Ezechiele (capp. 25-48). Traduzione e commento 8839406093, 9788839406095

Nella persona di Ezechiele si incontrano il sacerdote e il profeta e la sua vita si svolge nella forte tensione tra l�

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Ezechiele (capp. 25-48). Traduzione e commento
 8839406093, 9788839406095

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ANTICO TESTAMENTO COLLABORATORI

W alter Beyerlin, Walther Eichrodt, Karl Elliger, Erhard Gerstenberger, Siegfried Herrmann, Hans Wilhelm Hertzberg, Bernd Janowski, Jorg Jeremias, Christoph Levin, James A. Leader, Diethelm Michel, Siegfried Mittmann, Hans-Peter Miiller, Martin Noth, Jiirgen van Oorschot, Kari-Fr. Pohlmann, Norman W. Porteous, Gerhard von R ad, Hennig Graf Reventlow, Magne Szbe, Ludwig Schmidt, Werner H. Schmidt, Hans-Christoph Schmitt, Hermann Spieckermann, Timo Veijola, Anur Weiser, Peter Welten, Claus Westermann, A.S. van der Woude, Ernst Wiirthwein, W alter Zimmerli a cura di Orro KAISER e LoTHAR PERLITI

VOLUME22/2 EZECHIELE

(capp. 2 s-48)

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

EZECHIELE Traduzione e commento di WALTHER EICHRODT

Traduzione italiana di

ENEA RIBOLDI

e

FRANCO RoNCHI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera:

Der Prophet Hesekiel Ùhersetz und erklart von W ALTHER EICHRODT Traduzione italiana di Enea Riboldi e Franco Ronchi © Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen © Paideia Editrice, Brescia 2001

'1

984

.

ISBN

8 8. 3 94.0609.3

Oracoli divini contro le nazioni (capp.

25-32)

Col cap. 2 5 inizia una serie di capitoli del nostro libro che si differenzia nettamente sia da quanto precede sia da quanto se­ gue e si dimostra una composizione con una propria distinta natura rispetto al resto del contenuto del libro di Ezechiele. Gli oracoli di Dio raccolti qui rivolgono, certo con una varietà di generi letterari ma con una coesa unità di contenuto, la loro minaccia a una serie di popoli stranieri, proclamando loro la rimunerazione punitiva del Signore universale verso il quale si sono resi colpevoli. Ci sono ottime ragioni per ritenere che al­ la base di questa raccolta ci sia di sicuro una serie di predica­ zioni risalenti allo stesso Ezechiele: non solo si incontrano in questa raccolta sette date, sei delle quali cadono nel breve spa­ zio di tre anni, distinguendosi pertanto decisamente dalle pre­ cedenti, distribuite su periodi di tempo più lunghi, mentre la settima data introduce un'aggiunta più recente di quindici an­ ni che serve per una rettifica (29, 1 7-2 1 ), ma i brani da esse in­ trodotti (e anche molti dei passi non datati compresi tra que­ sti) concordano così bene, nella loro concezione generale, con il resto del libro del profeta e sono così vicini per dettato ai passi paragonabili del libro (ad es. i capp. 1 6, 1 7, 1 9) che l'ipo­ tesi di un unico e medesimo autore offre la spiegazione più naturale. Evidentemente in questa raccolta Ezechiele ha anno­ tato in ordine cronologico una serie di profezie unite dal mede­ simo tema, rendendole in questo modo un corpo omogeneo. La stesura del profeta non ci è tuttavia giunta nell'estensio-

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ne e nella forma originarie. Il testo attuale non rispecchia più l'ordine primitivo della raccolta: ad esempio, un oracolo con­ tro Tiro (26, 1 ss.), il cui giusto posto sarebbe dopo la terza pro­ fezia contro l'Egitto, e che è più o meno contemporaneo alla quarta (3 2, 1 - I 6), è stato spostato in avanti giacché in questo ca­ so il desiderio di riunire gli oracoli con lo stesso tema, qui quel­ li contro Tiro, è prevalso sul principio cronologico. Il libretto delle profezie riguardanti Tiro (capp. 26-28) è frutto quindi dell'opera redazionale cui è stata sottoposta quest'opera di Eze­ chiele, come redazionali sono le profezie, che precedono nel cap. 2 5, contro quattro popoli della Palestina, le quali sono del tutto prive di data. Poi il libretto con le ptofezie del profeta ha dovuto subire numerose aggiunte che, da un lato, hanno au­ mentato il numero dei popoli oggetto di oracoli, fino a raggiun­ gere il numero fatidico di sette invece dei due o tre della stesu­ ra originaria; dall'altro, s'intervenne redazionalmente sul testo dei singoli oracoli per ampliarli in direzioni diverse e suggerir­ ne nuove interpretazioni. Lo studioso si trova oggi davanti al prodotto dell'evoluzione storica del testo del profeta che per­ mette di vedere con quale intensità i discepoli di Ezechiele si siano confrontati con il suo testo e rende visibili, prolungando alcune linee, le loro tendenze che ora portano avanti le idee del maestro ora regrediscono rispetto alle sue posizioni. L'esatta determinazione di queste variazioni spetta all'esegesi dei singo­ li passi. L'intera situazione coincide così bene con quella degli oracoli delle nazioni nei libri di Isaia (capp. 1 3 -2 3) e di Gere­ mia (capp. 46- 5 1 ), che queste parti dei tre libri profetici si illu­ minano e confermano a vicenda. Questo libretto contro i popoli stranieri, nella sua forma am­ pliata, potrebbe aver avuto per un certo tempo una vita auto­ noma come opera a sé stante. In ogni caso non ha più accolto altro materiale, sia pure omogeneo, come Ezech. 2 1 ,3 3-3 7; cap. 3 5 e capp. 3 8 s. Il suo inserimento nel testo complessivo del li­ bro profetico si presenta quindi anch'esso come l'intrusione di un corpo estraneo in un contesto organico che va a spezzare ciò

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che in origine era unito e continuo: l'annuncio dell'imminente crollo di Gerusalemme ( 24, I 5 ss.) viene così staccato brusca­ mente dal racconto del compimento di quella profezia che una volta gli era strettamente unito, mentre ora si trova in 3 3 ,2 I s. Ma, certamente a causa di questo inserimento forzato, quest'ul­ timo racconto viene spostato cronologicamente ancora più in­ dietro mediante il nuovo incarico affidato a Ezechiele in 3 3, I 20 che appariva indispensabile quale inizio della terza parte del libro di Ezechiele. Certamente questo intervento spregiudi­ cato in una struttura omogenea fu dovuto all'intenzione di or­ ganizzare l'attività del profeta in tre grandi periodi: all' annun­ cio del giudizio sul suo popolo seguiva la condanna delle po­ tenze straniere e, finita questa attività di demolizione, si con­ cludeva poi con la fase di edificazione e la promessa della sal­ vezza ventura. Quanto tale principio organizzativo fosse rite­ nuto utile e opportuno è dimostrato dal suo utilizzo anche nel­ la redazione complessiva dei libri di Isaia e Geremia (per que­ st'ultimo libro l'ordine seguito dai LXX, con la collocazione dei discorsi alle nazioni dopo il cap. 2 5 , va preferito a quello del testo masoretico ). Ora le compilazioni dei discorsi alle nazioni mostrano chia­ ramente la tendenza a elencare i nemici nella medesima manie­ ra e a usare, nel minacciarli, le medesime formule stereotipate. Fin da A m. I e 2 il numero canonico delle nazioni è sette, una cifra che ricorre anche in Geremia ed Ezechiele, ma si trova anche nel breve elenco di /s. I I , I 4 s., mentre in Soph. 2 e Dan. I 1 ,4 I non lo si raggiunge. La più antica predizione del castigo contro le nazioni (Am. I s.) mostra una struttura così rego­ larmente stereotipata che già a partire da qui si pone l'interro­ gativo se queste profezie non risalgano a uno schema tradizio­ nale che i profeti avrebbero ripreso. Si può supporre che l' oc­ casione più adatta per l'uso di un simile schema fosse la festa del patto o la festa dell'intronizzazione del re, quando il tema della punizione dei nemici era rilevante (cfr. Ps. 97,3; 98,9; 99, 1 s. e Ps. 2; 4 5 ,9; 1 I 0,2. 5 ss.). Che questa ipotesi non sia cam-

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pata in aria è dimostrato dai cosiddetti testi di prescrizione dell'Egitto della prima metà del n millennio a.C. che conten­ gono maledizioni scritte su vasi di coccio secondo uno schema fisso che maledicono i nemici dell'Egitto a sud, a nord e a ovest del regno e anche i ribelli all'interno del paese. Queste maledi­ zioni venivano attivate efficacemente con un atto rituale solen­ ne mediante la frantumazione simbolica dei recipienti. Sulla scorta di tale costume non sarebbe ingiustificato ipotizzare che anche in Israele esistesse una simile usanza rituale, che na­ turalmente potrebbe non essersi svolta in una forma necessa­ riamente identica (ad esempio quando in Ier. I 9, I ss. il profeta frantuma una brocca minacciando al contempo la distruzione della città e del popolo, non si parla di una qualche iscrizione sul recipiente), ma che certamente potrebbe aver favorito la creazione di uno schema ad hoc con formule stereotipate. È comprensibile che i profeti d'Israele, a cominciare da Amos, si siano serviti anch'essi di questo genere letterario quando vole­ vano predire ai popoli circonvicini il castigo: essi potevano es­ sere certi di venire ascoltati con approvazione ed entusiasmo dai connazionali e sfruttare quindi questa captatio benevolen­ tiae per inculcare in maniera tanto più indelebile negli ascolta­ tori il loro messaggio di giudizio sullo stesso Israele. D'altra parte è molto improbabile che essi abbiano ripreso il modello preesistente in modo così servile da sentirsi in ogni caso legati all'obbligo di annunciare il giudizio contro i popoli stranieri e di farlo sempre seguendo lo schema settenario. I lo­ ro messaggi non si regolavano secondo usi aviti o preferenze popolari, ma secondo la situazione concreta nella quale si sen­ tivano posti e spinti a predicare dal loro Dio. Così lo schema settenario non si trova in Isaia, in Geremia la sua presenza è incerta a motivo delle diverse valutazioni di Ier. 46-49, e an­ che in Ezechiele, dove è presente nel testo attuale, non va mol­ to probabilmente attribuito al profeta stesso, ma è il risultato di varie aggiunte successive. Il raggiungimento di questo sche­ ma dovette inoltre costituire anche per coloro che rielaborare-

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no gli scritti del profeta una costante tentazione perché il nu­ mero sette simboleggiava la sintesi perfetta di tutte le possibi­ lità e sembrava pertanto rendere certa l'efficacia della procla­ mazione di Ezechiele. Il profeta stesso non si occupò dei po­ poli stranieri per riproporre le profezie di giudizio contro le nazioni così gradite al popolo e venire quindi considerato un vero messaggero di Dio, ma soltanto perché essi osavano in­ tralciare il piano punitivo del suo Dio e perché con tutto il lo­ ro comportamento costituivano una fonte di tentazione per il popolo d'Israele, mettendo in pericolo il riconoscimento della sua predizione del futuro. Si tratta quindi, in primo luogo, come per Geremia, dell'assoggettamento di tutto il mondo al re di Babilonia voluto da J ahvé che aveva affidato al Gran Re il compito di eseguire il suo giudizio sulle nazioni. Negli ora­ coli contro le nazioni di Ezechiele gli apparentemente invinci­ bili nemici del re babilonese occupano pertanto la maggior par­ te dello spazio, mentre altri popoli vengono considerati solo marginalmente. Ma l'aspetto sorprendente di tutto ciò è che questo compito ha offerto al profeta l'occasione per scrivere le sue composi­ zioni liriche più importanti e belle: nella letteratura profetica non c'è niente che possa reggere il confronto con esse per gran­ dezza di disegno, per la sbalorditiva molteplicità dei materiali scelti, per lo sviluppo avvincente di immagini multicolori e per la precisa caratterizzazione delle figure che vi compaiono. Do­ po i piccoli saggi offerti ai capp. 17 e 1 9 , qui si viene veramen­ te a conoscere quale eccellente poeta sia il profeta che, per una volta, è stato preso anche lui con tale forza dal suo oggetto che l'annuncio del giudizio può passare del tutto in secondo piano rispetto ai generali tratti umani di un evento avvincente. An­ che per questo aspetto, dunque, si deve rettificare la sua im­ magine tradizionale di persona dalla presunta mentalità sobria e prosaica, grettamente calcolatrice, capace soltanto di pensare in categorie giuridiche!

Oracoli contro i popoli limitrofi in Palestina (cap. �s) 1 E la parola di Jahvé mi fu comunicata in questi termini: Figlio d'uo­ mo, volgi il tuo volto contro 1 gli Ammoniti e profetizza contro di loro. 3 Di' agli Ammoniti: Ascoltate la parola di ' . . . ' 1 Jahvé! Così parla ' Jahvé: Poiché tu hai gridato «ah! ah !» sul mio santuario, quando fu pro­ fanato, e sulla fertile terra d'Israele, quando fu devastata, e sulla casa di Giuda, quando fu costretta ad andare in esilio, 4 perciò io ti abbando­ nerò davvero ai figli dell'Oriente perché ti occupino, perché pongano 1 in te i loro accampamenti e piantino in te le tende in cui abitano. Essi man­ geranno i tuoi prodotti e berranno il tuo latte. 5 E io trasformerò Rab­ ba in un pascolo per i cammelli e le città 1 degli Ammoniti in stazzi per pecore, affinché voi conosciate che io sono Jahvé. 6 Poiché ' . . . ' 1 Jahvé dice così: Perché tu 3 hai battuto le mani e pestato i piedi e gioito con tutto il disprezzo che nutrivi in cuore per 1 la fertile terra d'Israele, 7 perciò, in verità, stenderò la mia mano contro di te e ti abbandonerò al saccheggio tra i popoli e ti sterminerò di tra le nazioni e ti scaccerò via di tra i paesi ' . . . ' 4 e conoscerai che io sono J ahvé. 8 Così dice'. Jahvé: Poiché Moab ... ' s ha detto: In verità, la ca­ sa di Giuda è come tutte le (altre) nazioni, 9 perciò ecco: Squarcerò le falde 6 del monte di Moab e lascerò indifese, per tutta la sua esten­ sione, le sue città/ vanto del paese: Bet-Hajjeshimot, Baal-Meon e K.ir. jatajim. 10 Lo abbandonerò 1 in possesso ai figli dell'Oriente in ag­ giunta agli Ammoniti affinché ' ... ' 8 non ci si ricordi più di lui tra i popoli. I I E io eseguirò il mio castigo su Moab, affinché conoscano che io sono J ahvé. Così dice ' . . . ' 1 Jahvé: Poiché Edom si comportò con sete di vendetta9 verso la casa di Giuda e si resero gravemente colpevoli vendi2

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Si legga 'al invece di 'el. 2. V. BH. È singolare come nei vv. 6 s. si passi al suffisso maschile invece del suffisso femmini­ le di 2a pers. usato fin qui. 4· T.M.: «ti distruggerò,.: aggiunta asindetica che sembra inutile dopo le tre afferma­ zioni precedenti; in origine è forse una glossa marginale. 5. T.M .: «e Seir»: cioè Edo m; ma poiché Edom ha poi un proprio oracolo {vv. 12 ss.), con i LXX si deve considerare questa menzione un'aggiunta recente da espungere. 6. O «il dorso». 7 · Il T.M. («dalle sue città, dalle città») è incomprensibile; si legga invece con Bertho­ let e Bewer me'areh 'araw. 8. T.M.: «gli Ammoniti», aggiunta sbagliata. 9· Il T.M . (binqom) è linguisticamente inutilizzahile e sembra un'aggiunta, a meno che non lo si voglia considerare con Bertholet una variante vocalizzando btnaqom . I.



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candosi su di loro, 13 perciò Jahvé dice così: Ecco: io stenderò la mia mano contro Edom e sterminerò di tra esso uomini e bestie e lo renderò un deserto da Teman fino a Dedan. 14 E affiderò alla ma­ no del mio popolo d'Israele la mia vendetta contro Edom ed essi trat­ teranno Edom secondo la mia ira e il mio furore ed essi proveranno . ve n d etta, d.t ce c . . . 'l Jahve., l a mta 1 5 Così dice ' . . . ' 2 Jahvé: Poiché i Filistei hanno agito con sete di ven­ detta e si sono vendicati ferocemente con disprezzo, di tutto cuore, per distruggere con ostilità eterna, 16 perciò così dice Jahvé: Ec­ co: stenderò la mia mano contro i Filistei e sterminerò i Kretei e an­ nienterò il resto sulla riva del mare. 17 E compirò su loro grandi atti di vendetta con castighi d 'ira, affinché conoscano che io sono Jahvé quando riverserò su loro la mia vendetta. ' . .. u

' . .. ' 2

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25, 1-7. L'oracolo contro Ammon. La pericope viene introdot­ ta dalla formula d'introduzione del «detto del messaggero» (Bo­ tenspruch) nella sua forma piena con la comunicazione della pa­

rola di Dio (v. 1 ) e con l'ordine impartito direttamente al fi­ glio d'uomo (vv. 2-3 a) di proclamare un oracolo sui figli di Ammon ai quali si ordina di prestare attenzione. Al v. 3b il di­ scorso divino diretto che annuncia il giudizio comincia con la formula introduttiva «così parla Jahvé». Il discorso si apre con una frase di minaccia che menziona dapprima la colpa di Am­ mon che è essenzialmente l'esplosione di gioia maligna per la distruzione del tempio di Dio, del paese di Dio e del popolo di Dio, per passare poi ad annunciare, con la nota formula di giudizio, l'imminente intervento del giudice (vv. 4 s.). Il giudi­ ce invierà quale suo giustiziere i «figli dell'Oriente» che si im­ padroniranno di Ammon, cioè del suo paese, sistemandovi il loro bestiame e le tendopoli in cui abitano . In quanto nomadi dediti alla pastorizia che non si curano dell'agricoltura, i fi gli dell'Oriente sanno solo predare i prodotti della campagna che servono per le loro necessità, il grano e il latte, radere al suolo le città, abbandonandole poi come rovine disabitate (v. 5 ), quanto basta per lasciare pascolare il bestiame tra l'erbaccia che vi crescerà rapidamente. Io . Gioco di parole: hikratti 'et-hakkrrtim.

Ezech.

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Questo quadro vi.vace, tracciato con pochi tratti concreti, mostra un destino che minacciava sempre di travolgere le po­ polazioni che occupavano in Transgiordania la fascia estrema della Palestina. Le tribù nomadi che abitavano l'ampio territo­ rio desertico e stepposo confinante a est con la terra coltivata e che erano ben note in Israele come «figli dell'Oriente» ( Gen. 2.9 ,1; Iud. 6,J J, ecc.), erano sempre tentate, appena se ne offri­ va l'occasione, di invadere i territori delle popolazioni rurali sedentarie, soprattutto quando lunghi periodi di siccità mette­ vano in pericolo la loro sopravvivenza. Tali scorribande dei be­ duini dell' Auranitide sono rimaste per secoli, fino all'età mo­ derna, la piaga dei coloni sedentari. Ma mentre questi nomadi cammellati non cercano di solito di diventare sedentari, bensì dopo aver compiuto le loro scorrerie ritornano alle loro zone inospitali, ma anche non minacciate da alcun conquistatore, il nostro oracolo annuncia che questa volta si assisterà invece a un'ondata senza riflusso che sommergerà la terra coltivata, ren­ dendo gli invasori padroni del paese ai quali dovranno piegar­ si i precedenti proprietari. Se il territorio di Ammon era già coperto in gran parte da pascoli, ora prevalgono le abitudini di vita dei nomadi, lasciando che anche le campagne coltivabili si trasformino in incolti. È suonata veramente l'ultima ora per lo splendore del regno ammonita con la sua superba capitale Rab­ ba (generalmente chiamata Rabbat Ammon). Con una nuova formula dell'oracolo profetico, alla prima minaccia di castigo se ne aggiunge ora (vv. 6 s.) una seconda la cui singolarità salta subito agli occhi. Essa si segnala non solo perché ora si passa a usare il genere maschile, ma anche perché le minacce diventano sempre più pesanti: la catastrofe dello stato ammonita viene caricata sino a diventare lo sterminio to­ tale della popolazione contro la quale intervengono adesso i popoli e le nazioni per prepararne la fine. Questa accentua­ zione del castigo, che tuttavia diventa allo stesso tempo inco­ lore, mentre la colpa sembra riferirsi ora soltanto al disprezzo del paese d'Israele, mira apparentemente a modellare il destino

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di Ammon su quello d'Israele, così come viene raffigurato nel­ le minacce del profeta. Di conseguenza sussistono seri dubbi che questa aggiunta sia opera di Ezechiele: la peculiarità del brano si spiegherebbe meglio attribuendone la stesura ai disce­ poli del profeta i quali, come si è già detto, amavano prolunga­ re le linee tracciate dal profeta. Questo oracolo di giudizio contro Ammon è stato confron­ tato, come del resto anche gli oracoli successivi, con le p redi­ zioni di sventura di Am. 1 s., classificando sia quelli sia queste nel genere letterario degli oracoli di proscrizione dei popoli stranieri, un genere che è noto dall'Egitto del Medio Regno. Sebbene questa affinità storico-morfologica non possa essere negata, pure nel nostro caso si deve mettere in evidenza una peculiare differenza, cioè la sua concentrazione sulla colpa reli­ giosa di Ammon, mentre tutte le accuse politiche sono scom­ parse (similmente in Soph. 2,8 ss.). Eppure non è che ne man­ cassero, considerato che l'ostilità verso Ammon era vecchia di secoli e la lista delle insidie e degli attacchi di Ammon contro Israele era piuttosto lunga. Ammon aveva rappresentato per Israele un pericolo costante ai tempi sia dell'insediamento nel la terra promessa sia del consolidamento politico dello stato israelitico e la pace tra i due popoli era sempre precaria (/ud. IO s.; 1 Sam. I I; 2 Sam. IO- I 2; A m. r , I 3 ss.). La perfidia con la quale questo vicino, nonostante la sua posizione antibabilone­ se, si era fatto ancora usare da Nabucodonosor nel 598 a.C. per una spedizione punitiva contro Jojaqim (2 Reg. 24,2}, ma in maniera particolare il ruolo ambiguo che ebbe nella vicenda dell'assassinio di Gedalja, l'ultimo governatore giudaita dopo la caduta di Gerusalemme, Baalis, re di Ammon, che offrì asilo e protezione all'assassino, il davidide lsmaele (ler. 40 ss.), era­ no due aspetti certamente ben noti ai contemporanei di Eze­ chiele. Ma tutti questi intrecci politici nei quali la questione del­ la colpevolezza non è sempre chiara e il naturale istinto di so­ pravvivenza del più debole davanti al più forte, che ne minac­ cia l'indipendenza, ha una notevole parte, qui non compaiono

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affatto. Al centro c'è il trionfo del paganesimo sulla pretesa re­ ligiosa d'Israele di avere ricevuto il dono di una rivelazione particolare di Dio la quale conferiva sia al tempio e al paese sia alla sua esistenza in quanto popolo una dignità unica nel suo genere quale garanzia della presenza e della provvidenza di Dio insieme con una missione storica particolare. Il fallimento di Israele nel compito affidatogli è per i pagani un motivo suffi­ ciente per schernire quella pretesa, considerandola un parto della presunzione e della vanità, alle quali doveva tener dietro la rovinosa caduta: e la predicazione dei profeti di sventura di Israele costituisce una opportuna conferma di questo giudizio. Qui non è in discussione la giustificazione umana di questo comportamento che è fin troppo comprensibile davanti al ve­ lamento di ogni rivelazione, incomprensibile per lo stesso po­ polo di Dio, provocato da una catastrofe ritenuta impossibile, bensì l'effettiva cecità per il governo divino nella storia del suo popolo che si rallegra per la presunta liberazione dall'inaudita pretesa di questo unico popolo con la sua veemente critica del­ la sicurezza pagana riguardo alla vita. Fondamentalmente, Am­ mon è importante solo in quanto esempio del rifiuto totale di una particolare storia divina della salvezza con la sua inquie­ tante messa in discussione della certezza pagana nei confronti della divinità, che ha reso Israele, volta dopo volta, la pietra di scandalo nel mondo circostante. L'oracolo profetico di giudi­ zio contesta e condanna che il castigo pronunciato dal Dio san­ to sul proprio popolo venga ora trasformato in una gradita dimostrazione della nullità di ogni rivelazione di Dio operan­ te in questa situazione e sbandierato come tale e così la crisi spirituale nella quale lo stesso Israele è stato precipitato venga resa del tutto insolubile dall'apparente trionfo dei nemici di Dio. La profezia mantiene salda la fede nell'attuazione del re­ gno di Jahvé in tutto il mondo e le promette che le verrà resa giustizia mediante l'intervento di Dio nel destino anche dei suoi contestatori e detrattori pagani. Come il profeta può pro­ clamare che l'azione storica di Dio nel suo popolo continua

Ezech. 2J

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persino nel paese impuro, così può anche annunciare che la ma­ està unica del Dio d'Israele che si sta compiendo nella storia dei popoli riuscirà ad affermarsi. 1 ahvé parlerà più tardi (cap. 3 6) della profanazione del proprio nome tra le nazioni a causa dell'infedeltà d'Israele e della necessità di santificarlo tra esse, ma accenna già qui (v. 5 ) a questo fine ultimo della sua opera sui pagani quando chiude il messaggio con il riferimento ad es­ so: «E voi conoscerete che io sono 1ahvé». È insito nella na­ tura dell'attesa imminente, che è orientata sul compimento fi­ nale, che in tale contesto, come del resto avviene in genere nel­ la predizione profetica, si guardi al trionfo universale di 1 ahvé in contemporanea con la redenzione del suo popolo. Questa visione non avrebbe potuto venire corretta che a partire dal suo adempimento nel Nuovo Testamento. Nella sua imposta­ zione generale questa pericope è molto vicina a Soph. 2,8 ss. % 5,8-1 1 . L'oracolo contro Moab. Le predizioni relative alle na­

zioni che vengono dopo l'oracolo contro Ammon si differen­ ziano sensibilmente da quest'ultimo per la mancanza sia della formula della comunicazione dell'oracolo sia del mandato al profeta. Esse vengono introdotte unicamente dalla «parola del messaggero», facendo così capire, già con questa caratteristica, di essere aggiunte secondarie. Infatti l'introduzione ai vv . 1-3 si limita esplicitamente ad Amman, mentre per ogni nuovo ora­ colo si sarebbe dovuto avere un nuovo incarico al profeta. Si aggiunga a ciò che il discorso non è più rivolto direttamente al­ l'interessato in 2a pers., ma si parla del popolo minacciato in 3 a pers., cioè impersonalmente. Si può pertanto affermare che gli oracoli successivi a quello contro Amman furono inseriti nella serie in maniera poco organica, come del resto è chiaramente riscontrabile anche nella loro formulazione e nel contenuto. Tuttavia l'oracolo contro Moab è visibilmente collegato in maniera più stretta dei due successivi all'oracolo contro Am­ man. Da un lato la colpa di M oab è limitata anch'essa al me­ desimo contrasto religioso con Giuda, sebbene anche per Moab

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sarebbe stato possibile aggiungere, come si è notato per Am­ :mon, sufficienti aggravanti politiche. Gli scontri d'Israele con Moab non sono né meno antichi né meno violenti di quelli con Ammon. Basta ricordare Iud. J,I 2-J O; I I; 2 Sam. 8 e l'iscri­ zione trionfale nella quale il re moabita M es ha (che nell'An­ tico Testamento è ricordato in 2 Reg. J, 4 ss.) si vanta di esser­ ·si vittoriosamente sottratto al giogo israelita, di avere sgozzato tutti i prigionieri per la delizia degli occhi dei suoi dèi e di ave­ re occupato il territorio che prima apparteneva a Israele. In epoca assira Moab partecipa alle coalizioni dei piccoli stati del­ la Siria in funzione antiassira, il che non impedisce comunque ai suoi re di cercare di saldare nel frattempo vecchi conti anco­ ra aperti con il limitrofo popolo d'Israele. Così anche Moab si presta a fungere da flagello di Nabucodonosor per punire J o­ jaq i m, per poi trattare, pochi anni dopo, a Gerusalemme, la par­ tecipazione a una rivolta contro il suo mandante babilonese (/er. 27,3). Anche Soph. 2,8 e ler. 4 8,27 ricordano l'odio e le ingiurie di Moab contro i Giudaiti sconfitti. Tuttavia in Ezech. 2 5 ,8 l'unica accusa mossa a Moab è di aver considerato Giuda uno dei tanti popoli confinanti, sul loro stesso livello: «Ecco, la casa di Giuda è come tutte le (altre) nazioni! » . Anche qui, dunque, la colpa consiste nell'entrata nel novero dei vicini di Israele che vogliono vedere nel crollo dell'antico rivale la chia­ ra prova che smentisce qualsiasi posizione particolare di que­ sto popolo in quanto portatore di un messaggio divino. Lo stretto collegamento con l'oracolo contro Ammon risul­ ta anche chiaramente dall'annuncio della punizione che consi­ ste, come per gli Ammoniti, al cui destino si fa esplicito riferi­ mento, nella consegna di Moab nelle mani dei figli dell'Orien­ te (v. Io ) . Manca quindi qualsiasi elemento concreto di perso­ nalizzazione della pena: deve bastare il luogo comune dell' ese­ cuzione certa delle condanne (v. I I ) . Ma c'è un punto (v� 9 ) che mostra una singolare attualizzazione della sventura incom­ bente, cioè dove si descrive la spaccatura del dorso o del ripi­ II

II.

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do pendio montuoso di Moab che provoca la distruzione delle tre città, baluardi a difesa del territorio nazionale la cui parti­ colare importanza è sottolineata dalla definizione di «vanto del paese». Queste città sono nominate in /os. I J, I 5 -20 e Num. 3 2 s. come appartenenti a Ruben e sono state recentemente iden­ tificate con una certa verosimiglianza: Bet-Hajjeshimot ai pie­ di del versante montuoso nella depressione del Giordano; Baal­ Me' on, il cui nome completo è Bet Baal Ma' o n, di sicuro la odierna Ma' in; Kirjataj im, spostata più a sud-ovest, ma non lontana dalle altre, sull'altopiano di Moab. Le città vengono nominate, evidentemente, in quanto fortezze a protezione del­ la frontiera settentrionale, un elenco che sembra rivelare la buo­ na conoscenza dei luoghi. Ma proprio questi particolari con­ creti potrebbero essere stati dettati più dall'interesse politico alla restituzione di territori di confine appartenuti in preceden­ za a Ruben che dal giudizio religioso sulle fortezze quali con­ cretizzazione dei sogni umani di potenza. Poiché manca anche il nome dello strumento scelto da Dio per eseguire la sentenza e i figli dell'Oriente, menzionati in seguito, non possono veni­ re considerati tali nel caso delle città, questo elemento fornito dal testo non ha la forza probante per equiparare l'oracolo con­ tro Moab con i vv 1 - 5 . Il v. 9 dovrà invece essere giudicato analogo ai vv . 6 s. La tendenza ad associare in simili oracoli di condanna Moab e Ammon è confermata anche da ler. 48,s: e Soph. 2,8- 1 1 . Così l'aggiunta in un secondo tempo dell'oraco­ lo contro Moab a opera di un discepolo del profeta, forse lo stesso che inserì i vv 6 s., è del tutto verosimile. La medesima origine sarà ancora più evidente nelle due pe­ ricopi che seguono. .

.

ZS,IZ-14· L'oracolo contro Edom. Anche questo oracolo ri­

sulta collegato con il brano precedente in maniera lasca dalla formula della «parola del messaggero» al v. 1 2a. L'oracolo si apre con una motivazione dalla forma decisamente stereo ti­ pata e vuota di contenuto che parla della spietata vendetta di

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Edom su Giuda e della conseguente colpa di tale comporta­ mento. Ma oltre la ripetizione di tale accusa, non vengono ci­ tati fatti concreti. Evidentemente questo silenzio è dovuto al­ l'inutilità di specificare i particolari perché l'autore è certo che i suoi lettori sappiano così bene di che si tratti che non ha ne­ anche bisogno di nominare la vittima della vendetta di Edom. Infatti Edom è, tra i confinanti orientali d'Israele, quello più odiato in assoluto, come del resto anche le guerre condotte contro di esso fin dai tempi di Davide si segnalarono sempre per accanimento e radicale brutalità (cfr. 1 Reg. I I , I 4 ss.; 2 Reg. (Abd. Io; Deut. 23,8), il comportamento di Edom veniva perce­ pito da Israele come un rinnegamento particolarmente offen­ sivo di ogni obbligo di solidarietà, naturalmente senza ricor­ dare la proprie pesanti prepotenze. La goccia che fece traboc­ care il vaso fu la collaborazione alla distruzione di G erusalem­ me, confermata non solo da Ps. I 3 7,7, ma anche dalle terribili maledizioni al suo indirizzo che si leggono in Abdia; ls. 34, 5 ss.; Ier. 49,7 ss.; Ioe l 4 , I 9; La m. 4,2 I . Ed o m deve pagare per le infamie compiute contro Israele. In Ezech. 2 5, I 2 si trova lo stesso atteggiamento nei confronti di Edom e si manifesta così un notevole abbassamento dal livello dei precedenti oracoli di giudizio al livello dei problemi nazionali. Nonostante ciò, l'annuncio della punizione che, introdotto stranamente da una nuova formula della «parola del messag­ gero», annuncia lo sterminio totale di uomini e bestie da parte di J ahvé, rimane sorprendentemente nel vago (v. I 3 ), risveglian­ dosi a improvvisa vivacità soltanto quando si dichiara che l'ese­ cuzione del castigo divino sarà affidata a Israele il quale svol­ gerà diligentemente il compito affidatogli, con una meticolosi­ tà degna dell'ira e del furore di Dio. Così, poi, anche il fine ul­ timo del castigo divino che viene regolarmente ricordato, cioè la conoscenza di J ahvé, viene trasformato, quasi cinicamente, nella conoscenza, cioè nell'esperienza, della vendetta di Jahvé nella quale non compare più alcuno scopo superiore (v. I 4). Si è voluto eliminare, quale aggiunta tarda, questa ricaduta

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nel revanscismo che appare inconciliabile con la concezione del giudizio di Jahvé che si ha normalmente in Ezechiele. Ma an­ che ciò che resta dopo tale potatura si trova a un livello così inferiore rispetto ai passi precedenti che il valore di tale ampu­ tazione parziale appare dubbio. Invece caratteristiche interne ed esterne concorrono a dare l'immagine di un ulteriore e de­ cisamente inferiore ampliamento dell'oracolo contro Ammon. 25,15-17. L'oracolo contro i Filistei. Al medesimo tipo di in­

troduzione dell'oracolo si unisce la medesima generica motiva­ zione del castigo divino che non nomina esplicitamente nem­ meno coloro che sono stati danneggiati dai Filistei (v. r 5 ) A questo proposito la ripetizione dell'accusa del disprezzo (v. 6) si unisce così intimamente con parole di radice naqam (vendi­ carsi) usate tre volte in rapida successione che il contrasto reli­ gioso scompare davanti a quello nazionale. Che i nemici ab­ biano come scopo lo sterminio e nell'animo un odio antico sot­ tolinea questo conflitto etnico, ma è proprio per questo sor­ prendente nel caso dei Filistei che di solito sono trattati con maggiore benevolenza. Sebbene fossero state loro assegnate va­ ste regioni della Giudea tanto da Sennacherib quanto da Na­ bucodonosor in occasione_ della repressione di rivolte giudaite, il desiderio di rivalsa nei loro confronti non raggiunse mai i li­ velli incandescenti dell'ansia di vendetta diretta contro i vicini orientali. Soltanto A m. I ,6-8 predice loro la distruzione per aver venduto come schiavi la popolazione di interi villaggi di Israele, un'accusa che verrà ripresa, in epoca molto più tarda, in Ioel 4,4. Per il resto gli oracoli di sventura contro i Filistei ricorrono nelle formule divenute ormai tradizionali per questi testi di proscrizione (cfr. Sop h. 2,4-7, che ripresenta le minacce dell'oracolo di Amos, e ler. 47). Se in quest'ultimo testo si co­ glie quasi una nota di simpatia, Zach. 9,7 si aspetta che dopo la distruzione delle loro città (considerate anche presso altri po­ poli la sede dell'hybris umana) ne rimanga un residuo per Jah­ vé che sarà messo sullo stesso piano dei principi di Giuda. T a.

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le atteggiamento potrebbe dipendere sia dal ricordo di un'alle­ anza militare con Davide che aveva dato buoni risultati una volta che i Filistei erano rientrati nei loro confini sia dal ri­ spetto per il modo in cui si erano coraggiosamente difesi dagli attacchi assiri ai quali essi erano generalmente esposti per pri­ mi. /s. 1 1 , 1 4 e Abd. 1 9 si limitano a parlare di un vittorioso ampliamento del dominio d'Israele anche sul loro territorio. Gli unici particolari concreti che contraddistinguono l'oracolo contro i Filistei del nostro capitolo sono due: il risalto dato ai Kretei, la tribù più meridionale dei Filistei il cui nome deriva certamente dalla loro patria d'origine (cfr. 1 Sam. 3 0,6 e la lo­ ro menzione come truppe mercenarie di Davide in 2 Sam. 8, 1 8 , ecc.); la menzione del «resto sulla riva del mare», espressio­ ne con la quale si vuole forse indicare il residuo, confinato en­ tro una stretta fascia costiera, di quei Filistei che un tempo eser­ citavano una pressione così forte sulle regioni interne. Ma en­ trambe queste eccezioni sembrano desunte da Soph. 2, 5 e non sono sufficienti a cambiare il carattere generico della pericope. Il capitolo introduttivo agli oracoli contro i popoli presenta quindi una situazione complessa: a un breve oracolo contro Ammon, che riflette lo stile del profeta sia nella forma esterio­ re sia nella impostazione interna, una mano più tarda ha ag­ giunto appendici che non solo integrano l'oracolo contro Am­ mon, ma contengono altri tre oracoli contro i più vicini tra i popoli confinanti con Giuda. Che con l'aggiunta nel cap. 2 5 , a cui si accompagna, come si vedrà, anche un oracolo contro Si­ dane (28,20-26), il numero degli oracoli contro le nazioni rag­ giunga il fatidico numero di sette può difficilmente essere con­ siderato un motivo che abbia spinto Ezechiele a completare i suoi oracoli contro Ammon, Tiro e l'Egitto, per quanto forte e compulsiva si possa immaginare la tradizione del numero sa­ cro nella proclamazione di questi oracoli di maledizione. Per contro un simile motivo potrebbe aver avuto un ruolo efficace per coloro che hanno raccolto e compilato i testi del profeta.

Oracoli diversi contro Tiro e i suoi principi

(capp. 26-28)

Oracoli di minaccia contro Tiro (z6,I-l.I) 1 E avvenne nell 'undicesimo anno, il primo del mese: e la parola di Jahvé mi fu comunicata in questi termini: 2 Figlio d'uomo, poiché Tiro ha detto di Gerusalemme: «Ah, ah ! Frantumata è la porta dei popoli: io me la sono cavata, ma colei che aveva la pienezza 2 è devastata», 3 Perciò così parla . . . '2 ]ahvé: In verità, Tiro, te la farò pagare e farò salire contro di te molti popoli, come il mare fa salire i suoi marosi . 4 Ed essi distruggeranno le mura di Tiro, e abbatteranno le sue torri, e spazzerò via da lei lo strato di terra e la renderò nuda roccia. Diventerà un posto in mezzo al mare dove asciugare le reti. Poiché io l'ho detto, dice . . . ' 2 Jahvé. Sarà lasciata al saccheggio dei popoli 6 e le sue figlie sulla terrafer­ ma saranno uccise dalla spada e conosceranno che io sono Jahvé. 7 Poiché così parla Jahvé: Ecco: faccio venire su Tiro Nabu­ codonosor, il re di Babilonia che viene dal nord, il re dei re, con ca­ valli, carri da guerra e cavalieri, e con un contingente formato da mol­ te truppe. 8 Egli ucciderà con la spada le tue figlie sulla terraferma . E alzerà contro di te un bastione e costruirà contro di te un terrapie­ no e piazzerà contro di te la testuggine. 9 E dirigerà contro le tue mu­ ra il colpo del suo ariete e con i suoi ferri demolirà le tue torri. 10 La polvere alzata dalla moltitudine dei suoi cavalli ti coprirà. Le tue mu­ ra tremeranno per il fragore di cavalieri e ruote e carri da guerra quan­ do egli farà irruzione nelle tue porte come si irrompe 2 in una città aperta dalle brecce. 11 Con gli zoccoli dei suoi cavalli calpesterà tutte le tue vie, ucciderà con la spada i tuoi soldati e le tue possenti colon­ ne crolleranno al suolo. I 2 E prederanno la tua ricchezza e saccheg­ geranno le tue mercanzie e demoliranno le tue mura e abbatteranno le tue sontuose dimore e getteranno in mare 2 le tue pietre e le travi e le macerie. 13 E io farò finire il fragore dei tuoi canti e non si udrà più il suono delle tue cetre. 1 4 E io ti ridurrò a nuda roccia, divente' ... ',X

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1. Manca l'indicazione del mese; si tratta, probabilmente, dell'xi o XII mese: v. comm. 2. V. BH.

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rai un luogo dove asciugare le reti. Non sarai più ricostruita poiché io ' . . . , 3 l'ho d etto, d"tce ' . . . , 2 Jahve., I 5 Così dice '. . . '2 fahvé a Tiro: Le isole non tremeranno forse al frago­ re della tua caduta, al gemito dei moribondi, alla strage della spada 2 in mezzo a te? I6 Tutti i principi del mare scenderanno dai loro troni, get­ teranno via i loro mantelli e si toglieranno i loro abiti lavorati a colori, indosseranno il colore del lutto,2 si sederanno in terra, tremeranno di continuo e si dispereranno per te. I 7 E alzeranno un lamento su di te e ti diranno: Ma come hai fatto a . . . ' 4 sparire 1 dai mari, tu, città famosa, potente sul mare, lei e i suoi abitanti, che spargeva davanti a sé il terrore su tutta la terraferma. 2 18 Ora tremano le isole nel giorno della tua caduta, le isole nel mare sono sconvolte per la tua fine. 19 Poiché così dice . .. '2 ]ahvé: Se ti rendo una città desolata come le città che non sono abitate facendo salire contro di te l'Oceano primordiale affinché le acque potenti ti sommergano, allora ti precipiterò giù con quelli che sono scesi nella fossa, ti farò 5 abitare col popolo primigenio, nella terra delle profondità, della solitudine primordiale 6 ' ',7 affinché non ritorni più e non riprenda 1 il tuo posto nel paese dei vivi. 2 I Ti abbandono agli orrori della morte, affinché tu stia lì ... ' 8 e non sia mai più trovata, in eterno, . ' . . . J.l 1 ah ve., dtce '

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Considerazioni generali. Salta agli occhi la notevole ampiez­ za che assume la minaccia contro Tiro rispetto ai precedenti oracoli contro le �azioni. L'oracolo contro Tiro verrà ancora superato dai seguenti oracoli di minaccia contro l'Egitto. Ma l'importanza politica di questi due stati giustifica interamente 3· T.M .: «Jahvé»: manca in molti testimoni antichi e, secondo il modello del v. 5, è inat­ teso. 4· T.M . : «ad andare in rovina»: il verbo manca in vari testimoni; sembra essere stato inserito, rovinando il metro, per spiegare la parola vicina che era stata letta male. 5. Si elida w'. 6. Si legga porbat 'olam. 7· T.M.: «presso coloro che sono scesi nella fossa»: ripetizione del primo verso. 8. T. M.: «e quando sarai cercata»: ampliamento prosaico.

Ezech .26,1-2 1 .

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questa insolita dimensione dell'annuncio del giudizio: infatti entrambi rappresentarono potenti e quasi insuperabili ostacoli alla trasformazione della situazione mondiale mediante l'asce­ sa dell'impero neobabilonese, e quindi al piano del Dio uni­ versale proclamato dai profeti, riuscendo a frenare per lungo tempo il trionfo finale di Nabucodonosor. Paragonati con lo­ ro, i piccoli popoli confinanti con Giuda non erano che pateti­ ci botoli che potevano essere resi inoffensivi con poco sforzo. Al contrario, tanto a Tiro quanto in Egitto erano all'opera im­ ponenti forze al servizio del potere politico che a Gerusalem­ me potevano indurre la speranza, non certo immotivata, di un improvviso capovolgimento delle fortune militari babilonesi. Così queste due potenze ebbero dunque un ruolo impor­ tante anche nei calcoli politici della diplomazia di Gerusalem­ me come, viceversa, il regno di Giuda era molto apprezzato da esse come alleato e corteggiato di conseguenza. Proprio nell'ul­ timo periodo di Gerusalemme Tiro, che si opponeva con tutte le forze all'espansione dell'impero neo babilonese verso ovest, ebbe parte attiva nei tentativi di ribellione dei piccoli stati del­ la Siria contro Nabucodonosor, come in passato aveva soste­ nuto quelli contro l'Assiria. Secondo ler. 27 Tiro partecipò al­ le trattative del 594 a.C. per la formazione di una coalizione dei Siri contro Babilonia. Queste trattative vennero tenute pro­ prio a Gerusalemme, una chiara prova della posizione di pre­ stigio di cui Giuda godeva tra i popoli vicini e che era stata si­ curamente rinforzata dalla vittoriosa espansione verso nord al tempo di Giosia (cfr. 2 Reg. 23). Certamente a Tiro si sapeva anche, di solito, quando era giunto il momento di fare marcia indietro, pagando prontamente i tributi non appena si avesse sentore del fallimento di una ribellione, evitando così punizio­ ni più pesanti. Data la sua posizione unica su di un'isola roc­ ciosa (da qui il nome della città che significa «roccia»), anche nel caso questo giochetto non riuscisse, Tiro aveva ottime possibilità di resistere con successo a un attacco nemico, giac­ ché le enormi difficoltà di un accerchiamento scoraggiavano la

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maggior parte degli assalitori dal bloccare qui le loro forze e soltanto pochi, come appunto Sennacherib e Nabucodonosor, si impelagarono in un assedio di anni che comunque non sortì quel successo che arriderà soltanto ad Alessandro Magno. Ma oltre a questa importanza politica centrale ci fu anche un altro motivo più profondo che portò a un forte allarga­ mento della profezia contro Tiro, cioè un ampliamento inte­ riore dell'orizzonte profetico. Se in un primo momento il messaggio del castigo si limita alla punizione della gioia mali­ gna con cui si salutano le sventure del popolo eletto, quell'an­ nuncio alza il tiro quando passa a denunciare la falsa fiducia che la città commerciale ripone nella sua ben nota ricchezza (cap. 27) e aumenta, infine, di tono quando proclama la scon­ fitta di una hybris umana che intenderebbe prendere il posto di Dio (cap. 28). Tiro diventa così il tipo del nemico di Dio nel quale si concentrano le forze a lui ostili, contestando la si­ gnoria di Dio: un giudizio critico che si avvicina a quello di Isaia sull'Assiria. 26, 1 -6. L'assalto dei popoli contro Tiro. Questa prima peri­ .cope del cap. 26 si contraddistingue per la datazione e la for­ mula consueta di introduzione del discorso divino all'inizio e per la formula profetica conclusiva al v. 5 insieme con la for­ mula che indica nella conoscenza di J ahvé il fine del castigo (v. 6).9 Sebbene l'indicazione della data sia corrotta, questa atten­ ta i mpostazione nelle forme consuete è una chiara indicazione che il passo risale agli appunti di Ezechiele. La data dell'undicesimo anno di Joj akin, vale a dire il 5 87/ 5 8 6 a.C. (v. 1 ), ha provocato una discussione perché la forma scritta del numero 1 I non è quella usata di solito in Ezechiele (cfr. 30,20; J I , I ) e potrebbe essersi quindi verificato un errore di lettura, facilmente possibile, del numero I 2 che si trova an­ che in manoscritti greci. Chi invece vorrebbe avvicinare il più 9· Per la concomitanza di queste due formule v. sotto, ai vv.

s s.

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possibile all'evento stesso il rimprovero fatto a Tiro di aver sa­ lutato con gioia maligna (v. 2 ) la caduta di Gerusalemme, una accusa che sembra pronunciata ancora sotto la viva impressio­ ne della tragedia e che quindi non può essere considerata trop­ po lontana dall'arrivo del profugo giudaita il x mese dello stes­ so anno (JJ,2 I ), preferirà leggere l'undicesimo, al massimo il dodicesimo mese di questo medesimo anno, piuttosto che il primo mese dell'anno successivo, lasciando in questo modo che restino incerte le ragioni della strana forma della data. In ogni caso ci si trova tra il febbraio e l'aprile del 5 86 a.C. Come in 2 5 ,3 l'oracolo di Dio comincia nominando la col­ pa. Anche qui (v. 2) lo scherno e la gioia maligna per la caduta di Gerusalemme provocano l'indignazione di Dio. Tuttavia quegli atteggiamenti hanno un carattere particolare in quanto dietro il senso di trionfo ci sono i notevoli vantaggi che ven­ gono a Tiro nel momento in cui assume la posizione che era di Gerusalemme. Questa posizione viene descritta con la singo­ lare espressione «porta dei popoli». Che cosa significhi esat­ tamente questa frase non è immediatamente evidente né del tutto chiaro. Si è portati, per prima cosa, a pensare a Gerusa­ lemme come una grande piazza di scambi commerciali, indi­ spensabile per i popoli circonvicini. Ma una cosa del genere ri­ chiederebbe un luogo meglio situato logisticamente, soprat­ tutto dal punto di vista stradale, di Gerusalemme che non si trova a un crocevia di diverse carovaniere e che non gode af­ fatto di una posizione favorevole, paragonabile, ad esempio, a quella di Samaria. Eccezionale è invece la sua posizione strate­ gica, soprattutto quando è unita al controllo della regione me­ ridionale fino a Elat e alla frontiera con l'Egitto e viene sfrut­ tata per una politica energica, come quella condotta ancora con successo da Giosia. Allora Gerusalemme controlla anche una parte delle carovaniere che dall'Arabia e dall'Egitto con­ ducono a nord. Ma in questo caso si è tentati di intendere la frase «porta dei popoli» in senso negativo, cioè di una porta chiusa (Fohrer) che ostacola, con dazi e balzelli, il libero traf-

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fico. Ma in questo caso non si vede bene quale tipo di vantag­ gio verrebbe a Tiro dalla scomparsa di Gerusalemme dalla sce­ na politica. Infatti la trasformazione di Giuda in una provincia babilonese non era certo adatta a spalancare le porte al libero commercio. L'importanza politica di Gerusalemme non può essere tuttavia trasferita a una città fenicia, così che Tiro, alme­ no sotto questo aspetto, potrebbe apparire la felice erede della defunta. Si dovrà quindi rinunciare a questa interpretazione chiaramente troppo limitata delle parole trionfalistiche di Ti­ ro, leggendovi invece la manifestazione dell'ambizione soddi­ sfatta per non essere più costretti, adesso, a dividere con nes­ suno la propria importanza politica in Siria: l'orgoglioso pila­ stro meridionale della Siria, con tutte le sue particolari pretese in quanto antagonista della potenza fenicia nella Siria setten­ trionale, è crollato frantumandosi. Il Dio universale si oppone a questa gioia infame per la scom­ parsa di chi costituiva, per prestigio e influenza, un concorren­ te: egli alza la mano minacciosa contro la rocca insulare, scate­ nandole contro una tempesta di popoli che l'investirà come una violenta marea, abbattendo mura e torri (vv. 3-4). Ciò che ne rimane verrà spazzato via dal vendicatore divino in maniera così totale che sembrerà che un'onda gigantesca abbia trasci­ nato via tutto, scoprendo i nudi scogli. La sua radicale deva­ stazione viene impressa indelebilmente nella fantasia con l'im­ magine della costa deserta in mezzo al mare visitata solo dai pescatori che vi stendono le reti ad asciugare. L'indicazione del luogo, usata anche dagli Egiziani e dagli Assiri per mettere in risalto la posizione praticamente inattaccabile di Tiro (la frase che si legge in cronache militari assire, «nel cuore del mare», ritorna alla lettera in Ezechiele: cfr. 27,4; 28,2), diventa ora una espressione che ne segnala l'abbandono totale e l'estrema insi­ gnificanza. La protezione che il mare offriva alla superba città si trasforma, per ordine del Signore divino che ne scatena la tre­ menda violenza dei marosi spumeggianti, nel suo opposto: una immagine originale e singolare inventata da Ezechiele, nono-

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stante la somiglianza con fs. 1 7, 1 2 e Ier. 47,2. L'oracolo di mi­ naccia si chiude chiaramente con la garanzia di Jahvé circa la certezza della sua parola e con la formula conclusiva del pro­ feta (v. 5 ). Così la continuazione dell'oracolo (v. 6), unita in maniera molto lasca con le ultime tre parole del v. 5 , non può che esse­ re considerata un'aggiunta. Essa descrive l'azione punitiva di Dio che continua con il saccheggio della città espugnata e lo sterminio delle sue propaggini (le città figlie) sulla terraferma. Con il colpo sferrato contro queste città dipendenti da Tiro si vuole in realtà indicare un modo molto efficace per indebolire il dominio della metropoli che nessun assalitore si lasciò sfug­ gire. Ma dopo la totale distruzione della capitale stessa questa precisazione arriva, al pari della menzione del saccheggio dei suoi tesori, troppo tardi e diminuisce l'efficacia della scena im­ ponente del giudizio contemplata ai vv 3 - 5 . La formula rela­ tiva alla conoscenza di Jahvé, che in questa posizione può rife­ rirsi soltanto alle città minori, è posticcia e non è in grado di competere con la conclusione precedente. Tutto ciò sembra indicare un'aggiunta dovuta a un discepolo del profeta. .

16,7-14. I particolari dell'espugnazione. Questa canzone di

guerra persegue il medesimo scopo dell'appendice dei vv 5b6. Per quanto riguarda la struttura poetica, la canzone presen­ ta brevi terzine e quartine, inframmezzate anche da versi più lunghi; riguardo al contenuto, il canto intende descrivere i par­ ticolari della presa di Tiro che erano scomparsi dietro alla gran­ diosa scena della retribuzione divina (vv . 3 - 5 ). Infatti ciò che questo oracolo di minaccia lasciava nascosto nell'ombra del fu­ turo semisvelato, diventa ora visibile fin nei minimi particola­ ri. Al posto di Dio che agisce da solo compare adesso lo stru­ mento divino chiamato con il suo titolo completo di Re dei re e con il suo nome e cognome, Nabucodonosor re di Babilonia (v. 7); il potente schieramento delle sue truppe sostituisce i mol­ ti popoli del v. 3; il suo attacco alle città figlie sulla terraferma .

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viene appropriatamente ripreso dal v. 6; l'attuazione della sua tecnica di assedio e i suoi effetti vengono descritti in parte con parole riprese da 4,2 (vv. 8-9); viene poi sviluppato in tutta la sua ampiezza un assalto rimbombante con carri da guerra che penetrano nella città attraverso le brecce spalancate nelle mu­ ra, con il susseguente saccheggio totale e distruzione della cit­ tà, benché una scena del genere sia impensabile, almeno così co­ me descritta, dato che Tiro si ergeva su di un'isola {vv. I o- 1 2); infine, con una citazione di A m. 5 ,2 3 (v. 1 3) e una ripetizione del v. 4 (v. 1 4a), si ribadisce che, in ultima analisi, tutto quanto è stata opera solo di Dio. Con l'esclusione di una ricostruzio­ ne della città si lega la garanzia di Jahvé sulla propria parola seguita dalla formula profetica di conclusione sul modello del v. 5 . Anche se fosse giusta l'ipotesi che ai vv. 9- I I si citi un an­ tico canto guerresco, la cui forza poetica non si può negare, ri­ mane pur sempre grande la differenza qualitativa tra questa raf­ figurazione dello svolgimento del giudizio e la sua predizione breve e scarna ai vv. I - 5 . È impensabile che l'aggiunta sia dovuta allo stesso Ezechiele. Ora, a dire il vero, ciò che Dio dice in 29, I 7-2 I presuppone una precedente menzione del re di Babilonia, del saccheggio e della distruzione di Tiro. Nei quindici anni che sono trascorsi dall'oracolo minaccioso di Ezechiele contro Tiro è già inizia­ to, dunque, quel lavorio di chiarimento della parola del profe­ ta, fatto notare già più volte in precedenza, fatto di più ampie descrizioni, di una ricerca maggiore delle sue conseguenze, del­ la più concreta specificazione di indicazioni generiche intrapre­ so dai discepoli del profeta in contemporanea con la trasmis­ sione del testo, facendo sentire anche il suo effetto nell' acco­ g lienza del messaggio del profeta da parte della comunità degli esuli. Se a qualcuno questa importante conclusione apparisse trop­ po ardita, questi potrebbe pensare, con riferimento ad esem­ pio a 1 7, 1 I ss., a una precisazione, tuttavia molto più concisa, della prima minaccia del giudizio con la menzione dello stru-

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mento umano del castigo divino fatta dal profeta stesso, che andrebbe comunque circoscritta ai vv. 7. I 2 e 1 4b, con minime cancellature. Il particolare che proprio al v. I 2 la descrizione dei vendicatori passi dal singolare al plurale, che si riallaccia molto bene al v. 7, potrebbe essere considerato un indizio esterno re­ siduo di questa forma più breve dell'oracolo profetico. La for­ ma attuale sarebbe tuttavia nata dall'ampliamento del breve oracolo, dilatandosi in una minuziosa descrizione dell, attac­ co della quale sono state già ricordate le particolari debolezze. Ma il notevole danno arrecato all'omogeneità del resto del cap. 26 sembra rendere questa alternativa sconsigliabile . .26, 1 5- 1 8. Il lamento funebre. In semplice successione, ai vv. I 5 e I 9 vengono introdotte con la formula dell'oracolo divino

(«così dice Jahvé») due brevi pericopi che integrano la predi­ zione del castigo di Tiro dei vv. 1 - 5 in una maniera così effica­ ce che sarebbe difficile trovare motivi per negarne al profeta la paternità. Ripetutamente i profeti si sono serviti della lamenta­ zione funebre per presentare la sventura minacciata come pra­ ticamente già avvenuta, tanto da poter invitare gli astanti a uni­ re le loro voci al lamento (cfr. cap . 19, sopra, pp. 306 s.). Tutta­ via qui il profeta pone il lamento funebre sulla bocca di altre persone che in precedenza erano strettamente collegate con la signora dei mari minacciata da Dio e che ora piangono il suo destino come quello di un parente stretto. Ma poiché all'inizio Tiro è apostrofata direttamente da Jahvé (v. I 5 ) e si fa riferi­ mento all'effetto che la sua caduta avrà sulle città commerciali che ruotavano nella sua orbita, questo lamento funebre diven­ ta una premonizione che pone con terribile chiarezza davanti agli occhi della città così sicura della sua invincibile potenza l'intervento, già in corso, di un potere più alto. Molto più sobrio, nella forma e nel contenuto, del brano af­ fine di 27,28 ss. e a differenza di questo, il nostro lamento fune­ bre suscita proprio per questa sua caratteristica un'impressione duratura. Un tremore percorre le isole, cioè le città costiere del

Ezech. 26, 1-2 1

Mediterraneo, d i fronte al crollo terribile dell'isola fortificata che era considerata inespugnabile. I loro portavoce sono i prin­ cipi che alla notizia funesta intonano, profondamente sconvol­ ti, il canto funebre (v. 1 6): comunità virtuale stretta nel lutto, es­ si depongono i simboli del loro potere e compiono insieme i riti funebri; scendono dai loro alti troni per sedersi nella pol­ vere, si vestono a lutto dopo aver smesse le loro magnifiche ve­ sti e con i gesti tradizionali dell'orrore e della commozione in­ tonano il lamento funebre che comincia con la cantilena lamen­ tevole «ah, come mai» (v. 1 7) e si modula secondo la forma se­ vera della qina (al riguardo v. sopra, pp. 306 s.). E come di un defunto si vantano le doti e si piange perché la morte livella­ trice l'ha rapito (cfr. al riguardo 2 Sam. 1 ,22 ss.), così, parlan­ dole direttamente, si magnifica la città, cantandone la fortuna per la quale essa era molto lodata e il terrore che la sua poten­ za incuteva e per il quale essa era temuta sul mare e sulla terra­ ferma. La sua caduta non provoca alcuna gioia maligna, giac­ ché il suo destino le fa sentire tutte in pericolo, la sua sco m­ parsa dai mari ricorda loro che forse, tra non molto, subiran­ no la medesima sorte (v. 1 8). Ma in ciò che qui si lamenta con smarrito dolore come oscuro destino che sta in agguato, Israe­ le deve vedere la dimostrazione di forza del suo Dio che mette ai propri piedi ogni potenza umana. .26, 19-2 1 . La discesa agli inferi della dominatrice dei mari. Dopo l'oracolo di Jahvé che introduce questa pericope al pari della precedente, si annuncia la fine irrevocabile della magnifi­ cenza di Tiro con una parola di Dio diretta alla città. Si può notare chiaramente anche qui la forma metrica con la terzina breve, ma spesso si hanno stichi più lunghi per l'unione di due versi. Solo al v. 20 la ricostruzione dei versi rimane ipotetica. Con la devastazione totale di Tiro, che rende inabitabili le sue rovine (v. 1 9), e con l'arrivo dell'Oceano primordiale, che alla creazione Dio aveva rinchiuso entro i suoi confini ( Gen. 1 ,2-6 s.), dai quali uscì soltanto al diluvio universale (Gen. 7,

Ezech. 26, 1-2 1

I r ), mentre ora lascia che le sue acque tumultuose coprano la città, si compie (v. 20) la caduta della dominatrice dei mari che precipita insieme con i suoi abitanti nel mondo dei morti, dal quale non c'è ritorno. Questa singolare associazione dei vari enunciati appare alla maggior parte degli esegeti una ridondante ripresa, con relativi ampliamenti, delle minacce espresse ai vv. 3 e 4: al v. 19 esse vengono intensificate fino al culmine della devastazione totale, con sullo sfondo l'antico mito del Caos; al v. 20 esse vengono interpretate nei loro reconditi risvolti me­ diante una nuova immagine che rende, adesso sì, irreversibile e definitiva la punizione: la cacciata agli Inferi, un'immagine che viene da una sfera di strutture mitiche del tutto diversa. Ma in questo modo si misconosce l'intima coerenza di queste affer­ mazioni, sostituendo la con un p uzzle artificiale. Per capire co­ me i diversi elementi che qui vengono uniti siano intimamente collegati tra di loro alla radice è necessario avere presente co­ me nell'Antico Testamento venga concepito lo Sheol. 10 A tale concezione si dedicano qui di seguito poche righe, richiamando al contempo le relative idee babilonesi che sono strettamente affini. Allo Sheol o regno dei morti (il termine ebraico è probabil­ mente prestito dall'accadi co) è collegata, fin dalle più antiche menzioni (ad es. Gen. 3 7,3 5 ), l'idea di uno spazio sotterraneo nel quale si scende dopo la morte. Secondo alcuni passi (/oh I o, 2 1 s.; Ps. 8 8, I 2 s.; I43,3, ecc.) tale spazio si trova nella terra o sotto di essa, una localizzazione che è certamente influenzata dall'associazione ideale con la fossa, come del resto la frase «scendere nella fossa» è sinonimo di «scendere nel mondo dei morti» (cfr. Iob 33 ,24; Ps. IJ, I o; 28, r ; Prov. I , I 2 con Ps. 5 5 , 1 6; Iob 7,9; Num. 1 6,30). Ma poiché le «profondità della terra» (Ps. 6J, I o) vengono lambite dal tehom, l'Oceano primordiale, il mare infero sul quale galleggia la terra, allora è possibile an­ che localizzare queste profondità anche nelle acque ipogee (Iob IO. Al

riguardo cfr. la mia Theologie des Alten Testaments u s ,

1 964, s8

e

1 43 ss.

Ezech.

26,1-21

.2.6, 5 ; 3 8, 1 6; Ps. 1 8, 5 ; Ion. 2,3 s.). Chi raggiunge dunque i morti deve attraversare le acque infere con le loro correnti e i loro gor­ ghi che separano il mondo al di là da questo mondo e prende­ re dimora nell'Oceano ipogeo. Chi corre pericolo di morte si sente però già preso dalle correnti del mondo infero (Ps. 1 8 ,5 s.) con le quali il regno dei morti lo avvolge nei suoi lacci. Sol­ tanto se Dio ricaccia indietro questi flutti, così che divengano visibili il fondo del mare e le fondamenta della terra, colui che è in pericolo può essere afferrato da lui e salvato (Ps. 1 8, 1 6 s.). Quanto sia sentito stretto, proprio a questo proposito, il nesso tra il mare degli uomini e l'Oceano infero è indicato dal salmo di Giona dove colui che è stato gettato nel cuore del mare ed è avvolto dalle sue acque si sente già nell'oltretomba (fon. 2,4.6 s.). Ciò naturalmente non significa che vi fossero idee chiare e univoche circa le profondità della terra e il loro legame con l'Oceano primordiale. Le concezioni descrivono piuttosto di­ verse manifestazioni delle potenze mortali che non vengono unificate in un sistema omogeneo privo di contraddizioni, ma rappresentano in pari maniera il regno della morte. . Così nella raffigurazione del mondo dei morti compare ora l'idea di una casa o di una città ora di un'ampia regione. Per la prima concezione è caratteristica la presenza di porte e chiavi­ stelli, che hanno un ruolo soprattutto nel mito babilonese del­ la discesa agli inferi di Ishtar, ma vengono nominati anche in Ion. 2,7. Questi sistemi di chiusura rendono l'oltretomba una prigione che non lascia mai più libero nessuno, a meno che la divinità sovrana del regno dei morti non ne ordini lei stessa la liberazione, come fa la dea Ereshkigal per Ishtar o il dio uni­ versale Jahvé per il suo messaggero infedele che egli ha caccia­ to nel mondo ipogeo, ma che anche lo fa riuscire da lì (/on. 2,7 s.; 1 Sam. 2,6). Alla seconda concezione è associata spesso e volentieri l'idea della rovina e della devastazione che riprende le sue immagini dalla realtà del deserto o delle città ridotte a rovine e abbandonate dagli abitanti. Così in Babilonia il dio Nergal non è soltanto il signore della fossa, ma anche il re del

Ezech .26,1-2 1 .

deserto. In Israele Isaia vede come tutta la rumorosa città di Gerusalemme venga inghiottita dal mondo sotterraneo e de­ scrive con intensa efficacia il silenzio mortale che cala sulle sue rovine terrene che fa da riscontro al silenzio che regna nello Sheol. Infatti qui abitano, secondo il Poema di Gilgamesh, gli eroi e i saggi dei primordi, come anche sacerdoti ed eroi guer­ rieri, mentre secondo Ezech. 3 2, 1 8 ss. qui sono preparati i gia­ cigli per interi popoli. Ma la loro esistenza è triste, così che En­ kidu, l'amico di Gilgamesh, il cui fantasma viene evocato e sa­ le al mondo superiore, ma si rifiuta dapprima ·a rivelare il se­ greto del regno dei morti, perché lei legge dello Sheol non può che condannare chi lo carpisca a un pianto inconsolabile. Per­ ché i morti vegetano trasognati, senza pace né gioia, nel polve­ roso mondo dei morti che non ha da offrire altro cibo che la polvere; al massimo godono di qualche facilitazione coloro che stanno più in alto, ad esempio i caduti in battaglia giaccio­ no su divani e possono bere acqua pura, mentre i morti, i cui cadaveri sono rimasti insepolti, devono errare inquieti e pos­ sono solo cercare di raccogliere nella melma gli avanzi del p a­ sto dei privilegiati. In questo quadro divental)o adesso comprensibili le singola­ ri affermazioni di Ezech. 26,20 sulle arcaiche rovine e sul popo­ lo dei primordi che si trovano nel mondo infero: ciò che sulla terra manifestava la sua natura nell'orgoglio della forza vitale, nella magnificenza dei palazzi, nelle possenti fortezze, nel re­ gno dei morti si ritrova nella condizione di debolezza e di ro­ vina. Dovendo percorrere il medesimo cammino di coloro che sono discesi nella fossa, la fiera dominatrice dei mari sparisce nella «terra delle profondità», l'ampia dimora dei morti. Qui la circondano gli orrori della morte, quel disfacimento dell'esi­ stenza che incute terrore che appartiene al triste ordinamento dell'oltretomba ed esclude qualsiasi speranza di una rinnovata esistenza. Ma allo stesso tempo questo quadro rende visibile l'omoge­ neità di queste parole e immagini con quelle del v. 19. Gli atti

Ezech. 2 6, 1-2 1

punitivi che vi vengono appena accennati, la totale distruzione della città le cui rovine sprofondano nel tehom, non sono cer­ tamente irrelati con 26,3-5, ma non trasferiscono affatto l'avve­ nimento terreno nella sfera, affatto diversa, di una mitica cata­ strofe cosmica mediante ampliamento e intensificazione, ma si limitano a esprimere le concezioni riguardanti il mondo nella sua totalità che nel pensiero d'Israele erano da sempre legate all'infelicità terrena in quanto ne costituivano lo sfondo co­ stante. Infatti le dichiarazioni di coloro che, nei Salmi e nella letteratura sapienziale, si sono venuti a trovare in una situazio­ ne penosa o in pericolo mostrano come la morte che è in ag­ guato in qualsiasi genere di sofferenza venga sentita già quale potere quanto mai cqncreto e presente e sia descritta come il braccio del regno dei morti, in una delle sue molte forme, teso a ghermirli. Questo regno, infatti, non si lascia separare dal regno della vita mediante rigidi confini, ma invece allunga la sua mano minacciosa e rapace in tutti gli ambiti della vita cer­ cando di assicurarsi le sue vittime le quali, trovandosi appunto ancora nella sfera della vita felice, si trovano esposte improvvi­ samente alla sua aggressione. Così colui che viene assalito da un improvviso pericolo è consapevole di avere di fronte la tremen­ da potenza della morte e di venire trascinato nella sfera del suo dominio, così da sentirsi già un abitante del regno dei morti. È questo atteggiamento complessivo verso la manifestazione della morte che può sempre farsi sentire quando si tratta di mettere in luce il significato ultimo dell'avvenimento visibile delle catastrofi terrene. Ma mentre questa concezione si espri­ me nella vita individuale con il lamento dell'oppresso o con l'insegnamento del sapiente su come evitare il minaccioso de­ stino di morte, al profeta serve per mettere in guardia il suo po­ polo dal potere della morte che lo aspetta in agguato o per minacciare i nemici di Dio con tutti gli orrori della morte. 11

I I . Questa concezione della morte è stata descritta con particolare efficacia da J. Pe­ dersen, lsrael, its Life and Culture I/2, 1926, 453 ss. e da Chr. Barth, Die Errettung

'VOm Tode in den indi'Viduellen Klage- und Dankliedern des A. T. ,

I 947·

Ezech. 26, 1-2 1

Quando, dunque, Jahvé fa sì che l'Oceano primordiale som­ merga Tiro, questo evento può essere interpretato sia come im­ magine delle schiere nemiche in avvicinamento (v. 3) sia, e al­ trettanto bene che nel v. 1 9, come la mitica realtà del fiume in­ fernale, del tehom che trascina giù nel regno dei morti e conse­ gna allo Sheol coloro che sono stati afferrati dalla sua corren­ te, separandoli per sempre dal mondo della vita. E poiché il re­ gno della morte, sbarrato con porta e chiavistello, appare di nuovo anche come landa attraversata dagli impetuosi torrenti della distruzione (Ps. I 8, 5 ), così qui c'è spazio sufficiente per la desolazione eterna nella quale hanno la loro dimora i popoli dei primordi, come in Babilonia l'assemblea degli eroi primi­ geni (cfr. inoltre Ezech. 3 2,26 s.). Per la sensibilità israelitica il legame che unisce le forze distruttive di questo mondo con il dominio della morte nel mondo infero è così stretto che nel­ l' esperienza terrena si vedono già aperte le porte infernali e ci si sente già abbandonati al potere del regno della morte. In questa ottica, l'annuncio in Ezechiele della discesa agli in­ feri della grande metropoli commerciale costituisce dunque soltanto la rivelazione di nessi che collegavano già da sempre la sventura terrena con il dominio del regno dei morti e il cui linguaggio figurato era ben noto agli antichi. Dalla distruzione terrena ( 26, I - 5) corre una linea chiarissima che, passando per il lamento funebre degli amici della città punita (26, 1 5 - I 8), giunge fino all'annuncio della sua caduta nel mondo ipogeo per far riconoscere nel giudizio terreno il rifiuto definitivo e la can­ cellazione dal mondo dei vivi che escludono qualsiasi speran­ za di una rinascita. Ma la garanzia ultima di questa condanna non è il mondo dei morti quale potere autonomo con una pro­ pria giurisdizione, bensì la decisione del Dio universale sotto il cui potere decisionale si trova anche lo Sheol. Scopo ed epoca di composizione. Dalle considerazioni prece­ denti si evince che il primo, il terzo e il quarto oracolo di mi­ naccia sono tra di loro in una relazione stretta e ben fondata

470

Ezech. 26, 1-2 1

dimostrando, anche nella loro forma "concisa e intensa, le me­ desime caratteristiche dalle quali si differenzia notevolmente il secondo oracolo. Lo scopo primo di questa proclamazione è evidentemente quello di assicurare che anche la resistenza, fin qui vittoriosa, al giustiziere delegato da Dio finirà con la di­ struzione della rocca insulare di Tiro. Senza dubbio la stesura avviene nel periodo immediatamente successivo alla caduta di Gerusalemme, quindi all'inizio del 5 86 a.C., come suggerisce già 26,2. N o n ci sono ancora riferimenti all'assedio della città che Nabucodonosor iniziò non molto dopo la caduta di Ge­ rusalemme e che durò, secondo Flavio Giuseppe, tredici anni e che sulla base del regno di ltobaal, re di Tiro a quell'epoca, deve essere collocato, più o meno, negli anni s 8 6/5 8 5 - 5 73/5 72 a.C. Per quanto riguarda il secondo oracolo, che fu inserito nella raccolta solo molto più tardi, ma che può aver circolato anche relativamente presto, non si può dire niente di sicuro. Ma per Ezechiele era importante che proprio prima della deci­ sione definitiva di Nabucodonosor si consolidasse contro tutti i dubbi, mediante l'assicurazione che anche gli avversari più potenti del re babilonese sarebbero stati sottomessi da Dio, la fede nell'esecuzione perfetta del piano di Dio, fede che aveva ricevuto un forte sostegno dall'avverarsi della predizione del profeta contro Gerusalemme. Il castigo annunciato da Ezechie­ le non si verificò comunque nella misura prevista anche se Ti­ ro fu costretta, come confermano documenti babilonesi del pe­ riodo, 11 a sottomettersi, ad accettare un commissario babilo­ nese e a inserirsi nella sfera di dominio dell'impero babilonese: questo avveramento parziale ha portato poi all'interessante ag­ giunta di 29, 1 7-2 1 dovuta alla mano del profeta.

11. Per i riferimenti precisi cfr. Zimmerli, ad loc.

Il naufragio di Tiro, la splendida nave (27,1-36) 1 E la parola di J ahvé mi fu comunicata in questi termini: 2 Ma tu, figlio d'uomo, intona un lamento su Tiro 3 e di' a Tiro, che abita 1 all'accesso al mare, 1 mercante dei popoli verso isole numerose: C OSI... d'ICe J l Jahve:, Tiro, sei una nave di perfetta bellezza! 1 4 Nel cuore dei mari ti costruirono grande, 3 ti fecero bella e perfetta, s con ginepri di Senir4 fabbricarono per te tutte le tue assi, 2 presero cedri del Libano per alzare l'albero s 6 Con le più alte querce di Basan fecero i tuoi remi, con avorio 6 lavorarono le pareti delle tue cabine, insieme con cipresso delle coste dei Kittim.l 7h Di porpora violacea . . . ' 8 delle isole di Elisha 9 era il padiglione delle tue cabine, 1 7a di bisso 10 d 'Egitto con ricami colorati era la tua vela. ' ' . 8 Gli abitanti di Sidone e d i Arvad 1 2 ti servivano da rematori, i sapienti di Semer 13 erano su di te, erano i tuoi marinai. 9a Gli anziani di Gebel (Byblos) ' . . . ' 14 servivano su di te da carpentieri.1 s (•

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I.

11

Il testo consonantico presuppone la lezione josabti con pireq compaginis che però 2. V. BH. 3· Il verso troppo lungo va certamente alleggerito tralasciando «il tuo costruttore», che sembra venire dal verso successivo. Invece di «il tuo dominio» si legga, con minime modifiche, «ti fecero grande». 4· Una zona della catena dell'Hermon. 5 · Invece di 'alajik, che va fuori metro, si deve leggere con Bertholet all'inizio del ver­ so successivo 'eljone per ricuperare il piede che là manca. 6. Si potrebbe espungere come dittografia. 7· Abitanti di Kition, città di Cipro; il nome fu poi esteso agli abitanti della parte me­ ridionale dell'isola. 8 . T.M .: «e di porpora vermiglia». Data la somiglianza dei vv . 6b e 7b con la descri­ zione del tabernacolo, era quasi naturale che si aggiungesse il tipo di porpora usato in quel caso, ma l'aggiunta sovraccarica il verso. 9· Si intende Cipro, ma non è ceno. IO. Tela di lino finissima. 1 1 . T.M.: «che ti servisse da bandiera»: da cancellare in quanto parte isolata dello sti­ co dal significato controverso. I 2. Città fenicia a nord di Sidone, l'odierna Ruad, i cui abitanti erano considerati nel­ l'antichità audaci navigatori. I J . La correzione più verosimile del T.M. che ha «Ì tuoi sapienti, o Tiro». Semer si trova non molto più a nord di Arvad; cfr. Gen. Io, I 8. 1 4. Si cancelli «e i suoi sapienti» del T.M. è stato trascurato dai puntatori.

4 72

Ezech. 27,1-3 6

9b Tutte le navi del mare e i loro marinai erano in te per il commer­ cio e gli scambi con le tue merci. Io Paras, 1 6 Lud 17 e Put 18 servivano nel tuo esercito come tuoi guerrieri. Appendevano in te scudo ed el­ mo, ti conferivano splendore. 1 1 La gente di Arvad era nel 1 tuo eser­ cito, tutto intorno alle tue mura: facevano la sentinella 1 sulle tue tor­ ri, appendevano gli scudi attorno alle tue mura, rendevano perfetta la tua bellezza. 1 2 Tarshish 19 si riforniva da te per la quantità di tutte le tue merci: in cambio delle tue merci ti davano argento, ferro, stagno e piombo. IJ Javan/0 Tubai e Meshek 11 erano tuoi fornitori, barattan­ do con le tue merci schiavi e articoli di bronzo. 14 Da Bet-Togarma: 11 barattavano le tue merci con cavalli da tiro, cavalli da· corsa e muli. I5 La gente di Rodan 13 ti faceva da negoziante; molte isole formava­ no la tua clientela che si riforniva da te e ti davano in pagamento zan­ ne di avorio 24 ed ebano. 16 Ed o m 1 ti faceva da distributore per la quantità dei tuoi prodotti: barattavano le tue merci 1 5 con turchese e porpora rossa, stoffe tessute a colori e bisso, coralli e rubini.16 I 7 Giu. da e il paese d'Israele si rifornivano da te: barattavano le tue merci con grano e l adano 1 e cera (?) e miele e olio e mastice. 1 8 Damasco era un tuo grossista ' . . . ' 17 a motivo della quantità di tutte le tue merci: vino 1 I 5.

Così Zimmerli. Letteralmente il testo recita: «quelli che riparano le tue falle». 16. Data l'associazione con popolazioni dell'area egiziana è poco probabile che Paras indichi (come in Esdr. 1 , 1 ) la Persia. È più verosimile che il nome si riferisca a un po­ polo africano fin qui sconosciuto. 1 7. Lud non va identificato con i Lidi dell'Asia Minore come in Gen. 1 0,2 2 ; si tratta in­ vece di una popolazione africana come in Ezech. 30, 5 ; ler. 46,9; Gen. I O, I J ; fs. 66, 1 9. I 8. Si tratta o di Punt, la babilonese Puta, sulla costa africana del Mar Rosso (andreb­ be forse cercata anche sulla costa somala) oppure di una zona della Libia, nell'Africa settentrionale, dove il nome è del pari attestato. I 9. L'identificazione con Tartesso, colonia di Tiro in Spagna, rimane l'ipotesi più pro­ babile, benché la città venga ricercata oggi anche a Tunisi. 20. I Greci della lonia. 2 I . Popolazioni migrate dal Mar Nero in Cappadocia fino al Tauro, note agli Assiri e ai Greci; da loro si importavano soprattutto ferro e minerali metalliferi . .1.1. Da identificare con l'Armenia. 23. Rodan = Rodi, da sostituire con i LXX a Dedan (T.M.) che compare solo al v. 20. L'enumerazione passa ora alle isole greche. 24. Letteralmente: «Corni d'avorio». 2 5 . Si elida b� davanti a 'izbonajik. 26. La traduzione di ra'mot e kadkod è solo ipotetica, come del resto tutto il testo del verso è incerto. 27. T.M .: «per l'abbondanza dei tuoi prodotti»: una evidente variante di quanto segue; manca nei LXX. ·

47 3

Ezech. 27, 1-3 6

di Helbon 18 e lana di Sahar. 1 9 ' . . . ' 29 barattavano con le tue merci. Da Uzzal 30 arrivò ferro fuso in masseIli, cannella e canna aromatica per le tue merci di scambio. 2.0 Dedan 3 ' era la tua fornitrice di tessuti p er gualdrappe . 32 21 L'Arabia e tutti i principi di Qedar: 33 questi era­ no tuoi clienti che si rifornivano da te (dando in cambio) agnelli, arie. ti e caproni. Per questi prodotti erano tuoi fornitori. 22 ' ' 34 Sa ba 3 s e Ra'ma 3 6 erano tue fornitrici: per le tue merci davano in cambio la migliore qualità di balsami di ogni genere e ogni tipo di pietre pre­ ziose. 23 Haran 37 e Kanne 38 ed Eden 39 ' . . . ',40 24 trafficavano anch'es­ se con te: erano tue clienti per l'abbigliamento di lusso, mantelli di por­ pora viola con ricami colorati e tappeti bicolori, per funi intrecciate e ritorte. 2 5 I carghi di Tarshish ti trasportavano le merci da barattare.41 E tu fosti stivata (di merci) e caricata al massimo nel cuore dell'Oceano. 26 I rematori ti portarono in alto mare: 42 il vento dell'est ti frantumò nel cuore dell'Oceano. 1

• • •

28. A nord-ovest di Damasco, famosa per il suo vino anche presso Assiri, Babilonesi e Persiani. 29. Le prime due parole del v. 19: «e Dan e Javan» sembrano rappresentare una glossa divenuta incomprensibile. La parola seguente «da Uzzal» inizia una nuova proposi­ zione e va spostata altrove. 30. Oggi San'a nello Yemen o Isalla tra Haran e il Tigri. 3 1 . Tribù dell'Arabia nord-occidentale. Cfr. Gen. 25,3 . 32.. Letteralmente «stoffe per cavalcare». 33· Tribù degli lsmaeliti nel cosiddetto deserto arabico. Cfr. Gen. 25,13. 34· T.M.: ' I mercanti di': s i tratta forse di u n nome proprio letto male, probabilmente del nome Havila, una località vicina alle due seguenti (Gen. 10,7). 3 s. Nell'Arabia meridionale. 36. Ragmat, oggi Uhdud (Fohrer) nell'Arabia sud-occidentale. 37· Il noto nodo stradale nella curva dell'alto Eufrate. 3 8. Cannu in cuneiforme: si tratta forse di Nisibis. 39· In cuneiforme Bit Adini, sul medio Eufrate. 40. T.M.: «l mercanti di Saba, di Assiria e di tutta la Media costituivano la tua cliente­ la»: il T.M. in parte va contro il v. 22, mentre la fine non si accorda col v. 24a. Dopo la menzione di singole città della Mesopotamia non ci si aspetterebbe il richiamo al­ l' Assiria e alla Media; si deve quindi ritenere che si tratti di un'aggiunta. 4 1 . La frase riprende il v. 9b dopo l'inserimento dei vv. 1 0-24. 42. Letteralmente: «in acque possenti».

4 74 27

La tua ricchezza '43 i tuoi marinai e il tuo equipaggio ' . ' � e tutti i tuoi guerrieri . . . ' 4s sprofondano nel cuore dell'Oceano il giorno del tuo naufragio. 28 Tremano agli alti gridi del tuo equipaggio . . . '. 46 29 E sbarcano dalle loro navi tutti coloro che maneggiano il remo, i marinai, tutti gli equipaggi di mare stanno fermi a terra. 30 Gridano forte per la tua sorte, alzano lamenti amari, si cospargono il capo di polvere, si rotolano nella cenere. 3 1 A motivo di te si radono il capo a zero, cingono il sacco e con animo angosciato piangono su di te intonando un lamento amaro. 3 2 Così intonano su di te . . . ' 47 un canto funebre e fanno cordoglio per te: Chi è paragonabile 2 a Tiro nel cuore del mare? 3 3 Quando le tue mercanzie uscivano dall'Oceano tu saziavi ' 48 popoli, con l'abbondanza della tua ricchezza 2 . . 49 arricchivi i re della terra. 34 Ma ora sei fracassata, (scomparsa) dall'Oceano, negli abissi di acqua: le tue mercanzie e tutto il tuo personale è affondato in mezzo a te. 35 Tutti gli abitanti delle isole sono sconvolti per il tuo destino: ai loro re si sono drizzati i capelli, la loro faccia è stravolta. 36 Quei popoli che si rifornivano da te fischiano tutti so per te: sei diventata uno spettro spaventoso e sei scomparsa per sempre! c•

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.17,I-9a . .1 5b-3 6. Lamentazione profetica su Tiro. Come in 1 9, 1 il profeta riceve da Dio l'ordine di intonare un lamento fu­ nebre che presenta la fine di Tiro come un fatto già avvenuto, 4 3. «e le merci dei tuoi depositi e le mercanzie di scambio». 44· «i tuoi carpentieri di bordo e coloro che barattavano le tue mercanzie». 4 5 . «che si trovano presso di te con tutto il contingente, entro di te» . Le frasi delle no­ te 43-45 sono sovrabbondanti e vanno espunte dai versi relativi. 46. migrosot, le lande, qui non ha senso. Il termine va lasciato intradotto. 47· T.M.: «i loro figli » o «con il loro triste lamento»: v. BH. La parola sovraccarica il verso e va considerata una glossa. 48. T.M.: «molti »: disturba la struttura del verso, manca nei LXX. 49· T.M.: «merci di scambio» : da espungere in quanto complementare a «merci movi­ mentate», termine ripreso dall'elenco mercantile. Il riferimento a questo elenco com­ merciale non giustifica l'eliminazione di tutto il versetto, considerato un ampliamen­ to secondario. L'esaltazione della passata grandezza costituisce parte indispensabile di qualsiasi lamento funebre. 5 0. Aggiunta necessaria per reintegrare una misura mancante.

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conferendo così una particolare forza alla certezza del profeta che la punizione con la quale Dio aveva minacciato la città si sarebbe sicuramente verificata. s 1 E come il cap. 1 9 guarda alla minaccia rivolta a Sedecia in precedenza (cap. 1 7), così il cap. 27 si rifà agli oracoli di minaccia del cap. 26, descrivendo gli avvenimenti qui minacciati con la figura del naufragio di una nave maestosa. Ora, poiché con il v. 3 questo lamento viene espressamente e chiaramente presentato quale oracolo di J ahvé, come sotto­ linea l'uso della formula del messaggero, l'attenzione del letto­ re viene focalizzata fin dal principio sulla serietà della decisio­ ne del Signore universale che sottende alla pregevole forma letteraria. Questa passa così in secondo piano, impedendo che ci si distragga nel placido godimento di una composizione poe­ tica di gran pregio. Questo accorgimento sembra una garanzia contro la superficialità dell'uditorio che privilegiando l' aspet­ to estetico del messaggio profetico non ne recepirebbe i conte­ nuti più profondi (cfr. 3 3 , 3 0 ss.). Ciò è tanto più comprensibile in quanto questo poema rag­ giunge un grado notevole di perfezione poetica e nello svolgi­ mento del tragico evento non fa mai alcun cenno al diretto in­ tervento divino nel corso degli avvenimenti storici. Quando (v. 3) il discorso è rivolto direttamente a Tiro, i predicati che le so­ no attribuiti non contengono alcuna traccia di rimprovero, ma esprimono piuttosto ammirazione per la sua posizione privi­ legiata e il suo dinamismo: la città, presentata, come spesso ac­ cade, in figura di donna, abita dove si accede al mare e grazie alla sua posizione geografica costituisce un nodo commerciale per i traffici mercantili da una costa all'altra. Effettivamente, grazie ai suoi due porti eccezionali, ciò è vero per Tiro più che per la maggior parte delle altre città costiere. Per questa posi­ zione essa poté diventare mercante dei popoli, trafficando con molti lidi. Sfruttando questi presupposti favorevoli Tiro si 5 1.

Cfr. le osservazioni generali sul lamento funebre profetico nel comm. al cap.

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conquistò infatti un posto di primo piano nel commercio in­ ternazionale del tempo. Così la prima parte del poema (vv. 3 b9a) è dedicata alla descrizione di questa superba potenza. In questa fase il poeta è palesemente preso dal suo argomento: la posizione della città sul mare gli ispira il paragone della città con una nave mercantile splendidamente costruita ed equipag­ giata ed egli dipinge a tinte brillanti la superba bellezza del­ l'imbarcazione. L'elenco delle sue meraviglie è inserito in una viva descrizione della costruzione della nave che segue fedel­ mente, con competenza e nel giusto ordine, le varie fasi della costruzione navale; in questo modo, invece di fornire un arido elenco statistico presenta efficacemente e vivacemente un'im­ presa guidata oculatamente fino ai vertici del successo. Se nell'apostrofe alla città, vista come una nave di perfetta bellezza, si sente già che l'ammirazione non è senza riserve (la lezione masoretica «tu hai detto: Io sono .. che inserisce un elemento di rimprovero per la glorificazione disturba il testo sia stilisticamente sia sostanzialmente, ed è dovuta a un'errata lettura di 'njh ) i versetti successivi (vv. 4-7) fanno capire, con la descrizione del solerte lavoro dei carpentieri e arredatori na­ vali, che per questa superba costruzione si è usato solo il me­ glio del meglio. La carena e le fiancate, l'albero, i remi, le cabi­ ne, le vele, i padiglioni, tutto viene fabbricato con i migliori ma­ teriali: legno di prima qualità e tessuti lavorati a colori, tutto conferisce alla nave un aspetto splendido e un'immagine ade­ guata alla grandezza e alla magnificenza della città marinara. Ma anche l'equipaggio non è formato da una ciurma di schiavi di provenienza esotica e di dubbia perizia. Invece gli anziani e gli scienziati delle città fenicie viciniori considerano un onore poter servire su questa nave: un modo vivace per esprimere il rapporto di vassallaggio delle ricche città costiere della Fenicia. A questo punto (v. 9b) la descrizione poetica si interrompe bruscamente per far posto a un lungo (vv. 9b-2 5 a) intermezzo in prosa che enumera i molteplici rapporti commerciali di Ti­ ro nel mondo allora conosciuto e descrive il copioso flusso del.»

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le preziose merci di ogni genere che giunge alla città mercanti­ le. Per quanto lo scopo di questa ampia aggiunta sia compren­ sibile e sia evidente l'intento di illustrare anche sotto questo aspetto la portata della potenza e dell'importanza del grande porto commerciale, pure il brano disturba in misura così evi­ dente l'attenta struttura del lamento funebre che la sua elimi­ nazione è inevitabile. Anche con questo rimedio il testo poeti­ co non viene sanato completamente, ma rimane disturbato e può essere ricostruito solo ipoteticamente. Con una certa sicurezza si può affermare che la lamentazio­ ne riprende al v. 2 5 b. Infatti, mentre prima non si parlava più della ricca città mercantile in maniera figurata, questo verso riprende la metafora della nave che, una volta varata, viene sti­ vata al massimo con mercanzie di ogni tipo per iniziare un lu­ croso viaggio per mare. Questa transizione ai versi seguenti è indispensabile e l'ipotesi che esso sia stato una volta più ampio resta più probabile di quella che ne suggerisce la totale elisio­ ne. È solo dopo aver completato il carico prezioso che la na­ ve affronta, a rigor di logica, il viaggio muovendosi, in questa fase, con la forza dei rematori (v. 26) finché, giunta in mare aperto, un fresco vento gonfia le vele. Ma qui, in alto mare (v. 26: nel cuore del mare), proprio do­ ve è cresciuta e diventata grande, la rovina coglie Tiro: una tem­ pesta scatenata dal levante, il tremendo vento dell'est che rap­ presenta un pericolo per le navi di Tarshish (Ps. 48,8) e che è temuto anche sulla terraferma per la sua devastante violenza di vento del deserto (/er. 4, 1 I; Ioh 1 , I 9 ), sorprende la nave, la sconquassa frantumandone la solida struttura così che essa vie­ ne ingoiata dai flutti insieme al carico prezioso e all' equipag­ gio scelto. Il poeta si esprime qui con tratti brevi ed estrema sintesi: in quattro versi, al massimo, non si descrive neanche lo svolgimento della tragedia, ma il testo si limita a comunicare il mero verificarsi della catastrofe e le sue conseguenze (v. 27). Le grida disperate dei naufraghi ingoiati dal mare che si sentono da lontano sono l'unica invocazione di soccorso che si rivolge

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al cuore dell'ascoltatore. Nessuna meraviglia, quindi, se mani posteriori ritennero necessario supplire a tale laconicità utiliz­ zando per le loro aggiunte la lista delle merci (v. 27). Si potreb­ be chiedere se il profeta possedesse sufficienti conoscenze nau­ tiche tanto da poter descrivere la situazione di emergenza di una nave in difficoltà in alto mare oppure se abbia volutamen­ te rinunciato a farlo (v. 28). La descrizione della tempesta che si legge in Ps. 107,2 5 -27 mostra come anche un poeta israelita fosse in grado di trattare adeguatamente tale tema. Ezechiele sorvola quasi sulla scena del naufragio e solo la triplice ripeti­ zione della frase «nel cuore del mare» (vv. 2 5 .26. 27) costitui­ sce una particolare accentuazione in questa concisa cronaca sot­ tolineando in questo modo i tre momenti principali dell' avve­ nimento. La distruzione e la fine appaiono congiunte in ma­ niera strettissima con l'elemento vitale della città marinara e mercantile, cioè con il mare che ora invita e spinge a ogni sorta di imprese e ora si dimostra, invece, insidioso e pericoloso; il mare, sì, che può costituire una valida difesa contro gli attac­ chi del nemico e aprire la strada a un inaudito arricchimento, ma che improvvisamente può annientare proprio colui che proteggeva. In questo modo il testo sottolinea efficacemente la caducità di una fortuna raggiunta su questa scena. Ma il poeta evita di proposito qualsiasi allusione al motivo più profondo di tale instabilità e proprio questa sua silenziosa riservatezza fa risaltare crudamente la stupita disperazione dei contempo­ ranei davanti alla inattesa catastrofe. La sospensione di qualsiasi navigazione per lasciare spazio, non appena diffusa la tremenda notizia, a sentite manifestazio­ ni di cordoglio (vv. 29-3 1 ) mostra quale profondo turbamento abbia colpito i naviganti che ora devono assistere alla fine del più potente e fortunato rappresentante della loro categoria. Se prima è stata la concisione a stupire, ora è l'ampiezza della de­ scrizione che deve colpire: sono ben tre le strofe dedicate all'e­ lenco dei riti funebri e delle espressioni di cordoglio. Si passa poi a riferire il contenuto del lamento funebre intonato dagli

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afflitti al quale viene riservato ancora più spazio (vv 3 2-3 6). Questo espediente stilistico fa risaltare con la massima forza la seconda parte del poema: lasciando che il lamento della gente di mare occupi una parte notevole della propria lamentazione il profeta colloca al centro della scena, come aveva già fatto nel cap . 26, la perdita irreparabile che viene espressa, con convin­ cente immediatezza, dalla bocca di coloro che ne sono diret­ tamente coinvolti {v. 3 3 ). La prosperità dei paesi costieri e la ricchezza dei loro re hanno la loro fonte nel commercio mon­ diale di Tiro e la scomparsa della città signora dei mari si­ gnifica per tutti una catastrofe {v. 34) che ha effetti profondi sulla loro vita, così che essi non sanno fare altro che dare libe­ ro sfogo alla loro disperazione. In questo contesto il fischia­ re dei mercanti non può che significare un gesto scaramantico di difesa contro le potenze maligne in agguato {vv 3 5 - 3 6; co­ sì Fohrer). La ripresa di 26,2 1 in forma lievemente variata (v. 3 6b) può essere considerata un voluto richiamo al capitolo precedente e costituisce "u na efficace conclusione che mette an­ cora una volta in risalto lo sgomento al cospetto della potenza della morte annientatrice. Si può certamente affermare che tutta la parte precedente è subordinata a questo finale e che il poema, portando avanti co­ erentemente la metafora, riesce a raggiungere una insolita effi­ cacia. Un effetto tanto più notevole in quanto è ottenuto non andando assolutamente mai oltre le immediate sensazioni del­ le popolazioni marinare pagane e resistendo alla naturale ten­ tazione di far valere le proprie convinzioni religiose. Davanti a questa alta qualità poetica non sembra opportuno interpretare allegoricamente singoli tratti, leggendovi riferimenti a rischio­ se mosse politiche di Tiro o alla lezione di cui le nazioni mari­ nare avrebbero fatto tesoro dopo aver visto la sua fine. Si do­ vrà invece seguire le indicazioni contenute nella struttura del poema e individuare il messaggio decisivo di tutta la compo­ sizione nel risalto imponente dell'orrore della storia che, narra­ to con sincera partecipazione umana, mette a nudo nella loro .

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ultima nullità anche le massime creazioni umane. Certamente l'esplicito riferimento di tutto a un precedente oracolo di Jah­ vé (v. 3 ) è un segnale inequivocabile che impedisce all'ascolta­ tore israelita di dimenticare, anche davanti a questa potente im­ magine del crollo di Tiro, il Signore del mondo. Ma ciò non fa che rendere ancora più notevole la rinuncia a tutte le accuse e alle punizioni meritate, lasciando gli orrori della storia del mondo, il cui mistero non può mai essere svelato completa­ mente, nascosti nel segreto di una sapienza divina inaccessibile all'uomo la quale rende impossibile qualsiasi genere di calcolo. Per questo modo di vedere gli eventi terreni Ezechiele ricorda l'autore di Giobbe dove questa prospettiva viene sviluppata in maniera ancora più forte e porta sia gli Israeliti sia i pagani a inchinarsi umilmente davanti a colui che, solo, possiede la po­ tenza e la gloria, concedendole e riprendendosele a suo piaci­ mento. ·27,9b-2 5a. I rapporti commerciali di Tiro con tutto il mondo. L'elenco delle regioni che commerciano con Tiro o per suo conto e mandato presentato nel nostro testo è introdotto dalla seconda metà del v. 9 (v. 9b) con l'immagine delle navi che, stracariche di merci, entrano nel porto di Tiro . Questo espe­ diente stilistico permette così di procedere con il lungo elenco della loro provenienza e delle merci trasportate, ma l'enume­ razione stessa viene ritardata dall'inserimento di due versetti di natura affatto diversa (vv. IO. I I ) che parlano della potenza militare della città. A dire il vero, il v. I o potrebbe ancora, op­ portunamente espunto, venire ricuperato alla lamentazione profetica con la funzione di presentare, oltre il catalogo degli equipaggi, anche quello delle truppe imbarcate per difendere la splendida nave dall'attacco dei pirati. Ma nella posizione at­ tuale sia il v. I o sia il v. I I non possono che descrivere la po­ tenza bellica della città mercantile che fa proteggere le proprie torri e mura da truppe mercenarie di ogni provenienza. Il rife­ rimento alla perfetta bellezza della città, connesso con la pre-

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sentazione di questi soldati e ripreso dalla lamentazione pro­ fetica (cfr. v. 4), è il segno evidente della confusione tra città e nave, tra realtà e metafora, che facilita il passaggio alla sezione seguente. La digressione dei vv. I 2 ss., che offre una panoramica geo­ grafica dei rapporti commerciali di Tiro, è opera erudita dovu­ ta a un autore in possesso di una conoscenza incredibilmente precisa riguardo al commercio mondiale del suo tempo, che trova ripetuta e puntuale conferma nelle notizie antiche che ci sono pervenute. Poiché la compilazione di elenchi di cose e fatti di natura affine sembra essere una caratteristica soprattut­ to egiziana,S1 si è supposto che a monte del nostro testo vi sia stato un documento scritto d'origine egiziana contenente ap­ punto una siffatta enumerazione: a conforto di tale supposizio­ ne si è fatto osservare che fra tutte le città e paesi nominati man­ ca proprio l'Egitto, a riprova del fatto che in origine l'elenco sarebbe stato composto a misura di questo paese, venendo so­ lo successivamente adattato ai traffici di Tiro. n Un'altra inter­ pretazione suggerisce l'uso di una mappa scritta illustrante il sistema di carovaniere persiane. 54 Per quanto attraenti, queste ipotesi contengono tuttavia troppe lacune e lasciano troppi in­ terrogativi senza risposta e, quindi, non possono essere consi­ derate altro che ingegnose supposizioni. L'omissione non solo dell'Egitto, ma anche di tutte le regioni nominate nel poema del naufragio della nave, ad esempio Cipro e le città della Fe­ nicia, sembra presupporre da parte dell'autore uno studiato ri­ spetto per il testo della lamentazione che egli sta leggendo e si accinge a integrare; sorge quindi il dubbio se veramente qui sia stato utilizzato un corpo estraneo preso dalla letteratura del­ l' epoca di un altro paese e strutturato secondo proprie rego­ le. 5 5 I numerosi contatti con la tavola dei popoli di Gen. I o 5 2. Cfr. G. von Rad, Hi. ;8 und die altiigyptische Weisheit: VTS 3 ( 1 9 5 5) 293-301 . 5 3 · Cfr. G . Fohrer, ad loc. 54· Così H.P. Ri.iger, Das Tyrusorakel, Ezech. 27, diss. Tiibingen, 1 961. 5 5 . Questo punto è giustamente sottolineato da Zimmerli, ad loc.

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non rendono oziosa la domanda se non si debbano ricercare proprio in Israele tradizioni di questo genere mentre la perfet­ ta conoscenza delle varie merci fornite e scambiate fa ipotizza­ re che l'autore sia un israelita familiare con i molteplici traffici della Fenicia il quale avrebbe scritto il suo contributo quasi certamente all'inizio del periodo esilico. Per quanto riguarda l'aspetto geografico, la descrizione se­ gue un ampio arco che va dall'estremo occidente (Tarshish in Spagna) all'oriente, passando per le città mercantili dello Ionio fino alle regioni settentrionali dell'Asia Minore (Tubai, Bet­ Togarma, Mesheq), senza tralasciare le isole dell'Egeo (vv 1 2I 5 ). A questa linea che si muove da ovest a est si contrappone una linea sud-nord che abbraccia (vv r 6- r 8 ) la regione siro­ palestinese, incluse Giuda e Israele (si noti come questi paesi vengano inseriti nello schema generale senza alcuna particola­ re accentuazione ! ), proseguendo con quella araba (vv 1 9-22) e concludendo (vv 23 s.) con alcune città della Mesopotamia. Questa sistematica raccolta di materiale si distacca forte­ mente dalla composizione poetica, nella quale è inserita per il suo interesse meramente contenutistico e per la forma stilistica che consiste in poche variazioni sempre ricorrenti. Nonostan­ te ciò, il passo fornisce al quadro della grande città mercantile un'ampia cornice geografica che fa risaltare con sobria obietti­ vità e, insieme, con un vivace gioco di colori l'importanza di Tiro per il mondo civilizzato dell'epoca. .

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Oracolo di minaccia e lamento per il principe di Tiro (28, 1 - 1 9) 1 E la parola di Jahvé mi fu comunicata in questi termini: 2. Figlio d'uo­ mo, di' al principe di Tiro: Così dice . . . ' 1 Jahvé: Poiché il tuo cuore si è insuperbito e hai detto: Sono un dio, abito una dimora come quella degli dèi nel cuore dell'Oceano, mentre sei invece solo un uomo e non certo un dio, ma nonostante ciò nella tua mente ti paragoni a Dio - - '

I . V. BH.

Ezech. 28,1-19 In verità sei più savio di Daniele e nessun mistero ti è troppo oscuro: 4 con la tua sapienza e la tua intelligenza ti sei procurato ricchezza e accumulato oro e argento nel tuo tesoro, 1 ma il tuo cuore si insuperbì a causa dei tuoi beni 5 6 perciò così dice ' . . . ' 1 J ahvé: Poiché nella tua mente ti mettesti alla pari di Dio, 7 perciò, in verità, faccio venire su di te stranieri, i popoli più violenti, i quali sguaineranno la spada contro di 'te' 3 e contamineranno il tuo radioso splendore. 8 Ti spingeranno giù nella fossa affinché tu muoia della crudele morte di coloro che sono trafitti nel cuore del mare. 9 Continuerai a dire anche allora: Sono un dio, al cospetto dei tuoi carnefici, mentre in realtà sei un uomo e non Dio, in potere di coloro che ti trafiggono ? 1 Io Per mano di gente straniera morirai della morte degli incirconcisi, perché io l'ho detto, dice . . . ' 1 Jahvé. 3

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E la parola di Jahvé mi fu comunicata in questi termini: Fig.li� d'uo ��, in to �� un lamento funebre per il re di Tiro e digh: Cosi dtce , . . . Jahve:, Tu eri un sigillo perfetto 4 c s e di assoluta bellezza: dimoravi nell'Eden, il giardino di Dio,. p ietre preziose di ogni tipo ti rico p rivano '6 e i tuoi orecchini 7 erano d'oro lavorato e le tue spille/ quelle che portavi di giorno, perché tu fosti creato Ti diedi come compagno al I cherubino custode ' . ',9 stavi sul monte_di Dio/ camminavi tra pietre di fuoco. •

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2. T.M.: «Con la tua gran sapienza hai accresciuto le tue ricchezze con il commercio»: da considerarsi una variante al v. 4· 3 · Così invece del T.M.: «Contro la bellezza della tua sapienza». 4· L'interpretazione di queste due ultime parole è controversa. 5 . T.M.: «pieno di sapienza» manca nei LXX e non si adatta alla frase del sigillo. 6. T.M.: «rubino, crisolito, diaspro, topazio, onice e giada, zaffiro, turchese e berillo». Si tratta delle pietre preziose della prima, seconda e quarta fila del pettorale sacerdo­ tale (Ex. 28, 1 7 ss.), solo in diverso ordine. Nei particolari la traduzione è incerta e qui sono state accolte le soluzioni suggerite da L. Kohler. È convinzione generale che si tratti di un'aggiunta successiva. 7· Traduzione ipotetica. 8. T.M.: «furono preparate»: ridondanza, sia per il metro sia per il contesto; manca nei LXX . 9· Termine incomprensibile.

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Fosti irreprensibile nelle tue vie fin dal tempo in cui fosti creato, fino al giorno in cui si trovò in te l'ingiustizia. Col tuo commercio rigoglioso riempisti 1 il tuo intimo di empietà e quando peccasti ti cacciai dal sacro monte di Dio e il cherubino custode ti 1 ha fatto sparire da mezzo alle pietre di fuoco. Il tuo cuore si è inorgoglito a motivo della tua bellezza, hai corrotto la tua sapienza a causa del tuo splendore. Ti scaraventai giù sulla terra, ti abbandonai ai re affinché si divertissero con te. Per l'enormità della tua colpa 1 profanasti il mio santuario 1 con l'empietà del tuo commercio. Allora feci uscire da mezzo a esso fuoco, 10 che ti consumò, ti resi cenere sulla terra, davanti agli occhi di tutti coloro che ti guardavano. Tutti quei popoli che ti conoscevano furono sgomenti per te: sei diventato uno spavento mortale e sei scomparso per semp re.

28,1 - 10. L'oracolo di minaccia. Se, dopo la città, anche il re è oggetto di un oracolo di minaccia, non è perché il sovrano del­ l'epoca, Itobaal n, abbia attirato l'attenzione dei contempora­ nei per una sua particolare malvagità. I rimproveri che gli ven­ gono rivolti non fanno notare alcun aspetto particolare né del suo carattere né della sua politica, ma sono formulati in ma­ niera così generica che potrebbero riferirsi a qualsiasi re di Ti­ ro. È invece l'istituto monarchico in sé che viene accusato e condannato nella persona del regnante. L'accusa, formulata in apertura con una proposizione causa­ le come in 26,2 (v. 2 ) , non contiene il minimo riferimento a un torto fatto a Israele, ma è tutta articolata sull 'aspetto del timo­ re riverenziale che ogni uomo deve provare davanti alla mae­ stà di Dio. Quando il re di Tiro osa definire se stesso un dio che ha stabilito la sua inattaccabile dimora divina nel cuore del mare, violando così l'eterno limite tra creatore e creatura (rie­ cheggia qui la contrapposizione tra uomo e Dio di /s. 3 I ,J ), egli si caratterizza automaticamente quale ribelle esposto al ca­ stigo divino. Quest'accusa non viene tuttavia lanciata a caso, ad esempio per una generica avversione verso i pagani, ma ha 10. Si legga il suffisso di 3 a invece chct di 2a m . sg.

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una sorprendente base tangibile nella forma che l'ideologia mo­ narchica orientale antica aveva assunto in Siria, forma che ha indubbiamente influito sulla formulazione dell'accusa da parte del profeta. Infatti i reperti di U garit comprovano la pretesa del sovrano di venire adorato quale personificazione terrena del dio che muore e risorge, il cui destino egli rappresenta nel­ la celebrazione rituale, e di garantire con la sua persona il be­ nessere del popolo. Questa deificazione del re ha influito per­ sino sui salmi d'Israele e permesso che il p rincipe venisse esal­ tato negli inni come 'elohim, dio (come sembra si debba vero­ similmente intendere Ps. 4 5 7) anche se nel Salterio la sua mae­ stà non è fondata sulla divinizzazione fisica, ma sulla sua ele­ zione quale rappresentante di Dio sulla terra. Ma quella visio­ ne che qui venne accolta soltanto in particolari ambienti po­ polari senza mai mettere in forse la subordinazione del re alla legge di Dio, era invece profondamente radicata tanto in Feni­ cia quanto in Egitto e aveva una rilevanza fondamentale per la valutazione della monarchia. La sintesi dell'esistenza politica del popolo nella persona del re riceveva, per quella concezio­ ne, un radicamento nel mondo divino che le conferiva una va­ lidità assoluta, riservando al suo garante umano un'autorità il­ limitata che non doveva piegarsi ad alcuna critica. Questa esaltazione dell'arbitrio umano a diritto divino trova solidi puntelli nella pretesa di una sapienza sovrumana e nel­ l'acquisizione di enormi ricchezze (v. 3 ). L'arrogante senso di superiorità con il quale la diplomazia di Tiro sosteneva i pro­ pri progetti e le proprie decisioni come se fossero le uniche giuste, sapendo farle prevalere con il peso delle sue risorse im­ ponenti, è ricordata anche in Zach. 9,2 come una caratteristica dei sistemi fenici e viene messa ironicamente in risalto tanto in questo quanto nel nostro passo. Solo in quest'ottica risultano comprensibili le parole quasi piene di ammirazione dei vv. 3 e 4· L'effetto sarebbe ancora maggiore se veramente, come ipo­ tizza Van den Born, qui si fosse in presenza della citazione di un inno regale di Tiro. Quando in questo contesto si nomina ,

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Daniele quale simbolo ormai proverbiale della sapienza, il ri­ ferimento deve essere a una figura del passato nota in tutta la regione siriaca. È così escluso qualsiasi riferimento al Daniele dell'omonimo libro biblico, mentre, molto probabilmente, si dovrebbe trattare di quel re Daniele noto dalle testimonianze di Ugarit, nominato anche in Ezech. 1 4, 1 4-20 (v. sopra, pp. 23 1 s.) e appartenente al novero degli eroi semidivini. Il modo com­ piaciuto con il quale a Tiro si parla della sapienza del re ricor­ dando, quale prova della sua genuinità, l'accumulo di grandi ricchezze, viene qui ripreso in caricatura per poter poi stabili­ re seccamente l'esito di tanto vanto: «E il tuo cuore s'insuper­ bì» (v. 4). Glorificando se stesso l'uomo ha superato il limite impostogli: l'effetto globale dei vantaggi terreni, la posizione imprendibile della fortezza insulare, l'accorta politica e gli stra­ ordinari successi commerciali hanno reso gli occhi ciechi ai li­ miti della natura umana e condotto sulla falsa strada della pre­ tesa di una dignità divina. Vengono così messe a nudo le fragi­ li fondamenta della vantata forza politica e dell'esagerata valu­ tazione delle proprie possibilità, rendendo evidente l'intima de­ bolezza di una simile struttura dell'entità politica (v. 5 ). L'immodestia che provoca il castigo divino viene ora con­ futata radicalmente dal giudizio di Dio che è pronunciato ades­ so (v. 6). La dimora divina nel mare non si dimostrerà più ine­ spugnabile quando il giudice divino chiamerà in campo gli eser­ citi babilonesi famosi per la loro spietatezza e la cui spada non si farà impressionare dal falso splendore della dignità divina (v. 7 ), ma lo lorderà agli occhi di tutto il mondo, facendo morire colui che se ne ornava della crudele morte di chi è stato rag­ giunto dalla vendetta divina (vv. 8-9 ). Allora ammutolirà il van­ to di chi si riteneva un dio e verrà alla luce la differenza tra uo­ mo e Dio. Sì, la caduta nel profondo abisso del mondo dei morti si unirà alla particolare infamia riservata agli incirconci­ si, la cui sorte viene descritta in 3 2, 1 7 ss. Così anche il più ec­ celso verrà spogliato dell'onore che aveva usurpato.

Ezech

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.2 8,1-19

28,1 1 - 1 9. Il lamento funebre. Ancora una volta all'oracolo di minaccia segue la lamentazione funebre (cfr. 26, 1 5 - 1 8 dopo 26, 1 -6) che tratta come già avvenuta l'esecuzione della condanna, dichiarandola definitiva mediante il richiamo alla gloria passa­ ta di colui che ora è precipitato nella notte della perdizione. Tuttavia nel testo attuale il noto metro della lamentazione non è più conservato costantemente e può essere ricuperato soltan­ to con pesanti interventi sul testo tradito, interventi che è dif­ ficile giustificare. Tutto il lamento funebre viene presentato quale oracolo di Dio. Questo fatto rende il ricordo del favore e della predile­ zione divina verso il destinatario del discorso ancora più in­ tenso e il peccato di questi ancora più grave e deludente. Tale effetto viene rinforzato ulteriormente dalla particolare forma della lamentazione: essa utilizza un mito dell'uomo primor­ diale e della sua dimora sul monte di Dio per far risaltare in tutta la sua enormità l'empietà del re di Tiro. Questo mito è palesemente molto affine alla narrazione paleoisraelitica di Gen. 2 s., ma conserva ancora tracce più evidenti della sua origine pagana. Questo testo prova chiaramente che la storia del para­ diso non fu affatto l'unica tradizione sull'inizio del genere uma­ no circolante in Israele; essa veniva invece narrata in diverse varianti adattate in misura ora maggiore ora minore al pensie­ ro israelitico. La variante scelta da Ezechiele fa risaltare con gran forza la nobiltà e la dignità del primo uomo nel suo rapporto di fami­ liarità con Dio. Invero la definizione del primo uomo quale «si­ gillo accuratamente lavorato o perfetto» (v. 1 2) è di difficile comprensione né è facile dimostrare che la frase si riferisca alla riproduzione di un'immagine divina originaria. È invece fuor di dubbio che, considerata l'insistenza sulla sua bellezza, il si­ gillo vada ritenuto un gioiello di splendida fattura. Tuttavia la particolare similitudine non è stata scelta soltanto per sottoli­ neare tale qualità. Si dà il caso che l'uso della medesima imma­ gine in ler. 2 2 , 24 e Ag. 2 ,2 3 , dove è riferita ai Davididi, voglia

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indicare la stretta appartenenza a J ahvé della persona così si­ gnificata e la grandezza dell'autorità conferitagli. Si dovrebbe ipotizzare che l'intenzione di Dio nel creare il primo uomo an­ dasse in una direzione similare: egli dovrà essere l'esecutore dei decreti divini. Perciò di seguito (v. I 3) si ricorda come egli stesse alla immediata presenza di Dio: la sua dimora è nell'E­ den, il giardino di Dio, ed egli brilla adornato di pietre prezio­ se di ogni tipo che tempestano la sua veste (iperbolicamente il testo dice che le gemme stesse erano il suo manto) e di monili d'oro; per le virtù protettive attribuite spesso a questi gioielli la loro menzione dovrebbe esprimere la particolare benedizio­ ne di cui godeva chi li indossava. Suo compagno e certamente anche personale protettore è il cherubino (v. 1 4). Questa figu­ ra del mondo celeste è nota da Gen. 3, dove i cherubini vengo­ no impiegati come guardiani del giardino paradisiaco, ma an­ che da altri passi nei quali essi fanno parte della corte celeste di Jahvé, sostengono il trono divino (Ezech. I o), sono i geni che proteggono l'arca nel santissimo del tempio ( 1 Reg. 8,6 s.) e i servitori che trasportano lo stesso Jahvé per l'etere (Ps. I 8, I 1 ). Così anche qui il cherubino starà al servizio della creatura pri­ vilegiata. N ella descrizione della scena si dice che lo splendido luogo in cui dimora il protoplasto è la montagna di Dio con le sue pietre di fuoco: tale località sembra essere già presupposta anche in Gen. 2, I o- 1 4 e non va quindi vista in opposizione al giardino di Dio, anche se in origine le due denominazioni ri­ salgono a concezioni e tradizioni diverse. In Is. I 4, 1 3 il monte di Dio è chiamato «il monte dell'assemblea)), cioè il luogo do­ ve gli dèi si radunano, e viene immaginato nell'estremo nord, al­ to ancor più delle stelle di Dio. Ps. 48,3 trasferisce audacemen­ te questa immagine al monte di Sjon per contrapporlo, quale vera dimora di Dio, a tutti i monti pagani degli dèi. In questa prospettiva è comprensibile che le pietre di fuoco siano state interpretate (variando o meno la parola «pietre» in «figli)>) co­ me astri ovvero come divinità astrali. Se questa lettura va pre­ ferita anche al riferimento a lampi o folgori del dio meteorico

Ezech. 28,1-19

o a pietre preziose usate per la costruzione di una reggia di Dio, come quelle di cui parla il mito ugaritico, pure la descri­ zione che si trova in 1 Hen. 1 8,6-9.23-2 5 resta degna di nota: alla fine della volta celeste si trovano sette montagne di pietre preziose di vario genere, una delle quali sostiene il trono di Dio ed è coperta di alberi profumati, mentre giorno e notte un fuoco ardente alimenta, a quanto pare, i luminari del cielo. In questo testo si dovrebbe avere la medesima tradizione alla qua­ le si ispira Ezechiele. Per contro è più lontana la descrizione del boschetto degli dèi con alberi di pietre preziose che secondo la nona tavola del poema di Gilgamesh incontra nel corso del suo peregrinare alla ricerca di Utnapishtim (AOT \ 1 69 s.). In que­ sto luogo della dimora divina l'eletto di Dio sembra occupare una posizione simile a quella del babilonese Adapa a Eridu, la residenza del dio Ea, dove il suo volere vale come quello di Anu (AOT\ 1 4 3 ss.). Tuttavia nel nostro passo si tralascia l'ingenua descrizione dell'attività esercitata da questo maggior­ domo di Dio, chiamato anche seme del genere umano, vale a dire primo uomo. Come quel primo uomo, l'abitante del mon­ te di Dio si comporta in maniera ineccepibile (v. 1 5) fino al giorno in cui si rende colpevole di empietà e perde la propria posizione eccezionale (v. 1 6). La descrizione di questo peccato provoca una certa sorpresa perché qui, all'improvviso, si defi­ nisce il commercio fonte dell'ingiustizia. Mentre l'orgoglio per la propria bellezza (che viene ricordato in seguito), il quale evi­ dentemente si esprime nel considerarsi alla pari di Dio, è coe­ rente con la precedente descrizione, sembra che al v. 1 7 venga inserito un elemento estraneo che più di un commentatore con­ sidera un'aggiunta strana. Tuttavia si dovrà ricordare che la de­ scrizione dell'essere angelico sul monte di Dio viene usata sol­ tanto come metafora per il re di Tiro, senza comportare per Ezechiele l'obbligo di seguire fedelmente la falsariga del mito. Il profeta intese dipingere la posizione unica del principe della splendida città mercantile con i colori del mito per illustrare ef­ ficacemente la grandezza del suo peccato e lo spaventoso capo-

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Ezech. 2 8,1-19

volgimento del suo destino. Ora lo scopo concreto della lamen­ tazione giustifica a sufficienza che il profeta, applicando l'im­ magine miti ca alla Tiro terrena, la cui importanza poggiava sul­ la rete mondiale dei suoi traffici, abbia messo in risalto, quale fonte di tutti i peccati, non solo le violenze spesso e volentieri associate ai rapporti commerciali, ma anche tutta la politica commerciale che, mirando soltanto a guadagni sempre crescen­ ti, non esitava certo a commettere torti. La bellezza e la sapien­ za, che secondo il v. 1 7 offrirono anch'esse occasione di pecca­ to, sono senza dubbio strettamente connesse con le tradizioni dell'uomo primevo, ma qui restano più marginali: la seduzio­ ne esercitata dalla ricchezza è il vero motivo per disattendere la volontà divina ed è sempre questo motivo che trasforma in trappole anche la bellezza e la sapienza. Così colui che pro fa­ na il monte di Dio viene privato da Dio stesso della sua digni­ tà ed espulso dalla sfera sacra; il cherubino custode gli infligge, come nella storia del paradiso, la separazione definitiva dalla radiosa dimora di Dio (v. 1 6). Dio lo scaraventa giù dal cielo, sulla terra, rendendo cioè il nobile re una creatura debole e misera, oggetto di ludibrio per i re che prima lo adulavano. Col v. 18 si riprende, ancora una volta, la descrizione della colpa e della punizione. Essa è però percorsa da nuovi motivi tematici che non è semplice coordinare armonicamente con la parte precedente; tuttavia, nonostante la mancanza di omoge­ neità con questa, essi vengono comunque utilizzati, sia pure confusamente, per formulare con maggiore ricchezza la divina volontà di ripudio. La malvagità compiuta con il commercio profana il santuario del monte di Dio, così dalla sua radiosità può uscire soltanto il fuoco annientatore del castigo che con­ suma il malvagio e lo riduce in cenere, un avvertimento per tutti i popoli che si erano fatti accecare dal trionfo dell'ingiu­ stizia e ora rinsaviranno. Sarebbe un errore supporre che que­ sta nuova formulazione del castigo significhi il passaggio del­ la descrizione dal destino del re a quello della città di Tiro. L'idea che l'empio venga annientato dal fuoco emanante dalla

Ezech. 2 8,20-24

49 1

sfera sacra che egli ha profanata è comune: cfr. Num. 1 0, 1 . 2 e Lev. I 6,J 5 · Il ritornello di 26,2 I e 2 7,36 conclude anche qui la scena del giudizio di Dio. Oracolo di minaccia contro Sidone (28,20-24) 20 E la parola di]ahvé mi fu comunicata in questi termini: 2 1 Figlio d'uo­ mo, volgi la faccia verso Sidone e profetizza/e contro 22 e di': Così parla ' '1 ]ahvé: Ecco, ti visiterò, Sidone, e mi glorificherò in mezzo a te. E tu 1 conoscerai che io sono ]ahvé quando eseguirò in te i miei giudizi e mi di­ mostrerò santo in te. 1 23 E manderò la peste contro di te e sangue nelle tue 1 strade e in mezzo a te 1 cadranno i colpiti dalla spada rivolta contro di te 1 tutto intorno e tu 1 conoscerai che io sono ]ahvé. 24 E poi non ci sa­ rà più per la casa d'Israele né spina maligna né rovo doloroso tra tutti co­ loro che le abitano intorno e l'hanno disprezzata. Ed essi conosceranno ch e to c. . . , . sono JTahve., • • •

.

Dopo l'ampio annuncio di sventura contro Tiro formulato con le più diverse forme stilistiche e la sua concentrazione sul­ la deificazione di sé fatta dall 'uomo quale massimo rinnega­ mento di Dio, l'oracolo di minaccia rivolto a Sidone sembra, nella sua insignificante brevità e stereo tip a genericità, un' ag­ giunta per la quale non c'è alcuna ragione profonda che va at­ tribuita unicamente al desiderio superficiale di rendere com­ pleto l'elenco dei popoli soggetti al giudizio di Dio (vv. 2 1 22 ) . Non si menziona alcuna colpa specifica di Sidone e l'uni­ co scopo della sua punizione è la glorificazione di J ahvé quale giudice del mondo che dà prova della sua santità devastatrice anche su questa città, abbandonandola alla rovina mediante pe­ ste e sangue, una imitazione parziale della terna che si trova al­ trove in Ezechiele: peste, carestia e spada ( 5, I 2; 6, I 2 ) . Conside­ rata l'evidente insignifìcanza della città per la storia di Israele, nel cui periodo il ruolo di città egemone della Fenicia era stato assunto da Tiro, si potrebbe vedere la ragione di una sua men­ zione tra le potenze del vecchio eone ripudiate dal divino Si­ gnore universale al massimo in un suo rifiorire dopo che Tiro 1.

V. BH.

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Ezech. 28,2o-24

aveva perso la sua posizione predominante, indebolita dall' as­ sedio babilonese durato anni. Infatti in epoca persiana Sidone appare alla testa delle città fenicie. Ma poiché non è possibile porre la stesura dell'oracolo così tardi, l'inserimento dell'ora­ colo di sventura dovrebbe essere avvenuto piuttosto per il de­ siderio di raggiungere la cifra di sette popoli vicini di Israele consegnati al giudizio. Analogamente il chiaro nesso tra santi­ tà e gloria nella manifestazione del giudizio di Jahvé dovrebbe essere stato influenzato dalla medesima associazione presente in Num. I O,J e andrebbe attribuito alla rielaborazione sacerdo­ tale del testo di Ezechiele, come del resto l'autore sacerdotale di Ex. I 4, I 7 s., narrando come Dio sconfigga il faraone, collega la menzione della gloria di Dio con la formula di riconoscimen­ to che s'incontra alla fine della nostra pericope (v. 2 3 ). In tal modo il redattore ha effettivamente fornito alle precedenti mi­ nacce profetiche contro i popoli una interpretazione riepiloga­ tiva indubbiamente molto vicina alla concezione che Ezechie­ le ha del giudizio mondiale di Dio, annunciando l' affermazio­ ne della divina volontà di salvezza nella storia del mondo. Intimamente connesso con questo oracolo di Dio, eppure non riferito soltanto a esso, ma a tutti i precedenti oracoli con­ tro i popoli, segue poi (v. 24) un annuncio di salvezza per la casa di Israele. Se i popoli imparano a conoscere Jahvé come il Santo (vv. 22 s.), la sua opera a favore di Israele significa la ri­ velazione della sua misericordia nella liberazione del suo po­ polo dalle incessanti vessazioni dei vicini ostili. Tutte le umi­ liazioni e tutte le offese lasceranno il posto a una felice pro­ sperità. A questo proposito è significativo che il tormento più doloroso fosse evidentemente la gioia maligna dei nemici per ogni disgrazia che colpiva Israele (cfr. 2 5 ,6- I 5 ). Quanto più profonda era la certezza dell'elezione tanto più profondamen­ te si sentiva l'onta patita come una inspiegabile incongruenza con la posizione e la missione promesse da Dio. Ma ora, dopo che si era dovuto vuotare fino in fondo il calice dell'odio e del disprezzo, J ahvé fa apparire anche agli occhi del mondo il suo

Ezech. 2 8,25-26

49 3

popolo per quello che veramente è. Poiché l'uso dell'aggettivo «maligno» si trova, oltre che qui, soltanto in Num. I 3 , 5 I s. e I 4,44 si può dedurre che l'autore appartenga ai medesimi am­ bienti che sono stati individuati nel brano precedente. Israele, riunito, dimorerà in pace nel paese (28,2 5-26) 2 5 Così dice '. . . H ]ahvé: Quando raccoglierò la casa di Israele dalle na­ zioni tra le quali li ho dispersi e mi dimostrerò santo con loro davanti agli occhi dei popoli, allora essi dimoreranno sul suolo della loro patria che io ho concesso al mio servo Giacobbe. 26 Sì, essi abiteranno su di esso in sicurezza e costruiranno case e pianteranno vigneti e abiteranno sicuri mentre io eseguirò giudizi su tutti coloro che li attorniano i quali li han­ no disprezzati. E così essi conosceranno che io sono ]ahvé, loro Dio.

La formula introduttiva profetica (v. 2 5 ) che apre questa nuo­ va promessa dimostra l'autonomia della pericope rispetto al passo precedente. La promessa interpreta la dimostrazione di santità di Jahvé davanti agli occhi delle nazioni quale adempi­ mento definitivo della promessa del paese fatta ai patriarchi, dei quali si nomina qui Giacobbe. Lo scopo più alto dell' ope­ ra di giudizio di Dio non sembra essere qui la difesa da ogni maligno attacco portato dai vicini, bensì la riunione della dia­ spora disseminata in tutto il mondo, diaspora che ora viene ri­ composta in un popolo unito e compatto nel pieno possesso del proprio paese. Rivivono qui le visioni del Deutero-Isaia, il profeta esilico, e del suo discepolo, l'autore di /s. 6o; ma si sente anche l'eco di parole di Geremia né sembrano essere del tutto prive di influenza le analoghe promesse di Ezech. 34,2 5 . 27 s., mentre al contempo è inequivocabile il nesso con i vv . 2 2 e 24. Tutto ciò indica una interpretazione della profezia d i Eze­ chiele posteriore di almeno mezzo secolo. Nel nuovo insedia­ mento definitivo sul suolo patrio e nel godimento indisturba­ to dei suoi frutti che prima era sempre reso problematico dai nemici circostanti, mentre ora tocca proprio a questi vicini vi­ vere con sofferenza un'esistenza incerta, si sperimenta la com­ I . V. BH.

494

Oracoli di minaccia contro ilfaraone e l'Egitto

piuta opera del Dio del patto che ora si concede di nuovo to­ talmente al proprio popolo (cfr. alla fine la formula del patto) e si conosce la sua fedeltà eterna. Per quanto in questa interpretazione conclusiva degli oraco­ li contro le nazioni rivivano primari concetti fondamentali del­ l' Antico Testamento riguardanti il rapporto fondato sul patto, tuttavia essi rimangono molto indietro rispetto al ben più am­ pio orizzonte della visione storico-salvifica di Ezechiele e pre­ sentano le grandi prospettive della sua profezia relativa ai po­ poli solo nell'ottica ristretta del completamento terreno del po­ polo del patto. I capitoli a venire faranno vedere come le spe­ ranze del profeta per il suo popolo andassero ben oltre questo aspetto. Oracoli di minaccia contro il faraone e l'Egitto

(29, I - J 2, J 2)

Già in precedenza, nelle considerazioni generali premesse al commento del cap. 26 (v. sopra, pp. 4 5 6 ss.), si è cercato di ca­ pire perché oltre a Tiro proprio l'Egitto fosse oggetto di ampi oracoli profetici di minaccia che coprono, quanto a data, l' ar­ co di un paio di anni, esattamente quello precedente e quello seguente la caduta di Gerusalemme. La risposta a tale interro­ gativo è stata trovata nel ruolo decisivo di questi stati nei rap­ porti di forza tra le potenze dei secoli VII e VI a.C. e nel loro coinvolgimento, diretto o indiretto, nell'annientamento di Giu­ da. Dopo aver esteso, all'inizio del Nuovo Regno nel XVI se­ colo a.C., il suo dominio a tutta la Siria fino all'Eufrate, con­ servandolo per secoli, l'Egitto si trovava nella necessità, ogni volta che dopo un periodo di decadenza una nuova dinastia dinamica ridava slancio al paese, di cercare di ripristinare con­ dizioni di sicurezza dagli attacchi delle grandi potenze rivali del nord mediante questa ampia zona cuscinetto che si stende­ va davanti alle sue frontiere. Il suo intervento contro le cam­ pagne assire di conquista dal secolo VIII in poi palesano tale

Oracoli di minaccia contro ilfaraone e l'Egitto

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disegno e le campagne di Assaradon e Assurbanipal, i quali nel secolo penetrarono profondamente in territorio egiziano, dimostrano come la valutazione del pericolo che poteva venire da questa potenza imperialista fosse veritiera. È quindi più che naturale che, tentando di ricuperare l'antica egemonia in Siria, l'Egitto trovasse preziosi alleati negli stati di quella regione che cercavano di difendere la propria libertà contro l'Assiria. E così la politica egiziana mirava ad appoggiare, nella misura del possibile, la resistenza contro l'Assiria in Siria e là dove es­ sa aveva già imposto il proprio giogo a incoraggiare ogni ten­ tativo di ribellione con promesse di aiuto e offerte di alleanza. Ma poiché la potenza militare egiziana non era seriamente in grado di contrastare l'avanzata assira, i piccoli stati della Siria che avevano fiduciosamente contato sull'aiuto dell'Egitto re­ stavano regolarmente delusi. Per quanto riguarda Giuda ciò si verificò in maniera particolarmente vistosa in occasione della rivolta palestinese contro Sargon (7 1 3 -7 1 1 a.C. ), dal partecipa­ re alla quale Isaia aveva invano messo in guardia i suoi conna­ zionali (/s. 20 ), e ancora di più quando, a partire dal 70 5, scop­ piò la grande ribellione contro Sennacherib. Quando Senna­ cherib assalì nel 7or Gerusalemme, un corpo di spedizione egi­ ziano accorse sì in aiuto della città assediata, ma venne sconfit­ to e dovette abbandonare Giuda al suo destino. La decisa op­ posizione del profeta Isaia a una politica indipendentista (!s. 28-3 r ) che si proponeva di sconfiggere l'Assiria con l'aiuto egi­ ziano contiene accorati avvertimenti a guardarsi da questo po­ polo che non serve a nulla (/s. 30, 5 s.), ma porta alla rovina co­ loro che ripongono fiducia in esso (/s. 3 0,3 . 5 ; 30, 1 6 s.; 3 r , r -3 ). La medesima costellazione di forze si ripropose quando, con il rapido crollo dell'Assiria verso la fine del V I I secolo, l'Egitto riprese i suoi antichi progetti di restaurazione della propria ege­ monia in Siria. Il faraone Necao 11 (609- 593 a.C.) riuscì nel 6o9 a spingersi fino all'Eufrate rendendo tutta quanta la Siria una provincia egiziana. Dopo che Giosia, nel tentativo di fer­ marlo, perse insieme battaglia e vita, il faraone depose Jehoavn

Oracoli di minaccia contro ilfaraone e l'Egitto

kaz, il re di Giuda che era stato eletto dal popolo, sostituendo­ lo con il più arrendevole Jojaqim. Ma l'impresa iniziata in ma­ niera così promettente venne interrotta già dopo pochi anni, nel 60 5 circa, quando scese in campo Nabucodonosor che ri­ cacciò l'Egitto dentro i suoi confini storici, mentre la Siria pas­ sava tutta intera, fino alla frontiera con l'Egitto, sotto il domi­ nio babilonese (cfr. 2 Reg. 24, 7). Offrendo il proprio aiuto, il fa­ raone tentò nuovamente di spingere i vassalli di Babilonia a scuotersi di dosso il giogo babilonese: sia la rivolta di J ojaqim attorno del 6o2 sia quella di Sedecia nel 5 89 si basano sulla fi­ ducia di potersi sottrarre al dominio babilonese grazie all'aiu­ to dell'alleato meridionale. La momentanea sospensione del­ l' assedio di Gerusalemme decisa da N abucodonosor per af­ frontare un corpo di spedizione egiziano accorso in aiuto del­ la città assediata (Ier. 3 7, 5 ; 34,2 1 ) mostra che queste speranze non erano del tutto senza fondamento. Tuttavia gli avvertimen­ ti dei profeti Geremia ed Ezechiele si provarono giusti (al ri­ guardo cfr. Ier. 2, 1 6- 1 9; 46; Ezech. 1 7 e v. sopra, p. 274): l'Egit­ to si dimostrò una volta di più una canna debole che non po­ teva costituire un sostegno affidabile, ma faceva invece cadere colui che vi si appoggiava fiducioso. Così l'Egitto si dimostra, insieme con Tiro, il principale so­ stegno dell'opposizione alla predicazione di ravvedimento e giudizio dei profeti. Il loro insistente richiamo a piegarsi alla volontà di Jahvé accettando il dominio straniero quale sentenza del giudizio divino per attendere con fede il suo perdono, non riuscì ad annullare il potere di seduzione delle tentazioni di ri­ conquistare la sospirata libertà alimentate dall'Egitto. Tanto a Gerusalemme quanto nell'esilio si crede di potere ignorare gli avvertimenti profetici, gettando così via l'ultima possibilità di salvezza. Spinto dall'angoscia del pastore che, davanti alla se­ duzione esercitata dal potente regno, vede coloro che gli sono stati affidati indurarsi rifiutando il suo appello, il profeta esi­ liato alza la voce per presentare ai suoi ascoltatori, proprio mentre Gerusalemme sta combattendo la sua battaglia mortale

Ezech. 29,1-16

: 49 7

e il conseguente disorientamento spirituale è al massimo, una chiara immagine della potenza nemica di Dio e insegnare loro a riconoscere proprio nella sventura incombente l'inflessibile volontà punitiva del suo Dio il quale si farà conoscere, non solo nel proprio popolo, ma anche nei confronti delle nazioni dei mondo, quale Signore della storia, l'unico in grado di de­ terminarla. Oracolo di accusa contro il re dell'Egitto (29, 1 - 1 6) 1 Il decimo anno, nel decimo mese, il dodicesimo giorno del mese, la pa­ rola di Jahvé mi fu comunicata in questi termini: 2 Figlio d'uomo, volgi la tua faccia contro il faraone, re dell'Egitto, e profetizza contro di lui e contro tutto il paese di Egitto 3 . . . , . e di': Così dice Jahvé: Ecco, ti visiterò, faraone, re di Egitto, tu, grande drago/ che si stende nelle ramificazioni del tuo Nilo, che dice: A me appartengono i bracci del mio Nilo e io stesso li 3 ho creati, 4 metterò raffi nelle tue guance e ti tirerò fuori dai bracci del tuo Nilo,4 e farò attaccare i pesci dei tuoi bracci del N ilo alle tue scaglie ' . . . '. s Allora ti getterò nel deserto insieme ai 6 pesci dei tuoi rami del Nilo, sarai steso in aperta campagna, senza che nessuno ti ricuperi ' . . . ',7 (ti renderò) cibo per le fiere dei campi e gli uccelli del cielo, 6 e tutti gli abitanti dell'Egitto conosceranno che io sono J ahvé. Perché tu 8 sei stato un bastone di canna per la casa d'Israele. . . 7 Quan­ do ti stringono nella mano I ti rompi e laceri loro la mano e quando essi si appoggiarono a te ti spezzastifacendo vacillare i loro fianchi9• • • 8 Perciò dice (. . . ) 1 Jahvé: Ecco, faccio venire su di te la spada e stermino in te uo­ mini e animali 9 e il paese di Egitto diventerà un deserto e un luogo di ro­ vine, ed essi conosceranno che io sono ]ahvé. '

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1.

2.

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I vv . 3 -6 sono scritti nel metro della qina che può essere ristabilito con poche mi­ nime correzioni del testo. Poiché, invece, il metro elegiaco si ferma al v. 7, all'occor­ renza solo i primi tre versi devono essere in metro. 3· Si legga così con i LXX. 4· Spostato qui, per ragioni di metro, dal v. 4b. 5· T.M.: «e tutti i pesci dei tuoi bracci del Nilo si attaccheranno alle tue scaglie»: ripetizione del verso precedente: cfr. Cornill, Herrmann. 6. Si espunga «tutti». 7· T.M.: «e ti raccolga». 8. T.M .: 3 a pl. 9· Abbreviando la sgraziata lezione del T.M.: «facesti vacillare loro tutti i fianchi».

Ezech. 29,1-16 Poiché tu hai detto: Le ramificazioni del Nilo appartengono a me e io Io perciò, stanne certo, visiterò te e i tuoi bracci del Nilo e ren­ derò il paese di Egitto un cumulo di macerie e '. . . ' 1 un deserto da Migdol fino a Siene e al confine di Kush. 1 1 Nessun piede umano lo attraverserà né alcuna zampa di animale lo percorrerà e per quarant'anni resterà di­ sabitato. 1 2 Allora io trasformerò il paese di Egitto in un deserto in mezzo a ter­ re devastate e le sue città diventeranno mucchi di rovine 10 in mezzo a cit­ tà ridotte in macerie per quarant'anni e disperderò gli Egiziani tra le na­ zioni e li sparpaglierò tra i paesi. t 3 Poiché così dice '. . . '1 Jahvé: Dopo quarant'anni radunerò gli Egi­ ziani di tra i popoli tra i quali essi sono stati dispersi 14 e muterò il desti­ no dell'Egitto e li riporterò nel paese di Patros, I I nella terra della loro ori­ gine, ed essi vi costituiranno un regno insignificante. 1 5 Esso sarà inferio­ re agli altri regni e non si eleverà più sopra i popoli. E io li renderò picco­ li, affinché non signoreggino sui popoli, 1 6 e per la casa d'Israele essi 1 non saranno più un oggetto di fiducia che esige che ripaghino il debito quan­ do richiedono la sua guida, ed essi conosceranno che io '. . . '1 sono jahvé. le ho fatte,

2.9, 1 -6a. L'esecuzione della condanna a morte del faraone. La data della soprascritta indica che questo è il più antico oracolo profetico contro l'Egitto: il brano cade agli inizi del 5 87 a.C., lo stesso anno nel quale si compì, sei mesi più tardi, la cata­ strofe d'Israele. La mancanza di precise allusioni agli eventi storici di quei mesi non giustifica che si rifiuti la data suddetta e, invece di quest'anno fatale, si preferisca un momento succes­ sivo nel quale l'Egitto viveva in pace. Infatti l'oracolo non in­ tende descrivere la totale sicurezza da ogni minaccia, ma la al­ tera consapevolezza di potenza del faraone. È questa convin­ zione di potenza che costituisce infatti la ragione della sua ar­ rogante fiducia rispetto a tutte le minacce che non fa affiorare alcun senso di responsabilità davanti a un essere su periore. Si ripete qui la storia di 28,1 ss. e della hybris dell'uomo di potere che nel pieno possesso della sua grande potenza si ab­ bandona al sogno della somiglianza con la divinità e si rifiuta 10. T.M.; «deserti»; poiché il termine è stato già usato per il paese ed è improprio rife­ rirlo a città, si deve certamente sostituirlo con porbot= cfr. i vv. 9 e 10. 1 1 . Il nome egiziano per indicare il «paese del sud», cioè l'Alto Egitto: così anche in ls. I I , I I ; ler. 44, 1 . 1 5.

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di riconoscere un Signore sopra di sé. Ma mentre nel capitolo precedente la dimora divina diventa per il re una tentazione più per la sua ricchezza, qui è la grande abbondanza del bas­ sopiano reso fertile dal Nilo che mediante il suo ingegnoso si­ stema di irrigazione costituisce la solida base di una prosperità economica che sembra al riparo da qualsiasi catastrofe e indu­ ce, in quanto testimonianza di una particolare intelligenza, a una esaltazione di sé assetata di lodi (v. 3 ). L'indolente orgo­ glio del possidente che in questa situazione non fa che crescer.e e crede di poter trascurare tutti i colpi del destino che minac­ ciano gli altri popoli è raffigurato efficacemente con il cocco­ drillo che riposa pigramente immobile nell'acqua, superba­ mente consapevole della propria invulnerabilità e superiorità rispetto a qualsiasi attacco. In realtà si tratta di un paragone molto usato proprio in Egitto negli inni in lode del faraone. Ma usando il termine tannin, mostro marino, che per la sua varia associazione con Rahab, Behemot o Leviatan sembra af­ fine alle orrende creature del Caos nelle quali si concentra la forza ostile a Dio (cfr. Ps. 74, 1 3 s.; /s. 27, 1 ; 5 1 ,9; Iob 7, 1 2), alla forza selvaggia e sfrenata si ·aggiunge nel profeta anche il tratto mitologico della potenza del Caos con la sua opposizione al creatore del mondo, un aspetto nel quale si palesa la vera natu­ ra degli imperi pagani. Ma davanti alla potenza del Dio universale questa potenza regale, apparentemente irresistibile, si rivela una cieca illusione. Mentre Ioh 40,2 5 s. raffigura una lotta col coccodrillo come un'avventura dalla quale l'uomo non può uscire vivo, Jahvé ha facilmente ragione anche della sua possente apparenza (v. 4) . Come mostrano anche antiche raffigurazioni della caccia al coc­ codrillo (più recentemente Erodoto 2,70), l'animale viene tira­ to fuori dal suo elemento con uncini infilati nella mandibola, trascinato all'asciutto e lì ucciso. Con l'originale immagine dei pesci attaccati alle sue squame che subiscono la medesima sor­ te, la rovina che colpirà il faraone viene estesa ai suoi sudditi. Distesa nel deserto, la carogna resta preda gradita di uccelli e

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fiere che terminano l'opera di distruzione. In questa frantuma­ zione dell'orgoglio umano il Dio d'Israele, così severo quando giudica il proprio popolo, al tempo stesso, trattando gli Egizia­ ni, si dimostra il Signore del mondo che non rinuncia a punire con la morte la violazione della sua assoluta maestà (vv. 5 -6). La breve presentazione di quest'opera potente di Jahvé nel metro elegiaco (ritmo quinario ), che si è già incontrato quale metro delle lamentazioni funebri e che qui può essere rico­ struito con leggerissimi interventi sul testo, dimostra di essere un'eccellente e originale creazione poetica grazie alla concisa applicazione qi una immagine vista in maniera plastica, la cui compatta forza non lascia spazio ad alcun tratto superfluo. Con magistrale sicurezza e senza diversioni essa fa convergere · l'interesse sul punto centrale del contrasto tra potenza mon­ dana e potenza divina, venendo così a costituire così l'energi­ co avvio ai poemi antiegiziani. %9,6b-9a. N uova motivazione della colpa dell'Egitto. Come si è potuto notare nel progredire delle pericopi susseguentesi nel cap. 2 5 e diversamente da quanto è avvenuto passando dal cap. 26 ai capp. 2 7 s., anche passando dal primo oracolo con­ tro l'Egitto al secondo cambia la motivazione del castigo. Se prima tutto si focalizzava sull'atteggiamento essenzialmente ostile a Dio delle potenze mondiali, ora al centro viene posto il loro rapporto con Israele. L'Egitto si è dimostrato per Israele una canna ingannevole, un sostegno che suscitava sì grandi spe­ ranze, ma poi le deludeva vergognosamente. Anche in Is. 3 6,6 si incontra l'immagine del bastone di canna riferita all'Egitto, ma in forma più semplice, giacché si limita a parlare della feri­ ta arrecata alla mano dal cedimento o dalla rottura del soste­ gno di canna, apparentemente solido a guardarlo, ma già inser­ vibile per una rottura nascosta. N el nostro testo, invece, sono distinti due momenti: la ferita arrecata alla mano dalla canna che si spezza e il vacillamento delle anche per l'improvviso ce­ dimento dell'appoggio a causa della rottura della canna. Si trat-

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ta di un ampliamento che rende la metafora più complicata. In entrambi i momenti il dito viene puntato sull'inaffidabilità del­ l' alleato egiziano. Ma mentre nei profeti più antichi la delusio­ ne nell'Egitto viene fatta risalire all'azione punitiva di Dio con­ tro la potenza egiziana (cfr. !s. 30,2- 5 ; 3 1 ,2 s.; Ier. 2, 1 7 s. 3 6 s.) e appare una conseguenza dell 'allontanamento d'Israele dal suo Signore, la colpa che qui viene addebitata all'Egitto riguarda la inaffidabilità e intima debolezza dell'impero apparentemente così solido e compatto perché in questo modo esso divenne un ingannevole tentatore per Israele, trascinandolo poi nella ro­ vina. Non si potrà dire che questo sia il giudizio costante di Ezechiele giacché il cap. 1 7 parla una lingua diversa. Se non si vuole supporre qui una motivazione molto secondaria della pu­ nizione inflitta all'Egitto, nel senso che il profeta pensava alla forza di seduzione esercitata sul vicino Israele da uno stato che fidava nella propria potenza e nella propria politica spregiudi­ cata, allora sembra naturale immaginare che si tratti di un am­ pliamento d eli' originario oracolo profetico di punizione do­ vuto a un discepolo del profeta che intendeva così attenuare la responsabilità di Israele. La mancanza di una nuova apostrofe, l'abbandono del metro e la ripetizione del v. 6a quale conclu­ sione potrebbero confortare tale ipotesi . .19,9b- 1 6. Umiliazione e perdono del l Egitto La situazione ipotizzata per il brano precedente sembra qui ancora più lam­ pante. Come mostra il v. 1 6, anche alla base di questa pericope c'è la colpevolezza dell'Egitto nei riguardi d'Israele per aver in­ fuso una falsa fiducia nell'aiuto della grande potenza, sebbene la frase iniziale (v. 9b) si riallacci espressamente alla colpa de­ nunciata nel primo passo (v. 3 ). L'interesse dell'autore è tutta­ via concentrato sulla devastazione totale del paese così sicuro e fertile che egli aveva trovata annunciata subito prima e la in­ gigantisce estendendola, da un lato, da nord (delle varie locali­ tà col nome di Migdol quella che sembra più adattarsi al no­ stro testo è quella menzionata in ler. 44, 1 ) fino all'estremo sud, '

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dove Siene, presso l'odierna Assuan, alla prima cateratta, e la ·frontiera di Kush, che va probabilmente cercata ancora più a sud, indicano un coinvolgimento nella immensa catastrofe an­ che dell'Alto Egitto. Inoltre l'autore aggiunge l'esilio della po­ polazione nelle nazioni fuori dall'Egitto, così che il destino de­ gli Egiziani appare una ripetizione di quello giudaita, solo con proporzioni maggiori. Come nel secondo passo, anche qui il fa­ raone scompare totalmente dietro al suo popolo, ma la rimune­ razione assume la natura di un reale contrappasso corrispon­ dendo, secondo l'antica legge del taglione, al danno provocato in Giuda (v. 1 0) . Questo parallelismo nel castigo tra i due paesi viene ora este­ so, e questo è il dato sorprendente, anche alla loro ricostruzio­ ne (vv. I I - I 3). Il periodo di 40 anni di prigionia previsto per la pena di Giuda (4,6) viene applicato anche per la pena com­ minata all'Egitto. Scaduto tale termine, coloro che erano stati dispersi all'estero verranno ricondotti in patria (v. I 4). Tuttavia non sorgerà più alcun Grande Egitto, ma con l'esclusione del­ la regione del delta verrà ricostituito in regno solo Patros, cioè l'Alto Egitto che, secondo anche altre testimonianze (cfr. Ero­ doto 2,4. 1 5 ), è considerato la vera prima patria degli Egiziani. La ragione per questo ridimensionamento è indicata nell'inten­ zione divina di prevenire una nuova arroganza dell'eccessiva­ mente potente Grande Regno dalla quale in passato non erano venute altro che guerra e sottomissione di altri popoli (v. I 5 ) . È evidente che ·q ui si esprime un atteggiamento verso il regno del Nilo che è diverso da quello notato in precedenza. Così, certamente, la frase finale (v. 1 6) sottolinea come la conoscen­ za di Jahvé sia un frutto del suo giudizio usando le medesime espressioni dei vv. 6 e 9 che in essa indicano lo scopo comune di tutte le profezie. Tuttavia non si coglie più alcuna traccia del­ l'insolubile contrasto del regno pagano con il Signore del mon­ do e della corrispondente severità nell'esecuzione del castigo. Ciò indica con certezza un'epoca molto più recente, in cui l'Egitto aveva perso la sua posizione egemone e non costituiva

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più un pericolo per Israele. Anzi nella prospettiva di un tem­ po del perdono per l'Egitto si legge una certa simpatia per il vicino meridionale, un po' come traspare anche in /s. 19, 1 8 ss., dove si nota egualmente una notevole distanza dalla minaccia precedente. Ma mentre qui l'interesse è focalizzato totalmente sulla conversione dell'Egitto a J ahvé mediante la quale il gran­ de paese viene inserito nella sua comunità, in Ezechiele l' ac­ cento cade sull'affermazione della volontà di J ahvé nella con­ vivenza politica dei popoli. Il suo giudizio ha lo scopo di col­ locare al loro posto i popoli nel suo piano di pace e l'indeboli­ mento delle grandi potenze ne sembra un presupposto. A que­ sto punto idee di Ezechiele vengono sviluppate in maniera au­ tonoma e collegate mediante il versetto finale alla sua grande vi­ sione dell'affermarsi della conoscenza del Signore universale. Anche se non si raggi unge così la grandezza della speranza di /s. 2,2- 4 o Soph. 3 ,9 s., la parificazione del destino dell'Egitto a quello di Giuda è in ogni caso un segno dell'affermazione del­ le idee profetiche universalistiche riguardo all'organizzazione del mondo delle nazioni davanti alle quali passano in secondo piano tutti i desideri politici di rivalsa. ··

L'Egitto è la ricompensa per Nabucodonosor (29, 1 7-2 1) 1 7 Ed ecco: il ventisettesimo anno, il primo mese, il primo del mese, la pa­ rola di Jahvé mi fu comunicata in questi termini: 18 Figlio d'uomo, Na­ bucodonosor, re di Babilonia, ha sottoposto il suo esercito a un duro la­ voro contro 1 Tiro: tutte le teste sono diventate calve e tutte le schiene si sono incurvate; ma né lui né il suo esercito sono stati ricompensati da Tiro per la fatica di cui si sono sobbarcati contro di essa. 19 Perciò . . . ' 1 Jahvé dice così: Ecco, io darò a Nabucodonosor, re di Babilonia, il paese di Egitto ed egli ne porterà via le ricchezze, lo deprederà e saccheggerà e questa sarà la paga del suo esercito. 10 Quanto alla sua personale ri­ compensa per la quale egli ha lavorato, gli darò la terra di Egitto . . . ',1 . . . . J ahve., d 1ce '

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I. V. BH.

T.M.: «perché hanno lavorato per me»: manca nei LXX; l'intenzione è di definire l'assedio di Tiro un servizio reso a Jahvé. 2.

Ezech. 29, 17-2 1 2 1 Quel giorno farò spuntare un corno alla casa di Israele e ti aprirò la bocca in mezzo a loro ed essi conosceranno che io sono J ahvé.

Questo oracolo profetico che, per la data dichiarata, dimo­ stra d'essere il più recente degli oracoli datati di Ezechiele (tra questo e l'oracolo datato di 29, 1 intercorrono circa sedici an­ ni), cade attorno alla fine di aprile del 5 7 1 a.C. La campagna di Nabucodonosor contro Tiro era terminata uno o due anni pri­ ma, dopo tredici anni di ostilità, senza aver ottenuto quel suc­ cesso che il profeta si era aspettato quando aveva profetizzato la punizione di Tiro: la città non era stata né distrutta né sac­ cheggiata. Tutto sommato, comunque, non si può parlare eli un insuccesso totale della campagna di Nabucodonosor: Tiro do­ vette piegarsi al dominio babilonese, come è confermato da te­ stimonianze epigrafiche per gli anni 5 70 e 5 64. Tiro aveva co­ munque finito l'incontro con un occhio pesto: da allora la sua potenza appare in declino e non ritornò mai più all'antica gran­ dezza. Ma la contraddizione tra questo esito e la distruzione to­ tale annunciata da Ezechiele fu comunque palese, minaccian­ do di scatenare un conflitto interiore e un dubbio tentatore ne­ gli ascoltatori delle precedenti minacce profetiche: Jahvé non manteneva dunque la propria parola, non le conferiva il valore di verace rivelazione della propria volontà ? Il dubbio che era stato avanzato già in precedenza circa le predizioni del profeta (cfr. I 2,22 ) si riaffacciò sicuramente con rinnovata forza, ren­ dendo la missione di Ezechiele ancora più difficile. Significa certamente una liberazione sia dalle accuse esterne sia dagli in­ terrogativi interiori quando, il capodanno del XXVII anno di J o­ jakin, al profeta fu comunicato un oracolo di Dio che, in quanto decisione divina, conteneva la risposta alla difficoltà finora ir­ risolta. L'oracolo si apre comunicando con parole quasi dispiaciute l'esito deludente della fatica sostenuta dal re di Babilonia per un assedio durato anni e anni: il suo esercito si è veramente do­ vuto impegnare in una maniera tale che avrebbe dovuto rice­ vere una ricompensa per le sue fatiche. Ma Jahvé, per incarico

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del quale Nabucodonosor aveva attaccato l'isola fortificata, non è così ingiusto da negargli la paga che si era guadagnata. Lui, il ricco Signore del mondo, dispone di ·mezzi sufficienti per evi­ tare che il suo servitore subisca un danno. E lo farà in misura generosa, consegnandogli il ricco Egitto. Allora il re babilone­ se non avrà problemi a dare alle sue truppe una paga che tra­ sformerà l'insoddisfazione verso il supremo condottiero in un immenso entusiasmo. In questa parola non si parla minima­ mente di un annientamento dell'Egitto o di una sua durevole integrazione nell'impero babilonese. Sembra piuttosto trattarsi, come in Ier. 43,8 ss., di una spedizione punitiva; ci si potrebbe pertanto chiedere se qui non si faccia già sentire quell' ammor­ bidimento delle precedenti minacce contro il regno del Nilo. È dubbio che Ezechiele sapesse già a quel tempo di intensi preparativi bellici di N abucodonosor in vista di una campagna contro l'Egitto e traesse da questa informazione motivi di spe­ ranza che gli vennero poi confermati da una parola di J ahvé. La spedizione babilonese contro l'Egitto di cui si è a cono­ scenza ebbe luogo solo nel 5 68/5 67, e nel 5 7 1 si potevano dif­ ficilmente trarre già illazioni sicure sulle iniziative di N abuco­ donosor. Tuttavia la direttrice generale dell 'azione aggressiva della politica babilonese dopo la caduta di Tiro era evidente per qualsiasi osservatore della scena politica dell'epoca giacché l'unica fonte di pericolo per l'impero babilonese era costituita dall'Egitto. Inoltre già i precedenti oracoli di minaccia contro l'Egitto indirizzavano da tempo lo sguardo verso sud. La spie­ gazione data al profeta coincideva pertanto in notevole misura con l'attuale situazione politica e poteva essere certa di calami­ tare una ansiosa attenzione. Una tavoletta babilonese di argilla, giuntaci in verità solo in frammenti, attesta che l'oracolo ricevette la sua conferma da una spedizione di Nabucodonosor avvenuta alcuni anni più tardi. Nella tavoletta il nemico contro cui muove il re di Babi­ lonia si chiama Amasis, colui che riuscì, dopo una combattuta rivoluzione, a deporre e uccidere il faraone Hofra che regnava

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sin dal 5 88 e aveva partecipato all'ultima battaglia di Gerusa­ lemme. Secondo il testo frammentario sembra si sia giunti a violenti scontri fra le truppe babilonesi ed egiziane, ma man­ cano tuttavia informazioni sul luogo e l'esito dei medesimi, sebbene Nabucodonosor potesse evidentemente vantarsi di es­ serne uscito vincitore. Inoltre Amasis non fu più in grado, do­ po questi eventi, di intervenire attivamente in Palestina e in Si­ ria, continuando la politica di espansione dei suoi predecesso­ ri. Così tutto sembra indicare che la profezia di Ezechiele ven­ ne confermata dal corso degli avvenimenti storici. Ci si è scandalizzati per questo risalto dato, caso unico nella letteratura profetica, a una profezia che non si è avverata alla lettera e il trasferimento all'Egitto della minaccia che non ave­ va colpito la città di Tiro è stato bollato come «un'idea cinica» indegna di Ezechiele (Van den Born). Tuttavia già la presenza della data iniziale rende difficile l'ipotesi di una finzione po­ steriore. Ma, soprattutto, non è che qui si scarichi la colpa su un soggetto innocente e del tutto estraneo alle vicende. Invece è da moltissimo tempo che l'Egitto è esposto a una minaccia altrettanto grave di quella di Tiro. Inoltre non si addossa al­ l'Egitto la punizione prevista per Tiro: invece il premio che si prevedeva ricavare dal saccheggio della ricca città, i cui difen­ sori avevano indubbiamente da tempo consumato tutto quello che avrebbe potuto costituire bottino, sarebbe stato pagato dal ricco Egitto. Il vero scandalo che qualche lettore potrebbe provare davan­ ti a questa correzione della minaccia di castigo rivolta contro Tiro dovrà piuttosto essere quello dell'apparentemente natu­ rale leggerezza con la quale il profeta sorvola sul tenore della sua precedente previsione di giudizio, sapendo di aver ricevu­ to il mandato di annunciarne la variazione per libera disposi­ zione di J ahvé. In questo annuncio il cambiamento viene ad assumere quasi un colorito triviale giacché tutto viene concen­ trato sulla paga che Jahvé deve a Nabucodonosor per l'impie­ go delle sue truppe, come se altrimenti non fosse più possibile

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parlare di una giusta rimunerazione divina. Ezechiele credeva veramente che J ahvé fosse per legge debitore della paga nei confronti dello strumento da lui utilizzato come un re di que­ sta terra doveva pagare il soldo alle truppe ausiliarie che chia­ mava al proprio servizio ? Si distingue egli per queste penose inezie dalla magnifica naturalezza con la quale Isaia o Geremia fanno utilizzare dal loro Dio i sovrani del mondo ? O non si è piuttosto in presenza di una ironica critica delle difficoltà dei suoi contemporanei a credere, visto che si agitano tanto per un adempimento così poco letterale della minaccia pronunciata su Tiro, quasi che si sentissero obbligati a dare una mano per far avere a Nabucodonosor ciò cui aveva diritto ? In ogni caso tale ironia metterebbe efficacemente in rilievo la libertà sovrana di Dio di dare alla predizione del profeta il compimento che gli sembrava opportuno, illuminando ancora di più la calma sere­ nità che vede il Signore del mondo disporre con mano leggera dei popoli più forti. Ciò non può certamente nascondere che qui viene decisa una questione di importanza fondamentale, cioè l'incertezza se una profezia possa essere considerata una chiave non ingannevole della verità divina se manca il riscontro letterale del suo adem­ pimento. Su tale questione Ezechiele è quanto mai lontano, co­ me è evidente, da una ansiosa verifica. Le sue predizioni han­ no uno scopo diverso dal fissare in anticipo e minuziosamente il corso della storia in tutti i suoi particolari. Infatti, come tut­ te le profezie, anche quelle di Ezechiele sono subordinate allo scopo generale di far vedere ai contemporanei, nella loro si­ tuazione concreta, l'irremovibile volontà sovrana del Signore della storia, mettendoli così in grado di assumere l'atteggiamen­ to giusto verso le grandi potenze del loro tempo. Le profezie sono orientate verso il centro dell'azione divina di rivelazione, il compimento della signoria di Dio, e descrivono la via per giungervi con i mezzi del loro tempo e del loro mondo. È questa funzione che ne costituisce grandezza e limite. La loro grandezza, in quanto rispetto alla divinazione pagana, che in-

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dubbiamente poteva contenere genuine previsioni di eventi fu­ turi, le profezie non si esaurivano nel singolo evento, che nel migliore dei casi non significava altro che una meravigliosa di­ mostrazione, alla quale non si collegava alcuna indicazione per continuare il cammino nello sviluppo misterioso della storia. Per contro, la predizione profetica remane legata alla totalità del governo divino, cui i profeti rendono testimonianza, inse­ rendo organicamente il singolo evento stòrico nel complesso dell'azione divina mediante il quale l'intero sviluppo storico viene messo al servizio del suo regno. Il loro limite, invece, è che il Dio, la cui guida essa ricalca, continua sempre a essere colui che è immensamente superiore alle limitate possibilità umane e il cui cammino attraverso la storia non può essere de­ scritto pienamente con parole umane. Con la libertà del crea­ tore egli guida il suo piano verso la meta: ma questo fine la profezia può sì illustrarlo e avallarlo con le sue allusioni, ma non può assolutamente indicargli il percorso né calcolarne in anticipo le singole fasi. Perciò la predizione profetica esige l'ub­ bidiente sottomissione al mistero della divina attuazione, po­ nendo all'ascoltatore, proprio come tutto il resto della predica­ zione dei profeti, la questione della fede che non si lascia fuor­ viare neanche da inattesi ritardi, cambiamenti e novità. Così il Deutero-Isaia che, come nessun altro, si sentiva chiamato a proclamare decreti divini fino allora inauditi, ha respinto con estrema decisione ogni saccenteria umana e ogni insoddisfatta interferenza. Da parte sua il profeta postesilico Zaccaria insiste energicamente perché lo si riconosca quale verace inviato di Dio nonostante notevoli cambiamenti nella sua visione del fu­ turo (Zach. 2,9 . I I ; 4,9; 6, I 5 ). Così anche Ezechiele parla con la certezza di avere adegua­ tamente interpretato la volontà p uni tiva del suo Dio anche se nel successivo scorrere della storia gli interventi della guida di­ vina della storia che egli aveva colti vengono sostituiti da altri. Resta comunque immutato che il Signore si accinge a istituire il proprio regno in tutto il mondo, a sottomettere le potenze

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di questo mondo e a preparare la salvezza per il popolo cre­ dente di Dio. 3 Con l'esecuzione della sentenza divina di condanna per ma­ no di Nabucodonosor, indifferentemente da come ciò avvenga nei particolari, viene aperta la strada alla salvezza di Israele (v. 2 1 ). Il giudizio non è l'ultimo atto, la guida divina delle grandi decisioni politiche del mondo mira al compimento del suo pia­ no di salvezza. In questo piano al primo posto c'è, come sem­ pre, Israele. Non è possibile stabilire con sicurezza quale sia la portata del testo del v. 2 1 : esso può alludere alla venuta del grande davidide con la quale Dio instaura il suo nuovo patto con Israele (34,23 ss.), come sembrano suggerire l'impiego della medesima immagine in Ps. I 3 2, I 7 e la misteriosa allusione in Ezech. 2 I ,J I , oppure, se l'immagine del corno che spunta è usa­ ta in senso più generale, il testo contempla la svolta del desti­ no di Israele verso il compimento salvifìco finale. Basta già che l'oscurità dei giudizi divini non soffochino l'antica speranza messianica del suo popolo, ma la ravvivi e la riaccenda. In ogni caso non si potrà parlare qui di un calcolo politico che si at­ tende da N abucodonosor la benevola restaurazione della mo­ narchia in Giuda quando, sparita la potenza egiziana, non ci si dovrebbe più aspettare la ripresa di alcuna nuova cospirazione politica contro il dominio babilonese. Siffatti calcoli delle pro­ babilità con i quali il profeta avrebbe dato prova della medesi­ ma mentalità della diplomazia di Gerusalemme sono estranei alla sua speranza la quale, come indicano chiaramente i capp. 34 ss., conosce unicamente un motivo di speranza: lo zelo di Jahvé per la santificazione del proprio nome. La speranza di Ezechiele ripropone in questo modo il «tuttavia» della fede del quale parlano anche gli annunci di salvezza dei preceden­ ti profeti. Ma con l'arrivo della nuova salvezza anche la boc­ ca del profeta abbonderà di nuovi appelli ad andare con fede incontro al Dio che viene. Nella disputa sul compimento dei 3 · Per tutta la questione cfr. AThANT 29, 1 9 56.

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Jenni, Die politischen Voraussagen der Propheten,

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suoi oracoli contro le nazioni il profeta ha fin qui taciuto, la­ sciando al suo Dio la decisione. Ma ora gli è promesso che gli si aprirà la bocca e così potrà testimoniare della vittoria di Dio. Per quanto è possibile vedere, egli non è più riuscito a vive­ re questo momento: l'oracolo del 5 7 1 sembra contenere la sua ultima proclamazione pubblica. Così, come tanti dei suoi pre­ decessori o successori, il profeta è entrato nella schiera dei pre­ cursori che, come dice la Lettera agli Ebrei,