Naum, Abacuc, Sofonia. Introduzione, traduzione e commento 8821579107, 9788821579103

Naum, Abacuc, Sofonia, tre libri profetici della Bibbia. Ogni testo è preceduto da una introduzione e da una bibliografi

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Italian, Hebrew Pages 179/182 [182] Year 2013

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Naum, Abacuc, Sofonia. Introduzione, traduzione e commento
 8821579107, 9788821579103

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DONATELLA SCAIOLA ha conseguito il dottorato in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico. Attualmente è professore ordinario nella Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana.Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: "Una cosa ha detto Dio, due ne ho udite".

Fenomeni di composizione appaiata nel Salterio Masoretico, Roma 2002; Rut, Giuditta, Ester, Padova 2006; "Servire il Signore". Linee di una teologia biblica della missione nell'Antico Testamento, Roma 2008; Rut, Milano 2009; l dodici profeti: perché «minori»? Esegesi e teologia, Bologna 20 l l; Attorno alla profezia. Alcune sorprendenti figure, Assisi 2012. Collabora con numerose riviste di carattere biblico, teologico e pastorale.

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

NUOVA VEHSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

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Presentazione :>,UOVA \

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a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo; dall'altro, soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione. Un approfondimento, posto

PRESENTAZIONE

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in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini

Annotazioni di carattere tecnico ,~L:() \"A

YEHSlOi\E DELL\ Bll3!3\A D ·\1 TESTI •\i\TIClll

Il testo in lingua antica Il testo ebraico stampato in questo volume è quello della Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS), quinta edizione. Le correzioni alla lettura di alcuni termini, indicate dai masoreti (qerè l ketib), sono segnalate da parentesi quadre, con il seguente ordine: nel testo compare la forma "mista" che si trova nel manoscritto, nelle parentesi si ha prima la forma presupposta dalle consonanti scritte (ketìb) e poi quella suggerita per la lettura dai masoreti (qerè).

La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi scostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: i segni indicano l'adozione di una lezione differente da quella riportata in ebraico, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase ebraica. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato. r

'

I testi paralleli Se presenti, vengono indicati i paralleli al passo commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno affinità di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo •:•.

La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi con riferimento non alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale tra caratteri ebraici e caratteri latini.

ANNOTAZIONI

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L'approfondimento liturgico Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati), rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi alla versione CEI del 2008.

NAUM, ABACUC, SOFONIA Introduzione, traduzione e commento

a cura di Donatella Scaiola

SAN PAOLO

Biblia H ebraica Stuttgartensia, edited by Karl Elliger and Wilhelm Rudolph, Fifth Revised Edition, edited by Adrian Schenker, © 1977 and 1997 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2013 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino ISBN 978-88-215-7910-3

NAUM

INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Nel Testo Masoretico lo scritto di Naum si trova tra Michea e Abacuc, quindi nella seconda metà del libro dei Dodici profeti minori. La sua collocazione canonica non è casuale, come mostrano le affinità tra il titolo di Naum e quello di Abacuc. Sia in Na 1,1 che in Ab l, l ricorre infatti la radice l;zh, «vedere», «visione», e la profezia nel suo insieme è definita «oracolo» (massa'). Dal punto di vista tematico, poi, esiste una relazione tra la critica che Michea rivolge a Samaria e a Giuda e il giudizio che Naum pronuncia nei confronti di Ninive. Infatti, contro la tentazione di ritenere che i peccatori siano gli altri- i nemici, gli stranieri, gli odiati Niniviti -, l'accostamento tra Michea e Naum dovrebbe rendere più cauto il lettore, aiutandolo a individuare eventuali somiglianze tra la sua situazione e quella condannata dal profeta. Nella Settanta, invece, lo scritto di Naum è preceduto da Giona, che pure si occupa di Ninive e del suo destino. La successione degli scritti all'interno della Settanta appare, a prima vista, più logica, più comprensibile, ma non per questo è più semplice dal punto di vista teologico. Dall'accostamento tra Giona e Naum si evince, infatti, che non esiste un unico comportamento da assumere nei confronti dei nemici, di cui Ninive è un simbolo. La caduta di Ninive (Naum) suscita gioia, ma gli stessi odiati nemici, secondo il libro di Giona, mostrano di dare credito alle parole di un profeta d'Israele ben più di quanto fece Gerusalemme, alla quale furono inviati molti profeti. Quale atteggiamento adottare nei confronti del nemico? Con questo interrogativo si concludono entrambi gli scritti, una sorta di messa in guardia contro i dogmatismi, i giudizi sommari, i pregiudizi. Pur essendo valide entrambe le collocazioni dello scritto di Naum, ci pare che la Settanta si presenti come lectio facilior (che,

INTRODUZIONE

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p. es., la Vulgata non ha seguito) e che, di conseguenza, la successione degli scritti nel Testo Masoretico, per quanto un po' più difficile da spiegare, sia da preferire.

ASPETTILETTERARl Nessuno mette in dubbio che l'autore di questo scritto sia un poeta raffinato: usa la lingua ebraica con grande abilità, costruendo una serie di giochi di parole, purtroppo percepibili solo nel testo originale e non sempre facili da rendere in traduzione. Il poema acrostico di N a l Tra i problemi di tipo letterario che il libro pone c'è quello relativo all'inizio dello scritto, Na 1,3-8, in cui sembra trovarsi parte di un salmo acrostico (ovvero un salmo nel quale ogni versetto inizia con una lettera diversa dell'alfabeto, in successione), che è oggetto di discussione tra gli esegeti. Fin dalla fine del XIX secolo, infatti, gli esegeti hanno cercato di integrare la parte mancante di questo salmo, anche grazie a complicate (e discutibili) operazioni di ricostruzione del testo ebraico, che non hanno prodotto finora un reale consenso, ma suscitato, piuttosto, molte discussioni 1• Restano 1 G. Bickell (Beitriige zur semitische Metrik, I: Das alphabetische Lied in Nahum l :2-2:3, Sitzungsberichte der philosophisch-historischen Klasse der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaft 13115 [1894]1-12, purtroppo non abbiamo potuto consultare questo testo), p. es., ricostruì N a l ,2-1 O producendo un acrostico che conteneva tutto l'alfabeto ebraico, mentre H. Gunkel («Nahum 1», Zeitschrift.fìlr die Alttestamentliche Wissenschaft 13 [1893]223244), propose quello che, a suo giudizio, poteva essere considerato il testo originale diNa l, estendendo però l'acrostico fino a 2,3. In seguito a questi due studi (il giudizio sull'opera di questi due studiosi non è stato solo positivo; p. es. W.R. Arnold «The Composition of Nahum l ,2:3», Zeitschriftfor die Alttestamentliche Wissenschaft 21 [1901]225-265 accusò entrambi di aver decapitato un capolavoro della letteratura ebraica) si sviluppò un dibattito relativo alla forma e alla data di composizione di N a l, che coinvolse anche altre questioni, oltre a quella più squisitamente formale. Ci furono infatti esegeti che, partendo dalla forma dell'acrostico, formularono ipotesi relative al genere letterario del libro. P. Haupt («The Book ofNahum», Journal ofBiblical Literature 26 [1907]1-53), p. es., sostenne la tesi che Naum non fosse una profezia, ma una liturgia composta in occasione della celebrazione del giorno di Nicanore (13 di Adar dell61 a.C.), fornendo anche una spiegazione circa l'interruzione dell'acrostico. La data proposta da Haupt per il libro di Naum fu in genere respinta dagli studiosi, ma suscitò comunque un certo interesse l'idea che lo scritto fosse collegato a una qualche liturgia festiva (P. Humbert «Essai d'analyse de Nahum l :2,2:3», Zeitschriftfor die

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ancora aperte le questioni fondamentalP: l'acrostico fu originariamente scritto come introduzione a Naum? Oppure fu inserito nel libro in un'epoca successiva? Dal punto di vista metodologico sono valide le ricostruzioni della parte del salmo acrostico mancante, oppure è più corretto partire da ciò che abbiamo, senza modificare il testo? La nostra opzione metodologica è quella di analizzare lo scritto nella sua forma finale, senza modificare il Testo Masoretico, per quanto possibile, cercando di interpretare quello che la tradizione ci ha consegnato come testo canonico e quindi come punto di riferimento per la fede ebraica e cristiana. Non accogliamo dunque le ipotesi di modifica del testo ebraico, proposte da molti autori, e non entriamo nemmeno nel merito dell'esistenza o meno di questo eventuale salmo acrostico. Nel commento del testo, come si vedrà, questa questione non svolgerà nessun ruolo specifico.

La struttura Anche questo tema è dibattuto tra gli studiosi, senza che si sia trovato finora un consenso. Varie sono le proposte avanzate. Secondo alcuni (Delitzsch, Smith) lo scritto di Naum si può articolare in tre parti, che corrispondono sostanzialmente ai tre capitoli che lo compongono: il capitolo l, chiarendo il proposito divino di giudicare Ninive, sarebbe centrato sulla natura di Dio; il capitolo 2 descrive la battaglia ed esprime la gioia per la notizia della caduta di Ninive; il capitolo 3, un oracolo sul destino di Ninive, ritorna al tema della colpa della città, causa della sua inevitabile rovina. Secondo altri (Achtemeier), il primo oracolo, chiave del messaggio di Naum, va individuato nell'inno di 1,2-11, che si rivolge al nemico. Anche l 'ultimo oracolo contro Ninive (3, 14-19) si conclude con un messaggio per il nemico. Tra questi due estremi si trovano quattro oracoli di giudizio contro Ninive (1,12-14; 2,1-14; 3,1-7; 3,8-13), ciascuno dei quali si conclude con una parola del Alttestamentliche Wissenschaft 44 [ 1926] 266-278, suggerì che Naum sia da interpretare come una liturgia profetica, composta a Gerusalemme nel612 a.C. per celebrare la caduta di Ninive), anche se non tutti seguirono questa ipotesi (l'idea fu respinta, p. es., da Elliger, Rudolph, Jeremias). 2 Cfr. D.L. Christensen, «The Acrostic of Nahum Reconsidered», Zeitschrift fiir die Alttestamentliche Wissenschaft 87 (1975) 17-30.

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Signore introdotta da «ecco» o «eccomi» (2, 1.14; 3,5.13). Altri ancora (Patterson-Hill) distinguono due parti nello scritto di Naum, rispettivamente Na 1,2-14 e 2,1-3,19. All'inizio di ogni parte sarebbe annunciato il tema (l ,2; 2, 1-2), successivamente sviluppato in una serie di unità maggiori (prima parte: 1,3-10; 1,11-14; seconda parte: 2,3-10; 2,11-14; 3,1-7; 3,8-19). Entrambe le parti si concluderebbero con un resoconto: in 2, l la notizia circa la caduta di Ninive è portata da un messaggero che «proclama la pace», e in 3,19 la notizia viene ricevuta con gioia. Noi seguiamo la struttura proposta, per esempio, da Delitzsch, il quale aveva individuato tre parti sostanzialmente coincidenti con i capitoli dello scritto profeti co. La prima parte si apre con la descrizione della figura di Dio, re e giusto giudice (v. 2). In quanto tale, Egli giudicherà il colpevole (l ,3-6) e, sebbene sia buono, distruggerà coloro che tramano contro di Lui (l, 7-l 0). Queste osservazioni generali, relative alla natura di Dio e al suo modo di essere presente nel mondo, sono applicate alla situazione corrente: Ninive soffrirà a causa del giusto giudizio di Dio, mentre Giuda, che in passato è stato punito, sperimenterà invece pace e gioia (l, 11-14). La seconda parte ripete il tema del giudizio di Ninive e della restaurazione di Giuda (2,1-2) insistendo sulla descrizione dell'assedio e della distruzione di Ninive (2,3-1 0), la quale viene paragonata a un leone intrappolato nella sua stessa tana (2, 11-14). Questo tema è infine ripreso nel c. 3, che si apre con una nuova descrizione della caduta di Ninive (3,1-7), poi paragonata a Tebe (3,8-19).

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

Naum non è particolarmente amato in ambito cristiano; in alcuni casi, anzi, è stato criticato perché non condanna i peccati di Israele né invita il popolo alla conversione, ma si concentrerebbe invece in maniera unilaterale sulla distruzione di Ninive. Tale scelta appare in linea con una tendenza evidente negli ultimi scritti del libro dei Dodici, in cui i profeti affrontano un tema specifico, che può tuttavia essere espresso in modi diversi.

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Naum, contrariamente alla prima impressione che suscita, proclama la sovranità di YHWH, che viene attestata dall'autore anche in un momento in cui il popolo d'Israele versa in condizioni difficili, avendo perso l'indipendenza e l'autonomia politica ed essendo dominato da potenze straniere. Lo scritto di Naum celebra dunque la sovranità del Signore sulla storia e sul mondo, che si oppone a chiunque incarni ideali e valori diversi che, nel caso specifico, sono identificabili come falsa religione, oppressione disumana e crudeltà. Dio, essendo buono e giusto, difende chi è debole, scoraggiato, privo di aiuti, ma «non lascia mai impunito» alcun male (1,3). La condanna nei confronti di Ninive non deriva dunque da un odio del profeta, né si spiega esclusivamente a partire da alcuni eventi storici particolari, ma ha una radice in ultima analisi teologica, connessa alla natura di Dio, che è geloso nei confronti dei giusti e pieno di collera verso chi commette il male. Questa interpretazione si ritrova nelle riletture del libro stesso il quale, per esempio a Qumran, viene commentato facendo riferimento non più a Ninive, ma ai nemici della comunità, quei «re dei greci» che erano alcuni tra i successori di Alessandro Magno, cioè Demetrio- probabilmente Demetrio III, che morì nell'88 a.C.- e Antioco IV Epifane (175-163 a.C.), di cui parlano anche i libri dei Maccabei e quello di Daniele. Al di là dei dettagli storici, spesso oscuri e difficili da precisare, è interessante il fatto che le parole del profeta siano state comprese come rivolte a una situazione storica molto distante da quella originale, ma anche assai simile a essa. Quando il libro di N aum fu scritto, infatti, l'Assiria non era più un nemico attuale, ma era diventata una sorta di simbolo: incarnava, cioè, il nemico tipico, colui che si oppone a Dio, un po' come avviene nel Nuovo Testamento, in cui la caduta di Babilonia annuncia quella di Roma (cfr. Ap 14,8). Per i cristiani, «Babilonia» assurge a simbolo dei poteri imperialistici e oppressivi di questo mondo, di cui Roma costituiva, a quel tempo, un esempio tipico. Forse Naum si riferisce a Ninive in termini analoghi, come fanno altri profeti, p. es., parlando di Edom (cfr. Abdia), ed è interessante notare che nel libro siano citati altri testi biblici, soprattutto Isaia (cc. 24-27; 56-66)', ma anche Es 34,6 3 Esistono anche relazioni quasi letterali tra Isaia e Naum, tra le quali segnaliamo le seguenti: Na 2,1 e Is 52,7; Na 3,5 e Is 47,2-3; Na 3,7.10 e ls 51,19-20.

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(citato in N a 1,3) e poi la seconda parte del libro di Zaccaria (cc. 9-14). Si può ipotizzare che Naum, come altri profeti, utilizzi la tradizione precedente, rileggendo testi e profezie già presenti, e riflettendo, in particolare, sul tema dell'alleanza, che attraversa il libro e si armonizza bene con la fede nel potere che YHWH ha di intervenire nella storia del mondo e con la convinzione che nessuna potestà, umana o divina, può contrapporsi a Lui.

AUTORE, DESTINATARI E DATAZIONE

Il profeta e il suo libro Della vita di Naum non sappiamo niente, mentre la datazione del libro è molto discussa. Per quel che riguarda il profeta, all'inizio del libro (1,1) è menzionato solo il suo luogo di origine, Elqosh, peraltro sconosciuto. Nella prefazione al suo commentario su Naum, Gerolamo scrive che Elqosh si trovava in Galilea; secondo altri va invece collegato all'antica città di Eleuteropolis4, mentre per altri ancora Elqosh sarebbe da connettere a Cafamao, «il villaggio di Naum». Questa scarsità di dati, per usare un eufemismo, potrebbe tradursi in un guadagno dal punto di vista ermeneutico perché, da una parte, impedisce al lettore di fissare l'attenzione sulla biografia del profeta, o, peggio ancora, di concentrarsi su elementi di carattere psicologico (come avviene, a volte, quando si studiano, per esempio, Osea o Geremia), e, dall'altra, permette di valorizzare quello che realmente si ha a disposizione, cioè il libro di Naum. Nello scritto non viene nominato nessun re, anche se emergono due riferimenti storici: la caduta di Tebe (3,8) e quella di Ninive. Tebe cadde per mano di Assarhaddon, che dapprima mise la città sotto il dominio assiro, nel 670, e poi la conquistò, nel 661 a.C.; Ninive fu invece distrutta nel 612, in seguito a un attacco cui parteciparono Medi, Babilonesi e Sciti, al termine di un assedio che durò tre mesi. Si potrebbe allora collocare lo scritto di Naum tra il 4 L'informazione proviene da un testo apocrifo, Le vite dei profeti, redatto in greco nel I sec. d.C. forse su un prototesto perduto ebraico o siriaco.

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661 e il612, come fanno molti commentatori\ anche se è problematico l 'uso di riferimenti storici per datare libri profetici. Tra i motivi di tale difficoltà possiamo ricordarne almeno due. In primo luogo, non è mai chiaro se il profeta, che spesso si esprime con il cosiddetto «perfetto profetico», si stia riferendo a eventi passati oppure descriva eventi che appartengono a un futuro guidato da Dio, la cui realizzazione è percepita come certa. Nell'esegesi del libro di Naum, infatti, i commentatori sono equamente divisi circa l'interpretazione della caduta di Ninive: secondo alcuni verrebbe descritta nel libro, mentre secondo altri è solo annunciata. Inoltre, i riferimenti storici usati dai profeti possono avere avuto un significato nel momento in cui l'autore li ha usati, ma possono anche averne acquisiti altri, di carattere simbolico, per esempio, nel momento in cui il libro è stato letto, riletto e applicato a situazioni e contesti sempre nuovi. In conclusione, proporre una datazione esatta per Naum risulta molto difficile e bisognerebbe forse distinguere tra il contesto storico al quale il libro si riferisce (l'epoca che va dal 661 al612) e il momento nel quale lo scritto fu redatto, che è probabilmente posteriore.

La città di Ninive L'attenzione riservata a Ninive merita però un approfondimento, poiché questa città compare anche in altri testi profetici, come Giona. Ninive viene menzionata per la prima volta nel codice di Hammurabi (attorno al 1750 a.C.), che definisce se stesso come il re che rese famoso il nome della dea Ishtar nel suo tempio a Ninive. Per secoli, poi, non si sa più niente, o quasi, della città, e questo fino a un'epoca molto più recente. Salmanassar III, che regnò dall'858 all'824 a.C., fece di Ninive la base della sua campagna di sottomissione del regno d'Israele. Sul famoso obelisco nero che si trova al British Museum è rappresentata la scena in cui il re d'Israele Yehu, figlio di Omri, si inginocchia davanti a Shalmaneser. Tiglat-Pileser III (745-727), che la Scrittura chiama anche Pul, 5 In precedenza abbiamo menzionato la posizione di alcuni studiosi, i quali propongono datazioni molto posteriori (addirittura attorno alli sec. a.C.) che però non ci paiono sostenibili.

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invase la Giudea e ricevette tributi da Azarya e successivamente da Menal)em, re d'Israele, che a lui pagò mille talenti d'argento «affinché lo aiutasse a consolidare il potere regale» (2Re 15, 19). Al)az, re di Giuda, chiese aiuto a Tiglat-Pileser contro Rezin e Peqal), che si erano coalizzati contro di lui, e il re assiro lo salvò dai suoi nemici, ma chiese in cambio un'enorme somma di denaro. Al)az, inoltre, forse su richiesta di Tiglat-Pileser, elevò a Gerusalemme un altare sul quale offrì sacrifici (cfr. 2Re 16,10-16). Nei cento anni successivi Giuda fu un vassallo dell'Assiria, il cui potere era concentrato nella capitale, Ninive. Nel 733-732 Pul invase Israele, depose Peqal), mise al suo posto, come re, Osea, un suo vassallo, ricevette tributi e deportò molti abitanti di Samaria. Nel 722 Shalmaneser V, figlio di Tiglat-Pileser, attaccò Samaria e, dopo la sua morte, Sargon II (721-705) conquistò la città, ponendo fine alla storia del regno del Nord. Nel 70 l Sanl)erib (705-681 ), figlio di Sargon, invase la Giudea e assediò Gerusalemme che però si salvò miracolosamente (cfr. 2Re 18-19; Is 36-37). Sanl)erib ingrandì Ninive, rendendola la città più grande del suo tempo. La città interna era circondata da un muro che misurava otto miglia di circonferenza, sul quale si aprivano quattordici porte e si elevavano più di cento torri. Oltre a questo muro più interno ne esisteva anche un altro, esterno, molto più lungo, che proteggeva i sobborghi periferici. Il palazzo di Sanl)erib era chiamato «il palazzo senza rivali» ed era stato costruito in cedro, cipresso e alabastro; leoni di bronzo e tori di marmo bianco erano posti a guardia di esso. Egli costruì inoltre magnifici giardini e un acquedotto lungo trenta miglia. Questi lavori di costruzione furono portati avanti dai suoi discendenti, Assarhaddon e Assurbanipal, al quale è collegata la scoperta di una famosa biblioteca. Alla morte di Assurbanipal comincia, però, il declino di Ninive, imputabile a vari fattori: la corruzione interna, l'ascesa di Babilonia, la pressione esercitata da gruppi seminomadi, tra cui Sciti e Medi. Nabopolassar prese il controllo di Babilonia e conquistò l'indipendenza nel623. Nel 614 Assur fu conquistata dai Medi. Nel 612 Nabopolassar e i Medi attaccarono e conquistarono Ninive, poi I:Iarran attorno al 61 O e infine Karkemish nel 605.

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Anche da questi succinti riferimenti si intuiscono lo splendore e la ricchezza di Ninive, che tuttavia aveva raggiunto tale fama a spese delle nazioni da lei conquistate e depredate, e si comprende, d'altra parte, la gioia per la fine dell'impero crudele e spietato dell'Assiria, che però diventa figura di qualunque altro dominio analogo, antico o moderno.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il testo ebraico di Naum, nonostante sia molto breve, presenta alcuni problemi: qualche caso di qerè-ketìb, forme grammaticali e stilistiche rare o ricercate, nonché qualche hapax. Le difficoltà principali però sono imputabili al fatto che si tratta di un testo poetico, a tratti davvero raffinato, che quindi presenta i problemi tipici di questo genere letterario6 . La scelta di tipo metodologico che noi facciamo è quella di rispettare, dove è possibile, il Testo Masoretico, senza introdurre correzioni o modifiche a partire dalle versioni antiche, cercando dunque di seguire una tradizione che consideriamo affidabile e ragionevole. A Qumran sono stati trovati cinque frammenti del testo e anche di un commentario a Naum (4QPesher Nahum indicato con le sigle 4QpNah o 4Ql69). I cinque frammenti di 4QPesher Nahum interpretano passi da tutti i capitoli di Naum (1,3-6; 2,12-24; 3,112.14). È tipico di questo commentario il tentativo di applicare le parole del profeta alla situazione vitale della comunità. P. es., il commento di Na 2,12-14 applica il testo biblico a due re di quel periodo, rispettivamente a Demetrio III e ad Antioco IV Epifane.

6 Per un approfondimento della questione rimandiamo a S.P. Carbone- G. Rizzi, AbaquqAbdia-Nahum-Sofonia. Lettura ebraica, greca e aramaica, Dehoniane, Bologna 1998, pp. 238-338.

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tnnJ NAUM

24

NAUMJ,I

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1

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illil; Oj?.j1 Ni~j? t,;f :1'~;N7 N~ry 19.il1 1'l~7 h!il; Oi?.)

1,1 Visione- Il termine litçt compare anche nel titolo di Isaia (l, l) e di Abdia (l), nonché in Ab 2,2, e può indicare persino l'esperienza di un falso profeta (cfr. Ez 13, 16; con il ver-

bo della stessa radice i1tn, cfr. Ez 13,6-9.23; 21,34; 22,28; Zc 10,2). 1,2 Ira- Il termine m~ n. enfatizza l' emozione interna, quello che noi chiameremmo il

IL TITOLO (1,1) Il titolo di Naum contiene alcune informazioni importanti, anche se, forse, non esattamente quelle che ci aspetteremmo. A proposito del profeta, per esempio, non ci viene detto nulla se non il suo nome e il paese da cui proviene, che però, come abbiamo visto nell'introduzione, è sconosciuto. Il nome «Naum» deriva da una verbo che vuoi dire «consolare», e letteralmente significa «il consolatO>>. Dato il tono veemente dello scritto, talora persino imbarazzante per il lettore cristiano, ci si potrebbe chiedere se questo nome non sia da intendere in senso ironico, oppure se, al contrario, esso non vada preso molto sul serio: il motivo della sua consolazione è infatti strettamente connesso alla fine di Ninive, cioè dell'odiato nemico, che egli annuncia. L'oracolo di Naum ha marcatamente un tono di giudizio: lo stesso termine ebraico tradotto con «oracolo» può significare anche «peso», «carico», e assumere il senso metaforico di «giudizio», una sorta di «peso» lanciato contro Ninive. È importante, inoltre, che il nome del nemico appaia nel titolo perché fino a 2,9 (e poi ancora solo in 3,7) Ninive non sarà più nominata. Infine solo Naum, all'interno del corpo profetico, definisce il suo oracolo di giudizio un «libro», anzi un «rotolo» (seper), suggerendo l'idea che la sua rivelazione sia stata pensata come un testo scritto più che come un discorso da pronunciare oralmente. Il giudizio contro Ninive è capace di generare una «visione» profetica quando il rotolo che la contiene viene letto, riletto, meditato, applicato a contesti sempre nuovi, eppure analoghi a quelli che hanno generato lo scritto. DIO, RE E GIUSTO GIUDICE (1,2-14) Il capitolo l si apre con una pericope (vv. 2-6) che contiene la rivelazione di quello che Dio è (vv. 2-3) e fa (vv. 4-6). Questa presentazione si arricchisce di ulteriori elementi nella seconda strofa del capitolo (vv. 7-10), introdotta dalla frase «Buono è YHWH». La parte finale, poi (vv. 11-14), offre un esempio particolare di quanto descritto nelle due pericopi precedenti (vv. 2-10), fornendo un modello di come YHWH distrugge i suoi nemici e protegge i suoi fedeli.

25

NAUM 1,2

1

0racolo riguardante Ninive. Libro della visione di Naum, l 'Elqoshita. 1

Un Dio geloso e vendicatore, YHWH, l vendicatore è YHWH e signore dell'ira, vendicatore è YHWH nei confronti dei suoi avversari l e conserva rancore, lui, per i suoi nemici.

2

fuoco dell'ira; quando il soggetto di questa emozione è Dio (e questo avviene più di cinquecento volte nell' AT) essa esprime la risposta a una disobbedienza umana.

Lui - Il pronome di terza persona maschile singolare t(1i1 non è necessario dal punto di vista grammaticale, ma, avendo valore enfatico, lo manteniamo nella traduzione.

1,2-6 Un Dio geloso 1,2-3 L 'essere di Dio La pericope si apre con la presentazione della tesi iniziale: YHWH è un Dio «geloso e vendicatore» (l ,2). Il v. 2 contiene una citazione di Es 20,5 e 34, 14, testi nei quali si esprime l'idea della supremazia e dell'incomparabilità di Dio. La radice ebraica qn' significa sia «essere geloso» che «essere zelante», ed entrambi i significati possono assumere un senso positivo oppure uno negativo. Comune ai vari usi è la nozione di uno stato della mente intenso, energico, teso verso l'azione. Il Signore è geloso nel senso che esige una relazione esclusiva; è appassionato, coinvolto nel destino del suo popolo e del mondo, e di conseguenza reagisce di fronte al male commesso. La gelosia è un elemento essenziale della natura di Dio, ed Egli la esprime lottando contro l 'idolatria di Israele, concepita come un atto diretto contro l'alleanza (cfr., p. es., Dt4,24; 6,14-15; Gs 24,19-20; l Re 14,22-24; Sal78,56-59). Il termine «vendicatore» (nel v. 2 viene ripetuto per tre volte, forse per esprimere il superlativo, cioè per comunicare l'idea che Dio esercita la vendetta in sommo grado, al massimo, per antonomasia) merita un approfondimento, poiché il verbo «vendicare», ebraico naqam, appartiene al campo semantico della giustizia e, più in particolare, è associato all'idea del mantenimento o del ristabilimento della giustizia. Questo conferisce al vocabolo una connotazione positiva: rimanda al rispetto della legge, alla sua osservanza, a una giusta ricompensa, cioè a concetti molto lontani da quello della «vendetta}> secondo l'accezione che il termine assume in italiano. Infatti, Iungi dal riferirsi a un atto violento, arbitrario, personale e sproporzionato, il verbo niiqam è connesso invece ali' idea di una giustizia che deve essere fatta in modo proporzionato al male commesso. Ciò implica la convinzione che nel mondo sia presente l'ingiustizia e che dunque tale situazione vada corretta. La nozione di «vendetta}> non è un elemento estraneo alla rivelazione anticotestamentaria, ma è una conseguenza della santità di Dio (Ger 50,28-29), del suo zelo (Is 59, 18; 63, 1.4). La vendetta contro i nemici (Is 47,3; Ger 46, l O; 50,1-51,64), cioè la giusta retribuzione per il male commesso, comporta salvezza per gli oppressi (Is 34,8; 35,4; 61 ,2), mostrando che i

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NAUM 1,3

[ n:il-l;ll-~~ l n:!l-l;l;,~~ J n~-~1111 b;~~ 11~ i1)i1; 3 :1'~11 i'?-~ 1rt~1 è lento all'ira ... impunito. YHWH ... C;;l~ l":~~ i'IJM~)- Tutta la prima parte del v. 3 è considerata un'aggiunta dall'apparato critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia e anche alcune traduzioni moderne non la riportano. Grande nella forza (l"!!:l-',1~1) - La Biblia H ebraica Stuttgartensia propone di sostituire il termine «forza», «potenza» (l"!!!l) con

1,3

YHWH

(i'1Ji'1~ i'!p~~

,9':!,

«amore», «misericordia», «fedeltà», perché così recita la formula tradizionale di Es 34,6: «Il Signore passò davanti a lui [Mosè] e gridò: "Il Signore, il Signore, Dio di pietà e misericordia, lento all'ira e ricco di grazia (,9rT:'I"11) e verità"». Noi non seguiamo tale proposta, che sembra essere una lectio facilior, e riteniamo significativa, dal punto di vista teologico, la variazione

due concetti sono correlati tra loro. Liberare chi è oppresso significa, infatti, impedire a chi commette il male di continuare ad agire in modo violento. Contrariamente alla nostra visione delle cose, tendenzialmente irenica, l'Antico Testamento mostra che è spesso necessario esercitare una certa pressione su chi pratica la violenza per metterlo in condizione di non nuocere. Non basta, a volte, la persuasione per sottrarre la vittima al carnefice e dovremmo renderei conto delle conseguenze che derivano da certe preghiere che rivolgiamo a Dio, chiedendogli di liberare dal male chi soffre. Anche se non ce ne rendiamo conto, infatti, l'inevitabile rovescio della medaglia di queste invocazioni è espresso da Naum in termini piuttosto espliciti. L'autore biblico utilizza una terminologia che potrebbe perfino apparire equivoca, sottolineando il legame che intercorre tra gelosia, cioè pretesa di un rapporto esclusivo, zelo per difenderlo (cioè vendetta), alleanza e ira. Questo Dio geloso e vendicatore, infatti, è anche definito come «Signore dell'ira». Le tre idee (gelosia, vendetta, ira) sono collegate tra loro e costituiscono il fondamento della profezia di Naum. In quanto Dio geloso, Y HWH pretende assoluta devozione; a motivo della sua giusta ira, il Signore può e vuole agire con giustizia nei confronti di tutti coloro che peccano; in quanto Dio vendicatore, Egli difende o libera secondo le esigenze della sua santità. Secondo alcuni esegeti, inoltre, in N a l ,2 compaiono tre titoli divini, El, YHWH e Ba'al, e il versetto si dovrebbe tradurre, alla lettera: «El è un geloso e vendicante YHWH; un vendicante YHWH e Ba'al con ira; un vendicante YHWH per i suoi avversari e conservante ira verso i suoi nemici». Questa resa, pur essendo piuttosto dura, mostra che il Signore assume ruoli che qualcuno potrebbe essere tentato di attribuire a divinità cananee. La descrizione del modo di essere di Dio prosegue nel v. 3, che contiene una citazione di Es 34,6-7: «YHWH, YHWH, Dio di pietà e misericordia, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva la sua grazia per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione» (cfr. anche N m 14, 18). Come si vede, Naum abbrevia la parte positiva

27

NAUM 1,3

è lento all'ira e grande nella forza, l ma non lascia mai impunito. YHWH cammina nel turbine e nella tempesta l e nube è la polvere dei suoi piedi. 3YHWH

di questa espressione di fede tradizionale: i vv. 4-6, infatti, metteno in rilievo proprio la «forza» di Dio (cfr. commento). Bisogna inoltre aggiungere che abbiamo qui un caso di qerè-ketìb. Il qerè, ?1~, che noi seguiamo, è un aggettivo in stato costrutto, mentre il ketìb, ?;,~, è sempre lo stesso aggettivo in stato assoluto e si dovrebbe tradurre: «grande è la forza».

YHWH (:1Vi') - L'apparato critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia, seguendo la Settanta, propone di spostare l'accento masoretico che segna la pausa di metà versetto ('atniib) sotto la seconda occorrenza del tetragramma, che, invece, secondo la scansione degli accenti del Testo Masoretico, appartiene alla linea poetica successiva.

di questo testo e fornisce una sua versione del credo di Israele. Invece di scrivere che il Signore è lento all'ira e grande nell'amore, infatti, egli afferma che YHWH è «grande nella forza». Tale forza Egli l'ha dispiegata in vari modi: creando la terra (Ger 10,12) e tutti i suoi abitanti (Ger 27,5), formando le montagne (Sal65,7), agitando ìl mare (Gb 26,12), liberando il suo popolo dall'Egitto (cfr., p. es., Es 32,11; Nm 14,13; Dt 4,37; 2Re 17,36; Ne 1,10; Is 50,2). Questi esempi mostrano che niente e nessuno può opporsi al potere di Dio (Ger 32, 17; 2Cr 20,6; Gb 9,4.19; Sal 33, 16), che ora è concentrato sulla distruzione di Ninive. Per fugare, se necessario, il sospetto che tale azione di Dio sia arbitraria, Naum usa al v. 3 il verbo «lasciare impunito», niiqiìpiel, che appartiene all'ambito legale e si riferisce generalmente alla decisione di una corte che lascia libera una persona (cfr. Es 21, 19; N m 5,31 ), coinvolgendo però spesso Dio nella decisione o mostrando una sua partecipazione al processo (cfr. Es 34,7; Nm 14,18; Ger 25,29; 30,11; 46,28; 49,12). Le immagini usate nel v. 3b dipingono l'attività di Dio in un ambito compreso tra cielo e terra. Turbine, tempesta e nubi appaiono totalmente arbitrari nel loro movimento, invece Dio stabilisce un cammino che essi seguono, obbedendo ai suoi ordini. Tra le righe si potrebbe individuare una polemica nei confronti di divinità adorate da altri popoli. I Cananei, per esempio, attribuivano il potere della fertilità a Ba'al (cfr. Os 2,7.10) e lo descrivevano nell'atto di cavalcare le nubi. Naum afferma invece che il Signore porta la pioggia e rivitalizza la terra, dichiarando il suo potere sul mondo della natura, analogo a quello che Egli esercita nella storia, come affermano alcuni testi che descrivono YHWH quale guerriero che cavalca le nubi in battaglia (Sal18, l 0-15; 68,5). Le metafore utilizzate in questo versetto sono comuni nell'Antico Testamento e ricorrono spesso nelle teofanie, particolarmente in contesti di giudizio (cfr. Is 29,6; 66,15; Zc 9,14). In linea con la descrizione della gelosia di Dio, che rivendica la sua pretesa di assoluta adorazione, adesso Naum afferma che, contrariamente alle divinità pagane della tempesta (p. es., Ba'al), il Signore controlla realmente il mondo della natura e gli affari che riguardano gli uomini (cfr. Gb 37,1-42,6; Sall04).

28

NAUM 1,4

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1,4 Inaridiscono... appassisce -In ebraico , un'ambivalenza che ci sembra significativa dal punto di vista interpretativo.

l, 7 Buono è YHWH, un rifugio... Secondo molti interpreti, cfr. anche l'apparato critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia, il verso ( ... Til.l~', :·q;,~ :l. i~) mancherebbe di un verbo che diversi esegeti propongono di inserire (cfr. la Nuovissima Versione: «buono è il Signore, per chi confida in lui una fortezza nel tempo dell'assedio»). Noi leggiamo il Testo Masoretico, che ci sembra perfettamente comprensibile.

e attraversata da un fiume e da un complesso sistema di canali che la rendevano praticamente inespugnabile. Naum invece dichiara in maniera allusiva che il Signore è in grado di vincere tutto questo. Attraverso varie metafore descrive il potere illimitato e invincibile di Dio dichiarato nel v. 3, mettendo in risalto la «forza» del Signore. Di qui la domanda retorica del v. 6: chi può resistere di fronte a Lui? Questo interrogativo è preparato dai vv. 4-5: se il Signore minaccia il mare, secca il Carmelo, fa sciogliere i monti, chi può resistere alla «sua ira ardente»? 1,7-10 Un Dio buono Con la domanda retorica del v. 6 si chiude la prima parte della descrizione di Dio, mentre, con il v. 7, viene introdotto un ulteriore elemento di riflessione: «Buono è YHWH». Lo stesso Dio, potente nei confronti di chi agisce male, è buono verso coloro che lo temono. La contrapposizione tra il destino dei giusti e quello degli empi, tradizionale nell'Antico Testamento (cfr., p. es., Sal l; 37; Pr 4, l 0-19), non è per questo meno significativa. Proprio perché Dio è un rifugio per coloro che confidano in Lui, Egli porrà fine a chi li opprime, nel caso specifico a Ninive.

30

NAUM 1,8

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:il'J~ o:9v;l o~i?J;t-N7 O'N~:lO ft" ;

1,8 Ma con un 'inondazione ... il suo luogo (:1/?iP~ ···'1~~:;1~)- Questo versetto presenta numerosi problemi, cominciando dal suo inizio, che, secondo molti studiosi, è mutilo; per questo vengono suggerite varie integrazioni, che noi però non seguiamo. Il secondo problema, sempre connesso al suo inizio, riguarda il significato del termine "l t? W, «inondazione», «diluvio», e simili. Molti pensano si riferisca al discorso precedente, come fa, p. es., la versione CEI: «Si prende cura di chi si rifugia in lui anche quando l'inondazione avanza». Altri interpreti, invece, partendo dal fatto che "l~ W è abitualmente connesso ad attività di tipo distruttivo (cfr., p. es., Sal32,6; Pr 27,4; Gb 38,25; Dn 9,26), ritengono che la frase vada completata in-

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serendo qualcosa di negativo, come fa, p. es., la Settanta, che traduce: «E nell'inondazione porrà termine al cammino di coloro che insorgono» (roùç E1TEYELPOf.1Évouç); ciò suppone la lettura de li' ebraico 1'/?i? =? («dai suoi oppositori») invece di :1/?ipo, «il suo luogo»). In realtà, questa lettura della Settanta non è confermata da altre versioni antiche, come, p. es., la Vulgata, che hanno invece preferito seguire il Testo Masoretico. Il suo luogo - Il termine :11?iP9 crea problemi perché non è evidente a chi si riferisca il suffisso di terza persona femminile singolare. Molti pensano che sia da attribuire ali' Assiria, che però non è stata ancora menzionata, mentre altri rinviano al termine «mondo» (':l:;n.) che compare

Il senso dei vv. 8-10 è complessiva1nente chiaro, anche se i vari cambiamenti tra soggetti e oggetti creano qualche difficoltà. Nel v. 8, per esempio, parla Y HWH, mentre il soggetto del v. 9 è una se~onda persona maschile plurale e al v. l O si annuncia che «essi» saranno completamente distrutti: e questo elenco potrebbe continuare. Gli esegeti hanno a volte proposto modifiche testuali per rendere più coerente il discorso, ma si tratta di opzioni che noi non seguiamo perché ci pare caratteristico di Naum l'uso di uno stile che si potrebbe definire «staccato», ricorrendo a un termine musicale. Come si vedrà anche in seguito, infatti, il profeta descrive scene molto vivide con veloci pennellate, quasi fosse un pittore impressionista, e, per esprimere tale vivacità, spesso ricorre a bruschi (per il lettore) cambiamenti di soggetto, oppure a frasi nominali, forme onomatopeiche, allitterazioni, ecc.

31

NAUM 1,10

Ma con un'inondazione che irrompe l distruggerà completamente il suo luogo l e la tenebra inseguirà i suoi nem1c1. 9 Cosa tramate contro YHwH? l Egli compirà una distruzione totale; la sventura non sorgerà due volte. 10lnfatti, aggrovigliati come rovi l e fradici a causa del vino, saranno divorati come paglia secca, completamente.

8

nel v. 5. Esso è effettivamente di genere femminile, ma è un po' lontano dal v. 8 per costituire un antecedente a esso. Molti traduttori scelgono di lasciar cadere il vocabolo (così fa, p. es., la versione CEI), oppure Io modificano (un esempio tra tutti è rappresentato dalla Settanta, di cui si è parlato nella nota precedente). Noi traduciamo il vocabolo rimandando al commento esegetico-teologico per una sua possibile interpretazione. La tenebra inseguirà i suoi nemici c·w;n-•r:t,T 1'?~k)- Nell'ebraico non è chiaro chi sia il soggetto di questa frase, se Dio o le tenebre. La traduzione CEI sceglie la prima opzione («l suoi nemici insegue nelle tenebre»), che è la più comune, ma non è escluso, dal punto di vista grammaticale,

che le tenebre siano il soggetto, come noi abbiamo scelto di interpretare. 1,10 Infatti- La congiunzione ':l ha molti significati (causale, temporale, ipotetico, ecc.), ma può anche assumere un valore asseverativo («certamente», «infatti», e simili). Completamente- Il termine N~~ è in genere omesso dalle traduzioni (anche dalla versione CEI, che rende la seconda parte del v. l O in questo modo: «Saranno consunti come paglia secca»). Esso può essere inteso in senso avverbiale («completamente», «del tutto», e simili) e riferito alla paglia (totalmente secca) oppure al verbo («completamente divorati», «del tutto divorati», «interamente consumati»), come abbiamo scelto di fare noi.

In l ,8 l 'inondazione può rimandare al diluvio, ma anche collegarsi a quanto detto nel v. 4, a proposito del potere di Dio di asciugare il mare. Forse esiste pure un rimando a Is 8, 7-8, in cui si descrive l'assalto dell' Assiria contro Giuda usando l'immagine dell'inondazione: ora lo stesso destino è subìto dall'Assiria. Come la città scomparirà completamente, così avverrà ai suoi abitanti. Nella Scrittura, infatti, la tenebra è simbolo di terrore, lamento, caos, morte. Di qui la domanda del v. 9, che può essere rivolta sia a Ninive che a Gerusalemme, e che introduce comunque una promessa per il popolo del Signore: «la sventura non sorgerà due volte». Una volta distrutta, infatti, l'Assiria non costituirà più una minaccia per Israele, anche se la storia insegna che altri nemici prenderanno il suo posto, a cominciare da Babilonia.

32

NAUM 1,11

N*; 19,0

11

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:.t:~i?i? ~f. 'Tf':Pi? o~w~ 1,11 Un consigliere iniquo- Molte traduzioni, compresa la versione CEI, non rendono il sintagma '~~~ fl1'. Soprattutto il secondo termine, '11~':;1, crea difficoltà, anche se è abbastanza comune; cfr., p. es., Dt 13,14; Gdc 19,22; l Sam 2, 12; 25,25. Questo vocabolo è probabilmente derivato dall'unione di due termini, ''f-· «senza», e '11~. «valore». Nell'esegesi giudaica e giudeo-cristiana successiva il termine «Beliyy'al» assumerà un senso demonologico, che qui non ha. I contesti biblici in cui appare qualcuno definito «Beliyya'al», cioè «senza valore», «spregevole», rimandano a persone depravate, il cui comportamen-

to è, per diverse ragioni, deprecabile, perché trasgredisce una norma - fondamentale per Israele- che riguarda la relazione di alleanza tra individuo, comunità e Dio (cfr. Dt 13,14: uomini che invitano ali' apostasia; Gdc 19 ,22; 20,13: gli abitanti di Ghib'a che violentano la concubina del !evita fino a provocarne la morte; !Sam 2,12: i figli di Eli; !Sam 25,17: Nabal; 2Sam 20,1: Sheba; IRe 21,10.13: i due falsi testimoni prezzolati da Izebel per far condannare Nabot; .nel Salterio lo stesso termine descrive il comportamento dell'amico nel quale l'arante ha riposto la sua fiducia e che invece lo tradisce; cfr. Sal 41,9-1 0).

1,11-14 Conseguenze Il v. Il introduce sia l'oracolo dei vv. 12-13 rivolto a Giuda, che quello del v. 14, indirizzato a Ninive, presentando i due personaggi principali, uno femminile e l'altro maschile. I versetti finali del capitolo forniscono un esempio particolare di quanto descritto in senso generale fino a questo momento. Il Signore rivolge una parola a ognuna delle parti coinvolte. Giuda riceve l 'assicurazione che la sottomissione ali' Assiria finirà presto (vv. 12-13): questa promessa comporta, come conseguenza, che Ninive sarà distrutta, che non ci sarà futuro per lei e che le sue divinità saranno (v. 14) annientate. La ribellione contro Dio da parte di Ninive ha prodotto un «consigliere iniquO>}. Nel presente contesto l'espressione può indicare il re di Ninive che ha cospirato contro il Signore. Gli esegeti hanno cercato di individuare il personaggio storico al quale Naum si riferisce e hanno ipotizzato che si tratti del re Sanl;lerib, ma pare più valida l'opinione di chi pensa che il termine si applichi a tutti i re malvagi che sono usciti dali' Assiria, incarnando di volta in volta le caratteristiche della figura presentata da Naum.

33

NAUM 1,14

"Da te è uscito l chi trama il male contro YHWH, un consigliere iniquo. 12 Così dice YHwH: «Anche se sani e numerosi, essi saranno falciati e periranno; e se io ti ho affiitta, non ti affiiggerò più. 13 0ra spezzerò il suo giogo da sopra di te l e romperò i tuoi legami». 14Comanderà YHWH contro di te: l «Nessuna discendenza porterà il tuo nome, dal tempio dei tuoi dèi eliminerò immagini scolpite e immagini fuse; preparerò il tuo sepolcro perché sei poca cosa». All'interno del corpo profetico, solo Naum usa due volte il vocabolo (l, 11; 2, l). 1,12 Periranno (,~~) - Il verbo ebraico è al singolare, ma noi lo abbiamo reso al plurale per concordarlo con ciò che precede. Il versetto è difficile e alcuni esegeti eliminano il verbo in questione, altri lo spostano in punti diversi dopo aver ricostruito il testo (in un'operazione totalmente ipotetica). Le difficoltà erano state percepite anche dalle versioni antiche, come si nota dalla Settanta che inserisce, dopo la formula del messaggero («così dice YHWH»), una frase che manca nel Testo Masoretico (Km:&pxwv ù&hwv TIOÀÀwv,

«che domina molte acque») e poi traduce un testo più breve di quello Masoretico. 1,14 Sei poca cosa- Il verbo ',',p significa «essere leggero», «essere piccolo». «Avere poco peso» può anche significare «avere uno scarso valore». Per contrasto, si può ricordare invece che, quando il testo ebraico parla della «gloria di Dio», usa un termine, che deriva dalla radice, i::J;:,, il cui significato originale è «avere peso». Di conseguenza, ciò che è definito «leggero» è caricato anche di un senso dispregiativo che può essere reso, in questo caso, dicendo «non vali niente», «sei un incapace», e simili.

Attraverso i due oracoli dei vv. 12-14 viene descritto il giudizio di Dio, il quale non aspetta che i nemici si trovino in uno stato di debolezza per colpirli, ma comincia ad agire quando essi sono ancora forti, numerosi e arroganti (v. 12). Questo giudizio, di cui si parla nel v. 14, comporta tre elementi. Il primo riguarda la mancanza di futuro del popolo di Ninive. Una delle tragedie considerate peggiori dai popoli antichi era quella di non avere discendenti che perpetuassero il nome della famiglia (cfr. 2Sam 18, 18). La seconda parte del giudizio verte invece sul culto: Dio distruggerà le immagini scolpite, di legno o di pietra, e quelle di metallo, cioè ogni tipo di idolo (cfr. Ab 2, 18). Gli Assiri, come altri popoli (p. es. i Romani), quando conquistavano una città, prendevano dai templi le immagini degli dèi e le portavano a Ninive per dimostrare la superiorità delle loro divinità su quelle dei popoli vinti. Invece il Signore mette in atto un processo inverso. La terza parte del giudizio annuncia la fine del popolo assiro, al quale Dio stesso prepara una tomba.

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NAUM2,1

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LA DISTRUZIONE DI NINIVE (2,1-14) In questo secondo capitolo si possono individuare tre sezioni: i vv. 1-2 annunciano il tema che verrà sviluppato nelle pericopi successive, dedicate alla descrizione dell'assalto di Ninive (3-10), su cui il profeta poi ritorna usando la metafora del leone (11-14). 2,1-2 Annuncio del tema L'incipit del capitolo 2 è praticamente uguale a Is 52,7a, il testo di un profeta a cui Naum si accosta spesso. Gli studiosi hanno cercato di determinare se Isaia è stato la fonte da cui Naum ha attinto, se il processo è stato inverso oppure se entrambi i profeti hanno fatto riferimento a una fonte comune. In base alla risposta data alla questione vengono poi formulate ipotesi relative ali' eventuale data di composizione dello scritto di Naum. Personalmente non seguiamo questo approccio, i cui risultati sono sempre ipotetici, e riteniamo invece più interessante notare che Naum riprende una serie di testi biblici, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, e lo fa a volte in modo letterale, altre invece in modo allusivo o creativo, cioè in funzione del discorso teologico che egli sta elaborando. Anche nel caso specifico, di conseguenza, ci sembra significativo segnalare che l'inizio del v. l riprende Is 52,7, ma in una forma, per così dire, paradossale. Isaia, infatti, introduce un oracolo di salvezza rivolto a Gerusalemme, annunciando la liberazione da Babilonia, mentre Naum comincia così un capitolo dedicato alla rovina di N inive. Anch'egli intende consolare i destinatari del suo oracolo, ma lo fa in maniera problematica per i cristiani. La gioia e la consolazione espresse sono intimamente connesse alla distruzione del nemico, che il profeta descrive con grande abilità e dovizia di particolari. l monti di cui si parla al v. l sono probabilmente quelli di Giuda, che aspettava con impazienza la notizia. La conseguenza dell'annuncio è che Giuda può di nuovo celebrare le sue feste. Alcuni studiosi hanno cercato di identificare le feste specifiche alle quali il profeta alluderebbe, ma forse l'espressione significa solo che il popolo può tornare alla pratica della sua religione. Diversi episodi

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2

NAUM2,2

Ecco sui monti i piedi di chi annuncia una buona novella, l di chi proclama la pace. Celebra, Giuda, le tue feste, l sciogli i tuoi voti, perché il malvagio non passerà più in mezzo a te: è stato annientato. 2Sale contro di te un distruttore: l «Custodisci bene la fortezza, sorveglia la strada, l cingi i tuoi fianchi, l raccogli tutte le tue forze». 1

storici possono essere evocati come sfondo, ricordando, per esempio, quello che avvenne al tempo di Al)az (736-716 a.C.), il quale «sacrificò agli dèi di Damasco, che l'avevano sconfitto, dicendo: "Poiché gli dèi dei re di Aram portano aiuto ai loro fedeli, io offrirò loro dei sacrifici ed essi mi aiuteranno". Ma furono essi a provocare la sua rovina e quella di tutto Israele» (2Cr 28,23; cfr. 2Re 16, l 0-18). Un altro momento critico si determinò con Manasse (687-642 a.C.) il quale «ricostruì le alture che suo padre Ezechia aveva distrutto; eresse altari a Ba'al e innalzò un palo sacro, come aveva fatto Al)ab, re d'Israele; venerò tutto l'esercito del cielo e gli rese culto» (2Re 21,3; cfr. 2Cr 33,1-10). Adesso che Ninive viene distrutta, invece, il popolo di Giuda può tornare a celebrare le sue feste, sottraendosi all'influenza anche religiosa esercitata dali' Assiria. Si può forse individuare anche un legame con la fine del capitolo precedente (v. 14), in cui il profeta annunciava la distruzione degli idoli di Ninive, mostrando in tal modo la superiorità di YHwH. Il legame con il capitolo precedente è confermato dalla ripetizione del termine ebraico beliyya 'al (2, l, qui tradotto con «il malvagio») che era già comparso in l, 11 (dove abbiamo reso «iniqum> ). La rilevanza di tale collegamento si percepisce ricordando che queste sono le uniche due occorrenze del vocabolo all'interno del corpo profetico. L'abilità poetica di Naum emerge nella descrizione che egli elabora de li' assedio e della caduta di Ninive. Il profeta parla come se gli avversari fossero alle porte della città, in attesa de li' ordine di avanzare e di attaccare (2,2). Probabilmente è contenuta una certa ironia nelle parole: «Custodisci bene la fortezza, sorveglia la strada, cingi i tuoi fianchi, raccogli tutte le tue forze»; l'ordine dato appare ragionevole, ma nello stesso tempo del tutto inutile, se il Signore ha già decretato la fine di Ninive! È degno di nota, poi, il fatto che, eccezion fatta per il titolo del libro (l, l), finora non è stato ancora pronunciato il nome del destinatario dell'oracolo di giudizio, e questo effetto ritardante è molto significativo, perché suggerisce l'impressione, a nostro avviso corretta, che la liberazione dali' oppressione assira può essere percepita come un simbolo che rimanda, in senso più generale, a ogni tipo di liberazione.

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NAUM2,3

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2,3 Gloria- Nel versetto si ripete due volte il termine li~~. che significa «gloria», «vanto». L'apparato critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia propone di sostituirlo con l~~. «vigna», probabilmente perché compare, alla fine del versetto, la parola i1li~\. che significa «tralcio», «ramoscellm). 2,4 Vestiti di scarlatto (C'l17J::~f?) - Il verbo l1'n è un hapax, ma, essendo probabilmente un denominativo dal sostantivo l17in, «porpora», «scarlatto», che compare solo in Is 1,18 e Lam 4,5, sembra significhi «essere vestito di scarlatto», o simili.

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I carri,fuoco di ferro (:l~~ ::;r niì7~-w~f) - Il sintagma ebraico è molto difficile da tradurre, anche perché il sostantivo i1l7~ è un hapax, che è stato reso in modi diversi: «ferro», «acciaio», «torce», «lampo» ... Si è ipotizzata una derivazione dall'ugaritico con riferimento alle decorazioni dei carri, e non si contano le proposte di modifica testuale. La nostra traduzione si sforza di mantenere il Testo Masoretico, ma è congetturale. Nel giorno dell'attacco (iJ'::liJ Ci':l)Alla lettera: «nel giorno della sua pre-

2,3-10 Descrizione dell'assalto di Ninive Questa pericope e il capitolo successivo pongono un problema più generale: viene qui descritta una realtà già accaduta, oppure il profeta usa il cosiddetto «perfetto profetico», applicando, cioè, verbi al passato a eventi che ancora non sono avvenuti, la cui realizzazione però è certa, dal momento che è il Signore stesso a parlare? Alcuni studiosi ipotizzano addirittura che Naum sia stato spettatore dell'assedio di Ninive e che dunque lo descriva con la vivezza del testimone oculare. Scartando quest'ultima ipotesi, che non ci pare assolutamente attendibile, la risposta data ali' alternativa precedente ha delle conseguenze per quel che riguarda la datazione dello scritto. Noi consideriamo Naum un testo letterario, di alta poesia e riteniamo che il profeta usi qui il perfetto profetico, parlando di un evento che ancora si deve compiere. In realtà, non è molto importante il fatto che Ninive sia o non sia già stata conquistata, perché la sua distruzione è stata decretata dal Signore e dunque è certa. Questo ci pare il senso che potrebbe avere il sintagma «libro della visione» (l, l) con cui si apre lo scritto di Naum. Il profeta attesta in modo solenne la rivelazione che Dio gli ha rivolto, addirittura mettendola per iscritto, e questa sua «visione» della realtà viene ribadita all'interno del libro, nel quale egli menziona a due riprese il decreto, la decisione, che viene da Dio (l, 14; 2,8).

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NAUM2,5

lnfatti il Signore ristabilisce la gloria di Giacobbe l come la gloria di Israele, infatti i devastatori li avevano devastati l e avevano saccheggiato i suoi tralci. 4Lo scudo dei suoi prodi è tinto di rosso, i guerrieri sono vestiti di scarlatto, i carri, fuoco di ferro; nel giorno dell'attacco, le lance si agitano. 5Per le strade sfrecciano i carri, l si precipitano nelle piazze; il loro aspetto è simile a fiaccole, l guizzano come fulmini. 3

parazione»; il suffisso di terza persona maschile singolare probabilmente si riferisce al termine ::l::n («carro»), che immediatamente precede e che è al singolare in ebraico. Le !ance- L'ebraico t:l'W"i~;::t è problematico, perché significa «cipressi» (o «pini»), e non sembra adeguato al contesto. Potrebbe essere un caso di metonimia, che consiste neli 'indicare il materiale di cui sono fatte le !ance per riferirsi a esse (così traduciamo noi). In alternativa, sarebbe possibile accettare il cambiamento pro-

posto dalla Settanta, che legge o t t 1T11Elç («i cavalieri»), corrispondente ali' ebraico t:l'~"Wi:!. Pur essendo lectio facilior, tale lettura si potrebbe giustificare per vari motivi: il cambiamento rispetto al Testo Masoretico è minimo è spiegabile come confusione da parte di un amanuense; la stessa forma è presente in N a 3,3; dal punto di vista semantico, poi, il testo appare più scorrevole e comprensibile. Si agitano (~"~,:;t) - Il verbo è un hapax che significa probabilmente «tremare», o simili.

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Tale decisione spiega l'attacco contro Ninive, di cui si parla nei vv. 3-10 in modo estremamente vivido. In primo luogo vengono descritti l'esercito attaccante e il suo equipaggiamento (2,4). Gli scudi dei nemici sono rossi (v. 4), o per il sangue, o perché dipinti di rosso (così da non dare nell'occhio, se imbrattati di sangue, e da non generare panico), o perché fatti di rame, che luccica se colpito dai raggi del sole. La sensazione di luce si accentua nel momento in cui sono descritti i carri che abbagliano, forse perché ricoperti di piastre metalliche (vv. 4-5). I carri- che portavano due o tre soldati, uno che guidava e gli altri che combattevano- costituivano un'arma di attacco piuttosto raffinata, e il bagliore che emanava dalle piastre metalliche di cui essi erano rivestiti accentuava l 'impressione di confusione, di potenza. Questi carri «impazzano» (così si potrebbe tradurre il verbo ebraico) per le strade, fulmini di fuoco a causa della loro velocità e dei bagliori metallici che provengono dai loro rivestimenti. L'abilità del poeta si apprezza, inoltre, quando si nota che molti verbi utilizzati nei vv. 4-6 possono riferirsi sia agli attaccanti che ai difensori della città. Sembra più plausibile riferire i verbi dei vv. 4-5 agli attaccanti, ma il dubbio trasmette la sensazione di confusione e di terrore che si determina durante l'attacco. Di qui la

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NAUM2,6

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2,6 Si ricorda (1jr)- Il soggetto è probabilmente il re d'Assiria. La versione CEI, come altre traduzioni, preferisce rendere il verbo in forma impersonale: «Si fa l'appello». Nel loro cammino - Altro caso di qerè-ketìb. Il qerè è CN't,t]::;l, «nel loro cammino» (per il significato di questo vocabolo cfr. Sal 68,25; Gb 6, 19). Il ketìb, invece, legge lo stesso sostantivo, :09'1;,::), però al plurale: C~i:l~::):;l, «nei loro cammini». Noi seguiamo il qerè che è lectio difficilior. La barricata- Il termine l::lb è un hapax; deriva dalla radice 1:10, che ha almeno tre significati diversi: «proteggere», «tessere», «nascondere/nascondersi». Potrebbe dunque significare

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«copertura di scudi», «barricata», «difesa», «testuggine>> (una sorta di difesa portatile, che doveva proteggere dalle frecce, dai sassi e da quanto veniva gettato dai bastioni), e simili. 2,8 È stato decretato- Il termine :::~;,;ry è stato interpretato in molti modi diversi. Le tre opzioni principali sono le seguenti: l) potrebbe essere un nome che significa qualcosa come «signora», «bellezza», e riferirsi a un personaggio femminile, forse con valore simbolico per indicare l'Assiria o Ninive, oppure un appellattivo della sua regina o della dea lshtar, patrona della città; 2) potrebbe trattarsi di una forma verbale passiva; 3) sarebbe, secondo altri studiosi, un vocabolo da emendare. Scartando la terza

reazione descritta nel v. 6 in cui, ancora una volta, non è chiaro chi siano i soggetti. Forse il re di Ninive si ricorda dei suoi nobili, ma essi inciampano nella fretta di fuggire; oppure il soggetto è il capo degli attaccanti, che dà un ordine ai suoi nobili, i quali, per obbedirgli il più rapidamente possibile, incespicano. Entrambi i soggetti si adatterebbero alla seconda parte del v. 6: esso può descrivere sia la reazione degli attaccanti, che si affrettano verso le mura della città per assaltarla, sia quella degli attaccati, che cercano di difendersi usando qualche tipo di copertura. L'impeto dell'assalto è paragonabile a una fiumana (v. 7) che irrompe nella città facendo tremare perfino il palazzo regale. Ancora una volta il poeta gioca con le immagini, che possono essere interpretate in senso sia letterale che metaforico. Ninive era infatti costruita nei pressi dell'Eufrate e un fiume la attraversava; un complicato sistema di canali e di chiuse la proteggeva rendendo la praticamente inespugnabile, mentre adesso la stessa difesa naturale causa la sua rovina. Gli studiosi ipotizzano, facendo anche riferimento ad antiche fonti storiche greche, che pure l'acqua abbia contribuito a distruggere Ninive, pensando, per esempio, che gli attaccanti abbiano aperto dighe. Se tutto ciò sia ·vero o no non ha molta importanza, soprattutto se si considera la forza dell'immagine poetica che esprime la logica del contrappasso insita nella legge del taglione: quello che tu hai fatto ti si ritorcerà contro; le tue difese, che ti hanno permesso di arricchirti, di acquisire un'enorme supremazia politica e militare, esse stesse provocheranno la tua rovina, arrivando fino a minacciare il cuore del potere, il palazzo regale.

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NAUM2,8

Si ricorda dei suoi nobili, l inciampano nel loro cammino, si affrettano verso le sue mura, l è approntata la barricata. 7 Le chiuse dei fiumi si spalancano l e il palazzo regale trema. 8È stato decretato: essa è spogliata, portata via, le sue ancelle fanno il lamento, con voce come di colombe l si battono il petto.

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ipotesi (che cerchiamo, se possibile, di evitare come scelta metodologica), la possibilità di riferire il termine alla regina di Ninive cozza contro il dato di realtà (non esistono attestazioni riguardanti una regina che avesse questo nome). Sembra quindi preferibile intendere il termine come un verbo (hofal di ::I~J, «porre», «mettere», «stabilire»), che qualcuno collega alla fine del v. 7, suggerendo una lettura simile alla seguente: «Il palazzo regale è dissolto, sebbene fermamente stabilito>>. Noi abbiamo cercato di attribuire, anche se con qualche incertezza, un significato alla forma verbale rispettando il Testo Masoretico. Essa è spogliata (;'TI;17~) - Il verbo ;,';!J (qui al

pual) significa «scoprire», «rivelare», ma anche «andare in esilio». La versione CEI, p. es., traduce: «la Signora è condotta in esilio»; noi

preferiamo rendere il verbo in modo coerente con la simbologia femminile che il testo evoca. Fanno il lamento - La forma niJ::W va considerata un hapax, in quanto il pie! di :mJ ha un significato diverso («condurre», «condurre via»). Molti studiosi hanno proposto di leggere niJt;ll? (pual) e tradurre, sulla base del significato più frequente del verbo, «sono condotte via (a forza)», come fanno anche le versioni antiche (la Settanta ha ilvovro, la Vulgata minabantur). Sembra però possibile mantenere la lettura.del Testo Masoretico, facendo riferimento a una radice J;"TJ II.

Con il verbo «tremare» traduciamo nel v. 7 l'ebraico mug, che ricorre anche in Na 1,5 e Am 9,13 e ha un significato teofanico. In Na 1,5 si diceva che le colline si sciolgono davanti al Signore, mentre adesso qualcosa di simile capita al palazzo regale (la stessa parola significa però anche «tempio»), e non a causa dell'acqua, ma come conseguenza del giudizio di YHWH. La fine del palazzo, centro del potere politico e religioso, non è imputabile solo a una sconfitta militare, dovuta forse a una preparazione superiore o a un equipaggiamento migliore, ma è da comprendere piuttosto come un effetto della manifestazione di Dio. L'evento ha dunque un valore apocalittico: rivela, cioè, la fragilità di tutto ciò che si erge orgogliosamente contro il Signore e che però viene da Lui distrutto, «sciolto». Ciò che appare solido - le colline, i palazzi -dimostra in realtà la sua inconsistenza davanti al Signore, e in tal modo viene fornita una risposta alla domanda retorica di 1,6. Naum non ha visto con i suoi occhi tutto ciò, come si diceva in precedenza, ma questo è il contenuto del «libro della sua visione», che intende consolare coloro che, ieri come oggi, soffrono a causa di imperi violenti, aggressivi, oppressori, magari ammantati di ideologie sacrali. Ancora una volta, al v. 8, il profeta dichiara che tutto ciò che sta descrivendo «è stato decretato», usando il passivo teologico che suppone Dio come soggetto. L'inizio del v. 8 è tuttavia problematico. Interpretiamo il primo termine come un verbo di forma passiva, che ribadisce il fatto che la fine di Ninive è da attribuire a una decisione divina. La metafora femminile che

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NAUM2,9

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:1llN-9 l~9i? o?.~ 'J.~l 2,11 Distruzione, devastazione, desolazione (:1i?7::!~~ :1i?~::l~~ :1i?~::l)- I tre termini sono sinonimi (per un'analoga moltiplicazione di sinonimi cfr. Ger 48,43; Gb 10,22), ma presentano alcune particolarità. Il secondo è un hapax, mentre il terzo è

un participio pual sostantivato dalla radice p',:!, che in questa forma compare solo qui. Alcuni esegeti fanno notare, infine, che il secondo termine contiene una sillaba in più del primo, mentre il terzo ne ha una in più del secondo: si esprime in tal modo

emerge dal versetto può riferirsi a Ninive, e forse anche - ma secondo noi in misura minore - alla statua della sua divinità principale. È infatti molto comune rappresentare una città usando una simbologia femminile, di tipo materno, generativo, senza che sia necessario ipotizzare complicati riferimenti al simulacro della divinità, che può comunque essere evocato sullo sfondo coerentemente con quanto detto in precedenza a proposito delle immagini divine distrutte dal Signore (l, 14). Sempre in modo metaforico, e riprendendo l'immagine delle acque, il v. 9 descrive la fine della città dalla quale tutti fuggono, corpe acqua che defluisce disperdendosi a terra: è il simbolo della vita che viene meno. L'invito a restare che qualcuno formula- forse il re di Ninive, o, ironicamente, il profeta- sortisce l'effetto inverso, generando un movimento non centripeto, bensì centrifugo. Contravvenendo alle regole del parallelismo, ma in modo estremamente efficace dal punto di vista poetico, lo stico ebraico usa inizialmente una forma femminile che indica l'abbondanza di acque di cui Ninive ha sempre goduto, passando poi a un pronome maschile plurale riferito ai suoi prodi che fuggono. In questo versetto, inoltre, compare nove volte la consonante mem, creando un gioco di assonanze che si percepisce però solo nel testo originale. Ancora nel v. l O vengono riportate alcune parole, ma non è chiaro chi sia il locutore, se gli attaccanti, Dio o il profeta. Ire d'Assiria hanno ripetutamente descritto nei loro annali i tesori che essi hanno collezionato

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NAUM 2,11

9Ninive era come un serbatoio d'acqua fin dai giorni in cui lei esiste, ma essi fuggono. l «Restate, restate!», ma nessuno si volta indietro. 10«Saccheggiate argento, l saccheggiate oro». Non c'è fine a ciò che è stato preparato, l abbondanza di ogni tipo di oggetto prezioso. Distruzione, devastazione, desolazione, il cuore viene meno, tremano le ginocchia, l brividi ai fianchi e tutte le loro facce impallidiscono. 11

un incremento di intensità nel sentimento descritto. Tremano le ginocchia (C'~l:!l p=:n) - Il sostantivo ebraico ptl è un hapax dalla radice p1El, che significa «vacillare», «tremare». Alla lettera si dovrebbe tra-

durre: «sono un tremore le ginocchia». Impallidiscono - Il sintagma ebraico ,,,~~ 1l~p è ricercato. Alla lettera si può tradurre con «radunano (o "raccolgono") rossore»; il significato è «arrossire», oppure «impallidire», due effetti della paura.

depredando altre nazioni. Per almeno duecento anni, dal tempo di Assurbanipal II (884-824 a.C.) a quello di Sanl).erib (705-681 ), è continuata la spogliazione dei popoli conquistati. La ricchezza di Ninive, però, non si basava solo sui beni confiscati a ciascun popolo nel momento della conquista, ma anche sui tributi annuali che le nazioni vinte erano costrette a pagare ali' Assiria. 2,11-14 La metafora del leone Il v. Il collega la descrizione dell'assalto di Ninive con la parte finale del capitolo. Esso descrive le conseguenze dell'esperienza vissuta usando tre sinonimi che creano, in ebraico, un'assonanza intraducibile in italiano (un effetto simile si trova in Is 22,5; 29,2; Sof l, 15): I'impressione è quella di un'angoscia crescente, in uno scenario analogo a quello del caos primordiale, fatto di vuoto, desolazione e distruzione. Le conseguenze sul piano antropologico sono drammatiche: il cuore, luogo in cui si prendono le decisioni, simile a quello che la testa è per noi, viene meno; le ginocchia, che permettono di intraprendere il cammino, tremano; i fianchi, che vanno cinti prima di iniziare un lavoro, vacillano; e il volto, specchio dell'anima, impallidisce. Il quadro che ne emerge è impressionante: il centro della persona (il cuore), nonché ciò che presiede alle sue attività (le ginocchia e i fianchi) sono inutilizzabili, e anche la sua interfaccia con il mondo, cioè il viso, è privo di dinamismo, in accordo con il vuoto e con la desolazione che la città sperimenta.

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NAUM2,12

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si comportava come un leone nei confronti di altri popoli, ma che si rappresentava anche come un cacciatore di leoni. La caccia al leone era infatti uno degli sport preferiti dai sovrani assiri, che in tal modo esibivano il loro coraggio e confermavano la loro reputazione di uomini virili. Assumasirpal II (883-859) fu il primo re a farsi raffigurare nell'atto di uccidere i leoni, e Assurbanipal lo seguì. Uccidere il leone, re degli animali, era considerato un segno di supremo potere. Gli annali di corte assiri paragonavano l'abilità dimostrata dal re nell'uccidere i leoni con quella, analoga, che egli dimostrava

Su questo sfondo appare particolarmente suggestiva la metafora del leone con cui si chiude il capitolo (vv. 12-14). Attraverso quattro termini che indicano il leone, la leonessa, illeoncello e il cucciolo che ancora non va a caccia, Naum si riferisce a tutta la società assira: re, regina e principi manifestano i tratti del leone. Essi però non continueranno a impossessarsi delle spoglie delle nazioni, né incuteranno ancora timore agli altri. Si percepisce la sferzante ironia di Naum, il quale descrive i personaggi della corte, a partire dal re, come leoni che vengono cacciati, mentre essi amavano dipingere se stessi come potenti leoni che cacciavano le loro prede (cfr. nota). Naum, fedele alla tradizione biblica, raffigura la punizione degli Assiri in modo proporzionato al crimine da loro commesso. Nel v. 14 il profeta descrive infatti i guerrieri assiri come leoncelli uccisi dalla spada di YHWH, l 'arma favorita dei re assiri per le loro cacce. Ancora una volta il profeta dichiara che Dio condanna gli

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NAUM2,14

Dov'è il rifugio dei leoni l che è anche il luogo di nutrimento dei leoncelli? Dove camminano il leone, la leonessa e il cucciolo di leone, senza nessuno che li spaventi? 13 Illeone sbrana quanto basta per i suoi cuccioli, l e strangola per le sue leonesse, riempie di preda i suoi covi l e le sue tane di bestie sbranate. 14Eccomi a te- oracolo di YHWH degli eserciti-, farò bruciare i suoi carri l e la spada divorerà i tuoi leoncelli, estirperò dalla terra la tua preda l e non risuonerà più la voce dei tuoi messaggeri. 12

nel momento in cui sottometteva i nemici. L'insistenza su questo tema si comprende ricordando che, soprattutto al tempo di Assurbanipal, i leoni infestavano i boschi lungo l'Eufrate ed erano arrivati a minacciare anche la vita delle persone. Il re fu dunque costretto a intraprendere azioni volte a ridume drasticamente il numero, arrivando a considerare la caccia di questi animali come una missione che gli dèi stessi gli avevano affidato per proteggere il popolo. 2,14 I suoi carri (:1:p1)- Il termine ebraico è un singolare con valore collettivo; la Settanta ha 7!Ài'J96ç aou «la tua folla)), «la

tua moltitudine)), presupponendo probabilmente l::l"1_, scelta seguita anche dalla traduzione CEI: «Manderò in fumo la tua moltitudine)). Forse la versione greca ha ritenuto che nel testo ebraico ci fosse un errore dovuto a metatesi, cioè a uno scambio di consonanti. Dei tuoi messaggeri (:1=?=?~7~) - La forma del sostantivo con suffisso pronominale è insolita, tanto che è difficile stabilire se si tratta di un singolare (per il quale ci si aspetterebbe l=?~7~ ), che allora andrebbe inteso in senso collettivo, o di un plurale (ci si aspetterebbe:

T~~~~).

orgogliosi e arroganti oppressori del suo popolo. Gli Assiri, che pretendevano di essere leoni vittoriosi in battaglia, vengono in realtà sconfitti e uccisi. Si può anche leggere tra le righe una polemica anti-idolatrica: Assurbanipal sosteneva che i suoi successi come cacciatore di leoni supportassero la pretesa di essere non solo il re d'Assiria, ma anche il sovrano d eli 'universo, mentre il Signore dimostra che Egli solo è il vero monarca che dà la caccia ai potenti re assiri e li vince. Il capitolo si chiude menzionando il silenzio dei messaggeri assiri (v. 14), che corrisponde, per contrasto, alla voce di colui che annuncia la buona novella della pace in 2, l. I messaggeri ridotti al silenzio possono forse rimandare a 2Re 18,17-37, in cui si riporta il messaggio minaccioso recato al re di Gerusalemme dagli ambasciatori assiri, adesso ridotti al silenzio dalla parola di pace proclamata a Giuda.

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NAUM3,1

3 i1~7.~ Ì'l~· Ù;lJ~ ;,7~ o~o,. 1~11 ~ii1 1

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:oQ;1~:;1 [ ~7'P:t1 l ~"'P~~ ] ~?o/:t; 3,1 Mai sazia di spoglie ("]").~ w·~~ ~':l) Alla lettera: «non recede dalla preda». 3,2 Cavalli al galoppo - Il participio qal dal

:

i1~p'? ;,~p n~1

verbo i ;"Ti è un hapax (si veda, però il sostantivo della stessa radice ;"Tlti'J in Gdc 5,22). 3,3 Cavalieri ... spade... !ance... trafitti ...

NINIVE E TEBE (3,1-19) Anche in questa terza parte si possono individuare tre pericopi: la prima è un oracolo che comincia con «guai», rivolto a Ninive (3, 1-7), la seconda è dedicata a un confronto tra Tebe e Ninive (3,8-13), mentre l'ultima è un altro oracolo che descrive l'ineluttabilità della fine di Ninive (3, 14-19). 3,1-7 Oracolo su Ninive Con 3,1 comincia chiaramente una nuova sezione all'interno del libro introdotta da hoy, «guai», un tennine molto frequente nella Scrittura, sopmttutto nei testi profetici (cfr., p. es., Is 5,8-24; 10,1-3; Am 5,18-20; Mi 2,1-4), usato sia in omcoli contro le nazioni (ls 33,1; Ab 2,6.9.12.15.19) che contro Ismele (Ez 24,6.9), mentre compare solo qui in Naum. Il vocabolo ricorre in alcuni contesti specifici: per intonare lamenti funebri, per chiedere attenzione, ma sopmttutto per annunciare una sventura. Il suo senso fondamentale oscilla tra la maledizione e il lamento (cfr. Ger 22,18; 34,5). Il profeta usa ali 'inizio di questa pericope (3, 1-3) lo stile «staccato» che camtterizzava già 1,7-10 e anche 2,4-6, e che pure nel caso presente riesce a rendere in modo efficace il panico e la confusione che regnano in città dumnte l'attacco. Ancoro una volta Naum mostra la sua abilità, in primo luogo costruendo un effetto ritardante, per così dire. Il nome della città cui è rivolto l'oracolo, infatti, compare solo nel v. 7. In secondo luogo, egli sfrutta abilmente l'ambivalenza di alcuni tennini. L'oracolo, per esempio, inizia con «Guai alla città sanguinaria», ma non è chiaro se la città è sanguinaria a causa di ciò che ha inflitto ad altri oppure, al contrario, per quello che ha subito. Analogamente, non è chiaro se la città è piena della frode e della mpina che lei stessa ha provocato o che invece subisce. Anche il «guai» iniziale può introdurre sia un lamento che un giudizio, come si è detto. Il poeta, dando prova di un'abilità consumata, fa emergere gradualmente il senso accusatorio dei vv. 1-4. I vv. 2-3 potrebbero infatti essere interpretati come un lamento, mentre solo il v. 4 dice in maniem inequivocabile che la distruzione è la giusta pena comminata alla città per il modo in cui si è comportata nei confronti di altri popoli. Il riferimento alla «città» merita un approfondimento, perché il suo significato

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NAUM3,3

3

'Guai alla città sanguinaria, tutta frode, ricolma di rapine, l mai sazia di spoglie! 2 Sibilo di frusta l e fracasso di ruote, cavalli al galoppo, l carri che sobbalzano, 3cavalieri che assaltano, balenìo di spade e scintillìo di lance, gran numero di trafitti e mucchi di uccisi, cadaveri senza fine, l inciampano nei loro cadaveri. uccisi ... cadaveri ( ... il~!~ ... i~~ .. h7çt ... ... :."Jn, ... flil~) - I termini ebraici so-

n'~r:)

no tutti al singolare, ma in senso collettivo.

Inciampano - nqerè ~':>W) è Wl qatal preceduto dalla congiunzione, mentre il ketìb~è Wl yiqtol della stessa radice. nsignificato, però, non cambia

nell'Antico Testamento non è univocamente positivo. La prima menzione di una città nella Bibbia è, infatti, collegata a Caino, reso ramingo e fuggiasco dal suo peccato (Geo 4, 17). La città nasce portando in sé i germi della dispersione. Questa specie di marchio negativo appartiene anche ad altre città citate nei capitoli iniziali della Genesi, tra cui Babele (cfr. Geo 10,4), che diventa il simbolo del potere che si oppone a Dio (Geo 11, 1-9). Alla luce dell'orgoglio e della ribellione che caratterizzano le prime grandi città dell'uomo menzionate, assume grande significato la benedizione donata a Israele, che si esprime nella promessa di ereditare città che il popolo non ha costruito. Viene in tal modo suggerita l'idea che il prodotto negativo può essere riscattato e diventare luogo di vita. «Città sanguinaria» era Ninive, come dimostrano i suoi annali, in cui si dice che era prassi normale per il suo re cavare gli occhi, tagliare nasi, orecchie, mani, ecc. nonché togliere la pelle ai nemici ancora vivi. In uno dei rilievi del palazzo di Assurbanipal, per esempio, vengono rappresentati il re e la regina intenti a festeggiare la vittoria conseguita sugli Elamiti. Accanto alla tavola del banchetto si nota un albero da frutta: da uno dei suoi rami pende la testa mozzata del re di Elam: la scena dichiara il modo in cui essi hanno scelto di essere immortalati nei secoli. Questa città è definita anche: «tutta frode»: Ninive ingannava le nazioni facendo loro vane promesse di aiuto e protezione quando, in realtà, essa si comportava nei loro confronti come una bestia feroce, pronta a divorarle dopo averle fatte a pezzi. Si noti l'importante collegamento tra la fine del capitolo 2 e l'inizio del capitolo 3. Il verbo «sbranare» (ebraico {iirap) e il sostantivo collegato «preda» (ebraico {erep) erano comparsi in tutto tre volte in 2, 13-14; il sostantivo ritorna in 3, l, svolgendo in tal modo la funzione di «parola-gancio» o di termine medio, secondo il lessico dell'analisi retorica. Viene ulteriormente confermato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che il leone descritto alla fine del capitolo 2 era una metafora che indicava Ninive. La città aveva promesso prosperità presentandosi come un albero lussureggiante, ma in realtà essa tradisce le attese suscitate (cfr. Ab 3,17). Fuor di metafora questo può voler dire che la prosperità di Ninive, che sembrava promettere successo materiale alle nazioni, ma che in realtà era frutto di oppressione e di ingiustizia, nascondeva un inganno, perché

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NAUM3,4

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'." ~Vi?D ~P.9W "P.9W l ~~ 3,16-17 Locusta ... cavallette ... sciame di locuste (•~j :li:l ... :1~~~ ... p~~)- In ebraico compaiono quattro vocaboli che si riferiscono alle cavallette ma non è chiaro se si tratta di insetti diversi o di varie fasi di crescita dello stesso insetto. 3,17 I tuoi ufficiali (T1P~) -Il termine ip~ è un hapax che è stato tradotto in molti modi diversi: «ufficiale sacro», «Custode», «principe», «consacrato», «coronato», «guardia». La radice da cui esso deriva sembra essere ;n che significa «consacrarsi a dio»; «tenersi lontano da». Da questa radice deriva il vocabolo ;p, che designa sia il voto di consacrazione a Dio (Nm 6,7.9.12.18-19), sia un ornamento della persona consacrata, p. es., un diadema (Es 29,6; 39,30). Di qui il senso delle varie traduzioni proposte per il

nostro termine, le quali hanno sottolineato il carattere della consacrazione, cioè la messa a parte di qualcuno, o la funzione da essi svolta. Secondo alcuni studiosi, T1P~ potrebbe essere invece la forma ebraizzata di un termine assiro, che forse significa «capitani». I tuoi funzionari- Anche T19~1,;1 è di significato incerto ed è stato tradotto in vari modi: «capitani», «principi», «leader», «scribi», ecc.». La stessa parola, con una vocalizzazione leggermente diversa, compare in Ger 51,27 associata alle cavallette: «Stabilite contro di essa un comandante (i9~t;l ), spronate i cavalli come locuste setolose». Come uno sciame di locuste('~~ :li~:;>)­ La Settanta ha un testo più breve: wç àKptç («come una cavalletta»), ritenuto spesso migliore del Testo Masoretico che noi però

ogni cosa. Vengono evocati tre diversi tipi di distruzione: il fuoco, la spada e le cavallette. Quest'ultimo riferimento introduce uno sviluppo: i mercanti avevano contribuito allo sviluppo economico di Ninive, mentre adesso le locuste, forse simbolo dell'esercito invasore, divorano tutto (v. 16). Con il v. 17l'immagine cambia: om le cavallette sono paragonate a ufficiali o a qualche personaggio importante della città: per quanto numerosi, costoro volemnno via, svanimnno, come le cavallette al sorgere del sole (che forse è un'immagine di YHWH). Coloro che dovevano difendere la città si volatilizzano nel momento del bisogno. Gli ultimi versetti ( 18-19) si rivolgono, infine, in crescendo, ai capi e al re di Ninive, di cui si dichiara l'impotenza. Viene in tal modo sanzionata definitiva-

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NAUM3,19

Hai moltiplicato i tuoi mercanti l più delle stelle del cielo: la locusta spoglia ogni cosa e vola via. 171 tuoi ufficiali come le cavallette, l i tuoi funzionari come uno sciame di locuste, che si accampano sulle mura quando fa freddo; spunta il sole volano via l senza lasciare alcuna traccia. 18 Sonnecchiano i tuoi pastori, o re di Assur, l i tuoi prodi nposano, il tuo popolo è disperso sui monti e non c'è chi lo raduni. 19Non c'è sollievo per la tua ferita, /la tua piaga è grave. Tutti coloro che sentono parlare di te, battono le mani contro di te. Infatti su chi non è passata senza tregua la tua malvagità? 16

manteniamo in quanto lectio difficilior. La ripetizone del termine va intesa come un riferimento al grande numero di insetti. Volano via (i1iJ)- La forma ebraica è singolare, ma ha valore collettivo. Il verbo descrive altrove la fuga di persone dalla guerra (Is 33,3), di uomini dalla battaglia (Is 21, 15), di capi e re di eserciti (Is 22,3; Sal 68, 13). Senza lasciare alcuna traccia - Alla lettera (c~~ ioipt? ll1in6:): «e non si conosce il loro posto (nel testo ebraico il suffisso pronominale di ioipt? è singolare, ma Vulgata e Targum lo rendono al plurale e noi seguiamo il suggerimento perché riteniamo che il suffisso si riferisca alla forma ebraica singolare, ma di valore collettivo i1iJ) dove siano». Alcuni autori considerano l'ultima parola del versetto, C~~ come l'inizio del v. 18,

altri invece seguono la Settanta che traduce ouù a&to1ç («guai a loro!»). Non mancano infine proposte di ricostruzione congetturale del testo. 3,18 Riposano (1J:!l~')- Il verbo ebraico l:l~ («restare [fermo]», «installarsi», dimorare») esprime un senso di inerzia e di inattività (cfr. Gdc 5, 17). La Settanta traduce invece ÉKOLIJ.lGEV («fece addormetare») leggendo una forma di l~', «dormire», forse influenzata dal verbo precedente; l'antica versione greca cambia anche il senso complessivo della frase rendendo il re d'Assiria soggetto («il re assiro fece addormentare i tuoi capi»). 3,19 Sollievo- Il termine :-t~:;, è un hapax, tradotto così a motivo del contesto. La Settanta ha '(aalç («cura», «rimedio») che però forse presuppone la lettura dell'ebraico :1~~ (cfr. Pr 17,22).

mente la fine della città, che suscita un'universale reazione di gioia. L'espressione «battere le mani» è usata, per esempio, nel Sal 47,2 e indica il riconoscimento della sovranità di Dio, soprattutto a motivo del fatto che tutti quelli che tentano di opporsi a Lui vengono distrutti. Di qui l'ultima domanda retorica del libro, che si riferisce a un soggetto maschile, probabilmente il re di Ninive, mentre le altre due, nei vv. 7-8, erano invece rivolte a un soggetto femminile, cioè alla città stessa. Naum, come Giona, termina con una domanda che rimane aperta, l'ultima di una serie di interrogativi che attraversano lo scritto e che, pur essendo retorici, sollecitano una risposta da parte del lettore.

ABACUC

INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Abacuc all'interno del libro dei Dodici Lo scritto di Abacuc occupa l'ottavo posto all'interno del libro dei Dodici sia nel Testo Masoretico che nella Settanta. È preceduto, in entrambi i casi, da Naum, con il quale presenta dei rapporti, ed è seguito da Sofonia. Molti studiosi considerano i tre profeti Naum, Abacuc e So fonia più o meno contemporanei, anche se assai poco si conosce delle loro vite. Essi occupano la medesima posizione nelle varie liste antiche, i loro scritti presentano una lunghezza omogenea ed esistono somiglianze tra loro anche dal punto di vista tematico 1• Il rapporto tra Abacuc e N aum Le relazioni più strette intercorrono tra Naum e Abacuc, anche se esistono alcune differenze abbastanza rilevanti. Nel titolo dei due libri compare, infatti, il termine massa' (Na l, l; Ab l, l), «oracolo», «peso», «carico», «giudizio» 2 • L'ampiezza dei due scritti è simile (entrambi sono articolati in tre capitoli, per un totale, rispettivamente, di quarantasette versetti per N aum e di cinquantasei per Abacuc). Inoltre Naum comincia con una preghiera che molti autori considerano un salmo (l ,2-8), mentre Abacuc finisce con un salmo (3 ,2-15). Come si vedrà in seguito, la preghiera comincia in 3,2 e ciò che segue è generalmente considerato una teofania, una rivelazione per mezzo della quale il Signore risponde all'orante. Questa esperienza è tuttavia descritta da Abacuc in un contesto 1 Su questo punto rinviamo, per un approfondimento, a P.R. House, «Dramatic Coherence in Nahum, Habakkuk, and Zephaniah)), in J.W. Watts- P.R. House (ed.), Forming Prophetic Literature: Essays on Jsaiah and the Twelve in Honor ofJohn D. W. Watts, Sheffield Academic Press, Sheffield 1996, pp. 195-208. 2 Per la discussione relativa al significato di questo termine cfr. nota a Na 1,1.

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arante, espressione di un dialogo che Abacuc intesse con Dio e al quale Egli pure partecipa. In entrambi i testi, poi, viene descritta l 'ira di Dio (cfr. Ab 3,8.12): più sottolineata in Naum, che utilizza termini diversi per esprimerla (1,2.6), ma comunque presente anche in Abacuc. Entrambi i testi usano varie metafore, per esempio di tipo animale (Naum parla di leoni e cavallette, mentre Abacuc paragona i nemici a leopardi, a lupi e ad aquile), oppure riferite all'acqua (cfr. i termini «acqua» in Ab 3,10.15; «mare» in Na 1,4; Ab 3,8.15; «fiume» in Na 1,4; Ab 3,9); si può anche menzionare la coppia «monti e colline» (N a 1,5; Ab 3,6) come oggetto dell'azione di Dio. La posizione che la preghiera occupa nei due scritti indica che essa svolge funzioni diverse. In Naum essa si trova all'inizio e può essere considerata una chiave di lettura per tutto ciò che segue, mentre in Abacuc compare alla fine, e diventa una sorta di sintesi o di climax di ciò che precede. Alcuni esegeti hanno anche ipotizzato che i due testi possano svolgere una funzione di cornice che unifica i libri profetici di Naum e Abacuc. J.W. Watts, per esempio, ha suggerito che Naum e Abacuc, a livello di testo finale, costituiscano un'unità3 • D.L. Christensen, poi, individua addirittura una struttura chiastica che unifica Naum e Abacuc: al suo centro ci sarebbe Ab l, che affronta il problema della teodicea4 • A suo giudizio i due scritti formano insieme una singola unità letteraria; si tratta di un'affermazione forse discutibile, ma che documenta l'esistenza, all'interno del mondo esegetico, di un filone interpretativo nuovo, il quale si confronta con domande diverse da quelle della ricerca precedente, relative unicamente alla storia della formazione dei testi e all' individuazione di strati letterari alloro interno 5 • Si possono aggiungere altri elementi di somiglianza meno valorizzati dagli studiosi, come, per esempio, la presenza di numerose 3 J.W. Watts, «Psalmody in Prophecy: Habakkuk 3 in Contexb>, in J.W. Watts- P.R. House (ed.), Forming Prophetic Literature, cit., pp. 209-223. 4 D.L. Christensen, «The Book ofNahum: A History oflnterpretation», in J.W. WattsP.R. House (ed.), Forming Prophetic Literature, cit., p. 193. 5 Per un approfondimento della questione rinviamo a G. Baumann, Gottes Gewalt im Wandel. Traditionsgeschichtliche und intertextuelle Studien zu Nahum 1,2-8, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 2005.

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domande in entrambi gli scritti 6 , peraltro piuttosto brevi, come si ricordava in precedenza. Le domande non sono appannaggio esclusivo di questi due profeti, ma, da una parte, la loro ricorrenza in uno spazio ristretto è degna di nota, dali' altra, essa ha alcune conseguenze sul piano teologico, come vedremo meglio in seguito. Infine entrambi i libri fanno riferimento a una profezia/visione che va scritta (cfr. N a l, l; Ab 2,2), un elemento a nostro avviso particolarmente significativo sul piano teologico. Altre somiglianze possono essere ulteriormente notate, ma esse non devono far dimenticare le differenze che comunque esistono fra i due scritti. In Abacuc, per esempio, non compare la formula che fa riferimento alla bontà di Dio che si trova invece in N a l, 7, il quale, inoltre, accentua e sviluppa il tema dell'ira, che è pure presente, ma meno sottolineato, in Abacuc. Quest'ultimo invece si confronta più di Naum con il tema della violenza, che compare fin dall'inizio del suo scritto (l ,2). Ciascuno dei due profeti fa riferimento a una crisi, ma è comunque convinto che YHWH è il Signore dell'universo e della storia. Naum scrive il suo libro per assicurare al popolo di Giuda che Ninive cadrà, mentre Abacuc attesta la sua fede in Dio anche quando un nemico crudele si affaccia ai confini del paese.

ASPETTI LETTERARI Abacuc presenta alcune peculiarità che lo rendono unico ali 'interno dei libri profetici. Lo scritto, per esempio, riporta inizialmente un dialogo tra il profeta e Dio (Ab 1-2) e poi una preghiera (Ab 3), ma non ha alcun discorso rivolto al popolo. Invece di parlare al popolo per Dio, o di trasmettere a Israele una rivelazione, Abacuc svolge il suo ruolo profeti co di mediatore in maniera originale, parlando a Dio, sia in prima persona che a nome del popolo. È inoltre significativa la preghiera del capitolo 3, così simile a un salmo, diversa da altre invocazioni che pure sono contenute nei libri profetici, ma per certi versi paragonabile a quella che Giona 6

Naum: 1,6.9; 3,7.8.19; Abacuc: 1,2-3.12.17; 2,6-7.13.18-19; 3,8.

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rivolge a Dio nel ventre del pesce (Gio 2,3-1 0). Un altro punto di contatto tra Giona e Abacuc può essere individuato nel fatto che sono gli unici scritti, all'interno del libro dei Dodici, nei quali non compare la formula del messaggero (che recita: «Così dice YHWH ... »o espressioni analoghe).

Unità del libro L'unità del libro è stata oggetto di numerose discussioni, che si sono concentrate soprattutto sul capitolo 3, il quale appartiene a un genere letterario diverso da quello dei due capitoli precedenti e non è stato trovato a Qumran (mentre la Settanta lo riporta), fatto che ha convinto molti autori a consideralo un'aggiunta successiva. Forse il manoscritto di Qumran non era ancora terminato, come conferma il fatto che gli ultimi tre versetti del capitolo 2 sono stati completati da un'altra mano, oppure l'omissione può essere imputata al processo di selezione che i rotoli di Qumran presentano anche in altri casi. Struttura La disomogeneità tra Ab 1-2 e 3, che suscita discussioni relative ali 'unità dello scritto, consente invece di individuare una struttura abbastanza lineare all'interno del libro, sulla quale esiste un certo accordo tra gli studiosi. Secondo la maggior parte degli esegeti, infatti, nel rotolo sono individuabili due parti, l, 1-2,20 e 3,1-19, rispettivamente introdotte da un titolo nel quale si ripete il nome del profeta (1,1; 3,1). La prima parte contiene un dialogo tra Abacuc e il Signore, nel quale si alternano lamenti da parte del profeta e risposte di Dio e che può essere così strutturato: l ,2-4: primo lamento del profeta, suscitato dall'oppressione del giusto da parte del malvagio; il problema è la mancanza di giustizia sociale; l ,5-11: prima risposta di YHWH, il quale assicura che il malvagio sarà punito da una nazione straniera; l, 12-17: secondo lamento del profeta, causato dalla natura oppressiva dei Caldei;

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2,1-4: soliloquio del profeta; 2,5-20: seconda risposta, ampia e articolata, di YHWH alle domande del profeta7• La seconda parte (3, 1-19) contiene la risposta del profeta, che assume la forma di una preghiera. In essa possiamo distinguere, dopo il titolo (3, l) e la supplica iniziale (3,2), tre sezioni: 3,3-7: la gloria del Signore che viene (prima sezione); 3,8-15: descrizione, espressa con linguaggio mitologico, del combattimento tra Dio e le forze negative presenti nella creazione e nella storia (seconda sezione); 3,16-19: conclusione, in cui il profeta ribadisce la sua fede (terza sezione). Le due parti della profezia sono connesse tra loro da 2,20, che chiude la prima parte e introduce la seconda. Contro l'opinione degli studiosi che non considerano Ab 3 parte integrante del libro, noi riteniamo invece che questo capitolo risponda alle questioni poste nella prima parte; esso esprime infatti la fede del profeta, il quale attesta che la visione descritta in 2, 1-4 e relativa alla giustizia di Dio si realizzerà. Lo scritto di Abacuc, che inizia con un lamento suscitato dall'assenza o dalla presunta indifferenza di YHWH (l ,2-4), si conclude con una preghiera che chiede al Signore di donare salvezza (3,2). Naturalmente esistono anche alcune differenze tra le due parti del libro. La prima parte (cc. 1-2) è caratterizzata da dialoghi tra YHWH e il profeta, in cui si alternavano lamenti e oracoli; nella seconda parte (c. 3), invece, si descrive una teofania per mezzo della quale Dio risponde alla preghiera del profeta. In conclusione, non seguiamo il parere degli esegeti che, soprattutto a motivo del titolo presente in 3, l, oltre che per ragioni testuali e tematiche, ritengono che il capitolo sia circolato in forma separata dal resto del libro e riteniamo, al contrario, che esso si possa intendere come un'elaborazione poetica di 2,4: nonostante tutte le avversità e le tragedie presenti nella storia, il 7 La serie dei «guai» (2,6-20) è attribuita dagli esegeti o a Dio o al profeta, ma noi riteniamo che l'alternativa sia falsa e che comunque non modifichi radicalmente il senso della pericope. È vero che, secondo lo schema proposto, questi versetti fanno parte della risposta di YHwH, ma il profeta, «voce di Dio», assume un ruolo di mediazione tra il Signore e il popolo al quale riferisce la parola di Dio, con la quale egli si identifica.

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giusto vivrà per la sua fede. Da questo punto di vista concordiamo con gli studiosi che considerano Ab 3 la logica e adeguata conclusione del libro.

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

Esistono diverse discussioni tra gli studiosi, i quali, anche su questo punto, divergono tra loro. Alcuni pensano infatti che la chiave del messaggio teologico di Abacuc sia da individuare nella teodicea, mentre altri lo negano risolutamente. Personalmente, tuttavia, riteniamo difficile negare che il problema della teodicea non sia centrale nel libro. Più in particolare, il punto focale della profezia di Abacuc riguarda la relazione tra il Dio santo e l'ingiustizia presente nel mondo, un rapporto per lui problematico, come attestano le numerose domande che attraversano il libro. Analogamente ad altri prima di lui, il fatto che il male non venga punito dal Signore sconcerta il profeta, il quale domanda al suo Dio il motivo di tale comportamento, che contrasta vistosamente con quanto attestato in varie parti della Scrittura. Mentre la professione di fede di Israele afferma con forza il potere che YHWH ha di ripetere i prodigi dell'esodo, poiché Egli è il Signore della storia e della creazione, adesso Abacuc si domanda dov'è Dio in una storia piena di violenza, di egoismo e di peccato. Con Abacuc la profezia assume un tono interrogativo, ben diverso da quello assertivo di altri pr(.•feti, come, per esempio, Amos. Le questioni che Abacuc pone a se stesso e che rivolge a Dio non gli impediscono comunque di esprimere la sua fede, che assume anche la forma di una preghiera. In un momento di profondo disagio, il profeta non si rivolge alle parole della Torà, ma guarda alla liturgia e al culto. Le sole risposte che Abacuc è in grado di elaborare, come soluzione all'interrogativo che egli rivolge a Dio anche a nome del suo popolo, sono espresse in termini cultuali, assumono la forma dell'adorazione. Il libro di Abacuc appare molto attuale al lettore moderno, che si confronta con interrogativi analoghi a quelli che il profeta rivolge

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a Dio. In un mondo che sembra aver messo da parte Dio, il quale non interviene più in maniera evidente nella storia, mostrando la sua potenza irresistibile come fece al tempo dell'esodo, e che, peraltro, appare in balìa di violenti, arroganti e presuntuosi, il credente si sente smarrito. Le parole della Scrittura paiono descrivere un mondo che non esiste più e la tentazione di lasciarsi assimilare dalla mentalità dominante può essere forte. Il profeta, che assume il ruolo della sentinella (Ab 2,1), rappresenta un modello di resistenza molto attuale, anche perché la risposta che riceve dal Signore «è una visione per un termine, tende verso una fine, non inganna» (2,3), fa riferimento a un compimento rimandato in avanti, a un tempo che non sappiamo se il profeta ha visto. Il credente vorrebbe poter vedere la realizzazione immediata delle parole del Signore, come avviene altrove nella Scrittura, mentre questo nostro tempo, al pari di quello di Abacuc, richiede un atteggiamento diverso, centrato sulla fede e non sulla visione, come recita il celeberrimo testo di 2,4: «ecco, è gonfia d'orgoglio, non è retta in lui la sua coscienza, ma il giusto per la sua fedeltà vivrà». In questo tempo è necessario assumere alcuni atteggiamenti di fondo; tra i quali la resistenza, la vigilanza, la fede, che si basano sull'attestazione scritta della rivelazione che viene da Dio. Si comprende allora come mai il libro, esempio unico nell'Antico Testamento, si concluda con una preghiera in cui il profeta, che aveva preso la parola all'inizio (1,2), adesso la riprende per esprimere la sua risposta orante alla parola che Dio gli ha rivolto.

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE

Autore Questo paragrafo affronta questioni sulle quali non esiste consenso, anche se la discussione tra gli esegeti è molto sviluppata. Come a volte avviene, quello che non si sa è inversamente proporzionale a ciò che si inventa. Un esempio emblematico di questo modo di procedere è costituito da Abacuc, del quale non sappiamo niente, se non che fu «profeta» (l, l; 3, l), un titolo attribuito, nelle

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intestazioni dei libri profetici, solo ad altri due personaggi oltre a lui, cioè ad Aggeo (1,1) e a Zaccaria (1,1). Su Abacuc sono state formulate varie ipotesi, molte delle quali chiaramente leggendarie. Sulla base del dialogo del capitolo l e del titolo del capitolo 3 («preghiera del profeta Abacuc sul tono delle lamentazioni») è stato suggerito che Abacuc fosse un membro del coro del tempio o un profeta cultuale. Anche l'etimologia del suo nome è controversa, connessa da alcuni a un termine assiro, hanbakuku, o hambaququ, «fragrante», che sarebbe la denominazione di una pianta da giardino, usata pure per curare le ferite (ocimum canum). «Abacuc» potrebbe anche riferirsi a un vegetale verde commestibile, una specie di zucca o di cetriolo. Alcuni hanno ipotizzato, partendo da 2,2 («Scrivi la visione, incidila bene sulle tavole così che si possa leggere speditamente»), che egli fosse un principe prigioniero, educato a Ninive nella conoscenza della lingua assira. Il suo nome può derivare dalla radice ebraica /:lbq, «abbracciare», e significherebbe dunque «colui che abbraccia» o «colui che è abbracciato» 8 • Solo questo ci viene detto del profeta, che egli cioè abbraccia il suo popolo, lo conforta, lo tiene in braccio, metaforicamente, come si fa con un bambino, per consolarlo. Partendo da questa etimologia, la tradizione ebraica successiva9 formulò l'ipotesi che egli fosse il figlio della Sunammita che Eliseo rianimò (cfr. 2Re 4,18-3 7). Secondo altri, invece, il profeta è la sentinella a cui si riferisce Is 21 ,6, in base a quanto detto in Ab 2, l. Numerose altre leggende fiorirono attorno ad Abacuc, come quella riportata in una delle aggiunte greche al libro di Daniele, (Bel e il drago, Dn 14,23-39), che i cattolici ritengono canonica, mentre è considerata apocrifa nel mondo ebraico e in quello protestante. In essa si racconta che un angelo prese Abacuc per i capelli e lo trasportò da Daniele, che si trovava a Babilonia nella fossa dei leoni, per portargli da mangiare. Nella versione della vicenda trasmessa dal codice Sinaitico (~) il padre di Abacuc è chiamato Gesù e viene dalla tribù di Levi, da cui deriva la tradizione che Gerolamo l'ha tradotto amplexus. Si allude, in particolare, a uno scritto giudaico cabalistico del 1300 d.C. circa, che si intitola Sefer ha-Zohar (l, 7; 2,44-45). 8 9

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egli fosse un levita e un profeta legato al tempio (cfr. l Cr 25, 1-8), mentre in un'altra opera apocrifa, Le Vite dei profeti, che risale più o meno al tempo di Cristo, si dice che Abacuc apparteneva alla tribù di Simeone. Clemente d'Alessandria, infine, lo ritiene un contemporaneo di Geremia ed Ezechiele, ma dice anche che Giona e Abacuc erano contemporanei (Stromata l ,21 ). A fronte di questo fiorire di leggende, che sono pure simpatiche, conviene a nostro avviso valorizzare piuttosto quello che c'è, invece di supplire con la fantasia a ciò che manca. In questo senso è interessante il fatto che Abacuc sia definito «profeta», e in quanto tale condivide con molti altri veggenti la definizione del suo messaggio come «visione» (/:zzh). Nient'altro viene detto di lui, se non che la sua visione della realtà è analoga a quella di Dio, di cui egli è messaggero e portavoce essendo profeta. Di qui il tormento che Abacuc sperimenta e che assume spesso la forma della domanda, a causa della sua difficoltà di comprendere appieno il rapporto tra quello che egli conosce a proposito di Dio, a partire dalla storia della salvezza e dalla Scrittura, e la realtà che sta sotto i suoi occhi. È significativo il fatto che Dio non lo rimproveri per le sue domande, ma che, anzi, gli risponda, pur se in modo enigmatico. Abacuc deve mettere per iscritto la «visione» (2,2), forse il suo modo di vedere le cose, rendendola in qualche modo definitiva, anche se non la comprende fino in fondo. Datazione del libro Per lo scritto di Abacuc sono state proposte molte date, che vanno dall'invasione di Sanl,lerib, nel 70 l, al tempo di Alessandro Magno (IV sec. a.C.), e che dipendono da vari fattori, tra i quali il modo di leggere il termine «Caldei» in 1,6, nonché l'identificazione rispettivamente del «giusto» (1,4.13; 2,4) e del «malvagio» o «empio» (1,4.13; 3,13) e infine dal soggetto dei «guai» (2,6-20; cfr. nota 7 a p. 61) 10 • 10 Si potrebbe anche aggiungere che la datazione del libro è connessa alla sua unità, al fatto, cioè, di considerare Abacuc una singola composizione oppure una collezione di pezzi indipendenti, come fanno molti esegeti. Noi però non entriamo nel merito di questa questione, che rimane a livello ipotetico.

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I Caldei sono i neo-babilonesi, il cui impero inizia con l'ascesa al trono di Nabopolassar nel 626 a.C. Se l'Assiria è il nemico del Signore di cui si parla in l ,2-4, che sarà giudicato dai Caldei, la profezia di Abacuc deve risalire a prima della caduta di Ninive, avvenuta nel 612. A partire dagli studi di B. Duhm, però, i «Caldei>) sono diventati i Macedoni, grazie a un cambiamento testuale (da kasdfm a kittfm, cfr. Gen 10,4 lCr 1,7), e la datazione del libro si è spostata in avanti di tre secoli. A proposito del «malvagi m), l'alternativa fondamentale consiste nel ritenere che si tratti di stranieri (l'Assiria, l'Egitto, i Greci, i Seleucidi, ecc.), oppure di abitanti di Giuda. Nel secondo caso, gli studiosi individuano un riferimento al governo di Yoyaqim (2Re 24,1-3; Ger 26,20-23), oppure al regno di Manasse (2Re 21,1-26; 2Cr 33,1-10)1 1• Sembra di poter affermare, comunque, che la maggior parte degli autori propende per una datazione del libro al tempo del re Yoyaqim, tra il 609 e il 605 a.C., considerando i Caldei lo strumento del giudizio di Dio. Questa datazione sembra essere ragionevole e potrebbe essere condivisa, anche se personalmente non riteniamo l'individuazione di una eventuale data di composizione del testo veramente dirimente per la sua interpretazione. Lo scritto di Abacuc, nella sua forma finale attuale, contiene una riflessione di carattere teologico che ruota soprattutto attorno al tema-problema dell'ingiustizia, e rappresenta un'elaborazione probabilmente ascrivibile al periodo postesilico.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Pur essendo tanto breve, il testo ebraico di Abacuc presenta molti problemi: dittografie, scrittura piena e difettiva, casi di qerè /ketìb, hapax, ecc. Questa situazione testuale ha prodotto molti emendamenti da parte degli autori che hanno ritenuto il testo ebraico corrotto. Personalmente consideriamo invece affidabile 11

Questa proposta di datazione è stata avanzata anche dal trattato storico midrashico

Seder 'Olam Rabbah, che risale alli-III secolo d.C.

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il Testo Masoretico al quale facciamo di preferenza riferimento senza proporre emendamenti o correzioni, tranne che in eventuali casi eccezionali. Tra i rotoli di Qumran è stato trovato un commentario (pesher) ad Ab 1-2 (JQPesher Abacuc [lQpHab]) che sembra risalire al I secolo a.C. e che interpreta Abacuc in relazione alla storia della comunità di Qumran. Il rotolo dei Profeti Minori del Wadi Murabba'at (Mur 88), datato al II secolo d.C., riporta Ab 1,3-2,11; 2,18-3,19. Il rotolo greco dei Profeti Minori di Nal;allfever (8/fevXI/gr) contiene invece Ab l ,5-11; l, 14--2,8; 2, 13-20; 3,9-15, e Barthélemy lo attribuì a Jonathan ben Uzziel, conosciuto in greco come Teodozione (l sec. d.C.). Esso rappresenta una revisione della Settanta realizzata in Giudea, basata su un testo consonantico quasi identico a quello masoretico 12 •

12 M.A. Sweeney, «Habakkuk, Book of», Anchor Bible Dictionary III, Doubleday, New York- London- Toronto - Sydney- Auckland 1992, p. 2.

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Commenti Oltre ai commenti ai profeti minori, citati nell'introduzione a Naum, si vedano: ALVAREZ BARREDO M., Habacuc. Un profeta inconformista. Peifìles literarios y rasgos teol6gicos de/libro, Espi gas, Murcia 2007. ANDERSEN F.l., Habakkuk, Doubleday, New York- London- Toronto - Sydney 200 l. HAAK R.D., Habakkuk, Brill, Leiden- New York 1992. O'NEAL M. G., Interpreting Habakkuk as Scripture. An Application of the Canonica/ Approach of Brevard S. Childs, Peter Lang, New York- Washington 2007. SzELES M.E., Wrath and Mercy: A Commentary an the Books of Habakkuk and Zephaniah, Eerdmans - The Handsel Press, Grand Rapids (MI) - Edinburgh 1987. Studi BovATI P., «La giustizia della fede. A partire da Ab 2,4», in "Così parla il Signore". Studi sul profetismo biblico, Dehoniane, Bologna 2008, pp. 211-245. CHRISTENSEN D.L., «The Book ofNahum: A History oflnterpretation», in J.W. Watts- P.R. House (ed.), Forming Prophetic Literature: Essays an Isaiah and the Twelve in Honor ofJohn D. W Watts, Sheffield Academic Press, Sheffield 1996, pp. 187-194. EVERSON A.J., «The Canonica} Location ofHabakkuk», in P.L. Redditi- A. Schart (ed.), Thematic Threads in the Book ofthe Twelve, W. de Gruyter, Berlin- New York 2003, pp. 165-174.

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"~V!Q n~~-? N~~-N71 1,3 Guardi- Il verbo ebraico ~'::;!121 crea qualche difficoltà perché dopo 'J~,O («mi fai vedere»), ci si aspetterebbe un riferimento al «vedere» del profeta. La Settanta (i:mpÀÉTIEL v)

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e la Vulgata (videre) hanno reso il secondo verbo all'infinito, mentre il Targum e la versione siriaca hanno una forma alla prima persona; per questo è stato suggerito di corregge-

IL TITOLO (1,1)

Il titolo di Abacuc è molto stringato, quasi troppo essenziale. Tuttavia contiene alcuni elementi interessanti. In primo luogo viene nominato Abacuc, del quale non si dice nulla se non che egli era un «profeta», un'informazione che sarà ribadita anche nel titolo della seconda parte del libro (3,1). L'asciuttezza del testo ebraico va rispettata. Essa indica anche la direzione verso la quale si deve orientare l'attenzione del lettore: non sull'uomo Abacuc, ma sul suo scritto. Questo scritto viene definito, come già nel caso di Naum, usando un termine che può essere tradotto con «oracolo», ma anche con ), una lectio facilior che appare tuttavia giustificata dal confronto con il versetto seguente. (Al quale) non credereste (~l·~~!J ~';,)

Lo scandalo del profeta scaturisce dalla sua fede, da quello che sa di Dio, cioè che Egli è santo e giusto (1,13). Come può dunque lasciare impunita la colpa, permettere ai violenti di spadroneggiare nella società? L'interrogativo di Abacuc è molto tradizionale (oltre che attuale), nel senso che già in altri testi la violenza viene considerata una sorta di cifra simbolica capace di sintetizzare diverse forme di male, riconducendole alla loro radice comune (cfr. il già citato testo di Geo 6, 11-13). Anche nello scritto di Abacuc il termine «violenza» compare diverse volte (l ,2-3.9; 2,8.17) ed è applicato a varie situazioni. Buona parte del dibattito attorno a questi versetti introduttivi (con particolare riferimento al v. 4) dello scritto di Abacuc riguarda l'identificazione del malvagio di cui parla il profeta: si tratta di lsraeliti o di una nazione straniera? Ci pare di poter dire che niente in questo passo induce a ritenere che Abacuc si riferisca a stranieri, soprattutto alla luce del contesto prossimo, come vedremo; anche se in l, 13 compare un'espressione simile, chiaramente riferita ai Caldei, sembra comunque improprio ritenere che i referenti dei vv. 4 e 13 siano i medesimi. In conclusione riteniamo che il «malvagio» di cui parla Ab l ,4 sia da identificare con gli lsraeliti intesi in senso corporativo, più che con un singolo individuo.

75

ABACUC 1,6

il malvagio intrappola il giusto, l per questo il diritto viene conculcato. Guardate fra le nazioni e osservate, l meravigliatevi e stupitevi: qualcuno sta operando un evento ai vostri giorni l (al quale) non credereste anche se lo si raccontasse. 6Ecco, io sto per mobilitare i Caldei, l il popolo feroce e risoluto che percorre vaste regioni della terra l per impadronirsi di abitazioni che non gli appartengono.

5

- L'espressione ebraica è ellittica (alla lettera: «non credereste») e richiede l'inserimento di un pronome nella traduzione italiana. 1,6 I Caldei (l:l'"'!~~;:t-n~)- Alcuni considerano questo termine una glossa, basandosi sul fatto che la Settanta ha un testo più lungo: -wùç XaA.òa[ouç toùç iJ.UXTJtaç («i Caldei, i guerrieri»). Siccome in questo testo della Settanta si ripete due volte lo stesso concetto, alcuni autori ritengono che toùç iJ.UXTJtaç («i guerrieri))) fosse in

greco la lezione originaria a cui poi sarebbe stato aggiunto come esplicazione «i Caldei)) (-wùç XaA.òa[ouç). Da qui l'ipotesi che quest'ultima espressione sia una glossa anche nel testo ebraico. Sembra più probabile, però, che il processo sia inverso: «i Caldei)) era la lezione originaria anche nel testo greco, mentre «guerrieri)) è una glossa interpretati va. Il popolo ('iJ;:t)- L'articolo ebraico, che la traduzione CEI, p. es., non conserva, ha valore enfatico e quindi lo manteniamo.

1,5-11 Prima risposta di Dio: il malvagio sarà punito Il Signore, che pure non risponde esattamente alle domande che il profeta gli ha posto (perché Dio tollera il male?), fornisce tuttavia delle risposte, che però sorprendono Abacuc, il quale viene invitato a guardare alle nazioni. Lo sconcerto dipende dal fatto che il profeta si lamenta per la violenza sperimentata dal popolo di Giuda, mentre Dio lo invita a considerare l'orizzonte internazionale ali 'interno del quale Egli agisce, pur se in modo misterioso. Il Signore infatti susciterà i Babilonesi, un impero che raggiunse l'apice del suo potere con Nebukadnezzar (605-562 a.C.) e che fu poi distrutto dai Persiani nel 539 a.C. Dio descrive le caratteristiche di questo popolo e il suo potere devastante nei vv. 6-11. Usando una serie di metafore tratte dal mondo animale il testo descrive i Caldei paragonando li, per esempio, a «lupi di sera»: in Palestina i lupi andavano a caccia nelle ore serali, quando erano più affamati e feroci a causa del prolungato digiuno. Dei Babilonesi si sottolinea poi la velocità, facendo riferimento ai cavalli e ai cavalieri su di essi, simili ai leopardi e alle aquile, tutti animali feroci, oltre che agili e rapidi. Il testo sviluppa la risposta paradossale di Dio al profeta in termini tuttavia convenzionali. Secondo la legge del taglione, infatti, Giuda, che ha rigettato

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ABACUC 1,7

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1,8 Lupi di sera (:rw ';:nm- Probabilmente alla luce di Ger 5,6, in cui ricorre l'espressione «lupo delle steppe» (ni:.l~ :.~,t), con il termine il~~~ dal quale deriva il toponimo geografico «Arabia», la Settanta legge ÀUKouç ti)ç 'Apa~(aç («lupi d'Arabia»). Non vediamo tuttavia motivi per cambiare il testo ebraico, considerando che l'espressione ricorre pure in Sof 3,3. Si noti che, curiosamente, l'apparato critico della Biblia H ebraica Stuttgartensia propone di correggere in «lupi d'Arabia», assimilando il testo alla lezione geremiana, ma lo stesso apparato propone, al contrario, di tradurre Ger 5,6 con «lupi della sera>>, facendo esplicito riferimento ad Ab 1,8 e a Sof3,3!

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I suoi cavalieri (1'~1~)- Il termine si ripete due volte nel Testo Masoretico, ragion per cui la Settanta semplifica il testo offrendo una lectio facilior. Nonostante il versetto appaia lungo e irregolare dal punto di vista sticometrico, noi consideriamo significativa la ripetizione del sintagma «i suoi cavalieri» e lo manteniamo nella traduzione. Riteniamo suggestiva la spiegazione offerta da Delitzsch, il quale ritiene che nel secondo emistichio Abacuc passi dalla descrizione generale dei Caldei a quella specifica, relativa all'invasione della Giudea. ·1,9 Tutti (ii',f) -Alla lettera: «la totalità di lui». A prima vista non è chiaro a chi si riferisca il suffisso pronominale, se ai cavalieri

il «diritto» di Dio, sarà condannato a seguire quello dei Babilonesi (al v. 7 ricorre lo stesso termine del v. 4). Giuda inoltre, che ha scelto di agire in modo violento (cfr. l ,2), sarà punito dalla violenza dei Babilonesi (v. 9). Si afferma qui un principio teologico di capitale importanza, secondo il quale, basandosi sulla legge del contrappasso, la punizione corrisponde al peccato commesso ed è proporzionata a esso. Dio dunque, contrariamente a quello che il profeta aveva temuto, conosce ciò che avviene nel mondo e conferma di essere un giudice giusto che dunque punisce in maniera proporzionata il

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ABACUC 1,11

È terribile e spaventoso; l da lui stesso procedono il suo diritto e la sua grandezza. 8Più veloci dei leopardi sono i suoi cavalli l e più agili dei lupi di sera. l Balzano i suoi cavalieri, i suoi cavalieri arrivano da lontano, l volano come l'aquila che piomba per divorare. 9Tutti vengono per fare violenza, l a frotte, la loro faccia è protesa in avanti e ammassano prigionieri come sabbia. 10Egli si fa beffe dei re l e i principi sono oggetto di scherno per lui; se la ride di ogni fortezza, l accumula polvere e la cattura. 11 Poi egli passa e se ne va come il vento e in tal modo egli offende: l la sua forza è il suo dio. 7

di cui si parla nel versetto precedente o alle facce menzionate subito dopo. In ogni caso si tratta di un suffisso singolare riferito a termini plurali. Lo stesso vocabolo, nella medesima posizione, si ripete al v. 15. A frotte - Il termine n~~t? è un hapax che alcuni esegeti nemmeno provano a tradurre, ritenendolo incomprensibile. Generalmente viene fatto derivare da una radice, forse di origine araba, che significa «diventare abbondante», o «diventare numeroso», da cui si desume il significato di «folla», «orda». Naturalmente non si contano le proposte di emendazione del testo. I prigionieri - Il sostantivo ebraico ':::ltp è singolare, ma ha valore collettivo.

1,10 La cattura (::t•p7•1)- li suffisso pronominale femminile contrasta con il sostantivo «fortezza», che in ebraico è maschile, ma forse esso si riferisce a senso alla città, implicata nell'idea di fortezza, o fortificazione. 1,11 Poi egli passa e se ne va come il vento (i~~~1 l'};i "1~\1 T~)- Questa frase presenta dei problemi. Noi riteniamo che il soggetto dei due verbi sia da individuare nel v. l O e attribuiamo valore appositivo al termine l'};i («vento»), che indica la modalità del passaggio del personaggio di cui si sta parlando. In tal modo - li pronome ;T si riferisce alla forza dei Caldei descritta in precedenza.

peccato, pure quello commesso dal suo popolo. Può non apparire in maniera evidente, inoltre, ma il Signore è attivo ali 'interno della storia e ascolta la preghiera che gli viene rivolta, anche se la sua risposta può essere diversa da quella che l'orante, in questo caso Abacuc, si aspettava di ricevere. Infine Dio, servendosi dei Babilonesi, viene descritto come il re della terra, il cui potere travalica ampiamente gli orizzonti del popolo d'Israele, senza essere confinato all'interno di una nazione o di un popolo (cfr., p. es., Is 40,21-24; Am 9,7; Sal22,28; 47,8; 103,19; 113,4-9).

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ABACUC 1,12

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o~nTil1,12 Dal principio - L'espressione C")P.~ indica un tempo lontano, quello dei patriarchi, p. es., o dell'Esodo, oppure il principio, l'origine, con riferimento piuttosto alla creazione. L'accento masoretico (r'bia ') che si trova sopra questo vocabolo ha valore disgiuntivo. Per tale motivo attribuiamo un significato vocativo al tetragramma che segue. Noi non moriremo (m~~ N")- Questo sintagma è considerato un tiqqun sopherim, cioè uno dei diciotto cambiamenti testuali deliberatamente introdotti dagli scribi per timore di fare affermazioni inaccettabili su Dio. Si tratterebbe dunque di una correzione scribale che sostituirebbe il testo origina-

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le: «Tu non morirai» (ma alcuni autori pensano che in questo caso si tratti di una falsa correzione). L'espressione può esprimere una certezza, «noi non moriremo», oppure assumere un significato precativo («che non moriamo»). «Noi non moriremo» esprime la certezza del profeta circa la permanenza di un resto, nonostante la cattura dei Babilonesi, l'esilio e la distruzione del paese. «Tu non morirai», invece, è una frase parallela alla precedente riferita all'eternità di Dio. Dio, infatti, nel v. 12 è chiamato YHWH, nome che si riferisce all'alleanza, e «Roccia», termine che evoca l'idea della permanenza e della stabilità. A proposito di questo Dio,

1,12-17 Secondo lamento del profeta: la natura oppressiva dei Babilonesi La risposta che Abacuc ha ottenuto da Dio provoca un ulteriore interrogativo: se la scelta che Egli ha fatto di Israele risale al «principio», all'origine, come può ora minacciare l'estinzione del suo stesso popolo? Inoltre, se è vero che Dio non sopporta chi agisce con violenza, come è stato appena ribadito, può davvero servirsi dei Babilonesi, la cui ferocia è proverbiale e attestata in molti modi? Dio, i cui occhi sono puri, può realmente permettere che il malvagio ingoi il giusto (1,13)? Si nota, ancora una volta, l'uso di metafore tratte dal mondo animale per descrivere il comportamento di esseri umani che la violenza quasi snatura, assimilandoli ad animali feroci (in questo senso va probabilmente inteso il verbo «ingoiare» del v. 13). Dio sembra dunque contraddire se stesso, o almeno alterare l'ordine della creazione da Lui stabilito quando aveva dichiarato che l'uomo avrebbe dominato il mondo (Gen 1,28; Sal8,7-9), mentre adesso il profeta vede gli uomini ridotti a dei pesci, disumanizzati, presi all'amo o mediante una rete, metodi utilizzati alla lettera e non in senso metaforico dai Babilonesi nei confronti dei loro prigionieri,

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ABACUC 1,14

Non sei forse tu dal principio, YHwH, il mio Dio, il mio Santo? Noi non moriremo. YHWH, tu lo hai posto per fare giustizia, l o Roccia, lo hai stabilito per castigare. 13 Tu, che hai gli occhi troppo puri per vedere il male l e non puoi guardare l'oppressione, perché stai a guardare i traditori, l taci quando il malvagio ingoia chi è più giusto di lui? 14Tratti gli uomini come pesci del mare, l come rettili che non hanno un padrone. 12

coerentemente, il testo dichiara: «Tu non morirai». Forse non è necessario scegliere tra le due letture perché entrambe hanno senso nel contesto e potrebbero essere mantenute contemporaneamente, benché a livello di traduzione sia necessario proporre una scelta. Tu lo hai posto ... lo hai stabilito- Il suffisso pronominale (in1Q~ ... in~~l) può riferirsi in entrambi i casi a Nebukadnezzar, o al popolo babilonese, oppure a Israele e, più in particolare, al re Yoyaqim. Noi preferiamo la prima ipotesi. 1,13 Più ... di lui (,•T?~)- Il termine ebraico è frequentemente omesso perché manca nella

Settanta e/o ritenuto una glossa, anche se è presente a Qumran e in alcune versioni antiche. Alcuni esegeti, come Alonso-Schokel, lo considerano un idiomatismo che indica la relazione di reciprocità e suggeriscono di tralasciarlo nella traduzione. Altri, come Bovati, propongono di rendere: «chi non gli ha fatto nulla di male». Noi preferiamo invece mantenerlo, come fa anche la nuova traduzione CEI (a differenza della versione del 1974 ), non essendoci motivi reali per emendare il testo. 1,14 Uomini ... rettili (WT?"} ... r:q~)- Questi vocaboli sono singolari, ma hanno valore collettivo.

come attestato da numerose iscrizioni. Il problema di natura teologica può essere sintetizzato in una domanda: come può il Dio santo e giusto servirsi dei Babilonesi (cfr. l, 12) per punire i malvagi di Giuda (l, 13)? Al v. 12 fa nuovamente capolino il termine «giustizia», «diritta» (in ebraico mispiit), già comparso nei vv. 4 e 7, e questa volta esprime la fede di Abacuc, il quale, nonostante le domande che pone al Signore, riconosce che la conquista di Giuda rientra misteriosamente nel progetto di Dio, che intende in tal modo punire il peccato del suo popolo. Questo modo di comprendere le cose è presente anche in altri scritti profetici (cfr., p. es., Isaia, Geremia ed Ezechiele), è quindi tradizionale, anche se va ricordato che non si tratta di un principio di carattere generale applicabile automaticamente a situazioni diverse. La profezia in Israele è infatti una parola fortemente legata a un contesto specifico, che non può essere attualizzata senza prima aver ricostruito esattamente, per quanto possibile almeno, il tenore del discorso originario. L'interpretazione della storia che Abacuc elabora vale per il suo tempo, per il contesto specifico nel quale egli vive, e non può essere estesa in maniera meccanica ad altre situazioni a prima vista analoghe. Non ogni male,

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1,15 Tutti- L'ebraico ;i',~, «tutto di lui», oppure «tutto di loro», può avere valore collettivo ed essere sia il soggetto che il complemento oggetto della frase. Noi traduciamo considerandolo come complemento oggetto (il soggetto sarebbe l'invasore caldeo); altri invece ritengono che ;i',~ sia il soggetto del verbo e rendono così la frase: «ciascuno con un amo è stato sollevata>> (Carbone-Rizzi). 1,16 Succulento- Il termine i11;t1~ è, secondo alcuni, un aggettivo femminile che significa «grasso», qui scritto in forma difettiva e concordato (stranamente) con un sostantivo maschile (':~~~~. «cibo»). l QPesher Abacuc

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(l QpHab) 6,5 ha la forma maschile dello stesso aggettivo. È stato proposto di leggere il termine come un sostantivo, cosa che non sarebbe grammaticalmente impossibile, ma che rimane comunque difficile, perché il contesto sembra richiedere un aggettivo. 1,17 Svuotare (p'1:) - Il verbo P'1 significa «vuotare», «svuotare», e assume a volte il significato tecnico di «estrarre la spada» (Es 15,9; Lv 26,33; Ez 5,2.12; 12,14; 28,7; 30, Il). Si può dunque riconoscere l' esistenza di un gioco di parole nel testo, il quale da una parte continua a usare la metafora della pesca, p. es. menzionando la rete, dall'altra,

disgrazia, conquista storica di una nazione da parte di un'altra può essere immediatamente interpretata alla luce del discorso fatto qui da Abacuc, o da altri profeti. Il rischio sarebbe quello di comunicare un'immagine aberrante di Dio, anche se il problema resta, come Abacuc dichiara. Egli riconosce infatti che Dio è giusto, santo, puro, ma ritiene che l 'introduzione dei Babilonesi sulla scena mondiale abbia in realtà allontanato il conseguimento del!' obiettivo divino, che consiste nello stabilire il suo giusto ordine nel mondo. Al posto di una società violenta, come quella descritta dal profeta, se ne trova un'altra, quella babilonese, cha fa della forza il suo dio (l, I I). Il profeta dunque si trova come interiormente diviso tra l'accettazione della scelta che Dio ha fatto dei Babilonesi, di cui si serve come strumento per punire Giuda (l, I 2), e la constatazione, ovvia, della perversione di tale strumento, che sembra rivelarsi un rimedio peggiore del danno stesso (I,I3). Questo dibattito interiore introduce il capitolo 2, che si apre con un soliloquio del profeta.

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ABACUC2,1

Egli li tira su tutti con l'amo, l li porta via con la rete a strascico l e li raccoglie con la sua rete da pesca; poi ride soddisfatto. 16 Perciò offre sacrifici alla sua rete a strascico l e brucia incenso al suo giacchio, perché grazie ad essi la sua pesca è abbondante l e il suo cibo succulento. 17Continuerà a svuotare dunque la sua rete l senza sosta e a massacrare le nazioni senza pietà? 15

2

'Voglio stare al mio posto di guardia, l voglio collocarmi sul luogo di vedetta a spiare per vedere che cosa mi dirà l e che cosa ·replicherà' alla . . . . mta recnmmazwne. invece, comincia a chiarire che l'autore si sta riferendo all'invasione caldea.

2,1 Voglio stare ... voglio collocarmi ... a spiare (:-t~l:!~J ... :-t~~~I;I~l :-!'"!bR~)- Il Testo Masoretico presenta tre forme di coortativo, che possono essere tradotte come volitivi coordinati (come abbiamo fatto noi nei primi due casi) oppure in senso consecutivo/ finale («Voglio stare ... a/per collocarmi ... a/per spiare»). Replicherà (:J'tLi~)- Il Testo Masoretico ha un verbo di prima persona singolare che si riferisce al profeta, ma con la maggior parte degli studiosi accettiamo di correggere il testo

leggendo :J'W:, dato che le due frasi del v. l b sono in parallelo tra loro. Alcuni commentatori e diverse traduzioni moderne hanno scelto di mantenere il testo ebraico, ritenendo che il profeta sia in attesa di una parola da parte di Dio, da cui verrà una risposta prima per sé e poi anche per i destinatari della sua profezia. Recriminazione- L'ebraico no~in è un termine tecnico del vocabolario giuridico ed esprime una procedura di contestazione, come hanno dimostrato alcuni esegeti; per tale ragione è meglio tradurre con «recriminazione» invece che con «miei lamenti», come fa la versione CEI.

2,1-4 Soliloquio del profeta: visione e parola scritta Tra i problemi posti dal capitolo 2 va menzionato quello relativo al v. 5, che, secondo alcuni, appartiene alla prima strofa (2, 1-4), secondo altri, invece, introduce la seconda (6-20), la quale contiene una serie di «guai». È stato anche suggerito che esso possa essere considerato un versetto di transizione, che si collega sia a quanto precede (v. 4) sia a ciò che segue (v. 6), e noi privilegiamo questa ipotesi. La pericope si apre con una metafora: il profeta paragona se stesso a una sentinella, a una vedetta, come già altri prima di lui avevano fatto (cfr. ls 21,6.8). Il suo compito, tuttavia, non è quello di vigilare sulla città, ma di «vedere che cosa mi dirà», un'espressione strana. Quello che Abacuc vede è una visione che ha la forma di un messaggio: egli deve scriverla su tavolette. Si potrebbe inoltre aggiungere che non basta scrivere la visione; occorre anche spiegarla in modo chiaro, piano, così che chi la legge possa correre, cioè comprenderla facilmente. Secondo alcuni esegeti il ter-

82

ABACUC2,2

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2,2 Incidi/a bene (1~?~)- Nella Bibbia ebraica, il verbo 1~:J al pie! compare solo altre due volte, e precisamente in Dt 1,5 e 27,8. Gli studiosi propongono spesso altre traduzioni del verbo, come «spiegare» o «interpretare», che però, alla luce delle altre occorrenze, non ci paiono accettabili. Alcuni esegeti, infatti, fanno notare che il sintagma nin~;:t ':l;,~ ,~? si riferisce all'atto della scrittura. Si possa leggere (~,.ip) - Il verbo ~,p significa «proclamare» e indica il tipo di !et-

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tura che veniva praticata nel mondo antico: consisteva in una proclamazione ad alta o a bassa voce e non in un esercizio mentale. 2,3 Tende- La forma rt;)~ è grammaticalmente e filologicamente discussa. Le versioni antiche rendono il verbo in modi diversi, indicando con ciò la difficoltà che esso presenta, anzitutto l'incertezza circa il fatto se il termine sia da comprendere come un verbo o come un aggettivo. La Siriaca e il Targum, p. es., lo costruiscono come un verbo il cui soggetto sarebbe

mine /:liiz6n, al v. 2, non significherebbe «visione», come si traduce abitualmente, ma piuttosto «rivelazione», dal momento che ciò che segue non può essere considerato, in senso stretto, una visione, bensì piuttosto un oracolo. Personalmente preferiamo mantenere il significato ordinario del vocabolo, il quale assume una forza particolare nel presente contesto. Il profeta, infatti, riprende a interrogare il Signore, nonostante la risposta che Egli ha già concesso alle sue domande, o proprio per il contenuto paradossale di tale risposta. L'insistente dialogo che Abacuc intesse con il suo Dio gli consente di sviluppare un particolare sguardo sulla realtà, cioè di fare propria un'interpretazione delle cose analoga a quella di Dio. Per questo la visione, in realtà, non riguarda solo gli occhi, ma assume la forma di una parola, di un messaggio: una prospettiva coerente con l'insieme della rivelazione profetica, ali' interno della quale si assiste a una continua dialettica tra visione e parola. Di molti profeti si dice infatti che hanno visioni, ma ciò non avviene a tutti, mentre tutti parlano, e con il tempo la visione sarà sempre più subordinata alla parola, eccezion fatta per l'apocalittica, che però può essere considerata uno sviluppo tardivo della profezia e non entra in questo discorso. Non è dunque strano, malgrado il tenore sorprendente dell'espressione ebraica, che Abacuc debba mettere per iscritto la visione. Ciò significa anche che la visione ha un significato che va oltre Abacuc, e vale per le generazioni future. Questa novità, tuttavia, si radica su una tradizione consolidata. Il termine «tavole» (lul;6t) rimanda infatti alle «dieci parole>> (Es 31,18; 32,15-16; Dt 9, 10), cioè all'alleanza del Sinai (Es 24,12; 31,18; 32,15; 34,1.28; Dt 9,9-11; 10,2; 2Cr 5,10).Anche ad altri profeti era stato detto che essi dovevano scrivere il contenuto del loro messaggio: Isaia aveva messo per iscritto la sua rivelazione su un rotolo e su una tavoletta (Is 8, l; 30,8), mentre Geremia aveva scritto un libro (Ger 30,2), come fece anche Naum (1,1), ma solo Abacuc

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ABACUC2,3

mi ha risposto dicendo: l «Scrivi la visione, l incidila bene su tavole così che si possa leggere speditamente; 3poiché ancora è una visione per un termine, l tende verso una fine, non inganna; se tarda, attendila, l perché di certo verrà, non tarderà:

2YHWH

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«fine», mentre altre versioni sembrano ritenerlo un predicato del termine «visione». La Settanta («sorgerà alla fine») sembra aver letto un altro verbo, attribuendo al sintagma un senso escatologico. Noi seguiamo l'ipotesi che si tratti di un hifil, scritto in forma difettiva, dalla radice mD, «anelare)), «tendere)), e simili. Se tarda, attendila (i',-;,;JI::t)- La Settanta sembra leggere la frase in senso messianico, poiché traduce il suffisso pronominale connesso al sostantivo «visione)) (maschile [1iTI;i] in ebraico,

ma femminile [6pao~ç] in greco) in senso personale: im4J,Ewov am6v («se tarda, aspettalm)). Probabilmente seguendo la traduzione greca delia Scrittura, la Lettera agli Ebrei ha reso la frase con l'articolo determinativo: «Perché, ancora un poco, appena un poco, colui che viene (ho erch6menos) giungerà e non tarderiD) (Eb l 0,3 7), mettendo inoltre l'accento sulla necessità di avere pazienza («avete infatti bisogno di pazienza, affinché, avendo fatta la volontà di Dio, raccogliate la promessa)), 10,36).

usa il termine che ricorre a proposito delle dieci parole dell'alleanza, paragonando in tal modo la sua visione alla rivelazione che Mosè aveva ricevuto sul monte Sinai. Il motivo per cui tale visione deve essere messa per iscritto è espresso nel v. 2b, che si può leggere in due modi: «così che si possa leggere speditamente», cioè così che la rivelazione sia scritta in modo piano, non astruso, affinché la si possa leggere facilmente; oppure «così che egli possa correre nelleggerla». Questa seconda possibilità di interpretazione è seguita da alcuni esegeti, secondo i quali l'accento della frase cade sulla persona che legge il messaggio e può così adottarlo come guida per la vita, progredendo nella sapienza e divenendo più saggio grazie a tale lettura. Costoro attribuiscono inoltre una sfumatura intensiva al verbo, che assumerebbe il significato di «osservare con compiacenza», invece del più ordinario «leggere}}. È una proposta interessante, che, se pure non adottata da noi, può rimanere, per così dire, sullo sfondo della lettura più abituale che noi proponiamo. Al v. 3 si aggiunge che tale visione ha un valore escatologico, deve cioè compiersi, ma la sua realizzazione è comunque certa. La visione anela, tende verso una . Alla lettera si dovrebbe rendere: «la devastazione (subita) dalle bestie le spaventava>>. Il pronome, però, non sembra coerente con il contesto, per cui molti propongono di seguire la lettura della Settanta (mm1oEL aE, «ti terrorizzava>>) che ha la seconda persona: «il massacro degli animali ti colmerà di spaventm> (così la versione CEI). Ricadranno su di te- Riteniamo che il verbo 19~~. che alla lettera significa «ti coprirà>>, si riferisca sia al sintagma liJ~~ O~r,t («la violenza del Libano»), sia a nio;::r:p. "'li.zi («la devastazione delle bestie»), per cui lo rendiamo in forma plurale.

Il profeta sembra giocare intenzionalmente sui vari significati delle parole, che non sono chiarissime, ma comunque tutte compatibili con il contesto. Sullo sfondo probabilmente si profila il fatto che Babilonia era nota per le sue feste a base di alcool, che spesso si trasformavano in orge (cfr. Dn 5). Babilonia costringeva le nazioni vicine a bere e poi svergognava gli ubriachi, che magari arrivavano a spogliarsi. Ebbene, quello che lei ha fatto agli altri, verrà fatto a lei (v. 16). Il «calice», o la «Coppa», come elemento di giudizio è un simbolo ben attestato (cfr., p. es., Sal11,6; 75,9; Is 51,17.22; Ger25,15-28; 49,12; Ez 23,31-34; si veda anche Ger 51,6-8, in cui ricorre l'immagine della «coppa>> per descrivere la relazione tra Dio e Babilonia). La nazione che ha indotto altri a bere fino a ubriacarsi sarà a sua volta «saziata», ma di disgrazie, di riprovazione e di vergogna. l termini «ignominia» (qalòn) e «vergogna» (qiqalòn) sono posti, probabilmente in modo intenzionale, rispettivamente ali 'inizio e alla fine del v. 16, così da suggerire un gioco di parole. La punizione prevista, analogamente ai casi precedenti, corrisponde al peccato: i

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ABACUC 2,18

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3,8 Quando ('::l)- Per la traduzione di questa congiunzione, cfr. nota a Naum l, l O. 3,9 Hai snudato completamente (,i.ll!} iT:l~) - Il verbo II significa «essere messo a nudm>, «essere esposto». Il senso è quello di togliere la custodia all'arco così da poterlo usare in battaglia. Qui è combinato con il sostantivo iT:l~, «nudità», per avere un' espressione enfatica; alla lettera si potrebbe tradurre: «nella nudità hai messo a nudo». Giuramenti sono le frecce della parola (,f?k nitll~ ni.ll~t.;i) - Si tratta di una frase così difficile da comprendere che alcu-

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1,3 Distruggerò("]~~)- Cfr. nota a l ,2. Cioè quello che fa inciampare - Questa è una delle crux interpretum di Sofonia, cioè un passo il cui preciso significato è molto discusso. Il Testo Masoretico ha un termine, ni',tç~~, che può essere sia un sostantivo femminile plurale, che un participio hifil femminile plurale dal verbo ',t ~ilJ o~jl ~:m ~:l'IV" ~;;;s 1\" ··: ·r· : lT-

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2,5 Cretei (l:i'I:'Ii.:P) - Può essere la designazione di un clan dei Filistei (2Sam 8, 18) o l'indicazione della loro provenienza da Creta, chiamata Kaftor in alcuni testi (Dt 2,23; Ger 47,4; Am 9,7). Canaan, terra dei Filistei- Alcuni ritengono il termine Canaan una glossa, probabilmente perché non si menziona altrove nella Bibbia ebraica un rapporto tra i Filistei e il paese di Canaan. Filistei (1:1'1'1~',5;) - I Filistei si trasferirono nella terra di Canaan attorno all200 a.C. Fin dal tempo di Samuele, Saul e David, mani-

festarono un'aperta ostilità nei confronti di Israele, anche se essi erano marinai e pescatori, mentre gli Israeliti hanno sempre avuto un'evidente diffidenza nei confronti del mare. Seppure i due gruppi non si contendevano le risorse naturali e non dipendevano l'uno dall'altro per la loro sopravvivenza, i Filistei hanno espresso un certo orgoglio nei confronti di Israele (si pensi a l Sam 17, la lotta di Davide e Golia), che però nel nostro testo rimane piuttosto implicito. 2,6 La zona costiera ... per il gregge (1~~ ... C~;:t ',?ry :1~~:;'11) - Il versetto crea

2,5-15 Gli oracoli contro le nazioni Oracoli contro le nazioni si trovano in Isaia (cc. 13-23), Geremia (cc. 46-51) ed Ezechiele (cc. 25-32). Tra i Dodici solo Amos (cc. 1-2) e So fonia contengono un discorso analogo, mentre Naum e Abdia si rivolgono a un'unica nazione, rispettivamente l'Assiria ed Edom. Gli oracoli contro le nazioni non sono diretti primariamente ai popoli stranieri, ma a Giuda o a Israele. Anche se è necessario precisare di volta in volta la funzione ;peci fica che questi testi svolgono, si può suggerire, in generale, che tali oracoli intendano enfatizzare il potere universale di Dio e dichiarare il suo controllo su tutto il mondo, incluse le nazioni ostili. Come Amos prima di lui, anche Sofonia sembra aver avuto un obiettivo preciso nel modo in cui raggruppa le nazioni. Egli sceglie infatti nazioni piccole e vicine (la Filistea, Ammon e Moab ), e altre lontane, che sono inoltre grandi imperi (Kush e l'Assiria); si tratta di nazioni in relazione con Giuda a motivo della loro prossimità, o per la funzione che esse avevano svolto nella sua storia. Il profeta si riferisce a cinque popoli che circondavano Israele da quattro parti, suggerendo un'impressione di completezza. Gli autori si sono sforzati di comprendere il significato e la funzione di tali oracoli suggerendo, per esempio, che le nazioni elencate costituivano i principali nemici di Yoshiyya o erano popoli che Yoshiyya intendeva sottomettere. In senso più generale, questi oracoli si potrebbero intendere come un discorso antiassiro, senza necessariamente rife-

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SOFONIA2,6

Guai agli abitanti della zona costiera, popolo dei Cretei! La parola di YHWH è contro di voi, l Canaan, terra dei Filistei: «Ti distruggerò e non rimarrà più nessuno». 6La zona costiera si trasformerà in praterie, pascoli per pastori e recinti per il gregge. 5

difficoltà, soprattutto nella prima parte, come mostrano le versioni antiche che hanno cercato di risolvere i problemi semplificando, in modi diversi, il testo. La Settanta, per esempio, omette «zona costiera», legge n"1:!l («pascoli») come nome geografico («Creta»), e opera altri spostamenti all'interno del versetto ottenendo la seguente traduzione: KtÙ EOLat Kp~cTJ VOiJ.~ TIOLI.w[wv Ka.l f-Uivlipa. 11po!xhwv («e sarà Creta un pascolo di greggi e un recinto di pecore»). Anche la Vulgata semplifica il versetto eliminando il termine n"1f: et erit funiculus maris requies pasto-

rum et caulae pecorum («illitorale marino diventerà [luogo di] riposo per i pastori e ovile per le pecore»). Riteniamo che non sia necessario modificare il Testo Masoretico il quale contiene effettivamente dei termini che, essendo sinonimi, appaiono ridondanti, ma che noi consideriamo comunque significativi dal punto di vista interpretativo. Segnaliamo, infine, che il versetto potrebbe essere letto come una lunga catena costrutta, come fanno alcuni autori: «La zona costiera diventerà pascoli di prati di pastori e recinti per il gregge».

rirsi a un'espansione territoriale: So fonia parlerebbe contro l'Assiria e contro i suoi vassalli, cioè Ammon, Moab e la Filistea. Non mancano autori che hanno supposto che questi oracoli siano stati modellati tenendo presente la tavola dei popoli rappresentata in Gen l O, continuando dunque il processo di citazione di Gen 1-11 iniziato già nel capitolo precedente. Pur alludendo a Gen l O, tuttavia, il profeta non avrebbe incluso nel suo quadro tutte le nazioni ivi menzionate, ma solo quelle che erano funzionali al suo obiettivo. Si spiegherebbe in tal modo l'omissione di Edom, anche se non tutto viene comunque chiarito (p. es., perché la Filistea viene chiamata Canaan se essa costituisce solo una piccola parte del territorio che porta questo nome?). Altri autori infine ritengono che le nazioni qui menzionate simboleggino il mondo allora conosciuto: la Filistea a ovest (vv. 5-7), Moab e Amman a est (vv. 8-11 ), Kush (che comprende anche l 'Egitto) a sud (v. 12), e l'Assiria a nord (vv. 13-15). 2,5-7 Oracolo contro i Filistei Il profeta intona un lamento, che potrebbe alludere ironicamente a un giudizio (v. 5) sul destino delle città (cfr. Na 3,1; Ab 2,6-20). Nel testo in lingua originale si possono notare alcuni giochi di parole: l'ebraico l;ebel significa sia «regione», «costa» che «distruzione»; analogamente il termine Cretei (ebraico, kretfm) rimanda al verbo kiirat, «sterminare». La distruzione del Signore sarà così impressionante da rendere la terra dei Filistei un posto abitato da pecore e da pastori, più che un luogo civilizzato (v. 6). In

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SOFONIA2,7

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2,7 Su di loro (c;:,·~~)- Si riferisce forse ai luoghi menzionati nel versetto precedente. Esistono anche varie proposte di cambiamenti testuali: c;:,•~t,11 («i loro piccoli»), oppure c:;:t-L;,~ («sul mare»). Cambierà la loro sorte - Leggendo il ketìb: CI;11::l~ ::~w. Il qerè, CI;l':;l~ :!W, si può

rendere con: «farà tornare i loro esiliati».

2,8 Suo territorio (c 71:::1~) - Il suffisso ebraico è di terza maschile plurale perché concorda con il termine «popolm>, singolare, ma di significato collettivo. 2,9 Campo di cardi, una miniera di sale (n~~-i1"'}:1~1 t,,, ':l p~~) - La difficoltà di

maniera inattesa compare al v. 7 il tema del «resto» al quale Dio donerà il possesso della terra dei Filistei. Dio «visiterà>> il suo popolo (si usa qui il verbo piiqad, già comparso in l ,8-9 con il significato di «punire»), cambiandone le sorti. 2,8-11 Oracolo contro Moab e Amman Questi popoli vengono spesso menzionati nella Scrittura. Essi discendevano da Abramo tramite Lot, suo nipote (Gen 19,30-38), ma avevano una lunga storia di animosità contro il popolo di Dio, ricordiamo solo alcuni esempi di cui riferisce la Scrittura: il re di Moab, Balaq prezzolò Bil'am affinchè maledicesse Israele (Nm 22,3-20); in l Sam 11,1-2 Nabas, l'Ammonita, scese in guerra contro Yabesh di Ghil'ad e il suo successore umiliò i messaggeri che David gli inviò, tagliando le loro barbe a metà e anche i loro vestiti (2Sam l O, 1-4); Tobia l'Ammonita si prese gioco di Neemia (Ne 2,19; 3,35; 4,1-2). Ammone Moab sono spesso definiti come pieni d'orgoglio (Is 16,6; 25,10-11; Ger 48,29-30; 49, 1-4), il che li ha portati a violare i confini d'Israele (Am l, 13). Essi inoltre hanno insultato Dio e il suo popolo (Ger 48,26-27; 49,1), come dichiara anche Sofonia (2,8). Non è chiaro a cosa il profeta si riferisca esattamente, forse a qualche progetto contro la terra di Giuda che aveva

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SOFONIA 2, l O

La costa del mare apparterrà al resto della Casa di Giuda; su di loro pascoleranno; nelle case di Ashqalon riposeranno a sera perché YHWH loro Dio li visiterà e cambierà la loro sorte. 8 «Ho udito lo scherno di Moab l e gli oltraggi degli Ammoniti con cui hanno insultato il mio popolo, l si sono inorgogliti contro il suo territorio. 9Perciò, com'è vero che io vivo, oracolo di YHWH degli eserciti, Dio d'Israele, certamente Moab diventerà come Sodoma l e gli Ammoniti come Gomorra: campo di cardi, una miniera di sale e una desolazione per sempre. Il resto del mio popolo li deprederà, /l'avanzo della nazione li erediterà». 10 Questo avverrà a loro per la loro superbia, per i loro sprezzanti insulti contro il popolo di YHWH degli eserciti. 7

questa parte del versetto è costituita dal fatto che in esso compaiono due termini hapax: p~o (che forse significa «acquistare»), :1'":110 (che forse significa «cava», «miniera»), e un terzo raro: ',,,r;;, che compare in altri due testi (Pr 24,31; Gb 30,7) col significato di «cardi», «rovi». Anche le versioni antiche mostrano di

aver percepito la difficoltà del testo, basti pensare che la Settanta rende p~o con Llaf.llXaK&; («Damasco»), forse influenzata da Gen 15,2, mentre la Vulgata lo traduce siccitas («siccità»). Nazione- Con il ketìb 'il; il qerè, ,il, ha un suffisso pronominale («della mia nazione») che nel contesto è lectio facilior.

assunto la forma di insulti e minacce contro il popolo di Dio. In ogni caso, il giudizio contro questi popoli richiama la loro origine, collegata alla distruzione di Sodoma e Gomorra, e corrisponde alla legge del contrappasso: essi volevano saccheggiare il territorio di Giuda il quale adesso si impadronisce della loro terra. Al v. 9 ricompare il tema del «resto» che erediterà le terre di Ammon e Moab, cioè le riceverà da Dio senza bisogno di combattere. Si potrebbe notare l'emergere in questo versetto di un tema, quello deli' eredità ricevuta da Dio in dono, che avrà ampio sviluppo nel Nuovo Testamento, ma che affonda le sue radici nella tradizione dei Salmi. Come recita il Sal37,ll, infatti, «gli umili erediteranno la terra» (cfr. Mt 5,4): si usa il termine 'iiniiwim, lo stesso che compare in Sof2,3. Non a caso di costoro si dice, al v. 7, che saranno pastori, un 'indicazione preziosa dal punto di vista teologico. Il pastore è infatti colui che esercita una professione, ma incarna anche una filosofia di vita, diventando una sorta di «tipo» umano, caratterizzato da mitezza, cura della vita debole. Il pastore difende le sue pecore, le nutre, cerca la strada più adatta per il suo gregge e, se necessario, usa la forza per difenderlo. È il contrario del tipo umano rappresentato dal cacciatore che invece vive per uccidere gli animali, e che ha una va-

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SO FONIA 2,11

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da Ci.~. «osso», e significare dunque «rodere», o essere una forma alternativa di i~~ che significa «smettere», «terminare». Di

un giudizio, oltre che essere un'espressione che semplicemente richiama l'attenzione del lettore l ascoltatore su quello che il profeta sta dicendo. Questa città è dunque definita «ribelle», «impura», e «oppressiva» (hayyòniih). Il primo verbo (cfr. nota), nella maggior parte delle sue occorrenze si riferisce alla ribellione del popolo nel deserto (cfr., p. es., Nm 20,10.24; 27,14; Dt 1,26.43; 9,7.24; Is 63,10; Sal 78,8.17.40.56; l 06,7.33.43; Ne 9,26). In quel caso la ribellione era consistita nel lamentarsi di Dio, nel voler tornare in Egitto, nel disobbedire al comandamento (Nm 20,24; 27,14; Sall05,28). Quello che i padri avevano cominciato a fare nel deserto, i «figli» continuano a ripeterlo al tempo di So fonia (cfr. anche, p. es., l Re 13,21; Lam l, 18). L'impurità indicata dal secondo participio si riferisce a vari ambiti: alla sfera fisica (Nm 31,19), o al cibo (Dn 1,8; Mll,7.12), o alla mancanza di credenziali sacerdotali che abilitino all'esercizio del sacerdozio (Esd 2,62; Ne 7,64). In alcuni casi può anche riferirsi all'ingiustizia sociale causata dai capi politici e religiosi (Lam 4,13-14). Il terzo participio aggiunge un altro tratto alla descrizione della città, dicendo che essa è «oppressiva». Dal contesto si evince che con questo termine il profeta si riferisce ad azioni violente commesse contro i membri più deboli della società. La città che dovrebbe essere uno spazio in cui le persone si aiutano a vicenda, è invece diventata un luogo di sopraffazione. Il v. 2 spiega le ragioni di tale comportamento mediante quattro espressioni che suggeriscono una ribellione totale e profondamente radicata. Gerusalemme infatti ha rifiutato di obbedire (probabilmente a YHWH, anche se manca questa specificazione), non ha accettato la correzione, non ha confidato nel suo Dio e non si è avvicinata a Lui. Solo Gerusalemme ha avuto il privilegio di ascoltare la voce del Signore, a differenza di quanto è avvenuto alle città menzionate negli oracoli precedenti, eppure non ha obbedito al suo Dio (si ricordi che in ebraico esiste un unico verbo che significa «ascoltare» e «obbedire»). Dalla mancanza di obbedienza (cfr. N m 14,22) sono derivati altri atteggiamenti negativi, come il rifiuto della correzione e quello di «avvicinarsi» al Signore, espressione che può avere

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SOFONIA3,4

Non ha obbedito, l né ha accettato correzione. Non ha confidato in YHwH, l non si è avvicinata al suo Dio. 31 suoi prìncipi in mezzo ad essa l son leoni ruggenti, i suoi giudici sono lupi della sera l che non lasciano nulla per il mattino. 41 suoi profeti sono arroganti, l uomini bugiardi. I suoi sacerdoti hanno profanato ciò che è santo, l hanno fatto violenza alla Legge. 2

qui la doppia traduzione della frase: «non hanno rosicchiato al mattino» (così rende, p. es., la versione CEI), cioè, giunti a sera,

sono famelici; oppure quella da noi scelta. 3,4 Bugiardi- La forma ni,~~. participio qal femminile, ha valore neutro.

un significato cultuale oppure riferirsi alla ricerca di un consiglio. Questi diversi atteggiamenti hanno provocato l'oppressione menzionata all'inizio del capitolo. Dopo aver espresso il giudizio contro la città considerata nel suo insieme, si denunciano i crimini commessi dai capi politici (v. 3) e religiosi (v. 4) che sono responsabili della degenerazione collettiva. Invece di pascolare il gregge, cioè di prendersi cura delle persone loro affidate, i capi hanno divorato i poveri, nutrendo se stessi con la carne di quelli che avrebbero dovuto governare. I giudici, poi, responsabili di far osservare la legge del Signore in maniera imparziale, si sono rivelati «lupi». Spesso nei Salmi compare la metafora animale, applicata ai nemici dell' orante che sono paragonati a cani, o a leoni, di cui si menziona la ferocia contro la quale la parola umana non può nulla. I nemici sono spesso assimilati agli animali anche per esprimere la natura disumanizzante del peccato, che si esprime nella forma più brutale e violenta possibile. Il fatto che queste metafore vengano adesso applicate da Sofonia ai capi del popolo rende il discorso ironico e tragico nello stesso tempo. Se infatti le guide politiche, che dovrebbero prendersi cura delle persone loro affidate si comportano in questo modo, cosa si può sperare per il gregge? Neanche dall'ambito del sacro (v. 4) può venire un aiuto perché i profeti parlano di Dio in modo falso, manifestando un'arroganza che merita la morte (cfr. Dt 18,20), mentre i sacerdoti profanano le cose sacre o il luogo sacro. I sacerdoti erano chiamati a svolgere vari compiti, tra i quali c'era appunto quello di distinguere tra ciò che è santo e ciò che non lo è (cfr. Lv 10,10), mentre in questo caso essi violentano la legge. Per comprendere il peccato commesso dai sacerdoti si possono ricordare alcuni testi, come, per esempio, Lv IO, l-3 (in cui si dice che Nadab e Abiu, figli di Aronne, offrirono al Signore un fuoco illegittimo) o l Sam 2,22 (in cui si racconta che i figli di Eli avevano rapporti sessuali con le donne che prestavano servizio all'ingresso della tenda del convegno). Al tempo di Sofonia sembra che i sacerdoti continuassero non solo a permettere, ma addirittura a incoraggiare la pratica di riti pagani nel santuario (2Re 23,4-20).

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SOFONIA3,5

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me la luce») invece di 1iN., («alla luce»). Non viene meno (1"!llJ. ~6) _'_Il verbo 1ill si riferisce a ciò che è perso o lasciato indietro (lSam 30,19; 2Sam 17,22; Is 34,16; 40,26; 59, 15) ed esprime la completezza dell'opera di giustizia del Signore, che non verrà mai meno, a differenza della luce del giorno che tramonta ogni sera. 3,6 Sono state devastate - La forma ~"T~J deriva da :-ti" che è un hapax nell'ebraico biblico, ma ricorre in aramaico col significato di «devastare». 3,7 Avrai timore di me, accetterai la correzione (19~~ •npl'l '!}iN 'NTI'l-l~) - Non è necessario cambiare la persona dei verbi, secondo il suggerimento di al-

In forte contrasto con il comportamento dei capi politici e religiosi, il v. 5 dichiara che il Signore è giusto, che egli non commette iniquità e che, se anche sembra che la corruzione dilaghi e prevalga ovunque, Egli ogni giorno manifesta la sua giustizia. «Ogni mattina» è un'espressione usata per indicare la regolarità di certi sacrifici offerti in Israele (Es 30, 7; Lv 6,5; Ez 46, 13-15; 2Cr 13,11), della manna da raccogliere nel deserto (Es 16,21), delle offerte spontanee che gli Israeliti portavano per la costruzione del santuario (Es 36,3). Come il Signore provvide fedelmente la manna per il suo popolo, adesso, nei giorni caotici che Sofonia descrive, egli continua a dispensare la sua giustizia. C'è inoltre da segnalare il contrasto tra i giudici che dovrebbero amministrare la giustizia al mattino, mentre agiscono nell'oscurità della notte sperando che il

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SOFONIA3,7

è giusto in mezzo a lei, l non commette iniquità; ogni mattina porta alla luce il suo diritto, non viene meno, ma il criminale non riconosce la propria colpa. 6 «Ho sterminato popoli, le loro torri sono state distrutte; ho reso deserte le loro strade, non c'è nemmeno un passante. Sono state devastate le loro città, non c'è nessuno, l non uno che vi abiti. 7Ho pensato: certamente avrai timore di me, accetterai la correziOne, e non sarà distrutta la sua abitazione, l secondo tutto ciò che io ho ordinato a suo riguardo. Ma essi si sono affrettati a pervertire l tutte le loro azioni. 5YHWH

cuni autori (seguito dalla versione CEI) che evitano così l'asperità del passaggio, nella seconda parte del versetto, a un pronome suffiso di terza persona (:i~ill~, «l 'abitazione di lei»). Nel contesto prossimo del c. 3, infatti, YHWH si rivolge a Gerusalemme usando la terza persona femminile singolare nei vv. 1-4, mentre nei vv. 14-19 la città viene apostrofata in seconda persona femminile singolare. Non è dunque strano che nel v. 7 ci sia questa alternanza di persone. La sua abitazione- Il termine ebraico i'l~illt?, «abitazione», suscita difficoltà, per cui molti autori preferiscono seguire la Settanta che traduce Él; òql9c:tÀ.f.LWV cr{rtf)ç, «dai suoi occhi»

(cfr. la versione CEI del 1974: «non si cancelleranno dai suoi occhi»). Noi manteniamo il Testo Masoretico. lo ho ordinato a suo riguardo (~·?~ 'Mii?~) - Il sintagma ';!~ ip5:l può significare «punire» (cfr. Sof 1,8.9.12), oppure «ordinare», «affidare un compito» (cfr. Nm 4,27; Gb 34, 13; 36,23). Noi seguiamo la seconda possibilità, mentre la versione CEI («tutte le punizioni che le avevo inflitto») sembra preferire la prima. Si sono affrettati a pervertire (1n'n~i1 1~':i;l~i1)- Il testo ebraico presenta una costruzione asindetica che si potrebbe tradurre alla lettera: «Si sono alzati presto, hanno corrotto».

buio nasconda le loro malefatte, e Dio che invece ogni mattina agisce in modo coerente e non viene meno. 3,6-8 La storia e le sue lezioni Prima di annunciare il giudizio divino, inevitabile a motivo dei peccati denunciati in precedenza, il Signore, per così dire, aggrava ulteriormente l'accusa rivolta al popolo ricordando, in prima persona, la storia passata e affrontando il tema del giudizio contro le nazioni, che dovrebbe diventare per Gerusalemme motivo di resipiscenza. Il discorso dovrebbe sfociare nella punizione contro Gerusalemme, ma stranamente il v. 8 descrive l'assemblea delle nazioni convocate davanti al Signore. La corruzione di Gerusalemme è descritta al v. 7 usando il verbo siil;at, «corrompere», «pervertire» che compare in Gen 6,11-12 nel contesto del racconto

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SOFONIA3,8

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:'o/li? iD~ 1il? i1D:;t~7 '~p;n-N71 3,8 Come accusatore (il}';,) - Il testo ebraico consonantico (ilh) può assumere significati diversi a seconda della vocalizzazione che viene presupposta. Seguendo la Settanta (ELç IJ.apn!pwv), si può leggere

il}', «come testimone», «come accusatore», scelta da noi preferita a motivo del contesto di giudizio. La vocalizzazione del Testo Masoretico, il}',, richiede la resa «per sempre» (cfr. la Vulgata: in futu-

del diluvio. Si potrebbe forse dire che non c'è differenza tra le nazioni e Gerusalemme, che il peccato da loro commesso è analogo e che quindi la città santa merita la stessa punizione che subiranno le nazioni. 3,9-13 Dio purificherà il suo resto In maniera ancora più singolare, dal nostro punto di vista, questa strofa descrive la formazione di una comunità nuova composta da persone che provengono dalle genti (9-10) e da Israele (11-13). Si deve notare, anzitutto, che i vv. 8 e 9 sono connessi tra loro mediante la ripetizione della particella kf e l'uso di due verbi diversi, ma di suono simile (siipak e hiipak, che abbiamo reso con lo stesso verbo italiano «riversare»). Attraverso questi segni retorici viene illustrato un parallelismo di natura teologica: dal fuoco della gelosia di Dio che consumerà la terra (v. 8) il discorso passa a descrivere la trasformazione che Dio realizza, dando vita a un popolo nuovo (v. 9). Il ragionamento ha una sua logica, soprattutto a fronte del rimando alla storia del diluvio che abbiamo rilevato al v. 7. In essa si dice che tutta la terra era corrotta, ma anche che Noè trovò grazia agli occhi di Dio (6,8). Il peccato generalizzato è imputabile agli uomini, sia in Genesi che nel testo di Sofonia, e va denunciato e sanzionato mediante una punizione proporzionata, che ne manifesti la gravità.

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SOFONIA 3,11

aspettatemi, oracolo di YHWH, l nel giorno in cui mi leverò come accusatore, perché ho decretato di raccogliere nazioni, l di riunire regni per riversare su di essi il mio sdegno, l tutto l'ardore della mia ira, poiché tutta la terra sarà divorata l dal fuoco del mio zelo. 8Perciò

c

Certamente allora riverserò sui popoli un labbro puro, affinché tutti invochino il nome di YHWH l per servirlo di comune accordo. 10Da oltre i fiumi di Kush l i miei adoratori, la figlia dei miei dispersi, porteranno la mia offerta. 11 In quel giorno non dovrai vergognarti di tutte le tue azioni l con le quali hai peccato contro di me, perché allora toglierò di mezzo a te quelli che si rallegrano del tuo orgoglio e tu non continuerai a inorgoglirti sul mio monte santo. 9

rum); a meno che non si interpreti,~ non nell'abituale senso temporale, ma in quello raro di «bottino» che sembra avere in Gen 49,27 e ls 33,23, traducendo quindi: «per (fare) bottino».

Poiché (•;,) - Cfr. nota a 2,4. 3,9 Di comune accordo (,çt~ t:l:;?~) - Alla lettera: «con un'unica spalla». 3,10 La figlia- Il termine n;~, ha qui un significato collettivo, indicando la comunità.

La punizione però non è indiscriminata, non colpisce tutti, ma solo, si direbbe, chi se lo merita, ed essa ha inoltre una valenza educativa (nei vv. 2 e 7 si ripete il termine musar, «correzione», «educazione»). Ma, come al tempo del diluvio Noè venne risparmiato, così adesso il Signore riserva per sé un resto. La novità inaudita è che tale resto è composto da Israele e dalle nazioni, sulle quali Dio «verserà» (v. 9) un «labbro» puro (l'ebraico sapa significa anche «lingua», nel senso di linguaggio, cfr., p. es., Gen 11,1.6.7.9; Sal81,6; Is 19,18; Ez 3,5-6). Da tutte le nazioni sorgerà un popolo che invocherà il nome del Signore e lo servirà con la vita, in modo concorde, unanime. Interessante il fatto che per le nazioni straniere si usi al v. 9 l'ebraico 'am, abitualmente usato per parlare del «popolo» d'Israele, mentre Gerusalemme, in 2,1, era stata definita g6y, un termine che di solito si riferisce a chi non è ebreo (ed è tradotto «nazione»). Questo popolo comprende persone che vengono dagli estremi confini della terra, da oltre i fiumi di Kush (cfr. l, l e 2, 12): perfino da là gli adoratori del Signore gli renderanno culto. In questo contesto suona un po' strano il sintagma del v. 10 che menziona «la figlia dei miei dispersi» e che potrebbe riferirsi o agli Israeliti dispersi tra le genti che fanno ritorno a Gerusalemme, oppure al racconto di Gen 11 che si apre con un riferimento all'unità di lingua (usando il termine sapa che Sofonia usa al v. 9), e si chiude con la dispersione dei popoli. Adesso il Signore inverte il movimento

SOFONIA 3,12

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3,12 Confiderà (~Or;t1)- La forma verbale ebraica è plurale e concorda a senso col termine «popolo» che è un nome collettivo. 3,13 Il resto d 'Israele ('?~l9' n•1~~)- Que-

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>. Che cosa notiamo di assai interessante? Che a· differenza della Vulgata qui abbiamo la frase in medio duorum animalium divenuta lo spunto, assieme a Is 1,3, per porre bue e asino nella mangiatoia di Betlemme. I libri profeti ci offrono quindi anche un immaginario salvifico dal quale la Chiesa trae sempre nuove immagini, non solo per la preghiera liturgica, ma attraverso questa anche per generare una pietà e devozione di alto profilo, esperienze nelle quali non di rado emergono emozioni. Tutto questo ci spinge ad aggiungere anche san Abacuc tra i patroni del presepe.

Sofonia, il profeta dell'ultimo giorno Il 3 dicembre il Martirologio celebra la Commemorazione di san Sofonia «profeta, che nei giorni di Giosia, re di Giuda, preannunciò la rovina degli empi nel giorno dell'ira del Signore e confortò il popolo dei poveri e dei bisognosi nella speranza della salvezza». Ai nostri orecchi poco abituati ad associare a Dio il sentimento dell'ira, la presentazione del Martirologio potrebbe sembrare anacronistica o inopportuna. Eppure questo tema non si oppone alla misericordia ma anzi la sostanzia di calore e forza poiché Dio non rimane spettatore cinico di quanti nel peccato distruggono se stessi e gli altri. Sofonia continua ad annunciare, nella liturgia, che il Dio ebraico-cristiano è attraversato da passioni forti, accorate, viscerali. Lo dice in modo drammatico e commosso la preghiera eucaristica IV, quando prega dicendo: «Guarda con amore, o Dio, la vittima che tu stesso hai preparato per la tua Chiesa». Il testo italiano è la traduzione dell'originale latino Respice, Domine, in Hostiam, quam Ecclesiae tuae ipse parasti, supplica nella quale l'autore dell'anafora mette insieme, fondendole, una citazione di Sof 1,7 (quia praeparavit Dominus hostiam) con una citazione tratta dal Sal84,10 (respice infaciem Christi tui). Il giorno del Signore Sof l, 15-16 è citato come incipit della celeberrima sequenza del Dies irae: Dies lrae, dies il/a solvet saeclum in favilla: teste David cum Sybilla. Quantus tremar est futurus, Quando judex est

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venturus, Cuncta strie te discussurus. Tuba, mirum spargens sonum per sepulcra regionum coget omnes ante thronum che il Messale di transizione traduce: «Giorno d'ira sarà quel giorno, quando il mondo diventerà cenere, come annunziarono Davide e la Sibilla. Quale spavento ci sarà all'apparire del Giudice, che su tutto farà un esame severo. L'alto squillo di tromba passerà ovunque sulle tombe e raccoglierà tutti dinanzi al trono». La Vulgata ci consegna le parole di Sofonia in questa versione: Dies irae dies il/a, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis dies tubae et clangoris super civitates munitas, et super angulos excelsos. Per apprezzare appieno la bellezza e potenza di questa sequenza si osservi come l 'implacabile ira di «quel giorno» è capovolta o meglio, ricompresa, nel verso della sequenza dove si dice: Rex tremendae maiestatis, qui salvandos sa/vas gratis, salva me,fons pietatis. Recordare /esu pie, quod sum causa tuae viae, ne me perdas il/a die. Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus, tantus labor non sit cassus («0 re di terribile maestà, che salvi chi vuoi, per tuo dono: sal v ami, o sorgente di amore! O Gesù amoroso, ricorda che per me tu sei venuto, non !asciarmi perire in quel giorno. Per cercarmi, ti sei affaticato; per salvarmi hai sofferto la croce; non sia inutile tanta sofferenza»). Il testo è accorato, commosso, vivido. Il componimento riprende così i testi di Sofonia quando, nei versetti 14 e 20 del capitolo 3, è annunciata la revoca della condanna sul popolo: «Il Signore ha revocato la tua condanna ... non temerai più alcuna sventura ... Dio è salvatore potente ... Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia ... In quel tempo io vi guiderò, in quel tempo io vi radunerò ... ». Sofonia non è quindi un profeta fosco, ma un profeta appassionato, acceso dall'ardore dell'amore di Dio per il suo popolo! Merita di essere spesa una parola ulteriore sul Dies irae. Il componimento fino al XIV secolo veniva cantato precedendo la proclamazione del Vangelo nella I domenica di Avvento, così come si usava e si usa allorquando la Liturgia della Parola prevede una sequenza. La pericope evangelica era quella di Le 21,25-33, connotata da una forte dimensione escatologica (oggi è prevista nell'Anno A), similmente al brano

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parallelo di Mt 24,37-44: «Vegliate, per essere pronti al suo arrivo». Grazie ai messali francescani che inserirono nell'ultimo verso la frase Pie /esu Domine, dona eis requie m («0 pietoso Signore Gesù, dona loro il riposo») il Dies irae passò nelle Missae defunctorum del Messale del 1570, rimanendovi fino alla redazione del nuovo Ordo exequiarum nell'editio typica che ne vide la soppressione. Ma contrariamente a quanto si possa pensare la sequenza non si è estinta. A tutt'oggi, abbreviato e ricomposto omettendo l'errata identificazione di Maria Maddalena con la peccatrice pentita, il Dies irae sopravvive nel repertorio dei testi latini ed è proposto come Inno per l'Ufficio delle letture della XXXIV settimana del Tempo Ordinario. "Il giudizio di Dio" è anche il titolo dato alla prima lettura dell'Ufficio, nella domenica della XXI settimana del Tempo Ordinario, che presenta la pericope di Sof 1,1-7.14-2,3. Segue un Responsorio ispirato a Sof 2,3 e a Le 6,20, che esorta i credenti dicendo: «Cercate il Signore voi tutti, umili della terra, che eseguite i suoi ordini. Cercate la giustizia, l'umiltà e la mitezza. Beati, voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio». A seguire, la seconda lettura, tratta dalla Costituzione pastorale Gaudium et spes al n. 39 col titolo "Speranza in un nuovo mondo migliore". Ennesima prova che lo scomodo tema del giudizio e dell'ira, nella liturgia, sono forieri della vera speranza cristiana che - come ci insegna la finezza assoluta di Tommaso d'Aquino-, è una virtù irascibile. Darò ai popoli un labbro puro Sof3,8.9 unito a Gv 12,32 è il Responsorio alla seconda lettura nell'Ufficio delle letture nel venerdì della IV settimana di Quaresima. Vi troviamo scritto: «Aspettatemi, parola del Signore, quando mi leverò per accusare; allora io darò ai popoli un labbro puro: invocheranno il nome del Signore e lo serviranno. Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me: invocheranno il nome del Signore e lo serviranno». Questi versetti seguono una lettera pasquale di sant'Atanasio dal titolo "Il mistero pasquale riunisce nell'unità della fede coloro che sono lontani col corpo". La composizione dell'Ufficio ci permette di riflettere sulla dimensione anticipativa e

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laudativa della preghiera cristiana, che non è né azione pubblica né privata, bensì comunitaria: l'assemblea n eU' essere convocata dal Cristo glorioso, morto e risorto, è costituita nell'unità ed è ammessa fin d'ora- per pura grazia d'amore- all'eterna comunione con il Dio eterno. Tra i Cantici del Tempo di Pasqua è possibile utilizzare Sof 3,8-13. Attraverso il titolo scelto dali' editore si annuncia che "Il resto d'Israele alla fine si salverà". La solenne dichiarazione è sostenuta da una sentenza neotestamentaria che, a mo' di chiave, apre l'accesso cristologico al testo di Sofonia: «Isaia esclama: Se anche il numero dei figli di Israele fosse come la sabbia del mare, sarà salvato solo il resto» (Rm 9,27).

Il Signore, salvatore dei poveri Il Signore verrà come salvatore, Sofonia ne è certo. La storia non è in balia di se stessa o delle forze violente e presuntuose dei ricchi. L'espressione escatologica «in quel giorno», ripetuta al versetto 11 e al versetto 16 del capitolo 3, annuncia la fedeltà di Dio e il giudizio posto sulla storia. Nella III domenica di Avvento, Anno C, Sof 3, 14-18a viene così indicata come prima lettura, posta col titolo "Il Signore esulterà per te con grida di gioia". A dare continuità al tema vi è il brano piuttosto composito di Is 12,2-3.4bcd.5-6, scelto in quanto si rivolge alla Chiesa dicendo: «Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d'Israele». Questi due brani ci dicono che la duplice attesa del Signore - nel futuro definitivo e nel presente transeunte - è fonte di esultanza incontenibile tanto per i credenti quanto per Dio stesso. Il desiderio di far gioire e di gioire sta al cuore della rivelazione! Per la feria del 21 dicembre il Lezionario offre come prima lettura la scelta tra Sof 3,14-18a o Ct 2,8-14. Il nostro profeta, ricordando al popolo che «il Signore tuo Dio è in mezzo a te», grazie al dispositivo lezionale vede felicemente accolto il proprio monito da quella Elisabetta che nel Vangelo di Luca è immagine dell'Israele in attesa (Le 1,39-45): «A cosa debbo che la madre del mio Signore venga a me?». È ancora il Tempo di Avvento, nella III settimana, a prevedere per il martedì il brano di Sof 3, 12.9-13 («La salvezza messianica è promessa a tutti i poveri») che,

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letto unitamente al Sal33, 2-3.6-7.17-18.19. 23 («Il povero grida e il Signore lo ascolta») e a Mt 21,28-32 («È venuto Giovanni e i peccatori gli hanno creduto»), rivela l'affinità elettiva che lega Dio e gli "ultimi". La IV domenica del Tempo Ordinario, Anno A, partendo da Sof 2,3; 3,12-13 («Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero»), passando per il Sal145,7.8-9a.9bc-10 («Beati i poveri in spirito») e lCor 1,26-31 («Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo») fino ad arrivare a Mt 5,1-12a, ci consegna con il Messale italiano questa bellissima Colletta, ottimo focus sul centro dell'Evangelo: «0 Dio, che ai poveri e agli umili hai promesso la gioia del tuo regno, fa' che la Chiesa non si lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito». Il Comune dei santi e delle sante, tra le varie pericope proposte per la prima lettura, indica Sof 3, 12-13 e anche l'Ufficio del lunedì della XXI settimana del Tempo Ordinario riprende intervalli di versetti simili (Sof3,8-20) per ribadire con forza che «Dio promette la salvezza ai poveri d'Israele».

Rallegrati, figlia! L'esclamazione di Sofonia «Rallegrati, figlia di Sion» accompagna e accompagnerà per sempre la Chiesa grazie alle parole che nel Vangelo di Luca l'angelo rivolge a Maria: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Le l ,28). Proprio la traduzione CEI del 2008 ci permette di recuperare la bellezza luminosa e la pregnanza soteriologica di questa espressione, prima appiattita nel convenzionale «ti saluto». È questo un vero e proprio grido pasquale, che angeli/annunziatori di ogni tempo e luogo continuano a rivolgere alla Chiesa per ricondurla allo stato nascente, alla sua identità di figlia generata nella resurrezione e madre che genera per la resurrezione. L'onore che i credenti da sempre hanno tributato a Maria ha permesso a questo saluto di entrare in ogni forma del linguaggio artistico e liturgico. Ecco allora che il Lezionario non può che scegliere per il 31 maggio, Visitazione della B.V.M., la pericope di Sof 3,14-18 unendola al brano di Le 1,39-56, dove

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la Figlia di Sion inondata di gioia prorompe nel canto: «Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente: ha innalzato gli umili». Ci accorgiamo che il culto della Madre di Dio è l'ambito nel quale più abbondantemente e massicciamente il profeta Sofonia viene valorizzato. Ce ne età prova il Messale della Beata Vergine Maria, che raccoglie meravigliosi formulari eucologici di antica tradizione e di nuova composizione capaci di nutrire e stimolare non solo la preghiera liturgica ma anche la migliore pietà popolare e la più autentica devozione personale. A riprova di questo menzioniamo le seguenti pagine del Messale, antologia fresca e vivida da essere, a suo modo, un piccolo rosarium Virginis. Nel Tempo di Avvento, la Messa "Maria Vergine figlia eletta della stirpe d'Israele" e nel Tempo di Natale, la Messa "Santa Maria di Nazaret". Le antifone d'ingresso citano Sof3,14 eAg 2, 7: «Gioisci ed esulta con tutto il cuore figlia di Gerusalemme: ecco viene l'Atteso delle genti e la casa del Signore sarà inondata di gioia». Nel Tempo di Avvento, la Messa "Maria Vergine figlia eletta della stirpe d'Israele", nella seconda Colletta cita Sof 3,14: «Dio fedele, che nella beata Vergine Maria hai dato compimento alle promesse fatti ai padri, donaci di seguire l'esempio della Figlia di Sion che a te piacque per l'umiltà e con l'obbedienza cooperò alla redenzione del mondo». Nel Tempo di Avvento, la Messa "Visitazione della B.V.M." propone nella prima lettura Sof 3, 14-18: «Il Signore tuo Dio è in mezzo a te» con Is 12,2-6 e col Vangelo di Le 1,39-56: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?>>. Nel Tempo di Natale, nella Messa "Maria Vergine della presentazione del Signore", il Prefazio cita più volte So fonia: «È lei la Vergine Figlia di Sion, che per adempiere la legge presenta nel tempio il Figlio, gloria di Israele e luce delle genti. È lei la Vergine cooperatrice e ministra del nuovo patto di salvezza, che offre a te l'Agnello senza macchia, destinato alla croce per la nostra redenzione. È lei la Vergine Madre, gioiosa per la benedizione della prole, addolorata per la profezia del vecchio Simeone, esultante per l'incontro del tuo popolo con il Salvatore. Così, o Padre, per tua disposizione, un solo amore associa il Figlio e la Madre, un

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solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te, unico e sommo bene». Nel Tempo Ordinario, nella Messa "Maria Vergine donna nuova", la preghiera sulle offerte, ancora citando Sofonia, dice: «Ricevi, o Padre, le preghiere e le offerte del tuo popolo per l'intercessione della Vergine Figlia di Sion, che aderì pienamente al sacrificio della nuova alleanza, e donaci, con la tua grazia, di camminare in novità di vita per tutti i nostri giorni». Nel Tempo Ordinario, nella Messa "Maria Vergine Madre dell'unità", la prima lettura propone Sof3,14-20 con Is 12,2-6 e il Vangelo Le 1,39-56. Questo tema dell'unità della Chiesa è anche scelto nella Messa Pro unitate christianorum. Alla nostra disanima non può certo mancare uno sguardo sul Benedizionale che, proprio in occasione della "Benedizione per l'esposizione di un'immagine della B. V. M.", ospita nelle premesse un efficacissimo quadro mariologico di indole squisitamente biblica. A Maria, annota il Libro liturgico, «si attribuisce il titolo di Figlia di Sion così come in Sof3, 14: [... ]È lei la donna nuova, che ha risollevato le sorti dell'umanità, decaduta per la colpa della prima Eva, l'eletta Figlia di Sion, che unendo la sua voce implorante ai gemiti dei patriarchi, ha raccolto nel cuore le attese dell'antico Israele; la serva povera e umile, da cui è sorto il sole di giustizia, il tuo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo ... ». Che in Maria risplenda il mistero della Chiesa e che nella Chiesa si realizzi il canto di Maria lo sa bene il Lezionario che propone la lettura del profeta come scelta possibile per la celebrazione di una Messa Pro Sancta Ecclesia (Sof3,14-18a) e Pro gratiis Dea reddendis (Sof3,14-15). Di questa esultanza è disseminata anche la Liturgia delle Ore, nel martedì della II settimana di Avvento, quando l'antifona al Cantico di Zaccaria è costruita su Sof3,14: «Esulta di gioia, figlia di Sion, dice il Signore: ecco, vengo ad abitare in mezzo a te». Il l o gennaio, solennità della Santa Madre di Dio, l'Inno dell'Ufficio delle letture esclama: «Maria, figlia di Sion, feconda e sempre vergine, partorisce il Signore». Nello stesso giorno, all'Ora Terza la lettura breve utilizza la pericope di Sof 3, 14.15b. La stessa pericope è scelta nella lettura breve dell'Ora Terza nel Comune della B.V.M.

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Sof3, 14-15 è evocata con riferimento a Israele, popolo eletto, nelle domeniche di Avvento, nella seconda antifona dell'Ufficio delle letture: «Rallegrati, esulta, santa città di Dio: a te viene il tuo Re. Non temere: la tua salvezza è vicina», similmente a quanto recita la prima antifona dei Secondi Vespri: «Rallegrati, città di Dio; grida di gioia, Gerusalemme, alleluia».

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Presentazione

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Annotazioni di carattere tecnico

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NAUM

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INTRODUZIONE Titolo e posizione nel canone Aspetti letterari Linee teologiche fondamentali Autore, destinatari e datazione Testo e trasmissione del testo Bibliografia

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NAUM Il titolo (l, l) Dio, re e giusto giudice (l ,2-14) l ,2-6 Un Dio geloso 1,7-10 Un Dio buono l, 11-14 Conseguenze La distruzione di Ninive (2,1-14) 2,1-2 Annuncio del tema 2,3-1 ODescrizione dell'assalto di Ninive 2, 11-14 La metafora del leone Ninive e Tebe (3, 1-19) 3,1-7 Oracolo su Ninive 3,8-13 Confronto con Tebe 3,14-19 Ultimo oracolo su Ninive

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INTRODUZIONE Titolo e posizione nel canone Aspetti letterari Linee teologiche fondamentali Autore, destinatari e datazione Testo e trasmissione del testo Bibliografia

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SOFONIA Il titolo (1,1)

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INTRODUZIONE Titolo e posizione nel canone Aspetti letterari Linee teologiche fondamentali Destinatari, autore e datazione Testo e trasmissione del testo Bibliografia ABACUC Il titolo (l, l) Dialogo tra Yhwh e il profeta (1,2-2,20) l ,2-4 Primo lamento del profeta: violenza e oppressione dilagano l ,5-11 Prima risposta di Dio: il malvagio sarà punito l, 12-17 Secondo lamento del profeta: la natura oppressiva dei Babilonesi 2,1-4 Soliloquio del profeta: visione e parola scritta 2,5-20 Seconda risposta di Yhwh: la serie dei «guai» Preghiera di Abacuc (3,1-19) 3,1 Il titolo 3,2 L'inizio della supplica 3,3-15 La teofania 3, 16-19 Conclusione

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Il giorno del Signore in Giuda (1,2-18) l ,2-6 Annuncio del giudizio 1,7-13 Contro i capi l, 14-18 Il «giorno del Signore)) Oracoli di giudizio (2, 1-15) 2,1-4 Invito alla conversione 2,5-15 Gli oracoli contro le nazioni Giudizio e promesse finali (3,1-20) 3,1-8 Giudizio su Gerusalemme 3,9-13 Dio purificherà il suo resto 3, 14-20 Promesse finali

I LIBRI DI NAuM, ABAcuc E SoFONIA NELL'oDIERNA LITURGIA Naum, il profeta che grida la giustizia Abacuc, il profeta della fede So fonia, il profeta dell'ultimo giorno

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