196 68 75MB
English, Italian etc. Pages 357+ill. [526] Year 1974
ARIK
ISTITUTO UNIVERSITARIO ORIENTALE
STUDI I N ONORE DI
GIUSEPPE TUCCI
Volume I
NAPOLI 1974
TUTTI I DIRITTI RISERVATI Tlpografla Don Bosco
-
Vla Prenestlna 468
-
Tel. 25.82.640
00171 Roma
Caro Professore, l'Istituto Universitario Orientale intende offrirle con questa miscellanea di studi un segno tangibile di riconoscenza e di gratitudine per l'opera indefessa che Ella svolge per lo sviluppo degli studi orientali e per la conoscenza dell'oriente nel nostro paese. Ognurzo di noi sa bene quale progresso per il mondo scientifico internazionale e per la cultura in generale rappresenti la Sua attività di studioso delle religioni e delle filosofie asiatiche, di storico, di filologo, oltre che di entusiasta organizzatore della ricerca. La sorprendente varietà dei Suoi interessi e il sincero slancio che ha contraddistinto sempre la Sua opera e sempre ha colpito chi Le è stato vicino sono in Lei la più eloquente testimonianza di una profonda adesione interiore alla Sua missione e di un compartecipe umano interesse alle grandi civiltà dell'oriente. In questo tratto caratterizzante il Suo impegno di studioso è il segno del trapasso da itn'epoca ad un'altra, da una mentalità ad un'altra mentalità. Nella Sua opera lo studio esotico dell'orienre, atvulso dalla odierna realtà culturale e sociale in un astratto accademismo. e l'atteggiamento sostanzialmente colonialistico nei riguardi di tanta parte dei popoli del terzo mondo sono decisamente superati. Per l'Istituto Universitario Orientale, però, la realizzazione dell'opera che Le viene ora dedicata ha anche un altro valore, del tutto particolare, che trascende quello della riconoscenza e della gratitudine verso di Lei e che a Lei certamente è più caro. Essa, infatti, rappresenta per tutti noi che lailoriamo in questo Istittrto Unil*ersitario la conferrna di un impegno a intraprendere, proprio in questo periodo di trasforn7azione del nostro ordinamento didattico e scientifico, il lavoro nuovo che ci attende al fine di incrementare gli studi orientali e di dqfondere, anche al di là degli schemi e dei canali classici della cultura accademica, la conoscenza dell'oriente. In verità, la nuora fisionomia che l'Istituto Unii*ersitario Orientale ha iniziato a darsi vuole appunto rispondere, nei limiti purtroppo angusti intposti dalla vigente legislazione dell'Univer~itàitaliana, alla sei~titissinlaesigenza d'in-
serire gli studi orientali in una cornice ampia al fine di spezzare ITasse rigidamente eurocentrico degli studi umanistici tradizionali nel nostro paese. Che quest'ultimo sia un compito da svolgersi con urgenza chiunque dovrebbe consentire, ma la tradizione ha spesso dalla sua la forza dell'inerzia, quando non s'allvalga di altri non meno pesanti argomenti. Per la prima volta in Italia sorgono una facoltà di lettere e filosofia e una facoltà di scienze politiche con tali nuovi orizzonti e accanto ad esse sorge una scuola di studi islamici: l'esperimento non dovrebbe fallire se l'impegno di tutti noi sarà costante e saldamente radicato. Ella costituisce un esempio del tutto -fuori del comune di qgtrello che è possibile realizzare, in questo campo, se si è in possesso di una volontà ferma e di un obbiettivo preciso. Tale impegno noi siamo convinti che si debba avere iivendo e lavorando dentro l'Università. E tanto più ne siamo convinti nella situazione attuale di crisi profonda dell'università e della Scuola d'ogni ordine e grado, quanto più siamo consapevoli dei limiti ora mai assurdi nei quali l'istruzione pubblica è costretta da anni e da decenni. Uno di questi limiti - e non il meno grave, data la radicale trasformazione politica, sociale, culturale e intellettuale avvenuta dal dopoguerra ad oggi - è segnatamente per gli studi umanistici nel senso più lato ( e non solo per essi) la barriera ancora alta nelle istituzioni e nelle strutture, non nella sensibilità e nelle aspirazioni dei più giovani, fra Occidente e Oriente, fra Occidente e terzo mondo. Barriera, questa, assurda non solo per chi voglia rendersi conto delle origini stesse della nostra civiltà occidentale e dei suoi successivi arricchimenti, ma anche per chiunque faccia la semplice constatazione che la storia dell'Asia oggi più che mai è storia nostra. I contributi di questa miscellanea coprono un campo di studi amplissinzo: dall'lran al Giappone. È questo il campo in cui Ella ha svolto principalmente la Sua attivit; di studioso. I due volumi che Le vengono ora offerti costituiscono un momento di incontro fra ricercatori di varia formazione culturale e scientifica. Fra di essi alcuni sono Suoi discepoli, altri - e sono molti discepoli dei Suoi discepoli, altri ancora coloro che in varia misura sono in ogni caso debitori verso di Lei quale promotore e molte volte pioniere di studi orientali. L'Istituto Universitario Orientale, caro Professore, è certo di far cosa gradita, offrendole questa miscellanea di studi, a chi fu tra i suoi professori, e cosa significativa per l'orientalistica italiana, considerando parti di essa, naturalmente, gli apporti di quegli studiosi stranieri che ora mai lavorano nel nostro paese. L'Istituto Universitario Orientale, cioè, dissentendo senz'altro dal parere sfavorevole che a volte si manifesta sull'utilità delle consuete Fest-
schriften, k lieto ed onorato di dedicarle un'opera che P un segno non irrilevante dell'impegno degli orientalisti italiani e forse anche una risposta, certo parziale, certo in st! non sufficiente, a quell'uugurio che Ella nel 1931 volle formulare nei nostri Annali, allorché si accingeva ad inaugurare i corsi della cattedra di cinese qui a Napoli: « Occorre che anche in Italia si acquisti coscienza della grande complessità di questi studi e delle loro esigenze attuali. Bisogna attrezzare i nostri laboratori perché permettano ai volenterosi di profittare nei rami tutti della scienza orientalistica; è urgente fondare una scuola che abbia tradizioni sue proprie e che degnamente si affermi come scuola orientalistica italiana con un contributo tutto suo, nuovo, serio ed organico:».
BIBLlOGRAFIA DEGLI SCRITTI DI GIUSEPPE TUCCI DAL 1970 AL 1974
Questa bibliografia è continuazione di quella pubblicata in G. Tucci, Opera minora, Roma 1971, I , p. XI e sgg. 173c. Théorie et pratique du mandala, Introduction par A. Patoux (« Documents spirituels », lo), Paris, Fayard, 1974, 150 pp. (ediz. francese del nr. 173).
285.
Notizie di libri, in « East and West », 20, pp. 473474, 485, 487490, 492, 502, 505-506
Opera minora (Università di Roma, « Studi orientali pubblicati a cura della Scuola Orientale )), VI), 2 voll., Roma, Giovanni Bardi, 615 pp. 287. Ciro il Grande. Discorso cornmemorativo tenuto in Campidoglio il 25 rnaggio 1971, Testo italiano e traduzione inglese, Roma, IsMEO, 34 PP. 288. Deb t'er dmar po gsar ma. Tibetan Chronicles by bSod n a m grags pa, vol. I. Tibetan Text, Emendations t o the Text, English Translation and an Appendix containing two Minor Chronicles ( a Serie Orientale Roma D, XXIV), Roma, IsMEO, XlV-245 pp. 289. Minor Buddhist Texts, Part 111. Third Bhivanikrarna (« Serie Orientale Roma », XLIII), Roma, IsMEO, XI-34 pp.
286.
290.
291.
I1 libro tibetano dei morti (Bardo Todol) (N Classici delle religioni Le religioni orientali N), Torino, UTET, 237 pp. (nuova ediz. rifatta del nr. 171). Introduzione a A. B. Tilia, Studies and Restorations at Persepolis and Other Sites of Firs, Rome, IsMEO, pp. XI-XIII.
Recensione di E. Lamotte, Le traité de la grande vertu de sagesse de Ntigirjuna avec une nouvelle introduction, in (( East and West », 22, pp. 366-367. Notizie di libri, in « East and West », 22, pp. 338-345, 348-349, 365366, 367-369, 372-373.
Tibet (« Arcliaeologia Mucdi D), Genève, Nagel, 239 pp. Tibet (« Archaeologia Mundi D), Geneva, Nagel (ediz. inglese del precedente). Tibet (« Archaeologia Mundi »), Genf, Nagel (ediz. tedesca del precedente). Sir Aurel Stein, in « East and West )), 23, pp. 11-12. Introduzione, in G. Tucci-A. Bausani-C. Pensa-L. Lanciotti-A. Tamburello, Uomo e società nelle religioni asiatiche, Roma, Ubaldini, pp. 7-14.
Introduzione a R. M. Cimino-F. Scialpi, India and Italy, Catalogo della mostra, Rome, IsMEO, pp. IX-XIiI.
I contributi qui raccolti sono suddivisi in tre parti, corrispondenti approssimativamente a tre grandi aree geografiche: la prima parte. che forma la materia del primo volume, concerne l'Iran; la seconda e la terza, che compongono il secondo volume. rispettivamente si riferiscono al mondo indiano ed all9Asia orientale. I pochi articoli che trattano delllAsia Centrale sono confluiti nella prima parte, in considerazione dei frequenti riferimenti al mondo iranico in essi contenuti. All'interno di ciascuna parte si t preferito non seguire l'ordine alfabetico degli autori ma raggruppare per quanto possibile gli studi che mostrano fra loro affinità di argomento, cercando al tempo stesso di osservare un sia pur approssimativo ordine cronologico della materia trattata. Nei riferimenti interni a questa raccolta le pagine sono indicate secondo la numerazione propria di ciascun articolo. La cura redazionale degli articoli relativi all'Asia orientale è dovuta ad Antonino Forte ed a Luigi Polese Remaggi; la redazione dei restanti articoli è stata curata da Mauiizio Taddei. I due volumi sono stati licenziati per la stampa il 20 marzo 1974.
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Annali dell'Istituto (Universitario) Orientale di Napoli. Bulletin de ~'École Francaise d7Extrèrne-Orient. Bibliotheca Geographorurn Arabicorurn. Bulletin of the Metropolitan Museurn of Art. Bulletin of the School of Oriental (and African) Studies. Corpus Inscriptionurn Indicarum. Études prblirninaires a w religions orientales dans l'Empire romain. East and West. Journal Asiatique. Journal of the Arnerican Oriental Society. Journal of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland. Zeitschrift fur vergleichende Sprachforschung. Mernoirs of the Archaeological Survey of India. M h o i r e s de la Dblégation Archéologique Francaise en Afghanistan. Revue de l'histoire des religions. Studi e materiali di storia delle religioni. Taish6 shinshu daiz6ky6. Transactions of the Oriental Ceramic Society. Transactions of the Philological Society. Ural-Altaische Jahrbucher. Wiener Zeitschrift fur die Kunde des Morgenlandes. Zeitschrift der Deutschen Morgenlandischen Gesellschaft.
INDICE
Dedica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia degli scritti di Giuseppe Tiicci dal 1970 al 1974
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Nota redazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Abbreviazioni
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M . Tosi The Lapis Lazu!i Trade across the Iraniart Platerru in the 3rd Millennirtrn B.C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
G h. Gnoli. Politica religiosa e concezione della regalità sotto gli Ache~nenidi . . . . E . Provasi. Avestico « x3:&ra- » . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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U Scemato. A proposito dello ' Air-vana Vaèjah '. Notizie sulle possibilitd di ollevaniento del bovino nella Drangiana come attivitd auronoma . . . . . . . . . . . . . . . . C . Barocas. Les statues ' réalistes ' et 1'arriirée des Perses &ns l'&ypte saite ......
G . Pugliese Carratelli. Un'epigrafe curia in Persia
............................ A . Bombaci. On the Ancienr Tidrkisli Title « Sa8 » . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . R . Rubinacci. Il Tibet nella Geografia d'ldrisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . G . Ventrone. Iscrizioni inedite su cerar~tica~anuuridein collezioni italiane . . . . . . . . E . J . Grube. Nores on the Decorative Arts of tlie Tirnurid Period . . . . . . . . . . . . . . . . A . M-,Piemontese. Bellezza e Cuore * di Fattàhi (nota e versione). . . . . . . . . . . . . . G. Scarcia. Cemberlita$. Monodendron. $anoubar ............................
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M . Pistoso L'ipotesi iranistica sul Vij gogoliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . G . Vercellin. Sull'eventiiale prototipo ironico &l russo K o R q . . . . . . . . . . . . . . . . . . G . D'Erme. La natura di affissi verbali dei monemi neo-persiani -kar. .W. -gar
..
E . Galdieri. L'acgiia neli'antico aspetto di Isfahan attraverso le pitrure parietali degli ultinzi due secoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Volume ii
P . DaffinA, La Civiltà dell'Indo e un frammento di Aristobulo
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G . Stacul. Su alcutri ritrovamenti archeologici presso Katelai. nella valle dello Sbvcit
C . Della Casa. Minima Upani4adica (Byhadaranyaka Up., II. I . 10-12; Kausltaki Up., IV. 12-14) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C . Pensa. Considerazioni sul tetna della bipolarità nelle religioni indiane ..........
D . Faccenna. Su una rappresentazione in un capitello coritizio di Aquileia . . . . . . . . M . Taddei. Appunti sull'iconografia di alcune niani/èstazioni luminose dei Buddha . . R . Gnoli. Il Dvayasampattivarttikam di Vanianadatta
........................
A . Bausani. An Islamic Eclio or tlre ' Trickster ' ? The 'ayyàrs of Indo-Persian and Malay Rottlances . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I . ijasan. The Blindi~ess of Jur'at: Facts and Fiction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . G. R . Franci. Appunti srrl 'progetto uomo ' di Sri Aurobit~do . . . . . . . . . . . . . . . . . .
R . Raza. La lutiga strada verso il Bangla Desh
............................. U . Nardella. Breve panoramica delle riviste indiane minori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L . Lanciotti. Ancora sulle spade cinesi
...................................... L . Petech. Alcuni dati di Chih Seng-tsai srrll'ltidia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A . Forte. Un pensatore Vijninavidin del VII secolo: Hsuan-fan . . . . . . . . . . . . . . . . F . De Napoli. Un simbolo tradizionale della nazione niongola: le Otto Tende Bianche (Naiman Cayan Ger) di Gengis Khan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P . Corradini. La politica dell'inlperatore Ming T'ai-tsu nei confronti dci nloimci brtddhisti e taoisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E . Bottazzi. L'esplorazione di La-hsi e Shu-lrrn alle sorgenti del Fiume Giallo nel 1704
V . Anselmo. Una ricerca sul nome Kudara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . F . Mazzei. L'istitirto del Kishin nel Giappone antico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . R . Vulpitta. Il monogatari della fine dell'epoca Heian . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
M . Muccioli. La lettera di Koshigoe (Koshigoe-jò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L . Bernabò Brea. Alcuiie stanipe teatrali di Katsukawo Sh~rnsh6nel Museo Chiossone di Genova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . F . Gatti. Meiji: restaurazione. rivolnzione o riforma? (Note su unu questione di terminologia nella sroriografia occidentale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
S. Hertel. I Nd moderni dl Mishlmo Yukio
..................................
733
M . Nomura. Sulla struttura i&ll'c( iki » di Kukl Shiìzd e il slsletna &l gusto estetico
............................................................ 743 L'opera di un maeslro Osvald SlrCn .......................... 759
giapponese
A . Giuganino.
.
Indice degli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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PARTE I
MAURIZIO TOSI
The Lapis Lazuli Trade across the Iranian Plateau in the 3rd MiUennium B.C.
The recent increase of archaeological research in eastern Iran has produced new information that calls for a fresh look at the problem of the trade routes that crossed the plateau during the 3rd millennium B.C. This vast territory, which stretches from Mesopotamia to the Indus Valley, was, at that time, densely populated, and not a desert steppe crossed by occasiona1 caravans. Human settlement was concentrated in the irrigated zones where ecological conditions and growth potential made it possible for economic development to take the shape of actual urban forms. The piedmont steppe of southern Turkmenia, along with the Tedien delta l , the middle course and delta of the Hilmand 2, the southeastern slopes of the Elburz mountains 3, the Gorgan plain, the Kashan region 4 and certain irrigated fans and valleys south of Kerman 5 were thickly inhabited in the 3rd millennium B.C., and, consequently, took an active part in the traffic that flowed through a close network of trade routes liiiking Mesopotamia with the northwestern provinces of India. Given such a context, the reconstruction of these trade routes has a precise value that is not merely an end in itself. 111 fact, the many connections that are constantly found in various stages of materia1 culture of the protourban centers of this enormous area, are the result of intense exchanges, not al1 of a commercia1 nature. 1 I . N . Hlopin, Gcoksjurskaja gruppa poselenie epohi eneolita, Moscow-Leningrad 1964; V. M. Masson, The Urban Revolution in South Turkmenio, in Antiquity D, XLLI, 1968, pp. 178-187. 2 M. Tosi, Excavations at Shahr-i Sokhta. Preliminary Report on rhe Second Campaign, September-Decentber 1968, in EW ». XIX, 1969, p p . 283-386. 3 E . F . Schmidt, Excavarions at Tepe Hissar (Damghan), Philadelphia 1937. 4 R. Ghirshman, Fouilles de Siyalk, près de Kashan, 1933, 1934, 1937, I, Paris 1939. 5 J . R . Caldwell, Investigations at Tal-i Zblis (Iiiinois State Museum, « Preliminary Reports D, 9), Springfield 1967; C. C . Lamberg-Karlovsky, Excavarions ai Tepe Yahya, Irnn 1967-1969, Cambridge (Mass.) 1970.
4
M . Tosi
[21
Therefore, once the probable production centers have been identified in the surrounding regions, the various points at which a certain product has been found in significant quantities can be linked together, like the ganglia of a complex nervous system; and this supplies us with basic information about the more vita1 zones involved in the dynamics of economic and cuitura1 exchange (fig. l). A main product to be used for this kind of research is lapis lazuli, a natura1 silicate, bright blue in colour with gold streaks due to thin veins of pyrite, and encrusted on quartz or on chalcedony. Its particular value for archaeological research lies in the fact that this mineral was highly prized by the whole ancient world, and was available in very limited quantities. Before the mining of the rich veins found in Chile, Cuba, and Brazil, lapis lazuli came almost exclusively from the western foothills of the Himalayas (a region lying, in the north, between Lake Baikal and the Pamirs, in Soviet Centra1 Asia, and in the south, around Badakhshan in Afghanistan). The first broad survey of the problem was carried out by Georgina Herrmann a few years ago in a doctoral thesis dedicated to the lapis lazuli trade from its earliest stages to the Seleucid period, and from this thesis the author then wrote a condensed article dealing with the oldest phases of that trade, the same period with which this paper deals 6. The British scholar did not merely limit herself to an examination of written sources and aichaeological data in compiling her work; in 1964 she personally carried out a survey in the mountainous zones in which the lapis lazuli mines are actually still in use. The main goal of her field research can be siimmed up as a more accurate definition of the zones of extraction, which are basically reduced to some narrow valleys in the Kerano-Munjan district. In particular, mines have been found in the V-shaped valley of the Kokcha River, at altitudes ranging from 1,500 to 5,000 metres above sea leve1 7. Herrmann supports a theory - given wide adherence in the scholarly world - that Badakhshan was the only source of supply for lapis lazuli in antiquity 8. And in fact, hypotheses regarding other sources of production, apart from being inadequately documented before the Arab period, refer to veins of slight irnportance and extremely poor quality; these could not liave had influence on the supply of such a large quantity of lapis to the whole of southwesterii Asia for about 2000 years. Thus Badakhshan remains the only possible source for this mineral.
6 G. Herrmann, Lapis Lazuli: the Early Pllases of Its Trade, in « Iraq n, XXX, 1968, pp. 21-57. 7 Ibid., pp. 22-29. 8 Ibid., p. 22.
i31
The Lupa b z u l i Trade, etc.
5
And we should not hesitate to make this claim even without thc support of accurate and repeated petrological examination. During her survey, at any rate, Hernnann found no archaeological evidence of eventual direct contacts between Badakhshan and the proto-urban civilizations of Iran and Mesopotamia; and yet, despite the 2000 km. that separate northeast Afghanistan from Mesopotamia, petrological examination clearly indicated that the lapis lazdi used in and beyond the Sumerian world carne from Badakhshan. The recent discovery of a hoard of gold and silver bowls at Fullol, in the Baghlan district along the western border of Badakhshan, has actually provided the first evidence from the Afghanistan side, of contacts that existed in the 3rd millennium B.C. with the more advanced Western civilizations 9. Herrmann's study also had the merit of documenting the various oscillations of the impact which the lapis lazuli trade had on the Mesopotamian market, with known archaeological data being the basis in this case. It will therefore be opportune to give a short summary of her conclusions. The Sumerian cities, with their large population and the exceptional wealth they had accurnulated, made up the main outlets for lapis l a d i . At this point it would be logica1 to assume that the trade currents developed mainly in regard to them. This will be our starting point for a reconstruction of those currents. Lapis lazuli first appeared in northern Mesopotamia in the late 'Ubaid period, to be exact, at Gawra XIII (about 3500 B.C.). It was a penod when the entire economic life of the cornrnunity was marked by an apparent rapid expansion accompanied by large-scale architecture and a fully developed material culture 10. A constant increase in the use of lapis lazuli is to be found in the successive periods (Gawra XII-XI), reaching its peak in Gawra X. Grave 109 of this period must be mentioned at this point: in it, among other things, were found more than 500 beads made out of lapis lazuli, together with many other beads of various semi-precious stones. Al1 this raw material had to be imported 11. This wealth, this fliiidity in commerce, met with in northern Mesopotamia, is not to be found in the southern regions; in fact, no lapis lazuli fragment earlier than the Uruk IV period (Eanna 111) has been found in the centers close to the deltas of the two rivers. According to Herrmann, it is in this period that northern Mesopotamia controls al1 the lapis lazuii trade M. Tosi-R. Wardak, The Fullol Hoard: a New Find from Bronze-Age Afghanistan, in « EW D, XXII, 1972, pp. 9-17. 10 A.J. Tobler, Excavations at Tepe Gawra, 11. Levels IX-XX, Philadelphia 1950, 9
pp.
189-192. 11 Ibid., pl. LIXa.
M . Tosi
6
[4]
with Iran and will maintain the monopoly until late Uruk times (about 3200 B.C.). This hypothesis seems to be supported by severa1 connections with parallel Iranian sites, since pottery from Gawra XIII-XI shows precise similarities to that from Giyan V C, Siyalk I11 4-5 and Hissar I B 12. We should also point out that up until a few years ago these three sites made up the total of our knowledge on the plateau at the end of the 4th millennium B.C. But Herrmann makes use of that cultura1 correspondence to reconstruct the path taken by the lapis lazuli centers to the Western markets. This path moves through the more accessible passes of the Zagros, and reaches the open valleys of eastern Luristan (Giyan); then it heads northeast through the Kashan region (Siyalk) and goes along the southerii slopes of the Elburz, through Damghan (Hissar) to the Kopet Dagh mountains. Tliis stretch of the lapis lazuli road anticipates the path of the medieval ' Great Khurasan Road ', the Iranian section of the ' Silk Road '. Herrmann's theory is certainly a most probable one, but we are still not prepared to state that the path just described was the only one followed, or even the main one. We shall see, in fact, how tlie discovery of new and more significant sites proposes signifcant alternatives to this northern route. At the end of Gawra X, northern Mesopotamia still holds the market for this sought-after stone, but the connections of the ceramic materia1 with Giyan V D, Siyalk I11 6-7 and Hissar I C, are very slight. The rate of lapis lazuli decreases in the Gawra IX and VI11 periods, aiid finally disappears altogether in Gawra VI11 C. Contro1 of the stone then ends up in some of the richest and largest cities of southern Mesopotamia, which are now about to reach their fu11 urban form. The changes in contro1 of the lapis lazuli trade evolve parallel to the more genera1 historical process that sees the affirmation of the southern cities from the first phases of the Uruk period. It is in Period IV at Uruk, marked by a definite and very fast urban development, that the first imported stones appear in a sizable quantity. This is the moment to clarify a point that should be kept in mind i i i considering later developments in the lapis lazuli trade. From now on, al1 the objects, even the simplest necklace beads, are worked, in Mesopotamia as elsewhere, taking into account the needs of local taste. In Badakhshan and the regions immediately surrounding it, no workshops integrated into uiban communities did exist; so that the stone was exported uncut, or at the most, barely trimmed down to reduce the useless weight of tlie quartz slag to a minimum. From the beginning, therefore, lapis lazuli was considered
12
Herrmann, op. cit., pp. 36-37.
[SI
The Lapis Lazuli Trade, etc.
7
a product for exportation, since, before its success on foreign rnarkets, there had existed no local tradition that could send abroad with a stone a body of tastes and models to be imitated. At the dawn of international trade, lapis lazuli is one of the most highly prized goods and is treated as ' cash production '. Since production costs at the source were almost nil and the very high price on the market certainly produced very high profits that repaid with a wide margin the transport risks involved in such a long distance, and the incidental expenses caused by the intervention of many intermediaiies represented by the towns of the Iranian plateau. It comes out that there were basically three protagonists in this early trade exchange: B a d a k h s h a n , the center of production; t h e C i t i e s o f I r a n , acting as intermediaries and small sales markets;andfinally t h e c i t i e s o f s o u t h e r n M e s o p o t a m i a a n d E l a m , great markets and in turn intermediaries for buyers further west, such as Syria and above al], Egypt. T h e Jemdet Nasr period (3100-2800 B.C.) marks the definite systematization of the trade system based on southern Mesopotamia and reaching as far as Egypt, where lapis lazuli makes its first appearance in the Amratian period 13. Land of Aratta
Let us now follow the development of lapis lazuli trade from the Mesopotamian angle. Given the increasing demand for this stone on the Mesopotamian market, and the near-inexhaustible nature of the Badakhshan veins, one would expect a constant increase in the presence of lapis lazuli in the strata of the 3rd millennium. However, as Herrmann first pointed out, in Early Dynastic I lapis lazuli disappears almost completely and only returns very gradually at the beginning of the following Early Dynastic I1 period, reaching its maximum demand in Early Dynastic 111, and remaining at this high leve1 down to the beginning of the 2nd millenniurn B.C. 14. It is quite clear that the sudden temporary lack of this product should not be blamed on the Mesopotamian market, which maintained a constant demand for this stone, nor on the centers of production where extraction of the mineral could proceed without interferente, but rather on the intermediary cities of the Iranian plateau. This interpretation could help to underline the fundamenta1 importance of these cities, a fact referred to almost directly by the famous myth of ' Enmerkar and tlie Lord of Aratta ', translated and publi-
13 14
J. C. Payne, Lapis Lazuli iri Early Egypt, in «Iraq », XXX, 1968, pp. 59-61. Herrmann, op. cit., pp. 37-40.
M . Tosi
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Therefore, once the probable production centers have been identified in the surrounding regions, the various points at which a certain product has been found in significant quantities can be linked together, like the ganglia of a complex nervous system; and this supplies us with basic information about the more vita1 zones involved in the dynamics of economic and CUItura1 exchange (fig. 1). A maiii product to be used for this kind of research is lapis lazuli, a natura1 silicate, bright blue in colour with gold streaks due to thin veins of pyrite, and encrusted on quartz or on chalcedony. Its particular value for archaeological research lies in the fact that this mineral was highly prized by the whole ancient world, and was available in very limited quaiitities. Before the mining of the rich veins found in Chile, Cuba, and Brazil, lapis lazuli came almost exclusively from the western foothills of the Himalayas (a region lying, in the north, between Lake Baikal and the Pamirs, in Soviet Centra1 Asia, and in the south, around Badakhshan in Afghanistan). The first broad survey of the problem was carried out by Georgiiia Herrmann a few years ago in a doctoral thesis dedicated to the lapis lazuli trade from its earliest stages to the Seleucid period, and from this thesis the author then wrote a condensed article dealing with the oldest phases of that trade, the same period with which this paper deals 6. Tlie British scholar did not merely limit herself to an examination of written sources and aichaeological data in compiling her work; i11 1964 she personally carried out a survey in the mountainous zones in which the lapis lazuli mines are actually still in use. The main goal of her field research can be siimmed up as a more accurate definition of the zones of extraction, which are basically reduced to some narrow valleys in the Kerano-Munjan district. In particular, mines have been found in the V-shaped valley of the Kokcha River, at altitudes ranging from 1,500 to 5,000 metres above sea leve1 7. Herrmann supports a theory - given wide adherence in the scholarly world - that Badakhshan was the only source of supply for lapis lazuli in antiquity 8. And in fact, hypotheses regarding other sources of production, apart from being inadequately documented before the Arab period, refer to veins of slight irnportance and extremely poor quality; these could not liave had influence on the supply of such a large quantity of lapis to the whole of southwesterri Asia for about 2000 years. Thus Badakhshan remains the only possible source for this mineral.
6
G. Herrmann, Lapis Lazuli: the Early Pl~asesof Irs Trade, in
pp. 21-57. 7 8
Ibid., pp. 22-29. Ibid., p. 22.
((
Iraq D, XXX, 1968,
The h p i s Lazuli Tra&, etc.
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5
And we should not hesitate to make this claim even without the support of accurate and repeated petrological examination. During her survey, at any rate, Hermann found no archaeological evidente of eventual direct contacts between Badakhshan and the proto-urban civilizations of Iran and Mesopotamia; and yet, despite the 2000 km. that separate northeast Afghanistan from Mesopotamia, petrological examination clearly indicated that the lapis lazuli used in and beyond the Surnerian world came from Badakhshan. The recent discovery of a hoard of gold and silver bowls at Fullol, in the Baghlan district along the western border of Badakhshan, has actually provided the first evidence from the Afghanistan side, of contacts that existed in the 3rd millennium B.C. with the more advanced Western civilizations 9. Herrmann's study also had the merit of documenting the various oscillations of the impact which the lapis lazuli trade had on the Mesopotamian market, with known archaeological data being the basis in this case. It will therefore be opportune to give a short surnmary of her conclusions. The Sumerian cities, with their large population and the exceptional wealth they had accumulated, made up the main outlets for lapis lazuli. At this point it would be logica1 to assume that the trade currents developed mainly in regard to them. This will be our starting point for a reconstruction of those currents. Lapis lazuli first appeared in northern Mesopotamia in the late 'Ubaid period, to be exact, at Gawra XIII (about 3500 B.C.). It was a period when the entire economic life of the community was marked by an apparent rapid expansion accompanied by large-scale architecture and a fully developed material culture 10. A constant increase in the use of lapis lazuli is to be found in the successive periods (Gawra XII-XI), reaching its peak in Gawra X. Grave 109 of this period must be mentioned at this point: in it, among other things, were found more than 500 beads made out of lapis lazuli, together with many other beads of various semi-precious stones. Al1 this raw material had to be imported 11. This wealth, this fliudity in commerce, met with in northern Mesopotamia, is not to be found in the southern regions; in fact, no lapis lazuli fragment earlier than the Uruk IV period (Eanna 111) has been found in the centers close to the deltas of the two rivers. According to Hernnann, it is in this period that northern Mesopotamia controls al1 the lapis lazuli trade
9
in
((
10
pp.
M. Tosi-R. Wardak, The Fullol Hoard: a New Findfrom Bronze-Age Afghanistan,
EW D,
XXII, 1972, pp.
189-192. 11
9-17.
A.J. Tobler, Excavations at Tepe Gawra, 11. Levels IX-XX, Philadelphia 1950,
Ibid., pl. LIXa.
M . Tosi
6
[4 I
with Iran and will maintain the monopoly until late Uruk times (about 3200 B.C.). This hypothesis seems to be supported by severa1 connections with parallel Irailian sites, since pottery from Gawra XIII-XI shows precise similarities to that from Giyan V C, Siyalk I11 4-5 and Hissar I B 12. We should also point out that up until a few years ago these three sites made up tbe total of our knowledge on the plateau at the end of the 4th millennium B.C. But Herrmann makes use of that cultura1 correspondence to reconstruct the path taken by the lapis lazuli centers to the Western markets. This path moves through the more accessible passes of the Zagros, and reaches the open valleys of eastern Luristan (Giyan); then it heads northeast through the Kashan region (Siyalk) and goes along the southern slopes of the Elburz, through Damghan (Hissar) to the Kopet Dagh mountains. This stretch of the lapis lazuli road anticipates the path of the medieval ' Great Khurasan Road ', the Iranian section of the ' Silk Road '. Herrmann's theory is certainly a most probable one, but we are still not prepared to state that the path just described was the only one followed, or even the main one. We shall see, in fact, how the discovery of new and more significant sites proposes significant alternatives to this northern route. At the end of Gawra X, northern Mesopotamia still holds the market for this sought-after stone, but the connections of the ceramic materia1 with Giyan V D, Siyalk I11 6-7 and Hissar I C, are very slight. The rate of lapis lazuli decreases in the Gawra IX and VI11 periods, and finally disappears altogether in Gawra VI11 C . Contro1 of the stone then ends up in some of the richest and largest cities of southern Mesopotamia, which are now about to reach their fu11 urban form. The changes in contro1 of the lapis lazuli trade evolve parallel to the more genera1 historical process that sees the affimlation of the southern cities from the first phases of the Uruk period. It is in Period IV at Uruk, marked by a definite and very fast urban development, that the first imported stones appear in a sizable quantity. This is the moment to clarify a point that should be kept in mind in considering later developments in the lapis lazuli trade. From now on, al1 the objects, even the simplest necklace beads, are worked, in Mesopotamia as elsewhere, taking into account the needs of local taste. In Badakhshan and the regions immediately surrounding it, no workshops integrated into uiban communities did exist; so that the stone was exported uncut, or at the most, barely trimmed down to reduce the useless weight of the quartz slag to a minimum. From the beginning, therefore, lapis lazuli was considered
12
Herrmann, op. cit., pp. 36-37.
i51
The h p i s Luzuli Traa'e, etc.
7
a product for exportation, since, before its success on foreign rnarkets, there had existed no local tradition that could send abroad with a stone a body of tastes and models to be imitated. At the dawn of international trade, lapis lazuli is one of the most highly prized goods and is treated as ' cash production '. Since production costs at the source were almost nil and the very high price on the market certainly produced very high profits that repaid with a wide margin the transport risks involved in such a long distance, and the incidental expenses caused by the intervention of many iiitermediaiies represented by the towns of the Iranian plateau. It comes out that there were basically three protagonists in this early trade exchange: B a d a k h s h a n , the center of production; t h e C i t i e s o f I r a n , acting as intennediaries and small sales markets;andfinally t h e c i t i e s o f s o u t h e r n M e s o p o t a m i a a n d E l a m , great markets and in turn intennediaries for buyers further west, such as Syria and above all, Egypt. i h e Jemdet Nasr period (3100-2800 B.C.) marks the definite systematization of the trade system based on southern Mesopotamia and reaching as far as Egypt, where lapis lazuli makes its first appearance in the Amratian period 13. Land of Aratta
Let us now follow the development of lapis lazuli trade from the Mesopotamian angle. Given the increasing demand for this stone on the Mesopotamian market, and the near-inexhaustible nature of the Badakhshan veins, one would expect a constant increase in the presence of lapis lazuli in the strata of the 3rd milleiinium. However, as Herrrnann first pointed out, in Early Dynastic I lapis lazuli disappears almost completely and only returns very gradually at the beginning of the following Early Dynastic I1 period, reaching its maximum demand in Early Dynastic 111, and remaining at this high leve1 down to the beginning of the 2nd millennium B.C. 14. It is quite clear that the sudden temporary lack of this product should not be blamed on the Mesopotamian market, which maintained a constant demand for this stone, nor on the centers of production where extraction of the mineral could proceed without interference, but rather on the intermediary cities of the Iranian plateau. This interpretation could help to underline the fundamenta1 importance of these cities, a fact referred to almost directly by the famous myth of ' Enmerkar and tlie Lord of Aratta ', translated and publi-
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J. C. Payne, Lapis Lazuli in Early Egypr, in Herrmann, op. cit., pp. 3740.
Iraq », XXX, 1968, pp. 59-61.
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M. Tosi shed by S. N. Kramer about 20 years ago ls. The rea1 protagonist of the time is lapis lazuli itself, described in tones that border on ecstasy. This myth describes the diplomatic skinnish between Enmerkar, king of Uruk, and an unnamed ruler of Aratta, a land rather vaguely situated somewhere to the east, beyond the mountains. The situation described in the legend seems to correspond to discoveries of archaeological research in Early Dynastic I strata. For generations Uruk had not received lapis lazuli or the other stones needed for the foundation of the temples, so important for the public life of the city, and to the politica1 power game in which the king's prestige was at stake. Enmerkar knows that though Aratta has deposits of lapis lazuli, it does not produce grain, so he sends a messenger to propose a highly convenient exchange of goods in the name of his sister, the goddess Inanna, also worshipped as the protecting deity in Aratta. But the king of Aratta rejects the proposal almost hysterically, and sends the messenger back to Uruk. Famine makes the situation in Aratta seem desperate, so with a bold move aimed at embarrassing his riva1 with the starving population, Enmerkar, after numerous violent exchanges, sends a load of grain to Aratta. The intervention of the goddess Inanna and the total collapse of the king of Aratta resolve the situation in favour of the ruler of Uruk. Despite the pompous tone and the difficulties innate in the translated text, the situation described in the legend is really that of an economic crisis caused or heightened by an intentional commercia1 blockade set up by the ruler of Aratta. A slight inconsistency strikes us at once, and offers some help in resolving the thorny problem of the identification of Aratta. How, in the 3rd millennium, can a fairly large city, filled with temples and craftsmen able to cut precious stones, develop in a region that does not produce grain? We are still iii an early phase of the process of urban development and the cities evolve in direct contact with the areas in which food is produced. The fact that grain was lacking in Aratta at a certain point in its history does not necessarily mean that this lack was permanent. A severe drought may have dried up the river - the presence of which must be thought indispensable for an extensive cultivation of grain - and forced the population to demand food; this would favour the plan of Enmerkar, to whom the famine in his rival's country offered a chance to destroy the policy of autarchic isolation established by the unnamed lord of Aratta. In 1968 V. I. Sarianidi, on the basis of discoveries made by various teams of Soviet archaeologists in southern Turkmenia, and quite independently
1s S . N . Kramer, Enmerkar and the Lord of Ararta. A Sumerian Epic Tale of Iraq and Iran, Philadelphia 1952.
[71
The Lapis Lazuli Trade, etc.
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from G. Herrmann's work, made some interesting observations in a bricf article 16. In his opinion, Aratta can be identified with present-day Badakhshan or with the surrounding region, because, during the epoch referred to in the myth, there was no premise for urban development, due to the mountainous nature of this territory. The existence of intermediate sites supports the logic of the thesis of mediated trade which could send the lapis lazuli such great distances, even if at a very slow pace. There are two routes the stone could have taken in its trip to Mesopotamia - the northern, also accepted by Herrmann, across the narrow valley of the Panjshir River, over the Koh-i Baba Pass, and down to the Qunduz River, which opens to the Amu Darya in the north or to the Hari Rud (Tedten in Soviet territory). Numerous proto-urban centers arose in this zone, developing in the second half of the 3rd millennium; these could easily have acted as intemediaries in the transport of the lapis lazuli, beyond the Kopet Dagh, along the ' Great Khurasan Road ' and over to the markets of Elam and Mesopotamia. The other, or southern route, might have made use of two river systems: the Hilmand Valley and the Indus Valley, easily reached from the north by followiiig the course of the Kabul River. This abundance of navigable internal waterways, suggested to Sarianidi the interpretation of another fragment, perhaps later than the one mentioned above and also published by Kramer, that again deals with the dispute between Uruk and Aratta 17. Here too the inhabitants of Aratta, irritated by the famine, seem hostile to their king, but the priest Mash Mash intervenes and promises to help. In an elaborate speech, he boasts that he can cross the Euphrates and conquer al1 the cities of Mesopotamia, and then return to Aratta with heavily-laden boats. Perhaps Sarianidi's hypothesis of such long river navigation should be considered risky; we are not too sure about the geographical knowledge of the compiler of the legend, and there might also be a considerable chronological discrepancy between the two versions of the myth. We are sure, at any rate, that in the light of our present knowledge, the legend of ' Enmerkar and the Lord of Aratta ' basically reproduces the situation as it was toward the end of the Early Dynastic I period (about 2600 B.C.). The Aratta by the sea could be a later or, more simply, a different ' intemediary ' nation, confused with Aratta in texts drawn up in later centuries.
16 V. I. Sarianidi, O velikom lozuriiovom puri M drevnem Vosroke, in i< Kratkie soobS&nija Instituta istorii i arheologii », 114, 1968, pp. 3-9. 1 7 S. N. Kramer, From the Tablers of Sumer, Philadelphia 1956, pp. 231-233.
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Ciries and Cultures of Eastern Iran at 3.000 B.C. Let us now give a short summary of the cultura1 geography of the Iranian plateau in the 3rd millennium, as it appears to us today in the light of more recent discoveries. The Jemdet Nasr period iii Mesopotamia bears strong witness to the great qualitative progress of the Urban Revolutioii described by V. G. Childe 18. We find imposing public buildings, full-time artisans, the concentration of production surpluses, and the appearaiice of writing and a system of weights and measures. Up unti1 a few years ago, this phenomenon seemed to make up an isolated fact of a kind that was at the most regional, a condition which the cities of soiithern Mesopotamia had reached independently from the rest of southwest Asia. The existence of a broader and mole intense type of commercia1 excliange ever since the Halaf period, and the distribution of al 'Ubaid ceramics from Syria to the eastern coast of Saiidi Arabia contrast decisively with the idea of an isolated urban developmeiit in Mesopotamia. The biconical eartheiiware pots with a cylindrical iieck and marked carination, decorated with a polychrone geometrica1 designs, typical of Jemdet Nasr ceramics 19, have recently been found in the Oman peninsula 20 and on the other side of the Persian Gulf, at Tepe Yahya, 200 km. south of Kerman, in layers of period IV C 21. This diffusion of Mesopotamian models, still without much meaning in itself, is accompanied on the entire plateau by an economic development in no way inferior to that taking place in Mesopotamia. We are beginning to realize today that a phenomenon such as the economic growth of the Mesopotamian cities at the end of the 4th milleni-iium could not have taken place in an isolated way; it must of necessity have involved those regions with which there was direct contact, and which presented a similar natura1 environment and identica1 growth potentials.
' 8 V. G. Childe, The Urban Revolution, in « Town Planning Review », XXI, 1950, pp. 3-17. 19 W. Nagel, Djatndat Nasr-Kultliren und J.uhdynastische Bunrkeramiker, Berlin 1964, p l ~ .9-11. 20 K. Frifelt, Jatridar Nasr Fund fra Oman, in « Kurnl », 1970, pp. 355-381. In the island of Bahrain, Jamdat Nasr ware has been found in the layers of the earliest period of Barbar Temple, contemporary with City 1 of Qal'at al-Bahrain sequence: P. Mortensen, O m Barbartemplets datering, in « Kuml D, 1970, pp. 385-398. 21 Lamberg-Karlovsky, op. cit., fig. 31 K-L. These in early levels of period IV B. More evidence carne in 1970 showing a major concentration of these pottery types in period IV C.
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The LPpìs Lazuli Traàe, etc.
II
The plateau is rather uniform throughout its entire length: stecp mountainous profiles border narrow valleys, semiarid steppcs, and a few large desert depressions. There are a few fairly important waterways, such as the Hilmand, the TedZen and the Atrak, particularly in the eastern part of the plateau; and there are many more smaller rivers, always sufficient to permit permanen t settlement. Here, at the start of tlie 3rd millennium, the areas in which urban development could proceed parallel to Mesopotamia and Elam are basically the following: the valley of Kashan (Siyalk III,,,-IV); the southeastern slopes of the Elburz (Hissar I C-11; Turarig Tepe 11-111); southern Turkmenia (Namazga 111); the Hilmand Valley (Mundigak 111-IV; Shahr-i Sokhta I11); and the Soghun Valley (Yahya V-IV C.). The intermediate valleys between these regions, scarcely populated because of minor growth chances, act as interference areas more or less integrated with the nearby urban centers 22. Numerous similarities between the material cultures of these centers lead us to think that commercia1 exchanges and contacts between them were broad and constant. We can distinguish five cultura1 provinces on the basis of geographical considerations and the degree of integration of material culture : - southern Turkmenia, with settlements scattered over an area of more than 200,000 sq. km. at the beginning of the 3rd millennium, particularly concentrated on the Tedien delta 23; - the Gorgan and Damghan plains, where the great fertility of the soil led to numerous settlements, among which Hissar is the best documented for this period 24; - the Hilmand valley, from its meeting-point with the Arghandab, where the settlement of Mundigak was located 25, to the delta. Here the Sistan
22 V. M. Masson, Srednjaja AzQa idrevnij Vosrok, Moscow 1964, pp. 452454; M. Tosi, A Tomb from Dimi18 and rhe Problem of rhe Bampiir Sequence in the Third Millennium B.C., in ( ( E W », XX, 1969, pp. 49-50. 23 Reports of the Soviet excavations in the TedZen delta are nurnerous and detailed. For a genera1 reference we advise: G. N. Lisicyna, OroSaenioe zemledelie epohi eneolira na juge Turkmenii, Moscow 1965; V. I. Sarianidi, Pornjatniki pordncgo eneolira jugo-vosroiiioj T~rrkmenii,Moscow-Leningrad 1965. 24 Notwithstanding the large number of excavations carried out in recent times on the Gorgan Plain, no rcports are as yet available. Pre-war works were mainly collected in: T.J. Arne, Excavarions at Shali Tepe, Iran. The Sino-Swedish Expedirion, Stockholrn 1945; Schmidt, op. cit. 25 J. M. Casal, Fouilles de Mundigak, 2 vols., Paris 1961. See also V. M. h4asson's review of these volurnes in « Sovetskaja arheologija », 1964, 4, p. 241: Masson suggests a possible link between the development of Mundigak and lapis lazuli trade.
M. Tosi regio11 offered so many possibilities for growth that there was intense demographic development, especially concentrated at Shahr-i Sokhta; this city, about 2500 B.C., reached an extension of 240 acres 26; - the large Kashan oasis, open to both Elam to the west and Kerman to the east. The richness of Siyalk seems to fully reflect this central position 27; - the narrow valleys south of K e m a n where, as the recent excavations at Yahya seem to indicate, the main economic activity may have been concentrated: agriculture, breeding of animals, commercia1 traffic and use of mineral resources 28. At this stage of the 3rd millennium, the Oman peninsula, the Bampur Valley and the valleys of Beluchistan did not participate in the function of ' intermediaries ' of caravan traffic and gravitated towards one or the other of the above-mentioned ciiltura1 provinces. The problem of Fars remains open; we still do not know enough about its history in this period. At aiiy rate, recent excavations at Malyan Tepe show the existence of large settlements north-west of the Marv-i Dasht 29. The provinces mentioned above were linked to one another, even if in different ways. Environment and cultural leve1 were the same, so that trade helped to speed up a process of integration already formally under way. Despite their relative geographical nearness, there does not seem to be any particular uniformity of culture between southern Turkmenia and the Gorgan plain. Although the pottery forms and painted decoration of Hissar I and the Geoksjur culture (Namazga 111) may show single elements in common, they are still quite far apart in most respects 30. While Geoksjur pottery goes back to a local tradition that stems from the proto-agricultural culture of Diejtun (6000-4400 B.C.),that of Hissar I is linked to the westernmost centers of the Tehran valley, which flowered in the first half of the 4th millennium, and should thus be associated with the types of Siyalk I&-,. Really, the central plateau is in itself a cultural province, from the Caspian to the Persian Gulf, while the Geoksjur culture expands directly to the south with exceptional vitality 31. We find its typical ceramics - geometrica1 deco-
Tosi, Excavations ..., ci t. Ghirshman, op. cit. 28 Caldwell, op. cit.; Lamberg-Karlovsky, op. cit.; Id., The Proto-Elamitc Scttleinent ai Tepe YcihyC, in « Iran », IX, 1971, pp. 87-98. 29 Persona1 communication from W. M. Sumner and J. Hansman. 30 V. I. Sarianidi, Drevnie svjazi juinogo Turkmenistane i severnogo Irane, in « Sovetskaja arheologija », 1970, 4, pp. 19-32. JlM. Tosi, The Early Urban Revolution and Settlemenr Pattern in the Indo-Iranian Borderland (Paper read at the Seminar 'Models for Prehistory ', Sheffield, 13-17 Dec., 1971). 26
27
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The Lapb Lazuli Tra&, etc.
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ration with bichrome tones and alternations - in Periad 111 at Mundigak, near Qandahar, and at the bottom of the most ancient settlements hitberto explored in Sistan (Shahr-i Sokhta I). Ceramics of the Geoksjur type and al1 the various elernents of a richer and more complex material culture (Damb Sadaat 11-111 period) 32 suddenly appear as well in the Quetta Valley, easily accessible from Qandahar through the Bolan pass. And there is the very recent news of the discovery at Yahya, in strata of Periods V B and IV C, of some fragments of Geoksjur pottcry, most likely transferred there ' via Sistan ' 33. The discovery is particularly interesting because it can be tied in with the far more important one of the proto-Elamite tablets, the cylindrical seals and some fragme~itsof biconical pots of the Jemdet Nasr type, found earlier in strata of the same period. We should keep in mind that in this period Yahya played a leading role in the stone trade, since steatite was dug up and prepared in its territory. In fact, lapis lazuli was not the only stone sent off to be marketed in Mesopotamia. In later lists of imported products, drawn up in the period between the Agade and Larsa dynasties, we find not only lapis lazuli (ukmu), but some new names, such as carnelian (gug gi-rin-e) - also from Afghanistan - steatite (u-stone?) from Kerman, and alabaster (shumash-stone?) which was plentiful in Sistan; a large number of alabaster objects, with waste material from the working of that stone, have been found at Shahr-i Sokhta 1-111 34. Archaeological data makes it appear doubtful that, in this period, the main route for transporting lapis was the northern one proposed by Herrmann. The niarked integration of the three eastern provinces, Turkmenia, Hilmand and partly Kerman, certainly reflects an intense current of reciproca1 exchanges; in these, the Hilmand Valley, thanks to its intermediate position (an easy and natura1 means of access to Afghanistan and Iran) and to its being the center of a proto-urban civilization that represented a buying market in itself, must certainly have fulfilled a key function. A concrete sign of relations between Sistan and the western regions in the Shahr-i Sokhta I period, is also supplied in three impressions made by a cylindrical seal, found there (fig. 2). They al1 remind us of the Jemdet Nasr type - even if their characteristics suggest that these seals were made in Iran - and can be connected with a cylindrical steatite seal found on the surface of the settlement during a preliminary survey 35. At any rate, while at Shahr-i Sokhta 32
Masson, Srednjaja AZ&
..., cit.,
pp. 4 3 8 4 0 ; Sarianidi, Pandatniki
..., cit.,
pp.
4749. Persona1 comrnunication from C . C . Lamberg-Karlovsky. Tosi, Excavarions ..., cit., pp. 367-371. 35 M . Tosi, Excavations at Shahr-i Sokhta, o Chalcolirhic Setrlement in rhe Iranian Sistcn. Preliminary Reporr on tlie First Campaign, October-December 1967, in « EW P, XVIII, 1968, fig. 107a-b. 33 34
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I the ties with Mesopotamia are limited to three doubtful seal impressions, at Yahya they are evident i11 the pottery, in the typical Susa C b tablets and in the larger collection of seals. It might be opportune to note that we cari on]y link Shalir-i Sokhta to Mesopotamia itidirectly; in period I, this site is clearly a phenomenon of proto-urbanization derived from southern Turkmenia. Of the two routes, iiorthern and southern, that left Badakhshan at the end of the 4th and begiiining of the 3rd millennium, only the second one seems to have beeii totally active. The lapis lazuli found at Hissar, in Periods I and 11, is very scarce; while that of Siyalk 111-IV could also have been mediated through Kerman. So that the northern route seems open as far as the Turkmenia market, as testified to by the petrological analyses carried out o11 fragments found in settlements aiid necropolises along the Tedien delta 36. This means that the southern Turkinenian market obtained the product - or at least part of it - for local coiisumption exclusively, while the major part went along the banks of the Hilmand to reach Sistan; from there it was forwarded on, following the southern edge of the Dasht-i Lut, unti1 it got to Kerman. At this point there were two alternatives: Siyalk to the iiorth, by the easiest patli to be found through the mountain ranges; and to the south, the flat route through Sirjand and the Fars. Both these routes ended up in Elam, aiid we have sufficient evidence in Susa C that most of the shipments arrived safely 37. There was also a possibility for transporting the product by sea, from the inouth of the Gulf iii the Strait of Oman. As we have seen, this hypothesis takes ori credibility from the discovery of the typical Jemdet Nasr ceramics i i i the oldest graves and settlements excavated around the Hili oasis, in Oman. However, sea transportations seem to have been used at a later date and are linked to the expansion of Ur, more open towards the ' Lower Sea' than Uruk 3 8 . Proto-Elamite Tnblets and Signs The spread of proto-Elamite tablets and single signs throughout the plateau supply us with further clarification as to the kind of relations that existed between the different provinces of the plateau itself. Elam was the most powerful state of pre-Achaemenid Iran, and its influente on the entire plateau must Iiave been great even during its formation. When southern Mesopotamia, starting with Uruk 111-IV, becaine the world's Sarianidi, O velikom Iazurirovorn puri ..., cit., p. 5. R. de Mecquenem, Fouilles de SLISP, 1933-1939, in Mtm. de la Mission Archéol. en Iran D, XXIX, Paris 1943, pp. 15-16. 38 A. L. Oppenheini, The Seafnring Merchanrs of Ur, in « JAOS )), LXXIV, 1954, pp. 6-7. 36
37
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The h p i s Lozuli Tra&, etc.
15
most advanced region, it was Elam that mediaied its cultura1 impulses and modcls to the plateau. In the course of history, Elam appears always tcnding towards Mesopotamia, aiid always with the character of a federa1 state; but it never iiiherits Mesopotamia's tendency to become a universal state in the imperialist seiise, perhaps because it lacked the perpetua1 dialectic of the Sumerian cities. From the end of the 3rd millennium, Susa acquires indisputable domination, and this led V. G. Childe to suppose that the Elamite state, even before its definite formation, was characterized by a strong expansionist impulse aimed at the conquest or control of the commercial routes that crossed the plateau 39. His thesis seelns particularly confirmed by the discovery of a seltlement, with proto-Elamite pottery and tablets of the Susa C b type, at Siyalk IV 40. Here the iiew city was superimposed on the earlier Siyalk 111,-, settlement, which was apparenrly destroyed. The discovery of an inscription in ancient Elamite on the island of Liyan (Bushire) made even more convincing the hypothesis that, around tlie end of the 4th millennium, Elam had taken over a degree of control of part of the trade to and from Mesopotamia 41. Between 1970 and 1971 there fiiially appeared ten tablets at Yahya IV C, undoubtedly proto-Elamite and just as undoubtedly made in loco (fig. 3), given the large nurnber of examples still not incised that lay with the others42. The signs too are Susa C b, but the ceramics and basic materia1 culture that go with them are iiot those of Susa, since, along with elements from local tradition, they also contain other intrusive elements from Fars, Sistan and Kashan, as well as quite obvious Mesopotamian types. It would uiidoubtedly be risky and useless to postulate at this point the theory of a proto-Elamite empire of such eilormous size in the Jemdet Nasr period, at the end of the 4th millennium; we must therefore examine the question from another point of view. No proto-Elamite tablets are found in the strata of the following Yahya IV A period (2260-2000 B.C., according to Lamberg-Karlovsky), but there are many signs incised on the pottery 43. Let us turn our attention to these. Similarities found in the ceramics produced by the different provinces of eastern Iran at the start of the 3rd milleniiium do not correspond to an equally widespread diffusion of the proto-Elamite texts. The isolated signs so frequeiit in the Yahya IV A ceramics, only appear at Shahr-i Sokhta
39 40 4'
42
43
V. G. Childe, New Light on rhe Most Ancient h s t , London 1954, p. 65. Ghirshman, op. cit., I, pp. 79-86. Lamberg-Karlovsky, The Proto-Elamite Settlemenr ..., cit., pp. 90-91. Ibid., p. 94. Lamberg-Karlovsky, Excavations ..., cit., fig. 18 E-EE.
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M . Tosi
[l41
in the 111-IV period and in Turkmenia in Periods IV and V of the Namazga sequence 44. There is no trace of them in earlier periods, but it is interesting t0 note that they al1 have some antecedeiit in pottery decoration or painted pot-marks. In both Turkmenia and Sistan, then, they seem to be offshoots of local tradition and not forms introduced by foreign soldiers or merchants. When we briefly stop to think that writing, as a code of signs, is the most refined product of a fast-growing urban economy, it becomes clear that the basis for the adoption of the sign as a means of transcription and communication was well adapted to the newly-born urban concentrations of eastern Iran. For the moment, the area of diffusion of the tablets incised with proto-Elamite characters extends from Elam to Siyalk in the north and K e m a n in the east; it thus includes two of the Iranian cultural provinces in a context contemporaiieous with Jemdet Nasr. So that the ' Urban Revolution ' seems less and less the exclusive attribute of Mesopotamia. The eastern provinces of southern Turkmenia and Hilmand, linked to a different tradition, only receive a partial use of the sign a few centuries later; it was partly derived from proto-Elamite texts, as in the base in the form of a truncated cone found at Tapa Rud-i Riyaban 2, in Sistan, in a stratum of the Shahr-i Sokhta I11 period (fig. 4), and partly drawn from local tradition. The tablets were therefore spread over a far more restricted area than were the single signs. And this might indicate an uneven diffusion tending to progressively dirninish iii intensity, departing from the originating centers in both space and time. The adoption and diffusion of proto-Elamite would thus ilot depend on armed conquest, but on the natura1 consequences of urban development in the westernmost cultural provinces, those naturally most open to tendencies coming from the west. It is obvious, however, that Elam, from that moment, seems to act as a diaphragm between Mesopotamia and the plateau; a function that might, if only partially, justify the success of transport ' by sea ' starting from about 2400 B.C., a radica1 solution for freeing trade from the heavy conditions laid down by the large number of intermediaries. Function of the Intermediary Cities
The land route of the Jemdet Nasr period crosses two cultural province~:the Hilmand Valley and the so-called zone of proto-Elamite influente (taken in the cultural and not political coiitext). At the present time, the chronological picture of the cultural provinces interested in the lapis lazuli trade can, despite the maiiy obscure aspects of 44 V. M. Masson-V. I. Sarianidi, O znakah na sredneaziatskih statuetkah epohi bronzy, in « Vestnik drevnej istorii )>, 1969, 1, pp. 86-99.
Fig. 2
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Fig. 3
Fig. 4
Fig. 6
L. Fig. 7
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The Lupis Lazuli Trade, etc.
17
the scene, be shown in the following way:
The results of research carried out in Iranian Sistan, at Shahr-i Sokhta, show that the Iranian intermediaries probably had a far more complex role than that of mere agents. During the entire 3rd millennium, there developed on the Hilmand delta a civilization that became more and more autonomous in regard to southern Turkmenia, from which it seems to have stemmed. In the Shahr-i Sokhta I1 - Mundigak IV, I period, the Hilmand civilization takes on increasing economic importance. The discovery of many sealings, which appear for the first time in just this period, probably suggests the existence of complex conimercial exchanges within the community. For our study, the fundameiital discovery lies in the huge amount of lapis lazuli, carnelian and turquoise found along with al1 the tools necessary to cut and shape them (fig. 5); more than 90% of the stone fragments found at Shahr-i Sokhta represent working waste, and this leads to the conclusion that a preliminary working of the product and a huge production of beads took place there, partly in view of a later transfer (figs. 6, 7). We have seen that the lapis lazuli always reached Mesopotamia in an unfinished state and rarely as a completed object. There is thus logic and plausibility in the hypothesis that, at least down to the end of Period I1 (2800-2600 B.C.), Shahr-i Sokhta not only controlled the transport of lapis lazuli from Badakhshan, but also acted as the first intermediary, taking on the task of completing the roughing-out of tlie stone to increase the value of the transported material. There is another fact in favor of this thesis: those peoples settled in the Badakhshan valleys couid hardly have set up such a vast trade operation by themselves. No settlement has yet come to light, and even the recent discovery of the ' Fullol Hoard ' is merely the first Afghan confirmation of the
M . Tosi existence of this trade (figs. 8-10). As we mentioned, the pieces in question consist of I5 gold and silver bowls decorated with Mesopotamian (probably from the Larsa period), southern Turkmenian (Namazga IV), Iranian (Siyalk I&.,), and Sistanian (Shahr-i Sokhta 111) motifs: a complex with no unity of origin, one that spreads chronologically over almost 1000 years. We can presume that it is the treasure of some local chieftain. As D'jakonov pointed out, the production of lapis lazuli lias been centralized to the highest degree for as far back as our oldest written documents 45. It was so in Marco Polo's description of it, continued to be so in the hands of the local Emirs, aiid is so now in the hands of the national government. As regards social organizatioii, it is likely that the production of lapis lazuli resembled that reconstructed for an analogous ' mining region ' situated in another part of the world known in the 3rd millennium; that VinEa culture that developed in the Carpathians around rich tin and copper deposits 46. There, a nucleus of princes, merchants and shamans held tight contro1 of both production and marketing. Towards an Identificaiion of Aratta ?
Organized trade, prolonged in time as such, is basically just a dialogue, one that is al1 the easier when the two interlocutors are culturally close. Hence the need for one or more intermediaries when the buyer nation and the producer present different cultural levels. Aratta was not necessarily the production center for lapis lazuli, but it most certainly was able to push it towards Uruk; and it has often been underlined that the two cities dea1 with one another as equals: a dialogue between interlocutors on the same cultural level. On these grounds, one is tempted to identify Aratta with Sistan. Earlier identifications placed Aratta in Luristaii beyond the Elamite centers of Susa ai-id Anshan 47; in centra1 Iran, close to the Elburz 4 8 ; or even in Azerbaijan. But al1 these hypotheses came iip against an almost iiisurmountable obstacle: lapis lazuli is not to be found in those regions, and often no possible trading partner existed there. Let us not forget that in the 3rd millennium a very large amount ii~deedof lapis lazuli must have been imported by Mesopotamia, kept in Iran, or exported to the Indus Valley.
45
istorii
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46
47 4s
I. M. D'jakonov, Assiro-vavilonskie istofniki po istorii Urartu, in (( Vestnik drevnej 1951, 2, pp. 355-357. E. Nevstupny, Tartaria, in (( Antiquity D, XLII, 1968, 165, pp. 32-35. Krarner, op. cit., pp. 1-2. V. M. Masson-V. A. Rornodin, Istorija Afganistana, Moscow 1964, p. 35.
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The Lapis Luzuli Trade, etc.
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Two factors appear to be against identifying Aratta with Sistan. First, the distance between Uruk and Shahr-i Sokhta: the cities are 1,500 km. apart, and at least 50 days were needed to cover that distance; second, the food crisis that hit Aratta. The fact is, that Sistan, a flat clayey plain well irrigated by many smaller branches of the delta, is one of Iran's most fertile regions, with two grain harvests a year. It could thus lack anything but grain! We should say, though, that the only consistent source of water comes to it from the Hilmand, since the swampy lake Hamun-i Hilmand cannot be used for canalization due to a negative ground slope 49. The Hilmand collects its waters from the southwestern slopes of the Hindukush; and consecutive years of drought suffice to lower the water supply to such a point that human and anima1 population has to emigrate. This fact might justify the inconsistency noted above. Besides, could a populous city like Aratta ever have arisen in a spot devoid of water? It is far more logica1 to suppose a momentary lack of water, due to prolonged drought, and a resulting grain famine. In any case, the great distance between the two cities remains still the insurmountable barrier for the identification we have proposed. But apart from this negative element, our hypothesis seems to cor~espondfairly well to the description in the legend. The question of the interruption in the supply of lapis lazuli during Early Dynastic I is still open, though, as we saw, this interruption was the cause of Enmerkar's vigorous intervention.
Land Routes in the Late 3rd Millennium At the end of the Jemdet Nasr period, Siyalk IV was destroyed and never rebuilt 50, but this is the only dramatic event for which we have some evidence as of now. Life continues regularly on the rest of the plateau, and production at Shahr-i Sokhta tends to increase rather than diminish. We find in Turkmenia a slow withdrawal from the Tedien delta, about to be silted up, and the population moves to the west, to new and larger cities such as Altyn, Namazga, and Hapuz depe 51. At Yahya, the passage from Period IV C to the following IV B seems to take place rather gradually, while the production of steatite has just a small decrease. The only interesting variations are the disappearance of the Susa D proto-Elamite texts, replaced by now with proto-cuneiform, and the destrucR. L. Raikes, Environntenral Studies ai Shahr-i Sokhta, forthcoming in a volume of the Series Reports and Memoirs » of the Centro Studi e Scavi Archeologici in Asia, IsMEO. 50 Ghirshman, op. cit., I, pp. 83-84. 5 1 Hlopin, op. cit., fig. 52. 49
) e (( principio creatore n; definizioni, queste, che mal si adattano alla vera natura dello Zurvanismo. l45 Bidez-Cumont, op. cit., J, p. 64. 146 F. Cumont, Les religions orientales darrs le paganisme rotimirr, 38 ediz., Paris 1929, p. 229; Bidez-Cumont, op. cit., I, p. 5 e sgg. l47 Op. cit. 148 Vedi la critica alla teoria del Messina fatta dal Benveniste, Les Mages dans I'ancien Iran, Paris 1938. Per magavan- e maga- cf. H. Humbach, Gasi und Gahe bei Zarath~rstra, in (( Munchener Studien zur Sprachwiss. )>, 11, 1952 (pp. 1-30), pp. 15-24. Vedi inoltre le note 196 e 337 e per altri riferinienti e per uno studio della nozione del maga-nella tradizione zoroastriana: Gh. Gnoli, Lo stato di ' maga ', in AION D, n.s., XV, 1965, pp. 105-117. 149 Oltre ai lavori gih citati, importante del Cumont, La fin du monde selon les Mages occidentaux, in RHR D, CILI, 1931, pp. 29-96. 140
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Politica religiosa. ecc.
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mente messo in luce i rapporti fra ' Magi ' e ' Caldei ' e il vasto sincretiemo iranico-mesopotamico, che rappresentb fra l'altro il primo passo verso la formazione del Mitraismo 150. I Magi ' occidentali ', i payouaaio~ dei Greci 151, crollato l'impero degli Achemenidi, posero le basi di una religione di mistero che, per sua natura, implicava una sorta di interiorizzazione e di ' privatizzazione ' del culto. Era il naturale sbocco cui doveva arrivare il sincretismo vicino-orientale, una volta caduti i motivi stessi che avevano sorretto una religione pubblica ed ufficiale, adeguato sostegno dell'autorità dei Re dei re persiani. E difficile pensare che in epoca achemenide, e poi anche nei periodi seleucide e partico, l'evoluzione delle idee religiose iraniche al contatto con altre tradizioni rimanesse senza eco in Iran. In realtà, e lo Zurvanismo lo dimostra, l'eco ci fu e dovette essere anche ben più ampia di quanto comunemente non si ritenga. In uno studio fondamentale per la ricostruzione della primitiva storia dello Zoroastrismo, apparso nel 1964 152, cinque aiini dopo l'Introduzione al Mihr YaSt, 153, il Gershevitch ha opportunamente ricordato come la formula dualistica mazdea bhrmazd versus Ahriman risalga ben oltre l'epoca sassanide 154, dal momeiito che in un frammento del n ~ p icp~hoaorgia~ di Aristotele si parla già di due principi (cip~ori),definiti come 8aipoveg e cliianiati l'uno 'Qpopoia8qq e l'altro 'Ap~~CLOIvi~C 155. Quindi nel iv secolo a. C. era già diffusa fra i Magi una siffatta formulazione della dottrina dualistica. Le G a i ci mostrano una diversa formulazione che si può siiltetizzare nella contrapposizione di ASa e di Drug di cui si sostanzia il contrasto tra Spanta Mainyu ed Angra Mainyu, al disopra del quale è posto Ahura Mazda. Ora, il problema che il Gershevitch ha cercato di risolvere, nel quadro generale della sua ricostruzione, iii cui Dario I è visto come un seguace di Zoroastro 156, è il seguente: chi è il responsabile di questa nuova formulazione del dualismo mazdeo, in cui si contrappone nettamente e direttamente Ahura Mazda stesso ad Angra Mainyu, dal moilento che né le G i 8 i né 1'Avesta recente possono esserne considerate una fonte diretta? 157 Cosa, quest'ultima, piuttosto ovvia, invero, nella ricostruzione del Gershevitch, clie ritiene senz'alVedi i lavori del Curnont citati alla nota 138. Bidez-Curnont, op. cit., I, p. 35, nota 3. 152 Zoroaster's Own Contribution, cit. alla nota 51. 153 The Aeestan Hymn to Mithra, cit., pp. 3-72. 154 Zorouster's Own Contriburion, cit., p. 15. 155 Bidez-Curnont, op. cit., I, pp. 13, 15; 11, p. 8, nota 2, p. 9, pp. 67 e 69, nota 10. Cf. R. Pettazzoni, La religione di Zarathitstra nello storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920, 150 151
p. 18. 156 Op. cit., p. 16 e sgg. Per la questione della zoroasti-isnicità di Dario, vedi ora Duchesne-Guillernin, La religion des AchérnPnidc~s,cit., p. 72 e sg. 157 Gershevitch, op. cit., p. 15.
Gh. Gnoli
tro che ci si trovi di fronte coli tal nuova formula ad una vera e propria eresia ': « That the formula Oromasdes versus Areimanius was in fact a heresy is obvious from its absence from the oldest Avestan texts » 158. Ma che, in il, realtà, si debba ricorrere al concetto di eresia, mi pare cosa tutt'altr~che prudente e poco giustificata, per il fatto stesso che con ciò si dovrebbero dare per scontate, già in epoca achemeiiide, la codificazione di una ' ortodossia ', che è possibile cogliere solo coi Sassanidi 1s9, ed una rigida uniformità di vedute nei gruppi sacerdotali dell'Iran antico, che è viceversa chiaramente smentita dalle fonti 160. Più cauto sarebbe parlare semplicemente di una nuova formulazione del dualismo iranico che gik appare nelle Giihi, e cioè di un adattamento di questo a nuove concezioni e ad un linguaggio diverso, in quanto proprio di altre tradizioni religiose. D'altra parte, mi sembrano particolarmente pertinenti le parole del Pettazzoni: « L'idea monoteistica ci appare nel Zoroastrismo delle origini allo stato puro. Il dualismo non la offende. In realtà il dualismo non è )legazione del mono!eismo: anzi è il monoteisnlo stesso in due aspetti opposti e contrari. Né è anteriore al monoteismo: anzi, è un riflesso di questo 161. Il Pettazzoni aveva opportunamente notato la diversità di toni e di accenti fra il dualismo in ntrce delle GiOi 162 con quello che egli definiva il suo probabile sfondo naturistico nel contrasto fra la luce e le tenebre 163 e fra il giorno e la notte, e i l successivo dualismo dei due principi nettamente contrapposti 164, Ciò che è importante ora per noi è che il Gershevitch ricostruisce accuratamente la storia religiosa degli Achemenidi da Dario a Serse, ad Artaserse I e ad Artaserse 11, cercando di dar rilievo a sviluppi, evoluzioni e cambiamenti. Fondandosi sui risultati cui era giunto il Taqizadeh 165, egli stabilisce che l'anno 441 a. Cr., la data dell'introduzione del calendario cosiddetto ' zoroastriano ', che egli pii1 giustamente propone di chiamare « Magian 166, segna una profonda innovazione perché Such a step could not have been taken unless the Great King had approved of the religious implications of the calendar N 167. Quali siano tali implicazioni è facile dedurlo dai nomi stessi
159
Ibid., p. 29. Gnoli, Politica religiosa e conceziorie della regalirà sotto i Sassniiidi, cit., p. 230
160
Bidez-Cumont, op. cit., I, pp. 58, 62 e sgg.; cf. Benveniste, The Pcrsian Religiori ...,
158
e sg.
cit. '61 '62 '63 164 '65 '66 '67
Op. cit., p. 96. Yasna XXX, 3-5. Yasna XLIV, 3-7. Op. cit., p. 56 e sg. S. H. Taqizadeh, Gih-Surt~iridar Iran i qadin~,Teheran 1938. Op. cit., p. 26. Ibid., p. 21.
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PoIitlca religiosa, ecc. _ p -
--P.d---
47
dei mesi del nuovo calendario: si tratta di un riconoscimento ufficiale di un culto politeistico, (( more likely a premonition than an echo of the mixed, Youngcr Avestan, scripture » 168. Tre anni dopo, il Bickerman ha niostrato l'inattendibilith della tesi del Taqizadeh e la inverisimiglianza che gli Achemenidi abbiano mai usato altro calendario che quello lunisolare di Babilonia 169. La data del 441 a. C. non può essere mantenuta e alla ricostruzione del Gershevitch viene a mancare un importante supporto. L'unica grande e visibile innovazione resta quella delle iscrizioni di Artaserse I1 : la menzione di MiSra e di Anahita accanto ad Ahura Mazda. Ma come si deve interpretarla? Verisimilmente piuttosto come uno sviluppo di un processo già in atto che non come un profondo taglio col passato. Tutto quello che si è venuto finora dicendo mostra come l'influenza del nuovo ambiente culturale col quale i Persiani erano venuti a contatto dopo le imprese di Ciro abbia rapidamente contribuito all'evoluzione delle forme religiose iraniche e alla formazione di concezioni sincretistiche. Per il Gershevitch i Magi medi avrebbero favorito presso la corte achemenide quella particolare evoluzione del Mazdeismo che avrebbe avuto con l'introduzione del calendario ' zoroastriano ' la sua definitiva sanzione, mentre i gruppi sacerdotali delllIran orientale avrebbero preparato quell'agglomerato di differenti credenze che proprio il riconoscimento regio del paganesimo iranico, sancito dall'adozione del calendario, avrebbe reso pienamente possibile e particolarmente opportuna. Cosi si sarebbe arrivati alla formazione dell'Avesta recente: « Thus, by an intense literary effort, the ZarathuStrian priests, wliom we may now call ZarathuStric 170, transformed the ec!ectic standpoint of the Magi into a system purporting to be ZarathuStra's. The logica1 weakness of the system would not concern them. This was not a case of thinking out what would persuade, but merely of reproducing, elaboratine, and combining what everyoiie, from the Great King downward, was ready to accept. The success fully justified the effort. By producing a new, all-embracing scripture which exploited to the full the propagandistic value of denominational character of their Church into a truly pali-Iranian one and ensured the survival of Zoroastrianism on a national scale down to the conquest of Ibid., p. 24. Bickerman. The « Zoroastrian » Colendor, cit. alla nota 35. 170 Sulla distinzione fra i termini « ZarathuStrianism », per la dottrina gathica, Zarathugtricism D, per la dottrina dei testi dell'Avesta recente, e « Zoroastrianism », per la religione più tarda, d'epoca sassanide, cf. Gershevitch, op. cit., pp. 12, 32. « ZarathuStricism è un'innovazione rispetto alla primitiva distinzione fatta dal Lommel e dal Genhevitch stesso (Tlie Avesfan H . v m to Afithra, cit., p. 9), o, per esser più precisi, un « improvement on H. Lommel's and my own earlier terminology n. come quest'ultimo lo definisce (Zoroasfer's Own Contribrttion, cit., p. 32). 168
169
Gh. Giaoli
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Islam and, on a more limited scale, down to the present day » 171. Si deve osservare, a commento di ciò, che in realtà ben POCO ci è noto del clero orientale in epoca achemenide, che non sappiamo in qual misura esso fosse effettivamente attivo e che è molto dubbio, infine, che si possa parlare per quel periodo di una « Zarathugtrian Church » 172. Le uniche comunità sacerdotali della cui attiva presenza siamo edotti sono, sotto gli Achemenidi, quelle dei Magi, e non solo nell'iran occidentale, ma, con 10 stabilirsi dell'autorità del Gran Re nelle varie province dell'impero, certamente anche in quello orientale. Furono quindi i Magi che ereditarono la tradizione zoroastriana e che la vennero adattando alle loro concezioni e aile loro esigenze. E, se è vero che l'assenza della Media e della Persia e di località occidentali dalla geografia dell'Avesta recente 173 non è certo un argomeiito a favore della paternità dei Magi su questa larga parte della Scrittura 174, è anche vero che le fonti greche, che non ignorano la dottrina avestica del dualismo zoroastriano 175, attribuiscono anch'essa, come quella della formula Oromasdes ilersus Areimanios, ai Magi stessi, dal momento che Zoroastro è visto come uno di essi: Z w p o & ~ ~ p q8c Mciyoc. In effetto, la testimonianza del De Iside plutarclieo non può essere interpretata che in questo senso: mentre alcuni Magi ainmettono l'esistenza di dèi antagonisti, l'uno creatore del Bene e l'altro del Male, altri, come Zoroastro, chiamano dio il principio buono e dèmone quello ~ l v u r 660 x.B&n~p h r c & ~ v o u g , pròv cattivo: v o p i c o u o ~y d p o i $v p i v h y u 9 o v , TÒV 6È cpa6Awv 8 q p ~ o u p y o v . o i 6È TÒV pÈv [y&p] &,u~ivova ,$€O\), 7òv ~ ' $ T E ~ O6 Vu I p o v 0 1xahoUo~v, &CXE~) Z0p0&67pq< i) MOiyoc ... 176. È chiaro che Plutarco ha voluto rilevare con questa precisazione come secondo certi Magi lo Spirito del Male non s'opponesse, in un esatto
Gershevitch, ibid., p. 27. Vedi le osservazioni da me fatte in Polirica religioso e concezione della re~alità sotto i Sassanidi, cit., p. 243, a proposito della idea della Boyce (On Mithra's Part in Zoroastrianism, in « BSOAS », XXXII, 1969 [pp. 10-341, p. 34) di una ' Chiesa zoroastriana ', e vedi anche le giuste considerazioni di E. Yar-Shater, Were the Sasanians Heirs to the Achuemenids?, in La Persia nel Medioevo, cit. (pp. 517-531), p. 527. 173 Nonostante l'opinione del Nyberg ora riproposta in Stand der Forschung zum Zoroastrismus, in « Archaeol. Mitteil. aus Iran », ns., I, 1368, pp. 3 9 4 8 , specialmente pp. 4748. Cf. Gnoli, « Airy6. ia.vana )>,in «Riva degli studi orient.)), XLI, 1966, pp. 67-75; Id., 'Apiavfi. Postilla ad « Airy6 Sayana P, ibid., pp. 329-334; Id., Ricerche storiche nrl Sistcin antico, cit., p. 68 e sgg.; Id., Pro5lenu und Prospects of the Studii's on Persifin Religion, cit., P. 87 e sgg. In uno studio di prossima pubblicazione ripresenterò la cosiddetta ipotesi sistanica, tenendo conto delle osservazioni e dei pareri finora da me raccolti (vedi, per es., la recensione di Hinz, in « ZDMG », CXIX, 1970, pp. 374-375, e Duchesne-Guillemin, La religion des Achérilénides, cit., pp. 62, 63, 64). l74 Così il Gershevitch, Zoroaster's Own Contribulion, cit., p. 36, Appendix X. 175 Bidez-Cumont, op. cit., I, p. 58 e sg. '76 Ibid., 11, p. 71; cf. p. 73, nota 3. 171 172
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Politica religiosa, ecc.
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49
parallelismo di nature e di potenze, allo Spirito del Bene, e ciò t in armonia con la formula dualistica propria delle G a G e di gran parte dell'Avesta. Mi pare quindi eccessiva, anche se non infondata, la posizione del Gcrshevitch su di una assoluta estraneità dei Magi alla formazione dell'Avesta recente. Ora, non C'& dubbio che gli artefici della formula dualistica Oromasdes versus Areimanios furono proprio i Magi 177: le fonti greche sono concordi. Cosicché quel che resta da spiegare è l'origine di tale particolare formulazione del dualismo mazdeo presso i Magi, una volta stabilito che essa non è propria delle Ci& e dell'Avesta meno recente 178. Si è detto sopra che forse in essa può trovarsi il riflesso di un linguaggio appartenente a tradizioni re ligiose differenti, cioè non iraniche. E questa è un'ipotesi che va presa in considerazione, se non altro perché la comparazione con la religione indiana più antica non fornisce una spiegazione nell'ambito di una comune religiosita indoiranica, anzi mostra chiaramente come la caratteristica più peculiare della religione iranica fosse proprio il suo marcato dualismo. Se è vero, come ha mostrato il M016 179, che la stessa opposizione fondamentale d a - drug ha il suo esatto parallelo in India nell'opposizione yr6 - drtili, è anche indubbiamente vero che essa è soprattutto tipica del primitivo insegnamento gathico - che non è qui in discussione - dove tuttavia ha un'accentuazione ben più marcata che non in India 180, e segnatamente che la contrapposizione di Ahura Mazda ed Agra Mainyu, ben documentata nelle fonti greche, in alcune parti più recenti dell'Avesta 181 e nella letteratura pahlavica, non ha alcun parallelo dall'altra parte dell'Indo. Se si pensa da una parte alla componente dualistica presente in una religione astrale e dall'altra al legame esistente fra concezioni dualistiche e demonologia, e al fatto che anche per quest'ultima l'Iran si differenzia dall'India, la risposta sulle origini della nuova formula dualistica dei Magi non può essere dubbia. In effetto, noi ritroviamo nella religione babilonese e assira una complessa demonologia e un dualismo di fondo, che si esprime e si manifesta con chiarezza nell'atteggiamento magico dell'uomo posto al centro di Già il Moulton, fra tanti altri, attribuiva la paternità del dualismo ai Magi, considerandolo un'eredità della loro mentalità primitiva e superstiziosa: Early Zorousrrianism, cit. 178 Gershevitch, op. cit., p. 14 e sg. 179 Culte, mythe et cosn~ologie ..., cit., p. 5. 180 Gnoli, Problems and Prospects of tlte Studies on Persiun Religion, cit., p. 80. Per quanto riguarda la teoria del Gershevitch su afa- come emanazione del dio supremo da una parte e come principio primordiale dall'altra (Gershevitch, op. cit., p. 12; cf. Gnoli, ibid., p. 68), c'è da dire, proprio per le considerazioni fatte sul legame naturale esistente tra la concezione monoteistica zoroastriana e il dualismo iranico, che non si vede alcuna intrinseca necessità per ipotizzare un'opera sincretistica che avrebbe combinato due religioni, una monoteistica e l'altra dualistica. 181 Il Vendidid non sembra esente, infatti, da questo tipo di dualismo più radicale. 177
Gh. Gnoli
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forze benefiche e malefiche 182. 11 mondo divino si presenta come il teatro di una lotta tra avverse potenze, che si riflette e si riproduce qui sulla terra, li spiriti maligni, contrassegnati dal segno determinativo comune ad ogni dio, sembrano essere potenze superiori e divine demoiiizzate 183. Questi demoni innumerevoli, distinti in varie classi, alcune delle quali ricordano da vicino i demoni iranici 184, rivestono forme di animali nocivi o tali da ispirare terrore pei loro movimenti rapidi o per altre caratteristiche non domestiche e familiari: serpenti e scorpioni, per esempio 185, proprio come i rettili, gli insetti e gli altri animali arimanici che Erodoto 186 ricorda a proposito dei suoi Magi. Ed è interessante notare come un tratto caratteristico dei daeila- iranici, ricorrente nel Vendidid 187, sia anch'esso comune alla demonologia mesopotamica e semitica in generale. Il Widengren ha posto l'attenzione sui dagrache risiedono nei cimiteri e si nutrono dei cadaveri, nell'oscurità della notte, dopo il tramonto del sole 188. Ora, anche qui, il parallelo con le concezioni diffuse nel mondo semitico s'impone, a parer mio, con tutta evidenza 189. La particolare connotazione che venne assumendo in Iran la polarità ahura daiva può ben esser stata determinata dal contatto con la demonologia mesopotamica. L'idea del Furlani che il dualismo iranico ebbe i suoi precedenti nel dualismo mesopotamico « il quale però finora è stato appena avvertito dagli studiosi » 190, mi pare che costituisca una validissima ipotesi di lavoro per chi voglia ricostruire le grandi correnti di pensiero che determinarono l'evoluzione della religione iranica preislamica 191.
G. Contenau, La Magie chez les Assyriens et Ies Babyloniens, Paris 1947, p. 83 e sgg.; cf. E. Langton, La Démonologie. Étude de la doctrine juive et chrétienne, son origbe et son développement, trad. francese, Paris 1951, p. 19 e sgg. 183 M. Jastrow jr., Religion of Babylonia and Assyria, Boston 1898, p. 181 : Langton, op. cit., p. 42 e sg. Cf. L. Cagni, La religione assiro-babilonese, in Storia delle Religioni, cit., Il (pp. 57-125), p. 92. ' 8 4 Cf. Gnoli, Prohleiirs and Prospects of the Studies on Persian Rcligiori, cit., pp. 76, 79. Sul pandaemoriirri~ie sulla demonologia dell'lran antico: Gray, The Foundations of rhe Iranian Religions, cit., p. 175 e sgg.; Christensen, Éssai sur la détnonologie iranienne, KDbenhavn 194 1 . 185 Langton, op. cit., p. 30. 186 I, 140. 187 VII, 54 e sgg. Cf. Widengren, H ~ c h ~ o r t g l a uim b ~ alten Iran, ~ppsnla-Leipzig 1938, p. 331. 188 Widengren, Die Religionen Irans, cit., p. 115. 189 Cf. per tali analogie, presso gli Assiri e i Babilonesi, presso gli Arabi, presso gli Ebrei: Langton, op. cit., pp. 14, 21, 24, 60. 1 9 0 Miti babilonesi e assivi, cit., p. 24. ' 9 1 A questa ipotesi ho giA accennato in Problenu and Prospecrs of rhe Srrrdies on Persian Religion, cit., p. 80, nota 95. 182
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5. - Gli autori di questo vasto sincretismo religioso furono dunque i Magi, i quali, fin dalle origini, costituivano la casta sacerdotale dell'impcro medo 192. Essi eran noti per l'oniromanzia che predicavano largamente e per essere gli esperti e i tecnici del culto; avevano costumi particolari, come quello dello xva~tvad&a- 193, loro caratteristica non esclusiva 194, e come l'usanza di esporre i cadaveri alle bestie e agli avvoltoi 195. Non erano rappresentanti di una religione ben definita 196 nella sua teologia e nella sua cosmologia, ma un clero di sacerdoti professionisti, esperto nelle pratiche purificatorie, che aveva nell'Iran occidentale il monopolio della pratica sacrificale: senza di loro, anche pei Persiani, non era possibile compiere un sacrificio 197. Essi non professavano tutti le stesse dottrine e vivevano della propria attività e delle commissioni che i laici facevano loro 198. La lotta fra Gaumata e il gruppo dei Magi che lo sosteneva contro Dario 199 e la fine cruenta di quell'episodio cruciale della storia dei primi Acheme
Nyberg, Die Religionen des alten Iran, cit., p. 336. 193 Vedi sopra, note 68 e 69. 194 Cf. Benveniste, Les Mages dons I'Ancien Iran, cit., p. 23. 195 Usanza, anch'essa, diffusa presso altre popolazioni iraniche: Benveniste, ibid., p. 24. Cf. Widengren, Die Religionen Irans, cit., p. 35 e sg. Per una delle varie pratiche funerarie dell'Iran antico, finora fraintesa come inumazione, il primo fargard del Vendidod contiene un'utile indicazione (Vd. I, 12): si tratta, come ha ricostruito il Benveniste (Coutumes funéraires de I'Arachosie ancienne, in A Locust's Leg. Studies in honour of S. H. Taqizadeh, London 1962, pp. 3 9 4 3 , del gettare il morto sul suolo N (msuspaya-, interpretato poi dai traduttori iii palilavico dell'Avesta come nasi-niginih ' inumazione del corpo '). NeUa stessa direzione, vedi pure l'interpretazione di Humbach, Bestattungsformen im Vidévdot, in a KZ D, ns.. 77, 1961, pp. 99-105. 196 La tesi del Messina (Der Ursprung der Magier und die zarathuitrische Religion, cit.), ripresa con altri argomenti dal Molé (Culle, mythe et cosmologie..., cit., p. 78 e sgg.), non pub essere accettata e difatti non è condivisa dalla massima parte degli studiosi (cf. Duchesne-Guillemin, La religion des Achéménides, cit., p. 72), per quanto non sia priva di spunti interessanti ed originali. Vedi sopra, nota 148, e sotto, nota 337. 197 Erodoto I, 132. 198 Gnoli, Problenu and Prospects of the Studies on Persian Religion, ci t.. pp. 83, 85. Sui Magi, sul loro spirito eclettico, sulla loro natura di esperti tecnici del culto vedi le giuste considerazioni del Gershevitch, Zoroasrer's Own Conrriburion, cit., p. 25. 199 La tesi dell'olmstead (History of the Persian Empire, cit., pp. 92 e sgg., 107 e sgg.), secondo la quale dietro al Gaumi3ta dell'iscrizione di BisutUn si sarebbe celato in realtà il vero Bardiya, lo Smerdi dei Greci, vittima della propaganda di Dario. bencht seguita da alcuni studiosi (vedi. per es. : H. S. Nyberg, Das Reich der Achameniden, in Historia Mundi, 111, Bern 1954, p. 74; M. A. Dandamaev, Iran yri pervyh Ahenienidah, Mosca 1963, pp. 121-145; Id., Politische irnd wirtschafiliche Geschichte, in Beirriige zur Achamenidengeschichte, cit. [pp. 15-58], p. 17, nota 4; cf. anche A. R. Burn, Persia and the Greeks. The Defence of the West 546478 B.C., London 1962, pp. 90-99, non ha avuto un largo consenso, poiché non è fondata realmente su alcun argomento solido. L'accordo sostanziale fra DB I ed Erodoto 111, 61-87, potrebbe, sì, essere spiegato con la supposizione che lo sto192
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nidi non scalzarono la posizione dei Magi nell'impero persiano200. Già sotto lo stesso Dario I le tavolette di Persepoli mostrano i Magi attivi nell'ambiente achemenide 201. Ben poco sappiamo dello sfondo politico e sociale 202 del conflitto sorto alla fine del regno di Cambise e ancor meno della sua vera posizione nella storia religiosa dell'Iran 203. Quello che si può dire è che dovette essere una lotta eminentemente politica, che contrappose un gruppo di potere medo al clan achemenide e verisimilmente al kira- persiano 204, non senza, ovviamente, alcune implicazioni religiose 205, particolarmente evidenti nel provvedimento preso da Gaumata di distruggere i luoghi di culto, gli @)adani achemenidi 206, e nella restaurazione che ne ordinò Dario 207. È legittimo pensare che almeno una parte dei Magi ponesse sotto la paternità di Zoroastro le dottrine professate. L'Alcibiade di Platone 208 parla dei Magi preposti alla educazione religiosa dei principi persiani, dicendo che uno di essi, il più saggio, 15 aocpW.rot.ro~,attendeva presso il futuro Re dei re
rico greco abbia attinto ad una fonte dipendente dalla versione ufficiale dei fatti, artatamente falsificati da Dario, ma solo se si avesse a disposizione o qualche elemento positivo per convalidare un'ipotesi siffatta o qualche traccia consistente d'una diversa versione degli avvenimenti. 200 Sulla payo96v~ordi Erodoto 111, 79, dopo l'ipotesi del Marquart (Untersrrchungen zur Geschichte von Eran, 11, Leipzig 1905, pp. 132, 135), cf. W. B. Henning, T/le Murder of the Magi, in JRAS o, 1944, pp. 133-144, ma anche le osservazioni del Widengren, Die Religionen Irans, cit., p. 140. Vedi anche: Altheim-Stiehl, Geschichte Mittelasiens im Alterrum, cit., pp. 32, 47, 62. 201 Per la questione cf. Duchesne-Guillemin, La religion des Achéménides, cit., p. 72 e sg. 202 Sullo sfondo sociale dell'opera di Gaumàta: D'jakonov, Istorga Midii, cit., pp. 424-435; F. Altheim-R. Stiehl, Die aramaische Sprache unter den Ackamertiden, I, Frankfurt am Main 1960, pp. 75-105; 0 . Klima, Gaumita der Magier, in (( Archiv Orientalni », XXXI, 1963, pp. 119-121 ; W. Hinz, Zrr 9 14 der Bchistun-Inschrij?, in ZDMG D, CXIII, 1963, pp. 231-235; Dandamaev, Iran pri pervyh Ahemenidah, cit., pp. 146-223. Vedi anche 0. Klima, GaiBimZ miniyamG, in FestschriJit fur Wilhelm Eilers, cit., pp. 202-203. 203 Per le varie ipotesi e interpretazioni: Frye, The Heritage of Persia, cit., p. 92 e sg.; Duchesne-Guillemin, La religion de I'Iran ancien, cit., p. 155; Widengren, Die Religionen Irans, cit., p. 139 e sgg.; Id., Uber einige Problenze in der altpersischen Geschichte, in Festschrvt /ur Leo Brandt zurn 60. Geburrsrag, Koln-Opladen 1968 (pp. 517-533), p. 517 e sgg.; Duchesne-Guillemin, La rcligion des Achétnénides, cit., p. 72 e sg. 204 Così Widengren, uber einige Problenre ..., cit. 205 Sulle implicazioni religiose dell'episodio di Gaumàta vedi le giuste considerazioni del Nyberg, Die Religionen des alten Iran, cit., p. 375. Cf. anche le osservazioni del Benveniste, Les Mages dons I'Ancien Iran, cit., p. 20 e sg. 206 Sui luoghi di culto: Gnoli, Ricerche doriche sul Sistin antico, cit., p. 108. 207 DB I, 63. 208 La paternità del dialogo non è da mettersi in dubbio: Benveniste, The Persian Religion ..., cit., p. 16.
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all'insegnamento della paycla di ZtjroastrEs figlio di bromazEs 209. E poiche vediamo la loro forza non scemare ma crescere sotto gli Achemenidi, come dimostrano la funzione di primo piano che ebbero con Serst e il fatto che con questo sovrano si fece largo la formula « la legge che Auramazdii ha stabilito » (dati ... taya auramazdti nijtiya) 210, indice di un'infìuenza del clero depositario della tradizione giuridico-religiosa 211, dobbiamo ritenere che essi riuscirono a conservare saldamente una siffatta posizione di potere, facendosi interpreti delle esigenze politiche dei Re dei re. La loro tendenza naturale all'eclettismo 212 favori da una parte la formazione di un ampio sincretisrno religioso e dall'altra il programma politico degli Achemenidi. Gli Achemenidi fecero una politica realistica nei vari paesi nei quali installarono il loro dominio, con lo scopo di presentarsi come i legittimi eredi e continuatori delle monarchie locali. Una cosiffatta politica era dettata da profonde esigenze. Un'alternativa ad essa avrebbe potuto essere la creazione di una concezione unitaria del potere imperiale, fondata su di una nuova ideologia regale, e la sua imposizione a tutti i paesi. Ma, per un popolo appena sorto alla storia, che aveva fino ad allora abitato terre povere ed inospitali 213, dopo un periodo di nomadismo la cui memoria non doveva essere ancora del tutto spenta, divenuto, quasi di colpo, il padrone dei massimi centri della civiltà, non doveva essere cosa facile cancellare tradizioni politiche e ideologie del potere millenarie e sostituire ad esse una nuova concezione unitaria, tale cioè da adattarsi altrettanto bene all'Egitto e alla Mesopotamia, alla Siria e all'Asia Minore, che traesse forza da un unico principio ispiratore religioso o giuridico e che si fondasse su strutture ben salde, politiche ed economiche, amministrative e militari. Alla casta militare della Perside, assurta a tanta improvvisa potenza, non restava che disseminarsi per le satrapie dell'impero, cercando di conciliare gli interessi del Gran Re - ch'eran destinati a diventare ben presto gli interessi dei singoli satrapi 214 - soprattutto di na-
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Bidez-Cumont, op. cit., 11, p. 22. XPh 52-53. Cf. ibid. 49-50 d i t a ... tayo auramazdti niyaitaya.
211
Pagliaro in A. Pagliaro-A. Bausani, Storia della letteratura persiana, Milano
209
1960, p. 32; cf. Id., Lo letteratura della Persia preislamica, in Pagliaro-Bausani, Lo letterarrira persiana, nuova ediz. aggiornata, Firenze-Milano 1968 (pp. 5-130), p. 27. 212 Sulla quale ha giustamente insistito il Gershevitch, Zoroaster's Own Conrribution, cit., pp. 25, 26, 27. 213 Molto opportunamente G. Tucci (Ciro il Grande. Discorso commemorativo tenuto in Campidoglio il 25 maggio 1971, Roma 1971 [pp. 7-17], p. 9 e sg.) ha indicato nella inospitalitl e nell'aridità delle terre dei Persiani e dei Medi i fattori determinanti la spinta iranica verso i territori occidentali più ricchi e più fertili. 214 E ci& nonostante le energiche riforme di Dario I, che separarono il potere politico, che restb nelle mani dei satrapi, da quello militare: cf. sulla questione Dandamaev, Politische unà wirtschafrliche Geschichte, cit., p. 21 e sgg.
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tura fiscale, con quelli locali, connessi in gran parte con lo sviluppo dei commerci, e adeguandosi quanto più era possibile alle tradizioni locali. I1 nuovo Stato, che si estendeva dal Nilo all'Indo e che controllava per migliaia di chilometri le grandi vie di comunicazione dell'epoca 215, favoriva enormemente lo sviluppo del commercio e ricevette quindi l'appoggio dei mercanti delle città fenicie, dell'Asia Minore, di Babilonia. Se si pensa alla potenza economica raggiunta da alcune grandi organizzazioni private, quali quelle babilonesi di Egibi e di MuraSU 216, proprietarie di grandi fortune immobiliari, di banche, di schiavi, si può ben valutare l'importanza che doveva avere per il dominio persiano un appoggio siffatto. È nota la posizione di rilievo e di privilegio, riflettentesi nell'economia ed anche nei commerci, di cui godevano le comunità sacerdotali nel Vicino Oriente antico: i templi finivano spesso col costituire una specie di Stato dentro lo Stato, coi loro beni fondiari, i loro schiavi, le imposte che tutti i contribuenti versavano alle casse sacerdotali, soprattutto mediante la consuetudine della decima 217. Ora, con gli Achemenidi e già con Ciro, che impose le nuove disposizioni allo stesso clero di Babilonia, che l'aveva sostenuto contro Nabonedo, salvo poche eccezioni, quali il Tempio di Gerusalemme e il Tempio d'Apollo a Magnesia sul Meandro, ai templi fu imposto l'adempimento di obblighi fiscali a favore dello Stato. Finché adempivano a tali oneri, fissati in base alla entità delle entrate, i templi grandi e piccoli, dalla Babilonia all'Egitto, non avevano da temer nulla dal potere satrapale e centrale. Al versamento dei contributi, alla cui regolare riscossione sovrintendevano funzionari delegati dall'amministrazione regia, s'accompagnava pei templi la soppressione di alcuni antichi privilegi, quali appunto il versamento alle loro casse delle decime da parte dei contribuenti, ma a tal prezzo era ad essi salvaguardata la conservazione delle tradizionali funzioni e prerogative religiose e civili e con esse, ovviamente, un'influenza sulla vita pubblica che, anche se non era pari a quella di cui avevan goduto in tempi più antichi, non doveva essere
215 E. Cavaignac, Les deux routes d'Asie Mineure, in JA D, CCXLIV, 1956, pp. 341-347; M. Lambert, Le destin d'Llruk et les routes commerciales, in « Riv. degli studi orient. », XXWX, 1964, pp. 89-109. Vedi inoltre sul commercio e sulle vie commerciali in epoca achemenide e preachemenide: W. F. Albright, Cilicia and Babylonia under the Chaldaean Kings, in « Bull. of t l ~ eArnerican Schools of Orienta1 Researcli D, 120, 1950, pp. 2225; A. L. Oppenheim, Essay on Overland Trade in the First Millennium B.C., in « Journal of Cuneiform Studies D, XXI, 1969, pp. 236-251. 216 Cf. R. Rogaert, Les Origines Antiques de la Banque de Dép6t, Leyde 1966, pp. 105108; G . Cardascia, Les Archives des Murafu, fainille d'hommes d'affaires babyloniens à I'kpoque perse (455403 uv. J.C.), Paris 1951. z17 Cf. Dandamaev, Politische und wirrscha/iliche Geschichte, cit., pp. 52-54, e, per la decima: Id., Der Tempelzehnte in Babylorzien wahrend des 6 . 4 . Jlir. v.rr.Z., in Festschrijl fur Franz Altheim, Berlin 1969, pp. 82-89.
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tuttavia di poco rilievo. La politica d'accomodamento e di compromesso fatta dagli Achemenidi nei confronti del clero dei grandi e potenti templi dell'impero non ebbe sempre successo, ma fu contrassegnata da alterne vicende: a volte la tensione sfociava in aperta ostilità. Questi alti e bassi, questi improvvisi rovesciamenti della situazione stanno proprio a indicare che devesi senza altro individuare nel rapporto fra la corona persiana e i grandi sacerdozi soprattutto della Mesopotamia e dell'Egitto uno dei motivi costanti di una dialettica del potere nell'impero achemenide. I1 vero programma della politica religiosa persiana è quello contenuto nel celebre proclama che Ciro fece in Babilonia all'indomani della sua entrata trionfale nella vecchia capitale, accolto come un liberatore dalla tirannia dell'empio Nabonedo e come un restauratore delle plurisecolari tradizioni religiose del maggior centro della civiltà mesopotamica 218. In esso il conquistatore persiano si presentava alla nobile razza dei Babilonesi come colui che Marduk aveva scelto per fare re su tutti i paesi, come il devoto del dio e il suo servo diletto, come colui che aveva restaurato l'ordine tradizionale scosso dall'empietà dell'ultimo sovrano: Ciro si dichiara secondo il formulario della cancelleria babilonese « re di tutto, re grande, re potente, re di Babilonia, re di Sumer ed Akkad e delle quattro parti del mondo ... seme di regalità dall'antichità 219, il cui regno è amato da BEI e da Nabii: della sua sovranità essi gioiscono in cuor loro 220; e poi ancora: « Marduk, il grande signore, ha gioito delle mie azioni pie e graziosamente ha benedetto me, Ciro, il re che lo venera, e Cambise, mio figlio, e i miei soldati, perché noi sinceramente e gioiosamente abbiamo esaltato la sua eccelsa divinità » 221. Egli manifesta la sua volonth di custodire la pace di cui ha posto le condizioni: « i grandi dèi hanno affidato tutti i paesi in mano mia; io ho fatto della terra una casa pacifica D 222. Non si può spiegare soltanto con la lotta fra Nabonedo e il clero di Marduk 223, nella quale Ciro era riuscito ad inserirsi, l'ispiraziorie di 218 F. H. Weissbach, Die Keilinschriften der Acharneniden, Leipzig 1911, p. 2 e sgg.; J. B. Pritchard (ed.), Ancient Near Eastern Texts Relating ro the Old Tesrament, Princeton 1940, p. 315 e sgg.; W. Eilers, Der Keilschrifftext des Kyros-Zilinders, in Fesrgabe deutscher Iranistcn zur 2500 Jahrfeier Irans, herausgegeben von W . Eilers, Stuttgart 1971, pp. 156-1 66. 219 L'espressione richiama alla mente quella usata da Dario nella grande iscrizione di Bisutiin : haEB paruviyata hayz amBxain tartnla xSiya6iya Bha (DB 1, 8 ) « da lungo tempo il nostro seme era regale D. 220 Weissbach, op. cit., p. 4 (Tonzylinder-Inschiift, 20 e 22). 221 Weissbach, ibid., (pp. 4-6), 2 6 2 8 . 222 Cf. Olmstead, op. cit., p. 51. 223 Sul conflitto fra Nabonedo e il clero babilonese nei suoi vari aspetti politici, economici, religiosi, e sulla politica achcmenide con esso connessa cf.: Th. Bauer-B. Landsberger, Zu neuveroflentlichteii Geschichtsquellen der Zeit von Asarhaddon bis Nabonid, in « Zeitschrift fur Assyriologie D, XXXVLII, 1926-1927, pp. 61-98; R. P. Dougherty, Nabonidus and Belsllazzar, New Haven 1929; J. Lewy, The Late Assyro-Babylonian Cuft of the Moon
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una siffatta politica, che si estese in realtk a molti altri culti fino a rappresentare effettivamente una vera e propria politica religiosa atta ad essere applicata in tutto l'impero 224. I culti furono ristabiliti non solo in Babilonia, ma and IISCulmination at the Tinie of Nabonid~rs,in «Hebrew Union College Annua]», XU(, 1945-1946, pp. 405489; B. Landsberger, Die Basaltstele Nabonids von Eski-Harran, Ankara 1947, pp. 115-151 ; E. Dhorme, Lu mPre de Nabonide, in «Rev. d'Assyriologie )>, XLI, 1947, pp. 1-21 (= Recueil E. Dhorme, Paris 1951, pp. 325-350); G. Goossens, Les rvcherches historiques d I'Ppoque néo-babylonienne, in « Rev. d'Assyriologie », XLIII, 1948, pp. 148159; H. Lewy, The Babylonian Background of rhe Kdy Kh4s Legend, in « Archiv Orienthlni n, XVII, 1949, pp. 28-109; K. Galling, Von Naboned zrr Darius. Studien zirr chaldiiischen und persischen Geschichte, in « Zeitschrift des Deutschen Palastina Vereins », LXIX, 1953, pp. 42-64 e LXX, 1954, pp. 4-32; W. von Soden, Herrscher im alten Orient, Berlin-Goettingen-Heidelberg 1954, pp. 145-177; P. Garelli, in Supplément au Dicrionmire de la Bible, fasc. XXXI, 1958, S.V. Nabonide (pp. 269-286); E. Vogt, Novae Inscriptiones Nabonidi, in Biblica », XL, 1959, pp. 88-102. Per le fonti: S. Langdon, Die neubabylonischen Konigsinschrifren, Leipzig 1912, p. 218 e sgg.; S. Smith, Babylonian Historical Texrs, London 1924; J. T. Milik, « PriPre de Nabonide » et autres écrits d'un cycle de Daniel-Fragments araméens de Qurnrdn, in « Revue Biblique », LXIIJ, 1956, pp. 407-415; C. J. Gadd, The Harran Inscriptions of Nabonidus, in « Anatolian Studies », VIII, 1958, pp. 35-92. D. S. Wiseman, Chronicles of Chaldaean Kings (626-556 B.C.) in the British Museum, London 1956, è importante per il periodo caldeo in generale. 224 Si è voluto vedere, segnatamente da parte di H. Lewy (op. cit. alla nota precedente) nel conflitto fra Nabonedo e il clero babilonese di Marduk una lotta religiosa: da una parte il partito ' aramaico-assiro ', guidato dal sovrano, propugnatore di un ideale politico-religioso nettamente universalitico, all'insegna della rtligione di Sin, il dio di uarriin, dall'altra parte il partito ' caldeo-babilonese ', guidato dal potente sacerdozio del1 acapitale, difensore di un ideale più angusto, di carattere nazionalistico, all'insegna della religione di Marduk. La tesi è fondata su argomenti fragili e discutibili (cf. giA Gnoli, Ciro il Grande, cit., p. 17 e sgg.). Soprattutto è difficile accettare le definizioni di ' dio universale ' per Sin e di ' dio nazionale ' per Marduk: il dio di Nabonedo era considerato dal clero babilonese un falso Sin, un dio straniero e barbarico, non Sin ma Ilteri (cf. J. Lewy, op. cit. alla nota precedente, p. 426; il nome divino TEr si ritrova nell'onomastica aramaica di uarran [C. H. W. Johns, An Assyrian Doomsday Book or Liber Ceiisualis, Leipzig 1901, pp. 11-18] e dei principi arabi negli annali assiri) e il culto di Marduk aveva allora un carattere ben poco nazionale, avendo da tempo assimilato caratteri e funzioni di altri dèi. Preminenti in quel conflitto dovettero essere invece fattori politici, connessi anche con aspetti etnici, forse, ed economici: basti pensare alla posizione strategica di uarran come nodo di comunicazione vitale pei commerci e per l'economia del regno caldeo. In un secondo studio H. Lewy (Points of Cornparison between Zoroastrianisrn and the Moon-Culi of Harran, in A Locust's Leg. Studies... Taqizadeh, cit., pp. 139-161) ha proposto la tesi di un'infiuenza sulla religione zoroastriana e su Ciro delle tradizioni religiose di uarriin, rivalutando le testimonianze medievali su questo tema, come quella nota di Biruni (Chronologie Orientalischer Volker von AlhCriini, ed. Sachau, Leipzig 1878, p. 28). Sarebbe stato quindi proprio il nemico di Nabonedo, che infatti secondo Beroso si sarebbe riconciliato con lui fino al punto di preporlo al governo della Carmania, cioè Ciro stesso, a introdurre in Iran il culto lunare caratteristico di Harran; e cib, dopo aver appoggiato il clero di Marduk! Sulla inverisimiglianza d'una tesi cosiffatta vedi anche Duchesne-Guillemin, Religion et polirique, de Cyrus à XerxPs, cit., p. 3; Id., La religion des Achéménides, cit., p. 71.
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anche ad AHSur, a Susa e a Genisalemme 225: dell'amo seguente alla presa di Babilonia, che cadde nel Marzo del 539, fu l'editto di Ecbatana m, che restituiva la libertà agli Ebrei e ordinava la ricostruzione dei Tempio e la restituzione di tutti gli arredi sacri e di tutte le suppellettili che erano state portate a Babilonia come bottino di guerra da Nabucodonosor I1 nel 586. Eran poste, così, le basi della politica religiosa degli Achemenidi 227. Il nuovo dominio conquistato con la forza delle armi e con una politica duttile e lungimirante poteva consolidarsi solamente innestandosi nelle tradizioni locali. Alla politica d'estirpazione e di distruzione che caratterizzò il più delle volte la conclusione delle conquiste assire e babilonesi si sostituiva, in tal modo, una politica imperiale mirante ad una pace mondiale nel campo religioso. È un avvenimento di un'importanza capitale neiia storia antica, che fu determinato dalla nuova situazione politica creatasi con la fondazione di un impero che non si limitava più alle aree tradizionali sulle quali s'era esercitata l'influenza dei precedenti Stati, alla Mesopotamia e alla Siria-Palestina, all'Egitto, all'Asia Minore, ma che tutte le comprendeva in un'unica organizzazione statale. La storia dell'impero persiano presenta anche episodi che sembrano ispirati ad un violento spirito d'intolleranza. Ma sarà meglio abbandonare interpretazioni siffatte e noi] parlar più di tolleranza e d'intolleranza, riconoscendo che dietro l'una e l'altra per lo più si nasconde la medesima preoccupazione politica, la stessa ragion di Stato 228. Invece spesso si fa riferimento all'ira distruttrice di un Cambise in Egitto come ad un esempio d'una natura religiosamente o irrazionalmente intollerante, o alla benevolenza di un Dario nei confronti del tempio di Apollo a Magnesia sul Meandro come ad un esempio della tolleranza religiosa di questo sovrano, che per alcuni sarà segno dei buoni effetti della adesione alla ' riforma ' zoroastriana, per altri di un lassismo o di una politeistica indifferenza, che saranno prove esattamente del contrario. Così pure si è voluto vedere nell'ira distruttrice di Serse esplosa contro il tempio di Marduk, all'indomani della rivolta babilonese capeggiata da SamaS-eriba (482 a. C.), il segno di un particolare fanatismo religioso di questo sovrano, che si rifletterebbe anche nella prescrizione del culto dei daivada lui ordinata 229. Tutti questi episodi vanno spiegati nella più vasta corniOlmstead, History of the Pcrsian Empire, cit., pp. 51-52, 57-58. Ezra VI, 3 e sgg. Sull'autenticità dell'editto di Ciro l'accordo non è generale, mentre sembra certa quella dell'editto di Dario I. Sullo sfondo storico vedi ora Galling, Studien zur Geschichte Israels im persischen Zeitalrer, cit., p. 61 e su. 227 Cf. Nyberg, Das Reich &r Achameniden, cit., p. 67 e sg. 228 Sulla politica religiosa achemenide, oltre alle pagine già citate del Nyberg, vedi ora Widengren, Die Religionen Zrans cit., p. 134 e sgg.; Duchesne-Guillernin, Religion er politiqite, de C.vrru d Xerxds, cit. 229 Cf. Duchesne-Guillemin, ibid., pp. 7-9. Sulla rivolta di Babilonia e sui &v& 225
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ce della politica achemenide e non vanno isolati. È difficile negare che i provvedimenti presi da Serse contro il clero di Marduk non avessero una motivazione esclusivamente politica: il declassamento della Babilonia a semplice satrapia e la soppressione della posizione di privilegio di cui essa aveva goduto fino ad allora lo stanno a dimostrare inequivocabilmente 230. Distruggere santuari e simulacri divini di un popolo nemico 231 significava infliggere un colpo gravissimo alla potenza di quel popolo e cosi pure appropriarsi degli idoli, delle insegne e delle statue degli dèi: quel popolo si trovava spogliato della sua potenza magica, senza più il sostegno delle divinità protettrici. Ciò che era avvenuto nel regno caldeo all'approssimarsi dell'esercito di Ciro, quando Nabonedo, incalzato dalla minaccia persiana, si era affrettato a trasportare gli dèi di Maradda, KiS e Hursagkalama dentro le mura di Babilonia, è significativo: gli abitanti di quelle città, vedutisi spogliati degli dèi protettori, furono presi dal panico e dall'ira 232. Se si pensa poi al potere effettivo di cui poteva disporre sul piano politico il clero dei grandi templi, da quello babilonese dell'Esagila a quello greco dei Branchidi 233, si capirà ancor meglio il variare, secondo le circostanze, dell'atteggiamento dei diversi sovrani achemenidi nella politica religiosa. E non solo, ma si avrà anche una spiegazione dei mutamenti di rotta avvenuti durante il regno di uno stesso sovrano, senza dover ricorrere perciò a constatare inverisimili contraddizioni. Si pensi al fatto, per esempio, che in un primo tempo la politica egiziana di un Cambise sembra ispirata agli stessi principi di tolleranza di quella inaugurata da Ciro 234, O all'episodio ricordato da Ctesia su Dario che incendia case e templi dei Calcedoni per punirli del loro tentativo di tagliare i ponti sul
di XPh 2 8 4 1 interpretati come divinità babilonesi: Nyberg, Die Religionen des alren Iran, cit., p. 364 e sgg.; Widengren, Die Religionen Irans, cit., p. 138. Sulla situaziorie politica di Babilonia, su Bèl-Simanni e Samas-eriba: F. H. Th. de Liagre-Bohl, Die babylonischeri Pratendenten zur Zeii des Xerxes, in Bibliotheca Orientalis D, XIX, 1962, pp. 110-1 14. 230 Widengren, ibid., p. 162. 231 Si ricordi, sempre a proposito di Serse, la distruzione dell'acropoli di Atene: Erodoto ViiI, 53. 232 Olnistead, History of the Persian Empire, cit., p. 49 e sg. 233 L'oracolo di Apollo Didimeo appoggib la politica di Ciro nei confronti delle colonie greche d'Asia: Erodoto I, 157 e sgg. ; e cosi pure fece l'oracolo di Apollo Delfico: Erodoto I, 174. Sulla politica dell'Oracolo di Delfi vedi le osservazioni del Burn, Persia and rhe Greeks..., cit., p. 346 e sgg., e cf. G. Pugliese-Carratelli, Le guerre mediche ed il sorgere della solidarierà ellenica, in La Persia e il rnondo greco-romano, cit. (pp. 147-1 56), p. 152. 234 Widengreii, Die Religionen Irans, cit., p. 137; Duchesne-Guillemin, Religion er politique, de Cyrus à XerxPs, cit., p. 3 e sg. Sulla situazione politica dell'Egitto persiano cf. F. C. Kienitz, Die politische Geschichte Aegyplens v o ~ n7. bis zlrm 4 . Jahihrrndert vor dei. Zeirwende, Berlin 1953; per la politica religiosa vedi lo studio di E. Bresciani, La satrapia d%girto, in «Studi classici e orientali D, VII, 1958, pp. 132-188, in cui si vedano le pagine dedicate al sacerdozio: pp. 164-1 76.
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Bosforo davanti all'esercito persiano che ritornava dalla spedizione scitica. Dario fece distruggere anche l'altare ch'egli stesso aveva innalzato, al suo passaggio, in onore di Zeus 8~a$orrr)pios235. Tollerante fu Cambise fino a quando non entrò in conflitto con gli interessi di certi gruppi sacerdotali egiziani; intollerante fu Dario verso i templi dei Calcedoni e del culto dello stesso Zeus per l'ostilità che gli era stata dimostrata dal quel popolo. 6. - Si è visto nell'eticità zoroastriana il sostegno della concezione imperiale persiana. Il carattere della funzione imperiale presso gli Achemenidi dovrebbe essere spiegato alla luce di un profondo rinnovamento religioso che investì anche il dominio etico. L'idea della regalità dispensata al Gran Re da Auramazda, ricorrente nelle iscrizioni regie, la stessa volontà d'espansione e di conquista dimostrata dai primi Achemenidi, il loro atteggiamento tollerante verso le altre religioni sarebbero tutti elementi che troverebbero un'adeguata ed esauriente spiegazione in un fattore religioso, quale l'adesione allo Zoroastrismo 236. Si è detto anche che I'iranismo zoroastriano fu l'anima e il baluardo dell'impero achemenide e che chi avesse voluto abbattere quella monarchia avrebbe dovuto colpire proprio questo fattore religioso ed etico, che costituiva il fondamento vitale della vasta compagine politica persiana; e si è esemplificato tutto ciò in una particolare valutazione storica della conquista macedone dell'Iran orientale: Alessandro avrebbe incontrato la resistenza più dura e più fiera proprio nelle regioni dove era nato lo Zoroastrismo 237. È chiaro che questi giudizi perderebbero tutto il loro valore, se l'ipotesi altrove fatta sugli Ariaspai e sull'amichevole accoglienza che fu da essi riservata ad Alessandro risultasse esatta 238. Ora, una tesi come questa investe naturalmente un problema dei più dibattuti della storia persiana e della storia dello Zoroastrismo, vale a dire il problema della religione degli Achemenidi 239. Essa, inoltre, si fonda essenVedi il testo dell'epitome di Fozio, cod. 72, pubblicato da R. Henry, Phorius. BibliorhPque, I , Paris 1959, p. 113 e sg. 236 Pagliaro, Alessandro Magno, Torino 1960, pp. 101, 227; Id., Ciro e l'Impero persiano (Accad. Nazionale dei Lincei, « Celebrazioni Lincee », 5 9 , Roma 1972 (pp. 723), pp. 20 e 21. 237 Ibid., p. 228. L'idea è giA di A. von Gutschmid ed è ripresa anche da Yar-Shater, tIic Sasanians Heirs ro rhe Achaemenids?, cit., p. 527. 238 Gnoli, Ricerche storiche sul Sistan antico, cit., pp. 59-60, 61 e sg., 78 e sg., 110 e sg. e cf. p. 47 e sgg. 239 Per lo stato della questione: Duchesne-Guillemin, Lo religion des Achéménides, cit. Problema, questo della religione degli Achemenidi e del rapporto di essa con lo Zoroastrismo, che è stato ed è tuttora al centro di una discussione ampia e coniplessa, tale, in ogni caso, da non consentire in alcuna maniera ch'esso venga del tutto trascurato in certe opere recenti sulla storia della Persia. È davvero singolare dover notare la totale mancanza di accenni a questa come ad altre problematiche non meno complesse della storia iranica e la nianiera a dir poco candida con la quale si fornisce, certo inconsapevolmente, la soluzione 235
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zialmente sulla constatazione che nelle iscrizioni regie è solennemente tramandata l'idea che la regalità procede direttamente da Auramazdà. Senza dubbio è proprio in questa idea dell'investitura divina del Re dei re che si deve vedere i] principale fondamento della concezione achemenide della regalità. L'inizio dell'iscrizione di Bisuttin contiene una dichiarazione della regalia di Dario I, fatta dallo stesso sovrano: in essa si ritrovano le basi su cui si fonda la regalità del Gran Re, le quali legittimano il suo diritto al trono. adanz dirajavaus' xSiya6iya ipazarka xs'iyafiiya xEya8iyinim xs'ija8iya pirsaiy xSiya6iya dahyiininz vi,ftispahyi puga ars'imahyi napi haxin~anifiya 8 i t i y dirayavaus' xSaya6iya mani piti viStispa iliitispahyi pila ariima ars'in~ahyipiti ariyiramna ar iy iramnahyi piri c'is'pis' c'ijpiis' piti haximanis' 6 i t i y dirayavairi xSaya6ijla avahyaridiy vaj7am haximanis'iyi 6alzyimahy h a Z paruviyata i m i t i amahy ha& paruviyata hayà amixanz taumi xs'iya6iyi iha 8 i t i y dirayavaus' xiiya6iya VIII mani taumiyi tayaiy paruvam xEya8iyi iha adam navam IX duvitiparanain ivayam xSaya6iyi amahy 6 i t i y dirayavaus' xZya6iya vas'ni auramazdiha adam xEya6iya amiy auramazdi xiaqam mani fribara 240: « lo, Dario, il Gran Re, il Re dei re, il Re in Persia, il Re dei paesi, figlio di Istaspe, nipote di Arsame, un Achemenide. Parla il Re Dario: mio padre, Istaspe; il padre d'Istaspe, Arsame; il padre di Arsame, Ariaramne; il padre di Ariaramne, Teispe; il padre di Teispe, Achemene. Parla il Re Dario: per questo motivo noi siamo detti Achemenidi. Da lungo tempo noi siamo nobili, da lungo tempo il nostro seme era regale 241. di controverse questioni per le quali sono stati versati fiumi d'inchiostro. È così che per M. A, Levi (Il mondo antico e la Grecia arcaica, [= Nuova storia dei popoli e delle civiltà, vol. 111, Torino 1969) Zoroastro, medo (p. 440), avrebbe convertito ViStàspa « discendente dagli Achemenidi, ma rivale della dinastia persiana di Ciro, e allora re dei paesi orientali ... )) e la moglie di questi, la madre di Dario I (p. 442); che tali conversioni regali avrebbero fatto accogliere «con slancio e con entusiasmo le profezie e l'insegnamento religioso di Zoroastro » dalle « masse dei sudditi » (p. 443); che, come possiamo apprendere poco più oltre (p. 4-49), «l'accettazione delle dottrine di Zoroastro diede certamente ai sovrani di Media la possibilitA di contare su combattenti più entusiasti ... » e che pure Ciro dovette essere senz'altro toccato dallo Zoroastrismo, come dimostrerebbero la « sua astensione dai consueti massacri D, il « rispetto per i popoli vinti, per le loro tradizioni n, la ((stessa tolleranza religiosa ». certo per ironia della sorte che tali affermazioni, in buona parte di herzfeldiana memoria, presentate come dati di fatto certi ed incontrovertibili ad un pubblico ampio, si trovino in un volume che fa parte di una « nuova storia dei popoli e delle civiltA! Ben altro equilibrio critico contraddistingue le pagine, risalenti all'edizione del 1926, dedicate da G. B. Gray alla religione iranica nel volume IV della Canibridge dncient History, edited by J. B. Bury, S. A. Cook, F. E. Adcock, The Persian Empire and the West, pp. 205211. 240 DB I, 1-12. 241 Vedi sopra, nota 219.
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Parla il Re Dario: otto del mio seme sono stati re prima; io, il nono. Nove, uno dopo l'altro, noi siamo re. Auramazda mi ha dato il regno fi 242. Dario si appella alla successione dinastica: il suo diritto al trono si fonda sul sangue. Gli Achemenidi sono re da lungo tempo: già in otto prima di lui hanno regnato zJ3. Un altro fondamento della sua regalità 6 nella volontà di Auramazda: Auramazda gli ha affidato il regno. 11 principio dinastico e l'idea dell'investitura divina appaiono, così, come i fondamenti della concezione achemenide della regalità. 11 primo è affermato con molta solennità e con molta forza nella grande iscrizione di BlsutOn 244, che, narrando gli avvenimenti del primo anno di regno di Dario (521), doveva far riferimento ai vari tentativi di usurpazione, insidianti il principio di legittimith; la seconda sembra essere il pilastro su cui principalnente fondasi la concezione della regalità: essa ricorre infatti costantemente e con un formulario ben preciso in tutte le iscrizioni achemenidi. L'idea del re che è re vainci auramazdiha ricorre anche nelle iscrizioni di Serse, di Artaserse I, di Dario 11, di Artaserse Il. Dario si scaglia contro Gaumata 245 in nome di un principio del sangue: il Mago era riuscito ad impadronirsi del regno, celandosi dietro il nome di Bardiya, figlio di Ciro, ma non era un Achemenide e noli poteva quindi pretendere a quel titolo: era un usurpatore. Analogo è il caso del ribelle Vahyazdata, che si fa forte del medesimo inganno 246. Diversi, invece, i casi degli altri ribelli ricordati da Dario: questi li avrebbe ugualmente combattutti con la stessa decisione, anche se fossero stati quelli che effettivamente dicevano di essere, cioè principi delle vecchie dinastie spodestate da Ciro 247.
e x i q a - M, in Per antico persiano xfaca- cf. Gh. Gnoli, Note su (( xSiy&iyaEx Orbe Religionum. Studia Geo Widengren Oblatn (Supplements to N Numen H, XXII), Leiden 1972, Pars altera, pp. 88-97, e vedi sotto, p. 55. 243 Sulla genealogia di Dario I, da compararsi con quella di Serse fornita da Erodoto (VII, 11) vedi E. F. Weidner, Die alteste Nachricht uber dar persisdie Konigshaus. Kyros I ein Zeitgenosse Assurbanaplis, in « Archiv fur Orientforschung N, VII, 1931, pp. 1-7; Olrnstead, Ifistory of thc Persian Empire, cit., p. 3 1 ; Kent, Old Persian ..., cit., p. 158 e sg.; Brandenstein-Mayrhofer, Hmdbuch des Alrpersisclien, cit., p. 4 e sg. 244 Cf. anche DB 1, 44-46, 61-62, 69-71. 245 Che fosse il falso o il vero Smerdi qui poco importa, owiamente. Per la questione vedi sopra, nota 199. 246 DB 111, 21-76. 247 Spicca fra le altre rivolte, perchb fu la più terribile e la più grave di tutte. quella capeggiata dal medo Fravarti (Fraorte) che si diceva XSaSrita figlio di UvaxStra (Ciassare). Forse xSa19riru- può considerarsi un nome di regno, dal momento che sembra essere stato già attribuito o al Fraorte di Erodoto (I, 102) o ad un altro Fraorte (sulla questione della identificazione del KaStariti [= XSaSrita] delle fonti assire vedi i lavori del Labat e del Cavaignac citati alla nota 4). In questa rivolta, che coinvolse non solo la Media, ma anche l'Armenia, la Partia e I'hania (DB 11, 13-78, 92-98; 111, 1-10) si pub vedere un tentativo 242
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La legge del sangue è rigida: la dignità regia si trasmette fra gli appartenenti ad uno stesso clan della tribù dei Pasargadai, fra i membri di un clan (v$-) che ha il suo capostipite in una sorta di eroe eponimo: Achemene 248. La successione non si fonda sul diritto di primogenitura: la storia dell'impero persiano chiaramente mostra come il Re dei re avesse la facoltà di designare come successore uno dei figli: Ciro nominò Cambise suo erede, investendolo del titolo di (( Re di Babilonia ,) 2"; Dario I1 nominò Arsace, il futuro Artaserse [I, che s'installò anch'esso in Babilonia 250; Artaserse JI nominò Dario, uno dei quattro figli nati dalla regina Stateira, il quale, però, perdette la vita in una congiura di palazzo, prima di succedere al padre 251. Non era necessario che l'erede fosse il primo nato nella porpora 252. Ciro inaugurò quindi, con l'investitura di Cambise a Re di Babilonia, la consuetudine della coreggeriza, ispirandosi, secondo ogni verisimiglianza alle istituzioni o alle prassi vigenti nelle vecchie monarchie del Vicino Oriente, l'egiziana 253 e, soprattutto, I'assira 254. È chiaro come la coreggenza avrebbe di rivincita sui Persiani da parte dei Medi, come potrebbe indicare, fra l'altro, il fatto che essa scoppiò nelle province settentrionali dove giA s'era fortemente esercitata l'egemonia meda. 248 Come avvenne per Ciro, anche per Achemene si formo una leggenda che circondava la figura del fondatore di un'aureola di sacralità. Racconta Eliano ( D e natura animaliutn XII, 21) che il re sarebbe stato nutrito da un'aquila: Th. Noldeke, Das iranische Notiorialepos, Berlin uiid Leipzig 1920, p. 4 (= Grrrndriss der iranischeri Philologie, herausgegeben von W. Geiger und E. Kuhn, 11, Strassburg 1896-1904 [pp. 130-2111, p. 133). Vedi anche sulla leggenda regale nell'lran antico: G. Widengren, La Iégende royale de l'Iran antique, in Hontmages a Georges Dirmézil, Bruxelles 1960, pp. 225-237; Frye, The Charistna of Kingship in Ancient Iran, cit., pp. 40 e sgg., 46 e sgg. Secondo il Wideiigren (The Sacra1 Kittgship of Iran, cit., p. 256; Die Religionen Irans, cit., p. 153) una caratteristica della concezione iranica della regalità sarebbe stata l'idea della discendenza divina dei re, documentata, a parer suo, da un passo di Senofonte (Insritutio Cyri VII, 11, 24; cf. I, 11, 1). In realtà si pub risalire ancora più indietro e stabilire che la fonte di Senofonte è in questo caso Platone, il quale in un passo dell'Alcibiade (vedi nota 208) dichiara che Achemene discendeva da Perseo figlio di Zeus: 4 OUX ~ C I ~ E 05 V o i pkv ' H p x x h Q o ~ < 01 8È ' A ~ u i p C w o ~ 8< ~ x 0 voc, r b 8 " H p u x h k o ~ < TE ~ É Y o ution,cit., p. 34. Su drauga- vedi pure le considerazioni fatte sopra, nota 283. 351 R . T. Hallock, Persepolis Fortification Tablcrs, Chicago 1969. 352 Titres cr noms propres en iranien ancien, cit., pp. 75-99. 353 Amber ai Persepolis, cit. 354 The Pci.sicin Religion ..., cit., pp. 89 e sg., 96, 99. Op. cit., pp. 167, 177 e sg., 212 e sg., 245. 356 Importanti sono sotto questo riguardo le proposte del Gershevitch per Saufa < 'SauSya- (cf. avestico saoiyant-) e SuSaiida < *sauSanr-a- (op. cit., p. 231) e per Arsarma e forse anche Eiarurma < "a8arva- (ci. avestico C8ravan-), dove perb dovrebbe vedersi una forma più vicina al vedico diharvan- che all'avestico 68ravan- (op. cit., p. 189 e sg.; cf. ibid., p. 172). Si ricordi anche Naipanda (vedi sopra, nota 335). su cui cf. le osservazioni di J. P. Asmussen, Die Verkiindigung Zararhustras in1 ticlire der Religionsgeschichf~.Eine vorlaufige Skizze, in « Temenos v , VI, 1970 (pp. 20-35), p. 27.
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listes de canonisation conservdes dans le YaSt XiII (§g 96-145) N M7 resta sostanzialmente valido. È giusto, infatti, porsi il problema dell'esatta definizione di ciò che si deve intendere per ' Zoroastrismo ' e per una ' ispirazione ' zoroastriana, come ha fatto il Gershevitch 358, ma l'impressione di notevoli differenze, anche nell'onomastica, fra l'Iran occidentale e l'Iran orientale cib non di meno sussiste e non si attenua. E d'altra parte si t giustamente osservato, proprio a propostito di Narifanka, YarnakSedfa e ZamaSba, che I'assenza di tali nomi sia fra i regnanti sia nell'onomastica storica d'epoca achemenide non dev'esser priva di significato 359. 8. - Ritornando all'evoluzione dell'ambiente iranico occidentale e al suo progressivo distacco dall'eredità tradizionale, è opportuno soffermarsi sulla tendenza, che si venne affermando in epoca achemenide, verso un culto di carattere pubblico 360. Nella misura in cui dovette soddisfare esigenze di carattere politico, anch7essanon è che un aspetto del generale fenomeno di una progrediente secolarizzazione. La natura essenzialmente privata del culto, caratteristica ad esempio della religione de1171ndiavedica, dovette trasformarsi per le esigenze nuove e per la nuova mentalità. La notizia di Erodoto sul sacrificante che deve invocare i benefici non solo per sé ma per tutti i Persiani ed anche per il re, poiché questi è compreso nella comunità, va intesa in tal senso 361; come pure' dobbiamo scorgere un significato analogo negli i y a h na- 362, che la versione babilonese traduce bitite $a ilini 363, e nei *brazmaOp. cit., p. 97 e sg. Op. cit., p. 173. 359 Yar-Shater, Were rhe Sasanians Heirs to the Achaemenids?, cit., p. 526. 360 L'argomento t stato da me trattato in Questioni sull'interpretazione della dottrina gathica, cit., p. 341 e sgg. 361 Erodoto I, 132. 362 Sui quali vedi le giuste considerazioni del Widengren, Die Religionen Irans. cit., p. 131 e sg., e cf. Gnoli, Ricerche storiche sul Sistcin antico, cit., p. 108. La proposta che feci nel 1967 di vedere nell'edificio di Dahana-i gulamàn presso Qal'a-i nau nel Sistan persiano un esempio degli ayadana achemenidi mi sembra tuttora valida, anche se di essa, come ha notato il Duchesnffiuillemin (L4 religion des Achéménides, cit., p. 64), non ho indicato che molto brevemente l'essenziale. Allo stato attuale delle nostre conoscenze mi sembra difficile scendere nei particolari su di una questione del genere. Cib che è possibile è formulare un'ipotesi, tanto più verisimile quanto poco motivato mi sembra lo scetticismo sulla datazione dell'edificio proposta da U. Scemato, L'edificio sacro di Dahan-i Ghulaman (Sistan), in La Persia e il mondo greco-romano, cit., pp. 457470, taw. 4. Tutti gli elementi di cui disponiamo - e non sono pochi - suggeriscono una datazione achemenide ed un confronto con Nad 'Ali I (cf. Gnoli, Ricerclw storiche sul Sistin antico, cit., p. 106). Finora non è stato addotto alcun significativo argomento contro una siffatta datazione. D'altra parte, che cosa intende il Duchesne-Guillemin (luogo cit.) per preuve irréfutable N ? La datazione achemenide di Dahana-i gulaman è accettata da S. A. hlatheson, Persia: un Archaeological Guide, London 1972, p. 281 e sgg. 343 Weissbach, Die Keilinsclwifren der Achiirneniden, cit., p. 21. 357
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achcmenidi: essi, infatti, devono rispecchiare una tendenza verso una sprivatizzazione del culto, che si delineò certamente in cpoca achemenide. Erodoto, per quanto riguarda i templi, ci dà ancora una situazione arcaica, quando afferma che i Persiani non avevano templi e che usavano sacrificare all'aperto, sulla vetta dei monti 365. Probabilmente il contrasto sugli Gyadanofra la politica di Gaumata e quella di Dario 366 dev'essere inserito in una siffatta cornice: il Mago agì forse in ossequio a quella stessa tradizione di cui in Erodoto si trova un'eco. È verisimile che i Magi medi, anche se furoiio acquiescenti nei confronti della politica religiosa degli Acliemenidi, finendo col costituirne l'indispensabile strumento, non lo divennero né subito né tutti nello stesso tempo. Ora, la tendenza verso un culto pubblico, destinato a far da sostegno alla nuova monarchia unitaria e supernazionale, e la minor forza e la miiior presenza dei tradizionali motivi sacerdotali e teocratici sono dunque i due aspetti caratteristici di un processo di secolarizzazione delle concezioni del potere avvenuto in epoca e in ambiente achemenidi. Secolarizzazione che, ovviamente, va intesa in rapporto alle tradizioni iraniche, riflesse nel17Avesta, poiché essa, per un altro verso, si accompagnava significativamente ad una tendenza solo apparentemente opposta, vale a dire ad un tentativo di sacralizzazione del potere stesso, che si concretava nell'assunzione d'ideologie e di prassi straniere, fra le quali primeggiano l'idea dell'investitura divina del re e la grande festa persepolitana del Capodaiilio. Un tal fenomeno rispondeva a precise esigenze politiche, dal momento che le tradizioni iraniche non potevano certo servire alla pari di quelle mesopotamiche a fondare una solida base sulla quale edificare la sovranità del Gran Re nei vasti territori del Crescente Fertile e del Vicino Oriente nel suo insieme. Ma in realtà la monarchia achemenide fu più nei fatti che nell'ideologia una monarchia supernazionale: nella misura in cui i Persiani si sforzarono di legittimare il potere conquistato nelle diverse regioni dell'impero, cercando d'inserirsi e quasi di camuffarsi nelle tradizioni locali, quali eredi e continuatori e conservatori di esse, si deve scorgere, appunto, il limite che non consenti loro di creare una vera e propria coiicezione unitaria della monarchia univer364
364 Per *brazmadina- cf. M. N. Bogoljubov, Ararnejskaja stroitel'naja nadpis' iz Asuana, in Palestinskij Sbornik )), XV [LXXVIII], 1966, pp. 4 1 4 6 . I1 termine, composto da brazman- (cf. antico persiano brazmaniyo-) più dina- ' edificio, casa ' (cf. avestico dnlana-), come daivadana- di XPh 37 e sg., è stato riconosciuto dal Bogoljubov in un'iscrizione aramaica d'Egitto del 458 a.C. Una forma analoga è +bagadana-, documentata dall'armeno, dal battriano e dal sogdiano: Gershevitch, Zoroaster's O w n Contribution, cit., p. 35. 365 Erodoto 1, 131 e sg.; cf. Benveniste, The Persian Religion ..., cit., p. 47 e sg. 366 Vedi sopra, pp. 29 e ?O.
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sale 367. Anche in ciò essi furono condizionati dalla obbicttiva situazione politica: la monarcliia di Ciro era essenzialmente una monarchia militare sorretta dalla forza guerriera di un popolo da poco sorto alla storia, il quale tentò d'imporla ai differenti popoli dell'impero sotto le vesti delle singole monarchie tradizionali. I1 fondamento nazionale della signoria nell'irnpero persiano fu ben più accentuato e cosciente che negli altri imperi del Vicino Oriente 368. Un'iscrizione di Dario a NaqS-i Rustam contiene una chiara testimonianza dell'orgoglio militare persiano: yadipatiy maniyihaiy taya fiyakaram liha a v i dahyiva taya darayavau9 xfiya0iya adiraya patikari didiy tayaiy gi8um baratiy avadà xjnisàhy adataiy azdi bavitiy pzrsahyi !nartiyalzyi dfiraiy arJtiJ paràgmati adataiy azdà bavitiy parsa martiya dirrayapiy hac'a pàrsà partararn patiyajati 369: « Se tu vuoi avere un'idea di quanti erano i paesi che Dario il Re reggeva, guarda le figure che portano il trono. Allora saprai, allora ti sarà noto: la lancia dell'uomo persiano è giunta lontana dalla Persia. Allora ti sarà noto: l'uomo persiano ha dato battaglia lontano dalla Persia N. Cosicché non c'è contraddizione fra il processo di secolarizzazione, rispetto all'eredità tradizionale iranica, e la tendenza alla sacralizzazione delle concezioni del potere, compiutasi con l'assunzione dell'idea mesopotamica dell'investitura divina del re, di cerimoniale di corte e di costumi stranieri. Nel Graii Re protetto dal Graii Dio si deve vedere una nuova figura di monarca, che ricerca la fonte della propria legittimità nelle antiche tradizioni dei popoli conquistati, presentandosi come un Re di Sumer ed Akkad o come un Faraone, ma che è, in realtà, notevolmente sradicato e dalle proprie e dalle altrui tradizioni. Un sovrano, questo. di una monarchia più militare che tradizionale, inserito nel novlrs ordo fondato da Ciro 370, della cui stola s'era vestito nel giorno dell'incoronazione nel tempio della dea guerriera di Pasargade 371; un sovrano il cui potere, dispensato dal più grande degli dèi, non era mediato da nessuna casta sacerdotale. ediz., Leipzig-Berlin 1927, 367 Ma cf. J. Kaerst, Geschichte des Hellenismus, I, p. 300 e sgg.; de Francisci, op. cit., I, p. 160 e sgg., dove si ha un'ampia discussione e sono particolarmente considerati i giudizi del Kaerst e di E. Meyer, Geschichte des AItcrtums. 368 de Francisci, op. cit., p. 160. 369 DNa 3847. Sul senso di superiorità dei Persiani vedi anche Erodoto I, 134. 370 La monarchia achemenide sembra, in effetto, ad un tempo una monarchia ' militare ' e ' personale ', per il carattere assolutistico del potere del Gran Re e per la consapevolezza che questi sembra avere di far parte dell'ordine nuovo, e quindi non tradizionale, instaurato da Ciro (vedi la testimonianza plutarchea qui di seguito citata). Sono tratti, questi, che, avvicinando la monarchia achemenide alle monarchie ellenistiche, la allontanano in qualche misura dalle tradizionali monarchie dell'oriente Antico. La problematica storica connessa con l'istituzione monarchica nel mondo ellenistico non dovrebbe trascurare un'attenta ricerca sui possibili precedenti iranici. 371 Vita Artaxerxis ZII.
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In un tale contesto mi sembra che un'affermazione che il DuchesneGuillemin ha fatto nel suo volume sulla religione dell'Iran antico abbia un valore particolare. Egli ha affermato, di sfuggita, che l'impero cosmopolita dei Persiani, come poi quello d'Alessandro, ha avuto come effetto, in tutto il Vicino Oriente, la separazione della religione dalla politica 372. È chiaro come la ricostruzione qui proposta confermi ampiamente una siffatta affermazione: Nell'effetto suddetto vediamo una spinta verso una sempre più accentua. ta interiorizzazione del culto, la quale fu all'origine delle religioni di mistero e dello gnosticismo; e nella causa che lo produsse - cioè nell'impero cosmopo. Iita - possiamo scorgere una premonizione di quello che doveva poi avvenire con la pao~hciarSjq 'Aaiorq fondata dal Macedone. 'AhiEavSpog 86 T@ hoyw rb kpyov xapka~av,« Alessandro - dice Plutarco - 373 ha dato materia a questo discorso », ha fornito, cioè, con la sua opera le basi concrete 374 sulle quali Zenone poté edificare l'idea della sua Repubblica universale. Ugual cosa può dirsi, i11 proporzioni non troppo inferiori, per l'impero di Ciro; e ciò, beninteso, non tanto per le intenzioni coscienti o per il programma ideale dei Persiani o di Alessandro, quanto semplicemente per la politica che in concreto e gli uni e l'altro furono indotti a svolgere, spinti dalla necessità e dall'opportunità. La xo~vovia~ Y j q hp~Yjqdei Macedoni e dei Persiani che Alessandro invocò durante il banchetto di Opis 375 fu dettata da circostanze e da preocDuchesne-Guillemin, La religion de l'Iran ancien, cit., p. 258 e sg. De Alexandri Fortuna I, 6. 374 E non tanto l'idea, come vorrebbe W. W. Tarn (Alexander the Great and the Uni~y of Martkind, in « Proceed. of the British Acad. D, XIX, 1933; Id., Alexander tlle Great, 11, Cambridge 1950, p. 399 e sgg.; vedi anche, sulla scia del Tarn, A.-J. Festugière, La Révrlation d'Hermès Tristnégiste, 11, Paris 1949, p. 176 e sgg., e contro: Altheim-Stiehl, Geschickte Mittelasiens im Alterturn, cit., pp. 220-221), quasi che in Alessandro debba scorgersi un alfiere della fratellanza e dell'unit8 di tutti gli uomini. Si vedano le giuste considerazioni di R. Andreotti, Il probleina di Alessandro Mag~zonella storiografia drll'ultirno decennio, in « Historia )), I, i950 (pp. 583-600), p. 596, nota 40. Interessante, a questo proposito, è anche lo studio di E. Badian, Alexander the Great and tlie Loncliness of Ponver, in Studies in Gretk and Roman History, Oxford 1964, pp. 192-205. 375 Alessandro rivolse una preghiera agli dèi « per la concordia e per la comunione del potere dei Macedoni e dei Persiani x u l ÒPOvo~&v T E xa1 X O L V O ~ ~ O L VT ~ &S p ~ i j ~ A l u x c S 6 o ~x u l I I é p o a ~ ~Arriano, : Anab. VII, 1 I, 9. Per il Tarn (op. cit., p. 443 e sgg.1 xolvovlu r i j ~ à p ~ 5 significherebbe j~ « partnership in the realm and not partnership in rule », il che è molto dubbio. I1 Pagliaro (Alessandro Magno, cit., p. 392, nota 13) ha proposto di vedere nell'espressione di Airiano un calco di termini persiani: Ò P C v o ~ ariprodurrebbe I'avestico kamo ntanah- ' che pensa allo stesso modo. concorde '; x o ~ v o v i u ~ 7 i ~ P X sarebbe ~ S la riproduzione, in astratto, dell'avestico hamo . xia8ra-. L'ipotesi mi pare difficilmente accettabile. È poco verisimile infatti che by6voLar, espri~nenteun concetto ben noto nel pensiero greco e già sviluppato da Isocrate (per la questione: Tarn, op. cit., P. 402 e sgg.), rappresenti un calco di hanio . manah-, un aggettivo raro, clie compare in Yait XIII, 83, per indicare la ' comunione di pensieri ' caratteristica degli AmaSa Spanta. 372
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cupazioni strettamente analoghe a quelle che dovettero ispirare Ciro nel celebre proclama che egli fece ai Babilonesi all'indomani del suo trionfale ingresso nella vecchia capitale.
9. - Al problema della religione degli Achemenidi l'analisi fatta della politica religiosa e della concezione della regalità dà un valore particolare, che si desume dallo studio della funzione determinante che ebbero la societh e la cultura achemenidi nello sviluppo storico della religione iranica preislamica. Non è lecito ritenere che la tradizione zoroastriana, che di questa religione rappresenta per così dire il nucleo più interno ed essenziale 376, si sia trasmessa nei secoli senza subire trasformazioni profonde 377; e mi sembra giusto pensare che la più profonda di tali trasformazioni dovette essere data proprio dalla novità costituita dal grande impero iranico, erede delle secolari e millenarie monarchie vicino-orientali, su di esse per tanti aspetti modellato e all'idiusso di esse profondamente e durevolmente aperto. Dallo studio delle iscrizioni achemenidi, delle fonti greche e delle altre fonti di cui disponiamo, si riscostruisce una forma di mazdeismo non monoteistico, in cui Auramazdà è posto al vertice del pantheon, al di sopra di tutti gli altri baga-, inclusi MiSra e Anahita. I ministri del culto sono i Magi medi, fra i quali non si ha traccia, per l'epoca achemenide, di una organizzazione gerarchica né di una sistemazione unitaria delle dottrine professate o delle usanze rituali. Con gli Achemenidi si ha il primo massiccio assoggettamento, che sia per lo meno storicamente afferrabile, della religione agli interessi politici del potere dominante; con essi, cioè, s'inizia il processo che arriverà al culmine e si concluderà sotto i Sassanidi con la fondazione di una Chiesa di Stato gerarchicamente organizzata 378. Di conseguenza si ha una evoluzione del culto in senso pubblico e si pongono le fondamenta per una concezione della regalità fino ad allora sostanzialmente estranea al mondo iranico. Inoltre la corrispondenza fra xorvovla s ? ~&PX?F,Se ham6.xMra- è anch'essa problernatica, poiché dipende dal riconoscimento dell'esatto significato della prima parte del composto: zhama- ' tutto ' o lhamo- ' idern '. La questione non è ben definita. 11 Gershevitch (The Avestan Hymn to Mithra, cit., p. 259 e sg.) è ritornato a tal proposito alla vecchia ipotesi del Windischrnann e dello Spiegel: il composto harn6. xSa8ra- avrebbe i due significati suddetti, secondo che si interpreti hama- nell'uno o nell'altro significato. Si tengano presenti inoltre le difficoltà che proverrebbero dall'evoluzione semantica di x i a ~ a - nell'antico persiano, per le quali vedi sopra, p. 55. 376 Gnoli, Problems and Prospects of the Stirdies on Persimi Religion, cit., p. 90 e sgg.; Id., Questioni sull'interpretazione della dottrina gathica, cit., pp. 346, 369 e sg. 377 Altro è il parere della Boyce, 011Mitlira's Part in Zoroasirianism, cit., p. 34, sul quale cf. Gnoli, Politica religiosa e conceriorte della regalitd sotto i Sassanidi, cit., p. 243. Vedi sopra, nota 172. 378 Gnoli, luogo cit. alla nota precedente,
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Larghissimo è l'incontro con la religione mes~potarnicae con le tradi. zioni regali in essa plurisecolarmente radicate. L'influsso mesopotamico, che trova un terreno fertile nella naturale tendenza dei Magi all'e~lettism~, si esercita sulla concezione stessa della regalità dispensata e protetta dal grande dio cosmico, sulla funzione regia della triade Auramazda Miara e Anahità e segnatamente su quest'ultima divinità, che ne conserverà le tracce fino all'epoca sassanide 379. Al medesimo influsso si deve pure la diffusione di credenze e di dottrine astrali, di una certa concezione della demonologia e di una forma di dualismo che contrappone, nella formula Oromasdes versus Areimaniu~, il dio ' buono ' allo spirito ' malvagio ', facendone due potenze paritetiche contrapposte, due 8 a i p o v ~ qo due 8 ~ o oi un 9 . ~ 6e ~un & V ~ Z ~ E 380. O C Zurvanismo e Mitraismo sono i risultati di un cosiffatto incontro del mondo religioso iranico con le tendenze fondamentalmente astrali e spesso nettamente astrologiche della religiosità mesopotamica del I millennio a. C . ; risultati che vanno oltre gli interessi della classe dominante e che - si potrebbe dire - sono dalla sua politica inconsapevolmente provocati; risultati che si affermeranno, di fatto, qualche secolo dopo la caduta del primo impero persiano, quando si verrà delineando con forza in tutto il Vicino Oriente e anche al di là di esso una tendenza verso un'interiorizzazione dei culti. Più che di una ' religione achemenide ' si deve parlare di un Mazdeismo d'epoca achemenide, ed è senza dubbio opportuno studiare il particolare ' orientamento ' d'una siffatta religione, che malamente potrebbe definirsi un ' sistema ', proprio perché in realtà sembra molto poco sistematica. Il Molé ha parlato di un orientamento di quello che, appunto, egli definisce il sistema achemenide, ma egli ha affrontato il problema dal punto di vista non tanto della storia e dell'evoluzione della religione iranica, quanto della struttura 381. Struttura, naturalmente, tripartita, dal momento che egli ha fatto sua la teoria dumeziliana. L'ideologia tripartita sarebbe riflessa, secondo il Molé, nella dottrina della tripartizione della religione, presente nella letteratura pahlavica, dottrina che sarebbe il risultato di una trasformazione del sistema funzionale tradizionale nel senso di una interiorizzazione delle funzioni sociali e della trasposizione di esse su di un piano etico 382. La d2n didig, la dén hidaminsrig e la dén gisinig costituiscono tre gradi di perfezione, tre comunità, contraddistinte ciascuna da una propria etica, sempre più riristrette secondo una struttura concentrica, che va dalla didigih, il cerchio p. 244 e sgg. SU Ahrirnan come antitheus per eccellenza : F. Cumont, Les religions orientales dans le paganisme romain, 4n ediz., Paris 1929, p. 278, nota 49; Bidez-Curnont, Les Mages bellénisés, cit., I, p. 60. 381 Mole, Culte, mythe et cosmologie..., cit., p. 26 e sgg. 382 Ibid., p. 60, 379 380
Ibid.,
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più vasto ed esterno, alla gisanlglh, cioè alla religione gathica, che ha un carattere iniziatico ed esoterico. Una dottrina siffatta, che 6 ampiamente codificata nel Dènkard 383, rifletterebbe in verità per il MolC una concezione della religione valida per ogni epoca del mazdeismo, dal momento che egli non ha esitato a risolvere il problema achemenide, riconoscendo nell'orientamento di quel sistema religioso le caratteristiche della dadrgih, di una religione, c i d , comune a tutta la nazione aria 384. Ora, sulla erroneità di una siffatta tesi mi sono già soffermato altrove 385: l'ipotesi di una avvenuta trasformazione del sistema funzionale tradizionale a causa di un processo d'interiorizzazione delle funzioni sociali e della trasposizione di esse su di un piano etico ha palesemente il difetto di essere eccessivamente contorta per esser credibile; l'utilizzazione che poi il Molé largamente ha fatto dei testi pahlavici d'epoca abbaside per spiegare la situazione achemenide è evidentemente fallace da un punto di vista storico. SicchC quanto egli ha sostenuto 336 sull'idea di una collaborazione tra religione e regalità, sulla base di quei testi, al fine di gettar luce sull'orientamento religioso achemenide è anch'esso ben poco attendibile. L'intera sua tesi sulle motivazioni ' funzionali ' delle differenze tra la dottrina gathica e quella degli Achemenidi è, insomma, un chiaro esempio dell'estremo cui può giungere un'impostazione astorica e non è un caso, a parer mio, che una siffatta impostazione si richiami esplicitamente ai postulati dell'ideologia tripartita dumeziliana, la quale ai rischi iiisiti in ogni prospettiva aria o indoiranica o addirittura indoeuropea assomma quelli propri di un metodo, in parte strutturalistico in parte sociologico, che ha finito, quanto meno in certe sue applicazioni 387, con lo schiacciare in un generale appiattimento i fatti storici, lasciandoli sostanzialmente inspiegati. I1 rischio di arrivare ad un siffatto appiattimento diventa in ogni modo realtà con affermazioni come questa recentemente fatta: « L'image du roi que donne 1'Avesta (principalement dans le mythe de Yima, cf. Widengren, p.
383
Se ne vedano i passi citati e riportati dal Molé, op. cit., p. 37 e sgg.
OP. cit., p. 70 e sg. Considerazioni sulla religione degli Achemenidi..., cit., p. 244 e sgg.; « Riv. degli studi orient. D, XL, 1965 (pp. 334-343), p. 342 e sg. (recensione a Mole, Culle, rnj~theet cosmologie ...); L'Iran e I'ideologiu tripartita, cit.. p. 208 e sg. Problems and Prospccts of the Studies on Persian Religion, cit., p. 81 e sg. 386 MolB, Culte, mythe et cosmologie ..., cit., p. 41. 387 Sull'ideologia tripartita, a parte i lavori citati alla nota 26, cf. le discussioni tra J. Brough, The Tripartite Ideology of the Indo-Europeans: an Experiment in Mcrhod, in « BSOAS D, XXII, 1959, pp. 69-85, e G. Dumkzil, L'idéologie triportie dcs Indo-Eiiropéens er la Bible, in « Kratylos v , IV, 1959, pp. 97-1 18; e tra P. Thierne, The ' Aryan ' Gods of rhe Mitanni Treaties, in iixsartcig) come indice e caratteristica della seconda funzione, quella guerriera (cf. Duchesne-Guillemin, Zoroastre, cit., p. 72). Secondo il Duchesne-Guillemin questo tratto guerriero di x3hra- sarebbe presente anche in alcuni passi delle Gatha (ad esempio Y. XXIX e Y. L, 3; cf. Zoroastre, cit., pp. 73 e 167). s Cf. H. Lommel, Die Religion Zarathustras, Tubingen 1930, p. 52: «Die konkrete Bedeutung ' Reich ' ist dabei die seltenere und offenbar aus der mehr abstrakten hervorgegangen n. 6 O persino « regno dei cieli >r (« dimora degli dei D); cfr. Bartholomae, Worterbuch. cit., 543 (« insbes. vom ahurischen Reich, dem Aufenthalt der Gotter und Seligen N); Id., Die Garha's des Awesta, Strassbiug 1905, p. 129. Si veda anche la traduzione di Y. XXVIII, 3, 9; XXX, 8 ; XXXI, 4, 6, 22; XXXII, 6, 13;XXXIII, 5, 13, ecc., in Die Gatha's des A westa, cit. 7 Note su « xSaya0iya » e « x.fafa- W , cit., pp. 96-97. Cf. anche 0. Klima, The Date of Zoroaster, in « Archiv Orienthlnl », XXVii, 1959 (pp. 556-564), p. 564.
E. A. Provasi ]'idea di uno stato centralizzato di tipo achemenide, e di conseguenza quella di regno ', 2 del tutto estranea al linguaggio avestico, e in particolare a quello delle Gatha. 2. Da un esame dei passi gatliici in cui ricorre il termine in questione, ci sembra che tali passi si possano suddividere in due grandi gruppi. 2.1.1. Nel primo di tali gruppi xs'a8ra- è il ' potere ', qualità astratta e non personificata, attributo iii primo luogo di Ahura Mazda 8 : rnazdii aila xba8ram hya! h6i i,ohfi ilaxia_tmartagkci (Y. XXXI, 6) « A Mazda appartiene quel Potere che egli accresce col Buon Pensiero D. Ahura Mazda è quindi il padrone del Potere (Y. XLIV, 9) 9, che appartiene anche ad ASa e Vohu Manah (XXXIV, 5; XLVI, 16). Il Potere ahurico procura al giusto la sapienza e la felicità (XLIII, 14; LI, 1); è garanzia per il raggiungimeiito della prosperità, rappresentata dal Bovino (L, 3); tramite esso Ahura Mazda retribuisce gli uomini: destina l'immortalità al giusto e i tormenti eterni al malvagio (XLV, 7; LI, 6); con esso realizzeriì il rinnovamento dell'esistenza (fraio. karati-) 10 (XXXIV, 15). I1 Buon Potere, inoltre, viene continuamente accresciuto tramite la Giustizia, il Buon Pensiero, la Devozioi~e,non solo da Aliura Mazda (XXXI, 6), ma anche dall'opera dell'iniziato, che deve adoprarsi a rendere se stesso il più possibile simile alla divinità (XXXI, 16; XXVIII, 3). 2.1.2. I1 Buon Potere è impartito da Ahura Mazda al giusto che lo invoca (Y. XLVIIJ, 8 : k i t6i vagh3u.i mazdi xia6ralzya iitii k i t6i a96i.f 6wahyd maiby6 ahuri « 11 possesso del tuo Buon Potere, o Mazdà, quello della tua ricompensa mi è destinato, o Ahura? »), a coloro che lottano contro il male (XXX, 8) e si sforzano di accrescere la giustizia con pensieri, parole, atti (LI, 21) 11. Fra coloro che hanno beneficiato di questa divina ricompensa sono Viitaspa e hmaspa (LI, 16, 18), che hanno adottato la dottrina di giustizia del Signore. ZaraiSuStra, perciò, chiede ad Ahura Mazda di concedere a lui e ai suoi partigiani il dono divino del Potere (che è sempre stato in possesso degli ahura: LI, 2) tramite quel suo aspetto col quale Egli comunica con l'animo dell'uomo, cioè col Buon Pensiero (LI, 2; XXXI, 4) 12. 8 xSa8ro- e definito come potere ahurico nei seguenti passi gathici: Y. XXVIII, 3, 9; XXIX, 11 ; XXXI, 6, 16, 22; XXXIV, 5, 15; XLIII, 14; XLIV, 6, 9; XLV, 7, 9; XLVI, 16; L, 3 ; LI, 1, 4, 6; LIII, 9. 9 Spesso xSaBrn- è. qualificato da un aggettivo possessivo riferito ad Ahura Mazdg, solo (Y.XLIII, 14: 8 w i xSafir.5) o insieme a Vohu Manah ed ASa (Y. XXXIV, 15: xiniiki xJa8rci). 10 Vedi sotto, alla nota 14. l 1 Così in Y. XXX, 8; XXXT, 4; XLVIII, 8; LI, 2, 16, 18, 21. '2 Cf. Duchesne-Guillemin, Zoronstre, cit., p. 226.
2. I .3. In alcuni passi gathici si acceiina inoltre alla realiuazioiie futura dello xSa0ra- di Ahura Mazda, al predominio di questo Potere sugli uomini 13, per cui si effettuerà la retribuzione, in coilformità alle azioni compiute, o piuttosto secondo la scelta (ASa o Drug) che è stata eseguita. Cosi ZaraSuGtra chiede di conoscere quali saranno le incomparabili delizie (XXXIII, 13) di questo splendente Potere (XLIII, 16), in cui avranno posto coloro che sono devoti di ASa e Vohu Manah (XLIX, 5; XXXIV, 10) e quali atti possono procurarle (XLIII, 13), e prega affinché questa ricompensa sia data non solo al suo protettore e a lui stesso (XLIX, 81, ma a tutti gli esseri (XXXIV, 3). In questa esaltazione del Buon Potere non si avrà solo la ricompensa dei giusti, ma altresi la punizione dei seguaci della Drug (XXXII, 6, 13). In questi passi, che sono stati spesso interpretati in chiave escatologica 14, come riferimenti ad un ' regno ' venturo di Ahura Mazda, non si ha altro, in realtà, che una proiezione futura dello xSaOra- ahurico; tali passi, quindi, non difieriscono concettualmente da quelli in cui il Buon Potere è visto operante nel mondo attuale, nei confronti del giusto e del malvagio, come si è visto sopra. 2.1.4. Con un'accezione più generica, xSa6ra- può designare semplicemente il potere, la forza come qualità umana 15, propria non solo di ZaraauStra, ma anche del giusto principe che, abbracciato il culto degli Ahura, darà la sua protezione a ZaraSuStra stesso e, tramite lui, al Bovino e a coloro che lo allevano (XLVI, 10; XXIX, 10: yii23rn aéibyd ahuri aogd d5ti di xSa6ramG uva! vohìì manayhi y i huSaitiS rirnqmti d a « Voi. Ahura, ASa, Vohu Manah, accordate loro forza e quel potere col quale egli possa procurare buone dimore e pace N). Come facoltà umana, inoltre, lo xSa6ra- di ZaraBuStra viene offerto, insieme al suo buon pensiero e disciplina, ad ASa, così come la sua vita è offerta ad Ahura Mazdà in cambio dell'aiuto che il Signore vorrà concedergli (XXXIII, 14). 2.1.5. In questa accezione più vasta, xSa6ra- può essere riferito anche ad esseri daévici 16; e quindi anche il potere dei dragvant, e in particolare 13 Y.XXXII,6, 13;XXXLII,5, 13;XXXIV, 1 , 3 , 10, 11;XLIII. 13, 16;XLV, 10; XLVIIJ, 11; XLIX, 5, 8. 14 Vedi la nota 6 sopra; cf. anche W. Hinz, Zaratliusrra, Stuttgart 1961, passim. La concezione escatologica delle Gatha si riferisce però piuttosto alla frd6.ksrati- (pahl. frafagird), fine ed effetto del sacrificio. Cf. a questo proposito J. Duchesne-Guillemin, Rituel et eschatologie dans le rnazdéisnte: structirre et évolitrion, in « Numen », VIII, 1961, pp. 46-50, e Gh. Gnoli, Questioni sull'interprerazion~della dotrrina gathica, in « N O N n, ns., XXXI, 1971 (pp. 341-370), pp. 348-349. Vedi anche G. Widengren, Die Religionen Irans, Stuttgart 1965, pp. 102-108. 1 5 Y. XXiX, 10; XXXIII, 14; XLVI, 10. 16 Y. XXXI, 15; XXXII, 12; XLVI,4, 11.
dei Karapan, nemici di ZaraSuHtra (XXXII, 12: karapa xSa6rsmfi; XLVI 11 : daorZiJ yiijan karapano kZva)uastZ akZiS Syao8aniiS ahiim marangaidyài m d f m « I Karapan e i Kavi con il loro potere hanno soggiogato l'uomo per distruggere la vita con azioni cattive »), e in generale del malvagio, di colui clie sceglie la Drug, clie nuoce al Bovino, uccidendolo (XXXII, 12) 1 7 o impedendo al partigiano di ASa di difenderlo e farlo prosperare (XLVI, 4), e che nuoce anche al Pastore stesso (XXXI, 15). Questo potere daevico deve essere combattiito con tutte le forze e annientato dai seguaci di Ahura (XLVI, 4). 2.2. In un secondo gruppo di passi gathici 18, xSa8ra- è caratterizzato da una più o meno intensa personalizzazione, che investe anche gli altri Ama?ja Spanta. Come parte di tali Entità, XSa9ra venne in aiuto dell'uomo al momento della scelta primordiale (XXX, 7), e sarà presente al momento della retribuzione finale (XXXITI, 11). È XSaara, insieme alle altre entità, che ZaraDuitra invoca come compagno di Ahura Mazda (XXXIII, 10; L, 4: a! vh yazài stavas nzazdi ahuri hadi aSi vahiStiG managlti xSa6riG Io voglio adorarvi lodandovi, o Mazda Ahura, insieme ad Aia, a VahiSta Manah e a XSaSra »), ed è tramite queste entità che la benevolenza del Signore Saggio discende sino all'uomo (XLVII, 1). Ci sembra necessario comunque sottolineare che questa personificazione di xgat9ra- (che, mentre a volte è piuttosto labile, in altri casi è affermata nettamente) 19, non implica a nostro parere una diversa posizione concettuale dell'autore gathico nei confronti di tale entità, che è pur sempre una astrazione, attributo di Ahura Mazda o dell'uomo. Allo stesso modo, anche i passi tradizionalmente interpretati in senso escatologico vanno visti sotto la diversa prospettiva della presenza continua della connotazione di ' forza ' iiel termine xSa6ra- 20, non consentendo quindi una sua traduzione con « Ro17 Si intende qui con ogni probabilità il massacro inconsiderato e bestiale (« fra grida di gioia », urv6xi.uxri) del Bovino, non il sacrificio a scopi rituali. Che il sacrificio animale non sia mai stato condannato da ZaraSuStra, e sia stato anzi praticato nello Zoroastrismo di epoca preislamica, è stato dimostrato da M. Boyce, « hai-z6hr » and « Ab-zohr )), in « JRAS », 1966, pp. 100-1 18. I1 problema era già stato affrontato da R. C. Zaehner, The Dawrr and Twilight of Zoroastrianisrn, London 1961, p. 84 e sgg.; cf. anche M. MolrS, Une histoire du mardéisme est-elle possible? [second article], in « RHR », CLXII, 1962 (pp. 161-218)' p. 164. l 8 Che comprende Y. XXX, 7; XXXI, 21; XXXII, 2; XXXIII, 10, 11; XLIII, 6; XLIV, 7; XLVII, 1; L, 4. '9 Cf. Y. L, 4. 20 Come del resto ha visto anche H. Lomrnel (che pure usa spesso il termine « Reich iii Die Religion Zarrrtltirstra's, cit., p. 56: « Obrigens ist es nicht etwa so, dass uberall da, wo Chshathra iiscliatologische Bedeutung hat, es als ' Reich ' ein Herrschaftsgebiet und einen Zustand bedeute; auch in diesem Zusammenhang kann ihm der Sinn einer Kraft innewohnen 0 .
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A vesrico « xJ&ra-
-
93
yaume » 2' O « Kingdom of Heaven 22. A confortare questa opinione contribuisce la constatazione che nella traduzione pahlavica dello Yasna xht9ra-, quando non è personificato 23, è reso quasi sempre con un termine astratto quale x,vadiylh Z4. Proprio a causa di questa unita di significato astratto, in una delle più recenti traduzioni delle Gatha, quella di H. Humbach 25, si trova per il termine in questione pressoché in ogni caso « Macht, Herrschermacht » 26. 3. Anche i passi dell'Avesta recente in cui ricorre xSa6ra- rientrano nella loro quasi totalità nelle due categorie gih viste per le Gatha. 3.1.1. In un primo gruppo 27, xiaflra- è essenzialmente il Buon Potere degli Ahura, attributo in primo luogo di Ahura Mazda e di ASa (hux66r6ramiic'! a! xsa6ram Ciiya! yai ahurii 11uzdii , S.r.màb, B.rwan e il suo lago omonimo, c i , e montagna a sud di B.rwàn e fJg; nr. 18-20: descrizione delle località della Cina sopraAtbaS (Jaubert, I, p. 495: , menzionate; nr. 21 : descrizione di $%i, Atas), cittA del Fargana; nr. 22 e 23: descrizione delle località del territorio dei Uarluh sopramenzionate. In relazione alle singole località sono indicati gl'itinerari seguenti: AtbaS - Barshàn Superiore, 6 giorni (4 10.21); Barshan Superiore - N.wàk.t, 10 tappe (8 10.23); AtbaS - T.b.t, 7 ($9) o 10 tappe (5 10.21); S.qina - Wahhan, 5 giorni (5 7); 5. Wahban - T.b.t, 18 giorni (4 7); 6. T.y.n.b - B.rwàn, 5 tappe (5 10.16); 7. B.rwan - fig, 12 parasanghe del Sind, ovvero 60 miglia
1. 2. 3. 4.
(9 10.16);
Il Tibet nella Geografìa d'ldris~
P1
1 97
8. i j g - ~ . g à ,I O tappe (9 10.19); 9. T.n.t.b.g - Barshàn Superiore, 2 mesi ($ 10.8); 10. T.n.t.b.g - Bahwan, 12 giorni ($ 10.9); 1 1. Bahwàn - G.r.m.q, 4 tappe ( 5 10.10); 12. MaSah - Bahwan, 8 giorni (5 10.24); 13. MaSah - citth del hagin dei Toguzguz, 5 giorni 14. Bahwan - T.b.t, 14 giorni (5 10.1l); 15. G.r.m.q - Barshan Superiore, 10 tappe ($ 10.12).
(8 10.24);
In tutti i manoscritti conosciuti d'ldrisi, ad eccezione del ms. di Parigi nr. 2222 (A), il testo è illustrato da carte, ciascuna delle quali occupa le due pagine del manoscritto aperto. Ogni carta rappresenta una sezione e precede il testo descrittivo. Essendo dieci le carte per ciascuno dei sette climi, ed essendovi all'inizio del testo un planisfero, la maggior parte dei manoscritti contiene settantuno carte. Le carte rappresentanti le regioni oggetto del nostro esame, che pubblico in fac-simile secondo il ms. di Parigi nr. 2221 (P) (le carte degli altri mss. presentano due sole varianti, di cui diremo) occupano il recto del fol. 166 (fig. 1 : Transossiana e Tibet occidentale), il verso del fol. 178 (fig. 2, a destra: Tibet e territorio dei yarlub) e il recto del fol. 179 (fig. 2, a sinistra: territori della Cina e dei Toguzguz confinanti col Tibet). Delle città menzionate nel testo sono segnate - . sulla carta: d b j , Wahhàn; +, S.qina (scritta 4 a, S.fina) (fol. 166r);
1$%l,
,
-
T.b.t;
+,
e,
T.y.n.h (scritta
e): e,
Barshàn Superiore (scritta
AtbàS (scritta &&l)
d l j y , B.rwan:
dbL,.);
(fol. 178v);
2 3 ,b.r.m.q (scritta >+);d l + i ,
61;
d l j ,N.wàk.t;
T.n.t.b.g; &L, MaIah;
Bàhwan; ,
K.gà (scritta
u);
~ Y J I Dar.hUn ~ , (fol. 179r). Le montagne sono disegnate in profilo e di una è indicato il nome, ~
>,
~ Gabal l Wàsgird j (fol. 178v), omesso nel testo. Un'altra montagna, di forma arcuata, a sud di fig e Barwàn (fol. 178v) porta il nome di U I Qasr al-pahk (CF.5 10.17). Numerosi sono i fiumi: 6
indicato il nome solo di quello menzionato nel testo:
iL$
AL, Nahr S.r.mab
(fol. 178v e 5 10.15). Sono rappresentati due laghi: dlj,. i*, lago di B.nuan (sulla carta del ms. Oxford, Greaves 383742 (G) e su quella del ms. Istanbul, Aya Sofia 3502 (I), il lago è chiamato i?, lago di 0 8 ) e d b u
;+ - -
lago di S.m.@n (chiamato dJl ie,lago dei Turchi, sulle carte dei mss. G e I). Di quest'ultimo non è menzione nel testo. Il planisfero dà soltanto il nome del paese, e ! >%, bilàd al-T.b.t. Come è il caso delle carte arabe, quelle che pubblico hanno il nord in
basso e l'ovest a destra. Se su queste carte, modificandone l'orientazione, si riportano gl'itinerari sopra elencati, questi possono schematicamente così rappresentarsi :
2. I1 primo a interessarsi dei dati di Idrisi sul Tibet fu, a quanto mi risulta, F. Grenard, La Légende de Satok Boghra Khan, in t( JA )), 1900, pp. 65-66 n. Questo studioso pervenne alla identificazione della città di T.b.t con Kliotan, nel Turkestan orientale, partendo dalla identificazione di Babwan, i n territorio toguzguz, coli Kucha, la città a nord del Tarim, e ragionando nel modo seguente: t( Portez maintenant à partir de Koutcha ... 14 fois 55 kilomètres [ossia la distanza da Bahwan a T.b.t indicata da Idrisi in 14 giorni ( 5 10.1l)] en tenant compte des détours, dans la direction du Tibet, vous tomberez ... au sud de Khotan D. L'identificazione di Babwiin con Kiicha Grenard l'aveva basata su un analogo calcolo di distanza: t( Portez 12 fois 5 5 kilomètres à partir de Karakhodja [ossia la distanza fra T.n.t.b.g - letta Balygh e identificata con Qarahoga - e Bahwan (Ij 10.9)] sur une carte détaillée en suivant la route; portez de meme 14 fois 5 5 kilomètres à partir de Kishghar [ossia la distanza da BarsSFin Superiore - letta Nouchadjin e identificata con Kashgar - a Bahwàn (5 10.1 l)], dans les deux cas vous tomberez près de Koutcha D. Sosteneva inoltre che il lago di B.rwan, situato a 10 giorni da K.ga, letta Tokha, è il Lop-nor, essendo questo situato t( à 10 jours, en comptant à la maniere d'Idrisi, de Cha-tcheou ou T'oung-huang = Tokha )). Reiidendosi conto poi che la distanza da Alba:, nel bacino del Narin, a T.b.t non poteva essere superata nei 10 (Ij 10.21) o 7 giorni (Ij 9) indicati da Idrisi, se si metteva T.b.t a Khotan, pensava che si trattasse di un errore del testo e al posto di 10 o 7 giorni da T.b.t a AtbaS emendava t( 10 jours (alias 7) de la ville du Tibet à Nouchadjin ou Kishghar ».
15l
Il Tiber nella Geografia d'ldrisi
199
Questa interpretazioiie dei dati d'Idrisl fu sostanzialmente accolta nel 1906 da P. Pelliot (La liille de Bakhonlan dans la Céogruphie d'ldrw in « TVoungPao D, 1906, p. 553, n. 2). L'unica modifica suggerita da questo studioso, a dalla localizzazione di T.n.t.b.& (= Balygh) a Yarkoto, anzi& a ~ ~ ~ ~ hfuo lag identificazione a , di Bawan con Aq-su, anziche con Kucha, basata sulla corrispondenza di Aq-su alla Po-huan cinese di epoca T'ang e sulla ' presque absolue ' identith fonetica di Bàhwan e Po-huan. Alla possibile obiezione che lo spostamento di Bàhwail da Kucha ad Aq-su, anche se non contrasta con la durata del viaggio di 14 giorni indicata da Idrisl per andare da Barsban Superiore (==Kashgarj a Bahwan, o da Bahwan a T.b.t (= Khotan), rende insuperabile nei 12 giorni indicati da Idrisi la distada Babwàn a T.n.t.b.g (= Yarkoto), Pelliot replica che la distanza stessa gli sembra insufficiente anche se si mette Bahwan a Kucha e che pertanto si deve pensare a una erronea informazione di Idrisi su questo punto. Trascurando le conclusioni alle quali erano giunti Grenard e Pelliot e senza dare alcuna dimostrazione, Sven Hedin identificò il Tibet di Idrisi c,ol Ladakh, la sua città di T.b.t con Leh, il fiume che scorre presso questa città con 1'Indo e il lago di B.rwàn, in cui esso si versa, col lago di Manasorovar (Sourhern Tibet, I, Stockholm 1915, p. 59). Nel 1929 C. Miller, Mappae, cit., pp. 84, 86, ignorando gli autori che lo avevano preceduto e anch'egli senza fornire alcuna giustificazione, identificò il Tibet di Idrisi con la parte sud-occidentale del bacino del Tarim, fino ai Pamiri e I'Altyn-tagh, la città di T.b.t con Kashgar o Yarkand, la città di T.y.n.h con Khotan, Ug con UE-Turfan e T.n.t.b.g con l'antica Sandabil, odierna « Kau-tschu D. Piazzò inoltre il lago di B.rwàn tra Yarkaiid e Khotan e le città di G.r.m.q, Babwan e MàSah, in territorio toguzguz, lungo la pista a sud del bacino del Tarim. Per ultimo Petech, op. cit., p. 69, critica la soluzione di Sven Hedin, osservando che è molto difficile ammettere una identificazione del Tibet di Idrisi col Ladakh, soprattutto per la assoluta insignificanza di questo regno, specialmente nei primi secoli d'esistenza, e per l'inaccessibilità e nessuna importanza politica della regione, e ritiene che dalla descrizione d'Idrisi e dalle posizioni reciproche delle località sulla sua carta si possa accettare, come aveva proposto Grenard, « un'identificazione del Tibet col Turkestan, della città di T.b.t con Khotan, del fiume col Khotandarya e più a valle col Tarim e del lago B.rwan con le paludi del L o p n o r ». 3. L'identificazione della città di T.b.t con Khotan e del lago di B.rwàti col Lopnor, proposta da Grenard e accettata da Pelliot e Petech, si basa, come abbiamo visto, siil presupposto che Barshàn Superiore, letta Nouchadjan, corrisponda a Kashgar, e che K.@, letta Tokha, corrisponda a Shachou o Tun-huang.
Ora Barsbàn Superiore noli t Kashgar. Minorsky, nel suo esemplare commento al Hudird ai-'Alanz, opera in lingua persiana di autore anonimo, scritta nel 982-3, situa, sull'autorita del geografo arabo Qudàma, BGA, VI, p. 272 e del suo Hudiid, p. 98, Barshiin Superiore (di cui NiiJa&in è lettura errata) nel bacino dell'Issik-kol, i.e., a nord dello spartiacque del Barskaun, vicino alla odierna Przhevalsk (Qara-qol) (mdiid al-'Alam, '' The Regions of the World ", a Persian Geography, 372 A.H.-982 A.D., translated and explalned by V. Minorsky, Oxford 1937, pp. 292-293). In secondo luogo, K.@, sicuro emendamento di K.hà, K.ba e T.bà, dei rnss. (cf. 8 10, nr. 4, 19 e 20 del testo arabo), non è Sha-chou o Tun-huang ma, come giustamente vede Minorsky, Hudiid, p. 274, la città di Kuchà, che Grenard aveva visto viceversa in Bàbwàn. Queste due definitive identificazioni fanno ovviamente cadere entrambe le identificazioni di Grenard. L'identificazione di T.b.t con Khotan cade inoltre anche se si mette Bahwàn ad Aq-su, come vuole Pelliot, giacché la distanza da Barsbàn Superiore a Bahwàn = Aq-su non è la stessa di quella da Bàhwan a T.b.t Khotan. Per la città di T.b.t bisogna dunque cercare una diversa soluzione.
u, u, u,
-
4. Lo studio di taluni degli itinerari che ho sopra elencato mi induce a identificare la città di T.b.t con Kashgar, come aveva intravisto Miller. Coiisideria~noanzitutto l'itinerario nr. 3 che parte da Alba2 e volgendo in direzione di sud-est raggiunge la città di T.b.t in 7 (4 9) o 10 tappe (§ 10.21). Da Ibn IJurradàcjbih (in seguito citato I.U.), BGA, VI, p. 30, sappiamo che Atba2 è situata « sull'altopiai~oche separa il Tibet dal Fargàiia ». V. V. Bartold localizza la città sul fiume At-bashi, là dove si vedono oggi le rovine dette di Kosoj Qurgan (OtCet o pojezdlce i1Srednju Aziju s nuucizoju celju. 18931894 gg., in « Zapiski Imperatorskoj Akademii Nauk po istoriko-filologiEeskomu otdeleniju », I, 4, Sankt Peterburg 1897, pp. 41-43). Soltanto Kashgar risponde ai requisiti di essere a sud-est di AfbaS e a una distanza di 7/10 tappe, pari a circa 300 km., se si calcola in 30135 km. l'ordinaria o media tappa dlIdrisi (cf. M. Amari - C. Schiaparelli, L'Italia descritta nel Libro di Ruggero compilato da Edrisi, Roma 1883, p. XV). Dell'itinerario Alba; - T.b.t non ho trovato traccia nei geografi arabi anteriori a Idrisi. Mi sembra tuttavia che debba trattarsi del tratto dell'antica via commerciale che, attraverso il passo Terek, congiungeva il Fargana con Kashgar. La descrizione di questa via, da Quba fino ad AtbaS, attraverso 65 (8 8), Uzgand e la 'aqaba, ossia il passo Yasi che ilrimette nella valle del Narin, si trova nello stesso Idrisi (clima terzo, sezione ottava: Jaubert, I, pp. 487-489) e corrisponde a quella che ne dà I.U., p. 30, correttamente spiegata da W. Tomaschek, recensione di De Goeje, De Muur van Gog en Magog, in (( WZKM », 1889,111, p. 108.
(71
Il Tibet nella Geogrqfia d'ldrisi
20 1
5. Un altro argomento a favore della identificazioiie di T.b.t con Kashgar mi sembra di poterlo dedurre dall'esame degii itinerari nr. 4 e 5. itinerario n. 4 congiunge +, b S.qlna, a d k j , Wabban, in 5 giorni
-. -
(g 7). Le letture
t sicuro emendamento di
-L L
ciL L L c;i (8 7 10.2).
G,Sacnia e +,Sakita di Jaubert,
I, pp. 485, 490 e la lettura
Sabra di Miller, Mappae, cit. IV, p. 82, sono errate. è anche in un ms. di Ibn Hawqal, BGA, 11, p. 4765 n., e in Istabrl, BGA, I, p. 290,,, che perb da anche +, S.qina. S.qina corrisponde a Sugn~n,la regione a valle del WabSan su entrambe le rive dell'alto Amu Darya, dove questo, mutato il suo corso, scorre da sud a nord. La forma solita 6 S.qinàn, cf. Ya'qubi, Kitab al-BUIdan, BGA, VII, p. 2928, I.U., p. 37, e p. 173,, e Ibn Rusta, BGA, VII, p. 89,,, ma I.U., p. 179,, dà a questo distretto anche il nome di S.kinàn e chiama i Turchi di questa regione S.kina, p. 178,,. I Cinesi trascrivono questo nome con 1.' h?,, Shih-ch'i-ni, cf. Yule, in (( JRAS D, VI, pp. 97, 113. La forma S.qina è ricostruita da Minorsky, Hudùd, pp. 350-351. Come nome di città S.qina potrebbe riferirsi a IlbaSim (Minorsky, HudUd, p. 351). Per lo Sugnan passava la via che univa la Transossiana ai paesi dell'est, descritta da I.U., pp. 178-179. Questi dice che i mercanti provenienti dalla città di yuttalan (probabilmente Munk, identificata da Bartold, Encycl. de I'Islam, S. v. Khurral, con la odierna Balgwàii) viaggiano per una parasanga fino a «un certo ribil» (ribi! fulin). Quindi le loro mercanzie sono trasportate dalla popolazione locale, per uno stretto sentiero, su una montagna situata sulla riva di un gran fiume (Amu Darya). Dalla cima di questa montagna i portatori fanno segnalazioni alla gente di S.kinan, cioè dello Sugnàn, e questa arriva con cammelli allenati al guado. Un contratto è stipulato con i mercanti e quindi i cammellieri riattraversano il fiume con le mercanzie e seguiti dai mercanti. Dopo di che ciascun mercante si dirige o verso la Cina o verso Multan (India). Di questa via Idrisi ci segnala dunque il tratto, omesso in I.U., che da S.qina, cioè IShàSim, conduceva alla città di Wabban, che potrebbe essere Handiid, grosso villaggio della regione. Consideriamo ora l'itinerario nr. 5. Questo congiunge la città di Wabban a T.b.t., in 18 giorni (§ 7). Uno sguardo alla carta d'Idrisi mostra che T.b.t è a nord-est della città di Wahhàn. Ora a una distanza di 18 giorni da WabSàn = uandiid, pari a circa 600 km., se si calcola, come abbiamo detto, in 30135 km. l'ordinaria tappa d'Idrisi, e a nord est di Wahhàn = uandiid è la città di Kashgar. L'itinerario Wahhaii - T.b.t rappresenterebbe quindi un tratto della strada verso la Cina, alla quale allude I.H., e cioè quello che dal Wahbàn, attraverso il passo Wachgir, porta a Kashgar. Una descrizione moderna di questa via, oltre il passo Wachgir, può vedersi in Sir A. Stein, Ruins of Desert Cathay, London 1912, p. 84 e sgg., e On Ancient Tracks pmt
R. Rubinacci
202
181
(}le pamirs, in « The Himalayan Journal », IV, 1932, con un chiaro schizzo topografico. La via per l'India passava attraverso i ben noti passi nellVHindukush, Daroghil e Dora. Hsuan-tsang, il famoso pellegrino buddista cinese, percorse il tratto di strada Wahhan-Kashgar, nella estate del 642, facendo ritorno al suo paese dopo i suoi lunghi viaggi in India. Pervenuto nel Po-20-ch'uang-na (Badah. -. San), procedé nel Ta-mo-hsi-t'ieh-ti (Wahhàn) e di lì, dopo un viaggio di 7 giorni, nel Po-mi-lo (i Pamiri) che valicò, raggiungendo, dopo un percorso di 500 li = 200 km., Ch'ieh-p'an-t'o (il distretto di Tashqurgan). Risalì quindi la valle del Gez, affluente del Kashgar-darya, e pervenne a Kashgar (Si-yu-ki, Buddhist Records of the Western World, translated ... by S. &al, Calcutta 1958, IV, pp. 475-487). Se ai 7 giorni indicati da Hsuaii-tsaiig per andare dal Wahhàn ai Pamiri, aggiungiamo i giorni di marcia necessari per superare la distanza di 1100 li 440 km., tra i Pamiri e Kashgar (500 li = 200 km., dai Pamiri a Tashqurgan 600 li- 240 km., cioè la distanza che secondo il Hsin T'ang Shu E. Chavannes, Doctrments sur les Tou-Kiue (Turcs) occidentaux, St.-PCtersbourg 1903, p. 124 - è tra Tasliqurgan e Kashgar) abbiamo all'incirca i 18 giorni indicati da Idrisi per andare da Wahban a T.b.t. L'identificazione della città di T.b.t coli Kashgar per la quale mi fanno propendere le indicazioni concordi degli itinerari qui sopra studiati, mi sembra sia avvalorata dalla descrizione che della città stessa ci dà il nostro Idrisi. T.b.t, egli dice, ha commerci attivi con le vicine regioni del Fargàna, del Buttam (la regione tra il WahS e Samarcanda), del Wahhàn e dell'India, esportandovi ferro, argento, pietre preziose, pellami e muschio. La città è costruita sulle rive di un fiume che scorre in direzione di sud-est ed è celebre soprattutto per le sue industrie tessili, il muschio e le belle schiave (8 10.13). Ora Kashgar era ed è soprattutto città commerciale, favorita com'è per gli scambi dalla sua vicinanza da una parte con le regioni dell'alto Oxus e dall'altra con l'India, e i suoi prodotti sono ancora oggi minerali e pietre preziose. Essa, così come la città di T.b.t, è bagnata da un fiume, il Kashgardarya, affluente dello Yarkand-darya, il cui corso è in direzione di sud-est. L'industria tessile, il muschio e le belle schiave, per cui, secondo Idrisi, è celebre la città di T.b.t, sono precisamente le tre cose che hanno dato a Kashgar la sua grande reputazione nel mondo musulmano, e la prima si trova già lodata nelle relazioni dei pellegrini buddisti Fa-hsien (IV-v secolo) e Hsuantsang che, proveniente il primo dalla Cina, l'altro ivi diretto, visitarono Kashgar. W
-
+
6. L'identificazione di.T.b.t con Kashgar apre la via alla identificazione di T.y.n.h, la città tibetana sulla quale Idrisi, dopo T.b.t, più si diffonde (§ 10.15). La lettura di questo iiome è stata fonte di più di un equivoco. 11
s,
191
I1 Tibet nella Geografia d'ldrrsr
203 -
P
-
compilatore della carta del Tibet premessa alla sezione nona del ms. p, fol. 178r (fig. 2), scrive un , che sta evidentemente per
e.,
nel nome essendo incorporata la preposizione u,ti, che in 4 10, 1, 3 e 9 6 ad esso prefissa
e.
(e.
al-rnusarnrnah bi-T.y.n.h; &ad!
al-muttu;il bi-T.y.n.b). La coiistatazione è interessante perché ~otrebbe confermare l'isolata opinione di O. J. Tuulio-Tallgren, Idr~si. La Finlande et Ies autres pays baltiques orientaux, Helsinki 1930, p. 50, che nella composizione dell'opera idrisiana il testo fu redatto prima delle carte. Nello stesso equivoco del compilatore della carta è caduto Jaubert, che la prima volta legge « Chanfikh » (I, p. 490) e quindi, senza rendersi conto che si tratta della medesima locaa Buthinkh (I, pp. 493, 494). Minorsky, H u d d , p. 276, legge lità, ,
e,
il nome che appare sulla carta
e, ritenendo che non abbia nulla a che
e-,
Yafing, di KaSgari, DiwM vedere col Buthinkh di Jaubert, lo accosta a lugit al-Turk [ed. fac-simile, Ankara 1941, p. 608.51, « a town situated iiear the Ili H. Mette poi in rapporto Buthinkh di Jaubert, I, p. 493, con Bab al-Tubbatayn di Marwazi, località che egli piazza sulla strada per IShaSim, oltre il passo Zardiv (Sharaf al-Zamàtz Tihir Marwizl on China, the Turks and India, Arabic text (circa A.D. 1120) wilh art English translation and Commentary by V. Minorsky, London 1942, p. 89). Ma questa ipotesi non può essere accolta. Uno sguardo alla carta d'Idrisi mostra che T.y.n.h sorge ad est della città di Wahhàn a mezza strada tra questa e T.b.t = Kashgar. Idrisi dice che T.y.n.h è costruita su un monte impervio, circondata da forti mura in pietra, i11 prossimità di un fiume, lo S.r.mah, che scorre in direzione di nord-est, e ha commerci attivi con le regioni di Kabul, del Wahhàn, del Quttal, del WahS e del RaSt. Solamente Tasliqurgan, sulle rovine dell'antica capitale del Ch'iehp'an-t'o risponde ai requisiti : 1) di essere ad est del Wahhan e a mezza strada tra questo e Kashgar; 2) di essere costruita su un picco roccioso e di essere stata città ben fortificata (attorno ad essa sussistono ancora resti di massicce mura in pietra: cf. Sir A. Stein, Ancient Khotan, Oxford 1907, I, p. 36); 3) di essere in prossimith di un fiume, il Taghdumbash (il Si-to di Hsuan-tsang, Si-yu-ki, trad. Beal, cit., IV, p. 481) che scorre a nord-est nella direzione di Kashgar; 4) di essere stata e di essere tuttora un importante centro commerciale, convergendovi tutte le strade provenienti dalle regioni dell'alto Amu Darya (Wahhan, guttal, WahS e RaSt).
204
R. Rubinacci
(101
Si potrebbe infine rilevare nel nome T.y.n.S una certa somiglianza esterna con la prima parte del nome cinese Ts'ung-ling (pron. Tang: TsYungIjang), il posto militare che la Cina stabilì a Tashqurgaii, vinto e pacificato il regno di Ch'ieh-p'an-t'o durante il periodo K'ai-yuan (713-741). L
7. Consideriamo ora le citth di ,
-
Ug, e di ~ I J J , B.rwàn, situate
sulla riva del lago che da quest'ultima prende iiome. Ù g è sicuramente UETurfan, cf. A. Herrmanii, Die alteste turkische Weltkarte, in Imago Mundi ,), 1935, p. 23, Miller, Mappae, cit., p. 84, e Minorsky, Hudiid, p. 295. Kà@ari, Diwin, cit., p. 198.2, dice che il Badal-art, cioè il passo Bedel, la separa da Barsgan. Per quanto riguarda B.rwan io penso che si possa accettare con una certa confidenza una sua identificazione con la città di Aq-su. In Aq-su Pelliot, come s'è detto, ha visto invece la città di Bahwan, corrispondente alla cinese Po-huan. Minorsky, Hudùd, pp. 293-297, accetta I'identificazione di Bàhwàn con Aq-su proposta da Pelliot ma, ritenendo l'origine del nome still somewhat inysterious », anziché connetterlo col cinese Po-huan, vede in esso un mere misspelling n di Barmàn, il nome della località corrente fra i Musulmani dell'XI secolo, attestato in Binini, al-Qaniin al-Mas'iidi, Brit. Mus. Ms. Or. 1997, fol. 103, e KaSgari, Diwin, cit., p. 605.12, e confermato dall'odierno nome di Paman-ustang (facendo i Turchi locali cadere la r davanti una consonante). In una nota aggiunta, Hudùd, App. B, p. 482, lo stesso Minorsky, avendo rilevato che nel Mabrnit~gagedito da F.W.K. Muller, Ein Doppelblatt aus einenz manichaischen Hynzlzenbuch, in Abhandl. der Preussischen Akad. der Wiss. )>,1913, p. 77, un certo P.riiin-c' Zabghii è menzionato tra i sovrani locali, avanza l'ipotesi che la città di Parvan di cui questo Zabgkù era signore, sia identica a Bàrman/Po-huan. Ora a me sembra che, se, come non c'è motivo di dubitare, Po-huan, Barinàn, Parvan sono i tre nomi di una medesima località identificata con Aq-su (I'identificazione di Parvan con Aq-su è confermata da W. B. Henning, Argi and tlte " Tokltarians ", in « BSOS », TX, 1937, pp. 567-8), il loro equivalente idrisiano, piuttosto che in Bahwan, la cui derivazione da Barman/Parvan appare non meno misteriosa di quella dal cinese Po-huaii, criticata da Minorsky, vada visto in B.rwan, che corrisponde esattamente a Parvan, mancando in arabo la p e venendo essa resa con b. L'identifcazione di B.rwan con Aq-su trova conferma nel fatto che la distanza da fig a B.rwàn, indicata da Idrisi in 12 parasanghe del Sind, o 60 miglia (Ij 10.16), corrisponde esattamente a quella tra UE-Turfan e Aq-su (270 li secondo il Ts'ien-Han-shu, cfr. A. Herrmann, Die alte11 Seidenstrassetl zwischen China und Syrien, Berlin 1910, p. 87). Alla possibile obiezione che sulla carta d'Idrisi B.rwan figura ad ovest di Ug,e non ad est come ci si aspetterebbe, si può rispondere che l'errore è del compilatore della carta, il quale
[l11
I/ Tibet nella Geografia d'ldrisf
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non avendo trovato nel testo d'Idrisi alcuna indicazione circa la reciproca delle due localith, le ha piazzate a caso. se flg e B.rwan si identificano, come non v'ha motivo di dubitare, rispttivamente con UE-Turfan e Aq-su, il lago di B.rwan, detto anche di UB sopra p. 3), dovrebbe cercarsi nella regione tra ULTTurfan e Aq-su. Sarei quindi propenso ad accettare una sua identificazione con I'Ay-kol, il lago luna ", che KaSgari, Dlwin, cit., p. 198.2, situa nei pressi di Ug. A questo lago, di cui non è attualmente traccia nella zona, è difficile però adattare gli elementi della descrizione idrisiana del lago di B.rwan (240 km. di lunghezza e 108 di larghezza, e gran numero di immissari). k da pensare pertanto che Idrisi sia qui incorso in una confusione. Abbiamo detto che sulle carte, oltre al lago di B.nvan, o di Ùg, è segnato il lago di S.m.kan, O Buhayrat al-Turk, del quale non è cenno nel testo. Se in questo lago, come mi suggerisce J. R. Hamilton, è da vedere 1'Issik-kol, non & improbabile che i dati a questo relativi siano stati da Idrisi attribuiti invece al lago di B.rwan, o di Ug. G6
8. Del Tibet rimangono da identificare le città di ,
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&li, Qàl.S.w, che ricorrono una sola volta nel testo e non sono segnate sulle carte. Entrambe le località mi sono sconosciute, ma giacché seguono gg = UGTurfan, dovrebbero essere cercate nei suoi dintorni: potrebbe corrispondere a
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località del Tibet in Hudid, p. 93, che
Minorsky, Hudiid, p. 255, accosta a d L di Gardizi, Zayn al-a!~bir, (capitoli geografici), in Bartold, OtSt, cit., pp. 88, 94, situata nella regione di Kucha. potrebbe corrispondere a ~ $ di3 Gardizi, cit., p. 102,
23
di Hudiid, p. 98. Ma il fatto che Mioorsky, HudUd, p. 291, accosta a che la località è sulla strada da N.wàk.t a Barshan, cioè in territorio harluh, non facilita questa identificazione. 9. I confini che Idrisi in § 10.7 assegna al Tibet (Cina, India, Toguzguz a est e Harluh a nord) si ritrovano, tutti o in parte, negli autori che lo precedono. I.U., p. 263, dice che il Tibet è a sud dei Toguzguz; Mas'tidi, Murrig' al-&hab, ed. Barbier de Meynard e Pavet de Courteille, I, Paris 1861, p. 352, dh come confini del Tibet: la Cina, l'India, il uurasan, e i deserti dei Turchi; Istahri, p. 10, I.H., p. 15, e Marwazi, cit., p. 27, oltre la Cina, l'India, i garluh e i Toguzguz, dànno inspiegabilmente anche il mare di Fàrs; Hudiid, p. 92, dà la Cina ad est, 1'Hindustàn a sud, parte della Transossiana e dei Uarluh a ovest e parte dei Harluh e dei Toguzguz a nord. Questi confini possono essere precisati, se si accettano le identificazioni che ho sopra proposto di talune delle località menzionate da Idrisi.
206
R. Rubinacci
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A est il Tibet confina con la Cina e coli i Toguzguz. Il confiile con la Cina è tra UE-Turfan e Kucha, che rimane in territorio cinese. I1 confine con i Toguzguz inizia a sud-est di Barsban Superiore e giunge sino a un punto imprecisato a nord della strada UE-Turfan - Kucha. A sud il Tibet è separato dall'India da i(una montagna curva in forma di dà1... le cui estremità si riallacciano ai monti dell'India ($ 10.17), nella quale si potrebbe riconoscere il Karakorum. I1 confine settentrionale è col territorio dei Uarluh e passa a sud di Barshan Superiore. Il confine occidentale, che Idrisi non menziona, è col Fargaila e con la Transossiana, esclusi lo Sugnan e il Wahbàn, che fanno parte del Tibet. Nel Wabban, e quindi nel Tibet (cf. I.U., p. 173 e I.R., pp. 91 e 93), ha la sorgente il Gayhiin (Amu Darya) ($ 5). Attraversa il Tibet, a non nel centro, ma nella parte occidentale la catena del Lukkam (5 3, cf. I.H., p. 168), il sistema montuoso che, secondo i geografi arabi, si snoda dal Mar Rosso alla Cina. Nel tratto tibetano di tale sistema si potrebbero riconoscere le catene dei Pamiri e dell'Alai. Da queste indicazioni risulta che il Tibet di Idrisi, come quello dei geografi arabi in genere (cf. Petech, op. cit., p. 61 e sgg. e Dunlop, op. cit., p. 305), comprende i possedimenti tibetani del Turkestan orientale, con i quali gli arabi avevano rapporti diretti. Evidentemente tale descrizione corrisponde alla situazione territoriale al tempo dell'apogeo della monarchia tibetana, dal 780 a11'840 circa. È cliiaro quindi che Idrisi non fa altro che trasmettere notizie di autori del IX e dei primi tre quarti del x secolo. Di costoro egli dà anche il consueto repertorio sul Tibet: 1) il re del Tibet porta il titolo turco di hiqin ($ l), cf. I.U., p. 16 e Mas'iidi, Muri@, cit., p. 289; 2) nel Tibet non si cessa di ridere e gioire ( 5 10.17), cf. I.U., p. 170; I.R., p. 82; Mas'iidi, Murfig, cit., I, p. 351; Hudfid, p. 92; Marwazi, p. 28; 3) pregi e qualità del muschio tibetano ($8 2, 6, 10.13 e 10.1S), cf. Ya'qiibi, Kitib al-Buldin, in BGA, VII, p. 364; Igahri, pp. 280, 288; Mas'iidi, Afuriig, cit., I, pp. 353-6; 4) pregi e qualità degli schiavi ($5 7 e 10.13), cf. I.H. pp. 437, 465, 476, 482.
Delle notizie che non trovano riscontro negli autori di cui sopra, alcune, quelle di carattere meraviglioso (la caverna in T.y.n.h, $ 10.15, e l'edificio sulla montagna a sud di gg e B.rwàn, F) 10.17) risalgono certamente al Kitib al-'Aga'ib di al-Mas'iidi, che Idrisi cita fra le sue fonti (al-Idrisi, Opus geographicum, edd. A. Bombaci, U. Rizzitano, R. Rubinacci, L. Veccia Vaglieri, Neapoli-Romae 1970, fasc. I, p. 5) e che non ci è altrimenti iloto. Le altre notizie, quelle sulle città e gl'itinerari, sono ricavate, come dice lo stesso Idrisi in 10.6, da (( libri redatti in base alle informazioni attendibili date dai Turchi che hanno messo piede in quei territori, li hanno attraversati e hanno
Il Tibet nella Geografia d'ldrlsi
[l31
207
dato notizie su essi *. probabile che Idrisl si riferisca all'opera del Uanab b. Uaqan al-Kimaki che egli cita tra le sue fonti (Opu.9 geographicum, cit., p. S), o a quella, ora perduta, anch'essa citata come fonte, ibid., p. 5, del ministro samanide Ab-U 'Abdallah Muhammad Ahmad alGayhani (inizio x secolo), che incorporava, secondo al-Muqaddasi, BGA, 1r1, p. 271, l'intera opera originale di I.U., di cui il testo che possediamo sarebbe solo un compendio, e conteneva inoltre le informazioni che l'autore avrebbe raccolto direttamente da viaggiatori.
TESTI § 1, Opus geographicum, cit., 11, 78, p. 184
4 2, Opus geographicum, cit., 11, ga, p. 204
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TRADUZIONE
Così pure i re dei Turchi, del Tibet e dei Uazar portano il nome di bigin, tranne quello dei JJarluh che è chiamato gabgiiya.
Riferisce l'autore del «Libro delle meraviglie che nelle campagne del Tibet, alle spalle della città di Wahhan, si ergono due montagne, separate da un corso d'acqua dolce, e che su esse cresce in abbondanza lo spigonardo o una sua varietà e quindi li brucano le gazzelle muschiate e vengono a quel corso d'acqua; le loro borse si gonfiano, riempiendosi di sangue; poi le grattano con le loro unghie fesse, finchC quelle si distaccano. La caccia di questi animali vien fatta in epoca determinata; sono quindi tenuti in cattura fino a che non vengono tolte loro quelle borse; poi sono riportati ai luoghi dove si è data loro la caccia e vengono rilasciati. A quei luoghi essi sono avvezzi e quindi non si allontanano molto.
La catena del Lukkam ... corre ad oriente della regione dello Sa5 giungendo fino alla parte estrema del Fargana. Li essa si riallaccia ai monti F.r.d.h.s., che partendo dall'oceano cinese vanno verso Wahhan. Essa
V31
Il Tibet nella Geografia d'ldrisl
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quindi attraversa il Tibet, non nel centro, ma nella parte occidentale, c il paese dei IJarluh nella parte orientale, fino al Fargana che t uno dei territori di frontiera dell'Islam.
Questa sezione ottava comprende, fra regioni e distretti. .. il Wabban, il uuttal ... poi il Fargaila e il Tibet, con quanto dello Sag e del Farab t ad esso limitrofo.
Questo fiume (Le. il Oayhiin) ha origine nel Wabban, ai confini di Badaviin, e li porta il nome di G.ryab.
Alla città di Bacjahfan proveniente dal Tibet.
... arriva, per la via di Wahhàn, il muschio
Fra le località limitrofe al WahS e al uuttal sono Wahban e S.qina, in paese turco. Da Wahhan a T.b.t si contano diciotto giornate. Wahban ha miniere d'argento ... e da essa provengono muschio e schiavi. S.qina è cittii dei Turchi uarluh. Dista da Wahhan cinque giornate e confina col territorio del WabS.
La cittil di 68 è addossata alla montagna sul confine dei Turchi tibetani; su di essa gli abitanti della citth hanno un posto di vedetta per tener d'occhio i Turchi e difendere le proprie abitazioni.
Da AtbaS a T.b.t sono sette tappe, in direzione di sud-est.
1. Questa sezione nona del terzo clima comprende il territorio del Tibet,
parte del territorio dei Toguzguz e parte del territorio dei IJarlub. 2. I centri più noti del territorio del Tibet sono la città di T.b.t, T.y.n.h, Wahhàn, S.qina, B.rwàn, fig, R.m.hàh, Da1.h.w. 3. Al paese del bigin dei Toguzguz appartengono la citti del hiqcìn, che ha nome T.n.t.b.g, la città di Maga, G.r.m.q e Bahwan.
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4. Fra le città della Cina esteriore solio K.ga e i&%r.bfin. 5. Al paese dei Ijarluh appartengono Bars!jàn Superiore e ~ , ~ à k . ~ . 6. In queste regiol-ii sono laghi d'acqua dolce, fiumi correnti, luoghi di bivacco primaverile e estivo dei Turchi. La nostra intenzione 6 dare la posizione dei loro paesi in base alle distanze rispettive, e i confini del loro territorio. Noi ne parleremo secondo quanto è attestato nei libri redatti in base alle informazioni attendibili date dai Turchi che hanno messo piede in quei territori, li hanno attraversati e lianno anche dato notizie su essi, 7. Noi diciamo dunque che la Cina esteriore confina, dalla parte del Mare orientale, con il paese dei Toguzguz. I1 paese dei Toguzguz confina dalla parte del Fargana, col Tibet. I1 territorio del Tibet confina coi1 la Cina e con parte dell'lndia e gli sono coiitigui, a nord, il territorio dei uarluh e, a est, il paese dei Toguzguz. 8. La principale città dei Toguzguz, chiamata T.n.t.b.g. ha dodici porte in ferro. Gli abitanti soi-io miscredenti (zindiq) e fra i Turclii toguzguz sono dei Mazdeisti (Magas) che adorano il fuoco. I1 re, bigin dei Toguzguz, risiede a T.n.t.b.&., città magnifica, circondata da forti mura e situata presso un gran fiume che scorre verso oriente. Da questa città a Barsbàn Superiore, in territorio confinante col Fargana, il tragitto dura due mesi. Il territorio dei Toguzguz arriva fino al Mzre orientale tenebroso. 9. Dalla città di T.n.t.b.g. alla città di Biihwàn, in direzione nord-ovest, il percorso è di dodici giornate. Bahwan è città dipendente dai Toguzguz. In essa risiede un re appartenente alla famiglia dei [ligin dei Toguzguz il quale ha soldati, guardie, castelli e una amministrazione finanziaria ('amila). La città è cinta da forti mura; ha mercati ove si fanno stupendi oggetti in ferro e così pure ogni specie d'oggetto in legno, maiolica, ecc. È situata sulla riva di i111 fiume che scorre verso oriente ed è circondata da campi coltivati, luoghi di bivacco primaverile per i Turchi e acque presso le quali essi prendono dimora e dalle quali si spostano. La maggior parte dei manufatti in ferro da questa città è esportata nel territorio del Tibet e in quello della Cina. Nelle montagne vicine si trovano gli animali che danno il muschio, non selvatici. Abbiamo già detto, nel secondo clima, delle loro condizioni e di come si formi il muschio nelle loro borse; è quindi inutile riparlarne ora. 10. Dalla città di Babwan alla città di c.r.m.q sono quattro tappe, attraverso villaggi, campi coltivati e case che si susseguono, in direzione sudovest. G.r.m.q, piuttosto grande, fiorente, è circondata da due terrapieni separati da un fossato molto profondo e largo settanta passi. La città ha quattro porte in ferro; non ha n-iercato, ma soltanto un luogo ove si fabbricano le armi. Vi risiede il governatore, il quale ha cavalleria e fanteria e si protegge il fianco dai re tibetani. I l . Da Bahwàn alla città di T.b.t sono quattordici giornate. 12. E ancora da G.r.m.q alla città di Barsbàn Superiore sono dieci tappe.
Il Tibet nella Geografia d'ldrls~
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13. La città di T.b.t 6 grande e il suo territorio, che è il paese dei Twchi
tibetani, ne porta il nome. I suoi abitanti hanno traffici con quelli del FarBna, del Buttam e del territorio di Wabhàn. Partono diretti alla maggior parte di questi paesi e vi importano ferro, argento, pietre colorate, pelli di felini e il muschio che dalla città di Tibet prende il nome di tibetano. La città è costruita su un'altura ai cui piedi scorre un fiume che va a gettarsi nel lago di B.rwan, a sud. È cinta da forti mura. Vi risiede il re, il quale dispone di fanteria, cavalleria e armature. Vi sono molte industrie e da essa si esportano abiti di fabbricazione locale pesanti spessi e soffici che si vendono a molti dinari ciascuno, essendo di seta buona iutessuta in seta grezza. Si esportano inoltre, per lo più nel Fargana e in India, schiavi e muschio. Non esiste nel mondo abitato creatura più bella di colore, più delicata di pelle, più leggiadra di forme, più morbida di corpo dello scliiavo turco. Vi sono Turchi che rubano i figli degli altri e li vendono ai mercanti. Talvolta il prezzo d'una giovane schiava della loro razza arriva a trecento dinari e più. 14. Il territorio dei Toguzguz è situato tra il Tibet e la Cina e confina a nord con quello dei Kirghizi. 15. Al Tibet appartiene la città chiamata T.y.n.h, di media grandezza, costruita sulla cima di un monte impervio, circondata da forti mura in pietra e dotata di una sola porta. In essa i Turchi hanno industrie, affari e commerci attivi con le popolazioni vicine. Vengono a loro dai territori di Kabul, di Wabban, del ljuttal, del WabS e dalla regione del RàSt per rifornirsi del ferro che porta il nome del Tibet, e di muschio. Si racconta che sul monte di T.y.n.h cresce in abbondanza lo spigonardo, e nelle sue boscaglie si trovano in gran numero gli animali che danno il muschio i quali brucano le tenere punte dello spigonardo e bevono l'acqua del fiume che scorre fino a T.y.n.b; quindi è a questo nutrimento che è dovuto il muscliio. Si racconta inoltre che in questa montagna trovasi una caverna molto profonda al cui imbocco si sente un mormorio d'acqua corrente. Dell'abisso costituito da questa caverna non si riesce assolutamente a raggiungere il fondo, pur sentendosi distintamente il rumore e il mormorio dell'acqua. Dio solo sa come stanno le cose. Sullo stesso inonte crescono in abbondanza piante di rabarbaro cinese. Ve n'è in grande quantità e lo si esporta in molte distanti regioni dell'oriente e dell'Occidente, ove esso vien venduto essendo ben noto. I1 fiume di T.y.n.b ha nome S.r.mah. 16. Da T.y.n.b al lago di B.rwan, in direzione est, si contano cinque tappe, attraverso villaggi e foreste appartenenti ai Turchi tibetani. Nel percorso s'incontrano fortezze e castelli ben difesi. I1 lago di B.rwàn è grande; misura quaranta parasanghe di lunghezza e settantadue miglia di larghezza. Le sue acque sono dolci e ricche di pesci che sono pescati dagli abitanti di B.rwan e di B.rwàn e fig sono due città facenti parte del territorio del Tibet, situate sulla riva di questo lago. Tra Ug e B.rwàn è una distanza di dodici
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~arasanghedel Sind, e la parasanga sindi equivale a cinque miglia. BSrwan e fig sono di eguale grandezza e costruite SU poggi che sorgono in riva al lago, di cui gli abitanti delle due città bevono le acque. Sono paesi entrambi autosufficienti; hanno mercati e industrie che bastano alle loro esigenze; con quanto vi si trova non hanno bisogno di ricorrere alle industrie di altri paesi. Nel lago di B.rwan si versano, in ogni sua parte, molti grandi fiumi. 17, Nei pressi delle città di B.rwan e di a sud, sorge una montaglia curva in forma di dal, alla cui cima non si giunge che con fatica e le cui due estremità si riallacciano ai monti dell'India. Nel centro è una depressione in cui sorge un edificio quadrato sprovvisto di porta. Chiunque vi si dirige o vi passa vicino, avverte gioia ed euforia pari a ciò che prova chi beve vino. si dice anche che chi si arrampica su questo edificio fino in cima non smette di ridere; poi si getta nell'interno di esso e sparisce. Io penso che questa sia una storia inventata, non vera. Si tratta nondimeno di una notizia largamente diffusa tra la gente. 18. K.gà è città della Cina oltre i monti che circondano questo paese. È prospera, ma non grande. Ha traffici e numerosi edifici. 19. Dalla città di a K.gà sono dieci tappe di viaggio su cammelli. 20. A oriente di K.gà è Dàr.hiin, città della Cina di media grandezza, ultima provincia cinese a nord. Le sono contigui i campi coltivati del territorio dei Turchi toguzguz. 21. La città di Atbag è situata su una montagna impervia, a difesa dai Turchi. Da essa a T.b.t si contano dieci tappe e, parimenti da AtbàH a Barshàn Superiore, sei giornate attraverso il territorio dei Turchi. 22. Barshàn Superiore è città del paese dei Turchi, fortificata con due muraglie ben salde. Ad essa fa ricorso la maggior parte dei Turchi che abitano quella contrada per le cose che loro occorrono. 23. Da Barsban a N.wàk.t., ai confini del territorio dei ljarluh, si contano circa dieci tappe per un viaggio in carovana e cinque tappe per il servizio postale dei Turchi. Tratteremo la maggior parte di questi argomenti in seguito con l'aiuto di Dio. 24. Dalla città di MàSa al bigin dei Toguzguz il percorso è di cinque giornate. Maga fa parte del territorio del bigiin dei Toguzguz. È città fiorente e ha molte industrie. Da MàSa a Bàhwàn sono otto giornate in direzione ovest. Ciò è tutto quanto si trova nella sezione nona di questo clima. Dio sia molto lodato.
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Fig. 1 - Ms. Parigi, Biblioteca Nazionale, ar. 2221, fol. 166 rO. Fig. 2 - Ms. Parigi, Biblioteca Nazionale, ar. 2221, foll. 178 vo e
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Iscrizioni inedite su ceramica samanide in collezioni italiane
Quel tipo di ceramica persiana del rx-x secolo che, fiorita sotto la dinastia dei Samanidi, può da essi prendere nome, rappresenta un momento fondamentale nella storia della ceramica islamica non solo perché si servi di tecniche nuove, quale quella nota come ' slip-painted ' 1 ma anche perché consegui originali e considerevoli risultati sul piano estetico. Mentre una parte notevole del suo repertorio decorativo, ricca di reminiscenze sasanidi, caratterizza una classe dei prodotti attribuibili a Nishapur, speciale importanza assume l'impiego ampio e vario del motivo epigrafico al quale viene affidata quasi esclusivamente la decorazione di un consistente gruppo di ceramiche, tra cui si annoverano alcuni degli esemplari a decorazione epigrafica più belli ed eleganti di tutta la produzione fittile islamica. Oltre all'aspetto decorativo, assolutamente originale e spesso di una rara eleganza, va preso in considerazione l'interesse paleografico di questa ceramica, la quale ci fornisce preziose testimonianze della evoluzione delle due principali grafie della lingua araba, il cufico e il corsivo (nashi), e, colmando in altro modo la lacuna di manoscritti ed epigrafi lapidarie del periodo samanide, aiuta a ricostruire la storia della epigrafia islamica in Asia Centrale 2.
Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso il Seminario di Archeologia Orientale, nel quadro delle ricerche per il «Catalogo Ugo Monneret de Villard delle opere musulmane esistenti nelle raccolte pubbliche italiane dirette dal prof. Umberto Scemato. Desidero ringraziare il prof. Alessio Bombaci e il dott. Giuseppe Celentano per i molti suggerimenti che hanno avuto la cortesia di fornirmi. 1 Con questo termine, come è noto, si suole indicare una pittura, ottenuta mescolando ossidi coloranti con argille finissime, tracciata su un oggetto cerarnico precedentemente ingubbiato e poi ricoperto da una invetriatura trasparente all'ossido di piombo. Durante la cottura, l'argilla diveniva tutt'uno con il corpo del vaso impedendo agli ossidi di provocare fenomeni di sbavature. (Cf. A. Lane, Early Islamic Portery, London 1958, p. 17). 2 V. A. KraEkovskaja, Evoljirctja kufifeskogo pis'ma v Srednej Azii, in « Epigrafika Vostoka », 111, 1949, p. 9.
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L'insigne epigrafista Samuel Flury, che già si era dedicato allo dio di iscrizioni monumentali, fu il primo ad occuparsi di questa speciale classe di scritture arcaiche. Egli nel 1924 segnalò una serie di formule che si riscontravano sulla ceramica dei primi secoli dell'Islam, compresa quella di Samarcanda, individuando alcune delle varianti apportate ai due fondamentali tipi di scrittura in uso 3. Ancora, nel 1938 10 stesso autore si dedicò ad un lavoro più sistematico, esaminando numerosi esemplari ceramici sui quali nelle più svariate tecniche erano state eseguite alcune iscrizioni in diversi tipi di cufico. Le formule studiate dal Flury sono molto semplici e del tipo più diffuso, esprimono per lo più auguri per il possessore e talvolta recano anche l'autografo dell'artefice 4. Bisogna attendere lo studio di Bol'Sakov 5 , che ha intrapreso la pubblicazione dei materiali ceramici dei musei delle repubbliche sovietiche, perché il panorama si allarghi a comprendere la lettura di iscrizioni molto più complesse, siano esse sentenze, aforismi, proverbi, detti parenetici. Lo studioso sovietico ha diviso il materiale in base al luogo di conservazione e, partendo dalle iscrizioni più semplici di una o due parole, lo ha presentato coli una dettagliata analisi epigrafica. Tale lavoro è fondamentale in quanto presenta un ricco e vario materiale utilissimo dal punto di vista comparativo. In un recente articolo Lisa Volov, infine, propone un suo proprio sistema di classificazione delle grafie ornamentali e fornisce anche alcune preziosissime letture ragionate di piatti editi e inediti 6 . Facendo tesoro di questi lavori interamente dedicati alla problematica delle epigrafi ceramiche e servendoci del materiale comparativo pubblicato, ci acciiigiamo ad illustrare e a cercare di leggere le epigrafi di un gruppo di pregevoli ceramiche esistenti presso raccolte pubbliche e private di Roma, Torino e Napoli. Esse sono tutte del tipo nero su bianco 7 e recano quale unico elemento decorativo eleganti iscrizioni o in diverse varianti di cufico o in una parti3 S. Flury, Une formule kpigraphique de la céramique archaique de i'lslam, in « Syria », V, 1924, pp. 53-66. 4 Id., The Ornamental Kufic Inscriptions on Pottery, in A Survej) of Persian Art, nst., Tehran 1967, IV, pp. 1743-1769. 5 O. G. Bol'Sakov, Arabskie nadpisi na polivnoj keramike Srednej Azii IX-XII V V . , in « Epigrafika Vostoka », MI, 1958, pp. 23-38; XV, 1963, pp. 73-87; XVI, 1963, pp. 3555; XVII, 1966, pp. 54-62; XIX, 1969, pp. 42-50. 6 L. Volov, Plaited Kufic on Samanid Epigraphic Pottery, in (( Ars Orientalis », VI, 1966, pp. 107-133. 7 In alcuni casi compaiono anche un terzo e un quarto colore, sia il caratteristico rosso pomodoro o un verde alquanto sbiadito, per cui la decorazione di tale classe si potrebbe definire con il Gardin: ' policroma su ingubbiatura bianca ' (Cf. J. C. Gardin, Lashkari Bazar, 11. Les rrouvailles. Céramiques et monnaies de Lashkari Bazar et de Bitst (« MDAFA », XVIII), Paris 1963, p. 55.
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colare grafia cufica con elementi corsivi che chiamiamo con il Bol'Gakov corsivo ceramico ' La loro datazione si aggira intorno ai secoli ix e x per quelle che presentano una scrittura cufica mentre scende anche all'xi per le altre in cui predomina l'elemento corsivo. Tali ceramiche saranno qui di seguito presentate nell'ordine della complessità del loro contenuto. I1 primo oggetto (fig. l), è una coppa a parete obliqua della collezione Montanari, già in deposito presso il Museo Nazionale d'Arte Orientale di Roma 9, sul cui bordo corre una decorazione a denti di lupo e, sul fondo, la sola parola $ 1 , a l - b a r a ' la benedizione '. Tale vocabolo, preceduto o no dall'articolo 10, isolato o accompagnato da formule analoghe 11, è molto diffuso nei vari tipi di ceramica su tutto il territorio islamico. Numerosi esempi vengono infatti citati dal Flury soprattutto per quanto riguarda i lustri e la ceramica incisa 12; per il tipo samanide ricordiamo in particolare un piatto del museo di Kiev 13 e la coppa del City Art Museum di St. Louis 14. La grafia della nostra coppa si può definire di tipo cufico con elementi ornitomorfi a causa della terminazione ' a becco ' di tutte le lettere. Si scorge inoltre la ricerca da parte dell'artigiano di creare un effetto di parallelismo con la successione di due coppie di elementi verticali e la ripetizione in fine
Bol'Sakov, in « Epigrafika Vostoka n, XII, cit., p. 24. Nr. inv. 1107. Argilla rossa. Dimensioni: alt. cm. 7.4, diam. cm. 25,5; proveniente da Nishapur, datazione del M-x secolo. Si suppone che sia stata ricostituita utilizzando i frammenti di due differenti coppe. 1 0 L'assenza dell'articolo è dovuta al fatto che baraka rappresenta la intera frase: baraka Allchi li-sc&bihi ' la benedizione di Dio al suo possessore '. 11 Altre espressioni molto comuni che si accompagnano ad al-buraka sono le seguenti: un-ni'ma ' il bene ', al-gibra ' la gioia ', as-salanm ' la salute', m-sa'àda 'la felicità ', le quali, precedute o non dall'articolo, si trovano spesso non solo sulla ceramica samanide, tipo slippainted (ricordiamo a tale proposito il pregevolissimo esemplare del Victoria & Albert, cf. Medieval Near Eosrern Porrery, London 1957, fig. 4; la bella coppa del Metropolitan, cf. BMMA », XXXVII, 1942, p. 111, fig. 40; e la tazza di Sarnarcanda, cf. « Epigrafika Vostoka », XV, 1963, fig. 8a) ma soprattutto sulla ceramica non invetriata stampata e invetriata incisa a partire dai secoli x e XI fino ai secoli m e xm. È da verificare se cib sia da attribuire aUa influenza esercitata sulla ceramica dalla decorazione impiegata sui metalli dove è frequente la sequenza di auguri per il possessore. (Vedi ad esempio gli oggetti in argento della Esposizione persiana del 1931, cf. G. Wiet, L1e.rpositionpersane de 1931, Le Caire 1933, tav. I, nr. 11 ; tav. 11, nr. 12, 13, 14; tav. 111, iir. 8, 10). 12 Flury, Une formule ..., cit. '3 Bol'Jakov, in « Epigrafìka Vostoka », XV, cit., fig. 5. l4 Cf. L. O. Nagel. Sonie Middle Eusrern Ceramics in rhe City Art h4useum of St. Louis, in « Onental Art », IV, 1958, p. 117, fig. 4. Su questo esemplare al-baraka, che si staglia nel centro in un elegante cufico, si accompagna al seguente monito, rivolto probabilmente agli uomini di governo Jlyl >l $1 lfiaqara ntan adarra atnwal un-rics 'diventi povero colui che sperpera i beni del popolo! '. 8
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della fa' nzarbi!a. Non è questo l'unico Caso in cui la grafia di al-baraka e stata alterata per esigenze decorative: ricordiamo, ad esempio, il piatto gia della collezione De Motte, sul quale il Pkzard ha visto tale vocabolo inquadrato dall'articolo con la ripetizione di quest'ultimo alla fine della parola 1s e la coppa delle Heeramaneck Galleries of Art di New York, dove alla prima e all'ultima lettera è stata data un'identica forma zoomorfa 16. Anche la grafia di al-yumn ' la felicità ', diffusissima formula augurale che ha in seguito preso il posto di al-baraka, è comunemente modificata in modo tale che la alifdell'articolo e la nin finale con la parte terminale rivolta verso l'alto inquadrino le rimanenti lettere centrali in una evidente ricerca di simmetria 17. Una seconda coppa del Museo d'Arte Orientale di Roma (fig. 2) 18, a parete obliqua su piede a disco, presenta sul fondo la parola abmad, che letteralmente vuol dire ' glorioso ' ' glorificato ', ma è anche un nome proprio di uso comune. La KraEkovskaja avanza l'ipotesi clie si tratti del nome del maestro ceramista o del committente o, forse, del sovrano di Samarcanda agli inizi del x secolo 19. R. Ettinghausen è propenso a ritenere che Abmad sia la firma dell'artigiano 20, così pure V. Bol'4akov 21, che si rifà all'opinione espressagli a voce dal Rice, e J. Sauvaget. Questi però, esaminando la questione da un punto di vista più generale, considera i nomi propri che si trovano i11 ceramica non come elementi di riconoscimento ma piuttosto come motivi grafici dal valore esclusivamente ornamentale 22. Abrnad, che in questo caso è scritto in corsivo ceramico dove al cufico va attribuita la forma della di1 e al corsivo la alifdal tratto assai scorrevole, solo raramente costituisce l'unico elemento decorativo di una ceramica, mentre generalmente si accompagna ad una altra iscrizione disposta sul margine: vedi ad esempio il piatto del British Museum 23, due coppe del museo di Teheran 24, una coppa pubblicata dal Bol'Sakov e sulla quale tor-
M. Pézard, La céramique archaique de I'Zslain et ses origines, Paris 1920, p. 190, tav. XCIV 3. 16 R. Ettinghausen, Interaction and Integration in Zslamic Art, in Uniry and Variefy in Muslim Civilization (G. E. von Grunebaum ed.), Chicago-London 1955, tav. VI11 B. 17 Bo19Sakov,in « Epigrafika Vostoka », XII, cit., pp. 32-33; XV, cit. p. 82. 18 Nr. inv. 5743. Dimensioni: alt. cm. 6,8, diam. cm. 26. Iran, W-x secolo. 19 V. A. KraEkovskaja, Arabskoe pis'mo na panigatnikah Srednej Azii i Zakavkas'io ZX-XZ vv., in (( Epigraaa Vostoka », X, 1955, p. 52, tav. V a. 20 Ettinghausen, op. cit., p. 123, fig. 1; vedi anche « BMMA D, XX, 1961, fig. 26. 21 Bol'Sakov, in « Epigrafika Vostoka H, XVII, cit., p. 58. 22 Sauvaget, Zntroducrion d l'étude de la céramique Musulmane, Paris 1966, P. 42. 23 Cf. Lane, op. cit., fig. 15 A. 24 Cf. BMMA », XX, 1961, fig. 23, 26. 1s
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neremo 25, la coppa della esposizione della Asia House 26, la coppa della collezione Hiller di Londra 27 e il piatto del Museo Civico di Torino 28. La coppa che segue (fig. 3), di proprieth Motamed a Francoforte sul Meno e ora in deposito presso il Museo di Roma 29, reca dipinta sulla parete interna lungo due tratti diametralmente opposti la formula 4 U I al-muik li-llilz ' il supremo potere appartiene a Dio ', in caratteri cufici con chiari riferimenti ornitomorfi, come si pub constatare soprattutto dalla forma della k i f e della ha'. La medesima frase è stata letta su un bellissimo frammento rinvenuto a Sabz PuSàn (Nishapur) 30 ove figura in un cufico assai elegante arricchito da elementi vegetali. Ritroviamo, infine, tale formula sulla coppa giB ricordata della collezione George Hiller 31, inserita però, questa volta, in un contesto più ampio nel quale ci sembra di riconoscere una reminescenza coranica. Vi si legge infatti: 4u & i j i Ji cwl ,W1 &IJl Ji Ul al-rnulk li-11ih al-w3id al-qahhir al-ntulk li-Ilali al-habid li-llih, la cui traduzione letterale è la seguente: ' il regno appartiene a Dio l'Unico il Soggiogatore, il regno appartiene a Dio l'Unico, a Dio '. A nostro avviso tale iscrizione si compone di due parti simili, la prima delle quali riecheggia il versetto 160 della sura XL del Corano, clie il Bausani traduce: « A chi il regno in quel giorno? a Dio! L'Unico, il Soggiogatore 32, e la seconda non è che la ripetizione della prima senza l'ultimo attributo che il ceramista ha sostituito con il più breve li-llih. Questa non è l'unica volta, come vedremo più avanti (v. infra p. 7), che una frase viene alterata per ragioni di spazio, anzi, si ricorre spesso a tali accorgimenti in una lavorazione come questa affidata all'estro estemporaneo dell'artigiano. Seppure non molto frequenti, si trovano dunque iscrizioni di contenuto religioso e, del resto, il Bol'Sakov 33 ha segnalato la presenza di Eadit su alcune 2 s Bol'Sakov, in « Epigrafika Vostoka », XVII, cit., fig. 1 ; vedi anche « B M M A D, XX, 1961, fig. 25. 26 Cf. C. K. Wilkinson, Iranian Ceramics, New York 1963, pl. 20. Apollo », 1963, fig. 4. 27 Cf. R. M. Carless, The Story of Nishopur Porrery, in 2s G. Scaviui, Maioliche dell'lslani e del Medioevo occidentale, Milano 1966, p. 18, fig. 5. 29 Argilla rossa. Nishapur, u-x secolo. In corrispondenza della iscrizione corrono due tratti a denti di lupo. 30 M. S.Dimand-W. Hauser-J. M. Upton-C. K. Wilkinson, The Iranian Erpedition, 1937, in « BMMA D, XXXIII, 1938, N. 11 sez. 2, p. 20, fig. 25. 31 Vedi nota 27. 32 A. Bausani, Firenze 1955. 3, Bol'sakov, in « Epigrdka Vostoka », XIX, cit., pp. 46-47. È stata segnalata anche
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ceramiche del x secolo mettendole in relazione non solo con « una sempre maggiore penetrazione della ideologia dell'lslam nella vita di tutti i giorni », ma anche con la lotta che proprio nel x secolo l'ortodossia conduceva contro le numerose sette eterodosse. Unica sembra invece essere l'iscrizione dipinta su un piatto, anch7esso di pregevole fattura, nella quale è stato letto il nome di Allah ripetuto una volta 34: caso fino ad ora eccezionale poichC questi oggetti, per la loro fragilità e per l'uso cui erano destinati, mal si confacevano a contenere il nome di Dio sempiterno. Una connotazione religiosa, almeno all'origine, ha la seguente formula (che nel nostro esemplare reca ripetuta la seconda parola), la quale orna una
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pregevolissima coppa sempre del Museo di Roma (fig. l )35: $ kul hani'an mari'cln, che letteralmente si può tradurre ' mangia con piacere e salute '. Questa frase si ritrova invero nel Corano (IV 4) dove è generalmente tradotta ' Godine con buona salute! ' 36. La interpretazione letterale, con il valore di ' buon appetito ', è la più confacente all'ambiente conviviale, dove si colloca un oggetto del genere 37. Si tratta di una grossa coppa a parete obliqua rastremata e con piede la presenza della professione di fede l i iloh illi Allah su due oggetti provenienti dal Marocco: una fiasca da pellegrino, da Salè, del xn secolo, con decorazione stampata sotto invetriatura monocroma (cf. A. Delpy, Note sur une exposition temporaire de céramique archufque trouvée au Maroc, in « Cahiers des Arts et Techniques d'Afrique du Nord D, I, 1951-1952, pp. 7-14, fig. a p. 7). e una bottiglietta globulare, da Sidi Kacem, dei secoli xru-XIV,dipinta in bruno e verde (cf. M. Olagnier-Riottot, Étude d'un vase des XIIe-XIVe siPcles trouilée dans la région de Sidi Kacem, in « Hesperis », XI, 1968, p. 230). In entrambi i casi si tratta di pseudo-epigrafi sulla cui interpretazione non siamo, invero, d'accordo con gli autori dei due studi: infatti, per quanto riguarda la prima, saremmo propensi a riconoscervi la stiliuazione del vocabolo al-'ifia ' la buona salute ', così diffuso nell'Islam occidentale, mentre per la seconda riteniamo che tali segni grafici non possano essere ricondotti alla professione di fede. (Cf. anche: Arts de i'lslam des origines à 1700 dcms les collections publiques frangaises, Orangerie des Tuileries, 22 juin-30 aout 1971, pp. 56-57, nr. 76, 77, 1 ill.). 34 Cf. « BMMA D, XXXIII, cit. a nota 30, p. 20, fig. 20, vedi anche KraEkovskaja, in « Epigrafika Vostoka n, X, cit., tav. V b. 35 Nr. inv. 1974. Dimensioni: alt. cm. 8'9, diam. cm. 27. Nishapur. 36 Riportiamo qui di seguito alcune traduzioni di tale passo coranico: A. Bausani, Firenze 1955, IV 4: «Date spontaneamente alle donne la dote; e se a loro piace farvene partecipi godetevela pure in pace e tranquillità ». M. M. Moreno, Torino 1967: « ... mangiateveli ( i beni) tranquillamente e buon pro vi faccia ». L. Bonelli, Milano 1940, IV 3: « ... Godetene in nrodo piacevole e salutare ». E. Montet, Paris 1954, IV 3: « ...joitissez-en avec aise et coinmodité D. Abdullah Yusuf 'Ali, Lahore 1938, IV 4: « ... rake ir and enjoy it with right good cheer D. Maulvi Muhammad 'Ali, Lahore 1963, IV 4: « ... corisume it with enjoyment and pleasure ». R . Blachère, Paris 1949, TV 4: « ... niangez-le en puix et tranquillité )t. 37 L'A. russo traduce appunto « ES' na zdozov'e », cf. Bol'Sakov, in « ~pigrafika Vostoka », XV, cit., pp. 85-87.
Iscrizioni inedite, ecc.
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l'iscrizione corre SU tutta la parete interna eseguita in un carattead ristico cufico a fascia larga di un bel bruno che in alcune zone & alonato un piacevole effetto decorativo 38; piccoli elementi di riempitivo campiscono gli spazi non decorati. Nel centro è dipinto un cerchio inscritto in un quadrato ciascun lato del quale forma nel mezzo un nodo che torna ad allacciarsi al cerchio originario, nel mezzo è un grosso punto. All'armonioso aspetto dell'iscrizione contribuisce nel nostro caso la ripetizione del votabelo un espedierite al quale è dovuto ricorrere l'artigiano per riempire tutta la superficie a sua disposizione. La stessa formula augurale, dipinta in corsivo ceramico, si ritrova su una brocchetta conservata a Samarcanda 39 e, in un tipo di scrittura assolutamente simile al nostro e per di più con la ripetizione del secondo vocabolo, su una grande coppa di Tokyo (fig. 10) 40. Nel mezzo di una bella coppa del Museo d'Arte Orientale di Roma (fig. 5) 41, sul cui bordo corre un fregio festonato sotteso da un cerchio puntinato, compaiono due parole 4 1q - ~ b rmi/rih ' la pazienza è
+,
chiave', parte del proverbio &l o;-jabr rniftih al-farh ' la pazienza è la chiave della felicità ' 42. Proprio la brevità dell'aforisma e, ancor più, la sua forma incompleta hanno reso possibile collocare l'iscrizione sul fondo della coppa, mentre generalmente i detti composti da più vocaboli sono disposti lungo il bordo della parete interna. I1 tipo di grafia è il corsivo ceramico: elementi del cufico si riscontrano nella forma della jad di sabr, mentre al corsivo ci riporta l'andamento della parola al-mtftih e l'uso dei punti diacritici, peraltro mal disposti. Elementi vegetali si scorgono infine sulla coda della ri' e sul gambo della ti'. Appartiene alla collezione Rocchi, ed è ora in deposito presso il Museo di Roma, una bella coppa (fig. 6) 43, a parete obliqua rastremata e con piede ad anello, la quale deve l'elegante aspetto della sua decorazione all'ar-
Questa alonatura, originariamente dovuta al caso o meglio, alla imperizia dei primi ceramisti, fu in seguito probabilmente ottenuta di proposito come attestano numerosi pregevoli esemplari ai quali tale espediente decorativo conferisce un ulteriore pregio. Cf. F. Sane, Die Kernmik von Samarra (Die Ausgrabimgen von Samarra, Il), Berlin 1925, tav. XXIX 1; XXX 1, 2, 3; XXXII, 1. 39 Bol'Sakov, in (( Epigrafika Vostoka n, XV, cit., fig. 16. 40 T. Mikami, Isiamic Pottery Mainly from Japanese Coilections, Tokyo 1964, tav. col. 6. 41 Nr. inv. 5736. Dimensioni: alt. cm. 6,3, diam. cm. 21,5. Iran, m-x secolo. 42 Questo aforisma figura nella raccolta di proverbi arabi del Freytag (Cf. G. W. Freytag, Arabum proverbio ..., Bonnae ad Rhenum 1838-1 843, I, p. 751. nr. 131, apud Bol'Jakov, in Epigrafika Vostoka n, XVI, cit., nota 20, p. 55). 43 Nr. dep. 211. Dimensioni: alt. cm. 8,3, diam. cm. 27. Nishapur, IX-x secolo. 38
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G. Ventrone
[al
manica disposizione del motivo epigrafico. Infatti sulla superficie interna compare un aforisma di quattro parole disposte in modo tale da risultare ugualmente distanziate e diametralmente opposte. I1 suo contenuto è il seguente: 4ki $ U% $ k a f ~ r ak;-. *,:2.-
-
-.
. .-*.-L. ,LL-i=i-,:.9Li .. 4: .
Fig. 134
, DZ,,,g i n ; MiBrakina > Mehrgin, ecc., dove la velare originaria k diviene, volta per volta, i, g, g. Passando ora alla seconda questione, e cioè all'alternarsi di una vocale lunga ( i ) e di una vocale breve (a) in monemi similari, bisogna osservare come esso non sia stato, né sia, avvertito come fattore di differenziazione semantica: negli studi che di ciò si occupano manca forse la sicura ed univoca individuazione - se non la ricostruzione - di una radice persiana dal duplice esito, è vero, ma il significato da attribuire al monema è in essi costante 8. Questa diversità quantitativa, oltretutto, non è fatto insolito - e il già esaminato (vedi nota 8) caso dell'ai. ne dà una prima conferma - né il persiano è esente da eventi siffatti. I1 mp. registra, ad esempio, kisran ' diminuire' 9 accanto a kastan 10 e a una forma derivata kahist ' meno ', anch'essa breve 11; kastir ' diminutore, distruttore ' accanto a kistir 12; pinakih ' asilo, protezione ' accanto a panikih e pinakih 1 3 ; pasac'ak ' adatto, degno ' accanto a p a s a c k 14; e così via. Nel np. si danno casi non meno frequenti. Per la vocale i : i i h ' re ' accanto a iah; gih ' tempo, luogo ' accanto a gah; ni- accanto a na- (ni-sepis e na-sepis, per es.); pahni ' ampiezza ' accanto a pahnè; e per la vocale i, tanto per citarne una, gaìngin ' triste ' accanto a gamgen 15. In forza di tali riscontri, non appare certo arbitrario considerare -kir, 7 Sulla ' particità ' del suffisso e suUa sua produttività si veda E. Benveniste, Titres ei noms propres en iranien ancien, Paris 1966, pp. 13-17. 8 P. Horn (Grundriss der neupersischen Eiymologie, Strassburg 1893) ricorre a comparazioni con l'ai. -kira- e con il mp. -kar per i np. -kor (p. 185) e -gir (p. 884) il che tra l'altro costituisce una conferma dell'irrilevanza delle due diverse articolazioni della velare - e con l'av. e ai. -kara- nonché con il mp. -kar per il np. -gar (p. 199). (Va, per inciso, notato come l'ai. possieda tanto la forma lunga che quella breve della radice). In tutti e tre i casi, però, sia pure accanto ad altri formalmente distinti, registra il significato « tuend D. A qualche anno di distanza lo stesso autore (Neupersisclte Schri/rsprache, cit., p. 62) sente il bisogno di ipotizzare una radice a doppio esito: I'ap. *-kara, *-kàra. C. Salemann (Mittelpersisch, in Grundriss der iranischen ..., cit., p. 256) pone in relazione ambo le forme -kir e -kar con air. +kira. La sostanziale identità delle varie forme e altresi accettata da Rastargujeva, op, cit., p. 35; Lazard, op. cit., p. 262; Lambton, op. cit., p. 98; Boyle, op. cii., p. 49. 9 McKenzie, op. cit., p. 50; B. FarahvaSi, Farhang-e pahlavi, Teheran 1968, p. 26210 FarahvaSi, op. cit., luogo cit. 11 McKenzie, op. cit., pp. 48, 179. 12 FarahvaSi, op. cit., luogo cit. 13 FarahvaSi, op. cit., p. 347. 14 FarahvaSi, op. cit., p. 353. 1s Inoltre, interessanti esempi di allungamento delle stesse vocali epentetiche Possono leggersi in: W. Eilers, Der Name Demawend, in Archiv Orienthlni )), XXII, 19549 p. 273.
La natura di affissi verbali, ecc.
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e -gar quali semplici varianti, del tutto equivalenti: omogeneits. sintattica, puntuale identith semantica e sostanziale unità formale portano infatti concordementea ritenere che ci si trovi di fronte ad un unico elemento linguistico. Ciò posto, si può ora procedere nel tentativo di identificare la natura del tricipite ' suffisso '. Un primo passo avanti in questa direzione può compiersi per via di esclusione. L'elemento non individuato potrebbe essere un sostantivo; se lo fosse, però, non si potrebbe evitare di giungere alla reciproca identificazione dei due monemi kir, il che è contrario alle ipotesi fatte. Oppure esso potrebbe essere un aggettivo; ma in tal caso si avrebbe la produzione di un aggettivo composto 16, e anche questo contrasterebbe con le premesse finora poste. Altre esclusioni, movendosi su un piano strettamente grammaticale, non godrebbero del conforto di sicuri elementi di giudizio. È quindi necessario spostare l'angolo di esame. Qualche nuovo dato può essere reperito ponendo attenzione al portato sernantico del sistema sostantivo-kirl-giri-gar: esso implica costantemente l'idea di ' fare ', di un'azione svolta in concreto dal soggetto indicato dal sintema stesso, azione la cui natura è specificata dal primo elemento che appare nel composto, e cioè dal sostantivo: setam ' oppressione ' > setamgar ' oppressore '; [eli ' oro ' > [eli-kàr ' doratore '; ihan ' ferro ' > ihangar ' fabbro ' ; kerd ' fatto, creato ' > kerdegir ' creatore ', ecc. 17. Anche questo è un fatto noto, ma costituisce un'altra tessera del mosaico la quale, insieme alle altre disponibili, permette di delineare fin d'ora un quadro abbastanza significativo. Il suddetto secondo ordine di sintemi (quello sostantivo-kirl-gir/-gar, cioè) appare infatti in possesso di precise caratteristiche che autorizzano, a nostro avviso, la formulazione di una fondata ipotesi circa la loro natura. Dal punto di vista grammaticale essi possono definirsi principalmente dei sostantivi; sotto il profilo semantico esprimono l'idea di un'azione compiuta dal soggetto da essi indicato e specificata dal primo elemento del com-@
Cf. Lazard, op. cit., p. 274. l 7 Esistono in veritil alcuni casi che non sembrano adattarsi al modello: ad esempio yàd ' memoria ' > yid-gàr ' ricordo ', o ruz ' giorno ' > ruz-gàr ' vita ', ove si direbbe che manchi del tutto l'espressione di un'azione compiuta e l'indicazione di un soggetto. Va menzionata l'interpretazione che $am$iimi (op. cit., p. 354) riporta, riprendendola dal Farhang-e Neiimi: ... anche ruz-gor è lo stesso [un nome d'agente] nel significato di ' costruttore-di-giorni ' ... o. Più interessante - perche perfettamente in linea con la tendenza a Parcellizzare il tempo infinito propria dello zurvanismo - e più corretta l'ipotesi del Salemann (op. cit., p. 282) che propone « Tagesarbeit ». In tal caso rrrz-gàr e yrid-gàr andrebbero considerati come frutto dell'inversione determinante-determinato di cui si parla alla nota 3. l6
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G. D'Erme
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posto; sintatticamente risultano dalla sequenza di un sostantivo più un monema per ora non identificato. Tranne quest'ultimo ' iieo ' essi sarebbero identici ai membri della grande famiglia dei composti imperativali dei quali il np. abbonda n. Ai fini della loro definitiva collocazione sarebbe però necessario attribuire al monema -kir (e alle sue varianti) una precisa fisionomia, diversa da quella di mero morfema finora ad esso assegnata. E nel far ciò si è sostenuti dalla presenza di certi sinonimi, a nostra opinione estremamente rivelatori, quale ad esempio levi@-kon = levitè-gar ' pederasta qui -gar appare l'equivalente appunto di un imperativo, e levqe-pr Iyequivalente di un composto imperativale. Quest'ultimo passo da compiere appare confortato dalla già ricordata concordia coli cui le fonti attribuiscono valore ' d'agente ' al ' morfema7 -kar/-giri-gar; cozza però contro la mancanza in np. di un imperativo che non solo somigli ai monemi considerati, ma il cui uso iii una serie di casi tanto disparati sia giustificato da un'estrema genericità del suo valore semantico: per tale ragione, l'unica radice np. disponibile, kir- < kiitan ' coltivatore ', pur formalmente identica, appare assolutamente non passibile di scelta. Anche spingendo l'indagine più a monte sembra a tutta prima mancante ogni elemento che sostenga una tale impostazione. Infatti, nello stesso ap. la radice tematica [karfare ' sembra già praticamente sostituita, nelle forme del presente e dell'imperativo, da radici non tematiche, quali ku-, kunaile altre 19, in modo tale da non giustificare un proseguimento della propria attività produttiva sino a tempi tanto più recenti. E ciò a maggior ragione quando si tenga conto del fatto che già in mp. il consueto tema del presente del verbo kartan è kun-, diretta e chiara derivazione di quelle. Va considerato però ciò che avviene nell'av., e cioè che « Die Formen der Wurzel kar, machen, zeigen im Awesta keinerlei Besonderheiten, alle vorkommenden Fonnen gehen entweder auf den Stamm kerenu oder auf dessen Erweiterung kerenava zuruck. Anders im Altp., wo die Wurzel kar im
18 Tali composti, in verità, possono a volte avere un valore passivo, ma ciò non costituisce necessariamente una contraddizione dell'ipotesi fatta. Piuttosto, c'è un fatto curioso che vale qui la pena di rilevare, vale a dire che è sinora mancata la precisa notazione di come l'esistenza di questa grande famiglia di sintemi sembri essere caratteristica peculiare delle moderne lingue indoeuropee. In mancanza di un'esauriente e generale indagine che permetta un'asserzione più decisa, ci si limiterà a notare come i composti di cui si parla appaiono con costanza nelle maggiori lingue del gruppo (si pensi, ad esempio, ail'it. attaccapanni, al fr. tire-bouchoit ' cavatappi ', allo sp. salvabarros ' parafango ', al ted. TaWnichts ' fannullone ', all'ing. breakfast ' colazione ', al rus. perekatipolc ' salsola ', al nP. dorl@-gu ' mentitore'); e come siano sicuramente assenti in ebraico, in arabo, in turco, in giapponese, in cinese, tanto per fare alcuni parziali esempi. l9 Cf. Ch. Bartholomae, Altiranisches W6rterbucl1, Berlin 1961, col. 444 e sgg. e nota 1 R.G . Kent, Old Pcrsian, New Haven 1953, p. 77.
VI
La natura di affissi verbali, ecc.
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prgcsensthema zu ku entartct ist » 20. Si perviene così alla constatazione di ,-orne in quell'idioma agisse una radice di forma tale da poter essere considerata lontano ma ancor sussistente modello dell'elemento che, in np., presiede alla pratica sintematica di cui si parla. Quanto ai canali seguiti nel corso di questo processo, le tracce non sono certo abbondanti: tra ap. e av,, da una parte, e mp., dall'altra, esiste una grave soluzione di continuità nelle fonti e nelle tradizioni che rende assai disagevole - se non impossibile - ricostmire una sicura catena etimologica. È perb sicuro che una radice partita kar- esistesse ancora in mp. - e sia pure in posizione ' subalterna - accanto alla già menzionata radice normale kutz- del verbo kartan 21. Tale fatto è di decisiva importanza perché non solo segna una indispensabile traccia dei tramiti filologici, ma testimonia l'agire della radice nella più specifica e significativa forma dell'imperativo, forma che, oltretutto, non è completamente scomparsa dal np.: essa esiste almeno nel lessema kar-kar ' lavoratore ' o ' creatore ' 22, sinonimo di gar-gar 23, della quale ultima voce è esplicitamente dichiarata la provenienza dall'iterazione del medesimo monema gar 24; e questa iterazioiie può analogamente, e non arbitrariamente, scorgersi anche nel primo lessema. Ci si dovrebbe trovare, allora, in presenza di un travaso verificatosi nel periodo del predominio politico arsacide sull'altopiano. Certo, ci si potrebbe chiedere come niai questa antica radice, a dispetto della propria ' estraneità ', abbia potuto esercitare una così intensa e lunga attività produttiva, com'è provato dal notevole iiumero di sintemi con essa formati nel inp. e conservatisi sino al np., all'interno del quale, anche se assai debolmente, tale attività è ancora presente. La risposta, intuibile, è però subito fornita dalla nota legge del minimo sforzo che governa i fenomeni linguistici: di derivazione saussuriana, essa è stata recentemente recuperata ed è divenuta uno dei cardini delle teorie strutturalistiche 25. I1 caso del quale ci occupiamo è anzi emblematico di una tale tendenza: la radice kar- univa infatti all'estrema genericità del significato, che la rendeva applicabile in una gamma davvero svariata di contesti, una notevole brevità, che permetteva un rilevante risparmio dell'eilergia richiesta dalla fonazione. I1 grande agio da essa consentito nella formazione di sintemi snelli e liberamente componi-
20 F. von Spiegel, Vergleichende Graminaiik der Aliiranischen Spracherr, Amsterdam 1970, p. 359. Si veda anche J. A. Vullcrs, Lexicon Persico-Laiinitrn, 11, Graz 1962, p. 815. 21 Si veda, per es., McKenzie, op. cii., p. 50. 22 Vullers, op. cit., p. 820; S. Hayim, Farhang-e gàme'-e fàrsi be-eizgelisi, 11, Teheran 131211934. p. 627. 23 Vullers, op. cit., luogo cit. 24 Vullers, op. cit., p. 982. 25 Martinet, op. cit., pp. 197-202.
bili, in grado di coprire intere classi lessicali (nomi di professione o d'agente soprattutto), dovette risultare inevitabilmente nella messa a punto e nellVofi ferta al parlante di uno strumento flessibile, efficiente e comodo, tale insomma da resistere a lungo a « ... tutte le forze che modificano senza posa Ilarchitettura di un idioma ... e da assicurarsi il successo anche all'intern~di una struttura non del tutto omogenea, ma abbastanza simile perchC il suo valore semantico fosse ancora avvertito e ne costituisse una sufficiente giustificazione. Accettando il processo di derivazione-prestito qui brevemente delineato, i sintemi sostantivo-kirl-giri-gar possono essere compresi tra i composti imperativali 26, nella quale famiglia si inseriscono con perfetta omogeneità gammaticaie, sintattica e semantica; e i ' suffissi' -kir, -gtir, -gar assumono una più esatta ed espressiva veste, risultando definiti come affissi verbali, Tale conclusio~ienon è inutile poiché si perviene in tal modo all'identificazione di due altri elementi del neo-persiano, finora confusi nel mezzo di troppi altri noli meglio definiti sintemi o morfemi, arrecando un sia pur piccolo contributo all'opera di sistemazione di quel materiale linguistico.
26 A rigore, accettando la terminologia martinetiana, si dovrebbe parlare di una piu ampia famiglia di sintemi imperativali, distinti in composti imperativali propriamente detti (formati cioè dall'unione di lessemi autonomi) e derivati imperativali (formati cioè dall'unione di un lessema autonomo e di un lessema-affisso) nella quale ultima suddivisione rientrerebbero i sintemi in -k&, -gir, -gar.
EUGENIO GALDIERI
L'acqua neìi'antico aspetto di Isfahan attraverso le pitture parietali degli ultimi due secoli
Qualche anno addietro, nel corso di una sua visita ai lavori che I'IsMEO va conducendo ad Isfahan, il Prof. Tucci ebbe a vedere i guasti e gli attentati che vengono ogni giorno portati al tessuto urbano della città. Mi chiese quindi di buttare giù alcune note su qualche caratteristica peculiare della Isfahan degli ultimi secoli, note che potessero in qualche modo servire da documento. Queste che seguono non pretendono quindi di essere una ricerca sistematica sulla storia urbana di Isfahan; esse rappresentano soltanto un contributo alla conoscenza di un aspetto particolare della città negli anni meno noti e studiati dell'antica capitale che conobbe il suo massimo splendore sotto la dinastia safavide; rappresentano uno spunto, un semplice invito ad approfondirne lo studio, a conoscerla meglio, a serbarne il carattere tutto particolare che essa conservò anche negli anni meno felici; rappresentano infine un modesto tentativo, l'estremo, di contenere in qualche modo la spaventosa pressione che l'edilizia commerciale e un male inteso senso di modernità stanno esercitando in questi ultimi anni proprio nelle viscere della città quasi vi mancasse lo spazio vitale - mediante la fugace visione del suo aspetto quale poteva avere uno o due secoli addietro: una Isfahan inedita, oggi ormai scomparsa, ma che ancora conserva qualche elemento da salvare, che va salvato ad ogni costo: a nulla servirebbe infatti l'aver risanato i suoi monumenti più famosi se nel contempo si eliminasse o si svisasse irrimediabilmente l'ambiente che tali monumenti ha prodotto ed accolto.
Isfahan, Noi~embre1972
11 visitatore è oggi abituato a considerare Isfahan come un agglomerato di case basse, di stridine tortuose, di piccole cupole, di oscuri bazar, da cui emerge di tanto in tanto la sagoma svettante di un minareto o la mole maestosa di una moschea: una distesa uniforme e monotona, tutta del colore del kihgel, su cui solo fa spicco il turchese della ceramica o il verde dei secolari
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E. Galdieri
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platani. Ma un'altra Isfahan può presentarsi ai nostri occhi, se soltanto proviamo a mettere insieme, come le tessere di un grande mosaico, i pochi menti che ancora abbiamo a disposizione: una Isfalian quasi lagunare, una Isfahan in cui l'acqua giuoca il niolo di protagonista, per mettere ancora in evidenza i suoi monumenti, la città di due secoli or sono. Essa si prestava meravigliosamente allo SCOPO e 10 Zayandé aveva acqua a sufficienzaper alimentare gli innumerevoli màdi, i canali che solcavano in tutti i sensi la citta, con le loro sponde ben squadrate e con le loro rive rustiche e boscose i . Sfruttando opportunamente le pendenze naturali del vasto bacino entro cui sorgeva la parte più cospicua della città, si poteva ottenere una perenne circolazione nei canali che dal fiume traevano origine e al fiume ritornavano; per la zona compresa tra il fiume e la montagna verso sud (cioè l'odierna Julfa), si sfruttava l'acqua proveniente dalla collina detta Kiih Sofeh, terrazzata e sistemata a piccole cascate. Lungo la rete dei midi si cominciò pian piano a costruire padiglioni, chioschi e ville che si servivano dei canali come di altrettante strade; di qui la necessità di crearvi tutta una serie di ponti e di passerelle dei più vari tipi. Con il trascorrere del tempo queste costruzioni lungo il fiume e lungo i canali dovettero aumentare sensibilmente di numero; l'abitarvi dové costituire quasi una moda, un privilegio. L'antica abitudine di inquadrare la costruzione tra due o più vasche, tipica della architettura safavide, ma che trae le sue origini ben più addietro, si andò via via ampliando sino a dare a molte di queste case l'aspetto di costruzioni lagunari. Ai tipi edilizi classici, cioè di diretta derivazione safavide, si aggiunsero quelli più spiccatamente occidentali, in omaggio alla moda dettata dall'influenza francese e russa nella architettura persiana degli ultimi due secoli. L'aspetto clie Isfahan aveva assunto tra la fine del x v i i ~e la prima meth del xix secolo non è più recuperabile, se non con la fantasia. Eppure, esiste una documentazione indiretta di tale suo antico aspetto: verosimilmente, quello che traspare dalle piccole vedute, dalle immagini ripetute decine e decine di volte, che arricchivano tutte le case dell'epoca e che oggi sopravvivono soltanto in alcuni edifici semiabbandonati e votati alla distruzione, o in alcuni frammenti di decorazione, strappati ad edifici già demoliti. Abbiamo tentato di ricostruire almeno parzialmente questo aspetto ormai scomparso, esaminando lo scarso materiale oggi ancora a nostra disposizioiie; più precisamente, le nostre note trattano dei seguenti argomenti: 1 Lo stesso nome del fiume, Zayandé o - secoi~doalcuni più vecchi testi - Zerendé, implica il simbolico significato di abbondanza e fertilità: ' il fiume vivificante ' o, secondo l'altra versione, ' il fiume d'oro '. È noto I'irnmane quanto vano tentativo di Sfih 'AbbSs di imbrigliarlo per regolarne il corso e la portata nelle varie stagioni.
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L'acqua nell'antico aspetto di Isfohan, ecc.
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1) Le piccole vedute dipinte nelle volte, nei moqarnas e sulle pareti di
costnizioni tardo-safavidi e Qajar di Isfahan. 2) I vetri dipinti di epoca Qajar. 3) Le faiences decorative del secolo scorso. 4) La datazione delle costruzioni e dei dipinti di cui sopra; la k a i c a e i temi delle vedute. 5 ) 11 confronto con le vecchie piante della città e con esempi coevi in altre zone dell'lran. 6) I1 confronto con le costruzioni dei secoli precedenti e le descrizioni dei viaggiatori occidentali. 7) L'aspetto urbano quale si presenta oggi: elementi di soprawivenza. Come abbiamo già precisato, le presenti note sono solo uno spunto; tutto l'argomento andrebbe studiato più a fondo, attraverso una sistematica ricerca. 1) Abbiamo potuto esaminare .con una certa attenzione tre costruzioni tipiche, tutte nel perimetro urbano di Isfahan; a) Casa di abitazione, di costruzione certamente safavide, tuttora abitata, in ottime condizioni generali, a Khorassghan (quartiere periferico); sta per essere raggiunta e travolta da una grande strada larga 24 metri. Si tratta di una pregevole costruzione della metà del xvir, tipica costruzione civile del secolo. La grande sala invernale è coperta a volta, arricchita di stalattiti in stucco. Gran parte della decorazione pittorica può farsi risalire a rifacimenti del XVIII secolo e con molta probabilità è opera di artisti armeni. Oltre a una fitta decorazione geometrica e a motivi floreali e di uccelli che riveste anche le preziose porte interne (fig. l), la grande sala è ornata di tableaux e di medaglioni con figure femminili, incorniciati da motivi floreali a stucco. Nella volta e nei nloqarnas sono per lo più illustrati temi e personaggi classici della letteratura persiana, insieme a piccole vedute e costruzioni anche di tipo occidentale, come chiese e castelli (figg. 2, 3). Nei medaglioni invece, campeggiano grandi figure femminili, vestite all'europea ma con le mani colorate dallo hanna, in segno di gioia; fanno da sfondo a queste figure alcune costruzioni, di tipo molto semplice e lineare, poste lungo un corso di acqua (fig. 4). opportuno ricordare a questo punto, e l'osservazione valga anche in seguito, che decorazioni di questo tipo, cioè con vedute di campagna, di corsi d'acqua e di piccoli padiglioni, sono tipiche di Isfahan e solo raramente si trovano in altre zone. Pitture parietali di questo tipo, raffiguranti costruzioni piii o meno complesse sorgenti lungo corsi d'acqua, si trovano ancora in parecchie case della Parte più antica di Isfahan; esse andrebbero almeno documentate, prima che la città moderna le distrugga definitivamente.
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b) Emamzàdk Ahmed, nel vecchio quartiere dei bazar, ad ~ s della t Masjid-e Sah; il complesso ospita nel Suo ampio cortile un piccolo cimitero (fig. 5) e neli'interno cinque o sei tombe in pietra di notevole interesse2. Le pareti e la cupola centrale della costruzione principale presentano una pesante decorazione a stucchi colorati che fanno da cornice a medaglioni rettangolari ed ovali con piccole vedute, tutte rappresentanti costruzioni sull'acqua (fig. 6). Solo poche tra queste sembrano essere di ispirazione persiana ma non va dimenticato, come è stato già accennato, come in quell'epoca le città più evolute della Persia andassero riempiendosi di costruzioni fatte ad imitazione di quelle occidentali. Anche qui troviamo alcune costruzioni religiose cristiane (fig. 8), sempre in riva a corsi d'acqua; ma la maggior parte si possono considerare tipiche, Interessante è l'immagine di un attendamento di tipo militare, in prossimità di una costruzione a tilZr colonnato (sul tipo di Cehel SotGn, 'Ayina-~hana), o simile; sullo sfondo, tra le rive boscose, sorge un piccolo ponte; sull'acqua incrociano le imbarcazioni (fig. 7) (3). I1 motivo del ponte, di ogni fornia e grandezza, si ripete parecchie volte (figg. 9, 10, Il), mentre altrettanto ripetuto è il motivo del pontile, che si può immaginare in muratura e che collega direttamente la costruzione con il corso d'acqua (figg. 12, 13). Altro tema, più volte ripetuto, quello del padiglione isolato, sotto il quale scorre l'acqua (figg. 14, 15), motivo questo fino ad oggi ampiamente usato, soprattutto nelle moschee (vedasi, per es., ad Isfahan, la scuola teologica della Madre del Re). Nelle figg. 16-24 si possono ritrovare innumerevoli tipi di costruzioni, dalle più disparate forme, accomunate dall'unico tema dell'acqua. Come si vede chiaramente dalle illustrazioni, la maggior parte delle costruzioni ritratte è di tipo persiano (vedasi il motivo degli ivin a stalattiti, dei t i l i r a colonne, degli archi a carena, delle cupole e delle lanterne). Abbia2 La costruzione del complesso, iniziata in pieno periodo safavide, subì trasformazioni e restauri sino a circa sessanta anni or sono ed attualmente vi si sta nuovamente lavorando per opere di ainpliamento purtroppo non controllate. La datazione si basa sui termini estremi del 1115 lunare e del 1290 solare - apposti su lapidi - cioè tra il regno di Sah Sultan Husein e quello di Ze116 Sulyan, figlio di N a ~ ud-Din r Sàh. 3 La rappresentazione dell'attendamento militare posto in riva al fiume prova, con la ricchezza dei suoi particolari, che si tratta di un avvvenimento reale, storicamente accertabile. Si confronti infatti la fig. 7 con le figg. 7a e 7b: queste sono tratte dal IV volume dell'opera Du Kl~orassannupays des Backhtiaris di H . René d'Allemagne (Paris 191 1) e rappresentano entrambe il padiglione detto 'Ayina Khana, oggi distrutto, e di cui si conservano nel Parco di cehel Sotun due basi di pietra del colonnato anteriore. Il padiglione sorgeva, come è noto, sulle rive dello Zayandé Riid, a metà strada tra il ponte Khajii e il piccolo ponte-acquedotto Jiibi (oggi detto Ciibi). In prossimith di quest'ultimo sopravvive la costruzione a torre che si
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mo anche visto come la presenza di particolari specifici come le tende militari ,, alcune costruzioni isolate sembri dimostrare che non si tratta quasi mai di pura fantasia, cioè della sola estrinsecazione di un desiderio di acqua, di verde, di fresco; bensì si tratta spesso di autentiche vedute, anche se parzialmente modificate o idealizzate. La stessa ripetizione dei temi, fino alla copia, che si riscontra in altri dipinti di costruzioni diverse, sembra confermare una reala oggi non più documentabile 4. C) Costruzione di civile abitazione, lungo la Khiyaban 'Abdul Razàq, la nuova strada che conduce alla moschea del Venerdì dalla cahar Bagh. Come tante altre, questa casa è in stato di abbandono dopo le lacerazioni del vecchio tessuto urbano e le mutilazioni subite per ricavare la grande arteria. La casa oggi si trova interrata di oltre due metri rispetto al piano della nuova strada ed è alla mercé di chiunque voglia entrarvi e saccheggiarne le restanti decorazioni. Originariamente constava di parecchi ambienti disposti ai lati di un cortile rettangolare ornato da una fontana, secondo lo schema classico del bayit; era anche provvisto di un piano sotterraneo adibito a dispensa o a soggiorno estivo. Resta ancora in piedi il salone, la cui volta è sfondata, e le cui pareti sono decorate a stucchi colorati e a piccoli medaglioni dipinti (fig. 27). La costruzione può attribuirsi alla prima metà del secolo scorso, mentre le decorazioni a mosaico di specchi, che oggi inquadrano le cornici a stucco, sono sicuramente più recenti. Le piccole vedute che ancora restano in situ, illustrano tutto il tema delle case sull'acqua. È singolare la rassomiglianza di molte di queste vedute con quelle rilevate nell'EmamzadC Ahmed; vi si trovano quindi i motivi del ponte (figg. 28, 29), dei pontili privati (figg. 30, 31), dei padiglioni isolati (figg. 32, 33) e di costruzioni tipicamente persiane (figg. 34, 35). Come 1'Emamzadé già esaminato, anche qui compare una curiosità che
vede nella fig. 7b e che può vedersi ugualmente ritratta nel vetro dipinto della fig. 46. Le fotografie pubblicate dal D'Allemagne furono riprese intorno al 1890; esse dimostrano con assoluta evidenza che il piccolo dipinto dell'Emarnzide Abmed ritrae la stessa zona e lo stesso ~wenimento.Vale la pena di ricordare, a proposito della abitudine di trarre da avvenimenti reali 10 spunto per motivi decorativi, che nella citata casa di Khorassghan è rappresentata - anche se molto ingenuamente - la Piazza Reale di Isfahan mentre vi si libra un pallone aerostatico. Questo fatto, facilmente accertabile nelle cronache cittadine del tempo, pone almeno un termine unte quem non al complesso dei dipinti della stessa abitazione, databili quindi non anteriormente al 1783-85. Si vedano le figg. 25 e 26 rappresentanti il medaglione dipinto sulla parete ovest del1'Em5rn&id6. La piazza ritratta è dominata da una grande costruzione, forse una moschea; vi compaiono alcuni minareti di cui uno particolarmente ornato. Sul davanti della costruzione spicca uno strano monumento, un oggetto che sembrerebbe un grande candelabro in bronzo. Questo medaglione meriterebbe una indagine più accurata per una eventuale identificazione del luogo e dell'oggetto.
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varrebbe la pena di studiare più a fondo: i due minareti isolati, con le ]oggette stranamente sporgenti e sagomate (fig. 36) 5.
2) Tutti i temi illustrati dai dipinti murali di cui abbiamo parlato si ritrovano, con varianti minime, nei piccoli vetri dipinti di epoca Qajar che possono essere reperiti, sempre più raramente, sul mercato antiquario persiano. Questi dipinti provengono tutti da edifici demoliti, sulle cui pareti erano applicati mediante cornici di stucco. Sono del tipo denominato pos't-e s'izé, una tecnica particolare secondo la quale il colore viene steso sulla parte posteriore del vetro e quindi in cui la successione degli strati è invertita. I temi dei poit-e $i$&, se si escludono quelli a carattere religioso e votivo, sono fondamentalmente tre: a) motivi di frutta, fiori ed uccelli; b) volti e figure femminili; C) paesaggi e piccole vedute. Mentre i primi due sono in genere tipici del Nord (Qazvin, Tabriz, ecc.), le vedute provengono tutte da Isfahan, anche se si trovano sui mercati di altre città, ad esempio a Teheran. Oramai, la maggior parte e certamente la più interessante di questi vetri dipinti è nelle mani di privati collezionisti. E presso alcuni di questi abbiamo potuto esaminarne qualche esemplare. Come si vede dalle fotografie, si tratta ancora degli stessi temi, quasi addirittura delle stesse costruzioni e vien fatto di chiedersi se questa iconografia immutabile rappresenti una specie di repertorio fisso dei decoratori o non sia piuttosto la riproduzione - sempre più stilizzata - di edifici realmente esistenti. Con ogni probabilità, l'una e l'altra versione sono vere: nel senso che allorcht la moda delle costruzioni sull'acqua raggiunse l'apice, anche la loro riproduzione finì per assumere il carattere di un tema classico e quindi arricchirsi di toni di fantasia nelle innumerevoli varianti. Mentre alcuni dipinti riproducono fedelmente i soggetti già trovati sui dipinti murali (figg. 37, 38, 39), altri se ne discostano alquanto (figg. 40, 41, 42) o riproducono edifici assolutamente diversi (figg. 43, 44, 45, 46). Fissi restano i temi del pontile, del ponte, degli archi a carena, ecc. 3) Altro elemento di documentazione indiretta è costituito dalle piastrelle di cotto smaltato a leggero rilievo, in genere di grande dimensione (approssimativamente cm. 30 x 50), usate a scopo decorativo e come rivestimento di fontane, lesene, ecc. Queste piastrelle hanno avuto sviluppo durante i Il tempo intercorso tra la stesura di queste note e la loro pubblicazione è stato più che sufficiente per vedere la demolizione di cib che restava della abitazione. Le foto qui pubblicate, insieme alle altre anche a colori scattate nel190ccasione, sono quindi già divenute un documento irripetibile. Cosl dicasi per la torre che appare nella fig. 7b. 5
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primi anni del secolo scorso e centro della loro produzione fu, come al solito, Isfahan. Oggi si trovano ancora sul mercato antiquario, a pezzi singoli, o in maggior numero presso collezionisti e abitazioni private 6. Abbiamo potuto esaminare due interessanti serie, conservate nella tenuta di FarmaniyC, proprietà dello Stato Italiano sulle pendici dell'Elborz, la montagna a nord di Teheran. Una serie non interessa il nostro tema ma rappresenta una curiosa iconografia dei re persiani, dagli Achemenidi ai Qijar. L'altra serie mostra, in trenta pannelli incorniciati di tralci e motivi geometrici, altrettante costruzioni che sembrano essere state riprese sia dal mondo occidentale sia da quello persiano. Escluse due o tre riproduzioni, tra le quali una che rassomiglia notevolmente al Campidoglio di Roma (fig. 47)' tutte le altre rappresentano costruzioni in riva a corsi d'acqua. Qui il riconoscimento è ancora più difficile e il ripetersi di tetti e di guglie (figg. 48, 49, 50) lascia supporre la riproduzione di costruzioni allora note, ma molto probabilmente non di Isfahan, e forse non persiane. Poche sono le costruzioni piu tipicamente orientali (fig. 51) mentre abbondano (figg. 52, 53, 54) gli edifici religiosi cristiani. Unico tema comune, quello dell'acqua. 4) Della data delle costruzioni abbiamo già parlato. Riguardo a quella dei dipinti e tenendo anche conto dello stile e della tecnica esecutiva bisognerebbe concludere che tutti questi dipinti, escluse le piastrelle ceramiche, possono ridursi ad un arco di tempo piuttosto limitato, che va dall'inizio del xvrrr alla prima metà del XIX secolo. Le tecniche usate sono diverse e vanno dal dipinto ad olio su lisciatura di gesso, sino alla tempera su carta, naturalmente con la variante della tempera o dell'olio su vetro. La ceramica smaltata è l'ultima, anche in ordine di tempo, delle tecniche usate per illustrare il motivo delle case sull'acqua: sono in ceramica, infatti, anche alcune piastrelle di ha/t rangl (o ' sette colori ', piastrella decorativa in terracotta smaltata, solitamente nelle misure di cm. 20 x 20) usate nella decorazione del portale d'in@esso alla Moschea grande del Bazar di Teheran: esse portano al centro di una decorazione a racemi, di tipo classico, un tassello di non più di tre centimetri di lato, con la raffigurazione di un padiglione o di una piccola costruzione sull'acqua. Ugualmente in ceramica sono i pannelli che decorano l'esterno di alcune finestre del Golestan (1830-1850)' con lo stesso motivo. Mentre le tecniche sono così varie, lo stile sembra uniforme: uno stile che potrebbe definirsi popolare, molto semplice, povero di mezzi espressivi, ma
Una bella ed importante raccolta di tali piastrelle a rilievo, tipiche degli ultimi anni del secolo scorso, è visibile nella sala dedicata alla ceramica islamica del Victoria and Albert Museum di Londra.
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al tempo stesso di una certa efficacia. Nate per essere viste da una certa distanza, queste vedutine sono realizzate con rapide pennellate, con campiture larghe; se si osservano da vicino, si nota una sorprendente mancanza di dettagli, che da lontano non si avvertiva. La parte architettonica è risolta sempre in maniera approssimativa, senza eccessive preoccupazioni per la verosimiglianza delle strutture o per le leggi della prospettiva. Le figure umane sono quasi sempre presenti e benché disegnate con piccoli tratti, rendono efficacemente l'idea di una folla viva, colorata, partecipe, tra la quale fanno spicco ora le immagini di una coppia di mullih, ora di un fedele orante o di una donna dal volto ancora nascosto dal c'artaf 7. Dei temi si è già parlato: ma giova elencarli ancora una volta, per mostrarne la varietà e al tempo stesso i limiti: al primo posto stanno le costruzioni isolate, a padiglione, a chiosco, dalle forme più diverse: ottagone, quadrate, a forma di piccoli castelli, a capanna: tra queste si notano alcune costruzioni insolite, estremamente aperte, con due soli lati architettonicamente definiti. Vengono poi i pontili, ad uno o più piani in comunicazione tra loro; appaiono costruiti in muratura e tra le loro pile scorre l'acqua del canale o del fiume. Anche i ponti sono di diversa forma e dimensione; persino qualche costruzione civile è concepita come un ponte e il suo arco a carena scavalca il corso d'acqua (fig. 17). Due dei ponti più lunghi tra quelli rappresentati nelle vedute, ricordano la parte basamentale del Pul-e KhZijii: hanno entrambi, infatti, un allargamento poligonale al centro ed uno di essi vi accoglie un bacino o piccola fontana. In particolare, almeno uno dei ponti rappresentati sembra essere la schematizzazione del ponte detto Pul-e Cubi, che ancora esiste ad Isfahan, immediatamente a valle del ponte Alliih Verdi Khan (cf. figg. 45, 46 con fig. 57. Sullo sfondo delle due vedute dipinte spicca, inconfondibile, la sagoma del Kiih Sofeh). Altri ponti terminano con due costruzioni simmetriche a più piani (fig. l l) o presentano al centro un piccolo padiglione isolato (fig. 41). Ma il tema di fondo resta, naturalmente, l'acqua.
La tecnica usata e i temi scelti sono identici a quelli che abbiamo ritrovato in alcuni frammenti di pitture su gesso, poste a decorazione dei camini del Padiglione di HaSt BeheSt. Tali camini furono successivamente demoliti ed i frammenti furono in riempimenti e sottofondi nello stesso monumento. Questi piccoli dipinti, realizzati su superfici curvilinee, con colori a tempera su strato di gesso liscio, rappresentano sempre architetture in prossimità di acqua, anche se inseriti in più complesse decorazioni floreali; non sono databili con precisione assoluta, ma in ogni caso sono da considerarsi tipici del periodo QFijar.
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5 ) Scarsissime sono le documentazioni dello sviluppo della cita nel periodo tra il xvri ed il xix secolo che siano giunte sino a noi. Tra le vedute panoramiche degli inizi del xvii, necessariamente imprecise, approssimative o addirittura fantasiose e i più seri tentativi, fatti nei primi decenni del nostro secolo, di riprodurre ed analizzare il tessuto urbano, mancano elementi intermedi validi per una ricerca sistematica sul tema da noi trattato in queste note. Ricordiamo, tra le prime, le vedute a volo di uccello del Kaempfer
(fig. 55). Tra i viaggiatori occidentali che visitarono Isfahan e che oltre che nelle descrizioni condensarono in disegni e grafici le loro impressioni, particoiarmente importante 6 Pasca1 Coste. Egli ed Eugène Flandin visitarono la Persia nel 1840 e frutto del loro viaggio furono le due ben note opere Monuinents anciens de la Perse e Monuments modernes de la Perse, mesurés, dessinés et décrits, che uscì soltanto nel 1867. In quest'ultimo, pur nel suo scarno testo, troviamo parecchie notizie che riguardano il nostro tema: innanzi tutto, la preponderante presenza del fiume nella vita della città. I1 Coste ne descrive dettagliatamente tutto il corso con particolare riguardo alla zona cittadina. Egli ricorda, per esempio, che all'epoca delle grandi piogge, lo Zayandé Rud è « largo quanto la Senna a Parigi D, che il fiume viene impoverito dalla gran quantità di canali che se ne traggono, che « in un gran numero di strade tanto nella città vera e propria, quanto nel sobborgo di Julfil, scorre - in mezzo alla strada - un ruscello ombreggiato di alberi )); al tempo stesso, però, denuncia la rovina in cui vede già caduta gran parte degli edifici minori: chi giungeva ad Isfahan era dapprima avvinto dall'aspetto esteriore della città (ancora circondata da mura e fornita di ben tredici porte turrite), ma restava poi deluso, avvilito, quando era costretto ad « attraversare sovente quartieri interi in rovina, che non offrono alla vista che strade deserte, fiancheggiate da case semicrollate, masse di terra con tracce di porte e finestre ». Egli può ancora vedere due importanti padiglioni (ricordiamo che siamo nel 1840) di cui oggi non esiste più traccia e cioè il notissimo 'Ayina-Khàna (casa degli specchi) in prossimità del Ponte Khiljii e il meno noto ma più recente SarpuSideh, padiglione di Seif ud-douleh Miri5, figlio di Fath 'Ali Sàh (1797-1834). Riesce ancora a vedere, lungo la Cahar Bagh, una ventina di padiglioni, ma già abbandonati e parzialmente in rovina, così come ormai in rovina era il grande complesso detto di ~arah-Abild e del suo acquedotto in pietra, opera insigne dello &h Sulfan Husein (1697-1722), da considerarsi come un trionfo del binomio architettura-acqua. La pianta di Jsfahan pubblicata dal Coste (fig. 5% sotto l'apparenza di estremo rigore e realismo, non è certo esente da errori ed approssimazioni (si veda, per tutti, la errata posizione della Moschea dello Seikh ~olfollilll rispetto alla Piazza e al Palazzo di 'Ali Qipii); è purtuttavia un valido elemento di raffronto per la nostra tesi: vi si notano infatti il gran numero di
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canali che attraversano la città e i suoi sobborghi; i diversi quartieri gih in rovina; gli innumerevoli padiglioni, piccoli e grandi, di cui ancora nel 1840 restavano sicure tracce. Più agevole riesce lo stabilire un confronto con gli edifici coevi delle altre zone dell'Iran. Dovunque fu possibile, l'acqua venne sfruttata per rendere più gradevoli le abitazioni e i padiglioni di riposo. A Shiraz ancora oggi molte antiche costruzioni ricordano il felice connubio tra l'acqua e la casa: si veda, per esempio, il grazioso e poco studiato padiglione detto Haft Tanha (attribuito a Karim Khàn, periodo Zend o di transizione, 1759-1779) oppure l'attuale parco Saadi (fig. 58), ecc. A Tabriz, che più di un viaggiatore nel passato paragonò alla Isfahan degli anni d'oro, il tema della casa sull'acqua assume la sua forma più grandiosa nel cosidetto Sàh Goli o ' laghetto del Re ' (fig. 59). Le informazioni di fonte locale ne fissano la data di costruzione al 1785 ma in ogni caso essa può contenersi con sufficiente approssimazione entro la prima metà del X I K secolo. un grande padiglione poligonale, dalla pianta piuttosto elaborata e di precisa ispirazione safavide; costruito su di una piattaforma smussata, esso sorge al centro di uii vasto bacino artificiale di forma quadrilatera, della estensione di circa 15.000 metri quadrati. I1 bacino fu ricavato per oltre tre quarti in elevazione rispetto al terreno naturale circostante e fu circondato di grandi alberi, si da dare l'illusione che fosse addirittura sospeso, secondo lo schema tradizionale della fontana persiana, nella quale la superficie dell'acqua è appena di qualche centimetro al di sotto del bordo di pietra. A Teherail stessa, padiglioni e specchi d'acqua furono sempre magistralinente composti: si guardi il Chiosco nel Castello dei Qiijiir nel disegno di Flandin, si guardi lo stesso Golestàn nella sua forma iniziale, ecc. Si può concludere che nel periodo tra il xviii e il xix secolo i costruttori persiani dilatarono le proporzioni dei bacini d'acqua tradizionali fino a farli divenire veri e propri laghetti o sfruttando abilmente gli allargamenti e le aiise dei corsi d'acqua, mentre per contrasto rimpicciolivano le misure dei padiglioni; caratterizzati, questi, dapprima dai motivi di colonne lignee esilissime e da archi; successivamente da tetti e da coperture meno tradizionali. 6) Che il tema che stiamo trattando avesse origini più loiitaiie, è sufficientemente chiaro. Già nel pieno periodo safavide e cioè tra il 1576 e il 1694, le
costruzioni offrivano uii chiaro esempio di questa tendenza tutta orientale a circondarsi di fontane, di canali, di zampilli, di cascatelle. Vediamo che cosa si ricava dalle cognizioni storiche ormai acquisite, dai monumenti rimasti, dalle descrizioni dei viaggiatori occideiitali dell'epoca. Come si è già detto, nella provincia di Isfahan, come nella stessa città, il fiiume Zayandé offriva acqua in grande abbondanza, per ogni uso. Adam 01shager, che fu ad Isfahan
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