Beethoven lettore di Omero
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Luigi Magnani

Beethoven lettore di Omero

Luigi Magnani

Beethoven lettore di Omero

Giulio Einaudi editore

SAGGI

668

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Busto di Omero_ Montauban, Museo Ingres_

Copyright© I984 Giulio Einaudi editore s.p. a., Torino ISBN 88-06-0.5733-2

In dice

P· 3 7

Premessa

Parte prima

45

Parte seconda

69

Note

79

Appendice

87

Indice dei nomi

Beethoven lettore di Omero

A

Massimo Mila

Premessa

Il fascino della Grecia antica attrasse Beethoven sin dalla sua prima giovinezza. Era il tempo in cui, frequentando l'Università di Bonn (detta l'Università dell'Aufklarun g per essere la piu aper­ ta alle idee liberali), venne iniziato alla poesia di Schiller, alla filo­ sofia di Kant, a tutti quei valori spirituali, emblemi di una unica fede, che costituirono il nutrimento fecondo della sua personalità di uomo e di artista. Il Reno, da frontiera, si era trasformato in via aperta alle idee della rivoluzione francese che, ammantata di severe toghe, aveva trovato nella tradizione strettamente classica della Repubblica ro­ mana ideali e forme d'arte di cui abbisognava, come disse Marx, per nascondere se stessa e nobilitare la cruenta violenza delle pas­ sioni, facendole assurgere alla nobiltà dell'antica tragedia greca. Se i germi rivoluzionari non attecchirono in terra tedesca, ac­ cesero nondimeno gli animi di quegli ideali che, fugati in Francia dal sole di Termidoro, continuarono a risplendere nel cielo della Germania quali simboli di una umanità nuova. In quegli anni il diffuso umanesimo, mirante alla conquista della integrità dell'uo­ mo, poneva la Grecia quale modello supremo, simbolo di quei valori di civiltà e d'arte che già avevano trovato in essa sintesi armoniosa e storica realtà. All'ostinato, fervente studio della musica si accompagnò allo­ ra in Beethoven una inestinguibile sete di cultura, un ardente de­ siderio di sapere. «Non c'è nessun trattato che possa essere trop­ po erudito per me. Senza avere la minima pretesa ad una vera eru­ dizione, mi sono sempre occupato, sin dalla fanciullezza, di com­ prendere il pensiero degli uomini eletti e dei savi di ogni tempo.

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Vergogna all'artista che non si fa dovere di andare almeno tan­ t' oltre» 1• A differenza dei molti che in Germania guardavano alla Gre­ cia, sogno nostalgico dell'anima tedesca, come ad un Paradiso perduto, ad una visione di perfetta irraggiungibile bellezza, Bee­ thoven seppe riconoscere in quelle antiche istituzioni, determi­ nate da fondamentali valori morali e civili, una validità sempre attuale e perenne. Attraverso il velario della Grecia antica, evocata dalla poesia di Omero, egli scorse certi aspetti della vita sociale e politica del suo tempo, che al confronto non potevano che risultare men che meschini. Nel baluginare di un'ottica controluce, le immagini de­ gli Dei, vigili custodi del destino degli uomini, ora benevoli e pietosi, ora adirati e sordi alle suppliche dei mortali, dovevano apparirgli non molto dissimili da quelle dei Principi viennesi suoi protettori, ora soccorrevoli e generosi, ora volubili e dimen­ tichi delle promesse, gelosi dei loro privilegi; l'Olimpo allora do­ minante che traeva prestigio piu per casualità di nascita che di merito, labile ombra di quella aristocrazia arcaica, di quella no­ biltà che sorgeva da un profondo ethos umano e trovava suo fon­ damento nella areté, espressione suprema di ogni virru, quale rivive incarnata negli eroi della poesia di Omero. Oltre i millenni che lo separano da quella fonte originaria, e come in virtu della vichiana «comune natura delle nazioni», per la risonanza che quell'antica saggezza trovava nel suo intimo, egli avverte il vincolo segreto di affinità elettive che lo eleggono cittadino della patria dei suoi maestri e lo fanno sentire quasi estraneo a quella in cui egli è nato. Gli sembra infatti trovare nel mondo greco, oltre che un alto esempio di civiltà e di vita, una giustificazione del suo disamore verso il presente. Se Wagner afferma, scrivendo a Berlioz, di aver cercato il suo «point de départ dans la Grèce ancienne» nella tragedia attica, Beethoven lo ha trovato nella poesia di Omero. Lo vedremo infatti riconoscere se stesso nella poesia che ri­ flette come in un magico specchio i piu intimi moti del sentimen­ to umano, le inesorabili leggi che governano il destino degli uo-

Premessa

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mini, il ritmo delle opere e i giorni dell'homo artifex, in armonia con l'ordine cosmico, quale Omero ci descrive raffigurato nello scudo di Achille. In quel lontano passato Beethoven trovò il suo presente, in quelle spente generazioni la sua ideale famiglia . An­ ch'egli come Mephisto, sul Peleo superiore, avrebbe potuto affer­ mare : « vom Harz bis Hellas immer V ettern » ( « dallo Harz al­ l'Ellade sempre tutti cugini » ) 2 •

Parte prima

L'8 agosto del I 809 Beethoven, scrivendo al suo editore Breit­ kopf, lo prega di inviargli una edizione di tutte le opere di Goethe, di Schiller: «i due poeti sono i miei favoriti come Ossian e Omero; quest'ultimo purtroppo non posso leggerlo che nella traduzione». Lo lesse infatti in quella del Voss, nell'esemplare dell'Odissea che ancora si conserva tra quanto resta della sua biblioteca, ove peraltro piu non si trova il testo dell'Iliade. Os­ sian, «l'irlandese recentemente scoperto», come è detto nei suoi Quaderni di conversazione, viene accostato da Beethoven, come già da Herder, ad Omero, per avervi riconosciuto la forza pri­ migenia che è di ogni grande poesia. Tutti i caratteri principali dello spirito antico che si riscontrano in Omero e negli altri greci si trovano anche, per Leopardi, in lui: «La stessa divinazione della bellezza, lo stesso entusiasmo per la gloria e per la patria» 3• Beethoven ben sa che la traduzione della poesia, pur offrendo una immagine fedele del contenuto, non potrà mai consentire di coglierne il canto interiore, quell'«air du chant mal tu par l'encre sous le texte fermé et caché», come direbbe Mallarmé; ma dal nipote, «molto addentro nelle ricche indagini dell'Ellenismo», come lo definisce Beethoven scrivendo a Goethe, si fa trascrive­ re un emistichio dell'O dissea sulla pagina di un suo taccuino: « V1}0'� Èv àiJ.q>t.pU"t'TI», quasi che quei caratteri potessero svela­ re come un ideogramma senza intermediari, nel modo diretto proprio della musica e per incanto, il loro senso segreto ed evo­ care la visione dell' «isola beata in mezzo al mare, sonante di on­ de»: la terra dei Feaci, molto amati dagli Dei, agli estremi confi­ ni del mondo, ove anch'egli avrebbe voluto poter vivere solitario

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ed operare i suoi incanti come Prospero, il mago della Tempesta. Considerate nel loro aspetto grafico quelle parole si fanno per Beethoven portatrici di una suggestione poetica, simbolo lingui­ stico che rinvia al di là di ogni elemento conoscitivo, pura sensa­ zione e visione, ch'egli arresta nella sua coscienza, a perpetuarla nel ricordo, destinata, forse, a trovare poi, al modo di tante altre, espressione nella musica. Ad Anton Schindler che gli aveva chie­ sto quale fosse l'idea ispiratrice della Sonata per pianoforte op. 3 I n. 2 rispose: «leggete La Tempesta di Shakespeare», mentre nel Trio in si bemolle maggiore op. 97 egli avrebbe desunto, come lascia intendere a Schindler, lo schema espressivo nel suo dive­ nire e la sequenza delle suggestioni poetiche dalla Medea di Euri­ pide. Se dei tragici greci il suo preferito è Eschilo, il poeta del Destino, cui viene riconosciuto il primato su Sofocle ed Euripi­ de, definito piu amabile e non cosi appassionante come Eschilo, ma piu tenero, nondimeno anch'egli ebbe ad accendere la sua fantasia e ad offrirgli motivi di ispirazione 4• Sarà appunto in questo rivivere una emozione, e nell'elevarla da esperienza sensibile a pura forma, che la musica sorge e vive. Vi è un altro passo dell'Odissea sul quale Beethoven si sofferma isolandolo dal contesto, conferendogli cosi una piu significativa pregnanza espressiva: «Nacht lag iiber der Tiefe» («la notte si stende sugli abissi»)5• L'immagine della notte silente che stende la sua funerea coltre sulle ampie distese marine deve aver viva­ mente colpito la fantasia di Beethoven suscitando in lui un'imma­ gine che, se pur trascende la musica, non è estrinseca ad essa. Quella morta quiete incombente sullo specchio delle acque aveva trovato espressione nella musica composta da Beethoven sui versi della poesia di Goethe Meere Stille und Gliickliche Fahrt (Tiefe Nacht... ), ma la potenza originaria della visione america va oltre l'immagine pittoresca di un calmo paesaggio marino e sembra trovare una ben piu profonda eco nel Lied Denk o Mensch an deinen Tod («Pensa o uomo alla tua morte») composto da lui su testo di Gellert; nei lugubri accenti di quel memento mori che sempre risuonava al suo orecchio interiore e sembra accordarsi al sentimento dominante dell'Adagio sostenuto della Sonata per

Parte prima

II

pianoforte op . 27 n . 2, Quasi una fantasia (detta impropriamente « al chiaro di luna ») in cui la musica si effonde con lento moto uniforme sui funebri rintocchi del basso, a rivelare come una do­ lente esperienza umana possa, senza negarsi, divenire pura opera d'arte. È come se qui, e in tanti altri casi, Beethoven avesse ten­ tato di approfondire, di tentare, le possibilità espressive della musica, di esigere dalla forma ciò che sfugge ad ogni forma, di suscitare mediante mezzi specificamente musicali la sensazione ineffabile dell'indeterminato, il brivido del mistero.

Della sua dichiarata predilezione di voler « mettere in musica opere di un poeta quale Omero », di misurarsi con la grande poe­ sia, anche « se si devono superare difficoltà, i poeti immortali lo meritano » non ci resta che l'abbozzo di un canone su di un passo dell'Odissea che celebra il sorgere dell'aurora: « la rosea Aurora, sorgendo dal giaciglio del nobile Titone, apportava luce agli Dei e ai mortali » . Dando canto a quei versi egli avrebbe potuto esprimere il rapimento provato nel contemplare con religioso e sempre rinnovato stupore la natura nei suoi mirabili aspetti, nelle sue solenni liturgie. Si era a tal fine proposto : « Costruire una casa presso la porta, a destra verso la montagna. La vista è piu bella . . . e quali levate di sole! » : la casa sognata che egli non ebbe mai . Dell'emozione provata nell'assistere, lui gran mattiniero, a quelle albe non resta nell'abbozzo che l'ustione, la cenere spenta. L'anelito alla forma di quello spunto melodico potrà attuarsi sol­ tanto quando l'effimera temporalità del fenomeno naturale, col suo glorioso e crescente effondersi della luce, si trasporrà nelle albe serene senza tramonto del Tempo musicale, quando alla ec­ citazione della hybris dionisiaca subentrerà la forza !imitatrice, ordinatrice, chiarificatrice della contemplazione apollinea : im­ magini delle due anime di Beethoven. E Aurora sarà poi chiamata la sua Sonata per pianoforte op . 5 3 , per aver riconosciuto nel graduale costante crescendo del Finale, in virtu di una magica sinestesi, la sensazione dei suoni che si fanno luce. 6,

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Non può stupire che tra i due poemi omerici Beethoven abbia preferito l'Odissea. L'Iliade infatti, tutta pervasa di spirito guer­ riero, con le sue sanguinose battaglie, popolata da Dei e da eroi sovrumani, doveva apparirgli troppo estranea alla regione quoti­ diana del suo presente, se non alla determinazione eroica del suo animo. Tuttavia egli è pronto a cogliervi e a farne oggetto di con­ templazione la profonda verità di una immagine, ad aderire al richiamo di alta poesia quando la voce di Omero fa risuonare le corde del suo sentimento al modo che una nota musicale fa vibrare le corde dei suoi armonici naturali ad essa immanenti, per una segreta originaria corrispondenza che accomuna e vincola i suoni . Allora egli subisce l'incanto di quelle tragiche immagini e di quegli epici eventi, rendendosene quasi partecipe per ricono­ scere in quegli alti destini un vago riflesso della sua stessa sorte. « Ora, qui, mi ha ghermito il destino. Non inerte e non senza glo­ ria io cado nella polvere, ma in perfetta, compiuta grandezza, di cui udrete nel futuro » 7• Parole estreme di Ettore caduto dinnanzi alle Porte Scee e che Beethoven trascrive isolandole dall'epica solennità del contesto per farne oggetto di commossa contempla­ ZIOne. Nell'immagine evocata dal poeta dell'eroe troiano, precipitato nella notte dalla tetra Moira, Beethoven forse scorse adombrato se stesso, fatalmente sospinto verso la silenziosa notte della sor­ dità. « Un demone invidioso mi ha gettato la mala pietra » 8, scrive all'amico Wegeler nel fatidico r 8or : anch'egli come Dioreo, che la Moira ha ghermito perché Piro, il condottiero dei Traci, « lo colpisse con una pietra » per infliggergli poi il colpo mortale. E non gli è estraneo neppure l'assillo di Ettore di non cadere senza gloria, che anche lui tormenta : causa l'infermità « gli anni suoi piu belli » volano via senza che egli possa compiere tutto ciò cui il 10 suo ingegno e la sua forza lo avrebbero chiamato • « Oh, il mondo io lo terrei in pugno senza questo male » 11• Ma anch'egli non cadrà nella polvere senza aver lottato e senza aver dato prova di quel valore, che ne affiderà la memoria ai futuri. Indifferente alla narrazione delle vicende epiche del poema, Beethoven intimamente aderisce al dramma severo che la sovra9

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sta, all'affiato lirico che la pervade, a quel sentimento tragico della vita che avverte incombere anche su di sé e che dell'epos omerico costituisce l'elemento piu vivo e profondo. Questo sentirsi partecipe della sorte degli eroi, riconoscersi nella loro aspirazione di gloria, conferisce nobile fierezza al suo animo, ed egli trae conforto meditando questo verso dell'Iliade che trascrive e che di quell'antica saggezza è l'espressione piu pro­ fonda ed umana : « poiché il destino ha dato all'uomo un animo capace di sopportare » 12: invito alla rassegnazione ma anche alle forze morali dell'uomo per resistere e reagire alla fatalità del dolore con virile coraggio e a indurre poi, asciugate le lacrime, a riprendere i doveri che l'esistenza impone . Nel Testamento di Heiligenstadt Beethoven rivela ai fratelli il disperato proposito che la sordità aveva provocato in lui : « Poco mancò che io la finissi con la vita; soltanto l'arte mi trattenne. Mi pareva impossibile abbandonare il mondo prima di aver prodotto tutto ciò pel quale mi sentivo chiamato » 13• Fu questo il momento cruciale della sua scelta tra arte e vita, in cui la forza della vocazione prevalse sul sentimento; il momento in cui l'idea stessa del sacrificio eroico che essa richiede lo esalta. Sottolineando i versi dedicatori a Frie­ drich von Stolberg che il Voss antepone alla sua traduzione del­ l'Odissea, Beethoven sembra vivamente assentire all'invito, che nella finzione poetica la voce stessa di Omero rivolge alla sua ani­ ma smarrita. « Sorgi, santificati. .. sfuggi alle sale dorate, disprezza il guadagno ... cerca il solitario bosco dell'usignolo, il mormorio del ruscello . .. vedi, il mio spirito ti circonderà. . . e il silenzioso splendore della natura ti rivelerà i segreti del mio linguaggio . .. » È una scelta la sua che richiede di essere riconfermata, rinno­ vata come quella dei sacri voti; una vittoria instabile che occorre sempre riconquistare. Nel I 8 I 2 Beethoven sente il bisogno di riaffermare la sua fedeltà all'assunto, la sua accettazione al sacri­ ficio: « sommissione, la piu profonda sommissione al tuo destino ; essa soltanto ti permetterà di accettare il sacrificio che richiede il servizio dell'arte; oh aspra lotta. . . » « A te non è permesso essere una creatura umana, per te no, soltanto per gli altri, per te non c'è piu nessuna felicità se non in te stesso e nella tua arte. O Dio, 14•

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dammi la forza di vincermi ! niente deve pili legarmi alla vita » 15• La lotta fra le sue due anime non conosce sosta. « Le debolezze della natura sono date dalla natura stessa e la ragione sovrana de­ ve cercare di tenerle a freno e di attenuarle con le sue forze » La conoscenza deila propria umana fragilità lo rende umile e implorante : « Sopportazione, rassegnazione . . . cosi vinciamo an­ che quando siamo al sommo della miseria e ci rendiamo degni che Dio perdoni i nostri peccati » Alla speranza, alla fiduciosa pre­ ghiera si alterna l'implorazione quasi disperata: « Dio aiutami ! tu mi vedi abbandonato da tutta l'umanità . . . O duro destino, o cru­ dele fatalità ! No, il mio stato infelice non avrà mai fine » Quasi a vincere l'angoscia dell'isolamento, per sentirsi meno solo cerca compagni di sventura e li riconosce dalle testimonianze delle loro dolorose esperienze, delle loro speranze che sembrano o:ffrirgli le voci piu disparate, dagli antichi ai moderni, da Omero a Plutarco, a Schiller, dalla filosofia indiana alla non poesia di Werner, la cui calda retorica eloquenza esaltava valori ideali vivi ed operanti in Beethoven. I passi che egli ha trascritto, traendoli dalle fonti piu disparate, e che il cosiddetto Manoscritto Fischoff ci ha tramandato, ci presentano nel loro complesso una immagine della condizione umana nella sua grandezza e nella sua miseria, che è anch'essa, per quanto ci opprima, conferma di quella gran­ dezza per l'istintivo anelito dell'uomo a liberarsi dalla sua schia­ viru, ad elevarsi ad uno stato di grazia. « Infinito è il nostro aspi­ rare », afferma Beethoven, « per sollevarci dalla volgarità del fini­ to », e ancora : « Noi creature finite, con lo spirito infinito, siamo nate soltanto per soffrire e gioire e si potrebbe quasi dire che gli eletti ricevono la gioia attraverso il dolore » 20: i due contrastanti poli tra cui si svolge, in incessante rapporto dialettico, il divenire della vita. Con eroica determinazione, tra smarrimenti, speranze e timori Beethoven prosegue nel suo cammino che lo renderà de­ gno di essere accolto, com'egli auspica, tra la schiera di artisti e di uomini degni nella oltremondana valletta degli spiriti magni, sogno di immortalità e di gloria. 16•

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L'esemplare di Beethoven dell'Iliade essendo andato perduto, sarà quello dell'Odissea che d consentirà di trarre piu ampia testimonianza della sua frequentazione della poesia america. Se Beethoven lamentava di non poterla godere nell'originale, la sua lettura era guidata da una cosf vigile tensione dell'animo da inse­ rirlo vivamente nel testo sino a farlo coincidere con quanto era in esso di peculiare e di unico, e a trasporlo in quel mondo lon­ tano . Per un moto spontaneo di C'U(..L1tci1)Er.a. Beethoven si sente partecipe di quei sentimenti eroici sino ad identificarsi in Odis­ seo stesso, nella sua umanità dolente. « Wie der weise Odysseus weiss ich mir auch zu helfen » ( « al modo del saggio Odisseo an­ ch'io so aiutarmi »), scrive al nipote Come il devoto che leggendo I'Imitatio Christi la comprende e rivive nella misura della propria esperienza spirituale, Beetho­ ven, ripercorrendo la sua « vaie royal de la croix», si sofferma alle varie stazioni del poema, contrassegnando a tratti di matita i passi in cui sembra riconoscere espresso un suo stato d'animo presente o che fu già suo . « Il mio cuore da tempo si è indurito nel mio petto poiché molto ha sofferto, molto sopportato » 22: come non riconoscere, di questi versi che ci giungono dalla piu remota antichità, a testimo­ niare l'immutabile natura umana, l'eco nella voce di Beethoven: « il mio cuore ha troppo sofferto. .. dove non sono ferito, dove non sono straziato » 23? Lo vediamo arrestare la lettura per sottolineare i passi in cui Odisseo svela al re dei Feaci, che lo crede di natura divina, la propria dolente condizione umana . « lo non sono che un uomo mortale, simile nella miseria a colui che voi considerate il piu in­ felice dei mortali » 24• Non diversamente Beethoven confida al suo Dio lo stato della propria miseria. « O Dio, tu vedi nel mio inti­ mo, ascoltami o ineffabile, ascolta il tuo infelice, il piu infelice di tutti i mortali » L'eroe omerico si fa simbolo non solo del suo soffrire ma anche modello di saggia prudenza, come là ove rimpiange di non averne 21 •

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seguito l'esempio quando, cedendo alle insistenze degli amici, si era impegnato a non lasciare Vienna. « Infelice decreto inganna­ tore come una sirena per cui avrei dovuto farmi imbottire le orec­ chie di cera e legarmi strette le mani come Ulisse per non sottoscrivere » . Odisseo gli si fa anche immagine dell'incessante anelito che lo sospinge a perseguire nel suo miraggio : la ricerca dell'isola, simbolo della famiglia e dell'amore, l'Itaca cui non gli sarà mai dato di approdare. E anche là ove Beethoven, in intimo colloquio con se stesso, contempla e si commisera chiedendosi : « dove non sono ferito, dove non sono spezzato » :n ci riporta al suo eroe che, ' oggettivandosi, si esorta a raccogliere le sue forze per resistere alle piu dure prove : « cuore, sopporta, ben altro hai sopportato piu [che] cane », instaurando nella letteratura quel colloquio in cui l'animo si raccoglie e si dà ragione della propria pena . Se Beethoven si sofferma sui passi in cui Odisseo lamenta il lungo e vano errare sul mare e come le privazioni subite abbiano spez­ zato le sue forze ( « io sedevo sulla nave privo di abbondanti prov­ viste di cibo, tormentato dai flutti : per questo le membra persero vigore » 28) è perché anch'egli ha sofferto tribolazioni lungo la pe­ rigliosa navigazione nella vita: « La continua solitudine non fa che indebolirmi maggiormente tanto che la mia debolezza rasenta qualche volta lo svenimento » Egli riconosce in Odisseo un fra­ tello che lo ha preceduto sulla via del dolore, un maestro di pa­ zienza e di coraggio, e non tralascia, durante l'appassionata lettu­ ra in chiave del poema, di cogliere ogni elemento di riscontro con la sua propria esperienza umana che possa giustificare, conferma­ re questo rapporto ideale con il suo autore . Se nulla v'è di essen­ ziale nella natura dell'uomo che non trovi originario riscontro, per la sua validità universale, in Omero, tuttavia la suggestione di tale corrispondenza appare a Beethoven piu stretta quando nella finzione poetica ravvisa adombrata una sua realtà indivi­ duale e segreta. Non v'è uno solo dei cinquantun passi da lui segnati, espunti dall'Odissea, quasi per farli emergere dal fluente corso della narrazione, in cui Beethoven non abbia riconosciuto un aspetto della propria vit a. Potrebbe stupire il trovare sotto•

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lineate le parole di Telemaco in cui si allude ad una sua discen­ denza da stirpe regale (« Mia madre mi dice che sono :figlio di lui [del re di Itaca, Odisseo] ma io non lo so, perché nessuno sa chi lo ha generato ») quando non si sappia che una diffusa leggenda diceva Beethoven figlio naturale di Federico il Grande. All'appa­ rire di questa notizia sui giornali di Vienna Beethoven, nonostan­ te le insistenze degli amici, non volle darne smentita, forse per intimamente compiacersene. Ma pochi mesi prima della sua mor­ te ( 17 dicembre r826) confida all'amico Wegeler : « Tu mi scrivi che in qualche luogo sono creduto un :figlio naturale del defunto re di Prussia : me ne hanno parlato anche molto tempo fa. Ho sta­ bilito come principio di non scrivere mai nulla su di me, né di ri­ spondere a qualsiasi cosa che venisse scritta sul mio conto. Perciò lascio volentieri a te di fare conoscere al mondo la rettitudine dei miei genitori, di mia madre specialmente » 31• Se sottolinea i versi « mi è odioso come le porte dell'Ade colui che spinto dall'indi­ genza diffonde fandonie » 32 è perché vi riconosce la :figura del po­ stulante importuno e millantatore, indicandone in margine l'ini­ ziale del nome, H., quasi a dire : è proprio lui! Non meraviglia inoltre che un conoscitore dei sentimenti umani quale è Omero, che dà lucida, intensa espressione ad ogni moto interiore della vita, ci parli di uno stato d'animo apparentemente quasi estra­ neo alla sensibilità virile del mondo arcaico e caratteristico del­ l'età romantica, quello della malinconia: « Poiché anche la ma­ linconia si pensa volentieri quando si ha molto sofferto e molto si sia andati errando » 33• Per Omero, come per Beethoven, come per Leopardi, la malinconia è un rimemorare i giorni del dolore, un vagare alla ricerca di un bene perduto, contemplato da un cer­ to distacco che addolcisce la pena, un ritrovare un nuovo stato di pace, una quasi serena distensione che il velo della malinconia avvolge e trattiene quale preziosa materia per l'arte. Un rimemo­ rare fecondo che consente all'artista di rivivere la propria espe­ rienza affrancata dal passato, trasposta nell'eterno presente che è il tempo della poesia, della musica. Beethoven, che di malinconia soffriva « come di un grave ma­ le », poté dire a Schindler, che gli chiedeva cosa avesse inteso 30

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esprimere nel Largo e mesto della Sonata per pianoforte op . I O n. 3: « Ognuno sentirà bene che esso esprime lo stato d'animo in preda alla malinconia con le sue diverse sfumature di ombra e di luce », i due poli tra cui sorge quel nostalgico sentimento, quel sorridere tra le lacrime, che non è né lacrime né sorriso, quel­ l'aria ambigua di quieta serenità, di calma tristezza che sembra aleggiare anche nei volti degli Dei e degli eroi di Omero. In quelle immagini, animate dal fuggevole palpito umano che fu già della vita, si manifesta non solo lo spirito eroico che le anima, ma an­ che l'espressione del piu intimo, tenero affetto. Omero, che scopre per primo l'uomo nei suoi piu diversi, con­ trastanti aspetti, ci offre un'ampia visione della vita e del dramma che è insito in essa. Il suo insegnamento, che ci giunge da epoche remote, è, come avverte Beethoven, vicino al nostro moderno sentire. Il mondo è colto da lui con una cosi precisa vivente realtà, i suoi personaggi si presentano con una naturalezza, con una pla­ sticità di gesti, con un alone espressivo da anticipare non solo ciò che sarà la futura tragedia greca, ma da poterli riconoscere sem­ pre attuali, per sentirli rivivere nei momenti piu alti dell'espe­ rienza esistenziale dell'uomo. Come Odisseo alla corte del re dei Feaci, ascoltando l'aedo Demodoco cantare le sue gesta alla guerra di Troia, non trattiene le lacrime, cosi Beethoven piange nell'ascoltare la Cavatina del suo Quartetto op. 130, composta sul ritmo della battuta di un cuore oppresso, beklempt, come è detto sul manoscritto. L'ala del canto non solleva entrambi sulla realtà penosa che quel canto ha ispirato, non asciuga le lacrime che il ricordo ha fatto sgorgare, quasi che la forma non fosse che un aspetto dell'evento, la gloria una illusione, sola realtà il dolore. Il tempo vissuto sembra qui, in Beethoven, sovrapporsi al tempo della musica, e quei suoi accenti appassionati nell'espres­ sione sonora trattengono il caldo palpito della sua dolente uma­ nità. Se Odisseo, se Beethoven, rimemorando le penose vicende, piangono, gli altri, gli ascoltatori, estranei a quegli eventi, spetta­ tori sereni, ne provano godimento e sono ansiosi che quel canto si prolunghi. Non gravano su di loro quelle penose vicende, e

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vorrebbero sempre saperne di piu, come il re dei Feaci : « Ma non ha raccontato tutti i suoi dolori . Cosi con tanta attenzione un uomo osserva il divinamente ispirato cantore che rallegra gli uomini con canti allettanti ed essi stanno ad udirlo insaziati » 34• Beethoven avrà invidiato quel pubblico antico, vivamente parte­ cipe all'ascolto, pronto ad abbandonarsi al godimento e all'entu­ siasmo . Cosi avrebbe voluto fosse anche il suo pubblico . Si dice che il giovane Beethoven fosse rimasto sorpreso e deluso quan­ do, al termine di un suo concerto a Berlino, invece che con ap­ plausi il pubblico aveva manifestato la sua ammirazione con un commosso silenzio . « La musica deve suscitare entusiasmo, non commozione », avrebbe detto a Goethe che si asciugava una lacrima dopo averlo ascoltato improvvisare. Il piacere della musica, il suo misterioso potere evocatore, risiede interamente nel suo accordo con la nostra soggettività; Omero per primo sancisce nell'Odissea e legittima la validità del gusto e del giudizio estetico individuale ( « ma io amavo ciò che Dio ha collocato nella mia anima; poiché ad uno piace que­ st'opera, a un altro quella ») e Beethoven ne dà conferma con la muta eloquenza del suo contrassegno . L'impaziente diletto degli ascoltatori di cui parla Omero era determinato non tanto dalla tensione psicologica suscitata in loro dal susseguirsi degli eventi epici, quanto da intima attesa gioiosa che, stimolata da fulgidi esempi, li sospingeva, si direbbe, verso l'avvenire, al fine di dare un significato al loro presente. L'aedo, esaltando le gesta degli eroi, diffondendone la fama tra gli uomini, esercitava una funzio­ ne altamente educativa sui presenti, procurando loro quell'ine­ sausto piacere suscitato da un'attesa che si converte in possesso. Con vivo compiacimento Beethoven avrà sottolineato le parole di Odisseo al « divino porcaro » e ai suoi compagni, in cui si ac­ cenna al clima conviviale degli antichi simposi ove, in stretta cer­ chia di amici, si celebrava con il canto dei poeti la piu schietta areté virile, si rinsaldavano vincoli di solidarietà civile, politica e umana, tra brindisi (la voce greca symposion indica appunto il bere insieme) e allegri conversati. « Ora ascolta, Eumeo, e tutti voi altri pastori : vi voglio esprimere un mio desiderio e dirvi una 35

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parola. Il vino che incita l'uomo, pur molto savio, a cantare e a ridere teneramente e ad alzarsi a danzare gli fa uscire fuori pa­ role che forse era meglio non dire » Di questi antichi festosi rituali Beethoven coglie l'ultima eco in quelle serene e gioiose riunioni nelle trattorie della campagna viennese, nell'Helenen­ thal, in compagnia di intimi amici e di qualche ospite che ne ha tramandato il ricordo. Tra questi lgnaz von Seyfried : in pochi tratti ci evoca una vivace, insolita e quasi pagana immagine di Beethoven che si abbandona a copiose libagioni di spumeggiante Sellery e di Vosslauer dei migliori vigneti. Il vino che scorre a profusione rende sempre piu allegra la compagnia. La robusta giovialità dell'anfitrione è contagiosa e si trasmette agli amici. Il musicista Khulau compone tra il chiasso un canone sul nome di Bach, Beethoven Trinklieder, e li dirige battendo allegramente il tempo dando l'attacco alle diverse entrate delle voci del coro: un tripudio sonoro interrotto da salaci e pungenti battute e tali da dover essere seguite l'indomani da lettere di scusa Ombre fugaci tra tanta luce. Saltuario rigurgito di quell'atavica esuberan­ za fiamminga che gli era innata, fatalmente seguita dalla tristezza che lo attende al risveglio. « Tornai a casa stamane alle quattro da un baccanale dove dovetti ridere tanto per piangere poi altret­ tanto oggi, - confida Beethoven a Bettina Brentano. - Sovente l'ebbrezza di una gioia mi ricaccia nuovamente con violenza in me stesso » . « La fiamma non è tanto chiara a se stessa come agli altri, cosf pure il saggio », dirà poi Nietzsche. Il saluto di addio che Odisseo porge alla regina dei Feaci, Arete - « Sii felice, regina, sinché non ti giunga vecchiezza e poi morte, che sovrasta tutti gli uomini. Ora io mi separo da te. Sii felice in questo palazzo, gioisci dei figli, della tua gente e del re Alcinoo » 39 è il saluto di un uomo che sa l'infinito valore dei beni che egli augura e che anch'egli anela di possedere. Beni che, evocati dal desiderio, ne rendono piu desolata la privazione. Da questo profondo turbamento dell'anima, da questa accorata no­ stalgia sembrano scaturire anche le invocazioni di Beethoven, che su questi versi si è soffermato: « O terribili circostanze che non 36•

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soffocano il mio sentimento per la vita familiare ma mi impedi­ scono di averne una . O Dio, Dio, rivolgi il tuo sguardo al misero Beethoven ! » 40•

Il prevalere di un contenuto pregnante di significati sulla for­ ma appare costante nella grande poesia greca dell'età arcaica, estranea alla concezione estetica modernamente intesa, dissociata da quei valori etici, didascalici e sociali di cui quella è nutrita. In Omero contenuto normativa e forma artistica stanno in relazione di reciprocità per provenire da una sola radice . Gli aedi, i divini cantori, sono equiparati nell'Odissea, come Beethoven rileva, a « coloro che si sono resi famosi nell'esercizio di una loro specifica attività a vantaggio del popolo: un veggente, un medico, un ma­ stra costruttore, cosi anche un divino cantore che rallegra con i suoi c anti » Il canto dell'aedo si effondeva nella sua purezza ori­ ginaria in uno spazio canoro indeterminato per l'inesistenza di una qualsiasi gamma, libero da ogni schema o misura, ma in spon­ tanea, naturale obbedienza ai grandi ritmi della passione e della vita : un canto che, traendo ispirazione dal testo poetico, infon­ deva alla narrazione nuova efficacia espressiva. Era in virru della fusione di melos e di logas, di quel gesto vocale in cui l'inflessione del calore umano si incarnava nella voce, che l'antico aedo, ele­ vando il suo canto ad una intonazione lirica, suscitava la piu pro­ fonda emozione tra gli ascoltatori, che non si saziavano di ascol­ tarlo come in preda ad un'estasi delirante, ma in pari tempo quasi costretti a riflettere su quei tragici eventi cosi vivamente evocati . L'illimitata capacità di comunicazione spirituale propria del can­ to, la sua immediata evidenza vitale, ne determinavano l'efficacia evocatrice. Penelope piange ascoltando Femio che canta nella casa di Odisseo « la triste sorte dei Danai, la cruenta guerra di Troia, che tanti lutti ha causato », e il fortunoso ritorno in patria degli Achei, e chiede all'aedo di interrompere quel canto funesto che troppo strazia il suo cuore : « Femio, tu conosci bene altre canzoni e gesta di uomini e di Dei che sono famosi tra i cantori » 41•

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Ma T elemaco risponde alla madre pregando la di non impedire che « l'amato cantore diletti al modo che la mente lo ispira. Non biasimo sia per lui cantare la sorte dei Danai, ma soltanto Zeus che a suo piacere ispira i maestri dell'arte, poiché il canto piu nuovo sopra ogni altro canto riceve la piu alta lode delle attente assemblee » 43• Non v'è nell'Odissea riferimento agli aedi che Beethoven non lo ponga in rilievo sottolineandolo con compiacimento. «Tutti i mortali ritengono sia giusto onorare e rispettare i cantori: la Musa stessa insegnò loro i canti e predilesse i cantori » 44• Celebrando ciò che al mondo è piu degno di lode, banditori delle gesta e della fama di uomini e di Dei, essi risvegliavano negli animi sentimenti eroici, educavano la posterità mediante l 'esempio dei grandi eventi del passato. Il grande onore in cui erano tenuti doveva apparire in penoso contrasto con le condizioni in cui Beethoven versava: « Povero musica - come egli sj definisce - braccato in ogni parte come una belva, misconosciuto troppe volte nel modo piu basso e volgare, con tante apprensioni ed affanni » Non diversamente dagli artisti della grecità anche i moderni, dice Beethoven, avrebbero dovuto essere considerati « quali pri­ mi maestri della nazione » per il prestigioso influsso estetico e morale che essi, come quelli antichi, potrebbero esercitare. Ome­ ro, fra tutti il maggiore, fu da Platone definito grande educatore e maestro di vita di tutta la Grecia. Non può essere infatti educa­ trice un'arte in cui non viva uno slancio superiore dell'anima, che non tenda a sollevare lo spirito e a fargli sentire l'esistenza di una realtà piu alta. Tra i musicisti, oltre Bach, nessuno come Beetho­ ven ha avuto tanto chiara coscienza di questo compito, che egli svolse come una missione e al cui raggiungimento dedicò la parte migliore della sua esistenza . « Sin da ragazzo il mio grande pia­ cere e la mia piu grande felicità furono di poter lavorare per il bene degli altri » . Commuove la sua generosità verso le suore Or­ saline di Vienna, ed egli piange « lacrime di gioia » per il buon suc­ cesso ottenuto dalle sue « deboli forze » e dal suo contributo al­ l'opera educatrice di quelle degne suore . L'adempimento di un 45•

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dovere morale costituiva per lui, come per i buoni (dice Omero), un premio 47• Ma Beethoven non intende valersi della sua musica solo a beneficio dei poveri, ma « a vantaggio spirituale di tutti » . L'entità spirituale dell'arte non può tuttavia ridursi ad un'uni­ ca formula. La grandezza della sua efficacia educatrice non si li­ mita a quelle affermazioni che tendono a esemplificare intenti moralistici, come quando, condividendo i pregiudizi di Herder nei confronti del Don Giovanni di Mozart, dichiara : « Il Don Gio van ni ha ancora la forma italiana, inoltre l'arte non dovrebbe mai lasciarsi disonorare da un soggetto tanto scandaloso » 48• Com­ pito della musica era per lui procedere nel cammino instaurato da Mozart col Flauto magico, in cui, bandita ogni fonte straniera, si riafferma il carattere nazionale tedesco, si celebra la virtu contro il vizio, la luce contro la tenebra, e si esorta a superare le difficili prove quali richiede la conquista di « ein Mensch zu sein », il cammino che Beethoven seguirà nel Fidelia, in cui l an ima bel­ la trionfa sulla tirannide, e che si chiude, precedendo la Nona, con la visione utopica di una raggiunta fraternità umana nella li­ bertà. Beethoven costringe la musica ad agire sugli animi con una potenza che è propria dell'arte antica, mediante quella Festigkeit, quella saldezza tecnica vivificata da afl:lato spirituale che Beetho­ ven seppe riconoscere ed apprezzare nella polifonia di Palestrina. Della musica egli ampliò i confini senza menomare ed alterare i suoi caratteri specifici, stabilendo un rapporto dialettico con il penstero. Se per Hegel, come già per Platone, l'arte, divenendo ogget­ to della filosofia, si risolve e naufraga in essa, per Beethoven, co­ me per Schiller, come per Holderlin, è il pensiero che divenendo oggetto della contemplazione dell'artista si fa materia della sua poetica, sostanza viva della sua arte. Il Bello si costituirà allora quale apparizione sensibile dell'Idea. « La verità esiste per il sag­ gio I la bellezza per il cuore sensibile l entrambe appartengono l'una all'altra » ( « Die Wahrheit ist vorhanden fiir den Weisen l die Schonheit fiir ein fiihlendes Herz l Sie beide gehoren fiirein­ ander » ) : sono i versi che Beethoven ha trascritto dal Don Carlos '

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di Schiller che affermano la Verità come Bellezza e la Bellezza come Verità, in reciproco e invertibile rapporto dialettico. Beethoven ripropone il rapporto tra arte e vita, tra il mondo dei suoni e quello delle idee; è come se la materia sonora fosse da lui ricondotta alle radici della sua latente energia: è come se l'Idea, intesa in intima, essenziale corrispondenza con la forma musicale, ne stimolasse la facoltà creatrice. La forma appare in Beethoven condizionata e ispirata, nel suo specifico atteggiamento estetico, dai contenuti che essa incorpo­ ra. Per penetrare nell'intimo dell'uomo, in cui viva un ethos, e ravvivare di nuovo fervore un ideale, la musica di Beethoven può dirsi plasmatrice e rigeneratrice dell'anima. Non meraviglia che questa concezione dell'arte, di cui Omero è antesignano, sempre riemergente nei secoli in contrapposizione a quella dell'autono­ mia estetica, abbia trovato in Beethoven, animato da quegli stessi ideali, piena adesione e nuovo stimolo a renderla vivamente ope­ rante.

La poesia, dice Schiller, può diventare per l'uomo ciò che per l'uomo è l'amore, incitarlo a nobili imprese, infondergli impulso a diventare ciò che egli è; e quella di Omero non poté che ravvi­ vare in Beethoven gli alti ideali, cui sacrificherà anche l'amore. Rispondendo a Schindler che lo interrogava sui suoi rapporti con Giulietta Guicciardi, la « non amante amata », egli ebbe a confi­ dare che, ritornata a Vienna dopo il matrimonio con il conte Gallenberg, « elle cherchait moi pleurant, mais je la meprisois » (sic). Wenn ich batte meine Lebenskraft mit dem Leben so inge­ ben wollen, was ware fii.r das Edle, Bessere geblieben? » ( « Se avessi voluto disperdere cosi la mia energia vitale cosa sarebbe rimasto per ciò che è nobile, per ciò che è migliore? » f9• Questa sua inclinazione al bene (das Gute) e alla virru, che dalla fanciullezza egli cominciò ad amare « unitamente a tutto ciò che è bello » e che si andò in lui sviluppando al ritmo incalzante del tempo, costituf l'ideale che, in conformità del modello ispira-

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tore, la kalogathia greca, riuniva in un unico concetto i due aspetti di una sola realtà, compendio delle piu elette virru umane e che è qui da intendere nell'accezione data da Platone a questo anti­ co termine, in cui l'originaria fierezza aristocratica e l'ardimento eroico che gli era implicito si addolcisce e si umanizza, si fa sim­ bolo di serena armonia, di raggiunta libertà interiore, pur conser­ vando intatto il suo alto valore morale. Era questo il dono che nell'Opferlied di Matthisson musicato da Beethoven si chiede a Dio: « Gib mir... o Zeus das Schone zu dem Guten » ( « Concedimi, o Zeus , il Bello unito al Buono » ) ; per lui « una preghiera valida in ogni tempo » ( « ein Gift fi.ir alle Zei­ ten ») 50• Alla virtu, mirante al conseguimento di un ideale di vita, Omero contrappone la forza bruta : « Agli Dei beati spiace ogni azione violenta, ma onorano la virtu (die Tugend)» 51• Predicato dell'aristocrazia arcaica, essa equivale inoltre ad ardimento, for­ za, potere, e quando, dice Omero, un uomo ne è anche parzial­ mente privato, decade dai privilegi di casta, si riduce in uno sta­ to di servaggio, o, come traduce il Voss, « perde la sua santa li­ bertà » ( « sobald die heilige Freiheit verlieret ») 52; una perdita, per Beethoven che sottolinea questo passo , b en maggiore di quella dei privilegi sociali. Freiheit, libertà: questa fatidica parola ri­ suona in lui, ricca di tutte le accezioni che lungo il corso dei se­ coli, con lo sviluppo del pensiero era andata assumendo, e consi­ derata nel suo tempo come una religione. Era questa una libertà nuova, non condizionata da alcuna costituzione, indipendente, individualistica, assertrice dei diritti umani, la cui essenza consi­ steva nel fatto di essere, per opera propria, ciò che essa è. Dai greci Beethoven aveva appreso a dire, cantando, « cose in­ signi », come già l'aedo Pilade, durante i giochi Nemei, prese a cantare le parole tratte dall'opera di Timoteo intitolata I Persia­ ni: « (( Io sono dei figli della Grecia il piu splendido ornamento, l quello della libertà ! " E mentre egli esprimeva con la sua voce eccelsa tutta la dignità racchiusa in queste parole, gli ascoltatori volsero gli occhi verso Filopemene ». È da Plutarco, di cui era ap· passionato lettore, che Beethoven ha trascritto questo passo 53, in cui egli non solo riconobbe un alto esempio, ma la prefìgurazione

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di quella Freude, di quella gioia che si identifica nella Freiheit, nella libertà . La luce di questi ideali, a distanza di millenni, giunge ancora a illuminare come una stella lontana nello spazio le nostre co­ scienze, a prova della loro attualità perenne. Di questa idea del Buono e del Bello, di questa kalogathza, Beethoven fece la sua impresa, la misura certa di quella perfe­ zione che è una costante aspirazione da raggiungere, da consegui­ re 54• Al « sentimento per tutto ciò che è Bello e Buono » ( « Gefiihl fiir alies Schone und Gute ») egli si richiama compiaciuto come di un prezioso possesso, ed esorta a valersene ( verwenden) per poter riconoscere nell'arte, nella sublime musica, ciò che essa racchiude in sé di piu perfetto (das Volkommenere), quell'essenza segreta, che sempre si riverbera su di noi ( « das selbst auf uns immer wieder zuriickstrahlt ») : « Non esercitare soltanto l'arte, ma pe­ netra anche nel suo intimo », scrive ad Emilia M., una sua giovane amm1ratr1ce . Alla conoscenza formale della musica deve unirsi la coscienza della sua spiritualità, altrimenti (come Mephisto nell Urfaust di­ ce allo scolaro) non restano in mano che le singole parti} e} ahimè} viene a mancare il legame dello spirito ( «Dann hat er die Theil in seiner Hand, l Fehlt leider nur geistlicher Band » ) . Ed è questo legame, questa intima connessione che Beethoven stimola e in­ duce a ritrovare. « Lo merita, perché soltanto l'arte e la scienza innalzano l'uomo sino alla Divinità (bis zur Gottheit) » . « L'arte -prosegue Beethoven- non ha confini . Il vero artista oscuramen­ te sente di non essere ancora giunto là dove il suo genio migliore gli schiude dinnanzi come un sole lontano » l'immagine di cui Platone si vale nella Repubblica per esprimere, mediante un'ana­ logia tratta dal mondo sensibile, la visione, inesprimibile per via dialettica, dell'Idea ( « un sole che brilla dall'alto, versa la sua lu­ ce ... » e Beethoven: « auf uns immer zuriick strehlt » ), quale si pone come paradigma, modello di valore universale. In nulla dif­ feriscono dai ciechi, prosegue Platone, « quanti nella loro anima non posseggono modello alcuno, quanti non hanno facoltà di vol­ gere lo sguardo, come fanno i pittori, verso il piu vero esemplare, •



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e ad esso, alla sua trascendenza, continuamente riportarsi, e quel­ la contemplare quanto piu a lungo è possibile » . A questa Idea, a questo Sole anche il musicista Beethoven guarda come all'esemplare piu perfetto (Volkommenere) della sua arte e ad esso, alla sua trascendenza, continuamente si riporta per trarne ispirazione e guida al suo lavoro, per cercarvi adesione e rifiuto. E intimamente si compiace di riconoscerne l'immagi­ ne simbolica di un disegno di Teresa von Brunswick, raffigurante un'aquila che guarda il sole : « Se un giorno sente in Lei il gusto della pittura, La prego di rifarmi quel disegno che fui cosi sfortu­ nato di perdere. L'aquila guardava nel sole... Non lo posso dimen­ ticare, ma non creda che io pensi a me stesso guardando questo di­ segno, sebbene mi abbiano già attribuito qualcosa di simile : ma molti possono considerare con piacere una figura eroica senza avere alcuna somiglianza con essa » 57• In realtà quella immagine ben poteva significare la tensione intrepida, il costante anelito di avvicinarsi a quella « cognizione massima », a quella « misura eter­ na » in cui pienamente si realizza, per Platone ed anche per Bee­ thoven, l'essenza profonda sia della coscienza morale sia dell'in­ tuizione artistica. Il mondo in cui Beethoven idealmente vive è popolato dagli eroi dei poemi omerici, da quelli delle Vite di Plutarco, dagli spi­ riti magni del pensiero e della poesia greca, avvolti in un'aura di alta moralità, di giustizia, di grandezza. Quando sottolinea un verso dell'Odissea, in cui si afferma che gli Dei immortali « onorano la virtu e la giustizia (Gerechtigkeit) tra gli uomini », è perché riconosce questi sentimenti essergli con­ geniali : e che ben si addice anche a lui tanto onore. « Io fui sem­ pre buono e nelle mie azioni mi ispirai sempre alla giustizia (Rechtschaffenheit ) e alla lealtà », dichiara a Wegeler58, e scriven­ do a Goethe afferma : « La visione del Bene ci sta sempre chiara dinnanzi »59• I sentimenti del Grande, del Bene, infondono nel suo animo un giusto orgoglio di sé, consapevole della superiorità che il su0 tempo, il Geniezeit, riconosceva agli artisti, e che l'alta autorità di Platone stava a legittimare . La sua affermazione che l'uomo

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moralmente e intellettualmente superiore ha diritto di far valere 0 la sua preminenza nei confronti della massa 6 e di distinguersi da essa al fine di potersi dedicare alla propria attività con tutte le forze dell'animo era pienamente accolta e condivisa da Beetho­ ven, che in un suo taccuino dichiara : « in virili della mia attività io non appartengo a questa massa plebea » ( « den [n] ich gehore nicht gemass meine[r] Bescheftig[ung] unter dieser pleb[ejer] M [asse] ») 6\ ed afferma con fierezza la sua nobiltà di sentire, vera aristocrazia, che tanto lo innalza sulla schiera dei titolati quanto su quella dei borghesi tra cui egli lamenta di essere caduto ( « und ich bin unter ihn geraten » ) , sf da sentirsi pertanto escluso dagli uomini superiori ( « Abgeschlossen soli der Biirger von hohern Menschen sein ») 62 • Se, come testimonia Schindler, Beethoven co­ nosceva gli scritti di Aristotele, è dato supporre che anch'egli ap­ partenesse a quella schiera di uomini che ritenendo fosse giustifi­ cato compiacersi del proprio alto sentire ed agire si riconoscevano degni di onori: tendenza o disposizione dell'animo che nell'Etica Nicomachea è definita megalopsichia, non vanitosa presunzione ma chiara consapevolezza del proprio merito e del proprio valore . La Grecia ne aveva offerto il modello con la sua nuova valuta­ zione dell'uomo, che gradualmente si era andata fondendo con l'idea cristiana dell'infinito valore del singolo e con l'autonomia spirituale rivendicata dalla civiltà del Rinascimento e dalla filo­ sofia dell'Illuminismo. L'idea di una educazione formativa volta a dar forma alla vita come il vasaio dà forma alla creta è una eredi­ tà della Grecia, che si ripresenta sempre là ove lo spirito ne risco­ pre la validità essenziale. Cosf avvenne al tempo di Beethoven e in Beethoven stesso quale tutore del nipote . Il compito di plasmare una giovane vita ad immagine e somiglianza di un'Idea lo esalta. Persuaso dell'efficacia etico-psicologica dell'esempio, dei para­ deigmata che frequentemente ricorrono nella narrazione di Ome­ ro (e che ne costituivano, in quel mondo arcaico, ancora privo di leggi codificate, un basilare punto di riferimento) , al modo che Atena propone Odisseo quale modello di Telemaco, Beethoven propone se stesso per infiammare con il suo proprio esempio ( « durch mein eigenes Beispiel » ) il nipote alla virili, allo studio,

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all'attività pratica, e se ne esalta : « lo non fui mai tanto benefico e grande come quando presi presso di me mio nipote e curai io stesso la sua educazione » , scrive al Magistrato di Vienna, prefig­ gendosi di sviluppare tutte le facoltà intellettuali, morali e fisiche del giovane, al fine di raggiungere « il bello scopo di dare un utile, degno cittadino allo Stato .. . » 63• La concezione etico-politica, dominante nella Grecia dell'età classica, che mirava ad inserire il cittadino nella comunità e a ren­ derlo ad essa consapevolmente partecipe, collegando ogni aspet­ to della cultura, fisica e morale, all'idea stessa dello Stato, sembra rivivere negli intenti di Beethoven . Di questa salda formazione ideale Salone aveva indicato l'essenza : « Fatto mani e piedi e mente diritto e senza difetto » , e un poeta tedesco caro a Beetho­ ven, Schiller, l'aveva spiritualmente vivificata auspicando l'av­ vento di un uomo in cui istinto naturale e legge morale si trovas­ sero in reciproca armonia, dando vita al concetto dell'anima bella, della schone Seele, sogno del secolo . Ma alla realtà lo richiama l'antica saggezza di Omero : nel­ l'eterna presenza della sua poesia egli contempla prefigurata, co­ me riflessa in uno specchio, l'immutabile condizione della espe­ rienza umana. Essa lo ammonisce che « pochi sono i figli - e tale Beethoven considerava il nipote - simili ai padri nella virtu : la maggior parte peggiori, molto pochi i migliori » a non illudersi che il suo pupillo possa essere « una meraviglia di spirito e di aspetto » Come in un libro profetico egli vi riconosce le sue rei­ terate quanto inutili esortazioni di prudenza nel giudicare : « Io credo che tu ancora confondi la spiga con la paglia » 66• A suo ammaestramento egli sottolinea questi passi e si soffer­ ma su frasi che gli sembrano suggerire un argomento di cui valersi nel processo intentato dalla madre del ragazzo (per contestare la tutela) , sostenendo che egli non ha usurpato a danno altrui alcun diritto, né con parole né con fatti : « come è costume dei sovrani, che alcuni perseguitano, altri proteggono » Nella lettera al Magistrato di Vienna Beethoven si difende dal­ l'accusa di aver inculcato nel ragazzo sentimenti irriverenti verso la religione. Si dice disposto a perdonare le calunniose insinua64 ,

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zioni di una madre indegna, ma non a rinunciare alla tutela, pron­ to a sostenere una lotta dura e umiliante. Egli ben sa, e lo ha anche appreso da Omero, che « non dà sofferenza né affanno all'animo di un uomo, che, lottando per i suoi beni, riceva dal nemico feri­ ta. .. » e si compiace di sottolineare queste parole quasi che con­ fortino la sua decisione di « sopportare anche i maltrattamenti, pur di non perdere di vista la nobile meta che si è prefissa », e an­ cora : « Ho giurato di combattere per il suo bene sino alla fine del­ la mia vita » 69• Vien qui di ricordare i versi di Holderlin : 68,

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Warum huldigest du, heiliger Sokrates, Diesem Jiinglinge stets? kennest du Grossers nicht, Warum siehet mit Liebe, Wie auf Gotter, dein Aug auf ihn? »

Wer das Tiefste gedacht, liebt das Lebendigste, Hohe Jugend versteht, wer in die Welt geblickt, Und es neigen die Weisen Oft am End e zu Schonem sich * .

Quasi a giustificarsi, chiama a mallevadori del suo buon dirit­ to e del suo retto agire Socrate e Gesti quali « suoi modelli » : « So­ krates und Jesus war mir Muster », rivelando cosi la sua adesione alla religione liberale del tempo, in cui confluivano esperienze filosofiche e mistiche, pagane e cristiane, in rispondenza alle piu alte esigenze dello spirito 70 • Ma è soprattutto da Platone, dal Pla­ tone della Repubblica, che egli attinge ispirazione e guida per assolvere al suo compito educativo 71• Schindler porta testimo­ nianza certa della familiarità di Beethoven con questo dialogo, ma sembra tuttavia sfuggirgli la vera ragione del suo particolare inte­ resse, !imitandolo ai passi che trattano della mimesi sonora : i pre­ cetti di una poetica che se fu utilissima a Monteverdi appare del tutto superflua a Beethoven, attratto dalla tematica fondamen­ tale di quella grande opera, che versa essenzialmente sulla for72

* [« Perché stai sempre adorando, Socrate santo, l Questo giovane? Nulla sai di piu grande, l Che con occhio d'amore, l Come gli dèi, lo contempli? » Il Chi pensa il piu profondo, ama il piu vivo, l Sublime giovenru intende, chi ha guardato nel mondo, l E inclinano i savi sovente l Verso la bellezza, alla fine. (Versione di Giorgio Vigolo)].

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mazione e sull'educazione civile e morale del cittadino, appunto il precipuo scopo di Beethoven, come è detto nella sua lettera al Magistrato di Vienna, redatta in conformità con il testo plato­ nico. Se Platone inserisce il giuoco nell'educazione, ponendolo a servizio di questa, Beethoven a sua volta conviene essere utile che il nipote sia « piacevolmente occupato durante tutto il gior­ no », che « apprenda piacevolmente » . Se per Platone la piena e vera umanità si realizza nello sforzo di avvicinarsi al divino si­ milmente lo è anche per Beethoven, che riconosce essere « soltan­ to su questa base che si possono formare dei veri uomini »: ed af­ ferma che « questa educazione interiore debba essere inculcata molto presto » \ al fine di cogliere l'uomo, come apprende dal suo grande Maestro, « nello stadio iniziale e piu delicato, per trovarsi nell'età estremamente ricettiva e atta a prendere l'impronta che gli si vuoi dare » . Fondamento è per entrambi, nella formazione educativa, la conoscenza del Bene, che possa ravvisarsi concretamente in un modello esemplare, in un paràdeigma, in un esempio di vita, se­ condo l'antica tradizione omerica, quello del padre, guida sicura, quale Beethoven si propone essere per il nipote. « lo mi sento chiamato ad infiammarlo col mio proprio esempio alla virtu e al lavoro » . Citando Plutarco Beethoven ricorda al Magistrato come Filippo il Macedone avesse stimato non indegno di sé dirigere egli stesso l'educazione di suo figlio Alessandro. L'eccessivo zelo nel perseguire questo ideale educativo era de­ stinato a provocare la naturale reazione del giovane, la sua avver­ sione a doversi conformare al modello che gli veniva imposto e che gli farà dire, al processo per il tentato suicidio: « Sono dive­ nuto peggiore poiché Egli mi ha voluto migliore » . Parole in cui sembra cogliere l'eco distorta di quanto Platone osserva : «Le anime migliori divengono, in situazioni avverse, peggiori delle amme comum » . Se il fallimento della missione pedagogica di Beethoven poté trovare qualche motivo di rassegnazione nella saggezza di Ome­ ro, che riporta le umane vicende ad una suprema legge della na73 ,

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tura 7\ quella stessa poesia, evocando immagini di perfetta letizia, non poteva per contro che destare in lui la piu struggente ama­ rezza, dargli la misura delle sue illusioni e della sua miseria, come là ove Odisseo incontra Telemaco : «Cosi parlò e baciò il figlio, e giu per le guance le lacrime sino allora trattenute caddero a terra » Versi, da lui sottolineati, che forse gli fecero nostalgica­ mente rivivere l'ansia e la felicità di un altro incontro, quello con il suo figliuol prodigo, accolto con il piu caloroso abbraccio di perdono : « Mille volte ti bacio e ti abbraccio o mio figlio non per­ duto ma nuovamente rinato! » 78• Ma quanto sia stata labile e fug­ gevole quella sua gioia, saranno i versi seguenti a farglielo cru­ delmente sentire per il cocente contrasto che essi provocano con la sua realtà . « Allora il giovane abbracciò il suo meraviglioso pa­ dre con fervore, amaramente piangendo, e sorse in essi un dolcis­ simo desiderio di pianto » 79• « Padre, ho molte volte udito della tua grande fama, del tuo coraggio in battaglia, della tua saggezza di consiglio » 80• Parole che anch'egli avrebbe meritato di udire dal giovane ingrato . Allo scorrere di tante dolcissime lacrime an­ ch'egli avrà sentito inumidirsi le ciglia e farsi dolente il ricordo di quando aveva confidato piangendo a Giannatasio Del Rio : « Karl si vergogna di me » . n.

L'idea dell'uomo intesa in tutta l'estensione del termine è pre­ sente e compenetra ogni manifestazione creativa dello spirito greco, per costituire il punto focale in cui si concentrano i raggi di un medesimo lume . Profondo sentimento antropomorfico che nel mondo antico fece considerare l'uomo vivente quale opera d'arte suprema . E sarà un sentimento analogo che farà dire a Beethoven : «Mediante l'educazione di mio nipote voglio innal­ zare un nuovo monumento al mio nome » ( « Ich will meinem N a­ 81) . men durch meinen Neffern ein neues Denkmal stiften » Espressione per i greci dell'areté, che assomma ogni virru fisi­ ca e morale, questo modello di perfetta umanità, destinato a non mai attuarsi, riaffiora, al tempo di Beethoven, nei sogni di filosofi,

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quale Kant, di poeti, quale Schiller, come immagine di superiore armonia, in cui le voci discordi dell'istinto e della legge morale trovano loro conciliazione ideale e che, se non ebbe mai concreta realizzazione sulla terra, si manifesta e rivive nella realtà dell'ar­ te, quale si ravvisa nel personaggio di Leonora nel Fidelia. Figlio del suo tempo, Beethoven non ne fu il favorito. Matu­ rato sin dalla giovinezza « sotto il lontano cielo della Grecia », si ritrovò in patria come un estraneo, attorniato da « caratteri de­ boli », che egli, animato dall'ardore di un antico profeta, vorrebbe castigare e purificare. « Il nostro secolo - scrive al nipote - ha bisogno di spiriti forti, che flagellino queste grette, vilissime ani­ me di uomini; per quanto il mio animo si ribelli a far del male a chiunque » 82 • Immune dalla corruzione del suo tempo e disprez­ zandone il giudizio, Beethoven con le sue grandi e geniali opere intese indicare agli uomini una direzione verso il Bene. La musica ha in sé illimitate capacità di comunicativa spirituale, quella im­ mediata evidenza vitale che è la condizione della sua efficacia. In Beethoven sembra rivivere lo spirito di un antico aedo, la missione di celebrare con epici canti ispirati dalla Musa il virile cavalleresco ideale, di elevare ed infiammare gli animi degli ascol­ tatori. Anch'egli sentiva il richiamo di una vocazione che diceva divina, anch'egli aveva provato, come dice Platone, « il delirio che viene dalla Musa quando essa avvince un'anima: se è un'ani­ ma delicata e pura, la risveglia e la rapisce, e, celebrando le gesta gloriose del passato, educa in tal modo la posterità » . Come Pla­ tone, anche Beethoven sa che colui che si presenta alla porta della poesia convinto che l'abilità tecnica possa bastare a fare di lui un artista, sarà eclissato da chi è posseduto dalle Muse. La purezza dell'anima è inseparabile da una ispirazione veramente divina e solo un poeta filosofo può riunire in sé queste due condizioni s3 • « Si dice - scrive in un suo quaderno Beethoven - che la vita è breve e l'arte è lunga, ma lunga è la vita e breve l'arte; se il suo soffio si eleva sino agli Dei, non è che per un solo istante » 84• L'an­ sia di poter compiere la sua missione sulla terra è cosi struggente, che giunto quasi al termine del suo cammino, segnato da tanti capolavori che ne costituiscono le pietre miliari, le fasi della sua

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Beethoven lettore di Omero

incessante ascesa, gli sembra di aver scritto soltanto qualche nota. « Apollo e le Muse non mi lasceranno portar via dalla Morte : ho ancora molti debiti verso di loro e prima di partire per i Campi Elisi devo lasciare dietro di me quanto l'Eterno Spirito ha infuso nella mia anima e mi comanda di compiere » Se la visione nostalgica della vita patriarcale delle società ar­ caiche, in cui l'uomo operava in modo semplice ed armonioso, quale è rispecchiata nei poemi omerici, poté costituire elemento ispiratore della sinfonia Pastorale, per il senso religioso che la pervade, per l'intima partecipazione del sentimento a quella im­ magine di perfetta armonia della Natura e dei suoi eterni mo­ menti semplici e grandi, cosi il culto del mondo eroico della Grecia antica, fulgido esempio di valoroso ardimento, riconduce Beethoven al mito di Prometeo. Tyche o Moira, caso o destino che fosse, attorno a quel fati­ dico anno r 8 o r , che segnò una drammatica svolta nella vita di Beethoven, il tema di Prometeo si pose quale oggetto della sua ispirazione quando gli venne affidata la composizione del balletto di Salvatore Viganò Le Creature di Prometeo, in cui il mitico eroe appariva come « un nobile spirito che avendo trovato gli uomini in uno stato di ignoranza » si proponeva di elevare la loro condizione a nuova dignità umana, di farli liberi. Simbolo di ribellione ad ogni forma di tirannide, l'immagine di Prometeo, apportatore di bene e di civiltà, rispondeva alle pre­ messe ideologiche ed alle attese politiche sue e del suo tempo, ma doveva inoltre essere ben presto riconosciuta da Beethoven quale prefigurazione sempre piu attuale ed appassionata di un segreto, drammatico suo stato interiore . Il suo incontro con quel mito ci appare quasi come una theia tyche, come direbbe Platone, un ca­ so divino in cui è implicita una interpretazione religiosa di eventi apparentemente casuali e insieme altamente significativi . Era infatti quello il tempo in cui l'incipiente sordità oscurava l'aurora del suo genio sorgente mortificando il giusto orgoglio di essersi di tanto avvicinato alla meta ambita e di sentirsi l'artefice di questa conquista ( « o momento felice, come mi sento fortuna­ to di poterti apprezzare, di poterti realizzare io stesso » , scrive il 85•

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giugno all'amico Wegeler) . Con scarto improvviso il corso del­ la sua esistenza veniva deviato dal sereno, fecondo benessere che egli aveva raggiunto e da quella esuberanza fisica di cui amava allora tanto compiacersi 86• Speranza e disperazione si contendono ora il suo animo in pe­ na, che infine cede di fronte alla tragica realtà . Ma non tarderà a riconoscere gli oscuri sintomi premonitori della sordità, ad assu­ mere coscienza di essere caduto in potere della infausta Moira che anche a lui, come all'eroe omerico Dioreo, ha gettato la mala pietra. « Le mie orecchie ronzano e rombano di continuo, giorno e notte: una condizione terribile per la mia professione », confida a Wegeler 87, e ad Amenda, l'amico « che il suo cuore ha prescel� to » : « Quante volte ti desidero vicino : perché il tuo Beethoven ha una vita molto infelice e in lotta con la Natura e il Creatore. Già piu di una volta maledissi a quest'ultimo . . . I miei anni piu belli voleranno via senza che io possa compiere tutto ciò cui il mio ingegno e la mia forza mi avrebbero chiamato. Con che cosa non potrei ora misurarmi ? » sa. Nella solitudine in cui la sordità lo ha immerso insorge la ribellione . Costretto a fuggire tutto ciò che gli era caro, non vuole tuttavia cedere alla rassegnazione, non può desistere dal lottare : « Oh, il mondo io lo terrei in pugno senza questo male. Ogni giorno di piu mi avvicino alla meta che sento ma che non so definire . Soltanto in questo il tuo Beethoven può vivere . . . Voglio afferrare il destino alla gola; non deve piegarmi per intero, assolutamente no . O , è cosi bello vivere mille volte la vtta l. » . Se, com'egli dice, Plutarco lo ha condotto alla rassegnazione 90, egli nondimeno non intende rinunciare a sfidare il destino, ben­ ché sia consapevole che vi saranno nella sua vita momenti in cui si sentirà