna Nella perorazione finale si ribadisce la natura del reato commesso focalizzando l'attenzione sul termine «consiglio»: nei vv. 25 e 30 i malvagi trascurano i consigli ('~a) della Sapienza credendo, in tal modo, di procurasi il bene; tuttavia sono proprio queste loro «macchinazioni» (mo '~a, v. 31) a procurare la morte. La

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PROVERBI 2, l

Avete trascurato tutti i miei consigli l e i miei rimproveri non avete apprezzato. 26A mia volta riderò della vostra sventura, l vi schernirò quando vi coglierà il terrore, 27 quando come una rovina la sciagura si abbatterà su di voi, l la sventura vi coglierà come una tempesta; quando vi piomberanno addosso angoscia e tribolazione. 28Allora mi·chiameranno ma non risponderò, l mi cercheranno ma senza trovarmi, 29poiché hanno disprezzato la conoscenza l e non hanno preferito il timore di YHWH. 3çi :J.''P.i?D72

NJi?D i1~':;17 O~ 'f-3 ~\??.~ i1~'fi?:;J;1-oW

2,2 Prestando ascolto ('9~~ ... :l'~ry'?)- Alla lettera: «volgendo il tuo orecchio». Il verbo :l!Zip indica l'atteggiamento del dare retta (IRe 18,29) e dell'ascolto attento. Quando si trascura questa azione si incorre nella disobbedienza volontaria e colpevole. In Ger 6, l O e Zc 7, Il la radice verbale, collegata, come in

Pr 2,2, al sostantivo l)lt («orecchio»), veicola

l'idea di chi volontariamente si rifiuta di dare ascolto alle parole profetiche, trascurando l 'urgenza e la vigilanza connesse a tale invito. 2,3 Se - Invece di c~, due manoscritti dell' AT e il Targum hanno c~ («madre»), mutamento ricavato probabilmente dal con-

2,1-11 L 'exordium: se conserverai i miei precetti Il brano può essere suddiviso in tre segmenti testuali in ragione della presenza della congiunzione «Se» ( 'im nei vv. 1.3.4), della correlativa «allora» ( 'iiz nei vv. 5 e 9), che apre alle motivazioni dell'insegnamento, e della causale «poiché» (ki nei vv. 6 e l 0). Le tre strofe sono quindi: 1-4, 5-8 e 9-11. Il discepolo custode dei precetti (2,1-4). In questa prima strofa le tre proposizioni ipotetiche (vv. l, 3 e 4) esaminano l'atteggiamento del discepolo e il suo ruolo in rapporto all'acquisizione della sapienza. Le parole autorevoli del maestro sono veri precetti che fanno risuonare le parole e i comandi di YHWH (è lui nel Pentateuco il diretto autore dei «precetti»). I verbi utilizzati («accogliere» e «conservare») esprimono la capacità positiva posseduta dali' educando di comprendere e di custodire i precetti. Questa custodia è legata ali' ascolto attento e vigilante in vista della totale obbedienza all'ammaestramento del padre. Rafforza questa idea la dedizione, espressa al v. 2 da una frase che alla lettera significa: «inclinare il cuore» (niita leb) e che esplicita lo slancio di chi, applicandosi, tende verso qualcosa (il cuore è il centro intellettivo-volitivo della persona). Il padre-maestro consegna, dunque, in questi versetti iniziali l'iter educativo che il figlio-discepolo deve seguire: a un atteggiamento più passivo, legato all'accoglienza dell'istruzione sapienziale, segue uno più attivo legato all'invocazione (v. 3) e alla ricerca fattiva della sapienza (v. 4). Quello della ricerca (spesso faticosa) è un tema classico degli scritti sapienziali ed esprime il ruolo dell'uomo nell'acquisizione della saggezza (cfr. Gb 28; Qo 1,18; Sir 6, 19.24-26).

Il Signore protegge la via dei giusti (2,5-8). Il v. 5 rappresenta la seconda parte (apodosi) del periodo ipotetico iniziato con il v. l. Le premesse dei vv. 1-4 consentono di maturare l'atteggiamento religioso legato al timore di YHWH.

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PROVERBI 2,6

2prestando ascolto alla sapienza l e dedicandoti alla prudenza, se invocherai l'intelligenza l e alla accortezza rivolgerai la tua voce, 4 se la cercherai come l'argento l e come un tesoro la scaverai, 5allora intenderai il timore di YHWH l e la scienza di Dio troverai. 6Poiché è YHWH che dona la sapienza, l dalla sua bocca la conoscenza e il senno; 3

testo, in cui ritorna un linguaggio familiare; in Pr 7,4 si legge, inoltre, un riferimento alla sapienza invocata come sorella. Manteniamo CK in quanto è perfettamente legato alla trama della lunga costruzione ipotetica dei vv. l-5. 2,6 Dalla sua bocca (,'SO) - La Settanta

ha Kcxl ànò npoownou cxùtoii («e dal suo volto»), che sembra presupporre l'ebraico ,,~~~, (o forse ,,~~':l~) che si potrebbe anche tradurre «davanti a lui» o «dalla sua presenza}}; la lettura del Testo Masoretico è seguita anche dalla Vulgata e sembra preferibile.

Questa categoria positiva - un ritornello continuo nelle parole del Siracide, che esplicita il suo rapporto con la sapienza (1,14.18; 19,18; 21,11; 50,29)- è messa in paragone con la rara espressione «scienza di DiO>} (in Os 4,1; 6,6 tale conoscenza è in rapporto alla presenza interiore, e non solo formalistica, di Dio nella vita del credente). Questo accostamento del v. 5 tra le due espressioni sembra veicolare l'idea che dalla sapienza patema derivi una maggiore comprensione (è usato il verbo bin che ha una sfumatura intellettiva) e una maggiore coscienza del sentimento religioso che lega il discepolo a YHWH. Non c'è, infatti, opposizione alcuna tra la sfera intellettiva e quella religiosa perché entrambe sono legate a Dio: da Lui procedono la sapienza e la conoscenza, unitamente alla protezione che da queste discendono. Nei vv. 7 e 8 ricorre l'immagine di YHWH come difensore: egli protegge i giusti e come uno scudo li difende, assicurando la permanenza nel be~e di coloro che camminano con discernimento. Non si tratta solo di un'assistenZa in caso di pericolo, ma della protezione costante e fedele di chi non fa mancare la sua vicinanza attiva. La sapienza come delizia dell'anima (2,9-11). Questi versetti- una piccola peroratio all'interno dei vv. 1-11 -costituiscono la terza strofa dell'exordium: l'avverbio «alloriD> ( 'iiz) introduce il riepilogo degli effetti positivi che derivano dall'ascolto delle parole paterne (la comprensione del bene, il gusto della vita e la protezione), producendo un rinforzo nell'invito all'ascolto. Si può individuare in questi undici versetti iniziali lo stile pedagogico-sapienziale che prende avvio con l'accoglienza delle parole paterne (v. l) per poi destare l'attenzione del discepolo (v. 2), invitandolo ad attivarsi per raggiungere la sapienza, chiamandola (v. 3) e ricercando la attivamente (v. 4). In un secondo momento è offerto un livello religioso di sapienza, che ritrova in YHWH la sua sorgente (vv. 5-6), per poi esplicitare i benefici che sono legati alle parole paterne: protezione divina (vv. 7-8),

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PROVERBI 2,7

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:0-Di,~J:'Qf C"Ti,~i 2, 7 Egli riserva - Leggendo il qerè ltl~'; la lettura del ketìb 1~~1, collega la frase in modo più stretto a quella precedente. Curiosamente la Settanta e la Versione siriaca sembrano seguire la lettura del ketìb, mentre il Targum e la Vulgata quella del qerè. 2,12 Cose perverse (ni::l~:11J) - Il senso

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complessivo di questo vocabolo ebraico nella sua forma plurale è «cose perverse>>, cioè cose prese per un verso sbagliato, distorto, in quanto non corrispondente alla realtà. Il termine è attestato dieci volte nell'intero libro dei Proverbi (solo una volta in Dt 32,20). Esprime la modalità del parlare (Pr 2,12;

piena luce nel cammino morale e religioso unitamente a una vita "saporita" (vv. 9-11 ). Infatti, se il cuore è la sede in cui il figlio deve valutare la bontà dell'insegnamento e decidersi per esso, è nell'anima (nepes1 che deve gustare il sapore della sapienza. Le parole parentali non vengono offerte con distacco né come una semplice somma di virtù da maturare, ma si consegnano come una proposta desiderabile di vita di cui l'educando può godere e deliziarsi (conformemente al significato del sostantivo ebraico nepci che non indica solo l'anima ma la gola, l'anelito e il desiderio). 2,12-20 La propositi o: per salvarti dai perversi e dalla donna altro i Dopo il lungo exordium la funzione della propositio sembra avere un 'importanza secondaria in quanto una prima e consistente parte del messaggio dell'istruzione («chi ricerca la sapienza la trova») è stato consegnato. Nei versetti che compongono il cuore dell'insegnamento si delineano, comunque, due figure negative dalle quali il discepolo deve guardarsi: i malvagi e la donna altrui. In due strofe parallele (vv. 12-15 e 16-19) se ne dipingono i tratti fondamentali. Entrambe hanno «abbandonato» il bene, così come entrambe proferiscono discorsi che nascono da intenzioni cattive (vv. 12 e 16). Comune è, inoltre, il verbo «salvare» (vv. 12

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PROVERBI 2,15

Egli riserva per i giusti il sapere l è scudo per coloro che camminano rettamente, 8 proteggendo le vie che conducono al diritto l e custodendo i sentieri dei suoi fedeli. 9Allora intenderai giustizia e diritto, l rettitudine e ogni via che conduce al bene, 10poiché la saggezza raggiungerà la tua anima l e la scienza ti delizierà, 11 la riflessione veglierà su di te, l la prudenza ti custodirà. 12Per salvarti dalla via del malvagio, l dall'uomo che parla di cose perverse; 13 da quelli che abbandonano i sentieri diritti, l che vanno per vie tenebrose, 14che godono nel fare il male l ed esultano nella sua perversione: 15 sono intrinsecamente contorti l e sviati nelle loro decisioni. 7

8,13; 10,31-32; 23,33), ma anche il contenuto di ciò che si proferisce (6, 14), esplicitando, inoltre, l'atteggiamento stesso di chi agisce e pensa ni~~;:tl:l (2,14; 16,28.30; Dt 32,20). 2,15 Sono intrinsecamente contorti - Alla lettera: «i loro sentieri sono contorti» (C'~~ C;::f'l1i"l")~). L'aggettivo C'llip~, signi-

fica «essere perversi», «sviati>>. Nel libro dei Proverbi la radice ~pll è in rapporto al parlare (4,24; 6,12; 8,8), al cuore (11,20; 17,20; 19,1) e alla via percorsa (22,5; 28,6; 28,18). Sviati (C':1i',~J?~:l)- Letteralmente il testo ebraico dice che i sentieri dei malvagi sono sviati «nel» loro percorso o cammino. In

e 16) che attesta la valenza delle parole paterne in ordine alla preservazione dalla pericolosa seduzione che caratterizza questi anti-modelli. I malvagi che hanno abbandonato la retta via (2,12-15). Si attesta il ricorso a parole che rinviano alla realtà del male (via cattiva e cose perverse, v. 12; fare il male e perversità del male, v. 14) e alla condotta malvagia (vie diritte abbandonate e vie tenebrose percorse, v. 13; sentieri contorti e cammini sviati, v. 15). La lunga introduzione all'ammaestramento vero e proprio, cioè l'exordium, mira al conseguimento di quelle virtù (umane e religiose) necessarie per potersi salvare da coloro che pongono in essere il male e che si dilettano nel perseguirlo. La loro pericolosità risiede nella parola (così come per la donna altrui): in una società orale dove la verità si afferma o si nega in base all'uso buono o cattivo della parola, la perversione del linguaggio può avere esiti profondamente sovversivi. L'immagine della via («sentieri diritti», v. 13) richiama la condotta morale, mentre il riferimento alle tenebre significa sia l'epilogo a cui conduce la condotta perversa (la morte come in 9,17-18), sia l'habitatdi chi delinque (cfr. Gb 24,14-16: l'omicida, il ladro e l'adultero come compagni dell'oscurità; cfr. anche Is 29,15).

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PROVERBI 2,16

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> (già incontrato in 3,2) e dall'immagine dell'ornamento (è la terza volta che ricorre nell'exordium di un'istruzione: cfr. 1,9; 3,3). Dalla sapienza deriva un surplus estetico che rende visibile quella graziosità interiore (la rettitudine morale) a essa legata, bellezza alla quale i saggi accordano la propria preferenza più che a quella esteriore, così come si legge in 31,30: «Ingannevole è la grazia, transitoria è la bellezza, ma la donna che teme YHWH è da lodare». Il Signore sarà la tua sicurezza (3,23-26). La custodia nel bene ha una duplice fonte. Deriva da YHwH, come si legge in 2,8 e 3,26, ma anche dalla sapienza paterna, come si evince da 3,23-25; esiste, dunque, uno stretto rapporto tra questi due poli educativi. La protezione si estende all'intero arco della giornata abbracciando anche il tempo della notte: con la tenebra possono giungere, infatti, terribili sogni (cfr. Gb 7, 14) ma, soprattutto, possono rendersi presenti quei mal-

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PROVERBI 3,28

saranno la tua vita l e ornamento per il tuo collo. Allora percorrerai sicuro la tua strada l e il tuo piede non incespicherà; 24 se ti coricherai non temerai, l ti stenderai e il tuo sonno sarà dolce; 25 non temerai lo spavento improvviso l né la tempesta che piomba sui malvagi, 26poiché Y HWH sarà la tua sicurezza l e preserverà il tuo piede dalla trappola. 2'7Non rifiutare il bene a colui al quale è dovuto l quando ti è possibile farlo. 211Non dire al tuo prossimo «Va', ripassa, l domani te lo darò», se possiedi ciò che ti chiede. 22 23

Gs 8, l; il popolo d'Israele: Nm l ,21; Dt 7,18; 20,1; ls 10,4; Gedeone: Gdc 6,23; Geremia: l ,8; Ezechiele: 2,6). Una simi-

le analogia rafforza il legame di stretta prossimità tra la parola del saggio e quella divina.

vagi di cui il padre ha già indicato la fisionomia in Pr 2, 12-15 i quali attendono proprio la notte per agire indisturbati e con maggiore profitto. Nel v. 26 ritorna, menzionando il laccio da cui il discepolo è liberato, l'immagine venatoria di Pr l, 17: mentre i malvagi si agitano e si affrettano per fare il male, il giusto è ben custodito dal Signore, il quale, come si leggerà nei versetti successivi, renderà a ciascuno ciò che si merita. 3,27-31 La propositio: non tramare il male Sei proibizioni costituiscono l'intelaiatura della propositio e si riferiscono principalmente alla virtù della giustizia. Questa va esercitata verso ogni uomo e, in particolar modo, verso il bisognoso (v. 27), il prossimo (vv. 28-29), l'uomo in generale (v. 30) e il beffardo (v. 31 ). La motivazione religiosa fonda questa morale riconducendo a Dio l'ultimo giudizio (v. 32). Il giusto rapporto di vicinato (3,27-29). I primi due divieti (vv. 27-28) sono volti a regolare il rapporto tra il figlio e colui che si trova in una situazione di bisogno. Il padre-maestro è ben conscio che il possesso di ricchezze può diventare causa di chiusura verso i bisognosi (cfr. Mi 2, 1-2; Sir 4, 1-6). Maggiore impegno va dimostrato quando il soggetto debole che chiede aiuto non è un estraneo ma è il prossimo o l'amico. Poiché l'ebraico rea' in Proverbi indica sia l'amico ( 14,20; 17,17; 18,24; 27,10) sia il vicino (3,29; 11,12; 14,21; 18,17; 24,28), l'ammonimen-

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PROVERBI 3,29

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3,30 Intentare causa contro qualcuno senza motivo - Il sintagma c~n C"'!t;t-cl,l :::1'.,1;1 non solo sottolinea che un simile processo senza motivazione non deve celebrarsi, ma che tale controversia illegittima, innescando il dibattimento giudiziario contro l'innocente, aggiunge ulteriore ingiustizia. Il vero reato, perciò, consiste neli' aver intentato un processo senza una ragione, come nel caso di Susanna, accusata ingiustamente dai due anziani (cfr. Dn 13).

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3,31 Non scegliere (.,rJ~n-',~)- La Settanta riporta l'espressione IL~ [ ... ] (T}ÀW01Jç («non invidiare»); per questo alcuni ipotizzano la lettura .,!JI;~n-',~ («non ti irritare», «non ti arrabbiare», da ;,-,n), come in Pr 24,19 e nel Sal 37,1, in cui si attesta, accanto a questo verbo, anche il verbo Mlp («essere geloso», «invidiare»), che compare nella prima parte del nostro versetto. L'errore che si presuppone riguarda la

to sapienziale potrebbe rimandare genericamente al bisognoso, ma anche a colui che legittimamente è proprietario del bene e che ne esige la pronta restituzione. Questa lettura sarebbe confermata da quanto stabilito da Es 22,25: «Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo (ebraico, rea'), glielo restituirai al tramonto del sole» (cfr. anche Lv 19,13). Emerge, da queste parole del saggio, uno spaccato della società in cui le istruzioni sapienziali sono dettate, società regolata dal diritto consuetudinario del buon vicinato, secondo l'antico sistema di organizzazione familiare e tribale. L 'ingiustizia e l'invidia sono da evitare (3,30-31 ). La descrizione di coloro che meditavano la sciagura altrui e che provavano gusto nel porla in essere ha già occupato alcune lezioni del maestro (cfr. la prima e la seconda istruzione). A questo punto dell'insegnamento il discepolo è direttamente invitato a non imitare questa condotta e a non tradire la fiducia del prossimo che, sebbene sia un valore trascurato dai malvagi, è di fondamentale importanza nel sistema morale sapienziale (cfr. 12,20; 14,22). Inoltre, citare in giudizio l'innocente è un delitto grave: se già il litigio in sé è disdicevole (17,14; 30,33) e chi lo.compie è stolto e beffardo (18,6; 22, l 0), ancora più abominevole è quello rivolto ingiustamente a una persona vicina

59

PROVERBI 3,32

9Non tramare il male contro il tuo prossimo l mentre egli abita fiducioso con te. 3iv '-""

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4,13 L 'istruzione ... custodiscila- In ebraico ;~ne è maschile, anche se qui viene ripreso da un suffisso pronominale femminile C;;r"')lfl, «custodiscila»): ciò si può spiegare in ragione della sinonimia tra i9,C e il7?~çt («sapienza», femminile an-

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che in ebraico) del v. Il, che introduce la peroratio. 4,16 Non dormono- È stato proposto di leggere, al posto di ,l~', la forma ,lll5~ («non sono tranquilli», da latt!i). Tale variazione, sebbene consona alla descrizione del!' atteg-

4,10-19 Il sentiero dei giusti è luce, queUo dei malvagi è oscurità La metafora della via domina interamente la sesta istruzione ed è in rapporto alla condotta morale. Il linguaggio appartiene al campo semantico della strada (via, cammino, sentieri, passo, correre, inciampare, procedere, evitare, attraversare, allontanarsi). La contrapposizione tra la strada sicura e quella pericolosa si ritrova nel centro dell'insegnamento: nel sentiero della sapienza, cioè le direttive impartite dal maestro, non si inciampa (vv. 11-13), mentre in quello dei malvagi si incontrano pericoli e tranelli (vv. 14-17). Le parole del saggio restano generiche, in quanto non specificano in che cosa consista la pericolosità di chi batte le vie del male. La promessa positiva, invece, richiama il bene di una vita lunga e tranquilla, così come esplicitato nei testi già analizzati. 4,10 L 'exordium: se ascolti avrai lunga vita L'idea di fondo di questo versetto è quella che caratterizza ogni esordio del discorso: se ascolti avrai vita. Il richiamo alla vita si ritrova successivamente anche nel v. 13 la cui struttura (imperativo + oggetto [«istruzione»] + risultato [«vita»]) è simile a quella del v. 10 (imperativo + oggetto [«parole»] + risultato [«vita»]) che sottolinea, nello specifico, l'aspetto quantitativo (la longevità che è accordata al figlio-discepolo). 4,11-17 La propositio: la tematica delle due vie La corrispondenza tra i termini «via» e «sentieri» (vv. 11.14) e la ripetizione

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PROVERBI 4,16

Ascolta figlio mio, accogli le mie parole l e si moltiplicheranno gli anni della tua vita; 11 t'indirizzo sulla via della sapienza, l ti conduco nei sentieri della rettitudine; 12 il tuo passo non sarà impedito quando camminerai l e, se correrai, non InCiamperai; 13 afferra saldamente l'istruzione, non !asciarla andare; l custodiscila perché è la tua vita. 14Non battere i sentieri dei malvagi l e non procedere nella via dei cattivi; 15 evitala, non attraversarla, l allontanatene e tira dritto, 16poiché essi non dormono se non fanno il male, l è tolto il loro sonno se non fanno inciampare (qualcuno); 10

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giamento dei malvagi, ritratti nel loro essere agitati e sempre inquieti (Gb 3,17; Pr 7,1020), comporta l'allungamento della forma verbale e non è supportata dalle versioni. Fanno inciampare- Leggendo il qerè che ha una forma hifil; il ketìb ~',id~· (forma qal)

andrebbe tradotto: «inciampano». La lettura del qerè è avallata dalla Versione siriaca, dal Targum e dalla Vulgata (subplantaverint, «abbatteranno», «faranno rovesciare»}, mentre la Settanta riporta KOL~wvtaL ( «dormono>>), che presupporrebbe ~::lft;i'.

del verbo «inciampare» (vv. 12.16) permettono di individuare due strofe: i vv. 11-13 (la via della sapienza) e i vv. 14-17 (la via del male). La via della sapienza (4,11-13). L'espressione «via della sapienza» (derek bokmd, v. l l) può costituire il centro non solo geografico (in quanto siamo a metà del percorso formativo indicato dal maestro) ma soprattutto pedagogico attorno al quale leggere l'intera sezione di Pr l-9. Il simbolismo della via ritorna, infatti, anche in 4,20-27 (la via solida dalla quale il padre invita a non deviare) e in 5,1-14 (in cui si stigmatizza la via della donna, che non segue la via della vita e che procede su vie vacillanti), mentre i motivi della casa (c. 7) e dei passi/condotta (cc. l; 3; 4; 5; 6; 7) esplicitano e ampliano questa tematica morale. Un testo molto vicino al nostro è Os 14, l 0: «Chi è sapiente comprenda queste parole e chi è intelligente le intenda. Perché le vie di YHWH sono diritte; i giusti vi si incamminano, ma i peccatori vi inciampano». Mentre nel libro di Osea è il Signore che dona la luce per comprendere gli oracoli, nella tradizione sapienziale è dal maestro che discende la necessaria intelligenza per perseguire una retta condotta di vita, facoltà riservata solo ai giusti. La via del male (4, 14-17). L'invito a evitare la condotta dei cattivi è formulato, nei vv. 14-15 attraverso sei verbi di movimento con valore imperativo: questa via non deve essere percorsa (v. 14) e neppure attraversata qualora dovesse intersecarsi con quella della sapienza (v. 15a), poiché va totalmente evitata (v. 15b). Al discepolo è rivolto questo pressante invito che fa appello alla sua responsabilità: attivarsi per evitare situa-

66

PROVERBI 4, I 7

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propriamente la luce (cfr. Ab 3,4, che

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l

distingue tra ;,~j e -,;ac, «luce»), ma lo splendore e la luminosità da essa derivati di riflesso, legati alla luna (Is 60, 19; Ab

zioni pericolose significa non tollerare alcuna contiguità con il male. Se per il giusto c'è pace (3,2) e tranquillità (3,24), agitazione e frenesia spettano al malvagio. Abbiamo già sottolineato l'irrefrenabilità che il male instilla in chi lo pone in essere: i malvagi avvertono un forte bisogno di farlo (l, 16), non possono avere quiete in casa se non lo attuano (cfr. la donna di 7, Il), al punto da sembrare che la loro unica preoccupazione sia elaborare nuove e migliori strategie di morte (7,14-20). Se la proposta sapienziale tende e liberare le migliori capacità dell'educando, quella del male porta con sé solo schiavitù e coazione a ripetere il misfatto, al punto che fare il male diventa un bisogno essenziale e normale come mangiare e bere. I malvagi vivono nutrendosi della vita degli altri uomini (cfr. Sal53,5): forse solo in tal modo pensano di acquietare quella frenesia insaziabile - quasi una droga - che non concede loro neanche di riposare. Il pane e l'acqua richiamano l'offerta della donna Stoltezza in rapporto ai piaceri proibiti (di natura sessuale) che elargisce ai passanti (Pr 9). 4,18-19 La peroratio: la luce risplende ma la notte fa inciampare La reiterazione dei termini «via», «sentiero» e del verbo «inciampare», già occorsi nella proposi/io unitarnente alla contrapposizione luce/tenebre, conferisce alla chiusura di questa istruzione il carattere di una vera peroratio. La morale complessiva è la seguente: mentre i giusti hanno un'aspettativa di vita lunga e prospera, ai malvagi non spetta che insuccesso e ignoranza, in quanto il loro sentiero si è rivelato per essi stessi, e a loro insaputa, un vicolo cieco e una vera trappola.

67

PROVERBI 4,22

si nutrono, infatti, della malvagità come se fosse pane l e bevono la violenza come vino. 1811 sentiero dei giusti, tuttavia, è come la luce dell'aurora: l risplende finché non sia giorno pieno. 19La via dei malvagi è come l'oscurità, l neppure sanno dove mctamperanno. 17

mio, fa' attenzione alle mie parole l e presta ascolto a quanto ti dico, 21 non si allontanino dai tuoi occhi, l serbate nella memoria. 22Poiché esse sono vita per chi le trova, l guarigione per ogni corpo. 2°Figlio

3, Il), alle stelle (Gl 2, l 0), al fuoco (ls 4,5; Ez 1,13) e alla gloria di Dio (Ez 10,4). Tale splendore è presentato nel

nostro testo come un bagliore in crescendo verso la luce piena. Un modo "inedito" per descrivere il sentiero dei giusti.

4,20-27 Custodisci il tuo cuore con cura L'appellativo «figlio mio» apre la settima istruzione, nella quale si possono individuare l'exordium (vv. 20-22), in cui compare il binomio parole-del-padre l vita, e lapropositio (vv. 23-26), nella quale si richiamano le parti del corpo coinvolte nella dinamica dell'apprendimento. Le parole del maestro si rivelano nella loro capacità terapeutica: esse donano la vita e la salute del corpo, unitamente al benessere dello spirito. Manca un veraperoratio: forse il v. 27, in cui si sintetizza l'istruzione invitando a procedere senza deviare per vie traverse (a destra o a sinistra), può fungere da blanda perorazione. 4,20-22 L 'exordium: quanto ti dico è guarigione per il corpo La sapienza offerta dal padre-maestro non ha una pura dimensione intellettuale, ma coinvolge, così come si è già appreso dalle lezioni magistrali sin qui trattate, l'intera persona nella sua dimensione psico-fisica: l'orecchio permette l'ingresso dell'ammaestramento (cfr. 2,2; 4,1; 5,1.13; 7,24), gli occhi ne richiamano l'osservanza continua (cfr. 3,21; 4,21), il cuore (ebraico, !•biib) è il luogo della memoria viva (cfr. 2,2; 3,1.3; 6,21; 7,3) e il corpo esprime l'effetto salutare di questa vita buona intesa come realizzazione umana integrale. Infatti, se nel precedente ammonimento il surplus consegnato dalla sapienza era quantitativo (la longevità di 4, l 0), in questo il beneficio inerisce alla qualità: non riguarda, cioè, soltanto un settore o uno scampolo di vita, ma l'intera esistenza.

PROVERBI 4,23

68

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=~,~r 'Tf'D-9'P n~1i 4,23 Con ogni- Invece di',~~ («da tuttm>, «da ogni»), leggiamo, seguendo la

5

ni'?T'? ,t?o/72

Settanta che ha nao1J («con tutto», «con ogni»),',~~; la Vulgata (amni) e la Ver-

4,23-27 La propositio: dal tuo cuore sgorga la vita L'insistenza sulla formazione del «cuore)) è molto rilevante in ordine alle finalità pedagogiche che il padre-maestro persegue, in quanto a esso è legata la formazione del carattere del figlio-discepolo. I sapienti sanno bene che dal cuore può derivare il bene ma anche il male. Si legge infatti in Sir 37,17-18: «Nel cuore è la traccia dei vari cambiamenti; in esso germogliano quattro rami: il bene e il male, la vita e la morte; ma chi dispone totalmente di essi è sempre la lingua)). Dal cuore sgorgano, cioè, pensieri che si esprimono in parole dalle quali possono generarsi o scelte di bene o scelte di male. Per tale motivo il cuore rappresenta come la materia grezza da formare e informare con la sapienza, alla cui scuola è possibile apprendere scelte di bene. Esiste, perciò, uno strettissimo rapporto tra la lingua e il cuore, legame che il salmista pone sotto la vigilanza diretta del Signore (cfr. Sal141 ,3-4; cfr. anche il riferimento a M t 15, 18-20). Le intenzioni di un uomo trapelano anche attraverso lo sguardo, così come è attestato in Pr 6,12-14, testo nel quale si ribadisce la costanza di certe dinamiche legate al male che coinvolgono il cuore, gli occhi e le azioni: «Un uomo senza valore, l'iniquo, avanza pronunciando parole perverse, ammicca con i suoi occhi, sbatte i suoi piedi e fa segni con le sue dita. In cuor suo il malvagio trama cose perverse, seminando di continuo discordie)) (cfr. anche 16,30). Per tale motivo il maestro invita al retto funzionamento del centro vitale dell'uomo, sacrario prezioso che evita ogni inciampo e che permette uno stile di vita stabile. Il v. 27 sintetizza l'importanza della giusta condotta che coinvolge tutta la persona: attraverso il "divieto di svolta" a destra e a sinistra è offerto l'invito finale all'autodisciplina, poiché il discepolo è stato,

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PROVERBI 5,2

Custodisci, ·con, ogni cura, il tuo cuore l poiché da esso sgorga la vita; 2"rimuovi la falsità della tua bocca l e allontana da te le labbra perverse. 251 tuoi occhi guardino davanti l e il tuo sguardo si volga dritto · davanti a te; 26spiana il sentiero del tuo piede l e tutte le tue vie siano stabili. 27Non deviare né a destra né a sinistra l e allontana il tuo piede dal male. 23

5

Figlio mio, prendi in considerazione la mia sapienza l e presta ascolto al mio insegnamento, lperché tu custodisca i consigli l e le tue labbra conservino la conoscenza. 1

sione siriaca confermano la variante greca. La versione CEI adotta una resa dif-

ferente: ((Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore)).

ormai, sufficientemente istruito su ciò che bisogna fare, su ciò che è necessario evitare e sulla direzione obbligatoria da imboccare. 5,1-23 Possa tu gioire della tua donna L'ottava istruzione ruota attorno al tema dell'amore, da rivolgere con preferenza verso la propria compagna, evitando con attenzione di sciupare la propria vita in relazioni extra-coniugali. Numerosi sono i richiami somatici sia in riferimento alla donna estranea (bocca e palato, v. 3; piedi, v. 5), sia in rapporto al discepolo (orecchio, vv. l e 13; labbra, v. 2; corpo e carne, v. Il; cuore, v. 12; seno, v. 20), sia circa la propria compagna (seni, v. 19). Nei vv. 12-14 si registra l 'unico discorso diretto del figlio-discepolo che troviamo nelle istruzioni: in questi versetti egli dichiara il proprio dispiacere per aver corso il rischio di trovarsi in cattive acque, contravvenendo ai moniti patemi. 5,1-2 L 'exordium: le tue labbra conservino la conoscenza I primi versetti reiterano i vocaboli tipici del linguaggio sapienziale («sapienza», «insegnamentm>, «consigli», «conoscenza») così come ormai familiare è l'invito alla custodia attenta delle parole del saggio. L'insistenza sulla parola («le tue labbra conservino la conoscenza», v. 2) prepara quanto verrà detto nel versetto successivo, in cui la seduzione dell'estranea si fa strada proprio utilizzando la parola. Il v. l è l'unico caso dell'intera sezione l-9 in cui si legge «mia sapienza» in riferimento al padre, esplicitando il ruolo che si è ormai definito in rapporto alla mediazione della conoscenza. Si rivendica, infatti, un legame speciale che trova un altro riscontro solo al capitolo 8, testo in cui parla la Sapienza in persona (8,1.10.14).

PROVERBI 5,3

5,4 A doppio taglio (ni·~)- Due manoscritti ebraici hanno la forma ni·~·51 (come in Is 41,5 e Sal149,6); il senso del plurale di:"!~ risulta comunque chiaro qui, sebbene in altri testi si specifichi la lettura aggiungendo l'aggettivo numerale «due» (cfr. Gdc 3,16: ni'E) ·~~).

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5,6 Non percorre (o~~l'l-nn - Accogliamo la proposta di leggere al posto di 1~ («perché non») la negazione',;~ o K-c,, così come fanno le versioni e la maggioranza dei commentatori. Se si vuole conservare il testo ebraico, si può ricordare che l'uso di 1~ implica la presenza di un ottativo

5,3-20 La propositio: bevi l'acqua della tua cisterna La propositio si individua formalmente dalla ripetizione del termine «estranea», che fa inclusione nei vv. 3 e 20 (la stessa radice ricorre anche altre due volte nei vv. IO e 17). In due strofe (vv. 3-14 e vv. 15-20) la donna estranea e la propria moglie sono presentate come antagoniste. Si individua un'allusione alla sessualità sia nella prima (avvicinarsi alla casa dell'estranea, v. 8; concedere il proprio vigore, v. 9) che nella seconda strofa (l'acqua che appaga la sete del marito, vv. 15-18; la donna cerbiatta/gazzella e i seni, v. 19; l'atto dello stringere al proprio seno, v. 20). Un duplice movimento in riferimento al figlio segna le strofe: il primo è centripeto e riguarda la propria moglie da stringere a sé (v. 19), il secondo è centrifugo in quanto si rivolge alla presa di distanza dalla casa, dalle vie e dal seno della straniera (vv. 8.20). Non ti avvicinare alla casa dell'estranea (5,3-14). Si combinano due metafore collegate dal riferimento alla bocca: la dolcezza e la fluidità. La prima è in rapporto alla donna del Cantico dei Cantici e ha un valore positivo (4, Il), sebbene in altri brani, compreso il nostro, ciò che è dolce è il camuffamento della falsità e della doppiezza; la seconda esprime nel Sal 55,22 le intenzioni del nemico e dell'empio: «Più morbida del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell'olio sono le sue parole, ma esse sono spade affilate». Nel nostro testo la parola femminile, melliflua e untuosa (v. 3), è pericolosa a causa della sua capacità di suscitare scelte sbagliate; esse, infatti «hanno un peso per la vita, determinano l'esistenza del discepolo dell'una o dell'altra scuola. Se le parole dei saggi rendono percepibile umanamente la

71

PROVERBI 5,7

Perché la bocca dell'estranea stilla miele, l scivoloso più dell'olio è il suo palato; 4ma la sua fine è amara come l'assenzio, l affilata come spada a doppio taglio; 5i suoi piedi scendono verso la morte l e i suoi passi raggiungono gli inferi; 6• non' percorre la strada della vita, l i suoi sentieri si perdono e non se ne rende conto. 7Pertanto, figli miei, ascoltatemi l e attenetevi ai miei consigli. 3

negativo, anche se manca il verbo, e il risultato è una sospensione nella frase, come nel caso di Gen 26,9b (;;t'~.V mc~;q~: «Che non abbia a morire per causa di lei!»), Gen 38,11 (mc:-1~= «temeva che [ ... ] morisse»), Geo 42,4 (lict;t mnp·-1~: «Che non gli succeda qualche disgrazia!»);

il senso del v. 6 sarebbe chiarito da quanto si legge nel v. 5: poiché i piedi della donna si dirigono verso la morte, essa non si incammina verso sentieri diritti; si potrebbe, perciò, rendere: «Lei rifiuta di percorrere i sentieri della vita». La versione CEI propone: «Ella non bada alla via della vita>>.

sapienza in quanto ordine del mondo, la straniera, scimmiottando e contrapponendosi alle parole di quelli, rende evidente e umanamente percepibile la stoltezza come disordine del mondo» (V. Cottini). L'amarezza dell'assenzio (v. 4) esprime, specificamente, il dolore, la sofferenza, l'abbattimento di un esito finale tragico (cfr. Am 6,12; Ger 9,14; 23,15; Dt 29,17) di cui anche la diretta artefice è all'oscuro (v. 6): la sua casa, infatti, coincide con questo esito mortale e drammatico, sebbene il maestro non specifichi altro sugli «inferi» (ebraico, se '6[), il regno dei morti già connesso con i malvagi (l, 12) e la straniera di 2, 18 (cfr. anche 7,27; in 9, 18 lo se '61 è la dimora in cui la donna Stoltezza conduce le sue vittime). L' «estranea>> è stata accostata alla figura di prostituta a causa delle ricadute fisiche (v. 11), morali (v. 9), economiche (v. 10) e religiose (v. 21) legate a un rapporto con lei. Ma !'«estranea» può essere anche la donna sposata con un altro: lo «straniero» del v. 10 sarebbe, in questo senso, suo marito. Fermo restando che la donna di Pr 5 evochi i significati etnici e simbolici richiamati nel capitolo 2 (una donna non giudea oppure colei che è portatrice di un universo di valori diversi da quelli del padre-maestro), qui l'appellativo è da leggersi in rapporto alla donna maritata, «estranea» nel senso di appartenente a un altro. L'invito all'ascolto (v. 7) è rinnovato attraverso l'avverbio «pertanto» e l'appellativo «figli» (al plurale, come in 4,1 e a differenza del singolare che apre l'esortazione in 5,1): delle labbra della straniera bisogna diffidare, ma a quelle paterne è necessario affidarsi. Senza nascondere la debolezza dell'educando, il maestro asserisce che la cosa migliore da fare è evitare qualsiasi connivenza con

PROVERBI 5,8

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5,9-1 OVigore ... forza- l sostantivi ,;i1 e T!~ rivelano due principali significati: a) la proprietà (cfr. Os 7,9; Gb 6,22), che si disperde nel caso di un eventuale risarcimento pecuniario dovuto al marito tradito (cfr. Pr 6,35), oppure le risorse economiche perse a causa del compenso per le prestazioni della estranea/prostituta (il crudele e lo straniero dei vv. 9-1 O sarebbero gli esattori di tale corrispettivo); b) il vigore sessuale, come in 31 ,3, in cui la madre di Lemuel esorta a non disperdere la propria forza con le donne (cfr. anche Gen 49,3, in cui Ruben è il vigore e la pri-

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mizia della virilità di Giacobbe; Sir 26, 19). 5,11 E tu ... gema (~'?0~1)- La Settanta legge Ko:l i-1€1:0:j.L€À1)911mJ («tu ti penta», «abbia rincrescimento»), che sembra presupporre l'ebraico ~'?OJ1; la Vulgata e la Versione siriaca confermano però il Testo Masoretico. 5,14 Assemblea ... comunità (i1""Jl' ...':l;:r)- Sono i luoghi pubblici della punizione per i delitti peggiori, come l'adulterio (cfr., p. es., Dn 13,41: il caso della giovane Susanna accusata di adulterio e giudicata davanti all'assemblea; cfr. anche ISam 14,44.45; IRe 21,12; Ne 5,7). In Siracide si trova riscontro a quanto si legge

l'estranea e con la sua dimora (v. 8), luogo assimilato, per coloro che collegano l'estranea alla prostituta, a un postribolo. Nei vv. 12-14 la lezione del saggio continua riportando la viva voce del discepolo: nella forma della lamentazione egli si rammarica amaramente della propria stoltezza, espressa sia nel rifiuto dell'ascolto sia nella considerazione della necessaria correzione (miìsiir). È parte integrante dell'ammaestramento, secondo gli autori di Proverbi, l'accettazione della correzione perché «colui che detesta il rimprovero è uno stupido» (12,la; cfr. 15,5.31-32; 29,15), in quanto essa porta con sé salute corporea (cfr. 15,31), vita (cfr. 6,23; l O, 17; 15,31) ed è fonte di onore per chi la accetta (cfr. 13, 18).

73

PROVERBI 5,16

lontana da lei la tua via l e non ti avvicinare alla porta della sua casa, 9a:ffinché tu non dia ad altri il tuo vigore, l la tua vita ali 'uomo crudele; 10affinché gli estranei non si sazino della tua forza, l i tuoi guadagni vadano nella casa di uno straniero 11 e tu alla fine gema, l quando saranno consumati la tua carne e il tuo corpo. 12Allora dirai: «Ohimè ho detestato la disciplina, l nel mio intimo ho disprezzato il rimprovero, 13 non ho ascoltato la voce dei miei maestri l e non ho posto l'orecchio a quelli che mi istruivano; 14per poco non ho toccato il colmo della sventura l in mezzo all'assemblea e alla comunità». 15 Bevi l'acqua della tua cisterna, l gli zampilli del tuo pozzo; 16 CNon' spargere per strada la tua sorgente l né i tuoi canali sulla piazza. 8Tieni

qui, poiché si nomina l'assemblea della città come luogo in cui pubblicamente si può essere svergognati (1,28; 7,7) e davanti a cui (nelle piazze, 23,21) il peccatore sarà punito e/o giustiziato(cfr. anche Sir23,22-24). Un riferimento si può riscontrare anche in Esd l O, 1-ll, dove «l'assemblea dei reduci dall'esilio», (:-t','il:-t v. 8), giudica i rimpatriati che non si ~ no separati dalle «donne straniere» (vv. 2.1 0). 5,15 Acqua ... cisterna ... pozzo- Anche nel Cantico dei Cantici l'acqua è l'elemento che pennette di tessere l'elogio dell'amata («fontana chiusa, sorgente sigillata», 4, 12; «fontana

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dei giardini, pozzo di acque vive che sgorgano dal Libanm>, 4,15). Analoga considerazione si può fare per l'opera egizia /stnaione di Ani: «Guardati da una donna di fuori, che non è conosciuta nella sua città. Non fissarla con malizia. Non conoscerla con adulterio. È un'acqua profonda, di cui non si conosce il corso» (3,13). 5,16 Non spargere- Davanti al verbo 1l&1El~ («scorrere», ((disperdersi») si dovrebbe anteporre la negazione 15:1 (((Che non», ((affinché non») oppure!;,~ ((mon»), così come suggerisce la Settanta (il codice Vaticano [B] e quello Sinaitico [N] inseriscono ~~).

Gioisci della donna della tua gioventù (5,15-20). L'imperativo del v. 15 apre la seconda strofa che si concentra sull'amore per la propria moglie. L'immagine dell'acqua prelude spesso all'incontro sessuale, sia perché la menzione dei pozzi è collegata generalmente, nel Pentateuco, a scene di preparazione al matrimonio (cfr. lsacco e Rebecca: Gen 24; Giacobbe e Rachele: Gen 29; Mosè e Zippora: Es 2,16-22), sia perché nel contesto prossimo di Pr 5 le dolci acque nascoste che la donna Stoltezza offre evocano la sua piacevole proposta sessuale (9, 17). Nei vv. 16-17 l'ammonimento è chiaro: le energie sessuali non vanno sprecate inutilmente in relazioni extraconiugali la cui unica conseguenza è quella di perdere il proprio

74

PROVERBI5,17

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5,18 La tua fonte (iiìpo)- L'ebraico iìpf? indica anche l'organo genitale femminile: il termine in Lv 20,18 indica la fonte da cui proviene il sangue mestruale: «Se un uomo ha avuto rapporti con una donna durante le sue regole e ne ha scoperto la nudità, egli ha messo a nudo la sorgente del flusso (:"!lP'?) di lei ed essa ha scoperto la sorgente {iP'?) del proprio sangue: perciò siano eliminati ambedue dal loro popolo» (cfr. anche Lv 12,7).

(':p~.l1~ nqitt) L'espressione sembra richiamare MI 2,1415, in cui il profeta denuncia il ripudio della moglie: «:;t J;IN~ '~

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6,3 Inginocchia/i (0~3"]~:'1)- Il Testo Masoretico riporta questo verbo, dalla radice OEii (> (probabilmente la data stabilita per dibattere del reato in questione) non ci sarà alcuna possibilità di riparare al male perpetrato (anche perché la Legge non contemplava forme pecuniarie di risarcimento, ma la morte di entrambi gli adulteri). Anche se fosse proposto un patteggiamento con cauzione, nella speranza che si arrivi a un esito differente da quello della lapidazione, non c'è bustarella che restituisca l'onore del marito tradito. Il tentativo di riconciliazione va a vuoto perché si scontra con la parte lesa entrata in dibattimento con l'animo battagliero di chi vuole vincere la causa (sfumatura sottolineata dal termine geber, cfr. nota). Sulla gelosia rinviamo a quanto prescrive la Legge in Nm 5, Il-31 nel caso in cui un marito abbia dei sospetti nei confronti della moglie (cfr. anche Pr 14,30; 27,4; Sir 9, 1-9; 30,24).

86

PROVERBI 7,1

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:'Tf'J..'P. Tio/'~f 'fqini ='Tf~7 n~?-?P. o~.r;t~

7,2 Pupilla (li!Zi'l()- È un'immagine attribuita al popolo d'Israele, descritto come porzione di Y HWH amata e custodita dal suo amore (Dt 32,10: «Egli lo trovò in una terra deserta, nel disordine urlante delle solitudini: lo circondò, lo allevò, lo custodì come la pupilla dei suoi occhi»). Si attesta anche in associazione alla protezione divina a favore

del giusto (Sal 17,8: «Custodiscimi come la pupilla de li' occhio, nascondi mi, all'ombra delle tue ali»). Evocando questi richiami, li!Zi'l( esprime la preziosità e l'unicità dell'insegnamento paterno da accogliere. 7,4 Sorella ... amica (l11b ... nina;t)- Nel Cantico «sorella>> indica l'amata (4, 9-10.12; 5, 1-2; 8,8), mentre l1"'!ib («amico») si ritrova

7,1-27 La fine dell'ingenuo sedotto dalla straniera La decima e ultima istruzione della sezione si apre con il consueto appellativo «figlio mio». L'unità della pericope si costruisce attorno ai suoi due protagonisti: il padre-maestro e la donna sposata. Entrambi sin dalle prime battute dell' exordium sono presentati come antagonisti tra di loro. I due, infatti, si propongono come soggetti parlanti ma, mentre i discorsi patemi sono improntati alla vita, quelli femminili nascono dalla volontà di seduzione. La congiunzione ki del v. 6 (che non va tradotta in italiano) permette di individuare l'inizio della propositio, che è totalmente consacrata (eccetto i vv. 6-7) alla descrizione dell'agire della donna Il termine «casa>> consente di tessere la trama della scena "di caccia" qui descritta: è dalla casa del padre che si descrivono gli eventi (v. 6); in direzione della casa della donna l'inesperto si dirige (v. 8); la donna è talmente irrequieta da non poter rimanere ferma nella propria casa (v. Il), che però è il luogo adatto per godere dei piaceri sessuali in quanto il marito è fuori (v. 19) e non vi farà ritorno a breve (v. 20). Anche nellaperoratio ritorna il termine «casa» (v. 27), a conferma della volontà dell'autore di insistere sull'importanza della famiglia e dei suoi spazi vitali. Numerose sono le indicazioni di luogo: la strada (vv. 8.12), l'angolo (vv. 8.12), la via (vv. 8.25), la piazza (v. 12), il letto (v. 16), il giaciglio (v. 17), il macello (v. 22), il sentiero (v. 25), gli inferi (v. 27), la stanza (IJeder, v. 27). Se l' exordium insiste sull'importanza delle parole parentali, la peroratio (vv. 24-27) si chiude ribadendo, oltre la pericolosità della straniera, proprio l'importanza di tali discors~ unico rimedio contro la seduzione. Come per le altre ricorrenze della straniera, non possiamo non rimandare al contesto post-esilico che registra la supremazia della

87

PROVERBI 7,6

7

Figlio mio, custodisci le mie parole l e fa' tesoro dei miei precetti; custodisci i miei precetti e vivrai, l il mio insegnamento come pupilla dei tuoi occhi; 3legateli alle dita, l scriviteli sulla tavoletta del cuore. 4Di' alla sapienza: «Sei mia sorella» l e chiama: «amica» l'intelligenza, 5per custodirti dalla donna altrui, l dalla straniera che proferisce parole seducenti. 6Dalla finestra di casa mia, l attraverso la grata spiavo; 1

2

nel libro di Rut, per designare Booz quale «parente prossimo)) di Noemi che poi sarà sposo di Rut (cfr. Rut 2, l; 3,2); anche questo secondo termine pare quindi riferirsi all'unica metafora nuziale del discepolo con la sapienza. Evidentemente si vuole stabilire una contrapposizione tra la figura della donna adultera e la sposa-Sapienza.

7,6-7 Dalla mia casa ... spiavo ... guardando (N!Iot~ ... ·n~i?~~ ... •n·~)- La Settanta e la Versione siriaca hanno il pronome di tena persona singolare femminile («sua casa>)) e i verbi alla tena persona anziché alla prima, riferiti, cioè, alla donna e non al padre. Il testo ebraico, tuttavia, è lineare e chiaro e non sembra necessitare di cambiamenti.

«casa dei padri» (bet 'ab6t), in funzione della quale avviene la ricostruzione socioreligiosa di Giuda: in Pr 7 tale casato è in opposizione con la casa della straniera. Ciò spiegherebbe, inoltre, le altre attestazioni relative alla casa della straniera nell'intera sezione di Pr l-9 (2,18; 5,8; 7,8.27; cfr. anche 5,10: bét nokri). 7,1-5 L 'exordium: chiama amica l'intelligenza Quasi a conclusione della cornice letteraria del libro, l'autore utilizza una terminologia ormai divenuta familiare, unitarnente ai richiami biblici (p. es., a Dt 6) già evidenziati. Sin dalle prime battute è richiesta al discepolo una serie di attività (custodire, conservare, vivere, legare, scrivere, dire), perché è proprio la passività l'elemento che lo rende vulnerabile all'iper-attivismo della donna Nel v. 4 si incontra un accenno alla personificazione della sapienza così come si era già individuata in 2,3; 4,6-9 e in 6,22: essa va invocata come «sorella» e «amica». Generica è l'indicazione della pericolosità della donna e della sua parola (come già in Pr 2, 16 e 5,3) secondo la caratteristica tipica dell'inizio di ogni istruzione in cui il tema è accennato ma non direttamente trattato. 7,6-23 La propositio: ho scorto la sorte del giovane condotto negli inferi Totalmente focalizzato sulla donna è il cuore di questo insegnamento: nei vv. 6-13 si descrivono le circostanze che portano i due protagonisti (l'inesperto e la donna) a incontrarsi; i vv. 14-20 riportano il discorso diretto della «donna altrui» mentre si rivolge al giovane; gli ultimi versetti (21-23) sono un commento del padre sull'esito negativo della vicenda che dalla sua finestra ha potuto osservare. Ecco una donna in agguato sulla strada (7 ,6-13 ). La prima occorrenza di «Casa>> (v. 6) si riferisce a quella patema, dalla cui finestra sono descritti i fatti (cfr. Gdc

88

PROVERBI 7,7

::1~·1on 1V.l o"j:J:J i1.l":JN >) indica un soggetto

5,28). Al di là del riferimento concreto, qui si desidera sottolineare la prospettiva del maestro e il suo giudizio di valore più che la sua cronaca di spettatore. Egli scorge tra gli ingenui (p'tii'yim) un giovane (na'ar). I due termini si riferiscono a quei soggetti che per l'età e per l'inesperienza rivelano una mancanza di discernimento, e che necessitano di una guida. Infatti, il «cuore povero» del v. 7 (sintagma da noi tradotto con «sempliciotto») connota l 'indigenza sapienziale- spesso accompagnata a quella economica (cfr. Pr 17,16)- in cui egli versa. Costui si incammina a sua insaputa proprio verso la rovina, cioè la dimora della donna (vv. 8-9), esponendosi così a esperienze negative in un orario della giornata in cui, normalmente, ci si porta presso la propria casa. L'indicazione di tempo (v. 9: «al crepuscolo, dopo il tramontar del giorno, nel cuore della notte e dell'oscuri!ID>) sembra essere più simbolica che reale, veicolando l'idea dell'intensificazione del male direttamente proporzionale al progredire delle tenebre. Della donna si evidenzia l 'intraprendenza e l'abbigliamento: nel v. 5 essa era presentata come sposata, mentre qui è descritta come una prostituta dalle intenzioni cattive. Non è ben chiaro cosa l'autore voglia specificare. Non abbiamo indicazioni sul vestito che le prostitute indossavano (solo

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PROVERBI 7,13

guardando tra gli ingenui, l ho scorto tra i giovani un sempliciotto 8che si incamminava- passando per la strada dietro l'angolo- l verso la via della sua casa, 9al crepuscolo, ·dopo il tramontar' del giorno, l nel cuore della notte e dell'oscurità. 10Ed ecco che una donna gli va incontro, l vestita da prostituta, astuta, 11 turbolenta e irrequieta: l i suoi piedi non sanno starsene in casa. 12 Sta in agguato ora per strada, l ora sulla piazza e a ogni angolo; 13 lo tira a sé, lo bacia l e sfacciatamente gli dice: 7

stupido, incapace di discernimento, e che si può rendere con «privo di senno» (Pr 6,32; 9,4.16; 10,13; 11,12; 12,11; 17,18; 24,30). Il suo contrario è «cuore intelligente» (cfr. Pr 8,5: :l~ 1J':;l;:t, «diventate intelligenti di cuore», cioè «assennati»). 7,9 Dopo il tramontar del giorno (Ci' :!~W~) -L'espressione del Testo Masoretico (alla lettera: «alla sera del giorno») è inusuale; accogliamo la proposta di leggere in luogo di ::l!.l1:1 la forma :l~~~. dal verbo :l,lJ ,«far sera» (cfr. Gdc 19,9). 7,11 Turbolenta (;"!~OH)- Il vocabolo espri-

me il trambusto di una folla di persone (Pr l ,21) e l'atteggiamento esagitato della donna Stoltezza (Pr 9,13). Irrequieta- L'ebraico n·:no veicola l'idea della sfacciataggine irriverente di chi si ribella e di chi si volge contro l'autorità divina (ls 30,1; 65,2; Ger 5,23; Os 4,16; Zc 7,11; Sal 78,8) o contro quella genitoriale. In Dt 21,18-20 è descritta, a tale proposito, l'insolenza del figlio verso i suoi genitori, disobbedienza fortemente disapprovata e punita, al punto da rinnegare la legittimità del legame familiare che lo lega al padre e alla madre.

in Gen 38,14 si dice di Tamar che aveva un velo), e comunque il padre difficilmente avrebbe potuto notare un abito particolare se, come si legge nei versetti precedenti, la notte avanzava con il conseguente calo di visibilità. Anche l'annotazione caratteriale sulle sue intenzioni ha tutto il sapore di un giudizio morale sull'adultera e non di un resoconto oggettivo dell'accaduto. Infatti nei vv. ll-12 continua con due aggettivi il disprezzo di questa donna, ora presentata come turbolenta e irrequieta: all'assenza dell'integrità morale si accompagna, cioè, la mancanza della docilità e disponibilità che il padre-maestro sta cercando di instillare nel figlio-discepolo dali 'inizio del suo ammaestramento. Anche per questo l'adultera è pericolosa: vanifica con la sua vita la fatica di chi pone in essere un itinerario pedagogico, presentandosi come svincolata da qualunque legame significativo. La metafora venatoria dei vv. 12-13 descrive le due fasi della caccia: l'appostamento con l'agguato (v. 12) e il balzo con l'immobilizzazione della preda (v. 13 ). Sembrerebbe, dalla facilità con cui vengono riferiti i movimenti della donna, che l'incontro con questo giovane non sia evento isolato, ma il suo stile abituale di approcciarsi agli uomini, che ignora convenevoli e preliminari del corteggiamento.

90

PROVERBI7,14

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ib) - Questi termini veicolano un forte riferimento al piacere sensuale

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dell'amore (cfr. Ct 1,13; 3,6; 4,6.11.14-16; 5,5 .13 ), sebbene la pratica erotica del cospargere il letto con oli e aromi non sia usuale.

Sono uscita ansiosa di vederti (7,14-20). Riportando le parole della donna, l'autore sortisce l'effetto di una maggiore drammatizzazione della scena. Il riferimento alla sua religiosità resta, tuttavia, di difficile decodificazione. Il libro del Levitico riserva alle donne poche e secondarie pratiche religiose. Qui si potrebbe alludere ali' adempimento di alcuni voti che la straniera ha espresso (per il «sacrificio di pace» cfr. Lv 7), sebbene non si comprenda bene come questa devozione possa accompagnarsi alla proposta di consumare un rapporto sessuale illegittimo con il giovane. Per questo alcuni studiosi hanno ipotizzato la presenza di un culto non giudaico del quale la donna è sacerdotessa concedendosi in un atto di prostituzione sacra. Probabilmente la donna straniera qui riepiloga e riassume le caratteristiche delle descrizioni già operate nelle istruzioni precedenti: come in una sorta di progressiva accumulazione ella è presentata come estranea etnicamente secondo quanto leggiamo in Pr 2 e 5 (la donna che non appartiene alla nazione giudaica); il rimando alla dimensione sessuale si riferirebbe a Pr 5 e 6,20-35 (la donna altrui che offre un piacere effimero e pericoloso) e l'aspetto religioso rinvierebbe a quanto asserito in Pr 2 a proposito dei matrimoni esogamici (la donna non giudea che è stata sposata e che ora bisogna abbandonare per non contaminare la fede dei padri con elementi pagani; cfr. Ml2,10-16; Esd 9-10; Ne 10,31; 13,23-27). Nel v. 5 la pericolosità della donna era stata individuata nella seduzione delle parole, seduzione che nei versetti di questa seconda strofa è ben esplicitata: ella, infatti, ostenta l'eccezionalità della sua uscita e l'unicità dell'incontro, esaltando la preziosità di quanto sta accadendo tra lei e il malcapitato e giocando anche

91

PROVERBI 7,20

«Dovevo fare sacrifici di pace, l proprio oggi ho adempiuto i miei voti, 15 per questo ti sono venuta incontro l ansiosa di vederti e ti ho incontrato; 16ho adornato il mio letto con drappi, l con variopinte stoffe egiziane; 17ho profumato il mio giaciglio l di mirra, aloe e cinnamomo. 18Vieni! Inebriamoci d'amore fino al mattino, l deliziamoci nei piacen, 19perché mio marito non è in casa, l è partito per un lungo viaggio; 20 si è preso la borsa del denaro l e non tornerà prima del plenilunio». 14

7,I8 Inebriamoci (:"T1.in - Il verbo ;-,; esprime qui la soddisfazione e l'ebbrezza dei piaceri sessuali, mentre in Pr 5,19

descriveva il piacere all'interno del matrimonio legittimo. La seduttrice sminuisce le conseguenze della notte di passione.

sull'effetto sorpresa. L'avance è accompagnata, inoltre, dalla raffigurazione del luogo in cui l'incontro tra lei e il giovane deve consumarsi. I termini utilizzati per descrivere questa alcova dell'amore tradiscono la non eccessivamente celata volontà di un incontro sensuale: il letto ('eres, cfr. Ct 1,16) è disposto con cura e il giaciglio (miskiib) cosparso di aromi. Ciò che ancora manca è la presenza di colui che ha messo in moto questa autentica macchina sessuale. Per strappare il consenso e condurre il giovane presso la propria casa è necessaria un'ultima mossa: al graduale coinvolgimento dei sensi (il tatto, v. 13; l'udito, vv. 14-15; la vista, v. 16: stoffe ricercate e belle, fatte venire da lontano; l'olfatto, v. 17) fa seguito l'invito esplicito al rapporto sessuale (v. 18) che rompe ogni indugio. Il piacere sessuale è descritto alla stregua di una sbronza: come questa passa dopo una notte, così l'incontro sessuale non avrebbe avuto conseguenze a lungo termine. Anche in questa sottolineatura temporale si può rintracciare l'arte seduttrice della donna: questa scappatella- esplicitamente descritta come tale - è offerta come bene immediato e passeggero "a costo zero", cioè senza implicazioni affettive (l'amore) e sociali (il matrimonio). L'adultera, con il suo comportamento, scredita il diretto antagonista nella conquista del giovane, cioè il padre, smentendo e sconfessando le sue catechesi circa le conseguenze fatali dell'adulterio: non si incorrerà nella gelosia del marito (Pr 6,34-35) in quanto egli è fuori per lavoro e non lo verrà mai a sapere. La seduzione è, perciò, meno grossolana di quanto sembri, poiché non dipinge l'adulterio come un bene in sé ma neppure come male assoluto, lasciando intendere che le conseguenze di una notte di passione non saranno giocoforza funeste.

92

PROVERBI 7,21

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7,21 Insistentemente - Nell'espressione ~ :ii (alla lettera: «molti discorsi») si utilizza un termine che è spesso accostato ali 'insegnamento sapienziale per descrivere, con molta ironia, l' insipienza femminile. Infatti in Pr l ,5; 4,2 è l'istruzione parentale da accogliere e mettere in pratica (cfr. anche Pr 16,21.23). 7,22 Senza indugio (ciotn~)- Poiché la Settanta ha KElT~ tç («sempliciotto»), lettura confermata dalla Versione siriaca, è stato proposto di leggere qui C'MQ~ («ingenui»), sebbene il plurale non si accordi con il participio maschile singolare con cui si apre il versetto (l~ii'l); la forma attuale del Testo Masoretico

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sarebbe frutto di un errore di vocalizzazione. Il cambiamento del testo non è necessario se leggiamo ciot~ come un avverbio: «subito», «senza indugio», «improvvisamente», come altrove in Proverbi (3,25; 6,15; 24,22). È condotto- Invece di Ki:l:, è stato proposto di leggere un imperfetto hofa/, terza persona maschile singolare (K~~: «è condotto», «è introdotto»), come la Settanta sembra suggerire (àyt:to:L). Accogliamo questo suggerimento. Come un cervo preso allaccio - La locuzione ':!·,~ jQ,o-':1~ O?!'=?, significa, alla lettera: «come una cavigliera alla disciplina del folle>>. Il testo è corrotto e non è, quindi, di

Esito della seduzione (7,21-23). L'epilogo di questa brutta faccenda è scontato. Il giovane, ormai totalmente in preda alla donna, è un giocattolo tra le sue mani, vittima passiva e inerme della sua fame sessuale, incapace di accennare persino una minima reazione. Le immagini tratte dal mondo animale dichiarano la condizione del ragazzo: è un docile bue il cui normale destino è la macellazione, e insieme un cervo mite e timido che avrebbe avuto come unica chance di vita una fuga tempestiva e senza esitazioni. Un'ultima immagine animale è legata all'uccello (v. 23), essere che veicola l'idea dell'ingenuità («Efrayim è come una colomba semplice, senza intelligenza»: Os 7,11) e dell'ignoranza circa la trappola nella quale si va a mettere (Qo 9,12: «l'uomo non conosce il giorno della sua morte: è come i pesci che incappano in una rete maledetta e come gli uccelli che vengono presi con il laccio»; cfr. anche Pr l, 17). 7,24-27 La peroratio: la via della donna discende verso la dimora della morte Nella conclusione si ribadisce la preziosità dell'istruzione esplicitando la sorte

93

PROVERBI 7,27

Lo seduce insistentemente, l Io trascina con le lusinghe delle sue labbra. dietro a lei senza indugio, l ·è condotto, come un bue al macello, ·come un cervo preso allaccio,, 23finché una freccia non gli trafigge il fegato; come un uccello che si affretta verso la rete l e non sa che è in gioco la sua vita. 24E ora, figli, ascoltatemi l e date retta alle parole della mia bocca: 25il tuo desiderio non si volga alle sue vie l e non ti perdere nei suoi sentieri, 26poiché molti ne ha fatto cadere feriti a morte, l i più forti sono caduti come sue vittime. 27 La sua casa è una strada di accesso agli inferi, l una discesa verso la dimora della morte. 21

22 Andando

facile traduzione. A causa del parallelismo si potrebbe ravvisare l'immagine di un animale corrispondente alla menzione del «bue>> nella prima parte del versetto, come fa la Settanta, che ha Kuwv, «cane», e la Vulgata, che traduce agnus, ma non si vede come queste traduzioni possano aiutare a comprendere il testo ebraico. La Settanta, però, menziona il «cervo» all'inizio del v. 23: si potrebbe pensare facilmente che abbia letto ',•~( («cervo») invece della forma',·~ traman&Ìa per errore del Testo Masoretico, facendo poi scivolare la parola nel versetto successivo. Inoltre, pur avendo frasi diverse, la Settanta, la Vulgata,

la Versione siriaca e il Targum, leggono una parola che significa ?:JN' u>'N-'!l 'i!:l0 2 "

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Settanta legge: «> (cfr. Es 7,18; Sal38,6). A un secondo livello la radice rinvia al significato complessivo di >), ipotizzando l'ebraico n~~::p. Inoltre, si rende

(fatuitas stultorum inprudentia).

14,26 La fiducia del forte (Tl1-n~~Q) - Si segue la proposta (ispirata dalla Versione siriaca) di cambiare Tl1 ()). Lo seriba avrebbe invertito le sillabe ,nhr~. Tale cambiamento è parzialmente

suffiagato dalla Settanta, che accentua maggiormente la dimensione religiosa della frase: «nella sua santità>) (-rtì Éautou c'm6tTin).

morale, contrapponendo colui che è paziente (alla lettera: «colui che ha le narici lunghe») a colui che non controlla la sua rabbia e che aggiunge alla sua vita, ogni volta che si lascia dominare da tale atteggiamento, solo ulteriore stoltezza. Infine, la concretezza della vita è descritta nel v. 30 con espressioni molto immediate: il corpo e le ossa veicolano l'idea della contingenza e della fragilità dell'esistenza umana (Sal 35,10; Gb 4,14; 19,20; Ger 20,9; Lam 3,4). Chi ha una serenità di fondo riverbera tale stato di benessere anche nel suo corpo, così come l'invidia corrode dal di dentro l'intelaiatura ossea (cfr. Pr 12,4). 14,33-35 Conclusione: La sapienza è nel cuore intelligente Nel v. 33 la mente (o il «cuore)), ebraico /eb) è considerata come un contenitore in cui la sapienza può essere accolta. Similmente anche in 2, l il discepolo è descritto come capace di ricevere l'insegnamento e di custodirlo nella propria vita. La domanda retorica di 33b rinvia a l ,22, testo in cui la Sapienza si domanda quando avrà termine il tempo in cui gli stolti rifiutano di ascoltare la sua voce. I due versetti finali propongono un contesto simile in quanto hanno un taglio generale: la sorte di un popolo dipende dalla sua rettitudine e dalla fedeltà del suo regnante, così come descritto nel Sal 72. Di conseguenza (v. 35), se un collaboratore di corte è corrotto andrà incontro all'ira del re, perché costui ama solo chi parla con rettitudine (Pr 16,13; cfr. anche 22,ll e Sall01,6-8).

148

PROVERBI 15,1

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15,3 Gli occhi di YHWH (i1V'T~ T-11) L'immagine degli occhi penetranti si trova anche in 2Cr 16,9 ( ; cfr. anche Am 9,2-3). 15,4 Una parola benevola - Alla lettera si parla di un , «piacevole>> (Ct 7,7). Il sostantivo C.!}j esprime l'idea della gentilezza, dell'ama-

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bilità. Traduciamo ((parole chiare>> partendo da questo significato di base e considerando il parallelismo con 26a: si estrinseca, così, l'opposizione tra i pensieri dei cattivi (che restano nel nascon-

Con un'attenzione ai luoghi abitativi, il sapiente contrappone la casa dei superbi al confine della vedova: se la prima- un luogo chiuso e perciò sicuro - sarà spazzata dal Signore, il secondo - luogo aperto ma delimitato - diventerà abitabile perché è Lui che ne difende il perimetro. Nel v. 26 risuonano formulazioni analoghe ad alcune già incontrate altrove: il linguaggio, con la contrapposizione > (cfr. Ez 5, 15), mentre in Pr 3,11 è stato reso con «rimprovero».

(in 18, 12b si incontra la stessa costruzione, ma in opposizione all'arroganza wnana). Nel v. 27 si condensa una massima che completa i vv. 6 e 25. Se nel v. 25 è il Signore che sconvolge la casa del malvagio, qui è la stessa brama di ricchezza che si rivolge contro l'avaro. Come in 1,19, in cui compare la stessa costruzione («chi ammassa guadagno/rapina»), il bottino frutto di ingiustizia si ritorce - quasi come se avesse vita propria - contro chi lo ha conseguito sottraendolo agli altri. Questa specie di legge del contrappasso si ritrova anche in alcuni oracoli profetici (cfr., p. es., Ger 22,13-19). Il v. 28 aiuta a meglio comprendere quanto si legge nel v. 23. Se in precedenza il saggio ha affermato che l'uomo che dà una risposta opportuna è ben lieto di questa sua capacità, qui si va a ritroso ricercando l'atteggiamento riflessivo che precede la parola saggia e pertinente. Di tutt'altra specie è la parola dei malvagi che fuoriesce dalla bocca senza alcun autocontrollo come un fiume in piena. Anche il v. 30 è da riannodare a quanto già incontrato nel capitolo a proposito del cuore come sede della vita e del benessere. In questo proverbio la coppia cuore l ossa è un'espressione polare per descrivere le sensazioni dell'uomo che gioisce interiormente quando i suoi sensi esterni (la vista e l 'udito) sono colpiti da uno sguardo sereno e da una buona notizia. Il sapiente conferma che l'antropologia biblica è fortemente caratterizzata dall'unità psico-fisica dell'essere umano. Nei versetti 31 e 32 si ripete la parola tokabat, sostantivo che compare in Os 5,9, seppur leggermente modificato (tokébiì), con il significato di punizione; esso

156

PROVERBI 15,32

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15,33 Prima della gloria c 'è l'umiltà - Lo stesso testo si trova in Pr 18, 12b in rapporto all'arroganza umana che porta alla rovina e non considera la virtù dell'umiltà. 16,2 Gli spiriti (nìm,) -Questo plurale è una

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18,5 Favorire il malvagio (ll~T"~~ M.~1) ttttlJ è un'espressione fissa idiomatica: «sollevare il volto» di qualcuno significa «rallegrarlo» (!Sam 25.35) e anche > (v. 8) perché si ascoltano con avido piacere. L'autore biblico gioca sull'immagine della masticazione: le persone che cercano di ingraziarsi gli altri uomini moltiplicano le parole (le "ruminano") e, in questo modo, preparano un boccone succulento (parzialmente già cotto) che va direttamente nelle viscere (alla lettera: «stanze del ventre») di chi ascolta. Le persone melliflue possono essere accostate agli adulatori di 19,6. Il negligente (v. 9) è assimilabile al pigro, soggetto pericoloso a causa della sua indolenza (cfr. 6,6-11; 13,4; 19,24). In Sir 37,11 si elencano le categorie da evitare in quanto dannose e tra queste si annovera anche il pigro: in questo senso va inteso il parallelismo tra chi non ottempera al proprio dovere (9a) e chi è causa di rovina per il proprio fratello (9b): entrambi sono soggetti socialmente nocivi. L'inaffidabilità è deprecabile per chi difende la buona fama e la stima di sé presso la comunità (Pr 31 ,23). I v. l O-li vanno letti insieme in ragione della ripetizione di 'oz («forza», «fortezza») e di nisgiib («essere alto», «inaccessibile», «sicuro»). Chiara è l 'antitesi tra chi confida in YHWH (v. lO) e chi invece fa affidamento sulle proprie ricchezze (v. 11). Nel Salterio è ben attestata l'idea del pio che trova in Dio il suo baluardo (3,4; 5, 13; 18,31; 20,8; 35,2; 140,8). Il concetto espresso in Il b si ritrova anche in Pr l O, 15a («l beni del ricco sono la sua roccaforte»). Le ricchezze sono, quindi,

PROVERBI 18,12

178

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18,12 Prima della rovina c 'è l'orgoglio (ai'ln~ :1;J" i:liÙ"'l.~'7)- L'emistichio è simi-

le a quanto ~i l~gge in 16, 18a (1iat3 i?.IÙ"'l.f;l~,

«davanti alla rovina c'è l'orgoglio))). Prima della gloria c 'è l'umiltà (:1l~P. ,;:~~ 'l.f?'7) - Lo stesso testo si legge

delle false sicurezze: in altre parole, il ricco lavora di fantasia immaginando un futuro sereno in ragione delle sue rendite ma, come il personaggio di Le 12,16-21, non ha fatto i conti con la caducità della vita. Il senso del v. 12 è il seguente: come l'arroganza precede un destino di rovina così l 'umiltà conduce a un'esistenza riuscita. Il proverbio rimane generico nella sua formulazione e non consente altre applicazioni più concrete. Ci limitiamo a segnalare 22,4 come testo prossimo al nostro: «l frutti dell'umiltà sono il timore di YHWH, la ricchezza, la gloria e la vita». Ogni espressione comportamentale improntata all'emotività e all'impulsività è fortemente sconsigliata dai maestri in Israele. Due esempi legati al parlare: «Nel molto parlare non manca la colpa, chi frena le sue labbra è previdente» (10,19); «Non rispondere prima d'aver ascoltato, non interrompere il discorso di un altro» (Sir 11,8; cfr. anche Pr 10,14; 16,32). Per tale ragione chi risponde d'istinto, senza aver ascoltato il suo interlocutore, e si cimenta in una risposta che, giocoforza, sarà errata o comunque inesatta, mostra di essere stolto e di non avere le idee chiare. Il v. 13 può richiamare sia un contesto giuridico sia una situazione ordinaria che mette a confronto due soggetti che parlano. Forse è più probabile questa seconda ipotesi, in quanto manca il verbo 'iinii che è specificamente legato al contesto giuridico. Parole molto vicine a quelle contenute nel v. 14 sono state già incontrate in 15, 13 e l 7,22. Quando l'animo umano è robusto si possono affrontare tutte le difficoltà che la vita presenta, ma quando lo spirito è debole (riìab rfkè'ii) allora tutto diventa doppiamente oneroso. Per tale motivo il salmista chiede a Dio di ricevere uno spirito saldo (riìab niikOn) per affrontare la difficile situazione di peccato e

179

PROVERBI 18,18

Prima della rovina c'è l'orgoglio, l prima della gloria c'è l 'umiltà. Chi risponde prima di avere ascoltato l mostra stoltezza e confusione. 14Lo spirito dell'uomo sostiene la sua debolezza, l ma un animo abbattuto chi potrà sollevarlo? 15 Una mente intelligente acquista la conoscenza, l l'orecchio dei saggi ricerca il sapere. 1611 dono che un uomo offre lo favorisce l e lo conduce alla presenza dei grandi. 1711 primo a parlare in una lite si dichiara giusto, l ma viene il suo avversario e lo contesta. 18La sorte fa cessare le liti l e decide fra i potenti. 12

13

in Pr 15,33 in riferimento al timore di YHWH. 18,14 Lo spirito ... un animo- Curiosamente il termine 1'!,, è accordato prima al maschile

(',:p',~~ 1'!~,) e poi al femminile (:1~~~ 1'!,, ). 18,17 Ma viene- Seguendo il qerè è N~,; il ketìb N~~ andrebbe tradotto al futuro: .

di sofferenza nella quale si trova (Sal 51,12; cfr. anche M t 26,41; Mc 14,38). Quello del v. 15 è un classico proverbio a contenuto sapienziale (cfr. anche Sir 6,33). L'immagine dell'acquisto della conoscenza o dei suoi sinonimi si attesta anche altrove e dichiara l'invito a investire tutto di sé per possedere la sapienza. In 15b si possono ravvisare le tracce di 1,5 in cui l'autore biblico pone le basi su cui poggerà l'intero testo («Ascolti il saggio e accrescerà il suo sapere, l'intelligente acquisirà arguzia>>). Il proverbio del v. 16 intende il dono in senso negativo, come un regalo di corruzione o, comunque, che cerca di ingraziarsi chi lo riceve (cfr. 15,27; 17,8; 19,6b). Nulla vieta, tuttavia, di intenderlo in senso un po' più positivo. Esempi in questo senso si possono trarre dall'Antico Testamento. Due casi concreti: uno è rappresentato dai doni di Giacobbe al fratello Esaù (Gen 33), l'altro dalle regalie al re David da parte di Abigail, moglie di Nabal (l Sam 25), la quale diventerà, per questo suo gesto e per la fedeltà al suo re, una delle mogli di David. Possiamo leggere il v. 17 in riferimento al v. 13: chi parla prima di aver ascoltato il suo interlocutore/avversario si espone alla vergogna e rivela la sua stoltezza perché, nel momento in cui il suo rivale prenderà la parola per far valere le sue ragioni, verranno smontate le sue tesi e smascherate le sue colpe. Il v. 18 completa questo quadro indicando la fine del contenzioso. Stupisce che le questioni vengano risolte ricorrendo alla pratica del tirare alla sorte come autorità inappellabile (Lv 16,8; Gs 7,14)- consuetudine accettata ma con riserva (lSam 14,32)- soprattutto dopo aver letto che il giudice supremo che non si lascia irretire da alcun fato è YHWH (Pr 16,33). Evidentemente i redattori finali non sembrano avere la preoccupazione di uniformare i detti conferendo loro coerenza logica e teologica.

180

PROVERBI 18, 19

t~-n~'li?~ l'lP,~~ n~ 19

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18,19 Offeso (ll~E?H - La Settanta ha («aiuto», «soccorritore>>}, forse leggendo l'ebraico l!'m («salvatore»); la lettura è seguita dalla Vulgata: frater qui adiuva-

J3ot19o~voç

T :

tura fratre (un fratello aiutato da un fratello) e dà un senso molto diverso al proverbio. 18,21 Chi/a usa bene (~~)-Alla lettera: «chi la ama». La nostra traduzione esplicita il senso

Nel v. 19 segnaliamo l'originalità della metafora della fortificazione: il fratello con il quale c'è stata una lite si offre onnai inaccessibile e irraggiungibile. L'esperienza concreta insegna ai maestri una sapienza di vita che sa far tesoro anche delle situazioni negative affinché queste non vengano reiterate (Dt l, 16). Come l'affetto tra fratelli o parenti può essere grande, altrettanto grande è l'odio che si può generare sia per la gelosia (cfr. la storia di Caino e Abele in Geo 4 o quella di Giuseppe in Geo 37), sia per interessi (cfr. la vicenda di Esaù adirato con il fratello Giacobbe in Geo 27). In fondo l'ambivalenza testuale che fa dire alla Settanta (cfr. nota) il contrario del testo ebraico esprime, precipuamente, questa duplicità di atteggiamenti così distanti tra di loro ma anche così prossimi. Leggendo i vv. 20-21 si ha come l'impressione di averli già incontrati altrove nel libro dei Proverbi. In effetti i frutti della bocca, cioè le parole, si menzionano in 12,14; 13,2.3; 14,14; che la parola possa essere veicolo di morte si evince dalla descrizione della donna straniera e della donna Stoltezzza (2; 7; 9,13-18), alle quali si oppone la parola di vita del maestro (3, l; 4, l O) e della Sapienza (8; 9, 1-6). Sull'uso della lingua cfr. anche Sal34,14-15; Mt 12,37; Gc 3,9. Circa l'importanza di un buon matrimonio (v. 22) rinviamo al commento di 17, l (cfr. Sir 36,23-27). Il saggio sponsorizza il matrimonio monogamico vissuto nella fedeltà al capitolo 5 (cfr. anche il commento a 19,13-14). L'esperienza dei sapienti è, tuttavia, anche negativa risentendo, spesso, delle convinzioni di genere della cultura imperante. Qohelet esclama, infatti, che «Un vero uomo su mille l 'ho trovato, ma una donna fra tutte non l 'ho trovata» (7 ,28). L'attenzione ai poveri (v. 23) è un tema che sta a cuore all'autore di Proverbi:

181

PROVERBI 19,1

Un fratello offeso è più inespugnabile di una roccaforte, l le liti sono come le sbarre di un palazzo fortificato. 2°Con il frutto della bocca un uomo soddisfa il suo ventre, l ognuno si sazia con il prodotto delle sue labbra. 21 Morte e vita sono in potere della lingua l e chi la usa bene ne mangerà i frutti. 22 Chi trova una moglie trova il bene l e ottiene il favore di Y HWH. 23 11 povero parla supplicando, l il ricco risponde con durezza. 24 Ci sono compagni che sono una rovina l'uno per l'altro, l ma c'è l'amico che è più legato di un fratello. 19

19

Meglio un povero dalla retta condotta l di uno stolto dalle labbra perverse.

1

del testo, che trova confenna nella Settanta: «coloro che l'afferrano» (ot & KpatOWrfç aÙti"f;). 19,1 Di uno stolto dalle labbra perverse &9=? ~~:T! ,.~ rzip~)- Alla lettera: di ~~ NW~ [ i19tr'r!~ 1 i19tr'ni 1 iiJ?tr':~~ 9

:'lt;?ir-1 iilf1 ;,~Jj-c~ '?.

19,16 Ma chi abbandona -Invece di: :'11i:l si deve leggere :'11i::l, perché c'è stato probabilmente un errore scribale, con l'omissione del , in ragione della terminazione del sostantivo che precede (idf?~).

Morirà- Leggendo il qerè n,o~ (così la Settanta e il Targum); il ketìb nt;W («sarà messo a morte») è preferito dalla Versione siriaca e dalla Vulgata. 19,19 L 'iracondo - Il testo da leggere

il proprio carattere) nel proverbio del v. 16 si trova l'espressione - tipica della tradizione deuteronomista - «custodire il precetto» (siimar mi$wci) che può avere due principali significati. Il primo rinvia al precetto della Legge da osservare come espressione di fedeltà all'alleanza (Dt 11 ,22; 27,1; Gs 22,5; 2Re 17,19); il secondo riguarda l'istruzione patema da accogliere e praticare come norma di vita (4,4; 6,20.23; 7,2). Le due interpretazioni non si escludono, soprattutto in considerazione della sovrapposizione che si delinea in Pr 1-9 tra la parola del saggio e quella di Dio. C'è un rapporto diretto tra l'atteggiamento benevolo verso il povero e il comportamento di YHWH (v. 17). Ciò era già emerso in 17,5 e trova qui un'ulteriore esplicitazione. A fronte di tutta quella gente che prende le distanze dagli indigenti reputandoli un "investimento non produttivo" per ricevere favori dai potenti (vv. 6-7), il sapiente indica nel povero una fonte di guadagno o, almeno, un'occasione per accedere a un beneficio. Lungi dall'essere un proverbio che istiga a una morale utilitaristica (do ut des), queste parole attualizzano un dettame della Legge sul dovere di solidarietà verso il proprio fratello povero formulato in Dt 15,9-10: «Bada di non avere dentro di te un pensiero da canaglia, dicendo: "È vicino il settimo anno, l'anno del condono"; così che il tuo sguardo diventi duro verso il tuo fratello indigente e tu non gli dia nulla; egli si appellerà a YHWH contro di te e tu sarai colpevole. Dagli con generosità, quando doni non farlo a malincuore; perché proprio per questa azione YHWH tuo Dio ti benedirà in ogni opera e in ogni impresa>>. Il v. 18 è carico di positività educativa. Sebbene i maestri siano ben consci della

187

PROVERBI 19,21

Chi custodisce il precetto custodisce se stesso, l •ma, chi abbandona la propria condotta morirà. 17Chi ha pietà del povero fa un prestito a YHWH: l Egli gli restituirà l'opera buona. 18 Correggi tuo figlio, perché c'è speranza, l ma non !asciarti andare fino a ucciderlo. 19L'iracondo deve subire la punizione: l se lo risparmi ne dovrai aggiungere sempre di più. 20Ascolta il consiglio e accetta la disciplina, l affinché tu sia saggio fino al termine della tua vita. 21 Molti sono i progetti nel cuore dell'uomo, l ma solo i disegni di YHWH sussistono. 16

(qerè) sarebbe ',·v («grande»), a fronte di ',!) (ketìb, «porzione)), «parte))). La traduzione letterale sarebbe, quindi, !JW O"~~Z, Ui:ll29 lt'T:

.......

JT

10,3). In Pr 19,23 si rassicura, perciò, che la presenza dinamica del Signore sarà improntata alla benevolenza e non alla punizione per chi lo teme. //19,24 Testo parallelo: Pr 26,15 19,27 Dalla sapienza (M.PT'J'?t.tQ)- Abbiamo inteso M.P1 come sinonimo di :"''?:lçt («sapienza»). Per mantenere il parallelismo

La conispondenza tra il v. 22 e il v. l del capitolo è diretta. Valgono più la misericordia e la fedeltà vissute in povertà della menzogna, pur in presenza di tanta ricchezza. Chi accumula ricchezze in questo modo non avrà successo reale e duraturo (w. 5.9; cfr. anche 21 ,fi).

Temere Dio è garanzia di una vitalunga(v. 23), come si legge in 14,27: «Il timore di YHWH è fonte di vita per sfuggire ai lacci della morte». Sin dall'inizio del libro l'affetto e il rispetto verso il Signore sono raccomandati come garanzia di vera sapienza (1,7; 2,5; 8,13; 9,10). Con un'immagine a effetto («chi ne è pieno») il proveibio presenta l'uomo come un vaso ricolmo di fede e autentica religiosità, che giace in tutta tranquillità perché non teme di infrangersi: la cura amorevole di Dio lo preserva per la vita. In continuità con il v. 15, al v. 24 si menziona il pigro, che in questo versetto è colto nell'atto di prendere cibo. Anche se si trova nella possibilità di acquisire dei beni, ne è impedito dalla sua svogliatezza. Il giudizio sull'indolente e la sua inedia cronica è duro perché la sua flemma mppresenta l'esatto contmrio dell 'iperattività della Sapienza (cfr. 9,1; 31,10-31). Non è un caso che il v. 24 sia ripetuto quasi identicamente in 26,15. Se è vero che c'è speranza nel progresso e nella crescita dell'educando (v. 18), è parimenti palese che, a differenza del saggio, il beffardo (v. 25) rifiuta ogni intervento educativo nei suoi confronti (9,7-9; 14,6; 15,12). Esiste, tuttavia, una lezione positiva che si può trarre anche da tanta ostinazione: correggere il beffardo è un insegnamento per l 'uomo intelligente, perché costui apprende, in negativo, come non bisogna diventare e gli atteggiamenti da non condividere. Awalora questa istruzione al contrario la ripetizione dello stesso concetto in 21, 11.

189

PROVERBII9,29

l meglio un povero che un bugiardo. 11 timore di YHWH è per la vita l e chi ne è pieno dorme

2211 pregio dell'uomo è la sua bontà; 23

(tranquillo) senza essere raggiunto dalla sventura. 11 pigro tuffa l~ mano nel piatto, l ma non è capace di riportarla alla bocca. 25 Percuoti il beffardo e l'inesperto diventerà accorto, l rimprovera l'intelligente e comprenderà. 26Un figlio svergognato e disonorato l rovina il padre e fa fuggire la madre. 27 Figlio mio, cessa di ascoltare la disciplina l se vuoi allontanarti dalla sapienza. 2811 testimone malvagio si beffa del diritto l e la bocca degli uomini cattivi ingoia l'iniquità. 29J>er gli spavaldi sono pronti i giudizi l e le percosse per il dorso degli stolti. 24

r

,

con «disciplina>> di 27a abbiamo omesso

'JI?I( (il Testo Masoretico andrebbe tradotto: «dalle parole di conoscenza»). 19,29 I giudizi (C'~çl!Zi)- La Settanta legge ~n yEç («punizioni», «colpi»), presupponendo l'ebraico in c·~itzi («fruste», come in IRe 12,11; cfr. anche l'uso del termine in Pr 26,3);

tale lettura era seguita dalla versione CEI del 1974: «Per i beffardi sono pronte le verghe». La Vulgata conferma, invece, il testo ebraico (iudicia). Manteniamo il testo ebraico in quanto lectio difficilior che si può intendere nel seguente modo: i giudizi sono pronti in quanto sono già state decretate le percosse per gli stolti.

Molto vicino al v. 26 è 17,21, al cui commento rimandiamo. L'espressione «fa fuggire la madre» è poco chiara. Forse allude al figlio che, con il suo fare offensivo, provoca l'allontanamento della madre, la quale è così rifiutata in malo modo. Oppure, in base a Dt 21,18-21, «fa fuggire la madre» può significare che questa porta il figlio dagli anziani per poi allontanarsene, in segno di rifiuto e abbandono. .

esistenziale che conduce alla fame il pigro (cfr. anche 6,6-11 ). Egli, schiavo della propria noia atavica, non ha la percezione del tempo e del trascorrere delle stagioni. Al v. 5 si esprime la fiducia nella capacità di introspezione umana. Se è vero che il cuore è ingannevole e incurabile, al punto che il profeta Geremia si chiede chi potrà conoscerlo fino in fondo (17,9), è altrettanto vero che l'educazione sapienziale mira proprio a conoscere meglio se stessi in vista del conseguimento di una vita pienamente riuscita. Infatti una delle differenze fondamentali tra la categoria degli insipienti e quella dei saggi è, appunto, la piena percezione di sé e delle conseguenze delle proprie azioni (Pr 5,6: «[l'estranea] non percorre la strada della vita, i suoi sentieri si perdono e non se ne rende conto»; cfr. anche 9,18; 28,22). Il contenuto di 6a («Molta gente proclama la propria bontà») si può confrontare con 18, 17 (chiunque si difende ostenta la propria innocenza), anche se il contesto di questo versetto è giudiziale. Una domanda simile a quella consegnata in 6b («una persona fidata chi la trova?») si legge in 31,10: «Una donna forte chi potrà trovarla?». A questo interrogativo si risponde offrendo il ritratto della saggia per antonomasia, ma normalmente i saggi non sembrano particolarmente entusiasti dei loro contemporanei (cfr. il v. 9): l'esperienza li ha condotti a diffidare di tutti e a usare molta prudenza nello scegliere le persone amiche alle quali aprire il cuore (cfr. Sir 6). L'integrità dei genitori procura la felicità dei figli (v. 7). Essa consiste sia nell'onore che deriva dali' aver avuto dei padri illustri, sia dalla situazione patrimoniale che questi hanno conseguito. Non bisogna dimenticare, infatti, che secondo la teoria classica della retribuzione il giusto riceve il benessere fisico e materiale come premio e, allo stesso tempo, segno della sua integrità morale e religiosa (cfr. la vicenda di Giobbe, che alla fine riceve molto di più rispetto a quanto possedeva prima di cadere in disgrazia).

PROVERBI 20,8

192

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20,10 Doppio peso e doppia efa (i1fii'~1 i1~'~ l~N.! l~N,)- Letteralmente si dovrebbe tradurre con l'espressio-

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ne: «pietra e pietra, efa ed efa»». Le pietre sono i pesi della bilancia (cfr. v. 23; Pr 16, Il); i1fi1 ·~ indica sia una misura

Quello del v. 8 è il secondo proverbio del capitolo che si interessa alla figura del re (il terzo è al v. 26, il quarto al v. 28). Il sovrano è qui presentato nell'atto di presiedere la seduta in tribunale come Salomone in IRe 3. Dalle descrizioni che riguardano il re nell'intero libro dei Proverbi emerge una figura molto ieratica e distante, che rivela l'ideale del sovrano a cui i sapienti aspirano o, molto più probabilmente, l'ideale che vogliono formare con i loro consigli di sapienza (cfr. 25,2-7). C'è qualcuno che nella Bibbia ha professato la propria innocenza? L'autore se lo domanda al v. 9 e sembra supporre una risposta negativa. Ci sono, comunque, dei testi in cui non si registra alcun timore nel proclamarsi integri e alieni dal male. Ci riferiamo al Sal 7 («Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia e secondo l'innocenza che è in mio favore», v. 9) e, soprattutto, allibro di Giobbe: costui è il "campione" dell'autodifesa (cc. 29-31 ), convinto come nessun altro della propria integrità che, tra l'altro, è stata riconosciuta anche da Dio (1,1.8; 2,3) e soltanto alla fine del libro Giobbe ammetterà timidamente di aver avuto un'idea incompleta di Dio, aggiungendo: «Mi pento» (42,6). Il collegamento tra la giustizia nel commercio e la fede in Dio (v. l O) è ben delineato in 16,11 («La bilancia e i piatti giusti appartengono a YHWH, tutti i pesi del sacchetto sono opera sua»>). La tradizione profetica pre-esilica coglie nella frode del prossimo la diretta offesa di Dio e la conseguente vanificazione del culto (cfr. Os 12,8; Am 8,5). Lapidaria è la frase di Isaia: «lo non sopporto più iniquità e feste solenni» (1,13). Il senso della misura, aspetto che connota fortemente la letteratura sapienziale, spinge i sapienti a mitigare l'affermazione del v. Il con le parole di Ben Sira:

193

PROVERBI20,14

Il re che siede in tribunale l con il suo sguardo disperde ogni malvagio. Chi può dire: > (Pr 19,28; Gio 2, l; ls 49, 19); , «annunciare>> (2Sam 17, 16); 3) «Confondere», «essere confuso» (ls

Commentando il v. Il è emerso il senso del v. 18: i cattivi hanno un insegnamento prezioso da offrire ai buoni, in quanto la loro condotta e l'esito al quale questa conduce è l'esempio migliore di come non bisogna comportarsi. Rispetto alla formulazione del v. 9, facciamo notare al v. 19l'aggiunta dell'aggettivo «irritabile» (kii 'as), che rimanda al rapporto di gelosia/rivalità- condito con una certa vessazione- tra le due donne di Elkana, Anna e Peninna (l Sam l ,6), oltre a denotare la gravosità della rabbia dell'uomo folle (Pr 27,3). L'antitesi principale che il v. 20 mette ben in evidenza è: premura (del saggio) l sciupio (dello stolto). La sapienza reca con sé, oltre alla ricchezza materiale, la capacità di valutare con finezza la bellezza della vita e delle cose, mentre la stoltezza abbruttisce (cfr. la conoscenza delle realtà create che Salomone possedeva secondo l Re 5, 13). L'insipienza, infatti, è in sé grossolana in quanto perde di vista l'altro e, ruotando attorno a se stessa in quanto chiusa nel proprio mondo (vv. 10.13), annichilisce tutto ciò che attraversa la sua strada. La giustizia (v. 21) è uno dei sinonimi della sapienza (l ,2-6) e la misericordia è uno degli attributi divini che il sapiente deve annoverare nel proprio bagaglio

205

PROVERBI 21,25

11 malvagio è riscatto per il giusto l e il perfido per gli uomini retti. 19Meglio abitare in una terra deserta l che con una moglie litigiosa e irritabile. 20'fesoro prezioso e profumo sono nella dimora del saggio, l ma l 'uomo stolto consuma tutto. 21 Chi ricerca la giustizia e la misericordia l troverà vita, giustizia e gloria. 2211 saggio assalta una città di guerrieri l e abbatte la fortezza in cui essa confidava. 23 Chi custodisce la bocca e la lingua l preserva se stesso dalle afflizioni. 2411 superbo arrogante si chiama beffardo, l egli agisce con orgoglio smisurato. 25 11 desiderio del pigro lo uccide, l perché le sue mani rifiutano di lavorare; 18

19,3; 28,7; Sal 107,27). Abbiamo reso con ((Consumare)) perché rende il senso dell'azione dello stolto: costui, a diffe-

renza del saggio che sa custodire realtà delicate come il profumo, sciupa e distrugge ogni cosa.

attitudinale (v. 13). La gloria e la vita sono i beni che spettano a chi vive rettamente (Pr 3, 16; 8, 18.34-35; 22,4), in opposizione alla morte alla quale sono condannati i malvagi (v. 16). Se il saggio in 16,32 ha decantato la superiorità della sapienza rispetto alla forza bruta di chi ha il potere di compiere opere memorabili (cfr. anche 24,5), qui al v. 22 aggiunge che anche il vigore fisico è uno dei frutti della sapienza (cfr. inoltre Qo 9,13-16). D'altronde anche in 20,18 si legava la guerra- e i suoi esiti positivi - all'esercizio della prudenza. Espugnare la fortezza ha un valore simbolico: significa relativizzare le certezze di chi confida solo in se stesso (nelle proprie armi e nelle proprie roccaforti). Per il v. 23 rinviamo al commento su 13,3 e 18,21. La descrizione del beffardo proposta al v. 24 sembra far echeggiare, nell'uso e nella ripetizione ridondante delle parole, l'atteggiamento di esagerata arroganza che caratterizza questo soggetto comportamentale (cfr. 14,6; 15,12; 22,10; 24,9). In 3,34l'opposto dell'altezzoso beffardo è l'umile ( 'anaw). I vv. 25-26 sono accomunati dallo stesso soggetto, il pigro. Il suo tallone di Achille è il desiderio. Nella sua indolenza egli è colpito da un'aritmia tale che

206

PROVERBI 21,26

:U~f:;l7 i1~T:r'f. ~~ :,::J.i' •·· -:

md' voiw W'N1 - r:T

- -

r :

[ :i:fl"'!1

:;,,.,; i~l7 ;,*~ 1'~1 :i1~~1Pf;liJ i1li1'?i 21,26 Manca nel testo ebraico il soggetto della frase del primo emistichio. Dalla Settanta si potrebbe mutuare «l'empio» (àaEJ3Tlç), ma il v. 26 può essere considerato come la continuazione del v. 25 (così la Vulgata). Il soggetto di 26a è, perciò, il pigro. Comune ai due versetti è anche il tema del desiderio. 21,29 Rafforza - Seguiamo il ketìb r:~:

i1J~=u~ r~1 i19~t:! 1'~ 30

;,gt:17Q oi~7 1:;nq o~0 31 r:;l:

(«rafforza»), mentre il qerè è («rende intelligente»; cfr. 14,8 e 20,24 dove si legge un'espressione identica a quella suggerita dal qerè). Abbiamo optato per il ketìb in ragione del parallelismo con il primo emistichio attorno al tema della forza/rafforzamento: «fa la faccia tosta», infatti, alla lettera sarebbe «rafforza (t.p;::t) la sua faccia».

gli impedisce di esprimere nei tempi e nei modi giusti la propria brama di vivere. L'assenza di una tempistica oculata porta il pigro a vivere fuori dal mondo (20,4), è causa di miseria e gli procura, in ultima analisi, la morte ( 13,4; 19, 15). La tragicità della sua situazione lo rende schiavo di se stesso: vorrebbe, ma non riesce nei suoi intenti, passando l'intera giornata in questa situazione di stallo. La conclusione di 26b descrive, invece, in una pennellata la situazione del giusto che, libero di donare, elargisce con generosità (cfr. 11,24; 19,17; At 20,35). Il primo emistichio del v. 27 è comune a 15,8a (rimandiamo al commento di sopra). 27b contiene l'aggravante del comportamento abominevole descritto in 27a. L'offerta del sacrificio fatta con intenzioni non rette (cioè senza la sincera volontà di emendare la propria condotta) rende l'intero atto liturgico deprecabile in quanto offende la santità di Dio. Su questo tema cfr. ls 1,10-20; Sir 34,18-35,10. Sul destino del falso testimone (v. 28) si legga quanto già detto in 6,19; 12,17; 19,5.9.28 (anche 25,18). Più difficile è cogliere il senso di 28b e il legame con 28a Possiamo provare a interpretare dicendo che, a differenza del bugiardo che viene smascherato, chi parla con prudenza, dopo aver ascoltato, potrà consegnare la propria testimonianza senza timore di essere interrotto o contraddetto (cfr. 18, 17). Al contrario in 18, 13 si legge che «chi risponde prima di avere ascoltato mostra stoltezza e confusione>>. Il v. 29 si focalizza attorno all'immagine della forza/rafforzamento. All'indurimento del volto del malvagio (probabilmente in ragione del suo persistere nel

207

PROVERBI 21,31

persegue la sua brama tutto il giorno, l mentre il giusto dona senza nserve. 2711 sacrificio dei malvagi è un abominio, l tanto più se offerto con cattiva intenzione. 28 11 falso testimone perirà, l ma chi ascolta potrà parlare sempre. 2911 malvagio fa la faccia tosta, l ma l 'uomo retto rafforza la propria condotta. 31Non c'è sapienza, non c'è intelligenza, l non c'è consiglio indipendentemente da YHWH. 31 Si prepara il cavailo per il giorno della battaglia, l ma è YHWH che dà la vittoria. 26

21,30 Indipendentemente (,p',) - La preposizione ,p ha normalmente un'accezione spaziale: , «di fronte». Affermare che davanti al Signore non c'è consiglio significa, tuttavia, misconoscere un "dogma fondamentale" della sapienza biblica, che ravvisa in YHWH la sorgente della sapienza e dei suoi "derivati" (Pr l, 7). Abbiamo per-

ciò tradotto ,~~', leggendovi un significato avversativo: non c'è conoscenza «in opposizione» al Signore nel senso che non può esistere una sapienza che prescinda da Lui (cfr. Sal 5,6; 101,7). La Vulgata conferma in parte questa interpretazione leggendo: non est sapientia non est prudentia non est consilium contra Dominum.

praticare il male, che lo rende sfacciato come la donna di 7,13) corrisponde il rafforzamento dell'uomo retto che si conferma nel proprio comportamento anche grazie .all'intervento divino (cfr. 16,9). I due proverbi teologici dei vv. 30-31 chiudono l'intero capitolo, che si era aperto con un triplice riferimento a YHWH (vv. 1-3). Nel primo proverbio il saggio consegna la convinzione- ben radicata sin dalle prime battute del libro dei Proverbi -che Y HWH è l'origine di ogni sapienza (1,7; 9,10). Ogni tentativo di fondare una scienza sulla propria intelligenza o sulle proprie capacità volitive (cfr. 3,5) è destinato al fallimento, perché l 'uomo da se stesso non può procacciarsi questi beni: la sapienza rimane indisponibile e sempre al di là delle sue forze (Gb 28). «Indipendentemente)) da YHWH non c'è sistema di pensiero che tenga, così come Paolo proclamerà a chiare lettere anche in 1Cor 1,18-31. Il secondo proverbio (v. 31) continua, con un linguaggio militare, l'idea di fondo del primato di Dio nella vita dell'uomo. Il significato del cavallo come immagine della forza e dell'abilità bellica emerge dal confronto con il Sal33, in cui si legge: «Il cavallo è un inganno (impotente o inutile) per la salvezza (vittoria) e non può liberare nessuno con la sua grande forza>> (v. 17). È una falsa certezza il vigore che proviene dal montare un cavallo in battaglia, perché l'esito dello scontro dipende solo dal volere divino. L'invito a non affidarsi alla propria forza o a quella degli animali quando si va in battaglia è rivolto particolarmente a Israele, il cui unico liberatore è YHWH (cfr. Dt 20,1; Ger 9,22-23; Os 1,7; Sal20,8).

208

PROVERBI 22,1

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22,1 Un buon nome (C'Zi un ).

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lettera:

//22,3 Testo parallelo: 27,12 22,6 Sulla via (i:l"TJ ~P)- Alla lettera: «sulla

22,1-16 Educare alle virtù Con questi versetti si chiude la prima grande raccolta salomonica. I temi affrontati principalmente sono quattro: il rapporto ricchezza/povertà a cui sono dedicati cinque versetti che offrono preziosi suggerimenti comportamentali (l; 2; 7; 9; 16); l'educazione dei giovani (vv. 6.15); le virtù come la generosità, l'accortezza, la schiettezza, la giustizia e la benevolenza(vv. 3.4.9.10.11) e l'importanzadi una buona fama(v. 1). Il nome (v. l) esprime la realtà stessa dell'uomo ed era particolarmente importante avere una buona stima sociale. Tenendo presente che la prospettiva di una vita piena dopo la morte si fa strada gradualmente e solo nei testi più recenti (2 Maccabei e Sapienza), la convinzione espressa dal saggio Ben Sira in rapporto alla sussistenza del buon nome anche dopo la morte dell'uomo avvalora maggiormente quanto espresso in questo primo versetto (cfr. Sir 41,10-13). Di diverso avviso è, invece, Qohelet, per il quale «la memoria del sapiente scompare come quella dello stolto, per sempre; ben presto entrambi saranno dimenticati. Dunque, anche il sapiente muore proprio come muore lo stolto!» (2,16). n senso del v. 2 è chiaro: Dio ha creato l'uomo indipendentemente dal suo status. Questa istanza egualitaria emerge di tanto in tanto nei hbri sapienziali facendo intravedere le prospettive sociologiche in cui si pongono gli autori biblici. In Gb 31,15 Giobbe afferma, in rapporto allo schiavo: «Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a fonnarci nel seno?». Così anche il re nel libro della Sapienza: «Anch'io sono un uomo mortale come tutti e discendente del primo essere, plasmato di terra ... Uguale è l'ingresso di tutti nella vita e uguale l'uscita da essiD> (7, 1.6); cfr. anche Ml2, 10. L'antitesi del v. 3 oppone due soggetti che esprimono due diverse tipologie comportamentali: l'uomo accorto ( 'iirom), che sa discernere i modi e i tempi nei quali esprimere i propri stati d'animo (12,16.23; 13,16), sempre prudente nell'evitare il

209

22

PROVERBI 22,6

Un buon nome è preferibile a grandi ricchezze l e la benevolenza (altrui) vale più dell'argento e dell'oro. 211 ricco e il povero s'incontrano (in questo): l YHWH ha creato l'uno e l'altro. 3L' accorto vede il male e si nasconde, l gli inesperti passano e vengono puniti. 41 frutti dell'umiltà sono il timore di YHWH, l la ricchezza, la gloria e la vita. 5Spine e lacci sono sulla via del perverso; l chi ha cura di se stesso se ne tiene lontano. 6lndirizza il giovane sulla via da seguire; l neppure da vecchio se ne allontanerà. 1

bocca della sua via». ll verNetto manca nella Settanta, mentre la Vulgata Io riporta avvalorandolo

con l'introduzione proverbium est, sullo stile di una sentenza onnai consolidata dalla tradizione.

male e nella scelta del bene ( 14,8); e l'inesperto (petf) che, a causa della sua ingenuità, diviene vittima della seduzione (c. 7) e della cattiveria altrui. Emerge da questo versetto una constatazione: i sapienti preferiscono incoraggiare la fuga strategica di fronte al male, in quanto sono consapevoli delle potenzialità insite nel cuore umano. I benefici dell'umiltà sono stati indicati anche in 15,33 e 18, 12. Nel v. 4 dall'umiltà procedono quattro beni preziosi: uno inerente alla vita spirituale (il timore di Dio) e gli altri tre in relazione alla vita sociale. Questo proverbio conferma la visione olistica della realtà che hanno i maestri d'Israele: sia i beni materiali che quelli spirituali procedono dal medesimo atteggiamento di umile accoglienza di ciò che la vita elargisce. Sul timore di YHWH cfr. 1,7. Non deve essere per nulla fucile la vita dell'uomo perverso: quasi come in una fitta selva egli conduce Wl' esistenza piena di lacerazioni e priva di reale libertà (v. 5). Verrebbe da chiedersi come mai egli perseveri in questa condizione se il hbro dei Proverbi non offiisse già una risposta: il male si presenta come una realtà fascinosa e attraente (9, 17; 21, l O) che inebria chi lo pratica (2, 14), istigando a sempre nuove azioni inique. Ciò che il malvagio ignora è che, alla fine, questa realtà tenebrosa lo ingoierà definitivamente (l, 18-19; 5,23). Chi, invece, ha cura di sé si tiene a debita distanza da questa realtà così pericolosa ( 16, 17), ravvisando nell'osservanza della Legge il miglior antidoto contro ogni male (19,16). Il «giovane» (v. 6) è il ragazzo/adolescente che si affaccia alla finestra della vita (cfr. nota a 7,7): se è ben istruito egli saprà far tesoro degli insegnamenti e dei consigli dei sapienti. Un esempio di vita riuscita si ritrova in 4,3-4, in cui il padre-maestro consegna la propria esperienza di figlio affinché anche il suo allievo possa condividerla. La sentenza di 22,6 è ispirata a grande fiducia pedagogica, cosa assai rara nel libro, in cui, come si evince anche dal v. 15, prevale la linea della moderazione (cfr. anche Sir 11 ,28).

210

PROVERBI 22,7

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:T1~1~ nt1hi 'liJ!~ 22,9 Generoso > (19,17; anche 11,25). Nei vv. 22-23 si specificherà che l'azione retributiva posta in essere da YHWH ha anche una dimensione punitiva verso chi affligge i poveri. Al v. l Osi legge ancora un proverbio sul «beffardo», a conferma del fatto che un simile soggetto è più che una semplice finzione o astratta invenzione comportamentale. Coerentemente con tutti gli altri testi in cui compare, l'autore biblico si sofferma su due aspetti salienti di tale figura, già tratteggiati sin dalla prima menzione nel libro (9, 7-8): l'irrefrenabile litigiosità e l'inutilità dell'azione correttiva a lui rivolta.

211

PROVERBI 22,13

11 ricco domina sul povero l e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore. 8Chi semina iniquità raccoglie disgrazia l e il bastone della sua collera cesserà. 9Chi è generoso sarà benedetto, l perché dona il suo pane al povero. 10 Scaccia il beffardo e la contesa se ne andrà: l cesseranno la lite e la vergogna. 11 Chi è schietto nell'animo l e parla in modo benevolo sarà amico del re. 12Gli occhi di YHWH custodiscono la conoscenza, l ma egli confonde le parole del perfido. 1311 pigro dice: «C'è un leone là fuori: l sarò ucciso in mezzo alla strada». 7

di «avaro» in 23,6 e 28,22. Simile è la locuzione ::l':r::l~ («buono di cuore}}), 1.n-?tot1 -

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:ni~o/Q o'~lV~ :'Tf'~t;lt!Q 'ir:;t:tV?~ niP-~ ;,rp~ 22,20 Trenta consigli di conoscenza (n~n1 n~~;~~ c•w·';l~) - II testo ebraico non è interpretato univocamente: sia nel ketìb (ciw';lw, «l'altro ieri») che nel qerè (c·~·';l~; ·alla lettera: ((terzi», ma è un tennine tecnico che indica un'unità di combattimento su carro da guerra, cfr. Es 14,7; IRe 9,22) si legge un rimando al numero tre. Il confronto con le antiche

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versioni non aiuta a risolvere l'ambiguità. La Settanta, il Targum, la Versione siriaca e la Vulgata leggono ((tre volte». Spesso si propone di cambiare in c•tZì';l~ ((drenta»), in analogia a quanto si legge nell'istruzione egizia di Amenemope (((Considera questi trenta capitoli che istruiscono ed educano»; 27,7-8). Accogliamo questa ipotesi di emendamento anche se è diffi-

È ormai un dato acquisito, nel panorama degli studi sul libro dei Proverbi, la dipendenza dall'opera didattica egizia Insegnamento di Amenemope di alcune massime di questa terza collezione (vv. 20.22.23): lo scriba (o gli scribi) conosceva questo patrimonio sapienziale e ha attinto l'attenzione ai poveri in esso contenuta. «Trenta» al v. 20 sarebbe un richiamo diretto alle trenta stanze/case (cioè capitoli) di quel testo egizio: «Considera questi trenta capitoli che istruiscono ed educano» (Insegnamento di Amenemope 27,7-8). Non è ben chiaro il contesto in cui interpretare i verbi «riferire» e «rispondere» del v. 21. In 27, Il il padre invita il figlio a essere saggio affinché egli possa dare una risposta a chi lo oltraggia, probabilmente a causa della sua (del figlio) stoltezza. Ne deriva, perciò, che il senso del versetto è legato alla prontezza di parola e all'abilità dialettica che la sapienza dona per poter confutare gli oppositori. Sembra da escludersi il contesto giudiziale in cui rispondere equivarrebbe a difendersi. La domanda retorica avvalora la portata dell'offerta sapienziale: essa è consegnata esclusivamente con il fine di generare uomini abili e accorti nell'uso della parola.

215

PROVERBI 22,27

DN"on ho forse scritto per te ·trenta, l consigli di conoscenza, perché tu sappia riferire in modo conveniente parole di verità l e rispondere a quelli che ti interrogano? 22 Non depredare il povero perché egli è povero l e non affliggere il misero in tribunale, 23perché YHWH difenderà la loro causa e l spoglierà della vita coloro che li hanno spogliati. 24Non frequentare un collerico l e non ti accompagnare a un uomo collerico, 25 per non apprendere i suoi comportamenti l e procurarti una trappola mortale. 26Non essere tra quelli che danno la mano l e si fanno garanti dei debiti altrui, 27perché, se poi non avrai da restituire, l ti si porterà via il letto. 2

21

cile applicarla al testo del libro dei Proverbi, perché non si riesce a capire come possa trovare applicazione l'indicazione numerica. Nella difficoltà di offrire una traduzione elegante che allo stesso tempo rispetti il testo, abbiamo deciso di rendere 20b in questo modo: «trenta consigli di conoscenza» (alla lettera: «trenta in consigli e conoscenza»).

22,21 Rispondere (::l'~;;t';') -Alla lettera: «per far riportare» (le parole). A quelli che ti interrogano (1'1)"tzl")- Alla lettera: «a quelli che ti mandano». 22,22 In tribunale (,-1!~~)- Alla lettera: ~~alla porta», cioè in un luogo aperto, generalmente all'ingresso della città o nella sua piazza principale, in cui si amministrava la giustizia.

22,22-29 Povertà, proprietà e lavoro Sul rapporto stretto e privilegiato tra YHWH e il povero (vv. 22-23) e sulla retribuzione diretta (con sanzioni o premi) di coloro che interagiscono con quest'ultimorinviamoalcommentodi 14,31; 17,5; 19,17. Per i vv. 24-25 si possono confrontare i seguenti passi dell'Insegnamento di Amenemope: «Non farti amico del collerico e non aver relazione con lui» (Il, 13); «Non aver fretta di congiungerti con lui perché non si abbatta su di te la catastrofe» (13,8-9). L'uomo violento è da evitare anzitutto perché la sua furia può mettere in pericolo la vita di chi gli sta accanto (Sir 8, 15-16); inoltre, l 'influenza negativa che esercita sul discepolo potrebbe spingere quest'ultimo a imitarne la condotta ignorando che comune sarebbe anche la sorte finale di entrambi. L'istituto della garanzia finanziaria (vv. 26-27) è una pratica deplorata in quanto fondata su basi aleatorie e, perciò, pericolosa, soprattutto quando ci si fa garanti di un estraneo che non offre alcuna forma di copertura economica (cfr. 6, 1-5; 11, 15; 17, 18). Farsi portare via il letto sul quale si dorme (v. 27) significa essere privati

216

PROVERBI 22,28

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>), anche se il vocabolo è identico. 23,7 Come uno che si occupa (,.p~-ir.l:;>)-

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Alla lettera: «come uno che calcola», «che fa i conti». 23,11 Il loro vendicatore (c',K~)- Il termine ',~~ deriva dalla radice che significa «riscattare», «liberare», «redimere», «vendicare». Si usa in rapporto a un oggetto (p. es., la casa o il terreno: Lv 27,14-15), a una

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dei beni non duraturi è espressione di stoltezza. L'immagine del volo dell'aquila esprime la fugacità delle ricchezze; può essere interessante notare che, nell'interpretazione della Settanta, esse rinviano direttamente al Creatore («Se tu guardi verso di esse non appaiono in alcun luogo, perché hanno le ali come quelle di un'aquila e ritornano verso la casa di colui che è loro superiore»): le ricchezze terrene fuggono verso l'alto, verso il luogo della sua dimora, indicando i beni superiori a cui il saggio deve tendere. Il taccagno esigerà la restituzione del boccone offerto perché la generosità non è consona alla sua natura (vv. 6-8). L'espressione «le tue cortesi parole)) può significare che, anche se il saggio cerca di sdebitarsi per il banchetto con delle belle parole (p. es., ringraziando e lodando i padroni di casa), l'avaro non si riterrà per nulla appagato (cfr. Sir 14,6-1 0). Anche in 28,22 è descritto l'agire dell'uomo avaro che, al posto della ricchezza tanto desiderata, incontra solo indigenza. Il saggio dei Proverbi conferma la convinzione che solo dal Signore e dalla sapienza discende ricchezza vera e duratura (14,24; 22,4). Lo stolto del v. 9 può essere accostato al beffardo descritto a più riprese nell'intero libro dei Proverbi (9,7-8; anche nel capitolo precedente, al v. 10). Il «parlare

219

PROVERBI 23,13

mangiare il pane dell'avaro l e non bramare le sue pietanze, perché, come uno che si occupa l solo di se stesso, ti dirà: «Mangia e bevi», l ma non ti apprezza. 8Vomiterai il boccone che hai mangiato l e perderai le tue cortesi parole. 9Non parlare agli orecchi di uno stolto, l perché egli disprezzerà i tuoi discorsi prudenti. 10Non spostare il confine antico l e non invadere il campo degli orfani, 11 perché il loro vendicatore è forte l e difenderà la loro contesa contro di te. 12 Apri il tuo intimo alla disciplina l e il tuo orecchio alle parole sagge. 13 Non risparmiare al fanciullo la correzione, l anche se lo percuoti con il bastone non morirà: 6Non 7

persona (un parente caduto in schiavitù: Lv 25,48; una vedova senza figli: Rut 4,5), a una situazione (un omicidio da vendicare: Nm 35, 19). Il soggetto che realizza tale liberazione può essere anche Dio, che riscatta il suo popolo dalla schiavitù e dali' oppressione (Os 13,14; Is 51,10; Ger 3l,ll).

23,13 Correzione (.,9~0)- È l'aspetto più duro ed esigente dell'educazione; il sostantivo è tra i sinonimi della sapienza, secondo quanto si legge nel prologo del libro (l, 1-7). Nel versetto precedente si incontra lo stesso termine che però, per motivi eufonici, è stato tradotto con «disciplina».

al suo orecchio» equivale a «istruire», «ammaestrare», e non solo (o non tanto) al confidare un segreto. Chi agisce in questo modo poco prudente riceve solamente rifiuto e disprezzo. A proposito di 22,28 abbiamo commentato la prima parte di 23,10 richiamando la spartizione della terra tra le tribù d'Israele (Dt 19,14). In 23,10-11 si stabilisce un diretto collegamento tra la terra che appartiene agli orfani e la punizione divina. L'aggravante è costituita dalla particolare situazione di debolezza: un orfano non può difendersi da chi gli vuole rubare l'unica occasione dalla quale trarre il proprio sostentamento. Il v. 11 - anche se non lo dichiara esplicitamente - conferma le indicazioni della Legge, in base alle quali il vendicatore/liberatore dei poveri (come la vedova e l'orfano) è YHWH (Es 22,21-23; Dt 10,17-18). Quasi come un ritornello sapienziale si reitera la considerazione sulla necessità della correzione fisica, anche dura, all'interno del processo educativo (vv. 12-14; cfr. 10,17; Sir 30,1-13). Il bastone come strumento di correzione del discepolo compare anche in 13,24 e 22,15. La posta in gioco è la stessa vita: il regno dei morti è la dimora simbolica della donna straniera e della prostituta (v. 27).

220

PROVERBI 23,14

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=17#~ il~i?r'f.l n:Jlj-~~1 23,14 Il versetto si apre con un :"TJ;lt_t enfatico, che non è stato possibile rendere nella traduzione: «E tu .. », «proprio perché tu ... >>. 23,15 Anche il mio cuore ('lt;e-c~ •:':l) -

Qui l'enfasi è invece sul pronome di prima persona singolare ('li(C), che viene ripetuto dopo il suffisso pronominale in 'li(C; seguendo l'andamento della frase ebraica si dovrebbe

23,15-28 Dammi il tuo cuore, figlio mio L'istruzione ha linguaggio e contenuti molto prossimi a quelli ravvisati negli insegnamenti della prima collezione (Pr 1-9). In questo ulteriore ammaestramento il ruolo dei genitori è presentato - rispetto ai testi precedenti - con maggiore partecipazione emotiva. I versetti iniziali ( 15-16) introducono tutto il brano e si concentrano sull'invito all'ascolto. Il primo insegnamento (vv. 17-18) ha il suo punto focale in Dio e nella relazione con Lui; il secondo insegnamento (vv. 19-28) verte sulla giusta condotta nella relazione umana e si articola, a sua volta, in tre istruzioni: i vv. 19-21 trattano del rapporto con gli uomini; i vv. 22-25 consigliano di obbedire ai genitori richiamando il tema della gioia, già presente nei versetti introduttivi (15-16); infine i vv. 26-28 presentano tre termini già incontrati nel v. 19, e cioè l'appellativo «figlio mio» e i sostantivi «cuore» e «via». Si nota un'organizzazione concentrica; i vv. 19-21: condotta nella società; i vv. 22-25: condotta nella famiglia; i vv. 26-28: condotta nella società. 23,15-18 Se il tuo cuore è saggio anche il mio gioirà Il vocativo iniziale del genere letterario «istruzione» (anche nel v. 19) veicola l'appello rivolto al figlio ad acquisire la sapienza. A differenza degli altri insegnamenti di Pr 1-9 si esplicita maggiormente la partecipazione gioiosa del maestro al processo di crescita del discepolo (vv. 15-16). Come nella prima istruzione ( 1,8-19) si esorta a non lasciarsi attrarre dai peccatori, la cui fine è segnata dall'in-

221

PROVERBI 23,22

percuotendolo con il bastone l lo salverai dal regno dei morti. mio, se il tuo cuore sarà saggio, l anche il mio gioirà. 16Esulterò nel mio intimo l quando le tue labbra diranno parole rette. 1'Non invidiare in cuor tuo i peccatori, l ma resta sempre nel timore di YHWH, 1 ~erché così avrai un avvenire l e la tua speranza non sarà recisa. 19Ascolta, figlio mio, sii saggio l e indirizza la tua mente sulla via retta. 2ClNon essere fra quelli che s'inebriano di vino l né fra coloro che si rimpinzano di carne, 21 perché l'ubriacone e l'ingordo impoveriranno, l e di stracci li rivestirà la sonnolenza. 22 Ascolta tuo padre che ti ha generato l e non disprezzare tua madre quando è vecchia. 14

15 Figlio

tradurre: «gioirà il mio cuore, anch'io)). 23,17 Nel timore di YHWH (i"T~i"T~-n•:r)'~)Forse, tenendo conto del parallelismo, si potrebbe intendere il sostantivo i"TI;t!' in

senso più concreto e tradurre: «coloro che temono YHWH)). 23,19 Anche in questo versetto il testo ebraico riporta un i o'-:lr,:J :l::>W:J n"i11 34 t••



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:1 ~i:J.t;l~ ;,~~:l.t;l:;li :ow~1 ,i?~ 1;~-r,f 23,32 n pungerà (~El~)- Il senso del verbo è incerto in questo versetto. Normalmente ~El significa «dare una direttiva>> (Lv 24,12), ((Spiegare», ((interpretare» (Ne 8,8), da cui il

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n~it il~#~ i1rt:;n;~ 3

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senso derivato di «pungere», cioè far giungere direttamente qualcosa. La pericolosità della vipera è data dal suo morso velenoso; secondo la credenza popolare il veleno

viene versato (vv. 31-32): come un serpente velenoso che incanta la sua preda per poterla mordere, così tale bevanda non lascia scampo a coloro che si lasciano ammaliare dalla sua effervescenza. I vv. 33-35 descrivono i sintomi della sbronza e dello stato di avvelenamento: annebbiamento della vista, sproloquio e vaneggiamenti (v. 33), difficoltà nel mantenere la posizione eretta e incedere ondivago (v. 34), intorpidimento fisico e coazione a ubriacarsi nuovamente (v. 35). L'unico rimedio contro l'alcolismo -analogamente al trattamento riservato allo stolto (17,10; 19,29)- sembra essere la punizione fisica la quale, tuttavia, pare non sortire effetti duraturi. 24,1-2 Non invidiare i malvagi Come in 3,31, 23,17 e 24, 19, si esorta a non provare alcuna forma di invidia verso i malvagi, evitando non solo la loro compagnia ma perfino il desiderio di questa. La motivazione risiede nella loro pericolosità: mente e labbra (l 'uomo interiore e quello esteriore) sono totalmente votati al male e alla distruzione del prossimo. Il Sal37, che

225

PROVERBI 24,4

Non guardare il vino come rosseggia, l come scintilla nella coppa e come scende direttamente: 32 alla fine ti morderà come un serpente, l come una vipera ti pungerà. 33 Allora i tuoi occhi vedranno cose strane l e il tuo cuore dirà cose sconnesse. 34 sarà come quando ci si stende in alto mare l o si dorme in cima all'albero maestro. 35 «Mi hanno percosso, ma non mi sento male. l Mi hanno bastonato, ma non me ne sono accorto. Quando mi sveglierò l ne cercherò dell'altro». 31

24

'Non invidiare gli uomini cattivi l e non desiderare la loro compagnia, Zpoiché la loro mente medita violenza l e le loro labbra parlano di rovina. la sapienza si costruisce una casa, l con l 'intelligenza la si rende stabile 4e con la scienza si riempiono le stanze l di ogni bene prezioso e delizioso. 3Con

passava attraverso la sua lingua pungente. 23,34 Albero maestro ("~n)- Il significato del termine è incerto. Sembra avere una parentela con "::lr;t («con.llm ), da cui la tra-

duzione che tiene conto della continuità tra i due emistichi in relazione all'immagine legata al mare: un albero con delle corde che servivano per reggere la vela.

ha parole molto simili a queste, consegna anche la ragione in base alla quale l' orante non deve cedere a sentimenti di invidia o di rabbia contro i cattivi: «Non irritarti a causa dei malvagi, non invidiare quanti commettono il male ... L'empio complotta contro il giusto e digrigna i denti contro di lui. Il Signore se ne ride, perché sa che verrà il suo giornO>> (vv. 1.12-13). La formula «non desiderare>> invita ali' auto-dominio e si ravvisa anche in 23,3.6 in riferimento al cibo dell'avaro da non bramare.

24,3-4 Con la sapienza viene ogni bene prezioso La «CasiD> che la sapienza costruisce e stabilizza non è tanto quella in muratura, ma quella fatta di relazioni, quindi è il focolare domestico. Non è escluso, comunque, il rimando allo spazio abitativo, perché nel v. 4 si menzionano le stanze che servono come deposito per ogni genere di ricchezza. La sapienza procura agiatezza abbondante e duratura (cfr. 3,16; 8,18), a differenza della refurtiva dei malvagi (1,13).

226

PROVERBI 24,5

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:i?P:~f OJ~? :l"WD1 24,6 Si fa la gue"a (itf?r;t7c '9',-it~P.O)- Seguendo molti commentatori moderni omettiarno '9~ (.,~ :ilj'i oi~=ll i~i::i nP,:tQ 1l)J-z,~ l'T?i)

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:v'P.l-"J.-?7 o~ i'"1~ 25,19 Fidarsi del perverso (i~ì::l n~~O)La nostra traduzione esplicita il senso della costruzione asindetica «fiducia perverso».

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i1P.W u>~;,.-Z,~ O"ìi?, 079 25 nno/9 1ii?9~ tv-91~ tW~ 26

25,20 Il testo ebraico si compone di tre stichi (come i vv. l; 7-8; 13) e non è di facile comprensione.

La falsa testimonianza è un tema ricorrente che attraversa le sezioni del libro dei Proverbi già passate inrassegna(6,19; 12,17; 14,5; 19,5.9.28; 21,28; 24,28). Qui al v. 18 è descritto ricorrendo a tre inunagini di anni contundenti: la mazza che percuote, la spada che trafigge e la freccia che infilza. L'effetto della parola menzognera è doloroso e letale. Il dente cariato e il piede slogato (v. 19) sono indicatori di una salute malfenna e chi avverte questi sintomi sarà impedito nelle sue prestazioni. Tale è la situazione di chi depone la propria fiducia in un uomo perverso: al pari dell'handicap legato al malfunzionarnento delle capacità di camminare e di nutrirsi, egli provoca solo dolore proprio nel momento del bisogno, in cui si è più vUlnerabili e si necessita di particolare sostegno. L'immagine della carie ossea è utilizzata in 12,4 in rapporto alla moglie disonorata, esplicitando il logorio degenerativo che ella arreca al marito e al nucleo familiare. Al v. 20 leggiamo ancora un paragone negativo. Non solo è inopportuno denudare colui che ha bisogno dei propri vestiti per riscaldarsi, ma è anche irriverente. Al pari di chi acuisce la ferita con l'aceto, invece di curarla con l'alcool e con l'olio (Le 10,34), o di chi, invece di tacere e rispettare il dolore altrui, intona una canzone, privare del mantello il povero è un'azione massimamente disdicevole. Il proverbio, infatti, può alludere a quest'ultima categoria sociale tutelata dalle prescrizioni della Legge (Es 22,25-26; Dt 24,12-13).

239

PROVERBI 25,26

Mazza, spada e freccia appuntita l è l 'uomo che depone il falso contro il suo prossimo. 19Fidarsi del perverso nel giorno della sventura l è come un dente cariato e un piede slogato. 2°Chi toglie il mantello in un giorno di freddo l (è come chi versa) aceto su una piaga viva o come colui che canta canzoni a un animo aftlitto. 21 Se il tuo nemico ha fame, l dagli da mangiare del pane; se ha sete, l dagli dell'acqua da bere, 22perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo e YHWH ti ricompenserà. 23 11 vento del nord genera la pioggia, l il mendace un volto irritato. 24 È meglio abitare su un angolo del tetto l che dimorare con una moglie litigiosa. 25 Come acqua fresca per una gola secca l è una buona notizia da un paese lontano. 26 Sorgente torbida e fontana purulenta, l tale è il giusto che trema di fronte al malvagio. 18

Il 25,24 Testi paralleli: 21,9.19. 25,26 Che trema - Il participio qa/ ~'? può

essere anche tradotto con «vacilla» (Dt

32,35; Sal 46,3), senso inteso dalla Settanta, che rende con «crollare», «cadere» (tTETTtWKÉvaL ), e dalla Vulgata, che ha cadens.

Il proverbio dei vv. 21-22 è citato in Rm 12,20 dal testo greco. Ha in sé una certa dose di rivalsa mista anche a un certo atteggiamento di vendetta, sebbene in altri luoghi del libro il saggio inviti alla misericordia e al perdono, evitando di ricorrere alla legge del taglione (cfr. 20,22; 24, 17). La questione centrale affrontata in questi due versetti è la giustizia: Dio interviene nel ristabilire l'ordine sovvertito dai malvagi, per cui non è necessario farsi giustizia da sé; perseverare nel fare il bene ottiene un effetto amplificatorio: grava il nemico di un maggior carico di punizione, così come l'immagine dei carboni sembra indicare (Sal11,6; 18,9.13; 140,11). Il v. 23 rinvia alla parola bisbigliata nel segreto (alla lettera: «lingua di nascondimento» ), che provoca solo turbamento in ragione del fatto che, normalmente, le cose fatte di nascosto sono caratterizzate da intenzioni non troppo benevole (Pr 9, 17). Tale parola anticipa una tempesta che rende i volti tristi, similmente a quanto accade con l'arrivo della pioggia abbondante portata dal vento del nord (o del nord-est, cioè quello che spira dal Libano). Sugli effetti della parola cattiva e ingannatrice cfr. Sir 28,13-23. Per il v. 24 rinviamo al commento di 21,9. L'elemento acquatico si ripete in entrambi i vv. 25-26, ma con significati differenti. Nel primo caso l'acqua ha un valore rinfrescante, al pari dell'effetto che sortisce una notizia buona che giunge da un paese lontano. Il primo riferimento per comprendere

240

PROVERBI 25,27

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25,27

Cercare

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troppa

gloria

,t.'r::t)- Alla lettera: «la ricerca

della loro gloria è gloria)). La Settanta legge: «Ma bisogna onorare le parole gloriose)) (nj.Liiv .X XP~ Àoyouç ìovoéçouç). La Vulgata

ha un altro testo di non facile interpretazione: T?z;t~-t,~ o~j: ,;~-i~

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28,13 Le proprie ribellioni (,'V~D)- Cfr. la nota a 17,9. 28,17 Omicidio (W!flrC1) - Letteralmente l'espressione andrebbe tradotta diversa-

mente: «sangue di una gola» o ~i c~-nDiP,'7. n~J;l1

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2, 16). Il lettore alla fine del libro dei Proverbi ha avuto modo di rendersi conto che questi mali sembrano essere congeniti alla stessa indole del cuore umano; per dirla con il profeta Geremia: «Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce» (l7,9a). 30,15-31 Tre cose... anzi quattro La progressione numerica ricorre anche altrove nella letteratura sapienziale (Gb 5, 19; Pr 6, 16-19; Sir 25,2-11 ). Tale modo di esprimersi permette una più facile memorizzazione dei contenuti perché cattura l'attenzione di chi ascolta. La formula numero+ l («tre ... anzi quattro») esprime in questo contesto il limite della conoscenza umana davanti a cose troppo superiori alle sue potenzialità (vv. 15-23) perché troppo piccole o troppo belle (vv. 24-31). 30,15-23 Tre cose sono troppo meravigliose per me La prima serie numerica (vv. 15-16) si apre menzionando la sanguisuga, con un termine che ricorre solo qui in tutta la Bibbia ebraica. Il senso del v. 15 è immediato e la formulazione molto vivace: il piccolo animale ha una sete insaziabile (simbolo dell'ambizione umana) e le sue figlie gemelle («Dammi! Dammi!») esprimono, anche nell'onomatopea (hab, hab), il gesto di chi dischiude la bocca per nutrirsi (Alonso SchOkel, p. 605). Le immagini del v. 16 sono legate alla vita (la terra e il grembo) e alla morte (gli inferi e il fuoco). Lo sheol ebraico, al pari dell'Ade greco, è personificato come un essere famelico dalla bocca enorme (cfr. Pr 1,12; 27,20; Is 5,14; Ab 2,5). Il grembo è un riferimento alla vita, anche se in

277

PROVERBI30,18

Una generazione si ritiene pura, l ma non si è purgata delle sue sporcizie. 13 Una generazione ha gli occhi superbi l e sguardo altezzoso. 14Una generazione ha denti come spade l e mascelle come coltelli, per divorare i miseri eliminandoli dalla terra l e i poveri dalla comunità degli uomini. 12

La sanguisuga ha due figlie: «Dammi! Dammi!». Tre cose non si saziano mai l e quattro non dicono mai: «Basta!»: 16gli inferi, il grembo sterile, l la terra mai sazia d'acqua e il fuoco che mai dice: «Basta!». 17L'occhio che guarda con derisione il padre l e si rifiuta di ubbidire alla madre sarà cavato dai corvi del fiume l e divorato dagli aquilotti. 18Tre cose sono troppo meravigliose per me l e quattro non le capisco: 15

questo caso l'accento è sulla sua sterilità: la donna che non può avere figli non smette mai di desiderarli e non si dà pace finché non può generare (cfr. Anna in l Sam l, 1-19 e Rachele in Geo 29-30). Tale sterilità riguarda anche la terra riarsa dal sole, sempre pronta ad assorbire la rugiada che a prima mattina si deposita sul suo suolo (si pensi al clima arido del Medio Oriente); essa è metafora di una vita fatta di stenti, da cui solo Dio può liberare (Sal 68,7; 107,35; Is 44,3; Ger 2,6; Os 2,5), e dell'animo dell'orante che brama l'acqua di Dio (Sal63,2). Infine il fuoco, che brucia tutto ciò che gli capita a tiro, è simbolo della brama di potere che alberga nel cuore umano (Gdc 9,14). La progressione numerica indurrebbe a porre l'accento sulla quarta immagine, quella del fuoco, anche se non sembra essere l'intenzione dell'autore, che utilizza questa tecnica per far sorgere la domanda: ma quale di queste cose è la più insaziabile? Il proverbio del v. 17 non ha alcun legame con i versetti precedenti e neppure con quelli che seguono. Un collegamento si può stabilire con il v. Il in ragione dello stesso tema (il rispetto dei genitori). L'atroce punizione che tocca in sorte al figlio- morte dolorosa ed esposizione del cadavere agli avvoltoi, al pari dei pagani (Is 14,10-20), degli idolatri (Ger 8,1-2) e degli infedeli (Ger 22,18-19)- nasce da un duplice reato: lo scherno verso il padre (al quale vanno tributati sempre rispetto e riverenza, anche quando ha perso la ragionevolezza: cfr. Sir 3,12-16) e la disubbidienza alla madre (cfr. Pr 23,22; 29,15). Il v. 18 sembra continuare il mea culpa di Agur iniziato nei vv. 2-3. La sua intelligenza non riesce a comprendere le meraviglie della natura nei suoi elementi

278

PROVERBI 30,19

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(aria, terra, mare) e dell'attività umana: esse trascendono le sue potenzialità, in quanto sono troppo in alto (il volo dell'aquila; Gb 39,27), troppo nascoste (lo strisciare del serpente; Qo 10,8), troppo profonde (l'oceano; Sal 104,25-26) e troppo imprevedibili (l'amore tra un uomo e una donna; Sir 36,22-27). Anche il v. 20 esula dal contesto (un tenue legame può esserci solo con 19d). Il riferimento al prendere cibo ha una chiara allusione sessuale, come emerge anche da 9, 17 («Le acque sotterranee sono dolci, il pane occulto è gustoso»). La sfrontatezza di questa donna - dalla quale il padre-maestro invita il discepolo a tenersi lontano (2,16-17; 5,20; 7,24-27)- la spinge a legittimare il proprio comportamento come normale e lecito. Molto pittoresco è il quadro che Ben Sira fa della donna impudica in 26,12: «Come viandante assetato essa apre la bocca per bere ad ogni fonte che si trova vicino, si siede davanti ad ogni palo e apre la faretra a qualsiasi freccia». Nei vv. 21-23 abbiamo ancora una sequenza numerica. La terra è descritta come un essere umano che freme di rabbia e sdegno perché non tollera alcune situazioni innaturali che sovvertono l'ordine della società. La prima (uno schiavo che si fa re) e la quarta (una padrona soppiantata dalla serva, come, p. es., Agar verso Sara in Gen 16) si corrispondono: medesima è la dinamica ascensionale della scalata sociale, cosa che il saggio di Proverbi aborrisce: «Non si addice allo stolto il lusso, ancor meno a un servo comandare ai principi» (19,10). A questa considerazione sul mantenimento dello status quo ne va aggiunta un'altra più possibilista, in cui si ammette che lo schiavo saggio ha più diritto del figlio stolto di essere nominato erede

279

PROVERBI 30,27

la via dell'aquila nel cielo, l la via del serpente sulla roccia, la via della nave in mezzo al mare, l la via dell'uomo in una giovane donna. 2°Così si comporta l'adultera: l mangia e si asciuga la bocca e dice: «Non ho fatto nulla di male!». 21 Per tre cose freme la terra, l anzi quattro non può sopportare: 22 uno schiavo che diventa re l e uno stolto che vive nella sazietà, 23 una donna rifiutata che trova marito l e una schiava che occupa il posto della padrona. 24Quattro sono gli esseri più piccoli della terra, l eppure questi sono più saggi dei saggi: 25 le formiche sono un popolo senza forza, l eppure si assicurano il cibo in estate; 26 gli iraci sono un popolo senza vigore, l eppure fissano la loro tana sulle rocce; 27 le cavallette non hanno un re, l eppure escono tutte ben schierate; 19

(17,2). La frase di 22b (uno stolto che ha disponibilità di cibo) si ricollega alla legge della retribuzione classica secondo 1a quale al cattivo tocca in sorte la miseria. Tuttavia, questi automatismi non sempre rendono ragione della complessità della vita e del mistero dell'agire divino: lasciano perplesso il saggio di Proverbi ma saranno completamente rigettati da Qohelet (l 0,5-7). Infine, c'è il caso della donna che è stata rifiutata da altri uomini, cioè che è stata ripudiata, e che trova marito: anche se il saggio aborrisce tale prassi, ella poteva risposarsi secondo Dt 24,1-4 e solo per il sommo sacerdote vigeva il divieto di maritarsi con una divorziata o una disonorata (Lv 21,14). Meno probabile è l'accostamento tra questa donna e una zitella che trova marito: non ci sarebbe motivo per cui disprezzare un simile comportamento. 30,24-31 Quattro esseri tra i più piccoli e tra i più belli I vv. 24-28 interrompono la sequenza dei proverbi 3 + 4 e forniscono un'elencazione lineare senza indicare alcun ordine. La premessa è che si stanno indicando degli esseri che non sono appariscenti (diversamente da quelli dei vv. 30-31) ma che possono essere additati come esempi di comportamento sapiente. Sulla virtù della formica (v. 25) come immagine della sapienza pratica e laboriosa rinviamo al commento a 6,6-8. Gli iraci (v. 26) sono piccoli roditori simili alla lepre o al coniglio (così la Settanta), anche se per alcuni sono animali assimilabili al tasso. Vengono nominati anche nel Sal l 04, 18, in cui sono descritti come animali che abitano nelle rocce (quindi in tane difficilmente accessibili), stessa annotazione registrata nel nostro versetto. Questa attitudine sembra essere particolarmente apprezzata dal saggio in quanto è segno di in-

280

PROVERBI 30,28

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30,31 Gallo (i'f"1!) - In realtà, la lingua ebraica in questo caso non permette di capire di quale animale si tratti. Seguendo la

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Settanta traduciamo con «gallo» (à:ÀÉKtwp ). Così anche la Vulgata (gallus). Ancheggiante - Rendiamo così l'ebraico

telligenza, abilità e astuzia. Il terzo animale è la cavalletta (v. 27) che, a causa della durezza del suo esoscheletro, della pericolosità delle sue mandibole (Gl 1,4), dell'agilità dei suoi arti, è simbolo di un guerriero ben armato e addestrato che esce in battaglia insieme al suo esercito (Na 3,15.17; Ap 9,3.7). Infine la lucertola (v. 28), che è menzionata solo qui in tutta la Bibbia ebraica: pur essendo un essere fragile e vulnerabile arriva a infilarsi anche nelle dimore dei potenti, palazzi che, a tanti altri, restano inaccessibili. Volendo ricapitolare possiamo individuare quattro virtù espresse da questi animali: laboriosità, ingegno, forza e agilità. Se nel precedente quadretto didattico gli animali erano caratterizzati dalle piccole dimensioni, nei vv. 29-3ll'intenzione è quella di illustrare la forza e la maestà espressa dal portamento di un felino, di un volatile, di un caprino e di un umano. Il leone (v. 30) è presentato come il più forte degli animali. Egli è inattaccabile (Gb 38,3940; Pr 28,1) eppure gli uomini valorosi d'Israele l'hanno combattuto, vincendone la fierezza (Gdc 14,6; 1Sam 17,34-36; 2Sam 23,20). È simbolo della rabbia e della forza (Sal22,14; Pr 28,15) e in Proverbi della figura del re (19,12; 20,2). Il re viene menzionato come ultimo nell'elenco probabilmente perché le caratteristiche espresse dai tre animali confluiscono nella sua persona (il capro, anche se usando un termine diverso rispetto a quello del v. 31, è associato al re della Grecia in Dn 8,8.21 ): egli è un guerriero valoroso, che incede senza timore alla testa del suo esercito, sicuro di uscire vittorioso dalla battaglia.

281

PROVERBI 31,1

la lucertola si può catturare con le mani, l eppure si trova nei palazzi del re. 29Tre esseri hanno un andatura solenne, l e quattro hanno un passo maestoso: 30 illeone, il più forte degli animali, l che non indietreggia davanti a nessuno; 31 il gallo ancheggiante, l il caprone e un re alla testa del suo popolo. 28

Se sei stato stolto e ti sei esaltato l ma poi hai riflettuto, (mettiti) una mano sulla bocca, 33 poiché sbattendo il latte l si monta la panna, premendo il naso sgorga il sangue l e spremendo la collera si ottiene il litigio. 32

31

Massime di Lemuel, re di Massa, che apprese da sua madre.

1

c:~119,

come senso derivato: il sostantivo significa «reni». 31,1 Lemue/