Carteggio (1915-1955)
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Carteggio (1915-1955)

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Introduzione e note di

Maria Clotilde Angelini

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Sibilla Aleramo

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Antonio Baldini

Carteggio (1915-1955)

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Introduzione e note di

Maria Clotilde Angelini

Edizioni Scientifiche Italiane

Volume pubblicato con il contributo finanziario del M.U.R.S. la fondi 40%, nell’ambito del Progetto di ricerca di interesse nazionale (Coordinatore nazionale Prof. Mario Petrucciani)— e del Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università di Roma «La Sapienza»

ALERAMO Sibilla - BALDINI Antonio Carteggio (1915-1955), a cura di M.C. Angelini Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1997 pp. 180; 21 cm. ISBN 88-8114-485-9

© 1997 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a. 80121 Napoli, via Chiatamone 7 00185 Roma, via dei Taurini 27 82100 Benevento, via Porta Rettori, 19 20129 Milano, via Fratelli Bronzetti 11 Internet: www.dial.it/esi E-mail: [email protected]

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti 1 Paesi

A Geris e Armando

Introduzione

Un carteggio di 79 lettere e cartoline, a cui si aggiungono numerose dediche': scarno quindi rispetto al lungo arco di tempo in cui si articola — ben quarant’anni — ma denso di significato per due corrispondenti tanto diversi tra loro. L'uno e l’altra si ritrovano, alcuni anni dopo la reciproca conoscenza avvenuta probabilmente a Firenze?ein un periodo molto particolare sia dal punto di vista personale e privato che da quello letterario, in occasione della richiesta ricevuta da Baldini, forse tramite il comune amico Vincenzo Cardarelli, di collaborare

alla rivista «La Grande Illustrazione» diretta dall’ Aleramo). Nasce un’amicizia tra un giovane letterato* in crisi d’iden! Alcune lettere dell’Aleramo sono andate perdute: certamente quelle relative al primissimo periodo della corrispondenza ed altre durante l’attività di Baldini alla «Nuova Antologia». Al Fondo Aleramo, conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci, si trova una busta vuota indirizzata nel ’14 da Baldini a Sibilla alla Pensione Piccola Minerva di Sorrento; essendo sul timbro postale leggibile soltanto l’anno, si può presumere che si tratti di una prima risposta di Baldini alla richiesta di collaborare alla «Grande Illustrazione». 2 Quando a Firenze, nel 1911, Baldini conobbe Cardarelli (cfr. E.F. AccROCCA, Ritratti su misura, Venezia, Sodalizio del libro, 1960, p. 42)

incontrò certamente anche Sibilla, la quale, nei Dati biografici per gli esecutori testamentari (Fondo Aleramo) che per volontà dell’autrice non possono essere pubblicati, alla p. 44 ricorda che in quell’anno «venne una volta [ a Firenze] Baldini da Roma, a trovarmi e a conoscere Cardarelli», facendo supporre che si fossero già incontrati precedentemente; ma non è da trascurare il fatto che talvolta, nella stesura dei suoi dati biografici, l’Aleramo incorra in alcune inesattezze temporali (vd., in riferimento alla prima volta in cui scrisse a Campana, lettera 31, nota 2). 3 Cfr. lettera 1, nota 2. 4 Antonio Baldini ha poco più di venticinque anni, Sibilla Aleramo trentanove,

tità esistenziale e professionale ed una scrittrice molto nota e molto discussa, prepotentemente entrata negli ambienti letterari attraverso il lungo sodalizio sentimentale e culturale con Giovanni Cena prima e con Cardarelli poi, ma essenzialmente per la pubblicazione, nel 1906, di Una donna, romanzo dalla

struttura autobiografica, ma anche e soprattutto espressione «della solitudine della protagonista [...] dell’isolamento morale della donna in una società i cui codici culturali non contemplavano questioni al di fuori della maternità, della educazione dei figli, della condizione della famiglia»*, ed anche opera che «data il romanzo femminista italiano»‘. Quando comincia a frequentare Baldini, Sibilla Aleramo ha da poco iniziato a fare poesia”; ritornata da un lungo soggiorno a Parigi (dove era entrata in contatto con molte delle personalità letterarie ed artistiche d’oltralpe, tra cui Péguy,

Rodin, Apollinaire, Crémieux, Rolland, Thibaudet) , dirige la

sezione letteraria della «Grande Illustrazione», scrive su giornali e riviste (intensa la collaborazione al «Marzocco»), ma si

trova in un periodo di aridità creativa, tanto che affettuose sollecitazioni a riprendere a scrivere le erano giunte dagli amici più vicini, quali ad esempio lo stesso Cardarelli* e Slataper. Dal 1912 lavora alla faticosa stesura del secondo romanzo che rielabora in continuazione e che terminerà soltanto sette anni dopo. Le prime lettere di Baldini la raggiungono in Riviera, dove vive con Giovanni Boine un altro breve e tormentato rapporto, al termine del quale si trasferisce nella amata Assisi («il paese dove dissi che vorrei morire», scrive il 24 marzo del

5 M. Corti, Prefazione a Una donna, Milano, Feltrinelli, 1993262,

p. XI; «Una volta entrata in scena, Sibilla Aleramo rompe tutti i ponti con la piccola vita borghese che l’attendeva; la stampa di Una donna è la sua dichiarazione di guerra», ibid., p. XVI.

6 Ibid., p. XIII.

? Del1912 è Notte in paese straniero, la prima lirica, scritta durante il soggiorno in Corsica dopo la fine del suo brevissimo rapporto con Giovanni Papini. La prima raccolta di poesie sarà pubblicata nel 1920. $ Sul rapporto d’amicizia tra il poeta e l’Aleramo, dopo la conclu-

sione della loro vicenda amorosa, vd. lettera 3, nota 5 e lettera 5, nota 5.

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15 a Boine?) e da qui inizia la sua corrispondenza con Baldini. Questi, ancora studente universitario, già molto preso dalla scrittura e da molteplici interessi letterari, si era allontanato,

dopo un’intensa frequentazione del gruppo vociano (in particolare di Papini, Soffici e Palazzeschi), dall'ambiente fiorentino che — aprendogli le porte al Novecento — gli aveva procurato «un meraviglioso mal di capo con una meravigliosa confusione [...]. Stancatosi ben presto di quel problemismo»", era entrato nel gruppo dei letterati cosiddetti romani, fra cui spiccavano

Cardarelli, Cecchi, Saffi, Barilli, Borgese. Dopo le

prime prove letterarie su «Lirica» con la pubblicazione nel 1912 e nel 1913 de // primo sermone di Ferraù sul vivere solitario e dei Fatti personali e la collaborazione alla «Voce» nel 1914, in quello stesso anno aveva dato alle stampe Pazienze e impazienze del Maestro Pastoso, racconto in chiave allegorica!' ed espressione della sua personale insofferenza proprio nei confronti del cenacolo romano", che aveva determinato la rot-

? G. BOINE, Carteggio, vol. IV, a c. di M. Marchione e S. E. Scalia, Prefazione di G.V. Amoretti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 4979, pi439.

10 A. BALDINI, Firenze di bonincontro, in AA.VV., Firenze, ac. diJ. De Blasi, Firenze, Sansoni, 1944; poi, con qualche variante e con il titolo Firenze dei buoni incontri, in Italia di Bonincontro de Il libro dei buoni incontri di guerra e di pace, Firenze, Sansoni, 1953, p. 580. !! A. BALDINI, Pazienze e impazienze del Maestro Pastoso, Roma, Nalato, 1914; raccolto poi, con il titolo Maestro Pastoso, in Umori di gioventù, Firenze, Vallecchi, 1920; ripubblicato infine, con il titolo Pa-

stoso, da Garzanti nel 1947. «Quella di parlar ‘per cifera’, per un po’ di tempo fu la prerogativa mia e dei miei migliori amici, coi quali, subito dopo la guerra del ’15-’18, ci dovevamo incontrare a fare la Ronda»: così Baldini nella postfazione all’ed. del ’47.

12 Nella Nota all’ed. del ’20, Baldini spiega come nacque «l’occasione [...] sciocca e ingenerosa» di quello scritto: «Siccome non riuscivo a lavorare e tutta la vita m’andava per dispetto di traverso, mi misi a pensare che la colpa dovesse ricercarsi nella compagnia della gente che frequentavo piuttosto che in me stesso. Ma la gente che frequentavo era la

migliore ch’io potessi desiderarmi, tanto è vero che tale m'è durata fino ad oggi; e la carogna, dunque ero io. In ogni modo cercai di sfogare con

la penna in mano quella mia perfidia addosso alla carta bianca» (1b:4.,

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tura dei rapporti con Borgese e incomprensioni con il maestroamico Cardarelli", offesi per essersi riconosciuti in alcuni personaggi della ‘favola’ . Dopo il Pastoso Baldini, alla ricerca di

una identità espressiva e letteraria, vive, ad eccezione degli arti-

coli pubblicati sull’«Idea Nazionale» dal febbraio del ’15 sino allo scoppio della guerra, un anno di inerzia, interrotta, tra il settembre e il dicembre del ’16, dalla ripresa della collaborazione all’«Idea Nazionale» prima e all’«Illustrazione Italiana» poi. Sia per Baldini come per l’Aleramo gli anni 1915-°17, quelli cioè più intensi del loro rapporto epistolare, corrispondono ad un periodo di difficile ricerca, talvolta di sfiducia e di doloroso silenzio letterario, ma segnano, nel contempo, il lento e fati-

coso laboratorio da cui nell’arco di due anni, tra il ’18 e il ’20,

l’uno darà alle stampe Nostro Purgatorio, Salti di gomitolo," l’altra il romanzo lirico di Andando e stando e Momenti, la prima Da una parte un «figlio di famiglia»!

Umori di gioventà, // passaggio, le prose raccolta di poesie'. tendenzialmente re-

p. 129). Sui primi scritti di Baldini, cfr. E. GIACHERY, I/ lettore in pantofole, Roma, Bulzoni, 1971; C. Di Biase, Antonio Baldini, Milano, Mursia, 1973, pp. 15-37; IDEM, Lessico di Antonio Baldini, Firenze, Sansoni, 1973, pp. 9-24; U. CARPI, Il primo Baldini, «La Rassegna della letteratura italiana», n. 1-3, 1979, pp. 307-315; M. Bruscia, Baldini e «La Voce», «Letteratura Italiana Contemporanea», n. 11, 1984, pp. 225-231; A. BaLDINI-G. PAPINI, Carteggio (1911-1954), a c. di M. Bruscia, Napoli,

Edizioni Scientifiche Italiane, 1984, in particolare l’Introduzione, pp. 9-32.

13 Cfr. lettera 5, nota 1 e lettera 6, nota 1.

14 A. BALDINI, Nostro Purgatorio. Fatti personali del tempo della guerra italiana. 1915-1917, Milano, Treves, 1918; raccolto poi, con alcune varianti, ne I/ libro dei buoni incontri di guerra e di pace, cit.; recentemente ripubblicato, a cura. e con Introduzione di C. Donati, dal-

l’Editrice Università degli Studi di Trento. Dipartimento di Scienze filologiche e storiche, 1996. IpeM, Umori di gioventù, cit.; Ipem, Salti di gomitolo, Firenze, Vallecchi, 1920. Nel ’20 inizia anche la pubblicazione, a

puntate, sull’«Idea Nazionale» di Michelaccio, poi raccolto in volume nel 1924 per le Edizioni della Ronda.

15 S. ALERAMO, Il passaggio, Milano, Treves, 1919; IpeM, Andando e stando, Firenze, Bemporad, 1920; IbeM, Momenti, ivi, 1920. !6 La definizione è dello stesso Baldini: «Tra me e me chiamo meri-

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sto ai mutamenti e, nonostante le scontentezze, molto legato alla sua «cara cuccia», intensamente preso dall’amore per El-

vira Cecchi (l’«Elviruccia figlia di bersagliere» a cui è dedicato

Nostro Purgatorio, poi sua moglie e punto fermo nella sua esistenza) ma in quegli anni anche molto insoddisfatto e insicuro. Più tardi dirà di aver scritto, nel’14, la prosa Domenica «in una

delle epoche più incerte e noiose della sua vita». Dall'altra una femme aux lettres già diventata «mito»,' spirito indipendente e ribelle, sentimentalmente inquieta, trasgressiva e intel-

lettualmente stimolante. Il periodo più denso del carteggio è quello dei continui spostamenti dell’uno o dell’altra per la guerra o per lavoro, in un affettuoso ricercarsi nonostante la difficoltà dei rispettivi recapiti e la lontananza, che rende quest’amicizia quasi essenzialmente epistolare negli anni 1915-’17, considerando che in tre anni di corrispondenza gli incontri personali sono stati soltanto quattro, di cui uno molto fugace. Entrambi ‘erranti’: l’una per scelta di vita, l’altro perché costretto, strappato e separato dall’ambiente familiare e dagli

affetti consueti, quindi emotivamente più indifeso e vulnerabile.

tatamente questo sermone ‘Canto notturno di un figlio di famiglia errante nell’Asia’», Nota al primo sermone di Ferraù sul Vivere solitario, in Umori di gioventù, cit., p. 17; «Avevo ormai venticinque anni, mal sop-

portavo di seguitare a fare il figlio di famiglia», Passaporto per tre prosette del 1914, ibid., p. 166; «Il figlio di famiglia ha cominciato a mettere giudizio», Nota ai Fatti personali e in particolare alla Ragazza dalla volpe rossa, ibid., p. 53; «[Cardarelli] che per primo aveva sconvolto con la sua parola le quiete acque della mia vita di figlio di famiglia», nella postfazione all’edizione del ’47 del Pastoso, cit., p. 53.

17 Nostro Purgatorio, cit., p. 9, secondo l’ed. del ’18 a cui, d’ora in

poi, si farà riferimento per le citazioni.

18 Umori di gioventò, cit., p. 165. 19 «Tale l’aveva definita Boine, aggiungendo: ‘non si ama un mito’»

(cfr. A. VERGELLI, «Per amor dell'amore». Corrispondenza inedita Fer-

nando Agnoletti-Sibilla Aleramo, Roma, Bulzoni, 1994, p. 10).

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Bruna Conti, studiosa dell’opera di Sibilla e attenta custode delle sue carte, ritiene che in esse «si co/ga una tendenza

alla intimità, quasi che il parlare ad una donna e in particolare all’ Aleramo imponesse l’emergere del privato di ciascuno»?0. Così è anche per Baldini, che sin dalla prima lettera non esita, nel ricordare il suo periodo fiorentino di contatto con l’ambiente vociano, a confidare come quello fosse stato un

momento per lui determinante, in quanto «si sciolsero e si composero molti suoi intimi imbrogli». Dopo il primo incontro romano al Caffè Faraglia nell’aprile del ’15, che segna il passaggio da una conoscenza forse piuttosto superficiale ad un dialogo più approfondito, ma soprattutto dopo le parole di Sibilla nella lettera immediatamente successiva, del 23 aprile sento come una cara certezza la vostra amicizia, e la mia per voi,

con lei Baldini inizia quel confidente colloquio che caratterizza tutta la prima parte del carteggio. Insieme ai suoi crucci esistenziali ho talmente in uggia me stesso [...] saprete anche voi come succede, quando ci coglie questa noia d’esistere[...] Ho paura che siamo però molto deboli [comprendendo anche Emilio Cecchi, dopo la partenza di Cardarelli]: con questa sfiducia di attaccare gli uomini: così scollati, e bruciati nella parte della scollatura [...] non c’è che dire, noi s’anticipa 1 Prati Elisi”

20 B, Conti, Due bauli. Le carte dell’Archivio, in Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, a c. di E Contorbia, L. Melandri, A. Morino, Milano, Feltrinelli, 1986, p. 23.

21 Lettera 6 del 27 aprile 15. Baldini aveva scritto in Faticosa vocazione del 1913: «pare davvero che il mondo sia corrucciato con me e che le cose mi sbadiglino addosso una loro confusa noia» e in Doglia del ’14: «La mia vita se n’è scesa tutta in malanno, a proroga e sbadiglio»; le due prose, poi in Umori di gioventà, cit., rispettivamente alle pp. 88 e 178. 2

le esterna il timore di non saper mai trovare la propria identità letteraria: non so più leggere un libro vero [...] ho anche gravi dubbi di sapermi esprimere: un’espressione è tale solo quando uno abbia girato intorno intorno ad un punto del suo spirito: ed io dietro di me non ci vado per una gran paura di dover leggere la mia condanna più grave?. Nonostante la diversità caratteriale, di atteggiamenti, di

vita, di esperienze, come fin dall’inizio avverte Sibilla strana questa simpatia piena d’umiltà ch’io risento per forme di spirito come la vostra, così diverse da me?),

ciò che sembra legare i due corrispondenti, oltre alla necessità di Baldini di trovare nell’altra sfogo e conforto ai suoi disagi ed alle sue inquietudini, è la serenità che deriva da un dialogo fattosi quasi subito spontaneo e confidente. Per l’Aleramo le lettere di lui, in cui ritrova in tutte lo stesso abbandono, quel parlarmi grato come a una cosa di vita, come a voi stesso”,

sempre più nel tempo vengono a configurarsi come momenti che diradano le difficoltà e solcano «d’intima festa» le ore di solitudine fino ad «illuminarla di un sorriso», nella certezza di

un’amicizia in cui aveva creduto sin dal primo momento. Per Baldini le parole della donna, alla quale è grato per la affettuosa partecipazione ai suoi «affanni» Con voi non c’è che ringraziarvi d’essere così buona e 22 Lettera 6. Nella postfazione all’ed. del °47 del Pastoso Baldini dirà: «nel tentativo di suicidio del Pastoso è da vedersi adombrata la mia

reale insofferenza di non riuscire a trovare, fra tante suggestioni e incer-

tezze e ambizioni critiche e velleità creative, una strada che mi sentissi di poter percorrere per mia», p. 57. 23 Lettera 5 del 23 aprile 1915.

24 Lettera 28 del 23 maggio ‘16.

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cara con gli amici, non c’è che ringraziarvi d’essere tanto felice, per voi e per no1°, o le liriche di lei, sono di volta in volta «felice levità», «musica» o «balsamo», mentre Sibilla finisce per connotarsi come simbolo di vitalità e di sorriso. Mi fa l’effetto che voi sapreste ridarmi in parole tutta l’al-

legria che m’ha messo una volta Benozzo”

le scrive il 27 aprile del ’15, invitandola a leggere i poeti della Scuola Siciliana, in cui l’amica avrebbe trovato «conferme»

della sua «gioiosa libertà ritmica». Ma ancor più, dopo la partenza per la guerra, è immagine della felicità immediatamente antecedente le angosce, nel ripetuto accostamento oppositivo di passato e presente in cui ‘prima-oggi’ e ‘allora-ora’ divengono i mots-clés baldiniani di questo periodo , per un processo psicologico di costante riferimento al passato inteso sempre in accezione positiva rispetto alla negatività del presente”; spia, oltre che di profonda scontentezza, anche e soprattutto — se non di incapacità — certamente di forte difficoltà nell’accettare

25 Lettera 14 del 17 agosto 15.

26 Se nel ’13 Baldini aveva affermato «e certi volti di donna ci dànno un’allegrezza tale che, se l’anima loro non fosse buona, non ci potrebbero certo comunicare» (Peccatore mal convinto, in Umori di gioventù,

cit., pp. 75-76), molti anni più tardi, ricordando la sua prima visita di sedicenne nel capoluogo toscano, tornerà sulla «festosità» di Benozzo e su «uno degli Angeli adoranti di Benozzo [...] che più lo aveva fermato per la somiglianza con una certa fanciulla» (Firenze dei buoni incontri, nel Libro dei buoni incontri di guerra e di pace, cit., pp. 576-577). 27 Atteggiamento, questo, già nel Baldini delle prime prove, quando scrive: «Così fingevamo bello il nostro passato. Per seguire la nostra vocazione di poesia, non volendo e non sapendo vivere che di poesia, finivamo col non vivere che di passato: finimmo col non vedere in ogni luogo se non una suggestione ed un richiamo di cose che furono già per noi [...]Ci inebriammo delle cose ch’eran morte in noi stessi, del profumo che avevan lasciato in noi» (Acqua passata che macina ancora, in Umori di gioventà, cit., p. 120; la prosa è del 13).

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la drammatica condizione in cui non sa ritrovarsi, né come letterato né come soldato: La vita che ho fatto prima di venire in questa cittadina a

scuola militare, adesso mi pare davvero gremita di belle

cose che allora non ci seppi vedere: allora non ci scoprivo

che privazioni immondizia e cattiverie: oggi l’ho con quella mia debolezza e incapacità di capire” e ancora:

Adesso sono più che in guerra: perché solo ora mi penetrano le cose alle quali ho già assistito” infine:

Il tempo diprima lo ricordo come un mezzo paradiso riservato e raffinato”.

Procedimento analogo in Nostro Purgatorio, nel capitolo Una mano al lettore non ripubblicato nella successiva edizione, a proposito di quella giornata del 22 maggio 1915 che segna lo spartiacque tra le inquietudini e i disagi giovanili e la successiva presa di coscienza della realtà e di se stesso: Un mondo diprima sul quale assolutamente io non poggiavo i piedi, e un altro mondo, che ancora dura, che è

quello sopra il quale oggi cammino come tutti i mortali”.

La maturazione, certamente determinata dalla guerra, ma iniziata come assunzione di responsabilità personali nei con-

28 Lettera 12 del 31 luglio ’15; nostri i corsivi. 29 Lettera 14 del 17 agosto ’15; nostri i corsivi. 30 Lettera 36 del 21 febbraio ’17; nostri i corsivi.

31 A. BALDINI, Nostro Purgatorio, cit. , p. 1; nostri i corsivi. Per

un’analisi accurata del capitolo Una mano al lettore, vd. M. BRUSCIA,

«Nostro Purgatorio». I buonincontri di guerra di Antonio Baldini, «Studi Romani», n. 1-2, gennaio-giugno 1991, pp. 56-66.

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fronti della vita e che poi avrebbe finito per riflettersi anche nell’attività professionale, sarà lenta e tormentata”. PAst

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La dichiarazione di guerra coglie Baldini impreparato e quasi inconsapevole di quello che accadrà di lì a poco: il 27 aprile del ’15, forse anche con l’ostentata estraneità del letterato, scrive all’amica: la verità è che della guerra non m'importa nulla: e se proprio mi toccherà questa villeggiatura e questa caccia forzata sento bene che le bestemmie degli altri non saranno sufficienti alla mia esecrazione d’uomo scomodato. Scandalo?

La provocatoria asserzione, se da una parte è riconducibile al particolare momento privato e letterario di Baldini, è comunque da ascriversi al suo ‘disimpegno’, essendo — come egli stesso ammetterà — «disgraziatamente sprovveduto di idee generali, di ragione politica, di senso storico»”. Di sé, tre anni dopo, ricorderà che si trovava in una disposizione di spirito che fu comune a molti coetanei, come lui distratti e concilianti, come lui

alieni dall’esercizio di qualunque pratica e dalla intromissione in qualunque politica, italiani vagabondi, disposti all’azione come alla rinuncia”. Da non sottovalutare, inoltre, anche la personale posi-

zione pacifista e cristiana di Baldini, il quale il 31 luglio scrive a Sibilla

32 «Allo scoppio della guerra avevo ventisei anni, sì e no: ora non so se sarei arrivato a questo mutamento anche senza la guerra» (Nostro Purgatorio, cit., p. 3).

33 Ibid., p. 2. 3 «Sorella guerra», «I libri del giorno», n. 7, ottobre 1918, p. 337.

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Ma però non ho mai combattuto, non ho mai sparato.

Sono un po’ contento anche di questo. In terra francescana mi capirete

mentre in «Sorella guerra», quasi al termine del conflitto, ritornando anche nel titolo alla figura del santo di Assisi, dirà: Non reputandoci strumenti di propaganda quant’a noi ci permetteremo il lusso di non odiare il nemico: pagheremo questo diritto volentieri anche col sangue”.

È certo comunque che, nel momento in cui la spaventevole «bufera» si abbatte sull’Europa, Baldini, lontanissimo dai fermenti interventisti e troppo preso dai suoi ‘fatti personali’, non sa vedere quell’enorme accadimento se non dalla propria angolazione strettamente individualistica: stavo raccontando come la nostra dichiarazione di guerra mi trovasse innamorato di donna al punto di non accor-

germi affatto che ci s’era finalmente arrivati; gli avvenimenti precipitarono e il tempo degli addii alla famiglia mi fu talmente misurato che non ebbi quasi occhi per guardare

il gran fatto nazionale oltre la mia congiuntura personale”.

24 maggio 1915 Cara Sibilla, questa mattina alle 10 vado in caserma: non so quel

35 Ibid. C. Donati, nella sua Introduzione alla recente ristampa di

Nostro Purgatorio, cit., afferma che «appare difficile a Baldini trovare una giustificazione alla morte, e se vi è in lui una accettazione della guerra per senso del dovere, cui tenta di aggiungere, di tanto in tanto,

poco convinte motivazioni patriottiche, il sentimento più vero è, in mi-

sura molto simile a quello di Serra, legato a questo ‘cammino’ compiuto con gli altri, in una ritrovata solidarietà», p. XV. 36 Nostro Purgatorio, cit., p. 3.

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che faranno di me: pare una giornata serena: è già molto. Ieri pioveva [...]”.

Probabilmente è l’unica lettera che Baldini scrive agli

amici, non tanto nella settimana tra l’essere richiamato e la

partenza, ma proprio in quella mattina e dà conferma di quanto si fosse fortificata in quei pochi mesi l’amicizia con l’Aleramo. Se non mancano toni di apparente sventata leggerezza, che sono piuttosto voluto controllo del proprio smarrimento mediante l’uso esorcizzante dell’ironia

Spero che la salute mi assista, che i denti mi servano d’un buon lavoro sulla pagnotta, che mi portino a vedere dei luoghi pittoreschi, che gli amici si ricordino di me, che ci si sbrighi, s'è possibile,

è la parte finale della lettera quella che, oltre a definire il carattere dell’amicizia, fornisce anche una delle chiavi di lettura del

carteggio degli anni immediatamente seguenti: Vi sono ancora grato delle liriche vostre che ho letto in quella bella giornata, che ci sarà bello ricordare ogni tanto, così di pace in così di guerra, ora.

L'incontro di maggio a Villa Borghese e le ore trascorse in sereno colloquio, anche nella lettura delle liriche di Sibilla, ver-

ranno a costituire nel Baldini lontano, alla scuola militare prima e corrispondente dal fronte poi, un ‘fatto personale incastrato

nella memoria”. Il ricordo della donna e la sua poesia finiranno per confondersi sino al punto da configurarsi metaforicamente come la dolcezza della pace che precede la «bufera» della guerra: quel momento ultimo di una vita sino ad allora fatta di scontentezze e inquietudini personali e letterarie, ma che di lì a poco sempre più si affermerà invece come «un mezzo paradiso». Entrambi, così come aveva intuito Baldini, ritorneranno

più volte con il pensiero a- quell'incontro: l’una per sottolineare la gentile approvazione ed il sorriso dell’amico ai suoi 37 Cfr. lettera 9.

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versi «come a piccole rifrazioni di sole»*, oppure il «gesto gentile» e la mano tesa di lui «quando certe piccole liriche gli parvero buone quanto una buona granita» (lettera 40); l’altro per ritrovarvi una serenità perduta, nella costante nostalgia di un episodio che forse sarebbe rimasto tale, se la partenza per il fronte verso l’«apocalisse»”* non avesse sovvertito così profondamente ed improvvisamente le sue pigre ed inquiete abitudini di «figlio di famiglia». L'immagine di Sibilla, nella memoria e nella solitudine di Baldini, diviene un privatissimo momento di gioia in cui le poesie dell’amica, che nella loro «felice levità» saranno «dolce compagnia» più volte invocata in quei primi mesi in zona di guerra Voi mi credete se oggi vi dico che non ho parole per dirvi la dolce compagnia che mi hanno tenuto. La più antica è una musica che per me, disabituato a molte finezze, ha veramente del miracolo: entra nella memoria come un’alba di piovosa freschezza, dove il cuore si sperde e il paese vi-

gila e quello sperdimento è una nuova ricchezza‘,

per la loro «forte carità» rendono «così cara» la donna, nella cui comprensione ed umanità egli trova conforto. Più volte quell’incontro verrà rievocato, così come l’altro, del luglio 1916, gli unici in più di due anni di rapporto epistolare; ed è importante che entrambi precedano significativi o tragici avvenimenti nella vita dei due corrispondenti, ma essenzialmente in quella di Baldini, per il quale finiranno per assumere la connotazione simbolica di una stagione dopo la quale tutto cambia e niente potrà essere come prima‘'. 38 Così nella dedica a Liriche, estratto da «La Grande Illustrazione», n. 15, marzo-aprile 1915. Vd. lettera 6, nota 5.

39 Baldini definisce il conflitto «bestia apocalittica» in «Sorella

guerra», cit. e «apocalisse», molti anni più tardi, in Firenze dei buoni in-

contri, nel Libro dei buoni incontri di guerra e dipace, cit., p. 583. s Lettera 14.

road

41 «[...] perché ciascuno ha perduto un po” le chiavi di se stesso, dopo quella fin di maggio del quindici [...]. Diremo la guerra: e ci par19

Sibilla è — insieme a Leonetta Pieraccini, moglie di Emilio

Cecchi — l’unica donna al di fuori della cerchia degli affetti familiari alla quale il giovane Baldini scrive durante la guerra. E

se era stato forse, come molti del resto, attratto dal fascino‘ e

dalla diversità di lei, altri sono gli elementi che aiutano a comprendere le ragioni più profonde del suo confidente rapporto. Per il Baldini soldato e per il Baldini letterato scontroso e scontento, l’Aleramo è l’amica attenta, forte e comprensiva,

ma soprattutto donna — e proprio per questo ricercata — che sa perdonare debolezze e contraddizioni con quel comportamento anche materno che Baldini si attendeva dalla figura femminile* e che aveva identificato nell’ Aleramo già due anni

ranno rotti i ponti col nostro passato» (Nostro Purgatorio, cit., alle pp.

142 e 188).

4. Oreste Macrì la definisce, a proposito del «fascino» esercitato «sui suoi amanti e amici, poeti e artisti, pagana e zingaresca, educatrice di umana terrestrità» anche attraverso «il suo esempio di poesia ‘selvaggia’» (cfr. V. CARDARELLI, Epistolario, a c. di B. Blasi, Introduzione di O. Macrì, Tarquinia, Ebe Edizioni, 1987, vol. I, p. XXV). In tal senso anche

«il ricordo personale» di Giorgio Luti: «Rivedo De Robertis agitare il bastone, e ricordare spesso i suoi rapporti con Sibilla all’epoca della gioventù, negli anni della ‘Voce bianca’. La conclusione era sempre la stessa: ‘Sibilla era bella, incredibilmente bella, bella misteriosa e pericolosa come la poesia. Nessuno sapeva resisterle, neppure io...'» (G. LutI, Sibilla Aleramo nell’esperienza letteraria del Novecento, in Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, cit., p. 103). 4 Con Elvira Cecchi, nel ’14 più volte egli si rimprovera immaturità e debolezza («So come dovrei amarti, alto, da uomo: e invece ho

sempre questo bambolo capriccioso e lagrimoso tra i piedi», 29 settembre), ma soprattutto non nasconde il suo desiderio di trovare nella donna forza, comprensione e atteggiamento materno: «uno si sente fiducioso d’essere compreso come da una madre che può perdonare tutto e tutto consolare» scrive nell’estate del ’14, durante i primi mesi di fidanzamento. Particolarmente significativo quanto le confida il 29 settembre: «Io dovrei essere più forte di te, e lo sono meno. Dovrei essere la guida tua, e mi struggo perché non ti trovo abbastanza materna». Lettere inedite.

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prima quando, nel rievocare alcuni suoi momenti e incontri fiorentini, l’aveva definita materna, nuziale, figliale,*

compendiando in quei tre aggettivi non soltanto l’atteggiamento di lei nel rapporto con Cardarelli*, ma come egli la vedesse nella sua complessità d’essere donna‘. Non si vuole con questo negare, nel sentimento di amicizia di Baldini, una componente di altro genere, del resto così tenue e sfumata che traspare soltanto perché egli stesso, con discrezione e pudore quasi adolescenziale - dopo che molti dei suoi nebulosi scontenti si andavano componendo e quando prende a far chiarezza anche con se stesso dinanzi alle difficoltà pratiche in cui si era venuto a trovare — confida all’amica: Vi pensai e vi ricordai in quella bella scampagnata dell’al4 Acqua passata che macina ancora, in Umori di gioventù, cit., p£18:

4 Sui multiformi aspetti del rapporto tra l’Aleramo e Cardarelli, il cui «magistero paterno alternava con l’umiliata, filiale esibizione d’infiniti mali», cfr. O. Macrì, Introduzione a V. CARDARELLI, Epistolario, cit., vol. I, p. XXVI; del materno atteggiamento di lei verso il poeta, cfr. inoltre G.A. Cisotto, Introduzione a V. CARDARELLI, Lettere d’amore a Sibilla, Roma, Newton Compton, 1974.

4 Pertinente a questo riguardo, pur con riferimento ai rapporti

amorosi dell’Aleramo, quanto afferma Lea Melandri: «Confrontando le lettere che Sibilla scrive con quelle che riceve, ci si accorge che [...] Sibilla è madre e amante nello stesso tempo, è la ‘creatura viva, intelligente, operante’, come scrive Cardarelli, dove l’uomo ‘fanciullo’, malato o stanco, può attingere nuove energie. Con l’istinto ‘tirannico”, così lo definisce nelle Lettere a Lina, che la porta a cercare ‘perfezione’, ‘armonia’

e ‘grandezza’, e con la ‘volontà di dominio e di conquista’, ereditata dal padre, Sibilla viene e calarsi fatalmente dentro il sogno maschile di una madre potente e penetrante, una specie di doppio riflesso nel corpo della donna. Con la sua pienezza di vita è inevitabile che sia spinta a dimenticare la sofferenza propria per quella dell’altro, a voler guarire un’umanità ‘smarrita e triste’, a far crescere un mondo che le appare adolescente, ancorato a un’ ‘esistenza da caverna’» (L. MELANDRI, Un pudore selvaggio, una selvaggia nudità, in Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, cit.,

pp. 44-45).

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tro maggio con la dolcezza quasi proibita che allora mi

comunicavate [...]. Era un poco folle il vostro amico: in

fondo anche allora c’era nella mia richiesta la inestricabile confusione di sentimenti che c’è oggi in me sempre mentre vi scrivo, che mi fa continuamente soffiar via le espres-

sioni che si offrono. Io vi voglio bene e non so che razza di bene vi voglio: e questo sento di scriverlo con una malizia così candida che ci potremmo sorridere insieme”.

Alla «dolcezza quasi probita» di un tempo subentra, nel presente, la «malizia» talmente leggera e «candida» di quella confessione da escludere ogni equivocità: Baldini è certo della «cara intelligenza» di Sibilla, la quale può capire il sentimento indefinibile* di lui, e con lui «sorridere», forse anche per quel «candore d’animo» che, nell’averlo riscontrato l’anno prima in Una donna, in lei aveva intuito’.

«Confusione» è un termine che ricorre frequentemente nel giovane Baldini: qui «inestricabile», per l’impossibilità o

47 Lettera 36 del 21 febbraio ’17. 48 Cosi è, perché Sibilla risponde semplicemente: «Caro, non importa cercare che ‘razza di bene’ mi vogliate. Pur che sia bene. Ch’io senta che così qual vivo in voi vi son cara» (lettera 37). 4 Cfr. lettera 30. Del romanzo aveva apprezzato la prima parte, «bellissima di semplicità, di consistenza drammatica, di candore d’a-

nimo: le figure del padre e della madre d’un taglio sicuro e superbo, l’ambiente carico d’elegia dostoievschiana», mentre aveva espresso riserve sulla seconda, giustificando le sue perplessità con la sua personale concezione del «racconto» su cui non trovava corrispondenza con nessuno, tanto che ammette: «ci dev’essere uno sbaglio in fondo al mio gusto». Piero Gobetti parlerà di «candore provinciale» e di «candida filosofia» nell’articolo Sibilla, «Il Lavoro», 12 luglio 1924, raccolto poi in

P. GOBETTI, Opere complete, vol. II. Scritti storici, letterari e filosofici, a c. di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1969, pp. 583-587.

so Nel carteggio con Elvira Cecchi, ad esempio, e in alcuni scritti di quegli anni (basti pensare alla «cara confusione dell’anima» in Pausa di marzo, in Umori gioventà, cit., p. 83, oppure a Nostro Purgatorio, cit.,

p. 2: «la guerra senza dubbio ha concorso a generare nel mio spirito malesseri e confusioni che da quel patetico addio all’amorosa fino ad oggi

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incapacità a definire i suoi sentimenti; ma confusione probabilmente non tanto, o non soltanto, verso Sibilla in quanto donna se, lucidamente, aveva analizzato con Elvira Cecchi il

proprio atteggiamento nei rapporti di amicizia: La natura [...] m°ha messo una grande confusione nel cuore, e per trarne un ordine sono anni che ci fatico e non

ho concluso che poco. Negli altri è spontanea la distinzione dell’amicizia e dell’amore: si dà e si prende amicizia con semplicità e con franchezza: ma io non riuscivo ad essere amico di qualcuno se non mischiandoci quelle esigenze d’ amore che non c’entravano e che ci facevano una

figura ingenua: io volevo portare l’amicizia a delle confidenze che non sono a loro posto che nell’amore: e qualcuno me le respingeva con garbo, qualc’altro mi spiegava crudelmente la stonatura con mia grande vergogna. Quindi m’è restata una diffidenza d’esprimere i miei sentimenti in genere che qualche volta mi fa fraintendere?.

È forse questo momento di autoanalisi che, da solo, chiarisce non tanto l’«inestricabile confusione» o il non saper definire «che razza di bene» vuole all’amica, ma particolarmente

quanto le scriverà alcuni mesi dopo, il 6 giugno 1917: Con voi vorrei fare le belle passeggiate, e baciarvi le mani con quel dubbioso amore d’amicizia e di intimità che sapete. "> smx

Dalla prima lettera inviata dalla zona di guerra si avverte in Baldini una maggiore propensione alla confidenza, un accentuato desiderio di parlare della sua nuova situazione personale e dell'impatto con l'addestramento militare e la guerra, nel rimpianto di quanto ha lasciato. Non è da escludere che, non hanno, si può dire, avuto riposo, se non appena qualche settimana di veramente candida vita all’ospedale»). 51 Lettera, inedita, del 19 settembre 1914.

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indirettamente, abbia contribuito in questo Vincenzo Carda-

relli — della cui personalità molto Baldini risentiva? — che aveva mostrato di non apprezzare il tono scorato e disperato in quello che scriveva ad Elvira Cecchi” e lo aveva invitato ad un maggior controllo di sé. Le parole dell’amico non caddero nel vuoto se in seguito, e per quanto gli era possibile, Baldini cercò di contenere l’angoscia di quel suo primissimo tempo di guerra”; successivamente, pur non facendo la noia o i disagi a cui era sottoposto, tenterà comunque di apparire più sereno” tanto che il 31 luglio scrive ad Elvira Cecchi: «Ma oramai se penso a questi miei scontenti mi faccio ribrezzo: mi par quasi solo fiacca e bambinaggine»*. In quello stesso giorno, però, nella prima lettera a Sibilla confida come gli sia impossibile, per la totale mancanza di «serenità di spirito», dire di sé dal momento della partenza ad allora; oltre alla scontentezza verso se stesso per la «debolezza e incapacità di capire» la vita di un tempo che vedeva soltanto piena di «privazioni immondizia e cattiverie», le parla della sua incapacità a scrivere: 52 Sul rapporto di amicizia tra Cardarelli e Baldini, cfr. lettera 5, nota 1; lettera 6, nota 1.

53 Così, il 14 giugno, Cardarelli a Baldini: «Ti dico che abbiamo letto [con i Saffi] la tua prima lettera e ci siamo abbastanza commossi.

Ma in seguito bisognerebbe che tu facessi qualche sforzo per scrivere alla tua fidanzata più allegramente possibile (più paganamente); e non c’è bisogno che te ne dica la ragione.Tu sai quanto questa figliola ti vuol bene e devi immaginare l’effetto delle tue parole su lei. Ti parrà strano che io non sappia darti che queste raccomandazioni di prudente energia, a te che più di tutti noi in questo momento stai nella realtà del destino, ma capirai che dicendoti ciò non è soltanto alla tranquillità della ragazza che io penso; è anche un po’ di rassegnazione che vorrei indirettamente comunicarti, un po’ di fatale fiducia!» (V. CARDARELLI, Epistolario, cit.,

vol. I, p. 434). 5 Il 20 giugno, infatti, dopo aver ricevuto la lettera di Cardarelli, dice alla fidanzata di aver trovato «un po’ più di resistenza alla tristezza e di calma» mentre le confida di essersi pentito della «debolezza» che ha «lasciato riflettere nelle prime lettere». Lettera inedita. 55 Il 1° luglio scrive: «ma sempre tutto va fatto con lietezza e rassegnazione. E se dalle mie qualche cenno dello sconforto trapela, sappi che poi me ne rimorde». Lettera inedita. s6 Lettera inedita.

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Probabilmente un giorno lontano o vicino ritorneranno a galla impressioni enormi, caotiche, folli: già me ne tre-

mano i polsi, per quel buon giorno che mi parrà di dover cedere alla penna: ma per ora niente di meno possibile. Il mio sonno è stato interrotto da fantasmi reoppo più forti di me: confiteor”. Alle molteplici incertezze di Baldini, Sibilla, nella sua sol-

lecita premura di avere notizie dell'amico che non aveva neppure potuto salutare, risponde con le sue certezze: Ho fede in quel che verrà da voi” e ancora:

Fra 1 miei amici siete e sempre sarete ben distinto, il caro

timbro della vostra anima sempre la riconoscerò, Baldini*°

in cui l’iterazione dell’avverbio temporale diviene spia di quello che sarà, nell’arco di quei due anni, il ruolo assegnato da Baldini (e del resto chiaramente offerto da Sibilla) all’amica at-

tenta e disposta ad ascoltare, comprendere, aiutare e sorreggere, magari soltanto con «la strana speranza» — o sogno — di vederla arrivare a Cormons: «Sibilla in zona», le scrive il 17

agosto 1915, «un pensiero d’appoggio per tirare innanzi questa vita che gli s’è fatta assai monotona»; ma non deve essere stato il pensiero d’un momento se quasi due anni dopo sarà proprio lui a tornarvi con la mente: Vi ricordate quei primi mesi della guerra quando vi scrivevo di venire in zona di guerra? Era un poco folle il vostro amico [...]"".

57 Lettera 12.

58 Avrebbe dovuto incontrare Baldini proprio la sera del 23 maggio (cfr. lettera 7). 59 Lettera 13 del 7 agosto ’15. 60 Lettera 15 del 21 agosto ‘15. 61 Lettera 36 del 21 febbraio ’17. 25

srx

2x

Comprensibile lo sfogo di Baldini in quei primissimi mesi

di guerra e di solitudine, ma molto più significativo — ai fini di

una definizione del rapporto che si era stabilito tra i due corrispondenti — quanto egli comunica nel suo periodo romano di congedo e di convalescenza, in seguito alla ferita riportata sul San Michele il 3 novembre del ’15. Dopo un silenzio di alcuni mesi, ad eccezione di una lettera, nel dicembre, dal tono frettoloso e forse reticente® in cui ritorna ancora una volta lo iato passato-presente, inteso sempre, il primo, in una connota-

zione positiva Mi pareva quasi d’aver rinunciato alla vita, gli ultimi tempi: che furono i più allegri e trionfanti®,

riprende il colloquio con l’amica e la rende partecipe dei propri dubbi e tormenti, collocandosi tra 1 pochi reduci d’un’età letteraria qual’ è stata, né contenti né abusati, buoni ancora a profittarne ma validi anche pel

futuro ignoto”.

In quell’«ora di terribile sospensione», in cui si «scoprono fraternità» e «anche serene inimicizie», entra in discussione

anche ogni progetto letterario: Tutto il difficile e tutto il facile che oggi penso dell’arte mi tiene cauto cauto, come imparassi adesso l’alfabeto®.

Non ha più scritto «un rigo [...] da che la guerra è scop62 Baldini stava attraversando un ulteriore periodo di disagio, in cui, oltre all’andirivieni tra gli ospedali per le cure alla ferita riportata alla spalla sinistra, aveva finalmente concluso la sua lunga vicenda di studente universitario, laureandosi con una tesi sull’Ariosto.

6 Lettera 17 del 6 dicembre ’15. 6 Lettera 21 del 15 febbraio ’16. 65 Ibid. i 26

piata»; rilegge Ibsen («così chiaro»), parla delle riproduzioni di Goya («che tragico uomo anche lui») e infine lo sfiduciato Baldini confessa all’amica E sì che non chiederei che d’aprirmi con voi: ma ‘non mi

fido’, come dicono i soldati che si buttano per il peso dello zaino”.

Soltanto tre mesi dopo, sollecitato due volte da Sibilla che lo spinge a cercarla invitandolo a Firenze, messa da parte la diffidenza, chiede di vederla e le anticipa il suo malessere (lettera 24): Non mi fido di scrivere una frase perché ho perduto ogni fiducia nei colori [...]. Faccio delle letture graziose di Ste-

venson e Gogol che mi fanno disperare di poter più trovare gioia nella penna mia. L'incontro fiorentino del maggio 1916, desiderato e richiesto da Baldini, e da lui poi evitato, costituisce non tanto

un episodio di incomprensione, quanto piuttosto l’ulteriore conferma di un’inquietudine e di una scontrosa cautela: dalla corrispondenza con la fidanzata e con Emilio Cecchi risulta che in quei pochi giorni trascorsi a Firenze Baldini avesse incontrato, in uno stato d’animo sereno, sia Papini e De Rober-

tis, sia l’amico Balducci al campo di addestramento a Borgo San Lorenzo; ma, dopo aver mancato all’appuntamento con

l’Aleramo, che con premurosa sollecitudine gli aveva scritto

66 Della sua sfiducia parla lo stesso Baldini in situazioni ed epoche diverse, come ad esempio con Elvira Cecchi: «m'è restata una diffidenza d’esprimere i miei sentimenti in genere che qualche volta mi fa fraintendere», lettera, inedita, del 19 settembre ‘14; e nel ’19 in «Batti ma

ascolta» (Premessa a Umori di gioventà, cit., p. 11): «alcune di queste pagine [...] ricordavano con troppa insistenza all’Autore certi sogni andati a male, che son poi quelli che hanno fatto di Lui un individuo abbastanza malfidato». 6 Lettera 21. 68 Cfr. lettere 24, 25, 26.

DI

M'ha dato, mi dà un acuto dolore il sospetto d’esservi apparsa, che so? indifferente o stordita o magari cattiva,

dandovi appuntamento soltanto per la sera dopo che m’avevate detto che m’aspettavate da tre giorni e che eravate annoiato [...] resto in pena pensandovi”,

quanto dirà a Sibilla il 22 maggio ’16 rivela, al contrario, forte disagio e ansioso sgomento ed anche radicata sfiducia se poi, una volta confortato e incoraggiato dall’amica, ammetterà: Io comprendo che se la vostra bontà può molto comprendere, pur’è necessità vostra una continua fede — e capivo confusamente che non ci avrei guadagnato nulla a farmivi presente in questa misera condizione. L’accorata lettera di lei ha dissolto il dubbio o il timore di non essere ascoltato e capito:

Io sono agitato da una cattiva inquietudine, come veramente per una parte di me che ha perso ogni fiducia. La terra non mi regge.

Un Baldini inquieto e irrequieto confida che non ha saputo aspettare perché «tutte quell’ore del pomeriggio da solo gli mettevano spavento; nei sogni qualche volta si prova questo grosso terrore, acida pena»; ripercorre la sua giornata fiorentina e la sua angoscia Ricordo che andai a Pitti, per aspettare: ma di fronte a quelle cose pure sentivo proprio le rabbie degli esseri in-

feriori: dai finestroni vedevo quelle colline perfette: e la sete di non potermi adattare alla bellezza, m’à cacciato via subito da Firenze, furioso

e, forse meravigliato egli stesso, chiede alla donna se non le sembri «strano» vederlo «in questi eccessi» (ma è come se lo chiedesse a se stesso): 69 Lettera 25 del 16 maggio ’16.

28

Eppure l’avrete sentita nell’aria questa crisi d’impotenza italiana, di tutto l’anno, anche voi cara, che ci salutammo

così lieti di quei giorni di maggio, sulla riva di tanti terrori. La realtà mi ha sfiancato.

Sibilla, come già l’anno prima, partecipa ai suoi tormenti e trova parole che possano dargli sollievo e forza: E se m’aveste parlato da vicino, anche la vostra inquietudine, mi pare, avrei trovato chiara, indice di potenza non di stanchezza.”

Per liberare l’amico dal sospetto di non essere compreso e dal timore di essere giudicato, amabilmente lo rassicura: Questa vostra lettera, ora, bella, come ogni nostro incontro, sapete d’averla scritta? Sapete che altre ne ricordo, rare, che han solcata la mia giornata d’intima festa? C'è in

tutte lo stesso abbandono, quel parlarmi grato come a una cosa di vita, come a voi stesso. Più che fiducia. Le parole le abbiamo, forse, tutte valicate. Caro Baldini.”

L’ultimo incontro dei due amici, nel luglio del 1916, rap-

presenta ancora una volta un momento significativo per entrambi. Se nel maggio del ’15 era stato l’episodio ultimo prima della bufera della guerra, questo — ora — costituisce un ulteriore

70 Lettera 28 del 23 maggio ’16. 71 Ibid. Anche nei mesi seguenti Sibilla sarà pronta a cogliere i difficili umori dell’amico, non lasciando cadere nel silenzio neppure la minima, e implicita, richiesta di attenzione: quando le scriverà (lettera 30

del 22 luglio ’16) «E poi vedo che alle mie malinconie la gente non ci sa credere (sta a vedere che mi sbaglio a sentirmi sfatto come una carogna...)», risponderà subito «Perché mi dite che alle vostre malinconie non so credere? Pensate che vi voglia bene proprio soltanto per le cose belle che di me sapete dirmi e scrivermi?/Ma ho fede che vi ritroverete/Mi siete presente» (lettera 32 del 28 luglio 16).

ae)

spartiacque altrettanto determinante nella vita sia di Baldini che dell’Aleramo. Dopo la passeggiata attraverso i colli fioren-

tini (la luce e il verde della natura sono la ricorrente cornice dei

rarissimi incontri) dove tutto sembra fermo e sospeso nel caldo estivo e nella pace della campagna, vicende particolarmente incisive si stanno preparando per entrambi. In agosto Sibilla incontrerà Dino Campana e con lui vivrà, per oltre sette mesi, un tormentato e tempestoso rapporto d’amore; in agosto Baldini perderà il padre’??: un nuovo strappo nella sua vita, ancora più doloroso di quello datogli dalla guerra. Non c’è più tempo per divagazioni personali né per annoiate giornate romane, com'era stato nel periodo della convalescenza; costretto

a provvedere alla famiglia, ritorna all’attività giornalistica iniziata alla vigilia della guerra: non ho certo tempo da dare alla letteratura adesso, potete crederlo: sono capo di famiglia. E forse appunto per questo vedrete presto roba mia sui giornali. Ma con che cuore!

scrive a Sibilla il 26 agosto del 16 . Pochi giorni dopo riprende, infatti, la collaborazione all’«Idea Nazionale»: del 10 settembre è Noviziato, che inserirà poi in Nostro Purgatorio, del 15

Anima pura nell’anniversario della morte di Ruggero Fauro e del 24 San Michele. Primi gusti, anch’esso confluito nel diario 72 Baldini, e probabilmente a lui soltanto, l’Aleramo comunica «Non so se m’incontrerò, in questo soggiorno [a Borgo San Lorenzo] con Campana, ch’è un poco più su di Marradi, a Rifredo di Mugello, e mha scritto due cartoline squisite» (lettera 31 del 27 luglio 1916) dopo l’invito del poeta, giuntole proprio quel giorno e che, certamente, aveva già deciso di accettare, come risulta da quanto rispose a Campana il giorno successivo (cfr. nota 2 della lettera citata). L'incontro di Sibilla con Campana ed il lutto di Baldini avvengono nello stesso periodo e per alcuni mesi, dall'agosto del ’16, la corrispondenza si interrompe; ma l’A-

leramo ha comunque presente l’amico se , in settembre, chiede a Campana di spedire a Baldini una copia dei Canti orfici (cfr. D. CAMPANA,

Souvenir d’un pendu. Lettere 1910-1931, a c. di G. Cacho Millet, Na-

poli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1985, pp. 197-198. Cfr. anche nota 5 alla lettera 31).

30

di guerra. In ottobre accetta di partire, con l’incarico di corrispondente dal fronte per lo stesso giornale, e dal 21 ottobre è a Udine, all'Ufficio Stampa del Comando Supremo. Il primo articolo è del 26 novembre (I/ piede dello spalto), poi Gorizia e S. Marco del 29 novembre, Inverno caldo del 3 dicembre, in-

fine Ora del cielo del 14 dicembre. Non scriverà più a Sibilla per mesi e mesi, in quel lungo periodo di assestamento e di difficoltà”. Sostituito all’improvviso nell’incarico verso la metà di dicembre da Monicelli, pur con qualche vaga possibilità di rima-

nere al giornale anche come collaboratore da Roma, Baldini preferisce lasciare la sua «inumana posizione» all’«Idea Nazionale»” e, con l’aiuto di Civinini, Ojetti e Barzini, prende accordi con Giovanni Beltrami, condirettore della casa edi-

trice Treves, e dal 31 dicembre inizia la sua lunga collaborazione all’«Illustrazione Italiana», scrivendo poco dopo, anonimamente, anche per «Il Resto del Carlino». Con la famiglia, pur manifestando qualche insoddisfazione, appare tuttavia relativamente più tranquillo sul genere di lavoro che deve fare: ma è quello che scrive agli amici ‘letterati’ che più precisamente definisce il disagio profondo della sua condizione”, di cui fa partecipe l’Aleramo il 21 febbraio 1917: 73 Dalle lettere ad Elvira Cecchi, che spera di sposare quanto prima, Baldini appare annoiato, inquieto e in disaccordo con tutto, disorientato per la partenza da Roma e dagli affetti. E incapace ad adattarsi al lavoro che deve svolgere: «si va tutto il giorno a caccia di notizie. Mestiere che non mi va assolutamente, pieno di cretinerie e avvilimenti. Mosche importune che siamo. Io non riesco a scrivere; eppure bisogna. Ho cominciato a mandare delle ignobili cronache al giornale, e vorrei che tu non le vedessi. Crederanno che lo faccia per dispetto» (3 novembre ’16). Definisce il suo lavoro «disgraziato [...] Ogni periodo scritto mi è restato attraverso per la gola come un nodo di disgusto. Adesso ci ho fatto il palato e forse andrà meglio d’ora in poi» (1 dicembre). Lettere inedite. 74 «[...] dove non riescivo né carne né pesce, dove mi volevan guarire a ogni costo dalla mia letteratura». Lettera, inedita, del 18 dicembre

ad Elvira Cecchi. 75 Incide sullo stato d’animo il sentirsi in colpa per aver accettato

all

Io sto quassù imbestialendomi contro i primi problemi

della vita pratica che mi si sono presentati, ahi quanto volgarmente. Il tempo di prima lo ricordo come un mezzo paradiso riservato e raffinato.

Molto dure le parole che Baldini riserva al proprio lavoro, con un atteggiamento di disgusto, di totale rifiuto e quasi di vergogna. Se a Papini dice che si «leva dalle cartelle scritte come da un brutto incesto» anche a Cecchi confida il suo sconforto: Io non so quali pregiudizi sciocchi ci siano in me, ma quando pur io mi trovo a scrivere di queste terre inguer-

rite sento come un comando interno di non farne parola: poi mi tocca, ma costretto. E perciò m’ha anche meravigliato e quasi dispiaciuto quello che mi hai scritto, di leggere con piacere le cose dell’Illustrazione: che vorrei che non fosse vero, tanto mi stanno come una punizione sull’anima, come tradimenti, direi [...]. Io sono stanco, affaticato, indispettito, impaurito, scorato, invelenito, odioso

- sull’orlo di tutte le prostituzioni.”

Di fronte alle articolate obiezioni dell’amico, Baldini preferisce non tornare sull’argomento”. Non così con Sibilla (lettera 46) Resta la pena di esprimermi, che dal giorno che ho fatto

l’incarico all’«Illustrazione Italiana» non solo per necessità, ma anche perché aveva ritenuto opportuno trovarsi in zona di guerra, essendo stato informato che per i corrispondenti dal fronte sarebbe scattato l’esonero allo scadere del congedo; inoltre aveva accolto come veritiere le voci che davano la guerra ormai in fase conclusiva, secondo quanto scrive il 22 dicembre ad Elvira Cecchi (lettera inedita). 76 A. BALDINI-G. PAPINI, Carteggio (1911-1954), cit., p. 56. 77 Cartolina postale, inedita, del 30 marzo 1917.

78 «Per non sbagliare, non ti scriverò nulla di me», gli risponde il 15 aprile successivo (cartolina postale inedita). Ma il 30 maggio non si trattiene dal comunicare laconicamente all’amico: «mi sputtàno a rota libera» (cartolina postale inedita).

oz

dello scrivere un mestieraccio mi pesa come una grave condanna, perché voi sapeste di che cosa mi tocca occuparmi e le cose vane che mi tocca dire e su quali giornali riversare i rivoli della mia incompetenza! Il ricordo di certe amicizie certe volte mi urta quasi come un rimprovero e una accusa di tradimento,

ed aggiunge, ancora una volta attraverso la consueta antinomia tra passato e presente: la mia penna era allora [l’anno precedente] rivestita d’amabile ruggine. Godevo dell’astinenza letteraria come

d’una dolce espulsione scherzosa. Oggi l’inchiostro mi dà pane e dà pane alla mia famiglia.

Sulla sua condizione di quel periodo tornerà più compiutamente nel 1920, nella Nota a «Quota Magnanapoli», in cui dichiara come e perché scrisse, nel ’18, quella prosa: fu buttata giù [...] proprio al culmine d’insofferenza delle condizioni nelle quali mi finiva d’ammazzare la guerra dopo tre anni di campagna, d’ospedali, di visite mediche,

di giornalismo, di Comando Supremo, di censura militare, di bombe d’aeroplani, d’imboscamento e d’esonero; e scritta con un desiderio iroso, con un anelito sfiduciato

verso la vita di prima, verso la bella libertà e i begli studi [...] e i dolci amici che potevano ancora applicarsi alle belle lettere. Il mestieraccio che mi toccava durare, le sfac-

ciate frettolose importune ridicole inchieste fatte sul posto dopo i fatti d’arme più insignificanti, la galera del tele-

grafo e del treno a ora obbligata, la censura rincoglionita dall’abuso, la temuta concorrenza degli altri giornali, i

rimproveri dei signori direttori, la brutta figura fatta con tutti e, porca miseria, quattro anni lontano da casa, — tutto

questo aveva portato la mia stanchezza a un termine insostenibile”.

79 In Umori di gioventà, cit., pp. 237-238.

33

Oh mio Baldini, è molto meglio che non vi parli della mia vita e del mio lavoro. La mia vita non è mai stata così desolata — e non so più lavorare. Per qual miracolo 10 non

mi sia ancora gettata da questo settimo piano sul lastrico del Lungarno, chi me lo dirà? [...] Sto veramente male, Baldini. Ho paura. Se sapeste il coraggio che mi fo da sola

e come lotto, e come voglio credere alla mia forza ancora... Ho vissuto sei mesi di martirio, appetto a cui tutto

ciò che avevo prima sofferto m’è parso gioco [...] perdonatemi, Baldini, statemi vicino qualche poco".

Alla lettera di Sibilla, così disperata, scritta dopo il definitivo distacco da Campana, Baldini però non rispose mai"; se da parte di lei ci fu rincrescimento per il suo silenzio (i «lunghi silenzi» baldiniani*) non lo manifesta ed anzi dirà di essersi

«tanto pentita d’avergli mandato» quella «lettera tetra»; attenta alle malinconie dell’amico, questa volta espresse ad Emilio Cecchi*, tiene a precisare: Son ancora triste, ma di quella tristezza ormai quasi di nuovo chiara, ch’è la mia natura stessa,

porgendogli di sé, come di consueto, l’immagine vitale che Baldini preferiva vedere.” Difficile interpretare o capire se e come Baldini abbia in80 Lettera 37 del 26 febbraio ’17. 81 Scrivendole il mese dopo, la invita soltanto a mandargli «bei versi [...] da fargli piacere», le augura «buon umore» e ritorna al suo ‘io’: «Qui comincia primavera e vorrei la pace» (lettera 39, del 17 marzo

1917).

|

82 Cfr. lettera 21. Anche ad Emilio Cecchi, tre mesi dopo, chiederà

di essere perdonato per i suoi «lunghi silenzi». 83 Cfr. lettera 40, nota 1. 8 Ibid. A Baldini, che l’anno precedente l’aveva definita «viva»,

tale — pur in questa sua «primavera incerta» — intende riproporsi: «E sgridatemi se mi sentite meno viva».

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teso la richiesta d’aiuto dell’amica, dal momento che con Emilio Cecchi definì «niobea» quella lettera*; indipendentemente

dalle motivazioni su quanto scrive a Cecchi, il silenzio su questa lettera, come sulle pochissime in cui Sibilla gli rivela un suo disagio o dolore, consente di definire il rapporto d’amicizia tra i due corrispondenti fortemente caratterizzato da una unilaterale richiesta di conforto e di comprensione da parte di Baldini: il quale, se nell’aprile del ’15 aveva mostrato di parteci-

pare alle difficoltà della donna («povera figlia», aveva esclamato durante l’incontro al caffè Faraglia), da allora in poi sembra — volutamente o no — incapace di quella stessa sollecita vicinanza che chiedeva o si aspettava da lei. Tanto che il dialogo diviene molto spesso monologo in cui Sibilla, con discrezione, si pone in disparte adempiendo al suo compito che è quello di ascoltare e sorreggere senza interferire, con i propri,

nei problemi dell’amico, forse ben consapevole di quanto diverse e più gravi fossero le difficoltà e la situazione di lui. Lo dimostra il silenzio sui suoi disagi personali di cui, molto raramente, fa soltanto cenno, come in occasione del trasferimento

a Milano, nel dicembre del ’15 (lettera 18) sono sbalzata a Milano, dove m’hanno proposto un lavoro oscuro, anonimo, che, dati i tempi, ho creduto di

dover accettare. Ma si stava meglio ad Assisi [...] Scrivetemi, che adesso sono io il soldato,

a cui Baldini risponde con una cartolina di auguri di fine anno. Dal suo rifugio in Valsesia, dopo l’incontro con Campana al carcere di Novara” l’11 settembre del ’17 e dopo la disfatta di 85 Cfr. nota 4 alla lettera 36. Nel suo rapporto epistolare con Cecchi, Baldini non aveva fatto mai, fino ad allora, alcun riferimento all’Aleramo. 86 Cfr. lettera 5. DA i 87 Cfr. lettera 47, in nota. Sull’episodio tace con Baldini, con cui del

resto non aveva mai detto nulla in proposito, tranne che nella lettera del 26 febbraio ’17 e in quella dell’aprile, sempre del ’17, in cui manifesta la

vaga eventualità, che poi esclude, di riprendere la «vita fra i boschi, con

l’uomo boschivo» (lettera 40 del 1° aprile 1917). Eppure a Emilio Cec-

39

Caporetto, lucidamente definisce i limiti della reciproca differente condizione: Vorrei dirvi: sentitemi vicina; ma voi sorridereste; c’è tanta enorme distanza, poveri noi, fra questo squallore

dorato del lago e dei monti, questa muta domanda tutto intorno, e la febbre tremenda in cui vivete".

Ed è questo affettuoso interessamento di Sibilla a determinare l’ultima lunga confidente lettera di Baldini all’amica, che attesta in lui una più serena accettazione della realtà e il superamento di molti dei suoi «scontenti»: forse non è un caso che, più o meno proprio in quei giorni, avesse deciso di raccogliere in volume quelle pagine scritte sull’«Illustrazione Italiana» che tanto aveva disprezzato sino a poco prima”. In uno stato d’animo mutato, partecipa all’amica le sue riflessioni dopo la tragedia della disfatta (lettera 51) Abbiamo tutti sentito che cosa volevano dire gli avvenimenti di queste due ultime settimane: la storia di ieri che si svelava e si tradiva, le forze reali e le forze posticce che lottavano orrendamente: il destino d’Italia, e la retorica

d’Italia avvinghiati strettamente sull’orlo di un lamentevole precipizio

chi, al quale invece aveva scritto subito da Novara, confida il 21 settem-

bre: «Ma sapeste come tutto m'è indifferente. Tanto che non può durare, e mi dico, come dormendo, che qualche urto da un momento all’altro accadrà. Non ho più lavorato [...] Qui sono atona [...] Stasera vorrei che

ci fosse qui Baldini» (D. CAMPANA, Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a c. di G. Cacho Millet, Milano, Scheiwiller, All’Insegna del pesce d’oro, 1978, p. 81, in nota).

88 Lettera 50 del 5 novembre ‘17. 89 Il progetto nasce verso la metàdi ottobre e sembra concretizzarsi nei giorni immediatamente precedenti alla disfatta di Caporetto, che lo farà, evidentemente, rimandare. Scrive infatti ad Elvira Cecchi il

15 ottobre: «Proporrò quanto prima un libro a Treves»; e il 22 ottobre: «Ho combinato con Beltrami per la pubblicazione d’una scelta degli scritti dell’Illustrazione, e quanto prima mi metterò al lavoro» (lettere inedite). L’anno dopo Baldini darà alle stampe Nostro Purgatorio.

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ed il suo coinvolgimento personale, tanto diverso dalla estraneità di un tempo: sono passati quei giorni tremendi che non sapevo se

amavo o se odiavo la patria. Questa patria che può parere così lontana dal cuore e che nei momenti gravi è tutt’una disperata cosa da difendere col cuore nostro.

È quanto ritroviamo, a proposito di quei giorni, in Nostro Purgatorio: Io non so e non voglio dimenticare quello che ho patito nei giorni tremendi che abbiamo passato. Agghiacciata e ribelle l’anima all’annuzio funesto, il tormento forse più insostenibile di quelle ore fu questo: nella faccia d’ogni italiano che s’incontrava per via voler quasi leggere i segni dell’orgoglio punito, della fellonia convinta. Fui martire d’una livida allucinazione. Per ore e ore credetti che non ci saremmo più riavuti, credetti davvero che la mia generazione fosse condannata a finire così, che noi non ce l’a-

vremmo fatta a diventar vecchi. Mi sentivo precipitare in un futuro tetro [...]

Mai e poi mai sapevo di portare la gelosia della Patria così in profondo”.

Un Baldini più positivo , ma nella sua dolente e amara riflessione su quanto è accaduto, ancora cauto e scettico

e si ripiglierà la marcia con qualche cautela in più e qualche sogno in meno [...] E gli sbagli ci stanno apposta per essere dimenticati”,

che, distogliendo poi la mente dal presente, torna al suo ‘privato,’ ad un non meglio definito «sogno lontanissimo dalla realtà» a cui se ne sovrappone un altro («vedo la mia Sibilla un

po’ come in un sogno») forse altrettanto indefinito e ormai

90 Nostro Purgatorio, cit., pp. 257-259. % Lettera 51. 37

così tanto lontano dalla realtà in cui vive, da non saper datare

con esattezza gli ultimi incontri con lei; si confessa ingenuo ed impreparato «allora», in quel maggio del ‘15 («che pratica volete che io avessi della storia che vuol partorire”?») mentre

fissa una volta per tutte il fatto che, più di ogni altro, lo ha staccato definitivamente dal suo ‘io’ di prima: quel lutto [la morte del padre] ha finito col mettere un’immensa distanza fra me e il mio passato: e non sono io che mi sono allontanato dal passato che amo”.

E se del suo progressivo cambiamento aveva parlato con l’amica già 1’ 8 maggio del ’16

mi sento saggio e stanco, un po’ feroce, molto svogliato: a meno che non siano tutte nuove ingenuità e nell’aprile del 17 mi son fatto cattivo, svogliato e grasso da non vivere più: m’accosto alla saggezza del vostro infernale Lao-Tse che per quanto mi ricordo doveva essere un uomo di carattere amaro e verde, su quei mutamenti ritorna ora con un tono forse meno acre

Sono forse più perfido e guardingo, ma forse anche più buono. Più politico, e al tempo stesso più sincero”

9 Ibid. Molti anni dopo, nel rievocare il suo primo contatto con i vociani, dirà: «l’inebriante sensazione d’essermi immerso anch'io nel fi-

lone centrale della storia del mio tempo che stava facendo se stessa» (A. BALDINI, Firenze dei buoni incontri, nel Libro dei buoni incontri di

guerra e dipace, cit., p. 580). % Così aveva scritto il 7 dicembre del ’16 ad Elvira Cecchi a proposito del primo periodo come corrispondente di guerra: «È stata infine la mia primissima lezione di vita: dopo la morte di Papà. Anche quando andai soldato ero leggero di tutte le nuove cose e responsabilità che m’hanno aggravato ora per non averle mai conosciute prima» (lettera inedita). % Lettera 51.

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che anticipa quanto dirà in Nostro Purgatorio: Fatto sta che vedo le cose altrimenti, e le giudico altri-

menti. Mi trovo — mi si perdoni l’ingenuità — al tempo stesso più buono e più cattivo, più incuriosito della vita e

più d’accordo con la vita, più ritegnoso e più affermativo, più scaltro, più avido, risoluto”.

Rievocando le sue trascorse incertezze , gli preme ora comunicare le certezze acquisite, in un presente in cui per la prima volta distingue qualcosa di definito e sicuro: Non so che volevo e che speravo , una volta! So che ora voglio un bene geloso ai vecchi amici: voglio bene all’amicizia, come un saggio. Cara Sibilla, siatemi la buona amica memore di sempre.”

Inevitabile che, con la consapevolezza raggiunta attraverso difficili prove e contrastanti e altalenanti scarti umorali, Baldini si distacchi, oltre che dal suo «scontento» precedente,

anche da una presenza femminile che di quel faticoso percorso era stata non soltanto compagna di strada, ma anche figura metaforica di un’età giovanile inquieta, in cui forse il letterato non sempre era riuscito del tutto a separarsi dall’uomo e viceversa. A Sibilla, il 22 maggio del ’16, aveva scritto ci salutammo così lieti di questi giorni di maggio, sulla riva di tanti terrori

segnando in quell’immagine la linea di confine tra un passato non facile e un drammatico presente. Esattamente un anno dopo confiderà ad Elvira Cecchi Sento che bene o male sono montato in barca, l’altr’anno stavo ancora incerto sulla riva”,

9 Nostro Purgatorio, cit., pp. 2-3. 9% Lettera 51. Nel febbraio, invece, le aveva scritto: «Io vi voglio

bene e non so che razza di bene vi voglio». 9 Lettera, inedita, del 27 maggio ‘17.

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quella stessa «riva» oltre la quale lasciava definitivamente le insoddisfazioni, i dubbi e gli «umori» di una stagione conclusa.

Dopo il 1918 il carteggio assume un carattere totalmente diverso ed il rapporto epistolare, vivendo entrambi a Roma (Sibilla nel 1926 si stabilisce nella soffitta di via Margutta), si fa

più sporadico: ma la frequentazione, personale o telefonica attestata dai documenti e da testimonianze dirette di amici e familiari, è durata nel tempo”. Le lettere non hanno più la peculiarità e il tono delle precedenti sia da parte di Baldini come dell’Aleramo, che già dal silenzio di lui nel ’18 aveva intuito l’inizio di un cambiamento: proprio l’unica lettera di quell’anno chiude la fase più intensa del carteggio e, nella sua brevità, è indice di una situazione ormai mutata: Mio Baldini,

m’avete davvero dimenticata? [...] Ci rivedremo? La mia memoria e la mia amicizia sono costanti”.

Ma la condizione personale di Baldini si era radicalmente modificata, sia nel suo intimo per il superamento delle incer-

tezze ed inquietudini del passato, sia a livello privato avendo trovato nel matrimonio (avvenuto nel gennaio del ’18) un

equilibrio tanto ricercato e rinviato dalla situazione bellica, sia infine in quello professionale, con la pubblicazione di Nostro

® Lo testimonia la figlia di Baldini, Barberina Ceradini, che ricorda le visite di Sibilla come fatto normale e continuato, tanto che i ra-

gazzi Baldini la chiamavano comunemente ‘zia Billa”. Ulteriore conferma della familiarità dell’Aleramo all’interno del nucleo baldiniano anche l’ultimo documento del carteggio, quella cartolina del ’55 da Bari

inviata ad Elvira ed Antonio Baldini da Sibilla e da Flaminia Capranica

del Grillo, vedova dell’unico fratello della moglie di Baldini, Alberto Cecchi. 9 Lettera 52 del 15 settembre ’18.

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Purgatorio ed un’attività giornalistico-letteraria che aveva imparato ad accettare e apprezzare. Dal ’19 in poi lo scambio epistolare, pur mantenendosi su toni di reciproca stima, attesta richieste e sollecitazioni da una parte, dall’altra cortesi rifiuti nonché toni, se non sbrigativi, certamente frettolosi'® che rasentano, talvolta, la pura forma-

lità, con qualche rara eccezione, come ad esempio quando Baldini ringrazia l’amica dei libri che costantemente gli inviava con dediche affettuose e memori dell’«antica amicizia»',

i 100 Baldini non è stato, però, un frettoloso o disattento lettore dell’Aleramo, come è già stato osservato da L. GUICCIARDI, Il ‘Fondo Bal-

dini’ della Biblioteca Comunale di Sant'Arcangelo (con postille e documenti inediti), «Otto/Novecento»,

n. 2, marzo-aprile

1986, p. 149.

Dalla nostra ricognizione delle postille baldiniane ad alcuni testi dell’Aleramo risulta inequivocabile una puntuale lettura da parte di Baldini non solo delle opere del primo-periodo ma anche di quello successivo. Ne sono conferma le numerose postille in Sì alla terra e nel Diario, pubblicato da Tumminelli nel 1945, su episodi e amici comuni. Valga per tutti il ricordo su Panzini (cfr. lettera 78, nota 2). Baldini, se apprezza le liriche di Sibilla per la semplicità, la purezza d’animo e d’intenti e la chiarezza, non nasconde perplessità e riserve (come del resto aveva già fatto con l’autrice nel ’15) per altri scritti di lei: sul testo de // frustino non risparmia punti interrogativi o segni certamente di disapprovazione, sino al severo giudizio (che Guicciardi definisce «impietosa postilla della chiusa») al termine del libro: «tentativo di/staccar da/sé il fatto, /ma non ci riesce, /cerca di farsi la corte/ di piacersi di mandarsele/tutte buone, di

mantenersi sul trono». 101 Cfr. lettere 6, nota 5; 30, nota 1; 56, nota 1; 58, nota 2; 67, nota 1;

68, nota 1; 69, nota 2. A cui si aggiungono, nel ’32, // frustino («ad Antonio Baldini, Sibilla Aleramo/Milano 16 maggio 1932/Caro Baldini, ho scritto ieri alla Fiera del Libro non so quante dediche — perdonate se oggi metto qui soltanto il vostro nome, infido ma sempre caro!») e la ristampa del Passaggio («ad Antonio Baldini, auguri per /l’Anno Nuovo/da/Sibilla Aleramo/Roma, 31 dic. 1932-XI»). Inedite. Nella biblioteca di Baldini — Fondo Baldini — si trova praticamente l’intera produzione dell’ Aleramo, ad eccezione di Liriche, con fregi di M. Cascella, editore ignoto, 1925; Il mio primo amore, Roma, Ed. «Terza pagina», 1924; Endimione, Roma, Stock, 1923, di cui però esiste la dedica presso l'Archivio Baldini (cfr. lettera 56, nota 1); Selva d’amore, Milano, Mondadori, 1947, che comunque a Baldini fu inviato (cfr. lettera 77); Il

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Nel ’34 trova in Sì alla terra «l'accento squillante e la mu-

sica delicata delle [...] cose migliori» di Sibilla e in Orsa mi-

nore, più laconicamente, «molte cose felici» che pur gli risvegliano «nella memoria» immagini del paesaggio napoletano (lettera 68); però alle richieste di suoi interventi critici o di pubblicazione di articoli e poesie sulla «Nuova Antologia», di cui dal ’31 era redattore responsabile'®, risponde immancabilmente o con significativi silenzi (l’Aleramo, ben conoscendolo, giustifica con la nota «pigrizia» di lui il disimpegno su promesse fatte) oppure con gentilissimi ma fermi rifiuti , imputati sempre a difficoltà varie e senza dubbio molto spesso reali, espressi attraverso una formula-cliché che ripete nel tempo'!%. Se è evidente che gli scritti di Sibilla difficilmente avrebbero potuto essere accolti nella «Nuova Antologia» in-

mondo è adolescente, Milano, Milano-sera, 1949; Aiutatemi a dire. Nuove poesie (1948-1951), Roma, ed. di Cultura Sociale, 1951; Russia alto paese. Prose e poesie, Roma, Italia-URSS Editrice, 1953. Nella biblioteca di Sibilla, presso il Fondo Aleramo, invece, pochissime le

opere di Baldini (così l’Aleramo all’amico, in data 19 ottobre 1942: «dovrei tenervi il broncio per il fatto che non vi passa mai per la mente di mandarmi in dono uno dei libri vostri, fra i vari che andate pubblicando...», lettera 74): delle più note, soltanto Pazienze ed impazienze del Maestro Pastoso; Nostro Purgatorio, con dedica del 1926 (cfr. lettera 52, nota 1) e gli articoli su Panzini nel decennale della morte (cfr. lettera 73, nota 1). 102 Cfr. lettera 62, nota 2.

103 «A me, per il momento, non viene fatto né questo né alcun altro articolo al mondo [...]. Il giorno che mi si riapra la vena e non mi senta poi pieno di cattiveria come in questo momento penserò a mantenere la promessa» (lettera 60); «Vi rimando il vostro manoscritto, trattenendo,

per presentarli al momento buono al principale, i fogli» (lettera 65); «Per il momento ho parecchi chilogrammi di articoli [...] da smaltire. Quando avremo scaricato questo materiale giacente vi farò avere le bozze» (lettera 66); «Per ii momento non ci è possibile accogliere articoli» (lettera 70); «Prima di darvi una risposta impegnativa bisogna che ne parli con il mio Direttore, momentaneamente assente da Roma. Purtroppo non capita in un buon momento» (lettera 72); «Molto bene le vostre due liriche. Vedrò se posso rompere il divieto che Fed. [erzoni] m'ha fatto di pubblicare versi nella N. [uova ]Antologia» (lettera 75). Nostri i corsivi.

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dipendentemente dalla volontà di Baldini'*, è altrettanto evidente il tono molto formale dovuto anche al fatto che le lettere, in cui i due corrispondenti si firmano generalmente con nome e cognome!" sin dal 1922-°23, sono sempre ‘di lavoro”. Ma il mutamento di registro nella comunicazione epistolare non è tanto o soltanto da parte di Baldini; vistosamente prono all’ufficialità formale delle nomine accademiche, a cui Sibilla

aspirava, l'incipit di una lettera dell’ Aleramo del 19 ottobre ’39: «Eccellenza e caro Baldini» ( ripetuto poi anche il 19 ottobre 42), così abissalmente lontano dal «mio Baldini» degli anni della guerra e certamente non troppo gradito allo stesso neo-accademico, stando a quanto testimonia Leonetta Cecchi Pieraccini: Antonio Baldini, nel commentare la sua posizione di no-

vello accademico, dice che l’unico vantaggio della nuova situazione è il ‘permanente?’ ferroviario: e l’inconveniente più fastidioso è quello di sentirsi chiamare ‘eccellenza’.!%

Soltanto nelle due lettere di Baldini dopo la fine del secondo conflitto si coglie un tono diverso, che riporta a motivi legati all’antico affetto e all’antica amicizia'”. La prima, del 30 settembre 1947, su Selva d’amore 10 Ne è conferma quanto accade nel maggio del ’38 quando, di fronte alle pagine su D'Annunzio inviategli dall’Aleramo, Baldini, dichiarandosi incapace di giudicarne la validità (cfr. lettera 69, nota 2 ))si rimette al giudizio di Federzoni, che fu evidentemente positivo se in giugno sulla «Nuova Antologia» fu pubblicato D'Annunzio fraterno: è l’unica volta che la rivista accoglie uno scritto dell’ Aleramo, sul quale Baldini fu certamente prodigo di consigli nella stesura definitiva, come conferma la dedica, inedita, sull’estratto: «Ad/ Antonio Baldini, per ringraziarlo dell’affettuosa diligenza e intelligenza con la quale ha letto e corretto queste pagine dell’amica fedele/Sibilla Aleramo/Roma, giugno 1938-XVI» (Fondo Baldini).

108 Nell’aprile del ’17 Sibilla, colpita e dispiaciuta dalla firma per esteso da parte di Baldini, gli aveva chiesto: «Ma quella firma protocollare, perché?» (lettera 40). to L. CeccHI PieraccINI, Agendina di guerra. 1939-1944, Roma,

Longanesi, 1964, p. 16. 107 È il caso di ricordare che, più o meno in quegli anni, Baldini si

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Siete rimasta in questi trent’anni fedele a voi stessa: e que-

sto è già gran cosa. E siete stata sempre chiarissima, cosa

per me grandissima in questo tempo che ho letto tante poesie che mi mettevano nella mortificante situazione di capirci tanto poco. E quanta chiara animata leggerezza nei vostri ‘paesi’, quanta capacità di godere e di soffrire nel vostro spirito !'*

in cui, oltre alla dichiarazione di stima per la coerenza di Si-

billa nel suo far poesia, si legge tra le righe un ritorno di Baldini ai suoi «umori di gioventù»: quando nelle «lucenti» liriche di lei, che arrivavano al fronte vergate sui foglietti azzurri, apprezzava particolarmente — nella loro «gioiosa libertà ritmica» — la «felice levità» e la «forte carità» che tanto cara gli rendevano l’amica. La seconda, che è anche l’ultima lettera di Baldini, ha il tratto che, pur nella formale richiesta di un articolo fatta a Sibilla, sottintende antichi e comuni affetti, in una situazione ormai tanto diversa, ma in cui il ricordo degli amici finisce per

chiudere idealmente il carteggio sul tema della memoria, che del resto lo percorre — pur con minori o maggiori scarti — particolarmente nel periodo più fitto della corrispondenza. Og-

getto di memoria è Alfredo Panzini, uno dei maestri di Bal-

interessò personalmente affinché fossero in parte alleviati i disagi derivanti dalle precarie condizioni economiche della vecchia amica, come lei stessa testimonia: «15 gennaio [1952], pomeriggio / Saputo ora per telefono da Antonio Baldini, presidente della cassa di assistenza degli scrittori, che la cassa ha deliberato per me un sussidio mensile di venticinquemila lire per tutto quest'anno» (S. ALERAMO, Diario di una donna. Inediti 1945-1960, con un ricordo di F. Cialente e una cronologia della vita dell’autrice, scelta e cura di A. Morino, Milano, Feltrinelli,

1978, p.314).

‘08 In queste ultime parole, una conferma a quanto di sé aveva scritto l’Aleramo nella poesia Bellica, mai ripubblicata in volume, inviata a Baldini nel ’15: «Poggiamo la nostra fortuna/su l’alterno/gioire e soffrire, /un giorno conquistando, /un giorno mendicando, [...]». Vd. Appendice.

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dini, la cui commemorazione sulle pagine dell’«Unità»'”, nel

decennale della morte, Baldini chiede all’amica per timore che sul foglio comunista «si parli affrettatamente — senza cognizione di causa dello scrittore ‘borghese reazionario’». Chiede che a ricordarlo sia lei, che «il nostro Alfredo dilesse e apprezzò tanto», con una «buona ed equanime parola», confidando nella umanità e nella fedeltà agli affetti, in nome proprio di quella «fede»"° che, più di trent'anni prima, chiarissima in lei Baldini aveva percepito. Memoria di Panzini. Memoria degli amici lontani, dispersi, morti, come durante la prima guerra, quando i due corrispondenti se ne comunicavano l’un l’altra notizie!!, nell’affettuoso tentativo di mantenere vivo e

presente il comune mondo affettivo. Memoria come valore essenziale e caratterizzante di un carteggio in cui Baldini, nell’aprile del ’15, aveva iniziato il suo confidente colloquio con la constatazione del «bello che c’è nel sentirsi ricordati a distanza» ; che aveva ripetuto, nella sua

ultima lettera del ’17, più o meno conle stesse parole: «Fa piacere avere degli amici che si ricordano di noi in questi momenti», mentre costantemente in quegli anni chiedeva, dalle bruciate zone di guerra, di non essere dimenticato. Ma è Sibilla, che nel corso di quarant'anni sempre aveva rimarcato la sua fedeltà all’«antica amicizia», a chiudere em-

blematicamente sul tema della memoria il carteggio, non solo nella fase più intensa («La mia memoria e la mia amicizia sono

costanti», aveva scritto il 15 settembre 1918), ma — quasi alla conclusione dell’esistenza di entrambi!" — con quella che, pur

100 L’Aleramo si era iscritta al Partito Comunista nel 1946 e da

quell’anno scriveva regolarmente sull’«Unità». 110 «[...] ‘la fede nell'amore’ verso l’umanità come molla etica di trasformazione vera del mondo e che resterà in lei per tutta la vita» (cfr. M. Corti, Prefazione a Una donna, cit., p. XIV).

111 Ovunque si trovassero, Baldini e l’Aleramo si erano sempre tenuti reciprocamente informati di Barilli, Spadini, Cecchi, Saffi, Cardarelli ed altri, così come si erano sentiti uniti nel ricordo di Slataper. 112 L’Aleramo muore il 13 gennaio 1960, Baldini il 6 novembre 1962.

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al di fuori della corrispondenza epistolare, è l’ultima testimonianza di una lunga amicizia: «Ad Antonio Baldini, con l’antico immutato

affetto, Sibilla Aleramo,

Roma

29 Nov.

1956512.

MARIA CLOTILDE ANGELINI

ripa È la dedica, inedita (Fondo Baldini), a S. ALERAMO, Luci della mua sera. Poesie (1941-1946), Roma, Editori Riuniti, 1956.

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Ringrazio gli eredi Baldini e Giuseppe Vacca, direttore della Fondazione Istituto Gramsci di Roma dove è conservato il Fondo Aleramo, che hanno consentito alla pubblicazione delle carte inedite; la direzione della Biblioteca Comunale di Sant'Arcangelo e Manuela Ricci, responsabile di Casa Moretti a Cesenatico, per la collaborazione nel reperimento dei documenti esistenti presso il Fondo Baldini; Enzo Siciliano, diret-

tore dell’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze e Suso Cecchi D’Amico per aver concesso la pubblicazione dei documenti inediti di Emilio Cecchi; Bruna Conti, custode delle carte del Fondo Ale-

ramo, per la cura con cui mi ha seguito nella lettura dei materiali. Sono particolarmente grata a Barberina Baldini Ceradini e soprattutto a sua figlia, Laura Ceradini Leonori, che con straordinaria disponibilità e cortesia, hanno reso possibile — con la consultazione del carteggio inedito Antonio Baldini-Elvira Cecchi (Archivio Baldini) ora trascritto da Laura Ceradini Leonori — ricomporre fatti, episodi, stati d’animo di Baldini nel

periodo 1915-’17, determinanti ai fini di questo lavoro. Un affettuoso ringraziamento all’amica Marta Bruscia, che con attenzione e competenza mi ha consigliato con preziosi suggerimenti.

A Mario Petrucciani la mia riconoscenza e gratitudine. m.C.a.

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Nota di lettura

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lettere di Antonio Baldini a Sibilla Aleramo sono conpresso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, Aleramo. lettere di Sibilla Aleramo ad Antonio Baldini sono

conservate presso l’Archivio privato Baldini a Roma (Archivio Baldini) e presso la Biblioteca Comunale di Sant’ Arcan-

gelo (Fondo Baldini); queste ultime, in numero esiguo, sono indicate in nota. Le citazioni dalle lettere del carteggio Antonio BaldiniEmilio Cecchi, inedito, conservate presso l'Archivio Baldini e presso l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze e dalle lettere del carteggio Antonio Baldini-Elvira Cecchi, inedito, conservate presso l'Archivio Baldini, sono segnalate in nota con: inedita. Data e luogo di provenienza posti tra parentesi quadre sono dedotte dal timbro postale (t.p.) o congetturali. In nota si riportano, quando esistano, l’indirizzo del destinatario e quello del mittente. All’interno delle Note le cifre in corsivo fanno riferimento alla numerazione delle lettere.

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-imibiza dtbaah okggsrano Leben alia ind Probabile riferimento al rapporto con lo scrittore Fernando Agnoletti (1875-1933) per il quale si era stabilita a Firenze, dove lavorava come traduttrice all’Istituto Francese diretto da Julien Luchaire. Agnoletti era partito volontario per il fronte poco tempo prima e l’Aleramo, non avendo in quei giorni sue notizie, si era rivolta anche a Giuseppe De Robertis (vd. le lettere del 20 novembre e del 3 dicembre ad Agnoletti in A. VERGELLI, «Per amor dell’amore». Corrispondenza inedita Fernando Agnoletti-Sibilla Aleramo, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 168-170; «la relazione più o meno segreta e lo stato di guerra giustificano l’apprensione dell’Aleramo e il ricorso a De Robertis, che come amico e direttore della Voce poteva avere notizie al riguardo, oltre, naturalmente, la moglie»,

ibid., p. 170, in nota).

17

Cartolina illustrata: Musée du Louvre-Raphael, Portrait de jeun homme. Ind.: Sibilla Aleramo/Pensione Scandinavia, Corso Tintori 27/ Firenze.

73

tranquillo ai ricordi bellici. Vorrete scusarmi se non v'ho mai scritto. Mi pareva quasi d’aver rinunciato alla vita, gli ultimi tempi: che furono i più allegri e trionfanti. Sono a un ospedale sul Celio; ma

mi trasferiranno

in Trastevere.

L'indirizzo

buono resta Serpenti 39. Dàtemi vostre notizie e ricordatevi del vostro Baldini 18

[Milano]

22 dicembre 1915

Caro Baldini,

sono sbalzata a Milano, dove m'hanno proposto un la-

voro oscuro, anonimo,' che, dati i tempi, ho creduto di dover

accettare. Ma si stava meglio ad Assisi. Ebbi la vostra cartolina. Riscrivetemi, che adesso sono io il soldato?. Se Cardarelli è a

Roma? dategli questo mio indirizzo provvisorio d’albergo: se no, e se sapete dove si trova, ditemelo. Che dolore la morte di

18.

Cartolina postale illustrata a colori: Hétel Manin, Milano. Ind.: Antonio Baldini/Via Serpenti 39/Roma. 1 Si tratta dell’impiego presso la nuova sezione — appena aperta a Milano - dell’Istituto Francese di Firenze in cui lavorò per alcuni mesi, in quel periodo, anche Massimo Bontempelli. Così Sibilla, da Firenze, il 3 dicembre ad Agnoletti: «Fondano a Milano una rivista, Unione Latina, sotto la direzione di G. Ferrero, redattore capo

Bontempelli, e mi offrono 150 lire al mese per 4 ore al giorno di lavoro in redazione, spoglio di giornali, recensioni, tutto anonimo»(A. VERGELLI, «Per amor dell’amore»..., cit., pp. 170-171). Il

progetto della rivista si realizzò l’anno successivo, ma la sede di edizione fu Firenze (cfr. 25, in nota). A Milano l’Aleramo frequentò il salotto di Margherita Sarfatti (cfr. S. A. e il suo tempo, cit., p. 133). 2 Nell’articolo Scipio Slataper (cfr. 21, nota 2) l’Aleramo tornerà a definirsi, in quel suo soggiorno milanese, «come un combattente in trincea». 3 Cfr. 3, nota 5. Cardarelli, in quei giorni, si era trasferito da Firenze a San Remo.

74

Slataper*. E non so finora che la notizia breve dei giornali. Fe-

lice Natale a voi, caro.

Sibilla 19

[Roma t.p.]

31 Dicembre 1915

Auguriamoci un buon anno. Suo

Baldini 20

Milano

12 febbraio 1916

Caro Baldini,

dopo i vostri auguri di capodanno, più nulla. Come state? 4 Scipio Slataper (1888-1915), scrittore vociano, morto in battaglia sul Podgora il 3 dicembre, aveva pubblicato nel 1912 Z/ mio Carso. L’Aleramo l’aveva conosciuto nel 1911 a Firenze e l’aveva rivisto a Roma nel maggio del ’15, alla vigilia della partenza per il fronte. Il loro rapporto di amicizia è testimoniato dalla corrispondenza soprattutto del ’12, mentre Slataper stava lavorando su Ibsen (cfr. S. SLATAPER, Epistolario, a c. di G. Stuparich, Milano, Mondadori

1950, pp. 308-317). L’11 ottobre 1912 così Slataper a Sibilla: «Penso al tuo libro: la nostra società e il nostro tempo visto da una donna che soffre, che non ha trovato un posto nelle caselle tradizionali, che non impreca né contro gli altri né contro sé, ma essa stessa si sente corresponsabile con gli altri del loro male e del suo. Un libro umile: e per questo forte. Come la nostra società laica, non ha posto da offrire che non sia madre o amante» (bid, p. 315). «La personalità di Slataper, alimentata da una tensione morale non aliena almeno alle origini, da ‘velleità superomistiche’ ovvero da un certo individualismo estetizzante, era forse, in ambito vociano, la più vicina a quella di Sibilla» (R. GuerRIccHIO, Vita di Sibilla, Pisa, Ni-

stri e Lischi, 1974, p. 143; per quanto riguarda, pur con i dovuti ‘distinguo”, le «affinità» e «quel minimo di parentela» tra Slataper e Aleramo, ibid., pp. 144-145).

19

Cartolina illustrata: Musée du Louvre-Raphael, Portrait de Jeanne d’Aragon. Ind.: Sibilla Aleramo/Hétel Manin/Milano.

20

Cartolina postale. Ind.: Antonio Baldini/Via Serpenti 39/Roma.

75

Qualche vostra riga mi farebbe piacere. Leggete, se non v'annoia troppo, nella Illustrazione Italiana d’oggi, una mia paginetta, Lavorando lana'. Sapete che son così pochi quelli da cui si desidera esser letti. — Qui ho un gran freddo, forse me ne andrò presto. — Avete notizie di amici comuni? Se vedete i Saffi?, ricordatemi a loro: e così agli Spadini’ (richiamato, lui?) E insomma, scrivetemi un poco. Cari saluti dalla vostra aff.a Sibilla Aleramo Piazza Carmine 4.

1 S. ALeraMO, Lavorando lana, «L’Illustrazione Italiana», n. 7, 3

febbraio 1916; pubblicato poi in Andando e stando, cit., quindi in Gioie d’occasione e altre ancora, cit., pp. 219-225. L’articolo interessò, tra gli altri, anche Marinetti (conosciuto da Sibilla a Milano

nella primavera del °13) che, in data 15 marzo 1916, le aveva scritto: «Lavorando lana rivela in voi, attraverso le grazie femminili, una

strana virilità d’ingegno. Mi piace molto»( S.A. e il suo tempo, cit., pol359): 2 Cfr.7, nota 2.

3 Il pittore Armando Spadini (1883-1925) e la moglie Pasqualina. Spadini, poi redattore della «Ronda» e autore, tra l’altro, del dise-

gno sulla copertina della rivista, sarà ricordato da Baldini più volte negli anni successivi: Spadini, «L’Illustrazione Italiana», 16 giugno 1918; insieme a E. Cecchi e C.E. Oppo, Armando Spadini, Roma, Ed. «Terza Pagina», 1924, pp. 35-42, poi in Buoni incontri d’Italia del Libro dei buoni incontri..., cit., pp. 305-332; in Firenze dei buoni incontri , cit., sempre nel Libro dei buoni inconttri..., cit.: «La pittura era per lui l’ultimo premio e l’ultimo castigo, l’ultima ragione e l’ultima preghiera»; e ancora: «Io non so se negli ultimi cento anni sia apparso su queste scene di Firenze un fiorentino più nativo e integrale di Spadini. La permanenza romana direi poi che l’avesse, se possibile, fatto ancor più fiorentino. Cera in lui, e luminosamente riflessa nella sua pittura, una cordialità rinascimentale, la gioia artigiana disinteressata d’ una creazione a getto continuo sostenuta dalla perfetta conoscenza di tutte le parti del mestiere, niente mai problemismi e insieme una intelligenza acutissima della condizione moderna dell’arte alla vigilia della guerra e poi in quello spaventoso dopo-guerra» (pp. 328 e 584-585).

76

21 Roma

15 febbraio 1916

Cara Sibilla,

avevo già letto la vostra pagina sull’Illustr.ne! e anche quell’altra su Slataper?, tutte e due le volte con la voglia anch’io di prendere la penna e rispondervi come se quelle vostre prose davvero fossero scritte anche per me; per noi pochi, reduci d’un’età letteraria qual’è stata, né contenti né abusati, buoni

ancora a profittarne ma validi anche pel futuro ignoto. Quante fraternità si scoprono belle in questa ora di terribile sospensione, e quante anche, serene inimicizie. Nonostante (mi crederete) o non ho scritto un rigo per mio conto da che la guerra è scoppiata. Tutto il difficile e tutto il facile che oggi penso del-

21

Cartolina postale. Intestata: Corrispondenza di feriti di guerra. Timbro postale Croce Rossa Italiana. Ind.: Alla Sig.ra Sibilla Aleramo/Piazza Carmine 4/ Milano. 1a Chs20; 2 S. ALERAMO, Scipio Slataper, «L'Illustrazione Italiana», n. 2, 9 gennaio 1916; poi in Andando e stando, cit.; Gioie d’occasione e al-

tre ancora, cit., pp. 211-215. Nell’articolo Sibilla ricorda il giorno in cui lo conobbe («Natale di quattro anni fa, fiorentino. Nella trattoria dei Paoli, a mezzogiorno, entrò Slataper: aprì, scrollò il mantello nero gocciolante di pioggia, liberò la testa bionda dal gran cappello nero. Rise. Era in cuore ancora più fresco di tutto quel bagnato che portava di fuori. Lo si guardava con letizia limpida; si pensava ai moschettieri, a Sigfrido») e gli interessi comuni: Weininger ed Ibsen. Del Mio Carso afferma che «gli somigliava: bello, vergineo; con pagine di rugiada; con parole azzurrate come i suoi occhi; e il disegno dei capitoli ricorda l’andatura del suo passo, e ad ogni strofa par vi stringa la mano, forte veloce./Come in vita gli somiglia in morte. Ché c’è un senso nodosamente tragico del dovere: altri direbbe: un senso kantiano.[...]L’urgeva la primavera sua viva, forse

il senso indistinto ch’era quella la sola stagione che gli toccasse vivere e dire. Con fedeltà di singhiozzo, con tutta la smarrita concitazione di chi dopo non cercherà mai più se stesso e la ragione del mondo: necessità d’assolvere direttamente, fuor d’ogni imparato verbalismo, in uno stile proprio anche se grezzo, le parole più tremende: amore, lavoro, morte».

"54

l’arte mi tiene cauto cauto, come imparassi adesso l’alfabeto. E

quando vi scrivevo da Cormons mi pareva d’essere già tanto vicino a una nuova parola! Aspetto con impazienza il libro di Cardarelli. Cecchi forse si adagia nelle sue difficoltà, come da tanto tempo, cosa che a me dispiace da fratello. Saffi? è sempre fine e distante. Nessuna lettura nuova (se non le figlie del fuoco di Gerard de Nerval ‘: leggete Silvia): riletto per la centesima volta Ibsen”, così chiaro. Visto riproduzioni di Goya*, 3 V. CARDARELLI, Prologhi, cit. Baldini avrà il libro due mesi dopo,

con la dedica: «Al caro Baldini/questo breve riassunto di tempi tramontati/V. Cardarelli /Alessandria, 10. IV. 1916» (inedita, Fondo Baldini). 4 Cfr. 6, nota 2. 5 Cfr. 5, nota 6. 6 Gérald de Nerval, pseud. di Gérard Labrunie (1808-1855), scrittore francese; dopo una giovanile traduzione del Faust di Goethe,

svolse attività giornalistica e collaborò con Dumas nella stesura di alcuni drammi; Les filles du feu(1854) è la sua opera più nota, insieme alla raccolta di sonetti Les chimères. 7 In quegli anni Baldini era molto preso dalla lettura delle opere di Henrik Ibsen (1828-1906), che aveva conosciuto attraverso Cardarelli (cfr. E. AccRrOccA, Ritratti su misura, cit., p. 42); a dare la mi-

sura del suo coinvolgimento nei confronti del drammaturgo norvegese, basti quanto confida ad Elvira Cecchi a proposito del Rosmersholm: «Perché Ibsen abbonda di personaggi che ti si mettono in casa a vivere con te e a chiedere da te risposta ai loro tormenti anche quando il libro è chiuso [...] Che passione è stata per me quella Rebecca per molto tempo e i discorsi lunghi che ci ho fatto insieme!» (lettera, inedita, del 19 settembre 1914). 8 Francisco Goya y Lucientes (1746-1828), pittore ed incisore spagnolo. Nella postfazione al Pastoso del ’47 Baldini ricorda il suo interesse per le arti figurative dopo la Mostra internazionale del 1911 a Valle Giulia: se Goffredo Bellonci sul «Giornale d’Italia» del 1° dicembre 1914 aveva fatto il nome di Matisse per il Pastoso, nella Nota all’ edizione del 1920 (in Umori di gioventà, cit., p. 131) Baldini citerà Goya tra «gli elementi figurativi» che probabilmente avevano influito sulla sua fantasia e altre volte, in seguito, ritornerà il nome del pittore spagnolo nei suoi scritti: ad esempio in Villa Borghese (prosa del 1919 raccolta poi in Rugantino, Milano, Bompiani, 1942, p. 119) e nel ‘ritratto’ di Spadini del 1922 ( Z/ libro dei

buoni inconttri..., cit., p. 306). Particolarmente significativo quanto

78

che tragico uomo anche lui. Scrivetemi e perdonatemi i lunghi silenzi. E sì che non chiederei che d’aprirmi con voi: ma «non mi fido», come dicono i soldati che si buttano per il peso dello zaino. Il vostro Baldini Spadini? è a Roma, ma incerto del domani e Barilli!° vi saluta tanto. 22

[Milano]

[18 febbraio 1916

t.p.]

Caro Baldini, scusate l’orribile cartolina, non ne ho altre sotto mano. E

grazie per la vostra, che mi prova che rimaniamo vicini nonostante i «lunghi silenzi». Ne attendo presto altre, sì? Fatevi mandare dall’edit.[ore] Gonnelli, via Cavour Firenze, per una lira, un libriciuolo, Ruscellante, di Raffaello Franchi', e apriscrive ad Elvira Cecchi il 25 agosto del 1914 : «ricordo che parlai di te con Balducci [cfr. 25, nota 1], che è il più informato della mia vita quotidiana, aiutandomi con la rievocazione dei ritratti di Goya: e una volta che t’incontrai l’altro autunno sul Pincio dissi a Balducci: ecco Goya»; e il 22 settembre dello stesso anno : «Ho lasciato due libri di riproduzioni di Goyal...] Le cose più belle sono nel libro piccino. In ispecie i ritratti in piedi delle donne: quella col cagnolino ed altri due o tre. Certo che Goya avrebbe inteso perché tu sei bella, Elviruccia» (lettere inedite). 9 Cfr. 20, nota 3. 0 Bruno Barilli (1880-1952), scrittore, compositore, critico musicale, fu tra i redattori della «Ronda». Compose, tra l’altro, Medusa

nel 1910 ( edita nel 1914), Emira/ nel 1915 (per Emiral, vd. 45, nota 3). I suoi scritti furono poi raccolti a cura di Enrico Falqui in due volumi, // paese del melodramma e Il libro dei viaggi, Firenze, Vallecchi, 1963.

22.

Cartolina postale illustrata con ritratto del generale francese Joffre. Ind.: Antonio Baldini/Via Serpenti 39/Roma. 1 Raffaello Franchi (1899-1949), scrittore e critico letterario, aveva conosciuto Sibilla nell’autunno del ’15 a Firenze e la seguì a Milano nel lavoro all’Istituto Francese, poi di nuovo a Firenze. Abbando79

telo con simpatia, poi ditemi la vostra sensazione. Il futuro è ignoto, è vero: perciò stiamo attenti ai più giovani. Cotesto Fr. [anchi] non ha ancor 17 anni. Leggerò Si/via, conosco, di Nerval?, soltanto Aurelia. Proprio in questi giorni ho scorso una sua biografia. Ricambiate i cari saluti a Barilli*, e ricordatemi agli altri amici. A presto. Aff.e Sibilla 23

[Chivasso]



5 maggio 1916

Come va, caro Baldini? Non so più nulla da un pezzo. Vi scrivo nientemeno che da Chivasso, paese balordo. Una sosta di due giorni, per trovar una mia sorellina'. E domani sera sarò

ad Alessandria, dai Cecchi?. Poi, sulla via del ritorno a Firenze.

Mi fermerò un poco a Marina di Pisa, ché ho bisogno d’una breve solitudine fra gli alberi e l’acqua. Mi scriverete a Firenze, Pensione Scandinavia, per il 10 o 12 corrente? Caro Baldini, come state, che cosa fate. A Firenze spero di poter riprender a lavorare per me. Sono contenta d’aver lasciato Milano, città non per me. Negli ultimi giorni però v’ho conosciuto un poeta, Enrico Somarè?, pubblicherà fra qualche tempo, credo nato quando l’Aleramo conobbe Dino Campana, le rimarrà legato e devoto. Franchi fu poi collaboratore della «Raccolta» (19181919) diretta da Giuseppe Raimondi, della rivista gobettiana «Il Baretti» (1924-1928) e di «Solaria» (1926-1936), diretta da Alberto Carocci, Giansiro Ferrata, Alessandro Bonsanti. Ruscellante fu ri-

pubblicato nel 1932 per le Edizioni di Solaria. 2 Cfr. 21, nota 6. 3 Cfr. 21, nota 10.

23

Lettera. Manca la busta. ! Jolanda Faccio. 2 Cfr. 6, nota 2 e 7, nota 1. Ad Alessandria Cecchi era stato rag-

giunto dalla famiglia nel settembre dell’anno precedente. 3 Enrico Somarè (1889-1933), critico d’arte, autore anche di alcune raccolte di poesie, sposò Teresa Tallone, sorella del pittore Cesare

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