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Italian Pages 165 [175] Year 1999
BIBLIOTECA DI SCIENZE DELL'UOMO diretta da Riccardo Di Donato 3
Riccardo Di Donato
Esperienza di Omero Antropologia della narrazione epica.
Nistri Lischi
------------------------------------------------------------------©Copyright by Nistri-Lischi editori. Pisa, 1999
Itaca t'ha donato il bel viaggio. Senza di lei non ti mettevi in via. Nulla ha da darti più. E se la trovi povera, Itaca non t'ha illuso. Reduce cosi saggio, così esperto, avrai capito che vuol dire un'ltaca. K.Kavafis per Monica sempre
PREFAZIONE Questo piccolo libro ha l'unica ambizione di corrispondere al doppio enunciato del suo titolo. Le due parti che lo compongono sono separate nell'esperienza di vita dell'autore da un tempo molto lungo. Tra i due momenti ce ne sono stati naturalmente molti altri. Devo anzi dire che la pratica della lettura di Omero ha rappresentato uno degli elementi di maggiore continuità nella mia esperienza intellettuale. Non c'è stato corso in cui non abbia letto Omero a lezione e non ne abbia ascoltato scansione e traduzione dai giovani che si accostavano agli studi ~tichistici nel Dipartimento di Filologia classica dell'Università di Pisa. Per molti anni, sotto la specie di esercitazioni di letteratura greca o di lezioni di storia della lingua greca, di antropologia del mondo antico e, per un anno, di letteratura greca, ho potuto verificare costantemente i risultati che sono necessariamente progressivi. Una parte di questi ho già trasferito in un commento ali' ottavo libro dell'Odissea, scritto originariamente per un 'antologia scolastica e poi, su consiglio di Arnaldo Momigliano, pubblicato anche separatamente per favorirne l'uso nell' insegnamento universitario di base. Altro mi auguro di poter scrivere sul tema dell'aristeuein, dell'agire in conformità allo statuto antropologico della funzione guerriera, ora che mi si è chiarita una prospettiva interpretativa generale.
Esperienza di Omero vuole infatti essere affermazione di soggettività, fatto ovvio di cui tuttavia pare altrettanto ovvio dimenticarsi, almeno alla lettura di molta critica omeristica. L'epos non è stato composto per noi e se pure è legittimo che ciascuno ne fruisca a proprio modo è bene continuare a cercare di capire la maniera o le maniere in cui originariamente fu composto e fruito. Questo è il tentativo che qui si compie cercando di congiungere attenzione antropologica alla globalità del messaggio narrato ad attenzione filologica per i meccanismi e alle forme narrative. Comprese le intenzioni il lettore giudicherà il risultato. RICCARDO DI DONATO
Pisa, Dipartimento di Filologia classica
Nota ai testi e ringraziamenti.
Come già accennato, tutti i capitoli della prima parte sono stati proposti come lezioni nei miei corsi universitari e, in versioni ovviamente adattate alle circostanze, sono stati sottoposti a verifica in seminari e convegni. Omero tra oralità e oralismo è stato letto al convegno l'Arte del dire organizzato dall'Archivio delle tradizioni popolari della Maremma grossetana, a Grosseto il 14 marzo 1997. Ringrazio Pietro Clemente, Fabrizio Franceschini e Paolo Nardini. Lo scudo di Achille è stato letto il 18 gennaio del 1996 al seminario organizzato da Luigi Enrico Rossi che ne ha stimolato la discussione con i suoi scolari presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma, La Sapienza. Prima della pubblicazione ne I Greci. Storia cultura arte società 2. 1. 1996, 227-253, lo hanno letto, con mia utilità Carmine Ampolo, Graziano Arrighetti, Gian Biagio Conte, Vincenzo Di Benedetto, Giovanni Mazzini e Jean-Pierre Vemant. Ringrazio Carlo Alberto Bonadies e le Edizioni Einaudi per l'autorizzazione a riprodurlo qui. Ritifunerari e società omerica è stato letto il 3 e 4 aprile 1997 al corso di perfezionamento in discipline storiche, archeologiche e antropologiche, organizzato da Alfonso Mele presso l'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di
Napoli. Con l'organizz.atore ringrazio Marcello Catarzi, Bruno d'Agostino e Claudia Montepaone. Nekyia: la casa dei morti è stato letto il 1Ofebbraio 1996 al corso di aggiornamento per insegnanti della scuola media superiore, organizzato a Pisa da Carmelo Velia, ora ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione. Con i miei colleghi del Dipartimento di Filologia classica dell'Università di Pisa, ringrazio Francesca Nenci e gli altri insegnanti intervenuti. La seconda parte del volume riproduce -con lievi correzioni- quanto pubblicato con lo stesso titolo in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di Lettere e Filosofia, serie II, voi. xxxvm.1969 per la parte relativa alla pagine 243-276. In questo caso la gratitudine va, innanzi tutto, ai maestri scomparsi Aurelio Peretti e Arnaldo Momigliano. Andrea Taddei mi è stato di grande aiuto nella preparazione del testo per la stampa. Il volume nel suo complesso si è giovato della lettura di Graziano Arrighetti, Vittorio Citti, Gian Biagio Conte e Salvatore Settis. Tutti ringrazio con calore. Il mio sentimento per mia moglie è stavolta espresso con una parola sola, nella dedica. È un awerbio di tempo molto impegnativo: lo scrivo con consapevolezza.
INDICE DEL CONTENUTO Parte prima: Forme della narrazione e forme della realtà. 13 1. Omero tra oralità e oralismo 15 1.1. L'addomesticamentodel pensiero selvaggio 16 1.2. Oralità . 19 1.3. Oralismo 23 1.4.Autodidaktos eimi 26 2. Lo Scudo di Achille 2.1. Esperienza di Omero 2.2. Sequenzenarrative 2.3. Lo scudo come uno specchio? 2.4. Immagini per una civiltà 2.5. La guerra funzione degli uomini 2.6. Uomini e natura 2.7. La terra divisa:economia,istituzionie cultura 2.8. Un limite per la conoscenza
31 34 36 39 41 47 50 56 63
3. Riti funerari e società omerica 3.1. Un mondo di Omero? 3.2. Memoria culturale 3.3. Le età di Omero 3.4. Eventi storicie forme di civiltà 3.5. Lo statuto del guerriero morto 3.6. I funerali:la morte e i vivi 3.7. Tipologie 3.8. Un funerale in Licia 3.9. I funerali di Patroclo:dei Greci selvaggi? 3.10. I funerali di Ettore: morte e pianto rituale 3.11. Kterea ktereizein ·
67 67 69 71 72 73 76 78 81 83 87 89
4. Nekyia: la casa dei morti 4.1. Elementi per una lettura della Nekyia 4.2. Heroic Poetry 4.3 Comparazioni 4.4. Il viaggio di Odisseo 4.5. Un contesto per la Nekyia 4.6. Il ruolo dell'immaginazione 4.7. I rituali dei morti 4.8. La seconda Nekyia: un funerale per Achille 4.9. Narrare la morte, narrare i morti
91 91 93 94 96 98 1O1 103 106 108
Parte seconda: Problemi di tecnica formulare e poesia orale nell'epica greca arcaica. 111 1. L'omeristica come scienza 1.1. Milman Parry e la teoria dello stile formulare 1.2. L'analisi formulare problemi di metodo 1.3. L'analisicomparativa:Omero e l'epica slava
113 117 125 131
2. Omero e la poesia orale 2.1 La memoria e il tempo 2.2 Gli aedi odissiaci 2.3. Odisseo narratore 2.4. Psicologia omerica ed epica orale
139 139 145 154 159
Indice dei nomi.
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Parte prima
Forme della narrazione e
forme della realtà
CAPITOLOPRIMO OMEROTRA ORALITÀE ORALISMO
La cultura che diciamo occidentale comincia con due grandi poemi, Iliade e Odissea, che ci sono pervenuti.in una versioneche -per il primo almeno- è possibile datare alla fine del VI secolo prima della nostra era. Entrambii poemi, per caratteri linguistici che mostrano e per i tratti di civiltà che riflettono,devono collocarsi in un'età ancora anteriore di almeno due secoli. Essi sarebbero quindi stati composti.,con ogni probabilità nell'ottavo secolo a.e. Solo nel corso di quel secolo sono attestate in Grecia iscrizioni alfabeti.chesecondo una scrittura derivata dal fenicio, mentre per i quattro secoli precedenti.-le cosiddetteetà oscure- c'è certezza assoluta dell'assenzadi scritturaentro una civiltà che segue e progressivamentericopre la civiltà comunemente detta micenea (1500-1100 a.e. circa) che invece conosceva una scrittura sillabica che appare, una volta decifrata, adibita alla sola utiliz:razioneamministrati.vadi registrazionidi archivio. Se questa ricostruzione corrisponde alla verità storica in tutti i suoi elementi.,il problema della composizione dei poemi omerici si colloca quindi entro la difficile considerazione degli elementi.di una età senza scrittura, interposta tra
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due età che la scrittura conoscono, se pure in forme diverse e diversamente utilizzabili. Se si considera poi il fenomeno dato dalla ordinaria fruizione delle opere letterarie in Grecia che, fino addirittura al N secolo, avviene secondo modalità aurali, auditive, piuttosto che visive e di lettura, si hanno i termini di una complessa questione antropologica di cui merita certo occuparsi. I. L'addomesticamento del pensiero selvaggio.
Giusto dieci anni fa, Jack Goody decideva di raccogliere alcuni suoi saggi dedicati all'incontro tra oralità e scrittura in diversi contesti culturali 1• L'antropologo aveva, come è noto, ff".alizzatonegli anni precedenti una serie di studi che gli avevano permesso di esprimere con grande chiarezza la sua opinione, in materia di oralità e scrittura soprattutto nei contesti di civiltà africani dei quali si era direttamente occupato2• L'interesse della nuova raccolta risiede per noi soprattutto nel fatto che Goody si occupava in essa specificamente di contesti legati a civiltà dell'evo antico e, in un capitol3affrontava esplicitamente, secondo un'ottica comparativa, il problema della poesia epica greca arcaica, il problema di Omero. Il fatto che l'allora prof esso re di Antropologia sociale dell'Università di Cambridge abbia inteso occuparsi del primo prodotto della cultura occidentale, a noi arrivato al termine di una complessa tradizione, non costituisce in nessun modo un evento banale. E ancor meno lo è dopo che abbiamo considerato un'affermazione che lo studioso fa, 1
J.Goody, The interface between the Written antl the Oral, Cambridge 1987, tr. it.: Il suono e i segni, L'interfaccia tra scrittura e oralità, Milano 1989. 2 Penso soprattutto a: J; Goody (ed.) Literacy in Traditional Societies, Cambridge 1968, Id. The Domestication of the Savage Mimi. Cambridge 1977, tr.it. Milano 1981; The Logie of Writing antl the OrganilJJtion of Society, Cambridge 1986, tr. it. Torino 1988. 3 Il m,L'Africa, la Grecia e la poesia orale, (pp.89-119 della trad.it.) non pubblicato, come altri, in precedenza.
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quasi all'inizio del suo ragionamento, quando dice con apparente candore di saper poco della Grecia antica non conoscendone la lingua per poi affrettarsi ad invocare una effettiva generalizzazione della condizione di fruitore incompetente di un fenomeno di civiltà che appartenga al senso comune di chi sia -diremmo noi- nato e cresciuto «entro un sistema educativo europeo che abbia mantenuto legami diretti con il suo passato 'classico'» 4 • Goody dimostrava in realtà di conoscere una parte essenziale del dossier della cosiddetta ParryLord Theory, la teoria relativa al carattere formulare e tradizionale della dizione epica e della sua origine entro una cultura orale. La parte che l'antropologo meglio conosce e pratica è naturalmente quella comparatistica (e quindi più specificamente relativa all'apporto di Albert Bates-Lord, successivo alla precoce morte di Milman Parry nel 1935)5 ma il suo contributo è importante a livello teoretico e può costituire per noi, se ben inteso, un utile punto di avvio. Il comparatismo di Goody ha infatti un punto di partenza paradossalmente rovesciato rispetto all'ordinaria esperienza degli studiosi di Omero. Questi procedono infatti dalla conoscenza dell'epica greca arcaica e soprattutto dall'interazione tra questa e la sensibilità loro propria di intellettuali inseriti in quella che si chiama comunemente cultura occidentale. L'antropologo britannico parte da una diversa interazione, quella tra la propria cultura antropologica e il dato di esperienza acquisito nel lavoro sul terreno, condotto in Africa occidentale tra i Lo-Dagaa del Ghana settentrionale. È una sorta di etnocentrismo rovesciato che lo porta a conclusioni interessanti. Ve4
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. p. 90. tr. Jt.
Gli studi omeristici citati da Goody sono nell'ordine: M.Parry, The Making of Homeric Verse, edited by Adam Parry, Oxford 1971; A.Parry, Have we Homer's Iliad? «Yale Classica! Studies» XX, 1966, 177-216 (ora in The language of Achilles ami other papers, Oxford 1989, 104-140; G.S.Kirk, The Songs of Homer, Cambridge 1962, Id. Homer ami the ora/ Tradition, Cambridge 1976, A.B. Lord, The Singer of Tales, Cambridge Mass.196O; M. N. Nagler, Towards a generative view of the oral formula, «Transactions and Proceedings of American Philological Association» XCVIII, 1967, 269-311; T.G. Rosenmeyer, The formula in early Greek poetry, «Arion» IV, 1965, 295-308; J.B. Hainsworth, The criticism of an ora) Homer, «Joumal of Hellenic Studies» XC 1970, 90-98.
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diamole nelle sue parole: «Dopo aver esaminato le caratteristiche generali degli studi che hanno messo a confronto le composizioni omeriche con altre forme di 'epica', sono giunto alla conclusione- scrive Goody- che quel genere è tipico non tanto delle culture orali quanto di una fase primitiva delle culture 'alletterate'. A sostegno di questa ipotesi stanno tratti stilistici e contenutistici dei poemi; la loro struttura non è incoerente con un influsso letterario. Con questa osservazione non intendo suggerire che l'autore dell'Iliade fosse necessariamente un letterato. Resta che il poema, quale noi lo conosciamo, sembra avere notevolmente risentito -dal punto di vista sia formale che contenutistico- dell'esistenza della scrittura; non fosse altro, perché l'autore o altri lo trascrisse, lo trasformò in un testo scritto. Più in generale, riesce difficile immaginare che tra i grandi risultati verbali della cultura greca nel 750 a.C. non fosse almeno in parte compresa l'esperienza degli influssi della scrittura. Anche ad altre produzioni epiche della cosiddetta Età eroica sottostava un background parzialmente alletterato. Gli esempi africani di lunghe recitazioni provenienti da culture puramente orali, differiscono significativamente dai poemi omerici. Se poi l'idea di una composizione 'comunitaria' va ovviamente rifiutata, resta che il concetto di una composizione straordinaria, del tutto isolata, di un compositore del tutto a sé stante è cosa che riesce contraria ai dati in nostro possesso circa la riproduzione di queste formulazioni standardizzate nelle società che affidano la comunicazione linguistica al solo canale orale» 6 • E nel libro, dopo un capitolo dedicato ai Veda, l'attenzione dell'antropologo si concentrava sul Bagre dei LoDagaa del Ghana come paradigma di un'opera composta e trasmessa oralmente, in condizioni empiricamente perfette.
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J. Goody, The interface cit. tr. it. pp.118-119.
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2. Oralità. Dieci anni sono, nel cammino della ricerca scientifica, un tempo molto lungo. Il numero dei contributi, pubblicati su ogni argomento, come è possibile verificare nei repertori bibliografici, è sempre molto elevato. Il caso di Omero è addirittura particolare: è francamente difficile riuscire a controllare la totalità della produzione critica specifica. Bisogna procedere per selezione e cercare di capire le tendenze dominanti. Esistono per questo buoni punti di riferimento nelle diverse province intellettuali che compongono l'ordinato dominio della scienza dell'Antichità. Se la Oral Theory ha dominato per qualche decennio entro la cultura anglosassone, sui due lati dell'Oceano Atlanti001, è doveroso ricordare come essa derivava da un felice innesto entro la linguistica sociologica francese 8 ed aveva potuto giovarsi dei contatti di questa con altre tendenze nello studio della poesia popolare epica dei Balcani 9• A partire dalla fine degli anni Sessanta, la teoria della oralità si è affermata nel filone centrale degli studi italiani sulla cultura greca e ha determinato il costituirsi di una scuola ricca di contributi anche fortemente innovativim. Una controtendenza ha cominciato a manifestarsi e ad affermarsi nella cultura di
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Numerose sono le raccolte e le rassegne disponibili. Tra le più recenti si veda: J.P.Holoka, Homer, oral poetry theory, and comparative literature: major trends and controversies in twentieth-century criticism, in Zweihundert Jahre Homer-Forschung. RUckblick wul Ausblick Heraugegeben von Joachim Latacz, Stuttgan und Leipzig 1991, pp.456-481. Significativamente l'unico contributo in lingua inglese dell'intera raccolta. 8 Le thèses redatte in Francia dallo studioso americano si giovavano, come è noto, della direzione di Antoine Meillet. 9 Mi riferisco all'opera di Mathias Murko, poi confluita nel volume la poésie populaire épique en Yougoslavie au début du XX siècle, Paris 1929. La bibliografia dell'autore in Bibliograficky Soupis Literami Cinnosti prof M.Murka, sestavila Jelja Arneriova Murkova, Praha 1937. IO Si vedano per tutti i contributi raccolti da B.Gentili in Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma Bari 1983. Ma è utile un rinvio all'intera collezione dei Quaderni Urbinati di Cultura Classica per vedere l'organico sviluppo, tra studi originali e interventi critici, di un lavoro collettivo che prende la forma di scuola.
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lingua tedesca'' ed ha esteso progressivamente la propria influenza. Tempi e modi di questo grande dibattito intellettuale non sono qui esaminabili in dettaglio 12• Qualche considerazione sui momenti principali dello svolgimento dell'ultimo decennio permetterà tuttavia di orientarsi e capire. Il tratto che distingue questa fase dalle precedenti è, almeno nelle componenti più illuminate, il venir meno di una rigida contrapposizione tra collocazione dell'epica in una dimensione di assoluta oralità e affermazione di un carattere assolutamente letterario e scritto della stessa. E' l'interazione tra le due dimensioni -come del resto imposto dai risultati degli studi generali di storia della civiltà- a costituire il terreno principale dell'indagine. Un notevole intervento teorico è in questo senso rappresentato da Literacy and Orality in Ancient Greece, studio pubblicato a Cambridge nel 1992 da Rosalind Thomas, già autrice di un importante contributo sull' argomento 13• Lo scopo, che la studiosa britannica si propone, appare sostanzialmente analogo a quello che abbiamo identificato nella problematica trattata da Goody. Il suo studio, è bene dirlo subito, sta a quello dell' antropologo, per valersi di una analogia un po' immaginosa, come una relazione di scavo sta ad una indagine aerofotogrammetrica. La studiosa affronta il problema posto dalla cultura greca nella sua globalità entrandovi per la strada principale, quella che abbiamo visto preclusa a chi non ha accesso diretto alla comprensione dei documenti di cui deve occuparsi. Questo non avviene senza precauzioni e precisazioni. La Thomas affronta subito la questione più delicata che è ovviamente quella terminologica. Le due nozioni su cui opera orality e literacy sono tutt'altro 11
L'esponente più attivo è J.Latacz del quale si può vedere il fin troppo esplicito Homer. Der erste Dichter des Abendlands, Miinchen u. Ziirich 1989 tr. it. Roma-Bari 1990. 12
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Ulteriori considerazioni ho svolto nel paragrafo 2.1. infra pp. 3 I e segg. Ora[ Traditionand WrittenRecords in Classica[Athens, Cambridge 1989.
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che chiare e distinte e la studiosa propone di affrontarle scomponendole in elementi che ne sottolineano una reale pluralità di significati. Per la oralità, essa parla di una varietà di gradi mettendo bene in evidenza come una oral poetry sia comunemente detta tale solo se improvvisata sulla base di uno stimolo istantaneo. Una condizione, possiamo aggiungere che, per lo stato della documentazione sarà sempre impossibile dimostrare fuori da contesti umani viventi. la Thomas si vale positivamente della nota distinzione proposta da Ruth Finnegan 14 tra oral communication, oral composition e oral transmission, ciascuna delle quali ha diverse relazioni con la scrittura. Altrettanto efficace è il modo in cui viene sgombrato il campo da ogni seduzione primitivistica, da ogni trasferimento alla dimensione poetica orale di mitologie del buono o del nobile selvaggio, che pure tanto hanno influenzato la cultura europea e non solo in età romantica o immediatamente post-illuministica. Credo di non sbagliare se sottolineo come questo importante contributo teorico abbia obiettivi più vasti di quelli connessi alla mera comprensione distinta delle due dimensioni, orale e scritta, della cultura antica e miri, in coerenza con lo studio precedente del 1989, ad un approfondimento del risultato di una lunga interazione, degli esiti quindi specificamente letterari della cultura ellenica nella Atene classica. Tanto non impedisce al lettore interessato, ancorché parziale, di considerare ancora una serie di punti problematici che la studiosa affronta nel suo terzo, e per noi fondamentale capitolo, dedicato alla oral poetry 15• In esso, la considerazione della storia degli studi si accompagna ad una focalizzazione inteipretativa immediatamente evidente. la Thomas compone la sua analisi della Parry-Lord Theory avendo già chiaro l'esito cui mira: la proposizione di una soluzione flessibile che stemperi il contrasto tra i due modelli integrali, di oralità e scrittura, con14
R. Finnegan, Oral poetry, its nature, significance and socia/ context, Cambridge 1977. Della stessa autrice si veda anche: Orality and Literacy, Oxford 1988, ora in tr. it.: La fine di Gutenberg. Studi sulla tecnologia della comunicazione, F°ll'Cnze1990. IS pp. 29-51.
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trapposti, e identifichi in processi interattivi il fattore dominante della caratterizzazione dei poemi nella loro interezza. Si può forse lamentare lo scarso rilievo che nella sua argomentazione prende il fatto -a mio parere decisivo- che proprio il momento iniziale del percorso esaminato, gli studi di Milman Parry sulla dizione epica, forniscono una soluzione, l'unica che regga all'analisi critica, al problema della formazione della lingua artificiale poetica dei poemi, sulla base del sostegno fornito dalla base ritmica dell'esametro, o forse meglio, seguendo l'ipotesi gentiliana16, dei suoi elementi costitutivi, ma il quadro d'insieme tiene ed è convincente. Una poesia, con forte connotazione orale, alimentata da una reale capacità di improvvisazione tradizionale,cioè su di una base culturale continuamente sostenuta, educata e praticata socialmente, costituisce ipotesi convincente per il lungo tratto della trasmissione dei poemi che precede la trascrizione nella forma monumentale che ci è pervenuta. Qualcosa aggiunge ancora a questo quadro lo studio recentissimo di Gregory Nagy, un ellenista americano aperto a molteplici esperienze intellettuali soprattutto nel dominio degli studi indoeuropeistici. Il suo libro, Poetry as performance. Homer and beyond, Cambridge 1996, cosri.iisce una sfida invitante all'interpretazione del critico. Nagy riprende infatti la sostanza dei suoi numerosi interventi sulla questione di Omero e -in un'ottica comparatistica, resa assai complessa dalla scelta della poesia trobadorica come termine di comparazione- si esprime con ampiezza di particolari sul tema della performance epica. Quel che rende importante il suo contributo è la collocazione del tema in una dimensione storico culturale molto vasta, caratterizzata da una sostanziale rivisitazione dell'intera tradizione del testo epico in età antica. Perché il lettore intenda: Nagy compie, nello specifico suo, quello stesso che Wolf volle fare nei suoi Prolegomena. Il primo dei filologi moderni voleva con ciò risolvere la que16 B.Gentili,
Preistoria e formazione dell'esametro, QUCC 26, 1977, pp. 7-37.
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stione omerica, lo studioso americano vuole spiegare la realtà delle perfonnances antiche, valendosi di una nuova lettura di molti testi antichi-.È -lo ripeto- un tentativo importante, le cui implicazioni dovranno essere considerate con molta attenzione. Non è compito nostro tuttavia. Per il nostro ragionamento è invece essenziale tornare subito più vicino a noi, ai più recenti studi italiani di omeristica.
3. Oralismo. Tra gli eventi culturali recenti che, malgrado una significativa eco mediatica, che resta tuttavia, per il suo carattere, forzatamente effimera, rischiano di non essere colti nella loro effettiva importanza è doveroso segnalare la pubblicazione, nei primi mesi del 1996 di una nuova traduzione dell'Iliade, prodotto di un lavoro lungo ed accurato condotto per anni da un esponente della scuola italiana cui ho poco sopra fatto cenno 11• Giovanni Cerri ha dato una nuova forma al testo dell'Iliade, che generazioni di italiani, privi della conoscenza del greco, hanno letto, giusta la stagione della loro formazione, secondo varie sensibilità interpretative e poetiche, dalla forma neoclassica del Monti alla prosa lievemente ritmica di Rosa Calzecchi-Onesti, dietro il cui suggestivo risultato stavano, oltre alla sua peculiare attitudine, le distinte influenze di Mario Untersteiner e di Cesare Pavese. Un giudizio sulla nuova traduzione è, per definizione, manifestazione di soggettività: quello che io esprimo non fa ovviamente eccezione. Io credo tuttavia che questa nuova forma italiana di Omero costituisca, al di là di ogni ricezione soggettiva, una svolta nella possibile fruizione del testo omerico per il fatto che essa traduce, nella sua specifica dimensione, quella sensibilità al particolare carattere della dizione epica greca 17
Omero, Iliade, introduzione e traduzione di Giovanni Cerri, commento di Antonietta Gostoli con un saggio di Wolfgang Schadewaldt, testo greco a fronte, Milano 1966.
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arcaica, che deriva dalla attenzione agli esiti della lunga stagione degli studi sulla peculiarità formulare, tradizionale dei poemi epici arcaici e sul rapporto che essi hanno con il passaggio da una civiltà orale a civiltà della scrittura. Trovo conferma a questo mio convincimento nella lettura del saggio introduttivo che lo studioso italiano, che rappresenta la seconda generazione della scuola urbinate, ha premesso al testo omerico. In questo, Cerri ricostruisce, in modo sobrio ma non sommario, la storia del testo omerico ed esamina le varie possibili teorie sulla sua composizione. Nel farlo, non dimentica di richiamare quei momenti della tradizione culturale del nostro paese che meglio sottolineano il rapporto tra interventi critici, posizioni teoriche e condizioni storico sociali in cui i primi furono effettuati e le seconde furono elaborate. I due esempi più chiari sono proprio nel richiamo a due frutti della riflessione di scuola cui già ho fatto cenno: la messa in evidenza, da parte dello stesso Cerri, del sostanziale valore attuale delle posizioni esposte da Giovan Battista Vico come autore di una reale Discoverta del vero Omero' 18 e l'importanza del fenomeno specificamente italiano della pratica della poesia estemporanea di intrattenimento nei salotti aristocratici italiani nel settecento preromantico, di cui Bruno Gentili ha mostrato il rilievo nello sviluppo della stagione culturale che conduce ai Prolegomena di Wolf e oltre 19• A questi richiami si aggiunge la esposizione finale di una ipotesi di soluzione che non si limita a riflettere i risultati ottenuti sulla base dell'analisi della forma dell'espressione poetica, e quindi effettivamente dagli studi da Milman Parry in poi, né assume il prodotto dell'indagine comparatistica condotta essenzialmente sull'epica popolare 18 G.
Cerri, G.B.Vico e l'interpretazione oralistica di Omero, in Oralità, cultura, letteratura, discorso, Atti del convegno internazionale, Urbino 21-25 luglio 1980, a cura di e.Gentili e G. Paioni, Roma 1985, pp. 233-252. 19 Bruno Gentili, Cultura dell'improvviso. Poesia orale colta nel Settecento italiano e poesia greca dell'età arcaica e classica, QUCC 35, 1980, pp. 17-59 riprodotto in Oralità, cultura cit. pp. 363-408. Le sottolineature di Cerri, nella sua Introduzione cit. alle pp. 69-70 e 74-75.
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degli Slavi del sud come referente risolutivo i cui possibili esiti siano eia identificare nell'ipotesi di testi orali dettati da un unico poeta (A.B.Lord) o da un geniale lavoro di scrittura con cui un poeta, formato nella tradizione epica orale, svolgerebbe il doppio ruolo, per esprimersi metaforicamente, di autore della Bibbia e di Gutemberg, di responsabile del contenuto e di realizzatore del medium (Adam Parry). Cerri, che parte da una sottolineatura della stratificazione culturale identificabile senza dubbi nell'lliade 20 richiama uno degli interpreti più sensibili del fenomeno letterario greco nella sua globalità, Gilbert Murray 21 -il cui lavoro è inseparabile dalle influenze antropologiche ricavate dal gruppo cantabrigense (J.E. Harrison, F.M. Comford) e dalla fioritura degli studi pioneristici di M.P. Nilsson sui rapP.()rti,mi esprimo sommariamente, tra Omero e Micene 22• È sulla scia di Murray che Cerri propone di collocare i frutti della lunga stagione degli studi oralistici entro un'ipotesi estremamente flessibile che evidenzia alcuni tratti di pluralità e di stratificazione culturale tali da presupporre un lungo percorso di elaborazione, ripetizione orale, composizione e lenta fissazione per iscritto dei poemi. Il dilemma tra ruolo della scrittura e fissazione mnemonica del testo è posto senza rigidità risolutoria con la affermazione dell'inesistenza di un testo di Omero unico e normalizzato già in età arcaica. «A lungo saranno sopravvissute, accanto alle recitazioni basate su un testo canonico, improvvisazioni più liberamente ispirate al mito dell'ira di Achille ed al mito del ritorno di Odisseo» è la conclusione del suo ragionament23.Il termine improvvisazione ci ri20 G. Cerri, Lo statuto del guerriero morto nel diritto della guerra omerica e la novità del libro XXIV dell'Iliade- Teoria dell'oralità e storia del testo, in AA.VV., Scrivere e recitare, a cura di G. Cerri, Roma 1986, pp. 1-53. 21 G. Murray, The Rise ofthe Greek Epic, Oxford 1934 (4ed) tr. it. Firenze 1964. 22 Sia consentito il rinvio a due miei studi: Il Nilsson di Giorgio Pasquali, posto come prefazione a M.P. Nilsson, Le Religioni degli antichi e i moderni, Firenze 1993 e L'uso e l'abuso dell'Antropologia. Osservazioni su alcuni rapporti tra antropologi e storici del mondo antico nei secoli XIX e XX, in SIFC 10, 1992 1175-1187 = Per una antropologia storica del mondo antico, Firenze 1990, pp. 255-263. 23 G. Cerri, Introduzione cit. p. 93.
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chiama a una nozione problematicae ci rinvia al testo, al suo contenuto, come oggetto per una indagine, su questo punto, conclusiva. 4. Autodidaktos eimi.
Una buona rassegna critica è parte essenziale di una esposizione che voglia informare sullo stato di una questione scientifica.È evidente tuttavia che questo non può bastare e che anzi sollecita, nel nostro specifico caso, un tentativo autonomo di ricostruzione delle condizioni reali di realizzazione dell'esperienza poetica di cui i due grandi poemi dell'epica eroica arcaica greca costituiscono la straordinaria testimonianza. Una via non arbitraria né gratuita per immaginare condizioni di realizzazione della performance poetica propria dell'epica arcaica è, nella tradizione degli studi, quella costituita dall'esame della testimonianza globalmente fornita dai poemi stessi sulla condizione e l'attività degli aedi, i poeti cantori che compaiono, con abbondanza di indicazioni, soprattutto nell'Odissea. È una strada inevitabile e già molto percorsa, il che naturalmente non evita che si continui a frequentarla con la speranza o l'illusione di trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che gli altri viaggiatori abbiano trascurato o non abbiano addirittura mai visto. Se anche oggi, e per semplici accenni, si tenta di affrontarla · è soprattutto perché l'analisi dei contenuti appare sempre più connessa all'analisi delle forme poetiche e, in buona misura, sembra anzi dipenderne. Senza che qui l'assunto sia in nessun modo dimostrabile, è possibile sostenere che anche nel caso della rappresentazione della condizione aedica i poemi non offrono necessariamente una rappresentazione organica né coerente e che i dati possono essere singolarmente apprezzati senza alcun obbligo di costituire, con l'insieme, un modello di società reale storicamente determinabile in termini di corrispondenze parziali o totali. Pur entro un quadro di sostanziale e ere-
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clibilecompatibilità,le due figure cli cantori, Femio a Itaca e Demodoco nella Scheria dei Feaci esprimono una pluralità cliatteggiamentie clifunzioni che è riduttivo unificare. Non intendo riprendere qui l'intero dossier sul quale mi è già capitato cliintervenire24• Mi limito ad affrontare un particolare, isolandolo per poi verificarlo sulla base cli due studi recenti. Se quindi mettiamo stavolta da parte l'esame delle invocazioni alla Musa e, per l'Odissea, il tema assai importante del ruolo svolto dallo stesso Odisseo come narratore, possiamo concentrarci sulle due figure aecliche che sono personaggi della narrazione in tre distinte parti della complessa struttura del poema del ritorno dell'eroe. Femio, il cantore itacese, compare due volte, nel primo dei canti odissiaci, in quella parte del poema che si dice Telemachia per il prevalere in essa della figura del figlio di Oclisseoe della vana sua ricerca del padre, e nel ventiduesimo,nel pieno della parabola discendente del poema, nella parte che si concentra sul ritorno e la vendetta dell'eroe, aiutato dal figlio e da pochi fedeli contro i pretendenti che hanno occupato la sua reggia e insidiano la sua sposa. In posizione centrale nel poema, quasi incastonata nei cosiddetti Apologoi, i racconti che Odisseo propone ad Alcinoo ed ai suoi ospiti Feaci, nell'ottavo canto del poema brilla la figura del cantore cieco, Demodoco, il cui stesso nome richiama etimologicamente il consenso popolare all'esercizio della facoltà poetica:zs.Intervenendo una prima volta sulle due figure cli poeti cantori, ho sottolineato una sostanziale distinzione tra i due modelli che l'analisi impone in prima evidenza. Demodoco, il cantore feace, ha un rapporto cli dipendenza dalla divinità, che la sua 24 R. Di Donato, Problemi di tecnica formulare e poesia orale nell'epica greca ar-
caica, ASNP 38, 1969, pp. 243-294. segnatamente alle pp. 260-273. Cfr. infra p. 145 e seg. Naturalmente sono numerosi da allora gli interventi sul tema. Mi limito a ricordare tra i più recenti i contributi di F. Bertolini a Lo spazio letterario della Grecia antica, Roma 1992 pp. 47-76 e 109-142. Non mi pare aggiunga molta luce la raccolta di testi commentati da S. Grandolini, Canti e aedi nei poemi omerici, Roma 1996. :zsSu Demodoco sia consentito il rinvio a quanto ho scritto nel mio Una lettura di Omero, Commento all'Ottavo libro dell'Odissea, Firenze 1986 ad locc.
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menomazione fisica assimila ad altre figure di mediazione come indovini o sciamani, da cui totalmente dipende il suo canto. Femio, il cantore itacese, mostra come si venga affermando una sostanziale laicizzazione di questa condizione con un più stretto riferimento all'interazione che si determina tra il poeta e il suo pubblico. Quest'ultimo sollecita il canto e ne determina per una parte essenziale forme e contenuti entro il grande repertorio della conoscenza mitica che comprende gli erga andron te theon te, le opere tutte di uomini e dèi, degne di ricordo 26 • Nel 1981, Walter Belardi 21 si è impegnato a chiarire il significato dell'epiteto con cui, nella narrazione odissiaca (XXII, 34 7) il cantore Femio caratterizza se stesso in un modo apparentemente contraddittorio: si dice infatti autodidaktos proprio mentre attribuisce al dio d'avergli ispirato ogni sorta di canto nell'animo 28• Il contributo di Belardi è stato sostanzialmente completato, sempre in un'ottica comparatistica, applicata questa volta all'India vedica, da Romano Lazzeroni 29• Spero di non tradire la sostanza dei loro contributi se la funzionalizzo alla logica del mio ragionamento e la traduco nel mio linguaggio. Una analisi microcontestuale del termine impone di risolvere la contraddizione tra la rivendicazione della condizione di autodidaktos e l'affermazione di dipendenza dal dio per la conoscenza delle molteplici trame del canto. Femio non potrebbe dirsi contemporaneamente autodidatta e ispirato dal dio. E al tempo stesso, l'aedo non potrebbe contraddire la propria condizione di poeta mercenario, appartenente a una famiglia o scuola professionale, che svolge una funzione demiurgica, secondo un lessico 26
R. Di Donato, Problemi di tecnica formulare cit. p. 269. Infra p. 151. Belardi, Poesia e onniscienza. Tecnica e insegnamento nella Grecia arcaica e nell'Iran zoroastriano in Letterature comparate. Problemi e metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, Bologna 1981, pp. 3 ss. ristampato con aggiunte in: Linguistica generale.filologia e critica dell'espressione, Roma 1990, pp. 219-236. 28 tr. di G. A. Privitera. 29 R. Lazzeroni, Autonomia del poeta e poetica indoeuropea, in SMEA, 33, 1994, 69-77. 27 W.
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inappropriato ma efficace, una funzione pubblica. Secondo Belarcli, quindi, Femio si difenderebbe dalla possibile vendetta di Odisseo con un'argomentazione di doppio livello: affermazione della propria condizione di poeta (quindi dipendenza -tradizionale- dal dio) e condizionamento (quasi obbligo) del canto, nella condizione sociale di dipendenza nella corte occupata dai pretendenti. L'argomento linguistico -il valore non riflessivo dei composti omerici con auto 30permette di ristabilire coerenza nel doppio enunciato dell'affermazione del c&ntore ma al tempo stesso ne sottolinea una nuova e più importante contraddizione, con il quadro reale della condizione narrata, con la pratica laicizzata e umanizzata del rapporto poeta-pubblico che Femio nelle sue apparizioni -diversamente da Demodoco- testimonia. Anche senza seguire, a questo punto, Lazzeroni nelle conseguenze ultime del suo ragionamento comparatistico -Femio (di Od. XXII, 347-48) e Rg-Veda rifletterebbero, a suo giudizio, l'originario stadio indoeuropeo della funzione poetica- appare certa la presenza nella descrizione odissiaca di due distinti momenti dell'esperienza compositiva ed espressiva per i quali è possibile ipotizzare un percorso diacronico. Ed è mostrato un momento in cui modello vecchio e modello nuovo sono compresenti, c'è quasi il documento di un momento di transizione tra due fasi. Il fatto che entrambi i modelli siano posti nella dimensione che la narrazione obbliga a intendere come orale -sia pure nella proiezione fantastica del mito- costituisce un forte sostegno alle convinzioni di chi immagina il percorso dei poemi (senza distinzione tra forma dèll'espressione e forme reali di civiltà) dalla fase orale originaria alla realizzazione monumentale dei poemi nella forma della redazione scritta, come scandito da numerosi momenti, ciascuno dei quali reca con sé, tracce di fasi di civiltà, quasi fotogrammi, in una sequenza relativa che non è sempre agevole, e in qualche caso è ancora impossibile, restituire. 30
Questi indicano «un'autonomia della volontà, una indifferenza agli agenti esterni, un impulso spontaneo»: W. Belardi, Poesia e onniscienza cit. p. 226.
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L'esperienza dell'epica obbliga a prudenza in ogni conclusione. Quello che qui propongo, come vero punto di partenza, è un invito alla riflessione.
CAPITOLO SECONDO LO SCUDO DI ACHILLE
Il compimento della pubblicazione del commentario all'/liade1costituisce un importante segnale del corso degli studi omeristici a noi contemporanei. Diversamente dal commento all'Odissea, apparso originariamente in lingua italiana2 e caratterizzato dalla giustapposizione di orientamenti critici anche piuttosto lontani tra loro, il commentario cantabrigense riflette uno sforzo di integrazione e interazi~ ne tra i contributi dei vari autori che si riconoscono, con ovvie personali peculiarità, entro la generale visione critica di Geoffrey S. Kirk 3• 1
The lliatl: a Commentary, generai editor G.S.Kirk, I: books 1-4 (G.S.Kirk), Cambridge 1985; II: books 5-8 (G.S.Kirk), 1990; III: books 9-12 (J.B.Hainsworth) 1993; IV: books 13-16 (R.Janko) 1992; V: books 17-20 (M.W.Edwards) 1991; VI: books 21-24 (N.Richardson) 1993. 2 Omero, Odissea, I: libri I-IV a cura di A.Heubeck e S.West, trad. di G.A.Privitera, Fondazione Lorenzo Valla 1981; II: libri V-VIII (J.B.Hainsworth) 1982; ID: libri IX-XII (A. Heubeck) 1983; IV: libri XIII-XVI (A.Hoekstra) 1984; V: libri XVI-XX (].Russo) 1985; VI: libri XXI-XXIV (M.Fernandez-Galiano e A.Heubeck) 1986. L'edizione inglese, in tre tomi, è riveduta: Oxford, I, 1988; II, 1989; III, 1992. 3 Per il Regius Professor onorario cantabrigense quest'opera è l'esito coerente di una lunga stagione di studi aperta dal volume suo, forse più famoso, The Songs of Homer (Cambridge 1962) e poi nutrita di contributi importanti, a partire dal reading Language ami Background of Homer (Cambridge 1964) fino alla raccolta Homer and the
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Gli ultimi trent'anni degli studi sono stati culturalmente dominati dalla discussione sulla oralità 4 che ha rianimato l'omeristica con esiti interessanti nelle due direzioni possiamo dire, ora sostanzialmente convergenti- neounitaria e neoanalitica. Al di là della impossibile considerazione del valore di ogni singolo contributo, è utile in premessa una riflessione generale su questa lunga stagione e sulle questioni culturali che ha sollevato. Il primo volume kirkiano seguiva di poco, nel 1962, la pubblicazione negli Stati Uniti di The Singer of Taless, la tesi di Albert Bates Lord, continuatore del lavoro comparativo di Milman Parry e principale responsabile del sedimentare in moduli statici di una parte almeno del dibattito teorico 6 • Si deve ad Adam Parry, in particolare nel saggio introduttivo alla raccolta delle opere paterne in un unico volume oxoniense7, d'aver ricondotto in una dimensione culturale adeguata il rapporto tra condizioni del testo e condizioni del contesto omerico. Dopo la scomparsa prematura di Adam Parry, il prevalere di specialismi, spesso non comunicanti tra loro, contribuiva tuttavia al mantenimento in settori separati degli studi di oralistica e degli studi sulla società (o sulle società) riflesse nei poemi 8 • L'esistenza dei due commentari all'epica maggiore restituisce ora ai testi, nella loro globalità, una posizione centrale Oral Tradition (Cambridge 1976) che conclude, per cosl dire, la fase preparatoria pretestuale- degli studi dell'omerista britannico. 4 Cfr. per gli studi recenti: J.P.Holoka, Homer, Oral Poetry Theory and Comparative Literature: Major Trends and Controversies in Twentieth-Century Criticism in Zweihunden Jahre Homer Forschung. Riickblick und Ausblick Herausgegeben von J .Latacz, Stuttgart und Leipzig I99 I pp. 456 ss. s Cambridge Mass.-London 1960. 6 Molto interessante, anche per parziali revisioni, è la finale raccolta: A.B.Lord, Epic Singers and Ora/ Tradition, lthaca and London 1991. 7 The Making of Homeric Verse. The collected Papers of Milman Parry edited by A.Parry, Oxford 1971, pp. IX-LXII. 8 Particolarmente evidente, ad es., nel volume collettivo, edito da J.Latacz. (sopra n.4). Di Adam Parry sono sempre da leggere, come esempio del tentativo di applicare coerentemente gli esiti dell'oralistica all'esegesi microcontestuale, le sette pagine di The Language of Achilles (1956) ora raccolte in The Language of Achilles and other Papers, Oxford 1989.
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e rende concretamente possibile una nuova stagione esegetica. In particolare, il significato del commentario iliadico, al di là dei limiti riscontrabili concretamente nei singoli volumi, risiede nella ricomposizione del problema omerico e nella riconduzione di questo al dato continuo della narrazione epica: la preminenza data alle questioni delle forme dell'espressione poetica dischiude, in modo teoricamente rinnovato, il campo dell'esegesi . Corollario non secondario a questa affermazione e premessa al ragionamento qui proposto è ancora una considerazione di carattere epistemologico. In mancanza di un contesto storico univoco e predeterminabile, l'oralistica ha restituito al testo dei poemi epici un contesto antropologico assai bene integrato. Si può discutere su ogni definizione che si decida di utilizzare rispetto al referente letterario che è il più delicato da maneggiare per una manifestazione, l'epica arcaica, che è incipitaria e insieme significativa della realizzazione di un genere tanto importante per le culture dell'occidente europeo. Per certo tuttavia, la connessione tra la ricostruzione teorica delle condizioni tecniche della performance aedica in rapporto con una forma di civiltà complessiva, da un lato, e le concrete indicazioni del testo epico, relative in particolare alla funzione aedica9 , dall'altro, consentono di praticare una forma di lettura degli elementi di realtà storica contenuti nel testo che traduca, su questo terreno specifico, le acquisizioni generali già raggiunte nella considerazione delle forme espressive dell'epica. Non si tratterà così di cercare più singoli elementi caratteristici, quasi fossili di epoche precedenti la costruzione -nel primo dei due casi- dell'Iliade monumentale 1°.Né, al contrario, bisognerà affermare una griglia omogenea da cui espungere ogni elemento non coerente con i caratteri generali 9
Si veda ancora: A.Pagliaro, Aedi e rapsodi in Saggi di critica semantica, Messina-Firenze, 1961 (2ed), pp. 3-62. IO Per la nozione e le sue implicazioni cf. la /ntroduction di G.S.Kirk al I voi. del suo Commentary, pp.10-16.
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storicamente detenninati- della stessa. Una lettura storico antropologica può costituire, per saggi significativi,la soluzione del problema del rapporto tra i poemi epici e la diacronia di civiltà che questi hanno attrave~to.
1. Esperienzadi Omero. Un'esperienzadiretta dell'epica è possibile in ogni scala e secondo diverse modalità. Per lo studioso contemporaneo è ovviamente necessaria -in via preliminare- un'esperienza globale perché sia possibile maturare un giudizio critico, ma esperienze parziali possono non avere carattere meramente impressionistico.Nella cultura ellenica, almeno per un lungo tratto, l'ordinaria fruizione dell'epos era appunto parziale, consistendo nell'ascolto di una sequenza tra le molte che compongono le due narrazioni principali, quella della guerra e dell'ira e quella del lungo e difficile ritorno. Anche se ovvia precondizioneera, da parte del pubblico, una generale conoscenza della sostanza almeno del racconto. Una lettura della descrizione dello Scudo fabbricato da Efesto per Achille in I (18.468-608) consente di affrontare un tema assolutamentegenerale: è possibile chiarire il carattere di repertorio della conoscenza e di referente ideologico delle società aristocratiche del periodo arcaico che costituisce una delle possibili letture del fenomeno globale dell'epica da un punto di vista storico-culturale.Le premesse necessarie sono numerose ma non tutte devono essere qui esplicitate. Per farlo si può semplicementepartire da una prima constatazi?ne principale e da una seconda, immediatamente accessona. L'Iliade ha una struttura interna, è cioè un poema costruito sulla base di un disegno narrativo che non consiste nella semplice esposizione di eventi in successione. Tale struttura è tuttavia del tutto particolare e, soprattutto, ha caratteristiche sostanzialmente omogenee a quelle identificate
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nel ragionamento relativo al carattere artificiale della lingua epica e alla possibile spiegazione del suo processo fonnatiw11. Se è vero che tutto il ragionamento ~ulla fonnazione della lingua precede ovviamente quello della fonnazione concreta del racconto è anche vero che questo non può prescinderne. Anche il racconto ha cioè subito un processo di aggregazionetale da porre in contatto elementi non necessariamente concepiti in modo organico. Si può anzi arrivare a dire che è la narrazione continua, il racconto nel suo complesso, a determinare, quasi forzandole, integrazioni e connessioni. La tensione che, entro l'epos, si stabilisce tra la necessità del narrato principale (che è la vicenda di cui tutto l'uditorio conosce lo svolgimento e attende la conclusione) e lo sviluppo anche autonomo di singoli temi con effetto di ritardo12 o di temporanea contraddizione nello svolgimento dell'azione13, è un elemento essenziale all'epica come fenomeno letterario e artistico. Anche questo consente una analisi di singoli elementi di contesto senza esplicitare necessariamente il riferimento al macrocontesto letterario,la totalità dell'epi~ così come conosciuto dai cantori e dal loro pubblico. È evidente che alcune sequenze rappresentino meglio la tensione cui ho appena accennato per.la funzione di svolta nel percorso narrativo che assumono, così è appunto per la Hoplopoiìa la fabbricazione da parte di Efesto, di ciò richiesto da parte di Teti, delle nuove anni di Achille. 11 In
questo senso è possibile recuperare alcuni risultati della critica analitica entro una considerazione non microfilologica dell'epos. Unità minori, anche in dimensione microscopica, entrano organicamente a far parte del grande racconto (narrato principale) ciascuna assumendo un doppio ruolo: funzionale il primo alla modalità di composizione, funzionale il secondo al ruolo svolto entro il narrato principale. 12 Il più immediato richiamo è all'episodio odissiaco della cicatrice di Odisseo che muove il ricordo di Euriclea (19.386-502) su cui le pagine famose di Erich Auerbach (che riprende i contenuti di uno scambio epistolare tra Goethe e Schiller) in Mimesis, Dargestellte Wirklichkeit in der abendliindischen Literatur, Bern I 949, trad.it. Torino 1956, p. 3 ss. 13 Cosi, nello svolgimento del racconto dell'ira, giocano funzionalmente i successi dei Troiani, dopo l'allontanamento di Achille dal campo di battaglia.
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Nel lavoro interpretativo la determinazione delle sequenze narrative, ed in esse dei segmenti che le compongono, è non soltanto la prima ma la decisiva operazione affidata alla soggettività del critico. Questa scelta determina infatti i microcontesti entro i quali è possibile cercare coerenze. Da qui dipende la possibilità d'interpretare.
2. Sequenze narrative. Il più recente interprete di I, nel quadro del ricordato commentario cantabrigense, MarkW. Edwards distingue un numero ampio di sequenze prima di arrivare alla Hoplopoiìa vera e propria 14. Come è subito evidente, una tale partizione non fa coincidere ogni sequenza con un singolo tema narrativo15e neanche con una microcomposizione per la quale si possa pensare ad una origine autonoma 16. Si tratta di meri momenti narrativi con interna articolazione, scanditi da qualcosa di simile ad un cambio di scena 17 • Per la comprensione del meccanismo narrativo pochi esempi sono efficaci come l'esame di una scena tipica 18, la sequenza della visita di Teti alla casa di Efesto: I 369-467. La rapida successione di discorsi in cui si alternano tre divi14La partizione
di Edwards è la seguente: I: 1-147; II: 148-242; III: 243-314; IV: 314-355; V: 369-467. Sui criteri di divisione del testo in sequenze, si veda dello stesso autore: Convention ami individuality in lliad I in "Harvard Studies in Classical Philology", 84, 1984, 1-29. 15Interessanti le distinte opinioni di G.S.Kirk e MW. Edwards, rispettivamente in Commentary Il pp. 15-27 e V pp. 11-23. 16Come, ad esempio, il piccolo catalogo delle Nereidi -vero gioiello di forma e di suoni- in 18. 39-49, significativamente atetizzato da Zenodoto e Aristarco e, quindi, considerato interpolato da un critico analitico come W .Leaf in The lliad edited with apparatus criticus, prolegomena, notes and appendices, London I 1900, II, 1902, p. 273. Ma cfr.M.W.Edwards, Commentary V, p. 147 s. 17 L'espressione, ancorché usuale, è poco rigorosa e si riferisce ad un livello già secondario. Sul piano temporale, prima e seconda sequenza sono tra loro corrispondenti (cambia il luogo) e cosl terza, quarta e quinta (campo troiano, campo greco, sede della divinità). 18 La nozione parte, come è noto, da W.Arend, Die typischen Scenen bei Homer, Berlin 1933 di cui M. Parry intese subito (1936) l'importanza: The Making of Homeric Verse, p. 404 ss.
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nità, Charis, Efesto e Teti è evidentemente funzionale all'importanza dell'oggetto che sarà costruito. Il messaggio della struttura narrativa ha un referente oggettivo. Lo scudo e le armi sono essenziali perché Achille possa riprendere il suo status di eroe: essi sono uno degli aspetti materiali indispensabili all'identità che consente di agire 19• I singoli elementi della scena tipica hanno lunghezza e funzione diversa ma tutti concorrono a svolgere un'azione plausibile (anche perché sempre formalmente eguale a sé stessa) mentre richiamano il continuum narrativo. C'è come un effetto di stratificazione determinato dall'impossibilità del mezzo narrativo di rappresentare, se non per successione, anche quello che è assolutamente concomitante. Nella sequenza si vede bene il meccanismo cumulativo che sorregge l'epica e, concretamente, si vede la possibilità di inserire narrazioni minori più o meno sviluppate e di riassumere il già esposto nel narrato principale. In particolare, il breve discorso di Teti (429-461) annunciato da un verso formulare, secondo lo schema della risposta, nella variante della replica dolorosa accompagnata da lacrime 20 , aperto da un esametro stilisticamente significativo 21 inanella tre storie distinte: la storia di Teti (un tema mitologico assai ricco) 22 , la storia di Achille (l'elemento principale del racconto) e infine la microstoria di Patroclo che è elemento motore, dolorosamente involontario, dell'evento atteso 23 • Giova osservare come i discorsi arrivino ad imitare, in buona misura, la condizione 19 Il
riferimento essenziale è all'episodio iniziale del poema così come narrato rispetto alla soggettività di Achille- nel I libro dell'Iliade. 20 18.4281>=3.142b. 21 Si tratta, secondo la definizione kirkiana, di un 'tripartito in crescendo', rising threefolder; cf. Commentary, I, pp. I 7ss. 22 Cfr. L.M.Slatkin, The Wrath of Thetis, in "Transactions of the American Philological Association" 116 (1986) pp. 1-24. L'esempio delle vicende di Teti è uno dei tanti che consentono di vedere il mito come una sorta di materia plastica che si adatta al racconto sulla base di esigenze di compatibilità piuttosto larghe e non di una rigida coerenza. 23 18-45I -456 che riassumono I 6. I 24-867.
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della narrazione principale nella concatenazione di temi e di motivi. Essi introducono in modo naturale una soggettività che si sostituisce a quella del poeta narratore. Questa nuova soggettività è meno problematica e pennette di stabilire coerenze e connessioni che al narratore richiederebbero lunghi e difficili sforzi espressivi. Cosi, Teti che racconta le sue tre storie svolge, rispetto alla struttura narrativa, la doppia funzione di riepilogo del già narrato (una precondizione essenziale alla performance) e di passaggio alla nuova sequenza che è preparata ed attesa. La situazione rappresentata da Teti ha fornito una certezza negativa che è inteipretabile su di un unico piano. Achille ha perso il geras, la parte della preda che gli dava certezza d'appartenenza alla collettività, ha perso l'hetairos,il compagno che lo legava alla comunità guerriera originaria, e con questo ha perso le anni, senza le quali la sua condizione di eroe non può realizzarsi 24• È nudo, in uno stato di deprivazione totale che non gli pennette altro che il grido di dolore e l'invocazione dell'aiuto materno. Alla madre spetta di avviare il processo di ricomposizione ai livelli possibili. Per il compagno morto ci sarà il lutto, il cordoglio rituale che riconcilia la collettività con la vita favorendo l'elaborazione del sentimento di ·dolore, il superamento della perdita irreparabile 25• Per il geras non potrà esserci che la riparazione reale. In quanto tale, il geras è insostituibile 26 • Le anni possono essere sostituite: naturalmente meglio se questo comporta un
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18. 128-137; 19.8-23. Tutto il racconto dell'ira, poggia sulla nozione di geras inteso come elemento materiale che determina la condizione psicologica (individuale) e sociale (collettiva) dell'eroe. Non si tratta di uno status-symbol ma di un bene reale il cui possesso garantisce la condizione di eguaglianza e quindi l'esistenza stessa dell'aristeus. 25 23.4-257 cui fanno seguito i giochi funebri. Sulle manifestazioni del lutto si veda: M.Alexiou, The Ritual Lament in Greek Tradition, Cambridge 1974, senza dimenticare: E. de Martino, Morte e pianto rituale, Torino 1958. 26 Lo ha paradossalmente dimostrato Agamennone in I. 131-139.
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salto di qualità, un nuovo attingimentodel livello più elevato, del divino, nel suo specifico: Efesto, il dio fabbro27. Sulle anni si concentra così un'attesa che carica gli oggetti di valori ideologici. Teti conclude evocando nel dettaglio la panoplia (458-460) in questa avrà rilievo -specchio di una intera civiltà, così come raffigurabile e quindi narrabilelo scudo. Dal nostro punto di vista, la comprensione del testo non può che congiungere -senza contaminarle- due modalità distin~ di approccio: quella narrativa, della struttura del racconto e quella antropologica, delle forme di pensiero e delle forme di società dei personaggi intesi come esseri umani, come uomini veri entro la storia. 3. Lo scudo come uno specchio?
La risposta fattuale di Efesto alla richiesta di Teti è una lunga azione. Si tratta in realtà di una serie di atti propri di una funzione tecnica, alcuni particolari della quale sono presentati in forma fantastica28• L'oggetto -secondo una caratteristica dello stile tradizionale-non è descritto nel suo essere ma nel suo farsi. Lo scudo, in quanto oggetto costruito da Efesto e rappresentato nel poema, è stato molto e variamente studiatQ29. Non si vuole qui negare né l'utilità di una ricerca di referenti reali, archeologici,per un oggetto descritto né disprezzare i tentativi messi in opera per arrivare a una ricostruzione materiale 27
È pur vero che dell'artefice non è solo richiamata la capacità ma che questa è ricondotta a una sapienza pratica acquisita secondo facoltà umane di esperienza (482). 28 Questo è già valso per i prodotti dell'attività di Efesto, i tripodi con ruote che si muovono da soli (18. 373-377) e vale qui per i mantici che lavorano da soli al suo comando: 470-473. 29 La letteratura critica fondamentale è indicata e discussa da Edwards, Commentary, V p. 200 ss. Di grande finezza lo scolio bT a 476-7 che è buon esempio di una critica che, conoscendo già la pratica teatrale, contamina verbalmente specificità di generi diversi.
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che comprenda, coerentemente, tutti gli elementi descritti30 • Si vuole però confermare, ancora una volta, una sorta di precondizione interpretativa. La descrizione epica ha un destinatario diretto, l'uditorio delle performances, che è in grado di ricondurre -per il tramite dell'azione fantastica, dell'immaginazione- tutto quanto viene narrato entro termini piuttosto realistici che non necessariamente reali. Da questo punto di vista, il permanere di elementi di incertezza, di dubbio o di ambiguità non disturba affatto ma è proprio funzionale allo svolgimento dell'azione fantastica. In questa è sempre presente una tendenza che si può dire arcaizzante, o meglio, tesa a mescolare, non sempre in modo appropriato, elementi reali del presente con elementi immaginati o immaginari che vengono, per la convenzione del genere epico, collocati nel passato. Nella concreta descrizione è ovviamente superfluo concludere sull'inutilità di ogni esigenza realistica relativa al rapporto, ad esempio, tra contenitore e contenuto, tra la superficie del!o scudo e tutte le scene (narrate) che dovrebbe contenere. E evidente come nella descrizione si giustappongano e in parte sovrappongano due distinte esigenze, entrambe interne alla sollecitazione dell'azione fantastica dell'uditorio. La prima esigenza va nella direzione reali.stica, della descrizione di un oggetto immaginato secondo tipologie reali o comunque verisimili. La seconda è tutta presa dalla preoccupazione che abbiamo, per ora, detto ideologica. Nell'equilibrio dell'interpretazione, il rapporto tra le due esigenze indica il prevalere di un riferimento generale oppure particolare. La scelta tra le due possibilità ha importanti conseguenze. Nel primo caso, il termine di riferimento della descrizione dello scudo diviene l'intera epica, nel secondo caso ci si accontenta di una spiegazione sincronica, strettamente legata al momento della narrazione31 • Per quel che attiene alla 30
Notevole è il tentativo in direzione realistica, compiuto già dal Leaf nella Appendix I, al II voi. del suo commento iliadico pp. 602-614. 31 Questo induce all'esegesi microcontestuale: alla soluzione dei problemi in un'unica dimensione che comprende narrazione e realtà.
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costruzione formale del narrato, si può discutere infine se la descrizione delle azioni costruttive di Efesto interrompa realmente il flusso narrativo32 • Sembra piuttosto vero il contrario: in questo modo infatti il testo esprime una maggiore capacità di integrazione dell'elemento descrittivo entro il racconto, proprio grazie all'artificio della rappresentazione delle azioni del dio artefice. Questa forma narrativa ha come effetto volontario la visualizzazione delle immagini ad opera dell'uditorio, il quale è consapevole del rapporto che deve stabilire tra narrato e immagini stesse33 • Tutto questo indica con sufficiente chiarezza un punto almeno di cui si deve tener conto: tutte le immagini che lo scudo contiene sono rivolte al destinatario, l'uditorio che le visualizza mentre ascolta, perché questi possa rispecchiarsi in un quadro d'insieme. Quel che viene proposto, in rapida, animata successione, è l'intero quadro di una civiltà, come riflessa in uno specchio. Come vedremo subito, non tutti gli elementi di questa civiltà sono coerenti con tratti salienti del vivere degli eroi così comt! rappresentato, almeno nel corpo dell'Iliade monumentale. E una questione da affrontare in conclusione. 4. Immagini per una civiltà. La sequenza dello Scudo è ben definita secondo una meccanica di Ringkomposition epica con l'iterazione dell'intero emistichio tra i vv. 478b e 609b. Il verso dell'avvio dell'azione e quello della conclusione in forma di riepilogo mandano l'identico messaggio tematico relativo allo scudo e alle sue qualità fisiche. 32
Da questa posizione critica derivavano naturalmente le proposte di espunzione dell'intera sequenza. 33 Interessante è, senza dubbio, l'assimilazione proposta dallo Edwards (p. 200) della descrizione alla forma catalogica: in entrambi i casi, diremmo, la narrazione non può che procedere in sequenza, o, con termine anacronistico, per 'fotogrammi'.
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Il primo segmento (478-482) è una sorta di prologo di suoni e luci, premesso alla sequenza vera e propria e tale da giustificarnela nervatura connettiva rappresentata, nella narrazione,dalla ripetizione delle azioni di Efesto. Questo prologo è ricco di elementi ripetitivi che tendono quasi a dare la dimensione sonora del ritmo narrativo come fosse scandita dai colpi del maglio che forgia lo scudo. La notizia di Aristonico, secondo cui Zenodoto avrebbe atetizzatol'intera descrizionedello scudo, a partire dal v.483 riconduce ad una valutazione estetica lontana da una reale comprensionedelle caratteristichedello stile epiC()3'1. In ogni caso essa non costituisce ostacolo al nostro ragionamento il cui oggetto è il testo dell'Iliademonumentale così come costituita, almeno, al momentodella redazione pisistratea. Il primo segmento descrittivo (483-489) costituisce quella, che in prima approssimazione diremo una piccola enciclopediaastronomica35• L'indicazione in successione di terra, cielo, mare, sole e luna e poi delle stelle o costellazioni tutte è infatti seguita (486-489) da specificazione relativa a Pleiadi, Yadi, Orione e Orsa (che è indicata anche con la denominazionealternativadi Carro)36 • Queste sono poi ancora seguite da elementari indicazioni sul loro moto apparente. Gli interpreti moderni sottolineanocome si tratti di tutto quel che l'epica mostra di sapere sull'argomento. È forte la tentazione di considerare il segmento come una sorta di riepilogo di istruzioni astronomicheutili -oltre che alla conoscenza dei ritmi stagionali dell'agricoltura-anche all'orientamento della navigazione.L'ultima parte del segmento (486-489) compare infatti quasi identica nell'Odissea (5. 272-275) in un conte34
Schol.A. 483a (Erbse, Scholia Graeca in Homeri lliadem, Berolini 1975 IV, p.
527). 35
Molta inutile confusione si è determinata nella critica omeristica per l'estensione della espressione di Eric Havelock (Preface to Plato, Cambridge Mass. I963, tr.it. Cultura orale e civiltà della scrittura da Omero a Platone, Roma-Bari 1973) di 'enciclopedia tribale' come riassuntiva del contenuto dei poemi. 36 Per i due distinti contesti antropologici (culto animale o nomadismo) cfr ancora Leaf a V. 487.
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sto marittimo37 • Il v.486 compare invece identico negli Erga esiodei (615). Le tre distinte occorrenze non dipendono necessariamente l'una dall'altra ma possono essere testimonianza di un'unica tradizione che si esprime adattando in contesti diversi l'insieme della conoscenza. In particolare è certo il valore almeno bifunzionale del segmento che può servire per informare sui tempi stagionali dell'agricoltura e sulle direzioni della navigazione: due ambiti essenziali alla globale cultura dell'epica. Già in antico, alcuni aspetti delle immagini rappresentate nello scudo venivano ricondotti ad una interpretazione che noi possiamo dire storica. Uno scolio particolarmentericco di indicazioni riferisce di una interpretazione di Agallide di Corcyra38 secondo cui la descrizione dello scudo rappresenterebbe la prima storia dell'Attica. Cosi il secondo segmento descrittivo che il verso incipitario (490) intitola alla descrizione delle due città si riferirebbe ad Eleusi ed Attica. Un'altra interpretazione,di Massimo di Tiro, riconduceva l'esegesi entro il macrocontestoepico e parlava della Feacia e di Itaca come esempi, rispettivamente di buongoverno e anarchia39 • Le due interpretazioni riflettono ovviamentela cultura entro cui sono rispettivamenteformulate ma riflettono soprattutto una sostanziale convinzione sull'esistenza di un significato legato ad una fase della più antica storia dei Greci di cui l'epica reca testimonianza. Una interpretazione adeguata alla generale comprensione del livello culturale del messaggio epico non può che seguire -in prima approssimazione-una via analitica e problematica. La prima questione è naturalmente rappresentata dalla dualità raffigurata. Si tratta di due diverse realtà, come gli 37
L'ampio commento di J.B.Hainsworth a Od. 5.272-277, oltre al riferimento a D.R.Dicks, Early Greek Astronomy to Aristotle, London 1970 contiene una piena considerazione dei risultati della critica antica. Vedi anche M.West, Works and Days edited with Prolegomena and Commentary, Oxford 1978, p. 254-255. 38 Schol. T483-606 (Erbse, Scholia IV, p. 528, 82-85). 39 Dissenationes, U, 32, 135.
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antichi che seguono il testo sembrano credere? O si tratta di due momenti di un'unica realtà: la città, come vista in due diverse condizioni: in assenza di guerra (il testo non consente di evocare la nozione di pace) e in presenza di una condizione di guerra40 ? E certamente, prima ancora del problema della dualità reale o presunta, c'è da considerare il problema della città in quanto tale. Di quale tipologia si tratta in questo testo? C'è un rapporto reale tra le dyo poleis evocate e la polis i cui caratteri si manifestano progressivamente in età storica? L'analisi formale fornisce qualche primo elemento di risposta. I moduli espressivi che scandiscono il racconto costantemente richiamando la finzione narrativa dell'azione di Efesto artefice- richiedono con lieve variazione'' un ulteriore sforzo immaginativo che prescinde da qualsiasi situazione realmente descrivibile non soltanto dentro lo scudo, ma dentro la descrizione della prima città che è dentro lo scudo. Il segmento descrive infatti un quadro di vita sociale che presenta aspetti distinti in successione. Nella prima parte (491-96) abbiamo nozze, banchetti, spose in corteo sotto la luce di fiaccole lampeggianti che salgono verso la città (asty luogo fisico )42 mentre si leva frequente il canto di nozze, giovani danzatori girano e c'è suono di flauti e di lira43 • Passive, spettatrici, donne che immaginiamo già adulte assistono sulla soglia delle case. I plurali di questa descrizione non possono essere intesi come meri iterativi delle azioni descritte ma sono veri collettivi che evocano riti stagionali di nozze che uniscono giovani e ragazze quando il tempo del40
Questa seconda ipotesi dipende dall'esperienza delle città d'epoca storica per la quali vale una antinomia guerra/non guerra come mera variazione stagionale del proprio status. 41 Il modulo espressivo en più particella, che ha finora scandito il racconto ribadendo 'e dentro'. 'e dentro' con richiamo alla fisicità dello scudo è qui (v. 491) .variato in modo lieve ma decisivo per aiutare chi ascolta. 42 È tipico termine contrastivo in due sensi distinti: rispetto ad agros, la campagna e rispetto a polis, la città come agglomerato umano. 43 È questa una delle due menzioni dell'aulos attestate nell'Iliade. L'altra, in associazione non con la lira ma con la zampogna è nella Dolonia ( I 0.13 ).
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l'anno pare secondare questa naturale tendenza. Manca qualunque richiamo alla famiglia come entità sociale, affettiva ed economica. "''intero quadro descritto è come oscillante e indeterminato. E evidente la ritualità di comportamenti mentre manca ogni elemento di culto: non ci sono divinità o templi. Si tratta di una società gioiosa composta esclusivamente di giovani e di donne. Il passaggio alla seconda parte (497) avviene con l'iniziale conferma del dato collettivo ma riferito al termine che indica nell'epica gli uomini in armi (laoi) che si affollano nell'agore, altro termine di cui è qui evidente ancora il senso di semplice riferimento fisico pur entro una polisemia (tutta in ambito civile) che l'uditorio non può non avvertire. L'agore ospita un evento narrato ormai come tale, con oblio dell'artificio descrittivo ma con una ostentata ricerca di effetti sonori 44 ad introdurre il tema del neikos, della lite. Si tratta di una delle descrizioni più commentate dai moderni sotto diversi angoli di visuale. In particolare, gli studiosi del diritto greco ne hanno fatto l'oggetto privilegiato di una analisi della formalizzazione delle contese, con esiti tra loro molto diversi 45 • Unico dato sicuro è quello di partenza: esiste una contesa tra due uomini, determinata da una uccisione di cui deve, in qualche modo, essere soddisfatta la poine. Tutto il resto è in discussione secondo modalità che immediatamente vedremo. Già questo primo dato rappresenta tuttavia un fatto di rottura eccezionale rispetto alla realtà globale del mondo eroico così come raffigurato nell'epica. Lo scudo proietta un'immagine che -se non manifestamente fuori- è 44
Contro Edwards, Commentary IV, ad loc. è necessario affermare il valore significativo delle evidenti allitterazioni nei vv. 497-98: come se il tema del neikos venisse ripetuto nei suoi elementi sillabici. 45 Per l'esame della questione da un punto di vista giuridico resta fondamentale: H.J.Wolff, The Origin of Judicial Litigation among the Greeks in "Traditio" IV ( 1946), 31-87. L'interpretazione antropologica in Gernet, Dmit et prédroit en Grèce ancienne, (1951) ora in Anthropologie de la Grèce antique, Paris 1968, tr.it. Milano 1983 pp. 179-183. Utili osservazioni in E. Cantarella, Norma e sanzione in Omero, Milano 1979. Si veda ora: R.Westbrook, The Tria/ Scene in the lliad, in "HSCP" 94, 1992, 53-76.
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sulla soglia di uscita dal sistema dei valori eroici nel momento in cui trova la soluzione di un contrasto in una procedura con intervento di diversi agenti, individuali e collettivi. La descrizione mette infatti in azione entità umane distinte, anche se non precisamente caratterizzate nelle reciproche funzioni. I maschi cittadini sono indicati con due termini: un plurale inadeguato di cui abbiamo detto (laoi)46e un collettivo che collega la pluralità al territorio (demos). La funzione di questa entità collettiva, al di là della efficace descrizione di una partecipazione sonora alla contesa, non viene chiarita fino in fondo. Compaiono singoli (istor) e gruppi (kerykes e gerontes)41 investiti di funzioni che sembrano regolatrici. Del luogo fisico si sottolinea, già rispetto alla funzione espressiva, la circolarità 48 • Il premio materiale, aureo (dyo talanta) sarà attribuito, non al contendente che prevarrà. ma a quello tra i gerontes che esprimerà la sentenza più retta 49 • Un solo tratto di questa descrizione può essere affermato senza contrasto. Chi ha composto questi versi ha voluto rappresentare un insieme di azioni umane complesso perché prodotto di interazione di piani diversi. Per questo c'è contrasto tra singoli (funzioni individuali) e gruppi (funzioni collettive). Ogni elemento della azione può essere interpretato per sé con relativa soddisfazione: impossibile è, senza forzature, una interpretazione che colleghi ciascun elemento con gli altri. Anche in questo caso il nostro tentativo d'interpretazione è reso possibile da un richiamo alla tecnica compositiva Questa ha proceduto, come sempre, per accumulazione ed ha messo insieme -senza eccessiva preoccupazione di coerenza46
Che è il termine distintivo della collettività maschile rispetto alla funzione belli-
ca. 47
Per le varie interpretazione dei termini (non tutte consapevoli del problema della polisemia) vedi ancora E. Cantarella, Nonna e sanzione passim. 48 504: hiero eni /cyklo dove l'epiteto, a meno di anacronismi, pone problema. Interessante ancora che Agallide (schol. cit. n.38) pensasse qui a una raffigurazione dell'Areopago. 49 508: diken ithyntata cfr. Erga 36: itheieisi dikeis.
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elementi che appaiono almeno sovrabbondanti se non proprio contraddittori. Chi ascolti, riterrà all'inizio di essere in presenza di un arbitrato affidato ad un singolo che deve decidere tra le ragioni di due contendenti. Questi non si rivolgono tuttavia all'apparente arbitro (istor) ma alla collettività, presente come un pubblico di auditori, e priva all'apparenza di ogni potere decisionale. La funzione giudiziaria vera e propria (se questo è già il senso del dikazein) è affidata (non collegialmente ma in successione, amoibedis) ai gerontes che emettono la propria sentenza come se partecipassero ad un agone per cui è previsto un premio che è posto en messoisin a sottolinearne la provenienza (o la sanzione) daJla collettività50• Non va quindi cercata la definizione di un preciso stadio del pensiero cui riferire le azioni rappresentate ma bisogna cercare di cogliere un significato globale. La città non in guerra è presentata come capace di ricomporre le sue interne contraddizioni (compresa la più drammatica, rappresentata dall'omicidio) senza ricorso alla vendetta di sangue. Si afferma l'esistenza di una modalità di composizione che è caratterizzata da un irrealistico interagire di tutte le articolazioni sociali. Ne deriva una diacronia indistinta rispetto al mondo degli eroi iliadici. Sono fotogrammi di futuro, non proposti in successione né indicati come realmente tra loro compresenti ma semplicemente affermati per contrasto con l'etica guerriera. Se questo è vero, c'è la conferma, per converso, del carattere globalmente prepolitico dell'epica tutta.
5. La guerra, funzione degli uomini. Il passaggio alla descrizione della città in guerra avviene in modo estremamente brusco. Il v.509 si correla tuttavia con quello (491) che ha aperto la descrizione della città sen50 Gemet, Anthropologie cit. insiste sul carattere 'pubblico' dell'intera scena del giudizio.
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za guerra. Anche in questo caso ci sono incongruenze per le quali è necessario cercare una spiegazione. Intorno alla città (seconda nella descrizione che può indicare mera variazione temporale e non locale) ci sono due eserciti di uomini con armi lucenti: i due eserciti (entrambi assedianti?) presentano un differente orientamento, una sorta di alternativa tra soluzione militare e soluzione negoziata del conflitto. Si tratta di distruggere tutto o di dividere in due quel che la città contiene. Un riferimento dello scoliasta al passo iliadico in cui Ettore fa una simile proposta deve naturalmente essere preso in attenta considerazione 51• C'è ancora un passaggio forzato al v.513 dove compare un nuovo soggetto non denominato, oi de, quelli, gli altri, gli assediati che non accettano (la proposta non formulata?) e si armano in segreto. Sopra le mura (che sono importante elemento costitutivo e quindi indicativo della polis) stanno le spose dei difensori, i figli piccoli e i vecchi: c'è come una redistribuzione del corpo sociale in modo antinomico a quello del quadro della città in pace. I guerrieri vanno in battaglia, guidati da un Ares ed una Atena tutti d'oro: la descrizione prevale sulla narrazione, i simulacri sulle divinità. In questo quadro i movimenti sono come irrigiditi e appena accennati: è solo possibile immaginare una rappresentazione plastica che coglie il momento incipitario dei movimenti stessi. Si torna subito ad una modalità narrativa e quindi dinamica e irreale rispetto alla superficie dello scudo. I guerrieri arrivano nel luogo conveniente al lokhos, l'agguato -il termine è evocativo di un tema epico frequentemente attestato e ancor più immaginabile52• Presso il fiume, in un luogo in cui tutte le bestie possono bere, si accovacciano nel bronzo splendente. Anche il passo successivo mantiene intatta l'ambiguità sull'appartenenza dei guerrieri all'uno o all'altro esercito. Gli esploratori, skopoi devono guardare 51
Schol.A 511 b (Erbse, Scholia IV, 542, 30-32) che cita Iliade 22.117-120 naturalmente non nel senso letterale dell'esistenza di un arkhaion ethos. 52 Basti pensare allo sviluppo che assume nella Dolonia.
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se vedono (524), appunto, greggi e buoi. Questi (ancora, il confuso distintivo oi de) arrivano seguiti da due pastori che suonano la syrinx divertendosi, ignari dell'agguato che da lokhos si è fatto dolos. Segue la razzia e l'uccisione dei custodi di greggi e mandrie. Al rumore si allertano gli altri: balzano sui cavalli per inseguire i nemici e l'agguato si trasforma in battaglia, makhe, presso la riva del fiume. L'incisione (o la sutura) del tessuto narrativo è-segnata, come già altre quattro volte (512, 520, 525, 527) dall'indicazione del soggetto dell'azione in forma pronominale plurale. Stavolta l'oi de di v.530 è immediatamente diversificativo rispetto all'oi men precedente di v.527 ad indicare lo sviluppo e, insieme, la trasformazione dell'azione in senso decisamente bellico. Questo avviene tuttavia dopo una immagine -vera istantanea- che richiama una ancora diversa condizione degli armati che siedono a discutere (531) 53a ricordare una sorta di assemblea guerriera prima dell'assalto 54 • La battaglia si accende dopo che gli assedianti hanno fatto ricorso ai cavalli 55come mezzo di locomozione rapida, funzionale all'inseguimento. Con lievi adattamenti, interni alla normale flessibilità56, la battaglia è avviata con un distico formulare 53334=Od.9.54-5557. Ma dopo l'umano, e normalmente eroico, scambio di colpi d'asta, compaiono -enfaticamente indicatetre figure terribili che conducono a morte: eris, kydoimos e ker distruttrice. Quest'ultima è ampliata narrativamente con tre versi (536-38) che con il precedente compaiono nell'Aspis pseudoesiodeo (156-59), con lieve modificazione di 53Eiraon è termine problematico ma probabilmente connesso con la radice di eiro parlare. 54 Per questa non è illegittimo il richiamo microcontestuale alla discussione tra i due stratoi (510). 55È problematico se con o senza carri. Cfr. Edwards, Commentary IV ai vv. 5302. 56 Per la nozione cfr. ancora J.B.Hainsworth, The Flexibility of the Homeric Formula, Oxford 1968. Per gli sviluppi più recenti del pensiero dello stesso autore: Commentary m, 1-28. 57Cfr. Edwards, Commentary ad !oc.
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un verbo a confermare una visione particolarmente feroce e realistica dell'effetto dello scontro guerriero, dove la Chera fa quel che gli uomini realmente fanno nel trascinare feriti, uomini illesi o morti nella mischia Curiosa e interessante è la similitudineinversa, che rovescia cioè il rapporto tra narrato e realtà nel rapporto tra descritto e narrabile. Di questa narrazione colpisce innanzi tutto quel che non c'è. Non c'è qui né aristia né aristeuein. La dimensione bellica è come deprivata delle forme e dei contenuti che sono propriamente epici. C'è una forte riduzione al fatto, una sorta di descrizione tipologica che ha (forse pour cause) al primo posto l'assedio con i suoi possibili esiti (tutti riassunti bipolannente) poi c'è la descrizione della condizione degli assediati con la possibilità bellica della sortita. C'è poi l'agguato e, dopo l'immagine dell'assemblea guerriera, la battaglia descritta crudamente nel suo esito di tumulto di morte. Se, per la città senza guerra, si può parlare di una società di uomini vivi, non necessariamente gioiosi, questo secondo quadro, pur tanto ricco di movimento, è dominato dalla morte. Si tratta di una morte cruda e apparentemente senza dolore: una morte non eroica, non iliadica ma sanguinosa e selvaggia. 6. Uomini e natura.
Il verbo che ripropone l'attività di Efesto, che aggiunge immagini allo scudo, ci distacca dallo scenario di sangue e di morte che resta importante per l'interpretazioneconclusiva. Il quadro cambia in modo drastico: dalla rappresentazione della seconda città che ha dato occasione alla raffigurazione dell'intera tipologia bellica si passa alla rappresentazione della campagna. E una campagna piena di uomini, è natura totalmente antropizzata, ad affermare la condizione protagonistica degli umani rispetto al ciclo naturale. I due principali commentatori moderni, separati da novant'anni di lavoro critico, divergono solo lievemente nell' interpretazio-
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ne. Il l..eaf, nella specifica appendice al suo commentario58, parla di cinque scene di vita rurale: aratura (541-49), mietitura (550-60), vendemmia (561-72), leoni che attaccano la mandria (573-86), infine l'ovile delle pecore (587-89). Egli aggiunge subito che le tre prime scene suggeriscono anche le stagioni corrispondenti (primavera, estate e autunno) mentre la quarta, pur adattabile ad ogni momento dell'anno, potrebbe essere intesa riferirsi all'inverno. Come il critico sottolinea, tuttavia, l'anno non è, nell'epica arcaica, diviso in quattro stagioni eguali. Su di un piano formale: la piccola sezione di due versi, relativa alle pecore nell'ovile, sembra essere posta sullo stesso piano delle precedenti quattro. La conclusione del Leaf è nell'ammissione della difficoltà di una classificazione sotto un qualunque principio di simmetria ma rende possibile pensare a due linee di immagini (una di tre e l'altra di due scene) in un unico settore dello scudo che riguarda tutto l'anno. Diversamente, lo Edwards parla di una tena banda di decorazione, che include scene che raffigurano il lavoro stagionale dell'anno agricolo. Per questo, sulla traccia del predecessore, sottolinea l'importanza dell'elemento formale introduttivo e anche l'elemento di piacevolezza che è enfatizzato per ogni fase del lavoro. Maggiori dubbi lo Edwards esprime sulla possibilità di assemblare alle prime la quarta scena. È bene dir subito che in entrambe le interpretazioni prevale la preoccupazione realistica, di stabilire cioè coerenz.atra le immagini di cui viene descritta la fabbricazione da parte di 9 Efesto e la loro collocazione nelle parti dello scud5 • ss n. 609. 59
È, ad esempio interessante notare come lo Edwards si contraddica nel commento puntuale alla prima scena (541-49) ove si appoggia su di uno studio recente (A.S.Beckerin "American Joumal of Philology" III, 1990, 143) che dice: " lines 54147 describe noi a depiction of a field, bui the plowing of a field, which includes movement and the desires of the depicted figures; the audience is thereby encouraged noi to imagine the surface appearance of an image (the visual medium) but to imagine the world depicted therein... Lines 548-49 then cali us back to the (visual and verbal)
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Se lasciamo da parte gli interpreti e torniamo al testo, da analizzare, segmento per segmento 60, troveremo certamente il nostro punto d'arrivo. Rispetto al narrato, il passaggio dalla rappresentazione delle forme della guerra ai quadri di vita nei campi comporta una svolta di maggior momento. Dovremo anzi verificare se si può affermare che questa comporti una fuoriuscita dalla specie eroica del genere epico per entrare direttamente nella specie didascalica dello stesso. La struttura narrativa ripete tre volte un modulo molto raffinato. Ef esto pone nello scudo un elemento naturale indicato come titolo del singolo segmento: 541, neion malaken; 550, temenos basileion; 561, mega brithousan aloen sul quale o in ragione del quale si sviluppa il segmento narrativo che rappresenta le azioni umane che si compiono in relazione al luogo fisico indicato. Sono azioni numerose, e concatenate, compiute ordinatamente da molti uomini. E la stessa società ordinata e gioiosa della città senza guerra, ora volta alle produzioni necessarie alla sussistenza. Quando il narrato, con le azioni, ci ha completamente allontanato dalla immagine dello scudo, un richiamo al metallo forgiato introduce una sorta di autocommento del narratore (549b to de peri thauma tetykto) tradizionale ma come fuori dal tessuto narrativo. Possiamo di nuovo interrogarci sul reale contenuto informativo del segmento che abbiamo cominciato ad esaminare. Questa espressione di registro medio-basso (contenuto informativo) è volontariamente antitetica all'enfatico e paradossale richiamo alla 'enciclopedia tribale' ove entrambi i termini appaiono fuori luogo. Solo dopo che si è esaurita la raccolta dei dati che costituiscono il contenuto informativo è possibile operare nello specifico critico-letterario. La poesia context of the scene. Che è, appunto, giusto ma contraddittorio rispetto al criterio interpretativo su base esclusivamente visuale della scena. 60 Nel riferire opinioni altrui ho usato la terminologia interpretativa (scena, quadro) rispetto a quella più conforme alla realtà narrativa: sequenza (unità tematica) ripartita in segmenti (giustificati da incisioni-suture narrative).
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didascalica consiste in informazione in forma poetica (più o meno) narrativa e quindi con alternanza/equilibrio tra descrizione e narrazione, tra elemento statico ed elemento dinamico. Una volta raccolti i dati è necessario verificare il loro rapporto con l'insieme ricavabile da tutti i luoghi simili, presenti in Iliade, Odissea, Teogonia, Erga, Aspis, Prooimia. La corrispondenza con un genere non è mera operazione culturale a posteriori, tale cioè da dare per scontata l'esistenza stessa del genere. Al contrario, questo deve ogni volta essere dimostrato esistere in quanto corrispondente al carattere tradizionale dei contenuti dell'epica. La prima questione si trova ai versi 541-542a: che cosa è 1 realmente indicato? I critici si divarican6 ma i risultati sono deludenti. Leaf (che spiega 541-49 pensando già alla diff erenza rispetto a 550-560) parla di un 'common field' introducendo così una denominazione che indica una determinata realtà economico-sociale con forti implicazioni ideologiche, almeno per noi moderni 62 • Il testo autorizza una traduzione piana: un 'morbido novale, campo grasso, largo, arato tre volte' ove neios, il primo sostantivo, definisce il campo che è utilizzato secondo la tecnica del maggese che permetteva alla terra di riposare e di arricchirsi di nutrimento naturale per un periodo determinato prima di essere nuovamente lavorata per produrre frutto 63 • Degli epiteti64 che caratterizzano il campo, uno in particolare 61
Vediamo come Leaf si affanna ad interpretare ed Edwards procede invece analiticamente collocando questi versi entro un isieme costituito con essi da Iliade 13, 703-707, Odissea 5, 127; 13,354; Theogonia.971; Erga 462. 62 Si tratta della questione della proprietà comune della terra come precedente quella privata. Per la ricostruzione del dibattito, cfr. P. Grossi, Un altro modo di possedere, Milano 1977, pp. 43 ss. 63 Secondo la tecnica primitiva dei due campi, uno attivo ed uno a riposo per un anno intero. Su tutta la materia è fondamentale W.Richter, Die landwirtschaft im homerischen ùitalter, Archaeologia.Homerica. H, Gottingen 1968. 64 Così, aroura, il campo da arare già in myc. (Py Eq.213 = M. VentrisJ.Chadwick Documents in Mycenaean Greek, Cambridge 1973 (2 ed.) n. 154) diviene pieiran, grasso, ricco, secondo un'espressione formulare (lx//; 2x0d). Cfr. Edwards, Commentary IV ad loc.
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consente di riflettere a una forma particolare di polisemia. Che tripolon significhi 'arato tre volte' sembra non costituire problema. Ma perché proprio tre volte? Il tentativo di spiegazione meramente realistica dà frutti scarsi, a qualunque livello venga portato 65 • Per una spiegazione completa bisogna avere coraggio. Una prima indicazione in direzione cultuale è fornita dalla correlazione con il nome dell'eroe-culturale Trittolemo 66 • Più deciso tra gli interpreti di Omero, lo Hainsworth, nel suo commentario odissiaco a proposito di neio eni tripolo (Od. V, 127) scrive:" si tratta di un'allusione a qualche rito di magia simpatica per incrementare la fertilità naturale del suolo" e, (dopo un rinvio a J.G.Frazer, Tue Golden Bough I 2, London 1913, 97-104) aggiunge in modo non immediatamente perspicuo: "Il maggese veniva arato diverse volte, ma l'idea che fosse arato proprio tre volte nasce da un'erronea interpretazione di Esiodo, Op. 461-4: tripolos allude piuttosto all'aratura di tre solchi come parte del rituale" 67 • Questa posizione, in buona sostanza, riprende ed abbrevia quel che West aveva già scritto ad Hes, Theog 971. Nell'abbreviazione si perde un punto essenziale. West infatti nel suo commento non dimenticava di collocare entro la proiezione mitica di un rituale di fertilità primitiva la congiunzione di magia simpatica con misure agricole pratiche. L'insieme delle azioni, lavorazione del campo per pulirlo, aratura, semina, preghiera a Demetra e Zeus Chtonio va inteso come tale: le differenze non seno tali per gli antichi. In
65 Leaf ad loc. scriveva:"probably means thai it was plougbed thrice before being sown, the most ploughing probably taking piace in early spring. Bui our information is very scanty. Hesiod Opp. 462-4 are very obscure lines and out of piace, but they clearly spealc of spring ploughing, eri polein. They say nothing of more than one ploughing". Edwards, Commentary IV ad loc. aggiunge qualcosa in termini di conoscenza scientifica: "Repeated ploughing not only kills weeds but aerating the topsoil reduces the loss of moisture left by the winter rains". 66 Hymn.Demetr. 153 e 474. Vedi: N.Richardson, The Homeric Hymn to Demeter, Oxford 1974, pp. 194-196. 67 Omero, Odissea, Fondazione Lorenzo Valla, Il, p. 160.
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particolare la connessione tra aratura-semina e attività sessuali è ben testimoniata e confermata a vari livelli68• Torniamo ora alle azioni compiute dagli aratori (nel segmento della sequenza dello scudo: 542b-44) "che, numerosi, muovono i buoi aggiogati e li spingono da una parte all'altra del campo", per ricevere -irrealisticamente- il ristoro di una coppa di vino dolce da un uomo che s'avvicina, una volta in cima al solco. "E quelli seguono i solchi, desiderosi d'arrivare in fondo al campo profondo." L'apparenza narrativa è quella di una totale laiciz7.8zionedell'attività degli agricoltori, senza più alcuna enfasi rituale ma con accentuazione finalistica Oa sussistenza) e irrealistica (agio, vino, desiderio di compiere l'opera). La differenza rispetto al microcontesto esiodeo è notevole: il valore magico- religioso di tripolon sembra molto lontano. La domanda che a questo punto è legittimo porsi non è tanto relativa all'impossibile determinazione del significato che il quadro descritto può aver avuto per chi l'ha composto ma piuttosto al probabile significato che acquistava per l'uditorio -inteso qui come il referente umano della tradizione epica. Se anche ipotizziamo una originaria volontà espressiva individuale, non tanto dell'indicazione precisa quanto dell'indicazione univoca, la ricezione non poteva che cogliere tutti i vari elementi che siamo andati vedendo. Doveva trattarsi di un insieme entro cui le varie indicazioni (per noi: realistiche o magico-religiose o rituali) erano saldamente correlate e coese. Non c'è alcuna ragione per immaginare una esigenza di precisazione o di indicazione univoca. Al contrario, la capacità evocativa multidirezionale, polisemica, del messaggio, ne consentiva -entro la tradizione- adattamento a vari contesti. Questa affermazione vale soprattutto per i rapporti entro l'epica aedica, quella eroica e quella didascalica, ed ha riflessi 68 Hesiod, Theogony,
1967, p. 423.
ed.with prolegomena and commentary by M.L.West, Oxford
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anche sulla fase meramente ripetitiva o rapsodica. Le forme antiche sono, proprio per questo, capaci di veicolare contenuti anche recenti. Il meccanismo d'uso della espressione indicato nel rapporto tra composizione aedica e dizione epica- mantiene a lungo questo carattere che è fondamentalmente legato alla originaria esclusiva dimensione orale della cultura di cui l'epica reca finale testimonianza 69 •
7. La terra divisa: economia, istituzioni e cultura. Nei due versi 548-49, come abbiamo visto, torna ad emergere il carattere visuale descrittivo (riferito alla decorazione dello scudo) che il narrato epico tende, con la sua dinamicità a far dimenticare. Efesto pone (550) nel riquadro un temenos basileion, un terreno regale e nel temenos il narrato mostra le azioni della mietitura. Anche qui molti uomini per un lavoro, quello conclusivo del ciclo agricolo fodamentale, che è svolto in modo coordinato e organizzato: falciatori, legatori e spigolatori lavorano in stretto contatto. Solo a non lavorare, il basileus sta nel campo che è suo, in silenzio, con lo scettro che è segno della sua condizione e 'gode nel cuore'. Mentre alcuni, denominati erithoi 10 lavorano nei campi, i kerykes (normalmente araldi) preparano a parte un banchetto, uccidono un bue grande (è un sacrificio?) 11 e lo imbandiscono. Le donne versano, come cibo per i lavoratori (erithoi) molta bianca farina. 69
È bello un pensiero di Ferdinand de Saussure, restituitoci di recente (Manoscritti di Harvard a cura di H. Parret, Roma-Bari 1994): "...in Grecia le scuole di rapsodi conservarono il testo omerico senza l'aiuto della scrittura al massimo per 4 o 5 secoli, e lo fecero senza preoccuparsi della assoluta fedeltà, anzi ricamando esse stesse sul testo, e traendo da esso ispirazione più che credersi obbligate a una riproduzione canonica letterale" (p. 116). 70 Il confronto con Erga 602-603 (dove pure si tratta di una donna) obbliga a pensare a lavoratori salariati: lo scudo non conosce la schiavitù (Leaf ad loc.). 71 Il verbo (a v.559) sembrerebbe non lasciare dubbi ma manca la parte degli dèi. Sul tema la felice raccolta Sacrificio e società nel mondo antico a cura di C. Grottanelli e N.F. Parise, Roma-Bari 1988.
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Le questioni che qui si pongono sono di semplice enunciazione, una almeno tra tutte: come definire il quadro sociale che ci è presentato? Se operiamo su base esclusivamente microcontestuale siamo portati a pensare ad un proprietario terriero, appartenente aa uno status privilegiato (connesso alla proprietà della terra) che gode dei prodotti del lavoro di altri (sudditi? dipendenti? schiavi?). Ma contro questo tipo di semplificazione stanno alcune denominazioni (basileus, skeptron, erithoi, kerykes) che, almeno nel macrocontesto epico implicano una dimensione non tanto 'privata' quanto 'pubblica' 72 • Dobbiamo riconsiderare il primo elemento denominativo quel temenos basileion che appare tanto preciso da avere un effetto disorientante come dimostra l'esistenza della varia lectio bathyleion attestata da parte della tradizione 73. Di una sorta di 'pressione interpretativa' su questa porzione del testo è testimonianza anche il verso aggiuntivo che lo scolio Townleianus (a 483) attesta in corrispondenza di 451 74. Come è ovvio, la nostra sensibilità attuale parte dalla ricezione del dato miceneo: seguirla comporta un sostanziale anacronismo75. Bisogna tener conto solo dell'evidenza dell'epica, del confronto quindi con i temene iliadici76. Qui in r. è descritta una situazione diversa dalle altre. Si rappresenta una condizione signorile, quella di un'aristocrazia terriera che vive del lavoro altrui effettuato su terreno di sua proprietà e che ha, per questo, una condizione sociale di privilegio (segnalata dallo skeptron) che si estende al di fuori del mero ambito del lavoro per la sussistenza. Sembra l'altra faccia 72
I tennini, del tutto anacronistici, evocano categorie improprie rispetto alle società riflesse nell'epica. 73Così la vulgata forse influenzata da Aspis 288. 74Nel verso è la menzione di Demetra eleusinia che aiutava Agallide nella sua interpretazione delle dyo poleis (sopra n. 38). 75Per i Greci di età storica il tennine aveva una valenza sacrale ineliminabile. Una buona trattazione del problema in Hainsworth a Od.6.293 766.194; 9.579; 12. 314; 20.185. Cfr. W.Donlan, Homeric temenos and the land Economy ofthe dark Age, in "Museum Helveticum" 46, 1989, 129-145.
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(prosaica e quotidiana) del mondo degli eroi, un quadro di vita reale senza aristie e senza guerra. Così, anche figure secondarie ma essenziali nel contesto epico, come i kerykes, sono ricondotte ad una più semplice dimensione di servizio, per dir così, domestico. Il quadro successivo (561-572) accentua la distinzione tra indicazione denominativa e azione descritta in forma narrata. La prima è denotata nei termini esclusivi del prodotto dell'arte di Efesto; la vigna è d'oro (562a) con forte inarcamento rispetto all'iniziale 561; i pali che sorreggono le viti sono d'argento (563b), di smalto è la fossa (564a) e di stagno 1a siepe (565a), ancora una volta sottolineata dall'inarcamento del qualificativo metallico. Da questo elenco di elementi, accumulati con sapienza per creare un effetto tutto visivo, ci si distacca solo dopo la forte incisione che è dopo il primo colon di 565n. L'azione descritta rispetto alla vigna è la sola vendemmia atto conclusivo e gioioso di una fatica che i contadini conoscono come dura e annuale. Il passaggio all'azione, all'intervento degli uomini sulla natura, è introdotto con molta abilità formale. Nella descrizione si apre un sentiero da cui passano i coglitori (phorees). Il termine, indicativo di una funzione di lavoro si espande in un quadro di gioventù e di gioia. Fanciulle e ragazzi, atala phroneontes, con i pensieri non gravi che sono adatti alla loro età, portano il dolce frutto della vigna nei canestri intrecciati. Uno dei ragazzi suona con la cetra sonora in modo gradevole e canta il canto di Lino, mentre gli altri seguono -saltellando, danzando ed emettendo gridail ritmo del canto. Come spesso nei punti importanti, il testo è assai controverso. Aristarco e la vulgata leggevano linon come oggetto, denominazione del canto eseguito dal ragazzo. 2.enodoto, invece, leggeva Linos, la corda della cetra come soggetto del verbo del cantare (aeide). Certo si deve preferire la scelta di n ancora una volta sottolineata dall'enjambement della parola iniziale.
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Aristarco. Siamo alla seconda menzione, entro la sequenza, del canto. Dopo l'imeneo di 493, accompagnato da danze e suono di flauti e della lira, c'è qui -in un contesto di festa dell'uva- un canto dal nome oscuro ma certo non epico. Il canto è affidato ad un singolo giovane, senza alcuna connessione con il divino che caratterizza la funzione aedica, ancora nell'Odissea. E' un'illuminazione, ancora istantanea, della compresenza di generi poetici che caratterizza l'età arcaica dei Greci? Oppure è tentativo di segnalare un'origine antica per forme di canto diverse dall'epos narrativo? L'azione ritorna ad Efesto. Questi, ricordiamo, ha posto (etithei 561) la vigna e poi ha condotto (elasse 564) il recinto, la siepe. Ora fa (poiese 572) la mandria di vacche che segna il passaggio dal quadro georgico a quello bucolico. Prevale anche qui inizialmente il particolare visivo. Vacche e pastori sono connotati dai metalli della loro raffigurazione. Quattro pastori e nove cani non bastano ad impedire che l'azione si svolga in una direzione non ordinaria e serena. Due leoni uccidono un ,toro e lo sbranano, invano inseguiti dai pastori e dai cani. E un quadro di grande ferocia e di grande effetto in cui pare prevalere, su qualunque senso riposto nel testo, il riferimento a ~i modelli figurativi 78• L'intero segmento 573-86 pone problemi a chi voglia integrare analisi formale con interpretazione globale. Primo punto è la continuità tra questi versi e quelli immediatamente precedenti, rispetto al tema della proprietà regale o aristocratica. Terre e mandrie sono costitutivi di un'unica proprietà? La critica formalistica, appoggiandosi sul mutamento del verbo e sull'iterazione del nesso indicativo della figurazione entro lo scudo (en de) tei:ide ad escluderlo 79: ma non pare prudente connettere troppo rigidamente la questione formale e visiva con quella di contenuto, di realtà sociale rappresen78
Per un confronto orientale: W.Hertnet, The earliest History of Constellations in the Near East and the Motif ofthe Uon-Bull Combat, in "JNES" 24, 1965, 1-16. 79 Cfr. Edwards, Commentary IV p. 226.
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tata. Sempre difficile appare accettare le opinioni relative alla caratterizzazione stagionale del quadro che sono troppo condizionate da un'esigenza di corrispondenza tematica (il tema delle quattro stagioni) in questo modo estranea alla cultura epica. Il segmento ha una reale autonomia. I suoi versi sono prodotto di una elevata abilità poetica: uno, il 576 è stato addirittura definito il più bel verso di Omero 80• Ma al di là dell'inutile e soggettivo primato le qualità formali vanno esaminate entro il microcontesto 81 : naturalmente, è impossibile stabilire quanto ci sia di costruito e quasi di finale in questa perfezione formale. Una piena comprensione degli aspetti formali di questa poesia è certamente questione non oziosa né inutile al nostro scopo di valutare il rapporto tra testo poetico e contesto storico-sociale. E un tratto del processo di comprensione glo_bale in cui l'indagine fa emergere l'analisi antropologica. E utile soprattutto quando l'analisi formale fornisce un contrappunto negativo mentre dimostra il prevalere di elementi descrittivi (e quindi relativi all'immaginario visivo sorretto da elementi reali). Questo permette ovviamente di riflettere al rapporto tra oggetti reali e tempo (tempi) in cui sono stati pensati e proposti. Nel concreto, è possibile pensare al ricorso a dati evocativi, e in qualche misura, arcaizzanti artificiosamente rispetto ad una realtà figurativa geoJl!etrica compresente alla fase di sedimentazione dei poemi. E bene aggiungere che tutte le osservazioni relative agli effetti sonori, pure incerte nei singoli elementi per il fatto che le notizie sul gusto degli antichi sono tarde, e pure autonome nella formulazione, hanno tuttavia una ricaduta nell'interpretazione oltre che nell'esperienza dell'epica, peculiare a ciascuno. La successione dei due ultimi segmenti è, per noi, piuttosto curiosa. Già lo Heyne, maestro del Wolf, aveva notato 80
Cfr.S.E.Basset, The Poetry of Homer, Berkeley 1938, pp. 156-157. Così Edwards, Commentary IV pp. 226-227, che oltre che dai dattili ondulanti è colpito da numerose particolarità soprattutto fonetiche. 81
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nei tre versi 587-89 una differenza di stile "sunt nimis nudi et ieiuni post superiores tantopere omatos" 82• Nella cultura del tempo il giudizio conduceva diritto al sospetto- di trasposizione o di interpolazione. Tra i critici moderni, con opposta soggettività, c'è chi ha apprezzato la pausa di tranquillità che la descrizione delle pecore nell'ovile offre nel passaggio dall'eccitazione dell'attacco dei leoni e la rapida azione della danza 83• L'incisione narrativa è assai forte ed evidentemente prodotta volontariamente con la ripresa della denominazione dell'artefice, Efesto con i suoi due epiteti, il secondo dei quali fortemente evocativo rispetto all'immagine del dio. Questo elemento, che sarà iterato -pur con variazione di verbo poikille per il comune poiese- al 590, incipitario del segmento successivo, determina una complessa concatenazione formale tra i tre ultimi segmenti (e quadri) che precedono il cerchio d'Oceano finale. Quadro della mandria e quadro del pascolo sono congiunti da identità del verbo che denota l'azione. Pascolo e danza sono congiunti dall'iterazione (verbatim a tre versi di distanza) del soggetto dell'azione. Si è giustamente sottolineata l'assenza di ogni elemento umano nel quadro del pascolo 84 : è un caso unico nello scudo e pone il più serio problema ad un'interpretazione unificante che non può che avere gli uomini, l'umanità come protagonista. Il verso incipitario del segmento della danza indica, come i precedenti, un luogo, khoros che è il luogo della danza. Già il Leaf notava come prima differenza tra questo e gli altri quadri, la connotazione epicorica. La danza è detta enfaticamente cretese mentre tutte le precedenti descrizioni sono affatto prive di coloritura locale e perfino di specifica caratterizzazione ellenica. Quel che Leaf scriveva nel 1902, avendo appena notizia di primi risultati di Evans a Cnosso, resterà per sempre nei campi elisi dell'omeristica per la finezza con 82 Seguito
da Leaf, II, 313. iiber die Dichtung, Munster 1957, p. 27. 84 Edwards, Commentary IV, p. 228. 83 W.Marg,Homer
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cui è affrontato il problema delle origini della civiltà greca, riflesso nello specchio dell'epica85 • Quel che Leaf scrive dimostra, in modo straordinario il conflitto permanente tra vecchio e nuovo entro l'omeristica come scienza: l'evidenza archeologica illumina quadri di civiltà e mette in crisi l'ipercriticismo analitico. Il quadro della danza vede protagonisti ragazze 'del valore di molti buoi' e ragazzi che danzano acrobaticamente prendendo in mano coltelli d'oro dai baltei d'argento. La folla assiste con piacere: due acrobati, al centro del cerchio, avviano la festa. Ateneo aggiungeva al segmento un verso per restituire al quadro l'elemento sonoro e ricondurlo alla normalità epica86 • Ma non è questo il solo punto problematico. Tormentati dalla critica degli antichi questi versi non ricevono intera luce da quella dei moderni. L'intero quadro -i movimenti muti e senza suoni della danza, compiuti da giovani equipaggiati in modo strano (perché le spade d'oro?) nascondono la descrizione di qualcosa di complesso. Pare azzardato ogni riferimento alle immagini geometriche proprio perché queste dovevano essere facilmente comprensibili al momento della composizione. La presenza degli acrobati, oltre alla ovvia Feacia odissiaca87, fa pensare alla contaminazione di due realtà, non compresenti né omogenee: c'è una danza 'corale' e una acrobatica. La seconda può essere indotta (o dedotta) dall'evocazione dell'esempio cretese -come si è osservato giustamente88- in modo contrario alle similitudini che spiegano il mondo eroico con riferimenti alla vita comune. Qui il passato, più raffigurato che reale, spiega un presente fantastico. C'è una Grecia remota, la Creta dedalea 85
Il, p. 313 al V. 590. . La presenza del cantore e della lira appare essenziale alla danza. La corrispondenza tra particolarità della struttura narrativa e movimento ritmicamente equilibrato della danza è stata sottolineata da V.Di Benedetto, Nel laboratorio di Omero, Torino 1994, 87. 87 Od.8. 370-380. 88 Edwards, Commentary, IV, p. 229. 86
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lontana e misteriosa, compatibile addirittura con il matrimonio per acquisto 89, che si unisce anzi si mescola alla Grecia geometrica e rapsodica che conosce l'epica ma anche la lirica corale90 •
8. Un limite per la conoscenza. Ultima immagine dello scudo, ellenica più di ogni altra, la grande forza del fiume Oceano recinge tutti i quadri, come nella concezione greca- Oceano recinge l'oikoumene, la terra abitata dagli uomini. È una conclusione non solo formale, che congiunge bene tutti i livelli del discorso poetico, quello descrittivo, quello narrativo e quello del significato complessivo che questi versi avevano per chi li ascoltava ed assumono ora per noi. Il narrato iliadico torna a sé stesso con la rassicurante modularità iterativa e formulare del v .609: Efesto porta a compimento lo scudo grande e pesante, sakos mega te stibaron te, poi compie (sempre con teuxe ad indicare identità e rapidità d'azione) la panoplia e la pone dinanzi a Teti che, rapida come uno sparviero, la porta giù dall'Olimpo per restituire al figlio questo indispensabile elemento della identità eroica. Nel narrato, lo scudo non avrà altro rilievo se non meramente connesso alla sua funzione bellica, e anche questo non eccessivo. Una interpretazione complessiva, sintetica, parte da una constatazione che non va più dimostrata analiticamente. Il prodotto della narrazione è perfettamente coerente con la tecnica compositiva propria dell'epica. L'effetto cumulativo, l'alternanza costante di descrizione (statica) e narrazione (dinamica) comportano una sostanziale dualità di referenti 89
In questa direzione può intendersi l'epiteto delle fanciulle alphesiboiai v. 593. Cfr.E.Scheid-Tissinier, Les usages du don chez Homère. Vocabulaire et pratiques. Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994, 50-54. 90 Sulla danza cfr. ora: S.H. Lonsdale, Dance and Ritual Play in Greek Religion, Johns Hopkins University Press, Baltimore-London 1993.
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reali apparenti. C'è una realtà oggettuale di immagini così come raffigurate e una realtà naturale e umana così come narrata. Ma per l'una e per l'altra c'è un problema di coerenza con il cosiddetto mondo degli eroi, con la realtà fantastica che è ricavabile dal macrocontesto dell'epica maggiore. Se, rispetto ai primi due referenti, la ricerca di elementi di corrispondenza (per analogia o per identità), pur difficile, è possibile, la coerenza dei contenuti dei quadri rispetto al mondo degli eroi è quasi impossibile. Manca nello scudo l'ideologia che sostiene per intero il vivere e l'operare di coloro che assediano Troia e ne tornano vittoriosi. Manca la convivenza, la compresenza mitologica di dei ed eroi che pure è sostanza dell'epica. Gli dei dello scudo sono di metallo prezioso e di formato maggiore degli uomini: sono più vicini alle presenze divine, eccezionali e perciò significative che leggeremo nella prosa ionica di Erodoto che non agli Olimpi che intervengono con naturalezza nelle vicende dell'assedio, da entrambe le parti. Rispetto al narrato iliadico, alla sua sostanza, alla sua ideologia, lo scudo è specchio d'avvenire, è immagine di una realtà refrattaria al tentativo d'idealizzazione. Una realtà che alterna pace e guerra, contrappone uomo e natura, propone forme diverse di lavoro finaliz~to alla sussistenza, diverse forme di convivenza sociale. E una realtà umana che ha orrore della morte, anche se congiunta alla guerra di cui non apprezza (più?) il significato glorioso. Tutto questo fa naturalmente pensare ad una paradossale intromissione nel modo eroico dell'epica: il quotidiano, il reale compresente alla fase aedica, che le similitudini mostrano o fanno solo intravvedere, qui fa irruzione se pur solo raffigurato nello scudo. Abbiamo forse così risposto alla domanda sul come ma dobbiamo domandarci anche perché questo avviene. Perché proprio lo scudo di Achille ha questo contenuto? Credo si debba pensare ad un effetto paradossale del processo di formazione, tradizione, selezione dell'epica. Piuttosto che immaginare un singolo tanto grande da conce-
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pire il contrasto grandioso tra il mondo eroico e quello laico e operoso dei quadri dello scudo, si può pensare ad una tradizione che affida a questo luogo, entro la lunga trama narrativa, il suo messaggio solo apparentemente contraddittorio. Nell'epica c'è fusione linguistica di elementi diversi, mescolanza di popoli senza pregiudizio di distinzione etnica~ tutto questo è prodotto dalla diacronia che regge il narrato. E così anche per lo scudo e per i suoi contenuti. Forse l'elemento spia d'uno sforzo supremo di straniare rispetto alla realtà risiede nell'assenza finale di una delle peculiarità maggiori dell'umanità ionica del tardo arcaismo cui lo scudo si rivolge. C'è il mare, c'è Oceano, ma non c'è navigazione, non ci sono uomini sul mare. Il popolo dei marinai non ha ancora piena coscienza di sé e dell'espandersi della propria civiltà nel Mediterraneo. Il quadro della conoscenza si conclµde con la manifestazione di un limite.
CAPITOLOTERZO RITI FUNERARIE SOCIETÀ OMERICA
1. Un mondo di Omero? Nel titolo da cui partiamo c'è un sostantivo dal forte valore evocativo. Parlare di mondo invece che di società o di civiltà, a proposito del contesto storico dei poemi epici, rinvia in modo immediato al titolo di un libro che ha segnato una svolta negli studi su questo difficile argomento. Il riferimento è naturalmente a The World of Odysseus, il libro con cui, nel 1953, Moses Finley, alla vigilia della sua partenza definitiva dagli Stati Uniti, mise a punto per sola forza deduttiva, una interpretazione globale del problema'. Finley non si valeva ancora, al momento di licenziare il suo volume, degli effetti della decifrazione della scrittura sillabica lineare 1
Moses I. Finley, The World ofOdysseus, New York 1977 (2 ed), tr. it. di Fausto Codino, presentazione, aggiornamento bibliografico, glossario a cura di R. Di Donato, Marietti Scuola, Casale Monferrato 1992. Sugli aspetti della biografia finleyana qui evocata sia consentito rinviare ai testi da me raccolti in Opus. Rivista internazionale per la storia economica e sociale dell'antichità, VI-VIII, 1987-1989, pp. 259-321 e segnatamente a: Tra Omero e Aristotele. Premesse ad una discussione tra K. Polanyi e M.1. Finley, ibid. 265-274. Sulla società omerica si vedano i contributi di A. Mele, Società e lavoro nei poemi omerici, Napoli 1968 e id., Il mondo omerico. Elementi formativi degli ethne greci e assetti politico-sociali, Storia e civiltà dei Greci. I, Milano 1978, pp. 25-72.
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B, che avrebbecon il tempo, permesso di conoscere, per via documentariadiretta, i caratteri fondamentali della civiltà di parlantigreco, a Creta e in varie localitàdella penisola ellenica dal XVI all'XI secolo, che comunemente,e con un processo semplificativonon del tutto felice, diciamo micenea. Questa civiltà, i cui resti archeologici e i cui reperti materiali (soprattutto i ricchi corredi tombali) avevano alimentato la stagione delle grandi scoperte e dell'entusiasmosuscitato dai ritrovamentioperati da Schliemann,era stata a lungo considerata il referente oggettivo delle narrazioni epiche. Finley aveva trasferitocon il suo ragionamento la dimensione contestuale dallo sfondo remoto e quindi miceneo alla probabile realtà corrispondenteal periodo del lungo processo formativo dei poemi per entro le età oscure, prive di scrittura, che precedonoquell'ottavo secolo nel corso del quale -attraverso l'adattamentodella scrittura alfabeticafenicia- i Greci avevano dato una svolta decisiva al corso della loro civiltà. Lo storico americanoaveva lavorato su di un doppio livello:da un lato avevauti1izzatoi testi epici come un repertorio di evidenza, che i suoi quaderni mostrano, setacciato con cura minuziosa2,dall'altro, aveva applicato griglie interpretativededotte dall'opera di antropologi moderni -Thumwald e Malinowski, soprattutto-con l'uso di modelli ricavati dall'osservazione diretta di popolazioni senza scrittura (quelle che al tempo si dicevanoprimitive ). Per lui il mondo omerico era un gradino sopra i più alti primitivi3 e quindi particolarmente adatto ad una analisi come quella che avevarealizzato. Nel corpo dell'originariaindagine finleyana,l'esame dei costumi funerari non trovava spazio ma la prima appendice dell'edizionerivista nel 1977, mettevacome conclusione perentoria del proprio ragionamentoproprio una considerazione relativa alle pratichedel seppellimento: 2 Notebook
D8: Homeric Age. cf. il mio indice delle carte finleyane a p. 317 di Opus. cit. 3 Cfr. la lettera cit. in: Come scrivere un Mondo di Odisseo, presentazione della tr. it. cit. supra n.1, p. xn.
Rm FUNERARI E SOCIETÀ OMERICA
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«Tranne che in un passo ambiguo (N 174-177) ogni volta che Omero riferisce pratiche funebri si parla sempre e soltanto di cremazione. Il mondo miceneo seppelliva i suoi morti, con eccezioni trascurabili; ma verso il 1050 a.C. la cremazione degli adulti diventò la regola nella maggior parte del mondo greco; nel 950 o 800 l'inumazione riacquistò il predominio, sostanziale se non completo. Chiunque non abbia "fenomeni da salvare" concluderà naturalmente che Omero rifletteva un'usanza post-micenea, pre-contemporanea»4 • La rappresentazione di un fenomeno di civiltà era cosi utilizzata come prova dirimente per un problema di datazi.as Sfos '061Ja.af:1JSaccanto al più comune TÒV 6 • .uµrins 'o61Jaaf:1Jscon alcune possibili varianti di minore importanza.
L'OMERISTICA COME SCIENZA
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della lingua comune al singolo aedo ed ai suoi ascoltatori. Conferma di questo il Parry trovava nello studio della lingua epica. La lingua omerica, non riconducibile esattamente nell'alveo di nessuno dei grandi sistemi dialettali greci, era definibile come lingua poetica, creata artificiosamente da generazioni di aedi. Esisteva la possibilità che si trattasse di una vera e propria lingua tradizionale congruente ad una poesia orale, creata e per lungo tempo trasmessa senza l'aiuto della scrittura. Esempi di poesia orale il Parry aveva trovato descritti in molti studi apparsi in Europa nel filone delle ricerche sulla poesia popolare aperto nel secolo decimo nono dai romantiCÌ28.Egli conosceva anche il fondamentale lavoro di Marcel Jousse 29 che apriva la strada a questo tipo di ricerche nel campo della psicologia linguistica. Poteva a questo punto porre un confronto fra due ricostruzioni: quella dell'arte del linguaggio poetico orale tradizionale operata soprattutto sulla base degli studi slavi del Murko, e quella delle caratteristiche della lingua omerica 30 • Nella lingua d'Omero la 28 Parry
utillizzò soprattutto: A. Hanoteau, Poésies populaires de la Kabylie, Paris 1867; A. Dozon, L'épopée serbe, Paris 1888; I.Dannesteter. Chants populaires des Afghans, Paris 1888-90; D. Comparetti, The Traditional Poetry of the Finns, (tr. ingl.) London 1898; A. Rambaud, La Russie épique, Paris 1876: A. Van Gennep, La question d'Homère, Paris 1909; F. I. Krauss, Slavische Volksforschungen. Leipzig 1908; J. Meier, Werden und Leben des Volksepos, Halle 1909; Bockel, Psychologie der Volksdichtung, Leipzig 1913; H. Basset, Essai sur la Litterature der Berbères, Algiers 1920. 29 M. Jousse, Etudes de psychologie linguistique. Le style oral rythmique et mnémotechnique chez les Verbomoteurs, «Archives de Philosopbie» II, 4, Paris 1925. 30 Cosi il Parry riassume le caratteristiche di un linguaggio poetico orale tradizionale: (Studies cit. II, 20-24) «I. The spoken dialect of the author of an oral poem is shown by bis poetic language, which will tend lo be the sarne as bis spoken language wherever be has no metrica! reason to use an older or foreign word or form or construction. II. On the oral band an oral poet, composing in a diction which follows bis own language where it can, may be using phrases and passages wbich are neither bis own work nor that of other poets of the same dialect, whether of bis own or of an earlier time, but borrowings from the poetry of another dialect. III. A given word, form, or group of words can be proved to be the originai work of poets speaking a given dialect only when it can be shown that no other dialect which had a part in the bistory of the poetry had, in either its spoken or its poetic language, the same word or form or group of words with the same metrical value. IV. Conversely, a word or form or group of words wbich is metrically false, or fails to make sense, must be the work of a dia-
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commistione cli elementi ionici ed eolici si presentava apparentemente senza alcun criterio logico. Ancora meno facilmente spiegabileera la presenza clielementi poi attestati solo nel dialetto arcadico-cipriota.Il Parry comprendeva l'importanza della presenza cli questi ultimi che indicavano per lui una fase achea dell'epos31• Egli osservava come la maggior parte degli elementi ionici presenti nell'epos siano metricamente identici alle corrispondentiforme eoliche, ne deduceva l'ipotesi cli un adattamento di queste forme ad opera cli aedi ionici. Le caratteristichedei due dialetti gli sembravano tanto densamente mescolate da indicare soprattutto una interazione fra essi piuttosto che una aggregazione meccanica. Lo stesso rapporto in una fase diversa doveva esserci stato fra la lingua poetica achea e l'eolico. In conclusione scriveva: «Tue art of the Greek heroic poetry is so far above that of any other oral narrative verse that one might, perhaps, conclude that it was the work of a more highly professional class than that which usually practices oral poetry»32 • Parry sentiva l'insufficienza d'una simile conclusione e si proponeva un nuovo campo di lavoro: «we must turo to the study of other oral poetries where the processes of composition can be stuclied in actual practice, and in a greater body of poetry than we bave for the Greek epic»33• Con questo scopo il Parry si recava in Jugoslavia dal 1933 al 1935 e raccoglieva moltissimo materiale in trascrilecl whose words and forms when used would make the verse correcl, or give il meaning. V. (exception lo I) A foreign or older form may be kepl in the poetic language even when the poel's own language has a form which could talee its piace, bul such a keeping, apart from metrica! reasons, will be due lo the regular use of tbc form along with other words which are always used as a group and which the poel feels as such, or lo the poelic characler of the word, or lo some other such special reason. VI. (exceplion lo IV) The working of a formulaic diction may ilself be the cause of metrica! faults. VII. (exception lo Ili) A form which seems old or foreign may be a creation by analogy from forms which are really so. VIII. A word, form, or group of words which is old or foreign is nol in itself proof thal the verse or passage in which il is found in the work of an older or foreign singer». 31 M. Parry, Studies cit. II. 26 sgg. e 40 sgg. 32 Id. ibid. 46. 33 Id. ibid. 4 7.
L'OMERISTICACOME SCIENZA
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zioni, registrazioni, relazioni cliconversazioni con i cantori cli Novi Pazar. Nella sua mente era il disegno cli un libro dal titolo suggestivo The Singer of Tales34 • La morte sopravvenne improvvisa negli Stati Uniti alla fine del 1935, e del libro sono rimaste solo le prime pagine stese dopo il ritorno in patria 35 • Degli sviluppi degli studi comparativistici del Parry riferiremo in un successivo capitolo; quel che ci premeva sottolineare in queste note introduttive sulla figura dello studioso americano sono i fondamenti teorici della sua ricerca sullo stile omerico, il ritorno al testo per una storicizzazione altrimenti impossibile e l'ampiezza dei problemi sollevati 36•
2. L'analisiformulare: problemi di metodo. L'importanza degli studi del Parry non venne immediatamente compresa. L 'épithète ricevette recensioni generiche e negative37 : una eccezione fu lo Chantraine che non si limitò a recensire positivamente l'opera del Parry 38 ma ne applicò la metodologia in un interessante articol039• Si aprivano agli studiosi due campi cli lavoro: il primo, che aveva portato al miracolo tecnico de L'épithète e che seguiva il metodo deduttivo studiando direttamente il testo omerico, venne abbandonato per molti anni. I contributi più notevoli in questo campo sono recenti e fanno seguito ad un lungo periodo in cui hanno avuto rilievo gli studi storico-archeologici e le tra34 Questa e le altre notizie sulla vita del
P. si trovano negli scritti di A. B. Lord, soprattutto nell'introduzione ai Serbo-Croatian Heroic Songs, collected by M. Parry and edited by A. B. Lord, voi. I Cambridge 1954. [Il testo attuale di riferimento è l'introduzione di A.Parry, a The Malcing of Homeric Verse cit.]. 35 Pubblicate da A. B. Lord in Homer, Parry and Huso, AJA 52 (1948) 34-44 ove è anche la bibliografia completa degli studi del Parry. 36 Per la figura del Parry oltre ai lavori citati del Lord cfr. H. Levin, Portrait of an Homeric Scholar, CJ. XXXII (1937), 266. 37 Si veda per tutte quella di Ch. Vellay sulla «Revue des études homériques» I ( 1938). La rivista ebbe vita breve ( 1931-1935). 38 R. Ph. 1929, 881-885. 39 P. Chantraine, L'emploi des fonnules dant le premier chont de l'Iliade. REG 1932, 8-121.
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dizionaliricerchedi analisi linguistica40 • Diversa e più regolare sorte aveva il secondocampo di studi relativo alle caratteristiche della poesia orale da verificarsi con una analisi comparativadell'epica popolare slava L'eredità degli studi slavi del Parry toccava ad A. B. Lord che l'aveva accompagnatonell'ultimoviaggio in Jugoslavia ed avevacollaborato alla raccoltadei canti epici serbocroati••. La lunga pausa negli studi sullo stile formulare omerico trova una oggettivamotivazionenella metodologia stessa introdotta dal Parry, che limita le possibilità del filone principale della ricerca a sistemi formulari la cui presenza nei poemi sia sufficientementeestesa. In campo linguistico il metodo parryano si è rivelato molto utile, consentendo ad esempio di motivarela presenza di alcuni elementi dialettali nel verso: il libro di C. J. Ruijgh sulla presenza dell'elemento acheo nella lingua epica è certo il migliore esempio a tale riguardo42. Nell'esaminaregli sviluppirecenti degli studi sulla tecnica formulare ci limiteremo alla discussione dei contributi più significativisoprattuttoda un punto di vista metodologico. Il problema del metodo di accostamentoal testo è, come intendo dimostrare,tutt'altro che risolto. Esso costituisce per la lettura d'Omero la vera qua.estio.L'unità della dizione epica dimostratasenza equivoci dal Parry consente infatti, a mio giudizio,di affrontarecon diversa e più sicura visuale i problemi d'interpretazione.
40
Per la bibliografia relativa rimando alle singole voci della eccellente raccolta curata da H. J. Mette, «Lustrum» I (1956) 7-86 ed ai successivi «Nachtriige». 41 Il problema del carattere orale dell'epica è stato ed è oggetto di viva polemica anche al di fuori della ricerca omerica. Cfr. ad esempio il deciso rifiuto d'una simile teoria applicata alla Chanson de geste in I. Siciliano, La chanson de geste et l 'épopée, Torino 1968. Per la discussione del problema vd. il paragrafo 3. della presente ricerca. 42C. J. Ruijgh, L'élément achien dans la langue épique, Assen 1957. Il libro contiene una lunga critica a M. Leumann per il suo Homerische Worter (Base! 1950), in cui Parry non è mai citato e sembra del tutto non conosciuto.
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Gli studi tecnici sulla formula e il suo uso in Omero tornano a dare risultati interessanti con le ricerche per molti versi parallele di A. Hoekstra e J. B. Hainsworth43 • A. Hoekstra affronta il problema della possibile ricostruzione dei prototipi formulari che avrebbero preceduto il patrimonio formulare riprodotto nell'epos. La sua ricerca affronta argomenti paralleli a quelli studiati dal Parry le cui conclusioni radicali sono criticate e ridimensionate44 • Il metodo di lavoro dell'Hoekstra può essere sintetizzato brevemente:per arrivare a dimostrare l'esistenza di prototipi preomerici ed esaminare le modificazioni ch'essi han subito nell'entrare nel testo omerico, si esamina la modificazione di alcune caratteristiche dell'epos omerico nell'epica immediatamente successiva all'Iliade e all'Odissea (Inni ed Esiodo) per poi riportare all'interno dei due grandi poemi il criterio di analisi che si ricava dal confronto. Applicato a tre fenomeni fonetici, la metatesi quantitativa, il digamma iniziale, il N mobile, il metodo dà risultati apprezzabili per le possibilità che offre di un più approfondito esame dello stile epico. Hoekstracorrettamente non pretende di poter estendere quanto dimostrato nei tre casi in esame a tutto l'epos, posizione che spinge a condividere l'apprezzamento del Kirk sulla sua opera 45 • Ad esser ulteriormente chiarita è la natura dinamica della dizione epica di cui Iliade ed Odissea rappresentano un momento che conserva in sé caratteristiche delle varie fasi dello sviluppo. È una prospettiva diversa da quella che portava a cercare meccanicamenteil recente e l'arcaico nei poemi46,in quanto annulla di fatto la qualificazionedi questi due 43
A. Hockstra,Homeric modifications cit.; J. B. Hainsworth, The jlexibility, cit. Hoekstra esclude che la dizione omerica sia interamente formulare e tradizionale, è incerto sulla composizione orale dell'Iliade e dell'Odissea, è certo invece che una larga parte della dizione sia formulare e che la maggior parte delle formule siano tradizionali. Egli ritiene, d'accordo con lo Hainsworth, che singole parole non possano essere chiamate formule. (Homeric modifications. cit. 24-25). 45 Gnomon xxxvm 8 (1966) 737. 46Come fa ad esempio il Severyns nel libro più sopra citato. 44
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termini mostrando in tutta chiarezza la diacronia dello stile formulare omerico. Più articolato il contributo fornito dallo Hainsworth in una serie di articoli47 le cui conclusioni lo studioso inglese ha ordinato nel suo libro a difesa della tesi di fondo della flessibilità dell'uso formulare epico, in contrapposizione con la rigidità schematica che sembrava derivare dai primi studi parryani48. Hainsworth propende per una interpretazione «moderata»49 della teoria relativa alla composizione dei poemi epici a mezzo delle formule: egli parte anzi negando il criterio per il quale l'uso di quelli che il Parry chiamava «formula-types» sia l'unica tecnica usata nella composizione 50 • L'accettazione di un simile principio, egli sostiene, costringerebbe a vedere notevolmente mortificata la funzione del poeta le cui possibilità creative sarebbero limitate invece d'essere esaltate dal possesso consapevole d'una tecnica di composizione duttile e portata ad un alto grado di completezza. Di fatto è possibile dimostrare un uso dinamico delle formule: esse si spostano nel verso, si modificano continuamente, si dividono o si espandono a seconda delle necessità espressive e dei condizionamenti del metro51• 47
Da vedere soprattutto: The Homeric Formula and the Problem of its Transmission. BICS IX (1962) 57-68 e Structure and Content in Epic Formulae. The Question of the Unique Expression. CQ XIV (1964) 155-164. 48Non tralascerei di ricordare a questo proposito che il Parryrnorlprima di aver potuto sottoporre ad una seria verifica tutta la sua teoria: a questa mancata revisione critica oltre che allo schematismo degli epigoni è forse imputabile non poco della rigidezza che caratterizza le formulazioni tecniche parryane prima esaminate. 49 Di «soft Parryist» parla appunto la critica recente di ambiente anglosassone quando contrappone Hainsworth e Russo agli hard Parryist (Pope, Minton). Cfr. M. N. Nagler, Toward a Generative View ofthe Ora/ Formula. TAPhA XCVIII (1967) 270275. 50 «Formula-types• indica in Parry la lista di formule che hanno in comune metro, posizione e sintassi, e appartengono alla medesima categoria semantica. Le proprietà dei f.-t. sono l'economia e l'estensione. Come si può notare, questa definizione coincide con quello che noi abbiamo chiamato sinora un «sistema formulare «Di fatto Parry usa senza apprezzabili differenze anche «formula-system•. 51 Una prima dimostrazione relativa alla mobilità, alla modificazione, alla separazione delle formule in The Homeric Formula. cit. 65-64. Il completamento della tesi nel libro più volte citato. In entrambi i casi alcuni degli esempi fomiti, massime riguar-
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La positività di questa dimostrazione è notevole se si considera, che essa consente di valutare diversamente l'importanza degli elementi contestuali nella costruzione delle frasi e con esse degli episodi; il tutto ovviamente, restando valida la dimostrazione dell'esistenza di un vero e proprio «lessico formulare» 52 • Mi limiterei a questo nel sottolineare i contributi positivi forniti dalle ricerche dello Hainsworth: non credo ad esempio che malgrado l'impegno profuso e la grande dottrina dimostrata, lo studioso inglese abbia risposto alla domanda che ha posto a titolo del terzo capitolo del suo libro53 • «What is the formula» è una domanda cui non serve, a mio giudizio, far corrispondere una definizione per quanto fondata sulla casistica più arnpia54 • La risposta, non dogmatica ma problematicamente aperta. può venire da una prospettiva meno astratta di quella dello Hainsworth: questa prospettiva passa soprattutto per un ritorno ad approfonditi studi metrici relativi ali' esametro. Paradossalmente l'omeristica tradizionale ha trascurato fino a tempi recentissimi di collegare l'opera del Parry con le ricerche esametriche di E. G. O'Neill poi riprese dal Porter55 • La localizzazione delle sedi preferite richieste da alcuni do alla mobilità delle formule, sono poco convincenti e comunque la documentazione è poco abbondante. Sarebbe utile la pubblicazione di tutto il materiale che Hainsworth ha certo raccolto. 52 Do a questa espressione un significato comprensivo della parryana «diction épique» La formula diviene all'interno di questa definizione un elemento costitutivo del genere poetico dell'epos. Con le similitudini, l'epiteto fisso, la metafora, essa crea il clima che accomuna poeta e pubblico e spinge l'uno e l'altro al naturale rispetto della tradizione. 53 Hainsworth afferma che l'essenza della formula è la ripetizione. (The jlexibility. cit. 35). 54 Vedi ad esempio quella di Labarbe, L'Homère de Platon. cit. 17: «Une locution figée qui couvre exactement une portion de l'hexamètre et que l'usage appelle, au lieu d'une locution originale, chaque fois qu'il s'agit de rendre l'idée précise dont elle est le support, omé ou non». Si tratta di una parafrasi della definizione del P. Non diversamente C. M. Bowra in Heroic Poetry. London 1952. 55 E. G. O'Neill, The Localisation of Metrica/ Word-Types in the Greek Hexameter, YCIS VIII (1942) 102-176; H. N. Porter, The Early Greek Hexameter, YOS XII (1955) 1-64.
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gruppi di parole nell'esametro costituisce al contrario -come ha dimostrato J. Russo56 - un naturale supporto esplicativo della teoria della genesi nella tecnica compositiva epica orale tradìzìonale. Non meno utile considerare la teoria friinkeliana57 sulla pluridivisione dell'esametro, massime dopo alcuni recenti approfondimenti 58 • L'esistenza di tre incisioni nel verso (non è necessario sia una legge, è sufficiente sia dimostrato che esiste la tendenza) con la conseguente divisione in quattro cola offre due contributi positivi alla teoria che si va costruendo: conferma in primo luogo l'estrema elasticità compositiva dell'esametro per chi disponesse di un ampio patrimonio formulare provvisto dalla tradizione e consente in secondo luogo di porre il problema della genesi dell'esametro come accostamento di unità preesistenti in maniera autonoma, dotate di completezza semantica e metrica. Se pure non è sufficientemente dimostrata la regolarità della frequenza dei cola (due, a mio avviso, le difficoltà: scarsezza di campioni esaminati, rischio perenne di soggettivismo nella 'colinazi0ne') la tendenza di tutti gli elementi che abbiamo esaminato è univoca: essi forniscono prova sufficientemente sicura di un rapporto stretto fra metro e lessico formulare» garantendo in tal maniera reciprocità alle conclusioni del Witte. Cosi modificato, ai fini della nostra ricerca, il problema dell'origine dell'esametro perde molta dell'importanza che avrebbe se fosse posto nei suoi termini tradizionali. Non mi soffermo sulle recenti ricerche sulla struttura della frase omerica in cui sembra non si sia ancora valicato il 56 J.A. Russo, A
Closer look at Homeric Formulas, TAPhA XCIV (1963) 235-247. H.Frankel, Der kallimachischL und der homerischL Hexameter, «Gottinger Nachrichten» 1926, 597-229 riscritto in Wege und Formen frUhgriechischLn Denkens, 57
Milnchen 1960, 100-156. 58 Notevole sopranuno: L. E. Rossi; Estensione e valore rhl colon nell'esametro omerico, «Studi Urbinati» XXXIX (1965) 239-273. Più' recentemente: G. S. Kirk; Studies in Some Technical Aspects o/ Homeric style. The Structure ofthL Homeric Hexameter YCIS XX (1966) 76-104.
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limite dell'analisi puramente formale con il conseguente rischio della mancanza di veri contributi utili 59 • Le conclusioni cui questa discussione tende sono relative al fine principale della ricerca, la possibilità cioè di commentare il testo. Io credo che i contributi tecnici, per il supporto decisivo che forniscono alle ipotesi teoriche della genesi dell'epos, costituiscano l'elemento essenziale nella composizione di quell'estetica propria ai poemi omerici che rappresenta il fondamento della futura critica omerica.
3. L'analisi comparativa:Omero e l'epica slavaro. Il collegamento fra le età eroiche della storia dell'uomo e l'epica come genere letterario ad esse pertinente è, come abbiamo già sottolineato, un portato della critica romantica della poesia popolare. Non mancano ovviamente opere che si occupano di questo particolare problema prendendo in esame anche l'epos greco arcaico. La ricerca comparativa ha fatto in questo campo passi da gigante, sollevando continue discussioni 61• Il problema di base è la legittimità di confronti i cui elementi siano separati da secoli di storia. Non si può confrontare Omero con un bardo slavo del secolo ventesimo, si dice; troppa è la differenza fra le due esperienze poetiche. La obiezione iniziale è superabile senza gravi difficoltà: non si tratta infatti di operare un confronto meccanico in cui i dati Il pericolo della tautologia è avvertito anche dal Kirk. Cfr.le conclusioni dei suoi Studies in Some Technical Aspects of Homeric Style. Il. Verse-Structure and Sentence-Structure, YCIS XX (1966) 105-152. Worazie alla cortesia del prof. A. B. Lord, mi è stato possibile utilizzare nella stesura di questo capitolo il testo dattiloscritto del contributo che lo studioso americano ha letto al convegno sulla «Poesia epica e la sua formazione» tenutosi a Roma presso l'accademia nazionale dei Lincei dal 28 mano al 3 aprile del 1969. [Il contributo dal titolo Tradition and the Oral Poet: Homer and Avdo Medjedovic si legge ora ne La poesia epica e la sua formazione, Roma 1970, pp. 13-30]. 61 Da H. M. Chadwick, The Heroic Age, Cambridge 1912 (ancora utile e di recente ristampato, 1967) a C. M. Bowra, Heroic Poetry, London 1961-62 [tr. it. Firenze 1979]. Oltre naturalmente ai libri di più limitata ampiezza già citati. 59
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relativi ad un termine di paragone vengano arbitrariamente trasferiti all'altro. Si tratta piuttosto, una volta trovate sufficienti analogie fra due fenomeni letterari, di verificare sull'oggetto di più difficile esame i risultati raggiunti laddove l'analisi è più agevole. Nessuno, io credo, si è mai ribellato al Pasquali quando per dimostrare come si generano alcuni errori nella tradizione ha dato esempi di errori occorsi a dattilografe o tipografi del secolo nostf062.Il suo scopo era, a livello esplicativo, (ma se ne avesse avuto bisogno perché non anche a livello di ricerca?) dare fondamento ad una ipotesi la cui verifica soltanto lo interessava in ultima analisi. Il metodo scientifico ha sempre ammesso un processo conoscitivo che parta dall'ipotesi, comunque formulata, ed arrivi, convincendo,alla dimostrazione. Pecca di empirismo filologico, a mio giudizio, chi nega la possibilità di una comparazione fra l'epica orale slava e l'epos omerico per il fatto che trenta secoli li separano. Altro e più difficile discorso è quel~o relativo ad una analisi strutturale dell'epos dei vari paesi. Quali dunque le affinità fra l'epos greco arcaico e quello dei bardi slavi? Già il Parry aveva indicato nelle caratteristiche dello stile formulare la fondamentale di queste affinità63 ed aveva affrontato il problema della tecnica compositiva64 • Più recentemente si è pensato di spiegare come caratteristiche della tradizioneorale le più evidenti incongruenze, anche narrative,esistenti all'internodei poemi omerici65• 62
G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Ftrenzc 1952, 482 e pas-
sim. 63
M. Parry, Whole Fonnulaic Verses in Greek and Southslavic Heroic Songs, TA Ph.A. LXIV(l933)179-197. 64 M. Parry, Studies. Cit. 65 A. B. Lord, Homer and Huso, I. The Singer's Rest in Greek and Southslavic Heroic Song, TAPhA LVII (1936) 106-113; II. Na"ative lnconsistencies in Homer and Ora/ Poetry, ibid. LXIX (1938) 439-445; Enjambement in Greek and Southslavic Heroic S..€C6€w' Ax1.>..f)os (e 75) una cui traccia seni.a ampi sviluppi segue l'annuncio secondo il procedimento consueto. Il canto di Demodoco provoca la commozione di Odisseo, che cela il volto per la vergogna.Il canto provoca invece il diletto dei Feaci che a più riprese invitano l'aedo a ricominciareil racconto. Abbiamo qui la descrizione completa di una esibizione 34
Tre attestazioni soltanto in Omero. 874,485; x347. E dopo Omero una volta in Callimaco Del., 9; una volta in Anacreontea 32, 14;. La discussione delle varie etimologie proposte e la bibliografia relativa nel libro della Lanata, Poetica cit. II nota ad I. 35 A. Pagliaro, Le terminologiapoetica di Omero e l'origine dell'epica, «Ricerche linguistiche» Il( 1955) 1-46 ora con il titolo Aedi e rapsodi in Saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1953, 5-62. Per otµTJ vedi soprattutto 34-40. 36 Diversamente il Pagliaro (Terminologiacit. 10 = Saggi cit. 15) che scrive: «La rappresentazione oggettiva della poesia, come ci appare nell'Iliade e nell'Odissea, non può certo considerarsi attuale alla forma poetica che vediamo realizzata nei due poenù, ma riflette indubbiamente uno stato di fatto ben più antico e comunque non attuale. Perciò che riguarda l'Iliade, si è visto che le manifestazioni di poesia hanno carattere esclusivamente lirico, né il riferimento ai ,:>.la d116pw11,materia del canto d'Achille, implica nùnimamente l'esistenza di un genere epico». Al di là delle osservazioni al singolo luogo non credo accettabile la distinzione all'interno dei poenù di parti precisamente epiche e parti liriche, nelle descrizioni della attività aedica. Particolarmente inaccettabile questa distinzione se si fonda sul giudizio dei contenuti dei canti accennati all'interno dei poenù. Per una analisi della figura del cantore oltre alle opere citate cfr. R. Sealey, From Phemios to /on, REG LXX (1957) 312-355.
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aedica: l'aedo che è cantore e musico insieme inizia il canto spinto dalla Musa, sviluppando una otµTl famosa. Di tanto in et:tos tanto egli sospende il canto: e 87 (~ To1. oTE >-11~t:1.Ev àt:CSwv 8Etos ào1.66s) poi di nuovo riprende sollecitato dal pubblico: 8 90
quando cominciava di nuovo e i nobili Feaci l'incitavano al canto, perché ai suoi racconti gioivano
Nelle pause anche Odissea beve e liba agli dei: a tutti il canto provoca diletto, questo acuisce il contrasto con la condizione dolorosa di Odissea che non è per altro riconducibile a quella di un normale uditorio. Segue la lunga parentesi dei giochi poi di nuovo il banchetto, di nuovo il canto dell'aedo. Stavolta al canto e alla musica s'unisce la danza: Od.isseoè partecipe del diletto generale, e guarda con meraviglia questa nuova specialità dei Feaci37:
e 264
Odisseo guardava il balenare dei piedi e stupiva nell'animo
L'aedo prende a cantare:
e 266
gli amori di Ares e di Afrodite dal bel diadema
Il racconto ha uno sviluppo più lungo di quelli prima accennati, l'otµTl è svolta per intero senza trascurare i particolari38.Con il raccordo ormai consueto il canto è concluso e collegato alla narrazioneprincipale: e 367 Questi fatti il cantore famoso cantava: e Odisseo 37Che
re: cfr.
si tratti di una panicolarc specialità feacia Alcinoo stesso tiene a sottolinea-
e 246-248.
38 Per
una piìl approfondita analisi dell'intero racconto degli amori di Ares ed Afrodite rimando alla terza pane di questa ricerca [qui non riprodotta]. Sulla base del confronto con l'ittito, conferma l'interpretazione di ot'µ11qui accolta R. Lazzeroni, Su alcuni aspetti della lingua d'Omero, «Studi e saggi linguistici» vn (1967) 53-55.
OMEROE LA POESIAORALE
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nell'animo suo gioiva ascoltando, e gioivano gli altri Feaci dai lunghi remi, navigatori famosi.
Odisseo gode all'ascolto (CÌl.a0Ca1.TETCµevos(472). All'onore popolare si unisce quello del re errante: Odisseo manda in dono all'aedo la parte migliore del cibo ed accompagna il dono con una sentenza: ·
e 479
per tutti gli uomini in terra i cantori sono degni d'onore e di rispetto, perché ad essi la Musa insegna le trame e ne ama la stirpe.
Gli aedi sono onorati da tutti gli uomini perché {ouveK')la Musa insegna loro la traccia, il tema dei canti, la dea ha cara l'intera genia dei cantori. Dalla sentenza alla lode particolare: a Demodoco direttamente Odisseo rivolge la parola manifestando il proprio rispetto e motivandolo con precisione:
e 487
«Demodoco, io ti lodo al di sopra di tutti i mortali: o ti ha istruito la Musa, figlia di Zeus, o Apollo. Canti la sorte degli Achei in modo perfetto, quanto fecero gli Achei e patirono, e quanto soffrirono: come uno che era presente o che ha sentito da un altro»
Certo il canto gli deriva dalla Musa oppure da Apollo; con troppo ordine, con troppa fedeltà a fatti e sentimenti l'aedo ha cantato il fato degli Achei, come se fosse stato presente o da altri l'avesse ascoltato. L'arte del cantore viene così ancora una volta legata alla capacità di trasmettere con fedeltà il contenuto tradizionale dei canti, l'oggetto della conoscenza epica, la mitica verità epica nota soltanto ai testimoni diretti o diffusa per tradizione orale. Un nuovo canto viene sollecitato fra quelli che narrano
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del fato degli Achei: l'aedo è invitato da Odisseo a cambiare. argomento, saltando qualcosa della traccia traclizionale39• La traccia del nuovo canto, il ic:6crµos tTTTTO\J60\JpaTÉo\J viene appena accennata dall'eroe che quasi sfida la capacità dell'aedo:
e 496
Se questo mi dirai in modo giusto dirò a tutti gli uomini, subito, che un dio benevolo ti concesse il canto divino
Se Demodoco canterà con ordine sviluppando fedelmente il tema accennato da Odisseo, allora veramente si potrà dire che il dio ispira il suo canto. L'aedo, spinto dal dio, sviluppa la sua narrazione:
e 499
Disse cosi. Egli, ispirato, dal dio cominciò.
Del canto viene precisato il punto d'avvio (lv8€v €Àwv)e sottollineato continuamente lo sviluppo (,;€1.6€v s· ws e 514 a€1.6€ e 516 ~aTo e 519 ) 40, quasi a sottolineare il compimento della richiesta d'un canto ic:aTàµo'ìpav. Il verso consueto conclude l'ultima esibizione di Demodoco:
e 521
Queste imprese il cantore famoso cantava.
La chiusa reale dell'intero episodio è nella gnome famosa dei primi versi del libro successivo quando Odisseo, prima di dare il via al lungo racconto delle sue avventure, dà il qua39e 492 ci>.x·a:yESri µETaj111ei. O senso di µnapaCvw mi pare chiaro: C'è un ordine normale dei canti ma Odisseo desidera ch'esso non sia rispettato per poter ascoltare il racconto che l'interessa di più. Per l'esistenza di quest'ordine tradizionale si pensi al Twv aµ68Ev di a 10. 40 Per un esame accurato di tutti i termini relativi all'attività del cantore si veda sempre A.Pagliaro, Terminologia, cit.
OMERO E LA POESIA ORALE
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dro di quella che gli pare la condizione più felice nell'apostrofe ad Alcinoo 1. 2
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«Potente Alcinoo, insigne tra tutti i popoli, certo è bello ascoltare un cantore cosi come è questo, simile per la voce agli dei. Perché penso non v'è godimento più bello, di quando la gioia pervade tutta la gente, i convitati ascoltano nella sala il cantore seduti con ordine, le tavole accanto son piene di pane e di carni, dal cratere attinge vino il coppiere, lo porta e nelle coppe lo versa: questo mi sembra nell'animo una cosa bellissima.
E' indubbio il proposito di dare, con l'ideale descrizione della vita dei Feaci, un quadro sociale in cui tutti gli elementi, tutte le figure, aedi inclusi, hanno un preciso significato41• Esaminiamo ora, prima di approfondire l'analisi, le indicazioni relative alla figura di Pernio. L'aedo itacese compare in due parti del poema molto lontane tra loro42 • Al principio della Telemachia il suo canto allieta i pretendenti a banchetto nella reggia di Odisseo. Il canto del v6oTos 'Ax111.uìv è ascoltato in rispettoso silenzio dai pretendenti, altrimenti sempre rumorosi: 11325
Il cantore famoso cantava tra loro, ed essi sedevano ascoltando in silenzio;
Esso giunge quindi alle stanze di Penelope che ne è commossa e si reca nella sala del banchetto ove apostrofa il
cantore: 41 Per una interpretazione complessiva dell'episodio cfr. C. Diano, La poetica dei Feaci, «Memorie dell'Accademia Patavina di Scienze, Lettere, Arti», LXX (19575958) 1-28, ripubblicato in «Belf~gor» XVill (1963) 403-424. Il quadro offerto dal Diano, per quanto suggestivo, non mi sembra comunque convincente. 42 In a e x l'elemento aedico è cosi presente nelle tre parti del racconto, Telemachia, Apologhi, Ritorno e vendetta.
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a 337
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«Femio, molte altre imprese di uomini e di dei conosci che incantano gli uomini, e i cantori le celebrano: cantane una, seduto tra loro; ed essi in silenzio bevano il vino; smetti però questo canto luttuoso, che sempre in petto mi logora il cuore, dopoché tanto mi colpl il crudele dolore»
La preghiera della regina è di cessare quel particolare canto che le spezza il cuore: Femio muti il suo racconto, ché molti altri ne conosce, fra quelli che gli aedi cantano di solito. Per la prima volta vediamo attribuita all'aedo la conoscen7ll delle imprese di uomini e dei, il contenuto complessivo dell'epos, se07ll che venga sottolineata la proveniell7ll del canto dalla divinità, con una accentuazione anzi della determinazione del ruolo autonomo degli aedi (ed i cantori le celebrano) Donde - pare inizialmente - il rimprovero di Telemaco, che rivela peraltro elementi di interpretazione ambigua: a 345 Le rispose allora giudiziosamente Telemaco: «Madre mia, perché vieti che il fedele cantore ci allieti come la mente l'ispira? colpevoli non sono i cantori, responsabile è Zeus, che assegna a ciascuno, agli uomini che mangiano pane, la sorte che vuole. 350 Costui non va biasimato se canta la mala sorte dei Danai: gli uomini lodano più di quel canto che suona più nuovo a chi ascolta».
La prima parte della replica di Telemaco, con il riferire la responsabilità (del canto? del fato degli Achei? dell'uno e dell'altro insieme?) alla divinità43 ci riporta parzialmente nel quadro finora visto dei rapporti fra il poeta e il dio,
43 Non
si tratta tanto di dire «fuori dal tempo, il poeta è fuori dalla colpa (cosl la Lanata, Poetica cit. 18 che accetta la tesi di L. Stefanini, UJ poetica dell'ispirazione nei primi poeti della Grecia, «Quaderni di Roma «Il (1948) 37-38). L'incertezza è data dalle parole di Telemaco relative a 2.eus arnos.
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Ma l'uso del termine véos 44 riferito alla volontà razionale del cantore nella scelta del canto, e più ancora l'intera seconda parte della risposta, che attribuisce al gusto dell'uditorio che circonda l'aedo la scelta dell'argomento del racconto, mostrano chiaramente che siamo all'interno di una diversa . conce21one. Il rapporto che era finora fra la divinità ispiratrice, in quanto unico possessore della verità tradizionale da trasmettere, e l'uditorio composto da tutti gli umani compreso l'aedo, si è trasformato in un rapporto totalmente umano fra il cantore ed il pubblico che pretende l'ascolto del canto piu «nuovo»45 • Questo è possibile nel momento in cui si riconosce al poeta la conoscenza autonoma di molti canti tra i quali egli può scegliere. L'indicazione relativa alla figura di Femio è comunque contraddittoria: quando l'aedo ricompare nell'episodo della strage46 , per ottenere salva la vita rivendica proprio il rapporto che lo lega alla divinità
x 347
Da me ho imparato, il dio mi ispirò ogni sorta di canto nell'animo;
E «da me ho imparato» qui vuol proprio sottolineare la mancanza di un rapporto umano nell'apprendimento del canto e nella sua esecuzione: è il dio che «ha connaturato nell'animo dell'aedo storie d'ogni genere»47 • Possiamo tentare un primo riepilogo dei dati positivi. offerti dalle caratteristiche dei due aedi: siamo, innanzi tutto, in grado di distinguere due diversi momenti. Il primo, mai contraddetto dalla figura di Demodoco, mostra come il can44
Si confronti quanto detto a proposito di 8uµ6s e lo SnelJ. Die Entdeckung, cit. In VEWTaTTI non credo debba vedersi una indicazione di «originalità». L'intera espressione indica proprio la «novità» del singolo canto: una è la tradizione ma molti e («nuovi»), l'uno rispetto all'altro, i canti. Un esame delle varie interpretazioni in E. Della Valle, Lezioni di poetica classica, Napoli 1945 46 Ad ottenere la salvezza sono i due possessori delJa «parola»: l'aedo e l'araldo. 47 Accetto qui l'interpretazione della Lanata, Poetica, cit. 13. 45
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to, l'ispirazione e il contenuto da trasmettere, vengono di volta in volta richiesti alla divinità che è l'unica a possederli. Il secondo momento mostra come il. rapporto appena definito si trasfonna in un normale contatto fra il poeta-cantore e il suo uditorio. In entrambi i casi, peraltro, l'uditorio non è passivo ma sollecita il canto, determinando la scelta dell'argomento: questo è contenuto all'interno delle imprese degli dei e degli uomini che costituiscono la 'summa' della conoscenza mitica. Gli altri risultati messi in evidenza sono ben noti: la figura del cantore è caratteriu.ata soprattutto nelle sue funzioni espressive; l'aedo professionale è cantore e musico insieme, si esibisce accompagnandosi con la ~6pµ1:y~ nelle pause dei banchetti, sviluppando i temi tradizionali che gli sono ispirati dalla Musa. 3. Odisseo narratore.
L'Odissea è fra i due poemi quello che offre maggiori indicazioni a tutta questa ricerca48 • Lo stesso studio della struttura del poema potrebbe fornire non pochi stimoli ad un 9• ulteriore approfondiment4 Sarebbe utile ad esempio esaminare attentamente la funzione assolta, nella costruzione del poema, dalla figura di Odisseo narratore alla corte dei Feaci. Cercheremo intanto di vedere le indicazioni che offre Odisseo narratore confrontato con i modelli finora esaminati, del narratore in prima persona e dei due aedi. Dal punto di vista della conoscenza dell'oggetto del canto, l'eroe è nelle condizioni ideali: il lungo racconto dei suoi 'errores' è narrazione di una esperienza personale. 48
Delle indicazioni presenti nell'Iliade ho tralasciato di discutere I 185-189, ove Achille canta i 1t>-.ladvSpcilvaccompagnandosi con la cetra, in quanto non aggiungono nessun elemento utile a quanto gli ~ stato detto. 49 Si veda ad esempio S. Bertman, The Telemachy and Structural Symmetry, TAPhA xcvn (1966) 15-28.
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Odisseo non è visto solo come narratore della propria personale vicenda: all'interno del suo stesso racconto ad Alcinoo lo si vede alla corte di Eolo esporre KaTà µo'ìpav quanto gli viene richiesto, (Ilio e le navi degli Argivi, e il ritorno degli Achei)50• Ancora, nella pausa dell'esposizione della Nekyia, è Alcinoo a lodare le capacità narrative dell'ospite o a sollecitare la prosecuzione del racconto con la precisa richiesta del successivo argomento: >,.362
370
Allora Alcinoo rispose e gli disse: «Odisseo, non ci sembri davvero; guardandoti, un imbroglione e un bugiardo, come ne alleva tanti la terra nera, uomini sparsi in gran copia. costruttori di storie false, che uno non riesce a vedere. Ma i tuoi racconti hanno forma, in te v'è una mente egregia. Hai esposto con arte, come un aedo, il racconto, le tristi sventure di tutti gli Argivi e le tue. Ma dimmi una cosa e dilla con tutta franchezza, se vedesti qualcuno dei tuoi compagni pari agli dei che con te andarono ad Ilio e subirono il destino laggiù».
Od.isseonon è un furfante, un inventore di false avventure d'incerta conoscenza; il suo racconto non ha solo il pregio della bellezza della forma ma ha anche la caratteristica principale della narrazione aedica, ripete con fedeltà la verità tradizionale le tristi sventure di tutti gli achei51• Quando nella cortese replica il re itacese acconsente alla ripresa del racconto, la lega al desiderio degli ascoltatori e accenna, secondo la consuetudine, al tema iniziale prima di riprendere il racconto nel punto interrotto. La narrazione prosegue; lasciati gli inferi, lasciata Circe, Od.isseoriprende il mare e dal mare ascolta il canto delle Sirene: 50 ic: 14-16. 51 Diversamente
il Diano, La poetica dei Feaci, cit. 420-421 dove peraltro mi pare sia trascinato dall'amor di tesi, tanto da motivare qui l'assenza di invocazioni alla Musa per l'estraneità della dea al mondo della tecnica che in Odisseo viene lodata.
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µ 184
RICCAROO DI DONATO « Vieni, celebre Odisseo; grandegloria degli Achei
e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce. Nessuno mai è passato di qui con la nera nave senza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose. Perché conosciamo le pene che nella troade vasta soffrirono Argivie Troiani o per volontà degli dei; conosciamoquella che accade sulla terra ferace»
Le mitiche creature posseggono il dono straordinario del canto che consente di partire conoscendo più cose: l'oggetto della scienza delle Sirene è precisato, non si tratta soltanto del racconto tradizionale delle gesta degli Argivi e dei Teucri, le Sirene conoscono tutto quanto avviene sulla terra. Il canto di Odisseo è portato a compimento: l'uditorio tace incantato52• Due elementi principalmente differenziano la sua esibizione da quella di Demodoco presso gli stessi Feaci: l'assenza della ~cSpµ1.yt, la mancanza cioè dell'accompagnamento musicale che caratterizza l'attività dell'aedo professionale, e l'assenza di ogni invocazione alla Musa o comunque di ogni sottolineatura dell'origine divina del suo canto. Ma questo non può certamente stupirci: il ricordo di Odisseo non ha bisogno dell'aiuto .divino per tradursi in racconto. In lui memoria ed esperienza si identificano. L'eroe canta tcaTà µo'ìpav perché ben noto gli è l'oggetto del canto, note gli sono le imprese degli Achei sotto Troia la cui narrazione da parte di Demodoco l'ha mosso al pianto. Abbiamo in tale maniera un ulteriore punto d'appoggio nel tentativo di ricostruzione della figura del poeta nell'epos e del carattere della sua esibizione pubblica. Sia presso i Feaci che ad Itaca la cetra è compagna del banchetto e l'aedo esegue i suoi canti nelle pause, mentre i convitati bevono il vino. Al di là delle manifestazioni d'onore il carattere del cantore è decisamente professionale, l'aedo è 52
v I Disse cosi e immobili erano tutti, in silenzio erano presi d'incanto nella sala ombrosa Il silenzio come abbiamo visto ~ segno di grande rispetto.
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uno dei 6T1µ1.0Epyo{al pari dell'indovino, del medico, del carpentiere53 • Il canto dura a lungo; variamente interrotto e ripreso a seconda delle sollecitazioni del pubblico, esso può durare per alcuni giorni successivi54 • Il pubblico non ha solo funzione passiva, influisce anzi spesso nella scelta dell'argomento del canto, scelta che viene sempre operata all'interno del patrimonio tradizionale dei temi il cui ricordo la Musa garantisce agli aedi, alla genia degli aedi55 • Abbiamo lungamente parlato di verità mitica, ma qual è la verità storica, il quadro ambientale in cui collochiamo le indicazioni relative all'aedo o al suo ambiente così come si sono andate delineando? Corrispondono esse al periodo eroico descritto nei poemi, o vanno piuttosto collocate nel periodo in cui realmente nasce l'epos greco arcaicW6? Non ci compete qui una indagine specifica che affronti minutamente i problemi posti dalla ricerca storica ed archeologica in questo campo. Ci limiteremo ad una breve analisi per punti che assumerà i dati più sicuri, consolidati dalla critica recente. Si conviene generalmente da gran parte degli studiosi nel collocare la nascita dei due poemi nella fase conclusiva della cosiddetta «età oscura», il periodo meno noto della vita della Grecia. Malgrado le ricerche pazienti di molti studiosi il quadro sociale di questo periodo ci è praticamente ignoto. 53
Secondo la risposta di Eumeo ad Antinoo (p 381-386). vediamo di fatto avvenire presso i Feaci. La cosa lega in certa misura l'esibizione degli aedi a lunghi periodi festivi. Cfr. G. Murray, The Rise of the the Greek Epic, 1934, 236-237 (della ristampa del 1960) [tr. it. Firenze 1964]. 55 Sulla esistenza di ' eterie ' di aedi, la signora S. J. Suys-Reitsma ha costruito la sua originale teoria relativa alla composizione dei poemi ad opera di una corporazione di aedi guidati da un Omero. Non ho letto il libro Het Homerisch Epos als orale schepping van den dichterhetairie, Amsterdam scritto in una lingua a me inaccessibile. Ne apprendo la inaccettabile tesi dalla recensione di A. Hoekstra, Mnemosyne, s. IV, X (1957) 250-251. 56 Per una analisi equilibrata di questo problema cfr. il li cap. di M. I. Finley, The World of Odysseus, London 19562 [tr. it. Casale Monferrato 1992]. · 54 Cosi
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Il problema principale, come è già capitato di notare nel corso di questa esposizione, è quello dei rapporti tra il contenuto dei poemi epici ed il mondo miceneo. Del mondo miceneo si comincia ormai ad avere una conoscenza abbastanza approfondita. La decifrazione delle tavolette in lineare B, oltre al decisivo contributo portato alla qualificazioneellenica della civiltà micenea, ha consentito di impostare su più solide basi l'analisi storica, permettendo in certa misura l'esame della struttura sociale del mondo miceneo, In tale maniera, se da un lato si è ormai propensi ad escludere una diretta origine micenea dell'esametro e con esso del corredo formulare (per lo meno di quella parte di esso che ci è possibile esaminare) gli elementi del mondo miceneo rappresentati o deformati ma comunque riconoscibili nei poemi sono molti. Fra questi elementi uno, mai nominato nelle tavolette,ben si colloca presso la corte micenea57 • L'aedo cortigiano avrebbe piena funzione nel megaron della corte micenea; in una società che vede il trapasso del centro della vita collettiva dal palazzo accentratoredei sovrani cretesi, prima di arrivare alla composita struttura della polis58 • L'aedo curiale avrebbe il compito di ricordare le gesta dei principi, sarebbe il depositario della loro fama nei tempi a venire59 • Ma al di là di ogni tentativo di accostamento o di ricostruzione un dato pare di poter affermare con sufficiente sicurezza: nell'aedo descritto nei poemi si deve vedere l'antenato neanche troppo prossimo di chi ha poi cantato l'epos. Le sue caratteristiche ben si addicono alle generazioni di 57
Rimando per la discussione al saggio di Gallavotti, Tradizione micenea, cit. in cui correttamente si afferma che dall'assenza del nome nulla si può ovviamente dedurre. 58 Per tutti questi problemi si veda T. B. L. Webster, From Mycenae to Homer, London 1958. Una teoria completa su questo argomento ha formulato J. P. Vemant, Les origines de la pensée grecque, Paris 1962 [tr. it. 19933). 59 Si ricordi quanto dice Elena in Z 357-358: a noi Zeus assegnò sorte maligna, perché fossimo anche in futuro, per la gente di là da venire, materia di canto.
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cantori che provvidero all'accumulazione del patrimonio dei temi_tradizionali, lo sviluppo di alcuni dei quali è giunto fino
a noi. 4. Psicologiaomerica ed epica orale. Nella seconda parte di questa ricerca abbiamo finora esaminato le indicazioni che il testo omerico fornisce ad una ricostruzione delle caratteristiche di una poesia orale. Ho lasciato da ultimo un particolare aspetto del problema che parte anch'esso ovviamente dal testo, ma ne è ricavato in maniera diversa da quella finora seguita. Scopo di questo capitolo è il confronto fra il modello omerico della mente e la psicologia di una poesia epica orale. Nell'esposizione seguirò le tesi sostenute in alcuni studi svolti negli Stati Uniti in collaborazione da filologi e psicologi60.Simili ricerche interdisciplinari cominciano a divenire frequenti nel campo degli studi classici ed hanno già in alcuni paesi una certa tradizione 61 • · 60Mi riferisco
essenzialmente a: B. Simon e H. Weiner, Models of Mimi and Mental lllness in Ancient Greece: I The Homeric Model of Mind, «Joumal of the history of the Behavioral Sciences, Il (1966) 303-354; I.Russo e B. Simon, Homeric Psychology ami the Oral Epic Tradition, «Joumal of the History of ldeas s, XXIX ( 1968) 483-498. È utile chiarire alcuni particolari relativi a questi studi ed ai loro autori. B. Simone H. Weiner, entrambi dell'Alben Einstein College of Medicine della Yeshiva University stanno conducendo una ricerca sui modelli mentali e le malattie mentali nell'antichità greca. All'articolo citato terranno dietro altri due studi applicati all'opera di Platone ed a quella di Ippocrate. J. Russo è un noto omerista della università di Yale, autore di numerose pubblicazioni sulla tecnica formulare e la poesia orale. Il secondo anicolo, quello che più direttamente qui c'interessa, è uno sviluppo dei risultati del primo. In entrambi è forte l'influenza delle idee sulla poetica omerica di E. A. Havelock (di cui è utile vedere la prima parte di Preface to Plato, Cambridge Mass. 1963) [tr. it Roma-Bari 1973). 61 Si pensi ad esempio all'influenza che l'insegnamento di I. Meyerson, direttore del «Joumal de psychologie» e professore di psicologia alla Sorbona, ha avuto su di una intera scuola di studiosi di scienza dell'antichità, da L. Gemet a J. P. Vemant a P. Vidal Naquet a M. Detienne. Di notevole utilità è la lettura del principale lavoro di psicologia storica di I. Meyerson: I.es fonctions psychologiques et les oeuvres, Paris 1948 [tr. it. Pisa 1989). In Italia per lungo tempo ha prevalso una sana filologica paura di precipitare nello psicologismo di tanta critica improvvisata ed inutile. L'analisi psicologica su solide basi filologiche comincia peraltro ad aprirsi una strada anche da noi: si veda ad esempio il
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Prima di esaminare la ricosbllzione del modello omerico della mente vorrei mettere in evidenza un dato che si ricava dall'esistenzastessa di un linguaggio formulare: il dire una stessa cosa sempre con le stesse parole rende manifesto un mondo caratterizzatodall'unicità dell'esperienza. La lingua formulare è sentita nell'uso comune come una adeguata rappresentazione della realtà; ne deriva una mancanza di dissociazione tra 'ergon' e 'logos'. Il 1essico formulare' e la realtà non costituisconodue opposte sfere d'esperienza fra le quali sia necessaria la mediazione del consenso generale sulla definizionedei tennini62 • Tutto questo che pare chiaro per gli oggetti concreti, potrebbe creare difficoltà nel caso di dati psicologici come il pensiero,la memoriaetc. I primi risultati nel campo dell'analisi della psicologia omerica si sono ottenuti ponendo come ipotesi una esatta relazione tra il vocabolariodella vita mentale in Omero e la concezioneomericadella vita mentale. Si è dimostrato in un lavoro famoso63 che in Omero manca un termine comprensivoper indicare il nostro concetto di anima come totalità spirituale dell'uomo in contrapposizione con l'unità materiale del corpo. Esistono d'altro canto termini che indicano insieme gli organi dell'attivitàmentale e la fun-
saggio di B. Gentili, La veneranda Saffo, «Quaderni Urbinati di cultura classica», 2 (1966) 37-62 [rist. in Poesia e pubblico, cit. 19953, pp. 285-294). 62 Questa tesi in un breve, acutissimo saggio di Adam Parry 7'lu! Language of Achilles, TAPhA LXXXVII ( 1957) 5-7 ora anche in Language and Background of Homer, ed. G.S.Kirk, Cambridge 1964, 48-54. Nella chiusa dell'articolo A.P. accenna ad una tesi molto suggestiva: esaminando la risposta di Achille ad Odissea nell'episodio dell'ambasceria, egli osserva un discostarsi dal modo tradizionale di parlare del mondo epico. Per negare la 'Weltanschauung' epica - sostiene A. Parry -Achille, nel suo dolore, usa male il linguaggio di cui dispone. Per accettare questa tesi dobbiamopresupporre una grande consapevolezza del poeta nell'usodel lessico formulare, cosa non impossibile-ma certo non dimostrabile basandosi su di un unico esempio. 63 B. Snell, Die Entdeckung. cit. cap I. Il limite piìl evidente della ricerca dello SneD è l'applicazione costante del principio in base al quale l'assenza del termine indichi sempre necessariamente assenza del concetto.
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zione assolta dall'organo64• Altri ha osservato come in Omero gli stati individuali siano spesso rappresentati come derivati da fattori esterni all'individu65. Ancora, H. Frankel ha sostenuto che l'«io» in Omero non costituisce una entità privata quanto un campo di forze aperto, non isolato dagli effetti delle forze esterne66• L'intervento degli dei nella vita degli uomini si spiega facilmente in questo quadro, come si spiega l'autonomia dei singoli organi in confronto col personaggio. Come si vedrà, non si cerca evidentementein Omero una 'teoria' dell'attivitàmentale: nulla è più estraneo allo spirito dell'epica dell'idea stessa della teorizzazione. I dati si ricavano dall'esame di processi mentali descritti nei poemi nel loro svolgersi: l'atto del pensare, del ricordare, del prendere una decisione. Il vocabolario usato per descrivere queste attivitàmentali è lo stesso concreto lessico usato per ogni attività67 • La rappresentazionedi momenti interni alla mente nei poemi omerici è ottenuta di solito sottolineando il contrasto fra lo stimolo esterno che arriva ed i riflessi che provoca sulla persona68. Simile funzione hanno gli scambi personificati, i dialoghi tra l'eroe e una parte del suo corpo, un agente esterno o 64
Si pensi, per fare un unico esempio, al 8\Jµ6s per cui cfr. anche K. von Fritz,
NOOX and NOEIN in the Homeric poems CP XL (1945) 223-242; ibid. XLI (1946)12-
34. 65 E.
R. Dodds, TheGreelcs and the lrrational eit. Il Dodds spiega tutti questi fenomeni inquadrandoli in una ' civiltà della vergogna ' in cui sia forte l'impulso di proiettare all'esterno, in comune, gli stimoli individuali. 66 «Das lch ist nicht abgekapselt, sondem ein offenes Krafteld» H. Frlinkel, Dichtung und Philosophie des frUhen Griechentums, Mlinchen 1962, 89 [tr. it Bologna 1997). 67 Non ha senso arrivare a soluzioni come: 'Omero non conosce l'astratto'. Il problema è relativo alla sfera espressiva. Sulla tendenza del vocabolario omerico a preferire l'uso di termini concreti cfr. ancora B. Snell, Die Entdeckung. Cit. I cap. 68 L'affermazione parte dalle osservazioni del Dodds in The Greelcs and the lrrational cit. Si pensi alla descrizione della divinità che non si limita a guidare genericamente la vita dell'uomo ma suggerisce le singole scelte. Indicativo soprattutto il rapporto odissiaco fra Atena ed Odisseo e fra Telemaco ed Atena.
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. .tàfD una diV1D1 • Si tende in complesso ad una generalizzazionedei dati psicologici, una esplicazione fornita dalla semplicità della descrizione o dal ricorso a similitudini uno dei cui termini sia il dato psicologico umano da esprimere e l'altro una immagine concreta, un dato materiale afferrabile mediante la sfera sensoriale10• Si può dire in conclusioneche la tendenza in Omero è di descrivere l'attivitàmentale in termini di operazioni pubbliche e comuni11 : la vita mentale nei poemi non è soprattutto privata ed interna nè è originata e condotta dall'individuoin isolamento72• L'origine dei singoli atti mentali è molto spesso estraneaall'individualitàpensante73 • Si tratta ora di vedere se un simile quadro psicologico sia spiegabile in relazione col fatto che i poemi omerici sono frutto di una poesia orale, tradizionale. Se noi confrontiamo i risultati delle ricerche del Lord sulle caratteristichedi un'epica orale tradizionale esaminata mentre è ancora viva presso un popolo illetterato74 , con le caratteristichedella esibizionepoetica degli aedi omerici prima esaminate75 , troviamo che alcuni elementi affini sono presenti fD Rimando per la discussione degli esempi presenti nel testo omerico al saggio più sopra citato di Russo e Simon (488-489). I tre tipi di interscambio personificato, tra l'eroe ed un dio, tra l'eroe ed un qualche agente esterno, tra l'eroe ed una parte del suo corpo, sostituiscono completamente quello che noi chiameremmo un soliloquio. In Omero non c'è traccia di attività mentale effettuata in reale isolamento. 70 Russo e Simon portano qui l'esempio di Penelope in 6 787 sgg. L'ansia della madre per il figlio in pericolo è paragonata alla condizione del leone stretto nel cerchio dei cacciatori. Di più il testo dice: quan1i dubbi ha un leone .......altrettanti ne aveva quando un sonno profondo la colse : Il confronto è fra due oggetti di pensiero. 71 Si ripensi all'articolo di A. Parry, The Language of Achilles cit. L'individualità è negata dall'impossibilità di esprimersi in maniera originale: l'unica maniera che ha di manifestarsi è quindi usando male il linguaggio tradizionale. 72 Russo e Simon, Hom. Psych. Cit. 489. 73 Sui problemi della psicologia omerica cfr. ancora: J. Bohme, Die Seele und das /eh im Homerischen Epos, Leipzig 1929; E. L. Harrison, Notes on Homeric Psychology, «Phoenix» XIV ( 1960) 63-80; A. Lesky: Gottliche und menschliche Motivation im homerischen Epos, «Sitz. ber. Heidelb. Akad. Wiss. Phil.-hist. KI. «1961, 4, 1-52. 14 Cfr. A. B. Lord, The Singer ofTales cit. 75 Si vedano i capitoli 4, 5, 6, di questa ricerca.
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con notevoleevidenza. La recitazione,nell'uno e nell'altro caso, avviene in contatto diretto ed attivo con il pubblico che sollecita i temi dei canti, condiziona la fedeltà dell'esecuzioneal modello tradizionale, per il fatto che è abituato all'uso del lessico formulare e ne pretende l'uso, oltre a conoscere spesso il contenuto stesso del racconto che viene cantato76 • La funzione dell'aedo è quella di tramite tra la divinità e il suo pubblico. Dall'una egli riceve il canto, agli altri lo ritrasmette. Nel seconclomomento di questa concezione da noi esaminato in Femio, fuori della visione soggettiva del poeta che vede l'interventodella Musa, il rapporto s'inverte e si riferisce al pubblico. Il contenuto del poema è tradizionale,possesso comune, una volta che sia donato dalla Musa. L'uditorio arriva a conoscerlo nel linguaggio tradizionale che poco e lentamente subisce modificazioni.Il canto non è comunque ripetuto in maniera meccanicain quanto un certo margine è lasciato all'interventodei singoli aedi. Fra le caratteristiche psicologiche di un simile modo di poetare ed il modello mentale che abbiamo finora visto in Omero il parallelismoè notevolen. Non credo che alcune di queste affinità siano occasionali; anche se la descrizioneche qui viene data è molto sommaria, penso che il quadro sia definito in maniera sufficientemente chiara. Quello che si è inteso dimostrare è solo che anche il modello dell'attivitàmentale in Omero «si può» spiegare come frutto della psicologia di una poesia orale tradizionale, non certo che esso costituisce una prova del carattere orale, tradi76
Si pensi alla figura di Odisseo presso i Feaci, mentre Demodoco canta storie che lo hanno visto per protagonista; e più ancora la richiesta dello stesso Odisseo a Demodoco perché esegua un canto preciso, in cui il collegamento con la divinità e quindi la lode sono collegate all'esecuzione KllTà µotp11v e 496 sgg. 77 Riproduco per chiarezza una tavola dei paralleli dalla pagina 495 dell'art. di Russo e Simon più volte citato. Si tratta di un espediente espositivo di indubbia efficacia anche se non ha ovviamente valore dimostrativo.
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zionale dei poemi d'Omero. Dimostrazione, quest'ultima,impossibile a noi che nulla sappiamo (e nulla potremo mai sapere) della effettiva tecnica di composizione dei poemi e che tutto dobbiamo dedurre dall'unico dato che possediamo, i due poemi nella forma che hanno assunto al termine di quasi trenta secoli di tradizione. Poesia epica orale
Modello omerico della mente
I) Il poema è creato I) L'attivitàmentale avviene nella
in un ambito di continui scambi tra i poeti, l'uditorio e il poema stesso. 2) Il bardo'riceve' e 'trasmette' il poema -non lo compone. Soggettivamente, riceve il poema dalla Musa, o dal dio; oggettivamente,dai suoi
forma di uno scambio personifiC$> ..
2) L'attivitàmentale è iniziata dall'esterno della persona. Può esse-
re iniziata da un dio, o da un'altra persona.
maestri.
3) Nessuna distinzione tra «dono del canto» o capacità di produrre il canto. La composizione e l'esibizione sono una cosa sola. 4) Il poema è costituito di materiale tradizionale, comune, reso in maniera tradizionale comune.
3) Nessuna chiara distinzione tra gli organi dell'attività mentale, l'attivitàstessa,e i prodotti dell'attività
4) L'attivitàmentaleè resa visibile, comune, e intelligibile, piuttosto che «idiosincratica».
OMEROE LA POESIAORALE
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5) Il poema non è 5) L'«io» o l'individuo è definito chiaramente definito in un «campo di forze» o in una come un'unica entità serie di scambi con altri» riproducibile; è definito un «campo di forze»
Credo utile sottolineare che nel punto 4) e nel punto 5) di questa nota l'analogia diviene puramente illusoria.
Indice dei nomi
Accame S. 140, 143 Alexiou M. 38, 88 Arend W. 36 AssmanJ. 70 Auerbach E. 35 Bartok B. 133 Basset H. 123 Basset S.E. 60 Becker A.S. 51 Belardi W. 28-29 Bertman S. 154 Bertolini F. 27, 72 BomeJ. 162 Bowra C.M. 93-97, 117, 131, 146 Bravo G.L. 137 Brik O. 119
Calz.ecchiOnesti R. 23, 98 Cambiano G. 93 Canfora L. 93 Cantarella E. 45, 46 Carpenter R. 135 Carter J.B. 71 Cerchiai L. 82 Cerri G. 23-26, 73-76, 84-85, 116 Chadwick H.M. 131
Chadwick J. 53 Chantraine P. 80, 89, 125-126 Childs B.S. 137 Codino F. 113 Comparetti D. 123 Comford F.M. 25 D'Agostino B. 70, 82, 89 Darmesteter I. 123 Davies J .K. 72 Della Valle E. 153 De Martino E. 38, 88-89 Detienne M. 142, 159 Diano C. 151, 155 Di Benedetto V. 62 Dicks D.R. 43 Dimock G.E. 113 Dodds E.R. 141, 161 Donlan W. 57 DozonA. 123 Duentzer H. 118 Edwards M.W. 31, 36, 39,41,45,49,51,53, 59,60,61,62,63 Ellendt J .E. 118 Erbse H. 42, 43, 48
Femandez-Galiano M. 31, 98 Finley J.H. 133 Finley M.I. 67-69, 70, 143,157 Finnegan R. 21 Foxhall L. 72 Friinkel H. 130, 143, 161 Frazer J.G. 54 Fritz K. von 161 Gallavotti C. 142, 158 Garland R. 82 Gentili B. 19, 22, 24, 160 Georgoulaki E. 71 Gerhardsson B. 137 Gemet L. 45, 47, 159 Gnoli G. 85 Goethe W. 35 Goody J. 16-18, 20 Gostoli A. 23 Grandolini S. 27 Grossi P. 53 Grottanelli C. 56 Hainsworth J.B. 17, 31, 43,49,54,57,98, 117, 127-130 Hanoteau A. 123 Harrison J .E. 25 Harrison L.E. 162 Havelock E. 42, 159 Hertnet W. 59
HeubeckA. 31, 97-100, 102,107 Heyne G.C. 61 HoekstraA. 31, 98, 117,121, 127-128, 157 Hoelscher U. 104 Holoka J.P. 19, 32 Hood S. 72 Jachmann G. 141 Jakobson R. 119, 133 Janko R. 31, 83 Jeffery L.H. 135 Jousse M. 123, 142 Joyce J. 100 Kirk G.S. 17, 31-34,
36,37,83, 117,127, 131,134,135,136 Korfmann M. 72 Krauss F.I. 123 Labarbe J. 117 Lanata G. 140, 141, 144,147,152,153 LanzaL. 93 LataczJ. 19,20,32,72 Lazzeroni R. 28-30, 148 LeafW. 36, 40, 42, 51, 52,54,56,61,62, 7678,83 Lesky A. 135, 162 Levin H. 125 Lévi-Strauss C. 137
Lord A.B. 17, 25, 32, 115,125, 131-137, 162 Lonsdale S.H. 63 Mac Leod C. 87-88 Malinowski B. 68 Marg W. 61, 145 Marzullo B. 120 Mc Leod W. 141 Meier J. 123 MeilletA. 19,117, 121 Mele A. 67 Mette H.J. 126 Meyerson I. 143, 159 Minton W.W. 128, 140 Momigliano A. 143 Monti V. 23 Morris S.P. 71 Murko M. 19, 121 Murray G. 25, 158 Nagler M.N. 17, 115, 128 Nagy 22-23 Nilsson M.P. 25 Notopoulos J. 136,139 O'Neill E.G. 129 Otto W. 139 Page D. 92, 113 Pagliaro A. 33, 144, 147,150 Paioni G. 24 Parise N. 56
Parry A. 17, 25, 115, 162 Parry M. 17, 22, 24, 32, 36, 114, 115, 117-125, 126,127,128,129,130, 133,135 Pasquali G. 114, 144 Pavese C. 23 Petal G. 107 Pindemonte I. 98 Polanyi K. 67 Pope M.W. 117, 128 Porter H.N. 130 Privitera G.A. 28, 91, 97, 116 Propp V.J. 138 Rambaud A. 123 Richardson N. 31, 54, 84-85, 87 Richter W. 53 Rohde E. 77, 104-106 Rosenmeyer T.G. 17 Rossi L. E. 130 Ruijgh C.J. 126 Russo J. 31, 98, 128, 130, 159-165 Saussure F. de 56, 118 Schadewaldt W. 23,145 Scheid-Tissinier E. 63 Schiller F. 35 Schliemann H. 68, 72, 115 Schnapp-Gourbeillon A.
85
Sealey R. 147 Sebeok Th. 133 Setti A. 139, 140, 141 Settis S. 70, 72 Severyns A. 117, 127 Siciliano I. 126 Simon B. 159-165 Slatkin L.M. 37 Snell B. 146, 160, 161 Stefanini L. 152 Stella L.A. 136 Survinou-Inwood C. 85 Suys-Reitsma S.J. 157 Thomas R. 20-22 Thumwaldt R. 68 Todorov T. 119 Untersteiner M. 24 van Gennep A. 123 van Groningen 144 Vellay Ch. 125 Ventris M. 53 Vermeule E. 71 Vernant J.-P. 85, 94, 120,142,159 Vico G.B. 24, 135 Vidal-Naquet P. 142, 143,159 Wade-Gery H.T. 135 Weiner H. 159 West M.L. 43, 55 West S. 31, 98 Westbrock R. 45
Wilamowitz U.V 139 Witte K. 118 WolfF.A. 22, 24, 60, 135 Wolff H.J. 45 Young D. 113
BIBLIOTECA DI SCIENZE DELL'UOMO Volumi pubblicati
1. Arnaldo Momigliano, Tra Storia e Storicismo, traduzioni di Franco Basso e Riccardo Di Donato, Pisa 1985, 270 pp. 2. Ignace Meyerson, Psicologia Storica. Le funzioni psicologiche e le opere, prefazione di Jean-Pierre Vemant, traduzione di Riccardo Di Donato, Pisa, 1989, 176pp. 3. Riccardo Di Donato, Esperienza di Omero. Antropologia della narrazione epica, Pisa 1999, 176 pp.
Finito di stampare dalla Grafica Zannini di Pisa per conto di Nistri Lischi editori febbraio 1999