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Italian Pages 86 [96] Year 1971
ZEITSCHRIFT FÜR
ÄGYPTISCHE SPRACHE UND
ALTERTUMSKUNDE HERAUSGEGEBEN
VON
F R I T Z H I N T Z E UND S I E G F R I E D
MOEENZ
96. BAND ZWEITES HEFT
1970 AKADEMIE-VERLAG - BERLIN IN A R B E I T S G E M E I N S C H A F T
M I T J. C. H I N R I C H S
VERLAG-
LEIPZIG
ZEITSCHRIFT FÜR
ÄGYPTISCHE SPRACHE UND
ALTERTUMSKUNDE HERAUSGEGEBEN
VON
F R I T Z H I N T Z E UND S I E G F R I E D
MORENZt
96. BAND Mit 9 Tafeln und 46 Abbildungen im Text
1970 AKADEMIE-VERLAG • BERLIN IN
ARBEITSGEMEINSCHAFT
M I T J. C. H I N R I C H S
VERLAG - LEIPZIG
Herausgeber und verantwortlich für den Inhalt: Prof. Dr. F. Hintze, Institut für Orientforschung, 108 Berlin, Unter den Linden 8, Fernsprecher: 20 13 53, und Prof. D. Dr. S. Morenzf, Ägyptologisches Institut-der Karl-Marx-tlniversität, 701 Leipzig, Schillerstr. 6. Verlag: Akademie-Verlag GmbH, 108 Berlin, Leipziger Str. 3—4, Fernsprecher: 22 04 41 (in Gemeinschaft mit dem J . C. Hinrichs Verlag, Leipzig). Postscheckkonto: Berlin 35021Ä Bestellnummer dieses H e f t e s : 1028/96/2. Die Zeitschrift für Ägyptische Sprache und Altertumskunde erscheint zwanglos in Bänden zu je 2 Heften. Bezugspreis je Band: MDN 64,—M. Satz und Druck: IV/2/14 VEB Werkdruck, 445 Gräfenhainichen. Veröffentlicht unter der Lizenz-Nummer 1296 des Presseamtes beim Vorsitzenden des ' 1 Ministerrates der Deutschen Demokratischen Republik.
INHALT
M o r e n z , Siegfriedf
V
B o t t i , Giuseppef
VI-VIII
B e c h e r , I . : Der Isiskult in Rom - ein Kult der Halbwelt?
81— 90
C a s t i g l i o n e , L . : Diocletianus und die Blemmyes
90—103
C l è r e , J . J . : Propos sur un corpus des statues sistroph,ores égyptiennes
1—4
E d e l , E . : Beiträge zum ägyptischen Lexikon V
4—14
F o d o r , S.: The Origins of the Arabic Sûrîd Legend
103-109
K â k o s y , L . : Beiträge zum Totenkult der heiligen Tiere
109—115
K i t c h e n , K . A., und G a b a l l a , G. A.: Rammeside Varia I I
14— 28.
K o z i i i s k i , W. B . : The Investment Process of the Cheops Pyramid (Some Problems) 115-124 L i p i i i s k a , J . : Inscriptions of Amenemone from the Temple of Tuthmosis I I I at Deir el-Bahari
2 8 - 30
P o s e n e r , G. : Sin l'emploi euphémique de hftj(w) «ennemi(s)»
30— 35
R e y m o n d , E. A. E . : The Children of Tanen
36-47
R u h l e d e r , K . H. : Ein Skarabäus in der modernen deutschen Literatur
47— 48
-
S t a e h e l i n , E . : Bindung und Entbindung
125-139
V e r n e r , M. : Preparation of a Palaeographic Study on Old Kingdom Hieroglyphs
49— 52
— Statue of Twëret (Cairo Museum no. 39145) Dedicated by Pabësi and Several Remarks on the Role of the Hippopotamus Goddess
52— 63
W e n i g , St.: Bertolt Brecht und das alte Ägypten
6 3 - 66
— Zur Inschrift auf der Statue des Berliner Ägyptischen Museums Nr. 22 463 . . . 139—142 — Zur Veröffentlichung von Beständen ägyptischer Museen und Sammlungen
.
. 67— 78
W e s s e t z k y , V.: Neue ägyptische Funde an der Donau
142—145
W e s t e n d o r f , W. : Beiträge aus und zu den medizinischen Texten
145—151
Miszellen: P e t e r s o n , B. J . : Ein Beleg für Hori, Briefschreiber des Pharao
78
— Zum ägyptischen Brettspiel
79
W e i ß , H.-F. : Ein Lexikon der griechischen Wörter im Koptischen
79— 80
W i n t e r , E . : Nochmals zum swwi-Fest
151—152
SIEGFRIED MORENZ * 22. November 1914
f 1 4 - Januar 1970
Während der Drucklegung des vorliegenden Heftes ist der Mitherausgeber der „Zeitschrift" Siegfried Morenz unerwartet verstorben. Sein plötzlicher und viel zu früher Tod reißt eine schmerzliche Lücke und bedeutet für unsere Wissenschaft und ganz besonders für die „Zeitschrift" einen großen Verlust, den wir alle — seine Freunde, Kollegen und Schüler — mit großer Trauer und tiefer Anteilnahme empfinden» Wir beabsichtigen, dem Andenken des Verstorbenen einen Band dieser Zeitschrift zu widmen, in dem auch seine Persönlichkeit und seine großen Verdienste um unsere Wissenschaft ausführlich gewürdigt werden sollen. Wir begnügen uns daher vorerst mit dieser kurzen Traueranzeige.
Fritz Hintze
GIUSEPPE BOTTI «SECONDO» 3. November 1889 - 27. Dezember 1968
La recente scomparsa di Giuseppe Botti ha lasciato un grande vuoto nella egittologia a ha destato un profondo rimpianto nei molti studiosi, ai quali egli aveva dato amicizia e collaborazione fraterna. La vita di Lui si svolse lungo quattro fasi che possono essere definite «della Val d'Ossola», «di Torino», «di Firenze» e «di Roma» ; noi descriveremo qui la loro vicenda, che fu di un uomo il quale costruì se stesso continuatamente, senza mai deviare, per nessuna ragione, dai suoi propositi. Giuseppe Botti nacque a Vanzone S. Carlo nella Val d'Ossola, in provincia di Novara, il 3 novembre 1889. Vanzone è un borgo ben costruito sul fianco sinistro della Valle Anzasca (che è una diramazione della Val d'Ossola) ; lo splendido panorama di montagne aperto dinanzi ad esso ispirò al fanciullo una particolare religiosità, poetica e realistica insieme, che divenne poi virtù nell'adulto. Alla sua casa nativa il Botti tornò spesso ; amò tuttavia un altro luogo montano, Romezzano di Bedonia in Val di Taro, patria del nonno paterno, presso Parma : questo Suo duplice affetto Egli traspose anche, come vedremo, nei suoi stessi studi. Dal 1906 al 1909 il Botti frequentò il liceo nel Collegio Mellerio-Rosmini di Domodossola, e qui imparò secondo la dottrina di Antonio Rosmini, come la scienza potesse chiarire e rafforzare quella sua religiosità prima, e come l'operare nella scienza potesse tradursi in un operare per il bene comune. Conseguì la laurea in Lettere e Filosofia il 17 dicembre 1913 presso l'Università di Torino. Negli anni successivi, fino al 1931, insegnò materie letterarie nelle Scuole Medie di Stato, in diverse città del Piemonte, e allacciò dovunque relazioni durevoli con allievi e colleghi, fra i quali va ricordato particolarmente lo studioso di topografia italica Giuseppe Corradi. Negli stessi anni il Botti si diede anche agli studi, alla letteratura cristiana antica fino al 1916, e poi all'egittologia : in questa ebbe per guida in Torino, nel Museo Egizio, Ernesto Schiaparelli — l'affetto dell'allievo ben si dichiara nel necrologio che egli dedicò all'antico Maestro, nell'Illustrazione Biellese del febbraio 1941. Nel Museo il Botti ben presto fu in grado di porre mano all'ordinamento dei papiri ieratici: classificò la gran parte di essi; riconobbe che molti potevano riunirsi a formare testi più estesi; ne pubblicò alcuni. Tra l'altro, in una massa di frammenti non identificati, scoprì quello del Papiro Regio relativo agli Hyksos. Frutto principale di tale lavoro fu «Il Giornale della Necropoli di Tebe», edito nel 1928 in collaborazione con Erik Peet, dove appare ormai maturato il metodo che il Botti seguì poi sempre, nella sua produzione scientifica successiva: analisi del documento penetrante sino alle componenti essenziali, ma schiva di sottigliezze inutili ; esame di tutti i documenti afferenti; costruzione della tesi, o dell'ipotesi altamente probabile — con esclusione d'ogni altra soltanto possibile. Grazie a questo assoluto rigore filologico, ogni nota o saggio od opera di lui, si presentò come un'acquisizione scientifica definitiva. Da tali scritti e dall'apprezzamento che essi si meritarono tra gli studiosi, venne la qualifica di «Secondo», che i colleghi apposero al nome di Giuseppe Botti, dapprima quasi per congratulazione scherzosa, ma poi come necessaria negli schedari, per i ricercatori meno informati e frettolosi, onde distinguere immediatamente lui dall'egittologo omonimo e più antico, con il quale, peraltro, conviene precisare, egli non aveva alcuna relazione di parentela. Nel soggiorno torinese il Botti strinse altre amicizie, e queste con egittologi, tra gli altri Jaroslav Oerny, studioso anch'esso dei papiri del Museo. In lui, tali relazioni personali sostituivano gli
G I U S E P P E B O T T I «Secondo»
VII
affetti d'una famiglia propria ch'egli mai si fece, e soprattutto erano luogo d'incontro t r a una sensibilità delicata e vivissima e il non meno vivo interesse per gli studi. Esse furono quasi t u t t e durevoli, serbate attraverso scambi epistolari fittissimi,-che erano densi di notizie personali e informazioni scientifiche, e specialmente preziosi per i giovani, poiché mai il Botti lasciava un loroi quesito senza risposta amplissima ed estesa a esaurire l'intero campo toccato dal discente. Dopo la morte dello ijichiaparelli avvenuta nel 1928, il Botti dovette mutare il campo del suo lavoro. i Nel 1932 egli ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione l'esenzione dall'insegnamento e l'assegnazione al Museo Archeologico di Firenze con il mandato di studiarne la raccolta egizia, e ancora, seguendo i consigli del Cerny, l'incarico di seguire a Praga i corsi di demotico tenuti nell'Università Carlo VI da Francesco Lexa, al fine di porsi in grado di pubblicare i papiri demotici riportati^ dalla Missione Archeologica Italiana diretta da Carlo Anti a Tebtunis nel 1931. Questi tre provvedimenti consentirono al giovane studioso sia di dedicarsi completamente alla ricerca, sia di estendere la sua conoscenza dell'egittologia italiana, dalla metà per così dire torinese all'altra e non meno importante fiorentina, sia infine di apprendere (per i soggiorni a Praga negli anni accademici 1932—1933, 1933—1934 e poi nel 1939) l'unica parte della disciplina ancora a lui ignota. Con ciò il Botti guadagnò una dottrina egittologica completa e suo merito fu usare di essa senza limitazioni, e di spaziare ugualmente dall'Antico Regno ai Tempi Tardi, e dal documento al monumento, cosicché l'interesse del filologo, sebbene in lui preminente, non soverchiò mai l'archeologo. In Firenze, città che mai più abbandonò, il Botti si diede una regola di asceta della scienza, che mantenne poi sempre: viveva in un'abitazione spoglia come la cella d'un monaco; s'alzava alle 5, aggiornava il diario per il giorno prima e verificava su di esso la marcia del suo lavoro, assisteva alla Messa. Lavorava dalle 7 alle 11 e dalle 14 alle 18, poi faceva una passeggiata e alle 21 si ritirava. Soli svaghi erano il sonare ogni t a n t o l'organo in una chiesa vicina, convitare a S. Miniato gli amici che venivano a visitarlo, e andare un mese ogni anno in vacanza sulle sue montagne. Inoltre, si dedicò sempre solamente a studi «di prima mano», ossia condotti direttamente su documenti inediti ; gli inviti a conferenze, convegni, a pubblicare opere di larga sintesi o divulgative venivano da lui rifiutati regolarmente come inutili distrazioni. Unita a un'intelligenza preclara, a una memoria ferrea e al metodo d'indagine che già abbiamo descritto, tale regola f u ragione sia dell'enorme attività scientifica esercitata da lui fino all'ultimo giorno, con pubblicazioni e magistero, sia della solidità delle stesse pubblicazioni, che oggi costituiscono nell'insieme un vero e proprio nuovo blocco di base della egittologia. A Firenze il Botti imprese tosto a riordinare la collezione egizia affidatagli — del Museo, egli venne poi nominato Ispettore Onorario — e nel contempo a pubblicare singoli monumenti conservati nella stessa Firenze, e a Parma, Pavia e Domodossola, in articoli e opere che gli valsero il conferimento nel 1942 della libera docenza. Seguirono altre pubblicazioni su documenti ancora di Firenze, Napoli e Torino, infine il catalogo edito in collaborazione col Romanelli delle sculture del Museo Vaticano e il catalogo della collezione egizia di Cortona. Riconoscendo il merito di questi contributi, l'Accademia Etnisca di Cortona e l'Accademia di Scienze e Lettere «La Colombaria» di Firenze, lo ascrissero a membro effettivo. Negli anni posteriori al 1945, ritornò più volte al Museo di Torino, onde proseguire col Gardiner e il Cerny lo studio dei papiri ieratici; nel contempo attese alle ricomposizione da sparsi frammenti d'un testo demotico recante il Racconto di Petubastis: questa fu una lunga fatica condotta insieme con Axel Volten, nel corso di parecchi soggiorni a Copenhagen, e che purtroppo rimase interrotta nel 1960 con la morte del Volten. Tanti impegni di studio non tolsero al Botti di proseguire con fervore la sua opera di proselitismo fra i giovani : alcuni di essi, fin d'allora égli mise in grado di percorrere interamente l'arduo cammino della scienza. Oggi, quegli allievi, e altri dell'epoca romana successiva, formano la gran parte dei quadri dell'egittologia italiana e lavorano tuttora nella comunanza fraterna che il Maestro aveva loro insegnato.
Vili
G I U S E P P E BOTTI «Secondo»
[96. Band
La fase «romana» della vita del Botti iniziò nel 1956, quando l'Università di Roma istituì una cattedra di Egittologia e chiamò lui a coprirla. Purtroppo, la nuova attività accademica ebbe breve durata: già nel 1960 il Botti fu collocato fuori ruolo per raggiunti limiti di età; questo avvenimento gli causò una grande tristezza, ma non infirmò per nulla la sua operosità. Infatti, nei brevi anni della docenza, egli aveva guadagnato — mercè anche l'auspicio illuminato dei componenti la Scuola Orientale dell'Università — un prestigio definitivo all'Egittologia entro la Facoltà, che non soltanto serbò la Cattedra ad egregio successore, ma lui ancora e di frequente chiamò negli anni successivi a partecipare alle sue attività. D'altra parte, i molteplici compiti, per così dire pratici, imposti dalla vita accademica, non avevano turbato il corso costante della produzione scientifica del Botti: ancor dopo il 1956 egli diede nuovi studi di documenti fiorentini, un catalogo della collezione egizia di Parma, infine la pubblicazione dell'Archivio Demotico di Der el-Medina, ritrovato dallo Schiaparelli nel 1906 e conservato nel Museo Torinese. Terminato nel 1967 quel suo maximum opus, il Botti non si sentiva però ancora stanco, e anzi considerò un volume di scritti raccolti in suo onore dall'Università di Roma nell'anno medesimo, come un dono che si doveva bene ricambiare, con tutta una serie già progettata di lavori. Ma di essi egli vide pubblicato ancora uno solo : un giorno, mentre nella sua casa in Firenze si chinava su un testo demotico vaticano, fu colpito da un'infermità che nel giro di poche settimane, il 27 dicembre 1968, lo ricondusse al termine ultimo della sua fede. Anche in morte tuttavia, egli volle collaborare tuttora all'egittologia; per testamento, lasciò al Museo Egizio di Torino la sua biblioteca con oltre mille volumi e fascicoli, e manoscritti e schedari inestimabili. Qui essi sono ora ordinati, in una saletta dedicata a lui e aperta a quanti vorranno, in reverenza e fedeltà, proseguire la sua opera. Bibliografia Crediamo inutile ripetere quella completa, recata da S. Bosticco in : Scritti in onore di Giuseppe Botti, Orientis Antiqui Collectio VI, Roma, Casavo, 1967, p. 3 sgg., cui solo devesi aggiungere, in calce alla p. 5, lja. voce: 65 - Il libro del respirare, in: Journal of Egyptian Archaeology 54, 1968, pp. 229-230. Silvio Curto
1970]
I . B e c h e r : Der Isiskult in R o m — ein K u l t der H a l b w e l t ?
81"
ILSE BECHER Der Isiskult in R o m — ein Kult der Halbwelt?* Der Isiskult in Rom sei ein Kult der Halbwelt gewesen, so werden wir in zahlreichen Handbüchern der Altertumswissenschaft und in einschlägigen Werken, etwa Kommentaren zu antiken Schriftstellern, belehrt. Das Urteil über den Kult und seine Anhänger fällt nach dem Temperament des Verfassers unterschiedlich aus. Wir hören von dem „wüsten, würdelosen Kult dieser Göttin, der den unsittlichsten Ausschweifungen Vorschub leistete" 1 , von „fortwährendem Skandal"2 der Zuhälterei der Isispriester wegen, von vielfachem Mißbrauch zu schändlichen Zwecken 3 u. ä. Daß erotische Glossare4 den Isiskult als der Halbwelt zugeordnet in ihre Darstellung aufnehmen, überrascht daher nicht. Selbst maßvolle Urteile schließen die Möglichkeit von Unzucht im Tempel ein, so etwa das von Erman, Hopfner, Cumont, Weinreich5; zumindest wird die Halbwelt in jedem Fäll bei der Aufzählung der Verehrer genannt 6 . Auch Arbeiten aus neuester Zeit erweitern gelegentlich den Kreis der Anhänger der ägyptischen Kulte über die Halbwelt hinaus nur zögernd7. Nur selten mahnen Stimmen, den Vorwurf der Sittenlosigkeit nicht ernst zu nehmen, so etwa Bonnet 8 , Kirchner9, Tschudin10 und andere, oder'verzichten gänzlich darauf, die Halbwelt im Zusammenhang mit den ägyptischen Kulten zu nennen 11 . * Vorgetragen bei der Ägyptologischen Arbeitskonferenz zu Leipzig im Mai 1968. M. S c h u s t e r , Die Göttin von Memphis, Wiener Studien 40, 1918, 89. 2 J . M a r q u a r d t , Römische Staatsverwaltung, B a n d 3, Leipzig 2 1885, 78. 3 C. R e i c h e l , De Isidis a p u d R o m a n o s cultu, Diss. Berlin 1849, 29f. belegt den Topos von der U n z u c h t m i t zwei Ovidzeugnissen u n d der Mundusaffäre u n t e r Tiberius; O. S e e c k , Zur Geschichte des Isiskultes in R o m , H e r m e s 43, 1908, 643; S. B. P l a t n e r / T . A s h b y , A Topographical Dictionary of Ancient R o m e , O x f o r d / L o n d o n 1929, 283, s. v. Isis, Aedes: ,,a conspicuous resort of women, especially of prostitutes, a characteristic also of t h e later t e m p l e " ; L. F r i e d l a e n d e r , Darstellungen aus der Sittengeschichte R o m s , B a n d 1, Leipzig 9 1919, 301: „der ganze K u l t u s war aus diesem Grunde v e r r u f e n " . 4 P . P i e r r u g u e s , Glossarium eroticum linguae Latinae, Berlin 2 1908, 273, s. v. Isis: „ F a n u m eius quibusc u m q u e pactis et furtis venereis celeberrimum"; G. V o r b e r g , Glosariumeroticum, S t u t t g a r t 1932 ( = H a n a u / Main 1965), 261, s. v. Isis: ihr Tempel ein Kuppelnest, Stelldichein käuflicher W e i b e r ; 591, s . v . Serapis. 5 T h . H o p f n e r , Der Tierkult der alten Ägypter, W i e n 1913, 96; A. E r m a n , Die Religion der Ägypter, Berlin/Leipzig 1934, 422; R o e d e r , R E (Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft) 1 A, 1920, 2416, s. v. Sarapis: „wenn . . . die Verbindung m i t der H a l b w e l t u n d die K u p p e l e i der Priester Persönlichkeiten der Gesellschaft k o m p r o m i t t i e r t e n " ; R o e d e r , R E 9, 1916, 2104, s. v. Isis: „ S t ä t t e n der Vers u c h u n g " ; O. W e i n r e i c h , Der Trug des Nektanebos, Leipzig/Berlin 1911, 21 (Isistempel berüchtigt), 41 (wohl viele Mißbräuche); F . C u m o n t , Die orientalischen Religionen im römischen H e i d e n t u m , S t u t t g a r t 4 1959, 84 (Isistempel in m e h r als zweideutigem R u f ) , 75 (laxe Moral); d a ß G. W i s s o w a , Religion u n d K u l t u s der Römer, München 2 1912, 243, Anm. 61 den I s i s h y m n u s P a p . Oxyr. B a n d 11, 1380, Z. 147 zitiert, ist k a u m beweiskräftig. U n v e r s t ä n d l i c h ist mir, w a r u m P . T. T s c h u d i n , Isis in R o m , Basel 1958 ( u n v e r k ü r z t e Fassung), 145, 26 die Zeugnisse Statius, Silvae 2, 1, 72—75; 3, 2, 111 u n d 5, 5, 66—69 doch als einigermaßen stichhaltige Vorwürfe gegen die alexandrinischen K u l t e gelten lassen will. Alle drei g e n a n n t e n P a r t i e n sprechen von der losen, kecken Wesensart der Alexandriner im allgemeinen; eine Anspielung auf den K u l t ist nicht v o r h a n d e n . 6 W i s s o w a , Religion u n d K u l t u s 352; A. D. N o c k , T h e Cambridge Ancient H i s t o r y , B a n d 10, Cambridge 1934, 504 (mit Hinweis auf die augusteischen D i c h t e r ) ; d e r s . , Conversion, Oxford 1965 ( = 1933), 124; J . L e i p o l d t / W . G r u n d m a n n , U m w e l t des U r c h r i s t e n t u m s , B a n d 1, Berlin 1965, 123; W. K r o l l , C. Valerius Catullus, S t u t t g a r t 2 1960, 23. 7 R . M e y e r , Die B e d e u t u n g Ägyptens in der lateinischen L i t e r a t u r der vorchristlichen Zeit, Diss. Zürich 8 1961, 186. Reallexikon der ägyptischen Religionsgeschichte, Berlin 1952, 331, s. v. Isis. 9 H . K i r c h n e r , Die B e d e u t u n g der F r e m d k u l t e in der römischen Ostpolitik, Diss. B o n n 1956, 144: E s wurde in R o m gern gesehen, wenn m a n den Isiskult m i t gewerbsmäßiger Kuppelei u n d Skandal in Verb i n d u n g brachte. 10 T s c h u d i n , Isis (unverkürzte Fassung) 145, 26 erinnert a n die gleichen, dem J u d e n t u m gemachten Vor11 würfe. Z u m Beispiel J . B a y e t , Histoire politique et psychologique de la religion R o m a i n , Paris 1957. 1
6 Zeitschr. f ü r Äüypt, Sprache 96. Band
82
I. B e c h e r : Der Isiskult in Rom — ein Kult der Halbwelt?
[96. Band
Als Beweis wird von den Vertretern der „Halbwelttheorie" immer wieder die Tatsache herangezogen, daß Catull, Horaz, Properz, Tibull und Ovid von Mädchen sprechen, die der Halbwelt angehören und sich als Isiacae bekennen. Wir werden darauf später zurückkommen müssen. Kuppelei und Unzucht in den Isistempeln werden expressis verbis von folgenden Schriftstellern bezeugt : Ovid rät dem Wächter Bagoas ,,Ne tu linigeram fieri quid possit ad Isin quaesieris" (Amores 2, 2, 25f.). In der „Ars amatoria" empfiehlt der Dichter den jungen Männern neben anderen Tempeln auch die Heiligtümer der Isis als Orte, an denen man Damenbekanntschaften schließen könne: „Nec fuge linigerae Memphitica templa iuvencae; multas illa facit, quod fuit ipsa Iovi" (1, I i i . ) . Die gleiche Empfehlung ist im dritten Buch der „Ars amatoria" an die Mädchen gerichtet: „Visite turicremas vaccae Memphitidos aras" (393). Auch hier erscheint dem Dichter von Vorteil, daß die Begleiter der Frau den Tempel nicht betreten dürften: „cum sedeat Phariae sistris operata iuvencae, quoque sui comités ire vetantur, eat" (3, 635f.). Bei Juvenal 6, 488f. heißt es von einer sittenlosen Ehefrau: „ . . . et properat iamque expectatur in hortis aut aput Isiacae potius sacraria lenae." In der neunten Satire nennt Juvenal den Tempel der Isis als Ort dar Sittenlosigkeit (9, 22). Es sei hier schon vorgreifend darauf hingewiesen, daß im Kontext der Tempel der Kybele und der der Ceres genannt werden; „nam quo non prostat femina templo?", fragt der Satiriker (9, 24). Ein schwerwiegendes Zeugnis für die Beschuldigungen stellt die den Isiskult belastende Affäre von Mundus und Paulina im Isistempel in Rom dar, die uns Josephus in seinen „Antiquitates" 18, 65—80 berichtet. Ein römischer Ritter, Decius Mundus, hatte Paulina, die schöne, ehrbare Ehefrau des Saturninus, nach vergeblichem Werben im Jahre 19 n. Chr. mit Hilfe bestochener Isispriester in der Maske des Gottes Anubis im Isisheiligtum verführt. Der Skandal wurde dem Isiskult insgesamt angelastet und führte zu dessen Verbot, zur harten Bestrafung der Beteiligten 12 und zu einer offensichtlich propagandistisch gesteuerten Diffamierung der ins Zwielicht gesetzten Verehrung ägyptischer Götter. Im folgenden soll versucht werden, an Hand einiger Beobachtungen die Vorwürfe der Sittenlosigkeit auf ihre Stichhaltigkeit zu prüfen und die tYage aufzuwerfen, inwieweit die Beschuldigungen den tatsächlichen Gegebenheiten entsprachen bzw. welche Gründe bei ihrer Entstehung mitgewirkt haben könnten. 1. Die Vorwürfe der Sittenlosigkeit gelten immer Isis; sie zielen selten einmal auf den Gott Osiris-Sarapis13, der doch anscheinend nahezu immer der Synnaos der Göttin gewesen ist. Der Vorwurf der Sittenlosigkeit trifft also Isis als Frauengottheit, als die göttliche Macht, die dem Manne die Frau zuführt14. Isis war über Hathor, die mit der griechischen Liebesgöttin Aphrodite verglichen wurde, zur Herrin der Frauen geworden15. Kreuzigung der Priester und der Ide, Zerstörung des Tempels, Versenkung des Isiskultbildes im Tiber. Als von einem scortillum verehrter Gott erscheint Sarapis bei Catull 10, 26; es handelt sich dabei um das erste römische Zeugnis, das die Verbindung zur Welt der Hetären herstellt; bei Juvenal 6, 539—541 gewährt Osiris Verzeihung für das im Vers 535f. genannte Vergehen („non abstinet uxor concubitu sacris observandisque diebus"). 14 W . P e e k , Der Isishymnus von Andros und verwandte Texte, Berlin 1930, 16, Z. 3 7 : âvôgi ywaîxa avvàyayov, ähnlich 19, Z. 101 f.; dazu S. 57. 59f.; zur aretalogia Cymaea: 122, Z. 10 und 17f. und 124, Z. 27 und 30; D. M ü l l e r , Ägypten und die griechischen Isis-Aretalogien, Berlin 1961, 35. 44—46. 53; vgl. auch den Isishymnus Papyrus Oxyrhynchus 11, 1380, Z. 146: av xal ràç crcôaç yvvaïxaç ävögdai owoQfitoftrjvai &éXiq ; H. J u n k e r , Der große Pylon des Tempels der Isis in Philä, Wien 1958, 41 : „Herrin der Frauen". 15 Papyr. Oxyrh. 11, 1380, Z. 9. 21. 35. 38f. 45. 67; A. E r m a n , Die Religion der Ägypter, Berlin/Leipzig 12
13
1970]
I . B e c h e r : Der Isiskult in R o m — ein K u l t der Halbwelt?
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Zu der mütterlichen Gottheit konnten die Frauen, die in den heimischen Kulten oft als den Männern nicht gleichwertig betrachtet wurden, ein besonderes Naheverhältnis finden16, wie es ihnen ähnlich im Kult der Demeter zu Eleusis zuteil wurde. 2. Die Vorwürfe der Sittçnlosigkeit sitzen von Aristophanes 17 an in der Antike bei allen Frauenkulten sehr locker und dürfen nur mit Vorsicht als schlüssige Beweise herangezogen werden 18 . Die Frauen waren und sind zu allen Zeiten stärker emotional ansprechbar. Im römischen Kultus traten allein bei den Supplikationen die von den Frauen getragenen emotionalen Elemente in den Vordergrund 19 ; im übrigen zeichnete sich das Verhältnis des Römers zu den Göttern durch Distanz und Kühle aus. Bei der Hinwendung der Frauen zum Isiskult mögen außer einem echten religiösen Bedürfnis häufig heterogene Gründe mitbestimmend gewesen sein. Der feierliche Kultus der ägyptischen Götter mit seinem täglichen Zeremoniell und seinem die Sinne beeindruckenden fremdartigen Kolorit übte eine außerordentliche Anziehungskraft aus 20 . In allen Frauenkulten, das sei zugestanden, war immanent die Gefahr vorhanden, daß religiöse Gefühle besonders im Mysterienglauben von gewissenlosen Priestern gelegentlich mißbraucht wurden 21 . Das klassische Exempel ist der bereits zitierte Mundus-Paulina-Skandal, für den als Vorbedingung, um mit Weinreich 22 zu reden, eine „seltsam erhitzte Stimmung religiöser Erotik" vorhanden gewesen sein muß. Immerhin war aber auch der Gatte der als ehrbar gerühmten Paulina glaubenswillig genug, seiner Gattin zu erlauben, sich in der Nacht in den Tempel zu begeben 23 ! Auch eine In1934, 3 0 f . ; H . B o n n e t , Reallexikon der ägyptischen Religionsgeschichte, Berlin 1952, 277. 288, s. v. Hathor ; 328, s. v. Isis. Isis-Aphrodite bei J . L e i p o l d t / W . G r u n d m a n n , Umwelt des Urchristentums, B a n d 3, Berlin 1966, Abb. 2 6 7 ; Tänze, wie sie Abb. 251 (Relief in R o m , Museo Nazionale R o m a n o ) darstellt, werden das Urteil der Zügellosigkeit gefestigt haben. Isis ist das weibliche Prinzip bei Plutarch, De Isid. et Osir. 5 3 : 'H y (ig T Iotç ¿an fièv rö r fjç qmaetoç &rjh), xai ÔEXTIXOV andar/ç yevéaewç; 6 4 : ihr liegt die èni/xéXeia TWV EQCOTIXÖ) V am Herzen. 10 W . D r e x l e r , W . H . R o s c h e r , Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen Mythologie 2, 1, Leipzig 1890—1894, 501—511; J . L e i p o l d t , Die F r a u in der antiken W e l t und im Urchristentum, Leipzig 1954, 155; daß das Zurücktreten der Frauen in der Religion verhängnisvolle Auswirkungen hatte, darauf weist M. P . N i l s s o n , G-eschichte der griechischen Religion 2, München 2 1955, 250 hin. Zu Isis als mütterlicher Weltgöttin vgl. A. D i e t e r i c h , Mutter Erde,Leipzig/Berlin •'1925, 83—85; die gleichberechtigte Heranziehung der F r a u e n ist nach M. W e b e r ein Charakteristikum für die Religion der negativ Privilegierten (Aus den Schriften zur Religionssoziologie, hrsg. von M. E . G r a f z u S o l m s , Frankfurt/Main 1948, 206). 17 Die F r a u e n werdeij heimlichen unmäßigen Weingenusses bezichtigt (Thesmophoriazusai 630 f. ; 733 f. wird ein gefüllter Weinschlauch als Wickelkind drapiert). Die dort vorkommenden Unsittlichkeiten werdan selbst von den Männern nur als möglich angenommen (204—206); M. P . N i l s s o n , Geschichte der griechischen Religion 1, München 21955, 783. 18 Man vergleiche etwa die unterschiedliche Beurteilung der B o n a Dea bei e i n e m Dichter, bei Ovid. I n der „Ars a m a t o r i a " 3, 637 bietet ihr Tempel Möglichkeiten der Verführung, in den „ F a s t i " 5, 148—158 ist er das von Livia ausgezeichnete Heiligtum der „déesse chaste par excellence" (H. L e B o n n i e c , L e culte de Cérès à R o m e , Paris 1958, 412) ; Iuvenal beschuldigt 9, 115—117 B o n a Dea wie Isis, K y b e l e , Ceres, Pudicitia (9, 2 2 - 2 4 ; 6, 3 0 8 - 3 4 1 ; 6, 3 2 0 ; 9, 117). 19 K . L a t t e , Römische Religionsgeschichte, München 1960, 245. 20 U . v. W i l a m o w i t z - M o e l l e n d o r f f , Der Glaube der Hellenen, B a n d 2, Berlin 2 1955, 339; L a t t e , Römische Religionsgeschichte 2 8 3 ; J . L e i p o l d t / W . G r u n d m a n n , Umwelt des Urchristentums, B a n d 1, Berlin 1965, 124f., vgl. dazu B a n d 3, Berlin 1966, Abb. 2 9 4 f . ; J . L e i p o l d t , Von den Mysterien zur Kirche, Leipzig 1961, 36. 184; M. E . G u i m e t , L ' I s i s R o m a i n e , Academie des Inscriptions et Belles-Lettres, Comptes Rendus des Séances de l'année 1896, Quatrième Série, Tome X X I V , Paris 1896, 1 5 7 : „par dilettantisme religieux, amour de surnaturel, sentimentalisme, par mode, par coquetterie p e u t - ê t r e " . 2 1 An den Skandal um Clodius anläßlich der B o n a - D e a - F e i e r im Hause Caesars sei erinnert (Sueton, Divus Iulius 6, 2 ; Cicero, Ad A t t i c u m 1, 13, 3 ; R . P e t e r , Roscher I 1, 791, s. v. B o n a Dea). 22 Nektanebos 2 2 ; auch R . R e i t z e n s t e i n , Poimandres, Leipzig 1904, 229 und Die hellenistischen Mysterienreligionen, Leipzig/Berlin 2 1920, l l O f . weist darauf hin, welche realistischen Vorstellungen von der Vereinigung von Mensch und Gott damals möglich waren. Zweifel an der Historizität sind gelegentlich geäußert worden; N o c k , Conversion 153: „ T h e story m a y contain i n v e n t i o n " ; J . L e i p o l d t spricht Theologische Literaturzeitung 89, 1964, 16 vorsichtig von einer wandernden Geschichte; schon W e i n r e i c h , Nektanebos 20 h a t t e auf den novellistischen Charakter und die sentimentale Begründung der milden Strafe für Mundus (Verbannung) aufmerksam gemacht. 23 J o s e p h u s , Antiquitates 18, 73. 6»
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schrift hellenistischer Zeit aus Ägypten, vom Tempel in Edfu, lehrt uns, daß die genannte Gefahr erkannt wurde 24 . Sie ermahnt die Priester zur Zurückhaltung Frauen gegenüber. 3. In den Jahrhunderten v o r der Zeit, aus der die den Isiskult diffamierenden Zeugnisse stammen, wird die Ethisierung des Kultes deutlich. Herodot 2, 64 bezeugt, daß zuerst bei den Ägyptern unsittliches Verhalten im Tempelbezirk vermieden wurde. Wir hören von strengen kultischen Reinheitsvorschriften, denen sich die Gläubigen gern unterwarfen 25 , und von einer öffentlichen Beichte im Osirisdienst26. Besonders die Reinheit der Isispriester wird gerühmt 27 . Isis tritt als Schutzherrin der Zwillinge im Serapeum zu Memphis auf und wacht über deren Reinheit 28 . Der sittliche Halt, den die Regeln gewährten 29 , scheint einem echten Bedürfnis der Gläubigen entsprochen zu haben. So wurde der Schritt von der gewissenhaften Erfüllung vorgeschriebener Riten zur Ethisierung der Religion getan 30 . 4. Nicht nur jenseits, sondern auch diesseits des Zeitraumes, dessen Vorwürfe der Sittenlosigkeit den Isiskult belasteten, rühmen die Schriftsteller, darunter auch christliche, wiederum die castitas der Isiaci und der Göttin selbst 31 ; Vertreter der oberen Gesellschaftsschichten bekennen sich voll Stolz zu ihm 32 . Bei k r i t i k l o s e r Übernahme stellte sich also die Entwicklung folgendermaßen dar: Der Kult wäre von seiner jahrhundertelang gerühmten sittlichen Höhe in Rom und nur allein dort zum Dirnenkult herabgesunken und hätte sich danach in einer Aufwärtsentwicklung wiederum zu der moralischen Unantastbarkeit erhoben, in der er sich den scharfen Augen seiner Feinde, der christlichen Schriftsteller, darstellte. Schon die innere Wahrscheinlichkeit schließt eine derartige fieberkurvenähnliche Entwicklung aus33. 5. Außerdem wird von den strengen Richtern des „Dirnenkultes" eines übersehen: Nicht nur in den Jahrhunderten vor und nach der Zeit, aus der die Vorwürfe der Sittenlosigkeit stammen, 24 R e i t z e n s t e i n , P o i m a n d r e s 229, 2; W e i n r e i c h , N e k t a n e b o s gibt zahlreiche Beispiele d a f ü r ; auf den F r e v e l des Saturnuspriesters T y r a n n o s in Alexandria sei besonders verwiesen (27f.). 25 J . M a r q u a r d t , Römische S t a a t s v e r w a l t u n g 3, Leipzig 2 1885, 8 0 f . ; F . B ö r n e r , P . Ovidius N a s e , Die F a s t e n , Heidelberg 1958, B a n d 2, 327, K o m m e n t a r zu 5, 619. 26 S. M o r e n z , G o t t und Mensch im alten Ägypten, Leipzig 1964, 130 u n d 169, 269 m i t Hinweis auf den aus d e m 2. J h . v. Chr. s t a m m e n d e n P a p y r u s Dodgson. 27 M. R o s t o v t z e f f , Gesellschafts- u n d Wirtschaftsgeschichte der hellenistischen Welt, B a n d 2, D a r m s t a d t 1955, Abb. Tafel CXI, 1 m i t der Abbildung eines Isispriesters, der die Reinheit u n d religiöse E k s t a s e seiner Religion sinnfällig m a c h t . 28 X J . ' W i l c k e n , U r k u n d e n der Ptolemäerzeit 1, Berlin/Leipzig 1927, 29 (aus der Zeit des Ptolemaios V I . P h i l o m e t o r , 159 v. Chr.) u n d 360 (Nr. 78), Z. 26f. 29 L e i p o l d t / G r u n d m a n n , U m w e l t des U r c h r i s t e n t u m s 1, 308. •10 C u m o n t , Die orientalischen Religionen 84f.; S. M o r e n z , Ägyptische Religion, S t u t t g a r t 1960, 143. 31 I u v e n a l 6, 535—538 (eine römische E h e f r a u ü b e r t r i t t das Reinheitsgebot; ihr wird der Unwillen der G ö t t i n b e k u n d e t ) ; 6, 540f. (Osiris soll m i t einer Gans „ b e s t o c h e n " werden, fordert also andere als materielle Opfer); 13, 91—95 (ein Betrüger ist bereit, die von Isis als Strafe f ü r Meineid geschickte Blindheit in K a u f zu n e h m e n ) ; P l u t a r c h , De Iside et Osiride 2, 352 A ; Apuleius, Metamorphosen 11, 6, 6. 19, 3. 28, 4; bei Aelian (frgm. 106) erhält ein Mann von Sarapis den A u f t r a g , sein wüstes L e b e n zu ä n d e r n ; ein G r a b e p i g r a m m n e n n t eine Isisverehrerin „ c a s t a " (Carmina L a t i n a epigraphica, hrsg. v o n F . B u e c h e l e r , Leipzig 1895, N r . 856, 6); die R e i n h e i t des ägyptischen Priesters Chairemon im 1. J h . n. Chr. wird gepriesen (J. L e i p o l d t , Von Übersetzungen u n d Übersetzern, F e s t s c h r i f t f ü r W. S c h u b a r t , Leipzig 1950, 58); Tertullian, De e x h o r t a t i o n e castitatis 13; De monogamia 17, 5; L a k t a n z , Divinae institutiones 1, 15, 8 zählt Isis zu den „ f e m i n a e c a s t i t a t e mirabiles", wobei er wohl a n die Keuschheitstage im römischen Isiskult gedacht h a t ; Clemens Alexandrinus r ü h m t i m P r o t r e p t i k o s 2, 39, 3f. die R e i n h e i t der ägyptischen Religion im Vergleich zu den heidnischen G ö t t e r n . Negative S t i m m e n seien n i c h t verschwiegen, so die des E p i p h a n i u s , Ancoratus 104, 7 f . ; allerdings werden dabei Isis keine unmoralischen Züge zugeschrieben, n u r die E h e m i t d e m B r u d e r Osiris wird g e t a d e l t ; vgl. dazu F . Z i m m e r m a n n , Die ägyptische Religion nach der Darstellung der Kirchenschriftsteller u n d die ägyptischen Denkmäler, P a d e r b o r n 1912, 50; R . E . W i t t , The I m p o r t a n c e of Isis for t h e F a t h e r s , S t u d i a P a t r i s t i c a 8, 2, 1966, 139, 143f. 32 Vgl. die A p p e n d i x des Cyprian, Carm. 4, 2 6 - 3 2 (CSEL 3, 3, Wien 1871, 303, hrsg. W . H ä r t e l ) : „quis t e n o n rideat a u t e m , qui fueris consul, n u n c Isidis esse m i n i s t r u m ? " ; N i l s s o n , Geschichte der griechischen Religion 2, 333. 33 C u m o n t , Die orientalischen Religionen 83—85 zeichnet solch ein k u r v e n a r t i g wechselndes Verhältnis zur Sittlichkeit.
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rühmen antike Zeugnisse die Reinheit und strengen kultischen Gebote des Isisdienstes, sondern auch die römischen 'Schriftsteller, deren Zeugnisse die Theorie vom Isiskult als einem DemiMonde-Kult stützen sollen, Properz, Tibull und Ovid, bestätigen uns, daß selbst von den geschmähten Damen die Kultforderungen beobachtet und die K e u s c h h e i t s n ä c h t e m i t so unerbittlicher Strenge eingehalten wurden, daß sie den Dichtern Anlaß zu bewegter Klage darüber gaben (Tibull 1, 3, 25f.; Properz 2, 33, l f . 5 . 1 7 ; 4, 5, 33f.; Ovid, Amores 1, 8, 73f.; 3 , 9 33f., auf Tibulls Freundin bezogen). Für die spätaugusteische Zeit bezeugt uns Ovid die harte Bußdisziplin 3 5 des Isiskultes und das von Isis vollzogene Strafwunder der Blindheit (Epistulae ex Ponto 1, 1, 51—54). Die wunderbare Verwandlung der Iphis in einen jungen Mann in den „Metamorphosen" (9, 666—797) gestaltet Ovid aus einer hellenistischen Vorlage zu einer Isis-Aretalogie um, in der die Reinheit und das gläubige Vertrauen der Kultanhänger eine wesentliche Rolle spielen (9, 702f. „puras manus"). Die im 1. J h . v. Chr. entstandene 3 6 Isis-Aretalogie von Andros und andere Zeugnisse 37 lassen erkennen, daß die zwischenmenschlichen Beziehungen als von der Gottheit gesetzt und daher als heilig galten und daß Isis lehrte, Gut und Böse zu unterscheiden 38 . Das Ägyptenbuch Diodors (Buch 1), das in frühaugusteischer Zeit oder kurz davor entstand 3 9 , enthält weder Andeutungen, daß in Diodors Quellen Isis mit negativen Zügen ausgestattet gewesen ist, noch hat Diodor solche hinzugefügt. 6. Der Vorwurf der Unzucht und der Verbrechen trifft nicht nur die alexandrinischen Kulte, sondern auch den jüdischen Glauben /,() . E r hat Toposcharakter und wird überhaupt gegen verfolgte und unterdrückte religiöse Vereinigungen erhoben, in der Kaiserzeit besonders auch gegen die Christen 41 . 7. Die Emanzipation der Frauen hatte — eine Schattenseite der Entwicklung — auch die Emanzipation der römischen Frauen von der geltenden bürgerlichen Moral im Gefolge. Aus der späten römischen Republik ist Sempronia im Zusammenhang mit der Catilinarischen Verschwörung ein Beispiel dafür 4 2 . Wie J . Leipoldt wahrscheinlich gemacht hat, galt Isis als Schirmherrin der Frauenbewegung 4 3 . Im Papyrus Oxyrhynchus 1380 heißt es von ihr: „Du gabst den Frauen die gleiche K r a f t wie d e n M ä n n e r n "
(av yvvai^iv
larjv dvva/uv r&v ävdgwv sjwlrjoaQ, Z. 214—216).
So wird erklärbar, warum die Göttin und ihr Kult einen Teil der Verantwortung dafür aufgebürdet erhielten, daß die Moral besonders auch der oberen Gesellschaftsschichten in Rom bedenklich sank. E. F e h r l e , Die kultische Keuschheit im Altertum, Gießen 1910, 135-137. 159. L e i p o l d t , Mysterien 37. 36 W. P e e k , Isishymnus 101. 37 Vgl. die' Übersicht mit Datierung bei M ü l l e r , Isis-Aretalogien 11. 38 W. P e e k , Isishymnus 43, 61. 39 Diodor hat zur Zeit des Ptolemaios Auletes (gest. 51 v. Chr.) Ägypten bereist (1, 44, 1). D a s letzte datierbare Ereignis (Kolonisation von Tauromenion 16, 7, 1) bezieht sich wohl eher auf das Jahr 36 als auf 21 v. Chr. (E. S c h w a r t z , R E 5, 1903, 663, s. v. Diodoros Nr. 38; E. K o r n e m a n n , R E 4, 1900, 526, s. v. Coloniae Nr. 80). 40 Die Verfolgung unter Tiberius trifft die sacra Aegyptia und Iudaica gemeinsam (Tacitus, Annales 2, 85, 4; Sueton, Tiberius 36, 1: „Externas caerimonias, Aegyptios Iudaicosque ritus compescuit"). Nach den Empfehlungen von Ovid, „Ars amatoria" 1, 76 konnte man bei den jüdischen Heiligtümern Damenbekanntschaften machen („cultaque Iudaeo septima sacra Syro"); unsere Isis-Partie folgt v. 77f.; Tacitus zum Brand R o m s unter Nero: „quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque" (Annales 15, 44, 3 ) ; . . qui in Lepidam '. . . incestum cum fratris filio et diros sacrorum ritus confingerent" (Tacitus, Annales 16, 8, 2). 41 Zu den Bacchanalien vgl. Livius 39, 8, 6—8; 16, 7; zu den Pythagoreern Cicero, Oratio in P. Vatinium 6, 14; Nock, Conversion 72: „nocturnal licence a characteristic of sects persecuted or suppressed"; T s c h u d i n , Isis (unverkürzte Fassung) 145, 26; L e i p o l d t , Mysterien 16. 36; J. M o r e a u , Die Christenverfolgung im römischen Reich, Berlin 1961, 61. 42 Sallust, Catilinae coniuratio 25; noch Macrobius erschienen Sempronias Lebensformen als symptomatisch für den Sittenwandel (Saturnalia 3, 14, 5). G. L u c k , Die römische Liebeselegie, Heidelberg 1961, 15f. 43 Die Frau in der antiken Welt und im Urchristentum, Leipzig 1954, 9. 35
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Die antiken Zeugnisse lehren, daß das scheinbar allein gegen den Isiskult und das Judentum gerichtete Verbot vom Jahre 19 n. Chr. im Zusammenhang mit dem Bemühen des Kaisers Tiberius zu sehen ist, unter den Angehörigen der sogenannten guten Gesellschaft 44 gesunde moralische Verhältnisse zu schaffen (Tacitus, Annales 2, 85, 1—3; Sueton, Tiberius 35, l f . ) ; der Krebsschaden (Prostitution, Ehebruch, leichtfertige Auffassung der Ehe) beschränkte sich nicht auf die Isiaci, sondern war symptomatisch für den moralischen Verfall der oberen Gesellschaftsschichten und wurde auch in anderen Lebensbereichen manifest, die vermehrte Kontaktmöglichkeiten zwischen Männern und Erauen boten, etwa bei Volksbelustigungen, öffentlichen Veranstaltungen und im Unterrichtswesen 45 . Alle bisher erörterten Umstände lehren, daß wir es bei den am Anfang zitierten Vernichtungsurteilen mit einseitigen, von den Tatsachen her nicht zu rechtfertigenden Akzentverschiebungen zu tun haben, die einer ungerechtfertigten Diffamierung gleichkommen. • 8. Die Erage nach dem soziologischen Aspekt ist mit dem Hinweis auf den Isiskult als einen Hetärenkult nicht beantwortet. Gerade die Zeugnisse, die zum Beweis des „Halbweltkultes" herangezogen werden, sind großenteils Zeugnisse der augusteischen Dichter, die man andererseits von dem Vorwurf unehrenhaften Umgangs gerade mit dem Hinweis darauf befreien will, daß ihre Freundinnen, Griechinnen oder Römerinnen von hoher Bildung und wirtschaftlicher Unabhängigkeit, eigentlich gar nicht mehr unter den Begriff von „Dirnen" zu fassen seien 46 . Erst in jüngster Zeit ist die Frage nach dem sozialen Standort der Isiaci in Rom ernsthaft gestellt worden. Damit wurde der Schritt über alte Einseitigkeiten hinaus getan. Das erste Zeugnis über die alexandrinischen Kulte in Rom lehrt uns, daß Sarapis als Heilgott nach Rom kam 4 7 . Die historische Situation in der ersten Hälfte des ersten vorchristlichen Jahrhunderts hatte dazu geführt, daß sich weite Kreise den alexandrinischen Göttern zuwandten 4 8 . Isis als Frauengottheit ist nur e i n e Seite dieses Phänomens. Der Kreis der Anhänger umfaßte neben den Frauen eine immer wachsende Zahl von Anhängern aus den Kreisen der Sklaven, Freigelassenen und der einfachen Bevölkerung. Aber auch mittlere Schichten und wohlhabende Kreise fanden den Weg zu den Kulten der ägyptischen Götter, wie wertvolle Plastiken von Isispriestern aus den sechziger Jahren 4 9 und kostbare Ringsteine 50 beweisen. Nicht zuletzt machen die in den fünfziger Jahren nach wiederholten Zerstörungen immer wieder auf private Kosten aufgebauten Tempel 5 1 der alexandrinischen Götter den Reichtum ihrer Verehrer deutlich, aber auch deren entschlossene Haltung und ihr Bekenntnis zu einem staatlich verfemten Glauben. Wenn in der Zeit der Proskriptionen unter dem zweiten Triumvirat der plebeische Ädil Marcus Volusius als Isispriester mit der Anubismaske seines Freundes, eines Isispriesters, der Verfolgung entkam (Appian, Bell. civ. 4, 200; Valerius Maximus 7, 3, 8), dann lehrt uns dies zweierlei: die 44
Der G-atte der Paulina, Saturnmus, stammte aus vornehmen, wohlhabenden Kreisen ( G r o a g , E E 2 A, 1923, 1528 und 1537, s. v. Sentius (Saturninus); den jungen Seneca scheint man damals verdächtigt zu haben, ein Anhänger der verfolgten Kulte zu sein (Ad Lucilium 108, 22). « L. F r i e d l a e n d e r , Sittengeschichte Roms, Band 1, 269. 279. 282. 285. 2 8 7 - 2 9 2 ; Band 2, Leipzig 10 1922, 18f. 115. 46 H. H e r t e r , Die Soziologie der antiken Prostitution, Jahrbuch für Antike und Christentum 3, 1960, 83. 47 Varro, Menippeae, Fragment 128 und 152 (bei F. B u e c h e l e r / G . H e r a e u s , Berlin 1958 ( = 61922)). 48 Zur Entwicklung in der Republik im einzelnen vgl. Vf n., Augustus und Ägypten — Studien zu Religionspolitik und Propaganda in augusteischer Zeit, Habil.-Schrift Leipzig 1969, 29—79: 49 Dazu B. S c h w e i t z e r , Die Bildniskunst der römischen Republik, Leipzig/Weimar 1948, 58, 2. 60 A. A1 f ö 1 d i, Igiskult und Umsturzbewegung im letzten Jahrhundert der römischen Republik, Schweizer Münzblätter 5, 1954, 26; Plinius, Natur. Hist. 33, 41 klagt, daß jetzt schon Männer begännen, in kostbaren Ringen „Harpocraten statuasque Aegyptiorum numinum in digitis" zu tragen. Also haben es die Frauen schon lange getan. 61 Dio 40, 47, 3; es müssen mehrere Heiligtümer gewesen sein (Valerius Maximus 1, 3, 4 spricht in diesem Zusammenhang von „fane diruenda", deren Tempeltüren der Konsul L. Aemilius Paulus des passiven Widerstandes des Volkes wagen einschlagen mußte).
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alexandrinischen Kulte hatten Anhänger auch unter den führenden Kreisen in Rom 5 2 , ein Tatbestand, der bereits von Alföldi auf Grund von Münzbefunden 5 3 nachgewiesen wurde; der Isiskult war also in keiner Weise nur etwa Dirnenkult. Zweitens dürfen wir aus dem genannten Zeugnis schließen, daß das an sich ungewöhnliche Bild eines Isispriesters mit der Schakalkopfmaske in Rom eine ganz alltägliche Erscheinung gewesen sein muß, so daß eine Flucht in dieser Verkleidung Aussicht auf Erfolg hatte. An der Menschenjagd der Proskriptionen beteiligte sich wegen des ausgesetzten hohen Kopfpreises auch die Bevölkerung. Demnach muß der Priester mit der Schakalkopfmaske in dieser Zeit mit Achtung und Scheu, vielleicht sogar mit Reverenz betrachtet worden sein, was wiederum die Anrüchigkeit und das damit im Gefolge gehende Mißtrauen ausschließt. Die Trennungslinien zwischen Isisverehrern und Isisverächtern waren nicht mehr die starren sozialen Grenzscheiden zwischen religiös haltloser, leicht beeinflußbarer, mobiler Volksmasse und staatsbewußten, religiös disziplinierten römischen Bürgern. Diese Erkenntnis ermöglicht uns eine gerechtere Beurteilung der Aussagen, die den Isiskult als verrufen bezeichnen. Die Zeugnisse der augusteischen Zeit gehören ausnahmslos der elegischen Dichtung an. Sie spiegeln nur einen kleinen Ausschnitt aus dem Alltagsleben der Stadtrömer, und zwar nur derjenigen Römer, die auf Grund ihrer sozialen Stellung ein Leben in otium, ohne Pflichten leben konnten. Ihre Aussagen über Kult und Religion sind daher nicht ohne weiteres repräsentativ für die ganze damalige Gesellschaft, ebensowenig wie später Juvenals Sittenmalerei die gesellschaftlichen und moralischen Verhältnisse in objektiven Relationen sieht. I n der Dichtung der augusteischen Zeit werden die sozialen und religiösen Lebensbereiche des Mittelstandes und der einfachen Leute, wenn man von der Demimonde absieht, kaum dichterisch widergespiegelt. Diese g a t t u n g s b e d i n g t e Beschränkung auf den eng begrenzten Ausschnitt der Halbwelt, der allein in dieser Dichtung objektiviert wurde, hat zu dem zählebigen Fehlurteil geführt, der Isiskult sei in Rom ausschließlich ein Hetärenkult gewesen. Man könnte dann mit gewissem Recht den Kult der Demeter in Eleusis gleichfalls als Hetärenkult bezeichnen, weil die berühmte Hetäre Phryne, die Geliebte des Praxiteles, an der Panegyris in Eleusis teilgenommen und dabei öffentliches Ärgernis erregt hatte 5 4 . Selbst Iupiter Optimus Maximus käme in Verruf, wenn wir Senecas Zeugnis verallgemeinerten, daß Mädchen auf dem Kapitol gesessen und sich als Geliebte Iupiters betrachtet hätten 55. Es muß mit allem Nachdruck auf einen weiteren Umstand hingewiesen werden: Diejenige Forschung, die die Isistempel als Stätten der Verführung kennzeichnet und daraus das Verdikt des Kultes ableitet, hat aus der augusteischen Dichtung und aus Juvenal immer nur die Isispartien ausgehoben. Bei einer Durchsicht der augusteischen Dichtung, die dem K o n t e x t der Isispartien ihre Aufmerksamkeit widmet, verschieben sich die Verhältnisse in aufschlußreicher Weise. Es ergibt sich, daß in den zitierten Partien neben den Isistempeln regelmäßig das Stadtzentrum, seine Tempel, Hallen, die Porticus, Theater und der Zirkus als das Jagdrevier wohlhabender römischer Nichtstuer und der Kurtisanen erwähnt werden 56 . In gewünschter Deutlichkeit bestätigt uns Vitruv, ein Zeitgenosse der römischen Elegiker, daß die Moral auch in den Venustempeln gefährdet werden konnte: „extra murum Veneris . . . fana ideo conlocari, uti non insuescat in urbe adulescentibus seu matribus familiarum veneria 52
Die Suda bezeichnet den Ädilen als einen rcöv eü yeyovorcov (s. v. IJgovygäiprj); auch der kurulische Ädil M. Plaetorius Cestianus, der vielleicht im Jahre 55 v. Chr. das Brustbild der Isis Parithea auf die Münzen setzen ließ, gehört dazu, vgl. unten Anm. 53. 53 A. A l f ö l d i , Die alexandrinischen Götter und die Vota publica, Jahrbuch für Antike und Christentum, 8/9, 1965/66, 63 m i t Tafel 9, Abb. 1; d e r s . , Studien zur Zeitfolge der Münzprägung der römischen Republik, Schweizerische Numismatische Rundschau 36, 1954, 29 und Tafel X X I 4. D a ß die Datierung Alföldis v o n der bisherigen abweicht (F. M ü n z e r , R E 20, 1950, 1950f., s. v. Plaetorius Nr. 16: Plaetorius wohl 68 kurulischer Ädil), ist für unseren Zusammenhang unwesentlich. M Athenaios 13, 590 F ; A. R a u b i t s c h e k , R E 20, 1941, 9 0 5 f . ; s. v. Phryne. 65 Bei Augustin, D e civitate Dei 6, 10. 56 Properz 2, 6, 2 5 f . ; 2, 19, 9 f . ; 2, 22, 4; 2, 23, 5 f . ; Ovid, Amores 2, 7, 3; 3, 2, 3 und 1 9 f . ; Ars amatoria 1, 79 und 89.
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I. B e c h e r : Der Isiskult in Rom — ein Kult der Halbwelt ?
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Libido" (De architectura 1, 7, 30, 1). Die Erwähnung der Stammutter des Julischen Hauses, der Venus, in diesem Zusammenhang ist besonders delikat, da der Verfasser sein Werk dem Kaiser Augustus, dem Abkömmling aus der gens Iulia, widmete (Proömium l f . ) und die Venus-Verehrung in der augusteischen Zeit vom Hof besonders gefördert wurde 57 . Aus der Fülle von Beispielen bei den augusteischen Dichtern seien einige genannt. Zwar ist bei Ovid der Isistempel eine Stätte der Verführung: „Nec tu linigeram fieri quid possit ad Isin quaesieris", rät der Dichter dem Wächter Bagoas in den „Amores" 2, 2, 25f. Aber kennengelernt hat er das Mädchen am Vortag in der Säulenhalle des von Augustus erbauten Apollotempels; 2, 2, 3f.: „lila, quae Danai porticus agmen habet" 3 8 . Aus der „Ars amatoria" ist die Partie 1, 67—78 ein Paradebeispiel dafür, zu welchen Entstellungen einseitige Akzentsetzung und die Aushebung allein der den Isiskult kompromittierenden Verse führen können. Ovid gibt den jungen Männern Empfehlungen, wo sie Mädchenbekanntschaften machen könnten. Es heißt zwar dort „nec fuge linigerae Memphitica templa iuvencae; multas illa facit, quod fuit ipsa Iovi" (1, 77f.), aber an den Anfang seiner Empfehlungen setzt Ovid die Halle des Pompeius (v. 67), die von Augustus' Schwester Oktavia und von seiner Gattin Livia erbauten Porticus (v. 69—72), den von Augustus errichteten Apollotempel (v. 73f.) und das Heiligtum der Venus (v. 75 und 81 f.). In ähnlicher Weise umfaßt die entsprechende Empfehlung für die Mädchen im dritten Buch der Ars neben dem Isistempel die anderen in der augusteischen Zeit und Literatur mit aller Ehrfurcht genannten Tempel, so den des Apollo, wobei Ovid sogar an den Sieg des Augustus über Antonius bei Aktium anspielt (v. 389f.). Grundsätzlich darf gesagt werden, daß in allen Varianten des Themas die enge Nachbarschaft von Isisdienst und hochangesehenen, altehrwürdigen Kulten charakteristisch ist. I m zweiten Buch der „Tristia", in dem sich der verbannte Ovid vor Augustus rechtfertigt, stellt der Dichter den Isiskult mitten hinein in die Gesellschaft angesehener römischer Götter (v. 289—300) und plaziert Isis zwischen den dynastischen Gott Mars Ultor und die Stammutter des Julischen Geschlechtes Venus Genetrix, die beiden speziellen Hausgötter des Augustus (v. 295—299). Damit stehen wir vor der Alternative: Entweder waren alle Tempel Roms in augusteischer Zeit Sündenpfühle, oder die Elegiker haben einen bestehenden Sachverhalt, nämlich die Möglichkeit, in öffentlichen Gebäuden und Tempeln Bekanntschaften zu machen, in der Weise verzerrt dargestellt, daß sie, von ernstem Kultbrauch in allen Tempeln absehend, nur die dort mögliche sittliche Gefährdung ihrem dichterischen Anliegen entsprechend im Auge hatten. Die Entscheidung für die letztgenannte Möglichkeit ist nicht schwer; unabweisbar ist, daß dann dem Isiskult die gleiche Gerechtigkeit widerfahren muß. Der Umfang dort vorkommender moralischer Verfehlungen dürfte nicht weit von dem abgewichen sein, woran die Römer auch in anderen Lebensbereichen gewöhnt waren. 9. Der Isiskult in Rom muß auch unter politischem Aspekt gesehen werden 59 . Der Einbruch östlicher Kulte war in der Zeit der Bürgerkriege erfolgt. I m Verlaufe der Machtkämpfe der fünfziger Jahre war es wiederholt zu Verfolgungen gekommen, als deren Ursachen andere als religiöse Gründe erkannt worden sind. Die Isis-Kultgemeinschaften fielen unter die collegia; diese wurden als Sammelstätten politischer Umtriebe im Jahre 64 verboten 6 0 . Die Isisanhänger gehörten ihrer sozialen Herkunft nach zu den Populäres. Um deren Gunst hat sich Clodius bemüht. Vermutlich hat er auch im Jahre 58 das Vereinsgesetz eingebracht 61 , um sich ihrer Unterstützung zu sichern. 57
58 L a t t e , Römische Religionsgeschichte 302. Zu den Danaiden vgl. Properz 2, 31, 4. ' Zu Einzelproblemen dieses Abschnittes und weiterführender Literatur vgl. die Anm. 48 genannte Arbeit-, bes. S. 6 3 - 7 1 . 60 Aseonius, In Pisonian. 8, S. 15 (Stangl). 61 Aseonius, a. O. 9, S. 16; Dio 38, 13, 2; Ch. M e i e r , R E Suppl. 10, 1965, 602, s. v. Populäres; J. M a r t i n , Die Populären in der Geschichte der Späten Republik, Diss. Freiburg 1965, 37. 82. 6J
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Religiöse Gemeinschaften als mögliche politische Klubs pflegten von den römischen Magistraten immer beargwöhnt zu werden. Offensichtlich durchschauten die Optimaten das Spiel und griffen von 59 ab ein 62 , in der Zeit also, in der Clodius die Politik in Rom entscheidend beeinflußte. Später hat sich Caesar in seiner Politik auf die Populäres, d. h. auch auf die Isiaci gestützt und den Isis- und Sarapiskult toleriert. Seine Verbindung zu Kleopatra VII., der Königin von Ägypten, die sich als Nea Isis aufführte und verehren ließ 63 , empfahl ihm taktvolle Behandlung der Isiaci in Rom. Es war ein Politicum, als die Triumvirn im Jahre 43 v. Chr. beschlossen, für Sarapis und Isis einen Tempel zu errichten und deren Kult damit unter die sacra publica aufzunehmen 0 4 . Dabei mag die Überlegung eine Rolle gespielt haben, man könne die bisher unkontrollierten Zusammenkünfte religiöser Prägung besser überwachen. Der Tempel für die alexandrinischen Götter ist nie gebaut worden. Vielmehr erließ Octavian im Jahre 28 einen Erlaß, zufolge welchem es untersagt war, innerhalb des Pomeriums Heiligtümer der alexandrinischen Götter zu errichten 6 5 . Die Ursache liegt in der politischen Situation der dreißiger J a h r e : Oktavians Rivale um die Alleinherrschaft, Marcus Antonius, hatte durch seine Verbindung zu Kleopatra alles Ägyptische suspekt gemacht. Vor der Auseinandersetzung, die mit dem Sieg Oktavians über seinen Gegner durch die Schlacht von Aktium (31 v. Chr.) und die Eroberung Alexandrias (30 v. Chr.) ihren Abschluß fand, ist in einer maßlosen Hetzpropaganda gegen Kleopatra auch der ägyptische Kult Gegenstand der Polemik geworden 66 . Die nur bedingt als Verbot zu bezeichnende Verfügung vom Jahre 28 v. Chr. ist ein Kompromiß. Auch die strengere Verweisung aus dem Umkreis von siebeneinhalb Stadien von Rom (21 v. Chr.) 67 scheint die Entwicklung nur retardiert zu haben. Oktavian hat mit dieser halben Maßnahme die den ägyptischen Kulten meist ablehnend gegenüberstehenden Nobiles beruhigt, ohne die andere Seite, die aus den Reihen der Populären kommenden Isiaci, tödlich zu treffen. Man hat den Eindruck, daß Oktavian vielmehr versuchte, mit der Methode der Deklassierung und Diffamierung die Werbekraft des Kultes zu vermindern. Bei der veränderten sozialen Struktur der Isiaci mußte es sich viel nachhaltiger erweisen, den Isis- und Sarapiskult durch die Verweisung aus dem Pomerium bzw. aus Rom auf Vorstadtmilieu herabzudrücken. Parallel dazu wurde möglicherweise der Kult sozial und moralisch anrüchig gemacht, seine Verehrer als Ehebrecher, Kuppler, Dirnen und Dandies gebrandmarkt 6 8 . Von diesen sich zu distanzieren schien auf jeden Fall den zu neuer Sittenstrenge angehaltenen hofnahen Kreisen opportun. Denn die ablehnende Haltung des Augustus allen Fremdkulten, besonders auch den ägyptischen Kulten gegenüber, war bekannt 6 9 . Es ist von anderer Seite gezeigt worden 70 , daß bei den Vertretern der oberen Gesellschaftsschichten, deren Wohlstand sehr oft von des Augustus Gnade abhing, auch schon die leiseste Andeutung eines Mißfallens, die nicht einmal die Drohung der Gunstentziehung, die renuntiatio amicitiae, enthielt, das Verhalten des Betroffenen auf einen Augustus genehmen Weg lenken konnte. Unter diesem Blickwinkel gesehen, wird der Freimut besonders augenfällig, mit dem Ovid 62
V f n . , Augustus und Ägypten (vgl. oben Anm. 48), 67—71. Dio 50, 24, 3f.; Plutarch, Antonius 54, 9; F. T a e g e r , Charisma, Studien zur Geschichte des antiken Herrscherkultes, Band 2, Stuttgart 1960, 93; V f n . , Das Bild der Kleopatra in der griechische» und lateinischen Literatur, Berlin 1966, 12—16. 25. 64 Dio 47, 15, 4. «5 Dio 53, 2, 4; V f n . , Augustus und Ägypten 264-266. 66 V f n . , Augustus und Ägypten 80—97. «7 Dio 54, 6, 6. 68 Vielleicht nur scheinbar zufällig schildert in der Zeit des strengeren Verbotes Horaz, Epistulae 1, 17, 60—62 einen Anhänger der ägyptischen Kulte, der, ein unerfreulicher Charakter, mit fragwürdigen Spaßen das Mitleid seiner Mitmenschen zum Amüsement mißbraucht. Ebenso ist es bei Properz fraglich, ob er die unsympathische, gemeine Kupplerin Akanthis im Gedicht 4, 5 zufällig mit der Isisreligion (v. 33f.) assoziiert hat. Das Gedicht stammt aus der Zeit um 16 v. Chr., d. h. aus der Zeit des strengeren Verbotes. 69 Sueton, Divus Augustus 93. 70 J . M . K e l l y , Princeps Iudex, Weimar 1957, 8—11; R . S . R o g e r s , The Emperor's Displeasure — amicitiam renuntiare, Transactions and Proceedings of the American Philological Society 90, 1959, 224—237. (i:i
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die von Augustus und den hofnahen Kreisen ignorierten ägyptischen Götter den römischen Staatsgöttern zuordnet. An Ovid und den übrigen Zeugnissen wird deutlich, wie methodisch anfechtbar ein Herausheben einzelner Partien aus einer einzigen literarischen Gattung werden kann, wenn dazu noch die Einbettung in den Kontext übersehen wird und wenn die ausgehobenen Zeugnisse weder in die historische Situation gestellt noch mit Zeugnissen anderer Lebensbereiche konfrontiert werden. Der „Dirnenkult" mancher Forscher ist ein Beweis dafür, daß bei geistes- und gesellschaftswissenschaftlichen Problemen nur eine umfassende Heranziehung aller verfügbaren Quellen eine gerechte Beurteilung ermöglicht, da im anderen Falle eine sachlich bedenkliche Verzerrung von Linien erfolgt, die das historische Bild entstellt.
LADISLAS
CASTIGLIONE
Diocletianus und die Blemmyes*
Über die mit der Inv.-Nr. 22737 versehene Terrakottastatuette der Ägyptischen Abteilung der Staatlichen Museen zu Berlin (Abb. I ) 1 enthält das Inventarbuch die folgende Beschreibung: „Bärtiger Gott in römischer Scldatentracht, der ein knieendes Bes-artig aussehendes Wesen am Schopf packt und mit dem Schwert ersticht. Links neben dem Kopf des Gottes ein Falke, also wohl Horus." Auf den ersten Blick fällt es in die Augen, daß die Komposition der römerzeitlichen, ja — wie wir sehen werden — spätrömischen Terrakotta die Variante eines sehr alten, bereits in der frühdynastischen Zeit ausgebildeten, beliebten altägyptischen königlichen Bildtyps darstellt (Abb. 2)2. In einer der häufigsten Szenen der die Siege der Pharaonen des Neuen Reiches verewigenden Tempelreliefs hält der König die die feindlichen Völker verkörpernden Barbaren mit der einen Hand — beim Haar gepackt — fest und steht im Begriffe sie mit einer mit der anderen Hand hochgehobenen Waffe, meist mit einer Streitkeule, niederzuschmettern (Abb. 3) 3 . Den auch auf den Reliefs der spätzeitlichen Tempel erneuerten Bildtyp konnten die römerzeitlichen Bewohner Ägyptens nicht nur auf den alten, sondern auch auf den monumentalen Wandbildern der verhältnismäßig neuen Gebäude Tag für Tag sehen. Es gehört zu den seltenen Fällen, daß wir das verständnisvolle Aufgreifen eines dreitausend Jahre alten könglichen Bildtyps im Ägypten der vorgeschrittenen Kaiserzeit als ein so handgreifliches Beispiel vorführen können, wie dies die * Vorgetragen bei der Ägyptologischen Arbeitskonferenz zu Leipzig im Mai 1968. 1 Höhe 18,5 cm. Die Statuette ist den vom Museum erhaltenen Informationen nach im zweiten Weltkrieg, von kleinen Bruchstücken abgesehen, zerstört worden. Ihre Photographie und ihre Angaben verdanke ich dem früheren Leiter der Ägyptischen Abteilung, dem gegenwärtigen Leipziger Professor, Herrn Siegfried Morenz. Für die Genehmigung der Veröffentlichung spreche ich meinen Dank Herrn Abteilungsleiter Wolfgang Müller aus. Erste Mitteilung über die Terrakotta: L. C a s t i g l i o n e , Kunst und Gesellschaft im römischen Ägypten, Acta Ant. Hung. 15, 1967, S. 134, Taf. X , Abb. 3. 2 Die Nar-Mer-Palette ist die älteste uns bekannte derartige Darstellung. J. E. Q u i b e l l , Slate Palette from Hierakonpolis, ZÄS 36, 1898, S. 8 1 - 8 4 . D e r s . , Hierakonpolis I., London 1900, Taf. X X I X . E. J. B a u m g a r t e l , The Cultures of Prehistoric Egypt II, Oxford 1960, 90ff. Taf. VII, Abb. 1. E. J. B a u m g a r t e l , The Cultures of Prehistoric Egypt II, Oxford 1960, S. 126f., datiert das ähnliche Bildchen auf der Wandmalerei von Hierakonpolis — wahrscheinlich richtig — in die protodynastische Zeit. 3 Der die feindlichen Völker niederschmetternde Herrscher Ramses II. an der Wand in der Vorhalle des Felsentempels zu Abu Simbel, links vom Eingang. Letzte Veröffentlichung: S. C u r t o , Nubia, Novara 1965, Abb. 206. — Eine spätptolemäische Variante in Philae e b d . Abb. 48.
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die von Augustus und den hofnahen Kreisen ignorierten ägyptischen Götter den römischen Staatsgöttern zuordnet. An Ovid und den übrigen Zeugnissen wird deutlich, wie methodisch anfechtbar ein Herausheben einzelner Partien aus einer einzigen literarischen Gattung werden kann, wenn dazu noch die Einbettung in den Kontext übersehen wird und wenn die ausgehobenen Zeugnisse weder in die historische Situation gestellt noch mit Zeugnissen anderer Lebensbereiche konfrontiert werden. Der „Dirnenkult" mancher Forscher ist ein Beweis dafür, daß bei geistes- und gesellschaftswissenschaftlichen Problemen nur eine umfassende Heranziehung aller verfügbaren Quellen eine gerechte Beurteilung ermöglicht, da im anderen Falle eine sachlich bedenkliche Verzerrung von Linien erfolgt, die das historische Bild entstellt.
LADISLAS
CASTIGLIONE
Diocletianus und die Blemmyes*
Über die mit der Inv.-Nr. 22737 versehene Terrakottastatuette der Ägyptischen Abteilung der Staatlichen Museen zu Berlin (Abb. I ) 1 enthält das Inventarbuch die folgende Beschreibung: „Bärtiger Gott in römischer Scldatentracht, der ein knieendes Bes-artig aussehendes Wesen am Schopf packt und mit dem Schwert ersticht. Links neben dem Kopf des Gottes ein Falke, also wohl Horus." Auf den ersten Blick fällt es in die Augen, daß die Komposition der römerzeitlichen, ja — wie wir sehen werden — spätrömischen Terrakotta die Variante eines sehr alten, bereits in der frühdynastischen Zeit ausgebildeten, beliebten altägyptischen königlichen Bildtyps darstellt (Abb. 2)2. In einer der häufigsten Szenen der die Siege der Pharaonen des Neuen Reiches verewigenden Tempelreliefs hält der König die die feindlichen Völker verkörpernden Barbaren mit der einen Hand — beim Haar gepackt — fest und steht im Begriffe sie mit einer mit der anderen Hand hochgehobenen Waffe, meist mit einer Streitkeule, niederzuschmettern (Abb. 3) 3 . Den auch auf den Reliefs der spätzeitlichen Tempel erneuerten Bildtyp konnten die römerzeitlichen Bewohner Ägyptens nicht nur auf den alten, sondern auch auf den monumentalen Wandbildern der verhältnismäßig neuen Gebäude Tag für Tag sehen. Es gehört zu den seltenen Fällen, daß wir das verständnisvolle Aufgreifen eines dreitausend Jahre alten könglichen Bildtyps im Ägypten der vorgeschrittenen Kaiserzeit als ein so handgreifliches Beispiel vorführen können, wie dies die * Vorgetragen bei der Ägyptologischen Arbeitskonferenz zu Leipzig im Mai 1968. 1 Höhe 18,5 cm. Die Statuette ist den vom Museum erhaltenen Informationen nach im zweiten Weltkrieg, von kleinen Bruchstücken abgesehen, zerstört worden. Ihre Photographie und ihre Angaben verdanke ich dem früheren Leiter der Ägyptischen Abteilung, dem gegenwärtigen Leipziger Professor, Herrn Siegfried Morenz. Für die Genehmigung der Veröffentlichung spreche ich meinen Dank Herrn Abteilungsleiter Wolfgang Müller aus. Erste Mitteilung über die Terrakotta: L. C a s t i g l i o n e , Kunst und Gesellschaft im römischen Ägypten, Acta Ant. Hung. 15, 1967, S. 134, Taf. X , Abb. 3. 2 Die Nar-Mer-Palette ist die älteste uns bekannte derartige Darstellung. J. E. Q u i b e l l , Slate Palette from Hierakonpolis, ZÄS 36, 1898, S. 8 1 - 8 4 . D e r s . , Hierakonpolis I., London 1900, Taf. X X I X . E. J. B a u m g a r t e l , The Cultures of Prehistoric Egypt II, Oxford 1960, 90ff. Taf. VII, Abb. 1. E. J. B a u m g a r t e l , The Cultures of Prehistoric Egypt II, Oxford 1960, S. 126f., datiert das ähnliche Bildchen auf der Wandmalerei von Hierakonpolis — wahrscheinlich richtig — in die protodynastische Zeit. 3 Der die feindlichen Völker niederschmetternde Herrscher Ramses II. an der Wand in der Vorhalle des Felsentempels zu Abu Simbel, links vom Eingang. Letzte Veröffentlichung: S. C u r t o , Nubia, Novara 1965, Abb. 206. — Eine spätptolemäische Variante in Philae e b d . Abb. 48.
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betreffende Statuette ermöglicht 4 . Offensichtlich h a t der römerzeitliche Koroplastes bei der Erneuerung der uralten Darstellung ein Tempelrelief nachgeahmt, um dadurch ein Geschehnis oder einen Gedanken der eigenen Zeit auszudrücken. Wir müssen nämlich voraussetzen, daß der Hersteller der Statuette von einem aktuellen, ja einmaligen historischen Ereignis „inspiriert" worden ist. Diese Annahme wird durch die Tatsache vorgeschrieben, daß die Terrakotta ein alleinstehendes Stück ist, von welcher uns — zumindest bisher — in dem mehrere Tausend Typen zählenden Bestand der römerzeitlichen ägyptischen Terrakotta-Plastik kein einziges Pendant bekannt ist.
Abb. 1
Abb. 2
Die Bedeutung dieses Umstandes ausführlicher zu begründen, ist nicht nötig. Es ist eine wohlbekannte Tatsache, daß in der Terrakotta-Plastik des Altertums und wenn möglich noch in gesteigertem Maße unter den ägyptischen Terrakotten die volkstümlichen Typen nicht nur durch die als Ergebnis der Serienproduktion erhalten gebliebenen Duplikate, sondern auch durch die in den verschiedenen Werkstätten, Städten und Zeitaltern immer wieder erzeugten Varianten oft in — mehr oder weniger abweichenden — mehreren Hunderten von Exemplaren erhalten geblieben sind. Begegnet uns daher ein solcher Terrakotta-Typ, der nicht nur eine seltene Variante darstellt, sondern in seinem Ganzen, sowohl seinem Gegenstand als auch seiner Form nach, einzigartig ist, so müssen wir voraussetzen, daß seine Erzeugung einem einmaligen und besonderen Umstand zu verdanken ist. Bevor wir jedoch versuchen werden, dieses historische Ereignis zu finden, lohnt es sich, dem stilistischen Unterschied zwischen dem altägyptischen Vorbild und der Terrakotta unsere Aufmerksamkeit zuzuwenden. I n den verschiedensten Varianten des altägyptischen Bildtyps wurde die Gestalt des Königs einem einheitlichen Schema nach den bekannten Regeln der ägyptischen Flächendarstellung 4
Eine sehr ähnliche, aber frühere Darstellung befindet sich unter den Wandgemälden der sogenannten BesKammer in Saqqara, J. E. Q u i b e l l , Excavations at Saqqara, 1905—1906, Le Caire 1907, Taf. X X I X , 3.
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L. C a s t i g l i o n e : Diocletianus u n d die Blemmyes
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folgend — vorgeführt. Sein Kopf und seine — meist stark ausschreitenden — Beine sind im Profil, der obere Körper in Vorderansicht zu sehen, seine Arme erstrecken sich beiderseitig derart, daß die bewegungsvolle Komposition durch eine den vorwärtsgebeugten Körper kreuzende Diagonale ausgeglichen wird.
Abb. 3
An der Terrakottastatuette finden wir keine Spur dieser die Bewegung veranschaulichenden Haltung. Die Gestalt wendet sich nicht dem mit seinem Schwert bedrohten Feinde zu, sondern heftet seinen Blick auf den Zuschauer und steht in starrer Vorderansicht, in frontaler Stellung vor uns. Die etwas abweichende Haltung der Beine ist nicht so sehr ein Rückbleibsel der ägyptischen, als eher der antiken Überlieferung. Das linke Bein tritt nämlich etwas vorwärts, da jedoch beide Beine gleicherweise in starrer Vorderansicht zu sehen sind und die Haltung des Rumpfes nicht gebogen ist, kann nicht festgestellt werden, welches Bein ausruht und welches die Last des Körpers trägt. Die starre Vorderansicht der Gestalt schloß die Vorführung der natürlichen und der Wahrheit entsprechenden Haltung des auf den Feind gerichteten Schwertes aus. Das in der an den Körper anliegenden rechten Hand gehaltene Schwert schmiegt sich eng dem Schoß des Imperators an. Obwohl also der Schöpfer der Statuette einen traditionellen Bildtyp aufzugreifen wünschte, gab er auch in der Struktur die ägyptische Flächenkomposition auf und wählte eine Lösung, die der Kunst der Pharaonenzeit ebenso fern steht, wie der plastischen oder malerischen Ausdrucksweise der griechisch-römischen Kunst. Es liegt daher auf der Hand, daß der Erzeuger der kleinen Statuettengruppe die Komposition des altägyptischen Bildtyps, die er mit römischen Attributen versehen hatte, nicht im Sinne des Geschmackes des Hellenismus oder der Frühkaiserzeit, sondern der Auffassung der spätantiken Kunst gemäß modifiziert hat. Da die in der römischen Kunst erscheinende frontale Flächenkomposition bzw. die starre Konfrontierung des Körpers und des Blickes der dargestellten Personen von der Severerzeit an aufgetreten ist und an der Wende des
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3.-4. Jahrhunderts vorherrschend wird 5, können wir die Entstehung der Terrakotta auf früher als das 3. Jahrhundert nicht setzen. Der charakteristische Typ des Gesichtes der Hauptfigur bekräftigt endgültig die Datierung des Stückes und setzt ihr engere Grenzen. Zwar kann der Kopf der abgebildeten Statuette (vgl. Abb. 1) nicht als ein, im engen Sinne des Wortes individuelles Porträt 6 betrachtet werden, dennoch ist der Typ des Gesichtes derart charakteristisch, daß siine Datiefung mit ziemlicher Genauigkeit bestimmt werden kann. Die eckig massive Schädelform, der kurz geschorene und mit dem Haar zusammenfließende Bart, die niedrige Stirn, das regelmäßig geometrische System der Formen, die „punktierte" Darstellung der Behaarung (was in der Steinplastik den die glatte Oberfläche bedeckenden winzigen Meißelspuren entspricht), — alles ist charakteristisch für eine einzige Epoche der römischen Porträtplastik, dem Zeitalter der Tetrarchie7. Der charakteristische Porträttyp der Tetrarchenzeit ist uns vor allem von den die Grundlage aller anderen Attributionen bildenden Münzbildern bekannt 8 , jedoch sind zum Vergleich mit der Terrakotte die Statuenporträts geeigneter. Unserem Stücke stehen die Köpfe der aller Wahrscheinlichkeit nach in Ägypten aus Porphyr gefertigten Kaiserstatuen, der Exemplare vom Vatikan (Abb. 5) 9 und der von Kairo (Abb. 4) 10 am nächsten. Der Vergleich kann auch davon überzeugen, daß die an der Statuette so oberflächlich angedeuteten Teile, wie die kugelig hervortretenden und stark pointierten Augen, die markanten Falten der Stirn sowie die zwischen der Hautoberfläche und der Behaarung stark eingeschnittene Grenzlinie, nicht zufällige Züge, sondern Anzeichen einer Bestrebung nach genauer Nachahmung der Großplastik desselben Zeitalters sind. In der schwer bestimmbaren, eigenartigen Kopfbedeckung der Statuette können wir die charakteristische Pelzkappe der Tetrarchenzeit entdecken 11 . Der Gesichtstyp und der Porträtstil sind die ausschließliche Eigenheit des Zeitalters der Tetrarchie, vor dem wir der für die spätantike Kunst charakteristisch werdenden kubistischen Vereinfachung nicht begegnen, nach diesem wiederum verschwindet die Barttracht aus der kaiserlichen Ikonographie. Die Terrakottastatuette kann also mit voller Bestimmtheit auf den Zeitraum zwischen 284 und 324 datiert werden. Diese 6
D . L e v i , L ' A r t e R o m a n a , Ann. Scuola Arch. Ita]. Atene 24—26, 1946—1948, S. 300f. A. L. P e r k i n s in „City I n v i n c i b l e " , Chicago 1960, 208 (Das Erscheinen dieses Stilprinzips in der P a r t h o - r ö m i s c h e n K u n s t ) . G.-Ch. P i c a r d , L ' A r t r o m a i n , Paris 1962, S. 166ff. H . K a h l e r , Das F ü n f s ä u l e n d e n k m a l f ü r die T e t r a r c h e n auf dem F o r u m R o m a n u m , K ö l n 1964, S. 32. — Die F r o n t a l i t ä t in der Zeit der Severen: L. B u d d e , Die E n t s t e h u n g des a n t i k e n Repräsentationsbildes, Berlin 1957. — Ü b e r die Darstellungsweise des griechischen Reliefstils im Profil Gr. R o d e n w a l d t , D a s Relief bei den Griechen, Berlin 1923, S. 9ff. 6 Diese Möglichkeit ist natürlich in der T e r r a k o t t a - K l e i n p l a s t i k nicht ausgeschlossen. Siehe d a r ü b e r Gr. M. A. R i c h t e r , Greek P o r t r a i t s I I I , Bruxelles 1960. L . C a s t i g l i o n e , Quelques tètes de t e r r e cuite hellénistiques, Bull. Mus. H o n g . B.-A. 22, 1963, S. 9—23. ? U n t e r a n d e r e n : H . P . L ' O r a n g e , E i n P o r t r ä t des Kaisers Diokletian, R M 44, 1929, S. 180ff. D e r s . , Studien zur Geschichte des s p ä t a n t i k e n P o r t r ä t s , Oslo 1933 (Neuauflage R o m 1965), S. 16fT. H . F u h r m a n n , Z u m Bildnis des Kaisers Diokletian, 53, 1938, S. 35ff. L. C u r t i u s , P o r t r ä t der Tetrarchenzeit, J H S 71, 1951, S. 48ff. G. M. A. R i c h t e r , Catalogue of Greek a n d R o m a n Antiquities in t h e D u m b a r t o n Oaks Collection, Cambridge, Mass., 1954, S. 15ff., N r . 11, Taf. VI—VII. J . W . S a l o m o n s o n , E i n u n b e k a n n t e s T e t r a r c h e n p o r t r ä t aus Nord-Afrika in Leiden, O u d h . Meded. 41, 1960, S. 59ff. 8 H . P . L ' O r a n g e , R M 44, 1929, S. 187, 189, A b b . 1. D e r s . : Studien zur Gesch. d. s p ä t a n t . P o r t . , Oslo 1933, Abb. 50. R . D e l b r u e c k , A n t i k e P o r p h y r w e r k e , Berlin-Leipzig 1932, Taf. 5 7 - 6 0 . 9 R . D e l b r u e c k , a. a. O. S. 91 f., T a f . 3 5 - 3 7 . H . P . L ' O r a n g e , Studien, S. 16ff„ A b b . 33, 35. M. C a g i a n o d e A z e v e d o , I cosidetti t e t r a r c h i di Venezia, C o m m e n t a r i 13, 1962, S. 167f., Taf. L V I I , Abb. 7—8. W . H e i b i g , F ü h r e r d u r c h die öffentlichen S a m m l u n g e n klassischer A l t e r t ü m e r in R o m . 4. Aufl. Tübingen 1963, S. 369f., N r . 470 (H. v. H e i n t z e ) , H . K a h l e r , a. a. O. 6. — Die P o r p h y r g r u p p e n v o n Venedig müssen wir beim Vergleich n i c h t n u r deshalb außer a c h t lassen, weil die formellen Züge abweichend sind, sondern da die neuere Forschung, insbesondere seit d e m Auffinden des F u ß f r a g m e n t e s zu K o n s t a n t i n o p e l , sie in eine spätere Zeit als die der T e t r a r c h e n setzt. R . D e l b r u e c k , a. a. O. S. 84ff., Taf. 31—34. H . P . L ' O r a n g e , I due g r u p p i in porfido di S. Marco a Venezia e il Philadelphion di Constantinopoli, Palladio 8, 1958, S. 8ff. M. C a g i a n o d e A z e v e d o , a. a. O. S. 160ff. R . N a u m a n n , Der a n t i k e R u n d b a u beim Myrelaion u n d der P a l a s t R o m a n o s I , Lekapenos, I s t a n b . Mitt. 16, 1966, S. 209ff. 10 R . D e l b r u e c k , a. a. O. S. 92ff., Taf. 3 8 - 3 9 . H . P . L ' O r a n g e , a. a. O. S. 22ff., Abb. 42, 44. M. C a g i a n o d e A z e v e d o , a. a. O. S. 162, 178, 179. J . B e c k w u t h , Coptic Sculpture, L o n d o n 1963, S. 8, Abb. 2. 11 H . P . L ' O r a n g e , a. a. O. S. 17, A n m . 4.
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Datierung wird von der charakteristisch niedrigen und gedrungenen Körpergestalt der Hauptfigur der Terrakotta, ferner von jenem Umstand unterstützt, daß man sich in dem von Constantinus an rasch christianisierenden Ägypten die ausgesprochen heidnische Darstellungsweise der Kaiser (Horus-Falke!) schwer vorstellen kann 1 2 . Soweit wir bezüglich der Datierung des Porträttyps gewiß sein können, so aussichtslos ist es, allein auf Grund der Gesichtszüge auch die Person des Kaisers benennen zu können. Der Grund hierfür liegt nicht nur in der aus dem Maß und der anspruchslosen Ausarbeitung folgenden groben Herstellungsweise der Statuette, sondern auch in der wohlbekannten Einheitlichkeit der Ikonographie der Tetrarchenzeit. Um auch auf diese Frage eine Antwort zu finden, müssen wir uns an die historischen Quellen wenden.
Abb. 4
Abb. 5
Vor allem muß festgestellt werden, daß in Ägypten von den Herrschern der Tetrarchie allein Diocletianus und Maximinus Daia in Betracht kommen können als solche, die über die Provinz mit einer unmittelbaren Gewalt verfügt haben. Von diesen beiden muß in erster Reihe an Diocletianus gedacht werden, der sich von den Herrschern der Tetrarchie allein mit der Frage der die Grenzen Ägyptens bedrohenden Barbaren beschäftigt hat. Diocletianus, der die Verwaltung Ägyptens — der alten augusteischen Überlieferung folgend — sich selbst vorbehalten hat, war den neueren Forschungsergebnissen nach im Jahre 298 in Ägypten 1 3 . Den Grund zum Besuch des 12 A m linken A r m der H a u p t g e s t a l t der T e r r a k o t t a g r u p p e k a n n auf der P h o t o g r a p h i e ein d e m K r e u z ähnliches Zeichen e r k a n n t werden, das wir jedoch n i c h t als christliches Symbol auslegen k ö n n e n . Möglicherweise h a n d e l t es sich n u r u m die A n d e u t u n g der O r n a m e n t i k , die den Ärmel des Kleides verziert h a t (vgl. M. S. D i a m o n d , Coptic Tunics in t h e Metropolitan Museum, Metr. Mus. S t u d . 2, 1930, S. 239ff.), was die a m rechten A r m sichtbare, jedoch nicht mehr kreuzförmige, sondern aus mehreren, sich kreuzenden Linien bestehende Zeichnung als sehr wahrscheinlich erscheinen läßt. E s ist nicht ausgeschlossen, d a ß wir einem Anch-Zeichen gegenüberstehen. So viel s t e h t fest, d a ß das auf d e m Kleiderärmel getragene K r e u z in d e r altchristlich-spätantiken K u n s t eine ungewöhnliche Erscheinung ist. 13 Cl. V a n d e r s l e y e n , Chronologie des p r é f e t s d ' É g y p t e de 284 à 395, Bruxelles 1962, S. 68ff. — Die Quellenangabe des Kaiserbesuches v o n P a n o p o l i s : T. C. S k e a t , P a p y r i f r o m Panopolis in t h e Collection of Sir Chester B e a t t y , Proc. I X . I n t . Cong. P a p y r . 1958, Oslo 1961, S. 195f. — Der Beginn des Baues des Militärlagers zu L u x o r hing aller Wahrscheinlichkeit nach m i t d e m Kaiserbesuch z u s a m m e n . Die älteste Inschrift des Lagers s t a m m t aus d e m J a h r 299/300, sein architektonischer Stil zeigt hingegen eine V e r b i n d u n g zu den östlichen Provinzen des Reiches. Vgl. U. M o n n e r e t d e V i l l a r d , L a N u b i a B o m a n a , K o m a 1941, S. 9. L. C a s t i g l i o n e , Acta A n t . H u n g . 15, 1967, S. 109, 115. Anm. 42. — I n H e r m o n t h i s wurde die letzte
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Kaisers lieferte die Niederwerfung der Usurpation des Domitianus, jedoch benützte der Reorganisator des Reiches — laut Bezeugung unserer Quellen — auch diese Gelegenheit zu zahlreichen anderen Maßregelungen. Von diesen interessiert uns jene hochwichtige Handlung, die uns aus der Beschreibung des Procopius bekannt ist 14 . Laut Procopius hat Diocletianus, als er zur Südgrenze Ägyptens gekommen war, festgestellt, daß es sich nicht lohnte, die römische Herrschaft im Gebiet südlich des ersten Katarakts aufrechtzuerhalten, da die Steuereinnahmen wegen der Armut des nubischen Bodens sehr gering, die Aufrechterhai tungskosten der Garnisonen hingegen sehr hoch waren und dazu noch die Wüstenbarbaren die Gegend ständig ausplünderten. Nachdem er sich zur Aufgabe des Dodekaschoinos entschlossen hatte, nahm er die Grenze von Hierasykaminos bis Elephantine zurück und siedelte auf dem evakuierten Gebiet das Volk der Nobatai an. Von diesem Schritt erwartete Diocletianus nicht nur die Befriedung der Nobatai, sondern in erster Linie, daß dieses — gemäß Procopius aus der Oase Kharga, in der Wirklichkeit jedoch aus dem südlicher gelegenen Teil des Niltals gekommene 15 — Volk die Blemmyes, die bereits seit einem halben Jahrhundert Oberägypten schwer gefährdet und beunruhigt hatten, aus dem Grenzgebiet vertreiben und fernhalten würde. Der Sicherheit halber verordnete er den beiden Völkern ein jährliches Lösegeld zu zahlen, das Iseum von Philae, das zwischen der Grenzbefestigung von Elephantine und dem barbarischen Land, sozusagen im Niemandsland, zu liegen kam, ließ er aber nicht nur befestigen, sondern machte es durch Aufstellung eines gemeinsamen Priestertums und durch gegenseitige Sicherung der Ungestörtheit der Feste zu einem gemeinsamen Wallfahrtsort der Römer und der Barbaren 10 . Buchis-Stele im N a m e n des Kaisers aufgestellt: R . M o n d - O . H . M y e r s , T h e B u e h e u m I I , T h e Inscriptions ( F a i r m a n ) , L o n d o n 1934, S. 18, Nr. 19, Taf. X L V I . — I n vollem E i n k l a n g m i t der Angabe des Procopius k a n n die E n t s t e h u n g des P r u n k t o r e s der spätrömischen Befestigung von Philae in die Zeit des Ägyptenbesuches von Diocletianus gesetzt werden, vgl. U . M o n n e r e t d e V i l l a r d , a. a. O. 6. — Zu d e m ägyptischen Besuch v o n Diocletianus finden wir in einem A b s c h n i t t per P a s s i o q u a t t u o r c o r o n a t o r u m eine sehr interessante u n d besonders vom Gesichtspunkt der P o r p h y r p l a s t i k der Tetrarchenzeit wichtige Angabe. D e m n a c h s a n d t e Diocletianus die g e w a n d t e s t e n Meister in den Steinbruch des Möns P o r p h y r i t i c u s zur Arbeit u n d legte auf den intensiven Betrieb der W e r k s t ä t t e ein großes Gewicht. Vgl. A. A. V a s i l i e v , I m p e r i a l p o r p h y r i sarcophagi in Constantinopel, D u m b Oaks P a p . 4, 1948, S. 5. W i r h a b e n keinen G r u n d , die A u t h e n t i z i t ä t der Angabe zu bezweifeln, u m so weniger, da n u r die anläßlich des Kaiserbesuches in Ä g y p t e n erfolgte persönliche Anregung als befriedigende E r k l ä r u n g f ü r die zur Zeit des Diocletianus plötzlich beginnende u n d außerordentliche B e d e u t u n g des ägyptischen P o r p h y r s , der f r ü h e r v e r h ä l t n i s m ä ß i g selten g e b r a u c h t wurde, in der s p ä t a n t i k e n K u n s t dienen k a n n , vgl. R . D e l b r u e c k , a. a. O. S. 24ff. I m Licht dieser A n g a b e ist auch die ägyptische Herstellung eines Teiles der P o r p h y r p r o d u k t e , insbesondere der oben a n g e f ü h r t e n Stücke f ü r gewiß a n z u n e h m e n , woraus sich zahlreiche ihrer stilistischen Eigenheiten erklären lassen. 14 De Bello Persico I 19, ed.. J . H a u r y - G . W i r t h , Leipzig 1962, S. 104. I n englischer Ü b e r s e t z u n g W. B. E m e r y , T h e R o y a l Tombs of Ballana a n d Qustul, Cairo 1938, S. 7f. 15 Diese A n g a b e d ü r f t e auf einen I r r t u m oder ein Mißverständnis des zweieinhalb J a h r h u n d e r t e nach d e m Geschehnis lebenden Procopius z u r ü c k z u f ü h r e n sein, vgl. R . H e r z o g , Die Nubier, Berlin 1957, S. 45ff. D. G. T r i g g e r , H i s t o r y a n d Settlement in Lower N u b i a , New H ä v e n 1965, S. 134ff. Die N o b a t a i k o n n t e n n u r von Süden h e r das Gebiet von Dodekaschoinos bezogen h a b e n . Dies schließt natürlich n i c h t die Möglichkeit aus, d a ß dieses Volk f r ü h e r gegen das römische Ä g y p t e n , vielleicht gerade v o n W e s t e n her, auf den über die Oasen D u n g u l und K u r k u r f ü h r e n d e n Wüstenwegen, Angriffe g e f ü h r t h a t . Die A n g a b e h a t jedoch einen reellen K e r n , u n d zwar, daß sich die Siedlungen von U n t e r n u b i e n zur Zeit der X - G r u p p e u n d in der christlichen E p o c h e fast ausschließlich a m westlichen Ufer des Nils b e f u n d e n , also die N o b a t e i tatsächlich im westlichen Gebiet gelebt h a b e n , vgl. D. G. T r i g g e r , a. a. O. S. 135, passim. 16 A . - J . L e t r o n n e , M a t é r i a u x pour l'histoire d u christianisme en E g y p t e , en N u b i e e t en Abyssinie, 1825, Ouvres choisies I, Paris, S. 66ff. K . S e t h e , R E „ B l e m y e s " , 1897, S. 567. J . G. M i l n e , A H i s t o r y of E g y p t u n d e r R o m a n Rule, L o n d o n 1898, S. 84ff. J . K r a l l , Beiträge zur Geschichte der Blemyer u n d Nubier, Denkschr. d. Kais. Akad. d. Wiss. in Wien. X L V I , 1900, I V , 8, 11. W . B . E m e r y , R o y a l Tombs, 1938, S. 7f. U . M o n n e r e t d e V i l l a r d , Storia della N u b i a cristiana, R o m a 1938, S. 23, 28. 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Dieses Geschehnis, das unserer Meinung nach von dem Kaiserbesuch des Jahres-298 nicht zu trennen ist 17 , kann vom Gesichtspunkt der spätantiken Geschichte Ägyptens und Nübiens nicht genügend hochgewertet werden. Nicht nur darum, weil der Kaiser durch die territoriale Umordnung der barbarischen Stämme allen Anzeichen nach das ethnische Bild Unternubiens für lange Zeit bestimmt hat, sondern auch deshalb, weil es mit dieser wohldurchdachten Kettenreihe von Verordnungen gelungen ist, die zurückgenommene Grenze und mit ihr auch die Sicherheit Ägyptens für lange Zeit zu festigen. So viel steht fest, daß unsere Quellen über keinen bedeutenden Einfall der Blemmyes im Laufe des 4. Jahrhunderts berichten 18 . Die ungefähr für ein Jahrhundert andauernde Herstellung des Friedens und der Ruhe können wir im großen und ganzen nur dann in entsprechender Weise schätzen, wenn wir an die wiederholten blutigen Einfälle der Blemmyes im vorangehenden Zeitalter denken 19 . Die Terrakottastatuette zu Berlin läßt sich also sowohl von stilistischem als auch von gehaltlichem Gesichtspunkt genau in das Bild der ägyptischen Geschehnisse des Jahres 298 einfügen. Wahrscheinlich wurde sie von einem oberägyptischen Koroplastes, aller Wahrscheinlichkeit nach 17
Die a n g e f ü h r t e n modernen A u t o r e n setzen die Grenzberichtigung v o n Diocletianus im allgemeinen auf das J a h r 296 oder 297. Bei Procopius ist der einzige chronologische A n h a l t s p u n k t , daß dies anläßlich des Kaiserbesuches geschehen ist. E s k a n n bloß eine einzige Ägyptenreise des Diocletianus nachgewiesen werden u n d diese l ä ß t sich — im Z u s a m m e n h a n g m i t sämtlichen Angaben — auf das J a h r 298, auf die Zeit n a c h der U n t e r d r ü c k u n g des A u f s t a n d e s von Domitius Domitianus datieren (siehe A n m . 13). Da sich der Kaiserbesuch nicht n u r auf Alexandrien beschränkt h a t , wo i h m zu dieser Zeit auch die noch h e u t e stehende Ehrensäule dediziert wurde, sondern die verschiedenen oberägyptischen Stationen seiner Reise auch durch andere Angaben belegt sind, ist es offenkundig, d a ß Diocletianus damals ganz bis zur unsicher gewordenen südlichen Grenze der P r o v i n z gereist ist, u m Ägypten nach d e m inneren F e i n d e auch gegenüber den ä u ß e r e n F e i n d e n zu sichern. W ä r e die Grenzberichtigung bereits zur Zeit eines — ansonsten unwahrscheinlichen — f r ü h e r e n Besuches erfolgt, so wäre diese neuere zeitraubende Reise k a u m m e h r nötig gewesen. Andererseits müssen wir die A n g a b e v o n Procopius ü b e r die persönlichen A u s f ü h r u n g e n der Grenzberichtigung f ü r a u t h e n t i s c h halten, da ja eine ganze Reihe von Verordnungen m i t solchen weitgreifenden Folgen bloß der Eigeninitiative eines energischen Herrschers zugesprochen werden können. E i n Zeichen der Tätigkeit des Kaisers in Nubien können wir auch in der u n t e r i h m geprägten alexandrini sehen Münze erblicken, die in K o r d o f a n , also in dem Gebiete g e f u n d e n wurde, das die ursprüngliche H e i m a t des Volkes der N o b a t a i war u n d m i t d e m die S t ä m m e des Niltales auch weiterhin in Verbindung g e s t a n d e n h a b e n d ü r f t e n . Vgl. A. J . A r k e l l , A R o m a n Coin of t h e E m p e r o r Dioeletian a t el Obeid, Sudan N o t e s a n d Records 16, 1933, S. 187. 18 J . K r a l l , a. a. O. S. 11. L. P . K i r w a n , Mèi. Michal., 1966, S. 123. — Die Lage h a t sich a m E n d e des 4. J a h r h u n d e r t s geändert. Die Blemmyes, die zu dieser Zeit bereits den nördlichen. Teil U n t e r n u b i e n s u n t e r ihrer Kontrolle hielten, richteten gleichzeitig im B ü n d n i s m i t den N o b a t a i v o n n e u e m heftige Angriffe gegen Ägypten. Vgl. K . S e t h e , a . a . O . S. 567. J . K r a l l , a . a . O . S . l l . L. P. K i r w a n , Studies in t h e Later H i s t o r y of N u b i a . Liverpool Annais of Arehaeology a n d Anthropology 24, 1936, S. 76. D e r s . , Mèi. Michal., 1966, S. 123. — Die Macht der Blemmyes erreichte im 5. J a h r h u n d e r t ihren H ö h e p u n k t . Sie hielten n i c h t n u r U n t e r n u b i e n bis Qasr I b r i m u n t e r ihrer H e r r s c h a f t , sondern brachen auch in Oberägypten des öfteren und m i t solcher Gewalt ein, daß in den J a h r e n 451—453 u n t e r Marcianus die kaiserlichen S t r e i t k r ä f t e wiederh o l t e r m a ß e n u n d v o n hohen Befehlshabern g e f ü h r t , eingesetzt werden m u ß t e n , u m die Lage zu .konsolidieren, was schließlich auch m i t d e m b e k a n n t e n h u n d e r t j ä h r i g e n Waffenstillstandsvertrag v o n Philae zus t a n d e g e k o m m e n war. Wie teuer die R ö m e r f ü r diesen F r i e d e n gezahlt h a b e n , das beweisen nicht n u r das jährliche Lösegeld u n d die B e k r ä f t i g u n g der A u f r e c h t e r h a l t u n g des K u l t u s v o n Philae, sondern auch die durch die D o k u m e n t e v o n Gebelen b e k a n n t e n Konzessionen auf ägyptischem Boden. Ü b e r diese E p o c h e siehe u n t e r a n d e r e n A.-J. L e t r o n n e , a. a. O. S. 67ff. J . K r a l l , a. a. O. S. l f f . , 25f. F . LI. G r i f f i t h , Oxford E x c a v a t i o n s in N u b i a , Liverpool Annais 11, 1934, S. 124. L. P . K i r w a n , Liverpool Annais 24, 1936, S. 68, 71 f., 76ff., 80ff., 86ff., 91. U . M o n n e r e t d e V i l l a r d , N u b i a cristiana 1938, S. 50f. W . B . E m e r y , Royal Tombs, 1938, S. lOff. L. P . K i r w a n , The Oxford University E x c a v a t i o n s a t F i r k a , Oxford 1939, S. 39f. W . B. E m e r y , N u b i a n Treasure, L o n d o n 1948, S. 29f. L. P . K i r w a n , Bull. Géogr. E g y p t e 25, 1953, S. 106. A. J . A r k e l l , A H i s t o r y of t h e Sudan, L o n d o n 1955, S. 179. W. B. E m e r y , E g y p t in Nubia, L o n d o n 1965, 5. 237f. L. P . K i r w a n , Mèi. Michal., 1966, S. 122f., 124ff. 19 Ü b e r die E i n b r ü c h e u n d Kriege der B l e m m y e s im 3. J a h r h u n d e r t siehe K . S e t h e , R E , 1897, S. 566. J . G. M i l n e , a. a. O. S. 79f. J . K r a l l , a. a. O. S. 9. F . LI. G r i f f i t h , Liverpool Annais 11, 1924, S. 124. W . B. E m e r y , R o y a l Tombs, 1938, S. 5f. U. M o n n e r e t d e V i l l a r d , N u b i a cristiana, 1938, S. 23, 27. W . B . E m e r y , N u b i a n Treasure, L o n d o n 1948, S. 26f. D e r s . , E g y p t in Nubia, L o n d o n 1965, S. 233. L. P . K i r w a n , Mèi. Michal., 1966, S. 122.
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anläßlich des Kaiserbesuches erzeugt, als eine bescheidene, jedoch um so charakteristischere und aufrichtigere Manifestation jener Demonstrationsreihe; durch die Diocletianus gefeiert wurde. In der Statuette kam nicht nur die Glorifizierung des das Reich beschützenden Herrschers, sondern auch ägyptischer Lokalpatriotismus zum Ausdruck, da sie ja den römischen Kaiser in der Pose und mit dem Attribut der Pharaonen dargestellt und dadurch sozusagen als den eigenen König Ägyptens charakterisiert hat. In diesem Zug erkennen wir die Stimmung der unteren Klassen des ägyptischen Volkes und vor allem jener Ackerbauern, die gerade durch Diocletianus mit den Städten griechischer Kultur, die bisher ausschließliche Vorteile genossen hatten, dem öffentlichen Recht nach gleichgestellt wurden 20. Wenn wir unsere Aufmerksamkeit der Gestalt des besiegten Barbaren zuwenden, so bietet die Bestimmung des Gegenstandes und des Zeitalters der Statuette eine Möglichkeit zu weiteren Schlüssen. Neben den konventionellen Zügen, wie z. B. die aus der traditionellen Komposition folgende Haltung und die mit der Gestalt des siegreichen Herrschers in Gegensatz gestellte Häßlichkeit, finden wir an ihr auch einige eigenartige Elemente. Der auf den ersten Blick auffallende Bes-artige oder satyrartige Charakter bestimmt die Statuette unmißverständlich als fremd und
Abb. 6
barbarisch. Bereits die als Vorbild dienenden altägyptischen Darstellungen unterschieden die Vertreter der besiegten Völker oft mit scharf charakterisierten Zügen 21 . Wenn wir z. B. von den Ramses II. darstellenden Triumphszenen eines der von diesem Gesichtspunkt lehrreichen Exemplare herausgreifen (Abb. 6) 22 , so fällt uns der ethnische oder vielmehr rassische Charakter der 20 A. Ch. J o h n s o n , E g y p t a n d t h e R o m a n E m p i r e , A n n Arbor 1951, S. U l f . Vgl. C. E . V a n S i c k l e , Diocletian a n d t h e Décliné of t h e R o m a n Municipalities, J R S 28, 1938, S. 9ff. 21 Die Darstellung der f r e m d e n Völker h a t in der ägyptischen K u n s t einen v o r n e h m e n P l a t z eingenommen. Diese „ e t h n o g r a p h i s c h e n " Bilder sind nicht n u r wegen des hohen künstlerischen Niveaus der Charakterisierung, sondern auch wegen ihres u n s c h ä t z b a r e n historischen Quellenwertes v o n großer B e d e u t u n g . Oft — insbesondere zur Zeit der E x p a n s i o n des N e u e n Reiches — e n t f a l t e t e n sich solche Darstellungen zu wahrh a f t e n Völkerkatalogen. Eines der b e k a n n t e s t e n Beispiele dieses systematischen, ein jedes Volk eigens vorf ü h r e n d e n u n d benennenden, „ K a t a l o g e s " wurde im Tempel zu Soleb u n t e r Amenophis I I I . gefertigt, vgl. J . L e c l a n t , Les fouilles de Soleb (Nubie soudanaise), Nachr. A k a d . Wiss. Göttingen I, 1965, S. 13. 22 Bemaltes Kalksteinrelief aus d e m P t a h - T e m p e l zu Memphis, Kairo, Ägyptisches Museum. M. V i l i m k o v â - W . u n d B. F o r m a n , Ägyptische K u n s t aus den S a m m l u n g e n des Museums in Kairo, P r a h a 1962, Abb. 8 5 - 8 6 . 7
Zeitsehr. f ü r Ägypt. Sprache 96. B a n d
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drei besiegten Fremden sofort in die Augen. Der Kopf des neben dem Neger und dem Syrer erscheinenden Vertreters des dritten Volkstyps verrät zu dem Barbaren der Terrakottastatuette eine enge Verwandtschaft. Diese struppige, < langhaarige und langbärtige Gestalt auf dem Relief des Neuen Reiches bezeichnet ebenso kein bestimmtes Volk oder keinen bestimmten Stamm wie die anderen beiden, sondern — entsprechend der verallgemeinernden Symbolik der Darstellung — vielmehr eine größere Volksgruppe, einen größeren ethnischen Kreis, der einem großen Sektor der Ägypten umgebenden barbarischen Welt entspricht. Dieser ethnische Kreis, mit den südlich lebenden Negern des eigentlichen Schwarzen Afrikas bzw. Nubiens und den Semiten Vorderasiens verglichen, kann nichts anderes sein, als die große Gruppe der wüstenbewohnenden Nomaden.
Abb. 7
Es kann als sicher angesehen werden, daß ein einheimischer, die Verhältnisse gut kennender Koroplastes in der Barbarengestalt der Terrakotta den Vertreter eines nomadischen Wüstenvolkes vorzuführen gewünscht hat. Dies erreichte er vor allem mit dem aus der traditionellen ägyptischen Bildwelt gewählten Typ, den er jedoch auch mit den aus den Beobachtungen seines Zeitalters geschöpften Teilmotiven — wie z. B. mit dem runden Schild, der Phalera und dem Schwert — ergänzt hat 2 3 . Eins ist sicher, daß er das besiegte Volk nicht in den Kreis der wolligen, kurzhaarigen 23 Diese Gegenstände k o m m e n im größten nubischen F u n d k o m p l e x der Periode, in der fürstlichen Nekropolis von Ballana-Qustul vor u n d waren vermutlich u n t e r den südlich von Ä g y p t e n w o h n h a f t e n Völkern allgemein verbreitet, vgl. W. B . E m e r y , R o y a l Tombs, Cairo 1938, Taf. 49, 54, 62.
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und glattgesichtigen Neger- oder Negroidrassen eingereiht hat, da ja für diese Volksgruppe in der ägyptischen und griechisch-römischen K u n s t sich gleicherweise ein traditioneller und charakteristischer Bildtyp ausgebildet hatte 2 4 . Diese Differenzierung ist vom Gesichtspunkt der BlemmyesFrage und im allgemeinen der historischen Problematik des nubischen Ethnikums außerordentlich bedeutend. Durch die Bestimmung des Gegenstandes der Terrakottastatuette kamen wir nämlich in den Besitz einer einzigartigen, jedenfalls ältesten Darstellung des Volkes der Blemmyes. Da aber diese Darstellung entschieden ein nomadisches Wüstenvolk und kein negroides Ethnikum zeigt, trägt sie mit einem nicht zu unterschätzenden Argument zu der Lösung einer der rätselhaftesten Fragen der nubischen Geschichte, der ethnischen Bestimmung der X-Gruppe bei. Bevor wir jedoch die sich dazu bietenden Schlußfolgerungen ziehen werden, müssen wir kurz auf die andere, uns zur Verfügung stehende und bereits gut bekannte Darstellung der Blemmyes hinweisen.
An der Fassade der Vorhalle des unlängst in die Nähe von Assuan umgesiedelten MandulisTempels von Kalabscha (Talmis) finden wir in der unmittelbaren Nähe der als ein grundlegendes Dokument der spätnubischen Geschichte bekannten Silko-Inschrift 25 jene außerordentlich interessante Zeichnung (Abb. 7), die eine, dem Inhalt nach der Berliner Terrakotta entsprechende, jedoch in der Form abweichende Triumphszene vorführt 2 6 . Ein auf prunkvoll geschirrtem Pferde in der Pracht eines römischen Imperators sitzender Herrscher stößt seine Lanze in einen vor ihm zur Erde sinkenden Barbaren, während die auf ihn zufliegende Victoria — als Zeichen seines Sieges — eine ägyptische Krone auf sein H a u p t setzt. Die Komposition ist diesmal nicht altägyptischer, sondern römischer H e r k u n f t : Ein in der griechischen Kunst ausgebildeter und in der römischen kaiserlichen Ikonographie vorherrschend gewordener, gut bekannter Bildtyp, der den seinen Gegner vernichtenden Imperator zu Roß darstellt 2 7 . Bezeichnend ist jedoch, daß der Verfertiger der nubischen Zeichnung auch noch in diesen rein römischen Bildtyp ein ägyptisches Element hineingetragen hat. Die Siegesgöttin hält nicht den üblichen Kranz, sondern eine ägyptische Krone in der Hand, und zwar nicht eine der üblichen Pharaonenkronen, sondern ein aus Widderhörnern, Binsenbündeln und Federn bestehendes Abzeichen. Diese Krone, die dem Kopfschmuck von 24 G. H . B e a r d s l e y , T h e Negro in Greek a n d R o m a n Civilisation 1929. I. N o s h y , T h e A r t in Ptolemaic E g y p t , L o n d o n 1937, S. 97ff. D. F a c c e n n a , Representazione di negro nel Museo Nazionale di Napoli, Arch. Class. I, 1949, S. 188. 25 H . G a u t h i e r , Le Temple de K a l a b c h a h , Le Caire 1911, S. 203ff., L X X I I , Taf A (mit d e m älteren Schrifttum). Zuletzt L. P . K i r w a n , Mèi. Michal., 1966, S. 123f. 26 H . G a u t h i e r , a . a . O . S. 203, L X X I I , Taf. B. L. P . K i r w a n , Liverpool Annais 24, 1936, S. 85. L. P . K i r w a n , T h e X - G r o u p E n i g m a , Vanished Civilisations, L o n d o n 1963, S. 63. S. C u r t o , N u b i a , N o v a r a 1965, A b b . 95. L. P. K i r w a n , Mél. Michal., 1966, S. 123. 27 R . B r i l l i a n t , Gesture a n d R a n k in R o m a n Art, New H a v e n 1963, S. 181 ff.
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Mandulis, der Gottheit des Tempels von Talmis, sehr ähnlich ist (Abb. 9), war das Oberhoheitszeichen der Herrscher von Meroe (Abb. 10)28, sodann die Krone der sich für ihre Nachkommen haltenden Fürsten der „X-Gruppe" 2 9 , deren zahlreiche Exemplare W. B. Emery in den Königsgräbern von Ballana (Abb. 11) gefunden hat 3 0 . Es besteht daher kein Zweifel, daß der Herrscher auf der Zeichnung des Tempels zu Talmis einer jener nubischen Pürsten war, die in dem 4.-6. Jahrhundert u. Z. ihren Sitz von dem zweiten Katarakt nördlich gehalten und über das Volk der Kultur der „X-Gruppe" geherrscht haben. Hierfür spricht die aus den Gräbern von Ballana und Qustul bekannte schmuckhafte Pferdebeschirrung 31 , ferner auch die in der Dar-
A b b . 10
Stellung zum Ausdruck kommende und für die Fürstengräber der X-Gruppe so charakteristische spätrömisch-meroitische Mischkultur. Mehr als wahrscheinlich ist, daß dieser „Basiliskos" kein anderer war, als Silko, der Verfasser der in der Nähe der Zeichnung befindlichen Inschrift, der die Blemmyes entscheidend geschlagen und sie aus ihren Siedlungen im Niltal, vor allem aus Talmis selbst vertrieben und den von Norden her kommenden byzantinischen Missionaren die Tore geöffnet hat 3 2 . Diese übrigens allgemein vorausgesetzte Bestimmung besitzt dieselbe überzeugende 28
Bild des Königs A r n e c h a m a n i (2. H ä l f t e des 3. J h d t . v. u. Z.) aus d e m Tempel zu Musawwarat. F . u n d U. H i n t z e , Alte K u l t u r e n im Sudan, Leipzig 1966, S. 23ff., A b b . 91. 29 L. P . K i r w a n , Liverpool Annais 24, 1936, S. 85. D e r s . , F i r k a , 1939, S. 37. D e r s . , Bull. Geogr. E g . 1953, S. 108. A. J . A r k e l l , a. a. O. S. 181 f. B . G. T r i g g e r , a. a. O. S. 132, 138. L. P . K i r w a n , Mèi. Michal., 1966, S. 124. so w . B. E m e r y , N u b i a n Treasure, L o n d o n 1948, Taf. 14. 3! W . B. E m e r y , R o y a l Tombs, 1938, Tafeln 55ff. 32 Über die Silko-Frage u n d die Christianisierung von Nubien u n t e r a n d e r e n U. M o n n e r e t d e V i l l a r d , N u b i a cristiana, 1938, S. 53ff., 61 ff. L. P . K i r w a n , Liverpool Annais 24, 1936, S. 67ff. D e r s . , Mèi. Michal., 1966, S. 121 ff. W . Y . A d a m s , P o s t - P h a r a o n i c N u b i a in t h e Light of Arehaeology I I , J E A 51, 1965, S. 160 bis 178. D e r s . , Mèi. Micha}., 1966, S. 26. W. B. E m e r y , E g y p t in Nubia, 1965, S. 238f. K . M i c h a l o w s k i , F a r a s . Die K a t h e d r a l e aus d e m W ü s t e n s a n d , Einsiedeln 1967, S. 28ff.
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Kraft wie die von uns gegebene Diocletianus-Definition, da man ja in dem christlichen Zeitalter, das Silko folgte, kein Königsbild mit heidnischem Abzeichen fertigen konnte, während uns aus der früheren Zeit hingegen kein solches historisches Ereignis bekannt ist, an das wir die Zeichnung knüpfen könnten. In dieser Hinsicht betonen wir also nur die Richtigkeit der communis opinio, die wir jedoch mit der näheren Beobachtung des Gegners von Silko ergänzen müssen. Die Darstellung des auf die Erde stürzenden Feindes (Abb. 8) ist vielleicht noch gröber ausgearbeitet als die auf der Berliner Terrakotta sichtbare, dennoch ist sie genügend ausdrucksvoll, um von ihr den Charakter des von ihr vertretenen Volkes ablesen zu können. Der in Profil dargestellte K o p f der
Abb. 11
zwergförmigen Gestalt neben dem Herrscher hat eine zweifelsohne starke Nase — also eine von überhaupt nicht negroidem Charakter — sowie vorn über die Stirn herabfallendes langes Haar und einen Bart. Ihre Bekleidung besteht aus einem weiten Gewand, mit einer über den Kopf gezogenen Kutte. Dieses für die Wüstenvölker — Beduinen — charakteristische Gewand sowie der K o p f t y p deuten unmißverständlich auf ein nomadisches Wüstenvolk hin, das nicht über negroide, sondern hamitisch-äthiopische somatische Zeichen verfügt, also von demselben Charakter ist wie der von Diocletianus besiegte Barbar. Da aber die Gegner von Diocletianus und Silko gleicherweise die Blemmyes waren, können wir mit voller Bestimmtheit behaupten, daß wir auch auf der Zeichnung von Talmis der typisierten Darstellung der Blemmyes gegenüberstehen, bloß einer um 2—24/2 Jahrhunderte späteren, als bei der Berliner Terrakotta 33 . 33 Neben diesen beiden, einstweilen allein sicheren Blemmyes-Darstellungen läßt sich noch die Möglichkeit erwähnen, daß auch in der späten Gruppe der nubischen Felsenzeichnungen Blemmyes-Darstellungen vorgefunden werden können. Solche sind z. B. J. H . D u n b a r , The Rock-Pictures of Lower Nubia, Cairo 1941, Abb. 62, 64—67, 88. Die Zeichnungen geben mehr über den nomadisierenden Charakter, als über das Äußere der Krieger zu Roß und zu Kamel Aufschluß. — Hinsichtlich der äußeren Erscheinung der Blemmyes finden wir in den schriftlichen Quellen bloß zwei Hinweise. Der eine berichtet über die Bestürzung,
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Die Bedeutung der Blemmyes-Darstellungen wird im Zusammenhang der historischen und ethnischen Problematik des spätantiken Nubiens, also der X-Gruppe (mit anderem Namen Ballana-Kultur) klar. Den heutigen Stand der Forschung charakterisiert die der großen internationalen archäologischen Aktion folgende Gärung, das Erscheinen der neuen Angaben und deren Auswertung. Obwohl wir uns noch weit von der auf die vollständige Veröffentlichung sich aufbauenden Synthese der frischen Freilegungen befinden, kann bereits festgestellt werden, daß sich das die X-Gruppe verhüllende Dunkel bereits im Auflösen befindet und auf Klärung des ethnischen Problems immer mehr Hoffnung besteht. Abgesehen von dem hinsichtlich der. historischen Quellen eingenommenen, allzu skeptischen Standpunkt von W. Y. A d a m s 3 4 , wird die f r ü h e r vor allem von L. P. K i r w a n vertretene Auffassung, wonach in der Zeit nach dem Fall des Reiches von Meroe die im Niltal angesiedelte Bevölkerung XJnternubiens mit derjenigen Volksgruppe südlicher bzw. südwestlicher Herkunft gleich war, die die Quellen unter der Benennung Nobades, Nobatai bzw. Noba und Nuba erwähnen, immer mehr vorherrschend 35 . Das Volk des Zeitalters der X-Gruppe stammte sowohl in anthropologischer wie auch in kultureller Hinsicht unmittelbar von der Population der Meroe-Zeit ab, doch wurde es aller Wahrscheinlichkeit nach von einer aus Süden kommenden neueren Volksgruppe ergänzt 36 . Anthropologisch charakterisieren dieses Volk das dominierende negroide Element 37 , seine Sprache ist ein unmittelbarer Vorgänger der heutigen nubischen Sprache 38 , für seine Kultur aber waren Seßhaftigkeit, Ackerbau mit künstlicher Bodenbewässerung 39 , lebhafte Handelsbeziehungen mit dem oströmischen Reich sowie seine Kontinuität mit der vorangehenden meroitischen und der nachfolgenden christlichen Periode charakteristisch 40 . Vergleichen wir diese Charakteristika des Volkes und der Kultur der X-Gruppe mit unseren sich auf die Blemmyes beziehenden Angaben, so wird der wesentliche Unterschied zwischen den beiden offenkundig. Die Blemmyes waren laut der übereinstimmenden Bezeugung einer jeden Quelle ein viehhaltendes, in der sich östlich des Nils erstreckenden Wüste herumstreichendes Nomadenvolk 41 , die Vorfahren der nicht zur nubischen, sondern zur hamitischen Sprachfamilie gehörenden Bedjas und Ababdas 42 . die der Anblick der unter Probus nach R o m geführten Blemmyes-Gefangenen im Volk ausgelöst hat: Hist. Aug. Probus 17, 2—3. Auf die vernachlässigte und wilde Erscheinung der Blemmyes können wir jene legendenhaften Nachrichten zurückführen, die in die frühere, antike Literatur — wie im Falle vieler anderen nomadisierenden Völker — ihren Weg gefunden hatten, wonach die Menschen dieses Volkes keinen Kopf und die Augen und Ohren auf der Brust haben, siehe Plin., n. h. VIII, 48. S e t h e , a. a. O. S. 566. L. P. K i r w a n , Firka, 1939, S. 48. — Nach dem freundlichen Hinweis von Prof. F. Hintze befindet sich die älteste Darstellung der Blemmyes oder anderer Nomaden aus dem östlichen Wüstengebiet auf der Westwand des Löwentempels von Musawwarat es Sufra; siehe F. und U . H i n t z e , Alte Kulturen im Sudan, Leipzig, 1966, Abb. 96. Auf späteren Darstellungen wiederkehrende Züge sind die Barttracht und der starke Haarwuchs. 34 Diese Ansicht legte W. Y. A d a m s in jener Aufsatzserie dar, in der er das meiste zur Auswertung der archäologischen Ergebnisse geboten hat : Post-Pharaonic Nubia in the Light of Archaeology I—III, J E A 50, 1964, S. 1 0 2 - 1 2 0 ; 51, 1965, S. 1 6 0 - 1 7 8 ; 52, 1966, S. 147-162. 35 L. P. K i r w a n , A Survey of Nubian Origins, Sudan Notes and Records 20, 1937, S. 47—62. D e r s . , Firka 1939, S. 3 9 - 4 5 . F. F. G a d a l l a h , a. a. O. S. 205f. L. P. K i r w a n , Mei. Michal., 1966, S. 122. D e r s . , Bull. Soc. Geogr. d'Eg. 25, 1953, S. 109. 36 W. Y. A d a m s , The Nubian Campaign: Retrospect and Prospect. Mèi. Michal., 1966, S. 25. 3 ? B. G. T r i g g e r , a. a. O. S. 138. ss W. Y. A d a m s , J E A 51, 1965, S. 162, 166. 39 L. P. K i r w a n , Firka, 1939, S. 36f. U. M o n n e r e t d e V i l l a r d , La Nubia Romana, Roma 1941, S. 40ff. « B. G. T r i g g e r , a. a. O. S. 132ff. W. Y. A d a m s , J E A 51, 1965, S. 166f. D e r s . , Mèi. Micha!., 1966, S. 25. 4 ' L. P. K i r w a n , Liverpool Annais 24, 1936, S. 69ff. D e r s . , Firka, 1939, S. 39f. 46f. R. H e r z o g , Die Nubier, Berlin 1957, S. 66. — Zur Vorgeschichte der Blemmyes s. W. W e s s e t z k y , Zur Deutung der Rylands Papyri I X , 5/5, Acta Orient. Hung. X I I , 1961, 289ff. W. M. F. P e t r i e , The Pyramids and Temples of Gizeh, London 1888, p. 88, and after him E d w a r d s , Eg. Pyr. I, p. 229.
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Fig. 2. Site-plan of the Cheops pyramid in ca. 2 0 t h year of the construction. — 1., 2., 3., 4. The I I n d construction transportation system of Cheops pyramid changed in the temple and ramp complex of Chephren. — 5. The dwellings of craftsmen. — 6. The desert workshop. — 7. The workshop gate. — 8. The west ramp. — 9. The cemetery of the Cheops time. — 10. The builders yard wall. — 11., 12. The pyramid in construction. — 13. The design models. — 14. The I s t transportation system changed in the Cheops temple and ramp complex.
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Adopting the hypothesis that the so called subsidiary pyramids were used as workshop modeldesigns seems to condition the technical probability of prefabricating precision elements. The relics of these 3 subsidiary pyramids in spite of the damage and inexact measurements, permit to notice a gradual growth of size in the direction from the south to the north. From the analysis of location it appears that the southern, smallest model pyramid was the earliest. The model of the 2nd design was probably the central pyramid. The northern, appears the biggest, it is most damaged. Its location edged between the tomb of Hetepheres I and temple of Chu-fu seems to be compulsory. Reisner had discovered the traces of shifting it south wards after starting the foundation works. The workers preparing the place for building met evidently unexpectedly the entrance to the tomb of Queen mother. This proves that this pyramid was the latest. 10. It was possible to move the prefabrication works from Giza to Aswan for the King's Chamber. The precision of execution of granite elements is an evidence of infallible using up the information sent on almost 1000 km distance. The comunication service met the requirements with precision. Its effectiveness rested however not on the communication technique, in fact a simple one, but on the ability of the executors and their organization. 11. It is doubtless that the pyramid is a work of many thousands of people. Petrie's view, that a great majority of these people were employed at building only in the flow season seems indisputable. Seasonal gathering and feeding of enormous human masses was an amazing organizational achievement, indeed, but this problem is not the subject of my study. Looking from the viewpoint of work organization it seems that the efficient work of a great number of workers, mostly seasonal, on a strictly limited working space would not be probable without the existence of a settled organization composed of specialists of various classes, passing from one construction of a pyramid to the next one, for example from Maidum to Dahshur This was confirmed by archaeological research. Such a permanent organization — the building enterprise, does not gather only technical and organizational experiences, but must have a seat and material basis, also a topic of this paper. The differentiation of functions of preserved titles, terrain and technology are an evidence of organizational division in at least five automatic units in the nature of enterprises : The enterprise of the direct construction of the pyramid, probably with a section of land and water transport, acting partly seasonally. The enterprise of casing prefabrication called "The desert workshop" at Giza12 divided into 2 parts: northern and.southern13. The enterprise of the state quarry at Tura. The enterprise of the state quarry at Aswan, a separate one in view of a long distance. The enterprise of tunnelling works and construction of the necropolis. The secret of the location of the tomb of Queen Hetepheres I kept to thè pyramid builders is an evidence of the independent activity of this absolutely separated organizational unit. This organization integrated of 5 parts would be at present undoubtedly called "United Works and Constructors of Pyramid". 12. The relics of courtier titles and builder's marks on the blocks of stone show the organizational systems applied at pyramid building14. The continuity of exploitation of the underground quarries at Tura with a limited working space made the use of slave work for example of prisoners possible. In the builder's yard of the pyramid the conditions were different. Up to the end of the VI th Dynasty there was no account about slave labor15, on the contrary, a decree of Men-kau-re protected the workers from forcing them to do more work than provided for 11 12 13 14 16
A. V a r i l l e , A propos des pyramides de Snef-ru, Cairo, 1947, p. 10. R e i s n e r , op. eit. p. 83. « W. H e l c k , Bemerkungen zu den Pyramidenstadten im Alten Reich, MDAIK, 15, 1957, 93. A. R o w e , in R e i s n e r , op. cit. p. 275, and G - r i n s e l l , op. cit. p. 85. , J. P i r e n n e , Histoire de la civilisation de l'Égypte Ancienne, Neuchàtel-Suisse 1962, p. 183.
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in the contract. The number of the pyramid building crew was changed at least four times. During the period of building of the Hetepheres tomb and of preparatory works it was relatively small. During the execution of the I s t design it increased many times. Another time the crew increase during the execution of the II n d or on the beginning of the I I I r d design. Petrie mentions t h a t there were traces of speeding up the building (Fig. 3, 4). 360000men
• —
4
.
7
1. employment number curve 2. mean increment of the pyramid volume 3. real increment of the volume years of the Cheops reign
On the basis of calculations it seems right to admit that the account of Herodotus about 100.000 workers refers to the employment in the course of the execution of the I s t design, while the crew mentioned by Diodorus — 360.000 worked after the- increase of the building speed. Taking into account a tendency of increase the building rate along with the reduction of working space it is probable t h a t in the last period the principle of using up the forced labour only in flow seasons was given up, and the building was continued all year long. In such case we can admit for example 60.000 people worked out of building place at Giza, and the rest within 3 seasons of the year, in contingents a 100.000 people.
II. The Description of the Investment Process ol the Great Pyramid 1. The course of the process reveals points obviously determined by two coordinates: the advancement of the construction expressed by means of the volume and the time in which it has been achieved (Fig. 5). The process began by ascension of Chu-fu to the throne, at this moment the construction did not exist'. The investment cycle ended after 23 years, simultaneously with investor's death, the construction was finished in its essence. The date of the 17 th years of king Chu-fu's reign placed on stone above the King's ChamWer is of decisive importance to reconstruction of the process course. The rendering of the process course curve more accurate was made possible as a number of events which fell within the limits of the three above mentioned points, left quali-
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tative traces on the construction. Simultaneously these events were subject to technical, technological, situational, etc. conditions (Fig. 4). They could be expressed by means of clear analogies. For example the "dates of the 218t and 22lld year of Sneferu's reign found on blocks of casing on the north pyramid of Sneferu at Dahshur, distant one from another by half the height of the pyramid 1 6 . Thus it has been ascertained t h a t a period of 2 years was enough to cover with a course of casing stones a construction not significantly smaller t h a n the Great Pyramid. f 7 year
i
Ill-st design-model
II-si denigri-model
The formation
• li ne orgamzuciu- * if nal activities The
construction I-st design
according
The transportation
The préfabrication
The hewing
of the
of
to the\ the construction accoifding to the ll-St * design ^ X
limestone
in
the
tunnel
>2 year
L^blaks from the {quarries at Tura f The delivery of 3 ( \ptugs of Aswan granite
v.Desert
Workshop
, The tunneling of \ upwards leading
of the
in-
The construction IH-st design
according _ ^
The co&pletic of building
to the
\ The delivery \ of kings \ chamber and\0utside
the passage
casing
The tunneling of the passage Delivery
of
secret
The constructing I of the secret f ^Cheops tombj
The equipment, closing of ¿he and connected
the pyramid activities
hod..
Fig. 4. Condensed network of the Cheops pyramid investment process
2. Parallel to the basic constructional process were three supplementary with a considerable degree of organizational and technological autonomy. The supplementary process of fine préfabrication of limestone casing started at Tura and occured at Giza with no evident complications, a result of accumulated experiences. The second complementary process, the fabrication at Aswan, probably had not a sufficient tradition. I t seems t h a t in the course of studies it has been possible to ascertain traces of mistakes in the organization for example some fragments unfinished or missing because of shortage of time. The third complementary process occured nearly all the time invisible. I t utilized mainly the technique of tunneling which was strictly connected to the tombs. The team was composed of "necropolis officials" and "necropolis workers". A strict professional ability to keep a secret, for example the hidden tomb of Queen-mother was characteristic to this activity. 3. The normalized course of construction between the 5 th and 7 t h year has been perturbated by the 1 s t change in the design. The level of construction is marked by 1 st superstructure chamber, the outline of the pyramid left traces : the first unfinished set of ventilation shafts and the middle 2 nd model. 4. The II n d disturbancy in progress of construction occured between the 10th and 12 th year of reign. I t was expressed by a new design, organizational and constructive activity: the arising of the 3 rd model, construction or lengthen of the Grand Gallery and the transfer of a p a r t of labors to remote Aswan. Deglomeration, right from the technical point of view, probably failed ir^ organization. The design of the King's Chamber complex can be separated into several elements. The Grand Gallery could be planned as the access to the King's Chamber as well as it could be constructed in on cycle with Queen's Chamber. In the second case, its principal purpose would be the storing of granite plug blocks. I t has been assumed that the I I I r d design — included the King's Chamber with the usual construction of the single granit vault and the pointed limestone roof, and the II n d ventilation system. I t has been also assumed t h a t within this design the north ventilation shaft reached the King's E d w a r d s , op. cit. II, p. 230.
Fig. 5. The labor timetable of the Cheops pyramid construction
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Chamber and the flat granite ceiling slabs were within the core of the construction without crossing the relieving joint. It is difficult now to find whether the delays in the labour timetable arose already at this stage or else. 5. The great, difficult, atypical and interconnected labours could be the reason of the perturbation and delays discovered. The most easy way of hiding them was the elongation of the Grand Gallery beyond primary intention. As a result, among others, the north ventilatory canal ceased to reach the chamber. The careless bringing of the King's Chamber into the relieving joint encircling the core of the pyramid had some important consequences. When danger has been noticed and estimated, the unfinished granite stones, possibly destined for closing of the Gallery have been used in a hurry to I. strengthen fivefold the ceiling. This construction is unique and this seems to be a characteristic feature of mistakes corrected. The repeated use of granit elements could not correct the constructional error. 6. After the 18th year the bursting of the granite ceiling beams that were rigid attached to two opposite joint planes, occured with appropriate rumour, then no doubt the decision has been taken: to finish the external part of the pyramid at all costs and to resign of using the internal part. It seems that the above mentioned unfinished sarcophagus, without a lid is the proof of such a decision. The account of Herodotus that the assembly of I. the casing has been accomplished beginning from the summit is really probable in view of labour time table, avoiding of damages resulting of the settle of the masonry. The assembly of the casing has beenfinishedin about the 22nd year of construction. 7. Small finishing works have been probably done by the functionaries of Chu-fu pyramid foundation during the two years of the reign of Chu-fu's succesor. The great dimension of its property allow the assumption that the crew was sufficiently numerous. 8. Among the objects that shaped the process of construction there are the canal-system connecting the building-yard with the river. Looking from the summit of the pyramid or at the map an outstanding set of strait parallel canals can be seen, nearly perpendicular to the river. Neigh bouring irrigation units have different systems. As a result the conviction is gained that the canals existing are the successors of ancient transport system. The quayside and the transversal canal in the direction N-S has been found in front of the lower temple of Khephren. 9. During the accomplishment of the IBt design the convenient tract to the pyramid was so called Chu-fu causeway. It has at least been proved by Perring that an unusual haste can be observed in the arrangement of the King's Chamber and that the supply of elements occured from the west, i. e. from Lybian Desert and not from the_Nile direct. Traces of a great and sufficient long western ramp can be observed. With the progress in con-
M.
Fig. 6. The social-interlinks diagram at the pyramid construction The I s t , the I I n d , the I I I r d stage of the process A. administration (scribes etc) — D. decisions (king, chief of all works . . . etc) — B. builders, architects, craftsmen — 1.1. unemployed — C. crew of workmen
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structioç the préfabrication came to be main technological problem. Its characteristic technological feature, as the technique of test assembly was used, had to be an exact horizontal stable plane similar to the base of pyramid in shape but slightly larger t h a n it. Close to pyramid there is only one such surface under the later constructed pyramid of Khephren. The identification of the "Desert workshop" leads to the statement t h a t substructure of the Khephren causeway served as second transport tract for the Chu-fu construction.
r
King, vizier, courtiers.
State treasury granaries
and
9.
1 Jrrigation
Farms
Poyal works and buildings
units
Autonomic enterprises
14.
Productive investments Farm-products
gathered
Other investments
n
as taxes
TT.
20.
IL-Jl
Quarrying and rnin. prod.
fffl fffl •• nu
The
pyramid
!2l
Fig. 7. Principal interlinks of the "United Pyramid Contractors" enterprise and the invested pyramid complex (reconstruction)
10. The placement of "desert workshop" causes the necessity of paying special attention to its surrounding to the so called workers barracks. I t s purpose was discussed 17 . I n view of workorganization it seems t h a t both opinions were right. A permanent crew of the workshop needed lodging in winter, when the stores were empty, in summer when the stores had to be filled with food for the great number of seasonal workers the nights are hot, it is better to spend them in open space. The middle (west) building is nearly complete. The north and south wing have been probably dismounted in time of Khephren on the east parts. In the present state the separation of those 3 buildings is not logic a. s. c. 11. For gaining a relatively comprehensive picture of the superintendance of process, the incentives and interlinks of the diagrams in Fig. 6, 7 can be used. We must associate the very high efficiency achieved by "Pyramid Builders" with the effect of a well devised system of incentives of a "practical" kind and of moral posture. Although this factors are manifested in ancient remnants, the author does not discuss it, because it is beyond his professional limited scope of architecture. " The construction was studied b y : A. Mariette 185(f-1854, W. P. Petrie 1880, L. Borchardt in 1894 and did not propose its reconstruction.
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E . S t a e h e l i n : Bindung und Entbindung
ELISABETH
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STAEHELIN
Bindung und Entbindung* E r w ä g u n g e n zu P a p y r u s W e s t c a r 10^2
Ein Passus aus der Geburtsgeschichte des Papyrus Westcar hat bisher immer Schwierigkeiten bereitet. Es handelt sich um die Stelle, wo die Göttinnen mit Chnum zusammen zum Hause des Re-Priesters Ra-user kommen, um Rudcjjedet von ihren drei Kindern zu entbinden. Die Gottheiten finden den Ra-user stehen, dijw1 shd: gm.n.sn sw 'K dSjw shd2. Was aber soll diese Aussage bedeuten ? I.
Über die Natur von dSjw herrscht in unserer Wissenschaft Unklarheit und Uneinigkeit. Zur Diskussion stehen Übersetzungen wie: Leinenstoff3, Schurz oder Lendentuch 4 , Gürtel5, eine Art Gewand6 oder auch ein Überkleid7. Unseres Erachtens sollten bei der Untersuchung von Begriffen aus dem Bereich der Tracht die Belege nach ihrer zeitlichen Zugehörigkeit geschieden und nicht frühe und späte Beispiele in einen Topf geworfen werden. Man muß versuchen festzustellen, was das Wort in der jeweiligen Epoche, in der es vorkommt, bedeutet hat, denn es ist durchaus mit einer Begriffserweiterung oder einem Bedeutungswandel zu rechnen. Besonders für das Neue Reich wird sich eine Prüfung des Wortes dSjw schwierig gestalten, vor allem, weil das Trachtbild vielfältiger und reicher wird, und man wird voraussichtlich nur durch Heranziehen aller vorkommenden Stoff- und Gewändernamen zu einer befriedigenden Lösung kommen können8. Eine solche Spezialuntersuchung kann hier aber nicht geleistet werden, sie würde den Rahmen dieses Aufsatzes sprengen. Im Moment geht es vor allem darum, den Begriff dSjw für den Papyrus Westcar zu klären. Die Niederschrift dieses Papyrus hat man der Hyksoszeit zugeschrieben 9, wobei — wie sein Inhalt nahe* Die erste Kenntnis der Existenz von Phänomenen solcher Art, wie sie in diesem Aufsatz herangezogen werden, erwarb ich vor Jahren in einer Vorlesung des kürzlieh verstorbenen Prof. Dr. Karl Meuli, dessen bei dieser Gelegenheit in Dankbarkeit und Verehrung gedacht sei. 1 Zur Lesung: D é v a u d , ZÄS 49, 1911, 106ff. 2 Pap. Westcar 10, 2. 3 W B V, 417, 3; J é q u i e r , Sphinx 16, 1912, 119ff. '< Emile S u y s , Etude sur le conte du Fellah plaideur, Analecta Orientalia 5, 1933, S. 9; Adolf E r m a n , Die Literatur der Ägypter, 1923, S. 74; Emma B r u n n e r - T r a u t , Altägyptische Märchen 1963, S. 20; Gustave L e f e b v r e , Romans et contes égyptiens, 1949, S. 86, Anm. 75. ,,Loin-cloth" z. B . Raymond O. F a u l k n e r , A Concise Dictionary of Middle Egyptian, 1962, S. 309; Ricardo A. C a m i n o s , Late-Egyptian Miscellanies, 1954, S. 3; T. G. H. J a m e s , The Hekanakhte Papers and Other Early Middle Kingdom Documents, 1962, Index S. 144. Cf. auch Sir Alan G a r d i n e r , The Chester Beatty Papyri No. 1, 1931, S. 44 und J a c . J . J a n s s e n , J E A 52, 1966, S. 85. s Dazu vgl. D é v a u d , ZÄS 49, 1911, 112.115. 8 Z. B . Friedrich V o g e l s a n g , Kommentar zu den Klagen des Bauern, Untersuchungen 6, 1913/1964, S. 39. 43; J a c . Joh. J a n s s e n , Two Ancient Egyptian Ship's Logs, 1961, S. 73f.; vgl. auch G a r d i n e r , Chester Beatty Pap. I , S. 44 und W B V, 417, 5ff. ? Übergewand: Peter S e i b e r t , Die Charakteristik, Teil I , Äg. Abh. 17, 1967, S. 147. . 8 Vgl. auch Jaroslav ö e r n y , Hieratic Inscriptions from the Tomb of Tut'ankhamun, Tut'nkh. Tomb Series I I , 1965, S. 10. 9 Nach Adolf E r m a n , Die Märchen des Papyrus Westcar (im folgenden abgekürzt als Erman, Westcar), 1890, I, S. 3ff. und I I , S. 54if. steht der Papyrus den Handschriften des Mittleren Reiches nahe (vgl. die Untersuchungen der äußerlichen Merkmale wie Format, Zeilenzahl usw., a. a. O. I, S. 5f.); denselben Befund ergibt die paläographische Prüfung. Georg M ö l l e r datiert die Handschrift in seiner Hieratischen Paläo-
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E. S t a e h e l i n : Bindung und Entbindung
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legt — eine ältere Entstehungszeit anzusetzen ist. Infolgedessen muß dijw im Papyrus Westcar die Bedeutung haben, die das Wort entweder im Alten oder im ( Mittleren Reich besaß. Diese braucht aber nicht unbedingt derjenigen gleich zu sein, die dem Begriff dijw im Neuen Reich eigen war. Es scheint uns durchaus legitim, die Epochen des Alten und des Mittleren Reiches, d. h. vielmehr die gesamte Zeitspanne vor dem Neuen Reich, als Ganzes zu behandeln, weil sich das Trachtbild in dieser Zeit zwar wohl entwickelt, aber doch relativ einheitlich und eingeschränkt bleibt, während sich die enorme und einschneidende Änderung in der Tracht, die auch eine größere Variationsmöglichkeit und Vielfalt mit sich bringt, im Laufe der 18. Dynastie anbahnt. I m Alten Reich treffen wir das Wort dijw zum erstenmal in einem Privattext in der Biographie des Wnj 1 0 . Er berichtet, er habe einen Plan für das Heer gemacht . . ., „damit nicht einer mit seinem Kameraden handgemein wurde, Brot(teig) oder Schuhe dem Wanderer raubte, dijw aus irgendeiner Stadt wegnahm, irgendeine Ziege irgendwelchen Leuten fortführte". Dijw ist so geschrieben ^ das Determinativ zeigt einen Stoffballen. An dieser Stelle sagen jedoch weder das Wort selber noch der Kontext etwas über die Bedeutung des Begriffs aus. I n den Pyramidentexten 1 1 ist die Rede von Isis, die (an Horus) tz mdh vollzieht, in Chemmis, indem sie ihr dijw holt und vor ihrem Sohn Horus, dem kleinen Kind, räuchert. Isis braucht also offensichtlich ihr dijw, um die Handlung des tz mdh zu vollziehen. Nach den letzten Ausführungen zum Thema 1 2 nehmen wir an, daß tz mdh, den G ü r t e l knoten (als Zeichen der Reife) bedeutet und nicht die K o p f b i n d e , wie vielfach behauptet wurde. Den „Gürtel knoten" heißt aber nicht einfach einem Jüngling einen Gürtel anziehen, sondern meint soviel, wie ihm einen Schurz anlegen 13 und an diesem den Gürtel knoten. Offenbar unterscheidet normalerweise das Tragen des Schurzes den Mann vom noch unreifen Kind 1 ' 1 . I n der Pyramidentextsteile ist das Wort dijw mit jl determiniert ir> . Dieses Deutzeichen stellt ein zusammengefaltetes Stück Stoff vor 16 . Über die Breite des Stoffstücks sagt das Determinativ jl nichts aus. Daher können wir zunächst nicht wissen, ob Isis nun das dijw — falls dieses breit zu denken ist — als Schurz für Horus, oder — falls dijw als schmales Band zu verstehen wäre — als Gürtel an dem in diesem Falle nicht genannten Schurz ihres Sohnes gebraucht hat. Aus verschiedenen noch anzuführenden Gründen möchte man lieber annehmen, Isis habe das dijw verwendet, um es Horus als Schurz um die Lenden zu binden. Dann müßte man sich ein dijw als eine Stoffbahn von einer gewissen Breite vorstellen, aus der man einen Schurz legen konnte. Die sogenannten geschlossenen Schurzarten des Alten Reiches — auch der Galaschurz — werden ja alle aus einem rechteckigen Stück Stoff hergestellt 17 . Die Breite des Materials durfte dabei etwa graphie I, 1927, S. 18 in die Hyksoszeit. I h m schließen sich an u. a.: L e f e b v r e , Romans et contes, S. 70} B r u n n e r - T r a u t , Märchen, S. 255; Sergio D o n a d o n i , Storia della letteratura egiziana antica, 1959, S. 149, Anm. 1. Hermann K e e s setzt den Papyrus im Handbuch der Orientalistik Bd. I, Abschn. 2, 1952, S. 14 im späten Mittleren Reich an; ebenso Joachim S p i e g e l im Handbuch a. a. O., S. 130. Fritz H i n t z e , Untersuchungen zu Stil und Sprache neuägyptischer Erzählungen (1950) rechnet die Erzählungen des Papyrus Westcar unter diejenigen des Mittleren Reiches, z. B. S. 36 mit Anm. 5. Für unser Anliegen ist vor allem wichtig, daß das Manuskript älter ist als die 18. Dynastie. «> Urk. I, 102, 9 . 1 2 - 1 6 . " Pyr. 1214. 12 Elisabeth S t a e h e l i n , Untersuchungen zur ägyptischen Tracht im Alten Reich, MÄS 8, 1966, S. 24ff., spez. S. 28. 13 Ich glaube in MÄS 8, S. 28 gezeigt haben zu können, daß es sich tun den Galaschurz handelte, der tatsächlich als einziger Schurz des Alten Reichs mit einem Gürtel versehen war. 14 Hermann J u n k e r , Giza "VII, 1944, S. 42. Nackte Männerfiguren kommen auch vor, sind aber anders zu erklären; J u n k e r , a. a. O., S. 40ff., spez. S. 42f.; Hellmut B r u n n e r , Altägyptische Erziehung, 1957, S. 140. ^ S p i e g e l b e r g , ZÄS 58, 1923, 151. 16 Sir Alan G a r d i n e r , Egyptian Grammar 3 , 1957/64, Sign List S 29; cf. auch B o r c h a r d t , ZÄS 44, 1907, 76f. 17 S t a e h e l i n , Tracht (MÄS 8), S. 6ff., spez. S. 6 und S. 11. Es soll dabei nicht behauptet werden, Horus sei im Schilfdickicht von Chemmis gerade mit dem Galaschurz bekleidet worden. Der Akzent liegt in der Pyra-
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E . S t a e h e l i n : Bindung und Entbindung
50 cm betragen, von einem Webende zum andern. Bezöge sich das dijw der Isis hingegen auf den Gürtel selber, so könnte nur ein relativ schmaler Stoffstreifen in Frage kommen. Jedenfalls ist festzuhalten, daß nicht ausgesagt ist: „Isis machte tz mdlj, mit ihrem dijw (Präposition m), was man eher auf den Gürtel bezogen verstehen müßte, sondern, daß ein Zustandssatz verwendet wird: „indem sie ihr dijw holte 1 '. Durch das Suffix -s soll nicht angegeben werden, daß mit dijw etwa ein weibliches Kleidungsstück der Isis gemeint ist, sondern nur, daß das diyw-Tuch ihr gehört. Auf ein schmales Stoff band, das als Gürtel gebunden werden konnte, paßt schlecht die Verwendung des Wortes dijw in Urk. I, 102, 15, wo, wie wir gesehen' haben, als Determinativ ein Stoffballen steht. Hingegen können breite Stoffbahnen, wenn sie eine gewisse Länge haben, sehr wohl auf Ballen gewickelt werden, und es wäre durchaus denkbar, daß Wnj in seiner Biographie berichtet, er hätte verhindert, daß Plünderungen, bei denen auf Ballen gewickelter Stoff gestohlen wurde, in seinem Heer vorgekommen seien. Nicht viel weiter in unserer Frage führt uns ein Beleg aus Dendera 1 8 , wo auf dem. Sarg eines gewissen Menj verschiedene Kasten dargestellt sind, Behältnisse für die Aufbewahrung von Stoff wie die Beischriften lehren. Neben einer dieser Truhen steht dijw:
SI ^ *Î rm 6 '
. Das Determinativ
könnte wiederum einen Stoffballen bedeuten. Positiv aus dem Textkönnen wir jedoch entnehmen, daß «föjw-Stoff aus ausgezeichnetem Material, nämlich aus sm .t nfr .t, aus einer besonders guten oberägyptischen Qualität 1 9 , hergestellt sein konnte (aber, wie andere Stellen zeigen, nicht unbedingt mußte). Diese Beschaffenheit ist auch noch in späteren Texten aus dem Neuen Reich für dijw belegt. • Wiederum findet sich das Wort dijw in den „Klagen des Bauern", einem Text, der in die erste Zwischenzeit zu datieren ist. Bauer R 46 ist die Rede von einem Weg, von dem es heißt: „er war eng, nicht breit, qnn.f r shw n dijw", was man wörtlich so übertragen könnte : „er war stärker als die Breite eines dijw"20; das dürfte soviel bedeuten wie: „er hatte etwa die Breite eines dijw"2i. Aus der Stelle geht hervor, daß der Ägypter durch diesen erklärenden Zusatz klar gewußt haben mußte, worum es sich handelte ; die Breite eines dijw muß ihm, im Gegensatz zu uns, ein eindeutiger Begriff gewesen sein. Ein Gewand (d. h. also Stoff in verarbeiteter Form) als dem Leser oder Zuhörer bekannt vorausgesetzte Maßeinheit scheint nicht gut denkbar, denn einerseits ist die Breite eines solchen Kleidungsstücks nicht eindeutig festgelegt (es gibt dünne und dicke Leute) und andererseits paßt ein verarbeitetes Gewand schlecht in das Trachtbild der Zeit. Soweit wir es bildlichen Darstellungen entnehmen können, wurden damals normalerweise Schurze getragen. Zudem eignet sich beim Vergleich mit einem Weg, wenn der zu Hilfe genommene Gegenstand schon aus dem textilen Bereich geholt wird, tatsächlich eine fortlaufende Stoffbahn von allgemein bekannter Breite am besten. Auch wenn der Weg eng war, wie festgestellt wird, so kann es sich dabei kaum um die geringe Breite eines Gürtels handeln 22 , denn ein Weg, der höchstens eine Handbreite (oder weniger) beträgt, verdient den Namen Weg nicht. Mißt ein solcher aber etwa 50 cm, so kann man ihn mit Recht als schmal bezeichnen. midentextstelle ja wohl nicht auf der Grundbedeutung von tz mdh, sondern auf der mit diesem terminus technicus bezeichneten Handlung des Schurzanlegens als Zeichen der Reife. Das in der Einsamkeit der Marschen geborene Horuskind wird ebenfalls noch in der Wildnis von seiner Mutter Isis für reif erklärt, indem sie ihm aus ihrem cü/tü-Tuch einen wie auch immer gearteten Schurz umlegt. 18 W. M. Flinders P e t r i e , Dendereh 1898 (1900), pl. I I I . 19 Jacques V a n d i e r , Manuel d'archéologie égyptienne I, 2, 1952, S. 770. Vgl. aber Ö e r n y , Hieratic Inscriptions from the Tomb of Tut'ankhamun, S. 10, Anm. 3, wo dieses sm' zu sm' ( W B IV, 478, 5) ,,thin", Coptic OjMi gestellt wird .¡Sm' .tnfr.t schon in der Frühzeit : Peter K a p l o n y , Die Inschriften der ägyptischen 2 0 V o g e l s a n g , Klagen des Bauern, S. 43. Frühzeit (IÄF) I, 1963, S. 320ff. 21 V o g e l s a n g , Klagen des Bauern, S. 3 9 ; resp. „war etwas breiter als ein dijw". Bei Vogelsang wird an beiden Stellen (auch S. 43) „dijw-Gewand'' übertragen. 22 Anders D é v a u d , ZÄS 49, 1911, 112.115.
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Aus all diesen Überlegungen heraus scheint uns am ehesten zuzutreffen, daß mit dijw in den bisher beigezogenen Texten primär ein unverarbeiteter Stoff gemeint ist, so wie er auf dem Webstuhl hergestellt wird, in einer Breite, von einem Webende zum andern, welche der Ausdehnung entspricht, die ein normaler kurzer „geschlossener" Schurz von der Taille bis oberhalb der Knie des Trägers haben muß 23 . Da man aus solchen dijw-Stoffbahnen, die auf Ballen aufgewickelt wurden, rechteckige Stücke abschneiden konnte, aus denen, ohne daß der Stoff irgendwie genäht zu werden brauchte, die beliebigen kurzen „geschlossenen" Schurze um den Körper gelegt wurden, kann die Bezeichnung dijw selbstverständlich auch auf den so hergestellten Schurz übergegangen sein. Leider hilft uns die Lehre des C h e t i d e r e n Abfassung auf die Zeit Amenemhets I. und Sesostris I. festgelegt werden kann, nur um geringes weiter, obwohl der Ausdruck dijw in dem Text nicht weniger als viermal vorkommt. In der in dieser Lehre enthaltenen Berufssatire 25 läßt unglücklicherweise keiner der Kontexte, in denen das Wort dijw auftritt, die jeweilige Situation, die der Verfasser vor Augen gehabt haben muß, so deutlich werden, daß wir auch den Sinn von dijw genau fassen könnten. Cheti 6, lf. 2 6 ist die Rede vom Mauernbauer, der draußen im Winde baut und zwar im dijw. H . Brunner möchte in der Konstruktion hr wnn.f m riv.tj eine mittelägyptische Vorstufe des koptischen Präsens consuetudinis sehen 2 7 , was ihn zu einer Übersetzung „er ist immer außen im W i n d e " 2 8 führt. P . Seib e r t 2 9 will die K o n j u n k t i o n hr an der Stelle auf Grund der Güte der Quelle , , O U C " eliminieren, die zeigt, daß das betreffende Kolon ohne hr begonnen hat, und mit ODM 1023, resp. „OIFAO 1 0 2 3 " wnn.f m rw.tj lesen, zumal die Konstruktion hr wnn./ eine deutliche ,,Wucherungstendenz" aufweise. E r überträgt deshalb folgendermaßen: „(Weil) er draußen ist, im Winde, baut er im dijw-Gewand"30. Diese Übersetzung legt natürlich nahe, in dem dijw etwas zu suchen, was dem Mauernbauer wenigstens einen gewissen Schutz vor den Unbilden der Witterung geben könnte, nämlich eine Art Übergewand, wie S e i b e r t 3 1 vorschlägt. Doch scheint es nicht zwingend, daß man die Stelle kausal aufzufassen hat und im Passus wnn.f m rw.tj die Begründung dafür sehen muß, daß der Mauernbauer in einem dijw steckt.
Überträgt man den Text als einfachen Aussagesatz „er ist (dauernd) 32 draußen im Wind 33 und baut im dijw", so ist mit der Möglichkeit zu rechnen, daß Cheti nicht nur das ständige Draußensein im Wind als etwas Unangenehmes wertet, sondern auch das n u r mit dem dijw Bekleidetsein als Negativum betrachtet, weil dijw eben keinen oder zu wenig Schutz vor dem Winde bietet. Setzen wir in diesem Fall die oben vermutete Bedeutung „Schurz" für dijw ein, so ergibt sich ein durchaus vernünftiger Sinn. An einer weiteren Stelle, 7, 63/», spricht Cheti von einer nicht genau zu identifizierenden Berufskategorie, in den ramessidischen Handschriften shh.tj, in „ L " 3 5 sjitj (?) geschrieben36, deren Vertreter in die Wüste geht. Seiberts Ausführungen zur Stelle, daß es sich nicht um einen Boten han23 E s wäre durchaus denkbar, daß es genormte Stoffbreiten gab, daß man also etwa eine Schurz-StandardB r e i t e von ungefähr 50 cm für Leute mit einem Durchschnittswuchs herstellte. Auch bei uns werden j a Stoffe im allgemeinen in einer bestimmten B r e i t e fabriziert, mit einem Normalmaß von 90 resp. 140 cm. F ü r kleinere Männer war eine Verkürzung der Stoffbreite kein Problem, für größere Leute gab es wohl auch breitere Stoffe sowie für lange, bis oberhalb der Knöchel reichende Schurze auch größere Stoffbreiten hergestellt werden m u ß t e n . 24 Hellmut B r u n n e r , Die Lehre des Cheti, Sohnes des Duauf, Äg. F o . 13, 1944. 25 U m den eingebürgerten Begriff vorläufig beizubehalten. Zuletzt behandelt von S e i b e r t , Charakteristik, S. 9 9 f f . : Quelle 5 : Die Lehre des Dua-Cheti; zu dieser Lesung vgl. a. a. O. S. 103ff. 2« B r u n n e r , Cheti, S. 125f. "" B r u n n e r , Cheti, S. 32. 28 B r u n n e r , Cheti, S. 22. 29 S e i b e r t , Charakteristik, S. 146. 30 S e i b e r t , Charakteristik, S. 145. •ii S e i b e r t , Charakteristik, S. 147. 32 Wnn.f nicht als F u t u r u m , sondern als Präsens mit Betonung der D a u e r : G a r d i n e r , Grammar 3 , § 107. 33 Emendation von n zu m, S e i b e r t , Charakteristik, S. 146d). 34 B r u n n e r , Cheti, S. 155ff. 3 5 Schreibtafel L o u v r e : B r u n n e r , Cheti, S. 15. 36 Vgl. dazu S e i b e r t , Charakteristik, S. 170f., Anm. a.
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delt, leuchten ein. Nach ihm ist viel eher an einen Angehörigen eines „niedrigen" Gewerbes der Tempelwirtschaft zu denken 37 . Die beiden letzten Sätze dieses Abschnittes 38 sind eine rechte Crux; offenbar zeigen alle Handschriften einen verderbten Text. Seibert 39 hat die ihm möglich scheinenden Textherstellungen und Übersetzungen angeführt, kann sich aber nicht für eine der von ihm angebotenen Varianten entscheiden. Vor allem wäre es wünschenswert zu wissen, was die beiden in manchen Manuskripten an dieser Stelle durch m verbundenen Ausdrücke dijiv und db.t aussagen. Die übliche Bedeutung von db. t ist' „Ziegel" ' i0 . I n der Verbindung mit dijw, das, was es auch immer genau heißen mag, sicherlich ein textiles Erzeugnis ist, mutet ein Ziegelstein db.til allerdings eigenartig an. Nun gibt es im Papyrus E b e r s 4 2 das Rezept eines Heilmittels für das „Veranlassen, daß die Gebärmutter einer F r a u an ihre Stelle zurückgeht". Dort wird empfohlen, mit einer Mischung aus zwei Substanzen ein db.t n.t dijw zu salben, auf welches sich die F r a u dann setzen soll. I n dem Ausdruck ist der indirekte Genitiv verwendet, db.t besteht also offenbar aus dijw''3. Wir haben oben angenommen, daß dijw zunächst einmal unverarbeiteten Stoff bedeute. Diese Erklärung paßt auch am ehesten auf das Rezept des Papyrus Ebers. Db.t n.t dijw wäre dann ein „Ziegel" aus dijw-Stoff, wobei die Verbindung naheliegt, daß es sich nicht um einen harten Lehmziegel, sondern um einen weichen Packen (in der F o r m eines Ziegels) zusammengelegten Stoffs handelt. Das Wörterbuch führt dementsprechend an „Polster o. ä . " aus Stoff 4 4 , und das Medizinische Wörterbuch übersetzt „'Ziegel aus Stoffballen' (d. h. ein Stoffballen in Ziegelform)" 4 5 . Weindler 4 6 überträgt „Stoffpäckchen" 4 7 . I n der Geburtsszene des Papyrus Westcar, von der wir ursprünglich ausgegangen sind, wird jedesmal, nachdem ein Kind zur Welt gekommen ist, ausgesagt 4 8 : „sie (die Göttinnen als Geburtshelferinnen) wuschen es, nachdem seine Nabelschnur abgeschnitten worden war und es
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auf ein ifd m db .t gelegt worden war". 'Ifd kann nun entweder ein Laken (viereckiges Leinentuch) bezeichnen (so z. B . deutlich in der Fortsetzung der von uns bereits oben erwähnten Passage aus den Klagen des B a u e r n 4 9 ) oder aber geradezu ein B e t t bedeuten 5 0 . Will man das Wort ifd an der genannten Westcar-Stelle als Laken auffassen, so ergeben sich mit der Präposition m Schwierigkeiten. Hätte man nämlich die Kinder auf ein Laken auf einen Ziegelstein gelegt, so müßte man auch vor db.t die Präposition hr erwarten. E s bleibt die Möglichkeit ifd als B e t t aufzufassen, das dann aus db.t bestehen müßte; so wird denn auch von manchen Übersetzern „Ziegelbett" u. ä. übertragen 5 1 . Was aber hat man unter einem Ziegelbett zu verstehen? Dabei an die Geburtsziegel zu denken, verbietet der Zusammenhang 5 2 . Denn das erste Kind wird j a bereits auf das 37 S e i b e r t , Charakteristik, S. 171. 3 8 B r u n n e r , Cheti, S. 1 6 1 f . ; S e i b e r t , Charakteristik, S. 170. 4 0 W B V 553f. 39 S e i b e r t , Charakteristik, S. 173f. 4 1 Wir gehen davon aus, daß db.t richtig überliefert ist und daß das Wort nicht in tb.wj emendiert zu werden braucht; keine der Handschriften bietet eine Version tb.wj. S e i b e r t , Charakteristik, S. 173, Vorschlag f l a ) und l b ) + S. 174, zweitletzter Abschnitt. 4 2 Pap. Ebers 789 (93, 1 8 - 2 0 ) ; Grundriß der Medizin der alten Aegypter V, S. 486. 4 3 Der indirekte Genitiv kann ausdrücken, woraus etwas besteht: Elmar E d e l , Altägyptische Grammatik I , 1955, § 327 (Stoffangaben); Gustave L e f e b v r e , Grammaire de l'egyptien classique 2 , 1955, § 1 4 9 b ; Adolf E r m a n , Neuägyptische Grammatik 2 , 1933, § 2 1 0 . 4 4 W B V, 554, 18. 4 5 V. D e i n e s / W e s t e n d o r f , Wörterbuch der medizinischen Texte, Grundriß der Medizin der alten Ägypter V I I , 1/2, 1961, [ I I ] S. 1001. 4 6 F . W e i n d l e r , Geburts- und Wochenbettdarstellungen auf altägyptischen Tempelreliefs, 1915, S. 10. 4 7 Ganz anders faßt J e q u i e r , B I F A O 19, 1922, 39 die Stelle auf und nach ihm auch Geo. P . G. S o b h y , Ancient Egypt 1923, 12. 4 8 Pap. Westcar 10, U / 1 2 ; 10, 19/20; 11, 2/3. 4 9 Bauer R 4 8 : V o g e l s a n g , Klagen des Bauern, S. 38f. > E r m a n , Westcar I , S. 63, auch Admonitions 14, 2 ij ^ ^
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monitions of an Egyptian Sage, 1909). Das Wort ifd wird auch manchmal mit dem B e t t determiniert, allerdings werden die Determinative nicht konsequent nach der Bedeutung des Wortes verwendet. C f . F a u l k n e r , Concise Dictionary, S. 17. 51 B r u n n e r - T r a u t , Märchen, S. 2 1 ; E r m a n , Westcar, I , S. 12. 63ff.; L e f e b v r e , Grammaire 2 § 149b, Obs.; K u r t S e t h e , Erläuterungen zu den ägyptischen Lesestücken, 1927, S. 42 zu 33, 19: „auf ein Laken in (ein B e t t aus) Ziegelstein". 5 2 Anders J e q u i e r , B I F A O 19, 1922, 39 und Geo. P . G. S o b h y , Ancient E g y p t 1923, 12. 9
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„ Z i e g e l b e t t " gelegt, w ä h r e n d R u d d j e d e t noch die beiden a n d e r n K i n d e r gebiert, u n d so geht es w e i t e r : auch das zweite K i n d liegt w ä h r e n d der G e b u r t des d r i t t e n schon auf d e m ifd m db .t63. A u ß e r d e m k a n n m a n sich schlecht vorstellen, d a ß ein Neugeborenes auf ein B e t t aus Ziegeln gelegt wurde, was doch eine d e n k b a r ungeeignete Unterlage, f ü r einen Säugling a b g i b t 5 4 . Die F r a g e stellt sich, ob n i c h t auch a n dieser Stelle in d e m db.t ein P a c k e n aus Stoff zu sehen ist, den m a n in Ziegelform zusammengelegt h a t . I n diesem Falle k ö n n t e hier eine m i t m a n g e k n ü p f t e Badal-Apposition vorliegen; die Passage wäre d a n n etwa so a u f z u f a s s e n : „ n a c h d e m seine Nabelschnur a b g e s c h n i t t e n u n d es auf ein B e t t (genauer gesagt) auf einen Stoffpacken (oder ein Stoffpolster) gelegt worden w a r " 5 5 . Andererseits k ö n n t e die P r ä p o s i t i o n m auch einfach das Material einf ü h r e n , so d a ß es h i e ß e : „ein B e t t (im Sinne einer weichen Unterlage) b e s t e h e n d aus einem Stoffpacken oder -polster" 56 .
Wir kehren mit unserem Ergebnis, daß db.t unter Umständen auch (in Form eines Ziegels) zusammengelegten Stoff meinen kann, zurück zu unserer Cheti-Stelle, von der wir ausgegangen waren. Damit kommen wir der von Seibert unter c) vorgeschlagenen Version 57 am nächsten und beschränken uns deshalb auf diese. Von dem sjiij oder wie immer zu lesenden Mann ist gesagt, daß er ausziehe 58 , dijw m db.t, was also möglicherweise heißen kann, daß er das dijw-Tuch, das er normalerweise als Schurz um seinen Körper legt, zusammengefaltet als Packen mit sich nimmt ; wieso können wir nicht wissen, vielleicht hängt es damit zusammen, daß sein unbekanntes Gewerbe so schmutzig ist, daß er es nackt betreibt, ohne seinen Schurz anzuziehen. Warum er dann allerdings überhaupt ein dSjw mitnimmt, ist nicht klar, vermutlich, weil er auswärts arbeitet. Es scheint nicht eindeutig, daß sich die Feststellung des letzten Satzes des Abschnittes ausschließlich auf den Inhalt des vorletzten beziehen muß, so daß ausgedrückt wäre, daß der Mann, obwohl mit dem dijw m db.t ausziehend, nicht erfreut zurückkommen werde 59 . Diese Aussage kann sich sehr wohl auf den ganzen Passus beziehen, womit gemeint wäre, daß er seiner undankbaren Arbeit und der damit verbundenen unangenehmen Umstände wegen nicht erfreut zurückkehrt. 53 B l a c k m a n , J E A 22, 1936, 42f. g l a u b t offenbar nicht d a r a n , d a ß R u d d j e d e t auf Gebärziegeln niederk o m m t u n d schlägt vor, m a n sollte in d e m qnj, der im Z u s a m m e n h a n g m i t C h n u m e r w ä h n t ist (Chnum
heißt in P a p . W e s t c a r i l , 7
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Var. W e s t c a r 10, 1
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M f ) I ), den Gebärstuhl sehen, 1
der v o n der H e b a m m e m i t g e b r a c h t worden wäre, wie das h e u t e noch bei den Fellachen der F a l l ist. Demgegenüber ist festzuhalten, d a ß auch im m o d e r n e n Ä g y p t e n der Gebärstuhl nicht überall Verwendung findet ; H a n s W i n k l e r , B a u e r n zwischen Wasser u n d W ü s t e , 1934, e r w ä h n t S. 111, d a ß im oberägyptischen Dorf Kim â n die N i e d e r k o m m e n d e erhöht niederhockt mit jedem F u ß auf einem u m g e s t ü l p t e n Topf oder zwei übereina n d e r gelegten Backsteinen. Vgl. auch H a n s A. W i n k l e r , Ägyptische Volkskunde, 1936, S. 187f. E r l a u b t die f r ü h e E n t s t e h u n g s z e i t des P a p . W e s t c a r ü b e r h a u p t a n einen Gebärstuhl zu denken? E s scheint mir gar nicht eindeutig festzustehen, daß das D e t e r m i n a t i v in P y r . 1180a bereits als Gebärstuhl zu verstehen ist (so J é q u i e r , B J F A O 19, 1922, S. 39). K u r t S e t h e , Übersetzung u n d K o m m e n t a r zu den altägyptischen P y r a m i d e n t e x t e n V, 1962, S. 74 f a ß t das W o r t mahn a n dieser Stelle ganz anders auf u n d sieht darin eine A r t Tor, das m a n auch im D e t e r m i n a t i v zu erkennen h ä t t e . E r s t in P y r . 1183b u n d 1185b k o m m t das feminine W o r t mshn.t = G e b u r t s s t ä t t e vor, ist dort aber ganz anders determiniert. Dies erhöht die F r a g w ü r d i g k e i t der D e u t u n g des D e t e r m i n a t i v s in P y r . 1180a als Gebärstuhl. H a n d e l t e es sich i m P a p . W e s t c a r bei qnj wirklich u m den Gebärstuhl, so möchte m a n doch wenigstens ein auf die Geburt bezügliches D e t e r m i n a t i v erwarten. I n den königlichen Geburtsdarstellungen in Deir el B a h a r i u n d L u x o r sitzt die Königin zwar auf einem Stuhl, aber es ist beide Male kein Gebärstuhl, sondern der b e k a n n t e würfelförmige Sitz, der häufig abgebildet wird. Cf. H e l l m u t B r u n n e r , Die G e b u r t des Glottkönigs, Äg. A b h . 10, 1964, S. 90f., 93 u n d Taf. 9, sowie E d o u a r d N a v i l l e , T h e Temple of Deir el B a h a r i I I , o. J . u m 1896, pl. 51. Anders J é q u i e r , B I F A O 19, 1922, 39. François D a u m a s , Les mammisis des temples égyptiens, 1958, S. 445 spricht allerdings von einem „siège sur lequel reposait la p a r t u r i e n t e " , dessen Personifikation die Meschenet sei. 54 Von den Übersetzern scheint sich n u r E r m a n , W e s t c a r I , S. 63 ü b e r h a u p t a n der Tatsache eines „ B e t t e s aus Ziegelsteinen" gestoßen zu h a b e n . Siegfried S c h o t t , Altägyptische Liebeslieder, Bibliothek der alten Welt, 1950, S. 185 übersetzt „auf eine Windol in eine Wiege". 55 S p i e g e l , ZÄS 71, 1935, 79f. 56 S p i e g e l , ZÄS 71, 1935, 78f. 5' S e i b e r t , Charakteristik, S. 1 7 3 f . / l c ) . 58 T e x t emendiert zu : iw prj./. 69 Zu Seiberts Version u n d seinem Vorschlag f ü r ein mögliches Verständnis seiner V a r i a n t e f/1 c) vgl. S e i b e r t , Charakteristik, S. 173f.
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Der letzte Abschnitt, in dem dijw innerhalb der Berufssatire in der Lehre des Cheti vorkommt, 8, 2—5 60 spricht vom Wäscher. Es wird berichtet, daß jemand in das dijw n z.t-hm .¿gesteckt wird61, das dijw einer oder für eine Frau, von der es weiter heißt: wnn.t m hsmn.s, was Seibert übersetzt62 als „die in ihrer Regel ist". Wer wen in das dijw steckt, ist unklar, und was es mit diesem dijw auf sich hat, können wir nicht wissen, auch wenn Seiberts Auffassung des wnn .t m hsmn .s richtig ist. Die medizinischen Texte, die sich irgendwie auf Menstruation beziehen, in welchen man noch am ehesten hoffen könnte, einen klärenden Hinweis zu finden, helfen uns überhaupt nicht weiter. Bei den meisten Völkern gilt die menstruierende Frau als unrein und wird sogar oft während ihrer Periode von der übrigen Bevölkerung abgesondert 63 . Wir dürfen also auch nicht erwarten, Frauen während ihrer Menses und für uns als solche kenntlich abgebildet zu sehen. Ob sich das dijw auf eine bestimmte Tracht während dieser Tage beziehen könnte — eine solche ist bei manchen Völkern bezeugt 6 i — oder ob sonst ein bei der Menstruation Verwendung findendes Stoffstück gemeint ist, ist nicht auszumachen.
Wenn uns auch die bisher behandelten Stellen aus der Lehre des Cheti keinen sicheren Aufschluß über die Natur des dijw gaben, so haben unsere Überlegungen immerhin gezeigt, daß diese Passagen wenigstens der von uns vorgeschlagenen Deutung nicht widersprechen und daß eine Übersetzung wie „Übergewand" 65 sich durchaus nicht aufzwingt. Den gleichen Befund zeigt der vierte Passus, in dem in der Lehre des Cheti der Ausdruck dijw steht. Es ist dies außerhalb der Berufssatire der Fall, im ersten Teil des Werkes. In diesem bringt Cheti seinen Sohn Pepi in die Schreiberschule der Residenz und legt ihm die Vorzüge des Schreiberberufes dar66. Leider sind die Handschriften an der Stelle, an der dijw vorkommt67, stark verderbt, und nicht einmal alle Versionen enthalten das Wort 68 . Die einzige Variante, die eine einigermaßen vernünftige Übersetzung erlaubt, von der unten noch die Rede sein wird, weist der Papyrus Sallier I I auf, der eine relativ späte und ziemlich fehlerhafte Quelle aus der Zeit Sethos' II. bildet. I m vorausgehenden Text hat der Vater Cheti seinem Sohn zwei positive Punkte vor Augen geführt 69 , indem er ihm in Aussicht stellt, daß man ihn schon als Jungen grüße, was soviel heißen soll, wie, daß man ihn, der im Begriff ist, ein Schreiber zu werden, bereits würdigt, bevor er noch erwachsen ist. Außerdem versichert ihm der Vater, er werde auch als Bote ausgeschickt werden. Aus der auf den hier erwähnten Passus folgenden Stelle 70 geht hervor, daß man zu einem solchen Auftrag keine der Schrift unkundigen Leute, z. B. Bildhauer oder Goldschmiede, verwendet 71 . Wenn der Junge aber schon einmal gegrüßt und als Bote avisgeschickt wird, „wird er nicht zurückkommen und sich in das dijw stecken" 72 . Dijw ist an dieser Stelle also offenbar vom Standpunkt des Schreibers aus negativ charakterisiert und als etwas verstanden, was die einfachen „unstudierten" Leute haben, die Leute, die den Gewerben nachgehen, die in der darauffolgenden Berufssatire als abschreckende Beispiele aufgeführt werden. Daß dijw in der Lehre des Cheti solchen Angehörigen des einfachen Volkes eigen ist, zeigen in der Fortsetzung die bereits oben erwähnten Passagen, wo vom Mauernbauer und vom sjitj (?) geredel? wird 73 .
Selbst wenn dijw an der uns hier beschäftigenden Stelle sekundär eingedrungen ist, ergibt sich im Vergleich mit den oben besprochenen Abschnitten ein guter Sinn, wenn wir den Ausdruck in der von uns befürworteten Bedeutung von Stoff und dem daraus gelegten Schurz verstehen. 6« B r u n n e r , Cheti, S. 168-175. 6 » Cheti 8, 5; B r u n n e r , Cheti, S. 172b. 62 S e i b e r t , Charakteristik, S. 182. 63 Georg B u s c h a n , Über Medizinzauber und Heilkunst im Leben der Völker, 1941, S. 482f., 486ff. 64 B u s c h a n , Medizinzauber, S. 484f. «s Vgl. S e i b e r t , Charakteristik, S. 147. 173. 66 Cheti 3, 9ff.; B r u n n e r , Cheti, S. 93ff. 67 Cheti 4, 6; B r u n n e r , Cheti S. 110b. 68 S e i b e r t , Charakteristik, S. 147. 6 » Cheti, 4, 5 - 6 ; B r u n n e r , Cheti, S. 108ff. 70 Cheti, 4, 6 - 7 ; B r u n n e r , Cheti, S. U l f . 71 Vgl. S e i b e r t , Charakteristik, S. 171. 72 So etwa nach der übersetzbaren Version des Pap. Sallier I I 4, 6; B r u n n e r , Cheti, S. 110b und S. 22. 73 I n der Passage vom Wäscher wird zwar vom dijw einer Frau gesprochen, in das jemand gesteckt wird. Obwohl wir nicht' wissen, worauf sich die Aussage bezieht, handelt doch sicher der ganze Abschnitt von einfachen Leuten. 9*
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Es könnte hier also gemeint sein, daß der Schreiber sich nicht mehr den einfachen geschlossenen Schurz anziehen muß, den die Angehörigen der niedrigen Gewerbe tragen 74 . Möchte man von den Texten allein her nicht gerne eine Bedeutung wie Übergewand o. ä. für dijw annehmen, so möchte man dies noch weniger im Hinblick auf das uns zur Verfügung stehende Bildmaterial tun. Verhüllungen in der Art eines Gewandes aus Stoff, die auch für die einfachen Leute in Frage kämen, kennen wir aus dem Alten Reich nicht. Im Mittleren Reich macht sich zwar im Trachtbild bereits eine Tendenz bemerkbar, den Körper stärker zu bedecken, doch sind gewandähnliche Kleidungsstücke, auf die einerseits die Bezeichnung dijw angewendet werden könnte, und die andererseits auch wirklich auf die Texte passen würden, nicht vorhanden. Wohl tragen die Grabbesitzer und die Angehörigen gehobener Stände auf Bildern nun auch ganze Gewänder oder Mäntel 75 , doch kommen sie selten genug vor und sind eben ein Privileg der Vornehmen, gehören aber nicht zum einfachen Volk 76 . Das Wort dijw findet sich während des Mittleren Reiches noch in einigen anderen Texten, doch sind uns keine Belege bekannt, die geeignet wären, uns weitere Aufschlüsse zu geben. In interessantem Zusammenhang erscheint dijw allerdings noch in einer Liste von 'Königsfiguren aus der 12. Dynastie 77 , die verschiedene Statuen der Herrscher Sesostris II. und III. und königlicher Frauen aufzählt. Von einigen unter ihnen wird gesagt, daß sie mit einem àndw.tSchurz aus hitjw-Leinen bekleidet seien ; dieser Ausdruck bezeichnet den Königsschurz mit Mittelstück 78 . Bei einer Statue Sesostris II. aus Akazienholz ist jedoch bei der Angabe „was darauf ist" hitjw und wdb mit dem Vermerk als Materialangabe (?) aufgeführt; auf der nächsten Zeile, die offenbar noch dazugehört, heißt es : „ein dijw''. Dürfen wir uns vielleicht durch das Vorkommen des dijw an einer Herrscherstatue inmitten von Königsfiguren, die mit dem sndw .¿-Schurz bekleidet sind, darin bestärkt sehen, daß dijw auch eine Schurzart ist ? Diese eine Statue hätte also nicht einen Schurz mit Mittelstück, sondern einen einfachen geschlossenen Schurz getragen, wie er allerdings sonst nicht für den König üblich ist. Allzu sehr erstaunen müßte uns diese Tatsache aber nicht bei einer Liste, die sogar von Königinnenstatuen mit einem sndw .t spricht, der doch ein ausgesprochen männliches Kleidungsstück darstellt 79 . Jedenfalls lassen diese Angaben darauf schließen, daß man Statuen mit Schurzen aus richtigem Stoff bekleidet hat, bezeichnenderweise sind es jedoch nur die aus Holz und Elfenbein hergestellten Figuren, nicht aber diejenigen, die aus Stein gehauen sind; diese weisen keinen Vermerk über einen Schurz auf 80 . 74
Ähnlich B r u n n e r , Cheti, S. 22. Daß dijw im späteren Neuen Reich auch sonst als Kleidungsstück einfacher Leute gebraucht wird, zeigt Pap. Lansing 6, 6/7; C a m i n o s , Late Egyptian Miscellanies, S. 390. 394. 75 Z. B. Percy E. N e w b e r r y , Beni Hasan I, 1893, pl. 29; Percy E. N e w b e r r y , El Bersheh I, o. J., pl. 7; Aylward M. B l a c k m a n , The Rock Tombs of Meir III, 1915, pl. 35, 2. Statuen des Mittleren Reiches: z. B. V a n d i e r , Manuel I I I (Tafeln), pl. 75, 5 - 6 , 77, 3. 78, 4. 80, 7. 84,5/6. 85, 1/4. 88, 2. 89, 3. 76 Die gefältelten Gewänder der Herren sind sicher aus plissiertem Stoff zu verstehen, während die Kleidungsstücke der Hirten, N e w b e r r y , Beni Hasan I, pl. 8 und II, 1894, pl. 7 doch wohl aus steifem billigerem Material, ähnlich den Mattenschurzen der Aufseher, die schon im Alten Reich vorkommen (Hans B o n n e t , Die ägyptische Tracht bis zum Ende des Neuen Reiches, Untersuchungen VII, 2, 1917, S. 38), zu denken sind; im Mittleren Reich vgl. N e w b e r r y , El Bersheh 1, pis. 12 und 18. " Pap. Berlin 10 003 aus Illahun: Georg M ö l l e r , Hieratische Paläographie I, 1927, Taf. V, 1 und B o r c h a r d t , ZÄS 37, 1899, 95f. 78 B o n n e t , Die ägyptische Tracht, S. 14ff. Erstaunlicherweise sind auch Frauenfiguren als mit einem sndw.t bekleidet angeführt: ZÄS 37, 1899, 96. 78 I m Gebrauch bei einer Frau kennen wir diesen Schurz sonst nur an Statuen der Hatschepsut, die sich als regierende Königin in männlicher Tracht abbilden ließ, z. B. W. C. H a y e s , The Scepter of Egypt II, 1959, Figs. 53 und 54. 80 I m Zusammenhang damit sei daran erinnert, daß in Gräbern in Stoff eingewickelte Figuren gefunden wurden, z. B. 6. Dynastie: J é q u i e r , Mélanges Maspero I, 1, MIFAO 66, 1, 1934, S. 105ff., spez. S. I i i (Privatmann). Tutenchamun-Grab: Christiane D e s r o c h e s - N o b l e c o u r t , Tut-ench-Amun, 1963, Abb. 41c. 158. 159. Die Statuen aus diesem Grab (auch die Anubis-Figur Abb. 43) waren ganz in Stoff eingehüllt. Man wird allerdings hinter den Sesostris-Statuen der Liste aus Illahun, über deren Aufstellung wir ja nichts wissen, und hinter der Verhüllung der in Gräbern gefundenen Statuen nicht die gleiche Absicht suchen dürfen.
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Das stärkste Argument, das bisher den Übersetzungen von dijw mit „Schurz" oder „loincloth" entgegengehalten wurde, bestand in den aus dem Neuen Reich bekannten Preisen für dieses textile Erzeugnis, die im Vergleich zu anderen Kleidungsstücken und sonstigen Handelsobjekten relativ hoch zu sein und deshalb schlecht für einen einfachen Schurz zu passen scheinen 81 . Dabei ist allerdings zu unterstreichen, daß es sich um Preise des Neuen Reiches handelt, von denen wir nicht einfach Rückschlüsse auf das Mittlere und das Alte Reich ziehen dürfen. Wie schon zu Beginn dieser Arbeit vermerkt, ist es notwendig, Begriffe aus dem Bereich der Tracht für die jeweilige Epoche, in der sie vorkommen, zu klären, da wegen des Umbruchs im Trachtbild während der 18. Dynastie mit Erweiterungen oder Veränderungen alter Bedeutungen zu rechnen ist. Immerhin scheint dijw auch im Neuen Reich mitunter unverarbeiteten Stoff bezeichnet zu haben, worauf eine Truhe aus dem Grabe des Tutenchamun hinweist, auf deren Deckel als Inhaltsbezeichnung steht: „was darin ist: 17 dijj, macht 34 dijw"82. Offenbar kommen auf ein dijj also zwei dijw. In der Kiste waren unter einer Anzahl anderer Objekte 18 statt 17 „pads of cloth (shawls)", nämlich zusammengefalteter Stoff (Tücher) in „Bündeln". Es wurde der einleuchtende Vorschlag gemacht, dijj mit „Bündel" (päd) 83 und dijw mit „Tuch" (shawl) zu identifizieren 84 . Daß die auf dem Deckel angegebene Anzahl nicht genau mit dem Inhalt übereinstimmt, könnte 8 5 damit zusammenhängen, daß bei einem späteren Umpacken — es waren ja weit mehr Gegenstände in dem Kasten als auf dem Deckel angegeben 86 — noch ein weiteres Bündel dazugetan wurde. Auch ist es möglich, daß ein „Bündel" mehr als ein Tuch aufweist, wie es durch die Deckelinschrift im Grunde genommen verlangt wird. Doch muß dies eine Vermutung bleiben, da nur ein einziges Bündel auseinandergenommen worden ist; dieses enthielt ein Tuch der Maße 180 x 90 cm. Welcher Art das als dijw bezeichnete Kleidungsstück im Neuen Reich war, das einen relativ hohen Preis rechtfertigt, kann hier aus den bereits oben angeführten Gründen nicht untersucht werden, ist aber für die uns in diesem Aufsatz beschäftigende Frage irrelevant86®. II. Die vorhergehenden Überlegungen haben uns zum Schluß kommen lassen, daß wir, in der ersten großen Trachtperiode, die das Alte und das Mittlere Reich umfaßt, dijw zunächst als unverarbeiteten Stoff auffassen dürfen, aus dem die einfachen geschlossenen Schurze gelegt werden können, auf die dann ebenfalls die Bezeichnung dijw angewendet worden ist. Wenn nun im Papyrus Westcar die Göttinnen vor das Haus des Ra-user gelangen und den Hausherrn dort stehen sehen, dijw shd, so können wir zunächst einmal annehmen, daß dies eine Aussage ist, die sich auf Ra-users Schurz bezieht. Dieser Schurz ist shd, was von den Übersetzern als „verdreht, herabhängend" usw. 8 7 wiedergegeben wurde. Shd heißt, wie das Determinativ eines auf dem Kopf stehenden Mannes zeigt, zunächst einmal „umgedreht sein", eben „mit dem H a u p t nach unten sein" 8 8 . Von daher ergibt sich eine Erweiterung des Gebrauchs zum „senken" 81
J a n s s e n , Two Ancient E g y p t i a n Ship's Logs, S. 73f. 93f. m i t einer Zusammenstellung v o n Preisen; G a r d i n e r , e h e s t e r B e a t t y Pap. I, S. 44; S e i b e r t , Charakteristik, S. 147. 82 C e r n y , Hieratic Inscriptions from the T o m b of Tut'ankhamun, S. 10. 83 „ P ä d " heißt eigentlich „Polster", aber es m u ß hier „Bündel", „ P a c k e n " o. ä. gemeint sein. 84 Ö e r n y , Hieratic Inscriptions from the T o m b of Tut'ankhamun, S. 11. 85 N a c h C e r n y , a. a. O., S. 11. 86 Außer der Inschrift auf dem Deckel befand sich an der Truhe noch eine beschriftete hölzerne E t i k e t t e , die jedoch nur schwer zu entziffern ist; auf ihr waren offenbar noch andere Kleidungsstücke aufgeführt: C e r n y , a. a. O., S. lOf. 86a E r s t nach Abschluß des Artikels erhielt ich durch einen H i n w e i s v o n Prof. E . H o r n u n g K e n n t n i s v o n den Ausführungen B . G r d s e l o f f s z u dijw in A S A E 42, i 943, S. 35f., die g u t zu den o b e n angestellten Überl e g u n g e n passen. 87 E r m a n , Literatur, S. 74, mit (?) versehen; B r u n n e r - T r a u t , Märchen, S. 20; „(les vêtements) sens dessus dessous": L e f e b v r e , R o m a n s et contes, S. 86; „gli abiti sossopra": Sergio D o n a d o n i , Storia délia letteratura egiziana antica, 1959, S. 154. 88 W B IV, 265, 8ff.
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des Gesichts (Totenbuch) und später vom „sinken" der Sonne, des Nils usw. (allerdings erst ab der Spätzeit) 8 9 . Ra-users Schurz ist also offenbar verdreht oder heruntersinkend. W e n n ü b e r h a u p t versucht wurde, die Stelle zu erklären 9 0 , so h a t m a n angeführt, Ra-user sei darüber beunruhigt, daß die Geburt so schwer und langwierig sei, u n d h a t von diesem K u m m e r her die unordentliche Kleidung verstehen wollen 91 . Dazu ist einmal zu sagen, daß der Ägypter viele verschiedene Möglichkeiten h a t , um auszudrücken, daß jemand bekümmert ist. E s f ü h r t e hier zu weit, eine Untersuchung über solche Wendungen zu u n t e r n e h m e n ; rufen wir uns deshalb n u r kurz die im P a p y r u s Westcar verwendeten Varianten in Erinnerung, u m zu sehen, wie in unserem Text ein solcher Zustand formuliert wird. Da heißt es z. B. am E n d e des P a p y r u s von dem Bruder des kleinen angeberischen Mädchens: 'h'n rd . n . f t p . f m-' hrw92 ,,da senkte er sein H a u p t " , oder von der tieftraurigen R u d d j e d e t hms .tj tp .s hr mis J . s 9 1 „sie saß, den Kopf auf den Knien". Außerdem gibt es natürlich verschiedene Möglichkeiten, die betrübte Stimmung durch Formulierungen über das Herz aufzuzeigen, z. B . ib .s dw r h .t nb .i 9 4 oder von .jn hm./ ib./ w3 r dw .t hr .s 95 . Unseres Wissens wird sonst Betrübnis nicht dadurch ausgedrückt, daß der betroffene Mensch dies durch seine unordentliche Kleidung an den Tag legt, allerdings mit Ausnahme der um einen Verstorbenen klagenden Frauen, die sich die H a a r e raufen und die Kleidung zerreißen 9 6 , doch handelt es sich an unserer Stelle ja nicht u m einen Todesfall 9 7 . Wären in Unordnung geratene Kleider ein übliches u n d allgemein verständliches Mittel, u m Sorgen u n d K u m m e r auszudrücken, so d ü r f t e n wir erwarten, auch anderswo in der Literatur auf seine Spur zu stoßen 9 8 . Handelt es sich aber auch f ü r den Ägypter u m ein weniger bekanntes Bild, das auf eine bekümmerte seelische Verfassung schließen lassen sollte, so müßte m a n annehmen, dies wäre an unserer Stelle wenigstens durch einen Zusatz der oben genannten A r t „und sein Herz war t r a u r i g " o. ä. deutlicher gemacht worden. Da dies beides jedoch nicht der Fall ist, m u ß versucht werden, den Ausdruck aus den spezifischen U m s t ä n d e n der Geschehnisse'in unserem Westcar-Passus heraus zu verstehen. E s gilt sich jedenfalls über Eines klar zu sein: Obwohl die Geburtsgeschichte des Westcar die ausführlichste Beschreibung einer Entbindung bringt, die wir aus dem alten Ägypten besitzen, ist doch die Schilderung insofern eher k n a p p gehalten, als keine Nebensächlichkeiten erzählt werden, sondern n u r Dinge, die f ü r den Vorgang von Belang sind; m a n k a n n also annehmen, daß die Erwähnung des dijw shd keine überflüssige Angabe darstellt. Dazu k o m m t ein Weiteres: Der Ägypter m u ß zu der Stelle kein Fragezeichen gesetzt haben wie wir, sondern er wird genau gewußt haben, was hinter dieser Aussage steckte, daher m u ß es sich um eine ihm v e r t r a u t e Erscheinung handeln. U m der Sache auf die Spur zu kommen, vergegenwärtigen wir uns nochmals genau die Situation: Die vom Sonnengott Re mit drei Kindern schwangere Priestersfrau R u d d j e d e t liegt in den Wehen, 89
W B IV, 266, 1 - 9 . S e t h e , Erläuterungen zu den Lesestücken, S. 41 zu 33, 8 bekennt: „Sinn unverständlich"; E r m a n , Westcar I, S. 60: „der eigentliche Sinn entgeht mir". 01 E r m a n , Literatur, S. 74, Anm. 3; L e f e b v r e , R o m a n s e t contes, S. 86, Anm. 75. W e s t e n d o r f , ZÄS 94, 1967, S. 143, Anm. 21 (Ende) erwägt allerdings, ob nicht vielmehr an eine Art „Abzeichen" im Sinne einer Auszeichnung zu denken sei. 92 Westcar 12, 23/24. ¡>3 Westcar 12, 20/21; vgl. S a u n e r o n , Kemi 10, 1949, S. 75ff. 94 Westcar 12, 21. 06 Westcar 9, 12. öC Marcelle W e r b r o u k , Les Pleureuses dans l'Egypte ancienne, 1938, figs. 2. 84 ('nh-m'-Hr); Prentice D u e l l et al., The Mastaba of Mereruka II, 1938, pl. 130/31. 97 Bei einem solchen gehört es dazu, daß der Schmerz möglichst offen zur Schau getragen wird, mit lautem Klagen und wilden Gebärden. Dieser spezielle Fall der Trauer über einen Toten wird hier ausgeklammert. 98 Vgl. die Betrübnis des Setom-Chaemwese, der sich von Kopf bis Fuß in seine Kleider einhüllt und sich niederlegt, B r u n n e r - T r a u t , Märchen, S. 200. Außerdem ist an dieser Stelle der Kummer noch ausdrücklich mit eindeutigen Wendungen beschrieben. 00
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aber die Geburt ist schwer und langwierig. Da schickt Re vier Göttinnen, die sich als Musikantinnen gebärden, zusammen mit Chnum als Gepäckträger, zum Haus des Ra-user, um Ruddjedet zu entbinden. Die Ankommenden finden den Priester offenbar vor seinem Hause stehen, indem sein Schurz verdreht ist oder heruntersinkt. Als Musikantinnen rasseln die für ihn unerkannten Göttinnen mit ihren Instrumenten, den Menits und Sistren, zur Begrüßung". Ra-user verliert nicht viele Worte, sondern empfängt die „Damen" sogleich mit der Feststellung, die (seine)100 Frau liege in den Wehen, und die Geburt sei schwer, worauf die Göttinnen die Kreißende zu sehen wünschen, um sie zu entbinden. Daß Ra-user bedrückt ist, weil die Niederkunft nicht recht vorwärts geht, dürfte selbstverständlich sein, daher wohl auch die kurze Anrede „meine Damen", ohne weitere Komplimente, und das sofortige Nennen der unerfreulichen Lage. Die Frage, die man sich zur Klärung des Passus zu stellen hat, ist die nach dem Verhalten des Ehemannes und zukünftigen Vaters in der Situation einer schweren Geburt seiner Frau. Da — wie oben erwähnt — wir keinen altägyptischen Text besitzen, der uns ausführlicher über die Geburt erzählte als der Papyrus Westcar 101 und uns einen allfälligen Aufschluß über dieses Problem geben könnte, werden wir gut daran tun, uns außerhalb Ägyptens umzusehen102. Bekanntlich können über die ganze Erde hin verstreut in gleichen Lebenslagen und unter verwandten Bedingungen ähnliche Phänomene auftreten, die nicht voneinander abhängig zu sein brauchen. So findet sich gerade bei den wichtigsten Lebensstadien, wie die Geburt eines darstellt, manch ähnliches Brauchtum. Weit verbreitet ist im antiken sowie im modernen Volksglauben die Ansicht, daß Bindungen irgendwelcher Art bei einer Geburt Schaden anrichten könnten. Die „Entbindung" 103 kann durch eine Bindung geradezu gehindert werden. Eine solche wird schon durch verschränkte Finger und übereinandergeschlagene Beine bewirkt 104 . Eine der bekanntesten damit zusammenhängenden Episoden erzählt die Sage von der Geburt des Herakles: Die Moiren oder die Geburtsgöttin Eileithyia verschränkten die Finger auf Heras Geheiß und verunmöglichten so die Niederkunft der Alkmene; erst als die Göttinnen auf eine falsche Nachricht hin erschreckt auffahren und die Hände erheben, wird Herakles geboren105. Selbstverständlich darf die Gebärende selber aus dieser „Bindungsscheu" heraus keinerlei Bindendes, weder Knoten noch Ringe usw. an sich tragen 106 , und die Haare werden ihr aufgemacht 107. Doch nicht nur an der Niederkommenden müssen alle Bindungen gelöst werden, sondern diese Vorschrift erstreckt sich auch auf den Ehemann, die übrigen Anwesenden und die ganze Umgebung der Kreißenden; so werden alle Bindungen im Hause aufgetan, und die Sitte kann sogar so weit gehen, daß auch Kisten und Kasten, ja überhaupt alle Verschlüsse, geöffnet werden 9 Vgl. Sinuhe B 268/69. wo Cf. B l a c k m a n , J E A 16, 1930, 67 (12). 1 0 1 Aus dem in Deir el Bahari und im Luxor-Tempel überlieferten T e x t der Geburt des Gottkönigs, sowie in den Mammisis der späten Tempel, ist über den eigentlichen Geburtsvorgang nichts ausgesagt. Zudem bewegen sich diese Szenen auf einer völlig anderen und höheren Ebene als die märchenhaften Geschehnisse des Papyrus Westcar, die als Erzählung umlaufendes und eines Tages schriftlich fixiertes Volksgut darstellen. Von Texten wie den zuerst genannten kann man selbstverständlich auch keine Aufklärung über Dinge erwarten, die zum Volksbrauch gehören. 1 0 2 Einige Hinweise auf ethnologische Literatur verdanke ich der Freundlichkeit der Herren Dres. W . Raunig und W . Vycichl. 103 Vgl. unten Anm. 129. W4 Plinius, nat. hist. X X V I I I , 6, 17. 105 Plinius, nat. hist. X X V I I I , 6, 17; Antoninus Liberalis, Metamorph., 2 9 ; Ovid, Meramorph., I X , 298ff. 310f. 314f. Offenbar kommt das gleiche Motiv in einem sizilianischen Märchen vor, zit.: E r n s t S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, 1911, S. 121, Anm. 4 (auf S. 122). 106 Bezeugt aus Norwegen, von den Lappen, Südslawen, den Sachsen in Siebenbürgen, den Weißrussen, aus dem alten Indien, aus Marokko usw.: S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 1 2 2 f . ; B u s c h a n , Medizinzauber, S. 1 0 7 ; J . G. F r a z e r , The Golden Bough^ II, 1914, S. 294. Zum Teil erstreckt sich das Bindungsverbot über die ganze Schwangerschaft, vgl. die in Anm. 109 angeführten Stellen aus dem Werk von Wilhelm Schmidt. 107 S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 1 2 4 ; B u s c h a n , Medizinzauber, S. 107; F r a z e r , Golden Bough 3 I I , S. 2 9 7 f . ; vgl. Anm. 109 letzte Beispiele. 9
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müssen 108 . An manchen Orten können' ebenfalls die von Männern gebrauchten im Anwesen vorhandenen Gegenstände davon betroffen werden, so müssen z. B. die im Holz stecken gebliebenen Äxte herausgezogen, die Pfeile aus den Köchern entfernt, der Dolch aus der Scheide geholt, und muß ähnliches mehr unternommen werden 109 . Bei einer schweren Geburt soll nach Plinius 110 der Mann die Niederkunft seiner Frau dadurch beschleunigen, daß er seinen eigenen Gürtel auszieht, ihn der Gebärenden umbindet, dann sogleich wieder entfernt mit den Worten, er habe gebunden und werde wieder lösen; daraufhin geht er weg 111 . Die kurze Zusammenstellung hat gezeigt, daß tatsächlich in manchen Gegenden auch der Vater durch gewisse Vorkehrungen das Seinige dazu beitragen soll, um eine sich in die Länge ziehende Geburt zu befördern. Falls wir auch für Ägypten mit solchen uns bisher nicht bekannten Erscheinungen rechnen dürften, was immerhin in Anbetracht der Verbreitung von Bräuchen, die den Ehemann bei der Geburt betreffen 112 , nicht auszuschließen ist, so könnte der verdrehte oder sinkende Schurz des Ra-user in einem solchen Brauch seine Erklärung finden. Der Priester hätte dann an seinem Schurz den Knoten geöffnet, der das um den Körper gelegte Tuch zusammen und in der richtigen Lage hielt 113 . Da beim gürtellosen Schurz das Schurztuch um den Körper herum ausschließlich in sich selber fixiert wird, muß der Stoff bei einer Lösung der Bindung verrutschen und hinuntersinken. I m folgenden sei der Versuch unternommen, im alten Ägypten noch weitere Spuren derartiger Bindungs- oder Lösungs-Erscheinungen, die im Zusammenhang mit der Geburt stehen, zu suchen. Vor einigen Jahren gelang es, Frauenbilder, die eine ganz bestimmte und nur ihnen eigene Haartracht tragen, eindeutig als Wöchnerinnen zu identifizieren11''1. Bei dieser Frisur ist das Haar vom Kopf abstehend gekennzeichnet und in Büschel zusammengenommen; über dem Scheitel erhebt sich ein Konus. Zudem kann über dem Haar ein Band liegen 115 . Es ist nicht ganz klar, wie die Frisur gedeutet werden muß, jedenfalls ist dabei kein natürliches Liegen des Haares gemeint. Offenes und gelockertes Haar müßte anders dargestellt werden als es bei den Abbildungen solcher Wöchnerinnen der Fall ist, bei denen das Haar offensichtlich „in besonderer Weise weitab vom Kopfe losgelöst ist" 1 1 6 . Man hat daran gedacht, die Frisur eventuell als über ein Gestell angeordnet zu erklären 117 , doch muß dieser Vorschlag in Frage gestellt bleiben, solange das Material iTixri nqoXr]ipig" weist wiederum in die Richtung der „Bindungsscheu", die uns hier interessiert. Soranus von Ephesus hat in Alexandrien studiert, und man darf deshalb annehmen, er habe auch die ägyptischen Gebräuche gekannt 123 . Es ist natürlich nicht erwiesen, daß sich die Bemerkung über die laienhafte Vorstellung der Gefahr jeglicher Bindung bei einer Geburt ausgerechnet auf ägyptische Vorstellungen bezieht, doch ist es denkbar, daß auch diese in der Angabe inbegriffen sind. Jedenfalls scheint es sich bei dem Bindungsverbot für Gebärende im Altertum um recht verbreitetes Gedankengut gehandelt zu haben. Man könnte den Einwand erheben, daß die Wöchnerinnen auf den Darstellungen Halskragen und Gürtel tragen 124 , die ja auch in gewissem Sinn Bindungen bedeuten, doch kann dagegen erwidert werden, daß alle diese Bilder ja niemals den eigentlichen Moment der Geburt zeigen, auf welchen insbesondere die „Bindungsscheu" zutrifft. Hinter Halskragen und Gürtel der Wöchnerin hat man eher Amulette als Schmuck vermutet 125 , was sicher den Tatsachen entspricht, da gerade die Gebärende und das neugeborene Kind bis zur Reinigung der jungen Mutter 126 besonders starken Gefahren ausgesetzt sind. Man glaubt in dieser Zeitspanne vor allem an Bedrohung durch Dämonen 127 . Diese Vorstellungen von der vermehrten Gefährdung von Mutter und Kind während und nach der Geburt sind sehr weit verbreitet. I m übrigen kann zu dem Vorhandensein des Gürtels vermerkt werden, daß in vielen Gegenden ein sogenannter Geburtsgürtel eine Rolle spielt, der dazu verhelfen soll, die Niederkunft zu er"8 B r u n n e r - T r a u t , a . a . O . , S. 26f. 1)9 Die meines Erachtens auch zur Zeit nicht gegeben werden kann, aus dem oben erwähnten Grunde, daß die Natur der Frisur noch Rätsel aufgibt. 120 B r u n n e r - T r a u t , Wochenlaube, S. 27. 121 Vgl. ai^ch die Darstellungen auf Gemmen: C a m p b e l l B o n n e r , Studies in Magical Amulets chiefly Graeco-Egyptian, 1950, pl. V I I , 145/146 und S. 92f., spez. S. 93 (diesen Hinweis verdanke ich Dr. Irene Grumach). "2 B r u n n e r - T r a u t , a. a. O., S. 26f.; Soranus, Gynaecia, ed. Valentin R o s e , Leipzig, 1882, S. 240, 10. 123 Von E. B r u n n e r - T r a u t ist a. a. O., S. 26 die Vertrautheit des Soranus mit ägyptischen Sitten als feststehende Tatsache angeführt, vgl. aber auch S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 124. 124 B r u n n e r - T r a u t , a. a. O., S. 24. 28. »25 B r u n n e r - T r a u t , a. a. O., S. 28. 126 Diese erfolgt im alten Ägypten nach einem Zeitraum von 14 Tagen, wie uns Pap. Westcar LI, 18/19 lehrt. 127 Vgl. S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 21ff. Zur Abwehr von Dämonen bei der Geburt in Ägypten, vornehmlich durch Bes und Thoeris, vgl. Hans B o n n e t , Reallexikon der ägyptischen Religionsgeschichte, 1952, S. 208, r. Sp.
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leichtern 12s . Altbabylonische Texte nennen den Gebärgürtel der Göttin Ischtar; Frauen, die zum ersten Mal schwanger waren, trugen ihren Gürtel in den Ischtar-Tempel. Auch aus dem alten Griechenland ist das Lösen des Gürtels zur Beschleunigung der Geburt bekannt. Die Athenerin nahm ihren Gürtel während der ersten Schwangerschaft ab und weihte ihn der Artemis. Die griechische Geburtsgöttin Eileithyia trägt den Beinamen Lysieone „die den Gürtel löst" 1 2 9 (übrigens •war es in Rom Frauen, die in Erwartung waren, nur erlaubt, mit offenem Haar und aufgelösten Knoten im Heiligtum der Juno Lucina, der Geburtsgöttin, zu beten). Diana als Beschützerin der Gebärenden konnte auch Solvizona heißen 130 . Vielleicht dürfen wir aus den Darstellungen von Wöchnerinnen mit dem Gürtel vermuten, daß ein solcher als Geburtsgürtel auch im alten Ägypten Verwendung gefunden hat. Es ist an der Zeit nach der tieferen Bedeutung zu fragen, die hinter dem Gebot der Lösung des Gürtels und aller sonstigen Bindungen zur Beförderung der Geburt steckt. Sicher k a n n das Phänomen zunächst durch einen einfachen Analogiezauber erklärt werden. So'wie die Bindungen aufgemacht werden, so soll sich auch der Leib der Gebärenden öffnen, so daß das Kind zur Welt kommen kann 1 3 1 . Vielleicht hat der Brauch jedoch ursprünglich im Zusammenhang mit 'der besonderen Furcht vor der gefährlichen Einwirkung von bösen Geistern bei der Geburt gestanden 132 . I n Knoten und Verschlüssen können solche Dämonen sich festsetzen, die bei einer Auflösung der Bindung das Weite suchen und somit keinen Schaden mehr anstellen. In diese Richtung weist eine Sitte der Buginesen (Indien). Dort wird der Niederkommenden ein Tuch um den Leib geschlagen und die Gebärende leicht hin und her geschüttelt. Darauf wird die Bauchbinde wieder abgenommen und an der Treppenschwelle ausgeklopft, um die bösen Geister zu vertreiben 133 . Bewirkt das Entknoten und Lösen bei der Geburt eine Förderung des Vorganges, so muß das Knüpfen und Binden ein gegenteiliges Ergebnis zur Folge haben. Auf die Sage der Heraklesgeburt wurde bereits hingewiesen 134 . Auch andere Völker kennen ein Hintertreiben der Geburt durch bindende Vorkehrungen 135 . I m Zusammenhang mit solchen Vorstellungen möchten wir die Tatsache sehen, daß die Beine einer vor einigen Jahren veröffentlichten Berliner Tonfigur mit einem Siegelring umschlossen sind 136 . Die Statuette stellt eine Frau dar und kann durch ihre spezifische 128 Material dazu findet sich bei B u s c h a n , Medizinzauber, S. 147ff.; H a s t i n g s , Encyelopaedia of Religion and Ethics, Bd. VT, S. 229; E. H o f f m a n n - K r a y e r / H . B ä c h t o l d - S t ä u b l i , Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, Bd. III, Sp. 217ff. 120 B u s c h a n , Medizinzauber, S. 150; H a s t i n g s , Encyclopaedia, Bd. VI, S. 229; Handwörterbuch des dt. Abergl., Bd. III, Sp. 1218. Zum Zusammenhang der Ausdrücke, die die Schwangere bezeichnen: franz. „enceinte", span. „estar encinta" (vgl. auch deutsch „Entbindung") mit dem Gürtel: H a s t i n g s , Encyclopaedia, Bd. VI, S. 229 und B u s c h a n , a. a. O., S. 150. 13 ° Servius zu Vergil, Aen. IV, 518; Ovid, fast. I I I 257; S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 124; Handwörterbuch des dt. Abergl., Bd. III, Sp. 1218. Nach H a s t i n g s , Encyclopaedia, Bd. VI, S. 229 heißt die Geburtsgöttin „Solvizona". Der Gebrauch des Gebärgürtels hat allerdings zwei Seiten; so wird er an manchen Orten auch gerade während der Schwangerschaft und der Geburt als Amulett (charm) getragen: H a s t i n g s , a . a . O . 131 Hierzu sei die vielerorts belegte Sitte erwähnt, daß man der Schwangeren einen Schlüssel übergibt; sie ist bereits aus römischer Zeit überliefert, S a m t e r , a. a. O., S. 125; F r a z e r , Golden Bough 3 II, S. 296. Vgl. auch die magischen Gemmen, die eine Gebärmutter und einen Schlüssel zeigen: B o n n e r , Studies in Magical Amulets, pl. VI/VII, 129-143, 147 und S. 79ff.; ebenso A. D e l a t t e / P h . D e r c h a i n , Les intailles magiques greco-egyptiennes, 1964, S. 246 ff. Moderne Fellachenfrauen tragen zuweilen während der Schwangerschaft ein Vorhängeschloß um den Leib, das beim Einsetzen der Geburt aufgeschlossen und entfernt wird. Geht der Schlüssel vorher verloren, kann die Frau nicht gebären, S. W. und A. M. B l a c k m a n in Ann. de l'Inst. de Phil, et d'Hist. Orient. I I I , 1935, S. 92. 132 B u s c h a n , Medizinzauber, S. 109. 133 B u s c h a n , a . a . O . , S. 150f. Oben S. 135. 13 « S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 123f. »36 S. M o r e n z , Eine Wöchnerin mit Siegelring, ZÄS 83, 1958, 138ff. mit Taf. X I I I a—c.
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St. W e n i g : Zur Inschrift Berlin Nr. 22463
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Frisur als Wöchnerin gedeutet werden. Es scheint uns, daß der Ring in diesem Fall eine weit speziellere Bedeutung hat als nur „für das Innen Bindung im Sinne von Besitz (die Wöchnerin wäre demnach durch den Ring als Besitz des Grabherrn deklariert), gegenüber dem Außen aber als Bindung im Sinne von Schutz"i37. Die Kraft des bindenden Ringes, der just um die Beine sitzt, die geöffnet werden müssen, um das Kind heraustreten zu lassen, bezieht sich sicherlich geradezu auf diesen Vorgang, d. h. soll ihn verhindern138. Nun kann natürlich diese Bindung Verschiedenes bezwecken. Da wir über die Herkunft und die Fundumstände der Figur nichts wissen, können wir nur Vermutungen äußern. Zunächst besteht die Möglichkeit, daß versucht wurde, eine Geburt zu hintertreiben. Da wäre z. B. denkbar, daß die Tonfigur eine verhaßte Nebenbuhlerin darstellen sollte, der das zu erwartende Kind mißgönnt wurde (Schadenzauber am Abbild)139. In diesem Falle wäre mit dem Fingerreif eine negative Wirkung angestrebt. Doch könnte durchaus auch an eine positive Wirkung gedacht werden, indem man mit dem bindenden Ring eine befürchtete Frühgeburt verhindern wollte, oder — falls bei unserer Tonfigur der Typus der Wöchnerin verallgemeinernd für eine Schwangere steht — man auch eine Fehlgeburt zu vermeiden suchte. Wenn dem so wäre, besäßen wir außer gegen den Abortus gerichteten Zaubersprüchen140 und den Rezepten für deren Anwendung, wobei übrigens das Knüpfen von Knoten eine besondere Rolle spielt141, einen weiteren Hinweis auf einen Analogiezauber, der das vorzeitige Heraustreten der Leibesfrucht verhüten soll142.
STEFFEN WENIG Zur Inschrift auf der Statue des Berliner Ägyptischen Museums Nr. 22 463
Im Jahre 1925 hat H. Schäfer für das Berliner Ägyptische Museum bei einem Händler in Assuan das Unterteil einer Sitzstatue aus grauschwarzem Granit (in Höhe der Gürtellinie abgebrochen) gekauft, das bislang unveröffentlicht geblieben ist. An dieser Stelle soll nur die Inschrift bekannt gemacht werden, die sich auf dem Vofderteil (Schurz des Mannes) befindet und aus sechs senkrechten sowie einer waagerechten Zeile besteht (vgl. Abb. 1 und 2). Der Text lautet in Übersetzung : «7 M o r e n z , a. a. O., S. 140. 138 Die Gebärende darf weder Ringe noch Ohrringe tragen: S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 122f.; B u s c h a n , Medizinzauber, S. 107. 139 Die bekannteste Erscheinung dieser Art ist im alten Ägypten die Fesselung oder auch Enthauptung von Feindfiguren: Georges P o s e n e r , Princes et pays d'Asie et de Nubie, .1940, und Hermann J u n k e r , Giza VIII, 1947, S. 32ff. Vgl. auch B o n n e t , Reallexikon, S. 112f. 879. Es sei noch hingewiesen auf die der Nebenbuhlerin schädlichen Praktiken, auf die die Rezepte „gegen die Verhaßte" (Mittel für das Ausgehen des Haares) der Pap. Ebers und Hearst deuten: Grundriß der Medizin der alten Ägypter IV, 1, S. 289 und V, S. 497 f. Sollte die Wöchnerin mit Siegelring aus einem Grabe stammen, so ist die eben vorgetragene Deutung allerdings wenig wahrscheinlich, weil eine solche Beigabe zu gefährlich wäre. Grundriß der Medizin IV, 1, S. 280 (L 4 0 - L 42); V, S. 482f., auch W e s t e n d o r f , ZÄS 92, 1966, 128 f. 145 ff. 141 Vgl. die vorhergehende Anmerkung. Sprüche für das Abwehren von Blut: L 41: ein Knoten aus Fäden von ri-Mi .¿-Gewebe werde einer Frau an das Innere ihres Genitals gegeben. L 42: zwei Knoten aus 'i .tLeinen von r i - i S .¿-Gewebe sollen an das Innere ihres Genitals gegeben werden. L 40: ein feiner Faden, ein Haar eines schwarzen Fadens, ein Haar eines falben Esels; werde zusammengedreht nach links, werde gemacht zu 4 (?) Knoten, werde gesalbt mit einer Schweinsleber und der Frau an ihren After gegeben. 142 W e s t e n d o r f , ZÄS 94,1967, S.140, Anm. 4 vermutet dagegen, der Siegelring hätte dazu gedient, einem Incubus den Zutritt zu verwehren.
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Frisur als Wöchnerin gedeutet werden. Es scheint uns, daß der Ring in diesem Fall eine weit speziellere Bedeutung hat als nur „für das Innen Bindung im Sinne von Besitz (die Wöchnerin wäre demnach durch den Ring als Besitz des Grabherrn deklariert), gegenüber dem Außen aber als Bindung im Sinne von Schutz"i37. Die Kraft des bindenden Ringes, der just um die Beine sitzt, die geöffnet werden müssen, um das Kind heraustreten zu lassen, bezieht sich sicherlich geradezu auf diesen Vorgang, d. h. soll ihn verhindern138. Nun kann natürlich diese Bindung Verschiedenes bezwecken. Da wir über die Herkunft und die Fundumstände der Figur nichts wissen, können wir nur Vermutungen äußern. Zunächst besteht die Möglichkeit, daß versucht wurde, eine Geburt zu hintertreiben. Da wäre z. B. denkbar, daß die Tonfigur eine verhaßte Nebenbuhlerin darstellen sollte, der das zu erwartende Kind mißgönnt wurde (Schadenzauber am Abbild)139. In diesem Falle wäre mit dem Fingerreif eine negative Wirkung angestrebt. Doch könnte durchaus auch an eine positive Wirkung gedacht werden, indem man mit dem bindenden Ring eine befürchtete Frühgeburt verhindern wollte, oder — falls bei unserer Tonfigur der Typus der Wöchnerin verallgemeinernd für eine Schwangere steht — man auch eine Fehlgeburt zu vermeiden suchte. Wenn dem so wäre, besäßen wir außer gegen den Abortus gerichteten Zaubersprüchen140 und den Rezepten für deren Anwendung, wobei übrigens das Knüpfen von Knoten eine besondere Rolle spielt141, einen weiteren Hinweis auf einen Analogiezauber, der das vorzeitige Heraustreten der Leibesfrucht verhüten soll142.
STEFFEN WENIG Zur Inschrift auf der Statue des Berliner Ägyptischen Museums Nr. 22 463
Im Jahre 1925 hat H. Schäfer für das Berliner Ägyptische Museum bei einem Händler in Assuan das Unterteil einer Sitzstatue aus grauschwarzem Granit (in Höhe der Gürtellinie abgebrochen) gekauft, das bislang unveröffentlicht geblieben ist. An dieser Stelle soll nur die Inschrift bekannt gemacht werden, die sich auf dem Vofderteil (Schurz des Mannes) befindet und aus sechs senkrechten sowie einer waagerechten Zeile besteht (vgl. Abb. 1 und 2). Der Text lautet in Übersetzung : «7 M o r e n z , a. a. O., S. 140. 138 Die Gebärende darf weder Ringe noch Ohrringe tragen: S a m t e r , Geburt, Hochzeit, Tod, S. 122f.; B u s c h a n , Medizinzauber, S. 107. 139 Die bekannteste Erscheinung dieser Art ist im alten Ägypten die Fesselung oder auch Enthauptung von Feindfiguren: Georges P o s e n e r , Princes et pays d'Asie et de Nubie, .1940, und Hermann J u n k e r , Giza VIII, 1947, S. 32ff. Vgl. auch B o n n e t , Reallexikon, S. 112f. 879. Es sei noch hingewiesen auf die der Nebenbuhlerin schädlichen Praktiken, auf die die Rezepte „gegen die Verhaßte" (Mittel für das Ausgehen des Haares) der Pap. Ebers und Hearst deuten: Grundriß der Medizin der alten Ägypter IV, 1, S. 289 und V, S. 497 f. Sollte die Wöchnerin mit Siegelring aus einem Grabe stammen, so ist die eben vorgetragene Deutung allerdings wenig wahrscheinlich, weil eine solche Beigabe zu gefährlich wäre. Grundriß der Medizin IV, 1, S. 280 (L 4 0 - L 42); V, S. 482f., auch W e s t e n d o r f , ZÄS 92, 1966, 128 f. 145 ff. 141 Vgl. die vorhergehende Anmerkung. Sprüche für das Abwehren von Blut: L 41: ein Knoten aus Fäden von ri-Mi .¿-Gewebe werde einer Frau an das Innere ihres Genitals gegeben. L 42: zwei Knoten aus 'i .tLeinen von r i - i S .¿-Gewebe sollen an das Innere ihres Genitals gegeben werden. L 40: ein feiner Faden, ein Haar eines schwarzen Fadens, ein Haar eines falben Esels; werde zusammengedreht nach links, werde gemacht zu 4 (?) Knoten, werde gesalbt mit einer Schweinsleber und der Frau an ihren After gegeben. 142 W e s t e n d o r f , ZÄS 94,1967, S.140, Anm. 4 vermutet dagegen, der Siegelring hätte dazu gedient, einem Incubus den Zutritt zu verwehren.
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(l) a Ein königliches Opfer gebe Mjkt von (?) b . (2) Ein königliches Opfer gebe Satis, Chnum u n d Anukis. (3) Sie mögen ein Totenopfer geben f ü r den K a (4) des unterägyptischen Siegelbewahrers den Domänenverwalter Ir-gmt(5) der wieder leben möge, gerechtfertigt an Stimme. Geboren von der Ddjd, gerechtfertigt an Stimme. (6) Gestiftet von Twtwlt (?) e f ü r diesen Großen (7) in diesen Tempel mit königlicher Gunst, u m zu bleiben u n d zu dauern.
Abb. 1
Abb. 2
Kommentar: a) Die erste Zeile ist von links nach rechts geschrieben, während dagegen die Schriftrichtung der Zeilen 2—6 von rechts nach links verläuft. Eine Erklärung f ü r die wechselnde Schriftrichtung, die in Statueninschriften sicher n u r selten zu belegen sein wird, vermag ich nicht zu geben. — Sehr merkwürdig ist das zweimalige Vorkommen der fytp-dj-nswt-'Formel.
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b) Nach dem Mp-dj-nswt der ersten Zeile kann m. E. nur ein Göttername stehen, der entweder Mjktn oder Mjkt (mit n des indirekten Genitivs) 1 zu lesen ist. Zur Erklärung des Namens siehe unten. c) Der Name Ir-gmt'. j ist im MR. häufig belegt (vgl. R a n k e , P N I, 38, 28). Zu bemerken ist, daß statt des grra-Vogels der «¿-Vogel geschrieben ist, an der Lesung Ir-gmt./ wird aber nicht zu zweifeln sein. d) Der Name der Mutter Ddj ist im MR ebenfalls recht gebräuchlich (vgl. R a n k e , P N I, 402, 1). e) Die Auffassung der Stelle ist umstritten. K. H. Priese hat vorgeschlagen, wie folgt zu lesen: Man gebe die Statue (twt) dieses Großen in diesen Tempel . . . In diesem Falle aber wäre twt mit zwei t am Ende geschrieben, sicher mehr als ungewöhnlich. Zum anderen ist es keinesfalls sicher, ob das danach stehende Zeichen tatsächlich die hieratische Form der aufrechtstehenden Mumie ist (vgl. M ö l l e r , Hieratische Paläographie I,1 Nr. 10), mit der das Wort twt determiniert wird (vgl. G a r d i n e r , Grammar, Zeichenliste A 53). Ich möchte dagegen eher an einen (unägyptischen) Personennamen Twtwtt denken, wobei das mir nicht klare Zeichen nach Twtwtt als (hieratisch geschriebenes) Personendeterminativ aufzufassen wäre. Wir hätten dann in diesem Mann den Stifter der Statue zu sehen. Die Form der Hieroglyphen, die beiden Personennamen Ir-gmt./ und Ddj sowie der Stil der Statue machen es sicher, daß das Stück aus dem Mittleren Reich stammen muß (eine genauere Datierung läßt sich wohl kaum geben). Es kann wegen seiner Herkunft und der im Text genannten Trias von Elephantine nur aus Assuan selbst oder einem Ort südlich des 1. Kataraktes stammen. Der Göttername in der ersten Zeile gibt in besonderer Weise Rätsel auf. Es muß sich u. E. um eine nichtägyptische Gottheit handeln, da uns ein Mjkt (oder auch Mjktn) aus dem ägyptischen Pantheon nicht weiter bekannt ist. Allerdings wird eine Göttin Mjkt in zwei ägyptischen Tempeln Nubiens sowie im unveröffentlichten Iatu-Schrein des Hekaib-Tempels in Elephantine 2 dargestellt. Im Tempel der Hatschepsut in Buhen ist sie als Herrin des Per-nu-Schreines bezeichnet, ihr Ñame wird jj (j
bzw. jj
geschrieben 3 . Dann ist sie schließlich im Tempel Ramses' I I . inBeit
el-Wali dargestellt 4 . Dort spricht sie zum Pharao: „Ich bin deine Mutter Mjkt ( j j ^ ^ ) , Herrin des (Per-wer-Schreines), Herrin des Himmels und Herrin aller Götter". Es ist nicht daran zu zweifeln, daß die in unserer Inschrift genannte Gottheit mit der Mjkt von Buhen und Beit el-Wali identisch ist. Damit wird die Lesung Mjkt — gegenüber dem gleichfalls durchaus möglichen *Mjktn verifiziert. Das nachfolgende n kann dann wohl nur indirekter Genitiv sein, dem vielleicht eine Ortsangabe folgte. Diese könnte nur am Anfang der Zeile 6 gestanden haben. Wenn dem so ist, gehören Zeile 1 und 6 unmittelbar zusammen und wären als Dedikatiónsinschrift aufzufassen. Es ist auffällig, daß die Göttin Mjkt nur in Elephantine und südwärts davon genannt wird. Es wird sich sicher um eine einheimische Gottheit handeln, die von der ansässigen Bevölkerung verehrt wurde, aber auch — wie andere Gottheiten — Eingang in ägyptische Tempel mit lokaler Bedeutung fand. Zur Erklärung des „Namens" der Göttin Mjkt möchte ich unter allem Vorbehalt vorschlagen, darin das meroitische Wort mkdj (Göttin) zu sehen, das aus mk (Gott) und kdj (Frau) kontaminiert ist (in der üblichen Weise, wie im Meroitischen das Femininum zu „Gott" gebildet wird). Die ägyptische Schreibweise für das meroitische Wort „Göttin" wäre dann die vorliegende Form (die allerdings, das wollen wir nicht verhehlen, den Prinzipien der syllabischen Schreibung widerspricht). 1 Herrn Prof. Dr. F. Hintze möchte ich auch an dieser Stelle danken, daß ich mit ihm das Manuskript durchsprechen konnte. Meine Lesung des Namens * Mjktn hat er in Mjkt + Genitiv-w verbessert, was auch viel größere Wahrscheinlichkeit besitzt. 2 Nach W e n t e in R i c k e , H u g h e s , W e n t e , The Beit el-Wali Temple of Ramesses II, The University of Chicago, Oriental Institute Nubian Expedition Vol. I, 1967, p. 30, Anm. ä. 3 R a n d a l l - M a c i v e r and W o o l e y , Buhen, Philadelphia 1911, pp. 56 und 60, No. 52 und 65; vgl. auch Breasted-Photo 2332 und PM VII, 136 (den Hinweis auf diese Stelle verdanke ich U. Luft). 4 R i c k e , H u g h e s and W e n t e , Beit el-Wali pl. 39 B, vgl. auch p. 30.
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Mjkt wäre dann ursprünglich auch nichts weiter als das uniibersetzt gelassene Wort „Göttin" gewesen, das dann „personifiziert" worden ist. Ließe sich diese hier mit aller Vorsicht geäußerte Vermutung bestätigen, so würde dies bedeuten, daß es bereits im Mittleren Reich in Nubien Völkerschaften gegeben haben muß, die meroitisch sprachen. Die Frage, wer dies gewesen sein könnte, läßt sich bei dem Stand unseres Wissens z. Z. noch nicht exakt beantworten. Wir können deshalb nur Vermutungen äußern. Da die Pan-graveLeute als nomadisierende Völker der östlichen Wüste nicht in Frage kommen, bleiben nur die Träger der C-Gruppen-Kultur und die der Kerma-Kultur. Aus geographischen Gründen (Elephantine, Beit el-Wali und Buhen liegen mitten bzw. am Rande des Siedlungsbereiches der C-Gruppe) würde man an die C-Gruppe denken, doch sind viel eher die Träger der Kerma-Kultur gerade wegen des vermuteten und auch wahrscheinlichen Zusammenhanges zu den Herrschern der 25. Dynastie als meroitisch sprechend anzunehmen.
V «I L M O S W E S S E T Z K Y Neue ägyptische Funde an der Donau* Zur Osirisreligion der Römerzeit Im Jahre 1967 habe ich über das Archäologische Institut der Ungarischen Akademie zur Kenntnis genommen, daß ein Bewohner der Gemeinde von Ordas an der Donau im Besitze von drei Bronzestatuetten des Osiris ist 1 . Die Besichtigung der vom Besitzer auf kurze Zeit zur Verfügung gestellten Fundstücke war natürlich nur der erste Schritt, und erst die im vergangenen Jahr erfolgte Besichtigung des Terrains gestattete die Möglichkeit, einen Lokalfund anzunehmen. Die Authentizität des letzteren wurde nämlich durch einen anderen interessanten Fund in der Nähe bekräftigt. Ungefähr anderthalb Kilometer vom Hauptarm der Donau, neben einem auf Grund der Flächenformen feststellbaren einstigen Nebenarm fand man auf dem Felde des Landmanns Lajos Molnär einen kleinen Sphinx aus Terrakotta2. Der Fall hat sich vor 30 Jahren abgespielt, doch nahm ich selbst erst jetzt, im Zusammenhang mit den Statuetten durch S. Besenczi Kenntnis davon. Ich hatte auch Gelegenheit, den betreffenden Landmann zu sprechen und mich von der Authentizität des Fundes zu überzeugen. Der künstlerische Wert der fragmentarischen Sphinxstatuette, sowie der drei sehr einfach ausgeführten Osirisstatuetten ist sehr gering. Und doch ist die Bedeutung der Gegenstände vom archäologischen — und wir können auch behaupten — vom kulturgeschichtlichen Standpunkt eine sehr große. Wir können uns hier nicht mit dem aus dem Fundorte sich ergebenden und wenigstens für die ägyptischen Kulte ebenfalls wichtigen Problem befassen. Die im Barbaricum gefundenen Kultgegenstände verlangen in jedem einzelnen Fall eine individuelle Lösung. Das von A. Dobrovits veröffentlichte und gewertete, gegenwärtig im Museum zu Szolnok befindliche Amulett3 hat sich in einem Sarmatengrab in Kunszentläszlö in der Ungarischen Tiefebene gefunden (leider sind einige davon früher verschollen), der in Köbänya, also auf einem auf der Pester Seite gelegenen Bezirk gefundene, von L. Nagy veröffentlichte Isiskopf4, sowie der kürzlich im Theißgebiet in * Vorgetragen bei der Ägyptologischen Arbeitskonferenz zu Leipzig im Mai 1968. 1 I m Museum v o n Pataj. Größe 11,5, 7,25, 5,22 cm. Alle in korrodiertem schlechten Zustand. 2 Höhe 4,3 cm, Breite 4 cm. Nur der vordere Teil vorhanden. I m Privatbesitz. 3 A. D o b r o v i t s , Egyptomi amulett szarmata sirböl. A Magyar es Orosz Iparmüvöszet Törtineti Kapcsolatairöl (Ägyptisches Amulett in Sarmatengrab), Budapest, 1954, 9—34. 4 L. N a g y , Az aquincumi mumiatemetkezesek (Die Mumienbegräbnisse in Aquincum), Dissertationes Pannonicae, Ser. I, 1935, 27.
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Mjkt wäre dann ursprünglich auch nichts weiter als das uniibersetzt gelassene Wort „Göttin" gewesen, das dann „personifiziert" worden ist. Ließe sich diese hier mit aller Vorsicht geäußerte Vermutung bestätigen, so würde dies bedeuten, daß es bereits im Mittleren Reich in Nubien Völkerschaften gegeben haben muß, die meroitisch sprachen. Die Frage, wer dies gewesen sein könnte, läßt sich bei dem Stand unseres Wissens z. Z. noch nicht exakt beantworten. Wir können deshalb nur Vermutungen äußern. Da die Pan-graveLeute als nomadisierende Völker der östlichen Wüste nicht in Frage kommen, bleiben nur die Träger der C-Gruppen-Kultur und die der Kerma-Kultur. Aus geographischen Gründen (Elephantine, Beit el-Wali und Buhen liegen mitten bzw. am Rande des Siedlungsbereiches der C-Gruppe) würde man an die C-Gruppe denken, doch sind viel eher die Träger der Kerma-Kultur gerade wegen des vermuteten und auch wahrscheinlichen Zusammenhanges zu den Herrschern der 25. Dynastie als meroitisch sprechend anzunehmen.
V «I L M O S W E S S E T Z K Y Neue ägyptische Funde an der Donau* Zur Osirisreligion der Römerzeit Im Jahre 1967 habe ich über das Archäologische Institut der Ungarischen Akademie zur Kenntnis genommen, daß ein Bewohner der Gemeinde von Ordas an der Donau im Besitze von drei Bronzestatuetten des Osiris ist 1 . Die Besichtigung der vom Besitzer auf kurze Zeit zur Verfügung gestellten Fundstücke war natürlich nur der erste Schritt, und erst die im vergangenen Jahr erfolgte Besichtigung des Terrains gestattete die Möglichkeit, einen Lokalfund anzunehmen. Die Authentizität des letzteren wurde nämlich durch einen anderen interessanten Fund in der Nähe bekräftigt. Ungefähr anderthalb Kilometer vom Hauptarm der Donau, neben einem auf Grund der Flächenformen feststellbaren einstigen Nebenarm fand man auf dem Felde des Landmanns Lajos Molnär einen kleinen Sphinx aus Terrakotta2. Der Fall hat sich vor 30 Jahren abgespielt, doch nahm ich selbst erst jetzt, im Zusammenhang mit den Statuetten durch S. Besenczi Kenntnis davon. Ich hatte auch Gelegenheit, den betreffenden Landmann zu sprechen und mich von der Authentizität des Fundes zu überzeugen. Der künstlerische Wert der fragmentarischen Sphinxstatuette, sowie der drei sehr einfach ausgeführten Osirisstatuetten ist sehr gering. Und doch ist die Bedeutung der Gegenstände vom archäologischen — und wir können auch behaupten — vom kulturgeschichtlichen Standpunkt eine sehr große. Wir können uns hier nicht mit dem aus dem Fundorte sich ergebenden und wenigstens für die ägyptischen Kulte ebenfalls wichtigen Problem befassen. Die im Barbaricum gefundenen Kultgegenstände verlangen in jedem einzelnen Fall eine individuelle Lösung. Das von A. Dobrovits veröffentlichte und gewertete, gegenwärtig im Museum zu Szolnok befindliche Amulett3 hat sich in einem Sarmatengrab in Kunszentläszlö in der Ungarischen Tiefebene gefunden (leider sind einige davon früher verschollen), der in Köbänya, also auf einem auf der Pester Seite gelegenen Bezirk gefundene, von L. Nagy veröffentlichte Isiskopf4, sowie der kürzlich im Theißgebiet in * Vorgetragen bei der Ägyptologischen Arbeitskonferenz zu Leipzig im Mai 1968. 1 I m Museum v o n Pataj. Größe 11,5, 7,25, 5,22 cm. Alle in korrodiertem schlechten Zustand. 2 Höhe 4,3 cm, Breite 4 cm. Nur der vordere Teil vorhanden. I m Privatbesitz. 3 A. D o b r o v i t s , Egyptomi amulett szarmata sirböl. A Magyar es Orosz Iparmüvöszet Törtineti Kapcsolatairöl (Ägyptisches Amulett in Sarmatengrab), Budapest, 1954, 9—34. 4 L. N a g y , Az aquincumi mumiatemetkezesek (Die Mumienbegräbnisse in Aquincum), Dissertationes Pannonicae, Ser. I, 1935, 27.
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Vâsârosnamény gefundene, von Edith Thomas besprochene 5 Goldring verweisen auf die Intensität des römischen Handels auf dem Gebiet des Barbaricum, der erst von den neueren Forschungen genügend beachtet wird. Von den Möglichkeiten, wie die Osiris- und Sphinxstatuetten hierher gelangt sein mochten, seien hier nur zwei genannt. Der wichtigste Umstand ist ohne Zweifel der, daß der Fundort einer der bequemsten Übergangsplätze ist, gerade gegenüber Dunakömlöd, jener bekannten römischen Siedlung Lusonium, die auch eine schöne Osirisstatuette geliefert hat. Die Möglichkeit eines militärischen Wachtpostens ist auch nicht ausgeschlossen. Die Wellen der Donau fließen auch heute noch über die Reste von römischen Bauruinen. Um welchen der beiden Fälle es sich immer handelt, die Möglichkeit des Vorkommens von ägyptischen Amuletten an diesem Orte ist hochbedeutend für die Wertung der ägyptischen Kulte außerhalb Ägyptens. Der eine Aspekt des Problems besteht in der auch in den neueren Forschungen aufkommenden Frage, wie weite Schichten vom Isiskult erfaßt wurden. L. Vidman bemühte sich um eine Antwort auf diese Frage auf Grund des vorhandenen Inschriftenmaterials 6 . Er kam zu der Feststellung, daß das Vorkommen der Inschriften vom Grade der Romanisierung abhängig ist. Doch stellt er auch eine neue Frage und zwar in extremer Fassung : „Hat der ägyptische Kult alle Schichten der romanisierten Bevölkerung erfaßt oder nur einen winzigen Teil von ihr?" 7 Die Funde der letzten Jahre liefern auch den Beweis, daß Pannoniens Erde noch viele archäologische Schätze birgt. Heute erscheint es noch gewagt, behaupten zu wollen, daß die Verbreitung der ägyptischen Kulte in Pannonien und in einigen westlichen Provinzen sich über breitere Schichten erstreckt habe, als bisher angenommen. Es besteht aber die Möglichkeit dieser Feststellung. Ich möchte noch hinzufügen, daß dieser Umstand nichts an meinem Standpunkt ändert, wonach nicht das Militär die stärkste Stütze des Kultes war. Carnuntum und Savaria liefern ein Beispiel hierfür im positiven wie im negativen Sinne. Dort herrscht Mithras, hier 'Isis. In den unteren Schichten der romanisierten Bevölkerung mag auch der Kaiserkult ein bedeutender aber keineswegs der einzige Faktor der Verbreitung ägyptischer Kulte gewesen sein. Hier zeigt sich der andere Aspekt des Problems. Vielleicht verweisen diese drei einfach ausgeführten — keineswegs kunstvoll zu nennenden — Statuetten dés Osiris auf die Möglichkeit, daß es sich hier um die Beweise der Verbreitung einer durchdringenden Idee in den Schichten der ärmeren Bevölkerung handelt, während gleichzeitig die prächtigen in den Zentren errichteten Heiligtümer, sowie eine nicht zu mißachtende Anzahl von Privatheiligtümern von der Isisverehrung der Vornehmen Zeugnis ablegen. Wir halten es für möglich, daß die in Frage stehenden Statuetten einem Kaufmann gehört haben und — ihre einfache Ausführung deutet es an — für einfache Leute bestimmt waren. In meinen zwei diesbezüglichen Arbeiten 8 habe ich bereits das aus der verhältnismäßig großen Anzahl der in Pannonien gefundenen Osirisstatuetten erwachsende Problem aufgeworfen. Zu weiteren Forschungen regten mich an einerseits die hier eben behandelten neueren Funde, andererseits die auf das Wesentliche verweisende und weitere Forschungen ermutigende Bemerkung von S. Morenz9, dem Verfasser der „Begegnung" und Organisator unserer Konferenz. Die Beachtung „der konsequenten Mumienform des Osiris" definiert unser Problem. Teils dem Umstand, daß das Feld der diesbezüglichen Forschungen in Europa noch in hohem Maße erweitert werden kann, teils die aus den Ausgrabungen der letzten Jahre gezogene Erfahrung, mit noch weiteren Funden rechnen zu können, vor allem aber das Fehlen dèr sicheren 5
Vortrag v o m 24. Oktober 1967 in der Ungarischen Archäologischen Gesellschaft. I m Druck. L. V i d m a n , Träger des Isis- und Sarapiskultes in den römischen Provinzen, Eirene V, Praha 1966, 107 ff. ? Ebd. 115. 8 A Bakonyi Muzeum ket Osiris szobrocskäja Somlöjenöröl (Die beiden Osirisstatuetten des BakonyMuseums von Somlöjenöl), Veszprem Megyei Muzeumok Közlemenyei, Bd. 4, 1965, 97ff. Zur Wertung des ägyptischen Totenkultes in Pannonien, Acta Antiqua, Tom. X V , 1967, 451 ff. 9 S. M o r e n z , Die Begegnung Europas mit Ägypten, Akademie Verlag, Berlin 1968, 99, Anm. 5. 6
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Klärung einiger der mit dem ganzen Fragenkomplex zusammenhängenden Probleme zwingt uns jedoch, statt eines endgültig scheinenden Lösungsvorschlags, diesmal nur mit Nachdruck auf die kultische Bedeutung der Verbreitung der in konsequenter Mumienform dargestellten Osirisstatuetten zu verweisen. Das eine Grundproblem faßt Brady 1 0 in den Worten zusammen: „ I t is not clear, however, a t just what time the cult of Osorapis in Memphis was transformed into the cult of Sarapis." Die sprachliche Übereinstimmung zwischen Osorapis und Sarapis steht außer Zweifel, doch können wir die Übereinstimmung des im ursprünglichen Namen ausgedrückten Gottesgedankens mit der neuen kultischen Auffassung der ägyptischen Bevölkerung auf keinen Fall mit Gewißheit voraussetzen. Hieraus folgt das zweite Problem, das Brady folgendermaßen beantwortet 1 1 : „Osiris had been a god of the dead; Sarapis in addition became a god of the living." Gewiß erhoffen sich die auf seine Hilfe Angewiesenen von Sarapis Rettung aus allerlei Krankheiten, Widerwärtigkeiten und Gefahren. Dem sich stets erweiternden Rahmen des Wirkungskreises des Soter, seiner Bedeutung als universalem Sonnengott widerspricht jedoch die bereits erwähnte Tatsache, daß Sarapis im kultischen Denkmalmaterial von Pannonien weit weniger vertreten ist als Osiris. Diese Feststellung besitzt nicht nur für eine Provinz Gültigkeit. Auch die Untersuchung des reichen Materials der Münzdarstellungen 12 bezeugt eine spätere Zurücksetzung des anfangs neben Isis so oft auftretenden Sarapis. Unseres Erachtens darf das siegreiche Vordringen der alles und Alle an sich ziehenden Isis nicht als einzige Lösung dieses Problems betrachtet werden. Die weite Verbreitung der mumiengestaltigen Osirisstatuetten erklärt sich nur aus der Wirkungskraft des ursprünglichen, ägyptischen Gedankens, des ursprünglichen Osirisglaubens. Dieses Erscheinen des ursprünglich-ägyptischen Gedankens in unverändertem Gewand in den Provinzen dürfen wir keinesfalls so auffassen, als wolle die der neuen Auffassung der interpretatio Graeca oder Romana widerstrebende äußere Erscheinung die Unbedeutendheit oder Unselbständigkeit der Rolle des Osiris ausdrücken. Dieter Dietrich betont mit Nachdruck die Unhaltbarkeit einer solchen Einstellung 1 3 : „Daher wundert sich E. Schweditsch zu Unrecht, ,daß keine der gefundenen Osirisstatuetten durch die H a n d provinzieller Künstler umgewandelt erscheint und in irgendeiner Form lokaler Tradition angepaßt ist'." Dann fährt er fort: „Abwegig ist dann auch die aus dieser Feststellung gezogene Schlußfolgerung: Osiris sei in den Donauprovinzen nur als großer Totengott bekannt gewesen und verehrt worden^ nicht aber als sterbender und auferstehender Gott." Die Erklärung für die Resonanz und Stärke der von den Osirisstatuetten dargestellten Idee finden wir in dem Umstand, daß neben der über dem Schicksal stehenden Isis der osirianische Gedanke jene Durchschlagkraft hatte, der es selbst ohne Mission und äußere Propaganda gelingen konnte, dem Kult der ägyptischen Götter in Rom zum Sieg zu verhelfen. Der Soter Sarapis als Verkörperung des Gedankens vom Weiterleben nach dem Tode tritt auch als Herr der Unterwelt auf. Trotzdem konnte er nicht zum vollgültigen Repräsentanten des ursprünglichen Osirisglaubens werden1. Der mumienförmige Gott war nicht in fremdes Gewand umzukleiden. E r wird notwendigerweise in dieser Gestalt verbreitet, mit den Herrscherinsignien in der Hand. Die Begründung dieser Behauptung sehen wir in der Feststellung von S. Morenz 14 , die sich auf die Bedeutung der „Begegnung" bezieht, daß „die alte klassische ägyptische Erhöhung zu Osiris eine qualitative Veränderung erfährt". Das ist „die wesentliche Vereinigung des Toten mit der Gottheit". Als Ursache nennt Morenz eben die Begegnung mit Griechenland: „Griechische Gottesnähe 10 T. A. B r a d y , The Reception of the Egyptian Cults by the Greeks. The University of Missouri Studies, X , 1935, 10. 11 Ebda. 12. 12 (Auch auf die ältere Literatur zurückgehend:) A. A l f ö l d i , Die alexandrinischen Götter und die Vota Publica am Jahresbeginn, Jahrbuch für Antike und Christentum 8/9, 1965/66, 53ff. 13 D. D i e t r i c h , Der hellenistische Isi'skult als kosmopolitische Religion und die sogenannte Isismission, Inaug.-Diss. Leipzig, 1966, 332. 14 S. M o r e n z , Begegnung, 95.
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W. W e s t e n d o r f : Beiträge aus und zu den medizinischen Texten
auf dem Stamm ägyptischen Totenglaubens", der Tote wird eben in dieser Zeit vollgültig König Osiris15. Das Erscheinen dieser Idee stärkt die Betonung jener Tendenz, die sich darin offenbart, daß gerade gegen Ende der Spätzeit selbst angesichts des Einflusses des neuen Zeitgeistes ursprüngliche Züge auftauchen, die noch stärker als die Macht des Sarapis zu sein scheinen. Die ursprünglichägyptische Königsidee 16 und die Ergreifung der Unsterblichkeit öffnen nunmehr — auch in den Osirisstatuetten ausgedrückt — über die früheren Auffassungen viel weiter dringende überirdische Wege für arm und reich.
WOLFHART WESTENDORF Beiträge aus und zu den medizinischen Texten III. Ineubus-Vorstellungen Krankheitserscheinungen, für die es keine natürliche Erklärung gab, wurden dämonischen Einwirkungen zugeschrieben. Die Möglichkeiten der Dämonen, ihrem Opfer eine Krankheit zu übermitteln, waren vielseitig: Boten werden als Helfer ausgesandt, ein verderbenbringender Hauch trifft den Menschen; wieder andere Erscheinungen werden als der Schlag böser Mächte angesprochen i . Daneben bestand offenbar aber auch die Vorstellung, daß die Dämonen sich bei Nacht dem schlafenden, und somit besonders schutzlosen, Menschen nähern, ihm beiliegen und ihn mit ihrem giftigen Samen schwängern2. Die Bezeichnung des Samens, ^
U)
\\
mtw .t (WB II 169),
bedeutet zugleich aber auch „Gift" (besonders der Schlangen); es scheint also die Vorstellung eines zauberkräftigen Wirkstoffes zu bestehen, dessen positive oder negative Wirkung sich im Einzelfall als Leben oder Tod schaffend erweisen kann. Die Furcht, daß ein spukender Toter mit einer Frau verkehren könnte, spricht aus einem Zauberspruch zum Schutz des neugeborenen Kindes (Ram. IV C 21 ff.). Schutzgötter werden angerufen, damit das Gespenst nicht „den Beischlaf ausüben, Samen ergießen und die Umarmung vornehmen solle bei Nacht und nicht küssen solle am Tage".
]^ °
(|
o
„Dein
Samen ist/sei unwirksam" heißt es am Ende der Beschwörung, d. h. die schädigende Wirkung des Dämonen wird in dem Samen-Gift gesehen, das in den Menschen gesenkt wird; und es ist die Nacht, in der die schädliche Tätigkeit des Dämonen befürchtet wird. Auf diese beiden Faktoren (Gift-Samen und Nacht) wird noch mehrmals zurückgegriffen werden. Zunächst aber soll über die Gestalt des „Ineubus" etwas ausgesagt werden: Unter den Fayence- und Tonfiguren der Spätzeit befand sich im Berliner Museum ein „Esel mit Menschenfüßen, der eine Frau vergewaltigt" 3 . In einem Zauberspruch für eine Entbindung scheint die gleiche Vorstellung anzuklingen, schreibt B o n n e t , Real16
S. M o r e n z , Das Problem des Werdens zu Osiris, Kongreßakten Strasburg. Von der ägyptischen Königsidee: H. G o e d i c k e , Die Stellung des Königs im Alten Reich, Ägyptolo1 gische Abhandlungen 2, Wiesbaden 1966. G r a p o w , Grundriß der Medizin III, S. 33—34. 2 Es ist nicht ausgeschlossen, daß durch die Vorstellung Traumerlebnisse ausgelöst wurden, die ihrerseits als Bestätigungen der Vorstellung empfunden werden mußten. I m Zauberspruch London 38 (13, 6) wird die Mafdetkatze gegen den Ineubus zu Hilfe gerufen und angefleht: „Lasse nicht zu, daß ich ihn nochmals (oder: jemals) sehe"; Lond. 40 (13, 14) spricht davon, daß „kein Traum gesehen werden" soll. — Zur HeilInkubation (Tempelschlaf) siehe bei B o n n e t , Reallexikon S. 837, sowie bei M o r e n z , Die Heraufkunft des transzendenten Gottes, Berlin 1964, S. 52—53 Anm. 4. 3 Ausführliches Verzeichnis, Berlin 1899, S. 307 Nr. 7984; dazu Emma B r u n n e r - T r a u t , Bildostraka S. 60—61, und Tiergeschichte und Fabel, S. 60—61 mit Ausblick auf Apuleius. 16
10 Zeitschr. für Ägypt. Sprache 96. Band
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auf dem Stamm ägyptischen Totenglaubens", der Tote wird eben in dieser Zeit vollgültig König Osiris15. Das Erscheinen dieser Idee stärkt die Betonung jener Tendenz, die sich darin offenbart, daß gerade gegen Ende der Spätzeit selbst angesichts des Einflusses des neuen Zeitgeistes ursprüngliche Züge auftauchen, die noch stärker als die Macht des Sarapis zu sein scheinen. Die ursprünglichägyptische Königsidee 16 und die Ergreifung der Unsterblichkeit öffnen nunmehr — auch in den Osirisstatuetten ausgedrückt — über die früheren Auffassungen viel weiter dringende überirdische Wege für arm und reich.
WOLFHART WESTENDORF Beiträge aus und zu den medizinischen Texten III. Ineubus-Vorstellungen Krankheitserscheinungen, für die es keine natürliche Erklärung gab, wurden dämonischen Einwirkungen zugeschrieben. Die Möglichkeiten der Dämonen, ihrem Opfer eine Krankheit zu übermitteln, waren vielseitig: Boten werden als Helfer ausgesandt, ein verderbenbringender Hauch trifft den Menschen; wieder andere Erscheinungen werden als der Schlag böser Mächte angesprochen i . Daneben bestand offenbar aber auch die Vorstellung, daß die Dämonen sich bei Nacht dem schlafenden, und somit besonders schutzlosen, Menschen nähern, ihm beiliegen und ihn mit ihrem giftigen Samen schwängern2. Die Bezeichnung des Samens, ^
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mtw .t (WB II 169),
bedeutet zugleich aber auch „Gift" (besonders der Schlangen); es scheint also die Vorstellung eines zauberkräftigen Wirkstoffes zu bestehen, dessen positive oder negative Wirkung sich im Einzelfall als Leben oder Tod schaffend erweisen kann. Die Furcht, daß ein spukender Toter mit einer Frau verkehren könnte, spricht aus einem Zauberspruch zum Schutz des neugeborenen Kindes (Ram. IV C 21 ff.). Schutzgötter werden angerufen, damit das Gespenst nicht „den Beischlaf ausüben, Samen ergießen und die Umarmung vornehmen solle bei Nacht und nicht küssen solle am Tage".
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Samen ist/sei unwirksam" heißt es am Ende der Beschwörung, d. h. die schädigende Wirkung des Dämonen wird in dem Samen-Gift gesehen, das in den Menschen gesenkt wird; und es ist die Nacht, in der die schädliche Tätigkeit des Dämonen befürchtet wird. Auf diese beiden Faktoren (Gift-Samen und Nacht) wird noch mehrmals zurückgegriffen werden. Zunächst aber soll über die Gestalt des „Ineubus" etwas ausgesagt werden: Unter den Fayence- und Tonfiguren der Spätzeit befand sich im Berliner Museum ein „Esel mit Menschenfüßen, der eine Frau vergewaltigt" 3 . In einem Zauberspruch für eine Entbindung scheint die gleiche Vorstellung anzuklingen, schreibt B o n n e t , Real16
S. M o r e n z , Das Problem des Werdens zu Osiris, Kongreßakten Strasburg. Von der ägyptischen Königsidee: H. G o e d i c k e , Die Stellung des Königs im Alten Reich, Ägyptolo1 gische Abhandlungen 2, Wiesbaden 1966. G r a p o w , Grundriß der Medizin III, S. 33—34. 2 Es ist nicht ausgeschlossen, daß durch die Vorstellung Traumerlebnisse ausgelöst wurden, die ihrerseits als Bestätigungen der Vorstellung empfunden werden mußten. I m Zauberspruch London 38 (13, 6) wird die Mafdetkatze gegen den Ineubus zu Hilfe gerufen und angefleht: „Lasse nicht zu, daß ich ihn nochmals (oder: jemals) sehe"; Lond. 40 (13, 14) spricht davon, daß „kein Traum gesehen werden" soll. — Zur HeilInkubation (Tempelschlaf) siehe bei B o n n e t , Reallexikon S. 837, sowie bei M o r e n z , Die Heraufkunft des transzendenten Gottes, Berlin 1964, S. 52—53 Anm. 4. 3 Ausführliches Verzeichnis, Berlin 1899, S. 307 Nr. 7984; dazu Emma B r u n n e r - T r a u t , Bildostraka S. 60—61, und Tiergeschichte und Fabel, S. 60—61 mit Ausblick auf Apuleius. 16
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lexikon S. 172 — Drastische Bedrohungsformeln bei Verletzung frommer Stiftungen erscheinen seit der 22. Dynastie: „der Esel soll ihn beschlafen, der Esel soll seine Frau und seine Kinder beschlafen" ( K e e s, Götterglauben S. 387)5. Die Vorstellung des dämonischen Beilagers ist hier von der natürlichen Paarung (männlicher Dämon — irdische Frau) gelöst und ohne Rücksicht auf Genus und Alter der Opfer 6 auf die Ebene einer als Strafe aufzufassenden dämonischen Einwirkung auf den Menschen übertragen. Ähnlich übertragen, und nur in Andeutungen vorhanden, ist die Incubus-Vorstellung in den medizinischen Texten anzutreffen. Die Krankheitserscheinung
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^ ^ T ist im „Grundriß der Medizin" IV, 1 S. 146—153
behandelt. Entgegen der bislang verbreiteten Ansicht, hierin die „parasitäre Hämaturie" 7 zu erkennen (eine Meinung, die nicht zuletzt durch eine Fehlinterpretation des Determinativs zustande gekommen ist), wird im „Grundriß" die Ansicht vertreten, „daß es sich weniger um eine Krankheit als um einen Krankheitsstoff handelt, der von Dämonen (Gespenstern oder bösen Göttern) in den Bauch des Patienten gebracht ist und sich dort als allgemeine Leibbeschwerden äußert, dabei auch das Herz (Magen) in Mitleidenschaft zieht" 8 . Der '3'-Krankheitsstoff ist Pap. med. Bln. 58 neben mtw.t genannt und bezeichnet wie mtw.t den „männlichen Samen" (WB I 166, 18); in den Königsgräbern begegnen ^ o [j (j r=ü)