Papiri filosofici. Miscellanea di studi. Vol. 4 882225175X, 9788822251756

Il volume raccoglie una serie di lavori che vertono da un lato su commentari filosofici e medici (di autori che, nell’am

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Italian Pages 152 [159] Year 2003

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Papiri filosofici. Miscellanea di studi. Vol. 4
 882225175X, 9788822251756

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ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA»

UNION ACADÉMIQUE INTERNATIONALE UNIONE ACCADEMICA NAZIONALE

STUDI E TESTI PER IL CORPUS DEI PAPIRI FILOSOFICI GRECI E LATINI (STCPF)

Comitato scientifico e redazionale FRANCESCO ADORNO (presidente) GUIDO BASTIANINI ANTONIO CARLINI FERNANDA DECLEVA CAIZZI

MARIA SERENA FUNGHI (segretaria) DANIELA MANETTI MANFREDO MANFREDI FRANCO MONTANARI DAVID SEDLEY

STUDI E TESTI PER IL CORPUS DEI PAPIRI FILOSOFICI GRECI E LATINI 11

ΡΑΡ

RI FILOSOFICI Miscellanea di Studi

IV

FIRENZE

LEO 5. OLSCHKI EDITORE MMI

Volume pubblicato con il contributo del Ministero per l'Istruzione, l’Università e la Ricerca per il Programma di ricerca di interesse nazionale «Corpus dei papiri filosofici greci e latini. Testi e lessico». Il Programma è cofinanziato dal M.LU.R. e dagli Atenei di Milano, Firenze e Pisa; il finanziamento è amministrato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, dal Dipartimento di Scienze dell’ Antichità «G. Pasquali» dell’Università degli Studi di Firenze e dal Dipartimento di Filologia Classica dell’Università degli Studi di Pisa. Il patrocinio e l’onere dell'impresa sono stati assunti dall’ Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria» di Firenze in collaborazione con l’Union Académique Internationale e l'Unione Accademica Nazionale. ISBN 88 222 5175 X

I testi accolti in questa collana vengono sottoposti alla lettura preventiva del Comitato

scientifico e redazionale del ‘Corpus’; la loro

pubblicazione non comporta peraltro che ne vengano condivisi integralmente i contenuti.

Per le immagini riprodotte in questo volume si ringraziano: Ashmolean Museum, Papyrology Rooms, Oxford; Biblioteca Medicea Laurenziana,

Firenze; Egypt Exploration Society, London; Metro-

politan Museum of Art, New York; Papyrology Collection, Harlan Graduate Library, University of Michigan, Ann Arbor; Rheinisches Landesmuseum, Trier; Staatliche Museen zu Berlin, Preufischer Kul-

turbesitz - Agyptisches Museum und Papyrussammlung, Berlin, in particolare nella persona del dr. Ginter Poethke. Si ringraziano inoltre G. Messeri Savorelli e R. Pintaudi per la collaborazione e la consulenza in occasione delle plurime riletture di PSI 1400.

COMMENTARI

ISABELLA

ANDORLINI

L’ESEGESI DEL LIBRO TECNICO: PAPIRI DI MEDICINA CON SCOLÎ E COMMENTI"

Questo contributo intende considerare due aspetti che sono apparsi utili a delineare lo sviluppo della produzione letteraria e libraria del ‘commentario’ alle sue origini,' quando la pratica erudita e didattica degli esegeti prese forma scritta negli spazi offerti dal supporto scrittorio tradizionale, il rotolo di papiro prima, il codice di papiro o di pergamena in seguito.?

* Pubblico qui il testo completo e annotato della comunicazione presentata al colloquio «Le Commentaire entre tradition et innovation, Paris et Villejuif, 22-25 septembre 1999», organizzato dall’Institut des traditions textuelles del CNRS. Una versione ridotta per esigenze editoriali è apparsa negli Atti: I. ANDORLINI, Codici papiracei di medicina con scoli e commento, in Le Commentaire

entre Tradition et Innovation. Ac-

tes du Colloque International de l’Institut des Traditions Textuelles (Paris et Villejuif 22-25 septembre 1999), Paris, Vrin 2000, 37-44 (tavv. 1-7). Nello stesso volume, utili in particolare i contributi di T. DORANDI, Le commentaire dans la tradition papyrologique: quelques cas controversés, 15-27 (con revisione critica rispetto a M. DEL FABBRO, 1] commentario nella tradizione papiracea, Studia Papyrologica 18 [1979], 69-132) e di H MAEHLER, L’évolution matérielle de l’hypomnèma jusqu’a la basse Epoque, 29-36. 1 AI tema del ‘commentario’ nell’antichità sono stati dedicati numerosi studi recenti: cfr. Commentaries -- Kommentare, G. Most ed., Gòttingen, Vandenhoeck & Ru-

precht 1999 («Aporemata», 4); nella serie «Clavis Commentariorum Antiquitatis et Medii Aevi», 1-2, W. Geerlings - Ch. Schulze Hrsgg., Leiden, Brill 2002, vd. in particolare S.IHM, Clavis Commentariorum der antiken medizinischen Texte (= CCAMA, 1) e Der Kommentar in Antike und Mittelalter, W. Geerlings - Ch. Schulze Hrsgg. (= CCAMA, 2); H. VON STADEN, “A Woman Does Not Become Ambidextrous”: Galen and the Culture of Scientific Commentary, in The Classical Commentary: Histories, Practices, Theory (R.K. Gibson - C. Shuttleworth Kraus edd.), Leiden, Brill 2002, 109-139.

2 Sul dibattito aperto circa la genesi di annotazioni dotte e scholia richiamo qui solo alcuni titoli: W.G. RUTHERFORD, A Chapter in the History of Annotation being Scholia Aristophanica, vol. III, London, Macmillan and Co.

1905; N.G. WILSON, A Chap-

ter in the History of Scholia, CQ 17 (1967), 244-256; ID., Two Notes on Byzantine Scholarship: I. The Vienna Dioscorides and the History of Scholia, GRBS 12 (1971), 557-558; ID., Scoliasti e commentatori, SCO 33 (1983), 83-112; ID., Scholars of Byzantium, London, Duckworth 1983, 33-36; ID., The Relation of Text and Commentary in

-

9...

ISABELLA ANDORLINI

Un primo aspetto riguarda l’osservazione dei criteri organizzativi e delle forme materiali in cui ‘commentari continui’ e ‘annotazioni dotte’ funzionali alla lettura e alla comprensione del testo specialistico vennero materialmente approntate, e fisicamente collocate accanto al testo primario, da antichi editori e fruitori del libro, tal-

volta coincidenti con quei lettori professionisti che commissionavano ad uso privato i libri di studio.? Un secondo aspetto della presente ricerca indaga il rapporto che sussiste tra quanto è sopravvissuto nei margini dei codici di papiro e pergamena e la tradizione letteraria dei corpora di scholia di formazione tardoantica. La possibilità di istituire dei collegamenti, o di non trovarne alcuno, tra il materiale frammentario conservato dai

papiri e la tradizione medievale, emergerà dalla contestualizzazione dei dati che risultano dallo studio dei supporti materiali nel campo della letteratura medica antica, un complesso di generi compositivi

Greek Books, in Atti del Convegno internazionale Il libro e il testo (Urbino, 20-23 settembre 1982) (C. Questa - R. Raffaelli edd.), Urbino, Università degli Studi 1984, 105110 («Pubblicazioni dell’Università di Urbino», 15); G. ARRIGHETTI, Hypomnemata e scholia: alcuni problemi, MPhL 2 (1977), 49-67; K. MCNAMEE, Missing Links in the Development of Scholia, GRBS 36 (1995), 405 (e nota 5); EAD., An Innovation in Anno-

tated Codices on Papyrus, in Akten des 21. Internationalen Papyrologenkongresses, Berlin, 13.-19.8.1995, APF Beih. 3, Stuttgart-Leipzig, Teubner 1997, II, 669-678; EAD.,

Another Chapter in the History of scholia, CQ 48 (1998), 269-288; nel volume La Philologie grecque ἃ l’époque hellénistique et romaine, EntrHardt 40 (1994), si vedano i contributi di J. IRIGOIN, Les éditions de textes, 39-82 e di H. MAEHLER, Die Scholien

der Papyri in ibrem Verhaltnis zu den Scholiencorpora der Handschriften, 95-127. Per ulteriore bibliografia cfr. J. LUNDON, Σχόλια; una questione non marginale, in Discentibus obvius. Omaggio degli allievi a Domenico Magnino, Como, Edizioni New Press 1997, 73-86 (partic. note 1 e 7). Si aggiunga G. MESSER! SAVORELLI - R. PINTAUDI, 7 lettori dei papiri: dal commento autonomo agli scolii, in Talking to the text: marginalia from papyri to print (Proceedings of a Conference held at Erice, 26 september - 3 october 1998) (V. Fera, G. Ferraù, 5. Rizzo edd.), vol. I, Messina (in stampa). 3 Cfr. E.G. TURNER, Scribes and scholars of Oxyrhynchus, in Akten des VIII. internationalen Kongresses fiir Papyrologie, Wien 1955 («MPER NS», 5), Wien, Rohrer Verlag 1956, 141-146 (tavv. 1-3). Alcune esemplificazioni interessanti di questo metodo di lavoro sono documentate dai frammenti greci di papiri e pergamene di contenuto medico restituiti dalle sabbie d’Egitto, sparsi frustoli superstiti di pregevoli esemplari di biblioteca, ma anche di copie di lavoro che maestri e scolari, professionisti della disciplina e uomini di buona cultura, avevano tenuto fra le loro mani nei primi secoli della nostra era. Per un catalogo di riferimento dei papiri medici finora pubblicati (aggiornato on-line da Marie-Hélène Marganne all’indirizzo http://www.ulg.ac.be/facphl/services/cedopal/MP3), vd. M.-H. MARGANNE

- P. MERTENS, Medici et Medica. 2° édition,

in ‘Specimina’ per il Corpus dei Papiri Greci di Medicina. Atti dell’incontro di Studio (Firenze, 28-29 marzo 1996) (a c. di I. Andorlini), Firenze, Istituto Papirologico “G. Vitelli”, 3-71, di seguito citato come M-P*.



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PAPIRI DI MEDICINA

CON

SCOLÎ E COMMENTI

sul quale a lungo esercitarono la loro erudizione lessicografi, commentatori e professori di scuola. Due ragioni, in particolare, rendono questo campo d’indagine un osservatorio privilegiato: da un lato la complessa varietà degli esemplari di ‘libro tecnico’ restituiti dai papiri di argomento medico che ci sono pervenuti dall’Egitto greco, romano e bizantino, un cospicuo numero di frammenti di rotolo o di codice che con la stessa imparziale casualità ci hanno restituito copie di biblioteca accanto a scritture momentanee di testi d’uso pratico, legati ai bisogni del momento, dall’altro la possibilità di osservare dei prodotti librari che conservano materiali realizzati in momenti più o meno vicini, talvolta addirittura contemporanei, alla fase della loro composizione, e la cui dinamica d’uso è conseguenza delle necessità immediate legate alla trasmissione di un testo, al suo studio, e alla esigenza di capirne il contenuto predisponendo un corredo di commenti, aggiunte e note esplicative marginali. Chiunque abbia avuto occasione di consultare un trattato di medicina antico, tanto spesso concepito fin dall’origine con metodi di composizione a noi ancora familiari, com’era lo schema concettuale del catalogo di materiali (si pensi, per le opere del corpus hippocraticum, ai segmenti di Aforismi e ai casi clinici delle Epidemie),6 può facilmente verificare come qualsiasi antico fruitore di questo genere di letteratura sia stato in grado di costruire, attraverso riformulazioni, omissioni,

abbreviazioni,

aggiunte, correzioni e spiegazioni,

dedotte dalla consultazione di altri esemplari, una propria copia-

4 Il tema dell’uso dotto del libro antico, da parte dei filologi o di individui colti appartenenti alle cerchie scolastiche e accademiche, acquisisce una sua autonomia nella tarda antichità, in una fase storico culturale in cui la circolazione del libro riceve un in-

dubbio arricchimento dall’apporto dei campi disciplinari tecnico-scientifici, come la medicina, il diritto, o le pseudo-scienze fisiche e naturali, i cui confini oscillano tra il ca-

rattere propriamente letterario e quello manualistico-pratico: su questo tipo di dibattito cfr. A. GARZYA, Testi letterari d’uso strumentale, e G. CAVALLO, Il libro come oggetto d’uso nel mondo bizantino, in JOByz 31.1 (1981), 263-287, e 31.2 (1981), 395-423. 5 A proposito della terminologia impiegata dagli autori antichi per questo tipo di testi occasionali e provvisori è utile la rassegna di T. DORANDI, Le Stylet et la Tablette. Dans le secret des auteurs antiques, Paris, Les Belles Lettres 2000, Ch. 2 («L’Ane d’or»). 6 Le interrelazioni tra assetto materiale e testuale nel trattato di medicina, e nel ca-

talogo dei casi di Epidemie in particolare, sono state acutamente illustrate da A.E. HANSON, Fragmentation and the Greek Medical Writers, in Collecting Fragments / Fragmente Sammeln (G.W. Most ed.), Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1997, 289-314 («Aporemata», 1), e A.E. HANSON - T. GAGOS, Well Articulated Spaces: Hippocrates, Epidemics IJ 6.7-22, in ‘Specimina’ per il Corpus dei Papiri Greci di Medicina, cit. (a

n. 3), 117-140.



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ISABELLA ANDORLINI

edizione dell’opera primaria, un nuovo testo che, modificato da interventi anche minimi, assumeva le caratteristiche di una nuova re-

censio, pronta per circolare con pari dignità accanto al cosiddetto ‘originale’. Nel campo delle opere scientifiche la riflessione critica e l’intervento erudito accompagnarono fin dagli inizi le modalità di edizione e di esegesi dei testi tecnici che erano entrati a far parte dei curricula d’insegnamento ad Alessandria. Anche i medici, come i poeti, non si sottrassero alle tentazioni della filologia e intervennero sul contenuto e sulle parole dei loro predecessori combinando l’interesse scientifico con quello linguistico e filologico.” Gli scritti di Galeno, in particolare,* commentatore per eccellenza delle opere

7 Utile la sintesi di D. MANETTI, Commento ed enciclopedia, in I Greci. Storia Cultura, Arte Società, 2***, Torino, Einaudi 1998, 1199-1220. Il primo sistematico inter-

vento esegetico sul testo ippocratico in ambiente alessandrino si deve ad Erofilo (ca. 250 a.C.), ma dei suoi commenti niente è rimasto (cfr. H. VON STADEN, Herophilus. The Art of Medicine in Early Alexandria, Cambridge, Cambridge University Press 1989,

427 sgg.). Il lavoro lessicografico iniziato con Bacchio di Tanagra (III a.C. ex.) è in varia forma confluito nei glossari che si sono conservati fino a noi, quello di Erotiano,

di età neroniana, e la Linguarum seu dictionum exoletarum Hippocratis explicatio di Galeno (XIX 62-157 Kiihn), vd. Erotiani vocum Hippocraticarum Collectio, rec. E. NACHMANSON, Goteborg, Eranos’ Fòrlag 1918 e H. VON STADEN, Lexicography in the Third Century B.C.: Bacchius of Tanagra, Erotian, and Hippocrates, in Tratados hippocràticos (Estudios acerca de su contenido, forma e influencia). Actas de VIIe colloque international hippocratique (Madrid, 24-29 sept. 1990), Madrid, Universidad Nacional de Educacién a distancia 1992, 549-569. Alla glossografia ippocratica antecedente ad Erotiano, sebbene da considerare criticamente (VON STADEN, ivi, 553 n. 12), ὃ dedicato

il saggio di M. WELLMANN, Hippokratesglossare, Berlin, Springer 1931 («Quellen und Studien zur Geschichte der Naturwissenschaften und der Medizin», 2). 8 Su Galeno commentatore è fondamentale l’ampio saggio di D. MANETTI - A. RoSELLI, Galeno commentatore di Ippocrate, in ANRW II 37.2, Berlin-New York, de Gruyter 1994, 1557-1565 (anche D. MANETTI, J] proemio di Erotiano e l'oscurità in-

tenzionale di Ippocrate, in I testi medici greci: tradizione e ecdotica. Atti del III Convegno Internazionale [Napoli 15-18 ottobre 1997], a cura di A. Garzya - J. Jouanna, Napoli, D’Auria 1999, 363-377). La necessità di spiegare e di annotare i libri canonici di medicina fu una pratica di lavoro esercitata a diversi livelli, sia dai maestri di scuola e dai σοφισταί, gli esegeti di professione, sia dai colleghi e dai lettori colti impegnati in dotte conversazioni sul tema, le occasioni dalle quali scaturivano, secondo Galeno, gran parte dei suoi commenti scritti (διὰ τοῦτό με καὶ διὰ γραμμάτων ἠξιώσατε, rapaσχεῖν ὑμῖν, ἅπερ ἐν ταῖς διὰ λόγων συνουσίαις ἠκούσατε. Gal. In Hipp. Prog. comm.

III, CMG V

9.2, p. 328, 16-17 Heeg). Più volte Galeno si rivolge direttamente al pub-

blico ristretto degli ἑταῖροι, gli addetti ai lavori che hanno sollecitato la redazione scritta delle lezioni orali svolte sul testo ippocratico (δύο πραγματείας ἔχετε, πρὸς ὑμᾶς γὰρ λέγω τοῦτο τοὺς ἑταίρους, ὅσοι κατηναγκάσατέ με μὴ προῃρημένον ἐξηγήσεις γράψαι

τῶν Ἱπποκράτους συγγραμμάτων, ibid., p. 328, 4-6 Heeg).

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PAPIRI DI MEDICINA

CON

SCOLÎ E COMMENTI

del corpus hippocraticum,? rappresentano una miniera di notizie preziose sulle modalità concrete di svolgimento del suo mestiere di scrittore e di editore, e accompagneranno passo per passo il nostro percorso di immagini e di esempi.!° Alcune questioni iniziali che conviene porre ed affrontare, sulla base sia delle testimonianze letterarie sia degli esemplari di libro direttamente conservatisi, sono le seguenti: quali potevano essere le modalità

materiali

di scrittura,

riscrittura

e annotazione

dei testi

consultati da intellettuali e professionisti, un uso del libro di cui

tanta testimonianza letteraria è rimasta nel lavoro di autore e di editore approntato da Galeno? Come venivano materialmente organizzati e fisicamente utilizzati, a questo scopo, i supporti scrittori? Come ci sembra suggerire un famoso rilievo di Neumagen (TAV. I), rinvenuto nei pressi di Treviri sulla Mosella e risalente alla fine del II sec. d.C., più o meno a quegli stessi anni in cui Galeno componeva

a Roma

i suoi commentari,

la ‘lettura commentata’

delle

opere di studio avveniva di preferenza a scuola, durante la πρᾶξις guidata da un professore che qui ci appare circondato da tre scolari equipaggiati di materiali scrittori diversi, rotoli di papiro aperti in posizione di lettura-studio e tavolette lignee.!! Il giovane sulla si-

? In una disamina critica del lavoro esegetico svolto dai predecessori sul testo ippocratico, Galeno afferma di aver redatto scritti esegetici anche allo scopo di correggere gli errori dei giovani e degli esegeti poco affidabili (tà πλείω τῶν ὑπὸ τῶν veoτέρων ἰατρῶν ἐν ὑπομνήμασι γεγραμμένων ἀπολλύντα μὲν ἡμῶν τὸν χρόνον, ἰατρικὸν δ' οὐδὲν διδάσκοντα" δι' odg κἀγὼ τὰς μὲν ἰατρικὰς πραγματείας ἰδίᾳ καθ᾽ ἑαυτὰς ἐποιησάμην, τὰς δὲ πρὸς τοὺς σοφιστάς, ἐπειδὴ καὶ τούτων ὁρῶ δεομένους τοὺς νέους,

In Hipp. Epid. III comm. Il 4, CMG V 10 2.1, p. 78, 7-11 Wenkebach). 1° Anche se molto si è perduto della vasta produzione medica letteraria greca e latina che circolò nell’area mediterranea per circa un millennio, ja tradizione manoscritta medievale ha conservato in greco, più o meno completi, i due grossi corpora costituiti dai quasi 60 trattati del corpus ippocratico e dall'enorme lascito del corpus galenico, di cui sopravvivono stralci di tradizione in lingua latina, siriaca e araba. Quello che ci è pervenuto, inoltre, del complesso lavorio di commentatori e lessicografi, compilatori e traduttori, ci permette di capire due cose: (a) come queste opere vennero lette dall’età ellenistica in poi e (b) come la medicina ellenistica, romana e tardoantica abbia ricontestualizzato una complessa eredità di teoria e di pratica terapeutica, contribuendo così alla sua conservazione. Su questo tema ha svolto utili riflessioni di sintesi HANSON, Fragmentation,

cit. (a n. 6), 289 sgg.

1! In generale, oltre a E.G. TURNER, Papiri greci, ed. it. a cura di M. MANFREDI, Firenze, La Nuova Italia 1984 (rist. 2002), Indice, s.v. ‘materiali scrittori’, cfr. Les tablettes ἃ écrire de l’Antiquité ἃ l’Époque Moderne (E. Lalou éd.), Turnhout, Brepols 1992 («Bibliologia», 12). Sulla ben nota scena di scuola conservata dal rilievo di Neumagen cfr. Das Schulrelief von Neumagen, in Funde und Ausgrabungen im Bezirk Trier.



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ISABELLA

ANDORLINI

nistra, colto nell’atto di tenere aperto un volumen papiraceo sostenuto da un supporto, è intento a leggere, confrontare e recepire le osservazioni del maestro durante una lezione orale (ἀπὸ φωνῆς).12 Il

bassorilievo di Neumagen ci pare mettere in scena le parole di Galeno quando racconta che le sue composizioni esegetiche erano il risultato delle conversazioni dotte tenute tra colleghi e discepoli (ἐταῖροι) e rivolte ad un pubblico ristretto (ἢ φίλους ἢ ἑταίρους, cfr.

In Hipp. Epid. III comm. Il 1, CMG V 10.1, p. 60 Wenkebach) sotto la guida di un maestro che si faceva tramite della parola scritta. Nella ben nota prefazione al De libris propriis ancora Galeno spiega come dal contesto della lezione orale si passasse alla scrittura di appunti e, di qui, alla pubblicazione di promemoria che sarebbero diventati gli hypomnemata delle lezioni ascoltate.!? Una seconda questione da porre è la seguente: attraverso quali strumenti di consultazione e di approfondimento contenutistico o lessicale si svolgeva il lavoro degli esegeti? Com’é noto, e come più volte è stato scritto, un fenomeno cruciale nella storia della forma-

zione di aggiunte e estratti destinati a prendere forma scritta come marginalia è proprio il riconoscimento dell’uso meditato di materiali diversi da parte dell’antico fruitore e proprietario del libro,

Aus der Arbeit des Rheinischen Landesmuseums

Trier, Heft 24, Trier, Selbstverlag des

Rh. Landesmuseums 1992, 39-51 (con la bibliografia ivi riportata). L’interpretazione come ‘leggio’ del supporto con estremità incurvata, scolpito nel bassorilievo sul retro del rotolo in fase di svolgimento, si deve a W. BINSFELD, Lesepulte auf Neumagener Relief, BJ 173 (1973),-201-206 (di qui anche E. PUGLIA, La cura del libro nel mondo antico, Napoli, Liguori 1997, 73-74 e tav. 16 [«Arctos», 3]). 12 Una delle modalità didattiche della fruizione dei classici, la lettura-commentata

che si svolgeva nelle aule di scuola, nella prima età bizantina prese forma compiuta nella πρᾶξις, la lezione accompagnata dalla fissazione scritta di note e appunti presi dagli scolari, ex voce, gli σχόλια ἀπὸ φωνῆς tramandati

col nome

del professore-autore nel

processo di circolazione dei saperi disciplinari nei circoli specialistici: in πράξεις era organizzato il commento ad Aforismi di Stefano di Atene, gli Σχόλια σὺν θεῷ τῶν ᾿Αφορισμῶν Ἱπποκράτους, ἐξήγησις Στεφάνου ᾿Αθηναίου τοῦ φιλοσόφου (cfr. CMG XI 1.3.1, p. 29, 1 Westerink); M. RICHARD, ‘Azo φωνῆς, Byzantion 20 (1950), 194-199; J.

Dury, Byzantine Medicine in the Sixth and Seventh Century. Aspects of Teaching and Practice, DOP 38 (1984), 21-27. Analoghe esigenze teoriche e le stesse modalità didattiche sono alla base del lavoro di commentatori dei professori-filosofi di scuola alessandrina e alimentarono la tradizione dei commentari filosofici alle opere di Aristotele e di Platone, su cui vedi, per esempio, L.G. WESTERINK, Anonymous Prolegomena to Platonic Philosophy, Amsterdam, North-Holland Publishing Company 1962, spec. X sgg.; Simplicius. Commentaire sur les Catégories, sous la direction de I. HADOT, Leiden-New York-Kabenhavn-KélIn, Brill 1990 («Philosophia Antiqua», 50.1); C. LUNA, Trois études

sur la tradition des commentaires anciens ἃ la Métaphysique d’Aristote, Leiden-BostonKéln, Brill 2001 («Philosophia Antiqua», 88). 13 Cfr. V. NUTTON, Galen and medical autobiography, PCPhS, n.s. 18 (1972), 50-62.

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PAPIRI DI MEDICINA

CON

SCOLÎ E COMMENTI

reoccupato di collazionare e di selezionare rispetto a una o più fonti antiche.!*

In alcune testimonianze desunte dagli scritti di Galeno, e riportate a commento della significativa riproduzione in bassorilievo di un medico al lavoro di fronte allo scaffale dei suoi libri (si tratta di rotoli di papiro) (TAV. II), l’autore fa riferimento alla prassi di consultazione, presso le biblioteche di Alessandria, di diversi esemplari

di libri (ἀντίγραφα), che sono postillati da varianti e da glosse esplicative (παραγεγραμμένα), materialmente aggiunte negli spazi marginali dei rotoli (ἐν τοῖς μετώποις γεγραμμένα), come era accaduto

per le famose edizioni critiche di Ippocrate allestite in età adrianea da Artemidoro Capitone e da Dioscoride. 15 D'altra parte, in un ambiente certo più provinciale com'era la città di Ossirinco nella chora egiziana, non ci sorprenderà di constatare che l’abitudine di mettere a confronto redazioni diverse di un originale, e di consultare più fonti di sapere, fosse un metodo di lavoro scientifico che il medico applicava quotidianamente nella pratica professionale:!° in una

14 Si fa risalire al V secolo d.C. l’inizio del fenomeno della compilazione di fonti nella forma del contributo marginale che trova posto nella pagina del codice (talora introdotto da formule come aliter / ἄλλως), come mostrano alcuni codici papiracei e pergamenacei di provenienza egiziana già allestiti secondo questo modello nel V, e per tutto il VI secolo d.C.: MCNAMEE, Missing Links, cit. (a n. 2), 410-411. Per la produzione tardoantica fuori d’Egitto: WILSON, Chapter, cit. (a n. 2), 249 sgg. Un esempio famoso è il codice del Dioscoride di Vienna, probabilmente copiato a Costantinopoli all’inizio del VI secolo, nel quale gli spazi disponibili furono occupati da estratti di Galeno e di Crateua: WILSON,

Two Notes, cit. (a n. 2), 557 sg.; G. CAVALLO, I libri di

medicina: gli usi di un sapere, in Maladie et Société è Byzance (E. Patlagen ed.), Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo

1993, 43-56 («Collectanea», 3).

15 Sulla filologia del testo ippocratico è ancora fondamentale J. ILBERG, pokratesausgaben des Artemidoros Kapiton und Dioskurides, RhM 45 (1890), Si può ricordare in proposito anche il noto aneddoto alessandrino relativo del terzo libro delle Epidemie di Ippocrate che un tale Mnemone avrebbe dalla biblioteca di Alessandria e poi restituito arricchita dall’aggiunta a margine

Die Hip111-137. alla copia prelevato (ἀποδοῦ-

ναι παρεγγράψαντα ἐν αὐτῷ καὶ μέλανι καὶ γράμμασι παραπλησίοις) di ‘segni’ indica-

tivi delle storie cliniche [i χαρακτῆρες]: questi segni risultarono apposti con inchiostro scuro e lettere grandi, ad imitazione dei caratteri originali. Il libro così postillato viene definito τὸ rapayeypappévov βιβλίον nella notizia riportata da Galeno, In Hipp. Epid. III comm. Il 4, CMG V 10.2.1, p. 78 sgg. Wenkebach): W.D. SMITH, The Hippocratic Tradition, Ithaca (N.Y.), Cornell University Press 1979, 199-201; VON STADEN, Heropbilus,

cit. (a n. 7), 501-503.

16 Numerosi studi sono stati rivolti alla metodologia e alla terminologia critica sofisticata utilizzata da Galeno nell’esercizio del suo impegno di autore di trattazioni mediche di vario genere: opere di carattere monografico (συγγράμματα), ma anche commenti ippocratici — gli ὑπομνήματα in uno o più libri — e contributi lessicografici, un

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ISABELLA ANDORLINI

lettera su papiro del 58 d.C. (PMert I 12) un medico parla al collega riferendosi a due ‘versioni scritte’ di medicamenti (τ. 13 Ἐάντιγράφια!7), e sollecita allo stesso tempo l’invio di un’ulteriore ‘redazione scritta’ (τ. 23 γραφεῖον) contenente la ricetta dell’impiastro

desiderato. Anche il nostro medico di provincia ci pare impegnato nel tenere in mano più versioni di uno stesso testo da collazionare, così come il più famoso e dotto collega Galeno usava fare con i rotoli faticosamente reperiti in biblioteche pubbliche e private: in un passo del commento ad Epidemie egli ricorda (In Hipp. Epid. VI comm. IV 22, CMG V 10 2.2, p. 233 Wenkebach), infatti, di aver verificato una variante (λέξις) — collocata nel margine (ἐν τῷ μετώπῳ)

nell’edizione (ἔκδοσις) di Dioscoride — in tutte le copie che aveva potuto consultare

(οὐ μὴν ἡμεῖς ye ἐν δυοῖν, ἀλλ' ἐν πᾶσιν οἷς ἀ-

νέγνωμεν οὕτως ἔχουσαν εὕρομεν τὴν λέξιν), sia presso le bibliote-

che pubbliche sia presso quelle di amici (ἐξεπίτηδες ἅπαντα μὲν ἰδόντες τὰ κατὰ τὰς δημοσίας βιβλιοθήκας, ἅπαντα δὲ τὰ παρὰ τοῖς φίλοις).

Questa scelta di testimonianze tràdite dalle fonti letterarie, ed esemplificate dal dato iconografico, ci pare suggerire una considerazione importante: quando le note esplicative ai testi fecero la loro comparsa opportunamente compresse in corpo minore nei margini

‘ laterali della pagina del codice tardoantico, l’uso dotto delle copie di lavoro doveva essere una modalità già praticata per la predisposizione e la fruizione del libro nella forma libraria del rotolo.!* Un

campo in cui utilizzò da vicino l’edizione e il lessico di Dioscoride con ampio materiale esegetico sistemato in annotazioni marginali. Si trattava di αἱ Ἱπποκράτους λέξεις, cioè di spiegazioni semplici, strumento essenziale per la guida alla comprensione del testo ippocratico, e non di vere e proprie γλῶτται con interesse linguistico: vd. Jn Epid. VI [vers. arab.], CMG

V 10.2.2. 480, 17; 500, 38; 40. La questione fu ben esaminata in

due importanti saggi del secolo scorso: ILBERG, Die Hippokratesausgaben, cit. (a n. 15), 111-137; L.O. BROCKER, Die Methoden Galens in der Literarischen Kritik, RhM 40 (1895), 415-438; da ultimo MANETTI - ROSELLI, Galeno commentatore, cit. (a n. 8),

1617-1633. Uno studio ricco di spunti esemplificativi sul metodo di scrittura di Galeno è H. VON STADEN,

Gattung und Gedichtnis: Galen tiber Wahrheit und Lebrdichtung,

in Gattungen wissenschaftlicher Literatur in der Antike, (W. Kullmann, J. Althoff, M. Asper Hrsgg.), Tiibingen, Narr 1998 («ScriptOralia», 95. Reihe A, Bd. 22), 65-94. Cfr. anche i materiali rielaborati da DORANDI, Le Stylet et la Tablette, cit. (a n. 5), (Ch. 4 “οὐ πρὸς ἔκδοσιν συγγράμματα᾽).

17 Cfr. PMert I 12, 13 nota ad loc. La forma Ἐἀντιγράφιον (se non ἀντιγραφεῖον, cfr. al r. 23 ypagrov/ypadeîov), spiegabile come diminutivo di ἀντίγραφον, non è attestata altrove, né (ἀντι)γραφεῖον ricorre mai nell'accezione di ‘cosa scritta’. 15. Alcuni esemplari conservati dai papiri attestano, tra III a.C. e II d.C., formati di arrangiamento del testo anche sensibilmente diversi: cfr. E.G. TURNER, GMAW? (BICS



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modello d’impaginazione che ci viene proposto dai manufatti conservatici consisteva nell’alternare su allineamenti diversi i lemmi continui del testo ‘esposti’ (in ecthesis) ad un apparato abbastanza consistente di note esplicative ‘rientranti’ (in eisthesis).!?

Un sicuro punto di riferimento di tale metodo editoriale, all’in-

terno della sfera della letteratura tecnica, è rappresentato dalla ni-

tida ed elegante confezione di un commento a carattere tecnicoscientifico, quello ai Theriaca di Nicandro sopravvissuto in un frammento di rotolo papiraceo proveniente da Ossirinco (TAV. III.

POxy XIX 2221 recto. M-P? 1327. Sec. I d.C. Commentario a Ni-

candro, Theriaca, 377-395). Si tratta di un reperto importante per la storia del commentario e dell’ambito di fruizione del ‘libro tecnico”: infatti, poiché il frammento reca scritte sul verso due colonne di ricette mediche, possiamo pensare di avere oggi di fronte quel che resta di un libro utilizzato e riutilizzato in un contesto professionale. A suggerire l’ipotesi di avere in mano i resti di una cosiddetta ‘copia di studio’ è anche la presenza di un elemento ‘marginale’, una parola inserita nell’intercolunnio in scrittura più piccola, formalmente non dissimile dalla mano che ha vergato il testo principale, e in forma abbreviata: esso consiste nel vocabolo μάραθο(ν) (Foeniculum vulgare), un termine botanico chiave per la lettura di

testo-commento. L’isolata postilla potrebbe essere l’indizio di una possibile utilizzazione selettiva del materiale lessicale di commento ad opera di un fruitore colto concentrato sulla definizione del lessico specialistico. Per quel che riguarda poi la predisposizione del manufatto, osserviamo che la compresenza di testo originale di Nicandro e del commento è così articolata per cui l’occhio del lettore è in grado di seguire il testo continuo di Nicandro ‘esposto’ (in ec-

Suppl. 46, London 1986), tav. 75, 58 e 61. Elenchi aggiornati delle testimonianze papiracee di ‘commentari’ conservati su rotolo, nelle diverse tipologie editoriali e nelle diverse epoche (con aggiornamenti rispetto a DEL FABBRO, // commentario nella tradizione papiracea, cit. (a n. *), 72), si trovano in MESSERI SAVORELLI - PINTAUDI, J lettori

dei papiri, cit. (a n. 2), (spec. note 4 e 15-22). 19 Suggestivo, anche se indicativo soprattutto di un metodo editoriale che evidenzia i ‘titoli’ in cima alla colonna del rotolo (come precisa la nota di A. CARLINI, Maia 32, 1980, 235), è il raffronto coi lemmata adscripta di Marziale (Epigr. XIV 2 Quo vis cumque loco potes hunc finire libellum: Versibus explicitumst omne duobus opus. Lemmata si quaeris cur sint adscripta, docebo: Ut, si malueris, lemmata sola legas). Pertinente è la consuetudine materiale del lettore di gestire testi strutturati da ‘titolo’ a ‘titolo’, i κεφάλαια ben riconoscibili nella colonna del rotolo di papiro, una tecnica editoriale alla quale allude ancora Galeno, In Hipp. Epid. III comm. ΠῚ 1, CMG V

10.2,1, p. 110, 2-5 Wenkebach.

ISABELLA ANDORLINI

thesis) nell’intercolunnio e copiato in sequenza prosastica: l’occhio si sposta con facilità da un lemma all’altro, proprio come Galeno immagina che facessero i lettori del suo commentario al Prognostico di Ippocrate i quali, volendo ‘saltare’ alcune digressioni iniziali, sono invitati a riavvolgere il rotolo fino al punto in cui incontreranno il successivo lemma ippocratico (ῥῆσις). L’accorgimento dell’ecthesis permetteva una ‘lettura selettiva” dell’originale, limitata a ciò che emergeva in posizione di evidenza rispetto alla colonna base di scrittura. Quando poi la forma libraria innovativa del codice impose una diversa organizzazione dello spazio disponibile nella nuova unità grafica, la pagina, il ‘commento alternato ai lemmi di richiamo’, e il ‘commentario a se stante’, iniziarono ad essere organizzati fisicamente più o meno come si presentano in questi due modelli di codici papiracei tardoantichi, scelti ancora nell’ambito della letteratura medica: PFlor II 115 (CPF III 4. M-P? 456.22. Sec. III/IV. Ga-

lenus?, In Hipp. Alim. comm.) e PBerol inv. 11739 (CPF III 3. M-P* 456. Sec. VI-VII. Anon. In Gal. De sectis comm.).

L’esemplare riprodotto in alto (TAV. IV) è la bella pagina di un papiro fiorentino (facciata A+), un codice di dimensioni non ricostruibili, contenente un brano di commento, non altrimenti noto, al

De alimento di Ippocrate. La presenza del testo ippocratico di riferimento, segmentato in lemmi brevi che il lettore incontra fisicamente inglobati nel testo, è segnalata dalla compresenza di comuni indicatori di punteggiatura: un dicolon, cioè due punti inseriti alla fine del discorso precedente, uno spazio lasciato bianco nel rigo prima e dopo la citazione, una breve paragraphos a margine che chiude il commento, prima del lemma. La riproduzione successiva nella TAV. IV si riferisce alla parte superiore di una sontuosa pagina di un codice papiraceo di ragguardevoli dimensioni (22 x 40 cm) proveniente da Ermupoli, e redatto in una scrittura maiuscola inclinata degli inizi del VII secolo d.C. Sono conservati i prolegomena di un commentario continuo al De sectis di Galeno:?! secondo l’in-

20 Una attribuzione a Galeno dell’opera è stata proposta e argomentata da D. MA‘NETTI, Corpus dei Papiri Filosofici Greci e Latini (CPF), ΠῚ 4, Firenze, Olschki

1995,

39 sgg. (con bibliografia precedente); inoltre, per l'inquadramento nell’ambito del genere, vd. EAD., P. Berol. 11739A

e i commenti tardoantichi a Galeno, in Tradizione e

ecdotica dei testi medici tardoantichi e bizantini. Atti del Convegno (Anacapri 29-31 ottobre 1990), a c. di A. Garzya, Napoli, D’Auria

Internazionale

1992, 211-235.

21 Cfr. G. CAVALLO - H. MAHLER, Greek Bookhands of the Early Byzantine Period, A.D. 300 -- 800 (BICS Suppl. 47, London

1987), tav. 45a; Ὁ. MANETTI,

CPF III

3, Firenze, Olschki 1995, 19 sgg.; E.G. TURNER, The Typology of the Early Codex, Philadelphia, Univ. of Pennsylvania Press 1977, 14 (Group 1).



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cipit premesso come elegante intestazione su tre righi, centrati nella pagina, l’opera, un commento non altrimenti trasmesso dalla tradizione, aveva il carattere di ἐξήγησις. L'attribuzione ad un σοφιστής

— il cui nome non è ricostruibile con certezza — collocherebbe questo importante prodotto esegetico nell’ambito della scuola degli iatrosofisti alessandrini.

Una fase evolutiva del tutto nuova, e ancora in parte da tracciare nella storia della presentazione materiale del commentario tardoantico, iniziò con la comparsa dei primi codici di papiro e di perga-

mena in cui la mise en page ospitava la compresenza di testo e marginalia rispettivamente sistemati nello specchio scrittorio centrale e negli spazi marginali, più o meno ampi, rimasti liberi dopo la copia del ‘testo primario’. Alcune esemplificazioni interessanti del fenomeno si possono osservare attraverso i codici di medicina resti-

tuiti dai kiman della città di Antinoupolis, nel medio Egitto.” Considerati nel loro complesso, i ben 27 testi medici pubblicati

nei volumi dei PAnt, e che si datano tra il III e il VII secolo della

nostra era, sono da segnalare come l’espressione di una pratica scolastica e accademica istituzionalizzata di livello apprezzabile. Il fatto che ad alcune copie dei testi ippocratici canonici per l’insegnamento della medicina siano state apposte note di lettura, varianti e testi marginali di commento, è indizio di una attività editoriale condotta in forme originali, e programmata in funzione della destinazione del libro tecnico in questo importante centro che fu la capitale politica e culturale della Tebaide egiziana. Né va sottovalutato il fatto che tale vitalità di produzione si espresse proprio nel lasso di tempo —che si è soliti indicare tra il 550 e il 650 — in cui operarono in Alessandria i più importanti iatrosofisti e commentatori di cui la tradizione manoscritta ci ha conservato qualcosa, come Giovanni alessandrino, Palladio, Asclepio, Stefano e Teofilo.”

22 I papiri medici di Antinoupolis sono i diretti testimoni di un’intensa attività di produzione, lettura, e studio di libri di medicina che comprendevano, tra le opere sicuramente conservate dai frammenti papiracei, testi di Ippocrate e di Galeno, ma anche numerose trattazioni cosiddette ‘anonime’, in quanto finora non riconducibili a testi o a commenti di autori noti: in generale M.H. MARGANNE, La ‘collection médicale’ d’Antinoupolis, ZPE 56 (1984), 117-121; I. ANDORLINI, L’apporto dei papiri alla conoscenza della scienza medica antica, ANRW

1993), 458-562; NELLI, Erodoto Papiri Greci di 8 Su questa Epid.

libr.

A.M. IERACI Bro, I medico in PAnt III Medicina, cit. (a n. tradizione si vedano

VI Comm,

CMG

XI

II 37.1 (Berlin-New York, W. de Gruyter

papiri medici bizantini, MAT 17 (1993), 7; F. GON125 e Aezio IX 2, in ‘Specimina’ per il Corpus dei 3), 169-182. almeno J.M. DUFFY, Iohannis Alexandrini In Hipp.

1.4, Berlin, Akademie

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Verlag

1997, Introd. (con bi-

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Se volessimo seguire l’ordine di lettura dei classici della medicina fissato dal syllabos degli iatrosofisti della tarda scuola alessandrina,* cominceremmo con gli Aforismi e col Prognostico di Ippocrate: questa è anche la successione attestata nella pagina superstite di un elegante codice pergamenaceo vergato in ‘maiuscola alessandrina’ e databile al tornante del III-IV secolo (TAV. Va. PAnt I 28.

Μ-Ρ 543. Cod.perg. 11,4x 15 cm. Sec. III? ? TURNER, Typology, cit., 98. Hipp. Prog. 7Aph. I 1-3). Sul lato che precedeva, nell’ordine di copiatura del testo delle due opere ippocratiche,5 leggiamo la fine del Prognostico e possiamo calcolare perdute i in basso poche linee di testo; quello che si ricostruisce è perciò un codice pergamenaceo maneggevole, di piccolo formato e di dimensione quasi quadrata, predisposto secondo i canoni del manoscritto di un certo pregio. Dall'altro lato del frammento ha inizio il trattato Aforismi il cui testo è strutturato nella pagina in forma adatta allo studio da parte dei futuri fruitori, per cui nel margine sono stati aggiunti dei titoletti riepilogativi che potevano servire di aiuto alla lettura: così come furono articolati, essi mostrano un segno esplicito dell’uso programmato del libro fornendo una segnalazione tecnico-libraria della struttura contenutistica e della partizione interna dell’opera ippocratica.26 Nella parte superiore del frammento, in posizione centrale,

bliografia), nonché i contributi di W. Wolska-Conus dedicati all'opera di commentatore di Stefano di Atene apparsi in REByz 47 (1989), 5 sgg.; 50 (1992), 5 sgg. (e nei volumi successivi della medesima rivista). 2 Secondo una tradizione araba risalente ad Ibn Ridwan (XI sec.) la maggior parte dei medici alessandrini si limitava ad un canone talmente ridotto di opere ippocratiche da far dubitare della correttezza della fonte, e cioè: Aforismi, Prognostico, Dieta delle

Malattie Acute, Arie, acque e luoghi. Ben 12 dovevano essere invece le letture canoniche di Ippocrate stando alla fonte araba di Inb abi Usaybi’a, sostanzialmente in accordo con la testimonianza di Stefano (11 trattati) e di Palladio (12): 1 Nat. Puer., 2 Nat. Hom., 3 Aér., 4 Aph., 5 Prog., 6 Acut., 7 Mul., 8 Epid.,

9 Hum.,

10 Vict., 11 Off.,

12 Fract. In generale, cfr. A.Z. ISKANDAR, An Attempted Reconstruction of the Late Alexandrian

Medical Curriculum,

MedHist

20 (1976), 235-258; DUFFY,

CMG

ΧΙ 1,4,

p. 9 sgg. (‘The late Alexandrian medical curriculum’). 25 Quello che si definisce propriamente il ‘lato carne’ nella manifattura della pergamena (è ‘recto’ nell’ed.pr. di C.H. Roberts, 1968). L'ampiezza della pagina ricostruibile misura intorno ai 12x16 cm (11,4x[16,2] ed.pr.), ed è più probabilmente riconducibile ad un codice di 11/12 x 18, cfr. TURNER, Typology, cit. (a n. 21), 29 (Group 12, ‘Not Square’). % Come sottolineano i più tardi commentatori di scuola, il complesso AforismiPrognostico costituiva un tutt'uno nel curriculum formativo del medico, poiché «il medico che fa le migliori prognosi è anche quello che cura meglio» (Steph. In Hipp. Prog. comm.

I, CMG

XI 1.2, p. 28, 24-27 Duffy: τὸ δὲ χρήσιμον διττόν ἐστιν. οὐ μόνον γὰρ

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sopra e sottolineata da trattini di ornamento, si legge l’intestazione Ἱπποκράτους Ἀφορισμοί. Segue il testo dei primi tre aforismi ippo-

cratici. Un esame attento dei titoletti apposti nel margine laterale sinistro dell’elegante impaginato mette in evidenza aspetti di ordine materiale e contenutistico che parlano a favore di una vera e propria ecdosis ippocratica di tradizione autonoma,

allestita secondo

modalità che sembrano presupporre la conoscenza di un parallelo testo di commento. Notiamo che nel codice antinoita la segmentazione di Aforismi — una questione critica che tanto impegnò editori e commentatori antichi — è affidata ad un uso accorto della punteggiatura: il punto in alto sul rigo e segni di paragraphos scandiscono un'articolazione interna rispetto ad ogni aforisma. Siamo in presenza di una distribuzione che non corrisponde né a quella ricostruibile dai lemmi dei commentari di Galeno né a quella dei manoscritti medievali recepita nelle moderne edizioni critiche.” Questa articolazione dell’aforisma in due sezioni più brevi ricompare nei commentari tardi, che procedono blocco dopo blocco e parola per parola (κατὰ λέξιν): nell’illustrare la prima sezione di Aph. I 1, Stefano la definisce ‘primo proemio’ (καὶ μέχρι ἐνταῦθα πᾶσα ἡμῖν ἐσαφηνίσθη ἡ τοῦ πρώτου προοιμίου λέξις, In Hipp. Aph. comm. I 1, CMG XI 1.3.1, p. 40, 20 West.) e, nel passare alla seconda parte,

scandita dalla stessa interpunzione presente nel papiro (e cioè δεῖ δὲ — ἔξωθεν, cfr. Steph., zbid., p. 42, 10-12 e p. 48, 11), precisa che si tratta della spiegazione del ‘secondo proemio’ (αὕτη ἐστὶν ἡ τοῦ δευτέρου προοιμίου cagnvera).

Il passaggio da un aforisma all’altro (TAV. Vb), inoltre, è segnalato dalla presenza di titoletti distribuiti su più righi e compressi

χρησιμεύει τῷ ἀναγινώσκοντι, ἀλλὰ καὶ ἀναγκαῖόν ἐστιν, ἐπειδὴ τὸ παρὸν σύγγραμμα ἐπὶ τὴν ἀρίστην ὁδὸν ἡμᾶς παιδεῦον: ἀπάγει, λέγω δὴ ἐπὶ τὴν θεραπευτικὴν κατὰ τὸ

εἰρημένον “ὁ ἄριστα διαγνοὺς ἄριστα καὶ θεραπεύει), e poiché «si dovrebbero innanzitutto leggere gli Aforismi, in quanto essi coprono tutte le parti della medicina» (ibid., CMG XI 1.2, p. 30, 31-34 δεῖ ἐν τοῖς Ἱπποκρατείοις συγγράμμασι πρότερον tà καθόλου ἀναγινώσκειν τῶν μερικῶν. διὸ δεῖ τοὺς ᾿Αφορισμοὺς ἀναγινώσκειν πρότερον,

ἐπειδὴ πάντων τῶν μερῶν τῆς ἰατρικῆς διαλαμβάνουσιν). In generale, cfr. C. MAGDELAINE, Commentaires grecs et traditions latines anciennes des Aphorismes bippocratiques: bibliographie, in Lettre d’informations Centre Jean Palerne (27. Mai 1997), 2-13; K.-D. FISCHER, , Zu des Hippokrates reich gedeckter Tafel sind alle eingeladen“. Bemerkungen zu den beiden vorsalernitanischen Lateinischen Aphorismenkommentaren, in Der Kommentar, cit. (a n. 1), 275-313. 27 Roberts, nell’editio princeps del papiro, notava questa incongruenza e la riconduceva alla oscillante divisione tra un aforisma e l’altro presente nella tradizione manoscritta (PAnt I, p. 74). Sui papiri medici da Antinoe in generale, vd. anche la recensione di U. FLEISCHER, The Antinoopolis Papyri. Part 3, Gnomon 41 (1969), 641-646.

— 21



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nello stretto margine sinistro della pagina. Se ne conservano solo 2 in successione, scritti in una grafia di dimensioni più piccole e poco formalizzata, forse opera della stessa mano che ha copiato il testo (m! Roberts, ed.pr.). Si tratta di poche parole riepilogative che costituiscono una traccia sommaria del contenuto degli Aforismi copiati a fianco. Va subito sottolineato il rapporto esistente tra il primo titolo, relativo ad Aph. I 2, e una parte della tradizione manoscritta: infatti la formulazione περὶ τῆς αὐτομάτου ταραχῆς τῆς γαστρός («ri-

guardo la evacuazione spontanea dello stomaco», cfr. Hipp., vol. IV Littré, p. 458 app.) compare come intestazione dell’aforisma nel manoscritto C’ (= Paris. Suppl. gr. 446, sec. X) con il quale concorda il testo ippocratico dei commenti di Stefano e di Teofilo (CMG XI 1.3.1, p. 23). Il breve titolo marginale è costruito in modo semplice, ma sembra presupporre la conoscenza di materiali esegetici paralleli: dal testo dell’aforisma è selezionata la parola chiave ταραχή,

cioè «disturbo», riferita ai movimenti che producono l’evacuazione addominale, mentre il vocabolo κοιλία (del testo Hipp.) è glossato con γαστήρ, proprio come fanno taluni commentatori spiegando che qui Ippocrate intende lo «stomaco» nel senso di «ricettacolo del cibo» (così Steph., ibid., p. 50, 10 sgg.), il luogo da dove si originano le evacuazioni dall’ ‘alto e dal basso. L’ aggettivo αὐτόματος, ancora del testo ippocratico, fornisce un’informazione essenziale in quanto precisa che si sta parlando della «purga spontanea» del corpo che avviene secondo cause fisiche e non, come sarà detto in seguito, mediante interventi artificiali. Come aveva teorizzato Galeno nel suo commento ad locum, in questo caso Ippocrate non affronta, come altri commentatori erroneamente avevano ritenuto, la questione della ‘quantità’ dell’evacuazione, ma quella della ‘qualita’. Il titoletto successivo, relativo ad Apb. I 3, è del tutto originale, ma è coerente con una linea interpretativa contenutistica di questa

sezione di Aforismi, quella che affronta il problema di «come liberare il corpo dagli eccessi nel rispetto della costituzione fisica dei soggetti». Secondo una nuova proposta di lettura-integrazione del breve testo (cfr. TAV. Vb), che sembra

superare la difficoltà evi-

denziata dal Roberts ed.pr.),?* si dovrà intendere: 1. 2

Iej]pì τῆς τῶ(ν) γυ]ϊμναστικῶ(ν)

28. ΑἹ r. 3 della nota (PAnt I 28, p. 74 n. 20) l’editore scrive: «In the marginal heading πτΊως may be abbreviated for πτώσιος though there is no precedent for taking the

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3.

Moleas

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K(ai) κενώ-.

4. σε]ῴς Anche questa frase che compendia il contenuto dell’aforisma, centrato sull’esempio dei rischi della «eccessiva buona forma degli atleti» (εὐεξία), che conviene attenuare perché non volga al peggio, è costruito verbatim sul testo ippocratico da cui desume le parole tecniche fondamentali.”” L’interpretazione, che non menziona il termine εὐεξία presente in Ippocrate, appare concentrata sull’endiadi lysis-kenosis: il termine λύσις (solutio), oggetto di nuova lettura, nel lessico ippocratico vale κάθαρσις (cfr. Ἐμέτου λύσις Epid. II 5.19, V 132, 1 Littré = VII, p. 78 Smith; λύσις κοιλίης Coac. 253.1, V

638, 12 Littré) ed esprime il concetto di attenuazione della eccessiva pesantezza dei corpi mentre il vocabolo κένωσις (evacuatio) introduce la nozione di «purga» rispetto ad una situazione di ripienezza. È possibile sintetizzare gli elementi offerti dal riesame della testimonianza di PAnt I 28 intorno ai seguenti punti: (a) l’arrangia-

mento materiale del testo di Aforismi in un codice del III/IV secolo d.C. presuppone una lettura interpretativa del testo ippocratico scandita da segnali impliciti dell’uso programmato del libro, e cioè la struttura costituita da paragrafazione a blocchi di frasi, e da segnali espliciti consistenti in titoli marginali che affiancavano i singoli Aforismi in corrispondenza dei capitoletti in cui l’opera era articolata secondo la tradizione; (b) il fatto che nel testo continuo un segno di rimando (\’), inserito nel rigo durante la copia, richiamasse 1] ti-

tolo apposto a lato, è una prova che questa copia di Aforismi era stata così concepita fin dall’origine, cioè come un'edizione fornita di accorgimenti redazionali di sostegno alla fruizione del libro; (c) paragraphoi e segni di punteggiatura per distinguere sezioni e sottosezioni del discorso individuano i nuclei fondamentali del tessuto espositivo, in funzione della necessità concreta di registrare sul supporto materiale gli indicatori utili alla lettura-studio dell’opera; (d) sulla base di queste considerazioni possiamo forse formulare l’ipo-

word as the equivalent of συμπτώσιος. We should not expect more than two letters to be missing; else πληρ]ωσίιος) (...) or φυσε]ως would be attractive» (Roberts). 25 Cfr. Gal. In Hipp. Aph. comm. 2. XVII 2, p. 358, 8-13 Kiihn: ὁ μὲν δὴ λόγος αὐτῷ νῦν ἐστι περὶ ποιότητος τῶν κενουμένων. ὥσπερ δὲ παρακελεύεται διὰ παντὸς ὅσα καλῶς ὑπὸ τῆς φύσεως γίγνεται ταῦτα μιμεῖσθαι τὸν ἰατρόν, οὕτω καὶ νῦν ἐποίησε τῶν περὶ τῶν αὐτομάτων κενώσεων προτάξας λόγον. Cfr. J.-H. KUHN - U. FLEISCHER, Index Hippocraticus, Géttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1989, s.v. λύσις.

- 23 —

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tesi che un manufatto del genere, contenente un’opera fondamentale nel curriculum didattico della medicina, venisse utilizzato come

libro di studio durante una lezione orale, o magari costituisse l’edizione di riferimento di un vero e proprio commentario scritto, predisposto in un altro libro e tramandato separatamente rispetto all’opera originale. L’esemplare di PAnt I 28, curato nell’aspetto grafico ed agile nel formato librario prescelto,® ci pare rappresentare un primo elemento di quell’ ‘anello di congiunzione mancante’ che si vorrebbe rintracciare tra le annotazioni sporadiche presenti negli intercolunni e nei margini dei rotoli di papiro e la fisica compresenza di testo e note nella stessa pagina del codice, una modalità che si affermerà di lì a poco col libro tardoantico. Se è vero che sarebbe improprio vedere nei marginalia presenti nei papiri l’origine del sistema scoliastico medievale,*! tuttavia un esemplare come PAnt III 183 (TAV. VI. M-P? 543.3. Sec. VI d.C. scholia ad Hipp. Aph. III 20; 24; 27; 29; 31 e IV 1,5), dove il lavorio marginale denuncia I’ utilizzazione di materiale composito, suggerisce che questa organizzazione di testo e commento doveva trovarsi in qualche modo già formata per il libro tecnico-scientifico e per il libro tecnico-pratico (vedi oltre, τὰν. VII). Il reperto che ci interessa considerare consiste in modestissimi frammenti di una pagina di codice di cui nonè ricostruibile alcuna dimensione, tranne quella di uno spazio marginale inferiore di ben 6 cm di altezza, e laterale destro di cm 4,5. Gli sparsi frammenti hanno la fortuna di

restituire frustoli marginali di un codice in maiuscola informale inclinata, del VI secolo d.C. Poiché il codice di Aforismi risulta essere stato fittamente annotato in una grafia corsiva di piccole dimensioni, con ricorso frequente ad abbreviazioni, le caratteristiche opposte delle due scritture presenti nella medesima pagina sembrano realizzare una migliore proporzione nel rapporto di compresenza tra le due tipologie di testo. Esaminiamo due passi di un certo interesse conservati dai ffr. 2

30 Il piccolo e maneggevole formato del codice, non inusuale nella produzione libraria di Antinoupolis (analogo, se non identico, è il codice quadrato di Tucidide, PAnt I 25, TURNER, Typology, cit. (a n. 21), 277 e p. 29; PAnt II 84: Isocr. Paneg., TURNER,

ivi, 216), fu assai popolare nel sec. III d.C.: essendo destinato ad accogliere il massimo di testo nel minor spazio possibile, si adattava bene anche ad un uso privato, quasi un ‘tascabile’. 31 Così Maehler in L’évolution matérielle, cit. (a n.*) e già in Die Scholien der Papyri, cit. (a n. 1); K. MCNAMEE, School Notes, in Proceed. of the 20% Intern. Congress of Papyr., Museum Tusculanum Press, Univ. of Copenhagen 1994, 177-184.

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8601

E COMMENTI

e 3 (riportati nella TAV. VI) per individuare le modalità di redazione del testo esegetico e gli eventuali rapporti con la tradizione nota. Il testo redatto come commento sembra consistere in materiale scoliastico composito, di discreta levatura tecnica. Nel fr. 2(4) > è conservata una breve nota preceduta

dal termine

σχό(λιον):᾽2 così si

deve leggere infatti la combinazione di segni fino ad oggi rimasta

non risolta, consistente in un ampio chi, preceduto dal sigma, che

ingloba l’omicron soprastante, secondo l’uso che sarà proprio dei manoscritti medievali. Il testo che segue, in corrispondenza di Aph. III 24, contiene una frase di passaggio, poco più di un titoletto (cfr. PAnt I 28): la presenza del nome di Ippocrate e del titolo delle sezioni di Aforismi denuncia la sua derivazione da materiali di commento autonomi. La nota dice: «scholion. avendo concluso il divinissimo Ippocrate il discorso ‘sulle stagioni e le loro costituzioni’, inizia la sezione relativa ‘alle eta’». Pur non coincidendo con nessuno dei commentari ad Aforismi noti dalla tradizione medievale, questo testo accompagnava il percorso di lettura dell’aforisma ippocratico secondo le modalità del commentario tardoantico influenzato dal modello galenico.** Dal punto di vista terminologico, infatti, il termine τμῆμα (che si integra nell’ultimo rigo della nota)

presuppone la conoscenza dell’esegesi tradizionale che colloca in questo punto l’inizio di una nuova partizione di Aforismi: lo stacco, che cade ben oltre la metà del libro terzo, è funzionale ad una clas-

sificazione interna al formali dell’opera in ticolare, l'avvertenza ché con gli Aforismi

contenuto, e non si riferisce ai raggruppamenti 7 tomi già fissata al tempo di Galeno. In pardel redattore-commentatore si giustifica poi‘sulle età’, cioè da quel punto in poi, ha inizio

32 Per la storia del termine, vedi A. GUDEMAN, RE II (1921) 624-705; L.D. ReyNOLDs

- N. WILSON,

Scribes and Scholars’, Oxford,

Clarendon

Press 1991,

10-18; 76

sg. 254 sg. Se la nuova lettura è corretta, sarebbe questa una delle prime occorrenze del vocabolo σχόλιον nell'accezione di ‘nota marginale’, e certamente la più antica in cui il contenuto di tale ‘breve compilazione’ accompagna materialmente la sua definizione. D'altra parte in un passo di Marino, Procl. 27 (pp. 32-33, e 150-152 H.D. Saffrey - A.-P. Segonds edd., Paris, Les Belles Lettres 2001), sono menzionate le note di

Proclo ai commentari orfici di Siriano, per cui il lavoro esegetico di Proclo (vixit 410485) si pone come t.a.g. per l’esistenza di ‘scoli’ marginali rispetto ad un testo di base. Le attestazioni del termine scholion, nelle diverse accezioni, sono discusse da LUNDON,

Σχόλια: una questione non marginale, cit. (a n. 2), 75-80. 5 Vd. anche in K. MCNAMEE, Sigla and Select Marginalia in Greek Literary Papyri,

Bruxelles, Fondation Égyptologique Reine Élisabeth 1992, Tab. 2, p. 33 («Papyrologica Bruxellensia», 26). #* Anche l’appellativo θειότατος riferito ad Ippocrate diventa comune proprio in età bizantina: cfr. IERACI BIO, / papiri medici bizantini, cit. (a n. 22), 13-14.

— 25 —

ISABELLA ANDORLINI

una esposizione più articolata (εἰς μικρὰ μόρια τέμνων αὐτάς, Gal.) e sistematica (ἀπὸ τοῦ πλατικωτέρου καὶ παραδειγματικωτέρου, Steph.).

Nel fr. 3(6)L, appartenente al margine inferiore del codice, è parzialmente visibile l’ultimo rigo dello specchio di scrittura che ospitava la copia del ‘testo primario’: si tratta di Apb. IV 5: «durante e poco prima della Canicola le purghe creano difficoltà». Nel margine sottostante, in uno spazio di quasi 6 cm, è stato copiato un fitto testo di 10 righi di difficile lettura: quanto basta per riconoscervi traccia di un commento non noto ad Aph. IV 4 e 5. Compresso in una grafia rapida e corsiveggiante, di piccole dimensioni, con qualche segno di abbreviazione, leggiamo il testo che ho trascritto accanto all’immagine del papiro (TAV. VI). Grazie ad alcuni punti di contatto col materiale dei commentari noti, rintracciabili,

data l’esiguità del testo superstite, solo attraverso sporadici parallelismi lessicali, la testimonianza di questa edizione di scuola antinoita ci pare fornire un nuovo e prezioso tassello nella vicenda della transizione dai codici tardoantichi ai manoscritti in minuscola: (a)

l’organizzazione dei marginalia di PAnt III 183 presuppone un materiale esegetico di riferimento utilizzato in modo tradizionale: infatti, nonostante si tratti di una stesura rapida e compressa, all’interno di esso viene ripetuto per esteso il lemma dell’Aforisma di riferimento (r. 7 marg.), distinto da ciò che segue da un segno a forma di serpentina; questa articolazione ci pare presupponga un contesto che utilizza consapevolmente fonti esegetiche indipendenti e preesistenti su supporti librari a se stanti; (b) le parole utilizzate nel commentario papiraceo indicano una linea interpretativa che, seguendo Galeno poi ripreso da Stefano, privilegia la spiegazione ‘fisiologica’, poiché l’azione dispersiva del purgante (καθαρτήριον, r 9) aggraverebbe la condizione della physis febbricitante (θερμότατος) per il calore e l’aridità (ξηρός) ambientale che investono il soggetto (περιβάλλει τὸ ζῶον).

L’ultimo caso, infine, rappresentato dalla pagina di un codicetto papiraceo della collezione Michigan (TAV. VII. PMich XVII 758. MP? 2407.01. Sec. IV d.C.), illustra una tipologia ancora diversa di assemblaggio di materiali, una casistica interessante per la storia del libro e la tradizione dei testi compositi, pensati come espansioni del ‘testo primario’ generate dalla collazione di copie parallele. Si tratta di un codice di piccolo formato, di cui si conservano parzialmente 13 pagine in gran parte arricchite da note sistemate nel margine in-

feriore, quasi in ogni pagina conservata: il contenuto è una collezione di ricette mediche, talvolta di buona tradizione. La qualità

PAPIRI DI MEDICINA

CON

SCOLÎ E COMMENTI

modesta del supporto, e un’evidente rozzezza d’impostazione grafica e redazionale, sono conformi al libro di medicina d’uso tec-

nico-pratico che gravita nella sfera del privato, forse la copia posseduta da un medico e da lui commissionata come libro di studio e di lavoro.? Rispetto allo specchio di scrittura occupato dall’opera primaria, il testo fitto dei marginalia inferiori si presenta complessivamente ‘esposto’ di circa 1 cm e invade parte del margine interno del bifoglio. La scrittura dei marginalia, di piccole dimensioni, leggermente inclinata e con tendenza alla corsività e alle abbreviazioni frequenti, è diversa da quella del ‘testo primario”. Il contenuto del ‘testo secondario” consiste in ricette mediche di cui sono riportate alcune composizioni alternative: la prima, secondo una rilettura del rigo da me proposta (fr. H, rr. 7-9), inizia appunto con ἄλλο (cfr. in TAV. VII). I blocchi di testo sono preceduti, ancora nel margine sinistro, da due segni con funzione di richiamo, differenti tra loro: una serpentina tagliata, e una forma

stilizzata del xp. Non è escluso che questi segni rinviassero, in un sistema di rimando, ad analoghi simboli presenti nel testo princi pale, istituendo così un metodo immediato di lettura parallela di ‘ricette base’ e di ‘formule alternative’ desunte dalla collazione con altri libri di medicina. I marginalia del codice Michigan, iin sostanza, non spiegano né annotano il ‘testo primario’, ma si aggiungono fisicamente ad esso, rimanendone distinti, come un prodotto ‘secondario’ ma consapevole di compilazione. #7 Questo eccezionale manufatto mostra concretamente come vennero formandosi, nella tradizione dei testi tecnici, nuovi e paralleli nuclei di sapere, pronti per diventare in futuro, di copia in copia, come avvertiva Galeno qualche secolo prima, parte integrante dell’opera di base, oppure destinati ad essere ricopiati nei margini di nuovi libri. Nel commentare i casi di ripetizione all’interno del testo ippocratico di Epidemie, Galeno aveva spiegato con queste parole quanto accadeva per i testi d’autore (cfr. in TAV. VII): «Questa sola è la motivazione della ripetizione secondo questa versione del discorso sui malati di tisi, mentre l’altra che conosciamo si trova esposta più volte in molti libri. Capita infatti di scrivere due volte su di uno stesso argomento,

3 Ipotesi già avanzata nell’ed.pr., cfr. PMich XVII 758, p. 3. 36 Vd. la mia recensione in BO

57 (2000), 613-616.

57 Per uno sviluppo nel sistema dei manoscritti di questa tecnica di confezione del libro in funzione della sua destinazione, cfr. CAVALLO, II libro come oggetto d’uso, cit. (a n. 4), 407.

-2 —

ISABELLA ANDORLINI

e allora, mentre una versione (γ 6515) è parte integrante del testo, l’altra si trova in entrambi i margini per cui di queste teniamo da parte la seconda giudicandola un prodotto secondario, ma il primo che ha trascritto l’opera ha riportato entrambe le versioni, per cui non essendo noi superiori ai predecessori né avendo corretto l’errore, l’opera, passata di mano in mano, è rimasta scorretta» (In Hipp.

Epid. III comm. I 36). Possiamo concludere questo percorso costellato di esempi traendo qualche considerazione finale che ci sembra sia emersa strada facendo. Per quanto riguarda l’evoluzione dialettica tra commentaria e scholia, un’indagine sulla tradizione dei generi all’interno del significativo terreno delle discipline tecnico-scientifiche,?* e della letteratura medica antica in particolare, conferma che il commentario continuo, l’hypomnema, fu sempre copiato e trasmesso a parte, nel rotolo di papiro prima, così come nel codice di papiro o di pergamena poi. Le modalità d’uso di diversi formati d’impaginazione nel supporto di papiro o di pergamena — dal rotolo al codice -- mostra che il testo base poteva essere accompagnato da accorgimenti formali più o meno espliciti (ecthesis, spazi, punteggiatura, segni di richiamo,

ma anche

struttura tecnico-libraria e contenutistica) che

mettevano in evidenza i lemmi di riferimento dell’opera commentata o annotata. Diversa era stata, fin dalle origini, la storia della trasmissione de-

gli scholia all’interno della categoria dei testi scolastici, annotazioni più o meno sporadiche, più o meno consistenti, varianti di lettura o brevi glosse, le cui occasioni di produzione e di registrazione scritta furono molteplici: le lezioni dei maestri di scuola, le dotte conversazioni con i colleghi, il lavorio critico di edizione dei testi condotto da autori e da editori eruditi, da scrupolosi compilatori e glossatori delle opere di studio. Ciò che si è conservato ‘in margine’ ai codici di medicina prodotti in Egitto tra III e VII secolo offre qualche sporadico contributo alla definizione di quel cosiddetto ‘anello mancante’ che lega,?° e separa, le note informali dai commentari a pieno margine che di-

3 Un filone importante è rappresentato dalla produzione delle scuole di diritto orientali, come quella di Berito: MCNAMEE, An Innovation, cit. (a n. 2), 669-678.

Missing Links, cit. (a n. 2), 399-414; EaD.,

39 Cfr. WILSON, Scholars of Byzantium, cit. (a n. 2), 34-36 (e Two Notes, cit. [a n. 2], 558); MCNAMEE,

Missing Links, cit. (a n. 2), 405 (e nota 5).



28 --

PAPIRI DI MEDICINA

CON

SCOLÎ

E COMMENTI

venteranno una modalità costante nei manoscritti in minuscola dal IX secolo in poi. Come abbiamo appena constatato dall’esame dei manufatti conservatici, la registrazione concreta ed integrale di tali appunti sia come annotazioni esplicative autonome, sia come traccia di riferimento ai veri e propri hypomnemata tramandati a parte, avvenne negli spazi di contorno della pagina quando si trattava di materiali esegetici contenuti e mirati alla fruizione immediata (e individuale?) dell’opera nel suo contesto. È tuttavia la costante sproporzione tra lo spazio fisico occupato dagli ‘apparati’ e l’estensione

a piena pagina del ‘testo primario’ il dato significativo che fa la differenza rispetto alla equilibrata compresenza di testo e commento che caratterizzerà la nuova impostazione grafica del codice bizantino e medievale.

Ma la vicenda della trasmissione di scolî e commenti occasionalmente sopravvissuti in margine alle pagine dei codici di papiro e di pergamena di contenuto medico nell’Egitto tardoantico si ferma qui, anche se la tradizione scolastica conobbe uno stralcio di storia ben oltre la conquista araba di Alessandria avvenuta nel 641 e segnò ancora qualche tappa significativa sulla strada della conservazione delle opere classiche che corre da Alessandria a Bagdad. La circostanza originale e conservatrice dei libri di medicina di Antinoupolis prodotti tra III e VII secolo d.C., agli albori di un nuovo modo di organizzare la conservazione materiale del sapere, è certamente una di queste tappe. Inizia anche qui, e da qui, potremmo ben dire con Nigel Wilson, un ‘nuovo capitolo’ nella storia degli scholia. Le immagini delle tavole che seguono sono riprodotte col permesso delle istituzioni presso cui gli originali sono conservati, o che ne detengono il copyright: il Rheinisches Landesmuseum, Trier (I), il Metropolitan Museum of Art (inv. 48.76.1), New York (II), l’Egypt Exploration So- . ciety (PAnt), London (III; Va, b; VI), la Biblioteca Medicea Laurenziana (PFlor), Firenze (IV), |’ Agyptisches Museum (PBerol), Berlin (IV), l’University of Michigan (PMich), Ann Arbor (VII).

I prodotti della πρᾶξις (lezione di SRI

one

ὡς e σχόλια ἀπὸ φωνῆς,

GALENUS

GALENUS

ὧν

In Hipp. Epid. II comm, Il 1. XVHa 576, 1-5 Κ. (= CMGV

10.1, p. 60 Wenk.)

Ἐμοὶ μὲν οὐδ' ἄλλο τι βιβλίον ἐγράφη χωρὶς

τοῦ δεηθῆναί τινας

ἢ φίλους

ἢ ἑταίρους

καὶ μάλιστα τοὺς εἰς ἀποδημίαν

μακροτέραν

στελλομένους,

ἀξιώσαντας

ἔχειν

ὑπό-

μνημα τῶν ὑπ' ἐμοῦ ῥηθέντων αὐτοῖς ἢ δειχθέντων ἐν ταῖς τῶν ζῴων ἀνατομαῖς (...).

230, 7-12 K.

(CMG V 9.2, p. 328, 13-17 Heeg) ἐπεὶ

δ' ἔνιαι

τῶν

λέξεων

ἀσαφέστερον

εἰρημέναι μοχθηρᾶς ἐξηγήσεως ἔτυχον, ὡς ἀρέσκειν

ὑμῖν

μηδένα

τῶν

γραψάντων

ὑπομνήματα, βέλτιον δὲ αὐτῶν στοχάσασθαι τῆς Ἱπποκράτους γνώμης ἐδόκουν

ὑμῖν

ἐγώ,

γραμμάτων

διὰ

τοῦτό

ἠξιώσατε

ἅπερ ἐν ταῖς ἠκούσατε.

διὰ

καὶ

διὰ

παρασχεῖν

pe

ὑμῖν

λόγων

συνουσίαις

AVI

αὐτοῖς ἐκείνοις γεγονότα δεηθεῖσιν ἤκουσαν ἔχειν ὑπομνήματα.

In Hipp. Prog. comm, II XVII

I

De libr. propr. (Scr. min. II, p. 92, 13-16 Mueller)

φίλοις γὰρ ἢ μαθηταῖς ἐδίδοτο χωρὶς ἐπιγραφῆς ὡς ἂν οὐδὲν πρὸς ἔκδοσιν ἀλλ'

I ‘AVI

Il lavoro del medico sui libri di studio e la produzione di marginalia (ἀντίγραφα e μέτωπα)

lezioni e varianti inserite nei margini o inglobate nel testo

il lavoro esegetico attraverso la consultazione di libri di biblioteca e di copie private GALENUS

GALENUS

In Hipp. Epid. VI comm. TV 22.

In Hipp. de Off. med. comm. ΠῚ 22.

CMG V ἀλλ' οὔτε

τινι

τῶν

ταύτην

XVII 864, 1-5 K.

10 2.2, p. 233, 12-20 Wenk. ἄλλων

τὴν

ἀντιγράφων

γραφὴν

οὔτε

εὗρον

τις

(..) ἑαυτὸν σκοπούμενον i τινι λέξει χρήσεται μᾶλλον, εἶθ' εὑρόντα τὸν

ἔν

τῶν

βιβλιογράφον

ἐξηγητῶν οἶδεν ᾿ αὐτήν, πλὴν ὅτι È Διοσκουρίδης αὑτὴν ἐν τῷ μετώπῳ τοῦ βιβλίου

προσέγραψεν,

ἐν δύο μόνοις

ἐνίας “μὲν

αὐτῶν

ἐν

τοῖς

μετώποις. γεγραμμένας, ἐνίας καὶ κατὰ τοῦ μετώπου, πάσας ἔγραψε τῷ

ἀντιγράφοις

ἐδάφει

εὑρηκὼς ὡδί πως ἔχουσαν τὴν λέξιν’ ἐνθέρμῳ φύσει θερμῇ ὥρῃ ἐν ψύχει κοίτη παχύνει, ἐν θερμῷ λεπτύνει. οὐ μὴν ἡμεῖς γε ἐν δυοῖν, ἀλλ' Ev πᾶσιν οἷς ἀνέγνωμεν οὕτως ἔχουσαν εὕρομεν τὴν λέξιν, ἐξεπίτηδες ἅπαντα μὲν ἰδόντες τὰ κατὰ τὰς δημοσίας βιβλιοθήκας, ἅπαντα δὲ τὰ παρὰ τοῖς φίλοις.

λιστα σθαι.

UN MEDICO AL LAVORO SUI LIBRI DELLA SUA BIBLIOTECA PRIVATA METROPOLITAN MUSEUM OF ART, NEW YORK (48.78.1) (Gift of Mrs. J. and, E, Brummer, in memory of Joseph Brummer,

1948).

PMert I 12 (58 d.C.): lettera di un medico al collega Dionysios (e. 13 sgg.) ἀντιγράφια δέ μοι δύο ἔπεμψας, τὸ μὲν τῆς ᾿Αρχαγαθείου τὸ δὲ τῆς ἑλκωτικῆς. ἡ μὲν ᾿Αρχαγάθειος ὑγιῶς περιέχει (...). (1.21 555) περὶ δὲ τῆς σκληρᾶς ἔγραψας δύο γένη εἶναι. τὸ τῆς διαλυτικῆς μοι γραφεῖον πέμψον.

τοῦ

συγγράμματος

τάξει δόξουσιν

ἐν

εὐλόγως



κάλ-

ἐγκεῖ-

TAV. II

Il commentario alternato ai lemmi nel rotolo di papiro ad Nicandri Theriaca (POxy XIX 2221 recto, I d.C.) spazio lasciato bianco dopo il lemma

ecthesis dei lemmi

f di citazione dei versi di Nicandro Scritti in sequenza prosastica

=}

πιοίεπο intercolonnare

μάραθο(ν) Foeniculum

vulgare

lemmi alternati al commento GALENUS In Hipp. Prog. comm. 14. CMG V

9.2, p. 200, 20-201, 2 Heeg

ἕτερος ἴδιος ἐξηγήσεών ἐστι τρόπος ὁ διὰ μακροτέρου περαινόμενος, ὃν ὑπερβαίνειν ὅλον ἔξεστι τοῖς ἐπὶ τὸ χρήσιμον σπεύδουσιν ἐπειλίξασι τὸ μεταξὺ τοῦ βιβλίου, μέχριπερ ἂν ἐπ' ἐκείνην ἀφίκωνται τὴν ῥῆσιν, ἧς ἡ ἀρχή “σκέπτεσθαι δὲ ὧδε χρὴ ἐν τοῖσιν ὀξέσι νοσήμασι.

TAV. IV

Il commentario medico nei codici di papiro (Gal.?) In Hipp. De Alimento - Anon. In Gal. De sectis

PFlor 115 = CPF II 4 (facciata

A + cod.pap., IV d.C.)

In Hipp. Alim. comm.

segno di paragraphos a conclusione del ‘commento’ e ‘citazione ippocratica’ (Hipp. Alim. 38.

145, 10-11 Joly)

incipit del lemma ¢[torEs |

πάντων ddidaxtot preceduto da due punti (dicolon) e spazio titolo del commentario copiato su un

codice a se stante (In Gal. De sectis)

προλεγόμενα τοῦ περὶ αἱρέσεων

TaAnvod” Αρχί..Ἰδου σοφιστοῦ

ἐξήγησις

ἐξήγησις

PBerol inv. 11739 = CPF ΠῚ 3 (facciata A —> cod.pap., VI-VII d.C.). In Gal. De sectis

TAV.

Va

Codici annotati ad Antinoe Il testo di Ippocrate, Aforismi Ἱπποκράτους ᾿Αφορισμοί

punti sul rigo

segni di paragraphos

PAnt I 28 (‘verso’, cod.perg., II/IV d.C.) Hipp. Aph. 1-3

PAnt I 28, ‘verso’, 1-12 Hipp. Aph. I 1-2

STEPHANUS In Hipp. Aphor. comm.1 1. CMG XI 1.3.1,p. 40, 20; 42, 13; 48, 11 West.

Ἱπποκράτους ᾿Αφορισμοί

Ὁ βίος βίρ]αχίύς, ἡ δὲ τέχνη μακρή, ὁ δὲ καιρὸς ὀξύς, ἡ δὲ πεῖρα σφ[αλ]ερή, ἡ δὲ . κρίσις n Δεῖ δὲ οὖ μ]όνον éwvτὸν παρέχειν τὰ δέοντᾳ πριέοντα, ἀλλὰ καὶ τὸν νοσέ[ο]ντα Kai τ[ο]ὺς παᾳ_pedvtag, καὶ τὰ ἔξω]θεν ἡ" Ἐν τῇσι ταραχῇσι τῇσι κοι[λ]ίηδι καὶ τοῖσιν ἐμέτοισι, αὐτομάτως γιγνομένοῖσιν ἢν μὲν οἷα δεῖ καθαίρεσθε καθέpovte ξυμφέρει τε καὶ εὐφίό]ρως φέρουσιν’ ἣν δὲ μή, τοὐναντίον.

[ὁ βίος-χαλεπή] καὶ μέχρι τῶν ἐνταῦθα πᾶσα προοιμίου λέξις.

ἡμῖν

ἐσαφηνίσθη

[Sei δέ - ἔξωθεν] τοῦτο προτρεπτικὸν εἶναι δοκεῖ τὸ προοίμιον αὕτη ἐστὶν ἡ τοῦ δευτέρου προοιμίου σαφήνεια

ἡ τοῦ πρώτον

TAV. Vb

Codici annotati ad Antinoe Titoli in margine al testo di Ippocrate, Aforismi segno di

richiamo sul rigo

Περὶ τῆς a to]patov τα-

ρα]χῆς τῆς γαστρό]ς

Πεϊρὶ τῆς τῶ(ν) γυ]μναστικῶ(ν) λύσϊεφῳς κ(αὶ) κενώ-

cela

PAnt I 28 (‘verso’, cod.perg., II/IV d.C.) Hipp. Aph. 1-3

Hipp. Aph. 13 Ἔν

τοῖσι

γυμναστικοῖσιν

αἱ

ἐπ'

PAnt I 28 marginalia

Gal. In Hipp. Aph. comm. XVIIb 364, 1-2 - 364, 11-16 K. ἄκρον τὴν αἰτίαν δὲ αὐτὸς τοῦ χρῆναι

εὐεξίαι σφαλεραΐ, ἣν ἐν τῷ ἐσχάτῳ Eoow

οὐ γὰρ δύνανται μένειν ἐν τῷ αὐτέῳ, οὐδὲ; ἀτρεμέειν’ ἐπεὶ δὲ οὐκ ἀτρεμέουσιν, οὐδ'

λύειν αὐτὴν τοιαύτην ἔγραψεν" (...) λύειν χρὴ μὴ βραδέως τὴν εὐεξίαν.

ἢ.

λύ

δ'

αὐτὴ

SIR

ad Hipp. Aph.13

1 Πε]ρὶ τῆς τῶ(ν)

ἔτι δύνανται ἐπὶ τὸ βέλτιον ἐπιδιδόναι, δηλονότι καὶ χρὴ ταύτην οὐδ᾽ αὐτὴν καὶ λείπεται ἐπὶ τὸ χεῖρον τουτέων οὖν ἀμέτρως ποιεῖσθαι. καὶ γὰρ

2

γυ]μναστικῶ(ν)

3

λύσϊξῳς κ(αὶ) Keve-

ἢ τοῦτο σφαλερὸν, οὐχ ἧττον ἀμέτρου

4

σε͵ῳς

4

iv

steli

λὺ

Eos

βραδέως, iva πάλιν ἀρχὴν ἀναθρέψιος; πληρώσεως. σκοπὸς δὲ τοῦ ποσοῦ τῆς λαμβάνῃ τὸ σῶμα’ μηδὲ τὰς ξυμπτώσιας ἐς κενώσεως οὐ τὸ πλεονάζον μόνον, τὸ ἔσχατον ἄγειν, σφαλερὸν γάρ, ἀλλ' ὁκοίη ἂν ἡ φύσις f τοῦ μέλλοντος ὑπομένειν, ἐς τοῦτο ἄγειν. Ὡσαύτως δὲ καὶ αἱ κενώσιες αἱ ἐς τὸ ἔσχατον ἄγουσαι, σφαλεραί’ καὶ πάλιν αἱ ἀναθρέψιες, αἱ ἐν τῷ ἐσχάτῳ ἐοῦσαι, σφαλεραΐ.

ἀλλὰ καὶ ἡ φύσις ἂν εἴη, τουτέστιν ἡ δύναμις τοῦ κενουμένου ἀνθρώπου. ἄλλοι γὰρ ἄλλως εἰώθασι φέρειν μᾶλλον τὰς κενώσεις.

3 πτίως ed pr: «may be abbreviated for πτώσιος though there is no precedent for taking the word as the equivalent of συμπτώσιος. We should not expect more than two letters to be missing (...» (Roberts, 1950)

TAV.

Codici annotati ad Antinoe: scoli

VI

e commenti

in Hipp. Aph. III-IV (PAnt III 183, VI d.C.)

fr.2(a) >

x

o

abbreviazione per σχό(λιον)

testo primario della pagina, quasi del tutto perduto, in scrittura maiuscola inclinata (Hipp. Aph, IH 24) κεφαλαλγίat, ἴλιγγοι, ἀποπληξίαι Ev δὲ τῇσιν ἡλι]κί-

»

τισι τοιάδε EvuBaiver τοῖσι μὲν σμικροῖσ]ε καὶ νεογνοῖσι παιδίοισιν, ἄφθαι, Epetoh

Galenus

In Hipp. Aph. (XVIIb 627, 4-5 K.)

era

Helgisons τὰ κατὰ

τὰς ἡλικίας τῶν κατὰ τὰς ὥρας, εἰς μικρὰ μόρια τέμνων αὐτάς. De plac. Hipp. et Plat. (VII 6, 26 K.) ταῦτα περὶ τῶν ὡρῶν εἰπὼν ὁ Ἱπποκράτης ἐφεξῆς περὶ τῶν ἡ ἂν ἃ ἡλινιον ὃδὲ γράφει,

margine di cm 4,5

testo marginale redatto in scrittura corsiva di piccole dimensioni; occupava uno spazio marginale di ca. 4,5 cm di ampiezza PAnt II 183 marginalia

Theophilus

Steph. In Hipp. Aph. comm. ΠΙ 27

In Hipp. Aph. TIL 24

(11 373, 30-374, 1 Dietz)

(CMG ΧΙ 1.3.2, p. 158, 1-3; 13-15 West.)

σχό(λιον)

ὁ Ἱπποκράτης τὴν περὶ τῶν

δ χελέσας ὁ θεδνιότατος] ? Ἱπποκράτης τὸν πίε-]

τὴν ἀπο ρον ἐπι ἡλικίας μετατρέπεται

ὡρῶν διδασκαλίαν νῦν μετέρχεται καὶ ἐπὶ ἔρον θαυμαστὸν — λέγω een

a è ‘pl τῶν ὡρῶν καὶ κατασῖτά.]

καὶ τ ἐν δὲ τῇν sa, ἘΞ a de

ταῖς ἡλικίαις ποῖα ἐπάγονται γίνε: συγγενῆ νοσήματα ἔν

ἤσεων λόγον dpyetali τοῦ]

πρεκτῃσικτα,

νῦν δὲ ἀπὸ τοῦ πλατικωτέρου καὶ

« a. PI 3 Nea REMOVE] ἵματος] i cao n pr. «e of ¢ followed by an unidentified sign» (Barns,

δειγματικωτέρου καὶ ἐμμεθόδ' διδασκαλίας καὶ ἄρχεται ἐπὶ [τὴν] τῶν ἡλικιῶν καὶ λέγει τὰ συμβαίνοντα συγγενῆ πάθη ἐπὶ ταύταις ταῖς ἡλικίαις

1967).

fr. 3 (b) ὁ ai

a ‘ sa è 2 Ὑπὸ κύνα κ]αὶ πρὸ κ[υνὸς ἐργώδεες at φαρμακεῖαι testo del commento nel

SA ; margine inferiore ———>

Aph. IV 5 :

1

δὲ ἫΝ Da

ad ci

IV4

dapplaxeov κενονμ

ἐν τῷ δ)ὲ χιθιμῶνι

ψυ]χρὸν καὶ τῶν ἄλλων επί

], cor ταύτην φύσεως͵ [ ad Aph. IV5 πρὸ κυνὸ]ς ἐργώδεες at φαρμακεῖαι! ext

Jiui ἐπεοιδὴ θερμότατος ὧν κ[αὶ n i ] περιβάλλει τὸ ζῶον [ margine

lemma di Aph. IV 5

Gal. In Hipp. Aph. (XVIIb 663, 3-6 - 664, 2-3 K.) Tipoinaxodam χρὴ δηλονότι κοιλίας, εἰκότως δὲ θέρους μὲν ἄνω καθαίρει. καὶ γὰρ ὁ πλεονάζων

τηνικαῦτα χυμὸς ἡ ξανθὴ χολὴ καὶ ὅλως φύσις ἡ

ἅπασα τοῦ ζώον. διὰ τὴν περιέχουσαν θερμασίαν

ἄνω κινεῖται μᾶλλον. (...) Ἐκπεπυρωμένη τε γὰρ οὖσα τηνικαῦτα τὴν ἀπὸ τῶν καθαρκτικῶν οὐκ οἴσει δριμύτητα (...)

d

altezza del margine inferiore della pagina cm 5,6 Orib. Coll. med. VII 23.18; 25

Steph. In Hipp. Aph. comm. IV 5

(CMG VI 1.1, pp. 221-222 passim Raeder)

(CMG XI 1.3.2, p. 222, 24-5; 27-30 West.)

Ex τῶν Γαληνοῦ"

ἴίνας δεῖ καθαίρειν, καὶ ποίοις καθαρτηρίοις,

καὶ πότε. (...). χρὴ δὲ καὶ τὸν μὲν πικρόχολον χυμὸν ἄνω, τὸ δὲ φλέγμα κάτω μᾶλλον κενοῦν' ἔσθ' ὅτε μὴν ἔμπαλιν, εἰ κατὰ μὲν τὴν γαστέρα φλεγματικός, ἐν δὲ τοῖς ἐντέροις πικρόχολος ἁθροισθείη, τὸν μέντοι μελαγχολικὸν αἰεὶ κάτω.

RO

φαρμακεύειν τὰς ἄνω, χειμῶνος τὰς Kota τὴν ἀποκάθαρσιν ποιούμεθα διὰ μὲν τῆς κάτω γαστρός

(...).

ἐπειδὴ ἐν ταραχῇ τινι καὶ ἐν διωγμῷ ἐστιν Φύσις ἡ (...) προσλαμβάνουσα οὖν καὶ τὴν τοῦ καθαρτηρίου διαφόρησιν ἡ φύσις κακὰ γενήσονται" τρίτον ὅτι [ἡ] ξηρότης ὑπόκειται. προσλαμβάνουσα οὖν καὶ τὴν τοῦ καθαρσίου ξηρότητα (...) πυρέττονσιν καὶ οὕτως ἔστιν, ὅτι ἀπόλλυνται.

‘AVL

Testo primario e testo marginale: verso una compresenza? 758 ‘The Michigan Medical Codex’ (cod.pap., IV d.C.)

i del tes o ae primari 1 la

TIA

PMich XVII

ed. pr. LC. Youtie (cf. PMich XVII 758, p. 59) P.Mich.

Inv.

215 «0.3.1 ἐνώςα (ς]

Suet[ᾳ

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9.

ῥοδίίνη

καδάρας τὰ πεταλία doch]

Sendfeac 10.

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Pap.

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τοῖν

11.

Pap.

χαλβαν,

nuova lettura dei rr. 7-9 ἄλλο: συὸς ἀφόδευμα ἐνώσας ὄϊΐξει ὁμοῦ τῷ πονοῦντι. [ ἄλλο δεδοκ(ιμασμένον) κηροῦ (obyx.) a [ GALENUS

a

ε΄

oi “ confini - mee φῶ ginale

pia μὲν αὕτη παραμυθία τῆς κατὰ τήνδε τὴν ῥῆσιν ἐπαναλήψεως τοῦ περὶ τῶν φθινωδῶν λόγου, ἑτέρα δ' ἣν ἴσμεν πολλάκις γιγνομένην ἐπὶ πολλῶν συγγραμμάτων. ἐνίοτε γάρ, ὑπὲρ ἑνὸς πράγματος διττῶς ἡμῶν γραψάντων, εἶτα τῆς μὲν ἑτέρας γραφῆς κατὰ τὸ ὕφος οὔσης, τῆς δ' ἑτέρας ἐπὶ θάτερα τῶν μετώπων, ὅπως κρίνωμεν αὐτῶν τὴν ἑτέραν ἐπὶ σχολῆς δοκιμάσαντες, 6 πρῶτος μεταγράφων τὸ βιβλίον ἀμφότερα ἔγραψεν, εἶτα μὴ προσσχόντων ἡμῶν τοῖς γεγονόσι μηδ' ἐπανορθωσαμένων τὸ σφάλμα, διαδοθὲν εἰς πολλοὺς τὸ βιβλίον ἀνεπανόρθωτον ἔμεινεν. In Hipp. Epid. I comm. 136. CMG V

10.1, p. 43, 21-29 Wenk.-Pfaff

MATTHIAS

BALTES

ANONYMOS, «IN PLATONIS PARMENIDEM COMMENTARIUM» (COD. TAUR. F VI 1): ANMERKUNGEN ZUM TEXT*

Auf ihrer Tagung vom 26.-30. September 2002 hat die Academia Platonica Septima Monasteriensis den Text des Anonymos ausfiihrlich diskutiert. Grundlage der Diskussion waren unter anderem folgende Anderungsvorschlige: 16

ὡς

:

πως

Begriindung: ὡς ist unverstandlich.

Ubersetzung:

»Obschon der Gott, der tiber allem ist, aus vielen Griin-

den unsagbar und unnenbar ist, trifft der Begriff des Einen dennoch -- (allerdings) nicht wegen eines Mangels ~ in gewisser Weise (πως) seine Natur“. 17

ἀφίστησιν sc.

Begriindung:

ὁ Πλάτων

1. Vgl. Ὁ δὲ Πλάτων συμπληρώσας ταῦτα (II 32). 2. Auch die nicht-reflexiven Formen dr’ αὐτοῦ ... πρὸ

αὐτοῦ (Z. 7/9) sprechen eher fiir diese Interpreta

tion. 3. Schlieflich scheint δίδωσιν, auf Platon bezogen, sinn-

voller als auf das Eine; vgl. die Parallele IX 3 f.

113

«ὡς» πλῆθος ὄντα ἦν

: πλῆθος οἷόν τε εἶναι

Begriindung: Wenn die Dinge ihr bisheriges Sein verlieren, dann ist nicht einmal (die vorher erwahnte) Menge méglich.

* Ed. A. LINGUITI, CPF III 6 [1995], 63-202.

— 31



MATTHIAS BALTES

119

καὶ τ... περὶ αὐτοῦ .....

I 21

+ τιμαλῖοο

: τῇ περὶ αὐτοῦ ἐννοίᾳ mit

Linguiti (siehe textkritischen Apparat). : Τιμάλιος

Begriindung: Nichts spricht gegen diesen Namen. Es gibt Hunderte von Platonikern, deren Namen wir nur durch Zufall kennen, und sicher ebenso viele, deren Namen wir nicht kennen. Es ist kaum zu erwarten, daf unser Anony-

mos Speusipp selbst gelesen hat. Τιμάλιος war der Vermittler, wann immer er gelebt hat. Da die ersten drei Buchstaben nicht sicher lesbar sind, kann man auch an

Ἀσφάλιος, den Schiler Iamblichs, denken.

avovt..av..ac

:

ἀνοητεύοντες

νοντες) ἀνοητήναντες

I 33-II 4

oder

dvontai -

(ἅπαξ i.)

ἣ μήτε μετὰ πλήθους ... διὰ τὸ ὑπέρτερον αὐτῶν εἶναι καὶ πάντων ἐνθυμεῖσθαι. ἤ που γε διὰ σμικρότητός τινος διαφευγούσης ἡμῶν δι᾽ ὀλιγότητα τὴν ἐπίνοιαν : ἣ μήτε

μετὰ πλήθους ... -- διὰ τὸ ὑπέρτερον αὐτῶν εἶναι {kai} πάντων -- ἐνθυμεῖται, ἤ πού γε μετὰ σμικρότητός τινος διαφευγούσης ἡμῶν δι᾽ ὀλιγότητα τὴν ἐπίνοιαν.

Begrtindung:

1. Der Relativsatz hat kein Pradikat.

2. Die Wortstellung von αὐτῶν εἶναι καὶ πάντων ἐνθυμεῖσθαι ist ungewodhnlich/ unméglich, Kai scheint eine Art verbesserter Dittographie von εἶναι zu sein. 3. Wenn zwei Enclitica einander folgen, muf das erste einen Akzent tragen. 4. Der Satz fl πού ye διὰ σμικρότητος ... ist in der iiberlieferten Form unverstandlich; διά mit dem Genitiv

hat bei dem Anonymos immer die Bedeutung ,,durch,

vermittelst”. II 7

Eyecdar

: sc. πάντων τῶν παρ᾽ αὐτοῦ καὶ δι᾽ αὐτόν (cf.

1.8); vgl. VI 24 f; X 35. II 10

αὐτὸς δὲ οὔτε ἕν

: αὐτὸς δὲ οὔτε ὃν Kroll, recte

Begriindung: Die Argumentation des Anonymos richtet sich Z. 412 auf das Problem des Sein oder Nichtsein des Einen, danach erst (Z. 12 ff) auf das Problem, ob das Eine Εἰnes sei. — 32 —

ANMERKUNGEN

ΠῚ 1-3

ZUM

ANON.

«IN PARMENIDEM»

Anderung der Interpunktion: “Ap: οὖν ἀνόμοιος ὁ θεὸς τῷ vò

καὶ

ἕτερος, καὶ

εἰ μὴ ETEPATH γιγνόμενα δὲ ἐγνώρισεν ὁ μηδέποτε ἐν ἀγνοίᾳ γενόμενος.

Ubersetzung: Nur (ist zu sagen), daf Er auch nicht in Unwissenheit iber die Dinge verharrt, die einmal sein werden, vielmehr hat Er sie als gegenwirtig geschehende (langst) erkannt, Er, der niemals der Unwissenheit verfallt‘. Das heift: Gott erkennt selbst die zukiinftigen Dinge als gegenwartig. V5

ἐπ᾽ αὐτοῦ εἶναι

:

Begriindung:



ἐπ᾽ αὐτοῦ τὸ εἶναι Kroll recte

34 —

ANMERKUNGEN

ZUM

ANON.

«IN PARMENIDEM»

1. Siehe textkritischen Apparat. 2. τὸ εἶναι bezieht sich zuriick auf τῷ εἶναι Z. 4. V

12

«οὐ» delendum Begrindung: Die Gedankenfolge ist m.E. diese: 1. Frage: Erkennt Gott das All? — Antwort: Besser als jeder andere.

2. Frage: Wieso ist Er dann nicht vielheitlich? — Antwort: Weil Sein Erkennen jenseits von Erkennen und Nichterkennen ist, ein Erkennen, von dem das (normale) Erkennen abstammt.

3. Frage: Wieso erkennt Er nicht, wenn Er erkennt, oder wieso ist Er nicht (vorher) in Unkenntnis, wenn Er erkennt? Antwort: Weil Er nicht (so) nicht erkennt, als ware Er in den Zustand des Nichterken-

nens geraten (Aorist!), da Er doch alles Erkennen ùbersteigt. Ν 15-17

où γάρ ποτ᾽ ἀγνοήσας οὐκ ἐπεγίγν[ὠσκε]ν ἀλλὰ ...

Ubersetzung:

»Denn weil Er nicht irgendwann einmal der Unkenntnis verfallen ist, gelangt Er anschlieBend (auch) nicht wieder zum Wissen, sondern [...]* V 30

TOV καὶ πάντα YLYVOOK...... ν.. [ὥσ]περ

: τῶν καὶ πάντα

γιγνώσκ[ει, ἀλλ᾽ οὐ μὴν / οὔ γε μὴν [ὥσ]περ VI 6-8

{καὶ ἐξ ἀγνοίας εἰς γνῶσιν ἐλθόντος τοῦ γιγνωσκομένοῦ} : καὶ ἐξ ἀγνοίας εἰς γνῶσιν ἐλθόντος τοῦ γιγνώσκοντος

Begriindung:

Im unmittelbar Folgenden werden beide Begriffe (γιγνώOKOVTOS ... καὶ γιγνωσκομένου) wiederaufgenommen. VI 11

VI 15 VI 26-27

«καί» delendum

Begriindung: Vgl. den parallelen Ausdruck VI 5 f. γνωστὰ «καὶ ἄγνωστα; Kroll recte Anderung πάντων

καὶ

der Interpunktion: ἑαυτοῦ

πε[λάζειν]

ἄρα (sc. δεῖ πελάζειν αὐτῷ) ... — 35



εἰ δὲ ἀποστάντα αὐτῷ,

μηδὲν

δεῖ

νοοῦντα

MATTHIAS

BALTES

Ubersetzung: »»Wenn man sich Ihm nahern muf, indem man sich von allem und auch von sich selbst trennt, dann also nur, indem man nur daran denkt, wie sehr Er iiber alle an-

deren Dinge erhaben ist (d.h. ihnen enthoben ist/sie transzendiert)“ VI 29-31

ἐξελών. bezieht sich auf das vorangehende EEnpnuévov. Daher ist zu ùbersetzen: ,,[...] nicht in dem Sinne er-

haben, wie wenn jemand etwas zur UnbeeinfluBbarkeit erhòbe und ihm dann doch etwas anderes beilegte“. VI 33-34

πεπληρωκότος αὐτοῦ «αὑτὸν» τῆς αὑτοῦ ἑνάδος ISImg καὶ ... ὑπὲρ τὸ πᾶν Hadot recte

Begriindung: Wenn die Dinge nichts sind im Verhaltnis zu Ihm (VI 32), dann paft der Gedanke nicht, daf Er ,,ogni cosa”

erfiillt hat. Zudem spricht der Ausdruck πεπληρωκέvar ἀιδίως ... Kai... ὑπὲρ τὸ πᾶν (VI 34 f) fir Ihn als

Objekt. VII

1

VIII 29-31

ἐρεῖ

: αἱρεῖ Kroll recte

Begriindung: Fehler wegen der gleichen Aussprache αἱ = £. ἀλλ᾽ οὐδὲ κατὰ τὴν σωματικὴν οὐσίαν σύστασιν ἐπὶ τὸ ν[εώτερο]ν

[... ἵνα] ν[εῴώ]τερον γίγνηται

:

ἀλλ᾽ οὐδὲ

κατὰ τὴν σωματικὴν οὐσίαν σύστασιν ἐπὶ τοὔϊμπαλι]ν [αἱρεῖ, iva] v[ed]tepov γίγνηται) oder: ... ἐπὶ το[ὐναντίο]ν ... oder: ... ἐπὶ τὸ [ἐϊἹν[αντίο]ν ... oder: ἀλλ᾽

οὐδὲ κατὰ τὴν σωματικὴν οὐσίας σύστασιν ἐπὶ το[ὐναντίο]ν

[εἶσι, ἵνα] v[ed]tepov γίγνηται]

Vgl. Platon, Politikos 273 E f. X 4-11

ὥστε τελευτᾷ καὶ τούτων ἡ διδασκαλία, τῶν τε αὐτῷ προσεῖναι παραδιδομένων -- ἔχοι δ᾽ ἂν οἶμαι περιττόν

τι εἰς τὴν κάθαρσιν τῆς ἐννοίας ἡ μετὰ τὴν ἀκρόασιν τῶν ὡς προσόντων αὐτῷ ἀπόστασις καὶ τούτων τὸ ἐκ τῶν μεγίστων τὴν ἀπόστασιν γίγνεοθαι -- καὶ τῶν προσ-

εχῶς ἂν pet αὐτὸν νοηθέντων : ὥστε τελευτᾷ καὶ τούτων ἡ διδασκαλία τῶν τέως πῶς (oder αὐτῷ) προσεἶναι παραδιδομένων᾽ ἔχοι δ᾽ ἂν οἶμαι repritov τι εἰς τὴν κάθαρσιν τῆς ἐννοίας ἡ μετὰ τὴν ἀκρόασιν τῶν ὡς



36 —

ANMERKUNGEN

ZUM

ANON.

«IN PARMENIDEM»

προσόντων αὐτῷ ἀπόστασις kai τούτων τῷ (Baeumker) ἐκ τῶν μεγίστων τὴν ἀπόστασιν γίγνεοθαι καὶ τῶν προσεχῶς ἂν pet’ αὐτὸν νοηθέντων.

Ubersetzung: ss Und damit endet auch deren Lehre von den Eigen-

schaften, die Ihm bislang traditionell zugeschrieben werden. Méglicherweise aber tibt, so glaube ich, nachdem man von seinen angeblichen Eigenschaften gehòrt hat, die Trennung gerade von diesen eine ungewohn-

liche Reinigung der Vorstellung aus, weil die Trennung gerade von den bedeutendsten Eigenschaften erfolgt sowie von denen, die die Vernunft etwa unmittelbar

nach Ihm erfaft“‘ ΧΙ7

ἐπειδὴ οὐδὲ

: ἐπειδὴ «οὐ ... (lacuna)> οὐδὲ

ΧΙ 31-32

πῶς γὰρ ἂν ἕν μεταβάλλοι ἕν

Ubersetzung: »Denn

wie kénnte sich Eines als Eines verandern?”

Alternative: πῶς yap ἂν ἕν μεταβάλλοι «εἰς» ἕν / «ἐξ» ἑἐν«ός»

Begriindung: Das erste Eine andert nichts. Das zweite Eine andert

sich, wenn es entsteht. Vgl. XI 7 ff. ΧΙ 33

Διὸ ὁμοῦ ἐκεῖνο

:

διὸ οὐ pet ἐκεῖνο

Begriindung: So die Uberlieferung, die einen guten Sinn ergibt. XI 35-XII 1 ἐκεῖνό TE τρόπον τινά ἐστιν, ἀφ᾽ οὗ καὶ μεθ’ 6, ἔστιν καὶ ἄλλο τι

: ἐκεῖνό τε τρόπον τινά ἐστιν, ἀφ᾽ οὗ καὶ

μεθ᾽ ὅ ἐστιν, καὶ ἄλλο τι

Begriindung: Die Anderung der Interpunktion i ist notwendig wegen der Entsprechung von τε und καί; daraus folgt die Anderung der Akzentuierung von éottv. Ahnlich Hadot. XII 6-8

τὸ δ᾽ ἐνούσιον εἶναι καὶ οὐσιῶσθαι μετέχειν οὐσίας εἴρηκε Πλάτων, οὐ τὸ ὃν ὑποθεὶς... Hadot, recte

Die Anderung der Interpunktion ist wegen des Asyndeton notwendig. XII 13-14

τοῦ ὅλου tov ἕν εἶναι ἐκ μετοχῆς γεγονότος τοῦ

MATTHIAS

BALTES

ἑνός : τοῦ ὅλου τοῦ ὃν εἶναι ἐκ μετοχῆς γεγονότος τοῦ ἑνός

Begrindung: Der tiberlieferte Text gibt einen guten Sinn. Ubersetzung:

»[...1 wobei das Ganze des Eins-Seins durch Teilhabe am Ejinen entstanden ist‘.

XII 16

γεγονός

: γέγονεν

(?)

Begriindung: Ein Pradikat fehlt. Man kénnte allerdings nach ὑφειμένον (in Gedanken?) ein ἐστίν erginzen.

XII 23-27:

Anderung der Interpunktion: ... ὅτι τὸ ἕν τὸ ἐπέκεινα οὐσίας καὶ ὄντος ὃν μὲν οὐκ ἔστιν οὐδὲ οὐσία οὐδὲ ἐνέργεια, ἐνεργεῖ δὲ μᾶλλον καὶ αὐτὸ τὸ ἐνεργεῖν καθαρόν, ὥστε καὶ αὐτὸ τὸ εἶναι τὸ πρὸ τοῦ ὄντος,οὗ μετασχὸν

XII 27-28

...

ἄλλο ist wahrscheinlich pridikativ und auf τὸ εἶναι Ζ. 28 zu beziehen.

Begriindung: 1. Attributiv wiirde man wohl ἕτερον erwarten.

2. ἄλλο ... τὸ εἶναι steht im Gegensatz zu αὐτὸ τὸ εἶναι _ (Z. 26). Ubersetzung: »lndem das Eine an diesem (αὐτὸ τὸ εἶναι) Teilhabe

erlangt, besitzt es ein anderes Sein (wértlich das Sein als etwas anderes), das sich von jenem ableitet und von ihm abweicht; ἀςη’

XII 30-33

3ςς

eben das meint “Teilhaben am Seien-

“.

τὸ μὲν προὐπάρχει τοῦ ὄντος, τὸ δὲ {6} ἐπάγεται ἐκ τοῦ ὄντος τοῦ ἐπέκεινα ἑνὸς τοῦ εἶναι ὄντος τὸ ἀπόλυτον καὶ ὥσπερ ἰδέα τοῦ ὄντος : τὸ μὲν προὐὔπάρχει τοῦ ὄντος, τὸ δέ, ὃ ἐπάγεται ἐκ «τοῦ» τοῦ ὄντος (τοῦ) ἐπέκεινα

ἑνός,

τοῦ εἶναι ὄντος τεοῦ»

ἀπολύτου

καὶ

ὥσπερ ἰδέας«ς» τοῦ ὄντος.

Begriindung:

Der iiberlieferte Text ist m.E. unverstandlich. Die Konstruktion des Genitivs (τοῦ εἶναι ὄντος) mit Pridikativen im Nominativ (τὸ ἀπόλυτον, ἰδέα) ist gewagt und

sicher erklarungsbediirftig. Ich verstehe τοῦ εἶναι ὄντος —

3g —

ANMERKUNGEN

ZUM

ANON.

«IN PARMENIDEM»

. τοῦ ὄντος im Sinne von ὃ τὸ εἶναί ἐστι τὸ ἀπόλυτον καὶ ὥσπερ ἰδέα τοῦ ὄντος. XIII 8-9

πότε ἑνοῦται τὸ νοοῦν τῷ νοουμένῳ

δύναται

καὶ

{τί} πότε οὐ

: πότε ἑνοῦται τὸ νοοῦν τῷ νοουμένῳ καὶ τί

ποτε οὐ δύναται

Ubersetzung:

yL---] wann das Denkende sich mit dem Gedachten vereint und warum es das manchmal nicht vermag“ XII 15

αὐτῷ : ταὐτῃλαὖθι Begriindung: Es scheint um den Ort zu gehen; vgl. ἐν οὐδενί (Z. 13.

18).

Ubersetzung: »Jede der anderen Aktivitàten steht in einer festen Be-

ziehung zu etwas und hat in jeder Hinsicht dort ihren bestimmten Platz (τέτακται im Sinne von τάξιν ἔχει), sowohl im Hinblick auf ihre Form als auch auf ihre

Bezeichnung“. XIII 23

«ἀ»σύζυγος

: σύζυγος

Begriindung: Die hòchste ἐνέργεια ist zwar den anderen gegentiber transzendent (ἐπέκεινα), aber nicht von ihnen abgeschnitten; denn sie ist nur ἐπινοίᾳ διαφέρουσα (XIV 2

f) und gebraucht die anderen ἐνέργειαι wie Werkzeuge

(XIII 5. 11 f); d.h. sie ist transzendent als unmittelbar iber ihnen stehend (ἐπαναβεβηκυῖα, XIII 10 f) und mit

ihnen verbunden. XIII 27

XIV 12

ὅτι ἀκουστὸν

: ὅτι «τὸ» ἀκουστὸν

Begriindung: Sonst ist durchweg der Artikel gebraucht. καὶ αὐτὸ τοῦτο“΄ αὐτοῦ τοζαλύτου ἰδέαν τοῦτο“΄ αὐτοῦ {1d αὐτοῦ) ἰδέαν

: καὶ ,,αὐτὸ

Begriindung:

Dittographie XIV

12-13

δύναμις

:

δύναμιν

Begriindung: Grammatikalische Notwendigkeit; siehe die unsichere Uberlieferungslage. — 39 —

MATTHIAS

BALTES

Ubersetzung: ,Eines ist Es also und einfach entspechend seiner sten und (mit) ‘eben dies’ (gemeinten) Form, die Vermégen ist (δύναμιν ... οὖσαν) -- oder wie auch mer man es benennen muff, um auf Es zu weisen —

unsagbar und undenkbar ist‘. XIV 21

ΧΙΝ 22

«ὁ» delendum Begriindung: Die Erganzung ist unndotig. καὶ ὡς delendum

Begriindung: Beide Worte ergeben keinen Sinn.



40 —

erein imdas

MAURO

UN

ΒΟΝΑΖΖΙ

DIBATTITO TRA ACADEMICI E PLATONICI SULL’EREDITÀ DI PLATONE

La testimonianza del commentario

anonimo

al Teeteto

Tra i filosofi riconducibili alla tradizione platonica l’anonimo commentatore del Teeteto è certamente quello che più di tutti ha goduto di una decisa rivalutazione negli ultimi anni: dopo le ricerche di Harold Tarrant! e la nuova edizione di Guido Bastianini e David Sedley,? pochi potrebbero ancora condividere le severe accuse di superficialità che eminenti storici del pensiero antico gli muovevano pochi anni or sono. Ma, nonostante questa ripresa di interesse sia stata capace di condurre a una migliore intelligenza della sua personalità filosofica e della ricca tradizione esegetica che gli è sottesa, numerose sono ancora le questioni fondamentali rimaste senza risposta, in primis la paternità dell’autore e la datazione. Purtroppo il papiro contenente questo testo ci è stato restituito mutilo della parte iniziale e di quella finale, privando così gli studiosi di informazioni sicure; l’unico dato concreto rimane il terminus ante

quem, che si ricava dal tipo di scrittura impiegata, una maiuscola libraria informale di tipo rotondo, assegnabile alla prima metà del ! H. TARRANT,

The Date of Anon.

«In Theaetetum»,

CQ

77 (1983), 161-187; ID.,

Scepticism or Platonism? The philosophy of the Fourth Academy, Cambridge, Cambridge University Press 1985, 66-88. Anche nei lavori più recenti Tarrant è rimasto sulle sue posizioni, cfr. Plato’s First Interpreters, London-Ithaca, Duckworth-Cornell Univ. Press 2000, 82-83. 2 G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, Commentarium in Platonis «Theaetetum», in CPF III (1995), 227-562; ma di Sedley sono usciti anche numerosi contributi specifici, tra

cui mette conto di segnalare almeno Three Platonist Interpretations of the «Theaetetus», in Form and Argument in Late Plato (C. Gill - M.M. McCabe eds.), Oxford, Cla-

rendon Press 1996, 70-103; Plato’s Auctoritas and the Rebirth of the Commentary dition, in Philosophia Togata (J. Barnes - M. Griffin eds.), Oxford, Clarendon 1997, II, 110-129; A new Reading in the Anonymous «Theaetetus» Commentary rol. 9782 Fragment Ὁ), in Papiri filosofici. Miscellanea di studi I, Firenze, Olschki

(STCPF, 8), 139-144.



41 —

TraPress (PBe1997

MAURO

BONAZZI

II secolo d.C. Influenzati dal mito storiografico della ‘scuola di Gaio?,4 le cui fondamenta solo in tempi recenti sono state smantellate," i primi editori Diels e Schubart proposero di interpretare il commentario come un prodotto proveniente da tale scuola, senza però insistere nell’identificazione con Albino, al tempo considerato autore non solo dell’Jsagoge, ma anche del Didaskalikos.® Questa interpretazione, vuoi per l’autorevolezza dei suoi primi fautori,” vuoi per uno scarso interesse nei confronti del commentario da parte degli studiosi, s'impose come la più accreditata per gran parte del secolo, fino alla revisione radicale avanzata da Tarrant una ventina

di anni fa (1983). Muovendo da una riconsiderazione minuziosa dei dati a disposizione alla luce delle più recenti interpretazioni, Tarrant avanzò la proposta di datare il commentario alla metà del I sec. a.C., individuandone

l’autore nel filosofo alessandrino

Eudoro.®

Nonostante l’ipotesi di attribuzione e il tentativo di datazione fossero inestricabilmente legati, questa proposta ha goduto di contrastanti fortune: mentre la quasi totalità degli studiosi respingeva l’identificazione con Eudoro,? il cambio di datazione al I sec. a.C. ha

3 BASTIANINI,

Commentarium,

cit., 235-246. Forse non è senza importanza ai fini

della datazione che il papiro sia stato rinvenuto insieme agli Elementi di etica dello stoico Ierocle: questo accoppiamento testimonierebbe una persistenza a tutto il II sec. d.C. di interessi che noi saremmo portati a ricondurre ai dibattiti di età ellenistica. Il solo ad attribuire una qualche importanza alla buona qualità del rotolo in vista della datazione (II d.C.) è stato M. BALTES,

comunicazione

riportata in D.TH.

RUNIA, Re-

drawing the map of early Middle Platonism: some comments on the Philonic evidence, in D.TH. RUNIA, Exegesis and Philosophy. Studies on Philo of Alexandria, Aldershot, Variorum

1990, Addenda

et corrigenda, 2

ΕἼ due lavori fondamentali per la ‘creazione’ di questa scuola sono J. FREUDENTHAL, Der Platoniker Albinos und der falsche Alkinoos, Berlin, Calvary 1879 («Hellenistische Studien», III), e T. Sinko, De Apulei et Albini doctrinae platonicae adumbratione, Diss. Krakow

1905.

5 Fondamentali sono le ricerche di J. Whittaker, confluite nella sua edizione Alcinoos. Enseignement des doctrines de Platon, Paris, BL 1990, ma si vedano anche i lavori di M. Giusta, in particolare ᾿Αλβίνου Ἐπιτομή o ᾿Αλκινόου Διδασκαλικός», AAT

95 (1960/1961), 167-194.

6 H. DIELS - W. SCHUBART, Anonymer Kommentar zu Platons Theaetet (Papyrus 9782), BKT II (1905). Un tentativo in direzione dell’identificazione tra Albino e l’anonimo si ritrova in J. DILLON, The Middle Platonists, London, Duckworth 1996?(1977), 268-271, che ha tuttavia modificato le sue opinioni dopoi lavori di J. Whittaker, cfr. Alcinous.

The Handbook

of Platonism, Oxford, Clarendon Press 1993, IX-XIII.

7 L’ipotesi di Diels e Schubart era stata accolta con favore anche da K. PRAECHTER (rec. a Diels - Schubart Anonymer Kommentar, cit.), GGA 171 (1909), 530-547 (= Kleine Schriften (hrsg. von H. Dérrie], Hildesheim-New York, Scientia 1973, 246-264).

* Cfr. i lavori citati alla n. 1. 9 Decisivi a questo proposito sono i rilievi di J. MANSFELD, Two Attributions, CQ 85 (1991), 543-544: l’anonimo commentatore individua in Teeteto 152d le categorie di

— 42 —

ACADEMICI

E PLATONICI

NELL’ANON.

«IN THEAETETUM»

riscosso negli ultimi anni grande attenzione, ed è stato infine riproposto dagli ultimi editori Bastianini e Sedley.!0 E pur tuttavia, la divaricazione tra l’accettazione di un cambio di datazione e il rifiuto dell’attribuzione a Eudoroè indizio di problemi esegetici tutt'altro che risolti, perché nella minuziosa ricostruzione di Tarrant datazione e attribuzione costituivano le due facce della stessa medaglia, che si integravano e confermavano a vicenda: scartare una delle due ipotesi non può non comportare conseguenze sull’altra. D’altronde, la quasi totale mancanza di elementi utili conduce inevitabilmente a una sospensione del giudizio nel caso dell’identificazione dell’anonimo

estensore del commentario,

scarse reazioni suscitate dalla proposta di Tarrant ne sono ferma più che eloquente: basta uno sguardo cursorio alla graphia Platonicorum raccolta da Matthias Baltes!! per quanto poco si sappia del platonismo appartenente a quella

e le

una conprosopoverificare che Her-

mann Diels chiamava ‘Mondscheinakademie’.!? Al contrario, risul-

tati più concreti possono essere raggiunti a proposito del problema della datazione. L’ipotesi che il commentario sia stato composto nel primo secolo a.C. manca di prove assolutamente certe,” e si regge piuttosto su una serie di indicazioni intrecciate fra di loro, che non sempre sono sembrate convincenti ai lettori più direttamente interessati.!* In queste pagine, sempre entro i limiti di una certa ap-

sostanza, quantità e qualità, nell’ordine tradizionale aristotelico (Cat. 4, 1b25-2a4) e a

prezzo di alcune forzature, in modo diverso da Eudoro che propugnava un ordine non aristotelico (sostanza, qualità, quantità: Simp. Jn Cat. 206, 10-15 = fr. 17 Mazzarelli);

questa discrepanza depone contro la possibilità di identificare in Eudoro l’autore del commentario. A proposito delle scelte di Eudoro, è comunque interessante osservare che una sequenza delle categorie simile alla sua si ritrova nella Metafisica (1069220), un testo conosciuto dall’alessandrino (cfr. Alex.Aphr. Jn Metaph. 58, 25-59, 7 = fr. 2 Mazzarelli). Le ipotesi di Tarrant risentono in fondo di una tendenza messa in discusione da J. RIST (rec. a Tarrant, Scepticism, cit.), Phoenix 40 (1986), 468: «In the past there

has been a tendency [...] to drop all unidentifiable theories and beliefs on to Antiochus of Ascalon or Posidonius. On the whole this sickness has now died down, and there

is even a tendency (still more or less under control) to set up Eudorus as a new dustbin figure». 10 SEDLEY, Commentarium, cit., 254-256. !! M. BALTES, Der Platonismus in der Antike, III, Stuttgart-Bad Cannstatt, From-

mann-Holzboog 1994, 144-162. 12 DIELS - SCHUBART, Anonymer Kommentar, cit., XXV. 13 Cfr. SEDLEY, Commentarium, cit., 256: «nessuna di queste indicazioni possiede,

neppure lontanamente, forza di prova». Anche Tarrant, del resto, è rimasto sempre consapevole del carattere ipotetico delle sue proposte, si veda Plato’s First Interpreters, cit., 228 n. 36. ™ Recentemente

è J. OPSOMER,

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MAURO

BONAZZI

prossimazione, propongo dunque una riconsiderazione dei dati a nostra disposizione, sottolineati o trascurati da Tarrant e Sedley, per valutare se non sia più corretto ritornare alla datazione tradizionale (fine primo secolo d.C./prima metà del II sec. d.C.). In particolare cercherò di mostrare che né la imprecisa citazione di Menone 98a né l’uso che l’anonimo commentatore fa delle categorie aristoteliche spingono necessariamente verso una retrodatazione al primo secolo a.C., mentre altri indizi, soprattutto per quanto riguarda il lessico, conducono nella direzione opposta. Come si verificherà nell’ultima parte di questo lavoro, la datazione tradizionale potrebbe meglio chiarire il significato e il contesto di alcune polemiche condotte dall’anonimo commentatore a proposito di un problema che ancora oggi non ha smesso di appassionare gli studiosi, l’interpretazione della filosofia di Platone (coll. LIV 38-LV 13, e LX 48-LXI 46 soprattutto). I. IL PROBLEMA

DELLA

DATAZIONE

1. La celebre variante di Menone 98a (αἰτίᾳ λογισμοῦ invece di αἰτίας λογισμῷ) riproposta dall’anonimo commentatore in due occasioni, a III 1-3 e a XV 18-23, costituisce senza dubbio uno dei

problemi più significativi e meglio studiati. L’anonimo, pur usando

questa lezione inconsueta, tende ad interpretarla in un senso ana-

Middle Platonism, Brussel, Koninklijke Academie voor Wetenschappen 1998 handelingen van de Koninklijke Academie voor Wetenschappen, Letteren en kunsten van Belgié», n° 163), 35-37; 64 n. 41; 66; 68, ad essersi maggiormente gnato, ma cfr. anche H. DORRIE, Der Platonismus in der Antike, I, Stuttgart-Bad statt, Frommann-Holzboog

1987, 394-396; RUNIA, Redrawing, cit.,

(«VerSchone impeCann-

e BALTES, Platoni-

smus, cit., 200 (che poi ha ribadito le sue posizioni in Muf die «Landkarte des Mittelplatonismus» neu gezeichnet werden?, GGA 248 [1996], 111). Osservazioni di fondamentale importanza si trovano anche nella monografia di C. BRITTAIN, Philo of Larissa. The Last of the Academic Sceptics, Oxford, Oxford University Press 2001, 252254 che ho potuto consultare quando ormai la gran parte del presente contributo era stata scritta. 15 Non bisogna trascurare il fatto che il modo di argomentare di Tarrant risulta intricato e complesso a causa della sua tendenza «to overhelm the reader with a mass of detail, all of which is selected and presented exclusively with reference to the central argument, so that after a while he has trouble distinguishing the wood from the trees» (RUNIA, Redrawing, cit., 91). Piuttosto che discutere tutte le argomentazioni proposte («alcune delle quali molto ipotetiche»: SEDLEY, Commentarium, cit., 256), converrà dunque concentrarsi

su quelle cardinali, sottolineate dallo stesso Tarrant

(The date, cit.,

165-167; Scepticism, cit., 67-68), da RUNIA (Redrawing, cit., 91) e da SEDLEY (Commentarium,

cit., 255-256).

-

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logo a quello del più tradizionale αἰτίας λογισμῷ, come se fosse testimone di una fase di passaggio: secondo Tarrant!° il testo del papiro rispecchierebbe dunque la lezione originaria del Menone (o almeno la più vicina all’originale), e comunque una lezione anteriore a quella che si sarebbe imposta nella tradizione medievale e che trova le prime attestazioni in Calveno Tauro e Albino (II sec. d.C.).

Ma quest’ipotesi presenta problemi sia dal punto di vista della storia della tradizione del testo di Platone sia in base a considerazioni metodologiche più generali, perché non solo esclude la possibilità che il commentario sia il portatore solitario di una variante che non ha messo radici nel corpo della nostra tradizione, ma implica anche una tradizione unitaria del testo di Platone con tanto di ‘archetipo’ modificato dalla presunta influenza autoritativa di Trasillo, mentre emerge chiaramente dalla varietà di lezioni dei papiri platonici che ancora nei secoli II e III d. C. mancava questa tradizione unitaria

del testo di Platone (che si sarebbe stabilita solo pit recentemente, a partire dal IV sec. d.C.).! In altri termini, come ha fatto giustamente osservare Stefano Martinelli Tempesta, istituire un rapporto di datazione relativa sulla base del confronto fra lezioni è metodologicamente imprudente, nella misura in cui questo esclude la possibilità di tradizioni parallele di uno stesso testo.'® Ma non si tratta solamente di considerazioni di natura filologico-testuale, che pure non devono essere trascurate e che delineano scenari assai complessi,!* bensì di questioni che investono anche il contenuto del passo. Infatti non è forse impossibile avanzare una spiegazione di questa variante anche senza ricorrere a quelle ipotesi che, in opposizione alla tesi di Tarrant (per cui il commentatore vale come testimone di una fase di trapasso tra una lezione antica e una più recente destinata a imporsi), impute-

16 Cfr. H. TARRANT, By calculation of reason?, in The Criterion of Truth (P. HubyG. Neale eds.), Liverpool, Liverpool University Press 1989, 57-82 e ID., «Meno» 98a: more worries, LCM 14.8 (1989), 121; cfr. anche SEDLEY, Commentarium, cit., 485. 17 Cfr. A. CARLINI, Plato, «Meno» 98 a 3 (αἰτίας λογισμῷ / αἰτίᾳ λογισμοῦ: utrum

in alterum?), in Studia classica Iohanni Tarditi oblata (a cura di L. Belloni, G. Milanese, A. Porro), Milano, Vita e Pensiero 1995, II, 1020-1022 con n. 13; cfr. anche G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze, Le Monnier 1952? (1934),

254-255. Sempre a proposito di Menone 98a si potrebbe ricordare la lezione αἰτίας λογισμῶν del codice F, databile al XIII-XIV secolo, ma dipendente da un codice y del III-IV sec. d.C., che forse non è un banale errore. 18 La tradizione testuale del Liside di Platone, Firenze, La Nuova Italia 1997, 295. 19 Cfr. S. MARTINELLI TEMPESTA, Alcune considerazioni su Platone, «Menone» 9843 (αἰτίας λογισμῷ), Acme 53.2 (2000), 5-20.

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rebbero la variante a uno scriba che commette per distrazione un errore:?0 il fatto che nella sua estensione il commentario mostri di intendere αἰτίᾳ λογισμοῦ in un senso affine a quello della lezione tradizionale αἰτίας λογισμῷ, come se non ci fossero differenze di fondo tra le due varianti (cfr. Il 3-7; 21-23), potrebbe essere infatti

considerato come un'ulteriore attestazione di quella tendenza diffusissima tra i filosofi platonici di età imperiale, e magistralmente messa in luce dalle ricerche di John Whittaker, a citare i testi platonici in modo non letterale per migliorarne o chiarirne il significato presunto.?! In questo caso specifico, la modifica del testo potrebbe essere stata dettata dall’esigenza di sottolineare l’importanza di ‘causa’ in quella che suona alle orecchie dei filosofi platonici come la definizione par excellence di ἐπιστήμη: una parafrasi possibile potrebbe essere allora «opinione retta legata dalla causa che appartiene al ragionamento», ed essa avrebbe il merito non solo di conciliare questo passo con il testo del Merone, ma anche di conservare una coerenza di fondo al ragionamento dell’anonimo commentatore.” Altrimenti, soprattutto nel caso dell’ipotesi di Tarrant, il comportamento del commentatore, che passa tacitamente da una lezione all’altra senza discutere il problema (o che addirittura presenta un testo — αἰτίᾳ λογισμοῦ - e ne commenta un altro -- αἰτίας λογισμῷ),

risulterebbe in contrasto con la sua tendenza a soffermarsi su questioni di comprensione letterale di passi potenzialmente ambigui (cfr. ad es. XII 21-24) e tradirebbe una incompetenza quasi intol-

lerabile.?* La soluzione escogitata da Tarrant per chiarire questo

20 Si tratta della tesi di CARLINI, Plato, cit., 1026. A favore di questa ipotesi si deve

ricordare che a XV 23 αἰτίᾳ risulta dalla correzione di αἰτίαν, mentre in ΠῚ 3 sempre ad αἰτίᾳ manca lo iota mutum. 2 È la cosiddetta ‘art of misquotation’: «[variants] are the consequence of deliberate, but well-intentioned attempts to ameliorate the text and its meaning (or what one conceived, rightly or wrongly, to be its meaning)»: J. WHITTAKER, The Value of Indirect Tradition in the Establishment of Greek Philosophical Texts or the Art of Misquotation, in Editing Greek and Latin Texts (J.N. Grant ed.), New York, AMS 1989, 6395: 70. DILLON, The Middle Platonists, cit., 271, addossa al commentatore stesso la

responsabilita dell’errore osservando che si tratta di un errore facile «since it involves a more natural word-order»: egli dunque si attesta su loghe a quelle di Carlini (si tratterebbe cioè di un errore), sulla base di scarso rispetto, sia esso voluto o inconsapevole, del dettato platonico) quelle di Whittaker.

da commettere, conclusioni anaosservazioni (lo non dissimili da

22 SEDLEY, Commentarium, cit., 485 propone, come parafrasi del modo

in cui l’ano-

nimo commentatore sembra intendere il passo, «legata da (il ragionamento) di una causa». 2 Così anche MARTINELLI TEMPESTA, Alcune considerazioni, cit., 13-15.

2: Anche SEDLEY, Commentarium, cit., 485, osserva che l’ipotesi di un semplice sba-

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complicato problema, per quanto ingegnosa e sottile, non è l’unica possibile e non è esente da assunzioni tutt’altro che dimostrate. 2.

A LXVIII 1-15 il commentatore ricorre allo schema bicate-

goriale antico-academico,

καθ᾽ αὑτόλπρός

τι, insieme alla dottrina

aristotelica delle dieci categorie. Secondo Sedley, l’uso congiunto dei due schemi rifletterebbe una fase di transizione nella ricezione del pensiero aristotelico, e si ritroverebbe nei testi di altri due filosofi del I sec. a.C., il peripatetico Andronico e il platonico Eudoro: l’impiego di un analogo procedimento nel commentatore farebbe dunque propendere per un’analoga collocazione temporale. Ma, al di là di una generica somiglianza, le relazioni tra questi filosofi risultano tutt'altro che scontate. Tra gli scritti aristotelici esoterici le Categorie furono il testo che suscitò più vasta attenzione non solo tra 1 commentatori peripatetici (oltre ad Andronico si possono ricordare Boeto e Aristone d’Alessandria), ma anche tra quelli di altre scuole (oltre a Eudoro, glio sulla lezione di Merone 98a «comporterebbe ammettere un’incredibile mancanza di attenzione nei confronti di quella che, a suo parere [sc. del commentatore], costituisce la parola specifica più importante che Platone abbia pronunciato sulla conoscenza». 5 Si potrebbe anche osservare che il procedimento di Tarrant di utilizzare la variante per alzare la datazione e di utilizzare lo spostamento di datazione per anticipare la variante a prima di Trasillo è un procedimento che, quand’anche potesse difendersi dall’accusa di incorrere in un circolo vizioso, non si presenta certo come il più economico. Cambiando argomento, l’osservazione che la discussione sul criterio non interesserebbe più dopo il I sec. a.C. non tiene invece nella dovuta considerazione le affermazioni di Proclo, che nel commentario al Timeo sfiorava il problema del criterio con un accenno fugace a Severo (II-III sec. d.C., ma non si tratta di una datazione sicura), e rinviava poi alle pagine del suo (per noi perduto) commentario al Teeteto per una trattazione più estesa (cfr. Im Ti. I, 254, 19-255, 26), confermando così una tradi-

zione costante intorno a questo problema dai primi secoli imperiali fino al V secolo inoltrato: in realtà proprio questo caso vale come esempio concreto del conservatorismo congenito che caratterizzava il genere letterario del commentario filosofico. E più in generale, non è solo la citazione procliana ad attestare una tradizione continua di interpretazioni e commenti intorno a questo dialogo, perché il posto che il Teeteto occupava nel curriculum giamblicheo indica che lo studio di quest'opera era incentrato su questioni di carattere gnoseologico ed epistemologico (mentre il Cratilo, che occupava il quarto posto del canone, era περὶ ὀνομάτων, il Teeteto, il quinto dialogo della serie, era περὶ νοημάτων: cfr. Proleg. in Plat. philos. 26, 37-39). Ma l’argomentazione di Tar-

rant che prendeva spunto dall’ipotetico disinteresse in età imperiale nei confronti del problema

del criterioè stata rifiutata decisamente anche da SEDLEY,

Commentarium,

cit., 256. Nelle pagine immediatamente successive verrano proposti altri esempi della centralità del Teeteto in età imperiale. 26 SEDLEY, Commentarium, cit., 552, che per Andronico cita Simp. Im Cat. 63, 2224; 134, 5-7, e per Eudoro Simp. Im Cat. 174, 14-16; 206, 10-15 (= frr. 15 e 17 Mazzarelli). Dello stesso Sedley, cfr. anche Plato’s «Auctoritas», cit., 117-118.

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gli stoici Atenodoro e Cornuto, l’anonimo pseudo- Archita di orientamento pitagorizzante), a proposito dei più disparati problemi: in questo vivace contesto Andronico avrebbe elaborato una proposta esegetica che fosse capace di sovrapporre alle dieci categorie uno schema bipartito in una maniera che Simplicio (In Cat. 63, 22-24) avrebbe associato a quella di Senocrate. Ma il collegamento di Andronico con Senocrate e con le istanze metafisiche di quest’ultimo potrebbe tradire una deduzione o una interpretazione da parte del commentatore neoplatonico o da parte di una fonte intermedia, ad esempio Porfirio (un intermediario tutt’altro che neutrale),? visto

che altrove nel commentario Andronico mantiene le dieci categorie ed è capace di discuterle nel dettaglio:?? molto più probabilmente, dunque, Andronico non avrebbe fatto altro che mettere in risalto la distinzione tra sostanza e accidenti, una bipartizione già chiaramente posta in evidenza da Aristotele stesso, e comunemente diffusa in epoca imperiale.” Certamente, l’interpretazione di un Andronico che lavora esclusivamente all’interno di problematiche aristoteliche rischia di risultare riduttiva e unilaterale, laddove non riesca a tenere nella debita

considerazione la verosimile ipotesi di un contatto ο΄ 41 un’influenza platonica, anche soltanto in senso polemico:” un confronto tra pla-

? Fondamentali sono P. MORAUX, Der Aristotelismus bei den Griechen, Berlin-New

York, De Gruyter 1972-1984 e H.B. GOTTSCHALK, Aristotelian Philosophy in the Roman

World, in ANRW,

II 36.2, Berlin-New York, De Gruyter 1987, 1101-1112.

2 Andronico non è citato espressamente da Simplicio tra le sue fonti, a differenza di numerosi altri commentatori e studiosi delle Categorie, cfr. L. TARAN (rec. a Moraux, Aristotelismus, cit.), Gnomon 53 (1981), 741-742. 29 Simp. In Cat. 342, 24 e 157, 18-22. Cfr. i commenti di MORAUX, Aristotelismus, cit., I, 103-104, di M. ISNARDI PARENTE, Simplicio, gli stoici e le categorie, RSF 41 (1986), 9-10, di GOTTSCHALK, Aristotelian Philosophy, cit., 1105, e di J. MANSFELD, Heresio-

graphy in Context. Hippolytus’ Elenchos as a Source for Greek Philosophy, Leiden-New York-Kéln, Brill 1992, 60 n. 8.

30 Arist. Cat. 2434 ecc.; APo. 83425. 31 Ar. Did. ap. Stob. Anthol. II, p. 42, 1-4 Wachsmuth; Ps.-Archyt. περὶ τῶ καθόλοῦυ λόγου 31, 6-9 Thesleff; Asp. In EN 12, 2-4; Clem.Al. Strom. VIII 24, 1; Ps.-Gal. Phil. Hist. 6; Hippol. Haer. I 20, 1. 32 Cfr. P.L. DONINI, Le scuole, l’anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino, Rosenberg & Sellier 1982 (rist. 1993), 89, a proposito della sovrapposizione tra schema bicategoriale e schema aristotelico: «è ragionevole allora ammettere che Andronico sia stato influenzato da una tradizione di origine platonica o academica, a cui reagì poi criticamente attenuandone il fin troppo forte contrasto con la dottrina aristotelica, declassando cioè lo status ontologico della relazione e attenendosi, in definitiva, al numero complessivo delle categorie aristoteliche»; cfr. anche MANSFELD, Heresiography, cit., 61.

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tonici e peripatetici, tra Eudoro,

«IN THEAETETUM»

Andronico,

Boeto,

e Aristone,

documentabile a proposito di numerose questioni. Ma, caso, anche prescindendo dai problemi interpretativi che zione di Andronico solleva, il legame di quest’ultimo con risulta a un’indagine dettagliata più apparente che reale.

in ogni la posiEudoro Innanzi-

è

tutto l’alessandrino, nonostante sia insignito del titolo di ἐξηγητής

in Simplicio,#* è un avversario delle categorie aristoteliche, ed è autore non di un commentario, ma di una monografia polemica, una ‘Streitschrift’, volta a sollevare contraddizioni e aporie, e senza in-

teresse per un eventuale riadattamento di questa dottrina a quella antico-academica.’ A tale proposito, è significativo che in riferimento ad Eudoro Simplicio impieghi termini come αἰτιᾶται, ἐγκαrei, dmopet:* l’attenzione per il testo aristotelico non implica necessariamente una predisposizione favorevole. L'ipotesi che in lui si applichino congiuntamente i due schemi contrasta dunque fortemente con questo antiaristotelismo di fondo. Da Attico a Lucio, Nicostrato e Severo, da Tauro a Plotino, non

mancano platonici ostili alla dottrina delle categorie di Aristotele e alla possibilità di conciliarla con le teorie del platonismo,” ma lo scarso numero di frammenti e testimonianze rende poco agevole il compito di chiarire la portata di queste polemiche e le loro relazioni reciproche. Ad .ogni modo, insieme a tante critiche sterili e capziose, i rilievi mossi da questi filosofi in almeno un caso toccavano un serio problema di fondo: la dottrina di Aristotele si riferiva al mondo fisico, al mondo intellegibile o ad entrambi? l’indebita estensione ontologica del sistema categoriale aristotelico rischiava

33 A proposito della bipartizione, cfr. MANSFELD, Heresiography, cit., 59-69. Simp. Jn Cat. 159, 32 = fr. 14 Mazzarelli.

5. «Der Hinweis auf den Mangel an Folgerigkeit in der Kategorienlehre war ihm, wenn nicht alles taiischt, wichtiger als der positive Beitrag [...] Seine Arbeit tiber den Traktat des Aristoteles erscheint also eher als eine Streitschrift denn als ein Versuch,

die Doktrine selbst zu prazisieren, zu erginzen und zu korrigieren, um sie dann in das Lehrprogramm der Akademie aufnehmen zu kénnen»: MORAUX, Aristotelismus, cit., II, 523; cfr. anche H. DORRIE, Der Platoniker Eudoros von Alexandria, Hermes 79 (1944), 28-29 (poi in ID., Platonica minora, Miinchen, Fink 1976, 300-301); BALTES, Platonismus, cit., 255-256. 36 Simp. In Cat. 174, 22 e 246, 22; 187, 10 e 236, 28; 268, 13 (corrispondenti ai frr. 15-16, 18-19, 22 Mazzarelli). ” Attic. fr. 2, 136-138; 40-42 des Places; Luc. e Nicostr. ap. Simp. In Cat. 1, 18; 73, 15; 156, 16-23; Sever. ap. Procl. In Ti. I, 227, 13-18; Taur. περὶ σωμάτων καὶ ἀσω-

μάτων ap. Suid. s.v. Ταῦρος; Plot. VI 1-3. Fondamentale rimane sempre K. PRAECHTER, Nikostratos der Platoniker, Hermes

101-137).



57 (1922), 481-517 (= Kleine Schriften, cit.,

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di compromettere un caposaldo della filosofia platonica, la separatezza tra mondo ideale e mondo sensibile. Un modo possibile per salvaguardare la trascendenza delle idee risultò essere il declassamento delle categorie aristoteliche alla sola realtà corporea, preservando così l’integrità del mondo eidetico e la superiorità dello schema bicategoriale. È difficile stabilire quanto a fondo sia stata percorsa questa via, e ancora più difficile risulta valutare affinità e divergenze tra i diversi critici delle Categorie," ma prima di Plotino i vantaggi che questa possibilità esegetica offriva erano

certamente presenti

nelle aporie sollevate da Nicostrato,? ed esplicitamente sottolineati nello scritto dello pseudo-Archita.*° In considerazione anche delle strette affinità che intercorrono fra l’anonimo pitagorico ed Eudoro,*! è ipotesi plausibile che anche il filosofo alessandrino cercasse di salvaguardare la bipartizione platonica in modo analogo, limitando la validità d’uso dello schema aristotelico alla realtà sensibile

(Simp. In Cat. 206, 10-15 = fr. 17 Mazzarelli: πᾶσαν γὰρ οὐσίαν ποῦ εἶναι καὶ ποτέ, δηλονότι τὴν αἰσθητήν, corsivo mio) e rilevando

la sua incapacità a spiegare i diversi gradi della realtà, a differenza della più completa dottrina platonico-academica (Simp. In Cat. 174, 14-16 = fr. 15 Mazzarelli: αἰτιᾶται δὲ ὁ Εὔδωρος, διὰ ti ἀντιδιῃρημένου τοῦ καθ’ αὑτὸ τῷ πρός τι, περὶ μὲν τοῦ πρός τι διείλεκται ὁ Apt-

στοτέλης, περὶ δὲ τοῦ

καθ᾽ αὑτὸ οὐκέτι, corsivo mio).” A prescin-

dere dalla correttezza di questa interpretazione, fuori di dubbio

38 Su queste problematiche relazioni si sofferma R. CHIARADONNA, L’interpretazione della sostanza aristotelica in Porfirio, Elenchos 17 (1996), 62-77, in favore di una sostanziale diversità di Plotino dai suoi predecessori. 39 Simp. In Cat. 73, 23-25; 76, 13; 429, 13, con il commento di PRAECHTER, Nikostratos, cit., 492 e 501, e di MORAUX, Aristotelismus, cit., II, 542-544, 560-561. Ὁ Ps.-Archyt. περὶ τῷ καθόλου λόγου, 22, 31 e 31, 3-5, con il commento di TH.A.

SZLEZAK, Pseudo-Archytas tiber die Kategorien, Berlin-New York, De Gruyter 1972, 104-105.

Un

tentativo di soluzione diverso, anche se sempre

orientato in senso anti-

aristotelico, è quello di Severo, il quale, pur affermando la distinzione tra piano empirico e piano eidetico, accoglieva poi un genere sommo sul modello della categoria suprema del τι stoico: cfr. A. GIOÈ, Severo, il medioplatonismo e le categorie, Elenchos 14 (1993), 33-53. 4! Cfr. DILLON, The Middle Platonists, cit., 134-135; GOTTSCHALK, Aristotelian Phi-

losophy, cit., 1131-1132 e n. 259, con la bibliografia ivi citata. 4 Cfr. MORAUX, Aristotelismus, cit., II, 519-522, e anche TARRANT,

185, che Aristotele mente, la l’applicare

The Date, cit.,

nel fr. 15 Mazzarelli appena citato considerava le accuse di Eudoro ad «a Platonist’s jibe at Aristotle’s rejection of Platonic Ideas». Più precisaposizione di Eudoro cosi come quella di pseudo Archita consisterebbe neltutte le categorie aristoteliche al sensibile e la sola categoria di sostanza an-

che alle idee (Ps.-Archyt. 22, 31-23, 4), cfr. CHIARADONNA, sostanza, cit. 72-76, e MANSFELD, Heresiograpby, cit., 65-66.



50



L’interpretazione

della

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rimane la centralità di Andronico ed Eudoro nell’assimilazione della dottrina categoriale aristotelica nel dibattito filosofico del tempo, ma altrettanto evidente risulta anche la differenza di interessi e di obiettivi tra i due filosofi, mossi l’uno dall’esigenza di riordinare le dottrine del maestro, l’altro dall’interesse per questioni metafisiche. Si potrebbe così individuare, nel passo appena citato di Simplicio (In Cat. 174, 14-16), un esempio illuminante delle divergenze tra i due, perché, se Andronico avesse operato la bipartizione categoriale in accordo con la tradizione academica, Eudoro non avrebbe criticato Aristotele per non aver contrapposto il καθ’ αὑτό al πρός τι." Diversa, più conciliante, è invece la posizione dell’anonimo com-

mentatore. A differenza di Eudoro, egli condivide con Alcinoo e Plutarco la convinzione che l’integrazione della dottrina delle categorie (e più in generale delle dottrine aristoteliche) nel corpus dottrinario platonico non sollevi problemi, perché perfettamente giustificata dalla loro presenza in Platone ancor prima che in Aristotele.* L’atteggiamento dell’anonimo si risolve in un’apertura produttiva alla filosofia di Aristotele, mai intesa come «eine von Platonismus

abweichende Philosophie», quanto piuttosto come «eine Prazisierung»,

«eine willkommene,

fruchtbare

Interpretationshilfe».*

Le

profonde differenze tra l'anonimo commentatore, Eudoro e Andronico e la persistenza (ben oltre il I sec. a.C.) di una intersezione tra

la dottrina academica e la dottrina aristotelica rispecchiano, al di là di una concordanza di fondo più apparente che reale, la grande ricchezza e varietà di modelli interpretativi concorrenti. L’inserimento della dottrina categoriale di Aristotele all’interno del platonismo non

3 Cfr. DORRIE, Exdoros, cit., 300-301; DILLON, The Middle Platonists, cit., 133135; SZLEZAK, Pseudo-Archytas, cit., 105. GOTISCHALK, Aristotelian Philosophy, cit., 1111, ha suggerito inoltre influenze stoiche su Eudoro; cfr. anche MANSFELD, Heresio-

graphy, cit., 68 e n. 30. # Sui contatti tra Eudoro e i peripatetici Andronico, Boeto e Aristone, cfr. GOTTSCHALK, Aristotelian Philosophy, cit., 1105-1111; MORAUX, Aristotelismus, cit., II, 526, individua un riferimento polemico contro Andronico in Simp. In Cat. 263, 19-26 = fr.

21 Mazzarelli. 4 Mentre Alcin. Did. 159, 34-35, deriva la dottrina delle categorie dal e da altri dialoghi non meglio precisati, Plutarco, An. procr. 1023e, muove (cfr. anche Catalogo di Lampria n° 192: διάλεξις τῶν δέκα κατηγοριῶν). commentatore individua in Teeteto 152d le categorie di sostanza, quantità e supra, n. 9). “6 MORAUX,

Parmenide dal Timeo L’anonimo qualità (cfr.

Aristotelismus, cit., II, 481-493, a cui si deve la trattazione più com-

pleta dell’aristotelismo del commentatore: egli non sempre dispone di testi di prima mano e propende talora per manuali; «l’unica opera di Aristotele che si può dire egli conosca bene sono i Topici» (SEDLEY, Commentarium,

— 51

cit., 249).

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BONAZZI

fu, come voleva Heinrich Dorrie,’ il frutto dello sforzo di una ge-

nerazione, ma il risultato di un macchinoso processo. E se a questi problemi specifici si aggiunge che ancora nei primi secoli imperiali una conoscenza degli scritti esoterici di Aristotele da parte. di tutti i filosofi platonici non costituiva un fatto scontato, non sarà difficile comprendere il valore relativo offertoci da questa testimonianza al fine di stabilire la datazione e la paternità del commentario. 3. Pur con tutte le cautele del caso, necessarie in ogni tentativo di datazione e ancora più opportune nei confronti della letteratura dei commentari, in cui la forza della tradizione prevale sulla personalità dei commentatori, si potrebbe sottolineare la presenza di alcuni elementi che spingono in favore di una datazione più tarda. In particolare mi sto riferendo all’oscillazione dei termini impiegati per definire gli eredi della tradizione platonica, oi ἐξ Ἀκαδημείας (VI 30; LXX 14), Ἀκαδημαϊκός (LIV 40, 45) e Πλατωνικός (II 11, fr. DI 17), insieme alla presenza di Πυρρώνειος (LXI 11; LXIII 3). E anche il verbo δογματίζειν (LIV 42; LV 1; LXI 13 e 39) presup-

pone forse un significato più rigido di quello che aveva nel I secolo

a.C., perlomeno nell’affermazione di LIV 40-43, dove serve a chia-

rire una particolare sfumatura dell’aggettivo Ἀκαδημαῖκός: Ἀκαδημαϊκὸν

τὸν

Πλάτωνα,

ὡς

οὐδὲν

δογματίζοντα.

Ἀκαδημαῖκός, di fatto un sinonimo di

Questo. valore

di

‘scettico’, è la spia che più

dovrebbe allertare l’attenzione degli studiosi moderni.‘ Nonostante la mancanza di studi esaustivi,5° si può ricavare dai testi antichi con una certa sicurezza che i primi vocaboli impiegati per designare discepoli e membri della scuola fondata da Platone sono legati al nome dell’Academia: nella letteratura περὶ αἱρέσεων e nelle serie di successioni (διαδοχαί), elaborate durante il periodo

ellenistico e conservateci principalmente da Diogene Laerzio, la tradizione istituita da Platone si definisce non per il nome del mae-

“7 DORRIE, Eudorus, cit., 301.

8 Cfr. quanto osserva F.H. SANDBACH, Plutarch and Aristotle, ICS 7 (1982), 230, a proposito di Plutarco: «even after Andronicus had called attention to the works of Aristotle which we now possess, they did not become part of the reading to be expected of a man with a serious interest in philosophy». L'affermazione di Sandbach risponde anche all’osservazione di SEDLEY, Commentarium, cit., 255-256, sulle scarse co-

noscenze di testi aristotelici che rivela il commentatore. “9 Cfr. OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 36, e BALTES, Platonismus, cit., 200. Per quanto riguarda il verbo δογματίζειν si veda più avanti, 72 sg.

5 La ricerca fondamentale rimane certamente quella di J. GLUCKER, Antiochus and the Late Academy, Gottingen, Vandenhoek & Ruprecht 1978, 206-225, che però si sofferma principalmente sulle occorrenze di età imperiale.

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stro (ἀπὸ τῶν διδασκάλων), come accadde invece a Socratici e Epi-

curei, ma ἀπὸ τόπων, dal luogo deputato all’i insegnamento.” Sono l’aggettivo Ἀκαδημαῖκός e le forme perifrastiche oi ἐξ, οἱ ἀπὸ Ἀκαδηpeiag? il minimo comun denominatore capace di rappresentare una

tradizione tanto variegata da necessitare, caso raro nella storiografia filosofica del tempo, di ulteriori specificazioni, mentre di Πλατωνικός, almeno nel suo significato tecnico, mancano attestazioni prima dell’età imperiale.** Analogamente, è interessante osservare che neppure all’altro grande filosofo dell’età classica, Aristotele, toccò il privilegio di creare una tradizione che portasse il suo nome (una

5 D.L. I 17: οἱ δὲ ἀπὸ τόπων, ὡς οἱ ᾿Ακαδημαϊκοὶ καὶ Στωϊκοί. Cfr. anche III 41; Ps.-Gal. Phil. Hist. 4, 8; Eus. PE XIV 4, 13 (Πλάτωνα φασίν ἐν ᾿Ακαδημίᾳ συστησάμεvov τὴν διατριβὴν πρῶτον ᾿Ακαδημαϊκὸν κληθῆναι καὶ τὴν ὀνομασθεῖσαν ᾿Ακαδημαϊκὴν

φιλοσοφίαν συστήσασθαι); Aug. C.D. VIII 12. Sulla derivazione di ᾿Ακαδημαῖκός da ᾿Ακαδήμεια, cfr. A. DEBRUNNER ap. ED. SCHWYZER, Griechische Grammatik, Miinchen, Beck 1939-1950, I, 830. La più antica occorrenza conosciuta è in Timone di Fliunte, fr. 35 Di Marco, dove i manoscritti riportano concordi ᾿Ακαδημαϊκῶν corretto dal Din-

dorf in ᾿Ακαδημιακῶν per ragioni metriche (cfr. Aristocreonte ap. Plu. Stoic. rep. 1033e); secondo H. DIELS, Poetarum philosophorum fragmenta, Berolini, Weidmann 1901, 193, l’aggettivo andrebbe riferito non a persone, ma a libri. Ma già prima si veda il rinvio agli academici con formule perifrastiche come oi ἐξ ᾿Ακαδημείας ad es. nel comico Efippo, fr. 14 Kassel - Austin (νεανίας τῶν ἐξ ᾿Ακαδημείας τις), o in Teofrasto ap. D.L. V 49 (Πρὸς τοὺς ἐξ ᾿Ακαδημείας).

52 Non necessariamente l’aggettivo ᾿Ακαδημαΐϊκός e le formule perifrastiche οἱ ἐξ, οἱ ἀπὸ ᾿Ακαδημείας (0 anche οἱ περί + il nome di un filosofo) sono perfettamente equivalenti: ad es. F. DECLEVA

CAIZZI, Sesto e gli Scettici, Elenchos

13 (1992), 285-286 n.

13 ha rilevato che Enesidemo, a stare all’esposizione di Fozio (cod. 212, 169b18-171a4) avrebbe utilizzato la formula οἱ ἀπὸ τῆς ᾿Ακαδημείας (169b38; 17014; 23), ma non l’aggettivo ᾿Ακαδημαΐκός.

> La storia dell’Academia fu suddivisa in due (antica e nuova), tre (Platone, Arcesilao, Lacide oppure Platone, Arcesilao, Carneade) e cinque fasi (Platone, Arcesilao, Carneade e Clitomaco, Filone, Antioco): si vedano le testimonianze raccolte da M. GI-

GANTE, Testimonianze sull’Academia platonica, in Speusippo. Frammenti (edizione, traduzione e commento a cura di M. Isnardi Parente), Napoli, Bibliopolis 1980, 17-25. Mentre la periodizzazione in tre o in cinque epoche risponde a interessi essenzialmente storiografici, la bipartizione ciceroniana tra una vetus e una nova o recentior Academia (ma cfr. anche D.L. II 83) dipende dalle polemiche tra Antioco e Filone, cfr. T. DoRANDI, Gli «Academica» quale fonte per la storia dell’Academia, in Assent and Argument (B. Inwood - J. Mansfeld eds.), Leiden-New York-Kéln, Brill 1997, 89-93. # Data la scarsezza delle testimonianze in nostro possesso non è possibile escludere del tutto un impiego del termine anche prima dell’età imperiale, ma rimane il fatto che il termine tecnico per la tradizione che prende le mosse da Platone è collegato all’Academia. Un caso degno di attenzione è il corpus degli scritti ciceroniani, dove si trovano tre occorrenze del termine platonicus in riferimento a persone, cfr. Off. I 2, ND 173, Q.Cic. Pet. 46. Ma anche per Cicerone il punto di riferimentoè |’ Academia, cfr. De Orat. III 62: ab ipso Platone Aristoteles et Xenocrates, quorum alter Peripateticorum, alter Academiae nomen obtinuit; cfr. anche le pagine immediatamente successive e la n. 62.

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BONAZZI

tradizione cioè ἀπὸ διδασκάλων), prevalendo invece Περιπατητικός,

un aggettivo ἀπὸ συμπτωμάτων (‘da circostanze speciali”): evidentemente durante il periodo ellenistico la scarsa diffusione delle opere di scuola dello stagirita da un lato, e la radicale elaborazione cui era stato sottoposto il pensiero di Platone dall’ altro, spinsero gli storiografi a ricercare in altre direzioni termini in grado di giustificare l’unitarietà di tradizioni apparentemente così eterogenee. E in generale, anche se la svolta impressa da Arcesilao caricò potenzialmente la parola di una coloritura scettica, il significato principale di Ἀκαδημαϊκός rimase legato alla ‘sede istituzionale’ inaugurata da

Platone anche dopo la distruzione dell’ Academia stessa, se non altro nei termini di un’eredità spirituale. A questo proposito è interessante notare che il ‘dogmatico’ Antioco, nonostante le sue polemiche prese di posizione, quando decise di allontanarsi da Filone di Larissa, si trattenne a livello linguistico all’interno dell’Academia con la rifondazione della vetus Academia.” E non meno significativa è la pretesa di Plutarco di raccogliere entro un’interpretazione

5 Cfr. A. BUSSE, Peripatos und die Peripatetiker, Hermes 61 (1926), 335-342. 56 Il passo più noto è sicuramente Plu. E ap. Delph. 387e, ἐν ᾿Ακαδημείᾳ γενόμενος, su cui cfr. J. DILLON, The Academy in the Middle Platonic Period, Dionysius 3 (1979), 63-77; P.L. DONINI, Plutarco, Ammonio

e l’Academia, in Miscellanea Plutarchea. Atti

del primo convegno di studi su Plutarco, Roma, 23 novembre 1985 (a cura di F.E. Brenk I. Gallo), Ferrara 1986, 97-110 («Quaderni del Giornale filologico ferrarese», 8); OPSOMER, In Search

of the Truth, cit., 21-26. Per un uso sistematico di ‘academico’ nel

senso di ‘scettico’ bisogna attendere Filone (QG HI 33, ma vedi oltre n. 67), Seneca (Ep. 88, 5 e 44), Epitteto (Diatr. I 27; II 20), Galeno (Opt. Doctr. nella sua interezza,

e Pecc. dign. 92), e Sesto Empirico (cfr. P. I 220-235). Ma questo discorso non vale nel caso di Plutarco (cfr. in particolare Col.

1107e, con la n. 58, infra; si veda anche Ps.-

Plu. Cons. ad Apoll. 102d), e nel caso di Numenio, che considera anche Speusippo, Senocrate e Polemone come ᾿Ακαδημαϊκοί (cfr. fr. 24, 5-16 des Places; si veda anche fr. 25, 72-75: Arcesilao è Πυρρώνειος, non ᾿Ακαδημαϊκός); cfr. anche Athen. I 5, 30; II 22, 5; X 14, 15; XI 114, 21; XIII 79, 2. 5 Prendendo spunto da Cic. Luc. 70, W. Gérler ha osservato che Antioco inizial-

mente designò la scuola semplicemente col nome di Academia, e solo in seguito vetus Academia (Antiokos aus Askalon, in Die Philosophie der Antike, Bd. IV: Die Hellenistische Philosophie [hrsg. von H. Flashar], Basel, Schwabe 1994, 942). Ad ogni modo, questo non impedisce che in alcuni casi negli Academica ciceroniani l’aggettivo academicus si riferisca anche agli aderenti scettici della nuova Academia (cfr. Luc. 12, 17, 29,

70). Un discorso a parte meriterebbe il caso di Sesto Empirico, M. VII 143, in cui si accenna a Πλατωνικοί all’interno di una lunga sezione dossografica (M. VII 89-260) che sembrerebbe derivare da Antioco, espressamente citato a VII 162 e VII 201 (dove si legge ᾿Αντίοχος ὁ ἀπὸ τῆς ᾿Ακαδημίας); cfr. R. HIRZEL, Untersuchungen zu Ciceros philosophischen Schriften, Leipzig, Verlag S. Hirzel 1883, III, 493-524; TARRANT, Scepticism, cit., 89-114: 97; D. SEDLEY, Sextus Empiricus and the Atomist

Criteria of Truth,

Elenchos 13 (1992), 21-56. Contro si sono però espressi J. BARNES, Antiochus of Asca-

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unitaria la disparata eredità platonica, pretesa certamente sottoposta a tensioni contrastanti, ma che necessariamente implicava un significato più ampio del termine Ἀκαδημαΐκός: per lo scrittore di Cheronea ‘academica’ non è la difesa dello scetticismo, ma la seco-

lare tradizione inaugurata dall’insegnamento di Platone e proseguita dai suoi eredi, Speusippo e Senocrate, fino a Arcesilao, Carneade e Filone. Come

nel caso di Ἀκαδημαῖκός,

così in quello di Πλατωνικός

non mancano ambiguità e confusione. La fine dell’istituzione academica, la perdita della centralità di cui Atene aveva goduto per secoli, la volontà, comune a tutte le scuole del periodo, di un ritorno

ai testi degli antichi maestri con la conseguente riduzione della filosofia a esegesi, sono tutti fattori di un cambiamento epocale, che in una qualche misura stimolarono la diffusione di termini capaci di rappresentare i nuovi interessi della Platonica familia: «the change of epithet could be explained as a consequence of the strong reaction on the part of the new Platonici against the scepticism of the Academy from Arcesilaus to Philo, and their refusal to be called by a name which, to them, must have signified a radical deviation from the doctrine of the founder».5° Alla lunga distanza questo processo condusse addirittura a una nuova interpretazione storiografica della secolare storia del platonismo, che negava ogni compromissione di Platone con l’Academia, distinguendo tra Academici che derivavano il loro nome dal luogo di insegnamento (ἀπὸ τοῦ τόπου, ἐν ᾧ ἐδίδασκεν, ὡς οἱ Ἀκαδημαϊκοὶ ἀπὸ Ξενοκράτους !) e Platonici che derivavano invece il loro nome dal fondatore (ἀπὸ τοῦ αἱρεσιάρχου ὡς οἱ Πλατωνικοί). Ma se questo è il risultato finale di un pro-

cesso di lungo corso, il percorso che a quella conclusione doveva condurre si rivela tutt'altro che lineare: insieme alla persistenza di

lon, in Philosophia Togata (M. Griffin - J. Barnes eds.), Oxford, Clarendon Press, I, 1989, 64-65; J. GLUCKER (rec. a TARRANT, Scepticism cit.), JHS 109 (1989), 272; GORLER, Antiokos, cit., 850 e 945.

588 Plutarco aveva scritto un trattato Περὶ τοῦ μίαν εἶναι τὴν ἀπὸ τοῦ Πλάτωνος ᾿Ακαδήμειαν ora perduto (n° 63 nel Catalogo di Lampria; cfr. anche nn! 71 e 131). Si vedano da ultime le osservazioni di P.L. DONINI, Platone e Aristotele nella tradizione

pitagorica secondo Plutarco, in Plutarco, Platén y Aristételes. Actas del V Congreso Internacional de la I.P.S., Madrid-Cuenca, 4-7 de mayo de 1999 (A. Pérez Jiménez, J. Garcia Lépez, R.M. Aguilar eds.), Madrid, Ediciones Clasicas 1999, 9-24; cfr. anche supra, n. 56. 59 GLUCKER, Antiochus, cit., 225.

6 Phlp. In Cat. 1, 19-2, 20 (ma cfr. In APr. 6, 23-24); cfr. tra gli altri Simp. Jn. Cat. 3, 30-4, 9; Ammon. In Porph. 46; In Cat. 1, 13-2, 12; Elias, In Cat. 108, 18; 108, 35; 112, 31. Queste classificazioni rientravano negli schemi introduttivi ai commentari,

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BONAZZI

Ἀκαδημαῖϊκός successivamente al collasso dell’Academia, non solo

nel senso di ‘scettico’ ma anche nel senso più ampio di ‘appartenente alla tradizione platonica’, bisogna registrare una gestazione molto più lenta del previsto per l’aggettivo che nella tarda antichità avrebbe preso il sopravvento, Πλατωνικός. Si tratta di uno dei risultati più solidi raggiunti da Glucker, ed è dunque al suo Antiochus che conviene rimandare per un esame dettagliato delle testimonianze: il caso più interessante rimane Plutarco di Cheronea che non fa mai uso nelle opere superstiti di Πλατωνικός in riferimento a persone,*!

analogamente a Seneca, Quintiliano, Tacito e Svetonio nel mondo di lingua latina. Soltanto a partire dal II sec. d.C. (Giustino, Gaio di Smirne, Albino, Galeno, Calveno Tauro, Massimo di Tiro, Aulo Gel-

lio, Numenio) il termine iniziò a godere di un impiego stabile. Altrettanto significativamente, è proprio a questo periodo che risalgono le prime attestazioni di una Πλατωνικὴ αἵρεσις nella letteratura storiografica, a conferma del fatto che questo tipo di ricerche non si concentrava soltanto sul passato, ma era considerato anche un valido strumento per regolare i dibattiti contemporanei. Un chiarimento della problematica oscillazione tra Ἀκαδημαῖκός

e Πλατωνικός si ricava dal contesto storico: come noto, la rinascita di un ‘platonismo dogmatico’ fu profondamente stimolata dal riaffiorare, dopo un lungo periodo di disinteresse, di una tradizione platonico-pitagorica che si pretendeva genuina erede dell’autentica filosofia che Platone aveva ereditato da Pitagora. Da un punto di vista terminologico, non è improbabile che almeno inizialmente quei platonici che si contrapponevano alle interpretazioni degli ‘acade-

cfr. il commento di I. HADOT in Simplicius. Commentaire sur les Catégories, traduction commentée sous la direction de I. Hadot, Leiden-New York-Kéln,

Brill 1990, 48-62.

“1 All’interno del Corpus è solamente in opere pseudo-plutarchee (e datate al II sec. d.C.) che compaiono Πλατωνικός (Mus. 1131f) e οἱ ἀπὸ Πλάτωνος (Fat. 572a-b); cfr. supra, n. 58.

62 Fonti tarde solo occasionalmente utilizzano il termine Πλατωνικός per autori di età pre-imperiale, probabilmente applicando «anachronistically a concept current in their own time» (GLUCKER, Antiochus, cit., 212-213 n. 135): cfr. Ermodoro (D.L. I 2),

Menedemo (D.L. II 135), Panfilo di Samo (D.L. X 14), Crantore (Numen. fr. 25, 1516), Panezio (Procl. In Ti. I 162, 12-13), Trasillo (scholia in Juv. VI 576), Apollonio di Tiana (Philostr. VA I 7), Demetrio (Lucian. Cal. 16). Cfr. supra, n. 54: le ricerche di Glucker non escludono la possibilità di un uso dell’aggettivo anche prima del II secolo, bensì il suo impiego in senso tecnico. 65 Cfr. Luc. Herm.

14; Tert. Apol. III 6-7 e Ad Nat. I 4, 1; cfr. anche Scholia Bem-

bina a Ter. Eun. 264 e successivamente Isid. Etym. VIII 6. e De haer.; Jo. D. Haer. 5-8. 6 Lo studio fondamentale rimane W. BURKERT, Lore and Science in ancient Pythagoreanism, Cambridge (Mass.), Harvard University Press 1972, 15-96 (ed. or. Weisheit

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mici’ scettici potessero considerarsi anche come ‘pitagorici’,99 così come Πυθαγόρειος risultava lo stesso Platone in una Vita di Pitagora, anonima ma forse attribuibile ad Eudoro,® nei frammenti tratti dallo scritto numeniano Ilepi τῆς τῶν Arabnuaixdv πρὸς Πλάτωνα

διαστάσεως, e in numerosi altri testi del periodo ‘medioplatonico’.* È difficile stabilire l'autorevolezza e la diffusione di questa classificazione, ma l’ipotesi che l’aggettivo indicasse una tradizione di pensiero interna al platonismo tesa a rimarcare l’importanza di una linea Pitagora - Platone non sembra infondata: in reazione a modelli concorrenti e fino a quel momento dominanti, «ein Wiederaufleben der alten platonischen Lehre schien also am ehesten unter einem fremdem Namen mòglich zu sein, eben dem des Pythagoras, zumal, wenn mann meinte, es gabe so etwas wie eine pythagoreischplatonische Lehre».8 Questo fenomeno aiuterebbe in parte a spiegare le cause della lenta diffusione di Πλατωνικός. Alla luce di queste considerazioni, l’accezione in senso così marcatamente scettico di Ἀκαδημαῖκός presente nel commentario a LIV

40 è un indizio da non sottovalutare, tanto più se si consideri che,

nella parte di testo conservata, addirittura nello stesso passo (LIV

und Wissenschaft. Studien zu Pythagoras, Philolaus und Platon, Nirnberg, Hans Carl Verlag 1962). 6 Cfr. TARRANT, Scepticism, cit., 130: «it is reasonable to suppose that Platonic scholars devoted to the Socratic element in Plato, even though they may have seen much probability in the Pythagorizing elements, would naturally have tended to describe themselves as ‘Academics’, while those who were opposed to the new Academicism in any form (particularly if they had seen Pythagorean influence on Socrates as well as Plato) would have regarded themselves as ‘Pythagoreans’». 6 Ap. Phot. Bibl., cod. 249; cfr. W. THEILER, Philon von Alexandria

und der Be-

ginn des kaiserzeitlichen Platonismus, in Parousia. Festgabe fir J. Hirschberger (hrsg. von K. Flasch), Frankfurt Science, cit., 53 n. 2.

am

Main,

Minerva

1965,

199-218;

e BURKERT,

Lore

and

“7 Addirittura nella Vita Pythagorae appena citata si distingue tra Πυθαγορικοί e Πυθαγόρειοι, tra discepoli diretti e discepoli dei discepoli (ossia eredi di una tradizione), ed è tra questi ultimi che compaiono significativamente sia Platone sia Aristotele (Phot.

Bibl., cod. 249, 438b17-19;

439a33-38).

Un

altro caso particolarmente

si-

gnificativo è quello di Clemente d’Alessandria, che pur essendosi formato in ambiente platonico, non utilizza né Πλατωνικός né ᾿Ακαδημαῖκός, ma a più riprese Πυθαγόρειος,

anche laddove è evidente che si tratta di temi e figure legate al campo platonico: cfr. D.TH. RUNIA, Why does Clement of Alexandria call Philo «the Pythagorean»?, VCh 49 (1995), 1-22. È interessante notare che lo stesso Runia (Philo of Alexandria and the Timaeus of Plato, Leiden, Brill 1986, 485-486 n. 59) ha osservato che Filone non usa mai

Πλατωνικός, usa una volta sola ‘Axadnpaixds (QG III 33), ma numerose volte Πυθαγόρειος (cfr. anche supra, n. 56). # Cfr. M. FREDE, Numenius, in ANRW, II 36.2, Berlin-New York, De Gruyter 1987, 1043. Queste oscillazioni chiariscono anche il motivo per cui Eudoro, un filo-

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45), il medesimo aggettivo è presente anche nel significato, per così dire ‘istituzionale’, di appartenente alla tradizione dell’Academia fondata da Platone.® E nonostante l'anonimo autore potesse legittimamente rivendicare la sua parentela con gli Ἀκαδημαϊκοί, non è un fatto banale che egli potesse altrettanto legittimamente considerarsi un Πλατωνικός (II 11; fr. D 17), «dal momento

che — come

osserva Sedley — il termine era corrente al suo tempo»:” per rimanere al filosofo che presenta maggiori somiglianze con l’anonimo e di cui si sono conservati gli scritti, Plutarco di Cheronea, si è già osservato come, pur utilizzando entrambi i termini, non riferisca mai Πλατωνικός a persone.”! Queste oscillazioni linguistiche riflettono fedelmente il tortuoso cammino compiuto dagli eredi di Platone in quel periodo di massima libertà di discussione che fu la prima età imperiale, e spingono in direzione della datazione tradizionale, tra la fine del primo e il secondo secolo d.C. Ulteriori conferme si ricavano infine dal confronto con le altre tradizioni filosofiche: l’esigenza di definire la propria identità non era semplicemente una questione interna alle singole scuole, ma investiva anche i rapporti tra le diverse scuole. Anche Πυρρώνειος,

che compare due volte nel commentario al Teeteto (LXI 11 e LXIII 3), risente dei cambiamenti epocali e delle polemiche che modificarono il panorama filosofico tra il primo secolo a.C. e i primi secoli sofo chiaramente riconducibile all’alveo del platonismo pitagorizzante, sia chiamato in certi casi ᾿Ακαδημαῖκός

dalle fonti antiche (Stob. II 7, 2, p. 47, 7 Wachsmuth =

fr. 1

Mazzarelli; Anon. I Isag. p. 97, 2 Maas = fr. 11 Mazzarelli; Simp. In. Cat. 187, 10 = fr. 16 Mazzarelli). Non occorre dunque forzare un’interpretazione della sua filosofia in senso academico al modo

di TARRANT,

The Date, cit., 180-187.

69 Su questo importante passo si veda infra, 60 sg. 70 SEDLEY, Commentarium, cit., 248 corsivo mio. J. BARNES (rec. a Tarrant, Scepticism, cit.), CR 100 (1986), 76, ha addirittura dubitato che egli appartenesse alla tradi-

zione academico-platonica, ma si tratta di una tesi provocatoria, perché numerosi indizi confermano che egli era un seguace di Platone (cfr. SEDLEY, Commentarium, cit.,

247-248).

7! Cfr. note 58 e 61. GLUCKER, Antiochus, cit., 218 ha avanzato l’ipotesi che Πλατω-

νικός fosse stato inizialmente introdotto per caratterizzare l’attività esegetica dei commentatori: anche questo concorda con il commentario al Teeteto, dove la formula τῶν Πλατωνικῶν τινες (II 11; fr. D 17) si riferisce in tutta evidenza a problemi legati all’esegesi del dialogo filosofico, mentre l’espressione oi ἐξ ᾿Ακαδημείας rimanda a dibat-

titi tipici del periodo ellenistico, i in particolare a polemiche contro gli stoici (VI 30: Carneade e la questione οἰκείωσις / ὁμοίωσις; LXX 14: sul λόγος περὶ τοῦ αὐξομένου). Su questo problema cfr. infra, n. 81. Il ricorso all’utilizzo dei commenti sistematici si diffuse gradualmente nei primi secoli imperiali perché meglio permetteva di realizzare un sistema filosofico uno e coerente: cfr. P. HADOT, Théologie, exégèse, révélation, Ecriture dans la philosophie grecque, in Les régles de È interprétation (éd. par M. Tardieu), Paris, Les Éditions du Cerf 1987, 13-34.



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dell’età imperiale: rilanciato da Enesidemo al fine di marcare distinzione rispetto allo scetticismo academico, questo aggettivo meno inizialmente non godette di ampia diffusione, per via del siderio di scettici come Teodosio di evitare di caratterizzarsi

una aldese-

condo il nome di una persona.” La presenza di Πυρρώνειος, come

se fosse un termine di comune impiego, non ἃ dunque senza importanza. E se ci si attiene ai risultati raggiunti da Fernanda Decleva Caizzi su Enesidemo per stabilire il terminus post quem (successivamente al 45 a.C.),”> bisognerebbe anche lasciar trascorrere del tempo prima che le critiche di Enesidemo, un filosofo di formazione non academica, potessero essere recepite e criticate dagli academici:”* ancora Seneca, fin troppo enfaticamente, poteva domandare «quis est qui tradat praecepta Pyrrhonis?», mentre l'anonimo mostra di conoscere bene il neopirronismo.” II. SCETTICO 0 DOGMATICO? ACADEMICI SU PLATONE

UN

DIBATTITO

TRA

PLATONICI

E

1. Alla luce di queste considerazioni diventa più agevole chiarire il significato di una delle affermazioni più controverse del commentario: non soltanto la simultanea presenza di termini come

7 Cfr. D.L.

IX 70 con il commento

di DECLEVA

CAIZZI, Sesto e gli Scettict, cit.,

294-296 e di J. BARNES, Diogenes Laertius IX 61-116: The Philosophy of Pyrrhonism, in ANRW, II 36.6, Berlin-New York, De Gruyter 1992, 4284-4289. 7 Così SEDLEY, Commentarium, cit., 546, secondo F. DECLEVA CAIZZI, Aeneside-

mus and the Academy, CQ 42 (1992), 176-189. Per un tentativo di datazione alternativa, cfr. C. Lévy, Lucrèce avait-il lu Enésidéme?, in Lucretius and his Intellectual Back-

ground (K.A. Algra, M.H. Koenen, P.H. Schrijvers eds.), Amsterdam-Oxford-Tokyo, Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen Verhandelingen 1997, 115-124. ™ L’ipotesi che Enesidemo non provenisse dall’Academia è stata avanzata da DECLEVA CAIZZI, Aenesidemus, cit.; contro questa proposta si è espresso recentemente J. MANSFELD, Aenesidemus and the Academics, in The Passionate Intellect: Essays on the

Transformation of Classical Traditions presented to Prof. LG. Kidd (L. Ayres ed.), New Brunswick, Transaction Publishers 1995, 235-248. Ma per quanto le cause del silenzio

di Cicerone su Enesidemo possano apparire banali (cfr. MANSFELD, ivi, 246-247 n. 47), resta da chiarire il motivo della sua ignoranza o del suo disinteresse per lo scetticismo di Pirrone (oltre a DECLEVA CAIZZI, Aenesidemus, appena citato, cfr. R. BETT, Phyrro, his antecedents and his legacy, Oxford, Oxford University Press 2000, 102-105). 7 NQ VII 32, 2; cfr. anche Aristocle ap. Eus. PE XIV 18, 29. Il primo a mostrare

di conoscere le argomentazioni del neo-pirronismo è Filone di Alessandria, cfr. H. VON ARNIM, Quellenstudien zu Philo von Alexandria, Berlin, Weidmann 1888, 53-100 («Phi-

lologische Untersuchungen», 3). Sulla buona conoscenza della filosofia neopirroniana dimostrata dall’anonimo commentatore si vedano da ultimo le considerazioni di OpSOMER, In Search of the Truth, cit., 53-58, e quanto verrà detto più avanti.

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AxaSnpoixég o Πλατωνικός, ma la frase in tutta la sua interezza Ἀκαδημαϊκὸν τὸν Πλάτωνα, ὡς οὐδὲν δογματίζοντα (LIV 40-43) ri-

specchia polemiche e discussioni di un periodo più tardo. In un celebre passo del Teeteto Socrate si era dichiarato d’accordo con chi lo rimproverava di interrogare gli altri, ma di non asserire mai nulla a proposito di alcunché perché privo di sapienza:” dopo aver offerto una triplice spiegazione del significato di questa affermazione in chiave didattica,” il commentatore introduce una breve digressione ricordando che a causa di simili affermazioni alcuni conside-

rano Platone uno scettico: ἐκ torovltov λέξεών τινες οἴονται ᾿Ακαδημαϊκὸν τὸν Πλαίτωνα, ὡς οὐδὲν δοἰγματίζοντα. δείξει] μὲν οὖν ὁ λόγος καὶ τοὺς ἄλλους ᾿Ακαδημαϊκοὺς

ὑπεξῃρηϊμένων πάνυ dAilyo[v γ]ς Soyuartitovitac, καὶ μίαν οὖσαν |᾿Ακαδήpetav κατὰ | τὸ κἀ[κ]είνους τὰ Kupidtata τῶν Solyuatov ταὐτὰ ἔΪχε[ι]ν τῷ Πλάτων[ι.] ἤδη ulé]vtor τὸν | Πλάτωνα ἔχειγ | δόγματα καὶ ἀπ[ο]φαίνεσθαι πεπροι[ϊθότως πάρ[εστιν] | ἐξ a[d]tod λα[μβάν]ς {[ν].

A causa di simili affermazioni alcuni considerano Platone un Academico, in quanto non avrebbe manifestato alcuna dottrina; ebbene il discorso mostrerà sia che gli altri Academici, eccettuati davvero pochissimi, hanno professato dottrine, sia che c’è un’unica Academia, per il fatto che anch’essi hanno le loro principali dottrine identiche a quelle di Platone. E in ogni caso, che Platone avesse dottrine e le asserisse con convinzione, è

possibile ricavarlo da lui stesso (LIV 38-LV 13).78

Nonostante la brevità e la sinteticità del passo non è inverosimile ipotizzare che i τινες di LIV 39 siano in qualche modo da ri-

76 Tht. 150c4-7: καὶ ὅπερ ἤδη πολλοί por ὠνείδισαν, ὡς τοὺς μὲν ἄλλους ἐρωτῶ, αὐτὸς δὲ οὐδὲν ἀποφαίνομαι περὶ οὐδενὸς διὰ τὸ μηδὲν ἔχειν σοφόν, ἀληθὲς ὀνειδίζουσιν.

77 Le dichiarazioni di Socrate valgono solo relativamente a un insegnamento positivo opposto a quello maieutico (1), oppure, se intese in senso assoluto, vanno messe in contrapposizione alla sapienza divina (2) o al sapere dei sofisti (3) (LIV 23-38). In-

somma, Socrate in questo celebre discorso dichiarerebbe non di «non essere affatto sapiente», ma di «non essere completamente sapiente», come viene osservato a LV 34-45 a proposito di Tht. 150c8-d1

(εἰμὶ δὴ οὖν αὐτὸς μὲν οὐ πάνυ τι σοφός): SEDLEY, Com-

mentarium, cit., 541 (cfr. anche 258 per le strategie esegetiche adottate dal commentatore), osserva che questa è la resa corretta di οὐ πάνυ τι in Platone.

78 La struttura argomentativa del commentatore è chiara: intanto (1: LIV 43-LV 2) contesta che ‘academico’ possa essere interpretato come equivalente di ‘senza dottrine’ (od δογματίζοντα), visto che gli altri academici professano dottrine (δογματίζοντας); poi (2: LV 2-7) ricorda che in questo senso anche Platone è ‘academico’, perché condivide con gli altri academici le stesse dottrine (tà κυριώτατα τῶν δογμάτων). Infine aggiunge (3: LV 8-13) che le dottrine di Platone sono ricavabili dai dialoghi stessi. L’uso del futuro (LIV 43-44: δείξει οὖν ὁ λόγος) mostra chiaramente che il commentatore si ri-



ρ0---

ACADEMICI

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«IN THEAETETUM»

collegarsi con personaggi legati alla tradizione academica: l’uso di τινες senza ulteriori specificazioni a indicare esponenti platonici è presente anche in altre parti del commentario.” Ma in concreto a chi si alluderebbe? Rifarsi genericamente alla tradizione academica del periodo ellenistico fornirebbe soltanto risposte generiche, sollevando per di più notevoli difficolta.® Convinto assertore di un’interpretazione unitaria dell’ Academia, anche altrove il commentatore dimostra che dottrine ‘medioplatoniche’ e dottrine ‘academiche’ non solo non contrastano, ma al contrario cooperano perfettamente:*! secondo lui l’Academia annovera in grandissima parte filosofi δογuatitovtac. Sarebbe dunque ben strano che egli si riferisse a queprometteva di ritornare sul problema in modo più specifico: in favore della sua tesi egli avrebbe potuto addurre espressioni come quelle di 157d2-3 in cui Socrate si propone di sic φῶς συνεξάγειν τὰ δόγματα

di Teeteto.

Cfr. anche quanto

detto a LIX

12-21:

λέγῳ τοίνυν ὅτι [ἐ]ν ταῖς ζητήϊσεσι πυνθάνεται καὶ | οὐκ ἀποφαίνεται, G[o]re οὔτε ψεῦδος οὔ[τ᾿ ἀληθὲς τίθησι᾽ τοῖς | μέντοι ἐμπείροις [τῆς] μεθόδου λεληθότως] | Serκνύει τὸ ἑαυτῷ [ἀ]ρέσκον. 5. Ad es. XV

6; XXXIV

35; fr. D I 24; cfr. anche infra, n. 101. Progressi notevoli

potrebbero essere conseguiti se si scoprisse a chi si allude con il genitivo assoluto èretnpnpévov πάνυ ὀλίγων ye a LIV 46-LV 1, ma il riferimento rimane ancora oscuro;

la presenza del ye non è forse insignificante, e potrebbe tradire una qualche esitazione da parte del commentatore. 8 Così GLUCKER, Antiochus, cit., 219-220, cfr. anche OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 42. 8! Si veda, recentemente, BRITTAIN, Philo of Larissa, cit., 236-241. A VI 16-VII 25

le critiche contro il concetto stoico di οἰκείωσις avanzate dagli academici (VI 30: oi ἐξ ᾿Ακαδημείας; il riferimento è probabilmente a Carneade, cfr. Lact. Div. inst. V 16, 910) fungono da premesse argomentative per la teoria della ὁμοίωσις πρὸς τὸν θεόν (cfr. C. Lévy, Platon, Arcésilas, Carnéade. Réponse a J. Annas, RMM 95 [1990], 293-306). E addirittura, a LXX 5-26, nella discussione sul λόγος περὶ αὐξήσεως, egli delinea una sequenza Pitagora, Platone, academici (LXX 14: οἱ ἐξ ᾿Ακαδημείας) in contrapposizione agli stoici (cfr. anche Plu. Comm. not. 1083b sg. con il commento di F. DECLEVA CAIZZI, La «materia scorrevole». Sulle tracce di un dibattito perduto, in Matter and Metaphysics [J. Barnes - M. Mignucci eds.], Napoli, Bibliopolis 1988, 447-452); «l’A. interpreta l’argomentazione degli Accademici come una risposta ad hominem alla follia degli Stoici, non certamente in una prospettiva scettica. Questo si adatta al suo rifiuto di considerare scettica l'Accademia ellenistica (LIV 38-LV 13)»: SEDLEY, Commentarium, cit., 555. In altre parole, il commentatore

avrebbe concordato con questa osser-

vazione di C. Livy, La Nouvelle Académie a-t-elle été antiplatonicienne?, in Contre Platon.

1. Le platonisme dévoilé (éd. par M. Dixsaut), Paris, Vrin 1993, 153: «l’ambi-

guité de la philosophie néoacadémicienne tenait donc ἃ la présence d’une inspiration authentiquement platonicienne, mais dont la formulation restait conditionnée par les impératifs de la lutte contre le stoîcisme». 82 Rimane naturalmente il problema dei pochissimi da escludere (cfr. supra, n. 79): Arcesilao? (SEDLEY, Commentarium,

cit., 540, dubitativamente) i seguaci di Carneade?

(TARRANT, Scepticism, cit., 63) ma forse è meglio sospendere il giudizio con OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 66.

MAURO

BONAZZI

sti filosofi come sostenitori dell’interpretazione scettica di Platone.® La nostra interpretazione dello scetticismo academico non va sovrapposta a quella dell’anonimo commentatore per cui c’è un’unica Academia derivante da Platone e condividente con lui gli stessi δόγματα. Inoltre si aggiungono anche problemi di lessico: con l’interpretazione tradizionale, bisognerebbe infatti accettare che il commentatore ‘ritraduca’ le opinioni di questi antichi in un linguaggio moderno, perché né Soyuatitew né Ἀκαδημαϊκός nel senso di

‘scet-

tico’ qui considerato sono termini della prima età ellenistica. E se il verbo δογματίζειν perlomeno viene utilizzato in altre parti del

commentario in modo analogo, il significato di Ἀκαδημαῖκός verrà immediatamente contestato (academico non equivale a scettico, ma indica una tradizione che condivide lo stesso patrimonio dottrinale): questo esclude dunque ulteriormente l’ipotesi che egli stesse parafrasando in un linguaggio più attuale posizioni di secoli precedenti. Piuttosto, come ha osservato Anna Maria Ioppolo, è dal dibattito scetticismo/dogmatismo che si è sviluppato tra Antioco e Filone che occorre prendere le mosse. Un indizio fondamentale per chiarire il problema è stato evidenziato da Sedley. In alcuni passi,

a LX 48-LXI 46 e a LXIII 1-

40, il commentatore sembra rispondere a interlocutori bero cercato di avvicinare Platone a Pirrone: il tentativo lo scetticismo di Platone nel testo stesso dei dialoghi agli strumenti teorici messi a disposizione dal rinato rendono assai plausibile l’ipotesi che la sua critica fosse

che avrebdi fondare e il ricorso pirronismo indirizzata

contro lo stesso gruppo già attaccato a LIV 38-LV 13. L’interesse

per il pirronismo e contestualmente la preoccupazione di prenderne le distanze meglio si comprenderebbero se contestualizzate nel quadro di simili polemiche.* Sulla base di queste considerazioni si può dunque escludere la candidatura di Filone di Alessandria, la cui interpretazione unitaria della tradizione academica in senso scettico

83 È interessante notare la lode dell’academico Carneade da parte di un altro sostenitore della tradizione unitaria dell’Academia, Plutarco, Quaest. conv. 717d (cfr. P.H. DE Lacy, Plutarch and the Academics Sceptics, CJ 49 [1953-1954], 79-85, e P.L. DoNINI, Lo scetticismo academico, Aristotele e l’unità della tradizione platonica secondo Plutarco, in Storiografia e dossografia nella filosofia antica (a cura di G. Cambiano), Torino, Tirrenia stampatori 1986, 203-226). 5. Cfr. anche quanto osservato alla n. 78, e TARRANT, Scepticism, cit., 72-73. 8 AM. IoPPoLO, Sesto Empirico e l'Accademia scettica, Elenchos 13 (1992), 191.

86 SEDLEY, Commentarium, cit. 546 e 549, cfr. infra, 68 sgg. per un più approfondito inquadramento di questi problemi.

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avrà certamente fornito spunti per il dibattito, ma a cui non può essere attribuita alcuna familiarità con il pirronismo.*” D'altro canto, a differenza di quanto sembra alla Ioppolo e a Tarrant, non è neppure ad Enesidemo che si può pensare: le violente accuse di dogmatismo da lui scagliate contro gli Academici rendono assolutamente inverosimile che per rivendicare lo scetticismo di Platone egli ricorresse proprio al termine Ἀκαδημαῖκός.5

Ma l’importanza di Enesidemo risulta comunque fondamentale ai fini di un più preciso inquadramento storico e filosofico di questo dibattito: successivamente alle sue polemiche il problema dell’interpretazione di Platone costituì un aspetto essenziale della più ampia questione relativa alle divergenze, o alle affinità, che correvano tra i due modelli di scetticismo, academico e pirroniano. Accingendosi a trattare questo problema per ribadire l’originalità e l’autonomia della filosofia pirroniana, Sesto Empirico osserva che «alcuni ritengono che la filosofia academica sia identica allo scetticismo»

(φασὶ μέντοι τινὲς ὅτι

ἡ Ἀκαδημαϊκὴ

φιλοσοφία ἡ αὐτή

ἐ-

ott τῇ σκέψει: P. I 220): anche questi τινες, sicuramente non espo-

nenti dello scetticismo pirroniano (nell’uso di Sesto il pronome indefinito non si riferisce mai ai compagni di setta),°° devono essere

87 È merito in particolare di BRITTAIN, Philo of Larissa, cit., 249-250, aver sottoli-

neato che la tesi unitaria di Filone difficilmente può essere equiparata a quella dell’anonimo commentatore; cfr. anche le osservazioni di SEDLEY, Commentarium,

cit., 540.

Se pure non costituisce l’obiettivo delle polemiche dell’anonimo, l’importanza di Filone non deve essere sottovalutata: pur non essendo la fonte diretta da cui attinge l’anonimo, le sue interpretazioni avranno costituito certamente un importante punto di riferimento cfr. infra, note 113 e 130. # Cfr. TARRANT, Scepticism, cit., 71-79, e IOPPOLO, Sesto Empirico, cit., 191-193. ® Cfr. Phot. Bibl., cod. 212, praes. 169b38-40; 170a14-22; 170a24-40. Non è que-

sto il luogo adatto per discutere il tormentatissimo passo di Sesto (P. I 222) da cui i critici moderni hanno creduto di ricavare alternativamente o che Enesidemo si sarebbe pronunciato a favore di un’interpretazione in senso scettico di Platone (tra gli altri Heintz, Mau, Bury, Jandééek, Viano, Tarrant, Ioppolo, Annas - Barnes) o viceversa con-

tro (tra gli altri Natorp, Mutschmann, Tescari, Burkhard, Burnyeat, Decleva Caizzi). Recentemente E. SPINELLI, Sextus Empiricus, the Neighbouring Philosophies and the Sceptical Tradition, in Ancient Scepticism and the Sceptical Tradition (J. Sihvola ed.), Helsinki, Hakapaino Oy 2000 («Acta Philosophica Fennica», 66), 35-61, ha avanzato una proposta di emendamento notevole dal punto di vista filologico, che permetterebbe di risolvere la crux in questo secondo modo (tkatarepunsotovi andrebbe risolto in xa-

θάπερ dotov: criticando la pretesa di quanti vogliono legittimare l’intepretazione di un Platone ‘puramente scettico’, Sesto non avrebbe agito contro Menodoto ed Enesidemo, ma în accordo con loro). Questa brillante correzione, se accettata, sbarrerebbe definitivamente la strada a quanti cercano di individuare Enesidemo tra le righe del passo in questione del commentario al Teeteto. % Cfr. G. CORTASSA, Il programma dello scettico: strutture e forme di argomenta-



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MAURO

BONAZZI

collocati nel periodo di tempo che copre i primi due secoli circa dell’età imperiale. Le somiglianze tra il passo di Sesto e quello del commentario

sono notevoli: in entrambi i casi Ἀκαδημαϊκός è si-

nonimo di scettico ed è messo in relazione con lo scetticismo pirroniano (come vedremo, anche il verbo δογματίζειν di LIV 42 tra-

disce influssi scettico-pirroniani), così come in entrambi i casi è in quanto scettico che Platone è Ἀκαδημαῖκός — espressamente nel commentario, ma in tutta evidenza anche in Sesto, dove la discussione

sull’ Ἀκαδημαϊκὴ φιλοσοφία prende le mosse proprio da Platone, fondatore dell’ Academia e rappresentante della fase più antica.” Anche il confronto con Sesto conferma che i sostenitori dell’interpretazione ‘scettica’ di Platone presente nel commentario saranno da ricercarsi con maggiori probabilità tra quei filosofi più aperti a un confronto con lo scetticismo pirroniano, i νεώτεροι Ἀκαδημαϊκοί

attaccati da Epitteto e da Galeno,” le cui convinzioni filosofiche dovettero apparire a Galeno pericolosamente vicine a quelle degli ἀγροικοπυρρώνειοι, dei ‘Pirroniani rustici’: alla luce di questi dati,

la candidatura dell’ ‘Academico’ Favorino™ o di filosofi a lui vicini,” schierati in difesa della tesi unitaria nella vetus quaestio sui rapporti tra Academici e Pirroniani,’ e impegnati nel tentativo di

zione del primo libro delle ‘Ipotiposi pirroniche’ di Sesto Empirico, in ANRW,

II 36.4,

Berlin-New York, De Gruyter 1990, 2713 n. 25. % P.I 220: ἀρχαιοτάτη ἡ τῶν περὶ Πλάτωνα; P. I 221: ἀρξάμενοι τοίνυν ἀπὸ τῆς ἀρχαίας ἴδωμεν τὴν «πρὸς ἡμᾶς» διαφορὰν τῶν εἰρημένων φιλοσοφιῶν. τὸν Πλάτωνα οὖν

κτλ. Sulle periodizzazioni dell’Academia, cfr. supra, n. 53. ® Epict. Il 20; I 15; Gal. Ὑπὲρ Ἐπικτήτου πρὸς PaBwpivov (ap. Libr. Propr. 11 = 19, 44 K.); Πρὸς τὸν Φαβωρῖνον κατὰ Σωκράτους (ap. Libr. Propr. 12 = 19, 45 K.); Περὶ τῆς ἀρίστης διδασκαλίας (Opt. Doctr.).

9 Gal. Diff. puls. VINI 711 K. Cfr. A.M. IoPPOLO, Accademici e Pirroniani nel II secolo d.C., in Realtà e ragione. Studi di filosofia antica (a cura di A. Alberti), Firenze, Olschki

1994

CXL), 100.

% non è POLO, 9

(«Studi dell’Accademia Toscana

di Scienze

e lettere ‘La Colombaria’»,

L’appartenenza di Favorino alla tradizione academica, e non a quella più in discussione dopo GLUCKER, Antiochus, cit., 280-293; cfr. anche The Academic Position of Favorinus of Arelate, Phronesis 38 (1993), Cfr. Gal. Opt. Doctr. 1 = fr. 28, p. 179, 6-7 Barigazzi: οἱ νεώτεροι

pirroniana, A.M. Iop183-213. δέ, οὐ γὰρ

μόνος ὁ Φαβωρῖνος: non bisogna dimenticare che le scarse testimonianze in nostro possesso impediscono una ricostruzione precisa e dettagliata del panorama filosofico di questi secoli. Un altro esponente di correnti scettiche ma non neopirroniane è Alessandro di Damasco, attaccato a sua volta da Galeno e molto probabilmente in contatto

con Favorino a Roma, cfr. R.B. Topp, Alexander of Aphrodisias on Stoic Physics, Leiden, Brill 1976, 4-11, e P.L. DONINI, Scetticismo, Scettici e cattedre imperiali, in Lo scetticismo antico (a cura di G. Giannantoni), Napoli, Bibliopolis 1981, II, 677-687.

% Gell. XI 5 = fr. 26 Barigazzi.

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«IN THEAETETUM»

conciliare istanze fondamentali della filosofia academica con le riserve di tipo fenomenista avanzate da Enesidemo, sembra perciò la più adatta a rendere ragione delle polemiche che emergono nel commentario.”

Sulla questione dello scetticismo di Platone -- ci informa Diogene Laerzio (III 51-52) — fiorì un grande dibattito con opinioni anche fortemente

divergenti (πολλὴ

στάσις): il caso dell’anonimo

commentatore rappresenterebbe dunque un’ulteriore attestazione, interna al campo platonico, di questa problematica lettura di Pla-

tone, già emersa in precedenza e oggetto di critica in età tardoantica.* Ancora nel sesto secolo inoltrato, un professore alessandrino di filosofia platonica”? poteva riportare, naturalmente in vista di una confutazione, l’opinione di alcuni (τινες) che cercavano di spingere

Platone tra gli academici e gli ‘efettici’: λέγουσι δέ τινες συνω-

θοῦντες τὸν Πλάτωνα εἰς τοὺς ἐφεκτικούς τε καὶ τοὺς Ἀκαδημαϊκοὺς!0

57 Un accenno a Favorino in relazione al commentario al Teeteto compare anche nel lavoro più recente di TARRANT, Plato’s First Interpreters, cit., 182, e con maggiore convinzione in BRITTAIN, Philo of Larissa, cit., 252 e 254 (cfr. anche SPINELLI, Sextus

Empiricus, cit., 54 n. 32). A proposito dei referenti di Sesto nel passo appena discusso (P. I 220), IoPPoLO, Accademici

e Pirroniani,

cit., 91-92, ha osservato

che «non

ab-

biamo dati sicuri per poter stabilire se Sesto conoscesse le opere di Favorino, dal momento che non lo cita mai. Tuttavia le opere di Favorino dovevano avere una certa circolazione, come attesta l’aspra polemica condotta da Galeno contro di lui nel De optima doctrina. [...] Poiché sappiamo con certezza che Favorino era tra coloro che ritenevano che l’indirizzo filosofico accademico e quello pirroniano fossero quasi identici, e che Sesto certamente non lo riconosceva come ‘scettico’, la possibilità che tra i tiveg cui allude Sesto vi siano anche Favorino e i suoi seguaci non può essere del tutto esclusa». L. HoLFORD-STREVENS, Favorinus: The Man of Paradoxes, in Philosophia Togata, cit., II, 216-217, rimanda anche a Tolomeo, Tetr. I 2-3; III 2-3. Di fondamentale importanza sono anche i rilievi metodologici di G. GIANNANTONI, Avvertenza a Sesto Em-

pirico e il pensiero antico, Elenchos 13 (1992), 6. # Naturalmente discussioni sullo scetticismo di Platone non mancarono neppure in precedenza, cfr. e.g. Cic. Ac. I 46 e De orat. III 67: che questi νεώτεροι ᾿Ακαδημαϊκοί procedessero sul solco di una tradizione è evidente. Sul ‘platonismo’ degli academici di età ellenistica,

si veda

A.M.

IoPPOLO,

Opinione

e scienza,

Napoli,

Bibliopolis

1986

(«Elenchos», 12), praes. 40-49. Un tentativo moderno di ricostruire un’interpretazione ‘scettica’ di Platone è quello di J. ANNAS, Plato the Sceptic, in Methods of interpreting Plato and his dialogues (J.C. Klagge - N.D. Smith eds.), Oxford, Oxford University Press 1992 (OSAPh, Supplementary Volume), 43-72. 9 Si tratta dell’anonimo autore dei Prolegomena in Platonis philosophiam. Sull’identità di questo filosofo si veda l’analisi di L.G. WESTERINK in Prolégoménes ἃ la philosophie de Platon (éd. par L.G. Westerink, J. Trouillard, A.Ph. Segonds), Paris, BL 1990, LXXVI-LXXXTX.

100 Nel manoscritto dopo l’articolo vi è una rasura di quattro lettere, «vix νέους»: WESTERINK ad loc. (cfr. anche PRAECHTER [rec. a Diels-Schubart, Anonymer Kommentar, cit.], cit., 545 [= 279] n. 3).

MAURO

BONAZZI

ὡς καὶ αὐτοῦ ἀκαταληψίαν eciodyovtos.’”! E assai significativamente,

tra le spiegazioni addotte da costoro, il filosofo neoplatonico annovera un’argomentazione che si fonda sull’uso platonico di espressioni ‘scetticheggianti’, alludendo probabilmente allo stesso passo di Tht. 150c che era servito agli avversari dell’anonimo commentatore: αὐτός, φασίν, λέγει ἐν διαλόγῳ αὐτοῦ ὅτι “οὐδὲν vida οὔτε διδάσκω τι, ἀλλὰ διαπορῶ μόνον" ὅρα οὖν πῶς ὁμολογεῖ ἰδίῳ στόματι μηδὲν κατειληφέναι. A dispetto di una feroce damnatio me-

moriae (Platone — per usare le parole dei Prolegomena 12, 2-3 - δογματικός ἐστιν καὶ οὐκ ἐφεκτικός), si sono conservate tra le righe

dei testi dei filosofi platonici tracce di un confronto con i dialoghi di Platone in chiave aporetica, che collocate nel loro contesto storico e filosofico possono contribuire notevolmente ad arricchire le nostre scarse conoscenze del platonismo antico. 2. Se per gli Academici dei secoli precedenti contava molto più «une fidélité d’inspiration ἃ Platon qu’une véritable orthodoxie»,'™ nel caso di questi filosofi academici non si poteva prescindere dall’importanza crescente dei testi scritti e dalla tendenza, diffusa in tutte le scuole, a rifarsi all'insegnamento e all’ispirazione dei maestri fondatori.!% In questo contesto, l’adesione all’Academia non

101 Proleg. in Plat. phil., 10, 4-6 (cfr. anche Tert. De an. 17, 11-12, e Olymp. In Phd. 8, 17). A proposito di questo passo assai interessanti sono le osservazioni di C. Lévy, Le concept de doxa des Stoiciens ἃ Philon d’Alexandrie: essai d’étude diachronique, in Passions & Perceptions (J. Brunschwig - M.C. Nussbaum eds.), Cambridge, Cambridge University Press 1993, 265 n. 49: «l’anonyme commence par dire que Platon est supérieur 4 la Nouvelle Académie, puis il ajoute que ‘certains’ ont affirmé que Platon avait professé l’acatalepsie. Le text ne permet pas d’affirmer avec certitude qu'il s’agit de Néoacadémiciens. Mais il n’y a rien d’invraisembable ἃ ce que les τινες, s’ils n’étaient pas eux-mémes des Néoacadémiciens, aient utilisé une argumentation élaborée dans l’Académie». 102 Cfr. il testo del Teeteto alla n. 76. Dei numerosi testi che Westerink presenta nell’apparatus fontium dell’edizione dei Prolegomena, il passo del Teeteto è sicuramente il più calzante, cfr. anche TARRANT,

The Date, cit., 171 e OPSOMER,

In Search of the

Truth, cit., 73. Sul rapporto tra le argomentazioni scettiche dei Prolegomena e quelle dell’anonimo commentatore del Teeteto, cfr. infra, 68. È anche interessante notare che sia gli scettici del commentario sia quelli dei Prolegomena appiattiscono senza esitazioni il personaggio di Socrate su Platone, cfr. LIV 38-42 (ἐκ τοιούτων λέξεών τινες οἴονται ᾿Ακαδημαϊκὸν τὸν Πλάτωνα, ma a parlare nel Teeteto è Socrate) e il passo dei Proleg. in Plat. phil. appena citato (10, 59: ἰδίῳ στόματι). 10 Lévy, La Nouvelle Académie, cit., 145.

10 Senza soffermarsi sul complicato problema dei diversi schemi di classificazione dei dialoghi di Platone (per trilogie, per tetralogie, secondo i ‘caratteri’) che si svilupparono e affinarono in questo periodo, è interessante ricordare quanto osserva OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 33, a proposito della classificazione per ‘caratteri’: «it



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poteva non comportare un legame e un confronto con Platone.!% Purtroppo, poco si conosce della loro identità e delle loro opere, e anche nel caso dell’unico filosofo di cui si sia conservato qualcosa, Favorino di Arelate, oltre a passi di interesse aneddotico e biografico, non ci è rimasto che il titolo di un’opera περὶ Πλάτωνος (= fr.

24 Barigazzi), il cui contenuto rimane però oscuro. Considerando la predilezione di Favorino per i titoli composti, si potrebbe integrare il titolo grazie all’apporto di una testimonianza di Frinico in Περὶ Πλάτωνος ἢ περὶ ἰδεῶν: analoghe attenzioni per il problema delle idee sono attestate in quasi tutti i filosofi del tempo, e non c’è nessun bisogno né tantomeno alcun indizio per ipotizzare con Barigazzi che in quest'opera Favorino si dissociasse polemicamente da Platone.!* Al contrario, anche il legame con Socrate, certamente decisivo per comprendere il pensiero di Favorino, si era formato proprio da una lettura attenta di dialoghi come il Teeteto. Ma non si tratta solo di un confronto tanto generale quanto superficiale con Platone: sempre a proposito delle scarse testimonianze su Favorino, credo sia possibile rintracciare alcune conferme di un interesse concreto per il Teeteto, che si andrebbero così ad aggiungere a quelle appena discusse. L’affermazione paradossale riportata da Galeno che nemmeno il sole è conoscibile (Gal. Opt. Doctr. 1= fr. 28, p. 179, 7-8 Barigazzi: ὡς μηδὲ τὸν ἥλιον ὁμολογεῖν καταληπτόν)

trae ispirazione dalla parte finale del Teeteto (208d) dove il sole è l’oggetto dell’estremo tentativo, anch’esso destinato a fallire, di conseguire una definizione di conoscenza.! Il ricorso al Teeteto per criticare le condizioni di possibilità di una definizione di ἐπιστήμη

is likely rhat the scheme was developed or at least used to counter the claims of the more extreme exponents of Academic scepticism, who held that Plato himself was a sceptic throughout». 15 Anche se in Favorino è prevalsa l’attenzione per l’aspetto socratico-academico piuttosto che per quello platonico, questo non significa assolutamente un disinteresse o un distacco da Platone (cfr. OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 239-240). Che ᾿Ακαδημαῖκός comporti un legame anche con Platone è una tesi più volte difesa nel corso del presente lavoro. 106 Cfr. A. BARIGAZZI, Favorino di Arelate. Opere, Firenze, Le Monnier 1966, 170-

171. Una lettura attenta di Aulo Gellio potrebbe forse arricchire le nostre informazioni: H. TARRANT, Platonic Interpretation in Aulus Gellius, GRBS 37 (1996), 187-193, ha cercato di attribuire a Favorino il passo di NA IX 5 in cui si afferma che la trattazione platonica del piacere è tanto sfaccettata da far pensare che essa sia stata l’origine di tutte le successive opinioni. Un interesse per problemi di classificazione del corpus potrebbe emergere da POxy 3219, cfr. A. CARLINI - F. MONTANARI, CPF 1.1***, 6-8 (contra M.W. HAsLam, Plato, Sophron and the Dramatic Dialogue, BICS 19 [1972], 33-35). 107 SEDLEY, Three Platonist, cit., 87-88; cfr. anche Cic. Luc. 128 e ND II 4.

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MAURO

BONAZZI

a favore dell’ ἀκαταληψία ritorna parimenti nel terzo dei cinque λόyou che l'anonimo autore dei Prolegomena in Platonis philosophiam critica: τρίτον λέγουσιν ὅτι οὐκ οἴεται ἐπιστήμην εἶναι

καὶ δῆλον

ἐξ ὧν πᾶσαν ἀπόδοσιν τῆς ἐπιστήμης καὶ τὸν ἀριθμὸν ἀνεσκεύασεν ἐν Θεαιτήτῳ: πῶς οὖν κατάληψιν φήσομεν τὸν τοιοῦτον πρεσβεύεἰν;08. Allo stesso modo, la professione di ignoranza di 150c4-7 le-

gittima l’interpretazione scettica di Platone sia nel commentario sia nei Prolegomena (si tratta del πέμπτος λόγος: 10, 57-60): espressioni come

‘non so niente’ (LIV 28: οὐδὲν ἔχω σοφόν; Anon.

Proleg.

in

Plat. phil. 10, 58: οὐδὲν οἶδα) confermerebbero il rifiuto di Platone ad asserire qualcosa di certo e mostrerebbero dunque le sue convinzioni scettiche. E va aggiunto che identiche sono anche le argomentazioni impiegate dal commentatore e dal filosofo neoplatonico per respingere questo tipo di lettura:!° queste somiglianze tra l’anonimo neoplatonico, il commentatore e Galeno rendono verosimile l'ipotesi che le polemiche contro l’interpretazione scettica di Platone si ricollegassero in qualche modo anche ad analoghe affermazioni di Favorino. In questi passi l’interpretazione scettica riguarda comunque Platone e non Socrate, in accordo con il contesto filosofico del tempo.!!° Un ulteriore indizio della presenza di Favorino si può ricavare dal passo già discusso di LX 48-LXI 46. Come noto, la sua simpatia per il pirronismo lo portò a enfatizzare i motivi di somiglianza di quest’ultimo movimento con l’Academia scettica, prendendo una posizione decisa nella controversa guaestio: sostenitore di una sostanziale identità tra tradizione academica e tradizione pirroniana, Favorino fece sue le istanze critiche sollevate da Enesidemo, al fine

di mostrare che Platone e l’Academia rispettavano 1 criteri necessari per appartenere a pieno titolo alla filosofia scettica.!!! E l’inte-

108 Anon. Proleg. in Plat. phil. 10, 23-26: su questo testo cfr. supra, 65 sg. Sul problema dell’eliminazione 461} ἀριθμός si vedano le diverse soluzioni che sono state proposte da SEDLEY, Three Platonist, cit., 86-87 e TARRANT, Scepticism, cit., 72. È interes-

sante osservare che anche in Galeno (Opt. Doctr. 2 = fr. 28, p. 181, 14-16 Barigazzi) sono presenti argomenti contro le verità di tipo matematico e geometrico (contro l’eguaglianza delle grandezze uguali), a conferma di una loro circolazione anche nei primi secoli imperiali (cfr. IoPPOLO, The Academic Position, cit., 207-208 e n. 92). Persino Proclo ricorda attacchi di scettici contro la matematica volti a dimostrare la non esistenza di principi quali l’unità (in Exc. 199, 3-9). 109 Cfr. anche TARRANT, Scepticism, cit., 73, a sostegno della sua ipotesi. Cfr. ANNAS, Plato the Sceptic, cit., 64,

e OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 73-76, per una

analisi del πέμπτος λόγος del filosofo neoplatonico. 110 Cfr. la parte finale della n. 102. 111 Cfr. Gell. XI 5, 6 = fr. 26 Barigazzi dai Πυρρωνείων τρόπων: vetus autem quae-



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ACADEMICI

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NELL’ANON.

«IN THEAETETUM>»

resse per il pirronismo riproposto da Enesidemo, ben lungi dal ridursi a semplice interesse erudito, contribuì a fondo nell’affilare le armi del filosofo di Arles: è proprio per l’esigenza di scampare alle critiche di Enesidemo contro il dogmatismo dei filoniani che Favorino si appropriò del linguaggio fenomenista: «sostenendo che ‘gli sembrava convincente che nulla fosse comprensibile (εἴρηκε πιθανὸν ἑαυτῷ daivesGar)’,! non soltanto non assumeva |’ ἀκαταληψία di

tutte le cose come una tesi da lui sostenuta, perché la esponeva come un punto di vista πιθανόν, ma sottoponeva lo stesso πιθανόν alla limitazione di un linguaggio fenomenista».' Se torniamo al passo in

questione del commentario, non sarà difficile riscontrare un’analoga attenzione per le potenzialità possedute dal verbo φαίνεσθαι: il ragionamento seguito dagli avversari del commentatore consiste in-

fatti nell’utilizzare affermazioni come quella di Tht. 151e2 (καὶ ὥς ye νυνὶ φαίνεται) per sottolineare la cautela filosofica di Platone e il suo rifiuto di SoyuariCew.!!4 Anche in questo caso non è dunque

illegittimo un rimando al filosofo di Arles: sia dal punto di vista filosofico — l’adozione del linguaggio fenomenista — sia dal punto di vista storiografico — il tentativo di avvicinare le posizioni di Pirrone e Platone —, è indubbia la somiglianza con quanto ci è testimoniato dalle altri fonti a proposito del pensiero di Favorino. Per quanto la lacunosità del papiro non permetta di asserirlo con sicurezza, anche l'immediato seguito del commentario potrebbe condividere con il filosofo di Arles interessi simili. La discussione sul significato filosofico dell’homo mensura con l’allusione alla ‘verità segreta’ di Protagora conducono il commentatore a soffermarsi sui stio et a multis scriptoribus tractata, an quid et quantum Pyrronios et Academicos philosophos

intersit.

Utrique

enim

σκεπτικοί,

ἐφεκτικοί,

ἀπορητικοί

dicuntur,

utrique nihil adfirmant nibilque comprehendi putant. Sed ex omnibus dicunt fieri, quas φαντασίας appellant, non ut rerum ipsarum natura tio animi corporisve est eorum, ad quos ea visa perveniunt. È proprio vorino per il pirronismo la causa del fraintendimento di un Favorino IoproLo,

quoniam

rebus proinde visa est, sed ut adfecla simpatia di Fa‘Pirroniano’, cfr.

The Academic Position, cit., 183-185.

112 Fr, 31 Barigazzi, dall’Alcibiade (= Gal. Opt. Doctr. 1 = fr. 28, p. 179, 18-19 Barigazzi). 113 TOPPOLO, Accademici e Pirroniani, cit., 97; cfr. anche OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 61. Questo tentativo di conciliare gli estremi della filosofia di Enesidemo

con quella di Filone di Larissa costituisce uno degli aspetti più interessanti del pensiero di Favorino, confermando il giudizio. positivo di Aulo Gellio (XI 5, 5: subtilissime argutissimeque). Ad un'analisi più approfondita l’interesse di Favorino per la filosofia di Filone potrebbe gettare nuova luce sulla questione dell’interpretazione scettica di Platone, visto che anche il filosofo di Larissa si era occupato di questo argomento (cfr. BRITTAIN, Philo of Larissa, cit., 207-215); cfr. note 87 e 130.

114 Cfr. supra, n. 86; vd. anche Proleg. in Plat. phil., 10, 7-12 citato alla n. 129.



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MAURO

BONAZZI

diversi tipi di relativismo (democriteo e protagoreo a LXKII 30-LXIII 1, pirroniano LXIII

1-40; si veda anche l’allusione ai cirenaici a

LXV 29-39), e ancora una volta si rileva la sua preoccupazione di operare distinzioni e precisazioni rispetto al pirronismo: ἄλλως δὲ . οἱ Πυρρώνειοι (LXIII 1-3).!55 Un’analoga attenzione a queste classificazioni compare anche nella discussione delle παρακείμεναι

φιλοσοφίαι in Sesto, dove si svelano come superficiali i presunti motivi di somiglianza con lo scetticismo presenti nella filosofia di Protagora (P. I 216-219) e in quella cirenaica (P. I 215): mettendo in

campo una ontologizzazione dell’affermazione homo mensura Sesto può così concludere che anche Protagora δογματίζει.1:6 Simili

accostamenti trovavano la loro ragione di fondo nella tendenza a cercarsi precursori famosi, per evitare l'accusa di xarvotopia e mostrare invece i propri legami con la tradizione passata; nonostante l’interesse di Sesto a distinguere, non mancò chi, nell’antichità, evi-

denziò affinità tra Protagora e Pirrone.!!” A questo proposito è interessante notare il posto che l’esposizione della vita e della dottrina di Protagora occupava nelle Vite di Diogene Laerzio, nel nono libro (IX 50-56) poco prima della trattazione del pirronismo (IX 61-108): a parte una certa confusione d’insieme nella struttura del bios, è stato plausibilmente ipotizzato che gran parte del materiale che lo costituiva provenisse da Favorino, probabilmente dalla Παντοδαπὴ iotopia.!!® Ammessa la bontà di quest’ipotesi, è possibile ricavare ulteriori attestazioni di un interesse di Favorino per il Teeteto, questa volta in relazione a Protagora, a conferma dell’interesse

"5 Cfr. supra, n. 86. Sull’importanza della discussione su Protagora nel commentario si vedano anche le osservazioni di TARRANT, Plato’s First Interpreters, cit., 177182.

16 Come osserva giustamente C.J. CLASSEN, L’esposizione dei Sofisti e della Sofistica in Sesto Empirico, Elenchos 13 (1992), 63, anche il resoconto di Sesto corrisponde in larga misura al Teeteto, ma non mancano influssi da tradizioni diverse, cfr. DECLEVA CAIZZI, La «materia scorrevole», cit., 459-470. 117 Cfr. Pirrone T 23-27 con il commento di F. DECLEVA CAIZZI, Pirrone. Testimonianze, Napoli, Bibliopolis 1981 («Elenchos», 5), 178-182. Cfr. anche G. GIAN-

NANTONI, Pirrone, la scuola scettica e il sistema delle «successioni», in Lo scetticismo antico, cit., I, 15-25. In questo lasso di tempo operò anche Aristocle di Messene, un filosofo peripatetico che attaccò la filosofia di Protagora e il pirronismo sulla base delle argomentazioni del Teeteto (frr. 4 e 6 Chiesara), cfr. ad es. F. TRABUCCO, La polemica di Aristocle di Messene contro Protagora e Epicuro, AAT 93 (1958-1959), 1-43 e M.L. CHIESARA, Aristocles of Messene. Testimonia and Fragments, Oxford, Oxford Univer-

sity Press 2001, 142-155. 118 F, DECLEVA CAIZZI, Il libro IX di Diogene Laerzio, in ANRW, II 36.6, BerlinNew York, De Gruyter 1992, 4236-4240.

— 70 —

i

ACADEMICI

E PLATONICI

NELL’ANON.

«IN THEAETETUM»

che il filosofo di Arles provavava per il sofista di Abdera.!!? Subito dopo la citazione dell’homo mensura, il testo (IX 51) presenta in-

fatti affermazioni che rinviano espressamente alla stessa sezione del Teeteto discussa dal commentatore e da Sesto: ἔλεγέ te μὲν μηδὲν εἶναι ψυχὴν παρὰ τὰς αἰσθήσεις, καθὰ καὶ ὁ Πλάτων φησίν ἐν Θεαιτήτῳ, καὶ πάντα εἶναι ἀληθῆ. Si tratta certamente di notizie

comuni nella tradizione dossografica,!2° e lo scritto da cui provengono (la Παντοδαπὴ

ἱστορία) non lascia certo sperare che fossero

accompagnate da discussioni approfondite sul relativismo di Protagora. Eppure nel dios laerziano non mancano altre informazioni, sicuramente provenienti da Favorino, molto più significative per quanto riguarda un’interpretazione più marcata della filosofia di Protagora in senso scettico-academico:

οὗτος καὶ τὸ Σωκρατικὸν

εἶδος τῶν

λόγων πρῶτος ἐκίνησε... καὶ πρῶτος κατέδειξε τὰς πρὸς τὰς θέσεις

ἐπιχειρήσεις (IX 53). 121 Non è inopportuno ricordare che per Fa-

vorino, secondo la testimonianza di Galeno, era proprio il metodo

dell’ εἰς ἑκάτερα ἐπιχείρησις ciò che caratterizzava l’Academia scettica: τὴν εἰς ἑκάτερα ἐπιχείρησιν ἀρίστην εἶναι διδασκαλίαν ὁ Φαβωρῖνός φησιν (Gal. Opt. Doctr. 1 = fr. 28, p. 179, 1-2 Barigazzi).

Anche Diogene conferma dunque un interesse filosofico di Favorino per il Teeteto. E senza spingermi oltre nell’interpretazione di questi brevi frammenti, ma limitandomi soltanto a registrare la presenza di analoghi interessi e problemi in Favorino, Sesto e l’anonimo commentatore, vorrei inoltre sottolineare che, seppur in modo diverso, sia in Sesto (P. I 216-219)!?? sia nell’anonimo commentatore (LXIII 1-40) il relativismo di Protagora è collegato alla dis-

cussione del tropo ἀπὸ τοῦ πρός τι, un tropo, che come lo stesso Diogene Laerzio espressamente conferma (IX 87), Favorino discusse a fondo.!3

49 Si vedano, per rimanere all’interesse di Favorino per i rapporti tra Protagora e Platone, D.L. ΠῚ 57 (= fr. 55 Barigazzi) e IX 53, il primo sul legame tra le Antilogie e la Repubblica, il secondo sull’Extidemo. 120 Ma non per questo banali, cfr. DECLEVA

CAIZZI, La «materia scorrevole», cit.,

469-470, e, più in generale, M. UNTERSTEINER, / sofisti (rist. a cura di F. Decleva Caizzi), Milano, Bruno Mondadori 1996, 69-73. 121 Cfr. anche IX 51: καὶ πρῶτος ἔφη δύο λόγους εἶναι περὶ παντὸς πράγματος dvτικειμένους ἀλλήλοις" οἷς καὶ συνηρώτα, πρῶτος τοῦτο πράξας. A.A. LONG, Diogenes

Laertius, Life of Arcesilaus, Elenchos 7 (1986), 446, ha messo in rapporto questo passo con l’affermazione di Diogene Laerzio (IV 28), secondo cui l’iniziatore del metodo dell’eig ἑκάτερα ἐπιχείρησις sarebbe stato Arcesilao. 122 Cfr. CLASSEN, L'esposizione dei sofisti, cit., 70. 123 Cfr. Gell. XI 5, 7 = fr. 26 Barigazzi dai Πυρρωνείων τρόπων: omnes omnino res,

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MAURO

BONAZZI

3. Se quest’ipotesi tiene, possiamo finalmente tentare di chiarire il problematico significato di LIV 38-43: ἐκ τοιούτων λέξεών τινες οἴονται Ἀκαδημαϊκὸν

τὸν Πλάτωνα,

ὡς οὐδὲν Soyuatitovia.

Alla

luce dei ragionamenti fin qui condotti, il senso della prima parte dell’affermazione, che Platone è un academico

nel senso di ‘scet-

tico’, non dovrebbe più costituire un problema e ben si accorda con il tentativo di rivitalizzare la tradizione scettico-aporetica all’interno dell’Academia platonica. Ancora da chiarire rimane invece la stringata giustificazione addotta, ὡς οὐδὲν δογματίζοντα. Oltre a questo

passo, il verbo δογματίζειν ritorna in altri tre casi nella parte del commentario

che si è conservata, a LV

1, a LXI

13 e a LXI 39, os-

sia nelle due sezioni sullo scetticismo appena discusse (LIV 14-LV 13; LX 45-LXI 46): questa coincidenza ben si accorda con le ipotesi avanzate dagli studiosi moderni, tese a rimarcare l’importanza del verbo in ambito scettico, a partire da Enesidemo.! Nonostante questa convergenza di fondo, non è però scontato che le sfumature di significato coincidano perfettamente in tutti e quattro i passi. A LV 1, dove il commentatore espone la propria posizione, la traduzione corretta è certamente ‘professare dottrine’, e il verbo non sem-

bra avere alcuna connotazione negativa: Soyuatitew corrisponde infatti a δόγματα ἔχειν (LV 4-7), e δόγματα significa ‘dottrine’, ‘opinioni

filosofiche’.!25 Che questo sia il modo corretto di intendere il verbo è confermato da un passo di Diogene Laerzio che riguarda proprio, e non a caso, il dogmatismo di Platone:! per un filosofo δογματί-

ζειν è stabilire dottrine così come per un legislatore νομοθετεῖν significa stabilire leggi, αὐτὸ τοίνυν τὸ δογματίζειν ἐστὶ δόγματα τιθέναι ὡς τὸ νομοθετεῖν νόμους τιθέναι (III 51).

quae sensus hominum movent, τῶν πρός τι esse dicunt. Id verbum significat nihil esse quicquam, quod ex sese constet, nec quod habeat vim propriam et naturam, sed omnia prorsum ad aliquid referri taliaque videri, qualis sit eorum species, dum videntur, qualiaque apud sensus nostros, quo pervenerunt, creantur, non apud sese, unde profecta sunt. Partendo da Galeno altri indizi di una lettura del Teeteto da parte di Favorino si potrebbero ricavare dalle argomentazioni derivanti dal confronto tra stato di veglia e stato di sonno, anch’esse provenienti in ultima istanza dal Teeteto (cfr. e.g. 158c-e). Ma si tratta di un tema fin troppo abusato nelle polemiche tra stoici e academici per poterne ricavare qualche informazione precisa al riguardo di Favorino. 14 Cfr. SEDLEY,

Commentarium,

cit., 547; DECLEVA

CAIZZI, Pirrone, cit., 205. In

generale cfr. J. BARNES, The Beliefs of a Pyrrbonist, Elenchos 4 (1983), 15-28. 125 ‘Doctrine’ è la traduzione proposta da TARRANT, Scepticism, cit., 29; cfr. anche C. STOUGH, Knowledge and Belief, OSAPh 5 (1987), 224. DILLON Alcinous, cit., 53 traduce con ‘principal doctrines’ τῶν κυριοτάτων δογμάτων in Alcin. Did. 152, 1. 126 Cfr. D.L. ΠῚ 51: ἐπεὶ δὲ πολλὴ στάσις ἐστὶ καὶ οἱ μέν φασιν αὐτὸν δογματίζειν,

οἱ & οὔ; prescindendo dai cristiani, δογματίζειν non è un verbo molto diffuso: il fatto

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ACADEMICI

A LXI

E PLATONICI

NELL’ANON.

«IN THEAETETUM»

13 e 39 invece δογματίζειν compare in riferimento agli

scettici, con una sfumatura leggermente diversa, che rinvia al modo impiegato da Enesidemo per criticare i filosofi non scettici:!?” rispondendo alla domanda se lo scettico dogmatizzi, Sesto risponde che egli non dogmatizza nella misura in cui dogma è «assentire a qualcuna delle cose che sono oscure e che formano oggetto di ricerca da parte delle scienze» (μὴ δογματίζειν λέγομεν καθ᾽ ὃ δόγμα εἶναί φασί τινες τήν τινι πράγματι τῶν κατὰ τὰς ἐπιστήμας ζητουμένων ἀδήλων συγκατάθεσιν: P. I 13).128 Così a LXI 13 il saggio

pirroniano non afferma nulla in modo determinato, non assente ad alcunché in quanto oscuro, ma dice ciò che a lui pare: οὐδὲν xaθοριστικῶς ἄν τις δογματίζοι, ἀλλά

φησιν φαίνεσθαι αὐτῷ.

Chiariti questi passi, rimane dunque da spiegare LIV 43: considerando che il commentatore sta riferendo le convinzioni di altri, più apertamente schierati in favore di un’interpretazione scettica, la

traduzione più appetibile risulterà la seconda. Nella colonna LXI la sottolineatura del φαίνεται di Tht. 151e2 rispondeva esattamente

a questa strategia, aspirava cioè a evidenziare la cautela di Platone,

la sua attenzione a non compromettersi con asserzioni ‘dogmatiche’.!?? Allo stesso modo, allora,

a LIV 42 ὡς οὐδὲν δογματίζοντα

potrebbe essere correttamente inteso, questa volta in riferimento all’affermazione di Tht.

150c4-7, come:

«non asserisce alcunché in

modo assoluto, perché non assente a cose oscure». Questo naturalmente non significa fare di Platone un pirroniano, ma mira piuttosto a riadattare al filosofo ateniese alcune istanze del rinato pirronismo: i dialoghi possono essere legittimamente interpretati in senso scettico perché non cadono nelle pastoie del dogmatismo.!?°

che compaia sempre quando si discute della questione scetticismo/dogmatismo in Platone (oltre a Diogene appena citato e all’anonimo commentatore, cfr. anche Sesto Empirico, P. I 220-223) andrebbe allora preso in seria considerazione. 127 Cfr. quanto Diogene Laerzio riporta di Enesidemo (IX 106): καὶ Αἰνεσίδημος ἐν τῷ πρώτῳ τῶν Πυρρωνείων λόγων οὐδέν φησιν ὀρίζειν τὸν Πύρρωνα δογματικῶς διὰ

τὴν ἀντιλογίαν, τοῖς δὲ φαινομένοις ἀκολουθεῖν. Cfr. anche D.L. IX 71 (Omero οὐδὲν ὁρικῶς δογματίζει), e Phot. Bibl. cod. 212, 170417. Su ὁρίζειν si vedano anche le osservazioni di DECLEVA CAIZZI, Pirrone, cit., 234. 128 Cfr. anche P. I 197 e II 98 con il commento TARRANT, Scepticism, cit., 28-33.

di BARNES,

The Beliefs, cit., 23, e

129 Allo stesso modo nei Proleg. in Plat. phil. (10, 7-12) i propugnatori dell’interpretazione scettica di Platone sottolineano la presenza nei dialoghi di espressioni di dubbio e di esitazione (εἰκός, ἴσως, tax’ ὡς οἶμαι): τοῦτο δ᾽ οὐκ ἐπιστήμονός ἐστιν, ἀλλά τινος μὴ καταλαβόντος τὴν ἀκριβῆ γνῶσιν.

1320 In tal modo si conserva anche un legame con la tradizione academica, cfr. supra, note 87 e 113.



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MAURO

BONAZZI

Ma la preoccupazione di filosofi come Favorino di rispettare i criteri posti da Enesidemo non era affatto condivisa dal commentatore che, come abbiamo visto, attribuiva un significato leggermente diverso, più debole, a δόγμα e Soyuatitew,!! e di qui pote-

vano nascere i fraintendimenti e le divergenze. Esse si chiariscono ulteriormente non appena si considerino le diverse finalità a cui Favorino e l'anonimo tendevano: il primo infatti non si impegnò nella stesura di commentari continui a Platone, con tutti i problemi ermeneutici di coerenza e unitarietà che la prassi esegetica comporta,'” ma partecipò attivamente alle polemiche filosofiche del tempo, in particolare contro gli Stoici.! L’unica menzione certa dell’uso del Teeteto, riportata da Galeno,

sull’inconoscibilità del sole, risente

chiaramente della polemica anti-stoica e proviene anche da trattati anti-stoici: ὡς μηδὲ τὸν ἥλιον ὁμολογεῖν καταληπτόν..5 E in generale, δόγμα e δογματίζειν, nei testi a noi noti, sono tanto poco usati

dagli stoici antichi quanto frequenti in quelli di età imperiale (Epitteto e Marco Aurelio):! un interesse per Platone in vista di una polemica antistoica nel contesto di un rilancio dello scetticismo academico contribuirebbe a chiarire la posizione di Favorino e gli eventuali fraintendimenti presenti nelle critiche del commentatore. La tendenza degli antichi a polemizzare anonimamente non deve occultare la possibilità che ci fossero anche interessi attuali e bersagli precisi.!5

1 Un elenco di probabili δόγματα è raccolto da OPSOMER, In Search of the Truth, cit., 61: «For A [= anonimo commentatore] scepsis leads to dogma, not only in Plato but also in the great majority of later Academics. [...] He does not of course mean that they were dogmatic in the modern sense, for he suggests that we may see Platonic dogma in the ‘midwifery’ section where Plato is certainly not being dogmatic. He simply has a positive impression to convey to his reader as a results of certain positive views. A’s thesis, therefore, is that there was both systematic impartial ‘inquiry’ and positive conclusions from that ‘inquiry’ in the Academy from Plato’s day on: with odd exceptions, but not enough to detract from the fact that the Academy had a single continuous tradition»; cfr. supra, n. 81. 152 Cfr. P.L. DONINI, Testi e commenti, manuali e insegnamento: la forma sistematica e i metodi della filosofia in età postellenistica, in ANRW, II 36.7, Berlin-New York, De

Gruyter

1994, 5027-5100.

133 Cfr. le informazioni raccolte da OPSOMER, In Search of the Truth, 213-240. 4 Fr. 28, p. 179, 8 Barigazzi, corsivo mio: l'affermazione era sostenuta da Favotino nel Πλούταρχος ἢ περὶ τῆς ᾿Ακαδημαϊκῆς διαθέσεως, ma come osserva subito dopo Galeno (p. 179, 12-13 Barigazzi), λέγει δὲ «padtd ἐν τῷ “Πρὸς Ἐπίκτητον᾽. Favo-

rino scrisse anche un Περὶ τῆς καταληπτικῆς φαντασίας = fr. 29 Barigazzi. Sulle polemiche con Epitteto cfr. in generale IoPPOLO, The Academic Position, cit., 198-202. 155 BARNES, The Beliefs, cit., 20. 136 Cfr. DONINI, Testi e commenti, cit., 5074-5075.

-- 74 —

HAROLD

THE

TARRANT

CRITERION ‘BY THE AGENCY OF WHICH?” ANON. «IN THEAETETUM» FR. D

Following the much improved edition of the anonymous Commentary on the Theaetetus by Bastianini and Sedley, and several further articles in which Sedley has shown that the author must be taken seriously as an interpreter of Plato,! we have come considerably closer to an understanding of this text. Sedley’s new reconstruction of fragment D,? and his discussion of the polemical content, have invested that half-column with an importance which could not previously have been anticipated: both for the history of the interpretation of the Theaetetus and for the history of thinking on the criterion. I hope here to be able to draw on Sedley’s insights and to advance our understanding a small step further. I shall suggest further readings, partly in order to lead us into asking the right historical questions, and while I should hope that some of these suggested readings will come to be accepted, the intention is that the wider investigation will be valuable in its own right, and will yield conclusions that will lend some support in turn to my overall understanding of fragment D. ! The work was edited by H. DIELS and W. SCHUBART, Berliner Klassikertexte 2, 1905. The edition of Guido Bastianini and David N. Sedley appears in Corpus dei papiri filosofici greci e latini, III. Commentari, Firenze, Olschki 1995, 227-562. On the author and date see particularly 246-256. In addition to paper mentioned below see also Sedley’s paper A Platonist Reading of Theaetetus 145-147, PAS suppl. 67 (1993), 125-149, Three Platonist Readings of the Theaetetus in C. Gill - M.M. McCabe (eds.), Form and Argument în Late Plato, Oxford, Oxford University Press 1996, 70-103. Also relevant is his Alcinous’ Epistemology, in K.A. Algra et al. (edd.), Polybistor: Studies in the History and Historiography of Philosophy presented to Jaap Mansfeld on his Sixtieth Birthday, Leiden, Brill 1996, 300-312. I should also like to thank Professor Sedley

for comments on early drafts of this paper; he saved me many errors, but the remaining ones are mine alone. 2 A New Reading in the Anonymous «Theaetetus» Commentary (PBerol. 9782 Fragment D) in Papiri Filosofici: Miscellanea di Studi I, Firenze, Olschki 1997 (STCPF, 8), 139-144.

-- γε...

HAROLD TARRANT

I. THE

EARLY

LINES

OF FRAGMENT

D

Fragment D addresses 157c7-8, where ‘Socrates’ reminds “Theaetetus’ that he has no knowledge relevant to the matter in hand, and has not been setting forth his own opinions. The author wishes to distance Plato from the quasi-Protagorean theory which has been expounded, possibly from 152a on, and at very least between 156a and 157c.> Accordingly he takes the lemma to be a welcome reminder of Socrates’ (hence apparently of Plato’s!) profession of ignorance, at precisely the time when others have taken him to have been revealing his view on matters relating to the cognition of the sensible world. In lines 1-8 Sedley gives the following: [....]me[......... ] [....] tpoodl......] [....Jataptl......] [....J010[....... ] 5

L....Jravte[...... ]

[.....]Jv καὶ ἄλλωγ [i Ἰ.αὐτῶν [.]1.[....]πράγματος.

Suggestions in his apparatus for lines 4-5, derived from 15708, are: Ἱποιο[ῦμαι

5.

?

εἰμ]ὶ αὐτῷ[ν ἄγονος

?

The suggestions assume paraphrase of the Platonic lemma, which is a regular procedure of the author and follows the lemma immediately in almost all cases where it is present.‘ It is at this point that one needs a summary of the lemma, which the writer assumes is a timely reminder, so that Plato’s meaning may be what is referred to by a restored ταζῦτα] in line 9, which subsequently becomes the subject of a sentence terminating at line 19, and perhaps of the following sentence which does not terminate until line 23 at the earliest. The summary would most naturally conclude at line 8.

? Sedley concerns himself with the more immediate context, but I suspect that anon. is not limiting himself to this. 4 An exception is 25.37f, where we first read: ἐπὶ κεφαλαίων τὰ λεγόμενά ἐστιν ταῦτα.

— 76



ANON.

«IN THEAETETUM»

FR. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

Since the author’s procedure, when paraphrasing, is to say very much the same as Plato using mostly different words, it should be possible to offer some plausible reconstruction of some of lines 18 by comparing the remains closely with the original. However, the doubtful quantities in the papyrus first needed to be checked against reasonable photographs that were published in conjunction with the Diels and Schubart edition, and colour photographs kindly supplied by Prof. Bastianini. I have only one major quarrel, and read line 2 as follows: [....]rpoo0]......]

®, though seemingly plausible to the naked eye, was scarcely possible: in this script the circle of the ® is wider than it is tall, and would normally finish very little lower than OC so that there is room for the long vertical to fall very much lower. An arc remains starting virtually vertical at the point expected to be the bottom of the letter, and at the same level as the bottom of the preceding two letters. The arc bends about 80 degrees to the right as it rises; there is a slight gap near the top right, so that the final part could conceivably have been the beginning of a new horizontal stroke. The upper part of the right side of the letter is missing, but something at the lower right below the point where the left-hand arc terminates: this is what looks like a tiny Z, but the bottom stroke is simply part of a dark horizontal line in the papyrus, so that what remains is the bottom right-hand side of a ©. All traces of this letter are compatible with © of normal shape placed rather lower than expected but with fewer difficulties than for ®. If one considers the implication of this reading, one realises that there is some likelihood of their enhancing our understanding of line three. There seems to be nothing in the lemma that would explain the presence of either πρὸς @... or προσθ..., but implicit in Socrates’ words is the insistence that previous warnings about doctrines not being his own opinion apply to what has been said at 156a-157c also. Up until 155d Socrates had been concentrating on the flux-theory that he claimed was at the root of Protagoras’ theory that man is the measure. Now the emphasis shifts to the way in which a refined view of a world in flux can justify Protagoras’ epistemological position. This theory is an addition to what had preceded, an addition that will flesh out in what way the individ-

51 did suspect this could have been the right-hand side of Y, but spacing demands that the arc is the left side of a letter.



77 —

HAROLD

TARRANT

ual perceiving agent has to be judge of the object being perceived. That being the case line 2 probably conceals προσθήκη or πρόσθεσις or some related term,‘ and on this assumption one can make progress with the very difficult combination of letters present in line 3, where little except forms

of καταρτῶ,

καταρτίζω,

κατάρτισις,

καταρτύω

occur to me as possibilities. Of these the first is the likeliest, and could share the idea of connection and dependence present in the simple verb (LSJ II.2) with the idea of adjustment present in the

compound (LSJ II). The theory of 156a-157c has been supplementing the earlier ideas, and adjusted to suit them. It was not an independent new theory — or that at least is what the author believes, bearing in mind that he is going on here to say something about the criterion ὑφ᾽ οὗ, which is what Protagoras introduced in making man the measure. Furthermore Tht. 156a talks about the flux-theory as ‘the starting-point, on which all that we were just now mentioning is dependent’, using the perfect of the simple verb ἀρτάω. I therefore suggest a reading on the following lines, giving the lemma alongside: 1

Οὐ μνημονεύεις, [ὦ φίλε,] ὅτι

1...

ἐγὼ μὲν οὔτ᾽ οἶδα οὔτε ποιοῦμαι τῶν τοιούτων οὐδὲν ἐμόν, ἀλλ᾽

5

εἰμὶ αὐτῶν ἄγονος

ἐἸπε[λάθου σὺ ὅτι]

[ἥδε ἡ] προσθ[ήκη ἀπ᾽ ἄλ-] [Awv κ]αταρτ[ᾶται, ἃ οὐκ [ἐμὸν] ποιοῦ[μαι ἀλ-]

5

Ma εἰμ]ὶ αὐτῶ[ν ἄγονος.]

At this point we should pause to consider what the remaining lines of the fragment would have caused us to expect in lines 1-8. First, there is some emphasis on this lemma being a reminder (11, 21), and it is for this reason that the paraphrase needs to include some

equivalent of the initial Οὐ μνημονεύεις.

This need not be

where I have chosen to place it in line 1 (the top of a column), but I doubt that the paraphrase can have started much earlier. From the rest of the fragment, and more particularly from fragment B, it is clear that the author is seeking to disassociate Plato and his assumed spokesman ‘Socrates’ from the development of Protagorean theory outlined at 156a2-157c2. Other elements that one would expect to be present are something to do with the criterion ὑφ᾽ οὗ,

‘ πρόσθεν remains a possibility (e.g. τοῖς] πρόσθ[εν πάντα | νῦν κ]αταρτ[ᾶται), and would be compatible with the present interpretation, and one must also consider the possibility of word-division after πρός.

--- 78--

ANON.

«IN THEAETETUM»

FR. D AND

THE

CRITERION

ΥΦ᾽ OY

which as Sedley has shown becomes important later, and in particular ἄνθρωπος as such a criterion — this being the way such a cri-

terion can be related to Protagoras. However, this might rather have featured prominently during discussion of 156a-157b. It is also wise to remind ourselves of what is not to be expected here. We are not expecting the author to reproduce vocatives in a paraphrase, nor to duplicate the more metaphorical language of the original unless it is important to his case. The emphasis must be on Socrates’ non-commitment to the theory that he had outlined, and hence it is unlikely that Socrates’ ignorance would be stressed when much had been done in columns 53-56 to qualify Socrates’ protestations about his ignorance and lack of productivity.” The actual word κριτήριον is not to be expected, since the author wishes to

downplay its importance. Also unexpected is any reference to the midwifery theme discussed in 157c9-d3, which is not relevant to the following discussion and which may not have been included in the lemma. Restoration of lines 6-8 as hitherto read is a challenge, partly owing to the number of genitives that appear to occur in a short space. There is ἄλλων in 6, whose case is admittedly in doubt, though it might relate to the more complex ἑκάστων τῶν σοφῶν at 157d1, being a natural continuation of the theme ‘not mine’. Then there is αὐτῶν in 7, and πράγματος (edd.pr. πραγμάτῳγ) in 8. The identity

of this πρᾶγμα is also something of a mystery: could it mean an object of cognition, or the topic itself, or what exactly? There is, unfortunately, little chance of improving on our reading of these lines. It may be mentioned that lines 6 and 7 have ink beyond what has been reported, possibly only the author’s occasional signs used to fill space, but not certainly so. Some help is given by the trace of the second letter of line 8, since the bottom of a stroke falling below the expected level would most naturally indicate P, though not long enough for ®.

7 Anon. tries to qualify the picture of Socratic ignorance at Tht. 150c4, c6, c8-d1, and d1-2. Most significantly, at 53.37-43 and 55.40-45 Socrates’ οὐ πάνυ τι σοφός is interpreted as ‘not altogether wise’ rather than ‘altogether not wise’. Other relevant ma-

terial is at 54.26-38 and 56.2-5. Anon. will be keen to restrict οὔτ᾽ οἷδα to ‘I do not

know whether the doctrine outlined is right or not.’ 51 have considered the possibility of Y and H respectively at the ends of these lines, positioned above the penultimate letter of line 8 below. A premature interpretation of these lines, based on such a reading, was given in Plato’s First Interpreters, LondonIthaca, Duckworth-Cornell University Press 2000, 171.



79 —

HAROLD

TARRANT

Assuming that the author continues to paraphrase, he should perhaps be stressing that the purpose of the theory had been to allow Theaetetus himself to make up his mind about a variety of earlier theory: Socrates, after disclaiming knowledge himself, wants Theaetetus’ decision on other people’s theory. One suggestion, then, might be: 6

σοῦ οὖ]ν καὶ GAA@y

8

ἡ πεῖρα τοῦ ὑ]π᾿ αὐτῷν τ]ρ[αφέντος] πράγματος.

I translate: ‘So the examination of the matter that has been nurtured by them is up to you and others.’ It is not a difficulty for this reconstruction that there are 18 letters in the final line; though many columns have shorter lines, the average line-length for this fragment seems to be 15-16, and the visible remains of line 8 are compact, indicating, I suspect, the scribe’s desire to finish this sentence, which concludes the paraphrase, before beginning a new line. The space taken by the final nine letters is approximately equal to the available space preceding them. If anything line seven will be somewhat more squeezed, but I am not convinced that the article could not have been placed at the end of the preceding line. Details are quite irrelevant, however, as the only necessary task here is to demonstrate the likelihood that anon. is continuing to paraphrase in his usual fashion. Moreover I think that we may draw the following significant conclusions: 1. That the paraphrase is likely to begin at line 1 of the fragment, so that we have it in its entirety, and the previous line would have concluded the lemma. 2. That it is likely that lines 2 to 3 included an interpretative element, looking back to Socrates’ claim at 156a that the secret doctrine was linked with earlier Heraclitean and Protagorean themes. There seems to be little chance of it being another way of saying ‘I don’t know’. 3. That lines 6 to 8, while not linked closely to the text of the lemma, may move on to capture a single theme of Tht. 157c9-d2,

i.e. the responsibility of Theaetetus to decide the issue for himself. II. SOME

QUESTIONS

AT LINE 20

I shall now give Sedley’s translation for the next eleven lines, whose reconstruction I accept: —

30 —

ANON.

«IN THEAETETUM»

FR. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

«He made these remarks by way of offering a small reminder. But they are both absolutely essential and, perhaps, not inappropriate here. They seem to me to be made in a way which is effective against the majority of Platonists,? who say that the Theaetetus is about the criterion [...]»

I have drawn attention here to the fact that the term for ‘reminder’

(ὑπόμνημα)

and the phrase ἴσως ταύτῃ

οὐκ ἄκαιρα

are

probably inspired by a remark on timely reminders much later in the

Theaetetus

at 187e1:

ὀρθῶς

ὑπέμνησας:

ἴσως yap

οὐκ

ἀπὸ

καιροῦ ...!° The author characteristically feels the need to speak Platonically without reproducing Plato’s exact words.'! However, the Platonic allusion probably adds a little irony to the remark, thereby contributing to the polemic which the author is conducting in this section. We now meet, on Sedley’s reconstruction, which relies for the recognition of the crucial ® on the very clear remains of a tall vertical stroke not previously recognized: 20

καὶ [τ]ὰ εἰρημένᾳ [ὑ-] πομ[υἹμνή[σκ]ει Anas]

τὸ ὑφ᾽ [οὗ] ἐπὶ κεφα[λαί-] ov δ[ιε]λθεῖν πε[ρὶ]

Sedley translates: «and are reminding us that his preceding words were a summary account of the criterion ‘by which’ judgement is made [...]»

These four lines may be read as beginning an independent sen-

> The word Πλατωνικός would indeed normally refer to Platonists, though it is occasionally applied to others with an interest in promoting or interpreting Plato, such as Panaetius or Numenius. The date of our author might have a bearing on exactly how it was used here, and we ought not to assume that every interpreter referred to here would have adopted ‘Platonic’ as a mark of allegiance to a Platonist school. 10 See Plato’s First Interpreters, 171. " Another echo of the same passage occurs at Ph. Ebr. 154 at the beginning of what is probably the most important epistemological passage of Philo that we possess, most likely to stem from a Pyrrhonist source filtered through an Academic-Platonist channel whose ultimate purpose was to distinguish our usual vain conceits of knowledge founded on sensation or (doxastic?) reasoning from a higher vision which is revealed when the eye of the soul is purified. This contrast is fully present in Philo, in his comments on Abraham’s return to ‘sobriety’ at Sobr. 3-5; the terms τὰ νοητὰ ἀγάλματα, φρόνησις, μνήμαις, and ἐγειρόμενος are all suggestive of facets of Platonism. 12 It is possible that this had previously been read as part of the somewhat erratic M on the line above, but the stroke seems much heavier.



81 —

HAROLD TARRANT

tence, and the πε[ρὶ] may or may not begin another. I have various

problems with this, beginning with a seemingly small question of whether the supplement at the end of 16 is sufficient. The neatest possible word-division here would have been ὑπο[ίμιμνήσκει, and it

is difficult to say why this was not written if there had been space for it. The final A is approximately half a letter to the right of a T the line above, which was followed by HTON (possible abbreviation of ON) and more or less level with an H two lines above that

has been followed by PIOY. Below, and half a letter to the left, is an H that is conjecturally followed by MAC. It is not difficult to suppose that after the A of line 20 there is space for 2,5-3,5 letters, enough to allow for YIITO if it had been required. It therefore seems that a connecting δὲ is needed, whether elided or not, making the καὶ an ‘also’. This leads into a related question of the subject of the verb. The subject of the previous sentence had been the remarks made in the lemma, referred to simply as ταῦτα in line 9. The subject of the verb before that had been Socrates-Plato (understood). Sedley takes the

words of the lemma to be reminding us that what has been said before was giving a summary of the criterion by the agency of which. A similar message emerges if we take Socrates as the subject. But a good alternative yields a very different meaning: what had been said could also be reminding us of something, not that Socrates-Plato (understood) has given an outline of the criterion ‘by which’, but

rather to give an outline ourselves. While ‘what has been said’ seems to have been identified by Sedley with 156a-157c, the passage prior to the lemma, this cannot be taken for granted. (1) The perfect does not need to point to anything that has been treated previously, for the perfect active has twice been used for the content of the lemma under discussion (64.28, 68.12); it cannot per se indicate a contrast between what has been discussed and what is under discussion at the present." (2) We

have not yet had any indication that the author recognizes any criterion ‘by the agency of which’ at all, since he has not in extant columns discussed any more than τὸ δι᾽ οὗ and τὸ @, which are terms more or less forced upon him by Tht. 184c6-7; one should not assume the identity of this last type of criterion with τὸ ὑφ᾽ οὗ, since it is sometimes clearly separated as by Ptolemy On the Cri-

15 The present participle passive also refers to the contents of lemmata at 25.38 and 35.17.



32 —

ANON.

«IN THEAETETUM»

FR. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

terion 2, and indeed it is probable that anon. identifies τὸ 6 with reason and τὸ δι᾽ οὗ with the sense organs; certainly the former seems to be crucial for anon.’s epistemology (2.26-32), and to be something distinct from the agent of judgement, more akin to an objective instrument (or κανών) that the agent applies to the matter being judged. If Tht. 156-157 discusses the agent of judgement as a criterion ὑφ᾽ οὗ, then it does so only in close relation with the object about which judgement is made and the intervening sensation-processes. It therefore concentrates less on an agent than had Protagoras’ own homo-mensura thesis, which clearly singles out an agent of judgement. It is unlikely however that ‘what has been said’ could apply to the statement of that principle at 152a. So what is ‘what has been said’? Perhaps it is nothing that Plato’s text has just said, but what anon. himself has just said: «But (δὲ) what I’ve just said too (καὶ) is reminding us of something — namely to give a basic account of the agent of judgement». More likely it is the lemma itself, but its content rather than its status as reminder. This would be the point of the heavy emphasis on Theaetetus’ obligation to make up his own mind implicit in the above interpretation of line 6: a passage such as 157c9-d2, beginning with an emphatic σὲ and continuing with 16 odv δόγμα, must have been used by interpreters determined to find the criterion ὑφ᾽ où here as an illustration of Plato’s mak-

ing the human being the criterion qua agent. «But (δὲ) [the content of] what's been said too is also (καὶ) reminding us of something --

namely to give a basic account of the agent of judgement». Considerations of syntax are in favour of taking τὰ εἰρημένα as the subject, because the accusative and infinitive construction is difficult to parallel in μιμνήσκω and its compounds,

while there is

sufficient evidence for the simple infinitive in the sense of reminding somebody, or remembering, to do something. Another point in favour of this interpretation is that anon. had not previously talked of Plato speaking ἐπὶ κεφαλαίων about anything, whereas he had

1 No

examples

are given in LSJ under μιμνήσκω,

ἀναμιμνήσκω,

or ὑπομιμνήσκω.

There is one case of ὑπομιμνήσκω with the accusative of the person reminded and a ὅτι construction, and two cases of ἀναμιμνήσκω with a ὅτι construction. Where refer-

ences to the infinitive occur in LSJ it is of reminding one to do something (ἀναμιμνήσκοω: Pi. P. 4.54) or, in the middle,

of remembering

to do something

(μιμνήσκομαι:

refer-

ences include Pl. Ap. 27b). Earlier readings of Fr. D did not encounter the problem of an accusative and infinitive, since the infinitive διελθεῖν was then governed by τοῦ, and a genitive after verbs of reminding is quite regular.



33 —

HAROLD

TARRANT

indeed said that he was going to speak in that way (25.37-39).!5 In other words κεφαλαίωσις is a recognized part of a commentator’s

procedure. This is the least complicated way in which to understand the syntax of D 20-24, and this in itself is another point in its favour, since anon.’s Greek is not remarkable for its complexity. I therefore offer this translation: ‘But what has been said is also reminding us to give a basic account of the agent of judgement.’ III. THE

CONCLUSION

OF THE

FRAGMENT:

SOME

POSSIBILITIES

We now move onto the last lines, where again they become fragmentary. ἐπὶ κεφα[λαί-] ὧν δ[ιε]λθεῖν πε[ρὶ] [ὅσων τι]νὲς μὲν [τοι-]

25

[οὔτό πω]ς ἔφασαν [ei-] [ναι κριτ]ήριον wc[..] [......], 10t καὶ ετί..]

[i Jpe.[...] 30.

([=rn[ory[)!

[...... ]etal...] Li... JeL..]

Sedley, who quite reasonably sees this as continuing polemic against those who make the Theaetetus to be a dialogue about the criterion, continues his translation: «with regard to the things which some people have said are, in a way, such a criterion [...]»

Lines 24 on again seem not quite compelling either in the Greek or in the English. The πῶς seems unnecessary, and there is a question of how the issue has now become the existence or non-existence of sucha criterion rather than Plato’s having been propounding it or not. Again, while the τινὲς μὲν seems virtually certain, it does in all probability imply the presence of another group, who either

15 Note that this summary is concluded a page later with the words κεφαλαιωδῶς μὲν ταῦτα.

.

16 Supplied from the apparatus of Bastianini and Sedley.

-

34 —

ANON.

«IN ΤΗΕΑΕΤΕΤΌΜ»

FR. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

think differently about the criterion ὑφ᾽ οὗ itself, or relate Tht. 152a157c to it in some other way. Beyond line 26 I have considerably less reason to challenge the readings of Sedley and Bastianini, but there is scope for useful discussion of the word ending with IOI and even the one beginning with E: for the only three possibilities worth considering are Enp-, EvA-, and E€v- (or a Eev- compound). Given what we have already

determined about the context, only the last seems at all probable, and then only in the context of a proper name, presumably that of Xenophanes.’” Xenophanes could indeed be said to have offered views on human beings as a criterion ‘by the agency of which’, for he asserts that no man has ever seen the truth concerning the subjects he discusses (B34).

As for the word ending IOI, I should not regard the iota as doubtful. This ending is unlikely to be anything other than a masculine nominative plural, and the preceding letter ends in a vertical stroke which is most unlikely to be a further I, and is in fact most plausibly interpreted as N, since an adjoining stroke is more likely to have disappeared from the bottom than at the top.’* Between this and the iota is what appears to be a trace of an interlinear addition, which I originally took as the left hand curve of an Q, other traces of which might hopefully be detected by darker spots over the iota. However,

‘Q’IOI sounded

improbable, and the letter would

been written on a slope. By here would be ‘EJOI, which visible traces, and would be within the extant columns.”

have

far the likeliest interlinear correction seems a plausible interpretation of the of a type with at least 15 precedents It seems probable that QC in the line

before was either ὡς or ὥσπερ,2 and that the nominative plural is

governed by it. It is very likely therefore that we have here ‘like such-and-such’ where such-and-such are a group being compared with, or included among, the τινές of line 24, probably the name of a school in some way linked with the criterion ‘by the agency

!7 As David Sedley has kindly suggested to me. 18 I am unwilling to rule out H or II, but the stroke is complete and crisp-edged at the top. 19 3.43, 4.34, 11.13,

12.2, 27.7, 32.6, 32.7, 32.24, 50.31, 51.30, 54.43, 70.20, 70.29,

70.38, 73.6. Note that interlinear corrections are not something which can be restored in lost parts of a column, and need relatively clear preservation too. One might therefore conjecture that a correction of this type would have occurred on average every three columns. A large proportion of interlinear corrections are indeed orthographic. 20 The main alternative would be ὥστε; unlikely are parts of ὠθέω, ὀσφραίνομαι, ὠστίζω.



85 —

HAROLD

TARRANT

of which”, whether its supporters or its detractors. Given that ΠΡΩTATOPEIOI does not fit the traces, I can suggest only ὡς οἱ Πυρρώνειοι and (as an unparalleled and improbable resort) ὡς Ποταμώνειοι, the

Pyrrhonists being opposed to any criterion of truth, and the school of Potamo having specifically postulate the criterion ‘by the agency of which’ in the time of Augustus.?!

IV. THE

CRITERION

‘BY THE

AGENCY

OF WHICH’

What we are in fact expecting at this point of the fragment is the summary discussion of this type of criterion, and I too must therefore give an outline of what we know of its adherents. It makes a regular appearance in philosophical literature only around the second century A.D., when it may be found in Sextus Empiricus, in Alcinous Didascalicus 4.1-2, in Claudius Ptolemaeus,” and in Dio-

genes Laertius (reporting Potamo). It is possible that the terminology does not go back further than the first century B.C., and the most obvious occasion for its entering mainstream philosophic vocabulary would have been with Aenesidemus,” whose revived Pyrrhonism needed to distinguish between various types of ‘criteria of truth’ which had been proposed in the history of Greek phi-

21 The influence of this Alexandrian school of ‘Eclectics’ appears to have been shortlived, but an outline of the Eclectic system is given by Diogenes Laertius, I 21, and relevant information finds its way into the Suda. The fact that Potamo wrote at least one Platonic commentary means that his activities are likely to have been noticed by early Middle Platonists. Prof. Carlini has kindly drawn my attention to the relevance here of the fragment of a Potamo preserved in gnomological florilegium (PSI 1476, fr. D 7-9 = CPF 1.1***, 85.1, p. 636). The fragment calls on one to trust in τύχη while fully weighing one’s decision, the kind of sentiment expected from one who urges human beings to decide for themselves while acknowledging an element of uncertainty in the world. I should have taken this into consideration when portraying Potamo as a Neoprotagorean in Plato’s First Interpreters, 176-180. 22 On the Criterion and the Ruling Part 1-2, particularly 2.3; the distinction does not feature in the discussion of the criteria of harmonics at the beginning of Harm.,

not in Porphyry’s commentary on that text (p. 11 Diiring). It is absent also from Proclus’ discussion of criteria at In Ti. I, 254-255, though perhaps implicit in Severus’ Middle Platonist theory discussed there, and one might deduce that Proclus himself would see soul or logos as the criterion qua agent had he recognized the term. 23 A clear distinction between the mind-senses (διάνοια and αἴσθησις conceived as one) and that through which it senses (sense organs) is associated with Aenesidemus at M. VII 350; and in what is likely to be Aenesidemus’ view of Heraclitus at M. VII 129-130, the mind (νοῦς) sems to be judging through the sense organs by (contact with) the universal Jogos. It is this last which is termed criterion here.



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ANON.

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FR. D AND

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CRITERION

ΥΦ᾽ΟΥ͂

losophy. At any rate there are parallel discussions in Sextus’ Qutlines of Pyrrhonism II and Against the Dogmatists VII. In both cases the criterion of truth ‘by the agency of which’ is contrasted with that ‘through which’ and with the ‘application’ or ‘contact’. The most important thing for our present purposes is that Sextus always has the human being in mind as the primary case of a criterion of truth ‘by the agency of which’. Hence long sections are devoted in both works to examining the human being’s claim to be a criterion qua judge of truth. Comparisons are made with individual craftsmen as the criterion ‘by the agency of which’ in the pursuit of their crafts, weighing, measuring, etc. (M. VII 36-37). Hence Sextus also looks at the claims of particular individuals (such as sages, P. II 38), schools, or majority decisions (ibid. 43-45), to be criteria of truth; and at P. II 47 there is a suggestion that particular parts, feelings, or operations of human beings might also be claimed by some as a criterion: no doubt including the human mind (dianoia) to which a subsection is devoted at M. VII 303-309. The human being, however, remains the central focus of all of Sextus’

discussions of this criterion. This means that for the Pyrrhonists Protagoras, insofar as he could be said to be proposing a criterion when he uses the word ‘measure’, was proposing a criterion ‘through the agency of which’, i.e. the human being.”* It also means that Xenophanes, insofar as he was denying that any man had seen the truth about anything less than obvious,” was making a statement about the limitations of such a criterion. Outside Sextus the story is different. Alcinous at first identifies this criterion with ‘the intellect in us’, Ptolemy identifies it with intellect also, and Potamo makes it the ruling part of the soul (ἡγε-

μονικόν) which simply translates the same idea into Stoic terminology. Alcinous’ second and seemingly preferred account, however, 15 that this criterion is the philosopher, which is perhaps as close as he can plausibly come to making Plato identify it with the human being. Anon. is discussing this criterion at the prompting of Protagorean theory in the Theaetetus, and a key question in his mind was whether

2 P. Il 16, M. VII 35: the προσβολή would seem to have the Stoic καταληπτικὴ φαντασία particularly in mind. 2 P. II 22-47, M. VII 263-342. 2% Cf. S.E. Ρ I 219: γίνεται τοίνυν κατ᾽ αὐτὸν τῶν ὄντων κριτήριον ὁ ἄνθρωπος. 27 Μ. VII 50: ἀνήρ (B34) is interpreted as ἄνθρωπος, ἀμφὶ θεῶν as περὶ τῶν ἀδήλων.



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HAROLD

TARRANT

Plato acknowledged the existence of a criterion ‘by the agency of which’, and if so what it was. It is easy to see the senses as the criterion ‘through which’ at Tht. 184-186, and it is clearly both (i) the human being and (ii) the soul itself that is doing the judging in this passage. But there is a question of whether the soul (or whatever one calls it)?* is seen here as an agent (ὑφ᾽ οὗ) or an instrument (6) used by the human being; the dative at 184d7-8 (εἴ τινι ἡμῶν ad-

τῶν τῷ αὐτῷ ...)?? would suggest the latter — that we are the agent, and that the mind is our instrument of judgement. Certainly Alcinous made the reason into a criterion ‘through which”, which probably indicates that he saw the dative (ᾧ) as a less precise alterna-

tive for the agent (ὑφ᾽ οὗ), and that he interpreted Plato’s reference to the soul’s perceiving things through itself as being the intelligence’s perceiving things through reason. The author’s priority in the present fragment is to deny that Plato is advocating a criterion ‘by the agency of which’ in his exposition of Protagoras: in other words to deny that Plato regarded any human being as being the appropriate yard-stick even in the case of the objects of their own sensations. For him mis-hearing and visual mistaking are a reality, for fragment B (on the mis-perceptions of 157e) sees Plato as having outlined Protagoras’ theory in 152-157 only to undermine it in 158ff;° hence the Protagorean theory cannot be equated with his own criterion ὑφ᾽ οὗ. The polemic against those who see the criterion as the principal subject of the work is now narrowed to Platonic interpreters who claim to find the Platonic theory of the criterion ὑφ᾽ οὗ at 152-157. Given the relevance of Protagoras it is surely we human beings who have been thought of as the agent of perception, so that anon.’s discussion of this criterion should somehow concern human beings. Though it must seemingly discuss contrasting views (as shown by τινὲς μὲν), the contrast might be any one of the following: 1. Contrasting views on what this criterion is; 2. Contrasting views on what it was for Plato; 3. Contrasting views on whether there was such a criterion;

28 cite ψυχὴν εἴτε ὅτι δεῖ καλεῖν, 184d3. 29 Cf, 185d3: διὰ τίνος ποτὲ τῶν τοῦ σώματος τῇ ψυχῇ

αἰσθανόμεθα.

30 Plato is being credited here with something akin to argument in utramque partem, but che author himself is very far from giving a sceptic reading of Plato; he differs from sceptics known to the author of the anonymous Prolegomena (10) in that he sees the statement and refutation of a view here, whereas they would see the successive advocacy of positive and negative cases.



8g —

ANON.

«IN THEAETETUM»

ἘΚ. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

4. Contrasting views on whether Plato thought there was; 5. Contrasting ways of postulating such a criterion;” 6. Contrasting views on how Plato had postulated one. Examination of anon.’s practice of referring to the views of others makes it clear that the imperfect ἔφασαν must be significant. There are only four uses of this tense of this verb in extant parts of the commentary, and the other three (4.10, 8.1, 16.30) are all sin-

gular and all refer in one way or another to Socrates. By contrast the third person plural of the present tense appears twelve times (about one third of the total occurrences of the present tense), and is used of both schools of philosophy,” and groups of interpreters.” With other verbs too, the present tense is used to indicate the views of schools of philosophy, though philosophers of the past may have their doctrines referred to by past tenses.**> Whose views, then, are ever referred to by the third person plural of the imperfect or aorist? I can find only one relevant example: φήθησαν at 2.12-13 refers to the views of that group of Platonic interpreters who took the Theaetetus to be about the criterion. I take it that anon. was at that point thinking of this interpretation as one of the past, possibly in contrast to the interpretation outlined later in that column, where φασιν is then used to give what I take to be a more recent refinement of that view. In any case by Fragment D18 the ‘criterion’ interpreters can themselves be subject of the present tense è[a]ow, which does not show that the previous aorist had been in-

significant, but rather than the present tense is the natural one for those speaking of the views of rivals. From our brief examination of the tenses of verbs referring to the views of others I believe that we may derive the following conclusions: 1. ἔφασαν could not in normal circumstances be used in a state-

ment of the doctrines of a school of philosophy, certainly not of a school still active. Options 1 and 3 are thus ruled out. 2. It could be used to refer to the exegesis of a group of Platonic interpreters, presumably of a group no longer active.

31 E.g. dogmatically or as a working hypothesis. 32 Pyrrhonists at 63.3, Cyrenaics at 65.30 and 34, Presocratics (‘physicists’) at 70.46. 33 2.33, 28.42, 29.1, 34.36, 58.41, and Fr. D 18. Less clear is 19.47. One should ig-

nore 48.27 where φασὶν occurs as part of a paraphrase of Plato. 34 Academics at 6.30, 70.12 (ἐρωτῶσι, ἐπιχειροῦσι).

3 Usually Socrates, Democritus at 62.40. Likewise with other verbs.



39 —

HAROLD TARRANT

3. The τινὲς μέν of line 24, which is the subject of the verb, is thus likely to refer to some of the interpreters mentioned above at 16-19, who think the Theaetetus is about the criterion, a substantial group of whom were also referred to in the past tense in column 2. 4. Hence (i) the remaining lines of Fragment D should be concerned with Platonic interpretation rather than school doctrine, and (ii) lines 24-26 will be giving the view of some of those who do indeed find a criterion ‘by the agency of which’ in Plato. Now it may be argued that these conclusions all hang on a study of anon.’s use of tenses which might have reached different conclusions if we had had more of his work to judge by, but we can arrive at similar conclusions by a different route. Given the importance of the Pyrrhonists to the discussions on the Theaetetus to which anon. contributes (they receive considerable attention at 6063), given the strong association of the criterion ‘by the agency of which’ with traditional Pyrrhonist discussion, and given the fact that it is they who associated this criterion regularly with human beings, it is to be expected that they will feature in anon.’s discussion. We should therefore postulate a reference to them rather than to ‘Potamonians”** in line 27, so that we could now rule out option 3: Pyrrhonists avoid affirmation as anon. knows (61.12), whereas if anon. was saying that some denied the existence of such a criterion, as Pyrrhonists would be expected to, then ἔφασαν should have been immediately preceded by odx.”” As this is not the case we seem to be entering the more uncertain world of Pyrrhonist claims about the interpretation of Plato. Problems follow from this conclusion. Lines 24-26 ought in this case to contain (i) a reference to Plato in the accusative, (11) the in-

finitive of a verb meaning ‘to posit’ or the like, and (111) something else ending in a sigma. This would leave no room for a significant adverb of manner at 24-25. In fact there is barely room for it at all. One might consider:

36 These would surely have been referred to by the name of their school as ‘Eclectics’, and it is doubtful whether such a restoration could fit the space.

7 οὐδαμῶς is not a likely alternative. 38 Examples of such an adverb would be [δογματικῶ]ς, [ἀποΙρητικῶ!]ς, [ὑπο[θετικῶ]ς. One possibility which I should find plausible is [ὑπο[θετικῶς ἔφασαν [λέϊγειν κριτ]ήριον ὡς [οἱ | Πυρρώ]γειοι καὶ ἔτίι ἄλλοι ὧϊν δοκεῖ ΞΙ «said that they are speaking of a

criterion hypothetically, like the Pyrrhonists and still others of whom X(enophanes) appears (to be one)». 39 There is a question of whether there is room for this; τοῦδε, or a connecting rel-

— 90 —

ANON.

«IN THEAETETUM»

FR. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

πε[ρὶ] 25

[τούὐτου τι]Ἱνὲς μὲν [Πλά-] [τωὠναῦ ἡμᾶ]ς ἔφασαν [θεῖ-] [ναι] κριτ]ήριον ὡς [οἱ] [Πυρρώ]γειοι, καὶ ἔτ[ι] ...

Perhaps, however, a reference to Plato is not essential. If one postulates, as Sedley did, a relative after πε[ρί, then the dispute may be about what the passage is postulating as a criterion. This gives room for the expected reference to humankind: πε[ρὶ] | ὅσων τι]νὲς

μὲν [ἀνἰθρώπου]ς ἔφασαν [θεῖναι κριτ]ήριον, «[statements]*? concerning all of which some people claimed that they made humans criterion, like the Pyrrhonists [...]».

That the Pyrrhonists should have attributed some positive theses to a Platonic text should occasion no surprise.” Anon. knows the thesis that some make Plato ‘Academic’ on the grounds that he dogmatically affirms nothing (54.38-43), but the very precision of this term suggests that this view denied that he was ‘Pyrrhonist’. Known arguments for the Academic view of Plato at anon. Prole-

ative followed by δή would be an alternative. On the line above there are six letters in the equivalent of the space lost here, but since two were very long, Q and A, a compact eight letters would not be impossible here, and seven would perhaps be expected. © But this is very long for the space. [αὐϊτὸν ... is not an attractive substitute. 4 There may be room for τηθέναι or τιθέναι, but I doubt it. ποιεῖν would be weak. 4 It is true that this reading has implications for the understanding of εἰρημένα above. πε[ρὶ ὅν ye might also be considered, referring back to the Theaetetus itself. 4 On one reading of a much disputed passage of Sextus Empiricus (P. I 222), Aenesidemus and Menodotus were proponents of the view that Plato was always aporetic. The alternative view has to assume that the term στάσις could be used for an official school

of philosophy

[or, with F. DECLEVA

CAIZZI, Aenesidemus

and the Academy,

CQ 42 (1994), 176-189, for a mere ‘view’ that Sextus is about to express] rather than for a controversial opinion or philosophical stance which is opposed to one or more other positions. I believe that Menodotus and Aenesidemus are seen here as principal exponents of the non-dogmatic interpretation of Plato, but the coupling of the two Pyrrhonist leaders together may be akin to many other such couplings in Sextus, and indicate that our author is following the later’s view of the earlier; this would make Menodotus rather than Aenesidemus responsible for details of expression. See also my Scepticism or Platonism?, Cambridge, Cambridge University Press 1985, 75, 161 n. 33. In any case it is clear from D.L. IX 71-73 that some Pyrrhonists went to great lengths to devise a respectable pedigree for scepticism (in some sense of that word), and that Plato was for them one of these important predecessors. Again that is not to say that they made him a Pyrrhonist, since they rely on the εἰκὼς λόγος of the Timaeus as well as a statement of our inadequacy to judge minor theological matters at 40d6-9, all of which falls far short of the requirements for Pyrrhonism.

HAROLD

TARRANT

gomena to Plato’s Philosophy 10 allow Plato tentative theses, particularly on matters relating to his alleged scepticism, including the inaccuracy of the senses, the failure of the mind hindered by the body, and his own ignorance. The fourth argument there attributes to Plato the view that cognition comes through sensation or through thought,“ both of which suffer from inaccuracies, so that the cognitive agent must embrace both, and so presumably be the individual human being.*® Here too then we might detect the Pyrrhonist distinction between criteria through which and by the agency of which coupled with the thesis (much of it supported by the Theaetetus)** that Plato was an Academic.

I conclude that there is no obstacle to Aenesidemus having said that Plato was following Protagoras in making the individual human being the criterion ‘by the agency of which’ at 156-157. This does not make Pyrrhonists the immediate target, for anon.’s discussion is still directed at the majority of Platonics who think the Theaetetus is a work about the criterion (D 16-19); but the point would seem to be that those of them who find this particular criterion here, many no doubt having a dogmatist reading of Plato,’ share their reading of the dialogue with extreme sceptics! V. A

CONTRASTING

POSITION

Hopes of even a tentative reconstruction fade at this point, and I simply wish to show how Xenophanes may fit into the discus-

4 τὴν μὲν διὰ νοήσεως, τὴν δὲ διὰ vod, 10.35-36.

4 This is strongly suggested by the use of the first person plural at 10.37-40 (οὔτε ὁρῶμεν οὔτε ἀκούομεν ... ἡ ψυχὴ ἡμῶν). Furthermore, where νοῦς is a criterion through

which, it cannot be an alternative candidate for the criterion by the agency of which. 4 The third argument used is that Plato fails to come to a satisfactory theory of knowledge in the Theaetetus; the fifth mentions ‘his dialogue’, and seems dependent on passages like 150c-d and 157c-d; the view of sensation in the fourth argument may derive from 156d-e, as the author, in his reply, talks of our perceiving the white but not knowing what whiteness is, as if with the example of The. in mind. “7 While there can be no proof, I identify these unqualified supporters of the view that Theaetetus

is about the criterion with Antiochus

of Ascalon

and his followers,

who, as far as we are aware, did not survive more that one generation beyond Antiochus (d. 68 B.C.). I identify the view mentioned at 2.32f that it may be about the criterion, but not about the criterion of truth nor about knowledge (because the Theaetetus deals with unknowables), with the movement to which Plutarch’s teacher Ammonius belongs; on him, see below. Plutarch himself at Mor. 999d-1000c clearly regards the Theaetetus as being very much concerned with the faculties of judgement, to whi ch he relates Socrates’ midwife-like role.

— 92 —

ANON.

«IN THEAETETUM»

ΕΚ. Ὁ AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

sion. There may be a temptation to read ὡς [oi | Πυρρώ]γειοι καὶ ét[t ἄλλοι ὧϊν δοκεῖ Ξ[ενοφάνης, though Xenophanes could have

had no view of what Plato felt about criteria; he also strongly denied that humankind is an adequate judge. We need a reading which would set him up in contrast to the Pyrrhonists, preferably while still treating Plato’s views rather than the true nature of things. Such a reading is available: 25

τι]νὲς μὲν [av-] [θρώπου]ς ἔφασαν [θεῖ-] [ναι κριτ]ήριον ὡς [οἱ]

[Πυρρώ]νειοι, καὶ ἔτ[] [πλείοσι]ν

30

δοκεῖ

Z[e-]

νοφάνει πα]ρέπ[εσθαι] περὶ τὰ δοξα]στά." [..]

Xenophanes did not deny there was ἃ criterion ‘by the agency of which’, nor even that it was the human being. Rather he reduced our status as judging agents so that we grasp only what seems.” Although humans cannot know the truths about things unseen, they can be an appropriate judge of appearances. To the extent that the fleeting things of this world are cognized at all, they are cognized by us, but unfortunately there is much to keep us from the truth about them. From column 2 one may gather that there were Platonists who accepted that the Theaetetus was about the criterion in some sense, but who

believed that it was concerned with things of which there is no knowledge proper. They surely believed that the criteria set forth in the Theaetetus were something less than criteria of truth.

48 For a Platonizing interpretation of Xenophanes see particularly M. VII 110 where the adjective δοξαστός actually occurs twice. 9 So S.E. M. VII 110, as well as the Platonist interpretation of Xenophanes in general. 5° The identity of those who see the criterion as the subject with those who believe it identifies those things of which there is no knowledge is the consequence of reading, with Sedley - Bastianini, οὗτοι] for Diels and Schubart’s ἔνιοι]. This tentative reading it is said «tale lettura si adatta meglio alle tracce, anche se una scelta definitiva non pare possibile». What I should like to add is that even if one were to prefer the reading of Diels - Schubart, there is still no obvious contrast with those who think the work is about the criterion, for at 2.11-12 the particle pèv is not present, and there is also a missed opportunity for contrast between two groups at 2.39-40 (by addition of οὗτοι or presence of a comparative). This leaves open the possibility that the ἔ[νιοι] would be referring to a sub-group of those who see the work’s subject as the criterion. It is possible that at columns 34-35 there is a contrast between two sets of interpreters indicated by οἱ μὲν and é[vio1], but the μέν makes a considerable difference.

HAROLD

TARRANT

We do know the existence of one Platonist in the first century A.D. who had a special place for Xenophanes’ epistemology, namely Ammonius, Plutarch’s Platonist mentor.*! The essay On the E at Delphi suggests that Ammonius had learnt much from the Theaetetus. At 385c reference to inquiry as the beginning of philosophy, and aporetic amazement as the beginning of inquiry, alludes to Tht. 155d; at 392a-393a he espouses a theory of the radical flux of the sensible world; at 393b reference to each of us being a multifarious conglomeration (ἄθροισμα) of countless different qualities that arise in our experiences is a clear reference to 157b and to the wider context of secret Protagorean doctrine. Ammonius, then, is falling into what anon. sees as the trap of supposing that Plato seriously advocates Protagoreanism and Heraclitism in respect of the physical world. He does so in a fashion that does not imply our access to its truth, since Xenophanes’ doubts about firm knowledge of the physical world are constantly on his lips.” Ammonius’ Academic heritage has influenced him in the direction of accepting the picture of the world of sensation at Theaetetus 156-157 precisely because the relativity and flux which are so effectively portrayed constitute excellent reasons for a sceptical attitude towards sensation and its objects. His position demonstrates how others too could have found there a theory which could be attributed to Plato himself — not of how we may know the world, but of how we may arrive at verisimilitude concerning it: a verisimilitude reminiscent of the words of Xenophanes B35: ταῦτα δεδοξάσθω ἐοικότα τοῖς ἐτύμοισι.

Plato might be proposing a criterion ‘by the agency of which’, for the sensible world, in the limited sense allowed by Xenophanes. It would seem that if our use of Xenophanes has been correct, this view is still current, δοκεῖ unlike ἔφασαν being present tense, agreeing with the present tense that was used for those who thought the Theaetetus to be about unknowables in column 2. Since we should be dealing with a strain of Platonism which ran from Eudorus of Alexandria in the first century B.C., through Ammonius and Plutarch, to Taurus in the second century A.D., this view would have been current for any plausible dating of anon.

8! I have treated the part played in these debates by those who held Ammonius’ views in Plato’s First Interpreters, 173-175. 52 Mor. 746b, on his affection for B35. The world’s unsuitability to be the object of knowledge and our unsuitability to know it are stressed at 392a-e.

— 94 —

ANON.

VI. BEYOND

«IN THEAETETUM»

THE

FR. D AND

THE

CRITERION

Yo’ OY

FRAGMENT

Concerning my tentative suggestions about the end of Fragment D one might ask why the author has not introduced the contrasting “Xenophanean’ element with a δέ in answer to the τινὲς μέν. In fact this quasi-sceptical reading of 156-157 is only a subspecies of the reading which sees Plato as identifying the criterion ‘by the agency of which’ with us humans; the difference consists only in this criterion being one of verisimilitude rather than truth. As we have already seen, the one Platonist whom we know to have attributed such a criterion to Plato (Alcinous) identified it, in the first instance, with ‘the mind in us’, a position close to that of Potamo

and Ptolemy as well. The way that 156-157 is presented does not by any means exclude the possibility that it may be minds and sense objects which come together rather than people and sense objects. At 184-186 something capable of being called ‘soul’ is regarded as the central agent of sensation, thought, and indeed of judgement (186b6-9), and it is natural for a Platonist to identify this ‘soul’ with the intellect. What I should therefore expect is that anon. will go on to compare both versions of the view that we are Plato’s criterion ‘by the agency of which’ with the view that our mind is for him that criterion. He will not do so at length, because he is not convinced that Plato’s purpose is to be proposing criteria at all. As he states in column 2, Plato’s examination of knowledge necessitates some discussion of the criterion ‘through which’, but the implication was that it was never necessary for him to seriously discuss a criterion ‘by the agency of which’ at all. Plato’s Theaetetus may have inspired recent distinctions between types of criterion that have been put to use by Pyrrhonists and Platonists alike, but that does not mean that Plato had any criteriology of his own. Anon.’s stance is a salutary ancient example of a call to interpret Plato in terms of fourth century B.C. issues rather than those contemporary with the interpreter.

53 There may be a parallel with column 2, which (i) introduces those who thought Plato was dealing with criteria in the Theaetetus, and (ii) speaks of a group (perhaps a subgroup) which seems to explain why he fails to arrive at a criterion of truth (Theaetetus is not about knowable objects).



95 —

TESTI TARDOANTICHI

PAOLO

NOTE

ALLA

FAIT

CIELO, ASTRI E ANIMA RECENTE EDIZIONE DI PGEN

Nel saggio Natura

del cielo, astri, anima,

INV. 203

Fernanda

Decleva

Caizzi e Maria Serena Funghi (d’ora in poi DC-F) propongono una nuova edizione commentata del papiro della Bibliothèque Publique et Universitaire di Ginevra, PGen inv. 203, un frammento e alcuni

frustuli di un foglio di codice del IV sec. già più volte esaminati, e con esiti diversi, da vari studiosi. Oltre a presentare una ricca messe di nuove osservazioni, suggerimenti e puntuali verifiche dei lavori precedenti," questo studio riesce a fissare con precisione uno sfondo dottrinale che rende intelligibili molte delle affermazioni che si leggono nel papiro. L’interpretazione dei due brani principali è collocata nel contesto della critica, varia e articolata nel mondo

antico,

alla dottrina aristotelica del quinto elemento, alla tesi cioè che il corpo celeste sia costituito da una sostanza, l’etere, diversa dalle quattro riconosciute da Platone: terra, acqua, aria e fuoco. Alcune delle obiezioni venivano dall’interno della scuola di Aristotele, come

quelle mosse da Senarco di Seleucia,’ peripatetico non ortodosso del I sec. a.C. che cercava di eliminare l’etere salvando la dottrina dei

! In Papiri Filosofici. Miscellanea di Studi II, Firenze, Olschki 1998 (STCPF, 9), 33110.

? Pur dissentendo su aspetti non secondari dell’interpretazione, DC-F si collocano su una linea inaugurata da WALTER BURKERT, Xenarchos statt Poseidonios. Zu pap. Gen. inv. 203, ZPE 67 (1987), 51-55, il quale ha avuto l’indiscutibile merito di rimettere lo studio del papiro in carreggiata dopo il primo, meno fortunato, tentativo di Francois Lasserre di leggervi frammenti del commento di Posidonio al Timeo. Cfr. F. LASSERRE, Abrégé inédit d’un commentaire de Posidonios au Timée de Platon, in F. ADORNO, F. DECLEVA CAIZZI, F. LASSERRE, F. VENDRUSCOLO, Protagora, Antifonte, Posidonio, Aristotele, Firenze, Olschki 1986 (STCPF, 2), 71-127; vd. anche Ip., Anonyme. Abrégé d’un

Commentaire du Timée de Platon, in Varia Papyrologica, Firenze, Olschki 1991 (STCPF,

5), 25-47.

5 Per un’analisi dettagliata di queste obiezioni vedi ora A. FALCON, Corpi e movimenti, Napoli, Bibliopolis 2002.



99 —

PAOLO FAIT

luoghi e dei moti naturali; altre venivano invece da altre scuole. DCF escludono

Senarco, contro Walter Burkert, che vorrebbe attri-

buire il contenuto del papiro a questo filosofo, e pensano invece a un’altra critica, di ispirazione platonica, che presenta una più nitida corrispondenza con il recto del primo frammento (A 1). Questa obiezione, testimoniata in particolare da Filopono, De aeternitate mundi, 482.5, ritorce contro Aristotele alcuni passi dei Meteorologica in cui egli stesso riconosce movimento circolare non solo all'etere, ma anche al fuoco che occupa la parte suprema dell’atmosfera e all’aria che circola sopra le cime dei monti. Anche il verso (B 1) va posto nel contesto di una polemica contro l’etere, al quale si imputa ora l’incapacità di spiegare la varietà dei fenomeni che si riscontrano tra i corpi celesti. Un

atteggiamento

di estrema cautela porta DC-F

a esaminare

molte possibilità e a offrire agli studiosi ogni sorta di materiale potenzialmente utile. Grazie a questo lavoro, il lettore può trovare spunti di approfondimento ed eventualmente anche tentare di calibrare alcuni aspetti dell’interpretazione in modo diverso; è quello che sommariamente e selettivamente intendo fare ora, svolgendo alcune riflessioni sul contenuto delle due facciate del frammento maggiore (A 1; B 1). Riporto per comodità il testo nell’edizione di DCF omettendo i segni critici. A, fr. 1:

[...] | ἀπένειμε τῷ πυρὶ ἐν τοῖς καθ᾽ ἕκαστα | λέγεται λόγοις. τὸ δὲ σημεῖον

ποιεῖσθαι

| τὴν κύκλῳ

κείνησιν

τοῦ οὐρανοῦ

τοῦ | μὴ

εἶναι πῦρ αὐτόν, ὑπὸ τὸ εὔηθες: καὶ | γὰρ ὁ ἀὴρ συνεπιστρέφεται

τῷ παντὶ | καὶ οὐδαμῶς ἐστι τοῦ πέμπτου σώμαϊτος" ἤδη δὲ καὶ ὑπὸ ψυχῆς περιάγεται | τὸ rav: καὶ ἔστι μὲν én’ εὐθείας κείνηϊις τῶν φυσικῶν σωμάτων ἤτοι ἀπὸ [19.τοῦ μέσου ἢ ἐπὶ τὸ μέσον’ ἡ δὲ περὶ

τὸ μέϊσον τοῦ παντός: οὐ ταὐτὸν δὲ τὸ πᾶν | τοῖς μέρεσιν. εἰ δὴ πλημμελῶς καὶ ἀτάκτως τὸ τῇδε πῦρ κεινεῖται ἔρημον | ὃν ψυχῆς οὐκ ἀναγκαῖον καὶ τὸ οὐράνιον [15 ἔμψυχον ὃν ἀταξίαι καὶ + 7

συνέχεσθαι: καὶ tavt + 13 τῶν | ὅλων.

Rr. 4-7: «Anche l’aria infatti gira circolarmente con il tutto e non consiste affatto di quinto corpo». DC-F individuano alcuni passi che spiegano a quale moto dell’aria ci si riferisca: Aristotele stesso ammette nei Meteorologica che la parte più alta dell’aria e la sfera del fuoco si muovono circolarmente. I suoi critici sottolineavano il conflitto tra questa affermazione e la dottrina del quinto corpo come unico elemento naturalmente capace di moto circolare. Analoga è —

100 —

NOTE

ALL’EDIZIONE

DI PGEN

INV. 203

chiaramente anche l’obiezione introdotta nel papiro, almeno per quanto riguarda l’aria, ma DC-F (p. 54) ritengono che anche il caso del fuoco sublunare in movimento circolare dovrebbe figurare nell’argomentazione, e perciò suggeriscono che sia stato discusso nelle righe che precedono il brano superstite. Ciò però mi sembra difficilmente compatibile con il ruolo argomentativo dell’esempio dell’aria. Con esso l’autore del papiro vuole contrastare una tesi precisa: tutto ciò che si muove circolarmente consiste di quinto corpo,‘ e sembra servirsi del caso dell’aria perché è più evidente che l’aria non è di quinto corpo («nonè affatto»). Il caso del fuoco è appunto l'oggetto del contendere: il corpo celeste, che per l’autore è (o almeno può essere) fuoco, per l’oppositore aristotelico non può invece esserlo, perché si muove circolarmente. Se assumiamo che l’autore ritenga, come è ben possibile, che il fuoco che si muove circolarmente sia quello celeste e non abbia in mente (come vorrebbero invece DC-F) l’esempio sofisticato, desunto dai Meteorologica, del fuoco non celeste circolante nella zona più alta della sfera sublunare, è chiaro che non può controbattere che anche il fuoco si muove circolarmente: questa sarebbe un’evidente petizione di principio. Ecco perché si rivolge all’aria. Ciò non vanifica affatto la ricostruzione dello sfondo dottrinale proposta da DC-F, ma costringe solo a postularne una versione semplificata, con il vantaggio di spiegare in modo più soddisfacente il ruolo svolto dall’esempio dell’aria nell’argomentazione e di chiarire al contempo perché non venga fatto un analogo uso del caso del fuoco. Mi sembra poi importante sottolineare il possibile carattere 4 fortiori dell’argomentazione: anche l’aria (καὶ γὰρ ὁ ἀήρ), che per

vari motivi avrebbe meno titoli per farlo, si muove circolarmente, quindi, a maggior ragione, potrà farlo il fuoco. Se questo è l’andamento logico del ragionamento, diventa meno probabile che l’autore avesse presente il caso del fuoco che circola nella suprema periferia sublunare: in quanto esempio più efficace e diretto, avrebbe reso inutile quello dell’aria. Infine non dobbiamo dimenticare gli ultimi righi leggibili di A 1, dove si dice che, se il fuoco terrestre è disordinato, non per questo lo sarà anche quello celeste: un pensiero del genere non lascia N

Da

4 La tesi è implicita nell’affermazione che il moto circolare dell’universo è segno del suo non essere costituito di fuoco, rr. 2-4. Se il cielo si muove circolarmente, la sua

materia deve essere diversa dai quattro elementi che si muovono Questa diversa materia è appunto il quinto corpo.



101—

di moto rettilineo.

PAOLO

FAIT

molto spazio all’idea ibrida di un fuoco terrestre per la collocazione ma ordinato per il movimento, come dovrebbe essere, mi pare, quello

che abita la parte più alta dell’atmosfera. In generale, anche se è incontestabile la polemica contro una qualche versione della cosmologia di Aristotele, non sembra che l’autore si preoccupi di assumere premesse accettabili da parte di un aristotelico per ritorcergliele contro, ma che muova da considerazioni che ritiene vere e accettabili da parte di chiunque. Alcuni dei passi addotti da DC-F nel commento per spiegare l’esempio dell’aria si adattano alla parte successiva di A 1 (r. 8 sgg.) in un modo che forse merita di essere reso più esplicito. Critici di Aristotele come Senarco, Tolomeo e Plotino contestano che agli elementi spetti solo “n movimento naturale e distinguono fra il movimento della totalità di un elemento e quello di una sua parte. La totalità dell’aria e quella del fuoco si muovono circolarmente, mentre le parti staccate di questi elementi salgono in linea retta per ragiungere le loro totalità. Sembra che l’autore del papiro voglia affermare qualcosa di analogo quando, dopo aver distinto movimento rettilineo e movimento circolare, dice che il tutto e le parti non sono la stessa cosa (rr. 11-12). Egli si sta riferendo forse a una doppia possibilità di movimento dell’aria e del fuoco come quella che ho appena richiamato.? L’ultima parte del frammento ritorna del resto sul fuoco, per dire che il disordine che affligge il fuoco di quaggiù, privo di anima, non riguarda quello celeste, dotato di anima. Mi sembra plausibile che questa distinzione sancisca la possibilità di un duplice movimento del fuoco: rettilineo quando è quaggiù e circolare nella sua totalità. E-chiaro che Aristotele non avrebbe accettato un’argomentazione di questo tipo: i corpi naturali hanno per lui un solo movimento naturale, e questo vale per le parti come per il tutto (cfr. Cael. 27043 sgg.). B, fr. 1: Περὶ τῶν ε΄ πλανήτων Ἡλίου te καὶ Σελήνης. φορὰ αὐτῶν, καὶ πόθεν. ἐπὶ ἑβδόμου | σώματος κεῖται ἡ Σελήνη"

ἕκτου δὲ ὁ Ἥλιος" | πέμπτου δὲ ἄλλος τις τῶν ἀστέρων᾽ |} καὶ πολ:

5 Il fatto che parli ἀεί tutto, e non delle due distinte totalità elementari del fuoco e dell’aria, potrebbe essere legato al desiderio di insistere sull’unicità dell’anima dell’universo o al fatto che ‘il tutto” per questo autore è principalmente la totalità del fuoco. Comunque, nella parte non ricostruibile del frammento sopravvive un ὅλων al r. 17: forse il testo continuava parlando delle totalità al plurale.



102—

NOTE

ALL’EDIZIONE DI PGEN

INV. 203

AOV ἡμῖν οὐσιῶν δεήσει iva | τὰς διαφορὰς yv@uev: ὅπως δὲ καὶ ἡ | ἑτερότης τῶν δυνάμεων: ὁ Ἥλιος θερἰμαντικός᾽ ἡ Σελήνη ὑγροποιός" Στίλβων | πνευμάτων ἐγερτικός᾽ ὁ Πυρόεις En|pavtKds. καὶ

αὖ, ὁ μὲν Κρόνος γερόντων ὀλετήρ᾽ ὁ δὲ τοῦ Διὸς ἀνδρῶν: ὁ δὲ | τοῦ Πυρόεντος νέων’ ὁ δὲ τῆς Ἀφροδίτης, ὥς φησι Σουδείνης, γυναικῶν. | τουτεὶ μὲν οὖν ὧδε πως xataBAntéov:

|! Περὶ ψυχῆς | +8 τοις αἰτίοις ἦν τοῖς ποιητικοῖς +8 καὶ δαίμων +6 Lotatog ἂν εἴη

DC-F considerano favorevolmente la possibilità che i primi righi del frammento B 1 non perdano di vista il confronto critico con la cosmologia aristotelica, vogliano cioè valutare «le implicazioni di una teoria cosmologica che spiega i vari movimenti celesti in base all’ipotesi delle sfere motrici, tutte composte dello stesso elemento, che portano l’astro» (p. 73). ἸΙ problema della cosmologia aristotelica con cui il papiro si confronta è ora, come vedremo meglio fra

breve, quello di riuscire a spiegare la varietà dei fenomeni celesti (la pluralità delle sfere motrici, la forma degli astri, gli effetti) facendo solo ricorso al quinto corpo.* Al r. 5, dove si parla della necessità di introdurre «molte sostanze» (καὶ πολλῶν ἡμῖν οὐσιῶν δεήσει) per spiegare le differenze,

il commento di DC-F (pp. 73-74) individua un riferimento alle sfere motrici, cioè ai corpi che portano l’astro, e tuttavia suggerisce an-

che che l’autore possa fare riferimento alla necessità di postulare una pluralità di motori,” giustificando la legittimità di questa proposta con un passo delle Enneadi (V 1, 9.1) in cui Plotino rimprovera ad Aristotele la moltiplicazione dei motori immobili perché ammettendola si corre il rischio di non riuscire a spiegare la coerenza e l’unità dell’universo. In realtà, le obiezioni di Plotino sono

connesse al fatto che ciascun motore potrebbe essere un principio e che in quel caso non sarebbe chiara la gerarchia tra i principi, mentre nel papiro non vi è traccia di questo sofisticato problema. Osservo poi che con la dottrina dei motori si introduce un tipo di que* A proposito di Meteorologica 340b4 sgg., citato da DC-F a «corpo diverso dal fuoco e dall’aria» di cui parla Aristotele non tengono le autrici, ma il miscuglio di aria e di fuoco che si muove parte più alta dell’atmosfera. 7 DC-F non danno evidentemente molta importanza in questo

p. 78, penso che il sia l’etere, come ricircolarmente nella contesto alla distin-

zione tra sfere motrici (sostanze corporee) e motori (sostanze intelligibili): per es. nei

passi di Metaph. A addotti a p. 73 Aristotele non parla delle sfere motrici, ma dei motori immobili.



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stione affatto diverso dal confronto tra dottrina platonica degli elementi e dottrina aristotelica dell’etere. Infatti: (i) la necessità di postulare i motori in numero corrispondente alle sfere non è per Aristotele connessa al fatto che sia unica la materia dell’universo: egli non ha di certo introdotto i motori per poter differenziare le sfere motrici; (ii) è comunque evidente che nemmeno i platonici possono spiegare la meccanica celeste solo sulla base delle differenze tra i quattro elementi, e quindi poco potrebbero giovarsi di una critica che può essere agevolmente rivolta anche contro di loro. DC-F (p. 73) pensano che le differenze che le «molte sostanze» permettono di conoscere siano differenze di movimenti. Anche questo è un punto delicato. Se il papiro mostrasse in qualche modo di conoscere la dottrina aristotelica delle cinquantacinque sfere, le molte sostanze potrebbero essere appunto tutte queste sfere, e le differenze da spiegare sarebbero allora certamente le differenze dei movimenti; ma il papiro numera esplicitamente sette sfere per i pianeti: la dottrina di Eudosso e Callippo è già esclusa in partenza,e in mancanza di essa sembra più difficile reperire un aggancio con il problema della molteplicità dei movimenti. Ai righi 6-10 viene introdotto sinteticamente il tema delle «potenze» (δυνάμεις) e non c’è dubbio che queste siano legate alla natura elementare dei pianeti. I paralleli individuati da DC-F mostrano chiaramente che sullo sfondo c’è un confronto con la teoria dell’etere, considerata incapace di spiegare le differenze che si riscontrano nei cieli; riporto le ultime righe di uno dei passi più illuminanti, Filopono In Mete. 31, 1 sgg. (citato a pp. 78-79): «Probabilmente un Platonico, il quale ritiene che anche i corpi celesti siano composti dei quattro elementi, attribuirà la causa di tali cose (scil. differenze di dimensioni, luce e posizione) alla diversa mescolanza e alla forma che si produce naturalmente in ciascuna mescolanza» (trad. DC-F). I righi 10-13 sembrano continuare il discorso estendendolo agli influssi negativi dei pianeti sugli uomini, senonché l’eventuale riconoscimento, da parte dell’autore, dei principi dell’astrologia negativa sembra incompatibile con il tono platonizzante del resto del papiro (p. 87). DC-F suggeriscono allora che quello degli effetti negativi dei corpi celesti sia un nuovo tema, introdotto per essere confutato nel capitoletto successivo Sull’anima (rr. 15-20). In realtà, se l’autore del papiro vuole insistere sulle differenze che si riscontrano nel mondo celeste (con l’intento implicito di mettere in difficoltà la dottrina dell’etere), sembra che gli effetti astrologici, esemplificando anch'essi una serie di comportamenti differenti dovuti ai diversi elementi, rientrino pienamente in questo obiettivo e che quindi

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i righi 10-13 siano solidali con i precedenti. Se è vero poi che καὶ αὖ può indicare sia ripetizione sia novità, è però chiaro che qui indica la ripetizione della lista sommaria dei pianeti (l’Igneo, cioè Marte, è citato in entrambe le serie, al r. 9 e al r. 12).

DC-F insistono correttamente sull’ambiguita del rigo 14: kataβάλλειν può infatti significare ‘demolire’, ‘confutare’ oppure ‘fondare’, ‘giustificare’. L’ambiguita si ripercuote all’indietro su quel che precede, rendendo assai difficile l’interpretazione di tutto B 1: dalla scelta di uno di questi significati opposti dipende infatti il tenore negativo o positivo di alcune o forse addirittura tutte le affermazioni precedenti. DC-F interpretano la frase in senso negativo («Questo dunque bisogna confutare nel modo seguente»), ma la riferiscono solo ai righi 10-13, dove si parla dell’astrologia negativa. Anche questo è un punto problematico: sarebbe preferibile, credo, poterla riferire, in un senso o nell’altro, a tutto il brano che precede. Mi chiedo se B 1 vada necessariamente suddiviso in tre unità tematiche indipendenti: sfere motrici, effetti degli astri e astrologia negativa, o se non si possa invece sperare in una lettura coerente di tutto il brano. Vorrei concludere considerando due schematici tentativi in questo senso. Prima interpretazione. Assumo che l’autore esponga per sommi

capi una dottrina che richiederà un successivo sviluppo e tenga polemicamente presente l’alternativa aristotelica (così ha fatto anche in A 1). L’affermazione secondo cui ciascuno dei pianeti è portato da un corpo distinto dovrebbe legarsi in qualche modo con quanto segue: «e avremo bisogno di molte sostanze per spiegare le differenze» (rr. 5-6). Tra le varie ipotesi finora discusse, non mi pare sia stata considerata la possibilità che ‘sostanza’ qui voglia dire ‘elemento’: terra, acqua, aria, fuoco e etere (cfr. Arist. Metaph.

1017b10-

11 e, per questo uso del termine οὐσία in un contesto più pertinente, [Arist.] Mund. 392435). I rr. 2-6 affermerebbero allora che se si vuole rendere conto dei diversi corpi che portano gli astri, bisogna disporre di una molteplicità di materie per differenziarne la costituzione. In questo modo l’autore si opporrebbe implicitamente alla dottrina aristotelica, accusandola di non poter spiegare la varietà del mondo celeste con un solo tipo di materia. Se si accetta questa ipotesi, diventa possibile intravedere una connessione con quanto segue: proprio come la spiegazione del moto planetario (φορὰ αὐτῶν, καὶ πόθεν) necessita di diversi tipi di materia, anche la successiva giustificazione della varietà delle potenze dei pianeti (ὅπως δὲ καὶ ἡ ἑτερότης τῶν δυνάμεων) sembra richiedere le stesse con—

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FAIT

dizioni. È plausibile infatti che la lista degli influssi o potenze astrali che emerge dai rr. 7-10 — influssi evidentemente legati alle qualità primarie degli elementi («il Sole è riscaldante, la Luna produce umidità, lo Scintillante (Mercurio) aduna i venti, l’Igneo (Marte) è disseccante») — serva anch’essa a dimostrare la necessità di ammettere quelle molteplici sostanze elementari a cui fanno appello i rr. 5-6 per spiegare le differenze materiali tra le sfere motrici. plausibile che questa molteplicità di elementi sia poi necessaria anche per rendere conto degli influssi deleteri (rr. 10-13), e qui dobbiamo considerare brevemente la questione dell’incompatibilità tra l’astrologia negativa e il platonismo. Forse il nostro testo non allude a una completa professione di fede nell’astrologia negativa: se è sottinteso, come sembrerebbe, che l’influenza esercitata dai pia-

neti vada legata alle loro caratteristiche materiali, il brano potrebbe limitarsi a formulare in modo ricercato un luogo comune, con l’intento polemico di introdurre ulteriori caratteristiche del cielo che la dottrina dell’etere non è capace di spiegare. Anche Plotino del resto, nel trattato addotto da DC-F per documentare il rifiuto platonico dell’influsso negativo degli astri sulla vita degli uomini, sembra ammettere la possibilità di un’influenza negativa esercitata dai corpi celesti solo mediante la loro materia (Enn. II 3, 2). In base al ragionamento svolto, καταβλητέον al τ. 14 assume più

plausibilmente il significato positivo, anche se rimane difficile scorgere una continuità con la parte finale del frammento, Sull’anima, né si capisce con precisione che cosa debba dunque fondare o giustificare il seguito del papiro. Seconda interpretazione. Se si volesse invece insistere nel dire che «le molte sostanze» del r. 5 sono principi, e che la loro postulazione è considerata dall’autore del papiro negativamente, come una

minaccia all’unità del cosmo (sulla linea di Plotino Enn. V 1, 9), sa-

rebbe forse più opportuno abbandonare l’ipotesi che il frammento continui la polemica sull’etere. Il capitolo sui pianeti potrebbe contenere spunti per un esame della cosmologia aristotelica, non più

5. Si dovrebbe valutare anche la possibilità di costruire diversamente la sintassi dei righi in questione (καὶ πολλῶν ἡμῖν οὐσιῶν δεήσει iva τὰς διαφορὰς yvipev: ὅπως δὲ καὶ ἡ ἑτερότης τῶν δυνάμεων") eliminando il punto in alto dopo γνῶμεν (nonostante

sia presente nel papiro) e facendo reggere a questo verbo sia τὰς διαφορὰς sia ὅπως δὲ καὶ KtA: «e avremo bisogno di molte sostanze per conoscere le differenze e anche in che modo si dia la diversità delle potenze». Mi sembra comunque preferibile la soluzione di DC-F, p. 76, che collegano ὅπως a πόθεν (τ. 2), facendogli introdurre un nuovo tema telegraficamente riassunto.



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incentrato sulle aporie della quinta sostanza (argomento forse già esaurito), ma sull’incapacità di spiegare l’armonia tra le diverse attività dei corpi celesti. La pluralità delle sfere motrici (e, si deve supporre, dei loro motori) viste come sostanze autonome e i diversi

effetti che esercitano rendono ardua una spiegazione dell’unità e della razionalità del cosmo. Chi teorizza un universo così poco organico apre la strada all’astrologia negativa, perché ogni corpo eserciterà il proprio influsso seguendo la sua natura e prescindendo dal disegno generale. Il capitolo sui pianeti conterrebbe allora un rapido richiamo a questi punti critici della teoria aristotelica (evidentemente compresi come tali dal destinatario o sviluppati in una trattazione meno sommaria) promettendone una confutazione (xaταβλητέον, τ. 14, in senso negativo) nel capitoletto successivo de-

dicato all’anima. Questa ricostruzione ha il pregio di dare al capitolo sui pianeti una linea di pensiero coerente e riesce a recuperare alcuni suggerimenti pregnanti di DC-F; deve però abbandonare il riferimento fondamentale, e assai ben documentato nel commento,

alla questione dell’etere.



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MEDRI

UN TESTO SUL MOTO CELESTE PER UNA NUOVA EDIZIONE DI PSI XIV1400

I. LE PRECEDENTI

EDIZIONI

Il PSI 1400è un foglio di un elegante codice di papiro, proveniente da acquisto.' Le due pagine contengono un testo in prosa di argomento filosofico ricco di termini tecnici di matrice per lo più aristotelica: all’epoca della prima edizione, Un frammento di fisica aristotelica in un papiro fiorentino, curata da Medea Norsa,? si trattava del più tardo testo letterario di contenuto pagano ritrovato in Egitto. Nell’elenco dei manoscritti profani in maiuscola alessandrina recentemente raccolti da Antonietta Porro' figurano codici molto simili a quello del nostro testo, impiegati per autori come Euripide, Aristofane, Teocrito, Callimaco e Apollonio Rodio, Menandro, Libanio e Omero (sia l’Iliade che l'Odissea). Compare anche una cronaca universale, ma non ci sono altri scritti filosofici.

Parte della storia della prima edizione del frammento ci viene fornita da un breve scritto di Richard Walzer, allegato ad una lettera di Giovanni Gentile

a Medea Norsa (Carte Norsa 317) del 26

Luglio 1938, e dalla risposta della studiosa. Scrive Walzer: «Ho

1 Il frammento venne comperato in Egitto, da Medea Norsa, probabilmente nel viaggio del 1938, lo stesso‘in cui si procurò i PSI XIII

1266-1267;

1278; XIII

1341-1345

[cfr. L. PAPINI, La scuola papirologica fiorentina, AATC 38 (1973), 327 e n. 2]. 2 In 3 A. Norsa!, ‘+ A. (1985),

ASNP s. II, 7 (1938), 1-12 = Norsa!. KORTE, APF 13 (1938), 110. Lo studioso si riferisce alla datazione fornita in dove il frammento è collocato intorno all’VIII sec. d.C. Porro, Manoscritti in maiuscola alessandrina di contenuto profano, S&C 9 169-215.

5 Le lettere della Norsa a Gentile (366b), e di Walzer a Gentile (366d) sono pubblicate in Ὁ. MORELLI - R. PINTAUDI (a cura di), Cinquant'anni di papirologia in Italia: carteggi Breccia-Comparetti-Norsa-Vitelli, Napoli, Bibliopolis 1983, 702-703 e 705706.



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letto le bozze dell’articolo della Prof. Norsa e dico francamente la mia impressione. Sarebbe importantissimo, se si potesse escogitare delle argomentazioni più stringenti per la datazione del papiro nell'ottavo secolo. [...] Poiché il papiro sarebbe preziosissimo, se ci attestasse veramente una continuità della tradizione filosofica greca in Egitto ancora due secoli dopo la conquista araba. [...] Non posso purtroppo credere che il testo stesso rappresenti un nuovo frammento di Aristotele. Io sono piuttosto convinto che si tratta di un

testo filosofico dell’età imperiale. Però non posso dire nulla di preciso sull’autore; ho cercato un po’ dappertutto, ma nel breve tempo non ho ancora trovato nulla [...]. I miei dubbi si basano in prima

linea sull’uso linguistico [...]. Tutto lo stile rispecchia bene il gergo filosofico comune, che ha per base il linguaggio di Aristotele, ma non trovo nulla di caratteristico per Aristotele ovvero per il giovane Aristotele». La necessità di una rapida pubblicazione del testo costrinse la Norsa a non approfondire ulteriormente le proposte dello studioso, ma nella prima edizione trovano comunque spazio, accanto all’ipotesi che collega il papiro alle opere giovanili aristoteliche — suffragata da numerosi e pe al paralleli con il linguaggio e con le teorie del filosofo -, anche i problemi sollevati da Walzer: le diverse possibilità di datazione e soprattutto la difficoltà di attribuire con sicurezza lo scritto ad un autore particolare tra quanti,

«scolari immediati, e spesso anche assidui studiosi più lontani, fanno

proprie talvolta, insieme con le dottrine, anche le frasi e la maniera

di esporre del maestro».® L’attenzione è posta principalmente sul nucleo centrale del frammento (rr. 16-45), in cui si accenna alla teoria del movimento

cir-

colare (secondo o contro la natura del corpo, verso luoghi propri ed estranei), e alla sua differenza con quello rettilineo. Il rapporto con le opere di Aristotele non si ferma al piano stilistico-formale, ma, soprattutto nei richiami puntuali al libro © della Fisica e A della Metafisica, contribuisce a chiarire il significato ed il collegamento tra le parti del testo che sembrano tra loro disarticolate: i rr. 10-29, dove si afferma che la materia è di per sé informe e non responsabile del movimento, il richiamo alla teoria aristotelica dei luoghi naturali, ai rr. 35-46, con la descrizione del movimento secondo natura di un corpo verso il luogo proprio, in cui potrà stare in quiete, il testo dei rr. 58-65, dove si dice che la ragione discorsiva stessa ha processi di moto e di stasi.

6 Norsa!, 2.



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Di nuovo alle teorie di Aristotele faceva riferimento Kérte, che

descriveva in breve il contenuto del frammento come un trattato sui problemi del movimento (κίνησις κατὰ e παρὰ φύσιν), sul moto cir-

colare dei corpi celesti e della διάνοια in senso pienamente aristotelico. Accanto alla meraviglia per il ritrovamento di una così sfarzosa edizione di un difficile libro filosofico nell’ottavo secolo, Kérte

riportava l’opinione di Hans Georg Gadamer, che, dubbioso riguardo ad un’attribuzione aristotelica, avanzava l’ipotesi che il papiro potesse riferirsi alle discussioni peripatetiche sull’interpretazione materialistica del De caelo, in particolare per l’accenno polemico dei rr. 23 e sgg. contro «alcuni» convinti della natura «materiale» del moto circolare del cielo. Una successiva edizione della Norsa” contribuiva a colmare in maniera convincente alcune delle lacune. Dieci anni dopo, Adelmo Barigazzi® analizzava il testo a partire dal r. 10, proprio a causa dei problemi di interpretazione dei rr. 19, lacunosi e solo in parte collegati al discorso successivo. Lo studioso suggeriva alcune integrazioni per la parte centrale del frammento (rr. 17-22; 50-57), proponendo due diverse possibilità di attribuzione. L’ipotesi iniziale prendeva spunto dall’opinione di Gadamer, ed il papiro veniva collegato con l’opera di Teofrasto, in modo da costituire «un documento assai interessante sulla divergenza di opinioni intorno alla teoria delle Intelligenze motrici in seno allo stesso Peripato nei primi suoi anni di vita».? Dopo aver analizzato criticamente tale ipotesi, però, Barigazzi propendeva piuttosto per un collegamento con il pensiero di ambito neoplatonico: il testo, così, veniva rivisitato alla luce dell’Enneade II.2 di Plotino,

dove il filosofo si occupa del rapporto fra anima e rotazione dei

cieli, anche se il riferimento alla ψυχή dei rr. 58-66, nel frammento,

sarebbe stato inserito solo per spiegare l’analogo movimento del cielo. La conclusione dello studioso è che un’esposizione di questo tipo potrebbe risalire a «libri di metafisica e teologia nella scuola neoplatonica».!° È da una breve considerazione di Barigazzi, che trovava strano non incontrare un accenno al πέπμτον σῶμα degli astri in un testo

7M. NORSA, Fisica aristotelica in La scrittura letteraria greca dal secolo IV a.C. alPVILI d.C., Firenze, Ariani 1939, 37-39 = Norsa?.

8 59-75 ? 10

A. BARIGAZZI, Un nuovo frammento di filosofia neoplatonica, Aegyptus 29 (1949), = Barigazzi. Barigazzi, 64. Barigazzi, 75.



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che rispecchia la dottrina peripatetica,!! che prende l’avvio la proposta interpretativa di Garin.!? La mancanza di riferimenti alla dottrina dell’etere e la presa di posizione contro coloro che attribuiscono alla materia il moto circolare dei corpi celesti (rr. 24-29) celano, secondo Garin, «un’allusione molto precisa alla polemica 5}

αἰθήρ, che si farà così viva nelle dispute sul De caelo, e assu-

merà toni violenti nel contrasto, proprio su questo punto preciso, tra Simplicio e Filopono».! Il termine κυκλοφορία, inoltre, è molto frequente nel dibattito dei commentatori aristotelici sulla relazione tra movimento del cielo e moto della ψυχή. Argomenti di questo tipo permettono a Garin non pochi utili raffronti, dai quali esce pienamente confermato il carattere neoplatonico, o meglio, plato-. nico, del frammento, con speciale riferimento a Leggi X 898ab, testo molto adoperato nei commenti di Filopono, dove Platone avvicina il moto locale degli astri e quello circolare del pensiero.!4 Anche le affinità di linguaggio e di problematiche tra il PSI 1400 e testi come il commento alla Metafisica attribuito ad Alessandro collocano il frammento vicino ad opere dal carattere «composito, conciliativo ed eclettico» come «i testi redatti dai tardi commentatori di Aristotele, spesso, tra l’altro, neoplatonici di scuola e di orientamento». Il papiro, secondo Garin, potrebbe aver fatto parte di un’epitome o di un commentario a un’opera di rilievo, ed essendo inserito nello stesso codice avrebbe goduto della stessa elegante edizione. Dopo un lungo intervallo di tempo, il frammento è stato nuovamente preso in esame da Robert Sharples,'* interessato alla somiglianza fra l’argomento dei rr. 10-35 e due testi attribuiti ad Alessandro di Afrodisia (Quaest. I 10 e I 15), che tentano di spiegare come la natura aqualitativa della materia non possa essere messa in dubbio utilizzando l’argomento della differenza tra la materia delle cose sublunari e quella delle cose celesti. L'oggetto principale del nostro testo non riguarderebbe tanto il materiale di cui è costituito il cielo, quanto piuttosto la questione del contributo dell’anima, considerata nella sua opposizione all’elemento corporeo, al moto

"| Barigazzi, 69.

12 E. GARIN, Frammento di trattazione filosofica, in PSI XIV (1957), 89-100 = Garin. 3 Garin, 93. Già Barigazzi, alla fine della sua edizione, rimandava al Damasceno,

per l’affermazione della ‘dignità’ della materia (PG 94, 1245c) contro la tesi dei cieli animati (PG 94, 8854). 14 Garin, 95. 15 Garin, 91.

16 R.W. SHARPLES, The Stuff of Heaven, unpublished paper given at the Institute of Classical Studies on 29" January 1990 = Sharples.



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celeste. Più in generale, la priorità del moto causato da un’anima,

che è essa stessa causa del suo movimento, rispetto a quello del corpo mosso dall’anima, come in Leggi, X 894-896. I primi a tentare un’attribuzione precisa del testo del papiro sono L.S.B. MacCoull e L. Siorvanes:! l’autore potrebbe essere Giovanni Filopono, già indicato da Garin come possibile punto di riferimento per la lettura di alcuni passi del frammento e ampiamente utilizzato da Sharples per la ricostruzione del retroterra filosofico delle discussioni sul movimento celeste. In particolare, al Filopono rimanderebbe la nozione di ‘forza impressa’ utilizzata fin dal τ. 7 (ἔγκειται) e poi riproposta per spiegare il movimento dei corpi. La caratteristica compilativa del testo, redatto secondo i due autori come un insieme di appunti, renderebbe ragione anche degli scarti lessicali che allontanano il frammento dalla terminologia abitualmente usata dall’alessandrino. Tornare a esaminare il frammento significa da un lato cercare di orizzontarsi tra le diverse proposte degli editori, dall’altro tentare di districare il senso del testo nel suo groviglio di motivi ‘platonici’, neoplatonici e peripatetici. II. IL FRAMMENTO

Il testo è disposto su entrambe le facciate in un’unica colonna di 33 righi: lo specchio di scrittura è quasi interamente conservato; la successione A - B è garantita dalla continuità del testo. La scrittura corre contro le fibre sul lato A, lungo le fibre sul lato B; ogni colonna misura in larghezza 11/11, 5 cm, in altezza 22 ed è danneggiata da due lacune: la prima, di minore entità, interessa la parte iniziale dei rr. 1-5 (e quella finale dei rr. 34-39), l’altra la parte finale dei rr. 17-22 (e iniziale dei rr. 50-56).!8 Il foglio presenta tutte

le caratteristiche comuni a molti dei codici di contenuto profano in maiuscola alessandrina di epoca tardo-antica:!? ampio formato (29

17 L.S.B. MACCOULL - L. SIORVANES, PSI XIV 1400: a Papyrus Fragment of John Philoponus, AncPhil 12 (1992), 153-170 = MacCoull - Siorvanes. 18 Questa seconda lacuna si sviluppa sulla linea di frattura orizzontale che attraversa il r. 19 del papiro. La piegatura, e la conseguente adesione dei rr. 10-15 sui rr. 23-28, ha prodotto tracce di inchiostro non dovute a correzioni interlineari in corrispondenza dei rr. 5, 15, 23 e 24. Alcuni segni nel papiro sembrano mostrare che la pagina, piegata in due, è stata poi ripiegata di nuovo più volte diagonalmente. Cfr. Norsa!, 6-7. "9 Cfr. PORRO, cit. (a n. 4), 170, nn. 3 e 4; 200, n. 83. Per i rapporti della maiuscola

alessandrina con la maiuscola biblica e l’ogivale inclinata nella produzione libraria di



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ELENA MEDRI

x{17,5] cm)?° e specchio di scrittura proporzionalmente ridotto, margini spaziosi,”! correttezza del testo: lo scriba interviene per espungere un oar. 46, altre correzioni e aggiunte interlineari sono apposte in una diversa grafia leggermente inclinata verso destra. Non compaiono segni di lettura, ad eccezione dei punti diacritici spesso uniti in un solo tratto su v iniziale di parola e della diastole tra le parole καθάπαξ κύριον al τ. 49.22 Lo iota mutum non viene appo-

sto. Sono presenti forme itacistiche e non assimilate (ad es. le forme

di κινεῖν e affini sempre kew-; al r. 6 evxewevov, al τ. 8 evyeyevwue etc.). La punteggiatura è costituita da ano stigmai (rr. 9, 57, 65),

mentre le diverse sezioni del testo sono evidenziate dall’impiego

dell’ekthesis ai rr. 10, 47, 58. In corrispondenza dell’ekthesis in due

casi (rr. 9 e 57) si va a capo lasciando bianca la parte finale del rigo.

questo periodo cfr. G. CAVALLO, Papiri greci letterari nella tarda antichità, in Akten des XIII Internationalen Papyrologenkongresses, Miinchen, Beck 1974, 71-73; ID., Ricerche sulla maiuscola biblica, Firenze, Le Monnier 1967, 113-123; ID., Funzione e strut-

ture della maiuscola greca tra i secoli VIII-IX, in La paléographie grecque et byzantine («Colloques internationaux du C.N.R.S.», 59), Paris, Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique 1977, 95-137.

2° La misura della larghezza del frammento compare per la prima volta in Garin, 89, tuttavia nella seconda edizione del papiro Medea Norsa ricostruisce per la pagina le dimensioni di 20x30 ed è con questo formato che Turner inserirà il codice, con il n° 409, nel gruppo 3 (c. 23/21x32/31). Sulle misure fornite da Garin si basa la ricostruzione del formato originario della pagina di Porro (cit. a n. 4), (almeno 18x28) e MacCoull - Siorvanes (20x30). Cm 18x29 sono le dimensioni riportate da J. IRIGOIN, L’onciale grecque de type copte, JOByz 8 (1959), 40-41, n° 57, che è l’unico a fornire per il frammento la misura corretta dello specchio di scrittura (errate le dimensioni riportate in E.G. TURNER, The Typology of the Early Codex, Philadelphia, University of Pennsylvania Press 1977, p. 16 e tabella 16, p. 121). Cfr. Norsa?, 37; PORRO, cit. (a n. 4), 196; MacCoull - Siorvanes, 153. 21 Si conservano margini di 3,7 cm in alto, 3,4 in basso, 2,5 interno e 4 esterno in

corrispondenza dei rr. 26-33 e 61-66. In base alla misura dello specchio di scrittura ed alle proporzioni della pagina si possono attribuire al margine esterno le dimensioni di circa 6 cm, ed al foglio la misura di circa 20x33 cm. Cfr. D. MUZARELLE, Normes et recettes de mise en page dans le codex pré-carolingien, in A. BLANCHARD, Les débuts du codex, Turnhout, Brepols 1989, 125-156, in part. 128-133; C. TRISTANO, La forma dei codici nell’Italia meridionale tra IX e X secolo, Grafica 12 (1993), 17-45. Si vedano anche, al riguardo, J. TSCHICHOLD, Non-arbitrary Proportion of Page and Type Area, in A.S. OSLEY (ed.), Calligraphy and Palaeography, London, Faber & Faber 1965, 179191; L. GILISSEN, Prolégomènes ἃ la codicologie, Gand, Éditions scientifiques StoryScientia 1977, 125-237; J. VEZIN, La réalisation matérielle des manuscrits pendant le haut Moyen Age, in A. GRUYS (a cura di) Codicologica, II, Leiden, Brill 1978, 15-51.

La taglia di questi codici sembra avvicinarsi a quella dei manoscritti in pergamena della tarda antichità: il rapporto base/altezza è di 5/6 o di 2/3, e, mentre i manoscritti più antichi si avvicinano al tipo quadrato, il divario delle dimensioni è maggiore nei manufatti più recenti. Cfr. PORRO, cit. (a n. 4), 178-183; 199-200. 22 Cfr. PORRO, cit. (a n. 4), 196; 202.

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A r. 46 invece, dove si arriva con la scrittura alla fine del rigo, viene

probabilmente impiegato un segno di paragraphos per evidenziare maggiormente l’ektbesis.

La scrittura, altamente formale e ad asse rigorosamente verticale,

presenta in modo puntuale tutte le caratteristiche specifiche della maiuscola alessandrina ad alternanza di modulo in una fase più tarda dello sviluppo del canone.? Oltre ai papiri indicati come paralleli dai diversi editori (particolarmente vicino alla scrittura del PSI 1400 è PBodl Ms. G. Liturg. c. 3),2 è opportuno segnalare PKéln V 215, ancora una epistula festalis, emanata, secondo l’editrice, dal patriarca Beniamino I nel 663.” La struttura di alcuni caratteri, in particolare, v, di modulo rettangolare, u, che si distende ancor più sul rigo, e 4,

di modulo molto superiore alle altre lettere, sembra assegnare la scrittura di questo papiro ad un periodo successivo rispetto a quello del

nostro frammento, che verrebbe cosi a collocarsi intorno alla meta del VII sec. d.C., tra Ms. G. Liturg. c. 3 (VII med.) e PK6ln V 215.8

2 In pap., si segnalano come elementi caratterizzanti il rigoroso contrasto fra lettere strette (B, €, 0, 0, p, 0) e lettere larghe (δ, μι x, τ, ὦ, inscrivibili in un rettangolo, γ, n, v

inscrivibili in un quadrato), l’effetto di fluidità dato dalle legature apparenti — rafforzato dal tracciato unitemporale di a, p, v, ὦ — e la caratteristica ornamentazione, ottenuta con

ispessimenti a bottone all’estremità dei tratti orizzontali e verticali e con ritorni di calamo. I tratti orizzontali di δ, n, τ, ma soprattutto quelli obliqui discendenti da sinistra a destra in x, 4, a, A, si allungano fino quasi a toccare la lettera vicina, ed il bilinearismo

viene accuratamente rispettato, tanto che le uniche lettere a scendere decisamente sotto il rigo sono $e y. Cfr. IRIGOIN, cit. (a n. 20), n. 3; G. CAVALLO - H. MAEHLER, Greek Bookhands of the Early Byzantine Period (A. D. 300-800), BICS, Suppl. 47 (1987), 114; G. CAVALLO, Γράμματα ᾿Αλεξανδρῖνα, JOByz 24 (1975), 28-29; ID., Funzione e strutture

della maiuscola greca, cit. (a n. 19), 95-137; H. HUNGER, Minuskel und Auszeichnungsschriften im 10.-12. Jabrbundert, in La paléographie grecque et byzantine, cit. (a n.

19), 201-220.

2 Il contrasto tra lettere di modulo quadrato(-rettangolare) e lettere strette assume nei due papiri, PSI 1400 e PBodl Ms. G. Liturg. c. 3, proporzioni simili, come sono simili gli elementi ornamentali in 5, A, © e le dimensioni di 6 rispetto alle altre lettere. Altri elementi sembrano indicare che la grafia del PSI 1400 appartiene ad una fase successiva dello sviluppo del canone: nel PBodl Ms. G. Liturg. c. 3, assegnato dal Cavallo (Γράμματα ᾿Αλεξανδρῖνα, cit. [a n. 23], 47, n. 135) al VII med., non compare il caratteristico ripiegamento a tenaglia del tratto superiore e di quello inferiore di x, in v le aste non si piegano verso il basso. 2 CAVALLO

- MAEHLER,

Greek Bookhands, cit. (a n. 23), 103, tav. 47b.

26 Il frammento era stato assegnato da M. Norsa all’VIII secolo d.C. e da E. Garin al VII-VIII; in seguito è stato variamente retrodatato da E. Turner e L.S.B. MacCoull (VI-VII), G. Cavallo (VII ex.) e anche E. CRISCI, in Scrivere libri e documenti nel mondo antico, Pap.Flor. XXX (1998), n° 83, PORRO, cit. (a n. 4), (VII med.). Cfr. Norsa!, 1; Norsa?, 38. Kérte, 110; Garin, 89-90; TURNER, Typology, cit. (a n. 20), 16; 114; MacCoull - Siorvanes, n. 6, p. 154; CAVALLO, Ipdupata ᾿Αλεξανδρῖνα, cit. (a n. 23), 50-51; Porro, cit. (a n. 4), 195-197.



115—

ELENA MEDRI

Facciata A [. . ἐϊπὶ τοῦ εἴδους τῷ ὑποκίει-] [μένῳ ἀνάλογον ἢ διότι τὸ μὲ[ν]

[τῇ φ]ύσει τοῦ ἐπάγοντος αὐτὸ [ἔνκ]ειται, τὸ δὲ ἀνάγεται πρὸς τὸ [γε]γή 'σεσθαι, τὸ δὲ Ev γεγένηται, [τ|ὸ μὲν ἐνκείμενον τῷ διανο-

ἐοικὸς

ripari, τὸ δὲ ἀναγόμεγον τῇ φῳγῇ, τὸ δὲ ἐνγεγεννημέ-

γον τῷ ᾿ἐνγΎράμματι᾽ 10

[ἔτ]ι δὲ καὶ τὸ αὐτὸ ὑποκείμενον

τῷ κόσμῳ παντὶ δοκοῦμεν ὑπάρχειν" τὴν γὰρ διαφορὰν τοῖς οὐρανίοις σώμασιν παpà τὰ περίγεια σώματα δι᾽ ἄλ15

λο τι καὶ οὐ διὰ τὸ ὑπρκείμε-

νον εἶναι" ποῦ γὰρ ἄν τινι γενέσθαι διαφορὰν πα[ρὰ τὸ κα-]

θ᾽ αὑτὸ ᾿ἀ΄ διάφορον; ἀλ[λ᾽ ἀνάγκη] παρὰ τὸ εἶδος τὴ[ν διαφορὰν] 20

γίγνεσθαι: καὶ γὰρ τ[ῆς πρὸς αὐ-] τὸ διαφορᾶς Kai τῆ[ς πρὸς ἄλ-] Ao παντὶ τὸ εἶδος αἴ[τιον] οὐχὶ δὲ τὸ ἀγείδεον, καὶ τὴν κυκλοφορίαν, ἣν ἀξιοῦσί τι-

25

30

γες τοῖς οὐρανίοις σώμασιν ὡς ὕλην ὑποβάλλειν, μὴ τοῖς ὑποκειμένοις προσfixew, ἀλλὰ τῶν εἰδῶγ τοῖς [ἐϊνεργοτάτοις, ἄλλως τε καὶ [π]αντὸ[ς] σώματος καθὸ σῷμα κεινητοῦ μὲν καθ᾽ αὑ-

[τὸ ὑπάρχοντος, φερομέ[νου] δέ, ἐπειδὰν φέρηται, 1. ὑποκ[εὐμέν]ῳ, punti diacritici sopra v iniziale di parola, spesso fusi in un unico tratto, vd. anche rr. 10 (ὑποκείμενον), 12 (ὑπάρχειν), 15 (ὑποκείμενον), 25 (ὕλην) e 26 (ὑποκειμένοις) 2. L'integrazione τὸ u[èv], già in Norsa!,

in corrispondenza a τὸ δὲ dei rr. 4 e 6 non rispetta l’allineamento dei righi, ma probabilmente viene impiegato per il v il trattino s.. come sembra di scor—

116—

PER UNA

NUOVA

gere sopra lo 1 di φύσιν a r. 46

EDIZIONE

DI PSI XIV 1400

4. L’integrazione [ἔγκ]ειται proposta da Thei-

ler in Norsa? (da restituire [ev], secondo le abitudini del copista) risulta con-

grua sia all’ampiezza della lacuna sia al procedimento argomentativo del testo 5. [.].cO01 Norsa. Nella lacuna all’inizio del rigo c’è spazio sufficiente per almeno due lettere, seguono tracce di un v e di un’altra lettera: dato che le tracce interlineari sembrano adattarsi a σε, sarà probabile γενήσεσθαι; Siorvanes in MacCoull γε]γέσθαι; interpunzioni di Bartoletti 9. [.Jovr®ypappari: Norsa,

che restituisce τῷ γράμματι. Nell’interlineo superiore le deboli tracce di due o tre lettere non sembrano adattarsi a δια, proposto da Garin. Piuttosto si intravedono tracce di due lettere, delle quali la prima forse e, seguita da un grosso tratto verticale che potrebbe essere la prima parte di un v 10. Integrazione di Norsa, edd. 17. integrazione di Norsa 18. διάφορον corretto in ἀδιάφορον

con l’aggiunta interlineare di a, integrazione

di Norsa

19. τὴϊν

διαφορὰν] è proposto da Barigazzi e accolto da Garin contro tà[g διαφορὰς] di Norsa 20-22. Supplementi di Theiler accolti da Garin; diversamente Barigazzi καὶ γὰρ αἰΐτιον τοῦτο διαφορᾶς καὶ τήϊνδ᾽ οὐκ ἄλ]λο παντὶ τὸ εἶδος ay[dntetv] 29-31. Integrazioni di Pohlenz, W. Schmidt e Theiler in Norsa’; rr. 29-31 ἀλλ᾽ ὥς te καὶ | [π]αντὸ[ς] σώματος καὶ ὅσῳ | [Blia κινῇ τοῦ μὲν Norsa!.

ΑἹ centro del margine inferiore del lato A rimangono tracce di una o due lettere, vergate con lo stesso inchiostro del testo del papiro: più che del numero di pagina, come ipotizzato in Norsa!, parrebbe probabile che si trattasse del numero del fascicolo (cfr. Turner, Typology, cit. [a n. 20], 78). La lettura di Norsa! è uè, ma le debolissime tracce si adattano anche a pa.

Facciata B

[πα]ρ᾽ ἑτέρας δυνάμεως xpelitto-] 35

40

νος ἢ κατὰ τὸ σῶμα. ἐν μὲν [γὰρ] τοῖς οἰκείοις τόποις πέφυκε [ν] πᾶν ἠρεμεῖν: ἐκπεσὸν δὲ ἀ[πὸ ἐ-] κείνων καὶ κατὰ φύσιν σπ[εῦ-]

δον οἷον ἀποκατασταθῆναι κ[αὶ] ἐν τοῖς οἰκείοις γενέσθαι τόποις, ἀπαλλαγὲν

τοῦ στρέφε-

σθαι παρὰ φύσιν περὶ τὰ ἀνοί45

κεια, φέρεται πρὸς ἐκεῖνα, μενον δὲ ἐκεῖ ἠρεμεῖ" ποῦ ἂν καὶ κεινοῖτο; οὐ γὰρ δὴ -τὰ παρὰ φύσιν ἐκ τοῦ κατὰ

γενόγὰρ πρὸς φύσι(ν).

κ]ἄν τ᾽ οὗ ν΄ ἐπ’ εὐθείας φέρηται ἐκεῖθεν ἄν τε κύκλῳ, παρ᾽ ἄλλου κε50

κείνηται, τοῦ καὶ καθάπαξ κυ[ρίου τῶν] κεινήσεων διὰ τό —

117 —

ELENA

MEDRI

[τε πρῶτο]ν κατὰ γένος εἶναι καὶ [τὸ σῶμα κειν]εῖν [vodv: πε]φυκέναι

καθ᾽ αὑτὸ κειδὲ οὐδέν

[φαμεν Klewetv πρὸς αὑτὸ ἕτερα mpo[c]’ μὲν

55

[7/8]t9 xervovueva, ὅπερ [8/9 é]keivac ἐκέϊΐνο ἐκείya's’ ἀλλ᾽ ὡς αὐτὸ πέφυκεν. τὸ γοῦν ἐπὶ τῆς ψνχῆῇς κεινού-

μενον διανοητικῶς φᾳμ[ὲν 60

κεκεινῆσθαι, προσηρτημέγογ

τὸ [σ]ῶμα τοπικῶς καὶ ov KOLVOC τοπικῷς αλλ. . . ., Kad’ ὅσον καὶ ἡ διάν[ο]ιᾳ πεί[ριή-] ει κύκλῳ περὶ νοῦν ᾧσπε[ρ]

65

κέντρον᾽ εἰ μὲν οὖν καὶ [τἀ-] κεῖ τὴν ἐπ᾽ εὐθείας φέρ[οιτο]

35. μὲν [γὰρ] Bartoletti, μὲν [οὖν] Norsa 36. In Norsa e Barigazzi πέduxe 41-43. Interpunzione di Barigazzi, accolta da Garin 45. κείνῶτο cor-

retto in Keivoito 46. taè con punto di espunzione sopra la lettera sopra lo 1 di φύσιν probabile trattino sopralineare per v 49-50. L'integrazione ku|[piov τῶν] proposta in comm. da Norsa! (che preferisce però nel testo ku|[pievovtoc], come Norsa?) è accolta da Barigazzi e Garin 51-56. [πρῶτον] κατὰ

γένος εἶναι Kai | [τὸ πάντα

κιν]εῖν

καθ᾽ αὑτὸ Ki[votv'

πε]φυκέναι

δὲ

οὐδὲν | [φαμὲν κ]ινεῖν πρὸς αὑτὸ ἕτερα πρὸϊς adtd]’ μὲν | [ἄλλα πάν]τᾳ κινούμενα, ὅπερ | [κινεῖ ἀλη]θινῶς ἐκεῖνο ἐκεῖϊγᾳ

Barigazzi: integrazioni ac-

colte da Garin, il quale esprime dubbi nel commento 51. In lacuna solo πρῶtov per Barigazzi e Garin, ma lo spazio sembra adattarsi a [te πρῶτοϊγ 52. [τὸ σῶμα κειν]εῖν Medri e Sedley, indipendentemente

52-53. Norsa! in comm.

suggerisce adtoKei|[vntov in luogo di καθ᾽ αὐτὸ xeu[vodv, [12]..v καὶ αὐτοκει[ Norsa? 53-54 Integrazioni di Barigazzi 55. Le lievi tracce delle due lettere dopo la lacuna sembrano convenire a τ e o. Barigazzi legge tq e integra [ἄλλα πάν]τᾳ

56. ἐκ]είνως proposto

da Norsa!

in comm.

dubitativamente

(in al-

ternativa a Jetv ὡς) è preferito da Medri e Sedley, [.......... ].1vog Norsa nel testo, mentre Barigazzi propone ἀλη]θινῶς ἐκεῖνο, accolto da Garin, anche se 0 sembra incerto; nell’interlineo sopra all’ e di ἐκεῖνο tracce di lettere, già se-

gnalate da Norsa, di difficile lettura, possono indicare una sostituzione di parola per la quale forse si utilizzava l’e iniziale di ἐκεῖνο. In fine rigo tracce di lettere pressoché svanite; exéivo... Norsa 57. Nell’interlineo ci sono tracce di una lettera, probabilmente

σ

y! Norsa?

ἀλλ᾽ ὡς Norsa, va ἄλλ᾽ ὡς Bari-

gazzi, Garin 58. to in ekthesis di poco inferiore rispetto agli altri due casi 59. Dopo il è tracce di una o due lettere non facilmente leggibili, dopo di che non si scorge più alcuna traccia di inchiostro: gau[èv] Norsa', edd., probabile

60. Interpunzione di Barigazzi

62. Dopo τοπικῶς, Norsa! legge 914.....y.[, —

118—

PER UNA

NUOVA

EDIZIONE

DI PSI XIV 1400

che restituisce διακείμενο[ν], Norsa? legge λᾳμβαγ., che Barigazzi completa in λᾳμβάγ[ομεν]

dopo αλλ le tracce sono di ardua decifrazione: una propo-

sta convincente per il senso parrebbe ἰδίως (Decleva Caizzi), ma permangono dubbi di lettura

63-64 περί[ει]σι Norsa, edd.

65. εἰ μὲν οὖν [.....] Norsa

66. dép[orto] Barigazzi (accolto da Garin), che prosegue, e.g. οὐκ ἐν τῷ αὑτῷ μενεῖ" εἰ δὲ κύκλῳ ἐν τῷ αὐτῷ, τῆς ψυχῆς ἀεὶ ἀγούσης kai ἀεὶ κινούσης.

III. TRADUZIONE Facciata A

rr. 1-9 [...]? (r. 10) Ed inoltre riteniamo che ci sia uno stesso sostrato per l’intero cosmo: infatti la differenza dei corpi celesti rispetto ai corpi terrestri deriva da qualcos’altro e non dal sostrato; come infatti in qualcosa potrebbe nascere una distinzione da ciò che di per sé è indistinto? Ma

è necessario

che la distinzione nasca dalla forma;

ed infatti della

differenza in relazione a se stessa e in relazione a ciò che è altro da sé è assolutamente causa la forma, non ciò che non ha forma, ed il moto

circolare, che alcuni ritengono corretto porre come materia a fondamento dei corpi celesti, non riguarda i sostrati, ma le più attive delle

forme, soprattutto perché ogni corpo in quanto corpo è come tale soggetto a movimento, ma è portato, quando sia portato, Facciata

B

da un’altra forza maggiore di quella secondo il corpo. Infatti ogni cosa è naturalmente disposta a stare immota nelle proprie sedi; ma caduta da quelle e per natura affrettandosi, per così dire, a ristabilirsi e a trovarsi nelle sedi che le sono proprie, avendo cessato di volgersi contro natura intorno a sedi estranee, viene portata verso quelle, e, giuntavi, là riposa; dove infatti potrebbe muoversi? Non certo

verso le sedi contro natura da un (luogo) secondo natura. E dunque sia che venga portata di là in linea retta sia in circolo, è stata mossa da altro agente che è assoluto signore dei movimenti, perché è il primo per genere e perché muovendosi di per sé muove il corpo; ma [...] niente per natura [diciamo] muovere verso se stesso altre cose diverse da [... non] in quel modo esso muove quelle cose, ma come esso è per natura.

Infatti quello che si muove nell’anima diciamo che è mosso secondo il pensiero, il corpo congiunto ad essa, localmente, e non ‘localmente’

27 Per la traduzione di questi righi troppo frammentari, si vedano le considerazioni espresse qui di seguito nel paragrafo «IV. Il testo».



119—

ELENA

MEDRI

in senso comune [...], nella misura in cui anche il pensiero ruota in cer-

chio intorno all’intelletto come suo centro. Se dunque anche le cose di la venissero spostate in linea retta [...]

IV.

IL TESTO

L’inizio del frammento (rr. 1-9) coincide con la conclusione della

prima argomentazione, della quale rimangono la parte finale di una

frase (.. elmi τοῦ εἴδους τῷ ὑποκ[ει]μέν]ῳ ἀνάλογον, rr. 1-2) e un

periodo più lungo, collegati dalla disgiuntiva ἤ. La similitudine dei rr. 2-9 si basa sulla corrispondenza dei tre termini διανόημα, φωνή e γράμματα con altrettanti elementi di cui conosciamo soltanto la

funzione svolta. La relazione tra i diversi membri della serie è garantita da un lato dalla corrispondenza tra le particelle τὸ μέν, τὸ δέ, τὸ δέ, dall’altro dalla ripetizione dello stesso verbo per ogni coppia di termini, in una successione in cui il primo elemento si imprime (ἔγκειται) come il concetto della ragione discorsiva,? il secondo si esprime (ἀνάγεται) come la voce, il terzo viene a generarsi dentro (ἐγγεγένηται)" come lo scritto. Quello che ci resta del-

28 «Si imprime», sembra di poter tradurre, «nella natura di quello che lo spinge fuori». In Norsa! (10) vengono offerte alcune possibilità di integrazione per il r. 3, fra cui [φ]ύσει e [λ]ύσει. La scelta di φύσει sembra la più adatta al contenuto del testo, e

potremmo vedere in questo termine un collegamento con πέφυκε[ν] del τ. 36 e con la trattazione del moto contro o secondo natura ai rr. 35-46. ? Da segnalare la mancata corrispondenza di due delle forme verbali nella successione dei sei elementi della similitudine, ἐγγεγένηται (τ. 4) e ἐγγεγεννημένον (τ. 8) derivanti rispettivamente da ἐγγίγνομαι e da ἐγγεννάω (più raro, ma spesso impiegato in contesti cosmogonici, come in Procl. In Ti. 40 D, 288 C [Π], 158.19-22 Diehl]; Phlp. In Mete. 100.35-101.5; Contra Proclum, 530.17-27; Opif. 70.16-18; Simp. In Cat. 281.715; Sophon. Jn De an. 101.25-32; Procl. In Ti. 36 C, 217 E [II, 251.27-252.1 Diehl]; Plot. Enn. II 3.7,4-6; Procl. In Ti. 42 E, 335 C (III, 313.27-314.3 Diehl]) che induce a

pensare che lo scriba abbia scritto un v in più, non espunto dal correttore, piuttosto che ad una scelta dell’autore. L'impiego congiunto dei due verbi si trova, però, in un passo del commento al De anima di Giovanni Filopono (52.18-25), citato letteralmente da Sofonia (In De an. 27.19-26), dove ἐγγεννάω è usato a proposito dei λόγοι demiurgici

che si ingenerano nell’elemento più adatto a riceverli. L’interpretazione di éyyeyévnται, secondo MacCoull e Siorvanes (159) è da collegare al Timeo, 31b-c, dove si sottolinea che ciò che è venuto ad essere (τὸ γενόμενον) deve essere corporeo, visibile e tan-

gibile, proprio come, nel nostro testo, lo scritto ἐγγεγένηται. 30 Le tracce delle lettere nell’interlineo superiore al r. 9 sembrano e e v, a formare la parola ἐγγράμματα, in parallelismo con ἐγγίγνομαι e ἐγγεννάω, ma la forma sostantivata dell’aggettivo ἐγγράμματος non è attestata. Se si trattasse di questo termine, co-

munque, sarebbe interessante il parallelo con la definizione pseudoplatonica di λόγος come φωνὴ ἐγγράμματος in Def. 4144. Si vedano anche Alex. Aphr. In Metaph. 368.2633; 832.16-23; In SE 13.5-11; Syrian. In Metaph. B 40.27-30; 191.13-18; Plot. Enn. IV



120 —

PER UNA

NUOVA

EDIZIONE

DI PSI XIV 1400

l’argomento si compone di due parti: nella prima compaiono un sostrato e una forma, mentre nella seconda possiamo seguire il processo con cui il concetto si inserisce sempre più profondamente nell’elemento materiale facendosi prima voce e poi lettera scritta, in analogia con Arist. Int. 1643-8.52

Il primo ad occuparsi del contenuto di questa porzione di testo è Robert Sharples, che sottolinea il valore dell’infinito passivo del verbo al r. 5 per ribadire il contrasto tra ciò che è portato ‘dentro’ o ‘fuori’ una condizione e quello che ne è il prodotto. Il discorso, naturalmente presente. in chi parla, viene attualizzato (il pensatore ha la ‘capacità’ di esprimere i suoi pensieri attraverso la voce), e ne segue anche la produzione di caratteri scritti, l’ ‘impressione’ di qualcosa di ‘altro’ su un materiale che ha la ‘capacità’ di ricevere caratteri. Si tratta, però, di due tipi di potenzialità ben diversi,#

6, 2.12; Porph. In Ptol. 81.18-22; Simp. In Ph. 54.32-55.11; In De an. 244.18-26; Phlp.

In APo. 111.20-31. L’esempio dell’impressione delle lettere su carta è utilizzato anche in collegamento con l’attualizzazione del colore da Alex. Aphr. In Mete. 150.10-22. Anche se per la brevità della parte di testo rimasta è difficile ricostruire il senso dell’intera argomentazione, si possono trovare paralleli per altri termini impiegati. Il verbo ἐπάγω ricorre, ad esempio, in PI. Ti. 32b8-33b1, citato e discusso da Phlp. Contra Proclum,

231.25-232.15;

527.18-528.10.

Il gioco

verbale

ἀνάγεται- ἐπάγεται,

invece,

non

sembra comparire in nessuno degli scritti filosofici, anche se i due termini vengono avvicinati in Olymp. In Alc. 54.17-22. Un discorso a parte merita ἔγκειται (r. 4), che MacCoull e Siorvanes (157-162) segnalano come forma verbale tipica della teoria delPimpetus di Filopono, soffermandosi in particolare sul contributo del filosofo alla nozione di ‘forza interna’, pur riconoscendo che questa terminologia ha una base neoplatonica e che prima della stesura del De opificio mundi la teoria della forza impressa non è sentita dai contemporanei come molto lontana da quella della trasmissione della proprietà cinetica tipica del neoplatonismo. È comunque utile alla comprensione di questa parte del testo il confronto con uno dei numerosi passi segnalati nell’edizione di MacCoull - Siorvanes, Phlp. In GC 80.33 sgg., dove si segue il processo di ‘impiantazione’ di qualcosa di migliore (βελτίον) nella materia. 31 Viene accolta la punteggiatura di Bartoletti, in Garin, 97. Nella prima edizione del testo (Norsa!, 7), invece, la seconda virgola del r. 5 è posta dopo ἐοικός, e la relazione tra i sei termini viene sostenuta da ἀνάλογον (τ. 2), in funzione aggettivale, riferito di volta in volta a ciascun elemento della serie. L'aggettivo ἐοικός sarebbe così riferito al prodotto della generazione, simile al suo produttore, come in PI. Τῇ 30c5; Sph. 240b2, 7; Lg. IX 867b; R. II 381; Cra. 439a; Arist. GA ὃ 3, 767235; Phlp. In GA 170.26-32. 52 Cfr. anche Arist. GA, e 786b21, dove la voce è presentata come ὕλη del discorso,

come in Steph. In Int. 7.9-18; si vedano, inoltre Arist. De an. 420b5-34; Alex. Aphr. In De an., p. 97.8 Bruns; Aet. Plac. IV 20.2; Ammon.

In Int, 17.14-18; 18.23-19.6; 22.31-

23.5; 23.10-15; 23.30-24.3; Steph. In Int. 1.9-18 e Phlp. Contra Aristotelem, VI/fr.121 ap. Simp. In Ph. 1157.13-16, quest’ultimo riportato da MacCoull - Siorvanes, 159. 33 Sharples, 13-14. 56 L’esempio, secondo Sharples, potrebbe riferirsi a due diverse figure: un soggetto che parla e qualcun altro che scrive quello che viene detto; in altre parole, secondo Siorvanes e MacCoull, qualcosa di simile al modo in cui il docente in una lezione at-



121—

ELENA

MEDRI

come sembra anche evidenziare, tra gli altri, Giovanni Filopono, nel passo del De aeternitate mundi contra Proclum, 351.1-26, riportato nell’edizione di MacCoull,® dove si insiste sul fatto che, come il fo-

glio di papiro o la cera della tavoletta non sono capaci di produrre da sé le lettere, così la materia non è responsabile della generazione e corruzione delle forme potenzialmente contenute in essa. Il commento di Siorvanes propone la spiegazione del collegamento tra le due diverse parti dell’argomentazione: i rr. 1-2 si riferiscono alle successive e proporzionali (ἀνάλογον, τ. 2) tappe di ‘impiantazione’ della forma, ed il concetto, il pensiero della ragione discorsiva (comparato alla forma al r. 1) è ‘generato’ fisicamente come una forma ‘differenziante’ che agisce sul sostrato, come un concetto è nella materia parlata e scritta, e come un motore si inserisce nella materia dei corpi celesti. Con questa interpretazione i rr. 1-9 trovano un collegamento più stretto con i paragrafi seguenti, e sembra confermata l’ipotesi che l’autore si riferisca ad un movimento celeste ai rr. 35-46, in modo da spiegare meglio «the abrupt jump from semantics to astrophysics» dal r. 9 al 10 sg. L’ekthesis del r. 10 segna Pinizio del secondo paragrafo, introdotto da una prima asserzione generale: «riteniamo che l’intero κόσμος sia composto dallo stesso ὑποκείμενον». E poi l’autore precisa: la differenza tra parti del cosmo, cioè tra corpi celesti e περί-

γεια σώματα è prodotta da qualcosa di ‘altro’ e non dall’ ὑποκείμενον, dato che ciò che di per sé è indifferenziato non può generare

differenza in alcunché. La necessaria conclusione è che sia un εἶδος

a produrre la differenziazione.”

La tecnica argomentativa, qui come ai rr. 44-46, consiste in una

prima enunciazione del concetto che viene poi spiegato e suffragato

da una domanda retorica (rr. 16-18): l’autoevidenza della interro-

gativa esplicativa è proposta in primo luogo sul piano linguistico, e il lettore può constatare l’assurdità derivante dall’attribuire al soggetto della frase un aggettivo che, tramite alfa privativo, viene a ne-

traverso l’atto di emissione della voce (ἀνάγεται, τ. 4) produce il testo scritto ἀπὸ φωνῆς dall’allievo (MacCoull - Siorvanes, 156, n. 7; 159-162). 35 MacCoull - Siorvanes, 161.

6. Apud MacCoull - Siorvanes, 162. » È la Norsa (Norsa!, 4) a sottolineare per prima l’uso di verba dicendi e sentiendi connessi con frasi esplicative interrogative, come al r. 16. 38 Come già notava Sharples (9, 14) i rr. 1-9 dovrebbero essere strettamente collegati con quelli successivi, anche perché καὶ γάρ è il modo consueto per introdurre un’argomentazione a sostegno di ciò che precede. Cfr. J.D. DENNISTON, The Greek Particles, Oxford, Clarendon

19542, 108.



122—

PER UNA

NUOVA

EDIZIONE

DI PSI XIV 1400

gare il termine stesso al quale è riferito (lo stesso tipo di accorgimento retorico viene adoperato ai rr. 22-23 contrapponendo εἶδος e dveideov).5 Si ottiene una frase di questo tipo: «come è possibile che in qualcosa la differenza nasca dall’indifferenziato?». In questo modo la distinzione di εἶδος e ὑποκείμενον (rr. 16-23) viene a costituire la premessa concettuale all’affermazione dell’unicità dell’ ὑποκείμενον

nel cosmo,

dato che il moto

circolare del cielo si con-

figura così come una differenza, e ogni differenza deve essere spiegata

da una forma e non da una materia indifferenziata.‘° L’autore del

nostro testo sembra distinguere fin dal r. 12 il livello dell’ ὑποκεί-

μενον, anzi, dei sostrati (r. 27), diversi tra loro ma non in se stessi, uello della ὕλῃ (r. 26), elemento materiale del tutto privo di dif-

erenziazione, e quello dei σώματα connotati da movimenti di tipo diverso: circolare per i corpi celesti, rettilineo per i corpi terrestri.‘ In collegamento

con quanto

sostenuto

ai rr. 10-20

a proposito

dell’ ‘informazione’ dell’ ὑποκείμενον cosmico, ai rr. 23-29 l’autore

si rivolge contro ‘alcuni’ che ritengono di dover imputare la κυκλοφορία alla componente materiale del cielo, ed attribuisce il moto

circolare degli οὐράνια σώματα a forme al massimo grado di attualità (ἐνεργοτάτοις, τ. 29).4

Il primo a sottolineare la nota polemica del passo è Gadamer,* che riferisce il testo agli interpreti del De caelo in senso materialistico. Barigazzi* — che interpreta questa parte del testo nel senso di una differenziazione dovuta ad un’anima che è εἶδος in atto, come

leggiamo anche nelle Enneadi (V 1.6; II 5.3; I 1.4), mentre l’èroκείμενον, nel senso di subiectum (cfr. Enn. II 4) è lo stesso per tutto

39 Barigazzi (72-73) faceva notare che l’aggettivo è documentato in epoca tarda, citando in particolare passi di Plotino, Porfirio e Giovanni Damasceno. © L’aggettivo ἀνείδεον viene spesso adoperato proprio per definire la ὕλη nella sua condizione di assoluta potenzialità e possibilità di accogliere gli opposti (ad es. Procl. In Prm. 226.6; In 9.20-27; 82.21; In

1119.4-35; Simp. In Cael. 135.26-136.1, 306.6-28; 648.1-10; In De an. 225.34Ph. 20.9-17; 135.1-9; 189.27-190.10; Ascl. In Metaph. 430.2-10; Phlp. In GC 9.31-10.13; Contra Proclum, 260.3-261.6; 409.20-410.5; Olymp. In Cat. 58.2; Alc. 133.5.

4 La questione della natura dell’elemento materiale del cielo e del suo rapporto con la materia prima è affrontata a più riprese dai commentatori di Aristotele (in particolare in riferimento a Metaph. © 1044b7-8): cfr., solo a titolo di esempio, Alex.Aphr. In Metaph.

22.2-3; 169.18-19; 375.37-376.1; Simp. In Cael.133.29-134.14.

12 MacCoull - Siorvanes (163) segnala come possibili paralleli Procl. In Tz. II, 96.27 (cfr. II, 92), dove viene usato ἐνεργητικότατα per definire il paradigma della circolazione, Simp. In De an. 319, 324, 325 (ἐνεργητικωτέρας, ib. 324.23; 325.2) e, anche se

in un contesto diverso, Arist. Top. 154a16. 4 Ap. Korte, cit. (a n. 3), 110. 4 Barigazzi, 69-71.



123—

ELENA

MEDRI

il cosmo -- attribuisce una dottrina di questo genere agli stoici, contro i quali si scaglia Plotino, Enn. II 2.1. Un'altra possibilità, segnalata da Garin, è che in questi righi ci sia un’«allusione molto precisa alla polemica sull’ai0njp»,4 il quinto elemento al quale Aristotele attribuisce il regolare movimento dei cieli, che per natura si muovono in cerchio, diversamente dai quattro elementi sublunari (terra, acqua, aria e fuoco) il cui moto naturale è in linea retta, verso

l’alto o verso il basso. Il termine κυκλοφορία, che Barigazzi avvicina al secondo trattato della seconda Enneade di Plotino, è comu-

nissimo nei commentatori aristotelici** e nella discussione sul moto circolare del cielo (διὰ ti κύκλῳ κινεῖται;) in relazione al rapporto

col moto della ψυχή, e Garin propone non pochi utili raffronti, che sottolineano il carattere neoplatonico del frammento, e lo accostano «nel dialogo fra Simplicio e Filopono, con l’autore più caro a quest’ultimo, il Platone delle Leggi 898ab ove appunto si parla, a proposito degli astri, di un ἐν ἑνὶ τόπῳ κινεῖσθαι, e del moto circolare del pensiero». L'attenzione è richiamata su Simp. In Cael. 20.21, relativamente all’uso del trattato di Senarco Πρὸς τὴν πέμπτην οὐ.

σίαν, che si collega alle posizioni di Plotino e Tolomeo sul moto naturale verso i luoghi propri. In questi autori «tornano frasi ed espressioni del nostro frammento, ove la discussione sui moti celesti si colloca perfettamente in una polemica πρὸς τὴν πέμπτην οὐciov, non troppo distante né per il tempo né per l’orizzonte culturale dai temi che ricorrono, in un’atmosfera di voluta conciliazione fra platonismo ed aristotelismo, nelle opere di Filopono».* Siorvanes ricostruisce il retroterra della dottrina antiaristotelica dello stesso sostrato per tutto il cosmo, con particolare riferimento al frammento IV/70 Wildberg del Contra Aristotelem di Giovanni Filopono (ap. Simp. In Cael. 133.21-29), dove. si sostiene che il cielo è costituito da una forma naturale e inserita nella materia (ὅτι φυσικῷ εἴδει ὁ οὐρανὸς εἰδοπεποίηται Kai ἐνυλῳ). *

45 Garin, 93; 95.

46 Cfr. Alex. Aphr. In Metaph. 34.34; Asclep. In Metaph. 64.32; 187.34; 246.5; Phlp. Contra Proclum, 276.24 sgg. Il termine è ampiamente usato sia in riferimento al moto del cielo sia a quello delle masse elementari, con l'eccezione di Olimpiodoro in cui ricorre solo due volte (In Mete. 175.1; 18). Di natura cicloforetica degli astri intorno ai propri poli parla Procl. In Ti. 39 A, 262 C (III 76.19-21 Diehl), e Simplicio (In Pb. 1331.34-39) si serve della nozione di forma circolare (tò κυκλοφορητικὸν εἶδος) per giustificare l'impossibilità di decomposizione del corpo celeste, in riferimento al primo libro del De caelo. ‘7 Garin, 95. 48 MacCoull - Siorvanes, 163.

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PER UNA

NUOVA

EDIZIONE

DI PSI XIV 1400

D'altra parte, però, come sottolinea Sharples, la teoria alla quale il nostro testo si contrappone non è che la materia dei cieli causi o spieghi il movimento circolare del cielo, ma che il movimento circolare è la ὕλη del corpo celeste,” e infatti la risposta agli oppositori non è che le forme al massimo grado di attualità spiegano il moto circolare, ma che esse stesse hanno quel movimento (rr. 2729).°° Muovendosi, la forma causa la differenza ‘in sé’ e ‘in altro’ di

cui si parla ai rr. 20-22. Ogni movimento poi richiede non solo la potenzialità per il moto, che il corpo ha di per sé (καθὸ σῶμα, rr. 30-31), ma un’altra causa, una forza maggiore di quella del corpo, qualcosa che lo porti (rr. 32-34). Ogni corpo, altrimenti, si sposta solo verso il proprio luogo naturale, e una volta raggiuntolo si ferma (rr. 35-37). Fin dalla prima edizione del testo l’accenno alla dottrina aristotelica dei luoghi naturali” (o alla sua successiva rielaborazione nel pensiero neoplatonico)?? viene sentito come una digressione per in-

trodurre il discorso sul motore dei corpi celesti, il motore immo-

bile secondo Medea Norsa, l’anima che si muove διανοητικῶς (di-

4.1.4 spiegazione proposta da Sharples, n. 24, p. 8 è che «Presumably he does so on the grounds that matter is potentiality as opposed to actuality, and potentiality for local movement is the only sort that the heavens possess (cf. Arist. Metaph. © 1050b2122). So if one asks for a description of the matter of the heavens, it is only in terms of

potentiality for circular motion that it can be defined. But this potentiality is constantly being actualised; and for that reason it is said that the movement is the matter». 50 Sharples (8-9) divide i rr. 10-35 in tre argomenti distinti: nel primo si attribuisce il movimento

circolare dei cieli, che è una ‘differenza’ tra questi

e mondo

sublunare,

alla loro forma e non alla loro materia, proprio perché tutte le differenze devono essere spiegate dalla forma piuttosto che da una materia indifferenziata; nel secondo l’eterno circolare dei cieli è collegato con l’attività e l’attualità e non con la potenzialità per gli opposti (secondo la definizione di materia come potenzialità di Metaph. © 8 1050b20), e per questa ragione dev'essere spiegato dalla forma, non dalla materia. Il terzo argomento è più generale: ciascun movimento richiede non solo la potenzialità per il moto, che il corpo possiede come tale, ma anche qualche altra causa di moto (il movimento dei cieli sarebbe quindi un esempio: i rr. 29-35 in altre parole servirebbero a sostenere la connessione fra materia e movimento-attualità nel secondo argomento). 5 Cfr. Norsa!, 3; Barigazzi, 62; Garin, 65, 95.

52 Sharples (2-4) riporta alcune delle controversie sul movimento dei cieli all’interno della scuola peripatetica, retroterra per i testi delle due Quaestiones di Alessandro che vengono confrontate con il papiro. Per Siorvanes (MacCoull - Siorvanes, 163-165) ai rr. 34-35 si parla già del moto dei corpi celesti, dovuto appunto ad una potenza superiore a quella del corpo, ipotesi sostenuta con citazioni di Proclo, Simplicio e in particolare Filopono. In questa edizione, inoltre, i rr. 35-46 sono collegati con la teoria del moto delle masse elementari, che viene ricostruita a partire da Simp. In Cael. 20.10; 37.33-34 (dove il filosofo riporta le posizioni di Tolomeo, Plotino e Proclo) e tramite alcuni passi del Filopono. Viene segnalato (ivi, 161) che l’aggettivo adoperato in am-



125—

ELENA MEDRI

versamente dal corpo, che lo fa τοπικῶς) ruotando intorno all’in-

telletto (r. 58 sgg.) secondo Barigazzi e i successivi editori. Le difficoltà di interpretazione dei rr. 47-57 sono dovute in gran parte alla lacuna che interessa i rr. 50-56, ma anche alla presenza di tracce molto leggere di aggiunte interlineari riferite ai rr. 54 e 56.5 All’inizio del paragrafo l’autore parlava di una forza in grado di trasportare i corpi sia con moto rettilineo sia in cerchio (il moto è di nuovo un ‘essere portato”, come ai rr. 32-34) che fa uscire il corpo dalla stasi che lo caratterizza nel luogo che ha già raggiunto (rr. 4748 ἐκεῖθεν)" L’ipotesi di un’anima mundi come motore per questa parte del

frammento era stata proposta da Barigazzi e accolta da Garin. Secondo Barigazzi® riferendoci all’anima, così come l’intende Plotino,

e non al motore immobile aristotelico, si capisce meglio il passaggio nei rr. 47 sgg. L’avverbio ἐκεῖθεν (τ. 47), sottolinea lo studioso, si riferisce al posto raggiunto dal corpo, e da lì, sia mosso in linea retta o in cerchio, questo avviene per opera d’altra cosa, che è principio di movimento. Secondo Sharples, se così viene indicato il luogo raggiunto «con il moto attraverso la sua regione naturale», il passo concorderebbe con la teoria dei cieli ignei, fatti di un fuoco

bito neoplatonico per il concetto di ‘non proprio’ di solito è ἀλλότριον e non ἀνοικεῖον (rr. 42-43), che non compare in Simp. In Cael. 478; In Cat. 186, 275; In Ph. 350;

Phlp. In APr. 95; Contra Proclum, 113. Per quello che ho potuto riscontrare, il termine ricorre solo cinque volte in Proclo (In R. I 45.2; 4 Kroll; In Cra. 70.4; In Prm.

1181.34), ma mai per qualcosa che somiglia all'argomento trattato dal papiro, mentre Olymp. In Alc. 94.11-22 usa l’aggettivo per la collocazione dell’anima in un luogo non proprio, e l’espressione ἀνοικείοις τόποις si trova in Anonymus londiniensis, Zatrica

(PBrLibr inv. 137) 17.19-23.

5 Nelle prime due edizioni viene fornita la lettura di ἕτερα πρὸς sopra al r. 54, ma è solo nell’articolo di Barigazzi che troviamo una proposta di integrazione e di interpretazione dei rr. 54-57: πε]φυκέναι δὲ οὐδὲν | [φαμὲν κ]ινεῖν πρὸς αὐτὸ ᾿ἕτερα πρὸϊς αὐτό]΄ μὲν [ἄλλα πάν]τᾳ κιγούμεγᾳ, ὅπερ | [κινεῖ ἀλη]θινῶς ἐκεῖνο ἐκεῖίγᾳ ἄλλ᾽ ὡς

αὐτὸ πέφυκεν. Come sottolinea Garin (100), che accoglie solo parzialmente ed a titolo di ipotesi la lezione di Barigazzi, non si vede apparentemente «qual partito trarre dall’aggiunta interlineare ἕτερα πρὸς], cui altre parole, similmente aggiunte, seguivano forse nell’interlineo fra i rr. 54-55, dov'è ora lacuna». MacCoull - Siorvanes, come Ga-

rin, non accolgono la proposta di Barigazzi circa l’integrazione di ἕτερα πρὸϊς] in ἕτερα πρὸϊς αὐτό]. Identico è comunque il concetto espresso: non c’è un altro principio di movimento, ma soltanto quello che è primo κατὰ γένος. 5* Norsa (Norsa!, 4) ritiene che ai rr. 47 sgg. l’autore si riferisca al motore immobile. Cfr. Barigazzi, 64; Garin, 95; MacCoull

- Siorvanes, 164.

55 Barigazzi, 65-66. 56 Anche Sharples (11-12) intravede nell’espressione un piccolo problema: l’autore ha delineato il contrasto tra il movimento delle cose verso il loro luogo naturale ed il moto di allontanamento da questo. Se «da la» al r. 47 fosse da intendere come «dal suo



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PER UNA

NUOVA

EDIZIONE

DI PSI XIV 1400

che si solleva per natura verso la circonferenza dell’universo, che è il suo luogo naturale, dove, tramite la circolazione, prodotta dal-

l’anima, ogni particolare porzione di fuoco viene portata via dal particolare luogo della circonferenza raggiunto. L’anima, necessaria per spiegare la rotazione dei cieli, non induce il fuoco ad un moto contro natura, piuttosto ad uno «naturale in un altro senso». L’ultima parte del frammento (rr. 58-68) collega il movimento che ha luogo nell’anima grazie alla sua parte ruotante, la ragione discorsiva, intorno ad un centro immobile, l’intelletto,55 al moto cir-

colare dei corpi celesti, proprio come nel passo delle Leggi (X 898ab) proposto da Garin per evidenziare il sapore ‘platonico’ del nostro testo.’ In altre parole, come spiega Barigazzi, il moto nell’anima avviene διανοητικῶς restando nello stesso luogo, come quello del cielo. Il corpo congiunto all’anima, invece, si muove per luoghi. L’autore sembra dire che la διάνοια, la parte dell’anima inserita nel composto e τὸ ἐπὶ τῆς ψυχῆς κινούμενον (τ. 58),6! muovendosi

luogo naturale», nel testo si affermerebbe che è il moto di allontanamento da un luogo naturale che deve essere spiegato con l’intervento di un motore, in questo caso, dall’anima; così, da un lato solo il moto di allontanamento di un corpo dal suo luogo naturale avrebbe bisogno di essere spiegato dall’anima, dall’altro il movimento circolare verrebbe incluso nel movimento di allontanamento da un luogo naturale. 57 Sharples, 12. Segue una breve ricostruzione delle posizioni di Plotino, Senarco e Filopono sulla rotazione del fuoco celeste, che contribuisce a chiarire la difficoltà di un’attribuzione sicura del nostro testo al filosofo alessandrino, che sull’argomento ha assunto posizioni progressivamente molto diverse. Sull’evoluzione del pensiero di Filopono si vedano i più recenti K. VERRYCKEN, The development of Philoponus’ thought and its chronology, in R. SORABJI, Aristotle Transformed. The ancient commentators and their influence (R. Sorabji ed.), London,

Duckworth

1990, 233-274;

G.R.

GIARDINA,

Giovanni Filopono matematico tra neopitagorismo e neoplatonismo. Commentario alla «Introduzione aritmetica» di Nicomaco di Gerasa, Introd., testo, trad. e note, Catania, CUECM 1999 («Symbolon», 20), 4-35. Nel commento all’edizione di MacCoull - Sior-

vanes (165) Siorvanes sottolinea invece il valore dell’espressione «sia che venga portato in linea retta che in cerchio» in riferimento al doppio movimento ascensionale (e quindi rettilineo)-circolare degli elementi aria e fuoco, una delle teorie che caratterizzano il Contra Aristotelem di Giovanni Filopono. 58 I primi a notare il collegamento con la prima parte del testo sono MacCoull e Siorvanes (159): διανόημα (rr. 6-7) designa il concetto del pensiero discorsivo, e l’autore si riferisce ad un movimento mentale anche nei rr. 58-65. Non è da escludere l’ipotesi che proprio il nucleo centrale del testo (rr. 10-57), più legato alla fisica, che tutti gli editori definiscono riassuntivo, sia una digressione rispetto ad un discorso più ampio sull'anima. 5° Garin, 95.

60 Barigazzi, 67 sgg. st È interessante il confronto con Phlp. In De an. 556.32 sgg., dove il filosofo sostiene che la ragione discorsiva non è propriamente νοῦς e aggiunge che le due diverse parti dell'anima non hanno lo stesso ὑποκείμενον: τὸ γὰρ περὶ σύνθετα καταγίνεσθαι



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ELENA MEDRI

in cerchio intorno all’intelletto, fa muovere il corpo di un movimento che è locale (τοπικῶς τ. 61), ma non è quello che comunemente (rr. 61-62 κοινῶς) si intende per moto locale.”

Il riferimento all’anima ruotante intorno all’intelletto per spiegare il moto celeste sembra palesemente neoplatonico,® ed introduce un nuovo argomento di cui conosciamo solo l’inizio: se τἀκεῖ (rr. 65-66), presumibilmente le cose celesti, fossero portate con un movimento rettilineo ...% Questi, in breve, gli argomenti trattati nel frammento, ma la discussione sul contenuto delle diverse parti rimane aperta e continua, nelle pagine che seguono, con i contributi di Andrea Falcon e Christian Wildberg.®

οὐκ ἔστι τοῦ κυρίως νοῦ, ἀλλὰ τῆς διανοίας. μὴ νόμιζε δὲ ὅτι ὁ νοῦς τῇ διανοίᾳ τῷ μὲν ὑποκειμένῳ ὁ αὐτός ἐστι, τῷ δὲ λόγῳ διάφορος, ὡς εἴρηται ἐν τῇ θεωρίᾳ" καὶ τῷ

ὑποκειμένῳ γὰρ διάφορος ὁ νοῦς τῆς διανοίας. Non dobbiamo credere, dice Filopono, che il νοῦς e la διάνοια siano la stessa cosa nel sostrato, ma differenti nel λόγος; infatti

l’intelletto differisce dalla διάνοια anche (e proprio) nell’ ὑποκείμενον. Cfr. Philp. In De an. 545.12-546.12; 547.26; 548.24; 550.6-7; 553.27.

62 Secondo Sharples (10; 14) l’affermazione che l’anima non si muove spazialmente, οὐ κοινῶς τοπικῶς, può essere interpretata come un avvertimento contro il fraintendimento dei rr. 28-29: dire che il movimento circolare è proprio delle forme più in atto non significa che le anime ruotino in senso spaziale. MacCoull e Siorvanes (157) invece intendono l’espressione nel senso di «‘locally’ in a sense that is not common (to body and soul)». Cfr. anche Simp. Jn De an. 40.3-26, dove si ribadisce che, chiaramente, non

dobbiamo intendere la connessione dell’anima con il corpo in senso spaziale, ma in virtù della sua immediata ed essenziale presenza attraverso e nel corpo (δῆλον ὡς οὐ τοπικῶς ἀκουστέα, ἀλλὰ κατὰ τὴν δι᾽ ὅλου αὐτοῦ καὶ kat οὐσίαν προσεχῆ παρουσίαν).

63 Phlp. In De an. 258.18-259.2; 260.16-25 spiega che la disposizione delle potenze logiche è simile a quella di alcune parti del cosmo, ed i cieli sono nella posizione della ragione discorsiva (διάνοια). Vedi anche Syrian. In Metaph. 82.20-83.1 per la descrizione del movimento degli astri rispetto alle sfere come in noi le parti conoscitive dell’anima. L'esempio esposto nel papiro ricorre in termini simili nel dialogo anonimo Hermippus IV 37-38 (39.12-17; 27-40.3): collegandosi al mito di Κρόνος del Cratilo, 396b, l’autore si trova a dover distinguere la facoltà intellettiva e quella razionale dell’anima, che chiama νοῦς e λογικὴ ψυχή. 6 La proposta di Sharples (10) è che «the suggestion of a rectilinear movement there may be counterfactual, intended simply to provide a contrast with the actual movement that the passage as reconstructed by Barigazzi goes on to refer to (so Barigazzi, 67)». 65 L’occasione di confronto con i due studiosi e le osservazioni di Paolo Fait, Da-

vid Sedley e Antonio Carlini sono state decisive per chiarire e ricostruire gran parte del testo; devo anche ringraziare Robert Sharples per avermi permesso di utilizzare il suo scritto inedito su PSI 1400. Un grazie particolare a M. Serena Funghi, Gabriella Messeri,

Guido

Bastianini

e Manfredo

Manfredi,

che hanno

avuto

la pazienza di se-

guire la lunga genesi di questo lavoro e hanno ricontrollato più e più volte il papiro.



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ANDREA

A LATE

ANCIENT

FALCON

DISCUSSION OF CELESTIAL PSI XIV 1400*

MOTION

Though in antiquity it was commonly held that the celestial world is a somehow special region of the sensible world, many, if not most, people did not feel the need to postulate the existence of some special stuff to account for the distinctive behaviour of the celestial bodies. Against this background Aristotle emerges as an extraordinary exception. In the De caelo he consciously departs from the tradition of the Timaeus to introduce his most controversial reform of previous cosmological doctrines: the thesis of the existence of an ungenerated, imperishable, and impassible simple body that naturally performs circular motion (the so-called fifth element).! The claim of the existence of another element alongside earth, water, air and fire was very controversial in antiquity.? Proclus, for example, informs us that some Platonists even reeled in

horror from this thesis because they felt there was something barbaric in it.> This is clearly an exaggeration. But, like all exaggerations, it contains a grain of truth. The truth is that very few people in antiquity were prepared to share the view of Aristotle. Even within the school of Aristotle, and from the very beginning, the doctrine of the fifth element was resisted. The state and nature of the information at our disposal do not allow us to establish whether

* I am grateful to David Sedley, Christian Carlini, Serena Funghi, Paolo Fait, Alessandro comments on ancestors of this article. ! But Aristotle never uses this phrase. See totle’s De Philosophia, JHS, 102 (1983), 60-74 in Ancient Greek Philosophy, Albany, SUNY 2 For a useful introduction to the fortune tiquity see P. MoRAUX, Quinta Essentia, RE

Wildberg, Frans A.J. de Haas, Antonio Linguiti and Riccardo Chiaradonna for D.E. HAHM, The Fifth Element in Aris(also in J.P. ANTON - A. PREUS, Essays Press 1983, 403-428). of the doctrine of the fifth body i in anXXIV, 1171-1263, and J.H. WASZINK,

Aether, RAC I, 150-158. > Procl. In Ti. II, 42.9-12.



129—

ANDREA

FALCON

Theophrastus rejected or retained this doctrine.* Strato of Lampsacus, the head of the Lyceum after Theophrastus, rejected it, and turned to the Platonic view that celestial bodies are made for the most part of fire.> Xenarchus of Seleucia, a Peripatetic philosopher of the 1st century BCE, even wrote a book of objections against the thesis that the heavens are made of a fifth element. This book was significantly entitled Against the fifth substance. This book is now lost, and only a few excerpts are preserved by Simplicius in his commentary on the De caelo.®

It is notoriously difficult to understand why the thesis of the existence of a celestial body did not gain the acceptance one might expect, especially in the light of the reputation that the same thesis enjoyed in the late Middle Ages till around 1650.” Here suffice it to say that the postulation of a celestial stuff distinct from, and not reducible to, earth, water, air and fire, introduces some impor-

tant discontinuity within the sensible world, and ultimately undermines its material unity. Of course, Aristotle is persuaded that the sensible world is one thing rather than a collection of loosely connected, if not disconnected, parts. But his view is that it is one thing only in the sense that its parts are causally related to one another. In other words, he admits causal rather than material unity. More directly, he is persuaded that the celestial and the sublunary world are related to one another in such a way that the celestial world acts on the sublunary world but is not affected by it.®

* A convenient review of the information at our disposal is offered in Theophrastus of Eresus. Sources for his Life, Writings, Thought and Influence. Commentary Volume 3.1. Sources on Physics, by R.W.

SHARPLES,

Leiden-Boston-Kéln,

Brill 1998, 88-

94, and by the same author Theophrastus on the Heavens, in J. Wiesner ed., Aristoteles. Werk und Wirkung, Band I: Aristoteles und seine Schule, Berlin- New York, De Gruyter 1985, 577-593. 5 Stob. Ecl. I, 200.21-22 Wachsmuth (Aétius II 11.4 = Wehrli, Straton, 84); I, 206.78 (= Aétius II 17.2 = Wehrli, Straton, 85).

6 For a convenient presentation of the work of Xenarchus see P. MORAUX, Xenarchus of Seleukia, RE IX.A, 1420-1435, and by the same author, Der Aristotelismus bei den Griechen, Band

1, Berlin, De Gruyter 1984, 197-214. See also S. SAMBURSKY,

The

Physical World of Late Antiquity, London, Routledge & Kegan Paul 1962, 125-132, and

A. FALCON, Corpi e Movimenti. Studio sul «De caelo» di Aristotele e la sua fortuna nel mondo antico, Napoli, Bibliopolis 2002, 79-84 and 144-174.

? For a study of the fortune that this thesis enjoyed in the Middle Ages and the Renaissance see E. GRANT, Planets, Stars, and Orbs. The Medieval Cosmos (1200-1687),

Cambridge, Cambridge University Press 1994. ® By simply performing their distinctive activity, circular motion, the celestial bodies have an influence upon sublunary things, living and non-living. For Aristotle sub-



130 —

PSI XIV 1400

The PSI papyrus text is to be read against this background. It has been argued that it is concerned with the explanation of celestial motion, and in particular with the question of the contribution of the soul to the explanation of celestial motion.’ I do not deny that the papyrus provides us with a positive account of celestial motion, but would like to argue that this account is to be read as part of an attempt to argue for the existence of a single substrate for the entire world: «Moreover (ἔτι δέ), we think that the same substrate

belongs to the entire world» (lines 10-12). The Greek ἔτι δέ suggests a chain of arguments. What we have is the end of one argument (lines 1-9) and the beginning of another (lines 10-66) in a series whose more general purpose is not known. Hereafter I concentrate on the second argument.

Lines 12-16 «for the difference between the sublunary and the celestial bodies is due to something else and not due to the substrate».!° The author does not deny that the celestial world is a somehow distinct and special region of the sensible world, but

lunary things, living and non-living, are ephemeral configurations that come into existence, endure for a while, and go out of existence. He thinks of them as parts of an everlasting process of generation and perishing that has no beginning and no end. In his On Generation and Corruption he makes it clear that the continuity of this process is secured by the continuous celestial circular motion (336a14-18). At first sight we might find it difficult to understand why the continuity of the process of coming into existence and going out of existence requires the existence of a continuous circular motion. But we should bear in mind that going out of existence involves the liberation of a quantity of earth, water, air and fire. These bodies are the material principles of everything in the sublunary world, and for Aristotle they are endowed with the capacity to be moved towards their own natural places. In the appropriate circumstances, they are naturally moved towards these places. Something is therefore needed to prevent the liberated material principles from being completely located in their natural places. The dislocation of a certain amount

of earth, water, air and fire is in fact crucial for the

persistence of the process of coming into existence and going out of existence. By keeping a minimal level of agitation in the sublunary world, the celestial motion crucially contributes to the maintenance of a quantity of dislocated earth, water, air and fire, and by so doing it crucially contributes to preserving the relevant level of organisation and arrangement in the sublunary world (337a1-7). ° A. BARIGAZZI, Un nuovo frammento di filosofia neoplatonica, Aegyptus 29 (1949), 59-75. This interpretation is endorsed in an unpublished article by R.W. SHARPLES, The Stuff of Heaven (revised version of paper read at the Institute of Classical Studies on 29% January 1990). 10 περίγεια σώματα: sublunary bodies. repiye10g, especially if opposed to οὐράνιος, can be used in the sense of ὑπὸ τὴν σηλήνην. Cf. [Plu.] Plac. 886d10-e5, and Stob. Ecl.

186.5-11 Wachsmuth (Aétius II 3.4); [Plu.] Plac. 886f2-3, and Stobaeus, Ecl 171.9-10 Wachsmuth (Aétius II 4.12); [Gal.] Phil. Hist.47 (Dox. gr., p. 621.25-26); [Plu.] Plac. 887b1-6 (Aétius II 6.3); Procl. In Ti. Il, 81.4.



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argues that the difference, διαφορά, between the celestial and the terrestrial bodies is not due to the substrate but to something else. Nothing is said about the content of the διαφορά. Perhaps this is to be taken as an indication that the disagreement is confined to the source of the διαφορά, whereas

its actual content is not dis-

puted. Since in antiquity it was commonly held that the celestial bodies are imperishable substances performing complex but regular motions around the earth, we may supply stability and incorruptibility as the differentiating features of the celestial world. Lines 16-23 «For how could a difference be produced for something by that which is by itself undifferentiated? Instead, it is necessary that the difference be produced by the form: for the form, and not that which is formless, is the cause for each thing of both the difference in relation to itself and in relation to something else». We are told that the difference between the celestial and the terrestrial bodies is due to the form, τὸ εἶδος (line 22). According to

the restoration first proposed by Theiler, the author would be

in-

troducing the distinction between διαφοραὶ [πρὸς ἄλλο] and [πρὸς

αὑτό], and claiming that the form is the ultimate source of both kinds of διαφοραί (lines 20-22). It is not at all clear what a διαφορὰ [πρὸς αὑτό] is. Perhaps this is a feature differentiating a thing from

itself, for example a feature that the thing possesses at a certain time and does not at another time. But how is the distinction between διαφοραὶ

[πρὸς ἄλλο] and [πρὸς αὑτό] relevant to the argument?

David Sedley suggests to me that the author may simply want to point out that all διαφοραί are due to form, so that we can be all

the more confident that the ones under consideration now, namely

the διαφοραί [πρὸς ἄλλο], are themselves due to form. The claim that form is the ultimate source of the διαφορά be-

tween the celestial and the sublunary bodies seems to rest on a certain interpretation of the Timaeus and the way Plato there describes the receptacle or receiver of all the things (Ti. 50b8). It is significant, in particular, that the substrate in the papyrus is thought of as that which is formless, τὸ ἀνείδεον (line 23). Admittedly, though the language of Plato is fluid, this phrase never occurs in the Timaeus. Plato is content to say that the receptacle cannot assume any shape similar to any of the things that enter into it (50c1-2). But the ad-

jective ἀνείδεος is already found in Aetius,!! and in the abridge-

11 Stob. Ecl. 131.16-9 Wachsmuth (Aétius I 9.5). Plato is here credited with the view that matter is σωματοειδής,

ἄμορφος, ἀνείδεος, ἀσχημάτιστος, and ἄποιος.



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ment of Ti. 49a-52d set forth in the Didaskalikos.!? Interestingly enough, even Aristotle is credited with the view that matter is aveideoc. Though the overwhelming influence of the Timaeus surely played a crucial role in the attribution of the doctrine of a formless matter to Aristotle, it is worth pointing out that even within the Peripatetic tradition Aristotle was not uncommonly credited with the view that being formless is part of the conception of matter. The Peripatetic Boethus, for example, had recourse to ἀνείδεος in the attempt to distinguish between matter and substrate." It is also significant, I think, that the characterisation of matter as the

ultimate shapeless substrate was used by Alexander of Aphrodisias and his associates.!5 Here suffice it to say that this characterisation

of matter is not found in Aristotle’s own text, but is a creative in-

terpretation of Phys. 192a21 and 193a11.! On the account given in the papyrus, there is one substrate common to everything. But how is this substrate to be conceived? Presumably, that which is ἀνείδεον is some material out of which everything in the sensible world, including the celestial world, is constituted. The demand for the unity of matter is here understood as the demand for the existence of some actual material which is the ultimate constituent of everything. The identification of the substrate with some stuff could easily be encouraged by the fact that Plato in the Timaeus compares the receptacle to moulding material such as gold, perfume base, or wax. It is worth pointing out that the author is not content with identifying the substrate with that which is ἀνείδεον, but adds that this substrate is by itself undifferentiated, ἀδιάφορον (lines 17-18). How

is this addition to be understood? Aristotle at times conceives of διαφορά as form (and, correspondingly, of genus as matter). In dealing with the problem of the unity of definition, in Zeta 12, Aristotle considers the possibility that the genus is somehow contained,

12 Alcin. Did. 162.29-163.10. The sequence of adjectives used to describe matter at 162.36 is ἄμορφος, ἄποιος and ἀνείδεος. Later on it is added that matter is ἄποιος and ἀνείδεος in order to be the receptacle of the forms (163.6-7). 13 [Plu.] Plac. 882c9-12, credits Plato and Aristotle with the view that matter is σωματοειδής, ἄμορφος, ἀνείδεος, ἀσχημάτιστος, and ἄποιος (= Aétius I 9.5). But ἀνείδεος

occurs already in the epitome of Aristotle’s doctrine of matter offered in Arius. Cf. Stob. Ecl. 132.13 Wachsmuth (= Arius Didymus, fr. phys. 2 Diels). 4 On this point see Simp. In Ph, 211.15-16. 15 Alex.Aphr. Quaest. 1.10. 21.1-2. 16. On this point see Alex.Aphr. Quaest. 1.1-2.15, translated by R.W. SHARPLES, London, Duckworth

1992, 49 n. 125.



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together with all the prior διαφοραί, in the last διαφορά. This δια-

φορά is explicitly said to be the form and the substance (Metapb. Z 1038a25-6). This identification of form and διαφορά was accepted

and transmitted to late antiquity by Porphyry.!” Presumably, ἀνείδεον and ἀδιάφορον have the same force and are used to make the same

point, though they have a different origin. A certain interpretation of the Timaeus seems to be the major source of the doctrine defended in the papyrus text, but this doctrine is developed and refined by recourse to conceptual resources which ultimately go back to Aristotle.!* Lines 23-46 «and circular motion, which some people want to suggest as matter for the celestial bodies, does not belong to the substrates but to the most active forms, especially since each body as body is capable of moving by itself, but is carried along, whenever it is carried along, by an external force greater than of the body. For in their own places all are naturally at rest: moved away from these they strive by nature to restore, as it were, the previous state and to return to their own places;

released from their unnatural turning to foreign places, they move towards the former places, where they come to rest when they have arrived there. For where else could they move? To be sure, not towards a place against nature from a place according to nature». Though nothing is said about the people who identify κυκλοφορία with the matter of the celestial bodies (lines 24-26), I am persuaded

that Aristotle and his school are polemical target.!? First of all, in antiquity Aristotle was routinely identified with the thesis that the celestial bodies are made of a body which naturally performs circular motion.”° Secondly (and more importantly), Aristotle was in

” Porph. Intr. 11.12-17: «since things are composed of matter and form or possess a constitution analogous to matter and form (as a statue is made of matter and form, the bronze and the shape), so too, the common and formal man is composed of something analogous to matter and to shape, the genus and the διαφορά». Cf. Boet. De division. 879c: «genus speciebus materia est. Nam sicut aes accepta forma transit in statuam, ita genus accepta differentia transit in speciem». Other random examples: David, In Porph.

195.27-9; Elias, 87.28-88.6, and Ammonius,

106.12 ff.

8 On the relation of genus as matter to διαφορά as form, and the way this relation was understood in late antiquity, see A.C. LLoyD, The Anatomy of Neoplatonism, Oxford, Clarendon Press 1990, 76-97.

19 SHARPLES, The Stuff of Heaven, cit., 8: «It might be remarked that the view to which our author objects asserts not that the matter of the heavens causes or explains their circular movement, but rather that the circular movement

is the matter».

20 Cf. (i) Stob. Ecl. I 196.5-16 Wachsmuth (Arius Didymus fr. 9 Diels); (ii) [Plu.]

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possession of the conceptual resources to identify the circular motion distinctive of the celestial bodies with their matter. Matter is for him not just the material out of which something is made, but also that which has a specific capacity. In Lambda 2, for example, Aristotle defines matter as that which has the capacity for both (Metaph. A 2 1069b14-15). Here he refers to celestial matter as ποθὲν noi matter, that is to say matter with the capacity for motion from one place to another (Metaph. A 2 1069b26).?! By referring to celestial matter as ποθὲν noi matter, Aristotle is not

only claiming that a certain orientation is intrinsic to the circular motion distinctive of the celestial body, and that celestial matter is that which has the capacity for that particular motion rather than for the motion which takes place in the other direction, but is also making an effort to square the case of celestial matter with the language and theory of contrariety. By extending the language and theory of contrariety to the celestial world, Aristotle provides a unified account of matter. But this account does not commit him to the existence of one unified matter. Quite the contrary. Aristotle explicitly argues that everything that is subject to change has matter, but different (Metaph. A 2 1069b24-25). The explanation of the circular motion, κυκλοφορία, distinctive of celestial bodies by recourse to the introduction of a difference in matter is rejected. On the account given in the papyrus, this mo-

Plac. 878b8-9 and Stob. Ecl. I 128.4-9 Wachsmuth (Aétius I 3.22); (iii) [Plu.] Plac. 81e10-

{7 and Stob. Ecl. 37.16-18 Wachsmuth (Aétius I 7.32); (iv) [Plu.] Plac. 887d7-11 and Stob. Ecl, 195.20-196.2 Wachsmuth (Aétius II 7.5); (v) [Plu.] Plac. 888b10-11 and Stob. Ecl. I 200.25 Wachsmuth (Aétius II 11.3); (vi) Athenag. Leg. 6. 4.25-30 Marcovich; (vii) [Iust.] Cob. gr. 5. 2.15-20 Marcovich; (viii) Hippol. Haer. I 20.4, VII 19.3-4 Marcovich;

(ix) S.E. P. ΠῚ 31 and M. IX 316; D.L. V 32; (xi) [Gal.] Phil. Hist. 18 (= Dox. gr. 610611); (xii) Ach. Tat. Intr. Arat. 2.1 (= Maas 30.25-27); (xiii) Bas. Hex. I 11 (= 18.17-18

Amand de Mendieta - Rudberg); (xiv) Ambros. Exam. I 6.23 (= 21d-e Schenkel); (xv) Thdt. Affect. IV 12, IV 18, IV 21; (xvi) Nemes. Nat. bom. 5.165 (52.18-23 Morani). 2 Cf. Arist. Metaph. © 8 1050b21. 2 How successful is this effort? Here suffice it to say that Aristotle cannot say that celestial matter is that which has the capacity for both contraries, but has to say that celestial matter is that which has the capacity to move from one place to the other. Notice that he cannot characterize celestial motion as a motion between contraries. In the De caelo Aristotle provides arguments for the thesis that there is no motion contrary to circular motion. He does so by showing that circular motion cannot be integrated into a system of contrary motions. More directly, contrary motion takes place between contrary places. But there is no motion contrary to circular motion. The language of contrariety simply does not apply to circular motion. This motion does not take place between contraries but, as Aristotle himself puts it, from the same place to the same place (271a20-22).



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tion is ultimately due to the most active among the forms, τῶν εἰδῶν τοῖς [ἐἹνεργοτάτοις (lines 27-28). These forms have to be the

most active because (1) they are responsible for a continuous circular motion with no beginning and no end, and (2) they impart motion to a body which is endowed with a specific capacity to be moved in place (lines 30-32). On the account given in the papyrus, each body as such is endowed with a specific capacity to move in place, and the exercise of this capacity is invariably a case of rectilinear motion towards some place. It is in the nature of each body, under the appropriate circumstances, to move in a straight line towards some place, and to come to rest once that place has been reached. The author endorses a doctrine of motion that is reminiscent of the one Aristotle presents in the De caelo. Apparently, each body is conceived of as a natural object, that is to say an object equipped with an internal principle of both motion and rest. This internal principle is the ultimate source of the motion the body naturally performs when it moves towards its own place, οἰκεῖος τόπος (lines 36, 40-41). By assigning a natural motion to each body, the author does not intend to deny that a body can be moved in a different way, but wants to point out the need for an external force,

ἑτέρας δυνάμεως, greater than the natural tendency of the body to move towards its own place, κρε[ίττο]νος ἢ κατὰ τὸ σῶμα (lines 34-

35). This external force is needed because each body is naturally at rest in its own place (lines 35-37), and even when the body is moved away from that place it naturally strives to return there (lines 3740). In fact, the very moment the body is no longer forced to move against nature, the body regains the natural motion towards its own place, and stops moving only when it has arrived there (lines 4144). Lines 45-46 contain an argument for the claim that a body naturally comes to rest in its own place. More directly, if the body still possessed a natural principle of motion when it is in its own place, it would be moved away from there. But this would be a case of natural motion away from the natural place (and towards a place against nature), which is absurd. There is therefore only one possibility left: the nature of a body is a principle of both motion and rest. Lines 47-53 «So, whether it is carried away from there in a straight line or in a circle, it is moved by something else, i.e. something which has absolute command of motions because it is primary in genus and moves the body by imparting motion by itself». There is no doubt that away from there, ἐκεῖθεν (line 47-48), is to

be understood as «away from its natural place». We are told that if —

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a body is moved away from its natural place, then (1) its motion is either rectilinear or circular (lines 47-48), and (2) this body is moved by something else, παρ᾽ ἄλλου (lines 48-49). Moreover, παρ᾽ ἄλλου

is to be understood, I think, as claiming that what moves a body away from its own natural body is not itself a body but something else. This is no surprise in the light of what has been said so far. Since a body is naturally at rest in its own natural place, a further thing is required to move the body away from that place. What immediately follows supplies crucial information about this further thing. It explains why it has the power to move the body away from its own natural place. We are told that this further thing has absolute command of motion in virtue of the fact that (1) it is primary in genus (lines 51-52), and (2) it imparts motion to the body by itself (lines 52-53).?? Lines 53-57 Almost everything about these lines is obscure and open to debate: πε]φνυκέναι δὲ οὐδέν [φαμεν κ]εινεῖν πρὸς αὑτὸ ᾿ἕτερα, npd[c]’ μεν [7/8]79 κεινούμενα, ὅπερ [879 ἐ]κείνως ἐκεῖνο È... ἐκεῖ-

ya'c], ἀλλ᾽ ὡς αὐτὸ πέφυκεν.

At this stage of the argument we know that the body can be moved away from its natural place, and that this motion is imparted to the body by something that is generically different from the body (something that is not a body). What follows ὅπερ in line 55 is to

be taken as is about to generically a way that

preparing the positive account of celestial motion which be offered. We are told that this other thing, which is different from the body, imparts motion to the body in is peculiar to its nature.

Lines 58-65 «at any rate, in the case of the soul we say (?) that what is moved is moved διανοητικῶς, and that the body attached in place, [...] in place not in the same way, in so far as reason too goes around intellect as its centre». So

far much effort has been devoted to denying that a material principle is the source of celestial motion, but very little has been said 2 Line 52: [τὸ σῶμα p. 118.

κει]νεῖν, Sedley, Medri; cf., in this volume, Medri’s



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edition,

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about the way celestial motion is caused. Crucial information is now supplied to build a positive account of celestial motion. On the papyrus’ account the celestial bodies are intelligent living beings engaged in thinking. In other words, they have a body but cannot be reduced to a body. The papyrus takes it for granted that there are celestial souls as providers of life and intelligence, and credits them with διάνοια (line 63). Among the Platonists of late antiquity, διάνοια was often distinct from νοῦς and identified with discursive reason. If this distinction is here operative, celestial thinking would be a case of discursive reasoning. Note that the papyrus provides us with the conceptual resources to form an adequate conception of this activity. Celestial reasoning is presented as the rotation of διάνοια around νοῦς as its centre (lines 63-64). This is standard (neo-)Platonic doctrine.? In Enneads II 2 (On Cir-

cular Motion), for example, Plotinus presents the motion of celestial souls as a case of rotation around the centre (II 2.1.31-35). But

how is this claim to be understood? Reasoning is a case of going through different objects, or through one object displaying some internal complexity. Apparently, there is one, and only one, object of celestial reasoning: votc.* But this object is not absolutely simple; it rather consists of a system of eternal truths structured in a specific way. The reference to διάνοια going around νοῦς as its centre suggests that this latter is present to the celestial souls through a process. Going through this very process is for the celestial souls to be moved διανοητικῶς. It is worth noting that the process takes place in a precise sequence of steps to be repeated forever. This is suggested by the fact that a specific orientation is intrinsic to rotation: διάνοια rotates around νοῦς as its centre by moving from one point to the same point in a specific direction (for example, moving in the clockwise direction rather than the reverse). Following the editors, I tentatively supply φαμέν (line 59) and make προσηρτημένον τὸ [σ]ῶμα