Il realismo politico

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a Norberto Bobbio, maestro di «realismo dal volto umano», nel novantesimo compleanno

Premessa

Fra i termini ricorrenti del lessico politico, realismo è sicuramente uno dei più usati e abusati. Come ogni «ismo», anche il realismo è un costrutto polemico, che si vorrebbe antidoto a ogni utopia, a ogni ideologia, a ogni pratica giacobina di assolutizzazione dei valori, nonché al dispotismo mite del wishJul thinking. Il suo strale è prevalentemente indirizzato verso gli illusi, gli ingenui, i sognatori, le «anime belle» della politica; ma può colpire anche gli attivi e miopi faccendieri dello «scambio politico». Esso è un'arma irrinunciabile contro coloro che praticano deliberatamente la falsificazione e contro coloro che cedono, per comodità e quieto vivere, alle lusinghe dell'autoinganno, finendo così, immancabilmente, per ingannare. Ma è altresì uno strumento duttile nelle mani dei cinici che in difesa del proprio «particulare» ricorrono con falsa coscienza all'apologia dell'esistente e in nome del realismo propagandano le più diverse miscele di pregiudizio e interesse. In considerazione di quest'ambiguità, la riflessione sul realismo politico deve fare i conti, a un tempo, con un'ostilità pregiudiziale e con un'attrazione discreta ma irresistibile. Per un verso, continua ad avere credito un modo di pensare che rifiuta il realismo come cinismo amorale, difesa di interessi consolidati, irriflessa esaltazione del diritto del più forte, ideologia della volontà di potenza: e in effetti il realismo ha spesso funzionato e funziona ancora come lasciapassare per

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dittatori o, nelle democrazie, come argomento al servizio delle pratiche meno trasparenti del potere. In nome del realismo si arriva a legittimare tutto, la fori:a e la frode, la violenza e la corruzione. Per altro verso, Pintento demistificatorio del realismo politico alimenta da sempre una diffusa fascinazione per il lato oscuro del potere, per le tecniche di dissimulazione, per gli arcana imperii. Inoltre, in virtù della crisi delle utopie e del discredito delle ideologie, questa fine secolo ha generato un clima favorevole all'approccio realistico ai problemi politici. Nel discorso pubblico è subentrata un'atmosfera di sobrietà e di avversione alle astrazioni che raffredda gli entusiasmi dei cavalieri dell'ideale e indebolisce le certezze dei profeti di un'etica nuova. I grandi cambiamenti di fine secolo, dichiarando il fallimento di ideologie e utopie, hanno riproposto. con forza la questione del realismo politico. Il crollo repentino dci regimi socialisti, la crisi lenta ma strutturale dello Stato sodale di di.ritto, doè del modello occidentale di wet/are, le conseguenze deU~ globaliZ2azione, con il rapido svanire del sogno di un 11uovQ ordine mondiale dopo la guerra fredda e l'insabbiarsi deì progetti di riforma delle organizzazioni internazionali, il riemergere di particolarismi che minacciano di compromettere sul nascete ogni programma di riorganizzazione federalistica degli Stati, il ritorno della guerra, magari nelle forme del pcace-,m/orcing o delrintervento a fini umanitari, ma .con il consueto seguito di vittime e distruzioni, la caduta di tensione.nel processo di costruzione europea, divenuto materia di tecnoingegneria economica estranea alla democrazia e al sentire delle cifutdinru:ize, tutto ciò agisce sul senso comune come una scuola di disincanto e orienta le culture politiche verso un pragmatico scetticismo. Anche nel mondo degli studi si avverte il ritorno di un interesse non solo storiografico per dottrine classiche, come quella della ragion di Stàto1 che sapevano riconoscere le dure logiche del potere e i codici dell'agire strategico. Le scienze della società e della politica, sviluppatesi sull'onda della presunzione - una delle tante moderne «illusioni del pro# 4

gresso» - di poter costituire uno strumento essenziale per il governo delle democrazie e per la tutela della pace, hanno infatti ripetutamente mancato il bersaglio nel corso di questo secolo: non hanno previsto i totalitarismi, né la dissoluzione del sistema sovietico né il risorgere dei nazionalismi. Ora si stanno mostrando impotenti anche nel settore della prevenzione dei conflitti internazionali, dove l'antica logica della dissuasione e della coercizione non sembra conoscere alternative. Di qui lo scetticismo nei confronti non solo degli alchimisti di scienze palingenetiche ma anche degli onesti professionisti di un sapere, che si vuole scientifico, del mondo storico-politico. Ma nell'incertezza del nostro tempo, che è anche perdita della centralità della politica, della sua capacità di guida e governo, ciò non significa il ritorno dell'arte e della prudenza politica. Vi è un paradosso nell'attuale rinascita del realismo politico, che impedisce di guardare a esso con l'animo rassicurato di chi vede definitivamente tramontata l'epoca delle ideologie: quanto più ha successo nella sua prestazione critica, nella demolizione dell'universalismo, tanto più esso s'indebolisce sul versante pratico. Troppi sono i pretendenti alla corona, troppi i dispensatori di concezioni strategiche, troppi i manipolatori di realtà virtuali. Il profilo del politico realista appare necessariamente sfocato in un mondo che ha smarrito la fede anche nell'effettualità del Potere. E delineare la sua agenda è probabiln1ente non meno difficile oggi di quanto non fosse nell'età del Barocco. Con il tramonto delle ideologie e delle utopie, tutti ormai si dicono realisti - proprio come, grazie al trionfo del mercato, tutti si proclamano liberali e liberisti. In realtà abbondano i realisti fasulli e quelli a corrente alternata, che con grande disinvoltura coniugano realismo e moralismo. È ormai esercizio consueto sostenere che, nell'epoca dell'energia nucleare, dell'ingegneria genetica e della catastrofe ecologica' incombente, il massimo di realismo coincide con la normatività più esigente. I pacifisti, che non hanno difficoltà a evocare scenari apocalittici, pretendono di essere i veri realisti; così i 5

solida.risti, che prodamano la fine della società del lavoro e della piena occupazione; cosl gli ipergarantisti, che diagnosticmo rineffettualità delle sanzioni e delle pene. Ma. se non si traduce in una nuova saggezza di governo. la stanchezza nei confronti delle retoriche del solidarismo, del repubblicanesimo, del patriottismo costituzionale fa posto almeno alla curiosità verso le tecniche effettuali del potere, verso la realtà del potere ehe si cda dietro l'apparenza del consenso. La dialettica di pubblico e segreto si colloca nel cuore del potere. Non c'è potere senza pubblicità e non c'è potere senza segreto, D~ quando esiste un discorso sul potere, la politica è stara riconosciuta _nella sua doppiezza, da un li\to teatro azione1 drammaturgia, rituale, pubblica rappresentazione, dall'altro-. appunto, arcana imperii, manovre dietro il sipario, negoziazioni impresentabilì. La scommessa moderna delle liberaldet11Qcrazie era stata volta a superare questa schizofrenia del potete. conciliandò gli estremi e riportando le decisioni alla sfera pubblica parlamentare, a un centro non aperto a tutti nµralla competizione di tutti, non perfettamente trasparente t;nil comunque visibile e controllabile. Nd corso di questa vicettda, da cui sono nate le nostre istituzioni, il se~ greto tuttavia 110n è scomparso dalla vita dello Stato ma si è secolàtizzato e costituzionalizzato. Originariamente esso confedvà sacralità al potere, era una risorsa simbolica della sua legittimazione. Ora viene ricondotto alla dimensione strumentale, a quanto è necessario per la salvaguardìa degli interessi collettivi, fatto oggetto di regole e limitato da pro~ cedure. Dalluaghi del potere sì sposta e si disloca nella privacy del çittadino, dove è riconosciuto e tutelato come t,tn bene prezioso il segreto della corrispondenza o quello del voto. I vecchi àrca11t1 e i loro detentori - i professionisti dei servizi segreti - vengono invece confinati in un ghetto1 da cui la «buonl:l)> pqlitica deve tenersi lontana, anche a costo di perderne Ucontrollo e di favorirne le deviazioni. Oggi, in una società pluralistica e policentrica, isegreti, lungi dallo scomparire, proliferano e si disseminano, penetrando per esempio nelle amministrazioni delle ìmprese. Do-

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ve i vincoli costituzionali impediscono allo Stato di custodire troppi segreti, ecco profilarsi una soluzione: gli arcana vengono esternalizzati, cioè dati in carico ad altri, affidati alla custodia di quei centri di potere e di quei gruppi corporati che non sono sottoposti ad altrettanti vincoli e controlli. Esperienze recenti hanno mostrato come vi siano più segreti (o segreti più interessanti e meglio dissimulati) nelle cittadelle economico-finanziarie che nei santuari tradizionali della politica. La culla del segreto passa così dalla «ragion di Stato» alla «ragione di partito», alla «ragione d'azienda» o alla «ragione bancaria>>. Accade così che, agli occhi di tanti liquidatori del «moderno», il mito illuminista di un'opinione pubblica che dissolve le nebbie che circondano il Palazzo non regga più. Rispetto alle classiche geometrie della modernità, la topografia del potere appare cambiata, schiacciata sui poli della videopolitica e della criptopolitica. A un estremo lo spazio ove si vede, si sente, si subisce, ma non si fa politica, all'altro il luogo ove si concentra e si nasconde la politica che conta, quella che decide, che sposta denaro, risorse e opinioni. Nel gioco tra videopolitica e criptopolitica il segreto ovviamente c'è ancora, ma è diventato più artificiale, più vulnerabile e più pericoloso nella sua vulnerabilità. L'irruzione della videopolitica nella sfera del segreto qualche volta lo banalizza, qualche volta lo ingigantisce. La forza del segreto di uno Stato assolutistico stava nella sua monopolizzazione a opera del potere sovrano. Solo l'alto tradimento di qualche dignitario poteva metterla a repentaglio. In una società priva di centro, invece, la sua disseminazione ne pregiudica la funzionalità ai fini del controllo sociale. Il segreto diventa un'arma generalizzata di ricatto alla mercé di tutti i poteri e una risorsa strategica per la competizione. La sfera pubblica si riduce a luogo ove grandi e piccoli uomini fanno mercato dei loro segreti. Nella politica interna una riserva realistica era all'opera ieri nei confronti di ideologie che miravano a espandere il procésso di democratizzazione a tutti i settori della società, dalla fabbrica all'esercito al carcere, imponendo al cittadino gli obblighi di una partecipazione totale; ed è all'opera oggi

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ovunque si sollevino dubbi sull'opporttmità di una trasformazione in senso giurisdizionale della politica («giustizializ• zazione»), o di una sua evoluzione in senso tecnocratico, favorendo organismi che si vorrebbero indipendenti, neutrali. tecnici, sottratti al controllo democratico, a danno di organi~ smi legittimati dalla competizione politica. Nel nome del realismo si è praticato e teorizzato per anni, nel nostro paese, un «modello spartitorio» di occupazione delle istituzioni e di corruzione come metodo del consenso, ma si è anche guar• data con preoccupazione la stagione di bonifica giudiziaria della politica, denunciato lo strapotere dei giudici, pi-oposta un1amnistia e sostenuta w1a legislazione premiale nei confronti dei «collaboratori di giustizia». Analoghi orientamenti si possono registrare nella politica internazionale, che continua a essere dominata dàl conflitto tra ragioni della forza e ragioni del diritto. Nel nome del realismo si sostiene qui che non è ragionevole destabilizzare regimi dispotici e mettere a repentaglio processi di pace attraverso una politica intransigente dei diritti µmani; o che la lot• ta per i diritti può rivestire una funzione strategica e strumentale, in quanto serve a indebolire i nostri concottenti sul mercato mondiale, sottoponendoli a vincoli che inevitabilmente diminuirebbero i loro vantaggi competitivi a livello di costo della forza-lavoro. E sempre nel nome del realismovengcmo l:ll'gomentate perplessità sull,orientamento interven~tico nelle crisi internazionali e sulla strategia contraddittoria delle «guerre umanitarie» o sull'orientamento a risolvere controversie internazionali facendo ricorso alla.giurisdizione, in particolare perseguendo crimini di guerra e contro l'umanità in condizioni di.semi-paralisi operativa delle organizzazioni internazionali e di problematica discrezionalità politica. Nella cultura del nostro paese, cosl condizionata. in positivo e in negativo, dalla presenza della ChièSa catt()lica, eè un filone clomlnante di realismo politico che da Machiavelli e Gukclardini arriva a Croce. agli elitisti, Mosca, Pareto e Micbels - quelli che James Bumh.am ha definito «neQ01achiavdlid» -, e a Gramsci, teorizzatore del «nuovo principe». 8

soggetto collettivo rivoluzionario e insieme forza d'integrazione sociale. Anche venendo ad anni più recenti, la nostra tradizione di studi politici è continuata lungo un percorso che ha nel realismo un richiamo costante e nella critica alle patologie della democrazia reale il suo nerbo: dalla precoce denuncia della partitocrazia in Maranini alla teoria delle degenerazioni parlamentari e delle rendite politiche in Miglio, dall'analisi del potere invisibile e del criptogoverno in Bobbio al programma di una teoria realistica della democrazia in Zolo, dalla denuncia del deficit di realismo nelle democrazie in Sartori alla critica dell'illuminismo applicato alla politica in Panebianco, larga parte della nostra letteratura politologica sembra ancora condividere quell'orientamento di fondo. Del resto il sistema politico italiano, con le patologie della sua prassi parlamentare e le velleità dei suoi riformismi, con la persistenza della sua vocazione trasformistica e la vitalità degli istinti di potere della sua classe politica, con la vischiosità della sua cultura clientelare e con l'impudenza delle sue «formttle politiche», continua a essere t1na buona palestra d'indagine per il realismo. È dunque paradossale (e forse non troppo) che, a tutt'oggi, del realismo politico si sia rinunciato a delineare un profilo complessivo, preferendo discettare, con vocazione consolatoria, di spirito repubblicano ed etica pubblica.

Il problema: teoria e storia

Approssimazioni

1. Il «principio realtà»

Come tutti gli «ismi», anche «realismo politico» è termine ambiguo. Al pari di ideologie come liberalismo, nazionali,smo, socialismo, anche il realismo, che a un'ideologia non è riducibile e che anzi come orientamento di pensiero alle ideologie intende contrapporsi, è costrutto dai molti significati, in virtù della pluralità dei modi d'intendere il concetto di realtà o il richiamo al principio di realtà. Talvolta il riferimento è alla realtà empirica della natura umana in opposizione alle sue trasfigurazioni etiche, talora alla cogenza dei processi storici in opposizione ai progetti degli attori sociali, talaltra ancora all'uso che dell'esperienza si fa nella definizione delle strategie di condotta. Sulla base di questa molteplicità di significati, il realismo condivide in politica la fortuna degli omonimi indirizzi in filosofia, in letteratura e nelle arti figurative, dove il termine è proliferato in un caleidoscopio di accezioni. Coniato in riferime.nto alla disputa scolastica sugli universali per designare la posizione che ne affermava la realtà (è Duns Scoto a tenere a battesimo il concetto di realitas), la nozione non è più uscita dal lessico filosofico moderno, dove a richiamarsi al realismo.non sono ceJ·t-0 soltantQ materialisti, positivisti e, più in generale, fautori dell'esistenza del mondo esterno, ma au-

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tori come Fichte, Schelling o Hegel, dunque pensatori le cui dòttrine sono state comprensivamente definite idealistiche. Come nel discorso filosofico realtà sta a indicare «il modo d'essere delle cose in quanto esistano fuori dalla mente umana o indipendentemente da essa» in contrapposizione all'idealità che designa «il modo d'essere di ciò che è nella mente e non è o non può essere o non è ancora incorporato o attuato nelle cose» 1, così nel lessico politico con quel concetto si fa appello al modo d'essere dei rapporti di potere considerati indipendentemente dai desideri e dalle preferenze di attori o dalle teorie, più o meno esplicitamente normative, di spettatori. Ma come in filosofia si danno diverse varietà di realismo - a partire da quello più ingenuo del senso cÒmune-, cosl anche in ambito politico è possibile distinguere varianti di realismo distinte in base al modo di concepire il rapporto tra la realtà e l'apparenza. Per il realismo politico, come per quello gnoseologico, l'appello alla realtà, comunque inteso, ha un significato positivo. Ciò che è, si assume, vale, a onta della sua finitezza, più di quanto viene desiderato, immaginato, idealmente apprezzato. Ma il reale è anche limite, dolore, sofferenza. «Il passaggio· dal principio di piacere a quello di realtà è- per Sigmund Freud - uno dei più importanti progressi nello sviluppo dell'Io»2 • Nel kssico della psicoanalisi, il «principio di realtà» si oppone all'«onnipotenza dei desideri». Collocata in uno spazio intermedio tra Eros e Thanatos, la realtà è ciò che fa resistenza a desideri e pulsioni soggettive. Anche Martin Heidegger individua in questo elemento la connotazione specifica del concetto: «La realtà è resistenza o, meglio, resistenzialità»'. Hans Blumenberg parla, nella sua genealogia del mito, di narcisismo ontogenetico, i11Jividuru1donc il nuclèo nella «sopravvalutazione dei propri atti psichici»4 • Questo narcisismo opera anche nella genesi di utopie e ideologie: esse collettivizzano e proiettano nel futuro il soddisfacimento del principio di piacere; sono costruzioni dd desiderio, mosse da un impulso iconoclastico verso la realtà, che in modo

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surrogatorio anticipano quella felicità collettiva con i riti della partecipazione. Per questo il principio realtà si contrappone anche al «principio speranza», affermando il superiore diritto del «già sempre così» rispetto alla debole legittimazione del «non ancora». Contro l'utopia del «regno della libertà», in cui l'uomo è liberato dalla schiavitù del bisogno e del lavoro e lo «sviluppo delle capacità umane diventa fine a se stesso», il realismo postula l'intrascendibilità del «regno della necessità»5 • Bisogno, scarsità, lavoro, conflitto sono le determinazioni che definiscono il quadro della condizione umana, che nessun progresso è in grado di mutare. Alieno da prospettive di emancipazione, il realismo si coniuga piuttosto con il «principio responsabilità». Non è un caso, del resto, che l'opera filosofica che Hans Jonas ha dedicato al «principio responsabilità» riservi tanta parte alla critica dell'utopia 6 • Dando rappresentazione della realtà, anche dei suoi aspetti meno rassicuranti, il realismo vuole indirettamente educare a un' «euristica della paura»: il reale è visto come qualcosa di minaccioso per la sopravvivenza e gli sforzi dell'attività umana come indirizzati a contrastarne le minacce. In prima approssimazione, si possono contrapporre una nozione larga e una più ristretta di realismo politico. Stando all'una, esso «è soltanto un ingrediente di qualsiasi posizione politica, perché ne è il presupposto informativo>>7: anche l'ideologia poggia del resto su un nucleo realistico, perché presuppone una descrizione del mondo almeno parzialmente attendibile (giacché, in caso contrario, tale descrizione non potrebbe trovare larghe adesioni reiterate nel tempo). Stando all'altra, si tratta invece di una «posizione politica» dotata di una propria autonomia-la si potrebbe definire un'ideologia dell'anti-i> cfr. J. Vogt, Dà'monie der Macht tmd Weisheit der Antike, in H. Herter (a cura di), Thukydides, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1968, pp. 282-308 e H. Miinkler, Im Namen des Staates, Die Begriindung der Staatsraison in der Friihen Neuzeit, Fischer, Frankfurt a.M. 1987, p. 36. 2 i S.S. Wolin, Politica e visione. Continuità e innovazione nel pensiero politico ocadentale, Il Mulino, Bologna 1996, p. 319, individua la finalità del programma di Machiavelli in «un'economia della violenza, una scienza dell'uso controllato della forza>>. 33 Cfr. N. Bobbio, Thomas Hobbes, Einaudi, Torino 1989. 34 Cfr. R.N. Lebow, B.S. Strauss (a cura di), Hegemonic Rivalry. From Thucydides to the Nuclear Age, Boulder, Westview 1991. 35 N. Machiavelli, Dùcorsi, I, 2, in Id., Opere, vol. I, Einaudi, Torino 1997, p. 205.

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Il realismo della forza e il realismo della /rode Agostino, La città di Dio, IV, 4. Cfr. J. Burckhardt, Sullo studio della Storia. Lezioni e conferenze (1868-1873), Einaudi, Torino 1998, p. 48: «la violenza è sempre il prius. Circa la sua origine non abbiamo nessuna 1

perplessità, dato che sorge di per sé dalla diseguaglianza delle attitudini umane. Può darsi che spesso lo Stato non sia altro che la sua sistematizzazione». 2 Cfr. P.F. Taboni, La città di Caino e la città di Prometeo. Una lettura con Leo Strauss, QuattroVenti, Urbino 1998. 3 Cfr. Platone, Leggi 874e-875a, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano 1991, p. 1665: «è necessario che gli uomini si diano delle leggi e vivano in conformità con esse, perché altrimenti non differirebbero affatto dalle bestie più feroci, dato che la natura umana di per sé non è in grado di riconoscere ciò che le serve per vivere in società, e pur ammesso che lo conoscesse non saprebbe poi - o forse non vorrebbe - agire per il meglio». 4 Sulla metafora cfr. M. Stolleis, Il leone e la volpe. Una massima politica del primo assolutismo, in Stato e ragion di stato nella prima età moderna, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 13-30. 5 M. Detienne, J.-P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia, Mondadori, Milano 1992, p. 42. 6 K. v. Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano 1979, p. 213. 7 L. Strauss, Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politico dell'Occidente, Einaudi, Torino 1998, pp. 88-89. R Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 1141b. 9 Ovvio qui il riferimento all'interpretazione della prassi fornita da H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964. 10 Detienne, Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia, cit., pp. 238-39. 11 Clausewitz, Della guerra, cit. p. 61. 12 Cfr. M. Weber, La politica come professione, in Id., Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1976, pp. 101 sgg. n N. Machiavelli, Discorsi, II, 29, in Id., Opere, I, Einaudi, Torino 1997, p. 406. Per un'equilibrata introduzione al problema Q. Skinner, Machiavelli, Dall'Oglio, Milano 1982. Approfondimenti in G. Sasso, Niccolò Machiavelli, I, Il pensiero politico, Il Mulino, Bologna 1993. 14 Ma sul rapporto tra sorte e calcolo umano, cfr. Tucidide, Le storie, I, 140, 1. 15 G.W.F. Hegel, La costituzione della Germania, in Id., Scritti politici, Einaudi, Torino 1972, pp. 104-105. 16 F. Guicciardini, Ricordi, Garzanti, Milano 1975, p. 12. 17 M. de Montaigne, Saggi, Mondadori, Milano 1986, I, p. 311. Cfr. A.M. Battista, Politica e morale nella Francia dell'età moderna, Narne, Genova 1998.

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18 Così Virgilio Malvezzi, Il Tarquinio Superbo (1632), che riprendo da G. Borrelli, Ragion di Stato e Leviatano. Conservazione e scambio alle origini della modemitit polilit:a, Il Mulino, Bologna 1993, p. 197. 19 E. Ca.netti, Marsa e potere. Adelphi, Milano 1981, p. 350. 2 Cfr. H. Miinkler, Im Namen des Staates. Die Begrundung der Staatsraison in der Fruhen Neuzeit, Fischer, Frankfurt a.M.1987. 21 Cfr. A. Dewerpe, Espion. Une anthropologie historique du secret d'Etat contemportli11, Gsllimard, Paris 1994. 22 Cfr. S. Pistone, Ragion di Sta.lo, in I)b.ionario di politica, a cura di N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Utet, Torino 1983, p. 946. 2 } I. Kant, Antropologia dal punto di vista pmgmatico, in Scritti morali, Utet, Torino, 1970, p. 7'J6. 24 Id., Per la pace perpetua, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet, Torino 1965, pp. 322 sgg. 25 C.L. v. Haller, La restaurazione della scienza pohtica, voi. Il, Utet, Torino 1976, p. 455. 26 N. Machiavelli, Il Principe, XVIII, in Id., Opere, vol. I, Einaudi, Torino 1997, p. 167. 27 G. Naudé, Considerazioni politiche sui colpi di Stato, Giuffrè, Milano 1992, p. 107. 28 Rientra nel campo del realismo politico quell'insieme di argomenti che un brillante scienziato sociale ha un po' riduttivamente ascritto alla retorica reazionaria: cfr. A. Hirschman, Retoriche dell'intransigenza. PeroersiJa~ futilità, messa a repentaglio, Il Mulino, Bologna 1991. 29 Cfr. Machiavelli, Il Prim:ipe, VII, cit., pp. 136·37. 3 ° Cfr. Borrelli, Ragion di Stato cit., pp. 197-98. 11 Breviario dei politici secondo il Cardinale Mazzarino (1684), a cura di G. Macch4l,, Ri.zzoli, Mihmo 1981, p."97. n A. de Tocqueville, Scrlttt~ noie e discorri politici 1839-1852, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 23. B Jean de la Bruyère, I Q1ratteri, Einaudi; 1orino 1981, p. 140. 4 } F. Bacone, Del'4 simulavone e dissimula1,ionè, in Id., Stritti politici giuridici e storici, Utet, Torino 1971., pp. 320-21. }, T. Accetto, Della disstmuldzio11e onesta, Einaudi, Torino 1997, p. 27. 6 } Cfr. R. Villari, Elogio della dissimulazione, La lotta politica nel Seicento, Laterza, Roma-Bari 1987. 37 Bacone, Della simulazione cit., pp. 322-23. }B Così G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino 1998, p. 299: «Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi non sa affatto non può ragionevolmente fidarsi». 9 } B. Mandeville,Lafavoladelleapi,Laterza,Roma-Bari 1987, p. 245. 40 lvi, p. 23. 41 Ivi, p. 266. È evidente qui l'inversione dell'assioma hobbesiano, da cui pure Mandeville prende le mosse. 42 Cfr. Machiavelli, Discorsi, cit., I, 18.

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Il realismo politico e le ideologie 1 J.E.E.D. Acton, Essays on Freedom and Power, Free Press, Glencoe 1948, p. 364. 2 Il profilo di questo realismo istituzionale è ben individuabile, nel pensiero politico moderno, sulla linea Montesquieu-Tocqueville-Weber. 1 C. Schmitt, La dittatura. Dalle origini dell'idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, Laterza, Roma-Bari 1975, p. 23. 4 Cfr. C. Schmitt, Il mstode della costit11zione, Giuffrè, Milano 1981. 5 G.W.F. Hegel, Lineamenti di/iloso/ia del diritto. Diritto naturale e scie11za dello Stato in compendio, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 216. 6 Per qualche considerazione aggiuntiva rimando al mio Il grande legislatore e il custode della costituzione, in AA.VV., Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996, pp. 5-34. 7 R. Esposito, L'origi11e della politica. Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996, p. 70. 8 Assai utile per esplorare i territori di frontiera tra realismo e costituzionalismo C.J. Friedrich, Constitutional Reason o/State, Brown University Press, Rhode Island 1957. 9 Cfr. M. Foucault, Difendere la società. Dalla guerra delle razze al razzismo di stato, Ponte alle Grazie, Firenze 1990. 10 M. Weber, Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania, Einaudi, Torino 1982, p. 80. · 11 Ivi, p. 67. 12 G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 211 sgg. D Ma per la consapevolezza del problema antropologico, cfr. G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Einaudi, Torino 1992, pp. 140 sgg. •~ Uso il concetto nell'accezione diJ. Elster, Alchemies o/ the Mind. Rationality and the Emotions, Cambridge University Press, CambridgeNew York 1999, cap. I. 15 Foucault, Difendere la società cit., p. 37. 16 Cfr. T. Hobbes, Leviathan, XX. 17 Foucault, Difendere la società cit., p. 53. 18 Lo scomoda ancora D. Zolo, Il principato democratico. Per una teoria realistica della democrazia, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 48 sgg., nel criticare le contemporanee teorie della giustizia sul modello diJohn Rawls. 19 J.A. Schumpeter, Capitalismo, socialismo, democrazia, Etas Kompass, Milano 1967, pp. 240-41. 20 Ivi, pp. 242 e 250. 21 Ivi, p. 273. 22 Sulla versione realistica della teoria democratica cfr. almeno G. Sartori, The Theory o/Democracy Revisited, Chatham House, Chatham 1987 e Id., Demoaazia. Cosa è, Rizzoli, Milano 1993.

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23 Cfr. N. Bobbio, Saggi sulla scienza politica in Italia, Laterza, Roma-Bari 19962 •

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Si veda M.L. Salvadod, Potere elibertii nel mondo mudemo. fohn

C. Calhoun; un genio imbarawnte, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 106 sgg. 25

Weber, Parlammto e gover1m dt., pp. 112 e 166. Cfr. Zolo, Il principato democratico cit., pp. 142 sgg. 27 Cfr. J. Habe1·tnas, Fatti e 11orflle. ConJributia una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini, Milano 1996. 28 Cfr. H. Arendr, Vita11ctitld, Bompiani,Milano 1964, pp. 192-9.5. 20 Già E Mcinecke, L'idea f{el/4 ragion di Stato11ella storia moderna, Sansoni, Firenze 1m, p. 98, mostt.1vt1 la cont11minuzione di maclùavdlismo e utopia in Campanella; analoghe considerazioni su Moro in G. Ritter, Il volto demonia1.YJ del potere, li Mulino, Bologna 19.58, pp.56 sgg. ln H. Treitsc:hke. La politica, L11t:cl'1,:1, Bari 1918, I, p. :21. H Cfr. Bobbio, Saggi sulla scienza politica cit., pp. 79-122. u C.L. de Montesquieu, Oeuvres complètes, vol. I, Gallitnard, Pllris 26

1949, p. 1437. Js Cfr. C. Schmitt, llco11cetJo di 'politico', in Id., Le categ(Jric del •po-

litico\ Il Mulino, Bologna 1972, pp. 14} sgg. La questionC è di,scu~a 1n S. Holmes, Analomia dell'a11tiliberalismo, Edizioni di Comunità, Mila:. no 1995.

Cfr. L.A. v. 'Rt)chau, Grtmdsatze der Rettlpolitlk, Ullstein,Fwilca,M. 1972. Sulla variante realista del liberitlisnto dr. R. bwotkin, S. Maffettone, I fondamenti del {iberalt"smo, Latem,, Ròrt1a-Bari 1996, 34

furt

pp. 133 sgg. n Idealizzazione divenuta particolarmente evidente nel ~scorso dd

liberalismo contetnporaneo, con la sua enfasi sui writti degli individui e

sui doveri dei collettivi. Cft per tutti J. Rawls, Umi Jeoria ilei/a gi11slt~ÌI,

Feltrinelli, Milano 1982.

·

36

Non a caso sono stati i sistemi del socialismo reale a scrivere nel XX secolo un ulteriore capitolo nella storia del machiavellismo. Cfr. R. Aron, Machiavelli e le tirannie moderne, Seam, Roma 1998.

H. Morgenthau, PoliJica tra le na1.1011l La lotta per il P(}ff:J'C e la pace, Il Mulino, Bòlògna 199'7, p. 11. . 36 I. Berlin, llgiuJiz,io politico, in Id., Il senso dr:lla realtà, Adelphi, 17

MU~ 1998, pp. 93 .e 90. 19 M. Weber, Saggi sulla dotbùta della scienza, De Donato, Bari 1980, p. 7. 40 Bcrliil, Ugiudizio politico cit., p. 92. 41 Cfr. D. Archibugi, F. Voltaggio (a cura di), Filoso/i per la pace, Editori Riuniti, Roma 1991. 42

Sui termini generali del problema si vedano almeno I. Kmt, Per la pateperpetl/4, in Scritti pol1iù:i e di filosofia dèlla storia e del diritiQ, Utet, Torino 1965, e N. Bobbio, Il problema dellagmrrraeleuiedellapace, ll Mulino, Bologna 1979.

137

4 l Con varianti non sostanziaH esse sono state riproposte. ndla cultura contemp_oran~, d_all'.~'?lò~ia: cfr. 1.·. Eibl-.Eì.·hesfeldt, Bto/o.gia della guerra, Bollati Bonnghlert, lortno 1990 eJ. Groebel, R.A. Hinde (a cura dì}, Aggression a11d W11r. rheir Biological and Socidl Bases, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1989. 44 Cfr. Hegèl, Lù1eame11ti di /t1mo/ia del diritto dt., S 333, pp.

261-62. 45

J.H.

.

Hert, Politica! Re(l/ù;m antl Politica/ fdealism. A St«dy i'n Theories a11d Realiti'es, The University of Chicago Press, Chicago 1951. 46 E.O. Czempiel, Die R.eferm der UNO. Mog,!id,leeiien 1111d Miss-

verstandmsse, Beck, Miinchen 1994. 47 Cfr. Morgenthat1, Polt'tict1 tra le 11111,kmi cit., pp. 6, 15, 16 ;:;, S.uJ 1 Nt,:>porto tra moralità e interesse nìizionale ·in una prospettiva re.listka affine F.E. Oppenheim, Il ruolo della moralità i·n polt)ù:,, estera, Angeli, Milano 1993. 48 Cfr. M. Cesa, Sicurezza e relazioni internazionali: il paradigma realista rivisitato, in «Rivista italiana di &'ienza politica», 1991, n. 2! .P· 232. 49 Morgenthau, Politica tra le 111.1v