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Italian Pages X,162 [165] Year 1995
BIBLIOTECA
DI STUDI ANTICHI
diretta da Graziano Arrighetti, Emilio Gabba, Franco Montanari
Li 50
FRANCO
STUDI
DI
MONTANARI
FILOLOGIA ANTIGA
Il
GIARDINI
EDITORI
E STAMPATORI IN PISA
OMERICA
Volume pubblicato con i contributi del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del M.U.R.S.T.
(Ricerca Scientifica)
Tutti 1 diritti riservati
(© CoPYRIGHT 1995 BY GIARDINI
EDITORI E STAMPATORI
Agnano Pisano e Pisa ISBN 88-427-0278-1
IN Pisa
PREMESSA* Faventibus diis, giunge alla pubblicazione questo secondo volume di Studi di filologia omerica antica, lontano dal primo un numero di
anni assai superiore a quello che avevo previsto e desiderato. Forse non tutte le divinità sono state propizie, dato che Studi di filolo-
gia omerica antica. I uscì nel 1979, dunque oltre sedici anni or sono; 0 forse l’insieme dei fattori che determina il percorso professionale e la vita intellettuale di uno studioso non sono riconducibili unicamente alla misura del tempo passato: alcuni appartengono a una sfera autobiografica, che non é il caso di considerare e descrivere
adesso; altri sono identificati dal diverso lavoro affrontato negli anni intercorsi, consegnato all'immutabilità delle cose fatte e quindi a disposizione di chiunque. Al vol. I fu rivolta qualche critica (ben poche, per la verità), in parte giustificata dal fatto, assolutamente evidente, che esso era un vero e proprio inizio, ovviamente non privo di ingenuità: comprendeva i primissimi risultati delle ricerche intraprese per arrivare all'edizione degli Scholia D in Hiadem, risultati che allora ho voluto in qualche modo fissare in vista della prosecuzione del lavoro (sia per informare il mondo scientifico che per stimolo personale di fronte a un'impresa non facile). Avevo pensato di cogliere l'occasione di questa Premessa per replicare a qualche rilievo particolarmente stupido, ma poi ho deciso di non sprecare tempo, fatica e pagine per dare una lezioncina di buon senso e opportunità a improbabili arcangeli con ridicola spada. Nella Premessa al vol. I ho già detto abbastanza sul significato e
la portata che intendo dare all'espressione “filologia omerica antica”, come pure sulla tensione intellettuale dello studioso intrappolato fra l'enorme complessità dell’omeristica e la forzata limitazione di ognuno. Nel frattempo, se da una parte ho studiato a fondo alcune figure di grammatici “minori”, cercando di situarli nel quadro dello sviluppo della filologia alessandrina attraverso l’analisi di puntuali questioni poste da un piccolo gruzzolo di frammenti!, dall'altra mi sono obbligato a una riflessione generale * Ringrazio Fausto Montana, che mi ha aiutato nella preparazione del volume con la consueta prontezza e competenza. 1. 7frammenti dei grammatici Agathokles, Hellanikos, Ptolemaios Epithetes. In appendice i grammatici Theophilos, Anaxagoras, Xenon, «Sammlung Griechischer und Lateinischer Grammatiker (SGLG)»,
Band 7, Berlin-New York, W. de Gruyter, 1988.
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sull’epica greca arcaica, che mi costringesse a una sintesi globale delle grandi linee tematiche coinvolte dal problema omerico*. Nel raccogliere questi volumi di Studi, non c'è alcuna ambizione di premature Kleine Schriften: c'è semplicemente sia l'occasione di rivedere contributi singoli e soprattutto di riconsiderarli nel loro insieme, sia il desiderio di continuare la riflessione su problemi diversi e collegati, entro il quadro che ho evocato. Il discorso vale in un modo specifico e particolare per le tematiche connesse agli Scholia D in Iliadem: in questo vol. II, sette articoli su quattordici trattano questioni che riguardano in vario modo gli Scholia D e devono essere visti come tappe del cammino di ricerca che porta all'edizione critica di questo corpus di scoli omerici, che ora spero di terminare in un arco di anni ragionevole. Tutti 1 lavori ripresi in questo volume sono stati riveduti e aggiornati per quanto era indispensabile, pur senza snaturare il loro carattere originario. Elenco dei luoghi di prima pubblicazione: I = Una glossa omerica pre-alessandrina? (Sch. Il. XVI 235 — Eubulo fr. 139 K.), Rendiconti Istituto Lombardo - Classe di Lettere, 110 (1976), pp. 202-211. II = Omero, Eubulo, i pesci e i Chorizontes, Studi Class. Orient. 25 (1976), pp. 138-150.
III = Note filologiche. I. Termini e concetti della Poetica di Aristotele nello Sch. MQ Odyss. IV 69, Studi Class. Orient. 29 (1979), pp. 171174. IV = Aristarco ad Odissea II 136-7. Appunti di filologia omerica antica,
MD - Materiali e Discussioni per l'analisi dei testi classici 3 (1979), pp. 157-170. V = Il grammatico Tolomeo Pindarione, i poemi omerici e la scrittura, in: Ricerche di Filologia Classica I. Studi di letteratura greca, Pisa 1981, pp. 97-114. VI = Tradurre dal greco in greco, in: La traduzione dei testi classici. Teoria, prassi, storia, Atti Convegno Palermo 1988, a cura di S. Nicosia, Napoli, D'Auria, 1991, pp. 221-229. VII = Gli Homerica su papiro: per una distinzione di generi, in: Ricerche di Filologia Classica II. Filologia e critica letteraria della Grecità, Pisa 1984, pp. 125-138 + Filologia omerica antica nei papiri, in: Proceedings of the XVIII International Congress of Papyrology. Athens 25-31 May 1986, Atene 1988, pp. 337-344. 2.
Introduzione a Omero. Con un’appendice su Esiodo, Firenze, Sansoni, 1990, 19922,
PREMESSA
IX
VIII = P. Pis. inv. 1 e P. Bonon. 6 in rapporto con le hypotheseis dei canti omerici, Anagennesis 2 (1982), pp. 273-284. IX = P. Oxy. 574 verso riconsiderato: frammento di hypotheseis dell’Iliade, Zeitschr. Papyrol. Epigr. 48 (1982), pp. 89-92. X = Sulle hypotheseis di Odyss. B e y di P. Oxy. 3160 + P. Strasb. Gr. 1401, Studi Class. Orient. 31 (1981), pp. 101-110. XI = Revisione di P. Berol. 13282. Le historiae fabulares omeriche su papiro, in: Atti del XVII Congresso Intern. di Papirologia. Napoli 1984, Napoli 1985, vol. II, pp. 229-242. XII = P. Heid. IV 289. Testo in prosa + Iliade A 1-6, in: Griechische Texte der Heidelberger Papyrus-Sammlung - P. Heid. IV, Heidelberg 1986, pp. 10-13. XIII = 3832. Scholia minora to Iliad 2.201-18 etc., 1n: The Oxyrhynchus Papyri. Vol. LVI, Londra 1989, pp. 48-51 + Nuova edizione di P. Ryl. 536: Scholia Minora a Iliade N 198-562, in: Mosaico. Studi in onore di Umberto Albini, Genova 1993, pp. 135-146. XIV = Note sulla tradizione manoscritta degli Scholia D in Iliadem. Un caso di errore da archetipo, in: Storia Poesia e Pensiero nel mondo antico. Studi in onore di Marcello Gigante, Napoli, Bibliopolis, 1994, pp.
475-481. Universita dı Genova, novembre
1995
STUDI
DI FILOLOGIA OMERICA II
ANTICA
I UNA GLOSSA OMERICA PRE-ALESSANDRINA? (Sch. Il. XVI 235 — Eubulo fr. 137 PCG) Nella preghiera di Achille a Zeus prima dell'ingresso in battaglia di Patroclo (ZI. XVI 233 sgg.) si trova una incidentale menzione dei Selli, 1 sacerdoti-interpreti del celebre santuario-oracolo di Dodona: 235
ἀμφὶ δὲ Σελλοὶ σοὶ valova’ ὑποφῆται ἀνιπτόποδες χαμαιεῦναι.
Dell’epiteto ἀνιπτόποδες, hapax in Omero! e di uso assai raro anche posteriormente‘, gli scoli al v. 235 forniscono numerose ed eterogenee spiegazioni. Tuttavia, per quanto riguarda il puro e semplice significato etimologico della parola, si hanno due sole divergenti interpretazioni: una di esse appare assolutamente predominante, mentre l’altra è riportata rapidamente e con scarso rilievo. Trascriviamo degli scoli solo quanto è più direttamente funzionale al nostro discorso. Sch. D
Sch. bT
ἀνιπτόποδες: ... ταύτην ἔχοντες δίαιταν ὡς μηδὲ àroviteota: τοὺς πόδας ... τινὲς δὲ αὐτοὺς διὰ τοῦτο λέγεσϑαι ἀνιπτόποδας, ὅτι οὐκ ἐξίασιν ἔξω τοῦ ἱεροῦ: διὸ οὔτε ἀπολούεσθϑαι ἀνάγκην ἔχουσιν ... (ACHV). ἀνιπτόποδες: ol φυλασσόμενοι μή τι μιαρὸν πατῆσαι. ἢ μὴ προϊόντες τοῦ ἱεροῦ ὡς μὴ δεῖσθαι νίπτρων ... οἱ δὲ ἀνιπτόποδας ἀνιπταμένους ταῖς διανοίαις, μετεωρολόγους. χαμαιεῦναι δὲ χαμαὶ ὄντες καὶ τὰ πόρρω σκοποῦντες.
l.
Cfr ἔββκιινο, Lexicon Homericum, s.v.
2.
L.S. J. s.v. registra: questo passo omerico e il fr. 137 PCG di Eubulo di cui
infra; Nonno, Dion. 40, 285; un'iscrizione di Tralles del II sec. recante una dedica a Zeus Larasios fatta da una certa L. Aurelia Emilia (cfr. L. RoBERT, Étude:
Anatoliennes, Paris 1937, pp. 406 sg., con bibliogr.): la dedicante è detta ἐκ προγόνων παλλαχίδων xai ἀνιπτοπόδων e sarebbe interessante sapere se qui &vixtóxoóesc deriva dall'uso religioso-cultuale oppure se è solo una reminiscenza del famoso verso omerico. 3. Gli scoli sono citati dall'ediz. di H. Ersse (vol. IV, Berlino 1975), tranne lo
sch. D per il quale ho usato i manoscritti. Lo sch. Ge è riportato da Erbse fra i Testimonia; per le Lex. Hom.: Scholia minora in Homeri Iliadem, ed. V. De Marco, Pars Prior, fasc. primus (continens glossas a litt. a-e incipientes), Roma 1946.
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MONTANARI
Sch. Ge
ἀνιπτόποδες: ἐὰν μὲν ψιλῶς, ποδανίπτροις μὴ χρώμενοι διὰ τὸ καϑαρὸν καὶ ἀγνὸν καὶ διὰ τὸ μὴ ἐξιέναι τοῦ σηκοῦ. ἐὰν δὲ δασέως, οἱ ἀναπηδῶντες καὶ δίκην πτηνῶν ἀναπετόμενοι ἐν τῷ ἐνθουσιασμῷ.
Lex. Hom. a 550
ἀνιπτόποδες χαμαιεῦναι: ἦτοι ὡς ἀγρίων αὐτῶν ὄντων ἢ ἕνεκα ϑεοῦ φυλασσομένων πατεῖν tt μιαρὸν καὶ διὰ τοῦτο μὴ χρείαν ἐχόντων νίπτεσθϑαι' οὕτω γὰρ καὶ τοὺς χαμαιεύνας ἀκουστέον ὡς διὰ τὴν ϑρησκείαν χαμαὶ κοιμωμένων αὐτῶν.
L'etimologia di gran lunga più seguita è quella che fa derivare l'aggettivo da a (privativo) + vitto + πούς = «che non si lavano 1 piedi»: secondo tale interpretazione, l’epiteto testimonia una specifica costumanza dei sacerdoti dodonei (accanto a quella di dormire per terra: χαμαιεῦναι) e a questo significato di base si rifà tutta una serie di spiegazioni che cercano di dar ragione dell’usanza di non lavarsi i piedi. Abbiamo tralasciato alcune spiegazioni di natura mitologico-etnografica che si trovano nello sch. D e nello sch. T; quelle che abbiamo riportato riferiscono questo costume dei Selli alla sfera sacrale in relazione al concetto di purità e impurità*. I sacerdoti di Dodona erano detti ἀνιπτόποδες, secondo gli scoli, perché non avevano bisogno di lavacri (scil. purificatori) da! momento che facevano attenzione a non calpestare qualcosa di impuro oppure perché non uscivano dal tempio — evidentemente, in terreno impuro. Questo tipo di spiegazione é l'unico di cui sia rimasta una condensata testimonianza nella lessicografia: Ap. Soph. 33, 12 ἀνιπτόποδες οἱ δι᾽ ἁγνείαν μὴ προερχόμενοι (II 235); Hesych. ἀνιπτόποδες᾽ δι᾽ ἁγνείαν χρείαν μὴ ἔχοντες νίπτεσϑαι. I
Selli turavano che le loro estremità inferiori non venissero contaminate in seguito al contatto con elementi impuri: perciò usavano non sottoporle a lavacri ed erano detti «dai piedi non lavati» — Σελλοὶ ἀνιπτόποδες.
L'altra interpretazione etimologica € testimoniata in bT e in Ge ed ha una assai minore rilevanza nel complesso dell’esegesi scoliastica. L’epiteto ἀνιπτόποδες (che in questo caso non testimonierebbe uno specifico costume dei sacerdoti) deriverebbe da ἀνίπταμαι + πούς e significherebbe pressappoco «coloro i cui piedi volano»,
4. Cfr. soprattutto H. W. Parxe, The Oracles of Zeus. Dodona. Olympia. Ammon, Oxford 1967, pp. 7 sgg. e 20 sgg.; W. PoETSCHER, Zeus Naios und Dione in Dodona, Mnemosyne 19, 1966, pp. 143 sgg. Per la bibliogr., oltre alle opp. citt., v. ERBSE, Scholia Iliad., IV pp. 222 sg.; MonTANARI in Athenaeum 54, 1976, pp. 139 sgg., partic. p. 143 n. ll.
UNA
GLOSSA
OMERICA
PRE-ALESSANDRINA?
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«che hanno le ali ai piedi» o qualcosa di simile: in sostanza, semplicemente «che volano». Ma in senso figurato, ovviamente: quelli che volano col pensiero (ἀνιπτάμενοι ταῖς διανοίαις bT), che sanno
vedere e capire le cose celesti (μετεωρολόγοι bT): il riferimento sarebbe alle pratiche mantiche e divinatorie dei Selli nella loro attività di interpreti del dio (ἀναπετόμενοι ἐν τῷ ἐνθουσιασμῷ Ge).
Lo sch. Ge avverte scrupolosamente ἐὰν δὲ δασέως {contrapposto al precedente ἐὰν μὲν ψιλῶς), a rendere più chiara l'etimologia da
ἀν-ἵπταμαι. Questa interpretazione non ha paralleli altrove?. Ad essa si riallaccia con ogni probabilità anche la spiegazione di χαμαιεῦναι che in bT troviamo subito affiancata: χαμαιεῦναι δὲ χαμαὶ ὄντες καὶ τὰ πόρρω σκοποῦντες": spiegazione differente sia da
quella che si legge in Lex. Hom. sia dalla più elementare ‘traduzio-
ne’ che si trova in D (ol ἐπὶ τοῦ ἐδάφους κοιμώμενοι). Nel commento a questo passo omerico, Eustazio (1058, 11 sgg.) porta a confronto alcuni versi del comico Eubulo: si tratta del fr. 137 PCG*, restituitoci in forma più ampia da Ateneo, III 113 f. οὗτοι ἀνιπτόποδες χαμαιευνάδες ἀερίοικοι, ἀνόσιοι λάρυγγες, ἀλλοτρίων κτεάνων παραδειπνίδες, ὦ λοπαδάγχαι λευκῶν ὑπογαστριδίων.
Temi e personaggi ben noti alla commedia: la situazione è quella del banchetto e oggetto di scherno sono 1 parassiti smodati e voraci. Sia da Eustazio che da Ateneo, peró, apprendiamo che questi parassiti non sono gente qualsiasi, bensì filosofi (probabilmente in particolare Cinici)": filosofi ovviamente da strapazzo, gente di bas5.
Negli studi moderni essa, ovviamente, non è presa in considerazione: la sua
peregrinità e insostenibilitä linguistica, comunque, non importano in questa sede. 6. La relazione fra le due è più chiara in Eustazio 1058, 5: ἕτεροι δὲ σεμνότερον τοιοῦτον συντιθέασι νόημα, χαμαιεῦναι μέν, ἀνιπτόποδες δέ, τουτέστι χαμαὶ μὲν εὐναζόμενοι, ἀνιπτάμενοι δὲ τῶν χάτω ταῖς διανοίαις διὰ τὴν ἐν ταῖς μαντείαις
φιλοσοφίαν. Il rapporto con gli scoli è chiaro anche a livello verbale. 7. V. ERBSE, of. cit., p. 223 nei Testimonia. 8.
Fr. 139 Kock; cfr. Eubulus, 77e Fragments, ed. comm. by R. L. Hunter, Cam-
bridge 1983, fr. 139 con il commento. 9. KocKkadédo.: «Apud Eubulum cymict his verbis significantur in summa simplicitatis specie voracissimi»; cfr. T. B. L. WEBSTER, Studies in Later Greek Comedy,
Manchester 1953, pp. 53, 61 (per il tema della derisione dei filosofi v. partic. pp. 50 sgg.); Hunter, comm. at. Cfr. Ateneo È. c.: ὁ προπάτωρ ὑμῶν Διογένης; Eustazio l.c.: φέρεται Εὐβούλου περὶ φιλοσόφων τὸ «ἀνιπτόποδες κτλ.».
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sa lega, ciarlatani e profittatori volgari, che campano alle spalle altrui magari ammantandosi di una facile veste di uomini di pensiero. La ripresa omerica del primo verso è palmare e giustifica in modo del tutto immediato il richiamo di Eustazio: la scelta lessicale presenta due epiteti già molto rari di per sé ed il cui accoppiamento é addirittura limitato — a nostra conoscenza — a questi due luoghi di Omero e di Eubulo. Anche lo stile è consonante: il verso, infatti, è un esametro dattilico di classica fattura, scandito in quattro membri dì cui tre costituiti da parole composte di scoperta
risonanza epica'?. Ma è subito evidente anche l’inversione di regi-
stro operata da Eubulo nei confronti di Omero: da una parte la serietà religiosa della preghiera epica, dall’altra lo scherno sarcastico della commedia che mette alla berlina. E 1 due aggettivi che nell’/liade indicavano costumi cultuali di sacerdoti sono diventati insulti contro gente volgare e mal vissuta: «costoro che non si lavano 1 piedi, che dormono per terra...». L'uso di epiteti femminili contribuisce a caricare ulteriormente lo scherno; e χαμαιευνάδες
rimanda per un’altra via ancora ad Omero, dove (come già notava Eustazio) lo 51 trova usato come epiteto delle scrofe (Od. X 243 e XIV 15): quindi «che dormono per terra», in trasparenza «come scrofe»'!. Troppo connotato è il verso (metro, stile, linguaggio) perché l’allusione — piena di elementi facilmente afferrabili — non sia del tutto voluta: è chiaro che vuole essere colta e arricchire il contesto sarcastico degli elementi 'figurali! che ıl meccanismo della memoria allusiva chiama in gioco!^. Non sembrerà casuale l'impiego dell'aggettivo ἀνόσιος, termine della sfera religiosa quant'altri mai, qui violentemente abbassato ad una sfera ben diversa: «empie gole, divoratori parassiti dei beni altrui», che con l'empietà 10. Per gli esametri comici cfr.J. W. WHITE, The Verse of Greek Comedy, London 1912, pp. 149 sgg. ll. Eustazio /.c.: Ὅρα δέ, ὅτι χαμαιεῦναι μὲν ἄνθρωποι ἐπαινετοὶ τῆς χαμεύνης ὡς ἐνάρετοι, αἱ δὲ χαμαιευνάδες οὐ τοιοῦτον σύες γάρ. ἡ δὲ κωμῳδία τὰ συνήθη παίζουσα τοὺς χαμαιεύνας χαμαιευνάδας καλεῖ πρὸς ἀναλογίαν τοῦ «᾿Αρκάδας καὶ φυγάδας» καὶ τῶν ὁμοίων. φέρεται γοῦν Εὐβούλον περὶ φιλοσόφων vó' (fr. 139), è παραπεποίηκεν ἐκεῖνος ἐκ τοῦ παράσιτοι. εἰ δὲ φιλοσόφους ἄνδρας οὕτως ἔσκωψέ τις, πῶς οὐκ ἂν ὁ τοιοῦτος ἀσφαλέστερον καὶ γυναῖκας χαμαιευνάδας ἐρεῖ τινὰς ὧν ὁ βίος
οὐκ
εὐπρεπής,
Per
il senso
degli
epiteti
femminili
cfr.
anche
Kock
Lc:
«χαμαιευνάδες autem pro χαμαιεῦναι co consilio, quo apud Homerum ᾿Αχαιίδες, οὐκέτ᾽ 'Axatol».
12.
Perla problematica relativa a questi fenomeni letterari è sufficiente rinviare
a G. B. Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario. Catullo Virgilio Ovidio Lucano,
Torino 1974: interessa partic. al nostro caso il cap. I, Memoria dei poeti e arte allusiva (già in «Strumenti Critici» 16, 1971, pp. 325 sgg.).
UNA GLOSSA OMERICA PRE-ALESSANDRINA?
religiosa
ha
molto
poco
a
che
fare.
L'elemento
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religioso-
sacerdotale in Eubulo non esiste più come significato immediato del testo, ma soltanto come intertesto e come ‘figura’ dovuta al
meccanismo allusivo: cioè come portato dei significati che, trasposti in un diverso contesto che fornisce loro una connotazione del tutto differente, non sono ‘sradicati’ ma recano pur sempre con sé qualcosa del contesto da cui provengono. Qui la rarità del lessico e del sintagma assicurano la percezione di quello spazio figurale nel quale risiede il significato (omerico) «religione-sacerdozio»: esso, nell’operazione di mutamento di registro, conferisce allo scherno
sarcastico una maggiore e più pregnante intensità comica'”. Finora la nostra analisi del rapporto letterario tra il frammento di Eubulo e il passo omerico si è fondata sul sintagma ἀνιπτόποδες
χαμαιευνάδες: non abbiamo fatto parola, a proposito di Eubulo, dell’epiteto ἀερίοικοι, letteralmente «che abitano nell'aria», vale a
dire — nel contesto — «gente con
la testa in aria» o qualcosa di
simile'*. Una parola che in greco si potrebbe parafrasare con... ἀνιπτάμενοι ταῖς διανοίαις, μετεωρολόγοι. naturalmente intendendo queste espressioni con una connotazione negativa, rovesciate di
valore rispetto a quello che avevano negli scoli omerici da cui le abbiamo tratte'?. Vale a dire: «che volano col pensiero» non nel senso che conoscono
le cose divine e sono vicini al dio, bensi nel
senso che non hanno i piedi in terra, che hanno la mente fra le
13.
Sulle parodie di Eubulo nei confronti della poesia «seria» (epica e dramma-
tica), cfr. A. MEINEKE, FCG I, Berlino 1839, pp. 355 sgg.; G. Kaiser, Eubulos (14) in RE VI 1, Stuttgart 1907, coll. 877 sg.; R. ArgENtO, 2 comico Eubulo, RSC 12,
1964, pp. 125 sgg. Un esempio grazioso e significativo è dato dal fr. 118 PCG (= 120 Rock), nel quale viene argutamente presa in giro la spedizione contro Troia degli ' eroi omerici: ed Ateneo. I 25c, lo introduce con le parole «Εὔβουλος κατὰ τὴν κωμικὴν χάριν φησὶ παίζων».
Su questo v. infra IT.
14. L. S. J. s.c: «dwelling in atr (mock heroic)»; Epbwonps, comm. «skydwellers»; WEBSTER, op. at.. p. 53: «dwellers in the open».
al fr. 120:
15. Μετεωρολόγος è usato con connotazione negativa da Eurip. fr. 913, 2 N? (cfr. Satiro, Fita di Euripide, a cura di G. ARRIGHETTI, Pisa 1964, fr. 38 I, p. 50) e con
ironia satirica da Plat. Cratyl. 401 b. Nelle Nurole di Aristofane il riferimento alle ‘cose celesti! costituisce un tema frequente dell'arguta ed ironica caricatura di Socrate: troviamo perewpogévaxag (v. 333), μετεωροσοφιστῶν (v. 360); inoltre sch. Pac. 92: μετεωρολέσχας (fr. 386 K.) ἔφη tovc φιλοσόφους (cfr. Plat. Rep. 489c; Hesych. uexeopoAéoxau φλναροῦντες tà περὶ οὐρανὸν μετέωρα). Per questa temati-
ca in Aristofane v. Κα. J. Dover, comm. a ud. 333: non e improbabile che la suggestione di tali motivi comici aristofaneschi sia stata operante anche nel nostro passo di Eubulo.
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MONTANARI
nuvole. A quanto pare, il gioco sottile dell’inversione di registro — operazione dotta di memoria poetica — ha coinvolto non solo le parole di Omero, ma anche le interpretazioni che ne venivano date. ᾿Ανιπτόποδες si € per cosi dire sdoppiato: è rimasto come significante del significato «che non si lavano i piedi» (ma con una connotazione rovesciata) ed ha ‘generato’ un nuovo significante (un Aapax legomenon), che è l'immagine fonica dell'altro suo possibile significato secondo le differenti etimologie antiche, naturalmente anche questo rovesciato di valore come vuole il contesto nel quale è stato inserito. Se è valida la nostra analisi del rapporto fra Omero ed Eubulo ed è stato ricostruito correttamente il processo genetico dell’inserimento dell'epiteto ἀερίοικοι nel verso del comico, resta da trarne l’ultima conseguenza, che è quanto ci interessa maggiormente in questa sede. La conseguenza € che ad Eubulo doveva essere nota
quella interpretazione etimologica che faceva derivare l'&vurrózoδες omerico da ἀνίπταμαι e gli dava il senso di «persone che volano col pensiero fra le cose celesti, che conoscono le cose degli dei»: questo è il significato cui egli ha cambiato di valore nel senso di «persone che vivono con la testa per aria, tra le nuvole». Siccome Eubulo visse nel IV secolo a.C.'5, avremmo qui testimonianza dell’esistenza in epoca pre-alessandrina di una glossa omerica che spiegava la rara e problematica parola ἀνιπτόποδες: una testimo-
nianza cioè dei primi elementi di ermeneutica omerica. Di questa glossa pre-alessandrina è rimasta testimonianza diretta solo negli scoli di tradizione bizantina: se era nota a Eubulo, che la sfruttò nel IV sec., essa nacque in epoca ancora classica, fu recepita nei
lavori (commentari, raccolte lessicografiche) dei filologi di Alessandria e da questi si trasmise — attraverso tutti i passaggi che tale cammino conobbe - ai corpora di scolì messi insieme e redatti nell'età bizantina!”.
16.
I termini cronologici precisi sono discussi: per la datazione cfr. KAIBEL in
RE cit.; Ὁ. Norwoop, Greek Comedy, London 1931, p. 40; WEBSTER, op. cit., partic.
Chronological Table, pp. 239 sgg. V. anche W. Surss, Der altere Dionys als Tragiker, RhM 109, 1966, pp. 299 sgg. 17. Hunter, comm. cit., menziona questa mia proposta e commenta: «This suggestion seems to me entirely improbable, although the fact that no audience could
possibly have grasped the point is not by itself sufficient to exclude it»: mi compiaccio soprattutto per come è ben argomentato il «seems to me entirely improbable». Per un'altra traccia (possibile) di filologia omerica pre-alessandrina in Eubulo, cfr. infra II.
UNA
GLOSSA
OMERICA
PRE-ALESSANDRINA?
0
Questo singolo caso di (probabile) glossa pre-alessandrina si affianca agli altri che ormai da tempo gli studiosi (a cominciare da Wilamowitz e Wackernagel)!* hanno rintracciato analizzando in modo simile al nostro passi di autori dell'epoca classica (come per es. Eschilo) dove compaiono parole omeriche usate in un significato che è testimone di una «interpretazione» (per la quale in genere si trova corrispondenza negli scoli). A noi importa in particolare mettere l’accento sui problemi che si pongono relativamente agli antecedenti e alla preistoria della filologia, al rapporto fra tali antecedenti e le opere critico-letterarie degli esegeti alessandrini, alle
tracce che di quelli rimangono nei lacerti di critica alessandrina giunti fino a noi. Vale a dire, l'epoca assai antica cui possono risalire a volte elementi di esegesi e di ermeneutica testuale, che noi troviamo testimoniati direttamente solo in testi molto piü tardi (come gli scoli e gli etimologici) e derivati dai lavori dell'epoca ellenistica. Per il testo di Omero, si puó dire che il problema ha acquisito, almeno nei suoi contorni generali, una veste abbastanza
netta: non c'é dubbio che prima dell'epoca tolemaica esistettero sforzi di interpretazione e di 'traduzione' di Omero, dettati dall'esigenza di capire e di spiegare un autore e un linguaggio diventati in molti punti difficili e problematici. La chiameremmo una rudimentale (ma quanto?) e pragmatica glossografia: non sappiamo se legata all'insegnamento scolastico soltanto o se addirittura con una sua autonomia e dignità di circolazione e un pubblico di fruitori. Le prove indirette, fornite dall'uso-interpretazione di cui sopra di parole omeriche in poeti classici, potrebbero lasciare qualche dubbio, se non fossero ottimamente corroborate da testimo-
nianze esplicite: fra questo basterà qui ricordare il famoso passo dei Dattales di Aristofane (fr. 233 PCG), nel quale un personaggio chiede ad un altro di spiegargli le Ὁμήρου γλώττας. Non c'è biso-
gno che ripetiamo cose già ottimamente dette'?: una qualche forma di glossografia omerica esisteva prima dell’opera dei filologi
18. Cfr. U. v. WiLAMOWITZ, £syllos von Epidauros, Berlino 1886, pp. 111 sg.;J. WACKERNAGEL, in Kleine Schriften I, pp. 728 sgg. (KZ 33, 1895, pp. 49 sgg.); K. LATTE, Glossographika, Philologus 80, 1925, pp. 136 sgg. = Kleine Schriften 631 sgg., partic. 64] sgg. 19. Oltre alla bibliogr. cit. alla n. prec., cfr. H. Ersse in Hermes 81, 1953, pp. 170 sg.; R. Preirrer in JHS 75, 1955, p. 72 (= Ausgew. Schrift, p. 154); ın., Storia
della Filologia Classica, trad. it. Napoli 1973, pp. 55, 59, 146 sg., 230; A. HENRICHS, Scholia Minora zu Homer. Prolegomena, ZPE 7, 1971, pp. 99 sgg., con tutta la bibliografia.
IO
.
FRANCO
MONTANARI
del Museo, ed ogni nuovo caso rilevato — come il nostro del fr. di Eubulo — andrà inserito in questo quadro per cercare di far luce sempre meglio sulle sue caratteristiche. Acquisito questo risultato generale, ci si delineano di fronte grossi problemi ancora aperti e che qui possiamo solo accennare. Innanzi tutto quello dell’utilizzazione e del tipo di utilizzazione che 1 filologi alessandrini fecero di questo materiale precedente, il modo in cui esso fu recepito e reimpiegato. Connessa è la questione relativa a quegli anonimi personaggi citati negli scoli genericamente come γλωσσογράφοι““. Per quanto riguarda poi i cosiddetti Scholia D, ci soffermiamo un momento per sottolineare un problema che si riaggancia alla questione delle glosse pre-alessandrine. H corpus bizantino di questi scoli è costituito, come è noto, da un certo
numero di ἱστορίαι e da tutto un insieme di spiegazioni di singole parole o espressioni costituenti una sorta di vera e propria ‘traduzione’ passo passo del testo omerico. Fu Wilamowitz? il primo a sostenere che affonda le sue radici in epoca molto antica l’elemento glossografico di quelli che per un errore umanistico furono detti Scholia Didymi e ritenuti il corpus scoliografico omerico di origine più recente. Questa opinione è oggi comunemente accettata e si è precisata. A. Henrichs, nel suo lavoro sugli Scholia Minora omerici, scrive giustamente che queste Worterklärungen sono testimoniate fin
dal V sec. a.C. e costituiscono, accanto alla interpretazione allegorica, la più antica forma della philologische Homererklárung^"; e dice Erbse a proposito di questi scoli: «... reliquias eorum interpretamentorum continent, quae pueri Athenienses Homeri intellegendi causa inde a quinto a. Chr. n. saeculo in schola discebant. oc e ratione concludimus, qua poetae Attici et Alexandrini verba rariora Homeri interpretabantur [il corsivo è mio]. Nec non complures talium explanationum cum interpretamentis glossographorum
a grammaticis
Alexandrinis usurpatis congruunt. lam Aristarchus haud paucas emendavit vel supplevit. Etiam nonnullis papyris satis antiquis prorsus evincitur fundamentum illorum scholiorum ante aetatem
20.
Cfr. K. LEnns, De Aristarchi Studiis Homericis), Lipsia 1882, pp. 36 sgg.; LAT-
TE, 0p. cit., p. 641; ΕΚΒΒΕ, 4. c. alla n. prec.; PFEIFFER, Storia cit., p. 147; HENRICHS,
op. cit., p. 100 e n. 10; A. Lupwich, Aristarchs Homerische Textkritik, Lipsia 1884-85, II, p. 118; TOLKIEHN, Lexikographie in RE XII 2, Stuttgart 1925, col. 2434; A. R.
Dyck, The Glossographoi, HSCP 91, 1987, pp. 119 sgg. 21.
U. v. Wıramowitz, Zu den Homerscholien, Hermes 23, 1888, pp. 142-47.
22.
HENRICHS, op. cit. alla n. 19, pp. 99 sg.: in questo lavoro si trova delineata
con nitida sintesi la problematica cui accenniamo.
UNA GLOSSA OMERICA PRE-ALESSANDRINA?
LI
Hellenisticam iactum esse»?*. Grazie infatti ai ritrovamenti papiracei la storia degli Scholia minora (1ntendendo con questa dicitura il nocciolo di Worterklärungen del corpus bizantino denominato Scholia D, unitamente ai suoi predecessori restituiti da papiri) si puó ora seguire per testimonianza diretta fino al I sec. a.C. Le testimonianze indirette, del tipo di quella che abbiamo ipoteticamente ricostruito, ci alutano a gettare lo sguardo alle spalle dell’epoca tolemaica.
23.
ERBSE, Scholia lliad., vol. I (Berlino
1969), Praefatio p. XI.
II OMERO,
EUBULO,
I PESCI E I CHORIZONTES
Uno degli argomenti sfruttati dai Chorizontes a sostegno della ben nota tesi che l’Zliade e l'Odissea non furono scritte dallo stesso poeta (l’Zliade sarebbe di Omero, l'Odissea no)! riguardava il cibarsi o meno dei prodotti del mare. La testimonianza più esplicita si trova nello sch. A ad 7l. XVI 747, nel quale si legge che i Chorizontes affermavano che il poeta dell’/liade non fa mangiare pesci ai suoi eroi, mentre quello dell’Odissea 51}: l'argomentazione è naturalmente rintuzzata da Aristarco (certo si tratta di lui, anche se non è
menzionato esplicitamente), che sappiamo aver vigorosamente combattuto — e con successo — l’idea ‘separatista’”. Il.
X VI 746-7: el δή που καὶ πόντῳ ἐν ἰχϑυόεντι γένοιτο, πολλοὺς ἂν κορέσειεν ἀνὴρ δε τήϑεα διφῶν.
Sch. A v. 747 (Ariston.): ὅτι ἄπαξ εἴρηκε τήϑεα. ἔστι δὲ εἶδος τῶν ϑαλασσίων ὀστρέων. πρὸς τοὺς Χωρίζοντας (fr. 7 Kohl): φασὶ l. Procl, Vita Hom., p. 102, 2 sg. Allen: γέγραφε δὲ ποιήσεις δύο, ᾿Ιλιάδα καὶ ᾿Οδύσσειαν, fiv Ξένων xai Ἑλλάνικος ἀφαιροῦνται αὐτοῦ. I frammenti sono raccolti in J. W. Konr, De Chorizontibus, Diss. Giessen, Darmstadt 1917; una seconda
parte contenente un saggio sui problemi generali fu annunciata ma non apparve mai € fu parzialmente sostituita da un articolo: J. W. Konı, Die homerische Frage der Chorizonten, Neue Jahrbücher f. d. kl. Alt. 1921, pp. 198 sgg., che trovo quasi sistematicamente ignorato (a parte DIEHL, cit. qui sotto) c risulta ricco di stimoli (v. infra n. 15). Cfr. W.
H. GRAUERT,
Ueber die homerischen Chorizonten, RhM
1,
1827, pp. 199 sgg.; F. SusEurinr, Gesch. griech. Lit. Alex., Leipzig 1892, II pp. 149 sg.; W.
DieHL,
Die wörtlichen Beziehungen zwischen [lias und Odyssee,
Greifswald
1938, pp. 1 sgg.; L. Conn, χωρίζοντες, in RE III 2, Stuttgart 1899, col. 2439; A. GuDbEMAN, Hellanikos (8), in RE VIII 1, Stuttgart 1912, coll. 153 sgg.; M. FuHRrMANN, Xenon (15), in RE IX A 2, Stuttgart 1967, col. 1540; R. PrEiFFER, Storia della filologia classica, trad. it. Napoli 1973, pp. 333 e 357 n. 126; P. M. Fraser, Ptole-
maic Alexandria, Oxford 1972, I p. 467. 2.
Per questo problema
cfr. R. WEBER,
De Dioscuridis Περὶ vov παρ' 'Oyufjoo
νόμων libello, Leipziger Studien z. class. Philol. 11, 1889, pp. 91, 96 sg., 132 sg., 157 sgg., 187 sgg.; Pu. HorMANN, Aristarchs Studien «de cultu et victu heroum» im Anschluss an Karl Lehrs, Programm des Kgl. Ludwigs-Gymnasiums in München 1904/1905, München 1905, pp. 33 sg.; KoHL, De Choniz. cit., pp. 27 sgg. Per le fonti v. anche H. Ersse, Sch. liiad., vol. IV, pp. 295 sg., Testimonia a II 747.
3.
Cfr. bibl. cit. alla n. 1.
I4
FRANCO
MONTANARI
γὰρ ὅτι ὁ τῆς Ἰλιάδος ποιητὴς οὐ παρεισάγει τοὺς ἥρωας χρωμένους ἰχϑύσιν, ὁ δὲ τῆς ᾿Οδυσσείας (cfr. ὃ 368, μ 311). φανερὸν δὲ ὅτι, el καὶ μὴ παράγει χρωμένους, ἴσασιν, ἐκ τοῦ τὸν Πάτροκλον ὀνομάζειν τήϑεα. νοητέον δὲ τὸν ποιητὴν διὰ τὸ μικροπρεπὲς παρῃτῆσθϑαι, καὶ μὴν οὐδὲ λαχάνοις παρεισάγει χρωμένους, ἀλλ᾽ ὅμως φησὶ «δμῶες
᾿Οδυσσῆος τέμενος μέγα κοπρήσοντες» (o 299). La questione, se gli eroi omerici? si cibassero o meno di pesci, torna a più riprese nel I libro dei Deipnosofisti di Ateneo?. In questa sede, a noi interessa la citazione a I 25 bc: Ὅτι δὲ καὶ (xoc ἤσϑιον Σαρπηδὼν δῆλον ποιεῖ, ὁμοιῶν τὴν ἄλωσιν ravaypov δικτύου θήρᾳ. Καίτοι Εὔβουλος κατὰ τὴν κωμικὴν χάριν φησὶ παίζων" ἰχϑὺν δ᾽ Ὅμηρος ἐσϑθίοντ᾽ εἴρηχε ποῦ τίνα τῶν ᾿Αχαιῶν; κρέα δὲ μόνον ὥπτων, ἐπεὶ ἔψοντά γ᾽ οὐ πεποίηκεν αὐτῶν οὐδένα.
ἀλλ᾽ οὐδὲ μίαν ἄλλην ἑταίραν εἶδέ τις αὐτῶν, ἑαυτοὺς δ᾽ ἔδεφον ἐνιαυτοὺς δέκα.
πικρὰν στρατείαν δ᾽ εἶδον, oltıves πόλιν μίαν λαβόντες εὐρυπρωχκτότεροι πολὺ
τῆς πόλεος ἀπεχώρησαν, ἧς εἶλον τότε. Nel frammento di Eubulo (118 PCG = 120 Kock) la giocosa presa
in giro dell’epopea omerica prende avvio con una interrogazione retorica, il cui senso evidente è: Omero non ha mai rappresentato alcuno degli Achei nell’atto di mangiare pesce. Viene subito facile,
dunque, mettere in rapporto tale ‘presa di posizione’ del comico con le discussioni sull'argomento che opponevano i Chorizontes ad Aristarco: i primi sostenevano che nell’/liade non si mangia pesce e nell' Odissea si, per cui 1 due poemi sono in contraddizione; Aristarco invece si studiava di mostrare come gli eroi iliadici conoscessero il cibo marino benché non fossero rappresentati nell'atto di consumarlo, per cui la contraddizione non sussiste. Potrebbe sorgere il dubbio se Eubulo si riferisca agli eroi di entrambi 1 poemi o solo a quelli iliadici, a proposito del cibarsi di pesce: il contesto parrebbe suggerire preferibilmente che l'affermazione del comico vada riferita soltanto all'//iade. Se € lecito mettere in relazione 1 versi di
4. Cit. da Ersse, Schol. lHiad., vol. IV, p. 295. 5. [luoghi nelle opp. citt. alla n. 2. 6. Cfr. Eustazio 1720, 30 sgg.: el xai Εὔβουλος κωμικώτερον παίζων φησίν" ἰχθὺν δὲ ποῦ Ὅμηρος ἐσθίοντα εἴρηκέ tiva τῶν ᾿Αχαιῶν; (cfr. vv. 1-2) xal λέγει μὲν ἐκεῖνος ἀληϑῶς.
OMERO,
EUBULO,
I PESCI
E I CHORIZONTES
15
Eubulo con la questione sollevata dai Chorizontes sull'uso del pesce nei due poemi, si potrà dedurne: o che Eubulo, sostenendo che nell’/liade non si mangia pesce, porta acqua al mulino della tesi ‘separatista’; oppure che il comico — come pare forse più probabile per le parole con cui sia Ateneo sia Eustazio (v. n. 6) introducono la citazione — sì prende argutamente gioco delle discussioni intorno a questo problema. Qualunque fosse la posizione di Eubulo riguardo al problema del mangiar pesci in Omero, a noi basta — per quel che vogliamo trarre — vedere nel fr. del comico un'eco, una traccia della discus-
sione intorno a tale problema: il che, per il modo in cui esso si presenta e per la relazione che può essere istituita con lo scolio riportato, ci pare almeno probabile’. Eubulo, poeta della commedia di mezzo, visse nel IV sec. a.C.; un indizio a conferma che il problema era noto a quell’epoca mi pare si possa ricavare anche da Platone, Resp. III, 404 b: Kal παρ᾽ Ὁμήρου, ἦν δ᾽ ἐγώ, τά γε τοιαῦτα μάϑοι ἄν τις. Οἶσϑα γὰρ ὅτι ἐπὶ στρατιᾶς ἐν ταῖς τῶν ἡρώων ἑστιάσεσιν οὔτε ἰχϑύσιν αὐτοὺς ἑστιᾷ, καὶ ταῦτα ἐπὶ ϑαλάττῃ ἐν Ἑλλησπόντῳ ὄντας, οὔτε ἐφϑοῖς κρέασιν, ἀλλὰ μόνον ὁπτοῖς, ἃ δὴ μάλιστ᾽ &v εἴη στρατιώταις εὔπορα.
Platone sembra sostenere che nell’/liade gli eroi non si cibano di pesce soltanto a causa delle particolari esigenze imposte dalla situazione bellica, il che vanificherebbe la possibilità di sfruttare l'argomento come «contraddizione» fra i due poemi. Ma questa testimonianza mi sembra tale da non insisterci più di tanto, e sol-
tanto subordinatamente a quella precedente”. Abbiamo comunque indizi che si riferiscono al IV sec., cioè prima della nascita della filologia alessandrina, prima che i Chorizontes propriamente
7. Ho avanzato supra, I, la possibilità che Eubulo conoscesse una glossa ad Il. XVI 235 e l'abbia sfruttata in un gioco di allusione ad Omero. Il risultato di quel lavoro e quanto propongo qui si sostengono a vicenda, cooperando nel mostrare come il gioco allusivo e parodistico del comico nei confronu della poesia epica si giovasse dei primi elementi di esegesi omerica che si producevano nella cultura greca. 8. Larelazione fra lo Sch. Il. XVI 747 da una parte e il fr. di Eubulo e il passo di Platone dall'altra era già stata vista da KoHL, De Chonz. cit., pp. 27 sgg.; cfr. art. cit., N. Jb. 1921, p. 209 (v. infra n. 15). Per Eubulo, R. Hunter (op. cit. supra, I nn. B e 17) comm. al fr. 120, ricorda la mia proposta cosi: «Montanari ... suggests that the passages of Plato and Eubulus indicate that such scholarship may be traced back to the fourth century, but that is certainly not a necessary conclusion»: appunto, may be!
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FRANCO
MONTANARI
detti formulassero la loro tesi destinata ad essere fulminata dagli strali di Aristarco. Dunque, se il nostro discorso è valido, siamo condotti a ritrovare traccia dell’esistenza in epoca prealessandrina di elementi di una posizione ‘separatista’, elementi che sarebbero stati ripresi e sfruttati più ampiamente dai Chorizontes di età ellenistica. Il passo di Eubulo ci fornirebbe un valido indizio per ipotizzare anche in questo caso una non trascurabile continuità, nel senso che certi argomenti di una embrionale posizione ‘separatista’ avrebbero un'origine precedente alla nascita della filologia alessandrina: i Chorizontes non avrebbero creato ex nihilo, ma avrebbero ripreso qualcosa che aveva già avuto un rudimentale concepimento, naturalmente facendone una vera e propria tesı sostenuta in modo più ampiamente motivato e consapevolmente approfondito grazie agli strumenti critici forniti dalla nuova era filologica. Se il fr. 118 PCG di Eubulo (con il passo di Platone e in rapporto con lo sch. di Aristonico ad 7/. XVI 747) ci fornisce un indizio per formulare un’ipotesi, ci sentiremo un po’ confortati nel caso che qualche ulteriore indizio concorra a sostenerla. Un altro argomento sfruttato dai Chorizontes era quello relativo al numero delle città di Creta: siamo informati dallo Sch. A ad /l. II 649 (anch'esso di Aristonico) che essi rilevavano come in tale luogo dell’/liade Creta sia detta «dalle cento città», mentre ad Odissea XIX
174 si dice che
l'isola ha novanta città (cfr. anche lo scolio al verso odissiaco); negli scoli troviamo anche, naturalmente, la confutazione di tale
argomento". Nel cod. Ven. B ad 7i. II 649 e in HQ ad Odyss. XIX 174 si trovano due passi degli “Ομηρικὰ ζητήματα di Porfirio, nei
quali si discute appunto il problema della divergenza fra i due
9. Sch. A ad ZL. II 649 (Ariston.): ἄλλοι #' ol Κρήτην «ἑκατόμπολιν ἀμφενέμοντο» : πρὸς τοὺς Χωρίζοντας (fr. 2 Kohl), ὅτι νῦν μὲν ἑκατόμπολιν τὴν
Κρήτην, ἐν Ὀδυσσείᾳ (cfr. x 174) δὲ ἐνενηκοντάπολιν. ἤτοι οὖν ἑκατόμπολιν ἀντὶ τοῦ πολύπολιν, A ἐπὶ τὸν σύνεγγυς καὶ ἀπαρτίζοντα ἀριϑμὸν κατενήνεκται νῦν, ἐν Ὀδυσσείᾳ δὲ τὸ ἀκριβὲς ἐξενήνοχεν, ὡς παρὰ Σοφοκλεῖ (fr. 899 R.). τινὲς δέ foam πυλαιμένη τὸν Λακεδαιμόνιον δεκάπολιν κτίσαι (cfr. 1 Testimonia in ERBSE, Sch.
Hiad., vol. I, p. 318). Sch. V ad Odyss. x 174: ἐννήχοντα πόληες: ἐν ᾿Ιλιάδι (B 649) ἑκατόμπολιν τὴν Κρήτην λέγει, οὐχ ὡρισμένως ἑκατὸν πόλεις ἔχουσαν, ἀλλὰ ἀντὶ τοῦ πολλάς. ἔνιοι δέ φασιν Ἰδομενέα κατὰ τὸν ἐξ Ἰλίου ἀνάπλουν ἀπελαυνόμενον τῆς Κρήτης ὑπὸ Λεύκου, ὃν ϑετὸν παῖδα καταλελοίπει φύλακα τῆς βασιλείας, δέκα πόλεις πορθῆσαι, μετὰ δὲ và Tewixà αἱ δέκα πόλεις προσεκτίσϑησαν.
OMERO, EUBULO, I PESCI E I CHORIZONTES
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poemi a proposito del numero delle città di Creta (Porphyr. I 48-
49 Schader)'®. Il. II 649:
ἄλλοι θ᾽ ol Κρήτην ἑκατόμπολιν ἀμφενέμοντο.
Odyss. XIX
174:
(Κρήτη)........... ἐν δ᾽ ἄνϑρωποι πολλοὶ ἀπειρέσιοι καὶ ἐννήκοντα πόληες.
Ad Il. B 649: διὰ τί ἐνταῦϑα μὲν πεποίηκεν «ἄλλοι 8᾽ ol Κρήτην ἑκατόμπολιν ἀμφενέμοντο», ἐν δὲ ᾿Οδυσσείᾳ (τ 174) εἰπὼν ὅτι ἔστιν ἡ Κρήτη καλὴ καὶ πίειρα καὶ περίρρυτος ἐπάγει᾽ «ἐν δ' ἄνδϑρωποι πολλοὶ ἀπειρέσιοι καὶ ἐννήκοντα πόληες»; τὸ γὰρ ποτὲ μὲν ἐνενήχοντα ποτὲ δὲ ἑκατὸν λέγειν δοκεῖ ἐναντίον εἶναι. "Hoaxkelöng μὲν οὖν καὶ ἄλλοι λύειν ἐπεχείρουν οὕτως: ἐπεὶ γὰρ μυϑεύεται τοὺς μετ᾽ Ἰδομενέως ἀπὸ Τροίας ἀποπλεύσαντας πορϑῆσαι Αὐύκτον καὶ τὰς ἐγγὺς πόλεις, ἃς ἔχων Λεύκων ὁ Τάλω πόλεμον ἐξήνεγχε τοῖς ἐκ Τροίας ἐλθοῦσιν, εἰκότως ἂν φαίνοιτο μᾶλλον τοῦ ποιητοῦ ἡ ἀκρίβεια ἢ ἐναντιολογία τις. οἱ μὲν γὰρ εἰς Τροίαν ἐλθόντες ἐξ ἑκατὸν ἦσαν πόλεων, τοῦ δὲ Ὀδυσσέως εἰς olxov ἥκοντος ἔτει δεκάτῳ μετὰ Τροίας
ἅλωσιν καὶ φήμης διηκούσης, ὅτι πεπόρϑηνται δέκα πόλεις ἐν Κρήτῃ καὶ οὔκ εἰσί πως συνῳχκισμέναι, μετὰ λόγου φαίνοιτ᾽ ἂν Ὀδυσσεὺς λέγων ἐνενηκοντάπολιν τὴν Κρήτην, ὥστε, εἰ καὶ μὴ τὰ αὐτὰ περὶ τῶν αὐτῶν λέγει, où μέντοι διὰ τοῦτο καὶ ψεύδεται. ᾿Αριστοτέλης δὲ οὐκ ἄτοπόν φησιν, εἰ μὴ πάντες τὰ αὐτὰ λέγοντες πεποίηνται αὐτῷ" οὕτως γὰρ καὶ ἀλλήλοις τὰ αὐτὰ παντελῶς λέγειν ὥφειλον. μήποτε δὲ καὶ μεταφορά ἐστι τὰ ἑκατόν, ὡς
ἐκ «τῆς ἑκατὸν θύσανοι» (B 448)" οὐ γὰρ ἑκατὸν ἦσαν ἀριϑμῷ᾽ καὶ «ἑκατὸν δέ τε δούρατ᾽ ἀμάξης» (Hes. Op. 456). ἔπειτα οὐδαμοῦ λέγει ὡς ἐνενήχοντα μόναι εἰσίν" ἐν δὲ τοῖς ἑκατόν εἰσι καὶ ἐνενήκοντα.
Ad
Od.
1 174: πῶς οὖν ἐν τῷ καταλόγῳ
φησὶν «ἄλλοι 8᾽ ot. Κρήτην
ἑκατόμπολιν ἀνφενέμοντο» (B 649); ἤτοι οὖν ἐκεῖ τὸ ἑκατὸν ἀντὶ τοῦ πολλοῦ κεῖται, ὡς «τῆς ἑκατὸν fhioavow (B 448): ἢ ἐπεὶ μετὰ τὸν ἀπόπλουν οἱ μετὰ ᾿Ιδομενέως ἐπόρϑησαν Αὐύκτον καὶ τὰς πέριξ, ἃς ἔχων Λεῦχος ὁ Τάλω
πόλεμον ἤρατο πρὸς αὐτούς οὗτος ϑετὸς ὧν ᾿Ιδομενέως παῖς ἀφεϑεὶς ὑπ’ αὐτοῦ φύλαξ τῆς Κρήτης ἐστασίασε πρὸς αὐτοὺς ἐπανελθόντας ... μετὰ δὲ ταῦτα προσεχτίσθϑησαν αἱ δέκα.
Lo ζήτημα di Porfirio ci fornisce due testimonianze importanti. La prima è costituita dalla citazione di un Ἡρακλείδης, in cui è stato riconosciuto un frammento delle Λύσεις Ὁμηρικαί di Eraclide
lO. Cit. da: Porphyrii Quaestionum Homericarum ad Iliadem pertinentium reliquias coll. disp. edid. H. ScuRADzR, Lipsiae 1880, pp. 48 sg.; cfr. Porph. Q. H. ad Odysseam pert. rel. edid. H. SCHRADER, Lipsiae 1890, p. 126. I due frammenti si trovano anche nell'ediz. degli Sch. B e degli Sch. Odyss. del Dinporr.
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FRANCO
MONTANARI
Pontico (fr 171 Wehrli?)!!. Siamo rinviati al IV sec. a.C. e ci in-
scriviamo nel quadro della produzione di λύσεις e di ζητήματα intorno al testo di Omero,
di cui abbiamo
ricche testimonianze e
sulla quale è inutile che ci soffermiamo!?, Ciò che ci importa qui, è che la λύσις di Eraclide Pontico riguarda un problema di «contraddizione» fra l’/liade e l'Odissea, che sarà ripreso e sfruttato in età tolemaica dai Chorizontes ma che deve essere stato formulato prima: anche questo dunque è indizio del fatto che nel IV sec. a.C. argomenti pro e contro un’opinione separatista erano già oggetto di discussione. Ancor più importante ci pare la citazione di Aristotele conservataci da Porfirio: si tratta di un frammento degli ᾿Απορήματα 'Ounetxá!? di cui non conosciamo il contesto preciso e che certa-
mente ci è stato tramandato in forma non letterale bensì riassunta e condensata. Basta comunque, ci pare, per dire che Aristotele prendeva posizione — con un'affermazione di portata generale — sulle «contraddizioni» omeriche e sulle deduzioni che se ne potevano trarre: ᾿Αριστοτέλης δὲ οὐκ ἄτοπόν φησιν, el μὴ πάντες tà αὐτὰ λέγοντες πεποίηνται αὐτῷ. Il fatto che Porfirio riporti il passo in
relazione con la discussione e la confutazione di una argomentazione dei Chorizontes, indica con ogni probabilità che nella presa di posizione di Aristotele rientravano anche le «contraddizioni» fra i due poemi e il dedurne una posizione ‘separatista’. Infine, un passo di Strabone (X 4, 15; cfr. Eustazio 313, 34) ci
fornisce un frammento di Eforo di Cuma sullo stesso argomento (FGrHist 70 F 146): τοῦ δὲ ποιητοῦ τὸ μὲν ἑκατόμπολιν λέγοντος τὴν Κρήτην (/l. B 649), τὸ δὲ ἐνενηκοντάπολιν (Od. x 174), Ἔφορος μὲν ὕστερον ἐπιχτισθῆναι τὰς δέκα φησὶ μετὰ τὰ Τρωικὰ ὑπὸ τῶν ᾿Αλϑαιμένει τῷ ᾿Αργείῳ συναχολουϑησάντων
Δωριέων. τὸν μὲν οὖν Ὀδυσσέα λέγει ἐνενηχοντάπολιν ὀνομάσαι. οὗτος μὲν οὖν πιϑανός ἐστιν ὁ λόγος. ἄλλοι δ᾽ ὑπὸ τῶν Ἰδομενέως ἐχϑρῶν κατασκαφῆναί φασι τὰς δέκα.
ll.
Cfr. «Die Schule des Aristoteles», Texte und Kommentar hrsg. v. F. WEHR-
LI, Heft VII, Herakleides Pontikos, II Aufl., Basel/Stuttgart
1969, p. 51 e 121 sg.;
Kon, De Choriz. cit., p. 18 n. 6 e p. 20. 12. Cfr. K. Leurs, De Aristarchi Studiis homericis!, Lipsiae 1882, pp. 197 sgg.; PrErFFER, Storia cit., pp. 133 sgg.; WEHRLI, lec. cit. 13. Fr. 146 Rose; cfr. anche V. Rose, Aristoteles Pseudepigraphus, Lipsiae 1863, pp. 148 sgg. Porfirio € la nostra fonte principale per gli ᾿Απορήματα 'Ounouà di Arı-
stotele: cfr. SCHRADER, in Porph. Jliad., pp. 415 sgg. e in Porph. Odyss., pp. 180 sgg. Per la problematica qui accennata v. PFEIFFER, Storia cit., pp. 133 sgg.
OMERO,
EUBULO,
I PESCI
E I CHORIZONTES
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Anche Eforo, dunque, aveva di questa difficoltà la sua λύσις per
conciliare la divergenza fra 1 due poemi e controbattere una deduzione 'separatista'. Ripetiamo ancora per lo storico cumano: ci tro-
viamo in pieno IV sec. a.C.!*.
Gli indizi che abbiamo considerato inducono a formulare l'ipotesi che almeno nel IV sec. a.C. ci fossero discussioni intorno alla possibilità che l'7/iade e l'Odissea non fossero dello stesso poeta: alcuni
argomenti furono evidentemente ripresi e sfruttati in un quadro più ricco e filologicamente agguerrito dai Chorizontes di età alessandrina, contro i quali polemizzó duramente Aristarco. Il fatto che qualche traccia consenta di ipotizzare tale ripresa, spingerebbe a pensare — ponendo mente all'ampio ruolo giocato dalla casualità sulla nostra documentazione — che ıl fenomeno avesse proporzioni più ampie, che la continuità sia stata non così sporadica e desulto-
ria bensì più organica e consapevole'?. Mi sembra più che proba-
bile che tali discussioni abbiano interessato l’ambiente peripatetico: la posizione unitaria di Aristotele, secondo cui Omero sarebbe stato l’autore di /liade, Odissea e Margite, non implica in nessun
modo l'assenza di dibattito sul tema. Poi, 1 maggiori filologi alessandrini scelsero la posizione unitaria di Aristotele e respinsero quella separatista dei Chorizontes.
14.
Anche il significato di queste testimonianze era stato colto in nuce da Konr,
De Choriz. cit., fr. 2, pp. 17 sgg. (v. infra n. 15). 15. Questa impostazione, cioè rintracciare e sottolineare una linea di continuità che collega «Chorizontes» pre-alessandrini ai Chorizontes propriamente detti di età tolemaica, era quella di Konr
nell’art. cit., N. Jb. 1921, scritto in relazione con il
materiale raccolto nella silloge dei frammenti (De Choriz. cit.): il suo lavoro, per molti aspetti embrionale e bisognoso comunque di verifiche e approfondimenti,
offre spunti interessanti. A tali premesse, tuttavia, non hanno arriso sviluppi adeguati e non ho trovato che 51 sia tenuto conto del problema quanto meno proponibile di una continuità fra età classica e filologia alessandrina in questo campo (come invece è d'uso fare per la glossografia e l'interpretazione allegorica). Per gli argomenti qui sviluppati, c'erano accenni in Kohl (cfr. nn. 8 e 14); e l'idea gene-
rale della continuità era già sua, anche se fu poi ignorata.
III TERMINI E CONCETTI DELLA POETICA DI ARISTOTELE IN UNO SCOLIO A ODISSEA IV 69 Nel IV libro dell’Odissea, Telemaco, accompagnato da Pisistrato figlio di Nestore, arriva a Sparta alla reggia di Menelao: questi, secondo l’uso, fa accomodare gli ospiti al banchetto prima di chieder loro chi siano (vv. 60 sgg.). La situazione si era presentata identica nel III libro, alla reggia di Pilo: gli ospiti Telemaco e Mentore-Atena erano stati invitati a banchettare, prima che Nestore chiedesse loro chi fossero. Fino al momento in cui termina il banchetto, le due sequenze sono perfettamente omologhe: l’identità degli ospiti resta ignota, perché le presentazioni vengono rinvia-
te a dopo il pranzo. C'è anche equilibrio di estensione narrativa e pressappoco alla stessa distanza dall’inizio della sequenza ritorna il verso formulare αὐτὰρ ἐπεὶ πόσιος xai ἐδητύος ἐξ ἔρον ἕντο (III
67 = IV 68). A questo punto, nell’un caso come nell’altro, ci si attendono le presentazioni ed i riconoscimenti. A Pilo la scena si svolge nella maniera più semplice e ovvia: Nestore chiede agli ospiti chi siano e Telemaco risponde di essere il figlio di Odisseo. A Sparta invece le cose si svolgono diversamente e il riconoscimento degli stranieri da parte di Menelao avviene in modo inatteso, sia per il confronto con l'analoga scena precedente, sia perché c'era stata (anche in questo caso) una precisa preparazione in questo senso (Menelao aveva detto a IV 60 sgg.: αὐτὰρ ἔπειτα δείπνου πασσαμένω εἰρησόμεϑ᾽ οἵ τινές fotov / ἀνδρῶν). Ma l'attesa, creata
da quel «chiederemo chi siete» detto da Menelao, viene frustrata: invece di una precisa interrogazione (come quella di Nestore a III 71), accade qualcosa di imprevisto. Terminato il pranzo, infatti,
Telemaco (vv. 69 sgg.) esprime sottovoce a Pisistrato, che gli siede accanto, la sua ammirazione per la stupenda reggia; Menelao se ne accorge e prende spunto per un discorso sulla ricchezza umana
e le amarezze che spesso le si accompagnano senza esserne lenite, discorso nel quale rammenta con grande dolore Odisseo e le sue terribili pene. La menzione del padre muove Telemaco al pianto e le sue lacrime offrono una prima rivelazione della sua identità (v. 116: νόησε dé μιν Μενέλαος), però ancora in modo implicito, non
dichiarato. Menelao infatti è incerto se lasciare che egli parli del padre oppure se interrogarlo direttamente: ma l’attesa che si rea-
22
FRANCO
MONTANARI
lizzi una di queste due possibilità, per cui si giunga alla dichiarazione esplicita dell'identità di Telemaco,
è anch'essa
frustrata.
Compare Elena, che interroga il marito sugli ospiti stranieri e ravvisa la somiglianza dell’ospite con il figlio di Odisseo; Menelao conferma pienamente questa Impressione ed a questo punto finalmente, per bocca di Pisistrato, si svela apertamente chi sia l’ospite: sì, questi è veramente il figlio di Odisseo (vv. 155 sgg.). La scena del riconoscimento di Telemaco, dunque, ha uno svolgimento narrativo complesso e articolato, una struttura scandita in particolare da due momenti in cui l'attesa che tale riconoscimento avvenga — attesa creata dal testo — viene frustrata ed il riconoscimento stesso rinviato per il sopraggiungere di un fatto imprevisto, che complica il corso degli eventi. Tutto ciò in palese contrasto con l’analoga scena del libro precedente, in cui un fatto analogo — il riconoscimento di Telemaco da parte di Nestore - si era svolto nella forma
più semplice e normale, quella della domanda/risposta!.
La differenza fra le due scene e la particolare strutturazione nar-
rativa della seconda, quella di Sparta, furono rilevate dagli antichi esegeti: cfr. sch. MQ ad Odyss. IV 69: δὴ τότε Τηλέμαχος] ἀφορμὴν παρέσχε vp Μενελάῳ ἀναγνωρισμοῦ καινοῦ. ἐκεῖνο μὲν γὰρ κοινόν, τὸν μὲν πυνϑάνεσθϑαι τὸν δὲ ἀποκρίνεσθαι ὅτι ᾿Οδυσσέως παῖς τυγχάνει, ὥσπερ παρὰ Νέστορι πέπρακται. τὸ δὲ περιπέτειάν τινα εἶχεν, ἐκ τῆς ᾿Οδυσσέως μνήμης εἰς δάκρυα προπεσόντος τοῦ νέου, εἰς ὑποψίαν ἐμπεσεῖν ἀληϑείας τὸν Μενέλαον. atm? τοίνυν τοῦ γεανίσκου ἡ ἔκπληξις καιρὸν παρέσχε τῷ Μενελάῳ τῶν λόγων.
Il gesto di Telemaco, dice lo scolio, costituisce il punto di partenza per un ἀναγνωρισμὸς καινός; infatti il modo ovvio e comune in cui
avviene un riconoscimento € quello della presentazione: uno domanda «chi sei?» e l'altro risponde «sono il figlio di Odisseo», col. Cfr. U. Hórscngn, Untersuchungen zur Form der Odyssee. Szenenwechsel und gleichzeitige Handlungen, Hermes Einzelschr. H. 6, Berlin 1939, pp. 17 sg. e 66 sg.; K. RoTER, Odysseeinterpretationen. Untersuchungen zum ersten Buch und zur Phaiakis, Hypomnemata H. 19, Göttingen 1969, pp. 238 sgg.; ΗΠ. EISENBERGER, Studien zur Odyssee, Palingenesia B. VII, Wiesbaden 1973, pp. 72 sgg.; B. FENIK, Studies in the Odyssey, Hermes Einzelschr. H. 30, Wiesbaden 1974, pp. 61 sgg., «Interruptions», partic. pp. 70, 75, 83 sg. e 88 sg. In generale vd. anche M. W. EpwARDs, TypeScenes and Homeric Hospitality, TAPhA 105, 1975, pp. 51 sgg.; W. AREND, Die typischen Scenen bei Homer, Berlin 1933, pp. 41 sg. e 109 sg., analizzando la struttura di questa scena, ricordava anche (p. 41) lo scolio di cui ci occupiamo qui di seguito.
2. αὐτὴ οοττ. H. J. PoLax, Ad Odysseam eiusque scholiastas curae secundae. Emendationes ad scholia in Homeri Odysseam, Lugduni Batavorum 1881, p. 184.
LA
POETICA
DI ARISTOTELE
E UNO
SCOLIO
A
ODISSEA
IV 69
27
me appunto € avvenuto presso Nestore (III 67 sgg.). Qui invece la scena del riconoscimento è complessa e presenta uno svolgimento narrativo fatto di elementi concatenati, alla fine del quale si arriva al riconoscimento. La scena dell’&vayvopıonös dunque, dice lo scolio, contiene una περιπέτεια, si svolge attraverso una
περιπέτεια. Quindi, mentre nell'analoga sequenza del libro III sì era avuta una scena di ἀναγνωρισμός semplice, qui abbiamo nella posiziong corrispondente una scena di àvayvwpiouòg ἐκ περιπετείας.
Non è difficile, mi sembra, notare che gli strumenti concettuali impiegati in questo scolio per l’analisi di alcuni elementi della struttura narrativa, e di conseguenza il linguaggio tecnico di cui ci si serve per esprimerli, riecheggiano in modo evidente la Poetica di Aristotele. Che ἀναγνώρισιςἀναγνωρισμός e περιπέτεια siano, Secondo Aristotele, due elementi costitutivi fondamentali del raccon-
to, è troppo noto da passi celeberrimi appunto della Poetica perché sia necessario soffermarcisi a lungo. Basterà ricordare Poet. 10, 2 (1452 a 14 sgg.); tutto il cap. 11 per le definizioni, e la sua conclusione (1452 b 9); specificamente per l’epica 24, 1-2 (1459 b 7 sgg.). Richiamiamo brevemente qualche punto che riguarda più precisamente l'Odissea. A Poet. 24,2 (1459 b 12 sgg.) si dice che l'Odissea è composta πεπλεγμένον perché piena di riconoscimenti: infatti a 10,2 (1452 a 14 sgg.) Aristotele aveva definito πρᾶξις πεπλεγμένη
quella ἐξ ἧς μετὰ ἀναγνωρισμοῦ ἢ περιπετείας ἢ ἀμφοῖν ἡ μετάβασίς ἐστιν. Ma ancor più precisamente ci interessa quanto Aristotele dice a Poet. 11,2 (1452 a 32 sg.): καλλίστη δὲ ἀναγνώρισις, ὅταν ἅμα
περιπέτεια γένηται. Perfettamente consono al nostro scolio è pure quanto si trova nel cap. 16, che è dedicato ad analizzare i vari tipi di riconoscimento: a 16,2 si parla del celebre riconoscimento di Ulisse da parte di Euriclea grazie alla cicatrice e si conclude dicendo (1454 b 29): al dè (seil. avayvwpiosıc) ἐκ περιπετείας, ὥσπερ ἡ ἐν τοῖς Νίπτροις, βελτίους. Nella trattazione teorica della Poetica, dunque, ἀναγνώρισις!
ἀναγνωρισμός e περιπέτεια sono due elementi essenziali del racconto poetico: si codificano così due concetti di base che diventano
strumenti di analisi della fabula nell'opera letteraria. Nella tipologia fornita da Aristotele, poi, viene specificamente contemplato, ed anzi considerato di particolare pregio, il caso in cui all’&vayvwgıσμός si unisce una περιπέτεια, o meglio in cui il primo avviene attraverso
la
seconda:
il caso
insomma
dell'ávayvogiouóc
ἐκ
περιπετείας. Tra l’altro, per questo si fa riferimento proprio all'Odissea e da essa si trae l'esemplificazione. Pare sufficientemente
24
FRANCO MONTANARI
chiaro, dunque, che lo sch. MQ Odyss. IV 69 recepisca una problematica critico-letteraria di stampo aristotelico: vi si trova impiegato uno strumento di analisi del racconto poetico che è stato codificato nella Poetica e si riproduce con esattezza la terminologia tecni-
ca connessa. Per quanto riguarda la strumentazione concettuale e la formazione del linguaggio tecnico della critica filologicoletterana, una lettura degli scoli orientata alla ricerca degli ele-
menti aristotelici non è ancora stata fatta a fondo?: probabilmente
se ne possono trarre elementi interessanti anche per il dibattuto problema del rapporto fra la filologia alessandrina e Aristotele. Si tratta di un problema fondamentale, a mio avviso, per comprendere appieno uno snodo culturale di grande importanza. Uno degli argomenti per cui la Storia della filologia di R. Pfeiffer è stata maggiormente discussa e spesso criticata riguarda il ridimensionamento, che egli si è sforzato di operare, del ruolo di Aristotele e della sua scuola come portatori degli impulsi, stimoli, influssi decisivi sulla nascita della filologia in età ellenistica, sulle sue basi di pensiero e i suoi metodi intellettuali*. Il tema delle pagine prece3.
G. LEHNERT, De scholiis ad Homerum rhetoricis, Diss. Lipsiae 1896, esaminando
le annotazioni scoliastiche attinenti all'arte retorica, giungeva alla conclusione che «scholia rhetorica ad Homerum nullo modo fluxisse cx Anstotelis disciplina» (p. 95); ma osservava di passaggio, senza indagare in questa direzione, che «scho-
lia, quae sunt de Homeri arte poetica, maxima e parte profecta sunt a grammatico quodam, qui Aristotelea imbutus erat disciplina. Nam scholiastae Iliade et Odyssea acceptis pro magnis quasi tragoediis leges, quas Aristoteles de arte poetica statuit, in Homerum transferre conati sunt» (p. 78). M. CARROLL, Aristotle's Poetics, C. XXV, in the Light of the Homeric Scholia, Baltimore 1895, limitava la sua
analisi agli epitimemata ed alle Iyseis. A. ROEMER, Aristarchs Athetesen in der Homerkritik, Leipzig-Berlin 1912, p. 441, riteneva che Aristarco si muovesse sulle orme di Aristotele nel privilegiare nettamente la critica estetica su quella moralistica: cfr. anche M. van DER VALK, Textual Criticism of the Odyssey, Leiden 1949, p. 187 e n.2.
Annotazioni sparse si trovano nel commento alla Poetica di A. Gudeman, BerlinLeipzig 1934: vd. «Index Locorum» s.v. Scholien. C. GALLAVOTTI, Tracce della Poetica di Aristotele negli scolii omerici, «Maia» 21, 1969, pp. 203 sgg., sch. T all'incipit del libro X dell’Iliade (problema della Dolonia) XXIII 296 (problema della fine dell'Odissea). Nel commento a proposito del termine epeisodion, I. BvwATER (Aristotle on the Art
si occupava dello e dello sch. Odyss. Poet. 1459 a 37, a of Poetry, Oxford
1909, p. 307) richiamava Eustazio 409, 20 e lo sch. Odyss. I 284: cfr. O. TsacaraKis, Katachrésis of the Aristotelian Term epeisodion as Applied to Homer, REG 86, 1973, pp. 294 sgg. Come si vede, pochi lavori specifici (almeno a mia conoscenza) e qualche sporadico accenno: inoltre, i risultati raggiunti sembrano a volte bisognosi di attenta revisione e di ripensamento. 4. Il problema è stato lucidamente discusso da L. E. Rossi, Umanesimo e filologia (A proposito della Storia della filologia classica di Rudolf Pfeiffer), RFIC 104, 1976, pp. 98 sgg.
LA POETICA DI ARISTOTELE E UNO SCOLIO A ODISSEA IV 69
25
denti è stato ripreso e approfondito con buoni risultati da N. J.
Richardson”.
Continuando negli anni le ricerche, sono sempre più convinto che il fermento decisivo per gli sviluppi di età ellenistica nel campo della filologia e dell’interpretazione della letteratura sia stato quello aristotelico e peripatetico, cioè quello fornito da Aristotele e dalla sua scuola”. Questo nodo problematico e i suoi risvolti hanno rappresentato una delle linee principali discusse e approfondite nei XL Entretiens della Fondation Hardt di Ginevra, tenutisi nell’a-
gosto 1993, le cui relazioni sono stampate nel volume Za philologie grecque à l'époque hellénistique et romaine, Vandoeuvres-Genéve 1994.
5. Recognition Scenes in the Odyssey and Ancient Literary Criticism, «Pap. Liverp. Lat. Sem.» 4, 1983, pp. 219-235. 6. Cfr. F. MONTANARI, L'trudizione, la filologia e la grammatica, in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, t. II. L'’ellenismo, Roma
1993, partic. pp. 259-264.
IV ARISTARCO
A ODISSEA
II 136-137
Odyss. II 132-137:
135
κακὸν dé pe πόλλ᾽ ἀποτίνειν Ἰκαρίῳ al x’ αὐτὸς ἑκὼν ἀπὸ μητέρα πέμψω. ἐκ γὰρ τοῦ πατρὸς κακὰ πείσομαι, ἄλλα δὲ δαίμων δώσει, ἐπεὶ μήτηρ στυγερὰς ἀρήσετ᾽ Egrvug οἴκου ἀπερχομένη᾽ νέμεσις δέ μοι ἐξ ἀνθρώπων ἔσσεται᾽ Oc οὐ τοῦτον ἐγώ ποτε μῦϑον ἐνίψω.
Fin dall’antichità questi versi hanno suscitato negli interpreti di Omero alcuni problemi filologico-esegetici, di cui siamo informati attraverso gli scoli'. Aristarco proponeva l’atetesi del v. 137: oltre alla breve notizia dello scolio a tale verso (riportato alla n. 2), su questo intervento si sofferma più diffusamente la seconda parte del composito sch. MV al v. 134: tov πατρὸς] τὸ δὲ τοῦ πατρὸς où περὶ Τυνδάρεω, ἀλλὰ περὶ ᾽Οδυσσέως“ ov γὰρ ἀπεγνώκει αὐτόν, ἐπειδὴ «ὀσσόμενος πατέρ᾽ ἐσθλὸν φρεσίν» (a 115) ἄλλως τε κατὰ Καλλίμαχον «χαλεπὴ μῆνις ἐπιχϑονίων». διὸ ᾿Αρίσταρχος ἀϑετεῖ τὸν «ἔσσεται, ὡς où τοῦτον ἐγώ ποτε μῦϑον ἐνίψω»᾽ περισσὸς γάρ ἐστι πρὸς ταύτην τὴν ἀπόδοσιν.
In primo luogo, è evidente che in questo scolio si sono malamente conglutinate sotto lo stesso lemma due annotazioni a versi differenti, dato che da ἄλλως te in poi il commento non riguarda più il v. 134, bensì appunto i vv. 136-7. Le due parti vanno quindi analizzate separatamente ed è la seconda a presentare i maggiori problemi di comprensione. Il motivo dell’espunzione di Aristarco del v. 137, fornito nell’ultima frase (περισσὸς γάρ ἐστι), è preceduto da
un’argomentazione facente perno su διό. Ma non si capisce qual è
1. Htesto degli scoli odissiaci è citato da Scholia Graeca in Homeri Odysseam, ed. G. Dinporr, Oxford 1855 (rist. Amsterdam 1962); per gli scoli a Odyss. I 1-309 si deve usare Scholia Graeca in Homeri Odysseae A_1-309 auctiora et emendatoria ed. A. Lupwick, Königsberg 1888-1890 (rist. Hildesheim 1966). Gli scoli all’Iliade sono citati dall'edizione di H. Ersse, Scholia Graeca in Homeri Iliadem (Scholia Vetera),
Berlino 1969-1988. 2.
Cfr. sch. HM
al v. 137: ἔσσεται] ἀϑετεῖται μὲν ὑπὸ ᾿Αριστάρχου, auxtéov dè
ὅμως μετὰ τὸ ἔσσεται, Iva τὸ ὥς κέηται ἀντὶ tov οὕτως.
28
FRANCO
MONTANARI
il legame istituito fra la citazione di Callimaco e tale espunzione?; e cosa significa: secondo Callimaco «χαλεπὴ μῆνις ἐπιχϑονίων», per-
ciò Aristarco espunge il v. 137, che infatti è superfluo in rapporto a
questa frase*?
Della difficoltà si accorse Berard”: non riuscendo evidentemente a spiegarsi la citazione di Callimaco legata all’espunzione, egli pensò ad una corruttela nel testo dello scolio, sotto la quale sì celasse una variante, di Callistrato o di Antimaco,
tale da rendere
ragione di quanto segue. Lo scolio da lui corretto suona*: ἄλλως τ’ ἡ κατὰ Kalki vel potius : ἀϑετεῖται, ὅτι ὡς ἐλλείποντος vou λόγου ἐνέταξέ τις αὐτόν. δεῖ δὲ τῷ «ϑνητὸν δὲ È φασ' ἄνθρωποι» (ᾧ 569) προσυπακούειν τὸ
εἶναι (cfr. sch. T). Sch. A ad Il. X XIV ὀνίνησι;»: ἀϑετεῖται, γομίσαντος ἐλλείπειν ἡ οὐδέ οἱ αἰδώς ἐστι ἔξωθεν).
45 ὅτι τὸν (Ω
(Ariston.): γίνεται, f| τ᾽ ἄνδρας «μέγα olverau ἠδ᾽ ἐκ τῶν Ἡσιόδου (Op. 318) μετενήνεκται ὑπό τινος λόγον ... δεῖ δὲ ἔξωϑεν προσυπακοῦσαι τὸ ἐστίν, Cv' 44) καὶ πλήρης ὁ λόγος (si noti la precisazione
In questi tre scoli il concetto di περισσόν, benché non sia verbalmente
espresso, è chiaramente presupposto dall’argomentazione secondo cui i versi da espungere sono stati aggiunti da qualcuno che aveva ritenuto incompleto il discorso e lo aveva perciò completato: la loro «superfluità» rispetto al testo genuino risulta quindi ovvia e non c’è dubbio che anche queste atetesi vadano ricondotte al giudizio di περισσόν. È più che probabile che il processo di depauperamento sia anche questa volta responsabile della perdita di qualche elemento, peraltro qui facilmente recuperabile, dell'argomentazione originaria. Gli scoli appena visti si riferiscono ad atetesi in seguito alle quali si deve sottintendere una forma del verbo εἰμί. Aggiungiamo per confronto alcuni casi in cui non si tratta di espunzioni che rendono ellittico il discorso, rna si affrontano difficoltà poste dal testo stesso, per la cui retta comprensione è necessario supplire concettualmente qualcosa di non detto dal poeta. In alcuni scoli, al concetto di ἀπὸ κοινοῦ viene espressamente contrapposto quello di (προσ) ὑπακούειν. Sch. bT ad Al. III 327 (sch. ex.): ἵπποι ἀερσίποδες «xal ποικίλα tEUXE' Exeıvro>: τὸ ἔκειντο οὐκ ἔστι κοινὸν ἐπὶ τῶν ἵππων, ἀλλὰ προσυπακούομεν τὸ ἑστήκεσαν, ὡς ἐπὶ τοῦ ... (Κ 407).
Sch. AbT ad ZI. VIII 507 (sch. ex.): σῖτόν t' ἐκ μεγάρων: οὐκ ἔστιν ἐπὶ τοῦ σίτου κοινὸν τὸ «ἄξεσθε»
(Θ 505)
οὐδὲν γὰρ τῶν ἀψύχων
ἄγεται,
φέρεται δὲ μᾶλλον. προσυπακουστέον οὖν τὸ φέρετε. Sch. bT ad ZI. X 407 (sch. ex.): ποῦ δέ οἱ ἔντεα κεῖται «-.ἀρήϊα, ποῦ δέ
οἱ
ἵπποι»:
οὐκ
ἔστι
κοινὸν
ἐπὶ
τῶν
ἵππων
τὸ κεῖται᾽
δεῖ
γὰρ
ARISTARCO
A ODISSEA Il 136-137
tapoovrarovattovi τὸ ἑστᾶσιν (T) προσυπακούειν’ οὐ γὰρ κοινὸν τὸ κεῖται (b).
δεῖ
τὸ
39 ἑστᾶσι
τῷ
ἵπποι
Sch. ᾧ ad Odyss. IX 166: ἐλεύσσομεν)] ἄνω τὸ ἐλεύσσομεν ἐπὶ μὲν τῆς γαίας καὶ τοῦ χαπνοῦ κοινόν᾽ ἐπὶ δὲ τοῦ φϑόγγου ὑπακουστέον τὸ ἠκούομεν, ὡς τὸ
«καρπαλίμως οἶνον δὲ μελίφρονα οἰνίζεσθε, σῖτον δ᾽ ἐκ μεγάρων» (Θ 506-7). ἐπὶ τοῦ σίτου δεῖ ὑπακούειν τὸ φέρετε.
La terminologia si mantiene anche quando ciò che va sottintesto non è un verbo.
Sch.
A ad Il. XV
155 (Ariston.): ὅτι τὸ ἐναντίον ὑπακοῦσαι δεῖ, ἀλλ᾽
ἀπεδέξατο. Sch. bT ad Zl. V 341 (sch. D): καὶ μὴν πολλὰ τῶν ζῴων οὐ σῖτον ἔδουσιν, οὐ πίνουσιν οἶνον καὶ οὔτε ἄναιμα οὔτε ἀϑάνατά εἰσιν. δεῖ τοίνυν προσυπακούειν
τῷ
οὐ
σῖτον,
ἀλλ᾽
ἀμβροσίαν
οὐ
πίνουσιν
οἶνον,
ἀλλὰ
véxtag.
Sch. T ad Il. X 428 (sch. ex.): προσυπακουστέον dè τὸ μέρος, olov «πρὸς μὲν τὸ μέρος τῆς ϑαλάσσης».
Questo limitato e antologico esame dovrebbe aver fornito, ci sembra, un quadro sufficientemente chiaro (anche se per forza non esaustivo) di questo problema. Ma vogliamo ancora menzionare lo sch.
A ad Il. 11 681-5 (Nic):
νῦν ad τοὺς
"Apyos ἔναιον < ᾿Αχιλλεύς;»: «ἔσπετε» (Β 484) ἢ τὸ «ἐρέω» (Β 493).
ὄσσοι
τὸ Πελασγικὸν
μαχρόϑεν
ὑπακούεται
τὸ
In questo caso, nonostante che si debba supplire la frase ellittica per mezzo di qualcosa che nel testo si trova espresso, il verbo da utilizzare è talmente lontano che evidentemente pone delle difficoltà parlare di ἀπὸ κοινοῦ e si deve ricorrere allo ὑπακούειν: si è comunque avvertito il bisogno di una precisazione, contenuta nell'avverbio uaxoótev (cfr. sopra, sch.
A ad Il.
X XIV 45, dove si diceva invece ἔξωϑεν προσυπακοῦσαι).
Gli esempi che abbiamo raccolto bastano al nostro scopo e ci danno sufficienti garanzie per ritenere che nella seconda parte dello sch. MV ad Odyss. II 134, nell'argomentazione di Aristarco a proposito dell'atetesi
del v. 137 deve essere andato perduto almeno un discorso nel quale si introduceva il concetto di {προσ)ὐπακούειν e si chiariva come, espungendo 1l v. 137, bisogna sottintendere il verbo ἔσται alla frase νέμεσις dé μοι ἐξ ἀνθρώπων del v. 136.
Dagli scoli che abbiamo considerato, sembra che 1 casi di atetesi, a causa delle quali rimane nel testo poetico una frase nominale mancante di un verbo al futuro, siano 1 più rari. Lo studio di C. Guiraud, La phrase nominale en grec d'Homere à Euripide, Paris 1962, partic. pp. 323 sgg., mostra che nella lingua poetica la frase nominale con sottinteso un verbo al futuro o al passato — tenendo presente che ci si riferisce soltanto al verbo εἰμί —
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FRANCO
MONTANARI
è assai meno frequente di quella che sottintende un verbo al presente. Noi abbiamo incontrato due soli casi di futuro: /. IX 416 (dove la difficoltà è
minore perché viene risolta intendendo ἀπὸ κοινοῦ il verbo ἔσται espresso due versi prima, cioè sfruttando una risorsa fornita dal testo stesso) e 7l. VII 353, che è in tutto e per tutto simile al nostro caso e ricorre infatti allo ὑπακούειν.
V IL GRAMMATICO TOLOMEO PINDARIONE, I POEMI OMERICI E LA SCRITTURA Il grammatico Tolomeo detto Pindarione
(citato anche come 6
Πινδαρίων), originario di Alessandria, figlio di Oroande (e citato anche come ὁ τοῦ 'Ogoávóov), € uno dei non pochi grammatici indicati come discepoli di Aristarco, μαϑητὴς ᾿Αριστάρχου: la fonte
biografica è Suida, x 3034. Fiorì dunque presumibilmente nella seconda metà del II sec. a.C. o più tardi e le citazioni negli scolı omerici mostrano che fu utilizzato da Didimo. Gli scarsi resti delle sue opere lasciano intravvedere sostanzialmente due campi di attività: una quella di filologo ed esegeta di poesia, l’altra quella più specificamente relativa al campo della grammatica!. I. Bibliografia su Tolomeo Pindarione: A. BoEckH, Pindari Epiniciorum Interpretatio Latina cum comm., fragm., indic., Lipsiae 1821, pp. 654-5; A. GRAFENHAN, Gesch. Klass. Philol. im Altert., 1843-50, II p. 43; Tu. Beccarp, De scholiis im Hom. Iliad. Venet., Berlino 1850, p. 64;J. La Roche, Homer. Textkritik im Altert., Leipzig 1866,
p. 72; A. BLau, De Aristarchi discipulis, Diss. Aristarchi Studiis Homericis’, Lipsiae 1882, p. kritik, Leipzig 1884-5, I p. 50; F. Susemint, 2, II pp. 155 sg.; CHRIST-ScHmin-SrAHLIN,
Jena 27; A. Gesch. Griech.
1883, pp. 17 sg.; Καὶ. Leußs, De LupwicH, Aristarchs Hom. TextGr. Lit. Alexandr., Leipzig 1891Lit., II° 1, München 1920, pp.
268, 441, 444;]. ToLKIEHN, Lexikographie, RE XII 2, 1925, col. 2442; H. DaHL-
MANN, Farro und die hellenistische Sprachtheorie, Berlin 1932, pp. 27, 60; J. Irıcom, Histoire du texte de Pindare, Paris 1952, p. 60; A. DiHrE, Ptolemaios 79 a, RE Suppl. IX, 1962, col. 1306; I. MarioTTI, Aristone d’Alessandria, Bologna 1966, pp. 82 sgg.
Non esiste una raccolta dei frammenti di Tolomeo Pindarione: il maggior numero di citazioni proviene da scoli omerici di Didimo e di Erodiano (elenco in SuseMIHL, loc. cil. n. 47; MARIOTTI, loc. cit. n. 26), ma anche altre fonti (come vedremo
infra) restituiscono suoi frammenti. Resta in dubbio se sia sua la variante attribuita a un «Tolomeo» nello sch. a Bacchilide, fr. 20A, 19 = P. Oxy 1361 fr. 5, 113:
cfr. ed. princ. ad loc; A. KòRTE, «Hermes» 53, 1918, pp. 124 sg.; SNELLMAEHLER ad loc. € p. XVI, p. 132 (test. 10); F. MonTANARI, / frammenti dei grammatici Agathokles, Hellanikos, Ptolemaios Epithetes, SGLG 7, Berlin-New York 1988, pp. 93, 109 sg. (Ptol. Epith. F 7*). Materiale di Tolomeo Pindarione è stato utilizzato dall'autore del commentario a ® di P. Oxy. 221 (sul quale cfr. ERBSE, Sch. Iliad. I, p. LIX; V, pp. 78 sgg.), come risulta inequivocabilmente da col. XVII 10-14 confrontati con sch. ex. ad ® 356 (cfr. Erase, Sch. fliad. V, p. 113, test. ad loc.): € quindi probabile che risalga al nostro grammatico, ed in particolare alla monografia su Asteropeo menzionata da Suida, il materiale contenuto nella col. VII 2 sgg., sch. ad 163 (anche sulla base di sch. had ® 163: vd. Erese, test. ad loc.; già BLAU, op. cit., p. 17 n. 4); l'idea risale
a WiLAMOwrTZ, «Hermes»
35, 1900, p. 356 = Kt. Schr. IV, p. 143: cfr. E. Howarp, RhM 415; Ersse, Sch. Hiad. V, pp. 90 sg.
72, 1917/18, p.
42
FRANCO
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Sempre lo stesso personaggio è stato identificato in una citazione di Apollonio Discolo, De con. p. 241, 14 Schn. (GG II 1), dove si
menziona Πτολεμαῖος ὁ ἀναλογητικός": nel grammatico designato con questo epiteto è stato riconosciuto Tolomeo Pindanone sulla base soprattutto di quanto a quest’ultimo è attribuito nella più ampia testimonianza che abbiamo intorno alla sua teoria grammaticale, vale a dire Sesto Empirico, Adv. math. I (Adv. gramm.), 202 sgg. Seguace dell’analogia, Tolomeo Pindarione segui anche in questo la lezione del suo maestro Aristarco, prendendo in qualche modo parte (come vedremo più in dettaglio) a quella polemica con gli anomalisti seguaci di Cratete, che pare aver fatto seguito alle divergenze fra 1 due grammatici maggiori. Nel passo di Sesto Empirico, di cui intendiamo occuparci qui, la menzione di Tolomeo
Pindarione si trova nel contesto di un’ampia sezione dedicata alla trattazione della teoria grammaticale, nella quale si contrappone la συνήϑεια anomalista della tradizione stoico-pergamena alla ἀναλογία alessandrina. La questione aveva come oggetto fondamentale la definizione della forma corretta della lingua greca e delle regole che permettono di attingerla: mentre da una parte alcune norme paradigmatiche dovevano fornire 1] criterio da cui dedurre l'intero sistema della lingua attraverso un procedimento di comparazione del simile con il simile, dall'altra si ammettevano come accettabili quelle anomalie derivanti dall'uso e continuamente incrementabili sulla base dell'apporto concreto della libera attività dei parlanti. Nell'opera di Sesto Empirico, il cap. X, 176 sgg., tratta appunto del criterio dell’ 'EXAnvvouóc, del metodo se-
condo cui stabilire qual è il greco corretto e puro”: ci vuole un metro sulla base del quale si possa dire che cosa è da accettarsi come buon greco e che cosa va respinto come non buono. Sesto Empirico comincia con il distinguere due tipi di “Ἑλληνισμός (il cui
2.
A propesito dell accentazione di αὐτάρ; cfr. SCHNEIDER, comm.
ad loc., pp.
243 sg. e H. Erbe, Beitrage zur Überlieferung der Hiasscholien, München 1960, p. 367 è τοῦ Ὁροάνδου ἀνέγνω ἦνιν ὡς A'Herod.) ad K 292 Avıv: Πτολεμαῖος en. 4: καὶ “μῆνιν» 14 lal; wu τούτο ἐκρείραι εἶναι τὸ ἀνάλογον. Da Apollonio Discolo, Tolomeo Pindanone e citato anche a De pronom. p. 79, 25 Schn. (GG II 1) a proposito del testo di (dois. è 244. dove egli leggeva αὐτὸν μὲν (invece di αὐτόν μιν): vd. SCHNEIDER, comm ad ie. p. 196. cir. LubwicH, ALLEN, Von DER MÜHLL, app.
cr. ad Odys.
3.
ὃ 244. Sch. Odyss
ibid; Eust.
1494, 38.
Su questa sezione dell 3d0 gramm. di Sesto Empirico e la sua testimonianza
sulla controversia analozia: anomalia cir. H. J. METTE, Parateresis. Untersuchungen zur Sprachthrorie des Kratey cun l'ergamon, Halle/Saale 1952, pp. 30 sgg. e F 64e; DaAHLMANS. barro cit pp ἢ sg
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scopo consiste in τὸ σαφῶς ἅμα xai ἀχριβῶς παραστῆσαι τὰ νοηϑέντα τῶν πραγμάτων, 176): uno fondato sulla γραμματικὴ ἀναλογία, l’altro sull’osservazione della κοινὴ συνήϑεια; il primo è definito ἄχρηστος, il secondo invece εὔχρηστος (177). Il prosieguo
dell'argomentazione
porta ad affermare che il Ἀριτήριον τοῦ ti
ἔστιν ἐλληνικὸν καὶ τί ἀνελλήνιστον risiede nell'osservazione dell’uso comune dei parlanti, la κοινὴ συνήϑεια (181). L'analogia viene
scartata come una norma sostanzialmente astratta, priva di fondamenti reali e non rispondente ad una utilità pratica. Nei parr. 196 sgg. il ragionamento che si svolge è il seguente: anche chi procede con il metodo dell’analogia, deve sempre far ricorso all’uso comune e prender le mosse da esso, perché da li sono tratti le testimomianze e gli esempi sulla base dei quali si stabiliscono le norme da utilizzare poi nel procedimento analogico. Se si dice che una parola deve avere una certa forma per analogia con altre, queste ultime provengono poi sempre dall'uso, al quale dunque in ultima analisi si risale come criterio fondamentale: se l'analogia € comparazione del simile con 1l simile, tutto ciò che si usa per la comparazione proviene comunque dall’uso, che fornisce quindi materia e fondamento all’analogia, ia quale in sostanza risulta superflua. Di conseguenza, rifiutare l'uso comune come criterio dell’ Ἑλληνισμός significa di fatto rifiutare anche l'analogia, che senza quello rimane priva di basi su cui poggiarsi: ἡ δὲ ἀναλογία οὐκ ἰσχυροποιεῖται,
el μὴ συνήϑειαν ἔχοι τὴν βεβαιοῦσαν (201)*. Si giunge al paradosso che rifiutare l’uso sulla base dell’analogia equivale a rifiutare l’uso sulla base dell’uso stesso e di conseguenza a considerare la stessa cosa contemporaneamente degna ed indegna di fiducia (202 ın.). A questo punto l’argomentazione prosegue così (202-208: cit. dall'ediz. di J. Mau): (202) ... ἐκτὸς el μή τι φήσουσι μὴ τὴν αὐτὴν συνήθειαν ἐκβάλλειν ἅμα καὶ προσίεσθαι, ἀλλ᾽ ἄλλην μὲν ἐκβάλλειν ἄλλην δὲ προσίεσθαι, ὅπερ xai λέγουσιν οἱ ἀπὸ Πινδαρίωνος. ἀναλογία, φασίν, ὁμολογουμένως ἐκ τῆς συνηϑείας ὁρμᾶται" ἔστι γὰρ ὁμοίου τε καὶ ἀνομοίου ϑεωρία, (203) τὸ δὲ ὅμοιον καὶ ἀνόμοιον ἐκ τῆς δεδοκιμασμένης λαμβάνεται συνηϑείας, δεδοκιμασμένη δὲ καὶ ἀρχαιοτάτη ἐστὶν ἡ Ὁμήρου ποίησις" ποίημα γὰρ
4. Periparr. 196-208 cfr. METTE, οὐ. cit., pp. 34 sg. Per il concetto che l'analogia si fonda sull’uso cfr. Varrone, De ling. lat. IX 2-3: «... consuetudo et analogia coniunctiores sunt inter se quam iei credunt, quod est nata ex quadam consuetudine analogia ...»; ibid. IX 63: «... analogiae fundamentum esse ... naturam et usum»; ibid. IX 70: «... in quibus usus aut natura non subsit, ibi non esse analogiam».
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οὐδὲν πρεσβύτερον ἧκεν εἰς ἡμᾶς τῆς ἐκείνου ποιήσεως" διαλεξόμεθα ἄρα τῇ Ὁμήρου κατακολουϑοῦντες συνηθείᾳ. (204) ἀλλὰ πρῶτον μὲν οὐχ ὑπὸ πάντων ὁμολογεῖται ποιητὴς ἀρχαιότατος εἶναι Ὅμηρος" ἔνιοι γὰρ Ἡσίοδον προήκειν τοῖς χρόνοις λέγουσιν, Λίνον τε καὶ Ὀρφέα καὶ Μουσαῖον καὶ ἄλλους παμπληϑεῖς. οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ πιθανόν ἐστι γεγονέναι μέν τινας πρὸ αὐτοῦ καὶ κατ᾽ αὐτὸν ποιητάς, ἐπεὶ καὶ αὐτός πού guar: τὴν γὰρ ἀοιδὴν μᾶλλον ἐπικλείουσ᾽ ἄνθρωποι ἥτις ἀκουόντεσσι νεωτάτη ἀμφιπέληται (a 351-2), τούτους δὲ ὑπὸ τῆς περὶ αὐτὸν λαμπρότητος ἐπεσχοτῆσθϑαι. (205) καὶ εἰ ἀρχαιότατος δὲ ὁμολογοῖτο τυγχάνειν Ὅμηρος, οὐδὲν εἴρηται ὑπὸ τοῦ Πινδαρίωνος ἱκνούμενον. ὥσπερ γὰρ προηποροῦμεν περὶ τοῦ πότερόν τε τῇ συνηϑείᾳ ἢ τῇ ἀναλογίᾳ χρηστέον, οὕτω καὶ νῦν διαπορήσομεν πότερον τῇ
συνηϑείᾳ ἢ τῇ ἀναλογίᾳ. καὶ εἰ τῇ συνηθείᾳ, ἄρα τῇ xa’ Ὅμηρον ἢ τῇ τῶν ἄλλων ἀνθρώπων. πρὸς ὅπερ οὐδὲν εἴρηται, (206) εἶτα κἀκείνην μάλιστα δεῖ τὴν συνήθειαν μεταδιώκειν f| προσχρώμενοι οὐ γελασϑησόμεϑα᾽ τῇ δὲ Ὁμηρικῇ κατακολουϑοῦντες οὐ χωρὶς γέλωτος ἑλληνιοῦμεν, «μάρτυροι» λέγοντες καὶ «σπάρτα λέλυνται» καὶ ἄλλα τούτων ἀτοπώτερα. τοίνυν οὐδ᾽
οὗτός ἐστιν ὁ λόγος ὑγιής. μετὰ καὶ τοῦ συγκεχωρῆσϑαι τὸ κατασχεναζόμενον ὑφ᾽ ἡμῶν, τουτέστι τὸ μὴ χρῆσϑαι ἀναλογίᾳ. (207) τί γὰρ διήνεγκεν εἴτ᾽ ἐπὶ τὴν τῶν πολλῶν εἶτ᾽ ἐπὶ τὴν “Ομήρου συνήθειαν ἐλϑεῖν; ὡς γὰρ ἐπὶ τῆς τῶν πολλῶν τηρήσεώς ἔστι χρεία ἀλλ᾽ οὐ τεχνικῆς ἀναλογίας, οὕτω καὶ ἐπὶ τῆς Ὁμήρου" τηρήσαντες γὰρ αὐτοὶ πῶς εἴωθε λέγειν, οὕτω καὶ διαλεξόμεϑα. (208) τὸ δὲ ὅλον, ὡς αὐτὸς Ὅμηρος οὐκ ἀναλογίᾳ προσεχρήσατο ἀλλὰ τῇ τῶν κατ᾽ αὐτὸν ἀνθρώπων συνηϑείᾳ κατηκολούϑησεν, οὕτω καὶ ἡμεῖς οὐκ ἀναλογίας πάντως ἐξόμεθα βεβαιωτὴν ἐχούση-ς;» Ὅμηρον, ἀλλὰ τὴν συνήθειαν τῶν xat αὑτοὺς ἀνθρώπων παραπλασόμεϑα.
(202) ... A meno che non dicano che non é lo stesso uso che contemporaneamente respingono ed accettano, ma uno è quello che respingono e un altro quello che accettano. È quel che dicono Pindarione e i suoi. «L’analogia — dicono — siamo d’accordo che prende le mosse dall'uso comune, dato che è osservazione del simile e del dissimile, (203) e il simile e 1]
dissimile si prendono dall'uso comunemente accettato: ma l’uso comunemente accettato e più antico € la poesia di Omero, infatti nessun poema più antico della poesia di Omero ci è pervenuto. Nel nostro linguaggio dunque seguiremo l’uso di Omero». (204) Ma in primo luogo non tutti sono d'accordo che Omero sia il poeta più antico: alcuni infatti dicono che lo precede nel tempo Esiodo, e poi Lino e Orfeo e Museo e moltissimi altri. Ed in effetti è verisimile che ci siano stati dei poeti prima di lui e contemporanei a lui (dato che egli stesso dice (a 351-2): gli uomini infatti celebrano di più quel canto che risulta più nuovo a chi l'ascolta)
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e che tali poeti siano stati oscurati dal suo splendore.
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(205) E se anche
fosse accettato da tutti che Omero è il più antico, non ci sarebbe ugualmente nulla di valido in quel che dice Pindanone. Come infatti prima eravamo in dubbio se attenerci all'uso oppure all'analogia, cosi anche ora saremo in dubbio se seguire l'uso o l'analogia, e se sarà l'uso, quello di Omero o quello degli altri uomini: per questa questione quindi Pindarione non ha detto nulla. (206) E poi bisogna in primo luogo seguire quell'uso la cui adozione non ci renderà ridicoli: ma se noi ci conformiamo all'uso omerico, parleremo un greco non privo di ridicolaggini, dicendo per esempio μάρτυροι e σπάρτα λέλυνται ed altre cose ancor più stravaganti.
Pertanto questo argomento non è valido e contemporaneamente si conferma il nostro punto di vista, cioé che non ci si deve servire dell'analogia. (207) Qual è in effetti la differenza se si fa ricorso all'uso della maggioranza oppure a quello di Omero? Come infatti per l'uso della maggioranza c'è bisogno dell'osservazione e non della tecnica analogica, così è anche per l'uso di Omero: osservando come è solito dire lui, così parleremo anche noi. (208) E insomma, come Omero stesso non sì è servito dell’a-
nalogia ma si è uniformato all’uso degli uomini del suo tempo, così anche noi non abbracceremo affatto un'analogia che poggi sull’autorità di Omero, ma ci conformeremo all'uso degli uomini del nostro tempo.
Il brano di Sesto Empirico, parr. 196-208, sembra conservare testimonianza abbastanza chiara di un momento della polemica fra analogisti ed anomalisti sostenitori dell'uso, restituendo per cosi dire qualche battuta della discussione. Dicono gli anomalisti: anche l'analogia si fonda sull'uso, che di conseguenza risulta essere il criterio fondamentale alla base di tutto il sistema, per cui la norma analogica non € che un inutile additivo e tanto vale seguire sempre la συνήϑεια. L'argomentazione, che riporta tutto il sistema all'uso, é in sé stringente e difficile da contestare nella sua scarna essenzialità: con questo all'analogia sfugge ogni fondamento normativo esterno all'uso, viene riportata entro l'alveo di quest'ultimo e di conseguenza viene messa in discussione la sua stessa ragion d'essere, tanto piü che gli stessi analogisti ammettono che l'uso é anomalo e mutevole e quindi non puó fornire criteri stabili. La replica non puó prescindere dall'argomento d'attac o, ed infatti Tolomeo Pindarione parte con l'accettare l'ovvia osservazione che l'analogia prende le mosse dalla consuetudine comunemente accettata, da cui trae i materiali di confronto. Ma ribatte che la poesia di Omero, per l'universale apprezzamento di cui gode, é un uso accettato da tutti ed inoltre è il più antico; di conseguenza: συνήϑεια sì, certo, ma la συνήϑεια di Omero, quella c dificata nei suoi poe-
mi, il patrimonio linguistico che in essi si trova testimoniato e che da essi riceve autorità. Se l'uso da cui si parte è costituito da un
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testo preciso, la cui autorevolezza è comunemente accettata e per di più rappresenta la prima testimonianza conosciuta del sistema linguistico (ποίημα γὰρ οὐδὲν πρεσβύτερον ἧκεν εἰς ἡμᾶς τῆς ἐκείνου ποιήσεως, 203), pur restando entro le coordinate di ragio-
namento imposte dall'argomento d'attacco, con questa replica torna ad esserci una base precisa e stabilita, diversa dal fluttuante uso
comune dei parlanti e sottratta alla sua mutevolezza, da cui dedurre e su cui fondare la norma necessaria alla τέχνη analogica: quindi una analogia βεβαιωτὴν ἔχουσα Ὅμηρον (208). Il punto chiave è stato individuato nella necessità di definir. cosa è la συνήϑεια,
qual è l’uso a cui si fa riferimento: su questo si è giocata la replica dell’analogista Tolomeo Pindarione, con la quale, pur accettandone il punto di partenza in sé innegabile, il ragionamento degli anomalisti risulta di fatto vanificato. Il meccanismo di tale replica, una volta accettato come ineliminabile il ricorso alla συνήϑεια, è stato di sostituire alla κοινὴ συνήϑεια la “Ομηρικὴ συνήϑεια, all'uso
mutevole della comunità dei parlanti l’uso codificato di una autorità indiscussa, Omero.
Nella sua argomentazione, a quanto pare, Tolomeo Pindarione utilizza un’idea del suo maestro Aristarco. Ciò risulta da quanto testimoniatoci da Apollonio Discolo, De pronom. p. 71, 20 sgg. Schn. (GG II 1): Aristarco criticava per il pronome riflessivo di terza persona l'uso delle forme composte plurali come ἑαυτούς ed ἑαυτῶν, che sarebbero indebitamente tratte dal singolare ἑαυτοῦ: infatti per 1 pronomi riflessivi di prima e seconda persona nel plurale non si hanno affatto le forme composte, bensì quelle separate (ἡμῶν αὐτῶν, ὑμῶν αὐτῶν); a riprova della correttezza della sua
posizione, Aristarco adduceva la testimonianza di Omero, παρ᾽ o tà toU ‘EXAnviouov ἠκρίβωται, dove sì trovano sempre usate le forme non composte σφᾶς αὐτούς e σφῶν αὐτῶν". Sia il tipo di ragionamento (per il pronome di terza persona vale l’analogia con quel-
li di prima e seconda: vedi infatti l'uso omerico) sia l'esplicita definizione di Omero come colui παρ᾽ o tà too ‘EMnviouoù ἠκρίβωται mostrano che l'idea di prendere la “Ομηρικὴ συνήϑεια, l'uso testi-
moniato nei poemi omerici, come punto di partenza e base per l' “Ἑλληνισμός e quindi come fondamento della ratio analogica pro-
5.
Cfr. Lenrs, De Aristarchi cit., p. 353. Apollonio Discolo dichiara esplicitamen-
te di aderire all'opinione di Aristarco (cfr. p. 72, 4 sgg.), e conclude l'argomentazione,
in consonanza
con
quanto
stiamo
dicendo,
con queste
parole:
παντί τῳ
δῆλον ὑπὲρ ἀκριβείας ἐξετάσαντι τῆς Ev τοῖς μέρεσι τοῦ λόγου, ὡς ᾿᾽Ομηρικὴ ποίησις μᾶλλον τῶν ἄλλων ἠνύσϑη (p. 72, 16).
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viene da uno spunto già presente in Aristarco: suo ortodosso allievo, Tolomeo Pindarione l’ha evidentemente sviluppato ed utilizzato nel dibattito con gli anomalisti. Vale la pena soffermarci un poco su questo punto per fare alcune considerazioni. Negli scoli omerici noi troviamo frequentemente testimoniato 1l ricorso all'osservazione della "Ounoıxt) συνήϑεια
per quanto riguarda l'uso linguistico nei suoi vari aspetti, da quello del lessico a quello morfologico-grammaticale, dalla flessione alla sintassi: in scoli di Didimo, Aristonico, Erodiano, leggiamo espressioni come ὋὉμηρικὴ συνήϑεια, τὸ σύνηϑες τῷ ποιητῇ, συνήϑως τῷ ποιητῇ, συνήϑως χρῆται Ὅμηρος ed altre simili, in luo-
ghi nei quali il confronto con altri passi omerici serve a fondare la presa di posizione del filologo e la sua scelta®. Il rilevamento della consuetudine, dell’uso proprio ad Omero come testimoniato nell'insieme dei poemi, risulta insomma funzionale ad un metodo di critica interna, che rimanda con ogni evidenza ad Aristarco ed a quel principio di spiegare Omero con Omero che è senza dubbio fondamentale e particolarmente caratterizzante del suo metodo esegetico”. Tale principio si realizzava attraverso un continuo e 6.
Cir per es. Erodiano
ad A 277 ("Aplorapxos ἀποφαίνεται ὡς κατὰ τὴν
Ὁ μηρικὴν συνήθειαν ...), B 498, A 291, B 135, F 220, T 459, M anche P. Oxy. 1086, I 18 sg., ad go, il termine χρῆσις Ομηριχή e
B 585, B 783, A27, 2318; Aristonicoad ἃ 41, 159, X 110; Didimo ad FP 18, P 134-6, ecc.; cfr. B 763; talvolta si trova invece, con valore analosim.: Erodiano ad A 129; Didimo ad B 266, ecc;
cfr. LupwicH, Aristarchs Hom. Texik. cit., II p. 128. Va ricordato che si può incontrare συνήϑεια negli scoli anche col significato di greco comune, vale a dire di xou) συνήϑεια (contrapposta alla ᾿᾽Ομηρικὴ συνήθεια): cfr. per es. Erodiano ad B 190, B 504, Καὶ 38. Inoltre con συνήϑεια si indica la Vulgata nel modo di interpun-
gere il testo negli scoli di
Nicanore: cfr. J. WACKERNAGEL, Nicanor und Herodian,
RhM 31, 1876, p. 433. 7. Cfr. J. E. Sanpvs, A History of Classical Scholarship, I, Cambridge 1920, p. 132; E. Herrscx in «Ant. u. Abendl.» 9, 1960, p. 21; H. Ersse, in Geschichte der
Textuberlieferung, I, Zürich 1961, p. 225; F. Montanari in ASNP s. III 4, 1974, pp. 119 sgg.; R. PrrirrER, Storia della filologia classica dalle origini alla fine dell’età ellenistica, trad. it. Napoli 1973, pp. 350 sgg. (= ediz. Oxford 1968, pp. 225 sgg.) ha messo fortemente in dubbio che la celebre massima Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου σαφηνίζειν risalga effettivamente ad Aristarco: ne è nato un dibattito che ha visto intervenire N, G. Wilson, An Aristarchean Maxim, CR 31, 1971, p. 172; G. Lee, An
Aristarchean Maxim?, PCPhS 21, 1975, pp. 63 sg. (la riporta al V sec. a.C.); N. G. WiLSON, Aristarchus or a Sophist?, PCPhS 22, 1976, p. 123 (replica al precedente); CH. ScHAUBLIN, Homerum ex Homero, MH 34, 1977, pp. 221-227 (esprime senz'altro la prassi esegetica aristarchea, ma non risale per forza ad Aristarco, è per lo meno ispirata da teorie retoriche). Comunque stia la questione della paternità del
famoso assioma, resta il fatto sostanziale che esso riassume un aspetto primario del metodo filologico-esegetico alessandnno, ampiamente testimoniato negli sco-
li, del quale costituisce in qualche modo la formulazione teorica.
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serrato ricorso al confronto fra elementi simili all’interno della poesia omerica, evidentemente sentita come un sistema unitario e coerente: questo è la nozione di τὸ Ὁμηρικόν come entità unitaria,
circoscrivibile e distinguibile dal resto che gli viene contrapposto. Si tratta evidentemente di un principio di critica analogica, che, applicato con discernimento e senza arrivare ad un eccesso di normalizzazione che elimini singolarità da conservare, non può comunque fare a meno di una fondamentale nozione di unità e coerenza del sistema, grazie alla quale è possibile acquisire un’immagine di quanto è proprio e tipico della poesia di Omero. Di quello che è globalmente «l'Omerico» (τὸ Ὁμηρικόν) in tutte le sue diverse componenti, l'uso linguistico (Ὁμηρικὴ συνήϑεια) nei suoi
vari aspetti costituisce senz'altro un elemento di primaria importanza ed é naturale che esso sia oggetto di una costante attenzione e di un accurato rilevamento. È ben comprensibile che suscitasse l'opposizione decisa di Aristarco chi sostenesse che Omero era l’autore dell’Iliade soltanto, ma non dell’Odissea: la posizione di quei critici chiamati Chorizontes significava in pratica, per Aristarco, che il suo Ὁμηρικόν non era uno, bensì diviso, ed i lineamenti di esso perdevano di certezza; che i suoi ricchi ed ampi confronti,
così fecondi sul piano filologico ed esegetico, valevano solo parzialmente, ma erano fallaci quando travalicavano i limiti del singolo poema e su di essi si stendeva l'ombra del dubbio; significava anche che venivano scossì in parte 1 fondamenti della sua visione globale del periodo più arcaico e della sua «storia dell’epos», per la quale la distinzione fra Omero = Iliade ed Odissea ed ı poeti ciclici aveva anche valore cronologico, storico-letterario e storicolinguistico. Che nascesse la polemica era fatale: ed è del tutto credibile che il campo fosse tale da spingere Aristarco ad impegnarcisi a fondo. Gli scoli omerici pullulano di rimandi interni ai poemi omerici e mostrano una pervicace ricerca di elementi di aggancio e di legame fra Iliade ed Odissea sul piano del contenuto e del pensiero, negli usi e costumi, nell’uso linguistico e stilistico e così via:
un insieme di rilievi globalmente
imponente,
volto a delineare
l'immagine e confermare l’unitarietä di ciò che è τὸ Ὁμηρικόν, uno
e indivisibile; un insieme che non poteva non costituire il contraltare della mina posta alle fondamenta delle concezioni storicoletterarie e dell'impianto metodologico di Aristarco dalla tesi dei Chorizontes®. 8. I frammenti dei Chorizontes sono raccolti in J. W. Kok, De Chorizontibus, Diss. Giessen 1912, Darmstadt 1917; cfr. SusemiHi, Gesch. Lit. Alex. cit., II pp.
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Il concetto di Ομηρικὴ συνήϑεια nell'analisi di Aristarco appar-
tiene dunque ad un metodo critico fondato sul principio dell'analogia interna alla poesia omerica, cui corrisponde in modo ineliminabile una nozione di unità e coerenza del sistema entro il quale il metodo si applica. Da una parte il concetto di Ομηρικὴ συνήϑεια concepita e interpretata come un sistema linguistico-grammaticale unitario e coerente, dall'altra l’idea che Omero sia l’autore παρ᾽ ᾧ τὰ τοῦ Ἑλληνισμοῦ ἠχρίβωται, costituiscono i due elementi aristarchei sui quali si costruisce il ragionamento che troviamo attribuito a Tolomeo Pindarione nella polemica sulla teoria grammaticale (anche se sarà difficile sceverare con precisione quanto appartiene al maestro e quanto € sviluppo autonomo dell’allievo). A questo punto possiamo tornare al brano di Sesto Empirico, da cui la nostra analisi è partita. Dopo l'esposizione dell'opinione di Tolomeo Pindarione (202-203), seguono le repliche ad essa da parte anomalistica (204-208). In primo luogo si obietta che non tutti sono d'accordo che Omero sia il poeta più antico (204): torneremo subito su questo. Poi si avanza una serie di ragionamenti (205208) volti sostanzialmente a negare validità alla posizione di Tolomeo Pindarione dicendo che in quel modo non si dà affatto una soluzione al problema, ma semplicemente lo sı sposta; che l’uso omerico porta a delie ridicolaggini nel parlar comune e che insomma l’analogia continua a risultare un elemento additivo di cui non c’è affatto bisogno e che quindi va rifiutato?. Concludendo, ed arri149 sg.; KoHt, Die homerische Frage der Chorizonten, «Neue Jahrb. f. d. kl. Altert.»
1921, pp. 138 sgg.; W. Scuuip, Griech. Lit. I 1, München 1929, pp. 83 sg., 89 Cunisr-ScHuirp-SrAHLIN, Griech. Lit. II 1 cit., pp. 268 sg.; PFEIFFER, Storia pp. 333, 357 n. 126; K. RUTER, Odysseeinterpretationen, Göttingen 1969, pp. 13 A. Leskv, Griech. Lit., Bern- München 1971?, p. 67; P. M. Fraser, Ptolemaic xandria, Oxford
sg.; cit., sg.; Ale-
1972, I p. 467; M. Marri, Antike Discussionen über die Episode von
Giaukos und Diomedes im VI. Buch der Ilias, Meisenheim
1976 (su cui vd. N. ]J.
RicHARDSON in CR 28, 1978, pp. 340 sg.); supra, Tell.
9. È stato Varrone, De stessa fonte o comunque
da tempo riconosciuto che Sesto Empirico, Adv. gramm. 176-235 e ling. lat. VIII 26-43 (+ IX 40-48) risalgono fondamentalmente a una greca, un grammatico anomalista naturalmente anteriore a Varrone tale da non scendere al di sotto dei primi decenni del I sec. a.C.; cfr.
DAHLMANN, Farro cit., pp. 57-70, partic. 68; ınem, Varro. De lingua latina Buch VIII, Berlin 1940, pp. 4, 105 sg., 116 sg.; METTE, Parateresis cit., pp. 30 sgg., partic. 33,
39, 44: vedere te a lui metodi
mentre Dahlmann (che ha presente soprattutto Varrone) pare incline a tale fonte in Cratete stesso, Mette pensa piuttosto ad un seguace di Crateposteriore ma che ne ha ripreso fedelmente le posizioni di fondo unendovi argomentativi scettico-empirici. Le notizie riguardanti Tolomeo Pinda-
rione sono naturalmente assenti in Varrone, dato il loro specifico riferimento al
greco: o si pensa che esse siano un'aggiunta di Sesto Empirico alla fonte comune
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vando al nocciolo, si dichiara di respingere risolutamente una analogia fondata sull’autorità di Omero, per adottare invece l’anomalo uso comune dei contemporanei. Un certo rilievo ha per noi la prima obiezione (204), sulla quale ci soffermiamo un momento. Mettere in dubbio che Omero sia il poeta più antico ed anzi ritenere decisamente più probabile che ci siano stati poeti prima di lui significa non solo richiamare un’opinione vulgata ed aderirvi: significa cercare di intaccare l'argomentazione di Tolomeo Pindarione in uno dei suoi elementi importanti. Infatti, la scelta di Omero quale συνήϑεια da prendere come base di partenza e fonte di materiale si giustifica come non arbitraria in primo luogo con la comune accettazione di cui gode, ma anche con 1l fatto che si tratta del piü antico testo la cui autorevolezza sia comunemente accettata. La qualifica di «primo» testo codificato della lingua greca, in qualche modo inizio ed origine del suo sviluppo, € un elemento essenziale per corroborarne il diritto ad essere assunto come testo-base dell’ "EAAnvıouöc. Si obietta che
ci furono poeti prima di Omero: ma qui è lo scarto dell'argomentazione, perché Tolomeo Pindarione non dice che Omero é 1l poeta più antico che sia esistito, dice che quelli omerici sono i poemi più
antichi che conosciamo perché nessun poema più antico ci è pervenuto. Questa obiezione cade immediatamente di validità per Esiodo, che notoriamente gli alessandrini consideravano posteriore ad Omero! ma cade anche per quanto riguarda Lino, Orfeo e Mu-
oppure si pensa che Varrone le abbia eliminate perché non trasferibili al latino; questa seconda ipotesi appare assai più verisimile, data la stretta connessione contestuale della sezione rappresentata dai parr.
196-208 sopra analizzata. Di
conseguenza, almeno per Sesto Empirico 196-208, la fonte diretta non può essere Cratete, che difficilmente per ragioni cronologiche può aver conosciuto le idee di Tolomeo Pindarione e dei suoi seguaci (ol ἀπὸ Ihvöapiwvog, 202) ed inoltre aver replicato ad esse. Se Tolomeo Pindarione fu allievo di Aristarco, che è morto
intorno al 144 a.C. ed era più o meno contemporaneo di Cratete (secondo una tradizione che non conosco argomenti seri per mettere in dubbio: Suida, x 2342 = Esichio di Mileto; cfr. PrEIFFER, Storia cit. p. 366), e la fonte di Sesto Empirico
196-208 è un grammatico anomalista che replicò alla confutazione di Tolomeo Pindarione di un attacco anomalista all'analogia aristarchea, tale grammatico deve collocarsi tra fine II e inizio I sec. a.C., esattamente fra l’epoca di attività di
Tolomeo Pindarione e quella di Varrone (divisi probabilmente da una o al massimo due generazioni, essendo Varrone nato nel 116 a.C.). 10. Cfr. F. Jacosy, Apollodors Chronik, Berlin 1902, p. 118; ı0em, Das Marmor
Parium, Berlin 1904, p. 152; A. Severvn, Le Cycle Épique dans l'école d'Aristarque, Paris 1928, p. 39; A. RzacH, Hesiodos in RE VIII 1, coll. 1174 sg.; PFEIFFER, Storia
cit., p. 265.
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seo: il grammatico non poteva ignorare che questi poeti erano comunemente
ritenuti anteriori ad Omero,
ma
evidentemente
nes-
sun poema a loro attribuito e considerato autentico era noto agli alessandrini. L'affermazione di Tolomeo Pindarione, dunque, è che l'Iliade e l'Odissea costituiscono il testo letterario in lingua greca più antico che conosciamo, la prima codificazione a noi pervenuta dell’ Ἑλληνισμός: poeti precedenti ad Omero c'erano sen-
z’altro (era opinione comune che Omero avesse dei predecessori), ma le loro opere non sì sono conservate. Vediamo ora lo scolio a Dionisio Trace, p. 490, 7 sgg. Hilg. (GG I 2). Φασί τινες ὅτι ἕως τῶν Τρωϊκῶν οὐχ ἐγινώσκετο γράμματα- xai δῆλον ἐκ τοῦ μὴ σωθῆναι ποίημά τι τῶν κατὰ τοὺς ᾽Ομηρικοὺς χρόνους, καὶ ταῦτα αὐτοῦ τοῦ Ὁμήρου εἰσάγοντος ποιητάς, τόν τε Φήμιον καὶ Δημόδοκον, ἱστορουμένου δὲ καὶ ᾿Ορφέως προγεγενῆσϑαι καὶ Μουσαίου καὶ Λίνου" ἀλλ᾽ ὅμως πλὴν ὀνόματος οὐδὲν πλέον εἰς τὰ μετὰ ταῦτα διασωϑῆναι συμβέβηκε πρὸ τῆς Ὁμήρου ποιήσεως, μηδὲ πρεσβύτερον τῆς Ἰλιάδος καὶ ᾿Οδυσσείας σώξεσϑαι ποίημα. ᾿Αλλ᾽ ἐρεῖ τις, πῶς ἐπιγράμματα σώζεται νομιζόμενα πρεσβύτερα; Τούτων δὲ τὰ μὲν ἐψευσμένους τοὺς χρόνους, τὰ δὲ νεωτέρων τινῶν ὁμωνυμίᾳ τῶν παλαιῶν τὰς ἐπιγραφὰς ἔχουσι. Καὶ οἱ ἤρωες δὲ ἀγράμματοί τινες ἦσαν, καὶ σημείοις καὶ συμβόλοις πρὸς ἀλλήλους ἐν τῇ κατὰ τὸν βίον ἀναστροψῇ χρώμενοι ἐδήλουν ἀλλήλοις ἃ ἤϑελον᾽ τὸ γοῦν γράψας ἐν πίνακι πτυκτῷ [Z [69] διαζωγράφησίν τινα καὶ διατύπωσιν δηλοῖ ὧν ὁ γράφων ἐβούλετο ἐνδείξασθαι. ᾿Αλλ᾽ ἄτοπόν ἐστι τοὺς ἀρίστους τοῦ ἀνθρωπείου γένους ἀπαιδεύτους καὶ ἀγραμμάτους λέγειν. ᾿Αλλά φαμεν ὡς oUx ἔστιν ἀπαιδευσίας τεκμήριον τὸ ἀγράμματον᾽ ὁ γοῦν ϑεῖος Πλάτων...
Dicono alcuni che fino all'epoca dei fatti di Troia le lettere dell'alfabeto non si conoscevano: ciò risulta chiaramente dal fatto che non si è conservato nessun poema dei tempi omerici, e questo nonostante che Omero stesso rappresenti poeti come Femio e Demodoco e si racconti che sono vissuti prima di lui Orfeo e Museo e Lino; e pur tuttavia accade che di precedente alla poesia di Omero null'altro che nomi si siano conservati in seguito e nessun poema più antico dell'Ihade e dell'Odissea si sia salvato. Ma qualcuno dirà: come mai si conservano epigrammi ritenuti più antichi? Per alcuni di questi sono sbagliate le cronologie, per altri le attribuzioni ad autori antichi sono dovute ad un'omonimia con autori più recenti. Gli eroi erano illetterati e nelle situazioni della vita si comunicavano reciprocamente i loro desideri servendosi di segni e simboli convenzionali: quindi l'espressione γράψας ἐν πίνακι πτυκτῷ (Z 169) indica un dise-
gno ed un'immagine di quanto «lo scrivente» voleva comunicare. - Ma è assurdo dire che i migliori rappresentanti del genere umano erano incolti ed illetterati. - Noi però rispondiamo che l'essere illetterati non è prova di incultura: per esempio il divino Platone...
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Vediamo 1 punti salienti che risultano da questo scolio. Nessun poema dell'epoca in cui si svolsero i fatti di Troia e più in generale nessun poema più antico dell'Iliade e dell’Odissea si è conservato,
nonostante che prima di Omero siano vissuti poeti come Orfeo, Museo e Lino e specificamente all’interno della saga troiana compaiano Femio e Demodoco, rappresentati da Omero stesso. Ciò è accaduto perché allora non si conoscevano le lettere dell'alfabeto, vale a dire la scrittura, e di conseguenza le opere dei poeti non poterono essere conservate: i poemi omerici sono le opere più antiche che ci sono state conservate e ciò che da qualcuno viene ritenuto a loro anteriore in verità è posteriore; nei famosi versi Z 168-9 Omero in realtà non fa riferimento all’uso della scrittura alfabetica e gli eroi erano illetterati, il che non vuol affatto dire che fossero ignoranti. In questo scolio, appartenente alla congerie di materiale radunato a commento del par. 6, Περὶ στοιχείου, dell'Ars grammati-
ca, risultano chiaramente gli elementi di una polemica: all’opinione principale, presa come base, furono evidentemente mosse delle obiezioni, che lo scoliasta registra unitamente alle confutazioni di esse. È un excerptum che conserva i tratti di una buona fonte erudita. La coincidenza dell’opinione fondamentale che viene sostenuta, insieme ad alcune concordanze nell'espressione con quanto si legge in Sesto Empirico, invitano a sospettare che qui si abbia a che fare con materiale che risale, certamente attraverso mediazio-
ni, a Tolomeo Pindarione. Oltre a Femio e Demodoco, personaggi omerici considerati storiche figure di aedi, come poeti anteriori ad Omero vengono menzionati Orfeo, Museo e Lino, tre nomi tradizionali che ricorrono anche in Sesto Empirico: non naturalmente Esiodo, dagli alessandrini — come dicevamo sopra - ritenuto posteriore ad Omero. Se nell'epoca precedente ad Omero, cioè nell’epoca da lui descritta, vale a dire quella della saga troiana, non esisteva l'alfabeto, ne consegue che gli eroi omerici erano illetterati, per cui i famosissimi σήματα λυγρά dell’episodio di Bellerofonte (2 168
sg.) non vanno interpretati come le lettere dell'alfabeto, bensi come simboli e disegni, cioé come una rappresentazione ideografica e non come una scrittura alfabetica. Questo elemento ci porta alle interpretazioni che di Iliade Z 168 sg.; Z 176-8; H 175;
H 187 sono state date nell'antichità, come ci
sono testimoniate in un gruppo di scoli che sono già stati messi in connessione con lo scolio a Dionisio Trace sopra citato, e che qui conviene riconsiderare radunando il complesso delle testimonianze reperibili negli scoli iliadici. Le interpretazioni sono in sostanza
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due: la prima si trova nei seguenti scoli di Aristonico, nei quali si riflette naturalmente la posizione di Aristarco: Sch. ad
Z 169: γράψας λέξεως γράμμασι
ἐν πίνακι πτυκτῷ: ὅτι ἔμφασίς ἐστι τοῦ τῆς χρῆσϑαι. οὐ δεῖ δὲ τοῦτο δέξασϑαι, ἀλλ᾽ ἔστι
γράψαι τὸ Eécat: οἷον οὖν ἐγχαράξας εἴδωλα, δι᾽ ὧν ἔδει γνῶναι Sch. ad
τὸν πενθερὸν τοῦ Προίτον. Z 178: σῆμα κακόν; ὅτι σημεῖα λέγει, οὐ γράμματα: εἴδωλα ἄρα
ἐνέγραψεν. Sch. ad Sch. ad
H 175: ὅτι σημείοις χρῶνται, οὐ γράμμασιν. Ἡ 187: 6c μιν ἐπιγράψας: ὅτι οὐ γράμμασι τῆς λέξεως, ἀλλ᾽
ἐγχαράξας σημεῖα’ εἰ γὰρ κοινῶς ἤδεσαν γράμματα, ἔδει τὸν
κήρυκα ἀναγνῶναι καὶ τοὺς ἄλλους, οἷς ἐπεδείκνυτο ὁ κλῆρος.
L'opinione esattamente contraria sì trova espressa in un gruppo di scoli esegetici agli stessi passi dell'Iliade: Sch. ad
Sch. ad Sch. ad Sch. αὐ
Z 168: σήματα λυγρά: γράμματα «οἱ δὲ κλῆρον ἐσημήvato» (H 175), «óc μιν ἐπιγράψας» (Η 187) ἄτοπον γὰρ τοὺς πᾶσαν τέχνην εὑρόντας οὐκ εἰδέναι γράμματα. Z 168-9: «σήματα - πίνακι πτυκτῷ;:» σήματα μὲν τὰ γράμματα, πίνακα δὲ τὸ λεγόμενον πινακίδιον. 2 176: σῆμα: σῆμα τὸ ἐπίταγμα, «σημαίνων ἐπέτελλεν» (® 445) ἢ τὸ πτυκτὸν τὸ ἔχον τὰ σήματα, è ἐστι τὰ γράμματα. H 175: ἐσημήναντο: γράμμασιν. καὶ πῶς ov γινώσκει ὁ κήρυξ;
ἐϑνικὰ γὰρ ἦν (cfr. Aristonico ad H 187; sch. ex. ad H 185).
Appare evidente il legame fra queste testimonianze e lo scolio a Dionisio Trace sopra riportato, e soprattutto la coincidenza dell’opinione sostenuta in quest'ultimo a proposito dei σήματα con quella dì Aristarco (trasmessa dagli excerpta di Aristonico). Inoltre, è rilevante la corrispondenza tra τοὺς πᾶσαν τέχνην εὑρόντας οὐκ scolio a Dionisio Trace: ἄλλ᾽ ἀνθρωπείου γένους ἀπαιδεύτους
lo sch. ex. a Z 168: ... ἄτοπον γὰρ εἰδέναι γράμμοτα, e la frase dello ἄτοπόν ἐστι τοὺς ἀρίστους τοῦ καὶ ἀγραμμάτους λέγειν: la secon-
da delle obiezioni registrate e confutate nello scolio a Dionisio Trace trova corrispondenza con lo sch. ex. iliadico, e questo conferma che nello scolio a Dionisio Trace abbiamo buon materiale di informazione sulle polemiche filologiche sorte su queste questioni e conforta nell’attribuire l’origine del materiale all’aristarcheo Tolomeo Pindarione. Del dibattito sull'interpretazione dei σήματα iliadici, collegato
all’idea che i poemi omenici siano l’opera più antica che si sia con-
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servata, si trova una chiara menzione anche in Giuseppe Flavio, C.
Apion. I 11-12, un passo che normalmente viene chiamato a confronto con questi scoli: (11) ... περὶ τῶν ἐπὶ Τροίαν τοσούτοις ἔτεσι στρατευσάντων ὕστερον πολλὴ γέγονεν ἀπορία τε καὶ ζήτησις, εἰ γράμμασιν ἐχρῶντο. xai τἀληϑὲς ἐπικρατεῖ μᾶλλον περὶ τοῦ τὴν νῦν οὖσαν τῶν γραμμάτων χρῆσιν ἐκείνους ἀγνοεῖν. (12) Ὅλως δὲ παρὰ τοῖς Ἕλλησιν οὐδὲν ὁμολογούμενον εὑρίσκεται γράμμα τῆς Ὁμήρου ποιήσεως πρεσβύτερον, οὗτος δὲ καὶ τῶν Τρωϊκῶν ὕστερος φαίνεται γενόμενος᾽ καί φασιν οὐδὲ τοῦτον ἐν γράμμασι τὴν αὑτοῦ ποίησιν καταλιπεῖν, ἀλλὰ διαμνημονευομένην ἐκ τῶν ἀσμάτων ὕστερον συντεϑῆναι καὶ διὰ τοῦτο πολλὰς ἐν αὐτῇ σχεῖν τὰς διαφωνίας.
(11) ... riguardo a coloro che parteciparono alla spedizione di Troia durata per tanti anni, si ebbe in seguito una cospicua discussione e indagine intorno al problema se conoscessero l’uso della scrittura: e la verità prevale, cioè che essi ignoravano l'uso attuale dell'alfabeto. (12) Ed insom-
ma presso 1 Greci non sì trova nessuno scritto riconosciuto più antico della poesia di Omero, ed egli è evidentemente vissuto dopo l’epoca dei fatti di Troia; dicono inoltre che neppure lui lasciò la sua poesia per iscritto, ma che essa fu tramandata a memoria per mezzo di cant in seguito composti assieme e per questo vi si trovano numerose incongruenze.
In questo brano famoso troviamo ripresa la questione della conoscenza della scrittura nei poemi da parte degli eroi omerici, legata all'opinione secondo cui l’Iliade e l'Odissea sono le più antiche opere della letteratura greca che siano potute pervenire ai posteri, perché in precedenza la scrittura non era conosciuta: vale a dire lo stesso collegamento che avevamo
Trace sopra riportato!!.
Il.
trovato nello scolio a Dionisio
D'altra parte, la πολλὴ ἀπορία τε xal
Su questo complesso di testimonianze cfr. tra l'altro N. Schmipt, Bellero-
phon's Tablet and the Homeric Question in the Light of Oriental Researches, TAPhA 51, 1920, pp. 56 sgg.; L. H. JEFFERY, 'Apyaia γράμματα: some ancient Greek views, in
Europa, Festschr. Grumach, Berlin 1967, pp. 152 sgg.; Marteı, Antike Discussionen cit., pp. 29 sgg.; A. HeusEcK, Schrift, in Archaeologia Homerica III X, Göttingen
1979, pp. 126 sgg. La bibliografia sulla questione della scrittura nei poemi omerici è naturalmente immensa: resisto senza difficoltà alla tentazione di toccare qui la problematica moderna relativa alla conoscenza della scrittura da parte di Omero ed alla redazione scritta dei poemi omerici, per finire alla redazione di Pisistrato ed alla questione se gli Alessandrini ne avessero conoscenza o meno (cfr. R. MERKELBACH, Untersuchungen zur Odyssee, München 1969°, pp. 239 sgg.). Una problematica che ha trovato spesso nelle testimonianze sopra utilizzate un suo punto di partenza, da quando Jacopo PeRrIZONIO nelle sue Animadversiones historicae (Amsterdam
1684, cap. VI in.), sulla base appunto del passo di Giusep-
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ζήτησις di cui parla Giuseppe
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Flavio ha lasciato tracce evidenti
negli scoli iliadici che abbiamo visto, in una divergenza nettamente delineata: mentre Aristarco non credeva che in Omero si trovasse testimonianza dell’uso della scrittura alfabetica, il corpus degli scoli esegetici testimonia l'opinione secondo cui la scrittura esisteva nell'epoca descritta da Omero e quindi ben prima di lui, per cui egli la poteva conoscere perfettamente. Quest'ultima posizione rientra nelle tradizioni vulgate che riportavano l’invenzione dell'alfabeto a Cadmo ed i Fenici oppure agli Egiziani oppure ai Pelasgi antenati dei Greci oppure a personaggi mitici come Palamede o Prometeo e cosi via!?. Non è il caso di soffermarci qui a lungo su tutte queste ben note tradizioni: basterà ricordare come l’idea dell’origine antichissima, assai antecedente ad Omero, dell’alfabeto e della scrittura fosse di gran lunga la più comune e diffusa e come da essa dipendessero non poche tradizioni che parlavano di scritti anteriori ad Omero, di autori che Omero avrebbe utilizzato come
fonti e cose simili!*. Infine, si potrà richiamare un altro elemento. Negli scoli esegetici è spesso presente l'idea di «Omero fonte di ogni conoscenza»!*: di conseguenza, appare naturale che alla rappresentazione del poeta presso il quale tutto si può apprendere non venisse sottratta la conoscenza di una cosa così importante come la pe Flavio e di Eliano, V.H. 13, 14, parlava dei poemi omerici come del più antico testo letterario tramandato, affidato dapprima alla memoria e solo in seguito redatto per iscritto e poi sistemato in Atene al tempo di Pisistrato: Perizonio non conosceva gli scolı del Ven. A, ma li conosceva bene F. A. Worr (cfr. H. Ersse, F. A. Wolf e gli scoli all'Iliade, ASNP s. III 9, 1979, pp. 39 sgg.) che un secolo dopo, nel 1795, pubblicava i celebri Prolegomena, nei quali sosteneva, trovando materia anche nelle testimonianze sopra utilizzate, l'origine orale dei canti omerici, composti da aedi che non conoscevano la scrittura e solo più tardi messi per iscritto; e la questione investe la vasta problematica dell'origine orale dei poemi omerici, da Milman Parry in poi, con ampi riferimenti naturalmente al problema della conoscenza della scrittura. Una lunga storia, dunque, che, come si diceva, tocca solo marginalmente il nostro discorso. 12. Cfr. per cs. JErFERY, art. cit; G. Pronr, Einleitung in Das Alphabet, «Weg. Forsch.» 88, Darmstadt 1968, p. 21. 13. Oltre alle notissime storie di Ditti Cretese e Darete Frigio, vd. tra l'altro SuIDA, s.v. Palamedes e s.v. Korinnos; Sch. Dion. Thr. p. 185, 8 sgg. Hilg.; ELIANO, V. FH. 14, 21; ToLomeo CHENNO apud PHor., Biblioth. 190, III p. 66 Henry, ecce-
tera. Come si diceva sopra, i Greci ritenevano normalmente che Omero avesse avuto dei predecessori, cfr. T. W. ALLEN, Homer. The Origins and the Transmission, Oxford 1924, pp. 130 sgg. 14.
Cfr. M. van DER VALK, Researches on the Text and Scholia of the Iliad, Leiden
1963-4, I pp. 465 sg.; M. ScHMIDT, Die Erklärungen zum Weltbild Homers und zur kultur der Heroenzeit in den b T-Scholien zur Ilias, München 1976, pp. 58 sgg.
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tecnica della scrittura. Infatti, nello sch. ex. a Z 168 (di cui sopra abbiamo visto il legame con lo scolio a Dionisio Trace) sì parla degli eroi omerici come di coloro πᾶσαν τέχνην εὑρόντας, il che
corrisponde all’idea che in Omero si trovi testimonianza di tutte le conoscenze.
La replica all'argomentazione di questo scolio, cioe
che l'essere illetterati non nuoce affatto all'immagine piena di valori degli eroi omerici, si trova soltanto nello scolio a Dionisio Trace. Comunque, se pur attraverso differenti tradizioni, come dicevamo, l’idea che la scrittura risalisse a tempi antichissimi ed addirittura a personaggi mitici era di gran lunga la più comune e diffusa fra 1 Greci. Di fronte a tali tradizioni semi-mitiche, quella che è stata definita «a sceptical view of such extravagances»"? si trova testimoniata negli scoli di Aristonico, nel passo di Giuseppe Flavio e nello scollo a Dionisio Trace p. 490, 7 sgg. Hilg., che abbiamo esaminato nelle pagine precedenti. Questa posizione risale con ogni evidenza ad Aristarco ed alla sua scuola. Ci sono buone probabilità che la problematica relativa all’alfabeto ed alla sua invenzione sia stata trattata, per esempio, da uno dei primissimi allievi del grande maestro alessandrino, cioè da Apollodoro di Atene in una sezione del suo ingente commento al Catalogo delle navi!®. Per Aristarco ed i suoi seguaci (il che ci riporta a Tolomeo Pindarione, anche lui allievo diretto di Aristarco) l’invenzione dell’alfabeto e l’uso della scrittura sono posteriori al mondo rappresentato da Omero ed i passi dell'Iliade Z 168 sg. e H 175 sgg. non testimoniano affatto di un simile uso; la storia della poesia greca scritta comincia con Omero e l’Iliade e l'Odissea furono con ogni evidenza i primi poemi ad essere messi per iscritto, il che spiega che si siano conservati mentre nessuna delle opere di poesia prodotte in precedenza si é potuta salvare (il passo di Giuseppe Flavio inoltre riporta esplicitamente l'opinione secondo cui 1 poemi furono dapprima tramandati oralmente e messi per iscritto solo posteriormente ad Omero). Un ultimo elemento potrebbe entrare in tale contesto. Negli scoli a Dionisio Trace p. 192, 8 sgg. Hilg., a Tolomeo Pindarione (il nome è frutto di una lieve correzione, che pare sicura; cfr. appar. ad loc.) è attribuita una particolare teoria secondo cui l'alfabeto
sarebbe stato inventato da un certo Stoichos (evidentemente un nome parlante), Áteniese autoctono. L'idea dell'origine ateniese 15.
JerrERy, art. cit., p. 161.
16.
Cfr. JEFFERY, art. cit., p. 158, sulla base di Apollodoro, FGrHist 244 F 165 =
Sch. Dion. Thr. p. 183, 5 sgg. Hilg.
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dell’alfabeto non può non richiamare quella dell’origine ateniese di Omero, che pare sia stata sostenuta da Aristarco e da Dionisio Trace, secondo quanto ci dicono concordemente due Vite di Ome-
ro, p. 244, 13 e p. 247, 8 Allen''. Potrebbe dunque esserci qualche connessione fra l'origine ateniese di Omero, la teoria dell'origine ateniese dell'alfabeto sostenuta da Tolomeo Pindarione e l'idea che i poemi ornerici siano stati 1 primi ad essere messi per iscritto e di conseguenza 1 primi ad essersi conservati. Questo elemento è tutt'altro che certo: ma come ipotesi si inserisce con perfetta coerenza nel contesto sopra ricostruito. Nell'insieme di opinioni di Aristarco e di suoi discepoli che abbiamo enucleato, la storia dell'alfabeto e della tecnologia scrittoria e la storia letteraria antichissima della Grecia risultano strettamente connesse: fare la storia delle primae origines della letteratura greca implicava evidentemente lo studio dei modi e delle tecniche che hanno permesso che essa uscisse dall'oscurità, potesse essere conservata e tramandata ai secoli futuri. Il contributo di Tolomeo Pindarione, che deve aver ripreso l'insieme di questa problematica, sembra essere stato quello di esplicitare il collegamento fra da una parte l'inizio della storia letteraria e l'invenzione della tecnica della scrittura alfabetica, dall'altra la questione della teoria linguistico-grammaticale, operando una nuova sintesi di portata più ampia. Per ritornare, in chiusura, ai ragionamenti iniziali, ricorderemo
che l'argomentazione di Tolomeo Pindarione puó essere ricostruita complessivamente cosi: 1 poemi omerici, mancando prima la scrittura, sono il piü antico testo pervenutoci della letteratura greca e la prima codificazione che ci è dato conoscere della lingua greca; essi godono della pià ampia accettazione e di una indiscussa autorevolezza; quindi l'uso linguistico in essi testimoniato, la Ὁμηρικὴ συνήϑεια, può essere preso come base di partenza e punto di riferimento per la normativa analogica che regoli il greco corretto, I’ Ἑλληνισμός. Se si ricorda che questa presa di posizione costitui la replica ad un attacco polemico di parte anomalistica contro le teorie grammaticali aristarchee, attacco inteso a mostra-
re l'inutilità ed inattendibilità della norma analogica, Tolomeo Pindarione appare, nel campo della teoria grammaticale, non certo il rappresentante di una teoria conciliativa!’, bensì come uno
17.
Cfr. Preirrer, Storia cit., pp. 353 sg., 405.
18.
Come era visto in Cunisr-Scuuip-SrAHLIN, Griech. Lit. II? 1 cit., p. 268.
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che ha difeso le posizioni del suo maestro Aristarco in qualche modo riformulando le basi teoriche del procedimento analogico, sempre su fondamenti aristarchei.
VI TRADURRE DAL GRECO IN GRECO PARAFRASI OMERICHE NELLA GRECIA ANTICA Il titolo forse non è immediatamente chiaro, ma non voglio essere enigmatico né giocare con le parole, specie parlando di traduzione. La mia esperienza mi ha portato a imbattermi in un fenomeno culturale, al quale in precedenza non avevo posto mente e che ha suscitato il mio interesse: dirò subito che non è un fenomeno particolare dell’antichità, ma trova le sue manifestazioni all’interno di
molte culture, forse di tutte quelle che hanno almeno una certa profondità storica, e che credo sarebbe interessante analizzare comparativamente. Intendo semplicemente riferirmi a un fenomeno ben noto e rappresentato in molte aree culturali, cioè quel caso particolare di traduzione costituito dalla decodificazione di un testo
in una forma diversa della stessa lingua, e cercherò di portare all’attenzione alcuni aspetti di tale fenomeno nel corso della civiltà letteraria greca antica. Partendo dal presupposto che, per interpretare qualunque messaggio linguistico, bisogna tradurre i segni che lo compongono in altri segni appartenenti al medesimo sistema o a un diverso sistema, R. Jakobson ha descritto una tipologia delle forme di traduzione che individua tre possibilità di interpretare un segno linguistico: quella per mezzo di altri segni linguistici della stessa lingua (traduzione intralinguale o rewording); quella per mezzo di un'altra lingua (traduzione interlinguale o traduzione propriamente detta); quella per mezzo di segni non linguistici (traduzione intersemiotica o transmutation). I fenomeni di cui parleremo rientrano con ogni evidenza nel primo tipo. Il caso esaminato ci porterà a considerare come ıl quadro problematico della traduzione intralinguale sia reso complesso e sofisticato dalla considerazione da una parte dell’aspetto diacronico, per cui la necessità e la funzione di una traduzione intralinguale crescono con l’evoluzione della lingua e l’allontanarsi nel tempo dei testi oggetto di interpretazione, e dall’altra del codice linguistico, per cui una lingua letteraria, quanto più è estranea alla lingua parlata (specie se comprende, come nel caso
della civiltà letteraria greca antica, variabili dialettali assai connotate in rapporto al genere letterario), comporta una particolare necessità di infralingual translation allo scopo di rendere fruibili i testi.
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Una lingua letteraria comincia ben presto a presentare (per svariate ragioni facilmente comprensibili, che riposano in sostanza, per dirla genericamente, sulle numerose connotazioni che la rendono pur sempre «estranea» rispetto alla lingua parlata) difficoltà di ‘comprensione, tali da esigere la sua trasposizione in una lingua più vicina a quella corrente e comunque più immediatamente comprensibile a fruitori anche molto differenziati. Il caso più evidente è forse quello delle opere letterarie scritte in idiomi dialettali più o meno lontani dalla lingua «comune», e che necessitano quindi di una decodificazione per quei fruitori che non appartengono al gruppo dei parlanti lo stesso dialetto. Ma un motivo altrettanto forte, e forse ancor più generale nella portata e nella sua azione, è costituito dal trascorrere del tempo e dall'evoluzione linguistica, che rende i testi nati molti secoli prima sempre più lontani dal
modo attuale di esprimersi e la loro lingua sempre più desueta: man mano che la lingua evolve, cresce l'esigenza di «tradurre» 1 testi più antichi scritti nella «stessa» lingua; di solito, più essi sono antichi e più sono importanti nel sistema culturale, più questa esigenza cresce e si sviluppa. Nasce così un'attività esegetica ed esplicativa (cfr. il seguente VII) dapprima sporadica e volta a glossare occasionalmente le parole ed espressioni più problematiche; po! questa attività cresce e si crea un'autonoma letteratura esegetica professionale e scolastica, il cui scopo è capire, spiegare e tradurre 1 testi letterari; si producono quindi vere e proprie «traduzioni» complete dei testi, destinate ad accompagnarli in modo praticamente costante nella loro vita culturale; e infine questi prodotti (glosse sporadiche, parafrasi più o meno desultorie, parafrasi/traduzioni continue) costituiscono uno dei mezzi, se non il più importante, di mediazione per la traduzione in un’altra lingua. Essendo Omero il primo «testo» della letteratura greca, e delle letterature occidentali, il suo caso é privilegiato per esaminare tale percorso, ed esso offre valide testimonianze per tutte le tappe e riscontri particolarmente interessanti: naturalmente non è l’unico, e anzi l'esemplificazione 5) potrebbe arricchire con ricerche analoghe relative ad altri autori. Ma oltre alla loro posizione «iniziale» e alla loro antichità veneranda, i poemi omerici presentano un caso particolare e privilegiato anche perché la lingua in cui sono scritti è, come tutti sanno, una lingua del tutto artificiale, che nessun
gruppo di parlanti ha mai adoperato come lingua d’uso. Attirerò l'attenzione su una serie di fenomeni, che credo relativamente noti,
quale più quale meno, e che coprono un arco di tempo molto lun-
TRADURRE
DAL GRECO
IN GRECO
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go: penso che l’aspetto più interessante sia costituito appunto dal mettere in collegamento fra di loro tali fenomeni e vederli in uno sviluppo storicamente e culturalmente significativo. I dati che abbiamo a proposito della prima attività esegetica relativa al testo di Omero riguardano due campi ben caratterizzati e chiaramente individuabili: da un lato l’interpretazione del mito, che indica la preoccupazione (quale che ne fosse l'orientamento) di far emergere il significato di quello che è il contenuto specifico dell’epica omerica; dall'altro la spiegazione di singole parole (un lavoro di tipo glossografico), che dimostra la cura e la preoccupazione per la comprensione letterale del testo come presupposto basilare. Volendo generalizzare, possiamo parlare grosso modo del VI-V sec. a.C. come periodo nel quale cominciano, per la nostra conoscenza, le testimonianze intorno ai suddetti generi di esegesi omerica. Dunque, molto prima dell’epoca alessandrina, cui siamo abituati a pensare come età della filologia: ma vediamo di precisare un poco, restringendo il discorso per il fatto che qui ci interessa uno solo di questi campi, quello della glossografia. Non voglio soffermarmi ora su quei fenomeni che possono essere considerati come la preistoria di questa attività di spiegazione letterale del testo poetico: voglio dire da una parte tutto quanto si intende parlando di poeti interpreti di se stessi, e fra questi in primis Omero stesso, e poi le tracce di «glosse» omeriche in autori classici; dall’altra le riflessioni sulla lingua testimoniate nei sofisti e in Platone; oppure ancora le tracce dell’opera di Democrito sulle «glosse» omeriche (68 A 33 XI.l e B 20a-25 Diels-Kranz). Per tutto questo basta rimandare alle eccellenti pagine della ben nota
prima parte della Storia della filologia di Pfeiffer. Il discorso che intendo fare si focalizza bene quando arriva alla testimonianza in questo caso più significativa, che è pur sempre quella, che tutti hanno presente, credo, del frammento (233 PCG) dei Banchettanti
di Aristofane, rappresentati nel 427 a.C., nel quale un personaggio (verisimilmente il padre) chiede a un altro (verisimilmente il figlio) di spiegargli le “Ὁμήρου γλώττας, e fa qualche esempio, sia dall’/ltade che dall’Odissea. Apprendiamo così in modo inequivocabile che questa pratica apparteneva all’insegnamento scolastico impartito al giovani, che dunque dovevano imparare in primo luogo a capire alla lettera il poeta più usato nella pratica scolastica di tutta l’antichità, diciamo pure a ‘tradurlo’ in un greco più vicino al loro e immediatamente comprensibile. Vorrei sbilanciarmi un poco e dire che sarà ben difficile che nel frammento di Aristofane si alluda con tanta naturalezza a una prassi inventata sul momento:
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sarà piuttosto il riflesso di qualcosa già abbastanza consolidato e tradizionale. Non c’è dubbio, mi pare, e nessuno in verità ne dubi-
ta, che possiamo considerare di avere testimoniata già nel V sec. a.C. la pratica di spiegare per mezzo di una traduzione in greco «corrente» le parole «difficili» della lingua poetica omerica. À questo punto possiamo registrare due fatti di diverso interesse per il nostro discorso. Il primo è la vera e propria parafrasi dei vv. 12-42 del I canto dell’/liade che si legge in Platone, Repubblica 393 d, su cui Ludwich ha giustamente attirato l'attenzione proprio come primo esempio di parafrasi omerica continua. Tuttavia la parafrasi di Platone non può essere utilizzata qui se non marginalmente e con cautela, perché in verità lo scopo che Platone si prefigge è di mostrare con un breve esempio come sarebbe la narrazione omerica fatta senza mimesi, cioè senza che 1] poeta si nasconda mai dietro il personaggio, e dice: «lo dirò senza metro, perché non ho attitudine poetica». Resta pur sempre il fatto che non si tratta di una semplice ricostruzione in terza persona ma di una trasposizione nel greco di Platone, quindi in qualche modo di una traduzione: ma lasciamo da parte questo caso, senza addentrarci in sottigliezze. Più interessante e più importante per noi è il fatto che questo lavoro di ermeneutica letterale del testo sia codificato da Aristotele nel cap. 25 (par. 1 e 6: 1460 b 11ss. e 1461 a 10ss.) della Poetica come uno dei mezzi esegetici da utilizzare per interpretare 1 testi poetici: difficoltà del testo si possono risolvere grazie alla corretta esegesi di una glossa, cioè di una parola che per qualunque ragione è estranea al linguaggio comunemente
parlato e quindi
pone difficoltà alla comprensione. Non dobbiamo dimenticare che Aristotele di solito presenta una normatività basata sull’osservazione e su una sistematica codificazione dell’esistente: e d’altra parte una tradizione per questo doveva esserci già da qualche tempo, come abbiamo visto. Il primo modo di interpretare un testo, se vogliamo, l’approccio di base, è quello di intenderne il significato letterale: è pur vero che tale significato non esiste come astrazione e distillato purissimo, ma nella pratica sia il concetto che il procedimento mi paiono, tutto sommato, di immediata evidenza. Anche l’epoca e l’ambiente della filologia scientifica, quella dei maggiori editori e interpreti di testi non si sottrassero a questo. Nell'età ellenistico-romana si
produsse sui testi letterari un lavoro di altissimo livello e di grande portata storica: un'attività editoriale decisiva per la storia della tradizione (varianti e costituzione dei testi} e inoltre una poderosa raccolta di materiali eruditi e di interpretazioni e commenti (Rea-
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lien di ogni genere, lingua e grammatica). Ma insieme a questo (e a me pare del tutto logico) abbiamo testimonianze non scarse sull’uso alessandrino della parafrasi a scopo esegetico: per Aristarco ad esempio cfr. Erodiano in sch. A 396 £^; e anche P. Oxy. 1086, del I sec. a.C., è un’ulteriore prova che i critici alessandrini continuarono a usare parafrasi (τὸ ἑξῆς a B 819) per la loro esegesi, come 1
comuni commentatori hanno fatto nelle scuole per generazioni, secondo le parole di Pfeiffer (Storia della filologia, p. 342, nota 54). Ho menzionato l’alta filologia (e sottolineato i suoi ascendenti antichi culminati in Aristotele) prima della scuola non per svalutare il ruolo di quest’ultima, ma perché tengo a sottolineare che l’attività glossografico-parafrastica non è un prodotto soltanto scolastico e non dev'essere posta — né consciamente né inconsciamente
— su un livello preconcettualmente inferiore. Naturalmente la scuola giocò per questo un ruolo di grande valore e di grande peso, di questo lavoro e di questa produzione fu importante fonte e destinatario e la sua funzione assicurò a questo genere di strumenti una diffusione enorme.
In effetti, la continuità della presenza dell'elemento glossografico nella storia dell’ esegesi omerica
è impressionante
(cfr. VII).
Esso presenta nei papiri una diffusione così ampia e soprattutto maggioritaria, che non può non colpire come fenomeno interposto fra quegli antichissimi progenitori, già vivi quando la filologia scientifica e professionale non era ancora nata, e la diffusione nei manoscritti di età bizantina. L'elemento glossografico isolato si trova copiosamente testimoniato nei frammenti di Scholia minora su papiro a partire dal I sec. d.C. Lo scopo principale di questi glossari è quello di offrire una traduzione, fornendo il corrispondente in greco comune, seguendo via via l’ordine del testo e soffermandosi sulle parole che meritano di essere tradotte, all’inizio del poema
in modo più fitto e sistematico, via via che si procede in modo più desultorio e talvolta addirittura sporadico, cioè con la tendenza a diventare più radi procedendo nel poema (si può dire: man mano che la lingua e il lessico diventano più noti e la maggior parte delle parole è già stata incontrata). È ben vero che di elementi glossografici troviamo traccia anche in importanti Aypomnemata, quali P. Oxy. 1086 e P. Oxy. 1087, che risalgono al I sec. a.C., come pure nel grosso frammento di Aypomnema restituito da P. Oxy. 221, che è del II sec. d.C. Ancora non molti anni fa l'ormai famoso papiro di Lille (P. Lille inv. 83 + 134 + 93b + 93a + 114t + 1140 + 87), risalente forse alla prima metà del II sec. a.C. o alla fine del III, ha restituito «estratti commenta-
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ti» (secondo la definizione del primo editore) dei canti XVI e XVII dell’Odissea, nei quali si nota la compresenza di materiali glossografici e di annotazioni di contenuto esegetico. Dunque la commistione di materiale glossografico-parafrastico con materiale critico-filologico è testimoniata negli Aypomnemata sia in epoca precedente che contemporaneamente alla massiccia presenza di frammenti di Scholia minora a sé stanti (e questo concorda chiaramente col fatto che 1] metodo parafrastico si trova presente anche nell'esegesi alessandrina e persino in Aristarco), per cui ancora una volta bisogna guardarsi da un collegamento troppo unilaterale degli Scholia minora con l'ambito scolastico e magari di basso livello. In
breve, possiamo ricapitolare dicendo che 1 papiri offrono buona e continua testimonianza per un periodo assai lungo, almeno dal I sec. a.C. (o anche dal II sec. a.C., come abbiamo visto) fino al VII
sec. d.C., lungo la via che porta alla grande diffusione di materiali parafrastici e glossografici nei manoscritti bizantini. Abbiamo tempo di fare soltanto un accenno alla massiccia diffusione del materiale glossografico in altri importanti bacini collettori di erudizione come, privilegiatamente, 1 lessici e gli etimologici: ci porterebbe troppo lontano, ma non va dimenticato, perché anche questi strumenti furono molto diffusi e usati e si possono rilevare le piü diverse e complesse osmosi di materiali fra questo genere di raccolte e i corpora di scoli, 1 lessici specializzati e altre opere erudite. Accanto ai glossari, i papiri dall'età romana all'età tardo-antica offrono esempi di parafrasi continue, autonome o interlincari, che vogliamo tenere concettualmente distinte appunto dai glossari o Scholia minora (cfr. infra VII). Per parafrasi continua intendiamo un discorso dotato di compiutezza semantica e sintattica, leggibile autonomamente come un testo In prosa. Appare qui una forma diversa, quella della traduzione completa e leggibile separatamente, di contro alla frantumazione nelle singole parole propria della glossografia e della lessicografia. Sono consapevole del fatto che c'e discussione intorno al concetto e al termine di «parafrasi», il che implica naturalmente il problema se per parafrasi si debba intendere una versione estremamente letterale o una più libera: mi sembra un’eterna questione che, nella misura in cui impegna continuamente il dibattito per le traduzioni da una lingua a un’altra, resta irrisolta anche per il rapporto fra un testo antico e le «parafrasi» di esso nella stessa lingua. Uno degli esempi più interessanti, tra l'altro perché del I sec. a.C., è costituito dal P$/ 1276, che presenta l'alternarsi di una linea di Omero e una di parafrasi di
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parti del II canto dell’/liade. Tale forma e arrangiamento testo/ parafrasi continua nei manoscritti, per esempio nel manoscritto del Sinai con parafrasi iliadiche scoperto alcuni anni fa. Fra queste parafrasi e gli Scholia minora (e anche i diversi lessici, che abbiamo appena menzionato) c'è una larga coincidenza di materiali, utilizzati e presentati in modo diverso, con lo scopo di fornire una decodificazione linguistico-lessicale del testo omerico che ne permetta una traduzione letterale. Un grande insieme fluttuante fin da rispettabile antichità di interpretazioni glossografiche di Omero sì incanalò in diverse forme, per lo meno a partire dall'età ellenistica, e visse una vita lunghissima: i prodotti trasmessici dai manoscritti medievali risultano perfettamente consonanti con quelli testimoniati per l’antichità (cfr. VII). La forma della parafrasi godette in età bizantina di una for-
tuna grandissima, testimonianza del bisogno di avere traduzioni in un greco agevolmente leggibile dei testi poetici antichi: le parafrasi omeriche sono numerosissime,
anche se forse ancora non molto
studiate, in parte anche inedite. D'altro canto, la forma glossografica degli Scholia minora continua nella ponderosa mole costituita dall’elemento glossografico-parafrastico presente (assieme alle ἱστορίαι del cosiddetto Mythographus Homericus e a un insieme di zetemata/lyseis) nel corpus di quelli convenzionalmente chiamati Scholia D (molto più ricchi, al solito, quelli all’/liade di quelli al’Odissea). Accanto ad essi dobbiamo porre le Lexeis Homerikai, restituite da tre manoscritti, che presentano lo stesso tipo di materiale
glossografico disposto, anziché nella forma del commento che segue il testo poetico, nell’ordine alfabetico proprio della forma del lessico omerico (il lessico specialistico dunque, come quello di Apollonio Sofista, che si affianca ai lessici generali e agli etimologici). Gli Scholia D sono il corpus di scolı di gran lunga più diffuso nei manoscritti, testimonianza di una fortuna larghissima in età bizantina, che continuò fino a quando Villoison nel 1788 pubblicò gli scoli dei manoscritti veneti. Lessici, scoli, parafrasi: con il trascorrere dei secoli, si vede bene un crescendo quantitativo di produzione e di presenza di sussidi per capire la lettera del testo omerico. Omero è sempre più lontano e sempre più difficile, la sua lingua sempre più ostica, anche se continua a restare il testo più letto e più usato nell'insegnamento a ogni livello: anzi proprio per questo non si può rinunciare a capirne almeno la lettera. Anche Eustazio raramente trascura di parafrasare (tradurre in greco) il testo omerico, prima di addentrarsi in svariate interpretazioni. Come ha dimostrato qualche tempo fa Agostino Pertusi in un
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libro assai bello, quando un uomo di origine greca di nome Leonzio Pilato fu incaricato di tradurre in latino Omero, secondo 1 voti
del Petrarca e dietro sollecitazione del Boccaccio, e realizzò la prima versione latina del più venerato autore della letteratura occidentale, utilizzò con abbondanza le comode spiegazioni letterali fornitegli dal corpus degli Scholia D e/o materiale di quel tipo contenuto in strumenti lessicografici vari. Leonzio Pilato era greco, ma
Omero era ormai lontanissimo: il greco dell'Iliade e dell’ Odissea era sicuramente per lui molto difficile, certo ancor più di quanto sia per noi l'italiano di un poeta trecentesco, e le traduzioni in un greco più comprensibile erano non solo utili, ma probabilmente essenziali e necessarie per permettergli di tradurre in latino. L’antichissima attività glossografica, volta a fornire il primo aiuto di base per la lettura di Omero almeno a partire dal ragazzo di Aristofane, dopo aver attraversato tanta forza di secoli con crescente fortuna, fu il primo mediatore verso un'altra lingua: tradurre dal greco in greco costituì in qualche modo la base, o almeno una risorsa fondamentale, per tradurre dal greco in latino. Qui ci si apre però, e tutti lo avranno subito pensato, anche una strada a ritroso nel tempo, che non ho davvero la competenza per seguire ma voglio almeno rammentare. Nella cultura latina, e nella pratica dei poeti da Livio Andronico a Virgilio e oltre, 1 grandi modelli greci, primo fra tutti ovviamente Omero,
furono letti di
solito attraverso il filtro delle interpretazioni che si erano accumulate imtorno alle loro opere per il lavoro di eruditi, filologi, commentatori e scoliasti d'ogni genere: così l'Omero intertesto di Virgilio (il caso più classico ed emblematico) è un Omero che reca intorno a sé un «alone» fatto di molti elementi, fra cui anche le
stratificazioni di materiali glossografico-parafrastici, mediatori della comprensione verso una cultura di lingua diversa. In conclusione voglio ricordare un altro evento significativo, arrivando così addirittura alle soglie dell’età moderna. MI riferisco al fatto che, se non vado errato, la prima traduzione dell’/liade stampata in una lingua moderna è quella in neo-greco di Nikolaos Loukanis, pubblicata a Venezia nel 1526 (ringrazio Caterina Carpinato per avermi ricordato questa circostanza, mostrandomi la ristampa anastatica pubblicata ad Atene). Permettetemi di citarne l'inizio, soltanto i tre versi con cui $i apre: τὴν ὀργὴν ἄδε xal λέγε, ὦ ϑεά μου Καλιόπη, τοῦ Πηλείδου ᾿Αχιλλέως, πῶς ἐγένετ᾽ ὀλεθρία, καὶ πολλὰς λύπας ἐποίησε εἰς τοὺς ᾿Αχαιοὺς δὲ πάντας...
TRADURRE
DAL
GRECO
Molti dei vocaboli di questi versi, che role del più celebre incipit delle nostre un sapore antico per chi è abituato a che. Il celeberrimo μῆνιν è tradotto Üvpóv) nelle glosse degli Scholia minora
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traducono famosissime paletterature, hanno anch'essi visitare questo tipo di ricercon ὀργήν (oltre a χόλον e su papiro, negli Scholia D e
nelle parafrasi bizantine; lo stesso si può dire di ὀλεϑρία(ν), temente adoperato per οὐλομένην. Per ἄλγε(α), nelle fonti nate λύπας si trova in concorrenza con κακά (normalmente pagnati da πολλάς o πολλά per tradurre μυρία); nelle Lexeis
costanmenzioaccomHomeri-
kai e negli Scholia D la glossa per l'omerico ἄειδε è esattamente: ἄδε (xai) λέγε. Un esame più ampio potrebbe forse rivelare confronti interessanti e dare percentuali significative. Tracce di sapore antico, dunque, nella prima traduzione «moderna» dell’/liade. Ma fermiamoci qui per il momento: sono già un paio di millenni di traduzioni di Omero, traduzioni in greco. Anche perché a questo punto si apre un problema che non ho le competenze per affrontare sul piano specificamente linguistico. Abbiamo parlato della traduzione dell’/liade in neo-greco in termini di traduzione in una lingua moderna. Lo studioso di letteratura greca antica sì trova così già ben al di là dei limiti della sua sfera professionale e, nella tipologia di Jakobson ricordata all’inizio, si chiede quando e in che termini possiamo esplicitamente dire, nell’evoluzione della lingua greca, che si passa da una traduzione intralinguale a una traduzione interlinguale. Posso dunque concludere dicendo che, se 1 fenomeni storici? concreti su cui abbiamo
fatto le
nostre considerazioni sono racchiusi nell’ambito della letteratura greca antica, credo tuttavia che possano fornire un utile esempio per riflettere in termini più complessi e sofisticati sulle problematiche poste dal fenomeno della intralingual translation, che sembra rivelarsi assai più ricco e sfumato di quanto si potrebbe pensare a prima vista.
NOTA
BIBLIOGRAFICA
L'articolo di R. Jakopson cui faccio riferimento è: On Linguistic Aspects of Translation, in On Translation, ed. by R. A. Brower,
Harvard
Univ.
Press 1959, pp.
232-239 (trad. francese: R. JAkoBsoN, Essais de linguistique generale, Paris 1963; trad. it. in «Il Verri» 15, 1965 e poi in Saggi di linguistica generale, Milano 1966). Anche L. Spina (Platone ‘traduttore’di Omero, «Eikasmos» 5, 1994, pp. 173-179) ha ricordato la connessione fra i fenomeni di cui si parla qui e la definizione tipologica di Jakobson sugli aspetti linguistici della traduzione ricordata sopra.
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Per le parafrasi omeriche, dopo le pagine di A. LupwicH, Aristarchs Homerische Textkritik, Leipzig 1884-1885, II, pp. 486ss., si veda: S. GRANDOLINI, in «Annali Facoltà Lett. Filos. Univ. Perugia», n.s. 18, 1980-81, pp. 5-22, e in Studi in onore di A. Colonna, Perugia 1982, pp. 131-149; E. MeLanDRI, «Prometheus» 7, 1981, pp. 215-224; 8, 1982, p. 84; 9, 1983, pp. 177-192. Il problema terminologico è stato ricsaminato da A. Pıonanı, Parafrasi ὁ metafrasi?, in «Atti Accad. Pontaniana»,
n.s. 24, 1976, pp. 219-225. Nuovi contributi sostanziali per il quadro complessivo sulle parafrasi omeriche in Ioannıs Vassis, Die Aandschrifliche Überlieferung der sogenannten Psellos-Paraphrase der Ilias, Meletemata 2, Hamburg 1991. Per le traduzioni di Leonzio Pilato: A. Pertusı, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio, Venezia-Roma
1964.
Sulle traduzioni latine di Omero, cfr. da ultimo M. Scarrar, Traduttori latini di
Omero, in La traduzione fra antico e moderno. Teoria e prassi, Firenze 1994, pp. 59-72. La traduzione dell’/liade di NikoLAos Loukanis, pubblicata a Venezia nel 1526, è ristampata anastaticamente, per cura della Gennadius Library di Atene, con introduzione di F. R. WaLTon, Atene 1979.
VII GLI HOMERICA SU PAPIRO PER UNA DISTINZIONE DI GENERI È ben noto a tutti che Omero risulta di gran lunga l’autore più abbondantemente rappresentato nei frammenti papiracei. In
Pack? (pubblicato nel 1965) si contano 681 papiri omerici, mentre
gli altri autori più rappresentati, Euripide e Demostene, seguono con circa un’ottantina di testi. Nella primavera del 1983 (in un seminario tenuto all’Università di Pisa) Paul Mertens (autore di una prossima nuova edizione del repertorio del Pack, che sarà il ΜΡ", di cui sono stati pubblicati alcuni anticipi)! poteva sommare ben 1004 papiri omerici, contro 1 111 di Euripide e i 105 di Demostene. Il divario dunque si è allargato da circa 600 a circa 900 papiri, una quantità davvero impressionante di testimoni che separa Omero dagli altri autori più abbondantemente ritrovati: testimonianza inequivocabile e concreta di una fortuna e di una penetrazione nell’insegnamento della scuola, nella cultura a tutti i livelli, nell'insieme del tessuto sociale, che non ha eguali in tutto l’arco della civiltà antica. Di tale notevolissima quantità di papiri omerici, accanto a quelli che portano pezzi del testo poetico di per sé, una congrua percentuale è rappresentata dai cosidetti ffomerica: testi di esegesi, di interpretazione di vario livello e genere, di commento, di aiuto alla lettura o prodotto di essa, di erudizione di diverso tipo su Omero e intorno a Omero, una sorta di ampio e variegato alone che circonda i poemi omerici e più o meno direttamente ne dipende, con una tale abbondanza da costituire in pratica una «letteratura». Dei 681 papiri omerici presenti in Pack“, 605 sono del testo poetico e 76 sono Homerica; i dati forniti da Mertens dodici anni or sono dicevano che dei 1004 censiti al momento, 864 sono del testo e 140 sono
Homerica: il che vuol dire che i papiri del testo, passando da 605 a 864, si incrementano del 42%, mentre gli Homerica, passando da 76 a 140, registrano un incremento dell’84%, con una crescita quindi percentualmente doppia. Ritengo probabile che il progresso degli studi sulla storia della filologia e dell'erudizione antica comporti
1. Cfr. P. MErTENS, 203.
Vingt annees de papyrologie odysséenne, CE 60, 1985, pp. 191-
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anche un aumento di interesse intorno ai frammenti papiracei che recano questo genere di testi. Lucia M. Raffaelli, che sta lavorando alla lista degli Homerica per il prossimo Mertens-Pack?, mi fa sapere che all'estate del 1995 gli Homerica censiti sono 160. È proprio sul panorama degli Homerica che vogliamo fermare un momento la nostra attenzione. Il problema è che sı tratta di un panorama
estremamente
composito
e multiforme,
ancora
oggi
troppo poco chiarificato nel suo insieme, perché non si senta 1] bisogno di sempre maggiori sforzi tesi a introdurre elementi di organizzazione e classificazione”. Per trovare un punto di partenza, possiamo osservare 1 testi papiracei che H. Erbse ha incluso nella sua monumentale edizione degli Scholia maiora all’/liade: in essi troviamo materiale filologicoesegetico di varia natura, che va dalla spiegazione dei realia all'analısı di aspetti strettamente letterani, dall'esame di varianti te-
stuali e altri problemi di costituzione del testo come l’interpunzione alla discussione su punti di interpretazione difficile e controversa, con l’uso anche dello strumento glossografico-parafrastico a scopo esplicativo, fino alla trattazione di questioni linguisticogrammaticali. Questi testi, che recano l’impronta (più o meno sbiadita a seconda dei cası e del grado di allontanamento dagli originali) della grande filologia di età ellenistica
e romana, sono
quelli cui spetta il nome di Aypomnemata o commentari”: essi sono emblematicamente rappresentati, per esemplificare, da reperti come P. Oxy. 1086, P. Oxy. 1087, P. Oxy. 221, P. Oxy. 2397 (Pap. II, VI, XII e X Erbse), P. Trieste (Pap. IIa Erbse, vol. VII
p. 284), P.W.U. inv. 217 (Pap. VIIa Erbse, vol. VII p. 300) per l’Zliade. Per l'Odissea invece ricordiamo: P. Flor. (ed. V. Bartoletti,
ASNP 35, 1966, 1 sgg.), P. Yale inv. 551 (ed. G. M. Parassoglou, «Hellenika» 28, 1975, 60 sgg.: cfr. W.
2.
Luppe,
«Würzb. Jahrb.»
Da tener presente su questa strada soprattutto A. HENRICHS, Scholia minora zu
Homer. I, ZPE
7, 1971, pp. 100-102; T. Renner,
Three New Homerica on Pafyrus,
HSCP 83, 1979, pp. 311 sgg. 3. Il nostro discorso € qui limitato alla filologia omerica: comunque, per i problemi relativi alla fisionomia e alla definizione degli Aypomnemata cfr. E. G. Tur-
NER, Greek Papyri^, Oxford 1980, pp. 112 sgg. (trad. it. Roma 1984, pp. 131 sgg.); G. ARRIGHETTI, Porti, eruditi e biografi. Momenti della riflessione dei Greci sulla letteratura, Pisa 1987, pp. 190 sgg.; M. Der Fassro, /l commentario nella tradizione papiracea,
«Stud. Pap.» 18, 1979, pp. 69 sgg. (ma in questo lavoro, per quanto riguarda Omero, ai veri e propri Aypomnemata sono frammischiati, a scapito di una definizione chiara e di un discorso preciso, anche parafrasi, Scholia minora, raccolte di
ἱστορίαι: si veda qui di seguito).
GLI
HOMERICA
SU
PAPIRO
71
N.F. 2, 1976, 99 sgg.), P. Alex. 198 (cfr. A. Carlini in Papiri letterari
greci, Pisa 1978, 89 sgg.), P. Fayum 312 (= Pack? 1213: ed. F. Mon-
tanarı- M. W. Haslam, BASP 20, 1983, pp. 113-122) e infine l'ormai famoso P. Lille (inv. 83+134+93b+93a+114t+1140+87), forse della prima metà del II sec. a.C. o della fine del III, che restituisce estratti commentati dei canti XVI e XVII. Sono costituiti da una successione di lemmi omerici (variamente evidenzia-
ti), ai quali segue il relativo materiale di commento filologicoesegetico, 1 cui contenuti abbiamo indicato prima sommariamente; non dì rado vi si trova il riferimento ai celebri segni critici, σημεῖα, della pratica filologica. Dal punto di vista sia dei contenuti
che della forma, gli kypomnemata o commentari, nel panorama della scoliografia omerica di tradizione medievale, intrattengono un rapporto privilegiato (ma assolutamente non univoco, bisogna tenerlo presente, bensì frammischiato ad altri elementi) con il tipo di materiale restituito da VMK, il cosiddetto Commentario dei Quattro, e dagli Scholia exegetica (cfr. l'ediz. di Erbse sopra ricordata)*. Un'altra categoria perfettamente riconoscibile è quella dei lessici alfabetici. La difficoltà basilare consiste nel tenere distinti i lessici esclusivamente omerici da quelli più ampi con incluso materiale omerico anche abbondante (è naturale che spesso in un lessico generale le parole omeriche in funzione di lemma tenderanno ad essere le più numerose): ovviamente sara sempre diflicile sottrarsi al dubbio di fondo lasciato dall'elemento di casualità insito nel ritrovamento di un piccolo frammento con pochi lemmi soltanto, ma questo è inevitabile. Invece, avrei forti perplessità a includere fra gli Homerica un lessico come P. Heidelb. Siegmann 200, nel
quale sono presenti anche lemmi non omerici: Pack? lo inserisce traagli Homerica col nr. 1220 e la definizione «Glosses, partly Home^; comportamento condiviso da Mette, «Rev. Phil» 29, 1955, pap. . Z2, ma a me pare piü corretto ritenere che in casi come questi si abbia a che fare non con lessici omerici specializzati (lessici di un autore), bensì con lessici di ambito più ampio, in cui i lemmi
4. Il processo di trasformazione che ha portato dai più antichi kypomnemata agli scholia tramandati nei margini dei manoscritti medievali fu lungo e complesso, conoscendo soprattutto fasi di epitomazione e fusione di materiali, iniziate assai presto; su questi problemi cfr. N. G. WitsoN, A Chapter in the History of Scholia, CO) 17,
1967,
pp.
244
sge.:
Ip.
Scoliasti e commentatori,
SCO
33,
1983,
pp.
83 sgg;
ARRIGHETTI, Poeti, eruditi. cıt.: F. MONTANARI, L'erudizione, la filologia, la grammati-
ca, in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, t. 11, Roma
1993, pp. 639 sgg.
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omerici hanno una presenza maggioritaria (qualcosa di analogo si può dire a proposito di P. Mich. inv. 9 = Pack“ 1228, per cui giustamente A. Herinchs, ZPE 13, 1973, p. 30, usa la definizione dubita-
tiva «Episches Glossar»). Fra i lessici alfabetici omerici, 1 casi più emblematici sono quelli dei papiri attribuiti ad Apollonio Sofista, oggi presenti in quantità abbastanza rilevante e degni di nota per il loro rapporto con la tradizione medievale del Lessico omerico”. È già stato rilevato il legame, fatto di coincidenze e osmosi di materiali, che esiste fra le glosse dei lessici omerici alfabetici e quelle presenti nelle raccolte di Scholia minora, per non parlare dei rapporti che queste due categorie intrattengono con gli Scholia D e le Lexeis Homerikai, un tema sul quale torneremo?. Soffermiamoci un momento su queste ultime, un lessico omerico alfabetizzato trasmessoci per intero dalla tradizione medievale con il titolo Λέξεις
Ὁμηρικαὶ (κατὰ στοιχεῖον), che presenta in ordine alfabetico materiale glossografico omerico in parte coincidente, in parte divergente rispetto al corpus degli Scholia D nella tradizione in cui ci € pervenuto: caratteristica che ha indotto a definirlo «quasi alteram recensionem»? dell'elemento glossografico degli Scholia D. Bene, è chiaro che 1 lessici omerici alfabetici testimoniati su papiro valgono nella loro forma come precedenti antichi di questo tipo di lessico omerico alfabetico conservato in manoscritti medievali, nel senso
che, orizzontalmente, i lessici papiracei stanno agli Scholia minora papiracei come le Lexeis Homerikai stanno alle glosse degli Scholia D, contrapponendosi soprattutto sul piano formale per il fatto di seguire in un caso l'ordine alfabetico (paradigmatico), nell'altro l'ordine del testo da interpretare (sintagmatico), ma ammettendo ampiamente (come dicevamo) coincidenze e osmosi di materiali: inu3.
M. W. HasLAM,
The Homer Lexicon of Apollonius Sophista: I. Composition and
Constituents; IT. Identity and Transmission, CPh 89, 1994, pp. 1-45, 107-118. Sui papi-
ri lessicografici in generale cfr. M.
NAouwiDEs, The Fragments of Greek Lexicography
in the Papyri, «Perry Studies», Univ. of Illinois Press, 1969, pp. 181 sgg. 6. Cfr. A. CALDERINI, Commenti «minori» al testo di Omero in documenti egiziani, «Acgyptus» 2, 1921, pp. 303 sgg., partic. 324-326; Henrichs, ZPE 7 cit., pp. 97
sgg., per Apollonio Sofista 110 sgg.; HASLAM, op. cit. 7. L'edizione iniziata da V. De Marco, Scholia minora in Homeri Iliadem. Pars prior: έξεις Ὁμηρικαί codd. Urb. CLVII et Selestadiensis CVII [sic: leg. CV], Fasciculus primus, Romae
1946, si arrestò alla lettera e e non fu mai condotta a termi-
ne. Ai due mss. Urbin. gr. 157 (U) e Selest. 105 (S) se ne deve aggiungere un terzo, Bodl. Ms. gr. class.f. 114 (O): cfr. per questi anche "Perogixai A£écic, ed. pr. by M.
NAOUMIDES, Atene 1975, pp. 14 sg. B. V. De Marco, of. cit., p. VI.
GLI
HOMERICA
SU
PAPIRO
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tile sottolineare che la contrapposizione formale dipende da e testimonia un diverso uso ed una diversa funzionalizzazione. Su queste questioni e sui rapporti fra questi testi torneremo nella parte finale del lavoro. Assai diversa da queste, nel panorama degli Homerica, è la categoria delle cosiddette antologie omeriche: una categoria non numerosa, enucleata e caratterizzata pochi anni or sono da G. Nachtergael, che ha così interpretato alcuni frammenti rimasti in precedenza piuttosto misteriosi”. In tali antologie si trovano riportati brani omerici selezionati e collegati tra loro da parti in prosa, che riassumono le sezioni omesse. Gli stessi testi potrebbero anche essere interpretati come riassunti (anch’essi identificabili come una categoria rappresentata, in molti casi contigua a quella delle parafrasi, vd. sotto) nel corso dei quali sono riportati consistenti gruppi di versi citati letteralmente, prodotti insomma con una intrinseca duplicità di carattere determinata dalla compresenza di questi due elementi. Si possono sollevare dei dubbi sull’opportunità di farne una vera e propria categoria, malgrado il fatto che la connotazione abbia consentito di qualificare nuovi reperti, come è
accaduto per es. a T. Renner perP. Mich. inv. 4832'?. In verità, un recente lavoro di M. E. van Rossum-Steenbeek
(The so-called ‘Ho-
meric Anthologies’, 21. Intern. Papyrologenkongr., Berlino 1995, in stampa negli Atti) ha mostrato tutte le debolezze dei dati su cui si basa la definizione di questa categoria, alla quale forse dovremo rinunciare come tale. Il risultato principale cui tende la mia analisi degli Homerica su papiro è quello di individuare nel modo più preciso possibile quelle categorie di testimoni papiracei che valgono come precedenti antichi del corpus medievale degli Scholia D in Iliadem, per costituire il repertorio dei frammenti papiracei che devono essere inclusi nell'edizione di questi scoli (secondo lo stesso metodo usato da Erbse
per gli Scholia maiora, nell'edizione dei quali sono stati inclusi i frammenti papiracei di hypomnemata iliadici, cfr. sopra). Il corpus degli Scholia D consta, com'é noto, per la maggior parte di due componenti fondamentali: primo, le glosse, cioé spiegazioni di 9. G. NACHTERGAEL, Fragments d'anthologies homériques (P. Strasb. inv. 2374; P. Graec. Vindob. 26740; P. Hamb. II 136), CE 46, 1971, pp. 344 sgg. 10. T. Renner, HSCP cit., pp. 331 sgg.; cfr. anche Ip. in BASP 22, 1985, pp. 273-277 per P. Bryn Maur 8.
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FRANCO
MONTANARI
natura glossografica di singole parole o espressioni del testo omerico, un grosso insieme di Worterklärungen di tipo parafrastico, che segue passo passo il testo poetico, frantumato in lemmi (differenza rispetto alle parafrasi continue bizantine); secondo, un insieme di trattazioni più ampie costituite dalle Aistoriae mitografiche del cosiddetto Mythographus Homericus e da zetemata/[yseis; a tutto questo si
aggiunge una quantità relativamente non grande di annotazioni grammaticali ed esegetiche, la cui provenienza nella tradizione scoliastica deve essere definita; infine, il corpus è caratterizzato co-
stantemente dalla presenza delle Aypotheseis, normalmente in numero di due per ciascun canto, di solito la prima più breve e concisa, la seconda piü lunga e discorsiva!' . Questa delineazione sommaria dovrebbe essere sufficiente per fondare quanto sto per dire a proposito dei precedenti su papiro degli Scholia D. Le ἱστορίαι mitografiche, costituiscono un ben caratterizzato tipo di materiale esegetico trasmesso ormai da un discreto numero di papiri: il cosiddetto Mythographus Homericus!*. Esse si presentano come una successione di lemmi omerici seguiti dal relativo «commento» di argomento mitografico, e da un esame comparato dei
frammenti noti risulta che le caratteristiche assolutamente costanti di questo genere di testi sono sostanzialmente tre: 1) la presenza appunto dei lemmi omerici (evidenziati in qualche modo, talvolta con l'ekthesis) e l'ordinamento secondo la successione dei versi del-
l’Hiade o dell'Odissea, che assicura lo stretto legame di queste raccolte con il testo poetico e ne identifica lo scopo originario e premi-
nente con quello di fornire materiale di «commento» omerico, benché possano aver assunto anche un valore autonomo; 2) l'isolamento specializzato del materiale di natura mitografica, volto a
ll. Sugli Scholia D in Iliadem cfr. H. ERBSE, Scholia Graeca in Homeri Iliadem, vol. I, Berolini 1969, Praefatio p. XI; M. van DER VALK, Researches on the Text and Scholia of the Iliad, Leiden 1963-4, vol. I, pp. 202 sgg.; M. ScHMIDT, Die Erklärungen zum Weltbild Flomers und zur Kultur der Heroenzeit in den b T-Scholien zur Ilias, München
1976, pp. 2 sg.; F. MONTANARI, Studi di filologia omerica antica. I, Pisa 1979, pp. 4 sgg.: da questi studi si può ricavare altra bibliografia. Per la tradizione manoscritta cfr. inoltre A. SCHIMBERG, «Philologus» 49, 1880, pp. 421 sgg., e poi Teil II c III in «Program des Kgl. ev. Gymnasium zu Ratibor» 1891 e 1892; V. DE Marco, «Atti Acc. Naz. Lincei - Memorie Class. Sc. Mor. Stor. Filol.», Ser. VI, vol. IV, fasc. 4, 1932, pp. 371 sgg.; Io., «Atti Acc. d'Italia - Rendiconti Class. Sc.
Mor. Stor.», Ser. VII, Suppl. al vol. II, 1941, pp. 125 sgg. Per i rapporti con i papiri soprattutto A. HENRICHS, ZPE 7 cit., pp. 97 sgg. 12.
Cfr. infra XI.
GLI HOMERICA SU PAPIRO
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spiegare i riferimenti mitologici che si incontrano nel testo omerico e arrangiato nella forma di una serie di più o meno brevi narrationes fra loro indipendenti (graficamente distinte con diversi accorgimenti, come la paragraphos o il semplice andare a capo o altro)'*; 3) di solito la ἱστορία è chiusa da una sottoscrizione, che attribuisce il materiale a un autore, nella forma ἡ ἱστορία παρὰ τῷ δεῖνα (o simi-
li): questa terza caratteristica (un elemento di primaria importanza e con un valore-chiave per l’origine e la storia di queste raccolte) è da considerarsi del tutto distintiva di questo genere di testi di erudizione omerica; la sua presenza non è del tutto costante (come per le prime due), bensi soltanto frequente, ma la sua assenza, nell’assetto in cui i testi ci sono pervenuti, difficilmente potrà essere causata da altro che dal depauperamento del materiale nel corso della tradizione. Per quanto riguarda il materiale mitografico di cui sono costituite le ἱστορίαι, bisogna osservare che non di rado
esso va al di là di quanto sarebbe strettamente richiesto per delucidare il testo e assume uno sviluppo parzialmente indipendente, che mostra un interesse e una ricerca mitografico-eruditi aventi
valore anche per se stessi: tuttavia, questo sviluppo autonomo (assimilabile idealmente per esempio all'accumulo di elementi di erudizione antiquaria e linguistico-grammaticale che si riscontra talvolta negli Aypomnemata e negli scoli) non può essere inteso come una caratteristica che intacchi lo stretto legame di questi prodotti con il testo omerico, bensì precisamente come la testimonianza di una attività erudita e antiquaria consapevole del proprio valore
specifico in quanto raccolta e serbatoio di materiali accumulati intorno a un testo. D'altra parte, anche le sottoscrizioni con l’attribuzione ad un autore, nella loro sostanziale attendibilità di fondo, testimoniano l’origine prima dı questo materiale in un ambito di
erudizione non triviale!*, anche se poi contrazioni, adattamenti, depauperamenti possono averlo trasformato in modo da allontanarlo anche sensibilmente, nella forma pervenuta, dalla fonte ori13.
Solo nella ἱστορία ad A 399 di P. Oxy. 418 (rr. 23 sgg.) si menziona una
variante testuale, che trova corrispondenza sia negli Sch. D che negli Sch. A (Ariston. ad A 400) e 57 (sch. ex. ad A 400): cfr. ErBse, Schol. Iliad. I, p. 114. Il caso €
interessante, perché la variante (che riguarda il v. 400) coinvolge direttamente il mito e la ἱστορία reca una sottoscrizione che la fa risalire a Didimo: un punto da tener presente per il problema dell'origine della raccolta di ἱστορίαι omeriche (cfr. XI). 14. Sul Mythographus Homericus vd. infra XI e F. MONTANARI, The Mythographus Homericus, in Greek Literary Theory after Aristotle. A Collection of Papers in Honour of D.M. Schenkeveld, Amsterdam 1995, pp. 135-172, con la bibliografia.
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FRANCO MONTANARI
ginaria. Proprio riguardo alle sottoscrizioni si possono fare interessanti osservazioni sul rapporto fra le ἱστορίαι dei papiri e quelle degli scoli, sia all’/liade che all'Odissea. Una larga fascia di concordanza salta subito all'occhio, in tutti quei casi in cui la sottoscrizione rinvenuta in un papiro si accorda con quella dello scolio corrispondente (cfr. il caso di PS/ 1173): per riscontro poi è di un
certo interesse rilevare il caso della ἱστορία ad A 263, per la quale la sottoscrizione è assente 518 in P. Oxy. 418 che nello Sch. D corrispondente. Ma anche le divergenze non mancano: P. Oxy. 3003 omette la sottoscrizione della ἱστορία a N 302, che invece si trova nello Sch. D; al contrario P. Hamb. III 199 ci conserva la sottoscri-
zione ad A 38 Τενέδοιο, dove lo Sch. D non ha nulla'”. Un panorama quindi che presenta tutte le possibilità: la concordanza in presenza o in assenza, la maggiore ricchezza o del testo papiraceo o dello scollo medievale, che dipenderà da null'altro se non dalle vicende della trasmissione del materiale erudito, con 1 processi di trasformazione e depauperamento via via subiti. Importante però è osservare che, quando la citazione della fonte è conservata sia nella ἱστορία papiracea che in quella dello scolio corrispondente, le due citazioni concordano: vale a dire che per ora non si € mai verificato il caso di una medesima
ἱστορία attribuita a due fonti
diverse nel papiro e nello scolio. Questo è naturalmente un collegamento molto importante e anche un valido indizio per la buona conservazione nel corpus degli scoli delle sottoscrizioni presenti nel
Mythographus Homericus rappresentato dai papiri'®.
Una analisi dei testi delle ἱστορίαι nei papiri in confronto con quelle degli scoli porta ad un risultato composito e variegato. Che i legami siano stretti, è cosa ormai acquisita, a partire se non altro dalle altre caratteristiche distintive enucleate sopra per 1 testi su papiro, che sono valide anche per gli scoli. Oltre a questo si rileva che la corrispondenza nelle linee generali dell'argomento, condi15.
Diverso ancora € il caso della ἱστορία ad A 264: in P. Oxy. 418 essa non reca
alcuna sottoscrizione, mentre nello Sch. D corrispondente leggiamo: μέμνηται δὲ αὐτοῦ xal ᾿Απολλώνιος ἐν τοῖς ᾿Αργοναυτικοῖς λέγων οὕτως (I 59-63): è un caso
interessante per il problema delle origini, cfr. MontanaRI, The Mythographus cit., pp. 154 sgg. 16. Con questo voglio riferirmi soltanto al fatto che gli scoli, per questo aspetto, sembrano in genere conservare in modo attendibile la loro fonte antica, mantenendo correttamente le sottoscrizioni. Sul problema poi dell'attendibilità in sé delle sottoscrizioni delle ἱστορίαι, vale a dire il grado di fedeltà con cui esse ripro-
ducono la fonte che dichiarano e quindi il loro valore come indicazione di fonte, cfr. MonTANARI, The Mythographus cit.
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zionato anche dal referente omerico, è di regola: molto frequente è quindi la concordanza di materiali, ma con rapporti sensibilmente differenziati. Troviamo infatti una maggiore o minore ricchezza di elementi e di particolari da una parte o dall’altra; talvolta si hanno coincidenze abbastanza strette anche nella lettera dell’esposizione, talaltra la forma € diversa ma il contenuto corre parallelo e riconoscibile; in certi casi larghe sezioni di una ἱστορία in un papiro lacunoso possono essere ricostruite dal confronto con lo scolio, in altri le due redazioni appaiono nettamente divergenti, e dallo scolio si ricava ben poco per ricostruire il testo papiraceo (un esempio infra, XII). Insomma, il confronto fra il Mythographus Homericus rappresentato dai papiri e il corpus di ἱστορίαι mitografiche presente negli scoli mostra un complesso e vario concorso di somiglianze e differenze, per cui si può concluderne che le raccolte di ἱστορίαι su papiro sono certamente il precedente antico dell’analogo materiale presente negli scoli, ma il rapporto non è quello di un legame diretto nella trasmissione: a meno che nuovi ritrovamenti non smentiscano del tutto il quadro attuale (ma sembra improbabile), si dovrà sforzarsi di indagare le forme attraverso cui si determinarono stadi intermedi di trasmissione e di mettere in evidenza il lavoro di rielaborazione che, anche in questo caso, 1 compilatori dei corpora medievali di scoli hanno compiuto sugli esemplari antichi che utilizzavano. Le hypotheseis nei papiri si presentano in forme diverse ma non difficilmente raggruppabili. In primo luogo, dalle Aypotheseis in senso proprio vanno tenuti distinti, onde evitare anche una confusione terminologica, non solo frammenti in cui si trovano più o meno libere rielaborazioni
(retoriche)
di temi omerici, ma anche
testi
costituiti dal riassunto stringato o ampio di un gruppo di versi (esercizio scolastico o retorico di vario livello): in questi 1! rapporto con il testo omerico è assai più puntuale e dettagliato, per cui la versione in prosa che ne risulta è incomparabilmente più estesa e particolareggiata anche della più ampia Aypothesis (senza arrivare alla parafrasi letterale, per cui cfr. infra). In questi casi si potrebbe parlare di rielaborazioni, riassunti o simili: ma poiché la casistica può essere assai differenziata, forse è meglio non cercare una denominazione comune e sforzarsi di essere di volta in volta il più precisi possibile. Diciamo che si può immaginare una scala graduata di vicinanza e lontananza rispetto alla precisa corrispondenza biunivoca col testo poetico, che ha come suoi estremi da una parte ıl conciso sunto del contenuto offerto dalla Aypothesis e dall'altra la
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FRANCO MONTANARI
parafrasi letterale: nel mezzo una gamma assai ampia di possibili decodificazioni del testo omerico, con caratteristiche proprie e differenti. Ben individuate sono invece, per tornare a loro, le vere e proprie Aypotheseis omeriche, che nei testimoni papiracei si trovano normalmente in due generi di testi o 'arrangiamenti'!". Il primo è quello costituito dalla pura raccolta di Aypotheseis, nella quale si trovano radunati i riassunti del contenuto dei canti, che si susse-
guono l'uno all’altro direttamente: ciascuna Aypothesis è individuata da una titolatura costituita dall'indicazione del canto per mezzo della lettera dell’alfabeto, o da sola (come in P. Antin. 69) oppure preceduta dal genitivo dell'articolo femminile, nella forma: (scil. ὑπόϑεσις) τῆς A (scil. δαψῳδίας) (come in P. Mich. 1315, P. Oxy. 574, P. Laur. III 53). Entrambe queste forme di titolo compaiono
anche nelle raccolte di Scholia minora: la prima per es. in P. Amst. 16 (ed. P. J. Sijpesteijn, ZPE 6, 1970, pp. 130 sg.), la seconda per es. in P. Berol. 11634v (G. Pöthke, «Forsch. u. Bericht.» 8, 1967, pp. 105 sgg.) e in P. Colon. 2381 (Henrichs, ZPE 8, 1971, pp. 3 sgg.). Segue di solito il verso iniziale del canto, dopo di che viene il riassunto del contenuto, in qualche caso (per ora riscontrato soltanto in P. Ryl. 23)? introdotto dalla formula περιέχει ὡς. Almeno
testimone, P. Antin. 69, che contiene le Aypotheseis di X-Q mostra che potevano anche essere riunite insieme quelle trambi i poemi omerici; mentre P. Mich. 1315, stando alla ptio a destra della col. II, sembra aver contenuto soltanto
un
e B-y, di ensubscrile hypo-
theseis dei canti A-P'”. Di questo tipo si conoscono a tutt'oggi, salvo errori, sei frammenti, tutti collocati nei secc. II e III. Il secondo
arrangiamento differisce dal primo nella forma generale: si tratta
di raccolte di Scholia minora, in tutto simili alle altre di questo genee (cfr. infra), normalmente disposte secondo l’ordine del testo omerico, nelle quali le glosse di ogni canto sono precedute di volta in volta dalla Aypothesis del canto stesso. Abbiamo tre esemplari di questo genere, due del III sec. (P. Oxy. 3159, P. Oxy. 3160 + P. Strasb. gr. 1401)?° e uno datato III- iv (P Achmim 2)? : le Aypotheseis
17. Per le hypotheseis su papiro cfr. infra VIII-X. 18. Su questo cfr. anche W. Luppe, APF 1980, pp. 33 sgg. 19. Ediz. di A. HENRIcus, ZPE 12, 1973, pp. 23 sgg. 20. Su P. Oxy. 3160 + P. Strasb. gr. 1401 cfr. W. Lurpe, ZPE 27, 1977, pp. 101 sgg. e infra X. 21. Ed.pr. U. WircksN in «Sitz. Berlin. Akad. Wiss.» 1887, pp. 816 sgg.; cfr. U. v. WiLAMOWTITZ, «Hermes» 23, 1888, pp. 142 sgg.; A. Lupwich, Über die Papyrus-
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che vi compaiono sono, prese di per sé, esattamente identiche a quelle delle raccolte suddette, cioè costituite dagli stessi elementi nella stessa forma. Questa unione di Aypotheseis + Scholia minora è comunque estremamente interessante dal punto di vista della storia della tradizione, perché essa costituisce l'esatto precedente della stretta unione fra Aypotheseis e Scholia D che si riscontra nella tradizione manoscritta^^: come accennavamo sopra, infatti, le Ay-
potheseis nei codici sono precipuamente collegate a questo corpus di scoli, per una sua parte erede e continuatore degli Scholia minora, per cui diventa significativo che nell'antichità si trovi il legame hypotheseis + Scholia minora, mentre non si è mai trovato finora un frammento di Aypomnema, o altro genere di prodotto di esegesi omerica, cui si accompagnino le hypotheseis. Oltre a questi due tipi, tuttavia, se ne può registrare un terzo, che 10 stesso credo di aver trovato motivi plausibili per enucleare”: si tratta di un tipo che potrebbe essere battezzato «Aypotheseis isolate», papiri nei quali è stata vergata con ogni probabilità una sola Aypothesis, che compare cosi appunto isolata ed extravagante rispetto a sillogi come quelle descritte in precedenza. Sono testi probabilmente nati da un livello culturale non alto, forse di ambiente scolastico elementare, aventi
comunque un carattere episodico e desultorio, nel senso che non rivelano una lettura completa o ampia ma limitata e parziale, l'attenzione occasionale per l'uno o l'altro canto omerico: un carattere insomma che chiaramente si oppone a quello evidentemente organico e sistematico delle raccolte di cui sopra. E tuttavia, se l'analisi condotta é valida, dobbiamo dire che questi testi, nonostante le evidenti differenze rispetto agli altri due arrangiamenti, intrattengono rapporti testuali sufficientemente stretti con le Aypotheseis dei codici e rapporti analogici sufficientemente caratterizzati con quelle dei papiri, perché si possa rivendicare loro il carattere appunto di hypotheseis e comprenderli in questa categoria (cfr. infra VIII). À questo punto dobbiamo affrontare la categoria piü ricca per la quantità dei reperti, cioè quella degli Scholia minora: trattando i quali subito si aggrega come problema quello delle parafrasi, in primo luogo perché bisogna operare una chiara distinzione concettuale e terminologica, che — per quanto convenzionale possa Commentare zu den Homer. Gedichte, Koningsberg 1902, pp. 2 sg.; nuova ediz. di P. Joucuet in BIFAO 31, 1931, pp. 43 sgg. 22.
Cfr. HenricHS, lo. cit. alla n. 19.
23.
Cfr. infra VIII.
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MONTANARI
essere — permetta una distinzione categoriale comunemente accettata e quindi immediatamente comprensibile?*. L'uso degli studiosi, e dei papirologi in particolare, non è stato in passato e non è neppure oggi coerente: per esempio, termini come «preparazione scolastica», «parafrasi», «glossario» si trovano comunemente usati nel passato e attualmente accanto a «Scholia minora» ad indicare la stessa cosa. Per Scholia minoraintendiamo un arrangiamento che presenti il testo omerico frantumato in una serie di lemmi isolati l'uno dall'altro, costituiti da singole parole o espressioni opportunamente scelte, cui segue una Worterklarung, che può essere anche plurima (per es. μῆνιν; χόλον, ὀργήν, θυμόν) ed alla quale sporadicamente
ed occasionalmente puó accompagnarsi qualche altro elemento esegetico o grammaticale; lemmi e interpretazioni sono ordinati sinotticamente in due serie, per lo più in due colonne parallele e affrontate, oppure in successione continua, con separatori come lo spazio o segni di lettura, senza che ogni lemma inizi per forza un nuovo rigo. Questi testi non possono in alcun modo essere intesi come copie dell’/liade o dell'Odissea, perché, anche quando il testo poetico sia riportato per intero per un certo numero di versi, ció sicuramente non puó mai accadere per lunghi brani e tantomeno in modo sistematico e completo sia pure per un solo canto. Piü raramente può accadere che singole spiegazioni di parole (glossemi) siano scritte nell'interlineo o nel margine di copie dei poemi, in modo desultorio e sporadico: anche queste rientrano nella nostra definizione di Scholia minora (e nel farne un'edizione autonoma, an-
dranno recuperati i lemmi dal testo sottostante e stampati entro parentesi uncinate, con lo stesso procedimento che si usa per i lemmi integrati nell'edizione di scoli). Questi due arrangiamenti hanno in comune il fatto di seguire l’ordine del testo omerico (sintagmatico: il che li contrappone ai lessici, che seguono l'ordine alfabetico / paradigmatico, cfr. sopra) e di presentare l’elemento interpretativo in forma frantumata e isolato in singole spiegazioni di parole (il che li contrappone alle parafrasi). Per parafrasi infatti intendiamo una versione in prosa continua del testo omerico, la cui caratteristica decisiva è la indipendenza formale dal testo, la sua leggibilità come discorso autonomo, dotato di continuità e compiutezza grammaticale e sintattica: una interpretazione quindi che deve procedere in modo del tutto siste-
24.
Alcuni elementi in HENRICHS, ZPE
7, 1971, pp. 100-102,
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i
matico e non può permettersi di frantumare i propri clementi in singole parole o espressioni ne di introdurre spiegazioni plurime e alternative. Essa è comunque ben aderente al testo, fino alla più stretta letteralità: la dettagliata corrispondenza biunivoca che intrattiene con esso € tratto distintivo rispetto al riassunto (cfr. sopra). Le presentazioni possono essere diverse: a volte il testo omerico € assente e il frammento papiraceo presenta la sola versione in prosa” °, altre volte abbiamo l'alternarsi regolare di un rigo cdi testo
poetico e un rigo di parafrasi strettamente corrispondente". Questo genere di prodotu è l antenato formalmente più simile alle parafrasi bizantine, come quella attribuita a Psello edita dal Bekker, quella di Moscopulo, quella di Teodoro Gaza e cosi via“ , mentre è evidente, d'altra parte, che quello che noi intendiamo per Scholia minora costituisce il precedente antico del cospicuo patrimonio di
glosse contenuto nel corpus degli Scholia D. Sarebbe bene per il futuro tenere ben ferma, sia nell edizione di nuovi testi che nella costi-
tuzione di repertori, questa distinzione terminologica e concettuale. Gli Scholia minora e le parafrasi hanno in comune fra di loro e con una terza categona, quella dei lessıcı alfabetici trattati sopra (e non solo con quelli omerici), il materiale di cui sono per la maggior
parte costituiti: sarà risultato dal discorso condotto finora (ma voglamo esplicitarlo più chiaramente) che utilizziamo il termine glosse per indicare nel suo complesso questo materiale di interpretazione letterale e decodificazione linguistico-lessicale del testo omerico, mentre definiamo appunto lessici, Scholia minora, parafrasi gli arrangiamenti o forme in cui esso si presenta: per cui la distinzione terminologica in questo ambito si fonda più sulla forma della presentazione che sul tipo di contenuto. Fra di essi si rilevano concordanze e osmosi di materiali accanto a differenze quantitative e qualitative, che interessano sia diversi testimoni di uno stesso genere, sia testimoni di generi diversi. Ció dimostra che quello che noi abbiamo di glosse omeriche é il resto di un grande insieme fluttuante e variabile di materiale glossografico di prove25. Per es. Bodl. Gr. Inscription 3019 (ed. P. J. Parsons, ZPE 6, 1970, pp. 133 sgg.); P. Erl. 5; P. Köln IV 180; Bodl. Gr. Inscription 3017 (ed. M. HomserTt-Ct.
PR£Aux, «Mélanges Grégoire», Bruxelles 1951, pp. 161 sgg.), che contiene sul recto la parafrasi di A 349-63 e sul verso Sch. min. a A 364-73. 26. P$11176 alterna testo / parafrasi di B 617-670. 27.
Perle parafrasi omeriche cfr. supra VI, Nota bibliografica.
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FRANCO
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nienza sia scolastica che erudita, che si è incanalato
in diverse
forme a seconda delle esigenze cui era chiamato a rispondere. I prodotti trasmessici dai manoscritti medievali, poi, risultano perfettamente consonanti con quelli testimoniati nell'antichità: abbiamo già evidenziato come si possa far corrispondere formalmente ai lessici papiracei le Lexeis Homerikai, agli Scholia minora l’elemento glossografico degli Scholia D, alle parafrasi dei papiri le parafrasi continue bizantine; ed anche fra le Lexets Homerikai, gli Scholia D ele parafrasi bizantine ci sono concordanze e osmosi di materiali accanto a differenze quantitative e qualitative, come accade per i prodotti antichi. È ovvio che, oltre a questi rapporti sincronici, ci sono quelli diacronici, per cui i materiali dei prodotti antichi compaiono largamente distribuiti in quelli medievali: senza però dimenticare che molti materiali possono trovarsi in uno solo dei vari testimoni di tutto il gruppo e non trovare corrispondenze negli altri, dato quell'aspetto magmatico che il materiale glossografico omerico ebbe durante la sua lunga storia. Abbiamo insomma una situazione in cui ognuno dei testi suddetti, portatori di materiale glossografico, puó avere rapporti con ognuno degli altri, direttamente o indirettamente attraverso intermediari. Resta, in conclusione, da riprendere il discorso sui precedenti anti-
chi degli Scholia D: essi andranno identificati nei frammenti di Scholia minora, del Mythographus Homericus e delle hypotheseis, e con questo si deve ritenere chiarito il quadro di ciò che andrà incluso nell’edizione: cfr. infra XIV. Per quanto riguarda gli Scholia minora, i lavori di A. Henrichs?* hanno per gran parte chiarito la problematica relativa alla collocazione, nel panorama storico dell'erudizione omerica antica, di questo tipo di scoli tramandato dai papiri. In seguito L. M. Raffaelli ha studiato sistematicamente i frammenti conosciuti ed ha pubblicato nel 1984 un repertorio dei frammenti relativi all’/liade e all'Odissea, che vale come riferimento per questa categoria di testi??, Vi si trovano elencati 59 papiri per l’/liade e 10 per l'Odissea. Dei 59 papiri dell’/liade, tre sono indicati come dubbi: sono i nrr. 029, 032,
052. Il nr. 032 è un papiro di Vienna menzionato alla fine del
28. ZPE 7,1971, pp. 97-149, 229-260; ZPE 8, 1971, pp. 1-12; ZPE 12, 1973, pp. 17-43. 29. Repertorio dei papiri contenenti Scholia minora in Homerum, in «Ricerche di Filologia classica» II, Pisa 1984, pp. 139 sgg.
GLI HOMERICA SU PAPIRO
83
secolo scorso e oggi introvabile, quindi da considerarsi perduto; il nr. 052 è una tavoletta berlinese inedita; il nr. 029 è l’inedito fram-
mento P. Berol. 9960, la cui caratterizzazione rimane dubbia (cfr. Erbse, Sch. 7I. vol. VII, Addenda, p. 266). Trascorso poco più di un decennio, l’incremento di almeno una decina di testi ha convinto
l'autrice a preparare una nuova edizione del repertorio, aggiornata naturalmente anche nei riferimenti bibliografici, che é in corso di stampa. Questo significa che attualmente abbiamo di fronte circa una settantina di frammenti di Scholia minora all' Iliade, senza conta-
re quelli (sicuramente numeros!) che giacciono inediti nelle collezioni papirologiche. Per le hypotheseis, se il censimento che ho fatto è completo, abbiamo a disposizione 8 frammenti per l'/liade e 4 per l'Odissea (contando due volte P. Antin. 69, che è l'unico a presentare insieme parti relative a entrambi i poemi). Notiamo che in due casi per l’/liade e uno per l'Odissea si tratta di testimoni che presentano gli Scholia minora preceduti da Aypotheseis e quindi compresi anche nel repertorio degli Scholia minora medesimi: sono rispettivamente P. Achmim 2 = 003 Raff., P. Oxy. 3159 = 041 Raff; P. Oxy. 3160 + P. Strasb. 1401 = 003 Raff., su cui cfr. infra X). L'arco cronologico interessato è quello dei secc. II-IV d.C. Per quanto riguarda il Mythographus Homericus, posso rimandare a infra XI e al mio recente lavoro complessivo citato sopra alla n. 14: nel repertorio che vi si trova, sono elencati 8 frammenti per l'Iliade e 2 per l'Odissea, che rappresentano quanto mi è noto fino ad ora del MH su papiro. La parte relativa all’/liade di tutto questo insieme di frammenti papiracei é, allo stato attuale, ció che delinea il quadro dei precedenti antichi del corpus degli Scholia D in Hiadem e che dunque sarà incluso nell edizione. Si tratta di quasi novanta testimoni, che inte-
ressano un arco cronologico dal I al VII sec. d.C. Analisi approfondite su tutti i testi permetteranno forse di capire se nel loro insieme essi offriranno indizi, oltre che per la storia della formazione, anche per la data di composizione degli Scholia D, per la qualità e quantità del materiale utilizzato dal compilatore. Un aspetto importante è costituito dalla data di compilazione del Mythographus Homericus, dalle sue caratteristiche e dalla possibilità di analizzare tappe di epitomazione e di accrescimento, nonché le trasformazioni che esso ha subito al momento di essere utilizzato per il corpus degli Scholia D (su questo cfr. infra XI). In questo quadro, inoltre, un elemento di grande interesse per la continuità della sua presenza è quello glossografico. Noto fin dal V
84
FRANCO MONTANARI
sec. a.C., presente in modo massiccio non solo negli Scholia D omerici, ma anche in molti altri testi eruditi come, privilegiatamente, i
lessici e gli etimologici, presenta nei papiri una diffusione così ampia e soprattutto maggioritaria, che non può non colpire come fenomeno interposto fra quegli antichissimi progenitori, vivi quando la filologia scientifica e professionale non era ancora nata, e la diffusione nei manoscritti di età bizantina. Ma se l'elemento glossografico isolato noi lo troviamo testimoniato, nei frammenti di Scholia minora su papiro, a partire dal I sec. d.C., è ben vero che ne troviamo traccia per esempio (lo aveva già sottolineato V. De Marco: Scholia minora in Homeri Iliadem. Pars prior: Lexeis Homerikai, fasc. I, Roma 1946, pp. X XX sgg.) anche in importanti Aypomnemata come P. Oxy. 1086 e P. Oxy. 1087, che risalgono al I sec. a.C., come pure nel grosso frammento di Aypomnema restituito da P. Oxy. 221, che è del II sec. d.C. Dunque il frammischiamento di materiale glossografico-parafrastico con materiale critico-esegeticofilologico di varia natura é testimoniato negli hypomnemata sia in epoca precedente che contemporaneamente alla massiccia presenza di frammenti di Scholia minora a sé stanti. Questo non puó non ricordarci, tra l'altro, che il metodo parafrastico si trova presente anche nell'esegesi alessandrina e persino in Aristarco, per cui il collegamento troppo unilaterale, che spesso viene fatto, degli Scholia minora con l'ambito scolastico e magari il basso livello, dovrà essere valutato caso per caso con molta cautela. E mi sento anzi di sostenere che in questo patrimonio sono contenuti elementi che provengono dalla lessicografia erudita di più alto livello e che a quest'ambito si riconnettono. È anche a questo proposito che diventa di estrema importanza e di grande interesse la testimonianza offerta dall’antichissimo commento all’Odissea restituito dal già ricordato papiro di Lille del II sec. a.C., con il suo insieme di materiale esegetico e parafrastico: un testo erudito, come dicevamo, scritto forse prima della nascita di Aristarco e certo quando era attivo Aristofane di Bisanzio, cioè molto presto rispetto all’epoca di maggiore diffusione della pratica di scrivere grandi Aypomnemata. L'analisi puntuale del commento di Lille da un simile punto di vista (che qui purtroppo non possiamo fare) offrirà materia per considerazioni storiche interessanti sui materiali esegetici della filologia omerica antica. L'antichità dell'elemento e della pratica glossografica sono assodati: l'antichità dei problemi ideologici e interpretativi posti dal contenuto mitografico dei poemi omerici lo è altrettanto, e il Mythographus Homericus non può considerarsi al di fuori di questa stra-
GLI HOMERICA SU PAPIRO
85
da. Dunque, il corpus degli Scholia D coinvolge 1 due ambiti problematici e le due forme più antiche di lettura e di spiegazione del testo omerico, anteriori di per sé alle modalità della filologia di età ellenistica, continuati e sviluppati insieme ad essa e contemporaneamente: poi, dopo che in età tardo-antica o proto-medievale fu compilato il corpus degli Scholia D, questi contenuti furono diffusissimi nei manoscritti dell’età medievale e poi nella cultura rinascimentale; messi relativamente in ombra quando Villoison scoprì gli scoli A e B, che diedero materia ai celebri Prolegomena del Wolf,
sono oggi al centro di un rinnovato interesse, che è un nuovo capitolo di quella lunga storia e pretende ormai una vera edizione critica.
VIII P. PIS. | E P. BONON. 6: HYPOTHESEIS DELL’ILIADE Le vere e proprie Aypotheseis dei canti omerici tramandate in fram-
menti papiracei,
o comunque su testimoni anteriori ai codici del-
l'età medievale, si trovano normalmente in due generi di testi o ‘arrangiamenti’: 1. la pura raccolta di Aypotkeseis, in cui i riassunti del contenuto dei canti si susseguono l’uno all’altro direttamente, individuati dall’indicazione del «numero» del canto per mezzo della lettera alfabetica e talvolta anche dalla presenza del verso iniziale; 2. talune raccolte di scholia minora, nelle quali gli scoli, di natura
glossografica e disposti secondo l’ordine del testo omerico, compaiono preceduti di volta in volta dall’Aypothesis del canto oggetto delle interpretazioni (una unione che costituisce l’esatto precedente del collegamento fra Scholia D all’Iliade e hypotheseis nella tradizione dei codici medievali). Dalle vere e proprie Aypotheseis vanno tenuti distinti nel modo piü accurato possibile, anche per chiarezza terminologica, non solo frammenti in cui si trovino più o meno libere e/o autonome rielaborazioni di temi omerici, ma anche testi che costituiscano piuttosto il riassunto o addirittura la parafrasi di un gruppo di versi dei poemi (esercizio scolastico o retorico) e nei quali la relazione con il testo poetico è assai più stretta e puntuale
(per cui il testo in prosa che ne risulta sarebbe, per un intero canto, incomparabilmente più esteso della più ampia delle hypotheseis)'. Abbiamo rammentato le forme tradizionali comuni delle Aypotheseis: resta tuttavia qualche testimone che appare di collocazione problematica entro il panorama delineato. Si tratta di testi recanti esposizioni di contenuti omerici, che intrattengono con le Aypotheseis un legame troppo stretto perché lo si possa trascurare o minimizzare, ma d’altra parte tutto fa pensare e porta a ritenere che non rientrino né nel tipo «raccolta di hypotheseis» né in quello «Aypotheseis + scholia minora», ma abbiano piuttosto un carattere, diciamo così, episodico e desultorio, che si oppone al carattere evidentemente sistematico degli altri due arrangiamenti. P. Pis. 1 è un frammento papiraceo di provenienza ignota, mutilo in alto e a sinistra, recante su una faccia, scritto secondo le fibre, l.
Cfr. supra VII.
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FRANCO
MONTANARI
un testo documentario databile alla fine del VI sec.; sull’altra fac-
cia, pure scritti secondo le fibre, cinque righi di un testo assegnabile anche su base paleografica al VI sec. e definito dall’editore «Riassunto di Omero, Iliade III»*. Una ricognizione dell'originale restaurato ha permesso di recuperare qualche lettera in più rispetto a quanto era già stato resto noto. Questa la trascrizione: Ι
3 5
]...κοιμᾶτί[αι 'Alvau£u[vov δ]ὲ διὰ xov)
ὄρ]κων [....(.)] Ἑλεϊν-
ἀπαιτεῖ .[ ᾿Α]λεξάνδρου καὶ Μενελάου μονομαχία(ν)
3. .[ sembra più probabilmente il resto di una o piuttosto che di una a. 4. Dopo ἀπαιτεῖ c'è forse un segno + che indica fine del testo.
Il confrontoè stato indicato (apud ed. pr.) da H. Erbse con la hypothesis II diT tramandata con il corpus degli Scholia D: ampliamo qui il confronto, rispetto all'ed. pr., soprattutto a beneficio del r. 1 del papiro. .. μαχεσαμένων δὲ αὐτῶν (scil. Alessandro e Menelao), xai ἡττηϑέντα ᾿Αλέξανδρον ἐξαρπάσασα ᾿Αφροδίτη, eis τὸν θάλαμον ἄγει, xal μικρὸν
ὕστερον καὶ τὴν Ἑλένην. ἡ δὲ ἀνανδρίαν ὀνειδίξει τῷ ᾿Αλεξάνδρῳ καὶ οἱ μὲν ἐπὶ τὴν κοίτην τρέπονται. ᾿Αγαμέμνων δὲ κατὰ τοὺς ὅρκους ἀπαιτεῖ τὴν Ελένην καὶ τὰ ἅμα αὐτῇ ἁρπαγέντα χρήματα’ σὺν αὐτῇ δὲ καὶ τὴν ὑπὲρ τοῦ ἀδικήματος τιμωρίαν.
L'espressione ol μὲν ἐπὶ τὴν κοίτην τρέπονται dell’Aypothesis suggerisce che nel r. 1 del papiro cı sı riferisca all’andare a letto di Paride ed Elena dopo l'infausta conclusione del duello con Menelao”. Pensiamo quindi ad una forma di κοιμάω, avente per soggetto e per complemento alternativamente o Elena o Paride: χοιμᾶτί[αι, o
2. Ed. pr. di M. Latta: in Nuovi papiri letterari fiorentini, present. al ANI Papyr. Kongr. Marburg 1971, a cura di A. CARLINI, Pisa 1971, pp. 27 sg.; edizione ripetuta da A. Carini
in AA.VV.,
Papiri letterari greci, Pisa
1978, pp.
163 sgg., da cui
citiamo in questa sede. Il frammento è di proprietà di A. Carlini e custodito presso di lui: lo ringrazio per avermi permesso di esaminare direttamente l'originale. 3. Cfr. hypoth. I ἡττηθέντα δὲ ᾿Αλέξανδρον ᾿Αφροδίτη ἁρπάξει xal εἰς τὸν ἴδιον ϑάλαμον ἀπαγαγοῦσα μετακαλεῖται ἀπὸ τοῦ τείχους τὴν ᾿Ἐλένην. ol δὲ συνομιλήσαντες εἰς ὕπνον τρέπονται.
P. PIS. 1 E P. BONON. 6: HYPOTHESEIS DELL’ILIADE
89
forse meglio ancora ]ovyxowpàt[ar τῇ "EA&vp], con cui si completerebbe il rigo anche a destra. AI r. 2 il calcolo dello spazio permette di stabilire praticamente con
certezza che non c'era altro che ᾿ΑἸ]γαμέμξνων δ]ὲ: la traccia
prima di διὰ infatti si concilia benissimo con £. Nei resti che seguono fino al r. 4 è evidente che si parla della richiesta da parte di Agamennone ai Troiani di tener fede ai giuramenti e restituire Elena ed ? suoi beni, come si legge nell'Aypothesis riportata sopra. Alla fine del r. 3 sembra che ci sia il nome di Elena, che potrebbe essere all'accusativo come oggetto di ἀπαιτεῖ, vale a dire τὴν] Ἑλένην / ἀ]παιτεῖ. Però la lettera che appare dopo ógxov crea difficoltà al momento per me insolubili. Mentre in un primo tempo avevo considerato praticamente certo che si trattasse di una a ed avevo di conseguenza tentato qualche ricostruzione*, ora dopo una nuova verifica autoptica mi sembra più probabile una o. Cosa si nasconde allora in lacuna: un aggettivo concordato con ὅρκων, una forma verbale coordinata con ἀπαιτεῖ o un participio concordato con ᾿Αγαμέμνων, forse una forma di ὄμνυμι sulla base del nesso ὄρκον ὀμόσαι
A questo si aggiunga che il resto di scrittura dopo ἀπαιτεῖ mi sembra ora piuttosto una crocetta o simile ad indicare la fine del testo, piuttosto che il resto di una lettera: questo riduce le possibilità di integrazione e allo stato attuale non so fare altri progressi. Fra iir.4eilr. 5 ὁ lasciato spazio bianco corrispondente ad un rigo, cioè abbiamo un interlineo doppio, forse con lo scopo di isolare e mettere in rilievo la successiva ἐπιγραφή, che troviamo ben
testimoniata in questa forma e in altre simili nei manoscritti medievali dell’/liade (cfr. Allen, appar. ad Γ in.). Per quale ragione poi nel nostro papiro l’Erıypagr) sia messa all'accusativo, resta un
problema. La proposta di spiegarlo con la dipendenza da una preposizione come μετὰ τὴν oppure διὰ τὴν (apud ed. pr.) è in sé certamente plausibile, ma sı scontra con due difficoltà: in primo luogo, se preposizione + articolo devono trovar posto nella seconda parte del r. 4, questo deve trovare un accordo con le suddette difficoltà di ricostruzione della struttura del discorso nei rr. 3-4; in secondo
luogo la volontà di isolare 1᾿ἐπιγραφή, indicata dal doppio interli-
4,
Cfr. Anagennesis 2, 1982, p. 276. Proponevo come mera possibilità &[pa τῇ]
"EXé[vm / ἀ)παιτεῖ κ[αὶ xà χρήματα (sulla base di un confronto con l'Aypothesis II e
anche con hypothesis I): ma questa sembra esclusa anche da quanto si dice dopo a proposito del segno che segue ἀπαιτεῖ.
Qo
FRANCO
MONTANARI
neo, mal si concilia con l'accorparla al contesto del riassunto del canto per mezzo di un legame sintattico cosi stretto (si consideri anche quanto detto sopra a proposito del segno di fine testo dopo ἀπαιτεῖ). Un'altra spiegazione, sempre ipotetica, potrebbe consistere nel pensare l'accusativo dipendente da un τὸ Γ περιέχει o simile (cfr. Allen, loc. cit., sulla base di Sch. Dionys. Thrac. 28, 17
sgg. Hilgard, GG I 3), che però non si può dire se e dove fosse scritto materialmente. Il rigo contenente 1᾿ ἐπιγραψή sporge sensibilmente a destra rispetto agli altri (come si vede anche dalla trascrizione), e non sarebbe impossibile pensare ad un’analoga sporgenza verso sinistra, cioé una sistemazione un po’ rozzamente extra margine dell’&rıypagr) con io scopo di evidenziarla. Che si resti
nel campo delle ipotesi, è evidente: in fondo, viene la tentazione di considerare come non impossibile che la forma povopayia(v), dove la desinenza dell’accusativo è ottenuta con un semplice trattino di
abbreviazione (come quello del genitivo del r. 2), sia un mero errore da emendare. Concludendo
questo
esame
puntuale
degli
scarsissimi
resti,
sembra di poter dire con certezza che, nonostante i dubbi sull’esatta ricostruzione della dizione, il contenuto del testo risulta com-
prensibile in tutti gli elementi e perfettamente caratterizzabile. La definizione del nostro frammento come «Riassunto di Omero, Iliade
III» appare quindi del tutto corretta, ed altrettanto corretta € la relazione istituita con ['Aypothesis II di tale canto, legame che le nostre osservazioni hanno anzi, se non ci inganniamo, consolidato
(ricordiamo che le Aypotheseis papiracee non coincidono mai perfettamente e verbalmente con quelle dei codici medievali, dai quali anzi non di rado si discostano decisamente?). Bisognerà tuttavia fare un passo avanti e precisare esplicitamente che si tratta di un frammento di una Aypothesis di T, corredato anche della ἐπιγραφή. Altro elemento
di cui tener conto è il fatto, ben individuato fin
dall’ed. pr., che «molto probabilmente lo di papiro: si spiega così agevolmente che rio dell’altra faccia... sia stato scritto nel Dunque, abbiamo certamente a che fare
scriba utilizzò un foglietto anche il testo documentasenso delle fibre» (p. 163). con un testo che di per sé
è esattamente dello stesso genere delle altre Aypotheseis papiracee,
ma € una Aypothesis che compare isolata e certamente non appartiene né ad una raccolta di Aypotheseis né ad un volume recante l’unio-
ne di Aybotheseis + scholia minora.
5.
Cfr A. HenricHs,
ZPE
12, 1973. p. 25.
P. PIS. | E P. BONON. 6: HYPOTHESEIS DELL'ILIADE
91
Il secondo caso che vogliamo esaminare è fornito da P. Bonon. 6 (inv. 10a, oggi n° 122820 della Biblioteca Universitaria di Bolo-
gna), «frammento di manuale scolastico con riassunto dell'Iliade»?. Nella
faccia in cui la scrittura corre parallela alle fibre (l'altra faccia € bianca) rimane una colonna di scrittura, mutila nella parte superiore, probabilmente completa in basso (cfr. nn. al testo). Lo scriba ha tracciato delle righe verticali assai grossolane, che gli Servissero da guida per l'impaginazione della colonna di testo', ma non sempre é riuscito a rispettare il limite di destra, che viene superato ai rr. 7, 8, 10. Una nuova ricognizione autoptica del testo presso la
B.U. di Bologna (che ringrazio per la cortese collaborazione) ha permesso di precisare qualche punto della trascrizione, soprattutto nei righi iniziali. ]
n]. xo. C). (.)
ἀπο]πεμπτεὶς ὑπὸ
3 ἢ 7
9 ll
Γτίοῦ Afyauéuvovoc
εὔξατο τῷ ᾿Απόλλω νι δετιμωρήησειν τεαυτω. ὁ δὲ ϑεὸς ἐπακούσας Mow]òv ἐπέσκηψεν τοῖς
'Ayxavic ὑφ' οὗ κα κούμενοι κατέφυ γγον εἰς τὸν μάν / [tv Κάλχαντα
1. Prima di xa può esserci forse € oppure o; dopo xa forse u: non si leggere xata, come si trova nell’ed. pr. 2. leg. ἀποπεμφϑεὶς. La trascrizione nell'ed. pr. è fuorviante: me sono ticamente sicuri benché incompleti, ma rimaneva certamente ancora zio all’inizio del rigo, il cui calcolo rende difficilmente dubitabile la struzione.
può prasparico-
4. leg. ηὔξατο.
Il. Il testo doveva continuare in una colonna successiva: minime tracce visibili sotto l'ultimo rgo conservato non sono certamente di scrittura.
6.
Papyri Bononienses (P. Bonon.), 1 (1-50), ed. di O. MonteveccHI, Milano 1953,
pp. 28 sg. (considero questa come l'ed. pr., anche se in realtà il frammento era già stato preso in considerazione nella Prima ricognizione, Aegyptus 27, 1947, p. 173);
per la caratterizzazione cfr. anche R. MerkELBACH, APF 16, 1956-58, p. 121 «... offenbar eine Schularbeit». 7. Per quesu problemi di «preparazione» del foglio alla scrittura cfr. E. G. TurNER, Greek Mss. of the Ancient World, Oxford 1971, pp. 5 sg. (e ibid. nr. 4); In., Greek
Papyri, Oxford 19807, pp. 14, 89 (trad. it. Roma 1984, pp. 34, 108 sg.).
Q2
FRANCO
MONTANARI
Questo frammento papiraceo ci sembra debba essere confrontato con l'Aypothesis del canto A tramandata con gli Scholia D nei manoscritti: il confronto porta elementi significativi per caratterizzare il nostro
testo.
Χρύσης ἱερεὺς ᾿Απόλλωνος παραγίνεται ἐπὶ τὸν ναύσταϑμον τῶν Ἑλλήνων, βουλόμενος λυτρώσασθαι τὴν ϑυγατέρα αὐτοῦ Χρυσηίδα“ οὐκ ἀπολαβὼν δέ, ἀλλὰ καὶ μεϑ᾽ ὕβρεως ἀποδιωχϑεὶς ὑπὸ ᾿Αγαμέμνονος, ηὔξατο τῷ ᾿Απόλλωνι κατὰ τῶν ᾿Ἑλλήνων. λοιμοῦ δὲ γενομένου καὶ πολλῶν, ὡς εἰκός, διαφϑειρομένων, ἐχκλησίαν ᾿Αχιλλεὺς συνήγαγε. Κάλχαντος δὲ διασαφήσαντος τὴν ἀληθῆ αἰτίαν κτλ.
AI r. 2, invece del più comune ἀποδιωχϑείς, abbiamo la variante ἀποπεμφϑείς (la ricostruzione deve considerarsi praticamente sicu-
ra, cfr. n. al testo), che comunque ha un parallelo in un codice®. Cosa venisse prima è difficile dire, e non riesco a ricostruire il testo preciso: comunque, il confronto mostra chiaramente che doveva essere espresso il concetto per cui Crise, evidente soggetto della frase, non ottenne la restituzione della figlia, in modo che il giro di
pensiero fosse pressappoco del tipo: «Crise, non avendola ottenuta (oppure: non essendo stato esaudito). scacciato da Agamennone, prego Apollo...»*. Ai rr. 5-6 δετιμωρησειντεαυτω fa difficoltà e na-
sconde sicuramente qualche errore materiale: nell'ed. pr. si proponeva δ᾽ ἐτιμωρησὲέν te αὐτῷ. che pare assai poco convincente perché crea in verità una sintassi piuttosto stravagante anche per un testo di questo livello: meglio allora l'emendamento proposto da Merkelbach (upud ed. pr.). cioè {de} τιμωρήσε« τῶν (1) ἑαυτῷ. anche se non si può giurare che fosse proprio quello che lo scolaro voleva scrivere. In ogni caso, benché la ricostruzione dell'esatto dettato resti in dubbio, il significato del passo è insomma chiaro, e com&
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P. PIS.
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6: HYPOTHESEIS
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sponde, ampliando con maggiore precisione di dettaglio, al nem plice κατὰ τῶν Ἑλλήνων della Aypothssis dei codici. Segue il resoconto della risposta del dio Apollo alla pregliera di
Crise. Al r. 8 l’uso di ἐπισκήπτω con valore transitivo può circare qualche perplessità, dato che in questo senso è più comune usato
intransitivamente!®: tuttavia ἐπισκήπτω ammette anche un uno transitivo (come anche il semplice ufrtw)'', per cui il texto può essere salvato senza pensare ad un vero e proprio uno erroneo da parte dell'estensore (uso che comunque rimane degno di nota). Gl ultimi righi rimasti fanno riferimento all'infuriare della pestilenza nel campo acheo ed al conseguente ricorso all'indovino Calc ante per conoscerne la causa. Differente l'arrangiamento del rianmunto nella corrispondente sezione dell'Aypothesis dei codici: non ni puo dire che il testo di P. Bonon. 6 sia nettamente più stringato per gli elementi che contiene, mentre si può osservare che, rispetto a (quel lo dei codici, omette di menzionare il particolare per cui V'ussein blea viene convocata da Achille (cfr. A 54). Anche in questo caso, ad ogni modo, sembra difficile dubitare
che si abbia a che fare con un frammento di una vera e propitia hypothesis papiracea del canto A dell'Iliade: una hypothesi ἐπἡ δι mente diversa da quella del famoso P. Achmim 2 > Pack’ 11%
(rispettando la finora non contraddetta norma secondo cui, per do stesso canto omerico. su tesumoni papiracei diversi abbiano hype theseis diverse. cioe che non
si € ancora
trovata la stessa
ent
a
hypothesis tesumoniata due volte, su due frammenti papuraeei diver si) ed invece un po piu vicina, almeno nella parte che ap & conser vata, a quella contenuta nei codici medieali "ar ınanza anne
sempre relativa. ci. sagro. A streco rare. € χα τ."
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FRANCO MONTANARI
no e la presentazione indicano un prodotto di carattere assai differente da quelli suddetti, certo di livello abbastanza basso, molto probabilmente un lavoro scolastico!*. A ciò si aggiunge il piccolo formato del foglio, ed ıl confronto assai pertinente con P$7 19, altro testo scolastico, in cui si trova un catechismo omerico, che ricom-
pare ancora nel P. /FAO 320 insieme ad una esposizione degli antefatti dell’//iade e a nozioni di grammatica elementare!?. Non credo si debbano avere dubbi, tutto considerato, nell'escludere che
si tratti di un frammento di una raccolta di Aypotheseis o di Aypotheseis + scholia minora: d'altra parte, il carattere di hypothesis di A non puó essere, ci pare, messo in dubbio, per cui risulta troppo generico € impreciso caratterizzare il frammento come «riassunto dell’Iliade», ma si dovrà parlare senz'altro di «Aypothesis di Iliade V». Dunque, anche nel caso di P. Bonon. 6 abbiamo una Aypothesis papiracea di un canto omerico presumibilmente isolata e comunque trasmessa In un arrangiamento diverso dai due tipi più comuni. E tuttavia sia l'Aypothesis di P. Bonon. 6 che quella di P. Pis. 1 — perché ai due frammenti abbiamo inteso rivendicare questo preciso carattere — intrattengono con le Aypotheseis dei manoscritti medievali rapporti sufficientemente stretti per mostrare che esse non rappresentano il prodotto isolato e casuale di un individuo in un momento senza legami, ma rientrano in qualche modo in una linea tradizionale fornita di relazioni e anelli. Se il nostro risultato € valido, a fianco dei due tipi tradizionali più comuni, nel panorama delle Aypotheseis omeriche su papiro andrà considerato anche il tipo che abbiamo più o meno evidenziato, anche se non è facile definirlo così chiaramente come gli altri due. Avevamo parlato all’inizio di carattere episodico e desultorio di queste Aypotheseis, volendo individuare come loro denominatore comune il fatto di comparire autonome ed extravaganti rispetto a raccolte come quelle a cui si ὃ più volte fatto riferimento, ed insomma la mancanza di quella organica sistematicità che in modi differenti ma simili caratterizza sia la raccolta di Aypotheseis sia l'insieme di Aypotheseis + scholia minora. Tale differenza, almeno allo stato attuale della documentazio-
ne, sembra avere come suo elemento anche quello di una differenza di livello: anche se neppure gli altri due tipi, infatti, appartengo-
12.
Cfr. l'introduzione nell'ed. pr. cit. e qui n. 6.
13.
Edd. prr.: PSI vol. I, Firenze 1912, nr. 19, pp. 42 sgg.; J. ScHwARTZ, Étud.
Papyrol. 7, 1948, pp. 93 sgg.; vd. F. MonTANARI, Studi di filologia omerica antica. I, Pisa 1979, pp. 57 sgg.
P. PIS. I E P. BONON.
6: HYPOTHESEIS
DELL’ ILIADE
(9,
no ai più elevati prodotti dell'attività esegetica filologico-erudita, quello per ora rappresentato da P. Pis. | e P. Bonon. 6 sembra situarsi ad un livello culturale ancora piü basso, nettamente scolastico-clementare.
IX P. OXY. 574 VERSO RICONSIDERATO: FRAMMENTO DI AYPOTHESEIS DELL’ILIADE Il P. Oxy 574 è un piccolo frammento di rotolo di cm. 13 X 3,8, che
per la prima volta fu reso noto piuttosto sommariamente nella sezione «Descriptions» del vol. III dei P. Oxy. (Londra 1903, p. 279). Il recto presenta un testo documentario: resti di una lista di pagamenti di tasse ed altro. Invece sul verso (Pack? 1193), assegnato al II sec., si trova, secondo l'ed. pr., «an extract from a narrative of
the preservation of Eurypylos by Patroclos (cf. Il. xi. 575 sgg.)». Si tratta di cinque righi di scrittura non formale: mancano del tutto spiriti e accenti; lo iofa muto è omesso. Per il numero degli errori grafici in piccola estensione, il testo può dirsi non accurato: una correzione interlineare della stessa mano compare al r. 2. La striscia di spazio bianco che costituisce il margine superiore mostra
che sono conservati 1 primi righi di una colonna. Vi si legge quanto segue: margine ] 3
9
Πάτροκλον μαϑησόμενον τίς ein: ὁ δὲ ἐπιγνοὺς καὶ ἀπολυόμενος τῆς παρατάξεως, Εὐρυπύλῳ συναντᾷ, ὃν καὶ ὧς ἐκ τῆς πληγῆς ἔχοντα ἀπαγαγὼν εἰς τὴν ἐκείνου σκηνὴν ἰᾶται.
τῆς di
l. «᾿Αχιλλεὺς πέμπει vel διαπέμπεται;» nella col. prec.: cfr. infra.
1-2. Dapprima aveva scritto emu|xvwc, poi la stessa mano è intervenuta a correggere il x con un y posto nell’interlineo, ripristinando solo in parte la grafia esatta. 3. La lettura KAIQC è sicura. Merkelbach preferisce congetturare κακῶς.
3. EXOYtOG pap. 4. εἰαται pap.
Pur nella sua esiguità, il nostro testo può forse essere caratterizzato con maggiore precisione. Il riferimento al canto A dell’/liade non può ovviamente essere messo in dubbio, ma confronti illuminanti si trovano precisamente con le Aypotheseis di tale canto tramandate nei codici omerici. Come è noto, per ogni canto iliadico sono normalmente tramandate due Aypotheseis, sensibilmente differenti per
o
FRANCO
MONTANARI
quanto riguarda lo stile e l'estensione: una Aypothesis ἰ più breve e concisa, una Aypothesis 1I più lunga e diffusa e discorsiva!. Il canto A dell'/liade presenta una situazione abbastanza abnorme per quanto riguarda la I Aypothesis: di essa si trovano infatti nei codici ben tre redazioni, che coincidono fino ad un certo punto e poi divergono notevolmente nella seconda parte (una di esse risulta da una fusione della I con la II operata in un preciso punto di sutura). E questo oltre al fatto, da non trascurare nel sottolineare la particolarità del caso, che essa sfugge in maniera sensibile a quella tendenza alla brevità e concisione che € propria della I Aypothesis, almeno di norma. Riportiamo i testi delle due Aypotheseis, come sono stati costituiti con un nuovo e più ampio esame della docu-
mentazione manoscritta”. Hypothesis I
10
'Ayaufuvov αὐτός TE ὁπλισάμενος xai τοὺς ἄλλους καϑοπλίσας Ἕλληνας, ἐξάγει ἐπὶ τὸν πόλεμον. Ἕκτωρ δέ, Διὸς κελεύσαντος, ἀναχωρεῖ τῆς μάχης, ἕως ᾿Αγαμέμνων ἐπὶ τὸν ναύσταϑμον διασώζεται. μετὰ ταῦτα Ὀδυσσεύς, κυκλωσαμένων αὐτὸν τῶν Τρώων, ἀμύνεται αὐτούς, Αἴαντος καὶ Μενελάου βοηϑησάντων αὐτῷ. τιτρώσκονται μέντοι τῶν Ελλήνων οἱ ἄριστοι, ᾿Αγαμέμνων μὲν ὑπὸ Κόωνος, Ὀδυσσεὺς δὲ ὑπὸ Σώκου ὑπὸ δὲ ᾿Αλεξάνδρου τοξεύονται Διομήδης καὶ Εὐρύπυλος xai Μαχάων, ὃν ἐπανιόντα ἐκ τοῦ πολέμου σὺν Νέστορι ϑεασάμενος ᾿Αχιλλεὺς διαπέμπεται Πάτροκλον (CHRVV?V*V!?P!! Li Eust Ba Bk) b
a
töendiwa
βοήϑειαν
αὐ-
τοῖς ἐπιτρέψαι. ἐντεῦϑεν ὁ
Πάτροκλος συναντᾷ Εὐρυπύλῳ τετρωμένῳ καὶ ἰᾶται 15
20
αὐτόν.
CHRVV®V!®P'Li
μαϑησόμενον
τίς
εἴη
ὁ
τετρωμένος. ἀφιχομένῳ δὲ αὐτῷ, Νέστωρ τὰ τῶν 'EX-
C μαϑησόμενον τίς εἴη ὁ teτρωμένος. ὁ δὲ ἀφικόμενος
καὶ μαϑὼν Μαχάονα εἶναι παρὰ
τοῦ
Νέστορος
προ-
λήνων ὀδύρεται πταίσμαta καὶ παρακαλεῖ μάλιστα
τρέπεται
μὲν αὐτὸν πεῖσαι τὸν ᾿Αχιλλέα συμμαχῆσαι τοῖς Ἔλλησιν. εἰ δὲ ἐκεῖνος μὴ
Ἕλλησιν ἢ αὐτὸς γοῦν λαβὼν τὴν παντευχίαν τοῦ
βούλοιτο, σὺν τοῖς Μυρμιδόσι τὸν Πάτροκλον πέμ-
᾿Αχιλλέως ἐξελθεῖν εἰς μάχην. ἐπανερχόμενος δέ,
wai, δόντα τὴν ἰδίαν αὐτῷ
περιτυχὼν Εὐρυπύλῳ, κομίσας εἰς τὰ ναῦς ϑεραπεύει. Eust Ba Bk
παντευχίαν, τοὺς γὰρ Tow-
ας καταπλαγήσεσθϑαι
καὶ
πεῖσαι
fj τὸν
᾿Αχιλλέα
συμμαχῆσαι
Ι. Cfr. A. HenricHs, ZPE 12, 1973, pp. 23 sgg. 2. M.C. VITARELLI, Sul testo e la tradizione delle hypotheseis dell'Iliade, filologia classica» I, Pisa 1981, pp. 130 sgg.
τοῖς
«Ricerche di
P.
OXY.
574
VERSO
RICONSIDERATO
{μ}
οἰηϑέντας αὐτὸν παρεῖναι τὸν ᾿Αχιλλέα φεύξεσθαι. ἐπανερχόμενος δὲ ὁ Πάτρόοχλοὸς πρὸς τὸν ᾿Αχιλλέα, περιτυχὼν Εὐρυπύλῳ
25
τετρωμένῳ,
30
αὐτὸν
καὶ
βαστάζει
ἐπὶ
τὰς
τε
ναὺς
κομίσας ϑεραπεύει. V" 26 Ἕχτωον" 3incob R V V^ V? 4 διασώζεται) παραγίνεται Li (Buren,tn i.m. Li); μετὰ δὲ ταῦτα ν΄; τῶν om. CHRV’V" 8«okrótac R V V*; καὶ pr om
R; οὖς ἐπανιόντας (ἐπιόντας R V) codd. Eust; ἐκ τοῦ πολέμου om. Eust Ha Bk a: 11 δεηθῆναι] δεηδέντα, sed fort. post Πάτρ. lac. statuenda; αὐτοῖς! αὐτῷ
P'! Li
12 ἐντεῦθεν) ἔνϑεν R V V7, ὅϑεν Η
MV"
13 συναντᾷ που V^, ivavig Li
b: μαϑησόμενον - ϑεραπεύει = Il τ. 10-17
c: 20 ἐπανερχόμενος δὲ] Πάτροκλος dé, ἐν τῷ ἐπανέρχεσδαι Ba
Hypothesis II ἄλλως.
τὴν A ῥαψῳδίαν
᾿Αγαμέμνονος ἀριστείαν Ermiyolupinson.
παράγει γὰρ τὸν ᾿Αγαμέμνονα ὑπὸ τῆς Ἥρας καὶ τῆς ‘Athvaz βοηϑούμενον καὶ πολλὴν τροπὴν τῶν Τρώων ἐργαζόμενον, in vu
Δία,
10
Ἴριν
πέμψαντα.
ἀπάγειν
Ἕχτορα
εἰς
Soov
᾿Αγαμέμνιων
ἠρίστενε. τρωϑέντος δὲ ὑπὸ Κόωνος τὴν χεῖρα καὶ Qvaymofyemvt. ἐπὶ τὰς ναῦς xai Ἕχτορος ἐλθόντος εἰς τῶν πώρεμων, χκράατεραῖ γενομενης μάχης. ἐξ ἀμφοτέρων πίπτουσι πολι καὶ τιτρύμγντιμ Διομήδης τε καὶ Ὀδυσσεῖ: καὶ Maydur, ὃν θεασάμενος Ay 17 ὑπὸ tov Νέστορος ἐπὶ rüz vavz ἀγόμενον, πέμπει [{|ἀτρικλαν μαϑησόμενον τί- EIN ὁ τετρωμένος. ἀφιχομένῳ di αὐτῷ, Nbsrtuny 14 "ExArwvov ὀδύρεται πταίσματα 0A NOW ματα μὲν eorr πεῖσαι τὸν "Aguo£a ovuurynoou τοῖς Ἕλλησιν, εἰ di ἐκεινς μὴ βούλοιτο. nv toi: Myoubónm τῶν Mieters xí urn. direi tin ἰδίαν αὐτῷ xavrp gor: tel vuo Tocskz wiruixerriyninhnu 441 οἰηϑεντα: αττὸν παρεῖναι τῶν Ayuszı uen cna. $ou my npo rry, de ὁ Ilazowvoc xoc Ayysan. mom fen ΕΠ σὐ πίμμ τεσ ng
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4 turns
100
FRANCO
MONTANARI
Per tutta la prima parte le tre redazioni della Aypothesis I cotncidono perfettamente: da un certo punto in poi, come si vede, divergono in modo notevole. L'Aypothesis Ja, contenuta nei mss. degli Sch. D iliadici? (e in altri), non era stata edita*; l'Aypothesis Ic si trova in
[Eustazio]”, Barnes?, Bekker; l'Aypothesis Ib è stata rinvenuta per
ora solo nel ms. Vat. gr. 30 (sec. XIV, contenente /liade con scoli e hypotheseis): tutta la seconda parte coincide esattamente con quella corrispondente dell’Aypothesis I$, che si trova nei mss. degli Sch. D iliadici (e in altri) e in Lascaris?, Barnes, Bekker. Le corrispondenze che possiamo facilmente rilevare indicano che in P. Oxy. 574 abbiamo conservata la parte finale di una Aypothesis del canto A dell’Iliade. Una conferma decisiva sul carattere del frammento viene da quanto si legge al τ. 5: l'indicazione τῆς a
si riferiva evidentemente all'Aypothesis del canto successivo!?, se-
condo una maniera ben documentata, ad esempio nel P. Mich. 1315, che è il più ampio e significativo brano di una raccolta di hypotheseis iliadiche conservatoci su papiro!'. È difficile dubitare, a questo punto, che P. Oxy. 574 conservi un magro resto di una raccolta di Aypotheseis dell’Iliade. È naturalmente impossibile dire di quale estensione fosse originariamente la raccolta, di cui è rimasta solo la parte finale del 3. Per la tradizione di questi scoli cfr. F. MontANARI, Studi di filologia omerica antica. I, Pisa 1979, pp. 4 sgg. e infra XIV. 4. È tratta dal lavoro di M. C. Vitarelli, cit. alla n. 2. Nell'ed. pr. degli Sch. D iliadici, dovuta a J. Lascaris, Roma 1517, è riportata solo l’Aypothesis 11 (cfr. infra). 5. Il nome di Eustazio è messo tra parentesi quadre perché, com'è noto, le hypotheseis dei canti omerici non appartengono al testo originale dell'autore, ma si trovano nelle edizioni a stampa che ripetono l'ed. pr. di N. Maiorano, Roma 154250: cfr. Eustathii Commentarii ad Homeri Iliadem, cur. M. van DER VALE, I, Leiden
1971, Praefatio p. CXLI (nella nuova edizione, basata sull'autografo eustaziano, le hypotheseis naturalmente non compaiono). 6. Homeri Ilias et Odyssea, ed. ]. Barnes, Cambridge 1711. 7. I. Bexxer, Scholia in Hom. Iliadem, vol. III, Appendix: 1827.
Paraphrasis, Berlino
8. Risulta dunque dalla fusione della prima parte dell'Aypothesis I con la seconda parte dell’Aypothesis ZI: forse chi ha creato questa redazione aveva sottomano l'Aypothesis Ia ed ha rilevato la corruttela, per cui ha deciso di cambiare esemplare, producendo una contaminazione: cfr. M. C. VITARELLI, of. cit. alla n. 2. 9.
IO.
Cfr. n. 4.
Nell'ed. pr. del papiro per il r. 5 si dava l'errata lettura τῆς n: un controllo
eseguito su una
buona
fotografia avuta dalla Bodleian
lascia dubbi sulla correttezza della lettura τῆς M.
ll.
Edito da A. HenricHs, ZPE 12, 1973, pp. 23 sgg.
Library di Oxford
non
P. OXY. 574 VERSO RICONSIDERATO
101
canto A seguita dal titolo del canto M. Un piccolo problema può essere rappresentato dal fatto che, mentre fra il r. 4 e il r. 5 l'interlineo è uguale ai precedenti, dopo il titolo del r. 5 sono conservati 8 mm. di spazio che appare senz'altro bianco: si potrebbe anche sospettare che la copiatura della raccolta sia stata interrotta per una qualsiasi ragione c che l'hypothesis del canto M poi non sia stata effettivamente trascritta, ma in effetti nulla vieta che il testo
continuasse anche dopo un interlineo un po’ più ampio. L'Aypothesis del canto A occupava quindi almeno una parte anche della colonna precedente, la quale doveva terminare con qualcosa come ᾿Αχιλλεὺς πέμπει oppure διαπέμπεται (cfr. il testo delle Aypotheseis
riportate sopra), che doveva reggere l'acc. del r. 1 della colonna conservata. P. Oxy. 574 va dunque ad aggiungersi agli altri frammenti papiracei che restituiscono parti di raccolte di Aypotheseis omeriche. È infatti assodato con certezza, grazie alla continuità rilevabile fra la fine di una Aypothesis ed il titolo della successiva, che almeno il modello da cui il frammento è stato copiato era precisamente una raccolta di kypotheseis da sole e non di Aypotheseis seguite dagli Scholia minora (cfr. supra VII e VIII). L'unico altro testimone papiraceo che contiene le hypotheseis agli stessi canti iliadici è il P. Mich. 1315: in esso dell'Aypothesis del canto A sono conservati solo pochi resti, sufficienti tuttavia per dire che si trattava di una redazione del tutto differente da quella del nostro frammento. Le hypotheseis omeriche restituite dai papiri sono di solito, per estensione € per stile, più vicine alle Aypotheseis 7 dei codici, più brevi e stringate: non di rado anzi quelle papiracee risultano ancora più concise, ridotte veramente all'essenziale del contenuto del canto!?, L'Aypothesis di A di P. Oxy. 574 non sfuggiva certo a questa tendenza: per quanto ci € dato vedere, per esempio, siamo certi che in essa mancava completamente un resoconto dell'incontro fra Patroclo e Nestore, sul quale si soffermano le Aypotheseis dei codici. Dal punto di vista della storia della tradizione e del rapporto fra le hypotheseis restituite dai papiri e quelle dei codici, è interessante mettere in luce le particolari coincidenze che legano P. Oxy. 574 con l'Aypothesis la. Con quest'ultima, il frammento papiraceo condivide le lezioni particolari συναντᾷ (τ. 3) e ἰᾶται (τ. 4), alle quali
si oppongono rispettivamente περιτυχών c ϑεραπεύει delle altre
12. 13.
Cfr. HengicHS, lx. ct. Dovrebbe essere preso direttamente dal testo omerico, cfr. M 2.
102
FRANCO
MONTANARI
hypotheseis. Purtroppo, il testo dell'Aypothesis Ja contiene certamente una corruttela: questo particolare legame sembra confortare l'opinione che nell'Aypothesis Za ci sia una lacuna, nella quale possono essere cadute almeno le parole μαϑησόμενον τίς εἴη (ὁ τετρωμένος),
più qualcos'altro che spieghi quanto segue!*. Un’ultima
osservazione
riguarda
la
frase
ἀπαγαγὼν
εἰς τὴν
ἐκείνου σκηνήν del r. 4. Sembra di poter sorprendere nell'Aypothesis un desiderio di chiarire e rendere esplicito con ἐκείνου che la tenda di cui si parla è quella di Euripilo e non quella di Patroclo. La precisazione trova il suo senso nel fatto che il testo iliadico a A 842 sgg. non è esplicito e può lasciare un'ambiguità, che si risolve soltanto grazie ad un confronto con O 392, dove invece si dice a
chiare lettere che Patroclo si trova dentro la tenda di Euripilo!?.
14.
Che la corruttela testuale dell’Aypothesis fa nasconda una lacuna è un convin-
cente risultato del lavoro di M. C. VITARELLI, cit. alla n. 2.
15. Di intento «interpretativo» nelle Aypotheseis omeriche (che parrebbero a prıma vista una pura esposizione del contenuto dei canti senza nessun altro elemento) si parla infra X.
x
LE HYPOTHESEIS DI ODISSEA BE y IN P. OXY. 3160 + P. STRASB. 1401 Nella raccolta dei P. Oxy. sono stati pubblicati (per le cure di M. W. Haslam) due frammenti, che presentano Scholia minora omerici preceduti dalle Aypotheseis di ciascun canto!. Pochi anni prima era stato edito da J. Schwartz il P. Strasb. gr. 1401, che restituisce la prima parte dell'Aypothesis di β΄. Pubblicati indipendentemente l’uno dall'altro, in realtà P. Oxy. 3160 e P. Strasb. 1401 sono stati riconosciuti da W. Luppe come due frustuli dello stesso rotolo e
anzi tali da completarsi a vicenda’. Grazie all'identificazione di
Luppe, abbiamo dunque un solo testimone, e non due, nel quale in compenso l'Aypothesis di B, che è il luogo del testo in cui i due frammenti si uniscono, può essere letta praticamente per intero. P. Oxy. 3160 + P. Strasb. 1401 costituisce così parte di un rotolo che conteneva Scholia minora all'Odissea preceduti dalle Aypotheseis dei canti. Ció che rimane conserva resti di quattro colonne che interessano Aypotheseis e Scholia minora ai primi tre canti del poema; pochi frustuli di parole e qualche glossa rimangono di quanto concerne la parte terminale del canto a, e si può pensare che dall'inizio siano andate perdute altre due colonne; ampie sezioni sono conservate del materiale relativo al canto D, vale a dire l’Aypothesis
per intero e buona parte delle glosse; del canto y invece abbiamo soltanto la prima metà circa dell'Aypothesis. Possiamo dunque evincerne che si trattava di un volume costituito dalle Aypotheseis seguite da un'interpretazione glossografica piuttosto rada dei canti dell'Odissea, che iniziava dal canto a e proseguiva verisimilmente per tutto il poema, dato che in sei colonne erano già esauriti 1 primi due canti ed iniziato il terzo. Dell'elemento glossografico, o Scholia minora, qui non ci occupiamo; ci interessa invece il testo delle Aypotheseis: completamente perduta quella di a, abbiamo per intero quella di B e per metà almeno quella di y.
1. Sitratta di P. Oxy. 3159 (Iliade H) e di P. Oxy. 3160, di cui ci occupiamo qui: cfr. The Oxyrhynchus Papyri, vol. XLIV, London 1976, pp. 52 sgg. 2. J. Scmwartz, Papyrus et tradition manuscrite, ZPE 4, 1969, pp. 175 sgg. 3. W. Lupre, P. Oxy. 3160 + P. Strasb. Erläuterungen, ZPE 27, 1977, pp. 10] sgg.
1401
— Bruchstudke derselben Odyssee-
104
FRANCO MONTANARI
Vediamo intanto l’Aypothesis di B, che occupa la col. II, rr. 7-25: riportiamo il testo seguendo la ricostruzione di Luppe, evitando di dar conto della correzione di errori puramente grafici.
lO
15
20
ἦμος δ᾽ ἠ[ο][γ]ένεια φάνῃ [605]oδάκτυλος “Hog -- ἅμα ἡ[μέο͵ᾳ Τηλέμαχος, τοὺς ᾿Ιϑαχ[ησίο]υς εὶς ἐκκλησίαν συναγαγώϊν), κε-
λ]εύει «τοὺς μνηστῆρας;» ἐξιέναί[ι} ἐκ τοῦ οἴκου αἰὐ]τοῦ. μὴ πεισϑέντων δὲ ἀποπλεῖ εἰς Πύλον καὶ εἰς Λακεδαίμονα καὶ πορευϑεὶς πεύϑεται περὶ τοῦ πατρὸς καὶ εἰ μὲν ζῶντα αὐτὸν πύϑοιτο, ἀνέξασθϑαι ἄλλον ἐνιαυτόν, εἰ δὲ &xofftavó« vta, κενοτάφιον αὐτῷ κατασκευάσαι καὶ τὴν μητέρα ἀποπέμψαι εἰς τὸν τοῦ πατρὸς αὐτῆς Ἰκαρίου
οἶκον ὅπως αὐτὴν ἐκδώσει ᾧ βούλεται. διασκωφϑθεὶς δὲ ὑπὸ τῶν μνηστήρων ἐπὶ τούτοις
συμπραττούσης ᾿Αϑηνᾶς 29
ναῦτν;» καὶ ἐρέτας συναγαγὼν ἀποπλείι.
r. 11: la menzione dei pretendenti è necessana, sia per il senso che per capire il riferimento del genitivo assoluto che segue: cfr. anche le frasi corrispondenti nelle Aypotheseis dei mss., riportate infra. A differenza di Luppe, preferisco integrare senz'altro nel testo τοὺς μνηστῆρας, pensando
a una vera omissione meccanica. rr. 12 sgg.: come vedremo meglio in seguito, qui l'Aypothesis riprende puntualmente il discorso di Telemaco dei vv. 208 sgg., nel quale egli esprime la sua intenzione di compiere un viaggio a Pilo ed a Sparta in cerca di notizie del padre e di agire poi in base a quel che avrà saputo: sorprende molto dunque che sembri presentato come un resoconto di fatti avvenuti (r. 12 ἀποπλεῖ, τ. 14 πεύϑεται) ciò che in realtà nei vv. 214 sgg. è annunciato come un programma, viene esposto con verbi al futuro e troverà attuazione solo nei canti successivi. La difficoltà si aggrava per il fatto che non si capisce da cosa siano retti gli infiniti dei rr. 16 e 18 sg. Il problema testuale è stato ben esaminato da Luppe: egli ritiene il testo non danneggiato, ma solo caratterizzato da una costruzione poco abile e pertanto scarta la possibilità di Intervenire con pesanti emendazioni. Da κελεύει del τ. 10 sg. andrebbe ricavato e sottinteso un verbo di dire (λέγει ὅτι): «Poiché essi non acconsentono, (egli dice che) parte per nave per andare a Pilo ed a Sparta e giuntovi chiede notizie del padre...». Al momento, non vedo soluzioni mighion di questa.
HYPOTHESEIS IN P. OXY. 3160 + P. STRASB. 1401
105
Possiamo ora analizzare nel suo complesso il testo della nostra hypothesis. La sua semplice struttura si articola sintatticamente in
tre periodi, che ben chiaramente scandiscono le tre sezioni del riassunto. La prima (A, rr. 8-11) riferisce che al far del giorno Telema-
co riunisce l’assemblea degli Itacesi ed ordina ai pretendenti di andarsene dalla sua casa. La seconda (B, rr. 12-22) è quella che ha più ampio sviluppo e riproduce con molta aderenza il contenuto del discorso di Telemaco ai vv. 208-223, individuato evidentemen-
te come un punto di importanza nodale nello sviluppo degli avvenimenti: in quei versi Telemaco, una volta constatato che i pretendenti non acconsentono affatto ad andarsene, annuncia il suo piano di recarsi in viaggio a Pilo ed a Sparta in cerca di notizie del padre; se ne avrà di positive, aspetterà un anno ancora, se invece saprà che è morto, innalzerà per lui un cenotafio ed acconsentirà a nuove nozze della madre. La terza ed ultima (C, rr. 22-25) rende
conto di come Telemaco, dileggiato dai pretendenti, con l’aiuto di Atena prepari navi ed equipaggio e parta per il suo viaggio. Confrontiamo ora la nostra hypothesis papiracea con le due ἀγῥοtheseis di B che sono restituite dai codici. Le riportiamo qui secondo l'edizione del Dindorf (Aypoth. I: p. 71, 19-22; hypoth. IT: p. 72, 2-6) e le dividiamo, per comodità di confronto, in tre sezioni corrispondenti alle tre in cui € risultata articolata l'Aypothesis papiracea.
Hypothesis I A) C)
συναγαγὼν ἐκχλησίαν Τηλέμαχος παραγγέλλει toig μνηστῆρσιν ἐξιέναι τῆς οἰκίας τοῦ ᾽Οδυσσέως. καὶ λαβὼν παρὰ μὲν Εὐρυκλείας τὰ πρὸς τὴν ἀποδημίαν ἐπιτήδεια,
παρὰ δὲ τῆς ᾿Αϑηνᾶς ἑταίρους τε καὶ ναῦν, εἰς πλοῦν ἀνάγεται ἡλίου δύναντος.
Hypothesis II A) B) C)
ἄμα ἕω Τηλέμαχος συναγαγὼν εἰς ἐκκλησίαν τοὺς Ἰϑακησίους κελεύει τοὺς μνηστῆρας ἀπαλλάττεσθαι τῆς οἰκίας. xal ναῦν αἰτήσας παρ᾽ αὐτῶν, ὅπως εἰς Πύλον καὶ Σπάρτην πορευϑῇ, ἀποτυγχάνει. παρὰ δὲ Νοήμονος λαβὼν καὶ ἐφόδια παρὰ Εὐρυκλείας τῆς τροφοῦ αὐτοῦ λάϑρα τῆς μητρὸς ἀποπλεῖ.
Come si vede, la nostra Aypothesis papiracea trova qualche elemento in più di somiglianza con la hypothesis I1, anche se non mancano
106
FRANCO
MONTANARI
paralleli pure con la Aypothesis I. Le convergenze sono comunque concentrate nella prima parte (A), che peraltro è anche quella in cui le due Aypotheseis dei codici 5] assomigliano maggiormente fra
loro; nel seguito invece possiamo indicare un riscontro con il papiro soltanto per 1 verbi πορευϑῇ ed Anonkei della Aypothesis II, per i quali cfr. rispettivamente r. 14 e rr. 12 e 25. Per quanto riguarda la strutturazione del contenuto, rifacendosi alle tre sezioni in cui ab-
biamo visto articolarsi l'Aypothesis papiracea, possiamo rilevare quanto segue: per la prima parte (A) c'e fra tutti e tre 1 riassunti una certa omogeneità; per la terza (C), le Aypotheseis dei codici mostrano o una maggiore ampiezza o quanto meno una maggiore ricchezza di particolari, e risultano comunque sostanzialmente assai diverse dal testo del papiro. Ma quella che ci sembra meritare un' osservazione più approfondita ὃ la parte centrale (B): nella Aypothesis I essa manca del tutto; nella hypothesis I1 ὃ rappresentata dalla frase xai ναῦν — ἀποτυγχάνει e risulta quindi assai più strin-
gata e meno circostanziata di quella che leggiamo nel papiro, dove invece essa rappresenta il corpo quantitativamente più consistente del riassunto e l'elemento più ampiamente ed accuratamente sviluppato. Sembra dunque che questi confronti confermino appieno ed anzi accentuino ció che già avevamo rilevato dall'analisi interna, cioè che proprio nella parte centrale (B) l'Aypothesis di B restituita da P. Oxy. 3160 + P. Strasb. 1401 abbia il suo elemento particolare e piü caratterizzante: non per nulla questa sezione, oltre ad essere la più ampia e dettagliata, riproduce con inusitata aderenza di particolari (come già abbiamo detto) il contenuto del discorso di Telemaco dei vv. 208-223, il che significa che con la sua relativamente ampia mole copre invece una piccola parte di testo, di cui finisce per essere più o meno una parafrasi (anzi, con qualcosa in più, come vedremo subito), mentre le altre due sezioni condensano in pochi righi centinaia di versi. Il carattere di parafrasi di un piccolo gruppo di versi che abbiamo evidenziato nella parte centrale (B) della nostra Aypothesis papiracea è già di per sé un elemento notevole e non frequente: esso mostra senza dubbio il desiderio di privilegiare ed evidenziare, nell'economia generale del riassunto del canto, 11 momento della decisione da parte di Telemaco di effettuare il viaggio ed il preannuncio del suo svolgimento; vale a dire il punto strutturalmente più significativo per l'insieme della 7elemachia. Ma un altro elemento interessante ci pare che possa essere rilevato in questa sezione dell'Aypothesis, che contribuisce a caratterizzarla ancora di più. Si tratta di una traccia di quel che chiameremmo un certo
HYPOTHESEIS IN P. OXY. 3160 + P. STRASB.
1401
107
‘intento ermeneutico’, laddove si dice: xai τὴν μητέρα ἀποπέμψαι
εἰς τὸν τοῦ πατρὸς αὐτῆς Ἰκαρίου οἶκον ὅπως αὐτὴν ἐκδώσει © βούλεται (rr. 19-22). Queste parole corrispondono, nel testo odissiaco, alla frase di Telemaco: καὶ ἀνέρι μητέρα δώσω (v. 223), con
la quale si conclude il discorso. È evidente che nell'Aypothesis si è voluto ampliare rispetto al testo poetico ed esplicitare con precisione il costume per cui la donna deve essere rimandata al padre, cui spetta provvedere a nuove nozze. A ciò si fa riferimento non soltanto ad a 275 sgg., nel discorso con cui Átena esorta Telemaco a compiere il viaggio in cerca di notizie del padre e nel quale si trovano subito dopo i versi di cui D 212 sgg. sono una ripetizione (= a 280 sgg.); ma anche in altri due luoghi di ß, vale a dire: dapprima
ai vv. 50-54,
dove l’espressione
(Icario)
δοίη δ᾽ à x’
ἐϑέλοι (scil. Penelope) del v. 54 è un ottimo parallelo per ἐκδώσει à βούλεται (pap. rr. 21 sg.); poi ai vv. 130 sgg., dove troviamo, sulla bocca di Telemaco, le parole κακὸν dé ue πόλλ᾽ ἀποτίνειν / Ἰκαρίῳ, al x’ αὐτὸς ἑκὼν ἀπὸ μητέρα πέμψω, che possono essere agevolmente confrontate con mv μητέρα ἀποπέμψαι εἰς τὸν τοῦ πατρὸς αὐτῆς
Ἰκαρίου οἶκον (rr. 19 sgg.). Non c’è dubbio, a quanto pare, che per il particolare in questione l'Aypothesis, dopo avere parafrasato fedelmente 1 versi precedenti, «interpreta» la brachilogica frase finale del discorso tenendo presente questi paralleli e «interpretando» quanto riassume. Passiamo ora all'Aypothesis di y restituita in parte dallo stesso papiro. Presentiamo il testo nella ricostruzione di Luppe, che ha colmato le lacune: è naturale che le integrazioni siano da considerarsi ipotetiche, comunque, dato che quanto rimane permette di seguire lo sviluppo del discorso il testo che ne risulta non dovrebbe discostarsi di molto dalla realtà e tutt'al più per qualche dettaglio; per la nostra analisi qui importa lo sviluppo complessivo del discorso ed a questo scopo la ricostruzione è del tutto soddisfacente. L'Aypothesis di y si trova nella col. IV, rr. 4-19, cui segue il margine, e proseguiva nella perduta colonna seguente. 5
"Hé[Ax]og δ᾽ ἀνόρίουσε λιπὼν περικαλλέα Alu[vmv.
ἅμα ἡμέρᾳ Τηλ[έμαχος xai ᾿Αϑη-
va κατάγονται [εἰς Πύλον. ἐκεῖ
δὲ] καταλαμβάνίουσι τούς τίε) ἄλλους
10
π[άϊντας καὶ Νέστορα (τῷ) Ποσειδῶνι
ϑύοντας καὶ [ξενίζονται
παρ᾽ αὐτῷ. πυν[ϑανομένου δὲ
108
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15
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Τηλ[εμ]άχου ἃ ellöein περὶ (τοῦ) ᾿Οδυσσέως, αὐ[τὸς μὲν οὐδὲν εἰδέναι φησὶ Ν[έστωρ, προτίϑησι δὲ αὐτῷ εἰς Alaxedalpova πρὸς MevéAao[v πορευθῆναι εἴτε ἐπὶ νεὼς [εἴτε πεζῇ, καὶ τά t(e) ἄλλα καὶ ἄρμα [αὐτῷ παρέξειν ὑπ-
royveitar, eua[
La parte conservata di questa Aypothesis del canto y si articola assai chiaramente in due sezioni. La prima (A), rr. 6-11, racconta l’arri-
vo di Telemaco e Atena/Mentore a Pilo, dove trovano sulla spiaggia d’approdo gli abitanti del luogo con Nestore intenti a compiere un sacrificio a Posidone e dove vengono accolti nel rituale banchetto. La seconda (B), rr. 11 sgg., è interrotta dalla lacuna: in essa si rende conto della richiesta da parte di Telemaco di notizie riguardanti il padre Odisseo, richiesta alla quale Nestore risponde di non saperne nulla, dopo di che esorta Telemaco a recarsi a Sparta da Menelao (per chiederne anche a lui), proseguendo il viaggio o per mare sulla sua nave o per terra, nel qual caso gli promette di fornirgli gli aiuti necessari. Qui il resoconto del contenuto di y si interrompe: proseguiva nella colonna seguente, ma il resto è inghiottito dalla lacuna e non vale la pena avventurarsi in congetture su di esso; comunque, dato il punto a cui si arriva, si doveva subito passare alla preparazione per la notte, Telemaco trattenuto da Nestore al palazzo e Atena che si allontana in forma di aquila e viene riconosciuta. Confrontiamo soltanto la parte conservata con le parti corrispondenti delle Aypotheseis dei codici, dividendo anche queste ultime in sezioni che facilitino l'accostamento. Testo citato dall'edizione del Dindorf (Aypoth. I: p. 118, 3-8; hypoth. II: p. 118, 9-14).
Hypothesis I A)
Τηλέμαχος εἰς Πύλον καταχϑεὶς ἅμα τῇ ᾿Αϑηνᾷ ἐν Μέντορος μορφῇ καταλαμβάνει τοὺς Πυλίους θυσίαν ταύρων ἐπιτελοῦντας τῷ Ποσειδῶνι.
Β)
καί τι περὶ τοῦ πατρὸς αὐτῷ πυϑομένῳ ἐκτίθεταί τινα τῶν Ἰλιακῶν διηγημάτων.
(ὦ)
μετὰ τοῦτο ἡ μὲν ᾿Αϑηνᾶ ἐν ὀρνέου μορφῇ xt.
HYPOTHESEIS IN P. OXY. 3160 + P. STRASB. 1401
109
Hypothesis II A) B) C)
Τηλέμαχον ἐλθόντα σὺν 'AO0nvà ξενίζει Νέστωρ, xai διηγεῖται αὐτῷ τὰ συμβεβηκότα τοῖς Ἕλλησι καὶ τὸν ἐκ Τροίας ἀπόπλουν. πυϑόμενος δὲ τὰ περὶ τοὺς μνηστῆρας καὶ γνωρίσας τὴν ᾿Αϑηνᾶν ἀπιοῦσαν κτλ.
Nelle tre Aypotheseis, le sezioni A, nonostante le differenze di estensione € di quantità di dati registrati, si equivalgono e non offrono elementi di rilievo: esse riassumono in sostanza i vv. 1-66 del canto y; l’Aypothesis 1 appare più vicina all'Aypothesis papiracea sia nella forma dell’espressione che per la maggiore ricchezza di particolari, rispetto alla maggiore stringatezza dell’Aypothesis I7. Più interessante si mostra il confronto fra le sezioni B, nelle quali i tre riassunti proseguono in modo molto diversificato: in tutti e tre i casi la sezio-
ne B copre grosso modo i vv. 67-337, nei quali si contempla l’esposizione da parte di Telemaco dello scopo del suo viaggio con la richiesta di notizie sulla sorte di Odisseo, una prima prolissa risposta di Nestore con racconti sui fatti successivi alla caduta di Troia e tutto il lungo dialogo che segue. In questi poco meno di trecento versi, una parte rilevante è costituita dai racconti di Nestore sulla partenza da Troia, sui ritorni degli eroi ed in particolare sulla vicenda di Agamennone: di tutto ciò infatti si fa parola in entrambe le Aypotheseis dei codici; inoltre, in questa parte Telemaco parla della situazione in casa sua a Itaca ed informa Nestore sui pretendenti: di ciò si trova un cenno soltanto nell'Aypothesis 11] (che per questo è più ampia dell'Aypothesis I). Di entrambi questi elementi, invece, non c’è traccia nella sezione B dell'Aypothesis papiracea: e c'é da essere praticamente sicuri che non ce ne fosse, dal momento che la parte conservata si interrompe una volta superati questi punti ed essendo giunta già a considerare i vv. 323 sgg., il che significa (come già osservato sopra) che subito dopo doveva passare a quello che nelle Aypotheseis dei codici appartiene alla sezione C. Nell’Aypothesis papiracea la sezione B consta molto chiaramente di tre elementi: dopo aver riferito della richiesta di Telemaco, dapprima esplicita il succo delle lunghe digressioni di Nestore, cioé che il vecchio re di Pilo non sa niente di quanto accaduto ad Odisseo dopo la partenza da Troia; poi rende conto dell'esortazione che Nestore rivolge a Telemaco a recarsi a Sparta da Menelao (il che peraltro corrisponde al piano del viaggio già previsto ed esposto da Telemaco nel canto precedente e puntualmente evidenziato nella hypothesis di B, come s'é visto sopra), viaggio che il giovane potrà
LIO
FRANCO
MONTANARI
compiere o per mare con la sua stessa nave o per via di terra, con equipaggiamento fornito da Nestore stesso ed accompagnato dal figlio di lui Pisistrato. Questo secondo punto, qui ben evidenziato, corrisponde ai vv. 313-329, cioè anche questa volta ad un piccolo brano del canto, che nell’Aypothesis viene notevolmente privilegiato, estraendo quello che nell'economia generale di un riassunto può apparire come un particolare trascurabile, ma che in realtà non lo è affatto, vale a dire l’alternativa se recarsi a Sparta per mare o per terra: Telemaco sceglierà di compiere il viaggio per terra (come consiglia anche Atena, vv. 368-370), lascerà a Pilo la nave con i compagni itacesi e
partirà per Sparta sul carro in compagnia di Pisistrato; così arriverà a Sparta all’inizio del canto seguente e così ne ripartirà nel canto 0, per ripassare da Pilo, riprendere la nave e i compagni, imbarcare l’indovino Teoclimeno e far ritorno ad Itaca (0 1-300).
Dunque, un particolare che avrà notevoli conseguenze nello sviluppo del racconto del viaggio di Telemaco e la cui registrazione è senz'altro intenzionalmente oculata. Tutto quanto abbiamo osservato mostra che nella sezione B l'Aypothesis papiracea si differenzia totalmente da quelle dei codici: l'unico elemento di somiglianza è
piuttosto banale e consiste nel ricordare la richiesta di notizie da parte di Telemaco (cfr. Aypoth. 1: la cosa è peraltro omessa dall'Aypoth. II). In sostanza, l'Aypothesis papiracea si caratterizza per il fatto di privilegiare e mettere in evidenza ciò che propriamente concerne l'essenziale del viaggio di Telemaco nel suo scopo e nel suo svolgimento fattuale: Nestore non sa nulla di Odisseo; Telemaco proseguirà per Sparta (come previsto), ma con il carro e lasciando a Pilo la sua nave. L’intenzione è chiara e perseguita anche a prezzo di fare un riassunto non del tutto ‘fedele’, perché molto di quanto si trova nel canto y (a cominciare dai lunghi racconti di Nestore) viene trascurato ed evidentemente sentito come
secondario rispetto alla linea di svolgimento della Telemachia avvertita come essenziale. In effetti, ciò che caratterizza e differenzia l’Aypothesis papiracea del canto y si collega bene a quanto avevamo già rilevato analizzando la corrispondente hypothesis del canto p: là infatti l'elemento caratterizzante, oltre a quanto abbiamo definito ‘intento ermeneutico’, da un punto di vista di struttura del racconto consisteva in quella parte in cui si dava particolare spazio e rilievo al proposito di Telemaco di attuare un viaggio alla ricerca di notizie del padre, viaggio del quale si provvedeva subito a riferire non soltanto lo scopo, ma anche le tappe previste e le conseguenze possibili. In
HYPOTHESEIS
IN
P.
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3160
+ P. STRASB.
1401
111
sostanza, queste Aypotheseis del canti odissiaci non paiono essere anodini riassunti con puro scopo di neutra registrazione del contenuto del canto: nelle due che abbiamo analizzato emerge in modo chiaro che l’estensore compiva qua e là lo sforzo di esplicitare alcuni punti del testo ed inoltre operava le sue scelte nel riassumere con
lo scopo di enucleare la linea essenziale di svolgimento della
Telemachia, il che significa insomma che metteva nel suo scolastico lavoro — senza volerne esagerare ma neppure sminuire il valore — un briciolo di coscienza della struttura complessiva del contenuto del poema. In conclusione, possiamo dire che la nostra analisi delle Aypotheseis di B e y restituite da P. Oxy. 3160 + P. Strasb. 1401 ci ha portato a mettere
in luce due elementi,
che abbiamo
chiamato
‘intento
ermeneutico’ e ‘coscienza strutturale’: con l'ovvia consapevolezza che in testi di questo genere essi sono da considerarsi rilevabili in quantità minima e ad un livello assai elementare, è probabile che possano essere tenuti presenti nel condurre analisi di altri testi analoghi.
XI REVISIONE DI P. BEROL. 13282 I PAPIRI DEL MYTHOGRAPHUS HOMERICUS P. Berol. 13282 è un piccolo frammento di codice papiraceo, alto cm. 5,5 e largo cm. 7,2, conservato a Berlino (Staatliche Museen) e pubblicato per la prima volta da W. Miller!. Il frustulo è mutilato da tre lati: rimangono circa 2 cm. di margine, a destra nella faccia perfibrale, a sinistra in quella transfibrale, su ciascuna delle quali si conservano le parti rispettivamente finali e iniziali di otto righi di testo letterario. Unico segno di lettura, i due punti sullo iota al r. 7 |, ma non si vedono spiriti, accenti o altro; lo iota muto non è ascritto. Su base paleografica, il papiro è collocato nella seconda metà del sec. IIIP. Nell’ed. pr. il frammento è caratterizzato come «Kommentar zu
Homer, Ilias X X», con la precisazione che parrebbe trattarsi di un commentario prevalentemente interessato a santuari e culti^: come sezione di testo coperta, si ritiene, pur con dei dubbi, che si vada da Y 147 a Y 404 (il che vuol dire un commentario piuttosto rado, anche se ci troviamo verso la fine del poema). Un esame piü approfondito del testo e confronti più appropriati permettono tuttavia una Individuazione più precisa del tipo di «commentario» cui appartiene P. Berol. 13282, che potrà essere assegnato a una specifica categoria, ed anche di fare qualche progresso nella ricostruzione del testo. Il corpus di scoli in cui possono essere cercati i paralleli più fruttuosi è quello degli Scholia D in lliadem, dei quali notoriamente manca un'edizione critica moderna. Per avere un termine di confronto il più sicuro possibile, ho proceduto a costituire per l'occasione il testo di quella parte di Scholia D necessaria al nostro scopo, vale a dire le ἱστορίαι mitografiche l.
«Forsch. u. Berichte» 10, 1968, pp. 118 sg.: visi trova pubblicata la fotografia
della faccia perfibrale. Ho potuto rivedere la trascrizione dell'intero testo su una buona riproduzione fotografica fattami avere dalla Photographische Abteilung degli Staatliche Museen zu Berlin, che qui ringrazio per la collaborazione. Codici di papiro datati al III sec. sono frequenti: cfr. E. G. TURNER, The Typology of the Early Codex (Univ. of Pennsylvania Press, 1977), pp. 91 sgg., per gli Homerica, p. 111; purtroppo il nostro frammento
non consente di ricostruire le dimensioni
della pagina del codice. Fra i papiri con ἱστορίαι del M.H., un cod. pap. del III sec. è anche PS/ 1173 (cfr. il repertorio infra).
2. Cfr. p. 119.
[14
FRANCO
MONTANARI
relative alla sezione di canto omerico interessata, cioè da Y 147 a Y
404. Ho utilizzato per questo i cinque mss. principali e l'ed. pr. di Janus Lascaris (Roma 1517): il testo degli scoli è dato qui in Appendice ed è quello che va tenuto presente per 1 confronti che seguono. Partiamo dagli elementi sicuri. L'identificazione dei due versi Y 403-4 ai rr. 3-4 | (l’unico lemma conservato) permette sia di vedere che i lemmi sono in ekthesis, sia di rendersi conto della lunghezza del rigo di scrittura, che conteneva una media sulle 38 lettere?. È difficile dire se ci fosse qualche segno di separazione fra il lemma e il commento: il solo spazio bianco, i due punti o altro sono ugualmente possibili. Comunque, dopo Il lemma non si andava a capo: il commento infatti iniziava sicuramente alla fine del r. 4, come si vede dalla ricostruzione del testo. Quanto segue si
lascia riconoscere abbastanza bene e in buona parte forse anche ricostruire (ovviamente
in via ipotetica) grazie al confronto con
quanto restituisce la ἱστορία ad Y 404, precisamente rr. 5-8 dello scolio, e con P. Oxy. 4096 (/l. 006 della lista in appendice)*. Nel testo del papiro rimane una difficoltà a capire il r. 6, per ricomporre l'intero periodo: sembra difficile che nella lacuna ci sia spazio per qualcosa di più dell'indicazione della destinazione della ἀποικία condotta da Neleo, se questa non era addirittura omessa e c'era solo il verbo reggente τῆς γῆς (vd. apparato). Nello Sch. D abbiamo εἰς Μίλητον καὶ τὴν Καρίαν, sicuramente troppo lungo
perché poi si possa spiegare il seguente mg γῆς; e altre difficoltà ci sono per l'inizio del r. 6, perché se si integra sulla base dello sch. xai v[n]c Ἑλίκης, diventa difficile far entrare nello spazio residuo la
necessaria menzione del luogo di arrivo della colonia piü un verbo che si allacci all'inizio del r. 7. Qui il testo era certamente piü conciso che nella ἱστορία dello scolio. Una soluzione exempli gratia potrebbe essere trovata pensando che τῆς γῆς fosse retto da un verbo come ἀνασχών, che si trova in P. Oxy. 4096, o altro come per esempio ἁψάμενος" (in parallelo con παραγενόμενος dello sch.), e 3. 4.
Cfr. ed. pr., p. 118. La subscriptio che la attribuisce a Clitofonte ha creato problemi: cf. MÜLLER,
FHG IV, p. 368; Jaconv, Kleitophon (3), RE XI 1 (1921), 661; IpEM, FGrHist 293,
Kleitophon von Rhodos {soprattutto il comm.);
(soprattutto
il comm.)
e FGrffist 490, Klytos von Milet
M. van DER VALK, Researches on the Text and Scholia of the
Hiad, Leiden 1963-1964, I pp. 359-61. Per i paralleli cfr. P. Lünsten, Untersuchungen zu den mythologischen Abschnitten der D-Scholien, Diss. Hamburg, 1961, p. 150. 5.
Cfr. Diodoro IV 48, 6: ὅταν τῆς γῆς ἅψωνται.
I PAPIRI
DEL
MYTHOGRAPHUS
HOMERICUS
II5
che nella prima parte del rigo ci fosse soltanto τ[ῆ]ς ['EMxng: resterebbe cosi spazio per menzionare Mileto o la Caria come luogo di approdo, per esempio così: &E] / 'A9mvov xai τ[ῆΪ]ς [ EXixnc. περὶ Μίλητον δὲ ἁψάμενος] / τῆς γῆς κτλ. Tutto questo è
naturalmente
soltanto ipotetico.
P. Schubert,
in P. Οχγ. 4096,
ntiene (credo a ragione) che mg Ἑλίκης non possa stare senza ᾿Αχαικῆς e preferisce quindi pensare che P. Berol. 13282 omettesse
il luogo di destinazione della ἀποικία; xoi τ[ῆ]ς Αχαικῆς Ἑλίκης καὶ ἀνασχὼν] / τῆς γῆς κτλ. Andando a ritroso, è naturale che ai rr. 1-2 si debba cercare la
fine della ἱστορία precedente. Sembra difficile che quanto rimane al τ. 2 possa essere integrato diversamente da Ilgıa]uLöwv, per cui si trova un ottimo parallelo nella ἱστορία dello Sch. D ad Y 307, τ. 2: τῆς τῶν Πριαμιδῶν ἀρχῆς. Bisogna anche considerare che fra Y 307 e Y 404 negli Scholia D non si trovano altre ἱστορίαι
mitografiche. Due indizi che, mi pare, rendono molto probabile la
supposizione che al r. 2 | terminasse la ἱστορία ad Y 307, e forse
possiamo avere qualche fiducia nella integrazione proposta per il seguito del r. 2 stesso, sulla base della chiusa del corrispondente Sch. D; d'altra parte la formula ἡ ἱστορία παρὰ τῷ δεῖνα, ampiamente
maggioritaria negli scoli, € ben attestata anche nei
papiri®. La ἱστορία che leggiamo nello sch. D dice che Afrodite, poiché sapeva che il regno dei Priamidi sarebbe passato ai discendenti di Anchise, sı uni a costui per generare Enea e poi provocó la causa della distruzione di Troia, suscitando in Alessandro l'amore per Elena: possiamo allora pensare che il racconto del papiro si concludesse più o meno dicendo, come riassunto finale, che in questo modo Afrodite causó la distruzione (ex. gr. κατέλυσεν: cfr. sch. rr. 3, 5) del regno dei Priamidi. L'inizio
del rigo rimane oscuro: prima di a c’è un'asta verticale che potrebbe essere v oppure parte di n, preceduta da minime tracce conciliabili con τ ('Agooóít] / τη); dopo A si vede la parte bassa di una forma ovale legata ad un resto di asta verticale: pare difficile ot dell'ed. pr., forse meglio εἰ. Di più, allo stato attuale, non si può dire.
Passiamo ora ai resti della faccia perfibrale, che risultano assai più problematici. Nell'ed. pr. W. Muller vedeva come probabile un riferimento a Y 147, dove si ha nel testo omerico un breve cenno al 6. Soprattutto PS/ 1173, dove € costante; poi P. Oxy. 3003 I 2; P. Schubart 21, τ. 22 (riportato infra). Sulla ἱστορία attribuita a Acusilao di Argo cfr. JAconv, FGrHist 2 F 39 col comm.; LóNsTED, op. cit., p. 149.
116
FRANCO
MONTANARI
mostro mandato da Posidone a punire Laomedonte e poi ucciso da Eracle: vedremo che questo legame viene confermato. Nella ἱστορία degli Scholia D ad Y 145-7 infatti la vicenda viene raccontata per esteso. Si inizia dal servizio reso da Posidone e Apollo presso Laomedonte, che poi rifiutó loro il salario pattuito, per cui Posidone adirato inviò un mostro che uccideva e devastava; un oracolo disse
a Laomedonte che avrebbe allontana-
to il mostro se gli avesse dato in pasto la figlia Esione: egli espose la figlia, ma promise i cavalli immortali, dono di Zeus, a chi avesse ucciso il mostro, salvando Esione; l'impresa fu compiuta da Eracle, il quale però fu a sua volta ingannato, perché Laomedonte gli diede dei cavalli mortali in luogo di quelli promessi; Eracle allora distrusse Troia e prese 1 cavalli dovutigli. La subscriptio fa risalire il materiale dello scolio ad Ellanico'. Non risulta una stretta corrispondenza fra il testo dello scolio e quello del papiro, nel quale tuttavia si possono riconoscere alcuni elementi-guida della storia: il κῆτος al r. 1, Laomedonte al r. 5, sua figlia (Esione) al r. 6, Eracle al r. 7. Forse un elemento interessante è offerto dalla
parola πλευρά del τ. 3: leggiamo infatti nello scolio rr. 15 sg., che Eracle, «penetrato attraverso le fauci nel ventre del mostro,
ne
squarciò I fianchi», λαγόνας, particolare che invita a pensare che ai rr. 3-4 del papiro si dicesse appunto che Eracle squarciò i fianchi del mostro (ex. gr. 'HoaxAng δὲ diépiterpev αὐτοῦ] τὰ πλευρά: cfr. scolio τ. 16) e in questo modo (xai οὕτως) fece sì che il mostro non rapisse Esione (ἀναρπάσῃ τὴν / ['Hovóvnv). Questo elemento in
effetti sembra caratterizzante: mentre le altre fonti di solito? si limitano a dire che
Eracle uccise il mostro,
nella ἱστορία dello
scolio, risalente a Ellanıco, troviamo una qualche descrizione del modo della lotta (poi ripresa da Licofrone, Alex. 33 sgg.?). La corrispondenza privilegiata che ne emerge dà valore al parallelo fra λαγόνας dello scolio e πλευρά del papiro.
I resti conservati
dovrebbero quindi collocarsi nella seconda parte della narrazione, più o meno a partire dall’uccisione del mostro da parte di Eracle: sembra di poter riconoscere che Laomedonte, avuta salva la figlia,
7.
Cfr. JacoBv, FGrHist 4 F 26 a-b col comm.; D. AmsagLio, L'opera storiografica
di Ellanico di Lesbo, in Ricerche di storiografia antica II (Pisa 1980), fr. 72 a-b, p. 74 s. e 122 s.; cfr. anche lo sch. a 444 ce EnsBsE, ad lo.
8. Cfr. LUNSTED, of. cit., p. 148. 9. Anche in Licofrone compare il particolare per cui Eracle uccise il mostro penetrando nelle sue viscere e squarciandolo dall'interno: Alex. 35 ἔμπνους δὲ δαιτρὸς ἡπάτων... Cfr. JAcoBv, comm. a FGrHist 4 F 26.
I PAPIRI
non
diede
a Eracle
DEL
MYTHOGRAPHUS
il premio
HOMERICUS
promesso
117
(rr. 5-7); ma
è inutile
esercitarsi in una ricostruzione del tutto speculativa. Forse invece si può osservare che, se il particolare al r. 3 corrisponde al r. 16 dello scolio, la ἱστορία nel papiro si presentava in una redazione non solo diversa, ma forse anche un po’ più ampia e ricca della conclusione relativamente frettolosa che leggiamo nello scolio. Ripresentiamo dunque il testo per intero, con le nuove acquisizioni a cui siamo pervenuti. —
—
Cn
3
3 ex.
gr.
comm.
Ἡρακλῆς 4 μή]τεῦ
Sch. D. 1. 8?)
—
—Ó—
—
À
ad Y 147
tol) ϑηρίου τὸν θεόν Ἰτὰ πλευρὰ καὶ οὕτως [τε ἀναρπάσῃ τὴν τὸ]ν Λαομέδοντα xapzo
τὴν θυγατέρα μηδου
Ἡρακλεῖ τὸ ἔπαϑλο(ν) ᾿ Elvdev δοῦναι δὲ διέφθειρεν αὐτοῦ] 4-5 τὴν / [Ἡσιόνην
xà πλευρά,
καὶ οὕτως:
.-----.-. at. .[ t 21 τὴν τῶν Πρια] ad Y 307 μιδῶν ἀρχήν. ἡ [δ᾽ ἱστορία παρὰ ᾿Ακουσιλάῳ (?)]
3 αὐτὰρ ὁ ϑυμὸν ἄισϑ[ε καὶ ἤρυγεν, ὡς ὅτε ταῦρος ἤρυ] 5
Y 403-4
γεν ἑλκόμενος Ἔλικώγ[ιον ἀμφὶ ἄνακτα () Νειλεὺς ὁ] Kö{v}öpov nafvjreialv λαβὼν ἀποικίαν ἔστειλεν ἐξ]
᾿Αϑηνῶν καὶ τί.]σί 7
vd.
5 καρπωσάμενον7 ed. pr. (cfr.
6 μὴ 6ov/[va?
po ]
— —
Ἶτοῦ κήτους
H- HH HR HR HH ΙΗ 3 N) NS hO OMS M2 h2 S JIGNSONN
]
— —
+ 26
]
τῆς γῆς ἱερὸν Π[οσειδῶνος ἱδρύσατο xal ἀπὸ τοῦ]
ἐν τῇ ᾿Αχαικ[ῇ Ἑλίκῃ τεμένους Ἑλικώνιον προση] [Yöpevoe... | τῇ ἁπλοί[ᾳ ed. pr.
ad Y 307
ex. gr. ('Appodim) κατέλυσε v. v. II. à.
4-8 suppl. coll. Sch. D ad Y 404 et P.Oxy. 4096
2 cfr. Sch. D
6-7 vd. comm.
L'insieme dei resti di P. Berol. 13282 si configura dunque come frammento di una raccolta di ἱστορίαι mitografiche a Y 147, 307,
404. Nella sezione corrispondente degli Scholia D se ne trova una
118
FRANCO
MONTANARI
anche a Y 215 (cfr. Appendice), che nel nostro codice papiraceo forse era omessa (a meno che non trovasse posto anch’essa nella lacuna che ha inghiottito almeno la sezione finale di Y 147 e quasi tutto Y 307); questa ἱστορία reca nello scolio una sottoscrizione che la attribuisce a Licofrone!?. Vediamo di definire il rapporto fra il testo papiraceo e gli Scholia D per quanto riguarda le caratteristiche delle ἱστορίαι. Il testo della ἱστορία ad Y 403-4 per buona parte si lascia ricostruire grazie al confronto con lo scolio corrispondente, per cui sembra lecito ritenere. che, nel suo complesso, per quanto potesse discostarsene nelle parti perdute, doveva comunque essere abbastanza simile e correre bene in parallelo con lo scolio: abbiamo constatato un punto di qualche differenziazione al r. 6, dove il testo papiraceo era sicuramente più sintetico. Di segno opposto è quanto pare risultare dall'esame dei resti della ἱστορία ad Y 147: qui, nonostante la sicura corrispondenza di argomento generale, il confronto con lo scolio mostra caso mai in modo predominante la differenza fra 1 due testi; tra l'altro, come detto sopra, la parte finale della ἱστορίᾳ era forse un po’ più ampia della conclusione un po' frettolosa dello scolio. Per quel che riguarda il magro resto di Y 307, si può dire ben poco: quanto ipotizzato sopra andrebbe nella direzione di una redazione un po' più ampia nello scolio. Per riassumere, il rapporto fra ıl testo del papiro e quello delle ἱστορίαι corrispondenti degli Scholia D si caratterizza come una commistione fra elementi di somiglianza e parallelismo ed elementi di differenziazione anche abbastanza netta. Il manipolo di papiri che restituiscono ἱστορίαι mitografiche omeriche, pur non essendo numerosissimo, € oggi abbastanza nutrito per farci vedere il carattere di questi testi e la loro non piccola diffusione nell’antichità, cioè per darci un'idea non più vaga della redazione antica del Mythographus Homericus rappresentato nei papiri. Allo stato attuale, la lista (qui in Appendice) dei testimoni pubblicati consta di nove pezzi sicuri e uno dubbio. La distribuzione cronologica copre un arco che va grosso modo dal I al V sec. d.C.: il più antico è P. Oxy. 418 datato I-IIP; i] più recente è P. Schubart 21, codice pergamenaceo del VP; gli altri si collocano tutti nei secc. II e III.
Il pezzo all'Odissea:
più si
cospicuo tratta
di
e forse PS/
1173,
più
emblematico
otto
frammenti
appartiene di
codice
10. Gli scoli sottoscritti Licofrone sono discussi da LüNsTED, op. cit., p. 15 sgg.; per lo sch. Y 215 cfr. anche van DER VALK, op. cit. I, pp. 329 sgg.
I PAPIRI
papiraceo
con
DEL
MYTHOGRAPHUS
119
ἱστορίαι ai canti y, A, p, v, E, che è anche
testimone sicuro per l'Odissea. comune)
HOMERICUS
i reperti
relativi
Più numerosi
all'/ade:
in
l'unico
(come è tendenza
tutto
otto
sicuri,
che
interessano 1 canti da A a L. Bisognoso di una revisione e di un attento riesame € senz'altro P. Schubart 21. Questo pezzo di codice pergamenaceo fu riconosciuto come frammento di ἱστορίαι omeriche da R. Merkelbach (sulla scia di B. Snell, apud ed. pr.), che per la ἱστορία ad Y 53 riuscì anche a dare una ricostruzione sulla base del materiale che si trova nello Sch. D ad Y 3, recuperando al r. 22 la formula sottoscrittoria presente nello scolio: ἡ dè ἱστορία] παρὰ Δημητρίῳ τῷ Zxny[iw!'. Dal r. 23 in poi abbiamo miseri resti
relativi a Y 147, che devono ovviamente appartenere alla parte iniziale della ἱστορία: è dunque verisimile che il r. 23 fosse occupato dal lemma. Forse qui il racconto delle vicende di Laomedonte non cominciava dal servizio prestato presso di lui, per volere di Zeus, da Posidone e Apollo, come leggiamo nello Sch. D a questo stesso verso'^, ma risaliva più indietro e partiva dall’antefatto, come troviamo nella ἱστορία ad A 399 presente negli Scholia D e in P. Oxy. 418: Zeus si era impadronito del potere celeste e si comportava in modo arrogante; allora Era, Posidone e Apollo (e Atena?) gli tesero un'insidia, ma Zeus, con l’aiuto di
Teti, ebbe ragione dei congiurati e li punì: Era fu incatenata, Posidone e Apollo dovettero servire presso Laomedonte, con tutte le successive vicende!*. Riportiamo i resti di P. Schubart 21, rr. 23-28. 23
| t
18
25
[+ [+
20 30
]-..mv............
]... too. .[...... Jo-£vc παραστί Joao καὶ ᾿Απολλω!ί
[ + 30
28 ll.
[+ {+
R. MERKELBACH,
δ]εσμοῖς ἠσφαλισμίέν-
32 35 APF
Ϊν προσέταξί[εν Jevux[ 16,
1956, p.
118. Un
faticoso e malcerto
(il testo è
estremamente sbiadito) controllo su fotografia (per il quale ringrazio la Papyrus-Sammlung degli Staatliche Museen zu Berlin) mi ha permesso di recuperare qualche lettera in piü al r. 22, confermando comunque l'integrazione di Merkelbach: si deve solo osservare che lo iota muto non è ascritto. Per il testo
sull'altra faccia ha fatto progressi W. Luppe, Achilleus bei Lykomedes in P. Berol.
13930 (Pack? 1203), APF 31, 1985, pp. 5-11.
12. Di questa ἱστορία abbiamo già parlato sopra a proposito di P. Berol. 13282: lo Sch. D a Y 147 si trova in Appendice. 13.
Cfr. sopra n. 7; vedi Jacosy, comm. a FGrHist 4 F 26; AmBAGLIO, lox. cit,
120
FRANCO
MONTANARI
Un controllo su fotografia non mi ha per ora portato a molti progressi nella trascrizione: ho potuto constatare al r. 24 che la
lettura ]ooeug
dell’ed. pr. è da revocare in dubbio,
perché il
secondo o è in realtà del tutto inghiottito da un buco, tranne una minuscola traccia (forse) in alto a destra. Potremmo dunque al r. 24 leggere ]|c Zeug e immaginare Zeus che, insidiato da alcuni dei tra i quali Apollo (r. 25), ha la meglio e punisce qualcuno, verisimilmente Era, legandolo in catene (r. 26), mentre ad altri, verisimilmente Posidone e Apollo, ordina (r. 27)... scil. di andare a
servire presso Laomedonte: tutti elementi per cui si può chiamare
a confronto la già ricordata ἱστορία ad A 399'*. Se questa ipotesi è giusta, P. Schubart 21 aveva ad Y 147 una ἱστορία su Laomedonte in redazione diversa rispetto a quella dello Sch. D corrispondente, e precisamente una redazione che cominciava il racconto da una fase antecedente del mito ed era quindi più ampia. Ricordiamo che anche per i resti della ἱστορία allo stesso verso Y 147 in P. Berol. 13282 eravamo addivenuti sopra all’ipotesi che si trattasse di una redazione più ampia rispetto a quella dello scolio: là avevamo conservata la parte finale, qui abbiamo quella iniziale del mito. Il caso qui esaminato vale egregiamente come esempio dei rapporti fra il M.H. nei papiri e le ἱστορίαι degli Scholia D (cfr. VII). Sul Mythographus Homericus e tutta la problematica connessa cfr. ora il mio articolo The Mythographus Homericus, in Greek Literary Theory after Aristotle. A Collection of Papers in Honour of D. M. Schenkeveld, Amsterdam 1995, pp. 135-172.
14.
P. Oxy. 418 ad A 399 (rr. 25 sgg.): ...Διὸς ἐπικρατέστερον χρωμένον [τῇ τῶν]
ϑεῶν βασιλείᾳ, Ποσειδῶν te xai "Hoa κα[ὶ ᾿Απόλ͵]λων ἐπεβούλευσαν αὐτῷ: Θέτις dè
γνοῦσα [παρὰ] Νηρέως τοῦ πατρός, ὃς μάντις ἦν, δηλοῖ τῷ [Διὶ] τὴν ἐπιβουλὴν καὶ σύμμαχον παραδίδωσι τ[ὸν] Αἰγαίωνα ἑκατόγχειρον, Ποσειδῶνος παῖδα. Ζεὺς δὲ "Hoav μὲν ἔδησεν, Ποσειδῶνι δὲ κ[αὶ ᾿Απόλλω]νι προστάσσει θητεῦσαι Λαομέδονίτι. - Sch. D ad A 399: Ζεὺς παραλαβὼν τὴν ἐν οὐρανῷ διοίκησιν, περισσῶς τῇ παρρησίᾳ ἐχρῆτο, πολλὰ αὐθάδη διαπρασσόμενος. Ποσειδῶν δὲ καὶ "Hoa καὶ ᾿Απόλλων καὶ ᾿Αϑηνὰ ἐβούλοντο αὐτὸν δήσαντες ὑποτάξαι. Θέτις δὲ ἀκούσασα παρὰ τοῦ πατρὸς
Νηρέως (ἦν γὰρ μάντις) τὴν Διὸς ἐπιβουλήν, ἔσπευσε πρὸς αὐτὸν ἐπαγομένη
Αἰγαίωνα φόβητρον τῶν ἐπιβουλευόντων θεῶν. ἦν δὲ ϑαλάσσιος δαίμων οὗτος καὶ τὸν
πατέρα Ποσειδῶνα κατεβράβευεν. ἀκούσας δὲ ὁ Ζεὺς Θέτιδος, τὴν μὲν Ἥραν ἐν τοῖς καϑ' αὑτοῦ δεσμοῖς ἐκρέμασε, Ποσειδῶνι δὲ καὶ ᾿Απόλλωνι τὴν παρὰ Λαομέδοντι
I PAPIRI
DEL
MYTHOGRAPHUS
HOMERICUS
121
APPENDICE Diamo qui il testo delle ἱστορίαι mitografiche contenute nel corpus degli Scholia D in Îliadem per la sezione Y 147 — Y 404, utilizzate per i confronti con i resti conservati da P. Berol. 13282. Il testo degli Scholia D, allo stato attuale degli studi, puó essere costituito sulla base di cinque mss. principali più l'ed. pr. lascaridea (sigla: La). In realtà, per la sezione qui considerata, il ms. H viene a mancare a causa di una lacuna che ha inghiottito un intero quaternione fra il f. 282 e 1l f. 283, privandoci degli scoli da Y 68 fino alla hypothesis di
@!, per cui il testo che segue utilizza soltanto A C R V La. Per le
sigle dei codici e lo stemma cfr. infra XIV.
3
6
9
Y 145-47 τεῖχος ἐς ἀμφίχυτον Ἡρακλῆος Beloıo/ ὑψηλόν, τό ῥά οἱ Τρῶες καὶ Παλλὰς ᾿Αϑήνη / ποίεον, ὄφρα τὸ κῆτος ὑπεκπροφυγὼν ἀλέαιτο: Ποσειδῶν καὶ ᾿Απόλλων, προστάξαντος Διὸς Λαομέδοντι θητεῦσαι ἐπὶ μισϑῷ τεταγμένῳ, τὸ τεῖχος κατασκευάζουσι. Λαομέδων δὲ παραβὰς τοὺς ὄρχους καὶ τὰς συνθήκας, μὴ δοὺς τὸν μισϑόν, ἀπήλασεν αὐτούς. ἀγανακτήσας δὲ Ποσειδῶν ἔπεμψε τῇ χώρᾳ κῆτος, ὃ τούς τε παρατυγχάνοντας ἀνθρώπους
καὶ τοὺς γιγνομένους
καρποὺς
διέφϑειρε.
μαντευομένῳ
δὲ
12
Λαομέδοντι χρησμὸς ἐδόθη Ἡσιόνην τὴν θυγατέρα αὐτοῦ βορὰν ἐκθεῖναι τῷ κήτει καὶ οὕτως ἀπαλλαγήσεσθαι τοῦ δεινοῦ. προϑεὶς δὲ ἐκεῖνος τὴν θυγατέρα, μισϑὸν ἐκήρυξε τῷ τὸ κῆτος ἀνελόντι τοὺς ἀθανάτους ἵππους δώσειν, o0c Towi Ζεὺς ἀντὶ Γανυμήδους ἔδωκεν. Ἡρακλῆς δὲ παραγενόμενος
15
ὑπέσχετο τὸν ἄϑλον κατορϑώσειν καὶ ᾿Αϑηνᾶς αὐτῷ πρόβλημα
18
ποιησάσης τὸ καλούμενον ἀμφίχυτον τεῖχος, εἰσδὺς διὰ τοῦ στόματος εἰς τὴν κοιλίαν τοῦ κήτους, αὐτοῦ τὰς λαγόνας διέφϑειρεν. ὁ δὲ Λαομέδων ὑπαλλάξας ϑνητοὺς δίδωσιν ἵππους. μαϑὼν δὲ Ἡρακλῆς ἐπεστράτευσε καὶ Ἴλιον ἐπόρϑησε,
καὶ οὕτως
ἔλαβε τοὺς ἵππους.
(FGrHist 4 F 26 b). ACRVLa
1-3 le. CRVLa (ὑψηλόν om. RVLa; xai Παλλὰς A90vn A 8. ἔπεμψε δὲ V AC: Λαομέδοντος La: om. RV 11 La 125’ ἐκεῖνος RV 17 καὶ αὐτοῦ
i.
ἡ ἱστορία
παρὰ
‘EMavixw
pro κῆτος: τεῖχος perper. R): Τρῶες xeom. R. 10 τῷ Aaop. RVLa αὐτοῦ ἐκϑεῖναι τῷ κήτει codd.: ἐκδοῦναι AC: ὃ xai αὐτοῦ RV: om. La
Cfr. F. Montanari, Studi di filologia omerica antica. I, Pisa 1979, p. 100 en. 16.
122
3
FRANCO
MONTANARI
Y 215-6 Δάρδανον ad πρῶτον τέκετο > > > O2 N — C Cn
Ἰλευεισπεί. .] [ [umviv aerde Bea Iejinuadew Axe]
3* mano
[ovAopewvny ἡ pvora Αχ]αιοις αλγε εϑίηκε) [πολλας è ιφϑιμους] ψυχας Aet πίροιαψεν)
[nowwv avrovg de ελΊωρι ‘a’ τευχε κυνίεσσιν)
[ἰοιωνοισι τε πασι Avolc ὃ ετελειετίο BovAn] [εξ ov δη ta πρωτα διασίτητην εἐρι[σαντε
1-6. I resti sono della parte destra della colonna: a sinistra mancano ca. 15/17 letterc. 3. L'ultima lettera sembra x piuttosto che A: τὸ δόρυ x[óAx£ov è una possi-
bilità suggerita dal testo omerico (cfr. N 247; TI 346, 608, 862; W 896). 5. Forse Jat. Vd. n. sg.
6. L'ultima traccia è di una lettera rotonda."Sì può pensare a una forma di σπεύδω, in contrapposizione con κατὰ σχολήν del τ. 5: ex. gr. κελεύει ore[völe[ıv (un ordine d’idee del tipo di Isocr., Paneg.
164 o viceversa);
cfr. Aristoph., οί. 47-B, col comm. di J. van Leeuwen (Leiden 1905) e di R. G. Husser (Oxford 1973). 7. La prima lettera può essere u, B, x: se si pensa a una glossa sopra il v. A l, viene in mente uovoa, che sarebbe spostato a destra rispetto a Bed. Di
fatto, le tracce dopo v consentono solo speculazioni. 9-13. Tracce di colore rosso, cfr. introd.
10. L'asta verticale di y invade l'o sottostante. Leg. "Aid. 11. Un piccolo a é stato aggiunto nell'interlineo dalla stessa mano. Dello v di tevye è completamente perduta la parte superiore sinistra e molto di quella destra: ora sembra uno iota, ma era in effetti ıl corretto Aypsilon.
XIII DUE
PAPIRI
DI SCHOLIA MINORA ALL'ILIADE (P. Oxy. 3832 e P. Ryl. 536)
Gli Scholia minora su papiro sono la più diffusa forma di interpretazione omerica che l'antichità ci abbia tramandato: per una defini-
zione e una descrizione (anche in rapporto con gli altri generi di Homerica antichi) si veda supra VII. Sommando l'/liade e l'Odissea,
la quantità di testimoni 51 va avvicinando al centinaio e non c'e dubbio che molti altri frammenti papiracei con Scholia minora omerici giacciono nelle collezioni e saranno via via pubblicati negli anni a venire!. Nel quadro dei precedenti antichi del corpus degli
Scholia D in Hiadem, gli Scholia minora su papiro rappresentano dunque la parte più cospicua, alla quale si affiancano i frammenti delle Hypotheseis e quelli del Mythographus Homericus: cfr. per questo supra VII e XI e infra XIV. I due frammenti che seguono saranno naturalmente inclusi nel vol. I dell'edizione degli Scholia D in lliadem (cfr. il piano infra
XIV): la presentazione del testo e dei Zestimonta, con le relative convenzioni, è quella che sarà adottata nell'edizione (salvo minimi cambiamenti che potranno rendersi necessari). L'elenco delle ab-
breviazioni comprende soltanto quelle funzionali ai due testi che seguono. Nell’apparato zioni.
Quando
dei
Testimonta sono
utilizzate
le seguenti
conven-
una fonte è menzionata senza precisazione del verso
omerico, si intende allo stesso verso oggetto del commento. Nell'indicare coincidenze, somiglianze e differenze, normalmen-
te non si tiene conto di semplici formule introduttive come ἀντὶ τοῦ, ὁ ἐστι. τουτέστιν eccetera, e di solito neppure dell'articolo (a meno di‘una particolare rilevanza). —
indica completa coincidenza con il testo del papiro, sia nel lemma che nel glossema. = [] significa che la scelta lessicale del glossema è la stessa, ma il lemma e il glossema sono in forma differente rispetto al testo
l. L. M. RAFFAELLI, Repertorio dei papiri contenenti Scholia minora in Homerum, in Ricerche di filologia classica II, Pisa 1985. pp. 139-177: una nuova edizione aggiornata € in stampa.
132
FRANCO
MONTANARI
del papiro (per es. nomi e aggettivi mostrano differenze di caso, genere o numero; i verbi differenze di modo, tempo o persona).
f
segnala (quando il fatto rivesta qualche interesse) una diver-
sa spiegazione per lo stesso lemma; # [] una diversa spiegazione per lo stesso lemma in forma diversa (come sopra).
+
posto dopo una sigla indica che la fonte per quel lemma nel luogo citato offre più di quanto è riportato indica la presenza di del papiro, di portata
cfr.
materiale del passo del papiro oppure nell'apparato. elementi di somiglianza con la glossa e interesse variabili e da valutare.
ABBREVIAZIONI Acl. Dion.
Frammenti di Elio Dionisio, in: H. Ersse, Untersuchungen zu
Ap.
den attizistischen Lexika, Berlin 1950. Apions Γλῶσσαι Ὁμηρικαί, hrsg. v. S. Neitzel, SGLG 3, Ber-
Ap.
Ldw.
lin-New York 1977, pp. 185-328. Apionis Glossae Homericae, ed. A. Ludwich, Ueber die homerischen Glossen Apions, I-II, Philologus 74 (1917), pp. 205-247 e 75 (1918), pp. 95-127 (= Lexica Graeca Minora, Hildesheim 1965,
pp. 283-358). Apolloni Sophistae Lexicon Homericum, rec. I. Bekker, Berlin 1833; Κα. Steinicke, Apollonit Sophistae Lexicon Homericum, Diss. Gottingae 1957, con nuova edizione delle lettere a-ó. Scholia D all'7liade; citati dall’ed. pr. Σχόλια yevderiypapa Διδύμου, ed. EGen
Janus Lascaris, Romae 1517 (sigla La); talvolta
dai mss. CHRV (cfr. in questo volume, XIV). Etymologicum Genuinum. Lettera A: K. Alpers, Bericht über Stand und Methode der Ausgabe des Etymologicum Genuinum (mit einer Ausgabe des Buchstaben A), Det Kongelide Danske Videnskabernes
Selskab,
hist.-filos.
Medd.
44.3,
Kopenhagen
1969, pp. 25-57; Etymologicum Magnum Genuinum, Symeonis Etymologicum una cum Magna Grammatica, Etymologicum Magnum Auctum, voll. I-II, ἀα-βώτορες, edd. F. Lasserre-N. Livadaras,
vol. I, Roma 1976 - vol. IT, Atene 1992 (sigla LL).- A = Vat gr. 1818 (cfr. E. Miller, Melanges de Littérature Grecque, Paris 1868); B = Laur. S. Mar. 304.
EGud EM
Etymologicum Graecae linguae Gudianum, ed. F. Sturz, Lipsiac 1818; per le glosse ἀάλιον-ζειαί: Etymologicum Gudianum quod vocatur, rec. A. De Stefani, Lipsiae 1909-1920 (sigla De Ste.). Etymologicum Magnum, ed. Th. Gaisford, Oxonii 1848; Etymologicum Magnum Genuinum, Symeonis Etymologicum una cum Ma-
DUE PAPIRI DI SCHOLIA MINORA ALL'ILIADE
133
Eust.
gna Grammatica, Etymologicum Magnum βώτορες, ed. F. Lasserre-N. Livadaras, vol. II, Atene 1992 (sigla LL). Eustathii Commentarii ad Homeri Iliadem, voll. I-IV, Lugduni Batav. 1971-1987; ad Homeri Iliadem et Odysseam, ad fidem G. Stallbaum, Lipsiae 1817-1825.
Auctum, voll. I-II, avol. I, Roma 1976 -
He.
Hesychii Alexandrini Lexicon, rec. K. Latte, voll. I-II, Hau-
ed. M. van der Valk, Eustathn Commentarii exempli Romani ed.
niae 1953-1966 (a-0); ed. M. Schmidt, voll. I-V, Ienae 18581864. Lex. Hom.
Lexeis Homerikai: citate da Scholia minora in Homeri Iliadem,
Par. Gaz.
rec. V. de Marco, Pars prior, AESEIZ OMHPIKAI codd. U et 5$, fasc. I, a-e, Romae 1946; altrimenti dai mss. O (Bodl. gr. class. f 114), S (Selestad. gr. 105), U (Vat. Urb. gr. 157). Ὁμήρου ᾿ἰλιὰς μετὰ παλαιᾶς παραφράσεως ἐξ ἰδιοχείρου τοῦ
Par. Bekk.
Scholia
Θεοδώρου Fabi, Firenze 1811.
in Homeri
Iliadem,
Παράφρασις τῆς Ὁμήρου
ex
rec.
I.
Bekkeri:
Appendix.
Ἰλιάδος, ex cod. Par. gr. 2690, Be-
rolini 1825. Phot.
Photu Patnraarchae Lexicon, rec. S. A. Naber, voll. I-II, Leiden
X (2%, X5)
ed. Chr. Theodoridis, vol. I, a-6, Berlin - New York 1982. Συναγωγὴ λέξεων χρησίμων: Σ᾿" = Coislin. 347, a ed. Καὶ. Boy-
Su.
sen, Progr. Marburg 1891-1892, pp. I-X XIX (Lex. Gr. Min. cit., pp. 12-38); Z^ = Coislin. 345, a-o ed. L. Bachmann, AGI, pp. 1-422. Suidae Lexicon, ed. A. Adler, voll. I-V, Lipsiae 1928-1938.
1864-1865 (Glossae Homericae excerptae, vol. II, pp. 274-353);
P. Oxv. 3832: Sch. min. B 201-218 (+ 265-267?) P. Oxy. 3832 é un piccolo frammento di rotolo papiraceo (cm. 9,5 X 15), datato al II sec. d.C. e scritto sul verso di P. Oxy. 2525 (fr. di Euforione). Nel repertorio della Raffaelli era indicato come inedito al nr. 025: l'ed. pr. si trova nella serie dei P. Oxy.°. Rimangono parti di due colonne mutile in basso, con un margine superiore di circa 2 cm.: della seconda rimangono solo pochissime lettere iniziali di riga e dunque iniziali dei lemmi. Non ci sono segni di lettura.
2. RAFFAELLI, of. cit. alla n. 1; F. MONTANARI, 3832. Scholia minora to Iliad 2. 201-18 etc. in The Oxyrhynchus Papyri LVI, Londra 1989, pp. 48-51.
UM
FRANCO
MONTANARI
col. I
ἀπτόλεμος) ἄναλκις
ἀπόλεμος ]
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συνκατηριϑμηπολυᾳρχί[α ἤτοι σκολ{ιο]βού-
Àkov ἢ περ]ὶ τῶν ἀγχύλων πραγμάτων ἄριστᾳ βουλενομένου ] ἠχεῖ, ἐστὶν δὲ ἰδίω-
Qo texta X, στα Ux TOv. xud-
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DUE PAPIRI DI SCHOLIA MINORA ALL'ILIADE Cor.
135
I
9fort. xva.c. ll.[fort.e£vel 8. 13 post ev fort. n vel εἰ, deinde pars circuli (fort. 0); ]-avwv verisim. ut videtur 17 πρίεπον minus probabile 21 o s. l. adiunxit hasta verticali intra t et a inserta — l. * D; * Lex. Hom. a 697; # He. a 6877; # Par. A; # Par. Bekk. 2. = D+; = Par. Bekk.; = Su. a 1941; = EM 97.254; = Par. A; = [Lex. Hom. a
482]; = [He. a 4415]; # Lex. Hom. a 465; cfr. He. a 4413-4 (&vaAx£c, ἀναλκής), Phot. a 1541, Ps-Zon.
189.
3-4. καταριϑμούμενος D, Par. A, Par. Bekk.; xatapıdundeis He. e 2671. 5. = D; = Lex. Hom. (mss); = Eust. 199.33, 202.28, 203.4, 203.8; = He. n 2873; = EGud. 475.4 Stu.; = Ps-Zon. 1565+; = Par. A; = Par. Bekk.; = Par. Mosch.; = Par. Gaz. 6-8. τοῦ σκολιοβούλου
Par. Bekk.; ἀγκυλομῆται: σχολιόβουλοι Z* ed. Boysen p.
VIII a 15, Z^ An. Ba. I p. 12.17, Phot. a 188, Su. a 253 (vedi Paus. att. a *16); ὡσκολιόβουλος. ol δὲ τὸν δυνάμενον περὶ τῶν ἀγκύλων xai σκολιῶν εὖ βουλεύεσθαι EM 11.14; ftoi ἀγκύλα καὶ σκολιὰ βουλευσάμενος ... ἢ ὁ τὰ ἀγκύλα καὶ δυσχερῆ πράγματα τῇ μήτι περιλαμβάνων D (cfr. anche D ἃ Δ 59); τοῦ ἀγκύλα καὶ σκολιὰ
βουλευομένου Lex. Hom. a 39; .. τοῦ δυναμένου περὶ τῶν ἀγκύλων καὶ σκολιῶν εὖ βουλεύεσθαι Ap. S. 4.24 (a 40); τὸν ἐπὶ τῶν ἀγκύλων καὶ σχολιῶν πραγμάτων ὀρθῶς βουλευόμενον EGud. 13.4 De Ste., Ep. Hom. AO 9,7; ὁ ἀγκύλα καὶ σκολιὰ βουλευσάμενος EGud. 13.19 De Ste.; σκολιὰ BovAsevou£vov He. a 569, Ps-Zon. 16 e 22. 9-10. le. βρέμεται oppure σμαραγεῖ; ἠχεῖ (per entrambi) = D+; = Par. A; = Par.
Bekk.; = He. B 1090, (B 1088], a 1224; = Lex. Hom. B e s.v. σμαραγεῖ mss.; per βρέμεται sch. D (T") a B 210 5 + (p. 227.32 Erbse); cfr. βρέμει: ἠχεῖ Et. Sym. p. 134.8 Berger+, EM 212.19; βρέμει: ταράσσει, ἠχεῖν ποιεῖ ΣΡ An.Ba. I p. 181.30, Phot. B 269, Su. B 531; cfr. cuagpayeiv ἠχεῖν Ps-Zon. 1650-4; # EM 720.51 s.v. σμαραγεῖ, EGud. 506.5 sgg. Stu., Ep. Hom. AO 385.16 sgg.; βρέμεται: ἦχον ποιεῖ, σμαραγεῖ: ἠχεῖ Par. Mosch. Solo il lemma σμαραγεῖ in P. Hamb. inv. 736 v (Raff. 023) II 11. M.W. Haslam, per lettera, suggerisce che il lemma fosse ἠχῇ (209), glossato ἤχῳ o ἤχει (da ἦχος 6/16): # D, # Lex. Hom. mss. 11. B 211 &Etovto] ἐξκαϑέζοντο (così Par. Bekk.; cfr. Etero: ἐκαϑέζετο D ad A 246, Lex. Hom. e 58, He. e 603, E^ An. Ba. I p. 207.12; cfr. Su. e 278) è una possibilità,
ma lo spazio della lacuna sembra troppo poco: altrimenti potevano essere glossati ἐρήτυϑεν (211), xa8' ἕδρας (211) o Θερσίτης (212). 12-13. l'interpretazione di ἀμετροεπής occupava due righi. Al r. 13 ev...[, la prima lettera è forse n o εἰ o anche τ (se il lato destro della traccia € solo inchiostro che scende lungo una fibra), la seconda è una lettera rotonda, forse o, la terza parti di
un tratto verticale sul bordo; alla fine |.avwv è probabile ma non sicuro. La glossa in D ἄμετρος ἐν τῷ λέγειν, φλύαρος (così anche He. a 3619; cfr. ἄμετρος ἐν τῷ λέγειν Lex. Hom. a 378, Par. Bekk.; τὸν ἐν τῷ λέγειν ἄτακτον Eust. 205.3) offre dei suggerimenti, ma, supponendo che al τ. 12 si possa integrare [ἄμετρος] (un po’ lungo
136
FRANCO MONTANARI
per la lacuna), rimane il problema che al τ. 13 le tracce alla fine del rigo non vi si adattano. participio, ma la prima traccia non sembra P, verbo che si adatti. Una possibilità (suggerita
c'è troppo spazio per tv τῷ λέγειν e Di per sé ].avwv suggerirebbe un y, ὁ, 9, x, x, x e non so trovare un da J. Rea) è ἐν toi[c λόγοις λ]είαν
drv, dove λίαν qualificherebbe un aggettivo del r. 12; ma l'integrazione sarebbe di
nuovo un po’ lunga e l’iperbato strano. 14. = D; = sch. B 212-6 (Nic.); = Ap. S. 65.24+; = Eust. 205.6; = He. ε 1551; = X^ An. Ba. I p. 213,32; = Su. e 526; = EM 323.19+; = Par. A; = Par. Bekk.; = Par. Mosch.; = Par. Gaz.; cfr. EGud. 445.13 De Ste.; cfr. xoqóv: ϑόρυβον Da A 575, al.; P. Colon. 2281 (Raff. 016) V 20: κολῳφόν- θόρυβον, EGud. 334.46 Stu.,
Ep. Hom. AO 135.3.
15. = Dad B 109; = Lex. Hom. ε 556; = He. e 4287; = Ps-Zon. 808+; = Par. Mosch.; = Par. Gaz.; = [D ad A 77, 108, 150, 201; B 7, al.); = [He. e 4285]; = [Su. e 2816]+; = [EM 367.55]+; = [Z^ An. Ba. I p. 234.11]+; P. Strasb. 33 (Raff. 011) IV 22 Enea πτερόεντα᾽ ταχεῖς [λ]όγους; cfr. EM 335.2, 383.50; He. € 4286; # Par. Bekk. (δήματα). 16. ἄκοσμα᾽ ἀδιάτακτα, ἀπρεπῆ Lex. Hom. nel ms. O; &xooya ἀπρεπῆ, ἄταχτα D
nel ms. C (assente in D e Lex. Hom. come pubblicati), He. a 2501, X^ An.Ba. I p. 59. 3, Phot. a 798, Su. a 933, EM 51. 22+; &npem Par. Bekk.; ἄταχτα sch. B 212-6 (Nic.); ἀτάκτους (λόγους) Par. Mosch., Par. Gaz. 17-18. = He. x 1180; κατὰ τὸ noénov D+, Par. Bekk.: ma la lettura xo[é£xov non si adatta alle tracce; xatà τὸ προσῆχον D ad E 759, P 205. 19. = sch. ex.
B 215 ὁ +; ἐφαίνετο D, Par. A; = [Lex. Hom. e 183, ε 94]; = [Ap.
Ldw. s.v. εἴσασϑαι)+; = [Ap. S. 63.24], cfr. 62.25; = [Ep. Hom. AO 135.7]+; = [Su. εἰ 235]+; = [EGud. 433.10 De Ste.]+; = [EM 306.36]+; cfr. sch. B 212-6 (Nic.), Eust. 205.18, 729.57, EM 296.10 sgg.; εἴδεται" φαίνεται P. Strasb. 33 (Raff. 011) V 13, Da 6 559, Lex. Hom. e 94, Ap. S. 63.24, Eust. 729.57; εἴσαιτο" δόξειεν He. e 1084+; εἴσατο ... ἐφάνη Ps-Zon. 6474. 20. aloxoótaxoc D, Lex. Hom. a 181, He. a 2148, EM 39.57+, Par. A, Par. Bekk;
αἰσχρός EGud. 56.11 De Ste. : ἐχϑρότατος del pap. può essere un materiale errore per αἰσχρότατος (cfr. anche B 220 ἔχϑιστος" ἐχϑρότατος D, Lex. Hom. ε 1027, Par. Bekk.). 21. = D+; = Lex. Hom. (mss.); = Ap. S. 164.17+; = Ep. Hom. AO 423.27; = Eust. 206.18; = He. q 730; = Z^ An. Ba. I p. 407.32; = Su. q 565; = EGud. 555.34 Stu.+; = EM 798.2+; = Ps-Zon. 1817+; = Par. A; # Par. Bekk.
22. Per l'alternanza ortografica συνοχωκότεσυνοκωχότε cfr. P. Chantraine, Diet. Etym., p. 1070 b con bibliografia. συμπεπτωκότες Dt, sch. ex. ad B 218 è, Eust. 206.47 (cfr. anche 206.44), Ps-Zon. 1693+, Par. Bekk.; ἐπισυμπεπτωκότες He. σ 2675; συμπεπτωκότε EM 735.469, Par. A; (συμπεπακότες [sic] EGud. 516.14 Stu.); cfr. anche Su. a 1604 συνοχωκότε- rap’ "Oyrjow διὰ τὸ μέτρον; diversamente Ps-Zon. 1694 avvoxoxóta: εἰσδεδυκότα.
DUE PAPIRI DI SCHOLIA MINORA ALL'ILIADE
137
Cor. II 6Xoppure a?
14 prob. a
15 lettera rotonda con tratto centrale: € oppure è
Ho cercato una possibile sequenza non ho trovato nulla che non fosse I coprono 18 versi di Omero in 22 nelle righe perdute fra I 22 e II 8
di lemmi che si adattasse a queste tracce, ma aperto a sostanziali obiezioni. I resti della col. righe: con questo indice, ci aspetteremmo che fossero coperti forse una quarantina di versi.
Per i rr. 8-10 potrebbero andare μετάφρενον, ἰδῥνώθη, θίαλερόν dei vv. 265-266,
ma trovo una parola iniziante per 5 solo in Ζεύς del v. 324 (che ricorre ancora ai vv. 371, 375, 412), non molto soddisfacente e forse già troppo lontano dai versi coperti dalla col. I: un'altra parola iniziante per È non si trova prima di ζώνην al v. 479. Per le due iniziali ai rr. 11-12 M.W. Haslam (per lettera) propone ζ[μῶδιξ e α[ἱματόεσσα del v. 267, dove ζ[μῶδιξ sarebbe grafia erronea per σἰμῶδιξ (cfr.
Gignac, Gramm. Gr. Pap. I, p. 121): l'ipotesi € acuta e mi pare fornisca la soluzione più probabile. P. Rrı.
536: Scu. ΜΙΝ. N
198-562
Questo frammento di codice papiraceo fu pubblicato per la prima volta nel 1938 da C. H. Roberts nella raccolta dei papiri della John Rylands Library di Manchester, dove il frammento è tuttora conservato?. Esso contiene una piccola porzione di Scholia Minora
al XIII libro dell’/liade*. Durante una visita alla Rylands Library di Manchester, alcuni anni or sono, ho visto il papiro in originale e ne ho controllato completamente la trascrizione: è stato possibile anche compiere una definitiva ricostruzione delle parti di testo conservate, trovando tra l’altro la giusta collocazione di un piccolo frustulo prima disposto in modo sbagliato. In quell’occasione il vetro contenente il frammento di codice € stato aperto (con l’aiuto del personale della Biblioteca) e si è proceduto a un restauro, per cui ora il pezzo sì presenta correttamente. Come si può ben vedere dalle tavole, il frammentino contrassegnato con A sembrava attaccato al resto ed era prima collocato in un modo che, tra l’altro, rendeva del tutto incomprensibile perché dopo col. II 17 del recto ci fosse dello spazio bianco come di fine colonna, mentre poi la colonna pareva continuare con tracce di altre righe di testo (tracce che facevano pensa-
3.
Catalogue of the Greek and Latin Papyri in the fohn Rylands Library, Manchester. Vol.
IH. Theological and Literary Texts (Nos. 457-551), ed. C. H. Roperts, Manchester,
University Press, 1938, pp. 176-178.
4.
P. Ryl. 563 = Pack? 1195 è incluso nella lista di L. M. RArFFAELLI, Repertorio
cit. (sopra n. 1): Iliade 051
(p. 153).
138
FRANCO MONTANARI
re a iniziali di righe, quindi di lemmi, ma inspiegabilmente spostate a destra). L'autopsia ha permesso di vedere che il frammentino A era autonomo ed era stato collocato in quella posizione per un restauro errato: la sua giusta collocazione, unito alla parte destra del frammento maggiore guardando il recto, risolve ogni problema di ricostruzione materiale, mostrando che abbiamo effettivamente
alcune righe di una seconda colonna, con una striscia del margine inferiore della pagina sotto entrambe le colonne parzialmente conservate. Le tracce iniziali di righe all'estrema destra del frammento maggiore,
guardando
il recto, collimano perfettamente
con
le
piccole parti di lettere mancanti a sinistra del frammentino A: lo si vede benissimo a col. II 3 del recto, dove il delta iniziale di δαλόν è
diviso a metà fra l'estrema destra del frammento maggiore e l’estrema sinistra del frammentino. Nella sua corretta sistemazione, il papiro misura cm. 8,3 X 11. Abbiamo dunque un pezzo della parte inferiore di una pagina di codice papiraceo, collocabile nel III sec. d.C. su basi paleografiche. La pagina conteneva due colonne di testo, con un ridotto intercolunnio (circa 1 cm.): il fatto di avere la fine delle colonne con
il margine inferiore (conservato per cm. 1,5 circa) consente qualche considerazione sul contenuto del codice. Nel recto l'ultimo lemma della col. I riguarda il v. 227 e l'ultimo lemma della col. II riguarda il v. 324: dunque la col. II copriva i versi da 228 a 324; nel verso l'ultimo lemma della col. I riguarda (a quanto pare) il v. 435 e l’ultimo lemma della col. II riguarda il v. 562: dunque la col. II copriva ı versi da 436 a 562. Se ne può ricavare (come già diceva Roberts) che ogni colonna di Scholia minora doveva coprire in media, grosso modo, almeno un centinaio di versi omerici, tenendo
conto della presenza più o meno fitta delle glosse. Ciò significa che gli Scholia minora al libro N dell Iliade dovevano essere contenuti in 8/10 colonne, cioé 4/5 pagine. Con questa media per l'intero poema ci sarebbero voluti circa 40 fogli: considerando la maggiore ricchezza normalmente registrata nei primi libri, glossati sempre in modo molto più fitto, possiamo pensare a un codice di qualcosa come 50 o 60 fogli, per cui appare del tutto accettabile quanto già ipotizzato da Roberts, cioé che il frammento provenga con ogni probabilità da un codice di Scholia minora all'intera /liade, scritto con un modulo abbastanza piccolo in pagine di due colonne com-
patte e piene". 5.
P. Ryl. 536 = Pack? 1195 è preso in considerazione da E. G. Turner, The
T V. I Riprod uo p r g nlile on i n d I Dir ctor :rnd Univ r it John R ·land niver it)1 Libra · di Man he l r
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91
IO 4,
DUE PAPIRI DI SCHOLIA MINORA ALL ILIADE
139
I due punti su iota a recto col. I 3 sono l'unico segno di lettura visibile, non compaiono spiriti, accenti e segni di punteggiatura, lo iota muto non è scritto (cfr. recto I 4, 17). Il testo è in genere corretto: δηξήνορα per ῥηξήνορι a recto II 7 è il solo errore certo; a recto I 14 lo scriba è intervenuto a cancellare due lettere scritte per sbaglio; in qualche punto sembra che la scrittura sia stata ripassata. Gli Scholia minora sono disposti (come nella maggior parte dei glossari di questo genere) su due colonne, lemmi a sinistra e glossemi a destra: la divisione è segnata da un piccolo spazio bianco. Ogni glossa comincia a capo della riga, il glossema che va alla riga successiva inizia rientrato (un caso visibile a recto I 12-13; cfr. recto I 1-2, verso I 2-3, II 8-9, 11-12, 13-14); la lunghezza massima della
riga sembra essere di circa 23 lettere (cfr. recto I 9, 12, 18). Recto — col. I x]apxapoòovtw[v Ἰνημένους óóóv[rac
3 6 9
12 15
18
ὁἸωπήϊα συμφυτί γαΪμφηλῇσι σιαί[γόσι |. ol σφαιρηδ]όν περί ἀντ]εβόλησε ἀπίήντησε .(.)]..vovro nvol ἰγνύην uevolva
198
199 200 201? 204 210
τὸ ério[w τοῦ γόνατος προϑυί
212 214
ἀϊντιάαν μετ[αλαμβάνειν Π]λευρὼν καὶ [Καλυδὼν πόλεις Αἰτωλίας! τ]ίετο [[..]] ἐτιμᾶ[το
215 217 218
ἀπειλαί
καυχήϊ[σεις
219
ἀϊκήριον
Aypuxlolmosv
224
ó]xvo
φόβῳ
àa|vovetar
νων)ύμους
ἀν[αδύετα]ι xai φεύ᾽γει΄
ἀ[νωνύμ]ρυς
margine
225
227
Typology of the Early Codex, Univ. of Pennsylvania Press 1977, p. 111, n. 205: Turner conferma la datazione al III sec., non indica dimensioni di pagina, ipotizza un’area di scrittura di cm. 10 X 30, per il numero di righe per colonna si limita a riportare 19+; assodata, naturalmente, la presenza di due colonne per pagina.
140
FRANCO
MONTANARI
317 320 322
Ankregios ἀκτήν ὀηξ[ἠ͵νοραί
Verso
324 margine
|
—À
τ"
——
=41—
“
lnRp0’01—
Jo. -[
πυλάρταο
τοῦ] τὰς πύλας
415
κλ]είοντος
πομπόν
jov
ϑέλξας
ἀπατήσας
margine
]ev..[.C.)]. a.[ ]. .oop. «αλοφί |.pevo. x...[ πήληκα
περικεφ[αλαίαν
βόμβη)σε ἐψόφί[ησε alyvmóc] γύψ τιτήνίᾳς teivals
νεου]τάτου
νεο[τρώτου
Ἰγρωμένου ἐκλίνθη
ἐπεκλίν[ετο
ϑυμορ]αϊστής
τὴν [ψυχὴν
525? 927 330 531 334 339 343 34
διϊ]αφϑείρων
12
15
416 435
φλέβα | γεῦρον uel
546
ἔκερσ]ε
548 549
} αἵματος[
| &xéxows|
π[ετάσ]σας
ἐκτείν[ας
DUE PAPIRI DI SCHOLIA MINORA ALL'ILIADE 18
141
m[epro]tadov περισίτάντες oltewgältro ἀνεστρ[έφετο ἢ [τεῦ] A τινος
551 557 559
ἀ[ϊμενήνωσεν)
562
&[o]devü [ἐποίησε
margine
Recto
—
Col. I 3] ema pap. 4 -Ancı pap. 5 [n ονυ]ξι op[vıdwv ed. pr.: ma la lettura sia di È che di ἡ ὃ molto problematica, inoltre lo spazio bianco fra « e o indica che si tratta di una nuova glossa e non della prosecuzione della glossa precedente; cfr. comm. 14 due lettere cancellate dallo scıba 17 -xvo pap. -Bo pap. 18 γει ὁ scritto sopra qev Col. II
6 nella parte iniziale della riga la scrittura è svanita
Verso | Col. 1 1
]ee ed. pr.: possibile anche ]ooo[
Col. II 1 [....]evag.]ra.[ ed. pr.: ao è molto dubbio, anche ες o εὖ sono possibili 2 [.......]..06 μετὰ λοφίου ed. pr. (cfr. comm.): non mi pare si possa leggere μετὰ 3 [....... ].uevov κομοί ed. pr., e «[&vaxet]auevov might be read, cfr. Ap. S. s.p. αὐλῶπιφ»: ma v. comm.
7 [....]of.].[ / [....]os xe. [ ed. pr.: ma in realtà
fra le attuali r. 6 e r. 8 c'è una sola riga, v. comm. Recto +
Col. I 1-2 (198) [κ]αρσχαροδόντωϊν ἐχόντων ἐ|..νημένους 666v[xac] ed. pr.: possibile anche κ]αρχαροδόντω[ν (τῶν) ..... / Ἰνημένους ébóv[rac ἐχόντων); rispetto ai paralleli
citati sotto, in P. Ryl. c'era evidentemente una diversa specificazione di ὀδόντας. - ὀξεῖς fi ἐπικαμπεῖς ὀδόντας ἐχόντων D (cfr. ad Καὶ 360), Par. Gaz.; καρχαροδόντες: εὐκεχαραγμένους ὀδόντας ἔχοντες Lex. Hom. mss.; τῶν ὀξεῖς ἐχόντων ὀδόντας Par. Bekk.; καρχαρόδους" τραχεῖς ὀδόντας ἔχων X^ 268.11, Phot.+, Su. x 442+ [# x
441]; He. x 945-946; καρχαροδόντες' τραχυόδοντες Ap. S. 95.10; cfr. EM 493.2 ton "uu EGen. AB, EGud 301.44. 3 (199)
τόπος. cfr
ot ὄσμνοι! ed. pr., cfr. Par. Bekk.; possibile anche
σύμφυτίος
, Phot., Su., He. — ol τόποι ἐν οἷς ῥῶπες φύονται κτλ. D, cfr. Lex.
Hom. mss. (τόπους δα ἐν οἷς ῥωπες φύονται. ῥῶπες δέ εἰσιν ἱμαντώδη φυτά), Ap. S. 139.25, EM 705.55-6 (# EGen. AB sv δώπες, Par. Gaz.+; Evita bünec (ol θάμνοι) εἰσὶ συνεχεῖς Par. Bekk.; τόπος ἐν ᾧ ol δῶπες φύονται f| ol σύμφυτοι τόποι He. 9 576; δῶπες δασεῖα ὕλη, ἢ κατάκομος καὶ σύμφυτος τόπος E^ 360.15, Phot., Su. o 257 (cfr. o 258 δῥωπήϊα' τοὺς συνδένδρους τόπους). 4 (200) «perhaps ϑηρῶν should be added after σια[γόσιν» ed. pr. - = D+; manca in Lex. Hom.; = Par. Bekk., Par. Gaz., Ap. 5. 53.34 (y 866)+, He. y 128 (cfr. y
142
FRANCO
MONTANARI
126), EGud 297.19+ De Ste. (cfr. 219.5, 219.17), Eust. 927.58; γαμφηλή: ἡ σιαγών Su. y 51, EM 221.12-3+, EGen. AB, EGud 219.5+, 219.17+ De Ste.
5 (201?)
[ἢ 5vv]E delvidwv] ed. pr., ritenendolo continuazione della glossa pre-
cedente: ma la lettura di Ee di Q non appare convincente, e inoltre fra v e o c'è uno
spazio bianco, come quello che separa il glossema dal lemma. Si tratta dunque probabilmente di una nuova glossa: κορυστ]αί ὀπίλιῖται (cfr. D) si accorderebbe con lo spazio e con le tracce (i mss. omerici a N 201 hanno xogvotá o κορυσταί). — κορυστά: κορυσταί, ὁπλῖται D, Par. Gaz.; κορυστήν: καϑοπλιστήν Lex. Hom. mss.; oi πολεμισταί Par. Bekk. 6 (204) ἰ[σφαιρηδ)όν περ[ιστρεφϑέντα;] ed. pr.; la lettura di o suscita qualche dub-
bio, ma [σφαιρηδ])όν resta la ricostruzione più probabile. Per la glossa possibile anche περ[ιφερές, cfr. He. - δίκην σφαίρας D, Par. Bekk., Par. Gaz., Eust. 927.60; be opalpav Lex. Hom. mss.; σφψαιρηδόν᾽ περιφερές, στρογγύλον ὡς σφαῖρα He. a 2835; ... καὶ σφαιρηδόν, διὰ σφαίρας... Su. o 1719. 7 (210) Manca in D; = Lex. Hom. a 572 (cfr. # a 568); = Par. Gaz.; = [He.a
5334]; ἀντιβολῆσαι ἀπαντῆσαι κτλ. E* xiv b 6, E" 102.3, Phot. a 2080, Su. a 2655, EM 112.47 (a 1461 LL); συνήντησεν Par. Bekk., sch. ex. N 2117; ἀντιβολῆσαι: συναντῆσαι κτλ. Ap. S. 31.31 (a 413); He. a 5392, 5394; ἀντιβολῆσαι: ὑπαντῆσαι
xtA. Ap. Ldw. I 221.13, cfr. EGud 151.23 De Ste. B ετι vvv τὸ ηνοί ed. pr., inteso come continuazione della glossa precedente ma non rientrato nella riga (a differenza della r. 13 appena sotto). Ma la lettura di et
non è senza problemi: la prima lettera è del tutto indecifrabile; la terza può essere t; la seconda peró scende nettamente sotto il rigo, cosa che normalmente
non
accade per t, ma piuttosto per vepe talvolta per i. Inoltre fra to e n c'è un evidente spazio bianco, che fa pensare a una separazione lemma/glossema e porterebbe a ipotizzare una glossa .(.)]..vuvto nvof. Con questa ricostruzione tuttavia
non si vede quale possa essere il lemma (non si riscontrano casi di glosse disordinate nelle parti conservate), per cui rimane forse preferibile, almeno allo stato
attuale, pensare a una continuazione della glossa precedente, anche se non si capisce lo spazio bianco (un puro errore?) e non si ricostruisce il testo. 9 (212) = Par. Bekk.; = D+ (ἀγκύλην CHRVLa, τὸ ὀπίσω μέρος too γόνατος HRVLa, παρὰ τὸ ἰκνεῖσϑαι HRV); τὸ ὀπίσω μέρος τοῦ γόνατος sch. ex. N 212a, Eust. 928.13, Par. Gaz.; lywim: ὁ ὑπὸ τὸ γόνυ τόπος ὀπίσω τοῦ γόνατος EP 260.1,
Phot., Su. ı 85; cfr. He. ı 151-152, EM 464.53, EGen. AB, EGud 270.6 (128.5); # Lex. Hom. mss. (ἰγνύην: τὴν ἀγκύλην, cfr. D. Eust. 4.ε.), 10 (214) Il verbo più comune per glossare μενοινάω è προϑυμέομαυπροϑυμοῦμαι, meno frequente è ἐνθυμέομαι (varie forme anche in Lex. Hom. mss.): προεϑυμεῖτο Par. Bekk.; # D ἐνεϑυμεῖτο (CRVLa), ἐνθυμεῖται (H). La glossa nel papiro pone qualche problema: προϑυίμος nv] ed. pr. (cfr. προϑυμίαν εἶχεν Par.
Gaz.), e in nota «or perhaps προςε;»θϑυμειτο» sulla base di Par. Bekk. Ma c’è un'altra possibilità. Uno dei mss. di D (cfr. sopra), invece dell’imperfetto ἐνεθυμεῖτο, reca il presente ἐνθυμεῖται: questo farebbe pensare a una confusione
dell'imperfetto pevoiva con il presente μενοινᾷ: vedi per es. T
164 μενοινάᾳ:
προϑυμεῖται D; B 34 μενοινᾷ: κατὰ διάνοιαν ἐνθυμεῖται κτλ. sch. H; cfr. pevoive (sic): roottuneitaı Lex. Hom. mss., μενοινᾶι" προθυμεῖ κτλ. He. à 857 (cfr. 855-856, 858860). Se nel papiro {dove non sono notati né gli accenti né lo iota muto) lo scolia-
sta è incorso nel facile scambio,
la glossa poteva anche essere ngotv[ypei o
προϑυίμεῖται. Cfr. inoltre uevowóo: προϑυμοῦμαι κτλ. Ap. S. 111.15, EM 596.40-1, EGud 387.45 (npoftupòò). 11 (215) = D+; = Par. Bekk.; = Par. Gaz.; € [Lex. Hom. a 553, 554, 557,
DUE PAPIRI DI SCHOLIA MINORA ALL'ILIADE
143
559], Ap. S. 36.29; ἀντιάζειν B^ τὸ μεταλαμβάνειν ἢ τὸ ὑπαντᾶν Ap. Ldw. I 221.11; ἀντιάαν᾽' μεταλαβεῖν He. a 5375 (cfr. 5376-5380, 5444-5446); cfr. EGen. a 920 LL, EM 113.51 (a 1467 LL). 12-13 (217) = [D]}+; cfr. He. x 532, x 2532; EM 40.32; Eust. 928.24. 14 (218) Manca in D; = Par. Bekk.; = Par. Gaz.; = He. 1855 (cfr. x 853-854); τιέσκετο: ἐτιμᾶτο (cfr. tiev: ἐτίμα) Lex. Hom. mss.; τίω; τιμῶ E^ 388.11, Phot., Su. t 649: EM 760.15, EGud 529.57 e 227.5, 24 De Ste. 15 (219) # D; al καυχήσεις sch. ex. N 219, Par. Gaz.+; al ἀπειλαί Par. Bekk.; ἀπειλητῆρες: xavyntai Lex. Hom. a 614; ἀπειλῶν: καυχώμενος E* xvi b 12, ΣΡ 115.
32, Phot. a 2314, Su. a 3123; cfr. Ap. Ldw. I 222.18, EGen. a 1002 LL, EM 121.2 (a 1559 LL). 16 (224) = D, Par. Bekk., [Par. Gaz.], [Ap. Ldw. 1215.12]Ὁ, EGen. a 322 LL, EM 47.50+ (a 643 LL), Eust. 928.49; ἀκήριος: ἄψυχος, νεκρός Lex. Hom. a 265;
ἀκήριοι: olovei ἄψυχοι κτλ. Ap. S. 19.15 (a 200); Ael. Dion. a 66; He. a 2385. 17 (224) Manca in D e in Lex. Hom.; τῷ ὄκνῳ Par. Bekk. (dove φόβος glossa il precedente δέος nello stesso verso); 6xvoc ... xai εἰς τὸ φόβος EGud. 424.33, 555.11; cfr. ὀκνεῖν" τὸ φοβεῖσθαι δηλοῖ παρὰ τοῖς παλαιοῖς Phot.; ὀκνῶ: φοβοῦμαι Su. o 116; EM 620.48-9; He. o 582; # Par. Gaz. 18 (225) =D (ἀναδύεται CHLa, ἀναφύεται CHRV: ma ἀναφύεται non dà senso e va probabilmente corretto in ἀναφεύγει, come è confermato proprio da questo papiro”); ἀναδύεται Par. Bekk., Eust. 928.37, 53; cfr. He. a 4287-4288, ἀναδυόμενος: φεύγων κτλ. E° 82.25, Phot. a 1466 (cfr. a 1464), Su. a 1865; # Lex. Hom. a 502, Par. Gaz.; = EGen. a 763 LL, EM 96.8 (a 1240 LL). 19(227) Manca in D; = Lex. Hom. mss., Par., Bekk., Par. Gaz., Ap. S. 117.20, EM 608.16-7+, EGen. AB, [He. v 794]+; νώνυμος᾽ ἀνώνυμος, ἄδοξος Z^ 310.19, Phot., Su. v 554+; # sch. ex. N 227 a. Col. II
1 (317)
= D+, Par. Bekk.+, [Lex. Hom. a 245]+ (cfr. # a 189); almiv: ὑψηλὸν
κυρίως, σημαίνει dé ποτε xai τὸν μέγαν κτλ. Ap. S. 13.10 (a 128); αἰπύν: ὑψηλόν, μέγαν Su. αἱ 274+, EM 37.28 (a 535 LL), He. a 2056-2057; # Ariston. sch. N 317; # Par. Gaz. 2 (320) Manca in D e in Lex. Hom.
3 (320)
δαί[υλον ed. pr., è la glossa più probabile (cfr. D), ma non è escluso il
semplice δαλόν (cfr. Par. Bekk.). — δαῦλον, κεκαυμένον ξύλον D; δαλόν Par. Bekk., Par. Gaz., # Lex. Hom. è 34; # £^ 188.17, Phot. ὃ 36, Su. ὃ 32; cfr. EM 246.33-4 (249.48-9), EGen. AB, EGud 194.2 De Ste. 4 (322) =D, Par. Bekk., Par. Gaz., [Lex. Hom. a 86, e 34, 43, 45]; ἔδων: ἐσθίων
Z^ 207.9, Su. e 259; He. e 500, 550; EM 14.14, 315.33, 615.22; EGud 399.14, 22, etc. De Ste.
5 (322) Se la glossa occupava solo questa riga, certamente non ci poteva stare più di τὸν oitov: a meno che il glossema non proseguisse nella riga seguente, cfr. comm. a r. 6 - D: Δημήτερος δὲ ἀκτὴν τὸν oltov CHRVLa; ἐπεὶ κατασσόμενος καὶ ἀλούμενος ὁ σίτος ἄρτος γίνεται CHVLa; oí(xov Par. Bekk., Par., Gaz.; cfr. Lex. Hom. ὁ 122, EM 266.3-4, EGud. 76.8 De Ste., Eust. 934.33,
6.
Cfr. infra XIV.
144
6
FRANCO
MONTANARI
[xaXxox] t[e ρηκτος ed. pr., nuovo lemma
dal v. 323: cfr. χαλκῷ te ῥηκτός:
σιδηρότρωτος D. Tuttavia il calcolo dello spazio farebbe pensare che il gruppo di lettere χαλκω sia un po’ troppo lungo per la porzione di riga a sinistra. Non è impossibile che qui proseguisse la glossa della riga prec., cfr. comm. a r. 5. 7 (324) leg. δηξήνορι (mss. omerici). — ἀνδρείῳ, παρὰ τὸ δέζειν D; ῥηξήνορα (H 228): ῥηγνύντα τὰς τάξεις τῶν πολεμίων τῇ ἑαυτοῦ δυνάμει Lex. Hom. mss.
Verso | Col. I 2-3 (415) ἰσχυρῶς (ovy)xAfelovros potrebbe stare alla τ. 3. — τοῦ τὰς πύλας ἰσχυρῶς ipaouótovtoc D, Par. Bekk., Par. Gaz. (om. ἰσχυρῶς); manca in Lex. Hom. mss.; ἰσχυρῶς συναρμόξοντος καὶ κλείοντος τὰς πύλας διὰ τὸ μηδένα ὑποστρέφειν ἐξ "Aıdou D ad 8 367; τοῦ τὰς πύλας ἰσχυρῶς ἐπαρτῶντος καὶ
συγκλείοντος sch. V ad À 277; πυλάρταο:... τοῦ τὰς πύλας ἐπαρτῶντος ἰσχυρῶς, olov ἐφαρμόζοντος κτλ. Ap. ἰσχυρῶς ἐπαρτῶντος £P 4347+ (le. πυλάρταο προσηρτημένου Ap. fr.
S. 137. 25; Ariston. sch. N 415 c; πυλάγστου: τοῦ τὰς πύλας 355.21, Phot., Su. x 3160 (+ xal πυλάρταο, ὁμοίως), He. x κρατεροῖο), cfr. EM 696.49, EGen. A; τοῦ τὰς πύλας 116, cfr. He. x 4346.
4 (416) Nell’ed. pr. sono citati ὁδηγ)όν oppure ὁδοιπόρἾ]Ἶον come possibili integrazioni del glossema (συνοδοιπόρον è certamente troppo lungo): i paralleli (cfr. soprattutto D e Lex. Hom.) indicano anche σύνοδ)ον. — σύνοδον D; σύνοδον, πόρον ἢ ὁδηγόν Lex. Hom. mss.; [EM 682.7]+; πομπός' ὁδηγός He. x 2967€, 2969, 2972, Eust. 938.23, συνοδοιπόρον Par. Bekk., Eust. 940.3; πομπόν: συνοδοιπόρον καὶ προπέμποντα IP 346.14, Phot., Su. x 2028; προοδοποιόν Par. Gar. 5(435) Il salto dal v. 416 al v. 435 è considerevole, ma è difficile che si tratti di una glossa diversa (cfr. ed. pr.); anche in D (controllato sui mss.) abbiamo glos-
sati questi due lemmi e in mezzo si trovano soltanto altre tre glosse. Il calcolo dello spazio fa preferire &xavjjoac (come ed. pr.) ad ἀμαυρώΪσας (cfr. D), che però non si può escludere.- ἀπατήσας, ρώσας D; ϑέλξας: ἀπατήσας Lex. Hom. mss., Par. Gaz.; θέλγει: ... ἀπατᾷ ... E? 254.24, Phot., Su. ὃ 103; θέλγειν: ... ἀπατᾶν ... Ap. Ldw. I 241.4; cfr. He. è 207, 211; EGen. AB s.v. 68 ye, EM 445.1, 152.40, 751.38-9, EGud 82. 52, 257. 28, 30; # Par. Bekk.; # Ap. S. 86.30.
Col. II 1-2 L'ed. pr. sospettava che i resti delle rr. 2-3 appartenessero a una glossa di αὐλῶπις (v. 530) o di πήληκα (v. 527), perché ar. 4 integrava [τρνυφαλει]α (v. 530):
su questa strada orienterebbe soprattutto Aoq alla r. 2, che fa certo pensare a una forma di λόφος. Tuttavia alla τ. 4 abbiamo il lemma πήλη]κα del v. 527 e a τ. 3 con tutta probabilità il lemma tegy]épevoi del v. 525 (vedi il comm. sotto), e non si
riscontrano nel papiro casi di glosse disordinate. L'interpretazione dei resti delle rr. 1-2 rimane oscura. 3(525?) ἐεργ]όμενοι κωλυ[όμενοι (v. 525) si adatta bene allo spazio e alle tracce: e se la lettera dopo pevo è effettivamente iota, allora c'è anche lo spazio di separazione fra lemma e glossa. — tegyöpevor: εἰργόμενοι, κωλυόμενοι D, Par. Gaz; xwiuvbuevo Par. Bekk.; ἐέργων: κωλύων Lex. Hom. e 54; He. e 75-76, 78-80.
4 (527)
[τρυφαλει]α nepıx[e)pforma ed. pr. (v. 530): ma [Teupakeıla è troppo
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145
lungo, e inoltre prima di a si vede una traccia di lettera che non è ı ma si concilia bene con x. - = D+, Par. Bekk., Par. Gaz., E^ 342.14, Phot., Su. x 1511; = [Lex. Hom. mss.] πηλήκη (sic): περικεφαλαία (forse da cfr. anche con πηνήκη: περικεφαλαία τριχωτή κτλ. E^ 342.20, Phot, Su. x 1529 πηνίκη); πήληξ: περικεφαλαία κτλ. Ap. S. 131.18, He. x 2182, EGen. a 571 LL, EGen. AB ;..
πήληξ, EM 74.46 (a 983 LL), 670.32, EGud 466.12. 5 (530)
βόμβησε: ποιῶς ἐψόφησεν κτλ. Ap. S. 52.23 (B 833); βόμβησεν᾽ ἐψόφησεν
He. B 790; βόμβησεν' ἐψόφησέ πως E^ 180.23, Phot. B 210, Su. B 373; βόμβος- ψόφος
tig Phot. β 209, EGen. B 177 LL, EM 204.45 (B 220 LL); ἤχησε D, Par. Bekk., Par.
Gaz., cfr. Lex. Hom. p 93-94 (Böußos: ἦχος: v. de Marco ad loc.); Boußeiv ... τὸ ἠχεῖν EM 204.44 (B 220 LL). 6 (531) Manca in D; = Par. Bekk., [Lex. Hom. a 163]; αἰγυπιοί; ol μὲν γυπῶν τι γένος, ol δὲ τοὺς ἀετοὺς κτλ. Ap. S. 17.18 (a 172), cfr. EGen. a 168 LL, EM 29.4 (a 431 LL); αἰγυπιὸν ol παλαιοί, οὐ γῦπα E° 43.1, Phot. a 519, Su. αἱ 74+ ... ἡ εὐθεῖα
αὐγυπιός, ὁ vi; He. a 1740 abyumóv: εἶδος ἀετοῦ, cfr. Par. Gaz. 7 (534) [...Jogvew..[ ed. pr. (che inoltre ha erroneamente visto due righe fra r. 6 e r. 8, cfr. app. sopra). — διατείνας D+, Par. Gaz.; ἐκτείνας Par. Bekk.; manca in Lex. Hom. mss.; titaivw τὸ τείνω EGen. A; cfr. He. 1970 (967-969), EM 760.42-3, EGen. AB; # sch. ex. N 533-534.
8-9 (539)
La glossa proseguiva sicuramente nella riga successiva e sembrerebbe
ovvio (cfr. i paralleli sotto) integrare νεωστὶ] / τεϊτρωμένου, ma «τετρωμένου can-
not be read», dice giustamente l'ed. pr.: dunque, a meno di ricorrere all'ipotesi di un errore, doveva esserci qualcosa di diverso. — νεοτρώτου Gaz., [EM 601.13]; = [He. v 365]; νεωστὶ τετρωμένου Lex. 10 (543) επεκλινίετο)] ed. pr.: ma non si può escludere una ne, come in Par. Bekk. - Manca in D; ἔκλινε τὴν κεφαλήν
D, Par. Bekk., Par. Hom. mss. differente costruzioPar. Bekk.; # [Lex.
Hom. e 245, 249]; # Par. Gaz. 11-12 (544) =D (... φϑείρων); = Par. Bekk. (6... φϑείρων); ϑυμοφϑθόρος Lex. Hom. mss., cfr. He. 9 892; ϑυμοραϊστής: διαφϑαρτικὸς τῆς ψυχῆς κτλ. Ap. S. 88.31; # Par. Gaz.
13-14 (546)
Nell'ed. pr. c'e un dubbio sull'identificazione del lemma e sul glos-
sema, ma si tratta sicuramente di φλέβα glossato con νεῦρον (come garantisce almeno il confronto con Esichio): segue με[στὸν (109)] αἵματος — He. q 576 φλέβαι (sic, leg. φλέβες)" νεῦρά τινα αἵματος δεκτικά; cfr. Ruf., Onom. 208 (p. 163 Daremberg-Ruelle); Arıst., H. A. III 3, 513 ab parla per le φλέβες di τὸ νευρῶδες μόριον; cfr. anche Hipp., Ligu. II 3. — ὅλην δὲ ἐπέτεμε τὴν νωτιαίαν φλέβα D; manca in Lex. Hom. mss.; φλέβα Par. Bekk., Par., Gaz.; φλέβες" ἀπὸ τοῦ τὸν φλογωδέστατον χυμὸν παρέχειν, τουτέστι τὸν τοῦ αἵματος κτλ. EM 795.45-6, EGen. B, EGud 553.
55 Vedi anche sch. ex. N 547 e 548 b, Ariston. sch. N 548 a, con i quali cfr. Arist. H. A. L c., che cita questo verso omerico. 15 (548) = Par. Bekk.; # D+; manca in Lex. Hom.; ... τὸ κείρω, τὸ κάπτω ... EM 46.25, 504.56, 508.1, 527.7, cfr. EGud. 158.10, 311.32; # Par. Gaz. 16 (549) = Par. Bekk., Par. Gaz.; manca in De in Lex. Hom. mss. 17 (551) περισίτάντες ed. pr. — περιστάντες Lex. Hom. mss, He. x 1867; περιιστάμενοι D (cfr. sch. N 551 c Erbse), Par. Bekk.; περισταδόν: περιεστῶτες E^ 340.19, Phot., Su. x 1294; # Par. Gaz. 18 (557) = D, Par. Bekk., Par. Gaz.; manca in Lex. Hom. mss.; στρωφᾶσθαι: Ἰλιάδος ι΄, ἀναστρέφεσθαι EM 731. 13, EGen. AB; cfr. He. oa 2059-2061, Su. a 1229, EGud 489.7.
146 19 (559) in Lex.
20 (562)
FRANCO MONTANARI =D Hom.
(cfr. sch. N 559 Erbse); ἢ κατά τινος Par. Bekk., Par. Gaz.; manca mss.; cfr. He. x 647, EM
752.10-1, 755.34-5, EGud
526.3-4,
Non c'è spazio per integrare più di ἐποίησε. - ἀσθενῆ γενέσθαι ἐποίησεν
D; ἀσθενῆ ἐποίησε Lex. Hom. a 437, Par. Gaz., He. a 3582+, Su. a 1552, EGen. a 629 LL, EM 81.56+ (a 1059 LL); ἀσθενὲς δὲ ἐποίησεν Par. Bekk.; ἀσθενῆ ἐποίησεν xtA. Ap. S. 27.3 (a 334); cfr. EGud 113.6, 116.5 De Ste.
XIV NOTE
SULLA TRADIZIONE MANOSCRITTA DEGLI SCHOLIA D IN ILIADEM. UN CASO DI ERRORE DA ARCHETIPO
Da diversi anni sto lavorando a una nuova edizione degli Scholia D all’/liade, che si desidera ormai da molto tempo (non essendo mai stata sostituita l’editio princeps pubblicata da J. Lascaris a Roma nel 1517) e che deve completare l'insieme degli Scholia Vetera all'1liade, dopo che H. Erbse ha edito gli scoli derivati da VMK (cioe il Commentario dei Quattro: Didimo, Aristonico, Nicanore, Erodiano) e i cosiddetti Scholia Exegetica!. L’edizione completa degli Scholia D in Iliadem prevede un insieme di cinque volumi: nel vol. I troveranno posto i precedenti papiracei (Aypotheseis, Scholia minora, Mythographus Homericus)? del corpus degli scoli trasmesso dai manoscritti bizantini; i voll. II-IV recheranno il testo degli Scholia D con gli indici; il vol. V conterrà le Lexeis Homerikai con i loro indici?.
Di questa raccolta scoliografica — esclusi i testi papiracei, ai quali dedicò solo sporadiche attenzioni — cominciò a occuparsi molti anni fa Vittorio de Marco, che riprese poi il lavoro in età molto avanzata e non poté arrivare al suo compimento. De Marco ha lasciato un testo provvisorio fino al canto XVII, basato sulla collazione dei quattro manoscritti C H R V + led. pr. di Lascaris. Per sua volontà, tali carte sono state consegnate a me, che avevo indi-
pendentemente iniziato l'edizione degli Scholia D e, venuto a conoscenza del suo ritorno di interesse, avevo preso contatto una decina d'anni prima della sua morte e avevo avuto periodicamente con lui simpatiche e fruttuose conversazioni*.
1. Scholia Graeca in Homeri Hiadem (Scholia Vetera), recens. H. Ersse, voll. I-VII, Berolini 1969-1988: per le classi degli scoli e i problemi ecdouci si veda la Praefatio
nel vol. I e il volume Beiträge zur Überlieferung der Hiasscholien, München 1960. Cfr. anche M. Scuwipr, Die Erklärungen zum Weltbild Homers und zur Kultur der Heroenzeit in den bT-Scholien zur Ilias («Zetemata» 62), München 1976, pp. 1 sgg. 2.
Cfr. F. Montanarı,
Studi di filologia omerica antica. I, Pisa
1979 e gli studi
pubblicati in questo volume; vd. Gnomon 57, 1985, p. 763. 3. Sugli Scholia D vedi anche M. van DER VALK, Researches on the Text and Scholia of the Iliad, voll, I-II, Leiden 1963-64, vol. I, pp. 202-413, con la recensione di H. Ersse in Gnomon 36, 1964, pp. 553-55. 4. Cfr. M. GegvuoNar, Vittorio de Marco, in Gnomon 61, 1989, pp. 188-190.
148
FRANCO MONTANARI
Il lavoro per un'edizione critica moderna fu intrapreso verso la fine del secolo scorso da A. Schimberg, che fece approfondite indagini sulla tradizione manoscritta ma arrivò a produrre soltanto un piccolo specimen limitato ai primi cinquanta versi dell’/liade”. Come dicevo, il lavoro fu ripreso qualche decennio dopo (presumibilmente negli anni Venti di questo secolo) da Vittorio de Marco, che portó importanti correzioni e miglioramenti ai risultati di Schim-
berg e modificó sensibilmente lo stemma della tradizione manoscritta?. Inoltre de Marco ebbe il merito di valorizzare il rapporto con l'elemento glossografico degli Scho/ta D di un lessico omerico alfabetico, che reca nei manoscritti il titolo Λέξεις Ὁμηρικαὶ κατὰ
στοιχεῖον: pensò di iniziare la sua edizione con queste Lexeis Homerikai e ne pubblicò un primo fascicolo”. Purtroppo de Marco abbandonò poi il lavoro e non videro mai la luce né il resto delle Lexeis né l'edizione degli Scholia D: come dicevo sopra, egli ritornò a occuparsene in tarda età verso la fine degli anni Settanta, ma il lavoro rimase lontano dalla conclusione?. Per diversi anni ho dedicato principalmente le mie forze a mettere insieme il materiale dei testi papiracei per il Vol. I, che ha richiesto moltissimi sforzi e ha comportato non poche difficoltà di vario genere (selezione dei testi e definizione del piano di quelli da includere, reperimento delle fotografie, collazione degli originali, aggiornamento per l'apparizione di nuovi frammenti e cosi via) e adesso è avviato al suo compimento. Nel frattempo, comunque, è proseguito anche il lavoro sulla tradizione manoscritta e la costitu-
5.
A.ScHmmserc, Zur handschriftlichen Überlieferung der Scholia Didymi, in Philolo-
gus 49, pp. 421 sgg.; Id., Zur handschriftlichen Überlieferung der Scholia Didymi I-IH «Wissensch. Beilage zu dem Progr. d. Kgl. Ev. Gymnasiums zu Ratibor», Göttingen 1891 e 1892; Scholia in Homeri Iliadem vulgata e codicibus aucta et emendata, edidit A. SCHIMBERG, A 1-50, «Festschrift z. hundertjäh. Jubelfeier d. Kgl. Friedr. Wilh.
Gymnasiums zu Berlin», Berlino 1897, pp. 67-79. 6.
V. pe Marco, Sulla tradizione manoscritta degli 'Scholia Minora' all'IHiade, in «Atti
R. Accad. Naz. dei Lincei - Memorie Cl. Sc. Mor. Stor. Filol.», S. VI, vol. IV, fasc. IV, 1932, pp. 371-407; Da un manoscritto degli "Scholia Minora’ all'Iliade, in
«Atti R. Accad. d'Italia - Rendiconti Cl. Sc. Mor. Stor.», S. VII, Suppl. al vol. II — Bollett. Ediz. Naz. Classici, fasc. II 1941, pp. 125-145. 7. Scholia Minora in Homeri [liadem, recens. V. pe Marco, Pars Prior: AESEIZ OMHPIKAI codd. Urb. CLVII et Selestad. CVII [sic: leg. CV], fasc. I, a-e, Romae
1946. Ai due manoscritti U 8. Alcuni frutti del lavoro Philostephanos e Esiodo, Par. Teofrasto, Callimaco, St. Ital.
S bisogna aggiungere: O = Bodl. gr. class. f 114. sono stati pubblicati da pe Marco nei due articoli: Pass. 165, 1975, pp. 453-462; Frammenti di Teopompo, Filol. Class. S. III, 2, 1984, pp. 193 sgg.
LA TRADIZIONE MANOSCRITTA DEGLI SCHOLIA D IN ILIADEM 149 zione del testo del corpus scoliastico vero e proprio e delle Lexeis Homerikai. Allo stato attuale degli studi non è più possibile considerare separatamente questi tre elementi (vale a dire i precedenti restituiti dai papiri, gli Scholia D e le Lexeis Homerikai), per cui l’edizione deve prevederli tutti insieme, corredati da un congruo apparato di testimonia e loci similes e dagli opportuni rimandi incrociati secondo il piano definito sopra. I manoscritti principali che recano gli Scholia D in Hiadem sono quattro, cioe C H R V, nei quali si trova il corpus di scoli autonomo, vale a dire senza il testo del poema?. Bisogna poi utilizzare il celebre codice Ven. A, nel quale sono confluiti, come è ben noto, anche
estratti di scoli della classe D'°. A questi si è aggiunto un frammento restituito dal codice miscellaneo Paris. Suppl. Gr. 679 (P), che nei fogli 1-20, probabilmente del sec. X, contiene gli scoli da II
140 a Σ 593 (con qualche lacuna)!'. Facciamo seguire le sigle: Manoscritti À
Venetus Graec. 822 (olim Marc. gr. 454), sec. X
C
H P R V
Rom. Bibl. Naz. gr. 6 + Matrit. 4626 (71 Ir.), sec. IX ex./X in.
Vat. gr. 2193, sec. XII X Paris. Suppl. Gr. 679, ff. 1-20, sec. X X Vat. gr. 32, sec. XII X Vat. gr. 33, sec. XI ex.
Edizioni La Barnes
9.
J- Lascarıs, Sch. D in Hliadem, editio princeps, Romae 1517 Ϊ. BARNES, Homeri Ilias et Odyssea cum scholiis, Cantabrigiae 1711
Cfr. A. SCHIMBERG € V. DE Marco, off. citt. sopra alle note 5 e 6; A. Hen-
RICHS in ZPE 7, 1971, pp. 107 sgg.; F. MONTANARI, Studi filol. omer. I, cit. sopra alla nota 2; G. CAvALLo, Lo specchio omerico, Mélanges ἔς. Franc. Rome - Moyen
Age 91, 1989, pp. 609-627. Un frammento di Scholia D autonomi, precisamente da A 10 a B 266, si trova anche nel manoscritto Crypt. Z.a. X XV, sul quale cfr. N. G. WirsoN, A Manuscript of the D-Scholia, ZPE 23, 1976, pp. 61-62: è un apografo di V, scritto dalla stessa mano, per cui è eliminato dallo stemma. 10. Cfr. Ersse, vol. I, Praefatio cit., pp. XLV e LXXIV sg.; pe Marco, Tradiz. manoscritta, cit., pp. 403 sgg. Il. CavaLLo, Specchio omer. cit., p. 611, data questi fogli al sec. X. Il codice riunisce pezzi di epoche e contenuti differenti; inoltre i ff. 1-20 sono in successione disordinata: f. 1 r contiene l’incipit di Σ, la parte iniziale conservata è al f. 11 r con lo sch. IT 140, la parte finale è al f. 20 v; qualche passo è del tutto illeggibile. Per i fogli con scoli esiodei (risalenti al sec. XII) il ms. è stato utilizzato in Scholia Vetera in Hesiodi Theogoniam, rec. L. Di GREoonIO, Milano 1975: vd. p. IX.
150
FRANCO MONTANARI
Heyne
Homeri Ilias, cur. C. G. HEYNE, acced. Scholia Minora, Oxonii 1821 Scholia in Homeri Iliadem, ex rec. I. Bekkeri, Berolini 1825
Bekker
Lo stemma della tradizione manoscritta, a cui è pervenuto de Marco nei suoi lavori preparatori, comprende i quattro codici C H R V, il codice Ven. A e
l'ed. pr. La (la posizione di P, scoperto in
seguito, deve ancora essere definita). Per quanto ho potuto vedere fino a questo punto del lavoro, tale stemma rimane valido ed è il seguente:
u
v
|
|
|
"
|
|
vi
v?
V
R
| | x C
A
H
| La
In questa nota ci occupiamo ora di uno scolio che offre un esempio di estremo interesse per la tradizione manoscritta. Il verso in questione è Zliade N 225, ıl lemma
è ἀνδύεται.
Posidone,
assunte le
sembianze di Toante, capo degli Etoli, rivolge una esortazione a combattere a Idomeneo, che così risponde (vv. 222-225): ὦ Oóav, οὔ tic ἀνὴρ νῦν γ᾽ αἴτιος, ὄσσον ἔγωγε γιγνώσκω: πάντες γὰρ ἐπιστάμεϑα πτολεμίζειν. οὔτε τινὰ δέος ἴσχει ἀκήριον οὔτε τις ὄχνῳ εἴκων ἀνδύεται πόλεμον κακόν.
Toante, nessuno ora è colpevole, almeno per quanto io sappia: tutti infatti sappiamo combattere. Nessuno trattiene un vile terrore e nessuno all’ignavia cedendo si ritira dalla guerra funesta.
LA
TRADIZIONE
MANOSCRITTA
DEGLI
SCHOLIA
D IN ILIADEM
151
Per il lemma ἀνδύεται al v. 225 i manoscritti degli Scholia D recano
una glossa, che si presenta come segue in C H R V e in La'!*: C H R ν La
ἀνδύεται: ἀναδύεται, ἀναφύεται ἀάνδυύεται: ἀναδύεται, ἀναφύεται ἀναδύεται: ἀναφύεται ἀναδύεται: ἀναφύεται ἀνδύεται: ἀναδύεται
A quanto pare, la prima preoccupazione è stata quella di ripristinare la forma normale ávaóv£ta " rispetto al poetico ἀνδύεται con apocope della preposizione'*: in conseguenza di questo, i manoscritti
Re V (dunque v) hanno preso ἀναδύεται come lemma (e in
verità ἀναδύεται è anche lezione erronea che si trova in diversi manoscritti)'”. La vera «traduzione» della parola poetica è data con ἀναφύεται, che compare in tutti e quattro 1 testimoni C H R V, ma non dä certo un senso accettabile. Il significato di ἀναδύομαι è senza dubbio quello di «indietreggiare, ritirarsi» e dunque «fuggire» dalla guerra, ritrarsi dalla battaglia. Che &vaq etat non dia un senso accettabile deve essersi accorto facilmente anche Lascaris,
che lo ha omesso, limitandosi a una poco significativa glossa ἀνδύεται: ἀναδύεται; in questa forma la glossa è stata ripresa tale e quale da Barnes e da Heyne (non è presente in Bekker). Che cosa si nasconda sotto il misterioso ἀναφύεται ce lo rivela
un frammento di papiro, cioè P. Ryl. 536, che contiene Scholia mino-
ra a Iliade N 198-562 (con lacune)!? e che a recto col. I 18 presenta la seguente glossa: ἀ]νδύεται ἀν[αδύετα)ι καὶ φεύγει
Per ragioni di spazio, giunto alla fine del rigo, lo scriba ha completato la glossa scrivendo yeı sopra φεῦ. L'integrazione non pone 12. 13. 14. 1958,
La glossa manca in A; il frammento P comincia più avanti. Comesi trova per es. nella parafrasi di BEKKER e in Eustazio 928.37. Per questi fenomeni vd. P. CuaNTRAINE, Grammaire Homérique, I, Parigi p. 87. ἀνδύεται è la lezione accettata da Aristarco,
ma
esisteva
anche
ἀδδύεται con assimilazione (che, secondo gli apparati di Ludwich e Allen, non compare nei manoscritti): cfr. sch. N 225 a Erbse, con 1 nferimenti. Su questo verso cfr. anche J. WACKERNAGEL, pp. 140 sg.
15. 16.
Kleine Schriften, Göttingen s.a. (1954?), vol. I,
Cfr. gli apparati di Ludwich e Allen ad loc. Cfr. sopra XIII.
152
FRANCO
MONTANARI
problemi: anche qui la glossa offre prima la forma usuale senza sincope e poi la «traduzione». L'uso di (&va)pevyw per glossare ἀναδύομαι è confermato
da
paralleli lessicografici: Esichio a 4287 Esichio a 4288
ἀναδῦναι: ἐκκλῖναι. ἀναφυγεῖν κτλ. ἀναδύομαι: φεύγω. ἀνανεύω. ὑποχωρῶ
Συναγωγήν 82.25 ἀναδυόμενος: φεύγων, ἀναχωρῶν, ἀναβαλλόμενος7. Fozio a 1464 ἀναδῦναι: ἐκκλῖναι. ἢ ἀναφυγεῖν κτλ. Fozio a 1466 ἀναδυόμενος: φεύγων, ἀναβαλλόμενος. Su. a 1865 ἀναδυόμενος:
φεύγων, ἀναβαλλόμενος.
Mi pare, dunque, che ci siano prove sufficienti per dire che il corrotto ἀναφύεται negli Scholia D deve essere corretto con una forma di ἀναφεύγω. La lezione giusta, suggerita appunto da P. RI. 536, potrebbe dunque essere ἀναφεύγει: un errore di lettura facilmente immaginabile avrebbe generato il tràdito ἀναφύεται, comunque sbagliato. Abbiamo comunque un bell’esempio di sicuro errore congiuntivo, risalente all’archetipo. La dipendenza dei nostri manoscritti dall’archetipo comune ipotizzato da Schimberg e de Marco, già ben sostenuta da altri errori congiuntivi, trova un’ulteriore conferma. Nell'edizione il comportamento corretto sarà quello di mettere tra cruces ἀναφύεται e indicare in apparato la possibile correzione con ἀναφεύγει.
17.
E^: dal codice Coislin. 345 ed. L. BACHMANN, AG I, pp. 1-422.
INDICE
VII
Premessa
I. Una glossa omerica pre-alessandrina? (Sch. ff. XVI 235 - Eubulo fr. 137 PCG) II. Omero, Eubulo, i pesci e i Chorizonte: III.
Termini e concetti della Poetica di Aristotele in uno scolio a Odissea
IV 69
IV. Aristarco a Odissea II 136-137 V. Il grammatico Tolomeo Pindanone, i poemi omerici e la scrittura VI. Tradurre dal greco in greco. Parafrasi omeriche nella Grecia antica VII. Gli Homerica su papiro. Per una distinzione di generi VIII. P. Pis. 1 e P. Bonon. 6: kypotheseis dell'Iliade IX. P. Oxy. 574 perso riconsiderato: frammento di Áypotheseis dell'Iliade X.
Le hypotheseis di Odissea B e y in P. Oxy. 3160 + P. Strasb. 1401
103
XI. Revisione di P. Berol. 13282. I papiri del Mythographus Homericus
113
XII. Testo in prosa + /liade I 1-6 nel P. Heidelberg 289
127
XIII.
131
Due papiri di Scholia minora all’/liade (P. Oxy. 3832 e P. Ryl. 536)
XIV. Note sulla tradizione manoscritta degli Scholia D in lliadem. Un caso di errore da archetipo
147