Il pianoforte di Beethoven

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Teatro Comunale di Monfalcone

a cura di Carlo de Incontrera

Teatro Comunale di Monfalcone 15 aprile

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20 giugno 1 986

Comune di Monfalcone Assessorato Istruzione e Cultura

con l ' Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con l ' Alto Patrocinio del Ministero del Turismo e Spettacolo con la collaborazione della Provincia di Gorizia, della Radiotelevisione di Lubiana, della RAI Radiotelevisione Italiana, della Cassa di Risparmio di Trieste.

Curatore: Carlo de Incontrera Organizzazione: Giovanna D ' Agostini Ripartizione Prima del Comune di Monfalcone

Il presente volume è stato realizzato sotto gli auspici della Cassa di Risparmio di Trieste.

Tipo/lito Stella, Trieste

Le spine della vita lo ferirono profondamente, ma come un naufrago si aggrappa alla riva, egli si gettò nelle tue braccia, sorella sublime della Bontà e della Verità, consolatrice del dolore, A rte che scendi dall'alto . . . (Franz Grillparzer, 1 827)

Quando, nel 1 98 1 , l 'Assessorato alla Cultura del Comune di Monfalcone programmò la rassegna «Beethoven e il suo tempo», il Teatro era ancora in fase di costruzione. Così, accanto alla Mostra (dallo stesso titolo) im­ portata dal Teatro la Fenice di Venezia e al ciclo di conferenze, ben poco si potè fare di specificamente musicale: un concerto all' aperto , in piazza, con l ' integrale delle musiche scritte da Beethoven per banda militare e un solo concerto al chiuso,· sacrificato in una sala assai modesta, con la pri­ ma esecuzione della Nona Sinfonia nella versione per due pianoforti di Franz Liszt (duo Canino-Ballista) . Da qui l 'idea di riproporre oggi, a teatro costruito e collaudato, il 'caso' Beethoven con una manifestazione di largo respiro , 'appoggiata' alla rag­ giunta maturità culturale di Monfalcone e destinata a un pubblico che, con il passare degli anni, si è rivelato fedele e sempre più attento alla qua­ lità delle proposte. « I l pianoforte di Beethoven>> : questo è dunque il titolo della rassegna che, tra il 1 5 aprile e il 20 giugno 1 986 e nel corso di venti concerti (quattordici da camera e sei sinfonici), presenta il ' meglio' della produzione pianistica beethoveniana. Perché il pianoforte? Perché è stato il suo strumento («nel suonare eccel­ leva su tutti i suoi contemporanei in impeto e bravura» , testimonia l 'allie­ vo Cari Czerny); perché sul pianoforte egli ha sperimentato ogni nuova idea compositiva, ogni avventura armonica e timbrica, ogni «riflessione più intima e audace» (Martin Cooper); perché al pianoforte egli ha dedi­ cato una quantità ' impressionante' di pagine: circa due terzi del catalogo beethoveniano comprendono il pianoforte o da solo o nelle più svariate combinazioni cameristiche e sinfoniche. Questo strumento è, insomma, lo specchio «in cui si riflette per intero l 'attività creativa del maestro in tutti i suoi aspetti stilistici e spirituali» (Giovanni Carli Ballola); ma non 6

solo: con Beethoven, per la prima volta nella Storia della Musica, il pia­ noforte - il giovane strumento che sta finalmente imponendosi nel pano­ rama musicale del classicismo - viene esplorato massicciamente nelle sue possibilità tecniche e sonore. Di questo ' cosmo' pianistico beethoveniano la rassegna monfalconese of­ fre uno spaccato molto ampio : l ' integrale delle Trentadue Sonate, tutta l 'opera per pianoforte e orchestra, i grandi cicli di Variazioni, le ultime Bagatelle, Fogli d'Album, varie escursioni nella produzione da camera e nella Liederistica. Sul palcoscenico del Teatro Comunale sono chiamati solisti e complessi prestigiosi . A sostenere l 'impegno sinfonico è l 'Orchestra e il Coro della Radiotelevisione di Lubiana sotto la direzione del direttore stabile Anton Nanut, di Tamàs Vàsàry, di Muhai Tang . Jeffrey Swann, Bruno Leonardo Gelber, Alexander Lonquich, Michel Dal­ berto, Jean-Bernard Pommier , Tamàs Vàsàry, François Joel Thiollier, Louis Lortie, Gerhard Oppitz interpretano in altrettanti recital le Sonate e le Variazioni . Due sonate (op. 13 e op. 1 1 0), le Bagatelle op. 126, il Ronda op. 5. 2 e tre Fogli d'Album (tra cui Fur Elise) sono eseguiti da Jorg Demus con un forte-piano viennese del 1 825 , quale esempio della sonorità del pianoforte dell'epoca di Beethoven. Al duo Canino & Ballista tocca l'opera per pianoforte a quattro mani. Una serata di Lieder vede come protagonisti Michael Schopper e Benedikt Koehlen. Tra i complessi : il Trio Caj kovskij (Sonata op. 96 per violino e pianofor­ te, Sonata op. 5. 2 per violoncello e pianoforte, Trio op. 1 . 1 ) , lo Jess-Trio­ Wien (Seconda Sinfonia, nella trascrizione fatta dallo stesso compositore, Trio op. 97 «Arciduca»). l 'Ensemble Kreisleriana (Quintetto op. 1 6 per pianoforte e fiati). Dubravka Tomsic apre la rassegna eseguendo il Primo e il Terzo Concer­ to per pianoforte e orchestra. Tamàs Vàsàry è solista e direttore nel Quin­ to Concerto·«lmperatore». François-Joel Thiollier esegue il Quarto Con­ certo e il Concerto in re maggiore per violino nella versione dello stesso Beethoven per pianoforte e orchestra. J ohannes Kropfitsch presenta il gio­ vanile Concerto in mi bemolle maggiore (con la ricostruzione orchestrale di Willy Hess) e insieme ai fratelli dello ,1ess-Trio il Triplo Concerto per pianoforte violino violoncello e orchestra. Louis Lortie è l'interprete del Rondo in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra e del Secondo Concerto, mentre J org Demus ritorna sul palcoscenico del Comunale quale solista nella Fantasia corale e nel Concerto in re minore K 466 di Mozart (con le cadenze di Beethoven) . A completare i- programmi sinfonici vengono ancora eseguite la Quinta

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e la Settima Sinfonia, Meerestille und gliickliche Fahrt per coro e orche­ stra e alcune Ouvertures: Coriolano, Egmont, Le creature di Prometeo, Fide/io, Leonora II e Leonora III. * * *

L 'iniziativa si completa con il presente volume alla cui realizzazione han­ no contribuito studiosi di Beethoven e musicologi illustri . La prima parte del libro è dedicata al pianismo beethoveniano e si apre con un saggio di Jorg Demus sulla storia del forte-piano della fine Settecento e primo Ot­ tocento, e sulla filologia esecutiva. Jeffrey Swann, partendo dalle forme auree del classicismo sottolinea le novità della scrittura di Beethoven , in particolare le proporzioni degli Adagi e il ruolo drammatico dei Finali . Dino Villatico segue gli ultimi itinerari pianistici beethoveniani «alla luce dei Quaderni di conversazione degli anni 1 8 1 8- 1 823 », itinerari che si sta­ gliano su una 'scenografia' eccezionalmente viva e si snodano su un per­ corso gremito di personaggi spesso straordinari, ma ancor più frequente­ mente caratteristici o, addirittura, patetici . La storia della Variazione, delle Goldberg alle Diabelli, viene documenta­ ta dal saggio di Piero Rattalino , un saggio che, ovviamente, mette a fuoco soprattutto la tecnica della Variazione in Beethoven e scende quindi nel­ l' analisi del gruppo di Variazioni programmate in questa Rassegna. Il rapporto tra strumento solista e orchestra nell' età classica, quel sinfoni­ smo in cui il pianoforte «entra con un'autorità e ricchezza tale da produr­ re una miscela esplosiva e foriera di avventurose soluzioni» è oggetto del­ lo studio di Giorgio Pestelli . Mentre il sinfonismo allargato al pianoforte e al coro - quello della Fantasia op. 80 - trova una poetica definizione nel testo critico di E . T . A . Hoffmann (testo mai tradotto, finora, in italiano) . La seconda sezione del libro - « Albumbliitter (con diagnosi)» - è inte­ ramente dedicata alle testimonianze di alcuni amici e ammiratori del mu­ sicista. Si tratta di ricordi che, tradotti parzialmente negli anni Venti , ap­ partengono ormai alle rarità bibliografiche: il pittore August von Kloeber parla del ritratto che fece a Beethoven nel 1 8 1 3- 1 4; Friedrich Wieck narra dell'incontro a Vienna per tentare di risolvere, almeno parzialmente, con uno speciale cornetto acustico, il problema della sordità; il poeta Ludwig Rellstab offre un'immagine particolarmente affascinante delle sue visite al Maestro; e così Franz Grillparzer; due medici, ancora, ci documentano sull'ultimo periodo della vita del musicista. e sulle sue innumerevoli malattie. Grillparzer, con le sue stupende orazioni funebri, apre la terza parte del

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libro, tutta dedicata alle celebrazioni . Così le quattro voci schumanniane di Florestan, Jonathan, Eusebius e Raro a proposito dell'erezione di un monumento al Maestro; così il frammento della lettera di Liszt a Berlioz - tracciata nell' «ineffabile bellezza» di quella «terra amata dalla luce» che è San Rossore - in cui si leva lo sdegno per la «lenta e parsimoniosa questua» del popolo francese per il monumento al «più grande musicista del secolo» . Poi un giornalista, Filippo Filippi , detta una 'corrispondenza' da Vienna sulle Feste del 1 870. Nel primo centenario della morte, invece, il saluto del popolo italiano e del Duce viene portato nella capitale austriaca dalla viva voce di Pietro Mascagni: «Lodovico v an Beethoven . . . morto come Gesù ! . . . Ma, come Gesù redento ! . . . Immortale nel nostro cuore . . . per omnia saecula saeculorum». Dalla retorica più forsennata ai melodrammi lacrimevoli e simbolisti. Gian­ ni Gori commenta due testi 'incredibili' : la tragedia Beethoven scritta da Pietro Cossa nel 1 870 - dove «Luigi» è protagonista di una tempestosa relazione amorosa con una « Lucia» (figlia del maestro Neefe) che è, inve­ ce, la 'solita' pseudo «amata immortale» Giulietta (figlia di Guicciardi e sposa del cornuto conte Gallemberg) ; e la pièce teatrale scritta da René Fauchois nel 1 906, tutta accensioni liriche e visioni oniriche. Sulla frase kantiana «La legge morale in noi . . . » , conclusiva della Critica della ragion pratica (citata da Beethoven in uno dei suoi Quaderm), si ba­ sa la quarta parte del volume che inizia con «Beethoven e i filosofi » di Enrico Fubini . Si può parlare di una filosofia o di una estetica beethove­ niana? Fubini propone una serie di considerazioni che si diramano dalla «parentela di Beethoven con Kant» per investire quindi «direttamente il nucleo centrale del pensiero musicale di Beethoven e del pensiero filosofi­ co di Kant» , ossia «la forma-sonata da una parte e il criticismo kantiano dall'altra» . Il secondo contributo di questo capitolo ci viene offerto da un frammento de « Die Oper und das Wesen der Musik» di Richard Wagner (l'ultima tra­ duzione è del 1 929) in cui viene riconosciuto a Beethoven «l'impulso natu­ rale di generare la melodia dall 'organismo interiore della musica» . Con la « Lettera a Trieste», Paolo Castaldi offre un' articolatissima analisi concettuale dei suoi collages pianistici in A nfrage (di Beethoven c'è una citazione dell'op. 1 10) . Dalla pagina musicale scaturisce questo «raccon­ to, saggio, fantasia, visione, dissertazione» , « fatto di frammenti , di esita­ zioni, di appunti, di parole», «confronti, apparentemente liberi e divagan­ ti» . . . «fatica» , «dolore ma anche molta aggressività, e la forza di soprav­ vivere ancora, e la volontà mescolata alla pena per le molte sconfitte» . Anche chi scrive queste note non h a resistito alla tentazione d i lasciare una traccia saggistica affrontando un tema certamente marginale ma curioso 9

l � vicen de di alcun i personaggi della cer(«Bee thove n e Trieste») . Così, . , che m qualche modo hanno avuto a che fare C h Ia VIennese del musi cista an � mte �an:ente l a � u � nta . seziOne d el v � occup , pero Im con il porto dell' . lume. Sono , tra gli altri , la contes sm� Gmhetta Gmcc1ard1 - � ed1catana Il dr . Gerhard von Breumng che da della Sonata «Al chiaro di luna» del Maestro e poi, da grande, medi­ vita di mesi i ultim gli bambino allietò professionali, sposò una triestina; motivi per Trieste a o giunt co famoso Thayer, che proprio nella città Wheelock er Alexand il console �mericano su Beethoven . In calce a questo biografia famosa sua la adriatica scrisse in italiano , la conferenza che volta prima la per , pubblicata saggio viene di Trieste, Schiller nel 1 877 . Casino al tenne Thayer lo stesso A completamento del libro sono presentati i singoli programmi della ras­ segna monfalconese con le biografie e le fotografie degli interpreti . ·

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Insomma, ne dovrebbe uscire alla fine un'immagine della statura di Beet­ hoven, e in particolare del Beethoven pianistico, estremamente viva, com­ piuta, nitida. Se una sola sua pagina, come disse Stefan Zweig , più che un'opera è «un mondo intero» , dove «le parole sono insufficienti a com­ prenderlo tutto» , dove «ogni paragone è troppo povero per l 'urgenza im­ petuosa della sua sacra ricchezza: può solo venir vissuta, come la vita stes­ sa: con stupore eternamente nuovo, eternamente umile», allora l 'esplora­ zione nel cosmo beethoveniano di questa rassegna, per la sua stessa vasti­ tà, dovrebbe riservare emozioni incancellabili . Spero di aver raggiunto questo obiettivo, che ho perseguito grazie alla sen­ sibile disponibilità dell'Amminist razione comunale monfalconese, cui va la mia personale riconoscenza. Un pensiero grato anche a tutti i collabo­ ratori, al musicologo Antonino Rappoccio che ha gentilmente messo a di­ sposizione il suo stupendo Hammerflugel firmato da Ferdinand Comeret­ to nel 1 825 ca. e a Sergio Carrino che ha permesso la consultazion e della sua preziosa biblioteca beethovenia na. Il curatore Carlo de I ncontrera

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D pianoforte di Beethoven

Forte-piano a cinque pedali , Nanette Streicher, 1 82 1 . (Casa Pasqualati, Vienna)

Jorg Demus Beethoven e il forte-piano

Possiamo dire che per J ohann Se bastian Bach e alcuni dei suoi figli tutte le più rilevanti manifestazioni dell'universo musicale, sia strumentali che vocali, fossero più o meno egualmente significative: la musica composta da J ohann Se bastian Bach per strumenti a tastiera comprende opere al­ trettanto importanti sia per organo che per clavicembalo che per clavicor­ do . In tarda età inoltre, Bach ebbe senz' altro modo di conoscere anche il forte-piano, soprattutto quelli di Silberman. A Wolfgang Amadeus Mo­ zart , quando era ancora un ragazzo, il padre Leopold consigliava di pren­ dere tranquillamente un clavicordo , qualora non trovasse un clavicemba­ lo che facesse al caso suo . . . In Joseph Haydn lo strumento a tastiera ha comunque fondamentalmente un ruolo d'appoggio e d' assieme. Circa a metà della vita di questo compositore avviene il passaggio dagli antichi strumenti, - clavicembalo e clavicordo -, a quel nuovo strumento che era il forte-piano , per il quale in seguito Haydn scrisse Sonate e Concerti di notevole valore, senza tuttavia far uso delle maggiori possibilità virtuo­ sistiche insite in questo strumento . Altro discorso per Ludwig van Beetho­ ven. Le sue opere giovanili di maggior rilievo - ad esempio le cosiddette Sonate del principe elettore, che Beethoven scrisse a undici anni - sono già musica pianistica di un notevole grado di difficoltà, mentre per lo me­ no la scrittura dell' ultimo pezzo da lui annotato nel quaderno di appunti prima di morire, Letzter Gedanke, WoO 62, è per pianoforte. Beethoven non fa differenza tra forte-piano e pianoforte: si tratta dello stesso stru­ mento che lo accompagnò per tutta la vita, trovando la sua espressione più personale nelle Sonate, sviluppando un enorme e nuovissimo poten­ ziale virtuosistico nei Concerti e nelle Variazioni; irrinunciabile strumento d'assieme e d'accompagnamento nelle Sonate con violino e violoncello (nel cui titolo originale il pianoforte occupa sempre il primo posto), nei Trii, Quartetti e Quintetti, nella musica con fiati , nei Lieder, nonché nelle ope-

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re corali. Il pianoforte è dunque lo strumento centrale dell'espressività beet­ hoveniana, lungo tutto l'arco della sua vita. Sorprende perciò che alla que­ stione inerente agli strumenti da lui adoperati siano stati dedicati finora così poca attenzione e pochissimo spazio. Senza dubbio Beethoven da bam­ bino avrà ancora trovato i vecchi forte-piani in molte delle case dove pro­ babilmente suonava come ospite, essi tuttavia non hanno lasciato alcun segno nelle sue opere. Soltanto del Rondò in la maggiore WoO 49, tra le sue primissime composizioni, si può pensare che si adatterebbe ad un cla­ vicembalo; poi abbiamo ancora due Preludi giovanili per organo, purtroppo assai poco significativi e, d' altro canto, il fragile clavicordo non si può collegare a nessuna delle opere di Beethoven . È dunque il forte-piano, il piano a martelletti , lo strumento più peculiare di Beethoven musicista e virtuoso , che nei primi anni viennesi era quasi più famoso come pianista che come compositore. Sappiamo di una gara tra lui e il più famoso piani­ sta viennese dell' epoca, l ' abate Gelinek , che tornò a casa molto demora­ lizzato commentando le nuovissime combinazioni e la tecnica spericolata e imprevedibile di quel ragazzo con le parole : «in quel giovane si nascon­ de Satana» - il che non è un complimento da poco in bocca a un religio­ so . . . Inoltre, due anni prima di morire - secondo l 'opinione corrente era già completamente sordo (cosa che qui mettiamo in dubbio) - Beethoven acquistò un pianoforte nuovo, appositamente rinforzato e costruito per lui da Conrad Graf. Ci rimane uno schizzo a matita in cui lo si vede sedu­ to a quel pianoforte su cui è applicato una specie di megafono . Non solo si può affermare che il pianoforte fu sempre al centro della creazione arti­ stica di Beethoven, ma anche che questo strumento lo accompagnò in tut­ ta la sua evoluzione creativa. Ma di che strumenti si trattava? Possiamo suddividerli più o meno in cinque tipi, rappresentati da uno o più esem­ plari, di volta in volta il modello più recente di pianoforte fino allora co­ struito . In un primo tempo si trattava dei tipici forte-piani della fine del 1 8° secolo, che possiamo designare con il nome di « Mozartfluegel» . Do­ po l'invenzione del pianoforte da parte di Bartolomeo Cristofori a Pado­ va verso gli ultimi anni del ' 600 sembrava dapprincipio che non dovessero esserci ulteriori sviluppi nella meccanica a martelletti dato l 'ottimo equili­ brio nella sonorità pur dolce e tenue, caratteristica degli strumenti da lui costruiti. Ci vollero alcuni decenni prima che la famiglia Silbermann des­ se ulteriore impulso allo sviluppo di questi strumenti, che sembra siano stati apprezzati da J ohann Sebastian Bach. È provato che egli suonò i forte­ piani Silbermann alla corte di Federico il Grande e deve avervi eseguito anche delle improvvisazioni sul «Tema regale», più tardi ampliato nell'Of­ ferta musicale. Ma pure i costruttori dei più diversi tipi di clavicembalo non stavano con le mani in mano: introdussero nuovi registri , un meccanismo per il ere-

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scendo e il diminuendo («crescendo veneziano») . I grandi strumenti a due tastiere poi erano dei veri, brillanti strumenti da concerto , dotati di molti registri. Così il clavicembalo potè conservare ancora a lungo la sua posi­ zione dapprima di primo piano , poi paritaria con il pianoforte. Una bella dimostrazione di questa temporanea equiparazione è data da una delle ul­ time opere di P hilip Emanuel Bach : il Concerto per clavicembalo e forte­ piano in mi bemolle maggiore. Anche il clavicordo ebbe ulteriori sviluppi: se ne produssero a due o addirittura a tre corde nelle note basse, e lo stru­ mento fu notevolmente ingrandito . Le mutate dimensioni comportarono però inevitabilmente anche la produzione di timbri alquanto più grossola­ ni . Fu solo nei paesi nordici che il clavicordo potè preservarsi fino al 1 9° secolo inoltrato. Il fattore determinante fu il graduale passaggio al piano­ forte da parte dei più importanti musicisti degli anni 1 770- 1 780: prima Phi­ lip Emanuel Bach, poi Haydn e - ciò è molto significativo - Mozart . I Concerti per pianoforte di Mozart, ad eccezione dei primi, sono delle magnifiche opere pianistiche, impensabili su ogni altro strumento . Mo­ zart, da quel grande esecutore che era, fu il maggior propugnatore del nuo­ vo strumento in via di affermazione . Possiamo seguire quest'evoluzione - tra il 1 770-80 nelle vecchie edizioni delle opere di Mozart e Haydn, che dapprima riportano la dicitura: «per Clavicembalo o Forte-piano» , «per Forte-piano o Clavicembalo», infine solo «per Forte-piano» . Questa prima fioritura della musica pianistica, raggiunta grazie alle grandi opere di Mozart, coincide con una prima tappa nello sviluppo costruttivo del nuovo strumento : si tratta in tutti i casi di uno strumento a corde dall'in­ telaiatura di legno, dotato di una meccanica a martelletti e un'estensione di cinque ottave, dal fa grave fino al fa' ' ' . Il colore dei tasti è ancora op­ posto a quello di oggi : gli attuali tasti bianchi sono neri, per lo più fatti di ebano o di bosso , quelli rialzati sono bianchi, rivestiti di osso oppure d'avorio. C ' è poi un meccanismo di smorzamento per attenuare ' ad libi­ tum' i suoni, notevolmente migliorato da Andreas Stein ad Augsburg che fu molto lodato da Mozart in una lettera al padre. A Stein si devono an­ che molti altri miglioramenti , come l' arresto dei martelletti dopo l ' attacco per evitare che saltellino ; quella che oggi è una leva a pedale veniva allora azionata dal ginocchio (genouillère) . Attivata allo stesso modo era un'al­ tra leva spesso presente: il ' moderatore' , che aveva la funzione di inserire uno straterello di feltro tra le corde e i martelletti di legno rivestito di pel­ le, producendo in tal modo un meraviglioso suono simile all'arpa. Alcuni strumenti sono dotati di altri effetti come per esempio il registro di liuto , o , nei toni bassi , il registro di fagotto , per cui della pergamena veniva pre­ muta sulle corde dall' alto e il registro turco che consisteva di una percus­ sione a campanelli . E c'erano anche altri registri che però non trovarono applicazione nelle grandi opere dei maggiori compositori . Tre nomi po-

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trebbero bastare per definire il tipo di strumento a coda mozartiano : An­ dreas Stein, Anton Walter e Wenzel e 1 ohann Schantz, i primi due prefe­ riti da Mozart, gli ultimi da Haydn . Qui la meccanica consisteva nel co­ siddetto « meccanismo di Vienna», per cui la ripetizione di una stessa nota era possibile solo dopo che il tasto era tornato alla sua posizione iniziale . Ciò non costituiva ancora uno svantaggio poiché la sua corsa era di appe­ na 3-4 mm: una ribattuta richiedeva appunto che il tasto ripercorresse so­ lo quei 3-4 mm. Ed anche armonicamente si trattava di uno strumento per­ fezionato ed equilibrato, di grande trasparenza nei toni bassi, trasparenza e piacevole sonorità dovute soprattutto alle corde di ottone, per lo più non ricoperte e solitamente solo doppie: con ciò la tenuta del discanto era piut­ tosto breve, ma, grazie alla trasparenza dei bassi , l'equilibrio tonale era nel complesso buono . Possiamo senz'altro ritenere che Mozart fosse mol­ to soddisfatto di quello strumento e che non desiderasse vi fossero appor­ tate modifiche o innovazioni. Alla sua sensibilità vocale doveva senz' altro bastare che la nota cantata più acuta (per esempio nel Flauto magico), il fa' ' ' , fosse anche il limite superiore della tastiera. Nella strumentazione i suoi concerti per pianoforte sono perfettamente compatibili con lo stru­ mento che abbiamo descritto , con le antiche accordature e con gli archi di antica fattura. Io stesso ho provato a registrare con un unico microfono il Concerto K 414 - eseguito su strumenti storici - per inciderlo su disco , ed ho avuto risultati estremamente equilibrati in quanto a sonorità. A Vienna Beethoven dovette trovarsi di fronte a questo tipo di strumenti nelle varie sedi musicali in cui raggiunse i suoi primi grandi successi di ese­ cutore, e proprio per esso sono state composte tutte le sue opere fino agli ultimi anni del XVII I secolo. Si fa il nome soprattutto dei Schantz - e non desta meraviglia, vista la predilizione che per essi ebbe il suo maestro Haydn -. Inoltre Beethoven possedette anche un Mozartflugel, di dimen­ sioni già un po' ingrandite di Anton W alter & Figlio . Le Sonate per pia­ noforte fino alla Sonata op. 53 sono state scritte senza dubbio per questo tipo di strumento. Più tardi Beethoven avrà a che fare con un nuovo e più moderno tipo di pianoforte. Fu di sua proprietà un pianoforte datato 1 802 e costruito da Erard a Parigi, ora custodito al museo degli antichi strumenti musicali di Vienna. Questo strumento è ridotto in uno stato molto precario per l 'uso che lo stesso Beethoven ne fece . Attualmente non lo si può suonare se non per piccole Bagatelle o Fogli d'album, ma se ne può studiare la costruzione e la meccanica. Sebastian Erard fu forse il più grande inventore nella storia del pianoforte dopo Andreas Stein: di ascendenza lorenese, come la maggior parte dei costruttori di strumenti francesi , per oltre un secolo fu il più importante fabbricante di pianoforti di Parigi e poi anche di Londra. Il meccanismo che ancor oggi va sotto il nome di

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« meccanica inglese» deriva da Erard, e, per la verità, dovrebbe chiamarsi «meccanica francese» , ma poiché Erard aveva anche una filiale a Londra, il nome in fondo è giustificato , dato che veniva prodotto soprattutto in quella città. Attraverso una serie di staffe più in alto del martelletto si rese innanzi tutto possibile una ripetizione « semplice» della nota, più tardi, con l 'introduzione del cosiddetto «scappamento doppio» una ripetizione dop­ pia. Questo meccanismo è l' unico ad essere tuttora in uso : con ciò Erard è l 'inventore del pianoforte moderno . Comunque c'è una parentela diret­ ta tra il pianoforte Erard di Beethoven e lo strumento prediletto da Franz Liszt ! Si può ritenere che questo pianoforte Erard, di costruzione ancora molto leggera, non sia stato in grado di sostenere del tutto il vigore con cui Beethoven suonava, mentre lo accompagnò fedelmente in tutta la sua produzione dal 1 803 al 1 8 1 5 circa. È dimostrato che la sua amica Nanette, figlia del costruttore di pianoforti Andreas Stein e sposata Streicher, per tutta la sua vita venne in aiuto a Beethoven coi suoi pianoforti. Questo sarebbe quindi il terzo gruppo di strumenti beethoveniani, che però sono stati oggetto di ricerca ancor me­ no degli altri . Anche perché non è rimasta traccia. Beethoven non li ha acquistati, né erano di sua proprietà: Nanette e più tardi suo figlio Jean Baptiste mettevano a disposizione di Beethoven questi strumenti, prestan­ doglieli . Probabilmente quando avevano un bello strumento nuovo lo pas­ savano a Beethoven perché lo provasse. Poiché Beethoven cambiò di abi­ tazione innumerevoli volte, è molto probabile che ad accompagnarlo nel­ la nuova casa fosse un altro strumento, uno nuovo . Questi « misteriosi» pianoforti Streicher (non ne possediamo neanche un esemplare, né ce ne rimane una descrizione precisa) potrebbero spiegare alcune discrepanze nel­ l'estensione tonale dell'opera beethoveniana. Per esempio già nella Sona­ ta op. 53 e soprattutto nel Concerto per pianoforte in sol maggiore op. 58 egli allarga l ' ambito tonale di un'ottava verso l'alto , però in questo pe­ riodo Beethoven non possedeva nemmeno il pianoforte Broadwood del 1 8 1 5 , per altro ampliato solo di una quinta verso l 'alto . . . Nessuno seppe spiegarsi quindi su quale strumento Beethoven avesse composto e suonato queste opere: la spiegazione sarà data dagli strumenti Streicher avuti in prestito. C'è un'ampia corrispondenza tra Beethoven e Nanette in cui si trova anche un accenno alla costruzione di un nuovo strumento, addirit­ tura sonoro abbastanza per l 'accompagnamento . Lo strumento più inte­ ressante costruito da Nanette Streicher e quasi totalmente di sua invenzio­ ne è quello a ' meccanica superiore' , di cui ci rimangono ancora degli esem­ plari in diversi musei. Qui la meccanica è posta sopra le corde e i martel­ letti cadono su di esse dall' alto anche per forza di gravità, mentre vengo­ no riportati alla posizione di partenza grazie a una molla. Questo tipo di meccanica funziona eccezionalmente bene, è veloce e scor-

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revole, ed anche il suono prodotto è molto buono, poiché la tavola armo­ nica non deve essere più attraversata dalla meccanica - che normalmente proviene dal fondo . Forse questo tipo di pianoforte sarebbe stato lo stru­ mento del futuro se la sua regolazione e soprattutto la sua accordatura non avessero costituito un problema semplicemente troppo complicato per l ' uso quotidiano . Ho avuto la possibilità di suonare e registrare due Sona­ te di Beethoven su uno strumento Streicher di questo tipo al museo di Stoc­ colma: i passaggi veloci e i trilli erano di facile e piacevole esecuzione co­ me non mai . Questo pianoforte di per sé basta a dimostrare la grande ge­ nialità di Nanette Streicher e si può dire che i suoi strumenti siano i più importanti della fase mediana di Beethoven . Nel 1 8 1 5 Beethoven ricevette un regalo prezioso : degli amici di Londra, tra cui il compositore di studi Cramer, il pianista Moscheles , Muzio Cle­ menti e la società Filarmonica gli donarono «honoris causa» un « moder­ nissimo» pianoforte Broadwood che a tutt'oggi è conservato al museo di B udapest . È uno dei due strumenti raffigurati in un disegno a matita che ritrae la stanza di Beethoven appena morto: vi si vedono , contrapposti, appunto questo pianoforte Broadwood e il suo ultimo pianoforte Conrad Graf. Negli ultimi anni della sua vita dunque, Beethoven ebbe in casa sta­ bilmente solo questi strumenti . Il pianoforte Broadwood fu un regalo sin­ golare che Beethoven accolse naturalmente con gioia e gratitudine: la mec­ canica più veloce e moderna, la maggior resistenza e la forza dei martel­ letti avranno senz' altro contribuito a ispirare il compositore e messo le ali alle mani del virtuoso . Le opere di questo periodo sono tutte di ardua ese­ cuzione e si può ben immaginare di eseguire su questo strumento le opere più difficili, come per esempio la Sonata op. 1 06. In quanto a sonorità tuttavia, gli strumenti inglesi di allora erano nettamente inferiori a quelli viennesi : lo stesso Beethoven affermò ripetutamente che il loro suono era piuttosto sordo e cupo, privo del carattere musicale cantabile dei piano­ forti viennesi. Si può ritenere che negli anni che vanno dal 1 8 1 5 , dopo che ebbe ricevuto il pianoforte Broadwood, al 1 823 , prima dell' acquisto del pianoforte Graf, ci fosse a casa di Beethoven anche uno strumento Strei­ cher che lo rallegrava coi suoi toni argentini e cantabili. Il pianoforte Broad­ wood aveva un'estensione dal fa grave al do " " , quindi una quinta in più verso l ' alto, senza però arrivare all 'ampiezza massima, più volte richiesta da Beethoven, cioè fino al fa' ' ' ' . La differenza di una quarta, appunto da quel do" " al fa" " , è spiegabile, ritengo , mediante l 'ipotesi di un pia­ noforte Streicher di cui non ci è pervenuta testimonianza. È interessante osservare come la musica beethoveniana si faccia via via più brillante, tec­ nicamente più complessa e piena di virtuosismi circa fino alla Sonata op. 8 1 A, come tali virtuosismi decrescano poi nelle opere più tarde - con l ' u­ nica eccezione dell' op. 1 06 - a partire dall 'op. 90 e come i segni d'espres18

sione si facciano sempre più importanti: molto cantabile, con affetto, espressivo , dolente, smorzando : queste indicazioni divengono sempre più difficili da rendere sullo strumento inglese, meccanicamente moderno, ma dai colori piuttosto asciutti . Fu così che Beethoven espresse il desiderio di possedere ancora una volta uno strumento viennese di qualità. Conrad Graf, il più importante costruttore di pianoforti di quel tempo (fece da tramite tra Beethoven e J ohannes Brahms passando per Schubert, Men­ delssohn, Schumann, Chopin e Liszt) gliene costruì uno, appositamente per lui, verso il 1 823 . Non disponeva dei molti pedali e registri, che Bee­ thoven rifiutava considerandoli superflui . È uno strumento semplice nella forma, di concezione moderna per i suoi due pedali e il 'moderatore' ; par­ ticolare concessione alla sordità di Beethoven sono le corde quadruple invece delle tre normali - nelle note alte e medie: un vero precursore del «tetracordo» costruito da Foerster nel 20° secolo . . . Pure questo strumen­ to è ottimamente conservato ed utilizzabile e si trova a Bonn quale più prezioso cimelio nella casa natale di Beethoven . In occasione dei festeggiamenti per il secondo centenario beethoveniano ( 1 970) sono stati riuniti nuovamente, per la prima volta dopo la sua mor­ te, i due pianoforti della sua camera mortuaria. Ho così potuto eseguire concerti e registrazioni discografiche su entrambi gli strumenti . Contra­ riamente all' opinione comune, per cui si ritiene che Beethoven abbia già preconizzato il moderno pianoforte da concerto e che per tutta la sua vita sia stato scontento degli strumenti di allora, ritengo invece che sia stato possibile riportare in vita sul pianoforte Graf persino un'opera possente quale la Sonata op. 1 1 1 ! Gli acuti hanno un suono meno cantabile di quanto siamo abituati oggi, è vero , ma i bassi sono tanto più trasparenti e non così rimbombanti come oggi, mentre la grande distanza spesso presente tra bassi e acuti nelle opere tarde di Beethoven, assume un risalto unico, grazie alla trasparenza dei suoni . Questo tipo di pianoforte viennese tardo Biedermeier che Conrad Graf fu l 'ultimo a produrre fino alla fine dei suoi giorni (nel 1 842 vendeva la sua fabbrica a Carl Stein) , senza per altro mai utilizzare rinforzi o addirittura un telaio metallico, come voleva la moda, può essere considerato l 'ideale di uno strumento equilibrato. Le sue di­ mensioni sono circa quelle di un attuale piccolo pianoforte da concerto: m . 2,45 di lunghezza circa, la sua estensione è per lo più di sei ottave, dal fa grave al fa" " , estensione, che Beethoven ancora in vita, viene allargata fino al do grave nei bassi e aumentata verso l ' alto al fa diesis e al sol " " . I toni sono equilibrati e armoniosi i n tutta l a tastiera. Ancora Chopin eb­ be modo di lodare i pianoforti di Graf in occasione del suo soggiorno vien­ nese, mentre tutte le opere di Beethoven , Schubert e Schumann sono per­ fettamente eseguibili su questi strumenti. La meccanica è ancora quella «viennese» , la corsa dei tasti è aumentata a 6 mm circa, ma la ' non ripeti-

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zione' non è ancora un ostacolo di gran rilievo . Solo nella seconda metà del l 9° secolo questi strumenti si fanno molto grossolani , tanto da essere abbandonati dai grandi virtuosi e compositori, mentre sussistono nelle di­ more borghesi conservatrici fino al XX secolo . Nella maggior parte dei casi il giudizio negativo che superficialmente si sente dare oggi in merito a questi strumenti dipende dal loro cattivo stato di conservazione. Ogni 50-70 anni circa uno strumento del genere richiede riparazioni radicali ed un restauro filologicamente corretto : vanno sosti­ tuite le corde arrugginite, la pelle rinsecchita, i feltri tarmati; la tavola ar­ monica tende - per la costante pressione delle corde - a perdere la cur­ vatura e tensione. Solo se restaurato con particolare dedizione e accura­ tezza, un pianoforte del tempo può rendere il suono originale come lo co­ nobbero i maestri classici . Solo nel caso di un restauro riuscito e nel caso che l ' ambiente acustico offra allo strumento la necessaria risonanza e la giusta eco in uno spazio non troppo vasto e solo nell' esecuzione di brani cameristici con l' accompagnamento di strumenti altrettanto originali ot­ terremo delle soluzioni sonore atte a mediare una comprensione del tutto nuova della polifonia, delle brillanti dissonanze, del fraseggio melodico , della grazia degli abbellimenti così come, forse, si avevano in epoca classi­ ca. Per questo motivo una personalità unica nel suo genere quale Beetho­ ven va conosciuta non solo sulla base della sua biografia, delle circostanze in cui visse, della sua psiche, attraverso le lettere che scrisse e la musica che compose, ma pure in modo estremamente concreto - grazie agli stru­ menti da lui usati !

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Jeffrey Swann Il manifestarsi di un mondo nuovo nelle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven

Le trentadue Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven sono consi­ derate la Bibbia del concertismo. In effetti è difficile pensare ad un altro grande artista che, come lui, si sia consacrato ad una sola forma, con tanta frequenza e costanza, nell' ar­ co della sua produzione. Il solo paragone possibile potrebbe essere infatti il rapporto che lo stesso Beethoven ebbe con i Quartetti d'archi, anche se questi furono composti a grandi gruppi e se non palesano quel personale legame del compositore, così come lo si può osservare per il pianoforte, lo strumento a lui più vicino. Beethoven ha ereditato la forma-sonata da antenati autorevoli e prolifici . Fin dall' inizio comunque, appaiono immediatamente chiare, significative differenze . Prima di Beethoven, la figura più rilevante nella storia dello sviluppo delle forme della Sonata fu Haydn. Haydn scrisse più di cinquanta Sonate per pianoforte, molte delle quali sono delle opere alquanto auda­ ci, in cui Haydn esplora innumerevoli possibilità tecniche e strutturali del­ l 'emergente forma-sonata. Tuttavia Haydn non era un pianista e le sue Sonate non sono particolar­ mente significative dal punto di vista strumentale. I noltre, a parte qualche irrilevante eccezione, l ' importanza drammatica ed essenziale delle Sonate haydniane risiede prevalentemente nel primo tempo. Come si vedrà più oltre, il maggior contributo di Beethoven fu nel movimento lento e parti­ colarmente nel Finale. Anche Mozart scrisse molte bellissime Sonate per pianoforte alcune delle quali ci offrono qualche indicazione sul composi­ tore Mozart quale virtuoso . Però , in generale, l'interesse di Mozart sem­ bra concentrarsi anzitutto nel Concerto per pianoforte, una forma in cui è forse senza rivali . In più, Beethoven conosceva bene gli esempi dei mae­ stri italiani della Sonata, come per esempio Clementi. In essi il punto fo­ cale era esattamente l 'opposto di quello di Haydn : esso si concentrava sul pianista, come contrapposto a ciò che è strutturale ed essenziale. 21

Le primissime Sonate per pianoforte di Beethoven svelano moltissime no­ vità e i tratti stupefacenti del pensiero e del mondo sonoro beethoveniano. Da un punto di vista rigorosamente pianistico , le prime Sonate sono spes­ so, tecnicamente, le più virtuosistiche e le più innovative . Per esempio , i rapidi passaggi d i accordi staccati - movimento d i polso - , nel Finale dell' op. 2.3, la tecnica di rotazione nel primo movimento dell'op. 7; come pure alcuni passaggi d' ottave nello stesso movimento dell' op. 2.2 e del­ l' op. 1 0.3; la rapida successione di accordi cangianti nel primo movimen­ to della «Patetica»; sono tutte, in blocco , delle novità tecniche degli anni intorno al 1 790. Inoltre, anche in queste prime Sonate, Beethoven tien d'oc­ chio l' unità strutturale sia tra i movimenti , sia all' interno degli stessi, ad un livello e con una raffinatezza superiori, forse, perfino allo stesso Haydn; per esempio l' uso di sequenze di una nota ripetuta nell' accompagnamento sia nel primo che nell' ultimo tempo dell' op. 1 0.3. Tuttavia la differenza più radicale tra le prime Sonate di Beethoven e le opere dei precedenti compositori, sta negli Adagi . È vero che Beethoven si rese famoso grazie all' inventiva, all'originalità e al 'pathos' dei suoi mo­ vimenti lenti, nonché alla sua abilità di eseguirli . I primi tempi lenti spesso rivelano l'innovazione pianistica più notevole di Beethoven : l ' uso di ac­ cordi tenuti su figurazioni staccate al basso , per esempio, dell ' op. 2.2 e dell' op. 7, gli accordi densamente distribuiti nel registro basso - una del­ le peculiarità stilistiche di tutta la sua carriera - nell ' op. 10.3 e nell' op. 26, la scrittura melodica estremamente espressiva in stile di reci­ tativo di molti Adagi; tutte queste sono forse le novità più significative, e più significative anche di quelle, pianisticamente più ovvie, degli Allegri . Ma l'aspetto più importante del movimento lento nel primo Beethoven è il ruolo che tutto questo gioca in quanto centro e , anzi , in molti casi, in quanto apice dell'opera nella sua interezza. Quello che in Haydn e Mozart è stato visto originariamente nei termini di un qualcosa di sereno e armo­ nioso, contrapposto alla drammaticità del primo tempo, qui - Sonate op. 2.2, op. 2.3, op. 7, op. 10. 3 -, il movimento lento è il movimento più drammatico . Ciò è in parte dovuto alla considerevole lunghezza dell 'Adagio beethove­ niano , che in molti casi occupa metà della durata di un'intera Sonata di quattro tempi . Più importante comunque è la bellezza del materiale sono­ ro , la serietà del tono e la straordinaria unità del mezzo e del messaggio . Il ruolo dell 'Adagio nelle Sonate per pianoforte è molto insolito e rivela­ tore. Da osservare in particolare che delle prime undici Sonate, compren­ dendo l'op. 22, otto hanno degli Adagi lunghi e sostenuti . Delle Sonate successive, sino alla « Waldsteim>, solo tre hanno degli Adagi veramente sostenuti, e uno di questi è la Marcia Funebre dell' op. 26 con una formu­ lazione completamente diversa dal solito e l 'A dagio grazioso, alla manie22

ra dell'opera buffa, dell' op. 3 1 . 1, un unicum nel suo genere. Quello che è comunque ancor più degno di nota è il fatto che nelle ultime dodici Sonate c ' è soltanto un movimento veramente Adagio: il magnifico movimento lento della «Hammerklavier», il più lungo Adagio beetho­ veniano. Nel caso della « Waldstein», il breve Adagio porta il titolo di « I ntroduzio­ ne», in quanto ponte tra il primo e l 'ultimo movimento. I movimenti lenti dell' «Appassionata» e degli «Addii» sono intitolati A n­ dante con moto e benché più sostanziosi di quello della « Waldstein», en­ trambi possono essere tranquillamente considerati più come nesso tra il primo e l 'ultimo movimento, che come punto focale all' interno della com­ posizione nella sua interezza. Infatti l'unico altro Adagio di ampio respi­ ro nelle Sonate di Beethoven è quello dell' op. 1 1 1, l 'ultima Sonata: in que­ sto caso però esso è anche l' ultimo tempo ed è comunque un insieme di variazioni piuttosto che u n movimento in forma sostenuta. Non si tratta dell' unico esempio della Sonata pianistica: tuttavia, generalmente, è con Beethoven che il tradizionale movimento sostenuto dell 'Adagio tende a diventare sempre più raro. Come mai Beethoven ha usato sempre più raramente proprio quella for­ ma con cui inizialmente aveva ottenuto tanto successo? Secondo me, la questione, affrontata con grande competenza da Charles Rosen nei suoi scritti Le forme della Sonata e Lo stile classico, trova risposta nel momen­ to in cui si prende in considerazione un altro fenomeno tipicamente beet­ hoveniano: lo sviluppo del Finale. Nelle forme classiche, fino all 'età di Beethoven, il Finale era generalmen­ te considerato una sorta di intrattenimento leggero, rilassante, piacevole. In particolare Haydn era un maestro di Finali effervescenti. In Beetho­ ven, il Finale copre un ruolo nuovo : a partire da opere quali la Sonata op. 53 e op. 5 7, nonché la Quinta, la Settima e l ' Ottava Sinfonia, il Finale diventa l 'antagonista del primo movimento , tanto in potenza espressiva, quanto in contenuto drammatico. Da notare che, mentre i primi critici di Beethoven hanno elogiato i suoi Adagi, essi hanno generalmente attacca­ to i suoi Finali, definendoli «violenti e volgari». Infatti, negli ultimi lavori di Beethoven , il Finale si presenta tanto come soluzione e apoteosi delle tensioni createsi nei primi movimenti, quanto come loro antitesi. Questo nuovo ruolo del Finale come sintesi conclusiva o climax dell' opera nel suo insieme si è rivelata come la sfida più grande e spesso insuperabile, dei successori di Beethoven. È stato infatti più volte osservato come il Fi­ nale sia il ' Tallone d'Achille' dei musicisti dell'Ottocento , quali Schubert, Brahms, Bruckner e Mahler, non appena si mettevano a comporre secon­ do gli schemi della tradizionale forma-sonata. È forse soltanto in alcuni degli ultimi brani di Mahler, in cui il Finale serve a liberare e a coronare

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le tensioni dei movimenti precedenti , che si può trovare la più felice ed innovatrice continuazione della rivoluzione beethoveniana. Perciò , mentre il Finale viene ad assumere un peso sempre più preponde­ rante nell'ambito della Sonata beethoveniana, il ruolo dell' Adagio tradi­ zionale va diminuendo di importanza. Se il Finale è il punto culminante dei primi movimenti , un Adagio troppo ampio potrebbe diventare ingombrante; se il Finale è essenzialmente l'an­ titesi del primo movimento, un Adagio sostenuto diventa qualcosa di estra­ neo all'insieme . Questa è a mio avviso, la ragione del crescente interesse da parte di Beethoven per la forma-sonata in due tempi , un ' formato' che abbiamo modo di vedere esplicitamente, nelle op. 54, op. 78, op. 1 1 1, co­ me pure, implicitamente, nelle op. 53, op. 5 7, op, 81 e op. 109. Parallelamente, al progressivo imporsi in Beethoven del Finale si affianca il crescente sviluppo della forma della Variazione. Ritengo che uno dei ruoli della Variazione nell 'ultimo Beethoven sia quel­ lo di offrire la possibilità al musicista di combinare la sostenuta espressi­ vità dell 'Adagio con le complessità e il potenziale drammatico del primo o dell' ultimo movimento . Già nell' op. 26 osserviamo delle Variazioni utilizzate nel primo tempo in modo tale da farlo sembrare contemporaneamente lento e veloce: questo risultato si trova enormemente accresciuto nelle analoghe Variazioni del Finale dell' op. 1 09. Persino in quei casi in cui Beethoven torna al tradizio­ nale ampio movimento lento , fa spesso uso di Variazioni, come nei Quar­ tetti op. 127 e op. 131 e come pure, in un certo senso, nella Nona Sinfonia. Tutto questo è dovuto soprattutto al fatto che la forma della Variazione libera Beethoven dai limiti imposti dal tempo fisso della Sonata tradizio­ nale o dell'Adagio in forma di Li ed che si impongono pesantemente ai suoi disegni formali . Il grande Adagio dell' op. 1 06 rende splendidamente proprio grazie all'e­ norme ampiezza e portata della Sonata nel suo insieme e per la misura e l 'energia assolutamente nuove del Finale fugato. Ciononostante Beethoven trova necessario aggiungere la magica «Intro­ duzione in Largo alla Fuga» che serve per equilibrare l'Adagio con il resto della Sonata. L' ultima Sonata di Beethoven, l'op. 1 1 1, rappresenta per molti aspetti il culmine massimo di queste varie componenti dello stile beethoveniano . I due movimenti, benché assolutamente disuguali in lunghezza, sono esem­ pi perfetti di tesi ed antitesi. Il grande ultimo movimento , che contiene alcune delle pagine più sublimi dell' inventiva pianistica di Beethoven , è contemporaneamente Variazione, Adagio e Finale. Nell ' op. 1 1 1 Beetho­ ven unisce in maniera inesprimibile il grande Adagio espressivo e il grande Finale drammatico .

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Ludwig van Beethoven, Finale della Sonata op. 111; autografo. Ludwig van Beethoven, appunti per la Sonata op. 53 (Beethoven-Haus, Bonn)

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Waldstein».

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Pagina autografa dal Quaderno di Conversazione IX. (Preussiche Staatsbibliothek , Berlino)

Dino Villatico Le ultime opere pianistiche di Beethoven alla luce dei Quaderni di conversazione degli anni 1818-1823

Alla morte di Beethoven Stephan von Breuning, suo amico d'infanzia, rac­ colse, insieme ad altre carte, i Quaderni di conversazione, taccuini sui quali i visitatori di Beethoven gli comunicavano le proprie risposte e domande . I Quaderni erano 400. Un documento prezioso per ricostruire la vita quo­ tidiana di Beethoven. « In tal modo non sono del tutto segregato dal mon­ do e da coloro che mi amano . » dichiarò Beethoven ad Anton Wilhelm Florentin Zuccalmaglio 1 , uno dei suoi visitatori . Naturalmente, i quader­ ni registrano soprattutto le domande e le risposte dei visitatori, perché Beet­ hoven, tranne rari casi , quando per esempio non voleva farsi intendere da chi gli stava vicino, rispondeva e domandava a voce. Dobbiamo per­ tanto immaginarci ciò che Beethoven diceva, attraverso ciò che scrivono i suoi visitatori . Altrimenti , di suo pugno , Beethoven scrive soltanto conti e appunti schematici che gli servono di pro-memoria. Curioso è il modo di tenere i conti: Beethoven non sapeva fare le moltiplicazioni, e allora somma la cifra tante volte quante sono quelle richieste per ottenere il prodotto . La lettura dei quaderni è una lettura affascinante, superato il primo delu­ dente impatto, i frammenti prendono corpo come in una registrazione dal vivo , e sembra perfino di poter udire la voce di Beethoven che risponde, dalle reazioni scritte dei suoi visitatori. Breuning consegnò poi i quaderni ad An ton Felix Schindler , violinista e direttore, amico, dopo essere stato allievo, e soprattutto factotum di Beet­ hoven. Beethoven lo usava anche per comprare la polvere dentifricia. E , forse, dentro d i s é , pensava che Schindler p i ù d i questo non sapesse fare. Ma ne aveva bisogno . Nessuno si dimostrava così servizievole e arrende. .

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Ludwig van Beethoven Konversationshefte im Auftrage der Preussischen Staatsbibliothek herausge­ geben 'von GEORG ScHONEMANN. Berlin, 1 94 1 - 43 . Traduzione italiana di Paola H. Coronedi, re­ visione letteraria e musicale di Guglielmo Barbian, Torino 1 968. p. XVI I I .

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vole con lui. Sul nipote Karl non poteva contare sia perché Karl doveva studiare sia perché i rapporti erano tutt' altro che tranquilli . Schindler usò i quaderni per la sua biografia di Beethoven . Egli si credeva il depositario e l'erede spirituale di Beethoven: la sua immagine di Beethoven era per lui Beethoven . Pertanto distrusse tutto ciò che potesse contraddire o offu­ scare questa immagine. Soprattutto , che potesse insinuare dubbi sulla fe­ deltà e sul disinteresse di Schindler. Nel 1 843 Schindler prese contatti con la Biblioteca Reale di Berlino per la vendita degli scritti di Beethoven . La trattativa durò fino al 1 846, quando la Biblioteca acquistò il lascito beet­ hoveniano . A Schindler vennero corrisposti 2000 talleri imperiali e una ren­ dita annua vitalizia di 400 talleri imperiali . Per l' acquisto spinsero Ale­ xander von H umboldt e Achim von Arnim. Quando Schi ndler consegnò il pacco , risultò che i quaderni si erano ridotti a 1 36. Egli altri 264? Schin­ dler li aveva distrutti . Per motivi politici e morali . Contenevano attacchi all' imperatore, mostravano Beethoven in questioni intime che non pote­ vano interessare i posteri. Schindler intervenne anche nei quaderni salva­ ti . Riscrivendo a penna la scrittura a matita, cancellando, commentando, stracciando qualche foglio . Rovinando , insomma, talora irreparabilmen­ te, un documento prezioso 2 • Finora sono stati pubblicati in edizione critica 3 soltanto 37 quaderni, che vanno dal febbraio 1 8 1 8 al luglio 1 823 . Il primo, febbraio-marzo 1 8 1 8 , non appartiene al gruppo d i quelli venduti d a Schindler, che cominciano col II Quaderno, marzo-maggio 1 8 1 9 . Mancano quindi ancora 1 00 Qua­ derni, che coprono gli ultimi quattro anni di vita di Beethoven . Per questi anni si ricorre alla traduzione francese di Jacques-Gabriel Prod' homme 4, che però non è integrale. Alla comprensione musicale delle opere di Beethoven i Quaderni non ag­ giungono molto , per non dire nulla. Moltissimo però suggeriscono sul cli­ ma culturale ed emotivo in cui sorsero , con una testimonianza ancora più immediata di quella delle lettere, anche se meno articolata, più fulminea. In questo breve schizzo mi limito a considerare i riferimenti alle opere pia­ nistiche . E considero soltanto i Quaderni pubblicati integralmente. Tutto il lavoro va preso comunque come un appunto , una scheda, da sviluppa­ re. La scheda è divisa in tre parti : l ) frammenti di conversazione, come modelli esemplificativi della struttura e degli stili dei Quaderni; 2) il labo2

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Sugli interventi di Schindler v. la prefazione di ScHONEMANN all'ed. cit . dei Quaderni; e LUIGI MAGNANI, Beethoven nei suoi quaderni di conversazione, Bari, 1 970, pp. 9- 1 5 . Da GEORG SSCHONEMANN, ed . cit . 1 .-G. PROD'HOMME, Les Cahiers de conversation de Beethoven, 1 946. Non vanno trascurati, natu­ ralmente, i primi biografi, che qui si citano di sfuggita: oltre a Schindler, Gerhard von Breuning, Alexander Wheelock Thayer, Ludwig Nohl, Theodor Frimmel e Alfred Kalischer. Per il lettore ita­ liano può essere utile, anche, il Catalogo cronologico e !ematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, a cura di GIOVANNI BIAMONTI , Torino, 1 968 .

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ratorio di Beethoven, scheda sul metodo di lavoro di Beethoven; 3) i dati sulle opere pianistiche, nei Quaderni. l. Frammenti di conversazione Il consigliere aulico Karl Peters , precettore dei figli del principe Lobko­ witz e contutore, insieme a Beethoven, del nipote Karl van Beethoven, un giorno di fine marzo va a trovare Beethoven, o più probabilmente sta pas­ seggiando con lui. Il foglio 20, recto e verso, del Quaderno XXV I , regi­ stra questo dialogo : Consigliere aulico Peters: Se bevo vino, le preoccupazioni si addormentano. '0-rcxv 7tl -rov o'Lvov e:u8oumv ex[ fLEPLfLVO:L

Ora viene anche la religione Beethoven: sono molto mediocri quei ragazzi Peters: Dove pranza Lei? Beethoven: ho fatto preparare a casa mia. ma c'è ben poco, altrimenti la inviterei Peters: Io pranzo dal P .(rincipe) J. Schwarzen(berg) Karl è tanto cresciuto, che quasi non l'avrei riconosciuto ha superato l'esame molto bene. un bravo professore Quale impulso determina l'uomo a mettere le sue forze in attività? 5

Peters dice prima la traduzione e poi l' originale greco di una anacreonti­ ca. Ma nulla ci garantisce che l'ordine in cui troviamo le frasi sia quello di scrittura. Beethoven si portava dietro i quaderni e li porgeva all' interlo­ cutore ogni volta che pensasse di non poterne afferrare il discorso dal mo­ vimento delle labbra. Non solo, ma scriveva lui stesso quando non voleva essere inteso che dall'interlocutore. Il nipote, Karl, nel 1 823 aveva 1 7 an­ ni. Il testo corretto dell' anacreontica è "0-rcxv 7tlvw -ròv o1vov e:uBou> . Devo dire che imperdonabilmente non mi fe­ ci subito una copia della lettera, che solo più tardi lessi da Beethoven; poi­ ché in quattro o in cinque tratti, era un autentico capolavoro creativamente scaturito dall' ardore dell' ammirazione . Non vi era traccia di sciocca adu­ lazione o di fastidioso servilismo (come spesso nelle lettere a Goethe), bensì solo nobili sentite parole, ma anche amichevoli schiette parole di un'ami­ cizia ispirata. Alla fine vi era espresso con chiarezza e calore lo scopo del­ la mia visita, vi era raccomandato caldamente al sommo maestro il pres­ sante desiderio del mio cuore . Questa lettera era veramente degna di venir conservata ! Egli avrebbe do­ vuto sfoggiarla come un gioiello incastonato tra la fitta corrispondenza di Goethe e Zelter ! Vi avrebbe illuminato con il suo splendore molti lati oscuri (che del resto avrebbero dovuto restare al buio) ! - Basta, ero in possesso della lettera, perlomeno dell ' intestazione che ricca di tal calore, mi sembrava presa dalla mia anima, cosicché la guardai con sempre rin­ novato stupore e col cuore palpitante . Intraprendemmo il viaggio il 2 1 marzo 1 82 5 , il giorno dell'equinozio in cui comincia a farsi sentire l ' azione benefica del sole che torna, il giorno del compleanno di Jean Paul (non ho mai più avuto da ricordare giorni di festa così importanti come a quei tempi) . I campi erano ancora coperti di neve, l ' aria ancora gelida. Tuttavia il mio giovane spirito si sentiva sol­ levato , vedendosi passar dinnanzi le campagne deserte ed i grigi villaggi e sentendosi soffiar addosso la rigida aria invernale . . . Sorvolo tutto (del mio soggiorno di Dresda) e racconto solo ciò che ri­ guarda la musica. Già quattordici giorni prima avevo fatto pervenire a Ma­ ria von Weber per iscritto la preghiera di darci la gioia, mentre eravamo

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lì, se fosse stato possibile, di una rappresentazione dell' Euryanthe. A quei tempi non era stata data che a Vi enna, poiché Spontini impediva con tutte le sue forze la messa in scena della stessa a Berlino, per l' intima convin­ zione che l 'opera non fosse sufficientemente degna di venir presentata al mondo ! W eber aveva risposto alla mia preghiera inviandomi un biglietto di alcuni giorni prima in cui gli veniva annunciato l ' avvenuto scioglimen­ to dal contratto della Schroeder-Devrient (la Euryanthe di Dresda) . Per questo felice- infelice avvenimento l'opera era praticamente ferma. Ma ciò mi procurò il vantaggio che Weber era meno occupato e, in questi due giorni, potevo perciò vederlo più spesso di quanto avessi potuto sperare. Egli si stava proprio preparando per andare in Inghilterra a comporre l '«Oberon» . Ciò fu per noi argomento di molte chiacchierate, tuttavia non mi lasciai scappare l'occasione di ottenere anche la sua collaborazione per il mio scopo . Alla mia preghiera di scrivere a Beethoven una lettera, ri­ spose: «Beethoven non ama molto le lettere. Gli dà fastidio sia leggerle che scriverle. Ma gli porga i miei saluti più cordiali e rispettosi . Dal modo in cui mi ha accolto a Vienna l ' anno scorso , posso supporre che si ricorde­ rà di me con amicizia ed affetto » . Allora W eber mi descrisse la sua ultima visita a Beethoven, ed io naturalmente ascoltai con grande attenzione. «Era­ vamo stati da lui parecchie volte, tuttavia lui non aveva mai proferito pa­ rola. Era mal disposto, misantropo, tetro . Alla fine ci riuscì di imbrocca­ re un'ora favorevole. Entrammo : era seduto alla sua scrivania; si alzò non proprio con fare amichevole. Mi conosceva bene da anni, e così ben pre­ sto finimmo per chiacchierare familiarmente . Ecco che improvvisamente mi si avvicinò, posò le mani sulle mie spalle, mi scosse energicamente, e calorosamente disse: «Sei diventato un bravo ragazzo ! » e poi mi baciò con vera amicizia ed affetto . Di tutto ciò che mi è capitato a Vienna di appa­ gante, meraviglioso e nobile, niente mi ha così profondamente colpito co­ me questo fraterno bacio di Beethoven» . Tale racconto dalla bocca d i u n uomo d i così chiara fama mondiale come W eber, doveva ovviamente accrescere la mia ammirazione per Beethoven, nonché l' esasperata tensione con cui mi preparavo al momento in cui mi sarei trovato sotto i suoi occhi . - Infiammato al massimo al pensiero di ciò che mi attendeva, presi congedo da Weber e il giorno successivo la­ sciammo Dresda col sole più splendente . . . Di sera tardi arrivammo a lglau ; il giorno successivo avremmo dovuto ve­ dere Vienna. Indimenticabile resterà per me il ricordo della sensazione che provai quando vidi il grigio , gigantesco campanile di Santo Stefano erger­ si dietro la schiena dei monti, che avevamo appena passato, e dominare imponente l 'orizzonte sotto cui restava ancora nascosta la città. Pareva gridarci : « Viandanti, Vienna è qui ! » E cosa si collegava a questo grido? Per me in questo primo momento solo il suono di un nome sublime: Beet-

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hoven ! Gridai forte di esultanza, nonostante il mio compagno di viaggio sorridesse e scuotesse la testa: «Tutti i tesori dell'arte e della scienza, i grandi uomini , i monumenti, le istituzioni , che la capitale nasconde, per quel che mi riguarda, non compensano quest ' unico nome. E se io avessi la scelta tra rinunciare a tutto , o a lui , con gioia lascerei tutto per andare in pelle­ grinaggio da quest' uno, che se ne sta, forse dimenticato , evitato da tutti come un torvo eccentrico , solitario e abbandonato in una via scura e re­ mota nel mezzo dello splendore di un mondo gaudente fino all' ebbrezza, ma circondato dai sublimi spiriti e dai miracoli che lui stesso crea ! » Una volta arrivato a Vienna, sebbene niente mi stesse più a cuore di in­ contrare Beethoven , credetti opportuno dapprima prendere informazioni sul modo più adatto per farlo . Per l'inestimabile valore che una tal visita aveva per me, era comprensibile che a Vienna attribuissi un simile senti­ mento a mille altri uomini e mi fissassi nell' opinione che per raggiungere il grande maestro avrei dovuto affrontare enormi difficoltà, come per Goe­ the. Perciò dapprima mi misi alla ricerca di alcune persone che sapevo erano od erano state in contatto con Beethoven, come ad esempio Grillparzer. Quando domandavo , ricevevo il consiglio di andare direttamente da lui . «Se Lei lo trova proprio in un momento cattivo , » mi disse uno dei suoi amici, «potrebbe essere l'imperatore, che non La riceverebbe; non serve affatto preparare il terreno. Le migliori raccomandazioni per lui sono: chia­ rezza, semplicità, naturalezza. Non si lasci spaventare da un'accoglienza burbera; torni una seconda volta e forse compenserà la sgarbatezza della prima con una doppia cortesia». Così un mattino , col cuore palpitante, presi la decisione di recarmi nella Krugerstrasse n. 767 al quarto piano do­ ve a quei tempi abitava Beethoven . Questa via non è affatto isolata, bensì è una delle strade laterali meno ru­ morose che tagliano le più animate arterie del centro . Che un artista, una volta arrivato in città, cerchi una tale abitazione piuttosto di evitarla, è facilmente comprensibile. Nemmeno l'idea che il quarto piano sia sinto­ mo di poverà potrebbe scoraggiare il visitatore. A Vienna infatti ci sono talmente tanti edifici a sei , sette, otto piani, che il ceto medio resta rara­ mente ai piani più bassi . A causa delle stradette strette e scure si abita per­ fino più volentieri al secondo piano che non al primo , che del resto viene spesso utilizzato per locali d'affari, uffici e simili . Quando ebbi salito il considerevole numero di scalini , trovai sulla sinistra la corda di una campana con un nome mezzo cancellato ; tuttavia credetti di poter leggere Beethoven . Suonai : si sentirono dei passi, mi si aprì , il cuore mi batteva all 'impazzata; veramente non so più dire se fu una do­ mestica ad aprirmi , o un giovane, il nipote di Beethoven che allora abita­ va con lui e che io poi vidi qualche volta. Lo stato di esasperata tensione del mio animo mi aveva tolto la capacità di prestare attenzione alle cose

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circostanti . Mi ricordo solamente che non mi venivano fuori le parole per chiedere: «Abita qui il Signor Beethoven? » Con quale forza l' enorme pe­ so di un nome così sublime riuscì a distruggere i limiti e le leggi pigmee della convenzione, dietro cui la smisurata quotidianità leva i suoi futili diritti ! Ciò nonostante queste forme non vollero cedere nemmeno qui il loro me­ schino diritto : fui annunciato, consegnai la lettera di Zelter come presen­ tazione ed attesi nell' anticamera. Potrei ancora descriverla: deserta, mez­ za vuota, mezza in disordine . A terra c'era una quantità di bottiglie vuo­ te, su un semplice tavolo alcuni piatti e due bicchieri, uno mezzo pieno . Era stato Beethoven a lasciare questo mezzo bicchiere? pensai . E mi ven­ ne la voglia di bere il resto come un segreto bottino di fratellanza spiritua­ le, proprio secondo l'usanza tedesca. La porta della camera laterale si aprì; fui invitato ad entrare. Quando con timidi passi varcai la sacra soglia, si poteva udir battere il mio cuore . Mi ero già trovato davanti a personaggi importanti che, da poeta agli inizi qual ero , vedevo ergersi sopra di me ad incommensurabile altezza; cito solo Goethe e J ean Paul . Tuttavia anche di fronte a costoro non avevo mai provato una sensazione di tal genere. Non voglio presuntuosamente dire che, il fatto , che «anch'io son pittore» per metà, mi rendeva meno difficoltoso avvicinarmi a quelli e che mi facilitava la nostra comunicazio­ ne spirituale: voglio solo dire che appartenevo allo stesso regno che loro dominavano . Parlavamo la stessa lingua, potevo far valere un diritto più forte ad una risposta, a questa potevo creare una base più solida; in so­ stanza, nel campo del pensiero poetico più fili si intrecciavano, legandoci insieme. Non voglio ricordare l' ostacolo amaro e quasi insuperabile che l' orecchio chiuso di Beethoven opponeva all ' avvicinarsi di ogni rapporto più caloroso ! E tuttavia la diversità dei nostri campi d'azione, che nei pri­ mi momenti sembrava separarci, ci portò più tardi ad un avvicinamento . Un musicista mediocre sarebbe forse stato per Beethoven un essere indif­ ferente e fastidioso , un poeta con un talento passabile gli dava pur sempre qualcosa che lui stesso non aveva, ma che amava e stimava. Entrando , il mio primo sguardo cadde su di lui . Sedeva abbandonato in un letto disfatto posto contro la parete della stanza, su cui fin poco prima doveva essere stato disteso . In una mano teneva la lettera di Zelter, l'altra me la tese amichevolmente con tale sguardo di affabilità e insieme di do­ lore che improvvisamente sparì ogni oppressiva barriera divisoria ed io an­ dai incontro all' uomo che stimavo così profondamente con tutto il calore del mio affetto . Si alzò, mi porse la mano , strinse la mia cordialmente e con semplicità disse: «Mi avete portato una bella lettera di Zelter ! È un autentico protettore della vera arte ! » Abituato a parlar soprattutto lui , poiché solo a stento poteva percepire i discorsi altrui , proseguì : «Non sto

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bene, sono stato molto malato ! L'intrattenimento che posso offrirLe non è molto piacevole, poiché io sento con molta difficoltà ! » Cosa ho risposto , se ho risposto - in verità non lo so ! Saranno stati so­ prattutto i miei occhi, la ripetuta stretta della mia mano ad aver espresso ciò che forse le mie parole non riuscivano a dire, anche se in quel momen­ to avrei potuto parlargli come ad una qualsiasi altra persona. Beethoven mi invitò a sedere; egli prese posto su una sedia davanti al letto e l ' avvicinò ad un tavolo due passi più in là che era tutto coperto di tesori : le note scritte dalla mano di Beethoven e i lavori che allora lo tenevano occupato. Presi una sedia vicino alla sua. Getto ancora un rapido sguardo sulla camera. È grande come l' anticamera, con due finestre : sotto queste c'è un pianoforte; non c'è niente altro da scoprire che tradisca una qual­ che comodità, un qualche agio , ricercatezza o lusso . Una libreria, alcune sedie, alcuni tavoli, pareti bianche con tappeti vecchi e impolverati - questa è la stanza di Beethoven. Che cosa gli interessavano bronzi , specchi , diva­ ni , oro e argento ! Egli, per il quale ogni splendore nei confronti di una scintilla divina è nul­ lità, polvere e cenere, egli che illumina tutto con i raggi fulgidi della sua ricchezza interiore ! Così mi sedetti accanto a colui che malato e triste ave­ va una così grande capacità di sopportazione. I capelli , quasi completa­ mente grigi , erano folti e disordinati , non lisci, non crespi , non fermi , ma tutto insieme . I tratti del viso sembravano al primo sguardo poco signifi­ cativi: il volto era molto più piccolo di quanto mi ero immaginato in base ai ritratti che gli facevano violenza rappresentandolo in una irruente, ge­ niale selvatichezza. Niente esprimeva quell'asprezza, quella tempestosa rot­ tura di ogni vincolo, conferita nei ritratti alla sua fisionomia per accor­ darla alle sue opere . Ma per quale motivo il volto di Beethoven dovrebbe sembrare come le sue partiture? Il colorito era scuro, ma non sano e vigo­ roso come quello del cacciatore abbronzato, bensì trasfuso in un tono giallo e malaticcio . Il piccolo naso affilato, la bocca benevola, l'occhio piccolo, azzurro chiaro , ma espressivo . Malinconia, dolore, affabilità si leggevano sul suo volto ; tuttavia, lo ripeto, non si notava nemmeno fuggevolmente un tratto di durezza o di energico ardimento che rivelassero l'impeto del suo animo . In questo scritto non voglio ingannare il lettore con una fin­ zione, ma dare la verità, un fedele specchio di un prezioso ritratto . Nono­ stante ciò che ho appena detto , egli non perdeva niente dell' arcana forza attrattiva che ci lega così irresistibilmente all'esteriorità delle grandi persona­ lità. Poiché il dolore, che vi esprimeva, il dolore muto e greve non era con­ seguenza del momentaneo malessere, perché io riscontrai sempre questa espressione, anche settimane dopo quando Beethoven si sentiva molto me­ glio . Era bensì il risultato dell' intero e unico destino della sua vita, che fuse la più alta garanzia di conferma con la più crudele prova della rinuncia. 88

Dovremmo prima aver da raccontare di un Raffaello divenuto cieco nel pieno della sua forza vitale per trovare a Beethoven, quanto a fortuna e sfortuna, un suo pari nella storia dell'arte e del mondo . Infatti a una tale altezza la storia dell' arte diviene storia del mondo . Perciò la vista di questo struggimento muto e profondo, che si rivelava sulla mesta fronte e negli occhi miti , commuoveva indicibilmente. Occor­ reva una forte capacità di autocontrollo per sedere di fronte a lui e tratte­ nere le lacrime. Dopo che ci fummo seduti, Beethoven mi porse un taccuino e una matita e mi disse: « Può scrivermi solo le cose principali , mi bastano a raccapez­ zarmi . Ormai vi sono abituato da molti anni» . Poiché mi guardava inter­ rogativo , presi il taccuino per scrivere le seguenti parole: «Ho pregato Zel­ ter, di scriverLe che vorrei comporre i versi per una Sua opera» . Beetho­ ven guardava la mia mano e mentre ero ancora a metà della frase, indovi­ nando il resto , mi interruppe: « Sì , Zelter me lo ha scritto» . Dicendo ciò , mi porse la lettera. Appena adesso la lessi e le nobili , degne parole, la pro­ fondissima ammirazione, la concisa essenzialità dell' espressione, adesso , alla presenza sacra dell' uomo per cui essa era scritta, mi colpirono con doppia forza. Beethoven parve intuire ciò che provavo , poiché anche su di lui la lettera aveva prodotto innegabilmente una profonda impressione, come potei dedurre dalla sua accoglienza. Ripetè quindi ciò che mi aveva detto fin dal primo saluto : « È una bella lettera. Zelter è un degno protet­ tore della vera arte . Quando torna lo saluti di cuore da parte mia! - Lei vuole scrivere un'opera per me», continuò, «sarà per me una grande gioia. È così difficile trovare dei buoni versi. Grillparzer me li ha promessi e li ha già scritti , ma non riusciamo a comprenderci bene : voglio qualcosa di completamente diverso da quello che vuole lui . Con me Lei avrà i suoi problemi» . Cercai di spiegargli a gesti che non avrei ritenuto nessun lavoro troppo improbo, pur di soddisfarlo . Fece un amichevole cenno d'assenso con la testa per mostrarmi che aveva capito . Ripresi in mano il taccuino per scri­ vere: «Che genere di versi preferirebbe? » Ma già alla parola «genere» Bee­ thoven riprese a parlare: « Del genere m'importa poco , se la materia mi attrae : però devo poter aderire col cuore e con l'anima. Opere come « Don Giovanni» e «Figaro» non potrei comporle : contro queste ho una vera av­ versione. Non avrei potuto scegliere tali tematiche», proseguì, «per me sono troppo frivole» . E parve voler dire: «Sono troppo profondamente infeli­ ce, la mia vita si copre di un velo troppo scuro, perché io possa darmi ad un divertimento così superficiale» . - Un mondo d'idee appena dischiuso si agitò in me con tanta energia che non avrei potuto rispondergli subito . Inoltre attendevo di sentire da lui qualcosa di più su Mozart . Come sareb­ bero state preziose le parole di Beethoven su di lui se le avesse pronunciate 89

spontaneamente, seguendo lo stato d'animo, l' interno impulso alla veri­ tà; poiché un' opinione cavata di bocca non avrebbe avuto senso . Ma egli tacque e parve aspettare che adesso mi pronunciassi io. Era molto difficile per me esprimere un'opinione sentita nel profondo con semplici aforismi scritti e su un argomento poi che anche a viva voce avreb­ be presentato il rischio di fraintendimenti. Ciò nonostante mi venne in men­ te una soluzione, che mi sembrava molto pratica nell'attuale situazione . E scrissi: « Le citerò alcuni soggetti » . Beethoven assentì con piacere . Non mi trovavo impreparato a questo caso . Già con l 'intenzione di sce­ gliere per Weber, col tempo m'ero raccolto una quantità di soggetti per opera, storici, antichi mitologici , romantici . . . Di questi buttai giù i titoli : Attila (ne avevo in mente la terribile prima notte di nozze e il legame con gli avvenimenti della leggenda dei Nibelunghi) , Antigone, Belisario , Ore­ ste e parecchi altri che ora mi sfuggono. Beethoven lesse i singoli nomi, scosse pensoso il capo, mormorò alcune parole e mi incitò a scrivere avan­ ti . Ciò durò pochi minuti, dopo di che disse come prima: « La farò pena­ re. Le sarà difficile andare d'accordo con me» . Dentro d i m e bruciavo dal desiderio d i sviluppargli uno o l' altro soggetto in un discorso conciso e trascinante, come avevo fatto per Weber, d'im­ provvisare una specie di scenario, di guadagnarmelo per i caratteri e le si­ tuazioni principali con vive descrizioni: ma cosa si poteva di fronte ad un uomo colpito così duramente dal destino ! Con quale intensità compresi la sua pena, ora che si rifletteva su me stesso ! Da quali fonti di vita, da quali ulteriori immediate comunicazioni da spirito a spirito, da cuore a cuore, restava tagliato fuori ! Che terribile solitudine ! E tuttavia che poca cosa questa in confronto a ciò che gli era stato rubato , che era stato ruba­ to ad un uomo per il quale il mondo dell'udito restava, in un altro senso , pur sempre il più intimo e peculiare ! Mi sembrò che non gli sfuggisse la lotta della mia anima; tuttavia sia che si sentisse stanco , sia che lo infastidisse questa situazione che forse si ripe­ teva quotidianamente o non volesse ripetere mille volte le stesse cose, tacque. Io presi la matita e scrissi : « Le darò le prove, per guadagnare la Sua fidu­ cia» . Un lampo di gioia percorse il suo viso, mi fece un cenno col capo, mi porse la mano; ci alzammo . Gli vidi in volto la spossatezza e perciò presi il mio cappello . Egli disse, quasi affrettando la mia intenzione di an­ darmene, ma in tono aperto e amichevole: «Oggi sto così male, sono così stanco e sfinito, ma Lei deve tornare molto presto» . Congedandomi, mi offrì la mano, ricambiò calorosamente la mia calda stretta ed io uscii. Con quali sentimenti ! Un'esultanza interiore per la mia luminosa e buona stel­ la, ma anche una conturbante malinconia, come non avevo mai provato ! Un tumulto di tutte le forze, un imperante impulso all'azione, un potente 90

sentimento creativo , a cui nulla sembrava impossibile, nulla irraggiungi­ bile, ma anche la viva concretizzazione di questa speranza, un sogno im­ possibile, così irrealizzabile - come poi in realtà irrealizzato è rimasto . Questa fu la prima visita a Beethoven . Mi ero già preparato per l 'eventualità che adesso si era verificata. Avevo portato con me, per mostrare a Beethoven, non solo copie dei miei libretti d'opera, ma anche (poiché quella volta non era ancora stato stampato quasi niente di mio) copie delle mie liriche brevi, che io ritenevo le migliori . Fui informato da amici che lo conoscevano meglio, che non gli piaceva molto leggere, che ci voleva molto prima che si decidesse e che per il disordine che regnava in tutte le sue faccende, ma soprattutto nelle sue carte, le cose finivano così facilmente nel caos, che un libro, un quaderno potevano non ricomparire per molto tempo . Forte di queste considerazioni , non gli spe­ dii ancora le copie dei libretti d'opera, ma scelsi otto o dieci delle mie liri­ che e scrissi ognuna chiaramente su un foglio a parte. Qui bastava uno sguardo ; i fogli potevano restar sparsi a terra tra i cento altri della sua camera: se ne perdeva uno , gli rimaneva l'altro; ogni momento si poteva riparare alla perdita. Le poesie coprivano diversi stati d'animo ; forse una volta o l'altra, uno di questi poteva accordarsi felicemente al suo e fargli venir la voglia di trasfondere il movimento passeggero del suo cuore in suoni eterni ! E un Lied di Beethoven non sarebbe già stato un regale com­ penso del mio viaggio a Vi enna? - Se ogni causa determinata portasse con sé una conseguenza determinata, di quanti splendidi quaderni di Lie­ der saremmo più ricchi ! Così raccolsi con cura i foglietti, scrissi alcune righe a Beethoven come poteva dettarmele il mio sentimento per lui, e li portai io stesso a casa sua, poiché non potevo fidarmi di una mano estranea in un frangente così im­ portante. Credetti opportuno lasciar passare qualche giorno, prima di fare una se­ conda visita a Beethoven . Per quanto desiderassi questo incontro con tut­ te le mie forze, sembrerà tuttavia naturale che un giovane assetato di vita potesse trovare nella sconosciuta e splendida città sufficienti piaceri e di­ strazioni , perché il tempo passasse veloce. Alla fine mi ritrovai dinnanzi alla sacra porta. Suonai, mi fu aperto , ma la risposta alla mia domanda suonò : «Il signore è così malato che non può parlare con nessuno» . Que­ sto caso non lo avevo previsto ! Ero oltremodo confuso e devo confessare, che l'egoismo dell' uomo con cui purtroppo egli nasce, mi giocò veramen­ te un brutto tiro . Poiché la reazione più naturale sarebbe stata l 'accorata preoccupazione per una vita così inestimabile: e tuttavia, se me lo chiedo sinceramente, percepii solo l'inanità della mia speranza. - Mesto scesi di nuovo lentamente gli ottanta o novanta gradini . Per strada incontrai un conoscente che mi aveva visto uscire dal portone di Beethoven . Mi gri91

dò da lontano: «Era da Beethoven? Gli ha parlato? » Gli raccontai ovvia­ mente l'accaduto . Egli rispose : «Posso consolarLa un po' . Stasera verrà eseguito solo per un piccolo, intimo gruppo di veri amici della musica, na­ turalmente con ingresso a pagamento , uno degli ultimi Quartetti di Beet­ hoven ancora manoscritti che sono però stati acquistati da Steiner (l'at­ tuale proprietario della casa musicale Haslinger) . La verrò a prendere e La condurrò lì» . Con gioia accolsi l'offerta . . . Come nuovo in città, fui presentato dal mio accompagnatore a parecchi eccellenti musicisti e uomini di spicco . Ma improvvisamente mi sorprese un nome; mi si disse, mentre mi si presentava un uomo in soprabito , ele­ gantemente vestito : «Il signor Beethoven ! » Era il fratello del composito­ re. Cominciò subito a parlare di quest' ultimo e mi raccontò di quanto fos­ se stato fatto per restituirgli l'udito . «Ho promesso dieci mila "gulden" di ricompensa al dottore che lo guarisse ! » Disse. - Mi fece piacere questa viva partecipazione al destino del fratello che, ben lo sappiamo , raramen­ te si può riscontrare nelle condizioni purtroppo generali del mondo. Il fratello di Beethoven mi chiese di tutto, di Berlino, di cosa si pensava là di suo fratello , se le sue opere venivano eseguite spesso e dell 'altro an­ cora. Fortunatamente potei rispondergli che il grande genio doveva ralle­ grarsi di aver lì un riconoscimento più vivo che nella stessa Vienna e che avevan luogo continue esecuzioni delle sue Sinfonie e dei suoi Quartetti, che il Fide/io non usciva mai dal repertorio (ciò che purtroppo era il caso di Vienna) e che nelle cerchie degli estimatori colti, Beethoven veniva ve­ nerato se non unico, certamente come artista sommo . Al che il signor Beet­ hoven espresse la sua deprecazione per il fatto che a Vienna le cose andas­ sero diversamente. Invece elogiò un periodico musicale, quella volta ap­ pena uscito , il cui redattore era un enfatico panegirista di Beethoven , ma la cui ammirazione per il musicista sgorgava secondo me da fonti molto confuse e degenerava perciò il più delle volte in quelle assurdità, che, ge­ nerate in misura così cospicua nella nostra epoca, nel tentativo di risolve­ re gli incomprensibili enigmi del grande spirito, hanno determinato così tanta confusione nell 'imitazione del suo modo . La dimostrazione di que­ sta sciocca e superficiale ammirazione per il famoso fratello mi tramise una sensazione - non voglio dire di diffidenza, ma di disagio nei suoi confronti . Vedremo fino a che punto giustificata . Così si concluse questa serata. Se anche non avevo visto Beethoven, lo avevo tuttavia sentito, avevo sentito il suo spirito muoversi in una delle sue ulti­ me, meravigliose creazioni (poiché il Quartetto era veramente appena sta­ to ultimato) . Era quasi come se avessi ricevuto direttamente lo sfogo del suo spirito creatore . E quindi quali nuove conoscenze venivano a facili­ tarmi il contatto personale con lui e in special modo per lo scopo che ave­ vo ! Per quanto io quel giorno avessi perduto molto , per quanto le mie 92

speranze fossero restate deluse, tuttavia m'era stato concesso pur sempre di che essere profondamente grato ! Il cattivo stato di salute di Beethoven permase, poiché aprile fu inclemen­ te. Il giorno in cui dovevo lasciare Vienna si avvicinava sempre di più e cominciò ad angustiarmi il pensiero che forse non lo avrei più rivisto . Non occorreva che suonassi ogni giorno alla sua porta per sapere come stava, perché ricevevo continuamente notizie da uno o dall' altro interme­ diario . Non soffriva di una malattia precisa, ma ciò che è ancora peggio , di un continuo diffuso malessere che naturalmente doveva accrescere la sua ipocondria. In questo periodo il caso mi avvicinò ad un giovane, il nipote di Beethoven che abitava da lui . Costui mi disse, senza che glielo avessi chiesto: « Lei ha mandato a mio zio delle poesie molto belle . La rin­ grazia molto ed ha espresso il desiderio di metterle in musica» . Che questa notizia - anche se forse era soltanto una frase cortese - mi mise nella più felice eccitazione, lo comprenderà facilmente o chi è egli stesso un poeta, o chi può sentire una tale ammirazione per Beethoven . Se anch'io potevo credere a ciò solo per metà, questa metà, questo ondeggiare fra il sì e il no, era già una fonte di ricco piacere interiore e davanti a me si dispiegava un albero tutto fiorito di speranze . Alla fine dopo un intervallo di più di quattordici giorni , decisi di osare nuovamente una visita. Col solito batticuore suonai alla porta ben cono­ sciuta, si aprì, e - Beethoven in persona si presentò davanti a me: una sorpresa che mi trovò così completamente impreparato che in effetti non seppi trovare alcuna frase per togliermi dall'imbarazzo . Ma chi avrebbe mai creduto che Beethoven potesse aprirsi la porta da sé, come ogni altro semplice cittadino viennese ! Tuttavia la sua natura bonaria e cordiale mi aiutò a superare tutti gli scogli . Poiché, sebbene inizialmente fosse sem­ brato di malumore per il guastafeste non bene accetto, disse molto cor­ dialmente : «Ah, è Lei? È da molto che non mi ha fatto visita! Pensavo che fosse già partito ! » Le parole ovviamente mi stupirono , ma poiché gli si poteva rispondere solo per iscritto, mi accontentai , dopo un cenno di diniego, di spiegargli a gesti che per me sarebbe stato impossibile partire senza aver preso congedo da lui . Niente al mondo mi avrebbe impedito di farlo per lo meno per iscritto . Beethoven mi condusse in camera sua e, porgendomi il taccuino sempre pronto , mi invitò a sedere . Io scrissi : « La Sua malattia mi ha trattenuto dal venire » . «Ah ! » esclamò, scuotendo la testa «questo non avrebbe do­ vuto trattenerLa. Quasi ogni inverno sto male, come in quest'ultimo pe­ riodo . Sto bene solo d'estate quando vado in campagna. Chi Le ha detto che sono stato così malato? » Lo informai brevemente per iscritto , come erano andate le cose . Egli scosse nuovamente la testa. «Ho spesso delle ore nere» , proseguì , «in cui dico ai miei domestici che non devono fare 93

entrare nessuno, ma loro non sanno distinguere . Vengono visite così fasti­ diose : gente altolocata, e io non son buono a trattare con costoro» . « H a ricevuto l e mie poesie? » Gli scrissi, dal momento che fece una pausa. Assentì con la testa e accennò al tavolo, dove tra molte altre carte si trova­ vano sparsi anche alcuni dei miei fogli. «Mi piacciono molto» disse. «Quan­ do starò bene, penso di scrivere la musica per alcune» . Afferrai la sua ma­ no e la strinsi con tutto il calore. Così , mi sembra, era detto tutto meglio che se avessi preso la fredda matita e avessi scritto le rigide parole: «Sa­ rebbe la mia felicità più grande» . Anche Beethoven comprese ciò che in­ tendevo; me lo dissero la stretta di mano ricambiata e il suo sguardo . «Adesso , d'inverno» , cominciò dopo alcuni istanti, « faccio poco ; stendo per iscritto e metto in partitura ciò che ho fatto d'estate. Ma ciò porta via molto tempo . Per il momento devo ancora lavorare ad una messa. Quando sono di nuovo in campagna, mi torna l 'entusiasmo per tutto» . Allora tacque e sembrò attendere che io ricominciassi . Così scrissi : « La scorsa settimana ho conosciuto Suo fratello» . Le parole non fecero affat­ to una buona impressione. Un tratto per metà disgustato , per metà triste comparve sul volto di Beethoven. «Ah, mio fratello» disse infine, «lui chiac­ chiera molto , L ' avrà certamente annoiata! » Era evidente che Beethoven con questa osservazione pungente su un lato del carattere secondario, voleva allontanare sentimenti più amari che non aveva voglia di esprimere. In seguito mi è stato raccontato che era molto mal disposto verso questo fratello; se a ragione o a torto, lasciamo anda­ re; tuttavia ricordando l'affermazione di costui e cioè che aveva promesso diecimila «gulden» al medico che avesse restituito l' udito a Beethoven , a questa magnanima generosità si doveva per lo meno concedere un po' di fiducia. Ma, come ho detto , racconto solo i fatti rigorosamente secondo verità, così fedelmente come essi si sono conservati nei miei appunti e nel­ la mia memoria e mi astengo da ogni giudizio soprattutto perché era diffi­ cile, per il carattere di Beethoven, aver con lui un rapporto personale du­ revolmente sereno . Ma per passare oltre alla spiacevole impressione che innocentemente ave­ vo causato , presi il taccuino e scrissi che avevo sentito il Quartetto in mi bemolle maggiore. Quando lesse le parole, un lampo di gioia animò il suo sguardo stanco; ma fu proprio solo per un istante, poi parlò come rim­ proverando se stesso : « È così difficile. Lo avranno suonato male. Com 'è andato? » La mia risposta scritta suonò nella più concisa brevità: «Era stato provato con cura ed è stato suonato due volte» . - «Questo è bene. Lo si deve sen­ tire più spesso . Le è piaciuto? » La risposta a questa domanda mi mise non poco in imbarazzo : sarebbe già stato difficile a voce; ma nella laconica lingua scritta che mi imponeva il taccuino , fu doppiamente difficile . In94

fatti non potevo decidermi a dare all' uomo che stimavo così tanto una sem­ plice conferma non sentita, e come potevo spiegargli come m'era sembra­ ta l' opera? - Ancora oggi esito ad esprimere a me stesso la mia convin­ zione di trovare in quest' ultima enigmatica opera beethoveniana solo i fram­ menti di quella bellezza esuberante e vigorosa sublimità del suo genio, spes­ so profondamente seppellite sotto devastanti macerie : ancora oggi dun­ que esito davanti a me stesso e ho il dubbio che questa impressione derivi piuttosto dalla mia incapacità di comprensione. Cosa dovevo dirgli quella volta? - Potevo però esprimere una verità assoluta che se non serviva al­ la glorificazione di quest' opera, serviva tuttavia a quella del maestro e che si riferiva allo stato d'animo che l'insieme mi aveva comunicato. Allora gli scrissi : «Il mio animo era profondamente e religiosamente commos­ so» . E in questo momento lo era di nuovo . Beethoven lesse e restò muto: ci guardammo e tacemmo entrambi, ma un mondo di sensazioni oppresse il mio petto . Anche Beethoven era visibil­ mente scosso . Si alzò e andò alla finestra, dove si fermò accanto al suo pianoforte . Vederlo così vicino a questo mi fece venire un' idea, che non avevo mai osato prima. Se si sedesse - ah, gli bastava solo fare mezzo giro per trovarsi davanti alla tastiera, - se volesse trasfondere i suoi sen­ timenti in suoni ! In ansiosa speranza lo seguii, mi avvicinai a lui e posi la mano sullo strumento . Era un pianoforte inglese di Broadwood . Con la sinistra accennai ad un accordo per far voltare Beethoven; ma parve non aver sentito. Eppure, qualche istante dopo , si girò verso di me e poi­ ché vide il mio sguardo fisso sullo strumento , disse : « È un bel pianoforte. L 'ho ricevuto in regalo da Londra. Guardi qua i nomi ! » Accennò col dito alla traversa sopra la tastiera. In effetti vidi incisi lì parecchi nomi che pri­ ma non avevo osservato: erano Moscheles, Kalkbrenner, Cramer, Clementi, Broadwood stesso . Impressionavano , tutti questi nomi insieme . Il ricco fabbricante, amante dell' arte non aveva potuto trovare finalità più degna per uno strumento che gli pareva riuscito particolarmente bene, che farne regalo a Beethoven . I grandi artisti nominati sopra, avevano sottoscritto pieni di rispetto i loro nomi, in un certo senso come padrini di questa idea, e così questa vera e propria pagina di album era stata portata oltre il ma­ re, per deporre ai piedi del sommo , del celeberrimo artista, gli omaggi di quelli che erano celebri . « È un bel regalo», disse Beethoven guardando­ mi: «e ha un bel suono» , continuò e pose le mani sulla tastiera, senza però distogliere lo sguardo da me. Accennò dolcemente ad un accordo : mai più uno simile, così malinconicamente struggente, mi penetrò l'anima. Aveva preso con la mano destra il do maggiore, aggiunse il basso in si e continuò a guardarmi, senza voltarsi . Ripetè più volte l'accordo sbagliato per far risuonare il suono dolce dello strumento , e - il più grande musicista della terra non sentì questa dissonanza ! 95

Se Beethoven si sia accorto del suo errore, non so ; tuttavia quando distol­ se lo sguardo da me per volgerlo verso lo strumento, eseguì alcuni passag­ gi perfetti, come solo una mano esercitata può fare, ma poi smise subito di suonare. Questo fu tutto ciò che sentii direttamente da lui . . . Completamente scosso da questa dolorosa impressione, avevo lasciato Beet­ hoven . Sotto questo fosco cielo , sotto quest' atmosfera grevemente oppri­ mente, appassirono anche i germogli della mia speranza di un nuovo, gran­ de capolavoro . Questo spirito malato e profondamente prostrato non po­ teva più riprender il vigore necessario per una nuova opera, se non inter­ veniva prima il miracolo della guarigione. Chi ha visto Beethoven in que­ sti anni, non potrà mai perdere la convinzione che le sue ultime opere sia­ no profondamente sommerse da questa più fosca nebbia, originata meno dalla tristezza che dall' acerba depressione, dall' amaro malumore . Se per­ ciò possono essere meno belle, meno spontanee, se possono perfino angu­ stiarci, tormentarci , da un certo punto di vista, perché prive della salute assolutamente indispensabile al capolavoro , sono però tanto più commo­ venti se si collega la loro coerenza interna con le nere e dolorose condizio­ ni del creatore . Il mio soggiorno viennese stava per finire . . . almeno per il momento. A stento mi ero salvato un' ora per dire addio a Beethoven nel caso che al mio ritorno non avessi dovuto più vederlo . Quando mi trovai davanti alla sua porta non ebbi più quella oppressiva tensione della prima visita. Sen­ tii che c'eravamo avvicinati , dopo incontri così fuggevoli, nonostante la differenza di età, di direzioni artistiche e nonostante la distanza che mi separava sempre dalla sua grandezza, tanto quanto non avevo osato spe­ rare. Il mio sincero, profondo affetto e la mia ammirazione per lui mi ave­ vano conquistato la sua benevolenza; adesso mi presentavo con fiducia. Ma quale tristezza, che soltanto gli ultimi momenti da passare insieme fos­ sero quelli dell' effettiva conoscenza e piacere reciproci ! Mi sembra che sia il destino dell' uomo arrivare, vedere, comprendere troppo tardi . Posso dare ancora solo poche informazioni sui particolari di quest' ultima visita. Beethoven parlò molto apertamente, con molta agitazione. Io gli espressi il mio rammarico di aver sentito a Vienna, per tutto il tem­ po del mio soggiorno , solo una sua Sinfonia, nessun Quartetto (eccettua­ to quell ' unico), in nessun concerto una delle sue composizioni e di non aver avuto l' occasione di vedere il Fide/io. Questo gli diede l'occasione di esprimersi sul gusto del pubblico viennese . «Da quando gli Italiani (Barbaj a) hanno preso piede qui , così singolarmente, il meglio è stato ri­ mosso . Il balletto è il principale evento teatrale per la nobiltà. Di senso artistico non si deve parlare: hanno solo il senso dei cavalli e delle ballerine . Qui non abbiamo avuto buoni momenti . Non ne domando altri; voglio solo ancora scrivere ciò che rallegra me stesso . Se fossi in sa-

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Iute, non m'importerebbe di niente ! » In questo e in simile modo si espresse. A quel punto io scrissi sul taccuino : « Domani vado alcuni giorni a Pres­ sburg e Eisenstadt ; ma all 'inizio di maggio siamo di ritorno e forse restia­ mo qui ancora un paio di giorni» . - «Vuole già andarsene? » esclamò stu­ pito . Per la difficoltà di comunicare con lui , mi ero limitato all' assoluta­ mente necessario e a ciò che mi veniva richiesto e perciò non lo avevo an­ cora informato della fine del mio soggiorno viennese . «Sì , ha ragione», proseguì «il tempo si fa bello ; anch' io penso già a recarmi in campagna. Se torna, forse sarò già a Moedlingen . Lì starò meglio ; è lì che deve venir­ mi a trovare ! » La mia speranza in questo arrivederci era minima . . . Espressi la mia preoccupazione che forse ci vedevamo per l 'ultima volta, finché non fossi tornato a Vienna per un periodo più lungo , ciò che io prevedevo più o meno per l'anno successivo . Ma com'è lungo un anno ! Quale incerto gli si nasconde dietro ! - Volentieri mi sarei portato via un ricordo dalla camera di Beethoven, forse uno di quei fogli di note scritti selvaggiamente ed a stento leggibili; ma come avrei osato chiedergli una cosa sua. « Sono sicuro che ci rivedremo ancora ! » egli disse, dopo una piccola pau­ sa, in un tono così caldo e cordiale, che io sentii che mi avrebbe rivisto volentieri . Tanto più triste mi sembrò il momento della separazione. Ma era giunto ed io mi congedai . Come sempre, andandomene, volevo strin­ gergli la mano: allora egli mi prese entrambe le mani , mi attirò a sé e mi baciò schiettamente di cuore, senza caricare artificiosamente i suoi senti­ menti, ma solo perché sentiva veramente così , e tutto il mio animo , arden­ te di estasi, si schiuse ed io tenni tra le mie braccia, con una sensazione di indicibile gioia, quell ' uomo caro e stimatissimo . Sì , io sentii che il mio affetto aveva svegliato qualcosa di simile nel suo petto, che mi restituiva un caldo ringraziamento per il cuore che interamente e sinceramente gli avevo offerto . E ciò era per lui qualcosa di insolito? Il sacro sentimento con cui mi ero avvicinato a lui non egli era forse stato offerto più volte dalle molte migliaia di uomini che lo ringraziavano per le forti commozio­ ni ed i sublimi tumulti delle loro anime? Non voglio chiederlo . Eppure mi sembrava come un sogno, ma così reale, così caldo, così umanamente vi­ vo e insieme così sublimamente divino . Il grande, immortale Ludwig van Beethoven tra le mie braccia! Sentii le sue labbra sulle mie ed egli dovette sentirsi bagnato dalle mie calde lacrime di felicità che non riuscivo a trat­ tenere . Così lo lasciai . Non ero in grado di pensare, il mio petto era solo percorso da un'ardente, penetrante sensazione: Beethoven mi ha abbracciato ! E di questa fortuna voglio andare superbo fino all'ultimo giorno della mia vita!

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C. Schweninger, Beethoven; particolare di una stampa fine Ottocento. (Collezione Sergio Carrino, Muggia)

Franz Grillparzer Ricordi di Beethoven

Leggo un saggio del signor Ludwig Rellstab , intitolato «Beethoven» e vi trovo menzionato, in modo non proprio corretto, il mio rapporto col grande maestro all'epoca in cui scrissi per lui il libretto d'opera. Non faccio una colpa al signor Rellstab che senza dubbio ha trascritto fedelmente, fin nel­ le minime parole, ciò che Beethoven gli ha detto. L ' origine dell' impreci­ sione potrebbe piuttosto risiedere nella triste condizione del maestro du­ rante i suoi ultimi anni di vita, che non gli permise di distinguere sempre chiaramente gli eventi reali da quelli pensati . Ciò che riguarda un gran uo­ mo, è sempre interessante: voglio perciò raccontare il più fedelmente pos­ sibile il nostro incontro e ciò che ne conseguì. In effetti mi fa anche piace­ re richiamare alla mente, in quest' occasione i miei ricordi di Beethoven e annotarli qui . L a prima volta che vidi Beethoven ero u n ragazzo - poteva essere il 1 804 o 1 805 , e fu durante una serata musicale in casa di mio zio , Joseph Sonn­ leithner, allora socio di un negozio d'arte e di musica di Vienna. Oltre a Beethoven tra i presenti si trovavano Cherubini e l'abate Vogler. Quella volta era ancora magro , con i capelli neri e vestito molto elegantemente se penso all'abitudine che prese in seguito , e portava gli occhiali . Lo notai bene, perché successivamente non si servì più di questo mezzo per correg­ gere la vista. Se fu lui stesso a suonare in questa serata, o Cherubini, non riesco più a ricordarmelo . Mi ricordo solamente che quando il servitore annunciò che la cena era pronta, l ' abate Vogler si sedette ancora al piano e cominciò a suonare variazioni senza fine su un motivo africano che ave­ va portato egli stesso dalla terra materna. A poco a poco, mentre stava ancora esibendosi , la gente si disperse nella stanza da pranzo . Restarono solamente Beethoven e Cherubini . Alla fine se ne andò anche quest' ulti­ mo e Beethoven rimase solo accanto a quell'uomo instancabile. I nfine an­ eh' egli perse la pazienza, senza che per questo l ' abate Vogler, lasciato or99

mai completamente solo, cessasse di accarezzare il suo tema in tutte le pos­ sibili forme. Anch' io ero rimasto lì intontito e attonito per l 'enormità del­ la cosa. Su ciò che accadde dopo questo momento la mia memoria mi ab­ bandona completamente, come succede spesso con i ricordi giovanili . Ac­ canto a chi Beethoven sedette a tavola, se si sia intrattenuto con Cherubi­ ni , o se a loro più tardi si sia unito l'abate Vogler - per me è come se un oscuro sipario fosse stato tirato su tutto. Uno o due anni dopo mi trovavo a passare l'estate con i miei genitori a Heiligenstadt, un paese vicino a Vienna. Il nostro appartamento dava sul giardino, mentre Beethoven aveva affittato le camere verso la strada. Le due abitazioni erano collegate da un corridoio comune che conduceva alle scale. Mio fratello ed io ci occupavamo ben poco di quell' uomo singolare che talvolta ci si parava davanti brontolando - in quel frattempo egli era diventato più corpulento e se ne andava in giro vestito assai trasandata­ mente, anzi perfino sporco . - Ma mia madre, un' appassionata di musi­ ca, quando lo udiva suonare il pianoforte non resisteva ed attraversava il corridoio comune non certamente per affacciarsi alla sua porta, ma alla nostra, immediatamente vicina ed ascoltava devotamente. Questo poteva essere accaduto un paio di volte, quando improvvisamente la porta di Beet­ hoven si aprì, uscì lui in persona, vide mia madre, tornò indietro di corsa e immediatamente, con il cappello in testa, volò giù per le scale e fu in strada. Da quel momento non toccò più il suo pianoforte. Invano mia ma­ dre lo rassicurò tramite i suoi servitori , poiché tutti gli altri mezzi le erano preclusi , che non solo nessuno lo avrebbe più ascoltato, ma anche che la nostra porta sul corridoio sarebbe restata chiusa e che tutti i coinquilini si sarebbero serviti, invece della scala comune, dell' uscita meno diretta at­ traverso il giardino : Beethoven rimase irremovibile e lasciò muto il suo piano , finché con l 'autunno inoltrato non tornammo in città. Alcune estati dopo, era solito far frequenti visite a mia nonna, che posse­ deva una casa di campagna lì vicino, a Dobling . In quel tempo anche Beet­ hoven abitava a Dobling . Di fronte alle finestre di mia nonna si trovava la casa cadente di un contadino screditato per i suoi cattivi costumi che si chiamava Flehberger. Questo Flehberger, oltre alla sua brutta casa, aveva anche una figlia molto bella, Lise, che però non aveva una reputazione molto incoraggiante . Beethoven sembrava interessarsi molto alla ragazza. Lo vedo ancora salire per la Hirschengasse, trascinando a terra il fazzolet­ to bianco che teneva nella destra e fermarsi sulla soglia del cortile di Fleh­ berger a guardare la frivola bellezza che, in piedi su un carro di fieno o di letame, stava lavorando energicamente con il forcone tra continui scoppi di risa. Non ho mai notato che Beethoven le rivolgesse la parola, se ne stava piuttosto in silenzio a guardare, finché la ragazza, che trovava più di suo gusto i giovani contadini , non incominciava a prenderlo in giro o 1 00

faceva finta di ignorarlo completamente. Allora, improvvisamente, vol­ tandosi rapido , si allontanava, ma la volta successiva non tralasciava di fermarsi di nuovo davanti al portone del cortile . Anzi, il suo interesse an­ dò così in là, che quando il padre della ragazza finì nella prigione del pae­ se per una rissa tra ubriachi, Beethoven si adoperò personalmente presso il consiglio comunale . Ma trattò i severi consiglieri con quel suo fare così impetuoso che mancò poco che fosse costretto a far compagnia in prigio­ ne al suo protetto . In seguito lo vidi tutt'al più per strada e un paio di volte al caffè, dove si dava molto da fare con un poeta ormai morto e dimenticato da tempo , un certo Ludwig Stoll , un fedele di Novalis e Schlegel . Si diceva che pro­ gettassero insieme un' opera. Resta incomprensibile come Beethoven po­ tesse aspettarsi da questo sognatore inconcludente qualcosa di costrutti­ vo, anzi come potesse aspettarsi qualcosa di diverso da vuote fantastiche­ rie tutt'al più ben versificate. Frattanto io stesso avevo intrapreso la strada della notorietà. L 'avola, Saf­ jo, Medea, Ottokar erano già apparsi, quando inaspettatamente l'allora direttore di entrambi i teatri di corte, il conte Moritz Dietrichstein, mi in­ formò che Beethoven si era rivolto a lui perché mi persuadesse a scrivere un libretto d' opera per lui, Beethoven . Questa richiesta, lo confesso ora, mi mise non poco in imbarazzo . Quella volta l 'idea di scrivere un libretto d'opera per me era abbastanza remota e poi dubitavo che Beethoven fosse ancora in grado di comporre. Nel frat­ tempo era infatti diventato completamente sordo e le sue ultime composi­ zioni, fermo restando il loro eccelso valore, avevano assunto un carattere amaro che mi sembrava non adatto ad un' opera lirica. Ma il pensiero di dar forse occasione ad un grand 'uomo di comporre un'opera in ogni caso molto interessante, superò tutte le remore ed io acconsentii . Tra i soggetti drammatici che mi ero preparato in vista di una successiva elaborazione, ce n'erano due che sembravano adeguati ad un lavoro ope­ ristico . Uno trattava di una folle passione . Ma oltre al fatto che non sape­ vo quale cantante sarebbe stata all' altezza del ruolo principale, non vole­ vo nemmeno dare occasione a Beethoven di avvicinarsi ai limiti estremi della musica, che già senza questo soggetto quasi diabolico, erano lì mi­ nacciosi come precipizi . Scelsi perciò la favola di Melusine, eliminai alla meglio gli elementi secon­ dari e cercai per quanto possibile di adattarmi alle tendenze proprie del­ l 'ultimo Beethoven facendo prevalere i cori e seguire a un terz'atto quasi melodrammatico un violento finale. Mi astenni dal conferir prima con il Compositeur sul soggetto, poiché volevo mantenere la libertà del mio punto di vista e poter eventualmente anche più tardi cambiare qualcosa, e infine per !asciarlo libero di mettere o meno in musica il libro . Anzi , per non 101

fargli nessuna violenza da quest' ultimo punto di vista, gli feci pervenire il libro nello stesso modo in cui mi era pervenuta la richiesta. Egli non doveva venir influenzato o messo in difficoltà da nessuna considerazione personale. Un paio di giorni dopo venne da me Schindler, quella volta l' uomo d'af­ fari di Beethoven - lo stesso che più tardi ha scritto la sua biografia e mi invitò , in nome del suo signore e maestro, che era ammalato, a fargli visita. Mi vestii e ci recammo a casa di Beethoven che in quel tempo abita­ va nella periferica Landstrasse . Lo trovai disteso su un letto sfatto, con addosso una camicia da notte sporca e un libro in mano . A capo del letto c'era una piccola porta che, come vidi dopo, conduceva nella dispensa e che Beethoven per così dire sorvegliava. Infatti quando in seguito ne uscì una domestica con burro e uova, egli non potè trattenersi, nel mezzo di un ardente discorso , dal volgere uno sguardo scrutatore alle quantità por­ tate. Tale fatto dava un ben triste quadro dei disagi della sua vita privata. Come entrammo , Beethoven si alzò dal letto, mi tese la mano, si effuse in espressioni di benevolenza e venne subito a parlare dell' opera. « La Sua opera vive qui» , disse indicando il petto; «tra un paio di giorni vado in campagna e lì voglio subito iniziare a comporre. Solamente sono in diffi­ coltà con il coro iniziale dei cacciatori . Weber ha usato quattro corni; Lei vede bene che io dovrei prenderne otto: dove ci porterà tutto questo? » Ben­ ché mi sfuggisse la necessità di questa conclusione, gli spiegai tuttavia che il coro dei cacciatori avrebbe potuto venir eliminato senza danneggiare il tutto . Parve molto contento di questa concessione e né allora, né più tardi ha mai fatto un'obiezione al testo , né richiesto un cambiamento . Anzi quel giorno insistette per stipulare subito un contratto con me. I profitti dell'o­ pera dovevano venir suddivisi in parti uguali fra noi due . . . Gli spiegai in tutta sincerità che per nessun mio lavoro avevo mai pensato a un onorario o a qualcosa di simile. Meno di tutto avremmo dovuto parlare di soldi . Poteva fare col libro ciò che voleva, io non avrei mai stipulato un contrat­ to con lui . Dopo aver chiacchierato molto del più e del meno , anzi scritto, perché Beethoven non ci sentiva più , mi ritirai promettendo di fargli visita ad Hetzendorf, se si fosse stabilito lì . Speravo che avesse ormai abbando­ nato la parte commerciale della sua idea. Ma già dopo un paio di giorni venne da me il mio editore, W allishauser, a dirmi che Beethoven insisteva per la stipulazione del contratto. Se io non avessi potuto decidermi in questo senso, dovevo cedere il mio diritto di proprietà sul libro a lui , Wallishauser, ed egli avrebbe risolto il resto con Beethoven che era già stato avvertito . Fui contento di poter risolvere la questione e, dietro versamento di un'equa cifra, cedetti a Wallishauser tutti i diritti d'autore e non ci pensai più . Se essi conclusero effettivamente un contratto non lo so , ma lo devo credere, perché altrimenti Wallishauser 1 02

non avrebbe mancato di lamentarsi come al solito con me per il denaro buttato via. Ricordo tutto questo solo per confutare quanto Beethoven disse al signor Rellstab e cioè che egli avrebbe voluto qualcosa di diverso da ciò che volevo io . Anzi, allora era così fermamente deciso a comporre l 'opera, che pensava già ad organizzare i passi successivi al compimento della stessa. Nel corso dell'estate, in seguito al suo invito , mi recai con Schindler a Het­ zendorf per far visita a Beethoven . Non so se fu Schindler a dirmelo per strada o se qualcun altro mi aveva già informato che Beethoven, impedito da alcuni urgenti lavori che gli erano stati commissionati , non aveva an­ cora iniziato a scrivere l' opera. Evitai perciò di portare il discorso su que­ sto argomento . Facemmo insieme una passeggiata e discorremmo piace­ volmente (nei limiti in cui è piacevole camminare e insieme chiacchierare mezzo a voce e mezzo per iscritto) . Mi ricordo ancora con commozione che Beethoven, quando ci sedemmo a tavola, andò nella stanza attigua e uscì portando cinque bottiglie . Una la mise davanti al piatto di Schin­ dler, una davanti al suo e allineò le altre tre davanti a me. Probabilmente voleva farmi capire, col suo fare bonario e selvaggiamente naiv che pote­ vo bere quanto mi aggradiva. Quando volli tornare in città, senza Schin­ dler, che si fermava a Hetzendorf, Beethoven insistette per accompagnar­ mi. Si sedette vicino a me nella carrozza aperta ed invece di scendere ai limiti del circondario , mi ricondusse fino alle porte della città. Qui scese e dopo una cordiale stretta di mano riprese solo la via del ritorno, lunga ben un'ora e mezza. Quando smontò dalla carrozza, notai un foglio do­ v'era prima seduto . Credetti che l'avesse dimenticato, e gli feci cenno di tornare indietro . Ma lui scosse la testa e con una forte risata, come dopo una beffa riuscita, corse rapidamente nella direzione opposta. Srotolai il foglio che conteneva esattamente l 'importo del viaggio che avevo fissato con il mio cocchiere. Il suo modo di vita lo aveva così estraniato da tutte le abitudini ed usi del mondo, che non gli venne affatto in mente che in altre circostanze un tale comportamento sarebbe stato offensivo . Del re­ sto per quel che mi riguarda, compresi le intenzioni di Beethoven e pagai ridendo il mio cocchiere con quei soldi regalati. In seguito lo rividi ancora - non so più dove - un' unica volta. In quel­ l' occasione mi disse: « La Sua opera è terminata» . Non posso dire se con quelle parole intendesse : terminata nella sua testa, oppure se gli innume­ revoli libri di appunti in cui usava annotare idee e figure per elaborazioni successive e comprensibili solo a lui, contenessero frammentariamente an­ che gli elementi di quell' opera. Quel che è certo , è il fatto che dopo la sua morte non si trovò un' unica nota indiscutibilmente riferibile a quella no­ stra opera comune. Del resto io rimasi fermo nel mio proposito di non ricordargli minimamente la cosa e poiché mi riusciva pesante comunicare

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per iscritto, non gli andai più vicino, fino al momento in sui seguii il suo feretro , vestito a lutto e con una fiaccola accesa in mano. Due giorni prima, di sera, Schindler era venuto da me con la notizia che Beethoven stava per morire e che i suoi amici mi chiedevano un discorso, che l'attore Anschuetz avrebbe dovuto tenere sulla sua tomba. Rimasi tanto più scosso dalla notizia in quanto sapevo poco della malattia, tuttavia cer­ cai di organizzarmi le idee e la mattina seguente iniziai a stendere il discor­ so. Ero giunto alla seconda parte quando Schindler si ripresentò per pren­ dere ciò che mi aveva commissionato . Infatti Beethoven era morto . La no­ tizia mi colpì profondamente, non riuscii a trattenere le lacrime e - come mi succedeva anche per altri lavori quando la commozione mi soprafface­ va - non ebbi la capacità di portare a termine il discorso nella sua pre­ gnanza iniziale. Il discorso fu comunque tenuto , gli accompagnatori si al­ lontanarono profondamente commossi e Beethoven non era più fra noi ! lo ho veramente amato Beethoven. Se so riportare solo poche sue affer­ mazioni, è principalmente perché di un artista non m'interessa ciò che di­ ce ma ciò che fa. Se le chiacchiere dessero la misura del valore di un arti­ sta, allora la Germania odierna sarebbe così piena di artisti, quanto in realtà ne è vuota. Anzi , solo quella capacità attitudinale alla riflessione che si esprime spontaneamente, va a vantaggio della forza creativa ed è la fonte della vita e della verità individuale . Quanto più ampio il cerchio, tanto più ard uo completarlo. Quanto più grande la massa, tanto più problema­ tico animarla. Quando il sapere di Goethe era ancora limitato, scrisse la prima parte del Faust; quando l 'intero regno del sapere gli fu familiare, la seconda. Delle asserzioni spicciole di Beethoven , mi viene incidental­ mente in mente che stimava molto Schiller e che sosteneva che la sorte dei poeti è più felice di quella dei musicisti perché hanno un raggio d'azione più ampio . E mi ricordo ancora che l'Euryanthe di Weber, quella volta appena presentata, sembrava piacergli poco, come a me del resto . Ma tut­ to sommato potrebbero esser stati proprio i successi di Weber a fargli ve­ nire l' idea di scrivere una nuova opera. Ma si era abituato talmente tanto al libero volo della fantasia, che nessun libretto d'opera al mondo sarebbe stato in grado di vincolare a schemi prefissati i suoi sfoghi . Egli cercava e cercava ma non trovava niente, perché non c'era niente per lui . Eppure uno dei molti soggetti che gli propose Rellstab avrebbe perlomeno dovuto avvicinarlo all' idea, soprattutto prima che potesse dissuaderlo la presenza poco consistente nei concerti viennesi delle sue composizioni . Il mio libretto di cui non potevo più considerarmi proprietario , arrivò in seguito, attraverso la libreria di Wallishauser, nelle mani di Konradin Kreut­ zer. Se nessuno dei musicisti viventi di oggi trova il mio libretto degno di essere musicato , posso solo rallegrarmene. La musica si trova in tristi con­ dizioni al pari della poesia e certamente per l' ignoranza dei campi d'azio1 04

ne delle diverse arti . La musica tende ad espandersi trapassando in poesia, come da parte sua la poesia in prosa. Sembra che questa vecchia separa­ zione delle arti non sia di moda, almeno finché i filosofi e gli storici d'arte - mi riferisco a Gervinus e ai mezzi sapienti della sua razza che vedono l'insufficienza del loro settore come una qualificazione per ogni altro - , finché simili chiacchieroni ignoranti occupano i l terreno dell'arte. M a dal­ l ' animo sano della nazione c ' è da aspettarsi che essa si sottragga ben pre­ sto alla tirannia delle parole e ritorni alle cose e ai fatti . Per finire ancora un paio di versi, che ho buttato giù poco tempo fa e per i quali non trovo luogo migliore: «Va un uomo in rapido passo con la sua ombra fedele -, per il bosco, il campo e il granoturco, va e vorrebbe esser oltre; un fiume tenta di rubargli il coraggio, precipita dentro e taglia le onde all'altra riva risale, indomito prosegue la corsa. Ora è giunto allo scoglio, allarga le braccia, la paura è per tutti : un salto - guarda! incolume ha superato l'abisso. Per altri arduo, per lui un gioco, è gjà vincitore al traguardo; ma non ha spianato una strada. Quest'uomo mi ricorda Beethoven» .

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W . Thony, Beethoven al forte-piano; disegno . (Albertina, Vienna)

Friedrich Wieck Visita a Beethoven

Si era nel maggio 1 826 quando fui presentato a Beethoven da un comune amico , geniale artefice di strumenti musicali, il famoso Andreas Stein che si occupava del perfezionamento di nuovi mezzi acustici in casa del mae­ stro . Altrimenti, diceva Stein, Beethoven non mi avrebbe ricevuto. Passammo parecchie ore da lui chiacchierando , sotto rossi grappoli d ' u­ va, della situazione musicale di Lipsia - Rochlitz - Schicht - Gewandhaus - la sua domestica - i suoi molti alloggi, a lui inadatti - le sue passeggiate - Hietzing - Schonbrunn - suo fratello - diverse persone stupide di Vienna - aristocrazia - democrazia - rivoluzione - Napoleone - Mara, Catalani, Malibran, Rubini . . . - della perfetta opera italiana (le opere tedesche non potrebbero mai raggiungere tale perfezione a causa della lingua e poi per­ ché i tedeschi non sanno cantare bene come gli italiani) - e le mie opinioni sul pianoforte - l ' arciduca Rodolfo - Fuchs a Vienna, una personalità del­ l ' ambiente musicale famosa a quei tempi - [ . . . ] mentre io continuavo a scrivere velocissimo (poiché egli poneva molte e pressanti domande) e ad essere interrotto (comprendeva tutto già prima che io finissi di risponde­ re) , ma il tutto con un certo calore, perfino nelle espressioni disperate e nello sguardo penetrante dei suoi occhi e in quel suo afferrarsi la testa e i capelli . Tutto lasciava trasparire qualcosa di duro, forse talvolta di cru­ do , ma nobile, lacerante, sensibile, fermo , ispirato : una dolorosa solitudi­ ne. E poi? I mprovvisò per più di un'ora, dopo essersi adattato il suo ap­ parecchio acustico e averlo collegato alla cassa di risonanza di quel gran­ dissimo pianoforte regalatogli da Londra e già piuttosto consumato, dal suono molto forte e aspro . Suonò in maniera fluente e geniale, con effetti orchestrali; possedeva ancora grande virtuosismo nell 'incrociare le mani, anche se talvolta sbagliava, e chiarissime melodie favolosamente intrec­ ciate si libravano spontaneamente . Gli occhi rivolti al cielo e le dita sicure . Dopo tre ore di altissima tensione, col cuore palpitante, dopo lo scrivere

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stressante e rapidissimo e lo sforzo estremo per dare risposte brevi e cen­ trate, interrotte sempre da nuove domande, con tutte le membra percorse da sommo rispetto e dalla intima gioia di aver avuto tale fortuna - e in più il vino ! dopo un cordiale congedo e il mio augurio che potesse tro­ vare presto l ' apparecchio acustico adatto , perché la scienza già adesso sta facendo grandi scoperte in questo campo , me ne andai con Andreas Stein, completamente esaurito, perso in meravigliose sensazioni, scosso dall' In­ credibile. Potevo solo rapidamente prender la via del ritorno , da Hietzing a casa. -

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Dr. L . Beethoven a Gneixendorf

Con la convinzione che anche il più piccolo particolare serve a completare il ritratto del nostro insuperato maestro , che ogni particolare è d'interes­ se, m ' ero rivolto tempo fa ad un amico d'infanzia, ora farmacista a Lan­ genlois, con la preghiera di trasmettermi tutto ciò che veniva a sapere sul soggiorno di Beethoven a Gneixendorf, nella tenuta di suo fratello Johann, nella Bassa Austria. Non solo lui, ma anche l ' attuale proprietario vennero incontro molto gen­ tilmente al mio desiderio . Così ora comunico, frammentariamente e scar­ namente come mi è pervenuto il poco che si può ricavare da queste fonti fidate. Johann van Beethoven si recò un giorno, in compagnia di suo fratello Lud­ wig e di altre persone, da Gneixendorf a Langenfeld, per far visita al chi­ rurgo Karrer, ospite assiduo di casa Beethoven, ma non lo incontrarono, perché era stato appena chiamato da un ammalato . La signora Karrer si sentì assai lusingata dalla visita dell' «illustre possidente» e per l 'occasione incominciò a bandire riccamente la tavola, quando il suo sguardo cadde su un uomo, che si era seduto sulla panca accanto alla stufa e se ne stava taciturno e schivo . Credendo che fosse un servitore, riempì un boccale di terracotta col vino nuovo e lo porse gentilmente al compositore con que­ ste parole: «T o ' , fatti una bella bevuta ! » Quando il chirurgo Karrer di sera tardi tornò a casa, dalla descrizione dell' uomo seduto presso la stufa indovinò subito chi era effettivamente ed esclamò : «Ma cara donna, che hai fatto ! Il più grande compositore del secolo era oggi a casa nostra e tu l 'hai trattato così male ! » . J ohann v an Beethoven aveva per caso da concludere degli affari a Lan­ genlois col sindaco Sterz. Ludwig lo accompagnò . Durante le trattative piuttosto lunghe Ludwig stette immobile ed assente sulla porta della can­ celleria . Al momento di andarsene, Sterz gli fece molti complimenti e poi

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chiese al cancelliere Fux, un appassionato di musica e particolarmente di quella beethoveniana: «Chi pensate che sia l 'uomo che era lì alla porta? » Fux rispose: «Poiché, signor sindaco, Lei gli ha fatto tanti complimenti, deve essere qualcuno, altrimenti lo avrei preso per un cretino» 1 • Fux re­ stò non poco impressionato , quando il suo capo gli disse il nome dell' uo­ mo che lui aveva preso per un idiota. Michael Krenn è morto da un anno. Faceva parte del personale di servizio che all'epoca del soggiorno di Ludwig van Beethoven a Gneixendorf si tro­ vava nel castello del fratello. Tre suoi figli sono ancora vivi ; uno di questi, Michael, era in quel periodo al servizio di Ludwig. Egli racconta quanto segue : Ludwig van Beethoven si trovava a Gneixen­ dorf nel 1 826 e più esattamente nel periodo che va dalla mietitura alla ven­ demmia (in pratica i mesi di agosto, settembre, ottobre) . Michael Krenn fu assunto a servizio del Compositeur dalla padrona di casa. I primi tempi il compito di fare il letto a Beethoven spettava alla cuoca. Ma una volta successe che il maestro , seduto alla sua scrivania, cominciò a fare grandi gesti , a battere il tempo coi piedi e a canticchiare. Allora la cuoca si mise a ridere; non appena Beethoven se ne accorse, la cacciò immediatamente . Michael voleva scappare con lei, ma Beethoven lo trattenne, gli regalò tre monete da venti «pfennig», gli disse che non doveva aver timore, che avreb­ be dovuto solo fargli il letto e riordinargli la stanza ogni mattina. Michael doveva alzarsi sempre presto di mattina, ma il più delle volte gli toccava bussare a lungo, prima che Beethoven gli venisse ad aprire. Quest' ultimo usava alzarsi alle cinque e mezzo: si sedeva alla scrivania, batteva il tempo con le mani e coi piedi e, canticchiando e borbottando, scriveva. Al prin­ cipio a Michael veniva da ridere; così sgusciava fuori dalla porta, ma un po' alla volta ci fece l'abitudine. Facevano tutti colazione alle sette e mez­ zo; dopo di che Beethoven s' affrettava ad uscire, girovagava per i campi, gridava, faceva grandi gesti, ora camminava molto lentamente, ora quasi correva, oppure si fermava e scriveva in una specie di libretto. Un giorno , arrivato a casa, si accorse di averlo perduto. « Michael» disse «corri a cerQuesto atteggiamento di Beethoven, d'indifferenza ed apatia, spiegabile con la sordità, va solo riferito all'episodio della cancelleria, poiché la sua espressione era tutt'altro che stupida. L 'eccezionale luce dei suoi occhi, inquietantemen­ te singolare, era d'intensità superiore alla media, come io posso confermare dal momento che ho avuto la fortuna di poter vedere in viso quest'uomo straordinario, anzi - per quanto spiacevolmente - di essere guardato da lui . Mi è capitato di incontrarlo quando, da giovane campagnolo qual'ero appena trapiantato a Yienna, dovevo ancora appro­ priarmi di quell'agile coreografica arte del volteggio, così necessaria per cavarsela tra la folla della capitale. Cosl un giorno, mentre passavo di corsa per una stretta viuzza, mi scontrai con un uomo che mi fissò con uno sguardo pene­ trante e poi proseguì. Non dimenticherò mai quello sguardo in cui potei scorgere un luminoso abisso! Ma c'è veramente da meravigliarsi se mentre cercavo di collegare l'abbigliamento trasandato, il volto abbronzato con lo sguardo che par­ lava di intelligenza e ponderatezza, mi venne l'idea di aver incontrato uno scaltrissimo e pericolosissimo ladro, di quelli che girovagano per le grandi città? Con questo sospetto quando mi capitava di riincontrarlo lo fissavo a lungo, con curiosità e senza alcun rispetto. Egli lo aveva notato, poiché una volta puntò su di me, inquietante e sprezzante, quei suoi piccoli occhi lampeggianti, e di me non volle saper altro. Un amico mi svelò casualmente chi era l'uomo in cui mi ero imbattuto. Allora ogni volta che lo incontravo mi toglievo il cappello e mi inchinavo fino a terra: ma egli ignorò la mia cortesia, così come prima aveva ignorato la mia maleducazione.

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care i miei scritti ! devo riaverli a tutti i costi ! » . In effetti furono ritrovati . Alla mezza era solito venire a casa a mangiare, dopo il pranzo restava in camera sua più o meno fino alle tre, poi usciva di nuovo in giro per i cam­ pi fino al tramonto ; dopo quest' ora non usciva mai . La cena era per le sette e mezzo , dopo di che si recava in camera sua e scriveva fino alle die­ ci, ora in cui andava a letto . Talvolta Beethoven suonava il pianoforte che non si trovava in camera sua, bensì nel salone . Il salotto , nonché camera da letto di Beethoven, in cui nessuno poteva metter piede oltre a Michael, occupava la stanza d'angolo, volta verso il giardino ed il cortile, dove adesso si trova il biliardo . Mentre Beethoven faceva la sua passeggiata mattutina, Michael doveva riordinare la stanza. Più volte trovò del denaro per terra. Quando lo resti­ tuiva a Beethoven, questo gli chiedeva dove l'avesse trovato . Michael do­ veva solo mostrargli il posto dove lo aveva raccolto , perché glielo regalas­ se. Ciò accadde tre, quattro volte, poi Michael non trovò più denaro spar­ so. Alla sera Michael doveva sedere accanto a Beethoven e rispondergli per iscritto alle domande che questi gli poneva. Il più delle volte veniva interrogato su ciò che si era detto di lui a pranzo e a cena. Un giorno la moglie del padrone mandò Michael con cinque gulden a Stein per comperare del vino e un pesce 2 • Michael per sbadataggine perse il denaro e tornò dopo mezzogiorno a Gnei­ xendorf assai preoccupato. La padrona gli chiese subito dov'era il pesce, e quando lui le raccontò della perdita del denaro , lo cacciò immediata­ mente . Quando Beethoven venne a pranzo chiese subito del suo Michael . La padrona gli raccontò l'accaduto. Allora Beethoven si adirò terribilmente, diede alla padrona i cinque gulden e furibondo pretese che Michael fosse fatto tornare immediatamente. Da questo momento in poi non pranzò più con gli altri, ma si faceva portare il pranzo in camera. E sempre in camera Michael doveva preparargli la colazione . Del resto, secondo la testimo­ nianza di Michael, Beethoven non parlava quasi mai con la cognata già prima dell' incidente e molto poco con suo fratello . Michael ricordò anco­ ra che Beethoven voleva portarlo con sé a Vienna, ma non se ne fece nien­ te, perché venne una cuoca a prendere il compositore . Due contadini più anziani che furono interrogati dall' attuale proprieta­ rio, confermano la testimonianza di Michael Krenn per quel che riguarda lo strano girovagare di Beethoven per i campi di Gneixendorf. Anche essi inizialmente lo presero per matto e si tennero ben lontani da lui; più tardi vi si abituarono e quando vennero a sapere che era il fratello del padrone, 2

Questa cittadina s u l Danubio e r a scalo abituale delle navi c h e da laghi e fiumi pescosi portavano a Vienna settimanal­ mente granchi e pesci rari.

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iniziarono a salutarlo cortesemente, ma lui, perso in pensieri, non rispon­ deva mai o quasi mai . Uno di questi contadini, a quei tempi ancora giovane, causa Beethoven, ebbe anche una piccola avventura. Un giorno - come egli racconta ­ si dirigeva con due giovani buoi , non ancora abituati al giogo, dalla for­ nace al castello, quando gli venne incontro Beethoven gridando, gestico­ lando, agitando in aria le mani . Il contadino gli urlò di «darsi una calma­ ta», ma Beethoven non ci badò. Allora i buoi s'adombrarono e corsero su per un ripido pendio. Il contadino riuscì a fermarli a fatica, li fece gira­ re e li diresse giù per il pendio fino alla strada. In quel momento Beethoven stava ritornando dalla fornace, sempre can­ tando e agitando le mani . Il contadino gli lanciò un altro grido di allarme e nuovamente invano , cosicché i buoi si misero a correre con le code ritte verso il castello , dove qualcuno provvide a trattenerli. Quando finalmente giunse il contadino e chiese chi era l ' uomo che aveva fatto adombrare i suoi buoi, seppe che si trattava del fratello del padrone. Il contadino com­ mentò: «Secondo me è un fratello ben strano ! » . Queste frammentarie notizie mi sono sembrate degne di essere pubblicate non tanto per incrementare di un paio di storielle le pungenti minuzie aned­ dotiche su Beethoven, quanto per i colpi di luce che gettano sul carattere del grande compositore e di suo fratello . Il comportamento di quest' ultimo a Langenfeld e a Langenlois testimonia chiaramente la poca considerazione che soleva tributare al suo geniale fra­ tello da lui ritenuto , come del resto dai suoi contadini, nient' altro che un pazzo . Al miserabile sarebbe bastato solo aprir bocca, in casa del chirur­ go e nell' u fficio del sindaco , per risparmiare al più grande musicista del secolo un'umiliazione. L 'altezzoso «possidente di terre» temeva forse di venir messo in ombra dal «possidente di cervello»? Ma molto interessante appare il rapporto di Ludwig van Beethoven con il suo famulo Michael Krenn. Confrontiamo come il grande spirito anda­ va d'amore e d' accordo con un campagnolo , certamente povero ed igno­ rante, ma buono, semplice e onesto - è significativo l 'episodio del dena­ ro sparso - con le escandescenze a cui Beethoven si lasciava andare, quan­ do si sentiva provocato dalle persone che lo circondavano nella capitale . Viene da pensare che questi sfoghi, così deleteri per Beethoven, dal punto di vista umano ed artistico, radicati certamente in parte nelle sue debolez­ ze caratteriali, possano essere stati in fondo degne reazioni di difesa di un' interiorità retta, semplice e onesta contro il suo opposto , contro ciò che viene comunemente chiamato «bel mondo e bon ton».

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A ndreas Wawruch Diagnosi medica retrospettiva dell'ultimo periodo della vita di Beethoven

Vienna, 20 maggio 1 827 Dopo Mozart e Haydn è scomparso , profondamente compianto da tutti, anche l 'ultimo triumviro della musica austriaca. Il mondo ha tributato al­ ti onori alla sua M usa; il suo straordinario talento, il nome così celebrato, sono penetrati fino agli estremi confini dell' umanità civilizzata. Un tale uomo appartiene d'ora innanzi alla storia della sua arte. Pertanto io , co­ me suo medico curante, credo di assolvere un chiaro impegno rendendo noti ai suoi numerosi ammiratori ed amici alcuni particolari della sua ma­ lattia. I talenti rari come il suo, sono generalmente ricchi di momenti inte­ ressanti fino alla morte, che nessuno meglio del medico amico può racco­ gliere . Questo breve scritto perciò non è una formale storia della malattia (poiché quale attrattiva potrebbe offrire a chi non è addentro alla profes­ sione?), ma un semplice racconto di fatti attestanti la coraggiosa soppor­ tazione di Beethoven, la quieta rassegnazione con cui guardava l'avvici­ narsi della fine. Ludwig van Beethoven sosteneva di aver avuto fino dalla prima giovinez­ za una salute vigorosa e stabile che era uscita temprata da qualche piccolo disturbo e che non poteva venir minimamente minata né dagli amati e stres­ santissimi lavori, né dal pertinace e impegnativo studio. Da sempre la so­ litaria calma notturna era la più congeniale alla sua ardente fantasia. Per­ ciò egli era solito scrivere fino alle tre di notte. Un breve sonno di quattro o cinque ore bastava per metterlo completamente in sesto . Dopo colazio­ ne sedeva nuovamente fino alle due di pomeriggio alla scrivania. Ma alla soglia dei trent' anni cominciò a soffrire di emorroidi assieme a fastidiosi ronzii e sibili in entrambi gli orecchi . Presto cominciò a sentirei poco e benché avesse spesso , per dei mesi, intervalli senza dolore, il suo male crebbe fino alla sordità completa. Tutti i tentativi dell ' arte medica 1 13

restarono infruttuosi . All' incirca in questo periodo Beethoven cominciò a sentire dolori all' apparato digerente : perse l 'appetito per le difficoltà di digestione, per i fastidiosi vomiti , ora per l 'ostinata costipazione, ora per la frequente diarrea. Mai abituato a prendere seriamente in considerazione un consiglio medi­ co , cominciò a darsi alle bevande alcoliche per stimolare l'appetito e ad aiutare la debolezza dello stomaco con forti punch e con gelati, veramente eccessivi, e con lunghe e stancanti passeggiate. Proprio questo cambiamento nel suo modo di vita lo condusse con circa sette anni d'anticipo sull'orlo della tomba. Gli venne un'infiammazione intestinale difficile da curare, che gli causò dolori e coliche violente sempre più frequenti , che dovettero favorire in parte il successivo sviluppo della malattia mortale. Nel tardo autunno dello scorso anno ( 1 826) Beethoven fu preso dall'irre­ sistibile voglia di recarsi in campagna per recuperare la sua ormai vacil­ lante salute . Poiché a causa della sua completa sordità evitava ogni com­ pagnia, si trovò abbandonato a se stesso in quelle penose condizioni per giorni e settimane. Spesso elaborava con raro accanimento , sul declivio di una collina boscosa, le sue opere e poi , messo da parte il lavoro , ancora con il cervello in fiamme, correva in giro per delle ore attraverso l'inospi­ tale contrada, sfidando ogni tempo e non di rado aspre tempeste di neve. I suoi piedi già da tempo sofferenti , di quando in quando , cominciarono a gonfiarsi e poiché (come affermava) doveva per forza fare a meno di ogni comodità, di ogni confortevole agio, la sua malattia andò in rapido crescendo . Angustiato dalla triste prospettiva di un nero futuro, temendo di trovarsi ammalato in campagna senza alcun aiuto, volle tornare a Vienna ed ado­ però per il suo ritorno , come scherzosamente disse, il misero veicolo del diavolo , un carro del latte. Dicembre era crudo , umido e freddo, il vestiario di Beethoven non era per niente adatto ad una stagione inclemente e tuttavia un'interna inquietudi­ ne e un fosco presentimento di sventura lo spinsero ad intraprendere il viag­ gio . Fu obbligato a pernottare in una piccola locanda dove trovò solamente un misero alloggio, una camera non riscaldata e priva di doppie finestre. Verso mezzanotte sentì i primi brividi freddi della febbre, fu scosso da colpi di tosse brevi e secchi accompagnati da una violenta sete e da fitte nella regione costale. Nonostante la fortissima febbre, trangugiò due bicchieri di acqua gelata e vedendosi privo di aiuto , desiderò con tutte le forze i primi raggi di luce del mattino . Spossato e sofferente si fece caricare su un carro e arrivò finalmente a Vienna, esaurito e senza forze . lo fui chiamato appena al terzo giorno . Riscontrai in Beethoven i preoc­ cupanti sintomi di un'infiammazione polmonare: il suo viso ardeva, spu­ tava sangue, respirava a grande fatica e la dolorosa fitta costale permette1 14

va solamente una fastidiosa posizione supina. Un forte metodo terapeuti­ co antinfiammatorio procurò presto il desiderato lenimento: la sua natura vinse e lo liberò, grazie ad una benefica crisi , dal momentaneo pericolo di morte, così il quinto giorno fu in grado di star seduto e di descrivermi, profondamente impressionato , i disturbi finora sofferti . Al settimo gior­ no si sentì così bene che poté alzarsi , camminare, leggere e scrivere. Però all'ottavo giorno mi spaventai non poco . Quando la mattina lo visi­ tai lo trovai sconvolto , e giallo in tutto il corpo. Durante la notte un terri­ bile vomito aveva minacciato di ucciderlo . Una rabbia terribile, un pro­ fondo dolore per l' ingrata sofferenza e per l' immeritata afflizione causa­ rono una violenta esplosione. Tremando e rabbrividendo si contorceva per i dolori che infuriavano nel fegato e nell'intestino, mentre i suoi piedi fi­ nora solo moderatamente gonfi, si enfiarono enormemente. Da questo momento si sviluppò l'idropisia : lo stimolo di orinare divenne più raro , il fegato offrì chiare tracce di gangli solidi, l'itterizia aumentò . Le amorevoli esortazioni dei suoi amici placarono presto la pericolosa al­ terazione e, calmatosi, Beethoven dimenticò ogni sofferenza patita. Tut­ tavia la malattia procedeva a passi da gigante . Già alla terza settimana eb­ be di notte sintomi di soffocamento; l 'enorme quantità di acqua accumu­ lata rese necessario un rapido intervento e mi trovai costretto a proporre il perforamento del ventre per poter così prevenire un ' improvvisa rottura. Dopo un paio di minuti di seria riflessione Beethoven acconsentì all ' ope­ razione, tanto più che il cavaliere von Staudenheim, pregato di un parere medico , consigliò questo metodo, ritenendolo urgentemente necessario . I l chirurgo primario dell'ospedale generale Mag . Chir. Signor Seibert fece la perforazione al ventre con la solita perizia, cosicché Beethoven, veden­ do il deflusso dell'acqua, si lasciò andare ad una scherzosa battuta di rin­ graziamento : l'operazione gli sembrava simile a Mosè, che battendo la roc­ cia con il suo bastone ne aveva fatto scaturire l'acqua. Il sollievo giunse presto . Il liquido ammontava a venticinque libbre, ma quello rimanente era certamente cinque volte tanto . Imprudentemente di notte sciolse la fascia che chiudeva la ferita, proba­ bilmente per togliere velocemente tutta l'acqua trattenuta: avrebbe potu­ to far sparire quasi completamente i benefici del miglioramento . Si diffu­ se un'infiammazione rossa e violenta e comparvero le prime tracce di ne­ erosi, ma poiché la ferita fu accuratamente mantenuta asciutta, il male fu bloccato. Per fortuna le tre operazioni seguenti avvennero senza la mi­ nima esitazione . Beethoven sapeva fin troppo bene che l 'incisione era solamente un mezzo palliativo ed era rassegnato a nuovi aumenti di acqua, tanto più che la stagione invernale, piovosa e fredda, avrebbe favorito il ritorno del male e rinforzato la causa prima della malattia, ormai radicatasi nel fegato

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sempre dolorante e nelle deficenze organiche della regione addominale . Resta strano il fatto che Beethoven, perfino dopo le operazioni così felice­ mente riuscite, non sopportasse quasi nessuna medicina, eccettuate quelle facilmente solubili . L' appetito diminuì di giorno in giorno e per la note­ vole e frequente perdita della linfa vitale, necessariamente svanirono le for­ ze . Venne allora il Dr. Malfatti che mi diede un valido aiuto e che consi­ gliò punch freddi, poiché, come amico di lunga data di Beethoven, ne co­ nosceva l 'imperante inclinazione verso le bevande alcoliche. Devo ammet­ tere che questa prescrizione agì efficacemente almeno un paio di giorni . Beethoven si sentì molto rinforzato dalle bevande alcoliche gelate, cosic­ ché già per tutta la prima notte dormì tranquillo e cominciò a sudare ab­ bondantemente. Divenne più allegro e più volte se ne venne fuori con bat­ tute spiritose, e pensò perfino di poter terminare l' oratorio che aveva ini­ ziato: Saul e David. Tuttavia la sua gioia non durò a lungo , com'era prevedibile. Egli comin­ ciò ad abusare della prescrizione, esagerando con i punch . La bevanda al­ colica causò ben presto una violenta congestione del sangue alla testa: egli divenne sonnolento e cominciò a rantolare come uno che si fosse preso una bella sbornia e cominciò a farneticare. Vi si aggiunse anche un'infiam­ mazione alla gola con raucedine e perfino con mancanza di voce. Egli si fece più agitato e quando dal raffreddamento dell' intestino derivarono co­ liche e diarrea, bisognò sottrarlo a questa penosa coagulazione. Stando così le cose, mentre dimagriva a vista d' occhio e perdeva sempre più le forze, trascorsero gennaio, febbraio e marzo . Beethoven pronosti­ cava, durante le tetre ore di consapevolezza, dopo la quarta incisione, l'av­ vicinarsi della sua morte e non sbagliava. Io non potevo più dargli alcun conforto e quando gli promisi, per consolarlo , una mitigazione dei suoi dolori con l'imminente arrivo della primavera, mi contraddisse sorriden­ do : «Il mio giorno di lavoro è finito , se un medico potesse ancora esser d'aiuto - his name shall be called wonderful ! » Questa triste allusione al Messia di Haendel mi impressionò tanto che, profondamente commosso, dovetti confermare nell' intimo del mio animo la verità delle sue parole . Il tristissimo giorno si stava avvicinando sempre più . Il mio dovere pro­ fessionale di medico, bello ma spesso tanto pesante, mi impose di avvisare il paziente amico che il giorno fatale si avvicinava, affinché potesse soddi­ sfare gli obblighi civili e religiosi. Con tutta la delicatezza di cui fui capa­ ce, scrissi le righe di esortazione su un foglio di carta (poiché da tempo solo così riuscivamo a comunicare) . Beethoven lesse lo scritto lentamente con un'incomparabile padronanza di sé e con una concentrazione così in­ tensa che il suo viso si trasfigurò . Egli mi strinse calorosamente la mano e seriamente disse: «Faccia chiamare il Signor parroco» . Poi divenne cal­ mo e pensieroso; mi fece un cenno con il capo : « La rivedrò presto» disse 1 16

amichevolmente. Poco dopo Beethoven adempì alle sue preghiere con una devota rassegnazione già fiduciosamente volta all'eternità e si rivolse con queste parole agli amici che lo attorniavano : «Plaudite amici ! Finita est comoedia ! ». Dopo poche ore perdette conoscenza, entrò in coma e cominciò a rantola­ re. Al mattino seguente tutti i sintomi indicavano la morte imminente. Il 26 marzo era tempestoso e tetro ; alle sei del pomeriggio si levò una bufera di neve con tuoni e lampi . - Beethoven morì . - Un augure romano non avrebbe letto nel tumulto degli elementi la sua apoteosi?

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L 'ultima casa di Beethoven: il Schwarzspanierhaus; incisione, seconda metà 1 800. (Collezione Sergio Carrino, Muggia) La casa di Johann van Beethoven a Gneixendorf; fotografia 1 984. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste)

Orazioni,. monumenti, melodrammi

La tomba di Beethoven al Cimitero Centrale di Vienna; fotografia 1 986. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste)

Franz Grillparzer Per la morte del Maestro

Noi, qui presenti, davanti alla tomba di questo defunto, siamo i rappre­ sentanti di un'intera nazione, di tutto il popolo tedesco che piange la per­ duta metà, la metà sommamente celebrata della fulgida arte nazionale, della patria ricchezza spirituale . Metà ancora ci resta. Egli vive ancora ­ e possa vivere a lungo ! - l'eroe del canto dalla parola tedesca. Ma l 'ulti­ mo maestro del Lied, la sublime voce della musica, l'erede sempre proteso avanti della fama immortale di Haendel e Bach, di Haydn e Mozart ha finito la sua vita terrena. E noi restiamo in lacrime, davanti alle corde spez­ zate del suono svanito ! Il suono svanito ! Lasciate che lo chiami così ! Poi­ ché era un artista, e quello che era, lo era solo in virtù dell' arte . Le spine della vita lo avevano profondamente ferito, e come il naufrago abbraccia la riva, così egli si rifugiò nelle tue braccia, o tu, degna e regale sorella del Buono e del Vero, consolatrice del dolore, arte divina ! Saldamente si resse a te. Perfino quando gli fu preclusa la porta attraverso cui tu ti avvi­ cinasti a lui e gli parlasti : quando, per quel tuo sordo orecchio, non vide più i tuoi segni, conservò nel cuore la tua immagine, e quando morì era ancora là, nel suo petto . Era un artista. Chi può stargli alla pari? Come Behemot si scatena furioso su tutto il mare, così egli travalicò i limiti della sua arte. Dal tubare della colomba al ribollire del tuono, dal piegamento più sapiente dei rigidi mezzi artistici al terribile punto in cui la creazione trapassa nell'arbitrio sfrenato di contrastanti forze naturali, tutto egli ha provato, tutto egli ha afferato . Chi viene dopo di lui non proseguirà: do­ vrà ricominciare, poiché il suo predecessore ha desistito dove l ' arte desi­ ste. Adelaide e Leonora ! Festa degli Eroi della Vittoria! Umile, religioso Opferlied ! Cori di voci bianche, cantate! Fremente sinfonia! « Gioia, fi­ glia della luce» tu, canto del cigno ! M usa del Lied e degli archi ! Mettetevi tutti intorno alla sua tomba e copritela di alloro ! Era un artista sì, ma an­ che un uomo. Uomo nel significato più pieno del termine. Poiché si isolò

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dal mondo, lo chiamarono misantropo, poiché rifuggì dalla sensibilità, in­ sensibile. Ah , chi sa d'avere la pelle dura non fugge ! È l 'eccesso di sensi­ bilità che blocca la sensibilità ! Se fuggì il mondo, lo fece perché nel pro­ fondo del suo animo generoso non trovò armi per difendersi; se si sottras­ se agli uomini lo fece dopo aver dato loro tutto senza aver ricevuto niente in cambio . Restò solo, perché non trovò uno simile a lui ! Ma fino alla sua morte vigilò paternamente sul cuore umano di tutti gli uomini , sulla ricchezza e la vita stessa di tutto il mondo . Così egli era, così è morto , così vivrà in eterno . Ma voi che lo avete accompagnato fin qui , dominate il vostro dolore. Non l'avete perduto: l'avete trovato. Si spalancano le porte del tempio dell' immortalità non appena quelle della vita si chiudono alle nostre spalle . Egli riposa tra i grandi di tutti i tempi, invulnerabile, per sempre. Perciò allontanatevi da questo sepolcro, in lacrime sì, ma con ani­ mo rasserenato, e se nella vita sarete sopraffatti dall' energia tempestosa delle sue creazioni, se le vostre lacrime scorreranno ancora tra le nuove generazioni, ricordatevi di quest' ora e pensate: noi eravamo là, quando lo seppellirono, e quando morì, noi abbiamo pianto .

* * *

Discorso sulla tomba di Beethoven per l 'inaugurazione del monumento

Sei mesi sono trascorsi da quando ci radunammo in questo luogo sconso­ lati e piangenti, perché seppellivamo un amico . Ora siamo di nuovo riuni­ ti: cerchiamo di essere calmi e coraggiosi, poiché celebriamo un vincitore. Il flusso del transitorio l ' ha trascinato nel mare innavigato dell' eternità. Deposto il caduco, egli brilla come una costellazione nel cielo notturno . Appartiene ora alla storia. Non parleremo di lui , ma di noi . Abbiamo po­ sto una pietra. È un monumento per lui? È un segno per noi . Perché an­ che i nostri nipoti sappiano dove devono inginocchiarsi e congiungere le mani e baciare la terra che copre le sue ossa. Il monumento è semplice com'era egli stesso nella vita. Non imponente . Sarebbe pur sempre ridi­ colmente misero in confronto al valore di un tal uomo . Vi è inciso il nome di Beethoven assieme al magnifico stemma, al purpureo mantello ducale e al cappello di principe. E noi qui prendiamo nuovamente congedo dal­ l 'uomo che è stato ed accostiamoci allo spirito che è sopravvissuto, pre1 22

sente ora e in futuro . Sono rari i momenti di rapimento interiore in que­ st'epoca avara di spiritualità. Voi qui raccolti , avvicinatevi a questa tom­ ba. Tenete fissi i vostri sguardi a terra, concentrate tutti i vostri sensi su quest'uomo e lasciate scorrere attraverso le vostre ossa, come i geli di que­ st'inoltrata stagione, i brividi del raccoglimento, come una febbre difensi­ va, come una benigna febbre, liberatrice e salvifica. Sono rari i momenti di rapimento interiore in quest'epoca avara di spiritualità. Purificatevi ! L ' uomo che giace qui era divinamente ispirato . Quest' uomo visse fino in fondo la sua vita, tendendo all' Uno con tutte le sue forze, tutto soppor­ tando per l ' Uno, tutto sacrificandoGli. - Non conobbe moglie, né figli : qualche momento felice, pochi piaceri intensi . - Se qualcosa lo irritava, distoglieva lo sguardo e proseguiva avanti, avanti fino alla meta. Se in noi non è andato perso del tutto il senso dell' integrità tra i frantumi di que­ st'epoca, allora raccogliamoci intorno alla sua tomba. È per questo moti­ vo che da sempre poveri uomini disorientati si protendono verso poeti, eroi , cantori divinamente ispirati: ne ricordano il cammino e la meta.

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L'inaugurazione del monumento di Beethoven a Bonn, 1 2 agosto 1 845; incisione seconda metà 1 800. (Collezione Sergio Carrino, Muggia)

Robert Schumann Un monumento per Beethoven

Quattro voci in proposito

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Già il mausoleo del ricordo futuro si leva reale di fronte a me - una la­ stra tombale abbastanza alta, una lira con l ' anno di nascita e di morte, sopra il cielo, intorno gli alberi . Uno scultore greco propose un suo progetto di monumento per Alessan­ dro : voleva scolpirne la statua nel monte Athos in atto di reggere sospesa in aria una città. L 'uomo fu preso per pazzo . In verità lo è meno delle sottoscrizioni da «pfennig» di certi tedeschi. - Felice te, Napoleone im­ peratore, che dormi nel lontano Oceano, felice te che noi tedeschi non pos­ siamo perseguitare con un monumento, per le battaglie che ci vincesti e che, con noi , vincesti. Usciresti dalla tomba sfolgorante . « Marengo, Pari­ gi, passaggio delle Alpi, Sempione ! » e il mausoleo si frantumerebbe in mille schegge ! Ma la tua Sinfonia in re minore, o Beethoven, e tutti i tuoi som­ mi Lieder del dolore e della gioia non ci sembrano ancora sublimi abba­ stanza per evitarti un monumento e tu non puoi sottrarti in nessun modo al nostro riconoscimento ! Vedo bene, Euseb , come le mie parole ti rincrescano : tu, per pura bontà d'animo, ti faresti pietrificare in statua o in uno Sprude/ ' di Karlsbad , se ciò potesse servire al comitato per le onoranze funebri . Come se io non portassi dentro di me il dolore di non aver mai visto Beethoven, di non aver mai sentito la sua mano sulla mia fronte ardente ! Dare per queste gioie gran parte della mia vita non sarebbe bastato . Lentamente salgo le scale del Schwarzspanierhause N. 200: intorno a me tutto è immobile; l

polla bollente.

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entro in camera sua: si rizza, un leone, la corona sulla testa, una scheggia nella zampa. Parla dei suoi dolori . In quei minuti mille ascoltatori stregati vagano tra le colonne del tempio della sua Sinfonia in do minore. - Ma le pareti vorrebbero crollare; lui dovrebbe uscire: si lamenta, com' è possi­ bile !asciarlo così solo, preoccuparsi così poco di lui . - In quest' istante i bassi riposano su quel suono profondissimo dello Scherzo della Sinfo­ nia; non un respiro : i mille cuori son sospesi a un filo su un abisso senza fondo , ed ora il filo si spezza e la sublimità delle cose somme leva arcoba­ leni su arcobaleni . - Ma noi corriamo per le strade: nessun conoscente che lo saluti. - Tremano gli ultimi accordi della Sinfonia: il pubblico si frega le mani, il filisteo esclama entusiasta: «Questa è vera musica» . Così lo esaltavate quando era vivo; ma nessuno , nessuna si offrì di ac­ compagnarlo: morì con una profonda pena dentro, come Napoleone, senza un figlio al petto, nella solitudine di una grande città. Fategli allora un monumento - forse lo merita; ma un giorno possano stare incisi sulla vostra lapide capovolta quei versi di Goethe : Finché l'uomo di valore vive ed agisce, avrebbero una gran voglia di lapidario; ma dopo morto pronti, aprono una colletta, per erigere un monumento in onore della sua difficile vita. La massa però dovrebbe ben misurare il suo vantaggio, sarebbe più prudente dimenticare per sempre l'uomo di valore.

Florestan

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Se qualcuno venisse assolutamente sottratto all'oblio, si dovesse allora dare un po' d'immortalità ai critici di Beethoven e in particolare a quello che nell'A llgemeine musikalische Zeitung 1 799, pag 1 5 1 fa la seguente suppo­ sizione: Se il signor van Beethoven non rinunciasse a se stesso e seguisse il corso della natura, con il suo talento ed il suo impegno potrebbe darci qualcosa di veramente buono per uno stru­ mento che . . .

Certamente, è nel corso della natura e nella natura delle cose. Frattanto sono passati trentasette anni: come un girasole sidereo il nome di Beetho­ ven si è dischiuso, mentre il critico si è ripiegato in una soffitta come un'or­ tica avvizzita. Ma io vorrei comunque conoscere il briccone e aprire per lui una colletta perché non debba morire di fame. Borne dice: «Noi potremmo innalzare alla fine anche un monumento al

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buon Dio»; io dico che un monumento è già la faccia anteriore di una ro­ vina (come la rovina è la faccia posteriore del monumento) e ciò fa già riflettere, per non parlar poi di due o tre monumenti . Infatti se i viennesi si sentissero gelosi di quelli di Bonn e insistessero per aver anche loro un monumento , ci sarebbe da ridere alla domanda: quale è il vero? Ne avreb­ bero diritto entrambe le città: il suo nome è segnato nei libri di entrambe le chiese; il Reno si vanta di essere stato la sua culla, il Danubio (un vanto ben triste) la sua tomba. I poeti preferiscono forse quest' ultimo , perché scorre verso est e sfocia nel grande Mar Nero; ma altri fan leva sulle sacre rive del Reno e sulla maestà del Mare del Nord. Alla fine si aggiunge an­ che Lipsia, in quanto centro della cultura tedesca, con lo special merito, fra i tanti donatile dal cielo, di essersi interessata per prima alle composi­ zioni beethoveniane. Spero pertanto in tre monumenti . . . Una sera andai al cimitero di Lipsia per cercare la tomba di un grande : cercai in lungo e in largo per delle ore - non trovai nessun «l . S . Bach» . . . e quando chiesi informazioni al becchino, scosse la testa: non conosceva quest' uomo e poi di Bach dovevano essercene molti . Tornando a casa mi dissi : Quant ' è poetico questo disporre del caso ! Ha soffiato via la cenere disperdendola ovunque perché noi non pensassimo alla caduca polvere e non vedessimo levarsi dinnanzi ai nostri occhi l'immagine di una morte comune. E così voglio immaginarmelo sempre, in abito di gala, seduto ritto al suo organo che freme sotto le sue mani , lo sguardo dei fedeli si perde in alto, mentre lo sguardo degli angeli, forse, si volge in basso . - Sì tu, Felix Meritis , uomo grande di cuore e d'intelletto , hai suonato il suo cora­ le variato A dornati, anima cara. Ghirlande dorate sono sospese attorno al Cantus firmus e vi si riversa una tal beatitudine che, come tu mi hai confessato, « se la vita ti avesse privato di fede e di speranza, quest 'unico corale ti restituirebbe tutto» . Allora tacqui e tornai quasi inconsapevol­ mente al cimitero e lì provai vivo dolore per non poter deporre un fiore sulla sua tomba e disprezzai la Lipsia del 1 750. Dispensatami dall' espri­ mere i miei desideri per un monumento a Beethoven . Jonathan 3

In chiesa si entra in punta di piedi - ma tu, Florestan, mi offendi con il tuo passo insolente. Attualmente centinaia di persone mi stanno ascol­ tando . La questione è schiettamente tedesca: il più sublime artista della Germania, il sommo portavoce della parola e dello spirito tedesco , nep­ pure secondo a Jean Paul, deve venir celebrato; appartiene alla nostra arte. Si lavora accanitamente da anni al monumento di Schiller, con quello di Gutenberg si è ancora agli inizi . Voi meritereste tutte le beffe del francese 1 27

Janin, tutte le villanie di un Borne, tutte le pedate di una tracotante poesia byroniana, se ritardate o lasciate finir nel niente la cosa ! Voglio mettervi un esempio davanti agli occhi. Rispecchiatevi ! - Molto tempo fa quattro povere sorelle vennero dalla Boemia nella nostra città. Suonavano l'arpa e cantavano. Avevano molto talento, non sorretto però da studi sistematici . Un uomo pratico dell' arte s' interessò a loro , le istruì ed esse diventarono grazie a lui donne distinte e felici. L'uomo era da tempo morto e solo quelli che gli erano stati più vicini si ricordavano di lui . Allo­ ra, erano passati forse venti anni, arrivò una lettera da un paese lontano . Era delle quattro sorelle e conteneva una somma sufficiente per erigere un monumento in onore del loro maestro . Si trova sotto le finestre di 1 . S . Bach e quando i posteri chiedono d i Bach, notano l a semplice statua e al benefattore come alla gratitudine è assicurato un toccante ricordo . E un' in­ tera nazione non dovrebbe erigere un monumento mille volte più grande a Beethoven , che le ha insegnato grandezza spirituale e orgoglio di patria? Se fossi un principe gli costruirei un tempio palladiano : accoglierebbe die­ ci statue; Thorwaldsen e Dannecker non potrebbero costruirle tutte, ma potrebbero esser scolpite sotto i loro occhi ; nove statue , come le Muse, perché nove sono le sue Sinfonie: Clio sarebbe l'Eroica, Thalia la Quarta, Euterpe la Pastorale e così via, lui stesso il divino Musagete . Lì potrebbe­ ro radunarsi di quando in quando gli amanti del canto , lì dovrebbero te­ nersi concorsi e feste musicali , lì venire eseguite perfettamente le sue ope­ re. O altrimenti : prendete centinaia di querce centenarie e con esse incide­ te nel terreno il suo nome a lettere gigantesche . Oppure fategli una statua ciclopica, come il San Borromeo sul lago Maggiore, affinché possa guar­ dare, come già faceva nella vita oltre i monti - e quando le navi del Reno passeranno e gli stranieri chiederanno che cosa significhi il gigante, ogni bambino saprà rispondere: è Beethoven - ed essi penseranno che sia un imperatore tedesco . O se volete qualcosa di utile, fondate in suo onore un'accademia della musica tedesca in cui venga insegnata soprattutto la sua parola, la parola secondo cui far musica non è da tutti come un comu­ ne mestiere. Spetta ai sacerdoti schiudere questo mondo meraviglioso agli iniziati - una scuola di poeti, ancor più una scuola di musica in senso greco . In una parola: sollevatevi una buona volta, rinnegate la vostra flem­ ma e pensate che il monumento sarà anche vostro ! Eusebius 4

Alle vostre idee manca l' ossatura: Florestan manda in pezzi , Eusebius la­ scia cader le macerie . È indubbio che il più alto tributo d'onore, come la vera prova di gratitudine per i grandi morti che abbiamo amato , è conti1 28

nuare ad operare secondo il loro spirito . Ma tu, Florestan, devi conceder­ mi che noi dobbiamo esternare in qualche modo la nostra ammirazione e che se non incominciassimo nemmeno, una generazione si appellerebbe all' inerzia dell' altra. Sotto l 'insolente mantello che tu, Florestan , getti so­ pra alla cosa potranno rifugiarsi qua e là avarizia e animo gretto , ma an­ che il timore di venir presi alla lettera se si lodano un po' troppo impru­ dentemente i monumenti . Allora riconciliatevi ! In tutti gli altri paesi tedeschi si vorrebbero organizzare sottoscrizioni, ac­ cademie, concerti, rappresentazioni operistiche, esecuzioni religiose; e non sembra fuori posto alle feste musicali e canore più importanti , chiedere un'offerta. Ries a Francoforte, Chélard ad Augusta, L. Schubert a Ko­ nigsberg hanno già iniziato nel modo più adeguato. Spontini a Berlino , Spohr a Kassel, Hummel a Weimar, Mendelssohn a Lipsia, Reissiger a Dre­ sda, Schneider a Dessau , Marschner ad Hannover, Lindpaintner a Stoc­ carda, Seyfried a Vienna, Lachner a Monaco , D. Weber a Praga, Elsner a Varsavia, Loewe a Stettino, Kalliwoda a Donaueschingen, Weyse a Co­ penaghen, Mosewius a Breslavia, Riem a Brema, Guhr a Francoforte, Strauss a Karlsruhe, Dorn a Riga - guardate qua che sfilza di grandi arti­ sti vi metto sotto gli occhi e pensate quali città, mezzi e forze non ho cita­ to. Così un grande obelisco o un'imponente piramide possa notificare ai posteri che i contemporanei di un grande uomo hanno cercato di dimo­ strare, con un tributo fuori dal comune, quanto stimassero sopra ogni co­ sa le opere scaturite dal suo spirito. Raro

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. Il monumento di Beethoven a Heiligenstadt; incisione fine 1 800. (Collezione Sergio Carrino, Muggia)

Franz Liszt Da una lettera a Hector Berlioz

Beethoven ! È possibile quello che leggo? La sottoscrizione per il monu­ mento del più grande musicista del nostro secolo ha raccolto in Francia 424 franchi e 90 centesimi . Che vergogna per tutti ! Quale tristezza per noi ! Non è possibile che un simile stato di cose si perpetui, non è vero? Non si deve permettere che una lenta e parsimoniosa questua assicuri a Beetho­ ven una tomba. Questo non deve accadere e non accadrà. Tu sai che io sono amico del più grande scultore d' Italia, Bartolini. È un nobile artista, che ha conosciuto, egli pure, le vicissitudini della sorte e l ' ingratitudine degli uomini . Egli è indignato come me dell'ingiuria fatta alla memoria di Beethoven e mi ha promesso di mettersi prontamente all 'opera. In due anni il monumento in marmo potrà essere compiuto. Ho appena scritto al comitato per chiedergli di chiudere la sottoscrizione, offrendomi di prov­ vedere di persona al raggiungimento della somma richiesta. Non ho inten­ zione di rivaleggiare con nessuno, né di privare alcuno dei sottoscrittori dell'onore di contribuire a questo monumento. Voglio semplicemente com­ pletare la somma già raccolta al fine di accelerare il compimento di quello che considero un dovere per noi tutti . . . 1

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Liszt contribuì all'esecuzione del monumento con 50.000 franchi e compose per il l 3 agosto 1 845, data dell'inaugura­ zione, una grande cantata.

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Il monumento di Beethoven a Vienna; fotografia 1 986. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste) Frontespizio del volumetto Beethoven, della collana «Volksbiicher der Musik» , con la scultura di Franz von Stuck ; 1 9 1 0 ca. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste)

Filippo Filippi Da: «Beethoven. Il centenario a Vienna»

Le feste di Beethoven ebbero fine ieri sera nelle sale medesime della Filar­ monica, con un sontuoso banchetto al quale tutti gli ospiti d 'onore, me compreso, furono invitati . La gran sala dei concerti, sfarzosamente illu­ minata e decorata, faceva un magico effetto : le mille fiammelle di gaz pio­ vevan luce d'ogni parte, e si riflettevano scintillanti sui turgidi seni delle cariatidi dorate; per decorazioni c'erano festoni di verdura tutt'intorno alla galleria, e il busto di Beethoven circondato da una massa sterminata di sempreverdi. La fu una serata brillante, festosa, artistica di sensi e di effetti . Giova anche premettere la squisitezza dei vini e dei cibi, elaborati dal Faber, famoso per gastronomiche leccornie. Discorsi e brindisi, già s'intende, ce ne furono a iosa. [ . . . ] Il presidente del banchetto prendeva nota degli oratori , e accordava loro per turno la parola, proprio come in Parlamento ; una tribuna in velluto rosso , posta in alto, sotto il busto di Beethoven, era preparata per coloro che desiderassero dir qualche cosa: io avevo preparato il mio discorsetto (non voglio dir in che lingua) , ma quando vidi quella specie di patibolo , sul quale non mancava che la mannaia, mi presero i brividi, e presi la riso­ luzione dell' amico Boito, quella di farmi applaudire tacendo. Primo a salire la tribuna fu il consigliere Reindl , il quale, richiamando un' antica usanza, disse, pregò e comandò si facesse un triplice evviva alla graziosissima Maestà dell'imperatore Francesco Giuseppe: trattandosi di un'antica usanza, tutti si rassegnarono, ed all'unissono gridarono tre hoch! in tempo ordinario, e con un entusiasmo che somigliava molto ad una cal­ ma rassegnazione; anch'io mi levai, e cogli altri pronunziai i miei tre hoch ! A questo punto l 'orchestra di Strauss intuonò l 'inno di Haydn, e la luce elettrica venne a colpire la faccia di gesso di Beethoven, il quale deve esser stato profondamente commosso e stupito di venir preso per l 'imperatore d 'Austria. 1 33

I discorsi successivi furono tutti in onore di Beethoven, della città di Vien­ na, e degli ospiti venuti da tutta Europa a festeggiare il grand 'uomo : Her­ bek , parlando di Beethoven, finì colla mistica parola del Dervis nelle Ro­ vine d'A tene: K ABA! KABA! Il dottor Unger propinò a Vienna, e subito dopo l' orchestra uscì col motivo popolare del valzer di Strauss : Schone Blaude Donau, che fu coperto d' applausi frenetici . Il barone di Lenz, con­ sigliere di Stato russo, che fece da Pietroburgo un viaggio di cento ore in ferrovia per assistere al Centenario , fece un lungo discorso sugli stili e sul genio di Beethoven . Questo De Lenz è un grande originale; scrisse dieci grossi volumi sopra Beethoven, e parla otto lingue, tutte correntemente, e per disgrazia le parla troppo tutte otto : anch 'io ebbi un attacco in tutta regola in lingua italiana, e mi fece un discorso di mezz'ora, per dirmi che anche il duomo di Milano era una magnifica sinfonia ! Quanto al brindisi recitato dalla tribuna, minacciava di non più finire, e allora ci siamo risol­ ti di applaudirlo tanto, che non lo potè più continuare, e dovette, mogio mogio, discendere dall'Olimpo . Il presidente fece poscia un brindisi alle donne : bisognò comprenderle tut­ te, senza distinzione di nazionalità, tanto più che agli uomini le donne piac­ ciono tutte indistintamente . Tengo per ultimo il bellissimo discorso del Mosenthal, perché fu un atto gentile verso di noi , ospiti del Comitato, e verso l' Italia ! Disse dell ' amore che ebbe sempre Vienna per gl' Italiani e specialmente per la nostra musi­ ca; degli entusiasmi viennesi per i nostri maestri; che anche nel campo del­ la musica, come nella politica, doveva cessare ogni antagonismo, ogni ran­ core; che quindi le due musiche, l' ideale e la gaia, la melodia e l'armonia, dovevano stringersi la mano sotto l'egida del gran genio universale, il Beet­ hoven . Aggiunse che l' Italia aveva già date prove recenti di culto fervido e di simpatia per Beethoven, e che questo era già un pegno della invocata fratellanza. Finalmente, rivolgendosi a noi, con oltremodo garbate paro­ le, disse del viaggio non breve e non agevole che avevamo fatto espressa­ mente per assistere alla bella solennità; ci ringraziò affettuosamente, pro­ pinò a noi , e tutti si levarono, signori e signore, a toccare il nostro bicchie­ re, gridando non tre hoch di cerimonia, ma molti evviva all ' Italia e alla nostra cara e bella musica. Con migliori parole non potrei finire la mia relazione di queste feste, che ci vorrà un altro secolo perché si rinnovino eguali . Così lascio Vienna pro­ prio colla bocca dolce, e colla intima persuasione che questa città, sopra ogni altra gentile, colta, intelligente, merita sempre l'intraducibile e tanto vero epiteto di Gemuhtliches Wien. (23 dicembre 1 870)

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Pietro Mascagni Saluto del rappresentante italiano alla celebrazione del Centenario, 1927

Eccellenze, Signore e Signori ! È con reverenza devota e religiosa, che io porto a questa solenne Celebra­ zione del Titano dei musicisti la parola della mia patria, l ' Italia. Ed è pa­ rola di ammirazione, di entusiasmo e di riconoscenza, in quanto che la musica è tutta nell' animo di ogni Italiano; ed è suscitatrice di commozioni profonde, alla quale nessun cuore umano può sottrarsi . I popoli civili innalzano inni di esultanza e di gratitudine al Grande, che tanto tesoro di bene seppe largire all' umanità. Oggi non si celebra una ricorrenza di morte; si celebra l'immortalità di un uomo, di un artista, che col suo genio creatore, da un secolo e mezzo , inonda il mondo col canto suo divino, anche ora, dopo cento anni dalla Sua morte, fresco e limpido come acqua sorgiva, chiaro e luminoso come il pianeta di Venere. E per cento anni ancora e cento, e cento ancora, ed ancora mille, il Suo canto resterà, a conforto delle genti future, sempre più anelanti alle bel­ lezze supreme, sempre più desiose di sensazioni passionali. Nessuno potrà mai superarle: Egli resterà in eterno il più Grande di tutti, a parlare al cuore dell ' umanità con la Sua eterna voce melodiosa. Non errò chi lo chiamò : «11 più grande oratore della musica». Le circonstanze che si connettono alla odierna ceremonia, danno un senso di esaltazione al mio spirito . E con ragione. Il Governo che oggi regge l ' Italia, mai ad altri secondo nelle nobili mani­ festazioni artistiche, e che ha per Duce un uomo eccezionale, alle cui tante virtù va aggiunta quella di una magnifica educazione musicale, ha voluto oggi affidare a me l 'onorifico incarico di rappresentare il mio Paese alla celebrazione di Lodovico van Beethoven, nel centenario della sua morte. È già un grande onore che può riempire di onesto orgoglio il cuore di qual­ siasi musicista. Ma la celebrazione Beethoveniana ha luogo a Vi enna . . . E nessuno può sapere che cosa sia per me Vienna, specialmente in questa

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solenne circonstanza; perché nessuno può immaginare quanto intenso sia il mio amore per questa Vienna, che conosco da 3 5 anni ; e che ha per me ricordi grati e carissimi; e che ho sempre ammirato per il rispetto e l'affet­ to che ogni Suo cittadino ha per l ' arte e per gli artisti;e che venero per la superba e gloriosa tradizione del suo teatro lirico , che per lungo spazio di tempo fu palestra incomparabile agli operisti ed ai cantori italiani . Vien­ na, sì : Vienna ! Nessuna città poteva essere degna di glorificare il Genio di Beethoven più di Vienna, che del Grande fu Patria adottiva: in Vienna Egli concepì e scrisse le Sue maggiori composizioni; e qui visse, soffrì , lot­ tò, imprecò , perdonò , pianse, morì . . . Vienna che conserva la Sua spoglia mortale, oggi glorifica i n faccia al mon­ do civile la Sua immortalità ! In nome dell' Italia esprimo un voto di ringraziamento e di riconoscenza al Governo d'Austria ed alla Municipalità di Vienna, che con questa so­ lenne ceremonia hanno saputo rispondere in modo commovente al senti­ mento di tutti gli Italiani, che dalla Augusta Famiglia Regnante al più mo­ desto cittadino, hanno per l 'Arte divina di Beethoven culto e religione. In Italia l'amore per la musica di Beethoven è tradizionale. Gioacchino Rossini , il maggiore compositore lirico del secolo scorso , quando ascoltò per la prima volta (proprio qui, a Vienna) l 'Eroica, ne ebbe una impres­ sione straordinaria che mai potè dimenticare. Anche dopo molti anni, quan­ do Riccardo Wagner volle visitarlo, Rossini parlò di Beethoven e, riferen­ dosi alla audizione della Terza Sinfonia, esclamò : « Quella musica mi scon­ volse! Non ebbi che un pensiero: conoscere quel grande Genio: veder/o, fosse pure per una volta sola». E realmente Rossini, per mezzo del poeta Carpani, era riuscito a vedere Beethoven, quando questo abitava alla Kothgasse, nel sobborgo Laimgru­ be. Colloquio memorabile, che si può riassumere nelle parole che Rossini pronunziò nell' atto di congedarsi , e nella dolorosa esclamazione con la quale Beethoven rispose. Rossini espresse al Maestro (il Carpani scriveva in tedesco quello che Ros­ sini diceva in italiano) tutta l'ammirazione che sentiva per il Suo Genio e tutta la gratitudine per averlo ammesso a potergliela esprimere . . . Beet­ hoven rispose con un profondo sospiro e con queste sole parole: « Oh! un infelice!>> Infelice Lui che tanti felici aveva fatto nel mondo ! Infelice? . . . Sì ! Infelice come u n martire ! Come Gesù ! Morto, come Gesù i n mezzo a sofferenze disumane; dopo avere come Lui, portato la Croce del Suo destino; dopo avere salito , anche Lui , il Calvario del Suo dolore; morto col fiele in bocca, anche Lui, martoriato dalla tristezza umana, dall'ingra­ titudine umana . . . Morto come Gesù ! . . . Ma, come Gesù, rédento ! Risorto nella luce abbagliante dell'Arte Sua ! Risorto per il bene dell' Umanità! Im­ mortale nella Storia, Immortale nell'Arte, Immortale nel nostro cuore, che per Lui, per la Sua Gloria avrà palpiti per omnia saecula saeculorum. 1 36

Karl Bauer, Beethoven; incisione primo 1 900.

J o han n es Grutzke, Beethoven; dipinto 1 977.

Gianni Gori Melodrammaturgia di Beethoven

Le relazioni puntuali fra storia e teatro si possono leggere in un repertorio articolatissimo, non circoscritto al «dramma storico» . L ' evento rappre­ sentativo ha attinto infatti all'evento storico come ad una fonte privilegia­ ta, secondo una dinamica sorprendente anche dal solo versante musicale. Dove non si rischia molto, assegnando subito a Mozart una sorta di pri­ mato ultrasecolare: partendo, per esempio , dal Mozart fanciullo singola­ re prototipo scenico datato 1 879, di Eugenio Checchi, che un anno dopo ci riprova con Il piccolo Haydn; a secondare un interesse musicale ancora lontano dall'escursione «verista» con il libretto di A basso porto per Ni­ cola Spinelli . Passando persino attraverso una commedia dialettale di Fanfulla Fabbri, Mozart a Bologna del 1 927, curioso precorrimento del film di Pupi Avati, non ultimo di una fortunata serie cinematografica che ha fatto di Mozart l 'oggetto di una popolarità imprevedibile, sul tema variato del Genio. E non ultima concomitanza di estri spettacolari in disinvolto dialogo con la storia; dove conviene almeno ricordare nel l 9 1 6 il Paganini - archeti­ po d'obbligo per l 'equazione virtuosismo/demonismo - dello statuniten­ se Edward Knoblock, già autore di quella fantasia orientale destinata, più di quarant'anni dopo , a diventare, grazie ad uno sfacciato «pastiche» bo­ rodiniano , un clamoroso successo del Musical: Kismet di Lederers e Davis. Ma è nella biografia beethoveniana che la letteratura appaga la propria vocazione melodrammatica. Nella vita più o meno romanzata di Beetho­ ven è facile immaginare almeno tre elementi tipici della struttura melo­ drammaturgica: l 'elemento eroico e ribelle di una volontà individuale in lotta disperata contro il destino, l 'elemento dell'infelicità sentimentale, l'e­ lemento spettacolare del quadro sociale come sfondo di un solitario epilogo . La stessa storiografia musicale di vecchia scuola contribuisce ad esaltare l'immagine teatralizzata di Beethoven. Nella monografia dello Specht, per 1 39

esempio (Bildnis Beethovens, 1 93 1 ; pubblicata in Italia l ' anno dopo) la morte del Maestro , che pur empie di sdegno polemico il musicologo per gli aspetti meschini di quanti vi assistettero e vi specularono, è vista in pro­ spettiva melodrammatica: 11 24 marzo, metà per consiglio degli amici, metà obbedendo al proprio sentimento, egli ave­ va fatto venire un prete e, serio e devoto nell'aspetto, aveva ricevuto gli ultimi sacramenti; poi all'addio ringrazia l'ecclesiastico con parole di sincera cordialità, dicendo di essersi per suo mezzo calmato e consolato, e d'aver raggiunto la pace interiore. Ma uscito il parroco, egli si volge a Breuning e a Schindler con un doloroso sorriso: «Plaudite, amici, comoedia finita est». Di fuori è tempo cattivo: grandine e neve. Comincia a far notte. E d'un tratto un sussulto: Beethoven ha spalancato gli occhi , si rizza a metà, pare che si sforzi di ascoltare in lontananza; poi, col viso fattosi stranamente calmo e con voce chiarissima, dice: «Udite la campana? Si cambia scena . . . ». Vede egli davvero il mutamento di scena nel primo atto del Fide/io e crede di udire il segnale del sorvegliante? Certo nulla avverte del misterioso e simbolico doppio senso che hanno le parole formate dalle sue labbra esangui. . . S'è tutto eretto ora e arde tutto negli occhi; stringe il pugno, lo leva in alto e lo scuote come per colpire un'invisibile potenza nemica, fiero fino all' ultimo . E il cielo risponde: doloroso, accecante, un chiarore improvviso lacera il crepuscolo, il fulmine scoppia. Beethoven cade riverso. È morto; è stato ricondotto alla sua patria come i profeti biblici sul carro di fuoco .

Legittima quindi la potenziale gestualità del personaggio-Beethoven e tale da suscitare l'interesse di autori drammatici come Piero Cossa in Italia nel 1 872 o come René Fauchois in Francia nel 1 909. Con l 'esperienza - evi­ dentemente di riflesso - del versatile commediografo, giornalista e libret­ tista triestino Alberto Colantuoni , autore di un raro Beethoven, rappre­ sentato a Milano dalla compagnia T alli nel 1 927 . Fino al recente, fortuna­ to tentativo di drammatizzazione dei « quaderni di conversazione», com­ piuto nel 1 974 da Glauco Mauri . Ma è dalla rilettura dei primi due che possono scaturire riflessioni presso­ ché di prima mano per un meccanismo psicodrammatico raccordato alla storia, e per un teatro oggi sepolto e probabilmente irrecuperabile. Il Beethoven del Cossa era stato una delle prime imprese teatrali del dram­ maturgo romano , di poco successiva al Nerone, l'opera emblematica del «verismo magniloquente» su «quel fronte di operazioni linguistiche che mirò a un recupero realistico (a volte archeologico) del mondo classico , in contrapposizione intenzionale ad ogni neo-classicismo morto o redivi­ vo . Su questa linea si attestano , in quegli anni, il Rovani della Giovinezza di Giulio Cesare, il Carducci delle prime Barbare fino al Boito del Nero­ ne, al D 'Annunzio e al Pascoli dei Conviviali; ma in quest' arco di tempo anche l 'ultimo Prati e il Rapisardi presentano qualche punto d'interesse . I n ogni modo l ' archeologia e la filologia del Cossa sono poca cosa in con­ fronto a quelle dei suoi continuatori» . Come ricorda Luigi Baldacci, at­ tento anche alla struttura tipica dell' endecasillabo cossiano. Tanto il Nerone quanto il Beethoven erano stati rappresentati al Teatro 1 40

Re di Milano dalla compagnia di ressero , l'attrice che portava il nome illustre della zia Adelaide Ristori . In entrambi i drammai, come nel resto della sua produzione, il Cossa cerca di sovrapporre il piano storico-aulico al piano popolare: una simultaneità di livelli che il linguaggio in versi spesso vanificava e che non sempre lasciava soddisfatti i contemporanei . La per­ plessità sorgeva di fronte alla prevalenza del «colore locale onde si con­ fondono spesso il principale con l'accessorio» dove l ' azione muove «per­ sonaggi storici quando, di storia, non è nel dramma se non il nome loro» come insinuava nel 1 879 Ferdinando Martini, recensendo Cecilia, dram­ mone che attingeva al Vasari, schiudendosi nell' osteria veneziana del Pel­ legrino , presenti nientemeno che Tiziano Vecellio, Aldo Manunzio e Al­ berto Durero (sic). Nel Beethoven però il tentativo di far coincidere i due livelli rappresentati­ vi si spinge più in là, fino alla rinuncia del verso. Ma è soluzione che si rivela fallace, perché la prosa anziché esorcizzare l 'empito melodramma­ tico, lo svuota delle sue cadenze poetiche, svelando la fragilità dello sche­ ma drammatico imposto alla vicenda storica. Il dramma si apre su uno «spaccato» borghese: la casa di Neefer (ovvero Gottlob Christian Neefe) dove «alberga» il giovane allievo « Luigi» Bee­ thoven, il quale ama riamato la figlia del maestro , Lucia. La « contamina­ tio» adombra le vicende di Giulietta Guicciardi . La prima scena è «operistica» nello stacco; verdiana più precisamente, come potrebbe essere il «Caro nome» di Rigo/etto, anche per il richiamo alla romanza « Perduta ho la pace» (appartenente al ciclo pubblicato da Verdi nel ' 38), singolare versione di «Gretchen am Spinnrade», la poesia che Lucia sta appunto leggendo con una partecipazione emozionale subito acuita dalla musica di Beethoven fuori-campo . L'entrata di Neefe precisa i contorni dell' «interno» intimistico e nello stesso tempo di quel realismo cossiano teso a configurare la «devianza» del pro­ tagonista attraverso un primo luogo comune: il carattere meschino del vec­ chio maestro incapace di comprendere la genialità del giovane allievo; con­ flitto generazionale ribadito dalla scena successiva con l 'improbabile col­ loquio fra Neefe e l'incognito Principe Lichnowsky, infarcito di quell'a­ neddotica necessaria a chiarire il presupposto storico della situazione . SCENA II. Lucia e Neefer.

NEEFER (entra dalla porta di mezzo s 'accorge di Lucia, le si avvicina pian piano, e la bacia sui capelli).

LUCIA (volgendosi) Ah ! sei già qui padre mio !

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NEEFER Il mio nobile scolaro, secondo il solito, ha voluto sciupare anche la lezione di questa matti­ na, e non ha avuto niente di meglio a fare che di ritornare in casa per farti compagnia. LUCIA Come sei buono babbo mio ! Eccoti un bacio . NEEFER E che cosa facevi? LUCIA Leggeva. NEEFER (asciugandole gli occhi col suo fazzoletto) E leggendo piangevi .

LUCIA Piangeva sui casi della povera Margherita. NEEFER Non mi ricordo che fra le tue arniche, ve ne sia una di questo nome. LUCIA (sorridendo) Lo credo anch'io. NEEFER Sorridi? (vedendo il libro) Ah ! Ah ! . . . comprendo adesso; tu ti divertivi a leggere le opere di Goethe. Opere di moda. LUCIA (con una certa gravità) Quando leggo Goethe, non mi diverto, ma medito. NEEFER La tua meditazione non mi piace niente affatto . LUCIA Egli è un poeta così profondo così adorabile! NEEFER Profondo lo credo anch'io, poiché deve abitare in compagnia di quel suo prediletto Mefisto­ fele; in quanto poi all'esser adorabile non sarò mai della tua opinione. Nelle sue pagine non v'è che il dubbio, e tu hai bisogno di fede, figliuola mia. LUCIA La mia fede mi viene dal cuore, ed il mio cuore batte. NEEFER Forse troppo, e simili letture ti faranno girare anche la testa. LUCIA La mia testa starà ferma. NEEFER (un po ' sul serio) D'ora in avanti voglio chiudere la porta in faccia a questo Mefistofele. LUCIA (sorridendo) Entrerà per la finestra. NEEFER Io ti parlo seriamente, ragazza mia. Da qualche tempo osservo in te una preoccupazione che non ti era punto abituale, e terno che si covi qualche gran cosa nel tuo piccolo cervello. Una volta eri la più vispa e spensierata fanciulla del mondo . . . e cantavi sempre, anche troppo . . . M a adesso ! . . . non mi ricordo più i l suono della tua voce. LUCIA I pensieri crescono cogli anni .

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NEEFER Tu non devi aver pensieri; non v'è tuo padre che pensa per te? Brucerò i tuoi libri . LUCIA (sorridendo) Non sono miei.

NEEFER Capisco; te li ha prestati il nostro selvaggio compositore di musica. LUCIA (arrossendo) Egli non possiede libri . NEEFER Né quattrini per comprarli, ciò è anche vero. Restituiscili dunque a quell'amica che ha avuto l'imprudenza di farti questo cattivo servigio. LUCIA (indispettendosi) Così mi annoierò anche peggio. NEEFER Sarà mia cura di tenerti allegra (dopo una pausa) Tu sei bella, figlia mia, assai bella. LUCIA (c.s.) Non ho molta confidenza nello specchio. NEEFER Basta che l'abbi negli occhi di tuo padre. Ti ripeto adunque che sei bella, e non voglio che questa tua bellezza marcisca nella malinconia fra le povere mura di questa casa. Il fiore ha bisogno d'aria e di sole. LUCIA V'è qualche fiore che si contenta dell'ombra. NEEFER Quando è troppo nascosto, il suo profumo è sciupato. LUCIA (con grazia) Odora per sé, e gli basta. E poi a dirti il vero, quando esco con te nei giorni di festa, non ti pare di portare questo fiore all'occhiello del tuo abito? . . . NEEFER Quanto hai detto è assai grazioso, ed è vero, ed in que' giorni io sono superbo, ma dalla strada voglio trasportare questa mia superbia in un luogo più alto. LUCIA Non ti comprendo. NEEFER La mia fortuna migliorerà perché l'elettore mi vuol bene, ed ha qualche stima de' miei talen­ ti musicali; le sale della Corte mi sono dunque aperte, ed è ormai tempo che vi comparisca insieme con mia figlia. LUCIA Cosa mai ti viene adesso per la testa? NEEFER La tua educazione è buona; sai la lingua francese, hai spirito, e farai un'eccellente figura a fronte di qualunque dama. LUCIA Ti prego, babbo mio, a lasciar questo scherzo. NEEFER Io non ischerzo mai, e per provarti che ti dico la verità, ti farò insegnare anche il ballo. È un affare di prima necessità. Cosa faresti in una sala di Corte senza saper danzare un minuetto?

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LUCIA In questo caso non v'entrerò mai . NEEFER E perché? LUCIA Odio il ballo. NEEFER (prendendo l'opera di Goethe e scagliando/a per terra) Demonio maledetto d'un poeta! Da

che t'è venuta la pazza idea di far ballare i morti, i vivi che leggono i tuoi libri, non ballano più ! LUCIA (indispettita raccoglie il libro, ed entra a sinistra)

NEEFER (guardando dietro la figlia) Comincia anche ad inquietarsi , ed era la pace in persona ! . .. Bi­

sogna ad ogni modo opporsi alla sua malattia, e subito; più tardi non sarei più in tempo.

SCENA III. Neefer, e un Servo.

SERVO (dal fondo) Un signore che è nell'anticamera ha chieso di V . S .

NEEFER Ha detto il suo nome? SERVO Non lo ha detto, e non mi pare della città. NEEFER Fatelo entrare. (il servo esce). -

SCENA IV. Neefer, il Principe Lichnowski.

PRINCIPE Ho il piacere di parlare col signor Neefer, capo d'orchestra del teatro di Bonn? NEEFER Io sono quello in persona, mio caro signore; oltre a ciò sono organista della Corte, composi­ tore di musica seria e da ballo, e dò lezioni d'armonia al figlio primogenito del nostro gra­ zioso elettore. PRI CIPE Aggiungo che questi suoi meriti sono conosciuti ed apprezzati anche in Vienna. NEEFER (rallegrandosi) Anche in Vienna mi conoscono? . . . PRINCIPE Senza dubbio. Vienna è il cuore della Germania musicale, ed ognuno che illustri l'arte diven­ ta senza neppur saperlo suo concittadino.

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NEEFER (gonfiandosi) Io illustro l'arte ! - Mi dia dunque il suo cappello e la sua canna, e poi segga

vicino a me. P RINCIPE Ella è troppo obbligante, signor Neefer. NEEFER Non faccio che il mio dovere. - Avrebbe ora la compiacenza di dirmi il suo nome? PRINCIPE È una cosa stravagante Io so; ma la prego di Iasciarmi la compiacenza di nasconderlo. NEEFER Come le aggrada! - E viene da Vienna? PRINCIPE Da Vienna direttamente. NEEFER Ho capito. Ella è un amatore di musica, e vuoi ricevere le ultime lezioni, o dirò meglio vuole perfezionarsi nell'arte. Faccia pur conto su tutta la mia buona volontà. PRINCIPE La ringrazio della sua buona volontà, ma ho già ricevuto alcune lezioni di musica, e queste mi bastano. NEEFER E da qual maestro, se è lecito di saperlo? PRINCIPE Da Hummel . NEEFER (interdetto) Non parlo più.

PRINCIPE Lo scopo dunque della mia visita non era questo, e Io dirò adesso in poche parole. NEEFER Son tutto orecchi . PRINCIPE Ella alberga in sua casa un compositore di musica? NEEFER Da tre mesi. PRINCIPE E questo compositore si chia � a Luigi Beethoven? NEEFER Precisamente. PRINCIPE Ella m' ha la cera d'un uomo franco, or bene mi dica senza equivoco la sua opinione su que­ sto compositore. NEEFER La sua domanda è un po' vaga; vuole che parli della famiglia di lui , delle qualità morali, o di quelle musicali? PRINCIPE Parli di tutto quello che sa.

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NEEFER Le dirò dunque che il padre del nostro personaggio come tenore di camera di S . A . l'Eletto­ re, stuonò sempre senza misericordia. PRINCIPE Compiango . . . gli orecchi dell'Elettore. NEEFER Forse dormiva. - Il piccolo Luigi, dopo la morte del padre si trovò nella più completa mise­ ria, e la madre che gli sopravisse era vecchissima e malata. - Un giorno entrando in casa del mio amico Heller, il famoso basso, anzi il primo basso dell'epoca nostra, sento un vero diavolìo di note che usciva da un clavicembalo della camera vicina; m'accosto, e vedo che la causa di tutto quel frastuono era un demonietto di undici anni, che con le sue piccole mani tempestava come una grandine sui poveri tasti di quel mal capitato clavicembalo . PRINCIPE Eseguiva qualche fuga di Bach? NEEFER Ma no, la suonata era di sua composizione. PRINCIPE A undici anni ! Ciò è meraviglioso. NEEFER E parve meraviglioso anche a me, tanto meraviglioso, che da quel giorno volli dargli qualche lezione di contrapunto. Ma che? Lo scolaro si ribellava contro il maestro, e non voleva sa­ perne di regole. Feci quanto potei per convertirlo all'ordine ed al sistema della buona scuo­ la, ma tutte le mie cure riuscirono infruttuose. Allora lo abbandonai al suo capriccio, e per moltissimi anni non seppi più alcuna nuova di lui . Soltanto da tre mesi, egli venne a chieder­ mi ospitalità, ed io l'accolsi nella mia casa, e poiché non gli si può negare una grande abilità nel suonare il clavicembalo, ed io comincio ad invecchiarmi, gli ottenni la nomina di mio supplente nella qualità d'organista, nomina che lo ha messo in grado di pagarmi pochi fiorni al mese per il suo mantenimento, ma ignoro se saprà conservarla. Pochi giorni sono in una circostanza straordinaria alla presenza di un gran popolo e dello stesso Elettore, mentre suo­ nava l'organo, fece scappare fuori di tuono Heller, l 'incrollabile e vecchio Heller. PRINCIPE E quale ragione addusse? NEEFER Trovò insoffribile l'accompagnamento e volle improvvisarne uno nuovo. PRINCIPE (alzandosi) La cosa è abbastanza strana.

NEEFER Il suo carattere poi è anche più strano . V'è del selvaggio in quella sua natura. Chiuso nella sua camera egli passa le intere giornate scrivendo, e guai a disturbarlo . (accennando la porta a destra). Veda o signore, egli è là . . . Ma non ardisco di presentarglielo; sarebbe capace di scaraventarmi addosso tutto quello che gli viene per le mani. PRINCIPE Rispettiamo dunque i sacri momenti della creazione. NEEFER Per me niente è meno sacro di quella musica, essa invece mi pare satanica, e sorella carnale della poesia di Goethe.

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PRINCIPE Le date dunque una gran parentela? NEEFER (imbrogliandosi) Come?

PRINCIPE Io sono un ammiratore dell'autore del Fausto . NEEFER Ma io diceva così per dire . . . e non vorrei . . . PRINCIPE Ella disse la propria opinione, ed ha fatto bene; ad ognuno i propri gusti . - I ntanto, o si­ gnore, la ringrazio delle notizie che ha avuto la gentilezza di darmi, e mi perdoni se venni importuno . NEEFER Importuno . . . Che cosa dice mai? Anzi . . . Eccole il suo cappello e la sua canna . . . Se vuole che l'accompagni . . . Ella è forestiero . . . Bonn, veda, benché piccola città, possiede anche le sue piccole magnificenze. - Abbiamo poi nella Cattedrale un organo che è una vera meravi­ glia del genere. PRINCIPE Ah sì? . . . NEEFER Certamente, e se volesse farmi l' onore di ascoltare una mia suonata. PRINCIPE Con tutto il piacere, mio caro signore Neefer, ma più tardi; devo recarmi al palazzo dell'E­ lettore. NEEFER (importunando). Ma io l'accompagnerò. PRINCIPE Le sarò grato anche di tale cortesia. NEEFER (fra sé seguendo il Principe) Chi diamine sarà questo curioso ammiratore di Goethe? (viano).

L 'entrata del protagonista enuncia immediatamente i termini intenzionali del « mito del Titano» , corrispondendo alle regole di sommaria iperbole della melodrammaturgia letteraria, giusta l 'analisi di Peter Brooks in The Melodramatic Imagination: All'interno di un contesto apparentemente 'realistico' e quotidiano, questi autori inscenava­ no in effetti un dramma iperbolico e survolato, riconducibile all'assolutezza di contrapposi­ zioni basilari come tenebre e luce, salvezza e dannazione, e sembrano voler situare i loro personaggi esattamente al punto d'intersezione fra forze etiche primordiali, conferendo alle loro scelte una carica di significati direttamente collegati al conflitto fra tali forze.

La conflittualità del Beethoven del Cossa - dove le tinte e le vie di mezzo non esistono - si riduce ad un febbrile interrogativo , la cui ansia retorica rischia di essere puerile: «Oh ! Chi mai potrebbe assicurarmi del mio ge­ nio? . . . » Dopo di che, rassicurato da Lucia, conclude : «Grazie, Lucia, io ho genio ! » . Per tentare poi, nella confessione, la trasvolata lirica. 1 47

BEETHOVEN Io sono disprezzato! Ebbene cosa dovrebbe importarmi del biasimo o della lode degli uomi­ ni? Ciascuno che vive esercita nello stesso tempo la parte di marionetta e di spettatore nel teatro della vita, teatro ove il destino fa da impresario, da scrittore e da trovarobe. Il fischia­ to d'oggi , si ripaga fischiando domani , e così la gran commedia, ripetendo da migliaia d'ari­ ni gli stessi episodi, si svolge monotona e lunga come un'opera in musica che non cangia mai tuono e movimento . Il mio posto è nell'orchestra di questo teatro, e avrò anch'io i miei fischi, ed anche peggio . . . - Una volta, o Lucia, dopo una tempesta, udii l'usignuolo modu­ lare il suo canto dal ramo di un albero ch'era stato rovesciato; quel canto mi fece bene, ma il mio bene dovette suonar male ad un altro che veniva dietro di me per la medesima strada; egli fece tacere per sempre quell'armoniosa creaturina, uccidendola. Un colpo di fucile par­ ve al villano cosa più graziosa del gorgheggio dell'usignolo. LUCIA Non parlate così in nome di Dio; accetto la vostra dedica. BEETHOVEN Voi siete una dolce e buona fanciulla; l'anima vostra si consola nei sogni della giovinezza, e si estende intorno a voi un'atmosfera di pace e d'innocenza. E ch'altro desidera la farfalla se non i prati aperti, e la luce? - Io per contrario ebbi una tetra gioventù; vivendo quasi come uno straniero nella mia stessa famiglia, provai assai di buon'ora contrari gli uomini e le circostanze. Dominato dalla febbre dell'arte, mi sono fisso nel pensiero un'altezza che forse non potrò raggiungere mai; e in quei momenti di angoscia le mie forze si consumano vanamente nel combattere. In quei momenti, o Lucia, l'istinto del malvagio s'impossessa di me, e farei male per far male, perché attribuisco alla malignità degli altri, tutti i calcoli che sono stati sbagliati dalla mia superbia. - Lucia, la tempesta è nel mio cuore, volgetevi i vostri occhi, e vi metterete la calma. LUCIA Voi mi fate piangere signor Beethoven. BEETHOVEN Voi piangete, voi piangete? LUCIA Lasciatemi per carità. BEETHOVEN (animandosi). Ma sapete voi quello che siete per me? Da tre mesi io vivo in questa casa come

in un tempio, e vicino a voi la vita mi sembra divina. LUCIA Beethoven ! BEETHOVEN Voi siete l'ispiratrice mia; ogni lode che mi verrà dalle mie opere sarà vostra, perché la gran­ de, la vera arte sta nel cuore, e voi sola fate vivere il mio. LUCIA Io faccio vivere il vostro cuore, io sola? . . . BEETHOVEN Sì, Lucia, tu sola. - E non è nuova questa passione mia . . . LUCIA Ogni vostra parola accresce la mia infelicità. BEETHOVEN Che, Lucia? . . . tu eri già infelice?

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LUCIA Dimenticatemi e perdonatemi. BEETHOVEN Dimenticarti? LUCIA A che nasconderlo ! . .. mio padre non vorrà giammai imparentarsi con voi . . . credetemi, io conosco la sua risolutezza . . . Egli non v'odia, no, siatene certo, ma voi militate nell'arte mu­ sicale in un campo opposto al suo . È un misero pregiudizio di scuola, lo so, ma per lui è una colpa imperdonabile . . . una specie di eresia . . . dimenticatemi dunque, . . BEETHOVEN Oh mai ! LUCIA Io non sono meno sventurata di voi; ma non mi lagnerò e soffrirò con rassegnazione. Un'e­ sistenza come la mia che passi e s'estingua inutilmente è una cosa assai comune, e nessuno vi bada; ma i posteri devono conoscere la vostra dalle opere che vi sopraviveranno. La vo­ str'arte sia gelosa di me, ed io per parte mia vi giuro di non essere gelosa di così grande riva­ le. Il vero genio non appartiene a se stesso, ma a tutta l'umanità . . . Credetemi, Luigi , io v'a­ mo, ma non fate che il mondo chieda conto a questa povera donna dei vostri dolori, e della vostra inerzia. BEETHOVEN Il mondo ! E che cosa io debbo agli uomini e alle loro leggi? La povertà. Ebbene se la ripigli­ no; non ho da lasciar loro, nessun'altra eredità. In quanto al genio, se v'è, è cosa mia, e ne farò ciò che mi pare e piace. E chi mi vieta di distruggerlo? - Cosa diviene per me la vita senza di te che amo? Dicono che il dolore ha creato i grandi artisti . . . non è vero: quando il dolore è sommo, l 'ingegno è annientato, ed io non farò il menestrello a questa umanità che s'annoia. LUCIA Comprendo la vostra idea; ma sono certa che un giorno ripudierete questi proponimenti. BEETHOVEN Li manterrò. LUCIA Sono dunque un'assai povera inspiratrice! BEETHOVEN Lucia ! LUCIA E non v'amo io forse? .. E l'anima mia non starà sempre con voi? BEETHOVEN (con entusiasmo). Tu m'ami, tu m'ami ! LUCIA Sì, amo il vostro genio . - Ascoltatemi, Luigi: quando meno lo pensavate ho studiato l'ani­ ma vostra, ed ho trovato che ha sempre risposto ad ogni nobile sentimento, né amandovi ho mai pensato che quest'amore potesse essere volgare. Luigi, prima di conoscervi mi ero già abituata ad un altro affetto, a quello di figlia . . . - Non avete voi amato molto vostra madre? . . . BEETHOVEN Mia madre ! lo l'ho venerata. LUCIA Ebbene volete voi rendermi una figlia colpevole e disamorata? Mio padre non ha che me

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e potrei amareggiare i meno felici anni della sua vita? Ve lo dico piangendo; abbiate fede e coraggio . . . lo vi dò ciò che è mio . . . i pensieri, ed il cuore. BEETHOVEN Adorabile creatura, io sono indegno di te. LUCIA No, Luigi . . . io t'amerò sempre .

Siamo al gran duetto d'amore, interrotto dall'irrompere di Neefer, cui Beet­ hoven chiede la mano della figlia: offerta rozzamente respinta (Giorgio Germont non avrebbe fatto altrimenti) per consentire al protagonista l'a­ natema profetico : BEETHOVEN Avete ragione; e vi giuro che lascierò per sempre la casa vostra. Pure il nostro amore sulla terra non sarà dimenticato, e adesso vi dirò quale sarà il giudizio che il mondo darà di voi . NEEFER Dirà che sono un galantuomo e mi basta. BEETHOVEN Un galantuomo! Ecco la gran parola ! Parola negativa che spesso significa; io non ho mai fatto male ad alcuno; - invece io vi dico che dovevate fare il bene. Vi ricordate la prima volta che mi incontraste in casa di Heller? Avevo undici anni; in quell'età gli altri fanciulli giuocano, ed io aveva già composto un poema musicale che resterà, mentre nessuno parlerà più della vostra musica, stentata e dura come l'anima vostra. LUCIA Rispettate mio padre, signor Beethoven. NEEFER Queste sono cose che non si dicono. BEETHOVEN Queste sono verità, e bisogna sentirle; è vero che mi credeste degno di ricevere alcune vostre lezioni, ma vi metteste in collera, scoprendo che la scienza dello scolaro era forse maggiore di quella del maestro, e da quel giorno mi faceste la carità dell'odio vostro . NEEFER Odio la vostra scuola ch'è falsa. BEETHOVEN Ridotto nella miseria, venni a chiedervi ospitalità, ma non l'elemosina, perché ho pagato il vostro pane, e se m'avete ottenuto dall'Elettore, l'impiego di maestro supplente, operaste così unicamente per la vostra utilità. Più ; ora v'ho dimandato la mano di vostra figlia, e m'avete risposto con un sarcasmo, scacciandomi. Ecco la magnanima vostra parte a mio riguardo! Invece di sorreggermi amorevolmente per la difficile erta della mia strada, mi date una spinta per precipitarmi; ma vi prometto che resterò in piedi, perché gli uomini della mia tempra non cadono . Uscirò di questa casa, ma lo spirito mio vi resterà, e possano un giorno i posteri visitarla non come culla dei Neefer, ma perché Beethoven qui ha scritto ed amato.

Quindi la «stretta» conclusiva con il ritorno del Principe - finalmente disvelatosi - e l' invito a Vienna, accettato da Beethoven , mentre il sipa­ rio scende sulla sorte lagrimevole della fanciulla e sulla grettezza ignobile del «padre nobile» .

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Ancora un attacco verdiano - ma più libresco che musicale - nel secon­ do atto , dove il taglio ambientale viennese («una splendida sala in casa di Hummel») suggerisce un ritmo più frivolo e galante all'azione, con la Principessa Lichnowsky e il Barone Mulder (forse il ruolo «brillante» più accettabile concepito dal Cossa) e l'Ambasciatore di Svezia foriero di no­ tizie politiche («l Francesi hanno occupato tutta la riva sinistra del Re­ no») in vesti di caratteristi . Passa fra i convitati il Conte di Gallenberg, nuovo direttore dei balletti di Corte e conduttore di una compagnia di can­ tanti italiani, al braccio della Contessa, nella quale si ravvisa tosto «l'o­ scura ragazza, figlia d ' un organista di Bonn, che è diventata contessa» . Lucia, insomma, primo amore del giovane Beethoven : identità che il Ba­ rone confida, fra ironiche reticenze, a Emma, cantante del Teatro Tede­ sco e amante del Conte Gallenberg , come la scena VII provvede a chiarire in un furtivo tete-à-tete. Il meccanismo teatrale, con riferimento al Fide/io, è inevitabile e preva­ lente per le nozioni musicali e melodrammatiche del Cossa, secondo sug­ gestioni di riporto, dal momento che l 'opera beethoveniana non era anco­ ra stata rappresentata in Italia . L'intrigo si connette all' antagonismo fra opera tedesca ed opera italiana: questa patrocinata dal Conte, difesa quella - con una dignità che vorrebbe tardivamente riabilitarlo - da Neefer . E dall'intrigo, dal pettegolezzo si passa allo scambio ideologico , sempre secondo i canoni icastici e il « far grande» del melodramma, nel colloquio di Beethoven con il vecchio Hummel . Puntuale s'innesta quindi l' incontro degli ex innamorati di Bonn, presto interrotti dai soprassalti d'obbligo nel teatro borghese ottocentesco (i pro­ verbiali « Cielo, mio marito ! ») sdrammatizzati dal Barone che invita Bee­ thoven a eseguire la «Suonata patetica». L'atto scivola ormai nelle spire di Scribe e più ancora di Sardou, men_tre Beethoven affronta il Conte. BEETHOVEN L'opera che esposi al giudizio del pubblico di Vienna, io l'ho meditata lungamente, essa mi costa i faticosi sudori della creazione, e le veglie di lunghe notti, di quelle notti che buona parte degli uomini consuma gavazzando nelle cene, e nell'orgia . . . Io amo quel mio Fidelio ! . . . CONTE Ciascuno ama le proprie creature. BEETHOVEN Ed a più forte ragione ciascuno le difende. CONTE Non comprendo a qual fine m'indirizzate un simile discorso. BEETHOVEN Ed è vero : il mio Fidelio si difenderà da se stesso; egli porta in mano la fiaccola del genio, e cieco l'occhio che non la vede. Pochi maligni disseminati sguaiatamente per le scranne del­ la platea, non possono fare arrivare il fango del loro sorriso fino alle vesti della mia creatura

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prediletta . . . (esaltandosi) Il fango, bruttezza della terra, non può toccare le cose che hanno avuto il nascimento nel cielo. CONTE Ammiro la vostra modestia ! . . . BEETHOVEN E il vostro cinismo mi spaventa perché porta i guanti . CONTE Per darvi nel genio andrò ad abitare in una botte. BEETHOVEN (reprimendosi a stento). Conte di Gallemberg! . . . CONTE Illustre maestro, questa sera non posso rispondervi. BEETHOVEN È forse domani che mi darete una risposta? . . . CONTE (assai freddamente). Vi avverto, signore, che non è mia abitudine di accettar duelli.

SCENA XVI. Barone e detti.

BARONE (dalla sinistra). Scommetto che arrivo in cattivo punto, ma sono le signore che mi mandano; esse aspettano ansiosamente la suonata patetica.

BEETHOVEN Vado subito a domandare umile scusa alle signore. (entra a sinistra). CONTE (al Barone). Il maestro soffre di distrazioni ! (entra). BARONE Me ne sono accorto da un pezzo. (dopo pausa) Ecco là due uomini messi insieme apposita­ mente dal destino perché uno ammazzi l'altro. (entra a sinistra). FINE DELL'ATTO SECONDO.

S'impone per il Cossa, nel terzo atto, un problema di difficile soluzione : quello della progressiva sordità di Beethoven . Il compito di rivelarne la sintomatologia spetta ad Emma che malignamente la confida a Lucia: scon­ tro di femminili rivalità e quindi topos melodrammatico d'elezione . Di qui fino alla conclusione dell'atto . LUCIA (dopo una pausa, e con grande agitazione). Mio Dio ! Ella sa tutto . . . E come mai ha potuto

sorprendere il mio segreto, il dolce segreto dell'anima mia ch'io sempre ho custodito sì gelo­ samente? . . . Ed ora questa santa e pura memoria della mia vita, quella donna la spargerà come argomento di scandalo in mezzo ai crocchi d' una gente che vive soltanto di maldicenza e di cinismo . . . Oh la povera mia testa! . . . Guai, se mio marito . . . Mio marito ! . . . E avrebbe

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egli il diritto di farmene un rimprovero, egli che in questa casa, sotto i miei occhi stessi non ebbe ritegno . . . - Quando io amai Beethoven, ero libera di me: libera! . .. Ed ora? . . , (dopo una pausa). Oh quanto mi pareva di esser felice in quel tempo! - L'avvenire della mia vita io lo ricamavo di speranze come ricamavo di fiori la veste bianca che portavo nel giorno della festa . . . (con gran dolore) Ed ora, mio Dio, tutti questi sogni sono finiti, e finiti per sempre! . . . Si ricorderà egli più di me? . . . Questa sera lo vedrò . . . Egli sarà ammirato ed acclamato da tutti . . . e forse un'altra donna . . . (con un grido) Un'altra donna? . . . Cosa penso adesso? . . . Quanto tarda mio padre! . . . È inutile, le parole di quella maligna m'hanno messa la smania nell'anima. - (siede presso il tavolino) BEETHOVEN (parlando ad un servo). Sta bene; aspetterò il Cavaliere Neefer in questa sala.

LUCIA (alzandosi e con voce soffocata) Voi qui , in mia casa!

BEETHOVEN Comprendo, signora Contessa, la vostra sorpresa, ma io vengo a fare una restituzione a vo­ stro padre. LUCIA Una restituzione ! . . . BEETHOVEN Vi sarà noto che dopo la caduta del Fidelio, caduta a cui vostro padre non avrebbe dovuto contribuire almeno come impresario . . . LUCIA Il vostro sospetto è ingiusto, signor Beethoven, io vi giuro che mio padre. . . BEETHOVEN Vi prego di non giurare, signora Contessa; d'altronde il fatto è ormai passato da gran tem­ po , e se vostro padre non fu estraneo al complotto de' miei nemici, vi posso però confessare ch'egli tentò, come meglio ha potuto, di riparare al male che mi fece. - Da buon compagno io divisi allora la sventura col povero Fidelio; la mia fama di compositore rimase oscurata, e gli editori, molti de' quali s'erano arricchiti speculando sul mio ingegno, temevano di arri­ schiar troppo, se avessero continuato a comprare le mie composizioni al medesimo prezzo di prima. Ero un cervello al ribasso . In que' momenti infelici vostro padre venne a trovarmi, e mi propose un'anticipazione di trecento fiorini s'io voleva comporre per suo conto due quartetti e tre sonate per piano-forte. Accettai il contratto, ed ero finalmente giunto al ter­ mine del mio lavoro, ma poco fa mi giunse una lettera da Lipsia, lettera nella quale un ami­ co mi annunzia che un editore di quella città ha stampato nota per nota le mie nuove compo­ sizioni . . . LUCIA E come? . . . BEETHOVEN Come? Un giovinetto ch'io raccolsi presso di me in qualità di ammanuense, le ha ricopiate di nascosto, e le vendè all'editore di Lipsia. LUCIA È una vera indegnità. BEETHOVEN Non maggiore di molte altre, Contessa. - Vedete dunque che una tale circostanza mi mette nell'impossibilità di soddisfare all'impegno preso con vostro padre; non mi vergogno di dir­ vi che sono povero, e che non posso sul momento rimborsarlo del denaro che mi ha anticipa­ to; vi prego però giacché ho avuto la fortuna d'incentrarvi, di consegnargli questa obbliga-

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zione nella quale mi dichiaro suo debitore per la somma di trecento fiorini. (porge una carta a Lucia)

LUCIA (non volendo ricevere la carta). Oh, egli non l'accetterà . . . Basta la vostra parola, signor Bee-

thoven . . . Non v'è alcuna premura . . . Voi potete scrivere per mio padre altre nuove composizioni .. . BEETHOVEN E chi v'assicura ch'io potrei scriverle così presto come dovrei? . . . Domani parto per Londra . . . LUCIA Voi partite? . . . (pausa) BEETHOVEN Sì, Contessa, e dovete attribuire a tal partenza s'io venni in vostra casa a quest'ora, sottopo­ nendomi mio malgrado a recitare la parte dell 'importuno. LUCIA Cosa mai dite, signor Beethoven? . . . BEETHOVEN Vedo che siete già abbigliata per lo spettacolo di questa sera . . . I diamanti risplendono intor­ no al vostro collo, e ne' vostri capelli . . . Oh, voi sarete certamente la più bella di tutte ! . . . (dopo u n momento accostandosi a lei). Posso sperare che sarete per m e anche l a più beni­ gna? . . . Abbassate gli occhi, Contessa? . . . Comprendo : non potete darmi nessuna promessa, ed io troppo ingenuo ho voluto anticipatamente violentare la libertà del vostro giudizio . . . (sorridendo) State tranquilla; v'assicuro che non me l'avrò a male, e s e l a crederete una cosa giusta . . . fischiatemi. LUCIA Per carità, signor Beethoven, non mi parlate così ! . .. Nelle vostre parole v'è un'ironia che mi uccide. BEETHOVEN Un'ironia ! Ma non vi pare che nella vita sia tutto ironia? . . . Anch'io nella mia prima giovi­ nezza ebbi fede ed entusiasmo, e non avvenne certamente per mia colpa se ho dovuto mutare opinione. - Amai una fanciulla, ed ho creduto nell'amore di lei come si crede nell'amore della propria madre . . . eppure quella fanciulla non era che un'ironia ! . . . LUCIA (con gran dolore). Luigi ! . . .

BEETHOVEN Sì, un'ironia; ed io povero pazzo pensai ch'ella fosse per me la religione la patria, l'avvenire tutto ! . . . LUCIA Abbiatemi compassione, Luigi, oh se sapeste ! . . . BEETHOVEN Fidato nella vostra promessa appena giunto in Vienna, non ebbi altro pensiero tranne quello di possedervi. - Io devo divenir grande, dicevo fra me, quando gli occhi stanchi dalle lun­ ghe veglie non mi reggevano più, e quest 'idea m'infondeva una nuova forza, e allora, come li dettava la fantasia, i poemi uscivano dalla mia penna pieni di vita e di speranza. Da quel giorno non conobbi più riposo; le difficoltà non le scorgevo se non per il diletto provato nel superarle, e tutto il campo dell'arte mi si stendeva dinanzi sorridente . . . era mio ! . . . Oh

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quanto v'ho amato, Lucia ! Talvolta rileggendo qualcuna delle mie opere, mi sembrava d'es­ sere giunto all'altezza desiderata, ed io mi rallegrava non per me, ma per voi, per voi Lucia; e la mia immaginazione si compiaceva di ritrovarvi chiusa nella vostra cameretta, seduta presso il vostro tavolino da lavoro, e con gli occhi pensierosi e pieni di amore . . . (con grand 'impeto di dolore) Oh quand'io mi risovvengo di questi sogni, un affetto sconsolato s'impossessa dell'anima mia, e ritorno a piangere sopra la mia sventura ! . . . LUCIA Queste vostre lacrime sono il mio maggior castigo . . . eppure credetemi, Luigi : io non ho sof­ ferto, e non soffro meno di voi . BEETHOVEN Non è vero . . . Vi trovate voi sola nel mondo? Il vostro sangue brucia della febbre lenta, con­ tinua, di un desiderio senza speranza? . . . E la persona che amate la vedete voi in possesso d'un'altra? . . . Rispondetemi: soffrite voi tutti questi dolori ! . .. Ah, io vi dico che strana giu­ stizia è quella degli uomini ! Essa punisce l'assassinio che si opera sopra il corpo e non si cura di quello operato sopra un'anima. LUCIA Voi mi farete morire, se continuate a parlarmi così . - Lo so la vostra poesia m'aveva subli­ mata troppo, e nel momento della prova sono rimasta inferiore al concetto del poeta, ma credetemi per carità, non fui vinta senza combattere. - E che cosa poteva far io povera fanciulla vedendo mio padre ridotto nella più squallida miseria? L'Elettore era stato costret­ to ad abbandonare i suoi stati, tutto era scompiglio, i nemici s'avanzavano, e fu in que' mo­ menti che il Conte di Gallemberg chiese la mia mano. Il Conte parve a mio padre un salvato­ re, ed io non ho saputo resistere alle sue preghiere . . . Ecco la mia colpa; sacrificando me, volli salvare quel vecchio infelice. - Non mi giudicate, Luigi, da questi diamanti e dal lusso che mi circonda; la maschera di cartapesta mi ride sul volto, ma gli occhi che vi stanno sotto hanno pianto e piangeranno sempre. - Ah io non merito d'essere disprezzata da voi ! . .. Di­ temelo, Luigi , è vero che non mi disprezzate? . . . BEETHOVE Io disprezzarvi, Lucia ! . . . LUCIA Ebbene, ve ne chiedo una prova. Questa forse è l'ultima volta che noi possiamo parlarci. . . datemi un ricordo . . . una parola, - e questa sia i l vostro perdono. - (s 'avanza tremando verso Beethoven, e gli porge la mano).

BEETHOVEN (prendendo/e la mano e coprendola di baci). Oh io ti amo con tutta l'anima . . . e tu Lucia?

LUCIA Non m'interrogate per carità. BEETHOVEN Rispondimi. Lucia, m 'ami tu ancora? LUCIA Rispettatemi ve ne prego, io sono moglie d'un altro. BEETHOVE Oh io non avrò più nella vita questo momento così felice! Dimmi che m'ami Lucia ! Dimme­ lo; ho bisogno di questa parola . LUCIA Lasciatemi Luigi . . . pensate al mio onore !

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R. Bottger, Allegoria; disegno primo 1 900. Fritz Zerritsch, Beethoven davanti alla gabbia de/ leone a Schonbrunn, disegno primo 1 900. Beethoven al ruscello.

S. Hruby, A llegoria, disegno primo 1900.

SCENA V Neefer di dentro e detti.

NEEFER (di dentro) La carrozza di gala sia pronta fra un quarto d'ora.

BEETHOVEN Avete ragione, Contessa, è al vostro onore che bisogna pensare innanzi tutto . . . ed io sono un pazzo. (fugge via) LUCIA Oh no Luigi , io t'amo, io t'amo ! (sviene, entra Neefer, e cala la tela). FINE DELL'ATTO TERZO

La fase successiva del dramma della sordità si affida ad un altro topos melodrammatico, quello del «racconto» , che nel quarto atto («nel Teatro Imperiale a Porta Carinzia») compendia i leggendari eventi del 1 8 1 3/ 1 8 1 4 . NEEFER Oh, certo, una sventura per lui; ma l'ha voluta, - se la pigli. LUCIA Che? . . . Forse Beethoven? . . . PRINCIPESSA Raccontate. NEEFER Ecco brevemente il fatto. Sapete che il gran maestro, come lo chiamano alcuni da qualche tempo, è stato colpito da un'infermità un po' incomoda a dir vero per un compositore di musica principalmente . . . il poveretto comincia ad esser sordo. Un altro avrebbe rinunziato a dirigere la sua orchestra, permettendo che qualcuno più in orecchi di lui se ne fosse assun­ to l'incarico . Ma no; Beethoven che come nel comporre musica, così in ogn 'altra cosa osten­ ta di comportarsi sempre a rovescio di quello che fanno gli altri, si è ostinato a non cedere e volle ad ogni costo occupare la gran sedia di capo d'orchestra. E che orchestra! Avete ve­ duto; i più rinomati professori dell'arte v'erano raccolti . . . Figuratevi che Hummel, il famoso Hummel batteva la gran cassa . . . Appena le loro Maestà presero posto nella loggia imperiale, si fece un silenzio religioso . . . Beethoven alza la sua bacchetta, e l'orchestra incomincia la sinfonia; per alcuni momenti tutto procede in piena regola . . . si sarebbe intesa per l'aria l'ala d'una farfalla che volasse, tanta e sì profonda era l'attenzione del pubblico ! Quando nell'attacco d'una fuga veramente indiavolata, i clarini sbagliano strada, ed entrano due o tre battute avanti il tempo. - Beethoven non se n'accorge; i clarini , vista l'impassibilità del maestro, credono di aver fatto bene e tirano avanti . Immaginate che cosa avvenisse ! Il caos in persona per dir così, era entrato nella sala del teatro, ma Beethoven impassibile seguita a muovere la sua bacchetta come se nulla fosse . . . Alcuni professori, capita la cosa, cessano dal suonare, altri s'alzano . . . il pubblico comincia a bisbigliare e a muoversi. Quell'agitamento di teste dà sugli occhi al maestro che s'infuria battendo i piedi e grida a dritta e a sinistra: da capo ! . . . Ma nessuno gli dà ascolto . . . allora egli infuriandosi sempre più manda insolenze qua e là all'indirizzo dei professori, che sorridono, - e da tutta la platea, malgrado il rispet­ to dovuto alle loro Maestà, si levano grida di disapprovazione che Beethoven forse non sentì bene, ma indovinò certamente.

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LUCIA (fra sé). Oh il dolore di quell'anima in quel punto ! . . .

NEEFER Guardatelo, Principessa; eccolo che viene terribile come un Oreste, ma consolato dal suo Pilade. P RI NCIPESSA Povero Pilade! NEEFER È il Principe vostro marito . PRINCIPESSA Povero mio marito ! . . .

L ' epilogo s i consuma nella temperi e greve ed oleografica, vigilata da un medico e da una domestica, come nell'ultimo atto di Traviata (più che di Macbeth) dove la malattia «non accorda che poche ore» . Il problema del­ la sordità ormai totale è risolto dal Cossa sull' «anticipo» di battuta con cui Beethoven precorre l'interlocutore, ergendosi nel finale a interprete di una «bella morte» squisitamente operistica nell'enunciazione enfatica de­ gli Ideali , nella plasticità del gesto e della parola, nel ritmo lento del com­ miato fra lucidità e delirio. BEETHOVEN Ti ricordi, Lucia, il nostro primo colloquio d'amore? Mi pare cosa di ieri, tanto ne conservo viva la memoria nell'anima ! Quel colloquio m 'insegnò la vita, e i sublimi dolori d'una pas­ sione senza speranza. . . Ma adesso tu devi insegnarmi a sperare. . . A sperare nel perdono pro­ messo a tutti quelli che hanno molto sofferto e molto amato. Siediti vicino a me. LUCIA Oh no; io debbo stare in ginocchio innanzi a voi . BEETHOVEN Alzati, Lucia; non vuoi? Comprendo; tu ami di pregare per me, e fai bene; la donna accanto ad un moribondo adempie una sublime missione: quella dell'Angelo. - E perché nascondi fra le mani il tuo volto? Lascia che le tue lagrime goccino sul mio cuore . . . è l' unico refrigerio che posso avere dalla terra . LUCIA Salvatelo, mio Dio, e prendetevi la mia vita! BEETHOVEN Sentimi, Lucia: tu sai ch'io fui grandemente infelice, ma non ti rimprovero, se anche tu hai potuto contribuire alla mia sventura. Sovente l'ingegno è come il selce che non manda scin­ tille se non è percosso, e forse io sono debitore soltanto alla sventura di non aver consumato nell'ozio dei molti le sante forze del core e dell'intelletto. Provai l'orgoglio del dolore, e sor­ risi dei maligni e degli ignoranti che cercarono in ogni tempo di gittare il discredito sulle mie opere. Tuttavia la mia fu superbia eccessiva, ed ho stimato troppo me stesso. Affascinato dalla potenza dell'estro pensai di creare come Iddio, e sconoscente verso di lui , ebbi in disde­ gno di sapere che le mie armonie io le rubava alla selvaggia maestà della tempesta, all'usi­ gnolo che riempie il bosco de' suoi canti, ai mille inni che si levano dalla campagna sotto il sole di primavera; ma il gran superbo fu umiliato, il dito di Dio toccò le mie orecchie, e l'intera creazione non manda più un suono fino a me. - Prega, Lucia, prega; ho bisogno della tua preghiera!

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LUCIA Oh l'angoscia del mio povero cuore! . . . BEETHOVEN (dopo una pausa) Quest'ora è solenne, o Lucia, perché sulla terra non ci rivedremo mai più . Ebbene prima di morire non vorrai dirmi un'altra volta che m'ami? . . . Io non udrò la tua parola, ma l'anima mia la raccoglierà. . . Parlami con gli occhi, o Lucia ! Finché ho avuto la vita d'innanzi a me . . . ho sempre tremato di ridimandarti questa parola . . . ma ora la vici­ nanza della morte mi rende audace; dimmela Lucia, nessuno la risaprà, ed io non potrò più vantarmene. LUCIA Oh Dio m'abbia misericordia com 'io t'amo, e t'ho sempre amato ! . . . BEETHOVEN Ne' tuoi occhi sfavilla il cielo; grazie, o Lucia, tu m'hai ridetto la divina parola! . . . LUCIA Sì, t'amo, t'amo ! . . . BEETHOVEN Questa contentezza m'uccide. - Ancora un'altra parola, Lucia; promettimi di ritornare qual­ che volta a Bonn, e di visitare i luoghi dove nacque il nostro amore; sarà per te un mesto e santo pellegrinaggio, ma non v'andarai sola . . . lo spirito mio t'accompagnerà . . . Lo pro­ metti, Lucia? LUCIA Lo prometto. BEETHOVEN Adesso non mi resta altro che morire! . . . LUCIA Oh no! . . . BEETHOVEN Che farei più sulla terra? Ho l 'anima logora, e le corde dell'arpa mia sono logore anch'es­ se . . . Il suonatore ambulante non sa più come guadagnarsi la vita, ed è caduto sfinito sulla strada . . . Io mi sento morire! . . . LUCIA Non me l'ascrivete a colpa, o Signore, mio Dio, se prego per lui ; vi prometto di non vederlo più, ma salvate!o ! BEETHOVEN Lucia, dammi la mano, e non !asciarmi . . . Io mi sento morire ! . . . LUCIA Al soccorso ! . . . Qualcheduno per carità ! . . .

SCENA ULTIMA

Bettina accorrendo dalla destra, poi il Medico Warruch ed il Principe Lichnowski dalla por­ ta di mezzo. BETTINA Ve l'aveva pur detto, o signora, che un'emozione improvvisa l'ucciderebbe!

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LUCIA O me disgraziata! . . . E come fare adesso? . . . BETTINA Ah ! . .. Ecco il dottore. È proprio la provvidenza che vi manda in questo momento, osservate. MEDICO (dopo aver tastato i polsi a Beethoven) Il mio presentimento s'è avverato.

LUCIA Cosa dite, dottore? . . . MEDICO Non gli restano più che pochi minuti . PRINCIPE Quale sventura ! . . . LUCIA Egli riapre gli occhi . BEETHOVEN Quanta gente ! . .. Ah siete voi, dottore? Credo che sciuperete il vostro tempo . . . E voi ! . . . P RINCIPE Non mi riconoscete, signor Beethoven? BEETHOVEN Il Principe! . . . La vostra mano, mio caro benefattore; voi me la porgeste la prima volta per avviarmi , come dicevate, sulla strada della gloria, ed eccomi finalmente arrivato. Un ultimo favore. Principe . . . andate a trovare Hummel, salutatelo da mia parte, e ditegli che mi sono ricordato di lui . . . e che l'ho aspettato finché ho potuto. P RINCIPE Povero amico, io non mi darò pace mai più ! . . . BEETHOVEN Piangete tutti . . . e perché? È una cosa vecchia e facile il morire ed io n'aveva proprio biso­ gno, il bisogno dell'uomo che ha vegliato lungamente e che desidera l'ora del sonno. Nessu­ no creda che vivendo io avrei potuto aggiungere una fronda di più alla mia corona d'arti­ sta . . . La fiamma del genio era esausta, e non dava più lume da gran tempo (facendo uno sforzo per alzarsi). È una strana velleità la mia . . . Ho letto d'un imperatore che volle morire in piedi . . . Anch' io sono imperatore nell'arte dell' armonia . . . Suonatemi la mia sinfonia eroica . . . non è soltanto eroe chi muore sul campo di battaglia . . . Pare impossibile . . . la mia superbia non vuole abbandonarmi . . . Oh salga a te, mio Dio, l'anima mia, a te centro ed origi­ ne di tutte l'armonie dell'universo ! . .. Addio miei buoni amici . . . Addio Lucia; e grazie di quest'ora . . . Ricordati di me nelle tue orazioni . . . (muore) LUCIA Morto! Morto ! . . . PRINCIPE (vedendo il diploma ch 'è sul tavolino) Lo avevano fatto cittadino di Vienna: la morte più giusta lo farà cittadino del mondo.

Si osservi come le ultime battute di Lucia e del Principe suonino pletori­ che come i famigerati «0 cielo ! . . . Muor ! » . . . «Oh Dio, soccorrasi . . . » . . . « È spenta ! » . . . «Oh mio dolor», sui quali precipita - ma con il conforto della musica di Verdi - il sipario di Traviata. Quella del Cossa è un'eloquenza operistica in ritardo rispetto all' ultima, 1 60

prodigiosa stagione verdiana - di A ida, per intenderei - nella quale pur vedono la luce il Nerone e il Beethoven. In ritardo ancor più grave sull 'U­ topia boitiana. In linea invece con i propri tempi - che erano poi gli stessi del teatro mu­ sicale di Massenet , allora autore del Don Quichotte - il Beethoven del ventisettenne René Fauchois ritorna al verso ed alla cantabilità metrica del Cyrano di Edmond Rostand . L'esperienza diretta che Fauchois ha del congegno teatrale, come attore e come autore, raffinata dalla frequentazione di André Antoine, sfocia in una pièce che concilia la nuova sensibilità melodrammatica con le istanze storiche della biografia beethoveniana, in una più sottile e sfaccettata ot­ tica psicologica. La genesi del dramma è raccontata dallo stesso autore: Come mi venne l'idea di scrivere una pièce su Beethoven? Nell'anticamera di un direttore di teatro, dove, ahimé, aspettavo. Fu per caso, e dopo molto tempo, che fra una polvere tale da scoraggiare un ricercatore meno ardito, scoprii la traduzione francesce della biogra­ fia consacrata a Beethoven dai suoi amici Wegeler e Ferdinand Ries. Il libro, pubblicato da Dentu , nel 1 862, era ancora intonso. L'aprii per caso e qualche minuto più tardi, senza nem­ meno ricordarmi del manoscritto che avevo in tasca e dell'appuntamento al quale il direttore che mi aveva convocato continuava a mancare, lasciai il teatro, portando con me il soggetto della mia prossima commedia. La meditai a lungo . Abbozzai più di dieci sceneggiature. Alla fine ne scelsi una e incominciai a scrivere il primo agosto del 1 906. Dopo tre mesi, trascorsi assolutamente solo da mattina a sera, il 23 novembre depositai il mio manoscritto sul tavolo del direttore dell'Odéon, e l'indomani , una lettera di Antoine m'informò che era stato accet­ tato. Ecco tutto !

Il 9 marzo 1 909 il dramma va in scena al Théatre de l ' Odéon, protagoni­ sta Maxime Desj ardins . Il protagonismo di Beethoven è visto però da Fau­ chois in un contesto illustrativo e arioso , che stempera l ' Immaginario tita­ nico e demonico in un quadro storico concertato sugli eventi dell 'uomo e dell' artista, con un'insolita attenzione analitica. L 'identità di dramma storico, teatro di poesia e naturalismo appare co­ niugata con misura da oltre una trentina di personaggi . Lo schieramento della Saga è pressoché completo sul piano sentimentale, culturale, politi­ co e familiare . Da quest' ultima angolatura Fauchois muove le sollecita­ zioni drammaturgiche più originali, facendo del fratello Johann Nicolaus una sorta di antagonista dal profilo umano repellente . L'immaginazione melodrammatica è filtrata con accorta strategia, mediata da Schindler nel primo atto («A Vienne, sous l' Empereur Frantz I er . Un jardin public, l' après-midi d'un beau dimanche de j uillet , après le départ des Français» ) . Beethoven est pareil a u noir torrent des Alpes . Les arbres chevelus, 6 torrent,que tu scalpes, Dans sa course farouche aux bonds précipités

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Ce sont les préjugés qui'il a décapités ! . . . Malgré Mozart, Haendel, Haydn, Gluck, Bach lui-meme Vous refusiez encore au C hant so n diadème ! . . . Mais il surgit, chassant la horde des frelons Qui pullulaient dans l 'air malsain de nos salons , Et leur bourdonnement s'apaise quand il gronde. Son hymne impétueux se répand par le monde, Et plein de force, et fier comme le libre Rhin, Impose à nos ferveurs son rythme souverain! . . .

o dallo stesso autore dell'Eroica: DE TRÉMONT l'ai, comme humble amateur et comme Français, Maitre, Applaudi des premiers, quand elle prit son voi, La belle symphonie écrite en mi bémol Qui porte, m'a-t-on dit, le nom de Bonaparte. BEETHOVEN Oui, jadis, en suivant ses exploits sur la carte, En lisant ses hauts faits, ignorant son calcul, l'ai beaucoup admiré votre premier consul ! . . . Se carrière semblait une aube qui se lève; La liberté brillait dans l'éclair de son glaive ! DE TRÉMONT Mais votre symphonie? . . . BEETHOVEN Elle, n'a plus son nom . Il était Bonaparte et non Napoléon, Au temps où je prenais ses victoires pour thème. Ma musique irait mal à l'archange anathème. DE TRÉMONT Vous semblez le halr, cher Mal'tre, avec fureur! Quel crime a-t-il commis? . . . BEETHOVEN Il s'est fait empereur !

Il contrasto · fra Nicolaus e Ludwig è subito in evidenza nel primo atto: BEETHOVEN Dis ce que tu voudras ! J'adore cette fille, Sa voix qui semble un vin généreux qui pétille ! . . . Jusqu'alors j 'ai vogué solitaire et pensif: J'éprouve le besoin de faire à mon esquif Entendre une chanson dont il n'a pas coutume, De mettre une blancheur à còté de ma brume, Et d'oublier parfois le bruit des flots hurleurs En regardant mes fils jouer avec des fleurs !

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NICOLAS Enfin, es-tu sfir d'elle autant que de toi-meme? BEETHOVEN Je te l'ai déjà dit, Nicolas : elle m'aime ! . . . NICOLAS Pardonne-moi , Ludwig, d'insister sur ce point . Mais je le puis encor, je ne la connais point . Quel intéret a-t-elle à devenir ta femme? Tu n'es pas fortuné - personne ne t'en blame: Tout le monde n'a pas la chance ou le talent De s'enrichir avec un trafic excellent Et quant à ta beauté, mon cher Ludwig, en somme, Sans etre laid pourtant, tu n'es pas un bel homme ! . . . Seui, t u le comprends bien, mon amour fraterne! M'oblige à te parler sur ce ton . . . BEETHOVEN Solenne! ! . . . Nicolas, tu veux rire ou tu perds la cervelle . . . ? Quel pont géant de quelle énorme caravelle Porterait le tréson dont mon front s'alourdit Quand l'inspiration, m'arrachant de mon lit, Me tralne vers ma table où, sur les pages blanches, Tous !es ors de mon sang roulent en avalanches ! . . . Oui , mon art somptueux, frère, est u n diamant Que s'enorgueillirait d'offrir plus d'un amant! . . . E t quant à ma beauté . . . regarde mon visage! Regarde un peu ces yeux de bataille et d'orage, Où des glaives flamboient sur un cii de velours, Que !es peintres ont tous voulu peindre, et toujours, N'en pouvant figurer les nuances subtiles, Ils ont jeté loin d'eux leurs pinceaux inutiles ! . . . Ma pensée en mes yeux s'épanouit en fleurs . . . Et si tu l es voyais quand ils so n t pleins de pleurs ! . . . Ainsi , mon frère, apprends que dans toute l 'Autriche Nul n'est plus beau que moi ! NICOLAS Mon frère! . . . BEETHOVEN Ni plus riche! . NICOLAS Ah ! l'amour te possède ! . . . BEETHOVEN Oui , l'amour, - tu le dis ! . . .

Anche i l dramma della sordità è fatto balenare nel primo atto come presa­ gio tempestoso : 1 63

BEETHOVEN Ah ! mes bourdonnements d' oreilles . . . L 'ouragan Qui vient de se reur encore sur mon tympan . . . C e bruit terrible d'eau , de vent et de feuillage, Pareil au bruit profond qui sort d'un conquillage, Et qui vient par instants m'étourdir . . . Oh ! tais-toi, Cloche de je ne sais quel monstrueux beffroi ! . . . Ton carillon funèbre est l' horreur de m es veilles . . . Ne sonne plus ainsi, cloche, dans mes oreilles ! . . . Le bruit décrolt, s'éteint . . . O sombre et rude émoi ! . . . Je n'entends plus que l'ombre éparse autour de moi . . . Quel invisible bras fouette les arbres blemes, Et répand sur le sol l'or de leurs diadèmes? . . . L e crépuscule est plein de frissons et d'effrois Comme si de confus et mornes désarrois Poussés par le Destin , chasseur aux mains puissantes, Dans l 'ombre ouvraient déjà l'eurs gueules menaçantes! . . . Quelle angoisse m'étreint? . . . D e quoi suis-je peureux ! . . . Il aperçoit Giulietta. Et comme si la présence de l'aimée

le délivrait d'un jardeau, dans une joie folle:

Giulietta ! . . . C'est toi ! . . . Comme je suis heureux!

La confessione definitiva viene fatta a Schindler nel secondo atto («Une pièce dans l' appartement de Beethoven . Ameublement pauvre. Un clave­ cin . Una table chargée de papiers, de livres , de partitions, dominée par un buste de Brutus . Sur un mur, un violon, le portrait, en habit de céri­ monie, du grandpère de Beethoven par le peintre Radoux; un vieille hor­ loge . Une large fenétre à travers laquelle, au loin, on aperçois les collines du Danube. porte à cauche. Porte a droite. Porte au fond donnant sur un peti t couloir» ) : SCHINDLER Sans etre curieux, Puis-je vous demander quel voeu mystérieux Vous fait depuis des mois déserter la taverne Où vos anciens amis que votre exil consterne, Attendant vainement votre retour, n'ont plus Qu'une ivresse sans joie et qu'un entrain perclus? Depuis que votre voix n'anime plus les groupes, Le vin du Rhin lui-meme est triste aux ereux des coupes . Enfin, que signifient ces exodes soudains Vers des lieux ignorés de vos frères! . . . BEETHOVEN Tes mains . . . Tes mains, mon bon Schindler, qu'enfin j e te confie Un secret . . . SCHINDLER Un secret?

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BEETHOVEN L 'angoisse de ma vie ! . . . SCH INDLER Parlez ! . . . BEETHOVEN Ton Beethoven porte_ un souci bien lourd ! SCH INDLER Lequel? . . . BEETHOVEN l'ai peur, Schindler, peur de devenir sourd ! SCHINDLER Sourd? BEETHOVEN Garde pour tou seul l'amère confidence! SCHINDLER Oh ! . . . BEETHOVEN l'ai su manoeuvrer avec tant de prudence Que nul ne s'est encore aperçu de rien, mais Ce secrete divulgué une perdrait à jamais! . . . SCHINDLER Vous savez que Schindler vous aime et vous respecte: Que sa fidélité ne vous soit pas suspecte ! . . . Quand cela vou!; prit-il? Comment? . . . BEETHOVEN Voilà longtemps. SCHINDLER Mais , ordinairement, vous entendez? . . . BEETHOVEN J 'entends . . . Puis, inopinément, mon oreille s'effare Au tumulte irrél d'une horrible fanfare Qui dure quelquefois deux minutes, parfois Huit jours; la fois dernière elle a duré deux mois ! . . . Ah! t u frémis, Schindler ! . . . SCHINDLER C'est affreux ! BEETHOVEN C'est risible Ce qui chez moi devrait etre le plus sensible - De quelle force obscure ai-je offensé la loi? Bient6t m'aura quitté . . . Je serai sourd ! . . . SCHINDLER Vous! BEETHOVEN M oi ! Tous les chants qu 'au printemps chante l'aube éblouie

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Vont s'éteindre pour moi qui n'aurai plus d'oui·e . . . J'ai voulu me brùler l a cervelle! . . . Cent fois, Désespéré, fuyant, hurlant, seui, dans les bois, Fou, je me suis rué, front bas, contre une souche ! . . . L a mort a dédaigné mon offrande farouche ! . . . Certes, s'il est u n Dieu dans quelque paradis Qui sache mon destin, Schindler, je le maudis . . . Pour cacher mon malheur, j e fais l e fou, j e ruse . . . C'est m a distraction que tout le monde accuse Quand ma fuite interrompt brusquement l 'entretien, Parce qu'on m 'interroge et que je n'entends rien. Je feins d'etre inspiré . . . je griffonne une page . . . O h m a laisse à m a Muse . . . et j e pleure de rage ! Ma musique a déjà des ennemis nombreux! Si l'on me savait sourd . . . quel triomphe pour eux ! «Nous savons maintenant d'où lui vient son audace, Diraient-ils; quelque bruit que sa musique fasse, Il en est à l'abri, gràce à sa surdité! » J amais ils ne voudraient croire la vérité, Que te tous mes accords je me rends très bien compte. On se rirait de moi . . . J'en périrais de honte ! SCHINDLER Vous entendes encore? BEETHOVEN Oui, mais de mons en moins . SCHINDLER Voyez-vous un docteur? Vous soignez-vous? . . . BEETHOVEN Les soins N'ont fait j usqu'à présent qu'aggraver ma souffrance: Les médecins sont tous d'une telle ignorance! . . . SCH INDLER Mais lorsque vous allez au théatre . . . BEETHOVEN Je dois M 'approcher de l'orchestre afin d'ou1r les voix, Et meme, certains soirs, cuivres, violons, fliìtes, Voix, je n'entends plus rien pendant quelques minutes! Tiens! sais-tu quand me prit mon plus terrible accès? SCHINDLER Non? . . . BEETHOVEN C'est quand les canons de ces damnés Français Lancèrent leurs obus sur les faubourgs de Vienne. SCHINDLER Hélas ! . . . BEETHOVEN A ce moment, ami , qu'il t'en souvienne,

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J'habitai plusieurs jours la cave de Gaspard ! Je sais que pour cela l'on m'a traité plus tard De lache et de mauvais citoyen, et j ' avoue Que j ' aurais préféré qu'on souffletat ma joue. l'ai dfi laisser tomber l'insulte sur mon nom ! Ce n'était pas mon coeur qui craignait le canon, Mais mon oreille ! . . . SCHINDLER Ainsi , votre exil volontaire? . . . BEETHOVEN N'a pas d'autre raison que mon mal, qu'il faut taire! SCH INDLER Tantòt, à l' Augarten, vous avez bien conduit . . . BEETHOVEN Pourtant, je n'entendais plus rien qu'un vague bruit Dès l'andanté . . . SCHINDLER Comment? . . . BEETHOVEN Non, plus rien, je t'assure . . L'archet de Schuppanzigh m'indiquait la mesure! Comment ai-je franchi sans hésitation Les obstacles semés dans ma partition, C'est ce qui stupéfie encore ma pensée, D'autant plus qu'une chose étrange s'est passée . . . SCHINDLER Quelle chose? . . . BEETHOVEN En levant la tete - est-ce un hasard? Mon regard s'est perdu dans un autre regard. Juste en face de moi , debout dans une loge, Où sa seule attitude était comme une éloge, Une femme, attentive à tous mes mouvements, Semblait tirer à soi l'ame des instruments. Tout ce que mon orchestre exprimait, son visage Le réflétait; ses yeux m'indiquaient le passage Où j 'en étais . Enfin, malgré moi, j'ai quitté L'archet de Schuppanzigh de vue . . . SCHINDLER En vérité? . . . BEETHOVEN Et sfir d'elle et de moi - crois pas que je me vante l'ai suivi dans ses yeux ma musique vivante ! SCHINDLER Dans la foret des sons où vous étiez perdu, Sans l'invisible fil qu'elle vous a tendu, Vous eussiez pu tomber sous un vent de risée; Mais Ariane encore a délivré Thésée!

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BEETHOVEN, songeur. Oui, le destin toujours aux héros en péril Montre la gioire proche en l'éclair d'un profil! . . . A lors, o n entend frapper au fond. Un temps. Beethoven n 'a point bougé. On frappe une seconde jois. SCHINDLER, doucement.

On a frappé, je crois. Beethoven, s 'est levé. Tout son visage s 'est froncé dans une expression d'effroyable détresse où se melent l 'ironie et la résignation. Il regarde Schindler ejjrayé. Il écrase avec ses poings des larmes dans ses yeux, passe ses mains sur ses oreilles, et dit enfin:

J'y vais l Puis disparait dans le couloir, au jond. SCHINDLER, seui.

O Dieu sévère, Faut-il qu'à tous tes fils tu gardes un calvaire l . . .

Sempre nel secondo atto è ricostruito l 'ultimo , penoso incontro d i Beet­ hoven con Giulietta. Al centro , il «monologo della nona sinfonia». BEETHOVEN, seui Enfin, je t'ai vaincu, noir destin ! . . . Tu roulas Trop longtemps sur mon front la fureur de ton glas l Et tu faisais claquer tous tes vents sur ma tete l Eh bien, je te défie, à présent, 6 tempetel . . . T u peux lacher, parmi l a pluie et l es grelons, La meute des autans rageurs sur mes talons : Je suis armé, mon bras pour lutter n'est point veule, Et j 'empoigne aujord'hui ton tonnerre à la gueule. Il jeuillette des papiers sur la table.

Travaillons l . . . J 'ai des plans énormes l . . . Jusqu 'ici Je nai rien fait. . . non, rien . Mes bons princes, merci ! Si tu n'existes pas, joie immense et sacrée, En mon etre meurtri ma volonté te crée, Et camme ils sont souffrants autant qu'ils sont méchants, Je te donne aux humains, 6 joie, et dans les chants Que j 'ai forgés avec ma douleur pour enclume Puissent-ils voir ta fiamme illuminer leur brume ! . . . J 'exalterai l a vie aux grands rythmes puissants, Non camme elle est encor, mais comme je pressens Qu'un jour, pour le bonheur de tous, elle doit etre: Tempie où chaque homme aura la majesté d'un pretre l . . . O n dit que des porteurs de lyvre ont autrefois Attendri les lions géants au fond des bois . Et forcé par leur chant les pierres alles-memes A se ranger selon le rythme d es poèmes l . . . Mon art accomplira des miracles plus grands: Les Français tomberont aux bras des Allemands l

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Par le divin pouvoir d'une ampie mélodie Je veux qu'un jour la terre entière répudie Ces héros sans vertu dont !es exploits guerriers Melent un goùt de sang et de la cité! . . . J e découvrirai l'hymne impétueux et tendre Gràce auquel, à la fin, l'homme ayant pu l'entendre, Le malheur sortira de lui comme un soupir! Vivre, encore aujourd'hui, c'est craindre de mourir ! Mon chant fera la mort douce comme la vie, Car la vie et la mort ne so nt qu' une harmonie! . . .

Se il monologo e l a successiva scena con Bettina Brentano (tema del collo­ quio, la poesia di Goethe) consentono a Fauchois di dilatare il campo liri­ co , il finale, con la concitata prova del quartetto , tenta l'effetto realistico nella segmentazione metrica del discorso , che questa volta coinvolge sulla scena anche il discorso musicale. BEETHOVEN qui a sous !es yeux Schuppanzigh, Sina et Weisz et qui s 'entend pas Zmeskall jouant au clavecin.

Mais où Zmeskall est-il passé? SINA Hum ! . .. Je crois bien Qu'il est au clavecin . . . BEETHOVEN voit Zmeskall, comprend qu 'il n 'entend pas, porte la main à on oreille.

Ah ! . . . SHUPPANZIGH Qu'avez-vous? BEETHOVEN

Rien ! rien ! Je ne sais où j ' avais l 'oreille et la cervelle, Un souci m 'emportait loin d'ici sur son aile. ZMESKALL,qui est venu à Beethoven

Votre lot de papier, vos plumes, vos crayons Sont-ils épuisés? BEETHOVEN

Oui ! Z MESKAL L Nous vous ravitaillons ! BEETHOVEN

Ah ! Z MESKA LL tiran t de ses poches !es objets qu 'il annonce et /es p/açant sur la tab/e. Voi ci des crayons ! . . . BEETHOVEN Bravo ! . . .

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Z MESKAL L Des feuilles neuves! BEETHOVEN

Qu'Apollon, cher Zmeskall, t'épargne les épreuves ! Z MESKAL L De belles plumes d'oie au service du chant ! . . . BEETHOVEN

Tu ne t'es pas fait mal en te les arrachant? Z MESKALL Merci ! . . . pré/udant sur son violon.

SHUPPANZIGH ,

Nous sommes prets ! . . . BEETHOVEN

Dépechons, car je dine Chez l'archidue! ZMESKALL,

prenant son violoncelle.

Allons ! inquiet

BEETHOVEN,

Où, j 'ai mis la sourdine Vous la supprimerez! SHUPPANZIGH

Porquoi? . . . BEETHOVEN

Juger certains accords . . . Nous

y

Je veux . . . je veux sommes? Un! Deux!

Beethoven bat la mesure. Les autres jouent. Il est interrompt au bout de quelques mesures. Non ! non ! Recommençons ! . . . l/s s 'arretent surpris.

Est-ce que mon mal change? Plus de bourdonnements . . . Mais comme un vide étrange . . . Beethoven redonne la signa/. L e quatuor est repris.

Jouez plus fort ! . . . Beethoven est en proie à un grand trouble.

Encore ! Exaspéré, il bat une mesure folle.

A tous crins ! . . . Des larmes de rage mouillent ses paupières. Il brise sa baguette en poussant un cri terrible.

Ah ! Tous cessent de jouer. SHUPPANZIGH

Eh bien? ZMESKALL

M altre? SHUPPANZIGH

Qu'avez-vous?

1 70

BEETHOVEN

arrache son arche! à Zmeska/1 et le frotte sur son violonce/le

Rien . Il se jette sur son clavecin, le frappe violemment, le ferm et se jette

à terre, hurlant

Rien ! . . . Je n'entends plus rien ! . . . RIDEA U

La dimensione familiare di Beethoven , nella drammatizzazione lirica di Fauchois si arricchisce, nel terzo atto , di una figura-chiave, quella del ni­ pote Karl. Non sfugge all' autore l'ambiguo senso affettivo di questa rela­ zione, sulla quale Luigi Magnani ha potuto costruire nel 1 972, in forma di romanzo, una impressionante e forse decisiva ipotesi esistenziale del­ l ' artista. Prima ancora che Karl entri in scena, il rozzo materialismo di Nicolaus s'incarica di esporre brutalmente le premesse del carattere e del rapporto: NICOLAS

Vous savez que Gaspard, au point de rendre l'ame, - Douze ans auront passé dans huit mois sur ce drame A n otre frère aìné confia son enfant . . . SCHINDLER

Je sais . . . NICOLAS

Le petit Karl, hélas ! est maintenant Un luron que le vice a fait et tout précoce, Et qui n'a qu'un souci, qu'un but, faire la noce ! SCHINDLER

Il fut pour ce neveu d'une folle faiblesse! Le femme de Gaspard était une dròlesse, Et Karl tient de sa mère, et c'est un vrai malheur . Il est faux, débauché, fourbe, ivrogne, voleur . . . THÉRÈSE

Nicolas ! . . . NICOLAS

Aussi bien, ses méfaits sont notoires. Mais je n'ai jamais su raconter les histoires; Malgré moi, je m'emporte . . . Enfin, dans ma maison , Mon frère avait passé près de nous la saison , Quand un soir de novembre il reçut une lettre De ce jeune gredin qu'il a voulu remettre Cest fois dans le sentier de l'honneur et qui . . . Bref, Karl appelait son onde au secours derechef! N'ayant plus un kreutzer le gueux faisait l'apòtre, Et sa missive avai t un air de patenòtre ! . . . I l se repentait bien , i l s e ferait soldat ,

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Peu s'en était fallu qu'il se suicidat , Mais le seul souvenir de so n oncle - bonne a me! Avait figé son bras au bord du gouffre infame! Post-scriptum: J'ai besoin de quelques cents florins ! Vous voyez cette épltre? . . . Un vrai piège à serins! . . . Ludwig, lui, s'attendrit, verse u n pleur. J e l e raille, Et je lui dis: «Ton Karl te mettra sur la paille ! » A la fin son aplomb prend une telle ampleur » Que si l'on veut sauver du bagne ce hableur » Il ne faut plus l'aider à réparer ses bourdes ! . . . » Je lui criais cela dans ses oreilles sourdes . - «Karl est un misérable ! » - «Un malade ! » - «Alors, quoi?» - «A force de bonté je le guérirai , moi ! » Là-dessus, j e m'emporte. O n hurle. On se dispute. Moi, je l'appelle artiste, il me traite de brute. Ma colère confinee à la rage, soudain, Lorsque Ludwig prétend qu'à l'instant, de ma main, Je fasse un testament en faveur de l'indigne, Et que sans plus tarder, devant lui, je le signe! - «Oui, tu n'as pas d'enfant, après toi , c'est mon voeu » Que t es biens et l es miens soient à n otre neveu! » le proteste. - «D'abord, dis-je, qu'il les mérite ! . . . » Vous savez comment est Ludwig quand on l'irrite ! Il écume, il rugit , il insulte . . . et puis - vlan ! Il fait claquer l'huis, part , et me laisse en plan . Le froid gerçait déjà les écorces. La nue Roulait un vent mauvais. La nuit était venue. Ludwig ne rentra pas . Je l'attendis en vain. C'est ainsi qu'il partit sans nous serrer la main ! . . .

Ancora odioso corifeo i n evidenza nell' anticamera dell' agonia, ecco Ni­ colaus a proposito della Missa solemnis: HUTTENBRENNER

Le prince Lobkovitz et l'archidue Rodolphe, Et le prince Kinsky n'avaient-ils pas juré De lui faire une rente, autrefois? TELSTCHER

Oui ! NICOLAS

C'est vrai ! SCHINDLE R

Jamais ils n'ont tenu cette promesse exacte! TELSTCHER

Pourquoi? HUTTENBRENNER

Leur signature était au bas du pacte?

1 72

SCHINDLER

Les princes galopant au front des régiments Ont oublié parmi !es guerres leurs serments ! L a mort a pris Kinsky . D'un coup d e bai'onnette Celui-là s'est trouvé délivré de sa dette. Quant aux autres . . . Le sort inique, absurde, ingrat, A couché dans l'oubli ces illustre contrat ! HUTTENBRENNER

La «Messe solennelle? » SCHINDLER

Elle s'est peu vendue. Cette cime au public a paru trop ardue: Vous savez, camme m oi, le goùt des amateurs ! . . . La Messe a récolté, messieurs, sept souscripteurs . . . TELSTCHER

Sept souscripteurs? SCHINDLER

En tout . HUTTENBRENNER

La Messe solennelle? N ICOLAS

C'est une opinion tout à fait personnelle, Mais il me semble à mai que mon frère aurait dù, Puisque san beau travail était si peu vendu, Ecrire un'opéra, camme Rossini, camme . . . HUTTENBRENNER

Ne nommez pas, ici , Rossini . . . NICOLAS

Je la nomme P arce qu'il a gagné beaucoup d'argent . . . HUTTENBRENNER

le sais . . . NICOLAS

Si mon frère avait eu le quart de ses succès !

Dove il congedo è a suo modo «esemplare» : NICOLAS

Bien ! vous avez raison. Je vais d'un restaurant Et d'une chambre aussi m'enquérir tout à l'heure. Il faut que quelqu'un de sa famille le pleure. l'ai compris mon devoir ! Merci, messierus, merci ! Il leur serre /es mains comme à la sortie d'un cimitère, déjà.

L 'ultimo monologo di Beethoven ha la tensione patetica della tragedia, ma anche la dolcezza delle rimembranze. L'atmosfera lirico-drammatica spalanca nel sogno una visione simbolista: nove figure di donne (allegorie 1 73

preraffaellite delle nove sinfonie) escono dalle tenebre per confortare il grande Padre. Non è casuale ricordare, a questo proposito , che il dramma di Fauchois è perfettamente coevo all 'A riane et Barbe-Bleu di Paul Dukas. Il tuono che fa scomparire le visioni, restituisce anche Fauchois all'imma­ ginazione melodrammatica. È il «linguaggio del mutismo» di cui parla Brooks, suggellato come nel Cossa dagli accordi pletorici - ma questa volta in «diminuendo» - del commiato «corale» :

SCENE VII Beethoven les Neuf Symphonies UNE SYMPHONIE

Et nous? UNE AUTRE SYMPHONIE

Et nous? . . . BEETHOVEN

Qu'etes-vous done, vous autres ! UNE

3'

SYMPHONIE

UNE

4'

SYMPHONIE

Tes Neuf filles ! . Lorsque tu cheminais à l'ombre des charmilles . . . UNE 5 ' SYMPHONIE

Dans le s bois . . . UNE 6' SYMPHONIE

Par les prés . . . UNE 7 ' SYMPHONIE

A travers les faubourgs . . . UNE

8'

SYMPHONIE

9'

SYMPHONIE

Père, nous te suivions . . . UNE

Nous étions là touj ours . . . LA

l"

SYMPHONIE

Nos altières blancheurs peuplaient tes insomnies ! . . . BEETHOVEN

Oui, je vous reconnais, mes chères symphonies ! . . . L A 2 ' SYMPHONIE

Pourquoi te plaignais-tu de n'avoir pas d'enfants? . . . LA 3 ' SYMPHONIE As-tu done oublié nos berceaux triomphants? BEETHOVEN

Ah! vous m'avez pourtant assez coùté de larmes ! . . . LA

4'

SYMPHONIE

Mais nous resplendissons de toutes tes alarmes !

1 74

LA 5' SYMPHONIE Tous les autres humains ont des enfants de chair Que le soleil rudoie et qu'aveugle l 'éclair; Ils naissent un matin, et la nuit est venue Que la tombe s'entr'ouvre à leur vie inconnue . . . L A 6' SYMPHONIE Père, tu nous, créas, belles comme l'été, Et ton souffle est en nous, et pour l'éternité! . . . L A 7 ' SYMPHONIE L es siècles connai'tront ton grand nom par t es filles ! LA 8' SYMPHONIE Regarde dans nos yeux la gioire dont tu brilles ! . . . L A 9' SYMPHONIE Nous irons à travers les temps et les pays ! . . . L A l " SYMPHONIE Les hommes par l'amour et par l'espoir trahis Oublieront dans les plis flottants de nos tuniques Le ténébreux assaut des puissances iniques ! LA 2' SYMPHONIE Tous les dieux crouleront sous les rires moqueurs Mais nous aurons toujours des autels dans !es coeurs ! LA 3' SYMPHONIE Nous serons, pour tous ceux qu'empliront nos cantiques, Le choeur ressuscité des neuf Muses antiques. LA 4 ' SYMPHONIE L'ombre ser meilleure où nous aurons chanté! LA 5' SYMPHONIE Nous mettrons, sous !es toits du pauvre, une clarté! LA 6' SYMPHONIE Les peuples nous tendront !es bras de leurs poètes! LA 7 ' SYMPHON IE Vois, pour nos fronts, déjà, !es palmes toutes pretes ! LA 8' SYMPHONIE Père, ne pleure plus . . . L A 9' SYMPHONIE Père! . . . LA !" SYMPHONIE Père ! . . . L A 2' SYMPHONIE Crois-nous! LA 3 ' SYMPHONIE Voilà que tes enfants embrassent tes genoux ! . . . BEETHOVEN

Mes filles, mes enfants ! . . . Vos yeux . . . que je me voie ! Je n'ai plus à présent que des larmes de joie ! . . . L A 4' SYMPHONIE Père! . . .

1 75

BEETHOVEN

J'étais un fou ! Je blasphémais ! Pardon ! Je vous laisse après moi, vous qui portez mon nom ! Filles de Beethoven, vous pouvez etre fières! Quel roi pourrait poser sur vos tetes altières Une couronne d'or qui vaudrait - pauvre roi ! Le baiser que j ' ai mis sur vos neuf tetes, moi ! Ah! je vois à la fois toutes vos harmonies ! Toutes, je vous entends, mes blanches symphonies ! Et puisque se taira ma voix dans un moment , M es filles, écoutez . . . Voi ci mon testament . . . Il se dresse, rayonnant. Dehors des rafales poussent la neige épaissie contre !es carreaux de la fenetre.

Allez! Je vous envoie aux hommes ! Vos pensées Seront un jour pour eux de pures fiancées ! Consolez-les ! Allez! . . . Soyez pour eux des soeurs ! . . . Emplissez d'héroi'sme et de vertu leurs coeurs ! Et puisque en vous j ' ai mis le meilleur de moi-meme, O mes filles, allez. . . et faites que l'on m'aime ! . . . Un coup de tonnerre jormidable retentit. Beethoven retombe dans un cri. L e vent ouvre la jenetre, par laquel/e la neige entre en tourbillonnant, et souffle la lampe. Obscurité totale. Un temps. La porte de gauche s 'ouvre. Entrent Schindler, Telsstcher, Thérèse, Huttenbren­ ner portant une lampe. Les Symphonies ont disparu.

SCENE V I I I Beethoven, Schindler, Telstcher, Huttenbrenner, Therese, puis Nicolas SCHINDLER

Vous avez entendu . . . TELSTCHER

La fenetre . . . H UTTENBRENNER

Ce cri ! . . . THÉRÈSE,

apercevant Beethoven écroulé dans le fauteui/.

Regardez-le! . . . SCHINDLER

Courez chercher votre mari ! . . . H UTTENBRENNER

Que nous avons bien fait de revenir, nous! ScHINDLER,

près de Beethoven, à Telstcher.

Hausse La lampe ! . . . NICOLAS,

sur le seui!.

Que dis-tu? . . . C'est une alerte fausse . . . SCHINDLER

Ses yeux . . .

1 76

TELSTCHER

Que fixent-ils avec un regard tel. . . Schindler, d'un signe, impose le silence. Beethoven très lentement s 'est relevé, Tout e n bat­ tant la mesure d'un geste immense, il écoute un invisible orchestre, extraordinairement loin­ tain, jouer /'andanté de la cinquième symphonie. Brusquement, l'orchestre s 'arre/e. Beetho­ ven retombe. ScHINDLER, se penchant sur lui.

Il est mort ! . . . HUTTENBRENNER

le n'aurais pas cru qu'il ffit mortel ! . . . RIDEA U

Perché il «privato» di Beethoven venga liberato dall' enfasi melodramma­ tica si dovrà attendere l' appassionata meditazione di uno scrittore-artista­ umanista-musicologo come Luigi Magnani, al termine di un laborioso ven­ tennio di studi, i cui «estremi» cronologici vanno dal 1 957 (Prolegomeni a Beethoven, in «Le frontiere della musica», ed . Ricciardi) al 1 977 con il saggio einaudiano Goethe, Beethoven e il Demoniaco. Nel Nipote di Beethoven (Einaudi , Torino 1 972) Magnani interpreta il pa­ rallelismo di grandezza e di miseria attraverso un' immagine narrativa im­ pietosamente sofferta della fine del Maestro . Fine terribile, se così è stata, al di là di ogni concessione all' iconografia plateale . I nteressava allo studioso far luce su quell'episodio biografico che gli scru­ poli agiografici di Schindler non avevano esitato a sforbiciare e che il Thayer aveva scoperto con profondo turbamento, tale da allontanarlo con un bri­ vido d'orrore dalla ricerca intrapresa. Di qui l' intuizione di questo « fal­ so» documentario, condotto sullo schema del diario, ma con finezza e pro­ fondo illusionismo psicologico così da restituire al musicista e al suo inde­ gno nipote (indegnità che esce però ridimensionata dalla confessione) la genuina «presenza» del tempo . Sicché il giudizio più esauriente sul libro resta quello di Mila, che, ricolle­ gandosi da una parte a Carlotta a Weimar, dall' altra indica l ' aggancio al « filone settecentesco del romanzo libertino , inteso con la più sobria di­ screzione». Magnani fa parlare Karl dalle pagine di quel manoscritto segreto che il nipote di Beethoven aveva affidato a Karl Holz , secondo violino del quar­ tetto Schuppanzigh, nel 1 93 1 prima di partire per l' Italia (« . . . se mai non tornassi»). Erano pressapoco queste le vere confessioni di Karl su Beethoven? Era que­ sto il diario che - se autentico - avrebbe gettato più ombra e più luce sulla vita del Maestro? L ' ipotesi dello scrittore-saggista sfugge la risposta proprio per l' allettamento dell'invenzione letteraria. 1 77

Un fatto però si pone al riparo di ogni dubbio : «il nipote costituì la più profonda esperienza emotiva di Beethoven, la grande avventura della sua vita» , e la pseudoconfessione di Karl ne svela i riflessi più tormentosi . « Mediante mio nipote io voglio erigere un monumento al mio nome»: il sogno di Beethoven si rivelerà ben più inafferrabile di quello artistico . «Formare una personalità eticamente libera e attiva mediante l 'armonio­ sa sintesi di tutte le sue energie» : troppo ambiziosa l'impresa nel brucian­ te e disperato amore, fatalmente deluso , per un giovane non arido ma ri­ belle alla forza tirannica di quella volontà. « Drammatico confronto tra un genio e un ragazzo . Il genio ora indulge amoroso, ora si erge terribile nella sua grandezza a misurarsi col ragazzo, forte solo della sua giovinezza e della sua indi fferenza. Armi diseguali ma altrettanto potenti» : più che impossibile conciliazione di generazioni di­ vergenti, è l 'impossibile appagamento , in Beethoven, di una missione mo­ rale, di una conquista umana come riscatto dai disinganni al di fuori della conquista estetica; in Karl, di un equilibrio vitale tra la catena degli affetti dello zio che lo lega con nodi di generosità provvidenziali e di geloso egoi­ smo , fra questa e l ' altra forza d'attrazione, insana e disgregatrice, come un richiamo sinistro verso le esperienze di una gioventù morbosamente sbandata; quasi una « Gioventù senza Diò>> di un Horvath avanti lettera, in preda ad una «crisi» solo provvisoriamente risolta da un colpo di pisto­ la presso le rovine di Rauhenstein in una notte d'estate. È una sfida che ha il suo punto critico , più che nel fallito suicidio, nell'at­ to ribelle di Karl che introduce nottetempo in casa di Beethoven - e quasi sotto gli occhi dello zio - l'amico « pericoloso» e «proibito» Niemetz: Mi seguì esitante; appena entrati, vedendo la luce accesa nella sua stanza, vivamente si ri­ trasse, pronto ad andarsene. Vinsi la sua riluttanza e lo trascinai di fronte alla porta aperta dove, protetti dall'ombra del corridoio e non meno dalla sua sordità, potemmo osservare Beethoven sdraiato sul divanino presso la lucerna, avvolto in ùna pesante vestaglia grigia, il braccio destro ripiegato a sostegno della nuca, gli occhiali da miope sul naso, leggere at­ tento un libricino, che teneva aperto con la mano sinistra, voltandone con il pollice le pagi­ ne. «Guarda il vecchio pazzo» dissi e abbracciai Niemetz dinnanzi a lui , ignaro e senza so­ spetto . Con quel gesto di ribellione e di provocazione segreta credevo, provandone un piace­ re perverso, di affermare la mia libertà. Preso Niemetz per un braccio, lo spinsi nella mia camera e chiusi così forte la porta che tutta la casa risuonò, quasi rispondesse alla sfida, mentre protetto dall'insormontabile barriera del silenzio, Beethoven continuava a leggere tranquillo, e a vegliare in attesa del mio ritorno .

Il ritmo del diario ha una pulsazione costante fin dall'inizio, sul quale già incombe il senso della morte: il cerimoniale solenne della morte di Bee­ thoven e la coscienza di Karl scossa ma non stravolta dalla fine solitaria e senza l 'addio di chi pur lo lasciava erede universale . Qui si apre la se­ quenza a ritroso della confessione: un anello che si salda nuovamente nel

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la testimonianza dell'agonia. Angosce e disillusioni non contano più nel momento estremo ; conta la presenza di Karl; ma Karl ha un appuntamen­ to ad una festa nella Stube del Burgtheater . . . e la scelta è fatale per en­ trambi . Ritrassi cautamente la mano dalla sua stretta: sembrava dormisse. Dalla sua tomba di mate­ rassi egli mi spiava, incredulo e trepidante. Presi il mantello, mi avviai alla porta e volgendo­ mi gli feci un gesto di saluto . Balzò allora a sedere sul letto e agitando le braccia, chiaman­ domi per nome, cercava disperatamente di trattenermi. Sentii la sua voce inseguirmi lungo il buio corridoio, imperiosa e supplichevole, farsi grido rauco, quasi disumano . Addossato al muro, trattenendo il respiro, udii quel grido affievolirsi, spegnersi in un lamento . Indu­ giai ancora qualche istante sulla soglia in ascolto . «Si è calmatm> pensai e scesi di corsa le scale per sfuggire a quell'angoscioso richiamo che non cessava di echeggiare, divenuto or­ mai la voce del mio rimorso.

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Franz Stassen, Sonata «A l chiaro di luna»; disegno primo 1 900.

La legge morale in noi. . .

M. Ui.mmel, Beethoven; litografia.

Enrico Fubini Beethoven e i filosofi

È un problema che tocca Beethoven così come tutti i grandi personaggi della storia della musica, coloro che hanno in qualche modo rivoluziona­ to il modo stesso di pensare, di fare, di eseguire la musica: in che misura si può parlare di una filosofia o di una estetica beethoveniana? Il medesi­ mo quesito potrebbe valere per un Palestrina, per un Monteverdi, per un Bach o un Mozart e per venire più vicino ai nostri giorni, per un Wagner, uno Schonberg o uno Stravinskij ? I grandi artefici delle rivoluzioni linguistiche hanno in sé, nelle loro opere, un tale potenziale non solo artistico ma di pensiero in senso lato da solle­ citare il critico a uscire dal giudizio puramente e forse limitativamente este­ tico per passare a volte inavvertitamente a categorie di giudizio di tipo fi­ losofico , estetico , sociologico ecc . . Come sottrarsi, parlando di Beetho­ ven, alla tentazione di parlare della rivoluzione francese, di Napoleone, del primato romantico della musica strumentale, del concetto d'infinito, del panteismo romantico e di tante altre cose che con la musica strictu sensu sembra che abbiano poco a che vedere? Ma il vero problema, per Beet­ hoven come per gli altri musicisti citati, è di capire se la spinta ad andare oltre il testo, oltre la nota scritta, proviene dalla forza esplosiva della mu­ sica, da una sua intrinseca tendenza ad espandersi nel mondo della storia, con un processo di allusioni, di rimandi , di simbolismo sottile e ambiguo ma pur sempre reale e percettibile a livello critico; oppure se tutto ciò non è che il frutto di un'accurata lettura critica di quel contorno storico che, più o meno denso e rilevante, sta come aureola attorno ad ogni grande musicista: indicazioni e annotazioni sugli spartiti, epistolari, dichiarazio­ ni provenienti dalla cerchia spesso illustre di amici, scritti programmatici , ricostruzioni della biografia dell' artista ecc . . Certo la questione si pone diversamente per musicisti quali Stravinskij o Schonberg o per andare più indietro, quali Schumann o Wagner che ci hanno lasciato oltre e accanto 1 83

alle loro composizioni, valanghe di scritti e spesso veri e propri trattati di estetica o di poetica, documenti insostituibili per comprendere la loro opera, la loro personalità e l'intera epoca a cui appartengono , rispetto a musicisti come Bach o Mozart che non ci hanno lasciato nulla di esplicita­ mente riguardante le loro idee sull' arte e sulla musica - troppo casuali e frammentari i pochi accenni nell 'epistolario di Mozart - e che hanno affidato il loro messaggio unicamente e interamente ai suoni . È possibile e legittimo anche in questo caso ricostruire un pensiero estetico , indivi­ duare una precisa intenzionalità poetico-artistica, anche in assenza di espli­ citi documenti scritti? Problemi così delicati e complessi che coinvolgono questioni più generali come la semanticità della musica, non hanno soluzioni univoche; inoltre la risposta, quella che potrebbe sembrare la più ovvia, suggerita dal buon senso , e cioè che il musicista che, come ad esempio Stravinskij , ci lascia oltre alle sue composizioni una Poétique musicale, offre allo storico uno strumento prezioso e insostituibile per comprendere i segreti estetici e filo­ sofici della propria opera, potrebbe anche essere totalmente rovesciata. Infatti non sempre gli artisti sono i migliori interpreti e critici di se stessi; non sempre le dichiarazioni esplicite di un musicista sulla propria opera sono all' altezza dell' opera stessa e non è raro il caso di veri e propri frain­ tendimenti della propria personalità artistica o semplicemente di piani di­ versi nella stessa persona, per cui una cosa è il Pierrot Lunaire di Schon­ berg, altra cosa è il suo Trattato di armonia. Ma torniamo a Beethoven . Il suo caso è per così dire intermedio ; sta a mezza strada tra un Bach che non ci ha lasciato neppure un rigo e W agner che ci ha lasciato un' intera biblioteca. Di Beethoven esistono una infinità di preziose testimonianze di contemporanei sulla sua vita, sulla sua biz­ zarra, estrosa e scontrosa personalità, ed esistono anche i famosi taccuini di conversazione oltre al suo epistolario . Non si tratta di testi organici, di sistematica esposizione di un pensiero, ma di frammenti, di squarci il­ luminanti , di espressioni non di rado di straordinaria intensità e pregnan­ za, di spiragli che ci lasciano intravvedere un mondo di grande densità di pensiero . Si è detto che la relazione tra le opere di un musicista e il proprio pensiero è sempre e comunque problematica, ma, nello specifico , la rile­ vanza degli scritti di un musicista è estremamente variabile e non è codifi­ cabile certo entro limiti definiti . Spesso sono più significativi , come nel caso di Beethoven, i frammenti, le schegge di un pensiero, le annotazioni non intenzionali o programmatiche, rispetto ai trattati, alle solenni dichia­ razioni d'intenti. Il lavoro dello storico pertanto, in questi casi è estrema­ mente delicato: si tratta di dare il giusto peso ad ogni frase, ad ogni affer­ mazione, creando una rete di rapporti fitti e significativi che rafforzi l'esi­ lità degli scritti e ne confermi il significato da una parte con l ' analisi del1 84

l'opera musicale e dall' altra con l'analisi della più vasta e complessa area della cultura estetica del proprio tempo. Lavoro delicato e rischioso : deli­ cato riuscire a cogliere i nessi a volte esili, a volte contraddittori tra i fram­ menti letterari e le grandi opere musicali da una parte e le correnti di pen­ siero che investono e sovvertono la cultura illuminista a cavallo tra i due secoli dall' altra, per cercare successivamente un incastro o un raffronto tra i due ordini forse incompatibili fra loro ; spesso si rischia di lavorare troppo di fantasia e far dire ad un musicista cose che vanno ben al di là delle sue intenzioni . Chiunque voglia accingersi ad un lavoro di questo tipo su Beethoven non può oggi prescindere dagli studi del compianto Luigi Magnani che ha de­ dicato anni di fatica a ricostruire con acutezza e ammirevole senso della misura, proprio quel tessuto estetico e culturale che sta attorno alla figura di Beethoven, ma che il musicista stesso ha contribuito a creare con le sue opere, la sua vita, i suoi scritti. Tuttavia i grandi temi sono inesauribili e Beethoven è proprio tra le personalità che continuano a sollecitare ri­ flessioni anche in campo non strettamente o direttamente attinente all 'a­ nalisi musicologica. Nei limiti di questo tipo di approccio uno dei temi , forse non marginale, che più ha affascinato i commentatori è il rapporto Beethoven-Kant . Già molto si è scritto sulla cultura di Beethoven, del tutto eccezionale per un musicista di quei tempi e molto si sa delle sue letture letterarie e filosofi­ che. Kant e Schiller erano indubbiamente tra i suoi filosofi prediletti; l'a­ nalisi di alcuni passi dei taccuini e di altre sue annotazioni riguardanti Kant, unitamente ad osservazioni sulle sue opere musicali e in particolare sulla struttura della forma-sonata, ha portato i commentatori forse a troppi sche­ matici parallelismi . Una certa parentela Kant-Beethoven , almeno per il pe­ riodo centrale della sua creatività, il Beethoven secondo stile per intender­ ci, può apparire quasi ovvio ma anche questa parentela va verificata con attenzione per poter afferrare, al di là di un fatto emotivo-impressionistico, in che cosa realmente consista. Da numerose testimonianze si sa che Beet­ hoven aveva letto parecchi testi di Kant , e perciò se ne può senz' altro de­ durre che il suo incontro con il filosofo ha potuto concretarsi in un preci­ , so e individuabile rapporto non riducibile al condividere ! atmosfera cul­ turale di un' epoca . La frase conclusiva della Critica della ragion pratica (La legge morale in noi ed il cielo stellato sopra di noi) trascritta da Beethoven in uno dei suoi Quaderni con punti esclamativi , è significativa ma non ci dice molto di più del fatto che Beethoven dovette essere affascinato dal senso di rigore morale e insieme dall 'aura panteistica che spirava da questa frase di lapi­ daria efficacia. Testo che può avere un chiaro significato illuministico ma che avulso dal

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contesto può anche contenere i germi di un pensiero romantico , almeno per quanto riguarda quel vago senso di panteismo naturalistico che si ri­ trova in Goethe come in Beethoven come in molti altri pensatori e artisti del primo romanticismo . Ma il problema della parentela di Beethoven con Kant può andare oltre e investe direttamente il nucleo centrale del pensiero musicale di Beetho­ ven e del pensiero filosofico di Kant . Il discorso cade ovviamente sulla forma-sonata da una parte e il critici­ smo kantiano dall' altra. Il parallelo sembra, nella maggior parte dei saggi scritti in proposito, quasi ovvio e naturale: nella forma-sonata salta agli occhi l 'opposizione o contrapposizione dei due temi wiederstrebende Prinzip e bittende Prinzip - il principio di opposizione e il principio im-­ plorante; nel Kant dei Fondamenti metafisici della scienza della natura si parla di forze di attrazione e repulsione, ma si potrebbe ancora aggiunge­ re, riferendosi anche al Kant critico, alle contrapposizioni libertà-necessità, razionalità-sensibilità, fenomeno-noumeno, sensibile-sovrasensibile ecc . . Difficile su questo punto andare oltre all ' analisi che ne fece Luigi Magnani 1 • Pertanto può essere utile approfondire ulteriormente il proble­ ma considerando la profonda trasformazione subita dalla forma-sonata nell' ambito del classicismo viennese . La forma-sonata portata ad una sua compiuta perfezione da Haydn nei Quartetti e nelle Sinfonie, è strettamente legata ad una mentalità illumini­ stica. La varietà o meglio la diversità dei tempi - non certo ancora la loro contrapposizione - è legata all'aspirazione di trovare un meccanismo com­ positivo che andasse oltre allo schematismo del Concerto barocco e rispon­ desse pienamente alla teoria degli affetti . La diversità dei temi e il loro elegante e conversevole intreccio nello sviluppo risponde pienamente al­ l'esigenza di disporre di una ricca e soprattutto sfumata varietà di effetti . Siamo tuttavia ancora nell'ambito di un'arte che pur pretendendo di an­ dare oltre il rococò e lo stile galante rimane nell' ambito dell'espressione degli affetti, dell'articolazione del sentimento nelle sue mobili e infinite sfumature. Vi è una sottile dialettica nell 'uso dei contrasti, e non solo di quelli tematici , nella forma-sonata nella versione haydniana, ben inteso nello Haydn più maturo . Con Haydn ed anche con Mozart s 'affaccia nella musica il grande tema della libertà, il tema che diventerà centrale nella personalità biografica e artistica di Beethoven . Ma il tema illuministico della libertà, con Haydn si manifesta anzitutto come il problema del rapporto con la tradizione e come esigenza di instaurare un rapporto con il passato che permettesse al -

l

Cfr. LuiGI MAGNANI , I quaderni di conversazione di Beethoven, Ricciardi, Milano - Napoli 1 962. Si veda in particolare il Cap. « L ' antinomia kantiana e la forma-sonata».

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musicista di esprimere i propri sentimenti, cioè la propria libertà interio­ re, senza contrapporsi alla tradizione, ma modificandola e arricchendola continuamente dall'interno . La forma-sonata, che nasce lentamente e si modella come articolazione delle forme concertistiche e sonatistiche del barocco , incarna anzitutto questa fondamentale esigenza illuministica di musica e di arte come libertà espressiva; la novità, l' imprevisto , l 'inven­ zione, per Haydn significa ritagliare spazi personali sempre più consisten­ ti ma sempre nell'ambito di una solida tradizione, che è poi quella del clas­ sicismo viennese, la quale a sua volta ha alle spalle l' ancor più solida e vasta tradizione dello stile galante e del barocco . Spazi nuovi, ma non in contrasto con i vecchi schemi : piuttosto un loro allargamento , una loro maggiore articolazione e duttilità. Quella che poteva essere sentita come una camicia di forza, diventa una ricca e morbida camicia festiva con la possibilità di adornarla in mille modi diversi . Gli illuministi avevano spesso mostrato la loro diffidenza verso la musica strumentale accusandola di una congenita incapacità di parlare, di comu­ nicare, di esprimere concetti, sentimenti e di rimanere quindi confinata nel regno del piacevole, dell'ornamento inessenziale; l' invenzione della forma-sonata in fondo rappresentò il pieno superamento di questa impas­ se, facendo cadere definitivamente ogni remora presente e futura, ogni dif­ fidenza nei confronti della musica. L' illuminista può riconoscere piena­ mente realizzate le sue aspirazioni di fronte ai Quartetti e alle Sinfonie di Haydn. Per la prima volta l 'organizzazione dei suoni nella forma-sonata segue principi assolutamente autonomi, interni solamente alla musica, non più dipendenti né dalla danza, né dalla poesia, né dalla rigidità degli sche­ mi della tradizione. La forma-sonata offre al musicista uno strumento nar­ rativo ricco di potenzialità e aperto alle più varie possibilità. I sentimenti trovano ampio spazio, in una cornice di clarté illuministica, per esprimer­ si e dipanarsi in un avventuroso percorso di cui però il musicista tiene ben salde le fila. L 'ideale illuminista di un' arte discorsiva, in cui fantasia e ra­ gione trovano il più equilibrato punto d'incontro, trova nella forma-sonata la sua migliore esemplificazione e realizzazione . La forma-sonata haydniana, narrativa ma non dialettica, propone in forma musicale l ' i­ deale illuministico di un solido linguaggio musicale aperto alle più affasci­ nanti avventure dello spirito, capace di piegarsi docilmente all' espressione dei sentimenti più complessi, all 'interno di una struttura logica compren­ sibile ad ogni uomo dotato di ragione e sensibilità. Se la forma-sonata haydniana, più ancora di quella mozartiana, può in­ carnare meglio di molti trattati filosofici lo spirito dell'illuminismo più ma­ turo, il senso della libertà e del vivo fluire del sentimento , non ancora com­ promesso con le irrequietezze e le inquietudini rivoluzionarie o con i ten"' tativi di rivolta verso la tradizione, non altrettanto si può dire per la forma1 87

sonata di Beethoven. A spiegare il brusco salto di significato che intervie­ ne nell'arco di una ventina d'anni può forse venirci in aiuto la filosofia di Kant, la quale per più di un motivo rientra ancora nell'aura e nella ci­ viltà dell'A ufkliirung. Il senso della libertà è presente in tutta l' opera di Kant : ma la libertà è sempre intesa come possibilità di agire moralmente per l'uomo, come li­ bertà di conoscere ma sempre entro determinati confini, nel rispetto di leggi e regole, nella precisa coscienza della finitezza umana. Il senso della fini­ tezza insieme alla fiducia in un possibile progresso che non comporta mai una violenta rottura con la tradizione rappresentano i capisaldi del pen­ siero illuminista e kantiano. L 'universo è conoscibile, e il problema di un conflitto tra il mondo della natura, cioè il mondo della necessità e il mon­ do morale, cioè il mondo della libertà è apparente e infatti in una visione teologica, quale viene prospettata nella Critica del giudizio, trova soluzio­ ne e conciliazione. Il mondo non è drammaticamente lacerato in conflitti tra principi opposti, in una insanabile lotta; l'universo kantiano è fonda­ mentalmente armonico e vede l'uomo problematicamente inserito in esso , con fatica, ma con la prospettiva e la possibilità di convivere con le forze della natura, senza tradire la sua vocazione morale. Se raffrontiamo a grandi linee e per via di metafore - è l 'unica via possi­ bile quando si raffrontano grandezze così eterogenee come un rigido e ben strutturato sistema filosofico con un complesso di opere musicali - il si­ gnificato della filosofia kantiana e quello della forma-sonata del periodo del titanismo eroico , quello praticamente del primo decennio dell'Otto­ cento, sorgono allora i primi dubbi sulla legittimità di questo accostamen­ to . Non è tanto il leggero sfasamento temporale, anche se i venti o tren­ t'anni passati tra la stesura delle tre critiche e gli anni in cui Beethoven scriveva l 'Eroica o la Pastorale sono anni determinanti nella storia d'Eu­ ropa, quanto una differenza di visione del mondo, che emerge se si pone a confronto il filosofo e il musicista. Tutti i grandi personaggi che vivono a cavallo di due epoche pongono altri storici incomodi problemi di collo­ camento : Kant è illuminista ma forse prepara, preannuncia, precorre, con­ tiene già in sé la filosofia romantica? E Beethoven è già un romantico o è ancora legato agli ideali illuministi? Problemi di per sé futili e irresolubi­ li che nascondono spesso , più che il desiderio di definire o spiegare un'e­ poca o un' individualità, di affermare certe categorie storiografiche quali precorrimento, progresso , evoluzione ecc . . Ma tornando a Kant e Beetho­ ven , il raffronto non è possibile altro che sulla base di una analisi , anche se a grandi linee, della struttura della forma-sonata nella parabola creati­ va beethoveniana. Le opere di Beethoven scritte attorno al 1 800 vengono descritte spesso co­ me proprie di un momento problematico che può essere indicato come quel1 88

lo della crisi e della successiva rapida riconquista della forma sonata. Il primo movimento della Sonata Quasi una fantasia op. 27 (« Chiaro di tu� na») può essere emblematico di questa ribellione stiirmeriana, densa di mor­ bide melanconie e di presagi , a schemi formali che la tradizione gli conse­ gnava già preconfezionati e che non si adattavano all ' urgenza espressiva di quegli anni; schemi creati per altri contenuti . Ma il solido senso della forma veniva ben presto riconquistato e nella stessa sonata l' ultimo movi­ mento è già una nuova tappa importante, indicativa di come il vecchio schema della forma-sonata potesse essere modificato dall' interno e ripro­ posto in una struttura solo apparentemente uguale, ma nella sostanza com­ pletamente nuova. È cosa detta e risaputa che i due temi su cui si regge la forma-sonata ten­ dono a contrapporsi drammaticamente in Beethoven ; non rappresentano più solamente la diversità e il principio da cui può scaturire la varietà e la molteplicità dell 'intreccio successivo , ma i poli da cui scaturisce epica­ mente una lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, tra l'istinto e la ragione. L ' antitesi viene radicalizzata drammaticamente, ma ciò che più conta non è la formulazione del contrasto ma lo sviluppo, il terreno su cui avviene lo scontro e si protrae sino all'epilogo . Solo in quest' ultima fase l' ascoltatore può raccogliere le fila della drammatica avventura e per­ cepire una sorta di superamento, una catarsi finale, quando la lotta è sta­ ta luminosamente superata; ma non c'è un vincitore, tra i due contendenti nessuno vince annullando l'altro . Dal loro drammatico confronto nasce una pace che in fondo rappresenta una conciliazione superiore, l'esito d'una battaglia che porta ad una luce più intensa, che evidenzia elementi forse già contenuti potenzialmente nell'esposizione dei due temi, ma la cui esi­ stenza era insospettabile sino alla catarsi e alla pacificazione finale . La ri­ comparsa dei due temi nella ripresa è come lo squarcio improvviso , come il sole che risplende su di un mondo nuovo , i cui termini sembravano noti e già dati sin dall 'inizio, ma che invece si rivela solo ora con tutte le sue potenzialità segrete e nascoste. Questo modo di concepire la forma-sonata nel Beethoven del titanismo eroico, delle Sinfonie, sino alla Quinta e forse alla Sesta, delle grandi So­ nate di mezzo , dopo l ' op. 27, rappresenta una radicale novità: non più un'evoluzione della forma-sonata di Haydn ma uno scossone, un profon­ do mutamento nel significato stesso della struttura tradizionale. L'amplia­ mento progressivo dello sviluppo, l'apporto di novità rappresentato dalla ricomparsa dei temi nella ripresa e la perdita progressiva d'importanza del­ l' invenzione tematica , in favore dello sviluppo, tutto ciò costituisce l' in­ staurarsi di un nuovo ordine di rapporti all' interno della forma-sonata e il suo aprirsi a nuovi ed inediti orizzonti di significati. Ma tutto ciò è con­ ciliabile con la visione del mondo kantiano , o piuttosto non evoca oriz-

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zonti culturali e filosofici più vicini forse alla dialettica hegeliana o ad al­ tri filosofi romantici quali Schelling o Fichte? Nell 'insistere sulla parente­ la tra il pensiero filosofico kantiano e il pensiero musicale beethoveniano forse si è sempre stati eccessivamente influenzati da circostanze biografi­ che note e dagli accenni a Kant che si trovano nei suoi taccuini. È vero che Beethoven aveva letto Kant, quello precritico e quello critico (forse solo la Ragion pratica) ed è indubbio che era rimasto affascinato dal rigo­ re logico ma forse assai di più dal rigore morale che spirava dalle opere del filosofo illuminista. Così come è indubbio che vi è una corrispondenza tra i famosi due principi oppositori (wiederstrebende Prinzip e bittende Prinzip), e le forze di attrazione e repulsione su cui si regge il mondo , le stesse forze di cui parlava il Kant precritico nei Fondamenti metafisici del­ la scienza della natura; ma questo non è che il punto di partenza, una del­ le premesse su cui si svilupperà poi il successivo pensiero musicale di Bee­ thoven e che forse ha generato un'interpretazione troppo frettolosa e non sufficientemente approfondita per quanto riguarda il significato della sua musica. L 'antinomia kantiana, come già si profila nel Kant precritico e come poi si precisa nel Kant critico, cioè sostanzialmente come netta divisione di campi tra mondo della libertà e mondo della necessità, ovvero tra mondo etico e mondo della natura non genera né deve generare alcun conflitto ; ognuno dei due mondi procede secondo le sue leggi e principi . Il problema è solamente quello della loro coesistenza: come può un'azione morale in­ serirsi, far presa, esistere in altre parole, nel mondo della natura domina­ ta dalle necessità? Problema di cui s'intravvede soluzione solo nella Criti­ ca del giudizio, nel giudizio di gusto e in particolare nel giudizio teleologi­ co che apre una prospettiva nuova, cara poi ai romantici, di una diversa considerazione del mondo , dominato non più da una cieca necessità ma da una volontà finalistica. Ma ciò che manca del tutto in Kant è il senso di una lotta tra i due principi, libertà e necessità o, potrebbe anche dirsi, ragione e sensibilità, così come manca il senso del divenire storico genera­ to dal conflitto . La forma-sonata beethoveniana è invece per l'appunto dominata dallo svi­ luppo come centro di un divenire: tra la situazione iniziale (esposizione) e quella finale (ripresa) è avvenuto qualcosa di essenziale, di determinan­ te; si è svolta nel tempo una vicenda drammatica che ha modificato pro­ fondamente i termini iniziali , le personalità tematiche. Nella ripresa i prin­ cipi antinomici, il principio di opposizione e il principio implorante, non sono più tali; forse non conciliati per l'eternità ma comunque modificati nel loro significato profondo perché in mezzo c'è stato qualcosa di nuo­ vo, di inedito , d'imprevisto e di imprevedibile. La forma-sonata di Beethoven è essenzialmente un processo dinamico, una 1 90

creazione nel senso di situazione nuova che sorge, che viene creata dalla risoluzione di un conflitto . In Kant tutto questo non c'è; e non è sufficien­ te constatare che anche nel pensiero di Kant sono presenti coppie di con­ cetti antinomici per stabilire una reale parentela tra due processi logici , quello filosofico e quello musicale. Un altro punto importante del pensiero beethoveniano , che si può evince­ re sia dai suoi taccuini sia dalle sue opere musicali è l 'idea di natura; an­ che questa, ci sembra, è profondamente diversa da quella di Kant . Se per il filosofo la natura è essenzialmente il regno della necessità retto da leggi che l'uomo con l 'esperienza può conoscere, per Beethoven la natura è ani­ mata da un soffio divino o anzi è sentita panteisticamente come una delle forme o forse la forma per eccellenza attraverso cui si esprime, si manife­ sta la divinità. Dalla Sinfonia «Pastorale» a tutte le opere pianistiche e strumentali che rivelano in qualche modo un'ispirazione naturalistica, la natura è sempre sentita come il luogo di un'esperienza privilegiata di ca­ rattere mistico anche se si tratta di un misticismo sempre controllato dal senso della forma, dalle categorie della ragione, ma che comunque ci ri­ porta ad un clima filosofico più vicino a Schiller o meglio a Schelling, a Fichte, a Schleiermacher che a Kant . La figura più usuale che ci è stata tramandata di Beethoven, avvalorata da una lunga tradizione critica, è quella dell'eroe, del grande lottatore, dell' uomo che combatte vittoriosamente senza mai soccombere contro i colpi di un destino avverso , il titano che si erge arbitro del suo tempo : questa immagine può trovare indubbiamente un riscontro in certi atteg­ giamenti di Beethoven negli anni che vanno dal testamento di Heiligen­ stadt sino alla Quinta sinfonia; e tale immagine può anche avvalorare l'i­ potesi di una parentela con Kant . Sono anche gli anni infatti in cui proba­ bilmente Beethoven leggeva Kant e trascriveva nei suoi taccuini le annota­ zioni sulla Critica della ragion pratica con ammirato stupore. Ma se non si può negare che Kant ha rappresentato una tappa importante nel labo­ rioso processo di formazione della personalità di Beethoven , un punto di partenza fondamentale soprattutto per quanto riguarda il suo vivo senso del rigore morale, tuttavia ci sono, come si è visto, altri elementi che han­ no influenzato in modo anche più profondo la sua sensibilità culturale e musicale : il suo particolare senso cosmico della natura, l'attenzione alla processualità degli eventi, al senso del divenire, della storia. Hermann Abert in un vecchio saggio su Beethoven acutamente metteva in luce la sua pa­ rentela con Fichte più che con Kant e Schiller 2, lamentando giustamente 2 «Certo Beethoven ricercò i contatti con la dottrina filosofica dei suoi tempi, e per tempo trovò in Em­ manuel Kant il pensatore che più gli sapeva parlare. Un sentimento analogo lo spinse verso il suo ido­ lo: Schiller; oggi si mette volentieri in evidenza ciò che essi avevano in comune, la natura di lottatore e l'ideale di libertà, ma nemmeno bisogna dimenticare ciò che li divideva. Manca a Beethoven anzitut-

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come la tradizione critica e il modo di sentire comune abbia accentuato eccessivamente gli elementi antagonistici e titanici nella musica di Beet­ hoven, lasciando troppo spesso tra parentesi «l'aspetto contemplativo» del­ la sua natura. Ed infine per concludere un ultimo argomento che può suonare come un ulteriore invito a non enfatizzare troppo la parentela che può sembrare così ovvia tra Kant e Beethoven : La Quinta Sinfonia del 1 809 non è l'ulti­ ma scritta da Beethoven, ma segna un po' la fine del titanismo eroico ; tut­ tavia il cosiddetto terzo stile non nasce come un miracolo in un anno ben determinato , ma non è che una evoluzione, segnata da una sua logica in­ terna, di certe premesse i cui segni sono ravvisabili già nei primi anni del­ l'ottocento. Le tensioni su cui sembrava imperniarsi drammaticamente tutta l'articolazione musicale del linguaggio beethoveniano vengono meno o me­ glio s 'interiorizzano , si fanno meno vistose; all ' invenzione tematica, alla scultorea evidenza dell'Eroica si sostituisce una più sottile e sempre mag­ giore attenzione al momento dello sviluppo, del processo, del divenire, della crescita e dell' articolazione della forma a partire da cellule tematiche sem­ pre più frammentarie, ma sempre più ricche di potenzialità di sviluppo. Basta pensare alla cellula ritmica che regge la costruzione e lo sviluppo di tutta la Settima Sinfonia per cogliere la direzione della parabola creati­ va di Beethoven e il significato che tale novità poteva assumere anche sul piano concettuale . La ripresa nel Beethoven 'terzo stile' delle forme del fugato e della varia­ zione, negli ultimi Quartetti, nelle ultime Sonate, nella Nona Sinfonia, nelle Variazioni Diabelli ecc . , ha il preciso senso di accentuare sempre di più il momento dello sviluppo nei confronti dell 'invenzione tematica. La no­ vità o la creatività, per usare un termine più romantico, emerge dal dive­ nire. Il punto di partenza può essere del tutto marginale o inessenziale, come nel caso del tema delle Variazioni Diabelli, che si presenta come ciò che vi è di più lontano nella sua spensierata frivolezza dal severo spirito beethoveniano . Ma la metamorfosi è così profonda da trasfigurarlo e tra­ sformarlo nel suo opposto attraverso un lungo e laborioso processo . Beetto il forte cerebralismo del poeta, come pure la sua retorica; né il lirismo dei suoi Adagi, per esempio, ha in Schiller alcuna corrispondenza. Gli è che in Beethoven più che in Schiller l'artista supera di gran lunga il filosofo. Finalmente il mondo concettuale di Beethoven, ne fosse egli cosciente o no, reca l'impronta di un altro grande pensatore, Fichte. È da ricondursi allo spirito di Fichte il fatto che in Beethoven ogni bene acquista il suo valore solo quando è conquistato col superamento del suo oppo­ sto; per lui, ad esempio, la gioia ha il suo pieno valore solo quando nasce da mille dolori. Ciò che non è conquistato con la lotta per lui non esiste. Ed egli sa, nel suo grandioso ottimismo etico, che ogni buon combattimento, e cioè ogni combattimento in cui l'uomo giochi tutta la propria personali­ tà, è destinato a riportare vittoria. Ecco il più assoluto contrasto col fatalismo pessimistico dell'ultimo Mozart . . . » Cfr. Gesammelte Schriften un Vortrdge herausgegeben von F. BLUME, Max Niemeyer Ver­ lag, Halle 1 929 .

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hoven è ormai lontanissimo dalla composizione fondata sulla contrappo­ sizione del wiederstrebende Prinzip e del bittende Prinzip; ma è pur sem­ pre lo stesso musicista, anche se maturato e cresciuto intellettualmente e musicalmente, che aveva scritto la Sonata «A l chiaro di luna» o la «Pate­ tica». Ciò che si è venuto sempre più delineando in modo netto e inequi­ vocabile è il valore dinamico della forma, il suo inafferrabile e spesso enig­ matico divenire interno , la crescita da particelle microscopiche e in appa­ renza insignificanti, la forma come conquista lenta e sicura ma mai defi­ nitiva e sempre problematica. I l nostro pensiero allora, nella misura in cui ha senso e può essere legittimo raffrontare due linguaggi così diversi come filosofia e musica, corre più che a Kant , a filosofi che hanno posto nella storia, nella dialettica, nel divenire, il centro della loro speculazione . Hegel e Fichte sono forse i punti di riferimento più significativi per Beet­ hoven, anche se non vi è testimonianza certa sulla sua conoscenza di que­ sti filosofi . I ndubbiamente il Beethoven più maturo , è più vicino a questi filosofi che non alla mentalità stiirmeriana e a filosofi , pensatori, letterati quali Wackenroder, Tieck, Novalis, Hoffmann ecc . , che richiamano un modello di romanticismo più morbido, più sognante, meno istituzionaliz­ zato nel rigore e nell' austerità della forma. Il senso della libertà in Beetho­ ven, raramente, e forse solo nella giovinezza, ha assunto l ' aspetto della ribellione scapigliata alla tradizione. Il suo spirito fortemente costruttivo e interiormente disciplinato lo portava alla dura e severa riconquista della forma e in essa il suo senso della libertà doveva trovare dei precisi limiti . Perciò si può concludere che la lezione kantiana è stata fondamentale, ma come punto di partenza, non di arrivo . I riferimenti culturali, filosofici ed esistenziali di Beethoven vanno molto oltre Kant e aprono ancora oggi per l ' uomo moderno prospettive che vanno oltre l'illuminismo e forse an­ che oltre il romanticismo .

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Max Klinger, Beethoven, scultura colorata 1 902.

Richard Wagner Da «L'opera e l 'essenza della musica»

Riconducendo l 'essenza della musica al concetto di melodia, riusciremo rapidamente ad orientarci . Come l 'interiore è il fondamento e la condizione dell' esteriore e d'altra parte proprio nell' esteriore si manifesta chiaro e distinto l 'interiore, così l ' armonia e il ritmo sono gli organi formativi, mentre la melodia è la reale forma della musica. Armonia e ritmo sono sangue, carne, nervi, ossa, vi­ scere che restano nascosti allo sguardo che contempla l 'uomo vivo ma li­ mitato . La melodia invece è quest' uomo limitato come egli si presenta ai nostri occhi . Guardando quest' uomo vediamo solo la sua slanciata figura che si mostra nei limiti dati dalle forme esteriori . Noi concentriamo il no­ stro sguardo sui tratti del viso, i maggiormente espressivi dell' intera figu­ ra. E ci fermiamo alla fine all' occhio che, in quanto capace di cogliere le manifestazioni del mondo circostante, è il tratto più vivace e comunica­ tivo di tutto l 'uomo . E pertanto è anche il più atto a rivelarci l ' interiorità umana. Così la melodia è l ' espressione più perfetta della natura intrinseca della musica ed ogni vera melodia, vincolata a quest'essenza più profon­ da, ci parla attraverso quell' occhio che ci comunica con grande espressivi­ tà quest'interiorità, ma sempre in modo tale che noi vediamo solo il rag­ gio della pupilla, mentre ci resta preclusa la vista nella sua nudità di quel­ l 'organismo interno ancora informe. Laddove il popolo scoprì la melodia, avvenne secondo natura, come per il parto , tramite l ' accoppiamento dei due sessi . E l ' uomo che viene alla luce si mostra finito nella sua forma esteriore, già prima di rivelare il suo organismo interiore. L ' arte greca colse la perfezione esteriore dell' uomo e si sforzò di renderla viva il più fedelmente possibile - in pietra o in bronzo . Invece il cristianesimo procedette anatomicamente: per trovare l'anima del­ l 'uomo, ne aprì e smembrò il corpo. Scoprì così tutto l 'informe organi1 95

smo interno che ripugnava al nostro sguardo, proprio perché non è fatto o non deve esserlo per l 'occhio . Ma nel tentativo di trovare l' anima aveva­ mo ucciso il corpo. Volevamo trovare la fonte della vita ed annientammo la manifestazione di questa vita. Ottenemmo solo la morte delle parti in­ teriori che potevano essere le condizioni della vita solo nella loro comple­ ta e costante capacità d'estrinsecazione. Ma l' anima che cercavamo è la vita stessa. E ciò che restava da esaminare all' anatomia cristiana, era la morte. Il cristianesimo aveva soffocato la spontanea vitalità artistica del popolo: ne aveva tagliato la carne e smembrato col coltello bilame l'or­ ganismo della sua vita artistica. Era nell' ambito del cattolicesimo che po­ teva esplicarsi quella coralità in cui la forza espressiva del popolo è in gra­ do di realizzare la perfetta creazione artistica. Solo nella solitudine, lì, do­ ve atomi di popolo - lontani dalla grande strada maestra della vita asso­ ciata - si trovavano soli con se stessi e con la natura, lì crebbe, con infan­ tile semplicità ed in estrema ristrettezza, unitamente alla poesia, il Lied popolare . Superata questa fase, vediamo la musica iniziare, sul terreno dell' arte col­ ta, un processo trasformazionale nuovo ed incredibile: dall'organismo ana­ tomicamente smembrato ed interiormente morto, nasce una nuova vita gra­ zie alla crescita comune degli organi ricongiunti . Nel canto religioso cristiano l'armonia era nata spontaneamente. La sua stessa necessità vitale la obbligava ad estrinsecarsi in melodia. Ma per po­ ter effettivamente manifestarsi dovette imparare dalla danza il ritmo , cioè la misura arbitraria, più immaginaria che reale, che dà forma e movimen­ to . La nuova unione non poteva che essere artefatta. Come l ' arte poetica fu impostata secondo le regole che Aristotele aveva dedotto dai tragici, così la musica venne retta da postulati e norme scientifiche. Ciò avveniva nell'epoca in cui con complicate ricette e decotti chimici doveva venir pro­ dotto perfino l ' uomo : Anche la musica dotta tentò di realizzare un tal uo­ mo: il meccanismo doveva reggere l'organismo oppure sostituirlo . Ma que­ sta corsa all' invenzione meccanica mirava in realtà all' uomo reale, rico­ struito dall'intelletto che doveva risvegliarsi all'autentica vita organica. Noi tocchiamo qui l'eccezionale cammino evoluzionale dell'umanità moderna ! L ' uomo che la musica voleva ristabilire, non era in realtà nient 'altro che la melodia, cioè il momento espressivo più preciso e convincente del vivo organismo interno della musica. Quanto più lo sviluppo della musica mi­ ra a questa ritrovata umanità, tanto più grande determinazione potenzia fino alla più dolorosa tensione il desiderio di chiara estrinsecazione nella melodia. E noi vediamo questo desiderio di energia e di potenza sublima­ to nelle grandi opere strumentali di Beethoven ad altezze irraggiungibili . In esse noi ammiriamo gli enormi sforzi del meccanismo , proteso all' u­ manizzazione, di trasfondere tutte le sue componenti in sangue e nervi di 1 96

un organismo vivo e vegeto , cioè nel tramite certo dell'espressione melo­ dica. In questo senso l'evoluzione peculiare e decisiva di tutta la nostra arte si mostra di gran lunga più chiara in Beethoven che nei nostri compo­ sitori d'opera. Questi concepivano le melodie come qualcosa di finito po­ sto al di fuori del loro lavoro artistico; raccoglievano la melodia, alla cui creazione non avevano preso parte, dalla bocca del popolo , strappandola così al suo organismo , per sfruttarla poi arbitrariamente solo in vista di un piacere superficiale. Se quella melodia popolare era la forma esteriore dell' uomo, allora in qualche modo i compositori d'opera strapparono al­ l'uomo la sua pelle e ne rivestirono un burattino per dargli un aspetto uma­ no: in tal modo riuscirono ad ingannare solo i selvaggi civilizzati del no­ stro miope pubblico d'opera. Al contrario in Beethoven riconosciamo l'im­ pulso naturale di generare la melodia dall' organismo interiore della musi­ ca. Nelle sue opere più importanti non pone assolutamente la melodia co­ me qualcosa di già finito , ma la fa quasi partorire dai suoi organi sotto i nostri occhi : ci inizia a quest 'atto generativo presentandocelo nella sua necessità organica. Ciò che il maestro ci rivela di fondamentale nella sua opera maggiore è la necessità intrinseca di gettarsi come musicista nelle braccia del poeta per compiere l ' atto di procreazione della vera melodia, innegabilmente reale e salvifica. Per diventar uomo, Beethoven dovette diventar un uomo completo , cioè uomo e donna insieme. - Da quale se­ rio , profondo , intenso sentire scaturì la semplice melodia in cui il musici­ sta così ricco interiormente riversò le parole del poeta: «Gioia, figlia della luce ! » Questa melodia ci ha perfino svelato il segreto della musica ed ora siamo consapevoli e capaci di essere artisti organicamente creativi . Soffermiamoci adesso su questo importantissimo punto della nostra ana­ lisi e facciamoci guidare dalla «melodia della gioia» di Beethoven. Riscoperta dai musicisti colti, la melodia popolare ci offriva un duplice interesse: da un lato la gioia per sua naturale bellezza, quando si presenta integra nel popolo, e dall'altro lato lo studio del suo organismo interno . La gioia che ci offriva doveva, a dir la verità, restare infruttuosa per la nostra attività artistica. Per poter imitare con qualche successo questa me­ lodia, avremmo dovuto attenerci, sia per contenuto che per forma, a un genere artistico simile al Lied popolare . Anzi, per acquisire la capacità di imitazione, avremmo dovuto noi stessi essere degli artisti popolari nel senso più completo. Così non avremmo dovuto imitarla, ma inventarla come il popolo stesso . Invece noi potevamo agire in una direzione artistica radicalmente diversa da quella del popolo, potevamo avvalerci di questa melodia solo nel mo­ do più superficiale e sempre in un contesto e a certe condizioni che dove­ vano necessariamente snaturarla. La storia della musica operistica si ri­ conduce, in fondo, unicamente alla storia di questa melodia in cui, secon1 97

do certe leggi simili a quelle del flusso e del riflusso, ai periodi di espansio­ ne della melodia popolare nella sua forma più autentica, si alternano quelli di soffocamento in una forma snaturata. Quei musicisti che dovettero sperimentare nel modo più doloroso questo lato negativo della melodia popolare diventata aria operistica, si videro costretti , più o meno consapevolmente, a riflettere sulla generazione or­ ganica della melodia stessa. Il compositore d'opere si trovava nelle condi­ zioni più favorevoli per scoprire il segreto di tale melodia, ma proprio a lui il segreto non doveva rivelarsi . Infatti egli si trovava in una falsa posi­ zione nei confronti della poesia, l'unica in grado di fecondare, perché, nella sua posizione innaturale e di usurpatore, l ' aveva privata, per così dire, dei suoi organi di procreazione . In questa sua posizione falsa nei confronti del poeta, il compositore voleva intervenire a suo piacere, là dove il senti­ mento per la sua intensità richiedeva lo sfogo melodico, ma doveva porta­ re con sé anche la sua melodia finita. Infatti il poeta doveva già essersi assoggettato all'intera forma in cui quella melodia si sarebbe manifestata: ma questa forma svolgeva un'azione così imperiosa sulla configurazione della melodia operistica, che in verità ne determinava anche il contenuto essenziale. Questa forma era dedotta dal Lied popolare, la sua configurazione ester­ na, il movimento alternato e periodico in misura ritmica erano presi perfi­ no dalla danza, - originariamente intimamente legata al Lied . La melo­ dia aveva subito solo variazioni all 'interno di questa forma e praticamen­ te invariata era rimasta fino ad oggi l ' ossatura dell 'aria operistica. Ora solo una costruzione melodica poteva sostenerla; - naturalmente si trat­ tava sempre di una costruzione già determinata da quest 'ossatura. Il musicista, piegatosi a questa forma, non poteva più inventare, ma solo variare, già in partenza privato di ogni capacità di creazione organica del­ la melodia. Poiché la vera melodia, come abbiamo visto , è proprio l'e­ strinsecazione di un organismo interno, allora per nascere organicamente deve darsi lei stessa una forma e certamente una forma che corrisponda alla sua natura interna, perché solo così può esprimersi alla meglio. La melodia che invece veniva prodotta dalla forma, non poteva essere mai altro che imitazione di quella melodia che originariamente si estrinsecava proprio in quella forma 1 • Per questo motivo noi vediamo molti compositori d' opere che cercano di

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Il compositore di opere, vedendosi condannato, nella forma dell'aria all'eterna sterilità, si cercò nel recitativo un cam­ po più adeguato alla libera espressione musicale. Ma anche questo era una forma ben determinata. Se il musicista ab­ bandonava l'espressione semplicemente retorica, propria del recitativo, per lasciar spazio ad un sentimento più mosso, con l'entrata della melodia si vedeva risospinto nella forma dell'aria. Se perciò evitava rigorosamente tutte le arie, pote­ va nuovamente restar bloccato nella piatta retorica del recitativo senza sollevarsi fino alla melodia, eccettuato là nota bene! - dove, dimentico di se stesso, accoglieva in sé il germe creativo del poeta.

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rompere questa forma: ma l ' arte avrebbe ottenuto un autentico successo solo , se nel superare tale forma, avesse potuto contare su nuove forme corrispondenti. Tuttavia la nuova forma sarebbe stata effettivamente una forma d'arte solo se si fosse manifestata come l' espressione più precisa di un organismo musicale particolare. Ma ogni organismo musicale è per sua natura - femminile, può solo partorire, ma non creare; - la capaci­ tà generativa sta fuori di lui e senza questa capacità di fecondazione non può partorire. - Qui è tutto il segreto della sterilità della musica moderna ! N o i abbiamo definito i l procedimento artistico delle p i ù significative com­ posizioni strumentali beethoveniane come «la presentazione dell'atto che porta alla luce la melodia» . Consideriamo a questo punto gli elementi ·ca­ ratteristici: quando nel corso di un brano il maestro ci presenta la melodia piena e finita, questa melodia è da supporsi finita nell' artista fin dal prin­ cipio : egli ruppe in precedenza solo la stretta forma, - proprio la forma contro cui il compositore d' opere lottava invano , - egli la frantumò nelle sue componenti per cementarle tramite la creazione organica in un nuovo tutto, mettendo alternativamente in contatto le componenti di diverse me­ lodie come per dimostrare l' organica affinità di componenti apparente­ mente diversissime e assieme l'affinità originaria di quelle diverse melodie. Beethoven allora ci dischiuse l'organismo interno della musica assoluta . Gli interessava per così dire ripristinare questo organismo partendo dalla meccanica, rivendicargli una vita interiore e mostrarcelo più vitale che mai proprio nell' atto della procreazione . E sempre tramite l'assoluta melodia fecondava questo organismo. Gli dava vita preparandolo - per così dire - al parto e facendogli procreare di nuovo la melodia già finita. Ma proprio per questo suo modo di procedere si trovò costretto a portare all' organismo della musica appena animato e capace di creare anche il se­ me fecondatore sottratto alla forza produttiva del poeta. Lontano da tut­ te le sperimentazioni estetiche, caricandosi inconsapevolmente dello spiri­ to della nostra evoluzione artistica, Beethoven affrontò tutti i suoi lavori unicamente sorretto da uno sguardo speculativo . Non era spinto da nes­ sun pensiero poetico ad una creazione immediata, ma nel desiderio di dar vita alla musica cercava il poeta. Così la stessa melodia della gioia non sembra concepita su o tramite i versi del poeta, bensì composta conside­ rando le sollecitazioni del contenuto generale della poesia di Schiller. E quando Beethoven viene trascinato da questa poesia fino all' immedia­ tezza drammatica 2 , vediamo levarsi dai versi schilleriani le sue combina­ zioni melodiche sempre più precise, cosicché l 'espressione incessantemen­ te policroma della sua musica corrisponde al più alto senso della poesia e della parola . 2

Per spiegarmi meglio, porto l'esempio di «Siate abbracciati, milioni! » e della sua connessione con «Gioia, figlia della luce ! »

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L'immediatezza di questa corrispondenza è tale che può apparirci improv­ visamente non più pensabile e comprensibile la musica scissa dalla poesia. E in questo punto vediamo confermato con lampante chiarezza e, proprio da un atto creativo, il risultato dello studio estetico sull'organismo del Lied popolare . Come la viva melodia popolare è inseparabile dalla viva poesia popolare, e separata da questa muore dal punto di vista organico, così l'or­ ganismo della musica può partorire la vera e viva melodia solo con la fe­ condazione del pensiero poetico . La musica partorisce, il poeta genera; perciò la musica aveva raggiunto l ' apice della follia quando non solo par­ toriva, ma voleva anche generare .

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Paolo Castaldi Lettera a Trieste

«Ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e alla pe­ nuria. Tutto posso in colui che mi dà la forza». (San Paolo ai Filippesi 4, 11 al 1 3)

Caro Carlo, vediamo : i temi principali che nei prossimi giorni diverranno argomento di dibattito. C'era una volta il tempo, in cui eravamo obbligati a dire: Puri sarebbero i semplici . . . proletari e ragazzi , a metà prezzo , ah . La parte sana insom­ ma, ah ah, sarebbe sempre quella cui appartengono coloro, che non capi­ scono nulla! . . . (E lì, trepidando , ci si doveva porgere alla sculacciatina di promozione delle sinistre intellettuali) . Falsificazioni, distorsioni, malafede: turche, forsennate, subdole, che og­ gi fanno una impressione grottesca; preferisco la repressione, rozza e bru­ tale, dei funzionari sovietici . Ho detto tutto? EL PUEBLO NUNCA MUERE . Troverai ben curioso, che lo scriviamo noi , qui adesso : come mai? Non si tratta di «engagement» , ma d'impe­ gno . Non è una traduzione, ma una trasposizione (A nfrage, ultima pagi­ na: il rifiuto «celestiale» dell'espressione diretta) . Altro esempio di traduzione trasposta: al posto di PUEBLO, ci puoi met­ tere Pubblico . Ci tornerò . . . (è la mia forma: la ricorrenza). Marco 1 0, 1 4 e 1 5 : « Lasciate che i bambini vengano a me . . . Chi non acco­ glie il regno di Dio come un bambino , non vi entrerà». 20 1

Ma ciò significherebbe forzare il blocco, e prima di tutto in sé: in noi stes­ si: volerlo fare. Lo spirito di collaborazione è il presupposto, di tutto . In questo contesto essere equilibrati o anche solo sani (non dico essere «mo­ derati» , leggi bene) era una specie di vergogna. Vanno praticate l ' atroce angoscia, la disperazione esistenziale (c' è chi ci crede ancora) : e poi l'é­ chec e l'orrore . . . mentre l' alienazione da tutte le parti ci divora. E la follia. Chiediamo se questo non corrisponda al volerei far credere, che siccome c ' è stato Marinetti, a nessuno dev' essere più permesso di dire semplice­ mente: Passami il sale . Ancora dieci o vent' anni fa, per noi italiani colti , provinciali e gonzi la parola «successo» rappresentava un disvalore . L 'alienazione . . . lo si è già detto . Troppe volte, diciamolo apertamente. Il personaggio «culturalmente» vincente era ammalato di nevriti e nevro­ si, scocciante e monoliticamente sconfortato, tutto di contropelo, ben de­ ciso a puntare la sua pistolina (ma qualcuno , purtroppo, fece sul serio. Ti ricordi come è finito Feltrinelli) contro chi si ingegnasse, maldestramente quanto vuoi, di far uscire qualcuno e qualcosa dall' impaludamento . Questa è l'età delle macerie: ci hanno detto. Siamo nell' attesa virile, consapevole della dissoluzione : è diventata una moda, non diremmo effimera; sono trent' anni circa, trentacinque, che vi­ viamo nell' attesa. Della crisi: della fine; la fine dell'arte . La morte, corna, dell'incredibile, irresponsabile ardimento, di osare ancora d'intonare un suono . . . I n questo rivelato frattempo, non si ammette alcunché; se non di condivi­ dere le convinzioni, come sempre vetuste, dell'intollerante e torvo, super­ cilioso e tracotante dogmatismo ufficiale. Si ammette solo che tutti, dalle nuove generazioni a quelle vecchie, si adoperino solo a far «cultura» , pe­ na il linciaggio morale . Cultura solo significherà, rassegnarsi a trasformare in innaturale stato pe­ renne le «ricerche» delle tardo neo avanguardie . Questa ex avanguardia indomitamente automitografantesi, che ormai si è costituita e codificata una tradizione sua propria, ha dimostrato una ca­ pacità di resistenza accademica che rischia di divenire comicamente supe­ riore a quella della stessa classicità aulica di base, su cui si era originaria­ mente impiantata come antitesi antinormativa.

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Come se noi volessimo , metti conto, giustificare oggi quell'Anfrage col testo che diceva: L ' uomo è una tavolozza. (Certo la tentazione viene, a volte . . . ) . Eppure i n effetti, c'è nell'uomo una varietà campionaria inesprimibile, che si prova nei fatti soltanto, superando ogni immaginazione. C'è chi ha messo la carica di esplosivo sull'aereo e la busta di droga nella mano di una ra­ gazzina; c'è chi ha violato, ucciso e bruciato le piccole napoletane. E ci sono, dall'altra parte, i nostri missionari che dànno, credendo di fare sol­ tanto il loro dovere, prove di quotidiano eroismo, di durezza e purità ada­ mantine, nel Brasile amazzonico, entrando nei confini dei lebbrosari , ar­ rivando dove nessuno avrebbe il coraggio di spingersi su questa terra . E dovremmo disperare . . . perché ce lo dicono ex cathedra! È il loro «cul­ turalismo» (questo possiamo dirlo noi) che è disperato. I politici, i funzionari fanno lega con i negazionisti . . . sembra, insidia al senso comune . Non è così . Spesso trovano rifugio nelle strutture pubbli­ che i mal riusciti . . . questa è una traccia. Essendo senza grande arte né parte, salutano con sollievo il richiudersi della porta dietro le loro spalle . . . sono al sicuro, finalmente. Entrambi : gli conviene. Il mondo della vita resta fuo­ ri : ma verrà a omaggiarli , li troverà meglio di ieri ma ancora troppo affa­ ticati, li inviterà in famiglia a giocare con i ragazzi, avremo cenato insie­ me ed anche ci troveremo , ai convegni . Ecc . ! Che possono sperare di me­ no rischioso? Avevano paura, ora non più e per integrare, quasi , l'insuffi­ cienza del coraggio e della fantasia parlano, parlano . . . sviluppano , perfi­ no, in fasi successive, forme invischianti e vacue di intelligenza: « inquie­ tante» , «intrigante» sono esempi, che vengono ancora considerati vincen­ ti. È per loro più un obbligo , che un bisogno . A costoro è accordata evidentemente, l 'angelica giovinezza perpetua. Con­ tinueremo così, pare : fondando premi intitolati ai loro beniamini, e com­ missionando agli stessi prime ulteriori; con allestimenti dai novecento mi­ lioni in su, per la nostra lordata bottega dove ci si costringe, sprezzati ed umiliati, a rimanere sempre garzoni con la spazzola in mano. Abbiamo esperienza sconfinata di queste cose: tali commissioni verranno accettate con entusiasmo . Se non si trova modo di affondarli, program­ meranno crociere a nostre spese fino al terzo millennio: dureranno in eter­ no , al nostro fianco , vivi e morti ad un tempo . Torna felice fra mano la vecchia vignetta (ripresa in Corriere d. s., 20.4.83), dei due intellettuali , smaliziati scettici e frustrati , delusi soprattutto ; ma interdetti : «Solo verso il settantacinque si potè sapere con certezza che il sessantotto era finito» . Bellissimo : che ridere. Non troppo tuttavia; non

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per tutti , in casa nostra. I nostalgici , in musica, non di quel periodo sol­ tanto , tengono ancora saldo tutto il banco , in pugno. Le tecniche, le mode, i costumi; la medicina come la pubblicità, la chimi­ ca e l 'elettrificazione della vita, la donna perfino . . . tutto, tutto cambia: tranne l' avanguardia. Da trenta, trentacinque anni (ma che diciamo : se non da sessanta o settanta) è arroccata sempre sugli stessi mezzucci, lo stesso bagaglio ideologico futilmente «eversore», le stesse miserie di antitradi­ zione «rivoluzionaria» . Tranne che i materiali (sapete che si diceva così ieri ; aggiornarsi nell' arte ! ) sono infinitamente più scadenti, o irrimediabilmente scaduti . M a a chi vo­ lete che importi . . . Diceva TWA: «Non un pensiero , non una parola, non un gesto . . . » (non vado a controllare perché non me ne importa) « . . . può essere preteso autentico, in un contesto tutto falsato» . E bravo dinosauro (non dico che sia troppo piccolo , piuttosto troppo estinto) : al­ lora, chi può cominciare? *

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Mi devo ricordare che mi hai chiesto, di parlarti di A nfrage e di Beetho­ ven . Di Beethoven . . . che cosa posso dire: mi è tornato vicino, piuttosto ultimamente. Ci torneremo . L ' «insalata multicolore», s i deve e s i p u ò fare: ecco che cosa h o appreso soprattutto, facendo A nfrage, nel lontano '63 . Seconda cosa che ho im­ parato lì: basta avere fiducia, e non mangiare. Terza cosa: il senso origi­ nario si deve conservare: è la vita pulsante, il magnetismo , di tutta la fac­ cenda. Potremo quindi farlo, se esiste, «dissonare» . Se questo senso inve­ ce non esiste, si chiude e tutti a casa; sono chiaro? *

�rn••lllo arrembag­ gio , profittando del disordine, dove «tutto è tutto lo stesso» : magari sma­ nettando per deformare in orridi barriti un flauto gatta; od un solitario flautone: niente, dico , è peggiore, dei tempi lunghi e del buon mercato. Nel frattempo, si procede alla sepoltura di Santa Cecilia, fra le lacrime dei catastrofisti: ma che diciamo mai? fra l'esultanza ! È questo che volevano . Il progresso della tecnologia ci pone costantemente di fronte a nuove real­ tà e facilita la vita, sai , bene . Non può essere in alcun modo il caso di parlare, oggi , se non per infortu­ nio o accidente, di «musica elettronica» . Basterebbe la considerazione che il suo linguaggio non è affatto illimitato ; né tanto completo, come vorreb­ be farsi credere da qualche tecnico illetterato; né sufficiente. Manca «non»: la parola più importante per costituire delle relazioni elementari nella lin­ guistica; almeno fino a un certo . . . Non chiederemo una modernità moderata mai . Soprattutto . Un editore (l' altro , cioè) mi disse: Sei emarginato perché ti si giudica polemico . In musica: hanno torto . Tra le smagliature, non sempre malinconiche, del ronzante silenzio del la­ voro, ci giunge notizia delle nuove parole d' ordine, istituite dall'autorità: è oggi diventato in conclusione il censore, lui, il vero poeta. 213

Del resto già era successo che in Wilde si leggesse incidentalmente (ma con senso un po ' differente; ed erano altri tempi come sempre) : « La fantasia copia, è lo spirito critico che crea» . Dobbiamo deporre la matita e la gomma, come tanti: per legiferare steril­ mente davvero, alla nostra età? Speriamo soltanto di non starlo già facen­ do, senza avvedercene ! Questa è comunque «a dying awareness » : dopo di ciò passeremo ad altro , e non ci si penserà quasi più. C'è una quantità di cose, musiche, creature in vitale formazione, che at­ tendono impazienti di essere trovate e giocate. I grandi spiriti hanno sempre scornato il culturalismo paralizzante, petu­ lante, querulo e saputo , considerandolo energicamente separato non sol­ tanto, ma avversario reale, della prassi creativa. Basterà pensare a Bach . . . che odiò il pariginismo delle mode, ecc . ; ma il N . della seconda Conside­ razione inattuale, come dimenticarlo . E via e via, fino alle prese di posi­ zione esplicite di Dubuffet (Asphyxiante culture), e quasi di tutti quelli che mi contano per formato e potenza sullo stesso soggetto tematico . Si tratta in realtà di una barriera biologica . . . contro una parassi tosi mortale. Sia­ mo soffocati dal brulicare di quei piccoli esseri infernali, fabbricanti di infelicità e inettitudine. Eppure, alcuni critici accigliati e autoritari sono oggi da considerare «arti­ sti», almeno quanto a ombrosa, intollerante, ipersensibile insofferenza del carattere (altro che obiettività e talent scouting: facciamoci ridere dietro) . Credo che la forzata sterilità dovuta al confinamento nel campo specifi­ co , li ingorghi e li avveleni . Peraltro, nella situazione odiosa e incerta in cui si trovano incastrati si acuisce ancora la vulnerabilità morbosa, e così l 'isterico capriccio : tanto che diviene loro facile, dunque congeniale, per errore acutissimo di sguardo (se così si può dire) , non credere più rabbio­ samente in nulla, smontare ogni fatto, schernire (o temere) ogni prodotto appena penetrante, non accettare se non è affatto futile (o innocuo: non li potrà inquietare) o l' altissimo in senso di iperistituzionalizzato e lonta­ no, nel tempo o nello spazio (si riconosce allora, la coda di paglia fra le gambe essendo non posticcia in costoro : totalmente intangibile) . I comportamenti ne saranno prevedibili conseguenze: soprassalti ostili, Dik­ tat estremistici, tabù ciclotimici . . . Continuiamo . Cinismi (conseguenza ul­ teriore) sconfortati e nichilisti , e poi (se tanto vale tanto : la disperazione, il pericolo scettico) disonesti e vendibili . Quindi , sommamente sintomati­ co, vili : intimamente paventando sempre, non a torto , per la propria fra­ gilissima sorte. Se non sai suonare, non sai dirigere, e non sai comporre né leggere una partitura con amore intelligente, se non sai scrivere l 'italiano convincente, sereno e leggibile quanto meno . . . (ma c'è il salvacondotto offerto dall 'i214

pocondria culturalistica, di cui farsi maschera grottesca) : se non sai regge­ re il test della prova dei fatti della vita nemmeno per un' ora, se sei inde­ glutibile: puoi considerarti pronto per l' autoritarismo burocratico di carriera. Su tutto ciò la chiacchiera frana . . . di tutto in apparenza si discute. E ci si lascia, questa la sottigliezza, sardonica e beffarda, della democra­ zia violenta, invano scalpitare. Di più : ci si fanno i convegni . C'è il convegno sulla Educazione musicale dei giovani . C ' è il convegno sulle Nuove avanguardie, che noi sappiamo dove sono . C ' è il convegno . . . sulla condizione odierna dei compositori, perfino : c'è. Non hanno paura di nulla, sono assolutamente certi di riu­ scire a inflazionare, liquefare tutto. C'è quello su ogni vergogna che op­ prime e stringe alla gola. Le giornate si sommano alle giornate inutilmen­ te e nulla cambia ovviamente: le montagne di spazzatura cartacea s'innal­ zano al cielo. Il « Convegno» si fa, per manifestare di, per con su, qualco­ sa qualsiasi, e non già per risolvere praticamente problemi : lo abbiamo realmente toccato con mano, coprendoci di imbarazzato rossore, nel par­ teciparvi credevamo attivamente. Se si conosce il galateo specifico , si deve soltanto , ciascuno a turno , legge­ re con grazia e rapidità una « Relazione . . . », sperasi breve; totalmente igno­ rabile da tutti: che nessuno ascolta. Insistiamo : che nessunissimo vuole lontanamente prendere sul serio, come cosa da cercare di udir nemmeno. I pubblici: non ci sono . C ' è di solito un giardino, o un bar , entro le porte (chiuse) del castello . Là gli invitati a relazionare, uniche presenze, atten­ dono il momento di leggere . . . la loro : incomunicabilmente, immancabil­ mente scritta prima. Il «libro virtuale» degli interventi precostituiti viene letto dai suoi estensori con fine dizione . Talora c'è il Dibattito, poi . . . e il suo Moderatore da guardia ! Chi non lo ha sentito almeno parlare? Il giorno dopo il convegno , è obsoleta cartaccia ogni foglio vergato ; è tut­ to da buttare subito via. Ci si prepara . . . al prossimo convegno . Si vuol far credere che sia nell ' ordine naturale delle cose, per le iniziative dell 'ufficialità, di essere sempre nel giusto : con il pubblico scudo . Ma del­ lo Stato , qui ci sono soltanto i fondi . Le istanze supreme di giudizio sono , più modestamente, delle venti persone (o poco di più) che ci fanno cordo­ ne sanitario e circolo armato attorno . E dove è detto che lo Stato , del resto , o l'ufficialità, giudichino sempre giusto? Sono sempre in ritardo ! E spesso scientemente e vilmente si ap­ profitta dell'etichetta, per giudicare e comportarsi malissimo . Qualsiasi altra istituzione che si permettesse cose per la metà consimili, e autoritariamen­ te per giunta, verrebbe spazzata via in un attimo . Esistono i diritti degli uomini, conculcati e traditi quanto si vuole . I diritti 215

dei compositori , quest' incriminata senza difesa possibile razza subuma­ na, non esistono affatto . Nemmeno il criminale può essere dannato senza essere sentito , nemmeno per arbitrio segreto , il più incallito . Il composi­ tore sì, e sempre inappellabilmente : non può difendersi. La condanna, si pagherà a spese pubbliche . Sembra di aver toccato il fondo del burrone ogni nuova volta . . . Ci rendia­ mo conto di descrivere in parole, sbiadite, insufficienti . Ma chi non cono­ sce, nel nostro ambiente, i fatti? E chi se ne interessa, fuori del nostro ambiente? I critici stessi, oggi non sono liberi . Quelli dei grandi giornali «che conta­ no» (ritenuti opinion makers) vengono selezionati con severa attenzione in base al preciso parametro del (mancato ! ) «aggiornamento» , ossia del­ l'ossequio al piccolo ambiente del traffico «avanguardistico» : diversamente, quell' ambiente non li avrebbe accreditati, secondo i suoi ristretti criteri o interessi, fino a !asciarli arrivare fino a lì. Tutti fra loro (sono molto pochi , del resto : sei, sette) sanno bene, per ri­ manere in auge, quali sono i temi «in» d' obbligo; quali sono le poche op­ zioni «giuste»: da tanti decenni sempre le stesse . . . quali formule gergali perfino bisogna impiegare . È una esperienza impressionante, o se vista da fuori magari esilarante, leg­ gere le presentazioni (e poi le recensioni: non divergono, ovviamente ! ) delle opere «moderne» affidate dai grandi festival di musica contemporanea, o dalla radio nazionale, settore culturale, alla prosa di costoro . . . si rico­ nosce l 'ordine di scuderia, con facilità palmare, perfino nel lessico , nelle connessioni sostantivo-aggettivo , nei soli avverbi , nel modo di scegliere e collocare le congiunzioni avversative. Il pubblico che applaude e che sorride, intimorito e sopportando tutto , è un pubblico fittizio: serve a dimostrare le tesi dell'organizzazione. Voyeur, non spettatore . Estraneo impotente, vale a dire, assiste con la sottile ma precisa sensazione, di essere comunque «di troppo». Alcuni protagonisti del grandjeu (o picco­ lo invero ! ) lo hanno awertito sensitivamente, i più intelligenti lo han perfino teorizzato . . . Non è lo spettatore un pagante e responsabile, innamorato e vero arbitro della situazione. In Verdi ed in Puccini , si sente che gli au­ tori scrivono per un pubblico : reale, lo temono perfino, soprattutto lo ama­ no . I giochi invece qui sono decisi tutti in partenza, fino in fondo; da altri . La tentazione corruttrice suggerisce la meschinità del tornaconto imme­ diato : io bado al mio vantaggio e me ne infischio di giustizie e di valori : che cosa ne rimarrà, fra dieci o trent 'anni? Le lirecultura (come diconsi i petrodollari) in miliardi, si stanziano ades­ so , si erogano adesso e devono assegnarsi, spendersi adesso . Poi . . . si ve­ drà: tutto è sempre precario e provvisorio .

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La navigata malizia della strizzata d'occhio, è la filosofica forma mentis di chi ha sempre il coltello per il manico . È invece necessario , per tutti , che prendiamo noi stessi il controllo del no­ stro destino : è il nostro campo , che dobbiamo bonificare e lavorare. Viviamo fra condiscendenze offensive, meschine derisioni, in sofferenze inaudite, come guastafeste indegni , se non di tolleranze mal sopportate, perfino da parte di segretarie e telefoniste del potere . . . Che ci maneggia con sufficienza indecente, per chi mai volesse ricordarsi di essere uomo . È così che viviamo, sgranando tutti gli anni migliori della vita; senza una sicurezza dell' avvenire, senza motivi di serenità. È così che aspettiamo : prigionieri d i una situazione che h a già davvero portato molti d i noi i n casa d i cura. Perché, ci si domanda . . . Perché manca il confronto con il Pubblico . Si tratta, in sostanza, di conciliare interessi. Quelli degli autori baciati (avevo scritto bacati : poi ho corretto) dalla for­ tuna. Quelli della pubblica intrapresa, che organizza tutto : impartisce, di­ stribuisce, assegna e inappellabilmente, insindacabilmente concede, ami­ cizie e favori , valori perenni e commissioni sonanti, prebende e privilegi ; diritti e doveri; appartenenze a classi e sottoclassi ; esecuzioni ed occasio­ ni : di voce , di lavoro . Ossia semplicemente, di vita e di morte. Quelli (sempre accordati per beneplacito, autoritariamente e artificialmente) dei registi; dei direttori, aiutanti, dirigenti in seconda, in terza e in quarta; dei caudatari, manutengoli, schiavi . Quelli degli esecutori : a nessuno dei quali, anche solisti, è mai richiesta un' ombra di parere . Quelli dei «grandi critici» : interni ovviamente alla gestione dell'azienda, perché sanno in anticipo che cosa si può e deve dire . Quanto a quelli, di interessi, di tutti gli (altri) autori, del tassatissimo cit­ tadino , del pubblico disgustato e scoraggiato, della musica che non può vivere . . . e del buon diritto: non contano. La libera iniziativa ha, purtroppo si è scoperto , le sue storture. La pianifi­ cazione centrale (te li immagini tu, Verlaine e Rimbaud al Beaubourg?) invece evita i fastidi, sottrae alla selezione i valori, preserva da confronti che potrebbero rivelarsi pericolosi, è sicura, compiacente, bella con i fa­ miliari del clan; atroce e beffarda con le teste matte, castiga e disinfetta, leva di mezzo preoccupazioni e grattacapi . Soprattutto ed infine, è alimen­ tata in modo certo , inverificabile ed efficientemente disancorato dalle ub­ bie superate dei giudizi, di successo, d'insuccesso : categorie esteriori quanto mai , tu lo sai . Pubblico dovremmo scriverlo sempre con la prima lettera maiuscola: è il nostro interlocutore unico e solo; ed è a lui solo che deve essere accordato

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il diritto di controllo sulle nostre idee, il compito di filtrarci, selezionarci . Inoltre, è sempre indispensabile il confronto diretto col pubblico , totale e genuino . Le reti televisive di tutto il mondo si battono, spesso in modo furibondo, specificamente sugli indici pubblici di ascolto (un dato, che si cerca di non inquinare, se si vuole conoscerlo) . Perché è così soltanto che il gioco si compie, e si evolve il prodotto. La barriera protezionistica dei miliardi di Stato (cioè, obtorto collo, an­ che dei dissenzienti) intorno alla putrescente repubblichetta terroristica della «cultura» ad uso di pochissimi (in-) felici (Stendhal con gli happy few non c' entra più) è deleterio . Deleterio per tutti . Innanzitutto per la cultura sul serio . (Ma quanto tem­ po dovrà passare, perché quella possa riguadagnarsi una connotazione di­ gnitosa, non dico neanche positiva, dopo i trascorsi veramente infamanti , che l e hanno rovinato l a riputazione . . . presso tanti amanti) . «Mentire non conviene che ai mercanti» : Shakespeare, che ci sembra defi­ nitivo. In verità, la mansione «culturale» è stata (ed è continuamente) tradita e trasformata in catenaccio (nel senso sportivo) , o in pretesto per culturali­ smi improduttivi e ingombranti, di show rappresentativo : o esteriormente decorativo, o carrieristicamente faccendone, o snob indifeso. Ciò sia detto , a parte la ovvia considerazione, che chi ha il merito , merito maggiore, è che chi « fa» : non chi «sa» che altri ha fatto ! Il potere cultura­ le concesso alla classe improduttiva, ma oggi dominante, dei censori e dei critici, sceveratori, deciditori , soloni e programmatori, è dunque da rite­ nere una distorsione, gravissima. La imbecillitas snob , che alligna soprattutto in provincialità ristrette, ha disposto le cose talmente bene, che occorre avere il prestigio (o altro con­ seguimento «ufficiale») per poteri o ricevere . È una variante , più velenosa perché tinteggiata di culturalismo, del vecchio giochetto in auge nel meri­ dione più immobilista, del correre sempre in aiuto del vincitore. Lo si constata, in ogni circostanza. Siano date per esempio due storielle, A che fa ridere, e B non altrettanto . Se ad una cena snob vengono raccon­ tate entrambe da X notabile (sia questo un incapace e temuto furfante), rideranno tutti cinguettando commenti e ripetizioni parziali . Intimoriti anzi in B dal palese obbligo di circostanza, gli astanti si smascellano , proten­ dendosi fra gorgoglii idraulici e crisi (tali riditori da noi essendo , è stato detto, più bovari che Bovary) di soffocazione. Qualora Y , buon padre di famiglia, non braccato dai giornalisti perché onestà non è notizia, raccon­ ti A con magistero sommo , l'aura è di disagio: si sentiranno palesemente scorrere i secondi .

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Se poi il malcapitato raccontasse B , lo si rabbufferà apertamente ignoran­ dolo e parlando d'altro a voce alta. Si provi a disporre sperimentalmente la casistica combinatoria in ogni modo . Si vedrà che gli ilari accessi sono costantemente, per comparizioni controllate, funzione delle incognite; men­ tre la graduazione dei valori dati sulla scala A, B . . . rimarrà inefficace. Thac­ keray ne dedusse la scoperta filologica, confermata subito dalle ricerche, dell' origine del termine (S. nob., dai registri anagrafici più antichi , sine nobilitate) medesimo . Il tono è quasi da Flaubert , l' «idiot de la famille» , come diceva Sartre . Che non ci occorre di certo (la sappiamo lunga) per apprenderci che: «Pas­ ser un livre sous silence équivaut à le bn1ler . . . » . Qui la soffocazione av­ viene a monte . Non si critica cioè il prodotto , attaccandolo alla luce del sole . Se ne precludono tutti gli sbocchi : editoriali, esecutivi, tutti . Quanto all' autore, se dissente da ciò «è matto» (prettamente sovietico , tutto que­ sto , si osservi) ! San Gregorio (Magno) , Moralia, X , 29, 3 : «Deridetur j usti simplicitas»; che presenza e che alleanza meravigliosa, che santo e che padre ! : nostro . *

l ntersezioni e loro intersezioni . . . ritmi di forme, ritmi di ritmi ; interferen­ ze, consonanti e non, difficoltà «controllate», fraintendimenti pianifica­ ti, livelli differenziati di interpretazione . . solidificazione delle espressio.

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ni. Coordinazioni del lapsus , problemi della non-coerenza, contrapposi­ zioni e deviazioni; irruzioni e tropi, emergenze, sfaldamenti ; forme ad im­ pennata; ad onda, fissa ed evolvente; rimate, stellate . . . pseudocausalità. Forme litaniche, combinazioni e trasposizioni, «iperpolifonie» . . . quasi­ formazione su immagine. Tonale e Neotonale; le suggestioni psichiche . . . : le cose che ci occupano oggi, come ben vedi , hanno radici profonde e ra­ mificate. Adoperiamo ad esempio la notazione «psicologica» (in Elisa in­ vece: pseudostrutturalismo; è un' altra forma di iperrealtà) , in A nfrage, per la prima volta, quasi ; per la seconda volta, quasi , diciamo . E tutto il resto , detto e non ancora detto . Ma chi ci crede più, pensavo allora, alle corrispondenze oggettive sacro­ sante del descritto con la psiche . Morbida come è, può cambiare tutto in un attimo : se solo glie ne dessero il motivo . . . Questo lo penso ancora, ve­ ramente. Su vari piani , uno alla volta: per carità. Allora, dicevo, vanno a vedere se è stato già fatto . E poi, come in Pinocchio , se non c'è nei regi­ stri ufficiali del catasto , etichettato e schedato, magari impolverato e a ca­ ro prezzo , non te lo valutano, comperano , permettono. Anzi, te lo con­ dannano. Sei stato il primo : quasi un criminale. Non sono soltanto Caifa, Erode e Pilato, che devono pronunciare un giu­ dizio sul Cristo . Ogni uomo deve decidere se Qualcuno, o qualcun altro, ha diritti sul suo cuore e può governare la sua vita. Resta infine da chiedersi, che cosa mai possa essere la «quotazione» di un autore, o di un' opera, se non si vuole accertare il vero punto di equili­ brio fra i pesi effettivi della domanda e dell'offerta. Se si vuole intervenire con spinte, con sussidi estranei, con manovre di rialzo e di ribasso provo­ cate, nella Borsa Valori, secondo scelte premeditate. Che del resto non si vogliono , autoritariamente come ovvio , motivare nemmeno . Pur nel marasma cosmico (e tragicomico) in cui versano le arti, si vedono le quotazioni delle tele, moderne soprattutto, che sono combattute attual­ mente dagli amatori nelle sale d'asta: là si vede fino a dove arriva la ri­ chiesta e che cosa prevalentemente appetisce. Ma: la contrattazione deve essere lasciata a se stessa, perché base di tutto è la libertà di oscillazione degli indici . Di fatto deve trattarsi di collezionisti autentici , e privati, per­ ché si possa osservare un mercato , leale e reale . Immaginiamoci che cosa sarebbe successo se le aziende editoriali (di libri) avessero dovuto sentirsi imporre di programmare, per decenni, le pubblica­ zioni secondo il gusto di pochissimi satrapi, assessori, intriganti della cultura e funzionari dello stato, o del parastato : dall'intellettuale neurotico o iste­ rico o brigante (che briga) . . . O dal clan ristretto e provinciale di quel giro di interessi e di amicizie. Ma è proprio tutto ciò che abbiamo noi fra i piedi ! È dunque la massa che deve giudicare? Diciamo senza ambagi : sì . Voglia220

mo finalmente vedere il confronto dei nostri elaborati e della massa. Vo­ gliamo vedere le nostre macchine uscire allo scoperto, e correre nel sole. E che cosa rimane in pista, o anche solo in piedi, di tutto il tetro castello, della disperazione programmata. Prezzi e tempi di vendita, si dirà, con disprezzo . Evviva: abbiamo consta­ tato che non è vero . E il tempo lavora per noi . Ed anche fosse solo e tutto questo : perché non dovrebbe interessarci? Perché, non ci si consente di crescere, di vivere liberamente correndo , di tentare la sorte veramente? Quest'assistenzialismo da acquario , da incubatrice, da disastro biologico permanente ci perpetua in una condizione di feti. Perdiamo tempo, forza, lacrime e sangue in attesa del day ajter. Le esecuzioni, di serie C o D, ferocemente ristretteci, tristemente sono im­ merse nell'atmosfera di burbera concessione, al boccheggiante miserabile po­ stulante : l'autore . Le lunghe file ai pochi editori ; ai due editori; all' unico tore, attivo nel nostro campo : ed anche ora lo dobbiamo constatare, attivo esclusivamente per i quattro o cinque nomi, che fanno il suo gioco paleo avanguardistico, sostenuto affatto ad arte: per tutti gli altri, anche quelli for­ malmente pubblicati, ci si limita ad incassare i diritti delle scabbiose esecuzio­ ni, promosse e strappate faticosamente, senza dignità, dagli autori stessi . . . Le umiliazioni senza nome. La retribuzione ingiuriosa, larvata, o nera del tutto, per partiture costate anni di lavoro. Le lunghe attese, di settimane, mesi, anni, dopo nostre elaborate proposte, quasi sempre lasciate senza nemmeno risposta. Le spedizioni di plichi di­ sperati al vuoto . Le richieste all'inattingibile ridente e fuggitivo, l'introva­ bilità dell'interlocutore; la vergogna di richieste balbettanti non ascoltate né udite; l'onta delle anticamere, delle tentate intese senza esito, dei sorrisi senza alcuna contropartita; dei corteggiamenti perfino, a veri mostri, fab­ briche di dolore e di incomprensione: che vanno poi a finire in illusioni sen­ za esito, spreco di idee, forze, tempo . Questo, perché siamo poveri ed emarginati, siamo privi di diritti, senza una degna difesa del lavoro . La spirale della logica insensata dell' assistenziali­ smo, «per aiutarci», ci preclude l'elementare diritto in arte: quello del con­ fronto concorrenziale in campo aperto, quello del fare udire la nostra voce. Perché si sottraggono le risorse vitali, il fresco sangue delle sovvenzioni, san­ gue di tutti, per mantenere in vita apparente, ideologie e concezioni cada­ veriche, stramazzate da tempo, foriere solo di distruzione? Questo, e tutto il resto, perché resta sottinteso come dato fermo, scontato e irrevocabile che il nostro prodotto non può rendere; non è richiesto, non venderà mai, non interessa nessuno . Dall'altra parte, ci si obbliga, col ter­ rorismo culturale e morale, a produrre scarpe che nessuno senza lacerante, degradante, inutile strazio può calzare. 22 1

Ci è stato insegnato a farci carico con sapienza del fardello dei conflitti del­ la nostra natura ferita. Ma chiedimi, chiunque voglia può saperlo: ferita da chi? Le risposte non saranno qui generiche, vaghe o imprecise: la lista infernale degli affossatori nostri assommerà a venti nomi al massimo; con i sicari senza volto arriveremo a quaranta forse . . . non oltre. * I ii

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Anfrage, e riprendiamo. I l senso può dissonare (di frammento originale o in collage, non è lì il punto) con ciò che segue e che precede; o che sta so­ pra, in vari gradi . Come vedi non sono l'oltranzista consonante, che narra­ no gli eversori . . . Sono però le dissonanze concettuali mie. Talora inapparenti . Di situazioni e di rapporti complessi , invece che di suoni elementari . Mi è sembrata ben mediocre cosa la dissonanza acustica: do contro do die­ sis. . . : buona per far piangere (come gli engagés compatti vogliono infatti, sappiamo) o ridere (come gli attivisti provinciali euforizzati dalla «moder­ nità» ; sono tanti : che prendono tutto per divertimento carnevalesco grotte­ sco, o caricatura) . . . I l migliore Karl Kraus (Detti . . . 258) : « È una pena che solo l'intelligenza capisca che cosa ho in cuore contro di essa. Il cuore non lo capisce». Que­ sta sì è una cosa terribile. È terribile l'intelligenza: la sua parte malata.

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La sua parte sana, che è il cuore stesso come vedi, ci risulta proprio che lo capisca . . . E dunque, non è nemmeno vero . Non era poi cosa così terribi­ le, ecc . ; con tutto il (nuovissimo) resto, che deriva. Ormai si distingue con chiarezza essere necessario di fare, quello che da tanto tempo veniva predicato senza crederci : trattare il pensiero come un organo per dirigere l'agire, invece che per affaccendarsi sul linguaggio e per riflet­ terlo. Il pensiero (e non è questo un paradosso) non è fatto in natura per pensare, o per l'indagine ravvicinata. Troppo vicino come troppo lontano non si vede bene. Logica formale, assiomatizzazioni delle proposizioni si­ gnificanti, controlli della psiche, indagini gnoseologiche: follie. Come la pre­ tesa di parlare metalingue. Le metalogie ci porteranno per castigo sterilità: e quindi, metalgie . . . avevamo provato anche questo ! Il pensiero è fatto per coordinare semplicemente delle azioni fra loro . Per ascoltarne le esigenze di relazione parlante. Accettiamo la presenza amica, familiare e misteriosa delle cose . . . : saremo premiati . Non ci sono più tecniche giuste né tecniche sbagliate, in musica. Queste di­ stinzioni sono saltate insieme con la pretesa unicità del «legittimo» linguag­ gio : e della tendenza d'epoca, «moderna» , o clima dominante. Il clima è conquistato dalle compresenze multicolori, dalla composizione per tarsie: policromie e polimorfisrni subentrano alle imposizioni monodirezionali della coerenza. Non ce ne dorremo . Il vestito di Arlecchino è stato consacrato, ed è «questo» il caratteristico «colore» della nostra epoca. Gli stili ed i loro procedimenti espressivi sono degradati in certo modo, a «tecniche di scrittura» : quasi materie prime o at­ trezzi o (si «compongono» degli stili come tempo addietro si potevano com­ porre note, poi dei parametri puri: quali inaudite inversioni di tendenza . . . ) figure. Oggetti diversi si possono magneticamente avvicinare, le loro con­ traddizioni si trovano affiancate, e accanto a noi: che godiamo delle forze vet­ toriali palpitanti dei loro campi . . . più e meglio: che le amiamo teneramente. Folgorante, qui, Rabindranath Tagore: «L'uomo comprende se stesso nelle cose che lo circondano» ; come aveva già compreso e constatato Goethe. Eppure, questo «rapporto di comprensione è parziale : invece il rapporto d' amore è completo» . Nell 'amore completo la «differenza» fra il cono­ scente e la cosa conosciuta . . . « scompare, e l 'anima raggiunge il suo scopo di perfezione, trascendendo i limiti» razionali che le sono apparentemente segnati . «Perciò l'amore è la più alta felicità . . . solo dentro nell'amore, si può "essere più di se stesso" , e si sente, si vede di "essere una sola cosa con il Tutto" » . L a storia, è divenuta tutto il mondo : i n profondità così come i n estensio­ ne. Viviamo oggi nella convinzione precisa che dei simboli leggibili , faccia parte la Parola così come l' advertising industriale . 223

Possiamo citare l'architetto americano P hilip Johnson: «Il mondo intero è la nostra fonte di ispirazione»; lo è diventato in particolare oggi . Se noi stessi abbiamo voluto intonare il testo latino della Messa in molti colori (polimorfie a tarsia: colori formali e perfino , nelle diverse situazioni mo­ mentanee, di scrittura stilistica), è stato , per ottenere le contrapposizioni delle situazioni (non già soltanto dei suoni singoli, come altrove diciamo) in armoniosa dissonante polifonia. Non inseguiamo un ideale di modernità moderata! *

A nfrage, veramente? : nessuna distorsione, se posso finalmente dirlo ; ma intensificazione, somma, emotiva (vedi bassi della Centodieci, i movimenti che mutano commossi) . Si distorce il vero, quando si dice di noi: dissacra­ zione, distorsione ! Quanto al risultato , il marchingegno è escogitato in modo da ottenerne uno schiettamente musicale . Un'altra enormità, specie in quei tempi. Discrepanza, forse la massima possibile; sta lì : che le pietre di una costru­ zione sono rese vive. Si tratta (se vuoi : ma la spiegazione tecnica è sempre miserrima) del fatto che nell' assemblage gli elementi, tonali , sono usati 224

come materie di una composizione a tarsia, per volumi , colori (di quanti ordini ! ) contrapposti , giustapposti . . . però forse dava più l'idea dire che le pietre occhieggiano , i capitelli fremono, le basi sbozzate a squadre ge­ mono lacrime vere; e come: me ne ricordo . Gli elementi, dal tuo Beetho­ ven commosso, al fiammeggiante Messiaen , dai russi infranciosati dei ca­ hiers de salon, agli onesti vecchi esercizi di meccanica pianisti ca, dal soldi­ no bene amministrato di Muzio , pardon di Clementi, ai soppressori del senso consequenziale della neo avanguardia (poi suicida) anni Cinquanta. Tutti sono qui , in apparenza, tonali : ossia «viventi» ; perché anche i pre­ lievi (frammenti o relitti) di atonie collassate vengono con alito affettuoso baciati , fatti rivivere . Il contesto prescelto prima e poi, il taglio malizioso, e telecinesi di cui io stesso so ben poco, niente, li hanno resi tonati! Verifi­ care per ammetterlo, te ne prego . La banalità è sempre (nel-) l 'occhio di chi guarda: mai immanente, (nel-) la cosa che guardiamo. (Ma dunque non è insita, né irrimediabile) . Con la dovuta attenzione si consideri , come questa sia proposizione con­ seguentemente ricca «in sé» (la verità non è funzione del tempo : non ha possibili confini) di profondità vertiginose . Non c'è musica «tonale» nei suoni: la tonalità è nell 'orecchio di chi vuole ascoltarla. Si può prendere a compagna la ragione, ma si deve avere a guida la nostra fantasia: diciamolo dunque, rovesciando la memoranda sentenza di Ben Jonson. L' ascolto del rumore di una cascata. che di per sé non esiste, al di fuori della messa in azione di facoltà, c ' è chi dice di categorie, organizzative da parte dell' ascoltatore . All'estremo intangibile, si avverte addirittura la assunzione «completa» del fenomeno nella propria sfera, e la sussunzione stilistica, in piena legittimità . . . : l' «opera totale» (che come intenzione pre­ cede, od eventualmente che in trasecolata stupefazione segue, cioè) si in­ carica di orientare il fenomeno, e sempre in una direzione determinata. Il sommo Dubuffet delle matériologies è in tutto, e senza possibilità di al­ cuna congettura (non si dice progetto) formale, identico alle superfici ter­ rose, naturali, eppure è tutto proprio. C'è sempre un «altro» modo di vedere le stesse cose: senza questa speran­ za, fiducia, certezza, fede (che può muovere monti e trapiantar gelsi in mare, se ti sovviene) , la musica in particolare, e l'arte in generale, sareb­ bero morte: almeno tre volte. Senza contare G . Cage, certo per carità. Ma ci (credo) credevano davve­ ro . Sono forme di semicandore, strenuamente coltivate, di chi non può altro fare. Preferisco allora la libera malafede intellettuale ricreativa di Strawinsky, o nostra. O la vera ingenuità, di San Francesco : «Come rina­ scendo di continuo a vita nuova» . . . vedi bene. 225

Ancora oggi il mondo che rifiuta la palingenesi, pur ridotto a poche roc­ caforti ideologicamente smantellate, non finisce di apparire potente, mi­ naccioso, inespugnabile. A questo mondo , che rivela da se stesso tutta la sua caducità e vulnerabili­ tà, occorre portare testimonianza dell'uomo nuovo : che in maniera nuova può imporre la propria presenza salvifica nelle coscienze. Gli uomini sa­ pienti , seppero queste cose sempre. Tutto è pronto , per imboccare il giusto cammino anche da noi . Ma c'è chi tiene ostinatamente chiuso il passaggio a livello . Che cosa occorre fare. Premesso che comunque la problematica connessa con l 'interrogativo etico non vedrà una fine, occorre: l . Semplificare gli obiettivi e innanzitutto confederare le forze il più presto possibile. 2 . Mirare non tanto ai burattini a motore, quanto alle prese di corrente, del potere oppressivo vigente: le pubbliche sovvenzioni; e staccare il più decisamente possibile le spine. Come convincere (ammettiamolo: è difficilissimo), qualcuno se lo sarà chie­ sto, come persuadere chi profitta di queste erogazioni e vi fonda il suo potere e se ne nutre, a rinunciarvi? Come indurre chi prospera su queste entrate e le spende senza averne il merito, sulla pelle di tutti, ad accettare di vedersele togliere? È impossibile, palesemente. Occorre dunque mobilitare tutti gli altri , l 'o­ pinione della maggioranza, i suoi organi, i suoi partiti se occorre, a colla­ borare decisamente a questo fine . È evidente che chi spende soldi per divertimenti privati, dovrebbe prima essere stato capace di guadagnarseli . Quest'etica resse gli impresari geniali dei grandi tempi, e regge ancora oggi i grandi mercanti d'arte, quelli di fiuto . Chi cade, deve aver sbagliato qualcosa: è così che si impara a stare in piedi, e guadagnare . . . Come «meritare» altrimenti , se si è capaci di tro­ vare gioielli di chincaglieria, pagarli carissimi , con denari altrui, ed im­ porli per forza nelle vetrine migliori dell'esposizione, disgustando tutti? Qui , il vero pubblico è disgustato. È altrettanto evidente, che se si continua ad « assistenzializzare» l 'intra­ presa tappandone i dissesti di bilancio con erogazioni stampella, non se ne incentiva certo il risanamento, se questa è «decotta»; e la pianificazio­ ne efficiente, se ancora non lo è: continuamente indispensabile, nei cer­ velli come nella organizzazione, per garantirne il passo con i tempi . In una parola: la produttività. (Si vedono dei risultati nei musei americani, dove per ogni dollaro ricevu­ to da Stato o Fondazione, se ne devono guadagnare uno o due, la norma varia nei singoli States, in autonomia) . Tare e squilibri, ferocia frigida e crudele, sterilità, perfidie e viltà, incapa226

cità e handicap , psichici e (proprio) culturali, sono da noi piuttosto ap­ prezzati e valorizzati, che trattati come dovrebbero . È difficile oggi, che si lasci passare per sofisticato highbrow (mi sembra giusto : Adorno ci s'ar­ rabbiava) , e veramente « attuale», un individuo che in arte e nella vita si fosse conservato integro e sano: dalle difficoltà attingendo solamente· più forte tempra del carattere e rinnovato amore per l' uomo ; queste cose so­ no divenute talmente irragiungibili , che non ci spera più nessuno . Anda­ vano forse bene ai tempi di Beethoven . . . appunto, ma chi è che lo dice? Sono nuovamente questi, quei tempi. Vorremmo che ci si proponesse, senza nemmeno vergognarsi , di fare con la musica il mondo più bello, da abitare. Di portare uno spirito lieto ai sofferenti; un po' di pace alle anime affan­ nate . E amore dove c'è rancore, qualche dolcezza a chi si sente, magari non a torto , amareggiato. E magari , rinfrancante sicurezza dove si anni­ dano il dubbio, la debolezza e lo sconforto . . . Non ci sarà da temere trop­ po, qui , la carenza di «engagement» : perché questo sembra fosse il pro­ gramma, o più semplicemente, la candida preghiera, di San Francesco . Fondamentale sarebbe il concetto di letizia. San Francesco insegna nella Regola (II, 1 97), che vivere è letizia. Basta guardarsi intorno, dove la na­ tura è inviolata, per gioire. È inoltre tassativo conservare, per virtù eroica quando occorra, l' animo sereno . Vogliamo bandire dal repertorio, abba­ stanza vasto speriamo , dei moduli compositivi, il parametro fastidiosa­ mente psichico dell' «inquietante» , del «perturbato» veramente. Dell' af­ fanno, e tanto più dell' angoscia. Riservandoci il gran compito di riporta­ re, con la fiducia, la letizia : ci sia assegnato . Vincere i blocchi angosciosi, avere il coraggio della serenità, chiedere con accento di forza tranquilla che sia riconosciuto il buon diritto , è già un passo . . . talmente avanzato (forzare i blocchi prima in noi stessi, è la pre­ messa segreta) nel bene operare, da costituire più che un inizio (che è no­ toriamente la mezza via) certo , una garanzia di giungere in fondo sani e salvi . Ecco il « Bussate e chiedete, vi sarà aperto e dato» ; il voler chiedere comporta precisamente l' emancipazione di chi sa di poter meritare una retta coscienza, senza più troppe affannose omissioni . E già che ci siamo , ciò presuppone intimamente come condizione la generosità: « Date e vi sa­ rà dato» . E siamo convinti d i non potere crescere d a soli . E siamo convinti che que­ sta sia, approfondendo le apparenze, una sociale benedizione; insieme al­ l'altra del non potere accontentarsi, del non sapere dire un definitivo «ba­ sta», del non essere mai sazi : di cui rendiamo qui felicemente grazie; per­ ché ci costringe a non rassegnarci a tenere le nostre porte chiuse. Ci salvia­ mo soltanto insieme: e questo ci può anche ricordare . . . che è necessario dare per ricevere. 227

Meglio ancora, vediamo. È meglio essere in grado di dare; di amare e di comprendere ed aiutare, piuttosto che dovere essere solo amati, compresi ed aiutati. Questa idea, evidente qui a tutti, la leggo in San Francesco . Ma non deve rimanere soltanto sua. Devi mettere avanti a tutto lo spirito di sacrificio . Non perdere tempo . Avere fiducia. Talismani da non portare nel taschino ma nell' intimo; e da trasmettere solo ai migliori, che si riconoscono con certezza fratelli.

I l tuo Paolo Castaldi

Le pagine di A njrage sono state riprodotte per gentile concessione di Casa Ricordi.

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« zur Stadt Triest»

La tomba di Thayer a Trieste, come si presentava prima del restauro; fotografia 1 960. (Collezione Carlo de l ncontrera, Trieste) Alexander Wheelock Thayer; fotografia 1 880 ca. (Collezione Carlo de lncontrera, Trieste) La casa Ralli a Trieste, dove abitò Thayer; fotografia 1 986. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste)

Carlo de Incontrera Beethoven e Trieste

Mio padre, negli ultimi mesi di vita, aveva iniziato una ricerca sul rappor­ to tra Beethoven e Trieste, o meglio, tra alcuni personaggi della biografia beethoveniana e il capoluogo giuliano . Di fatto egli riprendeva alcune in­ dagini compiute agli inizi degli anni Cinquanta sui conti Guicciardi - e dunque anche su Giulietta - , personaggi incontrati nel corso della stesu­ ra dei primi capitoli del « Giuseppe Labrosse e gli emigrati francesi a Trie­ ste» 1 • Da questi primi ' risultati' si sviluppava anche lo studio di Giusep­ pe Stefani su Giulietta Guicciardi 2 • In «Trieste e l'America» 3, mio pa­ dre si era nuovamente 'incontrato' con un personaggio beethoveniano, cioè con uno dei maggiori biografi del musicista, console degli Stati Uniti a Trieste: Alexander Wheelock Thayer . Nel 1 897 , a Trieste, Thayer morì e venne sepolto nel cimitero evangelico . Di questo particolare non se ne seppe nulla fintanto che papà non lo scoprì . Solo allora il governo ameri­ cano si interessò del ' caso' , una pronipote di Thayer fece restaurare la tom­ ba; ed Elliot Forbes che stava per pubblicare la seconda edizione della Li­ fe of Beethoven 4 volle citare nella prefazione questa scoperta. Con l' avvicinarsi del bicentenario del Maestro riaffiorarono le attenzioni di mio padre per i legami tra Beethoven e il porto dell' Impero . Nel 1 967 egli tenne una relazione alla Società di Minerva 5• Nel 1 968 ne parlò in una conversazione ai microfoni della RAI 6 • E, intanto, nuovi personaggi si erano aggiunti: i triestini baroni Pasqualati, padroni di casa di Beetho­ ven . Poi , l 'interesse si spostò su Gerhard von Breuning e soprattutto sulla l 2

OscAR DE INCONTRERA, Giuseppe Labrosse e gli emigrati francesi a Trieste, sta in «Archeografo triestino», IV serie, voli. XVIJJ-XXVI ( 1 952-64). Cfr. GIUSEPPE STEFANI, Giulietta Guicciardi nella vita segreta di Beethoven, sta in «Nuova Antologia» n. 1 846, otto­ bre 1 954. OscAR DE INCONTRERA, Trieste e l'America (1 782-1830 e oltre), Zibaldone, Trieste 1 960. ALEXANDER WHEELOCK THAYER, Life oj Beethoven, a cura di Elliot Forbes, Princeton University Press, Princeton N . J . 1 964. Relazione tenuta nel sodalizio triestino il 20 maggio 1 967. Trasmissione radiofonica per l'emittente di Trieste della RAJ, 1 5 luglio 1 968.

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sua moglie triestina, Giuseppina Gossleth de Werksttitten . L 'insieme di queste notizie non è molto corposo ed è anche, purtroppo , incompleto . Io ho tentato di fare ordine in questi appunti, di completarli . U n contributo molto marginale alla biografia beethoveniana, certamente. Però qualche particolare, per quanto microscopico, è assolutamente inedito.

l. Ostriche e Picolit, necrologi e orazioni Beethoven, come è noto, mai soggiornò in queste province dell' Impero , nemmeno transitò nei paraggi . E delle nostre terre sembra aver coltivato un'immagine soltanto ' godereccia' . Dobbiamo fare una volta o l'altra una gita a Trieste e Venezia per gustare le ostriche [ ] . . .

si legge a pag . 1 6 del Quaderno di con versazione IV (dicembre 1 8 1 9) . A sostegno poi di questa 'idea' era anche l'insegna del negozio di generi ali­ mentari scelti, vini e coloniali «Zur Stadt Triest» in Himmelpfortgasse 948; di proprietà di Heinrich Seelig (detto anche «il beato»), fornitore di casa Beethoven . Dal Quaderno XLV (novembre 1 823) si può scoprire che il mu­ sicista, buon bevitore di vino, conosceva una delle 'glorie' della nostra re­ gione: il Picolit . E noi, cosa sapevamo di Beethoven? Notizie certe di esecuzioni di musiche di Beethoven non se ne hanno sino al 1 844. È assai probabile comunque, che, privatamente, qualche pagina sia stata 'letta' o da concertisti 'di passaggio' in città o da qualcuno dei numerosi dilettanti che allietavano le serate con 'accademie' musicali . Una lettera assai istruttiva in tal senso ci viene offerta dal Catalogo ( 1 828) della ditta Vicentini, fondata nel 1 8 1 3 dal vicentino Domenico del Maschio con sede in Piazza della Borsa 7 : tra li Mastici per accendere all'istante la candella (sic) o Pippa, così gli acidi minerali, il fosforo [ ] ...

si poteva trovare, di Beethoven , «Musica facile per pianoforte solo» , «Quattro Sonatine facili progressive», «Bagatelle op. 1 1 2» (sic), p o i «Ro­ manze», la Sonata op. 101 e la partitura del « Cristo sull' Oliveto». Sicura­ mente anche i librai Geistinger e Gnesda, eccellenti divulgatori della lette­ ratura musicale tedesca, avranno avuto sugli scaffali dei loro negozi di Por­ tizza in via Dogana, qualche spartito beethoveniano. Comunque, le prime notizie che possediamo sull' informazione beethoveniana a Trieste dal 1 800 al 1 830, ci vengono offerte da L 'Osservatore Triestino. Il 27 marzo 1 827, 7

Cfr. i l catalogo conservato presso i l Civico Museo Teatrale d i fondazione Carlo Schmidl d i Trieste e l'opuscolo d i G1uuo CESARI, Cent'anni di vita di uno stabilimento musicale triestino, Caprin, Trieste 1 9 1 3 .

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una nota d' agenzia piuttosto ampia comunicava al lettore la malattia del musicista: Impero d'Austria. Vienna 21 marzo . Il nostro Beethoven langue già da quattro intieri mesi per un'ostinata e dolorosa malattia, d'idrope, la quale se non minaccia i suoi giorni, può almeno tenere per qualche tempo ino­ peroso il fervido suo ingegno. Tosto che si seppe a Londra lo stato compassionevole di que­ sto celebratissimo maestro, uno dei suoi più caldi amici ed estimatori, il signor Mocheles (sic), rappresentò con fervoroso zelo l'emergente a quella società filarmonica, la quale poi in una generale radunanza unanimamente determinò, di assisterlo non solo pel momento, ma che per l'avvenire, con tutto ciò di che potesse mai abbisognare. In conseguenza di ciò la società fece infrattanto rimettere al sig. Beethoven fni . 1 000 moneta di convenzione, per mezzo della casa Rotschild, significandogli di non risparmiare cosa alcuna che valga a rido­ nargli la salute, e con questa il suo libero esercizio nel regno dell'armonia - Con quale inti­ ma commozione Beethoven abbia appreso questa nobile azione, si potrebbe appena descri­ verla, e se i degni personaggi di Londra ne fossero stati testimoni, sarebbe certamente stata questa per essi un'abbondante ricompensa . Beethoven è per l'assistenza medica nelle miglio­ ri mani . Il suo circolo si compone dei suoi amici di gioventù, l'i.r. effettivo consigliere aulico di Breuning, e il suo da molti anni provato amico, sig . direttore musicale Schindler, che gli presenta con ogni sacrifizio i servigi di un vero amico . Voglia la Provvidenza conservare a noi e a tutto il mondo artistico quest'eroe della composizione musicale (O.A.).

Il successivo 3 aprile appariva un ultimo comunicato, per la verità assai sbrigativo , sulla morte del Maestro : Le speranze e i desideri che i numerosi amici ed ammiratori di Beethoven nutrivano pel rista­ bilimento di questo grande artista non si verificarono pur troppo . Luigi di Beethoven sog­ giacque al dopo pranzo del 26 corrente, tra le ore 5 alle 6, alla lunga e dolorosa malattia che soffriva da parecchi mesi .

Come già accennato , si deve arrivare al 1 844 per conoscere qualcosa di più preciso sulle esecuzioni beethoveniane : al Teatro Grande, nel corso di un concerto vocale e strumentale il pianista de Schick 8 eseguì un «Ada­ gio da un trio ridotto per pianoforte» 9 • Tre anni dopo avveniva l 'esecu­ zione del primo movimento della II Sinfonia, sotto la direzione del primo violino del Teatro , Paolo Coronini . Nel 1 850, Francesco Sini co diresse per intero la II Sinfonia 10• Ma è sol­ tanto dal 1 860 che si infittisce la presenza beethoveniana nei cartelloni trie­ stini . Circostanza questa, strettamente legata all' arrivo in città di Julius Heller, il quale con coerenza e fedeltà alle proprie convinzioni impostò un programma di un'ampiezza sen­ za precedenti nella storia musicale della città, iniziando in tal modo una sistematica opera di bonifica dell'ambiente. Costituì subito un quartetto d'archi che prese il suo nome e che,

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IO

M. de Schick «Dottore in medicina e membro delle Facoltà mediche di Heidelberg, Vienna e delle Società Filarmoni­ che di Londra e Edimburgo», si legge sul manifesto. Cfr. liRENEO BREMJNJ, Cronologia degli spettacoli, sta in «Il Teatro Comunale di Trieste», Del Bianco, Udine 1962. Cfr. FRANCO AaosTJNJ - PIERO RATTALJNO, Beethoven nel Veneto nell'Ottocento, sta in «Nuova Rivista Musicale Italiana», Anno V I n, 4, 1 972.

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pur rinnovando frequentemente i suoi componenti, svolse un'attività intensissima, con più di trecento concerti in quarant'anni . [ . . . ] fondò lo Schillerverein (Casino Schiller), che fino al 1 9 1 8 sarebbe rimasto il centro di attività musicale più importante della città . [ . . . ] La dire­ zione artistica era [ . . . ] esclusivamente tedesca, e l'attività culturale del sodalizio fu sostenuta soprattutto dall' ungherese Edoardo Bix, pianista, compagno di Heller in molte esecuzioni, e critico musicale del quotidiano di lingua tedesca «Triester Zeitung». L'indirizzo culturale dello Schillerverein non fu però osteggiato dagli ambienti di cultura italiana [ . . . ]. Dapprima con esecuzioni di musica da camera, e dopo una quindicina d'anni di rodaggio anche con esecuzioni sinfoniche, Giulio Heller svolse il suo piano sistematico di aggiornamento cultu­ rale, accentrandolo sul nome di Beethoven 1 1 •

Non meno di 1 3 sono le esecuzioni beethoveniane negli anni Sessanta; cir­ ca 26 negli anni Settanta; più di 50 negli anni Ottanta; una settantina nel­ l ' ultimo decennio del secolo . Praticamente, anche se con notevole ritardo rispetto ad altre città beetho­ veniane negli anni Sessanta; circa 26 negli anni Settanta; più di 50 negli anni Ottanta; una settantina nell ' ultimo decennio del secolo . Praticamente, anche se con notevole ritardo rispetto ad altre città dell' im­ pero, il catalogo concertistico triestino, alla voce «Beethoven» ha già iscritto a fine ' 800 l'integrale delle Sinfonie e dei Quartetti , una dozzina di Sonate per pianoforte, quasi tutti i Concerti e varia altra musica da camera. Ci sono anche delle presenze ricorrenti , probabilmente sollecitate dal pubbli­ co degli abbonati o dai soci del Schiller-Verein: il Quartetto op. 131, «Les A dieux», la «Kreutzer», il Concerto per violino. E tra gli interpreti , oltre a Julius Heller, troviamo nomi di grande spicco : Ferruccio Busoni (triesti­ no da parte di madre) , Alfred Griinfeld, i triestini - di nascita - Ludwig Breitner e Paolo Gallico; e l' applauditissima Gemma Luziani, «dall'io ar­ tistico puro e luminoso», come si legge su L 'Indipendente dopo l'esecu­ zione, nel 1 887, dell' «Appassionata» . A testimonianza della passione beethoveniana di Trieste, lo Schiller-Verein iscrive nell 'albo d'oro della sua attività un grande Festconcerte organizza­ to nel 1 870, in occasione del primo centenario del Maestro . In program­ ma: l'Ouverture e il «coro dei prigionieri» dal Fide/io, il Finale dall ' Ora­ torio Christus am Oelberger, l' Ottava Sinfonia, Die Ruinen von A then. Ma la politica culturale dello Schiller-Verein non si ferma alle sole mani­ festazioni concertistiche . Nel 1 877, infatti , Alexander Wheelock Thayer, che proprio in quegli anni stava lavorando alla monumentale biografia di Beethoven, tenne una conferenza sul musicista. Curiosamente però, di que­ sta relazione non si trova traccia negli annali del Sodalizio 12 • Esiste sol­ tanto il testo , pubblicato a Berlino nell 'estate del 1 877 con il titolo «Ein kritischer Beitrag zur Beethoven-Literatur». Il 12

FRANCO AGOSTINI - PiERO RATTALINO, op. cit. (nota I O) . Cfr. Der Schiller- Verein i n Triest, Chronologische Darstellung seines Wirkens von 1860-1885, stamperia del Lloyd austro-ungarico, Trieste 1 885.

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2. Giulietta, quasi una fantasia Tra gli appunti di mio padre sul 'caso' Beethoven, esiste un'unica ' sezio­ ne' abbondantemente elaborata, ed è quella riguardante la famiglia di Giu­ lietta Guicciardi che - come ho specificato all 'inizio - ha rappresentato la base di partenza di questa ricerca: La contessina Giulietta Guicciardi 1 3, che trovò sì largo posto nel cuore di Beethoven, pro­ veniva da una antica famiglia del Ducato di Modena, appartenne in parte al patriziato di Modena stessa, in parte al patriziato di Reggio e che si diramò, al principio del Settecento, nella Lombardia austriaca e più tardi in Austria. Il Duca Rinaldo d'Este la elevò negli ultimi anni del Seicento al rango comitale con predicato di Cervarolo 14.

Si tratta di uno dei tanti rami dei Guicciardi , originari dei Grigioni e quin­ di trapiantati in Valtellina, la cui presenza è attestata anche dal Castello Guicciardi a Ponte di Valtellina. Una famiglia che annovera presenze illu­ stri nell' età napoleonica e metternichiana 15 • Tra gli antenati di Giulietta troviamo un Orazio Guicciardi morto nel 1 666, sposato a Laura de Brini, e i due figli : Fabrizio ( 1 662- 1 7 1 1 ) e Giovanni ( 1 665- 1 742) . Quest'ultimo sposò in prime nozze la contessina Isabella Caes­ sassi ( + 1 706) e in seconde nozze la contessina Sofia Nangui . Dal matri­ monio con Isabella nacque a Milano il 17 agosto 1 704 Filippo (morto a Cremona nel 1 788) feldmaresciallo austriaco sposato nel l 752 con la spa­ gnola Maria Anna de Luzan che gli portò in dote il feudo di Leschna in Moravia grazie al quale fu aggregato alla nobiltà provinciale di quel Ducato (con diploma di Maria Teresa dell'8 giugno 1 765). Egli si segnalò in tutte le campagne combattute dall' Imperatrice e contribuì a domare la rivolta scoppiata ai Confini militari. In riconoscimento a tali bene­ merenze Maria Teresa lo avrebbe elevato - almeno lo asserisce lo Stefani 1 6 a conte del Sacro Romano Impero . Egli ebbe tre figli : Francesco, il padre di Giulietta; Luigi che fu con­ sigliere di stato a Modena e morì senza discendenza nel 1 830 e Carlo Cesare, che fu coman­ dante delle truppe modenesi quando il Ducato, nel 1 8 14 passò a Francesco IV arciduca d' Au­ stria, tenente feldmareschiallo e l. R. ciambellano; morì nel 1 835 1 7 . -

Si arriva così al conte Francesco Guicciardi di Cervarolo e alla sua paren­ tesi triestina. Nacque nel l 752 e morì a Reggio Emilia il i O ottobre 1 830. Ventenne lo troviamo praticante presso l'Ufficio Circolare di Gorizia e 13 14

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Cfr. GIUSEPPE STEFANI, op. cit. (nota 2). Le notizie araldiche e genealogiche sono desunte dal Genealogisch-haraldisches Handbuch zum genealogischen Ta­ schenbuch der griiflichen Hiiuser, Gotha 1 85 5 ; Gothaisches Genealogisches Taschenbuch der Griiflichen Hiiuser, Gotha 1891 e anni successivi; Annuario della Nobiltà Italiana, 1905; Libro della Nobiltà Italiana, 1 937- 1 939; Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana, 1 934. L'ing. conte Diego Guicciardi di Roma, discendente da questa casata conserva preziosi documenti che sono attual­ mente in fase di studio per essere pubblicati. Cfr. STEFANI, op. cit. (nota 2); secondo il Taschenbuch citato del Gotha, i Guicciardi ebbero invece il riconoscimen­ to comitale austriaco appena con diploma dell'imperatore Ferdinando I del l 9 luglio 1 838 in accoglimento a supplica della contessa Vittoria Cassoli Lorenzotti, I . R. dama della Croce Stellata, vedova di Carlo Cesare conte Guicciardi. Secondo il Handbuch citato del Gotha, il primo conte austriaco fu il terzogenito di Filippo, il conte Francesco, padre di Giulietta. !NCONTRERA, appunti manoscritti.

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nel 1 774 aggiunto al Capitanato provinciale della stessa città, dove strinse amicizia con i conti Strassoldo, con i conti Torres e dove conobbe Giaco­ mo Casanova, dimorante allora nella città isontina. Pare anzi, che egli abbia tentato di entrare nelle simpatie dell'avventuriero veneziano, come dimo­ strerebbero le due lettere pubblicate da Carlo Curiel in Trieste settecente­ sca 1 8 • La Francia, la Moscovia, la Germania, il Meriggio tutto dell'Europa a visto il m i o sig. Casa nuova ora con adversa, ed ora con favorevol fortuna bensì, ma è sempre stato testimonio della disinvoltura colla quale Ella seppe tirarsi d'imbarazzo [ . . . ]

Da Gorizia il conte Guicciardi venne trasferito in Galizia quale sostituto di Rodolfo de Strassoldo, capitano distrettuale a Leopoli. Nel 1 78 1 lo Strassoldo, scoperto reo di gravi malversazioni, fuggì in Polonia; in esito al pro­ cesso in contumacia istruito a suo carico venne condannato alla perdita della nobiltà e im­ piccato in effige. Il conte Guicciardi , a torto o a ragione incolpato di correità, grazie proba­ bilmente all'alta posizione paterna, riuscì a farsi condonare con decreto del 17 luglio 1 782 il suo «procedere irregolare», ma perse il posto. Da allora per un decennio non sappiamo più nulla di lui ed è proprio in questo periodo che si sposò con Susanna, la quartogenita del conte Anton Brunsvik von Korompa e di Anna d' Adelfi, e che gli nacque l'unica figlia, la nostra Giulietta, il 23 novembre 1 704 . Dagli alberi genealogici dei Guicciardi e dei Brun­ svik pubblicati da vari biografi beethoveniani risulta che Giulietta vide la luce a Trieste, ma la conferma non l'ho trovata nel Liber Baptistorum delle due parrocchie in cui si suddivide­ va allora la nostra città, quella della «Civitas Veteris» (Santa Maria Maggiore) e quella della «Civitas Theresiana» (S. Antonio Nuovo). Ciò non esclude però affatto l'affermazione, poiché potrebbe essere nata in una delle tante case di campagna che possedevano nel nostro pome­ rio i nostri patrizi, negozianti e funzionari pubblici. In ogni caso il conte Guicciardi non oc­ cupava in qu egli anni nessuna carica o professione se abitava a Trieste, poiché il suo nome non figura negli annuari ufficiali cittadini che qui si pubblicavano . Susanna, la sposa del conte Guicciardi , apparteneva ad un'antica e nobile famiglia unghere­ se, che ebbe per capostipite Tomaso Brunczvik 'aulicus' del palatino Stanislao III 1 9 • Il padre di lei, Anton Brunswick, o meglio Brunsvik von Korompa, era consigliere aulico regio ungarico e 'amministratore del Comitato grigio' ; fu elevato a conte ad personam dal­ l' imperatrice Maria Teresa con diploma del 7 ottobre 1 775 ed ebbe esteso il titolo per tutta la propria discendenza, con diploma dell'imperatore Francesco II dell'8 novembre 1 796 . Il conte Francesco Guicciardi lo ritroviamo nel 1 792 a Lubiana, nelle funzioni di consigliere presso quel Capitanato distrettuale. Nel 1 796 venne trasferito presso il governo di Trieste per occupare il posto rimasto vacante di 'secondo consigliere governiale e direttore della Can­ celleria' . In quel torno di tempo era nelle buone grazie a Corte, se risulta già insignito del­ l'alto e ambito titolo di 'effettivo Ciambellano di Sua C . R . Ap. Maestà' 20. Governatore d'allora a Trieste era il triestino conte Pompeo de Brigido e l'altro, cioè il primo consigliere governiale che l'affiancava già da anni era !"effettivo consigliere aulico' Giorgio de Saumil, che contemporaneamente presideva il 'Tribunale di Cambio mercantile e Consolato del ma­ re di prima estanza' . Il Guicciardi entra in servizio il 12 maggio ( 1 796) e il conte Brigido lo nomina pochi giorni dopo consigliere nella 'C.R. Commissione ecclesiastica' da lui pre18 19 20

CARLO L . CURIEL, Trieste settecentesca, Napoli 1 922. Per la famiglia Brun vik cfr. i Gotha: Handbuch 1 85 5 e Taschenbuch 1 877, 1 89 1 , 1 903 , 1 920. Cfr. Scema de' Dicasteri aulici, Dipartimenti, ed Uffici Provinciali per la città di Trieste, anni 1 797- 1 800.

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sieduta; 'referente' nella 'C.R. Commissione alle Scuole' di cui era il 'Soprainspettore' ; 'com­ missario governale' nella direzione dello 'Spedale Generale e Casa di mantenimento per i 2 poveri' e 'censore e referente' nel ' C . R . Ufficio di revisione de' libri ' 1 • Da parte sua, il Magistrato politico-economico lo aggregava, nello stesso anno 1 796 al 'Consiglio Grande 22 de' Patrizi' che affiancava nel reggimento civico il Consiglio Maggiore o 'de' quaranta' • Quest'ultima nomina dovrebbe indicare che il conte Guicciardi era ben noto e stimato a Trieste, e non un illustre sconosciuto appena arrivato, anzi, un personaggio che s'era reso benemeri­ to in qualche modo, e non indifferente in passato, dato che era ben difficile entrare nell'or­ 23 dine patrizio pur occupando alte cariche e possedendo un illustre blasone . Il conte Guicciardi abitò durante la sua quadriennale permanenza a Trieste nel palazzo della Dogana Vecchia, eretto nel 1 749 e demolito nel 1 840 per costruire nella sua area il palazzo del Tergesteo. Si trattava di un grande caseggiato isolato a due piani , con un alto portale arcuato per lato con soprastante poggiolo, col tetto rialzato da tre ampie soffitte; le linee erano sobrie, senza sculture, bassorilievi o particolari rimarchevoli. Sino al 1 79 1 era stato adibito a sede della dogana, poi il Governo l'aveva venduto al nababbo egiziano conte An­ tonio Cassis Faraone, che lo aveva affittato a persone facoltose, a case commerciali e ad un albergo. A Trieste, Giulietta prese lezioni di canto da un ottimo tenore veneto appena stabilitosi fra noi, Giuseppe Lazzarini, specializzatosi nell'interpretazione delle opere dello Zingarelli e che aveva c omposto due raccolte di Ariette italiane in voga al loro tempo specialmente a Parigi . Inoltre studiò pianoforte con un emigrato francese rifugiatosi con la Rivoluzione a Trieste, il musicista Leriche, già stipendiato dalla corte di Versailles e divenuto qui uno dei collabo­ ratori della grande casa di commercio di quel Giuseppe Labrosse, sotto il cui nome si celava il conte de Pontgibaud, ex colonnello delle armate di Lugi XVI e del principe di Condé, che 24 aveva la propria abitazione, magazzini e lo scrittoio nella stessa Dogana Vecchia • Dota­ ta di una bella voce di soprano e portata già alla musica, la ragazzina apprese ad amare la stessa, frequentando con i genitori il nostro Teatro di S. Pietro, che allora era uno dei mi­ gliori teatri italiani e stava per venire soppiantato dall'attuale Teatro Verdi. Risulta a proposito dai carteggi relativi alle contrastate ultime vicende della costruzione di questo teatro, pubblicate dallo Stefani 25, che il padre di Giulietta si dimostrò competentis­ simo e zelantissimo in materia, ma fu un burocrate pedantesco d'un rigore tale da ostacolare e ritardare i lavori e danneggiare molto il generoso negoziante Matteo Giuseppe Tommasini , che aveva voluto dotare Trieste d'un nuovo modernissimo e grande Teatro. E tutto ciò solo per la sua scrupolosità che il Teatro riuscisse ineccepibile sotto ogni rapporto. Altrettanto intransigente si dimostrò il Guicciardi in questioni commerciali e marittime o di bastimenti 26 in contumacia nel Lazzaretto, come lo attesta il console spagnuolo de Lellis • Questi scri­ ve testualmente al suo governo: «poiché il conte Guicciardi rimarrà qui, poco possiamo spe­ rare data la sua inflessibilità e ciò sebbene dal lato materno gli scorra sangue spagnuolo nelle vene; non mi ama y yo lo he experimentado bastante cuando é/ estavo aqui deprimer Conse­ jero de Gobierno.

Nell'anno 1 800 Guicciardi venne trasferito a Vienna, come consigliere della Cancelleria auli­ 27 2 ca riunita austro-boema e col specifico incarico di referendario per gli affari di Trieste 8 • Egli vi prestò giuramento il 2 4 luglio. Dallo Stefani apprendiamo che l a polizia «strano a 21 22 23 24 25 26 27 28

Ibidem. Ibidem. Ad esempio il citato de Saumil non fu mai immesso nel Consiglio Minore, nonostante fosse nobile, primo consigliere governiate. Cfr. Archivio dei Conti de Pontgibaud nel castello di Pontgibaud nell' Auvergne (Puy-de-D6me). GIUSEPPE STEFANJ, l/ Teatro Verdi di Trieste, Trieste 1 95 1 . Cfr. Archivio del Consolato di Spagna i n Trieste, attualmente a Madrid. STEFANI, Op. cit. (nota 2). Cfr. Archivio del Consolato di Spagna (nota 26).

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dirsi intercettò per qualche tempo la sua corrispondenza con un amico triestino» 29• La pro­ mozione era vistosa e ottenuta di sicuro grazie alla potente influenza della famiglia dei Brun­ svik cui apparteneva la sua consorte, desiderosa di riavvicinarsi alla stessa, di figurare nella brillante società della fastosa capitale e introdurvi, con la speranza in un cospicuo futuro matrimonio, l'ormai sedicenne sua figlia. I Brunsvik accolsero i loro parenti a braccia aperte; i conti Anton e Joseph vollero subito introdurre la loro sorella Susanna con la figlia nei circoli più aristocratici di Vienna e averle loro ospiti nei loro magnifici castelli ungheresi di Korompa presso Presburgo (Bratislava) e di Martonvàsàr nel comitato di Stuhlweissenburg (Székes-Fejérvar) 30; inoltre il conte An­ ton volle che le sue figlie Therese, Josephine e Charlotte divenissero le migliori amiche di Giulietta e poiché le due prime e il loro fratello Franz erano da un anno i prediletti allievi di Beethoven, il Maestro estendesse le sue lezioni alla nuova arrivata, affinché questa conti­ nuasse e sotto una simile guida, i suoi promettenti studi triestini 3 1 •

Dopo molti anni, la «damigella contessa» conservava un ricordo assai de­ ludente di queste lezioni - Beethoven ci appare come un qualsiasi mae­ stro di musica, estroso e isterico - ma, come vedremo , erano nel frattem­ po accadute molte cose . [ . . . ] si mostrava incredibilmente severo sino al momento in cui veniva trovata la giusta inter­ pretazione. Facilmente diventava violento, gettava a terra gli spartiti, o li stracciava. Non si faceva pagare, quantunque fosse molto povero, accettava soltanto qualche oggetto di ve­ stiario a patto che fosse stato cucito dalla contessa [ . . ] . Si andava da lui oppure era lui a venire da noi . Non suonava volentieri le sue composizioni, preferiva improvvisare; al mini­ mo rumore si alzava e se ne andava. Il conte Brunsvik, che suonava il violoncello, lo adora­ va; così sua sorella Therese e la contessa Deym [ . . . ] Beethoven era vestito molto povermente. .

Così, appunto , Giulietta al musicologo Otto Jahn . Indubbiamente agli occhi della 'triestina' , il trentenne Beethoven appari­ va come un povero musicista, interessante anche, ma non certo degno del­ la sua mano . Forse, soltanto di qualche breve flirt. Per Beethoven invece, questa fanciulla svelta, bruna, gli occhi d'un intenso colore di cobalto, la tinta pallida, i capelli tagliati corti 'alla ghigliottina' , come allora prescriveva la moda, e spioventi in riccioli abbandonati sulla fronte, una bocca infantile, imbronciata, sensuale [ . . . ] 32

- come la vediamo raffigurata nella miniatura ovale conservata dal Mae­ stro fra i ricordi più cari - divenne, giorno dopo giorno , l'emblema della speranza e della felicità. Una speranza e una felicità proprio in quei mesi, appannate dai primi dolorosi sintomi della sordità. Un amore, dunque, maliziosamente e crudelmente incoraggiato : Mio, caro, buon Wegeler! 3 3 • [ . . . ] Ti sarebbe difficile credere quanto sia stata vuota e triste la mia vita negli ultimi due 29 STEFANI, op. cit. (nota 2). 30 Cfr. PAPP VIKTOR, Beethoven és a Magyarok, Budapest 1 927. 3 l INCONTRERA, appunti manoscritti. 32 STEFANI, op. cit. (nota 2). 33 Franz Gerhard Wegeler ( 1 765- 1 848) medico di Bonn, amico d'infanzia di Beethoven; sposò Eleonore von Breuning.

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Giulietta Guicciardi; particolare di una miniatura.

F. Seligmann, L 'amata immortale?; disegno primo 1 900. Beethoven davanti alla finestra di Giulietta; disegno di Giulietta Guicciardi, 1 801 ca. G. Broili, Piazza della Borsa a Trieste. Al centro si vede il palazzo della Dogana, dove abitò Giulietta Guicciardi . Litografia 1 93 5 . (Collezione dei Civici Musei d i Storia e d Arte e del Risorgimento d i Trieste)

anni. La debolezza del mio udito mi perseguitava in ogni dove, quasi uno spettro, ed io sfug­ givo ad ogni essere umano . Facevo la figura del misantropo; ma non lo sono affatto. Questa metamorfosi è dovuta a una cara, incantevole fanciulla che mi ama e che io amo. Dopo due anni ritrovo finalmente qualche istante di beatitudine e per la prima volta sento che il matri­ monio potrebbe rendermi felice. Purtroppo lei non è del mio ceto ed ora non potrei nemme­ no sposarmi, devo continuare a lavorare con tutte le mie forze [ . . . ] 34.

Un'illusione che Beethoven coltivò, quantomeno sino al marzo del 1 802, data di pubblicazione, della Sonata in Do diesis minore op. 2 7. 2 « Quasi una fantasia», detta «A l chiaro di luna», con la dedica che ha immortala­ to il nome di Giulietta. I ntanto , lanciata nella vita elegante e spensierata della capitale, dove le luci del Settecento andavano spegnendosi nell 'alba già luminosa del romanticismo, la giovinetta iniziava sotto lusinghe­ voli auspici quella vita che a lei, fatta donna, doveva essere invece così dolorosa. Alternava i suoi soggiorni fra Vienna e le sontuose ville dei suoi parenti ungheresi, presso i quali era ospite spesso anche Beethoven. In una lettera scritta da Giulietta parte in francese e parte in tedesco alla cugina Teresa il 2 agosto 1 800 troviamo un riflesso delle sue prime esperienze intellettuali e delle sue consue­ tudini viennesi . Frequentava molto il teatro e i suoi giudizi sono più sicuri e più precisi di quanto potrebbe aspettarsi da una ragazza di sedici anni. Si dava allora a Vienna l'opera di Pietro de Winter, buon musicista germanico favorevolmente conosciuto allora anche in Italia, la Marie von Montalban, eseguita per la prima volta nel 1 789 a Monaco di Baviera. «La musique de Winter en est belle - scriveva Giulietta alla cugina - le spetacle superbe, l'exécution bonne». E degli interpreti: «Mlle Schmalz se surpasse, ainsi que tous les autres sujets jusqu'à Mme Rosenbaum . Tu aurais du plaisir à la voir, ma bonne Thérèse» . N o n erano solamente gli spettacoli teatrali, a i quali ella aveva assistito anche durante gli an­ ni del suo soggiorno a Trieste nel vecchio teatro di S. Pietro, che la interessavano; prendeva per la prima volta contatto con la musica pura, che più si confaceva al suo temperamento sognante e sensibile. Si rammaricava perciò che Francesco, il fratello di Teresa, non si fosse potuto trattenere a Vienna per l'esecuzione, certamente privata, dell'Oratorio di Beethoven, che doveva aver luogo qualche giorno dopo . «Francesco sarebbe rimasto qui volentieri, per assistervi, soprattutto perché gli ho raccontato che l 'ultima volta Beethoven alla fine dell'e­ secuzione aveva improvvisato così bene; ma egli resistette da eroe . . . » . E l a lettera continua: « Ho parlato a Beethoven delle sue variazioni a quattro mani . L ' ho rimproverato: allora egli mi promise tutto. Te le restituirà molto presto. Se lo vedrò prima di partire, non mancherò di ricordarglielo; vedremo se potrò aiutarti in qualche modo a rea­ lizzare il tuo desiderio» 35 . [ . . . ] Le visite in casa Guicciardi si facevano più frequenti e nei brillanti convegni musicali le composizioni di Beethoven tenevano il primo posto. «Sabato - scriveva Giuseppina Brun­ svik alla sorella Teresa - abbiamo avuto una bella serata di musica presso i Guicciardi. Giulia ha suonato molto bene il Trio con clarinetto di Beethoven; poi si è eseguito il settimino ed un nuovo quintetto di Beethoven» 36•

Giulietta, comunque invaghita del musicista, ne tracciò più volte l'imma34 35 36

Lettera datata Vienna 1 6 novembre 1 801 . Si fa riferimento, probabilmente, all'Andantino, Canto e Variazioni in re maggiore WoO 74, dedicato a Therese e Josephine Brunsvik. STEFANI, op. cit. (nota 2).

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gin e in delicati disegni a matita 37 • Ma a dissolvere ogni tendresse, a in­ frangere ogni sogno beethoveniano, fu sufficiente l'apparizione del frivo­ lo conte Venceslao Roberto von Gallenberg ( 1 783- 1 839) , compositore e non ricchissimo pure lui, però di antica nobiltà austriaca. Che poteva, del resto , il plebeo Beethoven con un «Gran Cacciatore ereditario in Carniola e nella Marca Vindica» , discendente da quel Ortolfo I I , figlio di Ortolfo I , Signore di Scherffenberg che fece edificare intorno al 1 000 il castello di Gallenberg e prese da questo il nome? ! Un albero genealogico 3 8 che prosegue poi con Nicolò de Gallenberg ( + 1 39 1 ) e i suoi due figli : Alberto capostipite della linea di Osterberg, estintasi nel XVI secolo, e Egidio, non­ no di un Giovanni che, avendo prestato aiuto all'Arciduca Alberto , perse i castelli di Gallenberg e di Hohenwang . Il figlio di Giovanni, Federico, divenne castellano di Lueg (oggi Predjama, in Slovenia) , l'antico maniero del 'triestino passator cortese' Erasmo . Il quadrisnipote di quest ' ultimo fu Giovanni Adamo ( + 1 664), padre di Giorgio Sigismondo, reggente pro­ vinciale del Ducato della Carni o la, elevato da Leopoldo I nel 1 666 a conte del Sacro Romano I mpero . Ereditò la carica di reggente suo figlio Wolf­ gang Weikard ( + 1 733). Si arriva così al conte Giovanni, governatore della Galizia, e alla consorte contessa Maria von Sporck, genitori del giovane spasimante di Giulietta. Sembra che la famiglia avesse sperperato i propri averi nello sfarzo dei loro ricevimenti , nell' ostentare l'alto prestigio degli incarichi imperiali , quando il giovane entrò nella società viennese ricco più di un bel nome che di mezzi di fortuna e, dotato di un certo talento musicale, cercò la sua via in un campo molto lontano dalle tradi­ zioni della sua aristocratica famiglia. Fu allievo di Giovanni Giorgio Albrechtberger, con­ trappuntista ed organista famoso ai suoi tempi , che fu per qualche tempo anche maestro di Beethoven. Ma poiché il suo ingegno era mediocre e la sua ispirazione limitata, ebbe il buon senso di non andare oltre la composizione di musica per balli teatrali: genere, del re­ sto, anche allora molto in voga, al quale lo stesso Beethoven aveva reso omaggio proprio in quegli anni con Le creature di Prometeo. Gallenberg era un bel ragazzo, alto, biondo, un «Cherubino», come ce lo dipinge qualche contemporaneo: e non v'ha dubbio che un po' la prestanza fisica, un po' il vecchio blasone, un po' l 'alone d'artista che lo circondava possano aver richiamato su di lui, come quella di altre ragazze, anche l'attenzione di Giulietta. Le preoccupazioni del padre fecero il resto e il matrimonio venne celebrato il 3 novembre 1 803 . Gli sposi partirono subito per Roma 39•

Secondo i racconti di Schindler 40 ammesso di poter dare credito alla voce di quel fedele ma pasticcione «direttore musicale» - Beethoven ac­ cusò il colpo assai malamente: egli parla di «disperazione», accenna persi­ no a un tentativo di suicidio . Il tempo , comunque, ancora una volta giocò -

37 38 39 40

Cfr. per esempio, il disegno con Beethoven appoggiato alla balaustra che guarda verso la finestra di Giulietta: la posa è sognante, quasi wertheriana. Cfr. INCONTRERA, appunti manoscritti. STEFANI, op. cit. (nota 2). Anton Felix Schindler ( 1 795- 1 864), amico, segretario e biografo di Beethoven.

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il suo tradizionale ruolo , l'«angelo mio, mio tutto» non fu certamente la 'triestina' Giulietta e se le faccende amorose del Maestro non andarono nemmeno negli anni seguenti per il verso giusto, anche Giulietta non visse felice. I dissapori incominciarono presto e andarono complicandosi anche in seguito alle difficoltà finanziarie, che l 'attività artistica nel marito non riusciva a superare. Subito dopo le nozze vissero per qualche tempo in Italia. Nel 1 805 erano a Napoli , dove Gallenberg scrisse l'anno seguente varie composizioni per le feste in onore di Giuseppe Bonaparte incoronato Re delle due Sicilie. Il principe Ermanno Piickler-Muskau, scrittore e soldato ugualmente valoroso, che in quegli anni si trovava in Italia, fece a Napoli , nel settembre del 1 809, la conoscenza di Giulietta e ne godette i forse non disinteressati favori, se a questi si riferiscono certi passi di alcune lettere a lei dirette. Ella era allora in tutto lo splendore della sua giovinezza, come ce la raffigura, con i capelli raccolti a treccia sul capo e il dolce ovale del viso, un busto neoclassico, che oggi si conserva a Bonn, nella casa di Beethoven. Il Piickler-Muskau non esita a definirla «la più bella donna di Napoli, di una città così ricca di belle donne», ma aggiunse che «per le pazzie dj suo marito e per i tempi critici» la contessa «era venuta a tro­ varsi in un imbarazzo mortale per una somma di cinquanta luigi» , imbarazzo del quale egli evidentemente la trasse. Splendida, dunque e certamente infelice, se un altro, più pacato, contemporaneo poté notare «un costante velo di mestizia sul suo volto spirituale» e narrarci che qualche anno più tardi i due Gallenberg vivevano praticamente separati 4 1 •

Ma dal matrimonio nacquero tre figli: il 1 4 giugno 1 808 Maria Giulia

( + 26 gennaio 1 889) sposata nel 1 836 con l'anziano conte Andrea Stolberg ( 1 786- 1 863); il 25 dicembre 1 809 Federico ( + 1 860) futuro generale d'ar­ tiglieria; e il 22 agosto 1 8 1 6 Alessandro ( + 7 luglio 1 893) ufficiale dell'e­ sercito austriaco . Ambedue i maschi non ebbero figli . Mentre Giulietta s i rifugiava con i suoi bambini a Vienna e nelle tenute ungheresi dei Brunsvik , Gallenberg otteneva lusinghieri successi con i suoi balletti approdando nei maggiori teatri italiani, Scala compresa: nel 1 8 1 3 con A rsinoe e Telemaco, nel 1 8 1 7 con l'A mleto, nel 1 822 con l'Alfredo il Grande. Sull'Eco di Milano, il 9 maggio 1 828, si legge: Ha studiato perfettamente il suo genere, le sue melodie sono piacevolissime, le sue scene mi­ miche sono sempre in carattere, e nel tutto ei sa sempre variare.

E il 1 5 ottobre 1 83 8 , in Teatri A rti e Letteratura, il periodico bolognese edito da G. Della Volpe al Sassi, troviamo riportata una critica dal San Carlo di Napoli, dopo la première del Furio Camillo: [ . . . ] la musica è del chiarissimo conte di Gallenberg, il più fecondo e vivace scrittore di musi­ che di balli, il quale sa accoppiare alla dottrina e alla ricchezza della strumentazione tedesca tutto il gusto ed il brio della melodia italiana.

Certo, il rivale di Beethoven non fu un genio, e pesò - come continua a pesare - su di lui l' antipatia del mondo intero per il suo ' furto ' , per 41

STEFA 1, op. cit. (nota 2).

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aver ' ferito' il Sommo nei suoi affetti . Ma egli scontò giorno dopo giorno il 'misfatto' : ai giudizi favorevoli per i suoi Balletti non corrisposero gli agi economici auspicati; alla capricciosa Giulietta non bastavano più le sue fattezze da 'cherubino' , era sempre lontana, tra le braccia di qualche amante. Ecco dunque la 'triestina' riapparire a Vienna, nel 1 8 1 4, per il Congresso . La segnalazione avviene tramite un confidente della polizia: Giulietta è sospettata di essere emissaria di Murat . L'informatore aggiunge che la contessa Gallenberg era allora l'amante del conte Schulenburg­ Closterode, rappresentante della Sassonia presso gli Alleati, e che frequentando i salotti del­ l'aristocrazia viennese, ella era in grado di raccogliere informazioni del più alto interesse po­ litico . Gli atti riservati della polizia austriaca non ci danno il seguito di questa mirabolante storia, indubbio frutto della fantasiosa diligenza di uno dei tanti segugi che Metternich ave­ va scaglionato un po' da per tutto, per sorvegliare il variopinto ambiente internazionale del Congresso. Nel 1 8 1 3 la contessa Gallenberg era stata nominata Dama della Croce Stellata e la severa selezione, dal punto di vista politico e morale, che consentiva l'ammissione a que­ sto altissimo Ordine imperiale, starebbe ad escludere la verosimiglianza delle accuse contro di lei lanciate dall'ignoto informatore della polizia, che firmava i suoi rapporti col cabalisti­ co segno di una croce entro un cerchio. Vero è, invece, che col passare degli anni le condizioni familiari, le ristrettezze economiche, anziché migliorare, andavano paurosamente aggravandosi. 1 1 30 ottobre 1 820, Filippo de See­ berg scriveva alla sorella, contessa Anna Brunsvik : «Giulia, coi suoi bambini, non ha di che vivere; si tenta di collocarla al Teatro dell'Opera; il marito si guadagna il pane in Italia co­ piando musica». [ . . . ] Né la famiglia paterna di Giulietta era in grado di venirle in soccorso; la madre era mor­ ta nel 1 8 1 3 e il padre, anche se consigliere alla Cancelleria e ciambellano attuale, sarà coin­ volto quattro anni dopo in gravissime vertenze con i suoi creditori. Durante i lunghi soggiorni a Napoli Roberto Gallenberg aveva conosciuto Domenico Barba­ ja, che da sguattero di caffè, in pochi anni s'era potuto affermare come uno fra i più avve­ duti impresari italiani , gestendo dal 1 809 in poi i Reali Teatri napoletani e legandosi di affet­ tuosa amicizia con i più grandi compositori dell'epoca. Nel Gallenberg egli doveva riporre una certa fiducia se, arrendendosi alle sue sollecitazioni, nel 1 82 1 assunse l'appalto del Tea­ tro viennese di Porta Carinzia e per qualche mese anche del «Theater an der Wien» e lo volle suo socio o segretario nell'arrischiata impresa. Durante i sette anni della sua gestione, fra il 1 82 1 e il 1 828, il Barbaja diede al vecchio teatro viennese un insolito splendore, portandovi sulle scene i più illustri nomi del canto italiano, il Lablache, il Tamburini, il Rubini, il Da­ vid, la Fodor e via dicendo. Nel 1 829 Barbaja abbandonò l'appalto del Teatro di Porta Carinzia, che rimase chiuso per qualche mese. Alla fine dell'anno il Gallenberg, dando prova più di imprudenza che di co­ raggio, decise di assumerne in proprio la gestione. Stando a testimonianze del tempo, egli sarebbe riuscito a conservare al Teatro il grande prestigio che il Barbaja gli aveva conferito, scritturando, fra gli altri artisti , anche la celebre Fanny Elssler, da lui conosciuta a Napoli . Ma l'impresa si risolse in un fallimento, dando l'ultimo colpo alle esauste finanze del conte, che nel 1 830 lasciò il Teatro per stabilirsi nuovamente in Italia. Ritornò più tardi a Vienna, chiamatovi ad assumere la carica di presidente e poi di direttore del Comitato per le opere al Teatro di Porta Carinzia 42.

Beethoven, che forse incontrò qualche volta i coniugi Gallenberg nelle se42

STEFANI, Op. cit. (nota 2) .

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rate in casa dei triestini Pasqualati, evitava, per quanto possibile, ogni rap­ porto. Il cantore de L 'amour conjugal non poteva non sdegnarsi difronte ai comportamenti spregiudicati di Giulietta. Un insieme di rabbia, pietà, gelosia sembra infatti animare il colloquio che spunta improvviso nel XXI Quaderno di conversazione, della prima metà di febbraio 1 823 . Beetho­ ven aveva pregato Schindler di recarsi da Gallenberg, allora collaboratore di Barbaja al Teatro di Porta Carinzia, per farsi consegnare una copia della partitura del Fide/io. Un colloquio 'normale' , quasi d'affari . Poi , l'incon­ tenibile desiderio di rivangare il passato, timidamente , in un'altra lingua: un francese quasi incomprensibile . BEETHOVEN : j'etois bien aimé d'elle et plus que jamais son epoux. il etoit pourtant

plutòt son amant que moi, mais par elle j ' en m'apprit nois de son Misere et je trouvais un homme de bien, qui me donnoit la somme de 500 fl . pour le soulanger. il' etoit toujours mon ennemi, et c'etoit j ustement la raison, que je fusse tout le bien que possible SCHI DLER: ecco perché egli mi ha detto inoltre: «è un individuo insopportabile», certa­ mente per pura riconoscenza. - Ma, Signore, perdona loro perché non sanno quel che si fanno ! ! -

mad : la Comtesse? etait-elle riche? elle a une belle figure, j usqu'ici ! Mons . G est ce qu'il ya long temps, qu'elle est mariée avec Mons. de Gallenberg? BEETHOVE N: elle est néé guicciardi all'etoit encor l'Epouse de lui à avant [son voyage] de l'ltalie, - [arrivé à Vienne] et elle cherchait moi pleureant, mais je la meprisois. SCHINDLER: BEETHOVE N:

Ercole al bivio! Se avessi voluto spendere a quel modo la mia energia vitale, che cosa sarebbe

rimasto per ciò che è nobile, che è migliore? SCHINDLER; Nulla, oppure -

-

Giulietta aveva dunque «cercato, piangente» il Maestro e lui l ' aveva «di­ sprezzata» : fatti e particolari che sfuggono alla curiosità dei posteri; inci­ sero però , grandemente, sul ricordo della ormai settantenne contessa, nei suoi colloqui con Otto Jahn . Negli anni successivi alla morte di Beetho­ ven , Giulietta visse tra difficoltà finanziarie, delusioni, lutti. Nel 1 830 le morì il padre, e a Roma, il 1 3 marzo 1 839, il marito . I due figli maschi vennero avviati

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alla vita militare: rifugio consueto degli austriaci senza quattrini 43•

La «zauberischer Madchen» trascorse così , nella monotonia e nella tri­ stezza, gli ultimi anni di vita. A Vienna, si spense, il 22 marzo 1 856. Fu sepolta nel cimitero di Wahring, dove aveva trovato per breve tempo l'ultimo riposo an­ che Beethoven, pianta forse da pochi, perché scomparsi erano ormai quasi tutti gli amici della sua generazione romantica 44•

3. I «Pascolati», ovvero i baroni Pasqua/ati zu Osterberg Fra gli itinerari beethoveniani a Vienna, una delle tappe d'obbligo è la gran­ de casa sulla Molkerbastei dove il musicista visse per alcuni periodi , dal­ l ' autunno 1 804 al 1 8 1 5 e dove compose in gran parte il Fide/io, la Leonore II e la Leo n ore III, la trascrizione per trio della II Sinfonia, il IV Concerto per pianoforte, la IV Sinfonia, il Concerto per violino, i Quartetti «Rasu­ movsky», l' Ouverture del Coriolano, la Messa in do maggiore, i Trii op. 70, l' «Arciduca», «Les Adieux», le musiche di scena per l' Egmont, in parte anche le Sinfonie V-VIII 45 • Proprietario del palazzo era il barone J ohann Baptist von Pasqualati zu Osterberg ( 1 777- 1 830) , banchiere, negoziante all'ingrosso , membro ono­ rario dell'Accademia viennese di Belle Arti e oriundo triestino . Fine collezionista di oggetti d'arte, il Pasqualati era pure un appassionato di musica e un virtuoso del pianoforte pari al fratello suo, il possidente terriero barone Joseph von Pasqua­ lati ( 1 784- 1 864) . Egli offriva spesso in casa sua delle serate musicali agli amici - tra i quali annoverava pure i coniugi conti von Gallenberg - e al bel mondo viennese 46.

Johann Baptist von Pasqualati , comunque - per essere precisi - , non era il solo proprietario dello stabile sulla Molkerbastei . Anche il fratello J oseph ( 1 784- 1 864) e la sorella J osepha ( 1 782- 1 8 1 1 ) possedevano delle quote di diritto. È infatti al marito di Josepha, Peter Edler von Leber ( 1 776- 1 836), che Beethoven si rivolse con una lettera (8 febbraio 1 8 1 0) per «riavere l'ap­ partamento al quarto piano» al prezzo di «500 Gulden all' anno» . Il rapporto tra Beethoven e i Pasqualati f u ben diverso d a quello che co­ munemente intercorre tra locatario e locatore . Il «caro e stimato» Johann « Pascolati» (come il Maestro usava chiamarlo) ebbe modo di manifestare la propria devota amicizia mettendosi a disposizione di Beethoven per ri­ solvere alcuni delicati 'affari ' . Fu lui ad intervenire nelle dispute con l' in­ ventore Maelzel, con i legali del principe Lobkowitz e con la famiglia Kin43 44 45 46

STEFANI, op. cit . (nota 2). STEFANI, op. cit. (nota 2). Vedi lapide posta sulla casa Pasqualati a Vienna, e il catalogo di HEINZ S HOENY, The Beethoven Memoria/ Sites, Vienna Municipal Museums, 1 983. INCONTRERA, appunti manoscritti.

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La casa Pasqualati sulla Molker Bastei; fotografia 1 986. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste) Lo stemma dei baroni Pasqualati sul portone della casa abitata da Beethoven; fotografia 1 986. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste)

sky in merito al contestato vitalizio , promesso nel 1 809, per evitare che Beethoven abbandonasse l'Austria. Fu lui , ancora, a fare spesso da inter­ mediario nelle ancor più delicate faccende di Karl, il nipote dilettissimo 47• Vienna, primavera 1 8 1 3 Stimato Amico ! La prego solamente di sapermi dire entro domani mattina, tramite il Suo domestico, a che punto è la questione Lobkowitz in merito al mio stipendio, in quanto non ho più un soldo [ . . . ] lo stipendio di Kinsky è scaduto già da ottobre [ . . . ] Vienna, autunno 1 8 1 4 Caro e diletto Amico, verrò da Lei domani mattina, entro le sette e mezzo. Non mi sbatta fuori dalla porta. Sareb­ be anche opportuno che Lei riuscisse a recuperare le lettere da Adlersburg [ . . . ] Vienna, 1 8 1 5 Fregiatissimo Amico ! Devo render Le il danaro che mi ha gentilmente prestato, ma vorrei consegnarlo a Lei di per­ sona, perché ho qualche altra questione da discutere [ . . . ] La prego, non fissi un'ora troppo mattutina, perché il mio stato salute mi vieta d'uscire troppo presto [ . . . ] Vienna 1 8 1 6 Caro e stimato Amico, sebbene oggi vi sia una cerimonia a Corte, ho da formularLe un grande favore: può essere così gentile da venire da me in quanto, da alcuni giorni, non sto bene. Ma per favore venga oggi stesso, se Le è possibile, perché la mia richiesta riguarda alcune discussioni con il dr. Adlersburg in merito agli affari di mio nipote ed è veramente necessario che anch'io possa dire qualcosa. Non sono però in grado di uscire. Pertanto mi faccia sapere, La prego, a che ora può organizzare l'incontro di oggi? ! ! ???

Ed ecco appunto , in una lettera a Nikolaus Zmeskall 48 , l' amico unghe­ rese, violoncellista dilettante e produttore di vini nel Burgenland , un ac­ cenno di Beethoven all' affaire Maelzel 49 in cambio di alcuni apparec­ chi acustici , l'ingegnoso inventore del metronomo e del Panharmonicon accampava i diritti su La vittoria di Wellington (Wellingtons Sieg oder Die Schlacht bei Vittoria) dandosi appuntamento in casa Pasqualati : -

-

Vienna, 1 1 gennaio 1 8 1 4 Caro Zmeskall, oggi a mezzodì ci sarà una riunione dal barone Pasqualati . La faccenda Maelzel verrà appia­ nata in maniera affatto pacifica. Ma presto dovrò partire per Londra se voglio ricavare qualche profitto dal Wellington Sieg. Infatti la pace potrebbe venir proclamata fra qualche settima­ na [ . . . ] Riporti gli apparecchi acustici [ . . . ]

Tra 1 ohann Pasqualati e Beethoven, ad un certo punto le cose sembrano non essere andate tanto . . . lisce . In una lettera a Johann Nepomuk Kanka 47 48 49

Karl van Beethoven ( 1 806-1856) figlio unico del fratello del musicista Carpar Cari e di Johanna Reiss. Dopo la morte del padre, nel 1 8 1 5 , passò dopo una lunga controversia giudiziaria sotto la tutela dello zio Ludwig. JKOLAUS Zmeskall von Domanovecz ( 1 759- 1 833), segretario alla Cancelleria ungherese. Johann epomuk Maelzel ( 1 772- 1 838).

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(avvocato praghese di grido , talentato musicista dilettante e ammiratore di Beethoven) si può leggere : Baden, 6 settembre 1 8 1 6 Mio carissimo K ! [ . . . ] Per cortesia, faccia i n modo che possa ricevere subito i l danaro, entro i l l o ottobre, e soprattutto senza detrazioni come è accaduto finora. La prego inoltre di non trasmettere un mandato di pagamento al barone P. (Le dirò il perché a voce ! !); ma per ora questa fac­ cenda resti tra noi . Spedisca a me il mandato oppure, se proprio è necessario, a qualcun al­ tro, ma non al barone P . , nel modo più assoluto.

Una nube passeggera? Evidentemente sì . Le ultime lettere che il musicista scrive, ormai sul letto di morte, sono indirizzate proprio al barone J ohann Pasqualati . Sono biglietti, vergati con scrittura incerta, quasi illeggibile: testimonianza struggente di quelle ore, dell'affettuosa premura dell'amico . Vienna 6 marzo 1 827 Caro vecchio Amico ! La ringrazio di cuore per il Suo beneaugurante regalo. Non appena avrò trovato un vino particolarmente adatto per le mie condizioni di salute, glielo farò sapere, ma non abuserò troppo della Sua cortesia. Sono impaziente di ricevere la frutta cotta e gliene chiederò spes­ so. Persino questo biglietto mi stanca. Vienna 14 marzo 1 827 molte grazie per il cibo che mi ha inviato [ . . . ] La selvaggina mi è permessa. Il dottore pensa che i tordi siano particolarmente adatti per me [ . . . ] Mi scusi per questo biglietto sconclusio­ nato, ma sono sfinito dalle notti insonni . L'abbraccio [ . . . ] Vienna 1 6 marzo 1 827 [ . . . ] I malati come i bambini, sono golosi [ . . . ] La prego di mandarmi le pesche cotte. Per altri cibi devo prima chiedere il parere del medico. Quanto al vino, pare che il Grinzinger mi faccia bene, ma io preferisco su ogni altro tipo un Gumpoldskirchner d'annata . . . Vienna, marzo 1 827 Mi mandi , La prego, un po' di ciliege cotte, senza limone però, così, naturali . Un budino leggero, cremoso, mi farebbe inoltre assai piacere. Mi è permesso bere Champagne [ . . . ] Per­ doni se La disturbo, ma dia la colpa, almeno un po' , alle mie miserevoli condizioni [ . . . ] Vienna, marzo 1 827 Come ringraziarLa a sufficienza per l'eccellente Champagne che mi ha veramente conforta­ to e mi ristorerà ancora ! Per oggi non ho altra necessità e di tutto La ringrazio [ . . . ] non posso scrivere più a lungo. Il Cielo La benedica comunque e La ripaghi per l'affettuosa de­ dizione verso il Suo devoto e sofferente Beethoven.

Ed è l'ultima lettera. L 'ultima traccia scritta che ci ha lasciato Beethoven. In cambio di tanti amichevoli servizi , il Maestro dedicò a Johann Pasqua­ lati forse un piccolo canone (Ewig dein WoO 161) e certamente due parti­ ture vocali : il canto elegiaco Sanft wie du lebtest hast du vollendet (dolce­ mente come tu vivevi sei morta) op. 114 a quattro voci e archi, datato lu­ glio 1 8 14, in memoria della moglie dell'amico, Eleonore von Fritsch, morta appena ventiquattrenne nel 1 8 1 1 ; il canone augurale per il capodanno del 249

1 8 1 5 Gliick zum neuen Jahr! (Felicità per il nuovo anno ! ) WoO 165. La famiglia Pasqualati, nel suo complesso , fu larga di aiuti a Beethoven, prestandosi persino a fare da 'botteghino' per i concerti del Maestro . Co­ sì, appunto , in un Avviso apparso sulla Wiener Zeitung del 3 1 dicembre 1813: Aderendo al desiderio di numerosi estimatori della mia musica, che altamente stimo, di ascol­ tare nuovamente la mia grande composizione [ . . . ] I biglietti d'ingresso si possono acquistare ogni giorno al Kohlmarkt presso la casa del barone von Haggenmiiller, nel cortile a destra al pianterreno, cioè presso l'ufficio del barone von Pasqualati [ . . . ]

Anche il barone von Haggenmiiller era un parente, uno zio dei Pasquala­ ti: la loro madre nasceva Haggenmiiller von Griinberg. L'anno seguente, la prevendita dei biglietti per le rappresentazioni del Fide/io avveniva an­ cora in Casa Pasqualati, in un'altra casa Pasqualati, la ' piccola' , al n. 94 della Molkerbastei , temporanea residenza del Maestro . I protagonisti di tanta amicizia erano dunque oriundi triestini . Forse ap­ partenevano allo stesso albero genealogico i Pasqualato citati da Giusep­ pe Radole in La Cappella di S. Giusto in Trieste 50 quali musici della cat­ tedrale tra la fine del Seicento e il Settecento: Francesco, tenore e compo­ sitore di Messe, Vesperi e Litanie; suo figlio Rocco , canonico e maestro di cappella dal 1 707 ; Michele, vocalista e violinista. Al ramo principale, comunque apparteneva un Giovanni Pasqualatto che abitava nella casa dominicale della famiglia al numero tavolare 7 1 , oggi civico n. 15 di via delle Beccherie 5 1 •

Figli d i Giovanni Pasqualatto furono Antonio , canonico i n San Giusto (morto , sessantaseienne nel 1 796 52) e 1 osef Benedikt, nato a Trieste il 1 9 marzo 1 7 3 3 , medico d i chiara fama e preside della facoltà d i medicina e filosofia dell'Università di Vienna, ammesso tra i soci dell'Accademia del­ l' Arcadia Romano-Sonziaca il 1 7 settembre 1 789 53• Per le sue bene­ merenze fu nobilitato col predicato de Osterberg da Maria Teresa con diploma del IO marzo 1 777; elevato da Giuseppe I I a cavaliere ereditario del Sacro Romano Impero il 9 febbraio 1 784 e al baronato da Francesco II con diploma del 1 2 febbraio 1 798. Fu aggregato inoltre il 1 9 settembre 1 795 alla nobiltà provinciale del Ducato del Cragno per i vasti possessi che aveva in quella provincia 54•

Come membro di questa nobiltà provinciale, Josef Benedikt von Pasqua50 51 52 53 54

GIUSEPPE RAooLE, La Cappella di S. Giusto in Trieste, Trieste 1 970. INCONTRERA, appunti manoscritti. Cfr. Osservatore Triestino 30 maggio 1 796 n. 44 pagg. 797-798. Cfr. Archivio di Stato di Trieste: «Atti riservati polizia anno 1 8 1 7»; A lmanacco Triestino per l'Anno del Signore MDCCXCI, Trieste, C . R . Priv. Stamperia Governiale. l CONTRERA, appunti manoscritti.

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lati venne anche eletto nel Consiglio Grande de' Patrizi come si può legge­ re nello Schema de ' Dicasteri A ulici, Dipartimenti, ed Uffici Provinciali per la Città di Trieste nell'A nno 1 799. In quello stesso 1 799, il quindici agosto, morì a Vienna. Dalle sue nozze con Josepha Haggenmiiller von Griinberg, ( + 1 803) nacquero Johann Bap­ tist , Josepha e Joseph Andreas, i tre amici di Beethoven . Johann si sposò dapprima con Eleonore von Koller ( + 1 805) e da queste nozze nacque nel 1 802 Joseph, poi I. R. professore di chimica analitica al Politecnico di Vien­ na e Presidente dell'Accademia Musicale; in seconde nozze con Eleo no re von Fritsch ( + 1 8 1 1 ) che gli diede un altro figlio , Johann Baptist ( 1 8 1 0- 1 876) «Feldkriegsprotocollist» , che sposò nel 1 839 Amalia von Vogl (n . 1 823) ma rimase senza discendenza. Josepha, come già detto sposò - nel 1 802 - Peter Adler von Leber, l'am­ ministratore finanziario dell' Aulico Consiglierato di Guerra, figlio del dr. Ferdinand Josef von Leber ( 1 727- 1 808) - chirurgo personale dell'impe­ ratrice Maria Teresa - e di Theresia Neuhausen ( 1 742- 1 798) . Dal matri­ monio nacque un solo figlio Friedrich Otto Ferdinand ( 1 803- 1 846) , il qua­ le a sua volta si sposò con Mathilde von Franck ( 1 8 1 4- 1 875) che gli diede, nel 1 84 1 , un figlio maschio, Maximilian J osepf Victor . Joseph Andreas sposò Rosalie Sollenwanger ( 1 787- 1 863) e ebbe due figli maschi : Moritz (n . 1 8 1 O) - consigliere di Tribunale provinciale che sposò nel 1 855 la ventiseienne Paolina J ager - e Joseph (n . 1 8 1 2) maggiore del­ l 'esercito , celibe . Dagli appunti di mio padre risulta che tra il 1 780 e il 1 796 a Trieste mori­ rono sei Pasqualati . Dopo questa data nell' lndex Librorum Defunctorum Civitatis Veteris (Santa Maria Maggiore) e in quello della Civitas There­ siana (S. Antonio Nuovo) non si trova traccia di Pasqualati . È probabile, pertanto, che del casato non rimase che la famiglia del Jo­ seph Benedikt trasferitosi a Vienna. Se questa ipotesi dovesse rivelarsi esat­ ta, i triestini Pasqualati hanno avuto un'unica discendenza, quella cioè di Joseph , figlio di primo letto del grande amico di Beethoven, il «caro vec­ chio amico barone J ohann Pascolati» .

4. Dalla casa degli spagnoli neri alla villa di Largo Promontorio Nell'agosto del 1 825 ebbi la gioia, durante una passeggiata pomeridiana insieme ai miei ge­ nitori , di conoscere Beethoven [ ] . . .

Così inizia la biografia beethoveniana A us dem Sch warzspanierhause, scrit­ ta da Gerhard von Breuning e pubblicata a Vienna nel 1 874 presso l 'edito­ re Rosner .

25 1

Gerhard von Breuning, all' epoca di quell'incontro , aveva dodici anni (era nato a Vienna il 28 agosto 1 8 1 3) e pur essendo figlio di uno dei più cari amici d'infanzia del musicista, mai aveva avuto l'opportunità di conoscerlo personalmente. Una situazione, questa, facilmente spiegabile: suo padre e Beethoven, a seguito di un vivace contrasto - le cui cause non sono sta­ te completamente chiarite dai biografi - avevano rotto i loro rapporti sin dal 1 8 1 5 , e da allora non si erano quasi più frequentati . Nel 1 825, dunque, tra porta Carinzia e porta Carolina, i Breuning incro­ ciarono un uomo dal passo spedito, dal portamento fiero [ . . . ] vestito assai poco elegantemente [ . . . ] Egli parlava senza posa, si informava della nostra salute, del nostro attuale modo di vivere, dei nostri parenti e di molte altre cose; egli ci raccontava [ . . . ] di aver abitato in Kothgasse, poi in Krugerstraf3e ed ora trascorreva l'estate a Baden. Poi ci informava con tono partico­ larmente soddisfatto, che egli si sarebbe stabilito ben presto - verso la fine di settembre - nei nostri paraggi, al Schwarzspanierhaus (noi abitavamo dirimpetto, all'angolo a destra, nella casa rossa del principe Esterhazy) [ . . . ] 55

Di colpo, cancellato ogni rancore, raffiorarono affettuosi ricordi del pas­ sato , dell'infanzia a Bonn, di quando Beethoven, appena dodicenne, en­ trò nella casa dei Breuning - presentatevi dal comune amico Franz­ Gerhard Wegeler ( 1 765- 1 848) 56 - per insegnare pianoforte a due dei fi­ gli, Lorchen e Lenz, del defunto consigliere aulico . In quella casa, Bee­ thoven veniva trattato come un ragazzo della famiglia; egli vi trascorreva non soltanto la maggior parte delle ore del giorno, ma sovente anche le notti. Là egli si sentiva libero, là egli si muo­ veva con spontaneità; tutto concorreva ad accordarsi gioiosamente con lui e a sviluppare il suo carattere [ . . . ] 57

Wegeler, che nel 1 802 aveva sposato Lorchen, ritorna sull' argomento in una lettera a Beethoven del dicembre 1 825 : [ . . . ] La casa di mia suocera era più casa tua che non la tua stessa, soprattutto dopo la morte della tua povera mamma [ . . . ]

Personaggio centrale in casa Breuning, dopo la tragica morte nell' incen­ dio del palazzo dei Principi Elettori dell' Hofrat Emanuel Joseph ( 1 74 1 - 1 777), era la vedova, Helene ( 1 750- 1 838), figlia del medico di corte Stephan Kerich. La «buona Frau Hofratim> 58 , «aveva il più grande do­ minio su quel ragazzo spesso stravagante e scontroso» 59 e tollerava vo55 56 57 58 59

GERHARD VON BREUNING, Aus dem Schwarzspanierhause, Rosner, Wien 1 874. La seconda edizione, curata da Alfred Ch. Kalischer venne pubblicata da Schuster & Loeffler, Berlin und Leipzig 1 907 . Cfr. nota 3 3 . FRANZ GERHARD WEGELER - FERDINAND RIES, Biografische Notizen uber Ludwig van Beethoven, Coblenz 1 83 8 . Beethoven chiamava la signora Helene von Breuning «Frau Hofriitin», in quanto vedova dell'Hofrat Emanuel Joseph. GIOVANNI CARLI BALLOLA, Beethoven, la vita e la musica, Edizioni Accademia, Milano 1 977.

252

Gerhard von Breuning; particolare di un disegno colorato.

lentieri quei raptus

-

come lei stessa li chiamava - che

duravano quanto i piovaschi di un temporale estivo e che avevano, come rovescio della me­ daglia, certe esplosioni d'allegria prorompente e grossolana, certo gusto infantile per gli scherzi maleducati e per i giochi di parole, che Beethoven conserverà fino agli ultimi anni della sua esistenza 60.

Ma, come abbiamo visto , non tutti i raptus beethoveniani avevano breve durata: la rottura con Stephan von Breuning si era protratta per ben dieci anni e non fu l 'unico screzio tra i due amici . Anche Lorchen, allieva di pianoforte del giovane maestro , e a lui legata da teneri sentimenti, rimase vittima di queste sue impennate; lo apprendiamo dalle parole dello stesso musicista: [ . . . ] Mi ritornava sempre alla mente lo sciagurato litigio e il mio modo di agire di allora mi appariva davvero irragionevole [ . . . ] Cosa non darei per poter cancellare completamente dal­ la mia vita il mio comportamento [ . . . ]

Poi, sempre nella stessa lettera - da Vienna, 2 novembre 1 793 messa di una dedica 61 :

-

la pro­

[ . . . ] Le offro, mia adorabile Eleonore, una prova della mia stima e della mia amicizia per Lei e del costante ricordo della Sua casa [ . . . ] . Prima di chiudere questa lettera oso ancora formulare una preghiera: sarebbe mio desiderio possedere un panciotto di lana d'angora la­ vorato dalle Sue mani [ . . . ] vorrei poter dire d'aver ricevuto un dono da parte di una delle migliori e più adorabili ragazze di Bonn [ . . . ] .

Lorchen, qualche mese dopo inviò a Beethoven una bella cravatta e , a sua volta ricevette le Variazioni sul tema «Se vuoi ballare» di Mozart 62 e il Rondo in sol maggiore per violino e pianoforte 63 • In una notissima silhouette del 1 782 oggi conservata nel Beethovenhaus di Bonn è ritratta l'intera famiglia Breuning . -

-

60

Ibidem.

61

Si tratta, probabilmente delle Variazioni in fa maggiore per pianoforte e violino sul tema «Se vuoi ballare» dalle Noz­ ze di Figaro di Mozart WoO 40; potrebbe anche trattarsi della Sonata in do maggiore per pianoforte WoO 51. Vedi nota 6 1 . S i tratta del Ronda WoO 41. Cfr. pagg. 52-54 del Catalogo cronologico e tematico a cura d i GIOVAN 1 BIAMONTI. I LTE, Torino 1968.

62 63

254

Partendo da sinistra vediamo la signora Helene e in piedi, davanti a lei , Lorchen, ossia Eleonore Brigitte ( 1 77 1 - 1 84 1 ) . Con parrucca e codino , li­ bro aperto in mano c'è Christof ( 1 773- 1 84 1 ), che dei ragazzi von Breu­ ning fu il meno legato a Beethoven , anche se nella corrispondenza sco­ priamo che il musicista lo chiamava affettuosamente « Stoffe!» . Christof studiò giurisprudenza, fu professore di diritto a Koln e membro della cor­ te di cassazione a Berlino. Davanti a lui, un bambino che sta suonando il violino : è Lenz, ossia Lorenz ( 1 777 - 1 798), nato a pochi mesi dalla morte del padre; compì gli studi di medicina a Vienna, dove rimase dal 1 794 al 1 797 , frequentando assiduamente Beethoven. In una lettera del musicista, datata l ottobre 1 797 , troviamo una traccia molto chiara di questa amici­ zia tra maestro e allievo; lettera che inizia con una citazione schilleriana e poi prosegue: [ . . . ] non dimenticherò mai le ore trascorse insieme a te, non solo a Bonn ma anche qui a Vienna. Continua ad essermi amico, e tu mi ritroverai immutato [ . . . ]

Lenz morì subito dopo , appena ventunenne, vittima di una meningite. Davanti ai due maschietti , in piedi, scorgiamo un signore dall' aspetto bo­ nario : è lo zio Johann Lorenz von Breuning ( 1 738- 1 796), canonico a Neuf3 . Ultimo a destra, vicino alla gabbietta con il canarino , appare Stephan ( 1 774- 1 827) , soprannominato « Steffen» , il padre di Gerhard . Stephan von Breuning, fu il grande amico di Beethoven . E i loro destini , in qualche modo si intrecciarono : anche Stephan lasciò la natia Bonn per stabilirsi a Vienna dove ricoprì incarichi burocratici : segretario di corte, consigliere aulico e referente sanitario al consiglio di guerra . Prima anco­ ra era stato attivo a Bonn presso l' Ordine teutonico, sotto l'elettore Maxi­ milian Franz . A Vienna, i due amici vissero persino sotto lo stesso tetto. Un rapporto fraterno, dunque, ma reso difficile dal carattere certamente permaloso di Steffen e oltremodo irascibile di Ludwig; anzi , sempre più intollerante con il progredire della sordità . Nell'epistolario beethoveniano troviamo ampia traccia di queste tensioni . Steffen è « scontroso» , «asociale» , «esaurito» , «se non si riposa non po­ trà mai essere né felice né sano» scrive Beethoven a Wegeler ( 1 6 novembre 1 80 1 ) . In due lettere del 20 e 24 luglio 1 804 egli racconta a Ferdinand Ries 64 di una terribile baruffa: Breuning saltò su come una furia [ . . . ] anch'io balzai in piedi, gettai a terra la mia sedia [ . . . ] . I l suo modo di pensare e di agire dimostra che non avrebbe mai dovuto esserci u n rapporto di amicizia tra noi e che non ci sarà mai più di sicuro [ . . . ] .

64

Ferdinand Ries ( 1 784- 1 838) era figlio di Franz Anton Ries ( 1 755- 1 846), insegnante di violino di Beethoven all'epoca di Bonn. Ferdinand studiò con Beethoven a Vienna poi si adoperò affinché le opere del maestro e amico fossero divul­ gate in Inghilterra. Scrisse a Wegeler una preziosa biografia su Beethoven (cfr. nota 57).

255

[ . . . ] egli tende a mostrare quello spirito meschino che io ho sempre disprezzato, fin dall'in­ fanzia [ . . . ]. Ed ora la nostra amicizia è finita !

La pace venne riproposta da Beethoven nell'autunno di quell 'anno, con l'invio al « fedele, buono, nobile Steffen» di un ritratto : [ . . . ] tu certo ti precipiterai nelle mie braccia, di nuovo fiducioso come un tempo 65 .

Steffen, non solo ritornò dall' amico con immutata fiducia ma lo aiutò a rimaneggiare il Fide/io dopo l'insuccesso del novembre 1 805 66• In una let­ tera a Breitkopf & Hartel del 1 80 l , risulta, addirittura, che Beethoven vo­ leva dedicare l'opera Leonore all'«amico signor Stefan von Breuning». Un gesto, questo, di grande solidarietà nei confronti di Steffen che stava vi­ vendo ore terribili: la sposa diciottenne 1 ulie von Vering ( 1 79 1 - 1 809) figlia del chirurgo Gerhard von Vering ( 1 75 5 - 1 809), alle cui cure Beetho­ ven ricorse più volte - era morta dopo solo undici mesi di matrimonio. Julie, compositrice garbata e pianista di talento, aveva suscitato l'ammi­ razione del Maestro , che con lei suonò a quattro mani ed a lei dedicò la versione per pianoforte e orchestra del Concerto per violino op. 61 67 • Stephan von Breuning si risposò con Constanze Ruschowitz ( 1 784- 1 85 . ) 68 e Beethoven, sempre sensibile al fascino femminile, circondò la nuova si­ gnora von Breuning di attenzioni piuttosto assidue: una volta rimase ad­ dirittura per un'ora, su una panchina, ad aspettarla mentre lei era in uno stabilimento termale sul Danubio; le donò anche un borsellino appartenu­ to a Henriette Sonntag . Pare, comunque, che Constanze non assecondas­ se i corteggiamenti del Maestro . Anzi, secondo i ricordi del figlio Gerhard, la signora von Breuning si stupiva che l ' inelegante e sordo Beethoven po­ tesse piacere alle donne . Da questo secondo matrimonio di Stephan von Breuning nacque, appunto , Gerhard; dopo qualche anno videro la luce altre due bambine . Gerhard , da quel pomeriggio del 1 825, affascinato dalla personalità del musicista, iniziò a frequentare la sua casa con assiduità quasi giornaliera, assecondato anche dai genitori che desideravano riallacciare l 'antica amicizia. In quell 'ultimo doloroso periodo della biografia beethoveniana, Gerhard fu certamente «il raggio di sole del morente Maestro» , come annota An65 66 67

68

Beethoven aveva accluso alla lettera una miniatura colorata su avorio del danese Christian Horneman. Attualmente questo ritratto si trova al Beethovenhaus di Bonn. Cfr. pagg. 480-53 1 , 532-544, 753-763 del Catalogo cronologico e tematico a cura di GIOVA N l BIAMO n . IL TE, To­ rino 1 968 . Il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61 porta la dedica a Stephan von Breuning. La data di composi­ zione è il 1 806. ell'estate seguente, Beethoven trascriveva la parte del violino per pianofone - aggiungendo delle cadenze - di questo Concerto e dedicava la nuova opera a Julie von Breuning. Sfortunatamente, la data sulla tomba dei Breuning al Cimitero Centrale di Vienna (campo 43) non è leggibile. Anche i libri relativi alle sepolture - essendo avvenute in altri cimiteri, prima della creazione del Zentralfriedhof - non sono precisi al riguardo. Curiosamente, Gerhard von Breuning non ne fa cenno nella sua citata biografia (vedi nota 55).

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ton Schindler 69• E a testimonianza delle ore trascorse al capezzale del ma­ lato, leggiamo qualche pagina dal già citato volume - mai tradotto in ita­ liano - di Breuning . Partiamo dalla descrizione dell' appartamento del Maestro in quel ex convento di frati spagnoli , votati al culto della Madon­ na Nera di Montserrat : Nella stanza d'ingresso, con un'unica finestra, si trovavano oltre ad alcune poltrone acco­ state alle pareti, un semplice tavolo, una credenza alla parete destra, sopra cui era appeso il ritratto del nonno paterno Ludwig - così tanto amato da Beethoven. - Il quadro (attual­ mente in possesso della vedova del nipote Cari) rappresenta il nonno in pelliccia con uno spartito in mano. È lo stesso che poi a suo tempo fu impegnato a Bonn ed è l'unico pezzo del lascito paterno che Beethoven si fece mandare a Vienna. - La parte sinistra di questa stanza era completamente priva di mobilio - eccettuata la scrivania fuori uso a destra, vici­ no alla finestra (ora in mio possesso) . Nel fondo della camera, in posizione centrale era ap­ peso un grande ritratto di Beethoven fatto da Mahler (con la lira e il tempietto della tenuta dei Galitzin; attualmente in possesso della vedova del nipote Cari, mentre una copia più o meno della stessa epoca è reperibile da A. W. Thayer). Spartiti suoi e di altri musicisti erano sparsi a terra nel più completo disordine [ . . . ] Raramente qualcuno metteva piede in questo studio e se io talvolta entravo - o per curiosi­ tà o per passatempo, o anche perché Beethoven mi mandava a cercare qualcosa - mi sem­ brava di camminare tra vecchie scartoffie ammonticchiate e non mi rendevo conto (ero an­ cora un ragazzo) di avere difronte a me degli autentici tesori . Tesori che, mezzo anno dopo la morte di Beethoven, dovevano venir sparsi per tutto il mondo, in fasci di manoscritti in parte inediti, per pochi gulden. Beethoven passava la maggior parte del suo tempo nelle due stanze poste a destra di quella d'ingresso: la prima era la camera da letto, in cui erano sistemati i pianoforti e l'altra lo studio dove Beethoven creava le sue ultime opere (in particolare i Quartetti Ga/itzin 70), cioè la stanza di composizione. Al centro della prima camera (a due finestre) c'erano due pianoforti, posti l'uno di fronte all'altro . Il pianoforte inglese che gli era stato regalato dai Filarmonici d'Inghilterra era vol­ to con la tastiera verso l'ingresso. I donatori avevano scritto i loro nomi (mi ricordo di Kalk­ brenner, Moscheles, Broadwood) di proprio pugno con l'inchiostro sulla casa di risonanza sotto la prima corda. Questo pianoforte, fabbricato da Broadwood, aveva un'estensione so­ lo fino al do" ' . Dall'altra parte - con la tastiera verso la porta della camera da composizio­ ne - troneggiava un pianoforte viennese, fabbricato da Graf e messo a disposizione di Bee­ thoven, con un'estensione verso l'acuto fino al fa" ' . Sopra la tastiera e la meccanica a mar­ telletti di questo pianoforte si trovava un amplificatore del suono, come una tavola di riso­ nanza curvata, di legno sottile e tenero, simile a una buca di suggeritore. Il suo scopo era quello di concentrare le onde sonore dello strumento in direzione dell'orecchio del pianista [ . . . ] Accostata alla colonna tra le due finestre c'era una cassapanca e sopra, alla parete, si trova­ vano degli scaffali neri per libri e scritti . Sulla cassapanca erano posati parecchi cornetti acu­ stici e due violini (dei falsi A mati). Il tutto nel più completo disordine e coperto da strati di polvere. Il letto di Beethoven, il comodino, un tavolo e un appendiabiti vicino alla stufa completavano l'arredamento di questa stanza. L'ultima camera (anche essa con una sola finestra) era lo studio vero e proprio di Beethoven. Qui egli sedeva ad un tavolo, un po' discosto dalla finestra, proprio davanti all'entrata, col viso rivolto alla porta della camera grande e il fianco destro alla finestra. In questo studio 69 70

ANTO SCHINDLER. Biographie von Ludwig van Beethoven, Munster 1 840. Si tratta dei Quartetti op. 127, op. 130, op. 132.

257

Interno del Schwarzspanierhaus; da un disegno a penna di Johann Nepomuk Hoechle, 1 827. (Casa Pasqualati , Vienna)

tra vari mobili si trovava quell'armadio per libri o vestiti, stretto, alto e semplice, ora in pos­ sesso - dopo la signorina Annacker - di A.W. Thayer [ . . . ] 71

Il racconto prosegue passando dal disordine della casa alle eccentricità del­ l' inquilino , agli affettuosi rapporti del Maestro con gli amici Breuning e, particolarmente con il ragazzo : Nonostante l'ordine allora vigente sul fronte dell'economia domestica, tuttavia nella sua ca­ mera regnava ancora il caos: carte e averi gettati alla rinfusa e pieni di polvere, vestiti spor­ chi ; eppure teneva il suo corpo e la sua biancheria scrupolosamente puliti . E proprio questi eccessi nel bagnarsi possono esser stati la causa dell'insorgere della sordità - a seguito di una infiammazione reumatica -, molto più che «la sua disposizione all'ipocondria», come spesso è stato detto . Dopo esser rimasto lungamente a comporre, seduto all� scrivania, le tempie brucianti, si gettava una brocca d'acqua sulla testa in fiamme. Poi si asciugava per modo di dire, tornava al lavoro, o faceva prima una corsa all'aria aperta. Tutto ciò succede­ va a ritmo frenetico, per evitare 'strappi al volo della sua fantasia' . Quanto poco egli si preoc­ cupasse di asciugarsi per bene i suoi folti capelli, lo prova il fatto che l'acqua versata sopra la testa, senza che lui se ne accorgesse, si riversava sul pavimento, in quantità così notevole, che passava oltre, nell'appartamento sottostante, lasciando macchie sul soffitto. Ciò aveva portato anche a spiacevoli noie col coinquilino, col capocasa e alla fine col proprietario, an­ zi perfino alla disdetta dell'appartamento. Mia madre, che come tutte le donne di casa amanti dell'ordine, detestava piatti e posate impolverati, non era particolarmente felice quando ve­ nivamo invitati a pranzo in case con stoviglie di tal genere e perciò cercava di evitare i ripetu­ ti inviti di Beethoven, preferendo piuttosto ospitare lui a casa nostra. Purtroppo così non ebbi mai la gioia di sperimentare un interessante pranzo a casa sua. Egli accoglieva molto volentieri i nostri inviti e ci mandava spesso un pesce, [ . . ] poiché i pesci erano uno dei suoi cibi preferiti e gli piaceva dividere coi suoi amici ciò che amava. Quando pranzava con noi e spesso anche altre volte, ci accompagnava durante la passeggia­ ta pomeridiana, soprattutto di domenica, perché mio padre si concedeva raramente un po­ meriggio libero negli altri giorni della settimana. Allora le passeggiate erano molto semplici e noi tutti eravamo felicissimi se talvolta potevamo andare invece che sul frequentatissimo Glacis, sui bastioni o verso Hernals e Ottakring, oppure a Schoenbrunn. A vendo visto quanto fossi attaccato a mio padre e notato che mi muovevo sempre intorno a lui, mi diede il soprannome di Hosenknopf, perché io «ero attaccato a lui come il bottone dei calzoni». Ma siccome durante queste passeggiate li precedevo e poi correvo di nuovo da loro ed ero sempre molto vivace, mi soprannominò anche A riel come il veloce messaggero della Tempesta di Shakespeare [ . . ] Questi due appellativi non me li tolse mai , sia all'inizio quando mi scriveva dei biglietti, sia in seguito quando ormai era ammalato. In tutto avevo ricevuto dodici biglietti 'annodati' , con messaggi per m e o per i miei genitori . Tre iniziavano con «Caro bottone d i calzoni ! », nove con «Caro Ariel ! », undici erano scritti a matita, solo uno con l'inchiostro . Con mio infinito dispiacere, questi biglietti furono gettati via da qualcuno che non ne conosceva il valore - credendoli bigodini - durante lo sgombero della nostra casa avvenuto a seguito della morte di mio padre. L'aspetto esteriore di Beethoven per la nonchalance del suo abbigliamento, colpiva chi lo incontrava per la strada, come qualcosa di bizzarro. Il più delle volte lo si vedeva solo, spro­ fondato in pensieri che si traducevano in brontolii e nel gesticolare con le braccia. Se cammi­ nava in compagnia, parlava molto vivacemente e ad alta voce, e poiché il suo accompagna­ tore doveva sempre scrivere la risposta nel quaderno di conversazione, la passeggiata veniva .

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BREUNING, op. cit . (nota 55), trad. di Roberta Facchini.

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spesso interrotta; ciò era già strano, ma era forse ancor più strano quando egli rispondeva a gesti . Succedeva così che quasi tutti quelli che lo incontravano, si voltavano a quardarlo e i ragazzacci facevano commenti e gli gridavano dietro. Per questa ragione il nipote Cari trovava disdicevole uscire con lui e una volta gli aveva anche detto esplicitamente che si ver­ gognava di accompagnarlo per strada per il suo «aspetto da pazzo», della qual cosa Beetho­ ven si mostrò molto amareggiato e ferito. Io invece ero superbo di potermi mostrare assieme ad un uomo di tal valore. Il cappello di feltro di moda a quei tempi che egli tornando a casa usava appendere al gancio più alto dell'appendiabiti, dopo averlo solo lievemente scosso, anche quand'era grondante di pioggia (un'abitudine che conservava anche da noi, incurante del mobilio), aveva perso la sua linea originaria inarcandosi a forma di cupola. Non lo spazzolava quasi mai, né prima né dopo la pioggia, e tutto impolverato il cappello aveva un aspetto perennemente infeltrito. Inoltre lo metteva in modo che non gli coprisse il viso e che la fronte fosse libera, mentre ai lati restavano scoperti i capelli grigi ed arruffati, così come li descrive Rellstab : «non cre­ spi , non fermi, le due cose insieme» . Mettendosi il cappello in modo da non coprire il viso, la falda dietro entrava in collisione con il colletto del soprabito che, secondo la moda di allo­ ra era molto alto; ciò faceva piegare la falda in avanti, mentre il colletto del soprabito veniva consumato dal continuo strusciare della falda. Le ali della giacca non erano abbottonate, soprattutto quelle del frac blu con i bottoni di metalli si allargavano e in particolare quando camminava contro vento gli si avvolgevano intorno alle braccia. Altrettanto svolazzanti era­ no anche i lunghi lembi del fazzoletto bianco annodato intorno al largo colletto della cami­ cia. L'occhialetto che portava per la sua miopia pendeva giù sciolto. Ma le falde della giacca erano pesanti, perché oltre al fazzoletto che sbucava spesso fuori da un lato, dall'altro era riposto un quaderno di musica per niente sottile assieme ad uno di conversazione con una matita grassa da carpentiere, nell'eventualità che avesse incontrato qualche amico o cono­ scente. In epoche precedenti, quando poteva ancora essergli d'aiuto, portava con sé anche un cornetto acustico. Il peso del quaderno di musica allungava visibilmente la falda e inoltre la tasca, per la ripetuta estrazione dei quaderni, era piegata verso l'esterno. - Il noto dise­ gno a penna rende abbastanza bene la figura di Beethoven anche se non ha mai portato il cappello calcato di lato come in questo ritratto [ . . . ]. L'aspetto di Beethoven in questo dise­ gno ha lasciato un'impronta indelebile nella mia memoria. Spessissimo mi appariva così quan­ do, dalle nostre finestre, lo vedevo tornare a casa, verso le due - l 'ora in cui andava a pran­ zo - dalla Schottentor per la zona del Glacis, dove adesso sorge la Votivkirche, con quel suo portamento pendente in avanti (ma non piegato) e con la testa alta . Io stesso tornavo talvolta con lui. Per strada, dove non sempre c'era tempo per scrivere, conversare con lui era molto difficile. Ebbi la prova definitiva della sua sordità, se ancora ce ne fosse stato bisogno, un giorno, quand'era atteso da noi per il pranzo. Erano già quasi le due (ora in cui noi eravamo soliti mangiare) e i miei genitori sospettando che egli , sprofondato nelle sue composizioni, non si fosse accorto dell'ora, mi mandarono a prenderlo. Lo trovai alla scrivania con il viso ri­ volto alla porta aperta della stanza dei pianoforti: stava scrivendo uno degli ultimi Quartetti Galitzin. Mi disse, alzando un attimo lo sguardo, di aspettarlo un momento finché avesse fissato sulla carta l'idea che aveva in testa. Restai calmo per un po' , quindi mi avvicinai al pianoforte Graf (quello con l'amplificatore) e, non convinto della sordità di Beethoven per i suoni, cominciai a premere piano i tasti . Volgevo spesso lo sguardo verso di lui per vedere se era infastidito da questo rumore. Ma quando mi accorsi che non sentiva assolutamente niente, presi a suonare con più energia e intenzionalmente forte; non ebbi più alcun dubbio . Non sentiva assolutamente nulla: continuò a scrivere indisturbato finché, dopo aver termi­ nato mi disse che potevamo andare. Per strada mi chiese qualcosa: gli gridai la risposta vici­ nissimo all'orecchio, ma comprese meglio i miei gesti . Solo a tavola, quando una delle mie sorelle lanciò un grido acuto e squillante, fu così felice di averlo potuto sentire che scoppiò in una risata aperta e gioiosa, mostrando tutti i suoi bianchissimi denti .

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Caratteristica era anche la vivacità con cui commentava gli oggetti che lo interessavano e durante tali discorsi, passeggiando su e giù per la stanza con mio padre, accadde un giorno che, senza accorgersene, sputò sullo specchio, credendo fosse una finestra aperta . . . In bre­ ve, la nostra vita era animata da una stretta ed inesauribile amicizia e stima da buoni vicini . Io ero ancora molto timido e non osavo far visita ogni giorno, come avrei voluto, a quel­ l'uomo di cui presagivo la grandezza pur senza comprenderla in pieno . Com'ero felice ogni volta che veniva da noi ! Si informava subito della mia lezione di pianoforte, chiedeva il no­ me del mio maestro che si chiamava Anton Heller e che lui non conosceva. Allora replicava: «Hm, Hm; ma bene». - All'assicurazione di mio padre che era un bravo insegnante, ma che io non mi esercitavo con assiduità, egli diceva: «Allora suonami adesso qualcosa» . lo lo facevo ed egli - non sentendo - guardava attentamente le mie mani e criticando come le tenevo, mi dava subito una piccola dimostrazione pratica. Era lo stesso pianoforte Broad­ mann su cui aveva suonato spesso in tempi ormai lontani, con Julie [ . . . ] «Quali esercizi di pianoforte ha Gerhard ora? » - Quelli di Pleyel - «Gli procurerò quelli di Clementi; alla fin fine sono sempre i migliori. Deve attenersi a quelli e poi gli consiglierò dell'altro». [ . . . ] Il 24 settembre 1 826, il giorno del mio onomastico, erano a pranzo da noi Beethoven e il mio insegnante privato Waniek . Prima del pranzo, Beethoven ci mostrò la medaglia d'oro che aveva ricevuto da Luigi XVIII (ora a Vienna nell'archivio della Società degli Amici della Musica). Durante il pranzo ci raccontò che il consiglio municipale quando gli aveva dato la cittadinanza gli aveva anche fatto notare che non era diventato un autentico cittadino, bensì un cittadino honoris causa, per cui egli rispose «Non ho mai saputo che ci fossero an­ che cittadini viennesi dedecoris causa». Il pomeriggio, tutti assieme ci recammo a piedi a Schonbrunn. Mia madre doveva fare una visita a Meidling (vicino a Schonbrunn) . Io l'accompagnai. Mio padre, Beethoven ed il mio maestro ci attesero su una panchina del giardino di Schonbrunn. Mentre passeggiavamo in giardino, Beethoven disse indicando i viali fiancheggiati da alte siepi secondo il gusto fran­ cese: «Arte pura, aggiustata come le vecchie crinoline. Io sto bene solo lì dove la natura è libera» . Ci passò davanti un soldato di fanteria. Beethoven fu subito pronto con un'osserva­ zione sarcastica: «Uno schiavo che ha venduto la sua libertà per cinque soldi al giorno». 72 •

Un racconto di straordinaria vivezza, dunque, questo del Breuning; affet­ tuoso, umanissimo . Mentre Gerhard osservava il venerato Maestro con gli occhi curiosi e ingenui di un tredicenne, suo padre Stephan si prodiga­ va in un'assistenza fittissima, soprattutto necessaria nelle delicatissime fac­ cende di Karl . Il nipote di Beethoven, la notte del 29 luglio 1 826 tentava il suicidio, sparandosi alla tempia, tra le rovine dell' antico castello di Rau­ henstein, preferendo la morte - come disse più tardi -:-- ad una vita op­ pressiva come quella imposta dallo zio . Per Beethoven fu una tragedia, forse il dolore più grande della sua vita. Stephan fece in modo di assumere la tutela del giovanotto, aiutò Beetho­ ven a nascondere l'accaduto , evitando che la polizia si interessasse ecces­ sivamente al caso (nell ' Impero il suicidio era considerato reato penale) , quindi , dalla sua alta posizione burocratica riuscì a far arruolare Karl in Moravia, nella guarnigione di stanza a lglau . Prima del congedo, Beethoven e Karl trascorsero un' ultima vacanza insie72

BREUNING, op. cit. (nota 55), trad. di Roberta Facchini.

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me presso Johann van Beethoven, nella sua tenuta di Gneixendorf, sulle colline della Wachau . Subito dopo il rientro a Vienna le forze del Maestro cedettero definitivamente e Gerhard accorse al capezzale, prodigo di at­ tenzioni . [ . . . ] Beethoven giaceva ammalato, nella stanza con le due finestre (in quella antecedente lo studio) [ . . . ] . Il letto si trovava alla parete, difronte alla porta d'ingresso, che separava la camera grande da quella di composizione. La testata era accostata alla parete di fondo, co­ sicché Beethoven, rivolto con il viso verso le due finestre ma con il fianco sinistro verso il centro della stanza, vedeva tutta la camera. Accanto, sulla sinistra, si trovava un comodino e poi, verso la stufa, un lungo tavolo; vicino al letto, un tavolo piccolo e accanto ad esso due, tre poltrone per i pochi amici che gli face­ vano visita. Sul comodino c'era un piccolo forziere nero brunito in cui egli teneva il denaro per le piccole spese, e al lato del comodino, a terra, un piccolo leggìo pieghevole giallo [ . . . ] 73 .

Era la fine . Nonostante la giovane età, il ragazzo rimase lì , nella stanza, testimone di quelle terribili ore: [ . . . ] Mio padre, Schindler, il fratello Johann ed io stemmo per tutto il pomeriggio al suo capezzale. Si sentiva già il rantolo farsi più debole. Era da augurarsi che morisse. - Sebbe­ ne avesse nevicato spesso durante quell'inverno ed anche in febbraio e marzo, la neve se ne era andata da qualche giorno. Ma quel pomeriggio dense nubi si erano ammassate in cielo. Mio padre e Schindler, profondamente scossi da un'agonia tanto lunga, e considerando tut­ to ciò che sarebbe stato necessario fare dopo la morte di Beethoven, e quanto tempo avrebbe preso, decisero di mettersi alla ricerca di una tomba adatta e si allontanarono da quella triste stanza. - La Julie di papà riposava nel cimitero di Wahring, anche i suoi genitori erano sepolti lì e spesso noi eravamo andati assieme in quel luogo . Perciò quel posto triste ci era meno estraneo di altri cimiteri . Anch'io pregai mio padre di andare a cercare lì il sepolcro per Beethoven. Egli acconsentì volentieri a questa proposta perché, anch'egli un giorno vi sarebbe stato seppellito. Tuttavia vicino a Julie e alla tomba che avevamo in mente non c'e­ rano più posti . Ce n'erano invece alcuni sopra il sepolcro della famiglia Vering - e proprio questo caso imprevisto riavvicinò gli amici perfino dopo la morte. Infatti mio padre, dopo la sua morte, giunta ben presto, su desiderio di suo cognato Vering fu posto (non accanto a Julie bensì) proprio nella tomba dei Vering. Io ero rimasto vicino al moribondo col fratel­ lo Johann e la governante Sali; fu tra le quattro e le cinque che i nuvoloni, che si erano ad­ densati dappertutto, oscurarono sempre più la luce del giorno . Improvvisamente scoppiò, con una gigantesca tempesta di neve, un violento temporale con grandine. Come nell'im­ mortale Quinta Sinfonia e nell 'eternata Nona Sinfonia sembrava che dei colpi bussassero alla porta del destino, così ora il cielo pareva volesse segnalare, coi suoi enormi timpani , il duro colpo che inferiva all'arte. Alle cinque e un quarto fui chiamato a casa dal mio mae­ stro . - Si aspettava la fine di minuto in minuto; presi l' ultimo congedo dal vivo - perlome­ no da colui che respirava ancora. - Ero arrivato a casa da appena mezz'ora, quando giunse la governante ad annunciare la morte avvenuta alle cinque e tre quarti [ . . . ] 74 •

Non trascorsero che poco più di due mesi quando anche Stephan morì (6 giugno 1 827) . Gerhard allora, dovette abbandonare la sua «casa rossa» per andare a vivere con lo zio Joseph von Vering, il fratello di Julie (la prima moglie di Stephan) . 73 74

BREUNING, op. cit . (nota 55), trad. di Roberta Facchini. BREUNING, op. cit . (nota 55), trad. di Roberta Facchini.

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Dieci anni dopo, «Hosenknopf» si laureò in Medicina a Vienna e si spe­ cializzò presso varie università tedesche, francesi e inglesi , raggiungendo ben presto grande fama. Si distinse come medico militare durante la rivo­ luzione del '48, diresse vari ospedali, tra cui quello di Modling, si recò in Oriente con l 'incarico del Ministero di studiare «la questione delle qua­ rantene» 75 e apprese dal celebre chirurgo berlinese Dieffenbach la tecni­ ca della tenotomia. E fu proprio per questa sua fama di specialista nella cura degli arti che Gerhard von Breuning giunse a Trieste, e la sua biogra­ fia si incrociò con quella del ricco negoziante e industriale triestino Franz Gossleth . La storia del Gossleth, per il suo 'epico' avvio e per gli stupefacenti svi­ luppi , merita di essere seguita da vicino 76 : nato a Pest il 22 marzo 1 792 ( + 1 9 giugno 1 879) , da Giorgio e Maddalena Ostertag, perse, dodicenne, entrambi i genitori e ben presto anche i nonni materni (quelli paterni era­ no deceduti ancor prima della sua nascita) . Ad adottare Franz e le sue due sorelline, Therese e J osepha, fu lo zio Ignatz Zichteneger, falegname, che aveva sposato la sorella di sua madre, Therese . Franz, interrotti gli studi , iniziò a lavorare come garzone nella bottega dello zio, dove rimase sino al 1 8 1 4, a parte una breve parentesi di perfezionamento nell'atelier di Ma­ stro Dardanelli , famoso artigiano mobiliere di Pest . In quello stesso anno egli giunse a Trieste, trovando lavoro nell'officina di Bernhard Fehn e di­ stinguendosi per capacità e fiuto per gli affari . Intraprese anche un picco­ lo commercio di pianoforti, curò l'arredamento della residenza triestina, nella Villa di Campo Marzio (Villa Murat), della sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi 77 , e poi anche quelli delle 'maisons' di Gerolamo Bonaparte 78 • Nel 1 823 il signor Fehn decise di ritornare nella natia Wiirzburg e Franz Gossleth rilevò la fabbrica, continuando a fornire gli arredi per le più illu­ stri famiglie triestine e per il Lloyd Austriaco 79 • Nel 1 825 acquistò da Renner von b sterreicher l' intero stabile dove era ubicata l'officina e il 7 novembre si sposò con Giuseppina Birti , triestina ( 1 805- 1 885). Dal ma­ trimonio nacquero sei figli : Pepina (29 settembre 1 826 - 3 giugno 1 905) ,

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Cfr. In memoriam, l'opuscolo commemorativo scritto dai familiari, i n lingua italiana, e pubblicato a Trieste nel 1 892 . Franz Gossleth scrisse una autobiografia, Zum Andenken meinen geliebten Kindern geweiht 1846-1865, Triest, rima­ sta manoscritta e oggi in possesso di Georg Gossleth, a Graz. Mio padre aveva visionato questo manoscritto e tratto un riassunto in italiano sul quale mi sono basato per le notizie qui riportate. Elisa Baciocchi ex granduchessa di Toscana e principessa di Lucca e Piombino, si stabilì a Trieste nel 1 8 1 6. Morì quattro anni dopo a Villa Vicentina, per «febbre putrida» contratta a Monfalcone, durante i bagni nelle terme romane come attesta OscAR DE !Neo TRERA. Gli esuli napoleonici a Trieste nei documenti inediti del console di Spagna de Lellis, sta in «Archeografo triestino» Serie I V , voli. X-X I I I , Trieste 1946-47. Gerolamo Bonaparte ex re di Westfalia visse a più riprese a Trieste: nel 1 8 14, poi dal 1 8 1 9 al 1 822. Soggiornò in Palaz­ zo Romano e poi nella villa Cassis (villa Bonaparte). Cfr. OscAR DE lNCONTRERA, Gli esuli napoleonici. . . (nota 77) e Pubblicazioni e ricerche archivistiche sugli esuli Napoleonici a Trieste, sta in « La porta orientale», Anni 1 940-42. Gossleth «fece anche taluni mobili pregiati per la residenza di Miramam (cfr. ALFIERI SERI - SERGIO DEGLI lVANIS­ SEVICH, San Vito, già Chiarbola Inferiore, cenni descrittivi e curiosità storiche, Ed. Itala Svevo, Trieste 1 980.

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Giusepp i na Gossleth, i n un particolare del di pi nto d i Augusto Tominz La famiglia di Franz Gossleth. (Collezi one Gerli nde H i ldeb randt , Graz) Gerhard von Breuni ng, i n un di p i nto d i Constanze von Breuni ng, 1 890. (Casa Pasqualati, Vienna; fotografia di Sergio Carrino, Muggia) Franz Gossleth; fotografia Martin Lenz, Cilli . (Collezione Georg Gossleth, Graz) Giuseppina Birti; fotografia Martin Lenz, Cilli . (Collezione Georg Gossleth, Graz)

Rosina ( . . . . - . . . . ), Giorgio ( 1 829- 1 907), Francesco ( 1 835- 1 907), Emilio ( 1 83 1 - 1 886) e Emma ( . . . . - 1 9 1 5) . L'azienda prosperava quando, nel 1 836, venne distrutta d a u n incendio . Le fiamme però non riuscirono a fermare la carriera di Franz Gossleth, anzi , egli ingrandì la fabbrica costruendo un apposito complesso sul fon­ do «dietro il Bade Garten» 80 • Si arriva così al 1 845-46, quando il terzogenito Emilio venne colpito da una grave infiammazione alla rotula del ginocchio . Mesi e mesi di cure, a Trieste, Venezia, Padova, Vienna non portarono alcun risultato . Final­ mente si pensò di consultare il Dr. Gerhard von Breuning . Questi arrivò a Trieste, guarì Emilio 81 e si innamorò della ventenne Pepina, la primo­ genita che portò ben presto all'altare. L ' azienda intanto prosperava tra alterne vicende, mentre i figli maschi co­ minciavano ad inserirsi nell' organigramma con compiti di sempre mag­ giore responsabilità. Tra le varie iniziative e speculazioni di quegli anni, possiamo citare la fabbrica di salnitro - usato per la polvere da sparo -, di fiammiferi e di perle di vetro colorato che i Gossleth fondarono su un terreno situato nella parte alta dell'attuale Piazza Carlo Alberto. Poi avvennero ulteriori insediamenti industriali: quello per la produzione del «giallo di cromo per i · colori gialli di ogni qualità e in tintoria», quello del «bicromato di soda, impiegato nella lavorazione degli specchi e nella fabbricazione del sapone» e quello ancora dei tubi di pietra carsica utili nelle «condotte per l'acqua o per lo scarico delle latrine» 82 • Inoltre, Franz Gossleth era cointeressato alla costruzione della linea ferroviaria Lubiana­ Steinbriich . Queste frenetiche attività erano ripetutamente alleggerite da viaggi e sog­ giorni nelle capitali europee, dalle villeggiature estive nella mondanissima Karlsbad ; erano 'sublimate' dagli incontri con arciduchi e regnanti; erano allietate dalle visite dei Breuning con la loro nidiata di nipotini . Gerhard e Pepina arrivavano spesso a Trieste e si insediavano nella superba dimo­ ra - disegnata da Valentino Pressani - che l 'ormai ricchissimo Franz Gossleth (nobilitato con il predicato di WerksUitten per interessamento di Massimiliano) aveva rilevato e abbellito in Largo Promontorio . In villa Gossleth (più nota oggi come villa Economo) sostavano ospiti illustri : per 80 81

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Così sta scritto nell'autobiografia autografa del Gossleth (cfr. nota 76). Nell'aprile del 1 842, Franz Gossleth compose un sonetto di ringraziamento, distribuendolo agli amici e conoscenti, stampato dal tipografo Marenigh su carta azzurrina e su raso: «All'esimio Signor G. De Breuning, dottore in medici­ na e chirurgia, per la prodigiosa guarigione da lui operata del giovinetto Emilio Gossleth, il padre riconoscente. Dicea Cristo allo storpio ed all'attratto: l Gitta le grucce, e ritto vanne e sciolto - l E tra i plausi del popolo raccolto l Quei sorgea forte e riverente in atto. Il Ciò ch'Ei col labbro onnipossente, ·hai fatto l Col ferro tu, quando a mio figlio volto: l Spera! dicesti, ed a dolor non molto l Pieno seguì del misero il riscatto. Il Or che daratti un padre, al quale intero l Rendi il tesoro, ch'ei stimò perduto, l Un redento da te ne' figli sui? Il Tu sorridi? . . . Ah ! t'intendo - il premio vero, l Ch'uom non ti porria dar, l'hai già goduto l Nell'apra bella, e nel giovane altrui! Cfr. SERI - lvANJSSEVJCH San Vito, op. cit. nota 79.

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Franz Gossleth sul balcone della Villa in Largo Promontorio; di­ pinto 1 850 ca. , particolare. (Collezione Gerlinde Hildebrandt, Graz) Villa Gossleth di Largo Promontorio a Trieste; litografia 1 839. (Collezione dei Civici Musei di Storia ed Arte e del Risorgimento di Trieste)

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Il sonetto scritto da Franz Gossleth per la guarigione del figlio Emilio, dopo le cure di Ger­ hard von Breuning. (Collezione Carlo de lncontrera, Trieste) La villa di Hrastinik dei Gossleth-de Seppi; fotografia 1 986. (Collezione Carlo de Incontrera, Trieste) La fabbrica dei Gossleth a Hrastnik; incisione 1 890 ca.

due settimane l ' arciduca Francesco Carlo e Sofia con i figli, poi, al secon­ do piano, il console inglese Sir Richard Francis Burton, che qui morì e qui scrisse - citazione doverosa nella presente pubblicazione ! - The Ter­ mae of Monfalcone. Oltre a villa Gossleth, Gerhard e Pepina von Breu­ ning frequentavano con i familiari anche Hrastnigg, in Stiria (oggi, Hra­ stnik , Slovenia), dove l'intraprendente Franz aveva trasferito la sua fab­ brica di prodotti chimici e aveva fatto costruire un castelletto in stile Tu­ dor, con tanto di merli, torri e cappelletta privata. La famiglia era cresciuta. Dal matrimonio di Pepina con Gerhard nacque­ ro 5 bambini dei quali due morirono in giovane età - Franz ( 1 85 1 - 1 870) e Leonore Marie ( 1 856- 1 857) . Rimasero due femminucce, Constanze ( 1 846- 1 91 4) e Emma ( 1 850- 1 9 1 9) , e un maschietto cui venne imposto il no­ me del padre, Gerhard ( 1 848- 1 920). Anche le altre due figlie di Franz Gos­ sleth presero marito : Emma con il ricco commerciante di pelli Federico de Seppi 83 ; Rosina con Carlo Burger 8\ un uomo che possedeva «tutte le qualità per rendere felice la ragazza» , come scrive Franz nelle sue memo­ rie. Dei figli maschi, soltanto Giorgio si sposò , con Virginia de Neef, per­ mettendo così la prosecuzione dell' albero genealogico sino ai nostri giorni 85 • Il dott . Gerardo - come veniva chiamato dai parenti triestini - comuni­ cava in quegli stessi anni, i risultati delle sue ricerche in numerosi scritti scientifici 86 e si prodigava nel portare sollievo agli infermi con instancabile zelo. In tutti i periodi di guerra offerse i propri servigi allo stato, come per esempio nel 1 866, nel quale anno funse da medico primario nella 7a divisione dell'ospedale di guarnigione n. l , dove egli all'arrivo dei feriti chiedeva sempre, quasi favore speciale a lui reso, la cura di quelli ch'erano destinati all'amputazione. Col vivo desiderio d'evitare questa, li faceva trasportare nel suo ospedale di Gumpendorf, [ . . . ] riuscì sempre ad evitare le opera­ zioni e le benedizioni dei fortunati così guariti, furono i suoi più ambiti compensi . Scrisse sul suo metodo di curare le ferite e di evitare le amputazioni e mandò lo scritto all'armata e ai medici addetti a questa, e pubblicò in seguito un piccolo opuscolo intorno a questo me­ todo di cura, il quale riscosse, specialmente nei circoli militari, grande plauso, ed anzi fu 83

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Federico de Seppi ( 1 8 1 5- 1 900), figlio del fiumano Domenico ( 1 78 1 - 1 868). I l matrimonio di Emma con il de Seppi aiutò non poco la situazione economica del Gossleth, che per tutta una serie di sfortune e di speculazioni sbagliate, si venne a trovare in gravi difficoltà. Lo stesso castelletto di Hrastnik fu costruito, in massima parte, con il contributo di Federico de Seppi. Dal matrimonio di Emma con il de Seppi non nacquero figli. Dal matrimonio di Rosina con Carlo Burger nacquero due figli: Federico, morto suicida a ottantasei anni, nel 1 939; Virginia, sposò l'ufficiale di marina Gustav de Pott, ed ebbe due figli, Mary e Carlo, ambedue vissuti a Trieste. Giorgio Gossleth sposò Virginia de Neef, figlia di Ermanno Petrus Maria de Neef - originario delle Fiandre - e di Angela Anna Fassetta. Dal matrimonio nacquero due figli: Francesco ( 1 886-1979) e Angelo ( 1 89 1 - 1 91 4), caduto in guerra. Nel 1 91 4 , Francesco sposò Wilhelmine Pacchiaffo ( 1 886-1970) ed ebbe tre figli: Georg (n. 1 9 1 5), Gerlinde (n. 1 9 1 8) sposata Hildebrandt, e Maria (n. 1 92 1 ) sposata Kessidy. Attraverso Georg e suo figlio Franz (n. 1 950) prose­ gue l'albero genealogico dei Gossleth. Georg Gossleth e Gerlinde Hildebrandt possiedono nelle loro case di Graz numerosi, importanti ricordi e cimeli della famiglia. l signori De Luca di Trieste, eredi dei Burger e de Pott conservano alcune interessanti fotografie e ritratti della famiglia Gossleth e dei figli di Gerhard von Breuning. Un elenco degli scritti di Gerhard von Breuning è riprodotto nel citato opuscolo In memoriam. Tutti gli scritti di von Breuning sono visionabili presso la Biblioteca Nazionale di Vienna.

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diffuso a sua insaputa durante la guerra franco-tedesca. Dedicò per ben più di trenta anni le sue cure indefesse al convento dei padri domenicani in Vienna, ed altrettanti anni funse quale medico all'ambasciata ottomana, e stette col mezzo di questa in costanti rapporti col­ l'Oriente.

Questo frammento militar-agiografico veniva dettato a Trieste nel 1 892 87• Vi si può anche leggere che tra i tanti ignoti ammalati , Gerardo ebbe in cura un illustre 'beethoveniano' : Franz Grillparzer, amico fra i più cari, insieme alle sorelle Frohlich, di casa Breuning. Come medico e amico, gli fu concesso di assistere tutti questi, morti in tarda età, nei loro estremi momenti; egli accompagnò la mano dell'illustre poeta poche ore prima che spirasse, quando questi scrisse l'ultima volta il suo nome. Anzi la penna, che servì a tale scopo rimase per espresso desiderio delle sorelle Frohlich, nelle mani del loro amico, Dottore de Breuning.

Franz Gossleth von WerksHitten morì , ottantaseienne, nel 1 879, e Trieste lo pianse non soltanto come grande protagonista delle attività emporiali cittadine, ma anche come mecenate e protettore delle arti , come l ' uomo che insieme al barone Pasquale Revoltella fondò la «Scuola di disegno» 88 • Gerhard von Breuning si spense all'età di settantotto anni, il 6 maggio 1 892, a Vienna, onorato dai parenti triestini con il già citato opuscolo In memo­ riam e le sue spoglie furono deposte nella tomba di famiglia nel cimitero centrale di Vienna; e se­ condo il suo desiderio, riposa poco lungi dal grande Beethoven, riunito al suo figlio diletto ed all'unico suo nipotino dodicenne, che lo precedette nella tomba di quattro giorni, qual angelo che volle additargli il cammino al Paradiso 89 .

La sua Pepina gli sopravvisse di ben ventisei anni ( + 3 giugno 1 905) 90 • Dei loro figli si ricorda in particolare Costanza, pittrice di notevole talen­ to . Dipinse i ritratti di familiari , un en clavier attualmente in una collezio­ ne privata a Savannah, negli Stati Uniti; sue erano le allegorie che adorna­ vano le sale del castelletto di Hrastnik e sua la pala d'altare della cappelletta. Dei nipoti, va doverosamente citata la discendenza maschile, con Stephan, nato dal matrimonio di Gerhard j r . con Maria Corni des von Krempach ( 1 859- 1 939) . Gerhard senior - il nostro «Ariel» - non potè gioire per la nascita di questo secondo nipotino, nato appena nel 1 894. Stephan j r . , zoologo , sposò civilmente nel 1 929 Martha Maria Schreier , visse a Vienna e a Parigi 91 87 88

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Si tratta del più volte citato volumetto In memoriam; vedi note 75, 86. Cfr. PIETRO ToMMASIN, Reminiscenze storiche di Trieste dal sec. I V al sec. XIX, vol. II, pagg. 291 -307, ed. Gio­ vanni Balestra, Trieste 1 900. In questo volume è anche riprodotto il testo di In memoriam e vengono fornite interessanti precisazioni soprattutto sulla famiglia de Seppi. Cfr. In memoriam (vedi nota 75, 86, 87, 88). Il nipotino cui si riferisce il testo è Georg von Breuning ( 1 880-1892), figlio di Gerhard jr. Josephine Gossleth von Breuning è sepolta nella tomba dei Breuning (vedi nota 68) . Qui l e tracce s i perdono. L'avv. Nino Pontini d i Trieste, che conobbe Stephan j r . v o n Breuning, d a vari anni non ha più notizie di lui. Nemmeno i parenti sono in grado di fornire ulteriori precisazioni: né i Gossleth, né i Cornides

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Oggi, a rimembranza di tutti questi accadimenti e vicissitudini , rimango­ no le varie tracce di foto e documenti , sparse tra gli eredi . E ci sono le case : non quelle di Gerhard von Breuning bambino - la «casa rossa» e il Schwarzspanierhaus non esistono più - ma quella triestina dei Gossleth, la bellissima villa in Largo Promontorio, con le sue colonne corinzie, l'e­ legante timpano , il fastoso ingresso e il castelletto di Hrastnik , che resiste a fatica all' assedio delle ciminiere nella zona industriale sorta lungo la Sa­ va, tra Lubiana e Celj e . Non è sopravvissuta però, la cappelletta con le pitture di Costanza. Al suo posto c'è un garage.

5. Dal Massachusetts a Trieste L ' «armadio per libri o vestiti, alto e semplice» dello studio di Beethoven e la copia di un ritratto «con la lira e il tempietto dei Galitzin», citati da Gerhard von Breuning nella sua biografia - l' abbiamo letto nel prece­ dente capitolo - erano finiti in casa di Thayer: la casa di via Belpoggio 2 a Trieste, dove dal l 865 il console americano, puntiglioso indagatore sulla vita e l'opera di Beethoven aveva messo radici. Alexander Wheelock Thayer nacque a South Natick , Mass. il 22 ottobre 1 8 1 7 . Diplomatosi a Harvard nel 1 843 , venne, sei anni dopo, in Europa [ . . . ] espressamente per visitare e studiare tutto quanto era attinente al suo musicista preferi­ to e per farlo conoscere ai suoi connazionali s'era messo a tradurre la biografia compilata da Anton Schindler, l'amico di Beethoven. Punto soddisfatto da quel testo lacunoso e ine­ satto, dalle deficienze della bibliografia allora esistente, concepì il disegno di compilare lui stesso una grande ed esauriente monografia critica [ . . . ] 92 • Thayer era in origine un giornalista, corrispondente per il Dwight 's Journa/ ofMusic di Bo­ ston , finché non ricevette un incarico alla legazione americana di Vienna, ove rimase fino al 1 865 , quando il presidente Lincoln lo nominò console a Trieste 93 . Talmente affascinato da questa bella e accogliente città, al termine del suo lungo e fedele servizio egli decise di ritirarsi qui [ . . . ] 94 .

Nel grande palazzo del barone Ralli in via Belpoggio, appunto, con le fi­ nestre spalancate sulla Sacchetta. Il regolamento della casa imponeva agli

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von Krempach. Queste ultime notizie sulla discendenza dei Breuning le ho potute attingere dall'albero genealogico dei Cornides redatto, peraltro, ancora nel 1 950 e gentilmente inviatomi dal dr. Thomas von Cornides di Miinchen: WILHELM CORNIDES, Nachfahrenliste Cornides von Krempach, Sonderabdruck aus «Adlen>, Zetschrift fiir Geneao· logie und Heraldik , Wien 2. (XV I . ) Band, 2. Heft, Marz 1 950. OscAR DE INCONTRERA, Un trinomio lega Beethoven a Trieste, trasmissione radiofonica, RAI 15 luglio 1 968. BEATRICE RIM, Alexander Wheelock Thayer, sta in «Umana», 1964. Cfr. discorso fatto dal console Samuel G . Wise il 28 maggio 1965 nel cimitero della Comunità evangelica di confessio­ ne elvetica di Trieste, in occasione del restauro della tomba di Thayer. Dattiloscritto conservato tra gli appunti di Oscar de Incontrera. In occasione del bicentenario della nascita del « ommo musicista la Società dei Concerti» di Trieste pose sulla facciata di casa Ralli una lapide in cui si legge che «qui abitò e si spense Alexander W . Thayer, 1 8 1 7- 1 897, console degli Stati Uniti, autore della più importante biografia di Ludwig van Beethoven» ( 1 7 dicembre 1970).

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inquilini di non ospitare bambini , onde salvaguardare la tranquillità degli altri affittuari . Una situazione perfetta per Thayer, che potè così immer­ gersi indisturbato nei suoi studi . Mentre si dedicava all' imponente mono­ grafia beethoveniana egli firmò numerosi scritti: Nel 1 872 ad esempio il suo Commercia/ Future oj Trieste apparve in italiano, tedesco e in­ glese. Nel 1 883 scrisse The Hebrews and the Sea seguito, nel 1 892, da The Hebrews in Egypt and their Exodus 95 .

Tra gli ospiti abituali di casa Thayer c'erano, ovviamente, i Breuning . Ed è dalla viva voce di Gerhard - come dalla viva voce di altri conoscenti e amici di Beethoven - che Thayer ottenne alcune precisazioni sulla vita del musicista. Per vari decenni egli si dedicò all' ' impresa' , contestando se­ veramente gli errori commessi dagli altri biografi, inseguendo puntiglio­ samente ogni più piccolo particolare della vita del Maestro . Ma non visse abbastanza per vedere pubblicato interamente il suo capolavoro. Gli ultimi due dei cinque volumi che formano la biografia non vennero pubblicati fino al 1 908 e rispettiva­ mente 1 9 1 6 96 , L'ironia del destino di Thayer volle che la sua monumentale biografia fosse pubblicata prima in una traduzione in lingua tedesca mentre la prima versione nell'originale inglese venne pubblicata soltanto nel 1 923 a cura della Beethoven Society di New York 97 •

Il console americano fu anche attivo nella vita culturale triestina, collabo­ rando con lo Schiller-Verein. Assai probabilmente diede un contributo al­ le celebrazioni del 1 870; tenne delle conferenze su Beethoven nel 1 877 e tra queste, una grande relazione (pubblicata a Berlino con il titolo Ein kri­ tischer Beitrag zur Beethoven-Literatur) sulle imprecisioni biografiche bee­ thoveniane. Il testo integrale di questa conversazione di Thayer - finora mai tradotto in italiano e qui presentato per la prima volta - sottolinea il pressapochismo della maggior parte dei musicologi e la faciloneria con la quale venivano distorti alcuni accadimenti della vita di Beethoven. At­ traverso l ' analisi dei fatti , per esempio , Tayer recuperava l 'immagine del fratello di Beethoven, quel Johann 98 tanto vituperato e condannato . A fare le spese di tale recupero è, ovviamente, il Maestro, di cui Thayer met­ te a nudo, spietatamente, i lati peggiori del carattere. Impresa ' eroica' per quei tempi: Trieste, come del resto ogni città del mondo, certamente pre95

RtM , op. cit. (nota 93).

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I primi tre volumi, tradotti in tedesco da Hermann Deiters, vennero pubblicati tra il 1 866 e il 1 879 a Berlino; il IV volume, in parte completato da Deiters, uscì insieme al V volume nel 1 907- 1 908 a Lipsia, nella stesura definitiva di Hugo Riemann. Lo stesso Riemann curò la riedizione dei primi tre volumi tra il l 9 1 0- 1 9 1 1 e il 1917 (e non 1 9 16, come indicato nel discorso funebre di cui alla nota 94). Cfr. Discorso funebre (nota 94). Anche in questo caso la data della pubblicazione newyorkese non è esatta. Fu nel 1 92 1 , e non nel 1 923, che la Beethoven Society diede alle stampe la prima versione inglese della biografia beethovenia­ na di Thayer, sulla base degli originali per quanto riguardava i primi tre volumi, e traducendo gli altri due con la supervisione di Henry Edward Krehbiel e di una nipote del Thayer, Mrs. Jabez Fox (Cfr. prefazione de Thayer 's Life oj Beethoven, a cura di E LLI OT FORBES, Princeton University Press, Princeton, . J . 1 964, II ed. 1 967). Nikolaus Johann van Beethoven ( 1 1 76- 1 848) fratello più giovane di Beethoven.

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feriva conservare un' immagine del Sommo come l'aveva appresa dal testo di Schindler 99 e dalle agiografie degli altri beethovenologi. Cosa ancor più sorprendente, e di cui Trieste può andare assai fiera, è ! ' 'operazione' compiuta da Thayer come fondatore del Singverein: il 5 mag­ gio 1 890 organizzò al Politeama Rossetti un grande concerto vocale e stru­ mentale, con la partecipazione del pianista J osef Zohrer e sotto la direzio­ ne di Julius Heller il cui ricavato venne destinato alla fondazione del Beethoven-Haus di Bonn . Fu grazie a questo gesto che Trieste potè unire il proprio nome all' elenco dei soci fondatori della grande istituzione bee­ thoveniana. Thayer, ancora, lasciò in eredità allo Schiller-Verein il ritratto di Beetho­ ven, rimasto nel suo studio sino alla morte, avvenuta il 15 luglio 1 897 1 00 • Come avevo detto all' inizio, fu mio padre a scoprire la sua tomba e a dar­ ne notizia in Trieste e l 'A merica 1 0 1 , senza peraltro immaginare che da tempo e inutilmente i musicologi erano a caccia di questo sepolcro . Non appena Elliot Forbes venne a conoscenza della scoperta, volle aggiornare con un'appendice alla prefazione la sua Thayer 's Life of Beethoven, che nel 1 967 veniva riedita (la prima edizione è del 1 964) dalla Princeton University 1 02 • Il Consolato americano di Trieste interessò il proprio go­ verno , che a sua volta rintracciò una pronipote del Thayer, signora Ger­ trude F. Behr di Tamworth, New Hampshire, la quale provvide al restau­ ro del monumento funebre e pagò l 'affitto fino al 2007 .

99 SCH INDLER, op. cit . (nota 69). 100 Cfr. Der Schiller- Verein in Trieste, Il Folge der chronologischen Darsrellung seines Wirkens 1885-1909, Jubiliiums­ schrijr, Buchdruckerei Lloyd, Triest. 101 INCONTRERA, op. cit. (nota 3 ) . 1 02 Cfr. note 4 e 9 7 .

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A lexander Wheelock Thayer Conferenza tenuta allo Schiller-Verein di Trieste nel 1877

Oliver Goldsmith, una volta, disse al dottor Johnson, caratterizzando il suo modo di scrivere grandioso e solenne: « Se Lei in una favola fa con­ versare i pesci, parleranno tutti come grandi balene» . Gli autori dei cosiddetti romanzi storici, molto spesso, fanno esattamente il contrario. Le loro balene parlano come pesciolini bianchi, i loro leoni ' ruggiscono dolcemente come un usignuolo - fanno come un piccioncino da imbeccare' . Quando Shakespeare, Milton , Goethe, Schiller - in un'o­ pera teatrale o in un poema eroico - fanno parlare grandi spiriti della storia, ogni lettore è soddisfatto. Gli uomini che ho menzionato , infatti, erano essi stessi grandi spiriti e come tali capaci dei più elevati pensieri . Per lo stesso motivo Walter Scott e saltuariamente ancora qualcun altro si sono permessi di far diventare grandi uomini dei tempi passati eroi di romanzi storici . Ma simili scrittori sono delle eccezioni . Di regola, impe­ ratori e re, uomini di stato e condottieri, studiosi e artisti ci vengono de­ scritti in maniera così solenne, che ci aspettiamo meraviglie. Ma appena cominciano a parlare - che delusione ! Il linguaggio è enfatico e ampollo­ so, meschini e banali sono i loro pensieri . Ci appaiono come veri nani sui trampoli. Per un buon romanzo storico sono necessarie tre premesse fondamentali: l . La caratterizzazione dell 'eroe non dovrà essere in contrasto - nelle parole e nelle azioni - con la verità storica. Questo è uno scoglio assai infido sul quale naufraga miseramente la maggior parte di questi ' prodotti' ; 2 . si deve sempre rispettare la verosimiglianza storica . Con questo voglio dire che le azioni ed i comportamenti inventati dell'eroe non devono contrastare la storia, ma restare in sintonia con essa; 3 . la ' messa in scena' deve essere conforme alla verità. In altri termini : si deve tener esattamente conto dei tempi, dei paesi, dei popoli, della reli­ gione, della cultura, dei costumi, della vita della gente etc . per ottenere il ' giusto' .

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Da queste premesse risulta che chi non sia di per se stesso capace di elevati pensieri e non abbia compiuto studi preliminari approfonditi e ampi , do­ vrebbe astenersi dal rappresentare uomini famosi come eroi di romanzi . La nostra epoca è ricca di scrittori dai pensieri geniali e dalle grandi capa­ cità, e ancora più ricca di scrittori di un altro genere; ci si riferisce qui a quelli che non possono nemmeno attendere che un uomo eccellente, per esempio un Humboldt, sia diventato freddo nella tomba, per sceglierlo come oggetto di un romanzo in innumerevoli ' puntate' e annunciare poi il prodotto del loro spirito in tutti i distretti e angoli nella maniera più in­ vadente. A mio avviso è tempo che una critica senza peli sulla lingua e spietata intervenga a combattere energicamente tali eccessi, e poiché mi è consentito di presentarmi davanti a questa onorevole assemblea con un modesto saggio senza pretese, ho scelto un argomento che mi permette di dare un piccolo modesto contributo a questa campagna letteraria. Mi permetto di attirare la Vs. attenzione su un ramo delle letture di svago - quelle piccole novellette biografiche - per quanto attiene alla vita di Ludwig van Beethoven . In ogni caso anche in queste prove letterarie le prime due condizioni pri­ ma esposte non devono essere trascurate - se non si vuole cadere nell' as­ surdo e nel ridicolo . Il vero fondatore della novellistica beethoveniana fu per quanto ne sappia J . P . Lyser . Nei primi volumi della «Schumann' schen Neuen Zeitschrift » apparve una serie di suoi racconti fantastici su celebrità musicali da L utero sino a Beet­ hoven e su Johann Schenk allora morto da poco . Il racconto su quest 'ulti­ mo era già per quei tempi così brutto che Seyfried spedì a Schumann un'a­ cuta critica che si può ancora leggere con diletto. Se tutti gli scritti del tipo di quelli di Lyser, fossero andati dispersi, non avrei certamente scelto gli stessi come oggetto di una conferenza. Purtroppo però ho dovuto constatare che da molti lettori cose del genere vengono accettate come del tutto o sostanzialmente vere. Coloro ai quali è nota la storia di Beethoven, sanno distinguere il vero dal non vero - solo che il il loro numero è relativamente ridotto. Da uno di questi racconti io stesso anni fa venni fuorviato e soltanto dopo lunghe laboriose ricerche sono riuscito a stabilire il giusto. Lasciamo stare ciò che è andato disperso. Concentriamoci su ciò che an­ cora viene letto. Al riguardo si prendano in considerazione due punti: l . se Beethoven vi venga caratterizzato in maniera giusta e 2 . se non venga violata la sua verosimiglianza storica. Il primo punto si risolve una volta per tutte in poche parole. Noi tutti sap­ piamo che i prodotti artistici dei grandi e importanti maestri di vero talen-

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to creativo in certa misura sono raffigurazioni del loro stesso carattere Handel e Michelangelo, Mozart e Raffaello, il fine, sensibile e raffinato Mendelssohn, Jupiter tonans Beethoven. Un gran numero di queste novellette sono storie d' amore. Ora però vi tro­ viamo questo Juppiter , questo duro, inflessibile, energico , virile e pensan­ te creatore di ciò che di più sublime, di più vigoroso , di più grandioso la musica strumentale possieda, presentato sempre soltanto come un ometto fragile, sentimentale, penosamente innamorato , descritto come un auten­ tico Werther, in maniera da far versare a cuoche colte calde lacrime di compassione. Ma cosa può essere di più falso , di più assurdo? Dato che Beethoven non era un uomo comune, veniva spesso chiamato 'matto ' , che egli fosse però un autentico matto non ci credo . In una di esse si racconta come il diciottenne Beethoven durante una delle sue passeggiate notturne - la novella infatti ci viene qui a raccontare che faceva le sue passeggiate solitarie di notte, perché si vergognava dei suoi miseri abiti - come il diciottenne Beethoven , dunque, durante una pas­ seggiata notturna in vicinanza della porta Coblenza a Bonn udisse qualcu­ no suonare in una casetta la sua Sinfonia in fa maggiore. Entrato, vide che a suonare era una ragazza cieca . Profondamente commosso si sedette anch' egli allo strumento e prese a improvvisare . A questo punto gli parve - così vi si legge - che i raggi di luna che attra­ versavano la finestra e arrivavano sul pianoforte si intrecciassero con le note. D' improvviso saltò in piedi, si affrettò verso casa e scrisse al lume di una candela di sego la sua ' fantasia' - era la Sonata «Al chiaro di luna». Il fatto che questo racconto, tramite innumerevoli riviste, 30 anni fa, tra­ dotto in diverse lingue si sia potuto diffondere in lungo e in largo , è com­ prensibile; che esso - e non è tanto tempo fa - potesse riapparire a Vienna è proprio incredibile; perché il fatto che il diciottenne organista di corte del principe elettore abbia sentito la sua Sinfonia in Fa maggiore 25 anni prima di averla composta, suonata da una ragazza cieca al pianoforte è un po' troppo ! Per dimostrare quali assurdità si possano scrivere, se non ci si prende la briga di controllare attentamente i testi noti a tutti e accessibili ad ognu­ no, ho preso in considerazione, un po ' approfonditamente, una sola di queste novellette che, come si dice, si basa su comunicazioni verbali . Al tempo della prima occupazione francese di Vienna - cioè nel novem­ bre 1 805 - Beethoven si trovava al livello più basso della povertà, del­ l'abbandono e della disperazione. Come unica salvezza non gli restava che andare in Slesia dal principe Carl Lichnowsky. Nonostante la sua povertà - come, non si racconta - era comunque riuscito a racimolare il denaro necessario al viaggio . Non poteva però assolutamente lasciare la capitale 275

senza aver scambiato prima con la sua Juliette voti di fedeltà e d'amore. Però , a causa delle condizioni familiari ecc . , ciò non era tanto facile; deci­ sero così di incontrarsi in un boschetto del Prater . Beethoven arrivò e attese lungamente nel luogo designato , tanto che alla fine temette che Juliette l'avesse tradito . Lei però finalmente appare e ne nasce un lungo dialogo in uno scontato stile romanzesco . Poi si separano, così come si separano sempre gli eroi e le eroine dei ro­ manzi . Beethoven parte in estasi, arriva felicemente da Lichnowsky, là scri­ ve la Sonata «Al chiaro di luna» a ricordo e in onore di quella bella serata al Prater, per poi dedicarsi all' «Eroica». Questo in breve il racconto . Ora però : l . quando fu scritto, chiunque poteva disporre di una serie già lunga di opere, che avrebbero potuto illuminare l'autore sul fatto che la Sonata era stata pubblicata già qualche anno prima del novembre 1 805 , che la Sinfonia era già finita da tempo e che era già stata eseguita anche in pubblico . Inoltre gli sarebbe bastato soltanto consultare il libro di Schindler . 2. L'idea di far partire tranquillamente Beethoven per la Slesia da una città occupata e circondata da diverse centinaia di migliaia di soldati nemici, è invero troppo buffa per cui non occorre spendervi sopra neanche una parola. Se il nostro scrittore avesse gettato uno sguardo anche solo di sfug­ gita nell ' Hormayer, avrebbe visto - cosa che del resto si capisce da soli - che le porte della città, particolarmente verso il Prater, la sera veniva­ no regolarmente chiuse, e che anche questo stesso luogo di divertimento pullulava di soldati di Napoleone. Se però un uomo veniva sorpreso di notte nell 'accampamento nemico, di regola riceveva il titolo non molto onorevole di «spia» e si prendeva dopo - una lezione unica di «danza a penzoloni» (Lufttanzen) . Capirete bene, quanto sia ridicolo , quanto sia assurdo far comparire un uomo come passeggiatore solitario al Prater - e meno che meno una gio­ vine dama ! 3 . In nessuna storia del Fide/io nemmeno nello Schindler, manca la circo­ stanza, che proprio durante il periodo dell'occupazione francese a Vienna Beethoven era impegnato nelle prove e nell'esecuzione di quest'opera. Come si accorda questo con la sua presunta povertà e mancanza di mezzi e con il suo viaggio in Slesia? 4. Che la giovane dama nel novembre 1 805 fosse già da tempo a Napoli , l' autore del racconto menzionato forse non poteva saperlo; ma almeno il fatto che già due anni prima era divenuta la consorte del conte Gallen­ berg , questo però lo avrebbe potuto apprendere dal primo almanacco co­ mitale a portata di mano 1 • l

Schindler, al quale Beethoven stesso aveva fatto comunicazione di una visita della contessa Gallenberg, mi comunicò

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In quale nebbia di ridicolaggini e assurdità è avvolta qui una piccola scin­ tilla di verità storica! Tutto vi è descritto in maniera così toccante da strappare anche a me un paio di lacrime - lacrime per le risate . Ad vocem Fide/io. Quello che segue è l 'indice del contenuto di una novelletta su quell' opera. Beethoven in squallida povertà - l 'opera già da tempo bell' e pronta sul suo leggìo . Egli non vuole consegnarla alla Direzione del teatro, perché non si riesce a trovare per il ruolo principale un'interprete che gli vada bene - final­ mente appare quella giusta, giovane, bella, fiorente, spiritosa, dotata di una voce possente e simpatica. Egli fa la sua conoscenza - colloqui commoventi - ella accetta la parte - prestazione grandiosa - enorme sensazione - Fide/io triumphans Leonore divina - Beethoven in cielo - e tutto descritto nello stile stereo­ tipato più bello e retorico. Se ciò venisse narrato sulla prima esecuzione dell'opera nell'anno 1 805 con la Milder come Fidelio , sarebbe già abbastanza assurdo , dato che Beetho­ ven aveva scritto la parte espressamente per lei; solo che non è la Milder, 1 805 , ma la Schroeder l'eroina di questo racconto - in tempi , 1 805 , in cui Beethoven era quasi completamente sordo , e la sua opera aveva già avuto solo a Vienna, più di 60 repliche e aveva già fatto il giro della mag­ gior parte dei grandi palcoscenici tedeschi . Si può spingere oltre l ' assurdo? Più tardi questo racconto assunse una forma completamente diversa. Wolzogen la inserì nella sua biografia della Schroeder . Cito un punto sol­ tanto e faccio solo un'osservazione . «Così sedeva (cioè Beethoven) la sera dello spettacolo (il primo della Schroe­ der) nell' orchestra dietro il maestro di cappella e si era avvolto talmente nel suo mantello , che si vedevano spuntare fuori solo i suoi occhi ardenti . Wilhelmine aveva paura di quegli occhi : provava un' inquietudine inespri­ mibile». La mia osservazione è questa: quella sera Beethoven non era a teatro , ma la seconda e precisamente si trovava - come riferiscono i giornali vi enne­ si di allora - in una loggia della prima fila! Un altro racconto di questo tipo ci porta alla Sinfonia della battaglia ­ «La vittoria di Wellington a Vittoria». Mi fu segnalato dapprima come autentico dall ' albergatore Haidinger (fa-

personalmente anche che questa visita sarebbe avvenuta sicuramente nell'anno 1 823. Otto Jahn nonché io stesso abbia­ mo sufficienti prove, che, anche se l'indicazione di Schindler non dovesse essere del tutto esatta, dovrebbe trattarsi al massimo di un errore di un anno.

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moso per le sue raccolte letterarie riguardanti Vienna) , successivamente mi fu confermato come completamente vero dal professar N.N. che indi­ cò nel professor Hofel di Salisburgo il suo garante, qualche anno più tardi veniva stampato invariato - solo con qualche abbellimento . Beethoven infatti avrebbe assistito ad un grande combattimento dimostra­ tivo simulato nei pressi di Wiener Neustadt per raccogliere materiale mu­ sicale per la Sinfonia della battaglia. Nel corso della giornata si perse e si trovò di sera in una zona a lui completamente sconosciuta, e cioè alle porte di Wiener Neustadt, dove fu arrestato come vagabondo. Le sue assicurazioni , di essere Beethoven, non trovarono ascolto - venne preso in giro e dovette passare la notte soffrendo terribilmente la fame e la sete, in un buco del carcere. Il giorno seguente, poiché continuava ad insistere di essere Beethoven, venne chiamato Hofel, che aveva inciso il suo viso nel rame e ad avvenuta iden­ tificazione venne rilasciato etc . L 'essenziale di questo racconto sembra, certo, sufficientemente provato, e tuttavia non corrisponde alla vera storia della Sinfonia della battaglia, che, non ancora pubblicata, in breve suona così: Johann Nepomuk Malzel, un bravo musicista, figlio di un costruttore di organi di Regensburg, venne a Vienna come maestro di musica. Come mec­ canico aveva un genio innato, e nell'officina di suo padre aveva acquisito anche la necessaria abilità, per eseguire da sé le proprie invenzioni. Il suo «trombettiere meccanico» e un panharmonicon divennero famosi. Per Beet­ hoven egli eseguì cornetti acustici, che il compositore usò per anni . I due instaurarono un intimo rapporto di amicizia e verso la fine del 1 8 1 2 si de­ cise che, Malzel con i suoi strumenti automatici e Beethoven con le sue nuove composizioni, nella primavera del 1 8 1 3 , dovevano fare un viaggio a Londra per darvi dei concerti assieme. Dato però che Beethoven fu impedito a fare il viaggio in primavera, anche Malzel restò di buon grado ancora un anno a Vienna, principalmente per eseguire la sua grande opera d'arte - l' «Incendio di Mosca» - e anche per preparare nuovi pezzi per il suo panharmonicon. Tra i pezzi già pronti ve n'era uno di Handel, uno di Haydn e uno di Che­ rubini . Sarebbe potuto essere vantaggioso, se ci fosse stato anche il nome di Beethoven e per giunta poi se la composizione beethoveniana non solo fosse stata nuova ma anche di facile presa e si fosse ispirata ad un sogget­ to popolare per l ' I nghilterra. A quel tempo da 40 anni non si era combattuta una sola grande battaglia che non venisse poi ripetuta poco dopo innumerevoli volte in musica, a partire dalle grandi orchestre sino ad arrivare al pianoforte. Conosco addirittura un annuncio risalente a quel tempo di una grande mu­ sica da battaglia in un arrangiamento per 2 flauti .

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Nel luglio 1 8 1 3 giunse a Vienna la notizia del successo di Wellington a Vittoria. Che soggetto grandioso per gli inglesi e quale effetto avrebbe ottenuto sul panharmonicon, pensava Malzel, e a lui Londra e il pubblico inglese erano ben noti. La sua officina si trovava allora sul Glacis vicino alla Karl­ skirche, nella fabbrica di pianoforti Stein. Il figlio morto di quest' ultimo , Carlo, mi confermò completamente i seguenti ricordi riguardanti la Sin­ fonia della battaglia di Moscheles: «lo (Moscheles) seguivo la nascita e l 'avanzamento dell' opera, e mi ricordo che Malzel non solo spinse decisa­ mente Beethoven· a scrivere, ma che fu lui anche a presentargli il progetto intero ; lui stesso scrisse tutte le marce per tamburo e gli squilli di tromba per le armate francesi e inglesi, e diede al compositore alcuni spunti su come dovesse rappresentare solennemente l'armata inglese con l'aria «Rule Britannia»; come dovesse inserire «Malbory» con toni cupi, come doves­ se rappresentare gli orrori della battaglia e utilizzare il «God save the King» per rappresentare gli urrà delle masse . Anche l ' infelice idea di usare la me­ lodia di « God save the King» come soggetto di fuga in tempo veloce, vie­ ne da Malzel . Ho visto tutto questo su appunti e in una partitura che Beethoven aveva portato nell'officina di Malzel» . Questo, per quanto riguarda Moscheles e Stein. In tal modo venne messa a punto la parti tura per il panharmonicon e Mal­ zel incominciò a riportarla su un cilindro per lo strumento . Nel frattempo l'anno 1 8 1 3 volgeva al termine e il progetto del viaggio a Londra avrebbe dovuto essere realizzato immediatamente o presto; ma c'era un ostacolo : né Beethoven, né Malzel avevano i soldi necessari . La patente finanziaria del 1 8 1 1 e il fallimento dell ' idea di presentare in concerti nella primavera le sue nuove Sinfonie avevano messo Beethoven in una situazione critica, mentre Malzel d'altro canto aveva impiegato il suo piccolo capitale per il panharmonicon e l' «Incendio di Mosca». Mal­ zel però non si perse d'animo. Credette allora di essere in grado di riuscire a fare ciò che Beethoven in primavera non poteva, e cioè di eseguire le sue Sinfonie e togliere così Beethoven e se stesso dall' imbarazzo pecunia­ rio . Ritenne tuttavia necessario far apparire sul programma dei concerti previsti qualcosa ad captandum vulgi. Ci sarebbe stato anche il suo trom­ bettiere, solo che quest' ultimo a Vienna era già troppo conosciuto per eser­ citare l'attrazione voluta sul pubblico, e Malzel conosceva Beethoven troppo bene per pretendere da lui che si lasciasse convincere a scrivere per questa occasione un semplice pezzo d'attrazione del genere . A questo punto gli . venne in mente la battaglia . Bisognava fare in fretta . Senza attendere che questa composizione fosse pronta per il panharmonicon portò la parti tu­ ra dal compositore e gli propose di farne un arrangiamento per grande orchestra. Beethoven acconsentì . -

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Che poi Malzel organizzasse due concerti a scopi benefici, che fruttarono un utile netto di oltre 4000 fiorini, che la Battaglia di Vittoria e la Settima Sinfonia ottenessero uno straordinario successo, che Beethoven riuscisse in questo modo ad avere di colpo la più grande popolarità, e che in conse­ guenza di ciò nei mesi successivi potesse dare diversi concerti molto reddi­ tizi , tutto ciò è ben noto, ma meno noto è che Malzel non vide neanche un Kreuzer per aver sacrificato la sua partitura per panharmonicon, per tutte le sue fatiche spese nella realizzazione dei primi due concerti e per avere perso più di due mesi di tempo . È triste che Beethoven a seguito dell 'enorme e inatteso successo dei primi due concerti abbia abbandonato del tutto il progetto del viaggio, abbia abbandonato completamente Malzel e abbia organizzato le successive ese­ cuzioni delle opere summenzionate solo a proprio vantaggio . Successiva­ mente avrebbe cercato di scusare un comportamento così ingiustificabile adducendo il fatto che Malzel avrebbe annunciato la Sinfonia della batta­ glia come di sua proprietà. Quest 'ultimo aveva a suo tempo messo assie­ me una partitura con le parti ed era andato a Monaco, dove fece eseguire la Sinfonia, per questo fatto Beethoven intentò contro di lui un processo . A questo punto nessuno potrà negare che la partitura per il panharmoni­ con fosse proprietà di Malzel, anche se il progetto relativo non derivava interamente da lui . Sappiamo anche che egli riportò l'opera a Beethoven, solo affinché la adattasse nel comune interesse per l'orchestra . Aveva ce­ duto così i suoi diritti di proprietà? Questo era il problema giuridico . Una sentenza in merito non è mai stata emessa dal tribunale e la questione non ha avuto sino ad oggi alcuna risposta, a meno che non si voglia far valere il seguente fatto come una decisione a favore di Malzel . Quando Malzel ritornò a Vienna nel 1 8 1 7 per introdurre il suo metrono­ mo, standogli particolarmente a cuore ottenere il benestare di Beethoven, non avrebbe certamente respinto una ragionevole richiesta del composito­ re. E inoltre : il rappresentante legale di allora di Beethoven era l'onesto poi famoso avvocato dott . Joh. Bapt . Bach che in nessun caso avrebbe ritirato rivendicazioni motivate del suo cliente . E tuttavia Beethoven riti­ rò la querela e divise con Malzel tutte le spese maturate del processo in corso . Beethoven raccomandò il metronomo nel modo più splendido e la cosa finì con una souper al «Kameel», dove ci si divertì molto e Malzel , Schind­ ler e altri cantarono la « Metronom-Canon ta ta ta» di Beethoven . Il generale pregiudizio contro Malzel deriva unicamente da Schindler e dai suoi rielaboratori suffragato da un'indicazione di Beethoven molto ine­ satta e scritta con rabbia, che Schindler pubblicò con il titolo Deposition. Eppure chi si prende la briga di analizzare a fondo questa storia, troverà subito che la prima pietra degli straordinari successi di Beethoven negli

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anni 1 8 1 4- 1 5 , com presa la risurrezione del suo Fidelio, non venne posta da nessun altro se non da Joh. Nep . Malzel ! Non vogliatemene se tolgo il velo e metto a nudo questa macchia nera nel­ la vita di Beethoven . La giustizia lo richiede . Sappiamo tante cose buone e grandi del compositore, che tale scoperta non può sminuirlo ai nostri occhi . Deploriamo, perdoniamo, dimentichiamo. Il povero Malzel passò i suoi ultimi anni nella mia patria dove visse amato e rispettato come gentleman. Solo grazie al suo metronomo ed alla sua relazione con Beethoven il suo nome è ancora vivo tra di noi . Dobbiamo permettere che questi, un benefattore di Beethoven, sino a quan­ do si leggeranno biografie del compositore, continui a essere rappresenta­ to come un misero imbroglione, solo per mantenere segreta una momen­ tanea debolezza di Beethoven? Quando sentii la storia dell'arresto di Beethoven, capii subito che non po­ teva avere niente in comune con la Sinfonia della battaglia; per sapere tut­ tavia se e quanto di vero ci fosse feci visita successivamente al professor Hofel a Salisburgo e seppi da lui quanto segue: Nell' anno 1 822 o 23 al calar della sera era seduto, con diversi suoi colleghi ed il commissario di polizia a cena nel giardino della locanda «zum Schlei­ fer» fuori dalle porte di Wiener Neustadt, quando un impiegato di polizia venne dal commissario per riferirgli quanto segue: « Signor commissario, abbiamo arrestato uno che non ci lascia in pace e continua a gridare di essere Beethoven . Ma è uno straccione - è senza cappello - ha una giacca vecchia etc . è senza documenti di identità» . Il commissario ordinò di trattenere l'uomo sino al giorno dopo, poi avrebbe sentito che era. Il giorno successivo la compagnia era curiosa di sapere come era andata a finire e il commissario raccontò di essere stato svegliato all' incirca verso le 1 1 di notte e che gli era stato nuovamente riferito che l' arrestato non dava pace, ma pretendeva di andare a chiamare il signor Herzog, diretto­ re di musica a Wiener Neustadt , per la sua identificazione. Questo avvenne, e quando Herzog vide l' uomo , esclamando : «Costui è Beethoven» lo portò subito via a casa. Il giorno dopo il sindaco venne da Beethoven per porgere le scuse per l'ac­ caduto e lo fece accompagnare, con abiti decenti forniti da Herzog, con la carrozza di stato delle autorità comunali a Baden, il suo domicilio di allora. Beethoven era uscito quel giorno la mattina senza cappello e con una vec­ chia giacca a fare una piccola passeggiata. Giunto al canale e immerso nei suoi pensieri, si era dimenticato di voltarsi indietro e continuando a segui­ re il canale si era ritrovato la sera stanco , impolverato e affamato in una località a lui completamente sconosciuta, e precisamente al bacino del ca28 1

nale nei pressi della porta Unger di Wiener Neustadt . Qui lo si vide guar­ dare dentro le finestre, e poiché sembrava un mendicante, era stato ar­ restato. Alla sua assicurazione: «lo sono Beethoven» avrebbe ricevuto la risposta: «Eh come no ! Uno straccione siete - Beethoven non ha questo aspetto». * * *

Solo colui che ha il noioso obbligo di dare almeno uno sguardo a tutte le nuove pubblicazioni che riguardano Beethoven, può avere un'idea esat­ ta di quanto numerosi siano gli scritti - dall'elzeviro e la novelletta sino alle biografie in più volumi - nei quali il fratello di Beethoven 1 ohann è condannato a interpretare un ruolo insignificante, meschino e spesso del tutto falso. Non è necessaria un'analisi specifica su questo o quello di questi scritti ; le inesattezze sono state riprese da 40 anni a questa parte in quasi tutte le nuove pubblicazioni e sono considerate quasi generalmente la verità. Se le mie comunicazioni in merito sembreranno una specie di riabilitazio­ ne, ciò non avviene perché io nasconda una qualche simpatia per lui , ma innanzitutto semplicemente per amore della verità storica e poi , - e que­ sto è più importante - per tutelare anche l 'onore del grande composito­ re . Eppoi , anche se solo la metà di quello che è stato scritto sul carattere del fratello, dovesse essere vera, allora soltanto un uomo molto debole e anche viziato si sarebbe comportato come Beethoven, nei suoi ultimi an­ ni , con questo fratello . E certamente Beethoven non era una persona del genere. Questi scritti si dividono dal punto di vista cronologico in diversi gruppi : l . Esistono dei testi in cui si suppone che al più tardi nel 1 802- 1 803 1 o­ hann Beethoven abbia ricevuto del denaro da suo fratello per rendersi in­ dipendente, sistemandosi a Linz come farmacista, che attraverso l'influenza di suo fratello negli ambienti più elevati della società viennese abbia otte­ nuto grossi e vantaggiosi contratti di fornitura per l'armata austriaca, che in conseguenza di ciò fosse diventato ben presto benestante al punto da prestare allo stesso Ludwig, negli anni successivi, denaro; alla fine del 1 807 avrebbe preteso furiosamente la restituzione di questo denaro, la qual co­ sa viene presentata come una evidente dimostrazione della sua avarizia e della sua ingratitudine. Se tutto questo dovesse risultare corretto e vero , non ci sarebbe nulla da ridire, naturalmente, su questi testi . Solo che non c'è una sola parola di vero ! Ascoltiamo ! Sino all ' inverno 1 807-8 1ohann lavorava come aiutante presso un farma­ cista nei pressi del teatro del Karntner Tor a Vienna. Risparmiando e la­ vorando diligentemente riuscì a mettere da parte qualche centinaio di fio282

rini che egli affidò a suo fratello Ludwig . In questo periodo venne a sape­ re che il farmacista vicino al Briicken Tor a Linz era morto e che il suo negozio con casa e accessori era in vendita. Questa gli sembrò una buona occasione per rendersi indipendente; si informò più a fondo e trovò le con­ dizioni tali che anche con il suo piccolo capitale l'acquisto risultava possi­ bile . A questo scopo richiese da suo fratello la restituzione dei risparmi affidatigli . Però Ludwig sembra non avere avuto molta fiducia in questo progetto e accondiscese solo contro voglia alla richiesta di suo fratello, pregando il suo amico Gleichenstein in una lettera di prelevare presso il suo editore 1 . 500 fiorini e di darli a Johann . Ciò che quest' ultimo ricevette era appena sufficiente per coprire i costi del contratto e di trasferimento nonché la prima rata. Il contratto ha la data del 1 3 marzo 1 808 e il 20 dello stesso mese J o han n prese regolare possesso del negozio. Tuttavia le entrate non erano di molto superiori alle spese quotidiane e il difficile problema di come pagare la seconda e la terza rata si pose ben presto . A questo punto da qualche parte è stato affermato che il suo vecchio conoscente di Bonn, Stephan von Breuning, avrebbe presta­ to garanzia per lui, cosa che non è improbabile, solo che non ho trovato il suo nome da nessuna parte negli incartamenti . È certo che J ohann non si è rivolto a lui, che non prese assolutamente soldi da Vienna e che seppe uscire dalle difficoltà completamente da solo . Questo era infatti il periodo del blocco commerciale napoleonico . Lo sta­ gno inglese salì ad un prezzo inaudito. I piccoli vasi nella farmacia di Jo­ hann erano in stagno massiccio; egli li vendette e li sostituì con vasi in ter­ racotta e porcellana. In questo modo, e anche con la vendita delle belle grate lavorate di ferro alle finestre, potè onorare i suoi impegni e pagare le rate . Nella primavera del 1 809 un'armata francese scese la valle del Danubio . Nella sua giovinezza J ohann v an Beethoven aveva prestato servizio per un certo tempo nell'ospedale francese a Bonn; egli conosceva la lingua fran­ cese; il suo negozio si trovava vicino al ponte del Danubio; andarono da lui ed egli stipulò vantaggiosi contratti di fornitura con i commissari fran­ cesi, per cui riuscì a tirarsi fuori ben presto da tutte le difficoltà e allo stes­ so tempo a porre le basi della sua futura agiatezza. Questi semplici fatti e dati che io ho raccolto circa 16 anni fa a Linz e Ur­ fahr e che sarebbero stati altrettanto facilmente accessibili anche a qual­ siasi altro , fanno crollare interamente il palco a quelle novelle . 2 . Chiunque conosca gli scritti di Schindler, si ricorderà che Schindler per definire l'indole di Johann van Beethoven si serve dell'espressione «il prin­ cipio cattivo nella vita del compositore» . Ciò che esercita un'influenza solo temporanea, con lunghe interruzioni, 283

non può essere tuttavia chiamato il «principio cattivo» nella vita di un uo­ mo, vi si può intendere soltanto un'influenza piuttosto costante perdurante su Beethoven e le sue condizioni. Questo intendeva Schindler. Così lo hanno inteso tutti i suoi rielaboratori e dappertutto si trova 1 ohann Beethoven presentato come un tale «principio cattivo» . Ora invece l e cose stanno in modo completamente diverso e io credo di poter così indicare - il risultato della mia accurata verifica - la versione giusta. I n tutti i documenti, nelle lettere, nelle conversazioni, in generale in tutte le nostre fonti dal marzo 1 808 sino alla primavera 1 822 un periodo di 14 anni interi - non appare mai, con un'unica eccezione, e in nessun luo­ go , il fratello di Beethoven, 1 ohann, come persona attiva nella vita del compositore; e anche nel caso eccezionale accennato, 1ohann non inter­ viene nelle faccende di Ludwig ma è Ludwig ad intervenire in quelle di 1ohann ! Solo questo fatto fa sorgere il dubbio più forte che sino ad ora non sia stato presentato il giusto rapporto tra i due fratelli . Innanzitutto alcune parole sul caso eccezionale. 1 ohann Beethoven era scapolo e poiché la sua casa era piuttosto grande teneva per sé solo un paio di stanze ed affittava le altre ad un medico di Vienna la cui moglie prese con sé sua sorella. Il fatto che questa sorella fosse già madre a Vienna venne naturalmente tenuto segreto. Nel corso del tempo 1 ohann prese con sé questa ragazza come governante e compagna. I n un appunto autografo del compositore si legge: «Nel 1 8 1 2 ero a Linz a causa di B . » . Che con questo « B . » s i intenda i l fratello, s i capisce d a sé. Questo e alcu­ ne altre cose confermano pienamente ciò che mi è stato comunicato a Linz come fatto e cioè che Beethoven, che trascorse l'estate 1 8 1 2 a Teplitz, Karls­ bad etc . . . , era stato erroneamente informato che 1ohann volesse sposare la ragazza e che si fosse affrettato quindi a Linz per impedire una tale unione. È tuttavia sicuro che alla fine di settembre egli sparisce da Teplitz e ricom­ pare il 5 ottobre a Linz . 1ohann gli diede la più bella stanza nella casa - una stanza ad angolo, assolata e allegra con la vista sul Danubio, sul­ l'attracco e lo splendido paesaggio montano al di là del fiume . In parte in questa stanza e in parte durante solitarie escursioni sui monti , Beethoven compose la serena Ottava Sinfonia. Non si deve dimenticare che 1 ohann in questo periodo era un uomo di 35 anni, indipendente da 4 anni e mezzo e sistemato molto bene; inoltre suo fratello era soltanto un ospite presso di lui e di conseguenza avrebbe potuto lasciare in qualsia­ si momento la casa nel caso che non vi si trovasse a suo agio. Se ora il compositore avesse fatto valere tutta la sua influenza come uomo e fratel-

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lo e si fosse limitato a sciogliere il rapporto immorale di Johann, nessuno , nemmeno lo stesso fratello, avrebbe potuto rimproverargli qualcosa. Solo che egli andò oltre . Egli si era messo in testa che la ragazza dovesse essere allontanata e poi­ ché non poteva ottenere questo in via pacifica, si rivolse al vescovo e alle autorità civili . Riuscì ad ottenere dal direttore della polizia un decreto in forza del quale la ragazza doveva essere arrestata e tradotta a Vienna nel caso non fosse partita entro un determinato giorno del mese di novembre . Johann s'infuriò e ci fu tra lui e Ludwig una scenata su cui sorvolo col silenzio. Il farmacista aveva però ancora il suo asso nella manica; se lo avesse giocato avrebbe avuto partita vinta ma le conseguenze si sarebbero fatte sentire per tutta la sua vita. La sua ira e le lacrime della ragazza determinarono la decisione: la carta venne giocata ! Nel registro della parrocchia cittadina di Linz si legge che 1'8 novembre del 1 8 1 2 Johann van Bethoven e Theresa Obermauer si sono uniti in matrimonio . A questo punto non si poteva allontanare sua moglie. Il giorno successivo Beethoven lasciò Linz e portò con sé l 'amara consa­ pevolezza che per la sua mancanza di accortezza, prudenza e moderazione aveva fatto diventare la scostumata ragazza sua cognata. Non invidiamo l 'infelice per questi suoi sentimenti ! 3 . Chiunque conosca gli scritti novellistici e biografici su Beethoven an­ che solo superficialmente, sa con quanta efficacia 1 ohann Beethoven ven­ ga descritto «principio cattivo» in particolare negli ultimi anni di vita di suo fratello . I rimproveri principali rivolti a Johann sono : ingerenza non richiesta negli affari di Ludwig; tentativo continuo di do­ minarlo e di averlo presso di sé non solo a Vienna ma anche in campagna nella stessa abitazione con l'intento di sfruttare il talento di suo fratello a proprio vantaggio . Tutto ciò deriva originariamente da Schindler che ci aveva creduto seriamente; ora invece sono state chiarite anche alcune cose che erano rimaste celate al giovane Schindler e che gettano una nuo­ va luce sui rapporti tra i fratelli . Soffermiamoci un istante sul farmacista per vedere come gli siano andate le cose nel frattempo . Il 30 dicembre 1 8 1 6 egli vendette il suo negozio a Linz e aprì poco dopo una farmacia a Urfahr, di fronte a Linz. Nell'agosto 1 8 1 9 fu in grado di comprarsi a Gneixendorf nei pressi di Krems una bella tenuta di valore, chiamata «Wasserhof»; in tal modo divenne possidente. Ora, vivendo da economo , gli fu possibile soggiornare daran­ te l' inverno a Vienna. Infatti, qui affittò un appartamento al primo piano della casa che allora si trovava nell' angolo della Koth- und Pfargasse nel quartiere periferico di Windsmiihl, che era proprietà e sede del negozio di suo cognato, il fornaio Obermayer dove lo troviamo nella primavera

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1 822. Nel frattempo aveva saputo che una figlia di sua moglie Amalie Wald­ mann, nata il 30 gennaio 1 807, viveva ancora a Vi enna e poiché non aveva più speranza di avere figli propri, l'aveva presa con sé come figlia già al­ cuni anni prima. «L'ingerenza non richiesta» di Johann negli affari di Ludwig tuttavia non è dimostrata ed è dubbio che mai possa essere dimostrata. Beethoven sordo, irritabile, diffidente, in questo periodo praticamente non aveva nessuno - come nei tempi precedenti Gleichenstein, Breuning, suo fratello Karl ed altri - che fosse stato in grado di essergli d'aiuto nella vendita di nuove opere e simili . Sui pregi di Johann come uomo d'affari non aveva una buona opinione; tuttavia la dub�ia impresa a Linz aveva avuto buon esito e come anche quella successiva a Urfahr e anche quella ancora più incerta a Gneixen­ dorf potè essere considerata un investimento riuscito . Il compositore poteva soltanto desiderare che J ohann dopo più di 1 3 anni di assenza abitasse nuovamente nelle sue vicinanze . Da chi se non da suo fratello avrebbe dovuto cercare consiglio, assistenza e aiuto ! Si nota già a priori che le accuse a J ohann sono quanto meno esagerate, e che esse siano addirittura immotivate, non può essere analizzato qui com­ pletamente perché ci porterebbe troppo lontano . Occupiamoci allora di questa presunta costante tendenza egoistica di J o­ hann di avere suo fratello con sé; forse potremo chiarire un po' la questione. Il passo nel libro di Schindler che in altri scritti è sorvolato , dice : Beethoven venne sistemato (nell'autunno 1 822) da suo fratello Johann in un appartamento oscuro adatto al massimo per un calzolaio che doveva essere buono per il «possidente di cervello» perché costava poco . . . Fu un soggiorno terribile per il Beethoven altrimenti abi­ tuato e l 'inverno dal 1 822 al l 823 potrebbe dare con quella fatale situazione del grande com­ positore non poca materia per novelle e aneddoti umoristici (prima edizione, pagg. 1 36).

Il fatto in sé che Beethoven abbia preso questo appartamento tramite suo fratello è vero; solo che Schindler scriveva con una punta di disprezzo e di avversione nei confronti di J ohann, e ciò gli rendeva praticamente im­ possibile essere giusto; anche gli ulteriori dettagli , se mai gli sono stati no­ ti, dopo un periodo di circa 1 8 anni possono essere sfuggiti alla sua memoria. Inoltre è certo che egli non ha mai visto certe lettere del compositore al fratello . Si vede come facilmente abbia potuto mettere il fatto in una luce completamente falsa, pur con la miglior buona volontà di scrivere solo la verità; e così è infatti . Della raccolta di conversazioni, di quaderni e fogli che il consigliere auli­ co von Breuning consegnò a Schindler dopo la morte di Beethoven, que­ st' ultimo nel corso del tempo ne ha distrutto più della metà; tra quello 286

che si è conservato ve ne è una che contiene la primissima notizia cono­ sciuta di un incontro dei due fratelli dopo il ritorno di Johann . C'era anche il nipote Karl . Della conversazione avuta allora risulta chia­ ramente che Beethoven aveva lasciato il suo appartamento nella Landstrasse nella primavera 1 822 senza averne fissato un altro per l'estate e si trovava quindi in una situazione spiacevole. Nel corso del colloquio J ohann gli viene in aiuto offrendogli le due stanze della sua abitazione che era stata abitata per un breve periodo dalla sua pseudofiglia - sino a quando avesse trovato un appartamento - e gli fe­ ce la proposta di andarci dopo mangiato per vedere le stanze. Beethoven ci andò . Questo è assodato perché un po' più tardi in questo quaderno vi appare la scrittura della moglie di Johann. Lei scrive in un modo molto grazioso e cortese, trova poca somiglianza tra Beethoven e suo marito ad eccezione degli occhi; lo invita a fare in estate una visita a Gneixendorf, dove, come lei scrive, la vista è splendida e l'aria è ottima. Johann vi aggiunge a matita: Rossini mi ha appena incontrato e mi ha salutato molto cordialmente. Desidera molto par­ larti. Se avesse saputo che eri qui sarebbe venuto subito .

Johann era già sposato da 9 anni e mezzo . Non risulta chiaramente dalle parole della moglie di J ohann, che Beethoven almeno come cognata la ve­ de ora per la prima volta? Beethoven non trovò necessario , pare, prende­ re le due stanze ma andò subito a Oberdobling. Da lì scrive a suo fratello la seguente strana lettera: Speravo di vederti senz'altro - ma invano. Su disposizione di Stauenheimer devo ancora prendere della medicina e non mi posso quindi muovere troppo. Ti prego, invece di andare oggi al Prater, di venire da me con tua moglie e la figlia - io non desidero nient'altro che ottenere senza ostacoli il bene che non manca mai quando siamo assieme - mi sono infor­ mato per gli appartamenti; ce ne sono a sufficienza che vanno bene e non serve affatto che tu paghi molto di più di quanto fatto finora. Considerato soltanto dal punto di vista econo­ mico di quanto si possa risparmiare da entrambe - le parti senza per questo non pensare anche al proprio piacere. Non ho nulla contro tua moglie, io desidero soltanto che capisca quanto possa essere di gua­ dagnato con me anche per la tua esistenza e che tutte le piccole miserie della vita non danno fastidio. Stammi bene, dunque, spero di vederti senz'altro oggi pomeriggio e dopo potremmo andare a Nussdorf, cosa che per me sarebbe anche salutare . Il tuo fedele fratello Ludwig. Pace, pace

sia tra noi, Dio non voglia che il legame naturale tra fratelli venga nuovamente innatural­ mente strappato; per giunta la mia vita non dovrebbe più durare a lungo, dico ancora una volta che non ho niente contro tua moglie sebbene il suo comportamento nei miei confronti un paio di volte mi abbia molto sorpreso, e comunque a causa della mia malattia che dura già da tre mesi e mezzo sono molto, addirittura estremamente sensibile e irritabile . - Via

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tutto quanto non possa giovare allo scopo di permettere a me e a mio fratello una vita sere­ na, particolarmente necessaria per me. Guarda soltanto la mia abitazione qui e vedrai le con­ seguenze di ciò che avviene quando io, particolarmente cagionevole di salute, mi devo affi­ dare a persone estranee, per tacere dell'altro che abbiamo comunque già discusso. Nel caso che tu oggi venga, potresti andare a prendere Karl ; io allego pertanto questa lettera aperta al sig. von Blochlinger, che tu gli potrai spedire subito.

Ora mi chiedo : da quale dei fratelli è partita la proposta della coabitazione? Il 26 luglio Ludwig scrisse nuovamente a Johann che passava l'estate con la sua famiglia a «Wasserhof» . La lettera conteneva l' urgente preghiera di venire a Vienna per essergli d'aiuto nella vendita di opere. J ohann non poteva però lasciare i suoi affari e pertanto non venne. La lettera finisce così : Salutami i tuoi - se non dovessi andare a Baden verrei sicuramente già il prossimo mese da te, però adesso non è possibile diversamente - se puoi vieni. Sarebbe un grosso sollievo - scrivi presto . . . -

Il 3 1 luglio egli scrive nuovamente che Peters a Lipsia gli aveva offerto l 000 fiorini per la messa e altre somme per altre opere e che gli erano stati anticipati già 300 fiorni . Cito alcune righe: Da tutto questo si nota lo zelo dell' uomo per le mie opere, io non vorrei però espormi e gradirei che tu mi scrivessi se potrai privarti di qualcosa affinché io non sia impedito ad an­ dare a Baden per tempo, dove devo rimanere almeno un mese. Vedi che qui vada tutto bene e i 200 fiorini ti verranno restituiti con ringraziamento in settembre.

Poi più avanti : Se tu fossi qui queste cose sarebbero presto sbrigate . . . se tu potessi venire e andare con me a Baden per 8 giorni sarebbe molto bello . . . cucina e cantina nel frattempo sono state rimesse in ottimo stato poiché probabilmente io con il mio figlioletto installeremo il nostro quartier generale presso di te e abbiamo il nobile proposito di sfruttarti completamente. Si capisce che stiamo parlando solo di settembre. Ora stammi bene ottimo fratellino ! Leggi ogni giorno il Vangelo, ti raccomando caldamente le epistole di Pietro e Paolo, vai a Roma e bacia le pantofole al Papa. Salutami i tuoi cor­ dialmente [ . . . ] .

Nell' agosto scrive ancora due lettere d i contenuto simile, urgente e tutta­ via Johann non venne . Come si concilia tutto questo con la presunta ingerenza non richiesta? Nella lettera del 26 luglio Beethoven manifesta al fratello il suo assenso a trasferirsi nella casa di Obermayer e precisamente in questo modo : Per quanto riguarda l'abitazione, dato che è già presa, sia pure, se vada bene anche per me è da vedersi - le stanze danno sul giardino però l'aria del giardino è proprio quella più svan­ taggiosa per me e poi l'ingresso da me passa per la cucina cosa che è molto spiacevole e in-

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sopportabile. E adesso devo pagare per un trimestre per nulla, per questo poi Karl ed io, se possibile, ci troveremo poi da te a Krems e vivremo bene sino a quando questi soldi non saranno riguadagnati.

Nelle lettere successive egli dichiara al fratello che deve assolutamente fa­ re dei bagni di zolfo a Baden e eseguire un lavoro commissionato per l'i­ naugurazione del teatro nella 1 oseph-Stadt e pertanto è impedito a fare la prevista visita a «Wasserhof» . È noto che Beethoven non era mai soddisfatto delle sue sistemazioni e che entrava sempre in conflitto con il padrone di casa e cambiava continua­ mente i suoi appartamenti . Schindler riporta esempi al riguardo in grande abbondanza. 1ohann era diverso, si era sistemato presso il fratello di sua moglie e, per quanto ne so, rimase lì per tutta la sua vita. Ciò che Ludwig voleva avere era che 1ohann rompesse questo legame fa­ miliare e lasciasse l 'abitazione per fare l'esperimento molto dubbio se lui, il fratello , il nipote, la moglie di 1ohann e la figlia potessero sopportarsi sotto lo stesso tetto . C 'era ora un appartamento vicino a quello di 1ohann e - così pensava 1ohann evidentemente - perché Ludwig, se voleva effettivamente fare l'e­ sperimento , non doveva prenderlo per un anno? Se andava bene si poteva cambiare gli appartamenti altrettanto bene più avanti che allora. Se suo fratello voleva venire da lui bene; se no , bene lo stesso . Per riguardo ai desideri di sua moglie allora non poteva trasferirsi. Così avvenne che Beethoven e Schindler nell'ottobre 1 822 entrarono nel­ l' appartamento che Schindler descrive come buono soltanto per un cal­ zolaio . Di come tutto ciò che riguardava 1 ohann Beethoven venga interpretato nella maniera più maligna, ne abbiamo un esempio in un piccolo aneddo­ to raccontato da Schindler dello stesso inverno, che ha fatto scuotere il capo e arricciare il naso a molti . Quella volta non era soltanto costume diffuso ma lo richiedeva anche la decenza, che ciascuno indicasse sul proprio biglietto da visita il suo rango e il suo stato sociale . Da tre anni e mezzo 1 ohann Beethoven non era più « farmacista borghese a Linz» ma «possidente» e così si definiva anche sul suo biglietto da visita. Il giorno di capodanno del 1 823 Beethoven , il nipote e Schindler sedevano a tavola quando 1ohann mandò il suo inserviente nella stanza con bigliet­ to e auguri . Il compositore era di buonumore, girò il biglietto e vi scrisse: «Ludwig van Beethoven, possidente di cervello» e glielo rispedì . Era una cortesia fraterna e amichevole del tutto usuale da parte di 1 ohann e uno scherzo benevolo da parte di Ludwig . Questo è tutto . Tutto il resto che si legge a riguardo in 1 00 scritti , è invenzione e in gran parte calunnia . 289

Addirittura a causa dei suoi cavalli e delle carrozze 1 ohann è diventato oggetto di scherno senza fine. Perché non capisco. Doveva pur avere cavalli nella sua tenuta di campagna e - quando in au­ tunno con la sua famiglia si trasferiva a Vienna - doveva rispedire le be­ stie alla tenuta e farli mangiare per tutto l'inverno solamente fieno? Che l 'esperimento di vivere assieme in una stessa casa come prevedibile non ebbe buon esito , è ben noto, e il rifiuto di Johann di lasciare il suo appartamento è pienamente giustificato. Una letterina di quel periodo, di cui non si conosce la causa immediata può trovar posto qui : Caro fratello! Ti prego di venire da me questa mattina perché devo necessariamente parlare con te - perché questo comportamento? A cosa deve portare? Io non ho niente contro di te e non ti attribuisco la colpa per quanto riguarda l'abitazione. Eri ben intenzionato ed era anche mio stesso desiderio di avvicinarci di più - il male è ora qui da tutte le parti in questa casa, tu però non vuoi saperne nulla di tutto e cosa c'è da dire al riguardo? Che comportamento duro dopo che io mi sono trovato in un così grande imbarazzo. - Ti prego nuovamente di venire questa mattina da me per discutere su tutto quanto necessario. - Non lasciare che si rompa un legame che non può che essere fruttuoso per entrambi e a causa di cosa? Per motivi indegni : Ti abbraccio di cuore e sono come sempre il tuo fedele fratello Ludwig.

Che successivamente la cosa prendesse una piega del tutto diversa nella fantasia di Beethoven e che egli desse l'intera colpa per l' abitazione a Jo­ hann e esprimesse talvolta il suo rancore in lettere e colloqui era proprio veramente - da Beethoven ! L ' idea, secondo cui Beethoven abbia dovuto combattere pressoché l'inte­ ra sua vita con una povertà opprimente è stata diffusa da questi novellie­ ri, ed io otterrò un duplice scopo se inserirò qui alcuni appunti su come gli andava veramente nella primavera del 1 823 . Aveva debiti per un ammontare di 7 . 000 fiorini, tra cui 400 fiorini di anti­ cipo della « Società degli amici della musica» per un Oratorio ancora da comporre. L 'unico debito pesante e urgente erano 3 . 000 fiorini alla Stei­ ner & Co . : la casa editrice gli aveva anticipato questi soldi di volta in vol­ ta, in attesa di nuove composizioni . Beethoven però non consegnava le composizioni e non voleva neanche impegnarsi a lasciare a questa ditta tutte le sue ulteriori produzioni . Beethoven doveva allora provvedere soltanto a sé e a suo nipote e riceveva in rate semestrali uno stipendio di 1 . 360 fiorini in argento; possedeva inoltre 7 azioni bancarie da 1 .000 fiorini ciascuna. Il 26 luglio 1 822 scrisse a suo fratello: Ricevo 1 .000 fiorini C.M. per la messa di Peters purché egli prenda anche altre piccole ope­ re. - Anche Breitkopf e Hii.rtel hanno mandato da me per delle opere l'incaricato d'affari

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sassone; anche da Parigi ho avuto richieste per delle opere, anche da Diabelli a Vienna. In­ somma ci si fa in quattro per avere delle opere da me. - Che sfortunato uomo fortunato sono io ! Ci si è messo anche questo berlinese.

Da altre lettere successive a J ohann si apprende che doveva vendere opere inedite da lui valutate in circa 200 ducati. Senza contare gli Oratori (3 commissioni) - che egli non compose perché non aveva trovato testi che lo soddisfacessero - e le Messe (2 commissio­ ni) - indico le seguenti commissioni di opere per le quali egli aveva rice­ vuto soldi contanti: Musica per il Faust, come quella per l'Egmont (di Breit­ kopf e Hartel), Sinfonie e Ouvertures per la Philarmonic Society di Lon­ dra, un' Ouverture per l'Oratorio Judah di William Gardiner (per 1 00 ghi­ nee oro) . Schindler dice che il debito alla Steiner & Co . era di soli 800 fiorini; lo stesso Beethoven l'aveva indicato in «circa 3 . 000 fiorini » . Chi abbia ra­ gione se Schindler o Beethoven non si può dire. Il fatto è che la liquidazio­ ne avvenne mediante cessione di una (o due) azioni bancarie . A questo punto Schindler ed i suoi rielaboratori sono estremamente indi­ gnati su J ohann v an Beethoven per il fatto che egli si sia decisamente ri­ fiutato in questo caso di prestare garanzie per suo fratello o di anticipare il denaro . Se un farmacista borghese, completamente povero in una città di provincia, in 14 anni poteva diventare sufficientemente ricco per com­ prarsi una casa e un negozio a Urfahr e una tenuta di valore per poi vivere delle sue rendite, essi avrebbero ragione; solo che chiunque abbia soltanto qualche nozione commerciale sa che anche se speculazioni del genere col tempo danno buoni risultati esse mettono in imbarazzo l' imprenditore, quanto a denaro liquido, per anni. E così era effettivamente in questo caso . Subito dopo il suo ritorno a Vienna Johann aveva prestato a Ludwig 200 fiorini; io non vedo come egli dovesse impegnarsi a gravare i beni e il ne­ gozio ancora di nuovi debiti soltanto per risparmiare le azioni bancarie di suo fratello ! Per quanto riguarda le successive condizioni pecuniarie fra i fratelli, la vendita di composizioni , ecc. , ci sarebbe molto dire contro le versioni di Schindler e di altri . Io credo di aver sufficientemente dimostrato come siano piuttosto immo­ tivate le accuse contro Johann Beethoven di « ingerenza non richiesta» ne­ gli affari del fratello e sulla coabitazione in città. Come stavano invece le cose in relazione alla sistemazione estiva in comune a «Wasserhof»? Se si risale il Danubio con il vapore si vedrà poco prima di Krems sulla destra, sull'altura, in bellissima posizione con una vista stupenda sulla valle del Danubio il monastero di Gottweih e le alte montagne sullo sfondo , l'ampia casa in cui - come scrisse allora Johann - ci sarebbero state li29 1

bere 1 0 stanze e dove dei gruppi avrebbero potuto vivere d'estate comple­ tamente separati. In questo periodo Beethoven intonava continuamente lamentele sulla sua in­ felice situazione pecuniaria, sui suoi impegni che gli portavano via molto tempo nei confronti dell'arciduca Rodolfo, e sulle continue interruzioni dei suoi lavori da parte dei molti stranieri che volevano vederlo e parlargli . In tali circostanze e condizioni, 1 ohann offrì nella primavera del 1 823 se per questo anno gratuitamente, non lo so - a suo fratello un apparta­ mento estivo a « Wasserhof» e lo spinse ad accettare e questo non solo per fargli risparmiare dei soldi ma anche per offrirgli l 'occasione di portare a termine i lavori commissionatigli senza essere disturbato . Io dubito mol­ to che Beethoven avesse potuto decidere per qualsiasi motivo di trascorre­ re a 10 miglia postali da Vienna l'estate; solo che c'era purtroppo un mo­ tivo per il quale l' offerta non poteva essere accolta favorevolmente e cioè: durante una seria malattia che aveva colpito poco prima 1 ohann, sua mo­ glie mostrava verso di lui una durezza, addirittura una immoralità che giu­ stificano in altissima misura le seguenti amareggiate parole di Ludwig con­ tro di lei , che egli scrisse allora in un quaderno di conversazioni: « Conti­ nua (Johann) a volermi tra i suoi - non possibile per me». I nvece di andare a « Wasserhof» , si prese così un appartamento a Hetzen­ dorf per il quale dovette anticipare 400 fiorini . Rimase lì circa 8 settimane poi si trasferì perché il proprietario, il barone Pronay, era troppo cortese con lui e fece armi e bagagli per Baden. Calcolate alla buona le sue abita­ zioni estive, quell'anno, con le spese di trasloco, vengono a costare più di 600 fiorini . Al suo ritorno in città in autunno, Beethoven a questo pun­ to, non prese più naturalmente la casa di Obermayer ma un appartamento nella LandstraBe. Nel frattempo 1ohann a seguito dell' insopportabile comportamento di sua moglie prese energici provvedimenti e con l'aiuto delle autorità si rese a questo punto vero padrone di casa sua. Come ho potuto apprendere, a partire da questo periodo la moglie era com­ pletamente domata e fino alla sua morte, avvenuta 6 anni dopo , tra i due non si ebbero più screzi di rilievo . E così arriviamo alla primavera del 1 824. Nel frattempo Beethoven aveva composto 33 Variazioni di un valzer e la parte finale della Nona Sinfonia ma non uno dei lavori commissionati . Dato che con la vendita di opere e con i famosi concerti del maggio 1 824 non aveva avuto nessun profitto sostanziale, la sua situazione pecuniaria era ancora peggiore dell'anno pre­ cedente . Si offerse però proprio in questo periodo un'occasione estremamente van­ taggiosa di guadagnare soldi , se non anche fama. Le entrate del teatro di corte non avevano coperto i costi della «Eurianthe»

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di Weber e il direttore Duport si dichiarò disposto ad accettare ogni con­ dizione di Beethoven per quanto riguardasse una composizione operisti­ ca. Il testo di Grillparzer «Melusine» 2 era nelle mani del compositore che si era dichiarato più volte soddisfatto e aveva detto al poeta, come questi mi ha raccontato personalmente -: « La musica è già pronta» (in testa cioè). A questo punto dunque c'era un importantissimo motivo in più per allon­ tanarsi da Vienna per alcuni mesi, rispetto l ' anno precedente. Suo fratello giunse per il concerto a maggio a Vienna e gli propose nuovamente di ve­ nire per l'estate a «Wasserhof» . La sua offerta si legge ancora in un quaderno di conversazione. Ludwig, Johann e il nipote Karl sono assieme. Egli naturalmente parlò; solo gli altri scrissero e così ci è stato tramandato ciò che questi gli comu­ nicarono. Il colloquio si diffonde naturalmente su diversi argomenti e io trascrivo solo quello che ci interessa. Johann: Mia moglie ha restituito il suo contratto di matrimonio e garantisce il mio diritto di cacciarla via subito alla prima conoscenza che farà di nuovo .

Ludwig probabilmente gli ha chiesto : «E perché non lo fai subito? »

Infatti Johann scrive dopo : Questo non posso farlo, non potendo sapere se mi capiterà una disgrazia.

Poi è Karl a prendere la matita e scrive: Il fratello ti fa una proposta; e cioè di trascorrere i quattro mesi nella sua tenuta. Tu avresti 4-5 stanze molto belle, alte e grandi. Tutto è ben arredato - pollame, buoi, mucche, coni­ gli, ecc. tutto potrai trovare. Del resto per quanto riguarda la moglie, lei viene considerata come una governante e non ti disturberà. La zona è splendida e non ti costa un soldo . C'è una massaia; acqua contenente ferro, bagni propri , ecc. Se tu non dovessi accettare, allora lascerà 5 stanze e lo farà mettere nel giornale.

Poi di nuovo su qualche osservazione di Beethoven : La storia è finita. - La moglie quasi non la vedrai . Lei provvede all'andamento familiare e lavora . Adesso tanto più che è completamente domata. Inoltre lei stessa ha promesso di comportarsi bene.

A questo seguono altre cose sino a quando J ohann riprende la matita e scrive : 2

Johann aveva dato espressamente nella primavera 1 823 il consiglio a suo fratello di passare l'estate a Gneixendorf e di comporre l'opera di Grillparzer. Tuttavia a quel tempo le trattative tra poeta, compositore e direttore di teatro erano ancora in alto mare.

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Mi sembra che tu non voglia venire perché non ti costa niente. - Chi provvederà allora alla casa? Chi sopporterà i nostri umori?

In un altro quaderno Karl scrive che Johann avrebbe detto spesso : Suo fratello a Gneixendorf può avere tutto liberamente.

Beethoven invece prese un appartamento a Penzing dove suo fratello an­ dò a trovarlo e gli scrisse: Se a te non ti piace qui in campagna ti prenderò su da me. Così non avrai più i tuoi fastidi con gli inservienti almeno per questa estate.

Che Beethoven, sebbene avesse nuovamente anticipato 400 fiorini, si tra­ sferisse a Baden già dopo 3 settimane, perché lo disturbava l ' assembra­ mento sul ponte davanti alla sua finestra di gente curiosa di vedere la cele­ brità, per cui anche questa volta i suoi alloggi estivi gli costarono più di 600 fiorini - tutto questo si legge in Schindler . Nemmeno uno dei lavori commissionati menzionati vide mai la luce. E così la sua situazione pecuniaria diventava sempre peggiore e tuttavia l'offerta di Johann rinnovata anche nell'anno 1 825 veniva respinta nella seguente energica maniera: Per quanto riguarda il tuo desiderio di vedermi da te mi sono già espresso da tempo - io ti prego di non parlarne più poiché su questo punto mi troverai irremovibile come sempre.

E così la debolezza e gli errori di J ohann forse nessuno li conosce meglio di me; e tuttavia - sebbene all' inizio a causa di Schindler assai prevenuto nei suoi confronti - ho ritenuto impossibile interpretare questi inviti a «Wasserhof» a suo sfavore. Nonostante tutto ciò che si è scritto contro di lui, egli era di natura cordia­ le, di animo buono e un grande ammiratore del talento di suo fratello . Lo scrittore più voluminoso su Beethoven ha la stessa opinione su Johann degli scrittori di novellette e cioè che avarizia e avidità non solo fossero i motivi predominanti ma addirittura i motivi esclusivi delle sue azioni in tutto ciò che riguardava suo fratello; con straordinaria diligenza ha rac­ colto e riunito tutto quanto fosse possibile per far accettare questa opinione. È dubbio tuttavia se egli debba essere considerato come autorità decisiva per quanto concerne J ohann v an Beethoven. In ogni caso le sue opinioni sono completamente diverse dalle mie. Infatti per esempio in uno dei suoi scritti si legge: Dopo che il fratello Giovanni aveva comprato la tenuta di Gneixendorf vicino a Krems la amministrava e vi viveva con una governante. Beethoven al quale questo imbarazzante rap­ porto dava estremamente fastidio lo indusse con le più assillanti rimostranze a sposare que­ sta persona. Soltanto dopo risultò che aveva già una figlia adulta illegittima.

In un altro scritto , questo scrittore, fornisce ai suoi lettori quanto segue su J ohann Beethoven e sulla figlia illeggittima:

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Si, a tanto giungeva questa triste avidità di denaro (di Johann) che dopo la morte di sua moglie era in grado addirittura di sposare la sua chiacchieratissima figlia della quale egli sa­ peva benissimo che era ancora più dissoluta della madre, soltanto per non perdere il patrimonio.

Contro questa falsa spregevole e inutile diffamazione di questa ragazza, fatta a sangue freddo , riporto le seguenti due brevi registrazioni u fficiali: La signora Therese van Beethoven morì il 20 novembre 1 828 a Wasserhof presso Gneixendorf. Amalie Waldmann, chiamata van Beethoven si sposò l' 1 1 febbraio 1 830 con il i . R. commis­ sario catastale forestale Sig. Karl Stolzle.

E in terzo scritto si scaglia nel seguente modo sul povero Johann : La sua avidità, addirittura spudorata, si rivela, a prescindere dai numerosi piccoli particola­ ri, dal solo fatto (fatto ! ) che egli investì il suo intero patrimonio in modo da consumarlo via via soltanto per sé, senza lasciare nulla agli eredi.

Johann morì il 1 2 gennaio 1 848 nella Josephstrasse a Vienna. Cosa dico­ no certi atti nei registri relativi? In uno leggiamo: Nomino mio nipote Carl van Beethoven mio erede universale. Vienna, 8 gennaio 1 848 - Jo­ hann van Beethoven.

E da un secondo atto risulta che questa eredità, detratte tutte le spese, le imposte, ecc . e il legato per la sua governante, Therese Gottschalk, am­ montava a 42 . 1 23 fiorini e 3 Kreuzer ! Nei casi qui citati si indica come fonte il nome di una rispettabile anziana signora. Probabilmente, qui ci troviamo di fronte ad un malinteso , ad un errore di memoria, come per esempio quando una volta scrive: Innanzitutto risulta, e per l'esattezza dal registro parrocchiale che N.N. ha controllato a Vienna, che Juliette Guicciardi ha sposato il conte Gallenberg già nell'anno 1 801 .

Ora di questo non è vera neanche una parola e tuttavia è stato scritto in buona fede e l 'errore non è altro che un malinteso o un errore di memoria. Ciò che in tali casi è addirittura imperdonabile, e resta addirittura imper­ donabile, è il fatto della scarsa prudenza, della leggerezza con la quale si pubblicano come fatti tali affermazioni spesso incredibili e oltraggiose, sen­ za prima avere in mano il riscontro ufficiale - che è a disposizione di tut­ ti e che costa solo un po' di fatica. Sino ad ora non ho trovato nessuna ragione per cambiare le mie opinioni con quelle del menzionato biografo di Beethoven. Nella prima edizione della biografia schindleriana di Beethoven troviamo alcuni appunti che sono confluiti da 38 anni a questa parte ovunque senza verifica in innumerevoli ricostruzioni novellistiche, elzeviristiche e bio­ grafiche. I nnanzitutto alcune parole di introduzione: Era la fine di luglio - non agosto - quando il diciannovenne nipote di Beethoven non lontano da 295

Baden cercò senza successo di attentare alla propria vita. Venne trovato , venne trasportato a Vienna, dopo alcuni giorni venne ar­ restato come criminale dalla polizia e - come testimonia il registro del­ l 'ospedale - trasferito il 7 agosto 1 826 all'ospedale . Da qui il 25 settem­ bre la polizia viene a prelevare nuovamente il guarito per trattenerlo in custodia detentiva. « La consegna del prigioniero» dice Schindler ai due tutori (Beethoven e Stephan von Breuning) avvenne da parte dell'autorità di polizia con la espressa disposizione di non !asciarlo a Vienna più a lungo di un giorno .

Si immagini l'imbarazzo di Beethoven! A questo punto Johann appare con la sua carrozza a Vienna . L ' ora del trasferimento nella capitale era vicina; egli tuttavia prese suo fratello e il nipote con sé di nuovo nella sua tenuta per ospitarli così a lungo sino a quando Breuning - consigliere aulico al ministero della guerra - fosse riuscito a sistemare il nipote come cadetto in un reggimento. Tutto questo però procedeva molto lentamente e alla fine di novembre erano ancora a « Wasserhof». Leggiamo dappertutto la ben meritata lode di Beethoven per questo gran­ de sacrificio in relazione a suo nipote. Ma non era un sacrificio anche per Johann e sua moglie rimanere in una casa arredata soltanto per il soggior­ no estivo sino nel tardo autunno lontano da tutte le comodità e dai diver­ timenti della vita viennese? Tutto ciò non è mai venuto in mente a Schindler ed ai suoi rielaboratori ! Le nostre fonti per la storia di Gneixendorf sono: dichiarazioni di Beetho­ ven pubblicate da Schindler a memoria 12 anni più tardi; registrazioni si­ mili del Dr. Wawruch dopo un intervello di circa mezzo anno, alcuni col­ loqui in quaderni di conversazione che si sono conservati nonostante la mano distruttrice di Schindler; diverse lettere di Beethoven da Gneixen­ dorf e un saggio nella Deutsche Musikzeitung che mi è stato presentato in bozza e dopo mie richieste e indicazioni ha assunto la forma nella quale è stato pubblicato . In questo saggio si trovano ricordi di Michael Kren che, come ha precisato egli stesso , era stato assunto dalla signora proprietaria della tenuta per servire il compositore.

Ed ora veniamo alle righe menzionate nel libro di Schindler . La partenza per Gneixendorf viene da lui spostata alla fine di ottobre e dopo alcune frasi prosegue: L'inclemenza della stagione e inoltre l'incredibile mancanza di riguardo che Beethoven do­ veva sopportare là da questo suo nipote e dagli altri suoi parenti lo indussero a lasciare quel luogo e a tornare a Vienna. Questo viaggio di ritorno che in quella stagione molto avanzata non poteva essere fatto in un giorno, avvenne in una carrozza aperta poiché come Beetho­ ven stesso mi ha assicurato, suo fratello si era rifiutato di affidargli la sua carrozza chiusa. [ . . . ] «Il 2 Dicembre 1 826 Beethoven tornò a Vienna ammalato con suo nipote e soltanto dopo

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diversi giorni seppi della sua presenza e del suo stato . Mi affrettai da lui , che mi fece diverse comunicazioni sconcertanti tra cui anche che egli aveva fatto pregare più volte, inutilmente, i suoi due precedenti dottori di occuparsi di lui; che uno aveva prodotto come scusa che la strada per andare da lui era troppo lunga e che l'altro aveva fatto sapere più volte che sareb­ be venuto ma non venne; per questo avevano mandato da lui a casa un dottore - lui non sapeva né come né da chi - che non conosceva affatto né lui né la sua natura . . .

D i nuovo dopo alcune frasi viene detto: Il prof. Wawruch (così si chiamava questo dottore) mi raccontò che un marqueur portato da lui malato nella sua clinica (nell'ospedale) da un caffè della città gli avrebbe confidato che il nipote di Beethoven, quando alcuni giorni prima giocava a biliardo in quel caffè, gli aveva dato l'incarico (al marqueur) di cercare un dottore per suo zio malato, e poiché non poteva liberarsi da questo incarico a causa del suo malessere, pregò a questo punto il prof. Wawruch di andare da Beethoven, cosa che questi fece anche subito poiché stimava alta­ mente il Maestro. Venuto da Beethoven lo trovò realmente ancora senza assistenza medica. Così fu che quel marqueur dovette ammalarsi per essere portato in quel luogo di cura affin­ ché il grande Beethoven nel suo bisogno ottenesse un dottore ! !

Così Schindler. I n effetti sconcertante, se tutto ciò fosse vero ! Per quanto tempo credete ora in base a questa versione che il malato si trovasse senza assistenza medica? 1 4 giorni? 1 0 giorni? Per fortuna il tem­ po non è indicato esattamente. Egli arrivò di sabato , domenica e lunedì attese egli inutilmente Braunho­ fer e Staudenheim, martedì pomeriggio arrivò Wawruch ! Wawruch stesso scrive: «Venni chiamato soltanto il terzo giorno» . Schind­ ler non aveva soltanto in mano il saggio di Wawruch ma lo aveva anche contestato pubblicamente e tuttavia nella revisione del suo libro questo punto non venne corretto . S e consideriamo anche che Schindler aveva spostato i l viaggio a Gneixen­ dorf dalla fine di settembre alla fine di ottobre, per cui il soggiorno in realtà di 9 settimane avrebbe potuto durare soltanto 4 settimane, ci accorgiamo che abbiamo di fronte una memoria di cui non c'è da fidarsi tanto . Secondo : Il dr. Wawruch scrive in relazione al viaggio di ritorno a Vienna: Preoccupato dalla triste prospettiva del cupo futuro, di essere in campagna senza aiuto in caso di malattia, Beethoven voleva tornare a Vienna e usò, secondo la sua affermazione gio­ viale, il più misero mezzo del diavolo, un carro del latte per tornare a casa.

E questo - secondo la citazione di cui sopra da Schindler - perché Jo­ hann gli aveva rifiutato la sua carrozza chiusa . Noi tuttavia sappiamo bene che J ohann era ancora in campagna solo a causa di suo nipote e dai quaderni di conservazione risulta chiaramente che le sue casse si erano esaurite per il lungo soggiorno e attendeva solo dei soldi per poter ritornare a Vienna. Ne consegue: se Beethoven fosse rimasto ancora alcuni giorni, tutti e tre sarebbero ritornati anche insieme . 297

In effetti J ohann, sebbene non ci fosse nessun motivo di avere fretta, arri­ vò il 1 0, quindi 8 giorni dopo suo fratello, a Vienna. Anche se J ohann non diede in questo caso i suoi cavalli e la sua carrozza ciò non si può considerare certamente come un grave delitto nei confronti di Ludwig. Nella seconda revisione del libro di Schindler la questione acquista un aspet­ to diverso. Ecco le parole: Per il colmo di ogni mancanza di riguardo lo pseudofratello rifiutò la sua carrozza di città chiusa per il viaggio sino alla vicina Krems pertanto questo dovette essere fatto con un cales­ se aperto. La conseguenza fu un raffreddamento al basso ventre che si manifestò sin dall'i­ nizio con violenza.

Un viaggio di appena mezz'ora e - quali conseguenze ! Chi ci crede? Ascol­ tiamo nuovamente Wawruch : Quel dicembre era rigido, umido e gelato, l'abbigliamento di Beethoven non era per nulla adeguato alla stagione inclemente, e tuttavia lo spinse avanti un'irrequietezza interiore, un cupo presagio di sventura. Si sentì in dovere di pernottare in una locanda paesana dove tro­ vò oltre al misero tetto soltanto una stanza non riscaldata senza finestre invernali . Verso mezzanotte sentì il primo brivido sconvolgente di febbre, una tosse secca, breve, accompa­ gnata da una gran sete e fitte nella regione costale. Subentrata la febbre bevette un paio di bicchieri di acqua ghiacciata e attese con bramosia, nel suo stato privo d'aiuto, il primo rag­ gio di luce della giornata. Sbattuto e malato si fece caricare sul carro a rastrelliera e arrivò alla fine sfinito e senza forze a Vienna. Soltanto al terzo giorno sono stato chiamato.

Terzo : È deplorevole che questo rifiuto della carrozza sia l'unico esempio di «incredibile mancanza di riguardo» di J ohann menzionata da Schind­ ler . Ci manca in questo modo il parametro per valutare le espressioni di Beethoven nel suo stato di malattia ed eccitazione. È però ovvio che in una famiglia formata da elementi così eterogenei , co­ me quella a « Wasserhof» , soltanto il massimo riguardo reciproco poteva mantenere la pace. Sino a novembre, tuttavia, Beethoven sembra essere soddisfatto ed essere addirittura contento ; questo si deduce dalle sue lettere. Alla fine però si arrivò alla rottura tra lui e sua cognata. Ascoltiamo in merito le comunicazioni di Michael Kren nella forma in cui esse ci vengo­ no riportate dal saggio : Beethoven a Gneixendorf. Questi ricordi iniziano con alcuni interessanti appunti sulle abitudini del maestro e sulle sue stranezze; vi si legge infatti tra l'altro : Nei primi tempi la cuoca doveva fare ogni giorno il letto di Beethoven. Quest' ultimo sedeva, una volta, al suo tavolo, si agitava con le mani , batteva il tempo con i piedi e cantava o brontolava. La cuoca si mise a ridere; quando Beethoven si accorse casualmente, guardandosi attorno, che lei rideva in quel modo la cacciò subito fuori dalla stanza. Michael voleva andarsene via con lei, Beethoven però lo richiamò, gli regalò tre ventini e

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gli disse che non doveva avere paura e che doveva ora fargli ogni giorno il letto e mettere a posto la stanza. Michael doveva venire su sempre di buon'ora ma il più delle volte doveva battere a lungo prima che Beethoven gli aprisse. Quest'ultimo soleva alzarsi alle 5 e mezza, sedeva al suo tavolo, batteva il tempo con le mani ed i piedi e scriveva cantando e borbottan­ do. Le prime volte Michael sgattaiolava fuori dalla porta quando gli veniva da ridere, poi via via si abituò. Alle 7 mezza c'era la colazione in comune, dopo la quale Beethoven si affrettava subito ad andare all'aria aperta, faceva dei giri per i campi, gridava, agitava le mani, talora cammina­ va molto lentamente, poi di nuovo accelerava o si fermava improvvisamente e scriveva in una specie di quaderno tascabile. Ad un tratto si accorse, ritornato a casa, di averlo perso . «Michael, disse, corri e cerca i miei scritti, io devo riaverli ad ogni costo» . Ed essi furono in effetti trovati . Alle 1 1 e mezza era solito venire a casa per il pasto, dopo tavola andava nella sua stanza circa fino alle tre, poi andava di nuovo in giro per i campi sino al tramonto del sole e dopo non era solito mai uscire. Alle 7 e mezza c'era la cena e poi si ritirava nella sua stanza, scriveva sino alle 10 e si metteva poi a letto; talvolta Beethoven suonava anche il pianoforte, che però non era nella sua stan­ za ma nella sala. Il soggiorno e stanza da letto di Beethoven, che eccetto Michael ed il nipote non era accessi­ bile a nessuno, era la stanza ad angolo che dava sul giardino e sul cortile. Mentre Beethoven la mattina andava a passeggiare, Michael doveva mettere a posto la stan­ za. Qui trovò più volte del denaro per terra; quando glielo consegnò, Beethoven gli chiese dove lo avesse trovato. Michael a questo punto doveva mostrare il posto dove lo aveva tro­ vato prima che gli venisse regalato. Questo avvennne tre, quattro volte (evidentemente per controllare l'onestà di Michael), poi però non trovò più soldi.

E adesso per quanto riguarda il diverbio con la donna: Un giorno la moglie del proprietario della tenuta mandò il Michael con 5 fiorini da Stein, a comprare vino e un pesce (la pietanza preferita da Beethoven). Michael era un distratto, perse i soldi e dopo le dodici ritornò tutto avvilito. La proprietaria della tenuta gli chiese quindi subito dove fosse il pesce e lo cacciò via quando egli le dichiarò di aver perso il denaro. Beethoven chiese, quando venne a tavola, del suo Michael; la padrona gli raccontò l'inci­ dente. Allora Beethoven andò terribilmente in collera, posò i 5 fiorini sul tavolo e insistette pieno di rabbia che Michael ritornasse immediatamente. Da quel momento non andò più a tavola ma si fece portare il pasto nella sua stanza, dove Michael doveva preparargli anche la colazione. Secondo l'asserzione di quest' ultimo, Bee­ thoven anche dopo questa sfuriata con sua cognata non parlò quasi mai con lei e solo po­ chissimo anche con suo fratello, cosa che del resto era anche naturalissima, dato lo stato del suo udito e in campagna, dove c'erano così pochi argomenti di conversazione. A questo punto, la sera, Michael doveva stare sempre seduto vicino a Beethov.en e scrivergli le risposte alle domande. Per lo più veniva interrogato su cosa si era detto di lui a pranzo e a cena.

Sin qui il racconto di Kren . La donna, come già sappiamo, non era un angelo e nemmeno un Giobbe femminile. La casa non era organizzata per un soggiorno invernale; la stagione si fece fredda e umida e si poteva uscire poco ; non si parlava più di compagnie e di rapporti personali, lei aveva desiderio delle comodità della sua abita299

zione viennese, dei divertimenti della capitale, perse la pazienza, tornò a Vienna e lasciò i tre uomini con la servitù al loro destino . Che le particolarità e le stranezze di Beethoven , a questo punto, non fos­ sero risparmiate, si può facilmente immaginare . Anche se non vogliamo giustificare questo passo della proprietaria, rite­ niamo tuttavia che nessuna donna di casa, che voglia essere qualcosa di più della prima donna di servizio, se ne stupirebbe troppo . La supposizione che questa partenza della donna con le sue logiche conse­ guenze sia l'unica base delle lamentele di Beethoven sulle mancanze di ri­ guardo subite a Gneixendorf, è assai ovvia. Il rancore di Beethoven al riguardo e per qualcos'altro sinora non ancora chiarito tra lui e Johann, potè assumere nella singolare memoria di Schind­ ler - nel corso di alcuni anni - facilmente le proporzioni più esagerate. Consentitemi ancora alcune parole su un quarto punto . Quando Schindler trent'anni dopo la morte di Beethoven rielaborò il suo libro, la sua prodigiosa memoria tirò fuori un nuovo quanto incredibile motivo di questo improvviso ritorno a Vienna: una eccessiva intimità tra il diciannovenne Karl e sua zia quarantenne! Se Beethoven , la cui diffi­ denza nei confronti di tutto e di tutti era diventata ormai una malattia mo­ rale, avesse veramente avuto un tale sospetto e lo avesse esternato a Schind­ ler, questa affermazione resta comunque un'assurdità arcicomica, dato che Beethoven fece portare suo nipote - nonostante ogni preghiera e implo­ razione di poter rimanere ancora 8 giorni a «Wasserhof» - in tutta fretta da un luogo dove la donna non c'era, a Vienna dove invece c'era . Ed ora concludiamo ! È stato affermato da competenti osservatori che il nobile presidente Lin­ coln non avrebbe potuto sopportare la grande responsabilità che gravava su di lui se gli fosse mancato il gusto per quelle battute e per quegli scherzi innocenti , che davano al suo spirito il necessario sollievo . La grande cala­ mità di Beethoven , la sua sordità, era invece solo di natura personale e il suo fine, come egli stesso spesso ammise, era soltanto la perfezione del­ la sua arte . Il grande reggitore del destino di una nazione e il sublime perfezionatore della musica strumentale tuttavia hanno in comune il citato tratto caratte­ riale, la tendenza agli scherzi e alle battute di spirito . Permettetemi di riportare un paio di righe da uno scritto da me pubblica­ to in passato: Se prescindiamo dalle sue ore di profondissima depressione Beethoven era ben lontano dal­ l'essere il personaggio melanconico e cupo che viene generalmente considerato.

Al contrario egli si rivela (soprattutto nelle sue lettere) - così come lo era anche per natura - un uomo di temperamento allegro e vivace, amante 300

degli scherzi , ostinato anche se non sempre felice ricercatore di giochi di parole, un grande amico dell' umorismo e dello spirito . Egli poteva essere riconoscente alla sua sorte di essere così, perché solo così acquistò quella elasticità dello spirito che lo preservò dalle conseguenze di un solitario ri­ muginare sulla propria grande sventura, solo così riuscì a elevarsi al di so­ pra del proprio destino, a concentrare le sue grandi capacità sui compiti che si era posto e ad affrontare con coraggio e speranza la terribile sorte; una sorte che limitava le sue ben fondate speranze e i suoi ambiziosi pro­ grammi; potè così spingersi sull'unica strada della fama e dell'onore, quella della composizione. Proprio questo lato del suo carattere è stato, se non ignorato, tuttavia quasi completamente trascurato dai novellisti e biografi di Beethoven. Nei pe­ riodi più tristi della sua vita troviamo accenni del suo costante umorismo . Lasciate che vi riferisca alcuni autentici esempi dei suoi ultimi anni . Nel negozio di articoli musicali Artaria lesse in un giornale che Mosel il mutilatore di diversi Oratori haendeliani - era stato fatto nobile per i suoi meriti musicali . « La Mosella scorre torbida nel Reno» , disse Beethoven ridendo . Ascoltando o leggendo un' Ouverture weberiana disse: « Hm, è proprio tessuta» . Una volta si intratteneva con il padre di Cari Czerny, che era duro d' orec­ chio . Entrambi indicavano la finestra e parlavano di cose completamente diverse. Finalmente Beethoven se ne accorse, prese il suo cappello e allon­ tanandosi disse ridendo : «Ha ha, due sordi si vogliono raccontare qualco­ sa! » Lo si sentiva ridere ancora sulle scale. Nel marzo 1 820 qualcuno gli aveva raccontato di E .T . A . Hoffmann, l'au­ tore dei Phantasie-Stucke. Allora prese a scrivere il nome nel quaderno di conversazione con i segni consueti per le sillabe lunghe o brevi : «Hof­ mann, tu non sei un cortigiano» e così nacque il testo del Canon: «Hof­ mann non è un cortigiano . No , mi chiamo Hoffmann e non sono un cor­ tigiano» . Nella primavera 1 824 Schuppanzigh, i l direttore dell' allora famoso quar­ tetto, presentò nel seguente modo al compositore il suo nuovo secunda­ rius nel quartetto : «Questo è un mio allievo legnoso - si chiama Holz». Questi era Cari Holz, che ben presto divenne amico intimo di Beethoven al posto di Schindler e con il suo nome diede spesso al maestro occasione per molti giochi di parole . Una lettera a lui inizia: «Truciolo del legno di Cristo»; e una seconda: «Ottimo truciolo, ottimo legno di Cristo » . Josef Ries era a d una prova d i u n o degli ultimi Quartetti e m i raccontò: Beethoven - sebbene non potesse udire alcuna nota - nel Finale fece un movimento come a significare che qualcosa non andava molto bene. Alla domanda di Schuppanzigh su cosa

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mancasse, Beethoven indicò un punto, dove Holz aveva usato un colpo d'arco non giusto, e disse: Si dovrebbe mettere Holz sotto la sedia e accendere, affinché Holz prenda fuoco» .

Quando il professar Seifert operò il povero idropico - fu circa tre setti­ mane dopo il ritorno da Gneixsendorf - e Beethoven vedeva uscire l'ac­ qua limpida a spruzzi attraverso la sonda, disse al dottore: «Professore, Lei mi sembra Mosè che batte sulla roccia con il suo bastone» . Morì d i lunedì, il 26 marzo . Il venerdì prima nominò con un paio d i righe suo nipote erede universale e subito dopo disse a Breuning e Schindler: «Plaudite amici, comoedia finita est». Questo , per quanto ne so, fu il suo ultimo scherzo . * * *

Per me sarebbe stato un compito molto meno difficile, se avessi scelto per questa conferenza un argomento sulla vita di Beethoven in cui avesse tro­ vato posto principalmente il divertente e l'ameno . Siamo già nella secon­ da metà del secolo e da quando il grande compositore esalò l 'ultimo respi­ ro tra tuoni e fulmini, continuano a circolare ancora come verità innume­ revoli errori in relazione alla sua vita. Questo non è affatto un rimprovero verso i molti eccellenti scrittori di co­ se musicali in Germania ed in Austria: infatti quando si viene a sapere che un autore di fama sta per scrivere e consegnare al pubblico un'opera di una certa importanza su un certo argomento, naturalmente gli altri autori - direi honoris causa - si ritirano . La concorrenza in queste cose è fuori luogo. Così fu 25 anni fa, quando si seppe che Otto J ahn con lodevole diligenza e grande perseveranza stava raccogliendo materiale per una biografia su Beethoven, tanto più che poco dopo - come antecipazione del lavoro pre­ visto su Beethoven - uscì La vita di Mozart e questo lavoro trovò ovun­ que glorioso riconoscimento, come capolavoro biografico . Purtroppo, la morte distolse troppo presto l'ottimo biografo dalla sua ope­ ra, e le nostre speranze in una trattazione della vita di Beethoven del gene­ re di quella appena citata su Mozart sono rimaste sino ad oggi disattese. Sino a quando non potremo rallegrarci di un' opera completa e autentica di quel genere, mi si perdoni l 'essermi fatto carico di affrontare gli errori profondamente radicati e assai diffusi sulla vita del nostro più grande com­ positore e di puntualizzare il giusto , nella misura in cui me lo consentono le mie conoscenze e le mie forze. Già in precedenza mi sono adoperato in questo senso, e così anche nelle due serate in cui mi è stato concesso di presentarmi a Voi, spettabili pre­ senti, mi sono messo al servizio di questo compito . 302

n programma: le musiche e gli interpreti

Martedì 15 aprile

ore 20 . 30

Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione di Lubiana direttore Anton Nanut pianista Dubravka Tomsic

Ludwig van Beethoven

«Coriolan» , ouverture op . 62 I Concerto per pianoforte e orchestra, in Do maggiore op. 15 l . Allegro con brio 2. Largo 3 . Rondo : Allegro scherzando III Concerto per pianoforte e orchestra, in Do minore op. 37 l . Allegro con brio 2. Largo 3. Rondo : Allegro

L 'Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione di Lubiana è stata fondata nel 1 95 5 . Ha suonato nelle più prestigiose sale concertistiche dell'Austria, Germania, Italia, Svizzera, Cecoslovacchia e Stati Uniti . Molti famosi direttori si sono succeduti sul podio, da Bour a Steinberg, da Lehel a Hubad a Turckwell e Kleiber. Il suo direttore stabile è attualmente Anton Nanut. L'orchestra vanta circa 50 incisioni discografiche.

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Anton Nanut (Kana, 1 932), dopo gli studi di direzione d'orchestra presso l'Accademia Musicale di Lubiana, ha iniziato la sua carriera come direttore dell'orchestra di Dubrovnik. Nel 1 975 è stato nominato direttore dell'Orchestra Filarmonica Slovena. Ha diretto nei maggiori centri musicali europei (Londra, Bruxelles, Budapest, Varsavia, Dresda, Leningrado, Vienna, Milano, Londra) e nel 1 977, 1 980, 1 983 e 1 985 ha diretto l'Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione di Lubiana in una serie di tournées negli Stati Uniti .

Dubravka Tomsic (Dubrovnik, 1 940) ha cominciato i suoi studi di pianoforte all'Accademia di Musica di Ljubljana e li ha continuati alla Juilliard School di New York , dove si è diplomata. Dopo il suo récital al Carnegie Hall di New York, ha studiato con il pianista Arthur Rubinstein che disse di lei: «Il suo talento e la sua personalità sono grandi . Che agilità, che tocco meraviglioso ! È una pianista meravigliosa e perfetta». Ha partecipato a festival importanti e ha vinto premi prestigiosi in corsi internazionali: nel 1 967 il Mozart Festival di Bruxelles, nel 1 970 il Premio Zupancié, nel 1 974 ha vinto la Lira d'Oro (massimo riconoscimento conferito dalla Società dei musicisti Jugoslavi). Ha suonato con le principali orchestre europee e ha dato concerti in tutta Europa, Australia, Canada, Africa Orientale, Stati Uniti e Asia.

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Venerdì 18 aprile

ore

20. 30

Trio C ajkovskij Pavel Vernikov , violino Anatole Liebermann, violoncello Costantin Bogino , pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Sol maggiore op. 96 , per violino e pianoforte l . Allegro moderato

2. Adagio espressivo 3. Scherzo 4. Poco Allegretto Sonata in Sol minore o p . 5 . 2 , per violoncello e pianoforte l . Adagio sostenuto ed espressivo

2. Allegro molto - Più tosto presto 3. Rondo : Allegro Trio in Mi bemolle maggiore op. 1 . 1 l . Allegro

2. Adagio cantabile 3. Scherzo: Allegro assai 4. Finale: Presto

Il Trio Caikovskij ha elaborato «uno stile unico nell'interpretazione della musica da camera», in ogni concerto si scopre «una lettura profonda dell'opera e una grande personalità in ciascuno» dei tre giovani musicisti . Così ha scritto Rostropovich di questi musicisti formatisi nel Conservatorio di Mosca e costituitisi in Trio nel 1976. Hanno interrotto la carriera dal 1 978 al 1 98 1 . Dopo aver abbandonato l'Unione Sovietica si sono ricostituiti in ensemble ed hanno iniziato una prestigiosa attività concertistica che li ha portati nelle sale più prestigiose di tutto il mondo . Pavel Vernikov è anche primo violino de « l virtuosi d i Roma».

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Martedì 22 aprile

ore 20 . 30

Michael Schopper baritono Benedikt Koehlen pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sechs Lieder nach Gedichten von Christian Fiirchtegott Gellert op. 48 l . Bitten 2. Die Liebe des Nachsten 3. Vom Tode 4 . Die Ehre Gottes aus der Natur 5. Gottes Macht un d Vorsehung 6. Busslied Drei Lieder nach Gedichten von J oh an n W olfgang von Goethe l . Mailied op. 5 2 . 4 2 . Neue Liebe, neues Leben op. 75 . 2 3 . A u s Faust op . 7 5 . 3 An die ferne Geliebte op. 98 (testi di Alois I sidor J eitteles) l . Auf dem Hugel 2 . Wo die Berge so blau 3. Leiehte Segler 4. Diese Wolken in den Hohen 5 . Es kehret der Maie n 6. Nimm sie hin denn Drei Gesange nach Goethe op. 83 l . Wonne der Wehmut 2. Sehnsucht 3 . Mit einem gemalten Band

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Tre Lieder italiani l . In questa tomba oscura WoO 1 3 3 (testo d i Giuseppe Carpani) 2. L ' amante impatiente op. 82 . 3 (testo d i Pietro Metastasio) 3 . La partenza WoO 1 24 (testo di Pietro Metastasio) Ausgewahlte Lieder nach Gedichten von Friedrich von Matthisson l . Andenken W o O 1 36 2. Adelaide op. 46

Michael Schopper è nato a Passau ( 1 942) . All'inizio della carriera ha vinto numerosi premi internazionali: ARD di Monaco, «Felix Motti», «Gesangswettbewerb Berlin», «Klinstlerischer Staatspreis Bayern». Ha cantato in Liederabende, Oratori e sulle scene liriche dei maggiori centri musicali d'Europa e d'America, collaborando con la Philharmonic Orchestra, con «Musica Poetica», «Musica Antiqua Koln», «Schola Cantorum Basiliensis»; con Nicolaus Harnoncourt, Gustav Leonhardt, Karl Richter, Giorgy Lehel, Leopold Hager, Helmut Rilling, Stanislav Rowicki, ecc. In Italia ha cantato Mozart e parti in opere barocche a Siena e al Teatro La Fenice. Ha inciso per la Deutsche Grammophon, Teldec, Harmonia Mundi, Emi, ecc.

Benedikt Koelen è nato nel 1 944. Ha debuttato a 14 anni con il Concerto per pianoforte di Grieg. È stato premiato nel 1 966 al Van Cliburn, all'ARD di Monaco, al «Busoni». Ha tenuto concerti in tutto il mondo. Dal 1970 insegna pianoforte e collaborazione liederistica al Conservatorio « Richard Strauss» di Monaco.

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Martedì 29 aprile

ore 20. 30

Michel Dalberto pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Fa maggiore op. 10.2 l . Allegro 2. Allegretto 3 . Presto Sonata in Re maggiore op. 10.3 l . Presto 2. Largo e mesto 3 . Menuetto: Allegro 3 . Rondo : Allegro Sonata in Fa minore op. 2 . 1 l . Allegro 2. Adagio 3 . Menuetto: Allegretto

4. Prestissimo Sonata in La maggiore op. 2.2 l . Allegro vivace 2. Largo appassionato 3 . Scherzo: Allegretto

4. Rondo: Grazioso Miche! Dalberto (Parigi, 1 955) ha studiato al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi con Parlemuter e Trouard. Nel 1 975 ha vinto il primo Concorso Mozart di Salisburgo e il Primo Premio Clara Haskil . Nel 1 978 ha vinto il Primo Premio al Concorso Internazionale di Leeds (Inghilterra). Ha partecipato ai Festival Internazionali di Edimburgo, Leeds Aldeburgh, Boston ecc . Ha suonato come solista con celebri orchestre quali la Concertgebouw di Amsterdam, la Philarmonia di Londra, la Orpheus di New York , la Orchestre de Paris ecc. Suona in duo con Nikita Magaloff, in duo o trio con Amoyal e Dumay, Szeryng, Lodéon. Incide per la casa discografica Erato.

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Venerdì 2 maggio

ore 20 . 30

Bruno Canino Antonio Ballista pianoforte Ensemble Kreisleriana Antonio Ballista, pianoforte Ornar Zoboli, oboe Sergio Delmastro , clarinetto Guido Corti, corno Leonardo Dosso , fagotto

Ludwig van Beethoven

Variazioni in Do maggiore sopra un tema del conte Waldstein Tema - Variazioni I - V I I I Tre Marce o p . 45 l . in Do maggiore 2. in Mi bemolle maggiore 3 . in Re maggiore Grande Fuga in Si bemolle maggiore op. 134 (trascrizione della Fuga per quartetto d ' archi op . 1 3 3) Quintetto in Mi bemolle maggiore op. 1 6 l . Grave - Allegro , ma n o n troppo 2. Andante cantabile 3 . Rondo : Allegro ma non troppo

«Musica! . . . Io ti nomino con un brivido misterioso, anzi con terrore! Tu che sei il sanscrito della natura espresso in suoni ! Il profano ti balbetta con suoni infantili . . . lo scimmione sacrilego e strimpellatore muore sotto il proprio ridicolo ! » (Da «Kreisleriana» d i E .T . A . Hoffmann)

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Bruno Canino (Napoli, 1 936), ha studiato pianoforte con Vitale e Calace, e composizione con Maggioni e Bettinelli, diplomandosi al Conservatorio di Milano . È stato premiato ai concorsi pianistici di Bolzano ( 1 956- 1 958) e Darmstadt ( 1 960) . Pianista fra i più attivi e famosi, suona in tutto il mondo, sia come solista, sia in formazioni cameristiche. Ha collaborato con Cathy Berberian, è in duo con Severino Gazzelloni, Salvatore Accardo, Itzhak Perlman, Antonio Ballista. Fa parte del Trio di Milano e di altri complessi, anche nella veste di clavicembalista. Il suo repertorio, vastissimo (spazia dal barocco alla musica contemporanea). Incide per la Philips e Ricordi .

Antonio Ballista (Milano, 1 936) . Lavora abitualmente con Bruno Canino, con Alide Maria Salvetta e con l 'Ensemble Kreisleriana. Ha suonato nei maggiori centri europei e negli Stati Uniti ed ha partecipato a Festivals come Edimburgo, Zagabria, Venezia, Bath, Bordeaux, Varsavia, Strasburgo, ecc. Ha presentato molte composizioni in prima esecuzione assoluta, fra le quali opere di Berio, Bussotti, Castaldi, Castigliani, Clementi, Donatoni, Sciarrino, Togni. Con la registrazione del Concerto per due pianoforti e orchestra di Berio per la RCA ha ottenuto nel 1 977, con Bruno Canino, The Grammophone Critic A ward per il miglior disco dell'anno di musica contemporanea.

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Martedì 6 maggio

ore

20.30

Alexander Lonquich pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Sol maggiore op. 3 1 . 1 l . Allegro vivace

2. Adagio grazioso 3. Ronda : Allegretto Sonata in Fa diesis maggiore op. 78 l . Adagio cantabile · Allegro , ma non troppo

2. Allegro vivace Sonata in Si bemolle maggiore op. 106 «Hammerklavier» l . Allegro

2. Scherzo: Assai vivace - Presto 3. Adagio sostenuto: Appassionato e con molto sentimento

4. Largo - Allegro risoluto

Alexander Lonquich (Treviri, 1 960) ha studiato all'Accademia di Musica di Colonia con A. Schmidt-Neuhaus, alla Volkswangschule di Essen con Pau! Badura Skoda e a Stoccarda con Andrej Jasinski. A quattordici anni ha vinto il Premio Karlrobert Kreiten dell'Accademia di Colonia e a sedici anni si è rivelato in Italia vincendo il Concorso Internazionale di Pianoforte Antonio Casagrande di Terni nell'edizione dedicata a Schubert . Questo premio ha attirato su di lui l'attenzione della critica più qualificata, nonché quello delle più prestigiose Società dei Concerti delle quali è regolarmente ospite. Pur giovanissimo, il suo repertorio è molto vasto e spazia dalla musica solistica a quella da camera; suona in duo pianistico con Nikita Magaloff e Pau! Badura Skoda.

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Venerdì 9 maggio

ore 20 . 3 0

Jean Bernard Pommier pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Sol minore op. 49 . 1 l . Andante 2. Ronda : Allegro Sonata in Mi maggiore op. 1 4 . 1 l . Allegro 2. Allegretto 3. Ronda : Allegro comodo Sonata in Sol maggiore op. 14.2 l . Allegro 2. Andante 3. Scherzo : Allegro assai Sonata in Si bemolle maggiore op . 22 l . Allegro con brio 2. Adagio con molt' espressione 3. Menuetto

4. Ronda : Allegretto Sonata in Do maggiore op. 53 «Waldstein» (L'Aurora) l . Allegro con brio 2. Introduzione: Adagio molto 3 . Ronda: Allegretto moderato Prestissimo

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Jean-Bernard Pommier, nato a Béziers, ha iniziato gli studi musicali e di pianoforte all'età di quattro anni con Mina Kosloff, poi al Conservatorio di Parigi con Yves Nat e Pierre Sancan; in seguito con Eugene Istomin. A 17 anni gli è stato assegnato il Diploma d' onore al Concorso C iaikovskij di Mosca, quale concorrente più giovane in finale. Da allora ha suonato nei più famosi teatri, con le più importanti orchestre ed è stato invitato ai festivals di Salisburgo, Berlino, Edimburgo, Gerusalemme, Chicago, ecc . Si è anche dedicato intensamente alla direzione d'orchestra, che ha studiato durante gli anni di Conservatorio con Eugène Bigot, dirigendo numerose orchestre da camera quali l'English Chamber Orchestra, la Scottish Chamber Orchestra, la Northern Sinfonia of England, l'Israel Chamber Orchestra e la Saint-Paul Chamber Orchestra e numerose orchestre sinfoniche europee. Jeffrey Swann (Williams, Arizona, 1 95 1 ) h a vinto nel 1 975 i l Primo Premio al Concorso Dino Ciani di Milano, il Secondo Premio e la Medaglia d'oro al Concorso Internazionale Queen Elisabeth di Bruxelles . Precedentemente aveva ottenuto il massimo riconoscimento al Concorso Chopin di Varsavia, al Van Cliburn, al Viana da Motta e al Concorso di Montreal . Più volte invitato al Festival di Berlino, suona regolarmente nei centri musicali più prestigiosi: Colonia, Amsterdam, Bruxelles, Parigi . Ha partecipato alla famosa serie parigina de «4 Etoiles-Grandes Interpretes». Recentemente ha collaborato con la Philarmonia di Londra e il Concertgebouw di Amsterdam. Jeffrey Swann incide per la Deutsche Grammophon, RCA, Ricordi, Fonit Cetra e Ars Polona.

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Martedì 13 maggio

ore

20.30

Jeffrey Swann pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Fa maggiore op. 54 l . In tempo d ' un Menuetto

2. Allegretto Sonata in Sol maggiore op. 79 l . Presto alla tedesca

2. Andante 3. Vivace Sonata in Mi minore op. 90 l . Mit Lebhaftigkeit und durchaus mit Empfindung und Ausdruck

2. Nicht zu geschwind und sehr singbar vorzutragen Sonata in Mi maggiore op. 109 l . Vivace, ma non troppo Adagio espressivo

2. Prestissimo 3. Gesangvoll mi t innigster Empfindung: Andante molto cantabile ed espressivo Sonata in Do minore op. 1 1 1 l . Maestoso - Allegro con brio ed appassionato

2. Arietta: Adagio molto semplice e cantabile

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Venerdì 16 maggio

ore 20. 30

Gerhard Oppitz pianoforte

Ludwig van Beethoven

Variazioni in Si bemolle maggiore WoO 73 sul tema «La stessa, la stessissima» dall' Opera «Falstaff» di Antonio Salieri Tema - Variazioni I - X Variazioni in Do maggiore WoO 68 sul «Menuett à la Viganò» dal Balletto «Le nozze disturbate» di Jakob Haibel Tema - Variazioni I - X I I Variazioni i n R e maggiore W o O 65 su li ' Arietta «Venni amore» di Vincenzo Righini Tema - Variazioni I - XXIV Variazioni in Do maggiore op . 120 su un Walzer di Antonio Diabelli Tema - Variazioni I - XXX I I I

Gerhard Oppitz, nato nel 1 953 a Frauenau, nella foresta bavarese, diede il suo primo concerto pubblico a undici anni . Nel 1 973 ha preso parte al Corso di Interpretazione Beethoveniana tenuto da Wilhelm Kempff e ha preso parte a diversi concorsi internazionali, vincendo nel 1 976 il primo Premio al Concorso Rubinstein di Tel Aviv. Da allora suona regolarmente nei più importanti centri musicali europei, in America e in Giappone. È molto spesso invitato dal festival di Salisburgo, dalle Wiener Festwochen, Berliner Festwochen e dal Beethovenfest di Bonn. Come solista ha suonato con le più importanti orchestre del mondo.

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Domenica 18 maggio

ore 20 . 30

Bruno Leonardo Gelber pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Do maggiore op. 2.3 l . Allegro con brio 2 . Adagio 3. Scherzo: Allegro 4. Allegro assai Sonata in Do minore op. 13 «Pathétique» l . Grave - Allegro di molto e con brio 2. Adagio cantabile

3. Rondo: Allegro Sonata in Do minore op. 1 0 . 1 l . Allegro molto e c o n brio 2. Adagio molto 3. Finale: Prestissimo Sonata in Mi bemolle maggiore, op. 3 1 .3 l . Allegro 2. Scherzo: Allegretto vivace 3 . Menuetto: Moderato e grazioso 4. Presto con fuoco

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Nato in Argentina da genitori entrambi musicisti, Bruno Leonardo Gelber è considerato unanimemente come uno dei più grandi pianisti attuali. Bruno Leonardo Gelber ha dato più di 2500 concerti e recitals in almeno 40 paesi . Padrini dei suoi primi concerti sono stati: in Svizzera Ernest Ansermet e Rudolf Kempe, in Germania Ferdinand Leitner, in Austria Josef Krips, negli Stati Uniti Georges Szell. Partecipa regolarmente ai Festivals più rinomati, come quello di Salisburgo, Lucerna, Zurigo, Granada, Aix-en­ Provence. È invitato dalle maggiori orchestre come la London Symphony Orchestra, la London Philharmonic Orchestra, l'Orchestra Filarmonica di Berlino, di Vienna, di Chicago, di Cleveland, la NHK di Tokio, la Philadelphia Orchestra. Ha suonato sotto la direzione di direttori d'orchestra quali Lorin Maazel, Seiji Ozawa, Edoardo Mata, Antal Dorati, Erich Leinsdorf, Rafael Friihbeck de Burgos, Pierre Boulez, Bernard Haitink , Alain Lombard, Kyril Kondrascin, ecc . François Joel Thiollier (Parigi, 1 943), ha dato il suo primo concerto all'età di cinque anni. Ha iniziato gli studi musicali al Conservatorio di Parigi sotto la guida di Robert Casadesus, perfezionandosi in seguito alla Juilliard School di New York . In seguito ha partecipato a numerosi Concorsi Pianistici internazionali vincendo otto Primi Premi, tra cui il Reine Elisabeth de Belgique e il Cajkovskij a Mosca. Il suo vasto repertorio, la sua cultura musicale e la grande padronanza della tastiera gli hanno garantito un successo a livello internazionale. Thiollier suona in tutti i paesi del mondo con le maggiori orchestre e i più celebri direttori. Recentissimo il suo debutto in Giappone, dove ha dato il primo récital alla Symphony Hall di Osaka. Per la RCA ha inciso le Sonate di Beethoven, i Grandi Valzer romantici e l 'integrale dell'opera pianistica di S. Rachmaninov.

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Martedì 20 maggio

ore 20. 30

François J oel Thiollier pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in Sol maggiore op. 49 .2 l . Allegro, ma non troppo 2 . Tempo di Menuetto Variazioni sopra u n tema originale, in do minore WoO 80 Tema - Variazioni I - XXX I I Sonata in Re maggiore op. 28 «Pastorale» l . Allegro 2 . Andante 3. Scherzo : Allegro vivace

4. Rondo: Allegro, ma non troppo Sonata in Re minore op. 3 1 .2 «La tempesta» l . Largo - Allegro 2. Adagio 3. Allegretto Sonata in La maggiore op. 101 l . Etwas lebhaft und mit der innigsten Empfindung: Allegretto, ma non troppo 2. Lebhaft, marschmassig: Vivace alla Marcia 3. Langsam und sehnsuchtsvol l : Adagio, ma non troppo , con affetto -

4. Geschwinde, doch nicht zu sehr und mit Entschlossenheit: Allegro

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Venerdì 23 maggio

ore

20.30

Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione di Lubiana direttore Anton Nanut pianista François Joel Thiollier

Ludwig van Beethoven

«Fidelio», ouverture op. 72c Concerto in Re maggiore per violino e orchestra op. 61 (trascrizione per pianoforte di L. van Beethoven) l . Allegro ma non troppo

2. Larghetto - Cadenza 3. Rondo : Allegro IV Concerto per pianoforte e orchestra, in Sol maggiore op. 58 l . Allegro moderato

2. Andante con moto 3. Rondo : Vivace

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Martedi 27 maggio

ore

20 .30

Tamàs Vàsàry pianoforte

Ludwig van Beethoven

Sonata in La bemolle maggiore op. 26 l . Andante con Variazioni

2. Scherzo : Allegro molto 3. Marcia funebre 4. Allegro Sonata in Mi bemolle maggiore op. 27 . 1 «Quasi una fantasia» l . Andante - Allegro -

2. Allegro molto e vivace 3. Adagio con espressione 4. Allegro vivace Sonata in Do diesis minore op. 27.2 «Al chiaro di luna» l . Adagio sostenuto -

2. Allegretto 3. Presto agitato Sonata in Mi bemolle maggiore op. 81a «Les Adieux» l . Das Lebewohl : Adagio - Allegro

2. Abwesenheit: Andante espressivo 3. Das Wiedersehen: vivacissimamente Sonata in Fa minore op. 57 «Appassionata» l . Allegro assai

2. Andante con moto 3 . Allegro , ma non troppo - Presto

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Venerdì 30 maggio

ore 20 . 30

Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione di Lubiana direttore e solista Tamàs Vàsàry

Ludwig van Beethoven

«Egmont» , ouverture op. 84 V Concerto per pianoforte e orchestra, in Mi bemolle maggiore op. 73 « Carlo de Incontrera Beethoven e Trieste

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A lexander Wheelock Thayer

1827

Conferenza tenuta allo Schiller-Verein di Trieste nel n programma: le musiche e gli interpreti .

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23 1 273 305

Cassa di Risparmio di Trieste : una preziosa presenza non solo per l'importante funzione economica e per i costanti interventi i n campo sociale ma anche p e r la viva partecipazione agli eventi culturali della re gione.

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CASSA DI RISPARM IO DI TRI ESTE