Studi su papiri greci di logica e medicina 9788822233462, 8822233468

La serie “Studi e Testi per il Corpus dei Papiri Filosofici” (STCPF) accoglie i risultati di indagini che, pur avendo la

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Italian Pages 216 [218] Year 1985

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Studi su papiri greci di logica e medicina
 9788822233462, 8822233468

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STUDI

E TESTI

PER IL CORPUS

DEI PAPIRI FILOSOFICI 1

GRECI

E LATINI

ACCADEMIA

TOSCANA DI SCIENZE «LA COLOMBARIA»

E

LETTERE

«STUDI» LXXIV

W.CAVINI

M.C. DONNINI MACCIÒ D. MANETTI

M. S. FUNGHI

STUDI SU PAPIRI GRECI DI LOGICA E MEDICINA

FIRENZE

LEO

S.

OLSCHKI MCMLXXXV

EDITORE

VOLUME

PUBBLICATO

CON

E DEL Mmustero

IL CONTRIBUTO

DEL

P.I. (Fondi 40%)

ISBN 88 222 3346 8

C.N.R.

L' Accademia Toscana di Scienze e Lettere © La Colombaria’ ha in corso l'edizione di un Corpus dei papiri filosofici greci e latini dal IV secolo a. all’VIII secolo d. C. - Testi e lessico nei papiri di cultura greco-latina. La cura dei singoli testi papiracei, edizione, traduzione, commenti è affidata a specialisti. Struttura e fini dell’opera sono a cura di un comitato scientifico, nominato dall” Accademia: La * Colombaria ', su segnalazione del comitato, pubblica negli Atti e Memorie o nella collana « Studi», quei. lavori, preparatori per il ‘Corpus’, che si siano sviluppati in articoli autonomi o in compiute monografie. Non si vuole solo, in tale modo, che resti * memoria? degli * scavi” e degli * approfondimenti" compiuti, ma che questi lavori servano

da strumenti per l'intelligenza e lo studio dei testi che saranno pubblicati nel“ Corpus’. La Presidenza dell’ Accademia è lieta di presentare il I volume di tali contributi nella collana « Studi » (LX XIV): Studi su papiri greci di logica e di medicina. Si tratta di due testi, composti tra il III secolo avanti e il 1] dopo Cristo, di grande rilievo: uno, per la storia della logica greca (Papiro parigino 2); l’altro, per lo studio della medicina (Papiro fiorentino 115). Qui non si presentano solo i testi e i commenti,

ma due studi d’insieme: a) La negazione di frase nella logica greca di Walter Cavini, con in appendice il testo, la traduzione e il commento del Papiro Parigino 2 (insieme alla nuova edizione delle colonne, a cura di M. Cristina Donnini Macciò e di M. Serena Funghi); b) Tematica 1 Per i fini, il piano, la struttura del ‘ Corpus’ si rimanda all’Introduzione che apparirà nel I volume dell'opera. Si veda in Asti del XVII Congresso Iuternazio-

nale di Papirologia, Centro internazionale poli, 1984, I, pp. 129-136.

-

per lo studio dei Papiri ercolanesi, Na-

5

filosofica e scientifica nel Papiro Fiorentino 115. Un probabile frammento di Galeno «In Hippocratis De Alimento » di Daniela Manetti. L’ Accademia à lieta di ringraziare gli amici e soci Antonio Carlini e Manfredo Manfredi, del comitato scientifico per il * Corpus’, insieme a Maria Serena Funghi, segretaria, per il costante impegno e la preziosa collaborazione. A loro si deve se l'impresa del * Corpus? sta già imboccando la via della pubblicazione. Siamo sinceramente grati a Jean Scherer dell’Università di Parigi (Sorbonne IV) -- fondamentale il suo appoggio; e alla direzione del Dipartimento Manoscritti del Museo del Losvre - in particolare a Jean Louis Du Senival, che con squisita gentilezza ha dato il permesso

per una nuova edizione del testo del Papiro parigino 2 e per la riprodugione delle fotografie. Il Presidente FRANCESCO ADORNO

I WALTER

CAVINI

LA NEGAZIONE DI FRASE NELLA LOGICA GRECA

INDICE

Nota

LA

DEI

CONTENUTI

liminare .

NEGAZIONE

ARISTOTELICA

1. La sintesi dichiarativa: supplemento di frase e contenuto

de-

scrittivo 2. Negazione semplice c affermazione trasposta. 3. Le asserzioni indeterminate: trasformazione predicativa ed equivocità composta . 4, Portata esistenziale dell'afermazione. 5. Negative categoriche .

LA

NEGAZIONE

1. Frammenti

STOICA

e

testimonianze.

.

2. La teoria stoica degli ἀξιώματα. 3. Negazione semplice e composta. 4. Opposti

contraddittòri

.

5. Ambiguità della negazione ordinaria.

APPENDICE Testo

- IL PApPiRO

e traduzione

.

PARIGINO

2 »

107

Commento

Bibliografia

»

NOTA

LIMINARE

Questo saggio studia l'analisi logica delle frasi negative nelle due tradizioni più importanti della logica greca, la tradizione analitica aristotelica e la tradizione dialettica nel suo esito stoico. La prima parte del lavoro è un esame dell’asserzione negativa in Aristotele, con particolare riferimento al De interpretatione. La seconda studia l’uso preposto della negazione di frase nella tradizione dialettica e la teoria stoica al riguardo. In appendice è dato un commento del Papiro Parigino 2, la cui preparazione mi ha spinto a occuparmi più in generale della negazione stoica e quindi del complesso di problemi legati alla teoria logica della negazione proposizionale nel pensiero greco.

Riporto anche il testo e la

traduzione, che si fondano sulla nuova edizione del papiro, a cura di Cristina Donnini e di Serena Funghi, pubblicata a parte nel presente volume. Il frammento testimonia l’uso dialettico della negazione preposta e documenta inoltre un tipo particolare di ambiguità relativo a tale uso e discusso in logica stoica come ambiguità κατὰ διάστασιν o di divisione. Voglio ringraziare Francesco Adorno, Antonio Carlini, Serena Funghi, Manfredo Manfredi e Walter Leszl per i suggerimenti e il sostegno avuti nel corso del lavoro. Un ringraziamento particolare a

David Sedley, che mi ha comunicato tempestivamente la sua diversa interpretazione del PPar. 2, e a Karlheinz Hülser per avermi gentilmente fornito una copia dei suoi FDS. Devo molto infine alle discus-

sioni con gli studenti del Seminario di Storia della filosofia antica di Firenze; in particolare, la tesi di laurea di Francesco Recami sull’iden-

tità in Aristotele ha richiamato la mia attenzione su un importante testo di Metafisica I 3.

LA NEGAZIONE

ARISTOTELICA

1. La sintesi dichiarativa

La teoria aristotelica della frase dichiarativa (ἀποφαντικὸς λόγος) delineata nel De inferpretatione è in realtà un'analisi logica della dichiarazione o asserzione semplice (ATA ἀπόφανσις), sintatticamente e semanticamente distinta dagli altri tipi di frase dichiarativa, come per es. la frase composta (λόγος σύνθετος). L'analisi procede per distinzioni successive, da quella dei costituenti immediati di ogni dichiarazione semplice (il nome e il verbo) fino ai due tipi di opposizione dichiarativa (contraddittoria e contraria), che sono a fondamento del quadrato logico e rappresentano il punto focale dell’intera teoria. Le distinzioni intermedie più rilevanti riguardano invece, da un lato, la differenza tra espressione (φάσις) e dichiarazione, dall’altro, i vari tipi di dichiarazione semplice: affermativa o negativa, a soggetto universale o singolare, e infine a soggetto universale universalmente o non-universalmente assunto. La serie delle distinzioni principali si può così riassumere: D1 D2

Nome / Verbo Espressione / Dichiarazione

Int. 2-3 4-5

D3

Dichiarazione Affermativa

D4 DS

a Soggetto Universale / Singolare a Soggetto Universale Universalmente / NonUniversalmente assunto Opposizione dichiarativa Contraddittoria /

7

Contraria

6-7, 14

D6

/ Negativa

5-6, 8, 10-11

7

D3 introduce la definizione di ἀντίφασις o coppia di dichiarazioni contraddittorie (un'affermazione e una negazione che riTP

11



spettivamente affermano e negano lo stesso predicato dello stesso

soggetto),

e D4-D5 quella di coppia di dichiarazioni contrarie

(ἐναντίαι ἀποφάνσεις).

D1-D2

stabiliscono

invece

congiunta-

mente il principio che ogni frase si compone di almeno due espressioni (un nome e un verbo), ma che un'espressione come tale

non puó essere usata per fare una dichiarazione (οὐκ ἔστιν εἰπεῖν οὕτω δηλοῦντά τι τῇ φωνῇ ὥστ᾽ drropalveodar). Secondo la metafora del Sofista platonico (2624) nome e verbo (ὄνομα ἰδῆμα) formano rispettivamente l’ordito e la frama di ogni asserzione elementare sul mondo. Aristotele espande e precisa tale metafora. Ogni frase dichiarativa semplice è un intreccio (cvu-

πλοκῇ) di due

elementi diversi. L'ordito o soggetto

gramma-

ticale della predicazione può essere un termine singolare o gene-

rale, a seconda che designi un individuo come Socrate o Bucefalo, o denoti un universale come

uomo o

cavallo. Invece la

trama o predicato grammaticale di ogni predicazione genuina è sempre un termine generale, un predicabile (nel senso di Geach 1962, p. 25; cfr. anche Gaiser 1974, pp. 82, 99, e Weidemann 1982, p. 239 n. 1). L'uso aristotelico di ῥῆμα nel De interpretatione è per altro ambiguo e in almeno tre casi la traduzione vulgata del termine si rivela inesatta. Così per es. in Za. 10, 20b 1-12 ῥῆμα non è un verbo, ma un predicabile (l’aggettivo λευκός): Μετατιϑέμενα δὲ τὰ ὀνόματα καὶ τὰ ῥήματα ταὐτὸν σημαίνει, otov ἔστι λευκὸς ἄνθρωπος ἔστιν

ἄνϑρωπος

λευκός.

L'ambiguità corrisponde del resto alle due clausole che definiscono la nozione di ῥῆμα in 7s. 3, 16b 6-7: da un lato, espressione consignificante un tempo (προσσημαῖνον χρόνον), dall’altro, termine che denota un predicabile ontico (τῶν x«9* ἑτέρου λεγομένων σημεῖον), cioè un universale. In frasi copulative come * ἔστι λευκὸς ἄνϑρωπος ' le due clausole sono soddisfatte rispettivamente dalla copula (in quanto indicatore temporale) e dal nome del predicato (in quanto termine predicabile). Tuttavia per Aristotele la funzione della copula ἐστί non è quella di un puro espediente grammaticale che trasformi all’occorrenza un nome sostantivo o aggettivo in un sintagma verbale. Ogni verbo può essere invece parafrasato con la perifrasi copulativa ἐστί + participio presente, con assimilazione del participio a un aggettivo: —12—

οὐδὲν γὰρ διαφέρει εἰπεῖν ἄνϑρωπον βαδίζειν ἢ ἄνθρωπον βαδίζοντα εἶναι (Int. 12, 21b 9-10). La tesi che il verbo ‘essere’ (nel predicato nominale) consignifica un tipo di combinazione (σύνϑεσίν τινα) dei costituenti di frase, di per sé non spiega di quale combinazione si tratti. In realtà la descrizione più ricorrente nel De interpretatione del ruolo sintattico del verbo * essere ’ non è quella di copula (συμπλοκή), ma di supplemento o aggiunta (πρόσϑεσις): se si aggiunge “ essere ' o “non essere’ a un nome o a una sequenza di nomi, si ottiene una dichiarazione asserforia, rispettivamente affermativa o negativa. La stessa nozione di supple-

mento di frase è usata anche a proposito delle locuzioni modali aletiche (possibile, contingente, ecc.) e delle loro negazioni, con la differenza che i supplementi modali non si aggiungono ai nomi, ma alle frasi dichiarative generate dai supplementi assertori: Infatti, come nei casi precedenti [se/. nelle dichiarazioni assertorie] ‘essere’ e “non essere’ erano supplementi (προσϑέσεις), e i soggetti (τὰ δ᾽ ὑποκείμενα πράγματα) erano ‘bianco’ e ‘uomo’ [cfr. "ἔστι λευχὸς

ἄνϑρωποςἢ, così in questo

caso [sc/. nelle

dichiarazioni modali]

‘essere’ fa da soggetto, mentre ‘essere possibile” e ‘essere contingente” sono supplementi che determinano la verità delle dichiarazioni ‘è possibile che sia ’, “non è possibile che sia ’, così come facevano nei casi precedenti ‘essere’ e ‘non essere’ (Js/. 12, 21b 26-32).

La serie D1-D6 va dunque integrata con la distinzione D7

Supplemento di Frase

/ Soggetto di Frase

Int. 12 e passim,

a cui Aristotele attribuisce un particolare rilievo, come si desume dagli esempi di frase dichiarativa discussi nel De interpreZatione, in cui la copula nominale (il supplemento assertorio affer-

mativo o negativo) compare di regola in posizione tematica all’inizio della frase: asserzioni singolari ἔστι Zwxpdmng λευκός οὐκ ἔστι Σωκράτης λευκός ἔστι Καλλίας δίκαιος οὐκ ἔστι Καλλίας δίκαιος asserzioni indeterminate

de secundo adiacente

ἔστιν ἄνθρωπος οὐκ ἔστιν

ἄνϑρωπος —

13



asserzioni indeterminate

de /er/io adiacente

ἔστι λευχὸς ἄνθρωπος οὐχ ἔστι λευκὸς ἄνθρωπος ἔστι δίκαιος ἄνϑρωπος οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος ἔστιν ἄνθρωπος λευκός

οὐκ ἔστιν ἄνθρωπος λευκός ἔστιν ἄνθρωπος καλός οὐκ ἔστιν ἄνθρωπος καλός

Premettendo a Soggetti di Frase singolari (Σωχράτης λευκός, Καλλίας δίκαιος, ecc.) i supplementi ἔστι [οὐκ ἔστι si ottengono coppie di dichiarazioni contraddittorie, per le quali vale sempre il principio del terzo escluso (Int. 7, 17b 27- 29). Questo tuttavia non accade, come vedremo, con le asserzioni indeterminate (Inf. 7, 17b 29-37). Un caso a parte è rappresentato dalle asserzioni categoriche o generali, cioè dalle universali e particolari (affermative e negative) del quadrato logico aristotelico. Infatti, ἔστι οὐκ ἔστι οὐχ

πᾶς ἔστι τις ἔστι

ἄνθρωπος λευκός πᾶς ἄνθρωπος λευκός ἄνϑρωπος λευκός τις ἄνϑρωπος λευκός

sono interpretabili sia come coppie di dichiarazioni contraddittorie : ogni uomo è bianco non ogni uomo è bianco qualche uomo è bianco non qualche uomo è bianco (= nessun uomo è bianco),

sia come coppie di dichiarazioni contrarie e subcontrarie: ogni uomo è bianco ogni uomo non è bianco (= nessun womo è bianco)

qualche uomo è bianco qualche uomo non è bianco.

Aristotele pertanto segue l’uso non ambiguo di premettere la —

14—

particella negativa direttamente al dezerminante O quantificatore: ἔστι πᾶς ἄνθρωπος λευκός contraddittoria

contraria

où πᾶς ἄνθρωπος

λευκός ἐστι | οὐδεῖς ἄνθρωπος λευκός ἐστι ἔστι τις ἄνθρωπος λευκός

contraddittoria

subcontraria

οὐδεῖς ἄνθρωπος λευκός ἐστι / οὐ πᾶς ἄνθρωπος Acuxóc ἐστι

I determinanti πᾶς, τις, οὐ πᾶς, οὐδεῖς fanno parte del supplemento assertorio e non del contenuto descrittivo (τὰ Oroxel μενα πράγματα) dell'asserzione. Infatti, come spiega Aristotele in /nt. 7, 17b 11-12, il quantificatore πᾶς, per cs., non denota

il soggetto universale, ma il fatto che di esso si asserisce qualcosa universalmente (οὐ τὸ καϑόλου σημαίνει, ἀλλ᾽ ὅτι καϑόλου), cioè che il predicato si applica a ogri individuo appartenente al soggetto. In questo modo anche il caso delle asserzioni generali (afferma-

tive e negative) è riconducibile alla distinzione D7. Ricapitolando: ogni dichiarazione semplice affermativa F si può analizzare aristotelicamente in almeno tre modi: Ri

ΕΝ --ν

R2 Ε-» ἔστι —N —(N/A) R3 F-SA(+ Q) — SF dove N = Nome Sostantivo, V = Verbo, A = Nome Aggettivo, SA = Supplemento Assertorio, Q = Quantificatore, SF = Soggetto di frase. R1 è una regola eliminabile grazie alla trasformazione perifrastica R4

Va>lon—A

e quindi riducibile a R2, quest’ultima interpretabile a sua volta come R3. La regola di riscrittura della negazione aristotelica — F è data dunque da:

R5

—F--SAN(+ Q)— SF —

15 —

dove SAN — Supplemento Assertorio Negativo. Con tale regola si ottiene una negazione che soddisfa i seguenti principi: N1 N2

Per ogni affermazione F esiste una e una sola negazione —F Per ogni affermazione singolare o generale F esiste una e una sola negazione contraddittoria —F.

N1 è applicabile anche a frasi dichiarative complesse come le dichiarazioni modali M, le cui regole di riscrittura si possono così

formulare: R6 R7

M—SM —F —MSMN-—F

dove SM — Supplemento Modale, SMN — Supplemento Modale Negativo, e F è in questo caso il Soggetto di Frase o contenuto descrittivo della dichiarazione modale. A N1 si ricollega inoltre il principio aristotelico secondo cui, trasponendo l’ordine di menzione dei termini descrittivi di una frase, il suo significato non cambia. Quanto a N2 esso segna una differenza importante fta le dichiarazioni singolari e generali, da un lato, e quelle indeterminate,

dall'altro, per le quali infatti vale N1,

ma non

il

principio del terzo escluso e quindi non N2: N3

Per ogni affermazione indeterminata F esiste una e una sola negazione grammaticale (non contraddittoria) — F.

Le frasi dichiarative composte non sono trattate espressamente nel De interpretatione, né in generale nella teoria logica aristotelica (a differenza della logica dialettica, in particolare della dialettica stoica). L'unico esempio è quello discusso brevemente in /nt. 8,

18a 18-27, a proposito di frasi in cui compaia un termine riferito a due cose diverse che non si fondono in unità, come ἱμάτιον usato per cavallo e uomo in (1) ἔστιν ἱμάτιον λευκόν La (1) superficialmente é una dichiarazione semplice, in realtà equivale a (2) ἔστιν ἵππος καὶ ἄνθρωπος λευκός interpretabile a sua volta o come (22) Un cavallo-e-uomo è bianco —

16—

che peró non significa nulla (οὐδὲν σημαίνει), perché uomo ἃ un cavallo; oppure come (2b)

nessun

ἔστιν ἵππος λευκὸς καὶ ἔστιν ἄνϑρωπος λευκός

che é una frase composta di due affermazioni semplici. La negazione di frasi con termini usati come ἱμάτιον nell'esempio citato non é la contraddittoria N2, ma la indeterminata N3. Questo sembra valere per Aristotele (cfr. Ackrill 1963, p. 132)

non solo per dichiarazioni indeterminate come la (1), ma anche per ogni altro tipo di dichiarazione, come per es. la particolare affermativa (3)

ἔστι τι ἱμάτιον λευκόν

la cui negazione contraddittoria è data dall'universale negativa (4)

οὐδέν ἐστιν ἱμάτιον λευκόν

In realtà, se (5) equivale alla frase composta congimtiva (5)

ἔστι τις ἵππος λευκὸς καὶ ἔστι τις ἄνϑρωπος λευχός

allora (4) equivale alla negazione disgiunta (6)

ro οὐδεῖς ἐστιν ἵππος λευκός ἣ οὐδεῖς ἐστιν ἄνθρωπος λευκός.

2. Negazione semplice e affermazione trasposta La struttura '.$ è P" della frase copulativa, dove il predicabile grammaticale P è un nome sostantivo o aggettivo, o un sintagma locativo o preposizionale, o anche un participio o un pronome, ammette in greco tutte e sei le possibili trasposizioni

dell'ordine di menzione pp. 424434):

dei vari costituenti (cfr. Kahn

1 2 3

SP? δὲρ PS

ἄνθρωπος δίκαιός ἐστι ἄνθρωπός ἐστι δίκαιος δίκαιος ἄνθρωπός ἐστι

4 5 6

Pès 25? à PS

δίκαιός ἐστιν ἄνθρωπος ἔστιν ἄνϑρωπος δίκαιος ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος —

17



1973,

La negazione di frase si forma in genere premettendo la particella negativa o al nome del predicato o alla copula: 7

S mon P à

ἄνθρωπος

οὐ δίκαιός ἐστι

8

S P mon à ecc.

ἄνθρωπος δίκαιος οὐχ ἔστι

Il primo tipo di costruzione negativa è quello più frequente in Omero e, in misura minore, nei prosatori classici (Erodoto, Tucidide, Senofonte, Platone); mentre nel greco dei Vangeli e degli Atti prevale la seconda costruzione (cfr. Moorhouse 1959, pp. 138140). Aristotele nei Zopici segue ancora l'uso corrente alternando esempi del primo tipo come φρόνησις οὐκ ἀγαϑόν (ἐστι) (T'6, 119b 33-34) ad altri del secondo come τὸ αἰσϑητὸν οὐκ ἔστιν ἐπιστητόν (B9, 114a 24-25) Nel De interpretatione invece, dove prevalgono, come si è visto, gli schemi di frase copulativa 5 e 6, le due costruzioni negative non sono più considerate equivalenti o semplici varianti stilistiche, ma due tipi di asserzione radicalmente diversi. Nel primo caso, infatti, 9 10

ὁ δ᾽ non P

ἔστιν ἄνθρωπος οὐ δίκαιος

è mon

ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος

PS

la particella οὐ è interpretata da Aristotele non come negazione di frase, ma come negazione di termine: il risultato quindi non è una frase negativa, ma un’affermazione indefinita o trasposta (ἐκ peταϑέσεως), contenente cioè un termine indefinito (ἀόριστον) o anonimo (ἀνώνυμον): um uomo è non-giusto. Nel secondo caso, invece, 11

non è

S P_

12

mon è

PS

οὐκ ἔστιν ἄνθρωπος

δίκαιος

οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος

la particella negativa agisce regolarmente da negazione di frase, —

18 —

esterna al contenuto descrittivo dell'asserzione e parte integrante del supplemento assertorio, generando in questo modo una negazione effettiva, tale cioè da soddisfare i princìpi aristotelici N1 — N3: un uomo non è giusto.

Le ragioni che hanno spinto Aristotele nel De interprefatione a distinguere (contro l’uso corrente) la negazione effettiva dall’affermazione trasposta, sono essenzialmente di due ordini: da un lato, (4) la differenza fra termini definiti, indefiniti e privativi; dall’altro, (δ) la natura della σύνϑεσις dichiarativa e la sua portata esistenziale. In 7s. 10, 19b 19 - 20b 12 la differenza logica che intercorre tra frasi dichiarative de ferio adiacente come per es. (1)

ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος

(2)

οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνϑρωπος

(3)

ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος

(4)

οὐχ ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος

riguarda in primo luogo la qualità delle asserzioni: (1) e (3) sono affermative, (2) e (4) negative. Perciò solo (2) è la negazione di (1), mentre la (3) è l’affermazione trasposta corrispondente. Tale differenza dipende dalla distinzione fra termini definiti e termini indefiniti introdotta da Aristotele già in Inf. 2 e 3 a proposito, rispettivamente, del nome e del verbo, e poi ripresa all'inizio di Int. 10. Secondo tale distinzione οὐ δίκαιος è un esempio di nome aggettivo indefinito, così come οὐκ ἄνθρωπος €. οὐχ ὑγιαίνει sono esempi, rispettivamente, di nomi sostantivi e di predicati verbali indefiniti. Nel caso dei nomi aggettivi i termini A e non-A formano una coppia di opposti contrari o meglio di contrari logici. Se vi sono termini intermedi, non-A equivale alla disgiunzione di tutti i contrari non-logici di A. Così, per es., * non-giusto ’ è sinonimo di ‘o ingiusto o né giusto né ingiusto (cioè mediocre) ’, e ‘ non-bianco ' equivale a “o nero o di un colore intermedio fra il bianco e il nero ’. In questi casi il termine indefinito è più generico dei termini definiti e privativi che compongono l'insieme dei contrari non-logici di 74. Quando invece non ci sono termini intermedi, come per es. fra ‘ uguale ’ e ‘ nonuguale ’ o fra ‘ sano ’ e * non-sano ’, il termine negativo coincide —

19—

col termine privativo (‘ non-uguale' ha lo stesso significato di * disuguale', ‘non-sano’ di ‘malato’, ecc). Ogni coppia di contrari logici esaurisce un campo di predicabilità, cioè un insieme di individui per i quali ha senso dire che sono A o non-A: così * é bianco o non-bianco ’ è vero di ogni superficie colorata, ma non per es. di oggetti astratti come i numeri o le idee platoniche (notoriamente incolori), e “è uguale o disuguale’ si applica solo alle quantità e non anche, per es., alle sostanze o alla qualità. Invece ogni coppia di opposti contraddittori ( o è A o non è A’) è vera κατὰ παντός, cioè si applica a ogni ente possibile (e per Aristotele, vedremo,

anche ai non-enti): cosi di un'idea

platonica si potrà dire che o è di colore bianco o non è di colore bianco, perché non essendo di nessun colore non è neanche (a fortiori) di colore bianco. Alla differenza di qualità fra negazione semplice e affermazione trasposta si unisce quindi per Aristotele una differenza di forza logica o inferenziale: la negazione semplice è più generica (ἐπὶ πλέον), l'affermazione trasposta è pià specifica (ἐπ᾿ ἔλαττον), per usare i termini dei commentatori greci. Pertanto, da un’affermazione trasposta si può sempre dedurre una negazione semplice, ma non viceversa: se qualcosa è di colore non bianco, allora non è di colore bianco, mentre se non è di colore bianco (per es. il numero 5), non necessariamente è di colore non bianco. Questa tesi è sostenuta in modo esplicito in /nz. 12, 21a 38 -

21b 10 ed è svolta nei dettagli in APr. A 46, almeno per quanto riguarda le dichiarazioni assertorie. Più controversa invece la situazione in /rf. 10. Parlando delle frasi dichiarative de fertio

adiacente Aristotele accenna πάνυ ἀσαφῶς

καὶ δι᾽ αἰνιγμάτων

(Ammonio, in Int., p. 161, 1-2 Busse) alla diversa forza logica delle affermazioni e negazioni semplici rispetto alle negazioni e affermazioni trasposte e privative: ὥστε διὰ τοῦτο τέτταρα ἔσται ταῦτα, ὧν τὰ μὲν δύο πρὸς τὴν κατάφασιν καὶ ἀπόφασιν ἕξει κατὰ τὸ στοιχοῦν ὡς al στερήσεις, τὰ δὲ δύο οὔ

Di conseguenza le dichiarazioni saranno perciò quattro, due delle quali Ji troveranno rispetto all'affermazione e negazione nello stesso ordine delle privazioni, e due invece no.

I commentatori antichi interpretano il passo richiamandosi in genere alla più articolata esposizione di APr. A 46. Ammonio, per —

20—

es., lo parafrasa così: le due dichiarazioni frasposte si troveranno rispetto all’affermazione o negazione semplici nello stesso ordine logico di genericità o specificità (ἐπὶ πλέον αὐτῶν 7 ἐπ᾽ ἔλαττον) delle dichiarazioni privative, mentre le due dichiarazioni semplici si troveranno rispetto all'affermazione e negazione frasposte in un ordine logico diverso dalle privative. Pertanto, date le seguenti coppie di dichiarazioni contraddittorie (semplici, trasposte e privative): (1) (2) (3) (4) (5) (6)

ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνϑρωπος ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος οὐκ ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνϑρωπος ἔστιν ἄδικος ἄνθρωπος οὐκ ἔστιν ἄδικος ἄνθρωπος

l'affermazione trasposta e l'affermazione privativa risultano più specifiche della negazione semplice: Ri R2

ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος F οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνϑρωπος ἔστιν ἄδικος ἄνθρωπος F οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος

mentre la negazione trasposta e la negazione privativa risultano più generiche dell’affermazione semplice: R3 R4

ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος F οὐχ ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος F οὐκ ἔστιν ἄδικος ἄνϑρωπος

Invece l'affermazione semplice, a differenza della negazione privativa, è più specifica della negazione trasposta: R5 — R3

ἔστι δίκαιος ἄνϑρωπος F οὐκ ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος

R6

οὐκ ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος F οὐκ ἔστιν ἄδικος ἄνθρωπος

e simmetricamente la negazione semplice, a differenza dell'affermazione privativa, è più generica dell’affermazione trasposta: R7=R1 R8

ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος F οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος ἔστιν ἄδικος ἄνθρωπος F ἔστιν οὐ Sbxatoc ἄνθρωπος

Ammonio tuttavia limita la validità di queste regole alle sole affermazioni e negazioni indeterminate. Per quanto riguarda invece le affermazioni e negazioni quantificate e singolari, negazione sem-

21 —

plice e affermazione trasposta risulterebbero equipollenti. In questo modo si spiegherebbe perché Aristotele in 7s. 10, 20a 23-26 ammette la derivazione di ‘Socrate è non-sapiente ’ dalla negazione di * Socrate è sapiente’, e in /nt. 10, 20a 26-30, 39-40 considera l’affermazione universale trasposta * Ogni uomo è nonsapiente’ come avente lo stesso significato della negazione universale semplice ‘ Nessun uomo è sapiente '. Il diverso comportamento logico delle indeterminate si spiega, secondo Ammonio, tenendo conto della particolare natura di tali frasi: «nel loro caso, infatti, per via della indeterminatezza dei soggetti, è lecito applicare la proposizione negativa anche a

qualcos'altro oltre a ciò che è designato dal soggetto (della indeterminata), per es. ‘Il cane non è un uomo giusto’ » (p. 183, 1-4). L'argomento è quello usato da Aristotele in 7s7. 12, 21b 2-5,

quando dimostra che la negazione di ' ἔστι λευκὸς ἄνθρωπος ' non può essere * ἔστιν οὐ λευκὸς ἄνθρωπος᾽, perché di un pezzo di legno è falso dire sia che è μὴ somo bianco, sia che è un uomo non-bianco. Pertanto ogni indeterminata è trasformabile in un predicato grammaticale, per es. la (2) (2)

οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος

compare come predicato negativo complesso nella (7) (7)



κύων οὐχ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος

che a sua volta non è indeterminata, ma universale o singolare, a

seconda che l'articolo determinativo sia generico (πᾶς κύων) o deitico-anaftorico (69e | ἐκεῖνος ὁ κύων). La trasformazione predicativa così delineata è propria solo delle indeterminate e non si applica né alle generali né alle singolari, perché nel primo caso coordineremmo il quantificatore col predicato, violando la regola aristotelica di 7»/. 7, 17b 12-16; (8)

οὐδεῖς ἄνθρωπος δίκαιός ἐστι

(9)

* ὁ κύων οὐδεῖς ἄνθρωπος

δίκαιός ἐστι

mentre nel secondo si predicherebbe un termine singolare complesso, ottenendo cos] una predicazione spuria: (9)

Σωχράτης

δίκαιος οὐκ ἔστι

(10)

* Θεαίτητος Σωχράτης δίκαιος οὐκ ἔστι —

22



la quale anche se interpretata non come predicazione, ma come identità, risulterebbe ugualmente inaccettabile, perché il greco comune (ἡ ᾿Ελληνυκὴ χρῆσις), come del resto l'italiano, prevede in questi casi non l'attributo, ma l'apposizione: (11) (12)

Θεαίτητος Σωχράτης ὁ δίκαιος οὐχ ἔστι Σωκράτης ὁ φιλόσοφος Σωχράτης ὁ νεώτερος οὐκ ἔστι

L'esegesi di Ammonio, se salva la coerenza interna di 7s. 10, 81 espone tuttavia ad almeno duc tipi di obiezione, il primo riguardante in particolare gli oggetti inesistenti, il secondo invece la concordanza di 7/77. 10 con le tesi di APr. A 46. Quanto agli oggetti inesistenti, come per es. l'ircocervo, se valgono le seguenti equivalenze: (13) (14)

ἔστι τις δίκαιος τραγέλαφος++ οὐ πᾶς ἐστιν οὐ δίκαιος τραγέλαφος πᾶς ἐστιν οὐ δίκαιος τραγέλαφος€» οὐδείς ἐστι δίκαιος τραγέλαφος

la prima in base ἃ 7s;. 10, 20a 22-23 e la seconda a 7s. 10, 20a 28-30, 39-40, allora, dal momento che nessun ircocervo è giusto, è

vero anche, per l’equivalenza (14), che ogni ircocervo è non-giusto. Questo pone tre problemi. /n primo /vogo, com'è possibile che il predicato grammaticale ‘è non-giusto ’ risulti vero di qualcosa, come l'ircocervo, che non è suscettibile (μὴ δεκτικόν) di essere né giusto né non-giusto? 71 secondo luogo, anche se potesse applicarsi a cose non appartenenti al campo del termine ‘giusto ' o dei suoi contrari non-logici (ingiusto o mediocre), come potrebbe essere vero di oggetti inesistenti, dal momento che ‘è non-giusto ' predica in aggiunta l’esistenza dell'oggetto? Infine, ammettendo che ciò non avvenga, dov'è allora l'ircocervo a cui poter applicare il predicabile ‘ non-giusto '? Ammonio scioglie puntualmente tutte e tre le aporie, ma la risposta cruciale è quella al primo quesito. Secondo l'interprete (p. 184, 1-9), è contrario alle intuizioni comuni (μάχεται ταῖς κοιναῖς ἐννοίαις) sostenere che un oggetto, esistente o inesistente, può non essere né A, né non-A, per es. né buono né non-buono, né giusto né non-giusto, ecc. In realtà, mentre il termine definito è applicabile solo a oggetti che possono essere A, il termine indefinito è vero anche di oggetti non suscettibili di essere A: così, per es., ‘è non-giusto ’ è vero non soltanto degli uomini ingiusti o mediocri o anche non ancora nati, ma altresì di oggetti non suscettibili di —

23 —

qualità

morali,

sia esistenti

come

una

pietra,

sia fittizi come

« l’ircocervo di cui tanto si parla ». In breve, ‘è non-giusto' equivale a ‘non è giusto’, contro la teoria filosofica dei contrari logici, ma in accordo con le intuizioni comuni (e, potremmo aggiungere, col greco di Omero e dei prosatori classici). Diverso ovviamente il caso dei predicati grammaticali complessi, come ‘è uomo non-giusto' o *é uomo ingiusto ', ottenuti per trasformazione predicativa delle frasi indeterminate corrispondenti e che risultano falsi di qualunque oggetto παρὰ τὸ ἄνϑρωπον. La seconda aporia si risolve distinguendo, con Aristotele, due usi diversi del verbo ἔστι (p. 184, 10-25). Il primo è per se e ha valore esistenziale, come in * τραγέλαφος ἔστι ” (* Esiste un ircocervo ’); il secondo invece è per accidens, dove ἔστι ha il ruolo puramente sintattico di parte « non-separabile » di un predicato grammaticale accidentale, come appunto “ἔστιν οὐ δίκαιος. Tale predicato, non implicando l'esistenza del soggetto, puó essere vero anche di enti fittizi, così come, secondo l'esempio aristotelico, ‘ è un poeta ’ è applicabile anche a poeti ormai morti come Omero (/rf. 11, 21a 24-28). Infine, quanto alla terza aporia, un ente fittizio, sebbene non si trovi nello spazio e nel tempo, è pur sempre concepibile e nominabile, a differenza di ció che non esiste in nessun modo (τὸ μηδαμῶς ὄν), e ha quindi una sua esistenza nell'immaginazione o nel pensiero (pp. 184, 25-185, 7).

Il vero problema è rappresentato dal secondo tipo di obiezione (p. 186, 3-17). L'esegesi di Ammonio

sembra

scontrarsi

in particolare con la tesi di APr. A 46, 51b 25-27, secondo cui affermazione trasposta e negazione semplice non hanno lo stesso

significato, perché mentre la prima presuppone qualcosa (ὑπόκειταί τι), la seconda non presuppone niente: οὐδὲ τὸ εἶναι μὴ ἴσον καὶ τὸ μὴ εἶναι ἴσον [s]. οὐ ταὐτό tam]: τῷ μὲν γὰρ ὑπόκειταί τι, τῷ ὄντι μὴ ἴσῳ, καὶ τοῦτ᾽ ἔστι τὸ ἄνισον, τῷ δ᾽ οὐδέν (non sono la stessa cosa) neanche ‘ è non uguale” e * non à uguale ' : i] primo

infatti, ossia ' è non uguale’, presuppone qualcosa, cioè il disuguale, mentre il secondo non presuppone niente.

Il punto cruciale per l’intelligenza del testo è ovviamente la formula ὑπόχειταί τι, che alcuni interpretano come presupposizione categoriale, altri invece come presupposizione esistenziale (cfr. Wedin 1978, pp. 191-192 e n. 19, p. 195). Nel primo caso, —

24...

‘è non-uguale appartenga al * non-uguale ' secondo caso,

’ presuppone che il soggetto sia una quantità, cioè campo di applicazione del predicabile indefinito (equivalente al termine privativo ‘ disuguale ?). Nel invece, ‘è non-uguale ’ presuppone o implica che

ci sia qualcosa, cioè si applica soltanto a oggetti esistenti. Quest'ul-

tima è anche la soluzione di Ammonio (p. 186, 6-8): πρὸς ὃ δηλονότι φήσομεν, ἐφ᾽ ὧν τὸ ἔστι xa9' αὑτὸ κατηγορεῖται, ταῦτα διορίζεσθαι τὸν ᾿Αριστοτέλην

A ciò risponderemo chiaramente che Aristotele definisce i casi nei quali ‘è’ si predica per se

cioè ha un valore non solo copulativo, ma anche esistenziale, com'é stato spiegato in precedenza (p. 184, 10-22) a proposito della seconda aporia. Per tale uso swrdeferminato del verbo ‘essere’, (cfr. Kahn 1981, p. 105), * è non-uguale ’ risulterà equivalente al predicato congiuntivo “ esiste ed è non-uguale', mentre “non è uguale’ equivarrà al predicato disgeuntivo “o non esiste o esiste

e non è uguale”. Il primo potrà essere vero soltanto di oggetti esistenti, mentre il secondo sarà applicabile anche a tutti gli oggetti inesistenti. In questo caso dunque l'affermazione trasposta risulterà più specifica della negazione semplice. Ma una volta definito quest'uso particolare di ἔστι, negli altri casi le regole di equipollenza stabilite per /r#. 10 saranno valide in realtà non solo per le proposizioni generali e singolari,

ma anche per le indeterminate, quando queste siano prese come proposizioni e non come predicati complessi, quando cioè, per 68.» (2) (3)

οὐκ ἔστι δίκαιος ἄνθρωπος ἔστιν οὐ δίκαιος ἄνθρωπος

siano lette rispettivamente come (2a) Un uomo non è giusto

(3a) Un uomo è non-giusto e non invece

(2b) non è un uomo giusto

(3b) à «n somo non-giusto.

—25 —

3. Le asserzioni indeterminate La frase dichiarativa semplice

indeterminata si costruisce

di

regola nel De interpretatione premettendo il supplemento assertorio (affermativo o negativo) ai costituenti descrittivi della frase. Ciò rende possibile, come si è visto, una lettura sia proposizionale sia predicativa dell’espressione ἔστιν A Β. Un

B à A

è un B (5 + (priv + P)).

Da questa analisi risultano chiaramente distinti due tipi di enunciati semplici non affermativi, cui corrispondono due tipi di negazione,

rispettivamente,

esterna

o proposizionale

(per

cui

useremo il simbolo “—’ e interna (del soggetto, 5, o del predicato, P). Lo schema riassuntivo dei tipi di enunciati semplici costituiti da un elemento negativo è dunque il seguente: A (= Enunciati semplici) con particella negativa

denegativa

privativa

— (S+2) (+ — (—G-4P)

(5 4- P)

mentre per gli enunciati semplici affermativi (cioè senza particella negativa ecc.) il criterio distintivo è in generale la diversa natura

del soggetto, in quanto appartiene a una diversa categoria lessi-- 54



cale (D.L.) e quindi ha un diverso modo di riferimento e l'enunciato in cui compare ha diverse condizioni di verità (S.E.): A (= Enunciati semplici)

con soggetto definito

(Def+P)

intermedio

(Int+2)

indefinito

(In+dP)

La particella negativa proposizionale non

è, secondo

gli

stoici, un connettivo come per es. la congiunzione, la disgiun-

zione e il condizionale. Questo perché la negazione controlla uno e un solo enunciato A (sia semplice sia composto), mentre i connettivi « governano » o uno stesso enunciato reduplicato (per es. A & A) o due enunciati diversi (A & B, ecc.). Questo fatto pone alcuni problemi. In primo luogo ci si chiede che senso abbia parlare, come fa Diogene, ma non Sesto Empirico o altre fonti, di enunciato semplice negativo. Nell'odierna logica matematica, per es.,

‘—’ è un connettivo proposizionale mario, cioè una fun-

zione di verità a un solo argomento o posto, interpretabile come segue: se A è vero, allora — A è falso, e se Aè falso, allora — Aè vero.

Un connettivo è vero-funzionale se la verità o falsità degli enunciati composti costruiti mediante esso è funzione solo della verità o falsità dei suoi enunciati componenti. Inoltre un enunciato è detto atomico se non contiene nessun enunciato come suo componente. Pertanto, sotto questo profilo, la negazione esterna degli stoici è un connettivo vero-funzionale che applicato a un enunciato semplice genera un enunciato 507 atomico (come secondo la testimonianza di Diogene), ma molecolare: — A ha infatti come suo componente un enunciato, cioè A. D'altra parte per gli stoici un enunciato è semplice non perché non ha parti, ma perché le sue parti non sono a loro volta enunciati bensì λεκτά incompleti (soggetto e predicato) (S.E. AM VIII 94; Mates 1961?, p. 29 n. 16). Mates considera la testimonianza di Diogene relativa agli enunciati negativi semplici in conflitto con quella di Sesto (19612, p. 31). La testimonianza di Diogene sembra dire che per gli stoici un enunciato è semplice se le sue parti non sono enunciati —_ 55 —

(cfr. Sesto Empirico) o sono un solo enunciato come nel caso della negazione semplice. In seguito Mates ha negato che per gli stoici gli enunciati negativi siano enunciati semplici (Mates 1965, p. 223). Il problema non è toccato da Bocheriski (1951, 1956), che non prende in considerazione la testimonianza di Diogene. Per M. Kneale (1962 / 1972, p. 174) Diogene «scrive come se tutti i negativi fossero ἀξιώματα semplici ». Ma questo è inesatto: Diogene dice che un enunciato costituito di una particella di negazione o di m solo ἀξίωμα è un enunciato semplice (questo secondo la restituzione del testo lacunoso proposta da Goulet); parlando degli enunciati opposti è vero che, a differenza di Sesto, fa un esempio solo di opposti semplici, mentre esempi di negazione di enunciati non-semplici sono dati solo in riferimento alla dottrina degli anapodittici (VII 78, 80). Ma questo è dovuto forse a trascuratezza di Diogene nel riportare la sua fonte, o allinsufficienza di quest'ultima, che in generale si rivela meno precisa di quella a cui potè attingere, per es., Sesto Empirico. In realtà, come osserva Frede (1974, p. 70), vi sono due distinti problemi: (1) se enunciati come: * Non (Dione passeggia)', siano semplici secondo la dottrina stoica; e (2) se anche enunciati come:

* Non (Dione passeggia e Teone discute) * siano da considerarsi semplici. Quanto al primo interrogativo è evidente che per Diogene tali enunciati sono semplici, in quanto la negazione non solo ἃ introdotta e classificata fra gli enunciati semplici, ma anche è descritta come gli altri enunciati semplici. Resta in effetti, come ha notato Mates, l'incompatibilità col passo di Sesto (AM

VIII 94): Come infatti chiamiamo ‘semplice’ l'ordito sebbene consista di (συνεστόταλ) fili, perché non è un intreccio di orditi, omogenei con esso; così si dicono enunciati semplici, perché non consistono di enunciati, ma di altre cose.

Le altre cose sono il soggetto e il predicato; nell’esempio di Sesto: ‘ È giorno ’. D'altra parte, quando Sesto definisce l'enunciato semplice stabilisce due condizioni negative: è semplice l'enunciato che non consiste dello stesso enunciato ripetuto due volte né di più enunciati diversi; e in entrambi i casi ad opera di connettivi. A queste condizioni, l'enunciato negativo ‘Non (Dione passeggia) ’ è semplice, perché non è ripetuto due volte, né consiste di enunciati diversi, e quindi non vi sono connettivi —

56 —

come la congiunzione o la disgiunzione o la negazione (gli unici menzionati da Sesto). Il peso negativo di questa testimonianza e così ridimensionato. Quanto invece al secondo interrogativo (che in Frede per la verità è formulato in modo discutibile), mi pare si possa concludere che, come la negazione di un enunciato semplice è per gli stoici un enunciato semplice, così, simmetricamente, la negazione di un enunciato composto é un enunciato composto. Si parla per es. di « congiunzione negativa », e una congiunzione è appunto un esempio di enunciato non-semplice. Pertanto una congiunzione negativa è un enunciato non-semplice negativo. In conclusione, per gli stoici (come per l'odierna logica matematica) la negazione esterna controlla uno e un solo enunciato sia semplice (— (A)), sia non-semplice (— (A & B)),

ma nel primo caso l'enunciato negativo è semplice, nel secondo è composto. (In proposito si può citare anche una testimonianza di Porfirio conservata in Boezio, /n Int. II, p. 86, 7-9 Meiser: «simplices ergo enuntiationes sunt affirmationes vel negationes, quae singulis verbis ac nominibus componuntur ».) Evidentemente se vi è conflitto almeno a proposito della semplicità di — A questo non è fra la testimonianza di Sesto e quella (parziale) di Diogene, ma & interno anzitutto alla testimonianza di Sesto, secondo cui un enunciato è semplice se le sue parti costitutive non sono a loro volta enunciati: e in questo caso (— (A)) è non-sem-

plice perché una delle sue parti è un enunciato; e d'altra parte un enunciato è semplice se non è costituito da connettivi (in senso stoico) e da uno stesso enunciato ripetuto due volte o da due enunciati diversi, e in questo caso (— (A)) è evidentemente semplice. Il primo criterio è quello dell’odierna logica matematica. E su questo punto (come sulla natura dei connettivi) almeno per quanto riguarda la negazione la logica stoica diverge significativamente dalla logica elementare contemporanea. 4. Opposti contraddittàri La negazione esterna è parte integrante della definizione stoica di enunciati opposti (ἀντικείμενα). Il prefisso negativo trasforma un enunciato nel suo opposto contraddittorio. La testimonianza in proposito di Sesto è più precisa, mentre quella di Diogene non riporta esplicitamente, ma solo nell’esempio, la .- 57 —

regola della negazione esterna. Val la pena di leggere i due testi in parallelo: S.E. AM VIII 89 φασὶ γὰρ « ἀντικείμενά ἐστιν ὧν τὸ ἕτερον τοῦ ἑτέρου ἀποφάσει πλεονάζει», οἷον « ἡμέρα ἐστίν», «οὐχ ἡμέρα ἐστίν ».

D.L. VII 73 ἔτι τῶν ἀξιωμάτων χατά τ᾽ ἀλήϑεῖιαν xal ψεῦδος ἀντικείμενα ἀλλήλοις ἐστίν, ὧν τὸ ἕτερον τοῦ ἐτέρου ἐστὶν ἀποφατικόν, olov τὸ « ἡμέpx ἐστί» καὶ τὸ « οὐχ ἡμέρα ἐστί ».

Le due testimonianze sono significative anzitutto per lo stile e le fonti delle due notizie. Quello che in Diogene è un brusco accenno (rispetto al contesto precedente in cui si espongono i vari tipi di enunciati molecolari) alle condizioni di verità degli opposti (κατὰ τ᾽ ἀλήϑειαν καὶ ψεῦδος), in Sesto è la premessa della sua discussione della dottrina stoica degli opposti (cfr.

a AM

VIII

88 la definizione stoica di vero e falso). Il vero, secondo gli stoici, è ciò che esiste ed è opposto a qualcosa, il falso è ciò che non

esiste e tuttavia è opposto a qualcosa. Questa definizione presuppone nel definiens il concetto di opposizione: il vero è ciò che esiste ed è opposto al falso, il falso è ciò che non esiste, ma è opposto al vero. Ma la definizione stoica di opposto come ciò che « eccede » (πλεονάζει) il suo opposto per la negazione risulta insufficiente e richiede l’ulteriore precisazione che la negazione eccede in quanto « è premessa » (προτάττεται) all'enunciato opposto e non in quanto è parte di esso. La notizia di Sesto è illuminante sotto molti aspetti. In primo luogo dalla definizione di vero e falso e dalla stretta connessione con quella di enunciati opposti (nel senso stoico di opposti contraddittòri) otteniamo le condizioni di verità degli enunciati negativi: (i) se ( — A) è vero, allora —(—A) è falso (ii) se (—A) è falso, allora —(—A) è vero.

La

supernegativa

—(—

A)

equivale

alla affermativa

tanto la clausola (i) si può riscrivere così

(i*) — (Falso) = e la clausola (ii) (1i*)

— (Vero)= Falso.

- 58 —

A.

Per-

L'interpretazione della particella stoica equivale dunque a quella del connettivo unario corrispondente dell'odierna logica classica. Una conseguenza importante è che ogni proposizione è sempre e solo o vera o falsa. Se un enunciato non è falso, allora è vero:

— (— A) + A (regola della supernegativa o della doppia negazione forte, equivalente al principio del terzo escluso: A o — A). Si precisano in questo modo i tratti formali della teoria stoica della negazione, per la quale valgono dunque (D

l’interpretazione vero-funzionale della particella: la negazione di un enunciato è vera solo se l'enuaciato è falso, e falsa solo se l’enunciato è vero;

(IT)

la legge della doppia negazione forte e quindi il principio equivalente del terzo escluso.

Inoltre due enunciati veri (per la definizione giunzione A & — A gazione, cioè — (A & dizione. Tale principio

opposti non possono mai essere entrambi di opposto), e quindi per ogni A, la conè sempre falsa, e quindi è vera la sua ne— A), che ἃ il principio di non contradequivale alla

(II) doppia negazione debole: 44 — — — A.

Una conseguenza importante di (IT), che discuteremo in seguito a proposito del significato della negazione esterna, & che se due enunciati opposti non sono mai entrambi veri, non sono mai neanche entrambi falsi. Supponiamo che i due enunciati opposti 44 e — A siano entrambi falsi, allora sono entrambi veri i loro opposti, cioè — A e — (— A). Ma per la legge della supernegativa — (— A) equivale ad A. Quindi si avrebbe che (Α & — A) è vera. Ma questo viola il principio di non contraddizione. Comunque per l'uso stoico della negazione esterna la notizia più importante contenuta nella testimonianza di Sesto (e del tutto assente in quella parallela di Diogene come anche nelle altre fonti elencate) & quella relativa alla negazione di enunciati non-semplici. Se è facile stabilire qual è la negazione di ‘ Dione passeggia’, non lo è altrettanto nel caso di ‘Dione passeggia

e Teone discute’. Si possono avere quattro situazioni (cfr. Quine 1959/1960, pp. 22-23): (1) (2) (3) (4)

(A & B) (—.4& B) (4 & —B) (—.4 & — B)

= = = =

Dione passeggia e Teone discute. Non (Dione passeggia) e Teone discute. Dione passeggia e Non (Teone discute). Non (Dione passeggia) e Non (Teone discute).

È chiaro che — (A & B) nega soltanto la prima situazione e pertanto le altre tre risultano vere e non equivalgono alla negazione di A & B. Di qui la necessità per gli stoici, come riferisce Sesto, di precisare l'espressione « eccede per la negazione » che ricorre nella definizione di opposti. — A & 2 non è l'opposto di A & B, anche se «eccede» («ha in più » rispetto a) A & B per la negazione. L'opposto di A & B è (come per le negative semplici) — (A & B). La negazione della congiunzione * dione passeggia e Teone discute” è dunque ‘Non (Dione passeggia e Teone discute) ', equivalente per la terza legge di De Morgan alla disgiunzione * Non (Dione passeggia) o Non (Dione discute) ’, che è vera nel secondo, terzo e quarto dei casi sopra elencati, ma non nel primo (cioè è falsa se e solo se — A e — B sono entrambi falsi). Pertanto la negazione oggettiva è un prefisso che controlla l’intero enunciato (eccede l’intero enunciato) plice sia non-semplice.

sia sem-

È come si vede una soluzione rigorosa ed elegante di un problema del tutto contro-intuitivo almeno per quanto riguarda la negazione degli enunciati complessi. Qual è la negazione di ‘ Se è giorno, allora è luce" o di * È giorno o è notte’? D'altra parte esistevano nel greco filosofico esempi di negazioni complesse. Si pensi alla formulazione del principio di non contraddizione,

per es. in Aristotele, Metapb. T' 4, 1006b 33 (cfr. anche ivi 1005b 19-20 e PI. R. IV 436b 8-9 [Kneale & Kneale 1962/1972, p. 17; Dancy 1975]): οὐκ ἄρα ἐνδέχεται ἅμα ἀληϑὲς εἶναι εἰπεῖν τὸ αὐτὸ ἄνθρωπον εἶναι x«i μὴ εἶναι ἄνθρωπον,

che è una versione modale del principio di non contraddizione: Non è possibile dunque dire che è vero contemporaneamente che la stessa cosa è un uomo

e non

è un uomo.



60 —

Alla perifrasi modale si può sostituire ‘Non è vero che (...)᾽, ma questo porterebbe a distinguere un atto discorsivo di negazione (ingl. demia/) distinto dalla asserzione, con gli inconvenienti notati sopra (p. 50). Gli stoici sembrano ammettere solo l'atto discorsivo di asserire (ἀποφαίνεσθαι: cfr. SE. AM ΤΊ e l’uso di ἀποφαίνομαι, detto di una negazione, nel P Par. 2, per es. (3): ... οὕτως ἀπεφαίνετο᾽ οὔ μοι ...). Quindi la formula stoica di negazione: Non (...)

è interpretabile come asserzione di una negazione (È vero che) Non (...)

e non come il diniego (atto illocutivo) di una asserzione secondo l’ordinaria perifrasi (Non è vero che) (...).

Il campo degli atti illocutivi e perlocutivi (cioè degli atti di parola con cui si fa qualcosa, una dichiarazione, un comando, una domanda, ecc., e si produce un effetto sull’ascoltatore), è stato

esplorato ampiamente dagli stoici. Apollonio Discolo è debitore alla tradizione stoica della sua suggestiva analisi atti di discorso a proposito dei modi o διαϑέσεις dei (Synt. ΤΠ 6, 207 passim, cfr. Steinthal II 277-279). La soluzione stoica del problema della negazione degli ciati non-semplici ha indubbiamente molti vantaggi:

forse degli verbi enun-

— la negazione esterna è comune sia agli enunciati semplici sia agli enunciati non-semplici; — la negazione esterna permette la riduzione del discorso dichiarativo alla sola asserzione (per altro già in Aristotele, 7s. 5-6, affermazione

e negazione sono due tipi di asserzione o ἀπόφανσις); — la negazione esterna permette di riconoscere « a colpo d’occhio » la « qualità » negativa dell'enunciato, sia semplice sia complesso.

Quest'ultimo punto offre l'occasione di trarre alcune conclusioni dall'analisi fin qui svolta delle due testimonianze di Diogene e di Sesto. In Diogene la negazione esterna serve a distinguere la qualità negativa di un tipo di enunciato semplice rispetto agli —

61—

enunciati semplici affermativi, ma soprattutto rispetto agli altri tipi di enunciati semplici aventi una particella negativa, cioè i denegativi e i privativi. In una fase a soggetto e predicato il prefisso negativo può modificare o il soggetto (denegazione) o il predicato (privazione) o infine l'enunciato nel suo insieme (negazione). In schema

S+P —(S+P)

S+

S+

È la conclusione che trae anche Goulet (1978, pp. 184 sg.): Lorsqu' on compare les trois définitions et les trois exemples donnés dans la liste des négatives, on s'apergoit que cette division entend répertorier tous les types de propositions comportant un élément négatif. Le principe de classification semble étre de déterminer pour chaque type de proposition la portée de la particule négative. La négation peut

en effet nier la totalité de la proposition ou bien seulement une partie.

In Sesto Empirico i casi della denegativa e della privativa non sono trattati. Non solo, ma fra gli enunciati semplici si enumerano unicamente quelli affermativi; mentre la negativa, sem-

plice o complessa, & introdotta soltanto a proposito degli opposti. Tuttavia ἃ chiaro dagli esempi riportati che la regola della negazione esterna vale sia per la negazione di enunciati semplici ( οὐχ ἡμέρα ἐστί ᾽ sia per quella di enunciati complessi (‘ οὐχὶ [ἡμέρα ἐστὶ καὶ φῶς ἐστί] "). La negazione esterna non è parte dell'intero enunciato,

ma

« domina » l'intero enunciato,

rende negativo (χυριεύει πρὸς

cioé lo

τὸ ἀποφατικὸν ποιῆσαι τὸ πᾶν

[AM VIII 90]). Lo schema in Sesto è dunque il seguente: Non (...)

Non (.4 + B)

Non ($ + P)

La connessione * + * nei due casi è ovviamente diversa. Nel caso di (A + B) si tratta di una connessione fra enunciati, ed è quindi una variabile sui connettivi stoici. Nel caso, invece, di (5 + P)

la connessione * +

è la connessione predicativa. In comune i —

62



due tipi di connessione hanno il fatto che per essi si costituisce uno e un solo enunciato a forma soggetto-predicato o non a forma soggetto-predicato, ma di forma complessa, e controllato a sua volta da un connettivo:

(A & B) — &(A,B) (A4 o B) — o (A, B) (A4



B)

Ξε

—(A,

D).

(Cfr. la definizione di enunciato non-semplice in S.E. AM VIII 108, e in particolare la clausola finale: xai ἐν olg σύνδεσμος

3| σύνδεσμοι ἐπικρατοῦσιν [omesso da Mates 1961*, p. 97]). Un

connettivo «governa » (ἐπικρατεῖ un enunciato non-semplice, la particella negativa « domina » (κυριεύει) l’intero enunciato in

quanto «eccede» (πλεονάζει, usato insieme a ἐπικρατεῖν in PH 151) l’intero enunciato comparendo in posizione iniziale. Questo parallelismo fa pensare che la negazione controlli l’intero enunciato in quanto ne controlla l’elemento di connessione, predicativo per gli enunciati semplici, connettivo per i composti; cioè che la negazione oggettiva modifichi un enunciato nel suo opposto operando sull’elemento di connessione dell’enunciato stesso: Non (...)

Non (5. + P)

Non (A + B)

Il controllo di cui parla Sesto esercitato dalla negazione su un intero enunciato e dai connettivi su due enunciati (ma cfr. anche AM VIII 97 dove si dice che il pronome indefinito « domina » [κυριεύει] l'enunciato indefinito) è stato assimilato all'ambito o raggio d’azione (scope) di un connettivo vero-funzionale dell'odierna logica matematica (Mates 1961, p. 31; Kneale & Kneale 1962/

1972, p. 175). In effetti per ambito di un operatore (connettivo o quantificatore o descrizione definita ...) si intende la parte di una formula su cui esso opera. L'ambito di un operatore puó essere ambiguo; di qui l'uso delle parentesi per delimitarne il raggio di azione (un esempio di tale ambiguità è forse il paradosso stoico riferito da Sesto P7 II 241, ma forse è più opportuno espungere con E. Weber ai rr. 24-25 e 25-26 xol κέρατα ἔχεις [Mates 19613, p. 31 n. 27]). —

63—

Come operatore la negazione opera su un intero enunciato trasformandolo nel suo opposto contraddittorio. Si puó concludere a questo punto che la negazione ordinaria ha il difetto agli occhi degli stoici di avere un raggio di operazione ambiguo in quanto, essendo posta ordinariamente di fronte al sintagma verbale,

tende a confondersi con gli enunciati semplici di forma (S + P),

cioè con i privativi. Quanto invece agli enunciati non-semplici l’ambiguità di ambito è analoga, solo che qui le parti di un enunciato non sono soggetto e predicato, bensì due enunciati. Si ha pertanto il seguente parallelismo: Non (...)

Non (S+P2)

Non (A+3B)

S+P

(B) A-+Non

Ma vediamo in dettaglio i due tipi di ambiguitä: anzitutto a proposito dei denegativi e privativi l'ambito dell'operazione non & ambiguo, c l'operazione si risolve nella costruzione di soggetti o, rispettivamente, predicati non-semplici; così in frasi come (1) Nessuno (non-uno) passeggia (2) Dione è inumano (non-umano).

Prendiamo invece la negazione ordinaria (3) Dione non passeggia (4) Dione non è umano

Che cosa controlla in questi due casi la particella * non’? Stando alla «posizione naturale» (in greco come in italiano e nelle altre lingue europee: cfr. per es. Tesnière 19691, p. 219, e per il greco antico KG II 179; 1,47 s.v. οὐ, B [di fronte alla parola negata]; Schwyzer II 596 c [di fronte al verbo]; ma soprattutto Wackernagel VS II 256 sgg. e Moorhouse 1959) della negazione oggettiva e volendo estendere ad essa il tipo di controllo esercitato dalla denegativa e dalla privativa, dovremmo concludere che essa modifica il sintagma verbale, e costruire la negazione ordinaria sul modello di (1) e (2) cosi (3*) (4*)

Dione non-passeggia Dione non-è-umano



64 —

o anche

(3**) Dione non-é passeggiante (4*9 Dione non-è umano.

Vedremo nella sezione successiva che alcune testimonianze antiche confermeranno la tesi della ambiguità secondo gli stoici della negazione ordinaria e ci aiuteranno a dare un senso preciso a enunciati come (3*)-(4**). Quanto agli enunciati non-semplici la testimonianza di Sesto è inequivocabile: il problema da risolvere è quello dell’ambiguità del campo d'operazione della particella, solo che qui si tratta di assumere il controllo o di una parte dell’enunciato mo-

lecolare, o anche di entrambe le parti, oppure dell’infero enunciato. Si tratta di decidere, per es., fra (5) Dione passeggia e Non (Teone discute) (6) Non (Dione passeggia) e Teone discute

(7) Non (Dione passeggia) e Non (Teone discute) (8) Non (Dione passeggia e Teone discute)

Solo la (8) è la negazione di ‘Dione passeggia e Teone discute ’ e non è equivalente né a (5) né a (6) né a (7), ma gli altri tre casi soddisfano ciascuno la (8) senza tuttavia esaurirne le interpretazioni possibili.

Goulet (1978) ha avuto il merito di richiamare l’attenzione sulla testimonianza di Diogene intorno agli enunciati semplici, ma non sembra aver colto l’elemento di ambiguità della negazione ordinaria per la logica stoica. L’ambiguità è un’ambiguità di ambito d’operazione della particella. Per Goulet invece la negazione ordinaria non è ambigua secondo la teoria stoica, ma (come per Aristotele) significa, univocamente, la negazione del

rapporto soggetto-predicato, ed è premessa all’intero enunciato solo « Pour des raisons de riguer formelle — ne serait-ce que pour pouvoir repérer au premier coup d'oeil la contradictoire d'une affirmative donnée » (p. 185). Ció che permetterebbe poi di risolvere la difficoltà « molto meno impressionante » della negazione di un enunciato composto, così come risulta da S.E. AM VIII 89-90 (.). L’ipotesi che l’usc della negazione preposta sia un mero espediente formale per decidere « ἃ colpo d’occhio » la qualità nega-



65 —

tiva di un enunciato sembra avvalorata da due precedenti importanti (che Goulet non menziona). Da un lato, il De interprefatione di Aristotele, in cui gli esempi di contraddittoria di un'affermativa data sono sempre del tipo οὐχ ὑγιαίνει ἄνθρωπος (Inf. 10, 20a 10-11, cfr. 7, 17b 28-29 e passim).

con negazione iniziale subito seguita dal verbo. Dall'altro, l'uso dialettico della negazione preposta testimoniato per il IV e III secolo a. C. da una serie di esempi conservati in Sesto Empirico e in Diogene Laerzio. Si veda in particolare la formulazione dell'argomento del « dialetticissimo » Diodoro Crono contro l'esistenza del movimento (frr. 125 sgg. Döring, specialmente fr. 123 = S.E. AM X 85-101), che è in modus tollendo tollens, con particella negativa in prima posizione, seguita immediatamente dal verbo: εἰ χινεῖταί m, ἦτοι ἐν © ἔστι τόπῳ κινεῖται 7 dv © μὴ ἔστιν’ οὔτε δὲ ἐν ᾧ ἔστι [...], οὔτε ἐν © μὴ ἔστιν [...]" οὐχ ἄρα κινεῖταί τι.

Ma soprattutto si confronti la formulazione dell'argomento antistoico conservato in S.E. AM VII 157 e attribuibile con tutta probabilità ad Arcesilao. È anch'esso in modus tollendo tollens, ma con negazione preposta e separata dal verbo: εἰ τῶν συγκατατιϑεμένων ἐστὶν ὁ σοφός, τῶν δοξαστικῶν ἔσται ὁ σοφός. οὐχὶ δέ γε τῶν δοξαστικῶν ἐστιν ὁ σοφός [...]: οὐκ ἄρα τῶν συγκατατιϑεμένων ἐστὶν ὁ σοφός.

Per altro anche la testimonianza di Sesto Empirico a proposito della negazione stoica (AM VIII 88-90) è in realtà un argomento antistoico, formulato nei termini del secondo anapodittico crisippeo, cioè in modus tollendo tollens, nel quale la « premessa aggiunta» (negazione del conseguente) e la conclusione (negazione dell'antecedente) sono enunciati negativi semplici con negazione preposta e separata dal verbo: εἰ τοῦτ᾽ ἔστι τὸ ἀντικείμενον, ἔσται καὶ τὰ τοιαῦτα ἀντικείμενα [...]. οὐχὶ δέ γε κατ᾽ αὐτοὺς ταῦτα ἀντικείμενά bove οὐκ ἄρα ἀντικείμενά ἐστι [...].

-- 66



Infine, una testimonianza impressionante di uso dialettico della negazione preposta è fornita dal PPar. 2, un ampio frammento di papiro, databile alla fine del III secolo a. C. e attribuito da Bergk (1841) (su deboli argomenti) al Περὶ ἀποφατικῶν di Crisippo, ma che von Arnim inserisce solo con riserva nella sua silloge crisippea (SV II 180), ritenendolo indegno dell'acume logico di Crisippo (ὁ. I pp. vii-ix). Si tratta invece, come risulterà dal commento al testo (per cui cfr. in/ra, pp. 107-21), di almeno 26 esempi di argomenti anapodittici del primo e del secondo tipo (cioè, rispettivamente, in modus ponendo ponens e in modus tollendo tollent), elencati senza soluzione di continuità, tutti formalmente validi e con la particella negativa in prima posizione (seguita o separata dal verbo). David Sedley mi ha suggerito in una comunicazione privata la possibilità che il papiro contenga un'opera non di logica stoica, ma di polemica antidialettica degli inizi del III secolo a. C. e di ambiente accademico, rivolta in particolare contro Diodoro Crono e la sua scuola (per cui cfr. Sedley 1977 e Hülser, FD.5, pp. 34-35 n.). Le mie conclusioni in proposito sono in parte diverse (cfr. infra, pp. 120-21). Ció non esclude la possibilità che il P Par. 2 rifletta l'uso « dialettico » di anteporre la negazione oggettiva in argomenti anapodittici come modus ponendo ponens e modus tollendo. tollens. 5. Ambiguità della negazione ordinaria La tesi dell'ambiguità secondo gli stoici della negazione ordinaria è documentata da un passo di Alessandro di Afrodisia nel suo commento al primo libro degli Analitiei primi di Aristotele (pp. 401-404 Wallies). La notizia non compare nei SVF, né negli studi contemporanci sulla logica stoica, fino al colloquio di Chantilly del 1976, dove è stata esaminata attentamente da R. Goulet e da Antony C. Lloyd (anche U. Egli, :b., p. 147, parla di « ambiguità strutturali » e di « ambiguità di ambito » a proposito di S.E. AM VIII 89 e del passo di Alessandro, ma riferendosi a tipi di ambiguità sintattica diversi da quello della negazione ordinaria; per un accenno alla testimonianza di Alessandro, cfr. anche Nasti de Vincentis 1981, p. 629). Un'altra notizia parzialmente a sostegno di quella di Alessandro è contenuta nel Περὶ ἑρμηνείας attribuito ad Apuleio, ed è stata oggetto di un attento esame —

67



da parte di Mark W. Sullivan nel suo studio sulla logica di Apuleio (Sullivan 1967). Il passo di Alessandro è la testimonianza (s) del nostro dossier, cioè in APr. 401-404 Wallies. Si tratta di un commento a APr. A 46, 51b 32. Aristotele formula qui la distinzione di significato (già introdotta in 7n/. 10; per le differenze cfr. Nasti 1981) fra i seguenti tipi di proposizione: (1) (2) (3)

Se? Sè non-P Snonè P

In particolare fra la (2) e la (3). La (2) è in realtà una affermazione, e solo la (3) è la negazione (ἀπόφασις) della (1). Consideriamo infatti gli esempi (1.1) S è legno bianco (2.1) S è legno non-bianco (3.1) .$ non è legno bianco.

Chiaramente (2.1) e (3.1) non sono proposizioni equivalenti. (2.1) è vera se e solo se S è un pezzo di legno, ma non un pezzo di legno bianco; mentre (3.1) é vera se e solo se: — $ è un pezzo di legno, ma non è

bianco;

— $ non è un pezzo di legno, ma è bianco; — $ non è un pezzo di legno c 5 non è bianco. Quest'ultime sono, come si è visto, le condizioni di verità della

congiunzione negativa: (3.2) Non (5 è un legno

& 5

è bianco),

mentre la (2.1) corrisponde solo alla congiunzione (2.2) S è un legno

& S non è bianco,

cioè solo al primo dei tre casi elencati, e quindi non può essere la negazione di (1.1). Un altro esempio aristotelico è (4) (5) (6)

Sè uguale S è non-uguale .$ non è uguale —

68—

esempio poi ripreso dagli stoici, come testimonia Plutarco, Mora/ia VI 2, 1080c (non compare in ἜΧΕ, ma cfr. Cherniss 1976, p. 824 n. δ): αὐτοὶ [sc/. gli stoici] τὰ τοιαῦτα ἀξιώματα ψευδῇ λέγοντες εἶναι: εἴ τινα μὴ ἐστιν ἴσα ἀλλήλοις, ἐκεῖνα ἄνισα ἐστὶν ἀλλήλοις καὶ οὐχ: ἔστι μὲν ἴσα ταῦτα ἀλλήλοις, οὐκ ἄνισα δ᾽ ἐστὶ ταῦτα ἀλλήλοις.

Per gli stoici dunque è falsa l'implicazione se due cose non sono uguali, allora esse sono disuguali

mentre è vera la congiunzione due cose sono uguali & esse sono non-disuguali.

AI solito, per Aristotele come per gli stoici, la (5) non equivale alla (6), perché non nega la (4). Terminologicamente, per Aristotele proposizioni del tipo (1)

Sè?

(2)

Sè non-P

(3)

$S nonè P

sono rispettivamente affermazioni (καταφάσεις), affermazioni indefinite (ἀόριστα, che Teofrasto chiamerà nel suo De affirmatione et negatione, frr. 3-18 Graeser [cfr. Repici 1977, pp. 65-67], ἐκ μετα-

ϑέσεως, cioè frasposte), negazioni (ἀποφάσεις). Fra le afferma-

zioni indefinite Aristotele considera inoltre anche quelle del tipo (4)

Non-S è P.

Si può a questo punto tracciare un parallelo fra teoria aristotelica e teoria stoica dei tipi di asserzione, relativamente alle proposizioni o enunciati semplici: Aristotele

Stoici

Affermazioni definite Sè P

Enunciati | definiti Sè P è intermedi

_

. | Non-Sè P indefinite | S è non-P (trasposte) Negazione definita .$ non è P



69—

δὲ δὲ —(Sè 2)

{ indefiniti

denegativi ptrivativi negativi

Vi sono varie differenze fra i due schemi sia per quanto riguarda le indefinite ‘ Non-S è P' aristoteliche e le denegative stoiche, sia per quanto riguarda le trasposte aristoteliche e le privative stoiche (per es. un termine negativo non equivale necessatiamente a un termine privativo, cfr. Ackrill 1962, p. 143). Ma la differenza più rilevante per la nostra ricerca è quella fra la negazione aristotelica, che è identica alla negazione

ordinaria,

e

la negazione stoica, che è la negazione esterna. Su questo interviene appunto la testimonianza di Alessandro di Afrodisia: 1. Aristotele dunque considera come negazione dell’affermazione * Socrate è bianco ’, ‘ Socrate non è bianco” (Σωχράτης οὐχ ἔστι λευx6c) e non ‘Socrate è non-bianco' (Σωχράτης ἔστι οὐ λευκός.) Ci sono però alcuni a cui non sembra che sia ancora una negazione neppure quella così concepita. Essi ritengono infatti che non basti porre la particella negativa solo davanti all'* è’ o solo davanti al predicato, ma che la negazione è quella avente la particella negativa posta di fronte a tutta

la proposizione affermativa, c che pertanto la negazione di ‘Socrate è bianco ' è ‘Non (Socrate è bianco)” (οὐχὶ Σωκράτης

ἔστι λευκός) e

non ‘ Socrate non è bianco. 2. Sostengono infatti che l’espressione ‘ Non passeggia Callia ' (τὸ μὴ περιπατεῖν Καλλίαν) è ambigua (διττόν), perché talvolta la particella negativa & applicata all'intera espressione ‘ passeggia Callia ', mentre altre volte è applicata solo a ‘passeggia’, e in questo caso (essi sostengono) si ha un discorso del tutto affermativo. 3. E provano questo col fatto che talvolta possono essere falsi allo stesso tempo sia ' Callia passeggia’, sia ‘Callia non passeggia ’ (Καλ-

Mac οὐ περιπατεῖ), mentre gli opposti contraddittori (τὰ ἀντικείμενα ἀντιφατικῶς) non possono mai risultare falsi contemporaneamente. Se infatti Callia non esiste (μὴ γὰρ ὄντος Καλλίου [cfr. Arist. Caf. 10, 13b 30 sgg.]) allora ' Callia non passeggia’ è altrettanto falso che * Callia passeggia ', perché per entrambe le proposizioni il significato (τὸ σημαινόμενον) € « C'è un tale Callia e questo tale ha la proprietà o di

passeggiare o di non passeggiate » (ἔστι τις Καλλίας, τούτῳ δὲ ὑπάρχει ἢ τὸ περιπατεῖν ἢ τὸ μὴ περιπατεῖν). Al contrario, ‘Non (Callia passeggia)” (οὐ Καλλίας περιπατεῖ) non può mai essere a sua volta falsa.

Questa tesi non é riferita espressamente agli stoici, ma l'uso della negazione esterna e altri dettagli ne rendono inevitabile l’attribuzione ad essi. Il punto



cruciale della testimonianza

70 —

di

Alessandro é rappresentato dal secondo e dal terzo capoverso. In particolare il secondo capoverso formula la tesi della ambiguita della negazione semplice, e il terzo ne dà la dimostrazione in base al fatto che due enunciati contraddittöri non possono mai essere entrambi falsi allo stesso tempo. Vediamo dunque la tesi dell’ambiguità: «Non passeggia Callia» è ambiguo perché ‘non’ può applicarsi o al verbo o all’intera frase. A questa ambiguità sintattica (anfibolia in senso aristotelico) di ambito della particella, corrisponde un’ambiguità semantica d’interpretazione della frase negativa. La frase (1)

Non passeggia Callia

può avere due significati: (1a)

C'è un certo Callia e questo certo Callia non passeggia

(1b)

(Non c'é nessun Callia) oppure (c’è un certo Callia e questo certo Callia non passeggia)

che corrispondono, rispettivamente, alla negazione ristretta al solo predicato, che è la negazione ordinaria (2

Callia non passeggia

e alla negazione estesa all’intero enunciato, cioè alla negazione stoica (3)

Non (Callia passeggia).

La (2) per gli stoici è dunque un’ affermazione, in quanto il suo significato, cioè (1a), è affermativo, asserisce la verità di una congiunzione; mentre la (3) è una negazione, in quanto asserisce la falsità di una congiunzione. La prova di ciò sta nel fatto che la (2) interpretata come (1a) so» è l'opposto contraddittorio (come sente il bisogno di precisare l’aristotelico Alessandro di Afrodisia) della affermativa (4)

Callia passeggia

perché questa equivale alla congiunzione (4a)



un

certo

Callia e questi passeggia



71



la cui negazione é appunto la negazione esterna (4b)

Non (c'é un certo Callia e questi passeggia)

cioé (1b). Due enunciati contraddittóri non possono essere entrambi falsi, ma * Callia passeggia” e ‘Callia non passeggia’, se Callia non esiste, una volta interpretati, rispettivamente, come (4a) e (1a), risulterebbero entrambi falsi, perché il primo congiunto (* C'è un certo Callia ’) sarebbe falso. Invece, se Callia non esiste, risulta vero * Non (c’è un certo Callia)’, perché risulta verificato almeno uno dei due disgiunti dell’enunciato equivalente (1b).

La soluzione stoica del problema della negazione, e il problema stesso dell’ambiguità di operazione della particella negativa, presuppongono in questo caso che ogni enunciato affermativo singolare, del tipo ‘ Dione passeggia ’, cioè « intermedio » nella terminologia stoica, abbia, come si dice, portata esistenziale,

cioè sia sempre parafrasabile in una formula del tipo (A)

C'è un x tale

che (x é

S&

x è P)

cioè formalmente

Hx (Sx & Px). La negazione di (A) è (B)

— Fx (Sx & Px)

cioè (B*) mentre

— x (5x) v Hx (Sx & — Px) la formula

(C) Ax (Sx &

— Px)

non è la contraddittoria, ma la subcontraria di (A). Come si è visto, la tesi della portata esistenziale delle affermazioni singolari non è nuova per il pensiero greco. In Aristotele è documentata in almeno tre testi (Car. 10, 13b 27-35; Metaph. A 7, 1017 a 13-22; Metaph. I 3, 1054 b 18-21), i quali contengono implicitamente sia la tesi della portata esistenziale delle affermazioni —

72—

singolari, sia quella secondo cui la negazione ordinaria non ha portata esistenziale, cioè non è ambigua. Gli stoici concordano con la prima, ma non con la seconda tesi. Per questo richiedono una negazione più debole e libera da assunzioni esistenziali. È curioso che Goulet, per il quale la tesi dell’ambiguità, riportata da Alessandro, non sarebbe all’origine della negazione stoica, perché

anche

gli stoici, come Aristotele, non avrebbero

considerato ambigua la negazione ordinaria, si rifaccia poi, pet illustrare la posizione aristotelica, proprio al passo delle Categorie, in cui si formula la tesi della portata esistenziale delle afferma-

zioni singolari, ma non delle negazioni ordinarie (Goulet 1978, p. 185 e n. 84 p. 197). Goulet in realtà ha in mente un’altra cosa,

cioè il fatto che per Aristotele la negazione nega «la réalité du rapport entre le sujet et le prédicat », e dunque (sembra di capire) non nega «à la fois l'existence du sujet et le prédicat ». A parte l'imprecisione di quest'ultima formula, egli avrebbe potuto rifarsi piuttosto ad altri testi aristotelici per corroborare il primo punto, per es. a 757. 5, 17a 20-25, dove l'asserzione negativa semplice è definita come τὶ ἀπὸ τινός, cioè asserire qualcosa

(un predicato) via da qualcosa (dal soggetto); e soprattutto a Metaph. E 4, 1027b 20-22, dove alla negazione proposizionale corrisponde la divisione (o distinzione, διαίρεσις) ontologica, men-

tre l'affermazione (vera) rispecchia una reale composizione (σύνϑεσις) di oggetti: Il vero è l'affermazione di ciò che è connesso e la negazione di ciò che è diviso ...

cioè, mi pare, la negazione, distinguendo o separando il predicato dal soggetto, riflette, se vera, la divisione fra ciò che designa il soggetto e ciò che denota il predicato (cfr. anche Me/aph. €) 10, dove ci si riferisce esplicitamente a cose [πράγματα] connesse o divise; e Metapb. K 11, 1067b 26 = Pb. E 1, 225a 21). D’altra parte, in De anima Y 6, i concetti di σύνϑεσις e

διαίρεσις non sono rigidamente limitati a quelli, rispettivamente, di affermazione e negazione: se di una cosa bianca si asserisce (per errore) che non è bianca, si corrette il bianco con ciò che non

è bianco ((τὸ λευκὸν καὶ» τὸ μὴ λευκὸν auveßmxev, 430b 2-3), o, che è lo stesso, si divide ciò che è bianco da ciò che è bianco.

La stessa cosa vale anche per l’affermazione, che è interpretabile —7—

a sua volta come

divisione (ἐνδέχεται δὲ καὶ διαίρεσιν φάναι

πάντα, 430b 3-4), nel senso, forse, che la sintesi di soggetto e

predicato presuppone la loro distinzione (cfr. Ochler 1962, pp. 156157). Si può quindi affermare che la negazione aristotelica distingue e divide il soggetto dal predicato o unisce e congiunge il soggetto con un predicato negativo. In realtà Aristotele distingue, come si è visto, tra affermazione indefinita e trasposta e negazione vera e proptia (che non assume l’esistenza del soggetto ontico). La frase "δ non è bianco” è libera da presupposizioni esistenziali (come anche da presupposizioni associate al predicato: il fatto di non essere bianco non significa che si tratti necessariamente di una cosa di un altro colore); mentre l’affermazione trasposta corrispondente, ‘S è non-bianco ’, in quanto affermazione singolare ha portata esistenziale, e in quanto affermazione indefinita è soggetta anche, secondo l'interpretazione tradizionale,

alle presupposizioni associate al predicato, cioè si assume implicitamente che S sia di un colore diverso dal bianco (cfr. Nasti 1981, pp. 617 e 623: questa interpretazione non è condivisa, e con buone ragioni, mi sembra, da Wedin

1978, p. 191 e n. 19

p. 195, per il quale la presupposizione associata alle trasposte è solo quella esistenziale e non anche quella riguardante il dominio di pertinenza del predicato). Da queste oscillazioni documentabili nel corpus aristotelico fra la concezione della negazione come διαίρεσις o come σύνϑεσις, e dalla particolare insistenza di Aristotele, per es. (ma non solo) in APr. A 46, sui predicati (* u εἶναι λευκόν᾽ vs. “εἶναι μὴ λευκόν᾽ ecc.) piuttosto che sugli enwwiati si può concludere con Wedin (1978, p. 189) che « Aristotle is at pains to distinguish negation as a predicate forming operator from negation as a sentence forming operator ». Geach (1972, p. 75), citato da Wedin, & anche piü drastico. Per lui la sola negazione che interessa Aristotele è la negazione

predicativa (predicate-negationi:

la negazione

proposi-

zionale era estranea al greco ordinario come lo è del resto anche alle moderne lingue europee; e gli stoici introducendo tale negazione violarono consapevolmente la consuetudine della lingua dell’uso. Quanto alla prima affermazione mi sembra preferibile la posizione più sfumata di Wedin, perché Aristotele riconosce almeno alla negazione ordinaria un tratto che la distingue inequivocabilmente dalla affermazione indefinita o trasposta, cioè la mancanza di portata esistenziale, ciò che verosimilmente è al—

74 —

l'origine anche della negazione proposizionale stoica. Quanto alla seconda affermazione, alla luce di studi come quelli di Moorhouse (1959), discussi nella prima parte di questo lavoro (cfr. supra, p. 18), essa risulta altrettanto imprecisa che quella simmetrica e contraria di Mates (1961, p. 31), il quale si limita a constatare che la negazione stoica non è solecistica in greco comune, a differenza per es. dall’inglese. In realtà gli stoici hanno sottolineato sia l'ambiguità di portata della negazione ordinaria nel caso degli enunciati semplici, sia il suo limite intrinseco, che è quello di operare solo su enunciati di forma soggetto-predicato e di non essere applicabile come tale a enunciati molecolari. Alessandro di Afrodisia, da parte sua, nel passo citato, conclude la sua critica della negazione stoica sostenendo che il significato della negazione (τί σημαίνει ἣ ἀπόφασις) riguarda solo il rapporto di appartenenza (in termini aristotelici) del predicato al soggetto, sia che il soggetto esista sia che non esista, ma non riguarda anche (οὐ rpoconpalvovoa) la esistenza o la non esistenza del soggetto. Se l’affermazione è falsa, la negazione è vera, sia che il soggetto esista, sia che non esista (pp. 404, 35 - 405, 5). Goulet si richiama a questa affermazione come coincidente con la tesi aristotelica (che egli illustra proprio col passo delle Categorie riguardante la portata esistenziale degli enunciati singolari). In realtà la conclusione di Alessandro poggia su una premessa (da lui ampiamente illustrata in precedenza, pp. 402, 36 404, 34), e cioè in definitiva, che le affermazioni non hanno portata esistenziale (οὐδ᾽ ὅλως γὰρ ἣ κατάφασις τοῦτο λέγει, ὅτι ἔστι τόδε, ᾧ τόδε ὑπάρχει, 404, 14-15) o anche che il termine soggetto non designa l’esistenza di ciò a cui si riferisce (pp. 402, 37403, 2). A conferma di ciò, Alessandro porta tutta una serie di controesempi, fra cui, in particolare, gli enunciati che rigua rdano processi e non stati di cose, per esempio (1)

οἰκία οἰκοδομεῖται

che certo non significa (2)

ἔστι τις οἰκία, ἥτις οἰκοδομεῖται.

In proposito si puó richiamare un passo di Sesto Empirico, che tratta di un esempio analogo, AM VIII 129: Si deve concedere al linguaggio ordinatio (τῷ βίῳ) di servirsi di

—75 —

termini impropri (καταχρηστικοῖς), in quanto non cerca affatto ciò che è vero rispetto alla natura delle cose, ma solo ciò che è vero per l'opinione. Così noi diciamo ‘scavare un pozzo ’, ‘ tessere un mantello ’, ‘ costruire una casa’, ma non in senso proprio. Perché se vi è un pozzo, non è scavato, ma è stato già scavato; e se vi è un mantello, non è tessuto,

ma è stato già tessuto. Pertanto nel linguaggio ordinario e nella consuetudine comune trova

spazio anche

l’improprietà

linguistica (ἡ κατά-

xeno); ma quando studiamo la natura delle cose, si deve allora essere rigorosamente precisi.

Il problema filosofico sotteso agli esempi: ‘ scavare un pozzo ', * tessere un mantello ’, ‘ costruire una casa ' (che compaiono anche in P Flor.

115, A 3-7, su cui cfr. Manfredi

1974 e, in questo

volume, Manetti 1985) deriva, con tutta probabilità, dalla discussione aristotelica di esempi analoghi, in particolare in Metafisica ZH, come: ‘ divenire una pianta’, ‘ fare una statua’, * costruire una casa’, ecc. (cfr. Owen 1978, /1979 e Burnyeat 1979). I risultati dell’analisi aristotelica si possono così riassumere: in frasi del tipo (1)

Dione costruisce una casa di mattoni

l’espressione ‘una casa di mattoni’ non designa né la forma, né la materia (Dione non sta costruendo né forme di casa né mattoni: entrambe, materia e forma, ci sono già, i mattoni al cantiere, la forma nella mente di Dione), né, ovviamente, il sinolo di materia € forma, la casa costruita (Z 8, 1033a 28b 18: l'esempio è

in questo caso quello, del tutto analogo, del fare una sfera di bronzo): in realtà si edifica l'edificabile (οἰκοδομεῖται δὲ τὸ οἰκοδομητόν), non la casa (PP. Γ 1, 201b 11-12). L'edificabile è ciò che può essere trasformato in una casa e che cessa di esistere in quanto tale una volta che la casa è finita (pietre, mattoni e legname che formano una casa non possono, in quanto parti della casa, essere materiale edificabile: solo una volta che la casa sia stata distrutta le sue parti tornano ad essere οἰκοδομητά). L'edificabile in quanto tale è in atto solo nel processo di edificazione (oixo-

δόμησις). Pertanto la (1) è riformulabile in termini aristotelici così: (2)

Dione fa sí che 1 mattoni assumano la forma di una casa



76 —

(per cui cfr. in part. la definizione di casa in H 2, 1043a 8-9: mattoni e legname disposti così e così). O anche, che è lo stesso, (3)

Dione fa sí che la forma della casa sia

nei mattoni (1033a 34,

1033b 10). L'analisi aristotelica ἃ alla base delle considerazioni di Ales-

sandro, dor. cit., riguardo la frase (4)

οἰκία οἰκοδομεῖται

che è vera se è detta di una casa in costruzione (ἐπὶ τῆς οἶκοδουμένης οἰκίας), cioé, in termini aristotelici, di un edificabile, ma che non equivale certo a (5)

ἔστι τις οἰκία, ἥτις οἰχοδομεῖται.

Cfr. invece (6)

La casa è demolita

che equivale a (7)

C'è una casa che viene demolita

(anche se può sorgere il problema se una casa in via di demolizione sia ancora una casa ...).

Direi tuttavia che la (4) equivarrebbe alla (8)

ἔστι τι οἰχοδομητόν, ὅτι οἰκοδομεῖται

e che quindi non può essere un controesempio valido, dal punto di vista aristotelico, alla tesi stoica della negazione esterna. E da notare che gli esempi di Alessandro sono la trasformazione passiva degli esempi equivalenti di Sesto e del Pr. cit. (Alessandro e Sesto hanno in comune gli esempi della casa e del mantello, χλαμύς; ma Sesto e il papiro hanno in comune, nell'ordine, l'esempio del pozzo, assente in Alessandro, e quello del

mantello / vestito, nonché il motivo della catacrèsi, cui Alessandro non ricorre, anche se puó essere estrapolato dai testi aristotelici; l'esempio aristotelico della casa manca infine nel PFor.). —

77



Ma anche in Sesto la discussione degli esempi riguarda le loro rispettive trasformazioni passive: così ‘scavare un pozzo’ + ‘il pozzo viene scavato ' + *il pozzo è stato già scavato '. L'uso del presente è improprio se l’espressione ‘il pozzo’ è presa come designante (normalmente) un pozzo già scavato: in tal caso al presente va sostituito il perfetto e il ‘il pozzo ' è una descrizione singolare, cioè un termine singolare dimostrativo degenere, sinonimo di ‘questo pozzo°. Ma ‘il pozzo, usato impropriamente come * il pozzo in costruzione ', cioè* il terreno in cui è possibile scavare un pozzo', rende viceversa proprio l'uso del presente e improprio l'uso del perfetto: un terreno /reafíco già scavato a forma di pozzo (e non per es. di tomba o di piscina) non è più un terreno freatico. Le due analisi di Sesto (e P Flor. 115), da un lato, e di Alessandro, dall’altro, risultano complementari, e mo-

strano forse una bipartizione della tradizione filosofica relativa a questo tipo di esempi. Due dei tre esempi di improprietà linguistica dell’uso comune menzionati da Sesto li ritroviamo anche in Alessandro di Afrodista. Segno questo che siamo di fronte a un argomento ormai standard della disputa filosofica. Ma a differenza di Alessandro, questi sono per Sesto solo esempi di improprietà linguistica, e inoltre non riguardano tanto l’espressione ‘ φρέαρ ὀρύσσεται᾽᾽, quanto l’espressione “φρέαρ ὀρύσσειν, dove φρέαρ è «oggetto interno » di ὀρύσσειν in frasi come *.$ φρέαρ ὀρύσσει ᾿. Ma qualora si consideri l’espressione ‘scavare un pozzo’ come un predicato parametrico a un posto (* scavare-un-pozzo ἢ, il problema posto da Alessandro (cfr. recentemente anche Gochet 1972, p. 57) può dirsi risolto, interpretando (1)

οἰκία οἰκοδομεῖται

come l’indefinita (1*)

Qualcuno edifica una casa

che ha portata esistenziale e il cui predicato ἃ il predicato complesso ‘ edificare-una-casa * (quest'ultima soluzione sembra essere quella adottata da Aristotele in Merapb. Z: cfr. Owen 1978/1979). Alessandro formula altri controesempi che coinvolgono i gradi temporali dell’enunciato. Di questi ha daot un’accurata esposizione Antony

C. Lloyd nel suo intervento



78—

al colloquio

di Chantilly. Non è possibile discuterli in questa sede. Ma in generale si puó osservare che le obiezioni di Alessandro non investono mai direttamente esempi come ‘Socrate passeggia’, cioè enunciati «intermedi » al presente. Salvo in un caso, quando egli obietta che è assurdo attribuire portata esistenziale alla frase * Socrate non esiste ', perché la parafrasi ‘C’è un tale Socrate e questo tale non esiste’ è ovviamente priva di senso; ma Alessandro non si accorge che questo è piuttosto un argomento a

favore della negazione esterna ' Non (Socrate esiste)’, per la quale si asserisce semplicemente che nessun uomo é Socrate. La negazione estetna non regimenta soltanto la portata esistenziale degli enunciati intermedi, ma anche altri tipi di presupposizioni associate al soggetto. Per esempio nel caso di enunciati

definiti come

(1)

Costui (οὗτος) passeggia,

in cui il pronome dimostrativo ha come παρέμφασις o συνέμpasto (cioè come

significato implicito

o concomitante o acces-

sorio: cfr. S.E. VII 239; e per la teoria stoica della παρέμφασις, cfr., con qualche cautela, Caujolle-Zaslawski 1978, pp. 425-448) che la persona indicata è di sesso maschile. La (1) equivale dunque a (2)

Questi è un uomo maschio e passeggia

Se si indicasse una persona di sesso femminile sarebbero false κατὰ παρέμφασιν sia la (2) sia la negazione interna (3)

Questi è un uomo maschio e non passeggia.

Infine la negazione esterna regola la corretta costruzione di opposti contraddittóri in cui ricorrano, in posizione di soggetto, descrizioni definite come * il grammatico Callia* in frasi del tipo (4)

I grammatico Callia passeggia

che presuppone si tratti di Callia il grammatico e non di Callia il musico ecc. Se si trattasse di quest'ultimo si avrebbe errore di

apposizione (κατὰ παράληψιν). Infine l'ultimo esempio stoico riportato da Alessandro (p. 402, 33) riguarda gli enunciati al passato (5)

Socrate passeggió

(6)

Socrate non passeggiò



79 —

tali che, a detta degli stoici, se il primo fosse vero risulterebbe vero anche il secondo, forse perché entrambi interpretabili come (5*)

In passato: Socrate esiste e passeggia

(6*)

In passato: Socrate esiste e non passeggia

entrambi veri perché in passato possono essersi dati questi due

casi. La contraddittoria di (5) e (5*) è dunque ancora una volta (7

Non (Socrate passeggió)

cioè

(7*)

In passato: Non (Socrate esiste) o (Socrate esiste e non passeggia).

Evidentemente la contraddittoria è quella che nega che Socrate sia esistito e pertanto risulta falsa se la (5) è vera.

Come si vede, la testimonianza di Alessandro (compresa la parte critica, che qui non ho potuto analizzare per ragioni di spazio) è così dettagliata e sofisticata da risultare una conferma importante della tesi dell’ambiguità agli occhi degli stoici della negazione ordinaria. Una testimonianza analoga e coeva, ma molto meno informata e dettagliata, è quella di Apuleio, Περὶ

ἑρμηνείας 177, 16-27, che dà una parafrasi lievemente diversa e più involuta della portata esistenziale di (8

Voluptas non est bonum

cioè

(85)

Evenit cuidam voluptati bonum non esse

interpretabile come una formula ellittica che condensa i due elementi, esistenziale e predicativo, della parafrasi stoica. Proviamo infatti a tradurla seguendo gli esempi di Alessandro: (8**) ἔστι τις ἡδονῇ, ταύτῃ δὲ (cuidam voluptati) ὑπάρχει (evenit) τὸ μὴ ἀγαϑὸν εἶναι (bonum non esse).

Tuttavia Apuleio ha presente in realtà solo il secondo congiunto di (8**), che considera affermativo in quanto « dedicat [afferma] quid evenerit ei, i.e., quid sit ». Egli afferma espressamente che per gli stoici la (8) è una proposizione dedicativa: « dedicativa, —

80—

inquiunt, est, quia ei, in quo negavit esse, dedicat id, quod non videtur esse ». Ora dedicativa traduce in Apuleio il greco κατα-

φατική, come abdicativa il greco ἀποφατωκῆ. Sullivan (1967, p. 44) si domanda

come

se Apuleio, in questo caso, stia usando dedicativa

traduzione dello stoico κατηγορικόν (lenunciato inter-

medio). In effetti, se per gli stoici (8) non è una negazione, e se il

repertorio degli enunciati semplici dato da Diogene & completo, allora essa deve essere un tipo di enunciato semplice affermativo. L'unico candidato è l'enunciato categorico o intermedio. Il punto di Sullivan è interessante e può aiutarci a risolvere positivamente un quesito posto da Goulet. Ma va detto subito che dedicativa traduce xataparix) e non κατηγορικόν. Apuleio non mostra di conoscere il repertorio degli enunciati stoici, o, in ogni caso, preferisce la più tradizionale classificazione peripatetica, secondo la quale, per es., ‘ Voluptas est bonum? è un enunciato indeterminato (ἀδιόριστος) (cfr. 177, 14), cioè né universale né particolare. D'altra parte abbiamo visto in Alessandro esempi di negazione ordinaria come ‘oùroc où περιπατεῖ ", che per gli stoici non sono negazioni, ma, seguendo lo spunto di Sullivan, enunciati cafagoreutici o definiti. Secondo Goulet, « Une phrase comme Δίων οὐ περιπατεῖ,

si elle est congue comme foncièrement differente de οὐχὶ Δίων περιπατεῖ, ne peut que difficilement prendre place dans notre classification » (p. 185). Volendola inserire nel repertorio di Diogene, gli unici candidati sono o gli enunciati privativi o gli enunciati categorici o intermedi (cfr. Sullivan). Goulet esclude sia la prima sia la seconda ipotesi. Di qui la sua conclusione che i due enunciati non sono fondamentalmente

diversi, ma il se-

condo è solo una trascrizione « formale » più rigorosa ed evidente del primo, ma non incide sul significato ordinario, e in particolare non riguarda il problema della portata esistenziale della negazione interna. Pertanto il problema della portata esistenziale è da considerarsi un problema più tardo rispetto alle origini della negazione stoica (p. 193 n. 35). Vediamo gli argomenti di Goulet: (a) * Dione non passeggia ' non può essere una privativa perché (1) non equivale a ' Dione è non-passeggiante”; (ii) perché ‘ où περιπατεῖ non può essere considerato un termine privativo allo stesso modo per es. di ἀ-φιλάνϑρωπος᾽. Goulet argomenta il primo punto in maniera, a mio avviso, alquanto confusa. Egli sembra dire che ‘S non —

81 —

è P'

equivale (per gli stoici, suppongo) a * 5 è non-P', e che

quest’ultimo enunciato è privativo: per es. ‘S è non-umano' equivale a * 5 è in-umano '. (Quest’ultimo punto è discutibile,

ma lo si può tralasciare, almeno per ora). Poi però aggiunge che, per Aristotele, ‘ S non è P' non equivale a ' 5 è non-?’,

perché quest’ultimo implica l’esistenza del soggetto: « Or la position des adversaires d'Alexandre se veut une surenchère par rapport a cette régle ». Qui francamente non capisco. Nell'ipotesi che stiamo discutendo, secondo cui per gli stoici *.$ non è P’ e ‘Non ($ è P)' sarebbero due tipi di enunciati « fondamentalmente differenti », la negazione ordinaria poteva appunto

essere considerata una privativa in quanto (per la regola aristotelica ricordata da Goulet) essa implica (a differenza della negazione esterna) l’esistenza del soggetto. Più convincente mi sembra invece il secondo argomento. La particella privativa, nell'esempio di Diogene, è l'alfa privativo. La questione è tuttavia controversa. Aristotele, per es., negli Analitici primi (A. 46, 51b 25-27) considera ‘non-uguale’ equivalente a ‘ disuguale ’: ma questo perché una quantità o è uguale o è disuguale a un'altra; mentre nel caso di ‘ giusto ' e * ingiusto ' vi puó essere una situazione intermedia (né giusto né ingiusto) (Cat. 11b 38-12a 25), e quindi ' non-giusto ’ equivarrebbe piuttosto alla disgiunzione ‘o ingiusto o né giusto né ingiusto ' (cfr.

Ackrill 1962, p. 143; e supra, p. 19). Nel caso degli stoici, Simplicio ci ha conservato alcuni frammenti di un'opera di Crisippo, Ilepl τῶν στερητικῶν,

forse una parte di un'opera più

vasta sui termini privativi (D.L. VII 190; Simp., in Cat. 396, 20; 403, 5-6 K.; Goulet 1978, pp. 186-187), che peró non sembrano sufficienti per decidere la questione e richiedono ulteriori ricerche. Veniamo al secondo argomento: (b) ‘ Dione non passeggia ' non é un enunciato intermedio. Goulet ritiene improponibile, anzi « sorprendente », che gli stoici considerassero * Dione passeggia” e ‘ Dione non passeggia’ come duc enunciati affermativi intermedi, dal momento

che classificavano ‘Costui è inu-

mano ' non come un enunciato definito ma come una privativa. Vedevamo invece che Apuleio (che non segue la classificazione di Diogene) considera ‘ Voluptas non est bonum ' una affermativa. Mi sembra si tratti di due criteri diversi, e il criterio di Apuleio è forse più proficuo. In effetti nella classificazione di Diogene non —

82—

si parla affatto di enunciati affermativi e di enunciati negativi. O meglio si parla so/o di enunciati negativi (quelli preceduti da οὐ). Quindi, a rigore, tutti gli altri sono non-negativi. Anche i denegativi sor sono negativi. Quanto ai privativi non sono enunciati definiti quanto allo schema di costituzione, né sono negativi perché non hanno preposta la particella οὐ, ma sono indubbiamente affermativi quanto a portata esistenziale: ‘ Costui è inumano' implica fra l'alro che la persona indicata sia presente. Quanto agli altri tipi di enunciati, che Goulet considera affermativi perché privi di particella negativa, sono tali (secondo il criterio di Apuleio) perché tutti, o almeno i definiti e gli intermedi (gli indefiniti pongono problemi speciali, per cui cfr. Mueller 1969, pp. 172-187), implicano l’esistenza del soggetto. Sotto questo profilo, dunque, ‘Costui non passeggia’ e ‘Dione non passeggia’ sono entrambi affermativi c Possono essere considerati, sintatticamente, enunciati, rispettivamente, definiti e intermedi, aventi come χατηγόρημα rispettivo un predicato negativo o indefinito -P nel senso di Arist. 7.2. 10, 19b 7-10 (per il quale, come οὐκ ἄνθρωπος

non è un nome,

ma un nome indefinito,

così anche οὐχ ὑγιαίνει non è un verbo, ma un verbo indefinito: il commento di Ammonio ad /x., che si rifà a quello perduto di Alessandro

di Afrodisia,

cerca

di restaurare

la tradizionale

immagine della negazione come separazione di soggetto e prediCato; resta tuttavia significativo il parallelo aristotelico coi termini indefiniti). Il criterio di Goulet è quello della presenza o assenza di particelle negative. Quello di Apuleio riguarda la presupposizione esistenziale delle affermative che in Alessandro si estende anche ad altri tipi di presupposizione semantica. Quest’ultimo criterio mi sembra da preferire al primo (che per altro è diverso anche da quello di Sesto Empirico, più vicino quest’ultimo alle presupposizioni semantiche riportate da Alessandro). Resta da considerare, infine, ancora un caso, quello degli enun-

ciati di forma per es.

soggetto-copula-nome del predicato:

(1) (2) (3) (4)

Dione Dione Dione Dione

è giusto non è giusto è non-giusto è ingiusto

(5)

Non (Dione è giusto).

‘S è P',

Secondo il criterio della portata esistenziale, (1)-(4) sono affermativi, e solo (5) é negativo. Quali le differenze, se ci sono, fra (2), (3) e (4)? La (4) è, morfologicamente, una privativa, che per Aristotele non equivale alla (3), anche se in alcuni casi le privative equivalgono, almeno per Aristotele, a enunciati di forma (3). Quanto alla negazione ordinaria (2), sappiamo da Alessandro che in essa

la particella negativa si applica per gli stoici solo al predicato e lo trasforma in un predicato negativo o indefinito: ‘non è giusto °, cioè il complemento del predicato ‘è giusto '. Per concludere: la negazione stoica è fondamentalmente diversa dalla negazione ordinaria. Le testimonianze di Diogene Laerzio e Sesto Empirico, da un lato, e di Alessandro di Afrodisia e Apuleio, dall’altro, pur nella diversità dei punti di vista delle rispettive trattazioni, si incontrano su un punto: il problema dell'ambiguità sintattica della negazione oggettiva. Il punto di vista grammaticale (morfologico) di Diogene distribuisce l’ambi-

guità di portata delle particelle denegativa, privativa e negativa, rispettivamente sul soggetto, sul predicato e sull’intero enunciato. Sesto Empirico chiarisce invece il problema dell’ambiguità a livello di enunciati non-semplici, anche qui distinguendo la negazione dell’intero enunciato molecolare da quelle delle sue parti, cioè degli enunciati componenti. Può stupire che Sesto nella sua critica alla teoria stoica degli

enunciati (AM VIII 93-129) non abbia indugiato anche sul problema della portata esistenziale degli enunciati semplici, salvo forse, parlando della negazione in generale, a AM VIII 104-107; ma il taglio della sua polemica antistoica, che in AM VIII è inscritta nel problema più generale ‘se il vero esista’, lo porta a confutare piuttosto la possibilità che i vari tipi di ἀξιώματα siano veri. Le testimonianze di Apuleio e Alessandro di Afrodisia integrano quella di Diogene relativamente agli enunciati semplici, suggerendo un diverso criterio, quello della distinzione tra affermazione e negazione e relative presupposizioni esistenziali, semantiche e temporali, sullo sfondo di una polemica

antiaristotelica da parte degli stoici, ma anche di elementi attivi nel pensiero di Aristotele.



84 —

APPENDICE IL PAPIRO

PARIGINO

2

Testo, traduzione e commento

1

(1) «Εἰ οὔτε ψεῦδος οὔτε ἀληϑὲς ἣν ὅπερ οὕτω λέγοι ἄν τις’ «xold ὅπως χρὴ μὴ σαφῶς κατειδότα τῆς Ἡρακλείας φροντίδος κατηγορεῖν ».

οὐ ἀληϑὲς ὃ ἔλεγεν ὁ ποητής᾽

« οὐκ οἵδ᾽ ὅπως χρὴ μὴ σαφῶς κατειδότα τῆς Ἡρακλείας φροντίδος κατηγορεῖν ».

ναί. οὔτε ψεῦδος οὔτε ἀληϑὲς) ἦν ὅπερ οὕτω λέγοι ἄν Tt « κοἰδ᾽ ὅπως χρὴ μὴ σαφῶς κατειδότα τῆς Ἡρακλείας φροντίδος κατηγορεῖν ». ναί.

10

οὐ ἀληϑὲς ὃ ἔλεγεν ὁ ποητής"

« οὐκ old’ ὅπως χρὴ μὴ σαφῶς κατειδότα τῆς Ἡρακλείας φροντίδος κατηγορεῖν ».

(2)

Εἰ οὔτε ψευδῶς οὔτ᾽ ἀληϑῶς οὕτω λέγοιτ᾽ &v « τοι με ξένον οὐδὲ ἀδαήμονα Μουσᾶν ἐπαίδευσαν κλυταί Θῆβαι », οὐ ἀληϑὲς ὃ ἔλεγεν [...] λεχϑείη ἂν οὕτως" « οὗτοι με ξένον οὐδὲ ἀδαήμονα Μουσᾶν ἐπαίδευσαν κλυταί

15

20

Θῆβαι ». ναί. οὔτε ψευδῶς οὔτ᾽ ἀληϑῶς οὕτω λέγοιτ᾽ kv « τοι με ξένον οὐδὲ ἀδαήμονα Μουσᾶν ἐπαίδευσαν κλυταί Θῆβαι ». ναί. οὐ ἀληϑὲς ὃ ἔλεγεν [...] λεχϑείη ἂν οὕτως" « οὔτοι με ξένον οὐδὲ ἀδαήμονα Μουσᾶν ἐπαίδευσαν κλυταί Θῆβαι ». 1-8 Εἰ [...1 ἀληϑές restitui syllogismi rationc.



86—

25

30

(1)

{Se non fosse falso né vero ciò che si potrebbe dire così: « Nso* come uno deve biasimare il pensiero di Eracle se non lo ha compteso bene », allora non è vero ciò che diceva il poeta: « Non so come uno deve biasimare il pensiero di Eracle se non lo ha compreso bene ». SÌ. Non è né falso né vero) ciò che si potrebbe dire così: « Nso come uno deve biasimare il pensiero di Eracle se non lo ha compreso bene ». SÌ. Non è vero ciò che diceva il poeta: « Non so come uno deve biasimare il pensiero di Eracle se non lo ha compreso bene ».

(2)

Se né in modo falso né in modo veto si può dire così: « Certamente estraneo né ignaro delle Muse mi educò la splendida Tebe », non è vero ciò che diceva [...] si sarebbe potuto dire cosi: « Non certamente estraneo né ignaro delle Muse mi educò la splendida Tebe ». SÌ. Né in modo falso né in modo vero si può dire così: «Certamente estraneo né ignaro delle Muse mi educò la splendida Tebe ». SÌ. Non è vero ciò che diceva [...] si sarebbe potuto dire così: « Non certamente estraneo né ignaro delle Muse mi educò la splendida Tebe ».

* [No]n so + Nso.

—87 —

3

(3)

Εἰ ἀληϑῶς τις τῶν ποιητῶν οὕτως ἀπεφαίνετο"

« οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσχει ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν Ti“ « οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσχει vat. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν « οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσκει ναί.

τὴν διάνοιαν », τὴν διάνοιαν ». τῷ᾽ τὴν διάνοιαν ».

οὐ ἀληϑῶς τις τῶν ποητῶν οὕτως ἀπεφαίνετο"

« οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσκει τὴν διάνοιαν ».

(4)

10

Ei ἀπεφήνατό τις" « οὐχ ἦν ἄρα οὐὀϑὲν πῆμα ἐλευϑέραν δάκνον ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία »,

ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐκ ἦν ἄρα οὐϑὲν πῆμα ἐλευϑέραν δάκνον ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐκ ἦν ἄρα οὐὀϑὲν πῆμα ἐλευϑέραν daxvov ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία ». ναί. οὐ ἀπεφήνατό τις" « οὐκ ἦν ἄρα οὐὀϑὲν πῆμα ἐλευϑέραν daxvov ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία ».

(5)

Εἰ οὕτως ἀπέφασκεν Εὐριπίδης" « οὐκ ἄγαμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως ». ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐκ ἄγαμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως ». ναί. οὐ ἀντίχειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" —

88—

15

20

25

30

9)

(4)

(5)

Se in modo vero un poeta dichiarava così: « Non mi piace ció che ha in mente Sardanapalo », un enunciato affermativo a: « Non mi piace ció che ha in mente Sardanapalo Si. Non si oppone un enunciato affermativo a: «Non mi piace ciò che ha in mente Sardanapalo SÌ. Non in modo vero un poeta dichiarava così: « Non mi piace ciò che ha in mente Sardanapalo Se uno dichiarò: « Non c’è dunque sofferenza alcuna che di un uomo al pari del disonore », si oppone un enunciato affermativo a: « Non c’è dunque sofferenza alcuna che di un uomo al pari del disonore ». SÌ. Non si oppone un enunciato affermativo a: «Non c’è dunque sofferenza alcuna che di un uomo al pari del disonore ». Si. Non uno dichiard: « Non c'é dunque sofferenza alcuna che di un uomo al pati del disonore ».

si oppone ». ». ».

strazi l’animo libero strazi l’animo libero

strazi l’animo libero

strazi l'animo libero

Se cosi negava Euripide: « Non questo ammiro di un uomo di gran valore », si oppone un enunciato affermativo a: « Non questo ammiro di un uomo di gran valore ». Si. Non si oppone un enunciato affermativo a: —

89—

« οὐκ ἄγαμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως ». ναί. οὐ ἀπέφασκεν οὕτως Ευριπίδης" « οὐχ ἄγαμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως».

(6)

Εἰ ᾿Ανδρομάχη Εὐριπίδου πρὸς Ἑρμιόνην τοῦτον ἀπεφήνατο τὸν τρόπον" « οὐκ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐχ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐκ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις ». ναί. οὐ ᾿Ανδρομάχη Εὐριπίδου πρὸς ᾿Ερμιόνην ἀπεφήνατο τοῦτον τὸν τρόπον᾽ « οὐκ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις ».

(7) Εἰ ἀληϑές ἐστιν ὅπερ οὕτω λεχϑείη dv

« οὐκ ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν c: « οὐκ ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ ναί. οὐ ἀντίχειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐκ ἔστιν ὅστις πάντα ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ ναί. οὐ ἀληϑές ἐστιν ὅπερ οὕτω λεχϑείη kv « οὐκ ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ

(8)

10

15

», ».

20

». 25

».

Εἰ ἀληϑὲς ὃ ἔλεγεν Εὐριπίδης" « οὐκ ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεών,

ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τιμὰς ἔχειν », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ —

90—

30

« Non questo ammiro di un uomo di gran valore ». SÌ. Non negava così Euripide: « Non questo ammiro di un uomo di gran valore ». (6)

Sel'Andromaca di Euripide rivolta ad Ermione dichiarò in questo modo: « Non per i miei incantesimi ti detesta tuo marito », si oppone un enunciato affetmativo a: «Non per i miei incantesimi ti detesta tuo marito ». SÌ. Non si oppone un enunciato affermativo a: « Non per i mici incantesimi ti detesta tuo marito ». SÌ. Non l’Andromaca di Euripide rivolta ad Ermione dichiarò in questo modo: « Non per i miei incantesimi ti detesta tuo marito ».

(7)

Se è vero ciò che si sarebbe potuto dire così: « Non c’è uomo che sia del tutto felice »,

si oppone un enunciato affermativo a: « Non c’è uomo che sia del tutto felice ». SÌ. Non si oppone un enunciato affermativo a: «Non c'è uomo che sia del tutto felice ». SÌ. Non è vero ciò che si sarebbe potuto dire così: «Non c’è uomo che sia del tutto felice ». (8)

Se è vero ciò che diceva Euripide: « Non con le donne, ma con la spada e con le armi è necessario che i giovani ottengano i loro successi », si oppone un enunciato affermativo a: -- 91 --.

« οὐχ ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεών,

1

ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τιμὰς ἔχειν ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐχ ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεών, ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τιμὰς ἔχειν ». val. οὐ ἀληϑὲς è ἔλεγεν Εὐριπίδης" « οὐκ ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεών, ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τιμὰς ἔχειν ».

9a

(9)

Ei ποητῆς τις οὕτως

5

10

ἀπεφήνατο᾽

« οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς »,

φάσις ἐστὶν ὅπερ οὕτω λεχϑείη &v « μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς ». ναί. οὐ φάσις ἐστὶν ὅπερ οὕτω λεχϑείη &v « μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ Eri μολπῆς ». ναί. οὐ ποητῆς τις οὕτως ἀπεφήνατο" « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς».

9b (10)

15

20

Εἰ ποητῆς τις οὕτως ἀπεφήνατο"

« οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς »,

ἀντίκειται τῷ" « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς » ἀξίωμα καταφατικόν. 25 ναί. οὐ ἀντίκειται τῷ" « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς » ἀξίωμα καταφατικόν. ναί. 30 -

92 _—

« Non con le donne, ma con la spada e con le armi € necessario che i giovani ottengano i loro successi ». SÌ. Non si oppone un enunciato affermativo a: « Non con le donne, ma con la spada e con le armi è neces-

sario che i giovani ottengano i loro successi ». SÌ. Non è vero ciò che diceva Euripide: « Non con le donne, ma con la spada e con le armi è necessario che i giovani ottengano i loro successi ».

(9)

Se qualche poeta dichiarò così: « Non mi curo più degli inni melodiosi né più del canto », è un’affermazione ciò che si sarebbe potuto dire così: « Mi curo più degli inni melodiosi né più del canto ». SÌ. Non è un’affermazione ciò che si sarebbe potuto dire così: « Mi curo più degli inni melodiosi né più del canto ». SÌ. Non qualche poeta dichiarò così: « Non mi curo più degli inni melodiosi né più del canto ».

(10)

Se qualche poeta dichiarò così: « Non mi curo più degli inni melodiosi né più del canto », si oppone a: « Non mi curo più degli inni melodiosi né più del canto » un enunciato affermativo. SÌ. Non si oppone a:

« Non mi curo più degli inni melodiosi né più del canto » un enunciato affermativo.

SÌ. —93 —

οὐ ποητῆς τις οὕτως ἀπεφήνατο"

« οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς ».

10

(11)

Εἰ Κύὐκλωψ ὁ τοῦ Τιμοϑέου πρός τινα οὕτως ἀπεφήνατο" « οὔτοι τόν γε ὑπεραμπέχοντα οὐρανὸν εἰσαναβήσει », ἀντίκειται ἑνὶ καταφατικῷ ἀξιώματι δύο ἀποφατικὰ ἀξιώματα 5 vat.

οὐ ἀντίκειται Evi καταφατικῷ ἀξιώματι δύο ἀποφατικὰ ἀξιώματα. ναί.

οὐ Κύκλωψ ὁ τοῦ Τιμοϑέου πρός τινα οὕτως ἀπεφήνατο" « οὔτοι τόν γε ὑπεραμπέχοντα οὐρανὸν εἰσαναβήσει ».

11

12

(12)

(13)

10

Εἰ οὕτως ἀπεφήνατό Tt « οὐκ olda’ τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι», ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις" « κοῖδα’ τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι ». ναί. οὐ ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν Ttc « xolda: τλάαηϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι ». ναί. οὐ οὕτως ἀπεφαίνετό τις" « οὐκ olda’ τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι ».

20

Ei οὐ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις" « κἐξαϑρήσας olóa: ἰδὼν δέ σοι λέγω» οὐ Θέσπις ὁ ποιητὴς οὕτως ἀπέφασχεν᾽" « οὐκ ἐξαϑρήσας οἶδα ἰδὼν δέ σοι λέγω ». ναί.

25

οὐ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽

ἄν τις"

« κἐξαϑρήσας olda: ἰδὼν δέ σοι λέγω ». ναί. οὐ Θέσπις ὁ ποιητὴς οὕτως ἀπέφασχεν᾽ « οὐκ ἐξαϑρήσας οἵδα᾽ ἰδὼν δέ σοι λέγω ». 21 οὐ addidi syllogismi ratione: cfr. (23).



94—

15

Non qualche poeta dichiarò cosi: « Non mi curo più degli inni melodiosi né più del canto ». (11)

Seil Ciclope di Timoteo, rivolgendosi a un tale, così dichiarò: « Non

certamente salirai al cielo che tutto circonda »,

si oppongono a sm enunciato affermativo dw enunciati negativi. Non

si oppongono

a #n enunciato

affermativo

due enunciati

negativi. SÌ. Non il Ciclope di Timoteo rivolgendosi a un tale così dichiarò: « Non certamente salirai al cielo che tutto circonda ». (12)

Se qualcuno dichiarò così: « Non so: dire il vero è infatti cosa sicura »,

(13)

si potrebbe dichiarare: « Nso*: dire il vero è infatti cosa sicura ». SÌ. Non si potrebbe dichiarare: « Nso*: dire il vero è infatti cosa sicura ». SÌ. Non qualcuno dichiarò così: « Non so: dire il vero è infatti cosa sicura ». Se non qualcuno potesse dichiarare così: « Nlo* so per aver riflettuto: ti parlo per aver visto », non il poeta Tespi così negava: « Non lo so per aver riflettuto: ti parlo per aver visto ».

SÌ. Non qualcuno potrebbe dichiarare così: « Nlo? so per aver riflettuto: ti parlo per aver visto ». SÌ. Non il poeta Tespi così negava: « Non lo so per aver riflettuto: ti parlo per aver visto ». * [No]n so + Nso. T [No]n lo + Nlo.

—95 —

13

(14)

El Σαπφὼ οὕτως ἀπεφήνατο" « οὐδ᾽ lav δοκίμοιμι προσίδοισαν φάος ἀλίω ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα πω χρόνον τοιαύταν »,

ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐδ᾽ ἴαν δοκίμοιμι προσίδοισαν φάος ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα τοιαύταν ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐδ᾽ ἴαν δοχίμοιμι προσίδοισαν φάος ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα τοιαύταν ». ναί. οὐ Σαπφὼ οὕτως ἀπεφαίνετο᾽ « οὐδ᾽ ἴαν δοκίμοιμι προσίδοισαν φάος ἔσσεσσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα τοιαύταν ». 14

(15)

Εἰ οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα

ἀλίω πω χρόνον 10

ἀλίω πω χρόνον 15

ἀλίω πω χρόνον

καταφατικὸν τῷ"

« οὐκ ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμακον εὑρεῖν», >

3

οὐ Ἴβυκος

od

ὁ ποητὴς



^v

20

οὕτως ἀπεφαίνετο"

« οὐκ ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμακον εὑρεῖν ». 4

v

ναί. οὐ ἀντίκειται « οὐχ ἔστιν ναί. οὐ Ἴβυκος ὁ « οὐκ ἔστιν 3

15

(16)

3

3

^

,

t

^-

ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμακον εὑρεῖν ». ve

Far

25

ποιητὴς οὕτως ἀπεφαίνετο. ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμακον εὑρεῖν ».

Εἰ οὐ εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι, οὐ Εὐριπίδης

οὕτως ἀποφαινόμενος"



96—

30

(14)

Se Saffo dichiarò così: « Né credo, in nessun tempo, vedrà mai la luce del sole una ragazza così capace », si oppone un enunciato affermativo a: « Né credo, in nessun tempo, vedrà mai la luce del sole una

ragazza così capace ».

SÌ. Non si oppone un enunciato affermativo a: «NÉ credo, in nessun tempo, vedrà mai la luce del sole una ragazza così capace ». SÌ. Non Saffo dichiarava così: « Né credo, in nessun tempo, vedrà mai la luce del sole una

ragazza così capace ».

(15)

Se non si oppone un enunciato affermativo a: «Non è più possibile per i morti trovare un farmaco di vita »,

non il poeta Ibico dichiarava « Non è più possibile per i SÌ. Non si oppone un enunciato « Non è più possibile per i SÌ. Non il poeta Ibico dichiarava « Non è più possibile per i

(16)

così: morti trovare un farmaco di vita ». affermativo a: morti trovare un farmaco di vita ». così: morti trovare un farmaco di vita ».

Se non ci sono locuzioni ambigue,

non Euripide, dichiarando così:



97—

« οὐκ dv γένοιτο χρηστὸς ἐκ καχοῦ πατρός» (ἀπέφασκεν᾽ «Av γένοιτο χρηστὸς ἐκ κακοῦ πατρός». ναί. οὐ εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι. ναί. οὐ Εὐριπίδης οὕτως

ἀποφαινόμενος"

« οὐκ Av γένοιτο χρηστὸς ἐκ κακοῦ πατρός » ἀπέφασκεν᾽ « Av γένοιτο χρηστὸς ἐκ xaxoü πατρός ».»

10

(*) [...]

16

(17)

Εἰ ἢ ψεῦδος ἢ ἀληϑές ἐστιν τὸ ῥηθὲν ὑπ᾽ Εὐριπίδου τὸν τρόπον τοῦτον᾽

« οὐχ ὧδε ναύτας ὀλομένους τυμβεύομεν »,

ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐχ ὧδε ναύτας ὀλομένους τυμβεύομεν ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐχ ὧδε ναύτας ὁλομένους τυμβεύομεν ναί. οὔτε ψεῦδος οὔτ᾽ ἀληϑές ἐστιν τὸ ῥηθὲν ὑπ᾽ τὸν τρόπον τοῦτον᾽ « οὐχ ὧδε ναύτας ὀλομένους τυμβεύομεν

17

(18)

Ei ἀληϑῶς Εὐριπίδης ἔλεγεν" « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον 2-10 ἀπέφασκεν [...] πατρός 11

17 vv.

». ». 20

Εὐριπίδου ».

πέδον »,

98—

25

πέδον ». τῷ᾽ πέδον ».

restitui syllogismi ratione: cfr. (24).

ca. desiderantur.



15

30

« Non potrebbe nascere un uomo onesto vagio », negava: « Potrebbe nascere un uomo onesto da un Sl. Non ci sono locuzioni ambigue. SÌ. Non Euripide, dichiarando così: « Non potrebbe nascere un uomo onesto vagio », negava: « Potrebbe nascere un uomo onesto da un

(*)

da un padre malpadre malvagio ».

da un padre malpadre malvagio ».

[...]

(17)

Se è o falso o vero ciò che fu detto da Euripide in questo modo: « Non così seppelliamo i marinai morti », si oppone un enunciato affermativo a: « Non così seppelliamo i marinai morti ». Sl. Non si oppone un enunciato affermativo a: « Non cosi seppelliamo i marinai morti ». SÌ. Non è né falso né vero ciò che fu detto da Euripide in questo modo: « Non così seppelliamo i marinai morti ».

(18)

Se in modo vero Euripide diceva: « Non c’è terra più dolce di quella che ci ha nutrito », si oppone un enunciato affermativo a: «Non c’è terra più dolce di quella che ci ha nutrito ». SÌ. Non si oppone un enunciato affermativo a: « Non c’è terra più dolce di quella che ci ha nutrito ». —

99 —

ναί. οὐ ἀληϑῶς Εὐριπίδης ἔλεγεν᾽ « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον πέδον ».

18

(19)

Εἰ Εὐριπίδης οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὐκ ἔστιν οὐὀϑὲν διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν »,

ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐχ ἔστιν οὐϑὲν διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐκ ἔστιν οὐϑὲν διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν ». ναί. οὐ Εὐριπίδης οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὐκ ἔστιν οὐϑὲν διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν ».

19

(20)

Εἰ οὕτως ἀπεφαίνετό

τις τῶν ποιητῶν"

« οὐκ ἀξιῶ μικῶν σε’ μεγάλα δ᾽ οὐκ ἔχω», ἔστιν τις ὃς οὕτως

10

ἀποφαίνοιτ᾽

15

&v

« κἀξιῶ μικῶν σε’ μεγάλα δ᾽ οὐκ ἔχω ». ναί. οὐ ἔστιν τις ὃς οὕτως

ἀποφαίνοιτ᾽

&v

« κἀξιῶ μικῶν σε’ μεγάλα δ᾽ οὐκ ἔχω ».

20

ναί. οὐ ἀπεφαίνετό τις τῶν ποιητῶν οὕτως"

« οὐκ ἀξιῶ μικῶν oe’ μεγάλα δ᾽ οὐκ ἔχω».

20

(21) Ei ᾿Αγαμέμνων οὕτως ἀπέφασκεν᾽

« οὐκ ἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλκιμον ἧτορ ὧδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην», ἀξίωμά ἐστιν’ « κέἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλκιμον ἦτορ ὧδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην ».

25

ναί.

30



100—

Si. Non in modo vero Euripide diceva: « Non c'è terra più dolce di quella che ci ha nutrito ».

(19)

Se Euripide dichiarava così: « Non è affatto possibile esser del tutto felici », si oppone un enunciato affermativo a: « Non è affatto possibile esser del tutto felici ». Si. Non si oppone un enunciato affermativo a: « Non è affatto possibile esser del tutto felici ». Si.

Non Euripide dichiarava così:

« Non è affatto possibile esser del tutto felici ».

(20)

(21)

Se qualche poeta così dichiarava: « Non ti ritengo degno di poco, ma c’è chi potrebbe dichiarare così: « Nti* ritengo degno di poco, ma SÌ. Non c’è chi potrebbe dichiare così: « Nti* ritengo degno di poco, ma SÌ. Non qualche poeta dichiarava così: « Non ti ritengo degno di poco, ma

non possiedo gran che », non possiedo gran che ». non possiedo gran che ». non possiedo gran che ».

Se Agamennone così negava: « Non credevo di irritare il valoroso cuore di Achille così terribilmente, poiché era mio grande amico », è un enunciato: « Ncredevo! di irritare il valoroso cuore di Achille così terri-

bilmente, poiché cra mio grande amico ». Sl. * [No]n ti^ Nti. T [No]n credevo+ Ncredevo.



101—

οὐ ἀξίωμά ἐστιν’

« κἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλκιμον ἧτορ ὧδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος Tv ».

ναί. οὐ ᾿Αγαμέμνων οὕτως ἀπέφασκεν᾽ « οὐκ ἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλκιμον ἧτορ ὧδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος fv».

21

(22)

Ei ᾿Αλχμᾶν ὁ ποιητὴς οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὐκ ἧς ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σκαιός ». χκαταφάσχοι ἄν Ttg" « κῆἧς ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σκαιός ». ναί.

οὐ καταφάσκοι ἄν τις" ᾿ uns ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σχαιός ». ναί.

10

15

οὐ ᾿Αλκμᾶν ὁ ποιητὴς οὕτως ἀπεφαίνετο᾽ « οὐκ ἧς ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σκαιός ».

22

(25

Ei οὐ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν ct « debt ἔμπεδός εἶμι,

οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηνής »,

20

οὐ ᾿Ανακρέων οὕτως ἀπεφήνατο" « οὐδ᾽ εὖτε ἔμπεδός εἰμι, οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηνής ». ναί.

οὐ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις" « δεῦτ᾽ ἔμπεδός

εἰμι,

οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηνής ». ναί. οὐ 'Ávaxpéov οὕτως ἀπεφήνατο: « οὐδ᾽ εὖτε ἔμπεδός εἶμι, οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηνής ». 18 οὐ addidi syllogismi ratione: cfr. (13).



102—

25

Non ἃ un enunciato: «Ncredevo! di irritare

il valoroso

cuore

di

Achille cosi

terribilmente, poiché era mio grande amico ». Si.

Non Agamennone così negava: «Non

credevo di irritare il valoroso cuore di Achille così

terribilmente, poiché era mio grande amico ». (22)

Se il poeta Alcmane così dichiarava: « Non

era uno zotico né uno sciocco »,

uno potrebbe affermare: « Nera * uno zotico né uno sciocco ». Si.

Non uno potrebbe affermare: « Nera* uno zotico né uno sciocco ». Si.

Non il poeta Alcmane così dichiarava: « Non era uno zotico né uno sciocco ».

(23)

Se non uno potesse dichiarare: « Poiché sono costante né condiscendente tadini », non Anacreonte così dichiarò:

«Ne

verso

i concit-

poiché sono costante né condiscendente verso i con-

cittadini ».

Si.

Non uno potrebbe dichiarare cosi: «Poiché

sono

costante né condiscendente

verso

i concit-

tadini ».

Si. Non Anacreonte così dichiarò:

« Né poiché sono costante né condiscendente verso i concittadini ». * [No]n era + Nera.



105—

23a

(24)

El Σαπφὼ οὕτως ἀποφαινομένη" « οὐκ old’ ὅττι ϑέω" δύο μοι τὰ νοήματα » ἀπέφασκεν᾽

«old ὅττι Fw

δύο μοι τὰ νοήματα »,

εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι. ναί. οὐ εἰσίν ἀμφίβολοι διάλεκτοι. ναί. οὐ Σαπφὼ οὕτως ἀποφαινομένη: « οὐκ οἵδ᾽ ὅττι 9éc δύο μοι τὰ νοήματα » ἀπέφασκεν᾽" «old Erri IE δύο μοι τὰ νοήματα ».

230 (25)

Εἰ Σαπφὼ οὕτως ἀπέφασχεν᾽ « οὐκ old’ ὅττι 9éc* δύο μοι τὰ νοήματα », ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμενον τῷ" “ οὐχ οἶδ᾽ ὅττι ϑέω᾽ δύο μοι τὰ νοήματα». ναί. οὐ ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντιχείμενον τῷ᾽ « οὐκ old ὅττι ϑέω᾽ δύο μοι τὰ νοήματα ». ναί. οὐ Σαπφὼ οὕτως ἀπέφασχεν᾽ « οὐκ old ὅττι ϑέω᾽ δύο μοι τὰ νοήματα ».

24

(26)

10

Ei ποητῆς τις οὕτως

15

20

ἀπεφαίνετο"

« οὐκ εἶδον ἀνεμωκέα κόραν », ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμενον To) « οὐκ εἶδον ἀνεμωκέα κόραν ».

25

ναί.

οὐ ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμενον τῷ « οὐζκ εἶδον ἀνεμωκέα κόραν ». ναί. οὐ ποητῆς τις οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὐκ εἶδον ἀνεμωκέα κόραν ».» 29-32 οὐζκ εἶδον [...] κόραν restitui syllogismi ratione.

— 104—

30

(24)

Se Saffo, dichiarando cosi: « Non so che fare: ho due cose in mente »,

negava: « So che fare: ho due cose in mente »,

ci sono locuzioni ambigue. Si.

Non ci sono locuzioni ambigue. Si. Non Saffo, cosi dichiarando: « Non so che fare: ho due cose in mente »,

negava: « So che fare: ho due cose in mente ».

(25)

Se Saffo così negava: « Non so che fare: ho due cose in mente »,

c'è un enunciato affermativo opposto a: « Non so che fare: ho due cose in mente ».

5). Non c'é un enunciato affermativo opposto a: « Non so che fare: ho due cose in mente ».

5).

Non Saffo cosi negava: « Non

(26)

so che fare: ho due cose in mente ».

Se qualche poeta cosi dichiarava: « Non ho visto una fanciulla veloce come

il vento »,

c'è un enunciato affermativo opposto a: « Non ho visto una fanciulla veloce come il vento ». SÌ. Non c’è un enunciato affermativo opposto a: « Non ho visto una fanciulla veloce come il vento ». 5]. Non qualche poeta cosi dichiarava: « Non ho visto una fanciulla veloce come il vento ».



105—

(27)

[« οὐκ εἶδον ἀνεμωκέ-] α κόραν »[ χαταφαίτικ-

XV

13 15

φατικαΐ

ἀντοκῖι(28)

18

χαταφατίικ- ἀξιώ-]

ματα ἀποίφατικὰ ἀν-]

20

τίκειται

10

δεχεται δ

σιν καχεί ἀποφαινί x εἶδον ἀνείμωκέα κό-] pav » ἀποφί&-] νεμωκέα κόραν TOv οὐ εἰδί

1

7 vv.

25 15 28

desiderantur.



106—

COMMENTO

Il contenuto filosofico del frammento (in particolare l'uso tecnico di ἀξίωμα) fu subito notato fin dal primo editore (Letronne 1838) e confermato in seguito da Bergk (1841), che lo attribuì espressamente al Περὶ ἀποφατικῶν di Crisippo (cfr. D.L. VII 190). Tale attribuzione, ritenuta altamente probabile (almeno per quanto riguarda l'autore) da Prantl (1855, pp. 451452 n. 138), fu condivisa fra gli altri da Zeller (190%, p. 107 n. 3), e respinta invece da von Arnim (SV F I pp. vü-ix), che tuttavia riprodusse per intero il frammento nella sua silloge crisippea (SV II 180). L'ipotesi di von Arnim è che si tratti piuttosto di un manuale scolastico (ipotesi accolta, per es., anche da Pohlenz 1959/1967, Vol. I, p. 85 e n. 7, e ripresa ora, con qualche modifica, da Hülser, FDS, p. 779); e anzi, con più probabilità, di

una esercitazione di qualche scolaro del tutto inesperto di logica stoica. Pareri così contrastanti giustificano pienamente l’osservazione di Seider (1970, II p. 57), secondo cui è mancata finora una vera € propria « philosophische Eròrterung » del frammento. Per altro la letteratura più recente su Crisippo e sulla logica stoica sembra averlo del tutto trascurato (cfr. per es. Mates 1961s, Mignucci 19673, Kneale & Kneale 1962/1972, Egli 1967, Gould 1970, Frede 1974, Brunschwig

1978).

1. Il papiro conteneva presumibilmente 29 argomenti deduttivi, di cui 28 si conservano parzialmente o integralmente,e 1, compreso fra gli argomenti (16) e (17) della numerazione pro-

gressiva e contrassegnato nella edizione da (*), è andato del tutto perduto in seguito al restauro antico del papiro. Dei 28 argomenti conservati, 26 sono o integri o sicuramente ricostruibili; gli ultimi due, invece, presentano solo tracce su cui è difficile —

107—

formulare ipotesi conclusive. Dei 26 argomenti sicuri, 6 sono in modus ponendo ponens (MPP): (1), (2), (13), (15), (16) e (23). Gli altri sono in modus tollendo tollens (MTT). Tutti risultano formalmente validi, salvo (13) e (23), che, come si leggono nel papiro, sono esempi di fallacia dell'antecendete; ma evidentemente il copista ha commesso in entrambi i casi un errore di aplografia (caduta di un ob di fronte a οὕτως). Se sono formalmente validi, non sono materialmente veri, ma tutti deducono una conclusione

paradossale, cioè che certi versi di poeti anche molto noti, come Alceo, Saffo, Euripide, non sono enunciati grammaticali in greco e quindi non possono essere stati detti o dichiarati da quei poeti. In realtà le 24 citazioni poetiche contenute nel papiro sono altrettanti enunciati negativi perfettamente grammaticali in greco.

Pertanto in ciascun argomento almeno una delle premesse deve essere falsa. Gli argomenti sono chiaramente scanditi da segni di in-

terpunzione.

La prima premessa è introdotta da παράγραφος

con sotto disegnata una coronide. La seconda premessa e la conclusione sono indicate da παράγραφος semplice. Un val chiaramente separato da ciò che precede e da ciò che segue compare fra le due premesse e fra la minore e la conclusione. L’interpunzione corretta è quella originaria di Letronne. Bergk (seguito da Seider) interpunge: Nat οὐ ...; mentre von Arnim (seguito da Hiilser) interpreta (senza fondamento paleografico): val où... (Prantl addirittura: ... - vat - où.). Altra caratteristica degli argomenti è che mancano le tipiche particelle inferenziali (ἀλλὰ μήν, ἄρα). Il tratto distintivo di questa serie di argomenti è che la premessa condizionale dei 6 in MPP non è altro che la contrapposta di quella dei 20 in MTT: pertanto i due gruppi condividono lo stesso tipo di premessa categorica e di conclusione. In schema si ha questa situazione:

P-0

e

MTT 2.

—Q —P

—Qo—P

MPP

Veniamo ora ai vari enunciati che compaiono negli argo-

menti. Quelli che formano le premesse e la conclusione (d'ora in —

108—

poi P e Q) sono in realtà meta-enunciati (cfr. Hülser, F.D5, p. ba, i cui enunciati-oggetto sono dati dalle 24 citazioni poetiche. Quest'ultime sono tutte enunciati negativi (d'ora in poi —A),in cui la particella di negazione οὐ compare sempre al primo posto e in due modi distinti esprimibili con οὐχ A ob* A

dove A è un enunciato affermativo, x è il x mobile della negazione oggettiva quando A inizia per vocale, e * rappresenta una o più parole enclitiche (τοι, δε, με, pot) rette da οὐ ortotonico. La grande maggioranza degli enunciati-oggetto, 19 su 24, è

del tipo * οὐκ A’ (in un caso, (17), si ha * οὐχ A’ con aspirazione); dei 5 del tipo * o0* A’, 2 hanno οὔτοι (cfr. (2) e (11)), 1 ha οὔ μοι (cfr. (9)), 2 hanno οὐδέ (cfr. (14) e, accogliendo un suggerimento di D. Sedley, (23));(2) presenta, oltre a οὔτοι, anche l’enclitica με: οὔτοι us. I meta-enunciati negativi — Q, forma

— P sono invece /s£/i della

oU A

dove 74 è un (meta-) enunciato affermativo iniziante per vocale O per consonante, e οὐ compare in prima posizione senza x efelcistico neanche di fronte a vocale (a riprova cfr. (14), dove il copista espunge un x aggiunto per errore). In tre casi poi, cioè in (1), (2) e (17), un meta-enunciato presenta la « negazione congiunta »

οὔτε ..., οὔτε ...” (* Né ..., né... "), equivalente alla ne-

gazione di una disgiunzione, cioé a enunciati della forma

—(4Q o Q, (ctt. (1) e ὦ)

— (P, o Pj) (cfr. (17)).

Anche alcune citazioni poetiche sono negazioni congiunte (cfr.

(2), (9), (22), (23)), ma il meta-enunciato corrispondente non ri-

guarda la negazione della disgiunzione * — (74, o 4)”, bensì il primo dei due congiunti negativi ‘— A, & — A,’. Altre citazioni poetiche non sono enunciati semplici, ma composti: —

109—

l'avversativa (8): ' οὐκ “4,, ἀλλὰ A,’ (equivalente a un enunciato congiuntivo o congiunzione); le congiunzioni (con asindeto) (12), (13), (20), (25): da notare che il secondo congiunto della (20) e negativo, ma con οὐκ non in posizione iniziale; infine la (21), la cui

citazione presenta un tipo di composizione non vero-funzionale

che gli stoici chiamerebbero « παρασυνημμένον » 0 « quasi-condizionale »: * — Ai, poiché “ς᾽. In tutti questi casi, comunque, il

meta-enunciato riguarda soltanto il primo membro dell’enunciato composto. 3. Quanto al contenuto dei meta-enunciati, quest'ultimi si possono ripartire (con Hülser) in due gruppi: — meta-enunciati fa//ual; (storico-letterari: Hülser), riguardanti cioè la tradizione letteraria, del tipo: « Un certo poeta ha detto (ha dichiarato o ha negato cosi): * — A° »; — meta-enunciati dialettici, del tipo: «Si oppone a * — A’ un ἀξίωμα affermativo ». I primi li chiameró meta-enunciati P (— 7, Hülser), i secondi meta-enunciati Q (= D Hülser). In genere i meta-enunciati P sono del tipo: « Un certo poeta ha detto ‘— A’», cioè contengono solo l'enunciato-oggetto negativo. Ma in 2 casi, (16) e (24), contengono anche un’enunciato-oggetto affermativo: «Il poeta tal dei tali, dichiarando * — A’, ha negato A°». I meta-enunciati Q presentano solo l’enunciato-oggetto negativo o solo un (presunto) enunciato-oggetto affermativo, o né l'uno né l'altro: cfr. (11), (16) e (24). In definitiva ci sono argomenti in cui compaiono sia l'enunciato-oggetto negativo sia un (presunto) enunciato-oggetto affermativo, € argomenti in cui compare solo l'enunciato-oggetto

negativo. Gli argomenti (16) e (24) sono 1 soli in cui compare sia l'enunciato-oggetto negativo sia il corrispondente enunciatooggetto affermativo. Tutti gli argomenti integri si possono pertanto disporre se-

condo questa tavola (le sigle * — ’, ‘ +’ indicano rispettivamente —

110—

le occorrenze del solo enunciato-oggetto negativo o anche dell'enunciato affermativo corrispondente, vero o presunto): P—Q I — A .

—Q

— P

—Q--—P, III

t A

— A .

+ A (1)

. (15) .

. (13) . . (16)

Ä (3)

(4) 6) (6) (7) (8) ) (10) (11). . (14) . .

(17) (18)

(19) ᾿ Ä

(25)

—£

II

(9) ) ) (12) .

| (20) (21)

(22) ) (24)

—P

IV

() Ä

) (23)

(26) L'ordine seguito dall'autore nel disporre la serie degli argomenti sembra rispondere soltanto al gusto della variarıo stilistica. Anche la scelta dei brani poetici sembra dovuta solo a motivi formali. Si notano tuttavia certe ricorrenze non casuali. Gli argomenti (1) e (2) sono probabilmente dello stesso tipo e classificabili entrambi sotto IV. In realtà (1) è costruibile anche come (9), ma la contiguità e affinità con (2), dove Q è una negazione congiunta, fa propendere per la prima soluzione. L'inverso di —

lll—

(1), in MTT

e con P negazione

congiunta,

è (17), mentre in

(2) e (18) si ha la variatio dindéc | ἀληϑῶς. Il gruppo (3)-(8) è

il più continuo: affermativo a

Q è sempre uguale a «si oppone un ἀξίωμα

‘— A°

»; P invece varia su formule come

in modo vero un poeta dichiarava così: * — uno dichiarò: ‘ — A’ così negava il tal poeta: * — A’

è vero ciò che diceva il tal poeta: * —

A’

A”.

(9) e (21) presentano una variatio lessicale in O:

«‘A°

è una

φάσις» | «‘ A’ è un ἀξίωμα ». (12) e (13) risultano contrapposti. Infine, (11), (16) e (24) presentano

in O

la variatio più

problematica: a un solo ἀξίωμα affermativo si oppongono due negativi [(11)] ci sono locuzioni ambigue [(16) e (24)].

Questi ultimi due argomenti sono chiaramente contrapposti. Di qui la ricostruzione di (16) sulla base di (24) anche per quanto riguarda l’omissione, solo in questo caso, del x efelcistico nell'enunciato affermativo corrispondente. 4.

I risultati fin qui ottenuti dipendono in parte dall'aver

ripristinato

la punteggiatura

originaria

del papiro

per quanto

riguarda le particelle vat-où, seguita da Letronne e poi omessa dagli editori successivi, in particolare da von Arnim, che considerava le due particelle contigue. Vi è ora un altro dettaglio importante del testo, che occorre ripristinare secondo la lezione del papiro e contro la tradizione degli editori. Si tratta del x che compare in (12), (13), (20), (21), (22) all’inizio del presunto opposto affermativo del brano poetico οὐκ A. Letronne lo integra in οὐκ; Bergk, invece, seguito da von Arnim, Seider e Hülser,

lo espunge sempre. La soluzione di Letronne non dà senso. Quella di Bergk (a) non spiega la ricorrenza sistematica di x nei casi citati (fa eccezione solo (24) per motivi che vedremo, e di conseguenza anche (16)); (b) interrompe la simmetria coi restanti casi delle colonne + A, in cui l'opposto affermativo ricorrente di o0 * 74 è * A; infine (c) non spiega come sia possibile asserire che l’espressione 74 (espunto il x) non è un ἀξίωμα affermativo —

112—

È

1

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-— P

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>

fa

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mM a "m".

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νὴ "r x 5iie

EM

mias EI

z:

da

E

ESTE ne

a

o non si può asserire (l'unica soluzione in questo caso sarebbe di considerare falsa, come fa Hülser, la premessa — O). Restaurando la lezione del papiro si ottiene, credo, una risposta soddisfacente a tutti questi quesiti. In breve, il nocciolo dell'argomentazione è il seguente: se οὐκ A o οὐ * A può essere asserito, allora lo puó essere anche il suo opposto affermativo, rispettivamente «A e *A, ottenuto eliminando la pura negazione ob in posizione iniziale; ma né «A né *A si possono asserire, in quanto non sono espressioni grammaticali in greco; dunque neanche οὐκ A ο ob * A possono essere o essere state asserite, per es.,

da qualche poeta. *A non è grammaticale in quanto la parola enclitica * compare in prima posizione. x non è in genere un’espressione ben formata; in alcuni casi è grammaticale, per

es. come crasi (cfr. (4), (17), (22)), ma risulta sintatticamente incompleta e comunque »on è l'opposto contraddittorio di oùx A. C'è infine la possibilità che οὐκ A sia formalmente ambiguo (un’ambiguità di composizione e divisione). Supponiamo, per es., che A inizi con ENTAYPOIZ; ora, la negazione OYKENTAYPOIXZ può essere interpretata in almeno due modi: οὐκ ἐν ταύροις vs. οὐ κενταύροις (cfr. Teone retore in Spengel RhG II 81-82, cit. da W. B. Stanford 1939, pp. 43-44). Evidentemente καὶ è l’opposto affermativo di οὐ κενταύροις, mentre

κεν ταύροις non è grammaticale: il dialettico, in entrambi i casi, userebbe od: οὐ κενταύροις,

οὐ ἐν ταύροις, evitando ogni

possibile anfibolia e, nel primo caso, anche il rischio di una espressione non-grammaticale o incompleta. Pertanto la teoria logica soggiacente ai vari argomenti e responsabile della loro conclusione paradossale è quella formulata in modo esplicito (+ A) o implicito (— A) nella premessa condizionale, nella quale dunque si annida la falsità dell’argomento. 5. Ma prima di trarre delle conclusioni cercare di risolvere il problema della natura e zione di quest'opera, occorre superare ancora presentati, rispettivamente, da (11) e da (16) e condizionale di (11) è la seguente:

da quest'analisi e possibile attribudue ostacoli rap(24). La premessa

Se il Ciclope di Timoteo, rivolgendosi a un tale, così dichiarò: “οὐ * A’, si oppongono a sn enunciato affermativo dse enunciati negativi. —

113—

La tesi espressa dalla apodosi non ha ovviamente a che vedere con la «supernegativa » stoica (o negazione della negazione), come pensava Bergk. Essa viola un principio logico già discusso da Aristotele nel De interpretatione (cfr. Int. 7, 17b 38 sgg.; 10, 20b 4 sgg.) e ovviamente condiviso anche dagli stoici: la negazione di un'affermazione è una sola. Ma la tesi espressa dall'apodosi in che modo si connette con la protasi del nostro condizionale? Ora, le implicazioni dei vari argomenti non sono semplici condizionali filoniani o implicazioni materiali, ma implicazioni rilevanti © pertinenti (nel senso tecnico odierno della espressione), cioè la negazione del conseguente è sempre incompatibile con l’antecedente. Nel nostro caso l’enunciato affermativo deve essere A, cioè: « τόν γε ὑπεραμπέχοντα οὐρανὸν εἰσαναβήσει », perché τοι 4 non è un enunciato Zouf cour? (cfr. (2)); e i due enunciati negativi sarebbero, rispettivamente, «où τόν γε [...] εἰσαναβήge.» e «οὔτοι τόν γε [...] εἰσαναβήσει », se quella del Ciclope fosse stata realmente un’asserzione negativa. Ma per il dialettico, οὔτοι A, se è una negazione, nega τοι A, € τοι 4 non è asse-

ribile. Riassumendo: se « OYTOI τόν ve [...] εἰσαναβήσει» è una negazione, allora all'affermazione « τόν γε [...] eloavaßnoeı » si

oppongono dwe negazioni, rispettivamente, « οὐ τόν γε [...] εἰσα-

ναβήσει» e «οὔτοι τὸν γε [...] εἰσαναβήσει ». Ma quest'ultima non è una negazione, perché l’affermativa corrispondente è piuttosto «tor τόν γε [...] εἰσαναβήσει », cioè un'espressione nongrammaticale in greco. Più complesso, in apparenza, il caso di (16) e (24), perché qui il meta-enunciato Q non enuncia una tesi logica patentemente falsa come in (11), bensì la tesi non facilmente decifrabile secondo cui: Ci sono ἀμφίβολοι διάλεκτοι.

Di solito il sintagma ἀμφίβολοι διάλεκτοι è interpretato come equivalente a « enunciati contraddittòri », che in questo caso (e solo in questo caso nel papiro) sarebbero della forma ox Ade A (non xA). Ma l’uso di ἀμφίβολος nel senso di « contraddittorio » è inusitato e francamente sorprendente. Inoltre, anche διάλεκτος come «enunciato » sembra una forzatura. L’autore usa per « opposto (contraddittorio) » il termine tecnico (stoico, ma vedi

— 114—

già l'uso aristotelico nel De interpretatione, per es. 10, 20a 19)

ἀντικείμενον, e per «enunciato» ἀξίωμα e/o φάσις. L'autore inoltre sosterrebbe in questo modo che non esistono enunciati contraddittòri (cfr. la premessa aggiunta di (24)). Ma questoè chiaramente in contrasto con le sue assunzioni. Un'altra possibilità è quella d’interpretare ἀμφίβολοι διάλεκτοι come equivalente a «espressioni linguistiche ambigue » (cioè con due o più significati). Tuttavia non si vede come I!’ biguità di οὐκ A e di A in (16) e (24) sia di tipo semantico.

Inoltre l’uso di διάλεκτος nel senso di « espressione linguistica »

(parola?, enunciato?) è un po’ vago. Sedley (in una comunicazione privata) avanza l'ipotesi che in (24) l'ambiguità sia quella del secondo enunciato (le ultime quattro parole), che nella versione negativa verrebbe a significare (« mischievously ») l'opposto che nella versione affermativa, sfruttando la possibilità che la negazione neghi l’intero enunciato composto. Ma questa soluzione non è confermata dal caso analogo (16), dove la citazione poetica è un enunciato semplice. Inoltre in nessun altro esempio di citazione poetica composta entra in causa Il secondo enunciato. Infine l'ambiguità si ridurrebbe anche qui a contraddittorietà (o a «scope ambiguity » nel caso della negazione), che è un tipo particolarissimo di ambiguità. La soluzione possibile del p47z/ deve, al solito, tener conto del legame di rilevanza o pertinenza che l’implicazione stabilisce fra protasi e apodosi della premessa condizionale. Consideriamo (24): Se Saffo, dichiarando così: « OYKOIAA [...] νοήματα», « OIAA [...] νοήματα », allora ci sono ἀμφίβολοι διάλεκτοι.

negava

L’autore assume poi nella seconda premessa che non ci sono ἀμφίβολοι διάλεκτοι. Conclusione: Saffo, dichiarando « ΟΥ̓́ΚΟΙΔΑ [...] νοήματα », non negava « OIAA [...] νοήματα ».

Fra i tipi di ambiguità elencati dagli stoici (per cui cfr. Galeno, De captionibus, e Blair Edlow 1975, 1977) c’è appunto quello, ricordato sopra a proposito dell’esempio di Teone retore, che riguarda la composizione e divisione delle parole o ambiguità —

115—

κατὰ διάστασιν: «quando non ἃ chiaro a che cosa una certa particella sia connessa » (Spengel AG

in « OTKENTAYPOIZ » +

II 81-82), come, per es.,

«ΟΥ̓Κ EN TAYPOIZX » vs.

«OY

KENTAYPOIX ». Ora, nel nostro frammento, è in gioco pro-

prio l'ambiguità di divisione dell'espressione οὐκ A, che l'autore divide sempre (contro l'uso) in οὐ xA

(e, parallelamente,

οὐ" A+ οὐ *A), eliminando in questo modo la possibilità di /ocuzioni ambigue. Di qui la tesi secondo cui non ci sono ἀμφίβολοι διάλεκτοι, interpretate quest'ultime appunto nel senso di «locuzioni ambigue» (per l'uso di διάλεκτος come «locuzione » o «sintagma », cfr. già Pl. 757. 183b, dove per διάλεκτος

si intende

l'espressione οὐδ᾽ οὕτως).

Da

notare in-

fine che quando Teone scioglie l'ambiguità κατὰ διάστασιν del suo esempio, non volendo servirsi in entrambi i casi del puro οὐ (come avrebbe fatto presumibilmente il nostro autore) usa la negativa intensiva οὐχί: OYKENTAYPOIZ ὁ Ἡρακλῆς μάχεται + οὐχὶ κενταύροις ὁ ᾽Ηρακλῆς μάχεται -» οὐχὶ ἐν ταύροις ὁ ‘HpaxAfg μάχεται.

6.

A questo punto è possibile trarre qualche conclusione.

(a) Mi pare sia per ciò che οὐ ... »), sia per tura coerente del L’interpunzione

che ripristinando la lezione originaria del papiro riguarda la punteggiatura (la scansione «val. l'occorrenza del x efelcistico, si ottenga una lettesto, anche se paradossale nelle sue conclusioni. originaria permette di recuperare la forma let-

teraria dell’opera, il cosiddetto « schema dialettico » per domande

e risposte. Qui le domande sono in realtà premesse di argomenti deduttivi e le risposte coincidono con la nuda assunzione delle premesse. L'assenza della forma interrogativa può essere dovuta a cristallizzazione dello schema dialettico, un fenomeno che tra-

spare anche dalla totale mancanza nei vari argomenti deduttivi delle consuete particelle di transizione proprie dello stile colloquiale della dialettica greca. La conservazione del x mobile negli esempi in cui ricorre dà un senso compiuto agli argomenti e ristabilisce la coerenza del testo per quanto riguarda l’altro gruppo di esempi, quelli cioè in o5 * A. (5) In gioco è appunto la διάστασις dei gruppi oóx A e où * A. L'autore assume in (16) e (24) che tale divisione non sia —

116—

ambigua (οὐ εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι) e scinde univocamente i due gruppi cosi: οὐχ

A

— ob

x A

οὐ

A

> ob FA.

Inoltre evita sempre οὐκ A in favore di οὐ A nei meta-enunciati negativi, anche in presenza di iato (ciò che Teone retore evita usando obyl). Le altre assunzioni che compaiono nelle premesse dei vari argomenti sono tesi logiche o grammaticali. In sintesi le varie assunzioni si possono così riassumere: (i) La negazione non equivoca di un enunciato affermativo è la pura particella οὐ premessa all'intero enunciato. Sotto questa condizione si eliminano i possibili casi di ambiguità κατὰ διάστασιν del tipo OTKA + ΟΥ̓Κ A [ΟΥ̓ KA, non infrequenti nel greco antico, non solo nella lingua parlata, ma anche nei testi scritti, in cui le frasi comparivano in seripfio continua (ne è un esempio il nostro papiro, dove le pause sono solo alla fine dei vari enunciati). A tali casi si possono aggiungere evidentemente anche quelli paralleli del gruppo OYTOLA + ΟΥ̓́ΤΟΙ A / OY TOLA. (ii) A un’anica affermazione non si oppongono due negazioni (cfr. (11)), ma una e una soltanto. Che è tesi logica, qui tuttavia col significato speciale (equivalente in definitiva al principio (i): « Non ci sono locuzioni ambigue » nel caso della nega-

zione) di: data un’affermazione .4, la sola negazione è OY A. (ii) Se OY A è una negazione, allora A è l’affermazione opposta contraddittoria, cioè un'espressione vera o falsa, € quindi asseribile come ἀξίωμα 0 φάσις, e che si oppone (ἀντίκειται) a OT A. (iv) La negazione di una disgiunzione è la negazione congiunta « né..., né...» (οὔτε . ., οὔτε ...), per la quale (come sembra) non si dà ambiguità di composizione e divisione (OY TE). Essa equivale evidentemente a: οὐ (ἦτοι A 7 B) (cfr. (1), (2), (17) e l'argomento di Diodoro Crono ap. S.E. AM X 87, riportato sura, p. 66). (e) L'autore degli argomenti applica tali assunzioni a esempi concreti della tradizione poetica seguendo i due principali schemi —

117—

d'inferenza deduttiva della dialettica greca, cioè MPP e MTT. I brani poetici sono trattati come se soddisfacessero l'assunzione (i) nelle premesse condizionali (salvo, come si & visto, (16) e (24)).

Il che è chiaramente assurdo e conduce alla falsità della conclusione. Da notare che quando l’autore afferma: « Se un poeta ha dichiarato ‘oùx A’, si oppone un enunciato affermativo a ‘ οὐκ A” », che è prima facie tesi logica corretta, in realtà intende dire, come si evince per es. da (9): «Se un poeta ha dichiarato ‘ οὐχ A’, si oppone a ' οὐκ A” l'enunciato affermativo “x 4° », dove ‘x

A? è un’espressione non-grammaticale o incompleta. La se-

conda premessa è invece sempre corretta e soddisfa le assunzioni (ii) e (iii), per es.: „A (o *A) non è né vero né falso; non è un enunciato affermativo opposto a oùx 4 (o οὐ *74); non è /owf cour? un ἀξίωμα o una φάσις;

a un'unica affermazione nor si oppongono due negazioni. L’unica eccezione è rappresentata al solito da (16) e (24), dove

anche la seconda premessa soddisfa (i). L’ipotesi più semplice sulla natura di questo scritto sembra quella di un’opera polemica nei confronti della teoria (i)-(iv), in particolare nei confronti di (i). Gli esempi poetici divengono contro esempi della teoria. Ma in questo caso la teoria della negazione pera doveva avere un intento non solo normativo (regimentare l’uso della negazione in modo da evitare ambiguità di divisione), ma anche (il che è poco probabile) descrittivo dell’uso.

In tal caso si tratterebbe di polemica capziosa, forse intesa a mostrare la scarsa importanza di (i) dal momento

che i numerosi

esempi poetici accumulati dall’autore sono tutti in realtà immuni dal pericolo dell’ambiguità di divisione. Certo su un punto l’autore sembra colpire a fondo, nel caso cioè degli enunciati οὐ A il cui pendant affermativo non può mai essere *A come vorrebbe (i). Ma anche in questo caso si suppone forse capziosamente che la (i) sia descrittiva dell’uso e non prescrittiva di una terapia per sanare i casi di ambiguità del greco ordinario. L’altra possibilità è invece che si tratti di uno scritto (forse un manuale di soli esempi come quelli di cui parla Aristotele a proposito dei vecchi manuali di retorica alla fine di SZ) dichiaratamente sofistico e inteso a ottenere conclusioni paradossali —

118 —

sfruttando la (1) e in generale il principio che la negazione è so/o οὐ e che quando è in prima posizione nega tutto ciò che segue, ma che se ciò che segue non ha senso, allora neanche le negazioni dei poeti sono negazioni. È comunque da scartare l’attribuzione al Περὶ àἀποφατικῶν di Crisippo. Indubbiamente gli stoici sostenevano la teoria prescrittiva della negazione preposta, ma non quella della negazione pura, anche se mostrano di prediligere la negazione οὐχί e forse proprio per ragioni di ambiguità κατὰ διάστασιν. Comunque la polemica antistoica a proposito della negazione preposta si svolge a livello filosofico, non riguarda il conflitto col linguaggio comune. Questo vale sia nel caso di Alessandro di Afrodisia e dell’attacco

peripatetico alla teoria della negazione esterna, argomenti scettici riportati da Sesto Empirico preciso dell’espressione πλεονάζει (AM VIII di S.E. menziona espressamente gli stoici —

sia in quello degli contro l’uso im89-90). (Il passo non i dialettici —

cfr. sb. 88, e sembra attribuire «a noi », cioè agli scettici, l’obie-

zione ...). Inoltre, come è stato notato da von Arnim (e cfr. ora anche Hülser, F DS, p. 779) la forma dialettica per esempi esclude che si tratti di un’opera dottrinale qual era verosimilmente il Περὶ ἀποφατικῶν. Anche la mia precedente ipotesi (Cavini 1982) di un'attribuzione ai Λόγοι dropkoxovres πρὸς γυμνασίαν (D.L. VII 197) mi sembra ora del tutto infondata. Non sappiamo esattamente che tipo di sofisma fosse il « negatore » (cfr. Hülser, FDS 1219). Le due opere di Crisippo sull’argomento compaiono di seguito all’antinomia del mentitore. Questo esclude comunque che vi si trattasse di una teoria della negazione non ambigua come la (i). Piuttosto si dovrebbe pensare a un’opera sull'ambiguità di composizione e divisione, com'era forse il Πρὸς τοὺς μὴ διαιρουμένους (D.L. VII 193). Si tratterebbe allora di un’opera polemica contro i sostenitori della (i). La terminologia del frammento

è indubbiamente stoica. Ma la

non distinzione (come osserva Sedley) fra significante e significato

non è crisippea. Si veda per es. la sinonimia fra ἀξίωμα e φάσις più volte richiamata (cfr. (9) e (21)). L’opera di Crisippo sulle anfibolie sopra ricordata appartiene al luogo della λέξις, non dei πράγματα (D.L. VII 192). Inoltre φάσις= κατάφασις= ἀξίωμα καταφατικόν non è un uso attestato per gli stoici, ma si ritrova in Platone e Aristotele (cfr. in part. Ochler 1962, pp. 161—

119—

162). Cosi pure διάλεκτος come « locuzione » o « sintagma » non corrisponde alla definizione di Diogene di Babilonia (D.L. VII 56) nel senso di «lingua» o «dialetto », che è poi quella (già presente in Aristotele [cfr. Ax 1978], ma non in Platone) usuale in età ellenistica e romana. L’altra ipotesi di attribuzione, suggeritami da Sedley, è particolarmente suggestiva: «an early 3rd century B.C. Academic attack on logic », e merita un esame dettagliato. Si fonda su una lettura del papiro che è quella da me proposta per ciò che riguarda ναί. où... e il x mobile, ma ne sottolinea il carattere polemico: se si accettano certi principi logici, si arriva al risultato paradossale che molte ben note frasi negative non sono affatto delle frasi.

Ciò che l’ipotesi di Sedely non sembra cogliere (come del resto anche la mia precedente interpretazione) è il problema dell’awbiguità di divisione, il fatto cioè che la dottrina logica attaccata nel papiro sembra essere stata un tentativo di normalizzare, insieme alla posizione iniziale della negativa οὖ, anche i casi esposti all'ambiguità κατὰ διάστασιν: οὐκ A, οὔτοι A, ecc., prescrivendo

l'uso puro e semplice di οὐ. Pertanto la tesi: « Non ci sono locuzioni ambigue », é da considerarsi un risultato di tale prescrizione. Per Sedley, invece, essa equivale alla tesi di Diodoro

Crono

per cui nessuna espressione

linguistica

sarebbe ambigua (fr. 111 Döring = Gellio 11.12.1-3), a cui si oppone quella di Crisippo per il quale ogni espressione linguistica è ambigua. Ora la tesi di Diodoro Crono (come quella di Crisippo) è evidentemente descrittiva dell'uso comune. Pertanto Diodoro Crono non potrebbe aver sentito il bisogno di normalizzare l’uso della negazione nel senso di (i) onde evitare casi di ambiguità κατὰ διάστασιν. Questo semmai poteva essere un bisogno sentito da Crisippo. Ma non risulta dalle nostre fonti che egli teorizzasse tale forma di purismo (unico sintomo,

ripeto, l’apparente predilezione stoica per οὐχί). Né risulta che i dialettici del IV-III secolo a. C. teorizzassero in genere la divi-

sione sistematica di OYK A in OY KA. In conclusione:

— Il frammento contiene un attacco a una dottrina logicogrammaticale della negazione e degli enunciati negativi in genere. — L'attacco è una tipica confutazione dialettica che assume —

120—

i principi dell'avversario e li riduce all'assurdo mostrando le conseguenze paradossali a cui essi conducono. — La dottrina confutata é un tentativo di eliminare i casi non infrequenti in greco di ambiguità κατὰ διάστασιν, in particolare del gruppo OTKA, prescrivendo l’uso della negazione οὐ anche davanti a vocale. — La dottrina confutata è una dottrina logica in quanto prescrive l’uso della negazione preposta già presente nei dialettici del IV e III secolo a. C. (cfr. per Arcesilao, S.E. AM VII 157; per Diodoro Crono, S.E. AM X 85-101, e supra p. 66). Tale uso

sembra sistematico negli argomenti deduttivi, per es., in MTT, e probabilmente si è originato dalla necessità di rendere immediatamente evidente la premessa negativa (cfr. Goulet 1978, p. 185). L’uso di οὐ preposta negli argomenti si trasferisce poi agli enunciati negativi in genere, anche se non sono parte integrante di argomenti dialettici. — La dottrina in esame e la sua confutazione sono formulate secondo una terminologia che è stoica (cfr. non solo ἀξίωμα, ma anche

ἀντικεῖσϑαι

nel senso di opposizione

contraddittoria e

l’uso di ἀποφαίνεσϑαι), con la sola eccezione, forse, di φάσις e

διάλεκτος; mentre l’anfibolia di divisione è tipica anche della dottrina stoica (vedi l'elenco in Galeno, De captionibus). — La dottrina in esame e la sua confutazione riguardano apparentemente il significante non distinto dal significato. Quest'ultimo punto tuttavia non mi sembra decisivo, perché molte discussioni della logica stoica, per es. S.E. AM VIII 89-90 sulla negazione preposta, commettono un abuso di uso e menzione. Pertanto: PPar. 2 contiene un frammento di un’opera dialettica del III secolo a. C. Si tratta di un ἔλεγχος in schema dialettico cristallizzato di una dottrina della negazione. Tale dottrina non è attribuibile né ai Dialettici né agli Stoici (in particolare non a Crisippo). La confutazione puó essere tuttavia opera di uno stoico della seconda metà del III secolo a. C. (forse Crisippo stesso) in polemica con una posizione logico-grammaticale considerata estrema e deviante.



121—

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126



II IL PAPIRO

PARIGINO

N. 2

edizione a cura di

M. Cristina Donnini Macció e M. Serena Funghi

Il papiro parigino n. 2! proviene dalla collezione Salt e Drovetti, acquistata dal Museo del Louvre nel 1827:* faceva parte di un numeroso gruppo di papiri che i locali avevano trovato nella zona del Serapeo di Menfi e avevano venduto ad acquirenti diversi.? Il contenuto di questi papiri consta per gran parte di petizioni indirizzate al re o a funzionari, di corrispondenza privata e di resoconti di sogni, tutto di mano di Tolomeo figlio di Glaucia. Questo personaggio, di origine macedone, che prestava servizio come ‘reclusus’, ἐν κατοχῇ, nel tempio, fornisce con questo suo archivio 4 uno squarcio di luce sulla vita e il funzionamento del grande santuario, sulle persone che vivevano fra le sue mura — sacerdoti, addetti ai servizi liturgici, ἱερόδουλοι, frequentatori —, sul servizio cultuale, sulle pratiche sacre, come l'incubazione e l’onirocritica, di cui Tolomeo stesso si occupava. Sul verso di questo stesso papiro leggiamo ad esempio il resoconto del sogno di Nektembes,* oltre ad alcuni calcoli contenenti date che permettono di stabilire un ferminus ante quem per la datazione della scrittura del recto. I conti risalgono infatti all'anno 220 La revisione del testo è stata condotta sull’originale: ringraziamo per il prezioso aiuto fornito l’amico Rosario Pintaudi. Esprimiamo agli amici Gabriella Messeri e Guido Bastianini la nostra riconoscenza per gli utili consigli offerti. 1 P.

Louvre

Inv.

2326.

3 Per notizie più dettagliate si veda W. Brunet DE PRESLE, in Nosises ef extrait de manuscrits de la Bibliotbóque impériale, t. XVIII, 2, 1865, pp. 1-24; 261.

3 Lotti di papiri del Serapeo si trovano adesso a Londra, alla British Library, al Rijksmuseum van Oudheden di Leiden, alla Biblioteca Vaticana. 4 Per il quale si veda la raccolta edita da U. WıLcken, Urkunden der Ptolemaergeit (= ΡΖ), vol. I, Berlin-Leipzig, De Gruyter 1922, n. 79, p. 364 sgg. 5 Edizione in ΡΖ, cit., n. 79, p. 364 sgg.



129—

e 25° del regno di Tolomeo Filometore, cioè rispettivamente al 159 e 156 a. C.: il testo di dialettica scritto sul rec/o puó venir plausibilmente datato, anche in base all'esame paleografico,* ad una cinquantina di anni prima. Il rotolo misura cm.

82,5 x 21 e conserva

15 colonne

di

scrittura, di cui la prima e l'ultima mutile. L'altezza della colonna è cm. 16, la larghezza media cm. 5,2; le misure dell'intercolunnio

variano da 1 a 2 cm. I margini conservati sono il superiore circa cm. 1, l’inferiore circa cm. righi per colonna è di 27 fino alla col. 5, di 28 delle lettere per rigo varia da 10 a 22. Sono presenti punti sticometrici ogni venti

piuttosto ristretti: 2. Il numero dei dalla col. 6; quello righi; inoltre il M

ed il N di col. 4, r. 18 e col. 10, r. 24 dovevano trovarsi a di-

stanza di 200 righi tra loro,” se si considera che fra le attuali colonne 9 e 10 mancano 28 righi, l'equivalente cioè di un’intera colonna. La causa di tale perdita è probabilmente riconducibile a un danneggiamento antico del rotolo in questo punto, poiché la kollesis assai grossolana presente fra le colonne 9 e 10 si rivela piuttosto come una sutura di due pezzi appositamente tagliati e riincollati cercando di coprire le lettere finali di rigo della colonna perduta. Di conseguenza l’intercolunnio fra le due colonne risulta più stretto del consueto. Anche il diverso allineamento fra il primo rigo della col. 9 e quello della col. 10 è da attribuire alla sutura effettuata dopo il guasto. Nell’intercolunnio fra le colonne in questione si notano infine tracce di scrittura che appartengono alla colonna ora perduta: ® la mancanza di un'intera colonna — e probabilmente una sola — come già affermava Letronne credendola omessa dallo scriba, risulta assai verisimile da un calcolo

fondato sull'andamento delle &osleseis. La prima Kolkesis si trova infatti a circa cm. 1 dall'inizio del rotolo, col. 1, e puó aver provocato la frattura del rotolo in questo punto; la seconda dopo cm. 29,5 nella col. 6; la terza nella col. 10; la successiva, * Si tenga presente in particolar modo l'analisi complessiva di E. G. TURNER, Piolsmaic Bookbaends, «Scrittura e Civiltà », IV, 1980, pp. 19-40: 32. ? Se M c N sono posti (cfr. K. Ourr, Stiebometrische Untersuchungen, « Zentralblatt für Bibliothekswesen », LXI, 1928, p. 76) al 12009 c 13009 stichos — cioè una

* Normalzeile " sarebbe equivalente a due righi di testo di questo so/ume (cfr. Onur, cit, p. 56) -- se ne deducono circa 41 colonne di scrittura precedenti a quelle che oggi possediamo, cioè per circa m. 2,5 di rotolo. * Cfr. apparato col. 10.



130—

dopo altri 29 cm. circa, nella col. 15, ha probabilmente determinato la frattura del rotolo. Se si considera che la riattaccatura del rotolo fra ]e attuali colonne 9 e 10 segue di cm. 20,5 la seconda &o//esis, che lo spazio necessario a contenere una co-

lonna di scrittura e l’intercolunnio è cm. 5,5 circa, e che la terza kollesis si trova a cm. 4-4,5 dal punto di sutura, avremo un’am-

piezza di circa 30-31 cm. che potrebbe accordarsi con l’estensione approssimativa di un &o//ema in questo rotolo, come già calcolato in relazione alle 4o/leseis esaminate. Per quanto riguarda poi il contenuto, il sillogismo che inizia alla col. 9 richiede per il suo svolgimento (cfr. sopra, Cavini, p. 107) circa 11 righi di colonna. Negli altri 17 righi necessari al completamento della colonna perduta potrebbe trovar luogo un nuovo sillogismo e l’inizio del sillogismo che segue alla col. 10. Sono presenti spazi bianchi, paragrapboi, coronidi, segni di richiamo.? Le correzioni sembrano della stessa mano dello scriba, a parte alcuni casi in cui si può pensare all’intervento di un lettore, al quale sono imputabili anche alcune macchie di inchiostro presenti nelle vicinanze delle correzioni stesse. Ancora a quest’ul-

tima mano sembrano dovute le parole in margine alla col. 4 e i segni di richiamo presenti alle colonne 5 e 6. Viene sempre posto lo sofa "ufum; si fa uso alterno dell'assimilazione e della scriptio piena. Da notare la preferenza per forme della koine, come οὐϑέν, e soprattutto l'alternanza, ex. gr. ποητῆς | roue. La scrittura di questo testo fornisce un esempio tipico delle librarie del II secolo a.C., ed è stata riprodotta o trattata in tutti i maggiori manuali di paleografia;?! non è dunque il caso di * Presenti soltanto nell'intercolunnio al lato sinistro della col. 6 e nel margine superiore della col. 5. 10 Un'altra particolarità da segnalare è l'aggiunta del v eufonico davanti a vocale all'accusativo neutro sing. del relativo ὅς (c. 1,6, 16 (?); 5,3, 20). Cfr. E. Marser, Grammalik der Griecbiscben Papyi aus der Ptolemátrzeit, Leipzig, Teubner 1906, p. 310. u Per facsimili o fotografie parziali del papiro si veda: J. A. LerRoNNE, Fragmente inédits d'anciens boetes grecs tirés d’un papyrus appartenant au Muste Royal, Paris, Didot 1841 (18512); T J. A. Lernonne - W. Bruner DE PRESLE, Papyrus grecs du Lousre et di la Bibliotbóque Impériale, in Notices cit. supra, tav. X1; The Palasograpbisal Society. Facsimiles of Manuscripts and Inscriptions, ed. by E. A. Bonp, E. M. THomPSON

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131—

diffondersi in questa sede in descrizioni particolareggiate. Sembra utile tuttavia richiamare alcuni dati essenziali.

Si tratta di una libraria accurata, opera di un copista di professione, di modulo medio, bilineare. L'inizio di ciascun rigo e progressivamente arretrante, per cui la colonna appare inclinata verso destra. Le lettere sono inscrivibili in un quadrato e riflettono una tendenza all’arrotondamento o curvatura del tracciato. Sono presenti caratteristiche delle scritture cancelleresche della metà del III secolo a. C.: la sopravvivenza occasionale di lettere larghe (y; v; πὴ) e l'asta orizzontale del τ, e a volte del m, molto spessa a sinistra; l'asta verticale del τ è inoltre sensibilmente spostata verso destra, quella di destra del x è talora più corta di quella di sinistra. Si noteranno in particolare: & tracciato in due tempi; la parte di sinistra formata in un sol tratto con l'angolo, l'asta di destra con andamento curvo. x presenta i tratti obliqui piuttosto incurvati, forse fusi in un unico tratto,

talora separati dall'asta verticale. u ha i tratti verticali incurvati, mentre quelli obliqui si uniscono a formare un’ansa profonda, stondata quasi a semicerchio. φ è l’unica lettera che sporge sempre rispetto al rigo, ma solo al di sopra. « è appeso in alto ‘al filo ideale” come nelle scritture zenoniane, con occhielli di uguale grandezza, e con punto di unione più alto di quello di attacco. Sono presenti piccoli apici in alcune lettere (x; v; p; τ; 9). Il testo fu trascritto nel 1828, unitamente a tutti gli altri papiri provenienti dalla collezione Salt e Drovetti, da Jean Antoine Letronne, allora ispettore generale dell'Université de la Sorbonne, ma di lì a poco direttore della sezione conservativa delle antichità della Bibliothèque Royale. Ancora dieci anni dopo viene definito dallo stesso Letronne come ‘ assez insignifiant ' per il suo contenuto, ma reso interessante solo dalla presenza dei

THomPson,

An

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literarische Papyri, Stuttgart, Hiersemann

1970, tav. VII, n. 13; |E. G. TURNER,

cit. supra, tav. X.

Per trattazioni paleografiche si cfr., oltre alle note del Letronne e del Brunet de Presle, KENTON cit., p. 64-67; THomPson cit., p. 113; W. ScuuBART, Einführung in die Papyruskunde, Berlin, Weidmann 1918, p. 73; Wırcken, UPZ cit., p. 112; Nonsa cit., n. 8; RoBERTS cit., n. 6; SEIDER cit, p. 57; TURNER cit., p. 32.



132—

frammenti poetici citati all'interno. Il papiro, nel frattempo, esposto pubblicamente al Museo del Louvre, viene letto anche dal Viguier, dell’ École Normale, che con la pretesa di essere stato il primo a identificare le citazioni poetiche presenti nel testo, suscita

le rimostranze del Letronne che, proprio in questa occasione, sotto lo stimolo della polemica, si decide a dare l’edizione integrale del

testo da tempo preparata.i? Letronne riconosce nel testo un ‘trattato di dialettica contenente 24 esempi di proposizioni negative’, che riconduce alla scuola stoica. Il suo commento però si rivolge soltanto ai frammenti poetici che analizza con acume, proponendo per alcuni di essi attribuzioni mantenute anche dalla critica successiva. Sui frammenti poetici si concentrò l’attenzione dello Schneidewin, sempre nel 1838, ma spetta certamente al Bergk, col suo saggio del 1841, il merito non solo di un esame più attento e lucido del contributo del papiro all’acquisizione di nuovi frammenti poetici, ma anche una prima valutazione complessiva del testo

nell’ambito

della storia

della filosofia, con l’attribuzione

dello scritto, corredata di plausibili argomentazioni, ad una delle maggiori personalità dello stoicismo antico, Crisippo. La sua edizione del testo viene tenuta presente dal Brunet de Presle, incaricato dopo la morte del Letronne di pubblicare i lavori rimasti fra le carte dello studioso. Infine l’edizione del von Arnim (nella raccolta dei frammenti degli Stoici antichi) presenta una nuova interpretazione del testo, negando la paternità dell’opera a Crisippo e intendendolo come prodotto scolastico, già preparato con le risposte alternative ναί / οὐ, interpretazione che di recente è stata parzialmente ripresa da Hülser nella sua raccolta preliminare dei testi relativi alla logica stoica.

13 Si veda l’accenno alla questione fatto dallo stesso Letronne in « Journal de Savants » III, 1838, p. 311.

13 I saggi e le edizioni del papiro sono le seguenti: J. A. LETRONNE, Fragments de Thespis, d’Ibycus, de Sappbo, d' /Anacréon, de Pindare, d’ Euripide, de Timotbée, et d'autre: poötes grecs, cités dans un papyrus du Musfe Royal, « Journal de Savants » III, 1838, fasc. IV-V, pp. 309-317; 321-328; F. W. SCHNEIDEWIN, Fragmente griechischer Dichter aus einem Papyrus des königlichen Musei zu Paris, Göttingen, Dieterich 1838; Tu. Bercx. Commeniatio de Chrysippi libris ΠΕΡῚ AIIODATIKON, Sechster Jahresbericht über das Kurfürstliche Gymnasium zu Cassel, Kassel 1841 (rist.: Kleine philologische Schriften, vol. II, Halle, Waisenhauses 1886, pp. 111-146); J. A. LETRONNE, Fragment: inddits, cit. supra; t ]. A. LETRONNE - W. BRUNET DE PRESLE, Papyrus grecs cit. supra,



133—

Per quanto concerne il testo dei frammenti poetici citati si rimanda agli apparati delle edizioni maggiori cui si ci riferisce. Si noterà soltanto che con l'attuale edizione del papiro il fr. Ad. 103b TGF II, citato alla col. 1 risulta, come aveva già congetturato Fix, οὐκ οἵδ᾽ ὅπως χρὴ [μ]ὴ σαφῶς χατειδότα τῆς Ἡρακλείας φροντίδος κατηγορεῖν. Inoltre, se si accetta l'interpretazione filosofica del testo, sarà necessario rinunciare alla consueta emendazione nel fr. 371

alla col. 13, di δευτε

PMG

di Anacreonte,

citato

riportato dal papiro in δηὖτε. Infatti per

analogia con l'uso del x (cfr. sopra, Cavini, p. 109) il è sembra appartenere alla negazione e quindi essere isolabile da eure (cfr. apparato critico ad /.). Infine si noterà che l'esametro citato alla

col. 2: οὔ por Σαρδανάπαλλος ἀρέσκει τὴν διάνοιαν, attribuito dal Bergk a Cherilo Samio, non è stato recepito nelle successive edizioni del poeta né, a nostra conoscenza, in alcun'altra. Tuttavia Bergk si riferisce a quel Cherilo che aveva ‘tradotto’ l'epigramma funebre di Sardanapalo, in genere ritenuto di Iasos. L'attribuzione dell'epigramma, probabilmente rimaneggiato da Crisippo stesso (SV III, fr. 11), è tuttavia questione complessa che non è il caso qui di affrontare!* e che comunque non riteniamo determinante per la paternità del frammento qui citato. Crediamo tuttavia sia da tener presente che Crisippo rielabora l'epigramma sulla base di versi di Cratete Tebano che si contrappongono al ‘modo di pensare’ espresso nell’epitaffio del sovrano, e che nell’esametro qui citato si dice appunto questo.

pp. 77-109; J. von AnN1M, S/oicorum Veterum Fragmenta, Leipzig, Teubner 1903-1905, vol. I, pp. vit-1x; vol. II, fr. 180; K. HuLser, Die Fragmente zur Dialektik der Stoiker, Konstanz, Universität Konstanz 1982, fr. 1080 (Preprint). 14 Si cfr. da ultimo H. Lrovp Jones - P. Parsons, Supplementum. Hellenisticum,

Berlin-New

York,

De

Gruyter

1983,

pp.

155-158.

— 134—

CONSPECTUS

SIGLORUM

Textus quem ex Letronnio Brunetus repetiit adnotationibus adiectis (Notices et extraits de manuscrits de la Bibliothèque impériale, t. XVIII, pp. 94-109).

Th. Bergk, Kleine pbilologische Schriften, 1I, pp. 114-125. J. von Arnim, j/oicorum

Veterum Fragmenta, U, pp. 52-58, fr. 180.

K. Hülser, Die Fragmente zur Dialektik der Stoiker, fr. 1080.

Jambi et Elegi Graeci, ed. West. Tragicorum Graecorum Fragmenta, editio secunda, ed. Nauck. Poetarum. Lesbiorum Fragmenta, edd. Lobel-Page. Poetae. Melici Graeci, ed. Page. Tragicorum | Graecorum Snell.

Fragmenta,



I, ed.

135—

Snell;

II,

edd.

Kannicht-

1

Ἰηνοπερουτῳλεγοι

5

Jıs κοιδοπωσχρὴη Ἰαφωσκατειδοτα Ἰρακλειασφροντι ]amyopew ναι Indecovereyevo ].ns οὐυκοιδί Ϊπωσ

Ἰησαφωσκατειδο 10

Ἰησηρακλειᾳσ

]ιδοσκατηγορειν Ἰψευδωσουτα Ἰουτωλεγοιταν

Ἰξενονουδα

Tutta la colonna ἃ danneggiata da una frattura del rigo. In particolare ai righi 13-16 i bordi della in modo che piccole porzioni del verso coprono le 13 Una piccola traccia di inchiostro alla base tacco dell'a.



136—

verticale nella parte finale frattura sono tuttora girati lettere sottostanti. del 3 che si adatta all'at-

1

[..1ην ὅπερ οὕτῳ λέγοι [ἄν c]t& « κοῖδ᾽ ὅπως χρὴ [μὴ σ]αφῶς κατειδότα [τῆς ᾿Η]ρακλείας φροντί[δος κ]ατηγορεῖν ». ναί. [οὐ ἀλ)] ηϑὲς ὃ ἔλεγεν ὁ [ron] τῆς « οὐκ οἶδ᾽ [8] wc [χρὴ μ]ὴ σαφῶς κατειδό-

5

[τα τ]ής "Ηρακλείᾳς

10

[φροντ]ίδος κατηγορεῖν ». [εἰ οὔτε] ψευδῶς οὔτ᾽ ἀ[ANG] οὕτω λέγοιτ᾽ &v [« τοι με] ξένον οὐδ᾽ ἀ-

1 nv:

[ἔστ]ιν L

2 [ἄν 1]; L; xord: [οὐ]κ οἵδ᾽ hic et ubique em.

L, x hic et ubique del. B; Ad. 103b TGF II: οὐκ old’ ὅπως [τὸν] σαφῶς κατειδότα / [1], ᾿Ηρακλείας φροντίδος κατηγορεῖν. [τὸν σξιαφῶς 1,

LA

[οὐκ

[μὴ] σαφῶς iam coniecerat Fix: cfr. |. 8.

ἀλ]ηϑὲς B;

ον: ὃ em.

LB ὃν AH

semper

χρὴ 3

6 [οὐ ἀλ]ηϑὲς

malunt, sed cfr.

supra, p. 131, n. 10 7 [ποιητ]ὴς L. 8 [χρὴ τὸν] σαφῶς L. 1112 [εἰ καὶ] d. καὶ ἀληϊ[ϑῶς] em. B [εἰ οὔτε] ψ. οὔ{ϊ{τε ἀληθῶς} A. 13 [οὔ τοι us] 7, [vot pe] B; ουδᾳ: οὐδὲ [&5/] L; Pi. fr. 198a Snell-

Maehler: οὔτοι με ξένον! οὐδ᾽ ἀδαήμονα Μοῖσαν ἐπαίδευσαν κλυταὶ Θῆβαι. —

137—

Ἰναμουσανί.]

15

Ἰσανκλυταιϑὴ ]ndecovede.[.]. ]9emavov[.]mo

]&evovov[ 20

Jovapovoave ]oavxAvtardn

Ἰυτεψευδωσ Ἰουτωλε 7.ξενον

7.οναμου 25

Ἰσανκλυται Ἰυαληϑεσ

Jiexdemay

14 A partire da questo rigo l'ed. pr. registra erroneamente le lettere finali della colonna ponendole spesso in lacuna o ricostruendo male la colonna;

si assiste così nelle edizioni del Bergk e del von Arnim ad un'errata ripartizione delle lettere nei righi successivi. 16 .[.].: della prima lettera tracce puntiformi che sembrano adattarsi a Ὑ, possibile anche y; dell’ultima lettera resta l'asta verticale di destra che si adatta piuttosto a v: possibile però anche ἡ. 19 Non è possibile determinare in questo punto se seguissero altre lettere o no. La ricostruzione viene fatta in base ai righi 14-15.



138—

15

20

25

[δαήμο]να Μουσᾶν [ἐ-} [παίδευ]σαν κλυταὶ Θῇ[βαι», οὐ ἀλ] ηϑὲς ὃ el]. [+ 4 λεχ]ϑείη ἂν οὕ[τ]ως" [« οὔτοι με] ξένον οὐ[δ᾽ ἀ-] [δαήμ]ονα Μουσᾶν ἐ[παΐίδευ]σαν κλυταὶ O7[βαι». ναί. ο]Ἱὔτε ψευδῶς [οὔτ᾽ ἀληϑῶς] οὕτω λέ[vor ἄν « τοι μ]ε ξένον [οὐδὲ ἀδαή)μονα Mov[o&v traldev]gav κλυταὶ [Θῆβαι ». ναί. o]ò ἀληϑὲς [+ 12] λεχϑείη ἂν

14 μουσαν: Μοισᾶν ex Schneidewin em. Xv οὔ τοι L ὃν ἐλέϊίϊχϑη ὅπερ λεχ]ϑείη pap. et sensus requirunt, sed incertum quid em. B [ναὶ οὐ o]bre em. H. 22

B. 16-17 ἔλε [γε΄ λεχ]ϑείη ἂν οὕτω A ἔλεγεν fortasse sequatur. 21 [val xai] ψ. [.. ὅπερ) L [καὶ ἀληϑῶς) B

[οὔτ᾽ ἀληϑῶς] A. 22-23 λέγοι [το Av οὔ τοι] με L Tot] με B. 26 [Θῆβαι" οὐ L [Θῆβαι. vat- οὐ BA;

λέγοι / [τις ἄν οὐ: οὐκ em.

H; post ἀληϑὲς omnes e legunt. 26-27 ἐ στιν ᾿δπερ) λεχϑείη ἐϊλέχϑη ὅπερ] λεχϑείη A.; vide supra, Il. 16-17. —

139—

L

II

1

ουτωσουτοιμεξενονουδε ἀδαημοναμουσανεπαι δευσανκλυταιϑηβαι

Πειαληϑωστιστωνποιὴ 5 τωνουτωσαπεφαίνετο

ουμοισαρδαναπαλλοσ ἀαρεσκειτηνδιανοιαν αντικειταιαξιωμακα ταφατικοντωιουμοι 10 σαρδαναπαλλοσαρεσχε! -τηνδιανοιανὺ ouv τικειταιαξιωμακατα φατικοντωιουμοι σαρδαναπαλλοσαρεσχει 15 τηνδιανοιαν ναι ουαληϑωστιστωμποη

τωνουτωσαπεφαίνετο ουμοισαρδαναπαλλοσ ἀρεσχειτηνδιανοιαν 20 Πειαπεφηνατοτισούυχὴν ἀαραουϑενπημαάελευῦε

pavdaxvov ψυχηνο μοιωσανδροσωσατιμια αντικειταιαξιωμακα 25

ταφατικοντωιουκηνα

ραουϑενπημάελευϑε pavdaxvov puynvopot 4 L’n in fine di rigo aggiunto

successivamente.

22 Piccolo trattino

sotto il p, forse una faragrapbos. In questo rigo, come altre volte nel testo, la divisione stichica nelle citazioni poetiche viene indicata con uno spazio bianco.

— 140 —

II οὕτως᾽ « οὔτοι με ξένον οὐδὲ

10

15

ἀδαήμονα Μουσᾶν ἐπαίδευσαν χλυταὶ Θῆβαι ». εἰ ἀληϑῶς τις τῶν ποιητῶν οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὔ μοι Σαρδανάπαλλος: ἀρέσκει τὴν διάνοιαν », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσκει τὴν διάνοιαν ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ « οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσκει τὴν διάνοιαν ». ναί. οὐ ἀληϑῶς τις τῶν ποητῶν οὕτως

20

25

ἀπεφαίνετο"

« οὔ μοι Σαρδανάπαλλος ἀρέσκει τὴν διάνοιαν ». εἰ ἀπεφήνατό tig « οὐκ ἦν ἄρα οὐϑὲν πῆμα ἐλευϑέραν δάκνον ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐκ ἣν &pa οὐϑὲν πῆμα ἐλευϑέpav δάκνον ψυχὴν ὁμοί-

6-7 Choerilo Samio tribuit B. — 11 ou: οὐκ hic et ubique 1 ουδὲ pap. 20 Ad. 110 em. B. 16-17 ronr-: ποιητ- semper em. B, interdum L. TGF II: οὐκ ἦν ἄρ᾽ οὐδὲν πῆμ᾽ ἐλευϑέρου Sdxvov | ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία. 21 «pa; Tua ΡΆΡ..

— 141—

III

1 ωσανδροσωσατιμια vat ουαντιχκειταιαξιωμα χαταφατικοντωιου χηναραουϑενπημαε 5. λευϑερανδακνονψυ χηνομοιωσανδροσωσα _τιμια ναι ουαπεφὴη νατοτισ οὐκηναρα 10

15

ουϑεμπημαελευϑε

pavdaxvov ψυχηνο μοιωσανδροσωσατιμι _& ειουτωσαπεφᾶσ 7 κενευριπιδησουκᾳ γαμαιταυταανδροσ αριστεωσαντικειται

αξιωμακαταφατικον τωιουκαγαμαιταυτα ἀνδροσαριστεὼωσ ναι ουαντικειταιαξιωμα 20 καταφατικοντωιουχὰ γαμαιταυταανδροσα ριστεωσ ναι QUATTE ᾿φασχενουτωσευριπι δησουκαγαμαιταυτα 25 ανδροσαριστεωσ εἰαν 7 δρομιχηευριπιδουπροσ ἐρμιονηντουτονάπεφη

— 142—

ΠῚ 1

5.

10

ὡς ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία ». ναί.

οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐx ἦν ἄρα οὐθὲν πῆμα ἐ-

λευϑέραν δάκνον ψυ-

χὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία ». ναί. οὐ ἀπεφήνατό τις « οὐκ ἦν ἄρα οὐϑὲν πῆμα ἐλευϑέραν δάκνον ψυχὴν ὁμοίως ἀνδρὸς ὡς ἀτιμί-

15

20

25

a». εἰ οὕτως ἀπέφασxev Εὐριπίδης" « οὐχ ἄγᾶμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν To" « οὐκ ἄγαμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐκ ἄyancı ταῦτα ἀνδρὸς ἀprotéwc ». ναί. οὐ ἀπέpaoxev οὕτως Εὐριπίδης" « οὐκ ἄγαμαι ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως ». εἰ ᾿Αν-

δρομάχη Εὐριπίδου πρὸς Ἑρμιόνην τοῦτον ἀπεφή-

12 el οὕτως: [εἰ ἀληϑῶς] οὕτως false LL 13 Eur. ZA, 28: οὐκ ἄγαμα. ταῦτ᾽ ἀνδρὸς ἀριστέως. 14; 17; 21; 24 ταυτα pap.

— 143—

IV [varorov] [.....tp00]

1

νατοτοντροπον οὐυχεξ εμωνσεφαρμακωνστυ γειποσισ αντικεῖται “αἀξιωμακαταφατικον 5 τωιουχεξεμωνσεφαρ μακωνστυγειποσισ ναι “υαντικειταιαξιωμα

καταφατικοντωίου κχεξεμωνσεφαρμάκων 10 στυγειποσισ

ναι ov

ἀνδρομαχηευριπιδου προσερμιονηναπεφὴ νατοτουτοντοντρο πονουκεξεμωνσεφαὰρ 15

μακωνστυγειποσισ

7ειαληϑεσεστινοπερου τωλεχϑειηανουκεσ

Μ τινοστισπαντανὴρ ευδαιμονειαντικειται 20 αξιωμακαταφατικον τωιουχεστινοστισ παντανηρευδαιμονεὶ _VAL ουαντικειταιαξι ὡμακαταφατιχοντωι 25

ουκεστινοστισπανταα

νηρευδαιῖμονει vat oux ληϑεσεστινοπερουτωλε Nel margine superiore lettere cancellate disposte su due righi: nel primo si riconosce, come al primo rigo della colonna, νατοτον; nel secondo forse

on προσ.

18 Nell’intercolunnio sinistro un M sticometrico di tipo epigra-

fico.

— 144—

IV

10

15

20

vato τὸν τρόπον᾽ « οὐκ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυyet πόσις », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν TQ' « οὐκ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις ». να οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐx ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις». vat οὐ ᾿Ανδρομάχη Εὐριπίδου πρὸς ᾿Ἑρμιόνην ἀπεφήνᾶτο τοῦτον τὸν τρόmov « οὐχ ἐξ ἐμῶν σε φαρμάκων στυγεῖ πόσις ». εἰ ἀληϑές ἐστιν ὅπερ οὕTQ λεχϑείη Av « οὐκ ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ», ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν To’ « οὐχ ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξί-

OLX καταφατικὸν τῷ" 25

« οὐκ ἔστιν ὅστις πάντα ἀ-

νὴρ εὐδαιμονεῖ». ναί. οὐ ἀληϑές ἐστιν ὅπερ οὕτω λε-

2 Eur. Andr.

205:

οὐκ ἐξ ἐμῶν

σε φαρμάκων

στυγεῖ πόσις.

17

Eur. Stben. fr. 661 N* (in Ar. Ra. Ra 1217): oOx ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ.

25 ravra pap.

— 145— 10

V

1

5.

χϑειηανουχεστινοστισ .παντανηρευδαίμονει Πειαληϑεσονελεγενευρι πιδὴσ ουχεγγυναιξι τουσνεανιάσχρεων

αλλενσιδηρωικαίενο TÄOLGTLLLAGENELV ἂν

10

τικειταιαξιωμακα ταφατικοντωιίου κεγγυναιξιτουσνεα νιασχρεωνάλλενσι

δηρωικαιενοπλοιστι MACEYELV ναι οὐυᾶν

“τικειτα[.]Ἰαξιωμακα 15

ταφατικοντωιου

χεγγυναιξιτουσνεα νιασχρεωναλλενσιδη ρωικαιενοπλοιστι _paceyew ναι ouo)

20

ϑεσονελεγενευριπι δησουκεγγυναιξι τουσνεανιασχρεὼν αλλενσιδηρωικαιενο

_TAOLOTIMAGEYELV ELTTO 25 Πητηστισουτωσαπεφη νατοουμοιετευκελα

δωνυμνωνμελειουδετι

Nel margine superiore stro della col. VI.

segni di richiamo

— 146 —

come

nell'intercolunnio sini-

ν

1

χϑείη &v « οὐκ ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ ». εἰ ἀληϑὲς ὃ ἔλεγεν Εὐριπίδης" « οὐκ ἐν γυναιξὶ

5.

10,

τοὺς νεανίας χρεών, ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τιμὰς ἔχειν », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐx ἐν γυναιξὶ τοὺς νεα-

νίας χρεών, ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τι-

μὰς ἔχειν». ναί. οὐ ἀν-

15

τίκειτα0] ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐx ἐν γυναιξὶ τοὺς νεα-

20

25

νίας χρεών, ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοις τιμὰς ἔχειν». ναί. οὐ ἀληςϑὲς ὃ ἔλεγεν Εὐριπίdns: « οὐκ ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεών, ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ καὶ ἐν ὅπλοιῖς τιμὰς ἔχειν ». εἰ ποτής τις οὕτως ἀπεφήvato: « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι

3 ov: ὃ hic et infra em. L. — 4 Eur. fr. 880 N3: οὐκ ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεὼν | ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ x&v. ὅπλοις τιμὰς ἔχειν. 6; 12; 18; 23 xat εν pap. 26 Ad. 8 ZEG II: οὔ μοι ἔτ᾽ εὐχκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς.

--- 147 --

VI 1.

μολπησφασισεστινοπερ

ουτωλεχϑειηανμοιετευ χελαδωνυμνωνμελει οὐυδετιμολπὴσ ναι oU 5.

φασισεστινοπερουτωλε χϑειηανμοιετευκελα

δωνυμνωνμελειουδε -τιμολπὴσ

Vat οὐπο

ἡτηστισουτωσαᾶπε 10

φηνατοουμοιετευκε

λαδωνυμνωνμελει .οὐυδετ᾽ὶμ[.].πὴησ εἰποὴ 7 τησ..σἱ .]υτωσαπεφη νατοουμοιετευκελα

15

δωνυμνωνμελειουδε τιμολπησαντικειται τωιουμροιετευχελαὰ

δωνυμνωνμελεῖου δετιμολπησαξιωμα 20 καταφατικὸν

ναι ou

αντικειταιτωϊουμοι ετευκελαδωνυμνων μελειουδετιμολπησα ξιωμακαταφατικον 25 “ναι ουποητηστισου

τωσαπεφηναάτοουμοι ετευχελαδωνυμνων μελειουδετιμολπὴσ ELL

/ Nell'intercolunnio sinistro, a partire dal rigo 6, si susseguono dei segni probabilmente di richiamo.

— 148—

VI

10

μολπῆς », φάσις ἐστὶν ὅπερ οὕτω λεχϑείη ἄν" « μοι ἔτ᾽ eùκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς ». ναί. οὐ φάσις ἐστὶν ὅπερ οὕτω λεχϑείη ἄν" « μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς ». ναί. οὐ ποming τις οὕτως ἀπεφήνατο᾽ « où μοι ἔτ᾽ eüxeλάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μ[ο]λπῆς ». εἰ ποη-

τῆς τις [οὕτως ἀπεφή-

15

20

25

vato « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐχκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ Éτι μολπῆς », ἀντίκειται TQ' «od μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς» ἀξίωμα καταφατικόν. val. οὐ ἀντίκειται τῷ « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς» ἀξίωμα καταφατικόν. ναί. οὐ ποητής τις obτως ἀπεφήνατο « οὔ μοι ἔτ᾽ εὐκελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι porre». εἰ

6 μοι: οὔμοι L.

10 ουμοι:

μοι em. B.

— 149—

VII

1.

5.

κλωψοτουτιμοϑεουπροσ τιναουτωσαπεφηνατο ουτοιτογγευπεραμπε χονταουρανονεισανὰ βησειαντικειταιενικατα

φατικωιαξιωματιδυο .ἀποφατικααξιωματα .Vt. OLAVTINELTALEVI χαταφατικωιαξιωμα 10 τιἰο[υ]αποφατικααξιω ματα VAL OUXU |χλωφοτουτίμοϑεου προστιναουτωσαπεφη νατοουτοιτογγευπερ

15

αμπεχονταουρανονεισ

_avaßmoeı etoutoca [ πεφηνατοτισουχοιδα

ταληϑεσγαρασφαλεσ

20

φρασαιαποφαινοιταν τισχοιδαταληϑεσγαρ

.ἀσφαλεσφρασαι

vat oux

ποφαινοιταντισκοιδα ταληϑεσγαρασφαλεσ φρᾶσαι ναι ουουτωσα 25 “πεφαινετοτισουχοιδα ταληϑεσγαρασφαλεσ PPACAL ELOUTWOATO 7φαινοιταντισκεξαϑρη

10 '8v'o[u]: v cancellato.



150—

VII

10

χλωψ ὁ τοῦ Τιμοϑέου πρός τινα οὕτως ἀπεφήνατο" « οὕτοι τόν γε ὑπεραμπέyovra οὐρανὸν εἰσαναβήσει », ἀντίκειται ἑνὶ καταφατικῷ ἀξιώματι δύο ἀποφατικὰ ἀξιώματα. ναί. οὐ ἀντίκειται ἑνὶ καταφατικῷ ἀξιώματι δύο ἀποφατικὰ ἀξιώματα. ναί. οὐ Κύκλωψ ὁ τοῦ Τιμοϑέου πρός τινα οὕτως ἀπεφή-

vato' « οὔτοι τόν γε ὑπερ-

15

20

25

αμπέχοντα οὐρανὸν εἰσαναβήσει». εἰ οὕτως ἀπεφήνατό τις" « οὐκ olda: τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι», ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν aus: « κοῖδα᾽ τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι». ναί. οὐ ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις « xolda: τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι». val. οὐ οὕτως ἀπεφαίνετό τις" « οὐκ οἶδα" τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι ». εἰ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις" « κἐξαϑρή-

3 Timoth. fr. 781 PMG: ναβήσει.

3; 14 γε pap.

οὔτοι τόν γ᾽ ὑπεραμπέχοντ᾽ 3-4; 14-15

103 cZGF II: οὐκ ola: τἀληϑὲς γὰρ ἀσφαλὲς φράσαι.

fort. oó addendum

(cfr. supra, p. 108).

ἐξαϑρήσας οἶδ᾽ ἰδὼν δέ σοι λέγω. —

οὐρανὸν εἰσα-

υπεραμπεχοντὰ pap.

151—

17 Ad.

27 ante οὕτως

28 Thesp. fr. 2 TGF Y: οὐκ

VIII

1

σασοιδαιδωνδεσοι! qpko] cov ϑεσπισοποιητησουτωσ

απεφασχκενουχεξαϑρησασ

οἰδαιδωνδεσοιλεγω ναι 5

ουουτωσαποφαίνοιταν

τισχεξαϑρησασοιδαιδων _Secorneyw ναι ουϑεσ πισοποιητησουτωσα πεφασχκενουχεξαϑργ͵ 10 σασὶδαιδωνδεσοιλεγω 7 εεσαπφωουτωσαπεφη

var]... υδιανδοκιμοιμι προσιδοισανφαοσαλι! οὐ]

ἐσσεσϑαισοφιανπαρϑενον 15 εἰσουδεναπωχρονον τοιαυταναντικειται αξιωμακαταφατικον τωιουδιανδοκιμοιμι προσιδοισανφαοσαλιω 20 εσσεσϑαισοφιανπαρϑε νονεισουδεναπωχρο _VOVTOLAUTAV VAL OU [x] αντικειταιαξιωμα

25

καταφατιχοντωιου

διανδοκιμοιμιπρόιδοι[o] σαμφαοσαλιωεσσεσϑαισο φιανπαρϑενονΐ ou] £cou

δεναπωχρονοντοιαυ 1 [φρασ]ω: φρασ cancellato con tratto di penna ed espunto con puntini sopra le lettere. — 13 αλι[ου] : οὐ cancellato con tratto di penna ed espunto con puntini sopra le lettere. 23 [x]xvvtxevvat: x cancellato con tratto di

penna ed espunto con puntini sopra la lettera.

25-26 προσιδοι[σ] σαμ:

il secondo c è cancellato e forse espunto con un puntino sopra la lettera; la parola & stata divisa differentemente aggiungendo il c al rigo seguente. 27

[ov]: ov cancellato con tratto di penna ed espunto con puntini sopra le letterc.



152—

VIII

1

σας οἶδα" ἰδὼν δέ σοι λέγω », οὐ Θέσπις

5

10,

15

ὁ ποιητὴς οὕτως

ἀπέφασκεν᾽ « οὐκ ἐξαϑρήσας οἶδα ἰδὼν δέ σοι λέγω ». ναί. οὐ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις « χἐξαϑρήσας οἶδα᾽ ἰδὼν δέ σοι λέγω ». ναί. οὐ G£cπις ὃ ποιητὴς οὕτως ἀπέφασκεν" « οὐκ ἐξαϑρήσας οἶδα ἰδὼν δέ σοι λέγω ». εἰ Σαπφὼ οὕτως ἀπεφήνατ[ο᾽ « ο]ὐδ᾽ tav δοκίμοιμι προσίδοισαν φάος ἀλίω ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα πω χρόνον τοιαύταν », ἀντίκειται

20

25

ἀξίωμα καταφατικὸν To‘ « οὐδ᾽ Tav δοκίμοιμι προσίδοισαν φάος ἀλίω ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα πω χρόνον τοιαύταν ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐδ᾽ ἴαν δοχίμοιμι προσίδοισαν φάος ἀλίω ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα πω χρόνον τοιαύ-

1; 4; 6; 10 οιδα pap. 12 Sappho, fr. 56 PLF: οὐδ᾽ lav δοκίμωμι προσίδοισαν φάος ἀλίω | ἔσσεσϑαι σοφίαν πάρϑενον εἰς οὐδένα πω χρόνον | τεαύταν.



153—

ΙΧ 1 t&v

VOLL ουσαπφωου

τωσαπεφαινετοουδιαν δοκιμοιμιπροσιδοισαν φαοσαλιωεσσεσϑαισοφι 5 ανπαρϑενονεισουδενα -πωχρονοντοιαυταν f ειουαντικειταιαξιωμα καταφατικοντωιου κεστινίετι! φϑίμενοισ 10 ζωασετιφαρμάκονευ απ

ρεινουιβυκοσοποητησ ουτωσα..φαῖινε.[.} ου.εστιναποφϑιμε

νοισζωᾳσετιφαρμα 15

xov[.]uo[..]v ναι ov

αντικεί .] ταιαξιωμα καταφ.τικοντωιου χεστιναποφϑιμενοιζί oj -ἀασετιφαρμακονεύρειν 20 .vat. ουβυικοσοποιητησ OUTWOATTEPALVETOOU

κεστιναποφϑιμενοισ ζωασετιφαρμάκονευ ρειν ειουεισιναμφιβο

25 Κλοιδιαλεκτοιουευριπι δησουτωσαποφαίῖνομε VOCOUKAYYEVOLTO YPNOTOCENKAKOVTTATPOG 9 Nell’intercolunnio sinistro inchiostro: resti di una lettera? fem]: ετι cancellato con tratto di penna. 15-17 Ai bordi della lacuna verticale che interessa la parte centrale di questi righi piccole porzioni del serso coprono tuttora le lettere sottostanti.

28 πατροσ:

18 Tfo]: o cancellato con un trattino ed un

tpoc aggiunto in seguito.

— 154—

ΙΧ

10

15

ταν». ναί. οὐ Σαπφὼ οὕτῶς ἀπεφαίνετο" « οὐδ᾽ Lav δοκίμοιμι προσίδοισαν φάος ἀλίω ἔσσεσϑαι σοφίἂν πάρϑενον εἰς οὐδένα πω χρόνον τοιαύταν ». εἰ οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν TO" « οὖx ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμακον εὑρεῖν», οὐ Ἴβυκος ὁ ποητὴς οὕτως ἀπεφαίνετίο]᾽ « οὐκ ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾷς ἔτι φάρμαxov [e]óp[et]v ». vat. οὐ ἀντίχκε[ι]ταῖ ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐx ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζω-

ἃς ἔτι φάρμακον εὑρεῖν ».

20

vat. οὐ ("D βυζιγξκος ὁ ποιητὴς

25

οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὐx ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμακον εὑpeiv». εἰ οὐ εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι, οὐ Εὐριπίöng οὕτως

ἀποφαινόμε-

νος" « οὐκ dv γένοιτο χρηστὸς ἐκ κακοῦ πατρὸς » 8 Ibyc. fr. 312 PMG: οὐκ ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾶς εὑρεῖν. 11 ουιβυκοσ: οὐκ ὁ Ἴβ. em. L "IR. em. B. ὁ "IBuxog em. L.

25 ou delendum

esse

27 anopaıvoue/vos: ἀποφηνάμενος em. A. ἂν γένοιτο χρηστὸς Ex κακοῦ πατρός.



155—

putavit A

ἔτι φάρμαχον

20 ουβυικος: (I, p. IX). 26-

27 Eur. fr. 333 N':

οὐκ

X 1

κειταιαξιωμακαταφατι κοντωιουχωδεναυτασ ολομενουστυμβευομεν ναι ουαντιχειταιαξι

5

ὡμακαταφατικοντωι ουχωδεναυταάσολο μενουστυμβευομεν

τναι ουτεψευδοσουτα ληϑεσεστιντορηϑεν 10 UTTEVPLITLÀ[..] tovtpo ποντουτονουχωδε ναυτασολί ......)] τυμ,

βευομεν | Ἰειαληϑωσ

Fevpiruf....]Aeyevou 15 χεστιτί.]υϑ.εψαντοση διονπεδοναντικει ταιαξιωμακαταφα τικοντωιουχεστιτου ϑρεψαντοσηδιονπεδον 20 _VAL ουαντιχειταια ξιωμακαταφατι χοντωιουκεέστιτου

ϑρεψαντοσηδιονπεδον

N ουαληϑωσευριπιδὴσ 25

ελεγενουκεστίτουϑρε



ψαντοσηδιονπεδον 7ειευριπιδησουτωσαπε φαινετοουχεστινουϑεν 1 Prima di κειται si vedono tracce delle lettere finali del primo rigo della colonna perduta, quasi certamente το. Questo consente di ricostruire il rigo in [ἀπέφασκεν" &y γένοιτο. (Si noti che in fotografia tali tracce possono sem-

brare appartenenti alla colonna superstite).

6 Tracce

di inchiostro della

colonna sottostante nell’intercolunnio sinistro. 10-15 Porzioni del verso coprono tuttora alcune lettere ai bordi della lacuna che interessa la parte 24 Nell'intercolunnio sinistro un N e un punto centrale della colonna. sticometrico aggiunto dopo.



156—

Χ

κειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐχ ὧδε ναύτας ὀλομένους τυμβεύομεν ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξί-

10

Qux καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐχ ὧδε ναύτας ÓAoμένους τυμβεύομεν ». ναί. οὔτε ψεῦδος οὔτ᾽ ἀληϑές ἐστιν τὸ ῥηϑὲν ὑπ᾽ Εὐριπίδ[ου] τὸν τρόTOV τοῦτον’ « οὐχ ὧδε ναύτας

15

ὀλ[ομένου]ς τυμ-

βεύομεν ». εἰ ἀληϑῶς Εὐριπί[δης É]JAeyev: « οὐx ἔστι τ[ο]ῦ ϑρέψαντος ἥδιον πέδον », ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ" « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον πέδον ». ναί. οὐ ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ᾽ « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον πέδον ». ναί. οὐ ἀληϑῶς Εὐριπίδης ἔλεγεν᾽ « οὐκ ἔστι τοῦ ϑρέψαντὸς ἥδιον πέδον ». εἰ Εὐριπίδης οὕτως ἀπεφαίνετο « οὐκ ἔστιν οὐϑὲν

2 Eur. Hel, 1245: οὐχ ὧδε ναύτας ὀλομέ1 χειται: ἀντί] κειται 9 8 var... οὔτε ... OUT: ναὶ οὐ ἢ ... ἣ em. H. νους τυμβεύομεν. ἔστιν [ὃ λεχϑείη àv] L ἔστιν ἐστιν τὸ ῥηϑὲν perspicue in pap. legitur

λέχϑη! BA.

14 Eur. fr. 817 Nt: οὐκ 13 [εἰ] ἀληϑῶς suppl. L. [ὃ ἐ 28 Eur. Suppl. 270: οὐκ ἔστιν οὐδὲν ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἥδιον πέδον. διὰ τέλους εὐδαιμονοῦν.



157—

ΧΙ

1

διατελουσευδαιμονειν αντικειταιαξιωμαχκα ταφατικοντωιούυκεστιν ουϑενδιατελουσευδαι

5

μονειν VAL QUAVTI

“χειταιαξιωμακαταὰ φατικοντωιουκεσ τινουϑενδιατελουσ -εὐδαιμονεῖν ναι 10 ουευριπιδησουτωσα πεφαινετοουκεσ τινουϑενδι[.]τελουσ ,εὐδαιμονεῖν εἰουτωσ f απιφαινετοτιστωμ

15

ποιῃτωνουχκαξιωμι χωνσεμεγαλαάδουχε χωεστιντισοσουτὼσ ᾳποφαυν....[.....}

μικωνσεμεγαλαδου 20 χεχω vat οὐυεστιν τισοσουτωσαάποφαι νοιτανχαξιωμικων .μεγαλαδουκχέχω _VAL ουαπεφαινετοτισ 25 τωμποιητωνουτωὼσ ουκαξιωμικωνσεμε γαλαδουκεχὼ tuya 7αεμνωνουτωσαπεφασ

23..:

una piccola porzione del verso copre tuttora la seconda lettera.



158—

ΧΙ

διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν », ἀντίκειται ἀξίωμα xaταφατικὸν TQ' « οὐκ ἔστιν

οὐϑὲν διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν ». ναί. οὐ ἀντίχεῖται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ « οὐκ ἔστιν οὐϑὲν διὰ τέλους 10

εὐδαιμονεῖν ». ναί. οὐ Εὐριπίδης οὕτως ἀrepalvero* « οὐκ ἔστιν οὐϑὲν

δι[ὰ]

εὐδαιμονεῖν». 15

τέλους

εἰ οὕτως

ἀπεφαίνετό τις ποιῃτῶν᾽ « οὐκ κῶν ce’ μεγάλα χω », ἔστιν τις

τῶν ἀξιῶ μιδ᾽ οὐκ Èὅς οὕτως

ἀποφαίνοιτ᾽ ἄϊν᾽ « κἀξιῶ] 20

μυκῶν ce’ μεγάλα δ᾽ οὐx ἔχω». val. οὐ ἔστιν τις ὃς οὕτως ἀποφαί-

vom ἄν’ « κἀξιῶ μικῶν ge’ μεγάλα δ᾽ οὐκ ἔχω ». ναί. οὐ ἀπεφαίνετο τις τῶν ποιητῶν οὕτως᾽ « οὐκ ἀξιῶ μικῶν ce με-

γάλα δ᾽ οὐκ ἔχω ». εἰ ’Ayaμέμνων οὕτως ἀπέφασ-

15 Ad. 1034 ἐστιν:

ἔστι em. B.

TGF II: οὐκ ἀξιῶ μικῶν σε μεγάλα δ᾽ οὐκ ἔχω. 21 τισοσουτωσ:



ὅστις em.

159—

B.

17

XII

1

ἐφασ)κενουκεφαμηναχιλῖ; ιχολωσειναλκίμονη

τορωδεμαλαεκπαγλωσ επειημαλαμοιφιλοσήηην

5

αξιωμαεστινκεφα μηναχιληιχολωσειναλ

χιμονήῆτορ ὠδεμα λαεκπαγλωσεπειημα λαμοιφιλοσηὴν vat

10

ουαξιωμαεστινχεφα μηναχιληιχολωσειναλ

χιμονητορ ὠδεμα λαεχκπαγλωσεπειημὰ λαμοιφιλοσηὴν ναι 15 ουαγαμεμνωνουτωὼσ απεφασκενουχεφα μηναχιληιχολωώσειν αλχί[.]μονγί... ....]. λαεκπαγλωσεπειημα 20 λαμοιφιλοσηὴν εἰιαλ "} κμανοποιητήσου τωσαπεφαινετοου χησανηραγροικοσου

δεσκαιοσκαταφασχκοιαν 25

τισκησανηραγροικοσ

.ουδεσκαϊοσ ναι OU καταφασκοιαντισχκὴσ

ανηραγροι[ δ] κοσουδεσκαιοσ 28 αγροι[δῆκοσ: è cancellato ed espunto con due punti sopra la lettera. Alla fine del rigo l'ultima lettera, sporgente oltre l'intercolunnio, é contrassegnata con un punto in alto e uno in basso.



160—

XII

1

5

10

15

xev « οὐκ ἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλκιμον ἧTop ὧδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην», ἀξίωμά ἐστιν « κἐφάμὴν ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλχίμον ἧτορ ὦδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην ». ναί. οὐ ἀξίωμά ἐστιν" « κἐφάμὴν ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλxiuov Frop ὥδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην ». ναί. οὐ ᾿Αγαμέμνων οὕτως ἀπέφασκεν᾽ « οὐκ ἐφάμὴν ᾿Αχιλῇ χολώσειν

&x[:]uov Alrop ὧδε μ]ά20

25

λα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην». εἰ ᾿Αλκμᾶν ὁ ποιητὴς oóτως ἀπεφαίνετο᾽ « οὐx ἧς ἀνὴρ ἄγροικος οὐè σκαιός», καταφάσχοι ἄν «t «xfj ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σκαιός».

val. οὐ

καταφάσχοι ἄν τις" «ac ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σκαιός ». 1 Cypria, fc. 16 Allen: οὐκ ἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολωσέμεν ἄλκιμον ἦτορ / 1-2 αχιληΐι pap. ὧδε μάλ᾽ ἐχπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος fev. 22 Alcm. fr. 16 PMG: οὐκ ἧς ἀνὴρ ἀγρεῖος 3; 8; 13; 19 μαλα pap. οὐδὲ σκαιός.

— 11

161 —

ΧΠῚ 1 vat

ουαλχμανοποιητησ

ουτωσαπεφαίνετοου χησανηραγροικοσουδε |GXOL00 ειουτωσαπὸ 5 f φαινοιταντισδευτεμ. πεδοσειμιουδαστοισι προσηνησουανακρε ὠνουτωσαπεφηνα τοουδευτεεμπεδοσει 10 μιουδαστοισιπροση νὴσ VAL ουουτωσα ποφαινοιταντισδευ τεμπεδοσειμιου .δαστοισιπροσηνὴσ 15 ναι

ουαναχρεώνου

τωσαπεφηνατοουδευ τεεμπεδοσειμιουδασ " σαπφωουτωσαάποφαι 20 νομενηουκοιδοττι ϑεωδυομαιτανοημα τααπεφασχενοιδοτ τιϑεωδυομάιτανο

]

ἡματαεισιναμφιβο

25 λοιδιαλεκτοι var οὐει

᾿σιναμφιβολοιδιαλεκτοι νᾶι ουσαπφωουτωσα ποφαινομενηουχοιδοτ

23 δυομᾶι L'o è inserito sopra α ma la lettera non è stata cancellata;

si legga δύο pot.



162—

XIII

val. οὐ ᾿Αλκμᾶν 6 ποιητὴς οὕτως ἀπεφαίνετο" « οὐx ἧς ἀνὴρ ἄγροικος οὐδὲ σχαιός».

10

15

20

25

εἰ οὕτως

φαίνοιτ᾽ ἄν cte" « δεῦτ᾽ ἔμπεδός εἶμι οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηνῆς », οὐ ᾿Ανακρέὧν οὕτως ἀπεφήναTO' « οὐδ᾽ εὖτε ἔμπεδός εἰμι οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηvic». ναί. οὐ οὕτως ἀποφαίνοιτ᾽ ἄν τις" « deùτ᾽ ἔμπεδός εἶμι οὐδ᾽ ἀστοῖσι προσηνής ». ναί. οὐ ᾿Ανακρέων obτως ἀπεφήνατο᾽ « οὐδ᾽ εὖτε ἔμπεδός εἶμι οὐδ᾽ ἀσ[τοῖσι προσηνής ». εἶ] Σαπφώ, οὕτως ἀποφαινομένη « οὐχ οἶδ᾽ ὅττι Yon‘ δύο μοι τὰ νοήματα», ἀπέφασκεν᾽' «old ὄττι Yo δύο μοι τὰ voἤματα », εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι. val. οὐ εἰσὶν ἀμφίβολοι διάλεκτοι. ναί. οὐ Σαπφώ, οὕτως ἀποφαινομένη᾽ « οὐχ οἵδ᾽ ὅτ-

4 ante οὕτως fort. οὐ addendum

fr. 31 PMG:

ll. 9; 16 pap.

ἀπο-

(cfr. supra, p. 108).

ob δηῦδτ᾽ ἔμπεδός εἰμι | 008’ ἀστοῖσι προση

vic.

5-18 Anacr. ουδευτε

οὐ öndre omnes Anacreontis edd., sed ὃ ll. 5; 12 distin-

guendum videtur (cfr. supra, p. 134), quare οὐδ᾽ εὖτε malumus (cfr. Anacr. 9. 17 eure pap. 20 Sappho /r. 51 PLF: οὐκ οἵδ᾽ 22 ante οἵδ᾽ x addendum scribendi usu ὅττι ϑέω' δίχα μοι τὰ νοήμματα.

fr. 420 PMG).

(vide supra, p.

113).



163—

XIV

1

τιϑεωδυομοιτανοημαὰ TAATEPAGKEVÒTTI _Semdvoportavonuata εἰσαπφωουτωσαπε

5

10

15

φασκενουχοιδοττιϑε ωὠδυομοιτανοημὰ ταεστιντικαταφα τικοναξιωμᾶαντι κειμενοντωιϊουχοι δοττιϑεωδυομοιτα νοήματα ναι OUEG τιντικαταφατικον αξιωμααντικειμε νοντωιουχοιδοττι ϑεωδυομοιτανοημα _ra [va]

vat ουσαπ

φωουτωσαπεφάσκεν ουχοιδοττιϑεωδυο μοιτανοηματα ELTTO 20 7Ζητηστισουτωσαπε φαινετοουκειδονανε UOXEXKOPXVEGTLVTL χαταφατιχοναξιωμα αντικειμενοντωιου 25 κειδονανεμωκεάκο ρᾶν VAL OUEGTLVTL "καταφατικοναξιω μααντικειμενοντωιου

16 [ναι] cancellato ed espunto con tre puntini sopra le lettere.

— 164—

XIV

10

15

20

25

ἐστιν:

μωκέα

τι Mw δύο pot τὰ vonuaταν, ἀπέφασκεν᾽ « old ὄττι In‘ δύο μοι τὰ νοήματα». εἰ Σαπφὼ οὕτως ἀπέquoxtvw « οὐκ old ὅττι 9έ«Q' δύο μοι τὰ vonuaTa», ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμενον τῷ « οὐχ οἷδ᾽ ὅττι ϑέω᾽ δύο μοι τὰ νοήματα ». ναί. οὐ ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμεvoy τῷ᾽ « οὐκ οἶδ᾽ ὄττι ϑέω᾽ δύο μοι τὰ vofjuaza». val. οὐ Σαπφὼ οὕτως ἀπέφασχεν᾽ « οὐκ οἶδ᾽ ὅττι 9éc δύο μοι τὰ νοήματα ». εἰ ποητῆς τις οὕτως ἀπεφαίνετο « οὐκ εἶδον ἀνεμωχέα κόραν », ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμενον τῷ « οὐx εἶδον ἀνεμωκέα xópav ». vat. οὐ ἔστιν τι καταφατικὸν ἀξίωμα ἀντικείμενον τῷ᾽ « οὐ-

ἔστι

hic et infra em.

B.

21 Ad. 958 PMG * οὐχ εἶδον &ve-

κόραν.



165—

XV

1

desunt

septem

versus

1

axopa.[

15

καταφαί partial

20

.τικειται δεχεταιδί ctvxaxs[

" αποφαινΐ 25

κειδοναν

ραναποφί νεμωχκεί τωνουειδί

5 È visibile la parte inferiore della coronide.

lettera sembrerebbero un

adattarsi più a u che a v.

trattino.



166—

14

Le tracce dell’ultima

20 [xa} cancellati con

XV tredecim versus desiderantur

15

ἰ a κόραν

καταφαίτικφατικαί

ἀντικείι-

.«([..] ὠνί καταφατίικ-

20

dea]

para ἀποίφατικὰ &v-] τίκειται δεχεται δί σιν xaxel

25

ἀποφαινί x εἶδον ἀνείμωχέα xó-]

pav» ἀποφί

a-]

νεμωκέα κόραν των οὐ εἰδί

Tredecim versus desiderantur:

1-5 [x εἶδον ἀνεμωχέα xé/pav ». val. οὐ ποηϊτῆς τις οὕτως ἀπεφαί! νετο «οὐχ εἶδον dve/uwxta κόραν» ....] supplevimus. 13 [« οὐκ εἶδον ἀνεμωκέῇ supplevimus. 14 xo[pav A. 15 καταφαί omisit usque ad l 18 A. 16 φατικαί : para af legit L. 17 non legunt edd.

τ[ικῷ

18 non legunt edd.; [...evi] coni. H.

δύο

ἀξιώῃῇ

AH.

20 ar.[:

ἀπίοφατικὰ

19 καταφατί:

&v-]

A.

καταφα-

23 xax«| :

x&xetva edd. 24 anxopaw[: ἀποφαινίομε- L. 25 av.[: ἀνεμωχέα xé/ edd. 26-27 á&)/vtuoxe[ ἀϊ]νεμώκεία κόραν L, ἀ]ϊνεμωκέα κόραν BA.



167—

INDICI

Vocaboli

Il presente indice non poetiche ᾿Αγαμέμνων

XI

27;

XII

comprende

i vocaboli che compaiono

3,8; XI 28; XII

15.

nelle citazioni

16; XIII 22; XIV

ἀληϑής: ἀληθές I 26; IV 16,26; V 3,19; X 8 [ἀλ]ηϑές I 6, 16. - ἀληθῶς II 4, 16; X 13, 24 - ἀ[ληϑῶς] I 11. [ἀληθῶς] I 22. 'Axxu&v XII 20; XIII 1. ἀμφίβολος: ἀμφίβολοι διάλεκτοι IX 24; XIII 24, 26.

2, 4, 17. ἀποφατιχός:

᾿Ανακρέων

Εὐριπίδης: III 13, 23; V 3,20; IX 25;

XIII

7, 15.

᾿Ανδρομάχη III 25; IV 11. ἀντίκειμαι:

εἶπον: ῥηθέν X 9. εἴς: ἑνί VII 5,8. ‘Eppuévn: 'Eputóvov

II

27;

IV

12.

X 14, 24, 27; XI 10. - Εὐριπίδου III 26; IV 11; X 10.

3,7,19,23; V 7,13; 5,8; VIII 16, 23; IX 20; XI 2,5. -- [ἀν]τί— [ἀντίκειται X 1. -

Θέσπις VIII 2, 7. "IBuxoc; IX 11, 20. χαταφάσχω: χαταφάσχοι XII 24, 27. καταφατικός: v. ἀξίωμα καταφατικόν. —

II

8,11, 24;

ἀντικείμενον ἀξίωμα XIV 8, 13, 24, 28. - ἀντικείι- XV 17. ἀξίωμα: XII 5, 10. — &. ἀποφατικά VII 7, 10; XV [19]. &. xatagarındv II 8, 12, 24; III 2, 16, 19; IV 4, 7, 20, 23;

V 8, 14; VI 19, 23; VII 6, 9; VIII 17, 23; IX 7, 16; X 1, 4, 17, 20; XI 2,6; XIV 8, 15, 23,

27.

ἀποφαίνομαι: ἀπεφαίνετο II 5,17; VII 24; IX 2, 12, 21; X 27; XI 10, 14, 24; XII 22; XIII 2; XIV 20. - ἀπεφήvato II 20; 111 7,27; IV 12; V 25; VI 9, 13, 26; VII 2, 13, 16; VIII 11; XIII 8, 16. — ἀποφαίνοιτο VII 19, 21, 27; VIII 5; XI 18,21; XIII 4, 11. — ἠἐποφαινόμενος IX 26; -u£vw XIII 19, 27. - ἀποφαιν[- XV 24. ἀποφάσκω:

δύο VII 6, 10.

III

ἀντίχειται

2,15,19; IV VI 16,21; VII 7,16; X. 4,16, χεῖται XV 20.

v. ἀξίωμα ἀποφατικόν.

διάλεκτος: διάλεκτοι IX 25; XIII 25, 26.

ἀπέφασχεν

III 12, 22; VIII



xarapalrıx- XV,

15; xaraparlıx- XV

19. Κύκλωψ VI 28; VII 11. λέγω: ἔλεγεν I 6; V 3, 20; X 14,25 be.[.) I 16. - λέγοι I 1. -- λέγοιτο I 12 λέ[γοιτο] I 22. — λεχϑείη I 27; IV 17,27; VI 2, 5 [λεχ]ϑείη I 17. vai I 5; II 11,15; III 1,7, 18, 22; IV 6, 10, 23,

26;

V

13,

19;

VI

4, 8, 20,

25;

VII 8, 11,21, 24; VIII 4,7, 22;

IX

1,15,20;

X

4,8,20,23;

XI

5,

9, 20, 24; XII 9,14, 26; XIII 1,11, 15, 25, 27; XIV 11,16,26 [vat] I 21, 26. & XI 17,21. - &v (-Ξ δ) I 6,16 (ὃ), [27]; V

3,20.

ὅσπερ: 6rzo 11; IV 16, 27; VI 1,5. οὐ II 11, 16; III 2, 7, 19, 22; IV 7, 10.

169—

6, 16. X 8 bir [οὔτε] I 11, 22. I ‚17,22; II 1,5, 17; III 12, 23; IV 16,27; V 25; VI 2, 5,9, VII 2,13, 16, 24, 27; VIII 2,5,8,11; IX 1, 12,21, 26; X 27, XI 10, 13, 17, 21, 25, 28; XII 15, 21; XIII 2, 4, 8, 11, 15, 19, 27; XIV 4, 17, 20. ποιητὴς VIII 2. 8; IX

17, 14, 17, 21, τι XIV

20; XII 21; XIII



170—

20, 28 : 24; XII 25, 27; XII 5, 12; ις I 2. - τινα VII 2, 13. 7,12, 22, 26.

FRAMMENTI

POETICI

ALCMAN

Fr. 16 PMG

οὐκ ἧς ἀνὴρ ἄγρουκος οὐδὲ σκαιός (XII 22).

ANACREON Fr.

31

PMG

CHOERILUS

(?)

Cypria Fr. 16 Allen

οὐδ᾽ εὖτε ἔμπεδός

εἰμι [οὐδ᾽

ἀστοῖσι

προσηνής

(XIII

5).

cfr. supra, p. 134. οὐκ ἐφάμην ᾿Αχιλῇ χολώσειν ἄλκιμον ἦτορ / ὧδε μάλα ἐκπάγλως, ἐπειὴ μάλα μοι φίλος ἤην (XII 1).

EURIPIDES

Andr. 205 Hel. 1245 IA 28

Supp. 270 Fr. Fr. Fr. Fr.

222 N* 661 N* 817 N* 880 N*

οὐκ οὐχ οὐκ οὐκ οὐκ οὐκ οὐκ οὐκ

ἐξ ἐμῶν σε φαρμάχων στυγεῖ πόσις (IV 1). Ge ναύτας ὀλομένους τυμβεύομεν (X 2). 1 ταῦτα ἀνδρὸς ἀριστέως (III 14). ἔστιν οὐϑὲν διὰ τέλους εὐδαιμονεῖν (X 28). ἂν γένοιτο χρηστὸς ἐκ κακοῦ πατρὸς (IX 27). ἔστιν ὅστις πάντ᾽ ἀνὴρ εὐδαιμονεῖ (IV 17). ἔστι τοῦ ϑρέψαντος ἦδιον πέδον (X. 14). ἐν γυναιξὶ τοὺς νεανίας χρεών, / ἀλλ᾽ ἐν σιδήρῳ xal ἐν ὅπλοις

τιμὰς ἔχειν (V 4).

Isycus Fr.

312

PMG

οὐκ ἔστιν ἀποφϑιμένοις ζωᾶς ἔτι φάρμαχον εὑρεῖν (IX 8).

PINDARUS

Fr. 198a SnellMachler

οὗτοι με ξένον [οὐδ᾽ ἀδαήμονα Μουσᾶν ἐπαίδευσαν κλυταὶ / Θῆβαι (I 13).

SAPPHO

Fr. 51 PLF Fr. 56 PLF

οὐκ οἶδ᾽ ὅττι ϑέω᾽ δύο μοι τὰ vofiuara (XIII 20). οὐδ᾽ lav δοκίμοιμι, προσίδοισαν φάος ἀλίω / ἔσσεσθαι σοφίαν πάρ-

Bevov εἰς οὐδένα πω χρόνον / τοιαύταν (VIII

12).

THESPIS

Fr. 2 TGF I

οὐκ ἐξαϑρήσας

οἶδα ἰδὼν δέ σοι λέγω

(VII

28).

TIMOTHEUS

Fr3781

PMG

οὔτοι τόν γε ὑπεραμπέχοντα οὐρανὸν εἰσαναβήσει (VII 3).



171 —

Fragmenta adespota Fr. 8 IEG II Fr. 958 PMG Ἐν. 103}: ΤΟΕῚΣ

οὔ μοι Er’ εὐχελάδων ὕμνων μέλει οὐδ᾽ ἔτι μολπῆς (V 26). οὐχ εἶδον ἀνεμωχέα κόραν (XIV 21). οὐκ 018° ὅπως χρὴ [μ]ὴ σαφῶς κατειδότα / τῆς ᾿Ηρακλείας

Fr.103c TGF I] Fr.103d TGFÜ Fr.110 TGF II

οὐκ οἶδα τἀληθὲς yàp ἀσφαλὲς φράσαι (VII 17). οὐκ ἀξιῶ μυκῶν et μεγάλα δ' οὐχ ἔχω (XI 15). οὐκ ἦν ἄρα οὐθὲν πῆμα ἐλευθέραν δάκνον [ψυχὴν ὁμοίως

Fr. sim sede

οὔ por Σαρδανάπαλλος ἀρέσχει τὴν διάνοιαν (II 6).

κατηγορεῖν (I 2).

ἀνδρὸς ὡς ἀτιμία (II 20).

-

172



ΠῚ DANIELA

TEMATICA

MANETTI

FILOSOFICA E SCIENTIFICA PAPIRO FIORENTINO 115

NEL

Un probabile frammento di Galeno /n Hippocratis De Alimento

Dall'anno della sua pubblicazione da parte del Comparetti nel II volume dei Papiri fiorentini» P. Flor. 115 ha per così dire cambiato faccia più di una volta. Comparetti, dando l’editio princeps di due frammenti indipendenti di un codice papiraceo, vi vedeva tracce di una polemica contro Eraclito e Socrate, a proposito

della genesi delle cognizioni e delle idee ed esprimeva il dubbio che il testo potesse avere la forma dialogica, poiché vi si leggeva il nome di Democrito al vocativo. Avanzava anche una vaga ipotesi di paternità,

scorgendo,

attraverso

Plut.

Adv.

(οἱ,

1118c,

delle affinità con Colote, ma gliene affiancava subito un’altra, quella di Eraclide Pontico,

Contra Democritum.

Già nello stesso anno 1908 un recensore illustre, W. Crònert,?

modificava la prospettiva, identificando due citazioni del trattato medico De Alimento, conservato nel Corpus Hippocraticum. Le ipotesi di Comparetti si incrinavano e Crònert preferiva considerare P. Flor. un libello polemico antiippocratico, che trattava di embriologia, composto fra 100 a. C. e il 100 d. C.

La prima ipotesi di Comparetti veniva tuttavia ripresa a di-

stanza di tempo da Edwards e in qualche modo ufficializzata dal catalogo del Pack,* il quale registrando il papiro con il n. 2578, ne menziona la possibile attribuzione a Colote. Nel 1975 un restauro accurato dei frammenti e un nuovo conseguente esame del loro contenuto hanno segnato la svolta deci* Desidero ringraziare vivamente gli amici W. Cavini e ziosi suggerimenti e consigli. Per le citazioni cfr. siglario. | Papiri greco-egizi, vol. II Papiri fiorentini, Milano 1908, 3 «Liter. Zentralblatt », 59, 1908, c. 1201 sg., seguito 6, 1913, pp. 240-241. ® W.M. Epwarps, in PoweLL-BarsEr, New Chapters Literature, Second Series, Oxford

W. Leszl per i loro prepp. 34-38. da A. K&rtE,

« APF »,

in the History of Greek

1929, pp. 98-99; R. A. Pack,

75e Greek and Latin

Literary Texts from Grasco-roman Egypt, Univ. of Michigan Press 1965, 135: « Epicurean ( ὃ) fragment [...) Edwards suggests Colotes as the author ».

— 175—

siva.* M. Manfredi infatti, recuperando alcuni frustuli trascurati, si accorse che i due frammenti del Comparetti si univano in realtà a formare buona parte di un foglio di codice e conseguì notevoli progressi nella lettura. Poté così identificare una terza citazione di Ippocrate, da Epidemie VI, e concluse con tutta probabilità che tali citazioni si inserivano in un commentario continuo al trattato pseudoippocratico De alimento: dunque non più ambiente filosofico ma medico e non più oscillazione fra trattato e dialogo ma la forma ben definita del commentario. Manfredi, nella sua analisi del testo, lascia cautamente aperta la questione della paternità e si limita a passare in rassegna una

setie di possibili collocazioni del commento nell’ambiente di scuola empirica (Eraclide di Taranto o Menodoto), nell'ambiente di scuola dogmatica (Sabino), o, per finire, nel corpus delle opere di Galeno. Ciò non gli impedisce tuttavia di individuare come

elemento caratterizzante di P. Flor. l’uso di quelli che egli definisce « moduli logico-scettici » e sembra perciò propendere implicitamente per una collocazione nell’ambito della scuola empirica. Oggi, dopo un rifiorire di studi sull'ippocratismo nell’antichità, è forse possibile tentare una ambientazione più precisa del commentario conservato in P. Flor. A questo scopo diamo

subito il testo del papiro, facendolo seguite da alcune note puntuali, dove sono registrate anche alcune letture e integrazioni divergenti da Manfredi, a cui peraltro facciamo in generale riferimento.®

A

χυρίως εἴρηται μέρη ζ]ῴων τὰ ..[ μενα. πῶς γὰρ Av e[îm μ]έρη ζῴων [οὔπω ζῶντα: 3 καταχίρηστι) χώτερον ο[ἶμαι

χέχρηται τῇ φων[ῆ᾽ κ]αὶ γὰρ φ[εἸρέα[ρ ὀρύτ-

τειν φαμὲν οὔπω μὲν νησόμενον ζωούμενα

καὶ εἱμά[τιο]ν ὑφαίνειν ἀλλ᾽ φίλ!ρέαρ οὐδ᾽ εἱμάτιόν [ἐστιν, γεδ᾽ ὕστερον, ὥστε καὶ [a μέρη ζῴων οὔκ ἐστιν [ἀλ-

1

5

4 M. MANFREDI, PD. Flor. 115, « SIFC », 46, 1974, pp. 154-184, che sposta anche la datazione del codice al sec. III-IV d. C. 5 Op. cit., 167 sgg. * Op. cit., 154 sgg.



176—

_A& γείνεται καὶ ἔσται μέρη: φ[ίύσιες πάντων ἀδίδακτοι᾽ πάνυ μοι [δοκεῖ τοῦτο προσεχῶς καὶ ἀκολούϑως [ἔχειν καὶ] πεπαιωνίσϑαι τοῖς λελεγμέζνοις" λέ-

Y]ev γὰρ ὅτι πί

᾽.ταγμί

Inv

αὐ]τὴ ἑαυ[τὴν] ἐδιζή-

ἕκαστα

Β

τῶν χί

10

14

catlo κατὰ τὸν [Πρά]κλειτον, μᾶλλον δὲ] κατὰ τὸν ᾿[π[|ποκ]ράτην ὃς κἀν ταῖς ᾿Επι]δημίαις [εὐπαίἼδευτον εἶπεν εἷv]at τὴν φύσιν ἐϊκοῦσαν, οὐ μαϑοῦσαν, τὰ δ]έοντα π[οιο)]ῦσαν᾽ καταρκεῖν αὐτὴν δὲ π]άντα πᾶσιν. οὔκουν πεπαίδευται οὐδ]ὲν 9 φύσις, εἰΠπερ καὶ εὐπαίδευτος Tv ἀπ)]λῶς, μὴ ὑφ᾽ [ἑτέρου μαϑοῦσα. μηκέτι δὴ] ζητῶμεν, ὦ Δημόκριτε καὶ ᾿Αλχμέϊ]ων, πῶς καὶ ποῦ μαϑὼν εὐϑὺς ἅμα] τῷ τεχϑῆναι ϑηλάζεται καὶ μαστεύ]ει τοὺς μ[α] σ[το]ὐΐς τὸ] παίδιον .[ Jv..de δια.

1 5

10

15

Traduzione:

(Non) sono definite propriamente parti di esseri viventi quelle che

(si vivificano). Infatti come potrebbero esistere parti di esseri viventi non ancora vive? Io penso che (Ippocrate) usi la parola piuttosto in modo abusivo (opp. per catacresi): e infatti diciamo « scavare un pozzo » e «tessere un vestito », ma non esiste ancora un pozzo né un vestito, poiché lo diverrà in seguito; cosicché anche le parti di esseri

viventi che vengono

vivificate non

sono

ma

divengono

e

saranno patti. « Le nature di tutti non ricevono istruzione »: sono dell'opinione che questo sia strettamente connesso e conseguente e 'sia cantato a

gloria’ di quanto è stato detto. Infatti dicendo che... ciascuno dei... ...

«ha investigato se stessa da sola», secondo Eraclito, o meglio,

secondo Ippocrate, il quale anche nelle Epidemie disse che «la natura è ben istruita in quanto spontaneamente, non per avere appreso, compie

— 177 — 12

quanto è necessario » ed « essa è autosufficiente in tutti i campi e in tutte le relazioni ». Dunque la natura non ha ricevuto alcuna istruzione se è pur vero che è « ben istruita » in assoluto, senza aver appreso da altri. Non cerchiamo dunque più, o Democrito e Alcmeone, come e dove ha appreso il bambino appena partorito a suggere (il latte) e a cercare le mammelle ... dentro ...

A 1.

Il contesto e il confronto con i rr. 7-8 ὥστε xal τὰ

ζωούμενα μέρη ..., raccomandano una integrazione come ζῳ[οὐ] | ueva, che riferirebbe direttamente l’espressione al testo di Ippocrate Alim. 38 (CMG 11 p.82,27) ζωοῦται μέρεα ζῴων, oppure γε[ινό] | μενα, cfr. τ. 9, ma le tracce non vi si accordano bene. Sembra conservata l’estremità del tratto di destra di x; ad essa,

quasi sopra, segue una traccia tondeggiante, forse un po’ più alta del rigo di base (forse o, a meno probabile). Più a destra sulla linea di frattura si scorge un puntino (traccia di v?). gu sarebbe la lettura più soddisfacente. La presenza di una negazione davanti a χυρίως è resa necessaria dal contesto, in cui compare καταχρηστικώτερον, come ha già ben visto Manfredi.

A 8. ζῴῳν: ζῷ[ο]ν Manfredi, ma le tracce e lo spazio si adattano piuttosto a w. Cfr. infra. A 9. Alim.39 (CMG I 1, p. 82, 28). Prima del nuovo lemma si nota uno spazio bianco e la fine del commento precedente è segnalata da un doppio punto, mentre fra i rr. 9 e 10 è inserita una Peragraphos. La combinazione di questi segni è piuttosto variabile nei commentari,

ma tutti

hanno

altri riscontri. L'uso

meno comune è forse il doppio punto a fine del commento, ma cfr. P. Oxy. X XV 2429, un commento ad Epicarmo, in cui compaiono tutti e tre gli elementi (con la variazione che lo spazio bianco separa un lemma dal commento che lo riguarda), con l'aggiunta della ἔχϑεσις dei lemmi. A 10. δοκεῖ: Manfredi aggiunge καὶ che non pare necessario.

Α 11.

ἔχειν | καὶ: integrazione ex. gr.

Α 13.

La traccia della prima lettera puó adattarsi anche a o

per cui non si può escludere δῇ | A]ov. B 1-2.

Il riferimento è ad Eraclito, 22 B 101 DK

(= fr. 15

Marcovich) ἐδιζησάμην ἐμεωυτόν. La testimonianza di P. Flor. ὲ già stata registrata nell'edizione italiana dei frammenti di Eraclito,

curata

da

M.

Marcovich,

p. —

38,

come

178—

semplice

riferimento.

C'è però da notare che, se l'espressione eraclitea è qui applicata alla natura in un contesto in cui essa è definita autodidatta, ciò

probabilmente non è frutto di una libera e isolata manipolazione di P. Flor., ma rientra piuttosto in un determinato filone inter-

pretativo della frase eraclitea, rintracciabile in una serie di testimoni: si tratta di quelli raggruppati da Marcovich sotto la lettera d (pp. 37-38). Mentre infatti esiste una tradizione interpretativa fortunata (sostenuta fra i moderni da C. H. Kahn, p. 117), che

associa il passo eracliteo al γνῶϑι σαυτόν delfico e lo intende

quindi come invito alla autoconoscenza (« ho indagato me stesso ») - il cui più autorevole sostenitore è Plut. Adv. (οί, 1118c — un'altra serie di testimoni (il più antico sembra D. Chr., Or. 38[55], 1-2) intende la frase come « ho interrogato me stesso (e nessun altro) », e dunque « sono autodidatta ». Soltanto alla luce di quest’ultima interpretazione diventa comprensibile e non appare arbitrario l’uso che P. Flor. fa del passo eracliteo. B 4-6. Il primo dei passi paralleli portati a confronto dal commentatore: Epid. VI 5.1, 3-4 (cfr. edizione Manetti-Roselli,

p. 102) εὐπαίδευτος 7| φύσις ἑκοῦσα οὐ μαϑοῦσα τὰ δέοντα ποιεῖ. La parafrasi di P. Flor. conferma alcune varianti antiche

notevoli. La lezione εὐπαίδευτος, conservata per intero a r. 8, si ritrova nei codici ippocratici e nella tradizione araba del commento di Galeno (bid. n. 1, 3, p. 103), mentre solo una corrotta

tradizione greca di Galeno e il commento pseudogalenico a De alimento danno

la falsa lezione ἀπαίδευτος.

La lezione ἑκοῦσα

οὐ è da Galeno attribuita a Dioscoride, commentatore e editore

ippocratico di età adrianea, ed è conservata nei codici (bene da V, in modo

corrotto,

ἐκ τοῦ o&ou,

da MIH),

mentre

Galeno

accoglie nel lemma ἐοῦσα καὶ οὐ. Per la discussione delle varianti in Galeno cfr. infra. B 6-7. Si tratta stavolta di un confronto interno all'opera commentata, un passo anteriore, Alim. 15 (CMG I 1, p. 80, 11) φύσις ἐξαρκέει πάντα πᾶσιν. La tradizione ms. ippocratica è divisa sull'ultima parte, πάντα πᾶσι M: παντάπασι Δ, le citazioni di Galeno in Placit. V 791, 1 K e 7bras. V 853 12 K. Per il resto,

la parafrasi con il verbo καταρκεῖν non altera il senso di * essere pienamente sufficiente ᾿. B9.

ἁπ]λῶς:

ὅλως Manfredi,

che soddisfa pienamente

il

senso, ma appare troppo breve, in una ricostruzione del rigo. Per la posizione dell'avverbio, cfr. Hipp. VM 17 (I 612, 11 1)

— 179—

ὅτι οὐ διὰ τὸ ϑερμὸν ἁπλῶς πυρεταίνουσιν οἱ ἄνϑρωποι, ο anche Arist. Aetaph. 1065 b26 ἐπεὶ εἰ ταὐτὸν ἣν ἁπλῶς, κατὰ τὸν λόγον ... B. 10. δή, oltre ad essere sintatticamente desiderabile, è necessario a completare il rigo: per un'espressione analoga a questa in Galeno cfr. infra. B 12. ἅμα Manfredi; per εὐθὺς ἅμα + dat. si può confrontare

D.H. III 61 καταστήσασϑαι δὲ τὸ ἔϑος τοῦτο ῬΡωμύλον εὐϑὺς ἅμα τῷ παραλαβεῖν τὴν ἀρχήν (cfr. III 67).

B 12-15.

pa|[oted]e

è integrazione,

proposta fra altre,

di Manfredi (p. 164), che si può adattare bene allo spazio e anche al contesto, che appunto descrive l’istinto del neonato di attaccarsi alla mammella (cfr. infra, p. 204 sg.). Prima

di passare ad esaminare le caratteristiche di questo

commento

bisogna

fare

un'osservazione

preliminare:

De

ali-

mento è probabilmente una delle ultime opere entrate a far parte del Corpus Hippocraticum. Ormai del tutto abbandonata una datazione antica, al V o al IV sec. a. C. l'ultimo saggio interpretativo dell'opera, di K. Deichgráber, colloca la composizione di De

alimento

alla fine del I secolo

a. C., sotto

l’influenza

della

scuola pneumatica di medicina e dello stoicismo.* Se, come pare probabile, tale è la data e la caratterizzazione del trattato, bi-

sogna per ragioni cronologiche escludere l'attribuzione del testo di P. Flor. all'empirico Eraclide di Taranto !° e, in generale, di* K.

FreEDRICH,

Zlippokratische

Untersuchungen,

« Philologische

Untersuchun-

gen », 15, 1889, p. 156; W. H. S. Jones, Hipporrates, with an Engl. Transl., LondonCambridge Mass., vol. I 19574, p. 339; J. Junk, Ramenta bippocratea, Diss. Berlin 1900, pp. 4-9.

86 Pseudbippokrates Uber die Nabrung, « Abh. d, Ak. d. Wiss. u.d. Lit. Mainz», 1973, 3, pp. 12 e 82 (in seguito Nabrung). * Lo studio di Deichgrüber sviluppa la direzione di ricerca iniziata da H. DitLER, Eine sioisch-pneumatische Schrift im Corpus Hippocraticum,

« AGM », 29, 1936-

1937, pp. 178-195, ora in Kleine Schriften zur antiken Medizin, Berlin 1977, pp. 17-30, e poi corretta (per la datazione del fondatore della scuola pneumatica, Ateneo di Attalia) da F. KuDLIEN, Poseidonios und die Arzseschule von Knidos, « Hermes », 90, 1962, pp. 419-429. R. JoLy, tuttavia, in 77ipporrate, tome VI 2, Paris 1972, p. 136, segue ancora una datazione più alta, al 111-11 secolo a. C., proposta da K. ABEL,

Die Lebre vom Blutkreislauf im Corpus Hippocraticum, « Hermes », 86, 1958, p. 203. 10 Eraclide visse nella prima metà del sec. I a. C.: cfr. Κ, DEICHGRABER, Die griechische Empirikerschule (in seguito Empiriker), Berlin 1930, pp. 172-202. La notizia che egli scrisse commenti

a ‘tutti’ gli scritti ippocratici (Empiriker fr. 319) è



180—

venta improbabile che un'opera di genere stoico-pneumatico abbia suscitato l'interesse dell'ambiente di scuola empirica anche in una fase più tarda.! Oggi infatti risulta sufficientemente chiaro che la scuola empirica iniziò l'attività filologica sui testi medici più antichi e diede l'avvio a quel processo di ‘appropriazione ’ - in cui consiste tanta parte dell'ippocratismo antico — che aveva

lo scopo di costruire l'immagine di un Ippocrate empirico. E

dunque in via generale poco credibile che tale immagine potesse essere costruita su un'opera come De a/imenfo.s

I] trattato é inserito nella lista delle opere ippocratiche da Erotiano, vissuto in epoca neroniana, che compose un Lessico ippocratico,) ma la sua autenticità era discussa. Esso era attribuito a

Tessalo, figlio di Ippocrate, ad Erofilo o ad un erofileo o addirittura ad autore ignoto, come risulta dagli scoli contenuti nel codice Marciano greco 269 e dall'operetta galenica, tradita solo in arabo, Über die Siebenmonatskinder 4 Era comunque considerato autentico da Sabino, medico alessandrino di età adrianea, e da

Galeno: essi composero i due soli commenti all'opera di cui siamo a conoscenza e costituiscono quindi le due possibilità concrete di attribuzione di P. Flor. da verificare. Come infatti ha già fatto notare Manfredi, l'autore del commento sembra di per sé inutile, perché non è possibile determinare quali opere fossero attribuite δὰ Ippocrate al tempo di Eraclide: si ha comunque notizia positiva di suoi commenti a Epid. II, III, VI, Apb., Of. 11 Manfredi suggerisce anche Menodoto di Nicomedia, II sec. d. C., per cu i cfr. Deichgräber, Empiriker, pp. 212-214. 12 Per una storia dello sviluppo parallelo della esegesi ippocratica e del mito

di Ippocrate, cfr. oggi W. D. Surrn, Tbe Hippocratie Tradition, Ithaca and London 1979, p. 199 sgg. e in part. 204 sgg. 19 Erotiani Worum Hippocraticarum Collectio, rec. E. NACHMANSON, Upsaliae 1918, p. 9. Le glosse erano originariamente ordinate secondo la loro posizione nel testo e un testo dopo l'altro secondo la lista data nel proemio, ma l'opera è stata ri-

maneggiata in più fasi c abbreviata e oggi ha un ordine alfabetico: all'intemo di ogni lettera è però possibile ritrovare l'ordine originario delle opere. Le glosse ad Alim. conservate sono solo due, A 148 ed E 83, ambedue in ultima posizione, Nach-

manson, in Erotianstudien, Uppsala 1917, p. 440, fa notare come E 83 si trovi dopo una glossa al Presbeutikos, che secondo la lista iniziale del proemio, doveva figurare all'ultimo posto: indizio di un tardivo inserimento di Alim. nel canone da parte di Erotiano ? Così sembra supporre Diller, op. cif. p. 27. Deichgräber, Nabrung, p. 84, suppone che l’opera avesse circolato fin dall’inizio anonima, facilitando così il suo inserimento fra gli scritti ippocratici. 14 Per gli scoli cfr. infra; l’operetta galenica è edita da R. WALZER, Gales; Schrift Ueber die Siebenmonatskinder, « RSO », 15, 1935, pp. 332 s., 345. 15 Of. cit., p. 159 n. 3.



181—

considerare autentica.

senz'altro

De

alimento come

un’opera

ippocratica

Sabino,! attivo ad Alessandria, era vicino all'ambiente dogma-

tico risalente a Rufo di Efeso e lui stesso si definiva “ Ippocratico ’: fu maestro di Stratonico di Pergamo, a sua volta maestro di Galeno, il quale nel suo soggiorno alessandrino ebbe contatti con il metodico Giuliano, a quell'epoca già noto per la sua polemica contro il commento di Sabino agli Aforismi di Ippocrate.” Abbiamo notizia di suoi commenti a 7/4. II, III, VI, a Nat. hom.®

e ad Alim. Di quest'ultimo abbiamo soltanto una citazione in Gellio.1* Poiché 1 suoi commenti erano molto spesso utilizzati da Galeno nella propria esegesi ippocratica, ci si può formare un'idea del suo modo di commentare e della sua visione di Ippocrate, tenendo sempre presente che Galeno è una fonte scarsamente obiettiva e cita quasi esclusivamente per ragioni polemiche.» Galeno infatti critica radicalmente non solo l’ignoranza di anatomia di Sabino ma anche il genere dei suoi commenti, che non si preoccupano di spiegare i punti oscuri (ciò che per Galeno è il compito precipuo di ogni commentatore), ma danno sempre per scon-

tato che il testo ippocratico sia chiarissimo e si perdono perciò in disquisizioni superflue. Sabino, a quanto appare, utilizzava i commenti di Rufo di Efeso e doveva quindi confrontarsi con altri commentatori, ma egli dà l’impressione di non essere propenso a polemiche, anzi di avere tendenza ad attualizzare tacitamente il testo ippocratico, secondo le proprie convinzioni — egli 16 Su Sabino, oltre lo scarno articolo di H. Gossen in RE I A 2, 1920, c. 1600, si veda M, WELLMANN, Zur Geschichte der Medizin im Altertum, « Hermes », 47, 1912,

pp. 9 sgg.; Deichgräber, Empiriker, pp. 25-29 e più diffusamente Smith, op. cit., pp.

70-72;

163;

171;

179.

V Gal, Ad. Inlianum, CMG V 10.3, p. 39, 13 P, es. CMGV 10.1, p. 329; CMG V 9.1, p. 1* Gellio, NA III 16, 7-8 cita Alim, 42 e fa relativo di Sabino: è probabile che la citazione (III 20) di un altro passo di Alim., con la relativa nima) derivi sempre da Sabino.

12-40, 4. 15, 11; CMGV 10.2.2, seguire la citazione dal quasi immediatamente interpretazione (questa

p. 300, 11. commento successiva volta ano-

* Smith, op. sis, p. 71.

sı Cfr. Gal. 7n Hipp. Epid. II, CMG V 10.1 p. 329 sgg.: nell'affrontare la parte anatomica di Epid. II sui ‘ nervi’, Galeno osserva che commentatori come Sabino, che dicono che il testo di Ippocrate ἐ cbiarissimo e si dilungano in una disquisizione

sulla * necessità * delle vene nel corpo umano, dimostrano non solo di non aver mai visto una dissezione, ma anche di avere una scorretta concezione dell’esegesi,



182 —

vedeva in Ippocrate un teleologo, campione della patologia umorale -, probabilmente in vista di una traducibilità immediata nella prassi.*s Alcuni passi ci fanno intravedere alcune sue caratteristiche più particolari, anche se non di carattere dottrinale: A) Gal. In Hipp. Epid. VI, CMG V 10.2.2, p. 138,1 sgg. e p. 30,11, e In Hipp. Nat. bom., CMG V 9.1, p. 15,11 sgg. testimoniano la familiarità di Sabino con le doxai dei filosofi antichi. Si trattava dunque di esegesi erudita,= che si potrebbe confrontare con la conoscenza testimoniata in P. Flor. delle dottrine di Eraclito o Democrito (cfr. B 1 e 10). B) Gal. In Hipp. Nat. bom., CMG V 9.1, p. 87, 15 sgg. ϑαυμαστὸν οὖν ὅπως En’ ἐκείνων μὲν οὐδὲν ἐμέμψαντο τῷ γράψαντι τὰ μετὰ τὸ Περὶ φύσεως ἀνθρώπου μέχρι δεῦρο πάντα, νυνὶ δὲ μέμφονται καὶ διὰ τοῦτο αὐτοῖς οὐκέτι δοκεῖ τὸ βιβλίον ᾿ἹΙπποκράτους εἶναι. Σαβίνου δὲ καὶ τῶν πλείστων ἐξηγητῶν ἔτι καὶ τοῦτ᾽ ἄν τις ϑαυμάσειεν, ὅτι τὰ παρεγγεγραμμένα πάντα ἐπαινοῦντες del. ϑαυμασίως εἰρῆσϑαι τόδε τι τἀνδρὶ καὶ δαιμονίως τόδε τι καὶ ϑείως τόδε tt, νῦν ἐξαίφνης ἐκείνων μὲν ἁπάντων ἐπελάϑοντο, διὰ μίαν δ᾽ ἐναντιολογίαν οὐχετ᾽ αὐτοῖς Ἱπποκράτους εἶναι δοχεῖ τὸ βιβλίον. La discussione riguarda il lemma finale di Nat. bom. e precede Diaet. salubr. la cui autenticità era rifiutata da Sabino per la contraddizione di questo passo con Aforismi e Epidemie 1.4 Non interessa, di per sé, che Galeno ironizzi sul carattere piattamente celebrativo di questi commenti, ma piuttosto il fatto che qui egli sembra parodiare in maniera precisa certi vezzi di Sabino: le espressioni laudative a commentare le singole frasi del testo, come ϑαυμασίως, δαιμονίως, ϑείως, dovevano

essere caratteristiche di Sabino e, per così dire, formu-

135 P. es. In Hipp. Epid. II, CMG V 10.1 p. 408, 20 sgg.; In Hipp. Epid. VI, CMG V 10.22 p. 291, 38 sgg. Significativo l'aneddoto raccontato da Galeno, In Hipp. Epid. III, CMG V 10.2.1, pp. 401-402, a proposito di Filistione, allievo di Sabino, che perse la sua reputazione per aver voluto seguire letteralmente una prescrizione di Epid. II.

1 Secondo Wellmann, op. ci/., p. 9 sgg., molto di questo materiale sarebbe derivato dai commenti di Rufo. % Il valore paradigmatico di Aforismi per Sabino sembra confermato anche da un passo poco precedente (p. 82, 17-20), dove ci viene detto che Sabino cercava di

comporre una contraddizione fra il testo di Nas. bom. e Apb. Il 19.



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lari. In P. Fior. A 12 (cfr. infra) a commento di Alm. 39 viene usata l'espressione πεπαιωνίσθϑαι, che è certamente laudativa, ma

ha uno spessore metaforico che la rende difficilmente paragonabile con gli avverbi citati sopra. ΑΙ di Ἰὰ di queste scarne osservazioni la nostra conoscenza di Sabino e dei suoi commentari si arresta. Gli elementi a favore di una attribuzione a lui del commento contenuto in P. Flor. sono assolutamente marginali e insufficienti, anche se, di fronte

al naufragio delle sue in via teorica. È da tempo noto nome di Galeno nel mentale,» mentre il

opere, la possibilità non puó essere esclusa che il commento a De alimento edito sotto il XV volume del Kühn è un falso rinascicommento originale è andato perduto. Di

esso ci restano solo scarne tracce negli scolt al trattato contenuti

nel Marciano e riportati da Heiberg in apparato nell’edizione del Corpus Medicorum Graecorum.* Da essi si apprende appunto che egli riportava le diverse opinioni sull’autenticità dell’opera, ma è assolutamente certo che egli la considerava ippocratica e, soprattutto, come tale la utilizza in numerosissime citazioni sparse nelle sue opere. Del resto l'opera era particolarmente affine al suo pensiero, in particolare per la teoria che le arterie hanno centro nel cuore e le vene nel fegato, che concordava con la sua tripartizione delle funzioni vitali del corpo umano fra cuore, cervello e fegato.* Egli scrisse il commento a De alimento nella seconda fase della sua attività esegetica, quella più erudita, quando sentì il bisogno di confrontarsi con puntualità con i suoi predecessori.*? A questo punto però è opportuno riconsiderare da vicino il testo di P. Flor. e discutere i problemi di attribuzione che emergono dal contesto. 35 La notizia, non più verificata in seguito, è in H. Dre1s, Bericht über das CMG,

« Sb. preuss. Ak. », 1914, p. 128. Deichgräber, Nabrung, p. 12 n. 2, avanza l'ipotesi che il falsificatore sia il Rasarius.

0 Hippocratis Opera, Nabrung,

CMG

11, Leipzig-Berlin 1927, pp. 79-84 e Deichgräber,

p. 13.

#7 Sulla scelta policentrica della fisiologia galenica cfr. P. MaNurLI - M. VEGETTI, Cuore, sangue e cervello, Biologia « antropologia nel pensiero antico, Milano 1977, pp. 157 sgg. € in particolare, per l’utilizzazione di 74/im., pp. 165-166. 95 Cfr. De libris propriis, 6 (Scr. min. II, p. 113, 12). Il commento è datato al regno di Commodo (180-192), cfr. K. BAnpoNG, Beiträge zur Hippokrater- und Galenforschung, « NAWG », 7, 1942, p. 629.

— 184—

A

1-9

Il lemma ἃ cui il testo si riferisce è Alim. 38 (CMG I 1, p. 82, 27) ζωοῦται τὰ μὴ ζῷα, ζωοῦται τὰ ζῷα, ζωοῦται μέρεα ζῴων. La frase arriva a conclusione di una serie di aforismi di ambito embriologico ($$ 36-41), in cui, nello stile oscuro di imitazione eraclitea tipico del trattato, si parla del nutrimento del feto, costituito da sangue e da latte, attraverso cui esso prende vita. Alim. 38 ha una struttura trimembre, il cui elemento centrale

si oppone da una parte a τὰ μὴ ζῷα, dall'altra a μέρεα ζῴων: si

prende in considerazione l'essere vivente nella sua totalità e poi lo si collega alle sue parti, ma entrambe queste fasi sono espresse nei termini di opposizione polare (vivo-non vivo; tutto-parte). Bisogna dunque considerare ζωοῦται τὰ ζῷα concettualmente ἀπὸ χοινοῦ. L'intera frase vuole indicare il passaggio da uno stadio iniziale durante la gravidanza in cui ancora il feto non & propriamente un essere autonomo ad uno di vitalità che coinvolge

lo sviluppo delle parti organiche.s* Il testo del papiro conserva però solo un’osservazione relativa all'ultima parte dell'aforisma

ζωοῦται μέρεα ζῴων. L'espressione fa difficoltà al commentatore, che la definisce impropria e si chiede come potrebbero esistere patti di esseri viventi non ancora vive. Infatti nel momento in cui essere vivente, o, nel nostro caso, le sue parti prendono vita, non sono, ma divengono e solo in seguito saranno ' parti '.9

Dunque una parte di ζῷον non può ‘diventare’ viva, oppure inversamente, nel momento in cui acquista vita, niente puó essere ancora chiamato ‘parte’ di essere vivente. È evidentemente la correttezza e il significato di μέρος, o più esattamente dell'espressione μέρος ζῴων, ‘ parte organica ’, al centro dell'attenzione del

commentatore,

che la definisce abusiva o catacrestica. Il pro-

8 Per l’interpretazione cfr. Deichgräber, Nabrung, pp. 56-57. se Cfr. rr. 7-9. Interpreto qui diversamente da Manfredi il quale non dà integrazione in A 1 e ad A 8 intende ζῷ[ο]ν (op. cif., p. 160). Si affermerebbe così che «le parti restano parti e non possono essere definite ζῷον » (ibid., p. 162). Il confronto da lui addotto con An animal, XIX

173 K è fuorviante e lo stesso Manfredi ammette

che questo testo o presuppone una lezione di Alim. diversa dalla nostra o è forse corrotto (ibid., p. 176 n. 1). In ogni caso con questa interpretazione diventerebbe incomprensibile il riferimento ad espressioni come φρέαρ ὀρύττειν e ἱμάτιον ὑφαίνειν. δι In ogni modo la formulazione del testo di P. Flor. implica, su un piano generale, che l'autore dà per scontato che l'embrione è ζῷον, il che a sua volta implica

-

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blema preliminare è allora capire perché dovrebbe essere definita tale, quando si ha di fronte una frase di senso apparentemente chiaro. Una breve indagine su alcune implicazioni del termine

μέρος e del concetto di parte organica in Aristotele può faci-

litarci la comprensione

della difficoltà sollevata dal commenta-

tore e chiarirne i presupposti teorici. Tutta la fisiologia aristotelica, è noto, è costruita su una teoria

delle parti dell'organismo inserita in una prospettiva teleologica. La parte metodologica iniziale di De partibus animalium è appunto volta a mostrare come, nelle scienze biologiche l’elemento qualificante dell'indagine sia costituito dall'esame della forma e funzione degli organi o, in altre parole, come la forma, coincidente

con la causa finale, sia l’oggetto primario dello studio rispetto ad un'indagine genetica, che si rivolge alla causa efficiente.** In essa troviamo

un passo interessante:

Aristotele polemizza

con

Democrito, il quale sostiene che la forma-uomo coincide con le sue caratteristiche visibili (σχῆμα, χρῶμα), ed introduce un esempio (PA 640b 33 sgg.): καίτοι xal 6 τεϑνεὼς ἔχει τὴν αὐτὴν ToU σχήματος μορφήν, ἀλλ᾽ ὅμως οὐκ ἐστὶν ἄνϑρωπος. ἔτι δ᾽ ἀδύνατον εἶναι χεῖρα ὁπωσοῦν διακειμένην, οἷον χαλκῆν 7 ξυλίνην, πλὴν ὁμωνύμως, ὥσπερ τὸν γεγραμμένον ἰατρόν. οὐ γὰρ δυνήσεται ποιεῖν τὸ ἑαυτῆς ἔργον, ὥσπερ οὐδ᾽ αὐλοὶ λίϑινοι τὸ ἑαυτῶν ἔργον, οὐδ᾽ ὁ γεγραμμένος ἰατρός. ὁμοίως δὲ τούτοις οὐδὲ τῶν τοῦ τεϑνηκότος μορίων οὐδὲν ἔτι τῶν τοιούτων ἐστί, λέγω δ᾽ οἷον ὀφϑαλμός, χείρ. E la capacità di almeno due livelli di significato. Si può pensare ad una accezione ampia come « es-

sere fornito di ψυχῇ », che esclude la teoria che l'embrione sia ἄψυχος fino al momento della nascita, attestata già in Diog. Ap. A 28 DK, ma condivisa anche in seguito nella scienza alessandrina, p. es. da Erofilo (Dox. gr. 426). Si puó scorgere poi una accezione più specifica di ‘ organismo animale’, che esclude, p. es., la teoria stoica che l'embrione abbia vita solo vegetale, cfr. SV F II 756, 806. Che la questione fosse fra quelle più dibattute è testimoniato anche dal trattato falsamente attribuito a Galeno, An animal sit quod in utero est, di difficile inquadramento e datazione, cfr.

H. WAGNER, Galeni qui fertur libellus εἰ ζῷον τὸ κατὰ γαστρός, Diss. Marburg 1914. Manfredi utilizza spesso il confronto con questo trattato, che fornisce elementi molto utili (cfr. infra), ma si tratta di una sorta di centone che, p. es., allinea citazioni di passi ippocratici che sostengono opinioni completamente diverse. Ugual-

mente lontano dalla problematica di P. Flor. è il trattato neoplatonico, anch'esso falsamente attribuito a Galeno, Πρὸς Γαῦρον περὶ τοῦ πῶς ἐμψυχοῦται τὰ ἔμβρυα, edito da K. KALBFLEISCH in « Abh. Kg. Preuss. Akad. Wiss. zu Berlin», 1891. a Cfr. Aristotles De partibus animalium I and De generatione animalium I (with passages from II 1-3), transl. with notes by D. M. BaLue, Oxford 1972, pp. 69 sgg.



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svolgere la propria funzione, e cioe l'essere viva, che fa sl che la mano sia una mano. Un cadavere ha solo l'apparenza di un uomo, come la mano di legno ha si la figura di una mano (o un flauto di pietra ha quella di un flauto capace di suonare), ma ha solo il nome in comune con la mano-organo. L'esempio del cadavere opposto all'uomo vivo, e più spesso l'esempio dell'organo vivo opposto a quello morto o ad una sua riproduzione artificiale è ricorrente in Aristotele in contesti e su piani diversi, ma con una formulazione pressoché costante. Fra le sue motiva-

zioni principali sta quella di illustrare che la forma è l’essenza e, intesa come funzione, causa finale, prevale sulla materia. Infatti

in Mete. 389b 28 (e specialmente 390 a 10 sgg.)** ritornano tutti gli elementi del passo di PA: l'occhio organo è definito dalla sua funzione che è il vedere, e quindi un occhio morto o di legno, al pari di un trapano di legno, ha lo stesso nome dell’occhio-organo nell’uso comune del linguaggio (omonimia), ma non risponde alla definizione, perché non può svolgere la funzione che gli è propria. In altre parole la mano di un cadavere o un occhio di pietra, al di là di una μορφή uguale all'apparenza, hanno con i loro corrispondenti organi vivi solo un rapporto di omonimia. È evidente che, fin qui, l'opposizione vivo-morto è fatta cortispondere a quella tra forma c materia, per cui la ψυχῆ, o principio vitale, viene a coincidere con "εἶδος dello ζῷον.

Le parti sono

vive perché partecipano del principio vitale dell'organismo nella sua totalità: il problema dunque puó essere anche visto sotto l'aspetto del rapporto parti-tutto. L'esempio è infatti sfruttato in questa direzione, sia in un passo di Mesapb. 1035a 33 sgg. nell’ambito della discussione dei problemi della definizione, sia nella teoria politica, p. es. in Po). 1253a 19, in cui di nuovo constatiamo la produttività di questo confronto fra organo vivo e organo morto o artificiale, stavolta utilizzato a dimostrazione della priorità della polis rispetto all'individuo. Su un altro piano ancora l'esempio si connette al problema della definizione fisica, in cui la distinzione fra forma e materia è più complessa, poiché il campo 35 Per l'ipotesi di autenticità del IV libro dei Meteorologica, cfr., p. es., C. BarFIONI, I/ IV libro dei « Meteorologica » di Aristotele, Napoli 1981, spec. pp. 33-44. * L'importanza di questo aspetto della μορφή è ribadita anche in PA 641a 17 e Mete. 3908 17, in cui si vuole arrivare all'individuazione della causa finale anche nei corpi inorganici.



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biologico comprende oggetti sensibili, che dunque non possono essere definiti senza il movimento e senza le loro parti materiali, che sono necessariamente in una certa condizione cioè vive, poiché solo così possono adempiere alla propria funzione: perciò si afferma ancora una volta (Aezaph. 1036b 30 sgg., in un passo contiguo a quello citato sopra): οὐ γὰρ πάντως τοῦ ἀνθρώπου μέρος 3) χείρ, ἀλλ᾽ N δυναμένη τὸ ἔργον ἀποτελεῖν, ὥστε ἔμψυχος οὖσα * μὴ ἔμψυχος δὲ οὐ pépoc).** Aristotele usa ancora l'esempio in un contesto embriologico,

ma

con

effetti

leggermente

spostati rispetto ai termini dell’analogia fin qui delineata. Lo ritroviamo infatti una prima volta in GA I 19, nella trattazione della natura dello sperma. Poiché ha in precedenza confutato le teorie pangenetiche e preformazioniste Aristotele deve spiegare altrimenti il problema spinoso della rassomiglianza con i genitori e ciò gli è permesso dalla sua teoria dello sperma come residuo del sangue, che è nutrimento del corpo al più alto stadio di elaborazione. In quanto tale esso contiene in potenza tutti gli elementi costitutivi delle parti del corpo e nella riproduzione può infondere la forma,

mentre la materia è fornita dalla femmina.

Ma ci deve essere qualcosa di più per spiegare la generazione di un nuovo organismo, una qualche dynamis, che risulta essere il principio del movimento,?? cfr. infatti 726b 19 sgg.: τοῦτο γὰρ οὕπω δῆλον ἡμῖν ἐκ τῶν διορισμένων, πότερον τὸ σῶμα τοῦ σπέρματός ἐστι τὸ αἴτιον τῆς γενήσεως, ἣ ἔχει τινὰ ἕξιν καὶ ἀρχὴν κινήσεως γεννητικήν᾽ οὐδὲ γὰρ 7 χεὶρ οὐδ᾽ ἄλλο 3$ Cfr. 1036b 4 sgg. (utile anche la parafrasi del passo in Ps. Alex. ἦν Metapb., C. AG I p. 514, 29) e il passo di 1035a 26, in cui si cita un altro esempio famoso e ricorrente in Aristotele, σιμός « camuso », definibile solo come una certa qualità,

la concavità, di un certo oggetto fisico. Il caso di σιμός ha alcuni elementi di analogia con il nostro, che sarebbero da approfondire. Per la connessione con il problema della definizione, cfr. S. ΜΑΝΒΙΟΝ, τὸ σιμόν ef la définition pbyrique, in Naturpbilosopbie bei "Aristoteles und Theopbrast, Verh. des 4. Symposium Aristotelicum veranstaltet in Göteborg August 1966, hrsg. von I. DOüniNG, Heidelberg 1969, p. 124 sgg. 3° Cfr. anche GA 722b 17, in cui Aristotele polemizza con Empedocle con una argomentazione il cui valore essenziale è che l'essere vivo implica o essere un organismo completo o esserne parte integrante. Per l'embriologia aristotelica resta fondamentale E. Leskr, Die Zeugungs- und Vererbungslebren der Antike und ibr Nachwirken, « Abb. d. Ak. d. Wiss. u.d, Lit. Mainz », Geistes- u. sozialw. KI. 1950, 9, pp. 1349 sgg., ma cfr. anche A. Preus, Science and Pbilosophy in Aristotles Biological Works, Olms 1975, pp. 48 sgg. 81 Preus, p. 59: « in the case of the male principle, at any rate, the form is thought to be provided as a movement ».



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τῶν μορίων οὐδὲν ἄνευ ψυχῆς N ἄλλης τινὸς δυνάμεώς ἐστι χεὶρ οὐδὲ μόριον οὐϑέν, ἀλλὰ μόνον ὁμώνυμον. Questo elemento nuovo, il movimento, interviene a modificare i punti di riferimento dell'esempio anche in un secondo caso, in GA II 1, 734b 19 sgg.: πῶς δέ ποτε ἕκαστον γίνεται, ἐντεῦϑεν δεῖ λαβεῖν, ἀρχὴν ποιησαμένους πρῶτον μὲν ὅτι ὅσα φύσει γίνεται 7) τέχνῃ, ὑπ᾽ ἐνεργείᾳ ὄντος γίνεται ἐκ τοῦ δυνάμει τοιούτου. τὸ μὲν οὖν σπέρμα τοιοῦτον, καὶ ἔχει κίνησιν καὶ ἀρχὴν τοιαύτην, ὥστε παυομεws τῆς κινήσεως γίνεσϑαι ἕκαστον τῶν μορίων καὶ ἔμψυχον. οὐ γάρ ἐστι πρόσωπον μὴ ἔχον ψυχήν, οὐδὲ σάρξ, ἀλλὰ φϑαρέντα ὁμωνύμως λεχϑήσεται τὸ μὲν εἶναι πρόσωπον τὸ δὲ σάρξ, ὥσπερ κἂν εἰ ἐγίνετο λίϑινα 7 ξύλινα. In questo momento il problema di Aristotele non è più spiegare come lo sperma possiede la forma della specie, ma come si opera il trasferimento dell'anima nel nuovo organismo.88 Poiché in Aristotele la riproduzione dipende dalla concezione generale dei processi naturali, in tutta questa parte di GA è operante in modo decisivo l’analogia fra produzione naturale e produzione tecnica, che determina l’orientamento del punto di vista aristotelico sull’individuazione in primo luogo dell'agentes È dunque il generatore maschio che fornisce allo sperma il principio del movimento, innestando un processo, che è spiegato da una doppia analogia, quella del funzionamento di certi meccanismi automatici e quella della costruzione della casa.* Secondo questa concezione i singoli organi si formano successivamente sotto l’azione di un impulso immateriale (cfr. κίνησιν καὶ ἀρχὴν del passo citato). In ogni modo l’esempio dell’organo vivo opposto a quello morto è all’apparenza forzato nel contesto embriologico: se in* Cfr. Preus, p. 64 sgg. # E sulla conseguente considerazione dello sperma come strumento (cfr. p es. 730b 20) e dell'embrione come oggetto della produzione: l'osservazione è in Lesky, p. 1361. Per la valutazione dell’importanza dell'analogia arte-natura in GA, cfr. Preus, p. 64 sgg. ** Per la prima, cfr. GA 734b 10 sgg. L'esempio della costruzione della casa ha un ruolo di ben maggiore importanza in GA. A 730b 4 sgg. era stato usato per spiegare il ruolo della femmina nella riproduzione, che sarebbe analogo a quello dei materiali da costruzione. Nel caso che è citato qui (GA II 734b 14 sgg.), bisogna notare come elemento significativo che l'esempio della costruzione della casa è articolato negli stessi termini con cui lo è in Phys. III 1, 201b 7 sgg. (cfr. Metaph. 1066 a 1 sgg.), in cui si dà la definizione generale del movimento.

passi paralleli

a questo proposito in Preus, p. 243 e nn.



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Una

raccolta di

fatti in P.A l'opposizione vivo-morto si innestava su una permanenza di figura (che adombrava ambiguamente anche una permanenza di materia), cosicché la presenza della vita era percepita come immediatamente rilevante a distinguere la forma-funzione, nel caso dell'embrione è evidente che non esiste nemmeno

una figura (μορφή) comune, come non esiste una materia preesistente al nuovo organismo, ma se mai la materia fornita dai genitori, che è cosa diversa. Si tratta allora in questo caso di un rapporto di omonimia doppio, fra organo vivo e non vivo (qui in formazione), per la mancanza di vita e per la mancanza di

forma? È chiaro che il trasferimento dalla spiegazione del pas-

saggio vita-non vita, a cui si attaglia propriamente l’esempio del cadavere, alla spiegazione dell’aspetto simmetrico, passaggio non vita-vita, rende più opachi i termini dell’analogia. Si tratta allora di un ‘residuo’ dell’argomentazione di PA, un esempio dell’inerzia di certi elementi argomentativi in Aristotele, in pratica una svista, oppure si può spiegare come ampliamento alla luce dei concetti operanti al momento della discussione del problema embriologico in G.A? In effetti la discussione non sembra impostata sul piano della presenza o meno del principio vitale nell'embrione, ma se mai sulle modalità del suo trasferimento dalesterno all'interno, perché il presupposto generale è che il principio vitale è presente fin dall’inizio a garantire il processo

generativo, poiché la psyche è trasmessa dal generatore allo sperma e quindi all'embrione.* In realtà entra in gioco, su un piano generale, la stretta connessione fra la riproduzione e l’impostazione generale dei problemi del divenire e cioè del movimento; * su un piano più specifico opera la coscienza dei vari livelli del vivere, che si collegano alla distinzione delle funzioni dell’anima stabilite in De anima. Infatti nei due passi mi pare che il punto centrale sia l'uso del termine ψυχὴ (menzionata esplicitamente, a differenza che negli altri casi citati): è sfruttando l’ambigua equi4 Sulla dialettica esterno-interno, contenuta nell’analisi aristotelica del ruolo dello sperma in relazione al genitore da una parte e all’embrione dall'altra, cfr. Preus, p. 66 sgg.

4 Cfr. GA 735a 4-26 (ancora un'attestazione dell’esempio di organo vivo o morto) e 736a 24 sgg. che hanno molti punti di contatto con De anima, cfr. II 412b 10 sgg., con un'ennesima utilizzazione dell'esempio. 4 Cfr. Lesky, pp. 1358-1359; Preus, pp. 48-52. « Per i rapporti con De anima, cfr. Preus pp. 46 e 73 sgg.



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valenza fra ψυχῆ e ζωὴ (che negli altri casi era vista sotto la prospettiva ristretta della funzione, qui con lo sfondo della discussione sull'anima) * che l'esempio diventa ancora utilizzabile per Aristotele ad illustrare che la definizione di parte organica, o meglio la possibilità stessa di uno sviluppo embrionale, implica sempre un livello vitale minimo, che nel processo generativo deve essere preliminarmente garantito dalla caratteristica dello sperma come dotato di impulso di movimento. Questo breve excursus è forse andato al di là di una stretta funzionalità al testo di P. Flor., ma è servito, speriamo, a chia-

rire in quali contesti il concetto di parte organica implica di per sé la condizione di vitalità. Presupponendo appunto un contesto di questo genere si comprende appieno la difficoltà sollevata dal commentatore, che imposta il discorso in modo strettamente filosofico. Poiché il verbo ζωοῦσϑαι, come espressione di un divenire,

implica un non essere, all'interno di una concezione aristotelica di parte organica, la frase ζωοῦται μέρεα ζῴων forma una sorta

di ‘ossimoro’ e dunque l'uso del sintagma μέρος ζῴων non sembra corretto. Ma vi sono altri due aspetti nel testo di P. Flor. che discendono da una impostazione aristotelica, così come è stata brevemente delineata. Il primo è costituito dalla sensibilità a considerazioni logicolinguistiche rivelata dall’uso del termine catacresi, ‘abuso’, a defi-

nire il tipo di improprietà della frase ippocratica. Si ricorderà che una caratteristica costante dei passi aristotelici citati è il richiamo all'omonimia o equivocità. A parte la definizione strettamente tecnica degli homonyma in Cat. 1,4° Aristotele è perfettamente co“ Lo sperma trasferisce nell’embrione, per mezzo del calore, sia l'anima nutri-

tiva che quella sensitiva, che lo rende pienamente ζῷον (GA II 3). 4€ Sarebbe interessante approfondire che tipo di problematica è all'origine di questo esempio. La costellazione di elementi che gli si accompagnano (il rapporto forma-materia nell'ambito della definizione fisica, che si collega al caso di σιμός, ma

specialmente il terna dell’omonimia, per cui cfr. infra) sembrano risalire in direzione platonica e accademica: cfr. anche S. Mansion, art. «it. a n. 35. 4“ 'Ομώνυμα λέγεται ὧν ὄνομα μόνον κοινόν, ὁ δὲ κατὰ τοὔνομα λόγος τῆς οὐσίας ἕτερος. Il problema dell'omonimia in Aristotele & vasto e complesso ed ha prodotto

un'ampia bibliografia, poiché si connette anche alla possibilità di ricostruire una serie di discussioni, pressoché contemporanee, interne all'Accademia e imperniate specialmente su Speusippo. In sostanza Aristotele nelle Categorie agisce fondando un linguaggio tecnico autonomo, sulla base di termini già usati nell'Accademia in

senso diverso (seguo qui l'interpretazione di J. P. Anton,



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Tbe Aristotelian Doc-

sciente che il linguaggio naturale, poiché limitato, implica l'esistenza di parole con piü significati, non

strettamente

correlati

fra loro, e in ogni suo sforzo di definizione di concetti egli considera come punto di partenza l'uso linguistico, rispetto al quale fa continue precisazioni. Egli é dunque consapevole che le parole χείρ, ὀφθαλμός oppure μέρος hanno più significati, o più referenti, all'interno dei quali a lui preme distinguere quello che risponde alla definizione di parte organica che egli va costruendo. Il testo di P. Flor. ha in questo una visione piü ristretta, perché presuppone come punto di partenza un concetto già definito di parte organica

(cfr. rr. 2-3), rispetto al quale si spiega l'uso lin-

guistico, costituito qui dalla frase ippocratica. E così ciò che nel linguaggio aristotelico appariva come un’ambiguità, l’omonimia

del linguaggio naturale che doveva essere denunciata per arrivare ad una chiarezza di definizione, diventa qui l'abuso dello stesso linguaggio naturale rispetto alla corretta definizione del concetto. Si tratta comunque

di prospettive

simmetriche,

che utilizzano

considerazioni linguistiche affini: vi è infatti una connessione sostanziale fra omonimia e catacresi, entrambe originate da una carenza del sistema linguistico. La catacresi infatti è uno dei tropi della retorica, definito come un termine trasferito da un campo in cui è verbum proprium ad uno carente di definizione autonoma,* trine of Homonyma

in the Categories and Its Platonic Antecedents,

« )HPh », 6, 1968,

pp. 315-326): Speusippo considerava l'omonimia una proprietà dei termini, mentre Aristotele riferisce qui l'omonimia ai πράγματα, o più precisamente ai tipi di oggetti, che hanno lo stesso nome, ma non la stessa definizione secondo l'essenza. Ma Aristo-

tele conosce anche

la nozione linguistica di omonimia

e la usa in 7op. (I 15 usa

chiaramente un linguaggio di derivazione speusippea), in SE e in altri trattati lo-

gici. La più recente rassegna del problema (con la bibliografia relativa) è in L.

TARAN,

Speusippus and Aristotle on Homonymy and Synonymy, « Hermes » 106, 1978, pp. 73-99 (niente di nuovo in Speurippur of Atbens. A Critical Study with a Collection of the Related Texts and Commentary, by L. TARAN, Leiden 1981, pp. 406-414, né in Μ.

IsNARDI PARENTE, Speusippo, Frammenti, Napoli 1980, pp. 262-267). * Si veda l'inizio di SE, 165a 5-20. € Cfr. Rbetores graeci, ed. K. ΘΡΈΝΟΕΙ, Lipsiae, Teubner

1856, vol. III 192, 20

sgg. Tryphon; 208, 20 sgg. Anon. περὶ τρόπων; 217, 9 Greg. Cor.; 232, 4 sgg. Cocondr.; 246, 22 sgg. Georg. Cherob. La definizione, in questi termini, deriva dalla dottrina stoica dei tropi (cfr. p. es. Plut. De pifa et poesi Hom.

18; Quint. 8, 6, 34),

secondo cui la catacresi si distingue dalla metafora perché è un fenomeno di trasferimento da un nome ad un concetto privo di denominazione sua, mentre la metafora è un passaggio terminologico da un concetto ad un altro già fornito di un suo nome. La catacresi è dunque il prodotto di una necessità linguistica, la metafora no, ma ambedue tendono a costituire, in senso generale, definizioni sintetiche per tutti i



192—

cosicché nella consuetudine esso riempie un vuoto. Come gli altri tropi, la catacresi ἃ nella classificazione retorica solo un tipo di omonimia.

Ma anche nella tradizione logica di derivazione ari-

stotelica, omonimia e catacresi sono allineate come πάϑη τῆς A£ξεως che portano ἀσάφεια nelle definizioni.» Il secondo aspetto di derivazione aristotelica è costituito dalla analogia istituita tra la formazione delle parti organiche e il tipo di produzione tecnica espresso dalle frasi portate a confronto come esempio di catacresi, φρέαρ ὀρύττειν e ἱμάτιον ὑφαίνειν. Esse illustrano il fenomeno della catacresi in una direzione logicofilosofica, e non strettamente retorica," che si cercherà di chiarire

in seguito. In ogni caso esse hanno una utilizzazione positiva, non solo come frasi analoghe, ma come processi analoghi (cfr. rr. 6-9 ὥστε καὶ ...). Se si ripensa alla fondamentale importanza dell'esempio della costruzione della casa nella trattazione aristotelica dei problemi embriologici, si scorgerà nella scelta degli esempi lo stesso tipo di analogia arte-natura.8 tropi: cfr. K. Barwıck,

Probleme der stoischen Spracblebre und Rhetorik, « Abh.

der

sáchs. Akad. d. Wiss. zu Leipzig », Philol.-hist. Kl., Bd, 49. H. 3, Berlin 1957, pp. 91, 94. Vi è infatti anche una dottrina di origine peripatetica (cfr. Cic. Orat. 94), secondo cui metafora e catacresi non sono distinte nettamente e catacresi & termine generale per indicare i tropi: cfr. Rbef. Her. 4, 45 e il commento di CALBoLti in: Cornifici Rhetorica ad C. Herennium, Introd. testo critico comm. a cura di G. C., Bologna 1969, pp. 389-391. s Alex, Aphr. /n Arist. Top. VI 3, CAG II 2, p. 428, 10 sgg., cfr. anche 427, 4 sgg.: sono causa di ἀσάφεια l'omonimia, la catacresi e anche la metafora, È rintracciabile inoltre un avvicinamento della omonimia

‘aristotelica’ alla formula-

zione della catacresi nei retori: una tappa importante può cssere costituita dalla utilizzazione e modificazione dei concetti di omonimia e sinonimia nei commentatori aristotelici. Si veda p. es. J. P. Anton, Ancient Interpretations of Aristotle’s Doctrine of Homonyma, in Essays in Ancient Greek Pbilosophy, ed. by J. P. Anton, G.L. Kustas, Albany

1972, pp. 569-592. Esemplare il caso di Porfirio, In Arist. Categ.,

CAG IV, p. 67, 4 sgg.: nel distinguere l'omonimia dalla metafora dà una definizione e una serie di esempi di omonimia, l’una e gli altri strettamente affini alla catacresi di tradizione retorica (p. es. Ps. Tryphon, III 192, 21 sgg. Spengel). Sia detto qui per inciso che il trattato embriologico pseudogalenico Πρὸς Γαῦρον (cfr. supra, nota

31), in un passo che commenta Plat. Τί. 76c sgg., polemizzando contro la tesi che l'embrione possa essere detto ζῷον (cap. VI, Kalbfleisch p. 39), utilizza il concetto di Jomonyma esattamente nei termini elaborati da Porfirio (cfr. Anton, ibid., pp. 571-

574): il che è un elemento d’appoggio in più per l’attribuzione a Porfirio del trattato, proposta da Kalbfleisch (p. 15 sgg.) per altre vie. δὲ La differenza salta subito agli occhi se si considera che gli esempi comuni nei manuali di retorica a proposito di catacresi (cfr. n. 40) sono γόνυ καλάμου, ὁφϑαλμὸς

ἀμπέλου,

τράχηλος

ὄρου

ecc.

55 ['affinità fra l'esempio della costruzione della casa e quelli di P. Flor. è con-

— 13

193 —

Fin qui abbiamo potuto constatare che P. Flor. rivela un autore legato ad una concezione delle parti organiche e dei processi riproduttivi di tipo aristotelico. Una tale caratterizzazione si attaglia bene a Galeno, la cui fisiologia è per tanta parte debitrice di quella aristotelica: è noto che il suo De usw partium è una sorta di commentario al De partibus animalium aristotelico.* Ma quali sono in particolare le posizioni di Galeno a proposito dell'embrione? Sappiamo che egli aveva dedicato una particolare attenzione all'argomento, in opere di grosso impegno dottrinale. Lo si apprende dai $$ 4-7 del XV libro del De ww partium, dove si parla delle meravigliose previdenze della natura per il feto (II 357, 24 sgg. Helmr.): περὶ δὲ τοῦ ζῷον ἤδη τὸ κατὰ γαστρὸς ὑπάρχειν, ὅταν Ye διαπεπλασμένον ἅπασι τοῖς μορίοις,, ἔν τε τοῖς Περὶ ἀποδείξεως ὑπομνήμασιν x&v τοῖς Περὶ τῶν ᾿ἱπποκράτους τε καὶ Πλάτωνος δογμάτων. Purtroppo il Ilspt ἀποδείξεως è perduto! e in De piti: non si riscontra un punto preciso (per quanto vi siano degli echi) che affronti il problema, probabilmente trattato nella parte del I libro ora perduta.* In ogni modo anche il breve accenno nel De utu partium indica che per Galeno la possibilità di definire il feto come ζῷον è strettamente connessa alla esistenza di ‘ parti ' organiche, che abbiano cioè, in senso aristotelico, forma e fun-

zione. In De semine si afferma infatti che lo sviluppo del feto avviene in quattro fasi: solo con la quarta esso può essere defifermata anche dal fatto che Alessandro di Afrodisia nel commento agli Ana/itici primi (per cui cfr. infra) considera frasi del tutto analoghe οἰκία οἰχοδομεῖται e χλαμὺς ὑφαίνεται (che secondo Sesto Empirico, sarebbero esempi di catacresi, cfr. infra). Inoltre sia la οἰχοδομυιή che la ὑφαντυκὴ τέχνη sono esempi di arti poietiche stretta-

mente finalizzate, cfr. Alex. In Arist. Top. 1 3, CAG II 2, p. 33, 10. ss Oltre al resto si tenga presente un'opera interamente dedicata alla precisazione e correzione di elementi aristotelici come

De partium. bomeomerium differentia,

conservato solo in traduzione araba e ora edita da G. Strohmaier, CMG

Suppl.

Or. III, Berlin 1970. Per i rapporti con Aristotele, cfr. p. es. M. VEGETTI, Opere scelte di Galeno, Torino 1978, p. 30 sgg.; P. L. Donını, Tre studi sull'aristotelismo del II sec. d. C., Torino 1974, p. 127 sgg.

% Un

tentativo di ricostruzione in I. von MULLER,

wissenschaftlichben Beweis,

pp.

P.

V

« Abh.

kgl. Bayer.

Ak.

Ueber Galen:

Wiss. », phil.-hist.

Werk vom

KI., 20, 1895,

403-478. 5 P, es. I8; V 5; VIG(= V 277; 465-466; 555-560 K). s Va osservato che in essa un capitolo era dedicato alla dimostrazione, cfr. 66, 12 De Lacy (Galen, On tbe Doctrines of Hippocrates and Plato, Books I-V, CMG

4.

4.1.2, Berlin 1978).



194—

nito animale, mentre nelle precedenti è assimilato ad un vegetale.* Gli stessi elementi si ritrovano in De foetuum formatione: dopo un primo stadio di vita vegetale si passa ad uno di vita animale 5® e ciò appunto accade quando il cuore è formato e capace di battere (cfr. IV 670, 15 K): ὥστε τὸ xuovpevov οὐ μόνον ὡς quτὸν ἔτι τὴν διοίκησιν ἔχειν, ἀλλ᾽ ἤδη καὶ ὡς ζῶον, ὁποῖα ζῶα xnual τ᾽ εἰσὶ καὶ κήρυκες καὶ πίνναι καὶ ὄστρεα καὶ λοπάδες, ἤτοι γ᾽ ὀλιγίστης ἢ οὐδ᾽ ὅλως δεόμενον κινήσεως σφυγμικῇς. Tutta l'opera é articolata a dimostrare che sono le vence e le arterie a formarsi per prime, in polemica con Crisippo, stoici e peripatetici che sostengono il primato del cuore. Comunque va notato che l'ordine di formazione degli organi del feto (vene, arterie, fegato, cuore, cervello) è stabilito dalla maggiore necessità o primarietà delle funzioni cui essi sovraintendono, in stretta analogia con lo sviluppo delle attività del neonato (cfr. p. 673, 9 sgg.) e che la dynamis, la capacità plasmatrice, non può risiedere nel cuore, come in nessun altro organo singolo, ma agisce su tutti gli

organi contemporancamente e li forma secondo la loro specificitä:5% questa forza o causa è quella che con nome generico si chiama natura. Tutto il quadro risente di influenze platoniche,® ma al di là di singole divergenze sul piano anatomico, come il rifiuto della teoria aristotelica del cuore come primum vivens, possiamo concludere che la vitalità dell'embrione non è neppure in discussione; che anzi, più specificamente, Galeno esamina le varie fasi di sviluppo del feto per arrivare a dimostrare che esso arriva allo stadio di complessità proprio dell'organismo animale; Vv IV 542-544 K. 9^ IV 665 spg. e spec. 667,1

8 Tutto il e 739b 33-740a * IV 670 in generale cfr. senta un nodo

sgg. K.

V capitolo, specie p. 683, 14-16 e 684, 2-6 K, cfr. GA 734a 23 sgg. 8. K rimanda esplicitamente al 7imeo, ma per la visione demiurgica infra n. 79. In particolare il trattato De foetuum formatione rappreimportante di problematica aristotelica con innesti platonici, a pro-

posito della causa della formazione del feto, cfr. P. Moraux, Galien et Aristote, in Images of man, « Studia G. Verbeke dicata », Leuven 1976, pp. 134-136 e P. L. Do-

NINI, Motivi filosofici in Galeno, «PP» XXXV, 1980, pp. 348 articolazione delle influenze platoniche e aristoteliche cfr. op. cit., pp. 167 sgg., ma per una discussione dettagliata dei di Galeno è ora disponibile P. Moraux, Der Aristotelismus

sgg. Per la complessa p. es. Manuli-Vegetti, modi dell'aristotelismo bei den Griechen, Il D.,

Der Aristotelismus im I. und II. fabrbundert n. Chr., Berlin-New York 1984, pp. 729

sgg., il quale congloba anche i temi dell'articolo Galien comme pbilosopbe: la philosopbie de la nature, in Galen: Problems and Prospects, ed. by V. Nutton, pp. 87-116.



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che, ad un livello pià profondo, la connessione fra parti e ζῷον é trattata secondo la linea aristotelica.

Abbiamo detto prima che l'analisi di frasi come φρέαρ ὀρύττειν € ἱμάτιον ὑφαίνειν come esempi di catacresi non rientra nella tradizione retorica: ci resta dunque da chiarirne, se possibile, l'ambiente e l'origine. Troviamo per questo un interessante parallelo in Sesto Empirico Adv. Math. VIII (Adv. Log. II) 129: τῷ μὲν γὰρ βίῳ συγχωρητέον καταχρηστικοῖς ὀνόμασι ypt-

σϑαι, μὴ πάντως τὸ πρὸς τὴν φύσιν ἀληϑὲς ζητοῦντι, ἀλλὰ τὸ

πρὸς τὴν δόξαν. φρέαρ γοῦν ὀρύσσειν φαμὲν καὶ χλαμύδα ὑφαίνειν καὶ οἰκίαν οἰκοδομεῖν, οὐ κυρίως" εἰ γὰρ φρέαρ ἐστίν, οὐκ ὀρύσσεται, ἀλλ᾽ ὀρώρυκται καὶ εἰ χλαμύς ἐστιν, οὐχ ὑφαίνεται ἀλλ’ ὕφανται. ὥστε ἐν μὲν τῷ βίῳ καὶ τῇ κοινῇ συνηϑείᾳ τόrov εἶχεν ἡ κατάχρησις" ὅταν δὲ τὰ πρὸς τὴν φύσιν ζητῶμεν πράγματα, τότε ἔχεσϑαι δεῖ τῆς ἀκριβείας. Da questo confronto Manfredi trae le ragioni essenziali pet definire il papiro un testo infiuenzato da moduli logico-scettici.tt Va notato però che il commentatore di P. Flor. fa un uso positivo degli esempi di espressioni comuni, esattamente al contrario di Sesto, in cui, inoltre, il contesto è costituito da una di-

scussione sulle proposizioni congiuntive, o più in generale sulle proposizioni non semplici, chiaramente rivolta contro l’opera omonima di Crisippo: rimanda dunque direttamente ad una fonte stoica. C'é di più: poco prima del passo riportato Sesto cita in maniera esplicita anche l’esemplificazione usata dagli stoici, cfr. 6 128: ἀλλ᾽ ὥσπερ ἐν τῷ βίῳ, φασί, τὸ κατὰ μὲν τὰ πλεῖστα μέρη ὑγιὲς ἱμάτιον κατ᾽ ὀλίγον δὲ διερρωγὸς [.. .] λέγομεν [...] διερρωγός, οὕτω καὶ τὸ συμπεπλεγμένον, κἂν ἕν μόνον ἔχῃ ψεῦδος πλείονα δὲ And, λεχϑήσεται τὸ ὅλον ἀπὸ τοῦ ἑνὸς ψεῦδος . Il riferimento al linguaggio comune era proprio nella fonte stoica, come indica chiaramente l'espressione φασί, e l'elemento sotto accusa in Sesto è appunto l'uso che gli stoici fanno del linguaggio comune nelle questioni di logica. C'é, secondo lui, una scorrettezza metodica nell'utilizzare nelle indagini πρὸς τὴν φύσιν uno strumento per sua natura imperfetto, improprio, come il linguaggio comune (senza però che questo implichi da parte sua una svalutazione generale del ruolo della κοινὴ συνήϑεια). Si a Manfredi, op. cif., p. 170 sgg. es Cfr. SV F II frr. 207-223 e in part. fr. 211.



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può forse pensare che anche gli esempi citati a $ 129, di cui non si indica la fonte, abbiano la stessa origine e siano dunque

di ambiente stoico? E difficile dirlo ma certamente in questa

stessa direzione, a un confronto cioè con la logica stoica, porta anche un passo di Alessandro di Afrodisia, /n Arist. An. Pr. I 51 B 32 (CAG II 1, pp. 401-405). Aristotele analizza quelle che egli classifica come affermazioni indefinite («è non-A ») e le distingue dalle proposizioni negative (« non é À »): ne consegue che la negazione di una frase « è non-A », non può essere «non è A»,

ma

è «non

è non-A ». Nel

commento

a questo

passo

Alessandro introduce la teoria stoica della negazione, secondo cui una proposizione negativa è determinata da una negazione esterna, premessa a /u//a la frase (οὐχὶ Σωκράτης ἐστὶ λευκός, p. 402, 7-8), e non al solo predicato, Σωκράτης οὐκ ἔστι λευκός, secondo la definizione aristotelica. Gli stoici infatti analizzano le proposizioni secondo il seguente modello di parafrasi, « esiste un certo Socrate, che è bianco (oppure: non è bianco) » e dunque la negazione premessa significa « non esiste un certo Socrate, che è, o non è, bianco ». Alessandro difende la posizione aristotelica e critica la teoria stoica per il presupposto che il nome pronunciato (senza negazione) affermi di per sé l’esistenza dell’oggetto concreto nominato (p. 402, 36-403, 9): ἀλλ᾽ ὅτι γε τὸ λεγόμενον ὑπ᾽ αὐτῶν ψεῦδός ἐστι καὶ οὐ σημαίνει τὸ ὄνομα ἐν ταῖς προτάσεσιν, ὅταν χωρὶς τοῦ ἀποφατικοῦ λαμβάνηται, τὸ εἶναι τὸ ὀνομαζόμενον, μάλιστα δῆλον ἐκ τῶν καταφάσεων, αἷ κατὰ τῶν γινομένων ἔτι καὶ μηδέπω ὄντων κατηγοροῦνται. ἀληϑὲς

μὲν γὰρ τὸ ἐπὶ τῆς οἰκοδομουμένης δομεῖται ᾿ καὶ

ἐπὶ τῆς

γινομένης

οἰκίας εἰπεῖν οἰκία οἶκοἔτι χλαμύδος

τὸ ' χλαμὺς

ὑφαίνεται "* οὐκ ἀληϑὲς δὲ οὔτε τὸ ‘ ἔστι τις οἰκία, ἥτις οἶκοδομεῖται ᾿᾽ ἐπὶ τῆς οἰκοδομουμένης ἔτι, οὔτε τὸ ᾿ ἔστι τις χλα-

μύς, ἤδη αὐτό. εἶναι

ἥτις ὑφαίνεται Eni τῆς ὑφαινομένης ἔτι. πῶς γὰρ ἂν εἴη τὸ γινόμενον ἔτι; μάχεται γὰρ τὸ εἶναί τι τῷ γίνεσθαι ὥστε οὐ σημαίνει τὸ ὄνομα τὸ ἐν ταῖς καταφάσεσι τὸ τοῦτο.

4. La negazione aristotelica è cioè identica a quella ordinaria: la negazione esterna introdotta dagli stoici va contro l’uso linguistico con lo scopo di chiarire alcune delle ambiguità della negazione ordinaria lasciate irrisolte da Aristotele. Per questo, come per una analisi dettagliata dei problemi logici implicati dai due passi di Sesto e Alessandro, vedi in questo stesso volume il saggio di W. Cavını, La negazione di frase nella logica greca, pp. 67 sgg.



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L'errore è dunque dimostrato da quelle frasi il cui predicato indica un divenire: si noti che gli esempi riportati sono in parte comuni, in parte analoghi a quelli che si trovano nel passo di Sesto e in P. Flor. Alessandro intende che frasi del genere, seppure sono vere, non ammettono una parafrasi vera del tipo di quella utilizzata dagli stoici, perché, astraendo il nome dalla sua connessione sintattica, essa non può rendere conto del fattore

tempo e inoltre introduce scorrettamente un referente extralinguistico: cfr. p. 404, 3: τὸ γὰρ ὄνομα αὐτὸ xa9' αὑτὸ λεγόμενον [ὑπ᾽ αὐτοῦ] οὔτε τὸ εἶναι σημαίνει οὔτε τὸ μὴ εἶναι. Il confronto fra il passo di Alessandro e quello di Sesto rende chiaro che Sesto utilizza il tipo di parafrasi stoica analizzato da Alessandro, anche se per rilanciarlo contro gli stoici, criticando su questa base il loro ricorso al linguaggio comune. Anche P. Flor. sembra presupporre un tale modello, nel modo in cui scompone le frasi « scavare un pozzo» e «tessere un mantello » (rr. 4-7), ma il riferimento a tali frasi e la loro scomposizione hanno carattere esplicativo e scorrono via senza enfasi. Inoltre si pone l'accento sul fatto che si tratta di azioni in divenire, in un modo che si avvicina al lin-

guaggio di Alessandro (cfr. 403,2-3: καταφάσεις al κατὰ τῶν γινομένων Erı καὶ μηδέπω ὄντων κατηγοροῦνταιν). L’insieme di questi elementi porta a considerare che tale materiale linguistico & passato in ogni caso attraverso il filtro stoico -- si pensi anche alla derivazione stoica della catacresi (n. 49) -, ma nel papiro non siamo di fronte ad una analisi stoicheggiante

(né

tantomeno

scettica)

scorgiamo

piuttosto

un

autore che aveva familiarità con la cultura dialettica e logica in senso ampio e che in questo caso ne fa un uso disinvolto e in fondo banalizzante. Il materiale di exempla era probabilmente tradizionale e diffuso nella scuola. Anche sotto questo aspetto P. Flor. non sarebbe indegno di Galeno, poichè è nota la sua competenza negli studi di logica e l'importanza che egli attribuiva alla nozione del linguaggio come veicolo di informazione: la funzione del linguaggio è la significazione e la sua virtù la buona signifi cazione. In una delle sue poche opere logiche conservate, Ga* Cfr. R. B. EpLow, Galen on Language and Amsbtiguity, An English Translation of Galen's « De captionibus (On Fallacies) » with Introduction, Text and Commentary, Leiden 1977, p. 32 sgg. in particolare, per la teoria generale del linguaggio in Galeno.



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leno dimostra chiaramente la propria formazione di stampo peripatetico ed una buona conoscenza della logica stoica. Un'ultima osservazione, abbandonando il piano dottrinale per considerare lo stile del commento: esso rivela un atteggiamento positivo nei confronti del testo di Ippocrate, perché la coppia di avverbi xuplwc-xataypnotixtic, se introduce alcune precisazioni linguistiche, non è usata in senso negativo per quanto riguarda il senso del testo di Ippocrate, che viene ricondotto nell’alveo aristotelico, come si è visto. In generale i due avverbi appartengono alla terminologia critica tecnica, hanno infatti un uso molto esteso sia nel linguaggio grammaticale® che in quello degli scoli,* ma tendenzialmente generico. L'uso di καταχρηστικῶς dunque non implica di per sé un giudizio negativo sul pensiero dell'autore, come pensava Crónert,*? anzi, specie nei commentatori, puó servire a salvare la validità di una frase imprecisa e ambigua.** Sia l'avverbio che il verbo corrispondente fanno parte del lessico critico di Galeno che spesso tiene a distinguere diversi livelli di precisione e scientificità del linguaggio.** Se Alim. è un'opera per lui dottrinalmente vicina, il suo atteggiamento di fronte alla lettera del testo ippocratico é spesso ambiguo. Ippocrate è il suo modello ideale Ὁ e quindi egli è in certo modo tenuto ad approvarne le parole, ma per far questo egli ἃ spesso costretto ad adattarle forzosamente alle proprie concezioni o alle conquiste della medicina posteriore. Esemplare un passo di De usu partium I 8 (I p. 13, 5 sgg. Helmr.), che mette in evidenza due caratteristiche dello stile ippocratico proprio in relazione a De alimento (cap. 8): la /exis ippocratica deve essere spiegata, *5 P. es. Apoll. Dysc. Gr. Gr. II 2, p. 4, 26. # Cfr. p. es. Sch. in Theocr. VI 7b; Sch. in Pind. N. I 76; II 293; O. V 2ia; 29h; Sch. DT in Hom. 7/. XVIII 368; Sch. T in Hom. //. XXI 454. *' Cfr. n. 2; del giudizio di Crónert rimane in fondo un residuo anche in Man-

fredi (op. cit. p. 171), che tuttavia lo considera eccessivo (cfr. p. 158 n. 2 e 165 n. 3). “pP. es. in Alex. Aphr. In Arist. Metapb. 1051b 17 (CAG I, p. 599, 24 sgg. Hayduck): [...] καταχρηστικώτερον γὰρ ἀντὶ τοῦ ἄγνοια εἶπε τὸ φεῦδος. ὅτι δὲ ἐν τῇ

λέξειτῇ « ἀλλ᾽ ἐστὶ τὸ ἀληϑὲς τὸ δὲ ψεῦδος » τὸ ψεῦδος καταχρηστικώτερον καὶ κοινότερον ἀντὶ τῆς ἀγνοίας ἔλαβε. L'associazione con κοινότερον rende esplicita la tendenza a dare al termine, al di là del significato tecnico retorico, il senso più generico di ‘improprio’, ‘impreciso perché del linguaggio comune”. * Cfr. In Hipp. Nat. bom., CMG V 9.1, p. 53, 27 sgg.; De sanitate tuenda, CMG V 4.2, p. 53, 27 sgg.; 60, 13-28; 87, 8; Ade. Lyceum, CMG V 10.3, p. 28, 17. ” Cfr. da ultimo, Smith, op. cif., cap. II Galen’s Hipporratirm, p. 61 sgg.



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poiché non è chiara (ἀσαφεστέρα) per due motivi, è arcaica (κατὰ τὸν παλαιὸν τρόπον) e molto sintetica (ταχέως), ma il contenuto è buono. Galeno deve dunque spiegare quanto Ippocrate ha detto oscuramente ed ecco un esempio concreto della sua esegesi, In Hipp. Progn. 9 (= II 132, 13 L) CMG V 9.2, p. 268, 18 sgg.: οὐχ « ἧσσον ὀλέϑριοι τῶν πελιδνῶν » ἐχρῆν εἰπεῖν, ἀλλ᾽ ὡς ἐνίοτε μὲν οὐδ᾽ ὅλως, ἐνίοτε δὲ ἐσχάτως εἰσὶν ὀλέϑριοι. καὶ ἴσως ἄν τις ὑπενόησεν ἀγνοεῖν αὐτὸν τοῦτο διὰ τὸ μὴ κυρίως χρῆσϑαι τῇ λέξει, προσϑεὶς δὲ ἑξῆς τὸν διορισμὸν καὶ διδάξας

σαφῶς ἑκάτερον, ὧν εἶπον, εὔδηλός ἐστι γινώσκων μὲν τὸ ἀλη9£c, οὐκ ἀκριβῶς δὲ ἑρμηνεύσας. Ippocrate è dunque improprio, non ἃ esatto, ma resta salva la * verità ' del testo. La terminologia é analoga a quella di P. Flor. A9 - B 15

Tutto ciò che segue nel papiro fa parte evidentemente del commento ad Alim. 39: φύσιες πάντων ἀδίδακτοι, il quale era dunque piuttosto ampio. Il paragrafo è visto in stretta relazione con ciò che precede ed è riferito perciò al discorso embriologico.

E chiaramente un passo caro al commentatore,

come

mostra l'uso del verbo πεπαιωνίσϑαι, e viene spiegato attraverso l'accostamento ad un passo di Eraclito e ad altri passi ippocratici, visti tutti come espressione di una concezione della natura auto-

didatta, sapiente e autosufficiente. A parte la citazione di Eraclito,?* i due passi ippocratici addotti, Alim. 15 e Epid. VI 5.1,” sono fra i /oci classici per il concetto di A Cfr. Deichgriber,

Nabrung,

pp. 56-57.

7 Per la discussione puntuale cfr. supra p. 178 sg. 7* Per i problemi di tradizione cfr. supra p. 179. Bisogna però specificare che la

lezione ἑκοῦσα di Epid. VI attestata da P. Flor. è non solo attribuita da Galeno a Dioscoride,

ma considerata

una innovazione

ingiustificata di fronte ad una

tradi-

zione manoscritta coerente, che riporta ἐοῦσα lezione scelta da lui come lemma. Questo sembra dunque un punto critico per una possibile attribuzione di P. Flor.

a Galeno. Ma bisogna considerare che la credibilità ‘ filologica” di Galeno non è esente da sospetti. Il giudizio negativo su Dioscoride, spesso accomunato all’altro editore ippocratico, Artemidoro Capitone, è frequentissimo e ha sempre la stessa tipologia: entrambi sono innovatori, non rispettano le lezioni antiche (/m Flipp.

Epid.

VI, CMG

V

10.2, 2, p. 158,1; 164, 19; 176,1; 407,3; 419, 10; 233, 11,

dove è notevole che Galeno dica di non aver trovato in nessun manoscritto la lezione scelta da Dioscoride, ma riconosca che la lezione scelta da lui era posta da Dioscoride



200—

natura medicatrix, tema centrale del pensiero galenico. La combinazione degli stessi elementi presenti in P. Flor. si ritrova in Gal. Fac. nat. 113 (= Ser. min. II, p. 128,23 sgg.): 'Iroxo&rns μὲν οὖν ὧν ἴσμεν ἰατρῶν TE καὶ φιλοσόφων πρῶτος ἁπάντων, ὡς ἂν καὶ πρῶτος [ἀκριβῶς] ἐπιγνοὺς τὰ τῆς φύσεως ἔργα, ϑαυμάζει τε καὶ διὰ παντὸς αὐτὴν ὑμνεῖ δικαίαν ὀνομάζων καὶ μόνην

« ἐξαρκεῖν

εἰς ἅπαντα

τοῖς ζῴοις»,

« αὐτὴν

ἐξ αὑτῆς

ἀδιδάκτως πράττουσαν ἅπαντα τὰ δέοντα», e in Placit. IX 8 (V 790, 16 K): τούτοις τοῖς κριτηρίοις χρώμενος ὁ Ἱπποκράτης ἔγραψε τάσδε φωνάς" « εὐπαίδευτος f) φύσις ἐοῦσα, οὐ μαϑοῦσα τὰ δέοντα ποιέειν».

καὶ ἐν ἄλλαις ἄλλως"

« φύσιες νούσων

ol

ἰητροί». ὡσαύτως ἔχει καὶ τοῦτο" « φύσις ἐξαρκέσει παντάπασιν». καλεῖ δ᾽ αὐτὴν καὶ δικαίαν ἐνίοτε, καὶ τὸν ἰατρὸν ὑπηρέτην τε χαὶ μιμητὴν αὐτῆς εἶναί φησι, καὶ διὰ παντὸς ἐν τοῖς κατὰ μέρος λόγοις ὑμνεῖ τε καὶ ϑαυμάζει τὴν δύναμιν αὐτῆς. Le citazioni sono naturalmente imprecise e variabili e si allude anche ad altri passi ippocratici: ?4 Alim. 15 è nei due casi, nell’associazione con VI 5.1, in certa misura forzato a significare che la natura “ assiste ' in tutto e per tutto, perché qui ciò che si vuole mettere in luce è in margine al testo, con l'indicazione che si trovava in due manoscritti: una precisione che non si attaglia all'immagine di disinvolto innovatore accreditata altrove). È evidente che la distribuzione delle varianti nei ‘ manoscritti’ poteva variare molto secondo il luogo in cui si operava o le possibilità di accesso al materiale. Inoltre da p. 401, 7 sgg. si deduce che il criterio di riconoscimento delle varianti * antiche ' era connesso alla disponibilità di ‘ commenti antichi’, come quelli dell'empirico Zeuxis. In ogni caso non bisogna negare il diritto a Galeno di seguire redazioni diverse di un medesirno testo quando lo utilizza in opere diverse (alcuni es. per Epid. VI in Manetti-Roselli, p. LXVIII sg.), tanto più se si pensa al fatto che Galeno ha

sempre un * narrow focus” (secondo le parole di Smith, op. ci/., p. 144) e si concentra su un singolo problema di volta in volta: in P. Flor. il punto che interessa è la questione della paideia e le implicazioni di ἑκοῦσα sono totalmente ignorate. Inoltre le incoerenze sono legate alle condizioni compositive, come è illu-

strato da un altro esempio di contraddizione interna in Galeno, questa volta a livello di tradizione esegetica: si trova fra il commento

ad Epid. II (CMG

V 10.1

pp. 297-298) e quello ad Epid. VI (CMG V 10.2.2, p. 122, 7 sgg.) a proposito di un passo che ritorna in entrambi i trattati. Essa & probabilmente dovuta solo alla disponibilità (diretta o indiretta) che Galeno ebbe, al momento di comporre il commento ad Epid. VI, del commento

di Rufo di Efeso, molto ricco di informazioni

critiche. 7 Epid. I 11; analoga associazione di passi in 7Z5rar. 26 (V 853, 10 K) e cioè Epid. 1 11, Alim. 15 c Epid. VI 5.1 (ma la frase appena precedente a quella usata

qui, φύσιες νούσων Intpol). Niente di strano che anche in An anima! (XIX 173, 12 K) si ritrovino le stesse frasi.

*5 Sembra che si debba dunque intendere ἐξαρκεῖν nel senso della glossa di Esichio (II 118 Latte) ἐξαρκεῖ ἐπαρκεῖ. Cfr. Deichgräber, Nabrung, p. 30.



201—

l'aspetto di natura medica. È vero che in P. Flor. questo elemento è meno evidente, perché la citazione di Alim. 15 con il verbo xatapxetv mantiene il senso di ‘essere pienamente sufficiente ', ma il punto centrale è lo stesso: la natura ha in sé la fonte del suo agire senza bisogno di insegnamenti esterni.?* Rimane da notare la formulazione analoga nei due passi, ὑμνεῖ τε xal ϑαυμάζει. Essa rivela lo stesso tipo di metafora usata in P. Flor.: anche li la frase di Ippocrate è come un peana, πεπαιωνίσϑαι

τοῖς λελεγμένοις (A 12). Questo genere di metafora ha evidentemente un significato importante per Galeno, se egli la usa ancora per definire l’ultimo libro del De sw partium come un ‘epodo’ analogamente all'uso della lirica (XVII 3 — II p. 451, 19 sgg. Helmr.): ταῦτα τοσαῦτα xal τηλικαῦτα χρηστὰ τῆς διηνυσμένης ἡμῖν πραγματείας ὁ λόγος οὗτος ὥσπερ ἀγαϑός τις ἐπῳδὸς ἐξηγεῖται. λέγω δ᾽ ἐπῳδὸν οὐ τὸν ἐπῳδαῖς χρώμενον ἀλλ᾽ ἴσμεν γάρ, ὡς [6] παρὰ τοῖς μελικοῖς ποιηταῖς, οὗς ἔνιοι λυρικοὺς ὀνομάζουσιν, ὥσπερ στροφή τίς ἐστι καὶ ἀντίστροφος, οὕτω καὶ τρίτος ἐπῳδός, ὃν ἱστάμενοι πρὸ τῶν βωμῶν

ἧδον,

ὥς

φασιν,

ὑμνοῦντες

τοὺς ϑεούς.

Dopo la citazione delle awsoritates a conferma e spiegazione del pensiero di Alim. 39, il discorso (B r. 9 sgg.) si evolve in una polemica contro Democrito ed Alcmeone (l’integrazione di Manfredi è sicura)," i quali si chiedevano dove il neonato avesse appreso a nutrirsi con il latte materno. Che la frase ippocratica sia calata nel concreto a proposito del nutrimento dei neonati è coerente con il contesto in cui l’aforisma si trova, ma risponde anche ad esigenze più profonde del tema natura, che coinvolgono il problema della spiegazione dell’istinto. Anche in questo caso Galeno ci può fornire elementi di chiarificazione essenziali. In Loc. aff. VIII 442, 16 sgg. K egli ci racconta di un suo esperimento, che consisteva nell’estrarre dall’utero materno, naturalmente al momento opportuno, un piccolo capretto e nel portarlo via alla madre immediatamente. Dopo averlo posto in una

stanza, circondato da recipienti che contenevano diversi tipi di liquido

(latte, vino,

miele

ecc.),

Galeno

ne osservava

il com-

portamento: il cucciolo, dopo essersi alzato sulle gambe ed essersi 16. Sulla

concezione

provvidenziale

della natura,

cfr. O.

Rise and Decline of a Medical Philosophy, Ithaca and London

1 Cfr. op. cit., p. 164.



202 —

Teuxın,

Galenism.

1973, pp. 25 sgg.

liberato dei residui di placenta, si metteva ad annusare una dopo l’altra le ciotole piene e dopo averle esaminate cominciava a leccare tranquillamente in quella che conteneva il latte, suscitando l'ammirato commento di Galeno (p. 443, 15) ἐν ᾧ καὶ &veκεχράγαμεν ἅπαντες, ἐναργῶς ὁρῶντες ὅπερ ᾿ἱπποχράτης ἔφη, φύσιες ζῴων ἀδίδακτοι.

L 'esperimento aveva

inteso dimostrare

che la physis, plasmatrice delle parti del corpo, fa si che, senza alcun insegnamento, i esse funzionino perfettamente, cfr. p. 442, 16: τὰ μόρια τοῦ σώματος ἡ διαπλάσασα τε καὶ τελειώσασα φύσις εἰργάσατο χωρὶς διδασκαλίας ἐπὶ τὴν οἰκείαν ἐνέργειαν ἔρχεada? L'istinto del neonato è dunque un'ottima prova della sapienza della natura, del suo carattere demiurgico, anzi è veramente la prova principe, come dichiara espressamente Galeno in Usu part. XV 7 (II p. 365, 2 sgg. Helmr.): ἄρ᾽ οὖν ταῦτα μόνον ἄξιον ἐπαινεῖν τὴν φύσιν, 7) τὸ πάντων ϑαυμάτων μέγιστον ϑαῦμα τοῦτ᾽ οὔπω λέλεκται, τὸ διδάξαι τὸ γεννώμενον &n&vτῶν τῶν μορίων τὰς ἐνεργείας; οὐ γὰρ στόμα μόνον καὶ στόμαχον καὶ γαστέρα τροφῆς ὄργανα παρεσκεύασεν, ἀλλ᾽ ebbe, ὅπως χρήσαιτο τούτοις, ἐπιστάμενον ἐγέννησε τὸ ζῷον αὐτοδίδακτόν τινα σοφίας δύναμιν ἐνθεῖσα, καϑ᾽ ἣν ἕκαστον τῶν ζῴων ἐπὶ τὴν οἰκείαν ἑαυτῷ τροφὴν ἀφικνεῖται [...] (nel caso dell'uomo si tratta del latte e dell'istinto che guida i neonati verso questo alimento) εἰ γὰρ ἐνθείη τις τὴν ϑηλὴν τοῦ τιτϑοῦ τῷ στόματι

τοῦ βρέφους,

αὐτίκα

μὲν σφίγγει τοῖς χείλεσιν,

αὐτίκα δὲ

διαστεῖλαν τὰς γνάϑους ἐπισπᾶται κἄπειτα κυρτῶσαν τὴν γλῶτταν ὠϑεῖ κατὰ τῆς φάρυγγος, ὡς ἐκ πολλοῦ χρόνου μεμελετηκός. Anche in De foetuum formatione, dopo aver percorso tutto lo sviluppo dei vari organi del feto, Galeno dedica l'ultimo capitolo alla trattazione della causa o forza che presiede allo sviluppo, che ha comunemente il nome di $5ysis: il suo scopo è mettere in risalto che questa forza, pur senza volerle dare un nome specifico, è dotata di Zechne e di sophia. Chiaramente condizionato da una

visione demiurgica

e provvidenziale

della natura,

Galeno

si

mantiene qui tuttavia su posizioni caute, ma esprime la sua insoddisfazione di fronte ai tentativi di spiegazione diversa dati ? Come a chiudere il cerchio, questo passo è utilizzato da Palladio, medico alessandrino del VI sec. d. C., per commentare Epid. VI 5.1 (in F. R. Dietz, Sebolia in Hippocratem 11 Galenum, vol. II, Königsberg 1834, p. 129, 4 sgg.).



203—

dai physiologei, ὅτι οὐδεὶς τῶν τὴν φυσιολογίαν ἀπαγγελλομένων οὔτε κατενόησεν οὔτε ἐζήτησεν ὅπως γίγνεται: fra di loro egli intende chiaramente collocare, attraverso la menzione esplicita del solo Epicuro, i sostenitori di teorie materialiste e casua-

listiche.?* Alcmeone

un’apostrofe

e Democrito,

polemica,®

chiamati

possono

in causa

in P. Flor.

rientrare abbastanza

con

bene in

questa schiera e sono criticati proprio perché si sono preoccupati di trovare un precedente materiale agli istinti del neonato. Democrito e Alcmeone sono associati su di un problema specifico, per cui abbiamo testimonianze contraddittorie. Il passo di Ps. Galeno Ar animal, già richiamato da Manfredi, μαρτύριον δὲ τοῦ xal ἐν untpa διὰ στόματος τὴν τροφὴν λαμβάνειν τὸ ἅμα τῷ τεχϑῆναι τὴν ὁρμὴν πρὸς τὸν μαστὸν ἔχειν. οὐ γὰρ μὴ προεϑισϑὲν χρῆσϑαι τῇ ὁδῷ, ταχεῖαν οὕτω τὴν πρὸς αὐτὸ ὁρμᾶν ὁδόν, fornisce la giusta chiave di lettura dei rr. B 9 sgg. di P. Flor. In An animal si sostiene, con Democrito e Alcmeone,

l'opinione che il feto si nutrisse dentro l’utero con la bocca, ma P. Flor. rifiuta l’analogia fra nutrimento del feto e nutrimento del neonato che apparentemente i due filosofi istituivano.

Per Democrito le fonti dossografiche sono chiare, cfr. 68 A 144 DK (già citato da Manfredi) = Aét. V 16,1: Δημόκριτος, ᾿Επίxovpoc τὸ ἔμβρυον

ἐν τῇ μήτρᾳ

διὰ τοῦ στόματος

τρέφεσϑαι.

εὐθέως γεννηϑὲν ἐπὶ τὸν μαστὸν φέρεσϑαι τῷ στόματι" εἶναι γὰρ καὶ ἐν τῇ μήτρᾳ ϑηλάς τινας καὶ στόματα, δι᾽ ὧν τρέφεσϑαι. La spiegazione degli istinti vitali del neonato in ter? IV 689, 8 sgg. K, cfr. anche 695, 3, in cui Galeno sembra travestirsi un po’ da Socrate, riecheggiando alla lontana Pbd. 96a 6 sgg., un vezzo che ha anche al-

trove, cfr. Temkin, op. eit., pp. 20-22. A proposito del problema della identificazione del demiurgo

(ora con la natura, ora con il ^w,

ora con il sole), Moraux,

Galien et Aristote cit., p. 134, e poi Donini, Motivi cit., p. 348 sgg., hanno messo in evidenza che De foetuum formatione rappresenta una fase evolutiva tarda di Galeno verso una posizione più critica ed agnostica rispetto a De usw parlium. 0 Per l'apostrofe polemica, molto comune in Galeno, cfr. p. es. De plasitis, CMG V 44,2 pp. 82, 24; 98,8; 174, 21. Per μηκέτι ζητῶμεν di B 9-10, cfr. p. es. Gal. In Hipp. Prorrb., CMG V 9.2, p. 121, 4 τί οὖν ζητῶμεν ἅττα ποτ᾽ οὗρα λέγει πέπονα; che, significativamente, è inserito all'interno di una polemica, contro Zeuxis empirico (= Deichgriber,

Empiriker,

fr. 322b).

δι Op. cit., p. 164 (= XIX 167,9 sgg. K): Manfredi spiega l'associazione di Alcmeone con Democrito sulla base dei comuni interessi generali di embriologia. 8. Abbastanza diffusa fra i presocratici, cfr. Diog. Ap. A 25 DK; Hippon A 17 DK e anche il trattato ippocratico Car». 6 (VIII 592,

— 204—

11 L).

mini di mathesis riposava dunque su una analogia anatomica fra utero e mammelle, cioé su un elemento materiale. Per Alcmeone

abbiamo notizie contraddittorie proprio a questo proposito. Infatti Aezio (24 A 17 DK = Dox. gr. 426) dice che Alcmeone titeneva che il feto si nutrisse con tutto il corpo come una spugna. Invece Rufo di Efeso (in Oribasio II 156 = CMG VI 22,

p. 136) dice che nei neonati c’è un residuo (περίττωμα) nell'in-

testino (alludendo al fenomeno del meconio) che deve essere evacuato, οὐχ ὥσπερ ᾿Αλχμαίων οἴεται, ὅτι ἐν ταῖς μῆτραις ὃν τὸ παίδιον ἤσϑιεν στόματι" τοῦτο γὰρ οὐδένα τρόπον δυνατόν. Anche se il taglio della notizia è diverso, è importante che sia testimoniata anche per Alcmeone la teoria dell’alimentazione del feto attraverso la bocca, e ancora più importante che essa sia inserita in una argomentazione

che dimostra

come

anche per

Alcmeone fosse operante l’analogia fra vita fetale e neonatale. Un altro elemento notevole è che la notizia sia testimoniata da Rufo di Efeso (che essa sia o meno credibile accanto a quella opposta), cioè in ambiente medico e in un autore che è stato un tramite essenziale nella filologia ippocratica pregalenica.® Le due

testimonianze,

di

Alcmeone

e

Democrito,

ci forniscono

ineltre un suggerimento per comprendere il senso del testo lacunoso ai rr. 14-15: sembra probabile che vi si esponesse l’analogia fra utero e mammelle e si descrivesse il nutrimento attraverso la bocca (si pensi ad esempio alla notizia di Aezio su Democrito)

all’interno dell’utero: a ciò potrebbe alludere ἔνδον di r. 14. Nel corso di questa analisi sono stati fatti molti confronti con opere di Galeno, che sono serviti ad un approfondimento e ad una chiarificazione dei problemi posti da P. Flor., ma anche là dove non si rintracciano punti di affinità precisi, il papiro rivela una cultura filosofico-scientifica le cui radici sono le stesse 3$ Cfr. Wellmann, op. cif., pp. 9 sgg. Questa interpretazione del contesto di P. Flor. va certamente a favore della notizia di Rufo a proposito di Alcmeone, che di solito è posta in secondo piano rispetto alla versione di Aezio. M. TruPANARO CARDINI (Pi/agorici, Testimonianze e frammenti, a cura di M. T. C., Firenze 1958,

pp. 144-145) la considera corrotta del tutto c accoglie la correzione σώματι al posto di στόματι, proposta da A. OLivisri, Civiltà greca dell'Italia meridionale, Napoli 1931, p. 13. In ogni modo su questo problema si fa di solito riferimento alla notizia di Aezio (cfr. p. es. G. E. R. LLorp, Polarity and Analogy, Cambridge 1966, pp. 324325). La versione di Rufo è difesa, ma in modo

non convincente,

da P. EBNER,

ilemeone crotoniate, « Klearchos » 11, 1969, pp. 70 sg., e meriterebbe invece una più approfondita analisi nel contesto del pensiero alcmeonico.



205—

di quella di Galeno. Talvolta si è notato che alcuni elementi di tipo retorico-stilistico sono comuni al nostro commento e a Galeno.* I punti di divergenza ® sembrano essere assolutamente marginali e inquadrabili in una cultura, come quella di Galeno, che per essere vasta e complessa non arrivò mai ad irrigidirsi in un sistema coerente in tutto: tutto ciò permette di avanzare con buoni argomenti la candidatura di Galeno ad autore del commentario a De alimento, conservatoci frammentariamente

da P. Flor. 115.

δὲ In via secondaria si noti che in P. Flor. si riscontrano solo alcuni iati impropri. Questo aspetto dunque sembra coerente con l’uso galenico, o meglio non lo contraddice: cfr. le osservazioni di De Lacy in CMG V 4.1.2, p. 53. 8 Cfr. supra n. 73.



206—

ELENCO

CAG

SIGLE

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diaeta

Hipposratis

in morbis

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1912, pp. 1-17.



212

—:

XLVII,

INDICE

DELLE

PAROLE

GRECHE

Il segno © indica gli interventi congetturali; i./. indica le parole del lemma ippocratico.

B 6.

μαστός

B 1.

μηκέτι

Β 4.

oUxouv

B 01. A *2, 9, B 4, 8.

οἶμαι ὀρύττω

A 14.

παιδεύω

Β 5. Β 14.

παίδιον παιωνίζω

B 3-4 iv ταῖς "E.

πάνυ

A 1. B9

elus τὸ

B 11

B B

ποῦ

04,8. 10.

eek τίκτω

Α 3.

ὕστερος

Α 8.

φημί

B 2 κατὰ τὸν [ Ἡράκλειτον.

φρέαρ

A 1,2,8.

ὑφαίνω

Β 12.

ἱμάτιον

Α 5,6.

'Imxoxoíta,

B 3 κατὰ τὸν ᾿Ιπποχράτην.

φύσις φωνή



χράομαι

213—

"

©

bb

e

(4), B 7 (bis).

$

μέρος

w

Β 10.

μα[στεύ]ει

è è

9

CRERSBRECÓR

paxcttuo

96,

B BOARD

Α

-

μᾶλλον

a

μανθάνω

B 09 [ἀπ]λῶς

^mt.

B οἵ, 6.

u ὦ ἢ DI > >> >> 5

καταχρηστικός κύριος λέγω

Ὁ»

χαταρχέω

A 11 -ox. B 910 & ... ᾿Αλίκμέ)ων B 912.

Sa ba a Da ba be > ul De tl iu il De D> be ki cd rl

A 10 (il).

ji), B 5,8.

INDICE

GENERALE

W. Cavını, La megazione di frase nella logica gra

. . . ..

»

7

ον

»

127

D. MANETTI, Tematica filosofica e scientifica nel papiro fiorentino 115

»

173

Il papiro pargino n. 2, ed. a cura di M. C. Donnmı Macció e M. 5. FUNGHI

. .....

....



215—

νιν

κι

Finito di stampare mel giugno 1985

con i tipi della Tiferno Grafica di Città di Castello