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Italian Pages 437 Year 1966
Edmund Husserl
LOGICA FORMALE E TRASCENDENTALE SAGGIO DI CRITICA DELLA RAGIONE LOGICA
Editori Laterza
Bari 1966
Traduzione, Avvertenza, Nota aggiunta e note a cura di Guido Davide Neri Prefazione di Enzo Paci
Proprietà letteraria riservata Casa editrice Gius. Laterza & Figli, Bari, via Dante 51
PREFAZIONE
Formale und transzendentale Logik (Halle 1929), che potrebbe anche avere per titolo Critica della ragione logica (il sottotitolo è, precisamente, Versuch einer Kritik der logischen Vernunft), deve essere considerato come uno dei testi fondamentali di Husserl. Nel lungo e laborioso svi luppo dello studio husserliano sulla logica rappresenta un unto di congiunzione tra le Logische Untersuchungen (Hiille 1900-01 191 e il ru o di manoscritti raccolti da L. Landgrebe in Erfahrung und Urteil e pubblicat.um. ..a,nno dopo la morte di Husserl (Hambnrg 1939).. In seguito alle critiche di Frege, Husserl ebbe l'im pressione che le prospettive logiche di Philosophie der Arithmetik (Halle 1891) dovessero essere rivedute nel senso che giustificavano l'accusa di restare troppo legate alla psicologia. Si trattava dunque di superare il psicologismo. Per psicologismo si deve intendere qui il rapporto, che si era venuto intessendo nella cultura tedesca dopo il 1880, tra filosofia e psicologia. Tipica la posizione di Theodor Lipps che riduceva decisamente a psicologia ogni aspetto della filosofia e in modo particolare la logica ( Grundtat sachen des Seelenlebens, Bonn 1883; Grundzuge der Logik, Hamburg 1893). Lipps fu contrastato da Natorp e dal neokantismo, nonché dalla fenomenologia di cui egli stesso, del resto, risenti poi l'influenza. Husserl, ispirato da Brentano per quanto riguarda il significato della dimensione psichica, e da Bolzano per l'esigenza di una purezza e di un'autonomia della logica, si interessa di tutti gli studi
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Prefazione di Enzo Paci
logici dell'epoca, anche sotto il profilo delle loro implica zioni matematiche, sempre in lui presenti da quando era stato assistente di Weierstrass a Berlino. Nonostante la critica allo psicologismo Husserl rimane sostanzialmente estraneo alla linea Frege-Peano-Russell che troverà poi uno sviluppo così fortunato in Rudolf Carnap e nel neopositi vismo. Ma non gli è estraneo l'interesse per la logica pura e per la logica formale cosi come, d'altra parte, non saranno senza influenza su Carnap le prospettive fenome nologiche, ben presenti in Logische Aufbau der Welt (Berlin 1928). I pochi cenni che precedono possono suggerire che, da un punto di vista storico sufficientemente comprensivo, la logica di Husserl deve essere studiata in rapporto a tutti gli studi logici dell'epoca. Assumendo questa ipotesi di lavoro si è portati a con cludere che, anche se, da un lato, la logica formale si svi luppa, nei suoi aspetti più noti, al di fuori della fenome nologia, dall'altro la fenomenologia è direttamente inte ressata alla logica formale, così come dimostra tutta la prima sezione di Formale und transzendentale Logik. Per Husserl si tratta della fondazione della logica formale, ma anche della sua elaborazione: per il neopositivismo si tratta soprattutto dell'elaborazione. Tuttavia nella storia del neo positivismo, dal primo Carnap a Hempel, si ripresenta continuamente, in diverse forme, il problema della fon dazione: nel passaggio tra la sintattica e la semantica, nella complessa e multiforme serie di problemi che vengono indicati come >, nella fondazione della proba bilità, nella logica modale, nella sempre più larga libera lizzazione dei criteri di verificazione, nell'analisi della fun zione delle teorie. L'opera di Husserl è un capitolo fondamentale nella storia della logica contemporanea nella misura in cui in siste su una fondazione della logica che non sia a sua volta formalizzata, nella misura cioè nella quale la fondazione non è formale né psicologica, ma trascendentale. Il termine stesso di fenomenologia ha, negativamente, il significato
Prefazione di Enzo Paci
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di > nel senso con il quale la psicologia era intesa da Lipps e criticata da Frege. La fondazione non psicologica e non formale deve essere però rigorosa, così come deve essere rigorosa la ricostruzione logica del mondo per Carnap. La rigorosità che Husserl cerca esige un nuovo metodo, propriamente il metodo fenomenologico, che si sviluppa a poco a poco a partire da Logische Untersuchungen e che ci offre la più importante, anche se incompleta, prospettiva delle proprie possibilità nei testi di Erfahrung und Urteil. Lo scopo di Logische Untersuchungen è di arrivare ad una logica intesa come pura disciplina filosofica. Per Husserl questo scopo è raggiungibile soltanto per mezzo di una fenomenologia pura dei (( vissuti >> del pensiero e della conoscenza. Si tratta di una parte della fenomenologia, non di tutta la fenomenologia. Husserl procede per suc cessive tematizzazioni. Il primo tema è l'analisi dei vissuti essenziali per cogliere i concetti fondamentali e le leggi ideali della logica pura. In altri termini si tratta, fin dal1 'inizio, di fondare la logica sull'analisi fenomenologica delle strutture essenziali del conoscere sedimentate nelle espressioni linguistiche. I complessi psichici vanno studiati soltanto sotto il profilo logico, astraendo da ogni altro ele mento. L'essenza è qui intesa come essenza logica che si rivela nella riflessione e che deve essere ricondotta alle evidenze prime. In Logische Untersuchungen può sembrare che non ven gano trattati i problemi della costituzione soggettiva che conduce all'intersoggettività e i problemi dell'esperienza e delle modalità temporali dei vissuti, da cui, come si potrà chiaramente vedere in Erfahrung und Urteil, hanno origine i giudizi. In realtà i problemi suddetti sono sempre almeno accennati, anche se messi da parte e lasciati ad una successiva tematizzazione. Del resto anche quando Husserl affronterà decisamente la costituzione intersog gettiva e le strutture modali dell'esperienza, nonché il problema della fondazione delle categorie, o del precate goriale, le conclusioni delle prime analisi logiche, sia pure
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trasformate e non tematizzate, saranno sempre presenti. Le correlazioni interne, nei testi husserliani, si trasformano nel corso della ricerca, ma sono sempre coordinate. Lo stesso Husserl è stato spesso tentato di riscrivere le opere già scritte. Tutto questo esige una lettura che sia una rielaborazione quasi totale dei testi i quali poi, al di fuori del pensiero husserliano, devono essere collegati alle pro poste e agli esiti della logica contemporanea. Si presenta così un campo vastissimo di studio che esige un lavoro lento e prudente per cui risulta prematuro un giudizio troppo drastico sulle ricerche husserliane e appare acritica un'opposizione polemica tra le analisi neopositivistiche e quelle fenomenologiche. In molti casi, per quanto in ma niera assai difficile da scorgere ad un primo sguardo, le esigenze che si presentano alla logica matematica e ai pro blemi dell'unificazione delle scienze (pensiamo all'Inter national Encyclopedia of Unified Science e ai suoi sviluppi) sono analoghe a quelle di Husserl, in altri le ricerche di Husserl anticipano problemi che la scienza contemporanea si trova di fronte proprio nel suo sviluppo tecnico: non a caso in logica e in filosofia della scienza si parla oggi di evi denza, di eidos delle scienze e perfino di >. Rinascono in forme nuove e impensate prospettive che si autodefiniscono > (di un tipo di platonismo che era già presente in Frege) e si impongono pro blemi di costituzione > e non solo >, dove materiale significa spesso precategoriale e formale significa anche semplicemente >, nella consape volezza, però, che l'orizzonte delle ricerche non si identifica senz'altro con i mezzi tecnici formali e rimanda all'operare concreto delle scienze, alla loro storia, e quindi all'analisi fenomenologico-genetica. È stato spesso osservato dagli studiosi che l'interesse fondamentale di Husserl è sempre stato orientato verso la logica (cfr. per es.: Suzanne Bachelard, La logique de Husserl, Paris 1957): questa tesi ha il suo lato di verità, ma non deve essere spinta fino al punto di isolare i pro blemi della logica da quelli della fenomenologia generale
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che comprende, proprio in rapporto alla logica, l'analisi dell'esperienza e della costituzione soggettiva: sono temi che sono presenti nella seconda sezione di Formale und transzendentale Logik e che sono parte rilevante della logica trascendentale. La comprensione di tale sezione è condi zionata da una corretta interpretazione, in Husserl, del termine ' trascendentale ', un termine che non solo non esclude, ma implica la concretezza, il precategoriale, la struttura e la costituzione della corporeità e della natura fisica, come si può vedere facilmente leggendo Ideen II, opera scritta dal 1912 al 1917 e uscita postuma (Haag 1952). In Formale und transzendentale Logik la fondazione della logica si presenta anche come analisi della formazione storica della logica stessa: da questo punto di vista la ge nesi della logica deve essere riattivata e ricostituita. A questo compito si unisce quello dell'unificazione delle scienze a partire dalle loro ►. , e ciò perché > (pagg. 247-48). Alla logica formale deve dunque seguire la logica trascendentale e cioè lo studio dell'aspetto soggettivo della logica, sempre connesso alla critica del psicologismo. La fondazione trascendentale, soggettiva e intersogget tiva, nonché modale, è necessaria per l'elaborazione della stessa logica formale. La logica e la > non possono essere disgiunte. C'è tra fondazione e forma una continuità, anche se questa continuità può essere vista come un problema (cfr. per es.: J. N. Mohanty, E. Husserl's Theory of Meaning, Haag 1964, pagg. 143-45). Senza dubbio tutto lo sforzo di Husserl è orientato nel senso di superare la scissione tra il materiale e il for male, tra l'esperienza e il giudizio, tra le modalità origi narie e la struttura logica. L'evidenza autentica è quella pregnante dell'esperienza: il filo conduttore da scegliere è appunto la genesi dei giudizi dall'esperienza (si vedano i paragrafi 84 e 85 del testo). È così che si arriva all'evi denza precategoriale o antepredicativa. Come nota Husserl il problema è quello della retrocessione genetica delle evi denze predicative all'evidenza non predicativa che > (pag. 259). La continuità fenomenologica è garantita proprio dall'esperienza preca tegoriale considerata come base genetica dei giudizi. La posizione di Husserl può essere criticata da vari punti di vista, ma le critiche devono tener presente non solo la lettera, ma anche il significato del testo. Per fare un solo esempio, ma decisivo, ricorderemo la fiducia di Husserl che in seno alle > sia possibile una completezza dei sistemi formali. È indiscu tibile che la prova di Godel smentisce la fiducia husser liana. Tuttavia la stessa prova di Godel, in quanto conclude
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che non è possibile, in un sistema formale, una dimostra zione di coerenza formale con mezzi che fanno parte dello stesso sistema, rimanda alla fondazione precategoriale, a quella stessa fondazione che Husserl interpreta come tra scendentale e che non sarebbe possibile senza l'evidenza. Basterebbe questo cenno a garantire l'attualità di Formale und transzendentale Logik. Come tutte le grandi opere di Husserl il testo esigerebbe un commento puntuale, un commento molto più ampio del libro, poiché richie derebbe non solo la chiarificazione totale di quest'opera husserliana in rapporto alle altre, ma anche lo studio di tutte le connessioni possibili tra la logica husserliana e i vari indirizzi logici e linguistici della filosofia contempo ranea, compreso quello oxoniense. È un lavoro che po trebbe passare sotto il titolo di "Fenomenologia e logica" e che esige la collaborazione di più studiosi per più di un decennio. La traduzione italiana di Formale und trans zendentale Logik è un passo decisivo in questo lungo cammmo. Milano, 15 marzo 1966. ENZO PACI
AVVERTENZA DEL TRADUTTORE
La Formale und transzendentale Logik di Husserl è stata pubblicata a Halle nel 1929, nel volume X dello > (diretto da Husserl) e, nello stesso anno, come volume a sé stante, presso Niemeyer. Dal punto di vista della stesura letteraria la Logica ha avuto una storia piuttosto complessa, come risulta da un passo di Ludwig Landgrebe, suo allievo e collaboratore, ricavato dalla Prefazione di Erfahrung und Urteil. Lo ri produciamo per esteso dato il suo grande interesse do cumentario. e come volume a sé stante, Halle, Niemeyer, 1913, I ediz.; edizione critica con modifiche e appendici: Den Haag, Nijhoff, 1950; libro secondo, Den Haag, Nijhoff, 1952; il terzo libro è uscito nello stesso anno e presso lo
Avvertenza del traduttore
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stesso editore. Nel 1950 è stata pubblicata la traduzione italiana di Ideen I, di Giulio Alliney, integrata nel 1965 (Torino, Einaudi) da Enrico Filippini, che ha pubblicato nello stesso volume anche la sua traduzione degli altri due libri, sulla base dell'edizione Nijhoff. Alle pagine di questa traduzione italiana rimandano, nelle note della nostra edi zione della Logica, i numeri tra parentesi quadre che se guono i rimandi husserliani alle Ideen. Vorlesungen zur Phiinomenologie des inneren Zeitbewusst seins, edito da M. Heidegger, nel IX vol. dello > citato, e come volume a sé, Halle, Niemeyer, 1928. Di questa opera esiste una trad. francese, di Henri Dussort, Paris, Presses Universitaires, 1964, col titolo: Leçons pour une phénoménologie de la conscience intime du temps. Cartesianische Meditationen. L 'edizione di quest'opera è annunciata nella Logica come imminente ; invece apparve solo postuma, in lingua tedesca ( Cart. Med. und Pariser Vortri:ige, Haag, Nijhoff, 1950), mentre ne usciva la tra duzione francese (di G. Peiffer e E. Levinas) già nel 1931, con il titolo: Méditations Cartésiennes. Introduction à la phénoménologie. La traduzione italiana di Filippo Costa è apparsa nel 1959 (Milano, Bompiani). Nella nostra edizione della Logica i numeri in margine stabiliscono la corrispondenza con l'edizione originale te desca. Abbiamo indicato a parte, nella Nota aggiunta, alcune difficoltà poste dal testo e il modo in cui abbiamo creduto di risolverle. Raccomandiamo particolarmente al lettore di tener presente quanto vi si dice a proposito di meinen e della relativa famiglia di vocaboli. Del resto si è creduto opportuno abbondare nei riferimenti all'origi nale (tra parentesi quadre nel testo), dove sembrava neces sario per evitare confusioni 3 • Con queste avvertenze, ci
3 In questo riferimento è stato seguito il criterio di ridurre gli ag gettivi alla loro forma indeclinata, in quanto la declinazione tedesca non corrisponde sempre al numero e genere dei rispettivi sostantivi italiani.
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Avvertenza del traduttore
siamo permessi una certa libertà di far ricorso ad espres sioni diverse per rendere termini equivoci o plurisensi, quando i termini italiani disponibili non possedevano una gamma altrettanto ricca di significati (è questo il caso, appunto, di meinen, Meinung, ecc.). Oltre al prof. Enzo Paci, che si è fatto promotore di questa come di diverse altre traduzioni husserliane, desi dero ricordare qui gli amici Enrico Filippini � per i consigli a proposito di vari dubbi linguistici - e Carlo Mainoldi, che ha collaborato alla traduzione delle Appendici. G. D. NERI
LOGICA FORMALE E TRASCENDENTALE
1 . - Husrerl
INTRODUZIONE
Ciò che noi oggi chiamiamo scienza, con tutta la pre gnanza di significato che attribuiamo a questa parola, non è la scienza nel senso, che storicamente è il più antico, di un realizzarsi ingenuo e diretto della ragione teoretica. �� È solo in un senso generico che dicìamo scienze le filosofi.e dell'epoca pre-platonica, o analoghe forme culturali di altri r.i popoli ed altre età. Per noi esse sono soltanto forme e t, gradi preliminari della scienza. In un senso nuovo . J::!_ scienza ha la sua origine nella f o n d a z i o n.e p I a t o nica d e Co g i e a , intesa come luogo dell'indagine suUe ��ig�-���- ��s«0z1:ili de-I (( vero >> sapere è dell:i (( vera � . scienza, nel quale perciò devono essere messe in luce le norme secondocui possa costituirsi una sc:ienza c4�__t.e11d�. co_nsap�volmente ad una universale legalità normativa e sial . in gra�_ . . _il pro_p_r-io. _Il!l!!_odo . . _.9-_i_ gLustifì.car�_consapev�!!Ilente e la propria teoria. Nel suo intento questa giustificazione logica deve fondarsi completamente su principi puri. La scienza in senso platonico dunque non vuol più essere soltanto una attività ingenua che muova da un interesse teoretico puro. Ogni passo elle c9mJ>i�.L ess_a_ pret!!mk_ di .&!.!1§.!ifì._c�tlo _ anche di principio nella sua autenti_cjti� '< ...Yfilidità nec:essaria. Il suo senso originario sta dunque in ciò : che l'evidenza [Einsicht] logica di principio, attinta all'idea pura della conoscenza possibile e del metodo cono scitivo in generale, sia preposta al metodo effettivamente impiegato e alla configurazione effettiva della scienza, e valga come loro guida pratica ; e non sta invece nella pre-
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·- tesa, avanzata dal dato di fatto di un metodo o di una scienza spuntati in qualche modo nell'ingenuità a presen 1 tarsi come norma per la forma legittima delle operazioni scientifiche. La logica di P 1 a t o n e sorse dalla reazione contro la negazione universale della scienza operata dalla scepsi 2 sofistica. Per il fatto stesso che tale scepsi negava la pos sibilità di principio di qualcosa come la > o come la scienza in generale, si presentava appunto a P 1 a t o n e il compito di discutere e fondare criticamente la loro p o s s i b i 1 i t à d i p r i n c i p i o . E poiché era la scienza in generale che veniva chiamata in causa, nessun dato di fatto poteva naturalmente venir presupposto alla scienza stessa. Così Platone si trovò impegnato sulla via della pura idea. La sua dialettica (nel nostro linguaggio la sua logica o dottrina della scienza), che non era desunta dalle scienze di fatto, ma era anzi puramente ideale, e rivolta a elaborare norme pure, aveva la missione di rendere possibile una scienza che era stata fino allora soltanto una realtà di fatto, e di dirigerla praticamente. E appunto nell'adempimento di questo compito essa giovò realmente alla creazione di scienze nel senso pregnante di questa parola, scienze che erano consapevolmente sorrette dall'idea della scienza logi�_aL e che �i -�f�rz_ �v_ano di reali2:2:arla_ n�ll_a misura del, ���t�ile: come avvenne per la matematica rigorosa e per la scienza naturale, di cui le nostre scienze moderne rap presentano lo sviluppo in gradi superiori. Nell'età moderna invece il rapporto originario tra logica e scienza si è stranamente rovesciato. Le scienze si sono rese autonome e senza essere in grado di soddisfare pienamente allo spirito dell'autolegittimazione critica, hanno creato metodi altamente differenziati, la cui fecondità era certa sul terreno pratico, ma le cui operazioni non potevano vantare la piena chiarezza razionale. Certo l'ingenuità di questi metodi non era quella dell'uomo della strada, ma si trat tava pur sempre di un' i n g e n u i t à d i g r a d o s u p e r i o r e , di un'ingenuità che rinunciava a giustificare i il metodo a partire da principi puri, mediante il ricorso
In troduzione
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all 'idea pura e in conformità alle possibilità e necessità ultime a priori. In altre parole : la logica, che si era assunta originariamente il compito di tenere viva l'esigenza del metodo e aveva preteso ad essere la dottrina pura dei principi della conoscenza possibile e della scienza, venne meno a questa missione storica e rimase assai arretrata nel suo sviluppo. La grande riorganizzazione delle scienze della natura che ebbe luogo nel secolo XVII era ancora determinata da riflessioni logiche sull'essenza e l'esigenza di un'autentica conoscenza della natura, e sugli scopi e sui metodi che di principio le competono. Queste riflessioni vennero alla luce in connessione con le aspirazioni - cosi caratteristiche per quest'epoca - alla fondazione di una nuova logica, la vera logica. Qui non ci si deve riferire soltanto a G a 1 i 1 e i , ma - come è necessario fare ben notare - anche a D e s c a r t e s . Già il titolo del suo Discours sur la Méthode parla chiaro, e la > delle sue Meditationes esprime appunto l'idea di una teoria della scienza pienamente radicale e perciò univer sale. Se dunque la logica, ancora all'inizio dell'età moderna, sta alla testa delle scienze, questo rapporto essenziale si 3 modifica nell'epoca successiva, l'epoca appunto in cui l'autonomizzazione delle scienze comporta la specializza zione delle medesime, che ora non si preoccupano più della logica, e la lasciano anzi da parte quasi con disprezzo. Ma è la stessa logica che a sua volta, nei tempi più recenti, ha deviato completamente dal suo senso proprio e dal suo compito inalienabile. Anziché peI"s�_gufr� Je pJ.lre. norme .essenziali della scienza secondo tutte le loro essenziali configurazioni, per offrire s:ii_g_ues!a base alle scienze una .Q.!!_t!�iQ[l.t! conforme a EI"fa1.cipi, e render loro possioiI� passo dopo passo, l'autentica elaborazione metodica e la piena giustificazione, essa si compiace �hitto_g:o di lasciarsi _guidare - per ciò che concerne il suo ideale scientifico e il suo orientamento problematico - dalle scienze di fatto e in _p_artic:Q}a.re __cl_a.lle ta.flto a.mIT1.iratt!__ scier1?� ciella._ J!atura Si fa sentire forse qui, all'interno della cultura scien tifica moderna, qualcosa di più tragico e più gravido di
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conseguenze di ciò che si usa lamentare nei circoli scien tifici: che cioè la serie delle specializzazioni si sia talmente ingigantita da non permettere più ad alcuno di trarre pieno frutto di tutto questo sapere, di godere in uno sguardo panoramico di tutti questi tesori del conoscere. La defi cienza della nostra situazione scientifica sembra consistere ; in qualcosa di assai più essenziale, e, alla lettera: di più radicale. Essa non concerne l'unificazione e l'appropria zione complessiva ma i l r a d i c a r s i d i p r i n c i p i o , d e 1 1 e s c i e n z e e la loro unificazione a partire da queste radici. Si tratta di una deficienza che certo sussi sterebbe quand'anche una mnemotecnica inaudita e una pedagogia derivata da questa ci rendesse possibile la cono scenza enciclopedica di tutto ciò che nell'insieme delle scienze è già stato assodato sul piano teorico-oggettivo. La , scienza, nella sua specializzazione, è diventata una s ecie � me a ecmca ne senso ordi1 tecmca teoretica c , nario, si basa assai più su di una > i emersa dalla stessa varietà e dalla lun a consuetudine del i lavoro pratico (ciò che ne mon o ella prassi si dice anche ' mtmz1one >>, senso pratico e colpo d'occhio) che non su!la( penetrazione della ratio dell'operazione compiuta. Con ciò la scienza moderna ha lasciato cadere l'ideale di un autentico sapere, ideale vivente che agisce nelle scienze a partire da Platone ; e insieme, sul piano della prassi, ha perduto il radicalismo di un sapere responsabile, di sé. E perciò l'impulso più profondo non è più dato di" queT radicalismo, che fa costantemente sua l'esigenza di non accettare per valido alcun sapere per il quale non possa essere data una giustificazione a partire da principi origi4 nariamente primi e perciò perfettamente evidenti, sicché cercare dietro di essi non abbia più alcun senso. La scienza, nel suo farsi attuale, sotto questo rispetto poteva lasciare molto a desiderare. Ma l'essenziale era che quell'esigenza radicale orientasse un corrispondente sforzo pratico di perfezionamento, e che perciò restasse addossato alla logica il grave impegno di indagare secondo generalità essenziali le vie possibili che conducono ai principi ultimi, e di of1
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Intr oduzione
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frire così norma e guida alla scienza di fatto mediante il dispiegamento dell'essenza della vera scienza in generale (e dunque della sua pura possibilità). Nulla dunque di più lontano dall'idea di un operare puramente tecnico, la cui ingenuità contrasta nettamente con un operare che dia a se stesso, conforme ai principi, la propria norma. Ma questo riferimento ai principi, che fu presente a tutti i grandi del passato a partire da Platone, ricava la propria forza e capacità d'evidenza [Einsichtigkeit] totale dall'universalità che collega inseparabilmente tutte le scienze esistenti come rami di una sapientia universalis ( D e s c a rt e s ). Manca alle scienze speciali autonome la compren sione dell'unilateralità di principio che compete alle loro operazioni. Esse non si rendono conto che possono ab bracciare teoreticamente il pieno senso d'essere del loro proprio campo soltanto se rinunciano a quel paraocchi me todico reso inevitabile dall'orientamento esclusivo sul loro campo particolare ; con altre parole: solo se convertono I� loro ricerche nel senso dell'universalità dell'ess 1 questa situazione, come si è sua umta 1 prmc1p10. già detto, la logica condivide la responsabilità, giacché essa - come possiamo ancora aggiungere - anziché tenere ben viva dinanzi a sé la propria missione storica, e agire come dottrina pura e universale della scienza, si è anzi trasformata a sua volta in una scienza speciale. La finalità implicita al suo proprio senso esigeva che la logica si rivolgesse riflessivamente anche su questo stesso senso finalistico, facendolo tema di considerazioni radicali, e si rendesse padrona delle stratificazioni essenzialmente distinte della problematica epistemologica secondo le quali era pre ordinata la successione graduale delle discipline logiche ; giacché soltanto in tale graduazione poteva realizzarsi l'idea di una dottrina della scienza e la scienza stessa. Ma la logica non ha saputo tenersi all'altezza di questo senso che le è essenzialmente proprio. La situazione attuale delle scienze euro ee esi e rese di coscienza ra 1ca 1. sse hanno perduto ondamenta - 1 mente la loro grandiosa fede in se stesse, nel loro significato
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assoluto. L'uomo moderno dei giorni nostri, a differenza dal > dell'età illuministica, non vede più nella scienza e nella nuova civiltà che si è configurata sulla sua base l'auto-oggettivazione della ragione umana, o l'univer sale funzione che l'umanità ha creata a se stessa per darsi la possibilità di una vita davvero soddisfacente, una vita individuale e sociale conforme alla ragione pratica. Questa grandiosa fede, che fu già il sostituto della fede religiosa, la fede che la scienza conduca alla saggezza - a una cono scenza di sé veramente razionale, a una conoscenza razio nale del mondo e di Dio e, attraverso di essa, ad una vita veramente degna e sempre perfettibile, una vita vissuta nella >, nella soddisfazione e nel benessere - ha perduto, almeno entro larghe cerchie, la sua forza. Così si vive generalmente in un mondo divenuto incomprensi bile, in cui ci si domanda vanamente > e vanamente ci si interroga sul >, che pure era stato così certo, e riconosciuto sia dall'intelletto che dalla volontà. Manteniamo pure, se vogliamo, questo atteggiamento critico e scettico di fronte alla cultura scientifica quale si è realizzata storicamente ; ma certo non possiamo ri fiutarla per il semplice fatto che non siamo in grado di raggiungerne una comprensione ultima e di dirigerla a partire da tale comprensione : con altre parole, perché non siamo capaci di esplicitare razionalmente il suo senso, di determinare razionalmente la sua vera portata, entro la quale ci sia possibile darne una responsabile giustificazione e realizzarlo nel lavoro successivo. Se non ci appaga la gioia di creare secondo una tecnica teoretica, né la scoperta di teorie con cui si possono ottenere tanti risultati utili e conquistare l'ammirazione del mondo, - e se non pos siamo separare l'umanità autentica dalla vita assunta nella sua radicale responsabilità di sé, e con ciò neppure l'auto responsabilità scientifica dalla responsabilità totale che in: veste la vita umana in genere, allora noi dobbiamo solle varci al di sopra di tutta questa vita e di questa tradizione culturale nel suo insieme e ricercare per noi - presi sin golarmente e come comunità - le possibilità ultime e le
Introdu zione
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necessità dalle q uali prendere posizione di fronte alle realtà di fatto nel giudicare, nel valutare e nell'agire. Certamente noi così assumiamo soltanto la responsabilità radicale di generalità, di > possegga una forza invincibile. Essa si impone con un suo nucleo essenzial mente identico come un elemento permanente indissolubile, anche attraverso esposizioni tanto divergenti le une dalle altre, e addirittura attraverso deformazioni caricaturali. Questa logica formale, benché rimanesse all'oscuro il senso specifico del >, era, nel suo vero senso, la prima affermazione storica di una dottrina generale della scienza, di una teoria rivolta alle condizioni essenziali di una scienza possibile in generale. Certamente essa si attiene ad una unilateralità del tutto naturale, che anzi trova radice persino in motivi essenziali, laddove invece un a priori epistemo logico diversamente orientato è stato sì continuamente sfiorato, ma è rimasto inaccessibile per millenni, nelle sue profondità nascoste al pensiero naturale, a un lavoro teo retico di carattere sistematico; e anzi non entra neppure nel suo raggio visivo. Ma se ci atteniamo a ciò che grazie appunto a questa unilateralità naturalmente motivata interviene nella nostra esperienza come una consistente forma spirituale; se ci atteniamo dunque al n u e l e o di teorie che rimane sempre visibile e stabile nelle diverse e rispettive forme di appro priazione e nei diversi modi di spiegazione, possiamo arri-
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schiare il tentativo di esplicitare passo passo il suo senso epistemologico, rivolgendo il nostro sguardo costantemente 8 sugli abbozzi di scienze positive antiche e moderne cui tale senso, nei tempi antichi e moderni, era ed è tuttora riferito. Dun ue noi resu oniamo s m re le scienze - come pure la stessa logic�a �sulla base_ del! ' che ce le presenta. Sotto questo aspetto il nostro modo di procedere non sembra davvero radicale, giacché ciò che qui è in discussione è proprio il vero senso delle scienze in generale, o, ciò che è lo stesso, la possibilità essenziale del loro essere, in quanto scienze autentiche e non soltanto presunte. Lo stesso vale per la logica, che deve essere la� scienza della scienza in generale. e che nelle sue teorie 1 deve appunto chiarire questa possibilità essenziale, quando non presuma di averlo già fatto storicamente. Ma d 'altra parte, in modo genuino o no, noi abbiamo esperienza delle scienze e della logica come di forme culturali che ci pre cedono, che portano in sé il loro significato, il loro >, poiché sono prodotti pratici degli scienziati e delle gene razioni di scienziati che le costruiscono. In quanto tali esse contengono un senso finalistico, verso il quale esse si sforzano costantemente di dirigersi. Attenendoci o apren doci a una comunità simpatetica con gli scienziati, siamo in grado di seguirli con la nostra comprensione [nach verstehen], e di > [>] a nostra volta. P r e n d e r e c o s c i e n z a [Besinnung] non significa altro che cercare di stabilire realmente > il senso che nella semplice opinione è solo supposto o pre supposto ; cercare cioè di tradurre il > come viene detto nelle Ricerche logiche a, il senso che > in una oscura direzione, nel senso riempito e chiaro ; di procurargli perciò l'evidenza della chiara possibilità. Questa possibilità è appunto auten2 Logische Untersuchwzgen [Ricerche logiche] , II ed. [Halle, Nie meyer, 1913], voi. II, parte I, pp. SO sg.
Int roduzio ne
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ticità del senso, e quindi costituisce il fine del ricercare e dello scoprire consapevolmente 3 • Potremmo anche desi gnare la resa di coscienza come I ' e spl i c i t a z i o n e 0 r i g i n a r i a d i__ s e n s o _ radica mente mtesa, c e tra spone (e, all 'inizio, si sforza di trasporre) il senso -del modo dell'opinione oscura nel senso del modo della chiarezza piena o della possibilità essenziale. , Perciò, ai fini di una presa di coscienza radicale, pos 1 siamo farci guidare dall'esperienza, ottenuta per Einfuhlung, / delle scienze, in quanto vengano da noi assunte come formazioni operative attraversate dall 'unità di una > protesa in avanti [abzielend]. Analogamente possiamo farci guidare dall'esperienza consimile della logica tradi zionale nel suo riferirsi alle scienze date dall'esperienza. Intendiamo riferirci in primo luogo al s e n s o a u t e n tico di una logica come teoria della s c i e n z a, il cui compito proprio sia quello di chiarire il senso vero della scienza in generale e di spiegarlo teore- 9 ticamente nel modo della chiarezza. Ciò a cui ci troviamo di fronte nell'esperienza, a un primo sguardo, è quel > di logica formale e ciò che questa logica, nello sguardo correlativo rivolto sulle scienze già date, coglie presuntivamente come possibilità essenziale e norma. A partire di qui la presa di coscienza procede dapprima nella u n i I a t e r a l i t à condizionata da questo nostro rivol gerci indietro e dalla direzione del nostro sguardo, uni lateralità che determina il senso specifico della logica tra dizionale come essenzialmente >. La presa di coscienza radicale è eo ipso anche critica che serve alla chiarificazione originaria. E questa chiarifi cazione ha qui il carattere di una nuova conformazione di senso, e non quello di un semplice riempimento [Aus fullung] di una traccia già determinata e articolata in anti cipo. Una simile traccia di senso già affatto predeterminata
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[des besinnlichen Suchens ecc., connesso col precedente Sinn
(senso).]
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è dovunque e essenzialmente possibile solo come conse guenza secondaria di una chiarificazione già conseguita. Ove la vivente evidenza di questa si sia dissolta, persiste il suo abituale operare con la possibilità di una restitu zione che, vuota dapprima, racchiude però nella forma vuota la traccia pre-determinata del senso. E quest'ultima comporta allora la certezza della possibilità di una piena restituzione chiara, come ripetizione dell'evidenza. Ma se non si tratta di ciò, come nel nostro caso, la presa di co scienza originaria viene qui a significare insieme maggiore determinazione della traccia ancor vaga ed indistinta, libe razione dai pregiudizi che procedono da slittamenti asso ciativi e cancellazione di quelli che contrastano con il riempimento [Erfullung] consapevole ; in una parola dunque, critica dell'autentico e dell 'inautentico. Quanto precede è rivolto a caratterizzare nel modo più generale la finalità che si è perseguita in questo scritto, e il metodo adottato. Si tratta dunque di una e s p 1 i c a zione intenzionale del senso proprio d e 1 1 a 1 o g i c a f o r m a 1 e . Essa procede dalle f o r m a z i o n i t e o r e t i c h e che l'esperienza storica ci mette a disposizione quando l'abbracciamo in uno sguardo panoramico. Procede dunque da ciò che costituisce il loro contenuto tradizionale oggettivo, e le ritrasporta n e 1 1 a i n t e n z i o n e v i v e n t e d e i 1 o g i c i , dalla quale hanno origine in quanto formazioni di senso. E - ciò che è inseparabile da quanto precede - l 'esplicazione si ritrasporta all 'intenzionalità degli s c i e n z i a t i , da cui derivarono gli elementi oggettivi che costituiscono la con creta teoria scientifica - dal momento che il logico si orienta in conformità delle scienze preesistenti. Viene inter rogata l 'intenzionalità che si ravviva in ogni effettiva ricom prensione [Nachverstehen] per determinare a cosa essa tenda propriamente. È l 'esplicitazione cosciente intesa come chiarificazione critica che deve dare la risposta. Nell 'esposizione sistematica dovremo cominciare in modo affatto primitivo, e senza riferirci alla logica esistente ; collegheremo invece le nostre prime distinzioni generali al
Introdu zione
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significato della parola Logos e al problema d i sapere fino a che punto possano essere definiti per questa via dei temi teoretici . Attraverso delle > di questo tipo possiamo ottenere una comprensione anticipata di ciò su cui la logica tradizionale rivolge il suo interesse tematico ; quindi anche la direzione verso cui devono rivol O'ersi le nostre ulteriori analisi di senso. o Esse portano in primo luogo (Sezione prima) a una r s t a t i f i c a z i o n e a t r e I i v e 1 1 i , non ancora pie namente riconosciuta nelle mie Ricerche logiche, d e I c o m p l e s s o l o g i c o - fo r m a l e d e i c o n c e t t i f o n d a m e n t a I i e quindi anche delle d i s c i p I i n e logiche ; stratificazione che è della maggiore importanza non soltanto per la comprensione reale del senso autentico della logica come scienza particolare, ma per la intera filosofia. Le ricerche fondanti, in quanto retrocedono neces sariamente all'intenzionalità noetica ( dal momento che le formazioni logiche sorgono dall'attività categoriale), sono rivolte in senso soggettivo. Se esse si debbano considerare psicologiche e come debbano essere caratterizzate, è una questione affatto estranea rispetto al loro significato per ora solo strumentale. In rapporto con la triplice stratificazione indicata, stanno però altri gravi problemi. Essi concernono una c h i a r i f i c a z i o n e radicale d e I r a p p o r t o d e 1 1 a I o g i c a f o r m a l e c o n l a m a t e m a t i c a f o r m a l e, e la giustificazione approfondita (già realizzata per un primo grado nelle mie Ricerche logiche) dell'unità insepa rabile di entrambe nella idea di una mathesis universalis f o r m a I e . Ma con ciò si compie anche un importante passo in avanti, con la definita e - spero - d e f i n i t i v a c h i a r i fi c a z i o n e d e l s e n s o d e l l a p u r a m a t e m a t i c a f o r m a I e ( compresa la sillogistica formale, in una corrispondente purificazione), del senso cioè che la matematica ha nell 'intenzione predominante dei matematici, cioè come una a n a I i t i c a p u r a d e 1 1 a n o n - c o n t r a d d i z i o n e , per cui il concetto di verità resta fuori tema.
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In connessione con ciò è anche il senso autentico di una o n t o l o g i a f o r m a l e , il cui concetto era stato introdotto nelle Ricerche logiche all'interno della distinzione fondamentalissima di ontologia formale e materiale - cioè rivolta ai contenuti [sachhaltig] - cioè tra l'ambito di un a priori > e di uno (( sintetico >> (materiale). Ho motivo di ritenere che queste chiarificazioni di senso contenute nella prima sezione dovrebbero conser vare un 'utilità duratura per i filosofi ; i problemi che ho indicati mi hanno tormentato e tenuto impegnato per decenni. 11 Per coloro che hanno interesse a mie espos1z1oni più particolareggiate su questo tema, vorrei osservare ancora che il mio problema direttivo originario per la determina zione del senso e la separazione di una logica pura della (( non-contraddizione >> fu un problema di evidenza, cioè quello dell' e v i d e n z a d e 1 1 e s c i e n z e m a t e m a t i c o - f o r m a l i . Mi colpì il fatto che l'evidenza delle verità matematico-formali (comprese quelle sillogistiche) è affatto diversa da quella delle altre verità a priori, che cioè le verità matematico-formali non hanno bisogno di nessuna intuizione esemplare concreta di alcun oggetto o stato di cose, cui pure esse si riferiscono, benché in una generalità formale vuota. Se sembrò ovvio che una scienza che si rivolge, in questa generalità, assolutamente su di tutto, su tutto il possibile e su tutto il pensabile, meritasse il nome di o n t o l o g i a formale, era pur necessario, perché fosse realmente tale, che fosse fondata intuitiva mente [durch Anschauung] la p o s s i b i 1 i t à delle og gettualità ' del suo campo. È facile a questo punto, gio vandosi dell'aver isolato (nella Sezione prima) una pura (( logica della conseguenza >> o della (( non contraddizione >>, dare una risposta decisiva a questa questione, anche se le ' [Il termine Gegenstiindlichkeit si riferisce, oltre a « oggetti in senso stretto », a « stati di cose •> , « caratteri •> , « forme dipendenti reali o ca tegoriali >>. Cfr. trad. Bachelard (objectité), Paris, P.U.F., 1957, p. 1 8 nota 3 .]
Introduzione
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ricerche condotte nel testo non si collegano a questa pro blematica. Nella Sezione seconda di questo scritto il tema centrale è l ' a s p e t t o s o g g e t t i v o d e l l a l o g i c a , sempre in rapporto con le prese di coscienza continue su una logica formale nel senso di una dottrina della scienza. Viene così delineata la via naturale dalla logica formale a quella trascendentale. Fin dall'inizio risorge lo spettro dello psicologismo, e viene illuminato più profondamente e più acutamente il senso particolare della tanto celebrata lotta contro lo psicologismo contenuta nel primo volume delle Ricerche logiche; col che in sostanza si è anche pre parata la strada alla chiarificazione - molto più tarda dello ►. Si svela così una serie di p r e s u p p o s t i della conoscenza logica, ai quali rimanda la tematica logica ; e per questa via ci si accorge a poco a poco che tutti i p r o b 1 e m i d i s e n s o r i v o 1 t i i n d i r e z i o n e s o g g e t t i v a che sono e devono essere in discussione per la scienza e la logica non sono problemi della soggettività n a t u r a l e u m a n a, dunque problemi p s i c o l o g ic i , bensì problemi d e l l a s o g g e t t i v i t à t r as c e n d e n t a 1 e , nel senso ( da me introdotto) della f e n o m e n o l o g i a t r a s c e n d e n t a l e . Approfon dendo ulteriormente ci si accorge poi che una 1 o g i c a r e a 1 m e n t e f i 1 o s o f i c a , una teoria della scienza che conduca a una esplicitazione da tutti i lati della pos- 12 sibilità essenziale della vera scienza, e che perciò possa guidare la vera scienza nel suo farsi, p u ò n a s c e r e s o l t a n t o a l l ' i n t e r n o d i u n a f e n o m e n oI o g i a t r a s c e n d e n t a l e . La logica tradizionale, nella sua positività ingenua, nel suo modo di perseguire verità evidenti, in un atteggiamento ingenuo e diretto, si rivela un infantilismo filosofico. Una l o g i c a delle forme7 ideali di significato, c o s t r u i t a c o m e q u a l c o s a d i a s é s t a n t e [eigenstandig] è altrettanto n u 1 1 a I f i l o s o f i c a m e n t e quanto lo sono le scienze positive i in generale ; essa rinuncia a quella autenticità di fondoj 1
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mediante cui potrebbe conseguire un'autocomprensione e un'autogiustificazione finali ; non ha perciò alcuna norma per aiutare le scienze positive a superare la loro positività. L'elemento n o n - f i l o s o f i c o di questa p o s i t i v i t à sta propriamente in ciò, che le scienze, a causa della incomprensione delle loro proprie operazioni, come risultati di una intenzionalità operante che resta per loro non tematica, non sono in grado di chiarire il vero senso d'essere del loro campo e dei concetti che lo abbracciano, e perciò di dire in senso vero ed ultimo quale senso ha l'essente di cui parlano, e quali orizzonti di senso esso presuppone, orizzonti di cui le scienze non parlano, e che tuttavia partecipano alla determinazione del senso. In connessione con la dogmatica ingenuità di una logica formale che si presume autosufficiente e riposa su un'evi denza paga di sé, sta l' i n g e n u i t à d i u n a t e o r i a d e 1 1 a c o n o s c e n z a a g g i u n t a d a 1 1 ' e s t e r n o, >, che pone, e crede di risol vere, problemi di origine e di validità che presume generali, in un modo che non potrebbe più portare alcuna modifi cazione alla validità assoluta della logica obbiettiva. L a v e r a t e o r i a d e l c o n o s c e r e è il chiarimento del senso > dei concetti logici e della stessa logica - non di un senso che preceda e sia già dato, bensl di un senso che debba essere creato appunto attraverso la teoria del conoscere ed esplorato negli orizzonti della sua portata ; ma ciò sotto la guida del senso che era anticipato solo in forma presuntiva. Lo stesso vale per le altre scienze positive; la loro effettiva esistenza storica significa soltanto l'esistenza di abbozzi e pretese, che, come tali, sono f i I i c o n d u t t o r i per le ricerche trascendentali, il cui fine è appunto di crearle, quelle scienze, come scienze auten tiche in generale. Attraverso le nostre ricerche verrà messa in luce, in gradi sempre nuovi, I ' i n s u f f i c i e n z a r a d i c a l e d e 1 1 a I o g i c a t r a d i z i o n a l e e in particolare di quella dell'età moderna: il fatto che essa non era in grado di soddisfare in alcun modo ai gravi compiti che sono
Introduzione
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posti dall 'idca della scienza n e 1 1 a d i r e z i o n e d e 1 1 a 1 3 s o g g e t t i v i t à, cioè nella direzione del pensiero che giudica, conosce, indaga. La psicologia della conoscenza, a partire da L o c k e, è fallita completamente, per via del suo assurdo sensualismo, già come ricerca specificamente psicologica. Ma - ciò che per una dottrina filosofi.ca della scienza è di fondamentale importanza - (per una dot trina cioè che mantenga in sé il senso originario e il solo autentico di una dottrina della scienza) - essa è anche fallita dalle fondamenta perché L o c k e e gli altri poste riori logici e teorici psicologizzanti della conoscenza non sono stati in grado di distinguere tra la ricerca conoscitiva p s i c o l o g i c a e quella t r a s c e n d e n t a l e. I pro blemi di principio che puntavano con evidente intenzione verso una teoria radicale della scienza, problemi dunque specificamente filosofi.ci, vennero respinti al livello di un'an tropologia psicologica, e per di più empirica. Se aggiun giamo che la ricerca trascendentale sulla conoscenza operata da K a n t continuò ad agire in un modo che rimaneva lontano da ogni analisi conoscitiva realmente e concreta mente esplicativa, appare allora la grave deficienza della dottrina oggettiva della scienza dell'età moderna, il fatto cioè di non saper rendere comprensibile - neppure come compito - la chiarificazione e la fondazione, spinte all'estre mo, della possibilità di scienze autentiche (e con ciò anche di un'oggettività in sé vera) a partire dalla universalità della coscienza che costituisce in se stessa un senso ob biettivo ; e tanto meno di configurare il metodo risolutivo e di metterlo in funzione. Il campo che la scienza si trova davanti, che è antici pato al suo lavoro teoretico, deriva il suo senso e il suo essere, per i ricercatori, dalla fonte delle loro proprie operazioni di coscienza (operazioni dello scienziato singolo o di una comunità di scienziati). Che se poi viene acquisito un risultato, come teoria di quel campo, tale risultato deve il suo intero senso e il suo stesso senso di verità alle ope razioni di coscienza. Una teoria può ben > per noi, in una evidenza ingenua e diretta, in una verifica
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ripetuta (una teoria come qualcosa di 1), proprio allo stesso modo in cui una cosa che ci è data nell'ovvietà ingenua dall'esperienza e dalla conferma sperimentale è per noi realtà esistente di fatto. Ma con ciò l'esser-per-noi della teoria non è reso intelligibile in modo trascendentale ; lo è tanto poco quanto lo è l'esser-per-noi della cosa intesa nel senso che si è detto - cioè come costituita sulla base della soggettività individuale e dell 'intersoggettività, quale è per noi, per - come l'unico modo di essere che ha senso per noi. Ogni significato del nostro interro garci ( di noi filosofi) circa un senso del mondo ( del mondo reale e di qualsiasi mondo ideale) presuppone la chiarifi14 cazione dell 'origine trascendentale e si muove essa stessa sul terreno della scienza trascendentale. Se Lotze, in un motto divenuto celebre, dichiarò che il compito più alto della conoscenza non era quello di limitarsi a misurare il corso del mondo, bensì quello di comprenderlo, noi dobbiamo a nostra volta appropriarci di questo motto, mutatis mutandis, anche per la logica, per il regno delle formazioni logiche, nel senso cioè che non ci si può accontentare del fatto che la logica, al modo delle scienze positive, conferisce alle teorie obbiettive una forma metodica e riconduce le forme di una possibile autentica teoria a principi e norme. Noi dobbiamo solle varci al di sopra della dimenticanza di sé propria del teo rico che, abbandonatosi, nell'operare teoretico, alle cose, alle teorie e ai metodi, non sa nulla dell'interiorità del suo operare ; del teorico cioè che vive in quelle cose, teorie e metodi, ma non ha nel suo proprio sguardo tematico questa stessa vita operante. Soltanto mediante una chiari ficazione di principio che discenda nel profondo della inte riorità che attua il conoscere e la teoria, diverrà compren sibile ciò che viene realizzato come teoria e scienza auten tiche. Solo in tal modo si fa comprensibile il vero senso di quell'essere che la scienza nelle sue teorie intendeva elaborare come essere vero, vera natura, vero mondo spi rituale. D u n q u e s o 1 t a n t o u n a s e i e n z a t r a s c e n d e n t a l m e n t e c h i a r i t a e g i u s t i fi c a t a
Introduzion e
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in senso fenomenologico può essere s c i e n z a 1 n s e n s o u l t i m o, s o l t a n t o u n m o n d o c h i a r i t o i n s e n s o f e n o m e n o l o g i c o - t r a s c e n d e n t a l e p u ò e s s e r e l ' o g g e t t o d i u n a c o m p r e n s i o n e e s t r e m a, s o l tanto una logica trascendentale può essere una dottrina della scienza 1n s e n s o u l t i m o , u n a d o t t r i n a u l t i m a, l a p i ù p r o f o n d a e u n i v e r s a l e, dei p r i n c i p i e d e l l e n o r m e d i o g n i s c i e n z a. Se noi dunque riprendiamo l 'idea della logica con quella grandezza e generosità con cui essa, secondo la sua intenzione originaria, vuole essere assunta, e se la vivifi chiamo dello spirito trascendentale, dovremo dire : Ciò che manca alle scienze moderne è la vera logica, che abbraccia tutti i problemi e le discipline epistemologiche (nel senso più ampio eppure, di principio, unitario) ; una logica che per la sua trascendentalità fa luce innanzi alle scienze mediante la più profonda conoscenza di sé che possa darsi per il conoscere, e che le rende comprensibili in ogni loro attività. Questa logica dunque non vuol essere una logica soltanto pura e formale, - intesa nel senso più ampio : una mathesis universalis di tipo I e i b n i z i a n o , una scienza ideale logica e pur sempre soltanto una scienza >. Né d'altra parte essa vuol essere davvero una semplice tecnologia empirica per una sorta di operazioni 15 spirituali che rivestono la massima utilità pratica e che vien chiamata scienza : una tecnologia che orienti empirica mente ai successi pratici. Bensì essa, in quanto rappresenta la funzione più alta del puro interesse teoretico nel suo effettuarsi, vuole mettere in luce il sistema dei principi trascendentali, che conferisce alle scienze, come vere scienze, il loro senso possibile. Quanto una tale logica sia necessaria alle scienze, o - d'altra parte - quanto poco queste ultime siano in grado, nella loro ingenua positività, di divenire scienze autosufficienti e di persistere in questa loro autosufficienza, lo mostra la mancanza, in qualsiasi scienza per quanto esatta,
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di una disputa sul vero senso dei suoi concetti fondamen tali. Questo è un sintomo del fatto che esse in verità non hanno assolutamente chiaro il loro senso proprio. Ma certo è soltanto la logica trascendentale che fa comprendere pie namente che le scienze positive possono comportare sol tanto una razionalità relativa e unilaterale, che lascia sus sistere, quale sua necessaria controparte, una completa irrazionalità, e che attraverso un semplice collegamento di tutte le scienze singole non può mai sorgere una cono scenza universale dell'essere nel senso più alto, quello cui aspirava originariamente l'antica filosofia. Tanto basti sul senso delle ricerche che stanno per essere esposte. È nella natura della cosa che quelle della prima Sezione posseggano una certa completezza e com piutezza che doveva mancare alla seconda Sezione, fatta piuttosto per stimolare che non per realizzare in modo definitivo. Giacché qui noi saremo introdotti nelle vastità sterminate della fenomenologia intenzionale, che non costi tuisce ancora, nonostante quanto se n'è già esplicitato, un bene alla portata di tutti. Inoltre io sto preparando il testo di una serie di ricerche, le cui date ci riportano assai in dietro negli anni, che sono destinate a completare quelle della dottrina formale della scienza attraverso le ricerche, articolate in modo affatto diverso, di una dottrina mate riale ; come pure una serie di ricerche che danno indica zioni e concrete basi nel tentativo di preparare e di per correre sistematicamente le altre vie possibili (oltre alla prima via, quella qui sopra indicata, cioè per così dire quella cartesiana) per una radicale presa di coscienza. Infine voglio ricordare qui e ringraziare calorosamente per la sua attiva collaborazione il dottor Ludwig Landgrebe (che è stato dotato appositamente di una borsa per la munificenza della Deutsche Notgemeinschaft). Egli mi è stato instancabilmente di aiuto nell'ap prestamento letterario di questo lavoro.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
§ 1. Inizio delle ricerche dai significati della parola logos : parlare, pensare, pensato.
La parola logos, da cui è derivato il nome di >, ha un gran numero di significati, che sono sorti, attraverso trasposizioni ben comprensibili, dai significati più originari di Myetv, dunque da >, >, [>, >] quindi anche esporre mediante la parola, il discorso. 1. Nella lingua evoluta Myoc; indica ora la parola e il d i s c o r s o stessi, ora ciò su cui si tiene il discorso, l o s t a t o d i c o s e c h e è n e l d i s c o r s o , ma poi anche il pensiero espresso nella proposizione, prodotto da chi parla a scopo di comunicazione o anche per se stesso, dunque - per così dire - il s e n s o spirituale dell'asserzione linguistica, ciò che è inteso con l'espressione. Più in là ancora, logos si adatta variamente ad indicare lo stesso a t t o s p i r i t u a l e , il dire, l'asserire, o ad altra forma di pensiero in cui viene prodotto un simile conte nuto di senso in rapporto ai relativi oggetti o stati di cose. 2. Ma tutti questi significati della parola logos, soprat tutto dove è in gioco l'interesse scientifico, assumono un senso pregnante per il fatto che si introduce in essi l'idea di una n o r m a r a z i o n a l e. Logos significa allora la r a g i o n e stessa, in quanto facoltà, ma anche quindi il pensare conforme a ragione, cioè il pensare evidente [ein sichtig] o rivolto verso la verità evidente. Logos significa
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anche la facoltà di formare concetti legittimi, e indica anche questa formazione razionale dei concetti, come pure questo stesso concetto legittimo. Se noi assumiamo questa molteplicità di significati - chiaramente omogenei - della parola logos come motivo conduttore per dar corpo alla prima rappresentazione di una scienza del logos, si aprono temi ricchi e interdipen denti per una ricerca teoretica e per un impiego normativo. Qui è perciò facile trovare una strada naturale di ricerca. Se ci rifacciamo al secondo gruppo di significati, il tema della ragione come facoltà del retto pensare, di quello che dev'essere giustificato in piena evidenza, e in modo 1 7 speciale del pensare scientificamente, ci conduce al di là del problema generale circa il modo in cui gli atti trascor renti di un io fondino facoltà abituali corrispondenti ; e ci mette subito davanti al problema di_ st.ibilire che tipo di! atti siano gli > razionali qui in discussione. 1 Prima però che l 'elemento specifico di questa razionalità possa essere preso in considerazione, deve naturalmente essere tematizzato l 'elemento specifico dello stesso pen sare, a n t e r i o r m e n t e ad ogni distinzione tra razio nale e irrazionale. Dal senso della parola logos siamo guidati in modo '�D-_Q.eranJe_ lll pensiero ;i_ssertorio, e al pensiero che giudica, nel se!).so_ comune della parola, e rispettivamente _ _ a giucii?;j in� quanto pensieri. Ma ciò non abbraccia ogni « pensare >> in generale, almeno nel senso più ampio di questa parola. Cosi siamo riportati al p e n s a r e n e l s e n s o p i ù a m p i o come ciò che deve essere consi derato per primo. _Ora, poiché il pensiero umano si rea lizza normalmente nel linguaggio, e tutte le attività razionali _sono conipletamente legate al discorso, poiché ogni critica da cui deve ris_ultare _ fiò che è razionalmente vero, in quanto critica intersoggettiva, si serve del linguaggio e si compie sempre nella forma di enunciazioni ; di conseguenza, ��n s_ono i puri atti di pensiero o puri pensieri che devono esser _ considerati per primi, ma le enunciazioni, i pensieri 1enunciati� Con ciò siamo ricondotti al primo gruppo di
Considerazioni preliminari. § 2
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significati della parola logos. Le ricerche devono allora essere compiute sotto tre titoli: p a r 1 a r e, p e n s a r e, p e n s a t o . Naturalmente devono divenire tematiche an che le facoltà corrispondenti, la facoltà del parlare, quella del pensare unitamente al parlare e quella di rivolgersi cogitativamente a un pensato. § 2. L'idealità del piano linguistico [des Sprachlichen]. Esclusione dei problemi attinenti.
Ma i tre titoli proposti sono ancora assai indeterminati ; abbisognano di ulteriori distinzioni e di una chiarifi cazione, data I 'incertezza e I'oscurità delle parole adoperate. In primo luogo notiamo che sotto il titolo del p a r 1 a r e 1 , non dev'essere trascurata una certa distinzione. La parola pronunciata, il discorso fatto ora, inteso come un feno meno sensibile e precisamente un _ fenomeno acustico, Ji 77 f teniamo distinti dalla parola e dalla proposizione , o da un seguito di proposizioni che costituiscono un discorso più lungo. Non è senza motivo che - quando non siamo stati intesi e ci ripetiamo - noi parliamo appunto di una ripetizione d e 1 1 e s t e s s e parole e proposizioni. In un trattato o in un romanzo, ogni parola, ogni proposizione è qualcosa di irripetibile, che non può essere moltiplicato mediante una lettura ripetuta, che sia fatta a voce alta o 18 in silenzio. Né ha qui importanza chi compia la lettura, nel senso che ciascuno ha la sua voce, la sua gamma sonora ecc. Noi non ci limitiamo a distinguere il trattato in se stesso (inteso ora in senso solo grammaticale, secondo la sua realtà di parola e di linguaggio) dalle molteplici ripro duzioni che ne vengono fatte a scopo di commento, bensl, e altrettanto, dai molteplici documenti che ne rimangono, su carta a stampa o su pergamena manoscritta, ecc. _La _;: �ola ed unica struttura linguistica è riprodotta migliaia dt �lt_e, p. �s. i[! forma di libro, e noi parliamo semplice1 [Nel testo c'è Rede (il discorso), connesso a reden (parlare).]
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Logica formale e trascendentale
mente del]Q ste s �o libro, che porta lo stesso romanzo.; 0 lo stesso trattato, _!! q!!_�S�a �d(!ntità si dà già s u l _p i a n ° p u r a m e n t e l i n g u i s t i c_ o , mentre in altro modo J �_ssa si presenta ancora quando si prenda in consideraziQne I il puro contenuto___§jgnifiç!,llivo_, c9me presto faremo. Il linguaggio, inteso come sistema di segni abituali che sorge e si costituisce all 'interno di un popolo e perdura al modo di una tradizione, segni con i quali, in contrasto con altri tipi di segni, si effettua un'espressione di pen sieri, presenta in generale i suoi propri problemi. Uno di questi è l ' i d e a l i t à , testé indicata, d e l l i n g u a g g i o , che viene di solito completamente trascurata. Pos siamo caratterizzarla anche cos ì : i I l i n g u a g g i o h a l ' o g g e t t i v i t à c h e c o m p e t e a l l e o g g e t tualità del c o s i d d e t t o m o n d o s p i r i t u a l e o m o n d o d i c u l t u r a, e n o n q u e l l a p r o p r i a d e 1 1 a p u r a n a t u r a f i s i c a . In quanto formazione spirituale obbiettiva il linguaggio ha le stesse proprietà delle altre formazioni spirituali : allo stesso modo noi distinguiamo dalle mille riproduzioni di una incisione l 'incisione stessa, e quest'incisione, l 'immagine incisa stessa, è quella che viene guardata [herausgeschaut] attraverso ciascuna riproduzione, e che è data in ciascuna allo stesso modo come un ideale identico. D 'altronde, è soltanto sotto la forma di riproduzione che essa ha esistenza nel mondo reale. Lo stesso se parliamo della Sonata a Kreutzer in contrapposizione alle sue varie riproduzioni. Per quanto consti di suoni, essa è un 'unità ideale, né lo sono di meno i suoi suoni. Non si tratta p. es. di suoni fisici o anche dei suoni della percezione acustica sensibile, dei suoni intesi come cose sensibili che si danno realmente [real] per l 'appunto solo in una riproduzione effettiva e nella sua percezione. Come l 'unica Sonata si moltiplica nelle ripro duzioni reali, così ogni singolo suono della Sonata si mol tiplica nei suoni corrispondenti della riproduzione. Come l 'intero, cosi la sua parte è un'idealità che diviene reale hic et nunc solo nel modo della separazione reale [realer 19 Vereinzelung]. Lo stesso vale per tutte le formazioni lin\
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guistiche, e questa idealità non concerne solo ciò che in esse si esprime, - per quanto grande sia la parte in cui questo possa concorrere. Giacché è vero che i nostri accer tamenti concernono le formazioni linguistiche a n c h e in quanto discorsi riempiti di senso, unità concrete di corpo linguistico e di senso espresso. Ma esse vi si riferiscono già in rapporto alla _corporeità [Leibliçfi_keitl linguistical stessa, che è .P�t_f.Qs Lclire_ u�_ _ c o__t2..Q r �-L t à _s__pj_ r_i -:� _t�u a l e-' La parola stessa, la stessa proposizione gramma ticale, è un'unità ideale, che non si moltiplica per il fatto di essere riprodotta migliaia di volte. La _d�cussi()_!l�j.i principio dei grandi problemi �lie.: �rigua.r_>, l'intenzione 1mrriça __di _ _ç_hi Et:la _ovviame_11tenon è rivolta in §..�l}SQ_uhimQ.aHe s�m!iliçipa_role, bensì - attraverso le parole - al loro significato ; le parole e.�tano intenzioni signitive, servono come ponti p�r gui dare ai significati, alle cose_ > e.sse intese. Ciò, sempre che il linguaggio rivesta la sua funzione normale e in generale sia un effettivo parlare. Naturalmente un pappa gallo, in verità, non parla affatto. Ed escludiamo in questo contesto anche il discorso di chi mente e intende altro da ciò che dice. All' u nj_ t à d e 1 d i s c or § o corrisponde una_l!_!!__! t. }! _ - � i c _i ò c h e _s i i n t e n d e [Meinungl, �e .:u·tiçolazioni e forme_Jinguj�t_iche . del discorso corri. spon_>, agli atti del giudicare, che fungono come'. donatori di senso e recano dunque in sé l'intenzione di\, giudizio quale si esprime nella proposizione assertoria.;/ Restano fuori considerazione le t e n d e n z e i n d i c a �' t i v e che appartengono alle parole come a tutti i segni, i fenomeni dello sviare da sé e avviare a ciò che è inteso. 21 E restano fuori considerazione anche altri Erlebnisse psi chici che vi si intrecciano, come quelli per cui noi ci rivol giamo al nostro interlocutore, e vogliamo fargli conoscere il nostro giudizio ecc. Ma naturalmente solo in quanto nel discorso non è espresso il carattere stesso di discorso a ... , p. es. nella forma >. Ciò che abbiamo appreso sull'esempio delle espressioni assertorie vale in generale. Se esprimiamo un desiderio, come , insieme alla produzione articolata delle parole abbiamo un certo desiderare che si esprime appunto nell'articolazione delle parole, e che a sua volta ha un contenuto parallelamente articolato. Lo stesso se si tratta di un ordine, di una domanda ecc. In questo senso largo si chiama p e n s i e r o ogni Erlebnis che si ha mentre si parla e che appartenga nel modo indicato alla funzione fondamentale dell 'espressione (per l 'appunto a quella di esprimere qualcosa) ; ogni Erlebnis dunque, in cui si costi-
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tuisce in modo cosciente il senso che deve giungere al l'espressione ; e se vi giunge, si chiama pensiero il signifi cato dell'espressione, e in particolare del discorso in atto. Pensiero, quando anche si tratti di giudicare, di deside rare, volere, domandare, presumere. Non bisogna però trascurare qui la modificazione di atteggiamento che permette sempre di portare a espressione - secondo la mediazione del giudizio e non immediata mente - il desiderare e il desiderio, il domandare e la domanda e cosi via ; .in modo cioè da render_pQ§_sibile uI13=, posizione di giudizio mediante_c!li _p. es. il desid�rio . im.:::, mediato si trasformi in una enunfi�giQ!}� . di giudizio s�{ . hle desiderio. Quest'ultimo ora, nell'espressione modificata che denuncia la mediazione avvenuta, è un momento di un'espressione giudicativa, come quando noi anziché dire : che S possa essere p, diciamo : desidero che S possa essere p. Questa modificazione, che rende spesso ambiguo il par lare di espressione ottativa, è importante per il fatto che' , · si ni cati iudicativ· . con questa mediazione ' m i �� ����1101e in sé tutti ?-1! altri tipi di significato• e p�rché q�ind� _ _ , . . · 1a logica del gmd1z10 puo m certo modo mchmdere m s111 la logica di tutti gli altri significati. Ma qui noi dobbiam� osservare bene che tali modificazioni di atteggiamento danno luogo a enunciazioni che non portano più a espres sione in senso primo e proprio i desideri, le domande, le supposizioni ecc., ma sempre soltanto giudizi. Da semplici e autentiche enunciazioni ottative, interrogative ecc., si sono prodotti enunciati giudicativi di senso particolare. In con siderazione di ciò ci si deve attenere alla molteplicità degli atti che in senso proprio sono abilitati alla funzione espres siva, e a quel concetto di > che è orientato verso la generalità di questa funzione. 22 Con ciò noi stabiliamo nello stesso tempo l 'universalità della coincidenza di linguaggio e pensiero. Si determinano cosi per noi due territori paralleli, che si corrispondono l 'un l 'altro, come quello delle possibili espressioni lingui stiche ( del discorso) e quello dei sensi possibili, delle intenzioni [Meinungen] quanto possibile esprimibili. Nella
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loro unità che risulta da un intreccio intenzionale questi due territori costituiscono il territorio bilaterale del discorso attuale e concreto, del discorso riempito di senso. Ogni asserzione è dunque insieme discorso e intentio [Meinung] attuale, più esattamente intentio giudicativa, ogni desiderio proferito è insieme discorso desiderativo e insieme il desi derio stesso nella sua attualità, intentio desiderativa attuale ecc. Una considerazione più attenta permette tuttavia di vedere che si tratta di qualcosa di più che di una dualità. Si deve fare una distinzione netta tra intendere e intentio, giudicare e giudizio, desiderare e desiderio ecc., sicché propriamente ne risulta una triplicità, alla quale già ci indirizzava la distinzione tra pensare e pensato (pensiero [Gedanke] •). § 4. Il problema della circoscnz10ne essenziale del > atto alla funzione significativa.
Il concetto di pensiero nel senso più ampio non si lascia circoscrivere accidentalmente come ambito empirico di Erlebnisse di coscienza che possono introdursi nelle strut ture linguistiche, con una funzione significante. Neppure gli conviene la circoscrizione, che riveste già un carattere essenziale ma è ancora troppo ampia, per cui naturalmente soltanto lo psichico, soltanto gli Erlebnisse di coscienza possono essere donatori di senso. Giacché non tutti posseg gono questa facoltà. Gli Erlebnisse della passività originaria, le associazioni fungenti, gli Erlebnisse di coscienza in cui si produce la coscienza originaria del tempo, la costituzione della temporalità immanente e simili sono inadeguati a ciò. Si presenta qui dunque l'importante e difficile p r o b l e ma di una circoscrizione essenziale di • [Qui Gedanke indica il pensiero di volta in volta effettuato ad opera del pensare. Va distinto perciò questo senso di « pensiero » da quello che si ritrova già nel titolo del § 4 (in tedesco: Denken) che in dica il pensiero in generale.]
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q u e s t o > n e l s e n s o p i ù g e n e r a 1 e , di una circoscrizione che, conseguita per genera lizzazione essenziale a partire da intuizioni [Anschauungen] esemplari, deve dar luogo a un genere essenziale, tenendo presente che in generale, per tutte le specificazioni di questo >, si debbono configurare espressioni cui quelle diano significato. Quale tipo essenziale generale - ci domandiamo deve possedere un Erlebnis di coscienza per poter assur gere a funzione significante ? Non deve possedere il tipo dell'atto-dell'io [lchakte] in senso specifico (cioè di atto che prende posizione) o un modo derivato pertinente a tutti questi atti (passività secondaria, come il giudizio che 23 si attua passivamente quando qualcosa >) ? E ancora: come si differenzia essenzialmente nelle sue spe cificazioni questo concetto essenziale del > ? Non possiamo addentrarci qui a cercare la risposta a queste questioni. Ci accontentiamo di far riferimento all'unità che si annuncia nella considerazione panoramica esemplare, ed assumiamo il concetto di pensiero nel senso più ampio come la cornice in cui deve distinguersi lo specificamente logico. § 5. Circoscrizione provvisoria della logica come dottrina a priori della scienza.
Tentiamo qui di delineare una prima circoscrizione del territorio che deve appartenere alla logica se ci atteniamo al suo senso storico originario assunto nel modo più ge nerale, a quello che nel complesso è stato il senso direttivo fino ai nostri tempi. Si debbono distinguere come è chiaro svariate classi di significati e di atti che conferiscono signi ficato secondo le quali si raggruppano i concreti discorsi >: enunciazioni (in senso specificamente assertorio) in quanto espressioni di giudizi e loro modalità, espres sioni di atti del sentimento, come il desiderio, di atti del volere (p. es. comandi). Con questi atti di diverso tipo è
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connes1.a ovviamente la distinzione dei tipi di ragione : giudicante (e al suo interno quella specificamente teoretica), valutativa e pratica. Se ci atteniamo al significato più ricco di contenuto e per così dire elevato a potenza della parola logos, quello che indica la ragione e in modo peculiare la r a g i o n e s c i e n t i f i c a , con ciò resta anche circoscritto un am bito privilegiato di atto e di significato, tale che ad esso parti colarmente è riferita la scienza in quanto attività razionale. Il pensiero scientifico, l 'attività continuativa dello scienziato, è pensiero g i u d i c a n t e ; non pensiero che giudica in generale, ma un pensiero elaborato, ordinato, concatenato in certi modi e ciò secondo idee finalistiche della ragione. Le f o r m a z i o n i che ne derivano, che nella scienza sono espresse linguisticamente e affidate durevolmente ai documenti, posseggono - nel senso razionale specificamente teoretico - un nesso >, quello proprio della teoria e, a livello superiore, del >. Queste formazioni si costituiscono in forme determinate, come principi, teoremi, deduzioni, dimostrazioni, ecc. ; e considerate dal punto di vista del linguaggio, esse si costituiscono nelle espressioni composte di più membri, che, in u n ' u n i c a scienza, concorrono tutte all'unità di un discorso interiormente connesso mediante il senso razionale di tutti i significati. Grazie al documentarsi oggettivo di questa unità di signifi cato e alla sua riproducibilità per ciascuno, quelle forma- 24 zioni divengono un patrimonio comune dell'umanità. Cia scuna scienza nel suo lavoro teoretico ha in vista soltanto formazioni >, formazioni del logos teoretico. In questo senso è essa stessa una ►• Ma la logica nel senso corrente è la scienza di ciò che è logico in generale, prima di tutto nel senso di scienza delle formazioni logiche della ragione giudicante in generale ; _e _c!'_�l�ro lato è pure( J� ���_l!_Zll di _ _quest� �te!l!la r!lgioQeJ__=-:-_ _ d!]Qq_u� _ _geJlg_ sog-f getttyità giudica11te i !l generale, in __ quanto pr_odt1_ce quelle) . formazioni. Il linguaggio ha solo un posto secondario nella nostra trattazione, dipendente dal fatto che agli scopi primari 3. -
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della ragione teoretica, che stanno dal lato del significato, e consistono nel conseguire verità, si congiunge nella scienza uno scopo di tecnica conoscitiva, quello cioè di promuovere il lavoro del giudizio mediante un linguaggio scientifico appropriato. Ciò comporta altresì il problema di una docu mentazione quanto più possibile duratura dei risultati nel mondo oggettivo della cultura. Nelle nostre ulteriori considerazioni per il chiarimento sistematico dell'idea della logica, ci rivolgeremo esclusiva mente al lato del significato del discorso scientifico, dunque soltanto alla ragione giudicante medesima e alle sue for mazioni. Che lo scopo primario e proprio di chi conosce risieda in questa ragione giudicativa è testimoniato dal fatto che benché si presentino in primo luogo, nel campo della coscienza e nelle sue emergenze [ Abgehobenheiten] (nel cosiddetto campo visivo dell'attenzione) le formazioni enun ciative, lo sguardo tematico è sempre rivolto non verso i discorsi in quanto fenomeni sensibili, ma - > - verso ciò che è pensato. I discorsi non sono fini tematici, bensì indici tematici, che al di là di sé rin viano ai temi propriamente logici. Seguendo la sua tradizione storica, abbiamo assunto il concetto della logica come scienza del logos in un senso pregnante: come scienza del logos nella forma della scienza o come scienza delle parti essenziali che come tali costi tuiscono la scienza autentica. Ma noi avremmo potuto lasciare dapprima ·�n una più ampia generalità il concetto di una scienza del logos, intenderla cioè come scienza che studia in una generalità di principio il pensiero giudicante in generale e le sue formazioni ; compreso quindi il pensiero che giudica secondo ragione e le sue formazioni razionali (tra cui dunque anche quelle del grado sottoscientifico). Tuttavia poiché la ragione che giudica s c i e n t i f i c a m e n t e , al modo di un grado superiore, presuppone tutti i gradi inferiori di operazioni di pensiero, e li include in sé in una tematica concreta, nel nostro riferirci alla 25 scienza, cioè nella concezione della 1 o g i c a c o m e d o t t r i n a d e 1 1 a s c i e n z a , non è implicita alcuna limi-
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tazione, bensì soltanto una scelta a favore della direzione dello sguardo che punta verso la suprema idea finalistica della ragione che giudica. In quanto dottrina di principio� della scienza; la logica vuole mettere in luce g e n e r a l i t à , > , vuole, come già è stato detto nell'Introduzione, non già tener dietro empiricamente alle cosiddette scienze quali si offrono di fatto, alle forme culturali che di fatto hanno trovato realizzazione sotto questo nome, per astrarne i tipi empirici rispettivi ; ma al contrario, libera da ogni legame al fattuale, che le fornisce soltanto il punto di partenza per una critica esemplare, essa vuol portare a piena chiarezza le idee finalistiche che oscuramente ineri scono ad ogni effettuazione di un interesse puramente teoretico. Tenendo dietro continuamente alle pure possi bilità di una vita conoscitiva in generale, e alle formazioni conoscitive che vi si sono sviluppate in generale, essa vuole portare in luce in tutte le loro figure fondamentali le forme essenziali della vera conoscenza e vera scienza e i presup posti essenziali cui esse sono legate, le forme essenziali dei giusti metodi che guidano ad esse. Abbiamo parlato di conoscenza a u t e n t i c a , di scienza a u t e n t i c a e di metodo a u t e n t i c o . Le idee logiche sono in senso assoluto idee dell'>. L 'autentico è ciò cui tende in ultima analisi la ragione, persino nella sua forma decadente di non-ragione. Esso è ciò che vien > quando domina l 'oscurità e la confusione, e che viene invece conseguito nella chiarezza del fine e della via, e nelle forme essenziali che le appar tengono. § 6. Il carattere formale della logica. A priori formale e a priori contingente. La generalità di principio della logica non è soltanto generalità a priori o generalità essenziale, bensl generalità f o r m a 1 e . Non è formale soltanto l 'angusta disciplina, dai confini incerti, che porta per consuetudine il nome di
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logica formale, e che è legata ad un particolare concetto del formale, del quale dovremo occuparci a lungo ; è anche la logica in generale, nel suo senso univer sale (che soltanto come tale è propriamente filosofico) e in tutte le sue discipline. Potremmo anche dire : 1 a r a g i o n e m e d e s i m a e in particolare anche la ragione teoretica è u n c o n c e t t o f o r m a 1 e . A caratterizzare questo concetto generalissimo e alta mente significativo di forma, valga quanto segue. In certo senso, ogni conoscenza essenziale è una formazione della ragione > - p u r a d a o g n i e m p i r i a (ciò che d'altra parte indica __anche l'espressione . Essa possiede nell'eidos un nucleo concreto [sach haltig] che oltrepassa l 'ambito delle generalità che debbono dirsi > nel senso più radicale, e connette la proposizione al campo > dei suoni idealmente possibili. La r a i o n e > n o n è s o 1 t a n t o l su eriore ad o ni fattualità em irica b e n s ì a n c h e a d o n i s f e r a e i d e t i c a i l e t i e o - c o n c r e t a . Essa costituisce il titolo per il sistema in sé conchiuso di puri principi che precedono anche ogni a priori iletico-concreto ed ogni scienza che abbia in questo il suo oggetto ; e che d 'altra parte dominano quelle stesse scienze in quanto formazioni razionali - cioè in rapporto alla forma. Per renderci meglio comprensibile il concetto dell'a priori contingente, sarà sufficiente - nell'ambito di queste · ,nostre considerazioni anticipative - dire quanto segue : � una so ettività in enerale isolata o in comunicazione uò t. /essere pensata soltanto in una forma essenziale che noi ipossiamo raggiungere in un'evidenza progressiva nei suoi i molteplici contenuti in guanto noi esplicitiamo intuitt;a-
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mente la nostra propria soggettività concreta, e meqianldl una libera modificazione della sua realtà in possibilità ◄ una soggettività concreta in generale, rivolgiamo il Il.Q.5.!Io. � o su ciò che vi si lascia scorgere come invariabile, rd � � - ì "� su__ ci_ò che__ cl_µngue è per essenza necessario. Se in questa libera modificazione noi teniamo fermo da principio che la soggettività debba sempre essere e poter rimanere >, e in particolare nel senso del giudicare conoscitivo, ci imbattiamo in strutture essenziali vincolanti, che stanno sotto il titolo della pura ragione e in particolare della ragione pura del giudicare. Suo resu osto è anche u riferirsi permanente ed essenzialmente necessari�__a_ _qual sivoglia stato iletico, come fondamento appercettivo A.�l� esperienze possibili che debbono necessariamente _ esser� 1 presupposte al giudicare '· Se dunque determiniamo il con cetto della forma di principio attraverso gli stati essenzial mente necessari di una soggettività razionale in generale, il concetto di >, di cui è esempio ogni >, è un concetto formale e non - ciò che deve valere come suo opposto - un concetto contingente. D'altra parte, per una soggettività conoscitivo-giudicativa (e così pure per una soggettività razionale in genere) non 27 v'è alcuna esigenza essenziale che essa debba poter avere proprio sensazione di colori e suoni, sentimenti di questa o quella differenza e simili - benché anche tali concetti debbano configurarsi a priori (indipendentemente da ogni fattualità empirica). Anch'essi dunque hanno il loro a priori, ma si tratta di un a priori contingente e non di un a priori della ragione pura, o come anche potremmo affermare introducendo un'antica espressione, che urge oscuramente nella stessa direzione, non si tratta di un a priori >. Se ci limitiamo alla ragione giudicativa, essa, in quanto ragione pura, in quanto sistema di questo a p r i o r i d i p r i n c i p i o f o r m a I e, designa il tema più ampio e 4 Sul riferirsi di ogni giudizio all'esperienza, cfr. la seguente sez. I I , cap. IV, §§ 83-87. Per il concetto di cfr. anche le mie ldeen, pp. 171 sgg. [1 90 sgg.]
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pm alto che sia pensabile per la logica, per la >. L.\! logica, �tr.e.ro.Q_dir_e _p�ciò, èJ ' ,� y J o �
�: ?t��;�i��[=�����?t;i �:�fi{J?.7�
perfettamente in un sistema di principi... Con ciò la ragione pura, o la logica, è riferita a se stessa, l 'autoesplicazione della ragione pura è essa stessa attività razionale pura e sta appunto sotto i principi che in questa presa di coscienza trovano la loro esplicitazione. § 7. La funzione normativa e la funzione pratica della logica. È ben chiaro quale segnalata funzione normativa com peta alla logica. Ogni scienza a priori è chiamata a funzioni normative, in rapporto cioè alle scienze fattuali che le sono subordinate. Ma soltanto la logica è norma universale nel senso più alto e secondo la maggiore universalità pensabile. Essa funge da norma muovendo dai principi della ragione pura medesima, ed è di norma alla razionalità in quanto tale. Le nozioni formali che le appartengono devono ser vire a misurare fino a che punto una pretesa scienza sia conforme all'idea della scienza autentica, fino a che punto le sue conoscenze particolari siano conoscenze autentiche, i metodi, metodi autentici, tali cioè secondo la loro forma di principio da soddisfare alle norme generali ( dal punto di vista formale) della ragione pura. Con l 'assumere funzioni normative, la logica comincia anche a esercitare le funzioni connesse con la configura zione pratica della scienza, e può quindi venire introdotta una tecnologia logico-pratica, che si intrecci eventualmente ad elementi empirico-antropologici. In questo caso essa è ricondotta a se stessa, sia in quanto è scienza, sia per la sua funzione normativa. In primo luogo perché - come è 28 già stato detto - è scienza a priori della scienza in gene rale, e nello stesso tempo scienza essa stessa ; in secondo luogo perché nel progredire del suo lavoro pratico deve
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impiegare come norme i risultati acquisiti, ritornando even tualmente in qualità normativa su ciò che ha già trovato forma in una evidenza ingenua. La logica s i f a normativa, si fa pratica, può - nella corrispondente modificazione dell'atteggiamento - essere piegata a disciplina tecnologico-normativa. Ma in se stessa non è una disciplina normativa, bensl appunto scienza in un senso pregnante, quello di un puro esercizio teoretico della ragione - come ogni altra scienza. Le scienze a priori, dicevamo, f u n g o n o eo ipso costantemente in senso tecnologico-normativo, ma s o n o pur sempre scienze e non tecnologie. L 'atteggiamento del tecnologo (non del tecnico, ma di chi progetta una tecnologia) è essenzialmente diverso da quello dello scienziato. È un interesse pratico, e non teoretico, anche se si imbatte in problemi scientifici, che risolve nell'interesse tecnologico. La sua teorizzazione è qui mezzo per una prassi (extra-teoretica). E non costi tuisce una differenza essenziale il fatto che qui non si tratti di una singola prassi individuale, ma di un t i p o generale di prassi, che dev'essere generalmente esaminato, regolato e promosso all'interno della ragione pratica. Lo stesso vale per il semplice dare norme, preso in se stesso e indipendentemente dai problemi di una corrispondente riforma della prassi. Lo scopo è quello di giovare > in un certo modo a sé o agli altri, e non quello di soddisfare a interessi puramente teoretici. Certo questa distinzione torna ad essere relativa, dal momento che la pura attività teoretica è appunto attività, dunque, nell 'ampiezza naturale di questo concetto, una prassi, e come prassi, nella connessione universale delle attività pratiche in generale, sottostà alle regole formali della ragione pratica universale (i principi etici), regole con le quali una science pour science 6 sarà a stento compa tibile. Ma rimane allora la differenza essenziale che tutte le scienze sono subordinate all' i d e a di un interesse della 5
[Così nel testo.]
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rag10ne teoretica che si svolge all'infinito. Quest'idea è pensata in riferimento all 'idea di una comunità di ricer catori che procede nel suo lavoro all'infinito, comunità fondata sulle attività e le abitualità proprie della ragione teoretica. Basterà qui ricordare il lavoro che gli scienziati compiono, gli uni per gli altri e gli uni con gli altri, sot toponendo i propri risultati a una critica reciproca, e dove i risultati dell'uno sono assunti come lavori preparatori per quelli degli altri e cosi via. Ma una vita di individui singoli e di collettività, vissuta in conformità a questa idea, è compatibile per es. con la convinzione che tutti i risultati teoretici conseguiti in questo modo comune, e la stessa scienza infinita, rivestono per l 'umanità una funzione che supera l'ambito della teoresi ; così come anche per il sin golo l 'esercizio permanente di una professione scientifica, che ha sempre soltanto uno svolgimento temporaneo, si concilia con i suoi altri scopi extra-teoretici in quanto padre di famiglia, cittadino ecc., e deve trovare posto nella suprema idea pratica di una vita etica universale, quella individuale del singolo e quella della comunità aperta degli uomm1. § 8. Carattere bilaterale della logica ; la direzione soggettiva e quella oggettiva della sua tematica. La logica, come scienza di ciò che è logico in generale, e nella sua figura [Gestalt] superiore, che abbraccia tutte le altre forme di ciò che è logico, come scienza della scienza in generale, è rivolta i n d u e d i r e z i o n i . Si tratta in ogni caso di operazioni razionali, nel duplice senso delle a t t i v i t à e a b i t u a 1 i t à o p e r a n t i , e (d'altra parte) dei r i s u 1 t a t i che se ne sono ottenuti e che perdurano. In quest'ultimo senso sono dunque tema della logica i tipi molteplici di formazioni del giudizio e della cono scenza che risultano al conoscente nell 'effettuazione delle sue attività di pensiero, e precisamente nel modo particolare
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del >. Le diverse formazioni sono appunto ciò cui, chi pensa, tende come a un acquisto duraturo, e che gli deve servire nello stesso tempo come mezzo per conseguire altri di questi acquisti. Non soltanto di volta in volta qualcosa, in generale, si è effettuato, ma qualcosa si è effet tuato in quanto è stato preso di mira dall'azione cogita tiva ; chi pensa vi è r i v o 1 t o in un modo particolare, lo ha davanti >. Queste forma zioni oltrepassano certamente nelle loro forme di costru zione più elevata le rispettive sfere di presenza cosciente. Restano tuttavia come elementi costitutivi di un > molto esteso, tematicamente delimitato, di un ambito par ticolare di produzioni pratiche, con la possibilità di > sempre di nuovo, e mediante cui sempre di nuovo si possono produrre nuove formazioni, concetti, giudizi, deduzioni, prove, teorie. Nell' u n i t à d i u n a s c i e n z a , tutte queste formazioni e il campo complessivo dei risultati che sono emersi nell'unità di un interesse teoretico, s o n o c o n n e s s i n e 1 1 ' u n i t à t o t a 1 e d i u n a t e o r i a u n i v e r s a 1 e, la cui costituzione, che procede sistematicamente all'infinito, è lo scopo comu nitario degli scienziati che in una comunità aperta lavorano collettivamente e si aiutano reciprocamente. Mediante questa 30 costituzione ogni > scientifico deve essere condotto a c o n o s c e n z a sistematica in una unità totale di for mazioni conoscitive note come verità teoretiche che si costruiscono una sull 'altra nel senso della forma unitaria di un sistema di verità. Tutta questa sfera oggettiva non ha soltanto l'esistenza fuggevole di ciò che, come formazione attuale, si presenta e si dissolve nel campo tematico. Essa possiede anche il senso d'essere di qualcosa che è permanentemente valido, e persino validità oggettiva in un senso peculiare, che oltrepassa la soggettività attualmente conoscente ed i suoi atti. Essa rimane identica nella ripetizione, e si fa ricono scere nel modo di un essente che permane ; e nella forma del documento ha un'esistenza oggettiva appunto come le altre oggettualità del mondo della cultura: può perciò
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essere ricuperata da chiunque in una durata oggettiva, il suo senso identico può essere ricompreso, identificato inter soggettivamente ; essa esiste anche quando nessuno la pensa. La direzione opposta della tematica logica è quella s o g g e t t i v a . Essa si apre sulle forme soggettive pro fondamente nascoste in cui la > teoretica compie le sue operazioni. Il primo problema è qui la r a g i o n e n e 1 1 ' a t t u a 1 i t à, cioè I 'intenzionalità che trascorre nel compimento [ Vollzug] vivente e in cui quelle forma zioni oggettive hanno la loro >. In altre parole, il suo operare è caratterizzato dal fatto che nel campo tema tico del soggetto effettuante [vollziehend] ogni formazione, ogni oggettualità del giudizio e della conoscenza si presenta > col carattere di produzione. Mentre la intenzionalità corrispondente si sta compiendo, mentre scorre come vita che opera obbiettivando a questo modo, essa è >, essa r e n d e tematico, ma proprio perciò, ed essenzialmente, non è a sua volta tematica. Essa rimane nascosta, fintanto che non venga svelata per mezzo di una riflessione e con ciò stesso portata a tema, e a tema teoretico, nella ricerca logica rivolta soggettiva mente. Chi giudica nell'atteggiamento diretto e chi in qualsiasi modo pensa (p. es. chi produce forme concettuali di una qualsiasi struttura) ha innanzi a sé >, tematicamente, soltanto le rispettive formazioni. Ogni elemento logico oggettivo, per se stesso, ha il proprio correlato > nelle sue intenzionalità costituenti, e ad ogni forma delle formazioni corrisponde essenzial mente un sistema di intenzionalità operante, che deve essere indicato come forma soggettiva. Ma il problema si estende anche ad abbracciare l' o p e r a z i o n e s o g g e t t i v a p 1 u a m p i a, grazie alla quale ciò che è a t t u a 1 m e n t e costituito per i conoscenti sulla base della loro 3 1 abitualità, è più che questo elemento tematico momentaneo del presente attuale. Questa operazione fa sl che ciò che è costituito possa essere consaputo realmente c o m e e 1 e m e n t o o g g e t t i v o , come qualcosa di permanente mente valido per la soggettività, e che nella comunità
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conoscente - o per essa - assuma il senso di una ogget tività ideale > essente. Il carattere bilaterale di tutto ciò che appartiene alla logica presenta difficoltà affatto straordinarie per l'esplici tazione del senso esatto e della esatta formulazione dei gruppi di problemi che in conformità a tale carattere si suddividono e si reintrecciano. Si può dire che questo sia il motivo per cui la logica, dopo millenni, non è ancora giunta sulla strada sicura di uno sviluppo veramente razio nale, il motivo per cui essa non è divenuta una scienza - ciò che peraltro la sua specifica vocazione esigeva incon dizionatamente - una scienza cioè che penetrasse alla chiara coscienza dei suoi fini, e li realizzasse di grado in grado in un progresso sicuro. Quasi tutto ciò che concerne il senso fondamentale della logica, della sua problematica e del suo metodo, è affetto da incertezze che derivano da questa oscura origine, dal fatto che l'oggettività, come ope razione soggettiva, è rimasta oscura e non ha mai trovato· la giusta forma problematica. Perciò tutto viene dibattuto, ma nel dibattito non viene mai chiarito nulla. La stessa oggettività ideale delle formazioni logiche, e il carattere a priori delle dottrine logiche che la riguardano specifica mente, quindi anche il senso di questo a priori, è coinvolto appunto in questa oscurità, dal momento che l'idealità [das Ideale] appare inserita nella sfera soggettiva, e sorge come sua formazione. Ciò che abbiamo detto fin qui sulla logica, è stato detto quindi in un fuggevole sguardo d'insieme e in un'evi denza [Einsicht] che può confermarsi solo per mezzo di esplicitazioni più concrete e, nella misura in cui ciò sia utile, per mezzo di un confronto con le motivazioni storiche e con le interpretazioni della logica che ne derivano. § 9. La tematica diretta delle scienze > o ►. L'idea di scienze bilaterali.
La bilateralità che compete a tutto ciò che è logico non significa - come risulta già dalle nostre prime spie-
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gazioni - una e q u i p a r a z i o n e d i a m b e d u e i l a t i , quello oggettivo e quello soggettivo. Se ci affidiamo schiettamente alle cose, pensare significa creare un campo tematico coerente in cui si trovano esclusivamente le varie formazioni del pensiero. Su di esse si rivolge la considera zione di chi pensa ; esse sono risultati del pensiero e in sieme basi per nuove attività speculative. Lo stesso pensiero, 3 2 inteso concretamente come quell'intenzionalità in atto (in dipendentemente da come si sia effettuata), nella cui > si costituiscono le formazioni del pensiero come >, richiede soltanto che si proceda al suo svelamento, ciò che potrebbe realizzarsi in una nuova atti vità di pensiero. Il pensiero degli scienziati - sia attuale o abituale, soggettivo-individuale o intersoggettivo - è pensiero coe rente. Questa coerenza si costituisce nell 'unità di un inte resse teoretico, ovvero attraverso l'unità dell'ambito scien .t ifico che deve essere esplorato e conosciuto in modo con seguente. I risultati del giudizio e della conoscenza che per questo ambito si sviluppano nel pensiero scientifico configurano un t e r r e n o t e m a t i c o p e r s é s t a n t e aperto e infinito, l'unità, sempre in via di costruirsi, della s c i e n z a c o m e t e o r i a , una molteplicità di temi collegati che s 'intrecciano tematicamente l'uno con l 'altro. Questo terreno viene o l t r e p a s s a t o mediante ri flessioni rivolte soggettivamente. In generale dunque lo scienziato, data l 'esclusività del suo interesse teoretico per il suo ambito particolare, non introdurrà alcuna tematica soggettiva nella sua ricerca. Cosl p. es. il geometra non penserà a studiare - accanto allo studio delle forme geo metriche - anche il pensiero geometrico. Può accadere che occasionalmente possano riuscire utili o anche neces sari dei passaggi all'atteggiamento soggettivo ai fini della stessa considerazione particolare che si rivolge alla teoria dell'ambito determinato ; come in altre attività che spaziano largamente, così anche in quelle teoretiche può nascere la necessità di chiedersi, in un'assunzione riflessiva di co-
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scienza, >. Ma il soggettivo che entra qui in con siderazione non fa parte di ciò su cui punta la scienza, del suo tema vero e proprio, che abbraccia in sé, come teoria universale, tutti i temi particolari. Lo stesso vale per il vario comparire del soggetto e degli atti soggettivi nel discorso scientifico: l 'elemento soggettivo del pensiero e il soggetto pensante medesimo non divengono essi stessi tema ; non vengono introdotti nei rispettivi campi scienti fici e nella loro teoria. Così in tutte le s c i e n z e > o > alle quali soltanto, di regola, si pensa quando si parla semplicemente di scienze. Ciò si spiega col fatto che l'idea di s c i e n z e a v e n t i u n a t e m a t i c a c o n s e g u e n t e m e n t e b i l a t e r a l e, una tematica che leghi in modo conseguente la teoria del campo scientifico con una teoria della conoscenza di questa teoria, si è fatta strada solo nell'età moderna e per di più in modo così oscuro da dover ancora lottare per far rico noscere il suo proprio senso e il suo diritto. Le scienze positive si esercitano esclusivamente sul 33 p i a n o d e 1 1 a t e o r i a , la quale deve essere elaborata in modo diretto nella direzione tematica rivolta al campo conoscitivo ; si esercitano dunque nell'elaborazione cate goriale ininterrotta delle oggettualità sperimentali del campo, assunte dal pensiero determinativo, e nel collegamento si stematico delle forme cosi ottenute nel senso di formazioni conoscitive di grado sempre superiore, verso una costru zione aperta, infinita eppure sistematicamente unitaria della teoria scientifica del campo. Questo piano teorico delimita la tematica scientifica, tanto che le scienze positive si industriano consapevolmente di afferrare in modo ancor più stretto il concetto dell 'og gettività teorica, in modo cioè da escludere ancora come soltanto soggettivo molto di ciò che si presenta nell'espe rienza e nel pensiero prescientifico come tema oggettivo: co me fanno le scienze naturali con le >. Il soggetto singolo esperiente ha dinanzi a sé l 'oggetto natu rale come qualcosa di qualificato sensibilmente, ma appunto
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come oggetto, come essente in sé e per sé, non coinvolto in questo suo essere dagli atti (che devono essere colti riflessivamente) dell'esperire e del pensiero esperiente, non determinato né determinabile mediante i loro contenuti. Pure, nell'appropriazione intersoggettiva dell 'esperienza e del pensiero, si rivela una dipendenza dei contenuti del l 'oggettività sensibilmente esperita, e dei concetti descrit tivi che a quei contenuti si commisurano, dai soggetti esperienti ; mentre per altro l'identità dei vari oggetti rimane riconoscibile e determinabile intersoggettivamente. Una scienza puramente oggettiva vuol conoscere teoricamente gli oggetti non in quelle determinazioni soggettivo-relative in cui si lasciano attingere dall'esperienza sensibile diretta, ma anzi nelle determinazioni oggettive in senso stretto e puro, determinazioni che valgono sempre e per chiunque, tali cioè che in esse si svolgono verità teoriche procedenti da metodi utilizzabili da ciascuno, e che hanno il carattere di > - in contrapposizione alle verità solo soggettivo-relative. § 10. La psicologia tradizionale [historisch] e la tematica scientifica rivolta in senso soggettivo.
Se dunque, secondo quanto si è detto, le scienze positive si isolano da tutto quanto appartiene alla mera soggettività dell'esperire e del pensare le cose, per soddisfare all'idea del puro oggetto come tema esclusivo, d 'altra parte si fa avanti tra di esse una specifica scienza positiva dei soggetti, 34 la scienza degli uomini e degli animali - la p s i c o l o g i a - che assume in essi come suo tema centrale l'ele mento psichico, cioè quello specificamente soggettivo. Se questa psicologia fosse veramente la scienza di tutto ciò che è soggettivo, essa si troverebbe in uno straordinario rapporto di correlazione con tutte le scienze : giacché tutte sono configurazioni soggettive, tutte derivano la loro te matica oggettiva da operazioni nascoste. Già i loro campi oggettuali si presentano ai ricercatori, in una fase pre teoretica, a partire da fonti soggettive, quelle dell'esperienza
Considerazioni preliminari. § 10
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concordante pre-offerente ; come unità d'esperienza e come esperibilità, esse muovono l'interesse teoretico e assumono forme categoriali, tra cui quelle della verità scientifica in un'evidenza scientifica. La scienza universale del sogget tivo abbraccerebbe perciò ogni essere [Seiende] pensabile appunto nella sua qualità di essere esperibile e di essere teoreticamente vero. Sarebbe scienza della soggettività uni versale, in cui tutto ciò che è verità riceverebbe il senso dell'essere vero a partire da una vita reale e possibile, con le possibilità dell'esperienza e della teoria che vi si abboz zano. Per ciascuna scienza, in quanto operazione divenuta e diveniente, essa sarebbe appunto la scienza correlativa di questa operazione. Poiché questa psicologia sarebbe essa stessa scienza, sarebbe rivolta riflessivamente su se stessa ; come scienza di tutto il soggettivo, essa sarebbe anche scienza di quel soggettivo dalle cui sorgenti scaturiscono le sue operazioni. E ciò si ripeterebbe in essa in un'infinità di gradi. È chiaro che nessuna delle psicologie che la storia antica e moderna ci offre è stata mai all'altezza di questa universalità, che anzi nessuna l 'ha mai meditata veramente a fondo neppure come problema. È indubbio che un'Antro pologia e una Zoologia, di cui fanno parte una Psicologia e Psicofisica degli uomini e degli animali, hanno un loro senso valido. Fino a che punto però esse siano abilitate a quei compiti universali di correlazione per rapporto a tutte le scienze e a tutto ciò che per noi ha un essere, questo si può definire il grande enigma dell'età moderna, con tutte le sue filosofie trascendentali, critiche della cono scenza, teorie del conoscere, dottrine dell'intelletto e della ragione - o quali altri siano i nomi scelti a designarle tutte impegnate a tentare sempre di nuovo di aprirsi un varco. Noi dovremo portare chiarimenti più precisi a questo riguardo, muovendo dalle nostre ricerche di struttura sul l'idea della logica •. Al punto in cui siamo ci è data sol• Cfr. sez. Il, § 79.
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tanto la netta illuminazione del contrasto tra la tematica > delle scienze positive, che è determinata da un qualunque campo oggettuale anticipato dall 'esperienza (in tersoggettiva), al quale essa si dà in un interesse esclusivo, e - d'altro lato - la tematica riflessiva (che era stata appunto esclusa dalla precedente considerazione, ma che ora si rivela possibile) in rapporto cioè alla soggettività esperiente, conoscente e operante. § 11. Le tendenze tematiche della logica tradizionale.
a) L'originario orientamento della logica verso le formazioni teoriche oggettive del pensiero.
Passiamo ora dalla considerazione delle scienze alla 1 o g i c a , la quale in quanto dottrina della scienza s1 e orientata verso l'esempio delle scienze e domandiamoci come i rapporti essenziali descritti tra l'oggettivo e il soggettivo si presentano nella sua formazione storica. Naturalmente fin dai suoi inizi e fino ai nostri stessi giorni la logica non aveva davanti agli occhi, come sua guida, altre scienze che scienze oggettive, >, benché in gradi di sviluppo assai differenti. Perciò essa non poteva trovare come suo p r i m o t e m a u n i v e r s a 1 e nient'altro che il t e r r i t o r i o d e 1 1 e f o r m a z i o n i t e m a t i c h e del pensiero scientifico in riferimento ai diversi campi oggettivi, comunque le fossero anticipati ; nient'altro dunque che giudizi, col loro annesso di >, deduzioni, prove, teorie conchiuse, con le relative modalità e le distinzioni normative del vero e del falso. Il primo compito che si imponeva era quindi di studiare tutte queste formazioni di sapere, reali e pretese, secondo la loro tipicità formale e le condizioni di verità possibile che vi erano intrecciate. D 'altra parte è il fatto stesso di essere rivolto natural mente, in modo preponderante, verso un interesse cono scitivo di tipo pratico che orienta il logico appunto verso l'espressione razionale degli sforzi e delle operazioni cono-
Considerazioni preli minari . § 11
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scitive. Ma con ciò il logico non ha ottenuto assolutamente un approfondimento e una chiarificazione dell'intenzionalità costitutiva che agisce nascostamente in chi è occupato nelle operazioni conoscitive ; egli ha ottenuto soltanto ciò che si manifesta e in certo modo si rileva nel campo stesso della coscienza - in questa come in ogni mira e azione volon taria, insieme alla posizione dei fini e al realizzarsi dei risultati - sotto il titolo: >. E qui, come ovunque, ciò che propriamente resta da descrivere sono le formazioni nei loro contenuti polimorfi, nelle loro articolazioni e nei loro gradi intermedi, in luogo dell 'uni- 36 forme e sempre identico >. Cercheremo di approfondire ulteriormente questo punto importante. Rivolgiamoci qui dapprima alla distinzione es senziale che segue. Le formazioni teoretiche non si pre sentano come gli atti dell'io, che trascorrono e che possono soltanto essere ripetuti, bensì come o g g e t t i , e ciò significa come oggettualità per così dire afferrabili, suscet tibili d'essere esaminate, sempre nuovamente identificabili e accessibili all'esame ripetuto, all 'analisi, alla descrizione, in modo non molto diverso da quelle dell 'esperienza esterna. Soltanto che esse, a differenza da quest 'ultime, non sono dati anticipati passivamente ma, in quanto oggetti catego riali, si danno solo mediante l 'azione teoretica '· Hanno quindi anch'esse una loro sussistenza, che si costruisce dapprima come semplice evento, ma poi diviene identifi cabile nella ripetizione dell'attività. Così tali oggettualità devono essere raccolte come risultato da ogni effettuazione propria di giudizio a tutti i livelli di complicazione, ovvero da ogni effettuazione altrui che ci avvenga di ripercorrere - da ogni giudicare reale o pensato, rispettivamente cioè come giudizi realmente > o possibili. Come in qualsiasi esperire ci sono dati gli oggetti empirici, così • Cfr. a questo proposito la sez. II, § 46. 4. -
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nella > sono date in modo origina riamente intuitivo, evidente, le formazioni categoriali, inten dendo qui l 'espressione in senso ampio. E vedremo ancora come qui diverse oggettualità in diverse direzioni dello sguardo possano - e debbano, per il logico - diventare identificabili, ed esperibili nelle evidenze corrispondenti. Così il logico aveva oggetti permanenti come substrati esemplari per > ; si presentava quindi la possi bilità di quelle > mediante cui si sviluppano i concetti delle > logico-analitiche. E quindi queste forme erano a loro volta qualcosa di altret tanto solido e permanente, che poteva essere descritto se condo i suoi elementi formali elementari, ma poteva anche essere considerato da punti di vista operativi. Si presenta vano, come libere possibilità, modi di modificazione for male costruttiva, di connessione formale in una ripetibilità iterativa, modi mediante cui si potevano produrre forme sempre nuove a partire da quelle già date: come nel caso della formazione [Bildung] combinatoria di forme di giu dizio complesse a partire da più semplici, o della libera formazione di forme consequenziali a partire da forme del giudizio. Così, nella generalità formale, venivano prospet37 tate in forma di abbozzo le possibilità pensabili, per le forme di giudizi e conoscenze, da attuarsi concretamente in tutti i campi conoscitivi pensabili. Dunque, come si vede bene, già ai suoi inizi la logica era vincolata in maniera preponderante, nelle sue prese di coscienza sul sapere e sulla scienza, dalle forme teoriche oggettive : benché allora e ancora per molto tempo non si pensasse a delimitare coscientemente e espressamente il tema alle pure conformazioni di giudizio e di conoscenza, che pure costituivano il terreno autentico del lavoro logico. Ma una volta dati questi inizi, la stessa interna conse quenzialità delle cose produsse il seguito. Né qui va diver samente, per l'essenziale, che nei campi di ricerca che derivano da qualsiasi tipo di esperienza. Una volta che l'interesse teoretico sia stato fissato sui dati dell'esperienza in qualsiasi sfera, si svolge poi in modo conseguente. Le
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datità logiche erano appunto (sottolineiamo di nuovo) nel loro tipo a n c h e datità d 'esperienza, oggetti identificabili e tematizzabili [betrachtbar ], convenga o no in questo caso parlare di esperienza, e quand'anche non ci si fosse mai resi ben conto dell'analogia essenziale tra il loro modo originario di datità e quello dell'esperienza gene rale. E questa > (con le sue modificazioni in quanto (( ricordo>>, esperienza > ecc.) funge come ogni altra di base per la formazione di concetti descrittivi e l'attuazione delle conoscenze descrittive, tra le quali particolarmente le conoscenze essenziali. b) L'orientamento della logica verso la verità e la riflessione soggettiva sul/' evidenza [Einsicht], riflessione condizionata da tale orientamento.
L'orientamento della logica non era rivolto a giudizi in generale, al sapere presunto, ma anzi - in senso ultimo al sapere a u t e n t i c o e alle sue forme tipiche. La prima e inevitabile conseguenza di ciò fu quello che si può dire c o n v e r s i o n e s o g g e t t i v a . Ci si diceva : il sapere autentico, la verità, sono afferrati nelle attività della (( r a g i o n e>>, nell' e v i d e n z a i n t e 1 1 e t t i v a [Einsicht] che, una volta ottenuta, può essere ripetuta, e può esserlo da parte di ogni altro essere razionale, e per mane come un possesso spirituale. Proposizioni che riescono immediatamente evidenti conducono, mediante deduzioni evidenti elementari, a proposizioni che divengono a questo punto evidenti in quanto verità conseguenti. Una teoria deduttiva autentica è una connessione di avanzamenti ele mentari, costruita muovendo da chiari avanzamenti del1' e v i d e n z a i n t e 1 1 e t t i v a , cosi da stabilire un'uni tà della verità. Lo stesso dicasi per le deduzioni (( concrete>> a partire da premesse non evidenti con il loro valore cono- 38 scitivo ipotetico. Risulta qui evidente (( l'esser-incluso-come conseguenza>> dei giudizi deduttivi nelle premesse, ed è insieme evidente che le conseguenze dovrebbero divenire
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verità q u a 1 o r a le premesse si presentassero come verità nell'evidenza riempita. Cosicché non viene mai a far parte della scienza autentica dal lato oggettivo alcuna proposi zione o nesso di proposizioni che non abbia ottenuto sulla base di evidenze riempite il suo >, il ca rattere della sua validità come verità, come conseguenza ipotetica ecc. In riflessioni di questo genere che evidentemente deter minano originariamente la logica nei suoi inizi, è inevita bile che il discorso tocchi in modo costante il s o g g e t t i v o , innanzi tutto la r a g i o n e e l ' e v i d e n z a [Einsicht] : espressione con cui del resto nell'uso linguistico è anche intesa l 'intuibilità permanente, che pure è otte nuta originariamente mediante l 'intuire attualmente agente. Ma per quanto questo discorso soggettivo presupponga un rivolgersi dello sguardo sullo psichico, pure tutto ciò che nella scienza viene assodato come r i s u l t a t o , viene deposto su un piano puramente oggettivo ; e cosi anche ciò che il logico in quelle riflessioni intende presentare come tematico e trattare come teoria della teoria, è sol tanto ciò che è logico su un piano oggettivo. Si deve osservare qui particolarmente che il > , il > , il > c h e è o t t e n u t o n e 1 1 ' e v i d e n z a inter viene c o m e c a r a t t e r e e p r e d i c a t o n e 1 1 e s t e s s e f o r m a z i o n i d e l g i u d i z i o , e dunque nel piano oggettivo, e con ciò si fa tema delle teorie formali che devono essere trattate da una logica pura dei significati. Tutto ciò che è > in senso pregnante, ciò che è >, possiede questi caratteri come obiettivi in sé, e la logica deve richiamarli espressamente ed esaminarli secondo le condizioni della loro appartenenza legittima. Di verità si parla in senso oggettivo, mentre l 'evidenza, la ragione, rappresentano il discorso soggettivo e correlativo al precedente. Così per ogni modo particolare di predicati di validità. Ogni enunciato scientifico unitario e in sé con chiuso, presentato in modo diretto, ha o pretende di avere questo predicato di verità attinto all'evidenza. Nelle scienze
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non viene espresso in quanto ovvio e inutile, e noioso se ripetuto, salvo p. es. che non ci si riferisca al precedente dubbio o discussione. Ma nella logica questo (nel suo rife rirsi alle pure forme di giudizio) è appunto l'elemento tematico principale. Del resto la riflessione frequente sul fare soggettivo è comune alle scienze e ai vari campi di attività tecnica. Nel senso delle stesse formazioni del pensiero, in quanto originate da atti cogitativi, è implicito il riferimento agli atti corrispondenti nel loro ordine e nel loro nesso. È così 39 possibile descrivere le formazioni anche a partire dall'agente e dal suo fare. Invece di dire p. es. a - b + b = a, si può dire : si sottragga b da a e poi si aggiunga ancora b, e così via ; oppure invece di dire che dalle premesse M ed N segue Q, si dice che dai giudizi M ed N si deve çon cludere Q. Ma con ciò non si è ottenuto niente di essenziale ; ci si è riferiti al ritmo più o meno complesso degli atti dell'io (dei passi compiuti dall'ego cogito), ma per questi stessi atti non è stata effettuata propriamente alcuna descri zione. Contare è produrre numeri, sottrarre è ottenere differenze, moltiplicare è ottenere prodotti e cosi via. Si hanno presenti i risultati di tutte queste operazioni, ciò a cui si tende e ciò che si ottiene, e in ciò sta il vero nucleo, ciò che si lascia veramente afferrare, mentre il vuoto >, > non significa altro che lasciar scor rere nel loro divenire la protensione e i risultati. Ciò natu ralmente non deve significare che non si diano analisi o descrizioni soggettive, bensi soltanto che al di là dei pro dotti e del loro trascorrere soggettivo nel modo di una graduale realizzazione, deve essere studiata una soggetti vità intenzionale in cui si costituiscono come unità sintetiche i prodotti ancora in fieri e quelli già ottenuti - una sog gettività che non viene ancora dischiusa dal semplice rivol gersi all'>.
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c) Risultato: carattere ibrido della logica tradizionale come
disciplina teoretica e insieme pratico-normativa.
Dopo quanto precede, comprendiamo perché la logica, nel suo sviluppo complessivo fino all'età più recente (fin tantoché cioè non fecero radicalmente presa su di essa i motivi della filosofi.a trascendentale) doveva avere la sua sfera tematica essenziale nel terreno della teoria, in quello delle molteplici formazioni del giudizio e della conoscenza, e perché la tematica delle attività soggettive di pensiero, che pure esteriormente era cosi in rilievo, mantenesse pur sempre un carattere affatto secondario. Ma non dovremmo neppure trascurare quanto segue. Nel descrivere le tendenze tematiche della logica tradizio nale, come esse venivano motivate dal fatto che quella logica era guidata dalle scienze positive, ci è stato neces sario articolare, nelle nostre riflessioni, le connessioni inten zionali in un modo cosi consapevole e deciso quale era ancora estraneo alla stessa logica (e ai logici che la trat tavano). Ciò su cui noi avevamo preferito rivolgere lo sguardo, cioè la oggettività delle formazioni teoriche come 40 dati di una > peculiare (di quella >, come noi l'avevamo chiamata) - è cosa che, nella tradi zione, non è stata assolutamente acquisita e ancor oggi deve lottare per il proprio diritto. Non ci si dovrebbe sottrarre ali 'imprescindibile ampliamento del concetto di oggetto, nel senso che ad esso vanno subordinati non sol tanto gli oggetti reali, ma anche quelli irreali (>) ; e a ciò corrisponde l'ampliamento del concetto dell'espe rienza, il quale proprio in tale ampliamento tien fermo proprio l'elemento essenziale del coglimento della cosa stessa (possesso della cosa stessa, suo darsi) 8 • L 'atteggiamento dei logici, orientato naturalmente di preferenza in senso normativo e tecnico-conoscitivo, sospin geva in primo piano - dicevamo sopra - il pensiero 8 Cfr. sotto, sez. II, cap. I, §§ 57-59 ; per l 'introduzione del con cetto di intuizione categoriale, cfr. Log. Unters., II, 2, pp. 142 e sg.
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come fare spirituale, e quindi lo psichico reale, in cui interviene anche l'irreale, la formazione ideale di pensiero. Questo fare, ovvero il soggetto psichico in quanto specu lativamente attivo, doveva esser reso soggetto a regole. L'interesse normativo che si faceva strada tendeva, come è comprensibile, a n a s c o n d e r e I ' o g g e t t i v i t à i d e a I e d e I I e f o r m a z i o n i s t e s s e e, simil mente, a non far strada a una consapevole tematica teorica che si riferisse p u r a m e n t e a quell'oggettività. E ciò, nonostante che il lavoro del logico avesse continuamente a che fare - come si è visto - con queste formazioni ideali, le identificasse, le portasse a concetti formali, ecc. Esse non venivano svincolate tematicamente dalla sfera del soggettivo. Si fanno avanti qui - e dovremo ancora ritor nare su questo punto - anche effettive difficoltà, giacché non si tratta qui di produzioni esterne, ma di qualcosa che si è prodotto all'interno della stessa sfera psichica. A noi tuttavia interessa qui soltanto di comprendere, mediante il dispiegamento dell'intenzionalità la più origi naria, che è determinante per il senso della logica, il carat tere essenziale della logica tradizionale. In breve, era bene che fosse inteso innanzitutto il suo carattere ibrido come disciplina teoretica e pratico-normativa, e che fosse inteso quindi anche il carattere ibrido che ne derivava alla sua tematica, che era per un verso la tematica dei significati ideali ( delle formazioni categoriali) e per l'altro la tematica delle azioni speculative e del loro insieme di regole nor mative. Oltre a ciò tuttavia bisognava intendere che quanto poteva essere teoreticamente afferrato in questa forma ibrida, e costituiva il punto nodale, l'elemento ricuperabile (benché mai colto nella sua purezza) nelle teorie sillogistiche tradizionali, non era essenzialmente null'altro che t e o r i a d e 1 1 a t e o r i a , teoria dunque delle f o r m a z i o n i d e I g i u d i z i o e d e 1 1 a c o n o s c e n z a del ter reno obbiettivo-ideale. Ciò che sopravanzava questo ter reno, nei discorsi e nei pensieri rivolti in senso soggettivo, non arrecava, come abbiamo mostrato, alcun contenuto 41 essenzialmente nuovo, bensl comportava soltanto ovvii rivol-
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gimenti soggettivi. Solo molto tardi - con il farsi avanti della filosofia trascendentale, psicologistica o antipsicologi stica - vi si collegarono delle ricerche soggettive realmente nuove e ricche di contenuto, sulle quali tuttavia non in fluiva una buona stella, e che in ogni caso sono ancora impegnate a lottare per il loro giusto senso. Noi le ab biamo lasciate e anche per ora le lasceremo in disparte e, guidati dalla nostra intuizione, che s'è prodotta spontanea mente, sulla tematica puramente oggettiva della logica, e prima di tutto in connessione con l'originaria apofantica logica, indaghiamo l e s t r u t t u r e e s s e n z i a l i d i u n a l o g i c a a p o f a n t i c a o g g e t t i v a , di una logica ►, >, e quindi i problemi concer nenti la sua delimitazione essenziale. In quest'ultimo senso, ci connetteremo con le discipline matematiche moderne, che vanno altresì designate come ► e ►, e rivolgeremo la nostra attenzione sugli oscuri problemi del rapporto tra le idee di ontologia formale e di apofantica formale.
SEZIONE PRIMA
LE STRUTTURE E L'A MBITO DELLA LOGICA FORMALE OGGETTIVA
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A. LA VIA CHE CONDUCE DALLA LOGICA TRADIZIONALE ALL'IDEA PIENA DELLA LOGICA FORMALE Capitolo pri1TI() LA LOGICA FORMALE COME ANALITICA APOFANTICA
§ 12. La scoperta dell'idea della forma pura del giudizio.
Tenendo presenti le nostre considerazioni generali si comprenderà subito che l'analitica aristotelica si sviluppò come un primo frammento storico di una logica svolta in modo sistematico, come un primo sforzo nel senso di una logica delle formazioni teoretiche. All'interno di questo atteggiamento tematico stava una l o g i c a > i n u n s e n s o p a r t i c o l a r e , anche se in quanto tale non raggiungeva la piena purezza ed ampiezza che le competevano essenzialmente. A uno sguardo panoramico sopra i vari giudizi concretamente determinati, quelli che si effettuano nella vita e quelli propri della scienza, si fece subito avanti la tipica più generale del giudizio, le unifor mità di giudizi appartenenti ad ambiti anche eterogenei. A r i s t o t e l e fu il primo che mise in luce quell'idea di forma che era destinata a determinare il senso fondamen tale di una >, come la intendiamo oggi e come già L e i b n i z la intese nella sua sintesi di logica formale (intesa come apofantica) e di analisi formale, sin tesi che doveva dar luogo all'unità di una mathesis univer salis. Aristotele fu il primo - possiamo affermare - che realizzò nella sfera a p o f a n t i c a - quella cioè delle
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enunciazioni assertive (>, nel senso logico tradizio nale) quella > o algebrizzazione che nel l 'algebra moderna si fa strada con V i è t e e che separa da allora in poi l '> formale dalle altre discipline matematiche materiali (geometria, meccanica ecc.). Nelle enunciazioni esemplificative, determinate contenutistica mente, Aristotele sostituì con caratteri algebrici le parole (termini) in cui il contenuto [das Sachliche] si annuncia, ciò cui ci si riferisce nelle enunciazioni, ciò che determina 43 i giudizi in quanto concernenti questo o quell'ambito di contenuti, questi o quei contenuti singoli. Il senso di ciò stava nel fatto di sostituire nei giudizi ogni ' nucleo ' di contenuto mediante il momento ' qualcosa _ a _J!iacere ', mentre gli __ altri __momenti __ di giudizio restavano _fissi . come m_om�nti-9çlil!_JQrma, _tali cio� da_ p�rI11a11er.!! i_d�p.Jic:i_ nel mutare a_Qiacere _ dei_ riferimenti a_ contenuti ovvero dei gi_udizi _ di _sfere diverse _ di_ contenuto. Insieme con questa concezione dei nuclei di contenuto come cose indeterminate prese a piacere, o, nell'uso linguistico, come termini inde terminati, come S, p, e simili, il giudizio determinato a fine di esempio si trasforma nell'idea generale e pura della forma, nel concetto puro di un giudizio in generale, secondo la forma determinata del giudizio >, o la forma > e simili 1 • D 'altra parte la variabilità dei termini e con ciò anche la purezza dell'idea della forma ha in Aristotele il suo limite nel fatto che egli fin dall 'inizio riferisce la sua analitica al mondo reale, e con ciò non ne esclude ancora le categorie della realtà. Per i moderni è soltanto con l 'algebra che si effettua il passo avanti verso una pura logica formale, per quanto il Medioevo, nello scritto attribuito a Duns Scoto De modis significandi sembri aver già raggiunta l'idea del Formale puro 2 certo senza andare fino in fondo a ..questa intuizione. Cfr. l'Appendice I. Cfr. M. HEIDEGGER, Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus [La dottrina delle categorie e dei significati di D. S.), partic. 1
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Sezione prima, A., Capitolo primo. § 13
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§ 13. La morfologia pura dei giudizi come prima disciplina logico-formale.
a) L'idea della morfologia.
La possibilità di sottoporre tutti i giudizi ai puri con cetti della forma [der Gestalt oder Form] comportò imme diatamente l'idea di una classificazione descrittiva dei giu dizi condotta esclusivamente sotto questo punto di vista della forma, a prescindere dunque da ogni altra distinzione o problema, del genere di quelli concernenti la verità o la non-contraddittorietà. Vennero cosi distinti, secondo la forma, giudizi semplici e giudizi composti, e tra i sem- 44 plici le forme del giudizio singolare, particolare, universale ; si passò alle forme complesse del giudizio congiuntivo, disgiuntivo, ipotetico e causale, cui appartenevano anche i complessi di giudizi che portano il nome di deduzioni. Si presero in considerazione anche le modalizzazioni dei giudizi come certezze, e le forme di giudizio che ne derivano. Una conseguente, lucida attuazione sistematica di tale descrizione avrebbe consentito a una disciplina particolare di differenziarsi nettamente: a quella disciplina che è stata definita per la prima volta nelle Ricerche logiche, e designata come M o r f o l o g i a p u r a d e i s i g n i f i c a t i ( o g r a m m a t i c a l o g i c a p u r a ). Questa morfologia pura dei giudizi è la disciplina logico-formale in sé prim� che è già in germe nell'antica analitica, senza per altro _pervenire ancora alla propria attuazione. Secondo la nostra trattazione, suo oggetto è la m e r a p o s s i b i 1 i t à d e i a p. 34. Inoltre: M. GRABMANN, Die Entwicklung der m ittelalterlichen Sprachlogik ( Tractatus de modis significandi) [Lo sviluppo della logica del linguaggio nel Medioevo] , in « Philosophisches Jahrbuch der Géirres gesellschaft •>, 1922, pp. 121 sgg., 1 99 sgg. - Lo stesso lavoro, ampliato e rielaborato, è apparso in: Mittelalterliches Geistesleben. Abhandlung zur Geschichte der Scholastik und Mystik, Miinchen 1926 , pp. 104-46. Sulla Grammatica speculativa, finora ritenuta di Duns Scoto, come opera di Tommaso da Erfurt, cfr. partic. pp. 1 18-25.
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g i u d i z i i n q u a n t o g i u d i z i , senza porre il pro blema se siano veri o falsi, e senza domandarci se anche semplicemente come giudizi siano compatibili o contrad dittori •.
b) La generalità della forma del giudizio; le forme fondamen tali e le loro variazioni.
Per afferrare l'idea di questa pura morfologia, ci si sarebbe dovuto render chiaro che sul piano di una classifi cazione di giudizi possibili in generale che si riferisca alla loro forma, si fanno avanti delle >, ovvero un sistema chiuso di forme fondamentali, a partire dalle quali possono essere prodotte per costruzione (grazie a una legalità essenziale loro propria) forme sempre nuove e sempre più largamente differenziate, e infine il sistema di tutte le forme pensabili di giudizio in generale, nel l 'infinità delle loro figure differenziate e differenziantisi sempre di nuovo. Stranamente, tutto questo non venne mai notato, e neppure il compito logico fondamentale che ne risultava. Per esprimerci più precisamente, ci si sarebbe dovuto rendere chiaro che ogni forma di giudizio, comunque attinta, è una generalità di specie non soltanto in rapporto a giu dizi determinati possibili, bensì anche in rapporto alle forme pure che le devono essere subordinate. Così p. es. alla forma S è p è subordinata la forma Sp è q, e a questa è a sua volta subordinata la forma ( Sp) q è r. Ma ogni forma di giudizio porta anche con sé una generalità di un 45 senso affatto diverso, in quanto cioè essa racchiude in sé una molteplicità di forme possibili come sue > ; p. es. la forma S è p, le variazioni >, >, e cosi via, le quali possono presentarsi come parti costitutive delle forme di giudizio prese come totalità. E lo stesso vale assolutamente per qualsiasi forma. Si sarebbe 1 Per la fondazione particolareggiata dell'idea di questa f gramma tica logica pura �, cfr. Log. Unters., II, 1 , sez. IV.
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dovuto osservare espressamente che le forme che soggiac ciono in questo modo, come differenze, ad una forma ge nerale, devono venir derivate da quest'ultima per c o s t r u z i o n e . E inoltre, che non ogni forma è da vedersi come una differenziazione costruttiva di questo genere, tratta da altre forme, ma che anzi ritorniamo ovunque a f o r m e p r i m i t i v e. Cosi la forma del giudizio determinante S è p (dove p designa una qualità e S il suo substrato) è una forma primitiva, muovendo dalla quale si debbono derivare particolarizzazioni e variazioni. Si tratta di una forma primitiva che - considerata più precisamente - fa parte come tale del genere supremo > della logica apofantica, se si riferisce questo genere unicamente alle certezze predicative del giudizio, mentre le modalità del giudizio, che in se stesse non cadono sotto questo genere, vi sono però ricondotte qualora subiscano una modifi cazione in certezze di giudizio di contenuto modificato: in certezze concernenti possibilità, probabilità ecc. Naturalmente si può designare come forma lo stesso genere apofansi, nella sua generalità rimasta indifferenziata per rapporto alle forme particolari, e, in questa sua gene ralità, indurlo in configurazioni formali. Così se diamo ai segni letterali il valore di enunciati assertivi in sé conclusi possiamo dar figura p. es. ad (con l e g g i o p e r a z i o n a l i cui ineriscono - per esprimerci mate maticamente - >) sceglieremo naturalmente questo concetto come guida per lo studio delle forme. Dovremo compiere questo studio nel modo di una p r e s e n t a z i o n e d e l l e o p e r a z 1 o n 1 f o n d a m e n t a l i e delle loro leggi, come pure della costruzione ideale dell ' in finità delle f o r m e, in conformità con tali operazioni. Le forme fon damentali non staranno allora una accanto all'altra, ma appariranno anche fondate una sull'altra. Così p. es. la for ma S è p è più originaria che la forma Sp è q che è già una trasformazione operativa della prima, attuatasi mediante l'operazione della conversione di un predicato in un attri buto. Ma questa forma Sp è q interviene nella definizione di questa operazione, comportando subito un nuovo prin cipio di configurazioni formali. Si potrà infine pervenire a concepire il punto di vista dell'operazione in modo così ampio che per esso la stessa forma fondamentale S è p rappresenti un'operazione, l'ope razione di determinare un substrato di determinazione S; cosi pure si potrà concepire ogni modalizzazione come un'operazione che configura delle forme e che in certo modo si fa modificatrice del senso, cosicché, rispetto alla serie delle modalità, la forma dell'apofansi (come certezza assertoria, in senso originario) sia caratterizzata per motivi essenziali come forma prima, e le altre forme come sue modificazioni. E inoltre appare qui che l'operazione nel senso di una modificazione che, in una libera attività, deve convertire ogni giudizio in un altro, produce un concetto più stretto, in quanto che la modalizzazione non è affare di modificazione arbitraria. Si deve ancora rilevare espressamente quanto segue : ogni conformazione operativa di una
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forma a partire da forme ha la propria 1 e g g e, e quest'ultima, di fronte alle operazioni vere e proprie, è di un tipo tale per cui il prodotto può essere nuovamente sottoposto alle stesse operazioni. Ogni 1 e g g e o p e r a z i o n a l e ha dunque r a c c h i u s a in sé u n a 1 e g g e d i i t e r a z i o n e . Questo principio del1 ' o p e r a z i o n e i t e r a b i 1 e attraversa l'intero ambito del giudizio e permette di costruire in modo iterativo l'infinità delle forme di giudizio possibili mediante la posi zione di forme ed operazioni fondamentali. § 14. La logica della conseguenza (logica della non contraddizione) come secondo grado della logica formale.
Si distingue dalla pura morfologia dei giudizi, come un grado superiore della logica formale del giudizio, la scienza delle f o r m e p o s s i b i 1 i d e i g i u d i z i v e r i . Se anche non è stata sviluppata storicamente in modo puro e secondo questa connessione sistematica, essa è stata svolta 47 quanto meno in forma di frammento. E di fatto era naturale che le forme pure del giudizio venissero considerate in questo senso : fino a che punto esse prese singolarmente o elaborate in forme complesse, racchiudono in sé - in una generalità essenziale - le condizioni della possibile verità e falsità di tutti i giudizi pensabili della forma cor rispondente. E in particolare era evidente nel caso delle forme deduttive (forme complesse di proposizioni, in cui intervengono deduzioni corrette o false) che non una qual siasi forma di proposizione può connettersi a forme di dedu zioni autentiche, di conclusioni d a v v e r o > . È chiaro come certe forme deduttive hanno anche il valore di 1 e g g i e s s e n z i a l i formali, cioè quali verità generali s u 1 1 a c o n s e g u e n z a d e 1 g i u d i z i o: sull' e s s e r i n c 1 u s o (>) di giudizi di questa o quella forma in giudizi-premesse di forma corrispondente. E così pure è chiaro che altre forme deduttive hanno il valore di leggi essenziali di i n c o n 5. •
Husserl
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s e g u e n z e a n a l i t i c h e , d i > a n a l i t i c h e , e che esse propriamente non sono forme di >, bensì forme - per così dire di >. Un maggiore approfondimento del senso di questa in clusione ed esclusione analitica avrebbe potuto portare la ricerca logica a riconoscere che I a I o g i c a f o r m a I e t r a d i z i o n a l e n o n è u n a p u r a > e che con l'evidenziarsi di questa purezza si doveva compiere una d i s t i n z i o n e i n t e r n a altamente significativa n e 1 1 a p r o b I e m a t i c a e n e l l a t e o r i a d e l l a l o g i c a. È un p r o b I e m a p a r t i c o I a r e quello di ricer care sistematicamente le leggi essenziali che reggono I a p u r a i n c l u s i o n e e d e s c l u s i o n e a n a l i t i c a , e l'interna ed esterna n o n - c o n t r a d d i t o r i e t à a n a I i t i c a di giudizi singoli o collegati. N o n s i t r a t t a a n c o r a d e 1 1 a v e r i t à dei giudizi, bensì s o I t a n t o d i c i ò: se i membri del giudizio inclusi nell'unità di un giudizio semplice o anche quanto si voglia complesso, preso nella sua interezza, siano reciprocamente > o s i c o n t r a d d i c a n o , compor tando in quest'ultimo caso che il giudizio stesso corrispon dente sia contraddittorio, e non effettuabile in modo vero e proprio. In modo corrispondente si deve intendere quanto si afferma intorno alle leggi logiche che regolano sulla base della forma la s e m p I i c e n o n - c o n t r a d d i t t o r i e t à dei giudizi. È un 'intuizione importante il fatto che le questioni della conseguenza e dell'inconseguenza possano essere messe in forma senza che con ciò si faccia la minima questione di verità o falsità, senza dunque far t e m a t i c i questi concetti e le loro derivazioni. In conformità con ciò 48 designiamo questo grado della logica formale anche come logica della conseguenza o logica della n o n - c o n t r a d d i z i o n e. Il problema della non-contraddizione abbraccia natural mente anche la compossibilità di collezioni di giudizi posti in modo affatto arbitrario, in quanto con ciò normalmente
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viene anche pensato il nesso dei giudizi nell'unità di u n giu dizio collettivo - giudizio che dunque viene pensato da u n soggetto giudicante in u n intendere giudicativo. Quel pro blema concerne anche l 'unificabilità non-contraddittoria dei giudizi nelle altre composizioni di giudizi, come p. es. dei giudizi che hanno unità come membri di giudizio in una qualsiasi pretesa teoria, teoria tale da voler essere unità di un giudizio singolo - benché fondato in modo complica tissimo - di un ordine superiore. E lo stesso vale se noi discendiamo dai giudizi complessi a quelli semplici nel senso usuale. Come giudizio semplice si intende allora ogni apofansi per sé conchiusa, che non si articola più in giudizi che posseggano a loro volta una simile conchiusione apo fantica. Ma in questo senso anche una apofansi semplice ha membri che vanno considerati come unità pertinenti al giudizio benché non autonomi, e così la distinzione tra un'unificabilità non-contraddittoria e la contraddizione si estende anche ad essa, ed ugualmente vi si estende la legge formale analitica. Ciò dà luogo dunque a un concetto pregnante, in sé concluso, di una > di cui fa parte, per il suo contenuto essenziale, l 'intera sillogistica, ma anche - come mostreremo - parecchie altre discipline, quelle dell'> matematico-formale. D 'altra parte, come pure è bene sottolineare, anche il con cetto originario dell 'analitica come a n a l i t i c a n e l s e n s o p i ù a m p i o non si sottrarrà nel seguito della nostra ricerca alla possibilità di una determinazione più rigorosa circa il suo senso specifico, proprio sulla base del concetto più stretto. Concetti fondamentali dell'Analitica pura presa nel suo senso pregnante, in quanto c o n c e t t i f o n d a m e n t a l i d e l l a v a l i d i t à ( concetti normativi), sono sol tanto la c o n s e g u e n z a a n a l i t i c a e l a c o n t r a d d i z i o n e ; al contrario n o n i n t e r v e n g o n o qui la v e r i t à e la f a l s i t à né le loro modalità. Ciò va inteso nel suo giusto senso : esse cioè non intervengono in qualità di concetti fondamentali propri di questa sfera
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t e m a t i c a . Esse dunque, in questa pura analitica, hanno solo da assolvere alla parte che giocano in tutte le scienze, in quanto tutte le scienze tendono alla verità, e trattano perciò anche di verità e falsità : il che tuttavia non significa che la verità e la falsità appartengano ai loro (( concetti 49 fondamentali >>, cioè ai concetti che sono essenzialmente propri dei diversi c a m p i scientifici. § 15. Logica della verità e logica della conseguenza. Una questione logica di grado superiore, d o p o aver conclusa l 'analitica pura, sarebbe dunque quella che si riferisce alle leggi formali della v e r i t à possibile e delle sue modalità. In che modo una logica che si leghi alle semplici forme significative degli enunciati, dunque alle forme del giudizio, può divenire una vera e propria logica della verità ? Si vede immediatamente che la n o n - c o n t r a d d i z i o n e è una condizione essenziale di possibi lità della v e r i t à , ma che soltanto mediante una c o n n e s s i o n e (che segua leggi essenziali e che deve essere f o r m u l a t a a p a r t e in una logica) di questi concetti che in se stessi vanno tenuti separati, la pura analitica si trasforma in una l o g i c a f o r m a l e d e 1 1 a v e r i t à . Su ciò indugeremo più avanti. Atteniamoci per il momento ancora alla sfera della pura analitica dell 'apofansi. § 1 6. Le distinzioni dell'evidenza che fondano la divisione per strati dell'apofantica. Evidenza della chiarezza ed evidenza della distinzione. a) Modi di effettuazione del giudizio. Distinzione e confusione.
Con la semplice traccia delle distinzioni che è neces sario prospettarsi nel quadro di una logica formale secondo le indicazioni date negli ultimi paragrafi, non si può ritenere esaurito l 'argomento. Occorrono fondazioni che penetrino più addentro, che esplicitino le evidenze distinte che cor-
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rispondono a quelle distinzioni ; solo con tali fondazioni può anche dischiudersi una effettiva comprensione della loro necessità e della loro portata. Un giudizio, pur restando lo stesso giudizio, può darsi in maniera evidente secondo modi di datità soggettivi assai differenti. Può venire in mente come un 'idea affatto vaga, o anche presentarsi come il significato affatto vago di una proposizione enunciativa letta, compresa e assunta nella credenza. Qui non occorre minimamente una esplicita e f f e t t u a z i o n e d e l l a s p o n t a n e i t à g i u d i c a n t e , l 'esplicita posizione di un soggetto, l'aggiunta di qualcosa in qualità di predicato, la connessione attuata trascorrendo ad un altro oggetto per sé posto e così via. Se si aggiunge al > e > o p i n a r e g i u d i c a t i v o , proprio di un 'idea occasionale, un simile processo di e s p I i c i t a z i o n e d e I g i u d i z i o , al lora noi, sulla base della sintesi identificatrice che ora interviene, diciamo che l 'opinione confusa si > , che solo ora si è indicata e corrispondentemente costruita a partire dalle formazioni indicate. Ora, dal lato del significato, le formazioni a cui rinvia l'indicazione, i g i u d i z i s t e s s i , possono presentarsi nell' > d i u n r i e m p i m e n t o c o n t i n u o d e 1 1 e i n t e n z i o n i i n d i c a n t i ; nel modo dunque di giudizi veri e propri, p r o d o t t i n e 1 1 o s t e s s o t e m p o n e l l ' a t t i v i t à o r i g i n a r i a; o p p u r e possono essere i n d i c a t i i n m o d o v u o t o come nella lettura passiva. È questo un caso particolare di una legalità affatto gene rale. In ogni tipo di c o s c i e n z a v u o t a !'> in modo vuoto può differenziarsi come segue : può per un verso trascorrere in un modo interiormente indi viso, n o n articolato in opinioni particolari vuote, e, per il verso opposto, nel modo di una coscienza vuota articolata, attuata in modo articolato. Come quando io ho la rappre sentazione della strada davanti alla mia casa, e sono ma gari rivolto mentalmente ad essa, ma tutto ciò in modo non intuitivo, > ; e quando invece, e magari subito dopo, percorro esplicitamente nella loro articolazione le svolte della strada, gli alberi che vi sono piantati, le case che vi si trovano - ma sempre in modo non-intuitivo, salvo qualche eventuale punto intuitivo che affiora a tratti. 51 Così una coscienza vuota non articolata può essere portata ad una > articolata, dove il contenuto di senso che è pensato confusamente (nella coincidenza identificatrice col genere >), si > come l' e s p l i c a t o ; come ciò che propriamente è in teso nel contenuto unitario prima confuso. Lo stesso vale nel caso particolare di significati di giu dizio >, si tratti di significati di giudizi propri o altrui davvero effettuati, oppure di giudizi presenti come
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possibili nella fantasia. A questo proposito va osservato che quelli altrui io li comprendo ripercorrendoli, e questo modo del ricomprendere (ed eventualmente del c o - giudicare) va accuratamente distinto dal giudicare originariamente proprio e dai suoi diversi modi - dai giudizi dati ora in modo attuale, e ancora dai propri giudizi trascorsi ma > confusamente e soltanto > ecc. Dopo di che noi dobbiamo distinguere, attraversando in certo modo queste distinzioni, un g i u d i z i o n o n e s p l i c i t o , indicato da una proposizione linguistica esplicita, e un corrispondente giudizio e s p l i c i t o , ov vero un successivo dispiegamento per identificazione di ciò che era pensato. Ma nell 'operazione che conduce alla distinzione dob biamo separare due casi: accanto a quello, il solo che è stato finora tenuto presente, del p r o c e s s o d i s t i n t i v o per semplice identificazione, del d i s t i n g u e r e n o n - c o n t r a d d i t t o r i o , occorre tener presente an che quello del distinguere c o n t r a d d i t t o r i o . Nel l'esperienza viva della coincidenza non-contraddittoria io vedo che l'esplicitato è lo stesso che l'inesplicitato, o che è stato solo reso distinto ciò che dal giudicante era stato pensato in quella forma confusa. Nel caso contrario della contraddizione l'unità complessiva del pensare confuso è presupposta come c r e d e n z a u n i t a r i a . Nel pro cedere dell'esplicazione, questa o quella c r e d e n z a p a r t i c o l a r e che via via si affaccia, può andare incontro alla cancellazione, alla soppressione, a opera di quanto ha già assunto forza esplicita e persiste in una solida vali dità. Cosi, nello stesso tempo, la credenza complessiva di base, quella cui si rivolge l'esplicazione, assume su bito e necessariamente il carattere di nullità. E che dire della coincidenza identificatrice dell'esplicando, nel suo in sieme, e dell'esplicato, sempre nel suo insieme ? È chiaro che nella cancellazione quella credenza che subisce ap punto questa modificazione della cancellazione in certo modo sussiste ancora come una siffatta credenza,=però non più attualmente effettuata dall'io, ovvero radicata
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in esso come sua convinzione persistente, bensl a lui ancora nota come sua credenza a n t e r i o r e , avente l'intero suo senso nelle sue articolazioni di senso e nelle tesi relative di credenza. 52 Quando si tratta del giudicare di un altro, allora, se io non partecipo alla sua credenza, ho la [ Vergegenwiirtigung] ana loga ad un ricordo di una propria passata credenza, cui io ora >, ma che tuttavia, in quanto mia credenza precedente, sussiste ancora per me come ricordo. Il mio giudizio - che io avevo o r o r a pronunciato, ma che devo rifiutare nell'esplicazione, e che dunque da questo momento non è più il mio attuale giudizio ma quello che è stato mio poco fa - ha ora, in conformità con l'esplica zione, questo e quest'altro senso esplicito, e altrettanto il mio giudizio p r e c e d e n t e m e n t e trascorso, e in modo simile il giudizio > dell'altro. A questo proposito va osservato che la modificazione della cancel lazione è attraversata da una identificazione che concerne la mera > del giudizio. La cancellazione non mo difica nulla del giudizio ritenzionale o rimemorativo o pre sentificato nel modo della Einfiihlung ; e se io esplicito quanto vi si trova, questo che s'è cosl presentificato coincide con l 'esplicato, quand'anche io, nell'esplicare, compia la mia cancellazione. Naturalmente ciò non significa che l 'altro sappia in anticipo o che io prima sapessi, a che cosa l'espli cazione, come proposizione distinta, avrebbe dato luogo, altrimenti a nessuno potrebbero sfuggire delle contraddi zioni, immediate e mediate. Dopo questi chiarimenti noi comprendiamo la distin zione essenziale dei m o d i v a g h i o > d i g i u d i z i o rispetto a quelli >, dove è chiaro fin dall'inizio che qui n o n si fa questione se i giudizi abbiano o no e v i d e n z a (intuitività) i n r a p p o r t o a 1 r i s p e t t i v o s t a t o d i c o s e . Per un lato ci viene incontro la d i s t i n z i o n e (così impor tante per ciò che riguarda il pensiero espresso nel linguag-
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gio) e h e s i h a a l l ' i n t e r n o d e l l a s t e s s a v a g h e z z a : cioè vago può già essere l'aspetto sensibile delle parole pronunciate e delle loro articolazioni ; ma anche sotto questo aspetto può aver luogo una netta articolazione, e con essa una a r t i e o l a z i o n e d e 1 1 e i n d i e a z i o n i . Ma allora m a n e a la d i s t i n z i o n e cosi importante d e 1 1 e s t e s s e > p r e d i e a t i v e con le quali una cosa è creduta, e in tanto giudicata, eppure non > giudicata. Nel giudicare che si esprime linguisticamente, una espli cita effettuazione del giudicare; che procede assieme alle indicazioni, porta con buone ragioni il nome di > ; giacché soltanto esso ha il carattere essenziale dell'originarietà, in cui il giudizio è dato origina/iter, in se stesso, proprio mentre - ed è qui la stessa cosa - esso viene costruito > nell'azione reale e propria del giudicante. Ed è soltanto un 53 altro modo di esprimersi dire che l 'esplicito g i u d i e a r e , quello > , è l ' e v i d e n z a p e r i l > in quanto è l ' o g g e t t u a l i t à i d e a l e che appunto in tale azione sintetica si costituisce originariamente e si identifica nella sua ripetizione. Quest'evidenza è un farsi avanti originario in quanto in >, ma non ancora un e o g l i e r e esperiente in modo evidente, e un e o n s i d e r a r e t e m a t i e a m e n t e il giudizio : ciò che nell'evidenza si è costituito come in un'azione politetica, diviene poi afferrabile > in u n s o l o raggio afferrante, la forma zione politetica diventa un oggetto '· Naturalmente è possibile che confusione e distinzione del giudicare si mescolino tra di loro, come quando noi leggendo effettuiamo in modo vero e proprio alcuni passi o alcuni tratti del giudizio, e poi ci facciamo condurre a tratti dalle mere indicazioni delle formazioni delle parole,
• Cfr.
per ciò Ideen, pp.
247 sg. [266 sg,l,
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che, come s'è detto, possono avere a loro volta la loro distin zione di tipo affatto diverso 5 •
b) Distinzione e chiarezza.
Dobbiamo però trattare ancora una mescolanza di altro genere, e per ciò, in una purificazione corrispondente, un altro importante contrasto: la mescolanza (e, rispettivamente, la differenza) tra ► e ►• Si scindono qui d u e e v i d e n z e , quella in cui il g i u d i z i o s t e s s o , i n q u a n t o g i u d i z i o , giun ge a offrirsi in sé ; esso si chiama allora anche giudizio di stinto, ricavato dall' effettuazione vera e propria del giu dizio; e in secondo luogo q u e 1 1 ' e v i d e n z a in cui giunge a offrirsi in sé c i ò s u c u i p u n t a i l g i u d i c a n t e ► i l s u o g i u d i z i o , cioè in quanto esso abbia di mira il c o n o s c e r e - come sempre suppone la logica. Giudicare esplicitamente non è ancora giudicare nella ► • Non è ancora cioè quel giudicare che nel corso dell'effettuazione del giudizio significa insieme c h i a r e z z a d e 1 1 e c o s e e, nel giudizio complessivo, c h i a r e z z a d e 1 1 o s t a t o d i c o s e . Giudicare non chiaro e giudicare chiaro possono predicare un solo e medesimo giudizio, sicché l'evidenza dell'ipseità del giudizio può passare attraverso modi di datità essenzialmente diffe renti ; ma soltanto un g i u d i c a r e n e 1 1 a p i e n e z z a d e 1 1 a c h i a r e z z a può essere c o n o s c e n z a a t t u a l e , e si ha allora l a n u o v a e v i d e n z a delle 54 cose che si offrono in se stesse, dello stato di cose stesso, cui si mira nel giudicare che tende alla conoscenza e cui si mirava anche quando il giudicare era ancora del tutto privo di chiarezza e ancora privo di adeguazione intuitiva.
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Cfr. anche, per tutto questo, l 'Appendice I I .
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c) Chiarezza del possesso della cosa stessa e chiarezza dell 'anticipazione.
Pure, qui le distinzioni si ramificano ancora, in quanto la > può designare il giudicare nel modo per cui esso offre il suo supposto stato di cose in s e s t e s s o , dunque ciò che usualmente si intende come g i u d i c a r e e v i d e n t e , e ancora il giudicare nel modo di un giu dicare che si p r e f i g u r a e si rende intuitivo lo stato di cose supposto. Nell 'ultimo caso non è dato lo stato di cose stesso, bensì appunto un'immagine anticipata, un'anti cipazione i n t u i t i v a , che deve confermarsi nel pos sesso della cosa stessa. Chiarezza perfetta significa la prima volta chiarezza del > , del > nel senso vero e proprio, in cui lo stato di cose e le cose che vi si trovano sono colte in se stesse ; la seconda volta, chiarezza che prefigura perfettamente lo scopo - cui manca ormai solo di essere realizzato - su cui si punta nel giudicare. L 'im pulso conoscitivo procede qui d a 1 1 a > a 1 1 a d i s t i n z i o n e , e se questa dà luogo a un giu dizio ancora imperfettamente intuitivo, o persino affatto vuoto d'intuizione, benché costituito esplicitamente, essa lo attraversa, eventualmente , d a p p r i m a s o I o p e r u n a p r e f i g u r a z i o n e dello scopo conoscitivo. Il fenomeno di transizione della coincidenza sintetica si chiama allora, nel senso usuale della parola, c h i a r i f i c a z i o n e del giudizio come opinione (rendercisi chiara la propria opinione). L'impulso conoscitivo però non è giunto cosi al suo fine, ma procede oltre verso quell' a 1 t r a c h i a r e z z a , verso l ' e v i d e n z a d e I p o s s e s s o di ciò che è inteso in sé, dello scopo finale in sé. Entrambi questi modi della chiarezza hanno le loro gradualità di perfezione, con le idee connesse di perfetta oscurità e perfetta chiarezza 6 • Inoltre nel passaggio alla 6 Parlare di un « p u n t o I i m i t e >> anziché di un'idea della chiarezza (come si sarebbe facilmente indotti a fare) non riuscirebbe sempre conveniente. Non sempre è possibile pensare a qualcosa come a un
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chiarezza, e dunque nelle >, si separano i casi in cui solo singoli frammenti di ciò che è giunto a posizione pervengono e possono pervenire alla chiarezza, nella misura in cui essi si raccolgono bensì in una chiara immagine o in uno stato di cose dato con evidenza . La pura analitica apofantica nel nostro senso pregnante ha come concetto superiore che determina il suo campo quello del g i u d i z i o : del giudizio vero e proprio, che attinge originariamente il suo senso d'essere al senso esplicito dell'effettuazione del giudizio, e soltanto ad esso. L 'impulso al conoscere, che sovente a t t r a v e r s a un tale giudicare, e che il logico, nel suo interesse per il giu dicare scientifico, ovvero per giudizi scientifici, ha prefe-
l i m i t e . Così l'evidenza perfetta dell'esperienza esterna è una idea regolativa nel senso kantiano. L'esperienza esterna, a priori, non è mai tale da darsi perfettamente in sé, ma essa, per quanto proceda in una conseguente concordanza, porta in sé come implicazione intenzionale l'idea di un sistema infinito, in sé chiuso, di possibili esperienze, che noi, a partire dall'esperienza fattuale, avremmo potuto percorrere o che potremmo percorrere, ora o in futuro ; sicché esse, come prosecuzioni concordanti dell'esperienza di fatto, avrebbero mostrato o mostrerebbero come la cosa è � in sé e per se stessa >> , al di là di ciò che di essa già si mostrava. Come correlato di questa anticipazione infinita da chiarire fenomenologicamente (anticipazione che, come tale, ha una evidenza sua propria) la cosa esistente in sé è, a sua volta, un' idea che guida legit timamente il pensiero delle scienze naturali e gli rende possibile un procedere in una approssimazione graduata, con le evidenze volta a volta relative. Ai nostri fini possiamo accontentarci di una prima rozza delimitazione della « chiarezza t (per il concetto della cosa come idea nel senso kantiano, cfr. Ideen, pp. 309 sgg. [331 sgg.]).
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ribilmente di mira in quanto è rivolto alla verità come conoscenza, rimane del tutto fuori questione nella sfera dell'analitica pura: se ne deve astrarre. Il tema è costituito qui dal giudizio stesso - si tratti di giudizio chiarito o che in generale sia passibile di chiarimento, debba o no essere tradotto nella conoscenza, purché sia realmente at tinto o attingibile a l l ' e v i d e n z a d e l l a d i s t i n z 1 o n e. Come la logica in generale quale scienza a priori, così l'analitica pura non ha a che fare con giudizi reali, dunque con giudizi effettuati in qualche tempo o in qual che luogo, bensì con possibilità a priori, possibilità alle quali si subordinano in un senso facile a intendersi tutte le realtà corrispondenti. Se il logico che si occupa del l'analitica pura, per accedere alla generalità essenziale, deve muovere da esempi, per esercitare su di essi la visione essenziale, egli può assumere reali giudizi suoi propri, può assumere anche giudizi di altri che magari rifiuta del tutto, ma che egli, ripercorrendoli, e nel modo di una vera e propria quasi-effettuazione, coglie pure con evidenza come giudizi possibili ; egli infine può anche adattarsi a un mondo di fantasia e a un giudicare (proprio o estraneo) all'interno di esso - soltanto, egli introduce con ciò la modificazione dell'evidenza della distinzione, che ha il si- 56 gnificato dell'evidenza di possibili giudizi come tali. Cosi il p u r o logico analitico h a c o m e s u o c a m p o i I g e n e r e e s s e n z i a l e o nella mancanza di relazione con una conseguenza possibile. La > significa dunque, dal lato di chi giudica, che sia possibile predicare giudizi distinti n e 1 1 ' u n i t à di un giudizio che dev'essere ef fettuato nella distinzione. Dove si deve stare bene attenti al fatto che il semplice giudicare i n s i e m e significa già un'unità di giudizio, unità della validità d'insieme. Nell'analitica formale e pura, la questione concerne le f o r m e del giudizio : quali forme devono essere ricono sciute i n g e n e r a 1 e come forme di effettuazione di giudizi distinti, e quali no, e ciò a priori ; dove è compresa la questione : quali forme di complessi di giudizi di qual siasi grado sono forme a priori di giudizi unitari, che - in quanto possono essere effettuati in modo proprio - ab biano l'evidenza della distinzione ? § 19. L'analitica pura come fondamento della logica formale della verità. Non-contraddizione come condizione della possibilità della verità.
In queste ricerche non si deve dunque mai andare oltre l'essenza propria dei giudizi, cioè delle forme di giudizio, e non si deve mai oltrepassare l'evidenza della distinzione. Ma noi oltrepassiamo subito questa sfera a priori, se poniamo p r o b I e m i d i v e r i t à , cioè se, per gli og getti concepiti dapprima soltanto come giudizi distinti, poniamo problemi concernenti la loro adeguazione alle cose stesse, non appena dunque introduciamo nell'ambito tematico il concetto di verità. Il predicato verità, invero, è riferito a giudizi e solo a giudizi, sia che noi ci basiamo
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sul concetto ristretto di giudizio (apofansi) sopra designato, sia che ci basiamo invece sul concetto allargato. Ma fintanto che noi ci connettiamo alla mera evidenza della distinzione e a ciò che in essa è identificabile sotto il titolo di giudizio, resta sì esclusa ogni contraddizione (ogni c o n t r o s e n s o a n a l i t i c o ), ma resta sempre possibile ogni c o n t r o s e n s o rispetto allo s t a t o d i c o s e e qualsiasi non verità d'altro genere. Si fa astrazione da ogni operazione di chiarificazione, di ritorno alla possibilità concreta e alla verità, o, con altre parole, da ogni questione di verifica. 58 Ora, che si richiede per conseguire nella generalità formale una comprensione essenziale della verità possibile del giudizio ? Si richiede ovviamente che ci si proponga il pensiero di giudizi possibili nella verifica possibile, nella possibile adeguazione ai giudizi corrispondenti che offrono in se stesse le cose opinate. Ora, fin dall 'inizio, i giudizi non sono pensati come meri giudizi, bensì come dominati per intero da un i m p u l s o c o n o s c i t i v o , come opinioni che debbono r i e m p i r s i , che non sono oggetti per sé, nel senso di ciò che si dà nella semplice distinzione, bensì tramite alle > in se stesse cui si deve mirare. Sostituendo in questo modo l'atteggiamento teoretico rivolto ai meri giudizi con l' a t t e g g i a m e n t o c o n o s c i t i v o , con l'atteggiamento rivolto agli stati di cose che devono essere conosciuti nel giudizio, ovvero all'ade guazione confermante, si coglie subito come intuizione es senziale che ciò che è incompatibile nell'unità di un giudizio distinto, è anche incompatibile nella verità, ovvero che una contraddizione nel mero giudicare esclude ovviamente la possibilità dell'adeguazione. V e r i t à e falsità sono pre dicati che possono c o n v e n i r e s o 1 t a n t o a d u n g i u d i z i o d i s t i n t o , o da render distinto, a u n giudizio effettuabile in modo reale e p r o p r i o . La logica non si è mai resa ben conto che q u e s t o concetto del giudizio sta alla base dell'antico principio che verità e falsità (nel senso più originario) siano predicati di giudizio. I n q u e s t a m e d i a z i o n e , u n a p u r a a n a 1 i t i c a è d u n q u e essenzialmente
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anche u n a p a r t e b a s i 1 a r e d i u n a 1 o g i c a f o r m a 1 e d e 1 1 a v e r i t à . La distinzione, riferita al1 'universo delle forme di giudizio, tra quelle che sono forme del principio della conseguenza, quelle che sono forme del principio dell'inconseguenza e quelle che, rima nendo reciprocamente estranee, sono non-contraddittorie, nel senso > (come si esprimerebbe il matematico) - acquista un significato immediato per la possibilità del l'adeguazione o della verità. Ogni c o n s e g u e n z a p r e d i c a t i v a diverrà - qualora venga realizzata intuiti vamente - una c o n s e g u e n z a d e 1 1 e v e r i t à ov vero delle possibilità concrete. Ogni contraddizione tuttavia esclude fin dal principio i problemi dell'adeguazione ; è a limine una falsità. § 20. I principi logici e i loro analoghi �nell'analitica pura.
La separazione di una pura logica della conseguenza dalla logica della verità produce una bilateralità anche in rapporto ai cosiddetti principi della logica tradizionale, cioè 59 ai principi che esplicitano i concetti di verità e falsità. Il d u p l i c e p r i n c i p i o d i c o n t r a d d i z i o n e e d e 1 t e r z o e s c 1 u s o , come principio della logica della verità, afferma : > e > ; e connettendoli insieme: . Però uno dei due la possiede, e può essere portato all'evidenza della distin zione. 6. • Husserl
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Ai supremi principi di verità della logica apofantica debbono inoltre essere anche ascritti i p r i n c i p i c h e legano originariamente la verità e la c o n s e g u e n z a . La logica tradizionale mantiene questi principi nella forma impura del modus ponens e tollens. Anche qui abbiamo la stessa analogia. Già nella sfera della mera conseguenza analitica si dà un modus ponens e tollens, che naturalmente non dice tematicamente nulla di verità e falsità, ma che semplicemente appartiene all'essenza dei giudizi veri e propri, ed ai loro peculiari rapporti di con seguenza analitica, come un particolare principio di con seguenza. Solo in questa forma esso è un autentico p r i n c i p i o logico. Suona cosi : Da due giudizi della forma : > e >, consegue analiticamente >. E così pure da due giudizi della forma > e > consegue >. Il p r i n c i p i o corrispondente d i v e r i t à suona allora: Tra due giudizi M ed N presi a piacere sussiste una relazione immediata di totale premessa 8 analitica e di totale conseguenza analitica, sicché la verità della premessa comporta la verità della conseguenza e la falsità della conseguenza la falsità della premessa. Abbiamo introdotto le parole 'premessa totale' e 'conse guenza totale' per far riferimento all' i m m e d i a t e z z a del rapporto. Noi intendiamo con queste parole nient'altro che i membri reali - pur sempre divisibili in seguito di una relazione di conseguenza immediata. Le premesse e conseguenze parziali condizionano allora soltanto come parti delle premesse totali e delle totali conseguenze i rap porti di conseguenza, che dunque sono già m e d i a t i . Se in uno dei complessi di conseguenze (che soltanto come pieno complesso è conseguenza totale) una conseguenza 8 [tedesco: Grund, che designa in vari sensi il « fondamento �, quindi anche ciò che è stato posto a fondamento, e vale come premessa nell'analitica.]
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singola è falsa, essa condiziona immediatamente la falsità della conseguenza totale, e così la falsità della premessa totale. Il principio da noi posto, impiegato per il modus ponens e tollens di cui sopra, inteso come principio di una conse guenza immediata e pura - produce immediatamente i modi corretti della logica della verità: Se la proposizione antecedente di un giudizio ipotetico è vera, è vera allora anche la proposizione che ne consegue ; se è falsa la proposizione conseguente, lo è anche l'ante cedente. Ovvero, dovendoci esprimere in formule : Se sono insieme vere : > e > (se > insieme), allora > è vero. Se è insieme vero > e >, allora > è vero (o, cosa equivalente, > è falso). Per ciò che si riferisce alle m e d i a b i l i t à della conseguenza analitica, è innanzitutto una pura legge di conseguenza analitica (appartenente dunque ai semplici giu dizi, ma distinti, anteriore ad ogni questione concernente la loro verità possibile), che u n a i m m e d i a t a c o n seguenza analitica di una immediata conseguenza analitica è a sua volta una conseguenza analitica della premessa c o n s i d e r a t a ; ciò da cui deriva che una conseguenza di una mediabilità a piacere è anche conseguenza di questa premessa. Se colleghiamo questa legge al nostro principio di verità per l'immediata conseguenza analitica, ne deriva allora - e nella mera conseguenza analitica - che questo principio, ampliato, conserva anche validità per conse guenze analitiche di mediabilità a piacere. § 21. L'evidenza nella coincidenza > giudizio, confuso e distinto. Il concetto più ampio di giudizio.
Se noi ora riportiamo ancora lo sguardo sui g i u d i z i >, che abbiamo contrapposti ai giudizi nel senso pregnante dell'analitica come giudizi distinti, vediamo che, nell'identificazione dei primi con quelli distinti cor-
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rispondenti, è chiaramente nascosta una t e r z a e v i d e n z a , mediante cui un t e r z o c o n c e t t o d i g i u d i z i o acquista senso d 'essere. Nel passaggio al farsi distinto di ciò che si opinava [meinte] propriamente nel 61 vago opinare predicativo, di ciò che propriamente si diceva, o che altri diceva, di ciò che era propriamente pensato nel vago venire in mente, - in questo passaggio il giudizio distinto si dà come m e r a e s p l i c i t a z i o n e e v i d e n t e d e l l a v e r a o p i n i o n e [Meinung]. S i rea lizza una coincidenza di identità, provvista di forma origi nariamente propria, che designa una f o r m a f o n d a m e n t a l e d e 1 1 ' > ; come ogni evidenza (ogni >, nel senso più ampio) essa ha il suo grado di perfezione e la sua idea, che qui è effettivamente un limite ideale di perfezione, in cui la coincidenza sinte tica sarebbe di fatto assolutamente perfetta. Questi due modi di giudizio e i loro correlativi, il g i u d i z i o c o n f u s o e q u e l l o d i s t i n t o , hanno ovviamente un r a p p o r t o s i m i l e a q u e 1 1 o t r a i l g i u d i z i o d i s t i n t o m a v u o t o (o imperfet tamente intuitivo) e q u e 1 1 o d i s t i n t o m a e v i d e n t e [einsichtig] - tale cioè che si dà i n se stesso in modo evidente per l'essere possibile o vero delle cose cui si mira nel giudicare conoscitivo. Il giudicare confuso comporta - non sempre, ma come è già stato detto sopra, in con nessione a un interesse teorico - la m i r a d i u n f i n e , che è rivolta verso un giudizio distinto, e dove la cosa riesce, si r i e m p i e in esso. Cosi come, nella sintesi precedente di riempimento, è possibile una prospettiva e una identificazione in cui giudizio v u o t o e p i e n o giungono all'identità m e r a m e n t e c o m e g i u d i z i , e acquistano una propria oggettualità in quanto sono l o s t e s s o giudizio, cosi avviene anche nella sintesi parallela di riempimento, che porta a coincidenza giudizio c o n f u s o e d i s t i n t o . O anche : cosi come la conoscenza, il possesso dello stato di cose stesso è in sé a n c h e giu dizio distinto, quanto il corrispondente giudizio vuoto, altrettanto il giudizio che si effettua nella vaghezza e quello
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nella distinzione è lo >. Con ciò non è detto che ogni giudizio confuso si lasci condurre allo >, ma distinto, giudizio, tanto poco quanto ogni giudizio distinto si lascia trasporre in una evidenza [Ein sicht] concreta, sia come possibilità sia come verità. Il c o n c e t t o p i ù a m p i o d i g i u d i z i o è quello che non soggiace alle suddivisioni della confusione, della distinzione e della chiarezza, ovvero che astrae consa pevolmente da questa distinzione. Dal momento che se ci basiamo su questo concetto, ad ogni giudizio conosciti vamente limpido e ad ogni giudizio distinto corrisponde, per la possibilità essenziale (e, geneticamente, la necessità persistente) di divenir confuso, un giudizio simile, o piut tosto identico, nel modo della confusione, - perciò il concetto del giudizio confuso abbraccia in certo modo tutti i giudizi nel senso più ampio, anche quelli che vanno portati a distinzione e a chiarezza. § 22. Il concetto che individua il campo della morfologia 62 apofantica come grammatica logico-pura rappresenta il senso più ampio di giudizio.
L'importanza di questa distinzione della terza evidenza e del suo correlato, il nuovo e più ampio concetto di giu dizio, sta in ciò, che ora noi abbiamo anche raggiunto il terreno sul quale ci è dato intendere il campo della pura morfologia dei giudizi. Come è chiaro, il concetto di tale campo è quello di giudizio nel senso più ampio, e la intera legalità formale costitutiva è una legalità legata ali'essenza propria di q u e s t i giudizi. Nella confusione sono pos sibili tutti i giudizi che sono impossibili nella distinzione e a loro volta nella distinzione sono possibili tutti quei giudizi che sono impossibili al livello della conoscenza perspicua. La libera costruzione di forme della morfologia non conosce ancora alcuna contraddizione che l'ostacoli. La costruzione di forme si sostiene interamente sul d i s c o r s o con le sue indicazioni ben differenziate, e con
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i rinvii di senso che aderiscono ai segni assunti sensibil mente e alle loro configurazioni sensibili. E perciò non è senza fondamento che la morfologia dei significati è stata indicata nelle mie Ricerche logiche come >. In certo modo inoltre non è senza motivo che spesso si è detto che la logica formale si sia fatta guidare dalla grammatica. Ma questo non è un rimprovero per la logica formale, ma una necessità, se alla direzione esercitata dalla grammatica (ciò che fa pensare alle lingue storico fattuali e alla loro descrizione grammaticale) si sostituisca, come guida, l'essenza grammaticale stessa [das Gram matische selbst]. Intendere in modo distinto un'enuncia zione, ed effettuarla come giudizio possibile, può significare e spesso significa un cogliere distintamente lo scorrere delle p a r o I e (in una esplicita quasi-ripetizione) e dell' a r t i e o I a z i o n e a 1 1 u s i v a che loro è propria, articola zione con cui sorge l'unità di giudizio confuso eppure articolato in forma determinata. Così noi possiamo intendere in modo del tutto determinato e articolato: nessun quadrato ha quattro angoli, o : > e simili. Tali esempi conservano il loro valore nella >, e così appartengono al sistema formale tutte le forme di giudizi contraddittori. Senza l'articolazione determinata dei giudizi vaghi me diante l'articolazione sensibile dei segni verbali, una mor fologia ed una logica in generale non sarebbero possibili, come ovviamente neppure lo sarebbe alcuna scienza. Mediante queste analisi è stato chiarito il senso della triplice stratificazione della logica formale (brevemente ca63 ratterizzata nei § § 13-15) condotta a partire dalle fonti più originarie, ed è stata fondata la necessità essenziale di questa stratificazione. Essa è rimasta estranea alla logica fino ai nostri giorni ; soltanto la separazione di una morfo logia pura è già attuata nelle Ricerche logiche, ma nel con testo attuale ha trovato una fondazione di profondità in comparabilmente maggiore. Non occorre che sia detto che la nostra distinzione tra la logica formale della non-con traddizione e della verità è, in modo affatto essenziale,
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una cosa nuova, per quanto sembri trattarsi di cosa uni versalmente nota, se si sta alle parole. Giacché queste parole si riferivano a qualcosa di affatto diverso, cioè alla distinzione tra la problematica logico-formale in generale, la quale come tale lascia fuori giuoco ogni concreta >, e i problemi che vanno posti da parte di una logica in un qualsiasi senso più ampio (che certo non veniva chiaramente afferrato) ; problemi che pren dono in considerazione appunto questa materia concreta, come nel caso dei problemi concernenti la possibilità di una conoscenza della realtà effettiva, ovvero la configura zione di verità toccanti il mondo reale.
Capitolo secondo APOFANTICA FORMALE, MATEMATICA FORMALE
§ 23 . L'unità interna della logica tradizionale e il problema della sua posizione rispetto alla matematica formale. a) Unità e autonomia concettuale della logica tradizionale come analitica apofantica.
La logica formale, nella delimitazione che l 'ha conte nuta fino ad ora, come analitica apofantica in senso allar gato, deve la propria unità [Geschlossenheit] a priori al suo concetto (il concetto a r i s t o t e l i e o) della forma del giudizio. Si può anche definire questo concetto come deter minazione di giudizi in generale esclusivamente attraverso le loro > ; forme che essi, in quanto formazioni che procedono da > , devono possedere a priori. La forma sintattica può essere formulata nella sua purezza in ogni giudizio, secondo concetti essenziali. La purezza di questa formulazione significa che i > , che a volta a volta intervengono nelle sintassi, vengono pensati come materiali indeterminati e arbitrari. Sorge così il puro concetto formale di un giudizio in generale come determinato esclusivamente da forme sintattiche a volta a volta date e concettualmente determinate 0 • 9
Cfr. l'Appendice I.
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Quali co-determinanti, che perciò appartengono al concetto logico-analitico della forma, debbono ancora essere intro dotte soltanto le v a r i a z i o n i > più generali che qualsiasi giudizio può subire, indipendentemente 64 da tutte le operazioni sintattiche che lo costituiscono e che vi si effettuano. Questo concetto della variazione modale non si esaurisce assolutamente soltanto nelle cosiddette modalità del giudizio. Sotto di esso va compresa anche la variazione, piuttosto male intesa, che soggetti di proposi zioni esistenziali e proposizioni come soggetti di predica zioni di verità presentano rispetto ai corrispondenti sog getti non modalizzati e alle corrispondenti proposizioni apofantiche. Tutte queste modalità debbono essere definite particolarmente in una logica sistematica come concetti formali primitivi. Ora, fintanto che la logica rimane legata a questo concetto del Formale, fintanto dunque che, nelle forme fondamentali apofantiche e nelle forme che a partire da queste possono essere costruite, lascia tutti i termini come variabili indeterminate, non può acquistare altre conoscenze sulla verità possibile, oltre quelle immediatamente incluse nella pura analitica della non-contraddizione, che quindi, salvo un piccolo numero di proposizioni, sono per cosi dire solo triviali derivazioni delle teorie formali di questa analitica pura (teorie che danno un serio incremento alla conoscenza). Giacché se la logica formale viene sviluppata realmente in quella purezza radicale che sola la fa filosofi camente utile (e anche molto importante), le viene a mancare tutto quel che permette di d i s c e r n e r e le verità, o, rispettivamente, le evidenze. Come il suo concetto di og getto è il più generale (il concetto di un substrato in generale nelle possibili predicazioni determinative), cosi pure lo è il suo concetto di stato di cose e il suo concetto dell'evidenza. Essa quindi non può fare distinzioni cosi generali come quelle tra oggetti individuali e categoriali, quelle tra mere , valori, beni, ecc. ; non può fare alcuna distinzione tra le generalità che, attinte ad oggetti individuali, si chia mano nel senso abituale generi e specie, rispetto ad altre
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generalità. Con ciò è possibile intuire come questa logica formale non possa essere la logica in generale, la epistemo logia completa e formale in un nuovo più ricco senso. b) Il sorgere dell'idea di una analitica ampliata, la > di Leibniz, e l'unificazione tecnico-metodica della sillogistica tradizionale e della matematica formale. Ma noi qui non possiamo impegnarci a sviluppare inten zionalmente in questa direzione l 'idea della logica. Giacché per quanto sicuri noi siamo ora dell'unità in sé conchiusa della logica formale analitica, essa ci mette ancora di fronte a gravi problemi. Le distinzioni strutturali che noi abbiamo 65 operato all'interno di essa, non hanno alcun riguardo ai grandi ampliamenti che, a partire da L e i b n i z , vengono sollecitati nella logica tradizionale, nella convinzione che soltanto così essa possa pienamente soddisfare all'idea di un'analitica formale con il senso del formale che le compete. È ora tempo di prendere in considerazione questo amplia mento, cioè la sintesi già accennata della sillogistica tradi zionale e dell'analisi formale nell'idea leibniziana di una mathesis universalis. Senza continuità con L e i b n i z , alla cui geniale intuizione mancò efficacia storica, si verifica un 'incarna zione della sillogistica nella matematica formale, mentre si configura un'algebra sillogistica. Essa non è derivata da riflessioni filosofi.che sul senso di principio e sulla necessità di una mathesis universalis, bensì dalle esigenze della tecnica teoretica deduttiva della scienza matematica, in un primo tempo nella matematica inglese a partire dall'inizio del XIX secolo ( d e M o r g a n , B o o I e ) . Per questa via la sillogistica doveva andare incontro dapprima ad una importante trasposizione in una >, che nella sua oscurità di principio ha comportato più di un controsenso e artifici di ogni genere per renderla innocua alla prassi della teorizzazione matematica. D'altra parte
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però essa contiene un nucleo teorico che ha la propria legittimità originaria, ed è solo questo che ha reso possibile che non andasse perduta la continuità di pensiero con l'analitica tradizionale. I matematici, poco disturbati da tali oscurità nel loro lavoro rivolto all'elaborazione di teorie deduttive hanno intanto fatto propria, generalmente, l'unità della > e della > (più precisamente del l'analisi formale) 10• Se noi qui ci inoltriamo maggiormente nel problema di questa unità, il nostro non è naturalmente un interesse scientifico specialistico, né nel senso della matematica for male né in quello della sillogistica formale, né infine della scienza positiva eventuale che le porti entrambe ad unità. Dunque non si tratta semplicemente di collegare teorica mente nel giusto modo, nella costruzione sistematica di un'unica scienza deduttiva (in cui esse devono conseguire una omogeneità) le teorie emerse dalle due parti sulla base della separazione tradizionale ; di soddisfare alle con nessioni deduttive che sussistono tra loro, e di procurare loro la legittima forma teoretica attraverso una simile pene trazione delle loro funzioni nella totalità teoretica. Per quanto grande possa anche essere un tale interesse, è però 66 assai discosto dall'interesse filosofico: svelare cioè 1'idea finalistica di una epistemologia secondo le strutture teleo logiche ad essa immanenti, sviluppare le idee - idee di discipline parziali all'interno della logica - in un'evidenza originaria, con la problematica che è essenzialmente propria a ciascuna di esse, e che essenzialmente, in sé, è unica. Del resto si potrà vedere soltanto più tardi fino a qual punto qui vengano realmente mossi i più alti interessi filo sofici. Ma si concederà in ogni caso che la scienza dei principi appartiene alla filosofia, e le appartiene altresì la 10 R imangono dunque escluse discipline come la geometria pura, la meccanica pura, e anche la geometria e la meccanica ana litica, in quanto esse si riferiscono in modo effettivo allo s p a z i o e d a fo r z e.
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principialità stessa della scienza in generale, e dunque le questioni logiche di principio. Ciò qui può bastare. Fin qui noi abbiamo già perseguito il metodo dell'espli citazione sistematica della struttura teleologica della idea della logica, e per suo mezzo abbiamo sviluppato e portato a una certa purezza per lo meno u n a struttura del ge nere, l 'idea cioè dell'analitica formale rivolta esclusivamente su giudizi (come puri significati). In certo modo questa, e non soltanto come mera idea ma come teoria elaborata, esisteva già da lungo tempo, da millenni. Ma per il modo in cui essa si presentò in uno stato embrionale non sviluppato del suo proprio senso e della sua delimitazione e stratifi cazione essenzialmente necessaria, e rimase in questa oscu rità in tutte le sue nuove elaborazioni, essa era insufficiente. Ora però noi, sotto questo aspetto, col nostro dispiegamento intenzionale, abbiamo proceduto di un buon tratto. Se guendo la struttura dei significati ideali, abbiamo potuto depositare in tre strati il senso per così dire innato alla logica tradizionale, e in conformità con ciò esplicitare le tre discipline fondate una sull'altra nella pura analitica dei giudizi. Ma come l 'importante ancora manchi ad una com prensione di principio, e quanto a fondo noi dobbiamo ancora sospingere la chiarificazione intenzionale, lo mostrerà la trattazione del compito che ci viene proposto attraverso L e i b n i z e la matematica moderna. § 24. Il nuovo problema di una ontologia formale. Carat terizzazione della matematica formale tradizionale come ontologia formale. Il p r o b l e m a essenzialmente n u o v o di cui noi guidati dapprima dalla logica sillogistica della tradizione - non potevamo fin qui renderci conto, sorge cioè non appena noi, anziché lasciarci irretire dalle oscurità della logica tradizionale, ci facciamo guidare dalla logica della matematica moderna - quella che collega l 'algebra 67 sillogistica con la rimanente >. Anche questa mate-
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matica formale ampliata è cosa che troviamo gia m atto e che, d'altra parte, propriamente non esiste ancora. Essa ancora non esiste in quanto manca per essa il senso unitario, messo in luce in una chiarificazione di principio, l ' i d e a f i n a l i s t i c a, d i s p i e g a t a n e l l ' e v i d e n z a, di una scienza unitaria, idea in base alla quale si dovrebbe comprendere che ciò che essa unisce secondo una tecnica teoretica, è necessariamente omogeneo [zusammengehiirt], in quanto omogeneità del senso, che è fondata in questa idea chiarificata. Non appena cerchiamo di raggiungere questa idea (sia muovendo dalla idea, che già ci si è chiarita, di un'analitica formale, verso le antiche discipline matematico formali, che ne debbono ricevere prima di tutte un chia rimento, o viceversa), noi incontriamo sulla sua strada il n u o v o p r o b l e m a , quello di un'ontologia formale. Per poterne anticipare lo svolgimento, ci si ricollegherà al fatto che l'analitica aristotelica era fondata come analitica a p o f a n t i c a , e che dunque il suo concetto tematico fondamentale, quello che ne circoscriveva il suo proprio ambito, era quello dell 'apofansi : della proposizione enun ciativa (che asserisce con certezza), ovvero il giudizio pre dicativo. L 'elaborazione metodicamente perfetta di questa analitica (quando essa è rivolta puramente ai significati del giudizio) conduce necessariamente ad una > formale apofantica. Giacché chiunque abbia una volta im parato, nella matematica moderna e nell'analisi matematica in generale, la tecnica deduttiva, deve senz'altro vedere (come già L e i b n i z ha visto per primo) che le forme proposizionali si possono trattare, e si può > con esse, come si fa con numeri, grandezze, ecc. ; di più, che è questo l 'unico modo in cui dev'essere costruita una teoria universale delle proposizioni, come una teoria essen zialmente deduttiva. Ciò vale già - come sopra è stato indicato - per una mera morfologia delle proposizioni. Di fronte all 'apofantica, secondo questo stile metodico di una matematica apofantica, noi abbiamo ora la m a t e m a t i c a n o n - a p o f a n t i c a , l'> formale tra dizionale dei matematici, la matematica degli insiemi, delle
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combinazioni e permutazioni, dei numeri cardinali (dei modi del quanto), dei numeri ordinali di vario grado, delle molteplicità - con le note forme, che appartengono a queste ultime, dette anch'esse numeri, ma che non potreb bero in nessun modo essere confuse coi numeri già indicati, giacché esse desumono il loro senso dalle definizioni date di volta in volta delle molteplicità. In q u e s t o a m b i t o n o n s i p r e s e n t a n o , com'è ovvio, p r o p o s i z i o n i p r e d i c a t i v e , > nel senso della logica tradizionale, c o m e c o n c e t t i t e m a t i c i f o n d a m e n t a l i. 68 Se ci si domanda quale sia il concetto universale che deve delimitare il campo unitario di queste discipline chia ramente omogenee, ci si trova subito nell'imbarazzo. Ma se 11 si prende in considerazione la generalità naturalmente più ampia dei concetti di insieme e di numero, e i concetti di elemento o di unità che determinano il loro senso, si riconosce allora che la dottrina degli insiemi e dei numeri cardinali, si riferisce all'universo vuoto dell' o g g e t t o i n g e n e r a 1 e, ovvero del q u a 1 c o s a i n g e n e r a 1 e in una generalità formale che di principio lascia fuori gioco ogni determinazione concreta di oggetti ; inoltre che queste discipline sono interessate specialmente a certe determinate forme deduttive del Qualcosa in generale ; l'una, cioè la teoria degli insiemi, agli insiemi in quanto raccolti da oggetti qualsiasi ; e similmente la dottrina dei numeri cardinali, a numeri cardinali in quanto essi sono determinate differenziazioni, da produrre sistematicamente, di forme di insiemi. Procedendo da qui si riconosce che come la dot trina degli insiemi e la dottrina dei numeri cardinali, così pure le rimanenti d i s c i p 1 i n e m a t e m a t i c h e f o r m a 1 i sono f o r m a 1 i nel senso che esse hanno come concetti fondamentali certe f o r m e d i d e r i v a z i o n e d e l Q u a l c o s a i n g e n e r a l e . Di qui si sviluppa una idea universale di scienza, quella di una m a t e m a 11
Come è già avvenuto nella mia Philosophie der Arithmetik.
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t i c a f o r m a 1 e n e 1 s e n s o t o t a 1 m e n t e c i r e o s c r i v e n t e , il cui ambito universale s i delimita soli damente come circoscrizione del supremo concetto formale di o g g e t t o i n g e n e r a 1 e o del Qualcosa in generale pensato nella più vuota generalità con tutte le forme di derivazione producibili e perciò pensabili a priori in questo campo ; forme che, in una costruzione iterativa sempre nuova, danno luogo a forme sempre nuove. Tali deriva zioni sono, oltre all'insieme e al numero cardinale (finiti e infiniti), la combinazione, la relazione, la serie, il collega mento, il tutto e la parte, ecc. Così riesce facile di consi derare tutta questa matematica come un' o n t o I o g i a ( dottrina a priori dell'oggetto), ma come un 'ontologia f o r m a I e , rivolta ai puri modi del Qualcosa in genere. Con ciò sarebbe dunque raggiunta anche l'idea guida per de terminare in considerazioni strutturali a priori i campi particolari di questa ontologia, di questa matematica delle oggettività in genere.
§ 25 . Apofantica formale e ontologia formale sono tematicamente separate, ma in concreto sono inseparabili. Dopo queste considerazioni, il campo di questa onto logia formale, quale matematica formale ampliata in una universalità essenziale, sembra essere n e t t a m e n t e d i v i s o da quello dell'analitica dei giudizi - quando questa sia separata da ogni tematica rivolta in senso sog gettivo, tematica che resta di principio anche estranea alla dottrina degli insiemi, all'aritmetica, ecc. Noi non dob biamo, evidentemente, lasciarci ingannare dal fatto che anche la sillogistica si può trattare in modo algebrico, e ha un aspetto teorico simile a quello di un'algebra delle grandezze e dei numeri ; e che, secondo una osservazione geniale di G. B o o 1 e , il calcolo dell'aritmetica si riduce (considerato formalmente) al > se si pensa la serie dei numeri cardinali delimitata da zero e uno.
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L'analitica apofantica e quella ontologico-formale sarebbero dunque due scienze diverse, separate in base al loro campo rispettivo. Tuttavia è appena necessario ricordare il fatto che giudicare non ha altro significato che : giudicare intorno ad o g g e t t i , enunciare p r o p r i e t à di essi, o d e t e r m i n a z i o n i r e l a t i v e; così si deve notare che onto logia formale e apofantica formale, nonostante la loro te matica dichiaratamente diversa, debbono essere assai unite tra loro, e forse sono inseparabili. Ma in definitiva t u t t e l e f o r m e d i o g g e t t i , tutte le forme di modifi cazione del Qualcosa in generale, intervengono nell' a p o f a n t i c a f o r m a l e s t e s s a, cosi come in modo essenziale i fattori costitutivi (proprietà e determinazioni relative), gli stati di cose, i collegamenti, le relazioni, le totalità e le parti, gli insiemi, i numeri cardinali e quali altri modi dell'oggettualità si vogliano, esplicati in concreto ed originariamente, esistono per noi veramente o sono pos sibili solo in quanto intervengano in giudizi. Perciò in tutte le distinzioni formali di giudizi sono anche coimpli cate le differenziazioni delle forme degli oggetti (comunque questo > e questo « intervenire >> debba ulteriormente chiarirsi 1 2). Nel giudizio plurale p. es. viene in luce il plurale, nel giudizio generale, il generale. Certo il plurale in quel giudizio non è oggetto nel senso pre gnante di ciò > giudica, del substrato dunque delle determinazioni, come, nell'altro esempio, non lo è il gene rale. Ma nella dottrina formale del giudizio, come pura morfologia, si presentano anche quelle > attra verso cui la forma plurale del giudizio può essere trasposto nella forma della predicazione singolare sulla collezione, e la forma del giudizio in generale sulla forma di un giudizio sul generale come genere. Stato di cose e fattori costitutivi sono categorie oggettuali, ma ogni giudizio, come S è p, che giudica su S e di esso enuncia che p, può essere mo12 Su questo punto il cap. IV darà dei chiarimenti.
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dificato per , in un giudizio sullo stato 70 di cose : S è p, o nel giudizio sul fattore costitutivo p, nella forma : p conviene a S 1 3• Tenendo presente tutto ciò non si può dunque dare già per risolto il problema dell'unità o distinzione dell'analitica logica formale e della matematica formale, e la nozione della loro unità acquista già anzi, a partire di qui, una certa forza. Ma sono necessarie rifles sioni assai più profonde per raggiungere una comprensione reale. § 26. L'occultamento del problema dell'unità di apofantica formale e di matematica formale : sue ragioni storiche. a) Carenza del concetto della pura forma vuota.
Il problema che ci sta davanti non poteva ancora pre sentarsi per gli antichi, e la logica e la matematica ai loro inizi dovevano apparire loro come scienze senz'altro sepa rate, poiché essi non erano ancora così avanzati da portare a forma pura qualsiasi disciplina matematica. L'aritmetica non era ancora distinta in linea di principio dalla geo metria e dalla meccanica (come è per noi, in relazione alla nostra opposizione di principio tra matematica formale e di contenuto). Giacché mai, presso gli antichi, il concetto di numero cardinale è stato svuotato da ogni materia con creta, né era ancora riferito, nelle unità pensate come contate, al territorio del vuoto Qualcosa in generale. Si aggiungerà inoltre che, da parte sua, l 'antica apofantica (come noi avevamo già osservato in precedenza 14), data la sua rela zione oggettuale alla realtà, non era ancora formalizzata fino in fondo. Perciò A r i s t o t e l e disponeva soltanto di una ontologia reale, ed era questa che egli considerava
13 Cfr. per ciò Ideen, pp. 247 sg. [265 sg.] e Log. Unters., II, 1 , Ricerca V, § § 34-36 ; II, 2, Ricerca VI, § 49. u Cfr. sopra § 12, capoverso conclusiYo.
7. - l-l11sserl
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►• Non poteva disporre invece dell'onto logia formale e perciò neppure della nozione che essa, in sé, precede quella materiale. La scoperta vera e propria del Formale si attua solo all'inizio dell'età moderna, sulla strada che passa per la fondazione dell'algebra ( V i è t e ) , e dunque per la tec nicizzazione deduttiva della teoria dei numeri e delle gran dezze, e conquista il suo puro senso con L e i b n i z , la cui m a t h e s i s u n i v e r s a l i s ha chiaramente re spinto ogni legame a qualsiasi generalità concreta (fosse pure la generalità più alta). I logici filosofi dell'età moderna - non mi riferisco quindi ai logici che gareggiano coi matematici nella elabo71 razione dell'algebra logica, e che si trattengono, come quelli, nell'ingenuità filosofica - non si sono liberati, per quanto qui è in questione, dell'ipoteca della tradizione aristotelico-scolastica. Essi non hanno inteso il senso (del resto difficilmente afferrabile sulla base dei brevi cenni leibniziani) della m a t h e s i s u n i v e r s a l i s . Essi non hanno visto il problema che ci era posto dalla matematica moderna, e ciò in base a altri profondi motivi.
b) Deficienza della nozione dell 'idealità delle formazioni apofantiche.
La fondazione aristotelica dell'analitica come apofan tica, come logica dell'enunciato predicativo ovvero come logica del giudizio predicativo, si rivelò in un primo tempo un ostacolo. Per quanto necessario fosse questo inizio, rimase per altro implicita in esso una difficoltà profonda mente radicata ad astrarre tematicamente dall'attività giu dicante, in modo che, attenendocisi conseguentemente in questo atteggiamento, anche la sfera del giudizio venisse considerata teoreticamente come un campo obbiettivo pro prio dell'idealità a priori, come fanno il geometra per rap porto alle pure forme geometriche, l 'aritmetico per rapporto ai numen.
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Era implicito nella stessa natura delle cose che l 'obbiet tività ideale delle formazioni predicative non potesse esser riconosciuta e che a tutt'oggi non sia stata ancora univer salmente accettata, anche dopo che, nei tempi più recenti, essa è stata messa -sistematicamente in luce e criticamente sosten�ta c;ntro lo psicologismo empiristico. I giudizi ci sono dati · originariamente nelle attività giudicative. Ogni lavoro conoscitivo è una attività psichica molteplice e insieme unitaria, in cui si fanno avanti le formazioni cono scitive. Ora è certo che anche gli oggetti esteriori ci sono dati originariamente soltanto nell'esperire soggettivo. Ma essi vi intervengono come già precedentemente esistenti (come >), sicché, nell'esperire, essi vengono semplicemente in luce. A differenza dalle formazioni del pensiero (i giudizi, le prove, ecc.) essi non ci vengono dati da una nostra propria attività di pensiero, e conformati solo sulla base di essa (anziché di materiali già disponibili ad essa estranei). Con altre parole : le cose sono anticipate alla vita attiva quali originariamente estranee all 'io, date dall'esterno. Le formazioni logiche al contrario provengono e s c 1 u s i v a m e n t e d a 1 1 ' i n t e r n o , procedono esclusivamente dalle attività spontanee, e si svolgono in esse. D 'altra parte è certo che esse, dopo essere state prodofte di fatto, vengono ancora avvicinate come esistenti ; si >, e quante volte piaccia, come sulle medesime ; le si impiega in un tipo di prassi, le si connette (p. es. come premesse), se ne produce l'elemento nuovo, conclusioni, prove, ecc. Dunque si procede con esse come 72 con cose reali, benché qui non si possa affatto parlare di realtà [Realitiiten]. Così esse ondeggiano in modo oscuro tra soggettività e oggettività. Ma quanto a concedere loro seriamente una validità come oggetti irreali, quanto a render ragione alle evidenze b i 1 a t e r a 1 i , che forse scorret tamente vengono rivolte l 'una contro l'altra, e a conside rare seriamente proprio quello che qui costituisce sul serio un problema, questo non lo si osa, resi ciechi dalla paura ereditaria del platonismo e incapaci di afferrare il suo puro senso e il suo autentico problema.
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La situazione è certo, di principio, la stessa anche per le altre scienze a priori che storicamente erano tramandate sotto il titolo di matematica ; la stessa dunque, di princi pio, per la geometria, per la aritmetica, ecc., scienze che appaiono rivolte anch'esse in modo del tutto aproblematico, alle loro relative sfere oggettuali, alle forme geometriche, ai numeri cardinali od ordinali, ecc. ; benché anche queste oggettualità si presentino ai ricercatori nelle loro azioni soggettive, nel tirar linee, nella produzione geometrica di superfici, ecc., ovvero per via del collegare, contare, ordi nare, combinare. Eppure, qui non si pensava nemmeno a rendere soggettive le formazioni stesse. Giacché ci si poteva continuamente appoggiare sull'esempio delle forme sen sibili spazio-temporali, le quali predirigevano lo sguardo in senso oggettivo, ma mascheravano anche l 'irrealtà delle forme matematiche. Costruzioni, insiemi, formazioni nume riche ecc. effettuati sulla base di oggetti reali assunti come rappresentanti esemplari, davano luogo a formazioni che dovevano essere considerate come reali (figure reali, corpi, insiemi e numeri reali), mentre non vale il medesimo per le formazioni delle azioni del giudicare. Muovendo di qui si comprende come nell'antichità l 'intuizione già molto avanzata della dottrina stoica del Àe:x:r6v non potesse far breccia, e come nell 'età moderna la maggior parte dei logici, anche dopo la costituzione di una matematica formale e dopo il suo ampliamento me diante il calcolo logico, non fossero in grado di scorgere una connessione interna tra la tematica matematica e quella logica. Essa poteva soltanto venire in luce quando, parallela mente alle formazioni matematico-formali e nello stesso atteggiamento ideale-oggettivo, fossero divenute tematiche le formazioni logico-formali. Nella matematica questo atteg giamento astrattivo era una tradizione ben solida, che de terminava da sempre e in modo esclusivo l 'intenzione teoretica della teorizzazione matematica. Nella logica oc correva prima che tale atteggiamento venisse acquisito.
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c) Ulteriori motivi; in particolare, la mancanza di ricerche autentiche sull'origine.
Inoltre si fecero avanti le ardite interpretazioni > dei giudizi, che si presentavano come necessa rie per una introduzione della sfera apofantica nella matema tica ; ricerche assai poco gradite ai logici orientati filosofi camente. Furono soltanto dei logici affatto isolati che si misero dalla parte delle tesi dei matematici, ma in fondo essi seguivano piuttosto un'inclinazione personale per ciò che è esatto come L o t z e 1 5, o il pregiudizio della supe riorità del punto di vista dei matematici, come è chiara mente il caso di A. R i e h l 16 - più di quanto non cer cassero di fondare la loro presa di posizione sulla ricerca effettiva. In rapporto alla matematica i logici non avverti rono la presenza delle difficoltà di fatto pienamente parallele dovute al reciproco implicarsi e accompagnarsi della ob biettività ideale delle formazioni e dell'attività che sogget tivamente le costituisce ( del numerare, del combinare, ecc.), perché non si era mai propriamente pervenuti a una seria indagine filosofi.ca sull'origine dei concetti fondamentali ma tematico-formali appunto in quanto concetti di formazioni soggettivamente costituite. Avrebbe dovuto allora essere ovvio che il giudicare e il numerare sono spontaneità attive strettamente imparentate, che costituiscono in modo simile i loro correlati ideali, giudizio e numero 11 ; e inoltre, che un atteggiamento conseguentemente unilaterale rende pos sibile ed esige per entrambi e nello stesso senso una teoria oggettiva - una teoria matematica 19, 15 Cfr. le affermazioni contenute nella Logik di L o t z e, cap. I, § 18; cap. III, § 1 1 1 ; affermazioni cosi poco approfondite, che in esse si parla di matematica in generale e non si esclude (come risulta dal contesto) la matematica materiale. 1 6 Cfr. Der philos. Kritizismus, II, 1 , p. 228. 1 7 Cfr. la mia Philosophie der Arithmetik, 1 891, p. es. a p. 91 (og getti categoriali come formazioni). 18 Il tema fondamentale del I voi. delle mie Logische Untersuchungen fu appunto l 'evidenziazione di questo punto.
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In generale si capisce come una presa di coscienza radicale, condotta in linea di principio, sul senso per così dire > di entrambe le discipline, era e rimane ugual mente necessaria per rompere !'interdetto tradizionale e pe netrare fino alla più intima comprensione dell'unità della loro tematica - anziché accontentarsi, come i matematici, di una unità desunta da una tecnica teoretica, o, come la maggior parte dei filosofi, di una presunta separazione che non può rendersi comprensibile mediante alcuna intuizione di principio. 74
d) Osservazione sulla posizione di Bolzano in rapporto all'idea dell'ontologia formale.
Quanto sia difficile pensare m modo radicale e in questo modo penetrare a fondo sia dalla logica analitica nella matematica formale, sia viceversa da questa in quella, e quanto perciò debba essere valutata l'opera compiuta da L e i b n i z in questo senso, lo si vede in B. B o 1 z a n o . Nella sua ammirevole Wissenschaftslehre del 1 837 egli era già abbastanza avanti per abbozzare in forma sistematica una dottrina delle proposizioni e delle verità in sé come una apofantica analitica in sé chiusa. D'altra parte, già nel 18 10, nei suoi Beitriige zu einer begriindeteren Darstellung der Mathematik, egli compie perfino il tentativo di una definizione di principio della matematica che già punta verso l'idea di una dottrina formale a priori dell'oggetto, benché certo senza penetrare fino al suo effettivo senso (come mostrerò alla fine del paragrafo). Eppure Bolzano non riuscì a portare a fondo la sua penetrazione delle due idee, di una analitica delle proposizioni e di una analitica formale :natematica, e a scoprire la loro intima equivalenza ; neppure tanto da prendere in considerazione la possibilità di una teorizzazione algebrica delle formazioni logiche parallela a quella delle formazioni matematico-formali nel senso consueto. In breve, per quanto abbia imparato da L e i b n i z , egli rimane assai indietro rispetto alle sue intuizioni.
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Nella nuova benemerita edizione dello scritto giovanile di Bolzano, prima pressoché introvabile, che è dovuta a H. F e l s , (nono volumetto della di F. Schoning, Paderborn, 1 926) si leggono, in un primo momento con stupore, le proposizioni che introducono il § 8 (op. cit., p. 17), che, per quanto debbano essere criticate nei particolari, sembrano promettere una definizione dell'ontologia formale: « Io penso che si possa chiarire la matematica come una scienza che tratta delle leggi generali (forme) alle quali le cose debbono conformarsi nella loro esistenza. Sotto il nome di cose io non intendo solo quelle che posseggono un'esistenza oggettiva, indipendente dalla nostra coscienza, ma anche quelle che esistono soltanto nella nostra rap presentazione, e queste a loro volta: o come individui (cioè intui zioni) o come meri concetti generali ; in una parola dunque tutto ciò che può essere in generale un oggetto della nostra facoltà rap presentativa •> . Se guardiamo la cosa da vicino B o l z a n o dà qui una definizione (che però richiede una purificazione) di un'onto logia generale a priori, che include in sé ontologia materiale e ontologia formale vuota, non separate tra loro. Certo egli tenta poi la distinzione di una , cui si dovrebbero riferire come discipline la , la « teoria delle com binazioni •> ecc. e rileva che, rispetto a queste, discipline come la geometria, la cronometria, ecc. debbono considerarsi non come coordinate ma come subordinate ; e trova il valore distintivo delle prime nel fatto che le loro leggi possano essere impiegate su ogni cosa senza eccezione ; mentre quelle delle altre scienze non lo pos sono. Tuttavia la sua idea di porre la cosa in generale come specie suprema, sotto cui, come speci particolari che si producono per divisione, stanno i concetti superiori della geometria e delle disci- 75 pline ad essa coordinate, mostra chiaramente che egli non ha visto la distinzione tra la f o r m a v u o t a d e 1 Q u a l c o s a i n g e n e r a l e assunta come genere supremo che s i d i f f e r e n z i a i n q u a n t o f o r m a l e - v u o t a, e l a r e g i o n e u n iv e r s a 1 e dell' e s i s t e n t e possibile (del reale nel senso più ampio) regione che s i d i f f e r e n z i a i n r e g i o n i p a r t i c o 1 a r i ; e non ha dunque visto nemmeno la distinzione tra le sussunzioni delle particolarizzazioni formali sotto il generale for male e le sussunzioni delle particolarizzazioni regionali (materna tico-materiali) sempre sotto generalità formali. Le ultime partico larizzazioni non restano affatto all'interno della matematica for male, le altre risultano dalla formalizzazione della matematica ma teriale. In una parola, B o 1 z a n o non ha raggiunto il vero e
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proprio concetto di formale che detennina l'ontologia formale, benché l'abbia in certa misura sfiorato.
§ 27. L'introduzione dell'idea dell'ontologia formale nelle Ricerche logiche.
Per quanto mi risulta, l 'idea di una ontologia formale si presenta per la prima volta in forma letteraria nel primo volume delle mie Ricerche logiche 19 , e propriamente nel tentativo di un dispiegamento sistematico dell 'idea di una logica pura, benché non ancora sotto il n o m e , da me solo più tardi introdotto, di un'ontologia formale. In gene rale le Ricerche logiche, e soprattutto quelle del secondo volume, hanno osato riprendere in una nuova forma l'an tica idea, tanto spesso ripudiata sulla base del kantismo e dell'empirismo, di un 'ontologia a priori, ed hanno cer cato di fondarla, come necessaria per la filosofia, in fram menti di realizzazione concreta. L ' a p r i o r i o n t o l o g i c o - f o r m a l e si palesa (op. cit., cap. conclusivo del primo vol.) come inseparabil mente collegato con l ' a p r i o r i a p o f a n t i c o (quello dei significati enunciativi), e appunto in base a ciò doveva divenire avvertibile il problema di come sia da intendere questa inseparabilità. Questo problema dei rapporti di onto logia formale e logica apofantica, che ha determinato il percorso della nostra attuale ricerca, nelle Ricerche logiche non era stato ancora sollevato. Può forse riuscire utile ricuperare la motivazione che aveva condotto alle esposi zioni date in quel capitolo, riprendendone anzi le stesse parole. Un nuovo chiarimento di ciò che in quel contesto è presentato in modo eccessivamente ristretto, ci permet terà di pervenire a delimitazioni critiche e perfezionamenti notevoli, avvicinandoci in modo considerevole ai fini della nostra ricerca attuale. 19 Log. Unters. , I voi., Prole gomena zur reinen Logik, I ed., 1900.
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a) Le prime ricerche costitutive di oggettualità categoriali 76 nella Filosofia dell'aritmetica.
Già nella Filosofia del!' aritmetica, del 189 1 20 , mi riuscì di rivolgere l'attenzione determinatamente sul Formale, di cui ottenni allora una prima comprensione. Quell'opera, per quanto immatura fosse, come primo lavoro, rappre sentava però un primo tentativo di chiarire, mediante un ritorno sulle attività spontanee del collegare e del contare, nelle quali si danno collezioni (>, >) e numeri cardinali nel modo della produzione originaria, di chiarire il senso vero e proprio, il senso autentico e origi nario, dei concetti fondamentali della teoria degli insiemi e dei numeri cardinali. Si trattava dunque - se devo espri mermi nel mio linguaggio più tardo - di una ricerca fenomenologico-costitutiva, ed era anche la prima che cer casse di rendere intelligibile le > di primo grado e del grado superiore (insiemi e numeri cardinali di grado gerarchico superiore 21) a partire dal1 'attività intenzionale >, e di introdurle origi na/iter come sue operazioni, dunque nella piena originarietà del suo senso. Si deve intendere a priori che, tutte le volte che la forma di queste azioni spontanee rimane la stessa, correlativamente anche le loro formazioni debbono avere una forma uguale. Se dunque le configurazioni concettuali di insieme e numero cardinale vengono attuate nella pura generalità, e nella più ampia, allora nulla del contenuto concreto ( del quid contenuto) degli elementi raccolti e delle unità contate può introdursi in questa generalità ; esso deve rimanere variabile in modo assolutamente libero, ciò
20 Si tratta di un adattamento - solo per la forma letteraria - del mio lavoro di abilitazione di Halle del 1 887, un frammento del quale è stato pubblicato per fini accademici: Ueber den Begrijf der Zahl [Sul concetto del numero] , non in commercio. 21 Vi si è riferito esplicitamente B. Erdmann, assumendo come altro esempio quello della persona giuridica, nella sua Logik, I, 1 , (1892) dove si parla (p. 101 ) di .
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che, com'è chiaro, corrisponde del tutto all'intenzione della teoria degli insiemi e dei numeri cardinali. Il momento formale di queste discipline sta dunque in questa relazione all' o g g e t t u a l i t à i n g e n e r a l e ; al Q u a l c o s a i n g e n e r a l e , in una generalità del tutto vuota, che lascia del tutto arbitraria ogni determinazione concreta. Ma i suoi concetti fondamentali sono (secondo il mio linguaggio posteriore) formazioni sintattiche in forma, forme sintat tiche di derivazione del vuoto Qualcosa. Era ovvio che io, nelle mie ricerche ulteriori, che ab bracciavano l'intera matematica formale 19 e che puntavano in definitiva su una >, sulle forme delle scienze deduttive come tali, pervenissi ben presto a vedere la matematica formale in generale sotto il punto di vista unitario di una scienza, che ha a che fare di principio con le forme di derivazione del Qualcosa in generale, e che dunque in tutte le sue discipline, che da ciò derivano una connessione essenziale, ha un terreno comune nella vuota regione del Qualcosa in generale. b) La via dei Prolegomena, all'ontologia formale.
dall'apofantica formale
Consideriamo ora la strada che nel capitolo già richia mato dei Prolegomena alla logica pura ha portato dal dispie gamento conseguente del senso di una logica apofantica formale all'ontologia formale. Come idea-guida per la prima si prestò quella della dottrina a priori della scienza, con la sua esclusiva direzione di ricerca puntata sul contenuto oggettivo-ideale delle scienze, che, comunque sia derivato dalle operazioni soggettive, si presenta come un sistema di veri principi, come unità della teoria. Con maggiore preci sione, l'attenzione viene in principio rivolta di preferenza sulle scienze che si propongono una s p i e g a z i o n e 22
Cfr. la premessa della Philosophie der Arithmetik.
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t e o r e t i c a ( s c i e n z e n o m o l o g i c h e, d e d u t t i v e ) , e sul!' > 23 - della > . Si tratta dunque dell'a priori della teoria come tale cosi intesa, nella generalità formale ; essa lascia indeterminata ogni particolarità concreta degli oggetti o dei campi di oggetti cui una teoria si riferisce. Come compito di tale logica formale si presentò innanzitutto l'evidenziazione dei concetti costitutivi che appartengono all 'essenza di una teoria come tale. Ne erano interessati u i concetti di proposizione (giudizio), di concetto, e in ge nerale tutti i concetti che concernono la costruzione dei giudizi, di quelli semplici e di quelli complessi, e natural mente anche il concetto della verità. A questo gruppo di concetti vien dato il nome di > . Ad essi vengono contrapposti come concetti correlativi della scienza logica quelli delle >, i concetti cioè di: o g g e t t o , stato di cose, unità, pluralità, numero cardinale, rela zione, collegamenti, ecc. - concetti tutti quanti liberati dalla particolarità della materia conoscitiva 25 • È in connes- 78 sione con ciò che si parla 28 del compito della determinazione delle relative leggi, e che l e l e g g i vengono appunto d i v i s e s e c o n d o q u e s t i d u e g r u p p i d i c at e g o r i e , le categorie del significato e quelle oggettuali. A p p u n t o c o n c i ò l a l o g i c a f o r m a l e è ca ratterizzata m pieno rigore i n s i e m e come una a p o f a n t i c a e come una d o t t r i n a f o r m a l e a 18 Prolegomena [I voi. delle Log. Unters.], § 64, p. 232. 24 § 67, pp. 243 e sg. (I ed. ) ; pp. 242 sg. nella II edizione, modi ficata solo in qualche passaggio. 25 Al concetto della categoria e ai concetti connessi delle leggi « ana litiche >> o formali, rispetto a quelle sintetiche o materiali, alla distin zione di intuizione sensibile e categoriale ecc., si riferiscono estese ri cerche del II voi. delle Log. Unters., e in partic.: II, 1, sez. Ili, § 1 1 , e l 'intera sez. I I , Sinnlichkeit und Verstand [Sensibilità e intelletto] in I I , 2. 28 Prolegomena, § 68.
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p r i o r i d e 1 1 ' o g g e t t o . Le appartengono, come ri sulta dalle ulteriori considerazioni, non soltanto la sillo gistica ridotta al campo dei significati ideali, bensì anche la dottrina dei numeri cardinali, le dottrine dei numeri ordi nali e dei grandi numeri 17 , e altresì naturalmente la dottrina formale delle grandezze in generale, la dottrina delle com binazioni e permutazioni, ecc.
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Op. cit. , p. 248 (II ed., p. 251 ).
Capitolo terzo TEORIA DEI SISTEMI DEDUTTIVI E DOTTRINA DELLA MOLTEPLICITÀ
§ 28. Il grado più alto della logica formale : la teoria dei sistemi deduttivi o (correlativamente) la teoria della molteplicità.
Rivolgendomi al tipo affatto nuovo di a n a 1 i s i -m a t e m a t i c a che aveva avuto un prorompente sviluppo teorico-tecnico nel secolo XIX, e mosso dalla necessità di portare a chiarezza il senso logico di questa analisi, che permaneva in una assoluta confusione, mi si presentò ancora un terzo e più alto compito di una logica formale o dottrina formale della scienza. Esso si annuncia nel titolo del § 69 28 , come t e o r i a d e 1 1 e f o r m e p o s s i b i 1 i d i t e o r i e , o (correlativamente) come d o t t r i n a d e l l a m o l t e p l i c i t à. Poiché il concetto della teoria (in rapporto con quanto s'è detto nel precedente· paragrafo) doveva essere inteso in senso pregnante - in conformità alle scienze nomolo giche o deduttive - cioè come una connessione sistematica di proposizioni nella forma di una deduzione sistematica mente unitaria, veniva così acquisito qui un primo inizio 79 per una teoria dei sistemi deduttivi, o, ciò che è lo stesso, per una disciplina logica delle scienze deduttive come tali, e considerate come t o t a 1 i t à teoriche. Come al grado 28 Prolel!omena, p. 247.
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precedente della logica erano divenute tematiche, secondo la pura forma, tutte le formazioni di significato che pos sono presentarsi a l l ' i n t e r n o di una scienza a priori, dunque le forme di giudizio (e le forme dei loro ele menti), le forme deduttive, le forme di prova, e corre lativamente, dal lato oggettivo, oggetti in generale, in siemi e rapporti di insiemi in generale, combinazioni, ordini, grandezze in generale, ecc., con le relative relazioni essenziali formali ; così, ora, si fanno tematici i s i s t e m i d i g i u d i z i o n e 1 1 a l o r o t o t a l i t à , che costi tuiscono l 'unità di una possibile teoria deduttiva, quella di una > 2•. Come concetto totale oggettuale (e sempre inteso nella generalità formale) si pre senta qui ciò che la matematica, senza alcuna determina zione elucidativa del significato, intende con il nome di >. Si tratta del concetto formale del campo di una scienza deduttiva, pensata come unità sistematica o totale della teoria: ripeto qui la rigorosa caratterizzazione dell'idea di una dottrina formale delle forme di teorie ovvero dottrina della molteplicità ; di quella caratterizza zione non saprei modificare nulla ; è opportuno tuttavia averla qui sott'occhio. >. (Cosi nei Prolegomena, pp. 249 sgg.) Il nuovo concetto supremo della disciplina che è qui in discussione sarebbe dunque: f o r m a d i u n a t e o r i a d e d u t t i v a o di un > ; esso è natu . ralmente fondato nei concetti categoriali del grado inferiore. Accanto al compito della sua definizione formale sussiste
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ora quello, che spazia all'infinito, di differenziarlo, di ab bozzare forme possibili di tali teorie in una esplicita elabo razione sistematica, ma anche di riconoscere teoreticamente molteplici forme teoriche di questo tipo come singolarità di generalità formali superiori, e di differenziare queste medesime (e al di sopra di tutto, appunto l 'idea suprema di una forma delle teorie in generale, quella di un sistema deduttivo in generale) nelle loro forme particolari e deter minate. § 29. La riduzione formalizzante delle scienze nomologiche e la dottrina della molteplicità.
Il senso di questo compito fu meglio chiarito 30 mo strando che la dottrina della molteplicità della matematica 81 moderna (e in definitiva tutta l'analisi formale moderna) è già una realizzazione, certo solo parziale, ma concepita secondo una progressione aperta, di questa idea di una scienza dei sistemi deduttivi possibili. Appunto con ciò fu attuata per la prima volta un'esplicitazione comprensibile e radicalmente evidente del senso di questa analisi, la quale - assunta in tutta la sua ampiezza - realizza l 'idea I e i b n i z i a n a di una mathesis universalis, così come il senso dispiegato della logica universale del grado più alto, quella dei sistemi deduttivi, è insieme un dispiegamento neces sario del senso vagheggiato da L e i b n i z . Riprendendo liberamente le spiegazioni date nel citato § 70, si avvertirà sin d'ora che ogni scienza teorica nomo logica esplicativa, p. es. la geometria di E u c l i d e - così come l'ha vista lo stesso Euclide, quale teoria dello spazio intuitivo del mondo - si lascia ricondurre a forma di teoria. Questo accade naturalmente per via di quella gene ralizzazione, che è propria della logica, che è la >, per cui tutti i contenuti qualitativi concreti dei •• Op.
cit.,
§ 70.
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concetti, dunque in questo caso ogni elemento specifi camente spaziale, vengono trasposti in . Allora il sistema concreto della geometria si trasforma in una f o r m a s i s t e m a t i c a esemplificativa, ad ogni verità geometrica corrisponde una f o r m a di verità ; ad ogni deduzione geo metrica o a ogni prova, una f o r m a deduttiva, una f o r m a di prova. Dal e a m p o o g g e t t u a 1 e deter minato dei dati spaziali procede la f o r m a d i u n c a m p o , o come dice il matematico, una m o 1 t e p 1 i e i t à . Non si tratta semplicemente di una molteplicità in generale, che equivarrebbe a un insieme in generale, e neppure della f o r m a di > ; si tratta bensi di un insieme il cui aspetto particolare con siste solamente nel fatto d'essere pensato nella vuota gene ralità formale come 81 • Generalizzando, si parla di spazi a n dimensioni, di spazi r i e m a n n i a n i , di spazi di L o b a c e v s k j , anziché della generalizzazione di quella f o r m a cate goriale > n e 1 1 e f o r m e dei tipi n-dimensionali di >, dei tipi di > che, in rapporto alla forma, si definiscono più precisamente in questo o in quel modo. È altrettanto poco chiaro il discorso che i matematici fanno quando par lano di assiomi anziché di forme assiomatiche, e poi ancora quando parlano di teoremi, dimostrazioni ecc., laddove si tratta di una deduzione formale generale, in cui dalle f o r m e di principi presupposte vengono dedotte, nelle f o r m e delle deduzioni e delle prove, le f o r m e dei teo remi incluse in quelle forme di principi. Questa mancata distinzione, che è stata eliminata per la prima volta dalle chiarificazioni evidenti (ma non da tutti prese in conside razione) dei capitoli indicati dei Prolegomena, ha dato luogo presso i matematici e anche presso i logici sviati dai mate matici a una grave confusione, ed ha anche provocato rea zioni sbagliate da parte filosofica - giacché in sostanza il genio matematico, come sempre, aveva ragione, anche se difettava di autocomprensione logica.
8 1 Non ci si deve qui lasciar sviare dal concetto kantiano della forma spaziale, che concerne la forma regionale della natura reale e di ogni possibile natura, mentre noi qui abbiamo a che fare con forme puramente analitiche, con forme « categoriali •>, appartenenti agli oggetti e ai giu dizi per via di una totale evacuazione di ogni contenuto concreto. La forma spazio, nel senso kantiano, è lo spazio della geometria di Euclide, della geometria spaziale semplicemente. Questa « forma spaziale t è essa stessa un caso particolare [Einzelheit] della forma analitica « moltepli cità euclidea •>.
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§ 3 1. Il concetto pregnante di molteplicità, o (rispetti vamente) di un >, >, chiarito mediante il concetto della >.
I matematici procedettero sconfinatamente nella dire zione indicata. Incuranti delle scienze teoriche già esistenti essi attuarono libere costruzioni di > (forme di molteplicità) o correlativamente di forme di scienze de duttive. Certo la geometria - e l'ideale euclideo che in essa si annuncia - rimaneva in ultima analisi di guida, come per l'intero sviluppo delle matematiche fino dall'anti chità. La tendenza del concetto matematico della moltepli cità ad assumere una parte di primo piano (e con ciò la tendenza della dottrina della molteplicità ad assumere un senso finalistico peculiare) procedeva da questo ideale. lo cercai di tradurre concretamente questa tendenza nel c o n c e t t o d e l l a m o l t e p l i c i t à d e f i n i t a. L'origine nascosta di questo concetto che, come mi sembra, guida costantemente la matematica dal suo interno, è la seguente. Considerando come realizzato l' i d e a 1 e e u c 1 i d e o 82 si dovrebbe poter derivare da un sistema limitato e irriducibile di assiomi, nella pura deduzione sil logistica (e dunque secondo i principi del grado anteriore della logica) l 'intero e illimitato sistema della geometria dello spazio ; si dovrebbe dunque s v e 1 a r e 1 ' e s s e n z a a p r i o r i d e 1 1 o s p a z i o i n m o d o t e o r i c a m e n t e c o m p 1 e t o . Nel passaggio alla forma si fa dunque avanti l'idea formale di una molteplicità in gene rale, la quale, pensata come subordinata a un sistema di assiomi la cui f o r m a è ricavata per formalizzazione dal sistema euclideo, potrebbe essere c h i a r i t a i n m o d o a f f a t t o n o m o 1 o g i c o , e ciò in una teoria deduttiva > ( come io solevo definirla nelle mie lezioni di 32 Cioè quell'ideale che i matematici hanno presente nella forma sistematica degli Elementi, benché non sia stato formulato dallo stesso E u c l i d e.
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Gottinga) alla geometria. Se noi pensiamo in modo propriamente f o r m a l e p u r o un sistema assiomatico in sé conchiuso, per mezzo del quale sarebbe realmente definita una > nel senso pregnante. Giacché come io mi avvidi, nell'intenzione di questo concetto stava nascosto un senso intenzionale. Molteplicità significava, pro priamente, l' i d e a f o r m a l e d i u n c a m p o o g g e t t u a l e i n f i n i t o , per il quale si dia 1' u n i t à d i u n a s p i e g a z i o n e t e o r e t i c a , o, ciò che è lo stesso, l'unità di una s c i e n z a n o m o 1 o g i c a . L'idea formale di < < campo teoricamente spiegabile >> (campo di una scienza deduttiva), e quella di > sono equivalenti. Si deve tener presente che q u a l s i a s i sistema assio matico definito formalmente ha la propria infinità di con seguenze deduttive. Ma all'idea di una >, o, correlativamente, di un c a m p o i n f i n i t o ( di una molteplicità, nel linguaggio logico-mate matico) che debba essere retto da una nomologia esplica tiva, è inerente il fatto che non si dia alcuna verità valida per questo campo, che non sia implicata deduttivamente nelle > della scienza nomologica - come avviene, nell' E u c l i d e i d e a l e , per lo spazio, nel sistema > degli assiomi spaziali. Mentre io, muo-
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vendo da tali considerazioni sulla tipicità di un campo nomologico, pervenivo alla formalizzazione, mi si manifestò il carattere eminente di una f o r m a d i m o 1 t e p 1 i c i t à i n s e n s o p r e g n a n t e, quella appunto di una forma nomologicamente esplicativa. Essa n o n è d e f i nita s o l t a n t o in g e n e r a l e m e d i a n t e un s i s t e m a a s s i o m a t i c o f o r m a 1 e, bensi mediante un sistema >. Vale a dire, trasponendola nella precisa forma del concetto della molteplicità definita : Il sistema assiomatico che definisce formalmente una tale molteplicità si distingue per ciò, che ogni proposizione (forma di proposizione) che debba essere costruita in modo puramente logico-grammaticale, sulla base dei concetti (forme di concetti, naturalmente) che intervengono nel si stema, o è >, ed è cioè una conseguenza analitica (puramente deduttiva) degli assiomi ; o è >, cioè una contraddizione analitica : tertium non datur. Naturalmente si collegano a ciò problemi di grandissima importanza. Come si può sapere a priori che un campo sia nomologico, p. es. lo spazio nelle sue forme spaziali, e che la serie degli assiomi spaziali immediatamente intuitivi che si sono messi in luce abbraccia completamente l'essenza dello spazio, e dunque soddisfa ad una nomologia ? E poi, a maggior ragione, nella formalizzazione pura o nella libera costruzione di forme di molteplicità: come si può sapere, e come provare, che un sistema assiomatico è un sistema ,definito, un sistema > ? t· Ho fatto uso qui dappertutto dell 'espressione - che in origine mi era estranea - di > [vollstandig], che deriva da H i 1 b e r t . Senza es- 85 sere guidato dalle considerazioni logico-filosofiche che deter minarono i miei studi, anch'egli pervenne (naturalmente in modo affatto indipendente dalle mie ricerche rimaste ine dite) alla sua nozione di completezza ; egli tenta cioè di completare un sistema assiomatico mediante un proprio >. Le analisi condotte sopra po trebbero -rendere evidente che i motivi più interni che lo guidarono sul piano matematico, benché non resi espli-
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c1t1, procedevano per l 'essenziale nella stessa direzione di quelli che determinano il concetto della molteplicità defi nita. In ogni caso, mi pare ancor oggi non privo di impor tanza - e, quanto meno, importante per il logico filoso fico - venire in chiaro, secondo i procedimenti di pensiero tentati sopra, del senso profondo di una n o m o 1 o g i a e di una m o 1 t e p 1 i c i t à d e f i n i t a ( n o m o 1 o g i c a ). Il concetto della molteplicità definita mi servi originariamente per un altro scopo, cioè per chiarire il senso logico del passaggio computistico per l' formalmente definita) con concetti che, secondo la sua definizione, sono imma ginari ? Quando si può esser certi che deduzioni che in un tale operare danno luogo a proposizioni libere dagli immaginari, siano di fatto , cioè c o n s e g u e n z e c o r r e t t e d e l l e f o r m e a s s i o m a t i c h e d e f i n i e n t i ? Fin dove si estende la possibilità di (che nella matematica for male appartiene al grado superiore) non consente di trar fuori da sé alcuna di quelle discipline che devono essere elaborate in modo autonomo. Naturalmente la radice del l 'errore sta nel fatto che si tratta qui di discipline deduttive equiformi ; che dunque sarebbe tecnicamente senza scopo costruire ogni disciplina esplicitamente per sé, anziché rica vare sistematicamente una volta per tutte dalle forme assio matiche comuni, a un grado superiore della formalizzazione, la forma corrispondente delle teorie. Ma, come s'è detto, non ci si può risparmiare l'evidenziazione dei rispettivi c o n c e t t i f o n d a m e n t a 1 i , in rapporto con le ca tegorie logiche e gli a s s i o m i r e a 1 i ad esse relativi. Ciò vale persino se invece di una analisi matematica i n s e s t e s s a ovvero di una seria dottrina della molte38 Cfr. la Premessa della mia Philosophie der Arithmetik. [« aritmetica delle grandezze " traduce il termine tedesco Grossenzahlenarithmetik.]
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plicità come tale, si costruisce piuttosto una d i s c i p l i n a d i g i u o c h i d e d u t t i v i c o n s i m b o l i , che di venta una dottrina effettiva della molteplicità solo se si con siderano i simboli del giuoco come segni per oggetti reali del pensiero, unità, insiemi, molteplicità reali, e se si assegna alle regole del giuoco il significato di f o r m e l e g a l i per queste molteplicità. Anche nel giuoco si giudica, si collega e si conta realmente, si traggono conclusioni reali, ecc. § 34. La matematica formale completa è identica all'analitica logica completa.
L'ordinamento sistematico nella costruzione di una mathesis universalis piena e totale - dunque di una mate matica formale non ondeggiante nell'aria, bensì posata sulle sue fondamenta e inseparabilmente unita a queste fonda menta - è naturalmente un grosso problema. Ma secondo quanto noi abbiamo indicato, di null'altro si tratta che del problema di una a n a 1 i t i c a 1 o g i c a piena e totale, nel senso che è già inerente alle esposizioni delle Ricerche logiche. Ma allora è chiaro che una dottrina universale della molteplicità deve definire, secondo quella libertà che le compete, mediante forme assiomatiche, in generale me diante forme di proposizioni presupposte valide, qualsiasi forma di molteplicità, ma che pure deve disporre delle forme fondamentali delle proposizioni che intervengono sistematicamente nella morfologia dei giudizi e delle cate gorie logiche in essi implicite, e di esse t u t t e ; e deve inoltre divenir consapevole di quanto ciò significa. Con altre parole, essa deve c o s t r u i r s i c o n s a p e v o 1 m e n t e su di una preliminare morfologia dei g i u d i z i (dei significati categoriali). Qui appunto ci si lascia tentare dall'inclinazione, che procede dalla supposta necessità di una maggiore esattezza, a sostituire alla effet tiva dottrina della molteplicità il suo analogo simbolico, e dunque a contrapporre, alle definizioni delle molteplicità, semplici regole del giuoco.
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Nella definizione di una molteplicità noi non dobbiamo limitarci a definire in modo meramente signitivo e compu tistico, p. es. dicendo: > ; ma si deve dire: per gli o g g e t t i della molteplicità (pensati dapprima soltanto come vuoto Qual cosa, come >) esisterà una certa forma di c o 1 1 e g a m e n t o avente come suo p r i n c i p i o la forma a + b = b + a, dove l ' u g u a g 1 i a n z a significa appunto I 'uguaglianza che appartiene alle forme logiche categoriali. Quali categorie logiche debbano essere introdotte per via definitoria, è cosa che dipende dalla definizione, che è arbitraria - benché vincolata dalla non-contraddito rietà ; ma esse debbono essere in ogni caso pensate e desi gnate come categorie del tutto determinate. § 35. Perché nell'ambito della mathesis universalis come analitica universale possono diventare tematiche soltanto forme deduttive di teorie.
a) Soltanto la teoria deduttiva ha una forma sistematica
puramente analitica.
È necessario ancora un importante complemento che deve essere svolto in connessione critica con l 'esposizione dei Prolegomena : Col sollevarsi alla dottrina sistematica delle teorie o della molteplicità, sono stati introdotti nella logica i p r o b 1 e m i d e 1 1 a t o t a 1 i t à [Ganzheitsprobleme] u, nella misura in H Il fatto che questo pensiero non sia stato reso centrale, con un r i l i e v o insistente, rappresenta una deficienza espositiva delle Logische Untersuchungen, benché in realtà esso determini costantemente il senso dell'intera trattazione. Una deficienza più grave dei Prolegomena è, sia detto per inciso, il fatto che insieme al concetto della verità non vengono ricordate le modalità della verità, né la probabilità come una di queste modalità, per cui il necessario ampliamento di una logica formale è determinato dal fatto che modificazioni modali del giudicare e dei giu dizi intervengono qui come possibilità formali generali nella logica della
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cui essi devono esser posti come problemi f o r m a 1 i . Certo si sarebbe dovuto prima ricercare e mostrare, nel- 89 l'opera in questione, se la logica formale (l'analitica nel senso più ampio) sia una cosa compiuta, col suo atteggia mento esclusivamente rivolto al campo universale delle forme del significato e dell'oggetto. La direzione dell'intera problematica, rivolta al senso di una logica > (cioè come analitica) mediante l 'ideale della scienza specificamente teoretica, cioè di quella nomologica (come la geometria o la fisica teorica), predeterminava, nei Prolegomena, una deli mitazione che non era stata giustificata, appunto la deli mitazione del concetto generale di scienza come t e o r i a n e 1 s e n s o p i ù a rn p i o - come sistema di proposi zioni in sé conchiuso di una scienza in generale - al con cetto p a r t i c o 1 a r e della t e o r i a d e d u t t i v a (della scienza > del tipo nomologico). Ma se si considera il p r o b 1 e m a che qui è in giuoco e che deve ora essere espressamente formulato - che cosa carat terizzi la forma di un campo e correlativamente la forma di una teoria nel senso p i ù a m p i o - allora la limita zione potrebbe essere in certo modo giustificata a posteriori. In primo luogo è ben chiaro che in scienze del tipo della psicologia o della fenomenologia, o della storia, quando noi esercitiamo su di esse la formalizzazione, e ci doman diamo che cosa colleghi tutte le forme proposizionali al1 'unità di una forma sistematica, o fino a che punto queste forme e o m e t a 1 i abbiano in generale un'unità formale di sistema - non arriviamo a nulla fuor che alla vuota certezza o della verità, perché ogni simile modificazione può entrare nei contenuti predicativi dei giudizi e non può ora esser considerata come extra-formale. Con altre parole, dei giudizi nel senso logico-formale è soltanto il contenuto che oltrepassa il Qualcosa-in-gene rale ; al Qualcosa-in-generale appartengono appunto tutte le forme ; non si giudica in esse soltanto nella certezza, ma anche nella possibilità, ecc. Un ampliamento di senso molto affine si ha allorché si considera che anche il sentimento comporta modalità del Qualcosa-in-generale, che sono altresl inserite nella sfera dossica (cfr. su ciò: Ideen, pp. 243 sgg. [262 sgg.] e qui sotto il § SO, p. 121 [166 sg.]).
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generalità che vi sia una infinità aperta di proposizioni o g g e t t i v a m e n t e connesse e comunque reciproca mente unificabili nel modo della non-contraddizione anali tica. Queste scienze si distinguono d i p r i n c i p i o nel loro tipo teorico da quelle nomologiche nel senso del concetto da noi esattamente definito 85 • Ciò significa dunque che la loro forma sistematica non è quella di una teoria de90 duttiva finita ; o, correlativamente, che il loro campo non è una molteplicità definita. Ciò che in tali scienze è prin cipio di u n i t à, può ovviamente esser conosciuto soltanto o l t r e p a s s a n d o l a f o r m a l o g i c o - a n a l i t i c a . Al contrario la f o r m a s i s t e m a t i c a d e 1 1 a t e o r i a d e d u t t i v a è e s s a s t e s s a u n a f o r m a z 1 o n e d e 1 1 a s f e r a a n a 1 i t i c a . Per ciò le s c i e n z e d e d u t t i v e o n o m o 1 o g i c h e sono c a r a t t e r i z z a t e d a I f a t t o che il 1 o r o p r i n c i p i o s i s t e m a t i c o è u n p r i n c i p i o p u r a m e n t e a n a 1 i t i c o . La teoria deduttiva ha una forma unitaria sistematica che è propria della 1 o g i c a f o r m a 1 e s t e s s a , che deve essere costruita a priori in essa, e precisamente nella sua disciplina superiore, la teoria della molteplicità, nel sistema complessivo delle forme pos sibili a priori di sistemi deduttivi.
b) Posizione del problema : quando un sistema di proposizioni abbia una forma sistematica da caratterizzare analitica mente.
Con quanto precede abbiamo ottenuto un elemento molto importante per la comprensione della logica, del quale ancora difettano le Ricerche logiche. In esse sarebbe stato corretto lasciar cadere ogni legame troppo frettoloso al1 'ideale della scienza >, >, che non può valere in alcun modo come ideale 3
•
Cfr. § 31 .
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per tutte le scienze. In sua vece, nel processo di dipana mento del senso di una logica come dottrina della scienza (in riferimento esclusivo all'aspetto formale dei risultati, e per scienze in generale assunte del tutto ad arbitrio) avreb be dovuto essere sollevato il p r o b 1 e m a corrispondente. I termini di questo problema possono essere tracciati in breve cos i : una scienza in generale è una molteplicità di verità non già ammucchiate a caso, ma anzi legate e riferite ad un campo unitario. Q u a n d o la totalità [das Ganze] delle proposizioni (che procedono all'infinito) di una scienza ha u n a f o r m a u n i t a r i a s i s t e m a t i c a , c o s t r u i b i l e a p r i o r i m e d i a n t e c o n c e t t i l o g i c o - c a t e g o r i a 1 i , a partire da un numero finito di pure forme assiomatiche ? Q u a n d o il gruppo di forme assiomatiche definiente una forma teorica è d e f i n i t o , ovvero q u a n d o 1 a f o r m a d e 1 c a m p o è u n a m o 1 t e p 1 i c i t à > , una mol teplicità > ? Qualora questa condizione sia adempiuta, essa è la forma sistematica di una scienza >, di una scienza >. La mathesis universalis (espressione che ormai equivale sempre all'analitica logica), è p e r r a g i o n i a p r i o r i u n r e g n o d i c o s t r u z i o n e u n i v e r - 91 s a l e ; prescindendo dagli elementi operativi, si tratta in modo esclusivo di un territorio di configurazioni operative, dominabili tuttavia a priori nella loro infinità. Al livello superiore di questo territorio intervengono le forme siste matiche d e d u t t i v e , e n o n a l t r e . Con ciò stesso si risponde anche alla domanda: quando una scienza o un gruppo conchiuso di proposizioni scientifiche abbia, in con formità con principi puramente analitici (matematici), una forma sistematica unitaria, costruibile matematicamente. Bisogna badare al fatto che questo problema appartiene solo in un certo senso all'analitica formale. Del nome di scienza l'analitica formale sa soltanto, e noi sappiamo soltanto, al punto cui siamo giunti sinora, che esso significa un certo universo di proposizioni, emerso in modo costante dal lavoro teoretico, nel cui ordinamento sistematico giunge
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a determinazione un certo universo di oggetti. La logica dunque, come analitica, n o n h a a n t i e i p a t o a l e u n a d i s t i n z i o n e d i s e i e n z e , del tipo di quella usuale tra scienze concrete (descrittive) ed astratte (>) o quale altra distinzione si voglia proporre. Da sé sola essa può soltanto arrivare a sapere che una aperta plu ralità o > di oggetti, pensata in modo generale formale, è formalmente pensabile con l a determinazione particolare che essa è una molteplicità matematica defi nita, e correlativamente, che le proposizioni pensate come co-vigenti per essa nella generalità formale hanno una forma sistematica costruttiva (deduttiva). Sulla nostra strada, che, puntando assai oltre l'intento delle Ricerche logiche, si rivolge alla mèta di dispiegare intenzionalmente l'idea di una dottrina della scienza, è un problema tuttora aperto che cosa si possa ancora aver di mira a priori sotto il titolo di scienza, al di là di una ana litica che si è posta come un primo grado di questo dispie gamento - e ciò in una generalità > che ora non ha più il senso di quella analitica-formale. § 36. Sguardo retrospettivo, e cenno preliminare degli ulteriori compiti.
Dopo questa chiarificazione del contenuto della parte conclusiva dei Prolegomena (che in quest'ultimo capitolo è stato insieme un complemento e una delimitazione critica), io credo di poter difendere ancora oggi, dopo quasi tre decenni, l'essenziale di quello scritto, che non è ancora giunto a esercitare pienamente i suoi effetti. Ma ora è anche possibile osservare che noi, nella nostra attuale ri cerca, in certo senso, abbiamo fatto un importante passo 92 avanti, in quanto ci è stato possibile fondare nel primo capitolo la fondamentale tristratificazione della logica, ovvero la nuova distinzione tra logica formale della non-contrad dizione e logica formale della verità. Da un altro lato, tutta via, in quel capitolo siamo rimasti assai indietro rispetto alle
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Ricerche logiche, in quanto col prendere in considerazione
i loro risultati ci è necessario riconoscere un grado supe riore di problemi, i problemi cioè della > o della >, e ciò come tema di una disciplina di livello superiore, ma pur sempre logico-formale (>). Noi ci attenderemo già che a n c h e a q u e s t o 1 i v e 1 1 o s u p r e m o l a s t r a t i f i c a z i o n e d i n o n - c o n t r a d d i z i o n e e v e r i t à possa essere attuata esatta mente nel senso sopra esaurientemente fondato. A questo scopo, per altro, noi dobbiamo già compiere i preparativi necessari, e ciò sulla base di una esauriente considerazione del problema, che è stato il nostro punto di partenza, circa il r a p p o r t o d i o n t o 1 o g i a e 1 o g i c a d e 1 s i g n i f i c a t o.
B. CHIARIMENTO FENOMENOLOG ICO DELLA BILATERALITÀ DELLA LOGICA FORMALE, COME APOFANTICA FORMALE E COME ONTOLOGIA FORMALE Capitolo quarto ORIENTAMENTO VERSO OGGETTI E ORIENTAMENTO VERSO GIUDIZI
§ 37. La questione del rapporto tra apofantica formale e ontologia formale; insufficienza delle chiarificazioni ef fettuate fino ad ora.
Rifacciamoci a quanto abbiamo provato per il grado inferiore, che cioè le leggi essenziali che vi si riferiscono ed eventualmente le discipline che su di esso sono state co struite, sono, nello stesso tempo, inseparlLbilmente ontolo gico-formali e apofantiche; giacché esse erano state riferite esplicitamente sia alle categorie formali di significato che alle categorie oggettuali formali 88 • Naturalmente lo stesso vale ora per l'analitica formale pienamen "1:e sviluppata, in quanto le f o r m e d i t e o r i e hanno i loro correlati, secondo il loro senso proprio, in m o 1 t e p 1 i c i t à o g g e t t u a 1 i . La strada, percorsa i n modo conseguente, che muove dalla costruzione di una scienza a partire da p r o p o s i z i o n i , e dunque dal lato del significato, per 88 Cfr.
sopra,
§§ 25
e
27.
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cercare le condizioni formali della verità possibile e infine della vera scienza, ha condotto appunto, per via della r e 1 a z i o n e d i s e n s o a 1 1 e o g g e t t u a 1 i t à che è i m m a n e n t e a l l e p r o p o s i z i o n i s t e s s e, anche a una o n t o 1 o g i a formale universale, che al livello superiore si impone con il nome di dottrina della molteplicità. Ci si deve chiedere ora : questo duplice senso, che deriva da ragioni essenziali, dell'analitica formale, ha già conse guito una sufficiente comprensibilità ? È già chiaro che cosa veramente significhi e s s e r e o r i e n t a t i , nella generalità formale, ora s u g i u d i z i i n g e n e r a 1 e , ora s u 1 1 ' o g g e t t u a 1 i t à i n g e n e r a 1 e ? È già 94 abbastanza trasparente il senso di un 'ontologia formale in rapporto ad una materiale (non diciamo reale, perché non sappiamo ancora che cosa possa stare sotto il secondo ter mine), e non vi sono perplessità a parlare in generale di ontologia formale ? Di fatto, già al tempo delle Ricerche logiche e ancora poi a lungo io avvertii delle difficoltà in questo senso. Il nostro prossimo compito è rappresentato ora da questi chiarimenti assolutamente necessari e allo scopo ci serviranno in parte intuizioni che già in prece denza ci hanno reso possibile la tripartizione dell'analitica. § 38. Oggetti del giudizio come tali e formazioni sintattiche. Domandiamoci, tenendo anche presenti le nostre pre cedenti esposizioni 37 : si può distinguere in generale un' o n t o 1 o g i a f o r m a 1 e da una logica apofantica, sia pure soltanto come correlato di quest'ultima, correlato che risulta dalla semplice modificazione dell'orientamento, dalle pro posizioni agli oggetti ? Il c a m p o di questa ontologia dev'essere la > dell 'oggetto in generale ; essa deve dunque 37
Cfr. sopra, § 25.
Sezione prima, B., Capitolo quarto. § 38
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determinare o g g e t t i in verità apodittiche, appunto se condo questa generalità formale. Se entriamo nel suo ambito e se consideriamo qualsiasi caso singolo esemplare di oggetti da determinarsi, p. es. questo tavolo qui, la determinazione si attua dapprima nella forma della e s p 1 i e i t a z i o n e delle singole p r o p r i e t à determinate, e poi, a un livello superiore, in atti sempre rinnovati di giudizio, nei quali vengono introdotti nuovi oggetti, ven gono effettuate d e t e r m i n a z i o n i r e l a t i v e ; o nel caso di giudizi plurali, delle p l u r a l i t à vengono rife rite allo stesso predicato ; oppure, in questi atti, si giudica in generale, e così il g e n e r a 1 e si presenta come tema più elevato. Qui noi di fatto, sulla strada del determinare per giudizi, siamo orientati oggettualmente ; siamo rivolti al tavolo, il cui senso oggettuale, determinato contenuti sticamente, guida ai diversi gradi dei concetti materiali. Ma come potremmo fare, se volessimo ora determinare questo senso p u r a m e n t e per via di concetti > come oggetto, proprietà, relazione, pluralità e simili, e dunque per via dei concetti che derivano per variazione dal Qualcosa in generale ? Questi sono forse altro che c o n c e t t i >, vale a dire concetti derivati da un rivolgimento meramente astrattivo sulle f o r m e s i n t a t t i c h e, nelle quali l'oggetto viene colto ai diversi livelli delle azioni sintattiche - delle azioni di giudizio ? L' o g g e t t o nell'analitica formale è dunque pensato 95 esclusivamente come oggetto di g i u d i z i p o s s i b i I i e delle forme di giudizio che in tal modo gli sono attribuite ; e se ciò dà importanti risultati proprio per un pensare che si attua nella generalità a priori (mentre in concreto porte rebbe a giudizi ridicolmente vuoti), ciò è inerente al fatto evidente che l'arbitrarietà di configurazioni sintattiche è vincolata, se gli oggetti debbono poter essere in verità (ovvero : se i giudizi predicativi debbono poter essere verità). Le sintassi di giudizio, in quanto conformative, sono sub ordinate a priori a leggi che rappresentano condizioni di verità possibile. L'azione formativa che si realizza nel giu dizio, e dalla quale derivano anche tutti i concetti mate-
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matic1 m un senso più stretto (e nel senso più stretto), come insieme, numero, serie, grandezza, molteplicità, anche se procedono in questo caso da formazioni di giudizio del livello più alto, non si realizza naturalmente su oggetti >, ma sugli oggetti r a p p r e s e n t a t i n e l g i u d i z i o s t e s s o . Così, anche nel giudicare formale a priori della logica, il > : Qualcosa, cioè il senso formale delle lettere S, p ecc., è elemento costitutivo dei giudizi stessi. Come avremmo noi dunque oltrepassato una dottrina formale del giudizio ? Non rimaniamo forse all'interno di essa, nonostante tutte le suddivisioni formali delle oggettualità di giudizio ? § 39. Allargamento del concetto di giudizio a tutte le formazioni di azioni sintattiche.
Certamente, in questa considerazione, attività come c o l l e g a r e, c o n t a r e , o r d i n a r e , c o m b i n a r e ecc. sono state computate tra le a t t i v i t à d e l g i u - · d i z i o , e i loro correlati tra le formazioni del giudizio. Ma non vi sono realmente delle attività conformanti a diversi livelli, e non sono rappresentate in quelli stessi che di solito vengono detti giudizi - giudizi predicativi mediante forme che nessuna morfologia dei giudizi può trascurare ? Abbiamo già toccato una volta questo punto 38 : cosi come p r o p r i e t à designa una forma che inter viene nel giudizio dapprima in modo non autonomo, e che, >, dà luogo alla forma-substrato proprietà, così pure nei giudizi plurali interviene il p l u r a l e , che >, trasformato in oggetto nel senso più pre gnante - quello del substrato, dell '> dà luogo ali' i n s i e m e [Menge]. È qui indifferente il fatto che sia possibile collegare e contare, senza insieme inserire le formazioni in effettive predicazioni. Si tratta di attività 88
Cfr.
sopra, §
25.
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> (>), come quelle predicative ; esse, 96 come queste, hanno delle modalità di credenza (e le stesse) ; devono essere effettuate per tutti i substrati pensabili (Qualcosa-in-generale) ; le loro formazioni sono perciò in egual modo categorie formali 39 • E inoltre esse vanno anche inserite, per essenza, in giudizi predicativi, e in essi sono suscettibili di ulteriori conformazioni. In un'apofantica condotta realmente a fondo, intesa come dottrina dei giu dizi predicativi, nella trattazione universale di tutte le forme apofantiche, quale si richiede per una logica formale, devono intervenire a n c h e t u t t e l e f o r m e d i (( p o s i z i o n i >> d o s s i c h e e d i p r o p o s i z i o n i d o s s i c h e - tutte quelle che comunque noi consideriamo come o n t o l o g i c o - f o r m a l i . Ma si deve anche fare attenzione sia alla loro proprietà di connessione che alle connessioni stesse, e non delimitare la logica apofantica in modo inadeguato, come se essa non concernesse per nulla p. es. insiemi e dottrina degli insiemi, numero e dottrina del numero. § 40. Analitica formale come giuoco speculativo e analitica logica. Il riferimento all'impiego possibile appartiene al senso logico della mathesis formale.
Quanto è stato ora detto assume ancora una piega assai significativa se noi prendiamo anche in considerazione l ' i n t e r e s s e c o n o s c i t i v o che, inteso come inte resse dominante, e come rivolto in modo conseguente su di un campo della conoscenza, incorpora in tutte le attività dossiche l'intento conoscitivo, e cioè l'intento della cono scenza del campo corrispondente. Siamo allora nell'orizzonte di una scienza, e, nel caso della considerazione generale formale, nell'orizzonte della l o g i c a , il cui tema bila terale è rappresentato in generale dalle scienze possibili, e 39
Cosi già, nell'essenziale, nella mia Philosophie der Arithmetik, p. 9 1 .
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cioè, in senso soggettivo, le forme possibili delle azioni produttivo-conoscitive delle formazioni conoscitive scientifi che e, in senso oggettivo, queste stesse formazioni. L'anali tica logica, come noi l'abbiamo assunta obiettivamente fin qui, riguarda naturalmente, in una unilateralità astrattiva, le sole formazioni. Ma in quanto noi ora ci muoviamo nell'ambito designato dalle parole c o n o s c e r e scien tifico e c a m p o c o n o s c i t i v o scientifico, o g n i tipo di attività dossica è necessariamente pensato come incluso nelle attività p r e d i c a t i v e unitariamente con nesse. P. es., non si collega e non si conta per giuoco, o perché si sia mossi da qualsiasi altro motivo, bensl nel97 l'interesse della conoscenza del campo (p. es. della natura), dunque in ultima istanza, per conoscere gli elementi e le unità corrispondenti come ad esso appartenenti, e p e r d e t e r m i n a r l e i n m o d o p r e d i c a t i v o (apo fantico). P e r q u e s t o , n e 1 1 a I o g i c a , che ha pre senti esclusivamente interessi conoscitivi, quelli propri della scienza, s i p a r l a s e m p r e s o l t a n t o d i g i u d i z i p r e d i c a t i v i - nei quali tuttavia le pluralità, i numeri, ecc. intervengono come f o r m a z i o n i p a r z i a l i, o sono pensati come tali che possono intervenire nelle ulteriori connessioni conoscitive possibili. Una matematica che si dà una forma scientifico-specia listica, come un fine a sé, potrà non curarsene, e dunque non curarsi del fatto che essa è logica e metodo logico, che essa deve servire alla conoscenza, che le sue formazioni sono chiamate a fungere in qualità di leggi formali di con nessioni conoscitive che permangono indeterminate, per campi conoscitivi che permangono altrettanto indeterminati. Essa quindi non ha bisogno di curarsi del fatto che il riferimento ad un impiego idealmente p o s s i b i I e , che sia d e l t u t t o i n d e t e r m i n a t o, a p p a r t i e n e a l s u o p r o p r i o s e n s o l o g i c o - f o r m a I e , in modo cioè che l'ambito di questo impiego non sia vincolato da alcuna ►, e dunque sia un ambito formale. La matematica può dunque rimanere indifferente al fatto che tutte le sue for-
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mazioni hanno il senso di formazioni che sono chiamate a presentarsi all'interno di ogni giudizio c o n o s c i t i v o (indeterminato rispetto alla materia) - come ciò si verifica nella >, in ogni caso di applicazione reale ; cosi p. es., nella fisica teorica, esse esercitano la funzione di elementi costitutivi della determinazione fisica. Ma il logico filosofo deve occuparsi di ciò. Egli non può consentire alla validità di una matematica pensata xocTcx: µ"Yj8eµ(ocv cruµ1tÀox�v, tale che si sottragga all'idea di una applicazione possibile, e diventi un giuoco speculativo ad alto livello, se non addirittura - come nella matematica elaborata in modo meramente computistico, un giuoco di simboli, che ricevono il loro senso da mere convenzioni computistiche. Come logico egli deve vedere che 1 a m a t e m a t i c a f o r m a 1 e è o r i g i n a r i a m e n t e a n a l i t i c a 1 o g i c a, e che appartiene al suo proprio senso l o g i c o un ambito, fondato mediante l'intenzione cono scitiva, proprio della funzione conoscitiva, cioè degli i m p i e g h i possibili, che partecipano, pur i n tutta l a loro indeterminatezza, del s e n s o m a t e m a t i c o . E ap punto per ciò noi ci atteniamo - come s'è detto - alla sfera apofantica di giudizio, cui si coordinano, come ele menti costitutivi, tutte le conformazioni matematiche. § 41 . Distinzione tra l'atteggiamento apofantico e quello 98 ontologico, e il compito della sua spiegazione. Se ritorniamo ora alla nostra difficoltà, ci è chiaro che essa non è stata eliminata nonostante gli importanti chiari menti apportati con le ultime spiegazioni. L'idea della logica formale, come l 'idea del >, è strettamente delimi tata dalle sintassi dossiche, le quali tutte possono e logica mente debbono intervenire nell'unità sintattica di una a p o f a n s i , di un giudizio nel senso usuale della lo gica. A tutte le oggettualità conoscitive in quanto ogget tualità di giudizio, è propria una forma >, pro cedente dal xocTI)yopei:v (vale a dire dalle sue azioni sintat tiche), una forma sintattica. La logica formale determina
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oggetti nella pura generalità per mezzo di questa forma. È anche vero che in nessun altro caso che nel giudizio interviene il concetto vuoto del Qualcosa, in cui sono pen sati logicamente gli oggetti in generale. Ma con ciò è forse detto che tra I o g i c a a p o f a n t i c a e o n t o I o g i a f o r m a I e non si dia alcuna distinzione e che per il fatto che noi non oltrepassiamo mai la sfera del giudizio nelle determinazioni ontologico-formali, non già oggetti, bensl giudizi siano tema della dottrina formale dell'oggetto ? Non è qualcosa di essenzialmente diverso l' e s s e r e o r i e n t a t i t e m a t i c a m e n t e s u g i u d i z i (incluso l'es ser rivolto su conformazioni sintattiche, che intervengono nel giudizio divenuto tematico, col senso di elementi costi tutivi del giudizio) e d'altro lato e s s e r e o r i e n t a t i s u o g g e t t i e sulle I o r o forme sintattiche - che certo nel giudicare sono tematiche, in un modo in cui non lo sono i giudizi e i I o r o elementi costitutivi ? § 42. Risoluzione di questo compito.
a) Il giudicare in quanto è rivolto non sul giudizio, ma sul/'oggettualità tematica.
Vogliamo cercare ora di chiarire questo duplice orien tamento, e di giustificare originariamente in rapporto ad esso la distinzione tra logica apofantica e ontologia formale, una distinzione che per altro è nello stesso tempo equi valenza, fintanto che ci si attenga al fatto che le due disci pline, fin nei particolari, sono in universale correlazione, e debbono p e r c i ò valere come un'unica scienza. Prendiamo le mosse dal fatto che gli oggetti sono per noi, e sono ciò che sono, esclusivamente in quanto sono a volta a volta da noi consaputi, in quanto esperiti, cioè 99 percepiti e ricordati [wiedererinnert], o in quanto rappre sentati in modo vuoto eppure pensati nella credenza d'es sere, come certi, presunti, ecc. e così in generale in qualsiasi modo di coscienza, anche in quelli del sentimento e della volontà ; e ciò indipendentemente dal modo in cui, a par-
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tire dalla nostra vita di coscienza quale s 'è data finora, siano pervenuti al senso che è per noi in atto. Si inseri scono qui anche i modi di coscienza del p e n s a r e spe cifico, di quello che giudica concettualmente e natural mente anche di quello che predica in senso . Se dunque ciò significa che noi ci occupiamo di oggetti, e in particolare che noi giudichiamo su di essi, rimaniamo con ciò all'interno della nostra propria coscienza, il che naturalmente non significa che la nostra coscienza sia ciò di cui ci occupiamo, oppure che questi oggetti non siano null'altro che Erlebnisse di coscienza. Noi qui non dobbiamo produrre alcuna filosofia tra scendentale, bensì soltanto esplicitare correttamente ciò che ci si presenta, e cioè in questo caso il fatto che se noi giu dichiamo, nel nostro stesso giudicare viene in luce la rela zione all'oggetto: dove si deve fare attenzione al fatto che esso può essere dato dall'esperienza prima del giudizio pre dicativo, che tuttavia il giudizio di esperienza, oppure quello posteriore, che non è più esperiente ma che e: > e si tratta della stessa p r o p r i e t à che una volta è > come pre dicato e l'altra volta si rappre senta come diversamente formato. Con ciò appunto si rea lizza, attraversando la concatenazione del giudizio, u n d e t e r m i n a r e u n i t a r i o (ciò che, nel senso più ampio, rimane pur sempre giudizio). Qualunque cosa possa av venire per la determinazione dei substrati nominalizzati e a diversi gradi, in ultima analisi ciò che conta sono i sub strati tematici del grado i n f e r i o r e e p r i m a r i o : nelle scienze, gli oggetti del campo ; è verso la loro deter minazione che si punta, attraverso tutti i gradi intermedi. c) La tipica delle forme sintattiche di oggetto come tipica dei modi del Qualcosa.
Ciò che è oggettuale e che è sempre di nuovo identi ficato in tali continuità di giudizio, le quali, rivolte sul l'unità di qualsiasi campo tematico, realizzano l'unità della determinazione, ha una tipicità ben determinata in rapporto alle sue forme categoriali possibili (forme o g g e t t u a 1 i !). È la tipicità propria del m o d i del Q u a 1 c o s a i n g e n e r a 1 e : come « proprietà », relazione, stato di cose, pluralità, singolarità, serie, ordine, ecc. Noi li chiamia mo •0 f o r m e d e r i v a t e del Qualcosa, della categoria 4 ° Cfr. Ideen, p. 24 [ 3 4 ] .
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fondamentale formale oggetto, e di fatto derivano da essa a t t r a v e r s o l a s t e s s a a t t i v i t à d e l g i u d i c a r e , e propriamente attraverso tutte le attività dossiche che costituiscono il senso più ampio di giudizio. La pro prietà come forma emerge originariamente nel giudizio che determina in modo semplicemente categorico, così come la collezione emerge originariamente dal raccogliere, non naturalmente come dato psichico reale, bensì come cor relato intenzionale di posizione. Nel corso del determinare predicativo possono allora venire assunte diverse sintassi di giudizio, e nel mutare delle stesse, come vediamo, si può verificare l'identificazione : la stessa proprietà, lo stesso stato di cose, la stessa collezione, la stessa generalità ecc. d) La duplice funzione delle operazioni sintattiche.
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È certo qui un fatto sviante che 1 e o p e r a z i o n i s i n t a t t i c h e s v o l g a n o u n a d u p l i c e f u n z i o n e: per un lato come c r e a t r i c i d i f o r m e , dato che esse creano oggettualità delle diverse forme sin tattiche, delle forme di derivazione del Qualcosa in gene rale, forme tali che ogni oggetto pensabile divenuto sub strato, singolarmente o con altri, le può assumere nella e con l'azione dossica. Dall'altro lato esse fungono come le m u t e v o I i sintassi che una tale oggettualità categoriale (substrato, proprietà, relazione, genere, ecc.) può assumere, nel cui mutare tuttavia essa rimane identica, in quanto essa funge una volta come soggetto, l'altra come oggetto, o come predicato originario e poi di nuovo come predicato nominalizzato, come stato di cose puro e semplice o stato di cose nella funzione dello stato-di-cose-di-premessa, ecc. Dove è facile vedere che t u t t i i m o d i s i n t a t t i c i f u n g o n o i n e n t r a m b e I e m a n i e r e e special mente, ciò che per noi d'altro lato era già divenuto im portante, che nella forma > possono inter venire tutte le forme sintattiche come elementi costitutivi che appartengono a tale stato stesso. D'altra parte, a sua
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volta, lo stato di cose può ottenere, nelle diverse attività sintattiche che spaziano all 'intorno e lo circoscrivono, una forma funzionale mutevole, che non viene attribuita ad esso. Essa partecipa, allora, dello stato di cose di grado superiore, che si costituisce con nuovi giudizi. Tutte queste complicazioni, che per altro possono dive nire affatto trasparenti nella loro necessità essenziale, non modificano per nulla quella che per noi è qui la cosa fon damentale : c h i g i u d i c a è o r i e n t a t o i n s e n s o o g g e t t u a l e, e i n q u a n t o s i t r o v a i n q u e s t o o r i e n t a m e n t o, e g l i n o n h a m a i c i ò c h e è o g g e t t u a 1 e a 1 t r i m e n t i c h e i n f o r m e c a t e g o r i a l i (o come noi anche diciamo : forme sintattiche), l e q u a 1 i d u n q u e s o n o f o r m e o n t o l o g i c h e . Ogni nuovo giudizio nella connessione predicativa, ogni nesso di giudizio e in fine l 'intera con nessione come u n s o l o giudizio, benché di livello superiore, costituisce una nuova oggettualità categoriale. e) La connessione unitaria del giudicare è basata sull'unità
dell'oggettualità-substrato che si va determinando. Costi tuzione del > che la determina.
L'attività del giudicare, nel corso del suo effettuarsi, ha una sua connessione mediante 1 ' u n i t à d i u n > che attraversa quell'attività stessa, tema nel senso primo e più pregnante, quello della o g g e t t u a l i t à s u b s t r a t o alla cui determinazione si è rivolti in modo costante e finale nel giudicare. Nella continua effettuazione di giudizi, chi giudica ottiene per questa oggettualità la molteplicità dei modi che la costituiscono [das mannig faltige > ], individualmente o in ge nerale ; ottiene per essa stati di cose nei quali essa si com porta cosi e così, ecc. ; ottiene sempre nuove oggettualità categoriali, nelle quali l 'oggettualità-substrato interviene in conformità al giudizio, nella forma di nuove oggettualità che a loro volta divengono t e m a t i c h e i n m o d o
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r e I a t i v o , e che dunque a loro volta vanno incontro alla determinazione, attraverso la quale per altro la prima oggettualità-substrato si determina come quella che è t e m a t i c a i n s e n s o u l t i m o. Il processo del giudicare può procedere all'infinito come un processo unitario, e la stessa oggettualità-substrato può contenere in sé infinità di singolarità, come le scienze dimo103 strano. P. es. chi giudica, in quanto trapassa dal semplice esperire alla propria finalità predicativa, ha davanti a sé come substrato, mentre giudica, l'infinità ancora inde terminata della natura, ed egli deve determinarla. Quindi egli costituisce le formazioni determinative, le nuove confi gurazioni categoriali del substrato. Tutte le formazioni particolari molteplici che ottiene in questa attività, posseg gono anche esse una connessione categoriale nell'identità dell'oggettualità-substrato (anch 'essa costituita nell'iden tificazione predicativa) e passo passo costituiscono per essa il e o n e e t t o d e t e r m i n a n t e che le conviene, e che procede appunto da tutte queste operazioni di giudizio - ciò che essa è, di volta in volta, > ; un concetto in continuo movimento, in continua rigenerazione formale, ma anche in continua trasformazione. Giacché è necessario considerare che nel procedere delle azioni predi cative le convinzioni non è detto che debbano soltanto am pliarsi, ma possono anche andare incontro, nei particolari, a delle cancellazioni, in quanto >, cosi che altre inter vengano in luogo di esse, come >, determinando in modo nuovo i substrati. Se ciò si verifichi o meno in modo pienamente intuitivo, è cosa che qui non ci riguarda. È sufficiente che abbia luogo un processo di formazione dei substrati di giudizio che chi giudica >. Si deve mettere in rilievo che idee e distinzioni di idee partecipano all'unità dell'operazione che si costituisce nel giudicare. A titolo di esempio ricorderò qui distinzioni di idee come quella tra > come i d e a d e 1 s u o v e r o e s s e r e , o, ciò che è lo stesso, come idea del concetto che la deter mina compiutamente quale si darebbe in un giudizio che
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la esaurisse completamente e univocamente (il che certo è impossibile) - e, d'altra parte, I a n a t u r a c o m e e s s a è i n r a p p o r t o a 1 1 ' o p e r a z i o n e p r e dicativa che è maturata di volta in volta f i n o a u n d a t o p u n t o e n o n o l t r e, m a che deve essere portata avanti sempre d i n u o v o , come unità delle convinzioni finora ottenute. Nel contenuto di senso proprio del giudicare rivolto al l'unità del campo ancora indeterminato e da determinarsi, esplicantesi e già esplicata entro questo contenuto di senso, è presente l ' i d e a d e 1 1 a p r o s e c u z i o n e p o s s i b i l e d e l l e f o r m e c a t e g o r i a l i d e t e r m i n a n t i , e analogamente I'idea della prosecuzione all'infi nito, in una conseguenza possibile, dello scopo determi nante. Essa vi è presente dapprima come orizzonte che si prefigura nell'attuale procedere ed esser portato avanti, ma poi si esplicita eventualmente in una configurazione propria, c o n f o r m e a l g i u d i z i o, d e l l ' i d e a i n t e s a c o m e u n ' o g g e t t u a l i t à c a t e g o r i a l e d i p a r t i c o l a r e g r a d o e d i g n i t à . E altresl vi è implicita la prima idea della natura specu lativa, o da una filosofia del >, ma è sem plice presa di conoscenza e presentazione. 1 06 § 43. L'analitica come dottrina formale della scienza è ontologia formale, e come tale è orientata oggettualmente. Ciò che vale per la natura come esistente e per la scienza naturale che ha lo scopo di determinarla, vale - come s 'è detto - per t u t t i i c a m p i e le relative scienze. Concerne dunque I a s t e s s a I o g i c a a n a I i t i c a come dottrina formale della scienza. Suo tema sono le oggettualità categoriali in generale in rapporto alla loro pura forma, comprese cioè sotto i concetti di forma, emersi per formalizzazione, di quelle stesse oggettualità, mentre i > di contenuto, che al livello inferiore procedono dalle intuizioni esperienti, e che costituiscono per il giudizio l 'elemento essenziale concreto degli oggetti e dei campi, permangono nella generalità indeterminata, pensati, in tale generalità, semplicemente come una cosa qualunque, come un quid qualsiasi che si mantiene identico attraverso le identificazioni. Questa > dal contenuto concreto, questo convertirlo nella variabilità di ciò che può essere identificato a piacere, significa correlativamente che l ' e I a b o r a z i o n e c o n c e t t u a l e d e l l a l o g i c a s e g u e e s c l u s i v a m e n t e l e s i n t a s s i c a t e g o r i a I i . Dobbiamo raffigurarci - come ci suggerisce questa situazione - il logico come atteggiato nel modo che è richiesto dal suo orientamento verso chi giudica scientifi camente, verso lo scienzato che è rivolto, per una deter minazione progressiva, al suo campo particolare, lo scien ziato che avanza in gradi sempre nuovi di teorie. Allora egli abbraccia altresl nel suo tema, dal punto di vista estensivo, delle oggettualità-substrato q u a I s i a s i come da determinarsi, e delle oggettualità categoriali q u a I -
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s i a s i come substrati nella determinazione. Non gli è necessario qui di principio pensare esplicitamente agli am biti scientifici universali, e parlarne. Ma procedendo a con siderare le possibilità formali, deve pure accorgersi che non soltanto giudizi singoli possono entrare in rapporto sul piano del substrato, ma che sono possibili in questo modo infiniti sistemi di giudizio, rispetto ai quali, come sopra si è visto, può essere rilevata la posizione privilegiata dei sistemi deduttivi, entro il circolo di idee della stessa logica (in quanto logica analitico-formale). Il nostro risultato è dunque che l' a n a I i t i c a c o m e d o t t r i n a f o r m a I e d e l l a s c i e n z a , come le scienze stesse, è r i v o I t a i n s e n s o o n t i c o , e propriamente, per via della sua generalità a priori, in senso o n t o I o g i c o . Essa è o n t o I o g i a f o r m a I e . Le sue verità a priori enunciano ciò che vale p e r g I i o g g e t t i i n g e n e r a I e , per ambiti oggettuali in gene rale, nella generalità formale, e dicono i n q u a I i f o r m e e s s i i n g e n e r a I e s i p r e s e n t a n o (o sem- 107 plicemente p o s s o n o p r e s e n t a r s i ) e ciò, natu ralmente, sul piano del giudizio, giacché gli oggetti in generale sussistono soltanto sul piano del giudizio e m forme categoriali, e sempre per gli stessi motivi. § 44. Dall'analitica come ontologia formale all'analitica come apofantica formale.
a) Conversione tematica dagli ambiti oggettuali ai giudizi nel senso della logica. Dopo essere proceduti fino a questo punto, si pone la do manda se non si sia reso evidente esattamente il contrario di ciò che volevamo mostrare ; giacché noi volevamo ap punto mostrare la duplicità dell'idea della logica come onto logia formale e come apofantica formale. Ma, sembrerebbe, s iamo fermi all'unità. Sembra infatti che t u t t e l e o g g e t t u a l i t à di cui ci occupiamo e di cui ci siamo
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occupati, con tutte le loro forme ontologico-formali, tutte quelle di cui diciamo e potremmo dire c h e s o n o , e - se siamo orientati verso la conoscenza e la verifica che sono in verità queste e queste altre - n o�n s i a n o a 1 t r o c h e > , giudizi nel nostro s e n s o a 1 1 a r g a t o , > emerse nelle stesse posizioni dossiche, loro correlati attuali e via via abituali, formazioni che possono essere abbracciate da giudizi sempre nuovi, e introdursi allora in essi come parti. Non è forse il g i u d i z i o , ex-definitione, ciò che nell'operare predicativo emerge ed è emerso come giudicato, e che perciò può poi essere identificato sempre di nuovo come oggettualità ideale ? Questo è forse altro che oggettualità categoriale ? Ora, per poter giustificare (nonostante l 'evidenza inat taccabile, se considerata secondo un certo aspetto, di quanto è stato esposto fin qui) la posizione che era stata da noi preannunciata, dobbiamo mostrare che, r i s p e t t o a 1 1 ' a t t e g g i a m e n t o t e m a t i c o cui ci eravamo at tenuti f i n o r a , è sempre possibile un r i v o 1 g i m e n t o t e m a t i c o , conforme al quale n e l c a m p o t e m a t i c o non ritroviamo l 'ambito oggettuale dato di volta in volta e le oggettualità categoriali di livello superiore elaborate a partire da esso, bensi vi troviamo, c o m e q u a l c o s a d ' a 1 t r o e di ben diverso, c i ò c h e n o i c h i a m i a m o i g i u d i z i e 1 e 1 o r o parti costitu tive, i loro nessi e le relative trasformazioni in giudizi di gradi sempre diversi. 108
b) Chiarificazione fenomenologica di questa conversione tematica.
rt) Il giudizio dato nell'ingenuità dell'atteggiamento diretto.
Va osservato in primo luogo che noi, nell'esposizione precedente, c i e r a v a m o i m m e d e s i m a t i n e i g i u d i z i , e ci eravamo interrogati soltanto su c i ò c h e p e r e s s i , c o m e t a 1 i , s i p r e s e n t a v a - vale
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a dire questi o quegli oggetti-substrato, o ambiti, queste o quelle oggettualità categoriali che sopraggiungono nel loro giudicare determinativo (oggettualità di forma e grado sempre nuovo), considerati, gli uni e le altre, per il valore che hanno per chi giudica. Giacché giudicare significa pur sempre aver credenza di qualcosa, > qualcosa, intuitivamente o non intuitivamente. È solo un altro modo di dire: tenere qualcosa in valore di esistenza. Ciò non esclude, s'era detto, che nell'ulteriore processo predicativo questo valore d 'esistenza possa cessare di sussistere per chi giudica, e che l'esistente si > in ciò che è dubbio, problematico, possibile, presumibile e perfino in ··ciò che è nullo. La connessione del giudizio si dice c o n c o r d a n t e fintanto che ciò non si verifica, e fintanto che le varie oggettualità vigenti permangono nel semplice valore d'esistenza, e semplicemente s o n o per i giudicanti. Per lo stile delle ulteriori attività di giudizio, ciò significa che ciascuna di queste oggettualità, attraverso tutte le sue ulte riori modificazioni sintattiche, viene posta sempre di nuovo, nelle identificazioni colleganti, come >, che essa vale e c o n t i n u a a v a l e r e per il giudizio come la stessa. �) Nell'atteggiamento critico di chi ha di mira il conoscere si distin guono l'oggettualità intenzionata [vermeint] come tale, e quella effettivamente reale [wirklich].
Ma chi si trova a giudicare non soltanto conferisce valore d'esistenza, ma qua e là >, sostituisce qual cosa d'altro come esistente, e conclude così, passando per delle modalizzazioni, in una concordanza libera da fattori di disturbo che ostacolano l'appagamento. Già nel giudicare quotidiano emergono occasionalmente interessi conoscitivi in senso stretto : interessi della prova che garantisce, neces sità di convincersi >, > . Le formazioni categoriali, che erano dapprima, per coloro che giudicavano, delle og gettualità semplicemente esistenti, e che nel processo del-
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l'identificazione restavano semplicemente le stesse, ora, nel trascorrere all'evidenza, ali'>, in cui sarebbero date origina/iter >, devono essere provate e riconosciute come e s i s t e n t i i n m o d o 109 v e r o e d e f f e t t i v o . Cosi, per chi giudica, le oggettua lità intenzionate i n q u a n t o i n t e n z i o n a t e , con cepite semplicemente come quelle che, nelle sue azioni di giudizio, sono pervenute a posizione in questa o quest'altra forma categoriale, come ciò che è posto in quanto tale nel processo sintattico della posizione, si scindono occasional mente dalle oggettualità > o >, cioè dalle formazioni categoriali che emergono, nella forma fenomeno logica insigne dell'evidenza piena, nei g i u d i z i che, passo passo, formazione dopo formazione, o f f r o n o 1 e c o s e i n s e s t e s s e. In generale, nel corso naturale dei giudizi, il processo sarà tale che chi giudica continui ad ammettere come valida l'oggettualità che vale per lui, anche quando obbedisce all'esigenza della verifica, e tale che, sfociando sull'oggetto visto con evidenza >, egli dica : l'oggetto è effettivamente, è effettivamente costituito cosi, è connesso effettivamente a delle relazioni ecc. Nel passaggio alla ve rifica ha luogo una e o i n c i d e n z a i d e n t i f i c a t r i e e tra l'oggettuale (e d infine lo stato-di-giudizio nella sua totalità, lo stato di cose) per il quale già prima sussi steva la credenza, e ciò che ora è dato nella credenza evi dente, la credenza che riempie l'intenzione conoscitiva ; ciò che è dato >, come realtà effettiva riempiente. Cosi nel caso della verifica riuscita. Ma l'intenzione diretta alla verifica, e dunque, per chi giudica, lo sforzo di pervenire all'oggettuale « stesso>> e a essere di fronte ad esso nell'originale, a vedere, di fronte ad esso, >, può essere, anziché riempito, anche >. Esso si riempie cioè in questo caso in posizioni parziali, ma queste si completano di fronte alle cose stesse per dar luogo alla posizione d 'insieme di una oggettualità categoriale con cui quella creduta antece dentemente > una lotta che rende originariamente
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necessaria la sua cancellazione. Ora si dirà, per esempio: (( lo stato di cose non è c o m e i o p e n s a v o [meinte] >>. Quest'ultima aggiunta esprime una m o d i f i c a z i o n e d i s e n s o . Giacché lo > non è in questa connessione quello che era mantenuto nella credenza, e non potrebbe restare tale ; esso è, grazie alla cancellazione ora sopraggiunta, quello (( prima solo intenzionato >>. AGGIUNTA. Si deve intendere che il modo in cui ci siamo riferiti alla e, verifica >l vera e propria, che guida alla verità sulla base di un'evidenza delle cose nell'originale, costituiva - come del resto in ogni trasceglimento di un c a s o i d e a I e - una semplifi cazione, la quale ha certo una prerogativa rispetto ai temi ulteriori, ma non è incondizionatamente necessaria al fine di motivare, per chi giudica, la distinzione tra l'intenzionato come tale e ciò che è effettivamente reale. A questo punto devono essere prese in con siderazione le imperfezioni della evidenza, e quindi il concetto della autentica verifica potrebbe essere orientato secondo il caso 1 1 0 ideale della perfezione, in cui ciò che s i offre ( a chi giudica) come essere che si dà in sé, o essere vero, non sia soggetto a nessuna riserva e a nessuna presunzione anticipatrice, dal soddisfacimento della quale dipenda, in ulteriori evidenze che vanno collegate sinte ticamente, se il preteso vero sia il vero definitivo. Noi possiamo però orientare anche diversamente il concetto della verifica vera e propria, cioè in tanto designarla come autentica verifica in quanto effettivamente si sia realizzata una adaequatio, per quanto imperfetta, ad una intuizione (< nell'originale •>. Ma in questo senso si dà anche una verifica impropria ed una confutazione corrispondente (al di là di cui non va, normalmente, il dibattito e la critica nelle discussioni quotidiane): la conferma o la confutazione di una validità, messa a confronto con qualcosa che (< che si tiene per fermo •> come sicuro e inattaccabile - ciò che è ancora assai lontano dal si• gnificare che questo qualcosa sia fondato in modo evidente. In questa confutazione, quello che era prima l'essente puro e semplice si modifica nella mera opinione corrispondente. D'altronde l'accerta mento di ciò che era forse divenuto dubbio, la riconversione in certezza accertata, in connessione con (< ciò che si tiene per fermo •>, produce il predicato improprio dell'essere-vero e dell'essere-reale.
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y) L'atteggiamento dello scienziato ; l' intenzionato, come tale, è l'og getto della sua critica conoscitiva.
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Non abbiamo bisogno qui di addentrarci in ricerche più ampie, giacché quanto s'è detto è sufficiente per scor gere come qui, nella d i s t i n z i o n e t r a c i ò c h e è i n t e n z i o n a t o e c i ò c h e è r e a I e , è già anti cipata anche la distinzione della sfera dei m e r i g i u d i z i (in senso ampio) da quella d e g I i o g g e t t i . Per andare oltre su questo punto, rivolgiamo la nostra attenzione alle s c i e n z e . In luogo di chi giudica quotidianamente, con il suo atteggiamento conoscitivo solo occasionale, pren diamo ora in considerazione chi giudica scientificamente. Come tale, questi vive con c o n s e g u e n z a p r o f e s s i o n a I e nell' (( i n t e r e s s e t e o r e t i c o >> u . Vaie a dire, il suo giudicare professionale è dominato sempre e dovunque d a i n t e n z i o n i c o n o s c i t i v e , e que ste hanno la loro unità sintetica nell'unità dell'interesse conoscitivo rivolto in direzione di un campo scientifico. C o n o s c e r e nel senso stretto (un senso che è certo soltanto ideale) il proprio campo, significa per lo scienziato nient 'altro che questo : non lasciar valere come risultati scientifici altri giudizi che quelli che abbiano provato la loro (( g i u s t e z z a >> , la loro > con l ' a d e g u a z i o n e a 1 1 e c o s e s t e s s e , e che siano sempre ricu perabili originariamente in questa giustezza, mediante la rieffettuazione dell'adeguazione. Ciò non significa che lo scienziato in generale non giudichi prima di esser venuto
u V'è una « coerenza professionale * che concerne la periodizzazione
di una vita intera, i cui tempi (ore di l avoro professionale, giorni di
lavoro ecc.), suddivisi in periodi, ma interiormente legati da una sintesi intenzionale, appartengono ad un « interesse professionale * abituale, che si esercita conseguentemente in un genere di attività professional i che danno luogo a risultati razionali sempre nuovi ; un interesse pro fessionale che conserva la validità dei vecchi risultati, eventualmente (come nella scienza) in qualità di clementi di costruzione o di piatta forme per nuovi risultati.
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in possesso delle > in se stesse, - delle oggettualità in se stesse secondo i diversi gradi categoriali. Ma tutti questi giudizi egli li assume soltanto come p r o v v i s o r i , e come soltanto provvisorie tutte le oggettualità categoriali che valgono per essi (come soltanto intenzionate). Attra verso di esse, in quanto intenzionate, passa l 'intentio cono scitiva, quella cioè che punta sulle cose stesse, sul loro darsi in se stesse, cioè sulla loro evidenza. V'è però ancora una differenza tra l'impulso conoscitivo dello scienziato e quello ingenuo di chi pensa non scientifi camente. Quest'ultimo si limita a > se la cosa è veramente cosi ; e, se riesce a vedere, è appagato. Ma lo scienziato sa assai bene che l'evidenza non soltanto ha la sua gradualità di chiarezza, ma che può essere anche un'evidenza ingannevole. Così l'evidenza si distingue ancora per lui in evidenza i n t e n z i o n a t a o p r e s u n t a [vermeint] ed evidenza a u t e n t i c a . I suoi giudizi de vono essere confermati dall'evidenza autentica, da quella più completa, e soltanto cosi devono essere accettati nel risultato della scienza come teoria. Ciò determina un p a r t i c o l a r e c o m p o r t a m e n t o d i g i u d i z i o n el l o s c i e n z i a t o , un giudicare, per cosi dire, a z i g z a g , che si rivolge dapprima verso il darsi delle cose in se stesse, ma poi ritorna, nel modo della c r i t i c a, ai risultati provvisori già conseguiti, dove però la critica stessa deve essere sottoposta alla critica, e per gli stessi motivi. Lo scienziato è dunque guidato dall ' i d e a di un 'evidenza perfetta - o da perfezionarsi per gradi sistematici - con il correlato di un essere vero che sia conseguibile o appros simabile (un'idea, questa, il cui senso e i cui limiti non possono del resto essere esplorati dalla scienza positiva stessa). Si aggiunga che l'atteggiamento critico concerne tutte le attività di giudizio anche in rapporto alle m o d a I i z z a z i o n i che vi intervengono, e alle distinzioni, che sono loro proprie, di evidenza e non evidenza. Soltanto, l 'intentio conoscitiva, attraverso queste modalizzazioni, attraverso la problematicità, le possibilità, le probabilità, le negazioni,
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punta sulle certezze evidenti. Se realizzate, esse sono le verità pure e semplici che si offrono in se stesse, acquisizioni permanenti del conoscere, che possono essere intuite sempre di nuovo, e cosi accessibili in generale a q u a I u n q u e essere razionalmente pensante, e già state accessibili prima della >. Ogni > possiede anticipatamente questo senso. Essa si rivolge a questo >, ed esprime in modo a tutti intuitivo ciò che sono in verità i rispettivi substrati oggettuali. § 45. Il giudizio nel senso della logica apofantica.
I 1 p a s s a g g i o , necessario ad ogni conoscenza scien tifica, p e r 1 ' a t t e g g i a m e n t o c r i t i c o , al quale ogni giudizio scientifico deve prestarsi, ha determinato la giustapposizione, operata dallo scienziato nell'alternanza continua del proprio orientamento, tra la o g g e t t u a I i t à p u r a e s e m p I i c e - come realtà effettiva che esiste per lui in modo diretto nell'attività del giudizio, o come realtà che egli ha di mira in quanto essere conoscente ed o g g e t t u a I i t à i n t e n z i o n a t a [vermeint] c o m e t a I e - conseguenza intenzionata, determinazione in tenzionata, pluralità intenzionata e numero intenzionato come tali, ecc. Con questo i n t e n z i o n a t o c o m e t a I e , mero correlato dell'> [des > ], (opinione [Meinung] si dice anche, usualmente, o6�oc) ab biamo colto ciò che n e 1 1 a I o g i c a t r a d i z i o n a I e si chiama g i u d i z i o ( A p o p h a n s i s ) , ed è tema della logica apofantica 41• Pure, come già sappiamo, la lo gica, in questa configurazione concettuale, guidata a sua volta dall'agire scientifico, assegna una posizione di pri vilegio ad un c o n c e t t o p i ù r i s t r e t t o , che 4 2 È il noema del giudicare. Per il concetto di noema, cfr. Ideen, pp. 181 sgg. [199 sgg.] , e specialmente per il giudizio pp. 194 sgg. [212 sgg.].
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nonostante ciò comprende pienamente in sé quello più ampio di una >, benché non, naturalmente, come particolarizzazione conforme alla specie. L'attività del giudizio scientifico è rivolta alla conoscenza determinativa dei vari ambiti scien tifici 0. Perciò i l g i u d i z i o p r e d i c a t i v o (l'apo fansi, appunto, come 1 ' u n i t à i n s é c o n c h i u s a d e l l a d e t e r m i n a z i o n e ) è sempre privilegiato. Tutti i fattori categoriali che devono essere formati, come è già stato da noi osservato, devono fungere nei giudizi predicativi ed intervenire nelle scienze (prescindendo qui dalla stessa logica) all'interno di questi giudizi, come loro elementi costitutivi. Con altre parole, giudizi nel senso della logica apofantica sono stati di cose intenzionati come tali, e precisamente stati di cose autonomi e in sé conchiusi. Tutte le altre intenzionalizzazioni categoriali fungono come frammenti in tali >. § 46. Verità e falsità come risultato della critica. Duplice 1 1 3 senso d i > e d >. I l risultato finale della critica è - idealmente parlando - la > , ovvero la >. Qui verità significa g i u d i z i o c o r r e t t o , c r i t i c a m e n t e p r o v a t o , provato mediante adeguazione alle oggettualità categoriali corrispondenti >, quali sono date originariamente nel [Selbsthabe] evidente, vale a dire nell'attività producente esercitata sui substrati > esperiti. Da questa adeguazione, cioè da questo passaggio riempiente al possesso, e dalla riflessione sulla m e r a o p i n i o n e e la sua coincidenza con l ' o p i n i o n e r i e m p i t a , sgorga il c o n c e t t o d i quella correttezza che dà luogo a uno d e i c o n c e t t i, q u e l l o c r i t i c o, d i v e r i t à, quello per cui i l g i u d i z i o è vero - oppure falso ; '" Cfr. § 40.
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o ancora, tenendo conto delle rimanenti forme di modaliz zazione, è dubbio, presumibile ecc. Mentre la falsità riposa sopra l'offrirsi in sé di uno stato di cose con"cui l'intenzionato come tale, dunque il giudizio, contrasta, e perciò va in contro alla propria soppressione originaria (ciò che, nella corrispondente modificazione di posizione, dà luogo al co glimento evidente della nullità in se stessa come nullità esistente) diversamente avviene per le altre modalità. Non già lo stato di cose o la sua negazione è data originariamente, bensì, nel caso migliore, è data originariamente una contro possibilità motivata (o anche una pluralità di tali possibilità, ecc.) che per chi giudica come tale, e nell'unità di un processo coerente di giudizio essi, come s'è detto, vengono identificati od entrano nelle f u n z i o n i della determinazione per i substrati ultimi che in questo caso devono essere determinati. Così anche per il giudizio conoscitivo ; soltanto, gli elementi categoriali sono attraversati dall'intenzione rivolta a possederli in se stessi nella forma del cosiddetto giudicare evidente, dove ha luogo l 'identificazione riempiente se essi siano colti nel modo del! '>. Questo è g i u d i c a r e p u r o e s e m p l i c e ; modo di dire affatto relativo, come apparirà ben presto. Ogni giudicare può cioè essere essenzialmente modificato in un g i u d i c a r e d i s e c o n d o g r a d o , in cui non viene più posto ciò che è stato giudicato in modo diretto e che pertanto era una oggettualità per chi giudica, bensì viene posto, in una riflessione, il g i u d i c a t o c o m e t a l e . Si tratta dunque di una riflessione che produce qualcosa di nuovo, ma non di una riflessione che rende tematica l 'azione del giudizio, rendendola così tema di un nuovo giudicare (di una nuova posizione che deve t t . . Husserl
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poi trapassare in predicativo-determinativa u. Non soltanto un oggetto-substrato, una qualità costitutiva, uno stato di cose e così via possono essere oggettuali, bensì anche un s u b s t r a t o i n t e n z i o n a t o i n q u a n t o i n t e n z i o n a t o , una qualità costitutiva intenzionata in quanto intenzionata e cosi via, e queste - dicevamo sopra sono o g g e t t u a 1 i t à che, come subito dimostreremo, nonostante questo rivolgersi all'indietro, designano di fatto una r e g i o n e p r o p r i a . E prima di tutto : È naturale che il possibile trapasso del giudizio (ogget tualità intenzionata pura e semplice) in opinio di giudizio (og gettualità intenzionata, in quanto tale) si ripete a tutti i gradi che si desidera. Si tratta di un p r o e e s s o i t e r a t i v o di riflessione possibile e di una permanente modificazione di atteggiamento. Dove è anche evidente che noi ritorniamo qui ad una d i s t i n z i o n e u 1 t i m a , quella tra le 118 o g g e t t u a 1 i t à c h e s o n o i n t e n z i o n a 1 i z z a z i o n i , e q u e 1 1 e c h e n o n l o s o n o . Appunto perciò noi parliamo di regioni separate all'interno della re gione universale formale >. Tutte le presumibilità di grado superiore appartengono di per sé alla regione delle intentionalizzazioni o gli oggetti corrispondenti, nell'atteggiamento riflesso, quello cioè in cui le opinioni oggettuali corrispondenti, le opinioni sullo stato di cose, pervengono a coglimento o posizione. Così p o s s i a m o d e s i g n a r e q u e s t a r e g i o n e a n c h e c o m e q u e 1 1 a d e i s e n s i 45 • Vi sono, per i u Ciò corrisponderebbe alla riflessione noetica sulle molteplicità noetiche costituenti l 'unità neomatica. Cfr. su questo punto ldeen, pp. 201207 [220-225]. 45 Cfr. ldeen, p. 265 [287-288] ; 'inoltre, sul rapporto di senso e noema, p. 1 85 [204] e pp. 267-273 [288-295].
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giudizi predicativi conchiusi, sensi di stati di cose (stati di cose intenzionati come tali), per gli oggetti-substrato appunto sensi oggettuali in senso stretto, per le relazioni sensi di relazione ecc. Non abbiamo detto nulla qui su questo punto: se i giudizi di senso diretti (irriflessi) e quelli riflessi siano evi denti o no, se essi comportino intenzioni conoscitive, se eventualmente intervengano come loro riempimenti o no. Simili modi di variazione, come è ovvio, possono aver luogo i n e n t r a m b i g l i o r i e n t a m e n t i d e l g i u d i z i o - quello > e quello della riflessione di senso ; come appartengono a tutti i giudizi in quanto tali, così appartengono anche ai giudizi di senso. Con ciò anche per loro vale la distinzione di possesso evidente della cosa stessa e del semplice assumere nella credenza ; vale la modalizzazione, e in particolare, eventualmente, la can cellazione, la conferma, la refutazione evidente (come con ferma negativa) ecc., ma poi la critica, col ritorno al livello più elevato di senso. L'esplicitazione di senso p u ò essere evidente, ma non è necessario che lo sia, e può anche ingannare. Che gli oggetti che qui significano sensi siano effettivamente altro dagli oggetti puri e semplici, significa che un giudicare coerente e che come tale ritorna nel processo di identifi cazione agli oggetti già posti, e in particolare, anche u n g i u d i c a r e c o n o s c i t i v o, p e r c o r r e p e r l ' u n a o p e r l ' a l t r a r e g i o n e f o r m a l e d iv e r s e s t r a d e e realizza diverse identificazioni, ovvero diverse distinzioni e diverse esclusioni mediante cancella zione. Il senso che si esprime con: > t t 9 non può mai essere identificato con la pura e semplice entità indicata S è p, e con lo stato di cose che può esserne ricavato per nominalizzazione. Inoltre nel passaggio all'evi denza dell'essere è chiaro che l'essere reale del giudizio come senso non soffre se S non è, o se S non è p, con una parola, se lo stato di cose che esiste per i giudicanti, non sussiste. Il giudizio è allora ,nesatto, ma, c o m e giudizio, è un e s i s t e n t e d e 1 1 a r e g i o n e d e 1 s e n s o .
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Per il resto tutte le forme di identificazione nelle connes sioni di giudizio possibili (di cui sono un settore importante quelle che conducono all'evidenza) intervengono con mo dificazione nella sfera di senso. Che i sensi come oggetti, rispetto agli atti e ai soggetti relativi siano in egual senso >, poli ideali di unità, proprio come gli oggetti che non sono sensi, è cosa che basta ricordare. E lo stesso vale per tutti gli oggetti in generale. § 49. Il duplice senso di giudizio (proposizione). Se rivolgiamo ancora uno sguardo alla c o r r e 1 a z i o n e d i g i u d i c a r e e g i u d i z i o , dobbiamo ancora rilevare esplicitamente il senso duplice che in tutte queste chiarificazioni ha giocato la parte decisiva. Giudicare nel senso più ampio significa > dossicamente, e ciò che qui è posto, è la p r o p o s i z i o n e. In particolare, il giudizio predicativo pone la p r o p o s i z i o n e p r e d i c a t i v a . Essa è ciò c h e è giudicato. Ma allora la proposizione o giudizio è ciò che la logica apofantica - che esercita la propria critica sulla correttezza e sulla falsità intende con questo nome ? Ciò che è g i u d i c a t o in un giudizio è l ' o g g e t t u a 1 i t à c a t e g o r i a l e intenzionata nel giudicare. Come noi abbiamo accertato, è solo in un giudicare di s e c o n d o g r a d o che diventa oggetto la p r o p o s i z i o n e n e l s e n s o d e 1 1 a 1 o g i c a - la proposi zione come senso, l'oggettualità categoriale intenzionata c o m e t a l e - ed è e s s a che in questo nuovo giudi care è semplicemente intenzionata nel giudizio. In ogni giudicare è certo implicito il suo senso e noi diciamo anche con evidenza che l 'oggettività che in esso è intenzionata in modo diretto non è necessario sia sempre un'oggettualità esistente. Ma lo stesso noi potremmo esprimere in modo evidente solo grazie ai giudizi e alle evidenze di secondo
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grado in cui traiamo dai semplici giudizi i loro obiettivi in tenzionali, rendendoli o g g e t t i . Appunto per questa via le stesse intenzionalizzazioni sono state rivolte a fini propri della coscienza, e se si dia l'evidenza, a suoi risultati, mentre 1 20 nel giudicare diretto è bensl implicita alla coscienza ogni intenzionalizzazione, ma resta un mero > della finalità conoscitiva, che termina a sua volta nella oggettualità categoriale corrispondente stessa (e non nel mero giudizio). § 50. Estensione del concetto di senso alla sfera posizionale e complessiva ed estensione della logica formale per una Assiologia e una Pratica formali.
Rimane ancora assai istruttivo osservare che ciò che abbiamo detto per il giudicare e il senso del giudizio, vale per l ' i n t e r a s f e r a p o s i z i o n a l e d i c o s c i e n z a . Ogni cogito - e questa è una situazione essenziale fondamentale per la fenomenologia dell'intenzionalità ha il proprio cogitatum. Il cogito può esprimere l'>, o anche : >, > (ciò che cer tamente appartiene alla sfera dossica, seppure non a quella del pensare che determina predicativamente) ; può anche significare che io impiego attività > del senti mento nel piacere o nel dispiacere, nello sperare o nel temere, o in attività della volontà ecc. Ogni cogito di questo tipo, realizzato in modo diretto, ha la propria direzione sugli oggetti dell'esperienza, sui valori ed i disvalori, gli scopi e i mezzi ecc. Ma ciascuno di questi cogito dà luogo a una riflessione, nella modificazione dell 'atteggiamento, sul suo cogitatum qua cogitatum, sulla sua >. Per una tale rifles sione si può intendere una riflessione dossica, ma eventual mente anche una riflessione corrispondente del sentimento e del tendere verso un fine. Se ci atteniamo alla riflessione dossica, la quale in ogni caso è sempre con-possibile, viene in essa a posizione un
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elemento nuovo, il senso corrispondente : il senso percet tivo 0 , il senso valutativo, il senso pratico - cioè l ' i n t e n z i o n a t o c o m e t a 1 e . Vale anche in generale che ciascun senso deve diventare tematico p e r c h é l a (( c r i t i c a >> p o s s a f a r p r e s a . T u t t i g 1 i (( a t t i >> i n u n s e n s o s e g n a 1 a t o , cioè tutti gli Erlebnisse intenzionali che attuano (( posizioni >> (af fermazioni, tesi, prese di posizione) s o n o s o g g e t t i a d u n a c r i t i c a d e 1 1 a (( r a g i o n e >> , e ad ogni genere di posizioni appartiene un' e v i d e n z a p r o p r i a 47 che può essere trasposta secondo una legalità es senziale in una e v i d e n z a d o s s i c a . In rapporto con ciò, anche la sintesi identificatrice della sfera del giudizio ha i suoi analoga nelle sintesi delle altre sfere posizionali. Dappertutto i temi diretti (intendendo dunque ora la parola in un senso più ampio riferito a tutte le speci della posi zionalità) vanno incontro, con quella riflessione, ad una modificazione. Parlavamo della possibile conversione di ogni evidenza in una evidenza dossica. Più in generale qui si dovrebbe dire : Tutti i sensi extra-dossici possono intervenire, in una tematizzazione dossica sempre possibile, nella sfera dossica e in particolare in quella apofantica. In modo simile, ogni giudizio modalizzato può assumere la forma di un giudizio di certezza, di un giudizio nel senso normale. Nel conte nuto del giudizio interviene allora il possibile, il probabile ecc. ; e simile è il rapporto con il bello e il buono. Così 48 Già nelle Logische Untersuchungen si fa strada questo concetto generale del senso, che si riferisce a tutte le sfere intenzionali. La � Denk psychologie � del nostro tempo lo ha fatto proprio, senza però purtroppo prendere in considerazione le profonde analisi intenzionali, e partico larmente poi quelle delle mie Ideen (cfr. pp. 256 e sgg. [274 e sgg.]) che vanno tanto più in là. 47 L'evidenza del sentimento è stata chiarita per la prima volta da F. B r e n t a n o : vedi, nella sua relazione Vom Ursprung sittlicher Erkenntnis [Sull'origine della conoscenza morale] (nuova ed. a cura di O. Kraus, Leipzig, 1921 ) i passaggi sull'� amore giusto e caratterizzato come giusto & (p. 17).
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la logica formale delle certezze può arricchirsi delle forme delle modalità, ma anche, in certo modo, assumere in sé le modalità del sentimento. Tutto ciò lascia prevedere che anche le sfere di atto extradossiche consentano una considerazione formale. Ciò ha una grande importanza, perché si presenta qui la pos sibilità di e s t e n d e r e I ' i d e a d e 1 1 a l o g i c a f o r m a l e a d u n a a s s i o I o g i a e a d u n a p r a t i c a f o r m a l i . E con ciò si fa strada - per cosi dire - una logica formale dei valori e dei beni. Ogni sfera posizionale ha le proprie categorie , ha le pro prie modalità particolari originarie del e delle sue forme di derivazione, e in conformità con ciò ha la propria , la propria > '".
§ 51. La logica pura della conseguenza come dottrina pura del senso. L'articolazione in logica della conseguenza e logica della verità vale anche per la dottrina della molteplicità come grado supremo della logica.
Se ci limitiamo ancora alla sfera del giudizio come regno dei sensi apofantici, compresi in esso tutti i sensi categoriali, la p u r a a n a l i t i c a f o r m a l e va con siderata come u n a t e o r i a s i s t e m a t i c a i n s é 122 c h i u s a, l a c u i s f e r a t e m a t i c a è c o s t i t u i t a a p p u n t o d a q u e s t i s e n s i . Ciò risulta chiaro se '" Fin dal semestre estivo del 1902, in lezioni particolari ed eser citazioni di seminario, ma anche in occasione di lezioni di logica e di etica, ho cercato di elaborare sistematicamente l'idea di un'Assiologia e di una Pratica formali. Pressoché tutte le successive trattazioni di senso affine che sono apparse dopo di allora nella letteratura filosofica, e, prima di tutto, in modo affatto immediato, l'assiomatica dei valori di Th. L e s s i n g , si rifanno a queste lezioni e seminari, per quanto importanti siano state le modificazioni apportate alle idee che vennero espresse in quelle circostanze. [Le ricerche di H. sui problemi dell'etica sono tuttora inedite. Ne dà un saggio di esposizione sistematica Alois Roth in Edmund Husserls ethische Untersuchungen, Den Haag, Nijhoft, 1960.)
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colleghiamo la chiarificazione raggiunta in queste ricerche del concetto di giudizio come senso oggettuale predicativo con le precisazioni concernenti il senso e la struttura del1'analitica logica compiuta nel primo capitolo, nel quale peraltro il grado supremo di tale analitica, la dottrina delle forme delle teorie deduttive, non era ancora entrata nel nostro ambito visuale. Una teoria sistematica p u r a della regione del s e n s o intesa nel senso più stretto e più proprio, l'analitica lo è solo per i due strati inferiori, per la m o r f o 1 o g i a p u r a d e i s e n s i (o dei signifi cati) e per l' a n a l i t i c a p u r a d e l l a n o n - c o n t r a d d i z i o n e . Poiché questa è fondata nella morfo logia, essa costituisce una disciplina logica in sé conchiusa solo se unita con la prima, e, cosi intesa, essa è la scienza universale e pura dei sensi apofantici, che non contiene nulla che oltrepassi ciò che le è essenzialmente proprio. Sono escluse dal suo tema tutte le questioni di verità, giac ché con il predicato di > (e le sue modificazioni) esse oltrepassano l'a priori puro che è essenzialmente proprio della sfera del senso, come mostra il significato di quel predicato, che riposa sull'adeguazione. Attraverso le esposizioni più ampie che abbiamo offerte sopra a fini di chiarificazione, si comprende come nell'ap prestamento dell'analitica per la dottrina delle forme siste matiche di teorie (ovvero delle molteplicità matematiche) e perciò per una piena mathesis universalis, dovrà rimaner valido tutto ciò che abbiamo presentato per i gradi inferiori, e in primo luogo dunque la stratificazione di una pura mathesis della non contraddizione e m a t h e s i s d e l l a v e r i t à p o s s i b i l e , e poi l 'in terpretazione della prima come m a t h e s i s d e i p u r i s e n s i. Giacché se noi prendiamo in considerazione qual siasi forma sistematica di teorie determinate, ovvero qual siasi molteplicità matematica determinata, come è stata costruita a priori, p. es. la f o r m a Geometria euclidea, o, rispettivamente, la molteplicità euclidea - nell'ambito di questa forma (nell'ambito di un concetto generale) le molteplicità singolari sono pensate come singolarità, benché
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in una totale indeterminazione (nell'esempio, molteplicità di forma euclidea). Ed esse sono pensate come costruite del tutto a p a r t i r e d a f o r m a z i o n i c a t e g o r i a l i che dunque, secondo le loro forme sintattiche, ine riscono pienamente alla sfera logico-apofantica, compresa la stessa molteplicità considerata, nella sua interezza. L' i n t e r a m a t h e s i s u n i v e r s a l i s è dunque analitica d e g l i e l e m e n t i c a t e g o r i a l i p o ss i b i I i , teoria delle loro forme essenziali e delle loro leggi essenziali. Consideriamo ora il fatto che l a t e o r i a d e l l a molteplicità non ha alcun motivo che c o s t r i n g a a render tematici al suo interno p r o b l e mi di verità possibile per le sue forme d i t e o r i e , e correlativamente problemi della p o s s i b i l e r e a l t à [ Wirklichkeit] del possibile essere vero di m o l t e p l i c i t à s i n g o l a r i , di q u a l s i a s i t i p o , le quali sono subordinate alle sue idee formali di molteplicità. Ha senso equivalente il dire che il m a t e m a t i c o c o m e t a l e non ha bisogno di curarsi del fatto che nella concreta > [>] si diano realmente delle molteplicità (p. es. qualcosa come una natura matematicamente conoscibile, o un terreno come quello delle formazioni spaziali, da concepire magari come molteplicità e u c l i d e a ) , e neppure che qualcosa di simile p o s s a darsi o che sia pensabile in un qualche contenuto concreto. E g l i n o n h a d u n q u e b i s o g n o d e l p r e s u p p o s t o d i p o s s i b i l i m o l t e p l i c i t à nel senso di molteplicità che è possibile siano c o n c r e t a m e n t e e s i s t e n t i , e - come > matematico - può intendere i suoi concetti in modo che il suo ambito non cointenda neppure tali possibilità. § 52. > propriamente logica, ed extra-logica. La >.
È certo per altro che, in questo modo, come già per i gradi inferiori dell'analitica logica, così anche per quelli
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supenon e in definitiva per l'Analitica nella sua piena estensione - la mathesis universalis - va perduta la parte essenziale del suo senso proprio, del suo senso epistemo logico. Giacché la logica, anche là dove essa desideri essere mera logica formale, vuole essere riferita a campi possibili e alla loro conoscenza possibile, a teorie sistematiche pos sibili, e consolidare in loro favore anticipatamente delle leggi essenziali della possibilità con funzione di norma. Se essa, in questa sua mira, si trova di fronte al fatto che già nella forma stessa dei > sono indicabili le condizioni della possibilità della verità, della sua esistenza di teorie e della teorizzabilità di ambiti conoscitivi, essa non dimette naturalmente per ciò il proprio senso specificamente logico. Essa compie però forse un passo in questa direzione quando si rende consapevole della propria stratificazione essenziale in analitica della non-contraddizione e analitica della verità possibile, e quindi, 1. si accorge che i g i u d i z i , presi e s c l u s i v a m e n t e c o m e s e n s i (incluse in essi tutte le ogget tualità intese puramente come sensi oggettuali) hanno una I e g a I i t à f o r m a I e i n s é c o n c h i u s a , e, al li vello della >, una legalità della conseguenza, dell'inconseguenza, della non-contraddizione, che i n s é non dicono ancor n u 1 1 a d i u n e s s e r e p o s s i b i l e delle oggettualità che corrispondano ai giudizi e della verità possibile di questi giudizi stessi ; 2. se, in connessione con questo, si accorge che, in modo evidente le l e g a I i t à della n o n - c o n t r a d d i zione assumono mediatamente il valore di I e g a l i t à l o g i c h e, di principi primi e generalis simi d e 1 1 a v e r i t à p o s s i b i l e, cosi come in rap porto all'intenzione specificamente logica l'essere possibile e la verità possibile devono essere interrogati secondo le leggi essenziali della loro possibilità, e ora i sensi (i puri giudizi) sono pensati riferiti a tali possibilità, sicché queste vengono pensate come co-presupposte. Una volta chiarito quanto precede, è possibile dar fi gura a un 'intera scienza che, sciolta da un intento specifi-
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camente logico, non indaga né vuole indagare altro che il regno universale dei puri sensi apofantici. Da una simile esclusione conseguente delle questioni circa la verità pos sibile, e degli stessi concetti di verità, procede che con ciò non si è perduto propriamente nulla di tutta questa ma thesis logica, ma che la si possiede ancora interamente come m a t e m a t i c a > f o r m a l e . Questa purezza nella limitazione tematica a sensi oggettuali nella loro essenzialità propria - a > in senso ampliato può anche attuarsi con una certa inconsapevolezza, e ciò per il fatto che il matematico, come sempre è avvenuto nella analisi matematica, tralascia di porre questioni con cernenti la realtà possibile delle molteplicità, ovvero le con dizioni della realtà possibile delle stesse sulla base della mera forma del senso, come al contrario fa tradizionalmente 1 a 1 o g i c a apofantica. Un rimasuglio di impurità può ancora sussistere in quanto, di regola, le forme di molte plicità costruite matematicamente sono pensate al tempo stesso come forme di realtà possibili ; purché questo pen siero, come del resto è sempre avvenuto, non eserciti alcuna funzione all'interno della matematica stessa. C o s i s ' i n t e n d e c o m e p e r u n a (inconsapevole o con sapevole) m a t e m a t i c a f o r m a l e > n o n s i p o s s a d a r e a l t r o i n t e r e s s e c o n o s c i - 125 t i v o c h e q u e 1 1 o della >, della conseguenza o i n c o n s e g u en z a analitica immediata o mediata, dove ovviamente trovano posto tutte le questioni di > m a t e m a t i c a . Certo l e cose vanno altrimenti per il 1 o g i c o che, orientato in senso epistemologico, anche qualora si addentri, mediante un ampliamento conseguente delle angustie tra dizionali, verso la mathesis universalis (come io stesso ho fatto nelle Ricerche logiche), non perverrà facilmente a pen sare di attuare questa riduzione ad una analitica dei puri sensi ; e quindi si impossesserà della matematica soltanto come di una l o g i c a a l l a r g a t a ; che è perciò essen zialmente riferita a campi e teorie oggettuali p o s s i b i 1 i . D a un punto di vista filosofico qui è necessaria la più piena
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consapevolezza e la conoscenza radicale delle demarcazioni che vanno effettuate. Non basta, ad esempio, limitarsi ad interpretare, e domandarsi a questo scopo, che cosa pre sumibilmente intenda il matematico specialista. Si deve intendere che una m a t e m a t i c a f o r m a l e n e l s e n s o d i q u e l l a p u r e z z a >, ha i l s u o d i r i t t o p r o p r i o , e che in ogni caso non v'è alcuna necessità per la matematica di procedere al di là di questa purezza. Ma al tempo stesso è un grosso passo in avanti per la penetrazione filosofica l'aver stabilito che questa riduzione limitativa della mathesis l o g i c a ( della logica formale condotta alla sua essenziale compiutezza) ad una a n a l i t i c a p u r a d e l l a n o n - c o n t r a d d i z i o n e, ha i l suo senso essenziale nel dar luogo a una scienza che, secondo l'a priori che le compete per essenza, non ha a che fare con null'altro che con sensi apofantici ; e aver stabilito finalmente che con ciò è c h i a r i t o d i p r i n c i p i o i l s e n s o p r o p r i o d e l l a >, della matematica che è lontana da ogni intenzione propriamente logica, cioè epistemologica, della matematica dei matematici. Qui sta l' u n i c a l e gittima distinzione t r a logica for m a l e e m e r a m a t e m a t i c a f o r m a l e. § 53. Spiegazioni fondate sull'esempio della molteplicità euclidea.
Data l'importanza della cosa potrebbe essere utile ag giungere ancora alcuni schiarimenti per il genere della ri duzione della dottrina della molteplicità ad una pura dot trina del senso. La dottrina della molteplicità si offre al logico in primo luogo come una scienza dei tipi formali, da costruirsi a priori, delle molteplicità p o s s i b i l i (o correlativamente 126 dei tipi formali delle p o s s i b i l i scienze deduttive, delle possibili teorie sistematiche) dotate di una v e r i t à p o s s i b i l e . Qui la riduzione alla purezza, esplicitata per un caso singolo, ha il seguente risultato. Prendiamo un esempio
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elementare: > significava dapprima una forma per scienze deduttive possibili, intese come sistemi possibili di proposizioni vere, esemplificati dalla geometria euclidea dello spazio, assunta ora come una pos sibilità accanto a una aperta infinità di altre scienze dedut tive possibili dotate di questa stessa forma categoriale. La riduzione che elimina ogni riferimento al presupposto di verità possibili, produce la forma (che per noi rimane in questo caso quella della >) intesa come quella di un s i s t e m a d i p r o p o s i z i o n i ( g i u d i z i ) p o s s i b i 1 i assunti p u r a m e n t e c o m e s e n s i , e cioè d i proposizioni che devono essere effettuate - puramente come giudizi - nell'evidenza della distinzione non solo singolarmente, bensì come tota lità sistematica distinta ; in una parola: di proposizioni che configurano un sistema in sé chiuso di pura conseguenza (di >) : la forma euclidea dunque n o n h a p i ù , entro la propria circoscrizione, s c i e n z e d e d u t t i v e , riferite a campi 1 a c u i e s i s t e n z a è p o s s i b i l e, b e n s l s i s t e m i n o n c o n t r a d d i t o r i d i g i u d i z i . Essa designa un principio formale che dice : ogni gruppo di giudizi che è da sussumere sotto il gruppo delle forme assiomatiche euclidee, è unificabile a priori in modo non contraddittorio - ed a priori sono unificabili tutte le conseguenze che se ne possono dedurre conformemente ai principi (veri assiomi) dell'analitica in feriore della non-contraddizione - con le proposizioni di partenza ; esse costituiscono un sistema non-contraddittorio e un sistema definito, se siamo in grado di provare che il sistema assiomatico euclideo è un sistema definito 49 • Come correlato di una teoria sistematica p o s s i b i 1 e abbiamo una m o 1 t e p 1 i c i t à p o s s i b i 1 e , un campo possibile di oggetti teorizzato sistematicamente da essa. In 49 Come è chiaro trova luogo qui il principio fondamentale primi tivo dell'analitica della pura conseguenza: due giudizi (nel senso più ampio), che procedano come conseguenze da un giudizio in sé con cordante, sono compatibili nell'unità di un giudizio, possono essere
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luogo di ciò, dopo che questa possibilità è stata messa fuori giuoco, interviene una molteplicità non di oggetti sempli cemente, bensì di oggetti intenzionati in quanto tali, dunque di s e n s i o g g e t t u a 1 i , c o m e s e n s i d i s u b s t r a t o, c h e s o n o a p p r o p r i a t i a f u n g e r e univocamente in un sistema di giudizio come substrati delle predicazioni. I sensi di substrato sono tuttavia soltanto sensi oggettuali fondamentali della teoria, di quella teoria che a sua volta è ridotta a puro s e n s o d i t e o r i a . Anch 'essa, in tutti i suoi giudizi singoli e complessi, e in tutte le conformazioni categoriali che vi intervengono, dopo l'attuale riduzione è > è senso oggettuale o giudizio in senso più ampio ; soltanto, si tratta di figure categoriali di grado superiore rispetto a quello che è appropriato ai sensi substrato. Non occorre sia esplicitamente ripetuto per l'analitica ampliata alla mathesis pura ciò che già era stato detto per l'analitica del grado inferiore. La mathesis pura, come scienza, ha naturalmente di mira delle verità in rapporto al suo campo, verità dunque sui sensi e le loro relazioni di conseguenza. Ma al suo ambito, preso nella sua purezza, appartengono tanto poco i principi della verità (della legit timità, del possibile essere vero come tale ecc.) quanto poco appartengono alle altre scienze, esclusa la logica vera e propria. La verità appartiene tanto poco ai predicati > matematici quanto ai predicati della natura, la cui ricerca costituisce il tema delle scienze naturali. « moltiplicati >> . La • moltiplicazione *, nel « calcolo logico *, non significa altro che questa operazione della connessione congiuntiva di giudizi in sé pensati come non contraddittori nell'unità di un giudizio. La relativa legge operazionale (di senso iterabile), nel suo valore di principio fon damentale, afferma: a priori, ogni giudizio (ogni giudizio « d i s t i n t o •>, in sé non contraddittorio) è unificabile con ogni altro nell'unità di un giudizio di egual carattere. La validità dei giudizi, nella sfera della con seguenza, significa la loro interna concordanza, la loro distinta effet tuabilità, nel senso cioè della possibilità di penetrare mentalmente una simile effettuazione.
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§ 54. Fissazione conclusiva del rapporto tra logica formale e ontologia formale.
a) Posizione del problema.
Nelle ultime considerazioni avevamo sciolto completa mente da tutti gli interessi logici l'idea della mathesis uni versalis come scienza dei sensi apofantici di tutti i gradi categoriali per coglierla in modo del tutto puro nella sua essenza propria. Ora prendiamo di nuovo in considerazione proprio quegli interessi. La matematica viene dunque situata di nuovo all'interno della dottrina della scienza, dove esercita funzioni di critica, e le sue dottrine assumono perciò anch'esse il senso di questa funzione. I principi della relazione tra la non-con traddizione e la verità sono enunciati anticipatamente, e in conformità con essi poi diviene lecita, e di fatto viene realizzata, l'introduzione dei concetti di verità (giudizio predicativo vero, oggetto substrato veramente esistente, pre dicato vero, vera molteplicità ecc.). I principi della conse guenza e della non-contraddizione si trasformano in principi di una verità concreta possibile. Benché in essi i con tenuti concreti (i nuclei) rimangano degli indeterminati, essi 128 ora sono pensati in questa generalità come riferiti alla pos sibile oggettualità. Possibile verità come legittimità significa possibilità di adeguazione alle cose > possibili. Cosi p. es. nei principi formali della legittimità possibile di giudizi predicativi sono contenuti eo ipso principi di pos sibilità di stati di cose. Cosi dunque l'intero sistema mate matico della logica acquisisce un rapporto con l'oggettualità possibile in generale. Poniamo ora il problema : s i d e v e c o n s i d e r a r e p e r c i ò l a l o g i c a f o r m a l e c o m e o n t o l o g i a f o r m a l e ? e perché questo non vale in ogni caso per la analitica della mera non contraddizione, benché anch'essa sia riferita a giudizi in generale, e con ciò al Qualcosa in generale ?
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b) Il duplice senso correlativo della logica formale. Il puro e semplice parlare di qualcosa, di qualsiasi og getto o di oggetti in generale, significa normalmente parlare di essi come realtà o come possibilità - nel caso del l'In-generale a priori, di possibilità eidetiche, come libe ramente immaginabili in una fantasia del tutto libera. Se chiamiamo o n t o I o g i a f o r m a I e una scienza a priori di oggetti in generale, ciò significa dunque senz'altro una scienza d i p o s s i b i I i o g g e t t i , p u r a m e n t e c o m e t a I i . Naturalmente appartengono al suo ambito tematico tutte le modificazioni categoriali che si possono pensare come possibili di >. Una qual siasi altra scienza a priori sarebbe allora una ontologia non formale, sarebbe un'ontologia in rapporto al suo campo oggettuale, come campo particolare di oggettualità possibili. In rapporto a ciò dobbiamo dire : quella m a t e m a t i c a p u r a d e l l a n o n - c o n t r a d d i z i o n e di cui s'è parlato, sciolta dalla logica epistemologica, n o n m e r i t a i l n o m e d i o n t o l o g i a f o r m a l e. Essa è un'ontologia dei puri giudizi come s e n s i e cioè un'ontologia delle f o r m e dei sensi non-contraddittori e, in questo senso, dei sensi possibili : possibili nell'evidenza della distinzione. A ogni oggetto possibile corrisponde il suo senso oggettuale. Ogni forma del senso di oggetti pos sibili si fa avanti naturalmente sotto le forme possibili di senso della matematica >. Ma quella possibilità di una forma del senso non contiene nulla, in sé e per sé, della possibilità di oggetti, dotati di un senso che le cor risponda ; come, per altro, questa stessa corrispondenza conduce al di là della pura sfera del senso. Non appena noi prendiamo in considerazione questa cor129 rispondenza e mettiamo in relazione le due possibilità, i sensi oggettuali non contraddittori e gli oggetti possibili stessi ; non appena dunque poniamo dei problemi concer nenti la legittimità possibile, noi ci troviamo nella logica vera e propria, e in essa l'intera matematica dei giudizi come sensi assume subito un s i g n i f i c a t o ontologico-
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formale - e t u t t a v i a n o n p o s s i a m o a n c o r a: pretendere che si tratti senz'altro di u n ' o n t o l o g i a f o r m a l e. Riflettiamo. L'analitica formale come logica formale della verità possibile, come noi abbiamo considerato, è at teggiata c r i t i c a m e n t e . Appunto perciò il suo ambito è il regno complessivo dei giudizi (nei quali è sempre com presa la totalità dei sensi categoriali) dal punto di vista dell'adeguazione possibile. Ma fintanto che i g i u d i z i v e n g o n o c o n s i d e r a t i c o m e i t e m i e s c l u s i v i , sia pure con l'inclusione delle oggettualità possibili corrispondenti, in rapporto alle quali essi potrebbero as sumere i predicati della >, della verità, n o n siamo ancora orientati propriamente in s e n s o o n t o l o g i c o - f o r m a l e . Per altro, come nelle scienze l'atteggiamento critico costantemente ripetuto e quindi l'atteggiamento del rivolgersi a giudizi è soltanto un m e z z o per servire all'interesse primario per le cose stesse e per il modo in cui esse sono in verità, così è anche per quella logica che non lasci cadere la propria missione epistemologica. Conformemente al suo s e n s o f i n a l i s t i c o essa allora n o n è p u r a l o g i c a f o r m a l e a p o f a n t i c a, b e n s ì o n t o l o g i c o - f o r m a l e. Un'apofantica semplicemente come tale, può essere invero realizzata nell'orientamento tematico ben saldo ed esclusivo verso i giudizi come sensi, e verso le possibilità della loro adeguaz10ne ; e si può dire che questa tendenza si è confi gurata nello sviluppo storico della logica. Ma il s e n s o p r o f o n d o d e l l ' a n a l i t i c a f o r m a l e, s e n s o che è pari al compito che compete alla d o t t r i n a d e l l a s c i e n z a , è quello di e s s e r e s c i e n z a d e 1 1 e f o r m e c a t e g o r i a l i p o s s i b i l i, i n c u i l e o g g e t t u a l i t à - s u b s t r a t i d e v o n o p o t e r e s s e r e i n v e r i t à. Quello dell' o g g e t t u a l i t à c h e h a r i c e v u t o u n a c o n f o r m a z i o n e c a t e g o r i a l e, n o n è u n c o n c e t t o a p o f a n t i c o, b e n s ì o n t o l o g i c o . D 'altra parte è essenziale di questa oggettualità di 1 2 . - Husserl
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essere nient'altro che giudizio r i e m p i t o della forma di senso corrispondente. Se chi giudica nel suo orientamento oggettuale trascorre al possesso evidente della cosa, è ine rente alla essenza di questa sintesi di riempimento di essere sintesi di identificazione. Noi diciamo, e con evidenza (in quanto nel riflettervi effettuiamo un'enunciazione su di essa) 130 la stessa cosa col dire che quanto io ho pensato or ora e quanto ora penso è la stessa cosa. Prendiamo il caso ideale. Se i riempimenti sono idealmente perfetti, le oggettualità substrato con tutte le loro conformazioni categoriali sono date in se stesse nel senso più stretto, l'evidenza le realizza e coglie in se stesse come sono in verità •0 • Grazie alla coincidenza evidente con le mere opinioni di giudizio, dunque con i substrati intenzionati nelle forme categoriali intenzionate, è evidente c h e p r o p r i o n e 1 1 ' o g g e t t u a l i t à e s i s t e n t e i n m o d o v e r o è i n e r e n t e 1 ' o p i n i o n e g i u d i c a t i v a , soltanto che qui è satura di adeguazione conoscitiva. È appunto perciò che abbiamo il d u p l i c e s e n s o d i e v i d e n z a (già da noi messo in luce) parallelamente al duplice senso di g i u d i z i o . In un senso, essa significa stato di cose esistente veramente, nel modo dell'offrirsi della cosa stessa (dell'oggettualità di substrato veramente esistente nelle proprietà, rela.zioni ecc. che di volta in volta sono veramente esistenti). Nel secondo, correlativo senso, evidenza indica l'offrirsi in sé della legittimità dell'opinione giudicativa grazie al suo commisurarsi a quell'evidenza del primo senso, dunque all'oggettualità categoriale data in se stessa. In quanto esseri conoscenti e giudicanti, come è stato già chiarito, noi non abbiamo altra oggettualità che quelle categorialmente elaborate, e non ha alcun senso in 50 Le realizza naturalmente secondo la struttura graduale che è relativa al loro senso, di volta in volta, quindi in una successione gra duale di evidenze fondate una sull'altra, che nella loro unità sintetica danno luogo appunto all'evidenza unitaria di un'unica oggettualità cate goriale, così e così costruita: l 'unità del suo proprio darsi, sulla base della sua realizzazione di sé.
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questo caso pretendere altro. Natura veramente esistente, socialità, cultura veramente esistente, e via dicendo, sono espressioni che non hanno altro significato che quello di una certa oggettualità categoriale, penetrare la quale con metodo scientifico, produrla metodicamente, costituisce tutto l'intento della scienza. Non è lecito contrapporci qui la metafisica. Se meta fisica è una parola che designa una scienza e non oscuri pensieri e oscuri discorsi, non si dà alcun p r o b 1 e rn a r a z i o n a l e d i u n > 5 1 • Se p. es. la scienza della natura non ci soddisfa, ciò può significare semplice mente (purché rimanga incontestata la legittimità delle sue evidenze e dunque la perfezione del suo possesso della cosa, e dunque purché rimanga incontestata questa scienza stessa) che la scienza così indicata è in qualche modo unilaterale e che in rapporto al suo campo sono ancora neces sarie delle nuove conoscenze - nuove formazioni categoriali in rapporto alle stesse sfere di substrato, che devono essere poste come fini della presentazione metodica delle evidenze corrispondenti. Se, invece di scienze di contenuto determinato come queste, prendiamo in considerazione la logica formale, essa è ontologico-formale se fa consapevol mente proprio terna finale le forme possibili delle ogget tualità categoriali (e non i sensi oggettuali corrispondenti). Ci troviamo di fronte a un caso particolare allorché la logica indaga quegli elementi categoriali che costituiscono la forma di una teoria deduttiva, dove questa non è intesa come un sistema di giudizi, bensì di possibili stati di cose, e, com plessivamente, come un'unità, dotata di forma eccezionale, di una oggettualità categoriale. Il duplice senso correlativo di evidenza e verità che ab biamo illuminato, esprime chiaramente anche un d u p 1 i c e s e n s o c o r r e l a t i v o d e l l a l o g i c a f o r m a l e: 51 Cfr. la critica della erronea problematica di L o t z e Ricerca logica, I I I ed., pp. 1 99 sgg.
nella VI
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a partire dall'orientamento tradizionale v e r s o i g i u d i z i , come opinioni apofantiche, e dunque scegliendo l 'orientamento della critica, perveniamo ad una logica apo fontica la quale, estesa pienamente dal lato delle forme categoriali di senso fino alle forme apofantiche di senso di teorie, perviene alla mathesis universalis. Se scegliamo l 'orientamento verso le oggettualità categoriali possibili stesse, ovvero le loro forme, noi diamo impulso, di principio e conseguentemente, ad una logica ontologico-formale, che tuttavia com'è ovvio è necessitata per motivi metodici a fare oggetti i sensi del giudizio, anche se solo come mezzo, mentre sussiste l 'intenzione finale verso gli oggetti. c) L'idea di ontologia forma/e va resa autonoma da quella
di dottrina della scienza.
Dopo questo studio possiamo ritenere perfettamente chiarito il senso duplice della logica e quello degli orienta menti che sono relativi ad entrambi i suoi lati. Natural mente tali chiarificazioni sono piuttosto indifferenti per il matematico. Questi, che, nella sua positività, vive del tutto proteso verso la scoperta di nuovi risultati teorici, non ha il minimo interesse per le modificazioni di orientamento che modificano equivalenti in equivalenti. Per quanto lo riguarda, i passaggi propri della correlazione evidente non danno luogo che alla > . Ma il logico che non ricerca o che ritiene indifferenti queste chiarificazioni, non è comunque un filosofo, dal momento che si ha a che fare qui con i n t u i z i o n i s t r u t t u r a I i d i p r i n c i p i o in una nuova logica formale. Va da sé che senza 132 aver chiarito il loro senso di principio non è neppur pos sibile agganciarsi ai grandi problemi che devono essere posti alla logica e alla sua funzione filosofi.ca all'interno dell'idea di una filosofi.a universale. Per concludere, si osservi ancora che I' o n t o I o g i a f o r m a l e p u ò e s s e r e p o s t a c o m e c o m p i t o fi n d a p r i n c i p i o, s e n z a a l l o n t a n a r s i d a l l ' i d e a d i u n a d o t t r i n a d e l l a s c i e n z a.
Sezione prima, B., Capitolo quinto. § 54
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La domanda che essa pone è allora : che cosa si può enun ciare all'interno della regione vuota oggetto-in-generale ? Del tutto a priori, in questa generalità formale, si presentano come mete perseguibili le conformazioni sintattiche mediante le quali, a partire da oggetti (Qualcosa in generale) qualsiasi, pensati come anticipabili si può pensare che siano prodotti elementi categoriali sempre nuovi. Si arriverà anche alla se parazione di produzioni possibili che diano luogo a opinioni puramente identiche, ma tali che, essendo contraddittorie, non possono condurre agli oggetti possibili in se stessi, ecc. Si dipana così con chiarezza l 'intera Mathesis formale. Ma a 1 d i 1 à d i e s s a ci è sempre lecito illuminare il significato epistemologico di questa ontologia, dal momento che ciascuna scienza si affaccia, per il proprio campo, sul1'>, dunque verso quegli elementi categoriali le cui forme, se essa è scienza autentica, devono essere subordinate alle forme ontologiche-formali possibili.
SEZIONE SECONDA
DALLA LOGICA FORMALE ALLA LOGICA TRASCENDENTALE
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Capitolo primo PSICOLOGISMO E FONDAZIONE TRASCENDENTALE DELLA LOGICA
§ 55. Un'elaborazione compiuta della logica come logica formale-oggettiva può da sé soddisfare all 'idea di una dottrina della scienza anche soltanto formale ? Nella prima sezione del nostro lavoro abbiamo sviluppato il senso della logica formale tradizionale quale è abbozzato nella analitica aristotelica. Essa ci si è presentata come una scienza ben circoscritta. Noi abbiamo chiarito la netta delimitazione essenziale del suo campo, e altresì i diversi strati delle discipline che le sono collegate a priori in base alla fondazione. Abbiamo anche potuto chiarirci la sua tematica correlativa e perciò equivalente, come apofantica formale ed ontologia formale, ciò che permette di parlare di u n a sola logica che, soltanto, deve essere considerata in due diversi orientamenti. Si potrebbe ora pensare che noi, come filosofi, abbiamo terminato con questa logica il nostro lavoro, e che po tremmo ora affidare il compito di svilupparla teoretica mente ai matematici, i quali del resto lo stanno già assol vendo senza prendersi cura delle esigenze conoscitive filo sofiche. Per conseguenza potrebbe anche sembrare che se ancora dovessimo proporci dei compiti in qualità di logici, potrebbe trattarsi soltanto di un ampliamento dell 'idea lo gica. L 'idea che ci guidava all'inizio era quella di una dot-
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Logica formale e trascendentale
trina universale e a priori della scienza. Essa aveva il com pito di prendere in esame l 'elemento apriorico-formale (nel senso più ampio) che è proprio di tutte le scienze come tali, cioè quell'elemento che le abbraccia tutte in una gene ralità apriorica e a cui esse, in quanto siano davvero in generale delle scienze, rimangono necessariamente legate. In ogni caso, la forma nel senso della logica analitica o 1 34 >, è di questo tipo ; ogni scienza produce forma zioni categoriali e si subordina alle leggi essenziali della loro forma. Si potrebbe chiedere ora se questa dottrina analitico formale della scienza soddisfi all'idea di una dottrina della scienza in generale, o se, invece, la dottrina analitico formale della scienza non debba essere integrata da una m a t e r i a 1 e . Il carattere proprio dell'analitica che deter mina il suo concetto formale sta nel fatto che essa trasforma i > (le >) - che, nei giudizi possibili e nelle possibili conoscenze, si collegano a deter minate sfere di oggetti - in nuclei presi a d a r b i t r i o , pensati solo come nuclei che devono essere mantenuti identici ; li trasforma dunque in modi del Qualcosa in generale. Se in questi nuclei, tenuti in una vuota generalità, noi facciamo rifluire dei piena [Fulle] non ci sarà possibile ottenere un a priori di contenuto [sachhaltig] dotato di un significato epistemologico universale ? Se determiniamo il c o n c e t t o d e I 1 ' a p r i o r i a n a I i t i c o mediante l 'analitica formale pura, considerata nella sua piena estensione 1, si presenta allora il problema di un nuovo a p r i o r i > o, per espri merci in modo più determinato, di un a priori del > [kernhaft], un a priori materiale [sachhaltig] e - più esat tamente - un a priori u n i v e r s a 1 e tale che c o n netta in una totalità tutti gli ambiti
1 Ciò che in ogni caso cost1tmsce un concetto fondamentale del l 'analitica, lo stesso che è stato determinato dalla I I I Ricerca logica (Log. Unters., II, 1 ).
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a p r i o r i c o - m a t e r i a l i p a r t i c o l a r i. Con altre parole, domandiamo: ogni essente, pensato come deter minato e determinabile secondo un contenuto concreto, non è essenzialmente un essente all'interno di un u n i v e r s o d ' e s s e r e , di u n > ? Non appar tiene (ciò che è espresso da questo '), ogni possibile essente, al suo universo d'essere possibile ? e non appartiene perciò ogni a priori materiale a un a priori universale, a quello che prefigura, per un universo possibile dell'essente, la forma materiale a priori ? Pare dunque che noi dovremmo puntare ora su di una ontologia vera e propria, un'ontologia materiale, mediante la quale integrare l 'ontologia solo analitico-formale. Ma invece, per quanto tutto questo percorso ci attragga e ci sembri naturale, non possiamo ancora perseguire questa idea-guida che torna a ripresentarcisi. Perché in realtà non si può dire che noi abbiamo già portato a termine la logica formale - noi almeno in quanto logici-filosofi, e non già tecnici matematici, e quindi seriamente intenzionati a sod disfare all'idea finalistica di una dottrina analitico-formale della scienza. Questo scopo è forse già stato pienamente conseguito con le ricerche effettuate sinora ? § 56. Il rimprovero di psicologismo rivolto contro ogni considerazione delle formazioni logiche, diretta in senso soggettivo.
Ricolleghiamoci all'esigenza di una b i 1 a t e r a 1 i t à delle ricerche sulla logica, quale l'avevamo introdotta nelle nostre Considerazioni preliminari 2, nelle quali tuttavia non abbiamo chiarito a sufficienza il senso della tematica rivolta in direzione soggettiva. Quest'esigenza era stata espressa come un'esigenza affatto generale, valida quindi anche per la logica in sé prima, quella analitica. Il problema è qui 1 Cfr. sopra, § 8.
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Logica formale e trascendentale
quello del s e n s o e d e l l a l e g i t t i m i t à d i q u e s t a t e m a t i c a l o g i c a r i v o l t a i n s e n s o s o g g e t t i v o - tematica che, per dirlo subito, non preten derà di avere il significato di una disciplina logica parti colare, che debba essere separata dall'analitica rivolta in senso oggettivo-ideale. Ma fin dall'inizio la via è sbarrata dallo spauracchio dello p s i c o l o g i s m o . Contro l 'esigenza di ricerche logiche rivolte in senso soggettivo viene sollevata l'obie zione, confortata dal richiamo al primo volume delle mie Ricerche logiche ( dal titolo indicativo di Prolegomena alla logica p u r a ) , che il risultato di questo volume doveva essere quello di scartare radicalmente ogni elemento psico logico dal tema della logica (in primo luogo di quella tradi zionale, poi anche di quella allargata alla completa mathesis universalis). L 'empirismo allora dominante (empirismo che, secondo la sua provenienza storica, è antiplatonismo) era cieco rispetto all'oggettività peculiare di tutte le formazioni ideali ; dovunque esso le svalorizza psicologisticamente, risolvendole nelle relative attualità e abitualità psichiche. Così pure per quelle oggettualità che secondo il loro senso proprio sono irreali e che costituiscono il campo tematico della logica : proposizioni enunciative, giudizi, verità, dedu zioni, prove, teorie e le oggettualità categoriali che, dotate di una loro forma, intervengono nelle precedenti. I giudizi che la logica considera nei suoi principi non sono gli Erlebnisse del giudizio (il giudicare), né le verità sono Erlebnisse dell 'evidenza, né le prove sono costituite dal provare psichico-soggettivo, ecc. Allo stesso modo in cui la teoria dei numeri (che, come noi sappiamo, rientra nella logica) non ha a che fare, come suo campo, con gli Erlebnisse del raccogliere insieme e del contare, né la dottrina degli ordini e dei numeri ordinali con gli Erlebnisse dell 'ordinare, bensl con gli ordini stessi e con le loro forme, così pure la sillogistica non ha a che vedere con gli Erlebnisse psichici del giudicare e del dedurre. 136 Lo stesso vale per le altre scienze oggettive. Nessuno vorrà designare come campo proprio della scienza naturale gli
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Erlebnisse psichici dell'esperienza naturale e della riflessione sulla natura, anziché la natura stessa. Qui cioè si infran gevano gli sforzi psicologistici, ai quali era soggiaciuta quasi totalmente la logica moderna. E perciò sembra ora che ogni tematica rivolta in senso soggettivo (per lo più ci si limiterà a dire senz'altro : psicologica) sia da escludere per la logica come per ogni altra scienza oggettiva (fatta ec cezione per la psicologia degli uomini e degli animali). Quella tematica rientra non nel campo della logica, ma in quello della psicologia. E cosa dire allora dell'esigenza da noi avanzata di intro durre nella logica ricerche correlative svolte in senso sog gettivo ? Non sta forse sullo stesso piano dell'esigenza cor rispondente che vale per tutte le scienze ? Già subito dopo l'apparizione delle Ricerche logiche venne mossa l 'obiezione che le ricerche fenomenologiche che in quel testo erano richieste in nome di una > dei puri concetti logici fondamentali, e che il secondo volume cercava di presentare in una forma già più sviluppata, signi ficavano una ricaduta nello psicologismo.
Cosa straordinaria, i Prolegomena alla logica pura sono stati considerati come un puro e semplice superamento dello psicolo gismo, senza fare attenzione al fatto che non vi si faceva per nulla questione dello psicologismo puro e semplice (come di un travia mento u n i v e r s a 1 e della teoria della conoscenza), bensì di uno p s i c o 1 o g i s m o d i s e n s o a f f a t t o p a r t i c o 1 a r e, cioè appunto della psicologizzazione delle formazioni irreali di significato, che costituiscono il tema della Logica. L'oscurità che ancor oggi regna dovunque su quel problema dello psicolo gismo gnoseologico che concerne il senso di principio dell'intera filosofia trascendentale (compresa la cosiddetta teoria del conoscere), io non la avevo ancora superata completamente a quel tempo, anche se proprio le ricerche del secondo vo lume, aprendo la strada verso una filosofia trascendentale, schiu devano i passaggi necessari alla posizione e insieme al superamento radicale del problema dello psicologismo trascendentale. Cerche-
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Logica formale e trascendentale
remo di presentare più sotto i chiarimenti che concernono questi problemi 3 •
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È dunque assolutamente necessario penetrare qui ancora una volta più addentro nel p r o b 1 e m a p a r t i c o 1 a r e d e 1 1 o p s i c o 1 o g i s m o , che quei Prolegomena ave vano considerato. Non intendiamo però attenerci alle pre cedenti esposizioni, che in singoli punti andrebbero mi gliorate, bensì dare al problema una forma più pura, ripro porlo anche in connessioni più generali, che ci guidano alla chiarificazione del senso necessario di una logica che indaga (( su due fronti >>, di una logica filosofica in senso autentico. Giacché il nostro intento principale è di mostrare che una logica rivolta direttamente sulla sua sfera tematica specifica e operante solo nel senso della conoscenza di essa, rimane impigliata in una ingenuità che le preclude la pre rogativa filosofi.ca di un'autocomprensione radicale e di un 'autogiustifi.cazione di principio ; o, che è lo stesso, la prerogativa della più perfetta scientificità, per adempiere alla quale la filosofi.a esiste, e in primo luogo la filosofia come dottrina della scienza. § 57. Psicologismo logico e idealismo logico.
a) Motivazioni di questo psicologismo.
Già precedentemente ' abbiamo parlato della difficoltà di separare le formazioni psichiche che costituiscono il territorio tematico della logica dalla soggettività psicolo gica ; di considerare dunque i giudizi - ma anche gli insiemi, i numeri ecc. - come qualcosa d'altro che come eventi [ Vorkommnisse] psichici che occorrono in chi giudica. Ciò che nell'attività del giudizio emerge originariamente 3 Cfr. più sotto il cap. VI, partic. il § 99. Si rinvia anche a tratta zioni più particolari in pubblicazioni che vedranno presto la luce. ' Cfr. sopra, al § 10.
Sezione seconda, Capitolo primo. § 57
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in soggetti e predicati, in proposizioni che fungono da premesse e in proposizioni che suonano come conclusioni, e simili, si presenta anche, membro a membro, nell'ambito di coscienza di chi giudica. Non è nulla di estraneo allo psichico, nulla di simile a un processo fisico, a una forma zione fisica che proceda dall'agire fisico. È invece nella stessa attività psichica, nel suo trascorrere come Erlebnis di coscienza, che intervengono - non separati da quella, non fuori ma dentro di quella - i membri del giudizio e le formazioni del giudizio nella loro interezza. Certo coloro che si lasciano fuorviare dall'empirismo inglese non arrivano mai a fare in generale una distinzione tra l 'Erleben inerente al giudicare e la formazione stessa che vi si articola >. Ciò che vale a proposito delle azioni cogitative originaria mente producenti, vale anche a proposito dei modi secon dari del pensiero, di ciò che passa confusamente per la mente, e di tutte le altre opinioni > (tanto di quelle dei modi paralleli della coscienza razionale, del >, come pure dei relativi modi secondari cor rispondenti). Nella stessa coscienza pensante confusa si presentano, e non come qualcosa di esterno, questi pensieri confusi. Come potremmo dunque aver superato nella logica il campo dei >, dei alla stessa coscienza del l' atto. Così dunque concetti, giudizi, deduzioni, prove, teorie, sarebbero eventi psichici, e la logica, come aveva
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Logica formale e trascendentale
detto J . S t . M i 1 1 , sarebbe >. Appunto in questa concezione, apparentemente cosi plausibile, consiste lo p s i c o 1 o g i s m o 1 o g i c o .
b) L'idealità delle formazioni logiche come un apparire irreale nella sfera logico-psichica.
Al contrario noi diciamo : risulta da un 'evidenza origi naria che giudizi, deduzioni, ecc. che si sono configurati in atti ripetuti, uguali o simili, non sono soltanto uguali o simili, ma g 1 i s t e s s i giudizi, conclusioni ecc. n u m e r i c a m e n t e i d e n t i c i. Il loro > nell'ambito della coscienza è multi forme. I processi di pensiero che danno luogo via via alle diverse formazioni, sono temporalmente (nel senso della temporalità oggettiva, in quanto processi psichici reali di uomini reali) esterni l'uno all'altro, individualmente diversi e separati. Non è così però per i pensieri che nell 'attività del pensare vengono pensati. Certamente questi non si presentano alla coscienza come qualcosa di >. Per l 'appunto essi non sono affatto oggetti reali, spaziali, bensì formazioni irreali dello spirito, la cui essenza propria esclude l'estensione spaziale, la localizzazione e la mobilità in quanto caratteri originari. Come altre formazioni spiri tuali, esse sono passibili di una incarnazione fisica, rappre sentata qui da segni sensibili di parole, ed acquisiscono in tal modo un'esistenza spaziale secondaria (quella della pro posizione parlata o scritta). Ogni tipo di irrealtà, di cui l 'idealità dei significati e quella (che ne va distinta) delle essenze generali o delle specie 5 sono casi particolari, ha 5 Questa distinzione, che non era ancora presente nei Prole gomena, verrà fondata nei miei che appariranno tra breve. [H. non pubblicò mai questo l ibro ; ma le analisi della logica di cui Lo gica formale e trascendentale doveva rappresentare quasi l 'introduzione generale, furono pubblicate nel 1 939 da L. Landgrebe col titolo Erfahrung und Urteil. La distinzione qui indicata è sviluppata in quel contesto , al § 64, d (pp. 294 sgg. dell'ed. ital., Milano, Silva, 1 960, tr. it. di Fi lippo Costa).]
Sezione seconda, Capitolo primo. § 58
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modi di partecipazione possibile alla realtà. Ma ciò non cambia nulla nella separazione di principio di reale e irreale. Ma qui non è più possibile evitare di condurre delle chiarificazioni che vadano più a fondo. Mediante lo studio e la considerazione parallela delle evidenze del reale e del1'irreale diverrà comprensibile la omogeneità delle ogget tualità in quanto tali. § 58. L'evidenza degli oggetti ideali è analoga a quella 1 39 degli oggetti individuali. L'evidenza degli oggetti irreali, > nel senso più ampio, è, nel suo prodursi, affatto analoga a quella del1 'esperienza consueta, della cosiddetta esperienza interna ed esterna, cui soltanto si suole ricorrere � ma senza altro fondamento se non un pregiudizio - per spiegare il pro dursi di un 'obbiettivazione originaria. L'identità di un ele mento ideale, e con ciò anche la sua o g g e t t u a l i t à , dev'essere > direttamente (e direttamente esperita, se si assume questo termine in un senso ampliato in modo corrispondente) in un'originarietà eguale a quella di un comune oggetto d'esperienza, p. es. di un oggetto del l'esperienza naturale o di un oggetto dell'esperienza imma nente di qualsiasi dato psichico. In esperienze ripetute, e prima di tutto già nella modificazione permanente della percezione momentanea in ritenzione e protensione, quindi anche nelle possibili rimemorazioni ripetibili a piacere, nella loro sintesi, si fa strada la coscienza del suo essere-lo-stesso [von Demselben], e proprio come una > di tale medesimezza. Questa identificabilità originaria appartiene come correlato essenziale al senso di o g n i oggetto del1' e s p e r i e n z a nel senso consueto e in quello pre gnante, senso determinato dal fatto che s i d à u n a f f e r r a m e n t o e d u n p o s s e s s o e v i d e n t e di un dato i n d i v i d u a 1 e (immanente o reale) i n s e s t e s s o. 13. - Husserl
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Così pure noi diciamo che appartiene al senso di un oggetto i r r e a I e l 'identificabilità che gli compete in base ai modi suoi propri, secondo i quali è possibile co glierlo e possederlo nella sua identità. Rispetto al suo pro dursi, esso è dunque effettivamente qualcosa come un' ; soltanto, un oggetto di questo tipo, per l'appunto, n o n è i n d i v i d u a t o a p a r t i r e d a u n a t e m p o r a l i t à c h e g l i a p p a r t e n g a o r i g i n a r i a m e n t e •. La p o s s i b i I i t à d e 1 1 ' i 1 1 u s i o n e è implicita nell'evidenza dell'esperienza e non elimina il suo carattere fondamentale e il suo fungere, anche se il persuadersi, secondo l 'evidenza, dell'illusione, toglie di mezzo [aufhebt] la stessa esperienza o evidenza relativa. L'evidenza di una nuova esperienza è ciò di fronte a cui l 'esperienza, prima incontrata, subisce la modificazione di credenza della eli minazione [Aufhebung], della cancellazione, ed è solo cosi che essa può subirla. L'evidenza dell'esperienza è dunque sempre già presupposta. Il consapevole di un'illusione, nell'originarietà dell' nel senso più ampio. Anche un'evidenza che si presenti come apodittica può svelarsi come un'illu sione, e presuppone per ciò un'evidenza simile, di fronte a cui essa .
8 In senso extra-essenziale le oggettualità ideali possono certamente assumere un riferimento temporale, come pure un riferimento spaziale e una realizzazione (sempre in senso extra-essenziale).
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§ 59. Considerazioni generali sull'evidenza come offerenza delle cose in se stesse.
La difficoltà permanente che potrebbe venire avvertita di fronte a questa esposizione, dipende soltanto dall 'inter pretazione stravolta che si dà abitualmente dell'evidenza, a causa della completa mancanza di una vera analisi feno menologica dell'operazione che attraverso tutte le sue forme complessivamente si compie. Cosi avviene che si intenda il concetto dell' e v i d e n z a n e l s e n s o d i un' a s s o l u t a a p o d i t t i c i t à, di una garanzia assoluta contro le illusioni - di un'apoditticità che viene attribuita in modo del tutto incomprensibile a un Erlebnis singolo strappato alla connessione concreta, essenzialmente unitaria, di un erleben soggettivo. Si vede in questa evidenza un criterio assoluto di verità, in base al quale dovrebbe essere soppressa non soltanto ogni evidenza esterna, ma propria mente anche l'evidenza interna. Ma se invece si ricorre, con una specie di sostituzione sensualistica, ai cosiddetti sentimenti d'evidenza - non essendo in grado di esplici tare l'evidenza come un 'intenzionalità fungente - allora il fatto che si continui a considerare implicita nell'evidenza una protensione verso la verità, diviene qualcosa di miste rioso, e in fondo addirittura un controsenso. Non si può opporre a queste nostre argomentazioni, come un'istanza contraria, la celebre evidenza della >. Giacché - e di ciò dovremo ancora parlare 1 - il > offerto da questa percezione è per sé soltanto l'offerenza del grado prelimi nare di un oggetto, e non il darsi di un oggetto in senso proprio. La percezione, d i p e r s é s o l a , non è af fatto una piena operazione oggettivante, se con ciò deve appunto intendersi il coglimento di un o g g e t t o in se stesso. Se la percezione interiore può avere per noi valore in questo senso, ciò avviene solo in quanto entra tacitamente 1 Cfr. sotto, § 107.
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in considerazione la rimemorazione possibile e ripetibile a piacere. Se attualizzata, essa soltanto offre in senso pieno 141 la certezza originaria dell'essere di un o g g e t t o sogget tivo, noto come dato psichico, qualcosa che può essere identificato a piacere a partire dalla sua acquisizione ori ginaria, qualcosa su cui si può ritornare > e che si può riconoscere in una riattivazione come il me desimo. Naturalmente, anche per ogni oggettualità esterna, l'inerente riferimento intenzionale a questa > gioca una parte simile ; con che però non si intende affatto dire che ciò basti a esaurire la piena attuazione dell'esperienza esterna. L' e v i d e n z a designa, come è divenuto per noi chiaro attraverso le trattazioni precedenti, l' o p e r a z i o n e i n t e n z i o n a l e d e l l a d o n a z i o n e d e l l e >. Più precisamente, è la forma generale per eccellenza della > della >, in cui l'elemento oggettuale che in essa è consaputo, lo è nel modo dell'afferrato-in-se-stesso, visto-in-se-stesso, dell'esser-coscientemente-presso-di-esso. Possiamo anche dire che essa è la coscienza primordiale : io colgo >, origina/iter, in contrasto p. es. con il coglimento in immagine o mediante qualsiasi forma di anticipazione, intuitiva o vuota. Qui si deve per altro avvertire che l'evidenza ha d i v e r s i modi di originalità. Il m o d o p r i m i t i v o d e l l a d o n a z i o n e d e l l a ), e presso il quale, presso di lui stesso - io (l'Io attuale a se stesso nella forma della presenza) sono ora >. Si osservi qui - giacché la cosa potrebbe metterci in imbarazzo 8 - che la variazione dell'offerenza come per cezione e come rimemorazione giuoca una parte assai diversa per le oggettualità r e a 1 i e per quelle i d e a 1 i . Ciò in rapporto al fatto che le ultime non hanno a I c u n a 1 o c a 1 i z z a z i o n e t e m p o r a 1 e v i n c o 1 a n t e che 1 e i n d i v i d u i . Ogni chiara ed esplicita rimemorazione di specie ideali trascorre, mediante una semplice (ed essen zialmente possibile) modificazione di atteggiamento, in una percezione, ciò che naturalmente è escluso nel caso di og- 1 42 getti individuati temporalmente. Noi non contrapponiamo la nostra caratterizzazione ge nerale dell'evidenza a quella tradizionale come una nuova >, come un'interpretazione affascinante, che in nanzi tutto - e chi sa come - dovrebbe essere provata, in fin dei conti, per mezzo di esperimenti speculativi. Al contrario la contrapponiamo come un'evidenza di grado superiore che dev'essere raggiunta attraverso l'esplicazione fenomenologica di ogni esperienza e di ogni evidenza intel lettiva realmente effettuata (che vien distinta di princi pio, senza alcun fondamento, da quelle che usualmente si chiamano esperienze). A sua volta questa stessa evidenza sarà esplicata e compresa nel suo prodursi soltanto me diante un'evidenza di terzo grado, e cosi in infinitum. È s o l t a n t o v e d e n d o, c h e p o s s o m e t t e r e i n rilievo ciò che si trova propriamente i n u n v e d e r e , ed è solo vedendo che devo condurre un' e s p l i c a z i o n e v e g g e n t e d e l l ' e s s e n z a p r o p r i a d i u n t a l e v e d e r e. Ogni coscienza originalmente offerente, proprio per il fatto di dare la propria oggettualità >, può fondare il diritto e la correttezza di un'altra coscienza, di 8
Come è già capitato anche a me ai tempi delle Logische Unter
suchungen.
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Logica formale e trascendentale
un opinare oscuro o del tutto confuso, o un opinare intuitivo, ma che si limita a prefigurare soltanto, o altro modo di opinare che non offra la cosa stessa ; il che avviene - come già abbiamo descritto 9 - nella forma dell ' a d e g u a z i o n e s i n t e t i c a alle >, e invece, nel caso della non-correttezza, nella forma dell'inadeguazione come evidenza della nullità. Il darsi in sé delle cose, gli atti che creano la correttezza evidente, sono in questo senso f o n d a z i o n i p r i m i t i v e creative d e 1 1 a c o r r e t t e z z a , della verità come correttezza 10 appunto perché esse sono originariamente costituenti, originariamente fondanti senso ed essere per le stesse di verse oggettualità, in quanto esistenti per noi. Altrettanto le inadeguazioni originarie, come offerenze di nullità, sono fondazioni originarie della falsità, del non corretto come scorrettezza (rovesciando la positio: della verità della nul lità, della non-correttezza). Attraverso di esse non si costi tuisce l'oggettualità pura e semplice, cioè quella esistente, bensì - sulla base dell'oggettualità intenzionata - la can cellazione di una tale intentio, dunque il suo non-essere. § 60. La legalità fondamentale dell'intenzionalità e la funzione universale dell'evidenza.
Abbiamo or ora accennato al fatto che il darsi delle cose in se stesse, come ogni singolo Erlebnis internazionale, è una f u n z i o n e nella connessione universale della 143 coscienza. Il suo operare non si conclude dunque in un fatto isolato, neppure come offerenza originale, come evi denza, in quanto essa, nella sua intenzionalità propria, può > ulteriori donazioni implicite della cosa stessa, > ad esse, per dare compimento alla sua opera zione obbiettivante. Rivolgiamo lo sguardo sull'aspetto uni versale della vita di coscienza, per impadronirci di una • Cfr. § 44, �10 Cfr. § 46.
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nozione importante, che concerne m senso generale l'evi denza. I n t e n z i o n a 1 i t à i n g e n e r a 1 e - Erlebnis di un aver coscienza di una qualsiasi cosa - ed e v i d e n z a , intenzionalità del darsi delle cose in s e s t e s s e, s o n o c o n c e t t i e s s e n z i a l m e n t e o m o g e n e i [zusammengehiirig]. Limitiamoci alla co scienza considerata nel suo > (coscienza posizionale). Per la coscienza >, tutto ciò che noi ora stiamo per considerare si modifica in un modo ben comprensibile ; per l'evidenza interviene in questo caso una modificazione nel senso del > ; altrettanto per l'adeguazione ecc. La 1 e g g e f o n d a m e n t a 1 e d e 1 1 a i n t e n z i o n a 1 i t à è la seguente: Ogni coscienza di una cosa qualsiasi partecipa a priori di una molteplicità illimitata di modi possibili di coscienza, che si possono collegare sinteticamente, nella forma unitaria del sussistere insieme (con-positio), in u n ' u n i c a co scienza, come coscienza della > . In questa molteplicità si inseriscono anche in maniera corri spondente i modi di una molteplice c o s c i e n z a d i e v i d e n z a , - ciò in modo disgiuntivo: o come pos sesso evidente della stessa cosa, o di un'altra cosa, che la toglie di mezzo in modo evidente. Cos ì l ' evidenza è un modo universale d e l l ' i n t e n z i o n a l i t à, i n r i f e r i m e n t o c o n l a v i t a c o m p l e s s i v a d e l l a c o s c i e n z a; e per virtù sua la coscienza ha una s t r u t t u r a u n i v e r s a 1 e t e 1 e o 1 o g i c a , una disposizione alla e persino una tendenza continua verso di essa, a mostrare cioè che cosa è corretto (e quindi anche a farne un possesso abituale) e a cancellare ciò che non lo è (con il che cessa di valere come possesso acquisito). Ma non soltanto in rapporto a questa funzione teleolo gica universale l'evidenza è un tema di ricerche vaste e difficili. Tali ricerche concernono già l'aspetto generale dell'evidenza come Erlebnis singolo, cui appartiene la pro prietà sopra menzionata, che cioè in ogni coscienza evidente
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di oggetto è insieme implicato il riferimento a una sintesi della ricognizione. Altre difficili ricerche riguardano inoltre i modi d'originalità dell'evidenza e le sue funzioni, e, ancora oltre, le diverse regioni e categorie delle oggettualità >. Giacché se noi, con la caratterizzazione dell'evidenza come darsi delle cose in-se-stesse [ Selbstgebung] (o, espri mendoci a parte subiecti, come possesso delle cose stesse [Selbsthabe]) abbiamo designato una generalità che va rife rita in egual modo ad ogni oggettualità, ciò non significa che la struttura dell'evidenza sia sempre la stessa. C a t e g o r i a d e l l ' o g g e t t u a l i t à e c a t e g o r i a d e l l ' e v i d e n z a s o n o c o r r e l a t i. A o g n i t i p o f o n d a m e n t a l e d i o g g e t t u a l i t à - nel senso di unità intenzionali che devono essere trattenute nella sintesi intenzionale, e in definitiva a ogni tipo fondamentale di unità di > possibile, a p p a r t i e n e u n t i p o f o n d a m e n t a I e d e 1 1 ' « e s p e r i e n z a >> , d e 1 1 ' e v i d e n z a , e altresl dello stile d'evidenza, indicato intenzionalmente nell'accrescimento eventuale della perfezione del possesso delle cose stesse. Sorge così il grande c o m p i t o di studiare a fondo tutti questi modi dell'evidenza, di render compren sibili quelli della massima complessità che concorrono verso una univocità sintetica e verso operazioni sempre nuove di svelamento ; dell'evidenza cioè in cui l 'oggettualità corri spondente m o s t r a s e s t e s s a , ora imperfettamente, ora perfettamente. Parlare dall'alto dell'evidenza e discor rere della > non dà qui alcun frutto. E rimanere agganciati alla tradizione, che muovendo da motivi da tempo dimenticati e comunque mai chiariti riduce l'evidenza a una intellezione [Einsicht] apodittica, assolutamente indubbia, e per cosi dire assolu tamente conclusa in se stessa, significa precludersi la com prensione di ogni operazione scientifica. Per esempio : il motivo per cui la scienza naturale d e v e costruire sulla base dell' e s p e r i e n z a·· e s t e r n a è solo questo, che quest'esperienza rappresenta appunto il m o d o d e I p o s s e s s o d e g l i o g g e t t i n a t u r a l i i n s e s t e s s i,
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e senza di essa non vi sarebbe più nulla di pensabile cui potesse rivolgersi l'intenzione [Meinen] naturale (pertinente cioè le cose spaziali). E ancora, soltanto perché l 'esperienza imperfetta è pur sempre esperienza e coscienza del pos sesso della cosa stessa, l'esperienza può rivolgersi nel senso dell'esperienza e rettificarsi attraverso l 'esperienza. È proprio per ciò che non ha senso concludere una critica del l 'esperienza sensibile - critica che naturalmente ne sot tolinea l'imperfezione di principio : cioè il fatto che essa si rivolge verso un'ulteriore esperienza! - con il respingere tale esperienza, salvo poi a trovarsi nella necessità di ricorrere ad ipotesi e conclusioni indirette con cui deve essere ghermito il fantasma di un > trascendente (la cui trascendenza è un controsenso). Tutte le teorie realistico trascendentali, col loro voler concludere a una trascendenza extra-psichica muovendo dalla sfera > del l 'esperienza puramente >, si fondano sulla cecità per il carattere peculiare dell'esperienza > come operazione che mette in presenza delle cose stesse, e che 145 solo come tale può essere di fondamento per teorie scien tifico-naturali.
Non mi risulta che sia stata fatta sufficiente attenzione alla chiarificazione condotta per la prima volta nelle mie Ricerche lo giche (Parte seconda) e approfondita nelle mie Idee a proposito dell'evidenza e dell'insieme dei rapporti corrispondenti tra la mera « i n t e n z i o n e •> e il , vengono esperiti come dati dotati di una temporalità immanente, dunque come intenzionalmente identici nel flusso dei modi temporali soggettivi. Dovremmo quindi attribuire ad essi 146 le connessioni costitutive immanenti della > 11 • 11 Cfr., per quanto concerne l'analisi della costituzione dei dati temporali le mie Vorlesungen uber Phiinomenologie des inneren Zei tbe-
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Ma l'elemento costitutivo dell'Identico è più facilmente accessibile per quanto concerne l 'esperienza esterna. Anche gli oggetti fisici si presentano nel >, in modo non diverso dagli oggetti ideali, almeno dal punto di vista più generale ; cioè si presentano, nel flusso dei modi molteplici di apparizione strutturati uno sull'altro, come unità intenzionali, benché nel modo di ciò che è >. Nel loro presentarsi all'interno degli Erlebnisse d'esperienza, essi sono, in un senso legittimo, immanenti a questi ultimi - in un senso che certo non è quello dell'immanenza consueta, l'immanenza reale. Non basta - né qui né mai - se si vuol comprendere l'operare della coscienza e in particolare quello dell'evi denza, parlare della > della coscienza, special mente della coscienza esperiente, verso oggetti, e distin guere se mai superficialmente esperienza esterna e interna, ideazione e simili. È necessario prendere in esame in una riflessione fenomenologica le m o I t e p 1 i c i t à d i c o s c i e n z a che portano tali nomi, e smembrarle struttu ralmente. Bisogna poi seguirle nei loro p a s s a g g i s i n t e t i c i , e interrogarle, fin nelle loro strutture più ele mentari, circa il loro ruolo e la loro funzione intenzionale. Bisogna render comprensibile come nell 'immanenza delle molteplicità di Erlebnisse, ovvero dei modi di apparizione che in essi si presentano fugacemente, si c o s t i t u i s c e il loro r i v o I g e r s i a, nonché ciò s u c u i essi si rivolgono ; e in che cosa consista ora, nella s f e r a v i s i v a [Sichtsphare] d e 1 1 a s t e s s a e s p e r i e n z a s i n t e t i c a , l'oggetto trascendente - quell'oggetto che è il polo d'identità immanente ai singoli E r l e b n i s s e e che è per altro anche i I p o I o t r a s c e n d e n t e n e l l ' i d e n t i t à c h e l i s o v r a s t a. Si tratta di un darsi nell'originale, ma di un darsi nell'ori ginale di un >, di un polo di identità che si wusstsein [Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interiore del tempo] edite da M. Heidegger, nello > , voi. IX [1928].
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presenta in se stesso dapprima >, che poi si esplicita, attraverso la donazione di sé ulteriormente perseguita nella forma sintetica della >, nelle sue > (ancora una volta, idealmente identiche). Ma q u e s t a t r a s c e n d e n z a i n e r i s c e , nel modo della fondazione originaria, a 1 1 ' e s s e n z a p r o p r i a d e l l ' e s p e r i e n z a s t e s s a . Che cosa essa significhi, lo si può chiedere a essa sola, così come (ciò che del resto fa altresl parte del nostro ambito) che cosa significhi e che cosa comprovi volta a 1 47 volta un diritto giuridico di possessione, lo si può stabilire soltanto risalendo alla fondazione originaria di questo diritto. Questo fatto così ovvio, tanto importante eppure tanto misconosciuto, deve assumere una parte centrale in tutte le prese di coscienza fondate di principio: il fatto cioè che qualcosa come un oggetto (p. es. anche un oggetto fisico) a t t i n g e i I s e n s o o n t i c o che gli è proprio (per il quale poi esso - in tutti i modi possibili di coscienza significa ciò che significa) s o 1 t a n t o a p a r t i r e d a i p r o c e s s i v i s s u t i d e 1 1 ' e s p e r i e n z a, quali ap punto sono caratterizzati in se stessi come aver cosciente nel modo dell'>, come apparizioni di qualcosa in sé, come venirci incontro di oggettualità >, nella certezza del loro essere (nell'esempio degli oggetti fisici). La f o r m a p r i m i t i v a è dunque i 1 m o strarsi - presentemente - in se stesso che è proprio della percezione, o il m o s t r a r s i - d i n u o v o della rimemorazione nel modo del passato. L' e s p e r i e n z a è l a f o n d a z i o n e p r i m i tiva dell 'esser-per-noi di oggetti che hanno lo stesso senso oggettuale che I e è p r o p r i o . Ciò evidentemente vale altresì per gli oggetti i r r e a 1 i , sia che essi abbiano il carattere del1 'idealità propria dello specifico o quello dell'idealità di un giudizio, o quella di una sinfonia ecc. Dovunque, e quindi anche per l'esperienza esterna, vale il fatto che il darsi evidente delle cose stesse va caratterizzato come un processo
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di costituzione, un processo nel quale si configura l'oggetto d'esperienza - certo una costituzione dapprima solo limi tata, poiché l'oggetto pretende a un'esistenza che va anche al di là delle molteplicità dell'esperienza attuale ed anche questo momento del suo senso d'essere esige la sua illu minazione costitutiva e la rende possibile grazie all'inten zionalità che è implicita nell'esperienza e che va svelata volta per volta. Nelle sintesi continue e discrete di molte plici esperienze si costruisce in modo essenziale e (( visibil mente>> l'oggetto d'esperienza come tale, nel mutevole pre sentarsi di aspetti sempre nuovi, di momenti sempre nuovi che gli sono essenzialmente propri ; e a partire da questa vita di strutturazione continua, che anticipa il processo possibile della sua univocità, tali aspetti e momenti attingono il loro senso, e l'oggetto stesso attinge il proprio (tale cioè che si mostra soltanto in questo modo mutevole) ; in quanto esso rappresenta ciò che rimane identico delle possibili configurazioni della cosa stessa, che devono poter essere ripetute dopo la realizzazione effettiva. Anche qui questa identità è evidente, come d'altronde è evidente che l 'og getto non è di per se stesso il processo d'esperienza reale e sempre possibile, e tanto meno poi comprende la possi bilità evidente di sintesi ripetitive (come possibilità del1 ' (( io posso>>). § 62. L'idealità di ogm tipo di oggettualità rispetto alla 148 coscienza costituente. Il travisamento positivistico della natura è una forma di psicologismo.
In conformità con quanto si è visto, nel senso di un qualsiasi oggetto esperibile, anche di un oggetto fisico, è implicita una certa i d e a l i t à - che si contrappone ai molteplici processi >, s e p a r a t i da una indi viduazione caratterizzata da una temporalità immanente : i processi cioè dell'Erleben esperiente e poi anche della possibilità di erleben, e infine del divenir cosciente o della possibilità del divenir cosciente di qualsiasi tipo, anche non
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esperiente. Si tratta della i d e a l i t à g e n e r a l e d i t u t t e l e u n i t à i n t e n z i o n a l i rispetto alle m o l t e p l i e i t à che le costituiscono. In ciò consiste la > di t u t t i i t i p i d i o g g e t t u a l i t à r i s p e t t o a l l a c o s e i e n z a d i e s s e (e nei modi corrispondentemente modificati, ma pertinenti, del rispettivo Io-di-coscienza, in teso come polo-soggetto della coscienza). Se dunque noi distinguiamo tra o g g e t t i i m m a n e n t i e t r a s e e n d e n t i , tale distinzione vale però soltanto a 1 1 ' i n t e r n o di questo concetto più ampio di trascendenza. Ma ciò non muta nulla al fatto che anche la trascendenza del reale [des Realen], e al grado superiore del reale intersoggettivo (cioè dell'oggettivo in un senso speciale) si costituisce esclusivamente secondo il suo senso ed essere nella sfera immanente, quella delle molteplicità di coscienza, e che la sua t r a s e e n d e n z a i n q u a lità di reale è una forma particolare d e 1 1 ' > o meglio di una i r r e a I t à p s i e h i e a , di qualcosa che i n t e r v i e n e > nella sfera fenomenologica pura della coscienza, o che può eventualmente intervenire, con tutto ciò che gli è essenzialmente proprio, in modo p e r ò da non costituire evidentemente u n f r a m m e n t o o m o m e n t o r e a I e [reell] d e 1 1 a e o s e i e n z a , un dato psichico reale. Per conseguenza noi troviamo un e s a t t o a n a I o g o d e l l ' i n t e r p r e t a z i o n e p s i c o l o g i s t i c a d e l I e i r r e a I t à I o g i e h e o d 'altro genere (potremmo dire della regione ampliata delle idee platoniche) in quel ben noto aspetto del p o s i t i v i s m o che potremmo anche designare come >. Esso è rappresentato per es. dalla filosofia di M a e h e dalla > - benché lo sia in un modo che, per quanto concerne l'originarietà e la profondità della problematica, rimane di gran lunga dietro le spalle di H u m e . Per questo positi vismo le cose si riducono a complessi empiricamente rego lati di dati psiclùci ( di >), e la loro identità e 149 insieme il loro senso d'essere si trasforma in una mera
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finzione. Non si tratta soltanto di una dottrina falsa, affatto cieca rispetto a tutti i nessi fenomenologici di essenza, ma si tratta di una dottrina assurda anche per il fatto di non vedere come le stesse finzioni abbiano il loro aspetto d'es sere, il loro modo d'evidenza, i loro modi d'essere unità di molteplicità, e come essi portino con sé lo stesso pro blema che avevano il compito di eliminare teoreticamente. § 63. L'attività originariamente producente come donazione delle formazioni-logiche > ; in che senso si parla di loro >. Abbiamo parlato spesso di una p r o d u z i o n e d e I l e f o r m a z i o n i I o g i c h e nella coscienza. A pro posito di questa espressione bisogna però evitare un fra intendimento, che riguarda mutatis mutandis ogni discorso sulla costituzione di oggettualità nella coscienza. Quando si parla di un produrre, ci si riferisce in genere a una sfera r e a I e . Con quella parola intendiamo un'ef fettuazione di cose reali o di processi reali : ciò che di reale si trova già esistente nell'ambito del mondo circostante, viene trattato, riordinato o modificato in conformità a uno scopo. Nel nostro caso tuttavia ci troviamo di fronte ad oggetti i r r e a I i , dati in processi psichici reali, oggetti irreali che noi trattiamo e configuriamo in questo o quel modo in una tematica pratica che si rivolge a d e s s i , e in nessun modo alle r e a I t à p s i c h i c h e . Non si vuole dunque togliere risalto al fatto che qui ha luogo n e I m o d o p i ù p r o p r i o u n f a r e e u n f o r m a r e, un agire, un esser rivolto praticamente a dei fini o scopi, come se qui non venisse realmente prodotto, da qualcosa di già praticamente dato, qualcosa di nuovo, secondo un fine. Di fatto, i I g i u d i c a r e (e naturalmente, nella sua originarietà, in particolar modo il giudicare conoscitivo) è a n c h e u n a g i r e ; soltanto che - di principio non si dà qui un trattare col reale, nel senso in cui, come è del tutto ovvio, qualsiasi agire è di per sé qualcosa di
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psichicamente reale ( qualcosa di oggettivamente reale, se assumiamo il giudicare nell'atteggiamento psicologico come un 'attività umana). Ma questo agire, fin dall'inizio e in tutte le sue conformazioni graduali, ha nella sua sfera tematica esclusivamente l'irreale. Nel giudicare viene inten zionalmente costituito un irreale. Nella formazione attiva di nuovi giudizi a partire da quelli già dati, noi siamo attivi in modo effettivamente produttivo. Come in ogni agire, i fini dell'azione, i nuovi giudizi da produrre, ci sono noti anticipatamente nei modi di un'anticipazione vuota, contenutisticamente ancora indeterminata e in ogni caso non ancora riempita, come ciò cui noi tendiamo ; e come 1 50 ciò che nell'agire che si attua progressivamente deve per venire all'offerenza realizzante della cosa stessa. Ciò con cui qui si deve lavorare non sono dunque delle realtà : non deve essere perduto il senso peculiare delle oggettualità ideali, il fatto cioè che esse, come s'è detto, ci siano cosi originariamente certe in un'evidenza propria quanto le oggettualità reali dateci nell'esperienza. Ma d'altra parte non si deve perdere di vista che anch'esse sono fini che possono essere conseguiti, finalità e mezzi, e che sono ciò che sono soltanto > una produzione ori ginaria. Il che tuttavia non significa assolutamente che esse siano ciò che sono soltanto i n e d u r a n t e la produzione originaria. Che esse siano > produzione originaria significa che sono consapute in essa come in una certa intenzionalità della forma dell' a t t i v i t à s p o n t a n e a , e nel modo della i p s e i t à o r i g i n a l e . Questo m o d o d i d a t i t à c h e p r o c e d e d a u n a t a l e a t t i v i t à o r i g i n a r i a non è altro che i l t i p o d i p e r c e z i o n e c h e l e è p r o p r i o. Ovvero - ed è la stessa cosa - questa attività originaria, con i suoi risultati, è l' > p e r q u e s t e i d e a l i t à . L'evidenza, intesa in modo del tutto generale, non è per l'appunto altro che il modo di coscienza che costruendosi eventualmente in una successione di gradi straordinaria mente complessi, presenta la sua oggettualità intenzionale nel modo della > originale. Questa attività di
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coscienza che consiste nel rendere evidente - un 'attività spontanea difficile da studiare qui - è la >, e esprimendoci in modo più pregnante: la costituzione primitiva che fonda le oggettualità ideali del tipo logico. § 64. Priorità d'essere degli oggetti reali rispetto a quelli irreali.
Nel concludere questa ricerca ci si permetta di aggiun gere ancora che diverse opposizioni violente, che certo perdono di vista le nostre scoperte fenomenologiche, na scono da un fraintendimento del senso della nostra equi parazione delle oggettualità ideali e anche delle modifi cazioni categoriali delle realtà (come pure degli stati di cose) con le realtà stesse. Si trattava per noi semplicemente di sostenere il diritto del s e n s o p i ù a m p i o d i > o Qualcosa in generale, e c o r r e l a t i v a m e n t e d e l s e n s o p i ù g e n er a l e d e 1 1 ' e v i d e n z a come offerenza originale. In un senso diverso da quello di una legittima sussunzione delle idee sotto il concetto dell'oggetto e quindi del substrato di possibili predicazioni, non è assolutamente possibile equiparare oggettualità reali e ideali, come si può compren dere del resto proprio a partire dalla nostra dottrina. La r e a l t à [Realitat] h a u n a p r i o r i t à d ' e s s e r e r i s p e t t o a q u a l s i a s i i r r e a l t à, in quanto per 1 5 1 essenza tutte l e irrealtà s i possono ricondurre a realtà effettive o possibili. Considerare onnilateralmente queste relazioni e portare sistematicamente a conoscenza la con nessione totale di ogni essente reale e possibile, delle realtà e delle irrealtà, è cosa che conduce ai problemi filosofi.ci supremi, quelli di un'ontologia universale.
14. - Husser/
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§ 65. Concetto più generale di psicologismo.
L'eccezionale estensione e la radicalizzazione della confutazione dello psicologismo logico che noi abbiamo compiuta nella ricerca che precede, ha comportato anche una estrema g e n e r a l i z z a z i o n e d e 1 1 ' i d e a d i p s i c o l o g i s m o , e di uno psicologismo d i s e n s o m o l t o b e n d e t e r m i n a t o , che non è l'unico. Questo psicologismo è contraddistinto dal fatto che qualsiasi tipo di oggettualità che debba essere reso evidente - o addirittura tutti i tipi di oggettualità, come nella filosofia di Hume, - vengono p s i c o 1 o g i z z a t i ; e ciò per il fatto che essi, come è ovvio, si costituiscono per la co scienza e dunque costruiscono il loro senso d'essere nella soggettività, e per essa, mediante l 'esperienza e altri modi di coscienza che con l 'esperienza si intrecciano. Che le oggettualità vengano > significa che il loro senso oggettuale, il loro s e n s o i n q u a n t o s p e c i e d i o g g e t t i di natura [ Wesen] peculiare, viene n e g a t o i n f a v o r e d e g l i E r l e b n i s s e s o g g e t t i v i, dei dati nella temporalità immanente ovvero psicologica. Per altro non ha importanza che qui si considerino questi dati come dati reali 1 9 nel senso della p s i c o l o g i a (di una scienza degli uomini e degli animali come realtà og gettive) o come dati di una s o g g e t t i v i t à t r a s c e n d e n t a 1 e (che precede tutte le realtà oggettive, compresi i soggetti umani), comunque venga distinta dalla prima. E, in quest'ultimo caso, non ha importanza che li si con sideri come un mucchio di sensazioni, poste in modo asso luto oppure come Erlebnisse intenzionali nell'unità teleologica di un lo concreto e di una comunità egologica. D'altra parte l'espressione ' psicologismo ' si adatta meglio a ogni forma di riduzione allo psicologico in senso proprio, ciò che dovrebbe anche determinare il senso p r e g n a n t e di psicologismo. 12
[Correggo il testo, che dà ineale].
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§ 66. Idealismo psicologistico e idealismo fenomenologico. Critica analitica e critica trascendentale della conoscenza. Questo psicologismo inteso in modo così generico e persino intenzionalmente ibrido è il carattere fondamentale di ogni c a t t i v o > (lucus a non lucendo !), 1 52 come quello di B e r k e 1 e y o di H u m e . Esso per altro va assai al di là del concetto che generalmente si suole collegare con la parola idealismo, giacché questo concetto solitamente non prende in considerazione proprio le auten tiche idealità della sfera p I a t o n i c a ampliata (qui ve ramente bisogna fare eccezione per l 'idealismo di H u m e) . Ma certo non bisogna scambiare questo idealismo, come sempre di nuovo avviene ai lettori superficiali dei miei scritti (anche a lettori fenomenologici), con l ' i d e a 1 i s m o f e n o m e n o I o g i c o da me elaborato, che ricava il suo n u o v o s e n s o d e I t u t t o d i f f e r e n t e proprio dalla critica radicale di quello psicologismo, sulla base di una chiarificazione fenomenologica dell'evidenza. A caratterizzare l 'idealismo fenomenologico possono ser vire anche i riferimenti che seguono. Ogni >, o correlativamente ogni oggetto identi ficato con >, ha il suo diritto proprio, come pure ogni territorio in sé conchiuso di possibile >, come a m b i t o di una scienza, come suo t e m a nel senso p r i m o e più proprio. A ciascuno di questi am biti è congiunta inoltre una s f e r a t e m a t i c a s e c o n d a r i a , la sfera della sua c r i t i c a : si tratta di una critica della conoscenza in un primo senso, riferita cioè ai risultati ideali del conoscere - quelli della > - e rivolta, in direzione soggettiva, a ciò che è ideale in senso correlativo, cioè all 'attività che concerne queste idealità (il dedurre, il provare). Attraverso questa critica, che pos siamo designare come c r i t i c a a n a I i t i c a d e 1 1 a c o n o s c e n z a , viene determinata la relazione di ogni scienza all 'analitica come scienza universale della teoria nella generalità formale e, correlativamente, alla tecnologia analitica delimitata in modo corrispondente.
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Ma, infine, ogni scienza ha una t e r z a s f e r a t e m a t i c a , che è ancora una sfera della c r i t i c a , m a d i u n a c r i t i c a d i v e r s a m e n t e o r i e n t a t a. Quest'ultima concerne la s o g g e t t i v i t à c o s t i t u e n t e che è propria a ciascun ambito e a ogni operazione scientifica in esso impegnata. A fianco della critica delle datità anticipate, delle attività e dei risultati che si presen tano in modo manifesto nel territorio della coscienza, ab biamo a che fare qui con una critica della conoscenza di tipo affatto diverso, con quella cioè delle fonti costitutive originarie del suo senso posizionale e della sua legittimità, con la critica dunque delle o p e r a z i o n i n a s c o s t e nella ricerca e nella teorizzazione rivolta direttamente al1 'ambito particolare. Si tratta della critica della r a g i o n e (sia essa intesa psicologicamente o trascendentalmente) o, come potremmo dire in opposizione alla critica conoscitiva 1 53 analitica, della c r i t i c a t r a s c e n d e n t a I e d e 1 1 a c o n o s c e n z a . Ciò vale per la logica come per ogni scienza, e noi lo avevamo già indicato nelle considerazioni preliminari generali sotto il titolo di b i l a t e r a I i t à della tematica logica ; soltanto, non eravamo in grado di parlarne con la stessa precisione con cui ne parliamo adesso. § 67. L'accusa di psicologismo è una incomprensione della necessaria funzione logica della critica trascendentale della conoscenza.
L' a c c u s a d i p s i c o I o g i s m o in riferimento alle Ricerche logiche, come si ricorderà, ci era stata rivolta proprio per il fatto che quelle ricerche, che nei Prolegomena combattevano lo psicologismo, nonostante ciò trascorrevano, nella seconda parte, a indagini sulla soggettività fenomeno logica, sulle strutture intenzionali dell'esprimere e del si gnificare, della rappresentazione e del contenuto rappre sentativo (senso), della percezione e del senso della perce zione, dei giudizi e dello stato di cose intenzionati, degli atti categoriali e della costituzione delle oggettualità cate-
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goriali per rapporto a quelle sensibili, della coscienza sim bolica vuota rispetto a quella intuitiva, dei rapporti inten zionali della semplice intenzione e del riempimento, della coscienza d'evidenza, dell'adeguazione, della costituzione dell 'essere vero e della verità predicativa ecc. Si è detto cioè che simili ricerche > della psicologia della conoscenza, sarebbero prevaricazioni psico logistiche di una logica pura. Questa obiezione veniva fatta, senza che tuttavia si ritenesse di dover rifiutare le ricerche critico-conoscitive riferentisi a ogni scienza (e quindi anche alla logica), ricerche che anzi son tenute da ogni parte in grande considerazione. Ma esse - cosi si pensava appartengono a una linea affatto diversa : esse non devono porsi il compito di considerare la vita del conoscere con cretamente reale e possibile, né la sua analisi intenzionale. Questa sarebbe psicologia e comporterebbe uno psicologismo teoretico-conoscitivo. È implicito nel senso di una tale critica e nella conce zione dominante che s i d e b b a n o s e p a r a r e 1 a s c i e n z a e 1 a c r i t i c a d e 1 1 a r a g i o n e , che si conceda alla scienza un'esistenza propria con una sua propria legittimità e che si intenda la critica della ragione come una scienza di nuovo tipo, dotata di superiore dignità, che è rivolta su tutte· le altre scienze, senza però turbare la loro legittima esistenza particolare. Cosi, in primo luogo, per la logica analitica, che precede come norma assoluta, presupposta a ogni conoscenza razionale. Si ravvisa il valore della mia critica allo psicologismo (e di tutte le altre critiche consimili, precedenti o posteriori) proprio nell 'aver messo 1 54 in rilievo una logica pura (analitica) - che deve esser separata da ogni psicologia - come una�scienza a u t o n o m a , uguale sotto questo aspetto all( geometria o alla scienza naturale. È pur lecito�proporsi dei problemi di critica della ragione concernenti questa logica, ma questi non devono disturbare il suo proprio cammino, né possono in alcun modo entrare nella determinazione concreta della vita logica della coscienza, giacché ciò significherebbe fare della psicologia.
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Ma noi dobbiamo invece tenere ben presente che di fatto la lotta contro lo psicologismo logico non doveva avere alcun altro scopo da quello, altamente significativo, di render perspicuo l' a m b i t o particolare della logica analitica nella sua purezza e nella sua proprietà ideale, di liberarlo dalle contaminazioni e dai fraintendimenti psico logizzanti in cui era rimasto impigliato fin dall 'inizio e in cui lo rimane tuttora. Il suo ambito : ciò significa il suo campo tematico nel senso primo e principale, cosi come ogni scienza ne ha uno. Questo tuttavia non esclude che in via secondaria - al fine della conoscenza del campo -, diventi tematico anche ciò che al campo non appartiene, ma sta con esso in una connessione essenziale. Ciò vale già, come abbiamo considerato in precedenza, per il primo territorio della critica >, indispensabile ad ogni scienza, cioè per il territorio della sua teoria e dei suoi giudizi riferiti in generale al campo, come pure delle azioni [Handlungen] ideali corrispondenti. E allora qualcosa di simile non potrà forse - e non dovrà - valere per il territorio complessivo degli atti inten zionali, dei modi d'apparizione e dei vari modi di coscienza in cui l'ambito scientifico e i suoi oggetti e le connessioni oggettuali sono offerte a chi giudica ? e ugualmente per quelli in cui si svolge intenzionalmente l'intera vita e ten sione di coscienza rivolta a quell'ambito stesso, vita e ten sione in cui si costituisce intenzionalmente la teoria e l'essere scientificamente vero del campo ? Non dovrebbe esservi anche qui il territorio di una critica necessaria per tutte le scienze, una critica trascendentale, necessaria se debbano poter sussistere in generale delle scienze autentiche ? Ma se questo si rendesse chiaro e si riuscisse a dispiegare il grande campo di lavoro di quest'ultima e più profonda critica, con ciò naturalmente si servirebbe la causa della logica : giacché quest'ultima, in quanto dottrina universale, e non soltanto quale dottrina analitica della scienza (quale semplice mathesis universalis), come si riferisce alle scienze autentiche in generale quanto alle loro possibilità essenziali, cosi si riferirebbe a qualsiasi critica concernente le stesse
Sezione seconda, Capitolo primo. § 67
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scienze e la loro autenticità e, anche qui, m conformità alle generalità essenziali di quelle scienze. La t e o r i a g e n e r a I e d e l l a s c i e n z a è eo ipso t e o r i a g e nerale de11a scienza autentica intesa appunto come scienza di una critica delle proprie essenze, sia come critica dei giudizi quali formazioni, elementi ideali costitutivi della rispettiva teoria ideale, sia come critica della vita intenzionale, che costi tuisce I 'ambito e la teoria. Non dobbiamo porci qui i problemi, quali che possono essere, propri delle critiche della ragione, di quelle trasmesse dalla tradizione o di quelle tuttora vigenti, né problemi concernenti il terrore che le paralizza davanti a una con creta trattazione - che viene indicata col nome di psico logismo - della soggettività conoscitiva, e davanti a ogni introduzione della psicologia nelle considerazioni epistemo logiche. Il nostro problema è soltanto di sapere che cosa appartenga alla possibilità essenziale della scienza autentica. Se l'indagine costitutiva della coscienza, rivolta alla teleo logia complessiva delle intenzionalità che appartengono alla vita del conoscere, doveva presentarsi come essenzialmente necessaria per rendere possibile l'autenticità delle scienze, essa doveva pur esser valida anche per noi. E se in questo senso era ancora necessario far fronte a uno (( psicologismo >> (uno psicologismo di un altro senso rispetto a quello fin qui considerato, benché di un senso imparentato con il primo) ciò ci dovrebbe apparire sulla base della considera zione delle stesse esigenze logiche. Senza dare a questa espressione un valore vincolante, noi designeremo di se guito come f e n o m e n o l o g i c a la tematica soggettiva che deve essere chiarita secondo la sua funzione essenziale o - detto più chiaramente - la tematica costitutiva inten zionale.
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§ 68. Anticipazione sui compiti ulteriori.
La questione che dobbiamo chiarire si complica per noi, per il fatto che la logica stessa è una scienza, e per tanto necessiterebbe essa stessa di una tale critica, e perché essa, d'altra parte, nel suo rivolgersi all'orizzonte aperto delle scienze possibili, deve essere quella che ha il compito di prendere in considerazione queste ricerche critiche sog gettive necessarie a tutte le scienze, sia pure in una gene ralità che coinvolge unitariamente tutte quante le scienze. Ma queste due cose non coincidono senz'altro. Perché se la logica, o piuttosto l 'analitica formale - la quale soltanto possiede ora per noi un'ambito delimitato in modo sicuro ha la sua sfera tematica prima nelle forme delle formazioni categoriali di giudizio e d'oggetto, e solo per la sua esten sione concerne le formazioni (subordinate a quelle forme) di tutte le scienze, - si configurano allora per la logica i problemi costitutivi che le sono peculiari, concernenti la elaborazione soggettiva delle forme categoriali generali, e in primo luogo i concetti regionali supremi, come giudizio 1 5 6 in-generale e oggettualità-in-generale. Del resto questi pro blemi devono essere presi in considerazione anche per le singole scienze, ma soltanto per la via che passa attraverso la logica come loro metodo. E ciò in quanto si può mostrare come l'autenticità della logica può esser tale soltanto in base alla consapevole funzione normativa adempiuta dai principi logici, e che dunque, come noi abbiamo asserito nell'Introduzione ed abbiamo poi potuto fondatamente so stenere nel corso dell'ulteriore esposizione, la logica non è soltanto una scienza a sé a fianco delle altre, ma insieme un elemento fondamentale del metodo per ogni scienza in generale di cui si debba garantire la possibilità. In ogni caso, dopo tutte le ricerche che sono state con dotte fin qui per la radicale chiarificazione e l'accertamento critico dell'ambito peculiare dell'analitica e degli ambiti che al suo interno si suddividono, il compito che ora ci at tende è quello di rivolgere prima di tutto le ulteriori ricerche al c h i a r i m e n t o d e l l e r i c e r c h e s o g g e t t i v e
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n e c e s s a r i e p e r q u e s t a a n a 1 i t i c a, e al chia rimento della loro necessità. Le ricerche che si richiedono ulteriormente per l'elaborazione dell'idea di un'ontologia formale, poi di una reale e infine di una assoluta, ci por teranno da sé alla effettiva chiarificazione, che ancora non possediamo, del senso autentico di uno psicologismo tra scendentale, senso che non è stato ancora attinto per il fatto di aver fondato la logica formale su ricerche intenzio nali, e le scienze positive su di una teoria della conoscenza che in queste ricerche si chiarisce.
Capitolo secondo AVVIAMENTO DELLA PROBLEMATICA LOGICO-TRASCENDENTALE : PROBLEMI CONCERNENTI I CONCETTI FONDAMENTALI
§ 69. Le formazioni logiche nel loro presentarsi in un'evidenza diretta. Il compito della tematizzazione riflessiva di questa evidenza. Nonostante gli errori d'interpretazione o i travisamenti all 'interno della sfera analitica, la logica analitica ha dietro di sé una lunga esistenza, in una forma anche altamente sviluppata per quanto concerne le discipline matematico formali in senso stretto. Un 'evidenza non può quindi essere mancata nella formazione delle categorie logiche e delle forme differenziate, un'evidenza il cui valore è stato tenuto sempre in una particolare considerazione. Tuttavia essa rimane tutt'altro che un modello. E facendo uso di questa parola, vogliamo implicare il fatto che questa evi denza - che l'evidenza in generale - deve essere consi derata riflessivamente, analizzata, trasformata, purificata e migliorata, e che solo a questa condizione può e deve essere assunta come modello e norma. 157 Le formazioni logiche e le loro forme generali sono date dapprima in una e v i d e n z a d i r e t t a , e questo è ciò che deve necessariamente precedere. Ma a questo punto si richiede una r i f 1 e s s i o n e t e m a t i c a s u q u e s t a e v i d e n z a , cioè sull'attività formativa quale si è già espletata direttamente nella ingenuità non-tematica.
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Qui devono essere > le formazioni e le forme generali (formazioni di grado superiore) che in quella atti vità erano state dapprima soltanto >, perché sia pos sibile, muovendo dalla chiarificazione dell'intenzionalità che tende originariamente al loro senso oggettuale e lo realizza, afferrare, circoscrivere quest'ultimo nel modo dovuto e garantirne l'identità contro ogni slittamento o travisamento che può verificarsi nell'atteggiamento ingenuo. In altre parole: in ogni operare è implicita un 'intenzione e una realizzazione ; può essere preso in considerazione questo stesso operare e ciò che vi inerisce, ci si può assicurare dell'identità del suo intendere e della realizzazione che lo riempie. Nell'intendere e nell'operare ingenuamente l'ob biettivo può spostarsi, e altrettanto nella ripetizione ingenua e negli ulteriori ritorni su ciò che si è precedentemente avuto di mira e che si è ottenuto. Così pure nella tematiz zazione che si sviluppa nell'insieme delle azioni ingenue del logico. Nella riflessione a partire dai temi che nell'at teggiamento diretto sono soltanto presentati (e che possono anche andare incontro a trasposizioni del tutto essenziali), in questa riflessione, rivolta sull'attività che li costituisce nel l'intenzione e nel riempimento, e che resta prima nascosta nell'agire ingenuo, (o che resta >, come si po trebbe anche dire, e soltanto ora diviene tema vero e pro prio) - noi interroghiamo retrospettivamente l'attività in questione, quando essa è già un fatto compiuto. Ciò si gnifica che n o i i n t e r r o g h i a m o l ' e v i d e n z a , che proprio a questo punto si è destata, s u c i ò c u i e s s a t e n d e e s u c i ò c h e h a c o n s e g u i t o, e nell'evidenza di grado superiore noi identifichiamo e fis siamo ovvero seguiamo le variazioni possibili delle oscilla zioni tematiche che prima rimanevano inavvertite, e distin guiamo le finalità e le realizzazioni rispettive o, con altre parole, il vario trasporsi delle configurazioni logiche con cettuali.
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§ 70. Senso delle chiarificazioni postulate come ricerca costitutiva circa l'origine.
a) Spostamento delle mire intenzionali ed equivoco.
Si dice sovente a questo punto (e anch'io altra volta 18 mi sono espresso così) che bisogna ovviare al p e r i c o l o 158 d e l l ' e q u i v o c o. Ma bisogna fare attenzione al fatto che qui non si tratta di equivoci della formulazione, sicché ci si debba e ci si possa attenere soltanto alle parole e ai significati delle parole. Si tratta piuttosto di s l i t t a m e n t i interni d e 1 1 a i n t e n z i o n a l i t à e del suo operato, di slittamenti necessari e postulati da connessioni essenziali. L'equivoco linguistico si presenta allora come loro conseguenza, sicché esso non può venir risolto sullo stesso piano linguistico, con il domandarsi che cosa si intenda nelle associazioni di significato che lo caratteriz zano, ma può esser risolto e formulato come equivoco soltanto mediante l'interrogazione riflessiva circa le mire intenzionali e la costituzione originaria delle formazioni che . . m esse s1 compie. Un'illustrazione, che è però anche un complemento ulteriore a quanto si è detto ora, è data da tutte le ricerche che abbiamo condotte al fine della chiarificazione del1'ambito logico. Esse erano senza alcun dubbio indispensabili ai fini di una logica seriamente scientifica. Giacché come poteva riuscir possibile una simile logica, fintantoché rima neva nell'oscurità la tematica che le appartiene originaria mente ? Non soltanto era necessario por fine al suo travisa mento psicologistico, ma erano necessarie, anche per la sfera logica già individuata nella sua purezza, quelle difficili ricerche le quali soltanto ne avrebbero chiarito la triplice stratificazione. Queste ricerche erano o r i e n t a t e c o m pletamente in senso fenomenologico s o g g e t t i v o ; concernevano il contrasto di tre diversi
.
18 Cfr. p. es. l'Introduzione alla II parte delle Log. Unters. (II ed. e successive), p. 7.
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atteggiamenti nel giudicare, nell'alternarsi dei quali si mo dificava la direzione dell'identificazione reale e possibile (la direzione oggettuale) ; - comprovavano il sussistere di tre diverse evidenze, e in corrispondenza con esse di tre modi di anticipazione intenzionale vuota e di riempimento e cor rispettivamente di tre concetti di giudizio originariamente distinti. Si tratta qui di uno slittamento concettuale e di un equivoco che nel pensiero dei logici non si verificava a caso, bensì per ragioni essenziali, e che doveva rimanere nascosto, in quanto anch'esso apparteneva all'unità tematica di quel modo di pensare >, rivolto verso la critica dei giudizi in conformità alla norma della verità ; esprimen doci in modo più preciso, doveva rimanere nascosto perché la questione concernente le condizioni formali che rendono possibili i giudizi veri doveva necessariamente perdersi tra i gradi sistematici che noi distinguiamo come morfologia del giudizio, dottrina della conseguenza e dottrina della verità. Qui, come si vede, non si tratta semplicemente di un mutamento di senso che si · attua di soppiatto, bensì di un cambiamento di un tipo segnalato e particolarmente impor tante : i l m u t a m e n t o è i n s i e m e u n o s c i v o - 1 5 9 l a r e v i a [ Ueberschiebung] e u n c o i n c i d e r e [Deckung]; ed è una coincidenza in quanto l'unità di giu dizio del grado inferiore accede, con l'identificazione, al grado superiore, e ciò che il grado superiore introduce qui di nuovo (come la distinzione [Deutlichkeit] o l'auten ticità del giudizio, oppure anche la pienezza dell 'evidenza) dev'essere còlto di volta in volta come predicato proprio. Nell'unità del pensiero logico tutte le unità hanno, per ciascun grado, le loro funzioni speculative e conoscitive, e quindi l 'atteggiamento può mutare e con esso anche il senso dell'unità che compenetra la coincidenza e che tut tavia continua a modificarsi 1 4• 1 4 Cfr. su questo punto più avanti del cap. IV, soprattutto i §§ 89 e 90.
chiarimenti più approfonditi
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b) Esigenza del chiarimento dei concetti fondamenta/i delle discipline logiche nella loro necessaria distinzione reciproca, al fine di svelare il metodo soggettivo nascosto di formazione, e per la critica del medesimo.
Perciò l'equivoco linguistico è in certo modo dovuto a una essenziale necessità, ma d'altra parte resta per la logica una necessità assoluta di risolverlo e di padroneggiarlo, di compiere cioè la d i s t i n z i o n e e l e m e n t a r e delle tre unità di giudizio e dei c o n c e t t i f o n d a m e n t a l i che vi si riferiscono; quanto meno, per una logica che voglia avere davanti agli occhi in modo permanente le sue proprie sfere tematiche nella loro distinzione di principio - ciò che rappresenta un suo dovere, un dovere della scienza autentica. Deve essere chiaro per il logico che i giudizi nel senso della morfologia, per la quale è sufficiente una semplice distinzione nella ritmica dell'indicazione lingui stica, perché essi si presentino in se stessi con evidenza, non sono in grado di fondare i rapporti di conseguenza. Deve essere divenuto ben chiaro che la proposizione che è stata compresa solo dal punto di vista verbale, che è stata intesa esplicitamente rilevando la ritmica determinata dell'indicazione simbolica, è còlta come un'unità del >, che è appunto unità di un'indicazione meramente ritmica, e che perciò quanto in essa è indicato è il giudizio nel secondo senso, la nuova ritmica dell'opinione di giu dizio (cioè dell'opinione sullo stato di cose) che si costi tuisce nel giudicare vero e proprio, quello dell'azione ca tegoriale effettivamente attuata. Sicché era proprio questa opinione di giudizio, realizzata solo successivamente, che riempiva la ritmica simbolica. E ancora ci si deve esser resi ben conto che se attraverso il giudicare si ha di mira il fine conoscitivo, allora il giudizio esplicito stesso, il giudizio vero e proprio o >, in quanto intentio, in-tende un , lo stato di cose >, il suo > soggetto e predicato ecc. Il logico deve sapere tutto questo, in quanto ciò è metodo per lui, giacché egli non deve accettare alcun fare
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ingenuo, istintivo e nascosto, ma, al contrario, di ogni fare e del suo risultato, deve poter dare conto ; e dunque, come 1 60 logico, deve aver riflettuto in una generalità di principio sul m e t o d o i n g e n u o nascosto e deve averlo espli citato tematicamente, al fine di ricavare per questa via l ' a u t e n t i e o m e t o d o l o g i e o . Questo metodo, che è q u e l l o p i ù o r i g i n a r i o , che crea i giudizi e le forme di giudizio nella loro logicità, nella morfologia è essenzialmente diverso che nella dottrina della conseguenza e ancora diverso che nella teoria della verità. Allo stesso modo sono chiaramente indispensabili al logico tutte le altre ricerche che abbiamo condotto sopra, rivolte in senso soggettivo, nelle quali è stato chiarito il senso correlativo di un'apofantica e di un'ontologia formale, come pure il proprium di una matematica pura e di una matematica logica. Tutte queste ricerche hanno il carattere di ricerche fondamentali atte a d i s e h i u d e r e e s o t t o p o r r e a l l a c r i t i c a i l m e t o d o l o g i c o o r i g i n a r i o, e noi possiamo anche designarle nel loro insieme come s t u d i s u l m e t o d o m e d i a n t e c u i i > d e 1 1 ' a n a l i t i e a v e n g o n o o r i g i n a r i a m e n t e p r o d o t t i in quel l'evidenza che ci garantisce sull'identità della loro essenza, messa al riparo da ogni slittamento di senso. I concetti fondamentali sono già da sempre familiari e liberamente disponibili, e in quanto risultati sono stati pro dotti e continuano ad esserlo in una evidenza rinnovata allorché venga destato il bisogno di evidenza. Ma questo > di cui si fa un uso ingenuo non è ancora un metodo autentico. N o n è d u n q u e c o m e s e s i t r a t t a s s e d i u n a s e m p l i c e >, di una considerazione psicologica riflessiva, su come di volta in volta abbiamo configurato e configuriamo quel determinato concetto. La ricerca costitutiva è solo in par tenza una tale riflessione e uno scoprimento progressivo del metodo impiegato di fatto e >. Nei suoi passi successivi essa è >, vale a dire r i e m -
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p i m e n t o a t t i v o nelle diverse linee di riempimento, sulla base della distinzione sistematica delle direzioni inten zionali intrecciate nell'unità della sintesi. Ma ciò significa qui che tale critica è c o s t i t u z i o n e c r e a t i v a delle oggettualità corrispondenti, che si offrono nell'uni tà di un'esperienza concordante, è creazione delle essenze di queste oggettualità e dei loro concetti essenziali. Sulla base dell'operazione della fissazione terminologica relativa, questi concetti devono persistere allora come acquisizioni abituali. Ogni analisi costitutiva, in questo senso, è creativa ; l e u n i t à c o s t i t u t i v e o t t e n u t e c r e a t i v a m e n t e s o n o n o r m e , e il loro o t t e n i m e n t o 161 c r e a t i v o è e s s o s t e s s o m e t o d o d i v e n u t o t e m a t i c o e come tale è norma per la prassi metodica destinata a farsi abituale. Il metodo logico autentico è possibile soltanto sulla base dello studio tematico e della configurazione in senso finalistico dello stesso metodo per seguito nell'ingenuità. § 71. I problemi dei fondamenti delle scienze e la ricerca costitutiva sull'origine. Compito direttivo della logica.
Ciò fa luce in anticipo sui tanto discussi p r o b l e m i d e i f o n d a m e n t i , non soltanto quelli della matema tica, bensì di tutte le scienze obbiettive. Per la matematica formale, in quanto è la stessa analitica, il suo senso resta già determinato dalle considerazioni che abbiamo svilup pate fino a questo punto, e risulta eliminato il groviglio della abituale problematica. Dappertutto, come sempre nel1 'ambito della problematica gnoseologica, noi assistiamo all'assurdo rovesciamento, già più volte accennato, che consiste nell'assumere le scienze come qualcosa di già dato, come se le ricerche sui fondamenti fossero soltanto un chiarimento accessorio, o in ogni caso un miglioramento che non modifica essenzialmente queste scienze. Ma in verità quelle scienze che contengono paradossi, che operano
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mediante concetti fondamentali che non siano stati ottenuti mediante il lavoro di chiarificazione dell 'origine e la critica, non sono affatto delle scienze, ma soltanto delle tecniche teoretiche, pur con tutte le loro ingegnose operazioni. Il concepimento di concetti fondamentali è dunque di fatto un ' o p e r a d i f o n d a z i o n e in senso letterale per tutte le scienze, come abbiamo già detto in precedenza. Ma lo è innanzitutto per la l o g i c a , che ha il compito di essere metodo per tutte quelle scienze e di abbracciare nell'a priori del metodo in generale tutti i loro metodi speciali, e di regolare consapevolmente, in conformità a dei principi, la loro configurazione. Soltanto in una vita scientifica che si sottoponga al radicalismo di questa ri cerca è possibile la scienza autentica. Come sia possibile soddisfare a un simile radicalismo, o, se non soddisfarlo 1n assoluto, con quale grado di approssimazioni metodiche, questo, come è possibile prevedere, deve essere un ele mento base dell 'elaborazione del metodo, un elemento base di un lavoro logico rivolto in senso soggettivo. Ma qui ci troviamo solo �gli inizi, e l 'inizio di questi inizi è il 1 a v o r o s u i concetti fon damentali nel senso più r i g o r o s o ; concetti che, a partire dal groviglio e dalle instabilità della forma ingenua, devono potere essere portati alla solidità e determinatezza di concetti scientifici fonda mentali, conformemente a un metodo in sé determinato, che deve essere di volta in volta riattivato e, con ciò, provato. § 72. Le strutture soggettive come un a priori correlativo 1 62 a quello oggettivo. Passaggio a un nuovo grado della critica. Come è chiaro, le strutture soggettive che sono state studiate nelle ricerche svolte fin qui ai fini di una logica rivolta soggettivamente, non sono legate, con i concetti corrispondenti della logica oggettiva, da una contingente fatticità psicologica. Designano anzi u n a p r i o r i c o r r e 1 a t i v o a q u e 1 1 o o g g e t t i v o . È impensabile, 1 5. - Husserl
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p. es., che un processo dell 'evidenza nel quale un giudizio giunge a darsi esplicitamente in se stesso, abbia una strut tura essenziale diversa da quella che un'analisi riflessiva pre senta. La generalizzazione formalizzante, che converte un giudizio di fatto in una forma di giudizio in generale, dal punto di vista soggettivo, è necessariamente una genera lizzazione d'essenza ; e cioè una generalizzazione - for male nel senso correlativo - dell'evidenza del giudizio di fatto. In modo corrispondente ciò vale quindi non sol tanto per tutti gli altri concetti fondamentali della pura logica analitica, bensì anche per le leggi fondamentali corrispondenti e le leggi desunte della teoria logica. A d o g n i l e g g e o p e r a t i v a d e l l a m o r fo l o g i a c o r r i s p o n d e a p r i o r i u n a I e g a I i t à s o g gettiva in rapporto alla soggettività c o s t i t u e n t e , una legalità formale riferita a ogni es sere giudicante pensabile e alle sue possibilità soggettive di configurare nuovi giudizi a partire da giudizi. I c o n c e t t i f o n d a m e n t a I i , i concetti logici primari, sono i c o n c e t t i s o m m i d e 1 1 ' a m b i t o I o g i c o i n s e s t e s s o e della sua stratificazione in ambiti parziali sinteticamente fungenti. Con la loro con figurazione si realizza una p r i m a c r i t i c a della logica nell'atteggiamento diretto, che deve necessariamente pre cedere, e insieme una critica dei suoi m o d i c o n o s c i t i v i , del suo tipo metodico. Ma questa prima critica, e la prima configurazione che le si deve dei concetti di campo, è già una critica totale e complessiva, se si prescinde dalle nuove ricerche critiche che si possono prevedere e che saranno necessarie per i concetti destinati a presentarsi ulteriormente ?
Capitolo terzo I PRESUPPOSTI IDEALIZZANTI DELLA LOGICA E LA LORO CRITICA COSTITUTIVA
Dopo aver chiarito la necessità della nostra prima serie di ricerche critiche, cerchiamo ora di renderci conto anche della loro insufficienza. Si deve compiere ora una critica della logica analitica che deve renderci consapevoli di una serie di p r e s u p p o s t i i d e a I i z z a n t i ( da noi assunti quasi inavvertitamente), con i quali essa opera - quasi si trattasse di ovvie evidenze -, muovendo non da un metodo divenuto tematico, bensl ancora da un metodo che si esplica nell'ingenuità. Questa nuova critica è il pro seguimento della critica che noi abbiamo esercitata nel primo grado, per il chiarimento di quella triplice stratifi cazione. Essa presuppone quindi le ricerche già compiute. § 73. Presupposti idealizzanti dell'analitica matematica come temi di una critica costitutiva. L'identità ideale delle formazioni del giudizio come problema costitutivo.
Se in primo luogo consideriamo la p u r a a n a I i t i c a m a t e m a t i c a nella sua integrità, la mera logica della conseguenza analitica del giudizio, troviamo che essa si riferisce con tutte le sue forme generali all'orizzonte aperto ed infinito dei giudizi possibili, di cui p r e s u p p o n e l ' i d e n t i t à i d e a l e.
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Riflettiamo ora fino a che punto si debba parlare qui di un presupposto, e cosa vi è implicato. Le forme sono essenzialità [Wesenheiten] generali, (>), che ven gono acquisite in una evidenza peculiare sulla base di giudizi esemplari, a loro volta attinti ai modi di evidenza da noi descritti. L'intenzionalità del giudicare, sul piano del1 'Erlebnis, è mutevole ; ma se noi parliamo dello s t e s s o g i u d i z i o , si ottiene un'unità intenzionale, la direzione verso un giudizio e verso il medesimo, che giunge a darsi in se stesso nell'evidenza come il medesimo - quel me desimo che era opinione confusa e che ora diviene distinto. Tutto ciò che vien messo produttivamente in luce nel1 'attività che è propria del distinguere, era già prima > nella confusione in qualità di >, e così infine per l'intero giudizio, se l'attività del distinguere ha perfetto esito. Tuttavia già il giudicare >, >, non è un giudicare freddo e rigido, ma anzi è mutevole, e se in esso lo stesso giudizio - lo stesso nel senso della mor fologia, che non richiede alcuna attività di vera e propria produzione - deve costituirsi come oggettualità identica, ci si domanda allora c h e c o s a c i a s s i c u r i d i q u e s t a i d e n t i t à . E conseguentemente il problema va posto per il giudizio nell'autenticità della sua d i s t i n z i o n e . Certo nel perdurare dell'evidenza vivente pos sediamo il giudizio nella sua medesimezza, un giudizio che si offre come se stesso nel mutare degli Erlebnisse. Ma quando il processo del pensiero continua e noi r i t o r n i a m o in una connessione sintetica a quanto s'era presentato pre1 64 cedentemente come unità, questa unità non è più evidente in modo originario, ma è nuovamente consaputa per mezzo di una rimemorazione, e di una rimemorazione per nulla intuitiva. La rimemorazione, qualora si effettuasse nei ter mini di una effettiva ed autentica intuizione, significherebbe la restituzione di tutti i singoli momenti o tappe del pro cesso originario ; e se anche ciò avesse luogo, se cioè venisse ottenuta una nuova evidenza, è forse certo che essa sarebbe la restituzione dell 'evidenza precedente ? E ora riflettiamo
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al fatto che i giudizi che erano ongmariamente costitmtl nell'evidenza vivente come unità intenzionali nel modo del >, devono continuare a valere come oggetti che e s i s t o n o s e m p r e p e r n o i , che noi possiamo ottenere i n ogni momento come convin zioni che continuano a sussistere per noi dal momento della loro prima costituzione. La logica non si riferisce ai dati che si offrono in un'evi denza meramente attuale, bensì alle formazioni p e r m a n e n t i che in essa sono pervenute alla fondazione origi naria, a formazioni che d e v o n o s e m p r e e s s e r e r i a t t i v a t e e i d e n t i f i c a t e , e vi si riferisce come ad oggettualità che sono divenute d i s p o n i b i I i , e con cui si può operare, riafferrandole nel pensiero, e che si possono ancora produrre categorialmente come le stesse in formazioni sempre nuove. Ad ogni grado esse hanno i loro modi di identificabilità evidente, in ciascuno possono pre sentarsi come distinte, possono essere portate a connes sioni evidenti di conseguenza ed inconseguenza, e possono esser prodotte a partire da esse delle nuove connessioni di conseguenza mediante la cancellazione delle inconseguenze, ovvero mediante la modificazione corrispondente. È chiaro che la logica, con le sue generalità e leggi formali, presup pone giudizi, elementi categoriali di ogni tipo e grado, i l c u i e s s e r e - i n - s é s i s o l i d i f i c a n e l I ' i d e n t i t à . Essa presuppone ciò che viene assunto come ovvio da ogni essere pensante e da ogni comunità di pensiero: che ciò che io ho detto, l'ho detto: d e 1 1 a i d e n t i t à d e l l e m i e o p i n i o n i d i g i u d i z i o, delle mie convinzioni, i o p o s s o a c c e r t a r m i i n ogni momento al di là di ogni pausa d e 1 1 a m i a a t t u a l i t à c o g i t a t i v a , e posso ac certarmi con evidenza di esse come di un p o s s e s s o che permane e che può sempre essere rinnovato. Ora, tutti conoscono le illusioni occasionali che di fatto si verificano in questi casi, cioè gli s l i t t a m e n t i e l e c o n f u s i o n i d i p e n s i e r o , ma anche la pos sibilità di f i s s a r e il senso che ondeggia confuso, e di
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ridurre i giudizi vaghi a giudizi distinti e identificabili in modo determinato. Per quanto il vago possa avere una sua plurivoca determinabilità, colui che pensa trascorre verso una determinatezza che egli può identificare ripetutamente 1 65 con evidenza ; e cosi può accadere che la sua affermazione: è q u e s t o che intendo, significhi in fondo una deci sione della volontà: d'ora in poi voglio riconoscere sempre, come ciò che io intendo, questa cosa determinata. Ma un arbitrio solo momentaneo e pronto a modificarsi subito dopo non può essere preso qui in considerazione. Se colui che compie una dimostrazione ricorre nelle connessioni dimostrative a un giudizio precedente, deve dunque trat tarsi effettivamente dello stesso giudizio. La logica tradizionale e la matematica che teorizza nel l'atteggiamento diretto dell'ingenuità, non si creano a questo proposito gravi preoccupazioni. Esse, in fondo, p r e s u p p o n g o n o dunque che, attraverso il pensiero, l'identità si prolunghi nel modo dovuto, I'identità degli oggetti nel1 'atteggiamento ontico, la identità del senso oggettuale e dei giudizi in quello apofantico. Presuppongono dunque che nel caso concreto, n e 1 1 ' a t t i v i t à s p e c u 1 a t i v a d e i s i n g o l i s c i e n z i a t i , s i s i a g i à e f f e t t u a t a , n e l m o d o d o v u t o, una o p e r a z i o n e i n q u e s t o s e n s o, e suppongono, di fronte al modificarsi delle confusioni e delle oscurità, rispetto agli slittamenti di senso che vi sono possibili, di essersi già preoccupate di fissare oggetti e sensi rigorosamente iden tificabili. È facile, stando nell'atteggiamento diretto ed ingenuo, mettere in rilievo l'essere ideale dei giudizi come senso sempre identificabile, che il logico può rivendicare costan temente. Ma come è possibile una simile evidenziazione e una simile fissazione - dal momento che ci è possibile rivendicare la validità di questo essere ideale soltanto qualora ci sia dato di rendere effettivamente perspicua tale fissazione nel suo effettuarsi ? Questo essere ideale significa una ben particolare trascendenza: e s s o t r a s c e n d e l ' e v i d e n z a v o l t a a v o l t a v i s s u t a in cui il
Sezione seconda, Capitolo terzo. § 73
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giudizio, in quanto è questo giudizio, giunge a darsi at tualmente in se stesso. Per altro q u e s t a evidenza non può ancora valere per la n u o v a o p e r a z i o n e che si è resa necessaria, in cui ciò che si dà in sé deve acquistare il s e n s o e i l d i r i t t o d i u n a t r a s c e n d e n z a i d e a l e . Eppure abbiamo detto or ora che ogni essere pensante è senz'altro certo di poter produrre dei giudizi come qualcosa di sicuramente identificabile, sul cui essere e sulla cui accessibilità egli può far conto, anche se non vi è rivolto col pensiero. Se ora si richiede un 'evidenza particolare in questo senso, a c o m p l e m e n t o della prima, che porta l'oggettualità ideale ad offrirsi in se stessa, non v'è il pericolo che il p r o b l e m a s i r i p e t a , e così all'infinito ? Anche se il metodo impiegato nell'atteggiamento ingenuo può ottenere queste identità ideali (che la logica stessa p r e s u p p o n e come identità che debbano essere sempre riconquistate) e può produrle, come qui si richiede - e anche se con ciò il presupposto della logica può esibire un legittimazione originaria - f i n t a n t o c h é i l m e t o d o r i m a n e a n o n i m o n e l s u o u s o i n g e n u o, e i l s u o o p e r a r e i n t e n z i o n a l e n o n è p o s t o t e m a t i c a m e n t e i n l u c e , non ab biamo a l c u n d i r i t t o di considerare valida quella pretesa legittimità. O forse ci si vuole accontentare di rinviare all'empiria privilegiata delle scienze che hanno successo, cioè alla prassi degli scienziati, che certamente, nelle loro teorie, ottengono giudizi ben fermi ? Ci ricordiamo qui però dell'equivocità dei concetti fondamentali delle scienze, e di tutte le loro teorie, e dovremo ammettere quindi che non si può parlare di alcun risultato vero e proprio ; che abbiamo dunque a che fare con un i d e a l e che non è mai stato praticamente conseguito e che neppure è mai conseguibile. M a s e a b b i a m o a c h e f a r e c o n u n i d e a l e che la logica presuppone (la logica che esercita il più alto compito normativo per la possibilità della scienza autentica in generale) ci troviamo allora davanti al d i l e m"m a:
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O la logica opera essa stessa mediante una f i e z i o n e universale, e in questo caso è tutto fuorché normativa ; oppure è normativa ; e allora questo ideale è appunto una e f f e t t i v a n o r m a f o n d a m e n t a 1 e, pertinente in modo indissolubile alla possibilità della scienza autentica. Se è lecito quanto meno che cominciamo col rivolgerci di preferenza verso quest 'ultima concezione, tentando di giustificarla, i 1 p r o b 1 e m a m e t o d i e o ( i n s e n s o soggettivo) della logica si amplia per n o i d i u n e l e m e n t o e s s e n z i a l m e n t e n u o v o , e insieme si allarga il problema del metodo rivolto a ottenere i e o n e e t t i f o n d a m e n t a 1 i della logica. Di fatto, quell'ideale dell'identità dei significati delle enun ciazioni (presi nel loro senso plurivoco), ha le sue radici nel senso di tutti i concetti logici fondamentali. Perciò il metodo della realizzazione dell'unità di significato, che nella generalità formale appartiene ad ogni pensare con cretamente logico, cioè scientifico, e che va colto nella sua generalità, è u n e I e m e n t o e o s t i t u t i v o d e I m e t o d o d e l l a c o n f i g u r a z i o n e d e i e o n e e t t i f o n d a m e n t a I i d e 1 1 a I o g i e a . In senso particolare si tratta del p r o b I e m a d e 1 1 a e o s t i tuzione dell'identità ideale oggettivo n o r m a t i v a , con i gradi di approssimazione che - come è possibile prevedere - devono connettervisi in un rapporto essenziale. Ma il problema costitutivo si amplia ancora se pen siamo che l' e s p r e s s i o n e l i n g u i s t i c a , esclusa dalla nostra considerazione logica, è un presupposto essen ziale per un pensiero intersoggettivo e per un'intersogget tività della teoria che abbia idealiter un valore d'essere e quindi anche una identificabilità ideale dell'espressione in quanto espressione deve comportare un problema costi tutivo.
Sezione seconda, Capitolo terzo. § 74
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§ 74. Le idealità del E-così-via, delle infinità costruttive 1 67 e il loro correlato soggettivo.
La tematica intenzionale soggettiva di una analitica che (anziché arrestarsi al mero Formale analitico) voglia essere una vera epistemologia, voglia fondare seriamente la pos sibilità di una scienza vera e mettere seriamente a dispo sizione degli scienziati i principi di giustificazione del1'autenticità, conduce, come possiamo vedere, a delle pro fondità e vastità fenomenologiche insospettate. E per di più n o n a b b i a m o n e m m e n o p r e s o i n c o n s i d e r a z i o n e t u t t e l e i d e a l i z z a z i o n i che giocano una parte universale per un'analitica pura. Ricordo ancora soltanto la f o r m a f o n d a m e n t a l e (che non è mai stata rilevata dai logici) d e l >, della > i t e r a t i v a , che ha i l suo correlato soggettivo nel >. È chiaro che si tratta di una idealizzazione, dal momento che de facto nessuno può sempre di nuovo. Pure essa esercita dappertutto, nella logica, la sua funzione nella determina zione del senso. Si può r i t o r n a r e s e m p r e d i n u o v o ad una unità di significato ideale, e così a una unità ideale in generale - e per tanto l'> ine risce come parte fondamentale al problema del paragrafo precedente. P. es. si può sempre di nuovo avere, accanto ad un insieme [Menge], un insieme che ne sia disgiunto, e aggiungerlo al primo sommando. Per ogni numero a se ne può sempre formare di nuovo uno che sia a + 1, e formare così, a partire dall' l , la serie numerica di diverso senso
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Logica formale e trascendentale
e le infinità, come formazioni categoriali di nuovo genere (che tuttavia hanno la loro parte già nella sfera rappresen tativa pre-concettuale) si fanno evidenti. Questa evidenza appunto, in tutte le sue forme particolari, deve essere ora tematizzata. § 75. Il principio analitico di contraddizione e la sua conversione soggettiva.
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Facciamo ancora un passo avanti nella nostra esplora zione della problematica soggettiva. Nella pura I o g i c a d e 1 1 a c o n s e g u e n z a abbiamo a che fare con i principi della conseguenza e della contraddizione, e pro priamente anche della non-contraddizione esterna (che non si basa sulla conseguenza) 15 • D a u n p u n t o d i v i s t a o b b i e t t i v o , un giudizio è in contraddizione rispetto ad un altro se è o un'immediata contraddizione di que st'altro o mediatamente una contraddizione nei confronti della conseguenza di quello. La legge fondamentale ideale-oggettiva suonerà allora : O g n i g i u d i z i o c o n t r a d d i t t o r i o è > d a l g i u d i z i o c u i e s s o c o n t r a d d i c e . Ogni giudizio che è una conseguenza analitica di un altro, vi è >. L'ultima proposizione significa d a u n p u n t o d i v i s t a s o g g e t t i v o : Se qualcuno ha una intentio di giudizio, ed esplicitandosela scorge una qualche conse guenza analitica, egli non giudica soltanto di fatto la con seguenza, ma anzi > da così : nel mero rivolger l'attenzione alla forma sintattica, e nella coscienza dell'arbitrarietà dei nuclei che si presen tano direttamente, è consaputa la necessità, il non-potere altrimenti : nel modo più perfetto quando si trascorra ef fettivamente alla generalità formale. L'evidenza generale della conseguenza analitica, quando vi si voglia aggiungere 15
Cfr. anche i §§ 19 e 20.
Sezione seconda, Capitolo terzo. § 75
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la sua negazione, presenta obbiettivamente la impossibilità generale di questa unificazione, e soggettivamente l 'impos sibilità della credenza giudicativa, non soltanto per uno che giudichi di fatto, bensì per uno che giudichi in generale (nella evidenza della distinzione). Nessuno in generale può altro che negare, in simile connessione. Così pure chi si rappresenta due giudizi come compiuti da un qualsiasi essere giudicante e riconosce, nell'attuare la distinzione, che l'uno contraddice all'altro, non può che negare il giudizio congiuntivo formato sulla base di quei due. Ha qui dunque valore generale I a 1 e g g e f o r m a I e f o n , il senso di una logica analitica (senso al quale appartiene la ricerca effettuata nella positività ingenua), perciò noi la troviamo anche in tutte queste forme intrecciata con queste difficoltà fondamentali che restano a lei stessa nascoste (in grazia appunto di questa ingenuità)
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Logica formale e trascendentale
e che noi qui dobbiamo discutere, alla luce dell'idea di un'analitica, ristabilita nella sua purezza. La nostra ricerca ha un punto di partenza dato nel c o n c e t t o d e 1 1 a v e r i t à e nei che lo esplicitano assiomaticamente. Noi ci ricor diamo delle nostre analisi sull'origine circa i concetti di essere vero e di verità come legittimità di giudizio, nel loro retrospettivo rivolgersi all'offerenza originale (esperienza nel senso più stretto e nel senso più ampio) ed all'adegua zione 18 • Esse erano sufficienti allora al nostro scopo, che era quello di separare una pura analitica matematica (della mera non-contraddizione) rispetto ad una logica formale 1 71 della verità ; ma toccavano solo fuggevolmente - per es. nel caso delle distinzioni concernenti la perfezione dell'evi denza (in duplice senso) - alcuni dei luoghi oscuri dai quali, non appena ci si addentra in essi, procedono pro blemi di grande difficoltà. § 77. I presupposti idealizzanti inerenti a1 prmc1p1 di contraddizione e del terzo escluso.
Cominciamo con i problemi dell'evidenza dei . La loro evidenza deve pure esser fondata nella creazione evidente dei concetti di verità e di falsità. L' e n u n c i a t o d i c o n t r a d d i z i o n e esprime l'impos sibilità generale che giudizi contraddittori siano, insieme, veri (o falsi). Se noi indaghiamo sull'evidenza su cui si fonda questa impossibilità, ci accorgiamo che v'è in essa quanto segue : se un giudizio, nel senso di un'evidenza concreta positiva, dev'essere portato all'adeguazione, allora, a priori, il giudizio opposto che contrasta col primo, non soltanto è escluso come giudizio, ma non può neppure essere portato alla adeguazione. E viceversa. Con ciò non è ancor detto che in generale ogni giudizio possa essere portato all'adeguazione. Appunto ciò è impli-
18 Cfr. la sez. I, § 16, p. 49 [68 sg.) ; e, per i « principi logici *, §
20, p. 58 [81 ) .
Sezione seconda, Capitolo terzo. § 77
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cito nel p r i n c i p i o d e l t e r z o e s c l u s o , nonché nell'evidenza che ne costituisce il correlato soggettivo. Ogni giudizio dev'essere rapportato a 1 1 e (( c o s e s t e s s e >> che gli sono proprie, e dev'es sere orientato su di esse, in un'adeguazione positiva o negativa che sia. In un caso esso è evidentemente vero - nel riempimento e nella conferma secondo cui si attua la coincidenza con l'oggettualità categoriale intenzionata in ciascun giudizio, e che ora si offre >. Nel l'altro caso è evidentemente falso, in quanto cioè insieme con il riempimento p a r z i a 1 e dell'intentio propria del giudizio (della oggettualità categoriale come tale) si pre senta (( in se stessa >> un 'oggettualità categoriale che si op pone alla totale intentio del giudizio e la > [>] necessariamente. Una modificazione essenzialmente possibile della configurazione del giudizio dà luogo allora (come già sappiamo) anziché alla negazione che toglie di mezzo, nel senso della cancellazione, al g i u d i z i o p o s i t i v o dal senso predicativo modificato, che contiene come forma predicativa il negato ed enuncia con ciò la verità dell'opposto contraddittorio. Il principio del terzo escluso dunque si compone, in senso soggettivo, di d u e p a r t i . Esso non decide sol tanto che se un giudizio deve essere portato all'adeguazione, deve essere portato alla sintesi con le > in se stesse 1 72 che gli corrispondono, nel senso allargato di questa cor rispondenza, all'adeguazione positiva come a quella nega tiva ; bensì anche - quando non si ponga questo preli minarmente come principio particolare e a sé stante del l'evidenza - che, come s'è detto, o g n i g i u d i z i o i n l i n e a d i p r i n c i p i o p u ò essere portato a 1 1 ' a d e g u a z i o n e . Si intende qui > in una i d e a l i t à per la quale certamente non ci si è mai interrogati intorno ad alcuna evidenza che la legit timasse. Sappiamo tutti assai bene quanto pochi giudizi ciascuno riesca de facto e anche col maggiore impegno a rendere intuitivi ; eppure si deve poter intuire a priori il fatto che non si può dare alcun giudizio non evidente che
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non sia > passibile di esser reso evidente, e ciò nel senso di un'evidenza positiva oppure negativa. Non abbiamo ancora finito. Il duplice principio di contraddizione e del terzo escluso dice semplicemente che ogni giudizio è una delle due cose: o vero o falso. Esso non contiene alcuna parola soggettiva come >, benché verità e falsità attingano originariamente il loro senso e diritto all'evidenza. Un giudizio non è una volta vero e l'altra falso, ma vero o falso u n a v o l t a p e r t u t t e ; vale a dire : se esso è evidente una volta, se una volta si è palesato nell'evidenza di un'adeguazione riempiente, esso non può un'altra volta palesarsi come falso nell'evidenza dell'>. Si può dare appunto questo senso al tanto celebrato p r i n c i p i o d i i d e n t i t à , per cui A è A : che se A è vero ( dove A può essere inteso come un giudizio nel nostro senso più ampio) allora è vero una volta per tutte ; la verità cioè è una creazione che appartiene stabilmente al giudizio ideale identico. Si potrebbero poi aggiungere gli altri due principi: se in generale un A è vero, il suo opposto contraddittorio è falso, ed ogni giudizio è una delle due cose : o vero o falso. Ma si domanda se questa triplice articolazione sia omogenea, dato che l'> costituisce una svolta soggettiva che non si inse risce nei principi puramente oggettivi. Ma il senso dei principi logici, anche a questo punto, è ancora troppo sacrificato: già nella pura analitica mate matica avremmo potuto riferire l 'identità dei sensi d1 giu dizio a >: lo stesso giudizio non è soltanto, come m i a intentio permanente, l'unità ideale dei m i e i molteplici Erlebnisse soggettivi, bensì ciascuno può avere la stessa intentio - ragione per cui noi avremmo dunque dovuto sollevare già prima il problema dell 'evidenza uni versale intersoggettiva di questa identità. Poiché abbiamo preferito introdurre soltanto a questo punto il >, viene ora dunque ulteriormente in questione il senso proprio della logica, per cui una adeguazione che uno compia, 1 73 no n soltanto produce p e r I u i una volta per tutte I a
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verità, come una unità ideale, bensì che questa idealità si estende anche a ciascuno. Ciascuno può effettuare ciascun giudizio, e per ciascuno vale la possibilità di portare al1 'adeguazione questo giudizio e analogamente i relativi principi logici. In ciò, tutti si trovano con tutti in una perfetta armonia. Le straordinarie determinazioni di senso del concetto di verità della logica - del concetto di una verità m prmc1p1 soggettivi di evidenza.
Anche per i principi fondamentali che devono essere distinti sotto i titoli del modus ponens e del modus tollens, di cui soltanto il principio della deduzione analitica (ap partenente alla pura logica della conseguenza) si è presen tato come un autentico principio 17 , noi possiamo - in modo analogo che per il duplice principio di contraddi zione - realizzare la conversione in principi soggettivi di evidenza. Per il puro principio di conseguenza noi otte niamo come legge: che la p o s s i b i l i t à d e 1 1 ' e v i d e n z a d i > d e l g i u d i z i o a n a1 i t i c o d i p r e m e s s a c o m p o r t a n e c e s s a riamente la possibilità di una stessa e v i d e n z a d e l g i u d i z i o d i c o n s e g u e n z a. L'elemento nuovo nella conversione soggettiva del prin cipio corrispondente della logica della verità è che per via della realizzazione delle azioni sintattiche (categoriali) del giudizio-premessa sull'originarietà delle > (sulla 17 Cfr. sez. I, § 20. 1 6. - Husurl
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base dell'>) noi dobbiamo assodare la stessa possibilità d e 1 1 ' e v i d e n z a c o n c r e t a anche per le azioni predicative. Naturalmente anche questi principi di evidenza non offrono un'autochiarificazione dei loro problemi e inoltre tutte le difficoltà della comprensione delle leggi d'evidenza a priori che possono essere indicate per i precedenti principi appartengono anch'esse al prin cipio che è qui in discussione. Tutte quante esigono uno studio riflessivo di queste evidenze, della sua origine, struttura, del suo operare proprio. 1 74 § 79. I presupposti della verità e falsità m sé e della decidibilità di tutti i giudizi. Rifacciamoci ora ai primi principi, quelli che in certo modo definiscono verità e falsità, e che appunto per ciò stanno all'inizio. Per essi, verità e falsità significano pre dicati di giudizi, ma n o n c a r a t t e r i e s s e n z i a I i p r o p r i o > (secondo il linguaggio tradizionale) dei giudizi stessi. Non è possibile > immediatamente nei giudizi. Possedere dei giu dizi che si danno > non è lo stesso che possedere > I 'uno o l'altro di questi predicati. Non è lecito dire che, nel vero senso del termine, sia essenzialmente propria ai giudizi una p r e t e s a a 1 1 a v e r i t à ; e perciò non è giusto assegnare anticipatamente questo concetto di pretesa alla verità al concetto di giu dizio. Esprimendoci soggettivamente: non è necessario, per chi giudica, di proporre nello stesso tempo la verità, si tratti di verità intuitiva o vuota. Si deve badare qui al duplice senso della parola a s s e r z i o n e , mediante cui si sogliono definire i giudizi. Il senso corrente e, in certo modo, il senso caricato di asserzione esprime: io ne rispon do ; è vero ; si può mostrarlo a piacere mediante l'adegua zione. Ma la possibilità dell'adeguazione è già preceduta dal giudizio che potrebbe sempre intervenire in essa. Giu-
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dizio è credenza categoriale ( >, dal punto di vista grammaticale) - nel ristretto senso usuale: certezza categoriale immodalizzata - e non dunque di già un essersi persuasi per via di testimoni e testimonianze di qualsiasi genere, né delle testimonianze più radicalmente decisive: le >. Dunque, nella loro propria essenza, i giudizi non hanno assolutamente il carattere di una pretesa alla verità o alla falsità, ma ciascuno di essi può assumere in sé l 'intenzione pratica rivolta alla verifica, al >, o alla decisione se sia giusto o no ; e sog gettivamente, in quanto giudizio che si compie nel pensiero che giudica, esso può entrare nelle connessioni intenzionali - che devono essere distinte con maggiore precisione della conferma e della verifica evidente ; connessioni il cui chiarimento rappresenta, a sua volta, un compito importante del lavoro logico rivolto in senso soggettivo. In conformità al senso originario della logica apofantica e della sua relazione essenziale alla c r i t i c a d e 1 g i u d i z i o , ogni giudizio (come già abbiamo avuto occasione di considerare) viene pensato anticipatamente d a 1 1 o g i c o come a s s e r z i o n e c h e d e v ' e s s e r e c o n v a 1 i d a t a , dunque nell'intenzione conoscitiva ; ciascun giudizio quindi è pensato come tale che dev'essere messo in questione, e perciò ogni verità è pensata come una deci sione, che sia raggiunta mediante una diretta evidenza giu stificatrice o mediante l 'evidenza di un metodo mediato. Ora, lo scienziato che vive nella volontà del conoscere deve poter decidere della legittimità di ogni giudizio che 175 è ancora cosi indeciso, e per trovare appoggio di fronte alle questioni dubitative e alle obiezioni critiche, egli deve trattare a loro volta, riesaminandole se occorra, anche le questioni già decise in tale modo ; e così per il logico e per la logica nella posizione della positività è s e m p r e g i à d a t a a n t i c i p a t a m e n t e u n a c o n v i nz i o n e f o n d a m e n t a 1 e , quella appunto che, ine spressa, funge da guida a ogni scienziato nel suo campo: quella della v e r i t à i n s é e della f a 1 s i t à i n s é. P e r n o i molti giudizi restano privi della decisione con-
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cernente la loro legittimità, e la maggior parte dei giudizi possibili in generale non sono per noi de facto cosi decidi bili ; ma lo sono i n s é . O g n i g i u d i z i o , i n s é , è d e c i s o ; il suo predicato di verità o falsità > alla sua essenza - benché, come è stato indicato sopra, non rappresenti un carattere costitutivo di alcun giudizio in quanto giudizio. E questo è assai importante. Naturalmente il discorso concerne sempre giudizi sicu ramente identificabili, che possono essere a f f e r m a t i da noi e cosi da chiunque (nell'idealizzazione accennata), e come tali possono essere sempre ripresi. Noi dunque non vogliamo parlare ora di questi presupposti fondamentali e delle difficili questioni e ricerche che li concernono (siano tali ricerche realizzate o tralasciate), benché doves simo costantemente averle presenti, in quanto qui esse ci riguardano da tutti i punti di vista. In ogni caso, in quanto logici, noi procediamo nella certezza che si diano giudizi identici attingibili. Ma ora essi debbono essere >. E ciò significa: m e d i a n t e u n > , mediante un tramite di p e n s i e r o c o n o s c e n t e , in sé sussistente e praticabile, che porta immediatamente o mediatamente a un'adeguazione, a un farsi evidente della verità o falsità di ogni giudizio. Con questo, ad ogni sog getto di giudizio possibile e dunque ad ogni uomo e ad ogni essere pensabile viene imposto un a priori stupefacente ; stupefacente, giacché come ci è dato di sapere a priori che > tramiti speculativi con certi risul tati finali, tramiti da percorrere ma mai percorsi, azioni speculative di forme soggettive sconosciute, effettuabili ma mai effettuate ? § 80. L'evidenza del presupposto della verità, e il compito di sottoporla a una critica.
D 'altra parte noi possediamo pure, de facto, la cono scenza, possediamo l'evidenza, e in essa la verità cui tende o la falsità che respinge. Abbiamo posseduto di fatto giu-
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dizi non ancora risolti secondo quella alternativa, li abbiamo di fatto interrogati, ed abbiamo presupposto con sicurezza che dovessero essere risolti positivamente o negativamente ; e spesso ne è derivata la decisione che soddisfaceva a 1 76 questo presupposto che non era mai stato prima formulato. Se ora noi, in qualità di logici, abbiamo determinato il principio di contraddizione e quello del terzo escluso, questo non è forse avvenuto sulla base di una generaliz zazione essenziale che procede da quei casi singoli assunti con valore di esempio, e dal tentativo eventuale, effettuato di fatto su di essi, di pensare diversamente, in base ad una generalizzazione evidente apodittica ? E non è così che abbiamo afferrato la verità generale incondizionata di questi principi, e, nel tentativo della negazione, l'impos sibilità generale incondizionata dell'esser-altrimenti ? Na turalmente, invece che verità e falsità reali, avremmo potuto sceglierne di p o s s i b i 1 i , con le loro giustificazioni, addentrandoci con la pura fantasia in una qualsiasi attività di giudizio, e fantasticando tra noi secondo un'esplicita intuitività le vie dell'adeguazione positiva o negativa alle cose possibili corrispondenti. La generalizzazione essenziale non è legata al >. Dal momento che, se anche pro ceda da un fatto reale, deve variarlo liberamente, traspo nendolo dunque in fatti idealmente possibili, essa può pro cedere anche muovendo da libere possibilità. Rispetto a ciò naturalmente non v'è nulla che si possa obiettare in prima istanza. Prima di tutto, che sussistano delle verità in sé che possono essere indagate e verso le quali possano anche essere trovate delle vie già tracciate di accesso, è anche una delle ovvietà della vita che non presentano problemi. Non si chiede mai s e si dia una verità, bensì se mai soltanto c o m e possa essere raggiunta, o in ogni caso se per la nostra capacità conoscitiva, di fatto limitata, tale verità non sia in generale irraggiungibile, o se invece sia tale soltanto in rapporto alle nostre insuffi cienti conoscenze attuali e agli strumenti metodici ausiliari. In tal modo, benché sempre entro determinati limiti, ac canto agli ambiti delle verità conoscibili, che rendono
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possibile una vita pratica, abbiamo anche gli inesauribili territori conoscitivi delle scienze. La loro possibilità si fonda semplicemente ed esclusivamente sulla certezza che i loro ambiti sussistano veramente, e che in rapporto ad essi sussistano delle verità teoriche in sé, verità che debbono essere concretate attraverso tramiti conoscitivi da ricercare e da praticare passo passo. Non vogliamo trascurare nessuna di queste considera zioni >, che certamente hanno tutte il valore di evi denza. Ma questo non ci deve trattenere dal sottoporle ad una critica, di i n t e r r o g a r l e c i r c a i l 1 o r o s e n s o p e c u 1 i a r e e 1 a 1 o r o p o r t a t a . Le evi denze del giudizio possono avere dei p r e s u p p o s t i - non propriamente ipotesi, ma presupposti coimplicati 1 77 nel regno dell'evidenza dei sostrati concreti, e che dunque partecipano a fondare le verità e le falsità, - i quali non pervengono alla fissazione evidente appunto perché l'in teresse conoscitivo non segue questa direzione, e si tratta forse di ovvietà di un tipo tale per cui nell'ambito cono scitivo corrispondente rivestono sempre in ugual modo una loro parte sempre uguale, che proprio per ciò non è oggetto di interesse. Si presti attenzione, p. es., al regno smisurato dei g i u d i z i o c c a s i o n a 1 i , che hanno anch'essi la loro verità e falsità intersoggettiva. Essa si basa chiaramente sul fatto che tutta la vita quotidiana del singolo e della comunità è rivolta a una s i m i 1 a r i t à t i p i c a d e 1 1 e s i t u a z i o n i , in modo che ciascuno che entri nella situazione in qualità di uomo normale ha eo ipso il relativo e comune o r i z z o n t e s i t u a z i o n a 1 e . Si può esplicare a poste riori questo orizzonte, ma l' i n t e n z i o n a 1 i t à c o s t i t u t i v a d ' o r i z z o n t e , per la quale il mondo circo stante della vita quotidiana è in generale un m o n d o d ' e s p e r i e n z a, precede sempre l'esplicitazione di chi si pone nell'atteggiamento riflessivo. Ed essa è ciò che determina essenzialmente il senso dei g i u d i z i o c c a s i o n a 1 i , sempre più in là e assai più in là di quanto è detto e può essere detto espressamente
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e determinatamente nelle parole stesse 18 • Si tratta di > che, in quanto elementi di implicazione inten zionale e inclusi nell'intenzionalità costituente, determinano già costantemente il senso oggettuale del raggio d'esperienza più vicino, e che perciò hanno un carattere totalmente diverso dai presupposti nel senso delle premesse e in ge nerale dai presupposti idealizzanti del giudicare predicativo dei quali abbiamo parlato finora. Nell'astrazione formale del pensiero logico e nella sua ingenuità, tali presupposti mai formulati vengono facilmente trascurati e perciò può accadere che venga assegnata anche ai concetti e principi logici fondamentali una falsa portata. In generale si è già chiarito, in base ai frammenti di una critica dell'evidenza da noi finora esposti; che l 'evidenza è dapprima un > e attuato nell'ingenuità, che deve essere indagato circa il modo in cui è prodotto ; è cosi che si apprende che cosa vi si possegga realmente nell'originale come in una coscienza nel modo del possesso della cosa stessa, e con quali o r i z z o n t i . La necessità e il significato di questa critica estremamente approfondita 178 dell'operare riuscirà certamente comprensibile in misura assai maggiore dal seguito. E ne risulterà anche la spiega zione del perché la domanda, c h e c o s ' è 1 a v e r i t à ? non è affatto la questione oziosa di una dialettica che si dibatte tra il negativismo o il relativismo scettico da una parte e l 'assolutismo logico dall'altra ; bensl un grave pro blema di lavoro, che riposa su un terreno di concretezza e che richiede ricerche estremamente ampie. Sarà dato scorgere da sempre nuovi lati che se la logica non è in grado di soddisfare all 'idea di un'autentica dottrina della scienza, e quindi di assurgere a norma di tutte le scienze, ciò dipende innanzi tutto dal fatto che alle sue generalità
18 Nelle Logische Untersuchungen non possedevo ancora la dottrina dell'intenzionalità d'orizzonte, il cui valore universalmente determinativo è stato rilevato per la prima volta dalle Ideen. Perciò in quella prima opera non potevo venire a capo dei giudizi occasionali e del loro significato.
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formali manca la critica intenzionale, che prescriva il senso e i limiti di un uso fruttuoso. § 81. Formulazione di problemi ulteriori.
Il nostro tema presente, concernente il senso della in sé >> logica, o anche della >, ovvero la critica dei principi che la riguardano, ha in sé diversi aspetti problematici che tuttavia sono cosi stret tamente aggrovigliati da presentare serie difficoltà per una esposizione. Abbiamo già accennato al senso problematico del >, imparentato con il > ; ma non siamo ancora pervenuti a una piena chia rificazione. V'è poi la problematica che si rivela mediante il r i f e rimento della verità predicativa agli o g g e t t i - s u b s t r a t o e infine ai >, agli oggetti di possibile >. Questi oggetti, il concreto [das Sachliche] in senso ultimo, sono l' > nel senso della logica tradizionale; l'esperienza è, eo ipso, v e r i t à o g g e t t i v a; è verità in sé per > [>], - « oggetti >> di un m o n d o o g g e t t i v o . In quanto > di tal genere, essi sono a loro volta giudicabili >, e non soltanto in generale, bensl, come s'è detto, in modo tale che o g n i giudizio sia decidibile secondo verità (e falsità) in sé. Con ciò è anche connesso il fatto che il senso di questo essere degli oggetti nella logica tradizionale di regola è pensato nel senso di un e s s e r e a s s o l u t o , cui la relazione alla soggettività conoscente e alle sue > soggettive, reali o possibili, non sia essenziale. L'essere assoluto di tutti gli oggetti ha il suo correlato in una v e r i t à a s s o 1 u t a che esplica completamente tale essere risolvendolo in predicati. 1 79 Con tutto quanto precede vanno messi in rapporto i corrispondenti problemi dell'evidenza, che devono essere . Si deve ora considerare la r e 1 a t i v i t à in cui tali principi lasciano i n u c 1 e i g e n e r a 1 i i n d e t e r m i n a t i . �Per es. la forma del giudizio categorico e m articolar mente del giudizio determinante mediante l'aggettivo, no ' .
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dice nulla su questo punto: se soggetto e predicato di giu dizio non contengano già, nel nucleo stesso, forme sintattiche ; il soggetto S, assunto come forma, si particolarizza altrettanto bene, formalmente, in S che è a, S che è a è b, o S che è in relazione con Q ecc. Con ciò rimane pos sibile che in ciascuna di queste forme la S stessa abbia già in sé forme sintattiche di quel tipo. Cosi pure, dal lato del predicato, la p può già comportare in sé una deter minazione categoriale (come in: p che è q, p. es.: rosso sangue) e così in un intreccio quanto si voglia complesso. Si deve tuttavia cogliere a priori il fatto che o g n i g i u d i z i o r e a 1 e e p o s s i b i 1 e r i c o n d u c e - se inseguiamo le sue sintassi - a n u c 1 e i u 1 t i m i, ovvero che esso è, in ultima analisi, una costruzione sintattica (anche se magari assai mediata) che si basa su n u c l e i e l e m e n t a r i, c h e n o n c o n t e n g o n o p i ù s i n t a s s i a l c u n a . Cosi, se muoviamo dall' a g g e t t i v o s o s t a n t i v a t o e ci lasciamo guidare dal suo senso, siamo ricondotti all' a g g e t t i v o o r i g i n a r i o , ovvero al giudizio più originario cui esso appartiene, e in cui esso si introduce come forma originaria irriducibile. Cosi pure una generalità di grado superiore (come p. es. della specie formale logica rappresentata dalla forma del giudizio) ci riconduce a generalità di grado inferiore (secondo l'esempio fatto, le forme particolari del giudizio). E resta sempre chiaro che noi ci rifacciamo, riduttivamente, all'elemento u l t i m o che corrisponde di volta in volta, dunque, a s u b s t r a t i u l t i m i , o - in senso formale logico a s o g g e t t i a s s o l u t i (non più predicati nomina lizzati o relazioni ecc.), a p r e d i c a t i u l t i m i (non più predicati di predicati e simili), g e n e r a l i t à u l t i m e , r e l a z i o n i u l t i m e 19 • Ciò tuttavia dev'essere inteso nel suo giusto signifi cato. Nella logica del giudizio, come abbiamo osservato, i giudizi sono sensi, > di giudizio intese come 19
Cfr. sotto, a questo proposito, l'Appendice I.
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Logica formale e trascende11tale
oggetti. In conformità con ciò la riduzione esprime il fatto che noi t e n e n d o d i e t r o p u r a m e n t e a 1 1 e >, perveniamo ad > d i u n Q u a l c o s a - u l t i m o , dunque in primo luogo, in rapporto agli oggetti di giudizio intenzionati, perve niamo alla i n t e n z i o n a l i z z a z i o n e d i o g g e t t i p o r t a n t i a s s o l u t i . E inoltre che noi, nei g_i_µ_g.itj ultimi, su cui si costruiscono_ i_ giudizi di_�di diversi, retrocediamo alle m o d i f i c a z i o n i c a t e g o r i a l i E. r i m_i_t i v _e d e l s e n s o : a s_� o l u t o Qu a l c o s l!_, assolute proprietà, relazioni ecc. - ç Q !ll_e_ _ s _e 11 s i_. Per la mathesis universalis intesa come matematica for male, queste questioni ultime non rivestono alcun interesse particolare. La cosa è del tutto diversa per la l o g i c a d e l l a v e r i t à , giacché gli oggetti-substrati ultimi sono i n d i v i d u i , dei quali v'è molto da dire sul piano della verità formale, e a i q u a l i i n d e f i n i t i v a o g n i 1 81 v e r i t à s i r i p o r t a . Se si resta sul terreno formale della analitica pura, e se dunque l'evidenza che serve ad essa si riferisce soltanto ai puri sensi di giudizio che si effettuano nella distinzione, non si può dare fondamento alla proposizione appena espressa ; non si tratta cioè af fatto di una proposizione . Per comprenderla, ci si devono r e n d e r e i n t u i t i v i i n u c l e i e s t r e m i , e attingere la pienezza dell'adeguazione, an ziché dall'evidenza dei sensi apofantici 10, dall'evidenza delle > che corrispondono loro. Sul piano logico-analitico invece, si può dire questo, ma questo soltanto : che devono esservi nel senso certi elementi di senso quali ma teriali-nucleo ultimi di tutte le forme sintattiche, e che si è riportati a connessioni giudicative di giu dizi ultimi con substrati . D a u n p u n t o d i v i s t a a n a l i t i c o n o n s i p u ò e n u n•0 [Seguiamo la trad. della Bachelard che aggiunge « apofantici o al testo ; questa precisazione è utile a evitare la confusione con i « sensi o della vista, del tatto ecc.]
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ciare nulla circa la possibilità e la s t r u t t u r a e s s e n z i a l e d i i n d i v i d u i ; lo stes so fatto che ad essi p. es. sia necessariamente propria una f o r m a t e m p o r a l e , una durata e un riempimento qualitativo della durata ecc., è cosa che possiamo sapere soltanto a partire da una evidenza di cose [sachlich] e che può introdursi nel senso solo mediante una preliminare operazione sintattica. § 83. Riduzione parallela delle verità. Tutte le verità ricondotte a un mondo di individui.
Alla riduzione dei giudizi a giudizi ultimi con senso ultimo, corrisponde una r i d u z i o n e d e 1 1 e v e r i t à , dalle verità di g r a d o s u p e r i o r e a quelle di g r a d o i n f e r i o r e , cioè a verità c h e s o n o r i f e r i t e d i r e t t a m e n t e a 1 1 e r i s p e t t i v e c o s e [ Sachen] e s f e r e d i c o s e , ovvero, dal momento che i substrati esercitano le funzioni di guida, s o n o r i f e r i t e a o g g e t t i i n d i v i d u a I i nelle 1 o r o s f e r e d i o g g e t t i v i.!__L= oggetti individuali che dunque non . È in ciò che consiste la possibilità di determinazione mediante oggetti in gene rale scelti a piacere, che certo a loro volta potrebbero essere formazioni analitico-formali, per le unità delle quali vale la stessa cosa, e così in infinitum. Al senso di quanto pre cede inerisce tuttavia anche la possibilità di un uso in rap porto a cose prese a piacere, e con ciò saremmo ricondotti a quanto si è già detto. Così di fatto, qualsiasi generalità, nel suo ambito, ha un rapporto ultimo di applicabilità ad individui, si tratti di individui delimitati da generalità di ordine materiale oppure anche di individui presi piena mente ad arbitrio. Risponde al senso della logica formale - e quindi di ogni forma di generalità analitico-formale come funzione epistemologica - di voler servire a scopi scientifici che riguardano il contenuto. Nonostante ogni sua libertà di conformazioni iterative di forme, e nonostante ogni suo riferirsi alla scientificità che le è propria, anche in queste iterazioni e in questo riferimento, la logica formale non vuole restare un gioco di pensieri vuoti, bensì servire alla conoscenza concreta. Dunque, il suo possibile impiego, in ultima analisi, su individui, significa anche che l 'analitica formale è rivolta t e l e o l o g i c a m e n t e su tutte le possibili sfere i n d i v i d u a l i che dunque, dal punto di vista logico, sono il primo in sé.
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§ 84. Stratificazione graduale delle evidenze : l 'evidenza in sé prima è quella dell'esperienza. Concetto pregnante di esperienza.
Se ora viene in considerazione la verità, e correlativa mente l'evidenza mediante cui essa dev'essere fatta propria originariamente, quanto s'è detto or ora assume grande importanza. La g r a d u a z i o n e dei giudizi e dei loro sensi di giudizio segue quella delle e v i d e n z e , e 1 e v e r i t à e d e v i d e n z e i n s é p r i m e debbono essere quelle i n d i v i d u a 1 i . I giudizi che si danno nella forma soggettiva di riempimento dell'evidenza, e pro priamente di quella che è effettivamente la più originaria, quella che afferra originariamente e i n m o d o d e 1 t u t t o d i r e t t o i substrati e gli stati di cose, debbono essere a priori i g i u d i z i i n d i v i d u a 1 i . Gli individui sono dati mediante l'esperienza, e s p e - 183 r i e n z a n e l s e n s o p r i m o e p i ù p r e g n a n t e, che si definisce appunto come relazione diretta a 1 1 ' i n d i v i d u a 1 e . Dove l'esperienza - se noi assumiamo come g i u d i z i d ' e s p e r i e n z a i gruppi dei giudizi di evidenza più originaria - deve però in certo modo essere assunta in un senso ampio, non soltanto come sem plice darsi di un esistente individuale in sé, e dunque nella certezza d'essere, bensì in modo da comprendere anche le m o d a I i z z a z i o n i di questa certezza, che può tra sformarsi in presunzione, probabilità, ecc. Ma di fronte a t u t t e queste forme di esperienza reale [wirklich], cioè posizionale, dev'essere presa in considerazione anche l'espe rienza >, l' > - possiamo anche dire : >, che in una modificazione corrispondente, e del tutto lecita, di atteggiamento, diventa esperienza posizionale di un individuale possibile. Naturalmente, all'esperienza come-se, appartengono modalità-come-se parallele, mo dalità del modo primario della certezza d'essere-come-se.
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Logica formale e trascendentale
§ 85. I veri compiti della cosiddetta teoria del giudizio. La genesi del senso dei giudizi come filo conduttore per stabilire l'ordine stratificato delle evidenze.
Quanto è stato or ora considerato ci permette di intendere i v e r i c o m p i t i della >, di cui si è tanto parlato, e che peraltro è rimasta finora piuttosto sterile, per la mancanza di ogni compren sione del tipo di ricerche rivolte in senso soggettivo, neces sarie per i giudizi nel senso della logica e per i concetti fondamentali che vi si riferiscono. 1 . Se la confusione generale poteva essere illuminata solo in quanto (superando l'indistinzione psicologistica) ve nissero separati il g i u d i c a r e e i g i u d i z i s t e s s i (la formazione ideale, la proposizione espressa) - non era perciò possibile che fosse posto giustamente un problema sensato r i v o 1 t o i n s e n s o s o g g e t t i v o , fintan toché l'essenza propria dell'intenzionalità in generale non fosse intesa come operazione costituente, e dunque finché l'intenzionalità di giudizio non fosse intesa come l'opera zione costituente per le formazioni ideali di giudizio - e in particolare l'intenzionalità del giudicare evidente come costituente delle formazioni ideali di verità. Cosi, in con formità con quella distinzioae tra giudicare e giudizio, il p r i m o p r o b I e m a d i g i u d i z i o per la logica che dev'essere costruita a partire di qui, è di portare a fondo i chiarimenti fenomenologici che si presentano con il ritorno all'intenzionalità nel suo differenziato operare ; 1 84 chiarimenti in cui i d i v e r s i c o n c e t t i d i g i u d i z i o d e 1 1 a I o g i c a si vengono specificando, in con formità con la loro origine, come c o n c e t t i f o n d a m e n t a I i per le varie discipline della logica, e al tempo stesso divengono comprensibili nella loro relazione reci proca. 2. Quando questa serie di ricerche sia stata compiuta - quella stessa che noi abbiamo tentata nelle parti prece denti di questo scritto - divengono allora necessarie r i f I e s s i o n i r i d u t t i v e del tipo di quelle che ci
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hanno poco sopra occupati 2 1 • Muovendo da queste, si svelano le i m p l i c a z i o n i i n t e n z i o n a l i n a s c o s t e , come sono incluse nel giudicare, e rispettiva mente nel giudizio stesso come formazione del giudicare. I g i u d i z i , i n q u a n t o s e n s i , h a n n o d u n q u e u n a g e n e s i d i s e n s o. Che cosa ciò significhi, lo si intende muovendo dai r i n v i i fenomenologici che, p . es., un predicato nomi nalizzato (il rosso) reca in sé noeticamente in direzione di una attività nominalizzante, noematicamente verso il pre dicato nella sua originarietà (rosso). Qualsiasi ulteriore forma di senso nominalizzata (come , ) presenta appunto siffatti rinvii fenomenologici alla forma più originaria corrispondente, ovvero alle rela tive attività nominalizzanti ; e così anche ogni determina zione attributiva nel soggetto rinvia all'originarietà della determinazione come predicato, ecc. Qui si presenta, g i à p e r l a m o r f o l o g i a , e in secondo luogo per procedere verso un' a n a l i t i c a d e l l a c o n s e g u e n z a, u n p r i n c i p i o d i o r d i n a m e n t o g e n e t i c o , che diviene insieme deter minante per la trattazione specificamente logica dell'ana litica, che ha il proprio compimento con i concetti e le proposizioni di v e r i t à. In senso soggettivo ciò significa che l ' o r d i n a m e n t o pretracciato d e 1 1 e f o r m e d i g i u d i z i o n a s c o n d e a n c h e i n s é u n o r d i n a m e n t o prefigurato d e 1 1 ' e v i d e n z a n e l s u o c o n c r e t o f a r s i e , al livello inferiore, d e 1 1 e c o s e s t e s s e v e r e. Svelare la genesi di senso dei giudizi significa - per esprimerci in modo più preciso - la stessa cosa che il dispiegamento dei momenti di senso impliciti nel senso che si presenta scopertamente, e che gli appartengono essen zialmente. I giudizi, come prodotti finiti di una o >, possono e debbono essere interrogati :n Cfr. §§ 82 e 83. 17. - Husrerl
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in conformità con essa. È appunto la proprietà essenziale di tali prodotti il fatto che essi siano sensi che portano in sé come implicazione di senso della loro genesi una specie di storicità: che in essi, gradualmente, il senso rimandi al senso originario e alla relativa intenzionalità noematica ; che si possa dunque interrogare ogni formazione di senso secondo la s t o r i a d i s e n s o c h e l e è e s s e n z i a l e. Questa straordinaria proprietà appartiene all'universalità della coscienza in generale come intenzionalità operante. Tutte le unità intenzionali provengono da una genesi in tenzionale, sono unità > e dovunque le unità > possono essere interrogate circa la loro costi tuzione, la loro genesi complessiva, e ciò invero secondo la loro forma essenziale che deve essere afferrata eidetica mente. Questo dato di fatto fondamentale, che abbraccia nella sua universalità l'intera vita intenzionale, è quello che determina il s e n s o v e r o e p r o p r i o d e 1 1 e analisi intenzionali come svelamento d e 1 1 e i m p l i c a z i o n i i n t e n z i o n a l i , con le quali, rispetto al senso già del tutto compiuto delle unità, si fanno avanti i loro momenti nascosti di senso e le re lazioni > di senso. In ogni caso noi comprendiamo ciò nel giudizio, e in particolare si comprende ora anche che n o n s o l t a n t o i l s e n s o aperto o c o m p i u t o, b e n s ì a n c h e q u e l l o i m p l i c i t o d e v e s e m p r e p o t e r s i e s p r i m e r e , e che esso in particolare partecipa di una funzione essenziale nel pro cesso di evidenziazione (cioè, qui, nella nostra sfera logica, l'evidenziazione dei principi logici). Ciò tuttavia, come risulterà chiaro, non riguarda meramente le implicazioni sintattiche, bensì anche la genesi in profondità che appar tiene già ai > ultimi e che rimanda alle origini sulla base di esperienze. Senza che ci siamo chiariti tutto questo, non possiamo neppure disporre di principi logici, e non sappiamo quali presupposti nascosti possano trovarsi in essi.
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§ 86. L 'evidenza dell'esperienza antepredicativa come tema in sé primo della teoria trascendentale del giudizio. Il giudizio d'esperienza come giudizio d'origine.
Il grado più basso cui noi perveniamo - procedendo a ritroso sul filo conduttore della genesi di senso - ci conduce, come già sappiamo, ai g i u d i z i i n d i v i d u a I i e con ciò, per i giudizi evidenti (nel senso della visione [Erschauung] degli stati di cose in se stessi), a evidenze individuali della forma più semplice: sono i sem plici g i u d i z i d ' e s p e r i e n z a, giudizi su dati della possibile percezione e del ricordo possibile, normativi per la correttezza delle > predicative categoriche del livello individuale più basso. Utilizziamo un principio tratto dalla teoria generale della coscienza e dalla fenomenologia della genesi univer sale di coscienza. Esso afferma che la c o s c i e n z a d e I m o d o d e I d a r s i n e 1 1 ' o r i g i n a I e per ogni tipo di oggettualità, p r e c e d e tutti gli altri modi di coscienza che vi si riferiscono, come geneticamente secondari. La coscienza che si dà originalmente, trascorre sempre, sulla via della protensione e della ritenzione, in coscienza che non si dà originalmente, in coscienza vuota. Anche la rime morazione, per quanto possa essere intuitiva, rappresenta il destarsi di una coscienza vuota e rimanda alla prece dente coscienza originale. Perciò, dal punto di vista di questa genesi, I a t e o r i a d e I g i u d i z i o p r i m a i n s é è l a t e o r i a d e i g i u d i z i e v i d e n t i, e il primo in sé in una teoria dei giudizi e v i d e n t i (e perciò in una teoria del giudizio in gene rale) è I a r e t r o c e s s i o n e g e n e t i c a d e I I e e v i denze predicative all ' ev i denza non p r e d i c a t i v a, che porta allora il nome di e s p er i e n z a . Questa evidenza interviene anche nel giudicare che occupa geneticamente il livello più basso, sotto corri spondenti configurazioni intenzionali, e, in rapporto al suo proprio prodursi, nella stessa formazione predicativa.
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Qui siamo di fatto davanti al p r i n c i p i o in sé p r i m o d i u n a t e o r i a s i s t e m a t i c a d e l g i u d i z i o , come teoria che tien dietro appunto alla genesi sistematica essenziale del giudizio che si attua originaria mente presso le cose stesse, del giudizio >, e segue poi le vie nettamente predeterminate che ci ripor tano, in questa genesi, a livelli superiori, a partire da ciò che è in sé primo. Proprio in questo punto di partenza consiste anche il luogo sistematico dal quale è possibile s c o p r i r e , m u o v e n d o d a 1 g i u d i z i o , che certezza e modalità di certezza, che intenzione presumente e riempimento, essere identico e senso identico, possesso evidente della cosa stessa, verità d'essere (essere >), verità come giu stezza di senso, - che tutte queste cose n o n s o n o e s c l u s i v a m e n t e p r o p r i e d e l l a s f e r a p r e d i c a t i v a, b e n s ì a p p a r t e n g o n o g i à a l 1 ' i n t e n z i o n a 1 i t à d e 1 1 ' e s p e r i e n z a . A par tire di qui esse vanno seguite nelle offerenze originali (cioè evidenze) del grado superiore, p. es. nell'offerenza delle v a r i a z i o n i p i ù p r o s s i m e d e 1 1 ' i n d i v i d u a 1 e (qualità, relazione, ecc.) e in particolare nell 'evi denza del g e n e r a 1 e (che dev 'essere attinto all'espe rienza individuale) con il suo valore di estensione rispetto a individui. Così si perviene dal g i u d i z i o d i e s p e r i e n z a , e proprio dal più immediato della forma categorica, a 1 1 a e s p e r i e n z a e a l l a m o t i v a z i o n e d i u n a l1 a r g a m e n t o d e 1 c o n c e t t o d i g i u d i z i o , che è implicito nel concetto humeano di belief. Certo, questo concetto più ampio rimane bloccato, storicamente, in una concezione rozza e addirittura assurda. La sua insufficienza risulta già dal fatto che l 'identificazione di giudizio e > rende subito necessaria una > che presume di fondare questa >. Non è qui il luogo per dilungarci in una critica al proposito. Il sensua187 lismo di L o c k e , che giunge al proprio compimento in H u m e e in J . S t . M i 1 1 e che nella filosofi.a moderna
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diviene quasi universalmente dominante, trova in questo belief u n m e r o d a t o d e 1 1 a >, non molto diverso da un dato della >, come p. es. un dato sonoro e un dato olfattivo. Una volta impigliati nel p a r a 1 1 e I i s m o d i u n ' e s p e r i e n z a > e d u n a >, ovvero della sfera dell'essere psichico individuale (di quello che, si pensava, viene colto nell'esperienza immanente nel suo essere reale) e della sfera dell'essere fisico, sembrò ovvio che in fondo i p r o b I e m i d e I g i u d i z i o , i problemi psichici in generale, dovessero avere e s s e n z i a 1 m e n t e i I m e d e s i m o s e n s o , e dovessero essere trattati secondo lo stesso metodo c h e i p r o b I e m i d e 1 1 a n a t u r a f i s i c a - come p r o b I e m i d i r e a I t à, problemi di una psicologia come scienza dei >, dei dati dell'>, e tra di essi per l'appunto i dati del belief. In questa cecità per l'intenzionalità in generale e, anche dopo la valuta zione che di essa fece Brentano, nella cecità per la sua funzione oggettivante, andavano p e r d u t i t u t t i 1 p r o b I e m i e f f e t t i v i d e I g i u d i z i o . Se si mette in luce il loro senso autentico, l'intenzionalità che è ine rente ai giudizi predicativi riporta in definitiva all'intenzio nalità dell'esperienza. La teoria dell'evidenza del semplice giudizio categorico di esperienza - secondo quanto si è sopra accennato in tanto deve essere ritenuta la teoria > del giudizio, in quanto nella genesi intenzionale il giudizio non evidente, anche quello assurdo, rimanda a un ordine che si trova nei giudizi d'esperienza. Va sottolineato che questo rinvio, proprio come quello prima richiamato della genesi predicativa di senso, non è dedotto da una e m p i r i a i n d u t t i v a dell'osservatore psicologico, come nel caso dello sperimentatore orientato secondo la > bensl, come dev'essere mostrato nella fenome nologia, è un e 1 e m e n t o e s s e n z i a 1 e d e 1 1 ' i n t e n z i o n a 1 i t à, che va svelato sulla base della sua propria consistenza intenzionale nelle operazioni di riempi-
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mento corrispondenti. È perciò che a n o i , noi in quanto ci troviamo nell'atteggiamento filosofico e logico, i I g i u dizio non-evidente e quello evidente si o f f r o n o s u 1 1 o s t e s s o p i a n o , ed è perciò che la via della I o g i c a i n g e n u a e p o s i t i v a è I a v i a n a t u r a I e , mentre, considerato in sé, il giudizio evidente e, più a fondo, il g i u d i z i o d i e s p e r i e n z a , è i I g i u d i z i o d e 1 1 ' o r i g i n e . Dalle sue sin tassi, quelle prime in sé, procede la genesi sintattica supe riore, di cui esclusivamente si occupa l'analitica formale 1 88 nelle sue teorie, con riferimento alle condizioni di una possibile evidenza di giudizio che sono implicite nelle forme a priori di riempimento della distinzione e dei suoi correlati intenzionali. Ora, se l'analitica formale ha a che fare, per il suo campo e per la teoria, soltanto con le f o r m e dei giudizi possibili e delle possibili verità, e i n e s s a non ricorre per nulla l'evidenza e l'esperienza, essa deve per altro nelle sue ricerche soggettive - > rivolte verso il metodo radicale delle operazioni intenzionali, tener dietro alle mediabilità categoriali dell'evidenza, ovvero della verificazione, e in rapporto con ciò i 1 1 u m i n a r e l ' e f f e t t u a z i o n e d e i g i u d i z i d i o r i g i n e. Mediante queste ricerche, ogni verità ed ogni evidenza di giudizio, come vediamo, è riconvertita sul terreno origi nario dell'esperienza, e poiché questa stessa si ritrova a fungere n e i giudizi originari, e n o n a f i a n c o di essi, I a I o g i c a - se deve fornire chiarimenti scien tifici per la legittimazione del suo a priori, e quindi per il suo senso legittimo - p o s t u I a u n a t e o r i a d e I l ' e s p e r i e n z a. Naturalmente questa esplicitazione del l'esperienza come di ciò che precede le specifiche funzioni categoriali, e le funzioni che si conformano ad esse, con forme allo scopo logico-formale, dev'essere tenuta in una g e n e r a I i t à > - formale nel senso che è, soggettivamente, il c o r r e I a t o dell'elemento formale dell'analitica. Il chiarimento (per niente facile), che si rende necessario a questo proposito, dell'operazione pluri-
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morfa di esperienza, che si realizza nel giudizio di espe rienza, e di questo stesso giudizio, dev'essere dato in altro luogo ••. Qui dev'essere soltanto rilevato in modo parti colare che già questa esperienza fondante ha i suoi modi di operazioni sintattiche, che tuttavia sono ancora liberi da tutte le conformazioni, concettuali e grammaticali, che caratterizzano il categoriale nel senso del giudizio predi cativo e dell 'enunciato ••. § 87. Passaggio alle evidenze di grado superiore. Il problema 189 della rilevanza dei nuclei per l'evidenza delle generalità di contenuto concreto e delle generalità formali.
Muovendo dall'esperienza che presenta oggetti individuali, ci si deve elevare, in una teoria sistematica del giudizio, fino alle generalizzazioni che si possono edificare su di essa, per domandarsi in qual modo operi l'esperienza di base nel dar luogo all'evidenza di quelle generalizzazioni. Si presenta allora una distinzione fondamentale entro la specie delle generalizzazioni d i e s s e n z a, che sotto un aspetto vengono realizzate nel senso dell' a p r i o r i m a t e r i a l e , sotto un altro, in quello dell ' a p r i o r i f o r m a l e. Nel primo caso noi attingiamo all'individuale (che assume valore esemplare) contenuti [Gehalte] che gli sono e s s e n z i a l m e n t e p r o p r i , e otteniamo i generi e le specie essenziali di contenuto concreto e i principi essenziali di contenuto concreto ; nella generalizzazione f o r m a l i z 12 Negli che ho già ripetutamente annunciati. [Cfr. la nota 5 della sez. Il.] 23 Nelle mie Logische Untersuchungen, I I , 2, Ricerca VI, il con cetto del categoriale venne introdotto dapprima solo in riferimento all 'aspetto sintattico nel giudizio. Non si era ancora fatta distinzione tra il sintattico in generale, che interviene già nella sfera ante-predi cativa e che ha del resto anche i suoi analoga nel sentimento, e il sin tattico della sfera specifica del giudizio.
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z a n t e , ogni i n d i v i d u o deve invece essere s v u o t at o fi no a p resentarsi c o m e qualcosa i n g e n e r a 1 e . Conformemente a ciò ogni formazione sintattica di oggetti a partire da individui, e cosi a sua volta ogni formazione categoriale che proceda da qualsivoglia oggettualità categoriale già preesistente, devono essere ugual mente considerate come modi del semplice Qualcosa-in generale. In luogo dell'individuale subentra ovunque la posizione : >, mentre la formazione delle generalità porta esclusivamente sulle forme e sui generi formali delle forma zioni categoriali come tali. Qui ogni legalità permane in una relatività che lascia indeterminato se e come i sub strati indeterminati delle forme categoriali riconducano al l 'individuale. Questa distinzione essenziale tra generalizzazione di con tenuto concreto e generalizzazione formalizzante, nel pas saggio dai giudizi come semplici opinioni alle verità, dà luogo nei due casi a p r o b 1 e m i , t r a 1 o r o a s s a i d i v e r s i, d e l l ' e v i d e n z a e d e l l a v e r i t à e quindi anche, nei due casi, a p r o b 1 e m i a s s a i d i versi della critica della conoscenza a p r i o r i . Ogni a priori di contenuto concreto (inerente alla disciplina > nel senso normale, e in defi nitiva ad una ontologia universale) postula, per la elabora zione critica dell'evidenza autentica, il ritorno all ' i n t u i z i o n e > dell'individuale, dunque all' e s p e r i e n z a > . È necessaria l a critica del l'esperienza e, fondata su di essa, la critica della specifica funzione effettuante del giudizio, e dunque della effettiva elaborazione delle formazioni sintattiche o categoriali che devono essere riempite in base ai dati dell'esperienza pos sibile stessa. L' e v i d e n z a d i p r i n c i p i a n a 1 i 1 90 t i c i a p r i o r i non ha bisogno di simili intuizioni in dividuali determinate, bensì soltanto di una e s e m p 1 i f i c a z i o n e q u a l s i a s i d i e l e m e n t i c a t e g o r i a 1 i , eventualmente anche con nuclei generali indeter minati (come quando assumono questa funzione esemplifi-
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catrice proposizioni concernenti numeri) che invero possono rinviare intenzionalmente all'individuale, ma in questo senso n o n d e v o n o e s s e r e u I t e r i o r m e n t e i n t e r r o g a t i e spiegati. Non si deve cercare qui di penetrare nelle profondità di un senso concreto, come nel caso dell'a priori materiale, nel quale l'evidenza riposa completamente sul penetrare a fondo in ciò che è essen zialmente proprio di qualsiasi cosa e sulla sua esplicazione. Ciononostante, la r e I a z 1 o n e d i s e n s o all'indi viduale (relazione che emerge dalla genesi del senso) propria d i t u t t e I e o p i n i o n i c a t e g o r i a I i (e dunque anche di tutti gli esempi che possano servire all'analitica formale) - noeticamente, dunque, la relazione di senso ad evidenze individuali, a e s p e r i e n z e, non può essere però indifferente per il senso e l 'evidenza possibile dei principi a n a 1 i t i c i e, al livello superiore, dei p r i n c i p i logici. Come potrebbero pretendere altrimenti ad una validità o n t o 1 o g i c o - f o r m a 1 e (che fosse, oltre che validità per ogni verità predicativa possibile, anche validità per ogni e s s e n t e p e n s a b i 1 e ) ? Questa pensabilità significa, per altro, possibilità dell'evidenza, che appunto, alla fine, sia pure nella generalità formale, ricon duce all'individuale possibile in generale, ovvero alla pos sibile esperienza. Il 1 o g i c o , nella creazione originaria evidente dei suoi principi logici, ha innanzi agli occhi, come esempio, un qualsiasi giudizio (cioè elemento cate goriale). Egli lo varia con la coscienza di una libera arbi trarietà, e dà luogo alla coscienza di > in generale ; e nella pura generalità devono essere concepite le evidenze [Einsichten] concernenti la verità e la falsità, il cui stile tipico essenziale viene conseguito nella varia zione. Gli esempi gli stanno davanti come prodotti finiti di una genesi che - per parlare in generale - non è stata operata da lui. Nel processo di evidenziazione ingenua dei principi non entra per nulla in considerazione un'esplici tazione di questa genesi e della sua forma essenziale, e ancor meno avviene che il contenuto [Gehalt] essenziale del senso >, che s'è costituito in una
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genesi cosi fatta, venga posto eideticamente in connessione essenziale con ciò che i principi presuppongono come verità o falsità, e con ciò che essi determinano a questo proposito. Ci si può accontentare di questa ingenuità ? I principi logici, per quanto ovvii siano, non necessitano di una critica relativa al loro senso autentico, che muova dalle origini della loro formazione di senso e con ciò anche dello svelamento della genesi del giudizio ? Di fatto la critica dei principi logici, come svelamento dei presupposti nascosti che vi sono impliciti, mostrerà 191 che anche nell'evidenza della generalizzazione formale i nuclei non sono affatto irrilevanti. § 88. Il presupposto implicito del princ1p10 analitico di contraddizione : ogni giudizio deve poter essere portato all'evidenza della distinzione.
Se noi indaghiamo ora i principi logici dal punto di vista della genesi del loro senso, ci imbattiamo in un p r e s u p p o s t o d i b a s e che è in essi implicito, e che è in ogni caso connesso inseparabilmente col principio del terzo escluso. Considerato da vicino, quel presupposto fon damentale proviene da un corrispondente presupposto, rimasto inavvertito, che è già inerente allo strato inferiore della logica formale, strato che precede l'introduzione del concetto di verità, e che si è differenziato nelle nostre precedenti analisi. Esso ci è rimasto nascosto in quel l'occasione perché noi, in quelle stesse analisi, ci muove vamo ancora sul piano dell'ingenuità e perseguivamo u n ' u n i c a direzione di interesse. Possiamo render chiaro questo presupposto dello strato inferiore se cerchiamo di formulare come a f f e r m a z i o n e o v v i a la seguente : o g n i g i u d i z i o p o s s i b i 1 e, nel senso più largo (tale che la sua possibilità diviene evidente già sulla base di una mera indicazione, afferrata esplicitamente, dei signi ficati delle parole di un'enunciato), d e v e p o t e r s i a n c h e t r a s f o r m a r e, se rimangono fermi i prin-
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cipi della conseguenza analitica, i n u n p o s s i b i 1 e g i u d i z i o ►, cioè un g i u d i z i o ► ; un giudizio la cui possibilità diviene evidente solo nel realizzarsi delle indicazioni, mediante l 'instaurazione dei giudizi stessi indicati, nella effettuazione v e r a e p r o p r i a degli atti sintattici corrispondenti. In altre parole : la ► , nel senso più ampio, che include ogni conseguenza anali tica, è una c o n d i z i o n e n e c e s s a r i a e s u f f i c i e n t e p e r q u e s t a e f f e t t u a b i l i t à ► d i u n g i u d i z i o p o s s i b i l e . Ora, quanto precede n o n è c o s ì u n i v e r s a 1 m e n t e g i u s t o come ci si lascia facilmente persuadere. Pure, l'insediarsi della conseguenza presuppone che ogni giudizio, inteso nel senso più largo, sia in senso positivo che in senso negativo, possa essere portato all'evidenza della distinzione ; e che in ciò vale l'analogo per il principio di contraddizione. Deve dunque essersi introdotto, n e 1 concetto di giudizio della logica della c o n s e g u e n z a , un qualche p r e s u p p o s t o n o n c h i a r i t o c o n v a 1 o r e 1 i m i t a t i v o , sicché sol tanto entro questa delimitazione tacitamente presupposta quel concetto di giudizio sia soggetto alle condizioni essen ziali della effettuabilità vera e propria. § 89. La possibilità dell'evidenza della distinzione.
a) Senso come giudizio e come che, volta a volta, , cioè dell'esperienza di tutti i suoi modi di modificazione, compreso il modo vuoto. L' u n i t à p o s s i b i l e d i u n t a 1 e c o n t e n u t o d i g i u d i z i o , pensata come u n i t à che p u ò e s s e r e p o s t a in una qualsiasi modalità, è 1 e g a t a a c o n d i z i o n i . La mera com prensibilità grammaticale unitaria, la c a p a c i t à d i s e n s o p u r a m e n t e g r a m m a t i c a 1 e (con il con cetto, a sua volta del tutto diverso, del senso grammaticale) non è ancora la capacità di senso che l ' a n a l i t i c a l o g i c a p r e s u p p o n e. Come possiamo vedere, il concetto del giudizio distinto, del giudizio che può essere realizzato sintatticamente in modo proprio, quale è presupposto nella logica della con seguenza e, ulteriormente, nei principi formali di verità, necessita una determinazione integrativa essenziale e una illuminazione corrispondentemente profonda. La e f f e t -
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t u a b i l i t à u n i t a r i a d e l c o n t e n u t o d i g i u d i z i o p r e c e d e l ' > d e 1 g i u d i z i o s t e s s o , e ne è la condizione. Detto altrimenti: l'> [>] i d e a 1 e d e 1 c o n t e nuto di giudizio è presupposto del 1 ' > i d e a l e d e 1 g i u d i z i o (nel senso più largo di una oggettualità categoriale intenzionata, m quanto tale) ed è inerente a quest'ultima.
b) L'esistenza ideale del contenuto di giudizio è connessa alle condizioni dell'unità di un'esperienza possibile.
Se ora ci_ poniamo il problema dell'> dell'evi_-_ _gen�a pdr.Qa (con il suo contrario, che si esprime soltanto nell'equivoca espressione di >), ve-· niamo rinviati ai n u c l e i sintattici che dal punto di 1 94 vista formale sono apparentemente privi di funzione. Ciò che significherebbe dunque che la possibilità del riempi mento vero e proprio della possibilità di un giudizio (come opinio), n o n ha le sue radici soltanto nelle f o r m e sintattiche, bensì anche nei m a t e r i a 1 i [Stoffen] sin tattici. Quest'ultimo aspetto viene facilmente trascurato dal logico formale, dato il suo interesse rivolto univocamente all'elemento sintattico - la cui molteplicità formale appar tiene esclusivamente alla teoria logica - e dato il suo procedere, che è quello di algebrizzare i nuclei, intesi come irrilevanze teoretiche, come vuoti Qualcosa, che debbano solo essere mantenuti nella loro identità. Ma come va intesa la funzione dei materiali o dei nuclei sintattici per il fine di render possibile l'esistenza del giu dizio, dunque per poter effettuare in modo vero e proprio il giudizio nel senso offerto dall'indicazione di giudizio ? Questo è il punto della c h i a r i f i c a z i o n e n e 1 1 a g e n e s i i n t e n z i o n a l e . _Og1_1i giudizio c_o!]!e !ale 1 ha la sua genesi intenzionale, o - potremmo anche dire -l le sue b a s i essenziali di m o t i v a z i o n e , senza le f :g_�ali iC gi�dizio in primo luogo potrebbe sussisterd
non
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n el modo originario della certezza, e poi non potrebbe f! .!:.�S-�!'.� .mo dalizza_to. È in conformità con ciò che i m a t e r i a l i s i n t a t t i c i che intervengono nella unità di un giudizio d e b b o n o a v e r e q u a l c o s a a c h e v e d e r e g l i u n i c o n g l i a l t r i . Il che però procede dal fatto che il modo di giudizio geneticamente più origi nario - qui si parla di una genesi i n t e n z i o n a l e e perciò essenziale e non di una genesi psicofisica e indut tiva, che del resto potrebbe essere abbozzata in modo coerente soltanto a partire dalla prima - è quello evidente e, al grado più profondo, quello che si basa sull'esperienza. P r i m a di tutti i giudizi si trova_ un _terreno_ universale:.. _4ell'esperienza, che è presupposto costantemente com�! :u n i t à c o n c o r d a n t e d e 1 1 '-�_s_p e r i e n z ::i,_ R.Q_� s_i b i 1 e . Entro questa concordanza, tutto > concretamente con tutto. Ma l'unità dell'esperienza può anche divenire d i s c o r d e , benché essenzialmente in modo che c i ò c h e c o n t r a s t a h a u n a c o m u n i t à d ' e s s e n z a c o n c i ò c o n c u i è i n c o nt r a s t o , _çosicché nella unità dell'esperienza interdipen dente, e pur sempre interdipendente anche nello stess()_ modo del contrasto, tutto stia con tutto in una comunità esse�ial�. Cosi, o E!' n i E!' i u d i c a r e o r i E!' i n a r i o . . n e 1 s u o c o n t e n u t o - e cosi ogni giudicare che proceda sul fondamento di questa interdipendenza, ha u n a -� connessione in base alla connessione d e 1 1 e e o s e n e 1 1 ' u n i t à s i n t e t i c a d e 1 1 ' es p e r i e n z a I sul cui terreno si fonda. Con il che non è ancora possibile anticipare che si possa dare u n s o 1 o universo di esperienza possibile come terreno di giudizio, e che dunque ogni giudizio intuitivo poggi sullo stesso terreno, e che tutti i giudizi appartengano a una unica connessione concreta. Decidere su questo punto, costituì- 195 rebbe il tema di una ricerca autonoma. Ciò che s'è detto si può trasporre, secondo una neces sità essenziale, dai giudizi originari ad ogni possibile giu dicare in generale, a tutti i giudizi in generale che possano presentarsi per 1 o s t e s s o giudicante nel s u o nesso
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di coscienza ; dunque, si può trasporre come qualcosa di nuovo, su tutti i giudizi n o n i n t u i t i v i che sono per lui possibili. Rendere ciò comprensibile in base a principi essenziali, è un problema inerente alla connessione generale delle teorie costitutive, mediante le quali viene chiarito come l'intenzionalità originaria, come « origina riamente fondante », comporti poi la costituzione di forma zioni intenzionali secondarie e le provveda di un'intenzio nalità che, in quanto secondaria, rimanda essenzialmente a quella fondante, e che dev'essere insieme realizzata in analogia con quella. A questa connessione appartiene anche l'intera dottrina essenziale della configurazione di > .
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§ 90. Applicazione delle considerazioni precedenti ai principi della logica della verità: essi valgono soltanto per giudizi contenutisticamente dotati di senso.
L 'importante integrazione che è stata ottenuta dalle nostre precedenti analisi del giudizio, ha ora un decisivo s i g n i f i c a t o p e r l a c r i t i c a d e i p r i n c i p i 196 I o g i c i , che noi avevamo intenzione di condurre. Questa critica può essere ora facilmente compiuta. La logica, com'è del tutto ovvio, non considera giudizi del tipo che noi abbiamo descritti (come p. es.: la somma degli angoli di un triangolo è uguale al colore rosso) come c o n t e n u t i s t i c a m e n t e p r i v i d i s e n s o . Naturalmente, a nessuno che si occupi della dottrina della scienza avviene di pensare un giudizio simile. Pure, ogni proposizione enunciativa che adempia soltanto alle condizioni di un senso unitario p u r a m e n t e g r a m m a t i c a 1 e (l'unità di una proposizione comprensibile in generale) è p e n s a b i 1 e a n c h e c o m e g i u d i z i o , - come giu dizio nel senso più ampio. Se i p r i n c i p i 1 o g i c i d o v e s s e r o r i f e r i r s i a g i u d i z i i n g e n er a 1 e , e s s i n o n s a r e b b e r o s o s t e n i b i 1 i, e s i c u r a m e n t e n o n l o s a r e b b e i l p r i n c ip i o d e 1 t e r z o e s c 1 u s o . Giacché tutti i giudizi contenutisticamente > spezzano la sua validità. I principi sono incondizionatamente v a 1 i d i - per chiarire fin d'ora questo punto - p e r t u t t i i g i u d i z i i c u i n u c l e i a b b i a n o u n a o m o g e n e i t à d i s e n s o , che dunque adempiano alle condizioni di una > [ Sinnhaftigkeit] unitaria. Giacché, per questi giudizi, grazie alle loro genesi, è dato a priori il fatto che siano in rapporto con un terreno unitario di esperienza. Appunto perciò, per ogni giudizio del genere, e in questo rapporto, vale il fatto che esso d e v e e s s e r e p o r t a t o a 1 1 ' a d e g u a z i o n e ; che, nel realizzarla, o esplicita e coglie categorialmente ciò che è dato nell'espe rienz a concordante, o conduce alla negazione dell'adegua18. - Hu,url
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zione, predica qualcosa che appartiene, per il suo senso, a questa sfera dell 'esperienza, ma che si urta con qualcosa di esperito. Abbiamo mostrato però, nella conversione sog gettiva dei principi, come inerisca al loro senso che o g n i giudizio possa essere portato all'adeguazione positiva o negativa. Tuttavia per l'ulteriore territorio dei giudizi, cui appartengono anche quelli che c o n t e n u t i s t i c a m e n t e s o n p r i v i d i s e n s o , questa disgiunzione non vale più. Il ► q u i n o n è e s c I u s o e consiste in ciò, che giudizi con predicati che non hanno alcuna rela zione ► al soggetto, si s o 1 1 e v a n o per così dire, n e 1 1 a 1 o r o m a n c a n z a di s e n s o , a 1 d i s o p r a d e 1 1 a v e r i t à e d e 1 1 a f a 1 s i t à. § 91. Passaggio a nuovi problemi.
Si vede dunque come sia necessaria una teoria inten zionale del giudizio e quanto profondamente essa debba essere strutturata per c o m p r e n d e r e , anche solo alla base, q u a 1 e s i a i 1 p u r o e v e r o s e n s o d e i p r i n c i p i l o g i c i. Ma se riflettiamo su ciò che per questa teoria - e 197 insieme per il chiarimento dell'idea della verità - è stato acquisito nella nostra ricerca, non rimane più altro che l'indicazione della necessità di un 1 a v o r o ► p r e p a r a t o r i o , che possa soddisfare al i ' esigenza essenziale di tutte le evidenze di giudizio, di riferirsi cioè a sfere di esperienza. L' e v i d e n z a d e 1 g i u d i z i o ► a 1 1 a v e r i t à nel senso della correttezza del giudizio, ovvero nel senso dello ► stato di cose esistente ► e in generale degli elementi categoriali ►. L' e s p e r i e n z a, che noi intendiamo come una evidenza interpredicativa, offre delle ► [ possibile la scienza del mondo reale e la scienza di un mondo possibile a priori in generale ; ovvero che abbiano un'esistenza effettiva in sé, e perciò possano costituire il fine ovvio di un lavoro da realizzare sul piano logico. Ora è chiaro che la logica si manteneva in una a p r i o r i t à che non poteva pretendere di assumere nelle sue teorie nessun genere di fatti, né alcun mondo di fatto. Ma, da un lato, occorre tener presente che essa, su un piano ontologico-formale, presupponeva quanto meno il possibile mondano, che pure essa doveva avere ottenuto come mo dificazione di possibilità del mondo reale dell'atteggia mento >. E d'altro lato, nonostante che essa si mo strasse incline a chiarire i propri concetti fondamentali e si addentrasse in ricerche r i v o 1 t e i n s e n s o s o g g e t t i v o , essa le assumeva come ricerche p s i c o 1 o - i g i c h e nel senso corrente, come ricerche sulla vita rap presentativa e speculativa, sull'Erlebnis dell 'evidenza di uomini nel mondo, senza preoccuparsi se si facesse ricorso per ciò alla psicofisica e all'esperimento > oppure alla semplice >. E così anche le nostre precedenti ricerche rivolte sui concetti fondamentali (dato che non ci siamo espressi a questo proposito) saranno state certamente interpretate come psicologistiche nel senso cor rente. In ogni caso, resta sempre sullo sfondo il mondo reale dato in anticipo - benché per altro a noi bastasse sottolineare come il riferirsi della logica ad un mondo pos sibile a priori, comunque poi questo si fosse installato nella logica, significhi un presupposto, ed un presupposto
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di portata critica non minore di quella d_e l_ .E_rt:st1pposto _ del mondo effettivo.
b) Il presupposto ingenuo di un mondo schiera la logica tra le scienze positive.
Dicevamo sopra che la logica, nel suo riferirsi ad un mondo reale, non presuppone soltanto l'essere in sé di quest'ultimo, ma ha anche la possibilità > sussistente di conseguire la conoscenza del mondo come sapere autentico, come scienza autentica, per via empirica oppure a priori. Ciò implica che così come le realtà [Realitiiten] del mondo sono in sé e per sé ciò che sono, così esse sono substrati per verità in sé valide - per >, come noi diciamo riprendendo l'espressione di B o l z a n o . Di più: nei soggetti conoscenti corrispondono ad esse possi bilità conoscitive di cogliere queste stesse verità in Erlebnisse soggettivi, in evidenze assolute, che significano il cogliere in se stesse le verità assolute, quelle verità che appunto valgono in sé. Il tutto viene rivendicato come un apriori. Le verità che per l'esistente hanno in se stesse una consi stenza - per l' e s i s t e n t e a s s o l u t o e non per quello soggettivo-relativo (per quello cioè che si dà a noi come esistente, che appare nell'esperienza come esistente ed esistente-così) sono v e r i t à a s s o l u t e . Nelle scienze esse vengono > e vengono messe in luce secondo la loro fondazione dal metodo scientifico. Ciò forse non può riuscire mai se non imperfettamente ; ma rimane indubitabile e tacitamente valido il fine stesso in quanto idea universale, e correlativamente l'idea della pos sibilità di conseguirlo, l'idea dunque di una e v i d e n z a a s s o l u t a . Se non era la logica stessa ad assumere questi presupposti come suo tema, lo facevano tanto più la teoria della conoscenza, la psicologia e la metafisica nel modo però di scienze successive, non interessate a raggiungere l'assoluta autonomia della logica. Un tale ordinamento delle discipline tuttavia - come risulterà dall'ampia motivazione che sta per seguire - è
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possibile soltanto nella totale oscurità intorno ai loro pro blemi e conduce, rispetto alle discipline filosofiche integra tive nominate, ad una i n g e n u i t à , che è d i u n o r d i n e a f f a t t o d i v e r s o da quello della sem plice positività. Giacché quest'ultima, in quanto è un con cedersi ingenuo cosi della vita pratica come di quella cono scitiva al mondo che di fatto è già dato, comporta in sé un diritto non chiarito e perciò ancora non determinato, ma pur sempre un diritto. Ma una critica ingenua del l'esperienza, e della conoscenza che ne procede circa un mondo in sé esistente, critica che opera con i modi deduttivi di una logica usuale, di una logica che non abbia mai indagato, a proposito di essi, se conformemente al loro senso non presuppongono già l'essere di un mondo ; di una logica che addirittura non abbia mai pensato a indagare l'autentica effettuazione dell'esperienza e degli altri ele menti costitutivi di quella soggettività che ha un signifi cato per il loro senso d'essere, è una critica di una ingenuità tale da escludere preliminarmente da una seria considera zione le teorie apparentemente scientifiche che si riferi scono alla soggettività. Naturalmente il sussistere, sicuro a priori per il logico, di evidenze possibili assolute, è pensato anche come un sussistere per c i a s c u n o che sia in grado di conoscere. Ciascuno qui è uguale a tutti gli altri. L'esistente assoluto 201 nella sua verità assoluta o è realmente visto e penetrato come esso è, oppure non lo è. Dunque il valore della verità per ciascuno e una volta per tutte non dà ora luogo ad un problema particolare. Questo > è ogni uomo o altro essere di tipo umano che si presupponga nel mondo reale (o in uno possibile, rispetto alle verità assolute che gli siano proprie) - che sia capace in generale di evidenza come conoscenza della verità. Quali costellazioni psicolo giche siano necessarie a noi uomini (di esseri intelligenti di altri mondi non sappiamo nulla) perché queste evidenze, nella causalità che domina insieme ad ogni altra realtà anche l'intera sfera dello psichico si effettuino realmente in noi, non è cosa che riguarda la logica, ma la psicologia.
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Il problema, da noi inizialmente introdotto, della verità in sé, ha dunque acquistato in questa dichiarazione dei presupposti della logica tradizionale un senso meglio deter minato, riferito al mondo reale e possibile. La logica, come logica obbiettiva di questo nuovo senso, come l o g i c a f o r m a l e d i u n m o n d o p o s s i b i l e , si allinea con ciò nella molteplicità delle s c i e n z e > ; giacché per esse - per tutte le scienze nel senso comune del discorso, che in generale non ne conosce altre - il mondo è un fatto dato anticipatamente senza problemi, sicché mettere in questione il suo legittimo sussistere o quello della possibilità di mondi è contrario allo stile della scienza positiva. § 93. Insufficienza dei tentativi di critica dell'esperienza a partire da Descartes. a) Il presupposto ingenuo della validità della logica oggettiva.
È del resto inerente alla riforma in senso gnoseologico tentata da D e s c a r t e s per tutte le scienze, e alla loro riplasmazione nel senso di una sapientia universalis che le unifichi in una fondazione radicale, che ad esse debba pre cedere, ai fini della fondazione, una c r i t i c a d e l l ' e s p e r i e n z a , di quell'esperienza che anticipa alle scienze l 'esistenza del mondo. Questa critica, in D e s c a r t e s , conduceva notoriamente al risultato che l 'esperienza manca dell'evidenza assoluta ( di quell 'evidenza che fonda apoditticamente l 'essere del mondo), e che perciò il pre supposto ingenuo del mondo doveva essere eliminato e tutta la conoscenza oggettiva doveva essere fondata sul1 'unico darsi apodittico di un essente, cioè dell'ego cogito. Noi sappiamo che questo fu l ' i n i z i o di tutta la f i l o s o f i a t r a s c e n d e n t a l e moderna, che si apre la strada tra oscurità e aberrazioni sempre nuove. Ma 202 subito questo inizio cartesiano che muove dalla grande scoperta (portata avanti però solo a metà) della soggettività
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trascendentale è oscurata dalla a b e r r a z i o n e così gra vida di conseguenze e rimasta fino ad oggi radicata, che ci ha regalato quel (( r e a I i s m o >> di cui gli idealismi di un B e r k e l e y , di uno H u m e sono antitesi non meno assurde. Già con D e s c a r t e s l 'ego viene assodato per mezzo di un'evidenza assoluta, come un primo f r a m m e n t o , indubbiamente esistente, d e l m o n d o (mens si,ve animus, substantia cogitans), sicché si tratta poi soltanto di concludere mediante un p r o c e d i m e n t o d e d u t t i v o logicamente necessario, alla parte rimanente del mondo (cioè, in Descartes, la Sostanza assoluta e le sostanze finite del mondo esterno alla mia propria sostanza psichica). Già D e s c a r t e s opera servendosi di una ingenua eredità aprioristica, dell'a priori della causalità, del presup posto ingenuo di evidenze ontologiche e logiche per lo svolgimento della tematica trascendentale. Egli v 1 e n m e n o dunque al s e n s o t r a s c e n d e n t a l e v e r o e p r o p r i o d e 1 1 ' e g o d a l u i s c o p e r t o , quello che precede conoscitivamente l 'essere del mondo. Ed altret tanto egli viene meno al senso trascendentale vero e proprio dei problemi che debbono essere posti all'esperienza e al pensiero scientifico e così pure, in una generalità di prin cipio, ad una logica. Questa mancanza di chiarezza si perpetua occultamente nelle chiarezze solo apparenti che ineriscono a tutte le ricadute della teoria conoscitiva nelle ingenuità naturali e cosi pure alla scientificità apparente del realismo moderno. Quest'ultimo è una teoria conoscitiva che in connessione con una logica ingenuamente isolata, serve a provare allo scienziato (e a garantirlo pienamente del fatto) che le con vinzioni fondamentali delle scienze positive circa il mondo reale, e i metodi che le trattano logicamente, sono senz'altro corretti, e che egli può quindi propriamente fare a meno della teoria conoscitiva, cosi come certamente ha ben po tuto procedere già da secoli facendone a meno.
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b) Descartes è venuto meno al senso trascendentale della sua riduzione ali' ego.
Ma ci si può attenere a un simile rapporto tra scienza positiva, logica e teoria della conoscenza ? Dopo tutto quanto abbiamo avuto modo di ripetere in diverse occasioni, sia pure incompiutamente e talora soltanto per cenni, è già certo che dobbiamo rispo ndere negativamente a questo interrogativo. Un realismo che, come in D e s c a r t e s , 203 ritiene di aver già colto nell 'ego, a cui ci riporta innanzi tutto la presa di coscienza t rascendentale, la psiche reale dell'uomo, e a partire da questa prima realtà traccia ipotesi e conclusioni probabilistiche in un ambito di realtà [Reali taten] trascendenti, utilizzando a questo fine (esplicitamente o implicitamente) i principi della matematica delle proba bilità appartenente alla logi ca stessa, ed eventualmente anche la vecchia logica formale - è un realismo che vien meno assurda mente al problema r e a l e , giacché dappertutto esso presuppone come pos sibilità ciò che proprio come possibilità è dappertutto in questione. La chiarificazione della validità dei principi logici, - inclusi tutti i concetti fondamentali e i principi fonda mentali - conduce a r i c e r c h e r i v o l t e i n s e n s o s o g g e t t i v o , senza di cui questi principi ondeggiano scientificamente al vento. Ciò è indubbio, se teniamo conto dei frammenti di ricerche da noi già condotte, e che dob biamo sospingere sempre oltre. Se tuttavia si ritorna sul l 'ego cogito, come quella sogge ttività a partire dalla coscienza pura della quale e in particolare a partire dalle cui evidenze tutto ciò che è per questo ego (per m e , che filosofo radi calmente) è esistente, ma anche possibile, pensabile, presu mibile, falso, assurdo ecc. - s i p u ò a l l o r a p r e s u p p o r r e l a l o g i c a ? E che dire di quelle ricerche soggettive che per ogni logica hanno prima di tutto e in sen so stretto valore di fondazione ? È forse lecito contro batterle con una logica la quale deve essere chiarita da quelle stesse ricerche e che forse, nella sua mondanità
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(quand 'anche la si possa giustificare), introduce elementi di senso e validità di principi che oltrepassano in modo inammissibile il terreno di queste ricerche soggettive ? E ancora, possono queste ricerche soggettive essere confutate dalla p s i c o l o g i a , la quale riposa in modo assoluto su questa logica oggettiva e in ogni caso sul pre supposto permanente del mondo oggettivo al quale appar tengono secondo il loro senso tutti gli Erlebnisse psichici come momenti reali dell'essere psicofisico reale ? N o n viene forse messo in questione l 'intero mondo reale con la fondazione radicale d e l l a l o g i c a , e ciò non già per provare la sua realtà, bensl per mettere in luce il suo senso possibile ed autentico, e la portata di questo senso, per la quale esso può introdursi nei concetti logici fondamentali ? Se il Qualcosa-in-generale della logica formale, assunta come logica oggettiva, nasconde in sé in definitiva anche il senso dell'essere mondano, questo senso allora appartiene a i c o n c e t t i f o n d a m e n t a I i d e l l a 1 o g i c a , a quelli che determinano I'intero senso della logica. 204 c)
La fondazione della logica conduce al problema universale della fenomenologia trascendentale.
E che dire inoltre delle ipotesi, tanto semplici per i realisti, mediante le quali in base al solo terreno d'essere dell'ego, l'unico rimasto indubitabilmente evidente dopo la riduzione cartesiana, terreno primo in sé rispetto ad ogni conoscenza, dovrebbe essere raggiunto un mondo esterno reale ? Non è forse questa e s t e r i o r i t à, non è forse il senso possibile di una realtà trascendentale e di un a priori ad essa relativo, con le forme dello spazio, del tempo e della causalità che consentono le deduzioni - non è forse questo il problema - come cioè esso possa assumere e conservare nell'immanenza dell'ego quel senso della tra scendenza che noi possediamo e utilizziamo in modo inge nuamente diretto ? E non ci si deve domandare quali pre-
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sunzioni nascoste, muovendo dalla soggettività che costi tuisce il senso, delimitano la portata di questo senso ? Non è questo il problema che per primo dovrebbe essere risolto, e con cui si dovrebbe decidere sulla possibilità di principio, la sensatezza o l'assurdità di tali ipotesi nella sfera trascen dentale dell'ego ? E alla fine se si sono afferrati gli autentici problemi che sgorgano dal ritorno a questo ego, tutto questo schema di una > dei puri dati immanenti per mezzo di una realtà obbiettiva assunta in via ipotetica, e causalmente connessa ad essi, non è un pieno controsenso ? Di fatto, è così e il controsenso procede dal fatto che, con la r i d u z i o n e c a r t e s i a n a al mio ego come soggetto della mia coscienza pura, s i è p r e s e n t a t a c o m e p r o b l e m a u n a p o s s i b i l i t à d i c o n o s c e n z a e d ' e s s e r e d i n u o v o t i p o - cioè la possibilità trascendentale di un esistente in sé, in q u a n t o esistente per me con questo senso, sulla base esclusiva delle possibilità della mia coscienza pura - e deriva, quel controsenso, dal fatto che questa possibilità problematica viene scambiata per la possibilità, totalmente diversa, di concludere da un reale che già si p o s s i e d e conosciti vamente, ad altri reali che n o n si posseggono. I l p u n t o d o v e s i v e r i f i c a q u e s t a c o n f u s i o n e , che certo è possibile soltanto perché in gene rale non si è visto chiaramente il senso della prima possi bilità, è lo s c a m b i o d e 1 1 ' e g o c o n I a r e a I t à d e 1 1 ' i o c o m e a n i m a u m a n a . Non si vede che già la psiche assunta come realtà (mens) conserva u n m o m e n t o d i s e n s o d e 1 1 ' e s t e r i o r i t à (del mondo spaziale), e che ogni esteriorità, anche quella di cui ci si vorrebbe prima di tutto appropriare, mediante ipotesi, ha fin dall'inizio il suo posto nella pura interiorità dell'ego, 205 i n q u a n t o p o l o i n t e n z i o n a l e d e l l ' e s p e r i e n z a ; e che questa stessa esteriorità, con l'intero flusso dell'esperienza mondana e con l'esistente che in lei si annuncia in modo concordante, appartiene all'interiorità, altrettanto quanto vi appartiene tutto il resto che l'espe-
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rienza possibile e la teoria possono esigere dall'esistente. Non giace dunque ogni problematica possibile, che va posta a partire da questo ego, completamente nell 'ego stesso, nelle sue realtà e possibilità di coscienza, nelle sue opera zioni e nelle strutture essenziali ad esse pertinenti ? Così noi guidati dal sapere e dalla scienza alla logica come teoria della scienza, e condotti ulteriormente dalla sua fondazione effettiva a una teoria della ragione logica o scientifica, siamo d a v a n t i a 1 p r o b 1 e m a u n i v e r s a 1 e d e 1 1 a f i 1 o s o f i a t r a s c e n d e n t a 1 e , nella sua sola forma pura e radicale, quella di una f e n o m e n o l o g i a t r a s c e n d e n t a l e.
Capitolo sesto FENOMENOLOGIA TRASCENDENTALE E PSICOLOGIA INTENZIONALE. IL PROBLEMA DELLO PSICOLOGISMO TRASCENDENTALE
§ 94. Ogni essente è costituito nella soggettività di coscienza.
Rendiamoci chiaro il senso della problematica trascen dentale. Ogni scienza ha il proprio territorio e ha di mira la teoria di questo territorio. È in essa che ciascuna scienza ottiene il proprio risultato. Ma è la ragione scientifica che dà luogo a questi risultati ed è la ragione esperiente che dà luogo al territorio. Ciò vale anche per la logica formale nella sua relazione di grado superiore a ciò che è [Seiend], ed eventualmente ad un mondo possibile in generale, per la sua teoria, di una generalità di grado superiore, corre lazionata a tutte le teorie particolari. Essente, teoria, ra gione non si connettono in modo casuale tra di loro e neppure si deve presupporre il loro rapporto come casuale, sepp ure >. Ap punto questa necessità e generalità devono essere interrogate in quanto sono quelle del soggetto che pensa logicamente - d e 1 m i o s o g g e t t o , io che posso sottopormi sol tanto ad una logica che io stesso elabori intuitivamente e che già abbia elaborato -; del mio, giacché qui in primo luogo il discorso non concerne alcuna altra ragione che la mia né altra esperienza e teoria che la mia, né alcun altro esistente che ciò che io per mezzo dell'esperienza posso
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mostrare, e che nel mio ambito di coscienza deve presen tarsi come qualcosa che sia in qualche modo intenzionato, se io debbo produrre la teoria nel mio agire teoretico, nella mia evidenza. 206 Come nella vita quotidiana, cosi pure nella scienza (qualora questa non mistifichi il suo proprio operare la sciandosi deviare da una gnoseologia >) l 'espe rienza è l'esser coscienti di essere di fronte alle cose stesse, di afferrarle e di possederle in modo affatto diretto. Ma l'esperienza non è un buco in uno spazio di coscienza, attraverso il quale traluca un mondo esistente prima di ogni esperienza, e neppure una mera assunzione nella co scienza di qualche cosa che le sia estraneo. Giacché come potrei io enunciare in modo razionale questo elemento estraneo senza vederlo in sé, e senza con ciò vedere, insieme alla coscienza, l'estraneo-alla-coscienza - dunque senza e s p e r i r 1 o ? E come potrei rappresentarlo per lo meno come qualcosa di pensabile ? Non sarebbe questo un voler prolungare intuitivamente il pensiero nell'esperienza as surda di ciò che è estraneo all'esperienza ? Esperienza è l 'operazione in cui per me, l'esperiente, l'essere esperito >, e nel modo in cui esso è là, con l'intero contenuto e il modo d'essere che l'esperienza stessa gli attribuisce per mezzo dell'operazione che si compie nella sua inten zionalità. Se l'esperito ha il senso dell'essere > , è l'esperire, sia per sé, sia nell'intera connes sione di motivazione che gli appartiene e che concorre a costituire la sua intenzionalità, ciò che costituisce questo senso. Se un'esperienza è i m p e r f e t t a e lascia appa rire l'oggetto in sé esistente solo unilateralmente, solo in una prospettiva di lontananza e simili, è l'esperienza stessa, in quanto è questo o quest'altro modo di coscienza, che risponde in questo senso alla mia domanda, che mi sug gerisce dunque che qui qualcosa è presente in se stesso alla coscienza, ma che è più di ciò che realmente è colto in se stesso, e che v'è ancora altro da esperire intorno allo stesso ; proprio per ciò esso è trascendente, e anche per il fatto che, come ancora mi insegna l'esperienza, esso po-
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trebbe anche essere un 'apparenza, benché si dia come af ferrato effettivamente e in se stesso. Ed è ancora pur sempre l 'esperienza che dice: questa cosa, questo mondo, per me, per il mio proprio essere, è del tutto trascendente. È mondo >, e come tale è anche esperibile e esperito da altri. La realtà effettiva e l 'apparenza si auto rizzano e si rettificano in concorso con gli altri - che a loro volta sono per me dati di una esperienza reale e pos sibile. È essa che mi avverte del fatto che di me stesso io ho esperienza in una originalità primaria ; degli altri, della loro vita psichica, ho esperienza in una originalità che è solo secondaria, in quanto l 'estraneo non mi è di principio accessibile in una percezione diretta. Ciò che volta a volta viene esperito: le cose, l 'io stesso, gli altri ecc. - e tutto quello che ancora resterebbe da esperire, l'identità in cui l'esperito attraversa le esperienze molte plici, il rinvio di ogni tipo di esperienza dei diversi gradi di originalità verso nuove possibili esperienze della stessa cosa (in primo luogo quelle proprie e, sulla base di queste, le estranee), verso lo stile dell'esperienza progressiva e di ciò che in essa emergerebbe come esistente ed esistentecosi - assolutamente tutto è incluso intenzionalmente nella coscienza stessa come questa intenzionalità attuale e poten ziale, la cui struttura posso sempre i n t e r r o g a r e . E d i o d e b b o interrogarla s e appunto io voglio com prendere di cosa si tratta veramente qui: che, per me, non v'è nulla che non si fondi sulla mia propria o p e r a z i o n e d i c o s c i e n z a a t t u a 1 e e p o t e n z i a 1 e . Qui, la potenzialità è la certezza, che si delinea nella sfera stessa della mia coscienza a partire dall'intenzionalità attuale, del > o del > - cioè del: potrei mettere in giuoco serie coscienziali connesse sinteticamente, in modo che lo stesso oggetto mi sarebbe continuamente presente alla coscienza proprio come l'effettuazione unitaria di queste serie coscienziali. In particolare inerisce a priori a questa possibilità la potenzialità di intuizioni - esperienze, evi denze, - che devono essere realizzate da me, nelle quali questo stesso oggetto si mostrerebbe e si determinerebbe 1 9. - Hus,eT/
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in se stesso in una concordanza continua, comprovando ulteriormente per questa via il proprio essere effettivamente reale. Che questo oggetto sia per me non soltanto esistente [seiend], ma realmente [wirklich] esistente, >, > e infine ciò che esso è già ora per me, e le possibilità che lascia ancora aperte per me, tutto ciò caratterizza certe operazioni, legate sinteti camente tra di loro in un certo determinato modo, che si delineano in forma cosciente, che devono essere da me esplicitate e che devono essere anche messe da me libe ramente in movimento. In altre parole, non v'è essere ed esser-così per me (in quanto realtà o in quanto possibilità) se non in quanto v a 1 i d o p e r m e . Questo valere per me è appunto una designazione che conviene a una molte plicità di mie operazioni possibili ed effettive (non già una molteplicità semplicemente postulata dall'alto, possi bilità dapprima nascosta e che debba essere successivamente svelata), insieme con le idee, che si vengono delineando essenzialmente, di concordanza all'infinito e di essere defi nitivo. Qualunque cosa io mi trovi di fronte, in quanto oggetto esistente (come devo pur riconoscere, esplicitando in modo conseguente la propria vita di coscienza come vita per cui sussistono delle >) - ha ricevuto per me t u t t o il suo senso d'essere dalla mia intenzionalità operante, e neppure un'ombra di questo senso le rimane estranea. È proprio questa intenzionalità che debbo inter rogare, che devo esplicitare sistematicamente se voglio comprendere questo senso, dunque se voglio comprendere anche ciò che posso o non posso riferire a un oggetto, sia esso assunto in una generalità formale o in quanto oggetto appartenente alla propria categoria d'essere - e ciò ap punto in conformità con l 'intenzionalità costituente, donde proviene, come s'è detto, tutto il suo senso. Esplicitare questa stessa intenzionalità significa rendere comprensibile 208 il senso stesso a partire dall'originarietà dell'operazione che costituisce il senso. Così se io procedo filosoficamente. Giacché se non lo faccio, se mi trattengo nella ingenuità della vita, non si
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presenta alcun pericolo. L 'intenzionalità vivente mi porta, prescrive, mi determina praticamente nel mio intero agire, anche nella mia naturale condotta di pensiero, sia che essa produca l'essere o l'apparire, e quand'anche essa, nel suo fungere vitale, resti non tematica e non svelata, e quindi sottratta al mio sapere. Ho detto a p p a r e n z a accanto ad e s s e r e. Giac ché naturalmente appartiene all'effettuazione di coscienza proprio dell'esperienza stessa che essa abbia il suo stile operativo normale soltanto come esperienza concordante ; che, tuttavia, questa concordanza possa anche spezzarsi, che l 'esperire possa entrare in c o n t r a s t o , che la cer tezza, in un primo tempo schietta, propria dell'esperienza, possa condurre al dubbio, alla supposizione, alla conget tura, alla negazione (qualificazione di nullità) e tutto ciò secondo condizioni di struttura ben determinate, che devono appunto essere fatte oggetto di indagine. Deve poi anche essere indagato perché la possibilità aperta dell'inganno, dunque del non essere dell'esperito, non elimini tuttavia la presunzione della concordanza normale, e perché sussista pur sempre per me, che continuo ad essere al disopra di ogni dubbio, un universo d'essere ; un universo dunque tale che io mi sbagli e possa sbagliarmi a suo riguardo solo su elementi singoli e occasionalmente. Non occorre dire che lo stesso vale a s s o 1 u t a m e n t e p e r q u a 1 s i a s i c o s c i e n z a , per ogni modo in cui l 'esistente, possibile, dotato di senso e assurdo, è per noi ciò che per noi è, e che ogni q u e s t i o n e d i d i r i t t o che a questo proposito venga posta e sia da porre, ha pretracciato il senso e la via della legittimazione dalla intenzionalità di coscienza che di volta in volta vi si rife risce. Tutte le connessioni di coscienza della presentazione che culminano, nel caso favorevole, in un'evidenza, sono attraversate da parte a parte dall'unità dell'intenzionato e infine dell'essente presentato - di quello stesso che con tinua ad essere polo d'identità intenzionale: n o n v ' è alcun luogo pensabile dove la vita di c o s c i e n z a s i a o d e b b a e s s e r e s p e z z a t a si
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da farci pervenire ad una trascendenza che potesse avere mai altro senso da quello di un'unità intenzionale che si presenta nella stessa soggettività di coscienza. § 95. Necessità di un punto di partenza fondato sulla soggettività di ciascuno.
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Tuttavia, in modo corretto ed esplicito, devo dire i n n a n z i t u t t o : questa soggettività sono i o s t e s s o , quell'io che prende coscienza di me circa ciò che è e che vale per me, e attualmente come quell'io che prende coscienza di me come logico, in rapporto al mondo esistente presupposto, e ai principi logici che gli si riferiscono. In primo luogo dunque sempre io, e ancora una volta io, nel senso dell'Io di quella vita di coscienza mediante cui tutto ottiene per me un senso d 'essere. Il mondo tuttavia (e qui non possiamo passar via troppo celermente come nei paragrafi precedenti) è pure il m o n d o d i n o i t u t t i ; esso, in quanto mondo oggettivo, ha nel suo proprio senso la f o r m a c a t e g o r i a I e d e l > , non soltanto per me, ma p e r c h i u n q u e . Giacché quanto noi precedentemente 20 abbiamo messo in risalto, come carattere logico dellà verità predicativa, è già chiaramente valido anche per il mondo dell'esperienza antecedente la verità e la scienza che esplicitano predica tivamente questo stesso mondo. L' e s p e r i e n z a d e l m o n d o - in quanto esperienza costituente - non de signa semplicemente la mia esperienza del tutto privata, bensi un' e s p e r i e n z a c o m u n i t a r i a ; e il mondo stesso, in conformità al suo senso proprio, è uno e medesimo, e ad esso n o i tutti abbiamo di principio un accesso sperimentale, sul quale n o i tutti possiamo accordarci nello > delle nostre esperienze, dunque nella loro 2•
Cfr. § 77, p. 171 [238 sg.].
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messa in comune, cosi come anche la prova riposa sull'assenso reciproco e sulla sua critica. Tuttavia per quanto smisurate difficoltà possa compor tare il reale svelamento dell'intenzionalità operante, e in modo particolarissimo la distinzione tra ciò che è origina riamente proprio e ciò che è estraneo - ovvero il chia rimento di q u e l l a intersoggettività che funge come costitutiva di senso per il mondo oggettivo -, quanto s 'è detto mantiene innanzitutto una necessità insuperabile. I o esisto come primo e prima di ogni cosa pensabile. Questo (( i o s o n o 1> è per me, per me che dico questo, e lo dico in piena comprensione, l a b a s e p r i m a r i a i n t e n z i o n a l e p e r i l m i o m o n d o ; dove io non posso trascurare il fatto che anche il mondo , il (( mondo per tutti noi >> quale vale per me in questo senso, è il > mondo. Il fondamento primario intenzionale è tuttavia l'(( io sono 1>, per (( il 1> mondo, e non solo per quello cui mi rivolgo come reale, ma anche per i (( mondi ideali 1> che proprio per me sono validi, e così in generale per qua lunque cosa di cui io abbia avuto coscienza come esistente in un qualsiasi senso per me comprensibile o valido - come ciò che io provo ora con diritto, ora illegittimamente, ecc. incluso io stesso, la mia vita, il mio pensiero, e tutto questo esser consapevole. Che ciò mi piaccia o no, che ciò mi possa o no parere inaudito (e per qualsiasi pregiudizio ciò avvenga), questo è il d a t o d i f a t t o p r i m a r i o c h e i o d e b b o a f f r o n t a r e , e dal quale io, in 210 quanto filosofo, non posso mai distogliere lo sguardo. Per filosofi. apprendisti questo può essere l'angolo oscuro in cui si agitano gli spettri del solipsismo o anche dello psicolo gismo e del relativismo. Il vero filosofo però, anziché lasciarsene impaurire, preferirà gettare luce sopra questo angolo buio.
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§ 96. La problematica trascendentale dell'intersoggettività e il mondo intersoggettivo.
a) lntersoggettività e mondo dell'esperienza pura.
Dunque anche il mondo-per-ciascuno è d a m e con saputo come tale ; come tale ha valore per me, e si com prova nella mia intenzionalità, nella quale riceve contenuto e senso d'essere. Esso naturalmente presuppone che nel mio ego - nell'ego che, nell 'universalità che è qui in discus sione, dice : ego cogito, e che nei cogitata, quelli reali e quelli possibili, abbraccia appunto tutto ciò che per esso è reale e possibile, - presuppone, dicevo, che ogni alter ego, come tale, consegna in questo ego il proprio senso e la propria validità. L '►, gli altri - tutto ciò è qualcosa che ha un riferimento originario con me, cioè con quell'io che li esperisce e che ne ha in qualsiasi modo coscienza. E con l '►, naturalmente, tutto ciò che appartiene al suo senso - al suo senso per me. Come per es. il fatto che l 'altro è là ► con il suo corpo vivo e con la sua vita propria, e che anch'esso a s u a v o l t a ha cli fronte me, che i o p e r l u i - con la mia intera vita, con tutti i miei modi di coscienza e gli oggetti che valgono per me - sono un a l t e r - e g o , come egli lo è per me ; e altresl ·ogni altro per ogni altro, in modo che il ► acquista un senso ; e altrettanto lo acquistano il Noi, e l 'Io (come ►), in quanto inclusi nel ►• Tentiamo ora di dipanare l 'intricata problematica tra scendentale dell'intersoggettività, e insieme della costitu zione della forma categoriale dell '> per quel mondo che è proprio il nostro mondo, al fine di farci al meno un 'idea del tipo di chiarificazioni che vanno effet tuate qui, median.te il puro, conseguente svelamento della vita intenzionale propria e di ciò che vi è costituito. Se io, nell'un iversalità del mio ego cogito, ritrovo me quale essere psico fisico, come una unità che vi è costituita ; e se trovo di fronte a me, in riferimento con quell'essere,
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esseri psicofisici nella forma di ►, pure costituiti, in quanto tali, nelle molteplicità della mia vita intenzionale, si lasciano scorgere allora qui grandi difficoltà, e prima di tutto già in rapporto con me stesso. lo, l '►, sono quello che ► il mondano nella sua totalità, come l'Io cioè nella cui vita di coscienza il mondo si costituisce prima di tutto come unità intenzionale. lo dunque, come lo costituente, non sono identico con l'io già mondano, con me come realtà psicofisica ; e la mia vita psichica di coscienza, come vita psico-fisico-mondana, non è identica con il mio ego trascendentale, in cui si costituisce per me il mondo, con tutto quanto esso ha di fisico e di psichico. Ma non dico in tutt'e due i casi ►, sia che io mi esperisca mondanamente, nella mia vita naturale, come uomo, o che, nell'atteggiamento filosofico, retroceda inter rogativamente al mondo, e a me come uomo, secondo la molteplicità d'► costituenti, d 'opinioni, di modi di coscienza costituenti, ecc., e in modo che, assumendo tutto l 'oggetto come mero ►, come unità costi tuita intenzionalmente, mi ritrovi ora come ego trascenden tale ? E non ritrovo allora del tutto uguali, nel contenuto, la mia vita trascendentale e la mia vita psichica e mondana ? E come si deve intendere il fatto che l'► deve insieme aver costituito in sé la totalità di ciò che gli è essenzial mente proprio, come > , psicofisicamente obbiet tivata in connessione con la ► corporeità viva, e cosi intrecciata -alla natura in esso (come ego) costituita ? E inoltre : se l '>, come è chiaro, è costituito con un senso che rimanda a me stesso, e propriamente a me come io umano, - in particolare il suo corpo vivo rimanda al mio proprio come corpo ►, e la sua vita psi chica alla mia propria vita psichica, come ► come deve intendersi questa costituzione del nuovo senso d'essere, di esso come ► ? Già l 'autocostituzione dell'ego come essere esteso nello spazio, come ente psico fisico, è una cosa molto oscura ; ma è un enigma ancor più oscuro e addirittura tormentoso come debba costituirsi
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nell'ego un a 1 t r o i o p s i c o f i s i c o con un' a 1 t r a p s i c h e , giacché appartiene al suo senso di altro l'im possibilità di principio che io esperisca in una originalità effettivamente reale i contenuti psichici che gli sono essen zialmente propri, come avviene per quelli che sono propri a me. Di principio dunque la costituzione dell'altro dev'es sere diversa da quella del mio proprio io psicofisico. Procedendo, dev'essere chiarito come io ascriva neces sariamente all'altro, nei suoi Erlebnisse altri dai miei, nelle sue esperienze altre dalle mie, ecc., e che gli sono stato da me assegnati, non soltanto un mondo d'esperienza ana logo, ma i 1 m e d e s i m o che io stesso esperisco ; e 212 allo stesso modo dev'essere chiarito come egli in questo mondo mi esperisca, esperisca cioè a sua volta me come in relazione con lo stesso mondo d'esperienza, lo stesso al quale io vedo lui riferirsi, ecc. Se per me è certo e comprensibile per via della chia rificazione trascendentale che la mia anima è un'auto-ob biettivazione del mio ego trascendentale, allora anche la psiche estranea rinvia ad un e g o , e ora precisamente a u n e g o t r a s c e n d e n t a 1 e e s t r a n e o , come l'ego che l'altro dovrebbe cogliere, nella sua >, muovendo da se stesso per procedere interrogativamente a ritroso, dal mondo a lui già dato nella sua esperienza fino alla vita costituente ultima. Su questa strada il problema degli > prende ancora un altro senso: Si deve comprendere come il mio io trascendentale, base di tutto ciò che per me ha valore d'essere, può costi tuire in sé un altro ego trascendentale (e in questa dire zione anche una pluralità aperta di tali ego) un ego >, nel suo essere originale assolutamente inaccessibile al mio ego, eppure riconoscibile per me come esistente ed esistente in questo modo. Pure, sollevando questi problemi, non abbiamo ancora fatto abbastanza ; essi sono come assediati di enigmi, che debbono a loro volta essere afferrati in forma di problemi, sinché non sia divenuta evidente, con tutta la sua stra ordinaria complicazione, una solida e necessaria stratifi-
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cazione dell'intera problematica per gradi successivi, la quale prefiguri alla soluzione il suo necessario cammino d'indagine. Procediamo dal fatto che il mondo, per noi - o per parlare con maggior precisione - per m e come e g o , è costituito come >, nel senso di esistente per >, di mondo che si rileva così com'è in una co munità conoscitiva intersoggettiva. Deve dunque esser già costituito un senso di > in relazione al quale può esservi un mondo obbiettivo. Ciò comporta che ci dev'essere alla base un p r i m o s e n s o d i O g n u n o , e dunque anche degli Altri, che non è ancora il senso usuale, di grado superiore, cioè il senso >, con cui viene intesa una realtà [ein Reales] del mondo oggettivo, e viene dunque già presupposta la costituzione del mondo. L'> del grado costitutivo inferiore rimanda ora, secondo il suo senso, a me stesso ; ma come abbiamo già osservato poco fa, non rimanda a me in quanto ego tra scendentale, bensì in quanto mio i o p s i c o f i s i c o . Anche q u e s t o dunque n o n p u ò a n c o r a essere i o , l ' u o m o nel mondo oggettivo, la cui oggettività deve divenire possibile solo costitutivamente attraverso di lui. Ciò rinvia a sua volta al fatto che la mia s o m a t i c i t à c o r p o r e a [korperliche Leiblichkeit], la quale, confor memente al suo senso, è spaziale ed è un membro di un ambiente corporeo-spaziale, di una n a t u r a - all 'intemo di cui il soma dell'altro mi si fa incontro - che (dicevo) tutto ciò n o n può ancora avere un significato m o n d a - 213 n o - o b b i e t t i v o . Il mio io psico-fisico in sé primo (qui non si parla della genesi temporale, bensì di strati costitutivi), in riferimento al quale l'altro in sé primo deve essere costituito, è - lo si vede - membro di una n a t u r a i n s é p r i m a , che non è ancora natura oggettiva, e la cui spazio-temporalità non è ancora la spazio-temporalità oggettiva, in altre parole non ha ancora i caratteri costi tutivi che derivano dall'altro già costituito. Ed è in con nessione con questa prima natura che interviene - come nel
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corpo che gli appartiene, e che perciò si chiama il mio soma c01poreo - il mio io psichico, governandolo, eserci tando in esso funzioni psicofisiche in un modo affatto pecu liare, e > come il solo che sia dato in un'espe rienza originaria. Si intende ora che questa prima natura o mondo, questa prima oggettività non ancora intersoggettiva, è costituita come a m e p r o p r i a nel mio ego in un s e n s o p r i v i 1 e g i a t o , in quanto essa ancora non nasconde in sé nulla di estraneo all'io, nulla cioè che superi, me diante 1'inserimento costitutivo di io estranei, la sfera del1'esperienza realmente diretta, d e 1 1 ' e s p e r i e n z a e f f e t t i v a m e n t e o r i g i n a 1 e (o ciò che emerge da essa). Per altro è chiaro come in questa s f e r a d i p r o p r i e t à p r i m o r d i a 1 e del mio ego trascendentale debba giacere il f o n d a m e n t o d i m o t i v a z i o n e per la costituzione di quelle t r a s c e n d e n z e autentiche che oltrepassano tale sfera, le quali sorgono dapprima come , come altri esseri psicofisici ed altri ego-trascen dentali; e attraverso questa mediazione, rendono possibile la costituzione di un mondo oggettivo del senso quotidiano: un m o n d o d e I , dell'estraneo all'io. Ogni oggettività intesa in questo senso è riportata costi tutivamente al p r i m o e s s e r e e s t r a n e o a 1 1 ' i o , nella forma dell', cioè del non-io nella forma del1'>. b) L'apparenza 28 del solipsismo trascendentale. È appena necessario dire che tutta questa problematica pluristratificata della costituzione del mondo oggettivo è insieme la problematica dello scioglimento di quella che si può chiamare I ' a p p a r e n z a t r a s c e n d e n t a I e, la quale devia anticipatamente, e per lo più stronca, ogni tentativo di impossessarsi di una filosofia trascendentale 28 [der Schein: comprende il senso di in modo conveniente, per la conciliazione degli interessi dell'intel letto e del sentimento - bensì di un senso che dev 'essere tratto fuori in primo luogo e nella prima originarietà a partire dall'esperienza stessa. La cosa essenziale è quindi l'interrogazione del mondo d'esperienza puramente come tale. Compenetrandomi completamente al processo del1'esperienza del mondo e a tutte le possibilità aperte del suo conseguente riempimento, dirigo con ciò lo sguardo sull'esperito e sulle sue strutture generali di senso, che devono essere afferrate eideticamente. Seguendo questa traccia occorre poi retrocedere ulteriormente a interrogare le forme e i contenuti delle attualità e potenzialità che sono costitutive di senso per questo senso d'essere e per i s u o i gradi - dove, di nuovo, nulla va postulato, né >, bensl presentato. È solo cosi
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che deve essere creata quella comprensione ultima del mondo, dietro di cui, in quanto ultima, nulla v'è più che possa essere sensatamente interrogato e compreso. In questo modo di procedere di semplice e s p l i c i t a z i o n e c o n c r e t a può persistere l 'apparenza trascendentale del solipsismo ? Non si tratta di un'apparenza che può inter venire soltanto p r i m a dell'esplicitazione giacché, come si è detto, che gli altri - e cosi pure il mondo per gli altri - possiedano il loro senso in me stesso e da me stesso, si presenta come un dato di fatto e non si può trattare qui dunque di null 'altro che di chiarire questo dato di fatto, come ciò che è presente in me stesso ? c) Problemi di grado superiore del mondo oggettivo.
Naturalmente non tutto è esaurito con le linee di lavoro sopra anticipate. La ricerca deve andare oltre. In primo luogo (ciò cui esclusivamente si riferivano le cose indicate) dev'essere illuminato costitutivamente il mondo dell 'espe rienza ingenuo e còlto nella sua purezza, e con ciò possono essere poste le questioni di grado superiore, che devono esserne ben distinte, come quelle della costituzione di un 21 5 mondo per cosi dire teoretico, di quello cioè che ha un'esi stenza vera e propria nel senso teoretico, ovvero quelle di una conoscenza teorica incondizionatamente e obbiettiva mente valida. Un problema particolarmente importante e difficile è inoltre il chiarimento delle i d e a l i z z a z i o n i che appartengono al senso intenzionale delle scienze. Nella generalità formale esse si presentano come > e >, nel senso, appunto idealizzato, della logica formale e dei suoi > . Ma una volta che siano im messe nelle particolarità mondano-regionali danno subito luogo a grossi problemi, come avviene p. es. per l'idea della natura esatta (in conformità con le scienze > della natura), a cui appartiene lo spazio > della geometria, con le sue rette ideali, i suoi cerchi, ecc. e il tem po ideale corrispondente ecc.
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d) Considerazione conclusiva.
Deve bastarci, in questa sede, di aver reso comprensibile, almeno all 'ingrosso, la problematica intricata e fuorviante dell'intersoggettività mondana 07 • Ora è chiaro: soltanto mediante quello svelamento dell'operazione che costituisce il senso d'essere del mondo dato, noi possiamo liberarci da ogni assurda assolutizzazione dell'essere di questo mondo e possiamo anche sapere, in generale e in ogni senso, che cosa noi - noi filosofi - dobbiamo presumere circa tale essere, circa la natura, lo spazio, lo spazio-tempo, la causa lità, in qual senso noi dobbiamo intendere rettamente l'esattezza, rispettivamente, della geometria, della fisica ma tematica, ecc., per tacere dei problemi corrispondenti - ma d'altro genere - delle scienze dello spirito. Quanto tutto ciò oltrepassi la sfera logico-formale, deve essere tenuto ben presente fin da principio, onde poter evitare di assegnare pretese assurde alle validità logico formali. Dobbiamo cogliere nella loro massima estensione e grandezza i problemi della > della conoscenza ; solo ora noi propriamente comprendiamo a che cosa volesse arrivare (o per lo meno, a che cosa dovesse arrivare) questa vecchia espressione di > di cui fa uso la teoria della conoscenza.
§ 97. Il metodo dello svelamento della costituzione di 216 coscienza nel suo universale significato filosofico.
Nessun filosofo può risparmiarsi la via delle spinose ricerche che noi abbiamo certato di aprire. Il r i f e r i r s i u n i v e r s a 1 e di tutto ciò che è pensabile per un io
27 I punti principali per la soluzione del problema dell'intersogget tività e del superamento del solipsismo trascendentale, sono stati già da me sviluppati nelle lezioni di Gottinga (semestre invernale 1910-1 1 ). Ma la effettiva realizzazione postulava ancora difficili ricerche singole, che solo più tardi poterono compiersi. Una breve esposizione della teoria stessa daranno presto le mie Cartesianische Meditationen. Negli anni pros simi spero di portare anche a pubblicazione le relative ricerche esplicite.
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alla sua vita di coscienza, del resto, è già noto a tutti, e già fin da D e s c a r t e s , come un dato di fatto filoso fico fondamentale, del quale in particolare si è molto riparlato nei tempi più recenti. Ma non serve a nulla filo sofare dall'alto intorno a ciò, e ricoprire quel riferimento universale mediante trame speculative intessute magari anche con la più grande finezza, anziché penetrare nelle sue straordinarie concrezioni e renderle fruttuose con un pro cedimento realmente filosofico. Chi filosofa deve rendersi chiaro fin dall'inizio ciò che noi, con buon fondamento, abbiamo sottolineato così fortemente e così di frequente : che tutto ciò che per lui deve essere, e che deve essere questo o quest'altro, che dunque deve poter avere per lui senso e valore, deve essere da lui consaputo nella forma di una propria operazione intenzionale, c o r r i s p o n d e n t e alla p a r t i c o 1 a r i t à di questo esistente, pro cedendo da una propria > (come io mi espressi anche nelle mie Idee). Non ci si può tenere nella vuota generalità e parlare di coscienza, o indugiare sulle vuote parole di esperienza, giudizio e simili, e tralasciare il rimanente alla psicologia, come se fosse filosoficamente irrilevante - a questa psicologia, la cui dotazione consiste nella cecità per l 'intenzionalità come qualcosa di essenzialmente proprio della vita di coscienza, e in ogni caso per l'intenzionalità come funzione teleo logica, cioè come operazione costitutiva. La coscienza dev'essere svelata metodicamente, cosicché la si possa > direttamente nel suo operare che conferisce senso e che crea senso secondo le modalità d'essere. Si può osser vare come il senso oggettuale (il cogitatum delle relative cogitationes) si conformi in nuovo senso nel modificarsi di queste cogitationes nella loro connessione fungente di motivazione ; come ciò che è davanti a noi si sia già con formato in precedenza a partire da un senso-base, che procede da un 'operazione anteriore. Chi abbia concretato dei frammenti di simili esplicitazioni intenzionali sulla base di esempi presi a piacere, riconoscerà subito che non può mai essere aggirato lo smisurato compito di svelare nella
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sua universalità questa vita operante e di rendere così comprensibili tutte le formazioni di senso della vita di cultura naturale, scientifica, della vita culturale superiore complessiva, e tutto ciò che vi rientra come >, nella sua universale unità ontica, chiarendolo, in defini tiva, a partire dalle sue origini costitutive. Certamente, per questo scopo doveva essere prima 217 dischiuso il metodo, perché la scoperta dell'intenzionalità operata da B r e n t a n o non ha mai condotto, strana mente, a vedere in essa una connessione d'operazioni che sono incluse nell'unità intenzionale volta a volta costi tuita, e nei modi rispettivi di datità che le competono, come una s t o r i a s e d i m e n t a t a , una storia la quale p u ò e s s e r e a v o l t a a v o l t a s v e l a t a , c o n m et o d o r i g o r o s o . Grazie a questo riconoscimento fon damentale, ogni tipo di unità intenzionale diventa > delle > costitutive, e queste stesse analisi acquistano, a partire di qui, un carattere peculiare ; n o n sono a n a I i s i n e 1 s e n s o u s u a I e (analisi_ reali [reell]) bensl s v e I a m e n t i d i i m p 1 i c a z i o n i i n t e n z i o n a I i (pro cedendo p. es. da un'esperienza verso il sistema delle esperienze a n t i c i p a t e come possibili). § 98. Le ricerche costitutive come ricerche aprioriche.
Ma questa visione fondamentale sarebbe rimasta priva di buoni frutti senza il riconoscimento, già menzionato occasionalmente, che in queste ricerche n o n è u n p r i m u m l'empiria induttiva, bensl che una tale empiria indut tiva è solo possibile se sia preceduta da una r i c e r c a e s s e n z i a I e . Una conoscenza propriamente fondamen tale, ed estranea a tutte le precedenti psicologie e filosofie trascendentali, è qui quella per cui o g n i o g g e t t u a l i t à d i r e t t a m e n t e c o s t i t u i t a , p . es. u n og getto di natura, r i m a n d a i n m o d o c o r r i s p o n d e n t e a I s u o t i p o e s s e n z i a l e (la cosa fisica
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in generale) a d u n a / o r m a e s s e n z i a l e e o r r e I a t i v a d e 1 1 a svariata e reale e possibile i n t e n z i o n a l i t à (che nell'esempio dato è infinita), c h e è c o s t i t u t i v a p e r t a 1 e o b b i e t t i v i t à . La mol teplicità delle percezioni, dei ricordi possibili, e di tutti gli altri Erlebnisse intenzionali in generale, che > sono riferiti e riferibili ad una medesima cosa, al di là di tutte le sue smisurate complicazioni, possiede uno s t i 1 e e s s e n z i a 1 e ben determinato, in generale iden tico per ogni cosa, che si viene particolarizzando di cosa individuale in cosa individuale. E altresi i modi di coscienza che possono far prendere coscienza di qualsivoglia ogget tualità ideale, e possono essere portati all'unità di una coscienza sintetica di questa stessa, sono di uno stile deter minato, essenziale per q u e s t o tipo di oggettualità. Poiché la mia intera vita di coscienza, anche nella sua inte218 rezza, senza pregiudizio per tutte le molteplici oggettualità particolari che vi si costituiscono, è un 'unità universale di vita operante, con un'unità dell'operazione, perciò l ' i n tera vita di coscienza è dominata da un a p r i o r i u n i v e r s a l e c o s t i t u t i v o c h e a b b r a c c i a o g n i i n t e n z i o n a l i t à , un a priori che si allarga, per la tipicità propria della intersoggettività che si costituisce nell'ego, ad un a p r i o r i d e l l ' i n t e n z i o n a l i t à i n t.e r s o g g e t t i v a , e delle unità inter soggettive e dei > intersoggettivi che si concretano in essa. L'indagine di questo a priori complessivo è il c o m p i t o (eccezionalmente grande, ma cui si può sen z'altro mettere mano, risolvendolo gradualmente) d e l l a f e n o m e n o l o g i a t r a s c e n d e n t a l e. Deve inoltre esser tenuto presente che la s o g g e t t i v i t à o p e r a n t e d i p r i n c i p i o n o n s i e s a u r i s c e nella vita intenzionale a t t u a l e , nel coordinarsi effettivo dei suoi Erlebnisse intenzionali, - che essa si trova anche e permanentemente nelle sue f a c o l t à. Queste non consistono di formazioni ipotetiche operate al fine della spiegazione, ma si possono presentare nelle sin gole pulsazioni dell'> e dell'> come
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fattori costantemente operanti, e a partire di qui si possono anche indicare tutte le facoltà universali, della soggettività singola e dell 'intersoggettività. Anche a ciò si riferisce - sia espressamente rilevato - l'a priori fenomenologico come un a priori attinto (ciò che è implicito in generale nel senso della fenomenologia) ad intuizioni essenziali cor rispondenti. Per una migliore comprensione del m e t o d o d e 1 1 a r i c e r c a d e 1 1 ' e s s e n z a si accennerà ancora bre vemente : che tutto ciò che noi abbiamo portato alla luce nelle nostre considerazioni sulla costituzione, deve essere dap prima reso intuibile in e s e m p i presi a piacere di tipi qualsiasi di oggetti già dati, e dunque nella esplicitazione riflessiva dell'intenzionalità, in cui noi > in modo semplice e diretto un'oggettualità reale o irreale. Un passo ulteriore di grande importanza è quello che consiste nel riconoscere che ciò che vale apertamente per singolarità f a t t u a l i della realtà o della possibilità, rimane anche necessariamente valido se noi variamo del tutto a piacere il nostro esempio e retrocediamo ora interrogativamente alle correlative > co-varianti, cioè gli Erlebnisse costituenti, secondo i modi di datità > che si modificano in modo ora continuo ora discreto. Innanzi tutto si devono interrogare i modi di > costituenti in senso p r e g n a n t e , q u e 1 1 i i n c u i s i e s p e r i s c o n o gli oggetti assunti volta a volta a titolo esemplare e le loro varianti ; e si devono interrogare i modi in cui, in essi, gli oggetti si danno forma come unità 219 sintetiche nel modo : , con la totalità delle determinazioni che gli compe tono, sarebbe presentato alla coscienza come oggetto dato > e confermato > in modo assoluto : la variazione dell'esempio (quale punto di partenza necessario) che qui 20. - Husrerl
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deve essere effettuata è appunto l'attività in cui deve essere ottenuto l'>, e mediante cui deve emergere anche l'evidenza della correlazione eidetica indistruttibile di costi tuzione e costituito. Né questa operazione è da intendere come una v a r i a z i o n e e m p i r i c a , bensì come una variazione che dev'essere realizzata nella libertà della pura fantasia e nella pura coscienza dell'arbitrarietà - del > In-generale -, con il che essa si colloca al tempo stesso in un orizzonte di possibilità molteplici, libere, aperte e infinite, per sempre nuove varianti. In una tale variazione completamente libera, prosciolta da ogni legame a > già dati in partenza, tutte le varianti di un ambito aperto e infinito - in cui è compreso anche l 'esempio stesso, liberato da ogni fatticità, come > - stanno ora in un rapporto di reciprocità sintetica e in un legame di totalità, e più precisamente in una sintesi continua della >. Ma è appunto in questa co incidenza che emerge ciò che necessariamente perdura in questo libero processo di variazione, e che deve essere sempre di nuovo ricreato : emerge cioè l ' i n v a r i a n t e , ciò che rimane invincibilmente lo stesso nell 'altrimenti e nel sempre-di-nuovo-altrimenti, l ' e s s e n z a comune cui tutte le modificazioni > dell'esempio e tutte le modificazioni di una tale modificazione stessa rimangono legati. Questa invariante è la forma essenziale ontica (forma a priori), l ' e i d o s che corrisponde all'esempio, in luogo del quale ogni variante dello stesso avrebbe potuto servire altrettanto bene 28• Ma la forma ontica essenziale (al livello più alto, la >) quando si operi la conversione riflessiva dello 28 Bisogna badare qui al fatto che a oggetto >> è sempre inteso da noi nel senso più ampio, che comprende anche tutte le oggettualità sintattiche. Ciò conferisce dunque anche al concetto di e i d o s un senso più ampio. Esso definisce insieme anche l 'unico dei concetti del l 'equivoca espressione a priori che noi riconosciamo filosoficamente. È solo ad esso che ci si riferisce nei passi dei miei scritti dove si parla di a priori.
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sguardo verso le possibili esperienze costituenti, verso modi possibili di apparizione, conduce a che queste esperienze e questi modi si modifichino insieme necessariamente e in 220 modo che si mostri ora come invariante una forma essenziale correlativamente bilaterale. Diviene cosi evidente che un a priori ontico è possibile soltanto (e lo è in una piena e concreta possibilità) come correlato di un a priori che si trova con esso in una unità concreta e che in concreto ne è inseparabile. Ciò vale non solo per i sistemi dell'espe rienza possibile di oggetti (i sistemi costitutivi nel senso pregnante), bensì per i sistemi costitutivi nel senso più ampio, che coinvolge tutti i modi di coscienza, anche quelli non-intuitivi, che sono possibili per qualsivoglia oggetto. Infine si vede, procedendo più in là e risalendo alla generalità analitico-formale, che ogni oggetto, per quanto indeterminato e vuoto di contenuto, pensato come un qualcosa in generale >, è pensabile soltanto come correlato di una costituzione intenzionale che ne è inseparabile, che è indeterminatamente vuota eppure non del tutto arbitraria ; la quale cioè, con ogni partico larizzazione del Qualcosa e con ogni categoria ontica che vi viene sostituita (con l'eidos che deve essere rilevato per mezzo della variazione ontica di un esempio che gli cor risponde), deve particolarizzarsi in modo correlativo. In conformità con ciò, ogni analisi intenzionale e costitutiva che vada realizzata sulle datità fattuali, dev'essere consi derata fin da principio (quand'anche ne difetti la compren sione) come un 'analisi >. Tutti i suoi risultati, liberati dalla fatticità e trasposti cosi nell'ambito della libera variazione di fantasia, si trasformano in essenziali, tali da dominare un universo della pensabilità (una totalità >) con evidenza apodittica, in modo che ogni nega zione significhi lo stesso che impossibilità, impensabilità. Ciò riguarda dunque anche l'intera trattazione che si è or ora condotta. Esporre il metodo eidetico non significa descrivere un fatto empirico, un fatto che possa essere ripetuto empiricamente a piacere. La sua validità generale è una validità incondizionatamente necessaria, che può
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essere conseguita intorno ad ogni oggetto esemplare pen sabile, e così è stata da noi intesa. Solo nell'intuizione eidetica l'essenza dell'intuizione eidetica può venir illu minata. È del tutto necessario impadronirsi di questo senso autentico e di questa universalità dell'a priori, e con ciò, in particolare, del rivolgersi-indietro (che è stato descritto) di ogni a priori attinto direttamente, su quello della sua costituzione, dunque anche dell'afferrabilità a priori della correlazione di oggetto e coscienza costituente. Si tratta di nozioni di importanza filosofica senza esempio. Esse dànno luogo a uno stile filosofico essenzialmente nuovo e rigorosamente scientifico, e ciò anche rispetto alla filosofia tra scendentale kantiana, per quanto grandi intuizioni vi si ritrovino. Qui si aprono, per il tramite dei problemi costitutivi che appartengono a tutte le regioni dell'oggettualità, campi smisurati di ricerca a priori e soggettiva ; perciò si può già prevedere che essi debbano guadagnare un 'estensione ancor maggiore di quella che abbraccia a un primo sguardo il campo visuale dell 'analisi metodica. Se cioè ogni elemento fattualmente soggettivo ha la propria genesi immanente, ci si deve attendere che anche questa genesi abbia il suo a priori. Allora alla c o s t i t u z i o n e > di oggetti, cioè a una costituzione rivolta su di una sogget tività già >, viene a corrispondere la c o s t i t u z i o n e g e n e t i c a a p r i o r i , costruita su di quella (che deve necessariamente precedere). Soltanto per mezzo di questo a priori viene provato, e in un senso più profondo, ciò che è già stato detto precedentemente 29, come cioè in ciò che l'analisi svela come implicato inten zionale della vivente costituzione di senso, sia presente una ì sedimentata.
29 Cfr. § 97.
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§ 99. Soggettività psicologica e soggettività trascendentale. Il problema dello psicologismo trascendentale.
Un mondo, un esistente in generale di qualsiasi tipo pensabile, non penetra ► nel mio ego, nella mia vita di coscienza. Tutto l 'esterno è ciò che è in questo interno, e ottiene il suo v e r o s e n s o dalle offerenze originali e dalle conferme che sono interne a questo ► - il suo vero essere, che per ciò stesso appunto ap partiene al ►, come p o l o u n i t a r i o nelle mie (e poi, intersoggettivamente, nelle nostre) molteplicità reali e possibili, con possibilità come facoltà, come ►, ►, ecc. Per quante modificazioni dell'essere possano qui trovar posto, anch'esse appartengono a questa interiorità in cui tutto ciò che vi è costituito non è soltanto punto d'arrivo, ma anche di partenza, cioè punto di arrivo tematico che funge per una nuova tematica. E questo vale prima di tutto per le i d e e costituite nell'ego, per quella ad es. dell'oggetto naturale a s s o l u t a m e n t e e s i s t e n t e, delle ► a s s o l u t e che lo riguardano, e simili. Esse hanno un ► nella connessione delle relatività costituite, delle unità costituite di grado inferiore. La relazione della coscienza ad un m o n d o non è un dato di fatto che mi sia imposto da un Dio che inciden- 222 talmente lo determini dall'esterno, o dal mondo già prima occasionalmente esistente, e da una legalità causale che gli è propria. L'a priori soggettivo è ciò che antecede l'essere di Dio e del mondo ed ogni e ciascun essere-per-me, cioè me che penso. Anche Dio è per me ciò che è, a partire dall'operazione di coscienza che mi è propria ; e anche qui io non posso distogliere il mio sguardo per paura di riu scire blasfemo, ma devo bensì vedere il problema. Anche qui operazione di coscienza - come nel caso dell'alter-ego no n significherà naturalmente che io inventi e crei questa trascendenza suprema. Altrettanto vale per il mondo e per ogni causalità mondana. Certo io mi trovo in una connessione psicofisica
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causale con il mondo esterno, - io cioè, quest'uomo, un uomo tra uomini e bestie, tra realtà di altro genere, tra le quali, con il mio essere umano reale, è un universo di trascendenze costituite, costituito negli E r l e b n i s s e e nelle facoltà del mio io (e, attraverso di esso, negli Erlebnisse dell'intersoggettività per me esistente) il quale dunque precede questo mondo costituito come la soggettività costi tuente ultima. La trascendenza del mondo è trascendenza in relazione a questo io e, mediante l'io, alla comunità aperta degli io come a quella che è sua. Si presenta con ciò la distinzione che era già stata anticipata - benché in mezzo a tante oscurità - da D e s c a r t e s , che questo ego, che Io, in questo senso di soggettività costituente in modo ultimo, senza pregiudizio per i miei infiniti orizzonti di cose non svelate e sconosciute, s o n o p e r m e i n u n a n e c e s s i t à a p o d i t t i c a: mentre il mondo costituito in me, benché continuativamente esistente ed esistente senza alcun dubbio, nel flusso della mia esperienza concordante (non potrei mai lasciar sussistere un dubbio là dove ogni nuova esperienza è una conferma) ha solo il senso di un' e s i s t e n z a p r e s u n t i v a , e la man tiene per necessità essenziale. Il mondo reale è soltanto nella presunzione, ricreata costantemente, che l'esperienza debba sempre svolgersi nello stesso senso costitutivo. Qui possono essere necessarie ricerche profonde e dif ficili per una perfetta chiarificazione : ma non occorre com pierle per persuaderci che qui si produce la seguente distinzione (da noi già utilizzata legittimamente, e fonda mentale per la teoria della conoscenza) ; la distinzione cioè tra : 1 . la s o g g e t t i v i t à f e n o m e n o l o g i c o 223 t r a s c e n d e n t a l e (come intersoggettività trascenden tale vista attraverso la m i a soggettività) con la sua vita di coscienza costitutiva e le sue facoltà trascendentali. 2. la s o g g e t t i v i t à p s i c o l o g i c a o p s i c o f i s i c a , dell'anima umana, della persona e della comu nità di persone, con i loro Erlebnisse psichici nel senso
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psicologico, elementi costitutivi del mondo obbiettivo, in connessione psicofisico-induttiva con le corporeità somatiche appartenenti al mondo. Si deve intendere in questo senso perché noi, a pro posito di tutti i tentativi di fondare l'esistenza di un mondo oggettivo attraverso deduzioni causali a partire da un ego dato dapprima di per sé solo (dapprima come solus ipse), abbiamo denunciato la confusione assurda tra la causalità psicofisica che si attua nel mondo e la relazione di corre lazione che si effettua nella soggettività trascendentale, tra la coscienza costituente e il mondo in essa costituito. È della massima importanza, per il senso vero e proprio della filosofia trascendentale, rendersi conto che l ' u o m o , e non soltanto il corpo umano, bensi anche l ' a n i m a u m a n a, comunque essa possa essere còlta per via del l'esperienza interna, sono c o n e e t t i m o n d a n i , e come tali oggettualità in una a p p e r c e z i o n e t r a s c e n d e n t a l e , e che quindi compartecipano come pro blemi costitutivi del problema universale trascendentale, quello della costituzione trascendentale di tutte le tra scendenze e di tutte le oggettualità in generale. La distinzione radicale tra soggettività psicologica e sog gettività trascendentale (in cui quella psicologica si costi tuisce con un contenuto di senso mondano, quindi tra scendente) significa una d i s t i n z i o n e r a d i c a I e t r a p s i c o l o g i a e f i l o s o f i a t r a s c e n d e n t a I e , e specificamente teoria trascendentale della cono scenza trascendente. Non si deve concedere alcuno slitta mento del concetto di psicologia, nonostante i tentativi, essenzialmente fondati, che consistono nel fatto che una analisi di coscienza condotta dapprima psicologicamente, ma pura, si lascia trasporre trascendentalmente, senza mo dificare il contenuto che le è essenzialmente proprio. Non si deve mai perdere di vista che la p s i c o I o g i a ha ed ha sempre avuto il suo solo senso c o m e r a m o d e 1 1 ' a n t r o p o I o g i a, come scienza mondana posi tiva, e che in essa i ► o, più chiaramente, i dati psicologici, gli Erlebnisse e le disposizioni (facoltà)
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sono dati che si giuocano all'interno del mondo anticipato, che la > è un tipo di esperienza mondana, obbiettiva, così come qualsiasi esperienza fatta su qualcosa 224 d'altro, o come una esperienza fisica ; e che è uno s 1 i t t a m e n t o d i s e n s o m i s t i f i c a t o r e quello di mescolare questa esperienza psicologica interiore con quella che viene sostenuta trascendentalmente dall'ego cogito come esperienza evidente. Certamente si tratta di una mistifi cazione che non poteva essere notata prima della fenome nologia trascendentale. Non può essere assolutamente contestato che ogni modo dell 'intenzionalità e, tra l 'altro, ogni modo dell'evidenza, cosi come del riempimento di opinioni mediante l'evi denza, va ritrovato nell 'esperienza e va trattato psicologi camente a n c h e n e 1 1 ' o r i e n t a m e n t o p s i c o 1 o g i c o . Non è contestabile che t u t t e I e a n a I i s i intenzionali che abbiamo condotto o c h e a b b i a m o i n d i c a t o , h a n n o a n c h e v a l o r e n e I I a a p p e r c e z i o n e p s i c o I o g i c a , con la riserva che si tratta appunto soltanto di una particolare appercezione mondana, la quale soltanto dopo la messa in parentesi dà luogo alle concrezioni soggettivo-trascendentali e parallele. La teoria psicologica della conoscenza ha un suo giusto senso - nel caso cioè che la si intenda sem plicemente come titolo per la elaborazione dei molteplici problemi che il conoscere pone in quanto funzione interna alla vita psichica umana, come funzione della psicologia in quanto scienza di questa vita di coscienza. Ma questa teoria della conoscenza si trasforma in un controsenso quando le si attribuiscono i compiti trascendentali, se dunque si spaccia la vita intenzionale appercepita psicolo gicamente per quella trascendentale, e si cerca di operare, attraverso la psicologia, una chiarificazione trascendentale di tutto il mondano - con il circolo di presupporre già ingenuamente il mondo con la psicologia, con la sua >, con la sua >. E tuttavia si potrebbe dire : qualora questa psicologia della conoscenza fosse pervenuta alla coscienza dei propri
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scopi e avesse intrapreso un lavoro fruttuoso, questo sa rebbe pure del lavoro fatto anche per la teoria filosofi.ca della conoscenza. Tutte le intuizioni strutturali conseguite per la psicologia della conoscenza, sarebbero adatte anche alla filosofia trascendentale. Anche se quest 'ultima fosse rimasta ferma alla mescolanza di acquisizioni dell 'orienta mento psicologico e di quello trascendentale (mescolanza che sarebbe quasi inevitabile agli inizi), questo stesso errore potrebbe essere in seguito sanato mediante una trasvaluta zione, senza alterare nel loro nucleo essenziale le intuizioni raggiunte. Proprio questa inclusione, che è qui determi nante, e che si trova dapprima necessariamente nascosta, costituisce la grave difficoltà e determina il p r o b I e m a t r a s c e n d e n t a l e d e l l o p s i c o l o g i s m o. Ci si deve guardare dal lasciarsi sviare da quanto segue, 225 che dipende dal carattere peculiare della cosiddetta psico logia ► - della psicologia dell 'anima che deve essere considerata astrattivamente in sé e per sé. La p s i e o I o g i a p u r a può cioè (come è già stato chiarito nelle Ricerche logiche) essere realizzata altresì come psicologia a p r i o r i e a , come per la fenomenologia trascendentale. La delimitazione del giudicare psicologico agli Erlebnisse intenzionali (che ineriscono alla pura esperienza ►) e alle loro forme essenziali (che giungono a offrirsi nell'ori ginale nella generalizzazione essenziale interna) e ugualmente alla facoltà puramente psichica, dà allora come risultato un g i u d i e a r e fe n o m e n o I o g i e o - p s i e o I o g i e o. Si può asserire senz'altro che si dia qui una f e n o m e n o I o g i a p s i e o I o g i e a in sé chiusa, attuata con lo stesso metodo dell'► intenzionale che viene eser citato nella fenomenologia trascendentale. Ma in questo giudicare fenomenologico-psicologico viene appunto effet tuata l 'appercezione psicologica ; soltanto, ciò che cosi viene posto intenzionalmente, I a r e I a z i o n e a l l a e o r p o r e i t à s o m a t i e a , e con ciò a l mondano, n o n i n t e r v i e n e e s p r e s s a m e n t e n e l c o n t e n ut o e s s e n z i a 1 e del giudicare. Ma l 'appercezione psico logica concorre pure alla determinazione del senso, e deve
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solo essere messa consapevolmente > perché quel contenuto, che non è stato da ciò modificato, possa a c q u i s t a r e u n s i g n i f i c a t o t r a s c e n d e n t a l e . L 'esame approfondito di questo parallelo tra psico logia meramente immanente e apriorica (fenomenologia psicologica) da un lato e fenomenologia trascendentale, e la dimostrazione di una necessità essenziale, costituisce la chiarificazione di principio ultima del problema trascen dentale dello psicologismo, e insieme la sua risoluzione. § 100. Osservazioni storico-critiche sullo sviluppo della filosofia trascendentale e in particolare sulla problematica trascendentale della logica formale.
La via che porta ad abbracciare in modo parallelo l'intera problematica dell'origine, come problematica pura mente psicologica e come trascendentale, la quale nella sua generalità essenziale include in sé tutti i mondi possibili, con tutte le regioni essenziali relative di oggettualità reali ed ideali e di strati mondani (e dunque anche il mondo dei sensi ideali, delle verità, delle teorie, delle scienze, le 226 idealità di qualsiasi cultura, di qualsiasi mondo storico sociale) rimase per secoli e secoli non praticata. Era questa una conseguenza ben spiegabile del traviamento naturali stico-sensistico dell'intera psicologia moderna fondata sul l'esperienza interna. Questo traviamento non si è limitato a spingere la filosofia trascendentale dell'empirismo inglese alle ben note conseguenze, per le quali essa è scaduta nel1'assurdo ficzionalismo ; ma ha pure arrestato la filosofia trascendentale kantiana, la filosofia della rivoluzione coper nicana, dal corso della sua piena effettuazione, impeden dole di pervenire agli scopi e ai metodi ultimi e necessari. Se il concreto ego p u r o , in cui soggettivamente si costi tuiscono tutte le oggettualità e tutti i mondi per esso validi, non è nient'altro che un mucchio senza senso di dati che vengono e si dissolvono, mescolati a caso ora in un modo ora in un altro, secondo una legalità casuale e senza senso,
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analoga a quella meccanica (come quella dell 'associazione, interpretata a sua volta meccanicamente) allora è solo per mezzo di nozioni surrettizie che si può chiarire come possa sussistere anche soltanto qualcosa come l 'apparenza di un mondo reale. Hume tuttavia pretende di rendere a noi c o m p r e n s i b i 1 e come, secondo una cieca legalità psichica matter-of-fact, sorgano davanti a noi particolari tipi di ficzioni, sotto gli indici di corpi permanenti, di per sone, ecc. Apparenze, ficzioni, sono f o r m a z i o n i d i s e n s o , e la loro costituzione si attua come intenzionalità ; esse sono cogitata di cogitationes e solo dall'intenzionalità può sgorgare una nuova intenzionalità. Le ficzioni hanno il loro proprio genere di senso, che rimanda alle realtà [ Wirklichkeiten], all'esistente nel senso normale. Una volta che l 'intenzionalità operante sia stata scoperta, allora tutto, sia l 'essere che l'apparire, diviene possibile nella sua pos sibilità essenzialmente oggettiva, e la sua soggettività è allora per noi il suo esser-costituito. Né questa è la cattiva soggettivazione, che devia entrambi, essere ed apparire, come avviene in Hume, in un apparire solipsistico, è bensi una soggettivazione trascendentale, che non soltanto è com patibile con la autentica obbiettività, ma è piuttosto la sua controparte a priori. La grandezza di H u m e (una grandezza che in questo senso più difficile non è stata ancora riconosciuta) consiste in ciò, che egli nonostante tutto è stato il primo ad abbrac ciare il c o n c r e t o p r o h 1 e m a universale della filo sofia trascendentale ; che egli per primo ha visto la necessità - muovendo dalla concrezione dell'interiorità pura mente egologica, in cui, come egli vide, tutto ciò che è obbiettivo viene consaputo e nel caso migliore esperito grazie ad una genesi soggettiva - di indagare appunto questa sfera obbiettiva in quanto formazione della sua genesi, al fine di rendere intelligibile, da queste estreme origini, il legittimo senso d'essere di tutto ciò che per noi 227 esiste. Per esprimerci con maggior precisione : il mondo reale e le sue forme fondamentali categoriali-reali assumono per lui un nuovo senso problematico. Egli è stato il primo
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a c o n s i d e r a r e s e r i a m e n t e l ' i n t e r i o r i z z a z i o n e p u r a d i D e s c a r t e s , liberando preli minarmente in modo radicale la psiche da tutto ciò che le dà un significato reale mondano, e presupponendola sol tanto come campo di >, di , in quanto essa è dato di un'esperienza interna còlta in modo corrispondentemente puro. Su questo terreno egli è il primo a concepire ciò che noi chiamiamo problemi >, per aver riconosciuto la necessità di rendere intelligibile come avvenga che, restando nel campo di questa soggettività fenomenologicamente ri dotta e nella sua genesi immanente, quest'ultima possa imbattersi, come in un'►, in oggettività tra scendenti e in realtà date nelle forme ontologiche (spazio, tempo, continuum, cosa, personalità) che ci sono anticipate come ovvie. Così noi possiamo sicuramente descrivere l'intenzione generale di Hume, muovendo dalla odierna fenomenologia. Soltanto, noi dobbiamo aggiungere che egli non ha per nulla praticato consapevolmente né ha considerato a fondo, in linea di principio, il metodo della riduzione fenomeno logica che prepara il terreno fenomenologico ; e inoltre che egli, il primo scopritore della problematica costitutiva, c h i u d e d e l t u t t o g l i o c c h i s u l l a p r o p r i e t à e s s e n z i a l i s s i m a d e l l a v i t a p s i e h i c a in quanto vita di coscienza, alla quale quella pro blematica si riferisce ; e con ciò chiude gli occhi sul metodo che le è proporzionato in quanto problematica intenzionale, metodo che, nella sua realizzazione, comprova immediata mente la propria forza di chiarificazione reale. Per via del suo sensualismo naturalistico, che vede soltanto l'ondeg giare di un mucchio di dati in un vuoto privo d'essenza, e che è cieco per le funzioni obbiettivanti della sintesi intenzionale, egli scade nel controsenso di una >. Per ciò che riguarda invece K a n t , egli, nel suo rap porto di dipendenza reattiva con Hume, ha ripreso, almeno rispetto alla natura, il problema costitutivo, ma non più
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nel senso pieno di un problema parziale di una proble matica costitutiva universale, quale era anticipata attraverso la trasformazione humiana dell'ego cogito cartesiano nel l 'essere > concreto. Egli non contrappone alla > s e n s u a 1 i s t i c a (che, come s'è detto, in Hume è in verità una fenomenologia trascendentale, benché resa assurda dal sensualismo) un'autentica psicologia intenzionale, per non parlare di una dottrina eidetica a priori nel nostro senso. Egli non ha mai mosso una critica radicale alla psicologia di L o c k e e della sua scuola, una critica rivolta sul senso fondamentale del suo sensua- 228 lismo. Egli stesso ne dipende ancora eccessivamente, ciò da cui anche deriva il fatto che Kant non abbia mai estrin secato il senso profondo della distinzione tra p s i c o 1 o g i a p u r a (sul mero fondamento dell'>) e f e n o m e n o 1 o g i a t r a s c e n d e n t a 1 e , e che quindi non abbia mai messo in luce il senso più pro fondo del problema trascendentale dello > . Eppure si deve dire che l a sua dottrina della sintesi e delle facoltà trascendentali, che l e s u e t e o r i e , p r e s e n e 1 l o r o c o m p 1 e s s o , teorie che si ricon ducono al problema di H u m e , sono i m p l i c i t a m e n t e i n t e n z i o n a 1 i - c o s t i t u t i v e ; salvo che non sono basate sul terreno ultimo, per essere compiute a partire da esso secondo un metodo radicale. Pure, per noi che puntiamo nella direzione di una logica radicale, è di particolare interesse il comportamento kantiano rispetto alla logica formale. E è anche importante, come vedremo, per chiarire i motivi che hanno sbarrato, nell'epoca moderna, l 'accesso alla filosofia trascendentale fenomenologica. Per quanto potentemente Kant sovrasti la propria epoca e per quanto la sua filosofia resti per noi una fonte di profonde suggestioni, l 'insufficienza del suo sforzo nel senso di una filosofia trascendentale sistematica si mostra nel fatto che sebbene egli non consideri la l o g i c a f o r m a l e (intesa come sillogistica: la sua logica >) - come faceva l 'empirismo inglese - quale
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una sopravvivenza scolastica senza valore, né (come ancora faceva l'empirismo, per quel tanto che era disposto ad accettarla) la spogli del suo senso proprio autentico attraverso una trasposizione psicologistica della sua idealità ; tuttavia egli n o n 1 a s o t t o p o n e a d a 1 c u n a p r o b 1 e m a t i c a t r a s c e n d e n t a 1 e ; e le attribui sce un a priori speciale che la solleva al di sopra di simili problemi. Naturalmente non ci si deve qui richiamare alla sua idea di una logica trascendentale, che è certo qualcosa di totalmente diverso dalla problematica rivolta in senso soggettivo, e propriamente fenomenologico-trascendentale, che abbiamo qui in mente. La logica pura ha per propria sfera tematica le forma zioni ideali. In quanto oggettualità ideali di questo genere, dovevano tuttavia prima esser viste e colte nella loro deter minatezza, perché potessero esser posti ad esse e alla logica trascendentale dei problemi. Il secolo XVIII e l'età suc cessiva erano talmente determinati dall'empirismo o meglio dall 'antiplatonismo, che nulla era più lontano da che si riconoscessero le formazioni ideali come oggettualità - nel tipo e nel senso conveniente, da non trascurarsi mai, che 229 noi abbiamo largamente fondato. Questo è un punto della maggiore importanza per la storia moderna della filosofi.a trascendentale, e per il tempo presente, ancora così pri gioniero dei vecchi pregiudizi. Nulla ha tanto ostacolato la chiara penetrazione nel senso, nella problematica vera e propria e nel metodo dell'autentica filosofi.a trascendentale quanto questo antiplatonismo, il quale riusciva tanto in fluente da condizionare tutti i partiti, compreso lo stesso K a n t che pure lottava per separarsi dall'empirismo. Non ci occuperemo di L e i b n i z , il quale ha qui una posi zione eccezionale, ma che certamente rìon affronta neppure lui la problematica trascendentale nel nostro senso. Egli non ha potuto avere efficacia, al tempo suo, sotto questo aspetto, come pure sotto altri aspetti essenziali. Rileviamo qui alcuni momenti fondamentali, che illu minano lo sviluppo storico. Ritorniamo a H u m e , che si impone alla nostra attenzione già sulla base del signifi-
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cato proprio che noi gli attribuiamo, secondo quanto è già stato osservato, anche a prescindere dal suo influsso su K a n t ; ma certo anche in base a questo influsso. H u m e non ha sollevato, a fianco del problema tra scendentale della costituzione del mondo, quello della c o s t i t u z i o n e d e l l e o g g e t t u a l i t à i d e a l i, e quindi neppure quello delle idealità logiche, delle formazioni categoriali, dei giudizi, che costituiscono il tema della logica. Questo problema avrebbe dovuto essere sollevato in rap porto alle > , che - come sfera della > nel senso pregnante - giocano in H u m e una parte di tanto importanza. Esse s t a n n o i n l u o g o dei rapporti essenziali ideali e delle leggi essen ziali. Ma queste ultime, le oggettualità ideali in generale, non erano introdotte neppure come dati effettivi di un' > p r e s u n t i v a , o di una coscienza ana loga, tale da o f f r i r e i n m o d o p r e s u n t i v o l e c o s e n e 1 1 ' o r i g i n a l e - non erano dunque of ferte al modo dei dati della natura > nell'espe rienza naturale. In rapporto con ciò il corrispondente pro blema di H u m e , e la corrispondente teoria, vien meno al dovere di > come un'operazione in terna di mera ficzione anche l' > di simili og getti presunti. Quasi come surrogato del problema trascendentale delle oggettualità ideali, troviamo in H u m e il celebre capitolo sull' a s t r a z i o n e . In esso non si tratta, come è stato detto, di trasformare in ficzione le idee astratte come dati di un 'esperienza, perché sarebbe provato che gli Erlebnisse, che noi avevamo sempre assunti come tale esperienza, sono bensì presenti, ma che essi, come insegna l'analisi psico logica, hanno solo il valore di esperienze dell'apparenza cosa che H u m e cercò di mostrare a proposito dell'espe- 230 rienza esterna e della sua offerenza ; piuttosto, lo scopo del capitolo indicato è quello di provare che noi non ab biamo alcuna > astratta, che le >, come dati di una qualsiasi > in generale, non si dànno, bensl si danno soltanto idee singolari
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e i relativi habits, mediante cui il pensiero generale dev'es sere chiarito come un mero pensare per idee singolari. Cosi diventa anche comprensibile la p o s i z i o n e d i K a n t r i s p e t t o a l l a l o g i c a. S t a n d o a l l e p a r o l e , presa fin dalla sua definizione e seguita all 'in terno dei suoi sviluppi, la logica di K a n t si dà come una scienza rivolta in senso soggettivo - una scienza del pensiero, che per altro, in quanto scienza a priori, va separata dalla psicologia empirica del pensiero. Ma i n r e a l t à la sua logica formale pura persegue le formazioni ideali di pensiero. I problemi propriamente trascendentali della possibilità della conoscenza, egli tralascia di porli per questa logica. E come va che egli consideri come fon data e autosufficiente una logica formale nella sua apriorità ? Come va inteso il fatto che non gli sia avvenuto di pro porre problemi trascendentali per la sfera logico-formale assunta in sé e per sé ? Tutto ciò va spiegato sulla base del suo rapporto di c o m b a t t u t a d i p e n d e n z a d a H u m e , al quale abbiamo già accennato. Come Hume rivolge la sua critica soltanto sull'esperienza e sul mondo dell'esperienza, e as sume come intoccabili le relazioni tra idee (che K a n t intende come a priori analitico) così fece anche K a n t dal suo opposto angolo vi•suale problematico ; egli non fa di questo stesso a priori analitico un problema. Ma rispetto all'età successiva ciò significa che n o n si perviene in senso autentico a quelle r i c e r c h e p s i c o l o g i c o - c o n o s c i t i v e , o m e g l i o f e n o m e n o l o g i c o - t r a s c e n d e n t a l i che costituiscono la v e r a e p r o p r i a n e c e s s i t à d i u n a l o g i c a p i e n a , dunque di una logica b i l a t e r a l e . Ma non si perviene a tanto perché non ci si è mai proposto, o mai si è avuto il coraggio, di c o g l i e r e l ' i d e a l i t à d e 1 1 e f o r m a z i o n i l o g i c h e nel modo di un > p r o p r i o , in sé concluso, di o g g e t t i i d e a l i , e nello stesso tempo di affrontare di petto la spinosa questione di come la soggettività in se stessa possa creare, attingendo alle sole fonti della sua
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spontaneità, delle formazioni che possano valere come o g g e t t i ideali di un > ideale. E passando ad una questione di grado ulteriore: come avviene che queste idealità nel mondo culturale, che pure deve essere consi derato come reale, come un mondo incluso nell'universo spazio-temporale - possano assumere un 'esistenza spazio temporalmente connessa, un'esistenza nella forma della temporalità storica, come appunto sono le teorie e le scienze ? E naturalmente la questione si generalizza per ogni tipo di idealità. Lo stesso K a n t , per quanto chiaramente riconosca, per rapporto agli elementi centrali della tradizione aristo telica, il carattere apriorico della logica, la sua purezza rispetto ad ogni elemento empirico-psicologico, ovvero l'as surdità di una sua introduzione in una dottrina dell'espe rienza, non ha colto tuttavia il senso proprio della sua idealità. Eppure proprio di qui avrebbe ben potuto sorgere un motivo per porre questioni di ordine trascendentale. La trascuratezza nei confronti dell'oggettualità dell 'ele mento ideale di ogni forma si esercita, da L o c k e in poi, nella teoria conoscitiva che avrebbe dovuto essere in origine un sostituto della disprezzata logica tradizionale ; con maggior esattezza, essa si ritrova a partire da H u m e nel celebre p r o b 1 e m a d e 1 g i u d i z i o e nelle rela tive t e o r i e d e l g i u d i z i o , teorie che, attraverso i tempi, non hanno modificato il loro stile di base. Quali operazioni dovrebbe compiere una autentica teoria del giu dizio, cosciente del suo scopo, abbiamo cercato di esporlo ampiamente sopra •0 • Qui, nella considerazione storico critica, emerge ai nostri occhi soltanto il contrasto rappre sentato dalle effettive teorie. Il naturalismo psicologico, divenuto ormai predomi nante ovunque, un naturalismo che, da Locke in poi, è sulla traccia di ► psichici descrittivi, in cui dovrebbe stare l'origine di tutti i concetti, vide l 'essenza descrittiva
•° Cfr. 21. - Huuerl
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del giudizio nel > - un dato psichico anch 'esso, non diverso da qualsiasi altro dato di sensazione, come il dato di un rosso o un dato sonoro. Non sorprende tuttavia che già H u m e e ancora, dopo di lui, M i 1 1 , dopo questa presentazione, parlino con parole patetiche degli enigmi del belief ? Che enigmi può mai presentare un dato ? e perché allora il > e gli altri dati della sensazione non contengono alcun enigma ? Naturalmente l 'intenzionalità la si vive, e il suo operare sta davanti a noi, ma nell'atteggiamento naturalistico non si può prendere coscienza di ciò che è in questione. Sotto questo aspetto I a s c o p e r t a d e 1 1 ' i n t e n z i o n a I i t à, che si deve a B r e n t a n o , non i n t r o d u c e a I c u n a m o d i f i c a z i o n e e s s e n z i a I e . Manca va la considerazione correlativa conseguente di noesis e noema, di cogito e cogitatum qua cogitatum. Mancava lo svolgimento delle intenzionalità implicite, il disvelamento delle > in cui l'unità si costituisce. Non es sendo questa unità il filo conduttore trascendentale, e non 232 essendo quindi l 'intenzione nella teoria del giudizio già rivolta in anticipo a interrogare il giudizio nel senso logico come giudizio i d e a I m e n t e i d e n t i c o rispetto alle molteplicità noetico-noematiche, che rendono comprensibile il suo originario prodursi-per-noi, in questa idealità, man cava all'intera teoria del giudizio un suo fine proprio. Un tale fine avrebbe appunto presupposto che fosse ricono sciuta l 'idealità come tale, come dato di evidenza afferra bile. Ma invece di tutto ciò si preferi attenersi ai > psichici. Anche le teorie logiche, elaborate nel modo più speciale, della formazione del giudizio, si perdettero nelle torbide oscurità delle psicologie della sempre viva tradizione lockiana ; psicologie queste che, come noi abbiamo già detto, fallirono, ad onta della fervidissima > poiché appunto tutti i problemi di psicologia pura e così pure quelli del giudizio còlto nella sua autenticità, hanno lo stesso stile, lo stile di problemi > nel nostro senso fenomenologico. Come tali i problemi del
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giudizio n o n p o t e v a n o a f f a t t o e s s e r e i s o l a t i ed essere trattati i n c o n n e s s i o n e c o n i l c o n c e t t o r i s t r e t t o d i g i u d i z i o della logica tradizionale. L'intenzionalità non è nulla di isolato, essa può essere considerata soltanto nell'unità sintetica che col lega t e l e o l o g i c a m e n t e tutte le singole pulsazioni della vita psichica nel rapporto unitario alle o g g e t t u a l i t à , o piuttosto nella duplice polarizzazione del polo dell'io e di quello dell'oggetto. L'operazione > cui servono tutti i singoli Erlebnisse intenzionali, in molte plici gradi e in rapporto ad oggetti molteplici ma collegati sensatamente a >, fa si che si possa infine avere in vista l'intera universalità della vita psichica in correla zione con l'universalità ontica (quella della totalità in sé unitaria dell'oggetto). Questa struttura teleologica della vita intenzionale, come vita universale oggettivante, ha il suo indice nella correlazione di oggetto e giudizio intesi nel senso più ampio, e nell'universalità in cui qualsiasi oggetto già presentatosi deve poter essere liberamente sottoposto ad azioni categoriali. Per ciò appunto anche il giudizio predicativo acquista (e come indice di questa stessa teleolo gia) significato universale per la vita psichica. Pure, questa autentica problematica del giudizio era destinata a rimanere a lungo inaccessibile, fintanto che non fosse stato ancora dischiusa da un lato l'oggettualità del l'ideale di ogni tipo, dall'altro il senso e il metodo della ricerca intenzionale, e finché il controsenso della psicologia naturalistica (e in essa anche della trattazione naturalistica dell'intenzionalità ripristinata a nuovo valore) non fosse stato superato. Fino a quel momento né la psicologia né le discipline filosofiche ideali (>) che necessi- 233 tavano di una chiarificazione >, cioè la logica, l'etica, l'estetica, non potevano procedere in uno sviluppo padrone del suo fine né pervenire al loro vero metodo. Per la logica (e la cosa non è diversa per le sue disci pline filosofiche parallele) ciò designa dunque la direzione della riforma che le è essenzialmente necessaria. Essa deve superare l'ingenuità fenomenologica, ed anche dopo il rico-
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noscimento dell 'idealità deve essere più che una mera scienza positiva delle idealità logico-matematiche ; piut tosto, in una ricerca condotta permanentemente su due fronti (e che vi si autodetermina in un senso e nell'altro) essa deve retrocedere sistematicamente dalle formazioni ideali alla coscienza che le costituisce fenomenologicamente ; deve render comprensibili, secondo il loro senso e i loro limiti, queste formazioni come operazioni conformi all'es senza delle strutture correlative della vita conoscitiva ope rante, e inserirle cosi, come tutte le oggettività in generale, nella ulteriore connessione c o n c r e t a della soggettività trascendentale. Nell'oggettività ideale delle formazioni lo giche e nel mondo reale nulla viene alterato da ciò. Già prima dicevamo che lo scopo determinato poteva essere appuntato verso l'oscuro bisogno di ricerche logiche rivolte in senso soggettivo soltanto dopo che fosse stata nettamente evidenziata e decisamente riconosciuta l'og gettività ideale di tali formazioni. Giacché ci si trovava ora davanti alla oscurità sul problema di c o m e 1 e o g g e t t u a l i t à i d e a 1 i , che emergono soltanto nelle nostre attività soggettive di giudizio e di conoscenza, esi stano originaliter puramente come formazioni della nostra spontaneità entro il nostro campo di coscienza, a c q u i s t i n o i 1 s e n s o d ' e s s e r e d i > , esi stenti in sé in rapporto alla casualità degli atti e dei soggetti. Come si >, come sgorga fuori questo senso in noi stessi, e donde possiamo noi ricavarlo altrimenti che dalla nostra propria operazione costitutrice di senso ? e ciò che ha senso per noi può forse sortire il suo senso da altro che da noi stessi ? Questa questione, che si presenta dapprima per u n tipo di oggetti, si generalizza immediatamente: non è forse vero che qualsiasi oggettività che abbia valore per noi (con tutto il senso in cui essa per noi vale), consegue o ha già conseguito in noi stessi il suo valore, e ciò con il senso che noi abbiamo acquisito a noi stessi ? In conformità con ciò, il p r o b 1 e m a t r a s c e n d e n t a 1 e che dev'essere sempre posto, in rapporto al suo campo di oggettualità ideali, dalla I o g i c a o g g e t -
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t i v a, intesa in senso stretto o largo, diventa p a r a 1 1 e I o a i p r o b l e m i t r a s c e n d e n t a l i d e l l e s c i e n z e d e 1 1 e r e a I t à , quelli cioè che devono esser posti con riferimento alle loro regioni di realtà, e dunque in 234 particolare i problemi trascendentali della natura trattati da H u m e e da K a n t . Sembra dunque che come con seguenza più prossima dell'evidenziazione del monde delle idee e in particolare di quello delle pure idee logiche (sulla base degli impulsi provenienti da L e i b n i z , B o I z a n o e L o t z e ) avrebbe dovuto trovar luogo un i m m e d i a t o t r a s f e r i m e n t o dei problemi trascendentali su questa sfera. Lo sviluppo storico tuttavia non poteva assumere questa forma cosl semplice. La problematica e la teoria di K a n t era elaborata come un tutto, ed era così saldamente asser ragliata nella corazza della sua conformazione sistematica, che le possibilità di trasferimento alla sfera logica delle idee non vennero affatto in questione. Non dunque per il semplice fatto che a K a n t stesso è rimasto estraneo, per le ragioni indicate sopra, un tale pensiero. I suoi pro blemi trascendentali, nella loro forma storica, non si tro vano - come richiede qui l'estrema chiarezza problema tica - sul terreno primario di tutte le ricerche trascendentali, quello cioè della soggettività fenomenologica. Di fatto, in quanto questa sia raggiunta, propriamente è già dato l' i n s i e m e dei problemi trascendentali e un senso uguale è dato ad essi nello stesso tempo dappertutto. I problemi di Kant erano posti di principio in una forma troppo elevata, perché potessero riuscire utili ai logici interessati alla gnoseologia. Si può forse dire che i maggiori ostacoli, oscurità, difficoltà con cui K a n t nella sua sfera proble matica ebbe a lottare, e che rendono cosi difficile trovare nelle sue teorie il risultato di una piena chiarezza, sono proprio in connessione col fatto di non aver riconosciuto il p r o b l e m a t r a s c e n d e n t a I e d e l l a I o g i c a come un p r o b l e m a c h e d o v e v a p r e c e d e r e q u e l l a s f e r a-p r o b l e m a t i c a . Giacché se il suo problema è la possibilità trascendentale della natura nel
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senso della s c i e n z a naturale, e con ciò è suo problema questa scienza stessa, si introduce allora come presupposto essenziale il problema logico-formale della scienza come teoria e precisamente come problema trascendentale. Ma a K a n t sembra sufficiente far ricorso alla logica formale nella sua positività aprioristica, o, come diremmo noi, nella sua ingenuità trascendentale. Essa rappresenta per lui qual cosa di assoluto ed ultimo, su cui la filosofia debba senz'altro costruire. Ma se avesse proceduto radicalmente, avrebbe dovuto distinguere dunque in primo luogo la problematica rivolta alla natura prescientifica da quella rivolta alla natura scientifica. Egli in primo luogo avrebbe dovuto (come H u m e ) porre problemi trascendentali s o l t a n t o a I l a n a t u r a p r e s c i e n t i f i c a , così come essa giunge a offrirsi in sé nella semplice intuizione esperiente (non dunque nell'> in senso kantiano) ; e, soltanto dopo, in conformità di una logica formale-trascendentale, alla scienza naturale e alla s u a natura. E nello stesso tempo, è chiaro che soltanto se la filosofi.a trascendentale della natura fosse stata dapprima presentata esplicitamente in una delimitazione di principio alla natura intuitiva, sa rebbe stata in grado, conforme al dischiudersi delle idealità, di motivare lo sviluppo di una logica trascendentale. Sembra certo in ogni caso che le forme storiche della filosofia trascendentale di K a n t e dei suoi seguaci neo kantiani, per quanto importanti siano come gradi prelimi nari di un'autentica filosofia trascendentale, non erano in grado di facilitare il passaggio a una considerazione tra scendentale dei mondi ideali e in particolare di quelli logici. Certo era nella natura dello svolgimento storico, quale si era effettuato attraverso l 'evidenziazione della sfera logica di un regno di oggettualità ideali, che fosse p i ù f a c i l e - e che ancora lo sia - p e n e t r a r e i l p u r o s e n s o d e l l e p r o b l e m a t i c h e t r a s c e n d e n t a l i i n g e n e r a l e , muovendo d a q u e s t e oggettualità - costituite mediante attività spontanee che non attraverso un ridimensionamento critico della pro blematica kantiana, e precisamente della sua particolare
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sfera tematica. Così non fu assolutamente un caso che la stessa fenomenologia, al suo sorgere, prendesse la via del l'evidenziazione dell'idealità delle formazioni logiche per stabilire la loro costituzione soggettiva e per cogliere, a partire di qui, la problematica costitutiva come problematica universale, rivolta non soltanto alle formazioni logiche. Ritorniamo ora, dopo questo excursus storico-critico, al nostro tema principale.
Capitolo settimo LOGICA OGGETTIVA E FENOMENOLOGIA DELLA RAGIONE
§ 101. La fondazione soggettiva della logica come fenomenologia trascendentale della ragione.
I problemi dell'evidenza, che si ricollegavano ai concetti e ai principi logici fondamentali, sono quelli che ci hanno condotti alla problematica costitutiva più generale, e a eser citare il metodo nella sua piena radicalità ; dato che è l'evidenza che è costitutiva per la verità e per la vera esi stenza di ogni senso che ha per noi valore. Se la logica, in quanto è emersa da una evidenza ingenua, non dovrà ondeggiare in cielo al di là di ogni suo possibile uso, questi problemi devono essere posti e risolti secondo la succes236 sione graduale che loro compete. Giacché è s o 1 t a n t o il senso chiarito che prescrive l'ambito d i u n u s o 1 e g i t t i m o . L'epistemologia formale deve enunciare un a priori per la scienza possibile in generale ; il grave problema di c o m e s i a p o s s i b i 1 e 1 a s c i e n z a non si lascia sbrigare, per parlare analogica mente, dal sofoitur ambulando. Questa , ha permesso di attingere la concreta sfera d'essere trascendentale e con ciò ha aperto anche la via verso i problemi costitutivi, in particolare 81 quelli per cui le t r a s c e n d e n z e > devono fungere quali > . La chia rificazione della costituzione dell'.
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in modo più comprensivo, la p r o b l e m a t i c a c o s t i t u t i v a d e l l a l o g i c a . Giacché, come si è mostrato, le complessive ricerche, rivolte in senso soggettivo, intorno alla ragione logica, se sono intese e condotte nel senso che è loro prescritto in quanto ricerche del senso d'origine dei fondamenti logici, sono chiaramente ricerche fenomenolo gico-trascendentali e non psicologiche. Ma se le ricerche circa l'origine della logica sono tra scendentali e se queste stesse ricerche sono anche scien tifiche, ci imbattiamo allora in un dato di fatto straordinario che concerne in modo essenziale il senso della logica e della scienza. Tutte le scienze ositive sono mondane la scienza trascen entale non è mondana. Se la logica naturale in genua, quella che potrebbe esser riferita soltanto a scien�_ positive, è mondana - c h e n e è d i q u e l l a l o g i c a a l l e c u i n o r m e s o n o s o g g e t t e l e r i c e rc h e t r a s c e n d e n t a l i, q u e l l e c h e i l l u m i n a n o l a l o g i c a p o s i t i v a ? Si concepiscono con cetti, si dà forma a giudizi attingendoli all'esperienza tra scendentale (quella dei dati dell'ego cogito), si possiedono giudizi vuoti e riempiti, si hanno di mira e si conseguono verità mediante l'adeguazione, si deduce anche e si potrà certo anche indurre - che ne è allora della v e r i t à e a e i p r i n c i p i l o g i c i , dal momento che l'essere vero è > ? La verità, almeno nel l 'ambito della più fondamentale fenomenologia > (come quasi esclusivamente ci si esprime nella prima parte, la sola apparsa, delle mie Idee) non è più in alcun senso normale v e r i t à > , neppure in un senso che ha relazione ad un > t r a s c e n d e n t a 1 e . Per rendere comprensibile questo modo di esprimermi, ricordo che gli altri soggetti non sono dati come trascendentali, nel quadro del mio ego, allo stesso modo in cui questo è dato a me stesso in un'esperienza realmente immediata, e che la costruzione sistematica di una fenomenologia trascendentale nel grado primo e basilare deve assumere gli altri soltanto come > in pa rentesi, e non ancora come realtà trascendentali. Si rivela
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cosi, a questo l i v e l l o d i b a s e , una s t r a o r d i n a r i a d i s c i p l i n a t r a s c e n d e n t a l e, c o m e q u e l l a c h e è i n s é p r i m a , e che è realmente s o l i p s i s t i c o - t r a s c e n d e n t a l e , con verità es senziali, con teorie che valgono esclusivamente p e r m e , l 'ego, e che dunque devono pretendere a valere >, ma senza riferimento ad altri esseri reali e pos sibili. E con ciò emerge anche i l p r o b l e m a d i u n a l o g i c a s o g g e t t i v a , il cui a priori peraltro può valere soltanto in senso s o l i p s i s t i c o . Naturalmente anche qui, nei casi singoli come pure nella generalità logico-ideale, l'evidenza ingenua e l 'inge nua assunzione di generalità essenziali precede la chiarifi cazione fenomenologica, condotta a un livello più pro fondo, del senso, a partire dalla donazione di senso. Si devono forse - o si possono - trascurare questi problemi, se si vuol comprendere la logica, se si vogliono dominare le possibilità e i limiti del suo impiego, se si vuole dominare il senso di ogni strato dell'esistente - se si vuole essere filosofi - e anche metafisici, in un senso legittimo - se dunque non si vuole > sull'esistente e sulle teorie dell'esistente, bensl farsi guidare dagli strati e dalle profondità del senso ? Qui, chi dice A deve anche dire B. In realtà, si vorrebbe soltanto una > , che andasse solo un poco più in là della pura analitica mate matica. Ma ora i problemi dell'evidenza conducono ad una sqggettività fenomenologica, e gli esempi della ideazione lo ica alle concrezioni del mondo esistente e a artire di gui, a a soggett1v1t trascen enta e esistente. Ciò che sem brò cosi semplice nella sua ovvietà diventa ora complicato oltre misura. Le ricerche restano in una relatività penosa eppure inevitabile, nella p r e c a r i e t à anziché nella defi nitività desiderata, giacché ciascuna supera si, n e 1 s u o 1 i v e 1 1 o ogni ingenuità, ma reca ancora con sé l 'ingenuità del suo proprio livello, ingenuità che deve essere ora a sua volta superata per mezzo di più approfondite ricerche sul1 'origine. I presupposti d'essere che si vengono dipanando ad ogni grado diventano indici per i problemi dell 'evidenza
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che ci introducono nel grandioso sistema della soggettività costitutiva. La l o g i c a o g g e t t i v a , la logica assunta nella positività naturale è l a l o g i c a p e r n o i p r i m a , m a n o n è q u e l l a u l t i m a. Non soltanto nel senso che la logica ultima riconduce i principi generali della logica obbiettiva come teoria al loro senso originario e legittimamente fenomenologico-trascendentale, e confe risce loro una autentica scientificità. Già nel fare questo o nel rivolgersi alla realizzazione graduale di questo scopo, essa si amplia necessariamente. U n a o n t o l o i a f o r m a l e d i u n m o n d o o s s i b i l e in uanto mon o costituito in modo trascendentale-soggettivo, è un m o m e n t o non autonomo d i u n ' a l t r a > che si riferisce a d o n i e s s e n t i n o n i s e n s o a ciò che sussiste come so ettivit trascendentale e a tutto ciò che in essa si costituisce. Ma come si possa arrivare a tanto, come sia possibile soddisfare all'idea più generale di una logica formale come ontologia formale e apofantica formale su un terreno di assolutezza, come essa si costituisca, nel quadro della scienza universale assoluta ed ultima, della fenomenologia trascendentale, come uno strato che le appartiene necessariamente, quale senso d'essere e quale rango possa pretendere a partire di qui la logica emersa naturalmente come ontologia formale ; a quali presupposti metodici sia legato il suo legittimo uso - sono questioni filosofi.che estremamente profonde, che si intrecciano subito a nuovi problemi. § 103. La fondazione assoluta della conoscenza è possibile soltanto nella scienza della soggettività trascendentale come scienza dell'unico essente in senso assoluto.
L'o n t o l o g i a f o r m a l e concepita come analitica si riferisce in una vuota generalità a un mondo possibile in generale, ma a differenza dall' o n t o l o g i a n e l s e n s o r e a l e essa non dispiega questa idea secondo le f o r m e s t r u t t u r a l i essenzialmente necessarie di un
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mondo, forme in un senso nuovo e che va inteso assai diversamente, come la > t o t a I i t à d e l l e r e a I t à , con le > di totalità spazio e tempo, come l'articolazione f o r m a I e in regioni di realtà ecc. Quale sarà il giusto r a p p o r t o d i q u e s t e d u e scienze a priori - ciascuna in diverso s e n s o che grazie allo svelamento dell'intenziona lità nascosta si mostrano come effettivamente percorribili, benché sempre soltanto in modo relativo. E deve essere effettuata inoltre una libera elaborazione delle forme essen ziali delle idee-di-fine e dei riempimenti relativi che, nei gradi relativi di approssimazione, conducono ad esse in modo essenziale. La f o n d a z i o n e o r i g i n a r i a d i t u t t e 1 e s c i e n z e e della ontologia formale di en trambi i tipi che esercita per esse la funzione epistemolo gica ovvero normativa, c o n f e r i s c e u n i t à a t u t t e l e s c i e n z e i n q u a n t o r a m i f i c a z i o n i d e l l ' o p e r a z i o n e c o s t i t u t i v a c h e s i e f f e t tua a partire dall'unica soggettività t r a s c e n d e n t a l e. In altre parole, v'è s o 1 o u n a f i 1 o s o f i a , v ' è u n a s o 1 a r e a 1 e e d a u t e n t i c a s c i e n z a ; ed in essa le scienze particolari autentiche sono per l'appunto solo delle parti non autonome.
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La scienza universale della soggettività trascendentale, in cui tutte le scienze pensabili sono forme trascendentali 241 progettate essenzialmente secondo la realtà e la possibilità, e progettate come da realizzarsi in una libera attività, con ferisce anche all' i d e a l e d e l l a f o n d a z i o n e d e l c o n o s c e r e n e 1 1 ' a s s o l u t a a s s e n z a d i p r e s u p p o s t i e di pregiudizi un senso legittimo, e l'unico pensabile. Ogni essente (che abbia avuto e possa avere senso per noi), in quanto intenzionalmente costituito, è inserito in una successione graduale di funzioni intenzionali e anche di esistenti già intenzionalmente costituiti che a loro volta si trovano intrecciati in funzioni intenzionali per la nuova costituzione d'esistenza. Ogni e s s e n t e (in contrasto col falso ideale di un essente assoluto e della sua assoluta verità) è in ultima istanza relativo e, con tutto ciò che è relativo in ciascuno dei sensi consueti di questa parola, è r e l a t i v o a l l a s o g g e t t i v i t à t r a s c e n d e n t a l e . Solo quest'ultima è invece > ; e lo è in un ordine graduale corrispondente alla costituzione che conduce ai diversi gradi dell'inter soggettività trascendentale. Dunque, innanzitutto, come ego, io sono assolutamente esistente in me e per me. lo sono esistente per un altro solo nella misura in cui egli, l 'altro, l'alter ego, è egli stesso soggettività trascendentale che tuttavia viene ad essere posta necessariamente in me in quanto io sono l'ego che già esiste anticipatamente per sé. In modo analogo anche l'intersoggettività trascendentale (la soggettività trascendentale in senso allargato) che è costi tuita in me, e dunque è a me relativa, come pluralità di > - ciascuno dei quali ha qui esistenza, con una validità provata, in quanto sia riferito intenzionalmente alla s t e s s a intersoggettività cui io mi riferisco - è, quanto al suo senso, benché nella modificazione corrispon dente, >, nel genere d'essere dell' ed ogni >. L'oggettivo non è altro che l'unità
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sintetica dell'intenzionalità attuale e potenziale, che appar tiene in modo essenzialmente proprio alla soggettività tra scendentale. Grazie al modo in cui 83 nel mio ego esistente in modo apodittico è costituita la pluralità aperta di altri ego, questa unità sintetica è riferita alla comunità totale degli ego trascendentali comunicanti con me e tra di loro, degli ego che sono >, dunque unità sin tetica delle intenzionalità appartenenti in modo essenzial mente proprio a questa comunità. D'altra parte ogni verità rivolta tematicamente alla intersoggettività trascendentale, è appunto solo relativa a questa intersoggettività, in corri spondenza col suo genere d'essere dell'esser-per-se-stesso, dell'essere >. Cosl, la fondazione ultima di ogni verità è una ramifi cazione della presa di coscienza universale che, portata a compimento in modo radicale, è assoluta. Con altre parole, è una presa di coscienza che io inauguro con la riduzione trascendentale e che mi conduce all'assoluto auto-afferra mento, a quello del mio ego trascendentale. In quanto, come terreno di base tematico esclusivo, mi considero ormai come questo ego assoluto, io realizzo tutte le prese di coscienza ulteriori, quelle specificamente filosofiche, cioè puramente fenomenologiche. Io prendo coscienza esclusi vamente di ciò che posso trovare > me stesso ; separo, 243 come già accennato, il mio proprium primordiale (ciò che è costituito in modo inseparabile da me stesso) e ciò che in me è costituito, su questa base di motivazione, come > a vari livelli - in qualità di reale ma anche in qualità di ideale, come natura, animalità, comunità umana, popolo e stato, come cultura consolidatasi in og getti, come scienza - e anche come fenomenologia, e innanzitutto sulla base di un lavoro cogitativo che mi è proprio. Tutto ciò diviene tema di prese di coscienza fenomenologiche, in senso bilaterale, in quanto disvela la costituzione > delle varie formazioni anticipate 33
Cfr. sopra § 96, pp. 210 sgg. [293 sgg.].
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in modo diretto. Procedendo in questo atteggiamento co sciente verso l'ulteriore determinazione, deriveranno da me stesso, dalle fonti della mia propria passività (associa zione) e attività - e ciò, dapprima, in una sorta di inge nuità - le formazioni teoriche della fenomenologia tra scendentale, e questa stessa fenomenologia come unità aperta infinita della scienza. Se poi, al livello superiore, essa diventa tema costitutivo e critico, per rivestire la supe riore dignità dell 'autenticità, della responsabilità di sé estesa nel modo più radicale, risulterà acquisito naturalmente che io mi muovo sul terreno della mia soggettività assoluta, ovvero su quello dell'intersoggettività assoluta che io ho dischiusa da me stesso ; che io dunque, come filosofo, non voglio e non posso volere null'altro che prese di coscienza radicali, che di per se stesse divengono prese di coscienza dell'intersoggettività esistente-per-me. Il mondo trascendente, gli uomini, il loro rapporto reciproco e il loro rapporto con me come uomo, il loro esperire-insieme, il loro pensare, agire e creare insieme, non viene eliminato dalla mia presa di coscienza radicale, né svalutato o modi ficato, bensì soltanto compreso, e così viene anche com presa la scienza positiva elaborata in comune, e in defi nitiva la stessa fenomenologia elaborata in comune, che qui si sa come funzione cosciente nell'intersoggettività trascen dentale. Come uomo (nell'atteggiamento naturale) io sono ► e come tale io mi trovo determinato, dunque determinato dall'esterno (un esterno spazio-temporale) in modo molteplice. Anche come ego trascendentale (nel1'atteggiamento assoluto) io mi trovo determinato dal l'esterno - ora però non più come un reale spazio-tem porale, da parte di un reale esterno. Che significa ora il fuori-di-me, e l'esser-determinato-dall'esterno ? Nel senso trascendentale, come è chiaro, io posso essere condi zionato da un ►, da qualcosa che oltrepassa la sfera delimitata del mio proprium, solo in quanto questo qualcosa abbia il senso di ►, che in modo del tutto comprensibile acquista e manifesta in me la validità di
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essere di un altro ego trascendentale. Di qui si chiarisce la possibilità e il senso non soltanto di una pluralità di sog- 244 getti assoluti c o e s i s t e n t i (di >) bensl di soggetti che i n f I u i s c o n o trascendentalmente I ' u n o s u 1 1 ' a I t r o , e che costituiscono, come opere, formazioni comunitarie in atti comunitari. Ma tutto ciò non è ipotesi, bensl risultato di una presa di coscienza sistematica sul mondo, che è presente in me stesso come >, e in me, e a partire da me, ha il suo senso d'essere ; è un'inter rogazione sistematica che ripercorre il senso autentico, non oscurato, della mia propria donazione di senso, e di tutti i presupposti che inseparabilmente le appartengono, e che giacciono in me stesso, a partire dalla pre-supposizione assoluta che dà . senso a tutti i presupposti : quella dell'ego trascendentale che mi è proprio. Si tratta dunque, in realtà, solo di una presa di co scienza, ma non tale da spezzarsi improvvisamente e da scadere nella positività ingenua, bensi tale da rimanere se stessa, secondo una coerenza assoluta. Soltanto che essa, senza alterare essenzialmente il proprio stile, viene assu mendo, nel processo ulteriore, la forma della presa di co scienza intersoggettivo-trascendentale. I l r a d i c a l i s m o d i q u e s t a p r e s a d i c o s c i e n z a f i 1 o s o f i c a , che vede in ogni esistente dato un indice intenzionale per un sistema di operazioni costi tutive da svelare, è perciò di fatto il r a d i c a 1 i s m o più estremo r i v o 1 t o v e r s o 1 ' e 1 i m i n a z i o n e d e i p r e g i u d i z i . Ogni esistente anticipato, con la sua evi denza diretta, vale per esso come >. Un mondo anticipato, un ambito d'essere ideale anticipato, come quello dei numeri, sono > che hanno origine dall'evidenza naturale, benché non si debba intendere qui questa parola nel suo senso peggiorativo. Essi necessitano di una critica e di una fondazione trascendentale, conforme all'idea di una conoscenza fondata in senso assoluto, che possa tramandare in senso assoluto sapere e scienza ; in altre parole essi derivano questa necessità dall'idea di una f i I o s o f i a in cui essi si debbono inserire.
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Ciò vale altresì nella generalità formale con cui questi pregiudizi intervengono in una l o g i c a naturale. La lo gica tuttavia, e particolarmente quella moderna, posteriore all'Essay di L o c k e , come logica concepita a partire dalle fonti dell'> ai fini di una chiarifi cazione originaria, è costantemente ostacolata da pregiudizi (nel consueto senso peggiorativo), e i peggiori tra gli altri pregiudizi sono quelli che riguardano l'evidenza. Essi sono in dipendenza reciproca con il pregiudizio, da noi prece dentemente indicato, del mondo assoluto in sé esistente come substrato delle verità in sé che gli appartengono in modo ovvio. Sotto questo aspetto, la nostra critica trascen dentale della logica richiede ancora un complemento finale. § 105. Preliminari alla conclusione della critica trascendentale della logica. Le teorie usuali dell'evidenza sono sviate dal presupposto della verità assoluta.
È notoriamente assai diffusa l'interpretazione - che rimane lontana da ogni approfondimento fenomenologico dell'intenzionalità di un giudicare evidente - che c o s t r u i s c e l ' e v i d e n z a a partire dalla verità in sé, ingenuamente presupposta. In conformità con questa inter pretazione si > dare (come spesso viene anche inge nuamente argomentato in forma esplicita) un'evidenza in tesa come coglimento assoluto della verità, giacché altri menti noi in generale non potremmo possedere o aspirare a verità e scienza. Questa evidenza assoluta viene allora intesa come un carattere psichico (di fatto assai straordinario) proprio di diversi E r I e b n i s s e di giudizio, che garan tisce in modo assoluto che la credenza del giudizio non è mera credenza, bensl è tale da portare a reale datità la verità stessa. Ma come è possibile ciò, se la verità è un' i d e a che giace all'infinito ? E se si potesse mostrare in modo evidente che, in riferimento alla complessiva ob biettività del mondo, questo non è un dato di fatto casuale, fondato sulla capacità conoscitiva limitata dell'uomo, ma un p r i n c i p i o e s s e n z i a l e ? Come· è possibile, se
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o g n i e ciascuna verità reale, se la verità quotidiana della vita pratica, se la verità di scienze quanto si voglia svilup pate rimane essenzialmente immersa entro delle r e I a t i v i t à , riferibili normativamente ad > ? E come, se anche rifacendosi alle basi fenome nologiche primarie si sono visti permanere i problemi della verità assoluta e relativa, e, come problemi di dignità su prema, i p r o b I e m i d e 1 1 e i d e e e quelli dell' e v i d e n z a d i q u e s t e i d e e ? E come, se la relatività della verità e della sua evidenza, e la verità infinita, ideale e assoluta che è costruita su di essa, avevano ciascuna il proprio diritto e l'una postulava l'altra ? Il commerciante, al mercato, ha la sua verità di mercato ; non è essa, nel suo ambito, una buona verità, e la migliore di cui egli possa disporre ? Si tratta forse di una verità apparente solo perché, in una diversa relatività, lo scienziato punta su un 'altra verità, giudicando con altri fini ed idee, con le quali si può fare assai di più, ma per l'appunto non quello che occorre al mercato ? Si deve smettere, una buona volta, di lasciarsi accecare dalle idee e dai metodi ideali e regolativi delle scienze >, e in particolare nella filosofia e nella logica, come se il loro in sé fosse realmente norma assoluta, tanto per quanto riguarda l'es sere oggettuale come per quanto riguarda la verità. Questo significa davvero non veder la foresta proprio davanti agli alberi ; significa, in vista di una operazione conoscitiva di portata eccezionale, ma di un senso teleologico molto 246 limitato, trascurare le infinità della vita e della sua cono scenza, le infinità dell'essere relativo (con le sue relative verità) che solo in -1uesta relatività è razionale. Ma questo filosofare precostituito e che si muove dall'alto, è cosa stravolta dalla base, che dà luogo all'assurdo relativismo scettico e al non meno assurdo assolutismo logico, en trambi pupazzi l'uno in funzione dell'altro, che si ucci dono reciprocamente e di nuovo riprendono a vivere, come figure del teatro delle marionette. Giudicare in un'evidenza ingenua significa giudicare sulla base di una offerenza originale, impegnandosi in un
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interrogativo permanente: che cosa qui dev'essere effetti vamente > e portato a fedele espressione - significa dunque giudicare secondo lo stesso metodo che, nella vita pratica, segue l'uomo avveduto e previdente, per cui si tratta seriamente di >. Qui è l'inizio di ogni saggezza, benché non ne sia anche la fine ; e si tratta di una saggezza di cui non si può mai fare a meno, per quanto profonda mente si penetri nella teorizzazione - e che in definitiva deve dunque agire altresì nella sfera fenomenologica asso luta. Giacché, come già è stato ripetutamente considerato, l'ingenuo esperire e giudicare precede per necessità essen ziale. Ma nell'atteggiamento di una serietà cosciente, non si tratta di superficiale ingenuità, bensì dell'ingenuità del1 'intuizione originaria, con la volontà di attenersi soltanto a ciò che essa veramente dà. Se ne deriva allora una pro blematica, sempre più ampia, e una problematica consa pevole, quella problematica cioè che investe le strutture essenziali e i principi essenziali trascendentali ultimi, le connessioni essenziali universali, - anche allora resta pur sempre metodicamente in gioco questa pura intuizione e la fedeltà al suo contenuto puro, come un carattere per manente fondamentale nel metodo. Soltanto, esso deve terminare da ultimo in una conoscenza a sua volta intui tiva dei risultati e dei metodi che si ripetono iterativa mente, identici nel loro stile essenziale. Procedendo cosl, si possiede sempre di nuovo 1 a v e r i t à v i v e n t e a partire dalla fonte vivente della v ita a s s o 1 u t a e dell'autoconsapevolezza che su di essa è rivolta, n e I s e n s o c o s t a n t e d e 1 1 a r e s p o n s a b i I i t à d i s é . Allora non s i è assolutizzata falsa mente la v e r i t à, bensl la si è assolutizzata nei suoi o r i z z o n t i , che non vengono trascurati, né coperti da veli, bensl esplicitati sistematicamente. Con altre parole, si possiede la verità in un 'intenzionalità vivente (questo è qui il significato della sua evidenza), il cui contenuto pro prio permette di distinguere tra > e >, o che ritenzional-
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mente è (( ancora in mente >> o è (( appresentato come estraneo all'io >> e via dicendo ; e conduce, nello svelamento delle relative implicazioni intenzionali, a tutte le relatività 247 in cui sono intrecciati l 'essere e il valore. § 106. Passi ulteriori per la cntlca del presupposto della verità assoluta e delle teorie dogmatiche dell'evidenza. A quali risultati conduca il darsi da fare con un esistente assoluto, assunto in anticipo in modo del tutto vuoto (vuoto perché non ci si è interrogati sulla sua propria possibilità nel pensiero}, lo mostrano già le Meditazioni di Descartes. Come può il carattere psichico-soggettivo della e/ara et distincta perctptio - cioè nient'altro che ciò che i seguaci > come carattere di evidenza, senti mento dell'evidenza, sentimento della stretta necessità garantire una validità obbiettiva, senza di cui non si darebbe per noi alcuna verità ? Per quanto riguarda l 'evidenza del l'ego cogito ci si tranquillizza - ma forse troppo in fretta con l '>. Ma già ciò che va oltre l 'interiore attualità percettiva, nella sua vita mo mentanea (per tacere dell'ego nella sua pienezza concreta) induce in perplessità. Questo porta magari all'accetta zione di evidenze di minor valore, ma pur sempre utiliz zabili, quando già qui non si ricorra alla logica delle pro babilità. Per il >, certo, si rifiuta la via cartesiana originale, che passa attraverso la prova del l 'esistenza di Dio per render comprensibile la trascendenza dell'esperienza e della sua credenza nella realtà ; ma con tinua a sussistere quel modo assurdo di procedere, da noi già criticato, che si sforza di > per via di deduzioni. E continua a sussistere, in generale, la stessa concezione fondamentale dell'evidenza. Quest'ultima (( deve >> in ogni caso essere un coglimento assoluto dell'essere e della verità. Si > dare inanzitutto un' e s p e r i e n z a a s s o 1 u t a , e cioè quella interna, e si (( devono >> dare e v i d e n z e g e n e r a 1 i a s s o I u t a m e n t e v a -
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l i d e , e tali sono quelle dei principi apodittici, al più alto livello quelli logico-formali, che regolano anche le conclusioni deduttive e rendono con ciò evidenti le verità apoditticamente indiscutibili. Un ulteriore ausilio è dato poi dall'induzione, con le sue conclusioni di probabilità, che stanno pure sotto i principi apodittici della probabilità, come i celebri principi di L a p l a c e . E cosi si ritiene di aver provveduto in modo mirabile ad una conoscenza oggettivamente valida. Ma purtroppo questa è soltanto t e o r i a esercitata d a l l ' a l t o . Giacché ciò che qui si è dimenticato di dirsi è che, poiché la realtà, e cosi la possibilità - la pen sabilità - dell'esistente di ogni tipo ricava l'originarietà del suo senso soltanto da un'>, reale o possi248 bile, si deve dunque interrogare l'esperienza stessa, ov vero l'atto di pensarsi immedesimati in un esperire, e ciò che vi si trova come esperito. Esperienza significa qui (conformemente alle nostre esposizioni precedenti) nella generalizzazione necessaria : donazione-di-sé, evidenza in generale, rispetto alla quale l'esperienza nel senso usuale, peraltro ineliminabile, è un caso particolare segnalato e tale che, se lo si è visto una volta, diventa assai istruttivo per la teoria dell'evidenza. Dunque la nostra interrogazione si rivolge su questa comune evidenza d'esperienza, per vedere cosa essa ci possa insegnare. È assolutamente ovvio per ognuno, e soltanto per il filosofo confusionario non lo è, che la cosa percepita nella percezione è l a c o s a s t e s s a, nella sua esistenza propria, e che se le perce zioni sono ingannevoli, ciò significa che esse sono in con trasto con nuove percezioni che mostrano con certezza che cosa è reale i n l u o g o di quanto è illusorio. Qualunque ulteriore questione sia da porre qui, in ogni caso la si deve porre alle esperienze corrispondenti ; si deve render com prensibile, mediante la loro analisi intenzionale e nella generalità essenziale, come un'esperienza possa dare in se stessa come esperito un esistente in sé e come per altro questo esistente possa esser cancellato - come essenzial mente un'esperienza cosi fatta rimandi, nel suo orizzonte,
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a ulteriori esperienze confermanti possibili; come essa tut tavia lasci anche essenzialmente aperta la possibilità che si presentino esperienze contrastanti, le quali conducono a correzioni nella forma della diversa determinazione o della completa cancellazione (apparenza). È chiaro che lo stesso si deve dire per ogni tipo di evidenza, con le particolariz zazioni che da questo stesso tipo devono essere ricavate. Tali ricerche intenzionali sono state messe in opera per la prima volta dalla fenomenologia. L' e s p e r i e n z a , l ' e v i d e n z a , d à l u o g o a l l ' e s i s t e n t e , e lo dà i n s e s t e s s o , imperfetto, se si tratta di esperienza imperfetta, perfetto se essa si perfeziona in rapporto alla sua essenza - vale a dire : se si allarga nella sintesi della concordanza. Che cosa avvenga delle possibilità di questo perfezionamento, ma anche di quelle dell'annullamento e della correzione; se si diano optima relativi o anche assoluti; se si possano presupporre e desiderare perfezioni ideali, non è cosa che può essere assodata a partire da pre giudizi, e neppure da idealizzazioni ingenuamente evidenti, bensl, in un diritto autentico e originario, mediante l'in terrogazione essenziale delle esperienze stesse e delle pos sibilità sistematiche di esperienza che sono comprese a priori nei tipi volta a volta essenziali di esperienze e di oggetti di esperienza, e che devono essere rese evidenti per mezzo di una esplicitazione intenzionale. Ma questo, naturalmente, deve essere effettuato sul terreno trascenden- 249 tale ultimo che la riduzione fenomenologica ci prepara. Già nelle prime Meditazioni di D e s c a r t e s (che hanno determinato in modo essenziale lo sviluppo della fenomenologia trascendentale), emerge, nella critica del l'esperienza esterna, una deficienza di base; egli infatti elimina le possibilità d'inganno che continuamente sono connesse a questa esperienza, e con ciò si occlude in un modo assurdo il senso fondamentale dell'esperienza come una d o n a z i o n e d e 1 1 e c o s e s t e s s e . Ma questo per il fatto che Descartes non pensa a proporsi il problema di che cosa propriamente costituisca la pensabilità dell'esi stente mondano, rispetto alla quale acquista un senso legit-
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timo il fatto che sia piuttosto questo esistente ad antici parsi a noi, che non un essere assoluto che si muova al di sopra delle nubi della conoscenza. O, come anche possiamo dire: non viene in mente a D e s c a r t e s di tentare un 'esplicitazione intenzionale della corrente dell'esperienza sensibile nell'intera connessione intenzionale dell'ego, in cui si costituisce lo stile di un mondo di esperienza e, in modo comprensibile, nella forma di un mondo il cui essere, nonostante la conferma è un essere soggetto alla correzione sempre possibile e che spesso si verifica, e che anche come totalità d'essere, come mondo per l'ego, è soltanto a partire da una p r e s u n z i o n e , che attinge la sua legittimità e tuttavia solo una legittimità r e I a t i v a - dall'espe rienza vivente. Cosi D e s c a r t e s non vede che lo stile essenziale dell'esperienza imprime al senso d'essere del mondo e a tutte le realtà una r e 1 a t i v i t à essenziale che è assurdo pretendere di migliorare facendo appello alla veracità divina.
Ciò che segue deve ora mostrare in concreto come si possa, procedendo per gradi dall'esperienza sensibile, ren der comprensibile l ' e v i d e n z a c o m e o p e r a z i o n e , e cosa significhi verità in sé esistente come sua operazione. § 107. Abbozzo di una teoria trascendentale dell'evidenza come operazione intenzionale.
a) L'evidenza dell'esperienza esterna (sensibile).
Il disvelamento fenomenologico dell'esperienza sen sibile, o, più esattamente : di quella puramente naturale, in cui a noi si dà la pura natura fisica (quando astraiamo da ogni strato di significanza sociale o personale-singola) è, come risulterebbe nel corso di una effettiva trattazione, 250 un grave compito che esige ricerche di raggio straordi-
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nariamente ampio u. Non basta qui la considerazione essenziale di singoli oggetti naturali e della esperienza di di questi, come della semplice percezione. È necessaria la ricerca intenzionale dell'esperienza mondana comples siva, sinteticamente unificata, che attraversa la vita dell'ego singolo e della comunità trascendentale, dello s t i l e u n i v e r s a 1 e che le appartiene, e inoltre la ricerca della genesi costitutiva dell'esperienza, insieme con questo stile. In tali concreti studi si impara a comprendere, per u n a singola sfera, l' e s s e n z a d e 1 l ' e v i d e n z a , d e I l ' e v i d e n z a c o m e un' e f f e t t u a z i o n e , che si presenta - come le operazioni intenzionali in generale generalmente intrecciata in operazioni - ovvero in facoltà costruite sistematicamente. E si impara cosi naturalmente nel modo migliore a comprendere anche l'intera man canza di significato delle consuete nozioni sull'evidenza, e dei consueti modi di indagine sulla stessa. Naturalmente, se ci si lascia guidare dalla chimera di un sentimento di evidenza che sia garante in assoluto, per qualcosa che in un pregiudizio vuoto è presupposto come esistente in senso assoluto, allora l'esperienza esterna - e cosi generalmente si giudica - non costituisce in alcun modo un'evidenza. Ma il mondo - cosi si pensa - è pur sempre ovviamente ciò che è, e come tale è anche accessibile ad un'evidenza. Pochi esiterebbero ad ascrivere all'intelletto infinito, fosse anche inteso soltanto come idea-limite della teoria conoscitiva, questa assoluta evi denza, ciò che non sarebbe per nulla meglio che se si H Spero di poter pubblicare nei prossimi anni le mie proprie ricer che complete, che ho condotte nel corso di molti anni, e di cui ho anti cipato abbastanza spesso dei lineamenti nelle mie lezioni. Una prima stesura, già destinata alle stampe, era nell 'abbozzo del II voi. delle Jdeen scritto nel 1 9 1 2, insieme al I voi. NelJa redazione curata dal dott. Edith S t e i n , essa è stata resa accessibile a molti scolari e colJeghi. Nel frat tempo l 'ambito dei concreti problemi da risolvere si è presentato ancora molto più difficile e più vasto. [Il secondo volume delle Ideen è stato pubblicato postumo nel 1 952.]
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volesse vedere l'onnipotenza divina, entro la sfera matema tica, nella capacità di costruire decaedri regolari, e cosi per ogni controsenso teoretico. Il senso d'essere della na tura ha la forma essenziale che gli è assolutamente prede signata dallo stile essenziale dell'esperienza naturale, e cosi neppure un Dio assoluto può creare alcun > che garantisca assolutamente l'essere naturale o - in una concezione e in un modo di esprimersi già migliori - alcun Erlebnis d'esperienza chiuso in sé che fosse pensato come separato dalla > esperienza sensibile, tale da darsi in sé apoditticamente e in modo adeguato. 25 1 b) L 'eviden_za dell'esperienza >.
Nella dottrina dell'evidenza l' e s p e r i e n z a i n t e r n a è stata una notevole fonte di errore. Per quanto essa sia più semplice di quella naturale, poiché inerisce a quest'ultima in ogni sua fase, e inerisce addirittura ad ogni e a ciascuna evidenza, essa postula tuttavia anche un di svelamento intenzionale e comporta straordinarie implica zioni. Non v'è bisogno di sollecitare di nuovo l'attenzione sulla trascuratezza, gravida di conseguenze, che ha provo cato la mistificazione tra percezione interiore come fatto psicologico e come fattore conoscitivo, cioè fenomenologico trascendentale, come ego che percepisce il suo cogito. L'esperienza psicologica, sotto la quale rientra anche quella interna, è un'esperienza mondana intenzionalmente mtrec ciata con l'esperienza naturale, un'esperienza la quale di viene fenomenologicamente pura soltanto se si > l'appercezione trascendente. Ma anche in questa esperienza fenomenologicamente pura l'esistente, qui cioè l'esistente immanente in senso fenomenologico, è dato bensì in se stesso, nella percezione come presente in sé, nel ri cordo come passato, e tuttavia anche qui, già in questo modo più semplice dell'operazione costitutiva, ciò che è dato in sé, l'oggettuale immanente, si costituisce pur
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sempre in modi assai complicati - nel flusso delle presen tazioni, ritenzioni e protensioni originarie, in una com plessa s i n t e s i intenzionale, quella della coscienza in terna del tempo. Per quanto inindagata rimanesse questa struttura d'evidenza, qui per lo meno veniva messo in luce il momento del p o s s e s s o e f f e t t i v o d e 1 1 a c o s a s t e s s a , senza che venisse esteso a ogni altra evi denza od esperienza. Ma anche qui, dove in un modo certo, ma che dev 'essere descritto e delimitato più precisamente, si deve affermare che il dato immanente interviene in modo reale [reell] nell'Erlebnis costituente, bisogna guardarsi dal1 ' e r r o r e di fare come se il dato come oggetto fosse g i à p i e n a m e n t e c o s t i t u i t o con questo i n t r o d u r s i r e a 1 e . Dicevamo sopra che l e evidenze sono funzioni che fungono nelle loro connessioni inten zionali ; se non esistesse alcuna facoltà di rimemorazione, alcuna coscienza, nel senso del , l 'introdursi originale del dato e il perdurare originale, p. es. di un dato di sensa zione còlto in modo immanente, nella sua identità che si mantiene per tutta questa durata, possiede una incancella bilità in certo modo apodittica - per l'appunto lungo questa durata. Ma l 'unità originale che si produce nell'iden- 252 tifi.cazione continuativa del perdurare non è ancora un >, ma lo è soltanto in quanto esistente nella tem poralità (che è qui immanente), cioè esistente nell'evi denza di essere riconoscibile come lo stesso, al di là del modificarsi dei modi soggettivi di ciò che è trascorso. La forma di questa identità oggettuale è il luogo temporale nel tempo. Così la s i n g o 1 a p e r c e z i o n e , con la sua ritenzione e rimemorazione, non è però m a i u n ' e v i d e n z a a u t o s u f f i c i e n t e p e r l'esistente, bensì è ancora necessario ritornare a domandarsi che cosa costi tuisce l 'esistente, come esistente i d e n t i c o all'interno
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dell'ego identico (esistente che > a suo modo). Ora, 1 a q u e s t i o n e è evidentemente 1 a s t e s s a nei casi assai più complicati della percezione esterna e in fine in altri modi i n o g n i e v i d e n z a , e noi stessi siamo già stati ripetutamente ricondotti al > e alla questione della chiarificazione della sua evidenza. c) Dati iletici e funzioni intenzionali. L'evidenza dei dati
temporali immanenti.
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Il sensualismo dei dati, che domina ovunque il campo della psicologia come della teoria conoscitiva, e di cui sono anche più prigionieri coloro che polemizzano a parole contro di esso (ovvero contro ciò che essi pensano sotto questo nome) consiste in ciò, che esso costruisce la vita di coscienza a partire da dati che vengono assunti come se fossero oggetti - per così dire - belli e fatti. È perciò del tutto equivalente che si pensino questi dati come > separati, ammassati insieme secondo leggi fattuali incomprensibili, come mucchi dotati più o meno di una coesione meccanica, o che si parli di totalità o di qualità di forme, che si considerino le totalità come ante cedenti rispetto agli elementi che si possono distinguere in esse, e che all'interno di questa sfera di oggetti già esi stenti in anticipo si distingua tra dati sensibili e Erlebnisse intenzionali come dati d'altro genere. Non che quest'ultima distinzione vada pienamente re spinta. Ci si può rivolgere in qualità di ego agli oggetti immanenti come oggetti dell'esperienza immanente, cioè come oggetti del tempo immanente, e questo è ovviamente il primo passo per chi intraprenda la ricerca fenomenologica. In questo senso io, nelle mie Idee, ho lasciato fuori circuito consapevolmente ed espressamente i problemi della co scienza immanente del tempo o - ciò che è lo stesso della costituzione di questi oggetti della temporalità ego-
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logica ••, ed ho cercato di abbozzare e parzialmente anche di svolgere una vasta problematica unitaria per descrizioni possibili in questa sfera. In questa sfera interviene allora, come distinzione essenziale, quella tra d a t i i I e t i c i e f u n z i o n i i n t e n z i o n a I i . Ma anche nell'> immanente dell'ego n o n v i e n e a n t i c i p a t o a I c u n o g g e t t o né alcuna evidenza, la quale non po trebbe abbracciare se non ciò che già è dato. Le evidenze, come funzioni che costituiscono l'esistente (insieme con le funzioni e le facoltà complessive che giocano qui una loro parte che dev'essere svelata) realizzano l'operazione il cui risultato porta qui il nome di o g g e t t o e s i s t e n t e . Questo vale già qui, come dovunque. A questo proposito, bisogna fare attenzione a qualcosa di differente che è già stato in parte considerato. Se noi intendiamo le evidenze in un senso ampliato, come dona zione della cosa stessa o possesso della cosa stessa, non occorre allora che ogni evidenza abbia la forma dell' a t t o s p e c i f i c o d e 1 1 ' i o, cioè del fatto che l'io, definito qui come polo egologico, sia diretto a ciò che è dato in se stesso, nel senso del >, del cogliere e anche del valutare e del volere. La costituzione, che procede secondo una rigida legalità, di dati temporali immanenti, è un'evi denza continuativa in un senso larghissimo, ma non è nulla meno che un esservi-rivolto attivamente dell'io. Inoltre, 1' e v i d e n z a c o m e d o n a z i o n e d e I I a c o s a s t e s s a h a l e s u e f o r m e d i m o d i f i c a z i o n e , le sue g r a d u a I i tà nella p e r f e z i o n e del d a r s i i n s é , e presenta molteplici distinzioni che hanno una loro t i p i c i t à e s s e n z i a I e e che devono essere indagate. Le forme di modificazione dell'originalità non eliminano il darsi nell'originale, benché lo modifichino. L'evidenza del p r e s e n t e originale assoluto del suono, che risuona in ciascuna puntualità attuale (e naturalmente 85 Cfr. su questi problemi il saggio, già citato più volte, nel voi . IX dello « Jahrbuch •>.
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non si parla del punto matematico) funge essenzialmente in connessione con un'evidenza di ciò che > è risuonato, e di ciò che s t a p e r f a r 1 o originariamente. Anche ogni chiara rimemorazione è evidenza, offrirsi in sé per l'esser-passato come tale che viene rimemorato, non per l'originale trascorso, che come originale sarebbe presente, ma per c i ò c h e è p a s s a t o i n q u a n t o è p a s s a t o. Quest'evidenza fornisce anche esempi per la g r a d u a 1 i t à d e l l a c h i a r e z z a e p e r l ' i d e a (una idea !), che ne deve essere ricavata, di una c h i a r e z z a p e r f e t t a , cui io > avvicinarmi, un io-posso, questo, che ha la sua evidenza propria. Cosi come noi abbiamo già detto per l'esperienza esterna, anche qui non è escluso, nel caso primitivo della rimemorazione immanente, l'in ganno. Ma è anche evidente la forma essenziale del suo svelamento, che presuppone di nuovo l'evidenza della ri memorazione nella forma dell'evidenza di altre rimemo raz1om. Inoltre, come già nel caso più semplice di un'esperienza interna vivente, appartiene alla forma essenziale del suo flusso costituente che delle e v i d e n z e , reciprocamente dischiudentisi e modificantisi in modo continuativo, s i a n o c o - f u n g e n t i , lo stesso vale in generale nella vasta sfera della complessiva vita interiore trascendentale (come pure di quella psicologica). L e m o 1 t e p 1 i c i c a t e g o rie dell'oggetto che si costituiscono s o n o (come già è stato indicato) i n t r e c c i a t e r e e i p r o c a m e n t e i n m o d o e s s e n z i a 1 e , e in conformità con ciò n o n s o 1 t a n t o o g n i o g g e t t o h a 1 a s u a e v i d e n z a p r o p r i a , bensi essa eser cita anche - e l'oggetto in lei in quanto oggetto evidente delle funzioni più vaste. Ogni oggetto culturale può servire d 'esempio. L 'idealità che costituisce il suo essere proprio, si > in una oggettualità materiale (che ne è cosi >), e perciò l'evidenza della determinatezza dell'oggetto culturale è fondata in un'evidenza naturale e intimamente intrecciata con essa.
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Ovvero, facendo l'esempio più generale: tutti gli oggetti, in quanto costituiti, sono in relazioni essenziali ad oggetti immanenti, sicché la e v i d e n z a d i q u a 1 s i a s i o g g e t t u a 1 i t à deve celare in s éj"'"Erlebnisse immanenti, i m m a n e n t i e v i d e n z e che fungono per lei. Qui, ciò che funge, come tale conserva dappertutto il suo parti colare carattere intenzionale, donde dipendono distinzioni altamente importanti sul modo in cui degli oggetti costi tuiti possano fungere >, come > per possibili rivolgimenti attivi dell'io. Se una cosa è costi tuita, sia pure nello sfondo cui non si presta attenzione, vi sono costituite molteplici oggettualità implicite, p. es. le prospettive, o infine vari dati di sensazione, che sono > come colori o toni oggettivi. Ma q u e s t i o g g e t t i , e s i s t e n t i > per l'ego trascendentale n o n s o n o t u t t i n e 1 1 o s t e s s o r a p p o r t o c o n I ' a f f e z i o n e p o s s i b i 1 e . La cosa è il primum che affetta, e solo secondariamente, in un distogliersene riflessivo, esercita questa funzione la pro spettiva o - più in là ancora - i colori della sensazione, determinati dunque a partire dalla fondazione delle funzioni dell'evidenza. Quanto precede è dunque sufficiente al fine di conse- 255 guirne un'idea di quanto vi sia da indagare, intorno all'evi denza, rispetto al vuoto discorrere tradizionale su questa parola ; ciò almeno s e i n g e n e r a 1 e d e b b a v e n i r chiarito il senso di una critica delle e v i d e n z e e l a l o r o p o s s i b i l e a t t u a z i o n e. Solo assai tardi io mi sono reso conto di come ogni critica delle evidenze, e in particolare delle evidenze di giudizio (più precisamente di quelle dell'attività categoriale), non soltanto va compiuta - come riesce ovvio nell'attuale esposizione - nel quadro della fenomenologia, bensl come tutta questa critica riconduce ad una c r i t i c a u l t i m a nella forma di una c r i t i c a d e 1 1 e e v i d e n z e e f fettuate dalla fenomenologia del primo g r a d o, c h e i n s é è a n c o r a i n g e n u o . Ma ciò significa che 1 a c r i t i c a, i n s é p r i m a ; 23. - Huuerl
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d e 1 1 a c o n o s c e n z a, in cui ogni altra ha le sue radici, è l'autocritica trascendentale d e 1 1 a c o n o s c e n z a f e n o m e n o 1 o g i c a s t e s s a ••. d) Evidenza come forma strutturale a priori della coscienza.
V'è ancora un punto di notevole importanza. La teoria tradizionale della coscienza e la psicologia tradizionale considerano l' e v i d e n z a c o m e u n d a t o s p e c i a l e d e l t u t t o s i n g o l a r e , che interviene, se condo una qualche l e g a l i t à e m p i r i c a induttiva e causale, nella connessione di una interiorità psichica. Di regola, come è ovvio, non si ammette che la stessa cosa avvenga per gli animali. Ma al contrario è già evidente da quanto s'è detto che una v i t a d i c o s c i e n z a , già in grazia della sfera temporale immanente, n o n p u ò s u s s i s t e r e s e n z a e v i d e n z a e che cosi come noi la pensiamo, quale co scienza rivolta sull'oggettività, non può sussistere senza una corrente di esperienza esterna. Si deve tuttavia ancora indicare che l'evidenza di ogni forma graduale non soltanto s'intreccia con altre evidenze per operazioni d'evidenza superiori, ma che le operazioni d 'evidenza in generale si trovano in ulteriori connessioni con le non-evidenze; e che m o d i f i c a z i o n i essenziali possono costantemente sor gere: la sedimentazione della ritenzione nella forma della coscienza >, la formazione essenziale di inten zioni associative vuote, di opinioni, di sforzi vuoti che 256 puntano verso la pienezza, ecc. Donazione di sé come riempimento, conferma, prova, cancellazione, falsità, errore pratico ecc. - tutte queste sono forme strutturali apparte nenti a priori all'unità di una vita. E la ricerca di quest'unità, ricerca che si occupa di tutto questo e lo illumina, è il tema grandioso della fenomenologia. 38 Una effettiva attuazione di quest'ultima critica è stata da me tentata nel semestre invernale 1 922-23 ; i miei giovani amici hanno potuto vedere la stesura di queste lezioni.
CONCLUSIONE
Abbiamo cercato, in questo scritto, di indicare la via dalla logica tradizionale verso quella trascendentale - la quale non è una seconda logica, ma soltanto la stessa logica radicale e concreta che si sviluppa nel metodo fenomeno logico. Pure, per esprimerci più precisamente, noi abbiamo tenuto presente, come una siffatta logica trascendentale, per l'appunto soltanto quella delimitata in senso tradizionale, la logica analitica, che d'altra parte, grazie alla sua vuota generalità formale, abbraccia ogni sfera d'essere o d'oggetto, e correlativamente ogni sfera di conoscenza. Ugualmente, costretti a delimitare il senso e la portata della ricerca tra scendentale, noi abbiamo insieme anche guadagnato antici patamente una comprensione per le logiche di un altro senso che devono essere fondate, concepite come episte mologie, ma come epistemologie materiali, tra cui quella superiore e più largamente circoscrivente sarebbe la I o g i c a d e 1 1 a s c i e n z a a s s o I u t a, la logica della f i I o s o f i a fenomenologico-trascendentale stessa. Naturalmente, sotto il titolo di logica, equivalente a ontologia, rientrano anche, per buone ragioni, tutte le discipline materiali a priori suscettibili di essere fondate, discipline dell'unica o n t o I o g i a m o n d a n a che va fondata dapprima in modo diretto, nella positività trascen dentalmente >. A noi è già risultato come essa dispieghi l'a priori universale di un mondo possibile in generale in senso puro, che come eidos, per il metodo della variazionè eidetica, deve concretamente sgorgare a partire
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dal mondo dato a noi di fatto, come dall'> di rettivo. Da questa nozione procedono poi i l i v e 1 1 i d e l i a g r a n d i o s a p r o b l e m a t i c a di una l o g i c a d e l m o n d o che dev'essere fondata in modo radicale, di un'autentica ontologia mondana, di �uC qualcosa è già stato accennato. Come grado basilare funge l' e s t e t i c a che è t r a s c e n d e n t a I e in un senso nuovo ( cosi denominata per via di una relazione facilmente afferrabile a quella eccessivamente ristretta - di K a n t). Essa tratta del pro blema eidetico di un mondo possibile in generale come m o n d o in senso kantiano), non potrebbero apparire oggetti unitari e cosi in generale non potrebbe costituirsi l'unità di una natura, di un mondo come passiva unità sintetica. Uno strato di questa è I'a priori estetico della spazio-temporalità. Questo Logos del mondo estetico necessita naturalmente - per poter essere scienza autentica - della ricerca costi tutiva trascendentale, altrettanto quanto ne necessita il Logos analitico - ricerca da cui già prende figura una scienza quant'altre mai ricca e difficile. Al grado superiore si situa il Logos dell'e s s e r e mon dano obbiettivo e della s c i e n z a n e l s e n s o >, della scienza che indaga secondo le idee del l'essere ► e della rigorosa verità e che con figurano corrispondentemente teorie > 37 • Di fatto si sviluppa, dapprima nella forma della geometria esatta, poi in quella della scienza naturale esatta (la fisica di G a 1 i I e o ) una scienza consapevole di nuovo stile, una scienza non >, tale cioè che tipicizzi delle for mazioni >, dei dati dell'intuizione pura, e che li 17 Cfr. § 96, e, pp. 214 [299 sg.].
Conclusione
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raccolga in concetti, bensì una scienza logicizzante e idea lizzante. Come è noto, storicamente la sua prima forma - e, ulteriormente, la sua guida - era data dalla geometria platonizzante, che non parla di rette, circoli, ecc. in senso >, e del l o r o a priori, quello di ciò che appare nell' a p p a r i z i o n e reale e possibile, bensì dell' i d e a ( r e g o l a t i v a ) di questo spazio percettivo, dello >, con > ecc. La fisica ► opera per intero per mezzo di tali >, e pone dunque al di sotto della natura realmente esperita, quella della vita attuale, una natura come idea, come norma ideale regola tiva, come suo Logos in un senso superiore. Che cosa ciò significhi, che cosa ciò comporti sia operato nella conoscenza e nel dominio della natura, lo ], nella positività ingenua, ogni studente. Ai fini di un'au tocomprensione radicale e per una critica radicale della conoscenza > della natura, si presentano qui gravi problemi, - i problemi, come è chiaro, di una ricerca fenomenologica che procede sul filo conduttore dell'espli citazione noematica di senso, che deve svelare noeticamente la costituzione >, e muovendo di qui, deve produrre questioni ultime di senso, determinazioni critiche circa la >. A qual punto intenzioni simili, benché, per carità, non le medesime, possano introdursi nel senso delle scienze dello spirito, quali idee regolative siano per esse necessarie e quali debbano guidare consapevolmente i loro metodi, per poter imprimere ad esse non una specie di esattezza 258 propria delle scienze naturali, bensl invece dei concetti normativi per la loro > logicità (concetti normativi che ne emergono e le travalicano), sono ancora problemi nuovi che indicano nuovi campi di ricerca di una si dice, e ciò che di questo si dice; dove ciascuna delle parti deve essere presa cosi come si articola dal punto di vista meramente descrittivo nell'unità di significato A è b. Articolarsi non significa naturalmente spezzettarsi, dato che il discorrere di pezzi rimanda a parti che possano essere staccate per sé, mentre è palese che almeno il predi cato non può essere staccato e reso autonomo. Mostreremo tra poco che lo stesso vale anche per il soggetto. 260 Consideriamo un caso di articolazione più complicata, per esempio il giudizio ipotetico, se A è b, C è d. Esso si articola nettamente in due parti, subisce di nuovo una > : se A è b - allora C è d. Ciascuno di questi membri si articola a sua volta. La protasi ipotetica al pari dell 'apo dosi si dà nel suo proprio contenuto di senso come una « modificazione>> di una semplice proposizione categorica, una modificazione che, essendo diversa nell'uno e nel l'altro caso, una volta si esprime nella forma se A è b, e l'altra nella forma allora C è d. Ognuna di tali modificazioni comporta, in corrispondenza con il giudizio categorico immodificato al quale essa >, la cesura tra il sog getto modificato e il suo predicato parimenti modificato. A, tanto nella forma categorica originaria che nelle sue modificazioni, può avere al suo interno nuove articolazioni, ad esempio in forma di annessi attributivi. In questo caso in A abbiamo un'altra cesura, un membro principale e un membro annesso fungente da attributo (eventualmente anche in forma di una proposizione relativa). In tal modo una proposizione unitaria può essere arti colata in modo più o meno complesso ; e vediamo che n o n t u t t i i m e m b r i devono trovarsi s u 1 1 o s t e s s o p i a n o . La proposizione ipotetica, ad esempio, si suddivide immediatamente in protasi e apodosi. I membri
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che si presentano come immediati, in quanto membri di primo grado, hanno a loro volta altri membri immediati, che in rapporto all'insieme sono membri di secondo grado. E cosi si può giungere ad articolazioni di terzo grado, di quarto grado ecc. Ma in ogni proposizione giungiamo alle a r t i c o l a z i o n i u l t i m e e ai membri ultimi, nel nostro esempio indicati simbolicamente con A, b ecc. Tutti i membri in questo senso sono in ogni caso d i p e n d e n t i , essi sono ciò che sono all'interno della totalità, e totalità differenti possono avere membri uguali, che tuttavia non sono lo stesso membro. Se diciamo che A e b e proseguiamo dicendo che A e e, le due propo sizioni non contengono un identico membro. È intenzionato lo stesso oggetto A, ma in un diverso >, e questo > rientra nell'intentio stessa (non nell'intenzionare), nell'intenzionato come tale che chiamiamo proposizione. Nelle due proposizioni abbiamo formato, in luoghi corri spondenti, valori diversi [ Verschiedenes] di uno stesso con tenuto A, e abbiamo dato a quest'ultimo una forma diversa. Nella seconda proposizione si presenta inespressa la forma >, che, se consideriamo con precisione il senso, pro duce tra le due un legame e precisamente un legame che le conforma in modo diverso. In altre parole, ci troviamo nell'unità di una proposizione complessiva anche se non espressa: A e b e lo stesso e c. Ciò che viene due volte in tenzionato con A, ha in entrambe le proposizioni una forma relativa: il secondo A è in relazione di identità con il primo ; di qui, però, anche il primo ha conseguito una correlativa 261 relazione di identità con il secondo, cosa che va appurata in base al senso del primo, cosi come emerge nella propo sizione complessiva. Considerazioni di questo genere vanno fatte ogni qualvolta compaia > membro (lo stesso >, predicato, oggetto, la stessa protasi ecc.). § 2. Il riferimento alle cose nei giudizi.
Per i membri che rientrano nella concreta unità predi cativa del significato, come anche per l'intero giudizio o
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propos1z1one, vanno distinti due diversi momenti. Ogni proposizione indipendente si riferisce a delle cose e a qualcosa che loro conviene. Nella proposizione con cui si giudica è (( inteso>> uno stato di cose [Sachverhalt]. Risul terà che questa relazione ad oggettualità, il r i f e r i r s i della proposizione a 1 1 a c o s a , per dirla in breve, è legato a suoi determinati momenti, che chiameremo la m a t e r i a , mentre questo riferimento è possibile concre tamente e come relazione di significato all'oggettuale sol tanto attraverso altri momenti, i momenti della f o r m a . Con maggiore precisione - circa la questione di come si verifichi che la proposizione comporti una relazione totale agli oggetti - osserviamo in primo luogo che vi dob biamo sempre ritrovare parti che hanno a loro volta rela zioni oggettuali. Ciò vale di t u t t i i m e m b r i e, nella misura in cui siano articolati, dei loro stessi membri fino agli ultimi, cioè i primi in sé. Con questi, abbiamo i tipi di significati parziali che, d a 1 p u n t o d i v i s t a d e 1 1 ' a r t i c o 1 a z i o n e , hanno una relazione ultima alle cose, si distinguono in significati del soggetto, i quali si riferiscono ad oggetti fungenti da substrato (in quanto soggetti determinantisi), e in significati parziali che si ri feriscono a proprietà e ancora a relazioni. D'altra parte già nella espressione linguistica normale spiccano facil mente parti (usiamo il termine parti in un senso molto ampio, che abbraccia quindi anche i non-membri) come : è, oppure, perché ecc., che rappresentano momenti di si gnificato per essenza indispensabili alle proposizioni, i quali n o n c e I a n o i n s é a I c u n a r e l a z i o n e a 1 1 e c o s e . Ciò naturalmente non esclude che queste parti in forza della loro funzione nella proposizione, che come totalità ha una relazione alle cose (o in forza della loro funzione nel rispettivo membro, che come totalità ne ha parimenti una), partecipino a questa relazione. Ma in esse, prese meramente per sé, tale relazione non sussiste. Ad un più attento sguardo, ogni membro, e anche ogni membro primitivo, contiene di questi momenti, per quanto questi, come si è indicato sopra in un esempio, possano
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non trovare espressione in parole particolari della propo sizione grammaticale completa. § 3. Forme pure e materie pure.
Ne viene, rispetto all'articolazione, una >, sorprendente e di tipo completamente diverso, di ogni significato predicativo, di ogni proposizione ► e e di ogni membro della proposizione. Da un lato, in queste concrezioni possiamo far emergere per gradi i momenti che sono, palesemente, del tutto non-autonomi, del tutto astratti, ai quali di per se stessi m a n c a il riferimento alla cosa: si chiamano, questi, m o m e n t i d e l l a p u r a f o r m a. D'altra parte, in ciascuno dei membri e infine in ciascuno dei membri ultimi ci resta cosi un nucleo di contenuto [Kerngehalt] che è a sua volta qualcosa di com pletamente astratto, ma è ciò che appunto fornisce al membro il suo riferimento alla cosa. A questo proposito parliamo di m o m e n t i m a t e r i a l i . Chiariamo subito con un esempio: se prendiamo dei soggetti di proposizione come la carta, il centauro ecc. e pensiamo altre proposizioni in cui le > espressioni esercitano una funzione modifi cata (declinandosi grammaticalmente) in quanto designino in luogo dei soggetti i relativi oggetti, spicca di fatto, dal lato del significato, un quid identico. È l'Identico del ri ferimento oggettuale che in tutto questo mutamento di forma conserva la relazione alla stessa cosa, e cioè a carta, a centauro. Perveniamo dunque a due concetti limite: > e >. Entrambe appartengono necessariamente alla stessa concrezione, e precisamente in questo modo: le materie pure rendono possibile in ultima analisi il riferimento alla cosa attraverso la loro conforma zione [Formung] graduata, di guisa che le formazioni di ogni grado indicano ancora a loro volta nei membri ma terie e forme relative. Di questa relatività ci occuperemo in seguito. Quella della conformazione non è ovviamente un 'atti vità che sia e debba essere attuata su materie già anticipate
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- la qual cosa presupporrebbe l'incongruenza per cui si potrebbero avere anticipatamente materie per sé, come se fossero oggetti concreti anziché astratti momenti di signifi cato. Nondimeno procedendo nelle diverse direzioni del1 ' astrazione e modificando in questo senso le formazioni proposizionali (nella libertà del pensare e del riplasmare [ Umdenken] giudicativa e quasi-giudicativo ), è possibile perseguire la funzione, per dir cosi, delle forme e della loro modificazione per la formazione di senso della rela zione oggettuale, in altre parole penetrare nel modo in cui, attraverso le strutture essenziali delle proposizioni e dei loro membri, ha luogo la relazione oggettuale delle mede . sime e la loro > analitico-formale. 263
§ 4. Forme inferiori e superiori. La loro reciproca relazione di senso. Le forme si distinguono in f o r m e i n f e r i o r i e i n f o r m e d i g r a d o p i ù e 1 e v a t o , in forme che ineriscono ai membri del livello più basso e in forme che abbracciano i membri stessi già formati e li portano a con crezioni di grado più alto, li conformano come membri più complessi o come unità compiutamente concrete, come proposizioni autonome. Secondo il loro senso, le forme di grado superiore (non è escluso che eventualmente, in base ad un generale contenuto di senso, esse siano dello stesso tipo di quelle inferiori) sono riferite a quelle di grado infe riore e in questa relazione retrospettiva danno l'avvio al ri ferimento oggettuale. La proposizione nel suo complesso ha forme di totalità e, per mezzo di queste, ha una relazione unitaria con il rispettivo intenzionato nel suo complesso, con ciò che ha questa o quest'altra conformazione catego riale : con lo stato di cose. Palesemente questo riferimento alla cosa è un riferimento fondato, poiché già presuppone il riferimento,..oggettuale dei membri, ovvero presuppone la funzione delle forme particolari inerenti al riferimento oggettuale di questi membri. Dico forme particolari e
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voglio con ciò alludere al fatto che in forza della confor mazione della totalità ogni membro ha anche un i n s e r i m e n t o f o r m a l e [Einformung] nel tutto: la sua re lazione oggettuale riceve la forma di parte costitutiva della relazione oggettuale propria dell'intera proposizione. Ma le reciproche relazioni di significato tra le forme, e le distinzioni, connesse con queste, di un riferimento ogget tuale immediato e di uno mediato, si presentano anche in altro modo. In virtù della forma, un membro, in sé rife rito alle cose, ottiene talora anche un riferimento oggettuale che va al di là da se stesso, è riferito cioè a quel riferimento che sussiste in un altro membro. Per esempio, se si dice questa carta e bianca, il predicato ottiene, come in ogni proposizione che determina categoricamente, di là dal suo proprio contenuto oggettuale, una relazione al soggetto carta, partecipando sul piano del significato al riferimento oggettuale di quello. Se però, invece di bianco si dice bianco-azzurrognolo, il predicato bianco, prima semplice, ha ora in se stesso una determinazione secondaria, che dunque riguarda ancor più mediatamente il soggetto primario. § 5. L'unità funzionale autonoma dell'apofansi indipendente. Distinzione delle forme di collegamento di totalità in copulazione e congiunzione.
Le forme, come già è emerso nelle prime analisi, sono di generi diversi e determinano in modo molto diverso il senso totale. Nella totalità di significato della proposizione esse si trovano nell'unità conclusa di una funzione; la stessa proposizione (non proposizione come membro, ma qui proposizione >, conclusa per sé) concorre ad esprimere in generalità formale questa unità funzionale. In essa dunque i membri sono membri in una funzione e hanno quindi, indicabili in loro stessi, le loro forme fun zionali. In ciò spicca al tempo stesso, e per lo più anche nel1 'espressione linguistica, ciò che, nella forma, c o 1 1 e g a
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i membri n e I s e n s o d e 1 1 a t o t a I i t à . Ma il modo di questa forma di collegamento presenta rilevanti differenze. D a u n I a t o abbiamo forme di�collegamento, come e ed o, in breve le forme c o n g i u n t i v e (in senso esteso). Esse collegano, determinano un'unità categoriale, ma nel loro senso proprio non è affatto implicita quella relazione, dovunque oggetto di tante preferenze e partico larmente da parte dello scienziato e del logico, al giudizio (o alla >) in senso pregnante, al g i u d i z i o p r e d i c a t i v o , >. Esse non fondano una unità categoriale di questo genere, né vi rimandano in qualche > o in qualche altro modo - come se ciò che esse collegano e il collegamento stesso dovessero necessariamente presentarsi all'interno di una predicazione (apofansi). D a 1 1 ' a I t r o 1 a t o abbiamo il modo di > che costituisce appunto la specifica forma uni taria di una proposizione predicativa, in termini tradizio nali la forma della copula. Avremmo dunque, per così dire, la f o r m a u n i t a r i a c o p u 1 a t i v a ; essa è quella che porta all'unità i membri della predicazione; per cominciare, di una predicazione semplice. È la /orma-e nelle sue diverse forme, in quella del giudizio categorico in quanto determinante, ma anche in altre configurazioni, dato che essa si 1:rova palesemente nella configurazione unitaria del giudizio ipotetico e causale, cosi come in ogni collegamento identificante. Essa è la forma funzionale, che, configurando i membri come membri, li rende membri di un tutto proposizionale, in modo tale che la forma totale va posta astrattivamente in rilievo come la loro forma di collegamento.
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§ 6. Passaggio alla sfera categoriale più ampia.
a) Universalità delle diverse forme di collegamento.
Se si è detto che nel senso proprio di quelle altre forme di collegamento non è affatto implicita la copulazione, non è con ciò escluso che per certi motivi estranei a questo senso essa possa prendere qualcosa di quelle, sia per via a p p e r c e t t i v a - a s s o c i a t i v a nella misura in cui siamo continuamente impegnati anche a inserire in predicazioni formazioni categoriali di ogni genere che non sono predicazioni - sia c o l l e g a n d o c o n g i u n t i v a m e n t e (o disgiuntivamente e in qualsivoglia altro modo) i g i u d i z i s t e s s i , cosa che possiamo fare i n ogni momento. Con questo, il collegamento, in quanto funzione unitaria che unifica categorialmente le predicazioni, esercita un influsso necessario, che partecipa alla determina zione del senso, su queste predicazioni, su di esse in quanto totalità copulative e sulle loro stesse copulazioni, e inversa mente la e relativa, per esempio, a sua volta ha assunto in tale funzione, nel proprio senso, qualcosa delle copu lazioni che essa appunto collega. È chiaro che se consi deriamo tutta la ampiezza delle formazioni categoriali (che con un secondo termine chiamiamo anche, per buoni motivi, s i n t a t t 1 c h e ) , dobbiamo constatare che i di versi modi di collegamento, quelli copulativi e quelli non copulativi, hanno la stessa universalità dei modi della for mazione [Formung] che collega oggettività categoriali a nuove oggettività categoriali. b) Estensione delle distinzioni connesse con l'articolazione all'intera sfera categoriale.
È chiaro parimenti che ciò che abbiamo detto dell'arti colazione, sempre mirando semplicemente alle forme del giudizio apofantico, si adatta con lievi modifiche a t u t t e l e formazioni >, come p. es. numeri, combi24. - H,isserl
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nazioni ecc. Anche qui dunque, quanto alle formazioni o alle loro forme, abbiamo una riduzione ad articolazioni ultime e una costruzione di totalità categoriali in base a membri ultimi che procede in parte per gradi uguali, in parte secondo una graduazione stabilita a piacere. Proprio l'universalità delle forme fungenti, intrecciate anche fra di loro (esprimendoci in senso soggettivo e correlativo: l'universalità delle forme delle azioni operanti effettive o pensabili, di quelle congiuntive, disgiuntive, identificanti copulative ecc.) ha come conseguenza la formazione ideal mente iterativa di forme, in una aperta infinità.
c) Il concetto categoriale ampliato di proposizione di fronte a quello della vecchia analitica apofantica.
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Tutte queste costituzioni o formazioni sono sottoposte al concetto, quanto mai esteso, di proposizione come for mazione analitica, il che non significa è qui intesa come doxa, come · credenza d'essere, ma appunto in quanto posizione d'essere, cioè al tempo stesso come posizione entro una >, nella misura in cui possiede appunto
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le strutture essenziali e consente le modificazioni sintattiche che ineriscono ad un membro come tale. In una parola, a n c h ' e s s a in quanto totalità autonoma della predi cazione, è u n s i n t a g m a , unità di materia sintattica in forma sintattica. Ci interessa ora il fatto che le oggettualità categoriali intenzionate in generale portano legittimamente tale nome, perché o sono esse stesse predicazioni o possono presentarsi ordinate in predicazioni ; ovvero che le loro forme anali tiche e le forme analitiche delle possibili predicazioni si trovano in un rapporto corrispondente. Dunque l'universo di queste ultime deve comprendere le predicazioni di tutti gli elementi categoriali in generale. Riguardo a ciò è chiaro che i g i u d i z i n e l s e n s o p i ù e s t e s o , che tutti gli intenzionati categoriali, sono s i n t a g m i ; e si trovano sotto le legalità della struttura a cui accenna questa parola. § 9. > quale materia sintattica del giudizio in quanto sintagma.
A titolo di spiegazione, in particolare anche a propo sito della concezione di proposizioni predicative intere in quanto sintagmi, adduciamo alcuni esempi. Dovunque abbiamo una proposizione complessa, scom ponibile, per esempio il giudizio : poiché sopravvenne il 269 tempo nebbioso le operazioni belliche furono sospese, ogni suo > è dato nel tutto come un pezzo sintatticamente formato, come un membro. Se il pezzo, per esempio il primo, viene reso autonomo, non il membro come esso è diventa autonomo, bensi si costituisce una proposizione autonoma dello stesso > , la proposizione sopravvenne il tempo nebbioso. Inversamente il mutamento sintattico avrebbe potuto cominciare anche con questa proposizione, cosi come esso è possibile per o g n i proposizione autonoma - il mutamento cioè in un membro di un'altra proposizione. La proposizione di venuta ormai non autonoma ha inoltre lo stesso >,
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e noi diciamo addirittura: la ► , una volta come p r o p o s i z i o n e p e r s é , una seconda come p r o t a s i , come a p o d o s i ecc. L'es sere autonomo per-sé è parimenti da considerare come forma sintattica. Nel mutamento delle funzioni, nelle quali la ► proposizione assume le diverse forme di protasi, di membro di una ► e cosl via, compare come identico la medesima ► o ► - nel senso della me desima m a t e r i a s i n t a t t i c a predicativa che as sume le diverse forme sintattiche, le forme : proposizione per sé, protasi, apodosi ecc. Quanto abbiamo detto vale in universalità formale, vale dunque per le corrispondenti forme proposizionali in quanto forme di sintagmi. Pos siamo dunque attuare in ciascuna, e iterativamente, una libera variazione, nella quale, mantenendo la sua com plessiva materia predicativa pensata in forma, (in questo senso importante che consiste nel mantenere la forma della sua ►) mutiamo le forme sintattiche e altrettanto facciamo con le forme dei rispettivi membri, e lo possiamo appunto in tutte le forme, sia di sintagmi autonomi o di sintagmi non autonomi •. a Se di qui ritorniamo al § 89, a, p. 192 [267 sg.] del testo, che riguar da la possibilità dell'evidenza della distinzione, riconosciamo ora che tutto ciò che abbiamo là sviluppato resta si giusto, ma riceve un essenziale approfondimento per l 'introduzione del concetto più radicale, qui ela borato, di materia del giudizio. È cioè chiaro che se una materia del giudizio nel senso del paragrafo citato (quello delle Logische Unter suchungen, voi. III, pp. 426 e sgg.), materia che ha la sua unità di iden tità nel mutamento delle , qualità & , cioè delle modalizzazioni della cer tezza, può guadagnare l 'evidenza della certezza, la può guadagnare per essenza anche ciascuno dei suoi mutamenti sintattici. Una qualsiasi di q u e s t e variazioni pregiudica, attraverso la sua possibile evidenzia zione, quella di tutte le altre. Ma palesemente questo vuol dire che in un senso molto profondo la possibilità dell'evidenza della distinzione dipende dal senso più radicale della materia del giudizio, dal senso della materia sintattica totale del relativo giudizio o del relativo mutamento sintattico del giudizio. - Naturalmente questo concetto di materia del giudizio si trasferisce ai giudizi in senso ampliato.
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270 § 10. Gradi della formazione sintattica. È chiaro che di fronte all 'infinità delle materie sintat tiche identiche il numero delle forme sintattiche (soggetto, predicato, oggetto, attributo, le forme predicative totali nominate e altre) è limitato. Se ciò significa che ciascuna di tali materie può assumere forme molteplici, con ciò naturalmente non si vuol anche dire che ciascuna possa assumere una qualsivoglia forma, come si può senz'altro vedere nei membri di una predicazione categorica semplice. Andando più addentro, risulta qui che le forme sintat tiche si distinguono in g r a d i , che c e r t e f o r m e , ad esempio quelle del soggetto e del predicato, compaiono i n t u t t i i g r a d i del complesso proposizionale - una proposizione intera può fungere tanto da soggetto quanto da semplice > - ma che a 1 t r e f o r m e , come quelle della protasi e dell'apodosi ipotetiche, già in sé e s i g o n o m a t e r i e a r t i c o 1 a t e sintattica mente. È cosi anche chiaro che all'interno di un membro in tero possono comparire forme che si distinguono dalle forme sintattiche dei membri a quello subordinati. Spie ghiamolo ancora con un altro esempio : il collegamento congiuntivo il filosofo Socrate e il filosofo Platone, quanto quello disgiuntivo il filosofo Socrate o il filosofo Platone, può comparire in una proposizione come u n membro e quindi, per esempio, nella forma sintattica del soggetto di un 'unitaria predicazione congiuntiva o disgiuntiva. In questo membro unitario compaiono di nuovo i membri : il filosofo Socrate, il filosofo Platone e ciascuno ha di nuovo la sua forma sintattica, ma diversa da quella della totalità. § 1 1 . Forme e materie non sintattiche - rilevate all'interno delle materie sintattiche pure. I concetti di forma e materia finora trattati si riferivano a sintagmi. Le forme sintattiche erano forme di membri di proposizioni e anche forme di proposizioni, in quanto
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queste, attraverso il mutamento di funzione, potevano trasformarsi in membri di altre possibili proposizioni. Una proposizione per sé, abbiamo detto, è un'unità di una fun zione conclusa e tutte le forme dei membri designano le forme particolari, conformi all'essenza, della funzione to tale. Le materie che rientrano in quelle, che le presuppon gono, hanno parimenti, come ora mostreremo, una certa c o n f o r m a z i o n e ma in un'ultima analisi c o m p 1 e t a m e n t e e t e r o g e n e a . In altre parole, le forme immediatamente appartenenti sintatticamente all'unità della predicazione come unità dell'è, come unità copulativa, pre suppongono nelle materie ultime delle f o r m e d i u n o s t i 1 e c o m p 1 e t a m e n t e n u o v o . Esse n o n ap partengono a 1 1 a s i n t a s s i della proposizione stessa. Per rendere più chiaro tutto questo, converrà seguire subito nel miglior modo possibile l 'articolazione delle pro posizioni nella loro graduale successione naturale, dunque passare dai membri immediati ai membri dei membri e così via, e allo stesso modo sino ai membri ultimi, a quelli che non si possono ulteriormente scomporre. Le materie sintattiche di questi ultimi sono distinte dal fatto di essere materie pure, esenti cioè da forme sintattiche : per esempio, sostantivi come carta, uomo estratti dalla forma di soggetto, di oggetto, del > ecc., e parimenti aggettivi come bianco, rotondo e simili. Se ora paragoniamo t a 1 i d i v e r s e m a t e r i e s i n t a t t i c h e p u r e o u l t i m e , in qualsiasi modo esse compaiano in proposizioni diverse e in qualsivoglia forma sintattica, osserviamo che, n o n o s t a n t e 1 a 1 o r o d i v e r s i t à, possono avere in comune ancora qualcosa di r i 1 e v a b i 1 e c o m e i d e n t i c o . Se cioè paragoniamo la pura materia carta e la pura materia uomo ecc., ci si delinea qualcosa di uni versale per essenza, concernente la forma - in universa lità formalizzante : qualcosa come la forma >. Parimenti ci si offre la forma >, nonché la forma del > rilevabile in relativi come uguale, simile, maggiore ecc. In una e in una medesima forma possono essere colti infiniti contenuti: i singoli sostantivi, per
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esempio, sono diversi quanto al contenuto, ma posseggono la stessa forma. Perveniamo dunque ad un gruppo deli mitato di forme di genere completamente diverso, non più, dunque, sintattiche ; si raggruppano tutte le materie sintat tiche ultime, ciascuna delle quali si presenta come unità di forma e contenuto, secondo le c a t e g o r i e g r a m m a t i c a l i p u r e d i n u o v o g e n e r e d e l l a s o s t a n t i v i t à e d e 1 1 a a g g e t t i v i t à come q u a 1 i t a t i v i t à e come r e l a z i o n a l i t à . § 12. La formazione-nucleo [Kerngebilde] ; sua materia nucleo e forma-nucleo.
In luogo del sintagma compare ora una u n i t à d i d i v e r s o g e n e r e d i m a t e r i a e f o r m a : quel dato sostantivo >, lo stesso predicato e lo stesso termine di relazione, in quanto inclusi nella materia sin tattica ; e ciascuna materia sintattica, per necessità essen ziale, deve includere in sé una tale unità ; abbiamo con ciò raggiunto una p i ù p r o f o n d a s t r u t t u r a della predicazione in generale, una struttura presente in tutte le sue sintassi, e precisamente nelle materie sintattiche. Chia miamo quest'unità f o r m a z i o n e - n u c 1 e o . 272 Finora, dunque, non eravamo ancora penetrati nelle ultime strutture formali. Per farlo in modo chiaro, è neces sario compiere un nuovo passo nell'analisi descrittiva. Se paragoniamo le formazioni-nucleo somiglianza e si mile, il rosso e rosso, vediamo che in ciascuna di tali coppie si trovano reciprocamente di fronte f o r m a z i o n i n u c 1 e o d i c a t e g o r i a d i f f e r e n t e , che hanno i n c o m u n e anche u n m o m e n t o e s s e n z i a l e , e precisamente sotto l'aspetto materiale. Il rosso e rosso hanno una comunanza > nella diversa forma della formazione-nucleo, forma che determina le categorie della sostantività ecc. All'idealmente identico, che qui è rappresentato dalla formazione-nucleo, inerisce saldamente la relativa categoria ; è anzi la materia sintattica, che per-
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siste nel mutamento della funzione sintattica, a trovarsi sotto stabili categorie e a lasciare aperto nell'identità della categoria stessa un contenuto mutevole. Sostantivi, aggettivi, relativi pienamente determinati sono materie sintattiche e sono designati in base alle categorie che loro ineriscono per essenza. Appare ora per contro che tali materie sintat tiche, assunte precisamente come formazioni-nucleo di ca tegoria differente, possono avere in comune ancora un identico, che dunque è ancor più profondamente incluso in queste materie. Chiamiamo quest'identico 1 a m a t e r i a - n u c l e o della rispettiva formazione del nucleo o, come anche possiamo dire, della materia sintattica. Il cor relativo di questa materia-nucleo, in termine abbreviato il n u c 1 e o , è la f o r m a - n u c 1 e o , essa è quella che fa del nucleo il nucleo della categoria determinata, che dunque produce l'unitaria formazione-nucleo ovvero la materia sin tattica : ciò che è comune per essenza, che somiglianza e simile per es. hanno in comune, viene formato, nel primo caso, nella categoria della sostantività e, nel secondo, in quella della relazionalità aggettivale e viene cosi trasformato nella materia sintattica determinata. § 13. La prevalenza della categoria sostantivale. La sostantivizzazione.
Dobbiamo ora ancora aggiungere la legge essenziale, in virtù della quale si palesa una notevole p r e v a l e n z a d e 1 1 a c a t e g o r i a s o s t a n t i v a I e . Ogni agget tivo e ogni termine di relazione ha cioè di fronte a sé un sostantivo corrispondente, l'aggettivo e relativo >. Ma non si dà una aggettivazione (in senso proprio) di qualsivoglia sostantivo. Sostantivi come somiglianza o il rosso si dànno, conformemente al loro senso, come >, hanno un senso secondario, che rimanda a quello originario, non sostantivale : con questo si connette una possibilità essenziale della trasformazione sintattica delle relative proposizioni, come per esempio della propo-
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s1z10ne questo tetto è rosso nella proposizione il rosso è una qualità di questo tetto o anche il rosso di questo tetto . . . D'altra parte questa non è una mera trasformazione sintattica, ma, insieme con questo, una trasformazione delle formazioni nucleo, trasformazione che rientra in un altro strato. § 14. Passaggio alle costruzioni di grado più complesso.
Abbiamo con ciò raggiunto, nella sfera dei significati predicativi, una r i d u z i o n e a g l i > u l t i m i , cioè alle m a t e r i e i n s e n s o e s t r e m o , che non hanno più forme significanti di alcun genere e che sono alla base di tutte le conformazioni di diverso ge nere e grado. In questi elementi ultimi compaiono le f o r m e u l t i m e , le forme-nucleo. In tutta questa considerazione ci siamo fermati a ciò che è più elementare, ma dalla considerazione delle costru zioni di grado più complesso risulta tuttavia ancora qual :osa di importante. La distinzione strutturale cioè, che ponemmo in evidenza nelle materia sintattiche ultime, vale per le materie sintattiche in generale e deve essere posta in evidenza anche in queste e in modo del tutto simile, comparando esempi adeguati e mettendo in rilievo con tenuti essenziali idealmente identici. Ogni formazione cate goriale che non ha già forma >, >, come hanno mostrato le Ricerche logiche, può essere >, e più precisamente, anche qui non è la for mazione concreta, ma la sua complessiva materia sintattica, a ricevere in senso ampio una forma >. A questo proposito dovremo dire che una materia proposi zionale (nel senso della > come materia sin tattica) ha come mutevoli categorie-nucleo quelle della sostantività e quella della proposizione che sussiste per sé, dove, da un lato, è designata una forma sintattica e, dall'altro, l'elemento per essenza comune, che questa con divide in > con la conformazione. A questa conformazione, come in ogni sostantivizzazione, si accom pagna un mutamento sintattico.
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Ma lasciamo la considerazione pm particolareggiata e la trattazione più approfondita di queste questioni a suc cessive indagini. § 15. Il concetto di > della logica formale tradizionale.
La logica tradizionale non ha quasi per nulla elaborato queste differenze, benché anche in essa occasionalmente emergano. È anzi senz'altro chiaro che il concetto da noi 274 fissato di materia-nucleo coincide essenzialmente con ciò che la logica tradizionale del tutto vagamente, e senza ten tarne una determinazione più accurata, ha designato come t e r m i n e impiegandolo, inoltre, soltanto in una sfera molto circoscritta. Quando si parla di termini, ci si richiama cioè alla sillogistica tradizionale. Le forme del giudizio universale, particolare, singolare e simili sono simbolica mente espresse con tutti gli A sono b, alcuni A sono b ecc. Parimenti la forma della proposizione ipotetica è espressa con se è M, allora è N. Se si domanda che cosa sia qui indicato con queste lettere, sembra dapprima che si tratti di materie sintattiche. Se si bada invece a come, dal punto di vista della sillogistica, nella conclusione, ad esempio, tutti gli uomini sono mortali, tutti i mortali sono perituri ecc., mortale e mortali valgano come lo stesso termine e sono designati simbolicamente con le stesse lettere, risulta che non importano le differenze delle forme-nucleo, che dunque per termine non può essere intesa la materia sintattica, bensì 1 a m a t e r i a - n u c 1 e o che rimane identica nel mutare della forma-nucleo. Invece di termine, molto frequentemente si dice anche c o n c e t t o . Nondimeno la parola concetto è affetta da molte ambiguità, cosicché non possiamo senz'altro usarla in questo significato. Ma in ogni caso con il concetto di materia-nucleo è scientificamente fissato uno dei signifi cati della parola concetto. Per questo concetto del concetto o termine, è da osser vare che esso, conformemente al senso complessivo del-
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l 'analitica, non si limita alle materie-nucleo ultime. Per esso è necessario prendere essenzialmente in esame l'am pliamento dei concetti di sostantivo e aggettivo (cfr. il paragrafo precedente) insieme con quello del concetto di materia-nucleo, estensione che li innalza sui primitivi con cetti proposti dal richiamo alle forme grammaticali delle parole. Per esempio, la forma che S sia p, fa sì che Q sia r, offre nella formazione [Formung] > o rispettiva mente > un sostantivo, precisamente la proposi zione ) di progredire in una successione graduale, la possibilità, idealmente parlando, di un'itera zione in in.finitum. Qualsiasi giudicare, per esempio un giudicare semplicemente determinante (►), in staura uno stato di cose intenzionato S è p, nel quale il substrato della determinazione S si determina come p. Attraverso ciò si dà al tempo stesso il risultato categoriale Sp : cioè il p è comparso come > n e l s e n s o di S, in quanto ormai è così determinato. In un secondo grado, S è p, ad esempio, può diventare ora la base di un nuovo giudicare, può, assumendo nuove forme categoriali, diventare membro di giudizi congiuntivi, ipotetici ecc. O può essere reso, in altro modo, oggetto di giudizio, per esempio in modo che Sp diventi il sostrato di determina zione del nuovo giudizio Sp è q ecc. Ogni nuovo giudizio instaurato può diventare la base di nuovi giudizi, in in.fi nitum. Lo stesso vale, palesemente, se ci basiamo sul più
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esteso concetto di giudizio, al quale abbiamo accordato la preminenza nelle ultime parti della presente opera - che come tale coincide con quello dell'oggettualità categoriale (dossica) in generale e in quanto tale. Il giudicare attivo non è l'unica forma, bensl la forma ;11 originale del giudicare. Esso è quella forma nella quale soltanto l'oggettualità categoriale intenzionata giunge come tale a un'effettuazione reale e propria, in altre parole è la forma in cui il > giunge a darsi in se stesso, ori ginalmente. Tutti gli altri modi di datità dello stesso giu dizio sono in se stessi caratterizzati come ·m o d i f i c a z i o n i i n t e n z i o n a l i dei giudizi attivamente produ centi, in quanto giudizi originali. È questo un caso parti colare della prerogativa, conforme a una legge essenziale, dell'originalità, prerogativa che è valida per o g n i costi tuzione oggettuale, sia passiva che attiva. 276 Compiamo ora, a partire da questo punto, una digressione nella teoria generale dell'intenzionalità, le cui nozioni ci consentiranno, in seguito, di penetrare più a fondo nel nostro tema. § 2. Elementi ricavati dalla teoria generale dell'intenzionalità. a) Coscienza originaria e modificazione intenzionale. Esplica zione intenzionale statica. Esplicazione dell'> e dell'intenzionato >. La molteplicità dei possibili modi di coscienza del >. Uno stesso oggetto può essere noto a priori in diver sissimi modi di coscienza (di certi tipi essenziali : perce zione, rimemorazione, coscienza vuota ecc.) ; fra questi ha una particolare preminenza il modo >, il modo originale che di volta in volta si dà, e a questo si riferiscono tutti gli altri in quanto modificazioni intenzionali. La modificazione i n t e n z i o n a l e ha però in gene rale questo di proprio, di r i m a n d a r e i n s e s t e s s a
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al non-modificato. Il modo di datità modificato, quando venga >, per così dire, ci dice esso stesso di essere una modificazione d i quello originario. Ne viene per il soggetto di coscienza (e quindi per ognuno che si faccia partecipe della comprensione e ricomprenda tali modi di coscienza) la possibilità di tendere dal rispettivo modo di datità non-originale a quello originale e, eventualmente, di presentificarselo in modo esplicito, ovvero di > il senso oggettivo. Il chiarimento che rende effettiva questa possibilità si attua in un passaggio sintetico nel quale ciò che è noto in un modo non-originale si dà come l'originale, come ciò che è noto nel modo della > (dell '>), ovvero come la cosa stessa >, cioè così come > data in un'>. Nel chiarimento per così dire negativo emerge sinteticamente il contro-senso esplicito. Ogni modo intenzionale di datità, in quanto >, può essere e s p 1 i c a t o > in questa maniera - non già scomposto in parti, bensì e s p o s t o i n t e n z i o n a 1 m e n t e e indagato in base al suo senso chiaro, e questo senso può essere prodotto in passaggi sintetici che conducono alla possibile offerenza della cosa stessa o essere portato all'esplicita soppressione. Se si tratta di modi di coscienza la cui forma originale è una forma produttiva nell' a t t i v i t à s i n t e t i c a , risulta, come viene indicato nel testo specialmente riguardo all'attività giudicativa, che qui viene in questione e per essenza si produce la trama di una duplice intenzionalità e offerenza originale: l'attività del giudicare in quanto ori- 277 ginalmente produttiva del giudizio stesso (e puramente e o m e giudizio), e l'attività della configurazione originale (l'evidenziazione) delle oggettualità categoriali stesse, dello stato di cose stesso che di volta in volta si dà, dello stato di cose nel modo dell'esperienza. Ciò vale per ogni specie di at tività, in quanto cioè, in modo del tutto generale, contra stino l'attività della costituzione produttiva dell' i n t e n t i o meramente in quanto intentio, e l'attività della costituzione del > corrispondente. Ma infine lo stesso vale 25. - Hurs�l
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nella più estesa generalità, e per essenza, per o g n i inten zionalità - riguardo alla afferenza originale della mera intentio (senso) e dell'oggetto >. La particolarità essenziale di ogni coscienza non origi nale, in quanto > di una corrispondente coscienza originale, quella cioè di avere in sé implicito il > a possibili >, a originali modi di coscienza della medesima cosa - e, se questi, in quanto >, sono un miscuglio di originalità e di non originalità, il rinvio a catene sintetiche di un'esperienza progressiva possibile - ha una controparte. Per essa av viene che, inversamente, ogni modo originale di datità comporti la possibilità del trapasso in > modi non originali, da collegare sinteticamente con quello, modi che inoltre sono dotati di una solida tipicità. Qui veramente non si potrà parlare di un c o n t r o r i m a n d o , di un rimando nel senso proprio, col quale abbiamo a che fare nella modificazione >. In ogni caso, però, o g n i c o s c i e n z a si trova per essenza in una parti colare m o 1 t e p 1 i c i t à c o s c i e n z i a 1 e che le è propria, in un'aperta infinità sintetica di possibili modi di coscienza della stessa cosa - una molteplicità che ha però, per cosi dire, il suo centro teleologico nella . In ciò resta tuttavia aperta per essenza, la possibilità contraria di una r i s o 1 u z i o n e d e 1 u s i v a di ciò che è anticipato nell'« altro-in-luogo di-questo>>, che indica una forma contrastante della molte plicità. Ciò prescrive a ogni dell' > per ogni categoria di oggetti.
Mentre l' a n a 1 i s i > è guidata:dall'uni tà dell'oggetto intenzionato, e così seguendo il rinvio che le è proprio in quanto modificazione intenzionale, tende dal modo di datità non chiaro alla chiarezza, l'analisi intenzionale genetica è indirizzata alla connessione totale concreta, in cui si trovano di volta in volta ogni coscienza e il suo oggetto intenzionale come tale. Allora entrano subito in questione gli altri rimandi intenzionali che ine riscono alla s i t u a z i o n e in cui si trova ad esempio chi esercita l'attività giudicativa, dunque entra in pari tempo in questione l'u n i t à immanente d e l l a t e m p o r a 1 i t à della vita, che ha in essa la sua > , cosicché ogni singolo Erlebnis di coscienza, emergendo come tem porale, ha la sua propria >, cioè la sua g e n e s i t e m p o r a l e. In questo risulta - sempre come universale proprietà essenziale della vita intenzionale � che la f o r m a o r i g i n a 1 e della coscienza, quella dell'> nel senso più esteso (trattato diffusamente in questo scritto) non solo staticamente, ma a n c h e g e n e t i c a m e n t e ha una p r e m i n e n z a rispetto alle sue modificazioni intenzionali. In certo modo a n c h e g e n e t i c a m e n t e i I m o d o d i d a t i t à o r i g i n a I e è q u e 1 1 o o r i g i n a r i o . Esso cioè, lo è per ogni tipo fondamentale di oggettualità e precisamente nel senso che non è pos sibile per essenza alcun modo non originale di coscienza di oggetti di un tipo fondamentale se prima, nell'unità sin tetica della temporalità immanente, non è comparso il cor rispondente modo di coscienza originale del >, in quanto modo di coscienza c h e d à u n f o n d a m e n t o g e n e t i c o p r i m a r i o , al quale ogni mo do di coscienza non originale rimanda ora anche geneti camente.
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Con questo non s'intende dire che noi non possiamo conoscere un'oggettualità in modo non originale, se non avendola prima già originalmente esperita come la >. Possiamo, per esempio in un'anticipazione affatto vuota, aver indizi intorno qualcosa che non avevamo mai visto. Ma il fatto che rappresentiamo cose e che persino vediamo cose in u n o sguardo - e bisogna qui osservare che in ogni percezione della cosa sono già incluse vuote antici pazioni anche di ciò che non si è ancora visto - rimanda, nell'analisi intenzionale genetica, al fatto che in una pre cedente genesi originariamente fondante si è attuato il t i p o > e che quindi per noi la categoria cosa è già fondata nel suo senso primario. Ma questo, come è manifesto, vale per essenza per ogni cate goria di oggetti nell'accezione più estesa, anche per quella del dato >, della sensazione, ma anche per ogni oggettualità del grado delle oggettualità di pensiero, delle formazioni del giudizio, e inoltre delle teorie vera mente tali e anche del grado delle formazioni assiologiche e pratiche, dei progetti pratici ecc. Ciò si connette con il fatto che ogni modo di datità 279 originale ha un d u p l i c e e f f e t t o g e n e t i c o . I n p r i m o l u o g o esso si attua nella forma di possi bili riproduzioni rimemorative, forma che si ottiene nel passaggio attraverso ritenzioni che si connettono in modo genetico originario e del tutto immediato, e i n s è c o n d o l u o g o si ha l'effetto ulteriore >, conforme mente al quale in una simile nuova situazione ciò che già sussiste comunque come già costituito viene appercepito in modo simile. In base a ciò diventa possibile una coscienza di oggetti anche affatto ignoti in precedenza o con determinazioni in cui essi non erano noti, ma proprio in base alle datità di oggetti simili e di determinazioni simili in situazioni simili. Si tratta di d a t i d i f a t t o i n t e n z i o n a l i e s s e n z i a l i d e 1 1 ' e m p i r i a e dell'> che li costituisce, ma essi n o n s o n o f a t t i e m p i r i c i . Come l'analisi statica persegue esplicitandolo il senso og-
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gettuale e, in base ai suoi modi di datità, il suo senso ►, interrogando questi modi di datità in quanto rinvio intenzionale al possibile ), cosi l'intenzionalità della connessione concreta, della c o n n e s s i o n e t e m p o r a l e , in cui si trova intrecciato ogni elemento statico, deve parimenti essere indagata, e i suoi r i m a n d i g e n e t i c i vanno esplicitati intenzio nalmente. c) La forma temporale della genesi intenzionale e la sua costituzione. Modificazione ritenzionale. Sedimentazione nel sostrato di ciò che non prende rilievo (non-coscienza).
La forma essenziale universale della genesi intenzionale, alla quale ogni altra è riferita, è quella della costituzione della temporalità immanente, che domina in una rigida legalità ogni concreta vita di coscienza e fornisce a tutti gli Erlebnisse di coscienza un essere temporale perma nente. Più precisamente, una vita di coscienza non è pen sabile altro che come vita di coscienza originariamente data in una forma, per essenza necessaria, di fatticità, nella forma della temporalità universale, nella quale ogni Erlebnis di coscienza, nel fluente mutamento di modi di datità che si trasformano tipicamente all'interno di un presente vi vente, consegue il suo luogo temporale identico e poi per mane fissato in base alle fonti essenziali dell'abitualità. Per mettere in rilievo di questo aspetto soltanto un punto fondamentale: ad ogni Erlebnis che si manifesta nel modo originario dell'attualità immanente (Erlebnis che i n q u a n t o così manifestantesi è anche conosciuto) si lega secondo una immutabile necessità una coscienza ► in quanto modificazione originaria, attraverso la quale il modo originario ► trapassa in continua sintesi nella figura [Gestalt] modificata del medesimo che è stato ►• Questa coscienza modificata in quanto presente adesso funge in base alla stessa legalità da modo originario relativo per una nuova modificazione (una modificazione della modificazione) e cosi continuamente di nuovo.
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In sé, ogni modificazione di questo genere si rapporta in modo immediato o mediato al suo modo originario assolu to - una coscienza che si modifica si subito, ma che non è più una modificazione. Questo continuo mutarsi ritenzionale è il tratto iniziale per essenza della costituzione di un og getto identico, permanente nel senso più esteso - costi tuzione che non seguiremo qui nella sua generalità, ma che studieremo più diffusamente nei prossimi paragrafi, nella particolarità di formazioni categoriali persistenti. Il mutamento continuo della ritenzione prosegue sino ad un l i m i t e essenziale. Questo significa che a questo mutamento intenzionale corre parallela anche una g r a d u a l i t à d e 1 1 ' e s s e r e i n r i l i e v o , e appunto questa ha il suo limite nel cosiddetto >, limite in cui quanto prima possedeva un rilievo si dilegua nel s o s t r a t o g e n e r a l e . Perciò l'inconscio è tutt'altro che un nulla fenomenologico, è anzi un modo-limite della coscienza. A questo sfondo delle rilevanze sedimentate, che come orizzonte accompagna ogni presente vivente e palesa il suo senso continuamente mutevole nel > [ ], si riferisce l'intera genesi intenzionale. Dopo questa digressione nella fenomenologia generale dell'intenzionalità e quindi negli orizzonti metodici, che ineriscono anche al nostro problema particolare, quello del giudizio, torniamo di nuovo a quest'ultimo, mettendo a frutto nella sua trattazione le nozioni più generali da noi raggiunte. § 3. I modi non originali di datità del giudizio.
a) La forma ritenzionale, come forma prima in sé della >. Il modificarsi vivente della costituzione di un giudizio pluriarticolato.
Di fronte al modo di datità originalmente producente del giudizio, abbiamo in primo luogo quello r i t e n z i o n a l e in quanto non originale, non realmente producente.
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Fra i modi di datità modificati esso è i n s é i l p r i m o , quello a cui cioè tutti gli altri s i riallacciano. Naturalmente, come in ogni altro caso, e in forza della descritta legalità di coscienza costitutiva secondo la temporalità, all'azione del giudizio che si svolge originalmente si collegano conti nuamente le sue modificazioni ritenzionali. Più general mente, questa modificazione, in quanto modificazione di una p r o d u z i o n e a t t i v a (alla quale appartengono anche le attività dell'> con le loro costituzioni di valori, scopi, mezzi) va caratterizzata in questo modo : do vunque sia operata una costituzione originale di una og gettualità di coscienza attraverso un'attività (procedente da una pluriarticolazione eventualmente sintetica di azioni parziali coordinate e subordinate), l' a z i o n e o r i g i n a l e si modifica secondo una continuità ritenzionale, i n f o r m a s e c o n d a r i a , che non è più attività, dunque in una forma passiva, in quella di una >, come noi anche ci esprimiamo. In forza della continua sintesi di identità, la coscienza passiva è coscienza di ciò che è stato > costituito in attiva originalità. Dunque, specificamente nella sfera del giudizio, ciò significa che il giudizio non è soltanto in e durante l'attiva co stituzione qualcosa che vivamente si produce in essa, ma diviene lo stesso giudizio, che permane continuamente, in quanto a c q u i s t o che si conserva, il quale, appunto anche per formazioni attive - come per ogni altro caso (cioè in qualsiasi costituzione di unità che persistono iden tiche), riposa su funzioni della passività. Al punto in cui siamo finora giunti, l'acquisto in quanto permanente è dapprima soltanto costituito nel vivo progredire della modificazione ritenzionale, sino al limite in cui non ha più rilievo. Questo genere di conservazione nella forma della con tinua identificazione passiva rende soltanto possibili pro cessi di giudizio progressivi in quanto vivente perfezio namento e collegamento di intenzionalizzazioni categoriali in vista dell'unità di giudizi sempre nuovi e di grado supe riore. Le formazioni parziali che si sedimentano ritenzio-
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nalmente rimangono, in questa modificazione, entro l 'unità dello sguardo tematico : si può di nuovo risalire ad esse, nella loro identità di senso ; esse, grazie all'ulteriore pro cedere del giudizio, possono sperimentare ancora nuovi arricchimenti di senso, in nuove configurazioni. Soltanto così il processo della costituzione sintetica del giudizio può concludersi, in rapporto alla coscienza, nell'unità di una formazione fattasi pluriarticolata e complicata, che, quando si è conclusa, non comprende più n u l l a , in modo originale, delle produzioni originali appartenenti ai diversi gradi e membri nella loro originalità. Restano sol tanto le loro modificazioni geneticamente molto mutate : ma nei mutamenti che avvengono passivamente si mantiene l'unità intenzionale delle formazioni parziali, in base alla continua identificazione. In questa vivente costituzione esse appartengono a quella attività originaria che porta la for mazione giudicativa di grado elevato ad una offerenza ori ginalmente producente e che nel punto conclusivo l'ha 282 portata a c o m p i m e n t o. Questo > sog giace di nuovo alla modificazione ritenzionale, può colle gare ad essa i giudizi che si presentano successivamente, e configurarne altri.
b) La rimemorazione passiva e la sua attività costitutiva per il giudizio in quanto unità che permane.
Nondimeno, quando diciamo che ogni attività catego riale conduce ad un a c q u i s t o p e r m a n e n t e at traverso il modo in cui una genesi attiva si muta secondo leggi che operano una modificazione in senso passivo, si può intendere, come normalmente è sempre inteso, qualcosa d'altro. Ogni giudicare, cioè, conduce ad un risultato predi cativo che per chi giudica è d'ora in poi, e non solo nel corso della vivente ritenzione, un > d u r a t u r o , un acquisto spirituale del quale può disporre a piacere. Siamo qui dunque rimandati a quella prima vivente acqui sizione ottenuta attraverso una produzione originale e le re-
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lative ritenzioni. Sorge qui il problema delle leggi essenziali generali della genesi passiva e, parimenti, di quelle della costituzione dell 'oggetto - come costituzione nell'identità di > > per me, per noi, e a me, a noi sempre accessibili - delle leggi e s s e n z i a l i del1' > e della costituzione associativa. A queste appartengono anche quelle della formazione di a p p e r c e z i o n i . Le legalità della genesi passiva ab bracciano I 'intera sfera della coscienza i n q u a n t o s f e r a d e 1 1 a t e m p o r a l i t à i m m a n e n t e , nella quale anche ogni attività di coscienza che s 'irradia dal polo egologico, con la sua originale formazione sintattica, ha il suo luogo e la sua forma temporale. Essa interviene quindi in evocazioni associative, e d'altro lato, dileguandosi nello sfondo attraverso il medium ritenzionale, torna ad agire appercettivamente, e può quindi partecipare in modi diversi a nuove costituzioni passive di oggetti non meno che a costituzioni producenti in modo attivo. Questo vale dunque anche degli atti o delle formazioni categoriali. Una proposizione, una dimostrazione, una formazione numerica ecc. possono di nuovo venire in mente per motivi associativi molto dopo il venir meno della produzione ori ginale e, benché nel modo di datità del dell 'originalità precedente viene assunto di nuovo e ne viene creato uno nuovo, s e n z a che la riassunzione comporti una r i p e t i z i o n e d e l l ' a t t i v i t à. c) L'affiorare, in quanto > appercettivo, è un analogo del venire in mente proprio della
rimemorazione passiva.
Possono venirci in mente anche formazioni che sono sì analoghi di insorgenze rimemorative occasionali, senza essere propriamente formazioni che noi abbiamo mai pro-
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dotto originariamente in modo attivo. Ne avevamo però prodotte di analoghe e proprio in virtù di questa ana logia esse possono presentarsi nel modo di modificazioni nel senso del venire-in-mente, come analoga di rimemora zioni passive, e, in effetti, come tali rimandano alla loro genesi che muove da anteriori giudizi, che hanno avuto una formazione simile. Tutto questo va inteso in base all'intenzionalità dell'associazione e alle leggi essenziali che la reggono. Se già qui abbiamo potuto parlare a proposito di queste insorgenze occasionali di un presentarsi apper cettivo, lo potremo fare ancor meglio e in un senso più nor male ovunque attraverso dati sensibili percettivi o le loro riproduzioni vengono destate le relative formazioni catego riali, che si presentano in modo del tutto analogo a quelle insorgenze casuali - benché non sia questo il nostro modo abituale di esprimerci. Questo, però, per motivi comprensibili. Non appena infatti, come per i s e g n i e 1 e e s p r e s s i o n i , l'elemento percettivo che ridesta per via associativa e l'ele mento che emerge appercettivamente mediante un destarsi o un analogo del destarsi divengono u n t e m a u n i c o , e successivamente s i profila una costituzione dell'oggetto u n i t a r i a e b i 1 a t e r a 1 e , nel senso pregnante della costituzione tematica - da questo momento ciò che è destato percettivamente, in sé e per sé non esercita un'in fluenza e non diventa un oggetto tematico a sé stante. Piuttosto, ciò che è stato destato ha ora il carattere di una componente, benché si tratti del carattere di una compo nente >, che è indicata, desi gnata. > il segno dato sensibilmente, lo sguardo tematicamente selettivo si volge a ciò che è designato. Ma al tempo stesso anche il segno è un tema di transi zione, costituisce con il telos tematico una oggettualità conclusa rilevabile in modo unitario, unitariamente anti cipata prima che ci si volga ad essa e dunque anche pronta a diventare tematica in un senso diverso, benché contra stante con la sua funzione normale.
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§ 4. Le possibilità essenziali dell'attivazione dei modi passivi di datità. In tutti i modi secondari di offerenza che c1 s1 sono presentati nelle ultime considerazioni - in quelli ritenzio nali, nelle rimemorazioni vere e proprie (che del resto possono svilupparsi anche in collegamento immediato con ritenzioni, involontariamente o volontariamente, ma in ogni caso secondo un condizionamento associativo) e infine nelle 284 casuali insorgenze appercettive, quelle apparentemente libere e quelle intrecciate con le ► che risaltano abbiamo a che fare con modificazioni che dunque rinviano fenomenologicamente all'attività originaria. Va inoltre osservato che qui come dovunque in rinvii di questo genere è anche implicita la coscienza di una libertà, di una possibilità pratica, di ristabilire il genere di datità dell'attività originaria, quella che produce propria mente le formazioni ►• Se riesce questa restituzione, si presenta necessariamente una sintesi della coincidenza che adegua e identifica, la coscienza del ritorno da ciò che è passivamente intenzionato alla cosa ► che è pensata. Se attraverso il ridestamento, nella forma della rimemorazione passiva, in quella di un ritornare in mente passivo, ritorno alla mia convinzione precedente nella quale avevo giudicato che S è p e avevo con ciò acquisito Sp, Sp è per me ridestato proprio in modo simile a quello in cui esso era ► e ► nella ritenzione passiva allora fungente, solo che l 'avere sotto-presa o piuttosto il ricevere nuovamente-sotto-presa ha ora il modo fenomenologico del ►, e pre cisamente in quanto modo della c o n v i n z i o n e che è per me ancora valida, che per me ancora sussiste, che è a n c o r a m i a p r o p r i a. Ma invece di accontentarmi di questo riaffiorare passivo o riavvertire il mio giudizio, lo posso anche r i a t t i v a r e r e a 1 m e n t e , riprodurlo seriamente, produrlo, nella sua identità, con una attività rinnovata e reale, ritrasformare l'affiorante Sp in S è p, e con ciò costituire Sp in attività
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rinnovata, dunque originariamente. Parimenti, ad ogni altra modificazione nel senso dell 'insorgenza fortuita appartiene, sul piano della coscienza, la possibilità di una attivazione vera e propria (dunque al tempo stesso dell'accedere, con l 'adeguazione, alla cosa stessa) - la coscienza della possi bilità di un'attività reale, che naturalmente come ogni in tenzione pratica di coscienza può avere i suoi modi del riuscire o del fallire. § 5. Le forme fondamentali del giudicare originariamente producente e del giudicare in generale.
Applichiamo quanto precede dapprima all'importante distinzione che può esperire il concetto del produrre inten zionalizzazioni categoriali nel giudicare attivo (inteso nel senso più ampio), cosl come del resto il concetto del giu dicare in generale. 285 Il giudicare o r i g i n a r i a m e n t e p r o d u c e n t e (►), in quanto processo iniziale e attuantesi nella forma dell'unità sintetica come un giudicare di grado sempre più alto, può 1 . essere ► attività originaria. Ogni oggettualità parziale che si presenta nell'unità delle ogget tualità categoriali formate e perfezionate, fungendovi come base di formazioni ulteriori, è stata originariamente prodotta nell'attiva vivezza del processo giudicativo, e così il tutto di grado superiore che si è costituito ha anche da cima a fondo l'originarietà dell'offerenza della cosa stessa - del l'offerenza originale in quanto ►, in quanto giudizio nel nostro senso ampliato. 2. L'altro caso, che è un caso abituale, è quello per cui l'attività giudicativa si collega a precedenti acquisizioni del giudizio, a oggettualità categoriali passive e riaffioranti in un modo di offerenza modificato, quello per cui l'attività giudicativa riutilizza proposizioni ►, o per cui oggetti-substrato divengono temi di determinazioni che già recano nel loro senso i loro cospicui contenuti di deter minazione traendoli da primitivi giudizi determinanti in
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quanto sedimentazioni, e così sono assunti passivamente, ecc. Si attua qui dunque un giudicare esplicito, nella mi sura in cui nuove configurazioni vengano attuate secondo una certa relativa originarietà, ma sulla base di configura zioni >. Dobbiamo pensare al tempo stesso alle >: di solito giudichiamo anche sulla base di appercezioni giudicative, di pensieri categoriali che insorgono in noi passivamente, ma che, indirettamente, si fondano su nostre simili precedenti for mazioni [Bildungen], e che ci vengono in mente come g i u d i z i che > di punto in bianco nella nostra situazione motivazionale. Così come per le insor genze occasionali del ricordo, mediante la nostra azione predicativa di giudizio, noi cogliamo quelle appercezioni con parole che si offrono associativamente, senza per questo produrre l'esplicita azione giudicativa alla quale qui im plicitamente si è rinviati. Oppure si tratta sin dall'inizio di segni, di espressioni, e precisamente di segni e di espres sioni nella loro funzione normale che ci guidano temati camente alle formazioni di significato. Queste si presen tano - a prescindere dalla loro forma funzionale, in quanto significati - del tutto come insorgenze occasionali, cioè come appresentificazioni meramente passive, come analoghi di memorazioni passive: ci si arresta normalmente a questo punto, ed esse non vengono affatto riattivate. Esse servono così per una nuova attività giudicativa. Se ci ricolleghiamo a questo nostro patrimonio passivo, a ciò che vale per noi come essente (normalmente come certezza) sul piano del significato, in una azione libera mente producente si sviluppano nuove formazioni cate goriali intenzionali, insieme con i segni o con le parole corrispondenti. Rinunziamo ad addentrarci in ulteriori com plicazioni intenzionali non prive di interesse, connesse col fatto che dei discorsi considerati bilateralmente 1 , possono
1 [die zweiseitigen Reden. S. Bachelard traduce interpretando: « !es expressions ( . . ) prises à la fois du coté du signe et du coté de la si gnification •> (trad. frane., p. 419). Cfr. i passi relativi alle pp. 394 e 400 di questa edizione.]
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presentarsi già come insorgenze occasionali e come tali > in via secondaria nel loro senso tutto ciò che nei discorsi originali è già un elemento secondario, così che troviamo intenzionalmente inviluppato un ele mento secondario , estremamente inespliciti ; nel migliore dei casi, giudizi còlti in parole, articolati sul piano verbale, eppure in essi originariamente nulla viene giudicato attivamente. In estremo contrasto con questi abbiamo i giudizi p e r f e t t a m e n t e d i s t i n t i , pie namente espliciti, i giudizi prodotti in base a tutti e a ciascuno degli stati categoriali, casi certamente eccezio nali, ma pure particolarmente importanti. Tra questi due tipi di giudizio, si trovano tutti gli altri giudizi effettuati esplicitamente, che elaborano stati categoriali che ci soprav vengono da un'eredità passata: son questi i casi di d i s t i n z i o n e i n c o m p l e t a. § 6. Sul giudicare linguistico indistinto e la sua funzione.
Nei due gruppi della distinzione imperfetta ha una parte di primo piano (come abbiamo brevemente accennato anche nel testo del nostro scritto 2) il linguaggio, con il rilevarsi delle sue articolazioni e delle sue indicazioni di significato. Ogni segno semplice è indizio di un significato e precisamente di una posizione cui appartiene un qualche contenuto di senso, e questa indicazione è un'indicazione associativa. I segni si collegano nell'unità di un segnare, 1
Cfr. § 16,
pp .
49 sgg. [68 sgg.].
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in particolare le singole parole nell'unità di un discorso, in quanto le indicazioni si collegano nell'unità di un'indi cazione e non soltanto i segni sensibili nell'unità di una configurazione sensibile - il che anzi fanno anche coacervi di parole > (quanto al senso). La combinazione delle parole nell'unità del discorso, dunque l'annodarsi delle indicazioni ad esse appartenenti nell'unità di un'indi cazione è l'unità di un'appercezione originatasi associati vamente: originatasi dai modi analoghi di una passata costituzione che ha fondato formazioni categoriali simili, ovvero formazioni discorsive di giudizio già bilaterali •. Anche nella formazione arbitraria delle proposizioni 287 grammaticali e di discorsi unitari, possiamo, e lo facciamo abitualmente, seguire lo stile consueto della formazione di senso: possiamo far sorgere da elementi e da formazioni di forma familiare e tipica nuove formazioni, senza per nulla compiere azioni effettivamente categoriali e ottenere formazioni categoriali su un piano di originarietà. Può darsi cosi inavvertitamente un controsenso in linea di fatto, una mancanza di senso concernente l'unificazione del ), ma anche un controsenso analitico, che nel testo del nostro scritto costituisce il tema fondamentale. Si dà un'unità del > come unità della posizione giudicativa, ma si tratta qui di un giudicare >, non esplicito, >. Si tratta di una passività associativa, originantesi da moti vazioni associative, ma che comporta, nel modo di un'impli cazione intenzionale, un'attività spontanea trasformata e consegnata in una sensibilità passiva, che, in quanto riat tivabile, rinvia a quella attività. Proprio per questo la passività svolge anche importanti funzioni nell'ambito della ragione, dalla quale, soltanto nell'attiva produzione, risultano ogni !sorta di evidenze categoriali, evidenze come offerenze originali delle intenzio nalizzazioni categoriali che, in quanto se ne ha indizio per 8
[Cfr. nota a p. 397.)
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via meramente associativa, non possiedono affatto già quella > (propria della >) che da parte sua è il presupposto dell'adeguazione delle intenzionalizzazioni categoriali, dei giudizi stessi, alle oggettualità categoriali stesse, alle verità categoriali. Proprio perché l'associazione (nel senso abituale del termine) in ogni caso costituisce solo indirettamente un indizio e un 'anticipazione, ma non è in se stessa offerente (salvo che non si unisca, appunto, al tempo stesso, con l'offerenza originale di quanto viene as sociato), il giudicare >, originatosi in via meramente associativa, si trova di fronte alle questioni dell ' - in riferimento cioè al giudizio stesso di cui si ha indizio, e successivamente delle ogget tualità categoriali stesse, laddove > sono con sapute > attraverso l'indicazione dell'ade guazione. Quando il matematico sulla base della struttura e della successione delle formule che egli trova nella sua situazione di pensiero, anticipa una nuova proposizione e la nuova dimostrazione che deve essere condotta secondo uno stile corrispondente - palesemente guidato dall'asso ciazione che ha destato oscuramente analoghe situazioni di pensiero, formule e concatenazioni di formule precedenti non ha acquisito ancora, come ben sa, alcuna conoscenza reale, non ha trovato proposizioni e reali dimostrazioni. E questo per lui, in quanto analitico, significa che non ha ancora prodotto attivamente veri giudizi e concatenazioni di giudizi nella cui reale attività tutto scaturirebbe dai relativi rapporti analitici originali. Proprio per questo egli 288 tende ora all 'azione esplicita che è la sua attività razionale vera e propria - per quanto quella che procede per indizi in via associativa resti necessaria per indicargli la meta e le vie per la sua prassi razionale. È dunque tipico del giudicare associativo e, nella forma più complicata, ma concettualmente più feconda, del giu dicare nei due sensi, linguistico e comunque >, di essere un 'anticipazione associativa (e che in generale segue le indicazioni associative delle espressioni e dei segni) di giudizi, di oggettualità, intenzionalizzazioni e adeguazioni 1
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categoriali, che, nella forma di questa indicazione indiretta, costituiscono le vie della prassi che instaura reali giudizi ed eventualmente anche reali conoscenze - oppure le vie che consentono di provare la loro irrealtà. § 7. Prerogativa della confusione ritenzionale e di quella di carattere rimemorativo nei confronti della confusione appercettiva ; evidenza secondaria nel pensare confuso.
Si offre certamente qui una significativa differenza tra questi modi confusi di giudizio e l'inattività propria delle ritenzioni e delle rimemorazioni, per quanto anche queste siano suscettibili e bisognose di giustificazione mediante l 'autenticazione. Infatti, per quanto poco siano evidenze originalmente offerenti e quindi evidenze vere e proprie, hanno tuttavia il s i g n i f i c a t o d i d e r i v a z i o n i s e c o n d a r i e d e l l ' e v i d e n z a , nelle quali, come mostra una critica della conoscenza, resta s e m p r e , benché indirettamente, a n c o r a u n m i n i m o d i e v i d e n z a . Senza di queste non si darebbe scienza alcuna. Se la viva ritenzione fosse priva di valore, non si giungerebbe ad alcun risultato di pensiero. Non appena in fatti interviene la legittimazione [Ausweisung ], la ritenzione è nuovamente in gioco e si presuppone la sua validità. Similmente per le m e m o r a z i o n i r i p r o d u t t i v e . Esse non possiedono soltanto un'evidenza in qualità di rimemorazioni c h i a r e , l'evidenza cioè dell'esperienza di ciò che è passato - un'evidenza invero imperfetta, ma pure perfezionabile per essenza, nel modo dell'approssi mazione ad un limite ideale - bensl anche un' e v i d e n z a s e c o n d a r i a in qualità di m e m o r a z i o n i a n c o r a n o n c h i a r e. Senza di queste cadrebbe ogni possibile giustificazione della fiducia della scienza di essere un patrimonio permanente del processo conoscitivo, patri monio costituito di evidenze riattivabili in ogni momento. 26. - Huuerl
APPENDICE TERZA
SULL'IDEA DI UNA « LOGICA DELLA MERA NON-CONTRADDIZIONE • O « LOGICA DELLA MERA CONSEGUENZA >> § 1. L'obbiettivo [Zie!] della non-contraddizione formale e della conseguenza formale. Accezione più ampia e accezione più ristretta di questi concetti.
La logica formale tradizionale già da molto tempo è stata designata come logica della m e r a n o n - c o n t r a d d i z i o n e o anche come 1 o g i c a d e 1 1 a m e r a c o n s e g u e n z a, e potrei dire che la mia proposta di definirla, in base al suo contenuto teoretico essenziale, come una (( analitica pura >> e di arrivare così a circoscriverla esattamente, finisce sostanzialmente col giustificare in base a motivi essenziali quei vecchi caratteri, ma certamente anche col fornir loro un senso schietto e purificato. Ora la maniera in cui ho impiegato spesso le stesse espressioni e in particolare le parole non-contraddizione (o anche con venienza) e conseguenza - in una generalità che quelle formulazioni tradizionali hanno concorso a determinare può dar adito a dei fraintendimenti, come mi ha fatto no tare il professor O. B e c k e r mentre l'opera era in corso di stampa. Forse mi son fatto prendere un poco la mano - nella formulazione - dalla soddisfazione di poter met tere in onore le concezioni tradizionali attraverso nuove intui zioni. Potrebbe quindi essere utile aggiungere qui alcune
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precisazioni di carattere giustificativo e che insieme costi tuiscono un ulteriore sviluppo. La vecchia logica si chiamava logica della non-contrad dizione (formale), benché non si sia attenuta alle mere questioni della compossibilità formale dei giudizi e a quelle del loro non-essere-in-contraddizione. Il suo tema fonda mentale era piuttosto costituito dalle questioni attinenti la conseguenza analitica necessaria, la conseguenza sillogistica. Ciononostante la vecchia designazione aveva un suo senso. Nell'atteggiamento normativo della logica l'espressione principio di contraddizione era già intesa in senso norma tivo - come norma da seguire per evitare la contraddizione. La sua intenzione, infatti, può essere caratterizzata attra verso la questione: come possiamo evitare nei nostri giu dizi, prima di addentrarci nei loro temi materiali, di cadere 290 sin dall'inizio in >, in incompatibilità, con dizionate dalla pura forma ? E come trovare le norme legali formali relative ? Ora ogni negazione di una conse guenza formale necessaria è una contraddizione : tutta la logica formale della conseguenza, la logica delle necessità analitiche, rientra in tal modo sotto l'angolo visuale della non-contraddizione. Certamente, il proposito di acquisire un sistema di > può essere svincolato da quello di evitare contraddizioni e formulato esclusivamente in un senso positivo. Per esempio cosi: se noi abbiamo già giudizi non contraddittori e connessi fra loro in modo non contraddittorio - quali altri giudizi sono pre-giudicati, secondo la forma i n b a s e a quei primi, e inclusi in quel li come necessità analitiche della conseguenza ? In ogni caso però la questione posta in generale delle forme essenziali e delle norme di un universo della n o n - c o n t r a d d i z i o n e conduce al tempo stesso, in particolare e ne cessariamente, alla questione delle forme essenziali delle n e c e s s i t à analitiche, in base alle quali nei giudizi dati in precedenza ne sono implicati degli altri. La legalità formale universale della non-contraddizione comprende dunque quella della conseguenza deduttiva ; la logica for male della non-contraddizione è anche logica formale della
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conseguenza, così come al concetto generalissimo di non contraddizione è naturalmente subordinato a priori quello della conseguenza. Inversamente, però, è anche ovvio riferire l 'intera logica alla c o n s e g u e n z a e intendere cosi questo concetto nel modo più ampio. Per abbandonare un giudizio, per > negandolo, o più generalmente, per moda lizzarlo in qualsiasi altra maniera - cosa che non dipende certo dall'arbitrio - devo avere particolari motivi. Quali motivi esistono all'interno della stessa sfera del giudizio e, più precisamente, nella mera forma del giudizio ? Come soggetto che giudica resto fedele, > a me stes so, finché tengo fermo ai miei giudizi ; facendo altrimenti sono inconseguente. Ma lo sono anche senza saperlo, e in particolare inconseguente quanto alla forma, quando, in se guito ad una precisa considerazione (nel senso del >) delle forme in cui giudico, riconosco che il mio giudizio successivo contraddice il mio giudizio precedente. I giudizi in generale formano dunque un sistema della > - in questo senso ampio - quando in una > convergono per chi giu dica nell'unità di un giudizio necessario all'interno della quale nessun giudizio contraddice l'altro. Si vede ora che l 'analitica, come universale conformità essenziale alla legge di una possibile non-contraddizione formale, è anche analitica in quanto conformità essenziale alla legge di una > formale possibile. Il con cetto di > è qui di nuovo un concetto affatto 291 generale che in sé comprende la conseguenza >, in senso pregnante, del conseguire secondo necessità analitica, ma anche la conseguenza nel senso di unitarietà del con seguire per cosi dire casuale, temporale, cioè dei giudizi intesi in successione e tuttavia i n b 1 o c c o e precisa mente giudizi che ad una considerazione attenta della loro forma sono compatibili fra loro - senza influenzarsi modalizzandosi. Ora tutto questo resta valido, ma la sua comprensione si approfondisce se teniamo conto delle nozioni che abbiam
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visto svilupparsi nel testo sotto il titolo (( Evidenza della distinzione, attuazione effettiva e autentica del giudizio >>. È solo a partire da questo punto che si profila il giusto significato. La nostra (( analitica pura >> è, di fatto, nella sua purezza, tanto analitica della non-contraddizione quanto analitica della conseguenza, e appunto, quanto ai signifi cati ulteriori dei termini in questione quali si presentano naturalmente, nel testo è stata designata in questo modo. La (( conseguenza >> in questo senso ulteriore si distingue poi eo ipso in quella del senso logicamente abituale della necessità analitica del conseguire [Folge] e nella (( triviale non-contraddizione >> o compatibilità dei giudizi (( che nulla hanno a che fare fra loro >>. Quest'ultimo fatto è messo a fuoco dalle ricerche della Appendice prima (con il concetto, messo nuovamente in valore, di materia del giudizio come (( materia sintattica >>) per mezzo dell'espressione scientifica : (( giudizi che non hanno in comune nessuna parte costi tutiva delle loro materie sintattiche >>. L'aspetto-base essenziale, a mio giudizio, della dot trina presentata nel testo di questo volume, sta proprio in ciò, che compatibilità, contraddizione, conseguenza in tutti i sensi considerati, in base alla funzione loro propria in tutta l'analitica formale, possono essere e quindi anche devono essere precisati in un senso puro, che non con tiene in sé alcuna relazione alla verità e falsità dei giudizi, dei giudizi cioè che possono essere di volta in volta pensati come tematici in base a rapporti analitici. In altre parole, l'analitica p u r a ha a che vedere con giudizi meramente in quanto giudizi, ovvero puramente con rapporti di giu dizi, che riguardano le effettuabilità o non effettuabilità vere e proprie - ma non con la questione se queste ultime abbiano rilievo per la verità possibile dei giudizi. Nei confronti della logica tradizionale, dunque, compatibilità e contraddizione n o n hanno nell'analitica p u r a il senso di compatibilità o non-compatibilità sul piano della verità possibile, cosi come la conseguenza non ha il senso di una verità consequenziale (sia pure presunta) ecc. Esiste una compossibilità di giudizi meramente come tali - compos-
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sibilità nell'unità di un'attuazione di giudizio esplicita e autentica ; e soltanto questa compossibilità è un concetto 292 tematico dell'analitica pura. Nell'orientamento soggettivo nell'analitica, di null'altro si tratta se non della legalità essenziale formale per un poter-giudicare o poter-giudi care-insieme esplicitamente e propriamente. Non è neces sario aggiungere : anche per un d o v e r - giudicare-insieme, perché proprio la legalità essenziale della > formale già racchiude in sé quella della >.
Le espressioni adottate nel testo destano in più modi l'im pressione di scorrettezza, perché in vari luoghi questa , non viene menzionata espressamente, e perché inoltre l'analitica pura viene chiamata ora semplicemente logica della conseguenza, ora di nuovo logica della non-contraddizione e in questo ultimo senso, anche espressamente, la non-contraddizione viene designata come il suo unico, universale tema. Questo è però concettualmente del tutto corretto, come appare dalle esposizioni e chiarificazioni precedenti, in particolare da quelle sulle connessioni essenziali della tematica e legalità universali della non-contraddizione formale e della tematica e legalità universali della conseguenza formale (in senso ampio come in senso pregnante). Accenneremo ancora espressamente al fatto che con questo s'intende anche la caratterizzazione, riferita a p. 1 26 [172 sg.], della molteplicità euclidea come sistema di « non-contraddizione » (è per questo del resto che prima si dice, per brevità, « conseguenza >>). Va anzi osservato anche che in quel luogo si parla di una « mol teplicità » e che già nel Capitolo terzo (p. 821 [1 1 3 sgg.]) il preciso concetto di molteplicità, come sistema risultante unicamente da necessità analitica, era stata esaurientemente chiarito.
§ 2. Riferimento retrospettivo della costruzione sistematica e radicale di una analitica pura alla dottrina delle sintassi. In riferimento alle ricerche comunicate nella Appendice prima sulle sintassi, aggiungiamo ancora la seguente appli cazione all'analitica pura.
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Concepiamo il compito universale di questa analitica in questa semplice forma: indagare le leggi essenziali della forma del giudizio che sono le condizioni perché un qual siasi giudizio di forma da stabilirsi a piacere possa essere un giudizio > - un giudizio at tuabile esplicitamente - ossia nel senso dell 'evidenza della distinzione. Si intenda ora il giudizio nella più ampia generalità analitica, quella di una intenzionalizzazione categoriale in generale, quale si è rivelata normativa degli ultimi capitoli di questo scritto. La nostra problematica concerne anche le forme giudi cative in se stesse, in quanto generalità puramente concet tuali di giudizi e si pone dunque in questi termini: quando le forme del giudizio sono da intendere in una intuizione 293 originaria in quanto generalità essenziali di giudizi effet tivamente e propriamente attuabili, quando possiedono come tali un '> ideale ? Nella portata del concetto di giudizio, qualsivoglia con giunzione di giudizio e qualsivoglia totalità categoriale, che debba essere costruita in meri termini grammaticali sulla base di qualsiasi giudizio in quanto intenzionalizzazione categoriale, è un giudizio e a questo si collega la questione dell'>. Essa abbraccia dunque ogni questione della compossibilità di qualsiasi giudizio, che allora funge, naturalmente, sempre da giudizio parziale, sia pure come parte di una mera congiunzione. Ora, nella Appendice prima, si è chiarito che quanto nella considerazione formale viene pensato in una variabi lità totalmente indeterminata, ma pur sempre nell'identità - i termini - niente altro è se non >, e che le legalità formali cercate sono soltanto legalità delle s i n t a s s i e, in un grado inferiore, della modificazione delle forme-nucleo, dunque della sostantivizzazione (>). Affrontando sistematicamente la questione posta dob biamo dunque perseguire la legalità delle sintassi e della loro infrastruttura. Come punto di partenza dobbiamo
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assumere dapprima l 'articolazione sintattica con le distin zioni relative di forme e materie sintattiche, ovvero assu mere le forme della >. Dovremmo poi riproporre la questione delle forme ► [ Urformen] e della loro articolazione primitiva e, successivamente, dei modi di collegamento sintattici parimenti primitivi - la que stione di come ► primitivi si accordino in modo primitivo a formare giudizi e di come, sia pure attraverso gli stessi modi di collegamento, in quanto possibili per qualsivoglia grado di complicazione (come per i modi con giuntivi) o attraverso gradi la cui caratteristica è di essere più alti, diventi possibile l'unità del giudizio nei vari gradi della complicazione. A ciò che è primitivo, che è originario nella costituzione sintattica delle forme, potremo ascrivere soltanto l 'autonomia - restando inteso che essa si trasforma mediante incorporazioni che sono già sintat ticamente costitutive - e altresì la certezza d 'essere intendendosi che essa si modalizza a più riprese e preci samente nei modi della generalità formale. Rientrano in questo ambito leggi dell'esistenza analitica, in primo luogo la legge della primitività analitica : le forme primitive sono a priori ►, cioè effettuabili in senso vero e proprio. Ad ogni modalizzazione - consi derata in sé e per sé - spetta questa esistenza, tuttavia non più senz'altro entro un insieme di connessioni, nel senso in cui ciò che ha > in sé e per sé può essere di pendente da un'altra cosa possibile in sé e per sé, e preci samente (sola cosa che qui entra in questione) secondo leggi formali di una coesistenza possibile o, che è lo stesso, di una possibile unità sintattica totale. Inoltre : da una m e r a congiunzione senza alcuna copulazione risultano forme nuove di esistenza possibile. Va qui considerato che ogni colle gamento di forme per mezzo della comunanza di un ter mine ha il significato di un collegamento copulativo che a quel termine inerisce, e al quale appartiene un >. In generale da giudizi in sé possibili, congiunti in qualunque modo sintattico, divenuti dunque membri, non risulta ancora, quanto all'intera sintassi, un tutto pos-
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sibile. In tutti i casi dipende dall 'intrecciarsi per mezzo di copulazioni ( quelle unificanti-identificanti nel senso più esteso), dunque dal modo di costituzione delle totalità co pulative, se la possibilità della coesistenza (la compossibi lità sulla base di una forma pura) possa essere m e s s a i n d u b b i o . Si può perciò dire che l 'unità ottenuta per copulazione definisce un c o n c e t t o d i g i u d i z i o d e l t u t t o e m i n e n t e ; proprio quello che la logica tradizionale ha esclusivamente di mira, dal momento che essa non prende in considerazione le congiunzioni giudicative > 1 • Considerando i complessi sin tattici di questa sfera copulativa ci si imbatte naturalmente in modo generalissimo in tutte le necessità analitiche, ovvero nelle contraddizioni che sono il loro rovescio. È questo soltanto un accenno per mostrare che è bene e necessario porre sin dall'inizio alla base una morfologia costruita radicalmente come una dottrina strutturale sin tattica di carattere sistematico, per poter costruire su di essa una analitica la cui sistematica risulti perspicua e originariamente autentica. Si può designare questa analitica pura, rispetto alla morfologia e come >.
Consideriamo ancora una volta la peculiarità dell'ana litica in riferimento al ruolo che in essa svolgono i >. Sotto il riguardo costitutivo, le sintassi e le > intrecciate con queste designano i cor relati noematici delle specifiche attività giudicative e del ritmo del loro attuarsi sempre di nuovo sotto forma di copulazioni in sé concluse. Per quanto concerne i nuclei, ci rimandano al fatto che l'azione giudicativa presuppone sempre qualcosa di già dato. Questo qualcosa può essere costituito di formazioni derivanti da giudizi precedenti, ma in ultima analisi, in corrispondenza con le materie ultime e con le loro forme della sostantività e dell'aggettività, perveniamo a un 'esperienza anticipatrice passiva, e poi attiva, dell'individuale, e alle preformazioni che qui sono prodotte sotto il titolo di una presa di coscienza di mero carattere esperiente-esplicitativo. Questo indica una tematica a sé stante. L'analitica non la prende in considerazione, anche quando essa si riferisce a ciò che della soggettività operante le è correlativo . Essa non prende in considera zione, data la più aperta indeterminatezza dei suoi termini, la questione se i termini che compaiono nelle sue gene ralità formali siano sostantività e aggettività ultime su base sperimentale o formazioni derivanti da azioni già sin tattiche. La sua formale evidenza della distinzione concerne dunque la sola proprietà della formazione [Bildung] sin tattica, mentre i termini, quanto alla loro origine, e dunque quanto alla loro possibilità, rimangono in certo modo libe-
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ramente oscillanti. A ciò corrisponde il fatto che l 'interesse tematico, anche nell'esemplificazione o applicazione con crete dell'analitica, anche se si va a vedere se una conclusione è analiticamente evidente (senza ricorrere a leggi formali), non si spinge sino ai termini concreti bensì, mantenendoli soltanto nella loro identità, si occupa semplicemente delle sintassi. Inoltre il > e nella generalità for male il giudicare della stessa analitica va naturalmente designato come analitico anche nel senso che K a n t cercò di cogliere con l'espressione di pura esplicitazione gnoseologica rispetto ad una possibile estensione gnoseo logica. Questo infatti può significare soltanto che l 'interesse analitico si appunta semplicemente sulla possibilità del l'evidenza della distinzione, implicita nell'autentica effet tuabilità degli atti giudicativi di tutti i gradi sintattici e che per tale effettuazione l'evidenza della rispettiva datità anticipata è irrilevante. Tutto ciò è utile alla logica : la legalità in sé conchiusa della > fonda 296 quella della possibile verità. La conoscenza non viene > - in ogni operare analitico si rimane a ciò che già si > sia quanto al giudizio sia quanto alla conoscenza ; tutto ciò che si sviluppa analiticamente è in esso >. Soltanto che è tanto spesso necessario ricorrere al genio del matematico per venir a capo della semplice > o >. Se riferiamo idealmente e nel suo complesso l'intento dell'analitica a una sfera ad arbitrio di anticipazioni, nella loro aperta infinità, si ottiene, a tutti i livelli del!'operazione analitica, >, le stesse cose, lo stesso sussistere di stati di cose. Ciò che viene alla luce esiste già, si trova concretamente in un'identità parziale o totale con i presupposti. È proprio questo che determina palesemente la formazione concettuale e la dottrina, comparsa nella logistica più recente, della >, sotto la quale rientra ogni connessione analitica conclusa. Potrebbe essere interessante conoscere le osservazioni del prof. B e c k e r , messe gentilmente a nostra disposi-
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zione, che si riferiscono alla tautologia e che nello stesso tempo la inseriscono nell 'ambito di una analitica > . § 4. Osservazioni sulla tautologia nel senso della logistica. Di O. Becker. (In riferimento ai § § 14- 1 8 del testo.) Secondo la concezione della logistica una tautologia può essere intesa come la negazione di una contraddizione e, inversamente, ogni negazione di una contraddizione è una tautologia. Da questa > risulta il carattere meramente analitico delle tautologie vere e proprie. Esse sono in certo modo sistemi consequenziali autosufficienti che non hanno bisogno che delle loro premesse che hanno poste. Il carattere tipico della tautologia si presenta in stretta analogia con quello della contraddizione, se fin dall'inizio abbandoniamo il campo della analitica pura e prendiamo a considerare la possibile verità e falsità dei giudizi (vedi testo § 19) : può essere palesemente impiegato anche nel caso più generale, quando si deve dire che P (p i, p 2, • • • Pn) è vero (o falso), se certi Pi sono veri e gli altri Pi sono falsi. La concezione meramente analitica si presenta allora in questi termini: la negazione di P (oppure lo stesso P) è incompatibile con un prodotto logico determinato di asserzioni che deriva da p i, p 2, • • • P n sostituendo i Pi sopra menzionati (e quelli s o l t a n t o ) con le loro negazioni. (A rigore si deve presupporre ancora il principio del terzo escluso per quei giudizi dei quali vengono formulate le negazioni. Altrimenti l'incompatibilità della negazione di q con r si dovrebbe sostituire di volta in volta con un positivo essere incluso di q in r.) - Con ciò si potrebbe mostrare sostanzialmente l'evitabilità del concetto di verità in tutta la logistica. Cosi come la verità è un predicato che può spettare soltanto ad un giudizio distinto (privo di contraddizioni) (p. 58 [80 sg.]), la falsità è anch'essa un predicato che può spettare soltanto ad un giudizio non-tautologico, cioè ad un giudizio che non è già di per sé ovvio nella pura sfera della distinzione. Come il non accordo dei > (>) contenuti in un giudizio complesso esclude la verità, l'> (struttura tautologica) dei sensi parziali esclude la falsità e invero, nei due casi, a limine.
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Ad entrambe, alla verità come alla falsità possibile, restano aperti soltanto i giudizi sì concordanti, ma non >, i giudizi sì distinti, ma non >. Già all 'inizio si è detto che le negazioni di tautologie 298 sono contraddizioni e viceversa. A ciò si connette il fatto che nell'intera sfera tautologico-contraddittoria del giudizio vale il p r i n c i p i o d e I t e r z o e s c I u s o e questo, com'è noto, non è il caso della sfera analitica pura in generale (vedi § 90 ; cfr. § 77). Ciò si basa palesemente sul fatto che � quando si aggiunge l'idea di una verità o falsità possibile - la q u e s t i o n e d e 1 1 a d e c i d i b i 1 i t à della verità e falsità di un giudizio della sfera tautologico-contraddittoria è risolta a limine in senso positivo (cfr. § 79).
NOTA AGGIUNTA SULLA TRADUZIONE DI ALCUNI TERMINI DELLA
EINSICHT (-ig): È difficile rendere sempre uniformemente questa parola. Nel § 1 37 di ldeen I Husserl la sottopone al senso più generale di Evidenz (i due termini hanno in comune il rife rimento al " vedere " ; tuttavia, da un vedere e da un'evidenza semplicemente " assertoria ", propria della percezione di og getti individuali, si distingue l'evidenza apodittica propria delle connessioni di essenze ecc. ; ma cfr. anche le ulteriori specificazioni nelle Appendici XXVI e XXVII di ldeen I [382 sgg.] . Basandosi su questa distinzione, Bachelard tra duce con o « rationnelle t (e già Ricoeur nella trad. francese di Ideen I, del 1 950, « evidence intellectuel le •> o ). Non sempre, tuttavia, nella Logik Husserl si attiene a questo senso rigoroso ; Einsicht e einsehen hanno qui un senso che è spesso vicino al comune uso lingui stico e che indica un comprendere, una penetrazione appro fondita delle cose ecc. (per cui il termine ' comprensione ' usato da Alliney in ldeen I, poco adatto per il paragrafo citato, non è ingiustificato in questo uso più generico). Qui si è pre ferito attenersi normalmente al termine ' evidenza ' (' evidente ' per einsichtig), salvo ulteriori specificazioni (come, particolar mente, ' evidenza intellettiva ') dove necessario. ERLAUTERUNG ERWEITERUNG (der Erkenntnis): Al § 3 dell'Appendice III della Logik Husserl si richiama a Kant: si tratta della di stinzione tra giudizi analitici e sintetici (Crit. d. rag. pura, Introduzione, IV ; G. Colli, nella sua trad. it., Torino 1 957, p. 54, traduce Erliiuterung con [giudizi di] ma 27. - Hwserl
418
Nota aggiunta
nel nostro contesto almeno c1 è sembrato meglio rendere con >. ETWAS UBERHAUPT: > . Per dare rilievo a questa come ad altre nozioni tipiche di Husserl ricorrenti nel testo (p. es.: Und-so-weiter) senza ricorrere continuamente alle virgolette, si è creduto opportuno mantenere anche in italiano la maiuscola. GEGENSTANDLICHKEIT: « oggettuale •>. Cfr. la nota 4 a p. 1 6 di questa edizione. INBEGRIFF: G. Pedroli (La fenomenologia di Husserl, Torino 1 958, p. 79, nota 1 7) osserva che l'uso husserliano di questo concetto non corrisponde esattamente alla definizione data da Bolzano nei Paradoxien des Unendlichen (cfr. § § 3 sgg.). Traducendo Menge con sembra tuttavia possibile rendere lnbe griff con « aggregato * (cfr. F. Voltaggio, Fondamenti della logica di Husserl, Milano 1965, p. 41). Tuttavia l'uso che ne fa Husserl nella Logik ci sembra giustificare anche espressioni meno tecniche (p. es. Bachelard: • totalité >>). MANNIGFALTIGKEIT: « molteplicità •. MEINEN, Meinung (e vermeint, Vermeinungen, Vermeintheiten): Questo gruppo di vocaboli presenta particolari difficoltà, so prattutto per l'ambiguità di senso di meinen, che significa " essere dell'opinione " e " intendere ". La stessa ambiguità si trasmette a Meinung e vermeint. D'altra parte è molto im portante tener presenti entrambi i significati contemporanea mente, perché proprio attraverso questa ambiguità di senso prende corpo la specifica interpretazione fenomenologica della " credenza " (Meinung, dice H. all'inizio del § 45, si esprime anche con 86�ot), che non è un " sentimento aggiunto ", ma è ciò che anima la stessa « intentio >> . Perciò nella traduzione abbiamo reso vermeint ora con ' intenzionato ' ora con ' sup posto ', riportando, dov'era necessario richiamarlo, il termine tedesco. Per Meinung: ' intenzione ' e ' opinione ' (talora sosti tuiti dagli analoghi termini latini per sottolinearne la pregnanza concettuale, evitando un eccesso di virgolette o di richiami). Vermeinung può essere reso abbastanza bene con ' presunzione '
Nota aggiunta
419
(in un senso che dal contesto riesce trasparente), mentre per Vermeintheit è di nuovo necessario ricorrere secondo i casi a espressioni diverse, come ' intenzionalizzazioni ', ' presumibi lità ' ecc. MENGE: « insiemi &. Vedi INBEGRIFF. SELBST (, Selbstgebung, Selbsterfassung, Selbsthabe ecc.): Non è difficile, generalmente, rendere ; tuttavia per i composti indicati il traduttore deve guardarsi da una improprietà che riesce quasi spontanea. Se p. es. si utilizza per Gebung ' offerenza ' (oppure ' il darsi ' e simili), si deve però evitare di dire p. es. ' auto-offerente ' per rendere espres sioni come Selbstgebende Bewusstsein, con le quali ovviamente si intende non la " coscienza che offre se stessa ", bensì quella che offre la cosa stessa (nell'originale). Così Selbstgebung sarà ' l' offerenza (nell')originale '. Sul rapporto reciproco di Selbst gebung e Selbsthabe, cfr. p. 200 di questa edizione. UMFANGSLOGIK: « logica estensionale >>. VOLLSTANDIG (-keit) (a proposito di un sistema di assiomi): viene tradotto ora con ' saturo ', ' saturazione • (cfr. Bachelard ; Vol taggio, op. cit.), ora meno tecnicamente con ' completezza '. VORGEGEBEN (-heit): Si usa spesso rendere letteralmente Gegeben heit con ' datità ', e Vorgegebenheit con l'espressione, non bella e non chiara, di ' pre-datità •. Abbiamo preferito qui evitare soprattutto quest'ultima espressione, ricorrendo a ' anticipa zione ' (e ' anticipato '), risultando chiaro dal contesto che si tratta di quanto l'esperienza anticipa, e su cui si esercita l'at tività di giudizio. WIRKLICH (-keit): « reale & ; dov'era necessario precisarne il senso e per distinguerlo da un altro senso di " realtà ", si è usato ' effettivamente reale ', ' realtà effettiva • e simili.
INDICE DEL VOLUME
Prefazione di Enzo Paci Avvertenza del traduttore Introduzione
V XII
3
Considerazioni preliminari §
1
Inizio delle ricerche dai significati della parola logos: parlare, pensare, pensato
23
§
2
L'idealità del piano linguistico [des Sprachlichen]. Esclusione dei problemi attinenti
25
§
3
Il linguaggio come espressione del « pensiero I¼. Il pensiero nel suo senso più largo, come Erlebnis: costitutivo di senso
27
§
4
Il problema della circoscrizione essenziale del « pensiero •> atto alla funzione significativa
31
§
5 Circoscrizione provvisoria della logica come dottrina a priori della scienza
32
§
6
§
7
§
Il carattere formale della logica. A priori formale e a priori contingente
La funzione normativa e la funzione pratica della logica 8 Carattere bilaterale della logica ; la direzione soggettiva e quella oggettiva della sua tematica
35 38 40
§
9
La tematica diretta delle scienze « oggettive • o « positive •> . L'idea di scienze bilaterali
43
§
10
La psicologia tradizionale [historisch] e la tematica scientifica rivolta in senso soggettivo
46
Indice del volume
422 §
11
Le_ tendenze tematiche della logica tradizionale a) L'originario orientamento della logica verso le formazioni teoriche oggettive del pensiero
48 48
b) L'orientamento della logica verso la verità e la ri flessione soggettiva sull'evidenza [Einsicht], riflessione condizionata da tale orientamento
51
c ) Risultato: carattere ibrido della logica tradizionale come disciplina teoretica e insieme pratico-normativa
54
Sezùme prima. LE STRUTTURE E L'AMBITO DELLA LOGICA FOR MALE OGGETTIVA
A. La via che conduce dalla logica tradizùmale all'idea pie na della logica formale Capitolo primo. La logica fonnale come analitica apofantica §
12
La scoperta dell'idea della forma pura del giudizio
§
13
La morfologia pura dei giudizi come prima disciplina logico-formale a) L'idea della morfologia b) La generalità della forma del giudizio; le forme fondamentali e le loro variazioni c) Il concetto di operazione come concetto guida per lo studio delle forme
59 61 61 62 64
§
14
La logica della conseguenza (logica della non-contraddizione) come secondo grado della logica formale
65
§
15
Logica della verità e logica della conseguenza
68
§
16
Le distinzioni dell'evidenza che fondano la divisione per strati dell'apofantica. Evidenza della chiarezza ed evidenza della distinzione a) Modi di effettuazione del giudizio. Distinzione e confusione b) Distinzione e chiarezza c) Chiarezza del possesso della cosa stessa e chiarezza dell'anticipazione
68 68 74 75
§
17
Il genere essenziale « giudizio distinto • come tema dell'• analitica pura •
76
§
18
Il problema fondamentale dell'analitica pura
77
§
19
L'analitica pura come fondamento della logica formale della verità. Non-contraddizione come condizione della possibilità della verità
79
§
20
I principi logici e i loro analoghi nell'analitica pura
81
Indice del volume
423
§
21
L'evidenza nella coincidenza « dello stesso •> giudizio, confuso e distinto. Il concetto più ampio di giudizio
83
§
22
Il concetto che individua il campo della morfologia apofantica come grammatica logico-pura rappresenta il senso più ampio di giudizio
85
Capitolo secondo. §
§
23
24
Apofantica formale, matematica formale
L'unità interna della logica tradizionale e il problema della sua posizione rispetto alla matematica formale
88
a) Unità e autonomia concettuale della logica tradizionale come analitica apofantica
88
b) Il sorgere dell 'idea di una analitica ampliata, la « ,nathesis universalis & di Leibniz, e l 'unificazione tecnico-metodica della sillogistica tradizionale e della matematica formale
90
Il nuovo problema di una ontologia formale. Carat terizzazione della matematica formale tradizionale come ontologia formale
92
§
25
Apofantica formale e ontologia formale sono tematicamente separate, ma in concreto sono inseparabili
95
§
26
L'occultamento del problema dell'unità di apofantica formale e di matematica formale: sue ragioni storiche
97
a) Carenza del concetto della pura forma vuota
97
§
27
b) Deficienza della nozione dell'idealità delle formazioni apofantiche c) Ulteriori motivi ; in particolare, la mancanza di ricerche autentiche sull 'origine
101
d) Osservazione sulla posizione di Bolzano in rapporto all'idea dell'ontologia formale
102
L'introduzione dell'idea dell'ontologia formale nelle
98
Ricerche logiche
1 04
a) Le prime ricerche costitutive di oggettualità categoriali nella Filosofia dell'aritmetica
1 05
b) La via dei Prolegomena, dall'apofantica formale all 'ontologia formale
106
Capitolo terzo. Teoria dei sistemi deduttivi e dottrina della molteplicità §
28
Il grado più alto della logica formale: la teoria dei sistemi deduttivi o (correlativamente) la teoria della molteplicità
1 09
§
29
La riduzione formalizzante delle scienze nomologiche e la dottrina della molteplicità
112
Indice del volume
424 §
30
La dottrina della molteplicità a partire da Riemann
113
§
31
Il concetto pregnante di molteplicità, o (rispettiva mente) di W1
115
§
32
L'idea suprema di una dottrina della molteplicità come idea di una scienza nomologica universale delle forme di molteplicità
119
§
33
Matematica formale reale e matematica delle regole del giuoco
119
§
34
La matematica formale completa è identica all 'anali tica logica completa
1 21
§
35
Perché nell 'ambito della mathesis universalis come analitica Wliversale possono diventare tematiche sol tanto forme deduttive di teorie
1 22
a) Soltanto la teoria deduttiva ha una forma sistematica puramente analitica
1 22
b) Posizione del problema: quando un sistema di pro posizioni abbia una forma sistematica da caratterizzare analiticamente
1 24
Sguardo retrospettivo, ulteriori compiti
1 26
§
36
e
cenno
preliminare
degli
B. Chiarimento fenomenologico della bilateralità della logica formale, come apofantica formale e come ontologia formale
Capitolo quarto. Orientamento verso oggetti e orientamento verso giudizi
§
37
La questione del rapporto tra apofantica formale e ontologia formale ; insufficienza delle chiarificazioni effettuate fino ad ora
1 29
§
38
Oggetti del giudizio come tali e formazioni sintattiche
130
§
39
Allargamento del concetto d i giudizio a tutte le formazioni di azioni sintattiche
132
§
40
Analitica formale come giuoco speculativo e analitica logica, Il riferimento all'impiego possibile appartiene al senso logico della mathesis formale
133
§
41
Distinzione tra l'atteggiamento apofantico e quello ontologico, e il compito della sua spiegazione
135
§
42
Risoluzione d i questo compito
1 36
a) Il giudicare in quanto è rivolto non sul giudizio, ma sull'oggettualità tematica
136
b) L'identità dell'oggetto tematico nel mutare delle operazioni sintattiche
138
425
Indice del volume c) La t1p1ca delle forme sintattiche di oggetto come tipica dei modi del Qualcosa d) La duplice funzione delle operazioni sintattiche e) La connessione unitaria del giudicare è basata sull 'unità dell'oggettualità-substrato che si va de terminando. Costituzione del > che la determina f) Le formazioni categoriali che risultano dall'attività del determinare, viste come possesso abituale e intersoggettivo g) L'oggettualità già anticipata al pensiero raffrontata all'oggettualità categoriale di pensiero. Chiarimento attuato per il caso della natura § §
§ §
43 44
L'analitica come -dottrina formale della scienza è ontologia formale, e come tale è orientata oggettualmente Dall'analitica come ontologia formale all'analitica come apofantica formale a) Conversione tematica dagli ambiti oggettuali ai giudizi nel senso della logica b) Chiarificazione fenomenologica di questa conversione tematica a) Il giudizio dato nell'ingenuità dell'atteggiamento diretto, 148P) Nell'atteggiamento critico di chi ha di mira il conoscere si di stinguono l'oggettualità intenzionata [tienneint] come tale, e quella effettivamente reale [wirklich], 149 - y) L'atteggiamento dello scienziato ; l'intenzionato, come tale, è l'oggetto della sua critica conoscitiva, 152
45 Il giudizio nel senso della logica apofantica 46 Verità e falsità come risultato della critica. Duplice senso di « verità •> ed « evidenza *
139 140
141 144 145 146 147 147 148
1 54 155
Capitolo quinto. Apofantica come dottrina del senso e come logica della verità §
47 Dall'orientamento della logica tradizionale verso il
§
48 I giudizi come mere i n t e n z i o n a 1 i z z a z i o n i [ Ver
§ §
comportamento critico della scienza deriva la sua posizione apofantica
meintheiten] appartengono alla ragione del senso. Caratterizzazione fenomenologica dell'orientamento verso il senso
49 I l duplice senso di giudizio (proposizione) 50 Estenzione del concetto di senso alla sfera posizionale
e complessiva ed estensione della logica formale per una Assiologia e una Pratica formali
1 59
1 60 1 64 1 65
Indice del volume
426 §
51
La logica pura della conseguenza come dottrina pura del senso. L'articolazione in logica della conseguenza e logica della verità vale anche per la dottrina della molteplicità come grado supremo della logica
167
§
52
• Mathesis pura o propriamente logica, ed extra-logica. La • matematica dei matematici •>
169
§
53
Spiegazioni fondate sull'esempio della molteplicità euclidea
1 72
§
54
Fissazione conclusiva del rapporto tra logica formale e ontologia formale a) Posizione del problema b) Il duplice senso correlativo della logica formale c) L'idea di ontologia formale va resa autonoma da quella di dottrina della scienza
Sezione seconda.
175 1 75 1 76 1 80
DALLA LOGICA FORMALE ALLA LOGICA TRA SCENDENTALE
Capitolo primo. Psicologismo e fondazione trascendentale della logica §
55
§ 56
§
Un'elaborazione compiuta della logica come logica formale-oggettiva può da sé soddisfare all'idea di una dottrina della scienza anche soltanto formale ?
185
Il rimprovero di psicologismo rivolto contro ogni considerazione delle formazioni logiche, diretta m senso soggettivo
187
57 Psicologismo logico e idealismo logico a) Motivazioni di questo psicologismo b) L'idealità delle formazioni logiche come un apparire irreale nella sfera logico-psichica
1 90 1 90 1 92
§
58
L'evidenza degli oggetti ideali è analoga a quella degli oggetti individuali
1 93
§
59
Considerazioni generali sull'evidenza come offerenza delle cose in se stesse
19 5
§ 60
La legalità fondamentale dell'intenzionalità e la funzione universale dell'evidenza
198
§ 61
L'evidenza-in-generale che pertiene a tutti gli oggetti reali o irreali in quanto unità sintetiche
202
§ 62
L'idealità di ogni tipo di oggettualità rispetto alla coscienza costituente. Il travisamento positivistico della natura è una forma di psicologismo
205
Indice del volume
427
§
63
L'attività ongmariamente producente come dona zione delle formazioni-logiche « stesse •> ; in che senso si parla di loro « produzione »
207
§
64
Priorità d'essere degli oggetti reali rispetto a quelli irreali
209
§
65
Concetto più generale di psicologismo
210
§
66
Idealismo psicologistico e idealismo fenomenologico. Critica analitica e critica trascandentale della conoscenza
21 1
L'accusa di psicologismo è una incomprensione della necessaria funzione logica della critica trascendentale della conoscenza
212
§
67
§
6 8 Anticipazione sui compiti ulteriori
216
Capitolo secondo. Avviamento della problematica logico trascendentale: problemi concernenti i concetti fondamentali §
§
69
70
Le formazioni logiche nel loro presentarsi in un'evi denza diretta. II compito della tematizzazione riflessiva di questa evidenza Senso delle chiarificazioni postulate come ricerca co stitutiva circa l'origine
218 220 220
a) Spostamento delle mire intenzionali ed equivoco b) Esigenza del chiarimento dei concetti fondamen tali delle discipline logiche nella loro necessaria distinzione reciproca, al fine di svelare il metodo soggettivo nascosto di formazione, e per la critica del medesimo
222
§
71
I problemi dei fondamenti delle scienze e la ricerca costitutiva sull'origine. Compito direttivo della logica
224
§
72
Le strutture soggettive come un a priori correlativo a quello oggettivo. Passaggio a un nuovo grado della crhica
US
C apitolo terzo. I presupposti idealizzanti della logica e l a loro critica costitutiva § 73
Presupposti idealizzanti dell'analitica matematica come temi di una critica costitutiva. L'identità ideale delle formazioni del giudizio come problema costitutivo
227
§
Le idealità del E-così-via, delle infinità costruttive e il loro correlato soggettivo
233
74
Indice del volume
428 §
75
Il principio analitico di contraddizione e la sua conversione soggettiva
234
§
76
Passaggio alla problematica soggettiva della logica della verità
23 6
§
77
I presupposti idealizzanti inerenti ai principi di contraddizione e del terzo escluso
238
§
78
Conversione dei principi del � modus ponens tollens & in principi soggettivi di evidenza
241
§
79
I presupposti della verità e falsità in sé e della decidibilità di tutti i giudizi
242
§
80
L'evidenza del presupposto della verità, e il compito di sottoporla a una critica
244
§
81
Formulazione di problemi ulteriori
248
et
Capitolo quarto. La cnt1ca dell'evidenza dei principi logici ricondotta alla critica dell'evidenza del l'esperienza §
82
Riduzione dei giudizi a giudizi ultimi. Le modifica zioni categoriali primitive del Qualcosa e il substrato primitivo Individuo
§
250
83
Riduzione parallela delle verità. Tutte le verità ricondotte a un mondo di individui
§
253
84
Stratificazione graduale delle evidenze: l 'evidenza in sé prima è quella dell'esperienza. Concetto pregnante di esperienza
255
§
85
I veri compiti della cosiddetta teoria del giudizio. La genesi del senso dei giudizi come filo conduttore per stabilire l 'ordine stratificato delle evidenze
256
§
86
L'evidenza dell'esperienza antepredicativa come tema in sé primo della teoria trascendentale del giudizio. Il giudizio d'esperienza come giudizio d'origine
259
§
87
Passaggio alle evidenze di grado superiore, Il pro blema della rilevanza dei nuclei per l 'evidenza delle generalità di contenuto concreto e delle generalità formali
263
Il presupposto implicito del principio analitico di contraddizione: ogni giudizio deve poter essere portato all'evidenza della distinzione
266
La possibilità dell'evidenza della distinzione
267
a) Senso come giudizio e come « contenuto di giu dizio &, L'esistenza ideale del giudizio presuppone l'esistenza ideale del contenuto di giudizio
267
§
§
88
89
Indice del volume
b) L'esistenza ideale del contenuto di giudizio è con nessa alle condizioni dell'unità di un'esperienza possibile § 90 Applicazione delle considerazioni precedenti ai principi della logica della verità: essi valgono soltanto per giudizi contenutisticamente dotati di senso §
91
Passaggio a nuov� problemi
429
270
273 274
Capitolo quinto. La fondazione soggettiva della logica come problema filosofico-trascendentale § 92
Chiarimento del senso della positività della logica oggettiva a) La logica tradizionale si riferisce a un mondo reale b) Il presupposto ingenuo di un mondo schiera la log ica tra le scienze positive
§ 93
Insufficienza del tentativi di critica dell'esperienza a partire da Descartes a) Il presupposto ingenuo della validità della logica oggettiva b) Descartes è venuto meno al senso trascendentale della sua riduzione all'ego c) La fondazione della logica conduce al problema universale della fenomenologia trascendentale
276 276 279 281 281 283 284
Capitolo sesto. Fenomenologia trascendentale e psicologia intenzionale. Il problema dello psicologismo trascendentale § 94 Ogni essente è costituito nella soggettività di coscienza § 95 Necessità di un punto di partenza fondato sulla sogget tività di ciascuno § 96
La problematica trascendentale dell'intersoggettività e il mondo intersoggettivo a) lntersoggettività e mondo dell'esperienza pura b) L'apparenza del solipsismo trascendentale c) Problemi di grado superiore del mondo oggettivo d) Considerazione conclusiva
§ 97
I l metodo dello svelamento della costituzione di co scienza nel suo universale significato filosofico
§ 98
Le ricerche costitutive come ricerche aprioriche
§ 99
Soggettività psicologica e soggettività trascendentale. Il problema dello psicologismo trascendentale
287 292 294 294 298
300 301
301 303 309
Indice del volume
430 § 100
Osservazioni storico-critiche sullo sviluppo della filo sofia trascendentale e in particolare sulla problematica trascendentale della logica formale
314
Capitolo settimo. Logica oggettiva e fenomenologia della ragione § 101
La fondazione soggettiva della logica come fenomenologia trascendentale della ragione
328
§ 102
Il riferimento mondano proprio della logica tradizio nale e il problema del carattere della logica , che è essa stessa di norma alla propria chiarificazione trascendentale
329
La fondazione assoluta della conoscenza è possibile soltanto nella scienza della soggettività trascendentale come scienza dell'unico essente in senso assoluto
333
§ 104 La fenomenologia trascendentale come auto-esplicitazione della soggettività trascendentale
336
§ 105
Preliminari alla conclusione della critica trascendentale della logica. Le teorie usuali dell'evidenza sono sviate dal presupposto della verità assoluta
340
§ 106
Passi ulteriori per la critica del presupposto della verità assoluta e delle teorie dogmatiche dell'evidenza
343
§ 107
Abbozzo di una teoria trascendentale dell'evidenza come operazione intenzionale a) L'evidenza dell'esperienza esterna (sensibile) b) L'evidenza dell'esperienza • interna » c) Dati iletici e funzioni intenzionali. L'evidenza dei dati temporali immanenti d) Evidenza come forma strutturale a priori della coscienza
§ 103
Conclusione
346 346 348 3 50 354 355
APPENDICI
Appendice prima. Forme sintattiche e materie sintattiche, forme del nucleo e materie del nucleo Articolazione dei giudizi predicativi
362
§
1
§
2
Il riferimento alle cose nei giudizi
363
§ §
3 4
Forme pure e materie pure Forme inferiori e superiori. La loro reciproca relazione di senso
365 366
431
Indice del volume
L'unità funzionale autonoma dall'apofansi indipen dente. Distinzione delle forme di collegamento di to talità in copulazione e congiunzione
§
5
§
6 Passaggio alla sfera categoriale più ampia a) Universalità delle diverse forme di collegamento b) Estensione delle distinzioni connesse con l'artico lazione ali' intera sfera categoriale c) Il concetto categoriale ampliato di proposizione di fronte a quello della vecchia analitica apofantica
367 369 369 369 370
7
Forme sintattiche, materie sintattiche, sintassi
371
8
Sintagma e membro. Giudizi autonomi in quanto sintagmi, giudizi autonomi in senso ampliato
373
§
9
« Contenuto di giudizio •> quale materia sintattica del giudizio in quanto sintagma
374
§
10
Gradi della formazione sintattica
376
§
11
Forme e materie non sintattiche - rilevate all'interno delle materie sintattiche pure
3 76
§
12
La formazione-nucleo [Kerngebilde] ; nucleo e forma-nucleo
378
§
13
La prevalenza della categoria sostantivale. La sostantivizzazione
§
1 4 Passaggio alle costruzioni di grado più complesso
§
15
§ §
sua materia-
Il concetto di « termine •> della logica formale tradizionale
379 380 3 81
Appendice seconda. Sulla costituzione fenomenologica del giudizio. Il giudicare originariamente attivo e le sue modificazioni secondarie Il giudicare attivo in quanto produ e dell'intenzionato « stesso •· La mol teplicità dei possibili modi di coscienza del • medesimo o b) Esplicazione intenzionale della genesi. Originarietà genetica, nonché statica, del modo di datità espe riente. • Fondazione primitiva •> dell '« appercezione o per ogni categoria di oggetti
383 384
384
387
Indice del volume
432
§
3
c) La forma temporale della genesi intenzionale e la sua costituzione. Modificazione ritenzionale. Sedi mentazione nel sostrato di ciò che non prende rilievo (non-coscienza)
389
I modi non originali di datità del giudizio
390
a) La forma ritenzionale come forma prima in sé della . Il modificarsi vivente della costituzione di un giudizio pluriarticolato
390
b) La rimemorazione passiva e la sua attività costitutiva per il giudizio in quanto unità che permane c) L'affiorare, in quanto « venire in mente 9 apper cettivo, è un analogo del venire in mente proprio della rimemorazione passiva
393
392
§
4
Le possibilità essenziali dell'attivazione dei modi passivi di datità
395
§
5
Le forme fondamentali del giudicare originariamente producente e del giudicare in generale
396
§
6
Sul giudicare linguistico indistinto e la sua funzione
398
§
7
Prerogativa della confusione ritenzionale e di quella di carattere rimemorativo nei confronti della confusione appercettiva: evidenza secondaria nel pensare confuso
401
Appendice terza. Sull'idea di una « logica della mera non contraddizione t o « logica della mera con seguenza >> §
1
L'obbiettivo [Zie[] della non-contraddizione formale e della conseguenza formale. Accezione più ampia e accezione più ristretta di questi concetti
403
§
2
Riferimento retrospettivo della costruzione sistematica e radicale di una analitica pura alla dottrina delle sintassi
407
§
3
Caratterizzazione dei giudizi analitici come meramente • esplicitativi della conoscenza t e come • tautologie ,
41 1
§
4
Osservazioni sulla tautologia nel senso della logistica. Di O. Becker
413
Nota aggiunta
417