292 81 11MB
Italian Pages 200 Year 1987
G. AGAMBEN, R. BISHOF, M. CIAMPA, M. GALLETTI, G. DIDI HUBERMAN, D. HOLLIER, M.C. LALA, A.M. LASERRA, F. MARMANDE, C. MAUBON, G. ORLANDICERENZA, C. PASI, 4.M. REY, J. RISSET
GEORGES IL POLITICO
BATAILLE: E IL SACRO
a cura di Jacqueline Risset
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Teorie e Oggetti 31 Collana diretta da G. Mazzacurati e R. Esposito
PUPA G. Agamben - R. Bishof - M. Ciampa - M. Galletti G. Didi Huberman - D. Holler - M.C. Lala - AM. Laserra F. Marmande - C. Maubon - G. Orlandi-Cerenza - C. Pasi JIM Rey - J. Risset -
Georges Bataille: Il Politico e il Sacro
a cura di Jacqueline Risset 0° eretto
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Pubblicato da Liguori Editore Via Mezzocannone 19, 80134 Napoli
© Liguori Editore, S.r.l., Napoli 1987
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Traduzioni di Bruna Donatelli, Marina Galletti, Annamaria Laserra, Ugo M. Olivieri. I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i Paesi. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, registrata o trasmessa con qualsiasi mezzo: elettronico, elettrostatico, meccanico, fotografico, magnetico (compresi microfilm, microfiches e copie fotostatiche).
Prima edizione italiana Maggio 1987
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Le cifre sulla destra indicano il numero e l’anno dell'ultima ristampa
Printed in Italy, Liguori Editore, Napoli ISBN 88-207-1599-6
Questo volume è stato pubblicato con il contributo dell’Università di Roma «La Sapienza».
Atti del Convegno tenuto a Roma il 31.1. e 1-2 1986 organizzato dal Centro Culturale francese di Roma, a cura di Jacqueline Risset con la collaborazione di Marina Galletti e Annamaria Laserra.
INDICE
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a rato
LO SPAZIO DEL PENSIERO: IL SISTEMA, L'ECCESSO Francis MARMANDE: «Le vertige essentiel» ....................... Maurizio CIAMPA: La gnosi paradossale di Bataille ............. fcanilMuchel\ REY Bargille e Nietzsche ....i.lciriadoe 29
LI
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IL PERCORSO PLURALE: DA «DOCUMENTS» A
«ACEPHALE»
Catherine MAUBON: «Documents»: una esperienza eretica ... Marie-Christine LALA: Da ‘La structure psychologique du fascisme’ ai fondamenti de ‘La Souveraineté” ............................ Marina GALLETTI: «Masses»: un «Collège» mancato? ......... Carlo PASI: L’Hétérologie e «Acéphale»: dal fantasma al mito
TIT:
UNA IMPRESA TEMERARIA: IL «COLLEGE DE SOCIOLOGIE» Giorgio AGAMBEN: Bazaille e il paradosso della sovranità ... Annamaria LASERRA: Bataille e Caillois: osmosi e dissenso .. Der HOLBHER: Corti Si Aa
IV.
ALTRE PROSPETTIVE Rita BISHOF: Nietzsche, Bataille e il problema di una AO LAMNANE IURIS PRNOOIONI Germana ORLANDI-CERENZA: Bataille e «le Minotaure»: ARCOLA VR RA: Georges DIDI HUBERMAN: L'immagine aperta ................
156 167
JACQUELINE
RISSET
OUVERTURE
«Je ne crois pas à la possibilité d’éviter d’aller } 5 i jusqu’au boudest‘chases» Geofges Bataille
Dire Ouverture, se si tratta di un convegno,
equivale a dichiarare i lavori
aperti: inizia il dibattito. Ma, se si tratta di un convegno il cui oggetto è Georges Bataille, ogni termine subito si problematizza: ouverture, nel lessico di Bataille, non indica in effetti uno stato di pura accoglienza, non rimanda alla nozione oblativa e ottimista cara alle recenti ideologie della comunicazione. La parola stessa, ouverture — apertura — è certamente uno dei termini-chiave di tutta l’opera; evoca precisamente l’atto con il quale si rompe la chiusura di un luogo protetto: entra l’aria. Contemporaneamente si trova messo in questione l'individuo che fino a quel momento si teneva nel cerchio separato, preservato, della propria individualità. Si tratta, indubbiamente, del gesto stesso con il quale Bataille indica l’approccio dei luoghi incandescenti del suo pensiero e del suo testo (sacrificio, erotismo, dispendio, ecc...) e prepara il loro avvento. L’atto attraverso il quale un’individualità si rompe aprendosi all’esterno che la invade, al quale essa si espone, si trova così, ad appartenere alla costellazione in spostamento continuo che forma il centro movente di un pensiero inclassificabile, in stato di ricerca ininterrotta, febbrile, onnivora, assintotica... «Je n’aboutis jamais», scriveva Bataille nella risposta al testo dedicato da Sartre a l’Expérience intérieure. «C’est pourquoi la critique de ma pensée est si difficile». Preliminarmente, l'apertura di un convegno su Bataille chiede quindi che si cerchi di rompere la nozione inoffensiva e accademica di «convegno» per lasciare emergere la posta «virulenta» di un tale pensiero, attraverso le sue realizzazioni apparentemente contraddittorie e coerentemente non concluse. Nel 1970, presentando il primo volume delle Opere complete da Gallimard, Michel Foucault scriveva: «Lo si sa oggi, Bataille è uno degli scrittori più importanti del suo secolo». Nell’86 lo si sa meglio ancora; e forse precisamente nella
8
Ouverture
misura in cui l’agitazione epidermica e la febbre identificatoria degli anni °60 si sono considerevolmente rallentate. L'immagine di «vero solitario», che indicava l'indipendenza assoluta rispetto a tutte le ortodossie, e segnalava un pensiero «senza
misura»,
un’esperienza infinitamente
«interiore»,
esigeva
— così sembrava in quegli anni — un’adesione estatica nella complicità della trasgressione, della sfida costantemente rinnovava agli interdetti di ogni specie.
Ma quell’immagine, costruita per una generazione che aveva ingente bisogno di padri per essere aiutata nella sua lotta ardente contro il Padre, anche se non era un'immagine falsa di Bataille, velava e negava in realtà una gran parte della sua opera, della sua azione. E dato che si tratta in questa opera — chi la avvicina lo percepisce — di un insieme in cui tutti gli elementi, anche quelli apparentemente più lontani e contraddittori, si trovano, secondo l’espressione di Bataille stesso, in stato di «solidarietà profonda», l’immagine globale è stata a lungo, di fatto, falsata. Falsata e ridotta, poiché man mano che progredisce la conoscenza dell’opera — conoscenza ancora non compiuta — la statura di Bataille non smette di crescere, la sua natura di complicarsi. Una delle tappe importanti di questa crescita postuma è stata senza dubbio la pubblicazione nel 1977, a cura di Denis Hollier, dei documenti e delle conferenze del «Collège de Sociologie»: la lettura di quei testi vietava ormai che si riportasse Bataille alla figura di «nuovo mistico», quale Sartre lo aveva descritto, oppure alle varianti più o meno liriche dell’esegesi battagliana comune. Di colpo, attraverso gli interventi del «Collège» che aveva fondato, Bataille appariva insieme il legazze e la testa di tutte le esperienze intellettuali condotte in quel campo: un «mistico» quindi che si rivelava insieme «capo» e organizzatore di cultura» (nella misura in cui tali termini hanno
un senso
applicati ad
un pensiero che non smette di condurre una critica radicale del «capo», del potere, della stessa organizzazione sociale). Tra il 29 (data della fondazione della rivista «Documents»)
e il 39 (sciogli-
mento del «Collège»), Bataille suscita e traversa una serie ininterrotta di esperienze collettive, che occupano con stili diversi tutti i campi del sapere e della cosiddetta «azione»; dal furore iconoclasta e antiidealista della rivista d’arte
«Documents» (controgruppo dopo la rottura con André Breton) alla tensione militante della «Critique sociale» e di «Masses»; all’urgenza dell’intervento antifascista immediato e «senza tracce» di «Contre-Attaque» («groupe qui ne peut subsister que dans la lutte», scrive Blanchot, ma che rivela «une insurrection de la pensée»); alla congiura sacra del misterioso «Acéphale», esperienza-limite che ha per scopo di sperimentare le radici stesse del patto sociale, il sacro appunto, e al famoso «Collège de Sociologie» — collegio «senza maestri», luogo di analisi del potere. Ambizione se si vuole assoluta di questi gruppi riuniti intorno a Bataille: si
Ouverture
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tratta di scrutare il fenomeno umano fino al cuore («aller jusqu’au bout»), tentando, su tale base, in funzione di tale totalità, di decifrare gli enigmi proposti dai tempi attuali. Il nucleo di questa ricerca incessante, ricominciata in luoghi diversi, con un cambiamento sistematico del punto di vista, che corrisponde in Bataille alla volontà accanita di criticare attivamente «l’architettura discorsiva» («Je n’aboutis jamais»), può essere indicato, precisamente, nel rapporto sacro/politico — non come opposizione tra sacro e profano (o tra pensiero e azione)—. se il sacro
è la radice dell’attività umana, il fondo che nutre ogni manifestazione, il politico é legato ad esso con legami complessi, vitali, oscuri, che occorre riscoprire e interrogare arditamente per riuscire a reinserire, nell'epoca moderna — desacralizzata — l'energia che manca alla vita dei regimi democratici (mentre i regimi fascisti, utilizzandola in maniera degradata, caricaturale — nell’ideologia del potere «monocefalo», ripescano pericolosamente elementi di quell’energia). Tracciare in questo convegno il «percorso plurale» da «Documents» al «Collège de Sociologie» implicava per cominciare la messa in luce dello «spazio del pensiero» antisistematico che suscita questa pluralità: pensiero che si realizza come «temporalità altra», e in cui «la rotazione, la vertigine che si infligge impedisce l’arresto del senso» (Marmande); che si nutre costantemente del suo rapporto all’alterità — che sia l'universo gnostico come «punto cieco delle idealità antiche», punto di partenza di nozioni come quella di «negatività senza impiego» (Ciampa); che sia il confronto continuamente ripreso con il pensiero di Nietzsche, laboratorio centrale delle riflessione sul sacro e sul politico (Rey).
Letto in questa luce, il lavoro collettivo degli anni 30 suscitato da Bataille scopre in ogni tappa, in registri diversi, la sua bipolarità essenziale, mentre il collettivo stesso si rivela dimensione essenziale del pensiero: in «Documents» la «denuncia sistematica dell’ordine sociale» lascia emergere la «vitalità del basso» e il suo «residuo irrepresentabile» (Maubon). Nella «Critique sociale» l’analisi del fascismo foggia la dicotomia omogeneità-eterogeneità (Lala), mentre in «Masses», «testo assente», Bataille sperimenta la de-individualizzazione della teoria politica (Galletti). L’esperienza-limite di «Acéphale» esplora lo spazio tra fantasma individuale e zzit0 collettivo (Pasi), e le lezioni del «Collège» de sociologie», in cui il collettivo prende alle volte la forma sorprendente di una difficile osmosi — tra Bataille e Caillois (Laserra) — i modelli di Dumézil vengono applicati arditamente alle società contemporanee (Hollier), attardandosi forse, insieme al pensiero contemporaneo anche più recente, sulle «forme estreme del soggetto» (Agamben). Infine l’«apertura» — (cambiamento-ferita) si ritrova nel tentativo di fondazione di una «nuova morale» (Bishof), nella collaborazione con Masson intorno
ai Presagi-Prodigi di Monserrat nel «Minotaure» (Orlandi-Cerenza), e nell’immagine aperta» — nella definizione del «visibile come esperienza dell’incorporazione», definizione sorprendentemente vicina in Bataille all’iconografia patetica del Trecento cristiano (Didi Huberman).
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Ouverture
L’incrocio di quei motivi collocati nella linearità del tempo del convegno si rivela in grado di stravolgerne l’ordine semplice: si riincrociano secondo linee imprevedibili, un roi è suscitato nelle voci, tale da provocare — immediatamente — la decisione di un nuovo convegno intorno a Bataille: Ouverture?
I Lo spazio del pensiero: il sistema, l’eccesso
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FRANCIS MARMANDE
«LE VERTIGE
ESSENTIEL»
«L’azzurro del cielo è, forse, il rovescio della notte. Ma chi
rovescerà le parole che l’inchiostro ha annerito?».
Edmond Jabès
Una questione che ci si pone oggi, e con urgenza, riguarda la valutazione di quel periodo — gli anni trenta — nell’attività di Georges Bataille. «Noi» siamo una generazione che con enfasi (con eccesso?) ha riscoperto il momento in cui — da «Aréthuse» all’agonia del Collège de Sociologie — Bataille non è proprio esattamente Bataille e non sempre si firma Bataille. Come direbbe maliziosamente Hans Mayer: «Georges Bataille era un uomo molto bello, molto fine, abbastanza diverso dall’uomo che ha scritto le opere complete di Georges Bataille» !. Ma sappiamo anche che in questa differenza, in questa assenza di un vero Bataille degli inizi, la questione centrale della sua opera disparata si riassume per immagini successive, complementari in quanto contraddittorie. Con Maurice Blanchot, potremmo vedere solo «le prélude avorté de l’exigence d’écrire» in tutto quanto precede L’Expérience intérieure, eccezion fatta comunque per Histoîre de l’Oeil e per l’ Essai sur la dépense. Oppure, con Jacques Réda, potremmo rimpiangere la gaiezza, la noncurante leggerezza dei primi scritti (quelli di «Documents», essenzialmente), e quel gioco la cui «hantise alourdira maint passage où il les revendique» 2. Rimangono insolute, e con pertinacia, le nozioni di preludio, inizio, quella tensione tra la singolarità, la solitudine e la reiterata volontà di associazione, di comunità. Tutto ciò che è implicato, insomma, nel significato di questa even-
tuale sopravvalutazione — ivi incluso il senso che essa ha per «noi» — del periodo di prima di Bataille, quel tempo in cui in modo equivoco egli dichiara battaglia: l’anteguerra. ! Hans Mayer, comunicazione al convegno Georges Bataille et la pensée allemande, in corso di stampa. ? M. Blanchot, La communauté inavouable, Paris, ed. de Minuit, 1983; J. Réda, Georges Bataille,
«Nouvelle Revue Francaise» 191, novembre 1968 (ripreso come prefazione in G. Bataille, L’azzurro del cielo, Torino, Einaudi, 1969).
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«Le Vertige Essentiel»
Anteguerra: «noi» siamo di un tempo i cui riferimenti continuano ad essere marcati da questa espressione. Per Bataille, essa contrassegna «le tournant qui, correspondant à la dévastation de la guerre, fermera une époque» (Blanchot), quel momento in cui l’assenza di comunità annienta la speranza dei gruppi. Dalla valutazione dell’opera e dei suoi periodi dipende la nostra lettura. Stimare o sopravvalutare tale momento, tale titolo, ci fa chiaramente schierare in cate-
gorie non ben sovrapponibili di lettori di Bataille. Al tempo forte della celebrazione dei primi scritti, Claude Mauriac poteva vivacemente distinguersi da ciò che, nel titolo del suo articolo, egli denominava Leur cheval de Bataille ?. (A_proposito di cavalli, ricordiamo che la vertigine, vertigo chiamata in francese «vertige essentiel», è un particolare tipo di encefalite che produce effetti disastrosi sul loro equilibrio). Ma avanziamo quanto segue: i più vecchi lettori, e anche i più vecchi amici, hanno sempre notato che, in un curioso gioco del continuo e del discontinuo, il pensiero di Bataille si è dato di colpo. Nelle note autobiografiche che egli stesso ha avuto modo di redigere non senza umorismo nel 1958, Bataille sembra accordare un’attenzione scevra da qualsiasi rimorso al periodo dell’anteguerra di cui sottolinea le tappe ‘. Questo fortunato, impetuoso modo di esprimersi che si ordina nel disordine, nella rottura, nel frammento e nella dispersione, è comunque, e bisogna convenirne, intero fin dall’inizio, insieme a ciò che Jacques Réda chiama «une contrariante mobilité dans l’idée fixe». Tutto si mette a suo posto, «si profus et dès l’origine si entier». Più concertata, meno ostensibilmente negata ad una certa forma di riuscita, risolvendo le sue contraddizioni, l’opera avrebbe trovato senza difficoltà la logica, foss’anche imprecisa o stravolta, della sua costruzione.
Niente di tutto questo. Essa non è soltanto abbandonata all’indifferenza delle rovine. Non sta alla Somma come un Le Corbusier — che prenderemo qui come il modello della modernità architettonica — potrebbe stare a Notre-Dame de Rheims. Essa è al contrario aspirata dal vuoto che scava in se stessa, trascinata come per effetto di «un vertige essentiel». Posta di colpo in tutti i suoi aspetti (tono, argomentazione passionale, dispendio, erotismo, riflesso super-critico), sviluppando a partire de L’Expérience intérieure i temi immediatamente abbozzati e tornando continuamente sul motivo, è proprio nello svanire che paradossalmente il pensiero la salva dal rischio che avrebbe potuto correre: quello di fissarsi e di rappresentarsi. *o*o*
La più originale tra le tensioni (come differenze di potenziale) che segnano è C. Mauriac, Leur cheval de Bataille, «Figaro Littéraire» 1447, 9 febbraio 1974.
4 O.C. VII, 459-462-615; O.C. VIII, 562-563.
Lo spazio del pensiero: il sistema, l’eccesso
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l’entrata in scena di Bataille è questo oscillare in cui solitudine e comunità si alternano. Come dice André Thirion (Révolutionnaires sans révolution): «La rue
du Chateau n’était pas tourmentée par les préoccupations métaphysiques et politiques de la rue Fontaine, où se réunissaient les proches de Breton. Pourtant on y était très ouvert à l’influence d’un personnage de grande stature, un vrai solitaire, dont l’ceuvre est modelée par une philosophie cohérente: Georges Bataille» 7. Impressione parzialmente confermata in un piccolo testo incompiuto, Le surréalisme au jour le jour, dallo stesso Bataille e rincarata da qualche parti-
colare piccante. AI momento di un incontro mancato con Aragon, oltre alla sua ‘paura di essere giudicato «lourd et artificiel», egli annota: «Je ne sais pas si Leiris n’hésita pas à m’emmener. J'ignore à quoi je ressemblais, mais javais l’air assez bourgeois, malgré une certaine extravagance de pensée: ainsi j’avais un parapluie à manche de bambou» ”. Curiosamente, e al di là dell’annedoto, si è colpiti nel vedere a che punto questo modo solitario che ha la letteratura di procedere, tra la gente come nel secolo, senza volerlo abbia cercato di collegarsi con il mito collettivo che la anima. Schivando comunque le due grosse tappe obbligate del sogno comunitario, surrealismo e comunismo, lungo tutto il corso degli anni ’30, Bataille rende omaggio al gruppo, sia che vi'si inserisca polemicamente, sia che lo superi e lo oltrepassi, sia che lo prenda di contropiede, da «ennemi du dedans» come egli stesso afferma della sua negata partecipazione al movimento di Breton. Membro de «La critique sociale», militante a «Masses», fondatore di «Contre-Attaque», animatore di «Acé-
phale» e del Collège de Sociologie, egli si ripiega in una solitudine così particolare, che in lui è stato visto qualcosa di ombroso, o di più deciso ancora, che non ha mai potuto realmente cedere alla dinamica collettiva. A ciò si aggiunga, in Bataille, la sensazione, a volte, di essere stato oltrepassato dopo aver precocemente avuto «l’intuition éphémère de fonder à trois un mouvement littéraire», con un amico della Bibliothèque Nationale, Jacques Larvaud, e Michel Leiris, prima che quest’ultimo entri nel surrealismo. Si aggiunga anche, forse, questo desiderio, esasperato dalla mania della contraddizione propria a Dada, di fomentare un movimento S? implicante, come ricorda Leiris, un perpetuo consenso a qualsiasi cosa e che, rispetto al movimento No che era stato Dada si qualificasse attraverso la superiorità di sfuggire a quanto di puerile può avere una negazione sistematicamente provocatoria È.
? A. 6 Di TO 8 M. tembre
Thirion, Révolutionnaires sans révolution, Paris, R. Laffont, 1972. prossima pubblicazione nel tomo X delle Oeuvres Complètes di Gallimard. GAVIIERLZA: Leiris, De Bataille l’impossible è l'impossible Documents’, «Critique» 195/196, agosto-set1963, p. 685.
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«Le Vertige Essentieb
Non insistiamo su queste conversazioni di salotto o di bordello (in cui, di fatto,
il primo progetto venne proclamato davanti ad una prostituta: «Nous parlions quelquefois de littérature, mais sans plus d’intérét que de boissons ou de bars»), e teniamole comunque in mente poiché esse chiariscono l’atteggiamento ambiguo di Bataille: solitario con sdegno come se avesse avuto futilmente una specie di premonizione su ciò che pesantemente riprenderà il surrealismo: il valore del gruppo compatto, dell’irruzione dell’istante e dell’erotismo. Egli a volte si improvviserà animatore di movimenti fusionali votati alla loro stessa perdita, e che noi prendiamo in considerazione oggi. Così vanno gli inizi, false partenze o cascate di utopie perdute, presi tra due processi senza appello, quello di Breton, nel 1929, nel Second Manifeste du Surréalisme, e quello di Sartre, nel 1943, con il suo micidiale articolo, Un nouveau mystique. Niente male per un autore sconosciuto e senza opera... I due processi,
significative stroncature delle proposte di Bataille sul materialismo e sulla posizione del soggetto, sono curiosamente contrassegnati in almeno tre punti da un medesimo riflesso ironico: il suo riso non fa ridere, non è altro che un bibliotecario (un«assis de bibliothèque», dice Breton) che si dà delle arie, e insomma uno psicastenico (versione Breton) o un paranoico (diagnosi Sartre): dovrebbe farsi
ricoverare d’urgenza. È noto che con Breton, ritrovato e di nuovo perduto al momento di ContreAttaque, il riavvicinamento sarà reale dopo la guerra (Le surréalisme et sa différence avec l’existentialisme)? Con Sartre, in compenso, l’inseguimento iniziato alla fine degli anni ’30, non si fermerà. Da L’Expérience intérieure a Genet, passando attraverso Baudelaire o alla nozione stessa di impegno, il dibattito che corre sotto il secolo, sembra fissarsi in una immagine, un primo piano a due che Bataille rievoca in Sur Nietzsche e che menziona anche Leiris — di entrambi amico e dedicatario —: quella scena di danza nella quale entrambi, in una specie di «potlach di assurdità», si lasciano sorprendere durante una sera di fiesta da Simone de Beauvoir, nel 1944. Si racconta che Sartre dicesse: «vous étes l’ètre; je suis le néant»... Sempre ad insostenibile distanza, Bataille attraversa, uno dopo l’altro, ogni sorta di gruppo, rifiutandosi comunque all’«accomplissement fusionnel de quelques hypostases collectives» (Jean-Luc Nancy, La communauté déseeuvrée, 1°) e, dai suoi confronti mutati in utopie (quello delle miscellanee con «Documents», quello dell’attivismo con «La Critique sociale» e «Contre-Attaque», quello del segreto con «Acéphale») raccoglie una sorta di beneficio paradossale, qualcosa come una redditività distrutta, in nome della quale si vorrebbe oggi giustificare la sua propria indifferenza al periodo: «Je chercherai donc è faire apercevoir — dice Bataille nel corso dell’ulti-
? Le surréalisme et sa différence avec l’existentialisme in «Critique», n° 2, luglio 1946, pp. 99-110. !© Paris, Christian Bourgois, 1986.
Lo spazio del pensiero: il sistema, l'eccesso
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ma seduta — comment le développement du Collège de Sociologie portait en lui - méme la nécessité de la crise présente. Trop heureux d’avoir eu l’occasion de descendre jusqu’au fond de ma pensée non dans le calme d’une réflexion solitaire mais dans le désordre des contestations». Questa malinconia ispirata dal ricordo del gruppo, il suo necessario disordine, trova una contropartita nella prova centrale dell’esperienza: l'amicizia. In fondo non è un caso che il Collège sia stato teatro di un singolare scambio di parole, dove gli uni parlavano al posto degli altri, sostituendosi reciprocamente e improvvisando su un canovaccio di appunti: «L’existence commence avec les conversations, les rires partagés, l’amitié, l’érotisme, c’est-à-dire qu'elle n’a lieu qu’en passant de l’un è l’autre» (Sur Nietzsche, O.C. VI, p. 303). Passando dall’uno
all’altro: passaggio, trasmissione, corrente. Animatore, coordinatore, perturbatore, Bataille sfugge in effetti alla logica dei gruppi dove si trova a far parte di una serie di coppie (Métraux, Leiris, Masson, Queneau, Kojève, Klossowski, Caillois, Ambrosino, Blanchot) i cui scambi e il cui ascendente agiscono direttamente
sull’opera. L'amicizia all'opera: «C'est à l’amitié, scrive in Lascaux (IX, p. 13), que s’adresse la beauté des ceuvres humaines. La beauté n’est-elle pas ce que nous aimons? L’amitié n’est-elle pas la passion, l’interrogation toujours reprise dont la beauté est la seule réponse?» Partie prenante de l’opération souveraine, conversation où commence l’existence — rires partagés, ivresse, extase réduite à un point mort et d’autant plus limpide» —, l’amitié est è la fois la prise, et la condition du passage, de la communication: «Mon amitié complice, c'est là tout ce que mon humeur apporte aux autres hommes». A partire da queste basi e da questi punti di transizione subito identificati si collocano i motivi, i concatenamenti armonici che l’opera varia, sviluppa e riprende. L’idea epurata della discontinuità, come di un capriccio colto dall’aspirazione del momento, vi è fatalmente battuta in breccia. Ma quella di un inizio contrassegnato da L’Expérience intérieure (Bataille ha allora 47 anni) non vi trova miglior tornaconto. Nel novero dei falsi inizi si potrebbe così anche mettere la Tesi sull’Ordre de la Chevalerie con cui Bataille segna il suo passaggio all’Ecole des Chartes (origine simbolica approfondita dagli articoli di «Aréthuse», da quelli di «Documents», dalle traduzioni delle Fatrasies medioevali o quel rimarchevole commento alla civiltà azteca che è L'Amzérique disparue); altro inizio, mitico, immaginario insomma, l’«Histoîre de l’oeil; origine reale infine Notre-Dame de Rbeirs,
smarrita, ritrovata tardivamente, origine contro cui, lo sappiamo da La prise de la Concorde di Denis Hollier, si inscrive tutta l’opera !!. Ciò che si trama riguarda sempre l’ordine sociale, la sua decomposizione, come la teoria dei corpi composti e dei gruppi. Dalla Thèse al Collège una interrogazione ininterrotta sull’attività dei gruppi, fusione e scomposizione, da cui l’Histoire de l’@eil è evi!! Per far buon peso e concludere il quadro di queste origini, menzioniamo testo assente, bruciato, quello che «faisait assez littérature de fou».
W.C., il «primo»
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«Le Vertige Essentiel»
dentemente separata, anonima, allontanata, serve da basso continuo alla teoria e all’azione. Nello spazio intellettuale della riflessione, è fin dall'inizio che Batail-
le fa un’arma del paradosso e un riflesso dell’interpretazione positiva dell’errore (o dell'orrore) che si ritrova dalla sua lettura delle monete galliche a quella di Baudelaire. Nello spazio economico, gli Aztechi riveduti alla luce di Sade, e qualche nozione di seconda mano tratta dalla teoria del potlatch, servono da fondamento alla nozione di dispendio. Nell’ordine del linguaggio le fatrasie «échappées aux mépris des générations comme elles avaient échappé à la cervelle de ceux qu’un éclat de rire aveugla un jour». Nello spazio del discorso, infine: la digressione. E come per accelerare queste verità prime che in realtà non lo sono affatto, il valore deflagrante dell’istante, slancio iniziale senza durata né progetto è preferito al tempo che scorre e si costruisce. In Bataille giunge da una doppia rivelazione, quella della tauromachia all’inizio degli anni venti (che fa lega con il sacro) e quella del cante bondo sostituito più tardi dall’irruzione della musica nera e dalle prime orchestre di jazz (Black Birds). In entrambi i casi, sono degli etnologi (Métraux, G - H. Rivière) che servono da intermediari. Istante in cui regna la possibilità della morte, alterità, occasione irriducibile dove si aggrovigliano' la giubilazione, la sensualità, la frenesia del ritmo e l’automatismo di quella folgo-
rante scrittura che è l’improvvisazione, la speranza ritorna da una collusione tra il riso negro e la razionalità europea. Di tutto ciò e sullo sfondo di una lettura applicata, mondana, di Sade, con qualche sforzo il surrealismo si inventerà un metodo un pò tardi. Questo è ciò che pensa Bataille. In lui è dunque a partire da un’altra temporalità che si fonda la strategia della scrittura. Ripetizioni, riprese, e ciò che curiosamente egli denomina «la profonde solidarité de mes textes» vi aggiungono il gioco della reiterazione e della composizione. In tutto e per tutto la maniera si affida all’ironia attiva, provata fin dalle prime righe di «Documents» e prolungata attraverso questo atteggiamento super-critico (capovolgimenti di capovolgimenti, paradossi al quadrato) che ne mobilita l’energia. Miscuglio di indiscipline in cui si mette in gioco la parte personale, il testo, per una specie di «tour de force» metodico, e in un esagerato rapporto con il suo oggetto (Klossowski parla di accoppiamento), designa questo smarrimento della ragione dove si effettua l’uscita della scienza e quella della filosofia. In questo rimane il luogo senza indicazioni, senza norma, di un interrogativo politico («participer à la destruction du monde qui existe les yeux ouverts sur le monde qui sera» dice il programma di «Acéphale») in cui più che smascherarsi, il politico si ribalta in religioso. *o
Per derive successive, è chiaro come ciascuna funzione utopica vada verso il suo limite, quello del sacro essendo in fin dei conti quello del politico. Questo per quanto riguarda il movimento generale. Per il movimento ristretto, interno insomma ad ogni forma come se questa girasse su se stessa, accade un copovolgimento simile.
Lo spazio del pensiero: il sistema, l’eccesso
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Se in questa prospettiva vengono ricollocate le figure costitutive dell’opera (contraddizione, trasgressione, ma anche la possibilità, l'eventualità non fissata, o ciò che si produce riconoscendosi al momento stesso di scrivere: l’esitazione)
si vede in che modo essa sfugga al rischio di fermarsi, di congelare il suo senso: attraverso la rotazione, la rivoluzione che essa si infligge. Vertigine in cui il basso viene al posto dell’alto — cosa che in quegli anni costituisce la figura maggiore in Bataille e — come nell’esempio di vertigine che dà Ambroise Paré di quell’uomo «qui eùt éblouissement des yeux, ou vertige, c’est-à-dire qu'il lui semblait que tout tournait dessus-dessous»: storia d’occhio. Altra figura della vertigine, istantanea questa, non estesa, (come può esserlo il turbine) l’abbagliamento, le traveggole, cui si aggiungono il rapimento e lo smarrimento vicini al turbamento e alla follia (ebbrezza, fumo). «La téte me tourne» dice Troppmann in Le Bleu du ciel proprio prima di perderla — lui che porta il celebre nome di un condannato a morte per ghigliottina. Si sa in effetti che egli si scopre acefalo, senza testa, nello specchio: «Je retirai mon veston et ma chemise. Je vis mon torse nu dans la glace». Cosa che gli fa esclamare: «Je n’ai su que perdre la tète», prima di precisare, affinché le cose siano chiare: «J'ai recommencé è pleurer tant que je pus: mes sanglots n’avaient ni queue ni téte».
Le Bleu du ciel che insedia tanti esempi di questo tipo di immagini è esattamente la vertigine dell’opera, la risposta crudele al politico che nel 1935 la mina. La delusione della comunità che, sottomano, la decapita. Più che una confessione cinica, oppure più che l’inconscio politico capace di invertire il discorso di superficie che ci serve da riferimento (gruppi, riviste degli anniTrenta),LeBleu du ciel ne è la vertiginosa scappatoia. La sua ripresa, venti anni dopo, al momento della pubblicazione (1957) ne prolunga gli effetti. È a questa stregua che il resto dell’opera mantiene la sua instabilità «habilement parée de l’indifférence des ruines». Abilmente? Preso tra Breton e Sartre (comoda caricatura della rappresentazione), preso tra gruppi e disfatte, Bataille come Troppmann evade dal fondo, iniziando dalla testa per affondare, in basso, nel cielo: «Mes yeux ne se perdaient plus dans les étoiles qui luisaient au-dessus de moi, réellement, mais dans le bleu du ciel de midi». Curiosa espressione, insieme banale, convenzionale e insistente. Nel suo manifesto del 1924, intitolato Surréalisme, Yvan Goll nota placidamen-
te: «Le premier poète au monde constata: «Le ciel est bleu». Plus tard un autre trouva: «Tes yeux sont bleus comme le ciel». Etc.». Dunque l’immagine fa da riferimento. Da parte sua, in un colloquio, Jean-Luc Godard nota: «Je suis toujours touché par Flaubert, par la peine inouie qu’il éprouvait è écrire. Il pensait «le ciel est bleu», il écrivait ca, et puis, pendant trois jours, il en était malade. Il se disait: est-ce que je n’aurais pas dù écrire «le ciel est gris», est-ce qu’au lieu de «ciel», je n’aurais pas dù mettre «la mer est grise», est-ce qu’au lieu de «est», je n’aurais pas dù mettre «était»...
Et puis finalement, il a écrit «le ciel est bleu», mais quelle souffrance!» Il cielo dunque è blu anche per Flaubert. E poiché le Bleu du ciel traccia una
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«Le Vertige Essentieb»
linea di demarcazione tra i lettori, e anche tra gli amici di Bataille dato che, come sappiamo, gli uni lo consideravano un autentico capolavoro e gli altri un tentativo fallito, allora approfondiamo: «Javais l’obsession du vide, prosegue Troppmann, (...) Je ne veux plus voir cette fenétre ouverte, elle donne le vertige.» In allegato a Sur Nietzsche, in L’amitié, si ritrova la stessa attesa affascinata:
«J’ai espéré la déchirure du ciel (le moment où l’ordonnance intelligible des objets connus — et cependant étrangers — cède la place à une présence qui n’est plus intelligible que pour le coeur). Je l’ai espéré, mais le ciel ne s’est pas ouvert». A forza di banalità, a forza di essere ripetuta, rigirata, declinata, l’espressione finisce per conquistarsi un'ombra di mistero. E se in fondo anche la banalità venisse da una di quelle «lectures personnelles», di quelle «lectures illimitées» di cui parla Marguerite Duras e che designano, con formulazione meno inamidata, i compiti dell’intertesto? La spirale in cui la storia del Bleu du ciel — lui stesso scavato in ogni suo punto da «un vertige essentiel» — assorbe l’opera come in un buco nero, potrebbe anche inghiottirlo a sua volta, svuotarlo e fonderlo nella generalità dei racconti. È da una recente scoperta dove ancora una volta ritorna Flaubert che mi è venuta quest'idea. Non solamente a me, ma in uno scambio che permette di rimandare vertiginosamente alla pretesa impersonalità del pensiero di Bataille («Rien qui me soit plus étranger qu’une pensée personnelle»). Il blu del cielo: forse è necessario che l’espressione abbia una specie di forza pura, preliminare ad ogni anche immaginaria considerazione, per ritrovarla, non solamente inscritta tra le più ridotte formulazioni, minimalismo della constatazione, ripetizione dell’evidenza, ma anche nei proverbi, nelle canzoni, nelle cartoline e nell’apprendimento delle lingue straniere. Ritorniamo al racconto, a Bataille, a Flaubert: Versione iniziale,
1935
«Xénie aussi avait eu peur parce que j’avais réussi à lui communiquer l’appréhension d’une fenétre où, peu de temps avant, elle s’était assise pour se tuer» Versione pubblicata, 1957 «Xénie elle-méme avait eu peur. Elle avait, avec moi, l’appréhension d’une fenétre où elle venait de s’asseoir avec l’idée de se jeter». Versione davvero originaria,
1856
«Elle s’était appuyée contre l’embrasure de la mansarde. (...) Elle jetait les yeux tout autour d’elle avec l’envie que la terre croulàt (...) Pourquoi n’en pas finir? Qui la retenait donc? Elle était libre. (...) Le rayon lumineux qui montait d’en
bas directement tirait vers l’abîme le poids de son corps. Il lui semblait que le sol de sa place oscillant s’élevait le long des murs, et que le plancher s’inclinait
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par le bout, à la manière d’un vaisseau qui tangue. Elle se tenait tout au bord, presque suspendue, entourée d’un grand espace. Le bleu du ciel l’envahissait, l’air circulait dans sa téte creuse, elle n’avait qu’à céder, qu’ se laisser prendre... (Madame Bovary, Ila parte, XIII)
Letture personali, letture illimitate !?: «Le récit qui révèle les possibilités de la vie n’appelle pas forcément, mais il appelle un moment de rage, sans lequel son auteur serait aveugle à ses possibilités excessives», dice Bataille nell’«AvantPropos». Rinunciando a giustificare questo principio egli si limita allora ad allineare in disordine qualche titolo che risponda alla sua affermazione «le désordre est la mesure de mon intention: Wurthering Heights, Le Procès, La Recherche du Temps perdu, Le Rouge et le noir, Eugénie de Franval L’arrét de mort, Sarrazine,
l’Idiot...». Manca Madame Bovary. «Le vertige essentiel» del blu del cielo vi si trova, pronto ad entrare in risonanza con una prova soffocante, impossibile, la prova della sofferenza... La scrittura come scatenamento immaginario, illimitato, delle «letture personali»: «elle n’avait plus qu’ céder, qu’à se laisser prendre». traduzione di Annamaria Laserra.
1? Cammino a ritroso: colpito da questo passo di Madarze Bovary, un lettore (Alain Complido) ha scoperto Le Bleu du ciel precisamente perché l’espressione di Flaubert gli era rimasta impressa... Si potrebbe seguirla nella sua opera: «Le toit s’envola, le firmament se déployait; — et Julien monta vers les espaces bleus, face à face avec Notre-Seigneur Jésus, qui l’emportait dans le ciel» (Légende de Saint-Julien l’Hospitalier, Pléiade, t.II, p. 648).
MAURIZIO CIAMPA
LA GNOSI PARADOSSALE
DI GEORGES
BATAILLE
Parlare di una gnosi di Bataille può risultare azzardato. In Bataille la gnosi resta un grande tema interrotto, inarticolato, stipato nel perimetro di poche pagine, consumato in rapide annotazioni. Non è che un veloce passaggio di pensiero. Come esplicito tema di riflessione risuona una sola volta: in un articolo — Il basso materialismo e la gnosi — pubblicato nel 1930 su «Documents». È comunque innegabile la presenza sparsa, ma persistente, di elementi gnostici, di intere sequenze dell’immaginazione gnostica nel pensiero di Bataille. Queste sequenze vengono trapiantate, e ramificano floridamente, nel corpo del pensiero di Bataille. Ma l’insieme di questi elementi non conclude nell’esercizio di una gnosi. Così, se l'esercizio di una gnosi potrà essere riconosciuto, probabilmente sarà riconosciuto come un’interna cadenza, un tono decisamente più basso del discorso effettivamente enunciato, una specie di strato inferiore del pensiero. Mentre sulla parte superiore del pensiero di Bataille restano soltanto le poche pagine del «basso materialismo». Il tema gnostico non avrà altri espliciti sviluppi. Cadrà, o comunque resterà in silenzio. Andrà dunque riconosciuto e identificato altrove, dinamicamente metamorfosato in altre figure. La «mostruosa cosmogonia dualista» — come Bataille definisce la gnosi — che pare determinare il corso del pensiero occidentale e quasi intaccarne il nucleo, infettarne le forme, condizionarne le procedure e gli esiti, potrebbe esaurirsiin quelle pagine del 1930, nelle pagine di «Documents» dove la gnosi è una sorta di profezia del «basso materialismo». «È così che appare — scrive Bataille in quel saggio — che la gnosi, nel suo processo psicologico, non è poi tanto diversa dal materialismo attuale, intendo un materialismo che non implica ontologia, che non implica che la materia è la cosa in sé. Poiché si tratta prima di tutto di non sottomettersi, e con sé la propria ragione, a niente di più elevato, a niente che possa dare all'essere che io sono, alla ragione che arma questo essere, un’autorità fittizia. Questo essere e la sua ragione non possono sottomettersi effettivamente a ciò che è più basso, a ciò che non può servire in alcun caso a scimmiottare un’autorità qualunque... La materia bassa è esteriore e estranea alle aspirazioni ideali umane e rifiuta di lasciarsi ridurre alle grandi macchine ontologiche che risultano da queste aspirazioni. Ora, il processo psicologico a cui si ricollega la gnosi ha la stessa portata: si trattava già di confondere lo spirito umano e l’idealismo davanti a qualcosa di basso, nella misura in cui si riconosceva che i princìpi superiori non potevano opporsi». Queste pagine sono consumate dallo sforzo di dare espressione a un materiali-
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smo privo di postulati ontologici, dove la materia non venga predicata come cosa in sé. Per Bataille si tratta di non sottomettersi e di non subordinare la ragione a niente di «elevato», a nulla che si configuri come un principio. Quello che Bataille fa valere è piuttosto il mzagrza dell’eterogeneo, la massa esteriore che cade al di fuori delle «aspirazioni ideali», la materia che non entra nelle «grandi macchinazioni ontologiche». La «materia bassa» èfuori legge, occupa un punto cieco, una zona d’ombra della creazione. Poco dopo aver pubblicato l'articolo di Bataille sulla gnosi e il basso materialismo, la rivista «Documents» accoglie un’altra indagine, un altro itinerario attraverso tenebrosi e orrifici sottosuoli. È un lavoro sulle carceri di Giovanbattista Piranesi. Il suo autore è Henri-Charles Puech, che diventerà negli anni successivi uno dei più grandi esegeti della speculazione gnostica, e in particolare della letteratura manichea (che proprio in quegli anni viene arricchita di nuovi ritrovamenti). Puech visiterà a più riprese il carcere gnostico e racconterà la vicenda di un mondo precipitato in un abisso tenebroso, in un nulla profondo senza uscita né scampo. Nell’universo gnostico non si respira: non c’è aria, né luce. Nel suo perimetro angusto la creatura vive schiacciata, soffocata, in preda all’angoscia. È un corpo estraneo, un anomalo agglomerato, in un universo ostile, minaccioso. Come risulta da questo salmo manicheo tradotto appunto da Henri Puech:
«Possa tu liberarmi da questo profondo nulla, Dal tenebroso abisso che è tutto consunzione Che altro non è se non tortura, ferite fino alla morte, E dove né soccorritore né amico si trovano! Mai, assolutamente mai, vi si trova salvezza;
Tutto è pieno di tenebre... Tutto è pieno di prigioni; non c’è via d’uscita, E si infliggono colpi a tutti coloro che vi giungono. Arido di siccità, arso dal vento torrido, E nessuna verzura... mai vi si trova,
Chi me ne libererà, e da tutto ciò che ferisce,
E E E E
chi mi salverà dall’angoscia infernale? piango su me stesso: ‘Ch’io ne sia liberato dalle creature... che si divorano a vicenda! i corpi degli umani, gli uccelli dello spazio,
E i pesci dei mari, le bestie, i démoni, Chi mi allontanerà da loro, chi mi libererà
Dagli inferni distruttori, senza scappatoie né vie d'uscita». Agli occhi dello gnostico, la creazione appare come un luogo di fermenti impuri, di agitazioni febbrili, luogo di anomalie e di mescolanze, di diaboliche commistioni e di sostanze impure. Un principio divino è precipitato verso il basso. Dal
punto terminale di questa caduta ha origine il mondo, che è, per gli gnostici, una specie di ramificata alterazione, una cosmica escrescenza, una propaggine defor-
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La Gnosi paradossale di Georges Bataille
me. Una mancanza, un difetto d’essere, un catastrofico abbassamento, è al centro dell'universo gnostico. Bataille guarda con simpatia e partecipazione al manifesto parossismo delle rappresentazioni gnostiche, a quel drammatico e dolente racconto, quell’«incubo mitologico» che è sempre la cosmogonia gnostica, scenografia infernale dove voci supplichevoli e salmodianti, rotte inarticolate sonorità, grida, lamenti, scuotono ogni angolo della creazione, ogni suo palpitante frammento. «Aiutami contro gli arconti dell’Ingiustizia e liberami subito dalle loro mani», si dice in uno dei testi ritrovati a Nag Hammadi, La natura degli arconti. «Fai cessare la disarmonia del cosmo», è la richiesta avanzata da «tutti gli essere celesti, terrestri, infernali» in un trattato naasseno riportato da Ippolito di Roma nella Refutatio omnium haeresium. E un coacervo di dolenti clamori, di iniquità protestate, di espressioni supplichevoli, una silloge di affanni e afflizioni che salgono da tutti i gradi dell'essere, dalle sue vive ramificazioni come dalle sue articolazioni inanimate. In questo insieme segmentato e spurio di narrazioni, Bataille vede il punto cieco degli ideali dell’antichità classica, delle geometrie speculative della metafisica ellenistica. E isola nell'espressione gnostica il «germe di una sovversione bizzarra»: una dilagante infezione che si diffonde con impressionante rapidità nel corpo della filosofia ellenistica. La gnosi — dice Tertulliano nell’ Adversus valentinianos è un serpente che, tortuoso, si snoda fra bui anfratti, si annida nel «nascondiglio dell’ambiguità» come una «bestia nemica della luce». Questo serpente porta l’azomalia nel cuore del pensiero attraverso una mitologia composita, un 720nstru7 nato dal disinvolto bricolage dei più svariati reperti, dalla sovrapposizione delle immagini, dall’ibridazione delle figure e dei racconti. «La gnosi — scrive Bataille nel saggio del 1930 », prima come dopo la predicazione cristiana, e in una maniera quasi bestiale, quali che siano stati i suoi sviluppi metafisici, introduceva nell’ideologia greco-romana i fermenti più impuri, prendeva ovunque dalla tradizione egiziana, dal dualismo persiano, dall’eterodossia giudaico-orientale, gli elementi meno conformi all’ordine intellettuale costituito; vi aggiungeva i suoi propri sogni, esprimendo senza riguardo delle ossessioni mostruose; non rifuggiva, nella pratica religiosa, dalle forme più basse (da allora inquietanti) della magia e dell’astrologia greche o caldeo-assiriana; e nello stesso tempo utilizzava, ma più esattamente forse comprometteva, la teologia cristiana nascente e la metafisica ellenistica». Del racconto gnostico Bataille raccoglierà le conseguenze antropologiche. Dalla sua mitologia esuberante d’immagini, deriverà, insieme a non poche suggestioni, un motivo centrale: quello del disporsi cieco delle forze e del dinamismo dell’imzpuro. Nella letteratura gnostica la negatività senza impiego, nozione che diventerà centrale nel pensiero di Bataille sul finire del decennio, ha il suo antefatto mitico, il suo prologo in cielo. Questo prologo narra di una crisi in seno all’Assoluto, uno sprofondamento nel Plerorza, nella pienezza, una catastrofe nell'eternità. La creatura è separata, al di fuori della legge del cosmo, è fuori-legge. Non c’è più ponte fra Dio e creatura, se non la conoscenza, che guida l’itinerario
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della reintegrazione. La gnosi (che significa conoscenza) è appunto lo strumento della salvezza. Questa idea è indubbiamente estranea a Bataille: non c’è in Batail-
le — come nelle scuole gnostiche — una reintegrazione del proprio della creatura, che è sempre un frammento di divinità decaduta e che, in quanto tale, deve ritrovare la sua strada celeste. C’è piuttosto una sorta di dilapidazione del proprio. Non c’è dunque itinerario attraverso la conoscenza della differenza separata; c’è la persistente incisione della differenza. L'elemento basso, intorno a cui si era aggregato il primo interesse di Bataille alla gnosi, doveva rigenerare il predicato materialista. Il più basso è ciò che ron è, non una nuova testa, ma scarto, differenza. Questo punto conclusivo, questo apice del pensiero di Bataille, non è poi così lontano dalle espressioni più radicali dello gnosticismo antico. Il basso, acefalo, sregolato materialismo, privo di presupposti ontologici, affermazione tragicamente
libera,
non
è lontano
dall’antinomismo
di fondo
che caratterizza
l’espressione gnostica. Il Dio gnostico — ha osservato Hans Jonas — «ha più del nihil che dell’ers, così anche la sua copia umana, l’Io acosmico o pneuma, altrimenti nascosto, si rivela nell’esperienza negativa di libertà, di nonidentificazione e di proclamata indefinibile libertà. Comunque si consideri la relazione dell’uomo con la realtà esistente, sia il Dio nascosto che il pneuma nascosto appaiono concezioni nichiliste: non emana da essi alcun r070s, cioè nessuna legge sia di natura che di condotta umana come parte dell’ordine naturale. C'è certamente una legge di creazione, ma ciò che è straniero nell'uomo non deve alcuna fedeltà a colui che ha creato il mondo; e né la sua creazione, sebbene circondi l’uomo in modo incomprensibile, né la sua proclamata volontà offrono le norme con le quali l’uomo può fissare il suo cammino». L’antinomismo degli gnostici è dunque una sorta di prefigurazione, di proiezione anticipata del nichilismo moderno, quel nichilismo che dilagherà nelle strutture del pensiero a partire dall’annuncio della morte di Dio. É appunto questo furore nichilistico, questo famelico divorante dinamismo del n4//a, che fa da punto cieco, da macchia, nella metafisica ellenistica, spezza le linee dell’ideale classico, e ne compromette la continuità. Questo nichilismo, e la sua vocazione antinomica, la sua inclinazione trasgressiva, attraggono Bataille. Per non parlare — Bataille ne fa un rapidissimo cenno — dell’amoralismo e del libertinismo che gli gnostici, o almeno alcune sette gnostiche, predicavano come mezzi per raggiungere l’autentica libertà. Nessuno mai potrà essere libero dal potere oppressivo degli arconti se non arriverà a compiere tutte le azioni «che ci sono nel mondo», anche le azioni più peccaminose e infami, anche quelle che risultano innominabili. «Soltanto quando non ci sia più niente da compiere — scrive Ireneo di Lione — lo gnostico sarà libero di giungere a quel Dio che è al di sopra degli angeli creatori del mondo. Così le anime sono liberate e salvate... dopo che hanno pagato il loro debito e reso il dovuto... In nessun altro modo si può essere salvi fuorché passando attraverso tutte le azioni, come insegna anche Carpocrate». Attraverso la forma dell’antinomismo gnostico, che si esprime anche in un
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La Gnosi paradossale di Georges Bataille
accentuato provocatorio libertinismo, Bataille comincia a pensare all’umana esistenza come istanza eversiva e in pura perdita, istanza fuori-legge, intimamente
antinomica. L’egiziana divinità senza testa, l’acefalo alimentato da una «sovranità votata alla distruzione», è l'emblema di questo pensiero antinomicamente coniugato, pensiero convulso, fremente, che cerca, come propria impossibile misura, il dispendio e la perdita libera. «L'uomo — scriverà Bataille in una delle conferenze preparate per il Collège de Sociologie — non può vivere senza rompere le barriere che deve dare al suo bisogno di spendere, barriere che non hanno un aspetto meno spaventoso della morte. Tutta la sua esistenza, vale a dire tutto il suo dispendio, si produce quindi in una sorta di risucchio tumultuoso in cui si giocano insieme la morte e la tensione splendente della vita. E questo risucchio che si produce essenzialmente al centro degli insiemi individualizzati che egli forma». La riconsiderazione del mzonstrurz gnostico e dell’«incubo mitologico» che lo anima, appena tracciata nel saggio del 1930 e senza continuità nella vicenda del pensiero di Bataille, resta comunque rilevante. È un contatto brevissimo, eppure provoca una contaminazione d’immagini che tocca gli strati profondi costitutivi del pensiero di Bataille. La gnosi è prefigurazione del «materialismo basso». Ma non è solo questo. È anche la tragica affermazione di una negatività libera, una negatività senza impiego, che rinuncia ai principi ordinatori dell’ideale classico, rigetta il sistema dell’intelleggibilità della metafisica ellenistica. Se Bataille si avvicina alla gnosi è dunque per ritrovare quel clima di dispendio, quell’«avida e potente volontà di vita», che più tardi fisserà nella nozione di negatività senza impiego. Ma vi vede anche un’esperienza radicale di dissoluzione del potere regolativo dell'ideale. La gnosi è il «patibolo metafisico» di cui muore l’idealismo classico; allo stesso modo il «materialismo basso» procede dal declino o, se si vuole, dal compimento, dalla fine soddisfatta dell’«idealismo assoluto nella sua forma hegeliana».
Negli stessi anni in cui Puech dipana il suo avvincente racconto mitologico e mette insieme i frammenti perduti del nichilismo gnostico, Alexandre Kojève sancisce la fine dell'Uomo e del Mondo. Negli stessi anni, attorno al 1935, Georges Bataille frequenta le lezioni dell’uno e dell’altro, mette insieme l’analisi della mitologia gnostica operata da Puech con la scomposizione della grande architettura della Fenomenologia dello spirito condotta da Kojève. Da Kojève, e dalla sua lettura hegeliana, Bataille riceve il messaggio di una definitiva stabilizzazione storica. La Storia è venuta al suo concetto. Questo è l'annuncio che Kojève legge in Hegel. Il mondo entra in stato di riposo; l’uomo — non più hozzo faber, non più operante la negatività del lavoro attraverso cui ha superato la quiete naturale — è diventato un dio ozioso. L’ozio, o l’accidia, sono, d’altra parte, emblemi del zzoderno, l’accidia assurge alla dignità del genere letterario. L’uomo ozioso che si avverte inutile ‘sotto la
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volta del sole’, lo ‘scansafatiche’ psichicamente estenuato e instabile, incarna pro-
babilmente l’ultimo eroe del grande romanzo ottocentesco. Dell’«uomo privo di carattere», spossato dal demone della malinconia, c'è una dettagliata tipologia, dall’Oblomov di Goncarov alle Memorie del sottosuolo di Dostoievskij. E una una volta elaborata la fenomenologia dell’uozzo del sottosuolo e delle sue innumerevoli varianti, l’indolenza dell’anima si propaga, attraverso un rapido contagio, nel cuore dell’Europa. Già Baudelaire aveva cantato, in una Parigi funestata dal tedium vitae, i «lunghi deliqui» e l’«ozioso languore». Troveremo queste patologiche manifestazioni dell’io diversamente acclimatate nelle pagine di Kafka e Musil, di Altenberg e di Walser. Ma se questa anomalia, se l’ipertrofia dell’anima,
eccedesse la piccola scala dei comportamenti individuali? E se l’ozio, l’accidia, il morbo malinconico, fossero una sorta di endemica inclinazione dell’epoca? Se dunque l’Azione si fosse irreversibilmente ritirata dalla Storia e il mondo declinasse verso lo stato di riposo? E se fosse appunto l’ozio il concetto dell’epoca? Alexandre Kojève comincia appunto a dare credito filosofico allo spirito inattivo e lo tratta alla stregua di un emblema dell’epoca. Per spiegare la sua diffusa presenza nel tempo, Kojève si rivolge alla Fenomzenologia dello Spirito di Hegel. Per anni Kojève ne rumina l’ardita sintassi speculativa. Sola nel corso di quelle lezioni di cui il nostro Bataille era un fedele e assiduo frequentatore. Giunto al vertice del testo hegeliano, Kojève vi rinviene il segreto celato nel cuore dell’epoca: l’epilogo soddisfatto dell’avventura umana, la fine della Storia e dell'Uomo che ne ha determinato l’inizio e prodotto lo sviluppo. «Il mondo e l’Uomo non possono più muoversi» — dice Kojève — «Il mondo è morto, è passato con tutto ciò che questo comporta». «Il cerchio del tempo non può essere percorso che una sola volta; la Storia finisce, ma non ricomincia più».
Attraverso Kojève, Bataille accosta l’idea della fine soddisfatta della Storia, del compiuto itinerario del desiderio e della negatività, del finale riconoscimento. Per parlare l’uomo nella quiete post-storica, Bataille dovrà staccare la morte dalla dialettica del riconoscimento, dovrà costituirla come forza autonoma e far giocare il desiderio come desiderio senza oggetto, desiderio cieco, acefalo, desiderio senza direzione, pura negatività, megatività senza impiego.
Non è lo spazio di questa negatività non sintetizzabile, senza dialettica potremmo dire, che Bataille cercava di circoscrivere nelle mitologie gnostiche? Essa è senz’altro l'elemento propulsivo, la trama dinamica, della paradossale gnosi di Georges Bataille. Gnosi che non salva la differenza separata reintegrandola nell’unità. Non la salva, perché salvarla equivarrebbe a perderla. La gnosi di Bataille grida la differenza, nello stesso senso in cui Sestov dice di Kierkegaard che introduce il grido nell’orizzonte del pensiero. Faccio il nome di Sestov non a caso. C’è un rapporto tra Sestov e Bataille che non è mai stato rilevato. Eppure se si vorrà illuminare i tratti dell’eccesso bataillano, si dovrà guardare anche a quella che Sestov ha chiamato la lotta all'evidenza, la lotta per emancipare Dio dalla Legge, che passa anche attraverso il crizzize — come Sestov legge in Dostoievskij.
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La Gnosi paradossale di Georges Bataille
Non so dire se sia l’ateologia di Bataille o l'impossibile fede di Sestov a testimoniare l’irriducibilità della differenza, :il suo instare furtivo, fuori-legge. Credo che l’uno e l’altro indichino in quell’instare il solo luogo dell’esperienza. E se c’è una ragione di questo seminario e di questo analitico attraversamento dell’opera di Bataille, questa ragione è nel tornare a interrogare quel luogo.
JEAN-MICHEL
REY
BALAILEE:}ENIELZSCHE
In una notizia autobiografica redatta nel 1958, Georges Bataille scrive esattamente quanto segue: «J'ai connu l’oeuvre de Nietzsche en 1923, elle m’a donné l’impression de n’avoir rien d’autre è dire [...] A partir de 1933 j'ai suivi le cours d’Alexandre Kojève (jusqu’en 1939). Ce cours, publié en partie sous le titre Introduction à la lecture de Hegel, a eu pour moi la plus grande importance !. Alcuni anni prima, nel 1952, Bataille aveva già menzionato le circostanze del suo incontro con il pensiero di Nietzsche. «Jai lu Nietzsche en premier lieu (des passages de Zarathoustra) alors que j'étais croyant, j'étais frappé et je résistais.
Mais lorsqu’en 1922, je lus Par delà le bien et le mal, j'avais si bien changé que je crus lire ce que j'aurais pu dire — si du moins... Je n’avais pas beaucoup de vanité: je pensai simplement que je n’avais plus de raison d’écrire. Ce que j'avais pensé (à ma fagon, sùrement bien vague) était dit, c’était grisant. [...] J'oubliai Nietzsche, ou du moins je cessai d’y penser» ?. Tali enunciati possono essere raffrontati con una frase secondo me particolarmente rivelatrice del tipo di approccio di Bataille e in particolare del suo modo di accostarsi, anche a livello di scrittura, a quanto lo precede, oltre che con il
modo in cui si costituisce la materia del suo testo. «Rien ne m’est plus étranger qu’un mode de penser personnel. Je joue, quand j’avance un mot, la pensée des autres, ce qu’au hasard j'ai glané de substance humaine autour de moi». Bataille è forse questo soggetto della scrittura che si forma in un rapporto costante, rinnovato, con l’alterità, questa figura che diventa singolare nel suo progressivo svincolarsi dal sapere che attraversa, dalle letture che effettua, da una contraddittoria
molteplicità — costituita da parole, enunciati, problematiche — di cui sottolinea, e a volte addirittura accentua, i contorni. Vorrei partire da questi tre riferimenti per collocare il mio progetto: l’avventura, nel corso degli anni trenta, di un incontro decisivo, cruciale addirittura, qual-
cosa come un appuntamento che, fino al compimento ultimo dell’opera, cioè alla morte del suo «autore», avrà conseguenze sconcertanti, effetti di grossa portata;
il frammento di una storia personale che si stacca dallo sfondo della storia mondiale e delle tragedie dell’epoca. Pezzo della nostra memoria: destino di un secolo ! Oeutres Complètes, Paris, Gallimard, VII, p. 615.
? Ibidem, VIII, p.640.
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Bataille e Nietzsche
del quale non possiamo più ignorare che siamo suoi figli. Ma anche lotta ostinata contro le forme elementari dell’oblìo, contro l'economia dell’espunzione, contro la potenza astuta di una certa rappresentazione del tempo. Perché è proprio del tempo che ci parla Bataille quando si confronta con il pensiero di Nietzsche. Con questo intendo innanzitutto dire che, in anticipo rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei, Bataille scopre Nietzsche in un momento in cui la Francia lo conosce poco e male, e lo legge in ottica strettamente universitaria o in prospettiva «letteraria». Ora, come è noto, Bataille non è filosofo di formazione: in tutta la sua opera e finanche nei suoi ultimi libri — L’Erotiszze, segnatamente,
— nei confronti della filosofia mantiene anche una posizione risolutamente critica. Ma ciò che appare inoltre stupefacente è la lentissima maturazione della scoperta di Nietzsche in Bataille, il riconoscimento della necessità di un certo oblîo, o in ogni ca-
so di un silenzio, di questa durata che deve permettere al pensiero di Nietzsche di fare a poco a poco il suo cammino. È come se, in effetti, Bataille abbia costantemen-
te lasciato il pensiero di Nietzsche aprirsi un varco in lui, in modo da non assumere la fisionomia di un sistema, e da restare a qualsiasi costo uno stimòlo a pensare piuttosto che un riferimento o un semplice sostegno, in modo da diventare davvero una possibilità, cioè la cosa su cui innanzitutto mirare, molto più che contare. È in questa misura che in Bataille il rapporto con Nietzsche muta spessissimo direzione, e in fin dei conti, tali direzioni non possono dipendere dal semplice caso. In questo senso Nietzsche è sempre all’orizzonte della scrittura di Bataille, sia in modo esplicito, frontale — e ciò proprio in momenti particolarmente cruciali della storia del mondo —, sia in modo discreto, come incontrollato, sotterraneo. Ciò che forse in una tale prospettiva si rivolge a noi particolarmente, anche al di là del confronto con Nietzsche, è il ritmo enigmatico dello sviluppo dell’opera di Georges Bataille, quella specie di passione selvaggia del pensiero, sullo sfondo della grande rottura che incontestabilmente rappresenta per lui la guerra. Perché, per una specie di singolare «decisione», il solo libro che Bataille abbia dedicato al pensiero di Nietzsche — che si intitola semplicemente Sur Nietzsche — Volonté de chance, data del 1944, ossia di più di venti anni dal primo incontro. E Bataille ha tenuto a che la pubblicazione di questo libro coincidesse con la fine della guerra e con il centenario della nascita di Nietzsche. Di un tale libro, il meno che si possa dire è che non è sistematico, che non obbedisce ai vincoli del discorso filosofico, che ha un'aria slabbrata: ad immagine e somiglianza del tempo, dell’epoca, insomma. Come il riflesso, l’immagine, della grande lacerazione che in quel momento si produceva su scala planetaria.
Dalla sua lettura precoce, inaugurale, del testo nietzscheano, Bataille trae l’impressione di non aver «nient'altro da dire», «nessuna ragione più di scrivere» e che in certo modo, sia stato già detto tutto da Nietzsche. Come negoziare con questa ripresa dell’anteriore, con questa avanzata nel tempo?
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Bataille mi appare come colui che non ha cessato di «mettere in gioco» il pensiero di Nietzsche, portando l’accento su certe parole, flettendole, dislocandone la posta: il gioco, la possibilità, il riso, la.morte di Dio, il nichilismo ecc., cioè tutto ciò che in un modo o nell’altro sfugge sostanzialmente al soggetto, a colui che malgrado tutto, tenta di scrivere nell’impossibile posterità di Nietzsche. Ora, proprio attraverso queste vie, Bataille si mette nella condizione di riconoscere il tempo nella sua forma più imperativa ed impellente — quella alla quale si deve cercare di corrispondere — la storia, intendo. Perché i tre momenti essenziali in cui Bataille si confronta in modo assolutamente esplicito con il pensiero di Nietzsche, sono in effetti momenti storici particolarmente decisivi, momenti in cui è in gioco la sorte del mondo, epoche in cui la «politica» occupa violentemente il proscenio: l'emergenza del fascismo in Germania, la guerra, il comunismo. La ri-lettura di Nietzsche fa lega con queste configurazioni storiche: tre momenti di fondamentale crisi nella specie umana (quelli che formano l’orizzonte intellettuale, politico, culturale, della generazione di Bataille), tre epoche del destino
planetario in cui il tessuto sociale minaccia di slabbrarsi. Mi sembra che in Bataille esista una specie di necessità - come qualificarla altrimenti? - che lo spinge a rivendicare il pensiero di Nietzsche, come per tentare di essere all’altezza di questi tre momenti storico-politici. Ma sullo sfondo degli anni Trenta, in sordina, gioca per Bataille la crescente importanza del pensiero di Hegel, attraverso le lezioni di Alexandre Kojève che, come noto, hanno svolto un ruolo di primissimo piano per una intera generazione (Lacan, Merleau-Ponty, Klossowski e parecchi altri ancora). Bataille vi trova modo di ri-mettere sul tappeto certe parole — certi concetti — che, in tutta evidenza, provengono dalla mobilità hegeliana (lavoro, desiderio, discorso, contraddizione ecc.), e di affermare, per un altro verso, il suo «proprio» pensiero, di interrogare fondamentalmente il sapere da cui discende la filosofia. Le lezioni di Kojève costituiscono in questo senso un vero avvenimento per Bataille: qualcosa come un supplemento alla replica dei termini nietzscheani e che opera come indefinita sovradeterminazione delle parole tra esse. Ora, di questo rapporto con «il pensiero degli altri», possiamo oggi dire — noi: lettori — che per Bataille è allo stesso tempo un modo di fissare una data nella storia — sia pur secondo una certa inattualità — e un modo di aprire il «proprio» pensiero all’ignoto del futuro, cioè all’esperienza stessa, al rischio, alla possibilità di altri incontri, alla frammentazione del tempo.
«Nient'altro da dire», dunque, dopo la prima lettura di Nietzsche, e «nessuna ragione più di scrivere». Niente: si intenda con questo termine la problematica del nichilismo che occupa un posto centrale nel pensiero dell'ultimo Nietzsche, ma anche il termine essenziale della mistica di cui Bataille parla proprio a proposito e a partire da Nietzsche. Dire: la forma per eccellenza del pensiero hegeliano — Kojève vi insiste a lungo nelle sue lezioni — è il Discorso come sapere assoluto, il discorso della Sto-
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ria in via di conclusione; e ciò rilancia in particolare un interrogativo a proposito della possibilità di una «politica» segnatamente nietzscheana. Ragione: la parolachiave det testo hegeliano, ma anche ciò che, sotto altri versi, Nietzsche cerca di mettere in questione. In Bataille, la Ragione appare come ciò che trattiene il pensiero sotto il segno dell’economia, della riserva, della capitalizzazione. Per tentare di metterlo in scacco, Bataille arrischia dei termini — il sacro, l’estasi, il sacrificio, la
follia — dispiegandoli in direzioni diverse, e moltiplicandone gli effetti. Scrivere: la vera preoccupazione di Bataille. Vale a dire un’opera che si pone deliberatamente sotto il segno della ripetizione, del caso, della chance, del gioco, e anche del tragico, in un rapporto costantemente problematico con la specie umana, con la supposta evidenza della comunità, con l’altro, con il lettore, dunque.
Eppure ciò che Bataille ci tramanda è un’opera soggettiva da cima a fondo, che si produce secondo impulsi, sollecitazioni, e anche ingiunzioni storiche, cercando comunque di evitare la sua conclusione. Ciò che Bataille ci offre da leggere è un testo che si costruisce, si costituisce, nella frammentazione, nella disparità, secondo piani di frattura non immediatamente visibili: un testo che si produce facendo lavorare alcune parole - le stesse: riprese, variate, spostate, flesse senza tregua. Il soggetto della scrittura, vi si cerca. Da questo punto di vista ciò che si produce con Nietzsche è del tutto esemplare. Perchè, a seconda dei momenti, a seconda della congiuntura - intellettuale, ideologica, politica —, è la prospettiva che si trasforma, è una scrittura che prende il suo slancio, è una specie di similitudine che si espone, se non addirittura un testo che si analizza. Qualcosa di sicuramente essenziale si inaugura in Bataille negli anni Trenta: un movimento di pensiero che si ripete, foss’anche all’insaputa del soggetto nel quale prende forma e in cui trova le ragioni di proseguire, dispiegarsi su altre scene; un movimento di cui proprio Nietzsche è uno dei nomi propri. Periodicamente, Bataille ha «dimenticato» Nietzsche: per ritrovarsi più tardi in lui, o per ritrovarlo sotto altre sembianze. Punteggiatura di una temporalità interiore che è forse una delle leggi della scrittura di Bataille. La prima menzione esplicita di Nietzsche appare, all’inizio degli anni Trenta, in un articolo che si intitola La vieille taupe et le préfixe ‘sur’ dans les mots surbomme et surréalisme, e che porta in epigrafe una frase di Marx: «Dans l’histoire
comme dans la nature la pourriture est le laboratoire de la vie». Nello stesso momento in cui il surrealismo domina la scena intellettuale, Bataille ne fa una critica particolarmente virulenta, cercando soprattutto di delimitare lo spazio di un materialismo in grado di rifiutare ogni forma di utopia. La sua critica investe essenzialmente la trascendenza dei valori, con il loro carattere idealista e immate-
riale. E in questa prospettiva, innanzitutto, che trova la sua collocazione il pensiero nietzscheano. In effetti da un lato, Nietzsche rappresenta una rivolta contro ogni forma di ipocrisia morale, ma dall’altro è in realtà costretto a concepire
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la sua rottura con l’ideologia conformista come un’apertura icariana, come un movimento ascendente. Il suo impulso a sbarazzarsi della morale convenzionale non viene dunque da/ basso: c’è in lui, al contrario, una specie di esaltazione romantica della morale dei signori, un lavoro di sostituzione dei valori. Nietzsche non avrebbe mai potuto essere attratto se non da valori esclusi, divenuti impraticabili e scandalosi. Di questo primo approccio al pensiero nietzscheano si può dire che è sociologico (nel senso corrente del termine). In effetti, Nietzsche ha messo in evidenza
il fatto capitale che, avendo la borghesia ucciso Dio, ne sarebbe derivata una catastrofe. Ma Nietzsche dà comunque un valore al riso dal punto di vista della verità
filosofica, sebbene la tendenza contraria abbia il sopravvento: il riso diviene qualcosa di elevato. E oltretutto, agli occhi di Bataille, il superuomo di Nietzsche è un tranello, e il surrealismo da parte sua, dimostra di abbondare in tal senso. Con-
tro tutte le forme di idealismo opprimente - tra cui si devono annoverare il surrealismo e buona parte dei temi della morale nietzscheana - Bataille rivendica quel che denomina un «basso materialismo». In particolare, scrive a questo proposito: «Toutes les revendications des parties basses ont été outrageusement déguisées en revendications des parties hautes» ?. Durante alcuni anni la «dimenticanza» del nome di Nietzsche: un’assenza di riferimenti diretti: certamente un lavoro profondamente silenzioso, come una impregnazione, una maturazione obbligata; uno spostamento importante della posta in gioco in ogni caso, e la messa a punto di un altro sguardo, una prossimità che cerca di precisarsi più vicino possibile alle parole; e il peso degli avvenimenti che si producono nell’ Europa di quegli anni, il divenire-realtà di certe teorie, la contaminazione del pensiero ad opera della politica, la preoccupazione di una riflessione radicale. Nel 1936 Georges Bataille crea con Pierre Klossowski una rivista dal titolo di «Acéphale». Vi pubblica, nello stesso anno, Nietzsche et les fascistes, che tenta sia di fare effettivamente il punto sull’uso che viene fatto del pensiero nietzscheano, sia di tracciare le grandi linee di una lettura rinnovata, di una lettura che possa tener conto di certe impasse della teoria politica. Innanzitutto, Bataille ricorda quello che succede in Germania a questo proposito: l’episodio della sorella che riceve Hitler e, soprattutto, la falsificazione antisemita eseguita sui testi di Nietzsche ad opera di certi teorici del fascismo tedesco (il libro di Baeumler, segnatamente, che è falsificazione quanto evirazione). E, in questa prospettiva, scrive quanto segue: «Que ce soit l’antisémitisme, le fascisme, que ce soit le socialisme, il n'y a qu’uzilisation. Nietzsche s’adressait à des esprits libres, incapables de se laisser utiliser» ‘. Ciò che dunque caratterizza il modo di procedere di Nietzsche, ciò che ne fa la sua singolarità, è che esso arriva a respingere allo stesso tempo l'attaccamento al passato, specifico 3 ibidem, I, p. 103. 4 ibidem, I, p. 450.
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della destra, e il mantenimento di principi razionali, specifico invece della sinistra. Vale a dire cioè che, a prestarvi attenzione, a seguirne l’impulso, un tale modo di procedere implica uno sfacelo completo dei vari possibili fondamenti della politica attuale. Enunciato particolarmente rischioso in quel momento cruciale della storia europea: posizione che tuttavia non impedisce a Bataille di intervenire concretamente nei conflitti del momento. Come nel caso di Hegel, si sono formate una destra e una sinistra nietzscheane. (Bataille fa d’altronde allusione di sfuggita al giovane Mussolini). Questo, agli occhi di Bataille, equivale a una specie di sintomo che richiede di essere analizzato, risolto: un elemento che si inserisce in una economia molto più generale, un’economia di cui ha mostrato il funzionamento più rudimentale. «L’exigence expri-
mée par Nietzsche a été comme toute chose dans ce monde où l’attitude servile et la valeur d’utilité apparaissent inadmissibles». ? In opposizione a tutti questi usi, a tutte queste riduzioni, Bataille afferzza che il pensiero di Nietzsche è un dedalo, ossia proprio il contrario delle direttive che i sistemi politici richiedono ai loro ispiratori. In opposizione a tutte le interpretazioni unilaterali ‘, Bataille evoca proprio la figura di Zarathustra e il celebre aforisma della Gaia scienza «Noialtri senza patria...». Ciò che prende innanzitutto da Nietzsche è la rivendicazione ad essere un «bambino dell’avvenire», è anche una frase che per lui diventa quasi un leit-motiv: «amo l’ignoranza dell’avvenire». Nietzsche: un pensiero del tempo, ossia della storia anche al di là della politica nelle sue forme note, messe in pratica; un pensiero che offre a se stesso il mezzo di spezzare i limiti in cui normalmente si contiene la riflessione, un movimento che è un’esperienza e che si azzarda nella direzione di un avvenire totalmente sconosciuto. E proprio in questo modo che Bataille legge ed interpreta il modo di approccio nietzscheano, e che ne mette in evidenza l’orientamento principale. «Le mouvement de la vie ne se confond avec les mouvements /irzités des formations politiques que dans des conditions définies». 7 Ciò che si profila qui anche, ciò che in qualche modo prova se stesso, i temi principali del pensiero di Georges Bataille: in una parola, la messa in discussione della nozione di limite (con il suo complemento obbligato, la trasgressione), la riflessione su ciò che rappresenta (sul terreno dell’economia in senso lato) il valore dell’utilità, come anche una riflessione, in certo modo più congiunturale, sul tipo di razionalità necessariamente implicata dalla politica. La ri-lettura di Nietzsche — la sua ri-scoperta in questo momento particolaris-
? ibidera, I, p. 452. Bataille critica un articolo di Lévinas (datato 1934) che identifica l’atteggiamento di Nietzsche con una posizione fascista. O.C, I, p. 464. La citazione continua, così: «dans d’autres conditions, il se poursuit au-delà,
là où précisément se perdait le regard de Nietzsche». Il corsivo è mio
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simo della storia — diviene l’inizio di una interrogazione che ha luogo progressivamente, vale a dire di un lavoro che è come all’incrocio di preoccupazioni interiori di Bataille e di esigenze del momento chiaramente provenienti dalla più immediata attualità. Di ciò si possono trovare tracce in un articolo dal titolo Propositions sur le fascisme, che inizia come segue: «Ce qui se passe profondément dans le renversement des valeurs, d’une facon décisive, c’est la tragédie elle-méme. Que l’essentiel pour la vie humaine soit exactement l’objet des horreurs soudaines, que cette
vie soit portée dans le rire au comble de la joie par ce qui arrive de plus dégradant, de telles étrangetés placent ce qui se passe d’humain è la surface de la terre dans les conditions d’un combat mortel» £. È noto che nel 1933-1934 Georges Bataille aveva pubblicato un articolo dal titolo La structure psychologique du fascisme. In questo testo opponeva in particolare il fascismo come ricomposizione sociale - come forma più chiusa dell’organizzazione — alla rivoluzione sociale in quanto essa doveva mirare alla decomposizione del corpo sociale. Ciò, per cosiddire, nella diretta scia di Nietzsche, di quel pensatore, cioè, che disintegra la vita portandola al colmo della volontà di potenza e dell’ironia. Bataille avrebbe così replicato l'impulso fondamentale del pensiero nietzscheano, flettendone effettivamente certi temi, spostandone un po’ la posta, ossia, in particolare, riformulando in termini diversi ciò che ne costituisce il nucleo, ciò che gli sembra che ne costituisca l’articolazione essenziale. Il progetto di «Acéphale» va esattamente in questa direzione, mi sembra. Ciò che Nietzsche poneva in termini ereditati, per la maggior parte, dalla filosofia, viene ripreso da Bataille nella prospettiva che concerne il divenire della formazione sociale, come se in tal modo egli possa trarre alcune conseguenze che gli sembrano direttamente provenienti dal pensiero di Nietzsche. Sorprendente maniera, dunque, di non avere, dopo Nietzsche, «null’altro da dire»: da parte nostra, noi non possiamo far altro che leggervi un singolarissimo modo di appropriazione del pensiero di Nietzsche, un modo di costruire un approccio personale — non vedo assolutamente nulla di equivalente altrove nello stesso periodo — situando allo stesso tempo le proprie fonti, segnalando i propri antecedenti, ossia incorporandoli realmente attraverso il proprio lavoro, enunciando ciò che lo forma, ciò che lo spinge a pensare, sottolineando costantemente, da tutti i punti di vista, la propria prossimità 0, meglio ancora, fraternità con Nietzsche. (Parlare, un giorno, della modestia di Georges Bataille, di una certa volontà di sparizione da parte sua, del modo in cui, nei suoi festi, egli sa riconoscere i suoi debiti, della solidarietà di cui dà prova, — e che proclama, nei riguardi di coloro di cui parla nella sua opera, della sua franchezza, anche, e di tutto
quanto rientra nello stesso ordine: c’è in questo qualcosa che certamente scaturi8 ibidem, I, p. 467.
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sce da una vera etica intellettuale, da un’etica della verità che non si lascia ridurre,
di cui sa costantemente dare prova nei riguardi della letteratura, quella dei suoi contemporanei come quella degli scrittori del passato. Dire, anche, che cosa ha rappresentato la sua attività di critico, la lettura attenta a cogliere in ogni opera ciò che la oltrepassa, che la trascina al di là di se stessa e le conferisce il suo senso effettivo quell’amore della lingua che egli manifesta sempre, quell’incessante riguardo per il pensiero. Mostrare anche, da questo punto di vista, ciò che le appartiene in proprio in questo momento della storia in cui i conflitti intellettuali o ideologici diventano, per i più, occasione di disprezzo per il pensiero o la lingua). Così, come sulle orme di Nietzsche, Bataille scrive: «La seule société pleine de vie et de force, la seule société libre est la société bi cu polycéphale qui donne aux antagonismes fondamentaux de la vie une issue explosive constante mais
limitée aux formes les plus riches. La dualité ou multiplicité de tétes tend è réaliser dans un méme mouvement le caractère acéphale de l’existence, car le principe méme de la téte est réduction è l’unité, réduction du monde è Dieu» ?.
Alla «testa», che è l'equivalente dell’autorità cosciente di Dio, che rappresenta le funzioni servili, Bataille oppone dunque il mito dell’acefalo. Questo mito enuncia innanzitutto ciò che appartiene in proprio ad una sovranità necessariamente
votata alla distruzione, cioè un movimento analogo a ciò che Nietzsche presenta sotto il nome di «morte di Dio». L'uomo senza testa è l’essere che arriva a confondersi con il superumano, ad esprimerlo in altri termini. In effetti, superuomo e acefalo sono intimamente legati in quanto entrambi rappresentano una libertà esplosiva della vita, e in quanto non sono pensabili al di là della prospettiva di un tempo che è divenuto oggetto di estasi. È la costruzione del mito dell’acefalo che permette a Bataille di perseguire una riflessione politica. Così, la nazione è ciò che separa l’uomo da un universo abbandonato al dispendio, alla perdita, all’esplosione delle sue parti: è un’entità artificiale che scaturisce da un’economia ristretta. Mentre invece la rivoluzione deve essere considerata nella sua apparenza bruta, cioè come la fine di qualsiasi autorità, come ciò che deve mettere un termine ad ogni calcolo e ad ogni interesse; come ciò che, di conseguenza, deve completare la morte di Dio. Perchè in questa prospettiva, per Bataille, si tratta di affermare la natura della vita terrena, l’ebbrezza estatica. L’esistenza universale è dell’ordine dell’illizzitato, è ciò che non conosce il riposo. È così che essa apre la vita all’infinito, restando comunque eternamente conclusa, acefala. E c’è di più: la vera universalità, la sola che non sia fittizia, è in effetti la morte di Dio. Si può avanzare, a questo proposito, che Bataille spinga al suo limite estremo un tema hegeliano, spostandolo in terreno propriamente nietzscheano. Dove si vedrà un esempio — e certamente importante —- di ciò che caratterizza il suo modo di procedere, quel modo
? ibidem, I, p. 469.
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personale di pensiero che riesce a circolare tra filosofie considerate incompatibili, effettivamente inconciliabili. Il passo di Bataille consiste anch'esso in simili spostamenti, come sui percorsi delle vette: i grandi testi del dopoguerra — penso a L’Erotisme, soprattutto — espliciteranno movimenti di questo genere; il tempo avrà pur svolto un ruolo, e così la dimenticanza, cioè, in una parola, lo sviluppo dell’approccio nella sua interezza, o anche dell’approccio come insieme. Un certo ritiro dalla «politica» — diciamo un’urgenza minore, una certa attenuazione delle contraddizioni, il regresso dell’ipotesi fascista in Europa — vi contribuiranno per certi aspetti tutt'altro che secondari. In questi stessi anni, nella rivista «Acéphale», Bataille apre quella che egli denomina una «cronaca nietzscheana»: altro modo di trattenere o riprendere dal pensiero di Nietzsche la dimensione del tempo. Tale cronaca si presenta, innanzitutto, come una specie di grande riflessione «sociologica» — nel senso che dà Bataille a questo termine con la creazione del Collège de Sociologie. In altri termini, una sociologia indipendente sia dal materialismo economico — di stretta ispirazione marxista —, sia dall’idealismo morale (che potrebbe operare come tendenza nella sociologia francese del momento). Esiste dunque la necessità di evitare questi due vicoli ciechi, situandosi quindi addirittura al di là dell’opposizione da essi costituita. Il fascismo appare a Bataille come il movimento che ha cercato di rispondere al vuoto «depressivo» delle civiltà proponendo forme di ricomposizione più fondate del corpo sociale. Ora, il risultato di questa constatazione, per Bataille, è l'obbligo di ri-affermare, ancora una volta che, oltre ai valori di utilità delle forze di composizione dell’ordine sociale, oltre alla facciata stessa che viene imposta dalla società è l’esistenza in sè che è tragedia. Il riferimento a Nietzsche si impone qui dunque più che mai. «La phase critique de décomposition d’une civilisation est regulièrement suivie d’une recomposition qui se développe dans deux directions différentes: la reconstitution des éléments religieux de la souveraineté civile et militaire, encliaînant l’existence au passé, s'accompagne de la naissance de figures sacrées et de mythes, libres et libérateurs, rezouvelant la vie et faisant ’ce qui se joue dans l’avenir’» !°. Ora, proprio un ruolo di questo tipo gioca Dionysos nel pensiero nietzscheano. Dionysos libera infatti la vita dalla servitù — e questo, come è noto, è uno dei temi dominanti de La Nascita della Tragedia, e forse anche uno dei punti chiave di tutta la problematica di Nietzsche —, cioè della punizione del passato; egli la affranca sia dall’autorità religiosa che da ogni forma di romanticismo. In tal senso, Nietzsche esige da coloro che detengono i valori della tragedia che divengano dominatori: una specie di imperativo che, allo stesso tempo, lascia l'avvenire sgombro da qualsiasi impregnazione da parte del presente, una esigen10 ;bidem, I, p. 483.
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za radicale che trascina, che è cioè all’origine di nuovi valori, che prescrive senza asservire, che indica una direzione senza implicare in ciò una qualsiasi utilità. Cosa in cui si potrebbe benissimo vedere la ripresa in altri termini, e dunque la riscrittura, di uno dei movimenti essenziali di Zarathustra; fatta eccezione tem-
poraneamente per il riso. Ora, in questa stessa prospettiva, Georges Bataille parla di qualcosa su cui in seguito ritornerà a varie riprese, qualcosa che trova la sua esatta collocazione in questa riflessione sui diversi tipi di formazione sociale: l’attività effettivamente comune degli uomini è la morte, cioè, piu esattamente, la rappresentazione della morte (intendendo il termine «rappresentazione» in ogni sua accezione). Ciò che nell’esistenza di una comunità è tragicamente religioso — il rapporto con la morte che trae origine sia da una certa forma di tragico che da un certo senso del sacro - in effetti èdivenuto ciò che di più estraneo esista per gli uomini. È l’unità stessa della vita che, per Bataille, esige questa rappresentazione tragica della morte: una dimensione fondamentale, insomma, che è realmente da reincorporare, un oblìo, una rimozione, che bisogna risolversi a sventare; e anche qui la prossimità con Nietzsche è manifesta. Questa esigenza è tanto più forte in quanto
tra l’altro deve permettere di evitare certe impasse di una politica di ispirazione fascista. In effetti, all'unità cesarea costituita e fondata sulla presenza di un capo, si oppone in modo radicale la comunità senza capo, quella il cui legame essenziale è l’immagine ossessiva di una tragedia. Cercare dunque di edificare la comunità umana senza testa — quella che effettivamente potrebbe avallare la morte di Dio, che potrebbe succederle coerentemente — significa ricercare la tragedia, ricordarne lo stimolo, impegnarsi cioè nel processo di una certa rappresentazione. Perché la tragedia è essenzialmente l’elemento emozionale che conferisce un valore ossessivo all'esistenza comune; è, per maggior precisione, la morte divenuta oggetto comune di rappresentazione, la morte come luogo per eccellenza in cui si mette in gioco e si rimette in gioco, senza tregua — la rappresentazione. È soltanto a questo prezzo che la vita è capace di trovare ciò che le conferisce la sua vera unità, quell’unità di cui il «sacro» è una delle maggiori componenti, uno degli elementi che non si lasciano circoscrivere. Tutto ciò costituisce i primi approcci verso una «sociologia», cioè verso una interrogazione di fondo sulla vita delle società — e sulla loro eventuale «morte», sul loro indebolimento —, sul principio di utilità e sul suo contrario, lo scopo o il movimento del dispendio. Si può dire che la Note sur la fondation d’un Collège de Sociologie, come anche la partecipazione di Bataille alle sedute del Collège, vadano esattamente in questo senso. Sia per quanto concerne la necessi-
tà di formare una specie di comunità «morale», che ciò che verte alla costituzione di una «sociologia del sacro». In quest'ottica, Bataille cerca di stabilire i punti di coincidenza tra le tendenze della psicologia individuale — per la maggior parte dei casi si tratta della psicanalisi o almeno di una certa ver-
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sione di quest’ultima — e le strutture che presiedono all’organizzazione sociale. Ciò che colpisce, in questo momento di elaborazione particolarmente intenso, è la coesistenza di temi diversi. Da un lato infatti Bataille sviluppa certi temi nella diretta scia del pensiero nietzscheano, soprattutto per quanto concerne una visione del tragico, e dall’altra, intraprende una critica sistematica del pensiero hegeliano, una critica che, allo stesso tempo, si vuole una valutazione e una radicale messa in discussione, in vista di fletterne l’orientamento, di trattenerne qual-
cosa di diverso da ciò che rappresenta. Da una parte dunque questo: la tragedia è quel momento unico — quel movimento particolare — che mostra, al di sopra delle assemblee umane — e formando così, per l’occasione, una comunità effettiva - i segni riuniti del delirio e della morte, quei segni grazie ai quali gli uomini possono dimostrarsi capaci — almeno un momento — di riconoscere ciò che costituisce la loro vera natura, di conformarvisi e di intervenire, agire, in modo consequenziale. Dall'altra, l’idea centrale della teoria hegeliana, la dialettica, richiede di essere
ripresa, stornata dalle sue finalità, esposta in termini diversi da quelli in cui si offriva, e insomma profondamente sovvertita. E ciò tanto più che ciò che ne costituisce il principio — l’articolazione maggiore — altro non è che una certa rappresentazione del tempo, un tempo che oltrepassa e integra il passato, prefigurando così il futuro. «L’idée de dialectique n’est qu’une hybride de temps et de son contraire, de la mort de Dieu et de la position de l’immuable. Malgré cela elle marque le mouvement d’une pensée avide de détruire ce que refuse de mourir, avide de conquérir le temps autant que de .briser la loi par laquelle Dieu oblige». ! Esiste dunque una profonda ambiguità, forse insormontabile, della dialettica, una doppia vocazione, uno spostamento che non domina: al limite insomma, essa sarebbe in contraddizione con se stessa. Ed è, credo, ciò che agli occhi di Bataille fa tutto l’interesse di questo pensiero, tutta la sua ricchezza, le sue risorse, e perfino la sua intelligenza. In realtà si tratterebbe, secondo lui, di accusare, accentuare il movi-
mento essenziale contenuto nella dialettica hegeliana, per farla propriamente uscire dalle sue rotaie abituali — tanto in Hegel che, dopo di lui, in Marx —, quelle che la costituiscono come principio fondamentale di un pensiero del tempo e della
politica, come l’elemento motore di una riflessione —
addirittura di una
determinazione-programmatica concernente la gestione dell’avvenire.
(Eppure «Hegel, au moment où le système se ferma, crut devenir fou». Eppure «Personne autant que lui n’a étendu en profondeur les possibilités d’intelligences; aucune doctrine n'est comparable à la sienne, c’est le sommet de l’intelligence positive). [...] Nietzsche non conobbe Hegel al di là dell’abituale volgarizzazione.
ll ;bidem, I, p. 509.
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La Genealogia della morale è la prova singolare dell’ignoranza in cui rimase e rimane imprigionata la dialettica del servo e del signore, la cui lucidità è sbalorditiva (è il momento decisivo della storia della coscienza di sè e, bisogna dirlo, nella misura in cui dobbiamo distinguere l’una dall’altra le cose che ci premono - nessuno sa niente di sè se non ha afferrato questo movimento che determina e limita le possibilità successive dell’uomo. ! Bataille vorrebbe così rimediare al misconoscimento di cui Nietzsche dà prova nei confronti di Hegel: occasione, forse, di dire altro da Nietzsche, occasione di scrivere in una direzione che Nietzsche non ha saputo sviluppare o di cui non ha percepito, compreso, la posta in gioco: e ancora, chance della lettura, cioè dell’«oblìo» di cui costantemente essa dà prova. È grazie a un tale «oblìo», alle sue forme rinnovate, alle sue scansioni, che è effettivamente capace di profilarsi un pensiero personale, che un’esperienza di lettura è suscettibile di generarsi e di trovare la sua posizione, il suo ritmo: il tempo di un soggetto vi scopre la sua propria consistenza, la sua direzione, e anche la sua china). Per compiere questo doppio movimento, per garantirgli delle basi supplementari, in questo stesso contesto Bataille evoca la figura di Eraclito: il tempo è l'oggetto fondamentale — e unico — della visione eraclitea. A siffatta visione del mondo tragico — a questo inizio del pensiero — Nietzsche aggiunge, in guisa di complemento, il motivo essenziale dell’Eterno Ritorno. Questo è un ulteriore modo per dire che la prospettiva aperta dal pensiero nietzscheano
è, in realtà, innanzitutto
quella in cui l’avvenimento
isolato è
ormai solo il simbolo di un avvenimento maggiore. Da questo punto di vista, in particolare, le ingiunzioni della politica immediata non riuscirebbero ad avere da se stesse alcun senso determinato: esse richiedono un’altra valutazione, chiamano in causa un altro contesto, esigono uno spostamento radicale, un cambiamento di piano. Ora, è esattamente in questo momento della riflessione di Bataille, che appaiono le prime notazioni a proposito di ciò che ha per generico nome la chance. Un tale incontro merita, mi sembra, di essere sottolineato, tanto più in quanto esso impegna in buona parte gli sviluppi del pensiero di Bataille, pensiero che si forma essenzialmente in questo cambiamento di scala.
Nel 1939, alla vigilia della dichiarazione di guerra, Bataille pubblica un testo per celebrare il cinquantesimo anniversario della follia di Nietzsche (1889). «Cet événement, dice, doit ètre commémoré comme une tragédie». Si tratta, dunque, di una
rievocazione e di un specie di messa in scena di rappresentazione. Diretta a tutti: perchè siamo implicati di fatto in un tale avvenimento, noi che abbiamo paura di diventare pazzi. Allo stesso modo ciò che deve aver luogo per la morte, bisogna riaffermare la necessità di una rappresentazione della follia. 12 ibidem, V, p. 128.
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«La folie ne peut étre rejetée hors de l’intégralité humaine, qui ne pourrait pas étre accomplie sans le fou. Nietzsche devenant fou — è notre place — rendait ainsi cette intégralité possible; et les fous qui ont perdu la raison avant lui n’avaient pas pu le faire avec tant d’éclat. Mais le don qu’un homme fait de sa folie è ses semblables peut-il étre accepté par eux sans qu’il soit rendu avec usure? Et si elle n’est pas la déraison de celui qui regoit la folie d’un autre en don royal, quelle pourrait en étre la contrepartie?» ! L’esperienza stessa di Nietzsche ci obbliga dunque a capire che solo la follia può essere il compimento dell’uomo. A ciò si aggiunga che colui che comprende questa necessità deve divenire «vittima delle sue stesse leggi», in quanto la realizzazione del suo destino richiede di fatto la sua perdita. Cosa che potrebbe costituire un modo di «jouer la chance», vale a dire di uscire dalla vita servile. Lo stesso amore della vita e del destino — il famoso azzor fati di cui parlano gli ultimi libri di Nietzsche - è ciò che esige dall’uomo che questi commetta in se stesso il crimine di autorità che deve anche espiare. Poichè in fin dei conti è questo ciò che vuole la sorte cui il sentimento dell’estrema chance lega l’uomo. All’orizzonte del pensiero nietzscheano — ed è questa forse la sua verità ultima, il punto culminante della sua singolare traiettoria — c’è questa posizione estrema, questa specie di amore insensato, questa affermazione senza equivalenti, questa figura assoluta del dispendio. Anche l’impossibile, di cui bisogna parlare. Il modo in cui Bataille prende atto di una tale figura in eccesso, in questo stesso momento consiste nel parlare della necessità di una «pratica della gioia dinanzi alla morte»; come una eco del riso nietzscheano, esattamente come una maniera di dargli un seguito e di essere fedele ad un movimento essenziale del pensiero di Nietzsche, quel movimento del quale uno degli aspetti maggiori è la «follia». Ed è anche, a propriamente parlare, una «mistica» che Bataille sollecita a questo proposito: la mistica della gioia davanti alla morte è insomma ciò che ci permette di ridere di ogni possibilità umana, cioè, di considerare anche ogni possibilità come frammentaria, come simbolo di un movimento di tutt'altra
portata. Scrivendo testi che vogliono essere una «iniziazione all'esercizio della mistica della gioia davanti alla morte», Bataille colloca altrove la posta del pensiero nietzscheano: si inscrive comunque nel pensiero di Nietzsche — di un certo Nietzsche, in ogni caso —, proponendo delle «descrizioni di stato contemplativo» sotto il segno di quello che denomina una santità impudica. Perchè la vita chiede di essere magnificata sotto ogni suo aspetto, dalla radice alla sommità, fino al riassorbimento,
cosa che normalmente
viene denominata
morte.
Questa inflessione del pensiero nietzscheano — che troverà il suo compimen-
13 ;bidem, 1, p. 548.
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Bataille e Nietzsche
to nel libro intitolato Sur Nietzsche: volonté de chance, apparso alla fine della guerra — si accompagna ad una «meditazione eraclitea» il cui motivo essenziale è il seguente: il cristianesimo è ciò che ha dotato il sacro di sostanza; bisogna mettere un termine a questa operazione, diviene cioè necessario separare radicalmente il sacro dalla sostanza trascendente. Tale operazione si trova
riaffermata, alla stessa epoca, quando Bataille redige un testo che intitola Manuel de l’antichrétien. Vi riprende proprio l’idea di un celebre aforisma di Nietzsche: «Le guerre sono per il momento il più forte stimolante dell’immaginazione, adesso che le estasi e i terrori del cristianesimo hanno perduto la loro virtù. La rivoluzione sociale sarà forse un avvenimento ancora più grande». Bataille commenta questo aforisma, ne sviluppa certi aspetti, ne sposta altri: riprende certe parole di Nietzsche in vista di appropriarsi di altre, di integrarle al suo approccio, in vista di farne i vettori di un’esperienza di scrittura che gli appartenga in proprio, di distribuire differentemente gli elementi di una riflessione che di fatto, è personale. «Dans une humanité où le sacrifice religieux semble étre désormais sans valeur, les guerres et les révolutions apparaissent en effet comme les seules immenses b/essures è ouvrir dont la séduction puisse encore exercer de grands ravages». !* Al posto di ciò che per Nietzsche è uno stimolante dell’immaginazione, Bataille introduce /a blessure, una parola del suo vocabolario, un termine che
ha fatto suo e di cui gli sviluppi dell’opera dimostreranno l’ampiezza, la ricchezza. Arduo compito delle parole, dunque. Ciò che, come
è noto, in Europa chiude gli anni Trenta, è la guerra —
e non una rivoluzione. Ciò che fra le altre cose occupa Bataille, al momento in cui viene decisa la sorte di questa guerra è ancora una volta Nietzsche: un Nietzsche che potrebbe servire da congiunzione tra una certa concezione della politica - di cui si può dire in una sola parola che è impossibile — e una interpretazione — una versione — della mistica che, per altri versi, si trova ugualmente sotto il segno dell’impossibile. Ma l’impossibile — soprattutto a partire dal momento in cui è diversificato, determinato in vari registri — molto probabilmente è la via più coerente, la più ricca, per aggrapparsi al possibile, fare in modo che il possibile non sia impossibile da vivere. Dire, per concludere, che la scrittura consiste soprattutto in questo: nel
14 ibidem, II, p. 393.
Lo spazio del pensiero:
il sistema,
l’eccesso
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movimento per cui il possibile è il simbolo dell’impossibile, quel movimento che ci spinge a volere l’impossibile. Cosa che per noi potrebbe rappresentare l’occasione di riflettere su questo tempo — in cui viviamo — che per una specie di comodità o di evidenza, ci limitiamo a chiamare dopoguerra.
Traduzione di Annamaria
Laserra
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Il percorso plurale: da «Documents» a «Acéphale»
CATHERINE
«DOCUMENTS»,
MAUBON
UNA ESPERIENZA
ERETICA
1929: il 15 gennaio esce il primo numero degli «Annales»; il 15 dicembre, l’ultimo numero de «La révolution surréaliste». Comincia un’avventura mentre momentaneamente se ne chiude un’altra. Tra queste due date molto eloquenti per quanto riguarda la fine degli anni venti, il 15 aprile appare il primo numero di «Documents» — rivistà illustrata che esce 10 volte l’anno. Momento cerniera ma anche posizione cerniera se è vero che il progetto della rivista che non fu per altro — e a ragione — mai definito, sembra situarsi al punto di incontro ideale — inconcepibile per qualsiasi altro ma non per Georges Bataille — dell’organo surrealista e della rivista di Lucien Febvre e di Maurice Bloch. E ciò non soltanto perché «Documents», «publication Janus» — come la definirà Leiris — tourna l’une de ses faces vers les hautes sphères de la culture (di cui Bataille era formato nolente o volente sia per mestiere che per formazione) et l’autre vers une zone sauvage où l’on s’aventure sans carte géographique ni passeport d’aucune espèce» ! ma ancora più paradossalmente in quanto fu lì che Bataille
si sforzò di percorrere fino in fondo e parallelamente le vie opposte, aperte dalle due riviste. Un passo indietro. Nel 1922, per ottenere il diploma di archivista-paleografo, Bataille pubblica l’ordre de chevalerie, poema senz'altro interesse se non quello di costituire un «document ancien et curieux sur les idées chevaleresques et sur les rites d’adoubement» ?; nel 1926, inaugura la sua collaborazione a «Aréthu-
se», rivista d’arte di archeologia dedicata interamente alle arti minori dove focalizza la sua attenzione sulle numismatiche di civiltà poco studiate come quelle
1 M. Leiris, De Bataille l’impossible è l’impossible Documents in Brisées, Paris, Mercure de France, 1986, p. 260. È in questo articolo «admirable de présence amicale» (B. Noél) che si troveranno le informazioni — per altro lacunose — più precise sulla rivista. Cf. anche B. Noél, Sur «Documents» in G. Bataille, «Documents», Paris, Mercure de France, 1986; S. Finzi, La dialettica delle forme in G. Bataille, «Documents», Bari, Dedalo, 1974. 2 G. Bataille, «L’Ordre de la chevalerie» in Ecole nationale des Chattes. Position des Thèse soutenues par les élèves de la promotion de 1922 pour obtenir le dipl6me d’archiviste paléographe, Paris, Picard, 1922, MO,
48«Documents»,
una esperienza eretica
dei Grands Mogols o dei Koushans, prive di interesse estetico ma di grande valore documentario: «seules les monnaies nous fournissent des renseignements nombreux sur les noms et la nationalité des souverains, sur la langue, l’art, les traditions ou la religion des peuples maîtres du pays» ?; sempre nel 1926, ma su «La révolution surréaliste», presenta le «Fatrasies» richiestegli dall'amico Leiris, come dei «poèmes incohérents qui ont échappé au mepris des générations» ‘; infine, nel 1929, con L’Amérique disparue, la sua partecipazione discordante al numero speciale dei «Cahiers de la République des Lettres, des Sciences et des Arts», dedicato all’arte precolombiana, illustra per la prima volta l’uso personale — attivo — che intende fare di una documentazione che, nonostante qualche occasionale lacuna, non mancherà comunque di rilevare un acuto senso della realtà storica, sociologica o etnografica della quale non si stancherà di mettere violentemente allo scoperto il carattere discontinuo. Infatti non ci si può astenere dall’interrogarsi sulla scelta di un titolo di cui Bataille fu il solo responsabile e che Wildenstein editore della rivista insieme a d’Espezel, suo rappresentante diretto in seno al comitato di redazione, sembrano aver accettato solo nella misura in cui gli attribuivano un senso diverso da quello illustrato all’inizio. Il 15 aprile, nel momento in cui era appena uscito il primo numero, d’Espezel, a quanto pare in crisi, scriveva all’inquietante segretario generale: «D’après ce que j'ai vu jusqu’ici, le titre que vous avez choisi pour cette revue n’est guère justifié qu’en ce sens qu’il nous donne des «Documents» sur votre état d’esprit. C'est beaucoup mais ce n’est pas tout è fait assez. Il faut vraiment revenir à l’esprit qui a inspiré le premier projet de cette revue/.../> 7. Lo svolgimento dei fatti è noto. È a proposito della scelta di questo termine — secondo Leiris il più neutro che fosse disponibile —, ma non ci limiteremmo a questa giustificazione — che il riferimento agli «Annales» e più precisamente al dibattito metodologico all’interno del quale il progetto è maturato, mi pare pertinente. Ex alunno de L’Ecole des Chartes, attento uditore dei corsi di Marcel Mauss al Collège de France, Bataille era certamente al corrente della messa in discussione del documento che sarebbe stato acquisito dal rinnovo delle scienze storiche come elemento motore. Sapeva inoltre quale parte decisiva potessero avere sia l’etnologia che la psicoanalisi in quel processo che lo avrebbe portato a teorizzare, prima di altri, le categorie del discontinuo e della differenza.
} G. Bataille, Notes sur la numismatique des Koushans, «Aréthuse», V, n. 1, I trimestre 1928, in G. Bataille, O.C., p. 122. Cf. anche «Les séries monétaires musulmanes sont d’aspect monotone;
elles ne présentent guère d’intéréèt que par les renseignements historiques qu’elles fourinessent» (Les monnaies des Grands Mogols au Cabinet des Médailles, «Aréthuse», n. 4, ottobre 1925, ibidem, p. 108). 4 G. Bataille, Fatrasies «La révolution surréaliste», n..6, II, 1 marzo 1925, in G. Bataille, O.C.,
p. 103.
? Da una lettera di Pierre d’Espezel citata da D. Hollier in G. Bataille, Oporcit parola
Il percorso plurale: da «Documents» a «Acéphale»
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Se, nel 1929, non si tratta ancora di «pensare la discontinuità», per riprendere
l’espressione di Michel Foucault ©, la diffidenza è però subentrata e la nozione di documento considerevolmente estesa. Cose fino allora mute si sono messe a parlare: un nuovo discorso stava prendendo forma, nel quale la sovranità del soggetto è molto decisa. E in corso un mutamento al quale basterà un nulla perché introduca nel meccanismo della ripartizione culturale il gioco che ne minerà le basi. Ora, mai come in «Documents» questo nulla sembra essere stato all’opera, anche se ha potuto per qualche tempo darla a bere creando l’illusione di non compromettere l’equilibrio di una rivista che aveva preso la sua fredda eleganza dalla tradizionale «Gazette des Beaux Arts». In effetti Wildenstein dimostrò molta pazienza o meglio una capacità di discernimento quanto meno sconcertante. Bi-
sognava infatti essere ciechi e sordi per non leggere e ascoltare ciò che fu detto chiaramente quando è stato diffuso il testo pubblicitario al momento del lancio: «Les oeuvres d’art les plus irritantes, non encore classées, et certaines productions hétéroclites, négligées jusqu’ici seront l’objet d’études aussi rigoureuses, aussi scientifiques que celles des archéologues (...) On envisagera ici, en général, les faits les plus inquiétants, ceux dont les conséquences ne sont pas encore définies» 7. Per non interpretare nel giusto valore i due gesti di provocazione che rappresentarono all’inizio, e dal numero 4, l’introduzione della rubrica Variétés il cui carattere frivolo e irrispettoso stonava in rapporto alla ripartizione iniziale in Dottrine / Archeologia / Belle Arti / Etnografia e, a partire dal numero 5, lo spostamento di sede dalla riva destra alla riva sinistra che comportò subito l’abolizione del prestigioso comitato di redazione che le aveva fino a quel momento imprudentemente concesso il suo avallo. «Documents» continuò lo stesso a uscire regolarmente per più di un anno. Erano stati pubblicati quindici numeri quando Bataille alla fine del 1930 si vide togliere la responsabilità che aveva del resto assunta solo dal numero 4. Ripresa in mano da d’Espezel, la rivista ritornò sulla riva destra per una sopravvivenza illusoria: uscirono due numeri, nel febbraio 1933 e nel marzo 1934, contenenti esclusivamente articoli presi da «La Gazette des Beaux Arts». Cosa che ribadì la sua irrimediabile condanna a morte. Terminò il suo percorso ritornando proprio a ciò che non avrebbe cessato di rappresentare se Bataille non le avesse sostituito il suo esatto contrario. Perché ciò che fa l’interesse di «Documents» — e ne costituisce l'originalità rispetto alle riviste d'avanguardia dell’epoca — è questa stupefacente messa in scena dell’altro cui ancora oggi è difficile restare insensibili. In grandi linee questa messa in scena dell’altro è del resto semplice quanto l’operazione di cui essa è strumento. Si tratta di convocare sulla scena della rappresentazione ciò che ne è escluso e di dimostrare così quanto abusive ne siano sia l’omogeneità che la continuità che normalmente la definiscono... O, volendo riprendere la 6 M. Foucault, L’Archéologie du savoîr, Paris, Gallimard, ? Citato da M. Leiris, art. cit.
1969, p. 12.
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«Documents»,
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metafora geologica utilizzata da Leiris, di provocare il cataclisma che lascia apparire «l’effrayante sauvagerie» che si agita sotto la crosta in cui ha finito per solidificarsi «la mince couche verdàtre — magmas vivant et detritus variés» * rappresentata dalla civiltà e da tutto ciò che la caratterizza. Ma «Documents» non provocò altro cataclisma oltre quello del suo scandalo che tra l’altro fu attenuato dalla debole eco del suo impatto limitato. Non è tanto a causa dei suoi effetti ma per ciò che essa rappresentava di intrinsecamente inammissibile che la rivista fu sospesa. Fu una questione essenzialmente metodologica — la pretesa non soltanto di spostare i materiali, ma ripartendoli differentemente, di renderli pertinenti ad una nuova distribuzione, ad una nuova rappresentazione — altrettanto «scientificamente» documentata. In effetti, e nella misura in cui lanciata da Lucien Febvre la parola d’ordine era «S’ingénier. Etre actif devant l’inconnu» ?, mai Wildenstein e il suo eminente comitato di redazione da cui del resto erano stati esclusi tutti gli ex-surrealisti che numerosi raggiunsero Bataille, avrebbero dovuto accettare un titolo che si sarebbe prestato così facilmente ad ogni sorta di manipolazione e il cui uso antifrastico si sarebbe rivelato il meno pericoloso. L'esperienza già lontana — e totalmente riassorbita — di «Littérature» avrebbe potuto servire loro da esempio. Breton da parte sua, non si sbagliò, quando per primo fiutò in Bataille colui che lo avrebbe battuto nell’esplorazione dell’ignoto. Ora, ciò che gli rimproverò maggiormente non fu tanto di «vouloir considérer au monde ce qu'il y a de plus vil, de plus décourageant et de plus corrompu» ma piuttosto di ragionare: «Le malheur pour M. Bataille est qu'il raisonne (...) Il cherche, en s’aidant du petit mécanisme qui n’est pas encore tout-à-fait détraqué en lui, à faire partager ses obsessions» !°. Non gli furono risparmiate un sacco di ingiurie dagli ex amici di rue du Chateau cosa che non fa certo onore a Breton, ma che fornisce comunque la misura della minaccia che questi sentì allora pesare sul movimento surrealista.
Ma che cosa troviamo in questa rivista che suscita ancora un certo disagio se è vero che di tutte le riviste d'avanguardia tra le due guerre è la sola di cui gli aventi diritto non autorizzano la riedizione? Una fredda eleganza, abbiamo detto, la cui impaginazione non potrebbe affatto rivalizzare con quella de «La Revolution surréaliste» per esempio e la cui copertina di cartone giallo stampata e a caratteri cubitali neri potrebbe far pensare ad una di quelle publicazioni ad uso interno che circolano nelle amministrazioni se la ricerca iconografica non ne giustificasse ampiamente il sottotitolo di «rivista illustrata» che alleggerisce,
3 M. Leiris, Civilisation, «Documents»,
n. 4, settembre
° L. Febvre, Ni Histoire à Thèse ni Histoire-Manuel,
lin, 1953, p. 87.
1929, ripreso in Brisées, op.cit., p. 26.
1933, in Combats pour l’histoire, Paris, Co-
!° A. Breton, Deuxième Manifeste du Surréalisme, «La Révolution Surréaliste», n. 18, 15 dicembre 1929, in Manifestes du Surréalisme, Paris, Gallimard, Coll. Idées, 1955, p. 147.
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attraverso la diversità’ di cui è portatrice, la serietà delle apparenze. Tipograficamente «Documents» si distinguerebbe piuttosto per la sua mancanza di innovazione e per un conformismo niente affatto messo in questione dai sommari, neanche ad una rapida lettura. In realtà nient'altro che cose familiari in un’epoca che ne ha viste tante. È diverso se, presi nel tranello della banalità, ci si avventura in una lettura la cui inquietudine si lascia difficilmente identificare. Certo che, a consultarle, la lista dei collaboratori come anche la tavola analitica ricapitolativa, hanno di che far girar la testa. Ma tutto sommato si tratta solo di giustapposizioni inattese che suscitano la curiosità attraverso la formulazione di una serie di domande: che avranno da dire in comune un membro dell’Institut e un exsurrealista? Quale potrà essere il punto di articolazione tra le rubriche di Archéologie e quelle di Variétés? tra quelle di Mysticisme e quelle di Etbuographie? Può essere una rivista lo spazio più appropriato per la definizione di un Dictionnaire critique? E così di seguito se la risposta — poichè non ce n’è che una — non finisse per imporsi con la violenza dell’evidenza: «Documents» costituisce il luogo in cui la rappresentazione della differenza — documentata nei suoi aspetti più compositi — ha permesso meglio che altrove — e in ciò risiede la sua vera minaccia — la messa in prospettiva e la presa di distanza dai pregiudizi più radicati della civiltà occidentale: il logocentrismo, l’etnocentrismo, l’antropomorfismo. Non si tratta qui di fare lo spoglio completo della rivista nè di ridurne l’interesse alla sola presenza di Bataille del quale si sa che vi focalizzò il nucleo ossessivo di cui stava per fare il campo di applicazione del suo pensiero eterologico. Vorrei al contrario dimostrare che la forza di questa «machine de guerre contre les idées recues» !! dipese strettamente dall’abilità con la quale Bataille riuscì a far convergere in una sola direzione — la sua — la molteplicità e la diversità degli interventi che finirono tutti per trasformarsi in altrettanti strumenti di denuncia. Poiché, (o almeno perché) a «Documents» nessun intervento risultò innocente. Neanche quello di coloro che, per fede e attaccamento all’ordine stabilito, avevano l’incarico di contenerne il potere trasgressivo. Così, quando sul primo numero della rivista denunciò il fatto che «en Europe (...) il n’est pas question des grands styles
de l’architecture de pierre, et en particulier de la représentation humaine» ", il Professor Strzygowski non supponeva probabilmente che stava gettando la prima pietra contro l’architettura della quale «Documents» non avrebbe cessato di denunciare la funzione simbolicamente autoritaria opponendole il potere di dissoluzione di ogni piano capace di sottrarsi alla sua impresa. Bataille si incaricò di farlo capire — ai lettori in particolare — sul numero seguente glossando la parola architettura che situò — in perfetta cognizione di causa — in cima al Dictionnatre critique:
11 M, Leiris, De Bataille l’impossible..., art. cit., p. 261. 12 J. Strzygowski, Recherches sur les arts plastiques et «Histoire de l’Art», «Documents», n. 1, 1 aprile 1929, p. 22.
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«Documents»,
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|...] V'étre idéal de la société, celui qui ordonne et prohibe avec autorité, s’exprime dans les compositions architecturales proprement dites. Ainsi, les grands monuments s’élèvent comme des digues opposant la logique de la majesté et de l’autorité è tous les éléments troubles /.../ La disparition de la construction académique en peinture est, au contraire, la voie ouverte à l’expression (par là-méme è l’exaltation) des processus psychologiques les plus incompatibles avec la stabilité sociale !
Con queste poche righe alle quali si può accordare valore retrospettivo di programma, Bataille apriva il campo, per lui illimitato, all’interno del quale tutti gli interventi stavano per assumere il carattere sovversivo di una sistematica denuncia dell’ordine sociale e dei suoi strumenti di repressione. ! Rivista d’arte per vocazione, «Documents» affidò la maggior parte delle sue analisi all’interrogazione delle fonti iconografiche. Se non tutte furono l’oggetto dell'ampliamento problematico che permise a Bataille di far affiorare alla superficie del testo la parte irriducibile di cui ogni creazione tende ad essere la sublimazione, non di meno esse furono nel loro insieme l’occasione di un rinnovamento
della documentazione, degli approcci metodologici e delle letture alle quali diedero luogo. Questo rinnovo è particolarmente percepibile — perché più inatteso — nel campo dell’arte antica così definito per le comodità del riepilogo analitico e dove, giustapposti, si trovano i nomi di Piero di Cosimo, Caron, Piranesi, Bellange, Seghers, Corot, Courbet, Delacroix, Manet, Seurat. Una lista eteroclita che unifica tuttavia, senza alcuna difficoltà, ciò che c’è sempre stato di «barbaro»
e di «primitivo», di «grottesco» e di «violento», insomma (in una parola) di «inumano», nella creazione artistica . Avviata dalle ricerche di Marie Elbé sugli 13 G. Bataille, Architecture, «Documents»,
n. 2, maggio
1929, in G. Bataille, op.cit., p. 171
14 Nel prolungamento della definizione di Bataille si inscriverà la maggior parte degli interventi di Carl Einstein e in particolare la sua radicale condanna all’arte astratta: «Ces tableaux standardisés et hygiéniques ne sont pour nous que des hypertrophies de l’ordre. Des flics théoriques règlent la compatibilité des formes, d’où toute surprise dangereuse est exclue. On fabrique des ersatz d’architecture, des tableaux collectifs ou doctrinaires, absolument superficiels en face de ce qui est nécessité par un besoin précis», C. Einstein, L’exposition de l’art abstrait è Zurich. «Documents», n. 6 1929, p. 342. Cf. a questo proposito L. Mespe, Carl Einstein et la Revue «Documents»»; Histoire de l'Art et Ethnologie, in l’Ethnologie renouvelée: du musée au terrain, Roma, Franco Angeli, (Atti in corso di stampa). M. Elbé, Manet et la critique de son termps, «Documents», n. 12, 1930, p. 84: «(...) Manet,
(...) après Delacroix et Courbet, provoquait le rire et la colère de la foule. N°était-il pas insensé au point d’abandonner les formules d’une riche culture artistique pour revenir à la «barbarie» des primitifs?»; C. Camille, Piero Di Cosimo, «Documents»,
n. 6, 1930, p. 333: «Si Piero di Cosimo
a le goùt de la réalité, c'est d’une réalité étendue au surnaturel, à l’anormal, à des visions fantastiques mais qui ne cesse jamais d’ètre concrète; s’il cherche à échapper au général, ce n’est pas pour retrou-
ver une forme de vie plus facile, mais afin d’en préférer une autre qui soit sous le signe de la violence et du grotesque»;
H. Ch. Puech, Les «Prisons» de Piranèse, «Documents»,
n. 4, 1930, p. 204:
Il percorso plurale: da «Documents» a «Acéphale»
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scandali che provocarono a suo tempo i quadri di Courbet e di Manet !, è una vera storia dell’«aveuglement devant la peinture» !” che abbozzano gli uni dopo gli altri studi dei quali l’importante è ricordare che si interessarono tutti di ciò che, in un modo o in un altro, era stato occultato o rimosso dalla storia dell’arte ufficiale.
In tale prospettiva l’arte moderna — e il suo desiderio di rappresentare il reale in ogni sua forma possibile — diveniva familiare e leggibile. Si inscriveva nel prolungamento di una avventura cominciata all’origine dell’umanità e alla quale, senza preoccuparsi di scandalizzare o meno, si sforzava di dare la forma più efficace — la sua, quella della modernità. Da allora l’evidenza e la forza della sua realtà non avevano bisogno di alcun tipo di dimostrazione. Bastava illustrarle agli occhi di chi non si era ancora esercitato a decifrarle, attraverso l’opera di Picasso, Braque, Gris, Léger, Masson, Mirò, Arp, i pittori di «Documents».
Dedicandole un prestigioso omaggio al quale parteciparono i più assidui e i più illustri collaboratori da Einstein a Leiris, da Mauss al dottor Reber, da Puech a Rivet, da Schaeffner a Jouhandeau senza dimenticare Bataille e Baron, Desnos,
Vitrac e altri ancora, la rivista riconobbe in Picasso colui che più e meglio di qualsiasi altro effettuava quel tuffo nell’ignoto con il quale identificava la vera arte. «Maître de la peinture comme Fantòmas de l’épouvante», così come lo definì Prévert, Picasso, nel quale ognuno — in evidente polemica con i surrealisti — sottolineò la vocazione «réaliste», era per tutti il simbolo della libertà creatrice — la «véritable liberté / qui .../ ne consiste en rien è nier le réel ou à s’évader (mais qui...) au contraire implique la réconnaissance du réel, qu’il faut alors de plus en plus creuser et miner, pousser en quelque sorte jusqu’à ses ultimes retran-
chements» !. In questa relativa uniformità di contenuti, bisognerebbe comunque distinguere la specificità delle voci, il loro tono. Isolare quelle di Leiris, Limbour, Desnos
che misurarono la difficoltà se non addirittura l’assurdità di parlare di pittura in termini che non fossero una serie di spostamenti, trasposizioni e consci di respingere ciò che ne costituisce la specificità. Ma si sa che «Documents» tradì la sua vocazione, o per lo meno quella che
«Avec pe
le classicisme se dénoue sans détour en une vision parfaitement inhumaine des cho-
ses.» E anche, senza firma ma attribuito a G. Bataille, Les portes de San Zeno è Verone, «Documents»,
AZANO) 3783: «Nous insistons ici sur la merveilleuse brutalité de ses compositions qui ne sont réglées par aucune formule, qui ne témoignent d’aucun souci d’embellir, de dissimuler l’abominable vulgarité d’événements humains». 16 M. Elbé, art. cit.; Le scandale Courbet, «Documents», n. 4, p. 227, 1930. Si confronterà quest'ultimo articolo con la presentazione dell’Istituzione Courbet, di cui fu la responsabile, che Camille
Gronkowski pubblico” su «La Gazette des Beaux Arts» qualche mese dopo (6° periodo, tomo 2, luglio 1929, L’exposition Courbet au Petit Palais). 17 P. Daix, L’Aveuglement devant la peinture, Paris, Gallimard. 18 M. Leiris, Toiles récentes de Picasso, «Documents»,
II, n. 2, 1930, p. 70.
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«Documents»,
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secondo i suoi accomandanti avrebbe dovuto essere la sua e che essi giudicavano tra l’altro incompatibile, con le nuove forme di espressione artistica come il jazz, il music-hall, il cinema sonoro o la letteratura popolare di cui, dal numero 4,
regolari recensioni sollecitarono il diritto non soltanto all’esistenza ma ad un riconoscimento ammirativo. Fortemente rinvigorita, la rubrica Variétés si caratterizzò essenzialmente per l’ostinazione violenta con la quale non cessò di opporre la noia delle produzioni occidentali, pietrificate in un estetismo convenzionale e conformista, alla fascinazione dell’arte afro-americana, alla fine della guerra, il jazz era stato la prima rivelazione. Sotto l'impulso di Georges-Henri Rivière che ne fu insieme a Schaeffner il più attivo divulgatore, il jazz - « /.../ la vraie musique (c'est à dire celle qui est le plus capable de faire entrer une foule en transe), pour ne pas dire la seule musique» !° — costituì qui l'oggetto di una cronaca miticolosa intorno a cui si articolarono tanto il cinema parlato, quello grazie al quale ci si poteva «laisser prendre corps et àme è des scènes d’une sensualité ardente, lancés à derive sur le radeau des voies 2°, quanto il music-hall,
il théatre chantant di Georgius, di Louis Douglas per non parlare della straordinaria rivista dei Black Birds che sembra aver letteralmente soggiogato sia Bataille che Leiris, che entrambi le dedicarono alcune righe ditirambiche cui si aggiunse una nota di Schaeffner. Il potere della fascinazione di questi spettacoli di cui fu messo in rilievo lo stretto legame che avevano conservato con il proprio folclore dipendeva dalla capacità che era loro propria (distinguendoli in ciò dagli altri sensi di ribellione reperibili nella pittura o nella letteratura) di riattivare il fantasma dell’origine — selvaggia, è chiaro — che aleggiava sull’insieme della rubrica se non addirittura della rivista. Basta paragonare, a questo proposito, le reazioni di Bataille, più opposte che mai, allo spettacolo «che puzza di naftalina» in cui per lui si riduceva la rappresentazione allo Chatelet del Tour du monde en quatre vingt jours e a quello, di sconvolgente ferocia, si potrebbe dire, dei Black Birds: Inutile de chercher plus longtemps une explication des coloured people brisant soudain avec une folie incongrue un absurde silence de bègue: nous pourrissions avec neurasthénie sous nos toits, cimetière et fosse commune de tant de pathétiques fatras; alors les Noirs qui se sont civilisés avec nous (en Amérique ou ailleurs) et qui, aujourd’hui, dansent et crient, sont des émanations marécageuses de la décomposition qui se sont enflammées au-dessus de cet immense cimetière: dans une nuit nègre, vaguement lunaire, nous assistons donc à une démance grisante de feux follets louches et charmants, tordus et hurleurs comme
des éclats de rire. Cette définition évitera toute di-
scussion ?), !° M. Leiris, Duke Ellington, in Disques nouveaux, «Documents», II, n. 1, 1930, p. 48. 20 M. Leiris, Ta/kie, «Documents», n. 5, ottobre IO ZO po9. 2! G. Bataille, Black Birds, «Documents», n. 4, settembre 1929, in op. cit., p. 186; Le tour du monde en quatre vingt jours, «Documents»,
n. 5, ottobre 1929, in Opi Gt
pal90:
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Come, in effetti.
Indebolite oggi dal tono ideologicamente enfatico nel quale Leiris, che ne fu con Bataille il più violento portavoce, riconobbe alcuni anni dopo l’espressione di «une sorte de racisme à l’envers» ?2, la rubrica collaborò comunque alla denuncia dell’etnocentrismo di cui «Documents» fece, attraverso il larghissimo spazio che fu dato all’etnografia, uno degli elementi più significativi della sua indagine. E a questo punto di incontro di elementi apparentemente incompatibili in cui si situa la posizione nevralgica di Bataille, che si rinforza il carattere emblematico della presenza accanto a lui tanto di Michel Leiris che di Carl Einstein, che sono stati, fra tutti i suoi collaboratori, coloro che lo seguirono di più nel suo avventu-
roso percorso verso l’ignoto. Leiris in quanto legato a Bataille da una amicizia basata su una identità di interessi affinati dalla psicanalisi freudiana e dalla sociologia francese, si trovava a metà strada tra la letteratura che aveva appena abbandonato, rompendo con Breton e l’etnografia, la cui vocazione stava per prendere forma all’interno della rivista. Einstein in quanto eminente specialista di storia dell’arte africana e moderna, si augurava già da molto tempo ormai, una collaborazione tra storia dell’arte e etnologia. Entrambi — e Leiris più di Einstein — perché accettavano nelle sue linee essenziali se non addirittura nelle sue aberrazioni provocatorie, il modello antropologico alla cui definizione Bataille si sforzava allora di apportare una serie di prove attraverso l’esempio. Ci sarebbe da interrogarsi sulla disponibilità, quanto meno insolita nel panorama contemporaneo, che la rivista di Wildenstein non cessò di manifestare verso l’etnografia se nel comitato di redazione non mancassero i nomi di Paul Rivet e di Georges-Henri Rivière. Ma bisogna tra l’altro chiarire ciò che appare altrettanto insolito, cioè la presenza del direttore e del vice direttore del Museo del Trocadéro nel comitato. È vero che vi si trovano anche Babelon e d’Espezel, colleghi di Bataille al Cabinet des Medailles. Ma è anche vero che nel 1929 la numismatica aveva già da molto tempo raggiunto il campo tradizionale dell’arte mentre l’etnografia si sforzava invece di prenderne le distanze, preoccupata come era di far riconoscere lo statuto di scienza a pieno titolo cui aspirava. La presenza a «Documents» di Paul Rivet così come dei suoi colleghi e amici non potrebbe essere soggetta ad alcun dubbio quanto alla loro intenzione profonda, del resto pienamente realizzata, di presentare e di illustrare dei documenti materiali suscettibili di arricchire con la loro testimonianza «l’étude des races, des civilisa-
tions des langues» ??, così come l’etnografia se ne era assegnato il compito. E 8)
22 M. Leiris, L’Autre qui apparaît chez vous, intervista a M. Haggerty, in La France découvre le jazz, numero speciale di «Jazz Magazine», n. 35, gennaio 1984, p. 36. 2 «L’ethnographie fait partie des sciences dont l'ensemble constitue l’ethnologie, c’est-à-dire des sciences qui ont pour but l’étude des races, des civilisations et des langues du monde», Instructions sommaires pour les collecteurs d’objets ethnographigues, Musée d’Ethnographie et mission scientifique
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ciò Wildenstein non poteva ignorarlo anche se si può facilmente immaginare che pensò da parte sua di poter sfruttare l’infatuazione che alla fine degli anni venti il pubblico continuava a manifestare per l’arte negra. Ma anche su questo piano dovette subire una dura smentita e dal primo numero, in cui, nella sua presentazione dei criteri di rinnovamento del Museo del Trocadéro, Rivière non esitò a denunciare i pericoli che tale infatuazione rappresentava per l’etnografia:
A la suite de nos derniers poètes, artistes et musiciens, la faveur des élites se porte vers l’art des peuples réputés primitifs et sauvages. Un goùt impérieux mais versatile distribue ses certificats de beauté au mannequin de Malicolo, è l’ivoire du Congo, au masque de Vancouver; les chapiteaux de Vézelay et les marbres hellénistiques sont relégués à l’admiration des vieil-
les dames et des barbons. / Ceci provoque dans l’ethnographie d’étranges incursions, accroît une confusion qu'on prétendait réduire. Le Trocadéro rénové pouvait se confondre sur ce contre-sens, devenir un Musée des BeauxArts, où les objets se répartiraient sous l’égide de la seule esthétique /.../?. Cosa che in fin dei conti significava che, quanto a loro, gli etnografi avevano le idee chiare, come del resto anche Bataille: «Documents» fu la sola rivista con-
temporanea non specializzata a partecipare attivamente allo sforzo di conciliazione dell’unità postulata dalla natura umana con «la diversité et souvent l’incompatibilité de ses manifestations singulières» 2 di cui la scuola sociologica francese e l’appena costituito Istituto di Etnologia dell’Università di Parigi avevano fatto l’etica di base del loro rinnovamento epistemologico. E infatti, tutti gli interventi etnografici, che si trattasse di Rivet, di Rivière, di Griaule, di Schaeffner, di Leenhardt o di Leiris, chiesero o praticarono una ripartizione della documentazione etnografica che denunciava sistematicamente i pregiudizi della rarità e della purezza dello stile. Nella rubrica etnografica si può leggere così che «la maison du pauvre est aussi, sinon plus précieuse que le palais du riche», che «tel procédé de percussion sur une caisse de bois ou sur le sol n’offre pas moins d’importance que tels moyens mélodiques ou polyphoniques dont dispose un violon ou une guitare», dunque che «méme si elle s’intéresse au beau et au /aid, au sens européen de ces termes absurdes [l’ethnographie] a cependant tendance à se méfier du beau, qui est bien souvent une manifestation rare, c’est-à dire monstrueuse d’une civilisation» ?. Un capovolgimento dei valori che convocava sulla scena della rappresentazione non soltanto le civiltà Dakar-Djibouti, Paris, Palais du Trocadéro, maggio 1931, p. 9. Si tratta di un opuscoletto (in parte redatto da Leiris) che i membri della Missione Dakar-Djibouti distribuirono al personale amministrativo delle colonie visitate nel loro soggiorno in Africa. °* G.H. Rivière, Le Musée d’Ethnographie du Trocadéro, «Documents», n. 1, 1929, p. 58. ? Cl. Lévi-Strauss, L’ethnologue devant le colonialisme, in Le regard éloigné, Paris, Plon, 1983, p. 50; Cf. C. Maubon, Les revues littéraires à l’écoute de l’etbnologie (1925-1935), «Saggi e ricerche diim letteratura francese»,
1986.
26 P. Rivet, L’étude des civilisations matérielles: ethnographie, archéologie, prébistoire, «Documents», n. 6, 1928, p. 248; M. Griaule, Un coup de fusil, «Documents», II, n. 1, 1986, p. 45. (È)
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residue ma la parte residua di ogni civiltà — tra cui la nostra naturalmente. Come si può constatare gli amici etnografi portarono molta acqua al mulino di Bataille che ne seppe fare l’uso necessario trasformando ciò che all'origine doveva essere una rivista d’arte aperta sull’attualità, in una raccolta di curiosità etnografiche e linguistiche che Roland Barthes ha potuto a ragione paragonare a «ce qu’on appelait autrefois le Magazin pittoresque» 77. Perché è proprio come un «Magazin pittoresque» che si presenta «Documents» dove, nella mescolanza delle voci, si mescolarono i codici che attraversarono allora il sapere ignorandosi l’uno con l’altro. Nello spirito di Bataille, che certo non tentò di unificarli, il doppio riferimento allo strano e al dettaglio non doveva solamente smantellare l’unità di questo sapere ma favorire, attraverso la sua miniaturizzazione e banalizzazione, la messa in evidenza di ciò che ne costituiva la parte respinta e di cui egli fece l'oggetto del Dictionnaîre critique, la più scanda-
losa delle rubriche della rivista. «Un dictionnaire commencerait è partir du moment où il ne donnerait plus le sens mais les besognes des mots» 28. La definizione è talmente martellante e appropriata per l’approccio contemporaneo del testo che essa sembra andar da sè oggi, nel momento in cui la si articola immediatamente con l’operazione di generazione del significante che le si applica con Kristeva il termine di «signifiance» o con Barthes — così come farò io — quello del «troisième sens ou sens obtus — celui qui vient en trop comme le supplement que mon intellection ne parvient pas bien è absorber, à la fois, entété et fuyant, lisse et échappé». ” Il compito delle parole cioè tutto ciò che spinge ad essere detto per esserlo stato solo da parte del fanciullo o dal selvaggio, ciò che non può essere detto per non poterlo essere che al di fuori del circuito che regola lo scambio linguistico. Cosa che costituisce il rimosso di tutti i dizionari: il mostruoso, l’irriducibile, l’inclassificabile, l’informe:
Informe n’est pas seulement un adjectif ayant un tel sens mais un terme servant à déclasser, exigeant généralement que chaque chose ait sa forme. Ce qu’il désigne n’a droit dans aucun sens et se fait écraser partout comme une araignée ou un ver de terre. Il faudrait en effet pour que les hommes académiques soient contents que l’univers prenne forme. La philosophie entière n’a d’autre but: il s’agit de donner une redingote à ce qui est. Par contre affirmer que l’univers ne ressemble à rien et n’est qu’inforzze revient à dire que l’univers est quelque chose comme une araignée ou un crachat». ?° 27 28 29 vie et
R. Barthes, Les sorties du texte, in Bataille, Paris, 10/18, P.U.F., 1973, p. 51. G. Bataille, Inforzze, «Documents», n. 7, dicembre 1929 in op. cit. p. 217. R. Barthes, Le troisièrze sens. Notes sur quelques photogrammes de S. M. Eisenstein (1970) in L’obl’obtus, Essais critiques III, Seuil, 1982, p. 45 e p. 53: «cela méme dont a pu parler Georges Ba-
taille singulièrement dans ce texte de Documzents qui situe pour moi l’une des régions possibles du sens obtus: Le gros orteil de la reine, je ne me rappelle pas le titre exact». 30 G. Bataille, Inforze, art. cit., p. 217.
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Dove sputo - e basta riportarsi alla voce glossata immediatamente prima da Griaule e da Leiris - deve essere letto come le symbole méme de l’informe, de l’invérifiable, du non hiérarchisé, pierre d’achoppement molle et gluante qui fait tomber, mieux qu’un quelconque caillou, toutes les démarches de celui qui s’imagine l’èétre humain comme étant quelque chose — autre chose — qu'un animal chauve et sans muscles, le crachat d’un démiurge en délire.
Proprio ciò che a causa della sua reticenza a lasciarsi rinchiudere sotto qualsiasi forma, sfugge ad ogni costrizione, ad ogni definizione e a tutti i dizionari. Da Informe a Crachat, ma anche da Architecture a Cheminée d’usine, da Oeil a Bouche, a Métaphore a Métamorphose e così di seguito le voci del Dictionnaîre critique rimandano le une alle altre tessendo una rete che altro non è se non il tessuto della lingua sul quale le parole vanno alla deriva nel disordine della loro libertà ritrovata. È attraverso questo slittamento da un termine all’altro, attraverso questo gioco di sostituzione dove barcollano le definizioni e si disarticola la catena verbale, che fu denunciata l’impostura dei dizionari tradizionali e la loro pretesa alla nominazione, tra l'accordo postulato della parola e della cosa: «Rossignol — Sauf en des cas exceptionnels il ne s’agit pas d’un oiseau» ?. Contro tutti coloro che pretendevano che ce ne fosse una soltanto, quella del linguaggio collettivo e normativo, il Dictionnaire critique sperimentò una nuova pratica del senso che non è più regolamentata dall’astrazione riduttiva di ogni definizione ma al contrario era animata da forze pulsionali scosse dal meccanismo associativo, dalla glossa etimologica, dall’esplorazione idiomatica e dal gioco metaforico. Ciò che questa volta saliva alla superficie della parola e ciò in cui la parola accettava di perdersi era il lavoro di stratificazione e di differenziazione sulla cui obliterazione poggia il potere oppressivo di ogni forma di linguaggio che abbia perduto la traccia delle emozioni profonde di cui essa continua tuttavia ad essere, senza saperlo, la proiezione:
(...) personne ne regarde plus ce qui lui apparaît comme la révélation d’un état de chose violent dans lequel il se trouve pris à partie. A cette manière de voir enfantine ou sauvage a été substituée une manière de voir savante qui permet de prendre une cheminée pour une construction de pierre formant un tuyau destine è l’évacuation à grande hauteur des cheminées, c’est-à-dire pour une abstraction. Or, le seul sens que peut avoir le dictionnaire ici publié est précisément de montrer l’erreur des définitions de ce genre #. 31 M. Leiris, L’eau è la bouche in Crachat, «Documents», n. 7, dicembre 1929, in Brisées, op. cit., Db. 43 ù 2, C, Einstein, Rossignol, «Documents»,
n. 2, 1929, p. 117.
? G. Bataille, Cheminées d'usine, «Documents», n 5, 1929, in op. cit., p. 329.
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«Documents» era arrivato al suo quindicesimo numero quando l’editore decise di toglierne la responsabilità a Bataille che non fece apparentemente nulla per perseguire un percorso di cui sapeva probabilmente che non lo avrebbe condotto da nessuna parte, nell’impossibilità intrinseca in cui egli si trovava di non raggiungere mai, all’interno dello spazio che aveva aperto alla sua esplorazione, l'oggetto di cui aveva fatto il suo scopo, quel residuo che nessuna modalità attraverso cui si era sforzato di identificarlo era riuscito in effetti a rappresentare. Oggetto melanconico si potrebbe dire se Bataille non avesse egli stesso dato il senso (se di senso si può parlare) della sua impresa come della sua interruzione nell’ultimo articolo dell’ultimo numero di cui ebbe la responsabilità, L’esprit moderne et le jeu des transpositions, assimilando questo residuo al «terrore causato dalla morte o dal marciume, il sangue che scola, gli scheletri, gli insetti che ci mangiano». Ora, preciso’, «questo residuo non è il caso di doverlo rappresentare». E a testimonianza della sua affermazione, egli evocò «il gioco delle trasposizioni più inaudite o meravigliose» che lo spirito moderno non aveva cessato di sostituirgli dopo averne fatto l’oggetto della sua ricerca. Bataille, precisiamolo, non intendeva per niente polemizzare con lo spirito moderno ma piuttosto attirare l’attenzione sulla impasse nella quale quest’ultimo si ostinava a voler progredire. Indicando come unica via di uscita l’abbandono del campo della sua azione — che era anche in gran parte quello di «Documents» — Bataille non proclamava implicitamente il fallimento della rivista che paradossalmente gli veniva levata dalle mani per averle fatto abusivamente superare i limiti del suo campo iniziale: «L’esprit moderne n’a jamais mis en avant que des méthodes applicables à la littérature ou a là peinture. Or il est probable que tous ceux qui pourraient lui succéder ne prendraient de sens que sur un tout autre plan». È ugualmente probabile, del resto, che sia verso questo «piano completamente diverso» che Bataille, cosciente del ruolo drammatico che avrebbero avuto gli anni trenta, si orientasse quando alla fine del 1930 abbandonò un’avventura che aveva condotto lontano quanto aveva potuto, ricordando che «c'est une volonté d’homme qui perd la téte qui permet seule d’affronter brusquement ce que tous les autres fuient» ”.
Traduzione di Bruna Donatelli
34 G. Bataille, L’esprit moderne et le jeu des transpositions, «Documents», II, n 8, 1930, in op.
cit, p. 271-274.
MARIE-CHRISTINE
LALA
DA ‘LA STRUCTURE PSYCHOLOGIQUE DU FASCISME'’ AI FONDAMENTI DE ‘LA SOUVERAINETE’
L’articolo di Georges Bataille dal titolo La structure psychologique du fascisme (edito nel novembre 1933 in «La Critique Sociale» n. 10) si presenta come «une tentative, à propos du fascisme, de description rigoureuse (sinon complète) de la superstructure sociale et de ses rapports avec l’infrastructure économique». Si tratta, per Bataille, di tentare contemporaneamente un’elucidazione «des modalités propres» alla formazione della società religiosa e politica, e un’analisi delle «réactions de la superstructure» ! Bataille allarga la nozione di sovrastruttura; mantiene quella di «struttura», introducendo comunque una dimensione completamente diversa designata dall’espressione ancora vaga di «formes affectives générales». E aggiunge, sottolineandolo, che tali descrizioni si riferiscono a stati vissuti. Fa subito due riserve. La prima riguarda la ricezione stessa della sua impresa, poichè ne prevede la difficoltà. Essa si indirizza, in effetti, verso un pubblico già sensibilizzato ad un modo di procedere interpluridisciplinare e che potrebbe convocare insieme gli apporti della sociologia francese, della filosofia tedesca e della psicanalisi. La seconda, più fondamentale, concerne il tenore stesso della sua ricerca. Nella misura in cui questo articolo si dà come «frammento» di un insieme ?, Bataille precisa che esso presenta «un point de vue nouveau» del quale manca comunque la giustificazione. Ciò spiega certe lacune nell’esposizione e l’assenza di considerazioni di metodo. Questa è la ragione per cui la seguente lettura dell’articolo del 1933 indicherà in esso 7/ vettore dei fondamenti di tutto quanto Bataille non si stancherà di esplicitare in seguito.
In una lettera a Caillois del 20 luglio 1939, si capisce come egli cerchi sempre il luogo in cui approfondire questa ricerca: «Je voudrais faire un véritable cours reprenant en un système ce que j'ai dit autrefois dans «La Critique Sociale», en serrant cette fois les choses de près, en ordonnant, en clarifiant, et bien entendu en développant». Questo luogo... fu di volta in volta rappresentato da riviste, gruppi, progetti in corso... e sarà presto destinato a prendere la via della «fiction» e della pratica
1 O.C., I, pp. 339-371. ? Questo studio può in effetti inscriversi nel sistema dell’«eterologia».
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della scrittura in cui Bataille si impegna sempre più a fondo, a partire da L’expérience Intérieure. Il tragitto percorso da Bataille dal 1939 alla fine della sua vita, permette di com-
prendere ancora meglio e nei minimi particolari, ciò che egli intraprende con questa analisi della «struttura psicologica del fascismo». A questo titolo, è interessante accostare tale articolo a La Notion de Dépense e a La Souveraineté ?.
Per una descrizione e messa a fuoco del meccanismo
Bataille vuole cogliere il fenomeno «fascismo» a livello della struttura simbolica del soggetto, cercando allo stesso tempo di descrivere e di analizzare i rapporti sociali di produzione. Riprendendo la terminologia marxista, egli introduce peraltro le nozioni di «omogeneità» e «eterogeneità» in un senso particolare, al fine di rendere conto, nella loro complessità, delle articolazioni del sistema rispetto a ciò che rifiuta e preserva, nello stesso gesto, per la sua conservazione.
L’omogeneità sociale, la cui base è la produzione, ha per fondamento la comune misura in cui lo scambio dei prodotti viene regolato sul modello del lavoro utile. Al contrario, l’esistenza valida in sè e per sè, determina l’eterogeneità assoluta che si trova ad essere esclusa, rigettata dalla scena sociale. L’uomo, nella società omogenea, cessa di essere un'esistenza eterogenea e esi-
ste per qualcosa di diverso da se stesso divenendo funzione del prodotto e del lavoro. Inoltre, con la civiltà industriale, il possessore dei mezzi di produzione diviene funzione dei prodotti e soppianta il produttore. Di conseguenza, l’uomo aliena la sua esistenza in un prodotto di cui, per di più, egli non è funzione. Il possessore fonda l’omogeneità sociale, mentre l’uomo della parte media della borghesia così come l’uomo della piccola borghesia («le classi medie»), si trasforma in una entità sempre più astratta e intercambiabile, man mano che il suo rapporto con «le cose omogenee possedute» si fa più distante. Ciò comporta una «riduzione tendenziale» del carattere umano che ordinerà il sistema dell’eterogeneità tendenziale che regola la scala dei rapporti in seno alle classi intermediarie. Solo il proletariato operaio resta in gran parte irriducibile, essendo il proletario, l'operaio, uomini di natura estranea (eterogenea) — non ridotta — rispetto alla persona omogenea. Così quest’ultima deve farsi supporto di un insostenibile tessuto di contraddizioni. Essa è divenuta funzione di un prodotto che non produce, con cui si trova senza altro rapporto che quello di consumo-consumazione (dispendio improduttivo), e che essa comunque capitalizza. E tenuta a mantenersi nell’inganno della comune misura, conservando allo stesso tempo il privilegio del dispendio improduttivo (godere di un incommensurabile). Si produce così un gra3 La notion de dépense, in «La Critique Sociale» n° 7, gennaio 1933., inserito come capitolo preliminaire in La Part Maudite nelle éditions de Minuit, 1968, con presentazione di Jean Piel. La Souveraineté (1953-1954); questo capitolo III de La Part Maudite (prima edizione, 1949) rimane un capitolo rimosso. Non sarà pubblicato che postumo (cfr. O.C., VII).
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do tale di tensione che il meccanismo della riduzione tendenziale raggiunge un punto di rottura, e non è più sufficiente a preservare la società omogenea attraverso il sistema regolatore dell’eterogeneità tendenziale. Fino allora esclusa dalla società omogenea, l’eterogeneità assoluta comincia a divenire improvvisamente il mezzo per l’epurazione del sistema, attraverso una conversione nel contrario su cui Bataille si sofferma. Quando gli elementi eterogenei alla società omogenea non possono più essere contenuti, il fascismo sprigiona l’inconscio, dando libero corso a quelle forze materiali dell’esistenza in sè e per sè (a ciò che a lungo è restato rimosso: cioè, il bisogno di dispendio) — ma questo avviene secondo un determinato ordine. La brusca conversione dell’eterogeneità assoluta in omogeneità elimina violentemente le gradazioni dell’eterogeneità tendenziale. Nel momento in cui si scatena l’irrazionale delle forze accorse dalle profondità dell’inconscio, simultaneamente, l’uomo sotto dominio del fascismo ridiviene un’entità astratta e intercambiabile, la cui condizione di sopravvivenza è l'accettazione della comune misura.
AI fine di circoscrivere ciò che in uno stesso movimento il fascismo libera e riduce, Bataille fa intervenire direttamente le analisi avanzate da Freud in Psicologia delle masse e analisi dell'Io *.
Per analizzare il processo in gioco in questo meccanismo di conversione nel contrario, Bataille si riferisce dunque alla psicoanalisi, ma anche alla dualità delle forme del sacro (come risultato acquisito dell’antropologia sociale) e, beninteso, in modo assolutamente esplicito, alla fenomenologia di Hegel, in particolare alla dialettica servo e signore ?. Il suo fine è di elaborare, a partire da questa analisi, «un système de connaissances portant sur les mouvements sociaux d’attraction et de répulsion». La sovranità imperativa
Se l'omogeneità della società si trova dissociata attraverso le sue contraddizioni interne, lo sviluppo delle forze eterogenee può offrire lo strumento di una soluzione. Bataille innesta l’analisi freudiana sull’articolazione omogeneo/eterogeneo per mostrare, a partire dai processi di identificazione e di proiezione dell’ideale dell’io, come il narcisismo primario e la rimozione originaria giochino un ruolo determinante nel meccanismo della conversione dell’eterogeneità assoluta contro gli elementi eterogenei dissociati. E il dualismo, all’interno dell’eterogeneità, tra forme pure e forme impure (dualismo preso a prestito da quello delle forme del sacro, in antropologia) che permette la conversione nel contrario. Perchè ciò accada, bisogna anche utilizzare, spostan* G. duzione ? A. 1933 al
Bataille precisa in nota che quest’opera, pubblicata in tedesco già nel 1921, appare un’introessenziale per la comprensione del fascismo. Kojève Introduction è la lecture de Hegel, lezioni sulla fenomenologia dello spirito professate dal 1939, Paris, Gallimard, 1947.
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dola, la struttura del tabou. Esiste una divisione all’interno della sfera dell’eterogeneità, spiega Bataille, tra forme sacre interdette e impure (che saranno rigettate come ignobili (la sessualità, le classi miserabili, il «basso materiale») e forze sacre interdette e pure che vengono glorificate in quanto nobili (la figura del re, ad esempio). Il dispositivo messo a punto funziona a quattro termini: l'omogeneità si oppo-
ne all’eterogeneità e, all’interno di questa, le forme pure a quelle impure. Dopo aver posto questo dualismo fondamentale, Bataille continua la sua analisi attraverso l'evoluzione della nozione di potere regio. Considera l’autorità fascista come una forma dell’autorità regale, e così la descrizione di quest’ultima costituisce per lui il fondamento di una descrizione coerente del fascismo. La natura del servo è, per definizione, eterogenea, in quanto essa si confonde con «l’immondice où sa situation matérielle le condamne è vivre». All’opposto, la superiorità o sovranità imperativa significa il dominio e l’eterogeneità del signore la cui natura è tutt'altra (sacra, interdetta e pura). Egli si pone insieme al di sopra della società omogenea e al di sopra degli elementi eterogenei. La sovranità si definisce qui come la forma imperativa dell’esistenza eterogenea. La società omogenea prepara per il «re» un'esistenza per se stessa (eterogenea). Egli è
il solo individuo che possa mantenersi nel dispendio improduttivo e dettare la comune misura. Riassume nella sua persona la più alta contraddizione, se ne fa supporto e la nasconde. Allo stesso modo, dice Bataille, il potere fascista prende la forma sovrana e imperativa dell’eterogeneità. La dualità delle forme del sacro troverà la sua diretta applicazione nella relazione signore-servo. La forma dell’atto attraverso cui il signore esclude l’immondizia (il servo) è sadica, ma tagliata fuori da ogni eventuale possibilità di reazione dell’oggetto (come il masochismo). Il sadismo si esercita al di fuori del masochismo, accede ad una «purezza smagliante» mentre l’oggetto posto è subito rigettato per la sua impurezza. Attraverso l’esclusione simultanea dell’impurezza e del masochismo, il gioco di equilibrio tra istinti di vita (diretti verso l’io e gli oggetti) e istinti di morte (istinti di distruzione attribuiti all’io) si trova disturbato. La libido si allontana dagli oggetti per concentrarsi sull’io (puro e glorificato) mentre si scatena la pulsione distruttrice e sadica. L'istanza imperativa rifiuta violentemente qualsiasi intrusione dell’ Altro. Da cui la rottura della relazione soggetto-oggetto, il diniego dell’«estraneo», e la negazione distruttrice degli oggetti. La realtà eterogenea scatenata si presenta come una «carica»: minacciante e suscettibile di spostarsi. Essa è dell’ordine della pulsione, ambivalente. Due momenti contraddittori si trovano mantenuti simultaneamente: fissazione e rigetto, attrazione e repulsione. L’esclusione delle «forme impure» che servono da oggetto all’atto crudele non è seguita da una posizione di queste forme come valore: nessuna attività erotica può essere associata alla crudeltà. Il signore-sadico-puro non deve sapere nulla della sofferenza o del godimento dell’oggetto, cosa che provocherebbe il capovolgimento del rapporto signore-servo. Attraverso ciò si trova preservata e mantenuta la dipendenza. La sovranità imperativa vieta ogni sovversione.
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Da ‘La structure psychologique du fascisme’ ai fondamenti de ‘La Souveraineté”
Il taglio instaurato all’interno del mondo eterogeneo tra l’istanza imperativa (identificante) e la sostanza irriducibile, coniugata alla liberazione delle forze imperative libere (dell’ordine della pulsione), diviene il mezzo per escludere gli ele-
menti eterogeni detti «impuri» (attraverso la rimozione) e di ricondurre gli elementi eterogenei «puri» sotto l'omogeneità (attraverso la sublimazione). In questo luogo, l'istanza imperativa occupa il posto di figura intermediaria. Essa rappresenta, certo, l’istanza imperativa identificante: il suo carattere imperativo e puro attira la «scelta affettiva» degli individui interessati, in un movimento di identificazione che converge su «uno solo» (unico, eterogeneo). Essa è anche il luogo topico in cui ruotano i quattro termini del dispositivo: essa cristallizza (attira, concentra) e rigetta, allo stesso tempo, le forze imperative libere. Attraverso ciò, essa favorisce anche l’esclusione delle forme miserabili e la connessione con il mondo dell’omogeneità sociale ricomposta.
Il soggetto sovrano e l'impossibile
Grazie allo sfaldamento instaurato, l'opposizione tra omogeneità ed eterogeneità si trova nuovamente fissata. Si tratta di mantenere la funzione paterna come non rappresentabile, ma affascinante e sempre desiderabile. La contropartita di questa ipostasi è la negazione simbolica. L’io di ogni individuo è negato dall’istanza imperativa idealizzata e superegoica. Il referente sociale sembra dunque colpito da impossibile, e il passaggio all’azione se ne trova differito. Bataille fa così la constatazione di una impasse di fronte alla quale la fiction si pone come solo relè possibile. Essa permette la focalizzazione pratica dell’istanza del soggetto sovrano fino ad allora disconosciuto dalla sovranità imperativa. E offre la sua topica poiché è quel luogo in cui — nel linguaggio — il soggetto e l’oggetto si completano e si oppongono, senza che questi due poli possano mai ostacolarsi, a meno che non intervenga un colpo di forza. Ciascuno diviene di volta in volta soggetto
e oggetto, in una relazione differenziata e ludica. Una analisi dettagliata del testo intitolato L’Impossible (0 La Haine de la Poésie) © porta alla messa in rilievo di questo soggetto sovrano rivelato attraverso l’intima esperienza della morte e dell’estasi. E il soggetto della scrittura che Bataille chiama Dianus o «Le roi du bois»... Al momento della sua perdita, momento in cui perde piede e precipita, egli raggiunge la vetta: «comme un morceau de lumière, qui peut-èétre tombe en ruine,
mais rayonne»... ° Marie-Christine Lala, La pensée de Georges Bataille et l’aeuvre de la mort, a partire da L’Impossible. Tesi di dottorato presentata nel novembre 1981. cfr. saggio in «Littérature» n° 58.
Il percorso plurale: da «Documents» a «Acéphale»
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Il tema della sovranità, radicalmente opposto all’istanza imperativa, equivale alla formulazione di ciò che, nella scrittura del testo, si dà come una mancanza costitutiva. Il processo di decomposizione messo in gioco nella scrittura della fiction, porta alla posizione del soggetto sovrano che fa autorità aprendo il campo delle ri-composizioni assolutamente diverse, al limite del possibile. Le condotte sovrane legate a questi stati-limite: ebbrezza, estasi, effusione erotica, riso, effusione sacrificale, effusione poetica, rinnovano l’accezione della «sovranità». Per regnare bisogna dimettersi dal potere. In questa expérience intérieure in cui il punto più elevato raggiunge il più profondo, l’individuo fa la prova della propria singolarità. Esperienza «singolare» in quanto nessuno può provare al posto di un altro, ma che punta simultaneamente a raggiungere l’universalità della conoscenza. La sua comunicazione si fa attraverso l'istanza del soggetto sovrano e riveste comunque una dimensione problematica, quella della parte maledetta e sacra. Chi accetta di perdersi diventa «prophète de ce qui se perd dans l’absence», poichè la sua perdita è il segno di ciò che verrà proferito a partire da questa assenza. Bisogna che egli ritorni in sè, al luogo sacrificale della ferita che il folle o il poeta ravvivano continuamente. Il mito dell’ Acéphale designa questo luogo nella misura in cui serve a sostenere la rappresentazione più difficile: quella della morte ambivalente che riunisce in una medesima eruzione la Nascita e la Morte ”. Attraverso le forme sovrane del dispendio improduttivo, si libera il movimento del pensiero in cui la vita e la libertà sono inseparabili dalla morte «délivrant une infime parcelle de vie aveuglante». Tale è la «pratique de la joie devant la mort». Tale la veemenza del desiderio di cui l’energia libera e eccedente rende necessariamente sovversiva la prodigalità della vita. Georges Bataille? Personaggio insieme «centrale e eretico»... Eretico senza alcun dubbio... e l’accento rimane su questo punto, anche se egli si sposta da un’analisi psicologica del fascismo al Manuel de l’Anti-Chrétien. Ma soprattutto, Bataille ci appare come una figura centrale poichè egli apre assi referenziali plurimi verso una posizione di senso rinnovato, a partire dalla comprensione profonda dei meccanismi che analizza. All’opposto de «L’examen de conscience» dell’intellettuale, all'opposto della «mauvaise conscience», e senza volontarismo alcuno, Bataille persegue la sua sin-
golare esperienza attraverso l’esame della coscienza infelice, e attraverso la considerazione dell’impossibile. La sua traversata del romanticismo tedesco mira ad estrarre l’essenza del
? Georges Bataille, O.C., I, p.445: «Au delà de ce que je suis, je rencontre un étre qui me fait rire parce qu'il est sans téte, qui m’emplit d’angoisse parce qu'il est fait d’innocence et de crime (...). Il n’est pas un homme. Il n’est pas non plus un dieu. Il n’est pas moi mais il est plus moi
que moi: son ventre est le dédale dans lequel je me retrouve étant lui, c’est-à-dire monstre».
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Da ‘La structure psychologique du fascisme’ ai fondamenti de ‘La Souveraineté”
cristianesimo e a gettare, con Sade e Nietzsche, i fondamenti di un’etica di cui, riguardando l’esercizio del potere, la sovranità sarà la chiave di volta. Dal 1942, egli precisa che tenta di creare «par une pratique et une doctrine» «une forme de vie spirituelle jusqu’è Nietzsche et l’inimaginable». Ciò presuppone una grandissima riserva riguardo alla definizione stessa di «intellettuale». In uno scambio con Caillois a questo proposito, egli manifesta la sua preoccupazione di definire problemi senza risolverli subito: «Ma pire réserve porte sur la frénésie avec laquelle vous tenez à vous dire «intellectuel». Je veux bien me reconnaître intellectuel, mais je ne veux pas ajouter de phrases qui laissent croire qu’un intellectuel qui se limiterait volontairement puisse encore étre «droit» et «honnéte» (...). Il y a dans l’esprit humain des problèmes lourds que personne ne peut résoudre en peu de mots».
Traduzione di Annamaria
Laserra
MARINA
«MASSES»:
GALLETTI
UN «COLLEGE» MANCATO?
«Rien ne m’est plus étranger qu’un mode de penser personnel», G. Bataille, Le Coupable
Iniziata nell’ottobre del 1933 per esaurirsi nello spazio di pochi mesi, la partecipazione di Georges Bataille ai «groupes d’études» organizzati dalla rivista «Masses», diretta da René Lefeuvre, non sembra essere stata finora oggetto di attenzione significativa da parte della critica batailliana '. E ciò sostanzialmente per due ragioni: la prima è la preminenza accordata dagli studiosi alla collaborazione dello scrittore alla «Critique Sociale» — collaborazione che va letta, non solo come la messa in atto di una teoria inedita dell’ideologia ?, ma anche secondo la prospettiva tracciata da Jean Piel? come una frequentazione quasi quotidiana degli uomini riuniti intorno alla rivista di Boris Souvarine; la seconda è il carattere elusivo di questa partecipazione la cui modalità è di esaurirsi rapidamente senza lasciarsi in alcun modo circoscrivere: sfogliando attentamente i numeri di «Masses» della seconda metà del 1933 e del primo semestre 1934, invano cercheremmo, tra i nomi dei collaboratori, quello di Bataille. Al percorso visibile di un pensiero politico che si va elaborando sulle pagine della «Critique Sociale» sotto forma di saggi, di polemici dibattiti, di recensioni, non risponde in «Masses» che la traccia minimale del nome di Bataille citato una sola volta nel numero del 10 ottobre 1933 in occasione della riapertura dei corsi con i quali la rivista si proponeva lo sviluppo della coscienza di classe del proletariato * - presenza 1 Vanno tuttavia citati l’articolo di Marc Richir La fix de l’histoire, «Textures», 1970, n° 6, dove
l’adesione di Bataille ai «Groupes d’études Masses» viene collocata tra l'ottobre ’33 e il gennaio ’34, nonché il libro di Jean Rabaud Tout est possible: les gauchistes francais 1929-1944 (Paris, Denoél, 1974) e il saggio di Bernd Mattheus Georges Bataille. Eine Thanatographie (Munich, Matthes und Seitz Verlag, 1984), nei quali è fatta menzione della presenza di Bataille nei gruppi organizzati da «Les amis de ‘Masses’». Devo inoltre precisare che questa ricerca si avvale delle preziose informazioni fornitemi da Sylvie Sator, Daniel Guérin, Michel Leiris, René Lefeuvre, Maurice Nadeau, che tengo a ringraziare. ? Francis Marmande, Bazaille politique, Lyon, Presses Universitaires de Lyon, 1985, p. 42. ? Jean Piel, Bazaille et le monde: de la «Notion de dépense» à «La Part maudite», «Critique», agostosettembre 1963. 4 Il programma rivoluzionario di «Masses», enunciato nel numero di aprile 1931, viene ribadito, in termini identici, nel numero del 15 settembre 1933.
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«Masses»: un «Collège» mancato?
«diluita» peraltro dalla contiguità degli altri tre nomi che in quell’occasione gli vengono affiancati: quello di Pierre Kaan, di Michel Leiris, di Aimé Patri —. Parallelamente e in margine alla «Critique Sociale», che costituisce l'aspetto esplicitamente produttivo — potremmo dire — della riflessione di Bataille, «Masses», adesione al tempo stesso elusiva ed elusa, si configura come il suo rovescio 772produttivo: ciò in cui il pensiero di Bataille si dissolve nell’informe del progetto, dell’indistinzione comunitaria. «Déchet» inassimilabile nell’omogeneità del discorso, dinnanzi al quale il critico è ridotto alla precarietà di un’interrogazione senza soluzione, se non al silenzio vero e proprio, l'avvicinamento di Bataille a «Masses» costringe comunque a rivedere la linearità del percorso politico dello scrittore, quanto meno a ripensarlo in termini più problematici: e innanzi tutto per il contesto storico che lo produce. In altri termini, si tratta di reinterrogare quell’esigenza comunitaria innescata dai lavori di sociologia, che Blanchot riconduce essenzialmente a due aspetti, le associazioni («le molteplici associazioni attorno a idee ancora inesistenti e attorno a persone troppo dominanti», e tra le quali emergono «il ricordo dei soviet» e «il presentimento di ciò che è già il fascismo» ?, e i gruppi in cui si dà a leggere — così come egli li elenca — «il farsi strada di Georges Bataille entro questa evocazione della comunità: il surrealismo, «Contre-Attaque» — tacita risposta alla «surfilosofia che spinge Heidegger verso il Nazionalsocialismo» $ — «Acéphale», gruppo iniziatico per eccellenza, e il Collège de Sociologie incentrato su «temi parzialmente negletti dalle istituzioni ma con esse non incompatibili» ?. «È certo che dal 1930 al 1940 la parola comunità si impone alla sua ricerca più che non nei periodi che seguiranno», precisa Blanchot in proposito, sottolineando come l’esigenza politica, pur senza essere mai assente dal pensiero di Bataille, non cessi di prendere «forme diverse secondo l’urgenza interiore o esteriore» *. In tal senso non è irrilevante constatare che il contesto storico che connota l’avvicina-
mento di Bataille a «Masses» è il clima di disorientamento provocato dalla disfatta del movimento operaio tedesco dopo la vittoria di Hitler, disorientamento che induce lo scrittore, da un lato, a denunciare (nel momento
preciso in cui
Heidegger aderisce al nazismo) l'insufficienza teorica del marxismo e dei suoi sviluppi concreti nel comunismo, dall’altro, ad elaborare, attraverso l’insistenza sul-
? Maurice Blanchot, La communauté inavouable, Paris, Ed. de Minuit, 1983, tr. it.: La comunità inconfessabile, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 14.
° Id., Ibid., p. 25. Gruppo che andrebbe minuziosamente studiato «in quel che rendeva la sua urgenza tale che solo nella lotta poteva sussistere», scrive Blanchot a proposito di «Contre-Attaque», che egli interpreta peraltro come una sorta di prefigurazione del Maggio ’68: «Si afferma con manifestini che volano via e non lasciano traccia. Lascia che siano dei programmi politici a rappresentarlo, mentre ciò che lo fonda è piuttosto un’insurrezione del pensiero, risposta tacita e implicita alla surfilosofia che conduce Heidegger a non rifiutarsi (momentaneamente) al nazionalsocialismo, a vedervi la conferma della speranza che la Germania saprà succedere alla Grecia nel suo destino filosofico predominante», Id. Ibid., p. 25.
? Id., Ibid., p. 25. Svlg lords po23,
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l’angoscia, il «mito catastrofico della Rivoluzione» ?. È così che sulle pagine della «Critique Sociale» egli contrappone al centralismo del partito il valore dinamico dell’affettività della massa rivoluzionaria, allo spettro dello Stato totalitario nella sua triplice forma (fascismo, nazismo, stalinismo) l’organizzazione della «coscienza in-
felice» del proletariato in forza autonoma: «Le temps est peut-étre venu où ceux qui, de toutes parts, parlent de lutte contre le fascisme devraient commencer à comprendre que les conceptions qui, dans leur esprit, accompagnent cette formule ne sont pas moins puériles que celles des sorciers luttant contre les orages», egli scrive infatti nell'articolo Le problème de l’Etat del settembre 1933 poco prima di fornire con il saggio La structure psychologique du fascisme un primo tentativo di riaggiustamento del marxismo alla luce dei dati delle «scienze borghesi»: psicoanalisi, fenomenologia e scuola sociologica francese . Non meno significativo è il fatto che la presenza di Bataille nella rivista di René Lefeuvre si eclissi intorno al febbraio 1934, nel momento in cui l’incubo di un vero e proprio contagio fascista sembra abbattersi su tutta l’Europa e minacciare la situazione politica francese: «En une semaine les rapports de classe se sont bouleversés plus qu’en des années de luttes pacifiques et parlementaires» !!, scrive Michel Collinet nel numero di «Masses» del marzo 1934 commentando la manifestazione fascista del 6 febbraio e lo sciopero proletario del 12 febbraio — sciopero al quale Bataille stesso partecipa in compagnia di Michel
Leiris e Roland Tual !. Ne troviamo l’eco in alcune note che lo scrittore sembra aver buttato giù «a caldo», nell’emozione provata dinnanzi alla folla che avanza lentamente e solennemente verso la porta di Vincennes cantando l’Internazionale. E questo momento di effervescenza comuniale in cui, «loin de se ?_ Circa il mito catastrofico della Rivoluzione come fenomeno di dispendio, rimando all’articolo, pe-
raltro ancora inedito, di Denis Hollier, Arzbiguités de Bataille. Trois incidences du politique, 1983: «La révolution prolétarienne dont Bataille exaltera le mythe catastrophique au cours des années ’30 sera d’abord à ses yeux un événement dépensier comparable à ce qu’est le potlatch chez les Indiens de la còte du Nord Quest, mais aussi bien aux fétes et aux guerres [...] qui rythmaient la société féodale, retour de son autre (une sociabilité hétérogène, inassimilable) dans une société qui pensait s'ètre totalement désal-
térée». La prima parte di tale articolo (di cui è stata data lettura durante il convegno «Autour de Georges Bataille dans les années trente: le politique et le sacré», Centre Culturel de Roma, 31 gennaio — 1 febbraio 1986) figura su «Mondo Operaio», marzo 1986, col titolo La nozione di dispendio. Sullo spostamento dei testi di Bataille in direzione del terreno politico, cfr. inoltre nel saggio, fondamentale, di Denis Hollier, La prise de la Concorde. Essais sur Georges Bataille, Paris, Gallimard, 1974, pp. 229 e segg. !0 Entrambi gli articoli figurano nel I volume delle O.C., Paris, Gallimard, 1970, a cura di Denis
Hollier. L'esigenza di rivedere il marxismo alla luce degli apporti delle scienze borghesi è palesata già nell’articolo A propos de Krafft-Ebing, apparso sulla «Critique Sociale» nel marzo 1932. In tale articolo, Bataille insiste tra l’altro sulla necessità di rivedere la scienza economica alla luce delle scoperte intorno all'economia dei popoli selvaggi. !! Michel Collinet, Du Radicalisme à l’Union Nationale. Les journées de février, «SMasses», marzo 1934. 12 Su Roland Tual e il gruppo della rue Blomet, cfr. André Masson, Entretiens avec Georges Charbonnier, Paris, Julliard, 1958, e André Thirion, Révolutionnaîres sans révolution, Paris, R. Laffont, 1972.
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rendre compte d’une réalité catastrophique, la multitude rouge prend conscience de sa force, précisément au moment où celle-ci lui échappe» !’ costituirà, come ha mostrato Francis Marmande ", la prima articolazione di «Contre-Attaque». La minaccia fascista, «la peste brune» — come scriveva alla stessa epoca Daniel Guérin ! — è dunque ciò che connota storicamente, dall’esterno, potremmo dire, l’avvicinamento di Bataille ai «groupes d’études Masses» e ciò che al tempo stesso gliene svela l’insufficienza. Se si è detto che «la page de ContreAttaque» est tournée, elle est méme détournée de son sens avant d’ètre publiée» 16, si può dire che la pagina di «Masses» è stralciata ancor prima di essere totalmente redatta: interrotta a metà, liquidata dall’urgenza — resa più bruciante dalla realtà catastrofica dell’attualità politica — di rilanciare altrove, e in altri termini, l’esperienza della comunità. «Preludio abortito dell’esigenza comunitaria», si potrebbe anche dire, pressappoco come Blanchot scrive che «preludio abortito dell’esigenza di scrivere fu, per Bataille, tutto ciò che, nella sua produzione, si colloca prima della «devastazione della guerra» !”: in ciò, comunità paradigmatica. Ma anche analizzata dall’interno, in ciò che non fu, in ciò che progettò di essere, quest'esperienza appare come un luogo nodale del rapporto di Bataille al politico: il luogo in cui il movimento differenziato e successivo di «ContreAttaque» e del Collège de Sociologie si annuncia in un solo nucleo duale. Più precisamente: «Masses» costituisce il testo assente, il punto di sutura cancellato in cui si attua il passaggio dal momento teorico della «Critique Sociale» alla strategia rivoluzionaria organizzata di «Contre-Attaque» !* (in «Masses», come
13 Georges Bataille, «1934-1935», in O.C., op. cit., T. II, 1972, p. 260. 14 Francis Marmande, op. cit., p.58.
1 L'espressione riproduce il titolo della «brochure» edita nell’estate 1933 presso le «Editions ‘Librairie du Travail'» e segnalata simultaneamente su «Monde» (30 settembre 1933) e su «Masses» (10 ottobre 1933). Il volumetto, che includeva due conferenze tenute da Daniel Guérin nell’ambito
di «Monde» (quella del 28 marzo 1933 intitolata «L’état d’esprit de la jeunesse allemande» e pronunciata assieme a Philippe Lamour, a proposito della quale «Monde» pubblica un resoconto nel numero
del 1 aprile 1933, e quella del 30 giugno 1933 intitolata «Je reviens d’ Allemagne. Comment l’on vit sous le III° Reich») è stato ripubblicato in una nuova versione da F. Maspero, Paris, 1963 (ried. 1983), e tradotto in italiano sotto il titolo La peste bruna (Verona, Bertani,
1975).
Sempre nell’ambito di «Monde», Daniel Guérin ha tenuto con Léon Werth e Roland Tual la conferenza «Ce que j'ai vu en Indochine», «Monde», 7 e 14 giugno 1930. !° Michel Camus, L’Acéphalité ou la Religion de la Mort, «Acéphale», Paris, Jean-Michel Place,
1980, p. IV.
!” Maurice Blanchot, op. cit., p. 36. 18 Va rilevato che alla fine del 1933 risale un testo di Bataille (distrutto dall’autore stesso) in
cui appare per la prima volta il tema della ghigliottina, che sarà centrale in «Contre-Attaque» (Cfr. in tal senso il «tract» del 21 gennaio 1936 consacrato alla celebrazione dell’«anniversario dell’esecuzione capitale di Luigi XVI», pubblicato nelle Oeuvres Complètes di Georges Bataille, op. cit., T. I, p. 394, nonché il saggio di Denis Hollier, La place de la Concorde in «Gramma», Cahier 1, autunno
1974, pp. 139-161). Il testo in questione è evocato da Bataille in alcune note che figurano in ap-
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vedremo, affluisce una parte del comitato di redazione della «Critique Sociale» e, se è vero che tale afflusso opera una sorta di cancellazione delle frontiere tra i due gruppi, nondimeno non va sottovalutata, già in quest'epoca, la bipolarizzazione della riflessione di Bataille in due centri di ricerca; in «Masses» si tracciano le coordinate di future azioni comuni); peraltro «Masses» col suo progetto, forse mai realizzato, di un «corso di sociologia» a più voci intorno a ciò che, in senso lato, possiamo chiamare i miti e i riti dei movimenti politici moderni costituisce il primo abbozzo di un’interrogazione che verrà ripresa e riformulata da Bataille, Caillois, Leiris nel Collège de Sociologie !. In una ipotetica mappa della storia del Collège, a latere delle ricerche perseguite da Jules Monnerot e di cui il Collège costituirebbe il tradimento 9, bisognerebbe indicare dunque questa sorta di genealogia più remota: l’antefatto paradossale di una «controsociologia» che, in modo quanto mai effimero, prende forma nell’ambito, potremmo dire, del misconoscimento marxista della scuola sociologica francese, e più precisamente in quella specie di università popolare di rue Mouffetard costituitasi intorno a René Lefeuvre come luogo di lotta contro le istituzioni ufficiali e i suoi «chiens de garde» ?!. Kok
Questa premessa richiede brevi elucidazioni intorno alle origini, le finalità e l'evoluzione di «Masses» 2. In primo luogo va detto che la rivista, nata per iniziativa di Paul Faure nel 1931 a seguito della dissoluzione del «Jeune Européen», si situa nell’ambito, tuttora poco esplorato, di quelle minoranze rivoluzionarie che intorno agli anni Trenta si sforzarono di rilanciare il dibattito teorico della sinistra attraverso la diffusione del pensiero di Rosa Luxemburg: o meglio, come lascia intendere il titolo stesso della rivista — attraverso la valorizzazione
pendice a Le coupable: «Il y a six ans, il m’est arrivé d’associer l’Obélisque et la place [si tratta di Place de la Concorde] è une suite d’explosions nocturnes; ce bruit se composait avec mes sanglots: le souvenir que j’en ai gardé est aussi obscur qu’un réve (je ne sais comment cette double association put prendre pour moi la simplicité d’une chute de couperet. J'ai écrit vers la fin de 1933 une page exprimant l’émotion que j'avais éprouvée», O.C., V, 1981, p. 503. 19 Tuttavia nell’articolo, già citato, Ambiguités de Bataille. Trois incidences du politique, Denis
Hollier rileva, a partire dalla nozione di dispendio, una differenza tra la critica sviluppata dallo scrittore nei confronti della borghesia nel 1933 e la sua posizione all’epoca del Collège de Sociologie dove l’identificazione con l’«apprendista-stregone» implica «un renversement ou du moins un dépassement de la position d’hostilité simple que Bataille a souvent exprimée è l’égard du capitalisme». 20 Cfr. su Jules Monnerot e il Collège de Sociologie di Bataille, Jean-Michel Heimonet, «Le Collège de Sociologie», un gigantesque malentendu, «Esprit», n° 89, maggio 1984. 21 Cfr. sul rapporto tra sociologia e istituzioni in Francia negli anni Trenta, P. Lorau, Le gai savoir des sociologues, Paris, U.G.E. 1979, e Jules Monnerot, Sociologie de la Révolution, Paris, Fayard, 1969. 22 Cfr. su «Masses», Jean-Pierre Rioux, Révolutionnaires du Front populaire, Paris, Union Générale d’Editions, 1973; Id., Nos «gauchistes» d’avant-guerre, «Magazine littéraire», gennaio 1975; Henri Dubief, Le déclin de la III° République 1929-1938, Paris, Seuil, 1976, pp. 55 e 63.
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«Masses»: un «Collège» mancato?
del movimento di massa spontaneo rispetto al burocratismo proprio della struttura del partito ?; fin dal primo numero «Masses» si dichiara indipendente dalla politica revisionista del P.C.F. e della S.F.I.O., e aperta ai marxisti e non marxisti: i suoi quadri sono quelli del proletariato mondiale. La riflessione teorica del marxismo e l’esempio pratico della rivoluzione russa costituiscono il supporto centrale di una strategia di lotta impegnata, in aperta polemica con l'ideologia individualistica di «Ordre Nouveau», su più fronti: il pacifismo borghese e reazionario della «Società delle Nazioni» 4, il colonialismo, la stampa patriottica e militarista, la nozione ca-
pitalista e nazionalista di guerra. Limitatamente alla prima fase di vita della rivista (l’unica presa in esame in questa sede ?) vanno segnalati, nella nostra prospettiva, due fatti: nel 1931, la severa presa di posizione della «Critique Sociale» contro le «velleità rivoluzionarie» di «Masses» (la rivista di Souvarine, come vedremo, cor-
reggerà in seguito questo giudizio ‘°) e, nel 1933, un primo riassestamento del co-
23. Il titolo «Masses» evoca peraltro — come precisa René Lefeuvre — la rivista americana di estrema sinistra «New Masses». Sulla complessa dialettica spontaneità rivoluzionaria/azione organizzata che porterà Rosa Luxemburg a contrapporre al riformismo della socialdemocrazia e all’ultracentralismo leninista la lega «Spartacus», Daniel Guérin scrive: «In definitiva Spartacus si sforzava di riprodurre in Germania il modello russo della fine del 1917 e della prima metà del 1918, quando i Bolscevichi, per un breve periodo, avevano concesso ‘tutto il potere ai Soviet’»,Rosa Luxemburg e la spontaneità rivoluzionaria, Milano, Mursia, 1974, p. 46 (Cfr. inoltre, sul Luxemburghismo degli anni Trenta e il ruolo
di Lucien Laurat in tale movimento, il capitolo intitolato «Problemi e controversie di interpretazioni»). Non è forse inutile ricordare che il pensiero di Rosa Luxemburg è, negli anni Trenta, oggetto di un vero e proprio ostracismo da parte del comunismo russo. La condanna di colei che Lukacs, negli anni Venti, aveva definito come la sola vera discepola di Marx, viene pronunciata da Stalin nel 1931 nella lettera Su alcuni problemi del bolscevismo, pubblicata sulla rivista «Proletarskaie Revolutsia». Cfr. su questo problema specifico, l’Introduzione di Lelio Basso agli Scritti politici di Rosa Luxemburg, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 15-16, nonché, sulla «Critique Sociale» del marzo 1931, la recensione di Lucien Sablé al saggio di Lucien Laurat L’accumzulation du capital d’après Rosa Luxemburg, in «La Critique Sociale», 1931-1934 Paris, Editions de la Différence, réimpression 1983, pp. 27-28 In Italia, al pensiero di Rosa Luxemburg si mostrava sensibile, già intorno agli anni Venti, Antonio Gramsci che così scrive su «Ordine Nuovo», la rivista che egli stesso aveva fondato con Tasca, Tetracini e Togliatti: «La rivoluzione comunista possono attuarla solo le masse, e non può attuarla né un segretario di partito né un presidente di repubblica a colpi di decreto», Antonio Gramsci, Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, 1973, T. II, p. 163, Barbusse e altri intellettuali francesi costituirono un comitato per la liberazione di Gramsci e di altre vittime del fascismo. 24 Il carattere utopico della Società delle Nazioni sarà denunciato anche da Antonin Artaud nel frammento L’oeuvre politique de la Société des Nations, datato intorno al 1932. Ma già nel 1925 Artaud aveva progettato una «Lettre à la Société des Nations», cfr. Antonin Artaud, Oeuvres complètes, Paris, Gallimard, T. VIII, 1980, p. 13 e, in appendice allo stesso volume, p. 330. 2 La rivista si-interrompe nell'estate del 1934. Riprenderà le sue pubblicazioni nel 1939 col titolo, leggermente diverso, «Masses. Revue socialiste». A dirigerla sarà sempre René Lefeuvre. Tra i collaboratori, due ex-souvariniani: Aimé Patri e Paul Bénichou. Tra il 1934 e il 1935 Lefeuvre dirige peraltro il settimanale «Spartacus» (cui subentrano nel maggio 1935 i «Cahiers Spartacus»); nel 1936, egli è redattore capo di «Le Drapeau rouge», il bisettimanale diretto da Marceau Pivert. 2° Sul violento attacco contro le posizioni di «Masses», cfr. «La Critique Sociale», op. cit., pp. 186-187.
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mitato di redazione: alla direzione della rivista subentra René Lefeuvre, intorno al quale si riuniscono tutti coloro che avevano, come lui, lasciato «Monde», il
settimanale di Henri Barbusse, ormai apertamente infeudato al partito comunista russo ?. In questo fenomeno di scissiparità la cellula figlia continuerà nondimeno a somigliare, quanto meno nella struttura organizzativa, alla cellula madre: nella nuova sede di rue Mouffetard i dissidenti si sforzeranno infatti sia di convogliare, sia di ripristinare in «Masses» l’attività organizzata in margine alla rivista di Barbusse dal gruppo «Les amis de Monde», gruppo che possiamo definire come l’articolazione di tre luoghi strategici: 1) le conferenze — fenomeno che caratterizza peraltro la vita intellettuale francese degli anni Trenta fino alla guerra, come rileva anche lo psichiatra Gaston Ferdière che fu collaboratore di «Masses» prima di prendere parte attiva, oltre che a «Contre-Attaque» ai lavori del Collège de Sociologie 2? — e basti qui citare, tra i protagonisti dei dibattiti organizzati nella «Salle du Grand-Orient» dagli «Amis de Monde», Emmanuel Berl, Ortega y Gasset, Pietro Nenni, Bertrand de Jouvenel, Philippe Lamour, Roland Tual, Paul Langevin, Félicien Challaye ?; 2) le «serate cinematografiche» in cui si
2? Le difficoltà economiche in cui si dibatte «Monde» sono, detta di Daniel Guérin, all’origine del «ripensamento» che porta Barbusse ad accettare il finanziamento russo (e la prossimità alla linea politica del partito comunista): da cui la scissione di René Lefeuvre e altri collaboratori di «Monde», e la creazione di una rivista totalmente autonoma,
«Masses».
28 In Mauvaises fréquentations (Paris, Jean-Claude Simoen, 1978), sorta di biografia intellettuale in cui Ferdière rievoca, oltre che i difficili inizi della psicoanalisi in Francia, i vari gruppi proletari degli anni Trenta a cui ebbe modo di accostarsi. A proposito del «Collège de Sociologie», egli scrive:
«Il y eut le «Collège de Sociologie» dont Georges Bataille établissait le programme de travail et assumait le secrétariat. Venaient là, entre autre le médecin psychanalyste René Allendy, Michel Leiris et Roger Caillois. Je nous revois tous assis autour d’un tapis vert, chacun éclairé par une discrète lampe de bureau, dans une petite salle de la Sorbonne [...]. Dans cette petite salle de la Sorbonne me vint la révélation de l’importance capitale pour ma profession d’études parallèles dans les domaines des sciences humaines — le mot n’est pas très heureux —: ethnologie, ethnographie». «Pour m’en tenir è un seul exemple — egli aggiunge riferendosi probabilmente, più che al «Collège de Sociologie», alla «Société de psychologie collective» incentrata nel 1938 sul tema «Les attitudes devant la mort» — la perception de la mort chez les peuples primitifs me parut mériter d’ètre mieux comprise par ces psychologues aveugles, sourds et errants que nécessairement nous sommes tous. Je crois que nous ne pensions pas à une pluridisciplinarité, notion difficile à situer en dehors des catégories de l’enseignement établi, mais bien plutòt à des éclaircissements réciproques», pp. 136-137. Sulla collaborazione di Ferdière a «Masses», cfr., oltre che la conferenza tenuta il 23 marzo 1934
su «Jules Vallès» nella «Salle des Coopérateurs», A propos de l’Association Internationale des Médecins contre la guerre, maggio 1933, Jules Vallès rédacteur è ‘La Rue’, maggio 1934, Vallès rédacteur au ‘Cri du peuple‘, giugno 1934. 29 Il gruppo «Les Amis de Monde» era stato creato — come si può dedurre dagli annunci pubblicati regolarmente su «Monde», dopo l’estate 1929, per iniziativa di Barbusse, Léopold Faure e Léon Werth. Ad inaugurarlo fu, il 20 novembre dello stesso anno, la conferenza dell’economista
Francis Delaisi, «Le krach de Wall Street».
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proiettavano film di Chaplin, Pabst, King Vidor, ma anche documenti di carattere etnografico ?; 3) e soprattutto i corsi di architettura, di economia politica,
di sociologia marxista tenuti rispettivamente da René Lefeuvre, Lucien Laurat e Angelo Tasca (noto in Francia con lo pseudonimo di Amilcare Rossi ?!), e nel cui ambito particolare risonanza ebbero — a detta di Michel Leiris e dello stesso Lefeuvre — due conferenze di Jacques Soustelle: «clans, chefferies, état» e «La sociologie de Durkheim» ?. Di fatto, sul modello degli «Amis de Monde» si costituisce in «Masses» il gruppo «Les amis de Masses», intorno al quale si riattivano i «corsi di economia politica», il «Cercle d’études architecturales» e gli «studi sociali» incentrati, questi
30 Inaugurate nel 1931, le «serate cinematografiche» daranno l’avvio a un vero e proprio «Cercle du cinéma» sotto la direzione di Georges Altman. Il 23 aprile 1932, nella «salle Adyar», fu proiettato il film L’opéra de Quat'sous di Pabst che per molto tempo era stato censurato in Francia. Tra i documentari di carattere etnografico si possono segnalare Sous la lumzière du Nord, e Moana di Robert Flaherty. 31 Personaggio di primo piano nell’ambito di «Monde» e di «Masses», come attesta René Lefeuvre, Tasca figura anche tra i protagonisti delle conferenze degli «Amis de Monde», nel cui ambito pronuncia tre comunicazioni: «En Amérique du Sud» (1930), «Fascisme et Vatican» (1931), «Italie et Allemagne fascistes» (1933), quest’ultima insieme a Pietro Nenni. Nel 1933 (il 23 febbraio) egli organizza, con G. Bergery e J. Vienot una riunione nella «Salle du Grand Orient» su «L’ Allemagne actuelle et le fascisme dans le monde» (Cfr. il resoconto che di tale riunione viene pubblicato su «Monde» il 4 marzo 1933, p. 3). Sempre nel 1933, Tasca pubblica col titolo Marxiszze 1933 una serie di articoli nei quali si propone una rilettura di Marx alla luce delle esperienze e delle esigenze dell’epoca. «Toute l’histoire du socialisme frangais est encore è écrire, et à récrire», egli scrive in tal senso già nell’articolo Jaurès, téoricien,
del 28 maggio 1932, p. 10, dove egli deplora l’influsso negativo di Sorel e di Proudhon sul proletariato. «Masses» segnala un suo contributo a «Monde» incentrato sul lumpenproletariato (Cfr. «Masses», maggio 1933, p. 17). Nel 1938, Tasca pubblicherà in Francia due libri: La naissance du Fascisme. L’Italie de 1918 è 1922, Paris, Gallimard, e L’arrivée de Mussolini au pouvotr dans l’histoire des Révolutions modernes, Paris, N.R.F. Nel 1957 scriverà in collaborazione con Nikita Krucev una Autopsie du Stalini-
sme accompagnata da una Postface di Denis de Rougemont. Intorno agli anni 1932-1933, Tasca collabora anche ad altre riviste, quali «L’Avenir social» e la «Revue des vivants». Per quanto riguarda i corsi organizzati dagli «Amis de Monde» vanno peraltro segnalati un «corso di esperanto» e, nel 1932, un «corso di storia del movimento operaio francese» a cura di Ch. Rosen. Al 1932 risalirebbe anche la creazione di un gruppo teatrale. ?2 Tali conferenze furono tenute rispettivamente il 4 marzo e il 28 maggio 1932, e riunite lo stesso
anno in un opuscolo in vendita nell’ambito stesso di «Monde». Non avendone ritrovato il testo, è difficile precisarne il contenuto. Tuttavia è lecito supporre che non si discostassero dai presupposti della sociologia marxista. È quanto lascia intendere la seguente rievocazione di uno dei membri dei «groupes d’études Masses», Jean Luc: «Le développement remarquable de l’ethnographie [...] oblige la sociologie marxiste à étendre le champ de ses investigations, à serrer de près un certain nombre de faits sur lesquels nous possédons — enfin — une information sùre. Je rappellerai ici une conférence faite par Jacques Soustelle, l’an dernier, au groupe d’Etudes Sociales de la revue Monde; cette conférence, consacrée au problème des origines de la famille, démontrait magnifiquement quel surcroît de force apporte au marxisme la science moderne», Science et marxisme, «Masses», aprile 1933, p. 5. In tal senso si esprime anche Henri Dubief: «Le grand homme du groupe «Masses», que dirigeait Lefeuvre, était Jacques Soustelle. Il était très pro-
che du communisme officiel, et beaucoup de jeunes intellectuels venaient recevoir de lui des lecons de marxisme. Edith Thomas disait qu'elle devait à Soustelle sa conversion au communisme», Le déclin de
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ultimi, oltre che sulle inchieste sociologiche e la sociologia di Comte, sulla filosofia della storia di Hegel, il metodo degli economisti classici e soprattutto la messa in accusa di Durkheim e Lévy-Bruhl, sociologi dello statu 940 borghese ?. Quasi a sottolineare l’assenza di legame con i numeri diretti da Paul Faure, la rivista cambia formato e impaginazione: in questa nuova cornice, la strategia di lotta si precisa, attraverso la riattivazione del pensiero di Rosa Luxemburg, di Clara Zetkin, di Karl Liebknecht, come implicita denuncia della divinizzazione — messa in atto dall’Internazionale comunista — delle teorie di Lenin, ma anche come condanna del riformismo bernsteiniano: centro propulsore è il principio dei Soviet contrapposto alla concezione bolscevica del partito centralistico e autoritario, ma soprattutto la teoria della catastrofe ribadita anche dal Sorel delle Réflexions sur la violence **. Al tempo stesso la rivista si enuncia come luogo di lotta contro il fronte delle teorie controrivoluzionarie: nel «dossier des trahisons bourgeoises» confluiscono il rivoluzionarismo spiritualista di Mounier e del gruppo «Esprit» fortemente influenzato da Maritain e da Bergson, il misticismo nazionalista dell’«Action Francaise» e delle «Revue francaise», ma anche ciò che viene chiamato il tradimento idealista di Julien Benda. Infine, grande rilievo assume nella rivista l’etnografia grazie a Michel Leiris,
la Ile République, op. cit., p. 6. Sempre nel 1932, Soustelle pubblica su «Monde» tre articoli: La vie économique chez les peuples primitifs (19 marzo), incentrato sull'economia del «Koula», Le développement social chez les Atzèques (7 maggio), e L’état dans l’empire Inca (21 maggio) dove le nozioni di società come «essere naturale della natura» e di evoluzione delle forme sociali come «evoluzione di una tecnica» si contrappongono esplicitamente alla teoria della «coscienza collettiva» formulata da Durkheim nel saggio La division du travail social. Lo stesso anno (1’11 giugno) Soustelle sottoscrive inoltre insieme a Tasca, Barbusse, Romain Rolland, Jean Luc, Bertrand de Jouvenel, Challaye e altri, un appello per salvare «Monde». 3 Il «corso di economia politica» appare incentrato sullo studio delle leggi fondamentali del capitalismo e la teoria delle crisi secondo Marx, il «Cercle d’études architecturales» affronta questioni di urbanismo, gli «studi sociali» (affidati da Angelo Tasca a Henri Lecomte e Jean Luc, dell’Ecole Normale Supérieure) si strutturano intorno a due poli: i metodi e i materiali della sociologia (formazione della sociologia, sociologia marxista, stato attuale della sociologia) e le inchieste sociologiche sulle condizioni di vita dei lavoratori e sulle loro reazioni psicologiche e politiche. Vanno segnalati inoltre la presenza di un «corso di storia del movimento operaio e socialista», di un «corso di matematica» e di un «corso di esperanto», nonché la creazione di un teatro proletario a forma collettiva, il gruppo «Masses» e il coro «Prospérité». Infine, si rammentano le «consultazioni giuridiche» e i «repas mensuels». 34 Anche «Monde» pubblica il 21 gennaio 1933, in occasione dell’anniversario dell’assassinio di
Rosa Luxemburg, un inedito della discepola di Marx. Molto vicina alla teorie di Rosa Luxemburg è peraltro «La Critique Sociale», che conta tra isuoi collaboratori Lucien Laurat, il primo luxemburghista francese. Nel 1931 la rivista pubblica delle Lettres de Georges Sorel à Benedetto Croce, cui fa seguito una nota di P.K. (Paul Kaan?) e di L.L. (Lucien Laurat) sul misconoscimento da parte di Sorel del pensiero di Marx (Cfr. A propos des lettres de Sorel, «La Critique Sociale», ottobre 1931, op. cît., p. 107). Per quanto concerne Georges Sorel, rammentiamo che nel 1932 (il 1 luglio), alla «Brasserie du Tambour», Maurice Gait aveva pronunciato, nell’ambito di «Monde», una comunicazione su «Les
idées sociales de Georges Sorel».
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di ritorno dalla «mission Dakar-Djibouti», alla quale viene dato ampio rilievo sulle pagine di «Masses» ”. All’etnografia va peraltro ricondotta, come vedremo, la riattivazione delle «serate cinematografiche» che avevano caratterizzato «Monde». *
xx
L’ingresso di Bataille in «Masses» si situa nel momento forse più critico della rivista: dopo l’estate 1933, quando l’appello lanciato da René Lefeuvre in favore di Victor Serge 5 determina, con la presa di posizione della rivista contro la stalinismo, la protesta di una parte del comitato di redazione. La polemica, che rimbalza dalle pagine dell’«Humanité» del 14 luglio, si conclude nel numero di «Masses» del 15 settembre con l’espulsione dei comunisti ortodossi e un duro attacco contro le ingerenze del P.C.F. In questo nuovo riassestamento del comi. ‘ tato di redazione affluiscono nella rivista di Lefeuvre nuovi membri: collaboratori della «Critique Sociale» ?” tra cui vanno segnalati, oltre a Pierre Kaan e Michel Leiris, già presenti in «Masses» #, Paul Bénichou, Jean Dautry, Edouard
3 Cfr. sull’etnografia, oltre che l'articolo di Michel Leiris La jeune etbnographie, marzo 1933, gli annunci pubblicati nei numeri di maggio, 20 giugno e 15 settembre 1933 sulla «mission Dakar Dijbouti» e su due visite al «Musée du Trocadéro» organizzate dallo stesso Leiris. Nel «Préambule» (scritto nel 1981) a L’Afrigue fantòme, Leiris ricondurrà al periodo successivo all'ultima guerra la sua svolta verso un’etnografia «non plus d’examen détaché ou de dégustation artiste, mais de fraternité militante» (Paris, Gallimard, 1981, p. 3). Tuttavia l’attività che egli svolge nel 1933 nella rivista proletaria «Masses», l'impostazione stessa dell’articolo La jeure ethnographie
sembrano indicare un superamento della posizione meramente estetica che lo scrittore si riconosce nel diario tenuto durante la «mission Dakar-Djibouti». © Lefeuvre pubblica nel numero di maggio 1933 di «Masses» una protesta del «Cercle Communiste Démocratique» circa l'arresto di Victor Serge. Il caso si amplifica nei numeri successivi (1
giugno e luglio-agosto) della rivista, che ospita la replica di Aragon a Henri Lecomte e Georges Bénichou, e una dichiarazione di Romain
Rolland.
Ì
Circa la risonanza del caso Victor Serge in Francia, cfr. peraltro Sergio Sacchi, L’età dello sconvolgimento della coscienza. Victor Serge tra Francia e Russia, «Annali della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Milano», II, 1982 e, dello stesso autore, Boris Souvarine e la «Trabison des clercs»,
«Rivista di letterature moderne e comparate», fasc. 4, Vol. 37, 1984. i 3? Sul processo di riavvicinamento tra il gruppo Lefeuvre e il gruppo Souvarine, attestato anche dalla comune presa di posizione in favore di Victor Serge, cfr. «Masses», 1 giugno 1933, p. 19, e «La Critique Sociale», aprile 1933, op. cit., pp. 100-101, e settembre 1933, op. cît., p. 149. In quest’ultimo numero viene tra l’altro commentata — in termini positivi — l'espulsione dei comunisti stalinisti dalla rivista di Lefeuvre. 38 Membro del «Cercle Communiste Démocratique» e collaboratore prima dell’«Humanité» e del «Bulletin communiste», poi della «Critique Sociale», Pierre Kaan pubblica su «Masses» due soli articoli riuniti sotto il titolo comune Chronigue de la vie ouvrière et paysanne, febbraio 1933. Daniel Guérin, che fu suo compagno di scuola al «Lycée Louis le Grand», lo descrive come un comunista ortodosso. Nel «Prologue» alla riedizione della «Critique Sociale», Boris Souvarine ne ha rievocato la tragica morte, in Germania,
nel 1945.
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Liénert ”?, e in forma meno esplicita, Simone Weil ‘, aderenti al «Cercle Com-
muniste Démocratique, come Aimé Patri e Jean Prader “, infine intellettuali di provenienza diversa, alcuni dei quali si troveranno in qualche modo a fianco
?? Paul Bénichou comincia a collaborare a «Masses» nel 1934 con l’articolo, scritto in collaborazione con Delny, Psychologie du fascisme (Cfr. «Masses» marzo e giugno 1934). Collaborerà anche a «Mas-
ses. Revue socialiste». Jean Dautry pubblica su «Masses» alcune recensioni nel periodo tra l'ottobre e il novembre 1933. Edouard Liénert, membro del gruppo «Connaître», poi collaboratore di «Monde» e della «Critique Sociale» (dalle cui pagine attacca il neosocialismo di Henri de Man), figura unicamente nell’ambito dei «Groupes d’études Masses» (corso di economia politica»), (cfr. il numero di «Masses» del 7 ottobre 1933). ‘° Collaboratrice della «Révolution prolétarienne» oltre che della «Critique Sociale», Simone Weil non pubblica nessun articolo su «Masses». La rivista pubblica tuttavia, nel numero del 15 settembre 1933 il seguente annuncio (inerente al numero successivo): «Une étude de Simone Weill (sic): Ur appel à la guerre». Tale articolo non fu poi pubblicato. Il nome di Simone Weil è comunque citato da Daniel Guérin in Front populaire révolution manquée, Paris, Maspéro, 1970, p. 59) a proposito di una riunione
avvenuta nel 1933 nell’ospitalissimo appartamento di René Lefeuvre di rue Mouffetard. Nondimeno va rilevato che la recensione di Simone Weil alle Lettres de la prison di Rosa Luxemburg (cfr. «La Critique Sociale», novembre 1933, op. cit., p. 181) palesa una posizione critica nei confronti dello spontaneismo delle masse. Su Simone Weil, cfr. peraltro AA. VV., Sizzone Weil la passione della verità, Brescia, Morcelliana, 1985.
4! Iniziata nel settembre 1933, la collaborazione di Aimé Patri a «Masses» sarà più solida, più duratura di quella degli altri membri del «corso di sociologia» (essa continuerà, tra l’altro nel 1939, quando la rivista riprenderà le sue pubblicazioni col titolo «Masses. Revue socialiste»). Patri collaborerà in seguito a «Critique» dove scriverà tra l’altro, nel 1946 l'articolo Proudhon et Dieu (agosto settembre) e nel 1948 un'analisi intorno a L’oeuvre de Georges Dumézil (maggio). Sarà poi redattore capo di «Paru» e di «Monde Nouveau Paru». Da una lettera del 1957 indirizzata a Bataille e conservata alla Bibliothèque. Nationale di Parigi, sappiamo che avrebbe dovuto essere tra i collaboratori della rivista «Genèse», progettata dallo stesso Bataille come una sorta di continuazione del «Collège de Sociologie» (Cfr. in tal senso la lettera di Bataille a Caillois del 24 novembre 1957 pubblicata da JeanPierre Le Bouler e Dominique Rabourdin nella «Revue de la Bibliothèque Nationale», n° 20, 1985).
Proprio per la rivista «Genèse» Patri invia a Bataille una Note sur le désir du désir, testo che, in verità, come egli stesso precisa, era stato scritto per una rivista (destinata a non vedere mai la luce) progettata da Patrick Waldberg. Patri scriverà due recensioni su Bataille: «L’abbé C.» «Paru» (62), luglio 1950, pp. 28-30; Jourza/ des idées: Roseaux coupés, «Preuves», (143), gennaio 1963, pp. 78-80. Nell'ambito di «Masses», egli inaugura con una «causerie» su «L'individuo et la société» la seconda «serata cinematografica» degli «Amis de Masses» (30 dicembre ’33) consacrata ai film La foule di King Vidor e Solitude di Féjos. La sua collaborazione alla rivista di Lefeuvre si svolge simultaneamente su due piani, quello dell’attualità politica estera (Cfr. gli articoli sulla situazione politica spagnola nei numeri di novembre e 25 dicembre 1933 e nel numero del 20 gennaio 1934) e interna (Cfr. in particolare Les partis ouvriers et l’Unité, del luglio 1934, sul P.C.F.) e quello della teoria marxista (Cfr. in particolare Marx et les syndicats, del 20 gennaio 1934, dove egli analizza la crisi del movimento operaio a parti-
re dall’opposizione tra movimento di classe e movimento di setta, e Une conception réactionnaire de la Révolution, del giugno 1934, che costituisce una stroncatura del federalismo di «Ordre Nouveau»). Prima di avvicinarsi alla rivista di Lefeuvre, Patri aveva peraltro collaborato, come Pierre Kaan,
al «Bulletin communiste» di Souvarine. Nel 1929 aveva firmato nell’ambito del «Cercle Communiste Marx et Lénine» una difesa di Trockij. Jean Prader pubblica su «Masses» un solo articolo, Ouvriers, voilà ce qu'est le fascisme (marzo 1934).
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di Bataille: Gaston Ferdière che in «Contre-Attaque» firmerà con Bataille, Jean Dautry e altri il «Comité contre l’Union sacrée», Michel Collinet che sarà presente come uditore alle riunioni di «Contre-Attaque», Simone Kahn, il poeta Marcel Martinet che con Gaston Ferdière e Jean Dautry aderirà a «ContreAttaque», infine il giovanissimo Maurice Nadeau *. L’avvicinamento di Bataille a «Masses» si può dunque ricondurre a questa sorta di movimento tropico che sembra spingere il gruppo di Souvarine (ormai in dissoluzione ‘) ad entrare nel gruppo di Lefeuvre. Ma a produrlo è forse soprattutto una sorta di necessità interiore, che lo scrittore condivideva con Michel Leiris, di superamento dell’individualismo, necessità che l’attualità storica rendeva più pressante, e a cui una circostanza ben precisa — la riapertura dei «Groupes d’études Masses» — sembrava dare una forma concreta: la forma di una comunità, per l'appunto, entro cui elaborare una teoria rivoluzionaria contro l'avanzata del fascismo, entro cui, cioè, pensare il fascismo («il presentimento di ciò che è già il fascismo, ma cui il senso e il divenire sfuggono ai concetti in uso» #, rammenta Blanchot rievocando «gli elementi di quel che fu — egli scrive — la nostra storia». Di fatto, il 7 ottobre 1933, «Monde» annuncia, all'insegna del motto di Lenin «pas de mouvement révolutionnaire sans théorie révolutionnaire», l’avvio, nel-
l’ambito di «Masses», di un corso di sociologia a cura di Pierre Kaan, Michel Leiris, Aimé Patri #, di due corsi di economia politica affidati a Michel Collinet, Edouard Liénert, Thomas, e di un corso di storia del movimento operaio
e socialista tenuto da Alfred Rosmer, amico nonchè editore delle opere di Troc-
4° Michel Collinet collabora assiduamente a «Masses» nel periodo tra l'ottobre 1933 e il maggio 1934. Legato da profonda amicizia a Daniel Guérin, a Souvarine, a Aimé Patri, egli prenderà parte nel 1938 al movimento della F.I.A.R.I., fondato in Messico da Breton, Diego Rivera e Trockij. Su «Critique» egli pubblicherà nel maggio 1947 l’articolo Ur toumant de l’histoire sociale. Si troverà più tardi, tra l’altro, a dirigere la rivista «Paru».
Simone Kahn, che avrebbe sposato in seconde nozze sola recensione, su La condition humaine di Malraux Marcel Martinet che si era schierato per Trockij dopo dell’«Humanité» collabora, oltre che a «Masses», alla
Michel Collinet, pubblica su «Masses» una (25 dicembre 1933). aver lasciato nel 1924 la direzione letteraria «Revue prolétarienne».
Quanto a Maurice Nadeau, che conoscerà Bataille molti anni dopo, egli scrive su «Masses» le
sue primissime recensioni (Cfr. il numero di «Masses» del 25 novembre 1933 e la recensione all’ Histoire de la Révolution Russe di Trockij nel numero
di «Masses» del marzo
4 La rivista interromperà le sue pubblicazioni nel marzo 44 Maurice
Blanchot,
1934).
1934.
op. cit., p. 14.
® AI motto di Lenin, nell’annuncio relativo ai «Groupes d’études Masses», seguiva su «Monde» la seguente dichiarazione: «C'est parce que nous sommes convaincus de la justesse de cette maxime que nous tendons tous nos efforts vers la recherche et l’étude, en liaison étroite avec les militants ouvriers. / Notre travail étant essentiellement collectif et exempt de tout esprit de parti ou de secte, les camarades de toute tendance sont cordialement invités à y participer».
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kij in Francia. Articolato in cinque punti, tra cui menziono «Les grandes formes d’oppression sociale» e «Tableau des formes politiques modernes» ‘, lo schema del corso di sociologia si arricchisce qualche giorno dopo, oltre che del nome di Bataille ‘’, di un sesto punto, «Les formes libres de l’activité sociale» da mettere in rapporto, forse, con ciò che Bataille stesso, a partire da Mauss, aveva scritto ne La Notion de dépense a proposito delle feste e dei giochi nelle società pagane o della funzione spettacolare delle chiese e dei monasteri nel medioevo, ma soprattutto della rivoluzione proletaria nella società borghese #8. La partecipazione di Bataille al «corso di sociologia» si sarebbe dunque prodotta tardivamente, dopo la formulazione del piano di lavoro? È quanto lasciano intendere, presi alla lettera, gli annunci che, con qualche variante, si succedono a distanza di pochi giorni su «Monde» e su «Masses». Ciò che appare con certezza è il fatto che al momento della dissoluzione del gruppo, nel febbraio 1934, solo metà del corso avrà avuto, quanto meno sulla carta, effettiva formulazione. Ora, per quanto sommario, per quanto lacunoso, tale programma traccia le linee por-
tanti di un corso che appare subito profondamente diverso dai corsi organizzati in precedenza su «Monde» e su «Masses», pur mantenendo, come quelli, la connotazione di struttura vola all'insegnamento. Non solo, come si può arguire dai titoli delle conferenze annunciate, la sua articolazione risulta palesemente più complessa, più problematica, ma la fisionomia stessa del gruppo (che, a differenza degli altri, si fa leggere come struttura esplicitamente collegiale), si caratterizza per una maggiore eterogeneità. E ciò soprattutto per il diverso orientamento
sociologico dei quattro membri di questo «Collège» mancato (significativo, sotto questo aspetto è, più che l’abbandono delle inchieste sociologiche degli «Studi sociali» di «Masses», la scomparsa, nell’intestazione del corso, dell’aggettivo «mar-
xiste», che figurava nei primi corsi di sociologia organizzati nell’ambito di «Monde» da Angelo Tasca): schematizzando, quest’orientamento si precisa essenzialmente intorno a due poli divergenti che enunciano lo statuto paradossale, intenibile, del gruppo: il primo polo è la sociologia marxista nella quale si riconoscono — sia pure in modo diverso — Pierre Kaan e Aimé Patri ‘’, l’altro è la scuola 46 Gli altri punti del programma sono: «L’organisation de la production dans les Sociétés»; «Les grandes utopies sociales et le socialisme scientifique»; «Sociologie et philosophie de l’Histoire». 4 L'annuncio relativo ai «Groupes d’études Masses» compare simultaneamente nei numeri di «Mon-
de» del 7 e 14 ottobre 1933 (nel primo non figura il nome di Bataille) e nel numero di «Masses» del 10 ottobre 1933 dove tuttavia scompare il motto di Lenin. 48 Questo sesto punto non sarà più ripreso nei successivi annunci pubblicati su «Masses» relativamente al «corso di sociologia». 4 Cfr. la recensione di Pierre Kaan al libro di Henri de Man, Au delà du marxisme, «Bulletin com-
muniste», marzo 1928, incentrato sulla sociologia marxista, nonché i vari «comptes-rendus» pubblicati sulla «Critique Sociale» tra il 1931 e il 1932: in particolare Dogrze et vérité, luglio 1931, la recensione al libro di Chalupny Précis d’un système de sociologie e alla rivista «Libre propos», dicembre 1931, la recensione al libro di Bergson Les deux sources de la morale et de la religion, settembre 1932, e l’articolo Matérialisme et communisme, aprile 1933, dove la nozione di materialismo dialettico è ricondotta al con-
cetto di movimento di Bacone e di Jacob Béhme.
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sociologica francese di cui si fanno portavoce Bataille e Leiris. «Jusqu'aux environs de 1930 l’influence de la doctrine sociologique de Durkheim n’avait guère dépassé la sphère universitaire», dirà lo stesso Bataille molti anni dopo, spiegando come l’interesse per il problema della società — precisatosi nella sua generazione a partire da una volontà rivoluzionaria contro la costrizione dei valori collettivi — avesse spinto alcuni intellettuali provenienti dal surrealismo (Bataille allude in quest'articolo in primo luogo a Jules Monnerot, ma anche a Caillois e Leiris) a seguire i corsi di Mauss all’«Ecole pratique des Hautes Etudes»: «Le désir d’une action révolutionnaire avait dès l’abord attiré l’attention sur la sociologie marxiste, comme sur la société révolutionnaire de l'’U.R.S.S. L’intérèt pour les mythes et les diverses activités religieuses des peuples exotiques attira l’attention sur la précellence de la création collective sur l’individuelle, par là sur la sociologie et l’ethnographie en particulier sur la théorie durkheimienne définissant les activités religieuses et les mythes comme manifestation d’un étre collectif, supérieur è l’individu, qu’est la société» ?° Questa citazione, che mette a fuoco, accanto alla sociologia durkheimiana,
il ruolo parimenti centrale dell’etnografia nella ricerca teorica intorno a ciò che veniva sentito come un’assenza di coesione della società attuale, trova forse la
sua chiave di lettura in due testi di Leiris del 1933: il primo è un sogno riportato in Nwits sans nuit dove l’etnografia si designa come ciò che attua nella vita dello scrittore una sorta di biforcazione: «Et ma vie n’allait-elle pas se jouer professionnellement sur deux tableaux, puisque à mon activité d’écrivain, celle d’ethnographe allait s’adjoindre?» ?. Il secondo è l’articolo, pubblicato su «Masses», intitolato La jeune ethnographie, dove l’etnografia, sebbene esplicitamente contrapposta alla freddezza delle scienze esatte, viene definita come una scienza massimamente dialettica e materialista ’?. Accanto alla letteratura, spazio della fiction, l’etnografia si enuncia come il luogo più immediatamente «politico» della sua riflessione. Connotazione da cui non doveva essere esente la prima «serata cinematografica» degli «Amis de Masses» incentrata sulla questione del coloniali-
Circa l'ostilità di Patri alla suola sociologica francese, cfr. la sua recensione
ai libri di Henri
Barbusse Jesus e Le Judas de Jésus, nonché quella sul saggio di E. Dujardin Le Diex Jésus, «Bulletin communiste», ottobre-novembre gennaio 1939.
1927, e infine Hurzanisme ou inhumanisme chez Marx, «Masses»,
°° Georges Bataille, Le sens moral de la sociologie, «Critique», giugno 1946, p. 40. Cfr. inoltre, tra i contributi di Michel Leiris a «La Critique Sociale», la recensione al libro di
Edouard Simmel Corzzent l'homme forma son Dieu, settembre 1933, che pone l'accento sull’ importanza della scuola sociologica francese e sulla distinzione tra sacro e profano di Durkheim. 7 Michel Leiris, Nuits sans nuit et quelques jours sans jour, Paris, Gallimard, 1961, p. 95. ? È ciò che rileva peraltro, sulla «Critique Sociale» dell'aprile 1933, la breve nota su La jeune AA di Michel Leiris, nell’ambito della recensione al numero 3 di «Masses».
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mo ?? e inaugurata dalla «causerie» di Leiris «Sauvages et civilisés». L’antinomia tra «selvaggio» e «uomo civilizzato» richiama del resto quella, incessante mente dissolta, degli articoli etnografici pubblicati dall’allievo di Mauss su «Documents», e di cui la voce Hygiène del «Dictionnaire» esemplificava, nel 1930, la risoluzione in equivalenza: sorta di tabù razionalizzato che mette in causa la linea di demarcazione selvaggio/uomo civilizzato, la voce Hygiène del Dictionnaire di «Documents» è peraltro ciò che attraverso la messa in opposizione della «pulizia» borghese e della «sporcizia» proletaria, introduce la nozione di sacro nella lotta di classe: «Il y a quelque chose d’essentiellement religieux dans la propreté et, en dernière analyse, le dédain qu’a le bourgeois pour l’ouvrier plus encore que sur la différence de culture repose sur la différence de propreté» 24.
Quanto a Bataille, i suoi articoli sulla «Critique sociale» nel 1933 — La Notion de dépense e La structure psychologique du fascisme — rimandano, com'è noto, il primo a Mauss e il secondo essenzialmente al dualismo del sacro di Durkheim. Tale dualismo è anzi alla base della definizione della nozione di eterogeneo con cui egli introduce la sua analisi del fascismo, e, se questa nozione — applicata agli strati inferiori — presenta non poche analogie con la voce Hygiène di Leiris, essa è anche e soprattutto il luogo di un «riaggiustamento» teorico del marxismo: il luogo, più precisamente, dell’articolazione di una nuova scienza sociale come strumento di lotta contro il fascismo: tentativo che si preciserà nel programma di «Contre-Attaque» come «scienza delle forme autoritarie» e che, alla vigilia della seconda guerra mondiale, assumerà nel «Collège» il triplice aspetto di studio del sacro, del potere, del mito. Ora, alcune delle conferenze annunciate su «Masses» nell’ambito del «corso di sociologia» organizzato da Leiris, Bataille, Kaan, Patri si possono vedere come la prima messa in atto in forma collegiale di questa «scienza delle forme autoritarie», come la messa in atto, più precisamente, di un tentativo di analisi dei miti politici e sociali ?? moderni, miti in azione che chiamano in causa, da un lato, attraverso termini quali razione, patria, la sacralità di cui sono investiti
53 I due film proiettati nel corso della serata sono Au pays du scalp (incentrato sugli Indiani dell’ America del Sud), e Orzbres Blanches di Van Dyck. L’opposizione al colonialismo è un punto centrale della strategia rivoluzionaria di «Masses» già nei numeri diretti da Paul Faure (Cfr. l’attacco all’esposizione coloniale del 1931 nei Cahiers 4
e 5), ma va soprattutto messa in rapporto con la teoria sviluppata da Rosa Luxemburg nel saggio L’accumulazione del capitale.
24 «Documents»,
1930, n° 1 p. 44.
5 Intorno alla questione dei miti politici moderni ruota tutta la riflessione di Georges Sorel (cfr. quanto scrive in proposito Jules Monnerot in Inguisitions, Paris, José Corti, 1974). Su Sorel
e la problematica del mito negli anni Trenta, cfr. inoltre l'introduzione di Denis Hollier a La tragédie di Pierre Klossowski, nel volume a cura di Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, Paris, Gallimard, 1979.
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i capi fascisti e, sul versante opposto, Stalin, Lenin, dall’altro, attraverso la «deviazione» scientifica e quella riformista, il messianismo ottimista del movimento operaio stesso. La risposta che Bataille elabora sulla «Critique Sociale», nel 1933,
il mito catastrofico della Rivoluzione %, si contrappone esplicitamente a ciò che, nell’articolo Le problème de l’Etat, egli chiama «l’ingenua apocalissi borghese» propria di Marx e del socialismo nel suo insieme ”. ‘Ora, a dispetto della «vecchia concezione geometrica dell’avvenire», la dialettica della lotta di classe ha rovesciato i suoi termini generando nel XX secolo, anziché la liquidazione dello Stato, il suo rafforzamento: «Le moindre espoir de la Révolution a été décrit comme dépérissement de l’Etat: mais ce sont au contraire les forces révolutionnaires que le monde actuel voit dépérir et, en méme temps, toute force vive a pris aujourd’hui la forme de l’Etat totalitaire» 78.
Se il «Collège de Sociologie» si proporrà di studiare — a partire dalle ricerche condotte dalla scuola sociologica francese ?° sulle società primitive, la «presenza attiva del sacro» nelle società moderne, nonché «i punti di convergenza tra le tendenze ossessive fondamentali della psicologia individuale e le strutture direttive dell’organizzazione sociale», si può dire dunque che tale prospettiva si annuncia nel «corso di sociologia» di «Masses» sotto forma di interrogazione
°° Cfr. la recensione a La Condition humaine di Malraux, pubblicata sulla «Critique sociale» nel novembre 1933 e ripubblicata nel I volume delle Oewvres complètes di Georges Bataille (op. cit., p. 372). ?? Le problème de l’Etat, in Oeuvres complètes, T. I, op. cit., p. 334. La messa in causa dell’utopismo scientifico del socialismo costituisce il punto di partenza delle Reflexions sur la violence di Georges Sorel (utopismo di Kautsky, riformismo di Bernstein, ma anche superstizione scientifica di Marx e Engels). Negli anni Trenta, il crac di Wall Street e l'avanzata del nazismo costituiscono la migliore confutazione delle illusioni revisionistiche della socialdemocrazia tedesca. Non è forse inutile rammentare quelli che sono peraltro, nel 1933, i due poli principali della linea «opportunistica» del P.C.F.: attacco ai «social-traîtres» della S.F.I.O. e coesistenza pacifica col mondo capitalista. È quanto e rileva anche Emmanuel Ber] nel saggio La politique et les partis (Paris, Rieder, 1932) deplorando, sullo sfondo di un quadro politico dominato dalla decadenza dei partiti, la parola d’ordine del P.C.F., «classe contre classe».
25 Georges Bataille, Le problème de l’état, in O.C., I, p. 332. °° Tuttavia la «sociologia sacra» del «Collège» si differenzia dalla sociologia durkheimiana per il suo tentativo di definire una nuova posizione del sociologo nei confronti dell’oggetto della sua ricerca. Cfr. in tal senso il testo collettivo Pour ur collège de sociologie nel volume a cura di Denis Hollier Le Collège de Sociologie, op. cit, pp. 31-35. Il termine «sociologia sacra» si trova peraltro in alcune note relative a La structure psychologique du fascisme (Cfr. Georges Bataille, O.C., I, p. 668), a proposito del quale Jules Monnerot scriverà in Sociologie de la Révolution: «N’existait en France, avant la Seconde Guerre mondiale, qu’une seule
étude du fascisme à qui la signification d’ensemble du phénomène n’échappàt point, celle de Georges Bataille: La structure psychologique du fascisme.», op. cit., p. 596. Nello stesso saggio Monnerot precisa a proposito della distinzione omogeneo/eterogeneo: «Cette distinction couplée de l’homzogène et de l’hétérogène, je la dois à Georges Bataille qui, en fait, me la doit aussi. Javais, à l’époque, avec lui de longs échanges de vue sur la sociologie du fascisme» (Ibiderz, p. 748).
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sullo Stato (e sul partito) in quanto luogo di incanalamento dell’affettività rivoluzionaria. Interrogazione che tocca in primo luogo quella sorta di rimozione o cecità ottimista che è propria tanto dei «principi puri» degli anarchici quanto della «cattiva coscienza» dei comunisti e dei suoi «chierici», ma che investe simultaneamente la necessità di una ridefinizione della lotta di classe e della Rivoluzione a partire dalla messa in luce della funzione centrale — per ogni struttura sociale — del dispendio improduttivo. «Les composantes de la lutte de classes sont données dans le processus de la dépense è partir de la période archaique», aveva scritto Bataille nell'articolo La notion de dépense, del gennaio 1933, enunciando attraverso l’analisi del «potlatch» di Mauss, la subordinazione del principio della produttività al bisogno della perdita, della distruzione . «La Révolution est en fait non simple utilité ou moyen mais valeur liée à des états désintéressés d’excitation qui permettent de vivre, d’espérer et au besoin de mourir atrocement», egli precisa nel novembre 1933, nella recensione a La condition humaine di Malraux ®. E se
nulla prova che le conferenze annunciate su «Masses» possano essere attribuite a Bataille piuttosto che agli altri membri del «corso di sociologia», nondimeno tali conferenze (alcune di esse) si rivelano estremamente vicine alle preoccupazioni che portano lo scrittore a riflettere in quegli anni sul «capitale energetico» £° proprio del movimento spontaneo delle masse e sullo statuto dell’intellettuale che delle masse deve farsi coscienza critica. Problematica che, ritagliando il dibattito, estre-
mamente vivo nel periodo fra le due guerre, intorno al rapporto tra intellettuale e partito *, chiama in causa, da un lato, l’«idealismo» di Breton e dei surrealisti,
dall’altro, l’ortodossia del «funzionario di partito», il cui modello — come scrive Jean Borreil alludendo a Barbusse e Romain Rolland — sarebbe la figura del grande umanista o, in termini diversi, «L’intellectuel professionnel [...] celui qui bénéficie d’une reconnaissance sociale suffisante pour faire effet publicitaire sans pour autant, d’un còté, apparaître comme un révolutionnaire forcené, de l’autre, se
60 Nella società borghese, caratterizzata dalla subordinazione del dispendio al principio dell’utile, da un’atrofia del dispendio, la lotta di classe costituisce la «più grandiosa forma di dispendio sociale»: a patto — scrive Bataille in Le problème de l’Etat — che la coscienza rivoluzionaria si ponga come «coscienza lacerata e infelice». Non diversamente da ciò che Georges Sorel aveva detto in Réflexions sur la violence circa la «volontà di liberazione» insita nel pessimismo, Bataille contrappone all’ottimismo impotente del comunismo la «violenza della disperazione, l’«angoscia liberatrice»: «Dans le malheur seulement, elle [l’affectivité révolutionnaire] retrouve l’intensité douloureuse sans laquelle la résolution fondamentale de la Révolution, le ni Dieu, ni maîtres des ouvriers révoltés par sa brutalité radicale», Le problème de l’Etat, in O.C., I, p. 334. 61 Georges
Bataille, Ma/raux,
in O.C., I, p. 373.
6 Cfr. Jean Pierrot, Georges Bataille et la politique (1928-1939), in AA.VV., Histotre et littérature. Les écrivains et la politique, Paris, P.U.F., 1977, p. 154.
6 Rimando, su questo argomento specifico, al saggio di Alberto Castoldi, Intellettuali e Fronte Popolare in Francia, Bari, De Donato,
1978.
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meéler de stratégie politique, encore moins de la ligne du Parti, celui qui, en somme, préte son Nom è l’utilisation» *. In tal senso, se l'articolo La «vieille taupe» et le préfixe «sur» dans les mots «surhomme» et surréalisme, scritto da Bataille per la rivista «Bifur» ©, si fa leggere come polemica denuncia della «deviazione icariana» in atto, nel 1931, nelle scelte e nella lotta politica dei surrealisti, la messa in causa di Zola nella recensione al Voyage au bout de la nuit di Céline, apparsa su «La critique sociale» nel gennaio 1933, si può forse interpretare come un attac-
co implicito alla figura più prestigiosa del P.C.F., Barbusse, che dell’autore di J'accuse aveva fatto, sulle pagine di «Monde», il suo intellettuale modello ‘. Ancor più sotterraneamente, ciò che, nel 1933, l'interrogazione di Bataille sottende è la presa di posizione di Heidegger in favore del nazionalsocialismo: esplicitata nel giornale «Der Alemanne» del 3 maggio e in «Breisgauer Zeitung» del 4 maggio, reiterata nel clamoroso appello a Hitler del 12 novembre ”, tale adesione costituisce di fatto ciò contro cui Bataille pensa, attraverso i «groupes d’études Masses», la prima forma di comunità, ciò su cui non cesserà di
ruotare, negli scritti posteriori alla guerra, la sua riflessione intorno al pensiero di Heidegger (bisogno febbrile di differenziarsi dalla filosofia di Heidegger, che affiora nell’Expérience intérieure *).
6 Jean Borreil, A propos de Georges Bataille. Echapper è la boiterie? «Raison présente», 63, 3° trimestre
1952: pi 22°
© Il testo figura nel II volume delle Oeuvres Corzplètes di Georges Bataille, op. cit., 1972. Cfr,
sulla polemica di Bataille contro il surrealismo intorno agli anni Trenta, l’articolo di Denis Hollier Le savoir formel, «Tel Quel», n° 34, estate
1968.
°° Sull’opposizione che si delinea in quegli anni tra surrealisti
e P.C.F. cfr. Maurice Nadeau,
Histoire du surréalisme. Documents surréalistes, Paris, Seuil, 1948; Franco Fortini, I/ movimento surrealista, Milano, Garzanti, 1959; Jean-Pierre Bernard, Le parti communiste francais et la question littérai-
re, 1921-1939, Grenoble, Presses Universitaires de Grenoble, 1972; Arturo Schwarz, André Breton, Leone Trotskij, Roma, Savelli, 1974; Per conoscere André Breton e il surrealismo a cura di Ivos Margoni, Milano, Mondadori, 1976; Jacqueline Risset, André Breton, un surrealismo socialista? «Quaderni
storici», gennaio-aprile 1977. Nel giugno 1933, com'è noto, Alquié, Breton, Eluard, Crevel vengono espulsi dal P.C.F. °° Come una replica esplicita ad Heidegger, «le dernier astre levé au ciel de la philosophie idéaliste, naziste au surplus», va interpretato, su «Masses», l'articolo di Aimé Patri, Physigue et matérialisme. La place de la théorie de la relativité dans une synthèse matérialiste, del novembre 1933. 9 In una nota relativa a L’expérience intérieure (1943) Bataille scrive: «Je ne veux pas étre mis à la suite de Heidegge: [...] Ma pensée, c'est possible, en quelques points procède de la sienne [...] Jai choisi néanmoins de tout autres chemins». E ancora: «Quand je publierai (j'achève au moment où jécris un ouvrage d’«économie générale» intitulé La Part maudite) non plus des fragments [...] mais un ensemble cohérent, l’on verra des chemins que j'ai suivis qu’ils s’écartent profondément
de ceux de Heidegger», Georges Bataille, L’expérience intérieure, in O.C., V, pp. 474-475. Cfr. inoltre l'articolo che Bataille pubblica nel dicembre 1947 su «Critique», De l’existentialisme
au primat de l’économie, dove la «coscienza dell’autentico» di Heidegger si contrappone all’«autenticità» di Kierkegaard, nonché il saggio di Jean-Luc Nancy, La communauté désoeuvrée, «Aléa», n° 4, primavera 1983, ripreso nel volume, dal titolo omonimo, particolare pp. 40-42).
Paris, Christian Bourgois,
1986, (in
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Tralasciando i titoli i cui termini sembrano rispondere piuttosto alla teoria marxista della determinazione economica dei fatti sociali, converrà soffermare l’attenzione su quei punti dello schema del «corso» dietro i quali si profila —
sotto l'angoscia della morsa fascista — ciò che al momento degli accordi di Monaco lo scrittore avrebbe chiamato, nell’ambito del «Collège de Sociologie», la «crisi mortale delle democrazie» ®: il primo, «Les formes d’oppression sociale», articolato in tre conferenze: «La religion et la famille». Les différents points de vue: marxisme, sociologie frangaise, psychanalyse», annunciata per il 5 dicembre 1933 e poi rinviata al 2 gennaio 1934; «Royanté, Nation et Patrie», anche
questa spostata dal 16 gennaio al 7 febbraio 1934: «L’Armée», per la quale viene indicata la data del 30 gennaio 1934. Il secondo, «Les formes politiques modernes», articolato in una sola conferenza: «La démocratie bourgeoise», annunciata per il 24 gennaio 1934”, Fatta astrazione del contesto storico immediato, si potrebbero evocare, per ognuno di questi titoli, le prese di posizione collettive di «Contre-Attagque» o addirittura alcune conferenze di Bataille nell’ambito del «Collège de Sociologie». La vie de famille è, nell'unico «Cahier de Contre-Attaque» che vide la luce, il titolo del «tract» con cui Bataille e Jean Bernier denunciano la prima forma di oppressione sociale. «La famille est le fondement de la contrainte sociale», ribadisce un altro volantino di «Contre-Attaque», La patrie et la famille, incentrato sulla trilogia patriarcale padre/patria/padrone ”. E, nell’ambito del «Collège», basterebbe citare i titoli di due comunicazioni (i cui testi non sono stati peraltro ritrovati): la prima è «Structure et fonction de l’armée», del 5 marzo 1938, per la quale Denis Hollier rimanda ad alcune pagine del fascicolo «Essais de sociologie» incentrate sull’esercito ?, sebbene la conferenza annunciata su «Masses» col titolo «L’ Armée» evochi in primo luogo quanto Bataille scrive, a partire dell’analisi di Freud dell’esercito sul potere militare nel saggio La struc-
5? Cfr. Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, op. cit., p. 335. 70 Cfr., circa le date di tali conferenze, i numeri di «Masses» del 25 novembre e del 25 dicem-
bre 1933, e inoltre il numero del 20 gennaio 1934. 71 Georges Bataille, «Contre-Attaque»,
O.C., I, p. 393.
72 «L’analyse de Bataille oppose l’armée, d’une part au reste de la société, à son économie civile (opposition armée-usine), d’autre part au monde religieux (opposition guerre-tragédie). Le premier point est à mettre en rapport avec la condamnation par Mauss des régimes totalitaires, militarisation de l'espace social sur toute sa surface par le parti, économie de camp imposée è la vie civile. Le second point se situerait au cerrefour des rèflexions de Freud au chapitre 5 de Psychologie collective et analyse du moi («Deux foules conventionnelles: l’Eglise et l’armée») et des travaux par lesquels Dumézil fait apparaître la double nature de la fonction souveraine, tour à tour mais à la fois religieuse et armée», Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, op. cit., p. 255.
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ture psychologigue du fascisme ”; la seconda è «La structure des démocraties» del 13 dicembre 1938, anch'essa riportata ad alcune note di Bataille prossime al federalismo di «Ordre Nouveau» e di «Esprit» ”*, sebbene anche in questo caso si possa presumere che la comunicazione annunciata su «Masses» col titolo «La démocratie bourgeoise» dovesse essere — almeno stando all’orientamento generale della rivista — abbastanza distante dalla tesi di «Ordre Nouveau» ?. In tal senso il «corso di sociologia» di «Masses» si situerebbe all'estremo opposto della «comunità virulenta» del «Collège»: non avrebbe, come il gruppo che si costituirà intorno a Bataille, Caillois, Leiris, la connotazione di «ordine», di «confraternità», né condividerebbe la sua ambizione di slittare «dalla volontà di conoscenza alla volontà di potenza» ”°. Le recensioni pubblicate su «Masses» ai due libri con cui Robert Aron e Arnaud Dandieu si erano imposti all'attenzione ?” non lasciano dubbi in proposito. Palesano anzi la crescente diffidenza della rivista nei confronti, non solo dello «spiritualismo rivoluzionario» 7 del movimento, ma anche di ciò che è dell’ordine della setta: se nel «Cahier cinquième» di «Masses» (1931) ciò che veniva contestato agli autori di Décadence de la nation francaise era di esaltare il primato dell’affettivo sul razionale attraverso il recupero della Patria (la «patria« è, secondo Aron e Dandieu, il dato «reale», concreto, che si contrappone alla comunità astratta della «nazione» ??), nel 1934 i termini dell’accusa si spingono, a proposito della concezione federalista della società sviluppata dagli stessi autori in La révolution nécessaîre, fino al sospetto di fascismo, e a muovere l’accusa è, poco dopo la dissoluzione del «corso di sociologia», uno dei suoi membri, Aimé Patri 8°.
7? In particolare nel capitolo «L’armée et les chefs d’armées». 7 Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, op. cit., p. 333. ? Non è senza significato che proprio nel numero di giugno 1933, nel momento in cui formalizza la sua scissione da «Ordre Nouveau» sospettato di contatti con gruppi legati al nazismo, la rivista «Mouvements» pubblichi il manifesto «Front commun contre le fascisme», creato nell’aprile del 1933 da Gaston Bergery e altri intellettuali, e un resoconto della rivista «Masses» Cfr. in proposito Jean-Louis Loubet del Bayle, Les non-conformistes des années 30, Paris, Seuil, 1969, pp. da 101 a 104. Cfr. inoltre, su «Front
commun», i numeri di «Monde» del 3 giugno (p. 3 e 16), 10 giugno (p. 14) e 24 giugno 1933 (pp. 15-16). "° Cfr. Denis Hollier, Le Collège de Sociologie, op. cit., p. 35. ”° Il saggio Décadence de la Nation Frangaise era uscito nel 1931, La Révolution nécessaire nel 1933. "8 Georges Bataille, En attendant la grève générale, in O.C., II, p. 255. ?? Diversamente dalla patria, scrivono Aron e Dandieu, la nazione è una creazione recente, legata
alla guerra: si definisce tramite la nozione di frontiere. Lo stato fascista moderno ne è la copia integrale — essi aggiungono — e per così dire purificata. k 8° «La décentralisation, c’est-à-dire le rattachement de chaque individu à des groupes étroits et limités qui rétrécissent son horizon et qui accroissent sa dépendance, est le plus beau système d’oppression que l’on puisse rèver. Elle a nécessairement comme conséquence l’existence d’un pouvoir coordinateur incontròlé (c'est ce que représente le roi pour l’Action frangaise)», così si esprime Aimé Patri in Une conception réactionnaire de la «Révolution», «Masses», giugno 1934, p. 16. Ma già in precedenza, nella scheda sul libro di Losovsky, Marx et les syndicats, Patri aveva messo sotto accusa «les préten-
tieux aliborons fascistes de l’Ordre Nouveau», cfr. «Masses», 20 gennaio 1934, p.11. Il libro di Aron e Dandieu, La Révolution nécessaire, che.nel «Projet de bibliographie» (in appendice)
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Sullo sfondo di questo polemico dibattito che, su un altro versante chiamava in causa, più tacitamente, anche l’ambigua posizione di Benda nell’Esquisse d’une histoire des frangais dans leur volonté d’étre nation ®® si possono comunque isolare — a partire dai termini del titolo della conferenza «Royauté, Nation et Patrie» — alcuni punti della riflessione che Bataille, nell’ambito del suo tentativo di definizione dell’eterogeneo *, consacra alla «rivoluzione fascista» e, simultaneamente, alle rivoluzioni di sinistra — quella bolscevica nella forma concreta dello Stato sovietico e quelle, potremmo dire, dei movimenti operai occidentali — (non va dimenticato che proprio nel 1934 — quando si esaurisce l’esperienza comunitaria di «Masses» — lo scrittore comincia a scrivere, senza portarlo a termine, il saggio Le Fascisme en France, dove egli affronta, non senza disagio, il difficile problema della convergenza tra fascismo e stalinismo *). Annunciata senza il nome dell’oratore per il 6 gennaio 1934 e poi spostata al 7 febbraio, è possibile, nell’atmosfera di tensione 0, come scrive Bataille stes-
so #, di «confusione paradossale» provocata dalla manifestazione fascista del 6 cita, tra l’altro, l'articolo di Bataille e Queneau, La critique des fondements de la dialectique hégélienne, apparso su «La Critique Sociale» del marzo 1932, era stato stroncato da Gerard Walter su «Monde» (23 dicembre 1933, p. 10). 81 Il libro era uscito da Gallimard nel 1932. Nell’Introduzione, Benda scrive: «Certaines person-
nes s’étonneront peut-étre de me voir admirer les Frangais pour l’art qu’ils ont montré à se former en nation, alors que j'ai, dans de précédents ouvrages, flétri l’application des hommes à s’affirmer sous ce mode comme une forme de leur impiété et condamné toute une corporation pour les avoir encouragé dans cette passion. Il n’y a là, de ma part, aucune contradiction: je persiste, du point de vue moral, à tenir la volonté des hommes de s’affirmer en nation come une forme du mal et à la condamner; mais jJadmire, si je me place ensuite, et uniquement, dans le plan de cette volonté, ceux qui l’ont su réaliser;
je persiste à penser que le temporel est méprisable si je le compare au spirituel; mais, jugeant le temporel en lui méme et non plus par comparaison, j'honore tous ceux qui y ont été grands. Au surplus, la nation se donne franchement pour une oeuvre laîque, et n'a nullement è étre blàmée parce qu'elle n’adopte pas la manière d’étre dont je persiste à dire qu'elle doit étre celle des clercs», pp. 8-9. 82 L’eterogeneo, di cui il sacro costituisce un aspetto, è così definito da Bataille: «[...] tout ce que la société borzogène rejette soit comme déchet, soit comme valeur supérieure transcendante», La structure psychologique du fascisme, in O.C., I, p. 346. 83 Nel breve frammento relativo al progetto del libro Le fascisme en France, Bataille scrive: «Ce ne sont pas les différences dans le régime de la production qui écartent l’emploi du terme fascisme pour désigner le communisme stalinien. La nationalisation pourrait aussi bien avoir lieu — par exemple au cours d’une guerre — dans un régime de type italien ou allemand sans que ce régime cesse d’ètre fasciste [...] Seules les survivances affectives de la révolution continuent à faire du communisme russe
une réalité distincte», Georges Bataille, Essais de sociologie, in O.C.,II, p. 208. Nel frammento successivo degli Essais de sociologie intitolato Essai de définition du fascisme, in cui precisa: «Des deux régimes ne peuvent étre distingués que par ce qui subsiste de leurs origines. Fascisme signifie union des classes (nécessairement au bénéfice de ceux qui commandent); bolchévisme si-
gnifie subversion de la société par les opprimés», egli aggiunge tuttavia: «Bien entendu, il reste hors de question de parler du fascisme à propos des communistes, en particulier des communistes staliniens, sous prétexte que leur action mène fatalement, un jour ou l’autre, à une société de type fasciste», Ibidem, pp. 215-216. 84 Georges Bataille, En attendant la grève générale, in O.C., II, p. 254.
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febbraio, che tale conferenza non sia mai stata pronunciata. Nondimeno i termini del titolo evocano l’opposizione che, per far luce sul fascismo, egli sviluppa tra questo movimento e i due regimi costituiti dall’autocrazia e dalla democrazia a partire dalla definizione della sovranità come forma imperativa dell’esistenza eterogenea: «La supériorité (souveraineté impérative) — egli scrive in tal senso — désigne l'ensemble des aspects frappants — déterminant affectivement attraction ou répulsion — propres aux différentes situations humaines dans lesquelles il est possible de dominer et méme d’opprimer ses sembables [...] à des circonstances différentes correspondent des situations définies, celle du père par rapport à ses enfants, celle du chef militaire par rapport à ses enfants, celle du chef militaire per rapport à l’armée et è la population civile, celle du maître per rapport à ses sujets. Il s’ajoute à ces relations réelles des situations mythologiques dont la nature exclusivement fictive facilite une condensation des aspects caractérisant la supériorité *. Più precisamente — se l’opposizione royauté/nation è ciò che consente allo scrittore, da un lato, di rimettere in causa il modello della Comune e della rivoluzione russa ancora dominanti nella teoria politica rivoluzionaria della sinistra # (anacronismo legato ad una sorta di feticizzazione dello schema marxiano della
presa di potere) e, dall’altro, di individuare nella «rivoluzione fascista» al tempo stesso ad una riattivazione e una variante dell’autocrazia, una «communauté cé-
sarienne» il cui capo altro non è se non l’emanazione della patria — la patria, in quanto principio elevato dal fascismo al valore di «forza divina», sarà ciò contro cui egli inscriverà, in «Acéphale», la «communauté de coeur» di cui Nymance è l’immagine tragica *. Partendo dall’opposizione tra società omogenea o borghesia e mondo eterogeneo, diviso, come il «sacro», in eterogeno basso o proletariato ed eterogeneo alto o sovranità imperativa (su questa opposizione lo scrittore tornerà tra l’altro in uno dei testi del fasciscolo «Essais de sociologie» intitolato La Royauté de l'Europe classique, datato intorno al 1939 *), Bataille introduce una prima differenziazione fondamentale: quella tra l’autocrazia o società monarchica reale e la democrazia dei regimi repubblicani o delle monarchie costituzionali, differenziazione che costituirà la base teorica della «rivoluzione reale» di «ContreAttaque»: «Les révolutions libérales ont résulté de la crise des régimes autocratiques — egli scriverà nel «Cahier de Contre-Attaque» — De la crise actuelle des Georges Bataille, La structure psychologique du fascisme, in Oeuvres Complètes, op. cit., T.I, p. 351. n° 1, il testo Vers la révolution réelle e in particolare il paragrafo intitolato «Conceptions anachroniques et conceptions vivantes de la révolution», Georges Bataille, O.C., I, p. 414. 8° Cfr., in «Les cahiers de CONTRE-ATTAQUE»,
87 «A L’UNITÉ CÉSARIENNE QUE FONDE UN CHEF, S'’OPPOSE LA COMMUNAUTÉ SANS CHEF LIEE PAR L’IMAGE OBSÉDANTE D’UNE TRAGÉDIE», «Acéphale», luglio 1937, perzilo
8 Questo testo figura nel secondo volume delle O.C. di Georges Bataille.
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régimes démocratiques doivent nécessairement résulter des révolutions d’un type différent, précédées de situations révolutionnaires différentes» ®. Nell’autocrazia, il mondo omogeneo — la borghesia — è strettamente legato all’eterogeneo rappresentato dal re, la cui sovranità si realizza in quanto concentrazione del potere religioso e del potere militare come radicale esclusione dell’eterogeneo basso. In tali condizioni che fanno dell’eterogeneo alto una «struttura immobile e immobilizzante» ®, solo il proletariato può entrare in movimento e diventare sovversivo (in tale prospettiva è analizzata, in «Contre-Attaque», la rivoluzione russa). In senso radicalmente opposto si producono le crisi dei regimi repubblicani dove l'istanza imperativa eterogenea — la nazione impersonale — è atrofizzata. Ciò che in essi diventa intollerabile non è più l’autorità, ma l'assenza di autorità”. La sovversione, oltre che nell’eterogeneo basso, il proletariato, può allora dirigersi, grazie ad un’organizzazione militarizzata (com'è il caso del partito fascista) nell'orbita della sovranità imperativa. Si assiste così a quella che, già nel 1924, Gramsci aveva definito una situazione storica senza precedenti, e a partire dalla quale egli aveva elaborato, in opposizione al tradimento riformista, la nozione di un fronte
unico dal basso e quella di partito come intellettuale collettivo ”: l’organizzazione di massa della piccola borghesia proletarizzata dalla crisi del capitalismo. Di conseguenza, a dispetto delle previsioni di Lenin, due rivoluzioni opposte si oppongono entrambe alla società omogenea e — scrive Bataille — il movimento operaio limitandosi ad agire unicamente come fattore destabilizzante, man mano che si affermano le possibilità rivoluzionarie, scompare la possibilità di una rivoluzione proletaria”). Questo schema, che inaugura una concezione ciclica della storia fondata, a
partire da Durkheim e da Mauss, sul rifiuto dell’identificazione tra il sociale e il contratto ”*, spiega l’angosciosa domanda che apre nel 1934 il saggio Le fascime en France: «le terme des déchirements provoqués par le capitalisme 82 Georges Bataille, Vers /a révolution réelle, in O.C, I, p. 414. 90 Georges Bataille, La structure psychologique du fascisme, in O.C., I., p. 368. 9 Id. Ibidem, p. 369. È ciò che Jules Monnerot nel saggio «Sociologie des fascismes», incluso nel volume Sociologie de la Révolution e improntato alla distinzione batailliana omogeneo/eterogeneo, avrebbe chiamato la «situation de détresse» il cui contraccolpo è una richiesta di potere (op. cit., p. 515). 22 Cfr. l’articolo La crisi italiana, «L'Ordine Nuovo»,
1 settembre
1924, in Scritti politici, op.
cit., T. III, pp. 95-106. Tuttavia all’assenza di autorità della democrazia borghese Bataille, in «ContreAttaque», opporrà la nozione di rzovimento organico elaborato, in opposizione speculare all’efferve-
scenza fascista, proprio a partire dal superamento del concetto di partito, mera espressione degli interessi di classe. Cfr., sulla nozione di «movimento organico» in Bataille, il saggio di Christian Limousin, Décomposition généralisée/composition révolutionnaire, «Gramma», Cahier 1, autunno 1974. % Georges Bataille, La structure psychologique du fascisme, in O.C., I, p. 370. L'idea, che verrà ripresa in «Contre-Attaque», domina anche le pagine intitolate Ex attendant la grève générale scritte all’inizio del 1934. % Questa concezione, che sarà sviluppata in «Acéphale» (luglio 1987, p. 23), si contrappone alla concezione marxista della determinazione economica dei fatti sociali. Ricalcando la definizione della società data da Durkheim in De la division du travail social, Bataille scrive in Le fascisme en France:
90
«Masses»: un «Collège» mancato?
et la lutte de classes, le terzzedumouvement ouvrier, ne serait-il pas simplement, cette société fasciste — radicalement irrationnelle, religieuse — où l'homme ne vit que pour et ne pense que par le Duce?» ”. La seconda differenziazione, introdotta in La structure psychologique du fascisme, ma ripresa in Le fascisme en France, evidenzia, a partire dallo schema di formazione della sovranità imperativa, ciò che distingue il fascismo, non solo dalla democrazia, ma dalla stessa autocrazia: «Le pouvoir fasciste — egli scrive — est caractérisé en premier lieu par le fait que sa fondation est à la fois religieuse et militaire sans que des éléments habituellement distincts puissent ètre séparés les uns des autres: il se présente ainsi dès la base comme une concentration achevée» %. Questa «condensazione di potere», che si attua, grazie al partito, secondo il modello affettivo mili-
tare, ma si fonda soprattutto sul valore religioso del capo, consente infatti al fascismo di realizzare quella riunione delle classi (il fascismo — rammenta Bataille — significa etimologicamente riunione ”) che l’autocrazia rifuggiva *, e di realizzare la riunione della sovranità e dello Stato, senza che peraltro lo Stato sia confuso con la nazione, il principio della sovranità del popolo incarnato da Mussolini ??. Egli scrive così in Le fascisme en France: «En tant que pouvoir organisé, le fascisme est le régime dans lequel la souveraineté appartient [...]à un parti militarisé qui délègue à vie cette souveraineté à son chef». E ancora [...] la société fasciste est tout entière dans l’Etat, l’Etat n’est que le domaine du parti souverain, qui s’identifie à la nation incarnée en la personne du chef» !°. In questa emergenza dello Stato, la nozione di patria diventa allora il medio termine attraverso cui far emergere, tra le nuove forme sociali del XX secolo, ciò che si potrebbe chiamare una sorta di mimetismo generalizzato. Accanto alla «compli«La société est [...] un étre unique et non une collection d’individus se liant par des contrats. Ce sont les luttes sociales qui représentent une situation pathologique dont le terme est nécessariement une réunion
autoritarie, exigeant l’individualisation du pouvoir, la forme monarchique». E ancora: «Il semble que seulement des civilisations relativement jeunes soient en proie è des luttes de classe: celles-ci peuvent créer jusqu'à un certain point la possibilité d’un régime s’appuyant sur la division et l’équilibre. Mais l’antagonisme s'amplifie un jour ou l’autre et devient trop aigu pour que la société puisse continuer à vivre sans lerésorber. Le fascisme représente aujourd’hui le travail de résorption nécessaire», O.C., II, pp. 211-212. ? Id. Ibidem, p. 210. 9% Id., La structure psychologique du fascisme, in O.C., I, p. 362. 97 Al movimento di riunione delle classi del fascismo che tradisce la «spaventosa regressione sociale dell'Europa sotto il segno dello Stato totalitario», Aimé Patri contrappone, nell’articolo Oà er est l’Espagne? («Masses», 25 dicembre 1933, pp. 5-6), l’effervescenza delle «forze di repulsione» libertarie della Spagna.
98 «Les rapports étroits du fascisme avec les classes misérables distinguent profondément cette formation de la société royale classique, caractérisée par une perte de contact plus ou moins tranchée de l’instance souveraine avec les classes inférieures», Georges Bataille, La structure psychologique du fascisme, in O.C., op. cit., T.I, p. 364. ? A proposito di Mussolini, Bataille scrive che egli ha «1° substitué le principe de la souveraineté de la formation fasciste individualisée au vieux principe démocratique de la souveraineté de la nation; 2° posé les bases d’une interprétation achevée de l’instance souveraine et de l’Etat», Ibidem, p. 365. 100 Georges Bataille, Le fascisme en France, in O.C.} II, p. 365.
Il percorso plurale: da «Documents» a «Acéphale»
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cità profonda» che lega i due opposti movimenti rivoluzionari prodotti dalla crisi dei regimi democratici !%, Bataille individua infatti, attraverso la messa in opposi-
zione tra bolscevismo e fascismo, la progressiva convergenza dei due regimi politici !°2: contrazione del primitivo impulso rivoluzionario russo ed evoluzione del partito bolscevico verso una struttura militare !° da un lato, imitazione, dall’altro,
dello stato autoritario russo sviluppatosi con la divinizzazione di Lenin e di Stalin !%, fenomeno a cui fa eco la valorizzazione del sentimento nazionale in seno al P.C.F., messa in luce da Aimé Patri in un articolo di «Masses» del luglio ’34 19. Tirando le somme di questa lunga digressione introdotta dal titolo della conferenza «Royauté, Nation et Patrie», e tornando al punto di partenza — la breve esperienza comunitaria di Bataille nei «groupes d’études Masses» — si potrebbe dire: interrogare il fascismo significa per il Bataille degli anni Trenta in primo luogo elaborare, nell’ambito dell’ultrasinistra in cui milita (nella duplice forma della riflessione teorica degli articoli della «Critique Sociale» e del tentativo, incapace di realizzarsi, di una comunità), una lente radicalmente
nuova
(se si
101 Id. Ibidem, p. 207.
102 Tale complicità si spiega, scrive Bataille, con la comunanza d’origine dei due movimenti: «Une méme société voit se former concurrement, dans une méme période, deux révolutions à la fois hostiles l’une è l’autre et hostiles è l’ordre établi. En méme temps le développement des deux fractions opposées à la dissociation générale de la société horzogène comme facteur commun, ce qui explique de nombreuses connexions et mème une sorte de complicité profonde», La structure psychologique du fascisme, in O.C., I, p. 370. 103 «Le fait que la militarisation du parti n’est pas formelle — il y a la discipline et la hiérarchie, il ny a ni l'uniforme ni la parade — doit étre encore rapporté aux origines subversives du régime [...] Toutefois il est certain que cet ensemble de caractères qui rappelle la jeunesse virulente de la révolution ne peut en aucun cas se renforcer, il se produit au contraire une atténuation lente. Dans
la presse russe actuelle, le mot patrie est de nouveau employé — patrie tout court et non plus patrie des prolétaires [...]», Le fascisme en France, in O.C., II, p. 208. La dittatura di partito è peraltro ciò che consente a Bataille di contrapporre il fascismo e il comunismo alle altre dittature nazionaliste contemporanee: «Les différentes dictatures nationalistes contemporaines (hongroise, espagnole, polonaise, turque, yougoslave) ne sont pas des dictatures de parti et n’ont pas sensiblement transformé la structure sociale de leur pays», Cfr., le note marginali a Le Fascisme en France, in O.C., II, p. 436.
104 «L’Etat mussolinien n’est que la réédition de l’Etat développé (malgré lui) par Lénine», Ibidem, p. 207. Su tale questione, Bataille tornerà in un articolo di «Critique» del gennaio 1948, Le sens de l’industrialisation soviétique.
105 Si tratta dell’articolo La conférence nationale du parti communiste, a proposito della quale Aimé Patri analizza, accanto a ciò che è rimasto immutato nel P.C.F. (il centralismo gerarchico), l'emergenza di nuo-
vi elementi: la preminenza della classe operaia sul partito, ma anche l’esaltazione del sentimento nazionale: [...] il [Maurice Thorez] recommande
aux militants d’éviter les manifestations anti-religieuses
intempestives et de ne pas manquer de souligner «leur amzour pour leur pays» pour ne pas heurter le sentiment religieux et le sentiment national», «Masses», luglio 1934, p. 5. L'evoluzione del P.C.F. verso il na-
zionalismo sarà denunciata anche da «Contre-Attaque»: cfr. il volantino A ceux qui n’ont pas oublié la guerre du droit et de la liberté, sottoscritto, tra l’altro, da Bataille, P. Kaan e Marcel Martinet.
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«Masses»: un «Collège» mancato?
esclude — come osserva Jacques Chatain — la ricerca perseguita negli stessi anni da Wilhelm Reich !%) con cui ripensare, contro la cecità della sinistra, il marxismo nei suoi fondamenti teorici e nella forma concreta del comunismo russo e del P.C.F.: in questa ottica va letta, nell’articolo Le problème de l’Etat del settembre 1933, polemica dichiarazione: «Contre toute vraisemblance, il semble encore à des nombreux communistes que le livre de Lénin, continue à répondre è toute difficulté possible» !° e alla quale sembrano far eco alcune note rapide, ellittiche, del Dossier «Hétérologie»: «Indiquer d’abord que Marx a été le jeu des lois de la polarisation quand il a prétendu remettre la dialectique sur ses pieds», e, in un frammento in rapporto con Le problème de l’Etat: «Echec du socialisme dans son ensemble» !°. Ma interrogare il fascismo con quella lente che egli elabora attraverso le «scienze borghesi» significa per lo scrittore al tempo stesso far emergere un suo disagio rispetto a certi presupposti teorici condivisi anche dall’ultrasinistra. Non ultimo, tra questi, quello dell’impermeabilità che la sociologia marxista palesava ancora verso la scuola sociologica francese. In tal senso non è arbitrario pensare che, così come la «Critique Sociale» aveva manifestato il suo disaccordo (rimasto poi imprecisato) nei confronti dell’articolo La notion de dépense, lo scrittore abbia potuto provare una sorta d’impaccio nel gruppuscolo luxemburghiano cui pure dovevano accomunarlo, tra l’altro, quel ricordo dei Soviet !9° cui allude Blanchot, e soprattutto l'esaltazione (contro il predominio del centralismo leninista) del movimento spontaneo delle masse — «bruit immense de la marée», come scriverà, forse lo stesso Bataille, in «Acéphale» !!°, con un’immagine straordinariamente vicina alla metafore marine predilette da Rosa Luxemburg per descrivere l’irrompere dell’efferscenza rivoluzionaria !!!. 106 Jacques Chatain, Georges Bataille, Paris, Seghers, 1973, p. 84. Il saggio Psicologia di massa del fascismo fu elaborato da Reich tra il 1930 e il 1933. Nel maggio 1934 esce su «Masses» una recensione su La crise sexuelle di Reich (il volume è pubblicizzato anche su «Monde»).
107 Georges Bataille, Le problème de l’Etat, in Oeuvres Complètes, op. cit., T. I, pp. 335-336. 108 Id., Dossier «Hétérologie», in O.C., II, pp. 172 e 175. 1° Sul principio dei Soviet è incentrato, in «Contre-Attaque», il volantino Pour un m0uvement paysan autonome, recante la firma di Jean Dautry e Henri Dubief, in O.C., I, p. 386. Il principio dei Soviet è peraltro centrale nel pensiero politico di Marcel Mauss. È utile rammentare che nell'articolo Appréciation sociologique du bolchévisme, pubblicato nel 1924 sulla «Revue de Métaphysique et de Morale», Mauss aveva imputato alla violenza rivoluzionaria, di derivazione soreliana, la re-
sponsabilità del fallimento dei Soviet, organo che egli accosta peraltro ad alcune teorie durkheimiane (cfr. in tal senso l'articolo Socialisme et bolchévisme, pubblicato su «Le monde slave», Nouv. série, n° 2, 1925, nonché il saggio Ur texte politique de Marcel Mauss di Florence Weber, «Critique», giugno-luglio 1984). In una lettera a Elie Halévy del novembre 1936, Sorel costituisce il termine medio attraverso cui Mauss istituirà un paragone tra bolscevismo e fascismo mussoliniano. 110 Cfr. «Acéphale», op. cit., n° 1, 24 giugno 1936, p. 7. 1! «Talvolta si riversa come una vasta marea su tutto l'impero — scrive Rosa Luxemburg in Sciopero generale, partito e sindacati a proposito del movimento della massa proletaria — «talaltra si divide in una gigantesca rete di magri torrenti: talora scaturisce dal sottosuolo come una fresca sorgente, talaltra si perde completamente nella terra», Scritti politici, op. cit., p. 327. Cfr. sulle metafore marine di Rosa Luxemburg, Daniel Guérin, Rosa Luxemburg e la spontaneità rivoluzionaria, op. cit., pp. 30-32.
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Più profondamente, ciò che è in gioco in questo spostamento dell’interrogazione di Bataille verso il terreno politico è un movimento di contestazione contro ogni forma di chiusura ideologica: «gesto eterologico» — scrive Denis Hollier nel saggio La prise de la Concorde — che va forse messo in rapporto con la problematica dell’Oei/ pinéa! sul complesso d’inferiorità, e in cui si dissolve la categoria della rappresentazione: «La structure politique fasciste met au jour le fond inconscient de tout système politique en tant qu'il repose sur la représentation (qui est tendanciellement monocéphale)» !!?.
Travolto dai moti fascisti del febbraio 1934 — così come il Collège de Sociologie sarà spazzato via dalla guerra ! — il «corso di sociologia» di Bataille, Kaan, Leiris, Patri, si scioglie senza aver portato a termine l’ambizioso programma enunciato all’insegna del motto di Lenin. Per tutti i suoi membri, ad eccezione di Aimé Patri, la sua dissoluzione significherà anche l’uscita dalla rivista. Un breve avviso, sul numero di «Masses» del marzo 1934, ne annuncia l’interruzione in termini che, pur ponendo l’accento sulla necessità di un piano di lotta efficace contro il fascismo, denunciano comunque una sorta di «manque» del corso stesso (mancato avvio del corso di cui lo spostamento di data delle conferenze sarebbe allora il segno? Crisi interna del gruppo? Inadeguatezza, per alcuni membri del gruppo, di un ambiente ancorato alla sociologia marxista?): «Sur la demande de nos élèves le cours de sociologie a été modifié» !!*. Quasi a vo-
112 Denis Hollier, La prise de la Concorde, op. cit., p. 231. Va rilevato che all’estate 1933 risalgono alcune pagine di Bataille, che costituiscono — come dirà lo scrittore stesso — gli «antecedenti» della sua «esperienza interiore», cfr. L’expérience intérieure, in O.C., V, pp. 80-91.
153 Cfr. Denis Hollier A /’en-téte d’Acéphale, in Le Collège de Sociologie, op. cit., p. 15. 114 Si legge poi: «La lutte contre le fascisme est la préoccupation dominante de l’heure. Il est indispensable d’en comprendre la nature et le but si l’on veut le combattre efficacement et le vaincre. C'est dans ce sens que nous orientons nos efforts. Nous espérons que nos camarades participeront nombreux au travail de classification que nous entreprenons». Questo «lavoro di classificazione si precisa attorno a 4 punti: 1) «Les libertés démocratiques, leur origine et leur signification dans les luttes ouvrières»; 2) «Comment le jeu des libertés démocratiques est faussé par l’empire du Capitalisme sur la vie et les institutions publiques»; 3) «Le programme anti-fasciste de transition: a) Revendications économiques b) révendications politiques c) plan d’action»; 4) «Nature du fascisme, réle des classes moyennes et des classes dirigeantes dans son aboutissement». Per quanto concerne Bataille, leggasi la seguente nota autobiografica, all’inizio dell’ Expérience intérieure,: «En 1933, je fus une première fois malade; au début de l’année suivante, je le fus de nouveau davantage»; e qualche riga oltre: «Me croyant mieux, voulant me refaire au soleil, jallai en Italie, mais il plut (c’était au mois d’avril)», Georges Bataille, O.C., V, p. 90. Cfr. anche quantolo scrittore scrive nella Notice A4tobiographigue pubblicata nel settimo volume delle sue Oeuvres Comzplètes: «Le Cercle communiste démocratique cesse d’exister en 1934. A cette date, Bataille connaît après quelques mois de maladie une crise morale grave. Il se sépare de sa femme. Il écrit alors Le Blex du ciel [...]», op. cit., 1976, p. 461.
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ler render più tangibile questa presa di distanza, il nuovo corso si affretta a ripristinare la formula «Studi sociali» dei primi «corsi di sociologia» di «Masses» (simultaneamente ricompare nella rivista il nome di Angelo Tasca !!). Poco tempo dopo, Bataille, formulando il programma rivoluzionario di «ContreAttaque» proprio a partire dalla messa in scacco del movimento operaio ad opera del fascismo, elaborerà la sua contrapposizione all’effervescenza patriottica, comune ai «Croix-de-Feu» e ai comunisti, come un ritorno alla Terra !!: La patrie ou la Terre sarà allora il titolo del volantino che, nel «Cahier de Contre-Attaque,», egli firmerà con uno dei membri del «corso di sociologia» di «Masses», Pierre Kaan. La terra come figura della comunità universale contrapposta all’imperialismo bellicoso della «nazione» contro cui la rivista di Lefeuvre aveva incentrato la sua strategia rivoluzionaria, ma anche come il ventre materno e incandescente delle divinità ctonie, mondo non più subordinato a un bisogno produttivo, ma votato al dispendio, all'esplosione incondizionata di ogni sua parte !!; la Terra, infine, come il sottosuolo «decomposto e ripugnante» in cui, lontano dalle «regioni radiose del cielo solare» e da regressioni icariane, si prepara — come egli stesso aveva scritto in La valeur d’usage de Sade — il movimento sacrificale della Rivoluzione !!8.
!!> Cfr., nel numero di «Masses» del giugno 1934, la Réponse de A. Rossi à notre enquéte sur ‘Dictature prolétarienne er démocratie,’ incentrata sul principio dei Soviet ma sul rifiuto del modello russo, e, nel numero di «Masses» del luglio 1934, l’annuncio (relativo al giovedì 12 luglio) di una conferenza di A. Rossi, nella sala «Au clair de la lune» di Place d’Italie, sul tema «Le manifeste communiste».
!!° Già in una nota relativa a La rotion de dépense, Bataille aveva scritto «remarquer que la bourgeoisie est la négation de la terre tragique dans ses pensées et dans ses actes», in O.C., I, p. 667. 117 È in tal senso che «Contre-Attaque» rivendica, tra i precursori della rivoluzione morale, Nietzsche, «la voix de celui qui a eu le sens de la Terre», Ibiderz, p. 392.
118 A proposito di questo saggio, che figura nel secondo volume delle Oeuvres Complètes di Bataille, Jean Pierrot, nel suo articolo, già citato, Georges Bataille et la politique (1929-1939), suggerisce
la data 1932/1933.
CARLO
PASI
L’HÉTÉROLOGIE E «ACÉPHALE): DAL FANTASMA AL MITO
J'aimerais affirmer agressivement le lien de la pensée et de l’horreur. Faute d’ètre liée è une peur accablante, è l’horreur criée, la pensée me semble è còté du monde et de l’étre qu’elle exprime». Georges Bataille VI, 367 L’esperienza conoscitiva in Bataille, ciò che la rende ancora oggi inaccettabile, deriva in gran parte dalle spinte affettive, le trame del desiderio che ordiscono il suo universo fantasmatico e dalla urgenza di esplorarne con lucidità e rigore le intricate costellazioni. In alcune note preliminari al Dossier de l’oeil pinéal* (databile intorno agli inizi degli anni trenta), raccolto fra i suoi scritti postumi (e sono soprattutto tali testi frammentati, occultati e rimossi a costituire la materia sotterranea che è indispensabile interrogare per un approccio più interno, «adesivo» alla sua opera), Bataille formulava in questi termini la sua esigenza di definizione di una antropologia mitologica, alimentata dal fantasma:
«Caractère libératoire des fantasmes. Nécessité de s’en tenir en anthropologie è autre chose qu’à la science ou è la philosophie pour le début et de représenter les choses par des fantasmes» È il fantasma a sostituire il concetto per la costruzione di una conoscenza altra, «eterologica», che travalichi i confini del pensiero razionale. L’antropologia mitologica nasce quindi come volontà rabbiosa di spezzare il cerchio normativo della filosofia e della scienza tradizionali, i sistemi di disciplinamento e le strategie teoriche dall’alto, 2, per porsi come nucleo esplosivo di una visione lacerata e problematica dell’uomo: ! Cfr. Notes al Dossier de l’Ocil pinéal, Plan, in O.C., II, p. 413) ? Per una critica dei «sistemi teorici» come «modelli e strutture di disciplinamento» cfr. A. Gargani, I/ sapere senza fondamenti, Torino, Einaudi, 1975; vedi soprattutto I Rituali epistemologici, 2 Le strategie teoriche dall’alto: «È indubbio che alla costruzione di modelli teorici nella forma di sistemi di disciplinamento attraverso statuti di esclusioni e di permissioni, sono risultate funzionali le tecniche concettuali che consentivano procedure di regolamentazione e di disposizione per così
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L’Heétérologie e «Acéphale»: dal fantasma al mito
«La philosophie a été jusqu'ici, aussi bien que la science, une expression de la subordination humaine et lorsque l’homme cherche à se représenter non plus comme un moment d’un processus homogène — d’un processus nécessiteux et pitoyable — mais comme un déchirement nouveau à l’intérieur d’une nature déchirée, ce n'est plus la phraséologie nivelante qui lui sort de l’entendement qui peut l’aider: il ne peut plus se reconnaître dans les chaînes dégradantes de la logique, et il se reconnaît au contraire — non seulement avec colère mais dans un tourment extatique — dans la virulence de ses fantasmes». ?. Sono qui presenti, seppure in forma embrionale, i diversi registri — fantasmatico, mitologico, sociologico, politico — su cui si inscriverà il pensiero trasgressivo di Bataille. Risalta in primo piano l’insubordinazione del fantasma, che è strappo, lacerazione del processo totalizzante della ragione, ‘ rifiuto del principio di autorità per un rovesciamento della sfera alta del padre — Dio, capo, intelletto — e l’insurrezione del basso, intesa in prima istanza come rivolta del figlio e l'aspirazione a un nuovo assetto comunitario: fondato sul delitto ?. «Un fantasme répond en maître et non en esclave: il existe comme un fils libre après une longue souffrance sous la férule jouissant diaboliquement et sans remords du meurtre de son père». Questa aggressione contro l’ordine alto, innescata da una rabbiosa pulsione conoscitiva, segna il passaggio dall’impensabile («le désir de meurtre) © al fandire dall’alto. Tradizionalmente a tali strategie è risultato strettamente solidale il modello oggettuale in varie forme. In ogni caso per strategia teorica dall’alto intendo l’attribuzione a costrutti e a formule simbolico-concettuali di un potere generale e complessivo di disciplinamento delle procedure intellettuali e delle operazioni sul simbolismo, nonché dei comportamenti pratici attraverso mosse-standard di regolamentazione».
? Dossier de l’oeil pinéal, cit., p. 22. * Cfr. A. Gargani, La scienza e il disciplinamento della vita umana, 1 La strategia del fondamento, in op. cit., p. 77: «L'’universalità o generalità in quanto funzioni decisionali rispecchiano l’assetto di una regola, di un comando non passibili di eccezioni o di revoche, ma assolvono al compito di convogliare entro un modello di condotta compatto e unitario i comportamenti umani. Lo statuto di generalità di un codice pratico assolve la funzione di esaltare l’efficacia di un comportamento
dirigendolo nella direzione di un modello esclusivo di condotta. La generalità è in tal modo prima che un coefficiente concettuale, la funzione statutaria di una decisione, di un comando per i quali non si prevede alcuna devianza. Contemporaneamente essa ha il compito di determinare con efficacia la condotta in una direzione di un certo tipo, esaltandola attraverso la distruzione dei modelli alternativi e possibili di comportamento, mediante la loro degradazione allo statuto di empiria». ? Notes al Dossier de l’oeil pinéal, cit.pp.415-16; Naturalmente per il tema dell’«uccisione del padre» come fondazione di un nuovo assetto sociale Bataille di rifaceva a Toterz und tabu di S. Freud (tr. fr. Paris, Payot, 1923).
d
° Per il «désir de meurtre» e il passaggio dell’impensabile al fantasmabile in Sade, cfr. P. Aulagnier, L'Apprenti-Historien et le maître-sorcier. Du discours identifiant au discours délirant, P.U.F., 1984, PANDA
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tasmabile e colloca Bataille sullo stesso piano di un autore che la cultura surrealista, negli stessi anni considerava come un modello di rivolta, senza tuttavia accettarne le punte più pericolose e aberranti. È intorno all’immagine di Sade che si focalizza infatti, emblematicamente il contrasto fra G. Bataille e A. Breton con
la pubblicazione del Secondo manifesto surrealista.? Ed è intorno a Sade e attraverso Sade che Bataille costruisce la sua teorizzazione mutile e asistematica della conoscenza «eterologica». Breton non poteva che rifiutare l’immagine del vecchio libertino intento a sfogliare, nel manicomio di Charenton, i petali di una rosa per poi gettarli nella poltiglia di uno scolo. Nella sua ottica sublimante soltanto la metafora poetica poteva entrare in gioco e venire accettata; l’interpretazione simbo-
lica del gesto avrebbe così eliminitato ogni bassa contaminazione. Per lui c’era qualcosa di ossessivo e malsano nella cupa rappresentazione batailliana che finiva per disgustarlo obbligandolo a prendere le distanze. La valeur d’usage de D.A.F. de Sade, all’interno di cui assistiamo alla prima for-
mulazione della «eterologia» bataillana, vuole essere la risposta, sconvolgente e aggressiva alla censura di Breton. Sade è accostato, in vertiginosi allacciamenti in cui sembra di intravedere rischiose incursioni nelle pieghe più arcaiche della psiche, agli aspetti primari del suo universo fantasmatico in cui sono le rappresentazioni escrementizie a venire inscenate. E ricordiamo qui che per Bataille, l’orrore degli escrementi costituisce, come chiarirà più tardi, il rimosso più profondo nel passaggio dall’animale all’uomo, tanto che non lo si annovera neppure fra i tabù fondamentali: «Mais on ne parle méme pas de l’horreur des excreta, qui est uniquement le fait del’homme. Les prescriptions qui touchent généralement nos aspects orduriers ne sont l’objet d’aucune attention réfléchie et ne sont méme pas classées au nombre des tabous. Il existe ainsi une modalité du passage de l’animal à l’homme si radicalement négative qu’on n’en parle pas. On ne le met pas au compte des réactions religieuses de l’homme, tandis qu’on y met les tabous les plus insignifiants. Sur ce point, la négation est si parfaitement réussie que l’on tient pour peu humain méme d’apercevoir et d’affirmer qu'il y a là quelque chose (Histoîre de l’érotisme (1950-51) O.C. VIII, p. 44). * ? Cfr. G. Bataille, Dossierde la polémique avec A. Breton, in O.C., cit., vol. II, pp. 51-109; sui tredici frammenti di incerta datazione (ma da situarsi probabilmente agli inizi degli anni trenta), che costituiscono l’intero «dossier», solo due: La valeur d’usage de D.A.F. de Sade, e La «vieille taupe» et le préfixe sur dans les mots surbormme et surréaliste, possono considerarsi come compiuti. Bataille rispondeva in un certo senso all’attacco assai duro di Breton (dopo aver partecipato con Le lion chétré, al «tract» collettivo Un cadavre contro Breton) nel Second manifeste du surréalisme (1930), attacco che si chiudeva nel nome di Sade: «Que si l’on m’oppose encore «le geste confondant du marquis de Sade enfermé avec les fous, se faisant porter les plus belles roses pour en effeuiller les pétales sur le purin d’une fosse» [cit. dal Largage des fleurs di Bataille], je répondrai que pour que cet acte de protestation perde son extraordinaire portée, il suffirait qu'il soit le fait, non d’un homme qui a passé pour ses idées vingt-sept annnées de sa vie en prison, mais d’un «assis» de bibliothèque». 8 Histoire de l’érotisme, in O.C., VIII, p. 44.
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Nelle pratiche vergognose ed infette dell’opera sadiana ove l’abiezione rivela la più nuda verità dell'essere, si delinea la popolarità elementare che scandisce il funzionamento di ogni organizzazione psicofisica, ridotto alla sua essenza: «le prendre en soi, le rejeter hors soi» — secondo la formulazione di Piera Aulagnier ? che aggiunge: «ces deux activités s’accompagnent d’un travail de métabolisation du «pris» qui le transforme en un matériau du corps propre, les résidus de cette opération étant expulsés du corps». Ora, per Bataille, i surrealisti hanno compiuto con Sade la stessa operazione fisiologica qui descritta, riducendone il «valore d’uso» ad un semplice atto escretorio per liberarsene definitivamente: Il semble ainsi que l’oeuvre et aujourd’hui d’autre valeur d’usage créments dans lesquels on n’aime (et violent) de les évacuer et de
la vie de D.A.F. de Sade n’aient pas que la valeur d’usage vulgaire des exle plus souvent que le plaisir rapide ne plus les voir. !°
I surrealisti si sono dunque appropriati di un elemento eterogeneo e discordante, lo hanno trasformato in una sostanza omogenea, compatibile con il proprio funzionamento idealizzante e ne hanno espulso i resti inassimilabili, cancellandone così l'essenza più scandalosa. Sade, come un corpo estraneo, «n’ést l’objet d’un transport d’exaltation que dans la mesure où ce transport en facilite l’excrétion». !! Il mondo sadiano, nelle sue punte più sconvolgenti e innovatrici appare invece irriducibile. L’irruzione delle forze escremenziali — [«violation excessive de la pueur, algolagnie positive, excrétion violente de l’objet sexuel lors de l’éjaculation projeté ou supplicié, intérét libidineux pour l’état cadavérique, le vomissement, la défécation]. — ne costituisce il supremo valore trasgressivo. C’è sempre un soprassalto di orrore di fronte a tali condensazioni dell’eccesso: ed è ciò che dovrebbe impedire il contatto limpido e esaltato, l'ammirazione e l'accettazione inconsapevole. È l’aver trascurato questo scarto, il margine che preserva ed esclude ogni esperienza dell’abnorme, è quella appropriazione facile e immediata che deve insospettire nei confronti dei diversi tentativi apologetici compiuti dai surrealisti. Il mondo sadiano era stato rapidamente assimilato perché se ne erano espunte le escrescenze dell'orrore: levigato e corretto poteva essere integrato in una costruzione organizzata sul rifiuto dell’abnorme. Sade subiva così un processo di normalizzazione ed integrazione nella dimensione letteraria che, eliminando ogni confronto sul terreno della prassi, permettesse il recupero, attraverso la sublimazione, delle fantasie più irregolari. In Sade si sarebbe dovuto rispettare quel fondo sinistro, proibito. Come dirà Blanchot «in Sade bisogna almeno rispettare lo scandalo». ? P. Aulagnier, La Violence de l’interprétation, P.U.F., 1975, p. 54. 10 La valeur d’usage de D.A.F, de Sade, cit., p. 70. é! Ivi, p. 56;
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Bataille pone invece in rilievo il valore di questo corpo estraneo focalizzando dell’universo sadiano gli elementi più degradati e corruttori, le pratiche perverse che costituiscono il campo dell’eterogeneo, di ciò che non potendo essere assimilato, appartiene alla dimensione escretoria. Ciò che è espulso acquista importanza proprio in quanto espulso, oggetto di rifiuto ed in grado di conservare intatta la sua carica negativa. Appare allora una nuova potenzialità, rispetto alla concezione surrealista (al valore d’uso di Sade) della funzione escretoria, definita da
Bataille funzione escretoria complessa, in quanto non serve ad eliminare il corpo estraneo per liberarsene definitivamente, ma a rilevarne, ad accentuarne invece l’estraneità più totale, irrecuperabile. L’escrezione diventa allora il segno determinante di ciò che nella sua incompatibilità permane come differenza, inquietante e irriducibile. Sade, come corpo estraneo, inassimilabile, è il «totalmente altro» — das ganz andere — ed appartiene in questo senso al dominio del sacro. Bataille utilizza qui la formula che Rudolph Otto, riprendendo il termine dalle Uparisad, aveva usato nel suo libro sul Sacré (Das Heilige) ** per indicare il divino. Anche E. Durkheim nelle sue Forzzes é/érzentaires de la vie religieuse (1925) aveva colto nell’«eterogeneità» più assoluta il tratto distintivo del sacro, ciò che lo separa dal profano e lo rende completamente altro:
«La division du monde en deux domaines comprenant, l’un tout ce qui est sacré, l’autre tout ce qui est profane, tel est le trait distinctif de la pensée religieuse. Mais, si une distinction purement hiérarchique est un critère à la fois trop général et trop imprécis, il ne reste plus pour définir le sacré que leur hétérogénéité». ! Ma Bataille sembra voler accentuare a sua volta l’aspetto siristro del sacro, quel che ne costituisce il polo originario, repulsivo, ciò che appartenendo al mondo «inferiore» è irrimediabilmente escluso dalle forme sublimi del divino, dalla sfera «superiore» ed omogenea del «paterno»: «Mais il faut largement tenir compte du fait que les religions opèrent à l’intérieur du domaine sacré une scission profonde, le divisant en monde supérieur (céleste et divin) et en monde inférieur (démoniaque monde de la pourriture); or une telle scission aboutit nécessairement à l’homogénéité 12 Cfr. R. Otto, Das Heilige, tr.fr. a cura di A. Jundt, Le Sacré Paris, Payot,
1929; Già in
una nota dell’articolo su L’Art prizzitif, apparso su «Documents», 7 (1930), Bataille a partire dalla nozione di Otto, introduceva per il sacro, il termine di «altération» che fu poi abbandonato per il termine «eterogeneo»: «Le terme d’altération a le double intérét d’exprimer une décomposition partielle analogue è celle des cadavres et en méme temps le passage è un état parfaitememnt hétérogène correspondant è ce que le prof. protestant Otto appelle le tout autre, c’est-à-dire le sacré, réalisé par exemple dans un spectre». 3 E. Durkheim,
Les forzzes élémentaires de la vie religieuse Paris, Alcan,
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progressive de tout le domaine supérieur (seul le domaine inférieur résistant à tout effort d’appropriation). Dieu perd rapidement et presque entiè&rement les éléments terrifiants et les emprunts au cadavre en décomposition pour devenir, au dernier terme de la dégradation, le simple signe (paternel) de l’homogénéité universelle». !*
La repulsione scaturisce dalla differenza. Il dissimile è l’inassimilabile, l’oggetto dell'orrore: — Et inhorresco et inardesco — aveva detto St. Agostino citato da Ot-
to, riferendosi al divino — Inhorresco in quantum dissimilis ei sum. Inardesco iin quantum similis ei sum». ! Lo spazio sacro, inteso come il «tout autre», il completamente altro, è il luogo della intensificazione ed accelerazione delle forze disgreganti, eccessive e in tal senso concentra vertigine ed orrore secondo l’accezione etimologica della parola «sacer» in cui
convivono gli opposti di attrazione e repulsione. Ed anche la parola greca «agios» esprimeva la stessa ambivalenza. Per questo Bataille aveva pensato di chiamare la sua eterologia «science de ce qui est tout autre», anche agiologia o in modo più scandaloso ed espressivo «scatologia» '° (in cui sarebbe stato l'aspetto della «souillure» di deri, vazione più esplicitamente sadiana a venir posta in rilievo). È infatti soprattutto l’elemento degradato ed espulso, l'aspetto «basso» e repulsivo della «souillure» in grado di sommuovere forze devastanti a caratterizzare la dimensione sinistra del sacro che interessa Bataille !”. E occorre notare come Bataille, ritornando sul problema del «sacro» durante l’esperienza del Collège de Sociologie, alcuni anni più tardi insisterà ancora sulla priorità dell'elemento ripugnante !* (in gran parte rimosso e la cui presa di coscienza fu legata per lui all’esperienza analitica) all’interno della bipolarità fondamentale di attrazione e repulsione che lo caratterizza, nel momento in cui sarà visto come nucleo centrale aggregante nella vita comunitaria che tende a rivolgere le forme repulsive in attrattive: 14 La valeur d’usage de D.A.F. de Sade, cit., p. 61. St. Agostino, Confessions (XI,9,1) cit. in Otto, Le sacré, cit. Come ci segnala D. Hollier nelle Notes, al Dossier hétérologie, in O.C., II, p. 433: «Bataille avait constitué un abondant dossier de fiches sur les rites scatologiques» [...] sh les différentes rubriques sont: Orgies, Perversions, Dépense, Moi et Sur-moi, Urine, Castration; Accouchement, Sperme, Sang, Sang menstruel, Enfants, Excréments, Coit sacrificiel, Automutilation, Phallus, Prépuce, Cadavres.
!” Cfr. Attraction et répulsion II (Conférences del 5 février 1938) in Le collège de sociologie, a cura di D. Hollier, Paris, Gallimard , 1979, pp. 227-29. Ed aveva anche detto, ivi, p. 211: «En d’autres termes je crois qu'il n'y a rien de plus important pour l’homme que de se reconnaître voué, lié à ce
qui lui fait horreur, à ce qui provoque son dégoàt le plus fort». 15 Per quello che riguarda l’importanza fondamentale dell’esperienza analitica e dell’influsso della sociologia francese per la «presa di coscienza degli elementi ripugnanti», cfr. ivi, p. 224: «Non seulement nous avons acquis, Leiris et moi, l’essentiel des données de la psychanalyse (nous avons méme été l’un et l’autre psychanalysés) mais nous avons été à peu près également influencés par ce que en particulier la sociologie francaise nous a appris. Dans ces conditions nos expériences vécues peuvent
étre considérées dans une certaine mesure comme fabriquées. Et il me sera facile de montrer qu’une telle altération, qu’une telle fabrication étaient nécessaires à la prise de conscience du caractère essentiellement répugnant des choses sacrées. Il existe en effet sans aucun doute une connection étroite entre la répulsion, la répugnance et ce que la psychanalyse appelle le refoulement».
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Le noyau central d’une agglomération est le lieu où le sacré gauche est transformé en sacré droit, l’objet de répulsion en objet d’attraction, et la dépression en excitation».
Ma è sempre l’elemento sinistro, disgregante che sembra innescare il processo reattivo dell’elemento opposto, aggregante. Così sembra che all’origine le «choses sacrées soient essentiellement les choses rejetées, émises par le corps humain et en quelque sorte des choses dépensées» (e qui Bataille collima con le teorie di K.T. Preuss, Der Ursprung der Religion und Kunst) È in sostanza l’orrore della dissoluzione e della perdita che è alla base del fenomeno del sacré, prima che si definisca come interdetto e proibizione. Ogni forma parossistica del sacro sia essa legata alla sessualità, all’estasi, al sacrificio o alla morte, comporta una violenza disgregatrice, una lacerazione della unità dell'essere che trova nell’atto escretorio la sua matrice prima. Si assiste in questi casi ad un processo di incorporazione ed espulsione che altera l'identità del soggetto. L’elemento eterogeneo provoca una perturbazione degli stati abituali — la dimensione profana — ed una condizione spasmodica, convulsiva che sconfina nella morte. Il modello sadiano continua a premere nella tessitura eterologica di Bataille attraverso una miscelazione di fantasmi in cui trovano il loro sbocco liberatorio le ossessioni più fonde. A poco a poco l’eterologia svela la sua irriducibilità ad una conoscenza oggettiva costruita su definizioni astratte, assumendo in tal modo la sua stretta somiglianza con la natura tendenziosa del messaggio di Sade. L’esigenza di un rigore espositivo in cui la strumentazione filosofica venga utilizzata soltanto in modalità subordinate, fino all’estremo limite della sua in-
servibilità, si scontra allora contro l’impossibilità di ingabbiare entro un sistema la conoscenza eterologica che rivela pertanto la sua origine pulsionale «Avant tout l’hétérologie s’oppose è n’importe quelle représentation homogène du monde, c’est-à-dire n’importe quel système philosophique». La conoscenza eterologica è la conoscenza del limite da travalicare, inizia lì dove il sapere razionale non può inoltrarsi; si alimenta attraverso il suo rigetto, l'espulsione che la condanna. E tale forma di escrezione, che separa grumi marginali e malati, le sostanze residuali del sapere, diventa lo stimolo per un nuovo sguardo, una interrogazione più rischiosa: «Mais le processus intellectuel se limite automatiquement en produisant de lui-méme ses propres déchets et en libérant par-là l’élément hétérogène excrémentiel d’une fason désordonnée. L’hétérologie se borne à reprendre consciemment et résolument ce processus terminal qui, jusqu’ici, était regardé comme l’avortement et la honte de la pensée humaine. C°est par là qu'elle procède à un renversement complet du processus philosophique qui d’instrument d’appropriation qu'il était passe au service de
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l’excrétion et introduit la revendication des satisfactions violentes impliquées par l’existence sociale». !° Lucidamente Bataille organizza un suo «contro-metodo», che in una sorta di riflessione «en abîme» rivela imeccanismi del suo funzionamento nel momento stesso in cui viene applicato. È il processo a base escretoria che si articola nei due tempi della separazione e dell’espulsione, definendo in tal modo l’area eterogenea del sacro. È infatti l’esclusione che esalta e sacralizza gli elementi rimossi e recuperati in opposizione alla norma che li ha espulsi. Si disegna così il rapporto fra la zona delimitata della scienza (della filosofia), luogo dell’omogeneo e del divieto e la zona eterogenea (mitologica) del rifiuto che ne costituisce la violenta trasgressione:
«L’exclusion de la mythologie par la raison est nécessairement une exclusion rigoureuse sur laquelle il n’y a pas è revenir et qu'il faut au besoin rendre encore plus tranchée mais en méme temps il faut renverser les valeurs créées par le moyen de cette exclusion, c’est-à-dire que le fait qu'il n’y a pas de contenu valable selon la raison dans une série mythologique est la condition de sa valeur significative». °° Ne La structure psychologique du fascisme (1933-34), Bataille, utilizzando soprattutto le teorie freudiane accanto alla sociologia francese (Durkheim e Mauss)
e alla filosofia tedesca contemporanea (fenomenologia), aveva articolato un sistema assai complesso, basato sulle due categorie contrapposte dell’«omogeneità» e dell’«eterogeneità», la cui concezione primitiva si situa all’interno del «pensiero eterologico». Se la prima categoria è espressione di ciò che è commensurabile, quantificabile, la seconda dovrebbe sottrarsi, in una diversità fondamentale ad
ogni definizione riduttiva e al controllo della coscienza. Ciò che l’attraversa e la muove è una forza indefinita che la situa in una dimensione completamente altra, inassimilabile come
le manifestazioni dell’inconscio:
L’exclusion des éléments hétérogènes hors du domaine horzogene de la conscience, rappelle ainsi d’une fagon formelle celle des éléments décrits (par la psychanalyse) comme inconscients, que la censure exclut du moi conscient».
In un primo tempo Bataille inserisce anche il movimento fascista nella fascia dell’eterogeneo, poiché ruotando intorno all’elemento separato ed intoccabile della sovranità si situa nella zona tabuizzata dei re e degli stregoni investiti
!° La valeur d'usage de D.A.F. de Sade, cit., p.t65: °° Dossier de l'oeil pinéal, cit. p. 23 Per gli aspetti «scandalosi», eterologici della mitologia cfr. M. Détienne, L’invention de la mythologie, Paris, Gallimard,
1981.
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da una sorta di mara, di potere misterioso ed impersonale. Tale aspetto lo avvicina alla dimensione del sacro che costituisce con l'inconscio una parte essenziale dell’eterogeneo.. L'organizzazione fascista costituirebbe in tal senso una «forma imperativa» dell’esistenza eterogenea, poiché collegata alla sovranità del capo. Ma è tale dominante elevata, inserita nel registro del paterno che sembra minarla dall’interno e in un certo senso la stravolge. L’eterogeneità autentica sarà costituita da Bataille soprattutto dalle espressioni ignobili del basso che come la parte sinistra del sacro e le pulsioni violente dell’inconscio si sottraggono ad ogni tentativo di assimilazione. È appunto la caratteristica dell'esclusione e del rigetto che le rende totalmente incompatibili con ogni forma di omogeneità e leinserisce più degli elementi «superiori» in quella forma di dissipazione e di disordine denominata come «dépense improductive». Risulterebbe allora che per Bataille, in analogia con la sfera del sacro, sussistono due forme opposte di eterogeneo: l’una destra, più facile a rovesciarsi nell’opposto omogeneizzante, costituita dalle forme imperative; Le rejet des formes misérables a seul, pour la société homogène, une valeur constante fondamentale [...]; mais du fait que l’acte d’exclusion des formes misérables, asso-
cie nécessairement les formes homogènes et les formes impératives, ces dernières ne peuvent plus étre rejetées purement et simplement. La société homogène utilise en fait comme les éléments qui lui sont incompatibles les forces impératives libres; l’altra sinistra, totalmente irriducibile nella sua differenza che alimenta le due potenzialità disgregatrici. La struttura fascista ribalta il carattere sacro della dimensione sovrana (intesa come separazione) ponendosi come la forma imperativa dell’oppressione dell’altro, del diverso. Si aggroviglia intorno al nucleo originario, paterno ed inquina nel segno della sopraffazione e del potere tutte le forme che ad essa si collegano. La positività dell’eterogeneo è costituita soltanto dalle forze irriducibili, dalla differenza che rappresentano gli elementi impuri del sacro, gli strati miserabili e le pulsioni rimosse dell’inconscio. E questo grumo effervescente ed esplosivo a nutrire l’esperienza eccessiva di «Acéphale» crogiulo autentico dell’eterogeneo in grado di miscelare ed intensificare i residui inattaccabili della esclusione e della paura. «Acéphale» vorrà distinguersi dalle organizzazioni imperative, fasciste, nutrendo una carica sovversiva dal basso, sperimentata
durante l’attività rivoluzionaria di Contre-Attaque. Dalle cui ceneri (e delusioni) rinascerà qualche anno dopo. Fin dall’inizio l’esperienza di «Acéphale» (1936-39) ?! si inscrive, nel ribaltamento della dimensione omogenea, paterna, sotto il segno della sfida, della insubordinazione all’ordine diurno, al dominio del cielo (Ourarzos) e dello sguardo dall’alto. 21 Cfr. A. Masson, le soc de la charrue, «Critique» (1963): «En avril 1936, G. Bataille vint me re-
joindre è Tossa de Mar où nous faisions halte dans une belle, modeste mettre au point, avec mon accord, ce vieux projet: Acéphale /.../ Je comme il sied, mais où reporter cette encombrante et douteuse téte? place à l’endroit du sexe (en le masquant) avec unte téte de mort. Mais
et vieille villa catalane. Il veut le vois tout de suite sans tète, Irrésistiblement elle trouve sa que faire de ses bras? Automa-
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Nel 1934, G. Dumégzil, in un testo inaugurale di mitologia comparata, Ouraros
Varuna, ® aveva ripercorso, attraverso il racconto della Teogoria esiodea, le sequenze originarie della rivolta dei figli contro il padre che culmina con l’uccisione e la castrazione di quest’ultimo attuata con la complicità della madre leggendo in tale atto mitico un «drame familier et politique»:
«Ouranos a les premiers torts, Gè (la terre) prend parti pour ses fils, ces fils eux-mémes s’insurgent moins contre Ouranos Ciel que contre Ouranos Roi — Père [...] L’histoire d’Ouranos et des Ouranides ne fonde pas seulement l’Ordre sexuel, elle fonde l’Ordre politique, l’Ordre moral, l’Administration méme du monde. Ouranos n’est pas seulement le Male incontinent, il est Souverain tyrannique. Le coup d’état de ses fils non seulement le chàtre mais le détròne».
Anche il mito di Acéphale in analogia con quello di Ouranos mette in scena un dramma familiare e un dramma collettivo. È ancora il fantasma di «Lord Auch» ? (pseudomino usato da Bataille per la pubblicazione del suo primo romanzo clandestino Histoire de l’oeil) a simboleggiare scatologicamente (nel suo senso originario di «dieu aux chiottes») la sua rivolta nei confronti di «tout ce qui cherche è faire autorité». L’espulsione del padre che, secondo la legge della reversibilità dell’inconscio, è presente nell’immagine del «dieu se soulageant», (Lord Auch) ove a fianco alla identificazione colpevole emerge anche il suo rigetto nell’atto escretorio — ed è il figlio che in basso si libera del padre dopo averlo incorporato — mette in moto una serie di associazioni inquietanti attraverso cui il fantasma di «Lord Auch» trapassa dal piano individuale a quello mitologico, dall’ Histoîre de l’oeil a «Acéphale», passando dal sogno, mito personale, al mito, sogno collettivo. In tal senso determinante fu per Bataille l'interesse suscitato dalla lettura di Toterz e tabà di S. Freud, di cui riprendeva soprattutto l'affermazione sconvolgente: «La société repose sur un crime commis en commun». tiquement d’une main (la gauche) il brandit un poignard; de l’autre il pétrit un coeur enflammé (ce coeur, non pas celui du crucifié, mais, celui de notre maître Dionysos). Cette tète (j'y reviens) chez les hommes se prolonge toujours dans le coeur et jusqu’aux génitoires. Coeur et testicules, formes jumelles /.../ Ce dessin fait sur le champ sous les yeux de Bataille eut l’heur de lui plaire. Acéphale, on le devine n’eut d’existence que pour trois fois. C’était très beau! — Le premier numéro d’«Acéphale»: La conjuration sacrée; le second: Nietzsche et les fascistes; le troisiàme Dionysos; le quatrième qui ne parut pas devait porter un titre que j'avais proposé: Terre érotigue». In realtà l’ultimo numero: Folie, guerre et mort, redatto
dal solo Bataille doveva inaugurare una terza serie nel giugno 1939. 22 G. Dumézil, Ouranos-Varuna, étude de mythologie comparée Paris, A. Maisonneuve, 1934. 2 Cfr. G. Bataille, Prèface è L’Histoire de l’ail, O.C., cit., III: «Le nom de Lord Auch se rapporte à l’habitude d’un de mes amis: irrité, il ne disait plus aux chiottes! abrégeait, disait «auxch». Lord en
anglais veut dire Dieu (dans les textes saints): Lord Auch èst Dieu se soulageant».
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E il delitto è l’uccisione del padre. La rivolta nei confronti del detentore del potere assoluto sul femminile e sul materno, fonda la coesione del gruppo. L’odio comune contro la dominazione paterna cementa l’unione dei fratelli nel segno del negativo e della morte e definisce una struttura comunitaria sottesa dalla violenza. Secondo E. Enriquez ”* infatti, che ci offre l’analisi più convincente del testo freudiano: La première fois que des étres savent ce qu’ils veulent, c'est lorsqu’ils peuvent dire ce qu’ils rejettent. Nor est le terme originaire de tout groupe (comme de tout individu) en tant que tel et se pensant comme tel. Non à la domination, non total qui ne peut s’exprimer que par la destruction de l’autre».
Il delitto è fondatore. La violenza originaria del legame comunitario traverserà l’esperienza di Acéphale dalla rabbia parricida, antiautoritaria, alla ebbrezza estatica, al culto della madre come forza ctonia, devastante e liberatoria. Nel disegno di A. Masson che si staglia sulla copertina della rivista omonima, quella stazione eretta, divaricata sotto l’azione di due forze contrastanti, gravita e pesa sulla terra accentuando una verticalità discendente: «ce qui est mal est nécessairement représenté dans l’ordre des mouvements, par un mouvement du haut vers le bas» — aveva detto Bataille. L’asse orizzontale delle braccia distese, sbarra la zona superiore dello spazio e propulsa verso il basso un corpo il cui centro focale è costituito da un «cranio-sesso» che calamita lo sguardo con le sue orbite vuote. Quel centro magnetico è l’immagine della morte. Ma una morte innestata al desiderio e che maschera ed irraggia una ardente sessualità. Acéphale, l’essere senza testa, incarna ancora la vittima offerta in un rito di iniziazione crudele attraverso il quale, superati i terrori ancestrali collegati alla propria integrità corporea, all’orrore della castrazione e della morte, riaffiorirà, rigenerata nel segno femminile, ed aperta, attraverso la ferita a nuove ebrezze comuniali. La forma eccezionale di ablazione sacra della parte più elevata del corpo che equivale alla più bassa, simboleggiando la castrazione, suscita e propaga una automutilazione collettiva, seguita da una rinascita su di un altro piano ove sarà possibile recuperare le forze nere del mito. Come Prometeo, interpretato da Bataille, attraverso la suggestione di Salomon Reinach come Aetos Prometheus, «Acéphale» evoca nell’ordine mito-
logico il sacrificio del dio che è vittima e sacrificante al tempo stesso: «Si l’on accepte l’interprétation qui identifie l’aigle pourvoyeur, l’aetos prometheus des Grecs, au dieu qui a volé le feu à la roue du soleil le supplice du foie présente un thème conforme aux diverses légen24 E. Enriquez, De la horde è l’état, Gallimard,
1983, p. 120.
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des du «sacrifice du dieu». Les ròles sont normalement partagés entre la personne humaine du dieu et son avatar animal: tantòt l'homme sacrifie la béte, tantét la béte l'homme, mais il s’agit chaque fois d’auto-mutilation puisque la béte et l’homme ne forment qu’un seul ètre». ? L’automutilazione della testa opera la rottura dell’omogeneità e il passaggio all’eterogeneo, al dominio del sacro - «nous sommes farouchement religieux» — e realizza la proiezione all’esterno dell’elemento repressivo, colpevolizzante: l’espulsione del padre introiettato nel super-io. Tale rigetto inaugura una liberazione esplosiva che spezza l’ordine chiuso dell’individuo e dischiude la ferita attraverso la quale irrompe la violenza della comunicazione. La figura di Acéphale nel disegno di Masson, stringe nelle mani gli strumenti del suo atto rituale. A sinistra, lato nefasto — l’arma del sacrificio cruento; a destra — lato fasto — una torcia, simile al sacro cuore (non quello del crocefisso, ma di Dioniso, preciserà Masson)
che illumina lo spazio notturno della festa comuniale. L'identità amputata allarga le labbra della piaga attraverso cui l’altro si insinua. Il sacrificio dell'Io dissolve il principio di individuazione e scatena l’estasi collettiva. Dietro Acéphale scivola, invadendo la scena, il suo doppio speculare, la figura nietzscheana di Dioniso che esalta nell’orgia e nella trance la sua nascita terrestre. ? Le forze telluriche, le pulsioni eruttive che consumano il desiderio appartengono alla cavità materna, bruciano nel crogiuolo notturno della materia-matrice dove la vita si incrocia e fonde con la morte. Attraverso la distruzione delle forme costituite, il cratere materno impasta gli elementi generatori di una nuova esistenza che serberà le tracce della sua origine ctonia:
«Acéphale est la Terre/La Terre sous la croùte du sol est feu incandescent L’homme qui se représente sous les pieds/L’incandescence de la Terre/s’embrase/Un incendie extatique détruira les patries/Quand le coeur humain deviendra feu et fer/L’homme échappera è sa téte comme le condamné à la prison”.
? La mutilation sacrificielle et l’oreille coupée de Van Gogh, «Documents»,
8 (1930), in O.C.,
cit., I, p. 258; per «il sacrificio» Bataille teneva presente lo studio di M. Mauss, H. Hubert, Essai sur la nature et la fonction du sacrifice. 26 Cfr. Fr. Nietzsche, Die Geburt der Tragòdie aus dem Geist der Musik, tr. it., La nascita della
tragedia, Milano, Adelphi, 1972; vedi anche H. Jeanmaire, Diorysos, Paris, Payot, 1978: «Dieu de la terre, Dionysos est né des amours de Sémélé, la Terre, avec le dieu du ciel Zeus. Le mythe veut que Sémélé, grosse de Dionysos, ayant voulu que Zeus lui apparaisse revétu des attributs de sa puissance, ait été mise en flammes et en cendres par le tonnerre et les éclats du ciel imprudemment provoqué. Ainsi le dieu est-il né d’un ventre foudroyé. A l’image de celui qu'il était avide d’étre jusque dans sa folie, Nietzsche naît de la Terre déchirée par le feu du ciel, naît foudroyé et par là chargé de ce feu de la damnation devant le fey de la terre (G. Bataille, Nietzsche Dionysos, «Acéphale» n. 3-4 (luglio 1937); 2? «Acéphale» I (giugno 1936)
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Il fuoco, violenza indomita, incontentabile e predatoria, esalta i rapporti comuniali, eccita i contatti degli esseri sacralizzati, uomini senza patria — senza
padre — generati da una matrice sotterranea e che inaugurano il Kinderland nietzscheano, la terra dei figli:
Le merveilleux Kinderland nietzschéen n’est rien de moins que le lieu où le défi porté au Vazerland de chaque homme prend un sens qui cesse d’étre une impuissante négation. C'est après Zarathoustra seulement que nous pouvons «derzander pardon à nos enfants d’avoir été les fils de nos Pères». Il recupero e l’esaltazione di Nietzsche operati da Bataille con il secondo numero della rivista (i cui collaboratori erano aumentati ed oltre l'immancabile Masson, e Klossowski reca i nomi di J. Rollin e J. Wahl), si presenta fin dal titolo come una «riparazione» [Nietzsche et les fascistes, une réparation) e nasce dall’urgenza di sottrarre definitivamente Nietzsche ai fascisti sganciando un pensiero sinuoso e lacerato, libero di una libertà scontrosa alle ideologie totalitarie e alle culture del capo. «La doctrine de Nietzsche ne peut pas étre asservie» Tutti i tentativi di usurpazione e deformazione del pensiero di Nietzsche non fanno che rivelare la loro incompatibilità di fondo con una verità essenziale: il recupero del passato in nulla si può conciliare con il mito nietzscheano dell’avvenire. Ancora una volta si scontrano due concezioni dell’esistere: l’una collegata alla mitologia dei padri e della patria, l’altra che esalta invece, nel registro del femminile e del materno il «paese dei nostri figli».
C'est le don aggressif et gratuit de soi à l’avenir, en opposition è l’avarice chauvine, enchaînée au passé, qui seul peut fixer une image assez grande de Nietzsche en la personne de Zarathoustra exigeant d’étre renié. Les «sans-patrie», les déchaînés du passé qui vivent aujourd’hui, comment peuvent-ils en repos voir enchaîner à la manière patriotique celui d’entre eux que la haine de cette misère vouait au Pays de ses enfants? Zarathoustra, quand les regards des autres sont rivés aux pays de leurs pères, à leur patrie, Zarathoustra voyait le Pays de ses enfants. ? Fascismo, nazismo, in contrasto con la totale insubordinazione del pensiero
nietzscheano, delimitano dei sistemi politici sottomessi alla dominazione del capo — il Duce, il Fihrer — preclusi agli scambi commerciali chiusi, nel loro naziona-
lismo fideistico incollato al passato e all'immagine del padre secondo l’interpre'
28 Chronique nietzschéenne, «Acéphale», 3-4 (luglio 1937). 2? Nietzsche et les Fascistes, «Acéphale», 2 (Gennaio
1937);
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L’Hétérologie e «Acéphale»: dal fantasma al mito
tazione freudiana della Psicologia delle masse e analisi dell’Io ripresa e prolungata. Da Bataille che vede come Freud nella presenza dell’elemento femminile, l’aspetto discordante, eterogeneo della comunità senza capo. Due tendenze fondamentali cementano infatti secondo Freud, la società ruotante intorno alla figura del capo, gli impulsi sessuali inibiti alla meta che favoriscono l’identificazione con il modello autoritario, paterno (espressione dell'ideale dell'Io); e l’assenza della donna in quanto oggetto di desiderio:
Nelle grandi masse artificiali, chiesa ed esercito, non c’è posto per le donne in quanto oggetto sessuale. La relazione amorosa fra uomo e donna rimane estranea a tali organizzazioni.
[...] ?°
E Bataille dirà a sua volta:
Un parti fasciste rassemble des éléments de toutes les classes sous la direction impérative d’un chef unique. Cette direction suppose des rapports affectifs détérmines, tels que chaque membre du parti, sous l’empire d’une attraction irraisonnée s’identifie au chef qui incarne non seulement le parti mais la société, la nation tout entière et dont l’existence si situe audessus de celle de tous les autres comme celle d’une dieu». La società «monocefala» dei regimi totalitari, atrofizza il movimento dell’esistenza imponendo il modello di una organizzazione bloccata in una struttura verticale al cui vertice il capo si confonde con Dio — la più perfetta organizzazione dell'universo — diceva Nietzsche: Le fascisme qui recompose la société à partir d’éléments existants est la forme la plus fermée de l’organisation, c’est-à-dire de l’existence humaine la plus proche du Dieu éternel. Si prospetta allora per Bataille una nuova configurazione comunitaria che, superati i sistemi monocefali e nell’urto delle pulsioni contrastanti, inneschi l’esplosione contagiosa del desiderio. Si intravede la fisionomia di quelle «società segrete» o comunità elettive, puramente «existentielles» (cioè a dire senza progetto e senza scopo se non quello di esistere e che non hanno nulla a che vedere con le società di commercializzazione, teorizzate, all’interno del Collège de Sociologie, insieme a Caillois e che 3° S. Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse (1921). Per l’importanza di questo studio di Freud nello sviluppo del pensiero di Bataille, vedi oltre la Structure psychologique du fascisme, l'inedito pubblicato da Fr. Gandon sulla «N.R.F.» (ottobre 1982): «L’analyse de la structure affective de l’armée et de l’église, telle que Freud l’a exposée dans sa «Psychologie collective et analyse du moi», est peutétre l’une des révélations les plus surprenantes et les plus conséquentes de la science sur la nature de la vie. Car elle n'est pas seulement une introduction à la compréhension des grandes formations unitaristes. La connaissance des faits primitifs étant acquise, les données de l’analyse de Freud ouvrent la voie à une connaissance générale des formes vivantes». 3! Le fascisme en France, in Essais de sociologie, O.C., Il, p. 207.
I{ percorso plurale: da «Documents» a «Acephale»
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in parte sembrano modellarsi su quei gruppi giovanili effervescenti e predatori («Grands buveurs, sensuels, ravisseurs de femmes) — che Dumézil aveva indivi-
duato nei Luperci romani e nei Gandharva indiani, nel suo studio magistrale di Mitra-Varuna (lezioni del 38-39 ed. del 40). Bataille, nel contesto di «Acépha-
le» tende a porre l'accento sull’aspetto dionisaco e nietzscheano di tali gruppi che aspirano a sbarazzarsi di ogni istanza autoritaria, la testa — per generare forme di irraggiamento estatico all’interno di una dimensione «policefala»: La seule société pleine de vie et de forces, la seule société libre est la société bi-ou polycéphale [e qui va fatto rilevare che Bataille aveva presente fin dai tempi di «Documents» la figurazione gnostica di «Un dieu acéphale surmonté de deux tétes d’animaux» che influirà più tardi nella sua concezione di «Acéphale»] La dualité ou la multiplicité des tétes tend à réaliser dans un mèéme mouvement le caractère acéphale de l’existence car le principe méme de la téte
est réduction è l’unité, réduction du monde è Dieu. ? Se le ideologie totalitarie privilegiano le divinità della luce e del cielo (e l’ideologo nazista, Alfred Rosenberg affermava nel suo Mito del XX secolo, «qu’alors que les dieux grecs étaient les héros de la lumière et du ciel, les dieux de l’Asie mineure non aryenne assumaient tous les caractères de la terre» e Bataille commentava: «cette hostilité du fascisme aux dieux de la terre est sans doute ce qui le situe le plus exactement dans le monde psychologique ou mythologique) ’, la febbre dionisiaca e nietzscheana esalterà i miti ctoni e le forze incandescenti del basso. Contro il dio celeste (Ouranos), simbolo del potere e
della colpa bisognerà conoscere e possedere la Terra, conoscere e possedere la Madre: Dieu, les rois et leur séquelle se sont interposés entre les hommes et la terre — de la méme facon que le père devant le fils est un obstacle au viol et è la possession de la mère. #
E la madre unifica i suoi figli esseri senza patria, in una comunità acefala in cui gli scambi dionisiaci creano, con l’abolizione dell’identità, la dissoluzione e
32 «Acéphale», 2 (gennaio 1937) 33 Ivi; cfr. G. Bataille, Nietzsche et le national-socialisme, in Sur Nietzsche, Gallimard, 1945, p.
228: «Un des traits les plus significatifs de l’oeuvre de Nietzsche est l’exaltation des valeurs dionysiaques, c’est-à-dire de l’ivresse et de l’enthousiasme infinis. Ce n’est pas par hasard si Rosenberg, dans son Mythe du XX° siècle, dénonce le culte de Dionysos comme non aryen!.. En dépit de tendances vite refoulées le racisme n’admet que les valeurs soldatesques: ‘La jeunesse a besoin de stades et non de bois sacrés’, affirme Hitler.»
24 «Acéphale» 2 (gennaio 1937).
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L’Hétérologie e «Acéphale»: dal fantasma al mito
l’ebbrezza, le forme esuberanti e mortifere della Tragedia. In una opposizione inconciliabile si contrastano la comunità verticale retta sul dominio del padre e sul bisogno di punire (lo stato poliziesco delle società totalitarie) e la comunità orizzontale, generata dalla sua eliminazione, l’eliminazione del capo. Questa ultima instaura la comunicazione tragica perchè fondata sul delitto e la carica incestuosa del desiderio:
Chercher la communauté humaine sans tète est chercher la tragédie; la mise è mort du chef elle-méme est tragédie: elle demeure exigence de tragédie. Une vérité qui changera l’aspect des choses humaines commence ici: l’élément émotionnel qui donne une valeur obsédante à l’existence commune est la Mort. ©
E La pratique de la joie devant la mort è il testo che chiude l’ultimo numero di «Acéphale» del giugno 1939, redatto dal solo Bataille in un clima chi si è fatto incandescente. Nella esperienza mistica della morte, di un misticismo senza attese e senza Dio, preludio all’ Expérience intérieure, il soggetto, superate le barriere dell'Io, scivola verso una zona calma, priva di tensioni; come in un «al di là del principio di piacere» fluttua in una quiete inorganica che fluisce nel nulla. Lo slittamento avviene nella notte. Un affondare e trasfondersi in una materia sconosciuta che accoglie come un grembo materno. Si profila una dimensione femminile che evoca fantasmi di inabbissamento, di dissoluzione nelle tenebre «Je m’abandonne à la paix jusqu’à l’anéantissement». La gioia di fronte alla morte appare allora come l’apertura estatica al regno abissale della madre. La morte è la donna, è la madre ed insieme, superata l’angoscia della castrazione col sacrificio della testa, la possibilità di rinascere diversi, disseminati, «policefali». Questo percorso nell’indifferenziato e nel materno di chi, accettando il proprio sacrificio si libera del padre, sembra ruotare per Bataille intorno al personaggio di Don Giovanni, sentito come colui che nella continua messa in crisi della propria identità penetra fino in fondo nella bocca mortifera del sesso femminile. Il mito di Don Giovanni * traversa in filigrana l’intera esperienza di «Acéphale» rovesciandola nella sua dimensione policefala, alimentata dalle identificazioni molteplici che produce il rispecchiamento nello sguardo della donna. Il femminile, oggetto di desiderio insaziato, mai completamente posseduto, è quell’altro da sé con cui ci si vorrebbe confondere ma che una ricerca insensata rilancia nella sua differenza incolmabile. Non resta che nutrire nell’assenza la ? ivi, 3-4 (luglio 1937). 36 Per il mito di Don Giovanni, cfr. il saggio fondamentale di G. Macchia, morte di Don Giovanni, Bari, Laterza; 1966.
Vita avventure e
Il percorso plurale: da «Documents» a «Acéphale»
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propria vocazione a perdersi in quella sfera per sempre negata. L’ossessione della donna esalta e non placa la spinta ad annullarsi nell’ebbrezza estatica, lo strappo convulso da sé. Nel Don Giovanni di Mozart, che nella prospettiva di Kierkegaard, ripresa da Klossowiski e da Bataille, essenzializza l’«erotico musicale», si esprime, nella trasfusione sonora, l’illimitato e l’indeterminato che appartiene al mondo della donna. Don Giovanni si discioglie nella musica e, in rivolta con il dominio del padre, si fonde nell’universo femminile, nella bocca abissale del materno. A Tossa da Mar, Bataille e Masson lavoravano in pieno fervore alla creazione di «Acéphale» esaltati dalla musica di Mozart: Plus que tout autre chose, l’ouverture de Don Juan lie ce qui m’est échu d’existence à un défi qui m’ouvre au ravissement hors de soi. A cet instant méme je regarde cet étre acéphale, l’intrus que deux obsessions également emportées composent, devenir le «Tombeau de Don Juan». Il «dramma giocoso» di Mozart, ove la tragedia si mescola al riso e la vita alla morte, riattiva, nell’assòluto di un linguaggio che vive nell’istante e tocca il vertice dell’erotizzazione comuniale, la costellazione fantasmatica sottesa ad
«Acéphale». La perdita dell'identità, l’eccesso e la dissoluzione dell’Io, l’estasi nel femminile e la sfida contro il padre, affiorano dall’assenza, il vuoto, quel buco nero, il sesso materno ove il desiderio impenitente si ingorga come nella sua terra originaria e la sua tomba.
37 P.Klossowski, Don Juan selon Kierkegaard, che analizza il testo del filosofo danese su Le stade de l’immédiat érotique ou l’érotique musical, «Acéphale» (3-4); Cfr. anche G. Bataille Nietzsche et Don Juan, in Nietzsche cit. «Le sentiment de don Juan assuré que l’enfer l’engloutit et ne pliant pas est è mes yeux comparable à la terreur surmontée, qui ne cessera jamais de terrifier, que Nietzsche lie à la certitude de la mort de Dieu. Ni l’un ni l’autre ne plièrent, ils ne se cédèrent pas au moment où rien ne subsistait autour d’eux qui ne les accablat.
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GIORGIO AGAMBEN
BATAILLE E IL PARADOSSO
DELLA SOVRANITÀ
Le riflessioni che seguono prendono lo spunto da un aneddoto che mi è stato raccontato qualche anno fa da Pierre Klossowski, che ero andato a trovare nel suo piccolo studio della rue Vergniot perché mi parlasse dei suoi incontri con Walter Benjamin. Di lui Pierre ricordava perfettamente, a più di quarant’anni di distanza, «il viso da bambino, sul quale pareva che fossero stati incollati dei baffi». Ora, fra le immagini che egli aveva ancora ben vive nella memoria, c’era anche quella di Benjamin con le mani sollevate in un gesto d’ammonizione (Klossowski in quel momento si era alzato in piedi per imitarlo) che, a proposito dell’attività del gruppo di Acéphale e, più in particolare, delle idee esposte da Bataille nel saggio sulla Notion de dépense (che era uscito tre anni prima nella Critigue sociale), ripeteva «Vous travaillez pour le fascisme!». Mi sono spesso chiesto che cosa Benjamin potesse intendere con questa frase. Egli non era né un marxista ortodosso né un razionalista affetto da coniunctivis professoria, che, come ancora tanti anni dopo accadeva nella cultura italiana del dopoguerra, potesse scandalizzarsi dei temi che occupavano il pensiero di Bataille. Il «materialismo antropologico», di cui aveva cercato di tracciare il profilo già nel saggio sul surrealismo del 1929, non sembra anzi molto lontano — almeno a prima vista — dal progetto batagliano di ampliare l’orizzonte teorico-pratico del marxismo (basti pensare al tema dell’ebrezza, che, in quel saggio, occupa una posizione centrale). Inoltre Benjamin conosceva bene la tenace avversione di Batail-
le al fascismo, che si esprimeva proprio in quegli anni in una serie di articoli e di analisi estremamente acute. Se non poteva certamente trattarsi dei temi e dei contenuti del pensiero di Bataille, che cosa poteva allora intendere Benjamin con quella sua ombrosa ammonizione? Non credo di poter fornire una risposta immediata a questa domanda. Ma poiché sono convinto della persistente attualità dei problemi che occupavano la riflessione di quegli anni, vorrei provarmi a allargare l’ambito cronologico dell’ammonizione di Benjamin e chiedere: in che senso si potrebbe dire oggi che anche noi lavoriamo, senza saperlo, per il fascismo? Ovvero, rovesciando la domanda, in che senso possiamo dirci sicuri di non stare lavorando per ciò che Benjamin poteva intendere con quel tetmine? Per poter porre questa domanda, vorrei innanzitutto situarla rispetto a uno dei tentativi a mio parere più rigorosi di misurarsi con l’eredità teorica del pen-
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Bataille e il paradosso della sovranità
siero di Bataille e di svolgerla in direzione di una teoria della comunità. Mi riferisco all'importante saggio di Jean-Luc Nancy su La communauté desoeuvrée (pubblicato in 4/64, 4, 1983) e al testo di Blanchot La communauté inavouable (Paris
1983)
che ne costituisce
in qualche
modo
una
ripresa e un
prolun-
gamento. Tanto Nancy che Blanchot muovono dalla constatazione della crisi radicale e della dissoluzione della comunità nel nostro tempo e cercano, appunto, di interrogarsi sulla possibilità — o sull’impossibilità — di un pensiero e di un’esperienza comunitaria. È in questa prospettiva che entrambi guardano al pensiero di Bataille. Essi concordano nel riconoscere in Bataille il rifiuto di ogni comunità positiva fondata sulla realizzazione o sulla partecipazione di un presupposto comune. L’esperienza comunitaria implica cioè, per Bataille, tanto l’impossibilità del comunismo come immanenza assoluta dell’uomo all’uomo che l’ineffettualità di ogni comunione fusionale in una ipostasi collettiva. A quest'idea di comunità si oppone in Bataille una comunità negativa, la cui possibilità si apre nell’esperienza della morte. La comunità rivelata dalla morte non istituisce alcun legame positivo tra dei soggetti, ma è piuttosto ordinata alla loro sparizione, alla morte come a ciò che non può in alcun caso essere trasformato in una sostanza o in un’opera comune.
La comunità che golare: essa assume stessa di un essere sa, cioè, in qualche impossibilità fonda
è qui in questione ha, quindi, una struttura assolutamente sinin sé l’impossibilità della propria immanenza, l’impossibilità comunitario come soggetto della comunità. La comunità ripomodo, nell’impossibilità della comunità e l’esperienza di questa anzi l’unica comunità possibile. È evidente che, in questa pro-
spettiva, la comunità può essere soltanto «comunità di coloro che non hanno co-
munità». E tale sarà infatti il modello delle comunità batagliane: che si tratti della comunità degli amanti, che egli ha spesso evocato, o della comunità degli artisti o, più insistentemente, della comunità degli amici, cui egli ha cercato di dar vita col gruppo di Acéphale, di cui il Collège de Sociologie era la manifestazione essoterica — in ogni caso al centro della comunità sta iscritta questa struttura negativa. Ma come può attestarsi una simile comunità? In quale esperienza essa potrà manifestarsi? La privazione della testa, l’acefalità che sanziona la partecipazione al gruppo batagliano fornisce già una prima risposta: l'esclusione della testa non significa soltanto elisione della razionalità e esclusione di un capo, ma, innanzi tutto, la stessa autoesclusione dei membri della comunità, che vi saranno presenti solo attraverso la propria decapitazione, la propria «passione» nel senso stretto della parola. E questa esperienza che Bataille definisce col termine extase, estasi. Come ha ben visto Blanchot, ma come, del resto, era implicito nella tradizione mistica da cui Bataille, pur prendendone le distanze, riceveva il termine, il paradosso decisivo dell’ekstasis, di questo assoluto esser-fuori-di-sé del soggetto, è che colui che
Una impresa temeraria: il «Collège de Sociologie»
117
ne fa l’esperienza non c’è più nell’istante in cui la prova, deve mancare a sé nel momento stesso in cui dovrebbe esser presente per farne l’esperienza. Il paradosso dell’estasi batagliana è, cioè, che i/ soggetto deve essere là dove non può essere, 0, viceversa, che egli deve mancare là dove dev'essere presente. E questa la struttura antinomica di quell’esperienza interiore che Bataille cercò per tutta la vita di afferrare e il cui compimento costituiva quella che egli definiva «l’opération souveraine» o «la souveraineté de l’étre», la sovranità dell’essere. Non è certamente un caso che Bataille abbia finito col preferire questa espressione «opération souveraine» a ogni altra definizione. Col suo senso acuto del significato filosofico delle questioni terminologiche, Kojève, in una lettera a Bataille che si conserva nella Bibliothèque Nationale di Parigi, sottolinea esplicitamente che il termine più appropriato per il problema dell’amico non può essere che «sovranità». E alla fine della sezione intitolata Position décisive nell’ Expérience intérieure, Bataille definisce in questo modo l’operazione sovrana: «L’opération souveraine, qui ne tient que d’elle-méme son autorité, expie en méme temps cette autorité». Qual’è, infatti, il paradosso della sovranità? Se sovrano è, secondo la defini-
zione di Carl Schmitt, colui che ha il potere legittimo di proclamare lo stato d’eccezione e di sospendere, in tal modo, la validità dell'ordinamento giuridico, il paradosso del sovrano si può allora enunciare in questa forma: «il sovrano è, nello stesso tempo, fuori e dentro l'ordinamento». La precisazione «nello stesso tempo» non è superflua: «il sovrano, infatti, avendo il potere /egittimo di sospendere la validità della legge, si pone legittimamente fuori legge. Per questo,
il paradosso della sovranità si può anche formulare in questo modo: «la legge è fuori di se stessa, è fuori della legge; ovvero: io, il sovrano, che sono fuori-
legge, dichiaro che non c’è fuori-legge». Questo paradosso è molto antico e, se si osserva attentamente, è implicito nello stesso ossimoro in cui esso trova espressione: il soggetto sovrano. Il soggetto (cioè, etimologicamente, ciò che sta sotto) è sovrarzo (è, cioè, ciò che sta sopra).
E forse il termine soggetto (conformemente all’ambiguità della radice indoeuropea da cui derivano le due proposizioni latine di senso opposto super e sub) non ha altro significato che questo paradosso, questo dimorare là dove esso non è. Se questo è il paradosso della sovranità, possiamo dire, allora, che Bataille, nel suo appassionato tentativo di pensare la comunità, sia riuscito a spezzarne il circolo? Cercando di pensare al di là del soggetto, cercando di pensare l’estasi
del soggetto, egli ha pensato, in verità, soltanto il suo limite interno, la sua antinomia costitutiva: la sovrazità del soggetto, l’esser sopra di ciò che è sotto. È certo che Bataille stesso si è reso conto di questa difficoltà. Si può dire, anzi, che tutta L’Expérience intérieure, forse il suo libro più ambizioso, sia il tentativo di pensare questa difficoltà, che a un certo punto egli formula come un reggersi in piedi «sulla punta di uno spillo». Ma — e l’impossibilità di portare a compimento il progettato lavoro sulla sovranità ne è prova — egli non è riuscito
118
Bataille e il paradosso della sovranità
a venirne a capo. Ed è solo prendendo coscienza di questo limite essenziale che possiamo sperare di raccogliere l’esigenza più propria del suo pensiero. A una difficoltà dello stesso genere si era urtato molti anni prima un altro pensatore dell’estasi, lo Schelling della Filosofia della rivelazione, che aveva affidato all’estasi e all’attonimento della ragione il compito di pensare quell’Immemorabile che anticipa già sempre il pensiero che lo pone. La difficoltà, che è qui in questione, è, infatti, ancora più antica della sua formulazione come paradosso della sovranità. Essa attiene a una dualità che è implicita nel modo stesso in cui la filosofia occidentale ha cercato di pensare l’essere (in questo senso,
Bataille aveva perfettamente ragione di parlare di «sovranità dell’essere»): l’essere come soggetto, ùroggiuevov, materia, e l'essere come forma, eidoG; l’essere che è già sempre pre-supposto e l’essere che dimora compiutamente nella presenza. Aristotele pensa quest’antinomia come dualità di potenza, S6vapic, e di atto, èvépyeia. Noi siamo abituati a pensare il termine potenza soprattutto nel senso di forza, di potere. Ma la potenza è innanzitutto potentia passiva, passione nel senso etimologico di patimento, passività, e solo in un secondo momento potentia activa e forza. Di questi due poli attraverso i quali la filosofia occidentale ha pensato l’essere, il pensiero moderno, da Nietzsche in poi, ha costantemente pensato quello della potenza. Per questo in Bataille — e in quei pensatori, come Blanchot, che gli sono più vicini — decisiva è l’esperienza della passione, di quel déchainemzent des passions in cui egli scorgeva il senso ultimo del sacro. E che questa passione fosse da intendere nel senso di potentia passiva, è ancora una volta Kojève a sottolinearlo, indicando come chiave dell’Expérience intérieure il passo in cui si dice che «l’expérience intérieure est le contraire de l’action». Ma come il pensiero della sovranità non può uscire dai limiti e dalle antinomie della soggettività, così il pensiero della passione è ancora pensiero dell’essere. Il pensiero contemporaneo, cercando di superare l’essere e il soggetto, abbandona l’esperienza dell’atto, che ha indicato per secoli il vertice della metafisica, ma solo per esasperare e spingere all’estremo la polarità opposta della potenza. In questo modo, però, esso non va al di là del soggetto, ma ne pensa la forma più estrema e stremata: il puro star-sotto, il pathos, la potentia passiva, senza riuscire a spezzare il nesso che lo tiene stretto al suo opposto polare. Il nesso che tiene insieme potenza e atto non è, infatti, qualcosa di semplice ed ha il suo indissolubile nodo in quel «dono di sé a sé» (&ri$osic sic adto) che un enigmatico passo di Aristotele (De a., 417 b) presenta in questi termini: «Patire (ndoyew) non è qualcosa di semplice, ma, da una parte, è una certa distruzione (980pd) ad opera del contrario, dall’altra è una salvazione (c@tEpia) di ciò che è in potenza da parte di ciò che è in atto... e questo non è un diventar altro da sé, poiché si ha qui dono a sé e all’atto». Se torniamo ora all’aneddoto benjaminiano da cui abbiamo preso le mosse, possiamo dire, nella misura in cui dimoriamo ancora in questo pensiero della pas-
Una impresa temeraria: il «Collège de Sociologie»
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sione e della potenza, di lavorare al di fuori se non, certamente, del fascismo,
almeno di quel destino totalitario dell'occidente che Benjamin poteva avere in mente col suo monito? Possiamo dire di aver sciolto il paradosso della sovranità? In che misura il pensiero della passione può affrancarsi tanto dall’atto che dalla potenza? La passione senza soggetto è veramente al di là della soggettività pura come potenza di sé? E quale comunità si lascia pensare a partire da essa, che non sia semplicemente una comunità negativa? È probabile che finché non potremo rispondere a queste domande — e siamo ancora lontani da poterlo fare — il problema di una comunità umana libera da presupposti e senza più soggetti sovrani non potrà nemmeno esser posto.
BATAILLE
ANNAMARIA
LASERRA
E CAILLOIS:
OSMOSI
Un'esperienza mancata:
E DISSENSO
Contre Attaque
Nell’avant-propos a L’Homme et le Sacré *, Caillois esprime la sua gratitudine a Georges Bataille, spingendosi fino a dichiarare che su un capitolo essenziale della sua ricerca intellettuale, la questione del sacro, si è stabilita tra loro «une
sorte d’osmose intellectuelle» che rende indissociabile la parte dell’uno e dell’altro nell’elaborazione della materia ?. 14 anni dopo, in una nota de La Souveraineté (1953), è Bataille che riconosce a Caillois l’intero merito dell’elaborazione di due concetti fondamentali, l'ambiguità del sacro e la teoria della festa che, dice, «l'ensemble de ma pensée met constamment è contribution» ?. Su un accordo così totale e così protratto nel tempo, sembrerebbero dunque non esserci ombre, ma in realtà già dagli anni della collaborazione al Collège
de Sociologie si configurano dissensi la cui natura, stando ad una lettera di Bataille a Caillois (20 luglio 1939) ‘, è tale da minare i fondamenti teorici dell’e-
dificio. Eppure, le reciproche ammissioni sui loro scambi intellettuali sono reali e, da parte di Caillois, contemporanee alla crisi. ! Paris, Gallimard,
1939.
? «Je dois enfin exprimer ma gratitude è Georges Bataille: il me semble que sur cette question [le sacré] s'est établi entre nous une sorte d’osmose intellectuelle, qui ne me permet pas, quant
à moi, de distinguer avec certitude, après tant de discussions, sa part de la mienne dans l’oeuvre que nous poursuivions en commun». L’Homme et le sacré, cit., «avant-propos». } La souveraineté, in G. Bataille, O.C., VIII, p. 250. Bataille riporta, in nota, le parole di Caillois
qui citate alla nota 2 al fine di rendergli l’intero merito dell’elaborazione del concetto di «ambiguità del sacro» e commenta: «Il y a une grande part d’exagération dans cette manière de représenter les choses. S’il est vrai que Caillois doive quelque chose à nos discussions, cela ne peut étre que bien secondaire. Tout au plus puis-je dire que si Caillois attribue une importance que l’on ne prètait pas avant lui au problème de l’ambiguité du sacré, je n’ai pu que l’y encourager. C'est, je pense, l’une des parties les plus personnelles de son livre avec la Théorie de la fète (p. 126-168), à laquelle je crois bien n’avoir contribué d’aucune fagon mais que l'ensemble de ma pensée met constamment è contribution. Je profite de cette occasion pour exprimer tout ce que je dois à cette mise au point presque parfaite de la
question du sacré qu’est le petit livre de Roger Caillois. Il me semble d’ailleurs bien difficile sans l’avoir lu de saisir dans leur justification les développements fondamentaux de La part maudite. L’Homme et le Sacré n'est pas seulement un livre magistral mais un livre essentiel à la compréhension de tous les problèmes dont le sacré est la clé». 4 Riportata in D. Hollier, Le Collège de sociologie, Paris, Gallimard, 1979, PI8551e
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Per capire, bisognerà aprire una parentesi. Innanzitutto una questione di date: nato nel 1897, Bataille ha ben 16 anni più di Caillois, e questi 16 anni sono forse la ragione del loro iniziale sfiorarsi senza incontrarsi sulla scena culturale francese. Bataille esce dal surrealismo quando, men che ventenne, Caillois vi fa la sua comparsa; conosce e applica ai suoi studi le scoperte etnologiche quando Caillois segue i corsi di Mauss e Dumézil all’«Ecole Pratique des Hautes Etudes»; ha già definito i suoi interessi sul politico e sul sacro quando Caillois comincia a precisare i propri. Ma la rapidità e la precisione con cui questi intuisce la direzione che caratterizzerà la sua opera hanno qualcosa di straordinario: due anni di militanza surrealista gli insegnano la diffidenza nelle approssimazioni dell’arte e il culto dell’«imagination juste» ? che si rivelerà fondamentale per lui. Esperienze come la fondazione di «Inquisitions» $, lo sfioramento di Ordre Nouveau e la posizione di fronte a Contre-Attaque dimostrano a Bataille che dell’intelligenza di Caillois c’è da fidarsi. A 24 anni ha già dall'interno elaborato la critica a due colonne portanti della cultura occidentale: la psicanalisi e il marxismo ”. In questo periodo La rotion de dépense * pubblicato non senza qualche reticenza da Souvarine su «La Critique Sociale» del gennaio 1933, e in cui è evidente l’influenza dell’Essai sur le don? di Mauss, costituisce il primo incontro significativo di Caillois con Bataille. Questi, da parte sua, è anch'egli colpito dalle idee che il giovane allievo di Mauss e Dumézil va elaborando in quel momento. Prima ancora di conoscersi essi scoprono dunque, dalla reciproca lettura, di avere punti in comune essenziali: e si tratta, paradossalmente, proprio di quelli che causano loro un certo disagio quanto all’inserimento nelle comunità intellettuali deltempo. È in casa di Lacan che avviene l’incontro ufficiale, in un momento in cui, nonostante si siano entrambi allontanati dal surrealismo, Bataille sta per avviare, con Breton, quell’esperienza di «unione di lotta degli intellettuali rivoluzionari» ? cfr. R. Caillois, Procès intellectuel de l'art, Marseille, Cahiers du Sud, 1935. © Nel giugno ’36, Caillois fonda, con Aragon, Tzara e Monnerot «Inquisitions», il «groupe d’études» i cui membri si riuniranno (come nel futuro Collège de Sociologie) in incontri quindicinali e si avvarranno di un organo di stampa dal titolo omonimo. Ma di «Inquisitions» non apparirà che un solo numero. I dissensi tra Aragon e Tzara che, iscritti al partito comunista, intendono imprimere alla rivista un orientamento politico, e Monnerot e Caillois che, indipendenti, propendono invece per un taglio eminentemente intellettuale, portano ad uno scioglimento quasi immediato del cenacolo. ? La psicanalisi, per la sua tendenza ad avvalersi troppo facilmente di qualsiasi principio di giustificazione («elle fait appel à la préhistoire, aux peintures des grottes, aux lois de la horde primitive (hypothétiques), è une sorcellerie millénaire (reconstituée), à la sociologie, aux archétypes immémoriaux de l’inconscient collectif (supposé), à toute flexible, docile, éphémère donnée des sciences humaines» (in Approches de l’imaginaire, Paris, Gallimard, 1974, p. 102); i/ mzarxismo per la sua
tendenza ad essere «animé d’un rationalisme trop étroit» e per il suo scarso conto «des relations instinctives, passionnelles, religieuses etc.». Entretien avec Roger Caillois, colloquio con Gilles Lapouge, «La Quinzaine Littéraire» 16-30 giugno 1970, p. 6. 8 «La Critique sociale» n° 7, gennaio 1933, pp. 7-15, oggi in G. Bataille, O.C. I, Paris, Galli-
mard, 1970, pp. 302-320. ? Oggi in M. Mauss, Sociologie et Anthropologie,
Paris, PUF, 1978.
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che prende il nome di Contre-Attaque. Siamo nel ’35: il pericolo fascista è imminente; il mondo intellettuale, deluso dal fallimento del Congresso degli scrittori per la difesa della cultura, dà vita a varie forme di allerta, come il «Comité de vigilance des intellectuels anti-fascistes» !°. Nei suoi slanci lirici !!, il senso di Contre-Attaque si coglie appunto in questo clima di fermento.
Caillois non firma nè il manifesto inaugurale, nè gli altri che seguono. Ma, a voler bene fare attenzione al loro contenuto e alla loro forma, la sua personalità e il suo pensiero, vi traspaiono con innegabile evidenza. Tra i critici che si sono interessati al periodo, solo Henri Dubief (che di questi anni è testimone e che è firmatario in seconda tiratura del manifesto in questione oltre che relatore, insieme a Jean Dautry del fascicolo dei «Cahiers de ContreAttaque» dal titolo Pour un mouvement paysan autonome **, nomina — anche se un po’ frettolosamente — Roger Caillois tra i fondatori di Contre-Attaque !. Il suo ruolo appare invece fondamentale, e solo a partire da esso il tono di Contre-Attaque può forse essere compreso fino in fondo. Il manifesto inaugurale è datato 7 ottobre 1935. In una lettera del giorno successivo !4, Bataille informa Caillois delle modifiche apportate da Maurice Heine al testo primitivo (comportandosi cioè in modo tale da far supporre che il destinatario della sua missiva sia al corrente di tale testo) e, come a volersi schierare negli stessi ranghi di Caillois, tiene a far apparire la distanza tra sé e il gruppo surrealista («Je vous enverrai demain les textes que nous avons adoptés ensemble, plus Breton, Eluard,
Péret, M. Heine»). Spiega che gli spedisce il manifesto non nella speranza di strappargli una firma, ma perché lo sente «doveroso» e aggiunge che è piuttosto da parte di Breton che viene espressa l'esigenza della firma di Caillois. («Il serait intéressant qu’il signe», scrive Bataille riportandone le parole). Affronta quindi il punto nodale della questione affermando ! che la distanza tra le loro reciproche posizioni riguarda la necessità o meno di un impegno intellettuale attivo !° Sul clima di effervescenza politica e culturale degli anni ’30, cfr. J. Touchard, Tendances politiques de la vie frangaise depuis 1789, Paris, Hachette, 1960; J.-L. Loubet del Bayle, Les non-conformistes des années 30, Paris, Seuil, 1969; A. Thirion, Révolutionnaîres sans Révolution, Paris, Robert Laffont,
1972 e H. Dubief, Le Declin de la troisiéme République, Paris, Seuil, 1976.
!! Slanci lirici che F. Marmande trova simili a «une sorte de lyrisme de l’appel» (Batzille politique, Lyon, Presses Universitaires de Lyon 1985, p. 52).
12 in G. Bataille O.C. I, cit. p. 386. 5 H. Dubief, Politigue de Bataille, in «Textures» n° 6, 1970, p. 5 («C'est au café de la Régence que se réunirent les promoteurs du mouvement en septembre 1935, autour de Bataille et Breton, et aussi, pendant un moment, Roger Caillois»). 14 In «Cahiers pour un temps», numero dedicato a Roger Caillois, Paris, Ed. Centre Pompidou e Pandora,
1981, p. 185.
P «Je ne peux pas m’empécher de penser que cette attitude n’a rien de celle d’un «soldat de l’armée des Jésuites». Vous ne savez pas obéir à la nécessité d’une cause. Vous invoquez, quant à cette nécessité, des principes supérieurs qui révèlent seulement une aptitude à réagir sur le plan
de l’expression littéraire, non sur celui de la réalité». Lettera dell’8 ottobre
1935, ivi.
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sul piano sociale ! e sceglie infine, nella formula di commiato, un avverbio («affectivement») molto caro a Caillois e in cui, forse ai fini di una delicata «captatio benevolentiae» !?, cala tutto il cementante intellettuale che può riunirli («[...] je vous répète que je regrette affectivement ce qui de votre part n’est après tout qu’une illusion optique, illusion surtout sur l’intransigeance qui est pour moi à la base de notre intervention»). Gli dà infine un appuntamento per il giorno dopo alle 5, aggiungendo (garanzia contro la possibilità di incontrare la componente surrealista del movimento?) «Je serai seul» !8. Caillois precede l'appuntamento recandosi da Bataille la sera stessa, ma l’incontro si rivela burrascoso. Lo sappiamo da una seconda lettera di Bataille, datata «mercredi matin 9-10-35» !, che inizia come segue: «Je tiens è m’excuser d’excès de langage qui me laissent moi-méme surpris». Naturalmente, questi «eccessi di linguaggio» hanno una causa, e Bataille la rivela: si tratta dell’«heurt», dice,
«de nos deux fanatismes». Le posizioni rispettive vengono così chiarite: «Ce que vous envisagez s47s une agitation politique extérieure n’aurait pas /a force» ?°.
Il carteggio tra i due intellettuali rivela che innegabilmente il ruolo di Caillois nell’elaborazione del piano di Contre-Attaque deve essere stato così pregnante da spingere più volte Bataille a tentativi — falliti — di riconciliazione prima di rassegnarsi alla defezione dell'amico. Ma è da una lettera di René Char a Caillois ?! che le cose appaiono ancora più esplicite: «Jai le manifeste rédigé en grande part par Bataille», vi si legge, «et inspiré par toi». Verificare quel che c’è di vero in quest’asserzione di Char può condurre a rivelazioni illuminanti. Ciò che nei futuri scritti di Caillois colpirà Bataille è la convinzione della necessità di un’azione rivoluzionaria per la trasformazione della società. Nulla di nuo-
16 È Ja stessa posizione assunta anche all’interno di «Inquisitions». Caillois la modificherà in parte soltanto ai tempi del Collège de Sociologie. 17 Negli anni della sua adesione al surrealismo, Caillois aveva elaborato una teoria dell’immaginazione affettiva (espressione con la quale egli intende quella parte dell’immaginazione legata ai focolai rappresentativi alla base del pensiero lirico) e si era applicato allo studio scientifico dell’affettività umana e dei suoi sviluppi artistici (cfr. R. Caillois, La Nécessité d’esprit, Paris, Gallimard, 1981). Si può
quindi ritenere che nell’uso dell’avverbio «affectivement» inserito alla fine della sua lettera, Bataille abbia voluto alludere, con gesto abile e discreto, ad un suo consenso verso gli studi del collega, filtran-
do così tra le righe un ulteriore invito — espresso nei termini stessi del destinatario della missiva — a riprendere in esame il suo rifiuto e a considerare il loro dissenso non più che «une illusion optique». 18 Caillois si era ufficialmente separato da Breton con una lettera del 27 dicembre ’34 e aveva dato al suo gesto di rottura un carattere ufficiale inviandone copia a Jean Wahl il 22 febbraio 1935 e, soprattutto, pubblicando questa stessa lettera come prefazione al suo Procès intellectuel de l’art (cit.) Al momento della fondazione di Contre-Attaque, la rottura con i surrealisti (e, in particolare, con Breton), era dunque ancora molto caldo.
1? In «Cahiers pour un temps», cit, p. 186. 20 Il corsivo è di Bataille. 21 ivi p. 190.
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vo, certo, in questa posizione rispetto a quella tradizionalmente condivisa dalle frange intellettuali di sinistra. Con la differenza, però, che l’azione cui Caillois si riferisce, non si ispira ai modelli marxisti del materialismo dialettico che, sia a lui che a Bataille sembrano troppo razionali e fatalmente miopi di fronte alle esigenze istintive, emozionali e religiose che essi sono d’accordo nel considerare come il principale motore delle motivazioni individuali e collettive 22. L’applicazione in chiave marxista di un’analisi strettamente limitata ai rapporti economici e che non tenga conto dell’effervescenza passionale delle popolazioni, sarà destinata, nel pensiero di Bataille e di Caillois, a rimanere elitaria, a fallire per mancanza della partecipazione profonda delle masse, e quindi a ricalcare gli errori della società moderna, provocando una sempre maggiore tendenza all’isolamento. Bataille trova in Caillois un lucidissimo — si potrebbe dire machiavellico — teorico del ruolo delle passioni, ed uno stratega della loro utilizzazione. Lo scopre convinto del pericolo, per la società, dell’isolamento individuale in cui sempre maggiormente ci si abitua a considerare con distanza gli avvenimenti del mondo, la loro portata storica e la loro incidenza immediata (e soprattutto futura), come se tra fatti del mondo e fatti della propria anima, la barriera di estraneità sia insormontabile. In siffatta situazione di isolamento, essi ritengono che si può sviluppare solo ostilità verso il corpo sociale oltre che una pericolosissima tendenza a rivendicare per sè stessi i valori sociali della vita affettiva, individualizzandoli. Caillois trova che i rapidi cambiamenti della società non sono stati accompagnati da una adeguata analisi, e mette in guardia ricorrendo ad un «adagio» di primissima rilevanza ideologica per la propria visione delle cose: finché la società esprimeva la propria anima collettiva, finché «viveva» il suo lirismo manifestandolo in mitologia, il suo tessuto era intatto; esso appare ora lacerato dagli stravolgimenti che il senso del privato — sia materiale che affettivo — continuamente le ingiungono nella sfrenata corsa all’individualizzazione dei valori. Considerazioni di questo tipo dovevano avere una forte risonanza in Bataille: perchè si possa nuovamente considerare affini il proprio destino e quello sociale, perchè si possa agire all’interno della società e non isolandosene, bisogna profondamente sentire che la distanza tra la propria persona fisica e la collettività si esprime solo in una variazione di scala, e che le stesse forze che dominano in profondo la propria affettività agiscono, in modo generalizzato, a livello del corpo sociale: se dall’una all’altro variazione esiste, non può trattarsi che di amplificazione. Si tratta, per Caillois, dell’applicazione delle sue teorie sul ruolo espansivo dell’affettività umana ” al corpo sociale. Sono teorie capaci di mettere in gioco grosse
?2 Sulla base degli studi sociologici francesi a partire da Durkheim e della sua scuola, Bataille e Caillois sono entrambi convinti che la religione sia l’unico antidoto efficace alla dispersione sociale, all’individualizzazione delle energie passionali e alla frammentazione del collettivo.
2 Espresse in La Nécessité d’esprit, cit
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valutazioni di tipo politico e che rivelano in lui la stessa eccentricità di Bataille rispetto alla posizione dei gruppi di destra e di sinistra. Esse si basano su una comune propensione verso forme di comunismo non marxiste fondate su un’analisi che, ai problemi puramente economici dei rapporti sociali, aggiunga anche la valutazione delle energie irrazionali — i fattori «lirici» di Caillois —, l'enorme portata delle energie istintive, emozionali e religiose che muovono le masse. Il punto 6 del manifesto inaugurale di «Contre-Attaque» invita all’azione coloro «qui exigent de vivre conformément à la violence immédiate de l’ètre humain» e coloro «qui se refusent à laisser échapper lachement la richesse matérielle, dùe à la collectivité, et l’exaltation morale, sans lesquelles ja vie ne sera pas rendue à la véritable liberté» 24. Il punto 7 spiega che il movimento è aperto a marxisti e non marxisti. Il punto 8 si sofferma sulla necessità di studiare le nuove sovrastrutture della società moderna poichè solo a partire da una rigorosa analisi si può creare una base per l’azione rivoluzionaria: altrettante argomentazioni dietro le quali sono chiaramente riconoscibili le teorie che Caillois esporrà in Pour une ortodoxie militante © e ne L’Ordre et l’Empire *, testi ai quali occorre qui esplicitamente riferirsi per sostenerne l’effetto boomerang in Contre-Attaque. Caillois vuole dimostrare che le società sono sorde alle teorizzazioni di tipo astratto su quanto sia giusto e su quanto sia legge e che, al pari di ogni singolo individuo, sono anch’esse dominate dalle leggi passionali della vita. Esamina la nozione di «ortodossia» dimostrandone il carattere di verità politico-filosofico-affettiva, cui compete il paradosso di dichiararsi infallibile e immutabile laddove, in realtà, è proprio sulla fallacia e sulla mutevolezza che riposa il suo carattere reale ??. Il punto 12 di «Contre-Attaque» afferma la necessità di considerare operai e contadini come fondamento della forza sociale e sostiene la volontà di capovolgere a tutti i costi, anche attraverso la responsabilità del crimine, l’attuale stato di cose. Il punto 13 invita a riconsiderare la strategia fascista, che è capace di utilizzare ai suoi propri fini politici «l’aspiration fondamentale des hommes à l’exaltation affective et au fanatisme». È questo il punto-chiave di «ContreAttaque»: quello che susciterà le critiche di «surfascisme» mossegli contro, e che spingerà Breton a fare atto di pubblica ammenda e a rinnegare la sua partecipazione al movimento. Ma solo la credenza nell’ortodossia come verità assoluta e immutabile concetto che, come si è visto, Caillois terrà a correggere 24 Tutti gli scritti relativi a «Contre-Attaque» sono pubblicati, nella loro integralità, in G. Bataille, O.C. I pp. 379-432. 2 In Pour une ortodoxie militante: les tàches immédiates de la pensée moderne («Inquisitions» I, giugno 1936, p. 14) R. Caillois definirà come obbiettivo della militanza sociale «[...] l’édification lente et sùre d’une doctrine dont l’exactitude se situe aussi bien sur le plan de la vérité philosophique que sur celui des satisfactions affectives et qui, en mème temps qu'elle, donne à chacun la certitude de son destin[...]. 26 TI saggio costituisce la III* parte di Le Mythe et l'Homme («le mythe et la société»), Paris, Gallimard, 1938.
27 L'argomento sarà ripreso e sviluppato in Sciences infaillibles: sciences suspectes, III° parte di Approches de l’imaginaire, cit, pp.95-145.
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— forse proprio dopo l’esperienza del suo dissenso con i surrealisti sulla problematica di «Contre-Attaque» —, poteva spingere alla formulazione di una simile accusa. Ma se si tratta del punto che allontana Breton da Bataille, è però anche quello che gli avvicina Caillois: quello che quest’ultimo svilupperà nel suo saggio su Le Vent d’Hiver, che sarà considerato come il manifesto teorico del futuro Collège de Sociologie. «Contre-Attaque» invita ad usare gli stessi strumenti passionali cui ha fatto ricorso il fascismo, ma rivolgendoli piuttosto ai fini di «un intérét universel»; è l’esortazione cioè a volgere contro il fascismo i suoi stessi strumenti — di cui la storia ha dimostrato la capacità di presa affettiva sulle masse — e di combatterlo con le sue stesse armi.
Il punto 14, infine, utilizza un termine («agressivité») che Caillois rivendicherà fino a farne il titolo del saggio L’agressivité comme valeur, pubblicato nel 1937 su «Ordre Nouveau»: «Sans aucune réserve, la Révolution doit étre tout entière agressive [...] Elle peut [...] ètre déviée au profit des revendications agressives d’un nationalisme opprimé [...]». Ma non si tratta, per lui, dell’aggressività «obscure et trouble, passagère et capricieuse, indiscrète et agitée» che caratterizza le ribellioni disordinate e senza scopo, quanto di un’aggressività «transparente et cohérente, suivie et disciplinée» risultante dalla densità della forma unitaria nella struttura interna delle comunità. In L’Ordre et l’Empire, Caillois farà ricorso proprio a questi principi ma, ancor prima, pubblicando L’Agressivité comme valeur, egli sembra quasi voler rivendicare un manifesto — quello di «Contre-Attaque» — non firmato. Terzo in ordine di tempo, Le Vent d’hiver, può infine essere letto come la proclamazione — nella sede giusta e con le persone giuste — degli stessi principi, rielaborati e finalmente calati all’interno di quella collettività affettiva che nel saggio precedente egli sembrava auspicare: la sola realmente in grado di accoglierli, elaborarli e potenziarli. Al momento in cui Bataille invia a Caillois la lettera del 9-10-35, i loro rapporti non sono ancora arrivati ai termini di comunione politico-affettivo-intellettuale che caratterizzeranno i primi tempi del Collège ma, commentando l’animata conversazione del giorno prima, il tono profetico di Bataille fa pensare a sviluppi futuri. Egli si lascia sfuggire frasi fiduciose sulle prospettive dei loro rapporti: «Ce que nous avons envisagé en dernier lieu et qui résulte exactement de la mauvaise tournure de notre conversation, je ne doute plus que ce soit la seule voie». A che cosa si riferisce? Ci sono qui tutti gli elementi per ritenere che alluda proprio ad una prima formulazione dell'idea del Collège, tanto più che 28 In questo breve saggio Caillois riprende le fila dei suoi discorsi sull’affettività come energia psicologica produttrice di forze passionali utilizzabili a profitto della società: «La racine profonde, irréductible, de l’agressivité réside dans l’ambition d’expansion illimitée inhérente è toute idée clairement reconnue par l’intelligence et douée en mème temps d’efficacité motrice sur l’affectivité» («Ordre Nouveau»,
luglio 1937, p. 56).
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elenca, tra le persone di cui potersi fidare, Ambrosino e Klossowski: il primo aderirà ad «Acéphale», il secondo anche al Collège. Al termine della sua lettera, Bataille propone alcune denominazioni per quanto il giorno prima ha prospettato insieme a Caillois e, dalle formulazioni proposte, emerge una posizione già critica rispetto a Contre-Attaque oltre che un presagio del Collège de Sociologie: «Pour l’organisation, je ne pense plus qu’une répartition d’après les dénominations suivantes soit possible: organisation intérieure, org. militaire, org. internationale, commission sociologique, commission économique; peut-ètre commission de lutte contre la guerre» e aggiunge: «Je vous dirai ce que je crois possible de faire sous le nom de commission sociologique, mais il faut bien entendu que vous y réfléchissiez aussi de votre còté d’ici demain — Jeudi, à 9 heures». Tra questa lettera e la costituzione del Collège, intercorre circa un anno e mezzo. Nel frattempo Caillois è reticente: esattamente come Bataille, anch'egli si è allontanato da Breton ma, a differenza di lui, non ha nessuna voglia di ritrovarselo vicino, anzi, diffida dell’opinione di Bataille che riesce ad ipotizzare un terreno politico comune. Forse, è anche un po’ influenzato dall’opinione di alcuni amici. René Char gli comunica feroci dubbi sull’efficienza di quello che, nella lettera citata, egli denomina «le tandem Breton-Bataille» oppure, «Bataille-Waterloo» ?. Jules Monnerot non è più ottimista: mette Caillois a parte ’° della sua sostanziale opinione contro l’analisi storica di Bataille, confessandogli che non ne è affatto convinto. A ciò si aggiunga che, da quanto Bataille stesso scrive, esiste un punto di incompatibilità effettiva: Caillois é fermamente sicuro che un’azione intellettuale non possa avere sbocchi positivi ?! mentre egli si sta lasciando coinvolgere dall’illusione rivoluzionaria. Ce ne sarà quindi abbastanza per giustificare un anno e mezzo di tentativi («Inquisitions», «Ordre Nouveau») che escludono Bataille dagli orientamenti «comunitari» di Caillois. Nel 37, delusi entrambi dai propri esperimenti, si ritrovano di nuovo in casa di Lacan, a meditare sul discorso burrascosamente intavolato qualche anno prima. Scoprono allora un accordo sostanziale, hanno la certezza di poter contare sulla propria affinità. Fedeli a quegli stessi principi che sono stati invece traditi o — nel migliore dei casi — incompresi dai loro rispettivi e occasionali partenaires intellettuali, a questo punto si riconoscono ufficialmente: sugli elementi delle analisi di cui hanno intuito l’urgenza, è insieme che dovranno iniziare lo studio sistematico dei fenomeni passionali che regolano nascita, sviluppo e morte delle società. Gli elementi irrazionali, emotivi e religiosi saranno alla base di studi che costituiscono una branca nuova delle science sociologiche: per Caillois si tratta dell’estensione dello studio dei «fattori lirici» alla società; per Bataille è l’opportunità di situarsi all’incrocio tra sociologia e religione per smascherarne la fondamentale unità. Per entrambi, l'urgenza dello studio è palese: esso verterà sulla sociologie sacrée. 2° Lettera del 30 ottobre 1935, in «Cahiers pour un temps», cit. p. 190. 30 Lettera datata «novembre 1935», ivi, p. 196.
3! Lettera del 9-10-1935, cit.
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Il Collège de Sociologie
Nel luglio 1937 il Collège de Sociologie, che si dà lo scopo di studiare «l’existence sociale dans toutes celles de ses manifestations où se fait jour la présence active du sacré» ’, è costituito. Dopo un anno di piena attività, Jean Paulhan lo invita ad autodefinirsi ufficialmente sulle pagine della «N.R.F.» che, nel luglio, pubblica quello che può essere considerato come il Manifesto del «groupe d’étude».
L'introduzione, dal titolo Pour un Collège de sociologie, è siglata dalle sole iniziali di Roger Caillois e seguita da tre saggi: uno del firmatario, uno di Bataille, uno di Leiris ”.
Il Collège si dà così una consacrazione ufficiale. Dietro di essa esiste già un dissenso, che si è manifestato in modo ancora alquanto nebuloso, ma che investe in parte proprio i saggi che Bataille e Caillois pubblicano sulla «N.R.F.»: gli stessi che appena un anno prima avevano sancito i loro accordi in una riunione estremamente coesiva, espressione di una prima comunione intellettuale tra i due autori 5. Nel testo introduttivo Caillois allude al tumulto, al fervore intellettuale, alle scoperte degli ultimi vent'anni (sogno, inconscio, meraviglioso) e il tutto gli appare tinteggiato da un «individualisme forcené» che ne costituisce, secondo lui, il cementante affettivo. Il progresso delle scienze gli sembra così rapido da non permettere una coscienza lucida delle nuove possibilità da esse offerte, e soprattutto, da ostacolare l’analisi degli istinti e la nuova forma dei miti da esse convogliati, cosa che rende impossibile comprendere su quali basi poggi una parte della vita collettiva moderna. In questa situazione, Caillois individua una confusione estrema che
3 In Note sur la fondation d’un Collège de Sociologie, pubblicato una prima volta in «Acéphale» 3-4, luglio 1937 (dove appare corredato dalle firme di Georges Ambrosino, Georges Bataille, Roger Caillois, Pierre Klossowski, Pierre Libra, Jules Monnerot), poi in «N.R.F.», luglio 1938 (come introduzione ai tre saggi L’apprenti sorcier di G. Bataille, Le sacré dans la vie quotidienne di M. Leiris e Le Vent d’hiver di R. Caillois, riuniti sotto il titolo globale di Pour un Collège de Sociologie: in questa versione, esso viene firmato unicamente dalle iniziali R.C.). Sotto il titolo di Programme pour un Collège de Sociologie: e in forma ampliata, esso introdurrà poi la sezione «Paradoxe pour
une sociologie active» di Approches de l’imaginaire di R. Caillois. Le due versioni della dichiarazione relativa alla fondazione del Collège de Sociologie e l’intero fascicolo Pour un Collège de Sociologie così come esso è stato pubblicato dalla «N.R.F.» compaiono oggi in D. Hollier, cit, pp. 21-97. ?* Due testimonianze dello stesso Caillois su quel momento:
1) «Nos réunions ont commencé. La
première a eu lieu dans ce poussiéreux café du Palais-Royal qu’était alors le Grand Véfour. Bataille a parlé précisément de l’apprenti sorcier. J'ai prononcé un exposé sur le vent d’hiver» (Entretien avec Roger Caillois, colloque avec Gilles Lapouge, cit.); 2) «Je dirai seulement que je fis au cours d’une réunion tenue dans le café poussiéreux du Palais-Royal [...] un exposé suivi d’une discussion. C'est au terme de cette séance que fut fondé le nouveau groupe» (Approches de l’imaginaîre, cit. p. 58).
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può portare ad atteggiamenti o ad analisi parziali (la fuga surrealista nel sogno, ad esempio, oppure l’analisi marxista alterata dei fenomeni sociali gliene appaiono casi lampanti). Per antitesi, tale discorso definisce le aspirazioni del Collège come «transposition à l’échelle sociale des aspirations et des conflits primordiaux de la condition individuelle» ? e allude indirettamente agli argomenti dei saggi che seguiranno. Il suo è Le Vent d’hiver. Parte da un’interrogazione sul punto di vista dell’individualismo e una valutazione dei risultati di indifferenza o ostilità verso la società costituita. Gli esempi di Nietzsche sdegnoso e solitario teorico della violenza, di Sade che immagina nefandezze dall’interno della Bastiglia, o di Stirner che fa l’apologia del crimine nei momenti in cui le pause del lavoro glielo consentono, confermano a Caillois l’illusorietà della profanazione. Egli dimostra che, lungi dall’incidere sia pur minimamente sulle strutture sociali, nel migliore dei casi l’atteggiamento profanatorio non si risolve che in sarcasmo o bestemmia. Il suo invito è allora duplice: misurarsi con la società usando le sue stesse armi, rinunciando cioè all’isolamento dei grandi individualisti e costituendosi in comunità; avere, in
secondo luogo, il coraggio di capovolgere l’ottica del ribelle assumendone i valori negativi non come specifici della frangia rivoltosa, ma come fattori congeniti della vita e che, in una rinnovata ottica di affermazione dell’umanità intesa sulle orme di Durkheim come «fenomeno totale», vadano riconosciuti ed affermati. L’individualista conseguente tenderà allora non più alla profanazione ma all’atteggiamento contrario: la sacralizzazione. Attraverso ciò potrà finalmente opporsi ad una società che nella continua profanazione di se stessa si è snaturata. È in questo punto che, forse con maggiore trasparenza, si configura l’apporto dei suoi maestri dell’ Ecole Pratique des Hautes Etudes. Sulla base della teoria di Dumézil sull’organizzazione tripartita dell’ordine cosmico e politico #, Caillois si convince della congiunzione del sacro e del potere e, attraverso la riduzione ai termini essenziali della struttura di società anche molto complesse, dell’invariabile esistenza di uno stesso nucleo costituito dalla presenza di una gerarchia e dall’esercizio di una sovranità. Tale nucleo gli appare sempre rivestito di un carattere sacrale che rende sacrilega ogni azione ad esso contraria ”. È chiaro allora che agire secon-
? D. Hollier, cit. p. 33. 36. Si tratta, come noto, dell’ideologia delle tre funzioni: il divino, la guerra e l'economia, di cui Du-
mézil individua la presenza e a volte l’interrelazione, alla base della strutture rappresentative delle culture indoeuropee. 37 In occasione delle dimissioni di Léon Blum dalla Presidenza del Fronte popolare e della raccolta dei suoi discorsi in L’exercice du pouvoir, Caillois pubblica un articolo in cui esprime la sua personale concezione sul potere, differenziandola da quella dello statista. «L’analyse des phénomènes sociaux», vi si legge, «démontre que le pouvoir appartient nécessairement au domaine du sacré». Più tardi, in L’horme et le sacré (1939) ribadirà questa teoria condensando nel potere — e nel suo esercizio — l’ideologia delle tre funzioni: «Tout roi est dieu, descend d’un dieu, ou règne par la gràce d’un dieu. C'est un personnage sacré [...]. Sa personne recèle une force sainte qui crée la prospérité et maintient l’ordre du monde. Il garantit la régularité des saisons, la fécondité de la terre et des femmes. La vertu du sang qu'il
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do l'ottica della profanazione per distruggere qualcosa che partecipa della natura del sacro non è azione che minimamente possa colpire i centri vitali della società, che anzi dallo scontro uscirà rinvigorita. Si tratterà allora di rivestirsi di armi consacrate combattendo dall’interno, ugualmente partecipi della natura del sacro. È automatica la configurazione di una società elettiva, associazione a forte densità, secondo quanto teorizzato da Mauss, simile ad un ordine, e costituita da quegli uomini risoluti e lucidi che Caillois descrive in Le Vent d’hiver e, poco più tardi, in La biérarchie des étres 8, una nuova Compagnia di Gesù che abbia le caratteristiche dell'ordine monastico attivo quanto a spirito, della formazione paramilitare quanto
a disciplina, della società segreta quanto a tipo di esistenza e di azione. La prefazione a L’Histoire des Treize di Balzac gliene offre un modello praticamente perfetto ??. Ne L’Apprenti Sorcier, parallelamente al saggio di Caillois, Bataille pone i termini del problema sociologico a partire dalla definizione di Mauss di fatto sociale come
fenomeno totale. Essendo la sociologia una scienza, non può comportarsi,
rispetto ad esso, che come parte rispetto al tutto: non può, in senso etimologico, comprenderlo, ed esige quindi condizioni diverse rispetto a qualsiasi disciplina che si occupi di aspetti particolari della natura. A partire da Durkheim e in accordo con il Caillois del Vert d’hiver, si tratta quindi per Bataille, di studiare il fatto sociale assorbendosi nel fatto religioso: a partire cioè da un luogo che, essendo interno al fatto sociale stesso, debba necessariamente esserne permeato ‘°. E si tratta allora di porre la questione della totalità dell’essere, di recurépand assure la reproduction annuelle des espèces comestibles [...]» (p. 113). Nell’introduzione alla conferenza del 19 febbraio 1938 sul potere, tenuta da Bataille su indicazioni di Caillois (assente per motivi
di salute), D. Hollier (cit. p. 232-233) fa il punto sulla-posizione reciproca dei due intellettuali sulla base della distinzione (Bataille) o viceversa di una presupposta unione «endogena» (Caillois) tra potere e tragedia. 38 «On est alors conduit à envisager [...] une communauté élective, un ordre composé d’hommes ré-
solus et lucides, que réunissent leurs affinités et la volonté commune de subjuguer au moins officieusement leurs semblables peu doués pour se conduire seuls, une association è forte densité superposant son architecture propre aux diverses structures déjà existantes et travaillant à décomposer les unes, è dome-
stiquer les autres» (La hiérarchie des étres «Les Volontaires» n° 5, aprile 1939). 9°? Si compari il testo riportato nella nota precedente con queste parole, estratte dalla «Préface» a L'Histoire des treize di Balzac: «Un monde à part dans le monde, hostile au monde, n’admettant aucune des idées du monde, n’en reconnaissant aucune loi, ne se soumettant qu’à la conscience de sa nécessité, n’o-
béissant qu'à un dévouement, agissant tout entier pour un seul des associés quand l’un d’eux réclamerait l’assistance de tous [...] puis le bonheur continu d’avoir un secret en face des hommes, d’étre toujours
armé contre eux, et de pouvoir se retirer en soi avec une idée de plus que n’en avaient les gens les plus remarquables; cette religion de plaisir et d’égoisme fanatisa Treize hommes qui recommencèrent la société de Jésus au profit du diable». Con il dandy del Peintre de la vie moderne di Baudelaire e The Plumed Serpent di D.H. Lawrence, L’Histoire des treize di Balzac costituisce uno dei più importanti riferimenti letterari del periodo «collegiale» di Caillois. 1° A partire da L’Apprenti sorcier, Bataille pone i termini del problema sociologico sulla base delle analisi di Mauss sul fatto sociale come fenomeno totale: essendo la sociologia una scienza, non può che comportarsi, rispetto al fatto sociale, che come parte rispetto al tutto, cioè non può comprenderlo. Essa comporta condizioni diverse rispetto alle discipline che si occupano di aspetti frammentari della natura. Da qui l’importanza dell’insegnamento di Durkheim per il Collège: attraverso di lui, la sociologia francese
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perare ciò che il progresso della civiltà ha snaturato frammentando l’esistenza umana nei termini di un «fonctionnariat multiple», che ha determinato la scissione dell’uomo moderno in base ai ruoli della società. «L’homme de la science», «l'homme de la fiction» e «l'homme de l’action» sono uomini di una società post-sacra altamente specializzata che, determinando le funzioni, isola la parte dal tutto e la spezza, privandola del senso della sua interezza. Per una società che non abbia ancora cancellato completamente il sacro dalla sua memoria ma che, come avverte Caillois in Le mythe et l’homme, abbia sosti-
tuito alla capacità di crearlo e di viverlo la capacità sterile di analizzarlo #, l’unica possibilità è riconsiderarne la capacità coesiva, riconoscendogli il posto interzo alla comunità, la sua vitale realtà umana. Bataille invoca allora la necessità imperativa, da parte della comunità, di compiere la possessione rituale dei suoi miti per opporsi al rischio di labilità e indebolimento, al rischio, cioè, di perdere ineluttabilmente il suo segreto, la sua verità che declina. È d’accordo con Caillois quando questi afferma, ne L’Ordre et l’Empire, che il risultato dell’isolamento cui costringe oggi la società moderna è l’individualizzazione dei valori della vita affettiva, quegli stessi che in altri tempi erano espressi in miti e vissuti nelle corrispondenti feste rituali, quando le forze umane vive avevano il diritto di esprimersi senza macchiarsi di colpevolezza. Queste forze, oggi sono bandite come asociali e, frustrata, la loro esistenza si esprime solo individualmente. Oppure, e il Collège se ne fa portavoce, per superare questa condizione di isolamento basterebbe soltanto riconoscere che gli stessi meccanismi psicologici che presiedono alla vita affettiva presiedono anche all’organismo sogiale, quando ad esso sia data la possibilità di costituirsi in comunità. È ad una comunità simile al «monde dans le monde» de /Histoîre des Treize di Balzac, che anche Bataille riconosce la possibilità dell'attuazione del mito: ma è proprio in questo punto, in cui il suo discorso sembra coincidere con quello di Caillois, che invece se ne allontana. Usando il termine (che egli stesso definisce «romanesque») di «società segreta», Bataille specifica la funzione dell’aggettivo. Il «segreto» cui allude riguarda la realtà esaltante dell’esistenza e non la volgare preparazione di azioni contrarie alla sicurezza dello Stato, come è specifico delle «sociétés de complot». Il mito si manifesta in atti rituali e non ha niente a che vedere con l’organizzazione politica, non ha altro scopo che il ricongiungimento dell’esistenza individuale all’esistere, il ritorno alla totalità perduta. Quando in Pour un Collège de Sociologie, Caillois conclude esplicitando le ambizioni del Collège di passare dalla volontà di conoscenza alla volontà di potenza
ha preso coscienza della coincidenza del fatto sociale e di quello religioso. 41 Le mythe et l'homme, cit. p. 15.
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Bataille et Callois:
osmosi
e dissenso
e diventare il nucleo «di una più vasta congiura», usa la stessa terminologia cui, nel ’36, aveva già fatto ricorso Bataille nel primo numero di «Acéphale» *. La volontà di potenza è per entrambi di derivazione nietzscheana; «la più vasta congiura», che per Caillois è il risultato dell’organizzazione ipotizzata in Le Vent d’hiver, e che non esclude più per principio l’azione, per Bataille è invece /a conjuration sacrée, ordita per ricondurre l’uomo all’uomo, perché egli sfugga alla propria insufficienza individuale attingendo realtà dall’«unité communielle» in cui il gruppo umano trova forza e vigore. Entrambe le loro posizioni si sono dunque modificate, rispetto a quelle di Contre-Attaque, ma cominciano a divergere ora quanto alle finalità prospettate. Per Caillois la terminologia è identica, ma non lo sono altrettanto i contenuti. Non c’è dubbio che una medesima esigenza di trasformazione spirituale muova i congiurati. Non c'è dubbio che entrambi partano dalla critica del razionalismo marxista per la sua scarsa o nulla considerazione degli istinti collettivi. Entrambi considerano fondamentale il ruolo dell’effervescenza emozionale, ma le aspirazioni della confraternita di aristocratici implacabili, su cui si esprime l’uno non collimano con quelle dei «congiurati sacri», su cui si esprime l’altro #. «Entre Bataille et moi il y avait une communion d’esprit très forte, une sorte d’osmose sur le fond des choses, au point que la part de l’un et de l’autre étaient souvent indiscernables. Mais nous nous séparions quant è l’usage à faire de ces recherches. Et Bataille avait tendance è avancer toujours du cété de la sphère mystique» 5. In quell’epoca Caillois era anche più razionalista di quanto volesse ammettere: di ascetico non aveva in fondo che un profondo rigore — alla Savonarola, dice
Etiemble * —, ed era poco portato a trasporre sul piano della possessione rituale l’esperienza del Collège. Creare nuovi miti in grado di rigenerare il tessuto sociale agendo attivamente sulla società era il suo fine; crearli risacralizzandola a partire dall'esperienza viva della comunità sacrificale era quello di Bataille. 1° Nella seconda versione della dichiarazione relativa alla fondazione del Collège de Sociologie (che viene pubblicata nella «N.R.F.» con le sole iniziali R.C.), Caillois aggiunge un capoverso — che mancava al testo primitivo, apparso su «Acéphale» (cfr. nota 31) — in cui esprime la speranza che il Collège ormai costituitosi «déborde son plan initial, glisse de la volonté de connaissance è la volonté de puissance, devienne le noyau d’une plus vaste conjuration — le calcul délibéré que ce corps trouve une ame» (cit. p. 35).
# Sono i termini del dissenso. Sul fatto che «la conjuration sacrée» non si dia per altro scopo che la sua stessa esistenza, non sia cioè fondata su nessuna «necessità» all’infuori dell’attuazione
del mito, della realizzazione dell’«estasi», Bataille si era già espresso nel testo di apertura (La conjuration sacrée) di «Acéphale» (n° 1-2, giugno 1936), che serve anche da sottotitolo per l’intero fascicolo della rivista. In questo momento Caillois teorizza invece una comunità che, senza assolutamente farne un principio vitale, non escluda («au moins officieusement», per usare le sue stesse parole — cfr. nota 38 —) la possibilità di potersi espandere, sovrapponendosi alle strutture sociali già esistenti. 4 Colloquio con Gilles Lapouge cit. 4
Deux
masques
de Roger Caillois, «N.F.R.»
n° 320,
1° settembre
1979.
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Per il primo l’esperienza confinava con l’attivismo sociologico; per il secondo con lo sciamanesimo “. Su un substrato di evidente concordanza teorica non era possibile, per Bataille e Caillois, non iniziare una comune pratica di conoscenza, ma in realtà già nel luglio ’36, quando Caillois dà il suo unico contributo ad «Acéphale», pubblicando Les vertus dionysiaques *’, il suo articolo ha tutta l’aria, #24 solo l’aria di essere complementare al paragrafo delle Chroniques nietzschéennes di Bataille, dal titolo «Les mystères dionysiaques» #, che prende posto, nella rivista, subito prima del suo saggio. Bataille vi si esprime sulle due antiche vie per la costituzione di una comunità: la via che passa attraverso il capo, che ne assicura «l’unité césarienne», oppure l’altra, la via acefala della tragedia: quella che accomuna sulla base di un elemento emozionale. Bataille, lucidamente, ne individua la sostanza: «l’élément émotionnel qui donne une valeur obsédante à l’existence commune est la mort». Gli esempi sacrificali di Numanzia, evocata dalla tragedia di Cervantes, o quello della resa inerme del pur sanguinario popolo azteco agli uomini di Cortès, ne concretizzano l’idea. Nulla a che vedere con la lotta senza grandezza che oggi contrappone fascismo e antifascismo solo sulla base di quello che Bataille denomina «une négation agitée» ‘?. Ad essa egli oppone l’esempio della grandezza dei numantini che, uccidendosi reciprocamente per non lasciarsi soggiogare, si dimostrarono capaci di rimettere in scena ina/terati i temi mitologici crudeli e sanguinari del sacrificio di se stessi, e che non possono suscitare altro che sgomento da parte di chi, nutrito solo di spirito politico o militare, è testimone di uno spettacolo che lo trascende, la cui grandezza è frutto della trasposizione e del disgregamento delle energie individualiste in «unité communielle». Questa è appannaggio di una «communauté» che nulla ha in comune con quella di complotto e neanche molto con quella elettiva, e che Bataille denomina con un termine che non riprenderà in «Acéphale»: «communauté de coeur» 5. AI trasporto di Bataille, lucido ed emozionale, fa riscontro nell’articolo successivo l’analisi di Caillois, lucida e razionale. Parlando delle virtù dionisiache come
46 Nell’intervista con G. Lapouge (cit.), Caillois riconosce l'interesse del Collège per lo sciamanesimo e cita due conferenze tenute su questo tema da Lewitzky: «La question me passionnait parce que dans le schéma qui était le mien, il y avait antinomie complète entre la magie et la religion» [...]. Ainsi le chamanisme m’importait comme synthèse entre les puissances religieuses et le domaine des choses infernales». Fa quindi allusione alla divergenza, rispetto a questo problema, tra la sua posizione (di studioso) e quella di Bataille (di iniziato): «De son coté, Bataille était è peu près dans les mémes dispositions. Mais la différence était que Bataille voulait réellement devenir chaman».
4 «Acéphale» n° 3-4 (luglio 1937), p. 24. 6iviOpNe26
9 ivi.
20 «communauté
de coeur dont Numance
est l’image», ivi.
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di qualcosa cui paradossalmente accede solo chi sappia imporsi disciplina e leggi severissime e sia dotato di forza vitale così indivisa da restare intera nell’estasi come nel calcolo, prende a prestito da Baudelaire «la demi-ivresse de la lucidité supérieure» per aggiungerla all’«ivresse» dell'alcool, dell’amore e della crudeltà di cui parla Nietzsche. Su questi elementi stabilisce ciò che lega, ovvero le virtù dionisiache che scatenandosi nelle comunità possono costituirne il legame affettivo, la base dell’«appréhension en commun du sacré» 7. Ma nell’esaltazione della mancanza di abbandono e nella tendenza della lucidità superiore a rimanere indivisa, maggiore importanza sembra essere accordata da Caillois al momento in cui Dioniso raccoglie le proprie membra piuttosto che a quello in cui lascia esprimere «la part du feu» che le frantuma. Ed è proprio in questo che tra Bataille e Caillois si manifesta una distanza che l’insufficienza delle parole non comunica loro. Usano uno stesso vocabolario per esprimere concetti che presto si dimostrano diversi, ricorrono agli stessi miti ma, come nelle sentenze oracolari, le loro parole coprono, senza nasconderla, una verità che si rende esplicita nello
scorrimento del senso all’interno della sintassi della frase. Così la «lucidità» non è la stessa per loro, e il comune ricorso al mito di Dioniso non svela ma nasconde le loro scelte essenziali. Ciò in quanto, come ha ben sottolineato Jacqueline Risset °?, il linguaggio di Bataille è «spaesante»: il senso delle parole scoppia nel rifiuto del definitivo. Occorre allora uno sforzo di ridefinizione che richiama in causa i principi comuni su cui si era fondata l’esperienza del Collège. E nella lettera del luglio °39, Bataille tenta di mettere ordine, di centrare i punti del dissenso: «La part faite par moi au mysticisme, au drame, à la folie, à la mort», scrive tra virgolette, riportando le parole di una oggi introvabile lettera di Caillois, «vous paraissait difficilement conciliable avec les principes dont nous partions». Ma egli stesso ha, viceversa, l'impressione che quei principi siano stati traditi da Caillois: «Je suppose, gli scrive, que vous regrettez d’avoir écrit Le Vent d’hiver». E arriva quindi al problema essenziale: «Ma pire réserve porte sur la frénésie avec laquelle vous tenez à vous dire intellectuel» ?. Alla categoria intellettuale appartiene per Bataille anche l’«homme de la fiction», cui certo
?! Uno dei punti di maggiore consenso tra Bataille e Caillois è il valore da entrambi accordato al dionisismo come fonte di energie unificatrici della società. Essi sono d’accordo nel considerare che la più grave conseguenza dell’abbandono della ritualità collettiva consista nel fatto che il mondo moderno, avendo rinunciato a vivere 4 livello collettivo tali energie, le individualizza annullandone il potere unificatore. ?2 In una intervista con Lalli Mannarini per «Reporter» (giovedì 6 febbraio 1986, p.24), Jacqueline Risset si esprime su questo aspetto nei seguenti termini: «[...] il problema è quello della terminologia di Bataille, una terminologia estremamente sfuggente. Bataille usa infatti contemporaneamente una terminologia nietzscheana, marxista e hegeliana, facendole «scoppiare» proprio attraverso questo contatto. Bataille vuole usare le parole in modo da spostare continuamente l’illusione di possesso che le parole suscitano. Per questo il suo rapporto con il linguaggio è così spaesante e così... poco studiato [...]». ? Lettera del 20 luglio 1939, cit.
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egli riconosce la scelta di vie meno anguste rispetto a quelle dell’«homme de la science» o «de l'action» ma che, esattamente al par loro, non rappresenta che una esigua parte della totalità ’. Per Caillois invece la condizione di «intellectuel» è quella che garantisce una lucidità superiore. Ma la lucidità stessa, per Bataille, non è di natura intellettuale: confina con l’atteggiamento estatico della «souveraineté» che è suprema messa in gioco di ogni identità, incontro senza dilazioni con l’esistenza («l’existence, c’est-à-dire la tragédie», come egli scrive in «Acéphale» 7). La lucidità è quella senza meta dell’«expérience intérieure», in cui andare fino in fondo significa superare l’idea della conoscenza come scopo, capire l’inutilità dell'analisi e delle parole, rendersi conto finalmente che «ce qui compte n'est plus l’énoncé du vent, c’est le vent» 7. E anche la parola «osmose» introdotta da Caillois per definire la natura dei loro scambi, assume per Bataille una portata diversa. Lui che considera come unico luogo della conoscenza il luogo sacrificale in cui questa sfocia nel non-sapere, si rivolge ai solitari cui accenna Zarathustra, ai separati che si designeranno per formare un popolo designato da cui nascerà l’«esistenza che sorpassa l’uomo». Osmotico è il movimento che li lega e li chiama all’esperienza dell’acefalità. La possibilità di spingere il proprio essere nell’«ètre communiel», la propria esistenza nel «mouvement communiel» è data dall’infrazione ai propri limiti individuali, osmosi preclusa a chi non si autodesigni per il sacrificio di sé. L’«osmose intellectuelle» invocata da Caillois dovette porre dinanzi all’ Acéphale il mostro, «l’écart de la nature» repulsivo e attraente dei fratelli siamesi di «Documents», divisi e uniti per il capo ”. L'unione intellettuale non ba-
sta a Bataille: la continuità dell’esistenza è totale messa in gioco dell’essere, è aprirsi alla propria morte «qui dépasse l'homme». Questa è l’esperienza cui invita l’Acéphale e che Bataille teorizza con Caillois al Collège. Ma una lucidità di diverso tipo spinge Caillois verso mete diverse che si precisano nel momento in cui l’esperienza del Collège è travolta da quella della guerra. «Ces forces noires que nous avions révé de déclencher, s’étaient libérées toutes seules» 5, commenta Caillois e, a partire da questa osservazione, la sua via già inconsciamente diversa si precisa e, allontanandosene, diviene paradossalmente anche più prossima a quella di Bataille. Se
questi infatti entra nel vivo della tragedia e la realtà della sua scrittura acquista pieno senso quando la si intenda prodotta al momento stesso della deflagrazione che la lacera, quella di Caillois è invece la scrittura del momento dopo, del «day after», quella che senza fascinazioni, tentennamenti o emozioni registra la solennità desertica di una natura vincitrice sull’uomo e denuncia la supremazia delle rivoluzioni
94. L’apprenti sorcier, cit. 9 Colloquio con G. Lapouge, cit. 56 O.C., V., Paris, Gallimard, 1973, p. 25. 57 «Documents» n. 2, anno II, 1930, pp. 79-83. Oggi in O.C.I., cit. p. 228 e planche XIX.
28. Colloquio con G. Lapouge, cit.
ò
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Bataille et Callois: osmosi e dissenso
cosmiche, che lasciano tracce del segreto degli inizi del pianeta inscritte nella sezione di un’agata o di un calcedonio millenari. Alludono a una storia che, come quella umana, è fatta di algebra, ordine e vertigine ’’, ma è più misteriosa e incandescente rispetto al destino dell’uomo.
°° R. Caillois, Pierres, Paris, Gallimard,
1966, «Dédicace».
DENIS
HOLLIER:
CONTR’UN
Le considerazioni che seguono potrebbero essere ricollegate a ciò che va sotto il nome di sociologia della letteratura, ma ciò implicherebbe che si cominci col cambiare il significato che si è convenuto di dare a tale espressione. Con sociologia della letteratura si vuole infatti significare lo studio che dei ricercatori, dediti all’analisi dei fatti sociali, in altri termini, dei sociologi, perseguono su quanto, nella stessa letteratura, appartiene, non a istanze individuali, bensì a pressioni, esigenze e processi collettivi. Non pochi aspetti del fenomeno letterario possono infatti essere considerati come il risultato di istituzioni codificate in modo relativamente rigido, nelle quali un debole margine viene lasciato alle scelte individuali. Di conseguenza, al pari del suicidio, del consumo alimentare, delle vacanze,
la letteratura può essere materia di analisi sociologiche. Diviene allora uno tra gli oggetti che la sociologia include nel programma delle sue inchieste. Ma non è in questo senso accademico che il Collège de Sociologie vuole utilizzare l’espressione. Il suo progetto assegna al complemento di specificazione un valore soggettivo, e questa sociologia non sarà più quella che ha per oggetto la letteratura; sarà piuttosto quella prodotta dalla letteratura e dagli autori, quella implicata dalla letteratura: l’espressione sociologia della letteratura figurerebbe in un paradigma che la opporrebbe, non ad altre inchieste settoriali — come la sociologia della nuzialità o del consumo alimentare — ma ad altre istanze di emissione sociologica: la sociologia della letteratura si diversifica allora da quella di cui i sociologi sono gli autori. È la sociologia, implicita od esplicita, presupposta o sviluppata dall’attività che si definisce come letteratura. Si passa così dalla letteratura spiegata dalla sociologia alla sociologia implicata dalla letteratura. Uno dei postulati di coloro che, alla fine degli anni Trenta, si unirono
per formare il Collège de Sociologie è che esiste una vocazione sociologica della letteratura, la quale va di pari passo con una vocazione sociogenica della sociologia. La democrazia può essere definita un regime duplice e complementare: la pubblicità del potere e il potere della pubblicità. Le elezioni che decidono del suo governo sono pubbliche, aperte a tutti, come pubblici e aperti a tutti sono in linea di massima i dibattiti che ratificano le sue decisioni. Se il despotismo è il potere che si nasconde e la monarchia il potere che nasconde (giacché non ha da render conto), il potere democratico si eserciterebbe unicamente, esponen-
138.
Contr'Un
dosi, spiegandosi. Così dice. Porrebbe fine al regime dei segretari. Il segreto, che ha a lungo costituito il potere, sarebbe diventato abuso di potere. Ora, questo stesso regime che si impone diffondendo l’immagine pubblica di un potere senza retroscena, di un’autorità piatta, senza ombre né sfondi, per una strana ironia, si è trovato ad essere nel contempo il terreno privilegiato per una
proliferazione paranoica del mito delle società segrete, talpe responsabili in anticipo di reintrodurre una terza dimensione, un punto di fuga in una società che si regge unicamente sul fatto di rifiutarle. Per giustificare non so più quale repressione, Napoleone III aveva inventato una cospirazione, e ne aveva fatto il suo bersaglio. Ne attribuiva la responsabilità ad un’organizzazione collettiva che aveva battezzato con un nome troppo appropriato per essere vero: la Società segreta degli Invisibili e dei Vendicatori. L’invisibile è di fatto l’unico pericolo, il pericolo superstizioso che minaccia un potere il quale, in tutti i sensi dell’espressione, tiene d’occhio. Caillois vede nella voga dei racconti fantastici, che caratterizza l’inizio del XIX secolo, il corollario del razionalismo e del positivismo. Quella delle società segrete — che in più punti la ritaglia — sarebbe allo stesso modo il fantastico politico proprio delle democrazie. In questa società senza segreto in cui il potere, amabilmente esposto e sovresposto a qualsivoglia inchiesta, si vanta di tenere il cartellone, il fantastico non consisterà, come nel paese di Nosferatu, a ritrovar-
si senz’ombra subito dopo aver attraversato il ponte. Sarà invece, nel giorno pieno dell’arena, l'apparizione di un’ombra inspiegabile, l’ombra di un segreto, l'ombra di un’ombra. Comincia così la tauromachia dell’invisibile, la caccia alle streghe. Le società segrete, mito insistente della democrazia, costituiscono l’0mbra proiettata da un regime che tutto deve alle luci: sono l’ombra proiettata dalla luce stessa, e questa tauromachia poliziesca offre lo strano spettacolo della luce che combatte con la sua ombra, che bracca la sua ombra. CONTR’UN (il 21 gennaio)
Erano già alcuni anni che Bataille, per festeggiare questa data invernale (il 21 gennaio, anniversario dell’esecuzione di Luigi XVI) accarezzava l’idea di mascherate carnevalesche organizzate in piazza della Concorde. Per quanto approssimativa, la congiunzione del regicidio e del martedì grasso lo interessava più delle sfilate militari del 14 luglio, nel corso delle quali il potere ostenta davanti al popolo assembrato i militari che ha addestrato, domato, disciplinato. La concezione del potere che emerge dai testi del Collège de Sociologie si avvale in larga misura degli studi che Dumézil andava delineando in quell’epoca (alcuni dei quali in stretta collaborazione con quello che chiama il suo «giovane collega», Roger Caillois): soprattutto ciò che riguarda, da un lato la sovranità e i suoi due aspetti, e, dall’altro, i rapporti tra la funzione sovrana e la funzione
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guerriera, e infine la posizione particolare che la soluzione germanica a tali problemi strutturali è venuta a ritagliare nell’insieme del paesaggio indoeuropeo. Farò riferimento alle seguenti opere di Dumézil: Ouranos-Varuna. Etudes de mythologie comparée indo-européenne, 1934 (OV); Mythes et dieux des Germains. Essai d’interprétation comparative, Paris, 1939 (MDG); Mitra-Varuna. Essai sur deux représentations indoeuropéennes de la souveraineté, Paris, 1940 (MV); Horace et les Curiaces, Paris, 1942 (HC). Il secondo e il terzo di questi volumi furono ripubblicati, e Mythes et dieux des Germains apparve in una versione interamente rimaneggiata e con un nuovo titolo: Les dieux des Germains. Essai sur la formation de la religion scandinave, Paris, 1959. Nella prefazione a questa seconda edizione, Dumézil spiega che la prima fu in breve tempo esaurita non meno che sorpassata. E l’una cosa come l’altra per la medesima ragione, sicuramente: la prima versione era infatti particolarmente implicata nell’attualità storica: esaurita e sorpassata dagli eventi. Nel 1939, anno della sua pubblicazione, Paulhan e Drieu raccomandano la lettura del saggio ai Francesi ansiosi di capire gli eventi che a loro accadevano. Paulhan per spiegare loro il dopo Monaco a Drieu per spiegare loro il dopo Montoire. Ma appunto perché questo carattere datato ne fa quasi un’opera di circostanza, mi riferirò qui alla prima edizione, edizione di cui non solo l'evoluzione della scienza aveva reso problematica la ripubblicazione. Com'è noto, Dumézil parte dall’ipotesi che tutta l’area culturale indoeuropea obbedisca, nelle sue manifestazioni ideologiche, ad una strutturazione tripartita che, in certo qual modo, potrebbe evocare la composizione degli Stati Generali
della Francia monarchica. Si organizza infatti intorno a tre funzioni, che Dumézil designa come la sovranità, la guerra e la (ri)produzione: i tre apici della triade capitolina, Giove, Marte, Quirino, corrisponderebbero rispettivamente al Clericato (associato alla monarchia), alla nobiltà e al Terzo-Stato. Le mie considera-
zioni si limiteranno ad alcuni punti inerenti alle prime due funzioni. 1. Anzitutto: il dualismo costitutivo della funzione sovrana. La prima funzione è, infatti, di natura concordataria. Implica la collaborazione, difficile, ma necessaria, del trono e dell’altare, della Chiesa e dello Stato. E la tesi centrale di Mitra-Varuna: oltre che un polo giuridico e politico (Mitra), il potere implica un polo magico e religioso (Varuna). Grosso modo, questa opposizione ritaglia
quella tra profano e sacro, che si contendono così la sfera della sovranità, ma al tempo stesso la costituiscono. L’essenza del potere è insieme contrattuale e carismatica. Questi due aspetti sono contraddittori, ma anche complementari. A Romolo succede Numa: coll’alternanza viene superata l’antitesi tra queste due forme di sovranità. Il lavoro e il dispendio, la legge e la trasgressione, l’estate e l’inverno. Se si contraddicono, è in virtù di una contraddizione interna che, lungi dal minacciare la funzione sovrana, la genera, la amplifica, ne dispiega tutto il registro. Si sospetterà invece che il potere sia minacciato ogni volta
che si tenti di evitargli questa contraddizione, ogni volta che ci si sforzi di concentrare la totalità della funzione sovrana su uno solo dei suoi termini. Ciò
140.
Contr'Un
che si delinea all'orizzonte delle analisi di Dumézil — e che sarà sottolineato dalla lettura che ne faranno i membri del Collège — è la critica della nozione moderna di un potere totalmente secolarizzato, dissacrato, laicizzato. 2. Non bisogna confondere il guerriero, incarnazione della seconda funzione, con
il soldato o il «militare». Il guerriero è essenzialmente l’eroe che combatte da solita-
rio, anche se non è solo a battersi: eroe solitario di strani combattimenti. E che si
batte per battersi, trascinato da eroico furore. È l’ispirato del campo di battaglia che, come il poeta di Platone, si batte solo se posseduto, solo se entusiasta. La tatti-
ca non è di sua competenza più di quanto non sia di sua competenza la strategia; solo conta per lui la virtà. Dumézil contrappone, in Mizra-Varuna, la morale del sovrano e la morale dell’eroe: questi concetti corneliani annunciano di fatto Horace et les Curiaces. I due campi simboleggiano l’eterogeneità congenita, l’incompatibilità, quasi, delle due prime funzioni. Tra di loro, la contraddizione è questa volta esterna. Il furore guerriero costituisce per l'ordine politico una minaccia costante, non tanto in virtù di ambizioni politiche concorrenziali, quanto a causa della sua ignoranza, del suo disprezzo per ogni forma di calcolo. Il potere politico non conosce tregua fintantoché non abbia disarmato l'eroe. È così che a Roma, Giove, il Dio sovrano, ha sottratto a Marte il suo attributo guerriero, il fulmine. Se è vero che
è Marte a fondare la Repubblica, egli deve deporre le armi alle sue porte. Il momento dell’ Horace corneliano è l'equivalente, per questa altra storia della follia, di ciò che Foucault ha chiamato il «grand renfermement». Il militarismo romano si fonda sulla pratica disciplinare, sulla «civilizzazione» e la messa in riga della follia guerriera (furor dellicus); Cesare e, dopo di lui, Tacito si stupiranno dunque di riscontrare la situazione opposta nei Germani, nei quali la passione per la guerra è così snodata che ha sempre impedito l’instaurarsi di un potere politico stabile. Così, alla contrapposizione di queste due funzioni, sovrana e guerriera, si aggiunge, da ambo le parti del Reno o delle Alpi, la contrapposizione tipologica e geografica di due variazioni strutturali rispetto alla tripartizione indoeuropea: la soluzione imperiale di Roma dove la prima funzione mantiene l’altra in soggezione (il guerriero si assoggetta alla disciplina militare) e l'anarchia germanica, dove (come già aveva detto Engels) i potlatch dei guerrieri minano alla base ogni progetto di stato; è nelle foreste della Germania che nasce il sogno di una sovranità senza signoria, cioè la credenza in una libertà non contrattuale, non-costituzionale,
la credenza nel carattere essenzialmente illegale della libertà. Tuttavia questa opposizione non esclude certi accavallamenti, una certa intesa e persino una certa collaborazione tra la funzione guerriera e l’aspetto varuniano della funzione sovrana. Questi stessi accavallamenti sono al centro del libretto che Dumézil consacra nel 1939 ai Germani: il III Reich — che può esser considerato come il vero soggetto di questo studio di storia delle religioni — non
è estraneo a tutto ciò. La Germania hitleriana avrebbe infatti sormontato l’opposizione tra una «mistica della violenza» e una «morale dell’ordine», istituendo
Una impresa temeraria: il «Collège de Sociologie»
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la sintesi «una morale della forza, ma della forza regolata». E sarebbe questa morale della forza a spiegare in parte, per Dumézil, «certi fenomeni sociali tra i più recenti in Germania: lo sviluppo, il successo dei corpi paramilitari, la dura virtus e i diritti delle Sezioni di Assalto, le forme particolari di disciplina che talvolta una gioventù in uniforme ha avuto l’impulso di coltivare» (MDG, p. 90). Sotto la direzione di Hitler (che ha saputo «concepire, forgiare, praticare una Sovranità che nessun altro capo germanico ha mai conosciuto dai tempi favolosi di Odhinn» (MDG, p. 156), l'opposizione tra poliziesco e guerriero non regge più: i corpi franchi, società di uomini che discendono dai bersekir mettono in atto operazioni di polizia. L'alleanza tra Varuna e Indra, tra sovranità religiosa e funzione guerriera pone fine alle oscillazioni della funzione sovrana tramite l’esclusione del suo polo mitraico costituzionale (MDG, p.23). Queste analisi vanno messe in rapporto con quelle che Mauss precisava, all’incirca alla stessa epoca, intorno allo sviluppo del potere bolscevico e al funzionamento del regime sovietico: una guerra protratta «artificialmente» sotto la parvenza di rivoluzione assicura l’osmosi tra l’eroismo rivoluzionario e le basse attività poliziesche. Conferisce a tutta la società la struttura militare (e romana) del «campo». Caillois darà lettura davanti al Collège della lettera di Mauss a Elie Halévy, nella quale è sviluppata quest'immagine di intrappolamento generalizzato del socialismo. I riferimenti del Collège al quadro di Dumézil sono molteplici e non meno importanti, forse di quelli inerenti ai commenti di Kojève su Hegel, anche se non suscitarono le stesse puntuali dichiarazioni. Più che una «piattaforma» ideologica ufficiale gli schemi di Dumézil — che a loro volta si rifanno in molti punti a Granet — hanno costituito un sostrato intellettuale sulle cui implicazioni è peraltro probabile che le vedute di Bataille fossero lungi dal coincidere sempre con quelle di Caillois. La riscoperta di Varuna e dei suoi doppioni (Urano, ecc.) richiama la funzione cosmologica del potere: il potere come mondo. «Dio, cioè l'Universo», scrive Dumézil (MDG, p. 20) per definire la funzione uranica. Tralascio ciò che implica questo concetto di mondo definito come cosmo. Il potere qui è la consacrazione della forza. È il mondo come volontà, come pienezza di forma, ottenuta
tramite la tensione massima della forza. Il mondo è l’ordine in atto. E la sociologia del chierico ricorda che non si fa scrupolo di essere giusto. L'ordine mitraico nasce dal rispetto della forza. È quello dei littori, armati di virga e di fascio (MV, p. 115): l'emblema mussoliniano discende da Romolo, che rappresenta,
per Dumézil, la versione romana di Varuna. E Chateaubriant intitolerà La gerde des forces il suo ‘reportage’ sulla Germania nazista. La communion des forts, quasi omonima, sarà scritta da Caillois in esilio. Il potere come mondo fa regnare l’ordine, la forza e la forma trovandosi unite l’una all’altra. Questa riesumazione di Varuna funziona come una reazione contro la separazione tra Chiesa e Stato. Un tentativo di resurrezione delle cattedrali assassinate. Si tratta di denunciare l’idea che vi possa essere un potere strettamente laico. Mitra è il sovrano della luce: ragionevole, ragionatore. Umano e laico.
142
Contr'Un
Presiede agli scambi regolari. Varuna è il sovrano terrificante. Oscuro e notturno. Misterioso, sovrannaturale, irrazionale. Mitra è il signore dell’ordine, ma quando questo è minacciato, è Varuna che deve intervenire. Giacché Varuna
è anche il signore del disordine, che eleva al quadrato: signore di un ordine che non conosce il suo opposto, che domina il suo opposto. Mitra vuole escludere il disordine, Varuna fa penetrare il disordine nell’ordine. Ha realmente in mano il disordine: già totalitario, nel senso che non lascia alcunché al di fuori di sè (MV, p. 157). Nulla sfugge al suo impero. È così che durante la februazio (cfr. FEBBRAIO), si vedono i Luperchi, quei giovani chierici di Romolo, percorrere nudi le vie di Roma, colpendo al loro passaggio ogni cosa. Su questi disordini, l’ordine di Mitra non può far nient'altro che chiudere gli occhi: costituiscono l’ordine stesso di Varuna. Questa violenza pubblica è veramente, come afferma Dumézil, la controparte dell'andamento normale della vita romana. Ma Varuna non ha controparti. Tutta la teoria della festa di Caillois ruoterà attorno a queste mascherate di fine inverno. La coerenza sovrarazionale di Varuna sarà uno degli emblemi della logica del sacro, «che combina in modo sistematico ciò che una ragione imperfetta in modo sistematico eliminò, come aveva detto il Procès intellectuel de l’art del 1934. Per questa coesione, il disordine non è ciò che distrugge l’ordine delle cose, è parte dell’ordone delle cose, che sostiene. Il trionfo di Varuna, in tal senso, illustra la capitolazione del razionale dinnanzi alle esigenze della sistematizzazione» (Le mythe et l’homme, p. 216). Nel resoconto sul libro di Léon Blum, L’exercice du pouvoir, Caillois ironizza su
questo governante che non ha neppure subodorato che il potere implicava un contatto con il sacro. Denuncia nella III Repubblica e nel Fronte Popolare un potere mitraico. «Mitra, dice Dumézil, pressappoco allo stesso momento, è ostile ad ogni violenza, anche quella sacra, perché è per l'ordine, per l'armonia, per il regolamento pacifico delle difficoltà (MV, p.96). Caillois denuncia l’usura di una III Repubblica mitraica, che rispetta l'ordine ma è incapace di farlo rispettare. «È evidente che per Blum è la legalità a fondare il potere. C’è da temere invece che sia il potere a fondare la legalità. Il potere è implacabile: non abusarne quando è opportuno farlo equivale quasi a distruggerlo e sicuramente a logorarlo». Contro la tendenza che sembra spingere la sinistra a mitraizzarsi, mentre la destra si varunizza, Caillois esprime al Collège la speranza di vedere la sinistra rinunciare a quella concezione timida del potere che non gli consente di mantenerlo. La sovranità varuniana trova la sua formula più esatta nella celebre frase di Saint-Just al processo di Luigi XVI: «non si può regnare senza colpa». Bataille dirà — in un contesto meno politico — «l’autorità si espia». Urano, nel mito greco è ucciso dal figlio. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno: il regicidio non è un atto rivoluzionario. Il regicidio non libera dalla monarchia. Questo supplizio fa parte anch'esso della funzione regale, che distrugge meno di quanto non la porti a compimento, di quanto non la investa di un marchio di auten-
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143
ticità. I re che muoiono non aprono la via alla democrazia. Dianus è condannato all’eterno ritorno. D'altronde nessuno ha con tanta eloquenza giustificato la morte di Luigi XVI come il monarchico Joseph de Maistre. Non bisogna mettere sullo stesso piano la tragedia di Luigi XVI e quella di Gilles de Rais. La morte di Luigi XVI appartiene allo scenario della funzione varuniana, che Dumézil, quando parla di Urano, descrive come una «trasmissione di potere insieme dinastica e rivoluzionaria» (OV, . 54). È noto che Gilles
de Rais (almeno nell’analisi successiva di Bataille) deve la sua caduta all’instaurarsi della monarchia assoluta. E tutta una teoria a sfilare: quella dei lettori della Germania di Tacito. Vi si rinvengono La Boétie, Montaigne, Hotman, Corneille, Boulainvilliers, Monte-
squieu, Sade. Il celebre monologo di Dolmanc& «Francesi ancora uno sforzo se volete essere repubblicani!» ne è l’espressione: Klossowski, che ha commentato davanti al Collège questo passo di La filosofia nel boudoîir (il 1939 era il centocinquantesimo anniversario della Rivoluzione) ha giustamente ricordato che i repubblicani invocati da Sade non erano i futuri amministrati del Presidente Lebrun. Il regicidio non è promotore di una democrazia pacifica, bensì dell’insurrezione di ciò che Sade chiama più avanti «uno stato guerriero e repubblicano»: a beneficiare di questa esecuzione non è il pacifico Mitra, sono invece Marte, Indra o Odhinn, D'altronde non è tanto la rivoluzione propriamente detta che fa cadere la testa di Luigi XVI quanto la guerra contro i nemici della rivoluzione. Klossowski non fa riferimento a Dumézil sebbene la sua rivoluzione francese sia interpretata a partire dagli schemi sviluppati alla stessa epoca dallo stesso Dumézil nei seminari delle Hautes Etudes, ai quali Caillois assiste regolarmente e Bataille irregolarmente. Nella sua conferenza, fa della morte di Luigi XVI la sua vera e propria consacrazione. È il boia a far sì che la monarchia sfugga alla professionalizzazione mitraica, è il boia a investirla di tutto il suo potere uranico. «Nel momento in cui la ghigliottina taglia la testa di Luigi XVI, agli occhi di Sade, non è il cittadino Capeto, e neppure il traditore che muore, è il rappresentante di Dio che muore». Place de la Concorde prende il posto di Notre-Dame de Rheims.
traduzione di Marina Galletti.
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IV
Altre prospettive
RITA BISCHOF:
NIETZSCHE,
BATAILLE E IL PROBLEMA NUOVA MORALE
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Mi limiterò in questa sede ! ad intervenire su di un problema particolare, un problema che, mi sembra, apre un’inattesa prospettiva filosofica: la questione di una nuova morale. L’interpretazione di questo problema non è presente sotto tale angolazione nè in Nietzsche nè in Bataille. Nessuno dei due l’ha sviluppato in maniera esplicita. Solo un metadiscorso è in grado di sviluppare il dialogo immaginario di Bataille con Nietzsche. Il rapporto di Bataille con questo filosofo maledetto è talora improntato ad un’intimità quasi stupefacente, sì da ridurre in frantumi il rapporto filosofico tra maestro e allievo. L'intenzione esplicita di Bataille: rivivere l’esperienza nietzschiana, non poteva che scandalizzare i filosofi contemporanei.
Su Nietzsche ha la forma di un dialogo interiore, di un colloquio intimo del soggetto con se stesso, cosa possibile solo se il soggetto è diviso, se si confronta con se stesso e se, in quest’assenza d’identità, si trova totalmente privo delle abituali certezze e sicurezze. In un certo senso il soggetto stesso si sottrae. Non è strano che in quest'opera magmatica, si parli di più di Bataille che di Nietzsche. Tuttavia, Nietzsche irrompe continuamente in questo dialogo interiore; nello slittamento continuo provocato dalla lacerazione del soggetto, è il solo punto fisso. Le posizioni di Nietzsche; le sue parole, citate alla lettera, sono delle stelle nella notte oscura della soggettività di Bataille. Sull’esempio di Nietzsche, Bataille ha reso la filosofia il linguaggio di un breve istante: «uno scoppio nella notte». È il soggetto, al suo punto di fusione, che parla e che confonde il lettore abituato alla successione ordinata delle idee. Il nuovo soggetto del pensiero deve vivere la problematica filosofica prima di risolverla. Ci troviamo più vicini al balbettio che al discorso ex-cathedra. Questo linguaggio si compone più di frammenti di frasi e di grida che di formule ben tornite. Tuttavia, e spero poterlo dimostrare in seguito, l'interrogazione filosofica così articolata si dimostra di una complessità estrema.
l Mi si consenta di rinviare al mio saggio: R. Bischof. Sowveranitat nitat und Subversion, Georges Batailles Theorie der Moderne,
Minchen,
1984.
148
Nietzsche, Bataille e il problema di una nuova morale
I. Georges Bataille sembra aver subito l'influenza della filosofia tedesca come pochi altri pensatori francesi della prima metà del ventesimo secolo. Sappiamo che ha tentato di leggere Hegel, Marx, Nietzsche e Freud direttamente sui testi — un tentativo ben presto abbandonato. Tuttavia, se esaminiamo meglio le sue letture dei pensatori tedeschi, ci accorgiamo che Bataille si è ben presto definito un antihegeliano, un antimarxista e un antifreudiano. Si potrebbe quasi parlare di un’avversione al pensiero tedesco se non vi fosse, per vari decenni, la sua attenzione a Nietzsche. Ma Nietzsche non potrebbe dire (per rovesciare la parola conosciuta di Bataille) di sentirsi più vicino al modo di pensare francese che a quello tedesco? Ciò nonostante la sua formazione intellettuale è stata marcata a fondo non solo da Nietzsche ma anche da Hegel. Come dimostrano i saggi scritti lungo tutto l’arco della sua produzione,
Bataille si riferisce continuamente
a questi
due filosofi tedeschi l’uno agli antipodi dell’altro. In maniera paradossale, il pensiero di Bataille nasce dall’insolubile tensione tra Nietzsche e Hegel. Si direbbe che Bataille si è prefissato di riconciliare il problema nietzschiano di una nuova morale con la prospettiva storica della dialettica hegeliana. Ma vediamo dapprima su cosa Bataille ha messo l’accento. II. Bataille senza dubbio ha ammirato nel sistema hegeliano la forma compiuta di ogni filosofia presente. Si è soprattutto ispirato alla ricostruzione hegeliana della storia che spiega l'evoluzione dello spirito occidentale attraverso le leggi di trasformazione delle sue forme. La filosofia della storia in Bataille, sviluppata a partire da una nuova definizione del concetto di sovranità, è senza dubbio influenzata dalla concezione hegeliana, anche se l'opposizione tra la soggettività sovrana dell’essere e l’obiettività del potere, sulla quale si fonda, si trova agli antipodi della dialettica. L’epistemologia implicita della Fenomenologia dello spirito e, ancora di più, l’etica hegeliana incarnano le posizioni filosofiche contro le quali per tutta la sua vita Bataille si è battuto. È Nietzsche e non Hegel a guidarlo nel punto cruciale dei suoi interessi: la critica della morale e dell’ideale. Hegel, secondo Bataille, si situa alla fine di un lungo divenire dello spirito che, al contempo, vede il suo compimento nel sistema del «sapere assoluto» e si scontra con i suoi limiti definitivi. Egli scorge, invece, in Nietz-
sche un nuovo punto d’avvio, un varco verso una nuova possibilità che entra in contraddizione con la tradizione filosofica che non può prevederla. Bataille, mentre considera che lo spirito nella sua forma tradizionale raggiunge il suo compimento in Hegel, s’interroga sulle restanti possibilità di sviluppo, anche in direzione di nuove aperture. Tutta la verità della filosofia hegeliana sembra,
per Bataille, concentrarsi
e annullarsi nella nozione di salto. Il salto, garanzia di un'infinita apertura, sottolinea tendenziosamente la vanità della volontà filosofica di sistema. Nel salto tutto è rimesso in gioco, tutto è possibile, nulla è deciso. Nessuna determinazione e nessun determinato
possono
resistergli. Ogni cosa si sporge verso
Altre prospettive
149
l’abisso del proprio non-essere, non si tratta di una nuova entità del pensiero ma di una perpetua messa in discussione. Il salto fonda una nuova sorta di trascendenza che nasce dalla caduta dell’eternità nell'immediato e, di conseguenza, nel ridicolo. Il salto fuori da una vecchia forma, divenuta obsoleta, rinvia per Bataille, alla possibilità, che è invece negata nell’elaborazione del sistema. Il sistema esclude ogni movimento non previsto dalle sue premesse. Bataille ha individuato nel salto l’analogo spaziale del problema del tempo in Nietzsche. In ultima analisi il salto gli serve a distruggere lo schematismo della dialettica hegeliana. Se Hegel formula la regolarità di uno spirito che progredisce continuamente, e anche per salti, verso il suo compimento che comporta, una volta raggiunto, la fine della storia, Nietzsche invece, si oppone all'idea di progresso negando la concezione del tempo su cui si basa. Ma ascoltiamo Bataille:
Il salto è la vita, il compimento è la morte E se la storia si ferma, io muoio.
oppure:
AI di là di ogni chiusura un nuovo tipo di salto? Se la storia è finita, un salto fuori dal tempo? Grido per sempre: I/ terzpo al di fuori della chiusura III. Bataille ha dichiarato senza equivoci la propria propensione: «salvo qualche eccezione, Nietzsche è il mio compagno sulla terra». Su Nietzsche è la disperata testimonianza di un’amicizia esclusivamente situata nello spazio immaginario. L’esempio o l'ombra di Nietzsche, un morto, un fantasma, è l’unico amico con
cui Bataille comunica in certi periodi della sua vita. Bataille si è sempre sentito l’erede di Nietzsche. Le sue riflessioni sul problema di una nuova morale iniziano laddove Nietzsche ha lasciato il vuoto, un vuoto d’altronde premeditato. Che non resti nulla, almeno nulla di afferrabile delle severe esigenze di Zarathustra, nulla che permetta di canonizzare la sua etica, è una scelta voluta. Non vi è una nuova dottrina che soggioga tutti e che possiede un carattere necessario. Il gesto del saggio che vuole istruire il popolo, mostrandogli come si vive, si nega da sè: è risibile! Il superuomo che mediante il suo insegnamento vuole liberare l’umanità si svela alla fine il folle che mostra con la sua esperienza dolorosa la vanità di ogni volontà di redenzione — e quindi la sua dimensione tragica. Le nuove tavole proprio per questo ci giungono già distrutte. Esse sono parzialmente scolpite, o meglio: la scrittura si perde nell’illegibile. Ne restano dei frammenti ma furono mai altra cosa?
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Nietzsche, Bataille e il problema di una nuova morale
L’opera postuma di Nietzsche, per Bataille, non può essere considerata un’apologia della «volontà di potenza». La volontà di potenza sembra indissociabile dagli atti pratici e politici; Nietzsche manifestava giustamente una repulsione per tutto ciò che nel suo tempo si indirizzava verso un’interpretazione così restrittiva. Ha sempre provato disprezzo, disgusto e repulsione per il mondo politico. Sentiva la politica come grossolanità e non l’ha mai nascosto. La grandezza non risiedeva, secondo lui, nelle azioni militari registrate dalla storia ma solo nelle opere intellettuali ed artistiche. L'essere non troverà il suo compimento negli sforzi compiuti nel tempo né giungerà alla perfezione grazie a un lungo processo storico ma nell’istante, incarnato da quegli individui che dissolvono in una risata le trascendenze consolidate. Si potrebbe fondatamente considerare la volontà di potenza come un autodisprezzo e affermare con Bataille: la possibilità «risponde molto più che esattamente della potenza alle intenzioni di Nietzsche». Nietzsche stesso non aveva riconosciuto: «Il nuovo sentimento della potenza: lo stato mistico; e il razionalismo più aperto e più ardito che serve come via per arrivarvi?». Secondo Bataille, Nietzsche ha sperimentato nella sua vita una ricerca morale spinta all'estremo che mirava ad un oggetto al di là del bene. Ma non ha definito con precisione l'oggetto della sua ricerca. Qui interviene Bataille che analizza l'atteggiamento nietzschiano verso una nuova morale. Bataille vedeva in Nietzsche il filosofo del male e l’ha collocato sullo stesso piano di Sade. Vi è una certa affinità tra la sua interpretazione di Nietzsche e quella di Horkheimer e Adorno in Dialettica dell'illuminismo. Anche Horkeimer e Adorno associano Nietzsche a Sade, li considerano avversari della morale kantiana, richiamandosi ad un secondo illuminismo, radicale. Questo ci sembra ancor più interessante visto che Horkheimer e Adorno, contrariamente a quanto sembra sottinteso in questo colloquio, non conoscevano gli scritti di Bataille.
IV. Il merito di aver formulato senza equivoci — forse per la prima volta nella storia della filosofia — il problema fondamentale di ogni morale va attribuito a Nietzsche. E stato il primo a problematizzare lo scopo di questo punto limite da cui erano state dedotte sino ad allora le esigenze morali 2. Nietzsche ha individuato nella morale tradizionale il fondamento psicologico della potenza e l’origine della eteronomia umana. Secondo Nietzsche lo scopo della vecchia morale era di porre gli uomini sotto tutela mediante la rigorosa regolamentazione della vita quotidiana. Nietzsche postulando una nuova morale, vuole spezzare il nodo che, da millenni, lega la morale all’azione.
? Si veda il capitolo Disgression uber den Zueck des Zueches oder: Das Paradox einer asoluten
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in R. Bischof, op. cit.
Altre prospettive
151
Su questo argomento, Bataille non fa altro che spingere più lontano il pensiero di Nietzsche, dimostrando che i fini ultimi della morale tradizionale si riducono in definitiva alle più banali motivazioni dell’azione umana. Non si sarebbero mai potute dedurre dall’idea di Dio le norme che guidano la vita concreta degli individui, se questo punto ultimo: Dio, il bene o la salvezza, non fosse servito al primo capo per legittimare delle esigenze d’ordine sociale. Se facciamo a meno di Dio o dell’assoluto, la morale più elevata si riduce a qualche insignificante precetto. La morale tradizionale rispondeva alle necessità della vita pratica che esigeva delle forme precise e prevedibili d’azione — ad esempio il rapporto costante tra ri-
cerca della salvezza e attività economica studiato diffusamente da Max Weber. La nuova morale, invece, abbozzata da Nietzsche non formula delle direttive per l’azione, ma vuole essere una morale dell’essere intero nella sua imprevedibile individualità. Il criterio fondamentale della nuova morale è, da una parte, l'indipendenza rispetto ai valori realizzati nell’azione, d’altra parte, l'ampiezza della sua influenza sulla concreta formazione dell’esistenza individuale. La nuova morale, legata alla morte di Dio, non giudica; nasce al contrario da una rinuncia al giudizio, anche al Giudizio finale. La nuova morale non vuol essere insegnata o concessa, ma vissuta fino ai limiti del possibile. È questo che le conferisce la sua sovranità. Nietzsche ha insegnato l’ascesi del giudizio. Se Dio è morto, chi può dare all’uomo una legge generale? Con la caduta di Dio nell’immanenza, nel ridicolo, ogni legge generale diviene caduca. Resta solo il paradosso di una legge individuale. L’etica nuova insegna a rinunziare alla volontà d’essere tutto, al desiderio irresistibile di migliorare il mondo e invece a contemplarlo ed amarlo così com'è: intreccio di combinazioni fortuite, di sorti cieche. Si tratta di proclamarsi non colpevoli, di liberare la natura, la creatura, l’esistenza insensata dell’uomo dal peso della terribile colpevolezza che un cristianesimo mal inteso fa pesare su di lui. L’etica nuova di Nietzsche si situa al di là del bene e del male: richiede una giustizia senza bende sugli occhi e senza spada:
A: Che significa giustizia? B: La mia giustizia è l’amore con gli occhi che vedono A: Ma rifletti su ciò che dici: questa giustizia dichiara tutti liberi, tranne quelli che la fanno, che la predicano! Questo amore non solo porta tutte le pene, ma anche tutte le colpe! B: Così deve essere. Mentre Hegel sostiene, come sappiamo, un’etica incontestabile e, potremmo
aggiungere, una giustizia cieca, Nietzsche difende un’etica che deriva da un’interminabile serie di domande e di problematizzazioni. Nietzsche propugna una giustizia veggente. La sua etica è determinata dall’inazione che spinta alle estreme conseguenze, comporta uno spostamento d’accento sull’essere piuttosto che
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Nietzsche,
Bataille e il problema di una
nuova
morale
sulla volontà d’agire. Nietzsche ha liberato l’essere dalla subordinazione ad un fine a lui estraneo e perciò dal tormento dell’attesa. L'attenzione è di nuovo diretta sul presente, per la prima volta dopo la storicizzazione della vita umana. Il presente cessa d’essere un semplice mezzo in vista di un fine fantasmatico situato nel futuro, per ritrovare il suo compimento, necessariamente effimero, in se stesso. Se l’idea dell’eterzo ritorno è un'ipotesi sostenibile, in ogni istante del presente si apre una prospettiva vertiginosa. La conseguenza che ne deriva per l’uomo, la ripetizione infinita dell’esistenza, è profondamente etica. Lo vediamo nella prima versione dell’idea di ritorno, espressa nella Gaia Scienza: Il peso più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte e non ci sarà in essa mai niente di nuovo,
ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà far ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione — e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello nella polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso in cui sarebbe stata questa la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?». Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse
ti stritolerebbe; la domaanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita,
per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello? ? ; Una vita, un atteggiamento, un comportamento che si inscrivono nella prospettiva dell’ancor-una-volta e del sempre-di-nuovo sono obbligati a prendere coscienza di se stessi fino nel più piccolo movimento interiore. Nulla sfugge alla ripetizione esistenziale. Essa mette impietosamente in luce ciò che altrimenti potrebbe essere facilmente rimosso. La domanda è ormai: puoi dire di sì a ciò che sei? vuoi rivivere all'infinito la tua esistenza attuale? vuoi ricominciarla e ricominciare senza fine? Forse è l’esigenza più severa mai posta all’umanità. Può voler ricominciare la sua vita solo colui che si è liberato dalle determinazioni eteronome e non vuole essere un altro. Il nuovo imperativo categorico dice:
divieni ciò che sei! Proprio quest’interrogativo rinvia alla dimensione estetica
} F. Nietzsche, La gaia scienza, tr. it. di F. Masini, Milano,
1965, pp. 192-3 (N.d.T.)
Altre prospettive
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della morale nuova. Nietzsche sembra partire dalla convinzione che il bello esige una disposizione diffferente da quella che l’uomo adotta verso la natura circostante. Tutto ciò che è bello è oggetto di desiderio, ma non ci auguriamo che sia altro, non vogliamo cambiarlo ma lo desideriamo com'è. Il desiderio del bello è dunque il contrario dell’impulso etico rivoluzionario che vuole cambiare il mondo in funzione di un dover essere perfetto e superiore.
V. Dio è morto — Nietzsche parte da quest'esperienza che caratterizza tutto il suo secolo; ma ne trae delle conclusioni inattese. Se non vi è Dio, se Dio stesso, e con Dio, l’eternità di un essere immaginario e perfetto, sono esposte alla contestazione del tempo, allora il mondo è senza fondamento, senza unità e fini. L’immediata conseguenza di un’assenza dell’autorità assoluta e incontestabile è che il mondo non può più essere giudicato. Al posto dell’istanza supe-
riore dell’essere, si apre un vuoto che annienta l’intelligibilità del mondo. L’affinità segreta tra Nietzsche e Bataille si manifesta nel fatto che entrambi s’inebriano dinanzi alla morte di Dio. Sono consumati da quella fiamma che illumina le estasi degli eroi e dei santi, liberata, tuttavia, da uno scopo finale: Dio, la città
o lo stato che esigevano l’ultimo la morte di Dio (Gottes Todtenfest) la possibilità dell’uomo completo. giganteschi fantasmi, vi sono solo la maggioranza dei pensatori atei
sacrificio. Nietzsche ha sognato di celebrare per commemorare l’avvenimento che implica Poichè, finchè vive sotto il giogo dei suoi dei frammenti umani e non l’uomo. Mentre sostituiscono a Dio altri valori assoluti quali
la ragione, lo stato, la nazione, la felicità delle masse, conservando la struttura della metafisica tradizionale, Nietzsche vuole mettere fine a questo monotono
gioco storico della creazione e della distruzione degli dei. («ewiger Vergottung und ewiger Entgottung»). L’avvenire di cui parla è un avvenire nel quale gli uomini sono dei sistemi autonomi e delle fonti d’irradiazione. Per Nietzsche, il mondo è divino perchè non ha scopi, perchè è una ruota che gira da sola. In questo si concretizza il momento estetico. Dalla Nascita della tragedia egli ha continuato a riflettere sulla possibilità di una metafisica di artisti. L’arte è la sola risposta adeguata a un mondo senza fondamenti e senza scopi, nato dal libero gioco degli aeoni con se stessi. Infatti, ogni innovazione nell’arte e nella poesia moderna è legata alla distruzione dei centri ipostatizzati . Per Bataille ciò che scuote nell’idea dell’eterno ritorno non è la promessa della ripetizione infinita, ma il fatto che gli istanti che si vivono appaiono immediatamente dei fini poiché sono effimeri. Questi momenti sono gli istanti dell’estasi veggente e della scura paura, del riso e delle lacrime, gli istanti
4 Cfr. l’introduzione a R. Bischof, op. cis.
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Nietzsche, Bataille e il problema di una nuova morale
% sovrani in cui il soggetto è proiettato fuori di sè, diviso in cui comunica in modo intimo e sovrano o perisce». Il ritorno rende immotivato l’istante, libera la vita dai fini e, per ciò stesso, la perde. Il ritorno è il nodo drammatico e la maschera dell’uomo intero». Bataille l’ha così descritto.
VI. L’etica formulata da Nietzsche e sviluppata da Bataille è quella dell’uomo integro, non frammentato. Non deve sottrarre nulla di quello che è; non è nulla di cui possa fare a meno. Ogni cosa, anche ciò che è sbagliato, confuso, oscuro è necessario. L’insensato è una parte essenziale dell’essere. Si tratta, più precisamente, della parte che, accettata, libera l’esistenza umana dal suo asservimento
a un senso esteriore. L’etica rinnovata si realizza in chi nega la presenza di ogni volontà eterogenea e rifiuta ogni determinazione imposta dall’esterno. La sua forma privilegiata sarebbe il paradosso: l’essere acquista la sua totalità solo distruggendo gli universali che lo determinano e lo confinano nei limiti di una funzione al servizio delle totalità trascendentali. Non è più l’aspirazione verso un essere perfetto che strappa l’esistenza umana alla sua patente limitatezza. Non si tratta della volontà d’essere tutto, come insegnava la vecchia morale. L’essere diviene completo quando cessa di tendere verso una perfezione che non raggiungerà mai o raggiungerà solo distruggendosi come essere. L’uomo intero conquista la sua forma d’esistenza completa fondandosi sugli elementi che la vecchia morale esorcizzava. «L'esistenza intera si situa al di là di un senso, è la presenza cosciente dell’uomo nel mondo proprio in quanto l’uomo è un non senso». La parte, maledetta dalia vecchia morale, il non-senso raggiunge la dignità sovrana nella misura in cui s’esprime liberamente. L’etica nuova implica una libertà che deride definitivamente le verità morali. La nuova morale è una protesta contro la frammentazione della morale tradizionale che nega una parte della natura umana. La condizione soggettiva di dominazione sull'uomo è basata su questo. L’uomo integrale non può facilmente essere asservito. Egli annienta le grandi costruzioni trascendenti; nasce dalla rivolta incessante contro tutto ciò che si oppone al suo desiderio d’autonomia. L’essere integrale può nascere solo mediante una sfida. VII. Ogni esistenza è dovuta al caso, ad un tiro di dadi, e implica tuttavia una necessità che vale solo per l’individuo. Questa necessità vuole essere affermata, amata. E la possibilità che getta i dadi e condiziona le costellazioni esistenziali. Ma il caso si trasforma nella necessità momentanea di una determinata forma d’esistenza. Amarla è l’unica nostra scelta. Non affermandola, non mutiamo nulla, ma lasciamo cadere la possibilità. Nietzsche, estatico, pronuncia la sentenza: 47207 fati! Ma quando affermiamo quest’amore della necessità, cosa succede della volontà? La volontà può sussistere accanto al tiro di dadi cosmico che l’idea dell’eterno ritorno comporta? Non vi èuna contraddizione tra la vo-
Altre Prospettive
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lontà che ha una struttura identica a quella del tempo in divenire verso un punto finale ideale e l’eterno ritorno che nega proprio questa struttura temporale? Ogni volontà è telelogicamente orientata verso un fine la cui realizzazione implica un’aspirazione che si svolge nel tempo sotto la spinta di questa volontà. La volontà è congiunta all’attesa. La dimensione temporale dell’attesa è l’avvenire in cui si compie. L’idea dell’eterno ritorno spinge la volontà a sormontare i suoi limiti. Deve trascendere se stessa. Poichè l’avvenire è semplicemente il passato che ritorna, la volontà deve assumere la responsabilità di ciò che «è stato». La volontà che si muove senza esitazione in avanti si arresta di colpo: deve guardare indietro. Con gli occhi fissi sul passato che si svela come il tempo futuro, deve trasformarsi in una conferma o cessare d’essere. La formula mediante la quale la volontà si libera da sè e per sé, è: l’ho voluto così. Ogni essere, ogni compimento si mette in gioco e si nega in permanenza. L’essere si definisce solo nel divenire, momentaneo arresto di un movimento
senza fine, che va dall’aurora alla pienezza e dalla maturità al crepuscolo. Il «grande mezzogiorno» contiene già il declino della sera, e, inversamente, un
nuovo mattino s'annuncia a mezzanotte. Chi vuole compiersi deve distruggere, ma una volta costruito, si situa nella prospettiva della distruzione. Ogni affermazione è necessariamente seguita dalla contestazione. L’essere dell’essente è questa eterna salita e discesa. È necessariamente incompiuto, simile ad una ferita sempre sanguinante. Il divenire è la sola valevole legge dell’essere: è la caduta dell’eternità nel tempo. La nuova morale si forma nel riso che, diretto contro gli esseri supremi, li annienta. L’inverso di questo nulla è un al di là di se stessi, un al di là individuale, il paradosso di una trascendenza individuale. traduzione di Ugo M. Olivieri.
GERMANA
BATAILLE
ORLANDI CERENZA
E IL «MINOTAURE»:
PRESAGI E PRODIGI
Noi mutiamo incessantemente e si può dire che ogni lettura di un libro, ogni rilettura, ogni ricordo di questa lettura, rinnova il testo. Il testo è, anch'esso, il fiume mutevole di Eraclito. Jorge Luis Borges
La pagina di apertura del N° 9 di «Minotaure» (15 ottobre 1936) esibiva in epigrafe la seguente affermazione di Edmond Jaloux:
Lorsque, dans un certain nombre d’années, on voudra se rendre compte des dessous de notre temps, c’est-à-dire des préoccupations, des recherches, des curiosités de ces groupes à demi secrets qui forment l’opinion la moins extérieure d’une époque, celle qui travaille dans l’ombre, qui prépare les courants, influence les snobismes, met en valeur les hommes nouveaux, il sera nécessaire de consulter «Minotaure». Il est certain que le témoignage de «Minotaure» sera un jour considérable dans l’histoire intellectuelle de la période qui a suivi 1933. Esprimendo il proprio convincimento sul ruolo attivo che una rivista svolge in seno alla società in cui si manifesta, il critico poneva l’accento sul carattere peculiare di «Minotaure», tanto più incisiva in quanto, dietro l'apparenza innocua della sua veste di lusso, da taluni giudicata paradossale non lasciava appieno decifrare la specificità della propria azione volta a captare inquietudini /atenti piuttosto che a tradurre i segni mzarifesti di cui il proprio tempo era portatore. La rivista fu voluta da un editore, lo svizzero Albert Skira, il quale intendeva estendere con frequenza periodica il felice incontro tra poesia e pittura realizzato con due suoi libri, le Metazzorfosi di Ovidio e le Poésies di Mallarmé, illustrate rispettivamente da Picasso (1931) e da Matisse (1932) cui, nel 1934 sarebbero seguiti iCharts
de Maldoror di Lautréamont, ove fu chiamato Dalì a stabilire la propria personale lettura del testo poetico confrontandosi con lo spazio della pagina e la tipografia. «Minotaure» ebbe una presenza complessiva di 11 numeri, dal giugno 1935 a maggio 1939, di cui due doppi, nel primo e nell’ultimo anno di vita (nn. 3-4, dicembre 1933 e nn. 12-13, maggio 1939).
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La direzione di fu affidata al critico d’arte E. Tériade, il quale nell’editoriale segnala la natura eclettica della rivista ove arte e poesia sarebbero state strettamente associate, ma con uno sguardo attento ad altre discipline quali etnologia, psicologia, psichiatria, psicanalisi, nell'impegno di essere «costantemente attuale». Nel giugno 1933 escono contemporaneamente i primi due numeri, di cui il secondo rappresenta la risposta più convincente alla aspirazione interdisciplinare della rivista. Tale numero sarà infatti interamente dedicato alla Missione etnografica e linguistica Dakar-Djibouti (1931-1933), diretta da Marcel Griaule, alla cui équipe unitamente alla direzione del Museo di Etnografia, fu affidata l’intera redazione del numero speciale. Per la psicanalisi sono da segnalare, in particolare, i contributi dei medici Claparède e Lacan che studiano rispettivamente il sonno come reazione di difesa e i moventi del delitto paranoico, nonché la teoria della paranoia esposta da Dalì, in cui l'estasi è vista come «état pur» che l’artista aspira a rendere continuo (nn. 3-4, 1933). «Minotaure» riserva grande spazio alla fotografia, rappresentata da Man Ray, Brassai, Raoul Ubac, Dora Maar, chiamati a intervenire nella rivista anche con
scritti teorici: per il numero doppio che già abbiamo citato, Man Ray scrive un bellissimo articolo, L’Age de la Lumière che si affianca a quello di Brassai: Du mur des cavernes au mur d’usines. Fra i poeti, accanto a Reverdy, la cui voce inaugura la rivista, e a Valéry, Tzara, Léon-Paul Fargue, Max Jacob, che rappresentano, in certo senso, la con-
giunzione con il passato più prossimo, figura il gruppo surrealista che Skira aveva conosciuto per il tramite di René Crevel: André Breton, Eluard, Michel Leiris,
Roger Caillois. Riprendendo una loro consuetudine, i surrealisti promuovono un’Inchiesta, sul tema della Rencontre, volta a interrogare la nozione di automatismo psichico (nn. 3-4, dicembre 1933). Leggendo «Minotaure» in prospettiva diacronica si nota un progressivo passag-
gio verso un sempre più esplicito impegno politico. Nel n. 6 dell'inverno 1935 è da segnalare un importante intervento di Breton, La grande actualité poétique, sull’incidenza dell’intellettuale nella propria società. Citando gli esempi di Baudelaire e di Rimbaud, fino a Majakovskij, Breton condanna il silenzio dei poeti la cui voce consultiva dovrebbe farsi sentire all’approssimarsi della notte sul mondo. Nel 1936 (n. 9), la rivista difende la propria scelta di eleganza editoriale, che non manca di dare scandalo, sostenendo che «l’OEil, en sa qualité de premier auxiliaire de l’Esprit demande è étre satisfait».
Con il n. 10 del 1937 cessa la direzione di Tériade e «Minotaure» diventa a pieno titolo un organo surrealista, con un Comitato di redazione composto da Breton, Duchamp, Eluard, Heine, Mabille. Con il numero doppio (12-13) del maggio 1939, in cui si trovano espliciti riferimenti alla situazione politica e alle minacce della guerra incombente, cessa la vita di «Minotaure». Passando da questa rapida descrizione della rivista ad una lettura più arti-
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Bataille e il «Minotaure»: presagi e prodigi
colata, osserviamo che le copertine rivestono un’importanza notevole nella significazione del periodico. È Picasso ad inaugurare l’illustrazione della copertina che sarà via via affidata ai nomi di punta dell’avanguardia artistica: a Gaston-Louis Roux che disegna quella del secondo numero, in quanto aveva partecipato alla missione etnologica Dakar-Djibouti, seguiranno André Derain (nn. 3-4, dicembre 1933), Francisco
Borès (n. 5, maggio 1934), Marcel Duchamp (n. 6, inverno 1935), Joan Mirò (n. 7, giugno 1935), Salvador Dalì (n. 8, giugno 1936), Henri Matisse (n. 9, ottobre
1936), Magritte (n. 10, inverno
1937), Max
Ernst
(n. 11, primavera
1938), André Masson (nn. 12-13, maggio, 1939). Ogni copertina ha come soggetto il tema inquietante del Minotauro, di cui gli artisti sopra elencati offrono una raffigurazione personale, scandagliando il mito classico attraverso le sue più ambigue implicazioni, ove bestialità e antropomorfismo s'incontrano, spesso confondendosi. Data l’angolazione con cui affrontiamo l’analisi della rivista, volta a indagare la presenza di Bataille in «Minotaure», ci limitiamo a segnalare solo quelle illustrazioni antropomorfiche che ci sembrano più esplicitamente aderire all’immaginario di Bataille. Cominciamo
da Picasso, la cui copertina è giocata sui ritmi contrastivi di
un collage eterogeneo che fa da sfondo a una stele da cui irrompe la vitalità bestiale di un uomo dalla testa e coda di toro. La sua vitalità trionfante è esibita da alcuni connotati virili, il vello abbondante e riccioluto, la coda sinuosa, le
corna, l'occhio imperioso e indagatore rivolto al lettore, ma soprattutto il pugnale eretto, tenuto saldamente in pugno a catturare la simbologia erotica, ove l’elemento referenziale ancora una volta scompare per far posto al contrasto vita-morte di cui l’intera raffigurazione è caratterizzata. La bestia vive e trionfa sulla morte i cui segni sono consegnati al marmo della stele, deputata a ricordare chi non ha più vita; così come inerti e disseccati appaiono i vegetali accostati a inutili merletti e passamanerie, appoggiati ad una improbabile persiana. Picasso consegna al primo numero della rivista anche un frontespizio, costituito da quattro acqueforti ove il Minotauro è presentato in diverse posizioni: accucciato di fianco, seduto di fronte con il sesso aperto, in piedi, ed ancora di fianco con la testa eretta in sembianze quasi urnane. In tutte le raffigurazioni il Minotauro tiene in pugno l’arma, quella stessa, si badi, di cui si ricorderà Masson
quando, con Bataille, darà vita all’ Acefalo.
E ancora all’Acefalo indirettamente rimanda l’illustrazione di Dalì per la copertina del n. 8 (giugno 1936) ove, su sfondo nero, si staglia un Minotauro androgino, la cui testa, terminante con una bocca smisurata di lupo da cui fuoriesce una lingua oscena (testa che richiama inoltre quelle a sembianze di uccelli rapaci, predilette da Savinio), è poggiata su un agile ed elegante corpo di donna (la copertina è firmata con il binomio Gala e Salvador Dalì), a metà manichino, eppur squarciato da segni di ancestrale tortura sacrificale. Estrema perversione
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intesa a suggerire la natura femminile del Minotauro moderno, le unghie delle mani e dei piedi sono laccate di rosso. Rossa è anche la collaretta che separa la testa dal corpo, allusiva ad una congenita acefalità, la testa di bestia significando in definitiva un'assenza di testa razionale, la sola ammessa dalla società civile. Nel ventre cavo, al posto dei labirintici intestini che solcano l’Acefalo di Masson, si muove un gigantesco scorpione dalle chele sinistre, adibite nel mito mitrali-
co a mutilare il sesso del toro sacrificato dal dio solare. Segnaliamo sin d’ora che in questo numero apparirà Montserrat, testo a due teste, di Masson e Bataille, su cui ci soffermeremo, mentre alla stessa data, giugno 1936,
nasce la rivista «Acéphale». Matisse disperde nello spazio della pagina bianca (n. 9, ottobre 1936), alcuni tratti di un volto di donna che continuano nella copertina posteriore duplicando la parte alta del volto sovrastata da corna che rappresentano il solo elemento del toro di cui, al contrario, si insinua la natura femminea. Ma, quasi in consonanza con gli incubi permanenti dell’universo di Bataille, Magritte crea una copertina (n. 10, inverno 1937), di grande forza drammatica ove, in primo piano, campeggia lo scheletro eretto dell’uomo-toro avvolto da un sinistro mantello nero che gli conferisce le sembianze di un implacabile Convitato di pietra. Dal mantello emerge soltanto l’orrenda nudità del teschio taurino. La copertina dell’ultimo numero, maggio 1939, è affidata a Masson, la cui presenza in «Minotaure» fin dalla nascita, è la spia rivelatrice di un certo orientamento della rivista, su cui torneremo. La copertina di Masson è giocata su quattro colori — giallo, bianco, rosso, nero — due dei quali — i due ultimi — nel loro rapporto contrastivo rimandano agli attributi tradizionali dell’arena e agli emblemi sacrificali. Potremmo osservare che il significato dell'immagine di non facile decodificazione, affidata ad una suggestione fantastica più che a una lettura referenziale, scaturisce assai più agevolmente dall’impatto aggressivo delle tinte, anziché dal segno grafico di per sé convulso e dirottante. Più che il volto di un toro, ci balza di fronte il mostro — una specie di Leviathan, allusivo di un mondo in catene; la copertina con i tre torrioni, simbolo della prigione cui il toro non riesce a sottrarsi, sembra evocare la parallela immagine, cui l’artista altrove ricorre, del girone dantesco, anch'esso prigione da cui ogni evasione è impossibile. Al tempo stesso, il costante richiamo al cielo che sovrasta la montagna, sempre vivo in Masson, raffigurato nella copertina posteriore, sembra non escludere una antinomia connaturata alla sua concezione dell’universo. L’incidenza delle arti visive nel periodo che stiamo esaminando va oltre l’ovvia
presenza di tanti artisti in «Minotaure». Con la ricchezza delle sue forme, l’arte rappresenta una forza d’urto, una carica anticipatrice, un gusto del rischio che la poesia stenta a ritrovare. Fin dal 1924, conla nascita dei manifesti e la sospensione di «Littérature», il surrealismo bretoniano sembra aver concluso la sua parabola teorica più ricca mentre, forze nuove vanno a ingrossare la lista di artisti la cui autonoma riflessione sull’ar-
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Bataille e il «Minotaure»: presagi e prodigi
te e sul linguaggio diverrà trainante: alludiamo a Masson come al tedesco Max Ernst, all’americano Man Ray o al belga Magritte, a Dalì come a Balthus, a Tanguy, a Matta, a Giacometti, a Beaudin, Borès, Brauner, Bellmer, i cui nomi si affiancano a quelli di artisti celebri quali Picasso e Matisse, a Duchamp così come a scultori già noti, tutti presenti in «Minotaure». Ricordiamo che, fin dal 1923, l’incontro di Masson con Miré, sodalizio cui dove-
vano aggiungersi Leiris e, per suo tramite, gli altri surrealisti, dette luogo a un ideale «groupe de la rue Blomet» che in certo senso contende a Breton il primato nella direzione di nuovi percorsi lungo la strada della creazione. L’immaginario di Masson si spingeva oltre gli interdetti del luogo comune, squarciando tabù ancestrali, travalicando i «limiti del possibile» per interrogare le nozioni di sacro e di eros, collegate alla più lontana storia dell’uomo. Bataille si riconobbe in quell’operazione che, con stringato rigore e forza aggressiva, l'artista proponeva smantellando gli antichi miti e restituendo diritto di parola ai filosofi del passato, Empedocle ed Eraclito, sia pur rivisitati attraverso la lettura di Nietzsche. L'amicizia di Bataille e Masson si era cementata nel 1928 quando Masson illustra 1’Histoire de l’OEil, ed era assai attiva nel momento in cui ferveva la gestazione di «Minotaure». Al contrario, il 1933 rappresenta un momento critico della leadership di Breton privato della propria rivista «Le Surréalisme au Service de la Révolution», mentre in un celebre intervento, La Nozion de dépense, apparso nella «Critique sociale» del gennaio 1933 (n. 7), Bataille stila il certificato di morte del movimento surrealista, incapace, ai suoi occhi, «de réaliser una liaison de la poésie
avec la vie». Breton era troppo impegnato ideologicamente, perché Skira e Tériade pensassero di affidargli la direzione ideale della rivista che, al contrario, volevano mantenere su un terreno di elettica neutralità. Alla ricerca di una denominazione per il nuovo periodico essi si rivolsero ai loro amici, a Picasso in primo luogo, a Vitrac, nel cui appartamento a questo scopo ebbe luogo, nel marzo 1933, una riunione !. Fu così che — pur presenti fin dal primo numero alla vita della rivista — non toccò ai surrealisti, bensì ad un loro oppositore, Georges Bataille, tenere a battesimo «Minotaure».
La testimonianza di Masson a questo riguardo è esplicita: «C'est ici l’occasion de rappeler que le titre: «Minotaure» fut donné par Georges Bataille a cette revue (à l’origine, en projet, organe des dissidents du surréalisme, mais...)» 2. La denominazione non andò senza discussioni in quanto in omaggio al film di Bunuel e Dalì era
! A. Masson, Le Rebelle du Surréalisme, Ecrits, a cura di F. Will-Levaillant, Paris, Hermann, 1976, p. 100, nota 34.
© Cf. A. Masson, Le soc de la charrue, in op. cit., p. 73; si veda, altresì, A. Masson, Entretiens avec Georges Charbonnier, Préface de G. Limbour, Paris, Julliard, coll. Les Lettres Nouvelles, 1958, p. 80.
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stato suggerito il titolo L’Age d’or; prevalse tuttavia Bataille «en soulignant que le Minotaure symbolise mieux cette époque inquiétante que l’àge d’or illusoire» 3. La testimonianza di Masson ci consente di mettere in luce la perspicacia di Bataille nel cogliere i fermenti sotterranei che si agitavano nelle coscienze, così come la sua vocazione a porsi alla guida di iniziative comunitarie anche quando non ne è promotore ‘. Per quanto riguarda l'attualità del mito del Minotauro, Masson ricorda di averlo affrontato fin dagli anni 1922-1923, intitolando un suo acquerello erotico: Le Grand Déflorateur fété par ses victimes ?. La presenza di Masson nella rivista ha un rilievo tutt'altro che secondario per la frequenza e la qualità dei suoi interventi. Nel primo numero è pubblicata la riproduzione di una sua tela: Ferzzze tourmentée, così come i bozzetti: Le Sort e Décor
per il balletto Les Présages, di cui Masson descrive la trama, rappresentato con la coreografia di Massine sulla musica di Ciajkovskij (5? sinfonia). Sul tema della lotta dell'Uomo contro il Destino, Masson illustra il conflitto tra le passioni umane interpretando però tale conflitto come «une féte pour les yeux». Sempre nel primo numero, appaiono alcuni splendidi disegni, alcuni datati 1931, dal titolo Massacres, ove il tema della acefalità e del sacrificio sono ossessivamente affrontati; nel n. 8, del 1936, «Minotaure» pubblica Les Constellations nella sezione consacrata alla pittura surrealista e il poèrze: Du haut de Montserrat, accompagnato
dalla riproduzione di due sue tele che lo illustrano: Aube à Montserrat e Paysage aux prodiges. Su tale intervento, presentato in collaborazione con Bataille, ci soffermeremo più avanti; nel n. 11 (primavera 1938), figurano i disegni: Construction d’un homme, Héraclite, Mélancolie de Minotaure, Pensée, Signe, mentre sull’ultimo (12-13, maggio, 1939), oltre alla copertina di sua mano, già segnalata, figurano Le Fauteuil Louis XIV, e Les Métamorphoses des amants: da notare, inoltre, un omaggio di Breton, a lui dedicato, che sanziona la loro riappacificazione, dal titolo: Prestige d’André Masson. Il discorso sulla presenza di Masson poeta in «Minotaure introduce quello più problematico relativo ai rapporti di Bataille con il surrealismo, acutamente scandagliati da Jean-Louis Houdebine nell’intervento dal titolo: L’Ennemi du dedans (Bataille et le surréalisme: éléments, prises de parti), pronunciato in occasione del «Colloque de
Cerisy», consacrato a Bataille nel 1972, diretto da Philippe Sollers ©. 3 J.P. Clébert, Georges Bataille et André Masson, «Les Lettres Nouvelles», 3, maggio 1971, p. 65; ID., Mythologie d’ André Masson, Genéve, Cailler, 1971 ove, p. 37, si legge: «Nous avons souligné que notre époque était tout à fait «minotauresque», et nous l’avons emporté». 4 Nel ricordo di Bataille, redatto per «Critique» (t. XIX, nn. 195-196, agosto-settembre 1963, pp. 701-705, ora in Le Rebelle..., cit., pp. 71-75, dal titolo significativo Le soc de la charrue, Masson osserva: «Son royame fut et demeure souterrain. Celui de l’ambiguité mème» (p. 72). 3 Sulla permanenza del mito del Minotauro in Masson, rinviamo agli studi di J.-P. Clebert, cit., e alle precisazioni di F. Will Levaillant, in particolare, in op. cit., p. 99, nota 29.
6 Cfr. AA.VV. Bataille, Paris, Gallimard, coll. 10/18, 1973, pp. 153-198.
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Bataille e il «Minotaure»: presagi e prodigi
Inviando a Bataille il «poème» Du haut de Montserrat, nel cui titolo figura anche la doppia data 1934-1936, che poi farà sopprimere, Masson aveva infatti pensato di destinarlo ad «Acéphale», allora in preparazione, ma accetta il suggerimento strategico di Bataille di essere presente in un campo meno esclusivo, quale è, appunto, la rivista surrealista: “Entendu pour le «Minotaure». Ga me plaît tout è fait. Il ne faut pas qu’on nous enterre. Nous sommes difficiles mai pas humbles du tout ?”. Montserrat è un testo a due voci, composto da una lirica di André Masson e da una prosa di Bataille, dal titolo significativo per la genesi del romanzo omonimo: Le Bleu du ciel. La natura della collaborazione è, a sua volta, allusiva di una duplicità che ha come referente il mostro a due teste, il testo bicefalo, espressione della
duplice postulazione presente nell'uomo e nell’universo. Essa obbedisce altresì a una persistente vocazione di Bataille a condividere l’esperienza interiore, a viverla in comune. «Acéphale» non sarebbe nata senza l’apporto essenziale dell’esperienza vissuta a Tossa, consegnata a un diario, il cui titolo, Les Présages, * suggella il sodalizio spirituale che lo lega a Masson. Gli undici punti in cui è articolato il Programma di «Acéphale» scaturiscono da riflessioni comuni. Le illustrazioni di Masson presenti nella rivista sono, al pari della parola, testo. Ne La Conjuration sacrée (datato Tossa, 29 aprile 1936), con cui inaugura «Acéphale», Bataille dichiara: Ce que je pense et que je représente, je ne l’ai pas pensé ni représenté tout seul. (...). Ma chambre est voisine de la cuisine où André Masson s’agite heureusement et chante. Più oltre, Bataille ci mostra lo stesso Masson:
(...) criant sa haine pour un monde qui fait peser jusque sur la mort sa patte d’employé (...)
In realtà, Bataille unisce due esperienze vissute a Tossa, quella del 1936 e quella del 1934, in cui la salita al Montserrat del solo Masson, in una notte di folgorazione, poi ripetuta con Bataille, aveva rappresentato un evento indimenticabile.
? A. Masson, Le Rebelle..., cit., p. 288. Altrove (Mythologie d’ André Masson, cit., . 53), egli riba-
disce: «Je me réconcilie avec Breton par le truchement de Bataille». 4 ° Come si ricorderà, Présages era il nome del balletto di Massine per il quale Masson aveva curato la scenografia. Tale nome affascina Bataille che aveva progettato un libro con Masson da intitolare Les Présages (cfr. Lettere di Masson del 5 e 17 ottobre 1934, in Le Rebelle..., cit., pp. 281-282), titolo conservato per il diario del suo soggiorno presso Masson a Tossa de Mar. Cfr. G. Bataille, O.C., II, Paris Gallimard, 1970, pp. 266-270 i
Altre prospettive
163
Masson racconta ? che scendendo il mattino, dopo aver trascorso l’intera notte sulla montagna dove si era smarrito, («Prodigieux endroit», che gli ricorda il Sinai), fu rapito dalla musica e dai cori dei monaci che al Monastero di Montserrat officiavano la Messa («absolument comme dans Parsifal»): Cosmique et religieux liés tout è coup par une aventure: des voyageurs s’é-
garent dans la montagne, assistent à la mort de l’astre, à sa renaissance, descendent dans un lieu religieux où l’on paraît célébrer cet événement et pas du tout la mort du Christ... Analoga esperienza rivelatrice (non infrequente nella storia delle grandi anime: si pensi alla «notte» di Pascal o a quella che trasformò la vita di Valéry), Bataille la fa risalire al 1933, durante il soggiorno in Italia effettuato per curare una ricaduta della sua malattia. Dopo una notte di sofferenza trascorsa a Stresa, il mattino egli è come rapito dall’eco di una Messa cantata che gli giunge dall’imbarcadero del lago Maggiore: Le caractère sacré de l’incantation — egli scrive nelle pagine introduttive al Bleu du ciel dell’ Expérience intérieure !°, ne faisait qu’affermir un sentiment de force, crier davantage au ciel et jusqu’'au déchirement la présence d’un étre exultant de sa certitude et comme assuré de chance infinie. (...)
Ce fut cette année-là qu’au-dessus de moi se leva l’orage (...) Je retournai en Italie et bien que ce fut «comme un fou», chassé d’un lieu è un autre, jJy eus la vie d’un dieu (les flacons de vin noir, la foudre, les présages). Je n’en puis cependant parler qu’à peine. (...) Le triomphe saisi sur le pont de bateaux de Stresa n’atteint le sens
plein qu’au moment de l’expiation (moment d’angoisse, de sueur, de doute). Il sentimento contraddittorio di esultazione e di strazio (per un senso di colpa che egli si rifiuta di voler sentire) richiama a Bataille la tragica insolenza del Don
Giovanni mozartiano, così come Masson aveva evocato il «puro folle» Parsifal di Wagner.
Presentando in «Minotaure» il risultato scaturito dall'emozione provocata in Masson dalla sconvolgente ed esaltante notte «mistica» di Montserrat, Bataille insiste sulla comunanza di una simile esperienza rivelatrice. Nella nota che accompagna i due testi che compongono Morserrat, egli così si esprime: Ce qu’ André Masson a éprouvé à Montserrat, en particulier pendant la
? Tale racconto è stato trascritto da J.-P. Clébert, in Georges Bataille et André Masson, art. cit.,
pp. 70-71, ripreso in Mythologie d’André Masson, cit., pp. 49-50. 10 G, Bataille, L'Expérience intérieure, in O.C., V, cit., pp. 90-92.
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Bataille e il «Minotaure»: presagi e prodigi
qu'il a exprimé dans les tableaux que ces nuit du Paysage= aux prodiges,n ce % À x Li PG: £ . A pages reproduisent, s’associe étroitement à ce que j'ai éprouvé moi-mème et exprimé dans le texte suivant.
Bataille sottolinea, inoltre, lo stato di «estasi religiosa» in cui sente di convergere con l’esperienza di Masson:
Il est nécessaire de donner la plus grande importance possible au fait que la réalité dont il s'agit ne peut ètre atteinte que dans l’extase religieuse. Il testo pubblicato in «Minotaure» (1936), quasi un poèrze er prose, è composto di paragrafi spaziati che hanno l'andamento del versetto biblico. Con alcune varianti stilistiche, questo testo sarà ripreso ne L’Expérience intérieure (1943), nella sezione Antécédents au supplice, con lo stesso titolo, Le Bleu du ciel, apposto al romanzo, terminato a Tossa nel maggio 1936, ma pubblicato soltanto nel 1957. Tale testo, che presenta rispetto a quello del 1936 modifiche di apparente lieve entità, ma significative costituisce la Prizza Parte del romanzo !! nel quale fa spicco, oltre che per la sua brevità che sbilancia l'architettura dell’opera, per i caratteri tipografici in corsivo che evidenziano la sua natura di «poème». Ma, nel romanzo, Le Bleu du ciel ritorna anche come titolo di uno dei capitoli della Seconda Parte, a sottolineare l'andamento duale che lo distingue.
Si noti che il Bleu du ciel del «Minotaure», che accompagna Masson di cui è «solidaire», presenta due paragrafi relativi a Don Juan che altrove non hanno ragione di figurare in quanto e completano — le invocazioni di Masson a Eraclito, Paracelso Il fuoco «cosmico e religioso» è il tema che unisce il dittico, ribadita dai numeri romani: I. (per il testo di Masson) e: II. Bataille. Scrive Masson:
il «poème» di Prometeo e a rispondono — e Zarathustra. la cui unità è per quello di
Tout doit revenir au feu originel Tempète de flammes Ainsi parlait HERACLITE Levant et couchant de l’homme lucide et dur. Tu dois voir le flux et le relux Des passions méprisables.
!l Sul romanzo omonimo, rinviamo ai vari studi di EF. Marmande, in particolare: L’indifférence des ruines, Variations sur l’écriture du Bleu du ciel, Marseille, Parenthèses, 1985. Segnaliamo, inoltre,
il capitolo: Le Blea du ciel, in D. Hollier, La Prise de la Concorde (Essais sur Georges Bataille) Paris, Gallimard, Le Chemin, 1974, pp. 237-250.
Altre prospettive
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Dal canto suo, a conclusione del suo testo, Bataille aggiunge:
Prométhée gémissait quand un chaos de rochers est tombé sur lui. Don Juan était ivre d’insolence heureuse quand il a été englouti par la Terre. In entrambi i testi il basso e l’alto, il cielo e la terra, si attirano e si fondono nell’esplosione di un universo che è un «paysage aux prodiges», sconvolto da fiamme che si innalzano e scandito da stelle che precipitano. Masson si esprime con una duplice scrittura: il suo «poème» è accompagnato dalla riproduzione della tela: Aube à Montserrat (1935), mentre un’altra riproduzione, Paysage au prodiges (1935), illustra il testo di Bataille. L’elemento grafico visivo di commento al testo poetico sembra sottolineare l’intento di chiarire, con un diverso approccio, l’apporto intellettuale, mitico. In Bataille invece la folgorazione si esplica su un piano assiomatico che evoca lo stile della Bibbia, procedendo per paragrafi bilanciati e ritmati. Con un significativo parallelismo, nel testo di Masson, gli antichi miti si uniscono all’evocazione di Zarathustra, che rappresenta la modernità, così come, nel testo di Bataille, da Prometeo si giunge ad un mito moderno che occupa ossessivamente l'immaginario dello scrittore, quello di Don Juan. Abbiamo già notato quanto «Acéphale» sia strettamente legata all’ a espressa da «Minotaure» (in particolare con l’identificazione in Masson di Dioniso/Minotauro !, e come la rivista amplifichi, commentandoli, i temi suggeriti nei due testi che compongono Mosrserrat. In «Acéphale» Don Juan ritorna, non a caso,
nel numero doppio dedicato a Dioniso (luglio 1937), «dieu de l’exstase et de l’effroi», la cui duplice nascita da un Dio e da una mortale, determina il carattere misterioso e contraddittorio del suo essere. Bataille, a più riprese, si identifica nel
Don Juan, il più moderno e disperato mito della ribellione a Dio, che era cominciata nell'Antico Testamento con la supplica di Giobbe, mentre Nietzsche aveva avvicinato Don Juan a Dioniso per la forza di un «désir incoercible».
12 Per il numero dedicato a Dioniso, Masson crea 4 disegni: Di0rysos, in cui il Dio che si automutila è simile all’ Acefalo; Ne L’Urivers dionysiagque e ne La Grèce tragique l’acefalo ha presp le sembianze del Minotauro; Numanzia che si dà la morte per non perdere la libertà, è rappresentata da una testa di toro le cui corna sorreggono un teschio («la mise à mort du chef») mentre sullo sfondo, si vede un paesaggio in rovina. Le riflessioni di Bataille sulla rilettura degli eventi del passato rapportati all’attualità (si pensi alla guerra di Spagna) traggono spunto dalla rappresentazione della tragedia di Cervantes, Numzance (El cerco de Numancia), data a Parigi da Jean-Louis Barrault, con
la scenografia curata da Masson. Sullo specifico della rappresentazione, Bataille così si esprime: «Il est important du point de vue qui est développé ici que Barrault ait été porté par le sens de la grandeur de la tragédie. Il est plus important encore que, par la composition des figures, André Masson ait formé un envoùtement dans lequel les thèmes essentiels de l’existence mythique retrouvaient tout leur éclat», «Acéphale», nn. 3-4, luglio 1937, p. 23, nota 8.
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Bataille e il «Minotaure»:
presagi e prodigi eta ww
L’anno in cui, per mano di Breton, è proclamata l’«Eternité de Minotaure, segna, al contrario, il momento della morte del periodico. L’epoca è minacciosa, la guerra è alle porte, ma «Minotaure» non vuole rinunciare a sperare; le nuvole incombenti non possono cancellare il sole: «Le printemps de 1939, tout chargé qu'il est de menaces», leggiamo nel n. 12-13, «n’en prescrit pas moins au soleil de parcourir les constellations qui donnent leur nom aux trois premiers signes du Zodiaque».
La componente luminosa del «Minotaure» risplende foriera di un trionfo vitale, fatalmente affermantesi come l’eterno ritorno della stagione primaverile. Il «taureau blanc d’écume» esce nel sole in un’apoteosi di luce. Esso afferma altresì la permanenza di un impegno che è ragione di vita di cui il mito non è che trasparente trasposizione: «Sous la persistance du vieux mythe s’affirme une fois de plus, l’esprit qui n’a cessé de nous animer». Questo spirito è sorretto da una legge predominante che è quella della «toutepuissance du désir». Persino contro la realtà presente, su cui l’angoscia — il Minotauro — incombe, riemerge il Breton-Icaro oggetto della contestazione di Bataille.
GEORGES
DIDI-HUBERMAN
L'IMMAGINE
APERTA
L'esigenza di una visione senza nome
Un'immagine strana e un po’ derisoria percorre le prime pagine di L’esperienza interiore, quella di uno struzzo. Nasconde la testa nella sabbia — posizione di fuga, com'è noto, ma di fuga immobile —; tuttavia tira fuori e apre un occhio,
mentre il becco, come suppongo, rimane sepolto. È un’immagine importante nella misura in cui introduce nel testo una nozione di quello che sarebbe per Bataille il rapporto della visione con il discorso: «Tel est en nous le travail du discours. Et cette difficulté s'exprime ainsi: /e mot silence est encore un bruit, parler est en soi-méme imaginer connaître, et pour ne plus connaître il faudrait ne plus parler. Le sable eùt-il laissé mes yeux s’ouvrir, jai parlé: les mots, qui re servent qu’à fuir, quand j'ai cessé de fuir me ramènent à la fuite. Mes yeux se sont ouverts, c’est vrai, mais il aurait
fallu ne pas le dire, demeurer figé comme une béte. J'ai voulu parler, et comme si les paroles portaient la pesanter de mille sommeils, doucement, comme semblant ne pas voir, mes yeux se sont fermés» !. Un breve passo, poi cancellato, così concludeva il paragrafo: «La difficulté pratique de l’expérience (...) tient è la fidélité de chien de l'homme
au discours» ?.
Basta spostare una parola per avere un’idea ancor più acuta di ciò che il testo di Bataille implica qui circa l’esperienza del visibile: /a parola vedere è ancora un rifiuto di guardare. In altri termini, l’atto di parlare — aprire la bocca per pronunciare un discorso — non sarebbe nient'altro che l’atto spaurito di chiudere gli occhi sulla sovranità di una visione. E forse si può leggere l’opera di Bataille come una circolazione ritmica, viziosa, dell’occhio e della bocca, dell’apertura e della chiusura: un battito di labbra e di palpebre, disgiunto, sconvolto, votato allo scacco, dove senza posa lo scritto cerca il suo potere di suscitare l’organo. È come un tentativo, una smorfia di sforzi contraddittori e, in definitiva, il senso intollerabile, ma assoluto, di un’aporia. Per cui l’opera di Bataille 1 0.C., V, p. 25 («Ebauche d’une introduction è l’expérience intérieure»).
Soldo 03432.
168.
L'immagine aperta
sembra esigere che non la si prenda mai alla lettera, vorrei dire alla parola del suo discorso. Ciò anche nel migliore dei casi, vale a dire quello in cui le parole del discorso hanno la capacità antitetica di sovvertire la semplice logica dell’identificazione — come sacer o bagios, parole che dilatano la definizione del sacro tra il puro e l’impuro, tra il divino e l’immondo —. Per cui, in definitiva, l’opera di Bataille sembra esigere che la si prenda soltanto per ciò che essa supplica nella scrittura; e ciò che supplica è, tra l’altro, una visione.
Bataille ce ne fornisce spesso l'enunciazione esplicita, o, quanto meno, l’indicazione,
sempre drammatizzata
—
come
un sintomo
che affiori nella lingua:
ne è esempio quella sorta di frizione o di piaga che avvicina e oppone, nella stessa frase, le parole «Esigo» ed «Esisto», «rimango cieco» ?, che è come enunciare una sorta di dramma della visione impossibile o irragiungibile: da un lato, infatti, esisto, ma mi è dato di esistere solo in quanto rimango cieco; dall’altro, di fronte a tale condizione di esistenza scaduta, esigo — esigo di vedere. Ma vedere che cosa, precisamente? E in qual modo vedere? Qui sta il problema. Problema troppo ampio se è vero che attraversa tutta l’opera di Bataille come un paradigma essenziale. Problema-ossessione, o in altri termini, problematrama. Lo abborderò qui seguendo l’argomento di un solo filo immaginario, qualcosa che transita tra il grande corpo materno di una cattedrale gotica e il povero corpo suppliziato di un giovane cinese. Di fatto, il primissimo testo dello scrittore, Notre-Dame de Rheims edito nel
1918, si palesa anzitutto come l’apertura di una grande metafora architettonica, quella stessa che, dopo aver edificato, Bataille si sarebbe accanito a sgretolare. E tuttavia non vi è solo questo in Notre-Dame de Rbeims: la metafora stessa è tutta quanta acciambellata — se così si può dire — attorno ad una visione, a un qualcosa in cui già si avverte quella costellazione che sarà in opera, venticinque anni dopo, nell’ Esperienza interiore: l'essere espulso da sé, l'estasi, l’abbagliamento, la vibrazione nervosa, il nodo della sofferenza e del piacere, il sacrificio: «Or un jour que je me plaignais pauvrement de ces misères, un ami me
dit de n’oublier pas la Cathédrale de Rheims et je la revis soudain si grande en mon souvenir qu'il me semblait ètre projeté hors de moi-méme dans une lumière toujours nouvelle, je la voyais comme la plus haute et merveilleuse consolation que Dieu laissa parmi nous et je pensai que tant qu'elle durerait, fùt-elle en ruine, il nous rir. C'est la vision qui dans sa cellule consolait la bienheureuse Jeanne d’Arc je suis moi-méme tout vibrant encore»
resterait une mère pour qui mouet parmi ses longues souffrances (...) vision de Jeanne d’Arc dont ?...
} Id., p. 83 («Antécedents du supplice») * Rinvio qui a una bella analisi di questa metafora nel libro di D. Hollier, La prise de la Concorde, essais sur Georges Bataille, Paris, Gallimard, 1974, pp. 29-106. ?_0.C.,
I, p. 612 («Notre-Dame
de Rheims»)
Altre prospettive
169
Questa sarebbe la prima visione, la visione-madre, in certo qual modo. E, all'estremo opposto, come se il filo si fosse spezzato, vi è la visione orfana, irrimediabile, del supplizio dei «cento pezzi»: la fotografia offerta come un Hr veleno, nel 1925, dal dottor Borel a Bataille, la fotografia in cui si vede, modo frontale, dettagliato, un giovane sradicato espulso da sé, tagliato a pezzi. È la messa in lacerazione più che violenta, di ogni immagine intesa come architettura o costruzione (cioè, al limite estremo, come consolazione). Giacché qui
non vi è null’altro che la spaventosa architettura sanguinante, lacerata, la messa a nudo degli archi di spinta e delle nervature di un corpo ancora vivo nel travaglio della sua agonia. A tal punto che si potrebbe credere — a meno che non lo si veda realmente ma senza potervi credere — di vedere il cuore stesso battere, battere ancora, battere in un ultima esasperazione, estenuarsi. È un’immagine, comunque, a proposito della quale Bataille ha detto e ridetto che essa non cessava di ossessionarlo, come se egli vi avesse cercato, instancabilmente, una definitiva non-consolazione. Immagine che, nelle Lacrizze di Eros, segna la fine, il compimento, il crollo, l’insormontabile abisso o apice — di ogni storia dell’erotismo e, oltre ancora, di ogni storia dell’arte e di ogni esperienza o teoria del visibile:
«Le monde lié à l’image ouverte du supplicié photographié, dans le temps du supplice, à plusieurs reprises, à Pékin, est, à ma connaissance, le plus angoissant de ceux qui nous sont accessibles par des images que fixa la lumière. (...) Ce cliché eut un réle décisif dans ma vie. Je n’ai pas cessé
d’étre obsédé par cette image de la douleur, à la fois extatique (?) et intolérable. (...) Bien plus tard (...) je discernai, dos la violence de cette image,
une valeur infinie de renversement. A partir de cette violence — je ne puis, encore aujourd’hui, m’en proposer une autre plus folle, plus affreuse — je fus si renversé que j’accédai è l’extase. (...) Ce que soudainement je voyais et qui m’enfermait dans l’angoisse — mais qui dans le méme temps m’en délivrait — était l’identité de ces parfaits contraires, opposant à l’extase divine une horreur extréme. Tel est, selon moi, l’inévitable conclusion d’une histoire de l’érotisme» °
Certo, tra queste due visioni vi è un abisso, un abisso fenomenologico, e anche qualcosa che costituisce la frattura sovrana tra una scrittura esaltata ma un po’ ebete — quasi sulpicianza — nella sua esaltazione e una scrittura attraversata in modo indelebile dalla questione della sua esigenza del visibile: qualcosa come un visibile senza nome, cui, a dispetto di tutto (a dispetto soprattutto della filosofia) Bataille avrebbe scelto di consacrarsi ?. Ma la frattura — © G. Bataille, Les larzzes d'Eros, Paris, Pauvert,
come
1961, pp. 237-239.
? A ragione, Denis Hollier pone addirittura la fotografia del suppliziato cinese come un inizio per eccellenza — l’«apertura» stessa dell’atto di scrittura in Bataille (op. cit., pp. 154-155.
170
L'immagine aperta
l’agonia non è, secondo Bataille, uno stato di fatto: è travaglio. Suggerirò dunque che tra queste due visioni, la visione-madre e la visione-orfana, vi è un intenso travaglio, che cerca di trasformare una piccola differenza in una grande lacerazione. Differenza rispetto a che cosa, lacerazione di cosa? Precisamente: di un rapporto di Bataille col cristianesimo. E più precisamente: di un rapporto con l’esperienza della conversione, in cui ciò che è in gioco si situerebbe al limite estremo di quella che sarebbe un’Imzitazione di Gesù Cristo presa alla lettera ma senza parola. Parlo di «piccola differenza» (facendo eco al suo significato freudiano) perché il cristianesimo costituisce il mondo stesso in rapporto al quale Bataille ha dovuto costantemente situarsi. Basta il testo Notre Dame de Rbeims a provare che si tratta di un vero e proprio terreno d’origine. Partendo dalla tesi che «il cristianesimo è la malattia costituzionale dell’uomo», il Manue! de l’Anti-chrétien proporrà ancora la situazione intenibile di un’esistenza umana costituita proprio da ciò che rappresenta per lei la rinuncia ad esistere, «l’inclinazione vertiginosa alla rinuncia» 8. Né meno esplicita appare la prima frase dell’ Esperienza interiore sul fatto che è, il suo, un tentativo di aprire una questione già chiusa in sé stessa, già inestricabilmente annodata: «Per esperienza interiore intendo ciò che solitamente si designa col termine di esperienza mistica», e tuttavia «la parola mistica non mi piace» perché «confessionale», dice Bataille: perché propria in primo luogo della cristianità ?. L’atteggiamento adottato in questa frase equivale a dire: So bene che parlo della stessa cosa di cui parla la cristianità, ciononostante non si tratta della stessa cosa, giacché non è cosa cristiana. L'atteggiamento è dunque quello di un diniego, diniego intimo ma mai occultato, diniego in qualche modo assunto in quanto diniego, intenibile dunque in quanto progetto del pensiero o della pratica — come l’elemento decisamente insopportabile del pensiero di Bataille. Il diniego è assunto nella misura in cui questa prossimità al cristianesimo, onnipresente nell'opera, è utilizzata per fini incessantemente contraddittori. E appunto perché segnato dall’elemento della «piccola differenza», differenza incisiva, iconoclasta o parodica, fa forse pensare ad una matrice di scrittura, in
Bataille, qualcosa che sarebbe dell'ordine del girone, della formazione (parola da prendere in tutti i suoi sensi) ma di una formazione sempre da rideformare, sempre da sfigurare. Sempre da mimare e rimettre in gioco, tuttavia. Rammentiamo solo alcuni indizi di tale prossimità — sia pur incisiva, sia pur iconoclasta, sia pur parodica: innanzi tutto ciò che viene chiamata la «formazione» di Georges Bataille, il Georges Bataille medievalista, assorto nella sua lettura prediletta, il Latin mystigue di Remy de Gourmont; indi, il famoso pseudonimo Angéligue
SROCIL-p7377 9
(«Fragments d’un Manuel de l’Anti-chrétien»). Id. V, p. 15, («Ebauche d’une introduction è l’expérience intérieure»). .
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Altre prospettive
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che firma il racconto scandaloso di Madame Edwarda e che costituisce, nel con-
tempo, una riattivazione del soprannome con cui, da sempre, la tradizione cristiana designa San Tommaso d’Aquino, per antonomasia il Dottore della Chiesa. Infine la Some Athéologigue, questa smorfia, questa mimica, questa linguaccia fatta davanti allo specchio della Suzzzza theologica del medesimo Angelico Dottore. Forse si tratta soltanto, in questa smorfia, di sfigurare un doppio. Comunque sia, aldilà di ogni prossimità e di ogni piccola «differenza», è proprio una grande lacerazione a definire ciò che è in gioco nel lavoro di Bataille: si tratterebbe, in sostanza, di transitare dall’imzzzagine chiusa di Notre-Dame de Reims. corpo architettonico ripiegato su sé stesso, che rinvia al grembo della Vergine, cioè ai principi
del Verbo divino e dell’intatto — transitare da un’immagine impenetrabile a ciò che Bataille chiama per l'appunto, l’immagine aperta, quella del giovane suppliziato cinese, immagine della lacerazione, ma anche immagine come lacerazione e come piaga, immagine senza nome di ciò che tocca, apre e libera, e ferisce a
morte, senza considerazione alcuna par un qualsiasi Verbo, divino o cristiano. I paradossi del cielo lacerato.
È così che, contro la nozione classica di immagine, Bataille non ha mai smesso di esercitare una specie di «lavoro di messa in follia», quello di cui Freud, in un altro contesto — ma si tratta poi veramente di un contesto diverso? — ha reperito gli effetti di crisi e di verità nell’inverosimile violenza e aberrazione
dei corpi posseduti e degli attacchi isterici: vale a dire un perpetuo e furioso lavoro di rovesciamento (corporeo, plastico, semiotico); un lavoro, possiamo dire, di antitesi intensa, annodata, stridente; antitesi senza altra soluzione all’infuo-
ri di quella violenta o «miracolosa», antitesi totalmente abbandonata alla dimensione dell’imprevedibile !!. Un paragone, dunque, si impone: Bataille avrebbe tentato di precipitare / nozione di immagine per aprirla, un po’ come un bambino in preda alla rabbia, getta per terra l’orologio di papà per capire subito cos'è il tempo che passa; come un’isterica getta per terra, precipita e rovescia il proprio corpo per aprirlo, cioè dar corpo, parossisticamente a un desiderio presentito come indicibile, e che tuttavia esprime la verità di tutta la sua esistenza. Così il suo disordine parla per essa; essa «parla» solo attraverso la visibilità delle sue crisi, della sua antitesi in atto. Similmente Bataille provoca incessantemente l’antitesi ma per riportarla in-
10 }.-P. Sartre, «Un nouveau mystique» (1943), Situatiors, I, Paris, Gallimard, 1947, (ed. 1975),
pp. 174-229.
1l Cfr. S. Freud, «Fantasie isteriche e loro relazione con la bisessualità (1908)» e «Osservazioni
generali sull’attacco isterico (1908)», in Isteria e angoscia, Torino, Boringhieri,
1974.
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L’immagine aperta
cessantemente a un gioco di equivalenze: per svilupparne e agitarne dunque in-
cessantemente tutti gli effetti dell’ossimoro. Così la «visione senza nome» non può costituirsi che per mezzo di una fenomenologia paradossale della visione — paradossale, ma pertinente, tant'è vero che l’antitesi riportata all’equivalenza definisce un'efficacia propria precisamente della modalità immaginaria. Basta abbozzare alcuni motivi fra i più rilevanti in Bataille per rendersene conto. E innanzi tutto l'equivalenza; vedere equivale a vedere la notte, in cui notte non è solo il luogo paradossale di una visione, ma per eccellenza il suo oggetto vero e proprio. Nell’Esperienza interiore questo motivo fa affiorare il rapporto della conoscenza con la «stupidità spossante» — rapporto per il quale il «non senso è il compimento di ogni senso possibile»; un testo di Blanchot tratto da Thomas l’obscur ne inaugura lo sviluppo !; poi: «(...) l’existence spectatrice se condense dans les yeux. Ce caracière ne
cesse pas si la nuit tombe. Ce qui se trouve alors dans l’obscurité profonde est un Apre désir de voir quand, devant ce désir, tout se dérobe. (...) Cet objet [l’objet du désir de voir] s’efface et la nuit est là: l’angoisse me lie, elle me dessèche, mais cette nuit qui se substitue à l’objet et main-
tenant répond seule è mon attente? Tout à coup je le sais, le devine sans cri, ce n’est pas un objet, c'est ELLE que j’attendais! (...) A contempler la nuit, je ne vois rien, n’aime rien. Je demeure immobile, figé, absorbé
en ELLE. Je puis m’imaginer un paysage de terreur, sublime, ouverte en volcan, le ciel empli de feu, ou toutè autre vision «ravir» l’esprit; pour belle et bouleversante qu’elle soit, la nuit ce possible limité et pourtant ELLE n'est rien, il n’est rien de en ELLE, pas méme è la fin, l’obscurité. En ELLE
la terre pouvant surpasse sensible
tout s’efface, mais,
exorbité, je traverse une profondeur vide et la profondeur vide me traverse, moi» !.
Ora, tale profondità non è intesa che sotto la forma di un abbagliamento perché la notte abbaglia, dice Bataille, e in quanto tale eguivale al sole. Inversamente il sole è per sempre scaduto dal suo valore emblematico tradizionale, che è un valore di elevazione e di pienezza: il sole diventa allora come il corpo stesso di quella «profondità vuota» di cui debbono fare l’esperienza tutte le possibili visioni senza nome. Così l’esigenza di vedere si rovescia in esigenza di abbagliare ed essere abbagliato, esigenza di cui Bataille lascia volutamente in sospeso — in stato di equivalenza — la decisione della posizione, attiva e passiva nel contempo.
«La nécessité d’éblouir et d’aveugler peut étre exprimée dans l’affirmation
12
O.C., V, pp. 119-120
13 Id., pp. 144-145.
(«Post-scriptum au suplice»).
Altre prospettive
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qu’en dernière analyse le soleil est le seul objet de la description littétalrey: 14.
Che ne è dunque, più precisamente, di questo sole? Si capirà che è il sole più negativo se così si può dire, in quanto quello più lontano dalla funzione che solitamente riveste nell’ambito dell’idealismo dall’epoca di Platone; e che è al tempo stesso il sole pià reale, in quanto quello che si guarda, che si fissa direttamente. È pertanto un sole della crisi, della retina bruciata, un sole della combustione — nero, dunque, — un sole della follia e, oltre ancora, per il fatto
di costituire l’inforzze per eccellenza, un sole dell’abiezione, del sangue e dell’escremento. «Le soleil, humainement parlant (c’est-à-dire en tant qu’il se confond avec
la notion de midi) est la conception la plus é/levée. C'est aussi la chose la plus abstraite, puisqu’il est impossible de le regarder fixement è cette heure-là. Pour achever de décrire la notion de soleil dans l’esprit de celui qui doit l’émasculer nécessairement par suite de l’incapacité des yeux, il faut dire que ce soleil-là a poétiquement le sens de la sérénité mathématique et de l’élévation d’esprit. Par contre si, en dépit de tout, on le fixe assez obstinément, cela suppose une certaine folie et la notion change de sens parce que, dans la lumière, ce n’est plus la production qui apparaît, mais le déchet, c’est-à-dire la combustion, assez bien exprimée, psychologiquement, par l’horreur qui se dégage d’une lampe è arc en incadescence. Pratiquement le soleil fixé s’identifie à l’éjaculation mentale, à l’écume, aux lèvres et à la crise d’épilepsie. De méme que le soleil précédent (celui qu’on ne regarde pas) est parfaitement beau, celui qu’on regarde peut étre considéré comme horriblement laid. Mythologiquement, le soleil regardé s’identifie avec un homme qui égorge un taureau (Mithra), avec un vautour qui mange le foie (Prométhée)» 1... E infine:
«Le sole il situé au fond du ciel comme un cadavre au fond d’un puits répond è ce cri inhumain avec l’attrait spectral de la pourriture» !°... È così che, attraverso il gioco di una circolarità imperiosa non meno che paradossale (vedere - la notte — abbagliante — di un sole — della perdita e della crisi) la visione si trova ad eguagliare l’atto estremo, il più lacerante e tonitruan-
14 Id., O.C., IL, p. 140 («La nécessité d’éblouir»). 5 Id., O.C., I, p. 231 («Soleil pourri») 16 Id., O.C., II, p. 27 («Dossier de l’oeil pinéal»).
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L'immagine aperta
te, dell'apertura delle bocche: quello del grido, grido di orrore o di paura. «Quando dico che vedo», scrive Bataille, «è un grido di paura che vede» !. E, natu-
ralmente, l'apertura dell'immagine e della visione espulse da sé stesse, l'apertura a una dimensione altra, invocante, stridente, difforme, l’apertura 4 squarciagola
(è tue-téte) — o fino a perderne la testa — del visibile — tutto ciò designa ancora un rapporto del mondo visibile col mondo del sacrificio, tutto ciò risponde ancora ad una visione a — verbale, se non acefala, del suppliziato cinese, perché, concretamente, questa visione permane, per Bataille, il luogo in cui s? tocca, in tutti i sensi possibili, il visibile. In questo contatto, l’occhio stesso si sacrificherà in qualche modo alla visione del sacrificio. E se è un urlo di paura a vedere, bisogna figurarsi l’apertura estrema di questo urlo: un urlo che apre, fende il viso stesso di chi vede, un urlo operatore di acefalità. Questa dunque, sarebbe l’esigenza. La si può formulare in modo diverso, in modo più hegeliano, più storico: l'oggetto della visione sarebbe precisamente, per Bataille, il negativo del cielo cristiano. Il contrario, cioè, di un cielo in cui ci si eleva, per abitare, come un eletto, aldilà di tutte le morti. O meglio, sarebbe
un cielo della caduta, un cielo-abisso, un cielo dell'esperienza mortale. La «straziante caduta nel vuoto del cielo» costituisce, com’è noto, uno dei leit-motiv più insistenti dell’opera di Bataille !. Questo cielo della caduta è dunque inteso nel contempo come cielo della lacerazione nel senso che non potrà mai essere un abitacolo, la consolazione materna di un grande involucro aereo o «gotico»; al contrario, sarà una piaga, un luogo stigmatizzante. In tal senso, l’interno divenuto visibile del corpo suppliziato nell’immagine del giovane cinese, sarebbe indubbiamente, per Bataille, un cielo per antonomasia. Quanto all'organo della visione, dirò che esso pure è inteso come i/ negativo dell’occhio del Rinascimento (secondo l’ideale che comunemente ci si costruisce del Rinascimento). Perché? Innanzi tutto perché non è un occhio che prenderà la giusta distanza, la sua esatta distanza, si potrebbe dire, per meglio discernere
il suo oggetto, e, con ciò stesso, astenersi dal toccarlo, ed essere, dunque, lontano dall’atto e dal contatto. Al contrario, in Bataille, è sempre un organo abbandonato ai contatti, un organo che si inietta di sangue, un organo che esce fuori dalle orbite e si tiene in mano, diventa oggetto, un organo che «si potrebbe accostare al filo della lama» e che, di fatto, non manca di essere tagliato: un organo che genera il grido e, in definitiva, che si mangia !?. Per questo stesso e incessante lavoro di reversibilità e di slittamento metonimico, l’occhio in quanto organo della visione è così inteso al tempo stesso come orgazo vorace (per
1 Id., O.C., V, p. 296 («Le Coupable»). !8 cfr. in particolare, O.C., I, pp. 552-558 («La pratique de la joie devant la mort»); V, PISS («Antécédents du supplice»), p. 248 («Le coupable»), diversi momenti di Le Bleu du ciel, ecc.
!° Cfr. soprattutto O.C. I, pp. 9-78 («Histoire de l’oèil»), pp. 187-189 («Oeil»), ecc.
Altre prospettive
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il quale vedere, «voir», è per lo meno, bere, «boire», scrive Bataille, fino a divorare con gli occhi») e come organo divorato, divorato proprio da ciò che vede. L’esperienza del visibile che Bataille mette in gioco è dunque essenzialmente un'esperienza di incorporazione, l’incorporazione mortifera di un veleno che brucia, colpisce, ferisce, apre e, da ultimo, divora dall’interno il corpo di chi vede, come «un uccello predatore che sgozzasse un uccello più piccolo in un cielo azzurro» 2°. E dunque un’esperienza ad un tempo prometeica e interiore nella sua vocazione al supplizio. Significativo è il fatto che il momento stesso del divenire visibile possa coincidere, in Bataille, con questa formula: l’atto di «sanguinare interiormente» “!. E forse in questo modo che le due immense ferite frontali del suppliziato cinese hanno potuto guardare Bataille, e ferirlo, e divorarlo interiormente, in una sorta di conversione, di percorso insensato dal frontale al didentro.
I paradossi dell'occhio vorace
La bocca è in grado di realizzare ciò che il più delle volte l’occhio non può far altro che desiderare: l’oggetto visto, l’oggetto frontale, la bocca sa incorporarlo. Concretamente. Incorporare il visibile — fino a incorporare la maledizione spettacolare di un supplizio cinese guardato in faccia — questa precisamente sarebbe stata l’esigenza messa in opera da Georges Bataille fino alla conseguenza, da lui chiaramente enunciata (e forse in vista di tale conseguenza): «sanguinare interiormente». Che l'occhio mangi il visibile e, di rimando, il visibile venga a divorare chi vede, questa sarebbe per lui l’esigenza o l’esperienza stessa del visibile, voglio dire l'esigenza del suo rischio. La bocca, altra parola antitetica *,
parola dello schermo invalicabile e parola della sua effrazione, della sua apertura verso l’interno, la bocca sarebbe così il luogo insigne di una possibile conversione, tramite cui una semplice esistenza spettatrice (l’occhio ancora lontano da ciò che vede) può addivenire alla radicalità di un’esistenza-martire, di un’esisten-
za che «si fa testimonianza nella sua carne». Uno dei passi più esemplari in cui sia stato messo in scena questo rapporto tra l’occhio e la bocca è quello che figura nelle prime tre pagine del racconto firmato per l'appunto Angéligue, cioè Madame Edwarda: in pochi paragrafi, si parla di un «bacio insano» e di un «lungo rantolo soffocato» legato alle pupille «dilatate, riverse» dell’eroina, poi si parla del suo sorriso, che non può che «paralizzare» e gelare «in un grande choc il narratore proprio mentre questi, in presen-
CROCE p. 552 («La pratique de la joie devant la mort»). si Id., O.C., V, p. 277 («Le coupable»).
" In francese la parola bocca, bouche, ha la stessa radice del termine tappare, boucher (N.d.T.)
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za di una sorta di «silenzio piombato dall’alto, viene pervaso da una sensazione di «volo di angeli senza corpo né testa», angeli acefali, dunque, in nulla simili a qualcosa di umano o di semplicemente abbozzato; ed era una sensazione di semplici «scivolamenti di ali», scrive Bataille: come un grande bacio di ali, oppure, immagino, uno sfiorare di labbra celesti: «Divenni infelice, dice l’Angélique, mi sentii abbandonato come lo si è in presenza di Dio. Era peggiore e più folle dell’ebbrezza» ?. Ma ecco, quasi immediatamente,
«il tumulto e la luce», e tuttavia la notte
che cade come un destino di violenza, il tavolo che egli tenta di rovesciare poi il momento in cui l’oscezo (secondo la parola esplicita del narratore) tocca vera-
mente il suo apice perché si ingiunge all'occhio di vedere la divinità nella «piovra ripugnante» di un sesso aperto e al tempo stesso perché si ingiunge all’occhio di essere una bocca:
«Tu veux
voir mes
guenilles? (...)
Tu vois, dit-elle, je suis DIEU... — Je suis fou... — Mais non, tu dois regarder: regarde! (...) Embrasse! — Mais ... (...) Enfin, je m’agenouillai, je titubai, et je posai mes lèvres sur la plaie vive» 2
Il momento è paradossale, già nel fatto che sembra far vacillare tutta la sfera del «senso comune» — proprio quella che Bataille chiama la «malattia costituzionale dell’uomo» —
cioè la sfera, la doxa cristiane.
Questo bacio, presentato
come immondo, «labbra sulla viva piaga», sarebbe dunque l’atto della più grande lacerazione: il cielo cristiano folgorato attraverso questa «viva piaga», il Verbo Paterno trascinato nel fango, e la visione verginale di Notre-Dame de Rbeirzs definitivamente aperta, cioè sventrata. Perché qui sono l’immondo e il vile a regnare. Perché l’eterologia spezza in definitiva parodicamente, nella bocca di questa puttana che dice «Sono Dio», ogni ricorso al religioso, ogni virtù cristiana del rapporto con l’altro: ogni consolazione. E in un certo senso (un senso ovvio) è vero. Ma in un altro senso, va messo in evidenza (cosa malgrado tutto sconcertante) come il testo di Bataille somigli in modo straordinario e fin nel dettaglio della
22 Il, OCA
p. 20 («Madame
23 Ibid., pp. 20-21.
Edwarda»).
Altre prospettive
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struttura narrativa a quella forma di narrazione che è il racconto agiografico. Infatti lo sguardo-bacio sulla «viva piaga» di Madame Edwarda rimette in scena qualcosa come una conversione, rimette in scena un momento che pur ignobile e abietto, non definisce null’altro se non un momento miracoloso, un raptus. Si noterà anzitutto che il testo di Bataille parla qui della cosa sessuale negli stessi termini di un dramma della fede: qualcosa che va dal nor credere ai propri occhi al toccare per credere. Il che ci parla dell’accesso, per mezzo di questo stesso contatto, a un’esperienza sbalorditiva della realtà visibile. Ora tutto ciò si legge in un numero indescrivibile di vite di santi. In primo luogo (e ancor prima della nascita dello stile agiografico) lo si legge nella storia evangelica di San Tommaso, il «gemello di Cristo, come si dice, il noto incredulo, al quale, non meno imperiosamente di Madame Edwarda, Gesù comanda di «vedere e di toccare» (videre et palpare), anzi di «mettere il dito dentro (infer digitum tuum), nella piaga. Ora, ciò che della fede è in gioco in questa scena è stato chiaramente definito dall’ Angelico Dottore in persona; non si tratta in questo contatto di sentire la qualità uniformemnte gloriosa, cioè eterea del corpo, ma al contrario di sentire il reale, cioè l’abiezione
del cuo contatto, di sentire la piaga in quanto «viva», e non in quanto simbolica o trasfigurata in una qualsiasi materia celeste. Non si trattava dunque di stabilire il miracolo della resurrezione dall’alto, se così si può dire — tramite le qualità divine di un iper-ccorpo — ma dal basso, dall’ignominia persistente dei segni della Passione. Vi è tutta una tradizione di ciò che viene chiamato il «realismo» dell'apparizione cristica, tradizione secondo la quale San Tommaso affondò il dito nella piaga fino al cuore di Gesù. Quanto al racconto evangelico, si chiude su questa frase: Dicit ei Jesus quia vidisti me credidisti, «mi credi perché vedi, che equivale a dire precisamente: «Vedi — sono DIO» 4. Ancor più significativo sarebbe la sequenza narrativa attraverso la quale San Francesco d’Assisi, il «giullare di Dio», trova la via della mutatio cordis, la conversione del cuore, via che saprà condurlo fino all’invenzione storica di questa pratica concreta rivoluzionaria: «sanguinare interiormente», — alludo alla m2utatio corporis della stimmate. Comincia con il solitario vagabondaggio per le foreste di Assisi. L'esperienza ne è già dilatata, paradossale: è pervaso da una sensazione di «dolcezza suprema», simile all’ebbrezza della prossimità a Dio, e, al tempo stesso, dall’angoscia terribile di «elucubrazioni», in cui in un certo senso vomita se stesso (exturbare). Più precisamente, il demonio non cessa di agitare su
24 Cfr. Giovanni,
XX, 24-29.
- Tommaso
d’Aquino, Surzzza teologica, Ila, 54, 1-4 e 55, 5.
Il paradigma del dito conficcato fino al cuore è onnipresente nella tradizione francescana, per esempio in Jacques de la Marche, Sermones dominicales, ed. R. Lioi, Falconara, Biblioteca francescana, 1978, t. II; p. 132: «Et nota: quando mictebat manus in latus eius usque ad cor, cadebat in terram genuflexus...» (Sermone 39, «De Resurrectione»).
178.
L'immagine aperta
Francesco una spaventosa minaccia, che ci riporta sul versante dell’angoscia sporca e inebriante» di Pierre Angélique all’inizio di Madame Edwarda, in quel vagabondaggio per «le strade propizie comprese tra il crocevia Poissonnière e rue Saint-Denis»: «nelle strade deserte la notte era nuda e mi venne voglia di essere
nudo»...
A
L’«angoscia sporca e inebriante» del santo di Assisi è qualificata in modo preciso dai suoi biografi: il demonio lo minaccia dell’informe, laddove o perché l’informe costituisce in Francesco l'elemento fobico per eccellenza, l'elemento supremo dell’orrore. E, per l'appunto, questa minaccia appare in guisa di «piovra ripugnante», nelle sembianze di una donna mostruosa, gobba, ferzina mzonstruosa gibbosa, Scrive Tommaso da Celano ?. L'elemento propriamente spaventoso, ma parimenti imperioso, consiste nel fatto che Francesco è qui sotto la minaccia di un’identificazione, di una metamorfosi nell’orrore sfolgorante. Né, per proteggerlo da questa minaccia, l'ingiunzione divina si fa meno spossante: «Impara a disprezzare te stesso, a preferire l'amarezza alla dolcezza, se mi vuoi conoscere» °°...
La prova — chiamata qui experientia — non tarda, di fatto: San Francesco incontra e tocca e bacia l’orrore stesso, una viva piaga: «Eccolo incontrare il lebbroso», racconta il suo biografo, che si premura di avvertirci come «la lebbra fosse quella miseria e quell’infermità che naturalmente gli faceva più orrore (r4turaliter abborrens). Nondimeno, nel medesimo istante, si produce in lui un’esi-
genza aberrante, non solo di mettere nella mano abietta una moneta, ma anche — e lo immagino inginocchiato — di poggiare le labbra sulla «viva piaga» del corpo malato. Venuta meno, in Francesco, ogni resistenza, l’infame bacio viene dato’ sulla bocca stessa della «viva piaga». Poi, il lebbroso scompare in un baleno come Madame Edwarda nel mezzo dell’arcata della Porta di Saint-Denis, «nera, semplice, angosciosa come un buco ??. Come lei, avrebbe potuto dire, un istante prima di scomparire o di offrire il suo corpo al bacio: «Vedi — sono Dio». Giacché proprio di Dio si trattava, il Dio cristiano presente sotto forma di «viva piaga», il suo simulacro prediletto. Altamente significativo è in fin dei conti il fatto che tutta la narrazione sfoci in un momento cruciale che designerò, facendo eco all’espressione di Bataille, il momento dell'immagine aperta: quando Francesco si inginocchia davanti al crocifisso di San Damiano, nello stato d’animo della supplica più intensa, gli occhi inondati di lacrime. L'immagine si apre allora, e, più precisamente, apre la bocca, muove le labbra (/abiis picturae deductis), e si mette a parlare (co/loqui-
? Tommaso da Celano; Vita secunda, V, 9, Cfr. Fonti francescane, Padova, Messaggero, 1983, pp.
560-561.
26 Ibid. 27 Ibid. III, p. 24.
Altre prospettive
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tur), e la sua parola è innanzitutto un ordine: «Va ad occuparti della mia pelle slabbrata, disfatta», questo dice in sostanza. E di fronte a quest'immagine in atto, Francesco «si liquefà» tutto, in una perfetta prefigurazione di ciò che sarà l'episodio della stimmate ?8. Il bacio, e ancor meglio il bacio immondo costituisce dunque nella tradizione cristiana un operatore per eccellenza miracoloso ed estatico, di cui fornirò qui un ultimo esempio: si tratta di una scena relativa alla vita di Santa Caterina da Siena (che Bataille, si sa, cita spesso) e qui sarebbe inutile commentare: Ecco infatti ciò che si legge nella Leggenda di Raimondo da Capua: «Più tardi, parlando col suo confessore, la vergine soggiunse ancora: «Sapete, o padre, che cosa fece quel giorno il Signore all'anima mia? Fece come una mamma al figliuolino che ama di più. Gli mostra il seno, ma lo tiene lontano finché pianga; appena principia a piangere ella ride beata e se lo stringe al seno, e, baciandolo, gli presenta allegramente e abbondantemente la poppa. Così fece a me il Signore. Quel giorno mi mostrò da lontano il suo Sacratissimo costato, ed io piangevo dal gran desiderio di accostare le labbra alla sacra ferita. Dopo che ebbe alquanto riso, almeno mi sembrava, del mio pianto mi venne incontro, strinse l’anima mia fra le sue braccia, e accostò la mia bocca dalla parte della sua Sacratissima Piaga, cioè alla ferita del costato. Allora l’anima mia, pel gran desiderio, entrò tutta in quella ferita, e vi ritrovò tanta dolcezza e tanto conoscimento della Divinità che, se voi arrivaste a comprenderlo, vi meravigliereste che il mio cuore si sia spezzato, e come abbia potuto continuare a vivere in un eccesso simile di ardore e di amore» ??...
Questi dunque sarebbero i tre paradossi dell’occhio vorace: per vedere veramente il suo oggetto, ha bisogno, tale occhio, del suo altro, che è la bocca in
quanto suscettibile di toccare e incorporare il visibile: ma l’occhio vorace sperimenta tali possibilità di incorporazione solo se precipita la bocca verso quell’atto che più le suscita repulsione, — un bacio immondo; infine questa stessa abiezione appare come la condizione essenziale del valore stravolgente — miracoloso, estatico — che può assumere uno «sguardo vorace»: ma, in tal caso, appunto, l’occhio si rovescia, si stravolge, non vede più.
28 Tommaso da Celano, Ide, VI, 10 (tr. pp. 561-563). Cfr. G. Didi-Huberman, «Un sang d’images», Nouvelle Revue de Psychanalyse, 1985, XXXII, pp. 123-153, ove si parla altresì dei pianti
e dei baci di Maria Maddalena, la cui immagine — non va dimenticato — illustra la copertina delle Larmes d’Eros. 2? Raimondo da Capua, Vita miracolosa della Serafica Santa Caterina da Siena, tr. G. Tinagli, Siena, Cantagalli 1982, p. 207. Circa questo testo, bisogna insistere sul dettaglio del riso critico: sembra, lì, totalmente assurdo e di impronta perfettamente batailliana - in un contesto storico in cui la famosa Lettre de Lentulus (apocrifo greco del XIII secolo che descrive l’aspetto fisico di Cristo e che fa testo durante la fine del Medio Evo) insisteva sul fatto che Cristo non aveva mai riso.
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L'immagine aperta
L’aporia di una visione senza nome.
Che significa in fin dei conti questa analogia, nel testo di Bataille? Certo non bisogna affrettarsi a giudicarlo, questo testo, (come Sartre, peraltro, — ha fatto) alla stregua di qualcosa come un’«influenza» o una «convinzione» religiosa, persistente o non, Bataille. In punto non è questo. Non si tratta di sapere se bataille è 0 nor è cristiano: tant'è vero che una «malattia costituzionale dell’uomo» non decide di ciò che è o non è l’uomo, nel profondo della sua malattia, della quale soffre, dalla quale cerca senza posa di salvarsi. Ciò che Bataille ha portato avanti, nel profondo della propria «malattia costituzionale», il suo cristianesimo, fu, rigorosamente, un lavoro di interpretazione: Bataille ha interpretato il cristianesimo, nel senso che l’ha rimesso in scena,
ridrammatizzato, producendo una straordinaria parodia a proposito della quale mai un istante è dato di sapere — ed è il suo pregio — se fu volontaria o subita, tragica o comica. D'altra parte Bataille interpreta il cristianesimo in un altro senso: ce lo rende visibile, aldilà di ogni limite della mera ragione. Smonta le inconfessabili anatomie dell'immagine cristiana e, con ciò stesso, ne dimostra la più intima efficacia fantasmatica. Lezione incomparabile di metodo, anche se tale metodo è paradossale e votato, praticamzente, allo scacco. Di fatto questo lavoro di interpretazione palesa sempre il suo limite, il suo cerchio vizioso, la sua incapacità di andare veramente oltre ciò che rimette in scena (e lo rimette in scena come abbiamo visto, per oltrepassarlo, foss’anche dal basso). Il negativo del cielo cristiano somiglia troppo allo stesso cielo cristiano. Perché? Perché Bataille gioca qui con il fantasma, e la reversione di un fantasma è ancora un fantasma, e possibilmente, lo stesso fantasma, appunto. L'immagine cristiana — l’immagine chiusa, verginale, elevata, «moralizzata» — sa includere in sé stessa la propria negazione — apertura, «profondità vuota, abiezione. In ciò è la sua più terribile efficacia, dalla quale Bataille non si è mai
veramente staccato. Lo si sente già nella sua esitazione, e poi nella sua rinuncia a chiamare agiologia tutto il suo tentativo anticristiano (ateologico, eterologico): la parola hagios gli forniva infatti una radice ideale perché annodata antiteticamente — ideale per il suo potere di negatività dunque — ma al tempo stesso, essa costituiva la radice propriamente cristiana, già ortodossa dello stile devoto per eccellenza, il racconto agiografico. L’ortodossia non raggiunge mai quell’efficacia che possiede quando essa stessa innesta — e dunque regola — la produzione della sua antitesi. «La cosa più difficile», scrive Bataille, nella scia di Nietzsche: «arrivare al punto più basso» ?°. Esisterebbe malgrado tutto un modo di rimettere in scena l’immagine cristiana — o più esattamente l’immagine cristica —
CO
p. 125 («Sur Nietzsche»).
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fermandosi unicamente sul suo momento di negatività. Sarà questa in fin dei conti la sfida di Bataille: tentare quest’impossibile, rimettere in scena il sacrificio «costituzionale», cioè cristico, ma privo di quell’aldilà che, tuttavia lo costituisce. Se questo tentativo risulterà percorribile, la parola parodia potrà trovare
realmente tutto il suo senso. Ripartiamo da quello che sembra l’evento più radicale in questo contesto: Dio è morto, quella che sarebbe «la sola universalità pensabile» ?! dopo Nietzsche, pensabile dunque contro il cristianesimo, contro il Dio cristiano. Se Bataille rimette qui in scena Nietzsche è tuttavia nella piena consapevolezza del fatto che Nietzsche stesso rimette in scena, nel cristianesimo, il Cristo crocifisso: il dio che muore. In certo qual modo, la morte di Dio, prima ancora di essere quella provocazione nicciana che conosciamo (e sappiamo anche che l’autore di Ecce homo cercava una data da fissare per la «festa della morte di Dio») la morte di Dio è un dogma cristiano, uno dei più importanti; né manca il suo giorno di festa, che è il venerdì Santo. Tale proposizione, ovviamente, è aberrante sul piano teologico, nel senso che Gesù Cristo muore ron secundum quod Deus, sed secundum quod homo 3. Tuttavia, la morte di Cristo sulla croce è
considerata da tutta l’ortodossia nella sua accezione più realista, più radicale: occorre che Cristo sia morto, morto per davvero perché il suo sacrificio possa assumere il senso ultimo e redentore che gli viene attribuito; perché il miracolo della sua resurrezione, d’altra parte, possa costituire il miracolo per eccellenza,
cioè l’atto più incredibile che esista e, nel contempo, il fondamento assoluto di un credo. Immaginare un Cristo che non sia veramente morto equivarrebbe a situare il suo agire, e dunque la sua persona, nella zona dubbia e inaccettabile della simulazione, dell’illusione, e pertanto, della menzogna #. Così il cristiano esigerebbe «costituzionalmente» un Cristo morto, morto inequivocabilmente nel famoso lasso dei tre giorni, il triduum sepolcrale. «Arrivare al punto più basso», in tale contesto, significherà, per Bataille, prolungare all’infinito questi tre giorni di negatività assoluta, e lasciar marcire Gesù nel suo sepolcro. In altri termini: pensar la morte (di Dio) senza figurarsi la resurrezione. In altri termini: mettere in scena la dialettica teologica stessa, bloccandola sul suo momento di antitesi, di a-teologia. San Tommaso, l’Angelico Dottore abbeverava il lettore di abiezioni critistiche (i suoi umori, i suoi escre-
31 Riproduco qui l’espressione di J.-M. Rey. 32 Tommaso d'Aquino, Sura teologica, IIIa, 50, 1. 33 L’eresia del docetismo, sviluppatasi fino al III secolo, consisteva appunto nell’affermare che, non il Cristo, ma una parvenza, un fantasma, un’immagine furono sacrificati sulla croce, sul luogo e al posto della sua persona reale. Ringrazio Giorgio Agamben per aver richiamato la mia attenzione su questo fatto. Cfr. G. Bardy, «Docétisme», Dictionnaire de spiritualité, t. III, Beauchesne, Paris, 1957, col. 1461-1468.
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menti, la sua «viva piaga») solo per riportare, in fin dei conti, tali abiezioni alla loro «bellezza particolare» in un corpo glorioso e incorruttibile: così, secondo lui, «le cicatrici rimaste impresse nel corpo di Cristo non implicano né corruzione, né difetto, ma segnano un cumulo maggiore di gloria in quanto segni di virtù, e una bellezza particolare (quidamz specialis decor) emanerà dal luogo di queste ferite» ?*. Bataille invece vorrebbe bere finanche la feccia dell’immagine mortifera e fermarsi senza consolazione al mero momento negativo, quello più aperto, più sconvolgente: il momento in cui il figlio morto or va a sedere, aldilà dell’azzurro del cielo, alla destra del Padre, non va a raggiungere la compagnia del Santo Spirito. Ciò che Bataille tenta nel campo del cristianesimo consisterebbe dunque in una sorta di arresto sull'immagine aperta e negativa del figlio sacrificato, proprio ciò che la tradizione cristiana chiama una imzago pietatis, ed è sottinteso che pietas designa qui parimenti l’empatia, dunque la pietà, la compassione. E del resto è probabile che Georges Bataille abbia letto, o semplicemente scorso — la qual cosa è già estremamente rivelatrice — l’opera capitale di Emile Màle, L'art religieux de la fin du Moyen Age en France #: in essa si parla di un prodigioso mutamento, nel XIV e nel XV secolo, del sentimento religioso, mutamento il cui principio sarebbe stato quella di una nuova drammatizzazione del supplizio, del sacrificio cristico. Tutto un capitolo è consacrato al teatro religioso ?; e tale capitolo si chiude con la nuova iconografia «patetica» — da incubo — dell’; mago Christi, che Emile Male oppone, punto per punto, a ciò che era stato in gioco, due secoli prima, nella statuaria gotica, in particolare quella di NotreDame de Reims:
«Jamais l’art n°a mieux exprimé qu’au XIIIe siècle l’essence du christianisme; aucun docteur n’a dit plus clairement que les sculpteurs de Chartres, de Paris, d’Amiens, de Bourges, de Reims, que le secret de l’Evangile et son dernier mot, c’était la charité, l'amour.
Au XVe
siècle, il y a
longtemps que ce reflet du ciel s’est éteint. La plupart des oeuvres qui nous restent de cette époque sont sombres et tragiques; l’art ne nous offre plus que l’image de la douleur et de la mort. Jésus n’enseigne plus, il souffre: ou plutòt il semble nous proposer ses plaies et son sang comme l’enseignement supréme. Ce que nous allons rencontrer désormais, c'est Jésus nu, sanglant, couronné d’épines, ce sont les instruments de la Passion, c'est son cadavre étendu sur les genoux de sa mère; ou bien, dans
34 Tommaso
d'Aquino,
Surzzza teologica,
Illa, 54,4.
> E. Mle, L'art religieux de la fin du Moyen Age en France, Paris, Colin, 1908. L’opera, che ebbe il premio dell'Académie frangaise e dell’ Académie
des Inscriptions et Belles Lettres, era nel
1925 alla sua terza edizione. È noto peraltro il grande influsso dei lavori di Emile MAle nel campo dell'estetica e della letteratura, e in particolare su Marcel Proust.
36 Idib., pp. 35-84.
Altre prospettive
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une chapelle obscure, nous apercevrons deux hommes qui le mettent au tombeau, pendant que des femmes s’efforcent de retenir leurs larmes. Il semble que désormais le mot mystérieux, le mot qui contient le secret du christianisme, ne soit plus aizzer, mais souffrir» ??. E i testi più letti di quest'epoca, come La Leggenda aurea o le Meditationes vitae
Christi, ripropongono all’infinito il catalogo delle abbominazioni, delle infermità e persino della «informità» del Cristo in Croce, l’uomo divenuto viva piaga — o meglio piaga morente. «Non vi era più nulla, in lui, che fosse sano», dalla punta dei piedi alla radice dei capelli»: tutto in lui era immondo — dice Jacopo da Voragine, passando in rassegna ogni organo — tranne la lingua, organo della preghiera, organo del Verbo divino ’#. Contro questa ultima «salute» o «santità» superstite della lingua, Bataille propone, potremmo dire, di arrivare a tagliare la lingua all’immagine, a non andare oltre questa piaga viva-morente, abbandona-
ta, orfana di ogni Vergine, di ogni Padre, di ogni Santo Spirito. Altro modo per formulare l'esigenza di una visione senza nome. Se il suppliziato cinese fornisce a Bataille l’i24g0 pietatis per eccellenza, è certamente rispetto al fatto che il giovane cinese, questo giovane sconosciuto, senza nome, muore senza padre, senza Verbo, e soprattutto senza possibilità alcuna di resurrezione. Il suo sacrificio sarà dunque integro da ogni soluzione a/dilà. Bataille stesso, d'altronde, ha messo in rapporto — per contrapporli — il Cristo in croce e il cinese sottoposto al supplizio dei cento pezzi: e lo ha fatto per dire esplicitamente che, nel primo, permane ciò da cui l’immagine aperta del secondo è per sempre liberata, vale a dire, il discorso, il Verbo ??. In altre pagine — tale chiusura, tale appello al Verbo, tale rinuncia dinnanzi al peggio, propria del cristianesimo, Bataille li designa con queste parole: sostanziare il sacro ‘°. E consiste nell’inventare un aldilà, una «sostanza trascendente», scrive, che immobilizza e rende astratto, inautentico dunque, il rzorzento del sacro, momento in cui con-
sta tutto il reale del sacro: momento del punto di estasi che il suppliziato cinese fissa, agonizzante, «i capelli ritti sulla testa, orrendo, stravolto, rigato di sangue,
bello come una vespa. L'esercizio spirituale ignaziano, ad esempio, sarà, al confronto di tale momento, violentemente criticato da Bataille in quanto abbozzo, simulazione del sacro, rappresentazione teatrale dunque, menzogna sull’essere: «On n’atteint le point qu’en dramatisant. Dramatiser est ce que font les personnes dévotes qui suivent les Exercices de saint Ignace (mais non celles-là
37 Idib., pp. 85-86. 38 J. da Voragine, La leggenda aurea. 3? 0.C., V, pp. 138-139 («Post scriptum au supplice»). Bataille ignora qui, forse ad arte, la differenza, capitale teologicamente, tra discorso e Verbo.
4 O.C., I, p. 562 («Le sacré»).
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L'immagine aperta
seules). Qu'on se figure le lieu, les personnages du drame et le drame luiméme: le supplice auquel le Christ est conduit. Le disciple de saint Ignace se donne lui-mème une représentation de théatre. Il est dans une chambre paisible: on lui demande d’avoir les sentiments qu’il aurait au Calvaire. Ces sentiments, on lui dit qu’en dépit de l’apaisement de sa chambre, il devrait les avoir. On le veut sorti de lui-mème, dramatisant tout exprès cette vie humaine, dont è l’avance on sait qu'elle a des chances d’ètre une futilité è demi anxieuse, à demi assoupie. Mais n’ayant pas encore une vie proprement intérieure, avant d’avoir en lui brisé le discours, on lui demande de projeter ce point dont j'ai parlé semblable à lui — mais plus encore à ce qu'il veut étre — en la personne de Jésus agonisant. La projection du point, dans le christianisme, est tentée, avant que l’esprit ne dispose de ses mouvement intérieurs, avant qu'il ne soit libéré du discours. C'est seulement la projection ébauchée, qu’on tente, è partir d’elle, d’atteindre l’expérience non discursive» *. Per riassumere tutta questa dialettica — piccola differenza e grande lacerazione — si potrebbe dire che Bataille non rimette in scena il cristianesimo dell’ Inzago pietatis e dell’Imzitatio Christi se non nella dimensione pura e crudele del simulacro, in quanto quest’ultimo si distinguerebbe qui da ogni simulazione e ipocrisia devote per il fatto di rifiutare ciò in Nozze di cui (o nel Verbo di cui) è presa in considerazione nel cristianesimo. In sintesi, bisogna imitare il soggetto sofferente del sacrificio, ma imitarlo solo nel suo momento estremo,
nel suo momento di solitudine: istante, secondo Bataille, orfano di qualsiasi discorso. Rimettere in scena il sacrificio non è invocare, ma semplicemente «guardare in faccia» ‘. Questa sarebbe l’immagine aperta: un’immagine sacrificio, senza Dio, a cui dedicare il sacrificio, senza un qualsiasi Nome-del-Padre. Ma questa è l’aporia estrema: l’esperienza — la storia — mostra che wox vi è immagine aperta senza Nome-del-Padre. Quando parla di un cristianesimo sottomesso al Verbo e di un cristianesimo che ha «sostanziato il sacro», Bataille intende la stessa cosa, laddove confonde due cose diverse, il Nome del-Padre
e la sostanza filosofica. Ciò significa che egli confonde Verbo e discorso. Il cristianesimo come rinuncia e come simulazione è il cristianesimo ‘«nei limiti della semplice ragione», il cristianesimo cioè della pedagogia gesuita, il cristianesimo di Hume e di Kant. Ma, prima di Hume e di Kant, di fronte ai caritatevoli
sorrisi gotici di Notre-Dame de Reims vi è l'immensa frangia del cristianesimo folle, delle pesti nere, dei flagellanti, dei grandi predicatori, degli stigmatizzanti: tale cristianesimo è il cristianesimo dell'immagine aperta e della «pratica della gioia dinnanzi alla morte», perché in primo luogo un cristianesimo dell’esperienza, tra dolore e miracolo. L'immagine aperta — questo senso estremo dell’imita#0,C..t.
Vi ppi 138139
(«Post-scriptum au supplice»).
42 ibid., p. 291 («Le Coupable»).
Altre prospettive
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zione che fa sì che il corpo di chi guarda si apra, a immagine di ciò che egli guarda nell'immagine, cioè la «viva piaga» — l’immagine aperta discende infatti, essenzialmente, dal miracolo e dal raptus. Ora, non vi è miracolo, mutatio corporis, «momento sacro», senza Nome-del-Padre, cioè Verbo inteso come parametro
invocante e come polo del desiderio. Si tratta ancora di un paradosso: occorre un Verbo nel nome di cui inoltrarsi nel non-discorsivo di una «visione senza nome». L’identificazione isterica qualifica in modo preciso questo paradosso. Quando Freud dice che, presa alla lettera, l'imitazione di Gesù Cristo non è accessibile alla collettività, non bisogna concludere che la ritiene impossibile ‘. L’imitazione estrema esiste per davvero: è quella che il sintomo isterico, con la sua straordinaria capacità stigmatizzante, fa proliferare. Ora, il soggetto in preda al sintomo isterico non si muove nell’elemento di una pura e muta solitudine, ma in quella che potremmo chiamare una solitudine a due *: una solitudine «senza nome» perché incomprensibile a ciascuno, ma una solitudine tutta proiettata nel desiderio dell’Altro, la sua figura, il suo Verbo imperativo. È così che — a differenza di quello malinconico — il sintomo isterico sa — al pari del fuoco o di una malattia epidemica — trasmettersi collettivamente, e con ciò stesso, realizzare una sorta
di «ipostasi collettiva» dell’immagine aperta. Né mancano gli esempi storici. Basta rammentare i prodigi sacrificali di cui furono capaci i convulsionari di Saint-Médard. Contro l’orrore e l'evidenza, appunto, di tali prodigi, il filosofo Hume avrebbe cercato una qualche altra via «sostanziata» per la religione, una via morale, una via della saggezza senza sacrificio, una via totalmente sottomessa, non al Verbo, ma al discorso della legge. I Convulsionari, invece, non praticavano nient'altro che l’immagine aperta, l’immagine-sacrificio: voleva dire non solo drammatizzare, ma anche realizzare fino in fondo quella follia della Croce di cui Pascal, un secolo prima aveva formulato l’esigenza. Allora i corpi, letteralmente, si aprivano all'immagine, all'immagine del Figlio crocifisso e al Nome espresso del Padre suo onnipotente: ed è in questo stesso nome che, tra il 1773 e il 1787,
a Parigi,lacosiddetta «sorella Maccabea» si fece per ben trecentosessantaquattro volte crocifiggere, «realmente e senza simulazione», nel desiderio inverosimile di un supplizio votato a una ripetizione senza fine.
Ora, tale efficacia — efficacia di immagine aperta, potere di aprire i corpi, «a immagine dell'immagine», tale efficacia sacrificale poggia interamente sulla straordinaria dialettica di un’operazione che sa legare indissolubilmente segno
e presenza. Giacché sa spingere il simbolo fino ai limiti delle esperienze immaginarie più immediate e meno «discorsive» che esistano. Sa, aldilà del discorso che sostanzia e sutura le «ferite venture», destreggiarsi un Verbo aldilà (ad esem5 0.C., 1, p. 562 («Le sacré»). 44 S. Freud, «Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921): L’Imitazione di Gesù Cristo, egli scrive, «va evidentemente al di là del modo come è costituita la massa», in I/ disagio della civiltà,
Torino, Boringhieri, 1982, p. 133. M. Borch-Jacosben ne deduce, a torto, che «l’imitazione di Gesù Cristo è impraticabile», Cfr. Le sujet freudien, Paris, Flammarion, 1984, p. 127-142.
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L'immagine aperta
pio: sanguinare interiormente) e un Nozze aldilà (innanzi tutto il nome Cristo). Così, misteriosamente, si rende possibile l’apertura stigmatizzante dell'immagine. Il mistero ha un nome: conversione. E se bisogna parlare di dialettica è perché, in questo modo specifico dell’efficacia delle immagini — l’immagine aperta non esiste se non in rapporto a un'immagine chiusa che già l’ammette, in qualche modo, nel suo grembo. Basta vedere come si combinano fin nella loro «esperienza interiore» — intendo dire il loro spessore colorato — le figure del più angelico e del più tomista fra i pittori, Fra” Angelico. Ovunque, nelle sue crocefissioni si palesa infatti la lacerazione sanguinante dell’azzurro del cielo: blu di un azzurro imbrattato delle macchie vermiglie della Passione, ma vermiglie di un rosso che l’Angelico stendeva anche sotto l’azzurro del cielo, di modo che graffiare, ferire l’immagine equivalesse proprio a farla sanguinare da/ didentro... Ora, queste immagini sanguinanti» non si aprivano» bene che in rapporto a uno spazio teologico che presupponeva anch'esso l’immagine verginale, il girone di Notre-Dame, ovunque e sempre dipinto con questo stesso color sangue ovunque e sempre acciambellato, avvolto in un grande manto azzurro cielo... Giacché ad ogni lacerazione sanguinante occorreva il supporto di una tessitura e di Testo: un Verbo, un mantello azzurro di cielo. Bataille, col suo nome di angelo ribelle, tentava invece di aprire l’immagine in uno spazio ateologico. Parlando del sacrificante vodù e del suppliziato cinese scrive: «Il gioco che mi propongo è quello di figurarmi con cura, e per me stesso, ciò
che essi vivevano nel momento in cui l’obiettivo fissò la loro immagine sul vetro o sulla pellicola» ‘9. Questa espressione figurarmzi induce a pensare. Significa: farsi un'immagine, drammatizzare mentalmente. Ma significa nel contempo: figurare se stesso nell'immagine che sta di fronte, trasformarsi a immagine di ciò è di fronte. Così l’esistenza spettatrice si involve nell’ Altro istericamente, corpo e anima, recita il
gioco dell’ Altro, desidera ciò che l’Altro desidera, e soffre della sofferenza dell’ Altro. Come se il soggetto non potesse costituirsi che nel più profondo movimento di compassione. E appunto ciò che si produce in Caterina da Siena, che Bataille pone in epigrafe a L’impossible *” .
% Id., «La férocité mimétique», Traverses, 1984, n° 32, pp. 30-39. «Imitation de la croix et démon de l’Imitation», post-face a Les démoniaques dans l’art di..M. Charcot e P. Richer, Paris, Macula, 1984,
pp. 127-142.
46 G. Bataille, Les larmes d'Eros, ODIGIte22I1O
# Egli cita (O.C., III, p. 99) la lettera 273 di Caterina da Siena a Raimondo da Capua, sul supplizio di Tuldo, decapitato al lato della santa, che scrive: «E, così dicendo, ricevetti il capo nelle mani mie, fer-
mando l'occhio nella divina bontà e dicendo: Io voglio». A ciò Bataille fa seguire, prima di riprendere la citazione, una linea di punti, che corrisponde nel testo originale all'apparizione del Dio-e-Uozzo, che riapre la piaga del costato per ricevere l’anima del suppliziato: «Allora si vedeva Dio-e-Uomo, come se vedesse la chiarità del sole; e stava aperto, e riceveva il sangue; nel sangue suo, un fuoco di desiderio santo, dato e nascosto nell’anima sua per grazia; riceveva nel fuoco della divina sua carità. Poiché ebbe ricevuto il sangue e il desiderio suo, ed egli ricevette l’anima sua, la quale mise nella bottega aperta del costato suo, pieno di misericordia; manifestando la prima verità, che per sola grazia e misericorda egli il riceveva, e
Altre prospettive
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Marifiutando — lo si capisce — ogni Nome proprio di colui per cui patire, o compatire, Bataille, al limite estremo, non potrà mai aprirsi all’immagine, sanguinare interiormente, accedere alla stimmate. In tal senso, dunque, l’immagine resterà per
lui chiusa, intatta. Forse nel luogo e al posto di questo Nome proprio e di questo verbo escluso, vi sono tutte quelle figure rovesciate, quelle figure di donne senza nome proprio, appunto, che costellano l’opera di Bataille — tutte quelle prostitute. Come se l'elemento dell’incontro, «in quelle strade propizie comprese tra il crocevia Poissonnière e rue Saint-Denis» desse comunque la misura di un’esperienza della compassione. Giacché, anche qui, è di compassione che si tratta: si pensi al narratore Angélique chino sugli spasmi di Madame Edwarda e questa tutta contorta, «come un pezzo di lombrico», poi, due pagine più avanti, lo stesso, chino, rannicchiato su un’altra contorsione, un altro godimento: «sostenendole la nuca, vidi che aveva le pupille rovesciate» ‘. E poco tempo dopo ne I/ Piccolo, il narratore Bataille chiuderà il cerchio scrivendo «il suo desiderio di essere una donna, sdraiata per terra, discinta, con le pupille rovesciate, eco del celebre: «penso allo stesso modo in cui una ragazza si toglie la veste» ‘. Pensare allo stesso modo in cui una donna — una puttana — si toglie la veste, costituisce forse un modo per zo pronunciare un qualsiasi nome proprio, a immagine del quale soffrire o aprirsi. L'apertura, se mai avverrà, resterà dunque inarticolata: un semplice urlo ?0. Un urlo di bestia, ma neppure. Un urlo bestiale, stupido, solamente stupido. Rigorosamente equivalente a quello scoppio di riso ebete quell’apertura inessenziale che segna ovunque lo scacco — in fondo desiderato — del pensiero in Bataille: rifiuto innanzitutto della filosofia e apertura all’esperienza interiore e «aperta»; quindi rifiuto di un’esperienza «aperta» per eccellenza, cioè la compassione cristica. E infine, per il fatto che filosofia e cristianesimo formano un mondo, esperienza di un’aporia: l'impossibilità di un’esperienza dell'immagine aperta senza Nome-del-Padre. Dinnanzi all'immagine del suppliziato cinese, Bataille non sanguinò dunque interiormente; ascoltò il suo cuore battere ancora, forse un po’ più forte, e rise, «bétement», della sua chance dinnanzi all'immagine, della sua rinuncia costituzionale ad aprirsi in essa. La sua vita continuava, a dispetto dell’orrore e dello spettacolo estremo, nell’inessenziale. Ma ebbe il coraggio ripetuto di scrivere, riscrivere, quest’aporia. In ciò consiste la sua lezione di metodo. Sentiva per davvero che vedere, a dispetto di ogni consolazione che procuri il vedere, dà accesso alla sua soglia di violenza. non per veruna altra operazione. O quanto era dolce e inestimabile a vedere la bontà di Dio! Con quanta dolcezza e amore aspetta quella anima partita dal corpo! Voltò l’occhio della misericordia verso di lei quando venne intrare dentro nel costato bagnato nel sangue suo, il quale valeva per lo sangue del Figliuolo di Dio». Santa Caterina da Siena, Le lettere a cura di Umberto Matteini, Milano, Ed. Paoline, 1987, p. 1150. 48 0.C., p. 26 e 29 («Madame Edwarda»).
49 Ibid., p. 37 («Le petit»). 20. Si può rilevare, en passant, che Bataille, nei manoscritti, abbrevia la parola cristianesimo nelle lettere CHRI, il che fa pensare all’espressione «cri de peur qui voit», grido di paura che vede. Cfr. O.C., JiPap a59.Miecc:
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L'immagine aperta
«Video (vedo) deriva da vis (forza): dei cinque sensi, infatti, il più potente ha sede negli occhi: infatti, mentre nessun senso può avvertire un oggetto che disti mille passi, la potenza del senso della vista arriva fino alle stelle (..... Da ciò dicevano anche violavit (egli violò) una ragazza, invece di vitiavit (violentò)». ! traduzione di Marina
Galletti.
51 Varrone, De lingua ; ; latina, VI, tr. E. Riganti, Bologna, Pàtron,
1978, pp. 69-70.
sn
INDICE DEI NOMI
Adorno, Th. W. 150, Agamben, G. 9, 181n, Agostino’, Sant’ A. 100, 100n
Bergery, G. 74n, 86n
Allendy, R. 73n Alquié, F. 84n Altenberg 27
Bernard J.P. 84n Bernier, J. 85
Altman, G. 74n Ambrosino, G. 17, 127, 128n
Bischof, R. 147n. 153n Blanchot, M. 8, 13, 13n, 14, 17, 68, 68n, 70,
Angélique, (P. Pseud. di G. Bataille) 170, 175, 176, 178
Aragon, L. 76n, 121n
Aristotele 15, 118 Aron R. 86, 86n Arp, J. 53 Artaud A. 72n Auch, Lord (pseud di G. Bataille) 104, 104n Aulagnier, P. 96n, 98, 98n
Babelon J. 55 Bacone, F. 79n
Baeumler, A. 33 Balthus 160 Balzac, H. de 130, 130n, 131 Barbusse, H. 72n. 73, 73n, 75n, 80, 83, 84
Bardy, G. 181n
Bergson, H. 75, 79n Berl, E. 73, 82n
Bernstein, E. 82n
700378,
78n092098
116, 118172
Bloch, M. 47 Blum, L. 129n, 142
Bohme, J. 79n Borch - Jakosben, M. 185n Borel, A. 83,168 Borés, F. 158, 160
Borges, J.L. 156
Borreil, J. 84n Boulain Villiers, M. de 143, Braque, G. 53 Brassai 157 Brauner, V. 160 Breton, A. 8, 15, 16, 19, 50, 50n, 55, 78n, 83, 84n, 97, 97n, 122, 122n, 126, 127, 157, 160,
166 Bunuel, L. 160
Baron, J. 53
Barrault, J.L. 165n Barthes, R. 57, 57n Basso, L. 72n Baudelaire, Ch. 16, 18, 27, 130n, 134, 157
Beato Angelico, detto Fra” Giovanni da Fiesole 186
Beaudin, 160 Beauvoir, S. de 16 Bellange J. 52 Bellmer, H. 160 Benda, J. 75,87,87n Benichou, G. 76n
Benichou, P. 72n, 76, 77n Benjamin, W. 115
Caillois, R. 9, 17, 60, 56, 71, 73n, 80, 86, 108, 120-136, 138, 141, 142, 143, 157
Camille C. 52n Camus, M. 70n Caron, A. 52
Carpocrate 25 Castoldi, A. 83n Caterina da Siena, Santa 179, 184, 186n, 187n Cervantes Savedra, M. de 133, 165n Cesare, G. C. 140 Challaye, 73, 75n
Chalupny, E. 79n Chaplin, Ch. 74 @hartRo123: 127%
190
Indice dei nomi
Charcot,J. - M. 186, Chatain, J. 92, 92n Chateaubriant, A. de 141, Céline, L. F. 84 Ciajkovskij, P.I. 161 Ciampa, M. 9
Forgue, L.-P. 157
Claparède, E. 157
Finzi, S. 47n
Clèbert, J.P. 161n, 163n Collinet, M. 69, 69n, 78, 78n
Flaherty, R. 74n
Complido A. 21n Comte, A. 75 Corneille, P. 143 Gorot,
52
Cosimo P. di 52,52n Courbet, G. 52, 52n, 53 Crevel, R. 84n, 157
Faure, L. 71, 73n Faure, P. 75,81n
Febvre, L. 47, 50, 50n Féjos, P. 77n Ferdière, G. 73, 73n, 78
Flaubert, G. 19, 20, 21n Fortini, F. Foucault, M. 8, 49, 49n, 140 Francesco d’Assisi 177, 178 Freud, S. 62, 85, 85n, 96n, 104n, 108, 108n, 148, 171, 171n, 185, 185n
Gaît, M. 75n
Daix, P. 53n Pall ST56 N57) 159M60
Gall, Y. 19 Galletti M. 9
Dandieu, A. 86, 86n
Gandon, F. 108n
Dautry,J. 76, 77n, 78, 92n, 122
Gargagni, A. 95n, 96 Genet,J. 16 Georgius 54
Delacroix, E. 52, 52n Delaisi F. 73n Delny A. 77n Derain, A. 158 Desnos, R. 53 Détienne M. 102n
Gesù Cristo 177, 183, 185 Giacometti, A. 160
Godard,J. 19
Dianus (Pseud. di G. Bataille) 64, 143 Didi-Huberman, G. 9, 179n Dostoieskij, F. 27 Douglas, L. 54 Drieu La Rochelle, P. 139
Goncarov, I. 27 Gourmont, R. de 170 Gramsci, A. 72n, 89 Granet, M. 141 Griaule, M. 56, 56n, 58, 157 Gris 59
Dubief, H. 71n, 74n, 92n, 122, 122n
Gronkowskij, G. 53
Duchamp, M. 157, 158, 160
Guérin, D. 67n, 70, 70n, 72n, 73n, 76n, 77n,
Dujardin, E. 80n Dumezil, G. 9, 85n, 104n, 109, 121, 129, 129n, 138, 139, 140, 141, 142, 143
Duras, M. 20 Durkheim, E. 75, 75n, 80, 80n, 81, 89,99, 99n, 102, 124n, 129, 130
78n, 93, 93n
Haggerty, M. 55n Halévy, E. 92n, 141 Hegel, G. WF. 26, 27, 29, 31, 34,39, 40, 62, 75, 141, 148, 151
Einstein, C. 52n, 53, 55, 58n
Heidegger, M. 68, 68n, 84, 84n
Elbé, M. 52, 52n, 53n
Ellington, D. 54n
Heimonet, J. M. 71n Heine, M. 122, 155
Eluard, P. 84n, 122, 157
Hitler, A. 33, 68, 84, 141
Empedocle 150 Engels, F. 82n, 140
Hollier, D. 8,9, 17, 48n, 68n, 69n, 70n, 71n, 81n,
Enriquez, E. 105, 105n
82n, 84n, 85, 85n, 86n, 100n, 120, 128n, 129, 130, 164n, 168n, 169n
Eraclito 40, 156, 160, 164 Ernst, M. 158, 160 Espezel (d’), P. 48, 48n, 49, 55
Horkheimer 150 Hotman F. 143
Etiemble, R. 132
Hubert, H. 106n.
Houdebine, J.L. 161
191 Hume, D. 184, 185
Ixdice dei nomi
128n, 157, 160 Lenin, V. 75, 78, 78n, 79, 79n, 82, 89, 91, 91n,
Ignazio di Loyola 181 Ippolito di Roma 24 Ireneo di Lione 25
Sp SE Levi-Strauss, G. 56n
Levy-Druhl, L. 75
Jabès, E. 13
Lewitzky, A. 133n
Libra P. 123n Liebknecht, K. 75
Jacob, M. 157n Jacopo da Voragine 183, 183n Jaloux, E. 156n Jeanmaire, M. 106n Jendt, A. 99n Jonas, H. 25
Liénert, E° 77, 770 78
Limbour, G. 53, 160n Limousin, C. 89n
Loubet del Bayle, J.-L. 86n, 122n Lorau, P. 71n
Jouhandeau, M. 53
Losovsky, P. 86n
Jouvenel, B. de 73, 75n Kaan, P. 67, 75, 76, 76n, 77n, 78, 79, 81,9l1n,
93, 94 Kafka, F. 27 Kahn, S. 78, 78n, 79, 79n
Luc, J. 74n,75n Luigi XVI 70n, 138, 142, 143 Lukacs, G. 72n
Luxemborg, R. 71, 72n, 75, 75n, 77n, 81n, 92, 92n
Kant, E. 184
Kautsky, L. 82n
Maar, D. 155
Kierkegaard, S. 84n, 111 Klossowski, P. 17, 18, 27, 31, 33, 107, 111,
Mabille, P. 155 Macchia G. 110n
tie
127
Magritte, R. 55, 158, 159, 160
791280143
Kojève, A. 17, 26, 27, 29, 31, 62n, 81n, 117, 141
Maistre, J. de 143 Majakovskij, 157
Kristeva, J. 57 Krucev, N. 74n
Male, E. 182,182n Mallarmé, St. 156 Malraux, A. 78n, 82n, 83
La Boetie E. de 143
Man H. de 77n, 79n
[Faca ne) ab. AZIN157
Manet, E. 52, 52n, 53 Mannarini, L. 134n
Lala, M.C. 9, 64n Lamour, Ph. 70n, 73 Langevin, P. 73 Lapouge, G. 121n,
128, 132n,
133n,
135n
Larvaud, J. 15 Laserra, A.M. 9 Laurat, . 72n, 74, 75n Lautréaumont, 154
Lawrence D.-H. 130n
Le Bouler J.-P. 77n Le Courbusier, Ch. J. Jeanneret, detto 14 Leconte, H. 75n, 76
Leenhardt, M. 56 Lefeuvre, R. 67, 67n, 69, 71, 71n, 72n, 73, 73n, 74, 74n, 76, 76n, 77n, 94
TeperE:553 Leiris, M. 15, 15n, 16, 17, 47, 47n, 48, 49n,
SIINO INNO ANI, DANS SIONI ORTA, 76, 76n, 78, 80, 80n, 81, 86, 93, 100n, 128,
Matgoni, I. Maritain, J. 75 Marmande, F. 9, 67n, 70, 70n, 122n, 164n Marche, J. de 177n Martinet, M. 78, 78n, 9ln Marx, K. 32, 39, 72n, 74n, 75n, 82, 82n, 148 Masini, F. 151n Massine L. 161, 162n Masson, A. 9, 17, 53, 69N, 103n, 105, 106,
10711, 158515960 162n, 163, 164, 165, 165n
6625
Matisse, H. 156, 158, 159 Matta Echaurreu, R.S. 160 Matteini, U. 160n
Mattheus B. 67n Maubon, C. 9, 56n Mauriac, C. 14, 14n Mauss, M. 48, 53, 79, 86, 81, 83, 85n, 89, 92n, 102, 121, 121n, 130, 130n,
141
192
Indice dei nomi Rabaud, J. 67n Rabourdin, D. 77n Raimondo da Capua, 179, 179n, 186n Ray, M. 157, 160
Mayer, H. 13, 13n
Merlau-Ponty, M. 31 Mespe, L. 52n Métraux, G. 17, 18 Miro’ J. 53, 158, 160
Réda, J. 13, 13n, 14
Monnerot,J.71, 71n, 80, 82n, 89n, 121n, 127, 128n
Reich, W. 92, 92n Reinach, S. 105
Montaigne, M. 143
Reverdy, P. 157 Rey, J.M. 9, 188n
Montesquieu, Ch-L. de Secondat Mounier, E. 75 Mozart, W.A. III Musil, P. 27
143
Mussolini, B. 34, 90, 90n Nadeau, M. 67n, 78, 78n, 842 Nancy, J-L. 16, 84, 116
Napoleone III 138, Nenni, P. 73, 74n
Nietzsche, F. 9, 29-43, 66, 94n, 106n, 107, 107n, 108, 109n, 118, 128, 129, 147-155, 160, 165, 180, 181
Noel, B. 47n Orlandi Cerenza, G. 9 Ortega y Gasset 73
Otto R. 99, 99n, 100, 100n Ovidio, P.M. 156 Pabst, W. B. 74, 74n Paracelso, 162 Paré, A. 19 Pascal, B. 183 Past Patri, A. 67, 72n, 77, 77n, 78, 78n, 79, 80n,
81, 84, 86, 86n, 90n, 91, 9in, 93 Paulhan, J. 128, 139 Péret B. 122 Picasso, P. 55, 154, 158, 160
Richer, P.W. 186n Richir, H. 67n Riganti, E. 188n Rimbaud, A. 157 Rioux, J-P. 71n Risset, J. 84n, 134n Rivet, P. 53, 55, 56, 56n Rivera, D. 78n
Rivière, G.H. 18, 54, 55, 56, 56n Rolland, R. 75n, 76n, 83 Rollin, J. 107 Rosemberg, A. 109, 109n Rosen Ch. 74n Rosmer, A. 78 Rossi, A. (Pseud. di A. Tasca) 74, 94n
Rougemont, D. de 74n Roux, G. 156
Sablé, L. 72n Sacchi, S. 76n
Sade, D-A-Fr. 18, 66, 96n, 97, 97n, 98, 99, 101, 143, 160 Sartre, J-P. 7, 8,16;
19, 171n, 180
Sator, S. 67n Savinio, A. 156 Savonarola 132 Schaffner, A. 53, 56
Schelling 118
Piel, J. 67,67n
Schmitt, C. 117 Schwarz, A. 84
Pierrot, J. 83n, 94n
Seghers, P. 52
Piranesi, G. B. 52, 53n Pivert, M. 72n Platone 173 Prader, J. 77, 77n Preuss K. T 101 Prévert, J. 53 Proust, M. 189 Prudhon, Ch. 74n Puech, H. Ch. 23, 26, 52n, 53
Serge, V. 76, 76n Sestov, L. 27
Saint-Just 142 Seurat, D. 52. Simmel, E. Schwarz, A. 80n Skira, A. 156, 157, 160
Sollers, Ph. 161 Sorel, G. 74n, 75, 75n, 81, 82n, 83, 83n, 92n, Soustelle, J. 74, 74n, 75n Souvarine, B. 67, 72, 76n, 77n, 78, 78n
Queneau, L. 17, 87n
Stalin, G. 72n, 82, 91
Indice dei nomi Stirner, G. 129
Strzygowski, P. 51, 51n
193
Ubac, R. 157 Valéry, P. 157, 163
Van Dyck 81n Tacito 140, 143
Varrone, M.T. 188n
Ted;
Vidor, K. 74, 77n
y 158
Tasca A. 72n, 74, 74n, 75n, 79, 94
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Tériade, E. 157,60
Ei
Terracini, U. 72n
Wagner, R. 163
Tertulliano, 9, S.F.24
Wahl,J. 107, 123n
Thirion, A. 15, 15n, 69n, 122n
Waldberg, P. 77n
Thomas,
Walser, R. 27
E. 74n, 78
Thomas, M. 9ln Tinagli, G. 177n
Weber, F. 92n Weber, M. 151
Togliatti, P. 72n Tommaso d’Aquino 171, 177, 177n, 179, 179n,
Weil, S. 77, 77n Werth, L. 70n, 73n
182n
Tommaso da Celano 178, 178n, 179n 5 Touchard, J. 122n
Wildenstein G. 48, 49, 50, 55, 56
Will-Levaillant, F. 161n
Trosckij, L. 178, 178n, 179n
Zarathustra 34, 75, 107, 135, 149, 164, 165
Tual, R. 69, 69n, 70n, 73
Zetkin, C. 75
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Zola, E. 84
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L'ampiezza dell'interesse susc'! vent'anni — attorno alle noziaiti