Genesi. Traduzione e commento 8839401458, 9788839401458

Un'opera di tale vastità e di così notevole contenuto, che va dalla creazione del mondo alla migrazione delle tribù

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Genesi. Traduzione e commento
 8839401458, 9788839401458

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AN1.,ICO TESTAMENTO COLLABORATORI

Walter Beyerlin, Walther

H.W.

Eichrodt, Karl Elliger, Kurt Galling,

Hertzbergt, Otto Kaiser, Martin Notht, Norman W. Porteous,

Gerhard

von Radt, Helmer Ringgren, Klaus Westernwm,

Ernst Wiirthwein, Walther Zi.m.merli a cura

di .AitTUll. WEISU

VOLUME

2/4

GENESI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

GENESI Traduzione e commento di GERHARD

VON

Edizione italiana a cura delle BENEDETTINE di CIVITELLA SAN PAOLO

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

RA.o

vol. 1: 1969, ri.st. 1972 vo l . n: 1971 vo l . III: 1972 nuova edizione in un unico volume: 1$78

Titolo originale dell'opera:

Das erste Buch Mose, Genesis

Obersetz und erklart von GERHARD voN RAn 9., iiberarbeitete Auflage 1972

Traduzione italiana di Giovanni Moretto e delle Benedettine di Civitella San Paolo Revisione delle Benedettine di Civitella San Paolo © Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1967,511972 © Paideia Editrice, Brescia 21978

B severamente vietata la riproduzione della traduzione del testo biblico, la quale è di esclusiva pr�prietà della Casa Paideia.

PIANO DELL'OPERA in 25 volumi 1. Walter Beyerlin) Introduzione

2/4. Gerhard von Rad, Genesi

aU'Antico Testamellto

,. Martin Noth, Esodo

6. Martin Noth, Levitico 7. Martin Noth,

Numeri

8. Gerhard von Rad, Deuteronomio 9·

Hans Wilhelm Hertzberg, Giosuè, Giudici, Rut

IO. Hans Wilhelm Hertzberg, Samuele II. Ernst Wiir thwein , I I2. Kurt Galling,

re

Cmnache , Esdra, Neemia

I3. Artur Weiser, Giobbe

I4. Artur Weiser, I salmi ( I-6o)

I5. Artur Weiser, I salmi (61-150) 16. Helmer Ringgren, Proverbi; Walther Zimmerli, Ecclesiaste; Helmer Ringgren, I l cantico dei cantici; Artur Weiser, Le lamentazioni; Helmer Ringgren, Ester I7. Otto Kaiser, Isaia ( r-I2) I8. Otto Kaiser, Isaia ( I3·39)

I9· Claus Westermann, Isaia (4o-66) 20. Artur Weiser, Geremia (1-25,I4) 21. Artur Weiser, Geremia (25,15-52,34) 22. Walther Eichrodt, Ezechiele Ezechiele ( 19-48 )

(1-18); W alther Eichrodt,

23. N o rman W. Porteous, Daniele

24. Artur Weiser, I dodici profeti minori (I): Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea

25. Karl Elliger, I dodici profeti minori (11) : Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

Questo commento nasce, come ogni altro, da una precisa fase dei nostri studi scientifici, con tutte le sue limitazioni, ma anche con le sue prerogative. Una prospettiva obbligatoria, donde appunto appaiono evidenti i limiti contingenti del no­ stro lavoro esegetico, è data dalla conoscenza che possediamo delle fonti dell'Esateuco, fra di loro diversissime. Che questi studi sulle fonti non rappresentino il culmine del sapere, è quanto vorremmo emergesse dal nostro commento. Ma è ov· vio che da q uando siamo al corrente dell'esistenza di fonti di­ verse, non possiamo più aspirare al tutto senza prima cono­ scere bene le parti. Ecco perché in quest'opera si parla an· cora molto di 1]ahvista', di (tradizioni narrative', ecc.; si è fatto di tutto per dare al lettore un'idea chiara del genere let­ terario con cui di volta in volta ha a che fare. Sapere, ad esempio, che un passo appartiene a una tradizione narrativa, oppure è un testo sacro della dottrina sacerdotale, influisce sulla comprensione più profonda del suo contenuto. Tale interesse per la critica testuale potrà apparire arre­ trato da un certo punto di vista teologico, ma l'autore s'at­ tende obiezioni anche da tutt'altro lato, su un punto in cui egli si sente particolarmente sicuro del fatto suo: egli è pron­ to a·sentirsi �dire che la sua interpretazione pecca per eccesso, e pretende trarre dai testi più di q uanto essi in realtà conten­ gano. Ebbene, si dà per noi il caso singolare che conosciamo molto meglio il significato delle antiche tradizioni nella loro forma preletteraria, mentre siamo ancora lontani dal poterne determinare il contenuto nella loro fase letteraria. Che sia

IO

Prefazioni

necessario presupporre un forte processo spiritualizzante e di rimaneggiamento dell'antico sistema ideologico, risulta già dal fatto che i materiali arcaici sono stati raccolti in grandi e complesse composizioni teologiche. Chi è restio a ricono­ scere una spiritualità sublime (sin' nella prima età dei re, è mosso, a nostro avviso, da esigenze di scientificità male in­ tese. r, il re di Moab, e mandò a chiamare Balaam, figlio di Beor, per maledirvi. Ma io non volli ascoltare Ba1aam, e cosl egli dovette benedirvi e io vi liberai dal suo potere. Poi passaste il Giordano e arrivaste a Gerico, e gli abitanti di Gerico vi fecero guer­ ra; ma io ve li diedi nelle mani e mandai davanti a voi lo sgomento; esso scacciò davanti a voi i dodici re degli Amorrei. E io vi diedi un paese, per il quale non vi eravate affaticati, e città, che non avevate edificato e che ora abitate; e potete godere dei vigneti e degli uliveti che non avete piantato (Ios. 24,2-13).

Nessuno dei tre testi citati si esaurisce in una casuale re­ miniscenza di fatti storici ; essi sono invece concepiti come una recitazione in forma solenne e in discorso diretto. Sono evidentemente costruiti secondo uno schema, vale a dire se­ guono a loro volta una rappresentazione canonica della storia della salvezza, da lungo tempo fissata in tutti i suoi dati es­ senziali . Per quanto grande possa sembrare la differenza tra questa specie di recitazione dei fatti della salvezza, in forma di credo, e il nostro Esateuco nella sua redazione ultima, si rimane tuttavia stupiti per la concordanza tematico-concet­ tuale che si riscontra in ambedue. In fondo si tratta di uno stesso pensiero conduttore, estremamente semplice, e si può già definire Ios.·24,2 - 1 3 un 'Esateuco' in forma ridotta. Se si considera poi l'intero processo ci si potrà fare un'idea del­ l'enorme forza d'inerzia dei temi di fede che formano l'An­ tico Testamento ; inf� tti, per quanto consistenti siano le ag­ giunte e profonda Ja loro elaborazione, esse si fondano pur sempre sulla solida base di ciò che la fede riteneva fondamen­ tale e oltre cui non ha potuto né voluto andare neppure l'Esa­ teuco nella sua forma definitiva . Il passo di Deut. 2 6 porta chiare tracce di un rimaneggia­ mento più recente. Perciò è difficile dire quando tali sintesi storiche siano nate e venute in uso . A mio avviso non è fuor

Il Genesi nell'Esateuco

di luogo l'ipotesi che esse fossero già esistenti al tempo dei

Giudici . Sarebbe invece improbabile considerare queste sin­ tesi come tardi riassunti dei grandi abbozzi storici dell'Esa­ teuco . Se cosl fosse, dovrebbero avere un'altra configurazio­ ne ; soprattutto non mancherebbe l 'avvenimento del Sinai, di cui era ovvio far parola. Lo Jahvista, però, scrisse in tutt 'altra epoca. Se anche non vi fu un lungo intervallo di anni fra lui e l 'epoca dell'antica anfizionia israelitica (abbiamo motivo di credere ch'egli abbia scritto al tempo di Salomone o poco più tardi) , dal punto di vista della storia della civiltà e del culto in genere , molto era cambiato. Per una comprensione più profonda dei primi libri della Bibbia è di importanza capitale che la ' sigla J' perda la sua astrattezza, che riusciamo ad avere una visione reale dei pro­ cessi letterari, perché fu proprio lo Jahvista a dare, a quanto sembra , forma e misura all'Esateuco. Lo Jahvista rappre­ senta quel profondo incastro storico-culturale che constatia­ mo presso tanti popoli : è colui che ha raccolto innumerevoli tradizioni antiche, circolanti fino allora liberamente in mezzo al popolo. Con lui i racconti poetici e cultuali, che già corre­ vano sulla bocca del popolo in maniera inorganica, divengono letteratura. È lecito supporre che questo processo non si sia espletato d'un colpo nella forma di una grande opera lettera­ ria. Forse lo Jahvista stesso ha preso le mosse da lavori pre­ liminari , sui quali tuttavia non ci è dato sapere niente. Del resto che si sia potuto giungere a raccogliere questi antichi materiali e a dar loro nuova forma, non è naturalmente da attribuire solo all 'iniziativa dello Jahvista , ma anche al fatto che ormai i tempi dovevano essere maturi ; anzi - ed è la con­ statazione più importante- va notato che le premesse di ciò erano già implicite in quei materiali stessi. La maggior parte di questi antichi racconti era formata da 'eziologie', ossia da spiegazioni di qualche reale situazione locale, cultuale o di storia tribale . La validità di queste tradizioni e il loro in te-

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llllroduzione generale

resse avevano, un tempo, limiti regionali, vale a dire erano circoscritti all 'ambiente che ne sentiva il problema. Ciò è fa­ cilmente comprensibile, soprattutto per le leggende cultuali. In particolare le antiche tradizioni cultuali erano impensa­ bili in quel tempo al di fuori dell'ambito sacrale , ·e solo nel corso di funzioni sacre si poteva conoscerle e viverle. Esse infatti non erano accessorie al culto, ma ne costituivano la parte essenziale, da cui esso traeva la vita e la festività ac­ quistava contenuto e forma 1• Quale profonda trasformazione avvenne, quando fu possibile comporre in un tutto unitario materiali provenienti dai più diversi luoghi di culto, modifi­ carne il contenuto subordinandoli a idee più vaste, in una parola dar loro elaborazione letteraria! Perché ciò avvenisse, dovevano esistere, come abbiamo già detto, le premesse nei materiali stessi . Fra questi e la loro matrice cultuale doveva già essersi creato un certo distacco . Sembra che, specialmente .nel primo periodo della monarchia, vi sia stata una crisi del culto genuino, semplice ed antico ; cominciarono a trasfor­ marsi i suoi fondamenti spirituali e, nel corso di questo pro­ cesso, anche le tradizioni si sciolsero lentamente dalla matrice sacra del cui to . È questa la grande crisi che accompagnò la formazione del­ lo stato d'Israele . Ad essa si collega una decadenza dell 'an­ tica confederazione delle tribù d 'Israele alla fine deli 'epoca dei Giudici, e la crisi raggiunge il suo primo vertice nell'il­ luminismo dell'era salomonica . Qualunque datazione si vo­ glia attribuire allo Jahvista, è certo che, rispetto all 'età delle I. Per leggenda cultuale, o f.Epl>c; Myoc;, intendiamo una storia sacra che riferisce un'apparizione divina e una rivelazione in un luogo che perciò è diventato luogo di culto. Tali tradizioni furono naturalmente curate e tramandate amorevolmente nei santuari; infatti solo in esse si aveva la legittimità di un luogo di culto. Da questa legittimità dipendeva tutto. Non dappertutto, cioè, ma solo là dove Dio si era rivelato ed aveva prescritto il tipo e il modo dell'adorazione, si credeva di poter pregare e sacrificare. (In Gen. 18 si ha la leggenda cultuale di Mambre, in Gen. 28 quella di Bethel. Cfr. inoltre Iud. 6; 13; 2 Sam. 24 ecc.). Anche le grandi feste si fondano su una storia sacra; da essa traevano il loro diritto e da essa venivano- spesso fino nel dramma cultuale- configurate.

Il Genesi nell'Esateuco

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tradizioni che la sua opera abbraccia, egli rappresenta una fase tardiva. Bisogna quindi rendersi co_nto che la loro for­ mulazione letteraria rappresentò, in un ceito senso, la fine di questi materiali, che avevano già a quel tempo una lunga storia 2• Ma al tempo stesso rappresentò anche l'inizio di una 2. Sarà bene formarsi un'idea del cammino che queste tradizioni avrebbero per­ corso secondo ogni probabilità, se non fossero state solidamente fissate su piano le tterari o . La liberazione dal suo ambiente cultuale, per una tradizione, significava senza dubbio un'accentuata spiritualizzazione del contenuto, e nessuno neg herà che l'uscir dall'ambito cultuale arcaico, chiuso e materialmente condizionato rap­ presentava anzitutto una felice liberazione e la possibilità di uno sviluppo im­ pensato di quanto era contenuto in quei materiali. Certamente però, il principio stesso che li traeva fuori doveva sottoporli sempre più a un'interiore volatiliz­ zazione; ogni spiritualizzazione del genere è insieme un processo perico lo so di dissolvimento che consuma il midollo del materiale; infatti ogni spiritnalizzazione è anche una razionalizzazione. L'uomo non si trova p iù , eli fronte ai materiali , nell'ingenuo atteggiamento dell'accettazione rispettosa, ma incomincia a porsi al di sopra eli essi e ad interpretarli e strutturarli conforme alle necessità della sua ratio. Prendiamo un esempio in cui si possa osservare questo processo: la storia della manna (Ex. z6). Il racconto più antico (che abbiamo in particolare n ei vv. 4-5.13b-I 5.27-30) presenta ancora il fatto in maniera del tutto materiale ed è pie­ na di difficoltà storiche. Completamente diversa è la composizione della redazione sacerdotale (vv. 2-3.6-IJa.r6-26). Qui l'avvenimento viene descritto in tutta la sua concretezza, ma in modo che nessun lettore possa soffermarsi sugli aspetti super­ ficiali, ma sia costretto a cogliere il segreto senso spirituale. n miracolo delimi­ tato storicamente e geograficamente è diven ut o qualcosa di universale, di valido quasi al di fuori del tempo. Qui non parl a un narratore, ma un uomo ch'è un teologo nato e ha rivestito le sue riflessioni mediante l'involucro trasparente eli un racconto storico. Il Deuteronomista, poi, ha fatto ancora un grande passo avanti: «Egli ti ha umiliato, ti ha fatto sentire la fame e ti ha dato da mangiare la manna, che né tu né i tuoi padri avevate conosciuto, per mostrarti che l 'uom o non vive di solo pane, ma di tutto ciò che esce dalla bocca eU Jahvé» (Deut. 8,3). La redazione sacerdotale, nella sua formulazione esterna, aveva del tutto rispet­ tato l'antica forma del racconto (la spiritualizzazione era pre sente solo in traspa­ renza); qui invece viene abbandonato completamente l 'antico significato . Di un nutrimento corporale destinato a saziare l a fam e si p arla solo indire ttamen te ; si parla piuttosto, di un sostentamento mediante la parola di Dio e con poche pa­ ro le è detto quale importante senso spirituale abbia avuto allora in realtà quel­ l'avvenimento materiale. Anche qui si deve dire che i'anti ca semplice storia ha acquistato un'apertura stupenda ed importante mediante quella spiritualizzazione; ma è �ltrettant0 incontestabHe che fu una fortunata combinazione se non a tu tte le tradizioni dell'Esateuco fu dato di poter liberamente accedere a tale progres­ siva interiorizzazione e spiri tu ali zzazione . Si pub solo intuire quale processo di

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Introduzione generale

storia ancor più lunga. Si compie però, soprattutto, in questo passaggio un intimo, profondo spostamento del senso di quei racconti. Si pensi, infatti, che cosa può restare ad una leg­ genda cultuale del suo significato antico, se le si toglie il suo valore eziologico. Lo stesso va detto delle antiche saghe tri­ bali etnologiche, che anche per il passato erano legate, quan. to al luogo e specialmente al tempo, ad un ambiente ristretto. In seguito però esse vennero svelte dal loro terreno, e furono cosl disponibili per qualsiasi genere di impiego letterario spi­ ritualizzato. Qual è allora il contenuto di Gen. r8, se il rac­ conto non serve pi1] a legittimare il centro cultuale di Mam­ bre? Qual è il contenuto di Gen. 22, se il racconto non serve più a legittimare il riscatto d'un fanciullo destinato quale vit­ tima sacrificale? Quale il significato di Gen. 28, se il racconto non legittima più la santità di Bethel e gli usi locali? E quel­ lo di Gen. r6 per ricordare un'altra saga etnologica - se non fornisce più una risposta alla domanda sull'origine e la natura degli Ismaeliti? (Con tutta probabilità, già lo Jahvi­ sta non aveva più alcun interesse per la questione eziologica, dato che ai suoi tempi gli Ismaeliti non esistevano già più come tribù.) In tutti questi interrogativi si delinea uno dei compiti più importanti, dinanzi ai quali si vede posto oggi l'esegeta dei racconti del Genesi. In molti casi egli, con una probabilità che rasenta la sicurezza, riesce a fissare il senso e lo scopo che i materiali hanno avuto in una fase precedente e cioè preletteraria. Ma .deve essere aperto ad ammettere che il racconto, nel contesto in cui lo Jahvista l'ha collocato, è div�ntato un altro. Si trova spesso di fronte a trasformazioni radicali, poiché, con l'atrofizzarsi dell'antico scopo eziologico, quasi tutta la precedent� costruzione concettuale crolla. Sia-

dissolvimento sia stato evitato mediante la fissazione letteraria; ma possiamo in

ogni caso constatare che, grazie ad essa, i materiali furono stabilizzati in una fase del loro sviluppo, nella quale già si era infiltrata, è vero, una certa spiritua· lizzazione, tale tuttavia da permettere al loro elemento storico di conservarsi nel· la sua concretezza e in tutto il peso della sua unicità.

Il Genesi nell'Esateuco

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mo cosi ricondotti al problema del significato che lo J ahvi­ sta ha dato ali'intera sua opera. Cerchiamo d'immaginare a grandi linee la situazione: da una parte lo Jahvista disponeva dell'antico credo cultuale, lo schema canonico della storia della salvezza, dai patriarchi fino all'occupazione del paese; dall'altra, di un grandissimo nu­ mero di racconti slegati, alcuni forse già riuniti in brevi com­ posizioni, ma per la maggior parte staccati .e brevi. Ne è usci­ ta un'opera di stupenda potenza creativa: seguendo il sem­ plice schema del credo della storia salvifica, lo Jahvista ha coordinato quell'enorme massa di singole narrazioni, saldan­ dole ad una tradizione fondamentale che tutto sostiene e col­ lega, in modo che il pensiero, semplice e trasparente, di quel credo è rimasto dominante e quasi immutato nella sua fon­ damentale ispirazione teologica. Sarà quasi impossibile, ora, determinare nei particolari le singole tradizioni che lo Jah­ vista ha incorporato nella sua opera; forse egli ha potuto rial­ lacciarsi anche a stadi intermedi di elaborazione. Teologica­ mente importanti sono, però, i casi di tradizioni accolte an­ che se non collimavano perfettamente con l'antico schema del credo. Questi inserimenti ed aggiunte comportarono natural­ menté una dilatazione dell'antico schema e un ampliamento teologico della sua primitiva matrice. Ciò si può osservare in tre punti capitali: a) inserimento della tradizione sinaitica, b) elaborazione della tradizione patriarcale, c) introduzione della preistoria. a) Inserimento della tradi�ione sinaitica

Nei dati della storia della salvezza offerti dalle brevi reda­ zioni ricordate sopra, sorprende l'assenza totale di un accen­ no all'episodio del Sinai. Specialmente in Ios. 24 ci sembra che l'importantissimo avvenimento della traversata del de­ serto non potesse mancare, accanto a vari ricordi di minore importanza, se la tradizione canonica l'avesse in qualche mo-

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I"troduzione generale

do richiesto. La supposizione poi che fin dall'inizio l'episodio del Sinai mancasse nello schema dell'antica tradizione della conquista del paese diventa certezza, se si considerano da una parte le licenze che la lirica si permette nei confronti del credo (Ps. 78 ; 10.5; 135; 136; Ex. 1.5 ) e dall'altra la singolare posizione della pericope del Sinai nel contesto dell'Esateuco. Anché la tradizione sinaitica deve la sua forma a una celebra­ zione cultuale (come si vedrà nel commento all'Esodo); tut.. tavia va distinta dalla nostra tradizione della conquista, dal punto di vista della storia sia del cu1to, sia della tradizione. Questo materiale, senza dubbio molto antico, ebbe infatti una sua propria, strana storia 3 , e fu lo Jahvista per il primo (o forse un suo predecessore) che riunl tali tradizioni dispa.. rate, inserendo la tradizione sinaitica in quella della conqui.. sta. Conseguenza importante ne è stato il vasto ampliamento della base teologica. La tradizione della conquista fissata dal credo rende testimonianza alla benevolenza provvidente di Dio: è storia della salvezza. La tradizione sinaitica invece celebra il presentarsi di Dio in mezzo al suo popolo, e ruota tutta quanta attorno alla esigente affermazione del diritto di Jahvé, alla rivelazione della grande sovranità di Dio sopra Israele. La semplice concezione del credo, fondamentalmente soteriologica, riceve dalla tradizione sinaitica un valido so.. stegno. La fusione delle due tradizioni sottolinea i due ele­ menti portanti di ogni �nnuncio biblico: legge e vangelo. b) L}elaborazione della tradizione patriarcale Del periodo dei patriarchi le sintesi storiche non parlavano che brevemente (Deut. 26,5; ]os. 24,2; I Sam. 12,8), mentre nel Genesi il filo della narrazione si estende per ben 38 ca­ pitoli. Come analizzare questo enorme materiale? È ormai pacifico, al�eno in linea di massima, suddividerlo fra le tre 3· M. Noth, OberlieierungsgeschichÙ des Pentateuch, 196i, 63 s.

Il Genesi neWEsateuco

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fonti J, E e P, e si è pure fo�damentalmente d'accordo sulle singole attribuzioni. Ma se, come è egualmente fuori discus­ sione, i racconti mutuati alle varie fonti hanno alla lor volta una lunga storia precedente, donde essi derivano e di qual genere sono le notizie che ci forniscono su Abramo, !sacco e Giacobbe? Se si indagano le narrazioni partendo dall'ambito geografico in cui si muovono, cioè in base agli «addentellati locali» del materiale narrativo, esse risultano stranamente cir­ coscritte alla zona palestinése. Le storie di Giacobbe, con Si­ chem (Gen. 3 3 , 1 8 s.), Bethel (Gen. 28 , 1 1 ss.; 35,3 ss.) e Fa­ nuel (Gen. 32,22 ss.), si localizzano nella Palestina centrale, mentre quelle di Isacco non si scostano mai dai pressi di Ber­ sabea nell'estremo sud (Gen. 26). Anche le storie di Abramo, pur non prestandosi tutte. a una localizzazione cosl sicura, si inquadrano tuttavia certamente nella regione meridionale (Mambre, Gen. I 8 ). Singolare constatazione, che ci dovremo spiegare nel senso che gli antenati seminomadi di quello che fu più tardi il popolo d'Israele, divenuti a poco a poco seden­ tari, trasferirono ai santuari palestinesi le tradizioni che ave­ vano portato con sé. Di conseguenza la loro religione, che probabilmente era un culto del dio dei padri 4, si contaminò con le antiche tradizioni cananee. Come oggi è difficile pen­ sare che Abramo, Isacco e Giacobbe in quanto «depositari della rivelazione e fondatori del culto» (A. Alt) siano perso­ naggi storici, è altrettanto difficile dare un valore biografico al materiale narrativo che li riguarda. Esso è passato per trop­ pe mani. Al massimo può averci conservato qualche elemento caratteristico di storia della civiltà, riguardante le condizioni di vita di queste tribù. Le narraziopi non offrono neppure alcun dato per una cronologia almeno approssimata dei pa­ triarchi. Usi e costumi di questi gruppi seminomadi rimasero gli stessi per secoli e secoli e non hanno fatto storia in nes­ sun luogo. Se anche si ammette (con J. Bright) che siano vis4· A. Alt, Der Gott der Vater (Kl. Schr. 1, I ss.).

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lntrodu1.ione generale

suti all'inizio del secondo millennio, ci sono quasi 900 anni fra loro e le narrazioni dello Jahvista ! In conclusione : chi ci narra le vicende degli antenati di Israele, è lo Jahvista. Ed egli, ben lungi dal preoccuparsi (co· me farebbe uno storico moderno) di interpretare le antiche tradizioni alla luce di tutto quel complesso arcaico di idee che implicava la 'religione dei padri' allora in uso, le ha in­ trodotte 'anacronisticamente' nel quadro ideale che egli e il suo tempo si erano fatto dei rapporti di Jahvé con l 'uomo, adattandole cosl, in certo senso, ai suoi contemporanei . Per fondere insieme in un grande complesso narrativo il materiale molto disparato e spesso alquanto ingombrante del­ la storia dei patriarchi, quale ci si presenta oggi , occorse sen­ za dubbio una consumata tecnica redazionale . Queste nume­ rose pericopi isolate e con esse le unità più vaste, già allora esistenti, cioè le cosl dette 'corone di saghe' (ad es . il ciclo Lot-Sodoma, il ciclo Giacobbe-Labano) non si raggruppato· no certo per loro conto in modo da costituire una narrazione organica e continua, subordinata per di più a una ben pre­ cisa tecnica teologica. L'intima connessione che lega le sin­ gole tradizioni è dovuta soprattutto al fatto di essere orien­ tate tutte al tema della 'promessa fatta ai padri' , in parti­ colare la promessa della terra, ma anche quella della discen. denza. In certi casi tale promessa è presente già alla radice dei materiali narrativi mutuati dallo Jahvista (Gen. I 5 , I 8 ; 26,4,24) , in altri è evidente che fu inserita, in un secondo tempo, dallo Jahvista (ad es . Gen. I 8 ,r3 ; 22,17; 50,24 ). In sé almeno la promessa della terra è un elemento che risale alla religione dei padri. Naturalmente questa promessa anti­ chissima, fissata nelle saghe patriarcali, venne intesa un tem­ po direttamente, come possesso della terra coltivata assicu­ rato a quei 'progenitori' dalla vita seminomade. Certo essa noh teneva conto, in origine, di frequenti abbandoni del pae­ se, quali si verificarono subito dopo, né di una rinnovata con­ quista (sotto Giosuè) . Ma quando questa tradizione patriar-

Il

Genesi nell'Esateuco

2}

cale fu inserita nel grande schema di storia della salvezza of­ ferto dalle sintesi del Credo, quella prima antica promessa risultò stranamente infirmata; il lettore dovrà per l'innanzi intenderla in maniera indiretta, in quanto riferita alla con­ quista del paese sotto Giosuè. Il rapporto dei padri con la terra che abitano apparirà quindi qualcosa di provvisorio e persino tutta la loro epoca verrà vista nella prospettiva teo­ logica singolarissima di uno stadio intermedio, di un errare dalla promessa all'adempimento, cosicché tutti gli avveni­ menti acquistano un carattere di provvisorietà ed insieme di misterioso presagio. L'Esateuco, infatti, è strutturato dallo Jahvista nel quadro del grande pragmatismo teologico : epoca patriarcale-promessa, conquista del paese-adempimento. An­ che l'alleanza di Abramo figurava probabilmente nella tradi­ zione dell'antichissima religione dei padri (cfr . Gen. I) , I 7 s.) ; ora però è messa in evidente rapporto con l'alleanza del Sinai. E non solo la relazione dei patriarchi con la terra, ma quella stessa con Dio, è qualcosa di provvisorio, che troverà adem­ pimento, ad opera del divino volere, solo nella rivelazione sinaitica e nella 'occupazione' della terra da parte della comu­ nità nata dai patriarchi . Infine, il riferimento di tutti gli avvenimenti dell'età pa­ triarcale alla conquista del paese sotto Giosuè, e quindi a tut­ -to Israele, ha permesso un'amplificazione contenutistica dei racconti stessi. E il significato di questo ampliamento e del riferimento all'Israele delle dodici tribù può essere colto in tutta la sua portata, se si pensa che le antiche tradizioni cul­ tuali premosaiche appartenevano soltanto a comunità religio­ se molto ristrette, e che pure i molteplici racconti eziologici avevano una validità geografica assai limitata. Ma c'è un altro settore nel quale si è esplicato il lavoro redazionale dello Jahvista, per dare unità organica ai mate­ ·riali offerti dalla tradizione: l'inserimento, ove occorra, di 'brani di transizione'. Si tratta di pericopi che, come è abba­ stanza facile riconoscere, non risalgono a un'antica tradizione

Introduzione generale

'che abbia avuto la sua crescita', ma costituiscono semplice­ mente dei ponticelli gettati fra un punto e l'altro dell'antico patrimonio narrativo (ad es. Gen. 6 ,5-8 ; 12, 1-9; r8 ,r7-3 3)._ Questi 'brani di transizione' sono caratterizzati da un più alto potenziale di riflessione teologica e proprio per questo riescono particolarmente utili per stabilire con precisione le concezioni teologiche dello Jahvista, delle quali altrove pos­ siamo farci un'idea solo in modo indiretto. c) Aggiunta di una preistoria Lo Jahvista dimostra tutta la sua indipendenza di fronte alla tradizione sacrale, che peraltro lo alimenta, con l'elabo­ rare come preambolo della sua opera una preistoria (Gen. 2 , 4b- r 2 ,3). La tradizione della conquista del paese si era ag­ ganciata alla storia patriarcale, ma certo in nessuna delle for­ me in cui poté mai presentarsi aveva comportato afferma­ zioni sulla preistoria, la creazione ecc. È proprio qui che lo J ahvista, abbandonato a se stesso, diventa libero di svilup­ pare le sue idee personali. Evidentemente, non è possibile addurre delle prove stringenti che garantiscano che lo Jahvi­ sta non ha avuto predecessori nello stabilire un legame teolo­ gico tra preistoria e storia della salvezza. D'altra parte non abbiamo neppure elementi che ci permettano di affermare il contrario. Questa visione peraltro è cÒsl singolare, e, di fronte alle incertezze riscontrabili in tutta la composizione, si può credere di scorgervi il rischio di un'opera di prima mano. La composizione della preistoria, che lo Jahvista ha redat­ to servendosi di elementi molto eterogenei, sottolinea anzi­ tutto, con spiccata insistenza, che solo dal peccato proven­ gono la rovina e il disordine esistenti nel mondo; afferma però insieme come, di fronte all'abisso che si scava sempre più profondo fra Dio e l'uomo, si levi la misteriosa potenza della grazia. Le storie della caduta, di Caino, di Noè sono nel contempo testimonianze eloquenti della misericordiosa e

Le tre fonti narrative

provvida azione salvifìca di Dio. Solo nella storia della torre di Babele, quando i popoli si disperdono e si disgrega l 'unità degli uomini , sembra che il castigo di Dio abbia il soprav­ vento . Ma è proprio qui che si opera la sutura tra la preisto­ ria e la storia della salvezza. Abramo viene tratto di mezzo ai popoli «affinché in lui siano benedette tutte le generazioni della terra» . Coslla storia della salvezza s 'annuncia come una risposta alla domanda sollevata dalla preistoria, quale sia cioè il rapporto di Dio con i popoli in generale. Il suo affacciarsi in Gen. I 2 ,I-3 non rappresenta quindi soltanto la fine della preistoria, ma ci offre altresl la chiave per interpretarla . Me­ diante questa sutura di preistoria e storia della salvezza lo Jahvista rende ragione del significato e del fine dello statuto salvifìco che Dio ha stabilito per I�raele. Egli ci offre l'ezio­ logia di tutte le eziologie dell'Antico Testamento, rivelandosi in tal modo un vero profeta : senza preoccuparsi della razio­ nalità o della precisione del dettaglio, proclama come fine ul­ timo della storia di salvezza, che Dio opera in Israele, il supe­ ramento completo dell 'abisso che separa l 'uomo da Dio. La promessa di Gen. I 2, I ss . contiene tre benedizioni: I viene benedetto Abramo , che diventerà un grande popolo, 2. Jahvé darà la terra alla stirpe di Abramo ( I 2 ,7 ), 3 . in Abramo sa­ ranno benedette le generazioni della terra ( I 2, 3) . Le prime due benedizioni lo Jahvista le trovava già nella tradizione delle saghe patriarcali ; la terza, invece, evidentemente non proviene da alcuna tradizione precedente , ma è frutto genui­ no della sua forte illuminazione profetica (cfr. anche pp. 2 0 I ss. ) . .

2 . Le tre fonti narrative I rilievi fatti fino a questo punto si fondano sui risultati di studi compiuti nel corso di quasi duecento anni , e domi­ nanti oggi la scienza veterotestamentaria : i libri che vanno dal Genesi a Giosuè sono formati da più fonti intersecantisi,

l�Jtroduzione generale

che furono a loro volta fuse posteriormente, più o meno be­ ne, dalla mano di un redattore. Le due fonti più antiche por­ tano il nome di Jahvista (J) ed Elohista (E), in base all'uso loro caratteristico del nome di Dio. Lo Jahvi sta potrebbe es­ sere collocato intorno al 9 50 e l'Elohista, forse, uno o due secoli più tardi. Il Deuteronomista (D) letterariamente oc­ cupa un posto a parte; lo si trova nel Deuteronomio (aggiun­ te e rielaborazioni deuteronomistiche, però, si hanno anche nel libro di Giosuè). La fonte più recente è la redazione Sa­ cerdotale (P= Priesterschrift) , la cui elaborazione ( senza le aggiunte posteriori} va attribuita al periodo postesilico, a un dipresso tra il 5 38 e il 450. Non bisogna tuttavia dare eccessivo valore a queste data­ zioni, che per di più si fondano su mere ipotesi, dal momento che interessano solo lo stadio finale della composizione lette­ raria. Ben diverso è infatti il problema del1a datazione dei singoli materiali confluiti in ognuna di queste redazioni. Co­ si, ad esempio, proprio la redazione più recente (P} contiene tutta una massa di materiali antichi ed antichissimi . Non possiamo qui esaminare a fondo la forma espositiva delle singole fonti. Ci accontenteremo di alcuni accenni . Tut­ ti sono concordi nell'esaltare la genialità della narrazione ;ah­ vistica. A ragione si giudica la maestria artistica di questa narrativa come una delle maggiori affermazioni della storia dell'ingegno umano di tutti i tempi . J....,a descrizione delle va­ rie scene si distingue per stupenda limpidezza ed estrema semplicità. Con una sorprendente esiguità di mezzi l'opera di questo narratore abbraccia l'intero arco della vita umana con le sue altezze e le sue miserie. Egli ci descrive con una concretezza ineguagliabile l 'uomo e il suo mondo, gli enigmi e i conflitti delle sue opzioni ed azioni esterne, come pure gli smarrimenti e le confusioni del suo cuore. Tra i narratori biblici egli è il grande psicologo; ma l'uomo eh'egli studia non si sente solo al mondo, con i suoi desideri e le sue dispe­ razioni ; sente che sulla sua vita s'è manifestato il Dio vivente

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e sa di essere l 'oggetto di un discorso, di un'azione divina, e quindi del giudizio di Dio e della sua salvezza. Così, nella preistoria, egli considera i maggiori problemi deli 'uomo alla luce della rivelazione : creazione e natura, peccato e dolore, uomo e donna, discordia tra fratelli, confusione tra i po!J9li, ecc . Ma soprattutto egli ama descrivere le vie che Dio ha se­ guito ai primordi d'Israele, costellandole di miracoli mani­ festi e di misteri nascosti . Coglie quanto vi è di incompren­ sibile nell 'elezione della comunità dell'Antico Testamento e, in Gen. r2,3, reagisce con potenza profetica al mistero di questa provvidenza divina : «Jahvé è il Dio del mondo, ovun­ que la sua presenza è sentita con profonda venerazione» (Procksch). La narrazione jahvistica , inoltre, è piena di arditi antropomorfismi . Jahvé passeggia nel giardino al fresco della sera, chiude l'arca, scende a vedere la torre di Babel, ecc . Ma tutto ciò non è il prodotto dell 'ingenuità e della rozzezza di un narratore arcaico ; si tratta piuttosto di quella sponta­ neità e semplicità che sono l'indice più eloquente di una spi­ ritualità nobile e virile. Ogni tentativo di spjegazione, anche elementare, di questa spiritualità delle narrazioni jahvistiche, trasparente e fragile come un vetro, si trova di fronte ad un compito difficile, quasi insolubile. L'opera dell'Elohista ha preso forma uno o due secoli più tardi, e presto un redattore l'�a intrecciata con quella dello Jahvista. Ciononostante le due opere si distinguono abba­ stanza chiaramente fra loro . In genere l'E1ohista non rag­ giunge lo splendore e la maestria geniale della composizione jahvistica. I singoli materiali sono senz'altro intrecciati in maniera meno raffinata; ad esempio , vi si accentua più forte­ mente l'aspetto appariscente dei miracoli. È un'opera, quin­ di, che non esige cosl grandi sforzi dal lettore e dall'inter­ prete; è più popolare, rappresenta cioè l 'antica tradizione sacra del popolo in una forma meno ritoccata e spiritualiz­ zata. Di qui le minori possibilità per l'Elohista di tracciare quadri grandiosi ed imponenti (cfr. la linearità con cui la sto-

Introduzione generale

ria di Abramo o di Giacobbe , quale si ha neJlo Jahvista, ten­ de al suo fine). Il suo legame con la tradizione si manifesta soprattutto nel piano globale. Inizia con Abramo e non co­ nosce una preistoria. Per questo la sua aderenza all'antica forma canonica della storia salvifica è maggiore che nello Jahvista. Mentre infatti quest 'ultimo, introducendo la prei­ storia, si era allontanato dall'antica tradizione, l'Elohista stringe ancor più i suoi vincoli con l'antica forma del credo , scolpita nella coscienza religiosa del popolo da una tradizio­ ne secolare. Il quadro risulterebbe falsato se non si ricordasse inoltre che nell'Elohista - oltre alle caratteristiche popolari- emer­ gono chiari elementi di riflessione teologica. In molti punti, infatti, è direttamente discernibile una rielaborazione teolo­ gica intenzionale delle antiche tradizioni. Accenniamo soltan­ to a due peculiarità. dell'Elohista. Nei testi a lui attribuiti i contatti diretti di Dio con l'uomo, le sue apparizioni , il suo intrattenersi sulla terra, vengono rigorosamente ridotti ; l'an­ gelo di Jahvé non cammina più sulla terra, ma parla dal cielo (Gen. 2 1 , 17 ; 2 2 , 1 I . 1 5 ) . Questo distacco di Dio dall'uomo e dal terrestre sarà causa del grande valore che viene attribuito ai sogni . Sono essi , ora, il piano spirituale sul quale si svolge la rivelazione di Dio all'uomo; la zona franca del sogno è in certo modo il terzo spazio nel quale Dio incontra l'uomo. Neppure qui però è dato all'uomo di accedere direttamente alla rivelazione ; solo una speciale illuminazione che viene da Dio può infatti rendere possibile l 'interpretazione dei sogni (Gen. 40,8 ; 4 1 , 1 5 s . ) . In secondo luogo, questa perdita dell'immediatezza nel rapporto con Dio e con la sua parola rivelata giustifica la grande importanza che l'opera elohistica attribuisce al pro-. feta e alla sua missione. Il . profeta è colui che ha ricevuto una vocazione speciale di mediatore tra Dio e l'uomo; da Dio egli riceve la rivelazione e a lui, intercedendo, presenta le preghiere degli uomini (Gen. 20 ,7 .17; Ex. 1 5 ,2 o ; 20 , 1 9;

Le tre fonti na"ative

Num. I I ; I 2 ,6 ss.; 2 I ,7). La simpatia dell'Elohista per il pro­

fetismo e la sua missione è cosl spiccata, da rendere assai suggestiva l'ipotesi che l'intera sua opera sia sorta da antichi circoli profetici. Noi, comunque, nel nostro studio non ci pre­ figgiamo il compito di stabilire la forma originaria di questo documento. L'intreccio con lo Jahvista, infatti , è talmente profondo che non sarebbe possibile ·tracciare una linea di demarcazione, senza perdere molti testi. Le caratteristiche teologiche della tradizione elohistica saranno esaminate caso ·per caso5• Del tutto diversa è invece la redazione sacerdotale. Anche un profano ne può facilmente riconoscere i testi , tanto le ca­ ratteristiche di forma e contenuto sono accentuate. In genere questo documento non è un'opera narrativa. Esso è un vero scritto sacerdotale, cioè interamente dottrinale, e trascrizione di un pensiero densissimo e teologicamente articolato. La forma è pertanto di un genere a sé stante. La lingua è densa e pesante , meticolosa e per nulla artistica. Soltanto nei punti principali la dizione, per solito estremamente concisa, si stem­ pera e diventa più particolareggiata, in modo da poter piena­ mente concettualizzare l'oggetto (ad es. Gen. I ; 9; I 7) . Come nello Jah vista abbiamo trovato una narrazione di alta sempli­ cità, senza alcuna concessione al dottrinale (nel senso stretto del termine) , cosl nella redazione sacerdotale non troviamo che un minimo di narrazione viva e di commozione artistica: ogni ornamento ·ad effetto è stato abbandonato . In verità, è proprio in questa rinuncia che si può scoprire la sua gran­ dezza; questa scarna oggettività è infatti altissima partecipa­ zione , altissima concentrazione sulla rivelazione divina . Qui tutto è pensato in funzione teologica; in quest'opera posse­ diamo l'essenza del lavoro teologico di molte generazioni di sacerdoti . Invano si· ricercherebbe in essa tino sforzo per de­ scrivere gli uomini di fronte alla rivelazione, le loro situa5· Sull'�lohista cfr. H.W. Wolff, Zur Thematik der elohistischen Fragmente im Pentateuch: EvTh 1969, 59 s.

Introduzione generale

zioni, i loro conflitti e la loro problematica spirituale o socia­ le . Da questo punto di vista la descrizione sacerdotale è del tutto incolore e schematizzata . L'interesse è concentrato esclu­ sivamente su ciò che procede da Dio , sulla sua parola, i suoi disegni, i mandati, gli ordinamenti. La storia è vista unica­ mente in funzione delle decisioni e degli statuti comunicati da Dio, dalle istituzioni con cui, in misura crescente, egli fonda e garantisce la salvezza del suo popolo. Non è una sto­ ria degli uomini, ma soltanto la storia degli ordinamenti di­ vini sulla terra . La ' redazione', dato lo sviluppo infinitamente lento di tali tradizioni sacre, non può essere stata completata nel giro di un anno e neppure di un secolo. La sua forma defi­ nitiva può averla ricevuta soltanto in un'epoca postesilica; però, accanto a materiali più recenti e fortemente elaborati dal punto di vista teologico, essa conserva ancora materiale antichissimo, che riporta quasi intatto, nella sua veste molto arcatca. Naturalmente la saldatura redazionale di questo documen­ to con lo Jahvista e l 'Elohista, a loro voi ta già fusi nello 'Je­ ho vista ' , non poteva avere altrettante possibilità di successo . In genere i testi sacerdotali conservano un loro posto ben qualificato nella composizione dell 'Esateuco . Prescindendo da minori interpolazioni sacerdotali , soltanto nella storia del diluvio il redattore del Genesi è riuscito a fondere in un uni­ co testo la tradizione di P e di J. La forma attuale dell'Esateuco è opera di redattori che si son lasciati condizionare dalla particolare testimonianza che i singoli documenti rendevano alla fede. È indubbio che l'Esa­ teuco , cosi com 'è , richiede molta intelligenza da parte del let­ tore . Quest'opera immensa , infatti, è il frutto di molte epo­ che, molti uomini, molte tradizioni e teologie. Non colui , pertanto, che le si accosta con superficialità ne avrà una retta comprensione, ma soltanto chi ne coglie la dimensione pro­ fonda , saprà ascoltare la voce delle rivelazioni e delle espe­ rienze di fede, che sale dal fondo di molte età. In/atti, n es-

Il problema teologico dello ]ahvista

- ,3 1

suno stadio della lunga gestazione di quest'opera è stato pro­ priamente superato; di ogni fase qualcosa è rimasto ed è en­ trato stabilmente nella stesura finale dell1Esateuco.

3 · Il problema teologico dello ]ahvista Per poter comprendere l'opera dello Jahvista (ed anche quella dell 'Elohista) bisogna porsi ancora una domanda. Un a grande quantità di antiche tradizioni particolari, nate dal cul­ to, è entrata a far parte di quest'opera; sono materiali che il culto ha foggiato e che lunghe età hanno conservato. Ora però questo legame e questa ispirazione cultuale, senza dei quali un tempo, come abbiamo visto, queste tradizioni non erano neppure immaginabili , sono scomparsi completamen­ te. È come se questi materiali avessero formato la loro crisa­ lide e ne fossero usciti con una forma nuova, indipendente; si sono liberati della loro matrice sacrale e si muovono in un 'atmosfera del tutto o in parte estranea al culto . Lo stile cosl intelligentemente raffinato dello Jahvista - che del resto è quasi senza pari nella storia della fede veterotestamenta­ ria - ci dà l 'impressione di una ventata refrigerante dell'età, spiritualmente libera, di Salomone . Ci si domanda allora se questo fiorire delle tradizioni fuori del loro ambito origina­ rio non fosse la via obbligata di una loro secolarizzazione, oppure se quello che esse avevano perduto, in un primo tem­ po disancorandosi dal culto, non sia stato sostituito da un nuovo legame teologico d'altro genere. Una testimonianza nel senso teologico del termine, si ha però solo là ove vi sia rife­ rimento ad una precedente azione rivelatrice divina ; del resto non si vede · come lo Jahvista avrebbe potuto parlare al suo popolo senza fondarsi su una tale garanzia. Non è allora inutile mettersi alla ricerca del fatto divino che ha permesso allo Jahvista di concepire tutta la sua opera. L'antico Israele era abituato a considerare la parola di Dio e la sua opera salvifica come intimamente connesse con le isti-

32

Introduzione generale

tuzioni sacre, e in particolare con l, ambito più strettamente rultuale del sacrificio e dei responsi divini ad opera dei sacer­ doti ; tuttavia l'esperienza dell'azione provvida e salvatrice di Dio si poteva avere anche nella sfera cultuale intesa in senso più largo, ad esempio, della guerra santa, nel carisma di un condottiero inviato da Dio, nel ' terrore sacro' che colpiva i nemici senz'intervento dell'uomo, o negli altri prodigi ope­ rati alla presenza dell'arca santa. Lo Jahvista, invece, vede l 'azione di Dio in maniera essenzialmente diversa. Non che egli contesti le possibilità d'intervento divino, su cui i suoi predecessori particolarmente si fondavano, ma ne supera le concezioni religiose. La mano di Dio che guida, egli la vede tanto negli avvenimenti della grande storia quanto nello svol­ gimento silenzioso di una vita umana, nelle cose profane non meno che in quelle sacre, nei grandi prodigi come nel segreto del cuore. (Nella storia di Giacobbe e di Giuseppe, ad esem­ pio, ci vien quasi suggerita l'idea che Dio operi persino nel peccato dell 'uomo e per mezzo di esso ! ) Insomma, per la pri­ ma volta si pone il centro di gravità dell'azione divina al di fuori delle istituzioni sacre; in tal modo, forse, essa risulterà meno evidente allo sguardo comune, dato che è all'opera an­ che in tutta la sfera profana; ma certo vien concepita in for­ ma più integrale, meno discontinua, più coerente. Lo Jahvi­ sta ci presenta la storia unitaria delle provvidenze e degli in­ terventi divini che investono tutti i campi della vita, pub­ blici e privati. Una concezione siflatta, che non vede più l'azione di Dio legata alle antiche i_s tituzioni sacrali, ma non si perita di rav­ visarne le tracce nella complessità delle sorti politiche e per­ sonali, era evidentemente rivoluzionaria nei confronti delle an�iche concezioni cultuali dei patriarchi. In pratica, poi, es­ sa è in strettissimo �apporto con i grandi fatti storici del­ l 'epoca, specialmente dell'età di David. L'antica confedera­ zione sacra delle tribù (epoca qei Giudici ) s'è sciolta e la vita del popolo ha incominciato ad uscire dalle vecchie forme, in

Il problema teologico dello ]ahvista

33

cui era stata incanalata, e a secolarizzarsi. Già con Saul la ragion di stato s'era emancipata dagli antichi ordinamenti cultuali, e questo movimento deve aver fatto altri progressi nell'organizzatissimo apparato statale di David, nella corte come nell'esercito . I vari settori capitali della vita del popolo diventano sempre più indipendenti e retti da esigenze pro­ prie ; in ogni caso, è tramontato per sempre il tempo che ave­ va visto l 'ordinamento sacrale imporsi a tutte le altre norme di vita. Ma, in questo modo, Israele è forse caduto fuori del­ l'orbita del suo antico Dio, del Dio dei padri e di Mosè ? è uscito dal raggio di azione della sua salvezza e della sua gui­ da ? Questo è il grande problema. Non è difficile per il lettore trovare la risposta nell'opera dello Jahvista. Il suo modo di raccontare spi ra una fiduciosa e fermissima persuasione che Jahvé è vicino e governa diret­ tamente il suo popo]o e che è possibile, usando il nuovo lin­ guaggio religioso, parlare di tutto nel modo più semplice. Certo, per cogliere l'intero mondo di idee dello Jahvista, bi­ sogna appellarsi non solo alle storie patriarcali, ma anche ai racconti di Mosè, aH 'evento del Sinai e al1 a traversata del deserto nell 'Esodo e nei Numeri . Lì si comprende pienamente quanto fossero ormai lontani i tempi antichi , compresa l'età dei Giudici . Dalla situazione storica che l'opera dello Jahvi­ sta presuppone si può almeno rilevare che essa è nata nei pri­ mi tempi dopo la costituzione dello stato. È sintomatico che le tribù non abbia�o più una vita politica propria ma che d'altra parte non sia possibile trovare in nessun punto trac­ cia della netta scissione di Israele in due regni 6• Ancor più importante dei mutamenti politici che si possono arguire, è però il cambi amen to delle idee religiose che a paragone di quelle arcaiche dell'epoca dei Giudei, sono diventate più 'moderne' . Dietro l 'opera dello Jahvista si intravede una nuo­ va esperienza di Dio, e nella singolare storia che egli scrive, 6. Più ampiamente in H.W. Wol1f, Das Kerygma des ]ahvisten. Gesammelte Stu­ dien zum Alten Testament, 1964, 345 s.

lntrodu%ione generale

34 tutta

tessuta di meravigliosi interventi e provvidenze divine nascoste, par di poter cogliere ancora la fresca gioia di uno scopri tore. Queste premesse erano necessarie, affinché il lettore non si inganni, attribuendo a queste storie un 'attendibilità maggiore di quella che possono offrire, ma le sappia leggere nella loro attualità rivoluzionaria, collocandole nel loro vero contesto.



Problemi ermeneutici dei racconti del Genesi

Il lavoro del commentatore è reso ancor più complicato dalla conoscenza d�l lungo processo subìto dalle varie tradi­ zio.ài che . hanno ricevuto la loro forma attuale e definitiva nel nostro Genesi . Esistono anzitutto due serie di problemi ermeneutici, le cui soluzioni permangono controverse. Da lungo tempo la scienza biblica chìama queste tradizioni ' sa­ ghe' . È pertanto dovere primario dell'esegeta rendersi conto esattamente di questo concetto, della legittimità e dei limiti del suo impiego . Un secondo compito scaturisce dal fatto che i racconti, un tempo esistenti isolatamente, sono stati ormai inseriti e ordinati a grandi contesti compilatori, per cui ora, evidentemente, non potranno essere interpretati se non par­ tendo da questi stessi contesti e dalla collocazione attuale che vi hanno ricevuto . L'accostamento, poi, dei documenti ha provocato anche osmosi teologiche e relazioni tra i diversi testi, le quali sollecitano un commento. In rapporto, infine, con quest'ultimo problema si deve nuovamente sollevare e cercar di dare una risposta alla questione della storicità di questi racconti (nella forma attuale) . È merito imperituro di H. Gunkel, nel suo grande com­ mento del Genesi 7, l'aver fatto risaltare le unità narrative ori­ ginarie, che compongono l'insie�e, e di averle analizzate con profondo genio estetico . Queste tradizioni erano di genere molto vario. Come abbiamo già visto, alcune riferivano rac7· Genesis iiberset% und erklart,

' 1922 .

Problemi ermeneutici dei racconti del Genesi

3 .5

conti cultuali eziologic{, altre erano sorte dalla necessità di spiegare l'origine di certi fatti notevoli nei rapporti delle tri­ bù e dei popoli fra loro ; si tratta, cioè, di tradizioni con ezio­ logia etnologica. Altre narrazioni si caratterizzano già come brevi componimenti in forma di novella. Anzi, non si potrà neppure opporsi per principio all'ipotesi che questo o quel racconto, nella sua versione più antica - intendiamo parlare anzitutto dell'antichissima forma pre-letteraria di queste va­ rie tradizioni ! - avesse un carattere originariamente ibrido. In ogni caso, non si potrà più prescindere dali'acquisizione che, nella stragrande maggioranza dei casi , dietro queste tra­ dizioni antichissime stanno delle saghe. Ma quale è, per il commentatore, il significato di questa affermazione, che oggi non è più nuova né può essere contestata scientificamente, ma intorno alla quale continua a regnare tanta oscurità? Di solito il sospetto nei confronti della saga nasce dalla problematicità del suo contenuto 'storico'. La si considera, infatti, frutto della fantasia poetica e quindi, nella migliore delle ipotesi, in un rapporto a dir poco difettoso con la realtà storica . Coscientemente o meno, questo deprezzamento sca­ turisce da una sopravvalutazione unilaterale della storiogra­ fia , secondo cui quest'ultima registrerebbe con precisione e fedeltà tutto quello che la saga presenta , deformandolo, sol­ tanto in maniera oscura e incerta 8• Questo tipo di critica ­ che si potrebbe denominare materialismo storico - denuncia un travisamento assai grossolano della natura della saga ; esso fu una diffusa caratteristica di quel secolo XIX tanto celebrato per la sua erudizione storica 9• 8. «La forma che provvisoriamente abbiamo chiamato storiografia (Historie) si presenta come una nemica della saga; essa la minaccia, la mette da parte, la di· sprezz a e le cambia la parola in bocca. Rende negativo il risultato di un'attività dello spirito, che per l'altra era positivo. La verità diventa menzogna. La tirannia della storiografia giunge persino ad affermare che la saga non esiste neppure, ma che rappresenta solo una specie di timido stadio inferiore della storiografia stes­ sa». A. Jolles, Einfache Formen, 1 9561, 64.

9· Anche nel dizionario del Grimm si trova questo concetto di saga quale noti-

I11troduzione generale

No. La saga certo è il prodotto di un'attività spirituale completamente diversa dalla storiografia, per cui è bene con­ frontarle il meno possibile fra loro. Tuttavia su un punto esi­ ste fra di esse un'affini t à (e di qui vengono tut te quelle fa tali comparazioni ) : anche la saga si interessa della storia; e per la saga biblica in genere, ciò vale anche là dove essa tratta materiali apparentemente non storici . Qualsiasi saga, consi­ derata nella sua intenzione più semplice ed originaria, si pre­ figge di raccontare un avvenimento reale, avvenuto a un dato momento della storia, per cui vuol essere (a differenza della favola, che è escogitata più fer il diletto) presa in tutta se­ rietà, vuoi essere 'creduta' 1 Affermiamo quindi , per tutto quanto seguirà, che la saga non è affatto mero prodotto di una sbrigliata fantasia ; anch'essa depone su qualcosa di sto­ rico . È la forma prediletta, nella quale un popolo si è raffi.. gurata la sua storia primitiva. Naturalmene non si crede ob­ bligata all 'esattezza, quale oggi è richiesta. Inoltre la saga 11 ha origine in un'età del popolo completamente diversa ; af­ fonda le sue radici in un tipo di società prestatale e ciò signi­ fica che sorge e prospera in un tempo in cui non è ancora pienamente sviluppata la facoltà della conoscenza storica ra­ zionale e logica ; in suo luogo, invece, agiscono liberamente le energie di un'intelligenza che si potrebbe chiamare profe­ tica, che presagisce e interpreta intuitivamente. Nelle saghe un popolo si interessa di se stesso e delle realtà che lo cir­ condano . Non si tratta però di vedere e di dar significato a ciò che è semplicemente accaduto, bensì a un passato che arcanamente è ancora attuale e condiziona il presente. Come nell 'individuo certi avverumenti o decisioni del passato deter.. minano tutta la vita, così pure nella vita delle tribù e dei •

%ia di fatti del passato cui m.anca una credibilità storica.

ro. A.W. Schlegd Siimtliche Werke xn, 1847, 387; K. Wehrhan, Sage, in Sach­ worterbuch der Deutschkunde 2 , 1930. ,

1 r . Sull a saga nell'antico Israele cfr . K. Koch, Was ist Formgeschichte?, 196f,

r 88 s.

Problemi ermeneutici dei racconti del Genesi

37

popoli il passato influisce direttamente sul presente, plasman­ dolo ; e la saga, molto più che la storiografìa, conosce questa attualità segreta di ciò che apparentemente è finito ; essa ren­ de presenti certe cose in modo che ognuno ne coglie l 'impor-· tanza, mentre, probabilmente, quelle stesse cose sarebbero trascurate da una descrizione storica (qualora fosse immagi­ nabile a quel momento ). Oltre alla storia esterna delle guer­ re, delle vittorie, delle migrazioni e delle catastrofi politiche, il popolo ne scrive un'altra, . interiore, che si svolge su un di­ verso piano : una storia di eventi profondi, di esperienze e di provvidenze straordinarie, d'un travaglio e d'una maturazio­ ne nei misteri della vita ; e per Israele tutto ciò si chiama : una storia con Dio. È chiaro che gli oggetti di cui si interessa la saga , sono di un altro tipo . Ma soprattutto è il modo di rap­ presentare e attualizzare il passato che ha caratteristiche pro­ prie e innegabili. Ad esempio - per tenerci sulle generali è un fatto che le saghe patriarcali, nonostante la loro multi­ formità, se si può dire cosi, hanno conservato un timbro, un'atmosfera spiritualmente religiosa, che doveva essere evi­ dentemente caratteristica dell'epoca premosaica ; si potrebbe quasi dire che è un privilegio proprio della saga, nei con­ fronti di tutte le tradizioni 'più esatte' , la conservazione di questi aspetti intimi , quasi imponderabili, della giovinezza di un popolo. Cosi in certe occasioni la saga si interessa di cose non appariscenti ; spesso, però, si tratta di dati e di av­ venimenti di portata interiore ben più grande di quella di molte cose registrate dalla storiografìa (Historie) , in quanto hanno un'influenza più duratura e sono determinanti anche per l 'esistenza dei posteri . È spesso un intero mondo di av­ venimenti - veri avvenimenti, accaduti ! - che viene rinchiu­ so in una saga . La saga, pertanto, ha anche una densità as­ sai maggiore della storiografìa (Historie) . -

Ciò emerge pure dallo stile . Nella narrazione e nell'audizione, attra­ verso i secoli, si è venuta sviluppando quest 'arte elementare di descri-_ vere tutti gli aspetti umani, l'arte che può narrare con tutta sempli-

Introduzione generale ci tà fatti minimi come cose grandi, senza per questo sminuime il con­ tenuto ; sembra, anzi, che sia questa l'unica forma adatta a traman­ dare il ricordo di tali contenuti . Le tradizioni bibliche si segnalano per una grande parsimonia di tratti sentimentali . Quello che gli uo­ mini hanno riflettuto o sentito, quello che li ha commossi , passa in seconda linea di fronte agli avvenimenti oggettivi. Nel caso che lo scrittore dica qualcosa del timore o della paura che ha colpito un uo­ mo (Gen. I j , I 2 ; 3 2 ,7 ) , l'accenno fa un'impressione tanto più viva, proprio a motivo della sua gratuità .

Per comprendere rettamente queste saghe è necessario for­ marsi un concetto di storia più ampio e profondo di quello che abbiamo oggi . Certo, all'origine della saga per lo più si trova, come centro di cristallizzazione, un fatto ' storico', ma in essa si riflette anche l 'esperienza storica della comunità in cui è accaduto e che condiziona ancora il presente del narra­ tore ; questo secondo elemento normalmente è il più forte e spesso è talmente predominante che eleva ed amplia il ma­ teriale sino a farne un tipo storico, dietro al quale si dilegua sempre più il fatto storico originario. In altri casi, invece, l'elaborazione e la strutturazione interna del materiale da parte dei redattori tardivi sono state minime .. come ad esem­ pio nella tradizione del patto di Dio con Abramo ( Gen. I 5 , 7 ss . ), che è una saga in cui manifestamente tutto l 'essenziale è rimasto nella sua forma arcaica. Nonostante le notevoli differenze di stile e di argomento, che intercorrono fra le storie di Abramo, lsacco e Giacobbe, c 'è qualcosa che le unisce : ad eccezione di Gen. I 4 si muo­ vono tutte nello stesso ambiente politico-sociale, cioè in quel­ lo di una famiglia che fa completamente parte a sé 12• E que­ sta famiglia nella quale avvengono tanti fatti così sconvol­ genti e si devono sopportare tensioni cosi gravi, non è qui un settore della vita umana associata , cui se ne affianchino ' al tri. È il piano di questa convivenza nella sua totalità, è la cornice per tutte le altre attività dell'uomo : politica, econoI 2 . C. Westerm.ann , Arten der Erzahlung in der Genesis. Forschung von Alten Testament, 1964, 35-39·

Problemi ermeneutici dei racconti del Genesi

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mica e persino religiosa. In questa cornice i grandi avveni­ menti che commuovono l'animo come la nascita di un bam­ bino o una lite, hanno l'importanza particolare che loro com­ pete solo qui. Il fatto poi che il materiale narrativo affondi le sue radici nella famiglia, nella tribù è un indice della sua alta antichità. Certo nel corso della trasmissione i singoli racconti subi­ rono molti mutamenti, tanto nella forma che nel contenuto. Giustamente si rileva come antiche tradizioni siano state in seguito elaborate con l'ap�orto di elementi novellistici e per­ sino con motivi favolosi 1 ; ma anche questo non impedi sce affatto la 'storicità' della saga che, con tali mezzi, si preoc­ cupa di mettere in luce avvenimenti ed esperienze reali ; la saga infatti non ricorre a formule astratte, la sua mediazione è figurativa al massimo. La storia pertanto non entra diretta­ mente, per cosi dire, nella saga, ma, dopo aver subìto una traformazione della sua forma da parte della meditazione del popolo , si presenta, in certo modo, a frammenti e rifratta in quadri isolati. A questo processo caratteristico di elabor9zione figurativa appartiene anzitutto la tendenza di attribuire a un individuo dei fatti storici che originariamente avevano per soggetto la collettività . Cosi in Abramo e Giacobbe Israele ha potuto vedere sempre di più, col passare del tempo, l'angustia e le speranze della sua esistenza davanti a Dio. Certo, con ciò non si vuoi dire che queste figure e le loro tradizioni in genere non siano altro che proiezioni della fede popolare nei tempi primitivi, operate in seguito ; ma per il fatto che questi ma­ teriali non erano conservati inviolati negli archivi, bensl sog­ giacevano al processo di una trasmissione secolare, il loro contenuto fu elaborato ed ampliato. Cosl, ad esempio, si ca­ pirebbe soltanto per metà e si disconoscerebbe la peculiarità della saga che narra la lotta notturna di Giacobbe allo JabI J . O. Eissfeldt, Stammessage und Novelle in den Geschichten von ]akob und seinen Sohnen, in Eucharisterion /ur H. Gunke/ 1, 1923 , 56 s.

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boq, qualora si volesse esaurirne le istanze nella semplice de­

scrizione di un avvenimento del lontano passato in modo, per quanto possibile, oggettivo e secondo lo svolgimento dei fatti . No, la saga di Gen. 32,22 ss . , nella sua stesura attuale, nella forma e nello stile di una narrazione arcaicizzante, vuoi riferire cose che sono sempre presenti. In quello che Giacob­ be esperimentò allora, Israele vide qualcosa del suo rapporto con Dio . La saga, pertanto, è dotata di una meravigliosa tra­ sparenza , e si serve di questa sua caratteristica per rendere testimonianza ad un'azione storica ed insieme attualissima di Dio . La particolarissima forza creatrice di saghe nell'antico Israele fu la fede ; non ne esiste una che da essa non abbia ricevuto un 'impronta e un orientamento decisiso. Nei parti­ colari, varia è la portata di questa incidenza e di questo orien­ tamento impresso alla composizione. Esistono saghe - soprat­ tutto le saghe cultuali primitive - che, dal loro sorgere fino alla forma definitiva, hanno sublto l'influsso plasmatore del­ la fede di parecchie generazioni. Altri materiali, prima di es­ sere assunti in un contesto religioso, hanno circolato sulla bocca del popolo per lungo tempo come narrazioni profane (forse persino di dubbio valore) . Ma non si deve pensare che le trasformazioni avvenute, per questo adattamento, nei con­ tenuti delle saghe, sia pure relativamente tardi, siano state superficiali e non abbiano inciso in profondità su di essi. È vero il contrario. Infatti quanto più la formulazione di una ·saga è tardiva, tanto più è meditata dal punto di vista teolo­ gico e tanto meno è ingenua . E quand'anche queste trasfor­ mazioni .avessero mutato assai poco · la presentazione esterna del testo ed avessero soltanto introdotto occasionalmente il nome di Jahvé , si dovrà dire che ciò è ugualmente rivoluzio­ nario, giacché l 'introduzione di questo nome ha molte impli­ canze 14• Il fatto che questi antichi materiali siano stati rife14. «Basterebbe quasi tOgliere il nome di Jahvé per levare tutta quanta la vernice con cui Israele ha ritoccato le pitture straniere�. H. Gressmaim: ZAW, 1910, 24 s.

Problemi ermeneutici dei racconti del Genesi

riti a Jahvé e che Jahvé appaia in contenuti di saghe, forse un tempo profani , comportava una totale trasformazione del loro antico significato immanentistico ed una nuova lettura in profondità degli avvenimenti narrati . Bisognerà dunque tener conto che certi elementi, un tempo di valore trascura­ bile, son venuti acquistando una grande importanza. Questa presa di possesso dell 'antico fondo delle saghe da parte della riflessione teologica non è altro che un rifle�so di quello che Israele esperimentò in grande ad opera della rivelazione di Jahvé : tutti i settori della vita, tutto il profano dominato dalla volontà di Dio che comanda e promette. Si potrebbe anche dire sottilmente che le saghe patriarcali parlano più di Dio che degli uomini . Gli uomini non vi ven­ gono mai valorizzati per se stessi, ma solo come oggetti del disegno e dell'azione divina. Del resto ci sarebbe da chie· dersi in che cosa e in qual senso Abramo, Giacobbe o Giu· seppe possano essere presentati dal narratore come modelli , in forza del loro personale comportamento e della testimo­ nianza che danno. In alcuni casi - per es . Gen. 1 3 ; 1 5 ,6 ; 2 2 , I s . - si tratta veramente di questo, e tali narrazioni, fra l'al­ tro, intendono stimolare all 'imitazione, a una ' sequela ' . Ma sono eccezioni piuttosto rare. Le figure dei patriarchi di so­ lito sono delineate con un sobrio realismo che pur non mini· mizzando ciò che nell 'uomo commuove ed esalta, ne mostra ali'occasione con spietato rigore debolezze ed insuccessi . Si pensi alle tre varianti in cui è presentato il racconto del peri­ colo corso dall'antenata (Gen. 1 2 , 1 0 s . ; 2 0 , 1 s . ; 2 6 ,7 s.) 1 •

15. II Delitzsch nota, a proposito della storia di Tamar (Gen. 38): «Cosl gli inizi della tribù di Giuda si presentano come una meravigliosa compenetrazione di peccato dell'uomo e di provvidenza divina ... Quanto semplici sono le immagini degli antenati di Israele ! In essi ci sono quasi più ombre che luci. Su ciò, l'amor patrio non ha per nulla influito. Non si può scoprire una traccia di mito idealiz­ zatore. La loro nobiltà sta nel fatto che essi vincono e risorgono continuamente per la grazia che vien _ loro concessa. I loro errori servono a far risaltare la loro grandezz a agli effetti della storia salvifica. Anche Tamar, nonostante tutti i suoi errori , è pur sempre una santa, secondo la misura dell'A.T., per la saggezza, la delicatezza e il nobile sentire� (pp. 451 s.).

I"traduzione generale

Fa meraviglia che nelle storie dei patriarchi manchi comple­ tamente la tendenza a celebrare e idealizzare i personaggi del­ la più remota antichltà, mentre tale propensione ha un posto così importante nella letteratura degli altri popoli . Come tut­ to l 'Antico Testamento, anche queste saghe patriarcali non delineano un ideale d 'uomo al quale Israele sia potuto final­ mente arrivare attraverso un lungo colloquio con Jahvé . Vi si scopre piuttosto la figura di qualcuno orientato ad ascol­ tare ciò che Dio gli dice, e che sotto la guida di questo Dio si trova al sicuro . Ci si può domandare a questo punto se sia ancora esatto chiamare 'saghe' questi materiali elaborati così a fondo dalla fede. In realtà, se pensiamo alla forma attuale delle tradizioni dell 'A.T., il termine può trarre in errore ; infatti già sul piano letterario abbiamo a che fare con racconti assurti ad alta for­ ma d'arte e che osano descrivere le vie della storia della sal­ vezza, nel riflesso di sempre nuove immagini di Dio. È difficile tuttavia che J, E o P nella loro elaborazione let­ teraria abbiano trattato i materiali preesistenti con grande libertà. In ogni caso , essa era molto più limitata di quella che un moderno scrittore occidentale potrebbe pretendere. Forse, nella composizione dei vari r�cconti, lo Jahvista non è andato oltre un certo dirozzamento dei tratti arcaici e l'introduzione dei suoi accenti più sottili e caratteristici . Naturalmente egli deve aver lavorato con m3. ggior libertà nella fusione dei rac­ conti originariamente indipendenti . E, quand'anche in alcuni casi già prima di lui si siano avuti dei raggruppamenti di bra­ ni di diverse tradizioni in piccole unità, rimane pur sempre indiscutibilmente opera sua la composizione vera e propria dei racconti del Genesi. Ciò è importante; infatti la peculia­ rità dello Jahvista, la sua concezione teologica fondamentale, ci è dato di coglierla meno all'interno dei singoli racconti che nell'indole della composizione generale. La teologia della sto­ ria propria dello Jah vista è discernibile dal modo in cui egli ha ordinato, riferito e concordato fra loro i diversi materia-

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li . E il commentatore dovrà attribuire, a questa conce�ione teologica dello Jahvista, grande importanza proprio perché in certo senso essa è divenuta il canone fondamentale per la formulazione degli altri documenti e quindi anche per la con­ figurazione definitiva di tutto il Genesi. Abbiamo già visto (pp . 2 4 s . ) come lo Jahvista, nella pri­ ma parte ( Gen. 2- I I ) , abbia tracciato una storia della cre­ scente apostasia dell'umanità da Dio, servendosi dei materiali più svariati. I racconti di Abramo vengono da lui strutturati alla luce del tema del ritardo nell'adempimento della pro­ messa . Ed è peculiarità saliente dei racconti jahvistici (ed anche di quelli elohistici) , ali 'opposto della redazione sacer­ dotale , tracciare con particolare ampiezza di particolari la di­ sposizione soggettiva di colui che riceve la promessa, i con­ flitti caratteristici, le tentazioni e gli sbandamenti nei quali sono incorsi i patriarchi proprio di fronte a questa promessa, da una parte a motivo della sua rei terazione in 'crescendo' e dali ' al tra per la sua dilazione. Confrontiamo ora i racconti di Gen. I 2 , I o ss . (tradimento dell'ava ) e Gen . I 6 (Hagar) . Gen . I 2 , I O ss . : subito dopo la grande promessa di Dio - accresciuta dalla promessa della terra al v . 7 - si addensano gravi difficoltà ( la carestia nella terra promessa ! ) . Abramo si comporta come se non avesse alcuna fiducia nella promessa divina, esattamente come se non avesse fede . Dio salva colei che dovrà diventare l'ava di Israele ed eleva la sua promessa al di sopra di tutti gli abissi dell 'infedeltà da parte degli eredi della promessa. Questo rac­ conto , che nel Genesi è presentato in tre forme (Gen. 2 0 ; 2 6 ) , doveva evidentemente rivestire un'importanza partico­ lare per gli antichi . In esso vien lumeggiato qualcosa degli sbandamenti e delle incertezze che la promessa divina ha cau­ sato nell'uomo, ma più ancora la fedeltà di Jahvé che non recede dal suo piano di salvezza, spesso tradito dagli uomini. In Gen . I 6 , secondo le previsioni umane, a Sara è negata la possibilità di dare alla luce l'erede delle promesse. Proprio

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I11trodurione generale

ciò induce gli interessati ad un'azione arbitraria, intesa ad ottenere dall'uomo la realizzazione della promessa, dato che non c'è più la fiducia di attenerla da Dio. Tuttavia questo Ismaele, concepito nell'ostinazione e nell'infedeltà, non sarà il figlio della promessa. Dio sarà ugualmente con lui, ma egli diventerà un uomo violento, impegnato in una lotta contro tutto e tutti . I due racconti stanno a dimostrare, dal punto di vista della psicologia della fede, le posizioni estremamente diverse di Abramo di fronte alla promessa ; due atteggiamenti fondamentali rivestono una peculiarità quasi esemplare : l'in­ curanza e l'arbitraria volontà di estorcere ciò che Dio vuole offrire. In ambedue i casi una difficoltà dinanzi alla quale viene a trovarsi a un tratto il detentore della promessa, sgan­ cia un seguito di azioni che vanno contro il disegno di Dio. Questa · consapevolezza di un piano della storia delineato da Jahvé e il modo sicuro con il quale esso viene messo in con­ trasto con l 'agire degli uomini ricordano da vicino il mandato dei profeti · che sostengono di sapere i piani divini anche a lunga scadenza. L'esigenza di una coerenza psicologica nel­ l'immagine dell 'uomo che si intende delineare era estranea a quei narratori. Naturalmente non ci si può attendere un'omogeneità tema­ dca rigorosa da un'attività redazionale che accosta materiali preesistenti ; qualche volta i racconti sono persino in contrad­ dizione fra loro. Per le storie di Labano, ad esempio, non possiamo sottrarci all 'impressione che i diversi filoni , impo­ sti peraltro allo Jahvista dall'evolversi della tradizione, sia per la loro importanza, sia per la loro peculiarità , abbiano reagito più di altri ad una elaborazione tematica. Comunque è difficile negare che la preoccupazione di una certa sin tesi ci sia stata. La storia di Giacobbe , nella sua forma jehovistica, è sostenuta interiormente come un ponte a due piloni : la sto­ ria di Bethel (Gen. 2 8 ) da una parte e la storia di Penuel (Gen. 3 2 , 2 3 ss . ) dall 'altra. In entrambi i casi il paradosso del­ l'azione divina è profondamente accentuato : dove Giacobbe

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esperimenta il fallimento più clamoroso, dove tutto sembra crollare e la benedizione tramutarsi in maledizione, proprio li Dio offre la sua promessa. Invece, là dove la narrazione ci presenta Giacobbe nella prosperità, ancora fiducioso di po­ ter da solo comporre il dissidio con Esaù, Dio l'assale come un fantasma notturno. Ed anche in questo caso si tratta di benedizione (v. 2 6 ) . È chiaro come queste due caratteristiche unità narrative intendano presentarci il pensiero teologico conduttore e indurci a considerare la storia di Giacobbe alla luce dell 'imperscrutabilità e libertà delle vie di D io. Ogni commento che voglia essere scientifico deve prima di tutto cercar di comprendere il materiale narrativo del Ge­ nesi come fu compreso in Israele nel contesto dei grandi complessi narrativi J, E e P, cioè all'incirca nell'epoca che va dal IX al v secolo. Il compito è difficile perché i narratori non offrono interpretazioni dirette degli avvenimenti, ma, quanto alla loro valutazione, si tengono completamente in ombra. Non danno una mano al lettore fornendogli delle chiarifica­ zioni, ma lo conducono attraverso i fatti senza giudicare quel che gli uomini fanno o non fanno, perché evidentemente sup­ pongono che i fatti stessi abbiano tanta voce da saper parlare da sé a lettori ed uditori . Il commentatore perciò rinuncerà a priori a cercare per ogni racconto un unico senso possibile. Dovrà ammettere che non in una sola direzione esso ha po­ tuto avviare la riflessione del lettore. Ma l'esegeta deve egual­ mente riservarsi il diritto di rifiutare spiegazioni che non sia­ no adeguate alla narrazione stessa o alla possibilità di inten­ dimento dei lettori. Per tenersi sulla buona strada occorrerà essere prudenti e approfondire bene ogni questione. Troverà un valido aiuto anche nei temi chiave che abbracciano le sin­ gole narrazioni, per esempio il tema della promessa di cui abbiamo parlato più sopra (pp. 2 2 ss . ) . Ciò che si ripete nel destino dei patriarchi è segno di un disegno storico di Dio , che attraverso la vita di questi uomini muove decisamente verso una meta ancora lontana.

I11trodu:done generale

Oggi il lettore che si ponga H problema della ' storicità' dei fatti, deve prima di tutto rendersi conto che i narratori anti­ chi non conoscevano affatto i problemi di cui ci tormentiamo spesso noi moderni, e ancor meno vi vedevano degli aut-aut inesorabili. Dobbiamo perciò cercare di rispondere alla que­ stione per via indiretta, cioè partendo dali 'indole stessa di queste narrazioni. Le considerazioni fatte fin qui (cfr. più so­ pra pp. 2 2 . 3 9 ) hanno già approdato a un risultato : è ormai crollata l'antica e ingenua concezione della storicità che ve­ deva in queste tradizioni altrettanti racconti sulla vita dei patriarchi biograficamente sicuri . È evidente che, se i racconti di Gen. 1 8 ; 2 2 ; 2 8 ; 3 2 furono originariamente leggende cul­ tuali palestinesi (quindi cananee pre-israelitiche) intrecciate con la tradizione patriarcale soltanto dopo l'immigrazione de­ gli Israeliti , non possiamo più ritenerli direttamente come no­ tizie primitive sulla vita dei patriarchi. Press 'a poco lo stesso giudizio va dato della maggior parte delle altre storie patriar­ cali . Che vari elementi - ormai incorporati in questi raccon­ ti - risalgano proprio all"epoca dei patriarchi ' non può certo essere contestato, ma ciò non muta per nulla il giudizio com­ plessivo. Si narra qualcosa che appartiene al passato, a un passato molto lontano, ma il Dio che dispone quell'avveni­ mento e parla ai padri è pur sempre Jahvé, anche se egli non era ancora noto agli antenati di Israele dell 'età premosaica (Ex. 3 , 1 3 s . : 6 ,6). Il campo stesso di tensione religiosa nel quale dovette dar prova di sé la fede di un Abramo in lotta fra rifiuto e fiducia, è molto meno quello degli antenati che quello dei narratori e del loro tempo. Ciò che loro preme non è di risuscitare una situazione religiosa passata; al contrario in questi racconti viene sul tappeto ciò che Israele ha speri­ mentato nel suo rapporto con Jahvé fino al presente del nar­ ratore. Grazie alla mediazione di queste saghe i narratori espongono l 'essenza di quel che successe a Israele nel1a sua storia con Jahvé. In questo senso esse sono profondamente radicate nella storia. Cosl, ad esempio, non è più possibile

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determinare quale fatto storico abbia dato origine al racconto del pericolo in cui incorse Sara ; possiamo persino supporre che il materiale sia stato trasposto ad Abramo e a Sara sol­ tanto in seguito (vedi il commento). Si potrebbe arrivare a dire che questo racconto non è 'storico '; ad ogni modo, il senso che Dio avesse meravigliosamente salvato la promessa nonostante le colpe dell'uomo, per la comunità era un 'espe­ rienza eminentemente storica . Così a questi racconti inerisce un altissimo grado di profondità, poiché in essi s'addensano esperienze che la fede di Israele ha lentamente vissute forse durante secoli. E solo questo dà a tali racconti quel carattere di testimonianza che loro con1pete. Il fatto che la storicità dei racconti patriarcali ora si fondi essenzialmente su esperienze di fede della comunità, ha, co­ me è chiaro, conseguenze di vasta portata per l'esegesi . Nes­ suno può negare che un commento, come quello qui sugge­ rito , sia esposto a pericoli. Infatti se si propugna un alto li­ vello di spiritualizzazione - e, a nostro avviso, la fine spiri­ tualità che pervade questi racconti già nella loro prima com­ posizione letteraria è stata molto sottovalutata ! - ecco che questa linea esegetica minaccia di svuotare tutto in pura alle­ goria, il che si deve evitare risolutamente. Bisogna inoltre mettere in chiaro che questo elemento teologico-comunita­ rio, di cui si parla qui , non può mai esser ritenuto come con­ tenuto unico. Esso è, certo, una componente importante, che .dovrà di continuo essere presa in considerazione; ma accanto ad esso, nelle varie tradizioni, si sono di volta in volta con­ servati anche tratti del loro significato più antico e primitivo, dei quali il commentatore dovrà pure tener conto. Nessuna .regola ermeneutica, per quanto elaborata e sottile, riuscirà mai a tracciare quella linea intermedia che garantisca a questi racconti anche il loro carattere di evento unico per la storia della salvezza. A nessun costo dovrà essere loro tolto questo elemento imponderabile di consistenza storica. Il lungo processo di trasmissione subito da molti racconti

. , l11troduzione generale

ha lasciato in essi non poche tracce; si tratta per lo più di in­ congruenze interne o spostamenti nella struttura logica di un dato racconto. In nessun passo esse appaiono con tanta evi­ denza come nella pericope della lotta di Giacobbe ( Gen. 3 2 , 1 0 s . ) , dove in una stessa e unica narrazione sono conservate dell'avvenimento versioni fra loro differenti, e non poco (dr. il commento) . L'indole del materiale narrativo nella sua fase preletteraria è stata acutamente studiata da H . Gunkel nel suo grande commento. La questione è ancor oggi aperta, per­ ché l'impostazione dei problemi nel frattempo è cambiata, e le spiegazioni del Gunkel in qualche punto non sono più suf­ ficienti . Qua e là occorrerebbe impostarle di nuovo. Ad uno studio del materiale nella sua preistoria, bisognerebbe però attendere senza aspettarsi di approdare, nello strato più bas­ so che sia possibile raggiungere, all"autentico' vero e proprio, alle vestigia storiche dei patriarchi. A parte che questa possi­ bilità si verifichi abbastanza di rado, la narrazione stessa non ci permette di dubitare nemmeno per un istante che essa non condivide affatto questo interesse per il suo strato più antico. Pensiamo perciò che sia oggi urgente volgersi di nuovo al­ l 'esame dei testi nella loro forma attuale, cioè al problema del pensiero che è andato sviluppandosi lentamente in essi e sopra tutto quando furono incorporati in un grande com­ plesso narrativo e in funzione della speciale tematica di que­ sto. C'è forse concordia fra gli esegeti sul significato del rac­ conto del sacrificio di I sacco 16, nella sua versione letteraria attuale (a parte quindi la preletteraria) ? Ma anche il fatto che i documenti non ci si presentano più separati l'uno dal­ l 'altro, ma anzi sono strettamente fusi, si impone all'atten­ zione dello studioso. Non bisognerebbe pure studiare come le due relazioni sulla creazione sotto qualche aspetto sono complementari ? Nel commento si rileverà che lo Jahvista colloca l'uomo in un mondo intimo (il giardino, gli alberi, :x6. Cfr. i recenti lavori di H. W. Wolfl, Kerygma des ]ahwiste11 und Elohisten ...

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gli animali, la donna), mentre P, prima di trattare la creazio­

ne dell 'uomo, passa in rassegna tutte le componenti del gran­ de cosmo. Gen. 2 completa Gen. I presentando l'azione be­ nefica, quasi paterna, di Dio verso l'uomo, ecc. Inoltre, la storia della caduta, ormai non può più essere interpretata senza riferimento al 'molto buono' di Gen. I ,3 I . E nelle sto­ rie patriarcali si dovrà per lo meno tener conto che il Dio di Abramo, di !sacco e di Giacobbe è proprio lo stesso Jahvé che, nel culto sacrificale del tabernacolo, dona il perdono. Certo, il redattore del Genesi ha dato ampia precedenza all a· tradizione jahvistico-elohistica nei confronti della redazione sacerdotale. Nel libro dell'Esodo, invece, avviene il contra­ rio ; e poiché Genesi ed Esodo non sono due 'libri' distinti, di ciò si dovrà tener conto neli'esegesi. Franz Rosenzweig pensò acutamente, un tempo, che alla sigla 'R' (indicante il Redattore delle fonti dell 'Esateuco, co­ sì poco considerato dagli studiosi protestanti) si addicesse il significato di rabbenu 'maestro nostro' , poiché in fondo noi dipendiamo soltanto da lui, dal suo grande lavoro compi­ latorio, dalla sua teologia; l'Esateuco, nel suo complesso� lo riceviamo dalle sue mani 17 • Dal punto di vista del giudai­ smo ciò è logico. Per noi invece il redattore non è 'nostro maestro', neppure dal punto di vista ermeneutico. L'Antico Testamento noi lo riceviamo dalle mani di Gesù Cristo, per cui ogni interpretazione dell'Antico Testamento dipende dal modo in cui si considera Gesù Cristo. Se si vede in lui il fondatore di una nuova religione, sarà logico esaminare le grandi figure delle saghe patriarcali in ordine al loro atteggia­ mento religioso e mettere in luce per esempio in un profilo biografico quanto si avvicina o corrisponde ai dati di Cristo. Ma questa visuale da ' storia della pietà' è già inadeguata per il fatto che la religiosità dei patriarchi nei racconti del Ge­ nesi non è affatto il tema principale; per lo più se ne parla ==

17. M. Bubcr

e

F. Rosenzweig, Die Schrift und ihre Verdeutschung, 1936, 322 .

I ntroduvone

generale

solo per incidenza; è la fantasia del lettore che deve arguirla. Il tema proprio del racconto è sempre un'azione ben definita di Jahvé, nella quale i patriarchi sono trascinati spesso con una certa riluttanza. Lo studioso deve quindi prima di tutto interessarsi alle circostanze e ai modi in cui gli interventi di­ vini si esplicano e dove alla fine vogliono condurre. È forse possibile in tanta varietà di vicende narrate cogliere qual­ cosa che sia tipico per l 'agire di Dio con l 'uomo? Di qui poi si dovrebbe passare all'interrogativo capitale : c'è fra le rive­ lazioni divine delPantica alleanza e quelle della nuova un elemento comune, ' tipologico ' ? Nelle saghe patriarcali sono esaminate alcune esperienze che Israele ha fatto di un Dio che si manifestava e insieme di volta in volta si occultava più profondamente. Ed è proprio sotto questo aspetto che si può riconoscere una continuità fra l'Antico Testamento e il Nuo­ vo . In quelle narrazioni che tanto parlavano di un Dio che celava se stesso, si delinea una rivelazione divina che prelu­ dia l'apparizione di Dio in Gesù Cristo. Ciò che là si racconta delle tentazioni di fronte a un Dio che si nasconde e a un adempime�to che tarda ad effettuarsi, mettendo in luce nel contempo i conforti che Dio elargisce, può essere senz 'altro in teso come avvio alla rivelazione che Dio fa di sé in Gesù Cristo.

II LA PREISTORIA BIBLICA

Il racconto sacerdotale della creazione Premesse. S 'è visto come il tema dell'antico credo (Deut. 2 6 ,5 ss . ) - storia patriarcale, esodo e ritorno - sia lo stesso

dell'Esateuco, con l'unica variante che qui riceve una gran­ diosa elaborazione ed una definitiva compenetrazione teologi­ ca. Tutto il complesso è sorretto quasi da due solide colonne, che sono la preistoria sacerdotale e quella jahvistica. Alla enorme elaborazione teologica della tradizione patriarcale e mosaica no.n poteva certo bastare il fondamento offerto dal­ l'antico credo. Si è cercato allora l'origine e il fondamento della storia della salvezza nella creazione del mondo e si sono stabilite teologicamente tutte le fasi della preistoria dell'ope­ ra salvifica divina. La forma di .questo fondamento teologico è nel documento sacerdotale sostanzialmente e caratteristica­ mente diversa dalla forma che ha nel documento jahvista. In generale esiste assoluto accordo sulla divisione letteraria tra le due serie di documenti. Pritna di scendere � commento dei singoli punti rilevia­ mo ancora una volta come la preistoria biblica, in particolare il racconto della creazione, noi) sia affa tto a sé stante nell'in­ sieme dell'Esateuco. La collocazione della storia della crea.. zione all'inizio della nostra Bibbia ha fatto spesso credere erroneamente che la 'dottrina' della creazione fosse un og­ getto centrale della fede dell'Antico Testamento. Ma non è

La preistoria biblica

vero 1 • Né qui né nel Deuteroisaia si parla della creazione per se stessa. La fede nella creazione non è né l'oggetto né il fine degli enunciati contenuti in Gen. I e 2 . Sia lo Jahvista sia il documento--sacerdotale sono essenzialmente orientati alla fe­ de nella salvezza e nell'elezione. Però essi subordinano que­ sta fede all'idea che lo Jahvé dell'alleanza con Abramo e del Sinai è altresl il creatore del mondo. Il compito pertanto di questa narrazione, al di là dello stupendo quadro in cui sono concentrati i singoli temi della fede nella creazione, è sol­ tanto un compito subordinato : quello di indicare il cammino che Dio ha percorso col mondo fino a giungere alla vocazione di Abramo e alla formazione della comunità; e tutto ciò in modo che Israele con lo sguardo della sua fede potesse risa­ lire dallo stadio dell 'elezione, in cui allora viveva, fino alla creazione, e di qui tracciare la linea verso di sé: dal limite estremo del protologico al cuore del soteriologico. x.

La creazione del mondo ( I,I·2 � )

1 In principio Dio creò il cielo e la terra. 2 La terra era deserta e vuo­ ta, le tenebre coprivano l'abisso, e un vento di Dio si librava sopra le acque. 3 Dio disse: «Sia la luce» . E la luce fu. 4 Dio vide che la luce era buona, e separò Dio la luce dalle tenebre. 5 Dio chiamò la luce (giorno ' e nominò le tenebre (notte'. Fu sera e fu mattino: un giorno. 6 Disse Dio: «Ci sia un firmamento in mez.z.o alle acque, che divida le acque dalle acque>>, e così fu (2) . 7 Fece Dio il firmamento, e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. 8 Dio chiamò il firmamento 1Cielo '. Fu sera e fu mattino: giorno secondo. 9 Disse Dio: «Si raccolgano le acque, che sono sotto il cielo, in un sol luogo, e appaia l'asciutto». E cosl fu. 10 Dio chiamò l'asciutto (terra', e la riunione delle acque nominò 'ma­ re'. E vide Dio che ciò era buono. 1 1 Disse Dio : «Produca la terra er­ ba, graminacee che fanno semenz.a secondo le loro specie, e alberi frut­ tiferi, che dànno sulla · terra, secondo la loro specie, i frutti_, in cui c'è il proprio seme». E così fu. 12 E la terra produsse erba, graminacee che

1 . G.

v. Rad, Das theol. Problem des altt. Schopfungsglauben ( in Werden und Wesen des A.T. ) 1936, 138 ss.

2. Cfr. Bibli4 Hebraica.

La cretUione del mondo ( I,I-2Afl)

fanno semenza secondo la loro specie, e alberi, che dànno, secondo la loro specie, i frutti, in cui c'è il proprio seme. E vide Dio che ciò era buono. 13 Fu sera e fu mattino: giorno terzo . 14 Disse Dio : «Vi siano luminari nel firmamento del cielo, per distin­ guere il giorno dalla notte; servano da segni, per i vari tempi, per i giorni e per gli anni. 15 Siano luminari nel firmamento del cielo per rischiarare la terra». E così fu. 16 Fece Dio i due luminari grandi: il luminare maggiore a governo del giorno e il luminare minore a go­ verno della notte, e le stelle. 11 Dio li collocò nel firmamento del cielo per illuminare la terra, 18 per governare il giorno e la notte e separare la luce dalle tenebre. E vide Dio che ciò era buono. 19 Fu sera e fu mattino: giorno quarto . � Disse Dio : > (Jacob) . Secondo la concezione dell'antico Oriente, poi , l 'atto di imporre il nome significa soprattutto l 'esercizio d'un diritto di sovranità (cfr. 2 Reg. 2 3 ,3 4 ; 24 , 1 7 ) . Così, in questa e in tutte le seguenti denominazioni di opere della creazione, viene espresso in mo­ do particolarmente accentuato, ancora una volta, il diritto sovrano di Dio sulle creature. Il giorno completo vien qui computato, è interessante notarlo , in maniera diversa che nel­ la legislazione cultuale, vale a dire da ma t tino a mattino. 6-8 . Il secondo giorno è destinato alla creazione del firma­ mento , che gli antichi concepivano come una grande volta so­ lida a forma di emisfero (Ps. 1 9 ,2 ; Iob 3 7 , 1 8 ) . raqia' , solido, ciò ch'è stato battuto e calpestato fortemente (una parola della stessa radice in fenicio significa 'lastra di lamiera' ! ) ; il

La preistoria biblica

verbo rq• per 'consolidare battendola' la volta del cielo in Is. 42 ,5 ; Ps. I 3 6 , 6 . La Vulgata rende raqzcl con firmamentunt, che anche per noi è la migliore traduzione. Questa volta ce­ leste eretta entro le acque del caos rappresenta anzitutto una parete divisoria tra le acque inferiori e quelle superiori. La cosiddetta formula di approvazione ('buono' ) viene qui omes­ sa ad arte, poiché quest 'opera della creazione è completata solo nel terzo giorno. Per quanto concerne il procedimento della creazione, si nota, accanto alla parola creatrice, un ' fare' diretto di Dio. In questa marcata disparità di concezione , che si può cogliere chiaramente in tutto il capitolo, dobbiamo vedere la traccia di due differenti redazioni del racconto della creazione . Una, indubbiamente la più antica, si articola sulla semplice idea di un creare dire t to, plasma tore ('fece Dio', vv. 7 . I 6 s. 2 I . 2 5 ) mentre l'altra parla della creazione mediante il coman­ do della parola. Se queste due redazioni si distinguano fra loro solo per la storia del materiale che riportano o anche dal punto di vista letterario, è questione secondaria . Più impor­ tante è invece la constatazione che la più recente non ha sop­ piantato la più antica e che ambedue le voci hanno ricevuto il loro posto nel testo attuale : la più antica, che afferma un operare creatore di Dio immediato e rivolto attivamente al mondo - il mondo è uscito direttamente dalle mani plasma­ triei di Dio ! - e la più recente che, senza sconfessare questa testimonianza, sottolinea l'assoluta distanza che intercede tra creatore e creatura. ,

9- 10 . Nel terzo giorno si completa anzitutto quanto è stato

iniziato nel secondo. L'acqua che si trova ancora sotto la volta celeste vien fatta defluire e le viene assegnato secondo il ·piano creativo un luogo, che noi ora chiamiamo mare. Que­ sto imbrigliamento dell'acqua a sua volta fa emergere sotto il firmamento il nucleo asciutto della terra, che veniva imma­ ginato come un disco lambito dal mare e adagiato sopra le

La creazione del mondo (r,r-�A4)

acque primordiali. Così l'edificio del mondo è completo nei suoi elementi fondamentali, nella sua armatura. Sopra il fir­ mamento stanno le acque dell'oceano celeste, del quale noi vediamo dal basso il colore blu . Di D scende sulla terra la pioggia (cfr. però anche Gen. ?, I I ) ; sotto sta il disco della terra, circondato da mari e sostenuto miracolosamente sopra le acque (Ps. 24,2 ; I 3 6 ,6 ; Ex. 20 , 4 ) . Non è giusto però ve­ dere nelle 'acque' e nel ' mare', in maniera troppo razionali­ stica, soltanto l'ambiente fisico e geografico dell'uomo . È abbastanza evidente la provenienza di questo elemento dalla dimensione del caotico. Si tratta quindi di un cosmo che è tutt'intorno, sopra, sotto e ai margini esterni, circondato e quindi minacciato da spazi cosmici, che non possono più es­ ser detti direttamente caotici, ma continuano a conservare qualcosa di ostile a Dio e alla creazione. È cosa meravigliosa che la volontà ordinatrice di Dio abbia loro stabilito un salu­ tare confine. Il discorso sacerdotale pur nella sua impassi­ bilità non può trarci in inganno circa l'attuali tà di quest'altra forma di azione creatrice. Poeti e profeti parlano della stessa cosa sebbene in maniera diversa : le acque sono fuggite da­ vanti a Dio e al suo rimprovero, egli ha loro imposto un li­ mite che non possono oltrepassare (Ps. 1 04 ,7-9 ; Ier. .5 , 2 2 ) ; la potenza del caos è dominata da Dio (I oh 7 , I 2 ) , anzi è in­ catenata (Or. Man. 3 ) . Se si agita, Dio lo rabbonisce (P s. 8 9 , I o ; I oh 2.6 , r 2 ) , ecc. Anche qui abbiamo l 'imposizione del nome. In quanto separa le cose secondo la loro natura, Dio distingue i concetti e i nomi ; il chiamare per nome da parte dell'uomo non è che l'eco lontana di questo chiamare che ha per autore Dio (Delitzsch ; dr. Gen. 2 , 1 9 s . ) . I I-I

3 . La seconda opera di questo giorno è i l mondo vege­

tale, grado infimo della vita organica. A dir vero, ci si può chiedere se per gli Ebrei le piante fossero classificate così; certamente non hanno la nefes, 'vita', come gli animali . An­ che le piante sono chiamate all'esistenza dalla parola creatrice

La preistorill biblica

di Dio ; però qui sorprende un modo di esprimersi finora non usato : il soggetto in questione è la terra; essa, in questo atto creatore, è chiamata ed abilitata ad esercitare una partecipa­ zione materna. Vi si potrebbero ravvisare dei residui di anti­ chissime concezioni sulla terra madre. Ma non si tratta, cer­ to, di idee non assimilate tramandate meccanicamente, ma piuttosto di qualcosa di molto ponderato : non si deve tra­ scurare questa relazione mediata che esiste tra Dio e il mon­ do vegetale . La vita del regno vegetale come tale promana direttamente dalla forza creatrice della terra; da essa nasce e ad essa ritorna. Il 'verde ' è qui distinto in due tipi (il passo dopo ceieb , 'erba' nel v. I I va inteso come apposizione) : l'erba che porta in se stessa il seme, e gli alberi che fanno frutti nei quali è contenuto il seme. Con pochissime parole abbiamo la descri­ zione concettuale di un vasto settore della creazione : il seme germinativo , prodotto dalla pianta, la fecondità della madre­ terra, e dietro e al di sopra di tutto la parola imperativa e creatrice di Dio. Il concetto di natura s 'impone inconfondi­ bile ; è però insieme chiaramente delimitato da quello di creatura. 1 4- 1 9 · Quarto giorno : creazione degli astri. L'intera sezione

dei vv . I4- I 9 è soffusa di un forte pathos anti-mitico : gli astri sono visti unicamente come creature e in dipendenza dalla volontà creatrice e ordinatrice di Dio. Il termine 'lam­ pade' è volutamente prosaico e degradante. L'imposizione del nome di sole e di luna a queste creature è evitata per scan­ sare ogni equivoco; infatti il termine comune a tutte le lin­ gue semitiche per indicare il 'sole' era pure un nome divino. Con calcolata freddezza razionale e minuziosità P parla della destinazione degli astri. Il loro ' dominare' in realtà è il più elementare dei servizi cui essi, come creature, sono destinati dalla volontà del loro creatore. Nella sezione che riferiva la creazione delle piante doveva sorprendere la significativa

La creazione del mondo (I,I-2AJI)

mancanza di scopo; di un riferimento o rapporto di servizio di tutto questo settore al mondo dell'uomo o degli animali non c'era traccia. Proprio di questo ora - nonostante che animali e uomini non siano ancora creati - si parla invece con molta chiarezza, e il contrasto risponde alla preoccupa­ zione di negare una qualsiasi autonomia divina degli astri . Per comprendere il significato di queste proposizioni si deve tener presente che sono formulate in una diffusa atmosfera culturale-religiosa impregnata di superstizioni astrologiche di ogni genere. In tutto il pensiero contemporaneo dell'antico Oriente (non nell'A.T.) il corso ciclico degli astri era un tema fondamentale. Il mondo dell'uomo era determinato, fin nel destino dell'individuo , dall'influsso di potenze astrali. Quale capacità di autocontrollo fosse necessaria per negar loro una adorazione divina, ce lo fanno comprendere da una parte la esortazione minacciosa del Deuteronomista in Deut. 4 , 1 9 (cfr. Ier. 1 0 , 2 ; Iob 3 r , 2 6 s . ) , dall'altra la massima irruzione del culto degli astri proprio là dove aveva il suo centro la vita di fede della tarda monarchia ( 2 Reg. 2 3 , 1 1 s.). Soltanto il profeta poteva permettersi di scherzare su questa tendenza (Is. 4 7 , 1 3 ). I ' segni ' del v. 1 4 sono forse i fenomeni anor .. mali nella volta celeste, come eclissi , mentre i 'tempi' sono senz'altro i punti astrali fissi che regolano il culto e il lavoro. Gli astri non sono in alcuna maniera produttori della luce, ma soltanto trasmettitori di una luce che esisteva anche sen­ za di essi e prima di essi . 2 0-2 3 . Ormai il mondo come luogo di abitazione per gli es.. seri viventi è pronto, sono preparate tutte le condizioni di vita ; perciò nel quinto giorno incomincia la creazione degli esseri viventi. La narrazione ;I"icorda anzitutto gli abitanti de­ gli spazi creati più lontani dall'uomo, vale a dire dell'acqua e dell'aria. Nella sua formulazione teologica la narrazione ri­ leva marcatamente la novità e l'importanza di questo giorno, il primo in cui avvenga la creazione di esseri viventi . (La

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La

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pianta, secondo l'antica concezione ebraica, non partecipa della vita.) Ad arte si usa qui nuovamente, a designare il par­ ticolare ed esclusivo agire di Dio, l'importante verbo bara' , 'creare'. È un uso speciale (prescindendo dal v . I , riassun­ tivo ) per caratterizzare anzitutto la creazione del vivente (v . 2 7). In confronto con la creazione mediante la parola, bara' denota senza dubbio un rapporto immediato tra creatura e creatore. La vita non è nata soltanto in virtù della parola che dà un comando ; essa sorge da una più diretta azione crea­ trice di Dio . Questa nuova vita creata è anche oggetto della benedizione divina; questi esseri viventi, cioè, sono insieme i depositari di una forza divina contenente la vita, per la quale essi sono in grado di comunicare , traendo la da se stes­ si, mediante la generazione, la vita ricevuta. I primi viventi nominati nel racconto sono esseri mitici, che trascinano la loro vita al margine più estremo del regno creato visibile al­ l'uomo ; pienamente sottratti al dominio e allo sfruttamento dell'uomo , essi sono proprio per questo oggetto di un par­ ticolare compiacimento da parte di Dio (Ps. r o4,2 6 ; Iob 40, I o ss . ) ; nella successione della creazione degli animali ven­ gono poi i · pesci e gli uccelli. Incominciare, nell 'enumerazio­ ne, da questi mostri marini mitici per passare poi agli animali più piccoli ed innocui, sottintende un'importante dottrina teologica : non c'è nulla in questo settore - il quale, come ab­ biamo visto, s'accosta tuttavia alla dimensione del caotico ! che sia sottratto alla volontà divina del creatore. Al di fuori di Dio non c'è nulla da temere ; anche queste crea tu re - agli occhi di Dio - sono buone. 24-2 ; . La prima opera del sesto giorno, la creazione degli

animali terrestri, completa quella del quinto�iorno. Anche qui, come nella creazione delle piante, abbiamo una parteci­ pazione della terra-madre all 'attività creatrice . L'animale, in virtù dei suoi costitutivi vitali , è totalmente dipendente dalla terra e da questo legame che ha, in ordine alla creazione, ri-

La creazione del mondo (I,I-2�44)

ceve vita e morte. Ad arte si omette qui la benedizione divi­ na. La forza vitale per continuare a generare, gli animali ter­ restri la ricevono solo mediatamente da Dio, immediatamente l'hanno dalla terra, cui viene attribuita una propria potenza creatrice 9• L'acqua, dal punto di vista della creazione, sta a un rango più basso della terra; essa non poté essere elevata da Dio a partecipare della sua attività creatrice (diversamente i LXX! ) . Gli animali terrestri sono classificatj in tre gruppi : I . gli animali selvaggi (i rapaci, ed anche i nostri 'selvatici '), 2 . il bestiame e 3 . tutti i piccoli animali (rettili ecc.). In pro­ fonda opposizione a questo legame del regno animale con la terra, il testo parla in seguito della creazione dell'uomo, che proviene direttamente e con tutta immediatezza dall 'alto, da Dio . 26-2 8 . Più importante di ogni opera precedente, la creazione

dell'uomo s'inizia presentando una decisione divina : «Fac­ ciamo l 'uomo » . Dio quindi partecipa alla creazione di que­ st 'opera in maniera più intima e intensa di quanto ha fatto per le opere precedenti . Nel v . 2 7 l'uso di verbo bara' , indi­ cante l 'agire esclusivo e caratteristico di Dio, assume il suo significato più pregnante. Per tre volte lo si impiega in un versetto, per cui diventa chiaro che qui si è raggiunto il ver­ tice e il fine, cui era proteso tutto l'agire di Dio a partire dal v. I . Sul discusso 'noi"' del v. 26, si veda più sotto. Il termine ebraico 'adam , 'uomo', è un collettivo - per questo non vie·· ne mai usato al plurale - e significa precisamente 'umanità' (L. Kohler) . Lutero ne ha avuto sentore e ha tradotto assai bene con Menschen , 'uomini ' . L'affermazione che l'uomo è fatto a immagine di Dio, nel v. 26, si fonda su due sostantivi che però, sia per la loro sfu­ matura concettuale che per la preposizione premessa a cia­ scuno ( « a nostra . . . ·conforme alla nostra), non possono essere 9· ]. Hcmpel, Das Ethos de.r A. T 1938. 1 74. .•

La preistoria biblica

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spiegati univocamente . .,ctelem, ' immagine', indica per lo più la riproduzione, la copia concreta, in certi casi l'idolo ( I Sam. 6 , 5 ; Num. 3 3 ,5 2 ; 2 Reg. 1 1 , r 8 ) , il ritratto (Ezech. 2 3 , 1 4 ), e solo occasionalmente viene usato nel senso attenuato di «ap­ parenza rispetto all'originale» (Ps. 3 9 ,7 ) ; demut (Lutero : 'che sia simile a noi' ) è un sostantivo verbale e denota per lo più qualcosa di astratto : !"apparenza', la ' somiglianza', la 'cor­ rispondenza' (Ezech 1 ,.5 . 1 0 . 2 6 . 2 8 ma anche 'copia ', in 2 Reg. 1 6 , 1 0 ). Il mutamento delle preposizioni («a>> nostra im­ magine, > la nostra somiglianza) in sé non ha nes­ sun particolare valore ; in .5 ,3 esse figurano invertite senza che cambi il senso . Il termine fondamentale connotante propria­ mente l'idea di immagine di Dio è evidentemente �elem, che nel solenne v. 2 7 appare senza demut, ' somiglianza' ; lo stesso in 9 , 6 . Parecchi miti dell 'antico Oriente ci presentano un àio che plasma un uomo (o un dio) a sua propria immagine, e particolare importanza ha pure il fatto che nell'antico Egitto il faraone passa per «la copia viva di Dio sulla terra>> 10• Evidentemente, anche il nostro testo non può essere sgan­ cia to da una certa affinità con questa cerchia di idee chiara­ mente comuni in Oriente . Il · fondamentale termine selem , 'immagine', viene meglio spiegato e precisato con demut, 'so­ miglianza', ma semplicemente nel senso che quest 'immagine deve corrispondere al modello originario, deve essergli simi­ le . Vanno pertanto respinte le interpretazioni che procedono da un'antropologia estranea all'A. T. e che restringono unila­ teralmente la somiglianza con Dio alla spiritualità dell'uomo, alla sua 'dignità', 'personalità' o 'capacità morale di decide­ re', ecc. Non si deve in alcuna maniera escludere dalla somi­ glianza con Dio la meravigliosa figura del corpo dell'uomo. Anzi tale concezione parte proprio da essa e non si ha alcun motivo per sostenere che questa idea primitiva sia stata com­ pletamente spiritualizzata e clericalizzata dalla riflessione tecr .

10.

W .H. Schmidt, Die Schopfungsgeschichte der Priesterschrift, I96f,

137.

LI cr��U.ione del mondo

(I,I-�AJZ)

logica di P. Sarà bene, invece, separare il meno possibile il corporeo dallo spirituale : l'intero uomo è fatto ad immagine di Dio . Che anche in seguito non si escluda la corporalità, ce lo fa capire una tradizione riportata da Ezechiele, per la quale il primo uomo sarebbe stato bellissimo (kelil jofi, Ezech. 2 8 , 1 2 ) . Anche il Ps . 8 , che si fonda appunto s u Gen. I , 2 6 ss., sottolinea decisamente il corporeo. Accanto a Gen. I ,26 ss ., esso è l'unico testo che affermi una somiglianza dell'uomo con Dio e anzi completa in maniera notevole l'idea. In esso ci si rivolge a J ahvé; ciononostante si dice che l'uomo è stato di poco inferiore agli , elohtm , intendendo cosi che la somi­ glianza con Dio non si riferisce direttamente a Jahvé, ma agli 'angeli'. Anche nel v. 2 6 lo strano plurale ('facciamo ') deve impedire che si riferisca troppo direttamente la somiglianza a Dio, il Signore. Dio si associa agli esseri della sua corte ce­ leste, nascondendosi dietro questo plurale. È questa, a mio avviso, l'unica spiegazione possibile della strana particolarità stilistica. Una riprova dell'esattezza di questa interpretazione si ha nel passo di Gen. 3 , 2 2 , dove riappare improvvisamente, e manifestamente per lo stesso motivo, questo plurale . In sé l'idea della corte celeste è del tutto familiare all'A .T. ( I Reg. 2 2 , 1 9 s . ; Iob r ; Is. 6 ) ; solo resta da spiegare perché si pre­ senti qui cosi ex abrupto. Certo, l'affermazione della somi­ glianza con Dio è audace ; ma va notato ch'essa rimane volu­ tamente in sospeso. In termini di A.T., il senso del v. 2 6 è il seguente : l'uomo è creato da Dio secondo la forma e il tipo degli 'elohzm . Se si volesse meglio specificare il contenuto di quest'affermazione, ci si dovrebbe chiedere come l'antico Israele s'immaginasse più dettagliatamente questi 'elohim. Al riguardo vengono usati due predicati importanti : ' saggio' (2 Sam . 1 4 , 1 7 .20) � 'buono' ( I Sam. 2 9 ,9 ). Entrambe le af­ fermazioni documentano, nella loro popolarità irriflessa, la portata universale, quasi proverbiale, di tale concezione. Oc­ corre però guardarsi dal considerare questa somiglianza come qualcosa di accessorio. Essa non si limita a un certo aspetto

La preistoria biblica

dell'uomo. Appena è chiamato a�'essere, egli è simile a Dio, nella sua totalità. Ed è proprio qui, nel trattare di questo che è il più alto mistero di tutta quanta l'opera della creazione, che il linguaggio di P assume un 'andatura solenne (v. 2 7 ) Co­ me sempre tuttavia il documento sacerdotale si astiene da qualsiasi riflessione su «questo dono di Dio che nella sua li­ bertà sovrana, ha voluto elevare l'uomo solo fra tutte le crea­ ture, ad una corrispondenza con sé; l'uon1o con il quale egli 11 vuole parlare ed essere in comunione» • Senza dubbio la no­ stra proposizione sacerdotale sulla somiglianza dell'uomo con Dio va collocata sullo sfondo più ampio di una concezione che vede Jahvé ad immagine dell'uomo. I profeti maggiori hanno del resto parlato di Dio in maniera diversa ? (Am. 4, 1 3 ; 9,1 ; Is . 6 , 1 ecc. ) . Si pensi in particolare all'apparizione della 'gloria di Jahvé' in Ezech. I , 2 6 . La sfumata e cauta af­ fermazione di Ezechiele ( « qualcosa di simile a una figura di uomo» , demut kemar' eh 'adam ) sembra proprio un'anticipa­ 1 zione di Gen . I , 2 6 2 • Pur avvertendo in genere la centralità del nostro testo nel passo della creazione dell 'uomo in P, si deve ammettere che esso si sofferma meno sulla natura di questa somiglianza con Dio che sul fine per cui viene donata. Si parla meno del dono stesso che del compito ch'esso assegna, e che è chiarissimo : il dominio sul mondo, in particolare sul regno animale . E non si dice che questa destinazione al dominio rientri ancora nella definizione della somiglianza con Dio ; essa ne è piutto­ sto la conseguenza, ciò per cui la somiglianza è stata donata . Per noi il legame tra il concetto dello somiglianza con Dio e quello della destinazione ad un esercizio di dominio è evi­ dente, dato che abbiamo inteso �elem come copia concreta : come i grandi re della terra che fanno erigere un simulacro di sé nelle province del loro regno, nelle quali non possono .

I I . F. Horst, Gottes Recht, 1 961 , 230.

I2. P. Humbert, 'ttudes sur le récit du Paradis et la chute dans la Gen�se, I 940, 172.

La

creazione

del mondo (z,Z-2AJI)

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recarsi personalmente, quale contrassegno del loro diritto di sovranità - cosl l'uomo, nella sua somiglianza con Dio, è col­ locato sulla terra quale segno della sovranità di Dio. Egli è appunto il mandatario di Dio, destinato a tutelarne e a dif­ fonderne il dominio sulla terra. L'essenza deHa sua somiglian­ za con Dio sta quindi nella sua funzione sul mondo extra­ umano 13• Le espressioni che designano questo dominio sono singolarmente forti : rada, 'entrare', 'calpestare' (ad es . il tor­ chio ) , kabas, similmente 'conculcare ' . La creazione dell'uomo ha quindi, retrospettivamente, una grande importanza per tutte le creature extra-umane, in quanto conferisce loro una nuova dipendenza da Dio. Oltre alla sua provenienza da Dio, la creatura acquista, mediante l'uomo, anche un orientamento a lui; in ogni caso il dominio dell'uomo le conferisce la di­ gnità di campo speciale della sovranità divina. Anche la diversità sessuale è voluta dal creatore. Il plura­ le del v. 2 I ('li creò ' ) nella sua intenzionale opposizione al singolare ('lo') vieta l'ipotesi della creazione di un uomo ori­ ginariamente androgino. Per volontà di Dio l'uomo non è creato solo, ma è chiamato a una relazione con l'altro sesso. La pienezza del concetto di uomo non si ha, secondo P, nel maschio soltanto, bensl nel maschio e nella femmina insieme (Procksch) . «Questa è la grandiosa frase, cosi lapidariamente semplice che difficilmente ci si può render conto che con essa crolla alle nostre spalle tutto un mondo di mito e di specula­ zione gnostica, di cinismo ed ascetismo, di divinizzazione del­ la sessualità e di angoscia sessuale» 14• Anche la forza che lo abilita a procreare e a moltiplicarsi, l'uomo la riceve dalla mano di Dio ; nell'uomo quindi tutto rimanda a Dio. Sia nel­ la sua origine e nella sua natura, sia nel suo destino egli è visto in piena dipendenza da Dio . Bisogna però notare che il potere di generare non è qui inteso come un riflesso e una manifestazione della somiglianza dell'uomo con Dio. La miW . Caspari, Imago Divina, Reinh . Seeberg-Festschrift, 1929, 208. 14. E. Brunner, Der Mensch im Widerspruch, 3,7.

13 .

u. preistorill biblica

tologia pagana enunciò in svariate forme il mistero della pro­ creazione, lo tEpÒ� yap.oç della divinità. In particolare nel culto cananeo questo avvenimento veniva celebrato orgiasti­ camente, sotto forma di prostituzione sacra . In tal modo sem­ brava all'uomo di essersi acquistato un accesso e una parte­ cipazione al mondo della divinità. Si capisce allora perché questo culto cananeo fosse chiamato 'prostituzione' (Os. 1-3 ; Ier. 3 , 1 ss.) . È pertanto significativo che la capacità di pro­ creare venga accuratamente distinta dalla somiglianza con Dio e venga enunciata in una speciale formula di benedizione (Zimmerli) . 2 9-3 0 . Come nutrimento all'uomo è concesso ogni genere di

alimento vegetale, mentre agli animali terrestri è assegnata soltanto l'erba della campagna. Questo è l'unico accenno al­ la pace paradisiaca della creazione qual è uscita dalla mano di Dio e da lui voluta . Il nostro racconto, d'altra parte, acco­ sta nuovamente in maniera sorprendente l 'uomo all'animale. Sono entrambi creati nello stesso giorno e, come esigono le necessità corporali, si assidono alla stessa tavola (K. Barth). La lotta e l'uccisione pertanto non sono entrate nel mondo per l'ordinamento e il comando di Dio. Anche qui il testo non concentra unicamente il suo interesse su fatti della storia primordiale, bensì su un aspetto, senza il quale la testimo­ nianza della fede sulla creazione non sarebbe completa. Nes­ suno spargimento di sangue nel regno animale e nessuna ag­ gressione mortale da parte dell'uomo . Questa dichiarazione di Dio introduce dunque una chiara delimitazione nel diritto dell 'uomo alla sovranità. L'era di Noè formulerà altri ordina­ menti sulla vita (Gen. 9,2 ) .

3 I . Il v . 3 r riporta la formula conclusiva di approvazione di

tUtta l'opera della creazione. Questo «ed ecco, era molto buo­ no » acquista un grande rilievo nel linguaggio così severo, senza commozioni e superlativi, della fonte P. A senso, po-

La creazione del mondo ( I,I-2AIJ)

73

trebbe anche essere tradotto con 'pienamente compiuto" (Procksch ) e, a ragione, lo si riferisce più alla meravigliosa armonia e conformità col fine che non alla bellezza di tutto il cosmo. Questa frase, pronunciata e scritta in un mondo sconvolto da un'infinità di perturbazioni, risponde a una ina­ lienabile i�anza della fede : nessun male è stato introdotto nel mondo dalla mano di Dio ; la sua onnipotenza non era limi­ tata da alcuna seria opposizione. Se parlando di creazione la fede rivolge il suo sguardo a Dio, può affermare solo che Dio ha creato il mondo perfetto. Ora però quest'affermazione non pare troppo evidente ; infatti il cosmo dovrebbe in tal caso essere per l 'uomo chiaramente intelligibile, in tutta la magni­ ficenza della sua creazione, e trasparente come un cristallo , fin nelle sue profondità. Ma al problema dei suoi enigmi e dei suoi sconvolgimenti risponderà ora - in virtù dell'accosta­ mento delle fonti operato dal redattore - il capitolo jahvi­ stico della caduta nella sua forte coloritura eziologica . 2 , 1-3 . Gli enunciati sul sabato della creazione contengono

una delle più significative e audaci testimonianze di tutta la redazione sacerdotale. Leggendo queste proposizioni, che, a dir vero, muovono ai margini estremi della protologia, si do­ vrà tenere ancora una volta presente, in modo speciale, il fat­ to che anch 'esse scaturiscono totalmente dalla situazione che si è venuta creando tra Israele e Dio in virtù dell'Alleanza . Ma che senso può avere che si parli ora di qualcosa che esor­ bita dalla creazione del cosmo e degli esseri viventi ? Eppure questo qualcosa è manifestamente la conclusione ultima di tutto e al suo significato è ordinata l 'intera narrazione. An ­ che il poema babilonese della creazione del mondo riferisce di un atto conclusivo al termine dell'opera creativa ; si tratta dell 'esaltazione altisonante del dio Marduk nell'assemblea degli dèi , dove gli dèi supremi lo celebrano proclamandone i cinquanta nomi . Quant 'è diverso e più riservato l 'augusto riposo del Dio d 'Israele ! Accanto al fatto della creazione .

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La preistoria biblica

questo riposo è qualcosa di nuovo sotto tutti i punti di vista e non è semplicemente il segno negativo della sua conclusio­ ne; è tutt 'altro che un'appendice. Anzi è pure importante che Dio abbia ' terminato ' la sua opera nel settimo e non, come a ·prima vista sembrerebbe più ovvio e hanno inteso i LXX, nel sesto giorno. Questo compimento e questo rip�o devono essere visti come una cosa completamente a sé stante . Biso­ gna però ben sottolineare che qui non si parla affatto, come s 'è spesso affermato, dell " istituzione del sabato' . Il sabato come istituzione cultuale è ancora totalmente fuori prospet­ tiva . Si parla, piuttosto, di un riposo esistente già prima del­ l'uomo e tuttora presente, ancorché l'uomo non possa con­ trollarlo. L'affermazione per così dire si eleva al piano di Dio e testimonia che nel Dio vivo c'è il riposo. Ma quest 'afferma­ zione sul . riposo non è una pura speculazione ; essa parla, sì , di Dio, ma in quanto rivolto al mondo. Essa afferma anzi­ tutto negativamente, ma già abbastanza significativamente, che il mondo non è più in via di creazione : esso non era e non è incompleto, è stato ' terminato' da Dio . Ma c'è di più : Dio ha 'benedetto', ' santificato ', questo riposo, e ' santificare' significa che una cosa viene separata per Dio. Ciò significa che P non lo considera come qualcosa di intra-divino, bensì come un fatto riguardante il mondo, anzi quasi una terza en­ tità, tra Dio e il mondo. Si tratta della preparazione di un eccelso bene salvifico. Di ciò all'uomo non è ancora rivelato nulla . Come potrebbe l'uomo avere conoscenza di questo mi­ stero ? Quando però si avrà una comunità e un tabernacolo, allora questo riposo di Dio diventerà precetto (Ex. 3 1 , r 2 ss .) . Bisogna tener conto, anche, che queste proposi_zioni ricevet­ tero la loro forma definitiva in un tempo in cui Israele nel sabato (e nella circoncisione) ve9.eva i segni caratteristici del­ l'Alleanza, che sintetizzavano la sua separazione dal mondo dei pagani , cioè nel tempo dell'esilio (cfr. Ezech. 20 , 1 2 . 20 ss . ; 2 2 ,8 .26 ; Is. 5 6 ,2 .4 . 6 ; 5 8 , 1 3 ). Cosi nella creazione Dio ha già disposto ciò ch'è bene per l'uomo, anzi persino ciò che

La crea%ione del mondo (I,I-2Afl)

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gli sarà necessario nel corso del tempo e che alla fine lo ac� coglierà escatologicamente nell'eternità (anche se quest'ulti� mo punto è ancora estraneo all'orizzonte teologico della ri� flessione sacerdotale). Il sabato come ultimo giorno della creazione non è neppure delimitato ; manca inJatti la formula conclusiva «fu sera e fu mattina . . . >> , e ciò , come del resto tutto in questo capitolo, è intenzionale. Gen. 2 , I ss . parla, quindi , della preparazione di un supremo l?ene sal vifico per il mondo e per l'uomo, di un riposo > (Novalis) . Abbiamo qui 'pre� sente ' protologicamente, in maniera concreta , quello che la lettera agli Ebrei attende in prospettiva escatologica (Hebr. 4 ) . Con queste affermazioni termina i l racconto sacerdotale della creazione del cielo e della terra assieme al loro esercito . È strano l'uso del termine !ahi/ , 'esercito ', per connotare tut� ti gli elementi che riempiono il cosmo (Ps. r o 3 , 2 I ) e gli es. seri viventi ; forse si tratta di una designazione tecnica, pro� pria di una classificazione sacerdotale (cfr. Num . 4 , 3 ; 8 , 2 4 ) . Ma forse si pensa anche agli esseri superiori che, secondo la concezione dell'antico Israele, circondano la sfera di Dio e a volte fungono da intermediari tra lui e l 'uomo ( I Re g. 2 2 , I 9 ; Ios. 5 , I 4 ecc. ). 4a . La frase di 2 ,4a è difficile. In sé la formula ricorre spes­ so nel Genesi come ti tolo ( 5 , I ; 6 , 9 ; I o , I ; I I , I o. 2 7 ; 2 5 , I 2 . 1 9 ; 3 6 , I . 9 ; 3 7 ,2 ) . Questo passo , però , non può essere un ti­ tolo ; d'altra parte la formula è esclusivamente sacerdotale . Un'altra difficoltà è rappresentata dal termine toledot, che si­ gnifica 'albero genealogico', 'genealogia ', letteralmente anzi 'generazione '. Noi supponiamo che la formula, che nella fon­ te sacerdotale rappresent�. una specie di divisione in capitoli, sia stata aggiunta al capitolo della creazione prima di tutto per esigenze sistematiche , di uniformità, e inoltre nel senso del tutto traslato di 'storia delle origini '. Siccome però l'ini­ zio del capitolo era già stato fissato canonicamente, all'inter-

L4 preistoritl biblica

polatore non restava altro che apporre la frase alla fine del racconto . Sul problema connesso con l'origine dell'intera re­ dazione sacerdotale , vedi commento a 5 , I .

Osservazioni sul racconto sacerdotale della creazione Il testo della creazione del mondo non ha un autore nel senso che noi diamo a questa parola; per sua natura , esso non è né un mito né una saga, ma una dottrina sacerdotale, cioè un 'antichissima sapienza sacra tramandata fedelmente da molte generazioni di sacerdoti , di continuo sottoposta a rin­ novata meditazione , insegnata, plasmata ed accresciuta da nuove riflessioni ed esperienze di fede, in forma sempre più rigorosa e sintetica . Per scrivere questi trentacinque versetti la fede d'Israele ha avuto bisogno di secoli di riflessione, e molto profonda . Questa sapienza cosmologico-teologica - e anche quella che compenetra tutta la ' tavola delle genti ' di Gen. r o - fu elaborata nei templi dell 'antico Israele . La sua redazione finale, che ha prodotto il testo che abbiamo oggi , può risalire all'epoca dell'esilio : ma le sue radici e il suo pun­ to di partenza si trovano già in seno all'antica comunità di Jahvé . Varie diseguaglianze nel materiale rivelano che questo pro­ cesso di trasmissione andò di pari passo con una sempre più radicale purificazione e rifusione di tutti gli elementi mitici e speculativi ; una magnifica impresa teologica ! Sotto tale pro­ filo questo racconto della creazione si trova , rispetto alle co­ smogonie delle altre religioni , in un posto assolutamente a parte . Questo interiore processo di purificazione è manifesto anche nel rivestimento linguistico . Lingua ed espressione si concentrano essenzialmente sul dato teologico ; nessuna pa­ rola è un mero ornamento poetico (Jacob) , « nessuno sforzo di fantasia per meglio svolgere il tema» 15• Il Ps. 104 ed altri I , . Wellhausen, Prolegomena,

18995 , .30.3.

Osservazioni sul racconto stJCerdotale della creazione

77

testi 16 ci fanno vedere come in: Israele si sapesse parlare del­ la creazione ad opera di Dio anche in altra maniera, con più commozione . Il pathos di Gen. r , tuttavia, non si trova in primo luogo nell'adorazione, nella meraviglia o nel ringra­ ziamento, bensl nella riflessione teologica . La sobria monoto­ nia del racconto deriva precisamente da questa radicale rinun­ cia in favore di ciò che la fede è in grado di dire obiettiva­ mente ; ma è proprio questa rinuncia che dà l'impressione, anche dal punto di vista estetico, di una forza contenuta e di una grandezza lapidaria. La lunga strada percorsa dalla tradizione nel suo evolversi , per giungere alla forma che ha attualmente questo racconto della creazione, si può ancora individuare in molti partico­ lari . Della tensione esistente tra la creazione mediante l'azio­ ne e la creazione mediante la parola, abbiamo già parlato nel commento. La seconda concezione rappresenta indubbiamen­ te una riflessione teologica più matura , ma essa non intende sostituirsi alla più antica, che raffigura il creatore in un rap­ porto diretto con la materia. La piena testimonianza risulta dall 'armonizzazione delle due concezioni . Un 'altra forma di elaborazione del materiale antico si può ravvisare nell'incongruenza esistente tra le opere e i giorni della creazione. Nel terzo e sesto giorno vengono create due opere ; la creazione del firmamento sta a cavaliere fra il secon­ do e il terzo giorno . L'ordine delle opere, pertanto , dev'es­ sere stato, in precedenza, un altro ; è possibile una ricostru­ zione. Per noi è importante sapere che intervenne uno sche­ ma di sette giorni, il quale deve aver fatto una certa violenza all'antico materiale. Fu senza dubbio un'importante esigenza della .fede ad imporre a tale materiale un elemento allora tan­ to estraneo ad esso : ordinando i fatti della creazione in una serie di giorni , si raggiunge la più netta separazione possibile da qualsiasi pensiero mitico. Questo che viene riferito è un 16. Ps. 74 ,1 2 ss. ; 89,10 ss.;

ls. , 1 ,9 s.

La preistoria biblica

evento unico ed irrevocabile nella sua definitività . I sette giorni devono essere senz 'altro intesi come vere giornate e come un ciclo unico ed irreversibile nel tempo . « La creazio­ ne come azione di Dio dà inizio al tempo del mondo , e quin­ di alla sua temporalità e finitezza » (E . Osterloh) . Con Gen. 1 , 1 incomincia l'opera della storia, che si snoda fino alla rive­ lazione del Sinai e alla conquista del paese da parte delle tri­ bù . L'autore non svolge speculativamente un dramma cosmo­ gonico teorico, eh' egli seguirebbe con interesse da una terza prospettiva ; la sua prospettiva , anzi , è proprio dall 'interno del tempo e della creazione, di cui testimonia lo svolgimen­ to ; e se riferisce questo attuarsi della creazione, non va mai al di là di quello che la fede può sperimentare ed esprimere nel temporale . Si badi bene: abbiamo un racconto della crea­ zione nel quale il soggetto di questa vien presentato solo per quanto può essere colto dalla fede, come una volontà rivolta al mondo ; il resto, la sua natura, non compare affatto in for­ ma mitica . Parimenti , la fonte P resiste alla tentazione di de­ scrivere l'atto creativo in se stesso . Si può per tanto parlare di una dipendenza di questo racconto dai miti extrabiblici, ma solo in un senso molto limitato . Senza dubbio si notano alcuni concetti ch 'erano manifestamente patrimonio comune del pensiero cosmologico dell'antico Oriente; però anch 'essi sono stati, in P, talmente filtrati sotto l'aspetto teologico , che di comune rimane poco più che il vocabolario . Di fronte alla superiore maturità spirituale di P, possiamo es sere certi che alcuni concetti non rispondenti alle idee della sua fede pote­ rono facilmente essere evitati o rifusi . Gen. I ignora la lotta tra due principi pri mordiali personificanti forze cosmiche; .nessun accenno di opposizione a Dio ! Il caos non ha affatto ·potenza propria ; non può affatto essere detto esistente per se stesso; per · la fede esso esiste solo in virtù della volontà creatrice e Ordinatrice di Dio che lo domina . Nei testi nord-cananei di Ras Schamra (II metà del secon­ do millennio) non si è trovato nessun mito vero e proprio

Osservazioni sul racconto sacerdotale della creavone

7 9'

della creazione. Ma nel descrivere le lotte fra gli dèi che por­ tano ad un'azione creativa, essi lasciano facilmente intendere quale fosse l'ambiente religioso col quale Isr aele venne a in­ contrarsi. Non ci si meraviglia mai abbastanza della forza che rese possibile a Israele di sganciarsi da questo complesso di idee e di parlare del rapporto di Dio col mondo in maniera del tutto diversa . Ancora un'osservazione sulla struttura interna dell 'insie­ me : la frase del v. 1 rappresenta la somma dell 'intero capi­ tolo, e tutte le affermazioni seguenti , che in un certo senso non sono altro che sviluppi di questa frase programmatica, si muovono, fondamentalmente, da una parte sulla linea sta­ bilita dal primo versetto del capitolo : tutto è creato da Dio, al di fuori di lui non esiste alcuna potenza creatrice . Atcanto a questa linea (che possiamo chiamare orizzontale) , che attra­ versa dall 'inizio alla fine l'intero racconto della creazione , ne va però rilevata un 'altra , ascensionale, che stHbilisce una chia­ ra gerarchia nel rapporto delle creature col creatore ; infatti non tutte si trovano in uguale rapporto di immediatezza con Dio . Al punto più lontano da Dio , teologicamente ancora dif­ ficile da formulare, si trova il caos. La notte è bensl una crea­ tura , però, in quanto tenebra caotica gettata in un ordine co­ smico, non è affatto, creaturalmente, allo stesso grado del giorno . Le piante hanno rapporti immediati solo con la terra feconda, mentre il loro rapporto con Dio è soltanto mediato, in quanto Dio , «con la sua parola, feconda » (Calvino) la ter­ ra . Più su ancora stanno gli animali. Qui abbiamo l'uso spe­ cifico del verbo bara' , 'creare'. Si distingue però chiaramente tra animali acquatici e animali terrestri. I primi - in corri­ spondenza della maggiore distanza fra Dio e le acque -, han­ no origine dalla parola imperante e creatrice , i secondi dalla terra , resa partecipe della facoltà di creare . Riveste una par­ ticolare importanza la formula di benedizione rivolta alle creature, che abilita gli animali alla procreazione. (Il motivo dell'assenza di questa benedizione a proposito degli animali

So

La preistoria biblica

terrestri è stato spiegato più sopra; ma forse la benedizione del v. 2 2 potrebbe valere insieme anche per gli animali ter­ restri. ) Al vertice di questa scala sta l 'uomo ch'è direttamente in rapporto con Dio. Il mondo quindi è orientato verso l'uo­ mo, nel quale esperimenta il suo contatto più puro con Dio. La conseguenza più elementare di questa affermazione è che l 'uomo non può cercare nel mondo, nell'ambito della natura, la sua immediatezza di rapporto con Dio. È significativo che solo di passaggio compaia il concetto di 'natura' creante, e in modo del tutto limitato (v. I I e v . 24) ; predomina incon­ trastato il concetto di 'creatura' . Non c'è motivo di negare che P faccia le sue grandi affer­ mazioni di fede nella forma e in stretto legame con la 'scien­ za naturale ' sacra del suo tempo . La cosa non è certo cosi semplice da poter mettere senz'altro da parte, come teologi­ camente senza importanza, tutto ciò che nel racconto della creazione può essere ascritto a un'antica concezione del mon­ do. Altrimenti il contenuto di Gen. I si ridurrebbe alla sola frase che Dio ha creato il mondo . Ma faremmo in questo modo grave torto a tutto il lavoro compiuto da Israele lungo il corso dei secoli , per determinare quel rapporto di Dio col mondo, che ha trovato in questo capitolo una particolareg­ giata espressione . Abbiamo visto come all'interno di Gen. I le idee, col passare del tempo, si siano andate evolvendo ver­ so una forma più adeguata (ad esempio riguardo al creare me­ diante l'azione o mediante la parola). Da queste pagine ci resta dunque da cavare un patrimonio teologico importante e ben più vasto che non la sola affermazione che Dio ha crea­ to il mo�do. Israele non ha semplicemente preso dall'antico Oriente una concezione anodina e si . è limitato ad aggiun­ gervi il v. 1 . Proprio perché Israele era vincolato alla sua fede in Jahvé, non poteva più parlare di lotte di dèi o divinizzare i misteri della terra creatrice (v. 24 ! ) , ma doveva costruirsi la sua idea del mondo in base a questa fede. Anche se, sotto l'angolazione della scienza che oggi noi possediamo, quel-

Genealogia dei patriarchi da Adamo a

Noè (J}I-J2)

BI

l'idea è superata, l'esegeta non può prescindere dall 'immçnso contenuto teologico , condensato in questo capitolo. Per ora seguiamo la tradizione sacerdotale fino a Noè ; presenteremo poi la narrazione dello Jahvista, nella sua forma originaria, pure ess a fino a Noè.

2 . Genealogia dei patriarchi da Adamo

a

Noè ( _;,1-32 )

1 Ecco il libro della discendenza di Adam : Nel giorno in cui Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio. 2 Maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò (Uomo(, nel giorno in cui vennero creati. 3 Adam visse I JO anni, poi generÒ un figlio e) a sua somiglianza, secondo la sua immagine, e lo chiamò Set. 4 Dopo la nascita di Set, Adam visse 8oo anni e generò figli e figlie. 5 Così Adam visse in tutto 930 anni, poi morì. 6 Se t visse Io 5 anni, poi generò Enos. i Dopo la nascita di Enos, Set visse 8 0 7 anni e generò figli e ,figlie. 8 Cosl Set visse in tutto 9I 2 anni, poi morì. 9 Enos visse 90 anni, poi generò Qenan. 10 Dopo la nascita di Qenan, Enos visse 8 I 5 anni e generò figli e figlie. 11 Cosi Enos visse in tutto 90 5 anni, poi m or}. 12 Qenan visse 70 anni, poi generò Mahalalel. 13 Dopo la nascita di Mahalalel, Qenan visse 840 anni e generò figli e figlie. 14 Così Qenan visse in tutto 9IO anni, poi morì. 15 Mahalalel visse 6 5 anni, poi generò ]ered. 16 Dopo la nascita di ]ered, Mahalalel visse 8 3 0 anni e generò figli e figlie. 17 Cos� Maha­ lalel visse in tutto 895 anni, poi mor}. 18 ]ered visse I 62 anni, poi generò Enoc. 19 Dopo la nascita di Enoc, ]ered visse 8 oo anni e generò figli e figlie. :m Così ]ered visse in tutto 962 anni, poi morl. 21 Enoc visse 65 anni, poi generò Metuselah. 22 Enoc camminò con Dio. (E Enoc' e) dopo la nascita di Metuselah visse J OO anni e ge­ nerò figli e figlie. 23 Così Enoc (visse' e) in tutto 36 5 anni. 2A Enoc camminò con Dio, poi non c'era più, perché Dio l'ha rapito. 25 Metu­ selah visse I 8 7 anni, poi generò Lamec. l6 Dopo la nascita di Lamec, Metuselah visse 7 82 anni e generò figli e figlie. 27 Cos} Metuselah vis­ se in tutto 96 9 anni, poi morì. 28 Lamec visse I 8 2 anni, poi generò un figlio. 29 Egli lo chiamò Noah, dicendo : «Costui ci recherà , nella

fatica e nel lavoro delle nostre mani, un sollievo tratto dal suolo, che Jahvé ha maledettO>> . 30 Dopo la nascita di Noah, Lamec visse 595

anni e generò figli e figlie. 31 Così Lamec (visse' e) in tutto 7 77 anni, poi morì. 32 Noah visse 500 anni, poi generò Sem, Cam e Jafet. I . Cfr. Biblia Hebraica. 2. Or. Biblia Hebraica.

82

La

pre!storia biblica

Ha qui inizio un nuovo capitolo della preistoria. La sezio­ ne è sacerdotale, e un tempo rappresentava il seguito imme­ diato del cap. 1-2,4a. Ora però non si tratta più di creazione del mondo e di benedizione dell 'uomo ; Noah (Noè ) e l'u1na­ nità noachitica : ecco l'oggetto della narrazione. Abbiamo an­ zitutto una introduzione a Noè . Bisogna però notare che non si tratta di un brano secondario, di transizione, ma piuttosto di un tema a sé stante e con carattere proprio, che riguarda un periodo di tempo ben determinato. Anzitutto nel cap . 5 va considerato il tentativo di articolare teologicamente i tem· pi del mondo e dell 'umanità . Alla fede veterotestamentaria in Jahvé (a differenza della concezione mitologica ciclica, pro­ pria delle religioni dell'antico Oriente) è annesso un senso del tempo molto marcato ; essa sa di una storia di Dio con gli uomini e col suo popolo d'Israele, conosce dei periodi uni­ ci e irreversibili . Questa divisione in epoche della storia del­ la .salvezza è una caratteristica saliente della redazione sacer­ dotale. La descrizione di quest 'epoca post-adamitica vien fatta me­ diante una genealogia di dieci anelli con dati cronologici pre­ cisi sull 'età, il tempo della generazione del primogeni t o, ecc . L'ultimo anello della catena è aperto verso il basso ; i dati su Noè sono incompleti, poiché la Scrittura di lui e del suo pe­ riodo intende parlare dettagliatamente. (La conclusione for­ male dell'ultimo anello si ha soltanto dopo la storia del dilu­ vio, in Gen. 9 ,2 9 ) . L'interesse prima di tutto si volge naturalmente ai nume­ ri . È molto probabile che i numeri degli anni di Gen. 5 siano in un oscuro rapporto proporzionale con altri dati della sto­ ria biblica della salvezza (istituzione del tabernacolo ? con­ quista del paese ? costruzione del tempio? ) ; ma una chiave soddisfacente che ci introduca nel senso teologico del sistema che sta alla base non è ancora stata trovata. Che i numeri del­ la tavola dei semi ti ( I I , I o ss .) siano accordati in sistema con quelli della nostra lista, è probabile. Se si assommano i pe-

Genealogia dei patriarchi da Adamo a

Noè (),I-J2)

riodi di tempo delle due liste, e vi si aggiungono i dati di 2 1 ,5 ; 2 5 ,2 6 ; 47;9 ; e Ex. 1 2 ,40 l'uscita dall'Egitto si colloca nell'anno 2 666 ; avremmo cosi due terzi di un'era · mondiale di 4000 anni . Oltre al nostro testo masoretico canonico , si devono però tener presenti anche i dati stranamente diversi dei Settanta e del Pentateuco Samaritano. Un gruppo di ese­ geti recenti ritiene come originari i dati di quest'ultimo, men­ tre l'esegesi della chiesa antica propendeva per i LXX. Non va esclusa, però, nemmeno la possibilità che le diverse serie di testi si siano successivamente corrette a vicenda. Ciò è pa­ cifico per Metuselah; secondo il cod . A egli sarebbe soprav­ vissuto al diluvio di circa 14 anni, il che diede occasione a dispute a non finire nella chiesa antica. Il cod. D (con altri) ha assunto la data della generazione presentata dal T.M . , avanzando l'arino del diluvio. Per quanto riguarda l'elevata età di vita, non è il caso di ricorrere ad artifìzi apologetici (stranissimo è il fatto del­ l'avanzata età in cui avviene la procreazione) ; qui l'autore condivide le concezioni diffuse nell'antichità circa la durata della vita dei patriarchi. (Un'analoga lista babilonese di re ­ cfr. pp. 8 5 . I 84 ss. - calcola gli anni di regno in decine di migliaia . ) Noi però, al di là di questa forma letteraria singo­ lare e condizionata storicamente, dobbiamo cercar di cogliere l'importante lezione della fede: una testimonianza dell'eleva­ ta forza vitale della primi tiva umanità conforme alla creazio­ ne (ed insieme un giudizio di riserva sull'attuale nostro natu­ rale stato di vita) . Dobbiamo tener conto altresl che la reda­ zione sacerdotale non aveva una storia della caduta che par­ lasse teologicamente di perturbamenti e della decadenza in­ tervenuti nell'originario stato creaturale delPuomo, e intro­ ducesse a trattare delle condizioni di vita dell'umanità noa­ chitica. Abbiamo qui però qualcosa di analogo, e dobbiamo considerare il lento decrescere dell'età (portato alle estreme conseguenze nel sistema samaritano) come un progressivo decadere delle forze, in origine molto rigoglios� , dell'uomo, ,

La preistoria biblica

in proporzione all'allontanamento del suo punto di partenza , secondo la creazione. La fonte P computa, come età di vita dei patriarchi da Adamo a Noè , un tempo che sta tra i 700 e i I ooo anni , da Noè ad Abramo tra i 200 e i 6oo anni , per i patriarchi di Israele tra i I o o e i 200 anni e per il presente tra i 70 e gli 8o anni . Gen. 5 , pertanto , delinea, per cosl dire, un «periodo di transizione, durante il quale la morte, intro­ dotta dal peccato, soltanto a poco a poco vinse la forte resi­ stenza fisica della natura umana delle origini » (Delitzsch ). Veramente la redazione sacerdotale non parla della causa, ma solo del fatto di questa decadenza , in consonanza con la sua inclinazione a concentrarsi sulla testimonianza degli or­ dinamenti ogget tivi , provenienti da Dio . È · invece lo Jahvi­ sta a preoccuparsi soprattutto dell 'elemento umano e del suo bisogno di salvezza. I -3

. La grande genealogia porta questo titolo : «Ecco il libro della discendenza di Adam» . La formula : si trova preposta a undici pericopi contenenti degli elenchi, il cui rapporto letterario con la redazione sacer· dotale viene variamente spiegato 3 • Ma non può esserci dub.. bio che la frase «Ecco il libro della discendenza . » designi l'inizio di un vero libro, probabilmente un «libro delle toze_ dot» , composto di sole genealogie, liste e al più brevissime annotazioni teologiche; in Gen. 5 , I ce ne è stata conservata l 'antica intestazione. Questo libro può bene rappresentare l 'antichissimo nucleo della redazione sacerdotale, che a par­ tire da esso, mediante elaborazioni sistematiche ispirate alle più diverse tradizioni sacre, si è venuta lentamente svilup· pando. L'importan te descrizione della creazione doveva na turalmente trovare posto prima dell 'inizio del libro (che co. minciava con Adamo ) ; in questa occasione ricevette anch'es­ sa il titolo imposto dalla coerenza del sistema : 'elleh toledot, . .

. .

3 · Gen. ,,I ; 6,9; Io,I ; I I ,I0.27; 2,,I2 .I9; ,36,1 .9; 37 ,2; Num. 3,·I . von �d, Die Priesterschrift im Hexateuch, 33 ss.

Genealogia dei patriarchi da Adamo a Noè (j,I-J2)

«queste sono le . . . » (Gen. 2 ,4a) . Esso è secondario rispetto all 'antico libro delle toledot; anzi, applicato al «cielo e alla terra» , il termine toledot vi perde il suo significato originario di 'generazioni', 'elenco delle generazioni'. In Gen. 2,4a, or­ mai toledot può essere tradotto col significato generico di ' storia delle origini'. Osservazioni particolari : la lista s'inizia con una ricapito­ lazione alquanto circostanziata dei principali dati teologici sulla creazione dell'uomo ; sembra però che la tradizione di 5 , 1-3 avesse una certa autonomia nei confronti del cap. I . In particolare, qui 'adam , 'uomo', viene usato come nome pro­ prio (Adamo), il che non era il caso né del cap. I né dei capp. 2-3 . Anche la notizia che Dio ha chiamato cosl la sua creatura non trova alcun riscontro in I , 2 6 ss . L'affermazione della somiglianza del primo uomo con Dio viene ampliata teologicamente mediante l'annotazione che Adamo, a sua vol­ ta, ha generato il suo figlio Set a sua immagine e secondo la sua somiglianza. La somiglianza con Dio non era quindi pro­ prietà esclusiva del primo uomo, ma è stata trasmessa nella serie delle generazioni. Per il lettore l'attualità di tale_ testi­ monianza poteva essere garantita solo attraverso questa inte­ grazione ; senza una trasmissione, infatti , il rimando a un uomo primitivo fatto ad immagine di Dio sarebbe un di­ scorso mitologico privo di valore. I nomi della genealogia sacerdotale dei Setiti corrispon­ dono in maniera sorprendente a quelli della tavola jahvistica dei Cainiti (Gen. 4 , I 7 ss. ) . Si tratta evidentemente di un'uni­ ca e medesima lista che, con minime variazioni · ortografiche e, qua e là, con qualche mutamento nell'ordine successivo , fu usata in diversi contesti della tradizione. Esistono pari­ menti dei rapporti tra questa lista e quella dei dieci re babi­ lonesi primitivi che avrebbero regnato fino al diluvio (AO�, 1 4 7 ss. ) . Tuttavia essi non sono cosl stretti come si è potuto ritenere finora 4• Anche la tradizione babilonese riferisce che 4· H. Zimmem, in : Ztschr. d. Dt. Morgenlind. Gesellschaft, 1924, 19 s.

La preistoria biblica

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il settimo re fu improvvisamente rapito dagli dèi e messo a parte dei loro segreti ( Eno�) ; e il decimo, anche qui , è l 'eroe del racconto del diluvio . È però importante rilevare =

come questa tradizione primitiva sulle origini dell 'umanità sia stata intesa diversamente in Israele. Qui non si tratta dei nomi di re primitivi , dei rappresentanti mitici di una polis, ma dei patriarchi, cioè dei rappresentanti dell'umanità non ancora divisa in nazioni. In Israele non si è ceduto alla ten­ tazione di assolutizzare la religione particolare della polis arretrandone la datazione e derivandola, con un procedimen­ to mitologico, dalla creazione stessa.

22- 2 4 . A motivo della sua concisione risulta assai strana e

misteriosa la proposizione concernente la genealogia di Enoc «Enoc camminò con Dio» , e dopo esser vissuto 3 65 anni , «non c'era più , perché Dio lo aveva rapito» . È importante notare come lo stile della redazione sacerdotale, teologica­ mente cosi contenuto, riesca a trattare anche cose che in realtà si trovano al margine estremo del mistero che avvolge il rapporto di Dio con l'uomo . Esso parla di una comunione di vita con Dio che sta al di là delle nostre possibilità d'i m­ maginazione ; attribuisce infatti il 'camminare ' con Dio solo ai membri dell'umanità anti-diluviana (cfr. Gen. 6 ,9 ; Abra­ mo camminò davanti a Dio, Gen. 1 7 , 1 ). Qui non si scorge ancora nulla di quel morboso interesse dei posteri per Enoc , «miracolo di scienza divina » (Ecclus 44 , I 6 ), grande iniziato agli arcani misteri di Dio. Si nota solo il fatto concreto di un commercio confidenziale con Dio da una parte, e del ra­ pimento nella vita deli' al di là , dali ' al tra ; e ciò, agli occhi dell'umanità post-diluviana , è certo un documento significa­ tivo della libertà della divina elezione e di una potenza che n�n trova alcun limite neppure nella morte . Il verbo laqap ( avente come soggetto Dio , come oggetto un uomo ) è un ter­ mine teologico per indicare il rapimento nell'altra vita (2 Reg. 2 , 1 o ; Ps. 49, 1 6 ). Il passo a dir vero crea l'impressione

Genealogia dei patriarchi da AIUmo a No� (J,I·J2)

che qui si abbia solo un cenno fugace a una tradizione in real­ tà molto più vasta, per cui rimane aperto il problema se mol­ to della tradizione apocalittica di Enoc non appartenga a un patrimonio assai più antico e cronologicamente anteriore (e non posteriore) alla redazione sacerdotale. Metusalem è for­ ma d'origine e di significato oscuri ; essa si trova già nella chiesa antica. 29.

Quanto si dice di Enoc riflette ancora, per cosl dire, la luce di un eone trascorso, per cui rimanda piuttosto verso il passato; quello invece che Lamec dice della consolazione derivante da Noè, al v. 2 9, è pienamente rivolto in avanti, verso il futuro. È una frase che presuppone già una lunga esperienza della sofferenza terrena; è importante, però, come una delle prime testimonianze della speranza in una consola­ zione offerta da Dio all'uomo . Il contesto non precisa in che cosa consista la consolazione di Noè. Ci si riferisce al sacri­ ficio che, con Noè, sarebbe entrato ad esprimere i rapporti tra Dio e l'uomo, alla stabilizzazione degli ordinamenti natu­ rali avvenuta con il perdono divino (Gen. 8 ,20 ss .), oppure alla prima coltivazione della vite (Gen. 9 , 1 8 ss. ) ? Su questo versetto, che a motivo della sua connessione con Gen. 3 in origine apparteneva alla genealogia j ahvistica dei Seti ti , do­ vremo ritornare ancora (cfr. commento a Gen. 9 , 1 8 ss. ) . L'età avanzata causa notevoli sincronismi ed interferenze : Adamo ha visto la nascita di Lamec, cioè del nono membro della genealogia; Set ha visto il rapimento di Enoc ed è morto poco prima della nascita di Noè. Lamec ha visto il primo morto: Adamo ; Noè è sopravvissuto a Nahor, nonno di Abramo, ed è morto solo quando Abramo aveva 6o anni . Sem, figlio di Noè, è persino sopravvissuto ad Abramo . Egli era ancora in vita quando nacquero Esaù e Giacobbe! Alla domanda di Delitzsch, se i dati cronologici fossero stabiliti veramente con la coscienza di queste conseguenze, tenendo conto dell'accurata precisione con cui vengono riferiti i dati

Lz preistoria biblica

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nella redazione sacerdotale, pare si debba rispondere in ma­ niera affermativa. «Perciò vi è st ata una vera etil dell'oro, al cui confronto i l nostro tempo può appena essere detto una bagatella ; in essa infatti nove patriarchi sono vissuti con­

temporaneamente ai loro discedenti ... Questo è il vanto maggiore del mondo pri­ mitivo, l'aver avuto contemporaneamente, l'una vicino all 'altra, tante persone pie, sagge e sante. Non pensiamo infatti. che quelli fossero dei nomi corrent i , di gente semplice e ordinari a; invece, sono stati gli eroi per eccellenza . . . Nel giudizio finale ne vedremo la maestA e saremo ammirati nel considerarne la storia gloriosa e le gesta ... Nessuno però ha da credere ch'essi siano vissuti senza le maggiori soffe­ renze, senza la croce e la tent azione . Tutto ci diventerà chiaro e manifesto nel giudizio finale» ( Lutero , W.A. XLII, 245 ss . ). Alla gene alogia dei Setiti, nella tradizione sacerdotale, faceva seguito immedia­ tamente il racconto d el diluvio. Riprenderemo la redaz. sace rdo tale a pp. I 57 ss. 3· Storia

jahvistica del Paradiso ( 2�b-25 )



Quando Jahvé, Dio , fece la terra e il cielo, 5 né v'era alcun arbusto di steppa sulla terra , e nessuna erba del campo ancora germogliava

perché Jahvé Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, né esi­ steva alcun uomo che coltivasse il terreno 6 e soltanto acqua profon­ da ( ? ) saliva dalla terra per bagnare tutta la superficie del terreno ; 7 allora Jahvé Dio modellò l 'uomo con polvere del terreno, soffiò nelle sue nari un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente . 8 Jahvé Dio piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi pose l'uomo, che ave­ va plasmato . 9 Jahvé Dio fece germogliare dal terreno ogni specie di albero, bello a vedersi e buono a mangiarsi, e l'albero della vita nel mezzo del giardino, e l'albero della conoscenza (del bene e del male) . 10 Un 6ume esce in Eden per irrigare il giardino, e di là si divide e forma quattro ra.m i . 1 1 Il primo si chiama Fison: esso circonda tutta la regione di Havila, ove c'è l'oro . 1 2 L'oro di questo paese è puro ; là si trova anche la resina bedola� e la pietra soham. 13 Il secondo fiume si chiama Gihon : esso circonda tutto il paese di Kush. 14 Il terzo 6ume si chiama Tigri e scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l 'Eufrate . ts Jahvé Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden per colti­ varlo e custodirlo . 16 Jahvé Dio impose un precetto all'uomo , dicen­ do : «Tu puoi mangiare di ogni albero del giardino; 17 d eli' albero del­ la conoscenza ( del bene e del male) non magiame, perché il giorno che tu ne mangiassi , moriresti certamente» . 18 Disse Jahvé Dio : «Non è buona cosa che l 'uomo sia solo ; gli farò un aiuto, che gli sia come un (perfetto) corrispondente » . 19 Jahvé Dio

Storia jahvistica del Paradiso ( 2Ab-2J) formò dal terreno tutti gli animali del campo e gli uccelli del cielo, e li condusse davanti all'uomo , per vedere come li chiamasse ; e come chiamasse l 'uomo gli esseri viventi , tale fosse il loro nome . 20 L'uomo impose i nomi a tutto il bestiame e a tutti gli uccelli del cielo e a ogni fiera del campo; ma, per l'uomo e ) , non trovò un aiuto corri­ spondente a lui . 21 Jahvé Dio fece scendere un sonno profondo sull'uomo, che si ad­ dormentò . Egli prese una delle sue costole e saldò la carne al posto di essa. 22 Jahvé Dio modellò una donna con la costola che aveva tolto all 'uomo e la condusse all 'uomo . 23 L'uomo disse : «Questa vol­ ta è osso delle mie ossa e carne della mia carne ; questa si chiamerà donna ( 'issa) perché dall'uomo ('H) fu tratta» . 2.. Perciò l'uomo lascia suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna , e formano una sola carne. 25 Ambedue erano nudi , l'uomo e la sua donna, e non ne pro­ vavano vergogna .

Dal tempo dell'irruzione della scienza critica nella teologia la storia del paradiso e della caduta è stata continuamente sottoposta a profonde analisi . I risultati delle ricerche pub­ blicati in molte monografie e in articoli furono i più dispa­ rati e spesso fra loro molto contrastanti, concordi però nel­ l'opporsi con veemenza all'interpretazione tradizionale della chiesa . Erano soprattutto le molte discrepanze, i doppioni ed altre incongruenze a sorprendere l 'esegeta specializzato nella critica e a indurlo a gravi dubbi sull'unità e compattezza in­ tema del testo. Cosl si è di continuo tentato di risolvere le difficoltà col metodo della semplice distinzione delle fonti . La forma più moderata era quella che supponeva all'origine un filone principale che si sarebbe in seguito arricchito me­ diante glosse ed altre aggiunte (Budde) ; più in là invece an­ davano le ricerche che, specialmente nella variante dell'al­ bero della vita, credevano dr scorgere elementi di una narra­ zione parallela, un tempo autonoma (Gunkel , Procksch) . Ma più avanti di tutti andò H. Schmidt stabilendo tre racconti ch'egli crede di · poter distinguere anche letterariamente nei I. Cfr;

Biblia Hebraica (o mantenere il T .M.? Vedi Jacob, ad l. ).

La preistoria biblica

loro elementi fondamentali 2• Oggi però si fa sempre più stra­ da la convinzione che le possibilità di affrontare le difficoltà di Gen. 2 e 3 col metodo della semplice suddivisione lettera­ ria, sono relative e attualmente paiono esaurite. Un'analisi più approfondita ha messo in risalto un altro punto di vista, cioè l'ipotesi di diversi contesti narrativi, formati e raccolti in unità già molto avanti l'attuale stesura letteraria. Quello pertanto che incontriamo di incoerente e di frammentario nel racconto non può senz'altro essere spiegato dall"analisi' letteraria per il fatto che non è sorto a motivo di una 'com­ binazione' letteraria, ma attraverso una simbiosi di molteplici tradizioni antichissime, molto prima della compilazione per iscritto ad opera dello Jahvista. Abbiamo già visto come, fin dallo stadio della tradizione orale, queste antiche storie - me­ diante il cambiamento della motivazione interna o mediante l'assunzione di materiali narrativi affini fossero, per cosi dire, in continuo movimento, per cui si può facilmente am­ mettere che in questo o in altro modo «si siano prodotte discontinuità e contraddizioni, senza peraltro dover negare a questi racconti unità e sviluppo organico » (J. Begrich 3) . Accanto alla critica letteraria deve dunque agire la critica del materiale. È chiaro che con questo metodo diventano molto più difficili le prospettive di ricostruzione degli elementi usa­ ti. Del resto non è questo il compito principale dell'esegesi, tanto più che si fa strada un metodo di studio più sintetico e globale (dr. specialmente P. Humbert, Etudes sur le récit du Paradis et la chute dans la Genèse, 1 940 ). In diversi punti la conoscenza degli strati anteriori dell'attuale testo ci può preservare da erronee interpretazioni ; ma non è da credere che il racconto di Gen. 2 s . , nonostante certe tensioni e diver­ genze, sia un cumulo di recensioni staccate; esso va piuttosto inteso come un tutto, con uno svolgimento unitario di pen-

H. Schmidt, Die Erzahlung vom Paradies und Siindenfall, 193 1 : similmente giA Meinhold, in Festschrift fiir Budde, 1920, 122 ss . 3· In : ZAW, 1932, 99· 2.

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siero. Il commentatore deve anzitutto mettersi di fronte a questo complesso definitivo. Il testo di Gen. 2 s . riporta un racconto. Esso non è (a� meno direttamente) una trattazione dottrinale, ma una sto­ ria, un tratto di una strada percorsa e che non si potrà più ripercorrere. È pacifico che qui si vuoi presentare una rela­ zione di fatti che ognuno conosce e la cui realtà nessuno può mettere in dubbio. Essi si svolgono nel campo in cui si com­ pie la storia dell'uomo con Dio, per cui i mezzi espressivi di cui si avvale la narrazione sono di versi da quelli usati dallo storico. Leggiamo un racconto che procede per immagini , le più semplici e limpide; ma ciò , naturalmente, non 'significa che esso non intenda riferire interamente delle 'realtà' . Cer­ to, contiene anche elementi dottrinali, ma in maniera molto più indiretta che, ad es. , Gen . 1 ; sono soltanto impliciti nei fatti presentati al lettore. Ed è proprio qui che va ravvisata la causa di molte interpretazioni errate. Il racconto vuole so­ lo che lo seguiamo passo a passo sulla via che esso stesso per­ corre. Riguardo alla condizione originaria e aHa caduta i pro­ blemi sono assai più di quelli cui esso dà una risposta. Nel mondo teologico, e ancor più in quello popolare, proprio su questi temi i moduli concettuali si sono fin troppo cristalliz­ zati . Bisogna inoltre tener conto che, circa la felicità dello stato primitivo, nel pensiero cristiano si sono introdotte in­ sensibilmente anche idee mitiche extrabibliche. L 'esegeta de­ ve liberarsi da tutti questi condizionamenti . Non c'è forse un secondo testo biblico che di fronte alla farragine di problemi che vanno ad arenarsi contro di esso, sia cos) sobrio, e la cui testimonianza passi, come qui, per una strada stretta come una lama di coltello . Chi non s 'affida tutto ad essa, la smar­ risce completamente. ·

4h-7 . Il racconto s 'inizia con un periodo un po' pesante v. 4b- 7 ) , che però non è sconnesso o addirittura mutilo del­ l'inizio . Si tratta piuttosto di qualcosa che risente di una for-

La preistoria biblica

ma stilistica tradizionale (cfr. il poema babilonese della crea­ zione del mondo o anche la Preghiera di Wessobrunn). In ogni caso, per l'ingenua mentalità degli antichi è cosa natura­ lissima dare un 'idea dello stato primitivo con un procedimen­ to negativo. La determinazione temporale del v. 4b è molto generica, come pure la descrizione mediante le cinque propo­ sizioni secondarie coordinate fra loro : non esistevano né il cespuglio che cresce spontaneamente nella steppa, né le erbe delicate della terra coltivata, poiché la pioggia non cadeva ancora dall 'alto e sulla terra non c'era il lavoro di coltiva­ zione dell'uomo ; l'irrigazione in genere era assicurata solo dall'acqua profonda ( ? ) che saliva dall'abisso. In confronto a P, sorprende già qui la trascuratezza della narrazione. Della creazione dell'edificio vero e proprio del mondo, si parla solo di sfuggita in una piccola premessa staccata. Dove incomincia, nel periodo, la proposizione principale ? Al v . 6 (comparsa della prima irrigazione) o al v . 7 (frasi esprimenti uno ' stato' - prima azione) ? La seconda ipotesi , sintatticamente e contenutisticamente, è preferibile. La so­ luzione del problema è resa più difficile dall'enigmaticità del­ la parola 'ed (Lutero : nebbia) . Iob 3 6 , 2 7 fa pensare alla 'nebbia', al cvapore'. In base all 'accadico, invece, sarebbe me­ glio tradurre con ' ondata'. I LXX traducono con 'fonte'. Noi preferiamo l'interpretazione di Albright 4• Risulta chiaramen .. te che l'' ed sale dalla terra . Il senso sarebbe che solo l'acqua primordiale saliva. Il v. 6 appare cosl una specie di proposi­ zione incidentale che segue i dati negativi e precede quelli po­ sitivi. A differenza di Gen. I , I non si può parlare qui di una creazione del mondo, mentre nel documento sacerdotale se ne trattava con ampi particolari. Nelle frasi introduttive (v. 4-6) la creazione del mondo, propriamente, compare solo nel senso di terminus a quo. Il racconto riguarda piuttosto l'uo­ mo, la sua creazione, la cura che Dio si prende di lui . Lo sce4· Journal of Biblical Literature, 1938, 23 1 . Cosl anche E.A. Speiser, Bull . of the Americ. Schools of Oricnt. Res. 140 ( 1955) 9-1 1 .

Storia jahvistica del Paradiso ( 2�4/1-25)

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nario abbozzato dallo Jahvista, dopo la premessa generale, è l'ambito, assai più ristretto, della terra. In Gen. I la creazio­ ne del mondo segue il movimento dal caos al cosmo ; nel no:­ stro racconto, invece, lo stato primitivo è descritto in oppo­ sizione alla terra coltivata, come un deserto. È il mondo am­ biente dell'uomo, il mondo della sua vita - la terra coltivata, il giardino, gli animali, la donna -, quello che Dio costruisce in seguito attorno all'uomo: Resta cosl fissato il tema princi­ pale di tutto il racconto : l''adàm-'adama (uomo-terra ). Le idee cosmologiche che ispirano la narrazione jahvistica della creazione sono quindi assai diverse da quelle che ci presenta P, e devono provenire da un ambiente di vita e .di tradizioni totalmente diverso. Qui l'acqua è l'elemento utile alla crea­ zione, mentre in P, e più che mai in alcuni salmi (cfr. pp. 5 6 ss .), ne era il nemico . I n questo mondo, visto da un'angola­ tura totalmente antropocentrica, l'uomo è la prima creatura . «Nel cap. I l'uomo è il vertice di una piramide; n�l cap. 2 è il centro di un cerchio» (Jacob) . Il solenne epilogo del lungo periodo è rappresentato dal v. 7 ; esso, dopo le proposizioni indicanti uno 'stato', riferisce la prima azione, e precisamente la creazione dell'uomo. Dio lo 'modella' con della terra; il legame vi tale creazionale esi­ stente tra l'uomo e la terra viene espresso con particolare ac­ centuazione dali 'uso delle parole ebraiche 'adam e 'adama. (Il vocabolo 'polvere' è forse qui aggiunto per adeguarsi a 3 , I 9b.) Ma l'uomo, formato di terra,_ diventa un essere vi­ vente solo in virtù del soffio vitale che Dio gli infonde. n e­ lama corrisponde al nostro 'soffio'. Questa potenza vitale di­ vina viene personificata, individualizzata soltanto mediante la sua in traduzione nei corpi materiali ; solo il soffio che si unisce al corpo rende l'uomo un 'essere vivente'. Cosl il v. 7 è un locus classicus dell'antropologia veterote­ stamentaria, che non distingue qui tra corpo ed 'anima', ma , più realisticamente, tra corpo e vita. Il soffio vitale divino che si unisce alla materia rende l'uomo un 'essere vivente', sia

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nella parte fisica che in quella psi�hica . Questa vita nasc� di­ rettamente da Dio, con la stessa immediatezza con cui il cor­ po umano inanimato ha ricevuto il soffio dalla bocca di Dio piegato sopra di lui. Ciononostante è innegabile, in sordina, un certo tono cupo; c'è già una sommessa anticipazione della situazione dell'uomo post-adamitico . Quando Dio ritira il suo soffio (Ps. 1 04 , 2 9 s ; Iob 34, 1 4 s.) , l'uomo ricade in una ma­ terialità inanimata. L'unione dei due nomi divini Jahvé-Elo­ him (Jahvé-Dio) dal punto di vista sintattico è strana (tra l'altro l'espressione riesce cliffìcile a tradursi; forse i due ele­ menti sono uniti in stato costrutto? ) , come pure sorprende il suo uso (nel Genesi infatti ricorre solo nella storia del para­ diso e della caduta, usata però dal principio alla fine; al di fuori del Genesi, nel Pentateuco si trova una sola volta) . For­ se qui è dovuta a un intervento redazionale: in origine era usato il nome Jahvé, cui fu più tardi aggiunto quello di Elo­ him in maniera da garantire l'identità di questo J ahvé con l'Elohim di Gen. r . Può dipendere anche da motivi liturgici . 8 . Per l'uomo, Dio pianta un giardino in Eden, che possiamo

immaginarci come un recinto con alberi (Ezech. 3 I , 8 ) . In Oriente la coltura degli orti era diffusa ovunque; meno quel­ la del parco, ch'è stata introdotta solo con i grandi re. Qui traspare la versione più antica che riteneva Jahvé proprieta­ rio del parco . Il nostro racconto sulle sue orme considera chiaramente questo giardino come una zona sacra, nella qua­ le è presente la divinità e che perciò è custodita da cherubini (dr. commento a 3 ,2 4). Eden è qui nome proprio di un pae­ se, nell'estremo Oriente. Non è chiara la tradizione concreta soggiacente a questo nome e non sappiamo se esso possa ve­ nire messo in relazione con analoghe designazioni toponoma· stiche del periodo storico (2 Reg. 1 9 , r 2 ; Is. 3 7 , 1 2 ) . Se non riusciamo a diradare gli enigmi, dipende solo dalla nostra scarsa conoscenza dell'ambiente storico-geografico che circon­ dava �sraele, oppure dal fatto che già l'israelita dell'epoca dei

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re non ann etteva più alcun contenuto storico-geografico con­ creto al termine Eden ? Già il nostro racconto del resto parla in modo stranamente impreciso una volta di un «giardino in Eden» (v . 8 ) - e qui Eden sarebbe il nome di un paese -, poi del «giardino Eden » - sarebbe allora il nome del giardino ( 2 , 1 .5 ; 3 ,2 3 s. ) - e infine anche soltanto di «Eden>> ( 4 , r 6 ) . Mol­ to più importante è che l'israelita sentiva sicuramente adom­ brata in questo nome proprio la sua parola '"eden , 'delizia'. Con questa colorazione Eden si incon tra anche presso i pro­ feti come un concetto ben determinato con connotazione mi­ tico-teologica, cioè quasi come un sinonimo di paradiso (Is . .5 1 ,3 ; Ezech. 2 8 , 1 3 ; 3 1 ,9 ) . Si deve però notare che nel no­ stro racconto gli elementi mitici sono scomparsi quasi del tutto (a differenza delle allusioni di Ezechiele) . Non si può definire il giardino come giardino di Dio in senso stretto, e tanto meno come abitazione degli dèi. Il giardino è stato pre­ parato solo per l'uomo e dev 'essere inteso come un dono del­ la benevola provvidenza di Dio per l'uomo da lui creato. 9 · Il v. 9 parla ancora dell'origine del giardino ; è perciò sicu­ ramente un doppione del v . 8 . (Anche la collocazione dell'uo­ mo nel giardino viene riferita una seconda volta, al v. r 5 ) . Qui la descrizione delle delizie del giardino è più ·animata ; una grande varietà di alberi ( 3 ,7 nomina il fico ; Ezech . 3 r , 8 s . i cedri, i cipressi e i platani), e, al centro , l'albero della vita e l'albero della scienza del bene e del male. Di un albero della vita, i cui frutti maturano di continuo e conferiscono l'immortalità, parlano i miti di molti popoli . Nell'A.T . , che indulge così poco alla mitologia, quest'idea quasi sorprende. Dell'albero della vita parla ancora il libro della Sapienza, pe­ rò con i termini sbiaditi di un linguaggio figurato (Sap. r I ,

3 0 ; 1 3 , 1 2 ; 1 _5 ,4 ) .

L'albero della scienza, i cui frutti danno l'onniscienza, non è più ricordato altrove nell'A.T. È difficile dissipare il sospet­ to che i due alberi al centro del paradiso non siano altro che

lA preistoria biblica

il risultato della fusione posteriore di due tradizioni . Anche nel seguito del racconto solo un albero, quello della scienza , ha importanza, mentre soltanto verso la fine ( 3 , 24) si ripren­ , de a parlare dell albero della vita. A questa constatazione og­ gettiva se n 'aggiunge un'altra, di carattere sintattico : l'ac­ cenno all'albero della scienza appare forzato, dopo la preci­ sazione betok haggan («al centro del giardino» ) , che si rife­ risce all'albero della vita ! Un problema a parte è costituito dalla specificazione dell'albero della scienza («del bene e del male » ) . Qui, e soprattutto nell'ammonizione di Dio al v. 1 7a, si tratta forse di un'anticipazione, ad opera di un commenta­ tore più recente, di quello che si verrà a sapere in seguito; senza dire che anche qui è duro il legame sintattico dell'in­ finito sostantivato hadda'at («del conoscere . . . » ) con un og­ getto. Così nel v . 9b e 1 7a tob wara\ « del bene e del male» , può essere un'aggiunta posteriore. Qui dapprima facevano immediatamente seguito i vv. 1 6 s . , con l'ingiunzione di Dio all 'uomo . Ora, invece, è interposta la pericope seguente. La

pericope dei fiumi del paradiso (vv. 1 0- 1 4)

1 0· 1 4 . Essa non ha alcuna importanza per il tema sviluppato fino a questo punto, né altrove se ne riprendono gli elemen­ ti ; si trova anzi persino in contraddizione con un dato del racconto (v . 8 );per cui deve essere considerata come origina­ riamente esistente a sé, e attratta solo in seguito dalla storia del paradiso, senza tuttavia raggiungere una piena intima fusione. Un fiume irrora il paradiso e poi si divide in quattro ra­ mi : ed ecco che ci troviamo improvvisamente in mezzo al nostro mondo storico e geografico . L'autore traccia un'imtna­ gine del grande sistema fluviale che abbraccia tutto il mon­ do a lui noto . Infatti mediante il numero quattro si delinea la globalità del mondo (cfr. i quattro comi, simbolo dei regni del mondo, in Zach. 2 , 1 ss.) . Il primo fiume era il più difficile

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da descrivere; una serie di indicazioni a livello di storia della civiltà ha lo scopo di supplire alla indeterminatezza della rappresentazione; forse si intende parlare del mare che bagna la penisola arabica, o addirittura del lontano Indo. Il secon­ do fiume non può essere il Nilo senz'altro, ma piuttosto il Nilo della Nubia, a sud della prima cataratta, che anche gli Egiziani ritennero per molto tempo distinto dal loro Ni]o . O forse per Kush si intende non l 'Etiopia, ma kussu, il paese dei Cossei , nella parte occidentale dell 'altopiano iranico ? La indicazione offerta dalla tavola dei popoli ( I o ,4) appoggereb• be questa interpretazione . Bisogna qui , come del resto in tut­ ta la sezione, tener conto delle idee confuse che tutta l 'anti­ chità aveva sull'origine e il corso dei grandi fiumi. Anche geo­ grafi molto più recenti condividono in parte, al riguardo, con­ cezioni puramente fantastiche. Il terzo fiume è il Tigri, il quarto l 'Eufrate. Questa descrizione presuppone che l 'Eden e il paradiso si trovino in una qualche regi�ne del nord, nella zona monta­ gnosa (Armenia? ), nella quale nascono i grandi fiumi. (Cfr; la tradizione che colloca il monte di Dio al nord, Is. I 4 , I 3 ; Ps. 48 , 3 .) Che abbondanza inesprimibile di acque ci deve es­ sere nel paradiso, se il fiume , dopo aver irrorato il giardino , può ancora estendersi con quattro rami a tutto il mondo e fecondarlo ! Tutta l 'acqua che si trova al di fuori del para­ diso e che alimenta tutte le coltivazioni, non è altro, per cosl dire, che una piccola parte, un sovrappiù dell'acqua del para­ diso . Indubbiamente questa sezione , di un senso cosi pro­ fondo pur nella sua eterogeneità, intende dare un abbozzo del reale mondo geografico . Abbiamo qui uno schema anti­ chissimo di carta geografica . Il suo interesse si restringe alla situazione idrica del mondo abitato; ma bisogna riflettere che in Oriente l 'acqua è il fondamento di ogni vita civilizzata. Troviamo qui quello che non abbiamo trovato più sopra (dr. il v. 8 ) : uno stretto legame fra l 'Eden con il giardino da una parte, e il mondo storico dell'uomo dall'altra; verosimi]men-

La preistoria biblica

te l'intero passo è stato introdotto qui a motivo di questa cir­ costanza. Esso vuole sottolineare il significato di attualità dell 'Eden per l'uomo che si trova fuori del paradiso, serven­ -dosi proprio dell'immagin� di questa corrente ininterrotta di acqua che procede dal paradiso stesso (i vv . r o ss. contengo­ no una proposizione nominale, esprimente cioè uno 'stato' ). I 5. Dopo questa digressione, con il v. I 5 ci ritroviamo nella vera e propria storia del paradiso. Il verso è chiaramente in parallelismo con il v. 8b ; in più, però, dice a quale scopo l'uomo si trova nel giardino: dovrà lavorarlo , e preservarlo da ogni danno ; specificazione, questa, che sta in contrasto con le ordinarie idee fantasiose sul 'paradiso '. Anche la no­ stra parola ' paradiso', in quanto nome proprio (non cono­ sciuto dal testo dell'A.T. ) indicante una cosa sui generis, implica Ùna obiettivazione di carattere mitico , al di là della rigorosa riserva del racconto biblico.

1 6- I 7 . (Frey) , anche nel suo stato primitivo l'uo­ mo era destinato al lavoro . Che nel giardino fosse tenuto a cu­ stodirlo , significa poi che l'uomo era chiamato ad un rapporto di servizio e doveva dar prova di sé in un ambito che non gli apparteneva in proprio (Jacob) . Il seguente discorso di Dio mette definitivamente a tacere qualsiasi tentativo di consi­ derare il giardino come un eliso godereccio . Dio incomincia con una grande liberalità, che rivela ancora una volta la ric­ chezza della sua paterna provvidenza, sottolineando insieme la vastità dell 'ambito in cui l'uomo poteva muoversi in pie­ na libertà, senza ostacoli e limitazioni di sorta . Viene eccet­ tuato soltanto un albero, fra i molti . (Si sottolinea così la gravità della caduta : nonostante tutta questa larghezza, l 'uo­ mo non è soddisfatto, e vuole spuntarla proprio qui ! ) La proibizione di Dio, di fronte alla libertà illimitata di usare di tutti gli alberi, non era quindi affatto opprimente , e nel

.Storitt jahvistica del PtJradiso (2Ab-2J)

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rontempo metteva l'uomo davanti a una scelta e alla serie­ tà del problema dell'obbedienza . Chiedersi a quale scopo miri la proibizione divina, come hanno fatto ·spesso i com­ mentatori , è, a nostro avviso , totalmente fuori luogo; si trat­ ta di qualcosa di indiscutibile. Né è detto nel racconto che Dio abbia inteso annettere intenzioni pedagogiche a questo comando (nel senso di uno sviluppo 'morale ' dell 'uomo) . Simili razionalizzazioni distruggerebbero l�essenziale. Pure l'uomo dello stato originario si trovava pienamente sotto l'auto�ità di Dio, e a Dio anche nel paradiso nessuno po teva chieder conto di quel che faceva (cfr. Iob 9 , 1 2 ; Dan. 4 , 3 2b). È il serpente ( 3, I ) a mettere in discussione per primo il comando . Tenendoci al testo, possiamo, al massimo, dire che questo comando era certamente benintenzionato, dettato dal sentimento paterno di Dio . Ciò che proibisce non era certo � bene per l 'uomo ; anzi , carpito nella disobbedienza, avreb­ be avuto per lui effetti disastrosi . Quanto semplice e sobria si presenta la nostra narrazione, al confronto dei barocchi mi­ ti dei popoli pagani. In essa il senso della vita paradisiaca è fatto consistere tutto nel problema dell 'obbedienza a Dio, e non nel piacere e nella liberazione dal dolore, ecc. La diver­ genza tra la minaccia della morte (vi si dice ' dovrai morire' e non 'diventerai mortale') e la pena che poi effettivamente colpirà l 'uomo sarà . considerata avanti , nel comm. a 3 , 1 9 . Si deve inoltre ammettere che il porre in bocca a Dio il nome dell'albero quale «albero della scienza del bene e del male» suona duro per noi . Prescindendo dalla difficoltà sin­ tattica (vedi sopra al v. 9b ), l 'uomo lo riconosce già come tale? E se Dio rivela già qui il segreto , che senso può avere la spiegazione arrecata dal serpente ( 3 ,5 ) ? Il mutamento, di­ verse volte proposto, «dell 'albero al centro del giardino» (cfr. Biblia Hebraica) corrisponde esattamente al tenore della proi­ bizione, quale viene presentata dalla donna ( 3 ,3 ) ; nondime­ no bisogna domandarsi se il narratore non parli piuttosto ai lettori e non sia quindi molto meno legato, nella sua esposi-

1 00

LA preistoria biblica

zione, dalla legge della credibilità psicologica. Il lettore occi­ dentale deve inoltre tener conto che nell'espressione « scienza del bene e del male>>, secondo l'uso linguistico dell'A.T., il binomio bene e male non viene usato solo, né di preferenza, in senso morale. « Scienza del bene e del male>> significa l'on­ niscienza nell'accezione più ampia del termine. Tra gli argo­ menti addotti per riferire quest'espressione all 'esperienza specificamente sessuale (> ), ma, in quanto tale, è totalmente priva di prospettive e senza la speranza di poter giungere me­ diante un qualche eroismo alla vittoria. Ed è appunto questa la vera maledizione : il suo terribile vertice è rappresentato da questa lotta senza speranza, nella quale entrambi si con­ sumano . L'interpretazione della chiesa antica, che vedeva qui una profezia messianica , l 'indicazione di una vittoria fi­ nale del seme della donna (protovangelo) , non è conforme al senso del passo, anche prescindendo dal fatto che la pa­ rola 'seme' non può essere intesa in modo personale : di un determinato uomo, ma in maniera del tutto generale, solo nel senso di 'posterità'.

1 6. La

donna e l'uomo non sono maledetti ; non ha senso parlare della loro 'maledizione'. Tuttavia d'ora innanzi gravi angustie e terribili contrasti irrompono nella vita della don­ na. Si tratta di tre realtà che, a motivo dell'insanabile t en­ sione in cui si trovano fra loro, rie minano la vita . 1 . Angu stie della gravidanza, dolori del parto e tuttavia 2 . un pro­ fondo desiderio dell 'uomo , nel quale 3 · non trova però appa­ gamento e pace (Ruth 1 ,9 ) , bensl un assoggettamento umi­ liante. «Schiava dell 'istinto, e però associata nel modo più diretto al prodigio della creazione; gemente sotto i dolori , piegata dalle doglie , oppressa, schiacciata, avvilita e pian­ gente . . » (Vischer, Christuszeugnis, 8o). Donde queste soffe .. renze, questi contrasti , queste umiliazioni nella vita della donna. ? Non è senza significato che il nostro racconto pre­ scinda completamente da tutto questo nel parlare della crea..

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1 16

zione . Qui interviene una colpa primordiale ; la fede vi scorge una punizione di Dio. I 7- I 9 . L'uomo è colpito dal castigo della fatica e della mi­ seria dei mezzi di sostentamento, che d'ora innanzi dovrà procurarsi da solo . Come colpisce la donna nella più profon­ da radice del suo essere di madre e di sposa, cosl la puni­ zione investe l'uomo nel nerbo vitale più intimo : nel suo la­ voro , nella sua attività e preoccupazione per il sostentamen­ to . Qui , come già per il serpente, viene pronunciata la parola maledizione ; essa però non colpisce l'uomo in sé, ma , per così dire, attraverso lui, va molto oltre, in profondità , fino a raggiungere il fondamento ultimo di ogni esistenza umana, investendo il campo più elementare dell'opera dell 'uomo : la terra . E anche qui subentra una frattura, una opposizione , un 'alterazione profonda che investe la creazione : l'uomo era stato tratto dalla terra e ad essa orientato; essa era la ma trice della sua esistenza, per cui esisteva una solidarietà creazio­ nale tra l'uomo e la terra . Ma in questa unione è sopraggiunta una rottura, un'alienazione che si manifesta in una muta ed accanita guerra tra l 'uomo e la terra da coltivare. È come se un bando pendesse ora sulla terra, e le proibisse di donare .ali 'uomo un facile provento , per sostentarsi. Probabilmente sono due le forme di vita fuori del para­ diso , delle quali parla la maledizione :

B

A VV .

1 7 . 1 9 ab

Maledetto sia il terreno per cau­ sa tua! Con pena ne trarrai il ci­ bo tutti i giorni della tua vita. Col sudore del tuo volto mange­ rai il pane ; finché tornerai al ter­ reno, dal quale fosti tratto .

VV.

1 8 . 1 9C

. . . Spine e triboli ti produrrà, e

tu mangerai l'erba del campo,

perché tu sei polvere e alla pol­ vere ritornerai .

La prima formulazione (A) si richiama alla condizione degli agricoltori (i fellahim) e alla inesausta tribolazione con la

Storia della caduta (J,I-24)

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quale traggono dalla zolla il sostentamento; l a seconda (B) invece pensa piuttosto al beduino nella steppa. La sua esi­ stenza è meno caratterizzata dalla fatica per la coltivazione dei campi che dalla povertà e meschinità del sostentamento che gli è concesso. Questa frase, pertanto, motiva eziologi­ camente l'indigenza dei due principali modi di vita nella re­ gione palestinese 4• Dopo l 'unione delle due formulazioni , che certamente in uno stadio più antico esistevano separate, dal punto di vista tematico ha sicuramente il sopravven to la maledizione della terra e quindi l'accentuazione della miseria della vita agricola ; tuttavia l'unione ha insieme reso più am­ pia la sentenza, che parla cosl non solo della fatica, ma an­ che degli stenti dell'esistenza umana. È superfluo sottolineare che queste parole non conside­ rano il lavoro in sé come una pena ed una maledizione. L 'uo­ mo era tenuto al lavoro anche nel paradiso ( 2 , 1 5) . Ma l '�gio­ grafo ritiene una dissonanza all'interno della creazione, che non può essere spiegata con l'ordine originario voluto da Dio, il fatto che questo lavoro renda cosl faticoso il vivere, i fal­ limenti e le delusioni che lo minacciano e spesso lo fanno apparire privo di senso, come pure la sproporzione esistente tra la fatica che esso esige e l'effettivo rendimento. Sono cer­ to rapporti impenetrabili quelli che la sentenza prospetta tra l 'uomo e la terra ; essa non osa specificare meglio quanto dice del disordine provocato dall'uomo, che ora ha colpito anche la terra in un bando di miseria ; lo afferma soltanto come un fatto. Entrambe le formulazioni (A e B) si chiudono con uno sguardo alla morte, vista come un ritorno dell'uomo alla ter­ ra ; e qu�sto pensiero ha ricevuto nella forma attuale della sentenza un'espressione altisonante. Tuttavia non è del tutto facile stabilire il significato esatto del passo . La morte, qui, è vista davvero come una pena ( , ma 'morirete' ; il che non si era per nulla verificato . E può essere stata non ultima intenzione dell'agiografo quella di mostrare che Dio non aveva attuato la sua terribile minaccia, ma aveva lasciato prevalere un atto di grazia. Con queste riflessioni non abbiamo tuttavia esaurito la questione. C'è anzitutto il fatto che ora si parla della realtà della morte. E come se ne parla ? Come della fine tenebrosa, in cui irreparabilmente ogni vivente ritorna ad essere polve­ re e terra. Ciò, per lo meno, significa che ora, di questa fine, l 'uomo viene a sapere che cosa sia, ne prende coscienza e de­ , ve accettare che questa consapevolezza getti un ombra su tutta la sua vita. C'è poi un secondo fatto. Nell'attuale pro­ spettiva dell 'intero racconto, da una parte una minaccia di morte precede l'azione e dall'altra, alla fine, si ha una parola tremenda sulla morte reale. Questa frase in tutta la sua into­ nazione è certamente deprimente per l'orecchio dell'uorno; essa non sarebbe mai stata rivolta così comunque potes­ sero andar le cose a riguardo della mortalità o immortalità degli uqmini - all'uomo prima della sua caduta, e perciò, te­ maticamente, rientra con un peso particolare nella sentenza di .punizione. Comunque dobbiamo accontentarci di afferma­ re questo : la sentenza non può essere fatta coincidere del tutto con la minaccia di 2 , 1 7 ; infatti gli uomini non sono morti dopo la loro azione e la sentenza punitiva per parte -

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sua mira talmente alla vita che si deve considerare questa stessa vita, malgrado tutto, come lasciata all 'uomo e non per­ duta in linea di principio (dr. osservazioni conclusive ). 2 o . Con le sentenze di punizione di 3 , 1 4- I 9 che spiegano eziologicamente, all a luce della fede, le gravi disarmonie e gli enigmi dell'attuale vita umana, s 'è raggiunto un vertice, anzi una certa conclusione .. Con.tinuando il suo racconto, al di là di questa cesura, il redattore, che generalmente si serve di tradizioni preesistenti, non poté evitare alcune incongruenze e fratture. Ne è un chiaro esempio, come fu notato da tempo, il passaggio dal v. 1 9 al v. 20 : l'imposizione del nome alla donna (per la seconda volta, dopo 2 ,2 3 ! ) non è al suo posto qui, quasi come prima eco della sentenza di pWtizione. « Ma­ dre di tutti i viventi» è infatti un nome onorifico; e non pre­ suppone inoltre ch'essa abbia già generato? Pure il termine aramaico /;Jew;a' , 'serpente' , ha fatto ·supporre che anterior­ mente il racconto esistesse in una forma diversa, co.n soli due attori : l 'uomo e una divinità (ctonia? ) a forma di serpente. Tuttavia la cosa non è evidente . Ma anche se questo verset­ to in origine può essere nato da altri contesti e fungere qui da sutura, ora si deve cercare di spiegarlo nella sua colloca­ zione attuale. Si può essere quasi certi che il narratore ha collegato nel lll;odo più stretto il termine /;Jawwa (Eva ) con l'ebraico I;Ja;, �a;;a vita. Nell 'imposizione di questo nome alla donna da parte dell 'uomo si può ben vedere un atto di fede, certo non inteso come fede nelle promesse, .che sareb­ bero state implicite nelle sentenze di punizione, ma un affer­ rarsi alla vita, vista come un grande miracolo e mistero che la maternità della donna trasmette e conserva al di là della fatica e della morte. Più sopra, a proposito di 3 , 1 9 , abbiam detto che l'uomo poteva considerare la vita perduta in parte, ma non del tutto, nonostante le punizioni. Questa vita, che viene continuata dalle madri oltre la morte dei singoli, ota egli l 'abbraccia e la benedice anche se è sotto la minaccia del=

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la morte. Chi può esprimere compiutamente tutto il dolore, l 'amore e la fierezza contenuti in questa frase? 2 1 . La proposizione, secondo la quale Dio avrebbe fatto agli uomini delle tuniche di pelle, sta in evidente opposizione con 3 ,7 e in realtà può provenire da un'altra cerchia di tradizioni . Bisogna aver imparato a leggere nella semplicità espositiva del nostro agiografo, per capire il senso di questa frase. Si tratta, certo, di una semplice elemosina che Dio lascia cadere lungo la via nelle loro mani, un ( 2 I , I 5 ; 3 , 23 s . ) . Parimenti difficile è stabilire in maniera sod­ disfacente l'ubicazione del paradiso ( 2 ,8 indica l 'Oriente ; i vv . I O s s . il nord della Palestina) . In una versione più antica e più semplice la punizione degli uomini consisteva certo nel­ la cacciata dal giardino. La sentenza punitiva dei vv. 1 4- I 9 può essere intesa come una interpretazione largamente anlpli­ ficativa di questo fatto, riferito in maniera così succinta . Si è già detto della tensione che ancora esiste tra la minaccia della morte in 2 , I 7 e la condanna di 3 , I 9 . Infine bisognereb· be ricordare la strana designazione di Dio con 'Jahvé-Elo-

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him' . Anche questa duplicità si può forse spiegare mediante la fusione di due tradizioni . Non è compito di un commento distinguere tra loro, deli­ neando ciascuna nella sua forma presumibilmente più antica, le varie tradizioni fuse in unità nei capi toli 2 e 3 . Da molti oggi si ammette che la storia del paradiso e della caduta ri­ sulti di due narrazioni prima tra loro indipendenti : una sto­ ria della creazione dell'uomo ( 2 , 4b -7 , I 8-24) e una storia del giardino (2 ,8-I 7 ; 3 , I-24) . Quest'ultima è stata poi ampliata con due altri temi : l'albero della vita ( 3 , 2 2 ) e soprattutto la sentenza del castigo ( 3 , I 4- I 9) . Si vede chiaramente che in una versione più antica le punizioni non erano due, ma una e cioè l'espulsione dal giardino ( 3 ,2 3 s. ). La sentenza di con­ danna, che investe l 'intera esistenza dell'uomo e della don­ na, nella sua gravità eccede in certo senso l 'ambito di quanto è accaduto 6• Tuttavia i vari tentativi di scindere le singole tradizioni che ebbe presenti l'autore del racconto attuale , si rivelano in breve mere ipotesi : anche interpretazioni diverse possono accampare argomenti a proprio sostegno . Resta co­ munque sempre mirabile che il narratore sia riuscito a creare con materiali antichi qualcosa di assolutamente nuovo . E re­ sta pure compito principale dell'esegeta quello di abbordare la vastità di significati pressoché inesauribile che la narrazio­ ne offre, senza mutilazioni , ma anche senza 'dogmatismi ' pre­ concetti. Proprio nell'elaborazione di questi antichi materiali si scorge come l 'autore si sia sforzato di subordinarli a una tematica molto più ampia e di inserirli in un nuovo quadro . Fra il cap . 2 e il cap . 3 ad esempio non si può disconoscere una cesura alquanto profonda , ma balza subito agli occhi co­ me i materiali dell 'uno e dell'altro siano messi in relazion� fra loro . Il serpente > 7• I molteplici e profondi disor­ dini della vita umana trovano la loro radice in quel disordine 7· A. Weiser, Deutsche Theologie, 1937, 1 7.

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che si è introdotto nelle relazioni con Dio. Più precisamente : Gen. 3 afferma che ogni sofferenza proviene dal peccato . Nondimeno, con simili sintesi si corre anche il pericolo di lasciar perdere in altri suoi strati il ricchissimo contenuto del racconto . Pensiamo al modo in cui è presentato l'uomo , co­ me colui che vorrebbe essere simile a Dio quanto a scienza ed esperienza ; abbiamo cosl davanti a noi una specie di mo­ tivo prometeico . Con questa scienza strappata a viva forza s'introduce un superiore 'sviluppo' ; ma l.'uomo paga questo progresso con la perdita della semplicità dell 'obbedienza ; si tratta di una « scienza contraria a Dio , che perciò non ci con­ duce al paradiso, ma al contrario ci precipita nella miseria » 8• In questo racconto è implicito anche un elemento di grave critica della civiltà . Tutto sommato, esso finisce su una nota profondamente triste. L 'uomo era totalmente avvolto dalla bontà provvidente di Dio . In modo incomprensibile però egli ha negato a Dio l'obbedienza. Il paradiso è irrimediabilmente perduto ; non è rimasta all 'uomo che una vita di stenti , nel� l 'ombra di uno snervante mistero ; una vita irretita in una lot­ ta senza quartiere e senza speranza con la potenza del male , per finire votata fatalmente alla maestà della morte. All 'interno dell'A .T. i contenuti di Gen. 2 , e in particolare di Gen. 3 stanno in uno strano isolamento . Più nessuno , né un profeta né un salmista né un narratore, farà una minima allusione riconoscibile alla storia della caduta . Perciò si �in­ dicherà rettamente lo Jahvista solo considerandolo in questa sua unicità : completamente libero davanti alle tradizioni ri­ cevute e neppure iniziatore egli stesso di una tradizione o di una ' scuola ' . Ma ciò non dovrebbe indurci a considerare que­ sta sua te�timonianza preistorica della creazione e della ca­ duta come sostanzialmente a sé stante e senza rapporto alcu­ no con quella della condotta particolare di J ahvé nell' allean­ za . Soltanto ciò che l 'autore sapeva di Jahvé, Dio di Israele, poteva autorizzarlo a scrivere in questi termini . Certo , gli ar8. H. Gressmann ,

Christliche Welt, 1926, 846.

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gomenti di cui amava parlare altrove la fede di Israele, per bocca dei suoi storici, sacerdoti e profeti , erano diversi da quelli di questa storia primitiva ; tuttavia tra le due parti cor­ rono svariate e importanti linee di unione. È difficile che un lettore sia disposto ad accettare per sé sola la narrazione di Gen. 2-3 , e proprio perché non può appagarsi delle sue affer­ mazioni. Sente che la cosa non è finita; necessariamente in­ terroga sul 'dopo ' . Lo Jahvista viene incontro a questo biso­ gno nel senso che anche in seguito, per narrare di Abramo e di Mosè, tiene sempre l'occhio alla storia di questi primi uo­ mini, di fronte a Dio . E non è casuale che l 'escatologia e l'apocalittica riprendano con tanta cura i temi della storia pri­ mitiva (paradiso, uomo primordiale , pace con gli animali , ab­ bondanza di acque, ecc. ). In ogni caso, dietro la protologia come dietro l 'escatologia dell 'A.T. sta la rivelazione di Jah­ vé, Dio d 'Israele. S · La storia di Caino ed Abele ( 4,1-16 ) 1

L'uomo conobbe Eva , sua moglie ; ella concepl e partorl Caino e dis­ se : «Ho acquistato un uomo ( ? ) grazie a Jahvé ( ? ) >> . 2 Ella partorl an­ cora Abele, suo fratello. Abele era pastore di greggi, mentre Caino coltivava la terra . 3 _Avvenne, in capo a un certo tempo, che Caino presentò dei pro­ dotti della terra in offerta a Jahvé ; 4 pure Abele offrl i primi nati del suo gregge, e le loro parti grasse. Jahvé guardò Abele e la sua offerta ; 5 non guardò invece Caino, né l 'offerta di lui . Caino ne fu molto irritato e teneva la testa bassa . 6 J ahvé gli disse : «Perché sei adirato e perché tieni la testa bassa? 7 Non è cosl ? Se tu operi be­ ne, la alzerai ( ? ) ; se invece non operi bene, il peccato è accovacciato all a porta ; le sue brame sono rivolte a te , ma tu puoi dominarlo>> . 8 Disse Caino a suo fratello Abele : («Andiamo nel campo») . E quan­ do furono nel campo Caino si levò contro suo fratello Abele e lo uc­ cise . 9 Allora Jahvé disse a Caino : «Dov'è tuo fratello Abele? » . Egli rispose : «Non lo so. Sono forse io custode di mio fratello ? » . 10 (Jah­ vé) riprese: «Che cosa hai fatto ! Ascolta ! Il sangue di tuo fratello gri­ da a me dal suolo ! 11 Or dunque sii maledetto, (allontanato) dal ter­ reno fertile, che ha aperto la sua bocca per ricevere dalla tua mano il sangue di tuo fratello . u Quando tu coltiverai la terra, essa non ti da-

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rà più le sue ricchezze : errante e fuggiasco tu sarai sulla terra>> . 0 Al­ lora Caino disse a J ahvé : «La mia punizione è troppo grande da sop­ portare ! 14 Ecco : tu mi cacci oggi dal terreno fertile, e io devo nascon­ dermi dal tuo cospetto ed essere errante e fuggiasco sulla terra : chiun­ que mi trovi mi ucciderà ! >> . 1 5 Jahvé rispose : «No e ) , se qualcuno uc­ ciderà Caino subirà la vendetta sette volte tanto>> . E Jahvé impose a­ Caino un segno, affinché chiunque lo trovasse non lo percotesse. 16 Caino si allontanò dal cospetto di Jahvé, e si stabili nella regione di Nod, a oriente di Eden.

1 -2 . Questo nuovo racconto si riallaccia strettamente a quan­ to precede mediante il v. I . L 'uomo 'conosce ' la sua donna, ed essa genera il primo figlio . Viene usato qui e altrove l'eu­ femistico verbo ;ada'", 'conoscere', per connotare la relazione sessuale. Certo, questo verbo, che oltre all 'accezione di carat­ tere intellettuale comprende pure l 'idea di esperienza e di familiari tà (cfr . pp . I 00- 1 09 s . ) , era particolarmente adatto per una simile allusione . Caino, cosi si chiama il primogenito , significa 'lancia ' (2 Sam. 2 1 , 1 6 ) ed è attestato anche nell 'arabo antico come no­ me di persona . Tuttavia l'etimologia con cui la madre inten­ de dare una motivazione del nome è del tutto oscura. Ogni parola di questa breve frase fa difficoltà : il verbo qana, 'pro­ durre ', 'acquistare ', è t an to strano per la nasci t a di un figlio , quanto l'uso di 'is, 'uomo ', per un bimbo appena nato . Giac­ ché riferire 'is, 'uomo', al marito è ancora meno possibile. Del tutto inspiegabile rimane poi l'espressione 'et-ihwh , che non può essere intesa come accusativo, ma al più in senso preposizionale , anche se rimane da notare che 'et non signi­ fica mai «con l'aiuto di>> . Il passo rimane quindi oscuro . La destinazione dell'uomo e della donna ad una unione fisica era già stata sottolineata nel paradiso come un ordinamento in­ trodotto da Dio nella creazione . È però un fine giudizio da parte del nostro narratore l'avere collocato l'esercizio effet­ tivo della relazione sessuale fuori del paradiso. A Caino vien I.

Biblia Hebraica.

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dato poi un fratello che riceve il nome di hebel, 'Abele' . Man­ ca una spiegazione di questo nome; tuttavia al sentirlo si pensa all 'altra parola ebraica hebel, ' soffio', 'nulla', e si pren­ de questa assonanza come una triste allusion e a quanto suc­ cederà in seguito . Abele era pastore e Caino agricoltore. Ha cosi inizio la frattura, densa di conseguenze, dell'umanità se­ condo le professioni, che comporterà anche costumi di vita del tutto diversi . Questa frattura è molto profonda , porta alla distinzione degli altari e con essa s'introduce in realtà nel mondo a poco a poco la rovina della fraternità umana ; ma tutto questo provvisoriamente rimane ancora latente. I vv . I e 2 con tengono il preambolo ; la trattazione vera e propria s,inizia col v. 3 · 3-5 . Entrambi offrono il sacrificio . Il narratore non ha affat­

to interessi cultuali ; perciò menziona qui quasi incidental­ mente il primo sacrificio ; non si sa perché esso sia avvenuto (sulla base di quale istituzione) , né di qual tipo di sacrificio si trattasse . Al lettore invece è fatto notare con cura che cosa essi offrono e come ciascuno presti la sua adorazione alla diM vinità separatamente dall'altro ; in ciò egli deve vedere dei segni inquietanti . Il pastore offre del suo gregge, il contadino dei frutti della terra ; apparentemente tutto normale ! Eppure la diversità della loro vita non è per nulla esterna, ma va tanto nel profondo da manifestarsi fin nelle peculiarità degli atti religiosi . Il culto è strettamente condizionato dalJa cul­ tura , ed ogni cultura fa sorgere un culto a propria misura . Di qui la pluralità degli altari . Inoltre s 'aggiunge che Dio guardava non ad ambedue le offerte, ma solo a quella di Abele. Si è cercato con grande interesse di stabilire il motivo di una simile preferenza ; esso in ogni caso non consiste né nei riti , né nei sentimenti di Caino. Non si accenna a niente di simile . Unico punto di ap­ poggio nel racconto potrebbe essere che Jahvé preferisce il sacrificio cruento . Evidentemente l'agiografo è preoccupato

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di sottolineare come l'accettazione del sacrificio dipenda pie­ namente dalla libera volontà di Dio . Egli rinuncia a spiegare logicamente la decisione in favore di Abele e contro Caino («Farò grazia a chi la vorrò fare, e avrò pietà di chi vorrò avere pietà>> , Ex. 3 3 , 1 9 ) . Il racconto è talmente conciso e si affretta con tale impeto alla catastrofe, da non indulgere a particolari, pur necessari per la comprensione. Così non si viene a sapere in quale maniera Caino abbia potuto avere conoscenza di questo giudizio di Dio. Poiché tutto l'antico Oriente considerava come segno di accettazione o rifiuto di un sacrificio il guardar l'offerta, è possibile che anche qui si affermi quest'idea. Tuttavia il tratto non ha alcun rilievo . Un momento distensivo, prima del delitto, viene offerto al let­ tore solo con le parole di Dio al v. 6. In Caino era sorto un sordo rancore che lo aveva sfigurato (fin nel corpo) . 6-7 . Egli è invidioso, perché Dio guarda con volto benevolo

il fratello (Zimmerli ) . Dio gli parla mettendolo in guardia contro tale suo cambiamento e contro il pericolo di questo peccato che gli fermenta nel cuore. È un discorso paterno, che vorrebbe indicare, prima che sia troppo tardi, la via del ritorno all'uomo in pericolo. (È evidente quindi che Caino, quantunque la sua offerta non fosse stata accolta, non era definitivamente rigettato .) Particolarmente stringente è l'ap­ pello ali 'intesa rivolto a Caino ( ). Dio può an­ cora far leva sui sentimenti migliori del cuore umano . Pur­ troppo la frase non è tutta pienamente comprensibile. Il ver­ bo se' et' 'sollevare', del v. 7a non allude né al perdono né al­ la presentazione o accettazione del sacrificio ; piuttosto lo si deve riferire a panim' 'volto' (in opposizione a nafal, 'cade­ re', del v. 6b) : «Se tu operi bene, è sollevamento» , cioè tu puqi sollevare il tuo sguardo liberamente. Nel v. 7b il meglio è togliere l'ultima lettera di lparra't, 'peccato', e unirla alla seguente forma verbale, leggendo lpe( tirba!, > ! ). Sem è qui il popolo di Jahvé, e non il Sem di Gen. 10,22 ; d'altra parte, l'introduzione di Cam evidentemente vuole accordare la nostra storia con lo· schema di Gen. I o. Così il testo ha un aspetto ibrido che ren­ de particolarmente difficile comprenderne il senso ultimo. Un'altra diffi coltà proviene dal legame del nostro racconto con la storia del diluvio. In quest'ultima i figli di Noè sono sposati, qui invece vivono da celibi nella tenda del padre. Il fatto, pertanto, andrebbe collocato prima del diluvio, ma in tal caso riesce difficile immaginare la presenza nell'arca di Canaan, il maledetto. Nonostante queste incongruenze (cfr. la derivazione di professioni attuali da antenati particolari, in Gen. 4 , 2 0 ss. ), non ·è il caso di dire che qui ci sia un vero @one secondario, che corre parallelo al racconto principale jahvistico. Le tradizioni, che lo Jahvista riunl in una grande composizione, erano assai varie, ed egli sentiva molto meno di noi l'esigenza di un loro accordo interno. 20-2 3 . Noè era un agricoltore. Con questa affermazione vie­

ne ripreso il motivo ·dell'' adama che ha tanta importanza nel­ la preistoria jahvistica (cfr. pp. 1 1 6 s . 1 3 3 s.) . Anche dopo il diluvio l'uomo è tutto rivolto alla terra, e la sua esistenza è legata alla campagna che lo sostenta. Però (e questo è il si­ gnificato dell'inizio della nostra storia) con la terra turbata dalla maledizione non c'è più completamente lo stesso rap­ porto, in cui si trovava l'umanità di prima del diluvio. In 5 ,2 9 (dr. p. 8 7) , leggevamo sulla bocca del padre di Noè, una frase di sconforto per la fatica causata da questa male­ dizione, ma anche di speranza per il consolante alleggerimen­ to che Noè avrebbe portato. L'adempimento di questa spe­ ranza è descritto ora dal v. 2 0 : Noè, essendo agricoltore, co­ minciò a coltivare la vite, e perciò portò alla terra un sol­ lievo; con Noè ha inizio un addolcimento della grave maledi-

Maledizione e benedi1.ione di Noè ( 9,IB-19)

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zione: Dio, per mezzo suo, ha dato all'uomo la vite, cioè, secondo la mentalità dell'A.T., la più nobile delle piante (Ps. 1 0 4 , 1 5 ). «Possedere una vigna, goderne i bei frutti e ripo­ sare in pace alla sua ombra, era per gli Israeliti una delizia e un sogno messianico>> (Jacob). Si veda Gen. 49, 1 1 s.; I Reg. 5, 5 ; 2 Reg. 1 8 , 3 1 ; Os. 2 , 1 7 ; Mich. 4 ,4 ; Am. 9 , 1 3 . Il rac­ conto è insieme una 'saga di scopritore' . Noè deve sperimen­ tare per primo l'incognita del nuovo, anzi egli sarà piena­ mente sopraffatto dall'imprevista forza di quel frutto. La sua ebbrezza non deve pertanto essere giudicata sotto il profilo morale. La storia descrive al vivo quant'è avvenuto in quel momento, narrando dettagliatamente come Sem e Jafet ri­ pongano il mantello, ch'è insieme coperta (Ex. 2 2 ,2 6 ) , sopra il padre; stridente risalta, in cç>nfronto, la scostum.atezza del più giovane (Canaan, secondo la versione più antica) . È pos­ sibile che il narratore abbia voluto sottintendere qualcosa di più vergognoso che il semplice guardare (cfr. v. 24: «ciò che gli aveva fatto il suo figlio minore») . .2 4 .. 2 7 .

Sveglia tosi, Noè rivolge ai figli delle sentenze profe.. tiche. Oggi si cerca nel culto il luogo d'origine di queste sen­ tenze di maledizione e di benedizione sui popoli . Nell'ambito sacro, forse in feste speciali, dovettero essere proclamate da persone investite di particolari autorità (profeti cultuali? ) e ispirarsi alla fede della comunità. Le sentenze dei vv. 2 5 - 2 7 presentano Sem, Jafet e Canaan come tre figure che nell'an­ tico ambiente palestinese vennero certo distinte profonda­ mente tra loro. I tre fratelli non compaiono del resto l'uno accanto all'altro, ma Sem e Jafet sono contrapposti a Canaan e il loro rapporto con lui è descritto come quello dei padroni c�n il servo. Sul v. 2 5 vi è poco da dire. Canaan è maledetto per la sua scostumatezza ; perciò precipita in una profonda impotenza e schiavitù. L'A.T. lascia intendere in parecchi passi la meraviglia e l'orrore provati da Israele quando, en.. trato in Palestina, s'incontra con la depravazione sessuale

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dei Cananei (prostituzione sacra ). In ciò si vide eziologica­ mente il vero motivo della loro sconfitta di fronte agli Israe­ liti invasori (dr. specialmente Lev. 1 8,24 ss . ). La finezza del­ la seconda sentenza si avverte là dove essa, a questa denigra­ zione di Canaan, non contrappone una celebrazione di Sem, ma la lode del Dio di Sem. Quello che Sem è, e in cui è su­ periore agli altri non si fonda su prerogative umane; il bene di Sem è Jahvé. (L 'uso del nome Sem per indicare Israele è certamente insolito, anzi unico nell 'A .T. Forse il nome di Sem ha avuto un destino analogo a quello di habiru, che de­ signava quegli abitatori delle steppe, nullatenenti , che s'infil­ travano nei paesi coltivati dell'antico Oriente e dai quali poi nel primitivo Israele derivarono gli 'Ebrei '. Questa ipotesi ha qualche probabilità poiché secondo Gen. 1 0 ,2 1 Sem è il padre dei figli di Eber.) Il v. 27 è pieno di problemi . Il gioco di parole jaft 'elohzm zejefet va tradotto, come fecero già gli antichi , ed è ancora il modo più sicuro : (Jacob) . Il materiale usato per la costruzione è quello abituale in Mesopotamia . Il no­ stro autore, per il quale era ovvio l'uso delle pietre nella co­ struzione di grandi edifici, ricorda questo diverso sistema an­ che con un'intenzione particolare : il materiale che gli uomi­ ni adoperarono per la loro impresa ti tanica era così fragile ed inconsistente ! L'affermazione che la torre deve toccare il cielo, non si può forzare : è solo un modo d 'esprimere l 'altezza straordinaria di un edificio (dr. Deut. 1 ,2 8 ). Non si dice che gli uomini volessero dar l'assalto al cielo, la dimora di Dio (dr. invece Is. I 4 , 1 3 ) . Si deve piuttosto considerare la finezza del rac· conto nel non presentare direttamente come motivo di que· ste costruzioni qualcosa di inaudito, bensì qualcosa che sta nelle possibilità dell 'uomo, cioè da una parte la concentra­ zione di tutte le loro energie e dall'altra l'acquisto della glo­ ria , cioè un 'ingenua megalomania . Lo Jacob però indica an­ che il soggiacente motivo dell'ansietà . Si tratta pertanto del­ le forze di fondo di ciò che noi chiamiamo civiltà . Ma già in ciò il giudizio penetrante del nostro autore vede una ribel­ lione contro Dio , un segreto titanismo, o almeno - come mo­ strerà il v. 6 - il primo passo verso di esso. 5-7 . 'J ahvé scese' . Le preoccupazioni apologetiche per svigo·

rire questo antichissimo modo di parlare sono fuori posto, dato che lo Jahvista lo ha conservato senza farsene un pro­ blema. Nonostante tutto, qui si parla del Dio del mondo in­ tero e dell'umanità . Giustamente annota il Procksch, inter­ pretando questo modo di esprimersi entro il contesto jahvi­ stico, che Dio « deve avvicinarsi non perché sia corto di vista, ma precisamente perché abita nelle altezze inaccessibili, men­ tre l'opera degli uomini è tanto meschina. Il brano perciò va letto come una finissima ironia su ciò che fa l'uomo». L'oc-

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chio di Dio vede già la fine della via su cui l'umanità si è messa, le possibilità e tutte le tentazioni che una tale cospi­ razione di forze comporta . Un 'umanità, pur che si senta an­ cora unita in se stessa, ha le mani libere per tutto, cioè per ogni pazzia. L'azione pertanto, a cui ormai si risolve Dio, è insieme punitiva e preveniente, in maniera da non dover pu­ nire ancor più duramente in caso che la degenerazione cre­ scesse. Al ' suvvia, costruiamoci ! ' degli uomini corrisponde ora il 'suvvia, scendiamo ! ' di Dio . Il plurale in bocca a Dio presuppone un pantheon, un consiglio degli dèi. Ad Israele non era estranea l 'idea di una adunanza intorno al re celeste, secondo la concezione di Dio forse la più popolare che regi­ stri l'Antico Testamento (cfr . specialmente I Reg. 2 2 , 1 9 s . ; Iob 1 ,6 ). 8-9 . Dio distrugge l'unità dell'umanità; egli confonde la loro lingua, cosicché gli uomini, che ora non si capiscono più, de­ vono dividersi . Così l'umanità è 'dispersa', cioè divisa in una molteplicità di popoli . Nel nome della città si avverte ancora oggi un ricordo di quel primitivo giudizio di Dio . Natural­ mente questa interpretazione della parola Babele ('mesco­ lanza', da balal, 'mescolare' , 'confondere') non è etimologia esatta, ma liberamente escogitata dalla voce del popolo ; Ba­ bele, infatti , significa in realtà 'Porta di Dio'. Quanto alla forma, va notato che il racconto forse risulta di due pezzi, fra loro molto simili , cuciti insieme, cioè di un racconto sulla costruzione della torre (l'umanità costruisce una torr� per farsi un nome ) e di un al tro sulla costruzione della città (costruisce una città per non dispendersi ; per que­ sto Dio confonde la loro lingua, li disperde sulla terra) . Ma recentemente si è contestata l'esistenza di questa duplice tra­ dizione, a favore dell'unità . Quanto al contenuto, definiremo questa pagina anzitutto come una saga eziologica ; essa vuole spiegare come si sia giunti alla pluralità dei popoli e delle loro lingue; ma vuole anche spiegare il nome 'Babele'. Que-

L4 storia delltz lo"e di Babele e della confusione delle lingue (I I�I-9)

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sto doppio scopo eziologico mostra come già lo Jahvista ab­ bia ricevuto il racconto in una redazione relativamente tarda e complicata. Queste eziologie non derivano certamente da lui (sulla sua eziologia dr. pp. I 95 ss . ). Vedremo nella postil­ la alla preistoria , come egli, pur non privando il racconto di questo interno orientamento, gli abbia conferito un senso particolare, più ampio, nel complesso dell'intera vicenda pre­ istorica. La saga della confusione delle lingue tratta di un fenomeno storico che essa concretizza nella metropoli di Babilonia ; la saga stessa però certamente non proviene dalla città, ma ri­ vela riguardo a Babilonia delle idee che possono essere sorte solo fuori di essa. Babilonia nei tempi antichi , specialmente nel II millennio a.C . , era il cuore e il centro del mondo al­ lora conosciuto (Hammurabi, I 7 2 8- I 686}, e le irradiazioni della sua civiltà penetravano profondamente nei paesi finiti­ mi. Cosi anche in Palestina si avevano notizie leggendarie sul� le gigantesche realizzazioni del suo progresso, in particolare sulle possenti torri a gradini , in cui le civili aspirazioni di questo popolo forte si sono costruite un monumento imperi­ tUro. Esse forse raffiguravano, stilizzati, i monti degli dèi , e come tali et.:ano giganteschi edifici di culto ; le loro rovine si trovano ancora oggi nell'ambito di diversi santuari della re­ gione, e la loro forma originaria può essere ricostruita con sufficiente sicurezza sulla base di dati accadici e di una rela­ zione di Erodoto ( I , I 7 8 ss . ) . Ricordiamo un tentativo fatto da E. Unger: ZAW I 9 2 8 , I 6 2 ss . (cfr . anche AOB n. 47 3 ) , sebbene non abbia incontrato il consenso di tutti. Anche a Babilonia esisteva una simile ziqqurat (Etemenanki) , opera prodigiosa di mattoni smaltati a vari colori, di m . 9 r ,5 di altezza, restaurata più volte (fondata « nel seno del mondo inferiore» , « la sua cima deve arrivare fino al cielo» ). È pro­ babile che il racconto biblico abbia un lontano rapporto con essa. Un quadro diverso si avrebbe, traducendo migdal, dei vv .

L2

preistoria biblica

4 s. non con 'torre' ma con 'città', 'acropoli ' 2 , significato che

si può abbondantemente documentare anche nell'A .T. (Iud. 8 ,9 ; 9 ,46 s . ; l s. 2 , I 5 ; 2 Chron. 1 4 ,6 e passim , iscrizione di Mesa, r. 2 2 ). Per fortezze che ' arrivano al cielo' , si veda D eu t 1 ,2 8 ; 9 , I . Quest'interpretazione è degna di considerazione, poiché in verità la saga non presenta alcun dato sullo scopo dell'edificio (edificio profano o sacro ? ) . Il racconto impliche­ rebbe allora il passaggio dell 'umanità ad una difesa collettiva. Anche in tal caso tuttavia si dovrebbe ammettere che la saga si riferisca ad un'antica notizia di una costruzione mastodon­ tica in Babilonia , e tale sarebbe appunto , in modo partico­ lare, la ziqqurat Etemenanki. La saga vede comunque in un tale dispiegamento di forze un sintomo di ateismo, una ribellione contro l'Altissimo . In parecchi passi dell'A.T. Babilonia viene descritta infatti co­ me il compendio dell'orgoglio peccaminoso (ls . I 3 , I 9 ; I 4, I 3 ; Ier . 5 I ,6 ss . ) . Sembra che il racconto, nella sua compo­ sizione antichissima, rappresentasse la costruzione della tor­ re direttamente come un pericolo e una minaccia portata agli dèi. L'elaborazione jahvistica ha eliminato questo aspetto. Al contrario, ora al complesso è stato aggiunto un tratto di sde­ gnosa ironia divina : «Colui che troneggia in cielo si fa beffe di loro» (Ps. 2 ,4) . Evidentemente, da questa nuova struttu­ razione dell'antico materiale consegue che ormai nel racconto non è più espresso con tutta chiarezza in che cosa consistesse il peccato dell 'uomo, e perciò l'intervento di Dio ha un ca­ rattere più preveniente. La vicenda nella sua forma attuale va intesa soprattutto a partire dal grande contesto della pre­ istoria, in cui lo Jahvista l'ha inserita. In fondo , essa non tratta più di .Babilonia e dell'impressione che questa metro­ poli ha fatto agli uon:tini. Come nella saga di Caino (Keniti) , così anche qui l'elemento storico e cronachistico è stato eli­ minato, e l 'antico materiale della saga è stato allargato alle dimensioni dell'universale e del preistorico. Il racconto pre.

2. O .E. Ravn,

art. dt., 3'2 ss.

Postilla s ulla preistoria ;ahvistica

1 93

senta qualcosa della storia primitiva dell'uomo in genere. Es­ so mostra come gli uomini, nella loro aspirazione verso· la gloria, l'unità e lo sviluppo della propria forza, si siano messi contro Dio ; ma su di loro è caduta una punizione : essi, che tanto si son preoccupati dell'unità e della concordia, vivono ora dispersi in una confusione che non permette più di com­ prendersi. Abbiamo cosl anche un brano di storia della ci­ viltà umana - Babilonia viene qui considerata come il luogo di origine di ogni civiltà -, una storia però non valorizzata per se stessa , ma in quanto manifesta la ribellione dell 'uomo contro Dio, e nella quale si attua un divino castigo . Abbiamo già detto che il legame interiore di questo rac­ conto con la precedente tavola dei popoli è labile. Questa storia della dispersione dell'umanità si innesta propriamente allo stesso punto della tavola dei popoli, e per un tratto corre in certa maniera parallela a questa ; infatti anch'essa in tende illustrare la divisione dell'umanità in molti popoli. Le due pericopi vanno sentite insieme, poiché, nonostante la loro opposizione, furono accostate .certamente con un fine. La plu­ ralità dei popoli dice non solo la multiformi tà dell'energia creatrice di Dio, ma anche un castigo ; infatti la confusione dei popoli, che il nostro racconto presenta come triste risul­ tato finale, non è stata voluta da Dio, ma è una punizione per la ribellione peccaminosa contro di lui . In questo risul­ tato finale la storia della confusione delle lingue supera natu­ ralmente di molto il quadro tracciato dalla tavola dei popoli.

Postilla sulla preistoria ;ahvistica La storia della costruzione della torre di Babele è la chiave di volta della preistoria jahvistica. Ora dobbiamo riconside­ rare brevemente la strada che il nostro autore ci ha fatto per­ correre . Questo esame è tanto più importante, in quanto lo schema dello Jahvista ha dato l'impronta alla stessa preisto­ ria canonica, quale risultò più tardi, combinandovi insieme

1 94

La prelstoritJ biblica

la redazione sacerdotale. Il narratore jahvistico ha costruito una storia dei rapporti di Dio con l 'umanità fin dai suoi inizi, e questa storia è per parte umana caratterizzata da una cre­ scita vertiginosa del peccato. Peccato dei primi uomini, Cai­ no, Lat;nec, matrimonio degli angeli , costruzione della torre: altrettante tappe su quella strada che ha condotto gli uomirii sempre più lontano da Dio. Il succedersi di questi racconti denuncia un abisso che si sta spalancando sempre più tra l'uo­ mo e il ·Creatore. Ma Dio reagisce a questo erompere del pec­ cato con severi giudizi. Grave fu la punizione dei primi uo­ mini ; più grave ancora quella di Caino ; segue il diluvio, e alla fine la dispersione, la dissoluzione dell'unità della fami­ glia umana. Cosl alla fine della preistoria sorge una grave do­ manda :. quale sarà d'ora innanzi l'atteggiamento di Dio ver­ so l'umanità ribelle, ora ridotta in frantumi? La catastrofe di l I , 1 -9 è definitiva? A più tardi la risposta. Ma il narratore jahvista, oltre alla serie dei castighi di­ vini, parla di qualcos'altro. Ai primi uomini, nonostante la minaccia in contrario ( 2 , I 7), era rimasta la vita . Dio li aveva persino rivestiti ; cosl, pur nell'afflizione del castigo, s'era ma­ nifestata immediatamente la provvida e soccorritrice azione di Djo. Caino era stato maledetto da Dio, e il suo rapporto con la terra era profondamente sconvolto, ma la storia ter­ minava sottolineando un misterioso atteggiamento di prote­ zione da parte di Dio nei suoi confronti . Egli si allontana dal volto di Jahvé, ma non è abbandonato da lui , bensl vegliato e difeso contro i colpi di un'umanità degenere. Nella storia del diluvio, alla fine, questa volontà provvidente di Dio si rivela in maniera particolarmente chiara. Dio ricomincia da capo con l'umanità. Abbiamo visto che questo era quasi un cedere ; in ogni caso Dio colloca l'uomo, nonostante la sua insanabile corruzione ( 8 ,2 I ) , in un mondo rinnova to e solen­ nemente garantito nella stabilità dei suoi ritmi naturali . Ogni volta quindi, già nella preistoria, si manifesta da parte di Dio nel castigo e dietro lo stesso castigo, una volontà salvifica che

Postilla Julla preistoria iahvistica

protegge e perdona; e con il crescere del peccato, diventa an­ cor più potente la grazia (Rom . .5 ,20). Tutto ciò non è natu­ ralmente formulato con concetti teologici ; invano cerchiamo termini come 'salvezza', 'grazia', 'perdono' ; vengono solo narrati dei fatti, che le parole della pazienza divina hanno determinato. Siamo dunque di fronte a una storia di Dio con gli uomini, che è storia di una sempre rinnovata punizione, e insieme di una protezione di grazia; storia d'una via caratterizzata da crescenti castighi di Dio, ma che senza l'aiuto continuo di Dio non avrebbe mai potuto essere percorsa dall'uomo. In un punto però manca questa consolante assistenza, quella mi­ steriosa volontà di grazia da parte di Dio non si rivela : è alla fine della preistoria. La storia della costruzione della torre termina con un giudizio inesorabile di Dio sull'umani­ tà. Cosl I 'intera preistoria sembra chiudersi con una striden­ te dissonanza, e la domanda già formulata si ripropone ancor più insistentemente : il rapporto di Dio coi popoli è ora defi­ nitivamente infranto ? La gratuita pazienza di Dio è ormai esaurita ? Ha egli per sempre, nella sua ira, ripudiato i po­ poli ? Ecco la grave domanda che si impone a un pensoso let­ tore del cap . I I . Si può dire che il nostro agiografo, median­ te l'intera orditura della sua preistoria, miri proprio a porre questa questione e a farla emergere in tutta la sua portata . Solo allora il lettore può essere preparato ad accogliere la straordinaria novità che fa seguito alla desolante storia della costruzione della torre, cioè l'elezione e la promessa di bene­ dizione rivolta ad Abramo. Ci troviamo, quindi, nel punto in cui preistoria e storia della salvez�a si incastrano l'una nel­ l'altra, e perciò in uno dei passi più importanti di tutto l'A .T. La preistoria aveva mostrato una crescente scompaginatura del rapporto tra l'umanità e Dio ed era sfociata in una con­ danna emessa da Dio sui popoli. Il problema della loro uni­ versale salvezza rimane cosl aperto, e neppure nella preistoria può trovare una risposta.

La preistoria biblica

Il nostro autore però una risposta la dà, e precisamente nel punto in cui si inserisce e prende inizio la storia della salvezza. Qui, nella promessa rivolta ad Abramo, si parla nuovamente della volontà salvifica divina, e proprio di una sal vezza che supera i confini del popolo dell'alle anza, per raggiungere > ( I 2 , 3 ). Il passaggio dalla preistoria alla storia della salvezza avviene in I 2 , I - 3 , improvviso e sorprendente. D'un colpo la prospettiva uni­ versale si restringe, il mondo e l'umanità, tutta la vasta ecu­ mene scompaiono e l 'interesse si concentra su un solo uomo . Prima si aveva l'umano in genere, la creazione e la natura dell 'uomo, la donna, il peccato, il dolore, l'umanità, i popoli : soltanto temi universali ; in I 2 , I avviene una svolta e si in­ troduce il particolarismo dell'elezione. Di mezzo a tutti i po­ poli, Dio sceglie un uomo, lo libera dai suoi vincoli ancestrali e lo fa capostipite di un nuovo popolo e destinatario di gran­ di promesse di salvezza. Ma ciò che viene promesso ad Abra­ mo andrà molto al di là di Israele ; ha un significato univer­ sale, per tutte le stirpi della terra. In tal modo trova rispo­ sta quella difficile questione sul rapporto di Dio con i popoli ; e la trova là dove meno ci si aspettava. Ali 'inizio di una via che introduce in un rapporto di alleanza marcatamente esclu­ sivo, c'è già una parola che riguarda la fine di questa stessa via; abbiamo cioè un accenno all'estensione finale, a tutti gli uomini, della salvezza promessa ad Abramo . In verità, non fu la carne e il sangue a ispirare questa visione che supera Israele e il suo rapporto di salvezza con Dio. In questo stret­ to aggancio fra preistoria e storia della salvezza lo Jahvista accenna in c�rto modo al significato e allo scopo ultimo del rapporto di ialvezza che Dio ha offerto a Israele . Pertanto non è del tutto esatto veder conclusa ]a preistoria col cap . I I ; in tal caso le vien dato un valore troppo indipendente ed iso­ lato . La sua conclusione si trova, piuttosto, in I 2 , I - 3 ; anzi , c'è qui la sua stessa chiave. Infatti, solo partendo di qui que­ sto preambolo universalistico della storia della salvezza, qua-

Postilla sulla preistoria jahvistica

1 97

le è la preistoria, diventa comprensibile nel suo significato teologico. È meraviglioso vedere come Io Jahvista, coordinando un numero relativamente piccolo di narrazioni di genere molto diverso, sia riuscito a marcare dal punto di vista tematico, con dei segnavia così plastici, un tratto di strada percorso dall'umanità. Questa visione della preistoria umana non va tuttavia attribuita direttamente allo Jahvista, come finora si è ammesso. Lo schema : creazione - epoca primordiale - dilu­ vio - fondazione nuova della storia dell'uomo è già documen­ tato in testi sumerici , cioè dell'antica Mesopotamia 3• Non sappiamo come e attraverso quali intermediari questa dot­ trina che al più tardi intorno al 2 000 doveva già essere fis­ sata, abbia potuto arrivare in Israele e a conoscenza dello Jahvista . Comunque in Israele essa ricevette un'accentuazio­ ne teologica completamente nuova. L'antico abbozzo non co­ nosceva affatto il tema del peccato originale, del fratricidio e della costruzione della torre. D'altra parte oggi si inter­ preta meglio la pericope inserita in 8 ,2 I s. (dr. pp . I .5 5 ss . ) , poiché la fine della storia del diluvio un tempo segnava I 'ini­ zio della storia dell'umanità e questo continua a valere an­ che per la preistoria jahvistica. Solo che quell a storia che in­ teressa allo Jahvista non comincia con l'inizio della storia dell'umanità, ma con un avvenimento che succede all'interno di tale storia, ed è la vocazione di Abramo . L'aggancio genealogico formale della preistoria (Sem ) con l'iniziatore della storia della salvezza (Abramo ) ci è conser­ vata solo nella redazione sacerdotale ( I I , I o-27). Probabil­ mente anche lo Jahvista tracciò una linea di congiunzione fra la tavola dei popoli e Terah-Abramo ; forse era molto concisa, e siccome di fatto doveva strettamente armonizzarsi con i nomi della genealogia sacerdotale, il redattore dette la precedenza alla tavola dei Semiti di P, formalmente più svi3· H. Gese, Geschichtliches Denken im Alten Orient und im Alten Testament : .ZThK, 1 958, 127 ss.

L4 preUtoritJ biblica

198

luppata. Il filo della nanazione jahvistica ricompare nuova­ mente in I I ,28-30. 17. l

patriarchi da Sem ad Abramo ( redaz. P ) ( II,I0-27·31 ·32 )

10

Ecco la discendenza di Sem : Sem aveva z o o anni quando generò Arfaksad, due anni dopo il dilu vio . 11 Dopo la nascita di Arfaksad, Sem visse 500 anni e generò figli e figlie. 12 Arfaksad visse J 5 anni, poi generò Salah. 13 Dopo la nascita di Salah) Arfaksad visse 40 3 an­ ni e generò figli e figlie. 14 Salah visse 3 0 anni, poi generò Heber. 15 Dopo la nascita di Heher, Salah visse 403 anni e generò figli e figlie. 16 Heber visse 34 anni, poi generò Faleg. 17 Dopo la nascita di Faleg, Heber visse 430 anni e generò figli e figlie. 18 Faleg visse 30· anni, poi generò Reu. 19 Dopo la nasci ta di Reu, Faleg visse 209 anni e generò figli e figlie. � Reu visse 32 anni, poi generò Serug. 21 Dopo la nascita di Serug, Reu visse 207 anni e generò figli e figlie. 22 Serug visse JO anni, poi generò Nahor. 23 Dopo la nascita di Nahor, Serug visse 2 00 anni e generò figli e figlie. 24 Nahor visse 2 9 anni, poi generò Terah. 25 Dopo la nascita di Terah, Nahor visse z 19 anni e generò figli e fi­ glie. 1fJ Terah visse 7 0 anni, poi generò Abramo, Nahor e Aran . 27 Ec­ co la discenden za di Terah: Terah generò Abramo, Nahor e Aran. Aran generò Lo t. 31 Terah prese suo figlio Abramo, suo nipote Lot, figlio di Aran, e sua nuora Sarai, m oglie di suo figlio Abramo e li ,fece uscire' (i) da Ur Kasdim per andare nel paese di Canaan; ma, giun ti a Haran, vi si stabilirono. 32 Terah visse in tu tto 20 5 anni, poi Terah morì in Haran.

1 0-2 7 . Questi versetti sono un frammento del libro delle to­ zedot' che probabilmente rappresenta il più antico nucleo della redazione sacerdotale . Anche questa genealogia sfocia, come la lista dei Setiti (5 ,3 2 ) , in tre vertici : Abramo, Nahor, Aran (v. 2 6 ) . Nella loro struttura esteriore però queste due genealogie non sono del tutto uniformi (qui ad es. manca la durata complessiva della vita che normalmente la lista dei Seti ti menzionava) . Se ne può dedurre che erano tradizioni indipendenti e solo in un secondo tempo furono inglobate nel libro delle taledo t. Col progredire delle nostre conoscenze I . Biblia

Hebraica.

l patrillrcbi d4

Sem ad Abramo (redazione P)

1 99

sulle condizioni politiche della Siria e della Mesopotamia oc­ cidentale nel II millennio l'impressione di alta antichità che queste notizie offrono trova conferma. Rimangono aperte an· cora molte questioni a proposito degli sfondi storici di que­ sta lista; è tuttavia chiaro che essa ci porta nella Mesopota­ mia nord-occidentale e nella Siria del nord. Alcuni nomi sono documentati come nomi di luogo (Serug Sarug, a ovest di Haran; Nahor Til-nahiri, parimenti presso Haran; Terah Til a turahi, sul Balie; Faleg Faliga, sull 'Eufrate supe­ riore) ; Haran è sempre stata conosciuta come sede dell'an­ tico culto della dea Luna. In tal modo abbiamo l'indicazione di una regione· in cui sono emigrati gli Aramei verso la fine del II millenni9. (Le città stesse, naturalmente, non erano di fondazione aramaica, ma molto più antiche. ) Anche Ur, sul­ l'Eufrate inferiore, nota come centro di civiltà fin nel IV mil­ lennio a.C. 2, fu aramaizzata più tardi da questa ondata di 'Caldei'. In stretto rapporto con tale invasione semitica sono giunti in Palestina anche gli Israeliti. Mettendo gli antenati di Israele in relazione con gli Aramei (cfr. anche Deut. 2 6 , 5 ; Gen. 2 8 s.), questa lista tocca dei nessi preistorici molto con­ creti. Tra i dati di 5 ,3 2 ; 7 , 1 1 da una parte, e 1 1 , 1 0 dall'altra esiste una discordanza che non è ancora risolta in modo sod­ disfacente, in quanto non ci si decide ad espungere sempli­ cemente le parole «due anni dopo il diluvio» ; infatti intorno a quel momento Sem non aveva 1oo_ anni, ma 1 0 2 . Terah aveva (come Noè) tre figli: Abramo, Nahor e Aran. Il figlio di Aran era Lot, la moglie di Abramo Sarai . Il nome del primogenito dapprima (fino a 1 7 ,5) suona 'ab( i) ram, 'il padre mio (la divinità) è grande'; quello della moglie Sarai 'principessa'. Entrambi i nomi non hanno nulla di particolare e rientrano nell'onomastica dell'antico Israele e dell'antico Oriente. =

=

=

_2. C.F. Woolley, Ur und die

=

Sintflut, 1930.

200

La

preistoria biblic4

3 1 -3 2 . Nei confronti di Gen. 5 questa serie di generazioni denota un 'ulteriore diminuzione dell'età di vita ; anche gli anni della procreazione sono ora mol to più bassi . Viene cosl indicata la progressiva decadenza dell'uomo dallo stato ori­ ginario, e conforme alla creazione; insieme però viene pre­ parato il miracolo della generazione di l sacco (Gen. 2 I ,5 , P) . ( Anche qui le cifre dei LXX e del Pentateuco Samaritano di­ vergono notevolmente. ) Il lettore teologo poco più sopra (cap. I O) in tutta quella massa di popoli ha scorto la ricchezza creatrice di Dio; ed ora l 'interesse esclusivo con cui viene portata avanti quest'uni­ ca linea genealogica n1ette a dura prova il suo acume ! Natu­ ralmente si potrebbe dire: P è un discendente di Abramo, e perciò gli sta a cuore solo questa stirpe. Ma perché, allora, ha appesantito il suo schema narrativo con la tavola dei po­ poli ? Avrebbe potuto , più semplicemente, tracciare la genea­ logia da Adamo ad Abramo. Il rigore con cui prima ricon­ duce tutti i popoli, al di là di Noè, fino ad Adamo e solo dopo descrive la linea particolare che porta ad Abramo , mostra come egli fosse cosciente del mistero dell'elezione divina, e volesse presentarlo teologicamente nel suo quadro storico , con tutto il suo sconcertante risalto. Secondo la redazione sacerdotale, Terah con Abramo, Sara e Lot si mette in viaggio da Ur Kasdim verso il Canaan. Sor­ prende che non si adduca qui alcuna giustificazione di que­ sto singolare vìaggio . Quello che anche per P sembra deci­ siva è piuttosto la partenza di Abramo da Haran (vedi sot­ to). I dati sul luogo di partenza, indicato in Ur, l'antichissi­ mo centro di civiltà alla foce dell'Eufrate, non si conciliano facihnente con quelli più antichi (J, E), secondo i quali la patria di Abramo e della sua stirpe era Haran (24 ,4 ss. ; 29, 4 s. ). Terah, per emigrare in Canaan, doveva proprio com­ piere un giro tanto lungo verso nord-ovest ? Ma la lunga in­ terruzione del viaggio in Haran nasconde un altro mistero . Ll muore Terah , all'età di 205 anni. Ora, se più avanti ( I 2 ,4)

Provenienza e vocazione

di

Abramo

(redazione ])

20 1

è detto che Abramo nel 7 5° anno di vita ripard da Haran verso il Canaan (egli è nato nel 70° anno di Terah, I I ,2 6 ) , ne viene che egli sarebbe partito da Haran 6o anni prima della morte di Terah. L'ipotesi che la contraddiziol)e del te­ sto sia dovuta alla elaborazione di diverse tradizioni, non soddisfa ; infatti anche il redattore dev 'essersene accorto. Forse, nella cronologia si voleva sottolineare il carattere in­ naturale di questa partenza di Abramo «dalla casa paterna » ? 18. Provenienza e vocazione di Abramo ( redaz. J) ( 1 1 .28-3o ; 1 2,1-3 ) a

Aran morl ch'era ancor vivo Terah suo padre , nel suo paese natale, Ur Kasdim . 29 Abramo e Nahor si presero delle mogli : la moglie di Abramo si chiamava S arai ; la moglie di Nahor si chiamava Mele a, figlia di Aran , padre di Melca e di Jesca. 30 Sarai era sterile : ella non aveva figli . 12 1 Jahvé disse ad Abramo : «Lascia il tuo paese, i tuoi parenti e la casa di tuo padre e vieni nel paese che ti indicherò . 2 Io farò di te un grande popolo, ti benedirò e farò grande il tuo nome : sii una bene­ dizione ! 3 Benedirò coloro che ti benediranno, e maledirò colui che ti maledirà. In te saranno benedette tutte le nazioni della terra» . 2 8- 3 0 . Dopo una breve lacuna, viene ripresa la narrazione jahvistica. Aran, il più giovane dei tre figli di Terah, muore ancora vivente il padre (questo è il senso dell'espressione 'al pene t era� ) . Molti commentatori ritengono che le parole «in Ur Kasdim» siano un'aggiunta armonizzatrice, introdotta per accordare la tradizione jahvistica a quella di P; in realtà J conosce solo Haran come patria di Abramo e della sua s tir­ pe. (Su Ur Kasdim cfr. il commento a I I , J I . ) Abramo e Na­ hor si sposano . È interessante notare come sia ricordato il nome del padre di Melca e non quello del padre di Sara che sarà figura molto più importante ; forse anche lo Jahvista la ritiene sorella di Abramo (cfr. 2 o , I 2 , E ) , ma non vuole dirlo apertamente. Nipote di Melca è Rebecca ( 2 4 , I .5 ) . Incidental­ mente viene ricordata la sterilità di Sara . L'agiografo doveva dirlo , non solo per preparare il lettore all'avvenimento che in questo fatto ha il suo presupposto , ma soprattutto per far

202

lA preistori4 biblica

comprendere il paradosso del discorso di Dio ad Abramo1 che sta per introdurre. 1 2 , 1 . Si innesta qui un nuovo tratto della rivelazione salvi­ fica di Dio: discorso a un uomo in mezzo alla moltitudine dei popoli, libera scelta di un individuo che Dio intende riser­ vare per sé e per il suo piano storico . La ragione per cui que­ sta elezione di Dio non sia caduta su Cam o Jafet, ma su Sem e, dentro la lineà di Sem, su Arfaksad, e tra i discendenti di Arfaksad su Abramo, resta inspiegata ; l'autore non ha fatto il più piccolo accenno per prepararla. Jahvé è il soggetto del primo verbo all'inizio della prima frase, e quindi dell'intera storia della salvezza che segue. Il discorso di Dio incomincia con la richiesta di una radicale rottura con tutti i legami naturali . Viene anzitutto ricordato il legame più generale, quello con il 'paese' ; segue, con una limitazione progressiva, il legame della tribù, cioè della pa­ rentela più ampia, infine quello della famiglia. Questi tre ter­ mini fanno intendere che Dio è consapevole della gravità di queste separazioni ; Abramo deve lasciare dietro di sé assolu­ tamente tutto ed affidarsi alla guida di Dio . Lo scopo del viaggio proposto è 'un paese' di cui Abramo sa solo questo : che Dio vuoi darglielo. Con ciò, come abbiamo visto sopra, dev'essere narrato un avvenimento reale della preistoria di Israele; ma è dubbio che l'interesse del narratore, qui e in seguito, si esaurisca nella presentazione di cose passate. In questa chiamata e nel viaggio poi intrapreso, Israele certa­ mente non vide solo un avvenimento della sua storia più re­ mota, ma insieme anche uh contrassegno fondamentale del­ l'intera sua esistenza davanti a Dio . Tratto fuori dalla comu­ nità dei popoli (dr. N t1 m . 2 3 , 9 ) e non mai bene in seri to nep­ pure in Canaan , dove vivrà ancora come uno straniero (cfr. Lev. 2 5 ,2 3 ; Ps. 3 9 , 1 3 ) , esso si vide guidato su una via mi­ steriosa, il cui itinerario e la cui mèta stavano totalmente nelle mani di Dio.

Provenienu e vocazione di Abram o (redazione

J)

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2-3 . Il v. 2 riporta la promessa fatta ad Abramo. La parola fondamentale, che risuona in varia forma non meno di cin­ que volte, è 'benedire'. Questa benedizione riguarda Abra­ mo , ma anche coloro che prendera�o posizione dall'esterno nei confronti di essa. Il concetto veterotestamentario di be­ nedizione resta inaccessibile quando si parta dali 'ipotesi di una 'forza spirituale' manaistica , operante magicamente e che si riversa come un fluido. Questa concezione ) nonostan­ te alcune tracce rimaste specialmente nel vocabolario cul­ tuale, è pre-israelitica . ]ahvé dà liberamente la benedizione, e liberamente la rifiuta; per l'uomo, la sua efficacia è stretta­ mente legata alla trasmissione della creatrice parola di Dio che la conferisce. La benedizione di Jahvé nell'A . T. comporta prevalentemente un accrescimento della vita materiale , so­ prattutto nel senso di fecondità fisica (cfr. commento a Gen. r , 2 2 ) La promessa di una posterità innumerevole è parte essenziale della promessa ai patriarchi (Gen. 1 3 , 1 6 ; 1 5 , 5 ; 1 7 ,5 s. ; 1 8 ,r 8 ; 22 , r 7 ; 2 6 ,4.24 ; 2 8 , r 4 ; 3 5 ) r r ). Nel nome, che Jahvé 'farà grande' (cioè la gloria )) si è giustamente vi­ sta una allusione alla storia della torre (Procksch, Jacob) : ora è Jahvé a dare ciò che gli uomini volevano raggiungere con le loro forze . (Quanto alla tradizione ) alquanto diversa , circa il cOntenuto della promessa nella redazione sacerdotale, cfr. commento a Gen. I ? , I ss .) M a la promessa fatta ad Abramo ha una portata che va al di là di Abramo e della sua discendenza . La salvezza e la condanna sono esercitate da Dio entro la storia, e nella posi­ zione che l 'uomo assume rispetto ali 'opera che Dio vuoi com­ piere nella storia, si decide per lui la condanna o la salvezza . Il pensiero del castigo è qui quasi sopraffatto dalle parole di benedizione (osserva anche il singolare : 'colui ' che ti male­ dice, di fronte al plurale : 'coloro' che ti benedicono) . Ciò che Dio qui inizia non è ancora considerato dall'agiografo prevalentemente come «un segno di contraddizione» (Le. 2 , 34) , ma come una sorgente di benedizione universale . .

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La preistoria biblica

A proposito dei vv . 2 e 3 b ci si è chiesti se intendano affer­ mare soltanto che Abramo diventerà una specie di formula per benedire, e che la benedizione da lui goduta pas.serà in proverbio (cfr. Gen . 4 8 ,20) . In favore di questa interpreta­ .zione (che indulge ancora a un residuo di concezione magico­ dinamica della benedizione) ci si può richiamare a Zach. 8 , 1 3 . Ma dal punto di vista ermeneutico è erroneo limitare a un solo significato, e a quello più sbiadito, una proposizione tanto programmatica e stilisticamente elevata . Già in I s. I 9 , 24, ad �s . , questa concezione è inapplicabile . I n Gen. 1 2 , 1 -3 all'interno del discorso di Jahvé che ha un crescendo cosi solenne - specialmente nell 'ultimo membro - essa rende tut­ to banale. Si deve perciò ritornare all'interpretazione tradi­ zionale, che intende la parola di Jahvé >. Quale poderoso sviluppo ha questa semplice affermazione in Gen . 1 2-50 ! La vicenda di ogni patriarca ( tranne !sacco ) è diventata già per se stessa, grazie a tutto un apparato di promesse divine e relativi adempimenti, una compagine narrativa di alto interesse. Ma per costruire in tal modo dalle storie dei patriarchi una narrazione di cosl largo respiro, fu necessario un lungo lavoro di compilazione e an­ cor più un'arte consumata della composizione teologica. Dav­ vero non si può credere che le numerose tradizioni partico­ lari che circolavano sull'età dei patriarchi si siano coordinate da sé a costituire un insieme sistemato con tanta arte e di va­ lore teologico cosi alto . Da questa semplice constatazione - la storia biblica riguar­ dante i patriarchi è un composto riflesso di numerose narra­ zioni singole e in origine per sé stanti - segue che il compito di chi la interpreta è continuamente duplice: egli deve da un lato sforzarsi di spiegare la narrazione singola per se stessa, perché tale narrazione rappresenta pur sempre un contesto logico ogni volta relativamente conchiuso in sé. E occorre anche esaminare attentamente, ove il caso la richieda, la pre­ sumibile forma più antica della narrazione stessa, e lo scopo a cui mirò in un primo tempo, poiché solo da questo punto di vista diventano comprensibili certi particolari della sua versione attuale . Tuttavia spesso non è possibile distinguere

2 10

u storia dei paJri4rchi

ciò che proviene da una tradizione antica e ciò che deve es­ sere attribuito alla struttura nuova data dai grandi compila­ tori (Jahvista, Elohista) . In genere sarà meglio andar cauti e non ravvisare immediatamente lo Jahvista in certe concezio­ ni o rappresentazioni tipiche, quasi fosse cosa del tutto ovvia . Abbiamo invece motivo di credere che i raccoglitori si siano serviti del materiale a loro disposizione con spirito molto conservatore, e noi di solito sopravvalutiamo la loro libertà nel dare una forma e un accento proprio agli elementi antichi (dr. pp . 42 s.). Per quanto possiamo seguime il camm�no, le narrazioni sono spesso passate attraverso i tempi con degli spostamenti interni di significato molto incisivi (cfr. pp . r 7 s . ), ma subendo all'esterno mutazioni cosl scarse da sorpren­ dere. I racconti di Gen. 2 2 , 1 ss. ; 28 , r o ss. ; 3 2 ,2 3 ss. un tem­ po, quando erano ancora leggende cultuali, nella loro strut­ tura esterna, cioè quanto al numero delle frasi e al patrimo­ nio lessicale, suonavano forse essenzialmente diverse da quan­ to non siano nella versione attuale ? Il secondo compito è quello di intendere di volta ·in volta ogni narrazione come l'anello di una grande catena . E pro­ prio qui l'esegeta si imbatte nel lavoro del compilatore. Ta­ le compilazione non dobbiamo certo immaginarcela come un fatto avvenuto una volta per sempre : anche qui bisogna te­ ner conto di stadi e tappe diverse t, ma tuttavia il modo con cui lo Jahvista ha disposto il materiale presenta tratti cosl peculiari che dobbiamo comunque considerare la struttura da lui impressa all a massa dei dati forniti dalla tradizione come un evento letterario di primaria importanza, che reclama tut­ to il nostro interesse teologico (cfr. pp. r 5 ss.). Infatti da questo lato i compilatori erano molto più liberi di quanto non fossero nella formulazione delle narrazioni singole. Gra­ zie al modo con cui fecero succedere l'uno all'altro i racconti e diedero agli avvenimenti della storia dei patriarchi ora una posizione centrale e culminante, ora una direzione intesa a 1.

M. Noth, Vberlieferllngsgeschichte des Penlateuch, 1948 .

l.tl storia

dei patrifltcb;

:1 1 1

rall entarne il corso o addirittura a eliminarli, essi hanno im­ presso a tutta la compilazione una tematica teologica che de­ ve essere afferrata di volta in volta nella sua peculiarità, poi­ ché è proprio di qui che viene determinata a nuovo l'inter ­ preta z ione di ogni singo lo racconto . Di p ar ticolare interesse sono alcune poche pericopi narra­ tive nelle quali il compilatore non espone una tradizione più antica che abbia sotto gli occhi, ma delle quali si serve per legare fra di loro secondo un proprio disegno pericopi più estese. Questi 'brani di transizione' naturalmente hanno pri­ ma di tutto il compito di creare un trapasso e un legame fra complessi di materiali più vasti, ma sono molto di più che semplici suture esteriori ; offrono infatti al compilatore l'oc­ casione di esprimere un suo programm a teologico che supera di molto la sfera dei singo l i versetti e può dare preziose indi ­ cazioni per comprendere tutto il vasto insieme. Abbiamo in­ dividuato uno di questi 'brani di transizione' nel prologo al diluvio di Gen. 6,5-8 ( l 'ul tima delle tradizioni rielaborate era stata Gen . 6 , 1 -4 e la successiva incomincia al v. 9 ). Ma anche la pericope 1 2 , 1 - 9 dev ' essere giudicata in questo senso poi­ ché è facile vedere che questi versetti non presenta no un rac conto già prima elaborato e risalente a una tradizione antica (ogni ' storia' suole contenere infatti un avvenimento in qual­ che modo appassionante, ne sono elementi costitutivi una mo l teplicità di personaggi , soprattutto un conflitto e uno scioglimento che si rivelano anche esteriormente in una sorta di drammaticità ). Sotto questo aspetto la pericope è cosl po­ vera da sorprendere ed è perciò tanto più ricca di contenuti teologici programmatici . Per Gen. 1 8 ,1 7-3 3 cfr. pp . 28 3 s . ­

I 2 , I -9 . La promessa d i Dio ad Abra mo (vv . I - 3 ) si stende co­ me un filo-guida attraverso tutta la storia dei patriarchi poi­ ché viene rinnovata a ciascuno di loro (cfr. Gen. r 3 , 1 4-I 6 ;

I 5 ,5 ·7 · I 8 ; 1 8 , 1 0 ; 2 2 , 1 7 ; 2 6 , 24; 2 8 , 3 S. 1 3 - 1 5 ; 3 2 ,1 3 ; 3 5 ,91 2 ; 4 8 , 1 6) ; ma il redattore jahvista non le ha dato in nessun

212

Ltz storitJ

dei patriarchi

altro punto uno svolgimento cosl pieno come qui . Le singo­ le formule ri salgono certo a una tradizione antichissima (per il Dio dei Padri cfr . più avanti pp. 245 s.), ma lo Jahvista vi apporta delle varianti nel senso di una spiri tualizzazione più alta. Benedizione e maledizione qui non sono più come nei tempi antichi fatti legati a forme di culto e a riti liturgici, ma sono concepite in un senso generale come l'intervento gratuito di Dio, inteso a favorire o a mandare in rovina , e mediante il quale egli guida la storia . Anche· nel presentare i progenitori di Israele legati ai loro vicini orientali, gli Ara­ mei, la redazione jahvista non fa che mantener viva una rimi­ niscenza antica ( cfr. Deut. 26,5 ). Ma si fraintenderebbe gra­ vemente il contenuto di Gen. 1 2 , 1 -9 se lo si volesse prendere soltanto come la cristallizzazione di un ricordo che il popolo aveva della sua storia. Cogliamo invece l'intento del narra­ tore se esaminiamo a fondo sotto quali segni si sia compiuta l� migrazione messa in moto dal comando di Dio. Le due promesse : della crescita fino a diventare un popolo e del possesso della terra che nella storia dei patriarchi di so­ lito compaiono accoppiate, nella nostra pericope sono invece stranamente tenute distinte, come due avvenimenti separati nel tempo . Evidentemente il narratore vuoi presentare l'eso­ do di Abramo come una prova posta alla sua fede , di valore paradigmatico . Abramo si è messo in cammino assolutamente verso !"ignoto ' ( « in un paese che Jahvé ti mostrerà» ) per sentirsi dire solo quando sarà giunto alla meta - e non pri­ ma - che proprio questo viaggio verso l'ignoto era un andare verso una grande prosperità ( v . 7 ). Ma quando viene fatta la solenne dichiarazione che Dio darà in possesso ad Abramo quel paese, non è che insieme si spalanchino le porte della prosperità, tutt'altro ; la promessa sta in una curiosa vicinan· za con la frase in cui si afferma che allora in quel paese ahi· tavano i Cananei . Abramo viene dunque messo da Dio di fronte ai Cananei in una situazione che non è affatto definita e Jahvé non si affretta per niente a risolvere e a chiarire que·

Abramo

e

Sara in Egitto (I2_,Io-IJ,z)

213

sto rapporto d i proprietà, come ci s i attenderebbe da colui che dirige tutta la vicenda. Al contrario tale rapporto viene messo a fuoco soltanto in occasione dell'altare eretto in vici­ nanza di luoghi di culto pagani. ( Quante delle svariate crisi politiche e religiose di Israele nella sua storia successiva so­ no già implicitamente comprese in questo accostamento ! ) C'è cosl uno strano contrasto fra la superlativa promessa del­ l'jnizio e il viaggio tanto povero di eventi che Abramo intra­ prende verso il sud ( letteralmente queste parole fanno da sigla anche al no­ stro episodio . Rendi amocene conto : con il pericolo che mi­ nacciava l'antenata era messo in questione anche tutto ciò che Jahvé aveva promesso ad Abramo . Ma Jahvé non lascia nau­ fragare la sua opera fin dall'inizio ; la salva e la porta avanti nonostante tutte le azioni controproducenti degli uomini . Co­ si il nostro racconto è un esempio anche sotto un terzo aspet­ to : l'essenziale lo si d�ve sempre vedere nell 'azione divina . Nel nostro caso, l'interesse si concentra su di essa con una unilateralità che noi stentiamo a seguire, perché siamo soprat­ tutto ossessionati dalla questione morale della colpa che si potrebbe attribuire ad Abramo. Nella visuale del racconto , il solo ripartire da Canaan non rappresenta già un atto di poca fede? Non è da escludere. Ma più di ogni altra cosa ci preoc­ Cupa che abbandoni la donna e non si potrà fare a meno di pensare che la promessa trova il suo maggior nemico proprio in colui che l'ha ricevuta ; poiché è da Abramo che le viene il pericolo più grave. Ma se anche il racconto potrebbe dar luo­ go a questa e ad altre simili riflessioni, esse rimangono relati ­ vamente collaterali di fronte all'azione di Jahvé. E nella po­ tenza e nel mistero di Jahvé anche la nostra volontà di capire trova alla fine una barriera, di cui l'esegeta ben deve render­ si conto . Del resto chi dice che qui tutto dovrebbe o potreb­ be essere esaurientemente spiegato ? 'Che' il fatto avvenga è per il nostro narratore incomparabilmente più importante che non il 'come' esso avvenga con tutte le sue possibili spiega­ zioni . E se il motivo nella storia dei patriarchi è svolto in tre episodi, ciò mostra che Is raele aveva presente con un partico­ lare in teresse questo intervento salvatore di Dio : dal momen-

La storia dei patriarchi

218

to che J ahvé nonostante l'azione controproducente e la colpa del titolare della promessa non aveva rinunciato alla sua azio­ ne salvifi.ca, il suo impegno era realmente meritevole di fidu­ cia. ( Un confronto del nostro racconto con quello di Gen. 20 è assai istruttivo . Cfr. pp. 2 98 ss .) 2.

La

separazione da Lot ( 13,2-18 )

3 E risall a tap. pe dal sud fino a Bethel, alla località dove all'inizio già c'era stata la sua tenda, cioè fra Bethel e Ai , 4 nel luogo dove la prima volta aveva eretto l'altare ; e qui Abramo invocò il nome di Jahvé . 5 Ma anche Lot, che era venuto con Abramo, aveva pecore, armenti e tende ; 6 e

2 Abramo era molto ricco di bestiame, argento e oro .

il paese non comportava che vi abitassero insieme, poiché quel che possedevano era molto, tanto da non poter star uniti (1) . 7 Cosl era sorta una lite fra i pastori del bestiame di Abramo e quelli del be­ stiame di Lot; abitavano allora il paese i Cananei e i Ferezei . 8 Disse dunque Abramo a Lot : «Non ci sia contesa fra me -e te, fra i miei pastori e i tuoi, poiché siamo fratelli . 9 Forse che non ti sta davanti tutto il paese? Separati dunque da me . Se tu vuoi andare a sinistra, io andrò a destra : se tu scégli di prendere a destra, io prenderò a si­ nistra». 10 Lot allora alzò gli occhi e vide che tutto il territorio del Giordano era da cima a fondo irrigato - prima che Jahvé distrugges­ se Sodoma e Gomorra - : come il giardino di Dio, come il paese d'E­ gitto, fin presso a Segor. 11 E Lot scelse per sé tutto il distretto del Giordano e mosse verso oriente, e così si separarono l'uno dall'altro.

12 Abramo abitò il paese di Canaan, Lot invece abitò nelle città del distretto e giunse con le sue tende fino a Sodoma . 13 La gente di So­

doma era assai perversa e piena di peccati al cospetto di Dio . 14 Jahvé disse ad Abramo dopo che Lot si fu separato da lui : «Alza gli occhi e volgi lo sguardo, da dove sei verso nord e verso sud, ver­ so est e verso ovest; 15 tutta la regione che vedi io la dono a te e alla tua discendenza, per sempre; 16 e moltiplicherò la tua discendenza co­ me la polvere della terra cosl che solo qualora si potesse contare la polvere della terra si potrà contare anche la tua progenie . 17 Su, per­ corri pure in lungo e in largo il paese , poiché te lo dono». 18 Allora Abramo levò le sue tende e andò ad abitare ai querceti e) di Mambre presso Hebron e quivi costrul un altare a Jahvé. x. Le parti della narrazione che appartengono al documento sacerdotale (fonte P) sono in corsivo . 2. Cfr. Biblia Hebraica.

La separazione da Lot (IJ12-I8)

2-7 . Abramo è ritornato nei pressi di Bethel ( sulripotesi che la vicenda di 1 2 , 1 0 - 20 sia stata introdotta solo più tardi nel­ la storia di Abramo e sulla complicazione che ne deriva al viaggio del patriarca, cfr . più sopra p. 2 1 4 ) . Per comprendere il modo di vivere e il carattere dei progenitori di Israele è di grande importanza notare che essi nei vari episodi non sono descritti come veri e propri beduini, cioè cammellieri noma­ di, quali erano ad esempio i Madianiti e gli Amaleciti (Iud. 3 , 1 3 ; 6 , 3 ,7,3 3 ss. ). Erano piuttosto pastori nomadi di picco­ lo bestiame che in piena regola e con intento assolutamente pacifico andavano in cerca di terre coltivate per farvi pascere duran te l'estate, conforme ad amichevoli accordi conclusi con la popolazione del luogo, i loro greggi , sui campi mietuti di fresco. I loro spostamenti sono cosl determinati dalla legge della cosl detta 'transumanza' fra steppa e terra coltivata . A differenza dei cammellieri nomadi, non sono affatto predoni bellicosi, cosa che già di per sé sarebbe impossibile, data la lentezza di movimento dei loro grandi greggi di pecor� e ca­ pre. Anzi una relativa stabilità non è del tutto incompatibile con la loro esistenza nomade. Anche le città dei dintorni eser­ citano su di essi una certa attrattiva , ma non per fissarvisi stabilmente (con la violenza ), cosa che li costringerebbe di colpo a rinunziare alla loro vita di pastori nomadi , ma piu t­ tosto in qualità di centri di vita civilizzata e specialmente per questioni di commercio e di matrimonio (cfr . Gen. 2 o ; 2 6 ; 34 ecc . ) 3 • La grande ricchezza di Abramo, il lettore ( nella reda­ zione attuale) deve metterla in rapporto con l'incremento che Abramo ottenne in Egitto . Le difficoltà che avevano due greg­ gi cosl accresciuti a procedere insieme non sono certo difficili da ammettere. Sui campi mietuti dai contadini del luogo, un gregge per trovare da sostentarsi ha bisogno di un raggio di movimento discretamente ampio e in più deve fare i conti an­ che con le poche e preziose località fornite d'acqua. Cosl per 3· A. Alt, Erwiigungen iiber die Landnahme der Israeliten in Paliistina, in Kleine Schriften I, 1953, 1 26 ss.

220

La storia dei patriarchi

il piccolo paese montuoso di Beniamino ( Giudea settentrio. nale) (e in altre regioni il diritto di pastura poteva già appar­ tenere ad altri nomadi ) un conflitto di interessi e quindi la proposta di separarsi per le zone di pascolo, è del tutto na· turale. 8- I 3 . Abramo sente immediatamente quanto siano indegne

tali contese fra uomini imparentati fra loro e sebbene sia il pii1 anziano vuol cedere 1�. scelta a Lot. Il racconto mette qui Abramo nella miglior luce. È uno dei pochi passi nella storia dei patriarchi in cui la sua figura nell'intento del narratore ha valore anche esemplare (cfr . per altri casi Gen . I 5 , I -6 ; 2 2 , I ss . ). Il contrasto con l'immagine di Abramo delineata dall'e­ pisodio precedente è vivo, ma lo Jahvista non conosce ancora l'esigenza di una introspezione psicologica d'insieme, di una descrizione di carattere coerente e attendibile. Le tradizioni che aveva a disposizione erano sotto questo aspetto assai di­ sparate e naturalmente non accordate fra loro . Il v. I O de· scrive con grande semplicità una scena grandiosa : Lot ha ri­ flettuto sulla proposta ; ora « alza gli occhi» e spazia lontano con lo sguardo . ( L'interno processo psicologico del riflettere e del decidersi è interamente trasposto dall 'agiografo nel1 'at­ teggiamento esterno che si realizza in quello sguardo . ) Da Be­ thel si scorge l'inter� fossa del Giordano fino al lato meridio­ nale del mar Morto dove era Segor ( cfr. I 9 ,20.22 ). A zone, soprattutto nei dintorni di Gerico, essa è tuttora ricca d'ac­ que, ma il narratore se la immagina quale poteva essere pri­ ma della catastrofe di Sodoma: tutta come « il giardino di Dio » . (Il duplice paragone con il paradiso e con l'Egitto ha ·un curioso sapore profano e illuministico; dr. sopra pp . I 6 ss . ; J I s.) . La scelta di Lot è quindi presto fatta . Sorprendenti nel nostro narratore, per altro cosl sobrio, sono i marcati su­ perlativi nel descrivere la bellezza del paese e la perversità dei suoi abitanti, e la minuzia di particolari con cui è ritratta l'impressione di fascino che subisce Lot e _ poi l'attuarsi della

La separazione da Lot (IJ,2-IB)

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decisione presa (4 versetti) . Ma lo scrittore vuoi far colpo, mettendo in rilievo il paese di una bellezza inaudita ( e per la gente di Palestina è bello un paese fertile ) e gli abitanti di una egualmente inaudita perversità, la scelta rapida e ovvia che l'uomo ha fatto dall 'alto di Bethel e, una volta presa la decisione - quasi fosse sospinto da essa -, il suo avvicinarsi passo passo alla città della scelleratezza più profonda. «Di­ stretto del Giordano » è un termine tecnico geografico ( I Reg. 7 ,4 6 ; Deut. 34,3 solo «il distretto» ). La narrazione contiene il primo degli episodi che hanno per protagonista Lot e accompagnano in un significativo pa­ rallelismo quelli riguardanti Abramo . Evidentemente nell'ac­ costare le pericopi 1 3 , 1 - 1 .5 e 1 3 , 1 4-1 8 l'autore mira a un ef­ fetto di contrasto. Ma nello stesso tempo il nostro racconto funge in certo senso da ' introduzione' alle successive avven­ ture di Lot ( 1 9 , 1 -29 ) . Lot si mette in salvo da Sodoma ; Lot si stabilisce a Segor, passa di qui alla montagna, genera Am­ man e Moab ( 1 9 ,30-3 8 ) . Mentre le unità narrative di Gen . 1 9 sono molto antiche e si sono incontrate in una storia più ampia relativamente tardi , la pericope di 1 3 , 1 - 1 0 non ha die­ tro di sé alcuna primitiva tradizione a sé stante ; il racconto ha piuttosto un carattere novellistico e presuppone già una storia adeguata delle avventure di Lot ( per la storia pi Lot ·dr. pp. 2 9 .5 s . ) .

1 4- 1 7 . Alcuni esegeti, sulle orme d i Wellhausen hanno rite­ nuto la pericope seguente ( vv. 1 4- 1 7) come un'aggiunta po­ steriore. L'osservazione può essere esatta solo nel senso che lo Jahvista non ha trovato questo discorso di Dio ad Abramo nelle fonti antiche riguardanti Lot ( cfr. più sopra) ma ha qui ampliato la materia che la tradizione antica gli offriva in fun­ ·zione del suo tema particolare. Le saldature dovute alla riu­ nione di diverse tradizioni, non è affatto vero che si debbano sempre spiegare come indizio di 'autori' diversi dal punto di vista letterario (cfr. pp. 8 9 s.). Non siamo dunque obbligati a

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La storia dei patriarchi

ritenere il contrasto fra I - I 3 e I 4-I 7 come il risultato in cer­ to senso involontario dell 'intervento di un 'collaboratore' . Proprio qui invece raggiunge il suo culmine i l complesso nar­ rativo di I- I 7 : Abramo ora è solo ; ma J ahvé viene a lui . E mentre Lot ha preso egli stesso possesso del paese che gli è piaciuto e si è scelto, ora ad Abramo vien detto : « lo voglio darti». L'invito del v. 1 7 appartiene originariamente all'am­ bito del diritto in quanto l ' ispezione è un atto simbolico-giu­ ridico mediante il quale si rendeva legalmente valida la presa di possesso di un fondo rurale ceduto ad altri 4• Abramo sce­ glie dunque la zona meridionale e si stabilisce presso i quer­ ceti di Mambre. Mambre è stata identificata con una certa si­ curezza alla odierna Ramet et chalil, poco a nord ( 3 chilo­ metri ) di Ebron. La zona cultuale è s tata scavata nel I 9 2 6-2 7 da P. Mader; vi si rinvennero fra l'altro i resti di una basilica cristiana del tempo di Costantino, circondata da un massic­ cio muro rettangolare ( "t'É�Evoç m. 40 X 6 o ) di pietre squa­ drate romane ( del tempo di Erode ) con una vasca di costru­ zione araba . Sotto questo strato si rinvenne del vasellame di epoca israelitica e tracce di una colonizzazione risalenti all'età del bronzo, e perciò pre-israelitica 5• Ciò significa che il luogo grazie al suo prestigio e all a sua solida tradizione sacra è sta­ to un centro di attrazione cultuale in epoca cananea, israeli­ tica , romana, bizantina e araba . Il santuario in sé, anche per quanto risulta dall'antica leggenda cultuale di Mambre ripor­ ta t a in Gen. I 8 (cfr. più avan ti pp . 2 6 7 ss . ) dovette esistere già in epoca preisraelitico-cananea, mentre più tardi si affer­ mò in Israele l'opinione che fosse stato fondato aa Abramo . Ebron però in età israelitica apparteneva ai Calibiti (Num. I 3 , 2 2 ; Iud. I , 2 o ) , era qu indi al di fuori di ciò che sarebbe 4· n. Daube, op. cit. , 3 7 s. ,. Oriens christianus 1927, 3 3 3 ss . ; 1 928, 3 6o ss . ; E. Mader, Mambre. Die Ergeb­ nisse der Ausgrabungen im heiligen Bezirk Ramet el Halil in Siidpalastina I92628, 1 9,7·

Vittoria di Abramo sui re orientali (I4)

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diventato più tardi il regno di Giuda. Probabilmente il nome di Mambre non è semitico . Sozomeno, storico ecclesiastico del v secolo, palestinese egli stesso, fa una viva descrizione di tutta l' àccolta delle po­ polazioni vicine, di religione completamente eterogenea, che il santuario attraeva nelle feste ancora ai tempi del primo cri­ stianesimo : « Questa località che oggi si chiama 'i querceti' dista quindici stadi da Ebron che si trova più a sud . La sto­ ria asserisce che in questo luogo sia apparso ad Abramo il figlio di Dio insieme a due angeli e gli abbiano predetto la nascita di un figlio. Durante l'estate gli abitanti del paese e i palestinesi , fenici e arabi che risiedono per largo giro intor­ no, vi tengono un famoso mercato annuale. Molti vi conven­ gono anche per altri aff ari , chi per vendere e chi per compe­ rare . La festa è celebrata con un numerosissimo concorso di gente di ogni specie : di Ebrei perché si gloriano di Abramo come loro capostipite , di pagani perché vi convennero anche gli angeli ; di cristiani perché in quel giorno lontano compar­ ve a un uomo pio colui che tanti secoli più tardi si è rivelato a tutti nascendo da una vergine per la salvezza dell 'umanità. Ciascuno ha dunque in onore questo luogo , secondo il pro­ prio culto e la propria religione . Il sito è a cielo scoperto » . I l proseguimento immediato del contesto narrativo che abbiamo trattato finora era in origine il cap . I 5 . Il cap . 1 4 è stato inserito nel complesso della composizione da mano più tarda . ·



Vittoria di Abramo sui re orientali e incontro con Melchisedec ( 1 4 )

1 Avvenne al tempo di Amrafel re di Sennaar, di Arioc re di Ellasar, di Kedorlaomer re dell'Elam , di Tideal re delle genti, 2 - che essi .mossero guerra a Bera re di Sodo ma, a Birsha re di Gomorra , a Shi­ neab re di Adma, a Shemeeber re di Seboim e al re di Bela cioè Soar . .t Tutti costoro si adunarono nella valle di Siddim , o mare salato . 4 Per dodici anni erano stati soggetti a Kedorlaomer, ma nel tredicesimo si erano ribella ti . 5 E nel quattordicesimo anno mossero Kedorlaomer e i re che erano con lui e batterono i Refaiti ad Ashterot-Kamain , i

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La storia dei patrillrchi

Zuziti a Ham, gli Emiti nella pianura di Kiriataim, 6 e gli Horiti sulla loro montagna di Seir, fino a El-Paran che è sita ai margini del de­ Serto . 7 Si volsero poi indietro e vennero a En-Mispat, cioè a Cades e batterono tutta la campagna degli Amaleciti e anche l'Amorreo stan­ ziato a Haseson-Tamar. 1 Uscirono allora il re di Sodoma e il re di Gomorra, il re di Adma e il re di Seboim e il re di Bela - ossia Soar - e si schierarono contro di essi a battaglia nella valle di Siddim ; 9 cioè contro Kedorlaomer re di Elam, Tideal re delle genti, Amrafel re di Shinear, e Arioc re di Ellasar: quattro re contro cinque! 10 La valle di Siddim era tutta pie­ na di pozzi di bitume , l'uno accanto all'altro . Quando dunque il re di Sodoma e il re di Gomorra furono messi in fuga, vi caddero dentro e gli altri fuggirono sui monti . 1 1 I vincitori fecero bottino di tutti gli averi di Sodoma e di Gomorra e di tutte le loro vettovaglie e se ne andarono. 12 Presero anche Lot il nipote di Abramo e i suoi beni, e se ne anda­ rono ; egli infatti dimorava a Sodoma. JJ Ma uno scampato venne ad annunziare il fatto ad Abramo l'ebreo, quando egli abitava nel quer­ ceto dell'Amorrita Mambre, fratello di Eshkol e di Aner, che avevano fatto lega con Abramo. 14 Come Abramo seppe che il suo nipote era prigioniero, chiamò all'armi ( ? ) gli uomini della sua scorta, gente na­ tagli in casa, in numero di 3 r 8 e mosse all'inseguimento dei vincitori fino a Dan. 15 Si divisero allora in squadre, egli e i suoi uomini, e di notte piombò loro addosso e li sconfisse, inseguendoli fino a Hoba che giace a nord di Damasco . 16 Ricuperò interamente il bottino e ri­ condusse indietro anche Lot suo nipote e tutto il suo avere e anche le donne e tutta la sua gente. 17 Quando ritornò dall 'aver vinto Kedorlaomer e i re che erano con lui, gli si fece incontro il re di Sodoma - nella valle di Shave, cioè la valle del re. 18 E Melchisedec re di Shalem portò pane e vino ; egli era sacerdote dell 'Altissimo Iddio . 19 Lo benedisse e parlò cosl : «Be­ nedetto sia Abramo da parte dell'Altissimo Iddio che ha creato il cie­ lo e la terra. 20 E benedetto sia Iddio Altissimo che ti ha dato nelle mani i tuoi nemici» . Allora quegli diede a lui la decima di tutto . 21 E il re di Sodoma disse ad Abramo: «Dammi le persone, ma tienti per te la ·roba ! » . 22 E disse Abramo al re di Sodoma : «Alzo le mani a Jabvé, Iddio Altissimo, che ha creato il cielo e la terra: 23 non prenderò nul­ la di ciò che ti appartiene, neanche un filo né un laccio di sandalo : perché tu non abbia a dire di aver arricchito Abramo . 24 Non voglio niente ! fuori di quanto hanno consumato i soldati e della parte che spetta agli uomini venuti con me : Aner, Eshkol e Mambre ; si pren­ dano pure, essi, la loro porzione» .

Vittoria di Abramo sui re orientali ( I4)

Il capitolo contiene uno dei passi più difficili e più discus­ si della storia dei patriarchi , anzi di tutta la tradizione stori­ ca veterotestamnetaria . Prima di tutto si distingue per l'argo­ mento da tutti gli altri episodi riguardanti i patriarchi, poi­ ché ci introduce nell a storia universale, ci pone innanzi una coalizione di grandi regni, una guerra contro un'altra coali­ zione e coinvolge Abramo in un avvenimento politico mon­ diale . Di conseguenza ce lo presenta in figura di un forte con­ dottiero militare, quindi molto diverso da come appare nelle altre narrazioni di cui è protagonista. Ma anche dal lato for­ male , cioè riguardo al genere letterario, il cap. 1 4 si rivela del tutto a parte. Gli avvenimenti non vengono trattati con evidenza ed espressività di particolari , ma semplicemente ri­ feriti come in una nuda cronaca. Quasi ogni frase è zeppa di dati antiquari, e in nessun'altra .parte della storia dei patriar­ chi troviamo una tale quantità di elementi storici e geografi­ ci . Le nuove scoperte sull 'Oriente antico hanno dimostrato che non poche di tutte queste notizie devono fondarsi su una tradizione antichissi ma . Ma d'altra parte si deve mettere in rilievo che nessuna delle narrazioni patriarcali contiene al­ trettanti elementi fantastici , impossibili storicamente e cari­ chi di meraviglioso. Cosl vale oggi il giudizio che si dava cin­ quant'anni fa : « Il racconto presenta uno stridente contrasto fra affermazioni attendibili e altre del tutto assurde» ( Gun­ kel ). Abbiamo a che fare con una tradizione totalmente estra­ nea a tutte le altre tradizioni patriarcali . Gen. 1 4 è «un mon­ do a sé >> ( L. Kohler). Nessuna meraviglia quindi che non si riesca a collegare questo capitolo ad alcuna delle fonti del­ l 'Esateuco . Esso rimane completamente isolato sia riguardo al contenuto, sia per il genere letterario della narrazione, sia relativamente all'esame critico delle fonti ; ed è chiaro che fu un redattore a introdurlo in blocco nel contesto attuale della narràzione ; con questo non si vuol dire assolutamente nulla sull'età del materiale stesso . Metodicamente , l'esegesi non può basarsi che sul solo esame del capitolo . Ogni avventato

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La storit�· dn patriarchi

tentativo di accordarlo con il quadro degli avvenimenti e la cronologia delle altre fonti dell'Esateuco può approdare sol­ tanto a grosse confusioni . L'indole del nostro commento esclude di proposito una più particolareggiata discussione delle singole questioni in parte difficili. I ·4 · All'inizio del capitolo il v . I alquanto inceppato sotto raspetto sintattico richiama lo stile delle antiche cronache in caratteri cuneiformi ( dr. anche Is. 7,1 ; Esth. r , r ) . L'identifi­ cazione, un tempo molto in· voga, di · Amrafel con il famoso re e legislatore babilonese Hammurabi è insostenibile· prima di tutto su basi filologiche ( Sennaar è, nell'uso linguistico vetero-testamentario e del resto anche egiziano, un semplice equivalente di Babilonia, dr . Gen. r o , I o ; I I , 2 ). Le fonti extrabibliche non ci fanno conoscere alcuno che porti questo nome 1• Invece l'Arioc che fino ad ora era rimasto assai mi­ sterioso, ha potuto essere messo in relazione con l'Arrivulçu rivelatoci dall ' archivio epistolare della città di Mari nel nord della Siria ( alto Eufrate ). Si tratterebbe allora del figlio del re Zimrilim di Mari, un contemporaneo del grande Hammu­ rabi ( I 72 8- I 6 8 6 ). Ma anche questa identificazione non è af­ fatto inoppugnabile. Si dovrebbe in tal caso rinunciare anche a vedere in Ellasar la città di Larsa a sud di Babilonia. Il nome di Kedorlaomer è chiaramente elamitico (« servo di La­ gamar » , una divinità elamitica ). Può benissimo esserci stato un re elamita che si chiamava cosl. E tuttavia emergono qui le più gravi difficoltà, poiché è difficile immaginare che Elam benché in certi momenti assai potente (ad est di Babilonia, a nord del golfo Persico ) potesse essere a capo di una coali­ zione di tal genere e compiere una piena azione strategica al sud della Palestina. Tideal deve essere evidentemente riferito al Tudhalia hittita . Si pensa a Tudhalia I (nato circa il I 7 30 a.C. ). Ma perché è chiamato «re delle genti » ? Dei quattro ·I. Per Amrafel e gli altri nomi dei re, cfr.

De Liagre BOhl, in

RGG 11, 332 s.

Vittoria di Abramo sui re orientali (I 4)

227

grandi sovrani solo due al massimo sono dunque identicafi­ bili . Il fatto sarebbe da situare al più tardi all'inizio del X'ÌII secolo . Quanto ai nomi dei re delle città cananee, ci manca completamente ogni possibilità di identificazione. (Nel fatto che il quinto re non ha nome si è visto volentieri un segno di attendibilità storica, perché un narratore che inventasse non sarebbe stato imbarazzato a dargliene uno. ) A quanto riferi­ sce il racconto, le città dovevano trovarsi l'una presso l'altra, nella regione dell'attuale Mar Morto (dr. Deut. 2 9 ,2 2 ). Che la distruzione di queste città , come insinua il v. 3b, debba connettersi con la formazione del Mar Morto , è cosa geolo­ gicamente assurda . Piuttosto in relazione ai grandi sbalzi cui era ed è soggetto il suo livello, la terra coltivata a sud del bacino in antico potrebbe essere stata notevolmente più este­ sa ; infatti la parte meridionale del Mar Morto è ancor oggi assai poco profonda 2• Sebbene poi la storia antica della zona siro-palestinese ci mostri continuamente il formarsi di coali­ zioni di piccoli stati e città contro i grandi regni del Nord­ est, la notizia ·di una coalizione interessante una zona cosl li­ mitata contro un avversario tanto lontano del quale quelle città sarebbero state tributarie, fa l'impressione di essere più che mai leggendaria.

5-7 . Particolarmente curioso è inoltre l 'itinerario seguito dai

re orientali nella loro spedizione punitiva . Esso non si dirige sui ribelli, ma si svolge nella zona orientale del Giordano fi­ no all'estremo sud, per fare qui una svolta in direzione di Cades - cioè a r o o chilometri a sud del Mar Morto - e pun­ tare alla fine in direzione sud-nord verso la regione del Mar Morto dove i re Cananei già da un pezzo li aspettavano a battaglia. Si può ad ogni modo ammettere che i re orientali non si siano mossi unicamente per punire i piccoli re delle ci ttà cananee ( sebbene proprio questa sia la ragione addotta 2. G. Dalman : Palasrlna.Jahrbuch, 1908, 77 s.

La storia dei patriarchi

dal testo), ma che nello stesso tempo volessero assicurarsi la strada in direzione del Mar Rosso e di qui verso l'Egitto e l'Arabia meridionale, assai importante per il commercio ( Al­ bright ). Sta di fatto che si occupano per prima cosa di sbara­ gliare > della Palestina orientale e meridionale . Per quel che riguarda i nomi contenuti nei vv . .5-6 , si ha anche qui motivo di chiedersi se la narrazione offra qualcosa di sto­ ricamente attendibile o non piuttosto non adoperi, in manie­ ra quindi necessariamente vaga, nomi tradizionali di una pre­ sunta popolazione indigena, attribuito alla Palestina del tutto leggendariamente. Per i Refaiti dr. Deut. 2 , 1 1 .2 0 ; J , I I . I J ; per gli Emi ti Deut. 2 , 1 o s. ; i Zuziti sono probabilmente da identificare coi Sansummiti. Gli Emiti sono una popolazio­ ne che risiedeva prima dei Moabiti nella regione a sud-est del Giordano , quivi immigrati nella più remota antichità dal­ l' ovest per colonizzare il paese ; usavano una seri t tura affine all a: cretese 3• Gli Horiti erano una popolazione mesopotamica del II millenni.o a.C. dimorante nell 'alto Tigri ; ma uno strato dominante horitico era penetrato anche nella regione siro-pa­ lestinese e cosi il nome di (Horiti' diventò nella letteratura israelitica un nome generico per indicare la popolazione pri­ mi tiva del paese (cfr . un processo simile nella denominazione di 'Hittiti ', v . Gen. 2 3 ) . Le città nominate al v . .5 sono tutte identifica te nella regione ad est del Giordano. Non fa diffi­ coltà che gli Amaleciti siano nominati nella zona meridiona­ le; non è cosi invece per gli Amorriti che altrove l'Antico Te­ stamento suppone molto più a nord ( Num. 2 1 ,2 1 ss . ; Iud. r , 3 4 s . ). Questi nomi cosi accumulati danno assai più l'impres­ si.one di un apparato erudito che non del diretto residuo di avvenimenti storici .

8- 1 I . Anche la maniera con la quale le città cananee coaliz­ zate lasciano avvicinarsi il nemico senza reazione alcuna, è 3·

A. Alt: Palas tina-Jahrbuch,

1940, 29

ss.

Vittoria di Abramo sui re orientali ( 14)

229

molto strano. «Quattro contro cinque » (v. 9b ); nell'intenzio­ ne del racconto , un vero cozzo di popoli. La sconfitta dei Ca­ nanei è resa particolarmente drammatica dal terreno sfavore­ vole poiché i fuggitivi incappano nei pozzi di bitume disse­ minati ovunque . Non direi però che questo particolare abbia un senso umoristico (Jacob ). La severità di stile con la quale procede la narrazione non pare lasci spazi ad allentamenti di tal genere. 1 2- 1 6 . Qui il grande avvenimento politico si aggancia infine alla storia dei patriarchi . Naturalmente i grandi re hanno sac­ cheggiato le città dei vinti e Lot che risiedeva a Sodoma cade prigioniero. Abramo si precipita dietro con i suoi guerrieri, li assale di sorpresa presso Dan e li insegue fino a nord di Damasco ! Questa vittoria di 3 1 8 uomini sull'esercito coaliz­ zato dei re d'oriente è la cosa più straordinaria in questa vi­ cenda che di cose straordinarie certo non difetta . La parola usata dal testo ebraico per indicare la scorta di Abramo ( ha­ nik ) è un termine tecnico cananeo ( egiziano ) che significa l'alleato militare. La nostra traduzione «chiamare alle armi >> non è sicura (rjq hifil 'vuotare' , la faretra ? ) . Applicare un nome ben noto all 'antichità come nome di luogo (Mambre ) ·a una persona è certo frutto di una erudizione arcaizzante e soprattutto 'Dan ' è un grosso anacronismo perché la loca1 ità in età preisraelitica si chiamava Laish ( Iud. 1 8 , 2 9 ). È strano che ci sia voluto tanto prima che il racconto arrivasse ad Abramo che pure ne è il personaggio principale. Esso non lo nomina in principio, come fanno tutte le narrazioni che lo ri­ guardano , e neppure nel punto culminante dell'avvenimento, ma alla fine, quando i re orientali dopo la vittoria già sono sulla via del ritorno nel nord della Palestin a . L'episodio rela­ tivo ad Abramo si aggancia cosl all'ultima fase della vicenda. Si aggiunge poi un secondo fatto : appena nominato Abramo, la narrazione si volge a un polo di interesse del tutto diver­ so, e cioè all 'incontro con .Melchisedec . A questa seconda

2 30

La storia dei patriarchi

parte, come vedremo subito, deve essere riconosciuto un in­ tento originariamente eziologico ; riguardo al genere lettera� rio essa ha cioè un carattere e uno scopo del tutto diversi dal­ la precedente narrazione di guerra. È ovvia quindi l'ipotesi che il materiale narrativo del nostro capitolo derivi da due componenti di origine e di maniera assai disparate. E l 'ipo­ tesi div�nta certezza a nostro avviso grazie alla prova ancor più precisa che ci fornisce la sutura fra i vv. I I e I 2 . Il v. I I parla del bottino preso e della partenza dei re orientali . Il v. I 2 invece, dopo che già si è riferita la partenza, ripetendo un altro «essi presero» torna indietro di nuovo al tema del bottino, evidentemente per aggiungere che portarono via Lot e cosi agganciare l'episodio di Abramo . Prima del v. I 2 c'è dunque una frattura che separa le due unità narrative. La prima, con la guerra dei re orientali contro i Cananei, non aveva all'inizio niente a che fare con Abramo . Sarà difficile considerarla un documento storico in senso stretto . Si deve pensare piuttosto a un antico epos o parte di esso, o comun­ que a una tradizione di epoca preisraelitica che, redatta an­ cora in caratteri cuneiformi , probabilmente giaceva nell'ar­ chivio di qualche città palestinese. Che questo epos o fram­ mento di epos già conoscesse o nominasse Abramo non è am­ missibile, come abbiamo detto. Abramo deve essere entrato in questa prin1a unità narrativa o piuttosto al margine di es­ sa incorporato alla storia di Melchisedec. L'insieme però come ci si presenta ora, nonostante singoli elementi di alta antichità, deve essere considerato come un prodotto lettera­ rio assolutamente recente. Ne è indizio una certa erudizione artificiosamente arcaizzante. Rientra in questa linea anche la designazione di Abramo quale «ebreo » . Ebreo non era nella remota antichità il nome di un popolo , ma il nome con cui nel II millennio si connotava corre n temente in molte regioni un basso strato sociale. Nell'A.T. il termine si trova partico­ larmente sulle labbra dei non-israeliti o degli israeliti quando parlano agli stranieri. Generalizzato come nome di popolo

Vittori4 di Ahramo sui re orientali (z4)

23 1

appare solo qui e in un'altra opera, anch'essa letterariamente tarda (Ion. I ,9 ). Per altre indicazioni sulla questione circa gli Ebrei cfr. pp. 496 s .

1 7-2 0. Conclusione e vertice di tutta l a narrazione nel suo

stato attuale è l'incontro di Abramo con Melchisedec. Tut­ tavia questa scena di Melchisedec ( vv. I 8-2 o ), come si ve­ de, è inserita a sua volta nel racconto del colloquio di Abra­ mo col re di Sodoma (vv . I 7 ,2 1 -24) ; e così la preistoria del nostro capitolo sia per il contenuto sia dal lato formale si presenta ancor più complicata . Il luogo di ambedue gli in­ contri , basandosi su 2 Sam. I 8 , I 8 , si congettura essere una valle nelle vicinanze di Gerusalemme. Il nome di Melchise­ dec ricompare nell'A.T. soltanto in Ps. I 1 0,4. Ialem viene giustamente identificat·a con Gerusalemme e si è indotti a supporre che il nome completo della città sia stato evitato a bella posta perché troppo radicalmente legato alle specifiche concezioni religiose dell'età posteriore . Anche Shalem è dun· que un nome artificioso . Gerolamo avrebbe pensato a una Shalem a sud di Scitopoli ( Besan ); si è avanzata l'ipotesi di una Shalem a est di Sichem . Siccome però nel salmo I 1 o il tema di Melchisedec è legato al trono di David e nel salmo 76,3 il nome di Shalem è usato per Gerusalemme, è giusto attenersi anche qui a tale identificazione . Né -crea difficoltà alcuna ammettere l'esistenza di un re . di Gerusalemme pre­ israelitico, data la scoperta di una corrispondenza di re siro­ palestinesi col faraone egiziano, risalente al XIV sec. a.C. (in essa si sono trovate lettere di un principe di Gerusalemme). Lo stesso nome 'Melchisedec' è certamente aramaico antico (cfr. Adonisedec di Ios. I O , I ) . Infine la riunione dei due uf­ fici : di sacerdote e di re in una sola persona non costituiva nell'Oriente antico nulla di strano ( ad esempio presso i Fe­ nici ). Anche l'accenno a un culto dell"Altissimo Iddio' ( 'el 'elio n ) ai nostri giorni è confermato con sorpresa da testimo­ nianze extrabibliche . Probabilmente si tratta di quella divi-

La stori4 dei patriarchi

23 2

nità che col nome di «baal del cielo>> aveva trovato larga dif­ fusione soprattutto nel mondo fenicio ma anche per largo raggio altrove 4• L"Altissimo Iddio' era al vertice di un pan­ theon a struttura monarchica , la cui complessità ci hanno fatto per la prima volta conoscere i testi mitologici trovati a Ras Shamra. La cosa più strana è però che il nostro racconto veda nel culto di questo dio qualcosa di affine al culto di Jah­ vé . Nel rendere onore all '«Altissimo Iddio, che ha creato il cielo e la terra » Melchisedec - cosl almeno è il pensiero del passo è già molto vicino alla fede nell'unico Dio del mondo che solo Israele conosceva. Il giuramento di Abramo per «Jahvé, l'Altissimo Iddio» (v. 2 2 ) sembra postulare addirit­ tura una identità . È significativo d'altra parte che proprio la lezione «Jahvé» non sia certa; nei LXX manca ; altri testi han­ no «dio» (ha' elohim) generico e teologicamente meno com­ promettente. Una valorizzazione cosl positiva e tollerante di un culto extra-israelitico cananeo non ha altri esempi nel­ l'A.T. Se si considera il carattere che aveva la fede in Jahvé, appare assolutamente inusitato sopra tutto l'omaggio reso da Abramo a un ministro pagano del culto. È vero che l'inizia­ tiva è partita da Melchisedec : egli offre un pasto d'onore al vincitore di ritorno e pronuncia su Abramo la benedizione del suo Dio. Ha la piena intuizione che 'l'Altissimo Iddio' sia colui che ha aiutato Abramo nella vittoria, pur non sa­ pendo assolutamente nulla dei disegni e dei misteri del Dio di Israele. Abramo però a sua volta si inchina a questa bene­ dizione e dà a Melchisedec la decima, il che implica ricono­ scergli un diritto sui beni, l'esercizio di una autorità. (Una lieve incoerenza si rivela nel fatto che Abramo al v . 2 2 decli­ na ogni pretesa al bottino; evidentemente essa deriva dalla giustapposizione di materiali eterogenei. ) L'episodio di Melchisedec ebbe interpretazioni diverse. Si presenta come un semplice fatto, ma bisogna tuttavia am-

4. Cfr. O. Eissfeldt:

ZAW 1939, I

ss.

V;ttoria di Abramo sui re orientali ( 14)

23 3

mettere che fu elaborato tenendo conto del suo tardo lettore. Se fosse da ritenere una tradizione effettivamente antica , sa­ rebbe il caso di pensare alla spiegazione e legi ttimazione di un qualche accordo intervenuto in remoti tempi fra. gli Israe­ liti e un re cananeo (dr. per fatti di questo genere Gen. 2 I , 2 3 ss . 3 2 ; 26,26-3 3 ).- Ma non è sicuro, anzi nemmeno vero­ simile che questa parte del racconto risalga a un'epoca tanto lontana. È molto più probabile che essa abbia lo scopo di creare un rapporto fra Abramo e la sede del trono davidico la cui esistenza già è presupposta dal racconto stesso, dato che Melchisedec era considerato nella mentalità religiosa dell 'ambiente di corte come il tipo, cioè il rappresentante primigenio e il precursore dei Davidici (Ps. I I O). La nostra narrazione, sottolineando che Abramo gli ha pagato la deci­ ma, ci fa vedere che il patriarca si inchina davanti a colui che tiene il posto del futuro Unto . Ma bisogna riconoscere che la pericope ha, oltre a questa, anche un'altra mira ancor più di attualità. È noto l'abisso che esisteva fra la corte e Gerusa­ lemme la città del tempio da una parte, e la popolazione ru­ rale dall'altra, attaccata alla fede dei patriarchi e presso la quale l'Unto di Jahvé in Gerusalemme per lungo tempo non riuscl a diventare popolare ; essa si mostrava molto restia nei suoi riguardi e più che mai quando si trattava di aggravi ma­ teriali e di imposte da lui emanate ( cfr. 1 Sam. B , I I ss . ). È dunque probabile che il racconto si rivolga ai circoli osser­ vanti della popolazione giudaica, di liberi sentimenti, ai quali riusciva intollerabile sottomettersi a un re residente in quel­ la Gerusalemme che un tempo era stata pagana, e che ri tene­ vano la loro costituzione patriarcale in tribù come l'ordina­ mento politico stabilito da Dio. Del tutto contraria la situa­ zione del capitolo I 4 : qui Abramo, sebbene non si abbassas­ se davanti ad alcun forestiero, faceva atto di omaggio a Mel­ chisedec e gli pagava la decima. E questo Melchisedec era già molto vicino alla fede in Jahvé che ebbe più tardi Israe� le. Anche gli Israeliti e i Giudei delle età seguenti avevano

Ltz st()f'ia dei patriarchj

dunque motivi ben validi per sottomettersi all'Unto di Jahvé e pagargli i tributi. Comunque, la cosa più importante era che già Abramo aveva ricevuto la benedizione del precursore di David e dei Davidici, che già Abramo era conscio di avere degli obblighi verso il luogo e il re di Gerusalemme. Cosl il nostro capitolo, attraverso la benedizione di Melchisedec e il pagamento della decima, fa notare chiaramente che già Abramo è aperto a quella salvezza che Dio più tardi legherà al trono di David mediante la profezia di Natan. È soltanto davanti a Melchisedec che Abramo si inchina, in questa sto­ ria in cui compaiono tanti re. Egli entra in scena come uno straniero avvolto in un incognito singolare, e dalla sua bocca escono le uniche parole solenni che siano pronunciate in questa vicenda (Hellbardt ). 2 1 -24. Con questa solennità contrasta nel modo più crudo la faccenda col re di Sodoma ( come mai è ancora in vita, dopo ciò che si dice al v. I o ? ). Abramo respinge con dignità il sospetto di volersi far ricco della roba_ altrui . Ma se egli dà a quel re prepotente ciò che esige, questa sdegnosa fierezza è proprio il contrario dell'umile ossequio mostrato nel paga­ re la decima . 4· Promessa di Dio

e

alleanza

con

Abramo ( 15)

1 Dopo tali avvenimenti, la parola di Dio fu rivolta ad Abramo in vi­ sione : «Non temere, Abramo, io sono per te uno scudo ; la tua ricom­ pensa è ben grande» . 2 Abramo disse allora : «Ma Signore, Jahvé, che cosa mai puoi tu darmi dal momento che me ne vado cosi, senza un figlio ? . . . » . 3 E Abramo disse ancora : «Discendenza non me ne hai da­ ta ; ed ecco sarà mio erede uno dei servi nati nella mia casa» . 4 Allora la parola di Jahvé si rivolse a lui : «Non questi sarà tuo erede ; ma uno che tu stesso avrai generato, quegli ti sarà erede» . 5 E lo condusse fuo­ ri, all 'aperto e gli disse : «Guarda il cielo e conta le stelle, se ci rie­ sci» . E poi aggiunse : «Cosi sarà la tua discendenza» . 6 Credette Abra­ mo a .Jahvé e questi glielo contò a giustizia . 7 Gli disse poi : «lo sono Jahvé che ti ho fatto uscire da Ur in Caldea

Promessa di Dio e alleanu con Abramo (IJ) per darti questo paese in ereditario possesso� . 1 Rispose Abramo : « Si­ gnore, Jahvé, da qual segno potrò riconoscere che l'avrò in mia er�di­ tà ? » . 9 Iddio gli disse : «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra pure di tre anni e un capro egualmente di tre anni ; una tortora e un giovane colombo » . 10 (Abramo) andò a préndergli tutti questi animali, li sparti nel mezzo e pose le due metà una di fronte all'altra; gli uccelli però, non li divise. 11 Su i cadaveri calarono allora gli avvoltoi e Abra­ mo li scacciava. 12 Quando il sole fu al tramonto , un sonno profondo piombò su Abramo ; terrore e densa oscurità lo avvolsero . 13 E Iddio disse ad Abramo : «Sappi che i tuoi discendenti abiteranno come stra­ nieri in una terra che non apparterrà a loro ; vivranno all'altrui servizio e saranno oppressi per 400 anni. 14 Ma io farò giustizia anche del po. polo di cui furono schiavi e partiranno dopo questo tempo con grandi ricchezze . 15 Tu invece andrai in pace a raggiungere i tuoi padri e sarai sepolto in beata vecchiezza . 16 Ritorneranno qui alla quarta §enerazio­ ne, perché la colpa dell'Amorreo non è ancora al colmo>> . 7 Quando poi fu tramontato il sole e si fece completamente buio comparve un fornello fumante e una lingua di fuoco che guizzava fra i pezzi degli animali spartiti. 18 In quel giorno Jahvé strinse un patto con Abramo dal seguente tenore : «Ho dato ai tuoi discendenti questo paese, dal 'rivo ' (i) d'Egitto fino al fiume grande, l'Eufrate . 19 I Keniti, i Keniz­ ziti, i Kadmoniti e gli Hittiti, i Perizziti e i Refaiti, 20 gli Amorrei, i Cananei e i Ghirgashiti, e i Gebusei» .

Il testo di questo capitolo per quanto concerne la critica ·delle fon ti è molto difficile da analizzare 2• È certo soltanto che la 'sutura principale' in questo testo che ne è pieno , si trova fra il v. 6 e il 7 ( Wellhausen) : in realtà sotto l'aspetto del contenuto abbiamo a che fare con due narrazioni diver­ ·se. Le contraddizioni infatti sono troppe perché si possa ve­ ·dere nel capitolo una unità narrativa organica ( al v. 5 è notte, nel v. 1 2 si fa sera; al v. 6 si parla della fede di Abramo , al v. 8 di un suo dubbio che Dio risolve offrendo una garanzia ·materiale ecc . ) . Mentre h1 pericope 7 - 1 8 , eccettuata la gran­ de interpolazione di I 3-1 6, deve essere considerata come pu1: . Cfr. Biblia Hebraica. ·2. Elementi fondamentali per la distinzione delle fonti J ed E (specialmente in rapporto alla contestazione della fonte E da parte di Volz e Rudolph ) in M. Noth, Vberlieferungsgeschichte des Pentateuch, 1948, 20 ss.

La storia dei patriarchi

ramente jahvista, secondo la classica critica delle fonti, non è più assolutamente certo che ai vv. 1 -6 abbia inizio la reda­ zione elohista . Il racconto - in ogni caso povero di avveni­ menti - è in sostanza costruito, dal punto di vista stilistico, su espressioni che indubbiamente provengono dall'ambiente eultuale ( teofania, oracolo di salvezza, dichiarazione di giu­ stizia ) 3• È assai disctitibile che ne sia autore l'Elohista il qua­ le avrebbe composto in modo cosi insolito un racconto su Abramo. Ma anche all'interno di questa prima parte del rac­ conto si trovano strani doppioni e fratture ; il testo è stato manifestamente rimaneggiato (il v. 3 è parallelo al v. 2 , il v. 5 probabilmente al v. 4 ) . Tuttavia poiché il testo pare sot­ trarsi irrimediabilmente a una analisi sicura, l'abbiamo dato tal quale oggi si trova, ma s'intende che nel nostro commen­ to, anche sul piano teologico, terremo conto delle diversità che presentano le due narrazioni, prima e dopo la sutura principale. I . La formula « la parola di Jahvé fu rivolta a . . . >> (si verificò per . . ) è tanto estranea a tutto l'Esateuco quanto è frequente nella letteratura profetica. Il narratore e l'ambiente in cui era viva la tradizione qui elaborata non sapevano rappresen­ tarsi il rapporto fra Dio e Abramo se non nei termini delle vocazioni profetiche : tramite una visione e una persona pro­ feticamente autorizzata (cfr. Gen. 20,7 ). Anche di visioni non si parla altrove nell'Esateuco, eccettuato l'episodio di Balaam in Num. 24,4 . 1 6 (una magnifica descrizione di visio­ ne notturna - dato che in base al v. 5 si deve pensare a un fatto di tal genere - si ha in Iob 4 , 1 2- 1 6 ; essa è ricevuta con una lucidità mentale più che mai viva e accompagnata da particolari fenomeni psichici). L'immediato rivolgersi della divinità all'uomo era sentito dagli antichi come qualcosa di assai più terrificante di quanto esso non sia per la pietà mo.

3· O. Kaiser, Traditionsgeschichtliche Untersuchung von Gen. IJ : ZAW I I 8.

19,8, I07-

Promessa di Dio e alleanza con Abramo (Ij)

23 7

derna. Ma Abramo non deve dar posto a questo istinto di terrore che prova l'uomo primitivo di fronte alla divinità ( cfr. Gen. 2 1 , 1 7 ; 2 6 , 2 4 ; 4 6 , 3 ecc . ). La metafora di Dio co­ me ' scudo ' proviene dal linguaggio liturgico ( dr. Ps. 3 ,4 ; 2 8 , 7 ; 3 3 , 20 ). Nella lunga serie delle promesse che continua­ mente vengono ripetute ai patriarchi, anche questa espres­ sione è usata unicamente qui . Il termine che Lutero ha reso con 'ricompensa' significa in largo senso 'merito' , ma nella letteratura posteriore viene anche usato in significato religio­ so, per il libero dono di Dio ( ls. 40, 1 0 ; 6 2 , 1 1 ; Ier. 3 1 , 1 6 ). Oppure è da intendersi nel senso di 'contraccambio' da parte di Dio per l'obbedienza dimostrata nella migrazione? D'altra parte nell'ordine della narrazione la prov a di Abramo viene solo dopo, e proprio a proposito di questa promessa , che nonostante i termini superlativi in cui è espressa , sfugge in un primo tempo a una determinazione concreta. Il dono non è in realtà Dio stesso, come Lutero ha tradotto liberamente, ma prima di tutto una discendenza innumerevole (v. 5 ) : tut­ tavia il carattere spiccatamente programmatico di questa pa­ rola ha permesso più tardi di vedervi incluso ogni bene e ogni dono di salvezza di cui I sraele prese coscienza di essere l'oggetto. 2-6 . Abramo si schermisce , in tono sfiduciato . Il suo scettici­ smo senza speranza di fronte a Dio che gli annunzia la sua protezione e un immenso dono , confina quasi con la bestem­ mia ; ma nello stesso tempo volge timidamente la conversazio­ ne a ciò che cos tituisce il vero motivo del suo avvilimento : il fatto di essere senza prole . La fine del v. 2 è purtroppo in­ traducibile ( non conosciamo il significato della radice msq e dammeseq non si può rendere con 'il Damasceno') 4• Probabil­ mente Abramo allude al suo servo Eliezer ( il nome però com4·

Recentemente è stato proposto di vedere in msq una denominazione più anti­ di Damasco e di leggere con una mutazione minima del testo: «E il figlio del­ la mia casa è il figlio di Mdeq, cioè Damasco,. . M.F. Unger: JBL 19,.3, ,o

ca

La storia dei patriarchi il.

pare solo qui, in questa frase corrotta ), che, in mancanza di figli naturali, sarà il suo erede . Israele non aveva alcuna leg­ ge generale che regolasse la successione ereditaria sotto que­ sto aspetto. Ma fta i documenti cosi detti di Nuzi ( xv sec. a.C. - regione del Tigri orientale) figurano parecchi ·contratti in base ai quali in mancanza di figli venivano adottati degli schiavi ai quali poi incombeva il dovere di dare conveniente sepoltura a chi aveva loro lasciato l'eredità. Abramo sembra seguire questa prassi o almeno pensarci ora (v. 3 ). Non è af. fatto certo che il holek del v. 2 debba essere tradotto senz'al­ tro con 'andarsene' nel senso di morire perché in ebraico il verbo usato assolutamente ha solo il senso di ' andare'. Se si considera che qui ci troviamo all'inizio della narrazione elo· hista, è molto suggestiva l'ipotesi che il luogo di questo col­ loquio nella redazione originaria fosse ancora la Mesopota­ mia ( si tratterebbe allora di un passo perfettamente paralle­ lo a Gen. 1 2 , 1 -3 ) e che il senso dell'obiezione avanzata da Abramo sia questo : mi metto in cammino senza prole (Gal­ ling ). Il v. 3 ripete lo stesso pensiero, evidentemente in base all'altra fonte ( abbiamo infatti una seconda formula intro­ duttiva delle parole di Abramo). Abramo che finora era sta­ to sotto la tenda, adesso deve uscire ali' aperto e vedere nel­ la infinità delle stelle un segno del numero incalcolabile dei suoi discendenti. Questo gesto che Dio esige non significa af­ fatto qualcosa che faciliti la siruazione di Abramo e gli ven­ ga in aiuto nel suo scoraggiamento ( tale è invece, ad esempio, al v. 9, il senso evidente del cerimoniale con cui si conclu­ dono le alleanze). Al contrario, il fatto che ora Dio renda intuitiva attraverso un'immagine concreta la promessa for­ mulata astrattamente al v. I , ne fa risaltare in maggior misu­ ra il carattere paradossale. Ed è strano che proprio in questo momento di più acuta tensione, il racconto vero e proprio si interrompa. Il narratore lascia, per così dire, il suo personag­ gio a guardare il cielo, e si volge al lettore esponendogli giu­ dizi teologici di gran peso, senza per altro riferire né sul con-

Promessa di Dio e alleanza con Ahr4mo (IJ)

239

to di Abramo né su quelJo di Dio alcun fatto reale che dia ragioni di tali giudizi. E se si cerca di determinare sotto qual­ siasi aspetto, per esempio sotto quello psicologico, che cosa, tirando le somme, il narratore indichi come 'fede' piena, il testo davvero non ci fornisce alcuna indicazione concreta; è come se si trattasse di qualcosa che sfugge a ogni rappresen­ tazione. È una fede non descritta, ma solo affermata. AI di fuori, tale misterioso processo del credere si manifesta in un modo piuttosto negativo: non aprir bocca, ascoltare in silen­ zio, guardare . Excursus. Vi sono tre termini nel v. 6 che richiedono un breve commento : 'tener conto', 'giustizia' , 'credere'. Giudi­ care che di qualcosa si debba ' tener conto' in un certo mo­ do, era originariamente, come dimostrano Lev. 7 , 1 8 ; 1 7 ,4 o Num. 1 8 ,2 7 , un'importante funzione dei sacerdoti, nel sen­ so che essi, come rappresentanti di Dio, dovevano giudicare l'idoneità dei sacrifici offerti. Nella redazione sacerdotale ab­ biamo una quantità di formule dichiarative di tal genere che esprimono questa funzione giudicatrice dei sacerdoti e ne co­ municano anche il reperto ai relativi fedeli (cfr . ad es. Lev. I 3 , 1 7 . 2 3 . 2 8 .3 7 · 44 · 46 ) .

La giustizia non è una norma ideale assoluta posta al di sopra dell'uomo, ma un concetto di relazione, cioè il predi­ cato di giusto viene a ragione riconosciuto a colui che agisce come deve nei riguardi di un rapporto comunitario vigente e quindi soddisfa le esigenze che gli sono imposte in base a tale rapporto 5 • Questa relazione comunitaria può essere a li­ vello umano; sono però più importanti i testi nei quali, co­ me nel nostro passo, il concetto di giustizia si riferisce al rapporto d'alleanza stabilito da Dio . Dio è giusto in quanto si volge all'uomo; e si tratta allora della sua iustitia saluti­ /era. Ed è giusto l'uomo in quanto si attiene alle forme di ,. «t giusto chi è in funzione della comunità)), L. Kohler, Theologie des Alten Testaments; 193,, 16.

L4 storia dei patriarchi

240

questa relazione stabilita da Dio, ad esempio all'alleanza e ai comandamenti. Quale stretto rapporto vi sia fra l'essere dichiarato giusto e i comandamenti di Dio, lo mostra, fra l'altro in Ezech. 1 8 ,5 ss. una serie di precetti sul tipo degli 'esami di coscienza' per la confessione; e a risultato dell'in­ chiesta, segue come verdetto e assoluzione: «questi è giusto» (qui si potrebbe dire egualmente bene : «gli deve esser con­ tato a giustizia �> ) 6• 'Credere' è un ' ancorarsi in Dio' e riguar­ da di solito un'azione futura di Dio relativa alla storia della salvezza. È un atto di fiducia, un prestarsi al piano divino nella storia. Come atteggiamento da parte dell'uomo, la fede è piuttosto qualcosa di passivo, un lasciare che Iddio dispon­ ga di sua autorità ( dr. Is. 7 ,4 , 9 ; 2 8 , 1 6 ; 3 0 , 1 5 ). Nel nostro passo però la dichiarazione di giustizia non vie­ ne fatta nell'ambito liturgico o per bocca di un ministro del culto, ma è trasferita sulla linea del libero e personale rap­ porto di Dio con Abramo. E soprattutto non si fonda sul­ l'adempimento di alcune opere, su sacrifici o atti d'obbedien­ za, ma è detto in modo programmatico che è stata solo la fede a porre Abramo in un giusto r·apporto con Dio . Dio ha indi­ cato il suo piano storico : fare di Abramo il capostipite di un grande popolo. Abramo si è ancorato ad esso, cioè l'ha preso sul serio e vi si è inserito. E in questo modo, a giudizio di Dio , si è messo verso di lui nell'unico rapporto che può es­ sere giusto. Il v. 6 ha in ogni modo il valore di una conclu­ sione ; con la solenne constatazione che vi si esprime giunge a felice esito l'episodio, così pieno di tensioni, della voca­ zione di Abramo. Se anche la pericope poggia su di un mate­ riale narrativo più antico, essa tuttavia nello stato attuale non può più essere considerata come una 'saga' dato il suo inso­ lito contenuto di riflessione teologica. La frase culminante del v. 6 ha già quasi il carattere di un assioma teologico ge­ nerale (inoltre sui vv. 1 -6 si veda più avanti p. 247). 6. ar. ThLZ I95I

n.

3, 129

ss.

Promessa di Dio

e

alleanu con Abramo (IJ)

7-8 . Da una parte è facile riconoscere che col v. 7 incomincia

un nuovo contesto narrativo poiché anche la presentazione che la divinità fa di se stessa acquista, conforme a tutti gli altri passi paralleli ( Gen. 2 8 , 1 3 ; Ex. 3 ,6 ; 6,2 ), il suo senso particolare solo all'inizio di una rivelazione che la concerne. D'altro canto è chiaro lo studio del redattore di congiungere il più strettamente possibile l'episodio che sta per narrare ora con quello precedente, poiché col v. 7 considerato a sé non può certo aver avuto inizio una narrazione. Queste pre­ sentazioni con le quali la divinità si fa riconoscere dagli uo· mini sotto una determinata luce ( nell'A.T . si tratta quasi sempre di un fatto ben noto del passato) sono assai più di una frase solenne. Il corso della vita umana secondo la fede degli antichi era tutto circondato e determinato da potenze soprannaturali alle quali anche il primitivo Israele, senza per questo venir meno al primo comandamento , riconobbe una certa esistenza e capacità d'azione ( dr. Iud. 1 1 ,24). Ma que­ sta sfera del numinoso che spesso costituiva per gli uomini anche un'insidia, assumeva aspetti e risonanze ambigue : don­ de l'importanza assoluta che Dio, quando chiamava un uomo, uscisse da sé dal proprio incognito e si desse a conoscere in­ sieme ai suoi voleri, distinguendosi così da quelle seduzioni e minacce ingannatrici . L'idea che Abramo fosse originario di Ur in 'Caldea' è presente solo nella versione sacerdotale e perciò il nome del luogo qui è ritenuto correlazione più tarda con scopo di armonizzare (dr . p. 200 ). La promessa di dare in proprietà il paese appare una ripetizione del capitolo 1 2 ; ma un excursus (cfr. più avanfi pp . 2 46 s . ) dimostrerà che secondo i dati forniti dalla storia redazionale, proprio a que­ sto posto essa è originale, ed è qui che comparve la prima volta.

9- 1 2 . Per quanto i due episodi della vocazione di Abramo al vv. 1 - 6 e 7- 1 8 procedano sotto l'aspetto formale in certo senso paralleli, qui il secondo fa una notevole deviazione : al

La

storia dei patriarchi

dubbio di Abramo Dio non risponde con ulteriori spiegazio­ ni. Ora intervengono gli atti, e perciò egli comanda di fare i preparativi per un misterioso cerimoniale. Si tratta del rito per la conciusione di un'alleanza, ben noto in forme consi­ mili a molti popoli antichi. Il significato di quest'uso, a cui l'A. T. accenna anche altrove ( Ier. 34 , 1 7 ss. ) può essere colto solo per via indiretta, come spesso avviene. Gli animali ta­ gliati a metà, vengono messi un pezzo di fronte all'altro e co­ loro che contraggono l'alleanza devono passare nello spazio che resta in mezzo ; esprimono in questo modo una maledi­ zione contro se stessi nel caso che rompano il patto . Non è certo che l'uccisione degli animali debba intendersi come un sacrificio ; anzi il fatto che le carni non si anc né bruciate né mangiate, ma seppellite come qualcosa di maledetto, sta piut­ tosto a dimostrare ll contrario . Ciò che di strano v'è in tutto questo e anche di unico nella storia delle religioni è che Dio stesso per stringere un rapporto di unione con Abramo usi quelle forme che danno la maggiore garanzia nei contratti fra uomini . ( Per più estesi particolari sull'idea di alleanza cfr. il commento a Ge n I 7,2 . ) Il piombar giù degli avvoltoi si potrebbe intendere come un cattivo auspicio (Virgilio, E­ neide 3 , 2 3 5 ss. ); si tratta forse di potenze maligne che all'ul­ timo momento vogliono intralciare la conclusione dell'allean­ za? Il misterioso incidente potrebbe anche alludere agli osta­ coli che si oppongono alla realizzazi ne della promessa ( Dill­ mann). E ora bastano al narratore oche parole per rendere magnificamente il senso di terrore c e si diffonde su tutta la scena, nell'attesa piena di tensione i ciò che sta per accade­ re. Il sole è al tramonto e Abram piomba in uno strano son­ no, colmo di ansia e di stordimento . tardema è un sonno pro­ fondo nel quale le attività dello spirito e della sensibilità ven­ gono sospese (cfr . ciò che si è detto per Gen. 2 ,2 1 ); in certi casi però esso apre l'uomo a uno stato superiore di veglia, cioè a ricevere una rivelazione ( Ioh 4 , I 3 ; 3 3 , I 5 ) . .

Promessa di Dio

e

allean1.1l con Abramo ( 1J)

1 3- 1 6 . Il discorso di Dio dei vv. 1 3- 1 6 è stato riconosciuto già da un pezzo una interpolazione (dall 'E ? ). Non c'è dub­ bio che all a descrizione dei preparativi, del tramonto del so­ le e del sonno doveva seguire immediatamente la teofania. Benché nello stato attuale del testo il discorso piuttosto pro­ lisso di J ahvé rappresenti una interruzione nel filo di quegli eventi preparatori carichi di ansia, tuttavia per il fatto stesso che introduce già qui Jahvé a parlare anticipa anch'esso qual­ cosa di quell'attesa. La pericope allude ai tratti oscuri che la posterità di Abramo doveva percorrere ne] cammino dell a sua storia, prima che la promessa trovasse compimento. L'in­ tento di questi versi è chiaro : si tratta di un ' tema eziologi­ co', si vorrebbe cioè spiegare un enigma: Abramo ha ricevu­ to la promessa, ma essa lungo il corso di molte generazioni non è ancora giunta a realizzarsi. Risposta: il fatto non di­ pende da una mancanza di potere da parte di J ahvé. L'inter­ mezzo doloroso del soggiorno in Egitto non fu qualcosa di imprevisto : Jahvé al contrario pa calcolato tutto fin dal prin­ cipio poiché la colpa degli Amorrei ( qui nel senso di popo­ lazione cananea indigena ) non era ancora giunta al colmo . Dio misura ai popoli i loro tempi (Dan . 2 , 2 1 ). La colpa degli Amorrei certamente consiste anche qui nel loro pervertimen­ to sessuale (Lev. 1 8 ,24-2 8 ). Non è chiaro come il dato cro­ nologico del v. r 3 si accordi con Ex. 1 2 ,40; ma soprattutto c'è una discordanza con ciò che si dice al v. r 6 , poiché una generazione ( dor) nell'A.T. non corrisponde mai a r oo anni. Abramo deve morire prima, in pace. La formula « andare a raggiungere i suoi padri>> deve intendersi della tomba di fa­ miglia, ma qui non è troppo esatta perché Abramo a dir vero si è ormai separato dalla sua stirpe. Morire «in beata vec­ chiezza» come i covoni maturi a loro tempo sono ritirati dal campo ( Iob .5 , 2 6 ) è considerato nell'A.T . come un grande fa­ vore di Dio (cfr. il commento a Gen. 2 .5 , 8 ). La pericope per il suo tono dottrinale si stacca fortemente dal contesto nel quale è oggi inserita ; la si può considerare

244

L:J stori4 dei patriarchi

come un piccolo capolavoro veterotestamentario di teologia della storia caratterizzato dai seguenti punti : r . l'aspetto uni­ versale della storia : Dio esercita il suo dominio sugli eventi del mondo nel senso di una providentia generalis ; 2 . nello scorrere del lasso di tempo loro concesso i popoli maturano per un giudizio immanente alla storia; 3 · nella storia univer­ sale Dio persegue un piano particolare per Israele, suo po­ polo ; il cammino della storia della salvezza in un primo tem­ po procede tuttavia male, nella delusione e in un apparente abbandono di Dio ; 4 · Abramo-Israele deve sapere questi mi· steriosi programmi che Dio realizza nella storia ; non deve accoglierla come un enigma, ma comprenderla nella fede (cfr. quanto è detto per Gen. 1 8 , r 7 ss. ). I 7. La t�ofania, che la narrazione aveva preparato in una ten­

sione crescente, è descritta con estremo realismo ; e tuttavia si possono notare i segni di una certa voluta misura, poiché il narratore evita di identificare senz'altro Jahvé con gli stra­ ni fenomeni · di cui parla; il rapporto che Dio ha con essi re­ sta nel vago. Ciò che, dopo il calare di una tenebra assoluta, appare ai sensi, è qualcosa di simile a un forno e a una lin­ gua di fuoco che serpeggia fra i pezzi delle carni ivi dispo­ ste. Non ci si deve troppo chiedere che cosa voglia signifi­ care qùesta apparizione in se stes�a. Poiché il tannur ( propria­ mente : forno da pane) aveva la forma di un cilindro cavo d 'argilla ristretto verso l'alto (sulle cui pareti esterne e inter­ ne si facevano aderire le gallette ), si è pensato a una prefìgu­ razione misteriosa del monte incandescente di Dio, cioè che si volesse alludere all'altra alleanza conclusa sul Sinai con l'in­ termediario di Mosè. Si badi però a non volatilizzare nel­ l'astrattezza del simbolo la materialità, intenzionalmente mar­ cata, dell'apparizione; a volervi attribuire un senso compren­ sibile agli uomini, il valore di tutto l'insieme, che consiste proprio nel dare una garanzia del tutto concreta, si sposta da capo nell'$stratto. Il cerimoniale si svolge senza nemmeno

Promessa di Dio e alleanu

cotJ Abramo (I5)

una parola, e anche con u n atteggiamento di passività com· pleta da parte dd contraente uomo.

1 8-2 1 . Solo al v. 1 8 il narratore spiega l'episodio, non allu­ dendo però a un suo 'significato' più alto; constata semplice­ mente con un realismo quasi giuridico il fatto che l'alleanza è stata conclusa, e poi riferisce a modo di protocollo il testo dell'impegno preso da Jahvé. L'estensione della terra pro.. messa corrisponde a quella dd regno di Salomone nel mo.. mento del suo maggior splendore ( I Reg .5 , 1 ); come confine a sud non è però indicato il 'fiume' d'Egitto ( il Nilo), ma quello che viene detto il «rivo d'Egitto» ( cfr. I Re g. 8 ,6 5 ) cioè l 'uadi el-Arish fra Gaza e il limite orientale del delta del Nilo ; il testo abbisogna quindi di un emendamento. La enumerazione dei popoli ai vv. 1 9-2 1 è ritenuta un'aggiunta; vi è riunito tutto ciò che si sapeva allora di nomi antichi ( su­ gli Hittiti cfr. Gen. 2 3 ) Il racconto dell'alleanza conclusa da Jahvé con Abramo (vv. 7- 1 8 ) appartiene verosimilmente allo strato più antico della tradizione patriarcale. Al difficile problema circa la re­ ligione premosaica (cioè anteriore alla fede in Jahvé ), biso­ gna rispondere che gli antenati d'Israele praticarono un culto al «dio dei padri » 7• In queste comunità cultuali premosaiche erano tramandati con particolare zelo i nomi delle persone per opera delle quali questo culto aveva avuto inizio e nei cui riguardi le promesse e l'assistenza della divinità si erano avve­ rate con una validità esemplare. Abramo, !sacco e Giacobbe erano stati di questi primi beneficiari della rivelazione e fon­ datori di un culto al dio dei padri . Qualora anche l'idea del­ la conclusione di un' «alleanza» con Abramo (cfr. pp. 2 60 s. ) risalisse a questo tempo molto remoto, potremmo considerare il contenuto di questa pericope come un esemplare di roccia archeozoica tratta dalla tradizione dei padri. Perciò il fatto .

.

7· A. Alt, Der Gott der Vater, 1929.

1..11 storill dei patriarchi

indicherebbe che il racconto è di un genere del tutto diverso da quello di una leggenda locale originaria della Palestina, come in Gen. 1 6 ; r 8 ; 2 8 ; 3 2 ecc. Ma non è neppure escluso che il concetto di alleanza abbia preso piede in Israele solo più tardi e che sia stato anticipato dal narratore all'età pa­ triarcale. Possiamo ammettere come certo che la promessa del possesso del paese sia stato un elemento essenziale e co­ stitutivo dell'antica religione dei padri. Soltanto più tardi, cioè dopo che presero possesso del paese di Canaan, gli im­ migrati vennero in contatto con i santuari locali e trasferi­ rono ad essi le loro tradizioni cultuali relative al dio dei pa­ dri. Si venne cosl a un singolare sincretismo di queste tradi­ zioni con le antiche leggende liturgiche di origine cananea che erano in onore in questi luoghi sacri già prima dell'arrivo degli 'I sraeliti'. La promessa del dio dei padri concerneva il gran numero dei discendenti e il possesso del paese . Bisogna tuttavia am­ mettere che, relativamente a tale possesso, la promessa in origine dovette essere considerata di avveramento diretto e immediato, cioè che non prospettava un nuovo abbandono del paese e una seconda immigrazione . Fu solo più tardi, quando il tema fu introdotto nello ·schema complessivo del­ l'Esateuco : epoca patriarcale = epoca della promessa; età. di Mosè e di Giosuè = età dell'adempimento, e particolarmen­ te con l'interpolazione dei vv . 1 3 -1 6, che comparve questa strana dilazione della promessa anche in Gen. I 5 . La differenza di concezione fra le due pericopi che ora so­ no saldate insieme nel cap . I 5 è quanto mai rilevante. Da ul­ timo ci siamo trovati di fronte a un racconto vero e proprio di fatti reali ; in principio c'era un minimum di azione, la esposizione si elevava immediatamente sul piano dello spi­ rito, e si concludeva registrando un processo puramente spi­ rituale in Abramo da una parte e in Jahvé dall'altra (v. 6 : « credette» - > della padrona e cosl il bambino simbolicamente nasceva quasi dal grembo stesso di lei ( dr. Gen. JO ,J .9). Come si vede, dal punto di vista del diritto e dei costumi del tempo, la proposta di Sara rientrava perfet­ tamente nell'uso. E tuttavia il narratore semb.ra scorgere pro­ prio in questo un grave errore ( si veda la fine del nostro commento ). 4-6 . La vicenda ora segue il suo corso : Agar resta incinta.

Ma essa non intende affatto rinunciare alla benedizione di quella sua maternità, quasi trasferendola alla padrona; anzi ne gode come di un trionfo di fronte a Sara stessa : « Il sen­ so d 'onore della natura erompe in Agar selvaggio e magni­ fico>> ( Procksch ). Sara che vede minacciata completamente la posizione che le compete sia come moglie sia come padrona di Agar, muo­ ve ora al contrattacco . Il fatto che non ne chieda conto diret1 . A. Hçitzer, Hagar, Breslauer Kath. theol. Diss. 1 934, 54.61 ss.

14 storia dei patri•chi

tamente ad Agar, ma si rivolga ad Abramo, corrisponde alla situazione ·giuridica in forza della quale Agar di qui innanzi è nelle mani di Abramo ; infatti la salvaguardia dei diritti della casa in genere è compito del marito. ( L'appello pamosi 'izléka non si deve intendere : ), cioè è a te che compete di reintegrarmi nei miei diritti, ne sei tu il respon­ sabile; e certamente era la formula giuridica in uso per ap­ pellarsi alla protezione legale ). Sara col suo contrattacco va fino in fondo ; e si appella anche al giudice supremo che vede ogni segreto . Nella sua eccitazione e passionalità la donna già scorge Agar voler prendere il suo posto e diventare la madre dell'erede della promessa; e questo non le guadagna certo le simpatie del lettore, benché dal suo punto di vista abbia ragione . In seguito a questa rimostranza Abramo rom­ pe il suo rapporto con Agar e ripristina cosl nella casa l' �n­ tica situazione di diritto; questo è il senso del v. 6a. Agar perde la sua posizione di privilegio ; viene «umiliata» . Che cosa significhi questa espressione ce lo indica un articolo del codice di Ham.murabi . Qui per un'ancella che ha un figlio dal padrone e che si lascia indurre per questo a considerarsi alla pari con la sua padrona, si stabilisce come punizione che ven­ ga di nuovo degradata allo stato di schiava ( § 1 4 6 ) .. Da Prov. 3 0 , 2 3 appare che anche in Israele si erano fatte incresciose esperienze a questo riguardo. Le vicende qui raccontate si muovono dunque in stretta rispondenza a un ordinamento giuridico di antica data e quindi sono da esso anche avallate. Ma il modo in cui tutto ciò avviene, la scenata di Sara, l'ab­ bandono che Abramo fa di Agar alle sue rappresaglie, non sono certo cose brillanti neppure a giudizio dell'agiografo . «Abramo fra queste due donne astiose fa una parte alquanto meschina» ( Gunkel ). Comunque, quando Agar arriva al col­ mo di darsi alla fuga, il lettore avverte in ·questa palese rot­ tura della legalità una specie di logica interna, secondo la quale era inevitabile che gli avvenimenti si sviluppassero fuio

Agar. Nascita di lsmaele

( z6)

a questa catastrofe. L'interesse raggiunge cosl il massimo del­ la tensione. In quale imbroglio è andata a cacciarsi la situa­ zione a furia di diritti e non diritti ! Che avverrà di Agar, ma soprattutto che avverrà del figlio di Abramo ? Scomparirà dalla scena o diverrà l'erede della promessa?

7-8 . Il v. 7 dà finalmente un nome di luogo ( in base a Gen. I 3 , I 8 si deve supporre che teatro degli avvenimenti narrati nei vv. I -6 sia Mambre). Agar nella sua fuga si è spinta evi­

dentemente molto lontano, verso sud, poiché l'oasi - ben no­ ta ai lettori antichi - si trova non lontano dal confine nord­ est dell 'antico Egitto ( su Shur dr. Gen. 2 0 , I ; 2 5 , I 8 ; r Sam. 1 5 ,7 ; 2 7 ,8. Probabilmente il termine non è un nome di luo­ go, ma designa la muraglia di confine egiziana ). Qui l'angelo di Jahvé incontra la fuggitiva e rivolge alla gestante che si trova in una situazione veramente disperata, una doppia e grave domanda : sul suo passato e sul suo avvenire. Non è chiaro se Agar abbia riconosciuto in lui un essere divino. Questi messaggeri di Dio che non dobbiamo certo immagi­ n�rci forniti di ali, talvolta in un primo tempo non vengono riconosciuti; ma il narratore sorvola sul processo psicologico del riconoscimento (cfr. Gen. I 8 ,I ss . ; Iud. 6, I I ss. ). Anche Agar dunque deve essere arrivata a capire a poco a poco, in base alle sapienti parole del suo interlocutore.

L'angelo del Signore. La traduzione 'angelo' può dar luo­ go a un malinteso per il fatto che questo termine nell'A.T. indica_ qualsiasi 'messaggero' umano o celeste, come del resto il greco ayyEÀoc; che ne] N.T. non è affatto riservato a si­ gnificare esclusivamente l'angelo (è solo in latino che il ter­ mine angelus è diventato designazione fissa degli esseri cele­ sti). L'antico Israele, a differenza delle altre religioni, cono­ sce pochi di questi esseri intermedi che interferiscono con una reale efficacia nell'ambito umano . Evidentemente gli riu­ scl difficile, di fronte allo 'zelo' di Jahvé che penetra ogni

La storia dei patriarchi

cosa e all 'onnipotenza con cui egli guida tutta la storia, di trovare ancora un posto per l'attività degli angeli. Tanto più sorprendono quindi i passì nei quali si parla di un 'apparizio­ ne dell'angelo ( ' messaggero ' ) del Signore. Va notato che nel­ la mentalità popolare esso non figura come un essere che in­ cuta spavento, ma come un inviato di Dio benevolo e sem­ pre pronto ad aiutare, alla cui perspicace saggezza viene ri­ messa ogni questione con assoluta fiducia. Egli sconfigge i nemici di Dio ( 2 Reg. 1 9 ,3 5 ), aiuta il profeta ( I Reg. I 9 ,7 ), sbarra il passo all 'indovino nemico (Num. 2 2 , 2 2 ), protegge e accompagna il popolo (Ex. I 4 , 1 9 ; 2 3 , 20 ). L'angelo del Si­ gnore appare da questi dati come uno strumento del rappor­ to di benevolenza che lega Jahvé a Israele; è la personifica­ zione dell 'aiuto che Dio elargisce al suo popolo . Molto singo­ lari sono i passi nei quali l'angelo compare nel mondo uma­ no non tanto per agire, quanto piuttosto per parlare e annun­ ciare qualcosa; il che si verifica soprattutto nella storia dei patriarchi . Qui in realtà non c'è una distinzione chiara fra l'angelo del Signore e Jahvé stesso . Colui che parla - un mo­ mento si tratta di Jahvé (cfr . Gen. I 6 , I o . 1 3 ; 2 I , I 7 . I 9 ; 2 2 , I I ), un momento del messaggero ( che in questo caso parla di Dio dicendo : «egli>> ) -, è evidentemente una medesima e unica persona . L'angelo del Signore è quindi una forma di manifestazione di Jahvé : è Dio stesso nella figura umana del­ l'angelo . Questa strana oscill azione fra soggetto divino e sog­ getto umano - gli antichi hanno senz 'altro parlato di una dot­ trina delle due nature ! - è il risultato di un rimaneggiamento interno e radicale di tradizioni antichissime operatosi certo non casualmente . Si tratta cioè in questi casi di antiche tradi­ zioni legate a località e a santuari , le quali nella versione più antica narravano di apparizioni dirette della divinità, avve­ nute in determinati luoghi e in forme perfettamente percepi­ bili ai sensi. I narratori posteriori intesero invece di propo­ sito il fatto nel senso che fosse apparso non Jahvé, ma l'an­ gelo di J�vé. Cosl dietro l'introduzione dell'angelo del Si-

Agar. Nascita di Ismaele (I6)

gnore in queste antiche tradizioni liturgiche si cela una ri­ .flessione teologica ben caratterizzata. La ingenua immedia­ tezza del rapporto con Dio è in un certo senso spezzata da questa introduzione di un .personaggio intermedio, senza che venga tuttavia diminuito il carattere diretto del colloquio di­ vino e del divino intervento salvifico nei riguardi dell'uomo. La figura dell'angelo del Signore ha evidenti tratti cristolo­ gici ; secondo Gen. 4 8 , 1 6 viene indicato come colui che li­ bera da ogni male. È un tipo di Gesù Cristo, una figura in cui esso viene adombrato . 9- 1 4 . Agar ha risposto con lealtà e fierezza alla prima do­ manda ; alla seconda invero non sa che dire. Dopo di che l'an­ gelo s 'incarica di regolare tanto il suo passato che il futuro : Agar deve tornare da Sara. Jahvé non ammette violazione di norme legali (sul v. 9 si veda inoltre l'ultima parte di que­ sto nostro commento ). Il figlio che deve nascere da lei sarà un maschio e lo deve chiamare Ismaele ( «Dio ha ascoltato » ) a motivo della misericordia di Dio che anche nel deserto l 'ha ritrovata . Egli diverrà un beduino autentico , un «uomo-ona­ gro>> (pere ' = zebra) cioè libero e selvaggio (cfr. Iob 3 9 , 5 - 8 ) , che con un'acre gioi a della lotta consumerà la sua vita in una guerra di tutti contro tutti - degno figlio di una madre indo­ cile e fiera. In questa descrizione di Ismaele si cela senza dubbio un vivo interesse e ammirazione per il beduino no­ made che non piega a giogo alcuno il suo collo ; secondo la mentalità orientale) quella che viene qui tratteggiata è una umanità di alti pregi. Però della grande promessa fatta ad Abramo non si dice parola. I nomi coi quali Agar cerca di fissare il ricordo del suo in­ contro con Dio sono oscuri. Essa chiama la divinità che le si è rivelata la narrazione tocca il suo apice. Queste parole stanno nell'intero episodio come una gemma nella sua incastonatura preziosa, e nella loro portata altissi­ ma si levano al di sopra del modesto ambiente familiare del

Visita di Dio ad Abramo (z8)I-I6)

273

racconto, per testimoniare l'onnipotenza del volere salvifico di Dio e orientarvi il lettore. Il contrasto è messo dall'agio­ grafo in forte risalto : prima quel riso incredulo e forse anche un po ' sgraziato, ora la parola che biasima con sdegno una mentali tà incapace di fidarsi della onnipotenza di Dio. Certo Sara non ha contraddetto in cuor suo Jahvé per principio e rendendosi conto della sua mancanza di fede. Il suo riso ri­ mane un fatto accjdentale, ben comprensibile psicologica­ mente, ed è proprio così che si manifesta assai spesso l'incre­ dulità. Questo modo davvero magistrale di trattare la vicen­ da tenendo conto dei fattori psicologici non induce tuttavia il narratore a scusare Sara per non aver riconosciuto il vero essere dei visitatori. Tanto per il narratore quanto per il let­ tore il dato di fatto incontrovertibile e in ultima analisi deci­ sivo, è che si sia riso di una parola di Jahvé. Sotto questo aspetto la mentalità che spira dal racconto è assolutamente antica . Sara, messa allo scoperto dai visitatori, lascia ora il suo nascondiglio, e piena di confusione nega avventatamen­ te. La motivazione di questa sfacciata bugia ( « perché aveva paura» ) è una di quelle fini annotazioni psicologiche che tro­ viamo così spesso nello Jahvista (dr. Gen. 3 , 3 ss. ). «Il con­ trasto fra questa donnetta che ora è sgusciata fuori piena di spavento e cerca di cavarsela con una bugia e il 'sì' del Si­ gnore, brusco e assoluto, chiude con efficacia e gravità tutta la scena» ( Procksch ). Gli ospiti che dal principio alla fine hanno conservato una dignità austera si alzano e se ne vanno . Nella maniera decisa e affrettata del congedo si avverte già qualcosa che prelude al grave scopo cui ora è diretto il loro cammtno.

Conclusione. Da una parte il nostro racconto, come ab­

biamo accennato, introduce direttamente a ciò che segue. Il nome di Sodoma è già stato fatto e con esso compare nella chiusa medesima della pericope un motivo di interesse nuovo e vivo. La serie dei fatti, che hanno per centro la comparsa

2 74

Lz storia dei patriarchi

di Jahvé sulla terra, non è ancora esaurita. D'altra parte ogni lettore ha l'impressione che col v. 1 6 si arrivi in certo senso a una conclusione e abbiamo visto che la battuta d'arresto che si fa a questo punto è in relazione con la storia antece­ dente dei vari nuclei narrativi che òra compaiono intrecciati insieme, a formare una grande composizione. Bisogna am­ mettere che in uno stadio molto più antico, quando il nostro episodio era ancora a sé stante, fu proprio qui che la pro­ messa di un figlio venne fatta ad Abramo per la prima volta . Ma poi, quando il racconto fu inserito nel grande complesso delle vic�nde di Abramo, la sua portata sotto questo aspetto si fece profondamente diversa poiché nessuno poteva leggere la promessa del v. I O senza metterla in relazione con Gen . 1 2 ,2 e I J ,6 ; I 5 ,I 8 . Con la ripetizione, anzi col magnifico ac­ crescersi della promessa stessa, contrastava la situazione ma­ teriale di Abramo . Dopo la sua migrazione a Canaan, le por­ te della realizzazione non si erano affatto spalancate, anzi qui lo aveva accolto una carestia . La constatazione della sterilità parve escludere Sara dal poter essere madre e la scappatoia usata per arrivare a un erede della promessa mediante Agar non aveva trovato consenso in Jahvé. Infine la vecchiezza stessa di Abramo aveva demolito ogni speranza a giudizio umano. Ma ecco che Dio si mette in cammino e rinnova la promessa in una forma ora perfettamente precisa ( «di qui a un anno» ). Questa linea della narrazione, che a dir vero nel testo attuale è alquanto disturbata dal racconto parallelo del­ la redazione sacerdotale che precede a Gen . 1 7 , I 5 , mette in evidenza un grave problema : il ritardo nell'adempimento del­ la promessa, fino a farla apparire completamente irrealizzabi­ le. D'altra parte i racconti rivelano un vivo interesse per l'at­ teggiamento umano, per tutte le tentazioni cui vanno incon­ tro gli uomini proprio nella loro qualità di detentori della promessa. Nel nostro episodio .Sara col suo riso dà risalto ad Abramo che invece ascolta, muto (la donna come figura di contrasto con valore negativo è un elemento molto usato per

Soliloquio di Dio ( z8} I7-I9)

drammatizzare ; cfr. Iob 2 ,9 ; Tob. 2 , 1 4 ; 1 0,4 s. ). Bellissimo è questo silenzio di Abramo che lascia libero corso, nel let­ tore, ai più diversi pensieri . Fino a qual grado di . certezza il patriarca sia giunto, dopo il primo affiorare di un certo pre­ sentimento, è questione che resta sospesa : il narratore con­ serva un delicato velo di mistero non facendo dire da nessu .. na delle persone interessate una parola che serva veramente a identificarle (un po' come Iud. 6 , 2 2 ; 1 3 ,2 1 s . ). Ciò che il racconto vuoi mostrare è che Abramo ha avuto di fronte agli stranieri un comportamento esemplare. Senza che la promes­ sa di un figlio cessi di essere un vero dono ( « il dono del­ l'ospite», Gunkel ), è tuttavia significativo che colui che lo riceve debba prima dar prova sicura di osservare i più ele­ mentari comandamenti di Dio. 9• Soliloquio di Dio ( 1 8 , 1 7·19 ) 17 Jahvé rifletteva : Posso io tener celato ad Abramo quel che sto per fare, 18 mentre Abramo certo ha da diventare un popolo grande e po­ tente e per lui saranno benedette tutte le genti della terra? 19 e dal momento che io l'ho eletto , affinché dia ordine ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui di seguire la via di Jahvé praticando la giustizia e il diritto, e cosl Jahvé possa compiere su Abramo ciò che egli ha promesso?

1 7- 1 9 . Quanto abbiamo affermato più sopra (cfr. p . 2 74 ) che cioè al v. 1 6 si deve riconoscere la fine di una unità narra ..

tiva che in origine era indipendente, conduce a chiedersi do­ ve incominci il successivo dei nuclei ora fusi nel grande in­ sieme della storia di Abramo. Il breve soliloquio di Jahvé non può aver rappresentato mai un episodio per sé stante, dato che presuppone ciò che precede e ciò che segue. Lo stesso si deve dire del famoso dialogo ( vv . 2 o- 2 3 ) che anche per la sua povertà di azioni ( si veda il relativo commento) e la sua concentrazione su un motivo dottrinale astratto non può in nessun modo essere ritenuto una entità leggendaria antica, mentre tale si dovrà giudicare sotto gli aspetti il rac-

La storia dei patriarchi

conto di I 9 , I ss. Ci troviamo cosl davanti a questo dato di fatto : fra i due grandi blocchi di Abramo = Mambre e Lot = Sodoma sono state inserite due pericopi più brevi, aventi per argomento un discorso, le quali non risalgono certo a una tra­ dizione altrettanto antica e sono quindi atte a rivelarci i pen­ sieri del nostro compilatore molto meglio dei lunghi racconti nei quali egli si trovava inchiodato alla tradizion.e 6.n nella espressione verbale . È ovvia l'ipotesi che qui lo Jahvista si ispiri a idee sue proprie ( si veda un caso analogo per Gen. 6 ,5-8 ; pp. I 47 e 2 I I ) . Qui come là egli si cimenta a comu­ nicarci le riflessioni di Jahvé, prima di un divino giudizio. Inoltre le pericopi I 7- I 9 e 2 0-3 3 nella loro stessa qualità di discorsi hanno carattere ampiamente riflesso, il che rafforza ancor più la loro programmatica portata teologica . A comin­ ciare dal Wellhausen , i vv. I 7- I 9 sono stati ritenuti per lo più come un riempitivo ancor più recente, ma il Noth ha di­ mostrato che soltanto il v. 1 9 deve essere giudicato una tar­ da aggiunta 1 • Effettivamente esso procede a base di formule teologiche ( ' seguire la via di Jahvé' , 'osservare il diritto e la giustizia' , ' riconoscere' jiida' nel senso di ' scegliere' ) , le quali sono del tutto estranee ai narratori più antichi . Si tratta in questa pericope di una importante questione teologica : Dio non vuole che Abramo si renda conto del ter­ ribile fatto di Sodoma solo, per cosl dire, dall'esterno. A lui che ha chiamato a un rapporto di intimità ( lda'tiw = ho fat­ to di lui il mio intimo amico ) Dio vuoi confidarsi , perché gli sia chiaro anche l'intervento diretto di Dio nella storia , che rimane di solito celato agli uomini ; egli invece deve capire quel che accadrà a Sodoma. Il motivo di questo singolare vo­ lere di Dio è espresso particolarmente dal v . 1 9 : Abramo ha un mandato di magistero verso i suoi discendenti e la cata­ strofe di Sodoma assume per tutte le età valore di esempio e di ammonimento ( 2 Petr. 2 ,6 ). A differenza però dei verI . Oberlieferungsgeschichte des Pentateuch, 1948, 2'9

nota.

Cfr. Biblia Hebraica.

Colloquio di Abramo con Dio ( 18,2o-JJ)

2 77

setti precedenti e seguenti , questo considera il castigo di So­ doma come già deciso, anzi persino come già compiuto , men­ tre secondo il contesto Jahvé ora si appresta soltanto a fare un esame della città, d 'altronde già gravemente indiziata. 10. Colloquio di Abramo con Dio ( 18,:zo-33 ) 20

Jahvé disse poi : «Le lagnanze contro Sodoma e Gomorra sono mol­ to forti e il loro peccato assai grave. 21 Voglio scendere a vedere se hanno agito tutti secondo i lamenti a me pervenuti o no ; bisogna che lo sappia» . 22 Gli uomini si partirono allora di Il e si diressero verso Sodoma mentre Jahvé rimase fermo davanti ad Abramo ( 1 ) . 23 E Abra­ mo si fece vicino a lui e gli disse : «Vuoi davvero distruggere pio ed empio insieme? 24 Forse ci sono cinquanta giusti nella città; vorresti dunque annientarli e non piuttosto risparmiare il luogo per amore dei cinquanta giusti che vi si trovano? 25 Lungi da te di agire in modo ta­ le da far morire pio ed empio sl che il pio e l 'empio siano alla stessa stregua; lungi da te ! Non è forse obbligato il giudice di tutta la ter­ ra a praticare la giustizia? » . 26 Disse allora Jahvé : > . Rispose : «Non la farò se ve ne trovo trenta» . 31 E riprese : «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, forse se ne troveranno solo venti» . Rispose : «Non la distrug­ gerò a causa di quei venti» . 32 Allora riprese : «Mio Signore, non adi­ rarti se parlo ancora , per questa volta soltanto . Forse se ne troveran­ no solo dieci>> . E rispose : «Non la distruggerò a causa di quei dieci» . 33 Poi, come ebbe finito di parlare con Abramo, Jahvé se ne andò. E Abramo ritornò al luogo ove dimorava .

20-2 I . Il mistero degli ospiti che Abramo accompagna è ora alquanto schiarito . Jahvé, nella frase con la quale introduce il patriarca nell'intimità dei suoi pensieri, parla apertamente I. Cfr. Biblia Hebraica.

La storia dei patriarchi

come patrono della giustizia in tutti i paesi. E ciò torna del tutto naturale, poiché dopo i fatti di Mambre, non poteva più esserci per Abramo dubbio alcuno circa l'identità dei suoi ospiti . Una grave lagnanza è giunta a Jahvé su . Sodoma e Gomorra . ' Lagnanza' (ze'aqa) è un termine tecnico del lin­ guaggio giuridico e indica l'invocazione di aiuto che lancia colui che è danneggiato nel suo diritto con un atto di violen­ za ( sappiamo pure che l'espressione allora in �so era 'violen­ za', �ilmtis ; Ier. 20)8 ; Abac. 1 , 2 ; Iob 1 9 ,7 ) . Con tale grido ci si appellava alla protezione del corpo giuridico . Qualora poi questo non udisse l'appello o non vi rispondesse immedia­ tamente, esso giungeva al cospetto di Jahvé, vindice di ogni diritto ( cfr. quanto fu detto per Gen. 4, ro). Non si tratta dunque ancora di punire Sodoma, ma di fare un'inchiesta sul caso che invero si presenta grave. Il processo è cosl aper­ to ( Galling).

22. Ed eccoci di nuovo al problema del rapporto di Jahvé

coi tre uomini. Pare che qui sia possibile porlo in maniera diversa e più chiara che in Gen. r 8 , r - r 6 poiché secondo il v. 2 2 due si dirigono verso Sodoma, mentre J ahvé resta in­ dietro da solo (cfr . anche v. r ) . Senza dubbio questa mag­ giore precisione si deve al fatto che il narratore di fronte a un nucleo narrativo relativamente più recente può muoversi ed esprimersi con più libertà. Ma il rapporto non è affatto spiegato nel senso di un 'due' e 'uno' che si escludano poi­ ché in Gen . 1 9 , 1 3 i due parlano come se fosse Jahvé ; e an­ cor più chiaramente ai vv . 2 r s. Inoltre Jahvé stesso aveva detto di voler scendere a Sodoma (v. 2 1 ) : proposito che non è affatto abbandonato o divenuto impossibile per essersi egli separato dai due. Non si deve dunque forzare nel senso di una spiegazione razionale. Rimane comunque importante che Jahvé abbia visitato personalmente Abramo, e che invece si mantenga nell'ombra per trattare con Sodoma, ricorrendo al tramite dei messaggeri. Al v. 2 2 si trova uno dei pochissimi

Colloquio di Abramo con Dio ( I8,2o-JJ)

2 79

mutamenti arbitrari che i dotti israeliti del periodo post-eri­ stiano hanno apportato al testo ( e che non passarono certa­ mente inosservati ). Che Jahvé sia rimasto fermo davanti ad Abramo, quasi in attesa, parve loro incompatibile con la sua dignità e perciò mutarono la frase facendo restare in piedi · Abramo davanti a lui . Hanno così sacrificato al loro ' timor di Dio' questo atteggiamento come esitante di Jahvé, che implicava un tacito invito a esprimere quel che Abramo ave­ va in cuore. D'altra parte anche la lezione così corretta è stata da alcuni sostenuta come originale. 2 3-3 3 . Quanto al colloquio che ora segue, è bene che il let­

tore abbia presente anche il · luogo ove si svolge, cioè su una deJle alture all 'est di Ebron, donde si scorge lontano nella vallata la città peccatrice , ancora completamente ignara del suo giudice come del suo intercessore ( cfr . Gen. r 9 , 2 7 s:). Abramo ha compreso l'indugio di Jahvé e si accosta a colui che gli sta di fronte come uno che vorrebbe presentare una proposta urgente, ma insieme assai riservata. Il colloquio in se stesso - oggetto di grande ammirazione ma pure di qual­ che ironia - svolge una grave questione di fede . Non si tratta certo per Abramo in particolare di salvare Lot e neppure in particolare di Sodoma; Sodoma è soltanto un caso limite che vale come esempio, per dimostrare la tesi teologica. E nep­ pure questa Sodoma è qui considerata espressamente come una città estranea al popolo dell'alleanza, in guisa che da­ vanti a Dio debba valere per lei una remissione diversa che per Israele. Al contrario: per lo stesso Israele Sodoma è il tipo di una comunità umana sulla quale gli occhi di Jahvé si volgono per giudicarla . E come per ogni giudizio umano la questione deve essere in primo luogo semplicemente que­ sta : Sodoma è colpevole ('empia ', rasa') o innocente ('giusto', �addiq) ? Le espressioni 'giusto '-'empio' non devono qui esse­ re intese nel senso generico e complessivo che ebbero nella· dottrina della giustificazione formulata dal tardo giudaismo o

280

LA storia dei patriarchi

da ·Paolo; no, l"empio' è colui che è dichiarato colpevole da una qualsiasi istanza giudiziaria a causa di un determinato cri­ mine ; il 'giusto' è colui che non è trovato in colpa (per questa prassi linguistica cfr. Deut. 2 5 , 1 ). Questa prima questione riguardo a Sodoma, al momento del nostro colloquio, a dir vero è già bell'e risolta. Tanto Jahvé che Abramo sanno be­ nissimo come andrà a finire l'inchiesta e quali ne saranno le conseguenze per Sodoma. Ma dietro questa prima questione se ne apre un'altra e molto più difficile : ed è qui che si inse­ risce Abramo col suo incalzante discorso ( vv. 2 3-2 5 ) . Come finirà la cosa, se l'inchiesta non dà risultato netto, poiché di fronte a una maggioranza di colpevoli c'è comunque una mi­ noranza di innocenti ? Questa osservazione ha qualcosa di ri­ voluzionario, poiché l'Israele .dell 'età più antica per i verdetti della giustizia terrena come di quella divina aveva ammesso la legge della punizione collettiva . Legge che nasce dall'unità radicale e profonda che stringe la comunità su cui grava que­ sto o quest'altro crimine, e fa di essa un ambito vitale salda­ mente definito nei suoi confini e dal quale rindividuo non può venire senz'altro disintegrato . Ciò vale per la famiglia e per la tribù , legate da un vincolo di sangue, come per la comunità urbana , poiché di fronte ad essa il singolo con la sua responsabilità personale effettivamente non è libero (esempi in Gen. 2 0 , 9 ; Ios. 7,24 ss. ; specialmente Deut. 2 1 , 1 -9 ). L'aver visto però in questo colloquio una protesta con­ tro l'antica mentalità collettiva fu un grosso abbaglio , denso di conseguenze . Un individualismo di tal genere si fece sen­ tire in Israele in più modi , soprattutto a partire dal VII se­ colo (Deut. 24 , 1 6 ; 2 Reg. 1 4 ,6 ; Is. 1 8 , 1 ss. ) , ma non è esatto interpretare la nostra pericope alla luce di queste tendenze effettivamente individualizzanti, perché Sodoma non cessa di essere per Abramo una comunità unificata dai legami del san­ gue e da un comune destino . Non si tratta per Abramo di liberare e far uscire gli innocenti dalla città, né di una pro­ tezione a loro soli riservata ; si tratta per lui di qualcosa di

Colloquio di Abramo con Dio ( I81lo-JJ)

.2 8 I

diverso e di molto più ampio, cioè dal principio alla fine di Sodoma tutta intera . Soltanto la frase del v. 2 3 : «Distrug­ gerai dunque l'innocente col colpevole? >>, avulsa dal conte­ sto , potrebbe essere intesa, e a torto , in senso individuali­ stico. Ma il senso della domanda è piuttosto questo : in base a che cosa si determina il giudizio di Dio su tutta Sodoma ? - sulla malvagità di molti o sulla innocenza di pochi ? La formulazione stessa mostra che il colloquio è senza dubbio espressione di un pensiero teologico deciso a sfondare il pro­ blema. E non già inteso ad aprirsi un varco dal collettivismo all'individualismo, ma che osa, al pos to della mentalità col­ lettivistica antica, avanzare un'idea tutta nuova : davanti a Dio un piccolo numero di innocenti non potrebbe aver tanto peso da riuscire, quest·a minoranza, a farlo soprassedere alla punizione dell'intera comunità ? «La legge della solidarietà nella colpa ha il suo rovescio nella legge della vicarietà>> (Procksch ) . In fondo, come lo dimostra chiaramente l'appel­ lo al giusto giudice dell'universo, Abramo lotta per una in­ terpretazione nuova del concetto di 'giustizia di Dio' . La giu­ stizia, secondo il pensiero veterotestamentario, non si mani­ festa nella perfezione dell'agire , intesa come adesione a una norma ideale assoluta, ma una 'condotta giusta' si definisce sempre in funzione di un rapporto comunitario precedente­ mente concordato in qualsivoglia forma . Jahvé ha un rappor­ to di comunione anche con Sodoma. Risulta esso spezzato per i peccati della maggioranza dei suoi abitanti e agli effetti dei pochi .innocenti inclusivamente, oppure la ' giustizia' di J ahvé verso Sodoma si manifesta proprio nel fatto che in vista di questi innocenti egli risparmia la città ? Certo la cosa non è espressa da Abramo al cospetto di Dio come se si trattasse di un postulato teologico, ma sotto forma di umile domanda e con cuore angustiato . L'eccitazione gli fa salire alle labbra molte parole: evidentemente lottano dentro di lui il senso del rispetto dovuto a Dio e l'urgenza del problema che la fede gli pone (dr. Ier. 1 2 , 1 ). Contrariamente all'uomo moderno,

La storia dei paJrillrchi

Abramo sa bene che «polvere e cenere)> qua] e egli è (dr. Ioh

_3 0 , 1 9 ; 42 ,6 ) non ha diritto alcuno di ragionare ( cfr. Iob 9 ,

1 2 ; Dan . 4,3 2 ) . Ma è magnifico vedere come, man mano che la conversazione procede� di fronte alla grazia benevolmente concessa da Jahvé, egli prende sempre maggior coraggio , sem­ pre più arditamente fa leva sul potenziale di una giustizia che non ignora il perdono e si avventura più e più avanti, fino a ottenere questo sorprendente responso : che persino un esi­ guo numero di innocenti agli occhi di Dio conta di più che una maggioranza di colpevoli, ed è in grado di fermare la sentenza . Tanta è la prevalenza che ha in Dio la volontà di salvare su quella di punire. Il dialogo si interrompe alla ci­ fra di 'dieci innocenti' e ciò ha dato luogo a interpretazioni diverse. Ma prima di tutto occorre chiedersi se , anche nell'in­ tenzione del narratore, si tratti di una interruzione oppure di uno scansarsi di fronte a una conseguenza estrema. Se dietro al silenzio di Abramo, cioè alla sua rinuncia a scendere an­ cora più giù, dai dieci giusti fino a cinque, fino, da ultimo, a uno, sorgono altri problemi, ciò non significa necessariamente che la conversazione termini lasciando la questione aperta . Con la risposta di J ahvé al v. 3 2 , è chiaro che per Abramo e per il narratore è raggiunta ormai una posizione finale ed estrema, oltre la quale non viene neppure in mente al pa­ triarca di interrogare ancora . In questo modo , a nostro av­ viso, il racconto rispetta appieno il carattere di unicità e stra­ ordinarietà assoluta che compete al messaggio dell'Uno che opera > . 1 2 Allora Abramo si inchinò davanti alla gente del paese 13 e par­ lò a Efron, udendolo la gente del paese, in questi termini: «Volessi tu darmi ascolto! io pago il prezzo del campo, accettalo da me, per­ ché io possa seppellirvi la mia morta». 14 Ed Efron rispose ad Abra­ mo: > . 6 Abramo gli rispose : «Guardati bene dal ricondurre il mio figlio laggiù . 7 Jahvé , il Signore del cielo, che mi ha fatto uscire dalla mia casa paterna e dalla terra della mia parentela, che mi ha parlato e mi ha giurato : darò alla tua discendenza questo paese, - lui stesso manderà il suo angelo davanti a te perché tu pos­ sa prendere di là una moglie per il mio figliuolo. 8 Se poi la donna non vorrà seguirti, sarai allora libero dal giuramento a me fatto . Co­ munque non devi ricondurre là il mio figlio» . 9 Allora il servo posò la sua mano sotto la coscia di Abramo suo signore e gli prestò il giu­ ramento nei termini detti. 10 Poi il servo prese dieci cammelli tra quelli del suo padrone e si ap-

Domanda di matrimonio (24)

33,

prestò a partire, portando con sé ogni sorta di cose preziose del suo signore; messosi in via andò in Aram-Naharaim, alla città di Nahor. 11 Là fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso la fontana dell'acqua, sul far della sera, l'ora in cui escono le donne ad attin­ gere e disse : u «}ahvé, Dio del mio signore Abramo, disponi tu oggi le cose per me e usa benevolenza al mio signore Abramo. 13 EccoJ ora mi metto qui alla fontana dell'acqua e le figlie degli abitanti di questa città usciranno ad attingere. 14 Ebbene, la giovinetta alla quale dirò : Abbassa per favore la tua anfora perché beva, e che mi rispon­ da : bevi e abbevererò pure i tuoi cammelli, sia quella che tu hai de­ stinato al tuo servo !sacco ; e da questo riconoscerò che hai usato gra­ zia al mio signore». 15 Aveva appena finito di dir cosl che giunse Re­ becca, prole di Betuel, il figlio di Melca, moglie di Nahor, fratello di Abramo; portandosi l'anfora sulla spalla. 16 La fanciulla era bellis­ sima d'aspetto, era vergine e nessun uomo ancora l'aveva conosciuta. Scese alla fontana, riempi l'anfora e risall. 17 Allora il servo le corse incontro e disse : «Lasciami sorseggiare un po' d'acqua dalla tua an­ fora» . 18 Ed ella rispose : «Bevi, signore ! » . E svelta si calò l'anfora in mano e gli diede da bere. 19 E quando ebbe finito di farlo bere disse : «Voglio attingerne anche per i tuoi cammelli, finché abbiano bevuto abbastanza». 20 E in fretta vuotò la sua anfora nell'abbeve­ ratoio, corse di nuovo ad attingere alla fontana e ne attinse per tutti i cammelli di lui. 21 L'uomo la contemplava in silenzio, in attesa di conoscere se Dio avesse o no fatto riuscire il suo viaggio . 22 Quando i cammelli ebbero finito di bere, l'uomo trasse fuori un pendente d'oro del peso di mezzo siclo e due braccialetti del peso di dieci sicli d'oro per i polsi di lei 23 e disse: «Di chi sei figlia ? Dimmi, c'è posto per noi in casa di tuo padre, per passarvi la notte ? » . 24 Ella rispose : «Sono la figlia di Betuel, il figlio di Melca, che essa partorl a Nahor» . 25 E aggiunse : «C'è d a noi strame e foraggio in quantità e anche posto per passarvi la notte» . 216 Allora l'uomo si prostrò, adorò Jahvé n e disse : «Benedetto sia Jahvé, il Dio del mio signore Abramo, perché non ha cessato di usare benevolenza e fedeltà verso il mio signore ! Jahvé mi ha guidato sulla via fino alla casa dei fratelli del mio si­ �ore ! » . La giovinetta corse ad annunciare in casa di sua madre tutte queste cose. 29 Rebecca aveva un fratello di nome Labano 30 e quando Laba­ no vide il penden te e il braccialetto ai polsi della sua sorella e udl le parole di sua sorella Rebecca che diceva: «Cosl l'uomo mi ha parla­ to» corse fuori in cerca di quell'uomo, alla fontana e) ; e giunto pres' I. Inversione delle frasi in Biblia Hebraica.

La storia dei patriarchi so l 'uomo che stava ancora vicino ai suoi cammelli alla fontana, 31 gli disse: «Vieni, o benedetto di Jahvé . Perché te ne stai qui fuori, men­ tre io ho preparato la casa e il posto anche per i cammelli ? >> . 32 Al­ lora l 'uomo entrò in casa e quello tolse il basto ai cammelli e appre­ stò per i cammelli strame e foraggio, ed acqua per lavare i piedi di lui e degli uomini che con lui erano. 33 Poi gli fu messo innanzi da mangiare, ma egli disse : > . 52 All 'udire le loro pa· role, il servo si prostrò a terra adorando Jahvé . 53 Poi il servo tirò fuori oggetti d'argento e d'oro e vestiti e li diede a Rebecc a ; doni preziosi diede pure al fratello e alla madre di lei . 54 Indi mangiarono e bevvero, egli e gli uomini che erano con lui e si fermarono per la notte. Quando al mattino si alzarono egli disse : «Lasciatemi tornare dal mio signore ! » . 55 Ma il fratello e la madre di lei replicarono: «Ri­ manga la giovinetta con noi qualche giorno, ti prego : forse una de­ cina e poi po trà partire ! » . 56 Ma egli rispose: «Non trattenetemi, dal momento che Jahvé ha fatto riuscire il mio viaggio ; !asciatemi parti­ re, per tornare dal mio signore» . 57 Quelli dissero allora : «Chiamia­ mo la giovinetta e domandiamolo a lei» . · 58 Chiamarono dunque Re­ becca e le dissero : «Vuoi andare con quest 'uomo ? » . Ella rispose : > . 61 Cosl Rebecca e le sue ancelle si levarono, montarono sui cammelli e seguirono quell'uomo. E il servo prese con sé Rebecca e partì. 62 !sacco intanto venne . . . dal pozzo ' del Vivente che mi vede' ; abita­ va infatti nel Negeb . 63 Mentre era uscito nella campagna, sul far della sera . . . ecco che alzando gli occhi !sacco vide venire dei cammelli . 64 Quando poi alzò gli occhi anche Rebecca e vide ! sacco, scivolò giù dal cammello 65 e chiese al servo : «Chi è quest'uomo che viene verso di noi attraverso la campagna? » . Il servo rispose : «È il mio signore» . Allora essa prese il velo e s i coprì. 66 Il servo raccontò a !sacco tutto ciò che aveva fatto. 67 Allora !sacco la introdusse nella tenda che era stata di Sara sua madre, e prese Rebecca ed essa divenne sua mo­ glie. !sacco l'ebbe cara e si consolò di sua madre .

Questo episodio dovut_o allo Jahvista è la più delicata e graziosa fra tutte le storie dei patriarchi . Dal lato formale, supe�a in lunghezza la misura consueta dei racconti del Ge­ nesi ( da IO a 20 versetti ) essendo più del triplo, e si potreb­ be anzi considerare già come una novella. Anche il posto ri­ levante che occupano qui i discorsi, condotti con grande ar-

LI storia dei patriarchi

te, lo differenzia da quei racconti , dove invece hanno la pre­ valenza avvenimenti e imprese . La scuola critica antica (Dill­ mann , Wellhausen, Kuenen ecc. ) ha ritenuto il capitolo come un tutto unitario e lo ha attribuito allo Jahvista. In seguito si sono rimarcate grandi e piccole incongruenze e si sono vi­ ste in esse le tracce di una seconda fonte (J1 ? E2 ? Chi si spin­ se più lontano su questa linea fu il Procksch) , ma le con­ clusioni completamente diverse a cui si è giunti mostrano che si corre qui il rischio di perdersi in analisi troppo sottili. È vero che il numero di queste incongruenze è abbastanza notevole, ma anche se vogliamo considerarle come tali non è affatto dimostrato che siano vestigia di una seconda versione del racconto. Forse non sarà stato uno stesso narratore a rac­ contare che il servo offre due volte alla giovinetta cosi pre­ zioso dono (vv . 2 2 e 5 3 ). Anche i vv 2 3-25 non sono del tut­ to a posto, perché la preghiera di ringraziamento del v. 26 si riferisce evidentemente alla dichiarazione del v. 24 .e la bre­ ve risposta della fanciulla ai vv 24 s. è interrotta in maniera sospetta da quel «ella gli disse>> (v. 2 5 ) che ricomincia il di­ scorso una seconda volta. Altre osservazioni saranno fatte nel corso del commento; ma non è mai in gioco l'essenziale. .

.

1 -9 . Non è nominato il luogo nel quale l'episodio ci traspor­

ta all 'inizio ; nel testo attuale si deve pensare a Ebron (Gen. 23 ) ed è pure Il che la narrazione jahvistica ha lasciato Abra­ mo ( Gen. 1 8 s. ) . Il v. 1 si presenta tuttavia come Ulia piccola introduzione . Abramo è divenuto ormai assai vecchio e non può rimandare più a lungo il matrimonio del figlio, che, se­ condo i costumi del tempo, toccava a lui di regolare . Anzi deve · persino temere, come lascia supporre la missione affi­ data al servo, di non essere più in vita al ritorno di costui . II racconto descrive con compiacenza il benessere che gli dà la possibilità di regolare la cosa in modo del tutto conforme alla sua condizione e ai suoi desideri ; l'episodio riesce quin· di un bell'esempio di usi e costumi saggiamente ordinati �

Domanda di matrimonio ( 24)

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quali si potevano trovare solo in famiglie come questa , di­ stinte per nascita e per beni di fortuna. Non si dice il nome del 'servo' al quale è affidato il delicato incarico ; noi gli dia­ mo quello di Eliezer, in base a Gen. I 5 ,2b benché si tratti di un passo testualmente poco sicuro. Il termine che tradu­ ciamo con ' servo' comprende però una gamma di significati molto più larga ; può indicare qualsiasi grado e ordine di ser�vizio, purché la persona in questione si trovi in un rapporto professionale di dipendenza ( i 'servi del re' sono i ministri e i generali ) . Inoltre il vocabolo, sempre esorbitando alquanto dal nostro concetto di 'servo', implica una relazione di fidu­ cia (cfr . il 'Servo di Jahvé' nel Deuteroisaia) . Dobbiamo qui dunque pensare a una specie di maggiordomo, di intendente che adempie il suo incarico con speciale dignità e distinzione. Abramo affida al servo l'incarico in forma molto pressante a titolo di severissimo obbligo giurato. Il giuramento sulle parti genitali - cfr. Gen. 4 7 , 2 9 - è un uso della più remota antichità ; suppone l'idea di un particolare carattere sacro di questa parte del corpo, idea che non esisteva più nel perio­ do israelitico. In realtà infatti il giuramento è prestato per Jahvé, il dio del cielo e della terra (cioè del 'mondo' ). Que­ sto titolo, spiccatamente universalistico, non compare altrove nelle storie dei patriarchi, ed è uno degli indizi che il nostro racconto è di formazione relativamente recente (v. pp. 346 s . ) . L'incarico comporta parecchi punti : I . Nel caso di una pros­ sima morte di Abramo , Isacco non deve prendere in moglie nessuna cananea delle vicinanze, e perciò 2 . Eliezer deve re­ carsi nel paese di origine di Abramo. 3 . La cosa però non deve assolutamente offrire a !sacco l'occasione di ritornare in quella terra. 4 · Se la giovane si rifiuta di intraprendere un viaggio così lontano, il servo è prosciolto dal giuramento prestato. Questa missione così complessa poggia su due mo­ tivi : il primo è il timore di mescolarsi coi Cananei. Spiegarlo nel senso della 'purezza del sangue' forse è ancor più invero­ simile che appellarsi alla tendenza economica di conservare

La noria dei patriarchi

3 40

indiviso il patrimonio nell'ambito della parentela . Non po­ tendo però qui essere in questione tale punto di vista a cau­ sa della lontananza , si dovrà pensare al pericolo di una me� scolanza sul piano religioso (dr. Ex. 3 4 , I 5 s . ; Deut. 7 ,3 ) . La seconda preoccupazione riguarda il legame coi parenti ara­ maici : in nessun caso il matrimonio da combinarsi dovrà di­ rottare all'indietro il cammino di salvezza fissato da Dio e da lui percorso con Abramo. ( Per il divieto d i far retrocedere arbitrariamente il piano salvifico di Dio dr. Deut. I 7, I 6 ; 2 8 , 6 8 . ) Ma queste prudenti misure di sicurezza (anche il servo mette al sicuro se stesso al v. 5) diventano d'altra parte qua­ si superflue di fronte alla fiducia assoluta che dà la fede e se­ condo la quale Jahvé mostrerà anche questa volta la sua im­ mancabile protezione guidando ogni avvenimento . Ed è in particolare questa professione di fede che volge l'interesse del lettore verso il tema vero e proprio dell'episodio (cfr. p. 3 4 7 ) . Del resto queste sono le ultime parole uscite dalla bocca di Abramo che ci siano riferite ( J acob ). Si ha l' impres­ sione che in una redazione più antica siano state pensate co­ me estremo monito di un morente; e che stando al v . 9 (o al v. 6 I ), un tempo la notizia della morte del patriarca a que­ sto punto fosse già stata data. Donde verrebbe infatti l'estre­ ma preoccupazione con cui viene fatto obbligo al servo di non volgersi a delle cananee, se Abramo poteva ancora con­ tare di regolare personalmente la conclusione del matrimo­ nio ? Inoltre al v. 3 6 si dice che Abramo ha dato al figlio il suo patrimonio e infine al v. 6 .5 il servo chiama Isacco ' suo signore' : particolare che indica anch'esso come Abramo non fosse più in vita. Al momento in cui il nostro episodio fu coordinato con il racconto sacerdotale della morte di Abra­ mo ( Gen. 2 5 ,7 ss . ) queste anticipazioni furono cancellate . COn un carico di molti oggetti preziosi, con una caro­ vana già abbastanza considerevole di dieci cammelli , il servo parte e raggiunge Haran nella Mesopotamia superiore. HaI o- I I

.

Domanda di matrimonio ( 24)

341

ran è sita sul Balih afl:luente dell'alto Eufrate ed è secondo

Gen. I 1 , 3 I ; 2 7 ,4 3 la località ove dimora Nahor e la sua tri­

bù 3• Il problema di storia tribale sul cui sfondo si disegna questa provenienza degli antenati di Israele dalla Mesopo­ tamia è assai complicato. Davanti alla costanza con la quale tali tradizioni si mantengono, si può senz'altro arguire che si siano conservati in esse dei ricordi che rimontano a una remotissima antichità. Si sa d'altra parte che in queste genea­ logie tribali i dati storici compaiono soltanto in forme assai semplificate e raccorciate rispetto alla complessità che real­ mente ebbero gli avvenimenti . Bisogna pure tener conto che sotto l'impreS'Sione di relazioni storiche assai più tarde (in questo caso i rapporti con il popolo aramaico al quale Israe­ le si sapeva imparentato ) le tradizioni antiche furono ripla­ smate ed ebbero una nuova vita. 1 2 - 1 4 . Éliezer ha dunque raggiunto la meta del suo viaggio

e· sul far della sera fa 'inginocchiare' per la prima volta la carovana presso la fonte, fuori della città. Ora - pensa il let­ tore - passerà subito all 'azione. Invece egli non prende al­ cuna iniziativa, ma prega e con questa preghiera mette tutto nelle mani di Jahvé. Chiede un segno : non, come spesso av­ viene in altri casi , per consolidare la propria fede, ma per conoscere la volontà di Dio . A quell'ora le giovani dovranno venire alla fontana, e questo il servo lo sa. Ma egli vuoi co­ noscere quale sia la giovinetta che Dio ha 'destinato' (hokialp vv . I 4 e 44 ) a lui e la riconoscerà dalla prontezza con la quale acconsentirà alla sua richiesta di acqua per uomini e bestie. A dir vero, questo non è un 'segno' quale amava chiederne la pietà antica, cioè ancora religiosamente fiduciosa nei mira­ coli. Tali segni erano piccoli prodigi di ordine materiale che venivano sollecitati in una sfera qualsiasi che spesso non ave­ va alcun rapporto con la questione in causa ( si confrontino i segni chiesti da Gedeone, Iud. 6 , I 7 ss . 3 6 ss. e anche l s. 7 , .3 · Una dttà di

nome

Nahur � testimoniata più volte in testi extrabiblici (Mari).

342

Lz storia dei patriarchi

I I ). Qui invece esiste un legame molto stretto fra il segno e la questione che preoccupa il servo, poiché in realtà egli sottopone la giovinetta a una prova assai interessata nella qua­ le si devono dimostrare la sua femminile prontezza a dare aiuto, il suo buon cuore e anche la sensibilità per il mondo animale . Inoltre il miracolo richiesto qui non sta più sul pia­ no di una prodigiosità esteriore e materiale. I 5-2 7 . ( Jacob). E cos} la vicenda giunge al suo scopo : ora c'è di n�ovo un'antenata per continuare la 4· «Siamo cosl avvertiti che non si deve mai esitare o ritardare quando si tratta delle 'cose di Dio, ma deve essere rimosso dal nostro cammino tutto ciò che può in qualche modo arrestarci nell'opera intrapresa . . . Chi non si mette in marcia nell'ora o nell'istante in cui lo Spirito santo chiama, non lo afferrerà ; poiché quando è passato una volta, non torna indietro» (Lutero: W.A. XLIII, 348 s . ) .

L2 storia · dei patriarchi

discendenza di Abramo. È questa J-idea che dà un senso al­

l, accenno che si fa della tenda di Sara.

Conclusione. L,agiografo ha articolato la vastissima massa di materiale narrativo in quattro scene chiaramente dispo­ ste : 1 -9 Eliezer e Abramo; 1 1 -2 7 Eliezer e Rebecca ; 3 2-60 Eliezer presso Labano ; 62-67 Rebecca e !sacco . I trapassi sono di volta in volta stabiliti mediante brevissimi intermezzi narrativi. Se si confronta il contenuto nel suo complesso con le altre storie patriarcali (cfr. Gen. 1 6 , 1 8 ; 1 9 ; 2 2 ), �i rico­ nosce subito che qui non ci sono alla base antichissime tra­ dizioni quali abbiamo notato altrov.e. Lo si vede soprattutto dal fatto che il racconto non lascia intravedere alcun legame con una località determinata ( il punto in cui ha inizio e ter­ mina il viaggio è passato sotto silenzio e lo si può arguire solo dai racconti che precedono e seguono ). Anèhe il larghis­ simo posto che hanno qui discorsi e colloqui testimonia con­ tro una remota antichità. Si può davvero dire che !" azione' vera e propria si compie nei discorsi e quindi nei ctiori degli uomini che vi hanno parte. Il nostro capitolo, agli effetti del­ la storia redazionale deve essere dunque inteso come un 'bra­ no di transizione' cioè come un episodio che nel suo formarsi presuppone già una certa elaborazione delle vicende patriar­ cali 5• Questa situazione particolare si rivela soprattutto dal suo carattere innegabilmente teologico . Il tema della promes­ sa ( accrescimento fino a diventare un popolo e possesso del paese ) che domina ovunque, qui passa completamente in se­ conda linea e viene invece messo in rilievo_, in primo piano, come Dio manifestamente guidi gli eventi ; concetto che ri­ troveremo soltanto nella storia di Giuseppe. È caratteristica tuttavia la cura di evitare i miracoli di ordine esteriore. Qui non si dice «Dio colpì il faraone» , « aprl gli occhi ad Agar», «fece visita ad Abramo», «fece piovere fuoco dal cielo », , . M . Noth, Vberlieferungsgeschichte des Pentateuch, 1948 , I I .

I figli di Ketura (2J1I-6)

3 47

«chiamò Abramo dal cielo» e così via. Non viene alterata la concatenazione delle cause, e il miracolo consiste piuttosto in una certa piega data occultamente agli avvenimenti, senza alcun fattore sensazionale. Infatti nel nostro racconto il vero campo d'azione nel quale si esercita questa guida divina è non tanto il mondo esteriore e spaziale delle cose, quanto l'ambito interno dei cuori umani nei quali Dio agisce miste­ riosamente, inclinandoli , appianando, vincendo gli ostacoli. Questo avviene per la richiesta fatta a Rebecca presso la fon­ tana, come per il sorprendente consenso dato dai parenti . Notavamo più sopra per il v. 2 I il singolare carattere profano delle espressioni con le quali il narratore parla di questa azio.. ne direttrice di Dio ( «dare fortuna» , «far riuscire» ): eviden­ temente per esprimere questa influenza di Dio, nascosta e pur penetrante ogni cosa, la fede non aveva ancora nessuna formula tradizionale. Di fronte alla mentalità che vedeva l'azione di Jahvé soprattutto nel miracolo , nel carisma di un capo o nell'atto cultuale, questa concezione era qualcosa di completamente nuovo. Pare che abbia cominciato ad affer­ marsi nel periodo dell 'ili uminismo salomonico (dr. pp. 3 I ss . ). D'altra parte sarebbe falso voler vedere nel nostro rac­ conto unicamente una testimonianza della direzione che Dio esercita in generale sugli umani destini, cioè un esempio di ciò che gli antichi teologi chian1avano providentia generalis. Il legame del nostro episodio con le altre storie di Abramo così fortemente caratterizzate dal tema della promessa, di­ mostrano senz'altro che anche qui la guida divina ha per scopo la storia della salvezza in senso stretto. 20. I figli di Ketura. Morte di Abramo. I discendenti di Ismaele ( 2j,I·I8 )

1 Abramo prese di nuovo moglie e si chiamava Ketura . 2 Essa gli par­

torì Zimran, Iokshan , Medan , Madian , Ishbak e Shuah . 3 Iokshan ge­ nerò Saba e Dedan, e i figli di Dedan furono Ashurim, Letushim e Leummim. 4 I figli di Ma dian furono Efa, Efer, Hanok Ehida e Eldaa .

La stornz dei patriarchi Tutti questi sono i figli di Ketura. � Poi Abramo diede tutti i suoi averi a ! sacco . 6 Ai figli delle sue concubine Ab ram o diede dei dona­ tivi e mentre era ancora in vita li mandò lontano dal suo figlio !sac­ co, ad est, nella terra d 'oriente . 7 La durata di vita che ebbe Abramo fu questa: I 7 J anni . . 8 Poi Abra­ mo rese lo spirito; morì in serena vecchiezza, vecchio e 'sazio di gior­ ni' (l) e fu riunito a quelli del suo casato. 9 I suoi figli I sacco e Ismae­ le lo seppellirono nella caverna di Makpela sul terreno di Efron, figlio di Sohar tHittita, di fronte a Mambre, 10 il terreno che Abramo ave­ va comperato dagli Hittiti; là furon o sepolti Abr:amo e sua moglie Sara. 11 Anche dopo la morte di Abramo Iddio benedisse suo figlio l sacco . !sacco abitava presso il 'pozzo del Vi v ente che mi vede' . 12 E q uesta è la discendenza di Ismaele figlio di Abramo, che ad Abra­ mo aveva partorito t egiziana Agar, ancella di Sara. 13 Ecco i nomi dei figli di Ismaele, con i loro nomi in ordine di nascita: il primogenito di Ismaele fu Nebaiot, poi Kedar, Adbeel, Mibsam, 1" Mishma, Du­ ma, Massa, 15 Hadad, Tema, Ietur, Nafish e Kedma. 16 Questi sono i figli di Ismaele e q uesti sono i loro nomi, coi loro campeggi e i loro attendamenti; dodici capi delle rispettive tribù. 17 E questa fu la du­ rata di vita di Ismaele : 1 3 7 anni. Poi rese lo spirito e morì e fu riu­ nito ai suoi antenati. 18 I suoi figli si stanziarono da Havila fino a Shur di fronte all'Egitto (2) . Egli fece fronte a tutti i suoi fratelli.

1 -6 . La notizia del matrimonio di Abramo con Ketura e la

genealogia che vi si riallaccia, secondo il nostro modo di pen­ sare si inserisce con difficoltà nel contesto narrativo fin qui svolto. I versetti infatti non possono essere interpretati se non nel senso che questo nuovo matrimonio venne dopo quello con Sara. Ma allora non sappiamo capacitarci come mai già quarant'anni prima Abramo considerasse non più possibile per lui di generare un figlio ( Gen. I 7 , I 7 ; I 8 ) . In realtà questa pericope pregiudica in certo senso il carattere unico e straordinario del concepimento e della nascita di !sac­ co. Bisogna però persuadersi che gli antichi nel redigere il patrimonio di notizie offerto dalle loro fonti si preoccupa­ vano assa1 meno di compilare una biografia coerente in se I . Cfr. Biblia Hebraica. 2. Cfr. Biblia Hebraica.

Morte di Abramo. I discendenti di lsmaele

(25�7-18)

349

stessa che non di dar voce il più integralmente possibile alla tradizione che già esisteva. Fu così che il complesso narrativo jehovistico (J + E ) che già era più o meno coordinato, venne congiunto del tutto superficialmente a quello sacerdotale . In altre parole : l'interesse del �edattore è rivolto in prima linea non ai dati biografici di Abramo, ma alla ' tradizione su Abra­ mo ' che egli vuole raccogliere e ordinare con una certa orga­ nicità, ma soprattutto conservandola nella massima comple­ tezza possibile anche a costo di incongruenze di ogni specie . La nostra pericope era certo molto difficile da inserire e ha piuttosto il carattere di un'appendice. Non è un racconto ma una lista genealogico-etnologica che coi vv. I e 5 ss. è stata collegata alla biografia di Abramo con una giuntura a dir ve­ ro poco consistente. I nomi delle tribù ci portano nel quadro della Palestina meridionale e del nord-est dell'Arabia . Tut­ tavia è più ovvia l'ipotesi che la genealogia stessa sia una compilazione erudita fatta in un secondo tempo utilizzando alcuni antichi nomi di tribù, piuttosto che lo specchio diretto di un 'effettiva situazione storica antica. Quelli che conoscia­ mo meglio sono i Madianiti (cfr. Ex. 3 ; r 8 , r ; Iud. 6-8 ) . Saba e Dedan vengono nominati nella tavola dei popoli (Gen. r o 7 ) ma con altro rapporto genealog ico . I Sabei erano un popolo dedito ai traffici lungo le coste del Mar Rosso ; le sue ricche carovane erano ·note per largo spazio intorno ( I Reg. r o ; Ier. 6 ,2o ; Ezech. 27 ,22 ss . ). I Dedaniti sono spesso menzionati nei documenti dell'Oriente antico come nomadi dediti al commercio ( Gen. r o ,7 ; Is. 2 1 , 13 ; Ezech . 27,20 e passim). Gli Ashurim di cui si parla al v. 3 naturalmente non sono gli Assiri, ma al dire di Gen. 25 , 18 una tribù araba confinante con gli Ismaeliti. Quanto alla critica delle fonti, la lista deve essere attribui­ ta al filone jahvistico col quale si accorda perfettamente per quel particolare interesse 'secolare' , già più volte incontrato nello Jahvista, verso i rami collaterali che vanno poi a per­ dersi nella storia profana (confronta più sopra la conclusione ,

La storia dei paJriarchi

a I 9 , 3 o- 3 8 ) . Qui si vede come questa storia degli an te na ti di Israele non si limiti al lignaggio favorito dalla elezione di­ vina, ma pur avendo piena coscienza della promessa e della storia della salvezza che di n prende le mosse, sia tuttavia aperta ai contesti di storia profana . Abramo era per lo Jahvi­ sta non solo il beneficiario di tale promessa, ma anche il punto di partenza di nuovi sviluppi storici profani assai com­ plessi . Il v. 6 dà la risposta all'ovvia questione dell'eredità di Abramo. 7-1 I . La notizia della morte di Abramo proviene dalla fonte

sacerdotale e quindi si limita a comunicare semplicemente l 'essenziale, lasciando in ombra tu t ti i dettagli che uno Jah­ vista si sarebbe compiaciuto di descrivere. Abramo muore esattamente 1 00 anni dopo la sua entrata nella terra di Ca­ naan (Gen. 1 2 ,4b) . In sé la notizia della morte di Abramo è in anticipo sulla cronologia degli avvenimenti, poiché a que­ sto momento Giacobbe ed Esaù dovevano già avere 1 4 anni ; ma bisognava bene che la storia di Abramo avesse qui una conclusione. La sua è una morte di pace ; Abramo aveva per­ corso l 'intero ciclo di vita che Dio gli aveva assegnato . La formula 'vecchio e sazio di giorni ' mostra che nell'antico Israele non si prendeva la vita alla maniera di Faust, con la pretesa che fosse eterna, ma considerandola a priori rasse­ gnatamente come qualcosa di limitato , di assegnato all'uomo, nel cui uso si poteva in seguito arrivare anche a uno stato di sazietà ( Gen. 3 5 , 3 9 ; Iob 42 , I 7 ; I Chron. 2 3 , I ; 2 9 , 2 8 ; 2 Chron. 2 4 1 5 ). L'espressione fa capire che solo una morte precoce o 'cattiva' era sentita come un castigo di Dio ; ' vec­ chio e sazio di giorni ' significa compimento di ciò che è stato posto in germe da parte di Dio via via nella vita di ciascuno e una morte senza timore è la degna chi usa di una vi t a cosl portata alla sua pienezza. La frase « fu riunito ai suoi paren­ ti » a dir vero qui non è adeguata ed evidentemente si usa in senso molto largo perché presupporrebbe il concetto di una ,

Morte di Abramo.

l discendenti

di lsmaele

(2J,]·I8)

tomba avita e di famiglia . Ismaele e !sacco seppelliscono in pieno accordo il vecchio. Forse P ignorava la tradizione del­ l'allon tanamento di Ismaele (Gen. I ) o ha voluto di proposito non tenerne conto ? Oppure suppone che Ismaele sia ricom­ parso per la morte del padre ? ( Lo stesso succede del resto per Esaù e Giacobbe, Gen 3 5 ,2 9 . ) Comunque la promessa fatta alla discendenza di Abramo non si profilava che agli occhi di I sacco. .

1 2-1 8 . Abbiamo qui una pericope tratta dal libro delle toze_ dot che in origine constava solo di genealogie e ha uno stret­ to legame letterario con la fonte P (cfr. pp . 84 s . ) . A diffe­ renza della lista di Ketura ( G en. 2 5 I ss. ), sembra si trat ti di una più stretta lega di tribù ismaelitiche. E poiché essa no­ mina dodici tribù e parla di dodici 'capi' ( nesz'im v . I 6 ), è ovvia l'ipotesi che anche gli Ismaeliti abbiano costituito una specie di confederazione tribale di dodici membri, a carattere sacro (anfìzionia ); infatti il termine ebraico qui usato � come sappiamo dall'A. T., era il titolo che si dava al dignjtario po­ litico religioso che rappresentava la tribù nel collegio di tali capi-tribù di tutta la confederazione ( Num. I , 5- I 5 ; 1 0 , I 4-2 6 ; I 3 ,4- I 5 ; Ex. 2 2 , 2 7 ) 3 ; accenni a queste confederazioni di do­ dici tribù si trovano anche in Gen . 2 2 , 2 0-2 4 ; 3 6 , I - I 4 ). La zona ove risiedono questi beduini ismaeliti conforme al loro tipo di vita nomade è vastissima , cioè comprende l 'intero deserto dell'Arabia nord-occidentale, e solo al nord confina con la confederazione aramaica di cui si è parlato più sopra ( 'Nahor' Gen . 2 2 , 20-24). Il loro centro ( cultuale ? ) può es­ sere stata la ben nota oasi di Tema (Is. 2 I , I 4 ; Ier. 25 , 2 3 ; Iob 6 . I 9 ). Di alcune di queste tribù ismaelitiche l'A.T. dà notizia anche altrove . Kedar e Nebaiot ad esempio sono no­ minati insieme in Is. 60,7 (dr. pure I s. 2 1 , 1 6 ss. ; Ier. 49, 2 8 ss . ) . Bisogna tuttavia pensare che i testi veterotestamen­ tari non esprimono sempre tutti con uno stesso nome le stes,

3· M.

Noth, Geschichte lsraels, 11969.

La storia dei patriarchi

se nozioni storiche. Soprattutto quando si tratta di poesia bisogna fare i conti con un uso assai poco preciso. L'accenno allo spirito di contesa di Ismaele ricorda Gen . I 6 , I 2 . Poiché però esso non è tratto di là, potrebbe trattarsi di una frase generica.

La grande sezione della storia dei patriarchi che ora inizia, quale fu composta dai redattori in base ai dati della tradizio­ ne di cui disponevano, mostra un complicatissimo seguito di avvenimenti fra i quali si trova in primo piano l'antagonismo fra Giacobbe ed Esaù. Evidentemente con Gen. 25 , 1 9 ha ini­ zio un vasto complesso narrativo che si conclude solo in Gen . 3 5 con la nascita di Beniamino, quando cioè i figli di Giacobbe raggiunsero il numero di dodici . La si chiama co­ munemente 'storia di Giacobbe' e ci si deve chiedere se a ragione : !sacco nel corso del racconto ha ben poco rilievo e la parte della narrazione che lo riguarda direttamente è . assai ridotta (cfr. pp. 3 6 1 s . ). Poiché però il blocco dei racconti su Giacobbe ha per titolo : «Questa è la storia della famiglia di !sacco» e si concluderà con la notizia della morte di !sac­ co ( Ce n . 3 5 , 2 8 ) , sarebbe più naturale intendere tutto l'insie­ me nella visuale del raccoglitore come la vera storia di !sacco . E dovremo vedere di conseguenza nella cosiddetta «storia di Giuseppe » una storia di Giacobbe . Lo conferma tra l'altro il fatto che anche questo vasto contesto narrativo comincia con : «Ecco la storia della famiglia di Giacobbe» e si conclude con la notizia della morte di lui e col trasporto della sua salma nella terra di Canaan . Del lungo tempo intercorso fra que­ sto avvenimento e la morte di Giuseppe non si dice più nul­ la. Si confronti anche più avanti, pp. 422 ss . , l'excursus sulla struttura e teologia dei racconti di Giacobbe.

354

La storia

dei patriarchi

2 1 . La nascita di Esaù e di Giacobbe .. La vendita della primogenitura ( 2j,I9-3 4 ) 19 Questa è la storia della discendenza di !sacco} il figlio di Abramo. Abramo generò !sacco 20 e !sacco aveva quarant'anni quando si prese in m oglie Rebecca, la figlia dell)arameo Batuel di Paddan Aram} so­ rella di La bano l'arameo.

21 l

sacco pregò J ahvé a riguardo della sua moglie perché era sterile. E Jahvé lo esaudl ; e la sua moglie Rebecca rimase incinta. 22 Ma i bambini le si urtavano nel seno; e perciò disse : . 33 Disse Giacob­ be : «Giuramelo prima ! » . Allora glielo giurò e vendette la sua primo­ genitura a Giacobbe . 34 E Giacobbe diede a Esaù pane e lenticchie cotte . Egli mangiò e bevve, si alzò e se ne andò . Così Esaù disprezzò la primogenitura.

1 9- 2 0 ; 2 6b. Questa storia di Giacobbe prende l'avvio da un passo appa.rtenente a uno scritto sacerdotale, il libro delle toledot ( si veda sopra pp. 84 s. ) dal quale è stato tratto an­ che il v . 26b. Esso doveva in ogni modo aver contenuto un accenno sulla nascita di Esaù e Giacobbe, in seguito soppres­ so, dato che la tradizione jahvistica della nascita dei gemelli ne avrebbe parlato molto più diffusamente . Secondo questa

Esaù e Giacobbe. La vendita della primogenitura (2J1 I�34)

3 55

fonte Isacco dovette attendere vent'anni la nascita dei figlL 2 1 -2 6 . Qui ha inizio la relazione jahvista (vv. 2 1 ss . ). Ma que­

sta relazione, se la si considera un racconto, è stranamente piatta . Le due consultazioni di Jahvé nei vv. 2 r e 2 2b sono solo enunciate, non narrate. Non è né nominato un luogo per con sult are Jahvé Rebecca dovette recarsi certo in un luo­ go di culto - né sono riportati particolari di questo avveni­ mento . Viene riferito soltanto nel suo esatto tenore il re­ sponso di Dio. Esso predice qualcosa di grande e nello stesso tempo molto enigmatico. Rebecca diverrà progenitrice di due popoli ; nei loro vicendevoli rapporti vi sarà qualcosa di inquietante. Tutto è lasciato ancora in sospeso, nessun ac­ cenno alla promessa fatta ai patriarchi o almeno a un fine che Dio abbia in vista . Il responso si limita a indicare generica­ ment'e l 'aspetto esteriore delle future relazioni tra i fratelli e ha così, nella struttura del racconto che ora si va delineando, il valore di un 'momento cruciale' . La pericope dei vv. 2 1 - 2 8 non costituisce un vero e proprio racconto e neppure dipen­ de da una saga più antica formante un tutto a sé ; è bene pensarla come una introduzione premessa a tutto l'insieme e destinata a preparare il lettore con una serie piuttosto li­ bera di fatti , la conoscenza dei quali è necessaria per la com­ prensione di ciò che seguirà. Questa descrizione di un sobrio realismo è del tutto priva sia in Esaù che in Giacobbe di quei motivi idealizzanti che facilmente informano il profilo dei progenitori di un popolo . Anzi qui i tratti di stintivi ne met­ tono piuttosto in rilievo il lato comico e ridicolo . Questo è sicuro per quanto riguarda la pelle bruna di Esaù (ai palesti­ nesi faceva impressione il colorito molto più scuro degli abi­ tanti del sud e dell'est del deserto ) e inoltre il bambino era tutto peloso come se la natura lo avesse provveduto di un mantello di pelliccia. Sordidi appaiono ai più civili Israeliti i loro selvaggi vicini . «Si tratta quindi di amabilità di buon vicinato» ( Gunkel ). Ma anche ciò che accade alla nascita di

La storia dei patriarchi

Giacobbe ha il sapore quasi burlesco di un'arguzia popolare : già nel seno materno egli teneva saldo il fratello per il cal­ cagno . Aveva tentato , ancora in embrione, di disputargli la primo genitura ? È un gesto. che, a questo punto del racconto , non si può ancora valutare nella sua portata e nel suo peso, e può dar adito a congetture di ogni genere, nessuna delle quali riuscirà a cogliere ciò che per volontà umana e pure col beneplacito divino è avvenuto in seguito . Con ardito g ioco etimologico il testo fa derivare il nome di Giacobbe da 'cal­ cagno' Caqeb ) ; e implica una poco comune autoironia. Que­ sta interpretazione ha tutta l'aria di un infelice emendamen­ to poiché non è ammissibile che il vero senso del nome ori­ ginariamente teoforo fosse a quel tempo già caduto in oblio (ja«aqob significa verosimilmente > (v. I 7b) . Dietro la concezione che