Pensare la natura 8842056723, 9788842056720


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Universale

Luigi A. Radicati di Brozolo

ensare a natura «Idee del Novecento» Serie diretta da Remo Bodei



Editori Later:m

Universale Laterza 787

«Idee del Novecento» Serie diretta da Remo Bodei La serie è organizzata in collaborazione con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici VOLUMI PUBBLICATI

Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura

di Giuseppe O. Longo Il mondo del cervello

di Lamberto Maffei Come funziona la mente

di Paolo Legrenzi

Luigi A Radicati di Brozolo

Pensare la natura

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Editori Laterza

© 1999, Gius. Laterza & Figli

Prima edizione 1999

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1999 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-5672-0 ISBN 88-420-5672-3 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

alla memoria di un carissimo amico, Ennio De Giorgi

Pensare la natura

Avvertenza

Le unità usate nel testo sono le seguenti: Unità di lunghezza: metro (m) Unità di tempo: secondo (s) Unità di massa: chilogrammo (kg) Unità di energia: Joule (J) - l'energia di una massa di un chilogrammo quando vi cade su un piede da 1 m di altezza è 9,8 J - l'energia liberata dalla combustione di 1 litro di benzina è di 31.43 7 J - l'unità bizzarra di energia usata dalle compagnie elettriche è il chilowattora: 1 chilowattora= 3.6 x 105 J La potenza è l'energia emessa o assorbita nell'unità di tempo. L'unità di potenza è il Watt (W): 1 W = 1 J/s - la potenza di una lampadina è dell'ordine di 50-100 W - la potenza di un'automobile di media cilindrata è dell'ordine di 60 kW = 6 x 10 x 1000 Watt= 6 x 104 W I grandi numeri sono scritti nel testo come potenza di 10: 10n = 1 seguito da n zeri. Per esempio, 103 = 1000, 106 = 1.000.000 = 1 milione, 109 = 1 miliardo. Il debito pubblico dello stato italiano è di 2 milioni di miliardi di lire cioè: 2 x 106 x 109 lire= 2 x 1015 lire. I numeri piccoli (minori di 1) si scrivono come potenze negative di 10: 10-n = O, (n-1) zeri e poi 1. Per esempio: 10- 1 = 0,1, 10- 3 = 0,001

1.

La natura dei fisici

Il titolo di questo libro può trarre in inganno il lettore che probabilmente si aspetta di leggere un inno alla bellezza della natura e al modo di difenderla dagli attacchi scriteriati dell'uomo. Mi dispiace deludere queste più che legittime aspettative, ma devo subito dire che questo libro non si occuperà affatto degli aspetti estetici della natura: se di bellezza parlerà, sarà la bellezza di una costruzione intellettuale i cui elementi sono concetti astratti derivati dall'osservazione e dall'idealizzazione dei fenomeni. In poche parole, parlerò della natura dei fisici i quali invece di estasiarsi sulle chiare fresche dolci acque di un ruscello o di trarne ispirazione per un bel Lied cercano di stabilire la relazione fra la velocità del flusso e la larghezza dell'alveo. Spiriti aridi? Può darsi. Ma mentre all'uomo normale la caduta di una mela sulla testa strappa un'imprecazione, a un fisico - si trattava, è vero, di un fisico eccezionale - suggerì che il movimento della mela e quello della luna abbiano la stessa causa e pertanto ubbidiscano ad una stessa legge. Forse per aver sentito tante volte - magari durante una noiosa lezione di fisica al liceo - il racconto di que3

sta straordinaria illuminazione, oggi quasi non riusciamo più a comprendere l'incredibile originalità di pensare che due fenomeni così diversi - la caduta lungo la verticale della mela che poi si arresta sul suolo e la rotazione perenne della luna attorno alla Terra - siano due manifestazioni di un'unica causa, generalissima ma invisibile: la gravitazione universale. L'originalità di questo modo di guardare la natura apparve subito ben chiara ai contemporanei di Newton: parlava per tutti loro il poeta inglese Pope quando scriveva «Nature and Nature's laws lay hid in night: I God said, Let Newton be and all was light». Scoprire queste leggi nascoste nel buio della notte, rivelare il tessuto invisibile delle relazioni matematiche che collegano i fenomeni, ricercare quelli che avvenivano nell'infanzia dell'universo per comprenderne la storia, tutto questo è per il fisico lo studio della natura. Il mio proposito nello scrivere questo libro non è certamente di dimostrare che questo modo di guardare alla natura sia più profondo o più vero del modo con cui ad essa guarda l'artista, il poeta o il semplice contemplatore di un paesaggio. Né lo scienziato né il poeta possono pretendere di conoscere la vera essenza della natura, la quale forse sfuggirà per sempre all'uomo proprio in ragione della sua finitezza. Considererei però di aver raggiunto un grande successo se riuscissi a convincere qualche lettore che l'immagine che la scienza dà della natura possiede anch'essa, come quella dell'artista, una sua intrinseca austera bellezza, la bellezza di una grandiosa costruzione intellettuale. Questa concezione della natura astratta e matematica rappresenta la vera essenza dell'eredità che Galileo ci ha lasciato: essa è cristallizzata nella celebre frase che ricorre più volte, con piccole variazioni nella sua opera 4

come il tema principale di una sonata: il «grandissimo libro che continuamente ci sta aperto davanti agli occhi (io dico l'Universo)» che «non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua e conoscere i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri sono triangoli e cerchi e altre figure geometriche senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto» 1 . Si tratta, dobbiamo ammetterlo, di una rappresentazione molto particolare della natura che sostituisce enti astratti e leggi esatte alle cose concrete e alle loro relazioni qualitative che le percezioni sensoriali e il senso comune ci suggeriscono. Come scrisse il grande storico della scienza francese A. Koyré, oggi «siamo talmente abituati ad usare la matematica per lo studio della natura che non ci rendiamo più conto dell'audacia dell'affermazione di Galileo 'che il libro della natura è scritto in caratteri geometrici' come non siamo coscienti del carattere paradossale della sua decisione di trattare la meccanica come un ramo della matematica, cioè a dire di sostituire al mondo reale dell'esperienza quotidiana un mondo geometrico ipostasiato e di spiegare il reale per mezzo dell'impossibile»2 • Alla maggior parte delle persone questa sostituzione è incomprensibile proprio per la ripugnanza invincibile che i più provano per il linguaggio matematico. Ma abbracciata con entusiasmo dai philosophes del secolo dei lumi, questa immagine della natura è stata accettata 1 G. Galilei, Il Saggiatore, in Le opere di Galileo Galilei, ristampa della edizione nazionale, G. Barbera, Firenze 1933 (d'ora in poi ed. naz.), vol. VI, p. 232. 2 A. Koyré, Etudes d'Histoire de la Pensée scienti/ique, Gallimard, Paris 1976, p. 199.

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più o meno consapevolmente dall'uomo comune quasi come un articolo di fede. Così molti oggi parlano di atomi e di galassie, di big bang e di DNA, di megabites e di quarks come un tempo parlavano dei miracoli di qualche santo di incerti natali. E miracoli, cioè fenomeni inspiegabili nell'ambito delle conoscenze comuni, sono anche le infinite applicazioni tecniche della scienza comprensibili solo ai sacerdoti della nuova fede. Questo libro, però, non parlerà delle ricadute pratiche della scienza, non già perché io le sottovaluti: so benissimo che esse hanno cambiato profondamente il nostro modo di vivere molto spesso, anche se non sempre, migliorandolo. Mi occuperò invece, quasi esclusivamente, di come la fisica abbia cambiato, specie in questo secolo, il nostro modo di concepire la natura e degli straordinari orizzonti intellettuali che ci ha aperto: della nuova concezione dello spazio e del tempo, del superamento del rigido determinismo della scienza newtoniana, della nuova e dinamica visione del cosmo che ci ha svelato mondi ed eventi un tempo inconcepibili. Se dessi retta a Galileo smetterei subito di scrivere questo libro che non deve contenere formule matematiche. Se già al tempo di Galileo, senza di queste «era un aggirarsi per un oscuro labirinto», figurarsi oggi, quando i caratteri son diventati enormemente più astrusi dei triangoli e dei cerchi! Eppure, senza farsi soverchie illusioni sulla riuscita dell'impresa, sembra oggi più che mai necessario tentare di far comprendere ai non specialisti la grandiosa bellezza della costruzione intellettuale che la fisica è venuta edificando nei suoi quattro secoli di vita, specie nel nostro secolo così ricco di idee profonde e originali. È necessario, perché questo splendido patrimonio intellettuale non vada perso e perché i fisici non diventino una setta esoterica con un suo lin6

guaggio segreto, interessati a problemi che nessuno più comprende. E forse quello che vale per la musica vale anche per la fisica: è vero che senza una conoscenza del1' armonia non è possibile comprendere appieno «l' Arte della Fuga» di Bach; tuttavia anche il semplice amatore di musica può cogliere qualcosa della sua bellezza e profondità. Certo la concezione della scienza, quale ci appare dal passo di Galileo che ho citato, sembra oggi alquanto ottimista. Se pensiamo alle gigantesche apparecchiature che la scienza di oggi richiede per leggere qualche frase del libro della natura, al numero sempre crescente di specialisti occorrenti a progettare e a far funzionare tali apparecchiature, per non parlare dei costi delle medesime (il miliardo di dollari è una unità appropriata almeno per le più grandi), quando si pensa a tutto questo, parlare di libro aperto sembra per lo meno inappropriato. Considerazioni analoghe si possono ripetere a proposito del linguaggio nel quale il famoso libro è scritto. Se già Galileo osservava che il linguaggio è ignoto ai più, cosa dobbiamo dire oggi, quando la lettura diventa ermetica anche ai pochi iniziati i quali, del resto, vanno dividendosi in gruppetti di specialisti capaci di leggere solo qualche pagina del libro dell'universo, ma spesso incapaci di comprendere le pagine decifrate da specialisti di settori diversi? Anche il significato del libro della natura è cambiato. Fino agli inizi del nostro secolo si pensava che esso contenesse la descrizione della natura quale essa «è». Non credo che questa affermazione sia contenuta esplicitamente nelle opere di Galileo o in quelle dei suoi successori, Newton, Euler e Laplace, ma sta di fatto che così generalmente si pensava. Da questo atteggiamento

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nascono tutte le solenni affermazioni sulla eternità e immutabilità delle leggi della natura. D' Alembert poteva vantare a gloria del secolo dei lumi la scoperta del «vrai système du monde» e poco dopo gli faceva eco Laplace che intitolava con quelle parole una sua opera divenuta presto una sorta di bibbia del pensiero deterministico. Oggi con la scienza di poi, ossia con le lezioni che abbiamo imparato nel corso del nostro secolo, ci è facile sorridere della ingenua fede scientifica dei nostri predecessori basata su una conoscenza empirica limitata essenzialmente ad alcuni fenomeni del sistema solare. Oggi sappiamo che quelle che credevamo essere le leggi della natura rappresentano soltanto le relazioni fra i fenomeni che abbiamo indagato e che la loro validità è limitata alla precisione con la quale abbiamo osservato i fenomeni stessi. All'aumentare della potenza dei nostri metodi di indagine e all'estensione delle osservazioni a domini prima inaccessibili, le leggi che avevamo creduto eterne e universali si dimostrano essere solo approssimazioni di leggi più generali. Siamo così costretti a mutare anche radicalmente quelle che avevamo creduto essere fondamenta sicure della nostra interpretazione della natura. Non leggi della natura, dunque, ma leggi valide per quel modello di natura che ci siamo fatti sulla base delle nostre limitate conoscenze. Modello non definitivo ma destinato a dover essere perfezionato, a perdere alcune delle caratteristiche che avevamo creduto essenziali, e, purtroppo, a divenire sempre più complicato e sempre più ermetico. Così alla fine del nostro secolo il libro non ci appare più come libro della natura, ma come libro dei modelli della natura che via via ci facciamo sulla base delle nostre limitate conoscenze fenomenologiche: uno strano 8

racconto nel quale i caratteri dei personaggi e le loro mutue relazioni non restano fissi, ma assumono aspetti nuovi ad ogni capitolo. Chi vuole concludere che la fisica non raggiunge alcun risultato permanente ha allo stesso tempo ragione e torto. Ha ragione perché nulla ci assicura che la scoperta di nuovi fenomeni non ci obbligherà ancora una volta a cambiare, anche radicalmente, la nostra immagine della natura. Ha invece torto se pensa che la nuova immagine renda quella precedente obsoleta; questa resta valida ed efficace entro i limiti di precisione che l'avevano suggerita; per mettere in orbita un satellite o progettare un aereo possiamo tranquillamente usare la meccanica classica senza curarci della relatività e della meccanica quantistica. Il nostro secolo ha messo anche in evidenza un aspetto della scienza al quale non fa cenno Galileo nel brano citato: la possibilità cioè che non si possa proseguire per sempre nella lettura del libro. Ho accennato poc'anzi alla crescente complessità di certe ricerche (quelle in particolare che vanno sotto il nome di fisica delle particelle elementari o di fisica fondamentale) e al continuo aumento del loro costo: a questi due problemi si aggiunge la scoraggiante lentezza di quel tipo di ricerche che richiedono ormai decenni per essere portate a termine. Proprio questi tre aspetti hanno indotto uno dei più brillanti fisici di questa seconda metà del nostro secolo, R.P. Feynman, a predire la fine della fisica (che egli identifica, ingiustamente a mio parere, con la fisica fondamentale): da una parte i governi, o i mecenati, saranno sempre meno inclini a finanziare imprese costosissime e di incerta redditività, dall'altra i giovani più dotati di fantasia esiteranno a imbarcarsi in im9

prese troppo grandi, troppo burocratizzate e scarsamente awenturose. Se questa previsione pessimistica, difficilmente immaginabile ancora mezzo secolo fa, dovesse dimostrarsi corretta, ciò significherebbe che non sapremo mai se la serie dei modelli via via più raffinati della natura che il libro ci propone converga al modello 'vero', quello cioè che potremmo chiamare «La Natura». Secondo Feynman la convergenza, se pure esiste, è così lenta da rendere la dimostrazione troppo noiosa. Una prospettiva questa certamente non considerata da Galileo e che anche oggi gli ottimisti rifiutano, confidando (o illudendosi) che l'ingegno umano riuscirà in qualche modo a inventare metodi di indagine più potenti, più semplici e meno costosi così che l'indagine possa continuare per sempre. Il futuro dirà-chi ha ragione, se i pessimisti o gli ottimisti. Se abbiamo perso la fede ingenua dei nostri predecessori nella conoscibilità della natura, se questa oggi ci appare tanto più complessa di quanto essi pensassero, abbiamo in compenso imparato ad apprezzare meglio l'ermetica bellezza delle relazioni matematiche in cui la nostra conoscenza si esprime. La cosa straordinaria è che, quando nuovi fenomeni ci costringono ad abbandonare un modello per sostituirlo con un altro più generale, quest'ultimo si rivela più 'bello', cioè matematicamente più strutturato e più simmetrico, quasi che la ricerca della bellezza matematica coincidesse con la ricerca della verità. Quest'ultima sembra sempre più discostarsi dal modello di natura che per secoli l'intuizione comune ci ha proposto per sospingerci verso concezioni astratte che hanno ormai ben poco a che fare con l'incanto di quei ruscelli con i quali il capitolo è cominciato. Diciamo dunque addio, sia pure con rimpianto, a 10

quella natura così vicina alla nostra intuizione che aveva affascinato i nostri predecessori e avventuriamoci in quelle regioni che i nuovi metodi di indagine ci hanno rivelato: vi scopriremo l'astratta bellezza delle strutture matematiche nelle quali si ordinano i fenomeni di un mondo ignoto ai nostri predecessori.

2.

L'irragionevole efficacia della matematica nell'interpretazione della natura

1. I:astrazione Nonostante i grandi cambiamenti della fisica nei quattro secoli dopo Galileo, essa è restata sostanzialmente fedele al modello di indagine che egli aveva indicato e che il filosofo inglese A.N. Whitehead ha definito come «l'unione di un interesse appassionato per i singoli fatti con un'uguale devozione per la generalizzazione astratta» 1. Poiché questa collana è dedicata alle idee del Novecento porrò l'accento sulla «generalizzazione astratta», non già perché consideri l'osservazione dei fenomeni come qualcosa di secondario, ma perché è più facile (o meno difficile) comunicare ai non specialisti idee astratte che non descrivere come tali idee siano nate dall'analisi di fenomeni spesso lontanissimi dall'esperienza comune e tutt'altro che aperti davanti agli occhi. Comincerò dal linguaggio nel quale il libro della natura è scritto, cioè la matematica. Aver capito che essa è 1 A.N. Whitehead, Science and the modern world, Cambridge University Press, Cambridge 1926; ristampa, Fontana Books, s.l. 1975, p. 13.

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la chiave per intendere la natura, almeno la natura dei fisici, è stata probabilmente l'idea più originale di Galileo: da una parte l'osservazione accurata dei fenomeni, sapientemente spogliati dei dettagli contingenti, ha suggerito nuove idee alla matematica (il calcolo differenziale è nato così), dall'altra teorie elaborate per puro interesse intellettuale dai matematici si sono dimostrate inspiegabilmente utili per interpretare fenomeni ignoti al tempo in cui tali teorie sono state inventate. Questa ingiustificabile efficacia della matematica non cessa di sorprenderci2 e ci sorprende tanto più quanto più astratti sono i concetti matematici che l'interpretazione della natura sembra richiedere. Anzi, ormai, come dice ancora Whitehead3, ci siamo abituati ad accettare il paradosso che «le più ardite astrazioni sono le armi con le quali controlliamo i pensieri suggeriti dai fatti concreti». Nel corso del XIX secolo la matematica diventò una scienza molto più astratta e ricca di quanto non fosse stata fino ad allora. Da Galileo fin verso la fine del Settecento essa aveva spesso tratto ispirazione da problemi posti dalla fisica, in particolare dalla meccanica: anzi la differenza fra matematica e fisica era allora mal definita e la stessa persona poteva dare contributi importanti alle due discipline. Verso la fine del Settecento la matematica diviene invece sempre più una scienza autonoma che crea dal suo interno i suoi problemi. Di pari passo con l'introduzione di un rigore ignoto ai secoli precedenti, e con l'analisi della sua stessa struttura logica, la matematica dell'Ottocento scoprì, o per lo meno formalizzò e generalizzò, concetti e strutture noti 2 Vedi E.P. Wigner, The unreasonable e/fectiveness o/ mathematics in the Natural Sciences, in «Communications in Pure and Applied Mathematics», 13 (1960), p. 1. 3 A.N. Whitehead, Science and the modern world cit., p. 49.

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precedentemente solo in casi particolari, come per esempio la teoria dei gruppi, l'algebra e la teoria degli insiemi. Forse ancora più significativa per le applicazioni fisiche future fu la generalizzazione del concetto di spazio il quale, liberato dalla rigida cornice euclidea basata sulla percezione visiva e tattile, fu esteso, al di là delle tre dimensioni tradizionali, ad un numero arbitrario, anche infinito di esse. La geometria entrò nell'Ottocento in un periodo - che dura tutt'ora - di straordinaria creatività, inventando strutture nuove di cui quelle note alla geometria euclidea sono soltanto casi particolari. Stranamente molte di queste strutture, frutto della libera invenzione matematica, hanno fornito il linguaggio necessario a coordinare i fenomeni che i fisici andavano man mano scoprendo confermando così la straordinaria intuizione di Galileo, ben al di là di quanto il grande fiorentino avrebbe mai potuto immaginare. 2. La simmetria Un esempio della efficacia dell'astrazione matematica è il passaggio dall'idea vaga di simmetria al concetto matematico di gruppo che secondo H. Weyl è il più originale fra quelli introdotti e sviluppati dalla matematica dell'Ottocento. Nella concezione comune, che abbiamo ereditata dai greci, l'idea di simmetria è legata a quella di bellezza, di armonia, di giusta proporzione: proprio per questo essa non può non rappresentare una delle idee coordinatrici della scienza la quale «mira a sottomettere i fenomeni a leggi, cioè alla regolarità, alla costanza nel cambiamento, alla logica, all'intelligenza»4 • 4 E. Boutroux, Science et Réligion dans la Philosophie contemporaine, Flammarion, Paris 1908, p. 252.

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Chiunque sa che il cerchio è la figura piana più simmetrica mentre triangoli regolari, quadrati, pentagoni, esagoni regolari sono «un po' meno simmetrici». Vediamo di chiarire queste nozioni vaghe. Nell'idea di simmetria sono presenti due elementi: da un lato l' oggetto che è simmetrico, il cerchio o il quadrato per esempio, e dall'altro le operazioni che possiamo fare sull'oggetto lasciandolo immutato; per esempio una qualunque rotazione del cerchio attorno ad un asse passante per il centro e perpendicolare al piano del cerchio o, nel caso del quadrato, le rotazioni di 90°, 180°, 270° e 360°. In linguaggio preciso parliamo di un insieme I i cui elementi chiamerò E1, Er (I è per esempio il cerchio, gli elementi Er .. sono i punti del cerchio) e di un gruppo G di trasformazioni che chiamerò g1 , gr. che agiscono su I nella maniera seguente: la trasformazione g1 applicata all'elemento E1 lo manda nell'elemento Ek di I, cioè Ek. Concisamente dirò che l'insieme I è simmetrico o invariante rispetto a G se qualunque trasformazione di G manda un elemento di I in un elemento di I. Sia l'insieme I che il gruppo G possono avere un numero infinito di elementi: negli esempi che ho citato sia i punti del cerchio che quelli del quadrato sono infiniti; le rotazioni di G che lasciano invariato il cerchio sono infinite, quelle che lasciano invariato il quadrato sono invece in numero finito. Consideriamo ora un esempio più ricco, il piano che, come sappiamo, è illimitato. E chiaro che il piano resta invariato, cioè immutato, se trasliamo (ossia spostiamo) ogni punto P per un segmento arbitrario a e anche se ruotiamo tutto il piano attorno ad un asse arbitrario perpendicolare al piano. L'insieme di tutte le traslazioni e di tutte le rotazioni è un gruppo, detto gruppo euclideo. Ognuna di queste rotazioni e traslazioni lascia

gA=

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invariata la distanza d(P, P') fra due qualunque punti P, P' del piano. Vorrei ora suggerire di prendere un foglio di carta che rappresenta una porzione di un piano e una matita; segnate sul foglio un punto che chiamiamo O e disegnate sul foglio due rette perpendicolari uscenti da O, una in direzione est e l'altra in direzione nord. Ora applicate a O una traslazione di lunghezza a in direzione est che vi porta a un punto P, poi ruotate nel verso antiorario attorno a O di un angolo di 90°: il punto P va a finire in un punto P' sull'asse diretto a nord che dista da O di una lunghezza a. Ora invertiamo l'ordine delle operazioni: prima ruotiamo attorno a O, dello stesso angolo di prima e questo, naturalmente, lascia O dov'era; poi trasliamo O di un segmento a verso nord e arriviamo al punto P, un risultato diverso da quello che avevamo ottenuto prima (vedi fig. 1). Questo esempio dimostra che l'applicazione successiva (composizione) di due trasformazioni di un grupP'

a

Fig. 1. Rotazioni nel piano (attorno ad un asse perpendicolare al piano) e traslazione. Le due operazioni non commutano

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po (nell'esempio citato una traslazione e una rotazione) dipende in generale dall'ordine con cui le eseguiamo. Dunque un gruppo è una struttura matematica per la quale l'operazione di composizione di due elementi non soddisfa in generale alla regola che abbiamo imparato per il prodotto dei numeri, e cioè che invertendo l' ordine dei fattori il risultato non cambia. Un gruppo è dunque in generale una struttura non commutativa formalizzata solo poco più di un secolo fa e che si è dimostrata straordinariamente utile in fisica. Non è difficile rendersi conto che le relazioni della geometria euclidea piana restano valide se tutti i punti delle figure sono assoggettati a trasformazioni del gruppo euclideo. Viceversa, Felix Klein nella lezione inaugurale del suo corso all'Università di Erlangen ha dimostrato che la geometria euclidea è determinata dal requisito che le sue proposizioni restino invariate rispetto alle trasformazioni del gruppo euclideo, cioè le rotazioni attorno ad un punto e le traslazioni. Più in generale Klein ha dimostrato che ogni geometria (ne esistono altre diverse da quella euclidea) è definita dal gruppo di trasformazioni che lasciano invariate le sue proposizioni, cioè le relazioni fra i vari elementi, punti, rette, angoli ecc. La ragione per cui mi sono soffermato sul concetto di gruppo e sul Programma di Erlangen di Felix Klein è che questo modo di concepire la geometria è stato esteso, prima ancora della fine del secolo XIX, alla fisica la quale, come già aveva intuito Lagrange, può considerarsi come una geometria in uno spazio a quattro dimensioni una delle quali è il tempo. È naturale perciò chiedersi quali siano le trasformazioni che lasciano invariato questo spazio-tempo e le leggi della fisica. Come scrisse Sophus Lie nel 1893, gran parte delle 18

leggi fisiche derivano dalla richiesta che esse siano invarianti rispetto a un dato gruppo di trasformazioni. Questa idea si è dimostrata estremamente fruttuosa e ha rappresentato una delle linee direttrici del pensiero scientifico del Novecento che ha visto nella simmetria e nell'eleganza matematica la giustificazione di una teoria ancor prima che questa ricevesse dalle esperienze la conferma definitiva.

3.

La concezione della natura nell'Ottocento

l. Lo schema concettuale della fisica dell'Ottocento

Per apprezzare i mutamenti che il nostro secolo ha portato nella concezione della natura voglio ricordare brevemente lo schema concettuale della fisica alla fine del secolo scorso. Il secolo XIX, pur non cambiando in maniera radicale la concezione della natura elaborata nei due secoli precedenti, ha però ampliato enormemente la base fenomenologica fondando addirittura due nuove discipline, la chimica e l'elettromagnetismo, ricchissime di applicazioni pratiche. Il quadro concettuale della fisica dell'Ottocento rimane quello definito da Newton nei Principia: lo spazio euclideo assoluto e il tempo, anch'esso assoluto, ambedue dati a priori ma rigorosamente separati, ambedue infiniti, sono la sede nella quale si svolgono i fenomeni dovuti al moto e alle trasformazioni della materia. Né i fenomeni influenzano la cornice spazio-temporale, né questa reagisce sui fenomeni come, per usare un paragone di H. Weyl, gli attori non influenzano lo scenario e questo non determina le loro azioni. 21

È in questo quadro che si ambienta la meccanica classica fondata da Newton e dopo di lui sviluppata nel corso del Sette-Ottocento da Euler, Bernoulli, Lagrange, Laplace, Hamilton ecc. È una costruzione intellettuale di rara bellezza il cui trionfo più spettacolare fu la scoperta del pianeta Nettuno proprio nella posizione prevista dalla teoria. Lo stesso quadro spazio-temporale, rigidamente fissato a priori, sembrava anche permettere di descrivere la complessa fenomenologia ottica ed elettromagnetica che il secolo XIX andava scoprendo e che veniva riassunta, poco dopo la metà del secolo, nelle celebri equazioni di Maxwell. Anche in questo caso la scoperta delle onde elettromagnetiche, prevista dalla teoria, rappresentò la più evidente conferma dell'elettromagnetismo. Anche quest'ultimo, come la meccanica classica, sembrava confermare una concezione deterministica della evoluzione temporale dei fenomeni: noto lo stato di un sistema ad un certo istante e note le forze che agiscono su di esso è possibile determinare lo stato ad ogni istante successivo. La parola stato è definita, nel caso di un sistema di particelle, dall'insieme delle loro coordinate spaziali e delle loro velocità ad un dato istante; la definizione di stato nel caso della dinamica dei fluidi e del campo elettromagnetico è alquanto più complicata e non è necessaria per quanto devo dire nel seguito. Infine, caratteristica della fisica dell'Ottocento è la rappresentazione di tutte le grandezze fisiche con funzioni reali e continue delle coordinate spaziali e del tempo, formulazione matematica dell'antica affermazione «Natura non facit saltus»; le grandezze fisiche possono così essere moltiplicate fra loro e tale prodotto è indipendente dall'ordine dei fattori. Toccherà al nostro secolo scoprire che la solidità di questo schema concet-

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tuale non è così indiscutibile come i nostri predecessori pensavano. 2. J;atomismo Di pari passo con l'indagine dei fenomeni elettromagnetici si sviluppava, essenzialmente per merito dei chimici, la conoscenza della struttura della materia. La vecchia teoria atomica di Democrito e Lucrezio era sempre restata, per così dire, nel subcosciente dei fisici anche se essa mancava, fino agli inizi dell'Ottocento, di una seria verifica sperimentale. I chimici, più saggi dei fisici, non cercarono la verifica della teoria nell'isolare un atomo singolo per misurarne la massa, il diametro ecc., ma piuttosto, da J. Dalton in poi, si accontentarono di dimostrare come, con l'ipotesi che gli atomi esistessero, si poteva rendere facilmente comprensibile la complessa fenomenologia chimica che essi andavano esplorando. Nella seconda metà del secolo, fra i fisici era forse restato solo E. Mach - fisico che si piccava di filosofia - a proclamare che l'atomo era «un ente mentale», un modello matematico al quale non corrispondeva nulla di reale. Alla maggioranza degli altri la fenomenologia chimica ed elettrochimica e l'interpretazione delle leggi della termodinamica sulla base della teoria cinetica dei gas e della meccanica statistica per opera di Maxwell e Boltzmann sembravano prove più che sufficienti per pensare che gli atomi «esistessero». In particolare Boltzmann aveva dato, proprio sulla base dell'ipotesi atomica, una interpretazione convincente e comprensibile di quella misteriosa grandezza, l'entropia, la cui crescita (o meglio, non diminuzione) nei sistemi isolati rappresenta la formulazione matematica del secondo principio 23

della termodinamica. Val la pena di ricordare che per riconciliare le leggi deterministiche del moto dei singoli atomi con l'aumento dell'entropia, Boltzmann aveva dovuto fare appello a considerazioni probabilistiche. Era la prima volta che un concetto così poco deterministico come la probabilità faceva il suo ingresso in fisica. Spiegando il significato dell'aumento dell'entropia, la probabilità spiegava anche quello che tutte le persone normali sanno benissimo e cioè che il tempo scorre in una sola direzione; una cosa banale che però nella meccanica di Newton non rientra facilmente. Già prima di essere stati isolati gli atomi avevano perso la caratteristica di indivisibilità implicita nel loro nome. Da Faraday in poi si cominciò a pensare che la struttura discreta della materia fosse legata alla struttura discreta dell'elettricità e che le particelle negative che intervengono nei fenomeni elettrolitici, nella conduzione metallica e nelle scariche dei gas provenissero dagli atomi. La conferma si ebbe nel 1897 con gli esperimenti diJ.J. Thomson sui raggi catodici che poco dopo condussero a misurare carica e massa della prima particella subatomica, l'elettrone negativo. Iniziava così l'esplorazione del microcosmo, cioè dell'abisso invisibile all'occhio umano che si spalanca quando, con l'aiuto di sofisticate sonde, spingiamo l' osservazione a distanze inferiori a 10- 10 m (un centesimo di milionesimo di centimetro). L'indagine dei fenomeni di questo mondo, sconosciuto fino all'inizio del nostro secolo, ha rivelato la complessità quasi incredibile della costituzione intima della materia e ha dimostrato quanto poco fondate fossero le affermazioni sulla assoluta validità delle leggi fisiche ricavate dall'osservazione dell'universo visibile. 24

3. !}ottimismo scientifico dell'Ottocento Alla fine del secolo XIX era opinione diffusa che la fisica avesse compreso, almeno nelle sue grandi linee, le leggi fondamentali che descrivono il comportamento della materia e che possedesse ormai la chiave per descriverne la struttura. Se non molti erano in grado di apprezzare l'armonia e la profondità della costruzione intellettuale che la scienza proponeva, chiunque poteva però rendersi conto della sua efficacia pratica. Se si pensa che meno di un secolo separa l'invenzione della pila da parte di Volta dall'entrata in funzione delle prime centrali termoelettriche, dei primi motori elettrici e delle prime trasmissioni radio, si comprende perché l'Ottocento si definisse come il secolo dell'elettricità e, in generale, della scienza. Era difficile resistere alla tentazione di credere che la scienza che assicurava un tale dominio sulle forze della natura fosse veramente la scienza della natura; che le leggi che aveva scoperto fossero le leggi della natura e come tali fossero immutabili ed eterne e che il loro carattere deterministico rivelasse una proprietà essenziale della natura, quella cioè di poter venire interamente compresa e prevista. Era difficile resistere all'ottimismo che le benefiche applicazioni della fisica suscitavano e immaginare un futuro in cui sull'albero della scienza sarebbero spuntati frutti amarognoli. A rileggere oggi quanto scrivevano i nostri predecessori del secolo scorso vien fatto di chiedersi se essi avessero mai letto l'Amleto. Avevano esplorato solo il nostro sistema planetario e pensavano di poter estrapolare queste conoscenze all'intero universo che, essenzialmente sulla base di preconcetti filosofici, decretavano infinito ed eterno. Conoscevano qualcuna delle leg-

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gi fondamentali e pensavano che queste bastassero· a spiegare tutti i fenomeni della natura. Ignoravano quasi tutto dei fenomeni collettivi, non conoscevano l' esistenza dei sistemi extragalattici, né i violenti fenomeni che avvengono in cielo. Avevano scoperto l'evoluzione biologica ma non pensavano che anche l'universo e le sue strutture potessero evolvere 1. Toccherà al nostro secolo dimostrare quanto poco fondato fosse l'ottimismo dell'Ottocento e quante più cose ci fossero in cielo e in terra di quante ne immaginassero i filosofi naturali dell'epoca. 1 Alla fine del secolo XXI i nostri successori, leggendo la nostra letteratura divulgativa, faranno considerazioni simili a proposito delle tante illazioni infondate, del nostro ingiustificato ottimismo, della arroganza con cui parliamo dell'istante in cui l'universo è nato ecc.

4.

Spazio, tempo, materia: la relatività

1. «Principio di secol novo» 1 Per una strana coincidenza è proprio il primo anno del secolo XX a segnare l'inizio di una nuova visione della natura. Nel dicembre 1900 M. Planck presenta all'Accademia delle Scienze di Berlino la sua interpretazione dei risultati sperimentali di Rubens e Kurlbaum dalla quale emerge che dopo tutto «Natura facit saltus». Per un quarto di secolo questo risultato, estraneo ali' ortodossia scientifica ottocentesca, turberà i più brillanti ingegni e, quando finalmente verrà interpretato, la fisica non sarà più quella di prima e la natura ci apparirà qualcosa di molto meno meccanico e deterministico di quanto i philosophes del secolo dei lumi e i positivisti dell'Ottocento ci avessero voluto far credere. Prima però di discutere del lavoro di Planck e delle sue conseguenze, voglio parlare dell'altra rivoluzione intellettuale del secolo e cioè della teoria della relatività 1 T. Campanella, Lettera a Galileo, in G. Galilei, ed. naz., val. XVI, p. 337.

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che nella sua prima versione (Einstein 1905) segue di soli pochi anni il lavoro di Planck. La teoria della relatività di Einstein sta alla base di gran parte della fisica del Novecento, ma soprattutto ha introdotto una concezione dello spazio e del tempo che ha profondamente cambiato la nostra visione della natura. Infatti, come dice A.N. Whitehead: «È poco più di una scusabile esagerazione dire che la determinazione del significato della natura si riduce sostanzialmente alla discussione del carattere del tempo e del carattere dello spazio»2 • Da questa discussione è nata una nuova concezione della natura, più astratta, ma più profonda e più armoniosa di quella che da secoli l'intuizione ci aveva resa familiare: una concezione che purtroppo può difficilmente apprezzare chi si aggiri «vanamente per un oscuro labirinto» senza l'ausilio del filo d'Arianna della matematica. 2. Lo spazio e il tempo Dello spazio e del tempo tutti abbiamo una nozione intuitiva non però abbastanza precisa per essere utilizzata in fisica. Del tempo sant' Agostino diceva: «Si nemo a me quaerat, scio; si querenti explicare velim, nescio»3 ; non so cosa sant' Agostino pensasse dello spazio, ma molti, credo, sarebbero d'accordo di includerlo fra i concetti difficili da precisare. Perciò prima di spiegare la rivoluzione che Einstein ha introdotto in questi concetti è necessario dire quale fosse la formulazione pre2 A.N. Whitehead, The concept o/ nature, Cambridge University Press, Cambridge 1920, p. 33. J Sant'Agostino, Confessioni, Libro XI, 15.

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cisa che ne aveva dato Newton e che è stata alla base della fisica fino all'inizio di questo secolo. Newton attribuiva allo spazio e al tempo la qualifica di assoluti, cioè li considerava come qualcosa di dato a priori, fissi e immutabili, indipendenti l'uno dall'altro; per ciascuno di essi vale la geometria euclidea, rispettivamente quella di spazio a tre dimensioni e quella di una retta (a una dimensione) 4 • Ambedue sono infiniti: verso il passato e verso il futuro il tempo; a Nord e a Sud, a Est e a Ovest, in alto e in basso, lo spazio. La geometria della retta che rappresenta il tempo resta invariata se spostiamo l'origine del tempo, per esempio se invece di contare gli anni dalla nascita di Cristo li contiamo dall'Egira (A.D. 622). Diciamo che nulla cambia se a ogni tempo t aggiungiamo o togliamo un qualunque tempo fisso. In linguaggio preciso diciamo che la fisica è invariante rispetto alle traslazioni temporali (cioè non cambia se cambiamo l'origine del tempo). Per individuare un punto dello spazio occorre fissare un sistema di riferimento S cioè dare un punto O e tre rette perpendicolari fra loro nascenti da O: per esempio, O può essere lo spigolo di una stanza e le tre rette quelle definite dall'intersezione di due pareti e di ciascuna di queste con il pavimento. Fissato il riferimento S, ogni punto P dello spazio è individuato da tre numeri (x1, x2, x 1) che rappresentano le distanze, con segni opportuni, dai tre piani definiti da S: le due pareti e il pavimento (vedi fig. 2). Naturalmente invece di S 4 Diciamo che lo spazio in cui viviamo ha tre dimensioni perché occorrono tre numeri per individuare un punto; per esempio le due distanze di esso, con segno opportuno, da due pareti perpendicolari fra loro della stanza in cui leggete e l'altezza dal pavimento. La retta ha una sola dimensione: basta un numero per individuare la posizione di un punto.

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s

.......

:\l:_ O'

I'

3

,P

' :' x3

o

: ,' ------------------------~'

2

x'

x'

Fig. 2.

Le coordinate di P sono (x 1, x2, x3)

possiamo prendere un altro riferimento S' la cui origine è un altro punto O' ottenuto da O con una traslazione e le cui rette perpendicolari sono ruotate rispetto a quelle che definivamo il riferimento S. Nel riferimento S' il punto P è individuato da tre numeri diversi dai precedenti, chiamiamoli (X 1 , X 2 , X3 ). Come sappiamo le proposizioni della geometria euclidea sono invarianti rispetto alle trasformazioni (traslazioni e rotazioni) del gruppo euclideo. Ciò significa che esse mantengono la stessa forma sia che le esprimiamo usando le coordinate (x 1 , x2, x3) del sistema S sia che le esprimiamo usando quelle (X1, X 2 , X 3 ) del sistema S'. Noi siamo abituati a considerare lo spazio e il tempo come due concetti assolutamente distinti, ma se esaminiamo la cosa attentamente ci accorgiamo che è difficile pensare all'uno senza l'altro. Minkowski ha giustamente osservato che nessuno ha mai visto un posto se non a un certo tempo, né ha vissuto un istante se non in 30

un dato posto. «Hic et nunc» dicevano i romani per denotare questa unione tra spazio e tempo; ad essa oggi diamo il nome di evento, caratterizzato da quattro numeri (x1, x:2, x3, t): i primi tre precisano, rispetto ad un dato sistema di riferimento, il posto (hic) e il quarto, t, l'istante (nunc) corrispondente rispetto ad una data origine dei tempi. L'insieme di tutti gli eventi si chiama spazio-tempo ed è chiaramente uno spazio a quattro dimensioni perché i suoi punti (gli eventi) sono caratterizzati da quattro numeri. Sembra un concetto astratto, ma in effetti è la cosa più naturale del mondo, anche se non è in alcun modo visualizzabile. Se vogliamo dare una descrizione geometrica della nostra vita pensiamo ad una curva nello spazio-tempo a quattro dimensioni: ogni punto di questa curva è un evento della nostra vita 5 • Una curva simile descrive il moto della nostra macchina, quello di un satellite; in poche parole tutta la fisica può vedersi come la geometria di questo spazio-tempo. È quello che aveva detto alla fine del Settecento Lagrange. Vorrei dare un suggerimento al lettore. Non faccia alcuno sforzo per visualizzare questo spazio a quattro dimensioni: sono sforzi inutili. Semplifichi invece il problema sopprimendo una delle dimensioni spaziali e si riduca così ad uno spazio a tre dimensioni, due spaziali e una temporale: ottiene così una rappresentazione incompleta ma visualizzabile e sufficientemente espressiva (vedi fig. 3 ). Chiediamoci ora quali siano i cambiamenti del siste-

5 Questa curva dà una descrizione del tutto incompleta della nostra vita: ci dice dove siamo stati, quando. Sulla curva però non si può leggere se quell'evento è stato felice o infelice, se quel posto era bello o brutto. Come ho detto all'inizio, bellezza, felicità ecc. non fanno parte della fisica.

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x'

x'

Fig. 3.

Traiettoria semplificata di una vita

ma di riferimento compatibili con il requisito che le proposizioni della fisica conservino la stessa forma. Certamente una delle trasformazioni è lo spostamento del1' origine del tempo e inoltre le traslazioni o le rotazioni del sistema di riferimento spaziale, poiché in particolare richiediamo che la geometria euclidea resti invariata. La differenza con il caso geometrico sta nel fatto che ora queste rotazioni e traslazioni potrebbero in linea di principio dipendere dal tempo, cioè a dire due sistemi Se S' possono muoversi l'uno rispetto all'altro. Il primo a porsi il problema di quali movimenti relativi di due sistemi di riferimento fossero compatibili con le osservazioni fu Galileo e la soluzione che ne diede è contenuta nel principio che oggi chiamiamo relatività galileiana, la quale era basata sull'osservazione dei fenomeni meccanici6 . Secondo tale principio, verificato la 6 G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, ed. naz., vol. VII, p. 170.

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prima volta sperimentalmente7 da P. Gassendi nel 1640, non è possibile decidere con esperimenti meccanici se il nostro sistema di riferimento sia in quiete o si muova di moto rettilineo uniforme. L'unica cosa che ha senso è il moto relativo di due oggetti non quello assoluto di un solo oggetto. Gassendi fece l'esperienza suggerita da Galileo di lasciar cadere una pietra dall'albero di una nave che si muoveva con velocità uniforme rispetto alla riva in un mare calmo: la pietra cadde, come aveva predetto Galileo, ai piedi dell'albero, come se la nave fosse ferma. Se ne conclude che è impossibile distinguere con esperienze meccaniche lo stato di quiete da uno stato di moto rettilineo uniforme. Attenzione: il moto deve essere rettilineo e uniforme: un moto accelerato è facilmente awertibile non foss' altro per il mal di mare che ci procura (effetto meccanico del liquido nel nostro stomaco) o per l'urto contro lo schienale della macchina al momento di una brusca accelerata. Tradotto in linguaggio preciso questo significa che il principio di relatività impone che le rotazioni (che nel caso della nave corrispondono al rullio e al beccheggio) devono essere indipendenti dal tempo, mentre le traslazioni devono dipendere linearmente dal tempo (cioè essere proporzionali al tempo). Esplicitamente il principio di relatività galileiana significa che le coordinate (x1, x2, x 3, t) e le coordinate (x 1 - v 1t, x2 - v2 t, x 3 -v3t, t + a0 ) dello stesso evento in due sistemi che si muovono l'uno rispetto all'altro con velocità v = (v1, v 2, v 3) sono perfettamente equivalenti. Le trasformazioni che portano da x 1 a x 1 - v 1t ecc. formano un gruppo (cosa che il 7 Vedi A. Koyré, Etudes d'Histoire de la Pensée scienti/ique, Gallimard, Paris 1976, p. 329.

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lettore dovrebbe verificare) che si chiama gruppo di Galileo anche se Galileo non lo disse mai perché non conosceva il concetto di gruppo. La meccanica newtoniana è determinata dalla richiesta che le sue equazioni siano invarianti rispetto alle trasformazioni del gruppo di Galileo allo stesso modo come, secondo Klein (vedi cap. 2) la geometria euclidea è determinata dalla richiesta che le sue proposizioni siano invarianti rispetto al gruppo euclideo. Il gruppo di Galileo determina la struttura dello spaziotempo (l'ambiente della fisica), la quale, oltre a risultare tutt'altro che intuitiva, è, dal punto di vista matematico, assai poco elegante. Ciò deriva dal fatto che lo spazio e il tempo sono trattati in maniera asimmetrica8 nella meccanica classica, nella quale spazio e tempo hanno un ruolo molto diverso. 3. La relatività speciale di Einstein I fenomeni elettromagnetici, essenzialmente sconosciuti fino agli inizi dell'Ottocento, hanno trovato per opera di Maxwell una formulazione teorica completa nel 1873. Sono stati proprio questi fenomeni a suggerire ad Einstein nel 1905 la prima profonda revisione del modello newtoniano dello spazio-tempo. Nelle equazioni di Maxwell compare una velocità e che l'esperienza dimostrò essere uguale alla velocità della luce nel vuoto, e= 3 x 108 m/s. Fu questa coincidenza, a priori inaspettata, a permettere di includere l'ottica fra i fenomeni elettromagnetici e a fornire così 8 Lo spazio-tempo della fisica classica è uno spazio fibrato la cui base è la retta del tempo e le cui fibre sono spazi euclidei tridimensionali.

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la più esplicita conferma della teoria di Maxwell. Come dimostrò una celebre esperienza compiuta da Michelson nel 1879 e in seguito perfezionata nel 1904, la velocità della luce emessa da una sorgente in moto con velocità v è indipendente da v. La velocità della luce appare dunque come la velocità massima con cui si propaga un segnale. Nello schema spazio-temporale newtoniano una tale velocità non trova posto, perché in esso non esiste alcun limite superiore alla velocità. D'altra parte sono proprio i termini delle equazioni di Maxwell contenenti la velocità della luce quelli responsabili dei fenomeni tipici dell'elettromagnetismo quali l'induzione e l'emissione di onde elettromagnetiche. Il problema che si presentava ad Einstein era dunque quello di riconciliare il principio di relatività-l'impossibilità cioè di rivelare un moto rettilineo uniforme che l'esperimento di Michelson dimostra esser valido per tutta la fisica e non solo per la meccanica - con la costanza della velocità della luce, cioè con la violazione dell'invarianza rispetto alle trasformazioni di Galileo che non ammettono nessuna velocità massima. È chiaro anche che l'esistenza di una velocità massima con cui si possono trasmettere segnali è irriconciliabile con lo schema spazio-temporale newtoniano che ammette la possibilità di definire la contemporaneità di eventi separati da qualunque distanza spaziale anche infinita. La modificazione del concetto di contemporaneità rappresenta l'essenza della relatività einsteiniana e della nuova concezione dello spazio-tempo. Contemporaneamente al primo lavoro di Einstein, Poincaré pubblicò una memoria (nei «Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo») in cui diede la formulazione precisa del gruppo di trasformazioni che lasciano invarianti le equazioni di Maxwell. Sono trasforma35

zioni lineari (cioè dipendenti solo dalla prima potenza delle coordinate) fra le coordinate (x1, x:2, x 3, t) e le coordinate (X1, X2, X 3, TI dello stesso evento in due diversi sistemi di riferimento in moto relativo con velocità v; le trasformazioni dipendono dal rapporto (vlc) 2 e sono tali che nel limite in cui e tende all'infinito si riducono a quelle di Galileo. Quindi se si ammette che, non solo le equazioni di Maxwell, ma tutta la fisica sia invariante rispetto al gruppo di Poincaré, le equazioni della meccanica classica (le quali sono invarianti per il gruppo di Galileo) vanno considerate come equazioni approssimate valide solo quando (vicY è molto minore di uno e perciò trascurabile (come si trascurano cento lire rispetto a un milione). In effetti l'osservazione dimostra che per velocità v prossime a e si osservano gli scostamenti dalle relazioni classiche previsti dall'ipotesi che tutta la fisica, dalla meccanica all'elettromagnetismo, sia determinata dal requisito dell'invarianza rispetto al gruppo di Poincaré. È questa ipotesi quella che caratterizza la teoria della relatività speciale di Einstein. La geometria dello spazio-tempo della relatività speciale è quindi diversa da quella immaginata da Newton ed è matematicamente più elegante e concettualmente più soddisfacente di quest'ultima. Infatti l'esistenza di una velocità privilegiata e permette di trattare spazio e tempo sullo stesso piano, associando a un tempo t una distanza x 4 = et. Perciò tempo e spazio non sono più grandezze distinte e incommensurabili come per Newton; conoscendo e ci basta un solo strumento per misurare entrambe9 • Lo spazio-tempo diventa così molto 9 È quello che facciamo quando parliamo di anno-luce, cioè la distanza che la luce percorre in un anno = cx 1 anno= 3 x 108 (m/s) x 3 X 107 s = 9.3 X 10 15 m.

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'più simile' allo spazio tridimensionale in cui viviamo, cioè diventa quello che si chiama uno spazio vettoriale: i suoi punti (eventi) sono individuati da quattro numeri (x1, x2, x 3, x 4 ) che sono tutti lunghezze. Ho detto 'molto più simile' e non analogo, perché la geometria dello spazio-tempo non è uguale a quella dello spazio euclideo tridimensionale. In quest'ultimo qualunque rotazione o traslazione facciate, il quadrato /2 della distanza fra due punti resta invariato. La geometria dello spaziotempo invece è determinata dal gruppo di Poincaré per il quale la distanza spaziale /2 fra due eventi e l'intervallo di tempo che li separa non sono singolarmente invarianti come avveniva per lo spazio-tempo della meccanica newtoniana: solo la combinazione di spazio e tempo data da (x 1)2 + (x2)2 + (x 3)2 - (x 4) 2 rimane invariata (notate che l2 = (x 1)2 + (x 2)2 + (x 3)2). Spazio e tempo risultano così intimamente connessi seppure in maniera non del tutto simmetrica a causa del segno meno davanti a (x4)2. Questo segno meno impedisce di chiamare la combinazione s2 = (x 1)2 + (x2)2 + (x 3) 2 -(x4)2 il quadrato della distanza del punto O di coordinate (o,o,o,o) dal punto P di coordinate (x1, x2, x 3, x 4) perché i quadrati delle distanze sono per definizione positivi, o nulli solo quando i due punti coincidono. Invece s2 , in virtù del segno meno, può essere zero anche se i due punti non coincidono, cioè quando (x 1)2 + (x2)2 + (x 3) 2 = (x4)2 ossia quando /2 = c2t2, il che vuol dire quando la distanza spaziale fra O e P è uguale a quella che la luce percorre nel tempo t. Chi ha pratica di geometria si renderà conto che tutti i punti P che soddisfano a questa condizione stanno sul mantello (a tre dimensioni) di un cono con vertice in O. Questo cono, che si chiama il cono di luce del punto O, separa i punti che stanno all'esterno (s 2 > O), i quali non possono comunicare con O (perché

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la loro distanza spaziale è maggiore di quella che la luce percorre nel tempo t), da quelli interni (s2 < O) che possono comunicare con O con segnali più lenti di c. Il lettore attento vedrà che il semicono per cui x 4 > O rappresenta il 'futuro' di O mentre quello con x 4 < O rappresenta il suo passato (vedi fig. 4). Ho detto più sopra che la distanza spaziale e l'intervallo temporale fra due eventi non sono separatamente invarianti e quindi non hanno un significato oggettivo: solo il quadrato della 'distanza' s2 e quindi il cono di luce s2 = O, combinazione di spazio e tempo, ha un significato indipendente dal sistema di riferimento. Come disse Einstein: mentre Newton affermava «spatium est absolutum, tempus est absolutum», ora possiamo solo affermare: «continuum spatii et temporis est absolutum». Il che vuol dire che la separazione fra spazio e tempo, così profondamente radicata nel nostro modo di pensare, non ha un significato oggettivo, cioè indipendente dalla velocità del sistema di riferimento: quello che ha un significato oggettivo è lo spazio-tempo con le sue quattro dimensioni così difficili da visualizzare. Come vedete è solo l'astrazione a permetterci di comprendere la realtà fisica e di apprezzare l'eleganza della sua rappresentazione matematica. Ho detto dianzi che le equazioni di Maxwell restano invariate (cioè conservano la stessa forma) per le trasformazioni di Poincaré. Questo non vuol dire che i campi elettrici e quelli magnetici restino singolarmente invariati; al contrario, una trasformazione del gruppo in genere mescola i due campi come mescola spazio e tempo. Infine anche la distinzione fra energia e massa non ha significato assoluto, ma l'una si può trasformare nell'altra secondo la celebre relazione E= mc2 che ha ricevuto tante, e non tutte gradevoli, verifiche sperimentali. 38

Fig. 4. Cono di luce. Il mantello del cono con vertice nell'origine delle coordinate è l'insieme dei punti che possono scambiare con l'origine segnali luminosi. I punti interni al cono possono scambiare con l'origine segnali propagantisi a velocità inferiore a quella della luce. I punti esterni al cono non possono comunicare con l'origine (da ].A. Wheeler, AJourney into Gravity and Spacetime)

Vorrei aggiungere un commento: più sopra ho detto che lo spazio-tempo della relatività speciale è matematicamente più 'bello' di quello della fisica newtoniana. Questa maggiore bellezza proviene essenzialmente dal fatto che l'esistenza di una velocità privilegiata, quella 39

della luce, consente di scoprire la profonda simmetria che esiste fra le quattro dimensioni dello spazio nel quale si ambientano le nostre percezioni. Una simmetria che si rivela solo nell'indagine di fenomeni che non fanno parte delle percezioni comuni dalle quali è nata la meccanica newtoniana: fra queste c'erano, è vero, le percezioni luminose, ma l'ottica che a queste aveva pure dato una sistemazione razionale restava, nonostante tanti tentativi, essenzialmente separata dalla meccanica. Solo l'indagine dei fenomeni elettromagnetici, per opera essenzialmente di M. Faraday e di J.C. Maxwell, ha permesso di dare una descrizione interamente coerente dell'ottica e di scoprire il ruolo fondamentale della velocità della luce. Naturalmente questo non spiega perché l'ampliamento del campo fenomenologico conduca ad una immagine della natura più simmetrica ed armoniosa. È solo la constatazione di un fatto che, come avvertivo alla fine del capitolo 1, sembra essere una caratteristica dell'indagine della natura. E neanche posso pretendere che il lettore 'laico' riesca ad apprezzare pienamente la bellezza che si rivela solo al lettore esperto nella matematica, il quale solo riesce a vedere la maggiore eleganza nel gruppo di Poincaré rispetto a quello, un po' sgangherato, di Galileo. Mi accontenterei che il lettore 'laico' si rendesse conto che questa ricerca della simmetria è una delle idee più profonde della fisica del nostro secolo.

4. La relatività generale Lo spazio della relatività speciale, pur essendo con le sue quattro dimensioni abbastanza lontano dall'intuizione comune, ha tuttavia una struttura geometrica 40

semplice: è infatti (quasi) l'analogo in quattro dimensioni di un piano a due dimensioni o dello spazio (a tre dimensioni) che la geometria euclidea ci ha reso familiare. Ma spazi a due dimensioni (due numeri per identificare un punto) sono anche la superficie di una sfera o quella di un uovo. Esistono anche analoghi in tre o più dimensioni della superficie della sfera e di quella dell'uovo che non siamo capaci di visualizzare, il che però non impedisce ai matematici di studiarne la geometria. Questa è assai diversa da quella di Euclide. Per esempio ci hanno insegnato che la somma degli angoli interni di un triangolo del piano vale 180°: questo non è vero per un triangolo disegnato su una sfera per il quale la somma degli angoli è maggiore di 180°. Un'altra differenza è che il piano o lo spazio euclideo sono illimitati e infiniti, mentre la superficie della sfera è illimitata, ma non infinita. Spazi di questo tipo in due o più dimensioni si chiamano curvi (vedi figg. 5, 6). Siamo proprio certi che lo spazio-tempo non sia anch'esso uno spazio curvo e limitato? Vorrei fare notare che non si tratta di una idea bizzarra e senza conseguenze sulla nostra concezione del cosmo. Uno spaziotempo infinito e illimitato come quello della relatività speciale implica quasi necessariamente un universo anch'esso infinito e illimitato nello spazio e nel tempo ed è proprio questa concezione cosmologica quella che ha dominato il pensiero scientifico e filosofico dal Seicento fino quasi agli anni Trenta del nostro secolo: una concezione austera e statica che faceva già dire a Pascal: «Le silence éternel de ces espaces infinis m'effraie». A favore della concezione di una fisica ambientata in uno spazio-tempo piatto, infinito e illimitato, determinato dalla richiesta dell'invarianza rispetto al gruppo di 41

Il Curvatura nulla

Curvatura positiva

Curvatura negativa

Fig. 5. Superfici a due dimensioni: superficie piatta, a curvatura nulla; sfera, a curvatura positiva; sella, a curvatura negativa (da J.A. Wheeler, AJoumey cit.)

B

A

Due geodetiche sulla sfera che partono parallele da A e B e si incontrano in P

Fig. 6.

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Poincaré, stava tutta l'evidenza sperimentale connessa ai fenomeni elettromagnetici. Nonostante ciò, la concezione dello spazio-tempo piatto della relatività speciale non è, dal punto di vista concettuale, soddisfacente. Infatti, mentre sia la relatività galileiana che quella speciale di Einstein ci hanno insegnato l'impossibilità di rivelare una velocità uniforme assoluta (solo quella relativa ha un senso), i moti rotatori (o più generalmente accelerati) danno luogo a fenomeni rivelabili, per esempio quelli dovuti alle forze centrifughe. Ma quando diciamo 'rotazioni' dobbiamo chiederci: rispetto a chi? La risposta di Newton era semplice: rotazioni rispetto allo spazio assoluto, cioè rispetto a un sistema di riferimenti privilegiato. Per Newton è dunque in una proprietà dello spazio che va ricercata l'origine delle forze centrifughe e di altre simili. Ma se lo spazio dà origine a forze che agiscono sulla materia mentre quest'ultima non reagisce in alcun modo sullo spazio, si ha fra spazio e materia una relazione asimmetrica assai poco soddisfacente dal punto di vista logico. Fin dal 1854 Riemann aveva osservato che questa asimmetria fra lo spazio dato a priori, che agisce sulla materia, e la materia che occupa lo spazio lasciandolo immutato è concettualmente insoddisfacente: non ha senso infatti parlare di proprietà dello spazio senza tener conto della materia, né del moto di questa, senza conoscere la struttura dello spazio. Del resto, senza materia non è possibile conoscere la struttura dello spazio, non foss' altro perché senza materia non esisterebbero strumenti per misurare lunghezze e intervalli di tempo e cioè per determinare la struttura metrica dello spaziotempo e, last but not least, perché non esisteremmo neanche noi per parlarne. È più logico pensare che sia la distribuzione della materia a determinare la geome43

tria dello spazio-tempo e che questa a sua volta prescriva l'evoluzione dei fenomeni e in particolare le leggi del moto. Ciò vuol dire superare lo schema concettuale che aveva dominato tutta la fisica da Galileo e Newton in poi: uno spazio-tempo rigidamente fissato a priori, nel quale si svolgono i fenomeni dovuti alla materia, quasi come un dramma che si svolge in uno scenario immutabile. In luogo di questo schema Riemann propone una concezione più profonda e più complessa nella quale materia e spazio-tempo siano inseparabilmente congiunti: l'una determina la struttura geometrica dell'altro e questo a sua volta determina le leggi del moto della pnma. Quando Einstein, poco dopo aver enunciato la teoria della relatività ristretta, tentava di dare una descrizione della gravitazione compatibile con la sua teoria, ignorava il punto di vista di Riemann - che peraltro riguardava solo lo spazio e non lo spazio-tempo - come pure ignorava la geometria differenziale che il grande matematico tedesco aveva sviluppato. Alla teoria della relatività generale, che nella versione finale (1915) implementerà le idee di Riemann, Einstein giunse per una via molto diversa che mostra come la nascita di una teoria fisica sia quasi sempre dovuta ad una stretta interazione fra l'osservazione dei fenomeni e l'ispirazione che la matematica fornisce. Secondo J.A. Wheeler, il primo suggerimento dell'importanza di considerare non solo sistemi di riferimento in moto relativo uniforme, ma anche sistemi in moto accelerato, venne ad Einstein da un incidente a cui assistette quando era impiegato all'Ufficio Brevetti di Berna: «Un giorno del 1908 un imbianchino cadde da un tetto e fortunatamente sopravvisse. Avuta notizia

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dell'incidente Einstein cercò di scoprire che cosa avesse provato il poveretto nel cadere e venne così a sapere che, durante la caduta, l'imbianchino si era sentito del tutto privo di peso» 10 • Il fortunato imbianchino, il cui sangue freddo non possiamo non ammirare, sicuramente non pensava che la sua caduta avrebbe suggerito al suo interrogatore quello che egli, più tardi, definirà «il pensiero più felice di tutta la mia vita» da cui ebbe origine una concezione interamente nuova dello spaziotempo, del cosmo e della sua evoluzione. La perdita di peso provata dall'imbianchino nella sua caduta significa che la forza gravitazionale dovuta all'attrazione della Terra, che nel nostro sistema di riferimento fisso alla Terra interpretiamo come la causa del moto uniformemente accelerato dell'imbianchino, era invece inesistente per lui che utilizzava un sistema di riferimento fisso al proprio corpo in caduta libera. Quello che vale per l'imbianchino vale, come già sapeva Galileo, per ogni corpo, indipendentemente dalla sua massa e dalla sua composizione 11 , il che vuol dire che l'accelerazione che subisce un corpo dipende solo dal campo gravitazionale, cioè dalla forza per unità di massa. Tale campo può annullarsi pur di usare, come involontariamente fece l'imbianchino, un sistema di riferimento in caduta libera. 10 J.A. Wheeler, A ]ourney into Gravity and Space-Time, W.H. Freeman & Co., New York 1990; trad. it. Gravità e Spazio-Tempo, Zanichelli, Bologna 1993. 11 La ragione di questo fatto, peculiare della gravitazione, è l'eguaglianza fra massa inerziale (il coefficiente che moltiplica l' accelerazione) e massa gravitazionale (il coefficiente che moltiplica il campo gravitazionale). L'eguaglianza fra le due masse era stata verificata con grande precisione da R. Eotvos nel 1889. Oggi la precisione è stata molto aumentata: una parte in 10 11 •

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L'eliminazione del campo gravitazionale con l'uso di un sistema di coordinate in caduta libera non può ottenersi globalmente su tutto lo spazio-tempo, a meno che il campo gravitazionale non sia costante. Se invece esso varia da punto a punto occorre, per eliminarlo, usare in ogni punto un diverso sistema di coordinate. Si è così condotti a considerare trasformazioni di coordinate generali (invertibili) che dipendono in maniera continua e differenziabile dal punto, trasformazioni dunque molto più generali di quelle di Poincaré che caratterizzano la geometria della relatività speciale. Ora invece richiediamo soltanto che tale geometria valga in un intorno piccolo di ciascun punto dello spazio-tempo, ma non globalmente, il che, del resto, non era mai stato verificato. La situazione è simile a quella che si ha su una superficie curva bidimensionale, la terra per esempio, la quale, in un intorno piccolo di ogni suo punto, può essere approssimata dal piano tangente in tale punto. Su tale piano vale la geometria euclidea, la quale però non vale globalmente sulla superficie. Similmente, la teoria della relatività generale richiede che le leggi della fisica siano invarianti rispetto a trasformazioni generali delle coordinate dello spazio-tempo. Ciò significa ammettere che la struttura dello spazio-tempo sia meno rigida di quella che avevamo supposto fin qui e sia invece quella di uno spazio curvo la cui curvatura sia determinata dall'effetto gravitazionale della materia. La relatività generale è la prima teoria fisica in cui la struttura dello spazio-tempo non è data a priori, ma va determinata risolvendo un sistema di (complicate) equazioni, dette equazioni di Einstein, che contengono come incognite le grandezze che determinano la geometria dello spazio-tempo e la sorgente del campo gra46

vitazionale 12 • Secondo la teoria della relatività generale, le proprietà geometriche dello spazio-tempo, quali la distanza fra due eventi infinitamente vicini, la curvatura ecc., variano in genere da punto a punto, come avviene in generale sulle superfici curve. Tali proprietà sono la manifestazione geometrica del campo gravitazionale dovuto alla materia: per esempio, la generalizzazione del potenziale gravitazionale di Newton è legata alla distanza fra punti infinitamente vicini e le forze gravitazionali di marea (cioè la variazione del campo gravitazionale per unità di distanza) sono legate alla curvatura dello spazio-tempo 13 • Bene aveva fatto Newton a dire «hypotheses non fingo» sulla causa della gravitazione: essendosi pronunciato in favore di un tempo e di uno spazio assoluti non avrebbe mai potuto trovare nella geometria l'interpretazione della gravitazione. E, del resto, come avrebbe potuto immaginare una geometria diversa da quella euclidea, l'unica nota a suo tempo? Oggi la relatività generale è stata verificata da numerose e accurate esperienze e anzi la deviazione dei raggi luminosi in campo gravitazionale, prevista dalla teoria e ben verificata dalle osservazioni, è diventata uno degli strumenti dell'indagine astronomica (le co12 Precisamente: le equazioni di Einstein sono equazioni alle derivate parziali non lineari che legano le componenti del tensore metrico g, e le loro derivate prime e seconde alle componenti del tensore energia-impulso T, della materia. 0 Per gli esperti: nel limite di campi gravitazionali deboli e di velocità piccole rispetto a quelle della luce, le uniche componenti non trascurabili del tensore metrico g, sono direttamente legate al potenziale newtoniano. Il campo gravitazionale è legato in maniera simile alla connessione di Levi-Civita e, come tale, può essere annullato in un punto con un'opportuna scelta del sistema di riferimento. Le forze di marea sono legate alla variazione della distanza fra la geodetica la quale è dovuta alla curvatura. Queste forze non sono eliminabili con nessuna scelta del riferimento.

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siddette «lenti gravitazionali»). Altre più spettacolari conseguenze quali l'esistenza di buchi neri, oggetti astronomici dotati di strane proprietà, non hanno ancora una conferma sicura anche se la loro presenza nei nuclei delle galassie e come componenti di alcune stelle binarie sembra assai probabile. Delle straordinarie e inaspettate implicazioni cosmologiche e cosmogoniche della relatività generale - del resto previste da Einstein subito dopo l'enunciazione della sua teoria - parleremo più avanti. Qui accennerò solo ad un'altra conseguenza della teoria che è stata recentemente studiata. La teoria della gravitazione di Einstein è per molti riguardi simile a (ma assai più complessa di) quella del campo elettromagnetico. Conseguenza di quest'ultima è l'emissione di onde elettromagnetiche da parte di cariche accelerate. Similmente masse accelerate (per esempio un corpo che ruota rapidamente attorno ad un altro) emettono secondo la teoria di Einstein onde gravitazionali perdendo così energia. Nel caso di una stella in rotazione rispetto ad un'altra si è potuto verificare con incredibile precisione che la perdita di energia è proprio quella predetta dalla teoria. Infine, chiediamoci come mai una proprietà dello spazio così sconcertante come quella di essere curvo non fosse mai stata osservata prima di Einstein. La risposta è semplice: perché non si era mai guardato nei posti giusti e non si erano mai fatti esperimenti sufficientemente accurati per mettere in evidenza gli effetti molto piccoli dovuti alla curvatura dello spazio-tempo. Si tratta di osservare moti rapidi in regioni di spazio dove il campo gravitazionale varia rapidamente da punto a punto. Einstein comprese subito che l'esperimento da effettuare per verificare la curvatura dello spazio era quello di misurare la deflessione che un raggio di luce proveniente da una stel-

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la lontana doveva subire nel passaggio in vicinanza del Sole. Un raggio di luce può infatti essere considerato come un fascio di particelle dotate di una certa energia e quindi soggette all'attrazione del campo gravitazionale del Sole (si ricordi l'equivalenza massa-energia di cui abbiamo parlato a proposito della relatività speciale). In sostanza un campo gravitazionale ha l'effetto di produrre nel vuoto un indice di rifrazione che varia da punto a punto e che quindi produce una deflessione. La deflessione è assai piccola, appena misurabile con la strumentazione disponibile nel 1919: Eddington riuscì tuttavia a misurarla e l'annuncio che diede del risultato in una seduta della Royal Society a Londra nel novembre 1919 rese di colpo celebre Einstein nel mondo intero; il«Times» di Londra, solitamente compassato, annunciava il 7 novembre: «Rivoluzione nella Scienza. Nuova teoria dell'Universo. La concezione newtoniana demolita» 14 . In quel giorno nasceva il mito di Einstein, il primo fisico, dopo Newton, a divenire celebre al di fuori della cerchia degli specialisti. La demolizione della concezione newtoniana di cui parlava - con eccessiva enfasi - il titolo del «Times», si riferisce al fatto che, secondo la relatività generale il campo gravitazionale di una massa sferica si discosta lievemente dalla legge 1/r2 predetta da Newton. Questo significa che le orbite dei pianeti attorno al Sole non sono rigorosamente ellittiche. L'unico caso noto fin dal secolo scorso di un tale scostamento è l'orbita di Mercurio, il cui perielio ruota di 0,43 secondi d'arco al secolo anziché rimanere immobile come prevede la meccanica newtoniana. La relatività generale spiega esattamente il 14 A. Pais, Subtle is the Lord, Oxford 1982; trad. it. Sottile è il Signore, Boringhieri, Torino 1986, p. 327.

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valore del moto del perielio di Mercurio (e questa fu la prima conferma della teoria); da solo però l'effetto non avrebbe potuto suggerire un mutamento così drammatico della nostra concezione dello spazio. La storia dell'evoluzione dei concetti di spazio e di tempo da Newton ad Einstein è un esempio di come l'ampliamento dei fenomeni osservabili possa costringerci ad abbandonare un modello semplice suggerito dalla percezione immediata in favore di un modello astratto molto lontano dalla intuizione comune. Le definizioni di tempo e di spazio di Newton e il modello di universo che ne discendeva, sebbene assai diversi da quelli della filosofia scolastica, che per secoli avevano dominato il pensiero europeo, non ebbero troppa difficoltà ad essere assimilati, fin dalla metà del Settecento, dalle persone colte; ciò era dovuto al fatto che tali concezioni si esprimevano nel linguaggio matematico, relativamente familiare, della geometria euclidea. Il modello di spazio-tempo proposto, ormai più di ottant'anni fa, da Einstein, nel quale spazio e tempo non solo perdono la loro oggettiva individualità ma anche la rigidità e assolutezza proprie della geometria euclidea, non sembra invece destinato ad una rapida assimilazione proprio perché è esprimibile solo in un linguaggio matematico sconosciuto ai più. Questa perdita di comprensibilità è parzialmente compensata dalla scoperta che la struttura matematica dell'ermetico modello einsteiniano è molto più simmetrica, generale e armoniosa di quella dello sgraziato modello newtoniano. Non è affatto evidente perché ermeticità ed eleganza matematica debbano accompagnarsi, ma, poiché questo dello spazio-tempo non è un caso isolato, è possibile che fra le due qualità esista una vera correlazione.

5.

Le umili origini della meccanica quantistica

La meccanica quantistica e la teoria della relatività (nelle sue due versioni), che sono le due idee centrali del nostro secolo, illustrano i due aspetti che A.N. Whitehead considerava come caratteristici del pensiero scientifico, e cioè l'interesse per i fatti precisi da un lato e l'amore per la generalizzazione astratta dall'altro. Da quest'ultima è nata la teoria della relatività, mentre la meccanica quantistica ha origine proprio dall'interesse per i fatti preclSl.

l. Lo spettro del corpo nero La struttura dello spazio-tempo era un problema astratto e generale che non poteva non suscitare l'interesse dei filosofi 1 . Il problema da cui ebbe origine la meccanica quantistica fu invece un fatto specifico di quelli che qualunque filosofo poteva solo qualificare come privo 1 Si veda per esempio E. Cassirer, Substance and Function and Einstein's Theory o/ Relativity, Dover, New York 1953; Albert Einstein Philosopher and Scientist, a cura di A. Schilp, Tudor, New York 1951.

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di interesse generale. Il problema era questo: determinare come la densità di energia elettromagnetica all'interno di una cavità, un forno cioè, si ripartisce fra le varie frequenze. Tutti sanno che quando la temperatura del forno è bassa, il forno appare nero anche se sappiamo che esso è riempito di radiazione infrarossa o di frequenza ancora più bassa (microonde). Quando la temperatura aumenta, il forno comincia a diventare rosso e poi, alla fine, addirittura bianco. Ricordiamo che il colore della luce (anche di quella che non si vede come le microonde o i raggi infrarossi o quelli ultravioletti) è una misura (imprecisa) di quella grandezza che i fisici chiamano frequenza: bassa per microonde (103 Hertz o 106 Hertz), più alta per i raggi infrarossi, ancora più alta per la luce rossa e per i raggi ultravioletti (10 15 Hz). In un forno a temperatura 2 assoluta T la radiazione elettromagnetica non è distribuita uniformemente su tutte le frequenze: il problema di Planck era quello di determinare questa legge di distribuzione, un problema nel quale era davvero difficile scorgere qualche implicazione filosofica profonda. Ali' epoca in cui Planck cominciò ad occuparsi di questo problema molti fatti erano noti. Misure accurate avevano dimostrato che l' energia totale nella cavità aumenta come la quarta potenza della temperatura assoluta, indipendentemente dal materiale della parete (legge di Stefan-Boltzmann), e che l'energia per unità di volume e per unità di frequenza tende a zero al tendere all'infinito della frequenza (legge di Wien). Per calcolare la distribuzione di energia fra le varie frequenze si poteva supporre che l' energia elettromagnetica contenuta nella cavità fosse 2 T indica la temperatura assoluta: T di Celsius.

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= 273 + temperatura in gra-

emessa dagli elettroni degli atomi delle pareti e che, a temperatura costante, gli elettroni emettessero tanta energia quanta ne assorbissero. L'energia emessa da un elettrone si può calcolare secondo la teoria elettromagnetica schematizzando l'elettrone in un atomo come un oscillatore cioè come una carica elettrica che oscilli, come un pendolo, attorno ad una posizione di equilibrio. La distribuzione dell'energia che si ottiene con questo modello è rappresentata da una legge dovuta a Rayleigh e Jeans. Queste previsioni teoriche si dimostrarono in completo disaccordo con le misure sperimentali: la teoria prevedeva che la densità di energia per unità di frequenza fosse proporzionale alla temperatura (in disaccordo con i risultati di Stefan-Boltzmann) e che crescesse con il quadrato della frequenza il che, sommando su tutte le frequenze, darebbe una energia totale infinita. Planck aveva fiducia nei fatti particolari e nella fattispecie nelle misure precise dei suoi due colleghi di Berlino, Rubens e Kurlbaum: analizzando queste misure si accorse che esse potevano accordarsi con la legge di Stefan-Boltzmann e con quella di Wien pur di supporre che la distribuzione avesse una forma del tutto incompatibile con le previsioni della teoria classica. In particolare si doveva supporre che l'energia di un oscillatore di frequenza v, anziché poter assumere qualunque valore come prevede la teoria classica, potesse solo avere i valori hv, 2hv, 3hv ... dove h, che si chiama costante di Planck, è uguale per tutti gli oscillatori e vale 6.55 x 10-34 J x s. Si noti che per un oscillatore macroscopico, come per esempio un pendolo normale, con frequenza di 1 Hz la differenza fra due livelli contigui nhv - (n 1) hv = 10-34 J è troppo piccola per essere osservabile. La costante di Planck, sconosciuta alla fisica classi53

ca, era destinata a dominare l'esplorazione del microcosmo, iniziando così una nuova epoca della fisica. Pochi se ne accorsero (ma Planck ne era ben cosciente), considerando la formula di Planck niente più che una relazione empirica senza significato particolare. Se ne accorse, pochi anni dopo, Einstein: egli dimostrò che la distribuzione di Planck si spiega ammettendo che la cavità sia occupata da un 'gas' di particelle indistinguibili di massa nulla (fotoni) distribuite fra tutte le frequenze v, cioè fra tutte le energie hv, in modo tale che alle basse frequenze l'energia sia proporzionale alla temperatura, ma tenda a zero quando la frequenza tende ad infinito. Dunque, non solo bisognava accettare che l' energia di un oscillatore variasse per intervalli discreti, ma si doveva anche ammettere che la luce, che tutti avevano imparato a scuola essere un fenomeno ondulatorio, ora tornava ad essere, come era stata un tempo, una radiazione corpuscolare, o meglio un ibrido di onde e corpuscoli. E sempre in quel suo miracoloso anno 1905, Einstein dimostrava anche che la bizzarra idea dei fotoni permetteva di interpretare il fenomeno della fotoelettricità e inoltre che la variazione per salti discreti del1'energia di un oscillatore dava un'ottima spiegazione dell'andamento dei calori specifici alle basse temperature, problema che aveva già turbato Maxwell. Sembrava davvero non esserci più fine ai salti che la natura si diverte a fare.

2. Il modello planetario dell'atomo Ai problemi suscitati dalla radiazione del corpo nero presto se ne aggiunsero altri, tutti provenienti da quel1' appassionato interesse per i fatti particolari. Il primo 54

fatto particolare era quello, scoperto da H. Becquerel (1896), delle misteriose radiazioni penetranti emesse da certi atomi, subito battezzati radioattivi. Ora, come ho detto nel capitolo 3, J.J. Thomson aveva dimostrato che tutti gli atomi, opportunamente stimolati, possono emettere elettroni carichi negativamente e quindi devono contenere anche delle cariche positive affinché la carica totale dell'atomo sia nulla. Nel 1911 Rutherford pensò di utilizzare le radiazioni penetranti scoperte da Becquerel, e abbondantemente studiate da Madame Curie, per analizzare la distribuzione delle cariche positive negli atomi. Scoprì così che la carica positiva è concentrata in un nucleo con un raggio di circa 10- 14 m (cioè circa diecimila volte più piccolo del raggio atomico) e con una massa praticamente uguale a quella dell'atomo. Gli elettroni, che J.J. Thomson aveva dimostrato esistere nell'atomo, dovrebbero ruotare attorno al nucleo per effetto dell'attrazione elettrica, come i pianeti attorno al Sole. Poiché l'attrazione fra cariche positive e negative ha la stessa dipendenza dal raggio dell'attrazione fra il Sole e i pianeti, parlare di modello planetario dell'atomo sembrava quindi del tutto giustificato. L'esperimento di Rutherford aveva anche permesso di misurare la carica del nucleo atomico che risultò essere un multiplo intero Ze della carica e dell'elettrone. Il numero Z indica dunque il numero degli elettroni planetari e risulta strettamente legato al numero che indica la posizione dell'atomo nella tabella di Mendeleev. Sembrava dunque che il modello planetario potesse spiegare le proprietà chimiche degli atomi e forse anche la complessa fenomenologia degli spettri atomici. Tuttavia si capì presto che le cose non erano così semplici.

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3. Il modello di Bohr

Il modello planetario dell'atomo suggerito dall' esperimento di Rutherford era però incompatibile con tutta la fenomenologia atomica. Innanzitutto il modello non poteva spiegare la stabilità degli atomi. Infatti, secondo le leggi dell'elettromagnetismo, una carica accelerata emette radiazioni elettromagnetiche: le orbite degli elettroni perciò non avrebbero potuto essere stabili e gli elettroni sarebbero in brevissimo tempo precipitati, spiraleggiando, sui nuclei3. La seconda difficoltà era rappresentata dagli spettri atomici cioè dalla distribuzione fra le varie frequenze (colori) della luce emessa dagli atomi quando sono scaldati (o, più generalmente, eccitati). Si tratta in generale di una serie di frequenze ben definite, dette righe, caratteristiche dei singoli atomi4 • Sono questi spettri i fenomeni che ci permettono di studiare la struttura degli atomi. Essi ci dicono che tale struttura è dominata dalla discontinuità come si vede in particolare nell'atomo di idrogeno per il quale la frequenza delle righe è data con straordinaria precisione da una formula scoperta empiricamente da Balmer, nella quale intervengono solo numeri interi (vedi fig. 7). Ora, uno spettro a righe è incompatibile con il modello planetario secondo il quale l'energia elettromagnetica emessa da un elettrone su un'orbita ellittica dovrebbe avere una distribuzione continua di frequenze. La stabilità dell'atomo e la discretezza degli spettri condusse' Il problema non si pone ovviamente per i pianeti che non essendo carichi non emettono alcuna radiazione. 4 Forse il lettore avrà osservato che un granello di sale (cloruro di sodio) quando cade su un fornello a gas produce una luce gialla di una frequenza ben definita v = 0.51 x 10 15 Hz, la riga gialla del sodio.

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Fig. 7.

Spettro del!' atomo di idrogeno

ro N. Bohr a introdurre nel 1913 due postulati ingiustificabili nell'ambito della fisica classica: a) Ogni atomo è caratterizzato da una successione discreta di livelli energetici E1 , E2 , E3 ... In condizioni normali l'atomo si trova nel livello di energia più bassa, E1 , ma se viene perturbato, per esempio scaldandolo, può portarsi in uno dei livelli eccitati E2 , E3 ... dai quali dopo brevissimo tempo (circa 10- 10 s) ritorna al livello più basso, emettendo un fotone. b) Le frequenze angolari vii delle righe spettrali di un atomo sono caratterizzate da una coppia (i, j) di numeri interi e sono legate alle energie E 1 , E2 , .•. dei livelli energetici dalla relazione

In questa relazione h è la stessa costante introdotta da Planck nello studio dello spettro del corpo nero, e da Einstein per interpretare l'effetto fotoelettrico. I postulati di Bohr furono wnfermati sperimentalmente daJ. Frank e G. Hertz che, bombardando gli atomi con elettroni, osservarono l'eccitazione dei livelli energetici di un atomo e le righe emesse nelle transizio-

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ni fra questi livelli. Come abbiamo detto più sopra, i postulati di Bohr non trovano spiegazione nella fisica classica secondo la quale l'energia può assumere ogni valore e non soltanto valori discreti. L'unica conclusione che si doveva trarre era dunque l'inapplicabilità della fisica classica ai fenomeni connessi alla struttura dell'atomo. Bisognava ammettere che, almeno all'interno dell'atomo «Natura facit saltus», e abbandonare il sogno che le leggi scoperte dall'osservazione dei fenomeni macroscopici fossero le leggi universali della natura, valide ovunque: rinuncia per molti penosa. Per la prima volta l'uomo, grazie ai raffinati strumenti di indagine che aveva sviluppato nel corso dell'Ottocento, era in grado di osservare un mondo fino ad allora del tutto invisibile, una regione della natura che, a tutti gli effetti, fino ad allora non esisteva. Non c'era dawero ragione di attendersi che gli invisibili personaggi di questo mondo, gli elettroni, i fotoni, i nuclei, si comportassero come le mele che cadono, i pianeti che ruotano, i pendoli che oscillano. Nessuna ragione se non la mancanza di fantasia e l'arroganza di credere di aver già scoperto la verità definitiva. 4. La natura spettrale Il lettore non familiare con il linguaggio dei fisici, che aprendo a caso questo libro s'imbatte nella parola spettroscopia, cioè visione di spettri, può trarne l'idea che i fisici vogliano dare ad intendere che proprio dallo stretto commercio con queste spettrali creature hanno appreso la loro bizzarra maniera di pensare. Questo lettore non ha interamente torto. Gli spettri sono, per i pochi che credono di averli vi58

sti, esseri del tutto reali dai quali si possono ricevere messaggi per lo più oscuri, ma che, talvolta, si dice, abbiano indicato l'esistenza di tesori nascosti. Per i comuni mortali, invece, gli spettri sono puro frutto della fantasia, privi di esistenza reale: anzi neppure possono dirsi di appartenere al mondo dei fenomeni perché sono invisibili ai più. In un certo senso questo è anche vero degli spettri di cui parlano i fisici e del mondo dell'atomo e dei suoi costituenti che tali spettri rivelano ad essi e ad essi soltanto. Questo mondo non appartiene alla comune fenomenologia, ma può solo essere evocato con l'ausilio di delicate, e ai più inaccessibili, apparecchiature (il buio aiuta, come per i fantasmi). Il linguaggio con il quale tali spettri comunicano agli iniziati, le righe spettrali appunto, o la curva continua del corpo nero, è assolutamente incomprensibile ai comuni mortali ed è decodificabile solo attraverso complicati ragionamenti matematici che ai più sembrano celare volutamente la connessione con il messaggio fenomenologico iniziale, le famose righe. Ma proprio seguendo questo sottile cammino matematico i fisici giungono a scoprire tesori di ineffabile bellezza. Naturalmente l'analogia fra gli spettri che abitano i castelli scozzesi e gli spettri atomici (o subatomici) dei fisici è soltanto superficiale: gli uni e gli altri sono per i più non-fenomeni. Ma, mentre la realtà degli spettri dei castelli è documentata soltanto dalla letteratura gotica e i tesori che in tali romanzi essi talvolta rivelano non risulta siano mai stati depositati in banca, gli spettri fisici, al contrario, sono perfettamente riproducibili, evocabili cioè a piacere, da chiunque possegga le apparecchiature necessarie. I tesori, poi, che sono stati trovati seguendo i suggerimenti delle righe spettrali o di altri

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1 3 ~ ~ - -...........- - - - - - - - ~

12 11

10

3

2

2000

2345678910

15

20

Fig. 8. La distribuzione spettrale teorica della intensità della radiazione di corpo nero. Sulle ascisse sono riportate le lunghezze d'onda (proporzionali alt' inverso delle frequenze) in unità di 10- 7 m; sulle ordinate le intensità in unità convenzionali. I numeri sulle curve indicano le temperature assolute. Come si vede, all'aumentare della temperatura il massimo della distribuzione si sposta verso le lunghezze d'onda minori (da M. Born, Atomic Physics, Blackie and Son Ltd., London-Glasgow 1958, p. 245)

più criptici indizi, sono perfettamente commerciabili: si chiamano transistors o cristalli liquidi, laser o molecole dagli impronunciabili nomi o, ahimè, bombe nucleari. È dunque difficile dubitare della realtà di questa invisibile natura spettrale anche se è altrettanto difficile, per l'uomo comune, comprendere l'ammirazione che desta

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nei fisici la 'visione' di questa natura invisibile e la contemplazione della sua straordinaria varietà e del suo ordine misterioso. All'inizio di questo libro avevo parlato della natura dei fisici: ebbene di essa fa parte anche questa natura spettrale nascosta agli occhi dei più ma non meno bella e armoniosa di quella che tutti possiamo ogni giorno ammirare. Una natura che si è rivelata la prima volta all'uomo del nostro secolo attraverso quegli spettri che, nonostante siano qualche volta emessi da corpi neri, non hanno nulla di gotico e che, come vedremo, ci hanno insegnato una nuova possibilità di pensiero (vedi fig. 8).

6.

Una nuova possibilità di pensiero: la meccanica quantistica

1. La fine di un'illusione La teoria della relatività e la meccanica quantistica rappresentano le più alte vette del pensiero scientifico del nostro secolo, ma difficilmente si potrebbero immaginare due teorie dalle origini e dagli sviluppi più diversi. Sia la relatività speciale che quella generale hanno avuto ciascuna come punto di partenza e come motivazione un solo fatto sperimentale: la costanza della velocità della luce per la prima, il principio di equivalenza per la seconda. Ambedue sono dovute alla meditazione solitaria di una sola persona e, sebbene ciascuna di esse abbia avuto rapidamente la conferma dell'esperienza, la loro influenza sullo sviluppo della fisica è venuta solo dopo più di un decennio. Ben diverso è il caso della meccanica quantistica nata in un contesto fenomenologico ricchissimo di fatti e di dati precisi dai quali, nel giro di pochi anni, la teoria ebbe precise e numerose conferme. Dire che la nascita della nuova meccanica sia stata un'impresa collettiva è probabilmente esagerato anche se è vero che il problema della meccanica atomica era, già poco dopo il 1920,

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al centro degli interessi scientifici delle scuole di Monaco, di Gottingen e di Copenhagen (e di altre minori) e che l'idea della inadeguatezza della meccanica classica a descrivere i fenomeni atomici cominciava a diffondersi fra i fisici più accorti. È pure vero che la meccanica quantistica non nacque armata e completa come la relatività dalla testa di Einstein, ma venne invece alla luce, in una straordinaria intuizione di Werner Heisenberg, in una notte del luglio 1925 nella desolata isola di Helgoland, appena abbozzata nelle sue grandi linee. Subito a completare questo primo abbozzo di teoria che conteneva già gli elementi essenziali della nuova meccanica si misero all'opera Dirac, Born, Jordan e, naturalmente, Niels Bohr. Intorno agli anni 1922-24 era ormai diventato chiaro che 'i fatti precisi' rivelati dall'indagine dell'atomo richiedevano per la loro interpretazione l'intervento della 'generalizzazione astratta'. A ventiquattro anni Werner Heisenberg era pronto a fornire generalizzazione e astrazione in dosi che risultarono, per molti, difficili da digerire. Addirittura - la modestia non è, di solito, la virtù dei giovani - egli proponeva una 'nuova possibilità di pensiero' 1 che molti, come vedremo, non erano disposti ad accettare. Dal suo grande Maestro all'Università di Monaco A. Sommerfeld, Heisenberg aveva imparato fin dove la fisica classica poteva aiutare a interpretare le strane proprietà degli atomi e da N. Bohr, a Copenhagen, aveva appreso a rendersi conto della inadeguatezza dei concetti della meccanica classica a fornirci una descrizione 1 W. Heisenberg, Mutamenti nelle Basi della Scienza, Einaudi, Torino 1944, p. 13. Si tratta di una raccolta di saggi pubblicati negli anni Trenta su varie riviste.

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degli eventi atomici. O, se vogliamo generalizzare, aveva imparato che quello che fino ad allora avevamo letto nel libro della natura non era una descrizione di tutta la natura, ma un modello approssimato della natura valido solo nell'ambito dei fenomeni dai quali era stato derivato, che non avevamo, però, diritto di estendere al di là di tale ambito. Quanto a noi, se vogliamo spingere fino alle estreme conseguenze gli insegnamenti che i fenomeni atomici ci hanno dato, dobbiamo dire addio alla speranza di riuscire mai a scoprire «le vrai système du monde». Lo comprese subito Einstein quando, al giovanissimo Heisenberg che gli esponeva la sua teoria, disse: «Se le sue idee fossero giuste dovremmo limitarci a parlare solo di quello che conosciamo della natura e non più di quello che la natura realmente fa». Proprio questa era la nuova possibilità di pensiero che Heisenberg proponeva, la rinuncia cioè all'illusione di cui Einstein doveva restare l'ultimo, grande sostenitore2 • Heisenberg poneva alla base della nuova visione della natura che si preparava a formulare, la consapevolezza che «l'estensione dell'indagine scientifica a nuovi campi di esperienza avviene ben diversamente che applicando ad oggetti nuovi i principi precedentemente noti» 3 • Egli intuì che il mutamento che occorreva introdurre nella meccanica classica non era una modifica delle leggi del moto, quanto piuttosto la rinuncia a qualche concetto inverificato, ma tacitamente assunto. Più tardi Heisenberg dirà che la inevitabilità di questa rinuncia gli era stata ispirata dallo studio della relatività di Einstein che egli già conosceva ancor prima di entra2 W. Heisenberg, Physics and Beyond, Harper and Row, New York 1971, p. 68. 3 W. Heisenberg, Mutamenti nelle Basi della Scienza cit., p. 24.

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re all'università: «Il centro della teoria della relatività speciale è la constatazione che la contemporaneità di due eventi in differenti luoghi è un concetto problematico. Similmente per la teoria dei quanti è della massima importanza la constatazione che non è sensatamente possibile parlare simultaneamente di una precisa posizione e di un preciso impulso di una particella»4 •

2. Il principio di indeterminazione È questo il contenuto del principio di indeterminazione che Heisenberg espose, due anni dopo il suo primo articolo sulla meccanica quantistica, in un celebre lavoro del 1927, uno dei testi classici della letteratura scientifica del Novecento5 • In questo articolo egli dedusse dal formalismo della meccanica quantistica, che egli stesso aveva introdotto due anni prima, il significato fisico intuitivo (anschaulich) della nuova meccanica. Formalmente il principio di indeterminazione è espresso dalla celebre diseguaglianza ,1q · i1.p '?.

1 h

2

(1)

2n

dove ,1q e i1.p sono rispettivamente l'incertezza nella misura della posizione q e quella della misura dell'impulso p di una particella. La diseguaglianza (1) non dice che non si possa misurare con assoluta precisione la posizione q o la componente dell'impulso p (l'impulso è il prodotto della massa per la velocità). Afferma solo che Ivi, p. 51. W. Heisenberg, Uber der anschaulichen Inhalt der quantentheoretische Kinematik und Mechanzk, in «Zeitschrift fiir Physik» (1927), pp. 172-198. 4

5

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non si può raggiungere una precisione infinita nella misura contemporanea di q e p: tanto più precisa è una delle due misure, tanto più è necessariamente imprecisa l'altra. Vorrei invitare il lettore, anche quello che prova una violenta avversione per ogni formula, a meditare su questo principio di indeterminazione dall'espressione così sconcertantemente semplice. Vorrei che egli si rendesse conto come l'apparizione di questo principio sulla scena della fisica abbia rappresentato la fine di una concezione della natura che aveva dominato la scienza per più di tre secoli. Ha significato la fine di un'illusione, di poter raggiungere una conoscenza completa della natura, o quella che si credeva dovesse essere una conoscenza completa, e quindi la fine dell'illusione di una previsione sicura dell'evoluzione futura di un sistema fisico. Ricordiamo infatti che, secondo la meccanica classica, il calcolo della traiettoria di una massa puntiforme richiede la conoscenza esatta della sua posizione e del suo impulso all'istante iniziale, proprio quella conoscenza che il principio di indeterminazione nega possa essere mai raggiunta. Il determinismo di Laplace che garantiva di poter predire l'avvenire dell'universo dalla conoscenza delle posizioni e della velocità iniziale ricevette dal lavoro del giovane Heisenberg un brutto colpo. Non deve meravigliare che la limitazione imposta dal principio di indeterminazione al prodotto delle incertezze ,1q e t1p non fosse stata osservata nella fisica classica. Infatti nelle misure effettuate su sistemi macroscopici il prodotto delle incertezze sperimentali nelle misure di q e p è sempre molto maggiore di h: nulla però portava a pensare - specialmente chi non pensava troppo - che non si potesse immaginare di effettuare misure infinitamente precise. Soltanto alla scala atomi67

ca si ha a che fare con prodotti ,1q . .1p dell'ordine di h ed è perciò proprio qui che per la prima volta si sono scoperti i limiti di validità dei concetti classici. Come ha dimostrato Heisenberg esaminando una serie di esperimenti ideali6, la radice del principio di indeterminazione sta nel fatto che qualunque osservazione su di un sistema fisico - per esempio l'osservazione della sua posizione - perturba necessariamente il sistema in maniera che l'osservazione di qualche altra grandezza -l'impulso nell'esempio citato -è in generale affetta da un errore, tanto maggiore quanto più grande è la precisione della misura della posizione. Il valore minimo del prodotto delle due incertezze non può essere minore di h. P.A.M. Dirac ha fatto osservare che il principio di indeterminazione permette di dare un significato assoluto all'affermazione che un sistema è 'grande': lo è se la perturbazione dovuta alle misure può essere trascurata rispetto agli errori sperimentali. Nella meccanica classica si supponeva tacitamente di poter ridurre a piacere la perturbazione inerente all'osservazione e perciò 'grande' e 'piccolo' erano solo concetti relativi dipendenti dalla 'delicatezza' con cui si effettua l'osservazione. Il principio di indeterminazione stabilisce un limite a questa delicatezza e quindi permette di dare un significato assoluto a 'grande' e 'piccolo'. Un esempio servirà a chiarire questo concetto. Consideriamo due sistemi fisici apparentemente simili: un pianeta che si muove nel campo gravitazionale del Sole e un elettrone che si muove nel campo coulombiano di un protone (cioè un ato6 W. Heisenberg, Die physikalischen Prinzipien der Quantenmechanik, Leipzig 1930; trad. it. I principi fisici della teoria dei quanti, Einaudi, Torino 1948.

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mo di idrogeno). Il campo di forza che agisce nei due casi ha la stessa dipendenza dalla distanza (pianeta-Sole o elettrone-protone): in ambedue i casi la forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Fin qui le analogie fra i due sistemi. La differenza fra i due casi sta nel fatto che il sistema planetario è 'grande' nel senso di Dirac, mentre l'atomo di idrogeno è 'piccolo', cioè il sistema planetario resta essenzialmente indisturbato dall'osservazione, mentre l'atomo di idrogeno è alterato in maniera essenziale. Heisenberg ha infatti dimostrato7 che per osservare l'orbita di un elettrone in un atomo dovremmo usare una radiazione di frequenza, e quindi di impulso, così grande che l'elettrone verrebbe espulso dall'atomo. Il concetto di orbita di un elettrone in un atomo non ha dunque senso perché è inosservabile. Peccato, perché era un concetto intuitivo e a molti spiace rinunciarvi.

3. La matematica della meccanica quantistica È interessante esaminare, sia pure superficialmente, come la struttura matematica della fisica classica differisca da quella della meccanica quantistica. Questo da un lato ci consentirà di illustrare quanto sia importante definire chiaramente i concetti che stanno alla base di ogni teoria fisica e dall'altro ci fornirà un esempio di quella inspiegabile efficienza della matematica nelle scienze della natura. Dal punto di vista fenomenologico, caro a Heisenberg, un sistema fisico è descritto, sia in meccanica classica che quantistica, dalla misura di grandezze fisiche a 7

Ivi, p. 42 della traduzione italiana.

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ognuna delle quali corrisponde un ben determinato strumento di misura. Chiameremo «osservabile» l'oggetto matematico che rappresenta un particolare strumento di misura e chiameremo «stato» del sistema l' oggetto matematico che determina i valori medi delle osservabili. Consideriamo il più semplice sistema fisico cioè una particella che si muova lungo una retta in un potenziale dato, per esempio un oscillatore. Questo sistema è descritto da due grandezze fisiche, la posizione q e l'impulso p. Ogni altra grandezza, l'energia per esempio, è una funzione di q e di p. È chiaro che in meccanica classica e in quella quantistica le osservabili q e p sono oggetti matematici molto diversi. Secondo la meccanica classica q e p possono essere ambedue misurati con infinita precisione ad ogni istante, e sono così rappresentabili con funzioni continue e differenziabili del tempo. I valori di p e q ad un dato istante definiscono lo stato del sistema classico. La situazione in meccanica quantistica è diversa. Infatti il principio di indeterminazione ci dice che q e p non possono essere misurati contemporaneamente con infinita precisione e che il prodotto delle loro incertezze soddisfa il principio di indeterminazione di Heisenberg. Egli ha dimostrato che questa relazione implica che la posizione q e l'impulso p non possono essere rappresentati da oggetti matematici il cui prodotto commuti, cioè tali che il prodotto qp sia uguale a pq come avviene per i numeri (invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia, ci hanno insegnato a scuola) o per le funzioni reali del tempo della meccanica classica. Quando Amleto ha ricordato al buon Orazio che esistono più cose in cielo e in terra di quanto la filosofia avesse mai sognato, aveva sottovalutato l'immaginazio70

ne dei matematici. Questi già nell'Ottocento avevano inventato degli oggetti matematici per i quali si può definire un prodotto non commutativo. Oggetti del genere sono per esempio le trasformazioni di un gruppo come le rotazioni e le traslazioni nel piano di cui abbiamo parlato nel capitolo 2, ma altri se ne possono costruire, per esempio le tabelle di numeri (che si chiamano matrici), per le quali si può definire anche la somma (quest'ultima è commutativa, cioè a + b = b + a, mentre il prodotto in genere non lo è, cioè ab è diverso da ba). L'insieme di tali oggetti, opportunamente definiti, si chiama un'algebra non commutativa. Heisenberg ha dimostrato che se si definisce il prodotto delle p e delle q con la relazione qp - pq

= i !!_,

2n dove h è la costante di Planck e i= v-1_, e se si definiscono opportunamente le incertezze L1p e ,1q, si ottiene il . determmaz10ne . . A A,-, 1 h • . . d'1 m f amoso prmc1p10 DP · '-"1 ;::: - - . 2 2n Naturalmente anche lo stato del sistema non può essere rappresentato dai valori di q e p poiché questi non possono essere misurati simultaneamente. Lo stato potrà solo determinare la probabilità che q e p abbiano determinati valori. La probabilità diviene dunque un elemento essenziale della teoria e in questo senso il determinismo della meccanica classica è perso. Tuttavia l'evoluzione temporale dello stato è retta, come ha dimostrato E. Schrodinger, da un'equazione deterministica, la famosa equazione di Schrodinger. Quello che ho detto nel caso dell'oscillatore può essere esteso ad altri sistemi. In particolare si può dimostrare che i valori del1'energia di un oscillatore sono quelli postulati da Planck e i livelli dell'atomo di idrogeno quelli postulati

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da Bohr. Ma, mentre Planck e Bohr introducevano questi valori discreti ad hoc, ora essi discendono dalle regole di commutazioni dell'algebra delle osservabili. La struttura algebrica dell'insieme delle osservabili era un concetto ignoto alla fisica prequantistica: la sua introduzione ha aperto alla nostra visione della natura nuovi, astratti orizzonti, la cui bellezza richiede, per essere apprezzata, un certo allenamento. 4. Il buon Dio /orse gioca davvero ai dadi

La meccanica quantistica rappresenta, ancor più che la teoria della relatività, un cambiamento radicale del modo di guardare la natura. Infatti la fisica prequantistica non aveva posto sufficiente attenzione al ruolo degli strumenti di misura nella determinazione della teoria. Invero Laplace poteva fondare la sua concezione deterministica sulla ipotesi della possibilità di conoscere con assoluta precisione la posizione e la velocità di ogni particella dell'universo. Una visione filosofica fondata su una ipotesi che non potrà mai essere implementata in pratica, anche prescindendo dalle limitazioni quantistiche, appare di scarso valore scientifico addirittura già nell'ambito della fisica classica. Anche in questo caso, come a maggior ragione nel caso quantistico, la critica di Heisenberg al determinismo laplaciano appare del tutto ragionevole e ormai quasi ovvia. Heisenberg lo afferma perentoriamente: «Nella formulazione più restrittiva della legge di causalità - se conosciamo il presente possiamo calcolare il futuro - non è la conclusione che è sbagliata, è la premessa». Il punto di vista che Heisenberg ha introdotto nella fisica è invece strettamente fenomenologico: nella de72

scrizione della realtà non dobbiamo introdurre grandezze per la cui misura non possiamo dare alcuna prescrizione concreta. Perciò egli scriveva all'amico W. Pauli a proposito della prima formulazione della meccanica quantistica: «tutti i miei poveri sforzi sono diretti ad eliminare il concetto di orbita [degli elettroni nell'atomo] e a sostituirlo opportunamente»; sostituirlo cioè con quantità osservabili come le energie degli stati stazionari, per le quali esiste un metodo concreto di misura come dimostrato dalla esperienza di Franck e Hertz, e le probabilità di transizioni. In questa nuova concezione della conoscibilità della natura perde senso il chiedersi cosa sia la natura in sé: l'unica domanda lecita è chiedere come a noi, con i mezzi di osservazione di cui disponiamo, appaia la natura. Era a questo soggettivismo, per il quale il ruolo dell' osservatore non può essere trascurato, che Einstein si rifiutava di aderire, un soggettivismo che contraddiceva i fondamenti stessi della filosofia naturale stabiliti da Newton. Perciò Einstein, che pure aveva tanto contribuito alla nascita della teoria dei quanti, fu subito il più fiero e acuto oppositore della meccanica quantistica come teoria che proponeva una nuova e più limitata concezione della nostra possibilità di conoscere la natura, concezione che va sotto il nome di interpretazione di Copenhagen, dove era nata all'ombra di N. Bohr. Era evidente per Einstein che il principio di indeterminazione dimostrava la natura probabilistica della nuova meccanica. E se quest'ultima era addirittura una legge della natura se ne doveva concludere, come scherzosamente disse Einstein, che il buon Dio avesse preso a modello, per dettar ordine alla natura, il gioco dei dadi, dominio incontrastato della probabilità. Neppure il buon Dio 73

dunque potrebbe sapere quale valore si otterrà nella misura di un'osservabile di un sistema in un certo stato; anche Lui deve contentarsi in genere di poter conoscere solo la probabilità di ottenere un dato valore. L'unica consolazione è che l'evoluzione dell'ampiezza di questa probabilità evolve in maniera deterministica secondo l'equazione di Schrodinger. Con Einstein altre personalità di primo piano come Louis de Broglie - che per primo diede una formulazione ondulatoria della meccanica analitica - ed E. Schrodinger - il quale, quasi contemporaneamente a Heisenberg, propose una teoria chiamata meccanica ondulatoria, equivalente dal punto di vista matematico alla meccanica quantistica - anch'essi, dicevo, rifiutarono di accettare l'interpretazione di Copenhagen della nuova fisica. Naturalmente nessuno di questi scienziati negava i successi della meccanica quantistica, ma ritenevano quest'ultima solo uno stadio intermedio dopo il quale il determinismo della fisica classica sarebbe di nuovo tornato ad essere il fondamento della filosofia naturale. Questo atteggiamento di rifiuto continuò per lungo tempo e neppure oggi è del tutto scomparso. Tuttavia, nessuna teoria alternativa è stata interamente sviluppata. I modelli più coerenti propongono che le limitazioni alla precisa conoscenza del microcosmo provengano dal non tener conto di certe 'variabili nascoste' le quali, quando saranno scoperte e misurate, permetteranno di definire completamente lo stato del sistema e quindi di predirne con certezza l'evoluzione futura. In tempi relativamente recenti (1964),J. Bell, in un'analisi profonda delle implicazioni della meccanica quantistica (sulla quale aveva gravi riserve), dimostrò che ogni teoria (locale) fondata sull'esistenza di 'variabili nascoste' dove-

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va condurre a certe diseguaglianze le quali in certe circostanze possono essere invece violate se la meccanica quantistica è valida. Gli esperimenti necessari a verificare le diseguaglianze di Bell sono estremamente difficili: quelli fatti fino ad ora e in particolare quelli più raffinati e convincenti di Aspect e dei suoi collaboratori sembrano dimostrare che le diseguaglianze di Bell sono in effetti violate, confermando così la validità della meccanica quantistica. Il problema, di grande importanza concettuale, non può però considerarsi interamente risolto. Come sempre avviene in fisica l'unicità di una teoria è generalmente indimostrabile; tuttavia, se un giorno l'interpretazione di Copenhagen dei fenomeni del microcosmo si dovesse dimostrare errata ciò avverrà, penso, non per effetto di una teoria deterministica fondata sull'esistenza di variabili nascoste, ma su qualcosa che oggi ci è del tutto sconosciuto. Con buona pace di Einstein sembra proprio che il buon Dio si diverta a giocare ai dadi: almeno per ora. All'inizio del capitolo avevo menzionato alcune differenze fra la teoria della relatività e la meccanica quantistica: voglio ora sottolinearne un'altra che ha la sua radice nella natura probabilistica e nella impossibilità di prescindere dal ruolo dell'osservatore che stanno alla base della meccanica quantistica. Mentre la teoria della relatività fu quasi immediatamente compresa dai fisici, almeno da quelli, e non furono pochi, che fecero lo sforzo di studiare gli articoli di Einstein, anche oggi, dopo quasi settantacinque anni dalla sua formulazione, «nessuno ancora comprende la meccanica quantistica»8 , co8 R.P. Feynman, The Character o/ Physical Law, trad. it. La legge fisica, Boringhieri, Torino 1971, p. 148.

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me afferma il fisico americano R.P. Feynman che alla meccanica quantistica, e in particolare alla formulazione relativistica della elettrodinamica, ha dato contributi di eccezionale importanza. La causa ultima della difficoltà di comprendere la meccanica quantistica sta nel1' ambiguità del ruolo dell'osservatore: da una parte esso va considerato come un sistema macroscopico e quindi descrivibile con la fisica classica, dall'altra nel processo stesso di osservazione entrano in gioco probabilmente fenomeni quantistici. La meccanica quantistica ci obbliga ad affrontare il problema che anche noi, che vorremmo descrivere la natura come osservatori obiettivi di essa, siamo parte della natura.

5. Le applicazioni della meccanica quantistica Nonostante le difficoltà concettuali della meccanica quantistica, essa si dimostrò subito uno strumento straordinariamente efficace per interpretare la complessa fenomenologia atomica e molecolare. La stabilità degli atomi fu spiegata come conseguenza del principio di indeterminazione e tutti i fenomeni connessi con l'emissione di radiazioni da parte di atomi e di molecole furono interpretati, esattamente nel caso dell'atomo di idrogeno, nei loro aspetti essenziali, per atomi più complessi, grazie all'applicazione dei principi di simmetria, particolarmente semplice a causa della struttura lineare dello spazio degli stati di un atomo. La meccanica quantistica non specifica di per sé la simmetria degli stati di un atomo con molti elettroni rispetto allo scambio di due qualunque di essi. L'ipotesi che tali stati siano antisimmetrici, cioè cambino di segno rispetto a tale scambio - che è la formulazione ma76

tematica del principio di esclusione di Pauli - permise di interpretare il sistema periodico degli elementi di Mendeleev e quindi di porre le basi qualitative per una interpretazione dei fenomeni chimici, in particolare del legame della molecola di idrogeno e di altre molecole simili. In rapida successione furono spiegate la conduzione elettrica e termica dei metalli, le proprietà dei semiconduttori, quasi tutti i fenomeni della fisica della materia condensata e perfino le peculiarità di certe stelle estremamente dense chiamate 'nane bianche' che per molto tempo erano restate un enigma. La meccanica quantistica fu presto estesa a sistemi con infiniti gradi di libertà come il campo elettromagnetico: la teoria che ne derivò, chiamata elettrodinamica quantistica, che tiene conto della relatività speciale, permise di spiegare con straordinaria precisione tutti i fenomeni originati dall'interazione fra particelle cariche e il campo elettromagnetico. La teoria permise a Dirac di predire l'esistenza di elettroni positivi, antiparticelle di quelli negativi, la loro creazione da parte del campo elettromagnetico e la loro annichilazione, ed anche di giustificare la proprietà di antisimmetria degli stati con più elettroni. Proprio questa proprietà è all' origine della stabilità della materia, inspiegabile nell'ambito della meccanica classica a causa del carattere attrattivo sia delle forze gravitazionali, sia di quelle elettromagnetiche fra particelle di cariche opposte. Non discuterò le verifiche sperimentali della meccanica quantistica che è probabilmente la teoria fisica meglio verificata specie oggi che lo sviluppo della spettroscopia laser ha reso possibile effettuare esperienze prima ritenute impossibili. Neppure parlerò delle applicazioni pratiche a cui la meccanica quantistica ha dato luogo: con una certa (ma non eccessiva) esagerazione

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un noto fisico americano asseriva che quasi il 20% del prodotto interno lordo americano è riconducibile alla meccanica quantistica. Forse basterà dire che da quest'ultima dipende il funzionamento del transistor e quasi tutta l'elettronica moderna senza la quale non funzionerebbero gli attuali televisori, la maggior parte delle reti di comunicazione, i calcolatori, le sonde spaziali e neppure le moderne automobili. Se la prova del budino sta nel mangiarlo, si può tranquillamente affermare che la meccanica quantistica ha passato l'esame a pieni voti.

6. La ricerca del Santo Graal Poco dopo la formulazione della meccanica quantistica ebbe inizio lo studio sperimentale della struttura del nucleo atomico la cui esistenza era stata dimostrata da Rutherford nel 1911. Il nucleo è estremamente denso, circa 10 14 g/cm3 (la densità dell'acqua è, per confronto, 1 g/cm3 ), è diecimila volte più piccolo dell'atomo e contiene protoni e neutroni, particelle, queste ultime, simili ai protoni ma neutre, delle quali fino al 1932 non si conosceva l'esistenza. Lo studio della struttura del nucleo e dei suoi costituenti ha occupato l'attività di buona parte dei fisici durante tutta la seconda metà del nostro secolo: esso ha rivelato la straordinaria e insospettata ricchezza di fenomeni che si celano nelle profondità del microcosmo, i quali si manifestano quando il nucleo è bombardato con proiettili (di solito gli stessi protoni e gli elettroni) accelerati ad energie altissime. Si tratta, dunque, di fenomeni creati in un certo senso artificialmente quando si producono nella materia condizioni di temperatura e densità lontane dall'equilibrio, le quali 78

permettono l'esistenza per tempi brevissimi di numerose particelle che subito dopo (10~ - 10-20s) si disintegrano. Non è mia intenzione rifare la storia di questa indagine che, del resto, ha fatto l'oggetto di numerosi libri di divulgazione e di innumerevoli articoli di giornali. La vera novità emersa da queste ricerche è che la stabilità dei nuclei e le interazioni fra le varie particelle che si producono bombardandoli sono prevalentemente dovute a forze di due tipi, chiamate deboli e forti, prima totalmente ignote, la cui azione si estende solo a distanze dell'ordine del raggio nucleare (l0- 14 m). Ancora una volta la natura si è rivelata molto più complessa di quello che pensavamo quando ci illudevamo che le uniche forze fossero quelle gravitazionali ed elettromagnetiche, o quando credevamo che le sole particelle elementari (i veri atomi) fossero i protoni e gli elettroni. Se questi ultimi sembrano ancora indivisibili, si è scoperto che essi hanno almeno due fratelli più pesanti e più effimeri e tre più leggeri accoliti neutri (neutrini). Quanto ai protoni sappiamo che elementari non sono certamente ma sono composti da strane particelle, i quarks, di cui si conoscono sei varietà, le cui cariche elettriche sono frazioni della carica dell'elettrone, e che fino ad ora non si è riuscito ad estrarre dai protoni e dai neutroni: della elementarietà dei quarks non vi è al momento alcuna prova sicura e nessuno si stupirebbe troppo se domani si dimostrasse che anch'essi sono costituiti di altre particelle e così all'infinito. In poche parole, non sappiamo se i veri atomi indivisibili immaginati dagli antichi filosofi esistano o no. Nonostante l'enorme massa di informazioni sperimentali accumulata e il grande sforzo interpretativo manca ancor oggi, dopo più di sessant'anni di attivissi79

me ricerche, una teoria completa dei fenomeni subnucleari. Ciò non vuol dire che non sia emerso un quadro interpretativo il quale, se anche non può dirsi definitivo, ha tuttavia messo in luce, da una parte la relazione che lega le diverse forze fondamentali, e dall'altra il meccanismo che le fa apparire tanto diverse. Anzitutto è stato scoperto che le interazioni deboli, responsabili della emissione di elettroni e neutrini dai nuclei (i raggi~' come erano un tempo chiamati), e le interazioni elettromagnetiche sono aspetti diversi di un'unica interazione più fondamentale, detta elettrodebole, un po' come le forze elettriche e quelle magnetiche sono state unificate da Maxwell nella teoria elettromagnetica. Le conseguenze di questa teoria elettrodebole sono state abbondantemente verificate. In maniera simile anche le interazioni forti - a cui si deve, fra l' altro, la stabilità dei nuclei - sono state inquadrate in una teoria generale a cui si dà il nome di cromodinamica quantistica. Il colore a cui fa riferimento questo nome non ha nulla a che fare con alcunché di visibile, ma indica piuttosto i gradi di libertà interni dei quarks non direttamente legati alla posizione nello spazio-tempo. La teoria che descrive queste proprietà (il nome tecnico è «teoria di gauge») peculiari della materia subnucleare è, sotto l'aspetto matematico, simile alla relatività generale e rappresenta un passo ulteriore verso una geometrizzazione della fisica. Al di fuori di questa unificazione delle forze della natura resta la gravitazione per la quale non si conosce una teoria quantizzata come l'elettrodinamica quantistica o la cromodinamica. Non è escluso che la gravitazione entri nella descrizione del microcosmo a energie altissime

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o equivalentemente a distanze estremamente piccole, nelle vicinanze di quella misteriosa lunghezza di Planck I, = ~ - 10-35 m nella quale entrano la costante della gravitazione G, la costante di Planck h e la velocità della luce c. Forse la revisione del concetto di spazio, proposta da E. Witten, potrà consentire la quantizzazione delle interazioni gravitazionali (cioè dello spazio-tempo), oltre a permettere di unificarle alle altre interazioni. Un aspetto nuovo di queste ricerche è la mancanza di una teoria matematica sufficientemente sviluppata per descrivere adeguatamente queste idee. Come ai tempi di Newton, occorre creare il linguaggio matematico per descrivere una fisica ancora largamente ignota e in questa difficile impresa matematici e fisici hanno ritrovato il legame che un tempo li univa. Una seconda e più grave difficoltà deriva dalla mancanza di conoscenza dei fenomeni che avvengono a distanze molto più piccole di quelle attualmente - e, per quanto ne sappiamo, anche nel futuro - accessibili alla sperimentazione. Sono proprio queste le regioni dello spazio-tempo che occorrerebbe esplorare per verificare la nuova teoria (quando sarà precisamente formulata). Forse le uniche verifiche potrebbero un giorno venire da osservazioni astronomiche di oggetti così lontani da essersi formati nei primissimi istanti di vita dell'universo quando la temperatura (cioè l'energia) e la densità della materia erano enormemente più alte di quelle raggiungibili oggi in laboratorio; o forse dalla scoperta di qualche relitto archeologico di quell'epoca lontana. Le immense difficoltà di formulare e di verificare una teoria coerente dei fenomeni subnucleari alle pie81

colissime distanze - parliamo di 10-35 m - pone per la prima volta alla scienza il problema se esista un limite alla nostra possibilità di raggiungere mai il 'Santo Graal' della conoscenza completa della natura. Lohengrin che di Graal si intendeva ci ha avvisato che esso si trova «im fernem Land unnahbar euren Schritten» (in terre lontane irraggiungibili da noi). È quell"irraggiungibili' che ci fa pensare e fa pensare i governi che cominciano ad avere qualche dubbio sull'opportunità di continuare a finanziare il viaggio di esplorazione verso quella terra lontana.

7. Le ricadute della conoscenza del microcosmo Se per microcosmo intendiamo l'atomo e tutto ciò che sta all'interno di esso, le ricadute pratiche della conoscenza dei fenomeni che avvengono in esso sono state semplicemente enormi. Come ho già detto tutta la chimica, tutta l'elettronica con i suoi annessi e connessi dipende da queste conoscenze. Qui però voglio occuparmi delle ricadute della fisica nucleare e subnucleare, cioè della scienza che si occupa dei fenomeni legati alla conoscenza della struttura di quel nucleo densissimo con un raggio dell'ordine di 10-14 m e dei suoi componenti. Per l'indagine dei fenomeni di questo mondo i fisici hanno dovuto sviluppare apparecchiature e metodi di misura estremamente raffinati che hanno trovato applicazioni in molti campi: l'elettronica ultraveloce, larisonanza magnetica nucleare, la luce di sincrotrone ecc. sono alcuni ovvi esempi. Non intendo però soffermarmi su questo tipo di ricadute certo utilissime, ma forse - come sostengono gli oppositori della fisica subnu82

cleare, e sono molti e autorevoli - non tali da giustificare l'enorme costo di quel tipo di ricerche. Non è possibile invece non accennare a due ricadute, l'una di grande importanza concettuale, l'altra di più dubbia valutazione. La conoscenza della struttura dei nuclei e delle interazioni fra i loro costituenti non solo ha permesso di spiegare il meccanismo che regola la produzione di energia delle stelle, la loro evoluzione e la produzione da parte loro di nuovi elementi chimici, ma anche di interpretare altri fenomeni del macrocosmo quali l'esplosione delle supernovae, le strane proprietà delle stelle a neutroni, e addirittura di descrivere, almeno nelle grandi linee, l'evoluzione dell'universo e la trasformazione della materia. Di applicazioni pratiche della fisica nucleare tutti conoscono, e pochi apprezzano, la bomba, nelle sue due versioni. Quanto alle applicazioni pacifiche della energia nucleare (di fissione) le speranze iniziali di grandi benefici si sono dimostrate troppo ottimistiche in parte per un fenomeno di rigetto (non del tutto incomprensibile) per tutto quanto porta l'aggettivo nucleare. Infine le più aweniristiche prospettive di illimitate quantità di energia ottenibili dalla fusione (il fenomeno che produce l'energia delle stelle e fa esplodere le bombe H) restano per il momento solo prospettive. Forse le 'sorti' non sono poi tanto magnifiche e progressive e non è detto che la conoscenza della natura continui a portare anche nel futuro, come ha fatto nel passato, ad applicazioni vantaggiose per l'umanità.

7.

Il tempo riprende possesso dell'universo

1. L'astronomia è l'unica scienza comunicabile?

È difficile dire quante fra le idee del Novecento che ho discusso fin qui siano realmente entrate a far parte del patrimonio culturale dell'uomo comune. A parte una diffusa ammirazione per il genio di Einstein la relatività significa ben poco per la maggioranza delle persone; se molte persone colte hanno probabilmente sentito dire che il determinismo dell'epoca dei lumi è morto, credo pochi sappiano la causa della sua presunta, e ampiamente esagerata, morte, e meno ancora sappiano che cosa l'ha sostituito. La difficoltà della diffusione della nuova visione della natura è dovuta in gran parte al fatto che i fenomeni che le hanno dato origine sono in larga misura prodotti artificialmente in laboratorio e restano quindi inaccessibili alla comune esperienza. Ben pochi hanno visto uno spettro atomico, nessuno ha mai visto il nucleo di un atomo o i suoi elettroni né ha mai avuto modo di constatare l'impossibilità di definire la simultaneità di due eventi.

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L'unica eccezione è quella dei fenomeni astronomici che da secoli hanno destato l'ammirazione degli uomini. Se pochi hanno potuto osservare con i loro occhi una galassia, moltissimi ne hanno visto e ammirato la fotografia in giornali o riviste. E se pochi si interessano alla simultaneità o al determinismo, l'origine e l'evoluzione delle stelle e del cosmo sono argomenti che esercitano un indubbio fascino, non fosse altro perché tutti hanno ammirato qualche volta il cielo stellato. Sarà magari solo questione di nomi, ma è certo che i buchi neri interessano assai più dei neutrini, della loro massa e delle loro oscillazioni. In questo capitolo voglio accennare alla nuova visione del cosmo che il nostro secolo ha elaborato sulla base di una fenomenologia che, grazie allo straordinario sviluppo degli strumenti di osservazione, è immensamente più ampia di quella dei secoli precedenti. 2. !.:astronomia dell'Ottocento La cosmologia del secolo XVIII, nata dalla fisica newtoniana, era essenzialmente statica e ripetitiva: un universo spazialmente infinito, eterno nel tempo, retto da leggi immutabili, anzi da un'unica legge, che neppure conosceva il verso del tempo, la gravitazione universale, che governa il moto dei pianeti, satelliti e stelle, anche se queste ultime, per le loro immense distanze, apparivano immobili, senza struttura e di incerta costituzione. È solo nel secolo XIX che nasce l'astronomia stellare, o, per usare il linguaggio di Galileo, che fisica celeste e fisica terrestre si identificano. Il perfezionamento dei telescopi permise di effettuare le prime misure della distanza delle stelle (Bessel 1830) e qualche

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decennio dopo, grazie allo sviluppo della spettroscopia,

J. von F raunhoffer e Padre Secchi iniziarono i primi studi sulla composizione della materia delle stelle. Questi oggetti che Newton pensava splendessero perché composti di una speciale materia 'luminifera' risultarono invece essere composti degli stessi elementi che si trovano sulla Terra 1 . Se le stelle sono fatte di materia normale ad esse possono applicarsi le leggi della fisica e ha perciò un senso preciso chiedersi come mai la materia delle stelle, sotto l'effetto della sua stessa gravità, non collassi su se stessa. Inoltre, occorre cercare quale è la sorgente della energia stellare, in particolare di quella solare e, poiché nessuna sorgente finita può generare eternamente energia, ci si può domandare quanto a lungo questa sorgente di energia possa durare senza variazioni considerevoli. Il primo problema fu risolto applicando al gas stellare (essenzialmente idrogeno) i metodi della termodinamica: sotto l'effetto della gravitazione il gas si comprime e la sua pressione perciò aumenta fino a bilanciare la pressione centripeta della gravitazione. In questo processo il gas si riscalda fino a raggiungere all'interno temperature elevatissime2 • Questo modello estrema1 Anche la scoperta di uno spettro sconosciuto attribuito a un elemento caratteristico della materia solare e subito battezzato elio rappresentò la più convincente conferma dell'unità della materia del cosmo. Infatti, poco dopo, l'elio venne trovato anche sulla Terra e quindi sparì quella che poteva sembrare una peculiarità della materia stellare. 2 L'energia gravitazionale di una stella sferica di raggio R, di mas-

sa M è a

c;

2

dove a è una costante dell'ordine di uno che dipende

dalla distribuzione della materia e G è la costante di Newton. Il teorema del viriale stabilisce che l'energia cinetica degli atomi di massa m sia uguale a metà dell'energia gravitazionale. Perciò la temperatura

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mente semplice e basato su leggi sicure consente di dare una descrizione soddisfacente delle condizioni di equilibrio di un sistema autogravitante. In linea di principio il modello fornisce anche, come suggerì Lord Kelvin sulla fine del secolo scorso, un meccanismo per la produzione di energia: è la stessa energia gravitazionale che facendo contrarre la stella ne riscalda il gas il quale così emette luce. L'emissione di energia fa diminuire la temperatura e quindi la pressione: per ristabilire l'equilibrio la stella si contrae e il processo si ripete fino a che, in teoria, il raggio della stella si riduce a zero. Lord Kelvin calcolò quanto a lungo l' energia gravitazionale del Sole avrebbe potuto assicurare alla Terra condizioni climatiche tali da permettere il mantenimento e l'evoluzione della vita sulla Terra. Con grande sua gioia (Lord Kelvin non credeva alla teoria di Darwin ed anzi aveva sviluppato il suo modello proprio per confutarla), il calcolo dimostrava che l'energia gravitazionale poteva mantenere stabile l'erogazione di energia di una stella soltanto per poche decine di milioni di anni e non era perciò in grado di assicurare alla Terra un clima sufficientemente stabile per i tempi lunghi richiesti dall'evoluzione. Più tardi Kelvin si convinse che occorreva cercare qualche altro meccanismo di produzione perché non solo l'evoluzione biologica (che non credo egli abbia mai accettato), ma anche l'età delle rocce radioattive richiedevano davvero una vita molto più lunga per il Sole e le altre stelle. L'Ottocento aveva così posto, ma non risolto, il pro-

= !_ M kT dove k è la costante di 2 2 m Boltzmann e m la massa dell'atomo di idrogeno. Per il Sole M - 1030 kg, R = 108 m, T risulta dell'ordine di 107 ° K. T soddisfa la relazione !!_ GRM2

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blema della sorgente del!' energia stellare e con ciò stesso aveva introdotto un cambiamento radicale nella concezione del cosmo. Da oggetti immutabili ed eterni composti di materia particolare, le stelle erano diventate alla fine del secolo colossali masse di materia normale autogravitante destinate necessariamente a morire al termine di una lunga esistenza luminosa. Del resto il cosmo stesso sembrava destinato, come suggeriva la legge del!' aumento del!' entropia, ad una triste sorte, la morte termica (Warmetodt), uno stato di uniforme disordine dal quale nulla avrebbe mai potuto richiamarlo in vita. Così l'Ottocento, che con il secondo principio della termodinamica aveva ritrovato la direzionalità del tempo, riscopriva anche nei cieli l'evolvere del tempo: un concetto ancora vago, certamente, che il nostro secolo svilupperà in direzioni che i nostri predecessori non avrebbero in alcun modo potuto prevedere.

3. /__;evoluzione dell'universo Che l'universo sia un sistema in continua evoluzione non solo nei suoi componenti, stelle e galassie, ma anche nel suo complesso; che esso abbia avuto un inizio ed evolva verso un destino ancora ignoto; che la materia di cui esso è composto si sia trasformata nel corso dell'evoluzione: sono queste le grandi idee che il nostro secolo ha scoperto e che lentamente cominciano a divenire elementi essenziali della nostra immagine della natura. Immagine che si è venuta arricchendo di nuovi fenomeni, primo fra tutti la scoperta di numerosissimi sistemi stellari, le galassie - esterne, ma simili alla nostra galassia, la ben nota Via Lattea, dalla quale le altre sem89

brano continuamente allontanarsi. Ne viene l'immagine di un universo dinamico anziché stazionario, finito nello spazio e nel tempo, sede di fenomeni di quasi inimmaginabile violenza, dominato sì dalla gravitazione come i nostri predecessori pensavano, anche se da una gravitazione assai più sofisticata di quanto essi immaginassero, ma la cui storia è stata determinata da tutte le interazioni fondamentali che conosciamo e forse, chissà, anche da altre che ci sono ancora ignote. Quasi senza accorgermene ho introdotto la parola chiave, storia: storia dell'universo, storia delle sue strutture, e persino storia della materia. Perché anche la immutabilità e la perennità della materia è un altro idolum che il nostro secolo ha infranto scoprendo che anch'essa muta nel tempo e che nessuno degli atomi che conosciamo esisteva all'inizio del tempo. Cosa esistesse allora possiamo solo immaginarlo cercando di non dimenticare il sano scetticismo di Amleto.

4. La produzione di energia nel Sole Cominciamo dall'evoluzione stellare. L'Ottocento, conoscendo solo la gravitazione e l'elettromagnetismo, non riusciva a spiegare i tempi lunghi richiesti dalla biologia e dalla geologia. La scoperta nel mondo subnucleare di altre forze ha fornito la chiave della lentezza dell'evoluzione stellare la quale è determinata non dalla gravitazione, ma dalla combustione degli elementi, in prevalenza idrogeno, che compongono la stella. È un esempio che mostra come campi fenomenologici lontanissimi si illuminino a vicenda: «tout se tient». Come ho detto nel paragrafo 2, la temperatura nella regione centrale può raggiungere una decina di milioni 90

di gradi; l'idrogeno si scompone perciò nei suoi costituenti, cosicché si ha un plasma di protoni (i nuclei dell'idrogeno) e di elettroni. In queste condizioni le energie cinetiche dei protoni sono sufficientemente elevate perché quattro protoni possano trasformarsi in un nucleo di elio liberando una energia sufficiente a mantenere costante la potenza del Sole (4.3 x 1026 W) durante i 4 miliardi di vita della Terra, consumando solo circa il 10% dell'idrogeno iniziale. Con buona pace di Lord Kelvin non esiste dunque nessuna contraddizione fra le risorse energetiche del Sole e la teoria dell'evoluzione di Darwin. Il meccanismo di funzionamento di una stella come il Sole fa intervenire tutte le interazioni attualmente note. Anzitutto quelle gravitazionali che assicurano che l'idrogeno al centro della stella abbia la temperatura e la densità necessarie affinché la fusione di idrogeno in elio possa avvenire. Poi le interazioni deboli che permettono di trasformare due protoni in un nucleo di idrogeno pesante (un protone e un neutrone) o, se vogliamo, di trasferire la carica elettrica da un protone ad un elettrone positivo con l'emissione di un neutrino. Infine le interazioni forti ed elettromagnetiche che trasformano, in due stadi, l'idrogeno pesante in elio3 • 3

La catena di reazioni è la seguente:

p + p ~ d +e++ V p+d~He3+y He3 + He3 ~He4 + 2p

(1) (2) (3)

(1) è dovuto alle interazioni deboli; (2) a quelle forti ed elettromagnetiche; (3) a quelle forti; p, e+, v, y indicano rispettivamente il protone, l'elettrone positivo, il neutrino e il fotone; d indica il nucleo del deuterio formato da un protone e da un neutrone; He3 è un isotopo dell'elio formato da 2 protoni e un neutrone; He 4 è il nucleo di elio formato da 2 protoni e due neutroni. Esistono altre catene secondarie che contribuiscono all'energia solare.

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Leggendo il capitolo 6, il lettore si sarà probabilmente fatto l'idea che la meccanica quantistica che domina il microcosmo non abbia nulla a che fare con un fenomeno che coinvolge miliardi di miliardi di miliardi di tonnellate di materia. Ebbene no, se non fosse per la meccanica quantistica, quelle complicate reazioni che convertono l'idrogeno in elio non potrebbero avvenire. Infatti le energie cinetiche delle particelle che reagiscono non sono sufficienti a superare la repulsione elettrica fra particelle cariche dello stesso segno e così, secondo la meccanica classica, le particelle non potrebbero avvicinarsi abbastanza per reagire. Secondo la meccanica quantistica, invece, questo non è un impedimento assoluto: la barriera repulsiva può essere infatti attraversata, come una montagna può essere superata attraverso una galleria, anziché scalandone la cima. La probabilità di superare in questo modo la barriera dipende proprio dalla costante di Planck che caratterizza tutti i fenomeni quantistici, ma che pochi avrebbero pensato reggesse la vita delle stelle. Il lettore scettico si chiederà come facciamo a essere sicuri che sia proprio questo il meccanismo che fa funzionare il Sole e le stelle simili a lui. Un modo per verificare l'esattezza delle previsioni consiste nel misurare il flusso di neutrini che provengono dal Sole, flusso che si può calcolare con ragionevole precisione4 • La difficoltà sta nella misura di questo flusso perché i neutrini attraversano senza quasi venire assorbiti ogni materiale, compreso quello del Sole dalla cui profondità proven4 Grosso modo per ogni centimetro quadrato del libro che state leggendo passano ogni secondo dieci miliardi di neutrini. Non ce ne accorgiamo perché la materia è praticamente (ma non rigorosamente) traparente ai neutrini.

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gono. Nonostante questa difficoltà la misura è stata recentemente eseguita rivelando i debolissimi effetti che i neutrini producono quando urtano i nuclei o gli elettroni della materia. Il flusso misurato è un poco inferiore a quello calcolato per ragioni che non sono ancora chiare: al momento l'ipotesi più favorita è che nel tragitto dal Sole al laboratorio una frazione di neutrini si trasformi in una diversa specie di neutrini che il rivelatore non può catturare; non è peraltro del tutto escluso che qualche fenomeno sconosciuto modifichi leggermente le condizioni all'interno del Sole, così da ridurre il flusso neutrinico. La risposta si avrà fra non molto, quando entreranno in funzione rivelatori di neutrini più perfezionati. Per ora mi limito a sperare che il lettore scettico, anziché concludere che il modello proposto è ancora da verificare e quindi non degno di fede, ammiri invece la straordinaria ingegnosità degli esperimenti che hanno misurato il flusso dei neutrini solari, particelle che ancora mezzo secolo fa erano considerate praticamente invisibili. E spererei anche che il lettore si rendesse conto che con queste misure si riesce a indagare le profondità di quella immensa fornace che è il Sole dalla quale soltanto queste particelle, quasi invisibili, riescono a sfuggire (la radiazione elettromagnetica proviene dagli strati superficiali). È un risultato che ha quasi dell'incredibile. Aver scoperto il complicato meccanismo che rende possibile sostenere per diversi miliardi di anni la colossale potenza delle stelle è indubbiamente uno splendido successo della scienza del nostro secolo: meno splendido è aver utilizzato queste conoscenze per costruire la bomba H che funziona sullo stesso principio.

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5. L'evoluzione stellare Fin dagli inizi di questo secolo gli astronomi avevano osservato che, mentre la maggioranza delle stelle, compreso il nostro Sole, sono raggruppabili in base al loro colore (ossia, poiché il loro spettro è approssimativamente quello di un corpo nero, in base alla loro temperatura) e alla loro luminosità (cioè alla potenza irradiata) in una sequenza piuttosto ben definita5 , vi sono due gruppi ben distinti, chiamati rispettivamente 'giganti' (e 'supergiganti') 'rosse' e 'nane bianche', con caratteristiche del tutto diverse. La teoria delle reazioni nucleari e la meccanica quantistica hanno permesso di comprendere nelle linee generali questi fenomeni e di interpretarli come manifestazioni della evoluzione stellare. Le cose, molto schematicamente, stanno così. Nata dalla condensazione - per effetto della gravità - di un gas interstellare, una stella, dopo una gioventù tumultuosa, comincia la sua vita adulta bruciando più o meno rapidamente l'idrogeno della sua parte centrale. A noi appare come una stella di quella che abbiamo chiamato sequenza principale: più calda e più luminosa se la sua massa è grande, meno luminosa e più freddina se la sua massa è minore, come quella del nostro Sole, per intenderci. Quando la maggior parte dell'idrogeno nella parte centrale si è mutato in elio, la produzione di energia diminuisce e conseguentemente la temperatura 5 Questa è chiamata sequenza principale: nel diagramma di Herzsprung-Russel (luminosità in funzione della temperatura) questa sequenza è rappresentata da una fascia che va dalle alte luminosità e alte temperature alle basse luminosità e basse temperature. Le giganti rosse occupano una zona in alto a destra (grandi luminosità e basse temperature). Le nane bianche stanno in basso a sinistra (basse luminosità e alte temperature).

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e la pressione scendono. In queste condizioni il centro si contrae rapidamente e così di nuovo si scalda fino a raggiungere temperature dell'ordine di 100 milioni di gradi. A questo punto l'elio prodotto nella prima fase può a sua volta bruciare: tre nuclei di elio si fondono per formare un nucleo di carbonio liberando una grande quantità di energia. Per mantenere l'equilibrio gli strati esterni della stella si dilatano: la stella è divenuta così una gigante rossa. In queste condizioni le temperature centrali possono diventare così elevate che il carbonio può a sua volta cominciare a bruciare producendo ossigeno e così via fino a che il nucleo centrale si è trasformato in ferro. Le stelle sono dunque delle vere officine chimiche che fabbricano, a partire dall'idrogeno iniziale, i nuclei pesanti che troviamo in abbondanza sulla Terra e di cui noi stessi siamo fatti (carbonio, ossigeno, zolfo ecc.). La perennità della materia è dunque un altro idolum che il nostro secolo iconoclasta ha infranto. Anche la materia evolve e nessuno degli atomi di cui siamo fatti esisteva all'inizio dell'universo. 6. Nane bianche, stelle neutroniche, buchi neri

Ho detto che la gioventù della stella è stata tumultuosa: la vecchiaia non lo è di meno perché la combustione di elementi più pesanti dell'idrogeno è rapida ed è accompagnata da violente instabilità. Quando poi tutto il combustibile nucleare si è esaurito, la forza centripeta della gravitazione riprende il sopravvento e la stella comincia a contrarsi più o meno rapidamente a seconda della sua massa. Se questa non è troppo grande (inferiore a 6- 7 masse solari) la contrazione ad un certo punto si arresta e la stella finisce la sua vita come una nana

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bianca (circondata spesso da una nebulosa planetaria), cioè una stella di grande densità (dell'ordine di 109 g/cm3 ; per un confronto si ricordi che la densità media del Sole è di poco superiore a quella dell'acqua: 1 g/cm3) con un raggio mille volte più piccolo di quello del Sole (questo giustifica il nome 'nane' dato a queste stelle). La morte delle stelle più massicce è più spettacolare: una violenta implosione provoca l'espulsione degli strati più esterni della stella (a noi questo fenomeno si rivela come l'improvvisa comparsa di una luminosissima stella, chiamata 'supernova', visibile in qualche caso anche di giorno), mentre il nucleo più interno si contrae rapidamente fino a raggiungere un raggio di pochi chilometri e una densità di circa 10 14 g/cm 3 (come quella dei nuclei). In questa contrazione la materia si trasforma tutta in neutroni (cioè la stella è in effetti un gigantesco nucleo tenuto insieme dalla gravitazione) e la stella ci appare come una stella pulsante che emette, come un faro in rapida rotazione, un fiotto di luce (o di altre radiazioni elettromagnetiche) a intervalli di frazioni di secondo. La sopravvivenza sia delle nane bianche che delle stelle a neutroni è dovuta ad un fenomeno tipicamente quantistico: quando la densità della materia diventa molto grande gli elettroni o i neutroni confinati in piccolissimo spazio hanno, per il principio di indeterminazione, un elevatissimo impulso e conseguentemente esercitano un'enorme pressione capace di equilibrare la gravitazione. Ciò può avvenire però solo se la massa della stella è inferiore a circa due masse solari: se la massa supera tale limite la gravitazione prende il sopravvento e la contrazione non può essere arrestata, ma prosegue indefinitamente. La scomparsa della stella nel punto singolare dove il 96

raggio si annulla è però invisibile al nostro sguardo a causa di una sorprendente proprietà dello spazio che si ottiene come soluzione esatta delle equazioni di Einstein nel caso dello spazio vuoto esterno ad un corpo sferico (una stella) di massa M. Questa soluzione era stata trovata già da K. Schwarzschild pochi mesi dopo la pubblicazione (1916) del lavoro di Einstein il quale fu assai sorpreso che si potesse ottenere una soluzione esatta delle sue complicate equazioni. È questo un esempio di come la simmetria rispetto ad un gruppo di trasformazioni (il gruppo delle rotazioni spaziali in questo caso) semplifichi enormemente la soluzione di un problema. Caratteristica dello spazio di Schwarzschild è l'esistenza di una superficie sferica di raggio R = 2GMIc2 (detto raggio di Schwarzschild della massa M) dove G è la costante di Newton e e è la velocità della luce. Questa sfera divide lo spazio in due regioni: quella interna alla superficie dalla quale nessun segnale può uscire verso l'esterno, e quella esterna dalla quale è invece possibile inviare messaggi verso l'interno. La regione interna alla sfera di raggio 2GM/c2 è chiamata buco nero proprio per questa sua proprietà di essere essenzialmente tagliata fuori dal mondo esterno6 . Sebbene il buco nero 6 Già Laplace aveva suggerito che vi potessero essere stelle così massicce, e quindi con un campo gravitazionale così intenso, che la luce non potesse sfuggire da esse. La relazione fra la massa e il raggio di tali stelle si può ottenere dall'eguaglianza: energia cinetica di una particella di massa m emessa con velocità della luce= energia gravitazionale della particella nel campo della stella sferica di massa M e . R . , 1 ..2 GMm d . R 2aGM d , raggio , c1oe: 2 mc = a -R- a cui segue = -c2- ove a e

un coefficiente numerico dell'ordine di uno che dipende dalla distribuzione della materia nella stella. Come si vede la relazione fra raggio e massa è indipendente da m. A parte coefficienti numerici, la relazione fra R e M è quella della teoria di Schwarzschild.

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non possa inviare messaggi all'esterno, la sua presenza può essere rivelata dagli effetti del suo campo gravitazionale che a distanze molto grandi si comporta quasi come il campo generato secondo la teoria newtoniana da una massa M. Consideriamo ora la contrazione di una stella la cui massa M sia molto maggiore della massa solare, cioè tale da non poter essere sostenuta dalla pressione dei neutroni degeneri. Fino a quando il raggio rimane superiore al raggio di Schwarzschild 2GM/c2 la luce della stella può arrivare ad un osservatore che si trovi a grande distanza dalla stella. Quando però, per effetto della contrazione, il raggio diventa minore o uguale al raggio di Schwarzschild la luce (o qualunque altro segnale) non può arrivare all'esterno e la stella diventa perciò invisibile. Si è formato un buco nero della cui presenza possiamo solo accorgerci attraverso gli effetti dell' attrazione gravitazionale che esso esercita sulla materia nelle sue vicinanze. Penso che se Amleto leggesse questo breve discorso sui buchi neri attenuerebbe il suo scetticismo sui sogni della filosofia (naturale). Infatti l'esistenza di questi misteriosi buchi neri è una conseguenza quasi inevitabile della soluzione di Schwarzschild e di quelle più realistiche scoperte assai più tardi: frutto di speculazioni matematiche, i buchi neri sono oggi divenuti quasi reali, come molti indizi sembrano suggerire. È anche possibile che esistano, nascosti al nostro sguardo, giganteschi buchi neri con masse dell'ordine di alcuni (o molti) milioni di masse solari, al centro delle galassie, forse anche della nostra. Ma torniamo alla filosofia, cioè alle previsioni teoriche. Pur non potendo ricevere segnali dall'interno dei buchi neri, di essi conosciamo numerose proprietà, gra-

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zie soprattutto ai lavori di J.A. Wheeler, di R. Penrose e di S. Hawking. Anzitutto essi non possono avere altre caratterizzazioni oltre la massa, la carica e il momento angolare (Wheeler): della composizione chimica o di altra eventuale caratterizzazione della materia che ha contribuito alla sua formazione il buco nero perde ogni traccia. In secondo luogo la superficie di un buco nero non può diminuire (Hawking) e questo suggerisce che la superficie sia una misura della entropia la quale a sua volta misura l'informazione portata dalle particelle che hanno contribuito a formare il buco nero. Inoltre, effetti quantistici sembrano implicare che piccoli buchi neri, formati magari nei primi istanti dell'universo, debbano evaporare (Hawking) emettendo nelle fasi ultime un lampo di radiazione di altissima energia (raggi gamma) che sarebbero in linea di principio osservabili. Chi vivrà vedrà. Nane bianche, stelle neutroniche, buchi neri sono le fasi ultime della vita delle stelle. Però non tutta la materia di cui erano originariamente composte le stelle finisce così, ma parte di essa viene riciclata formando altre stelle. Infatti, per effetto delle violente esplosioni che accompagnano la morte delle stelle, gli elementi pesanti, che esse hanno prodotto durante la loro vita, vengono riiniettati nello spazio interstellare dal quale condenseranno più tardi sotto l'effetto della gravitazione, in nuove stelle di seconda generazione; queste quindi nasceranno con una composizione chimica più varia di quella delle loro madri, come si può osservare analizzando la loro luce. Davvero nulla è perenne in cielo, neppure le stelle e la materia di cui sono composte: Jtàvta QEL. Non vorrei che il lettore pensasse che questo scenario di nascita, vita, morte e metempsicosi delle stelle fos-

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se frutto solo di speculazioni teoriche: esso è invece suggerito e suffragato da abbondantissimi dati osservativi che riguardano tutte le fasi di questa straordinaria evoluzione. E se oggi possiamo disporre di questo materiale osservativo, lo si deve ai grandi perfezionamenti di tutta la strumentazione astronomica compiuti durante questo secolo.

7. I: evoluzione del cosmo Fra tutte le nuove concezioni sulla natura che il nostro secolo ha introdotto, la più innovatrice e allo stesso tempo la più vicina all'intuizione comune è quella del1' evoluzione dell'universo, del suo inizio esplosivo e del suo incerto destino. Non è sorprendente che un cambiamento così radicale della concezione tradizionale dell'universo abbia la sua origine nella nuova concezione dello spazio-tempo introdotta dalla teoria della relatività generale: ammettere che lo spazio-tempo possa essere curvato dalla presenza della materia porta necessariamente a porsi il problema se esso non possa essere globalmente finito pur restando illimitato come è finita la superficie della Terra che pure è illimitata. La connessione fra relatività generale e cosmologia apparve subito chiara a Einstein che già due anni dopo la pubblicazione del suo lavoro del 1915 propose una concezione del cosmo radicalmente diversa da quella ereditata dal secolo XVIII, un universo cioè spazialmente finito, chiuso su se stesso per effetto della materia. Questa concezione non era tuttavia abbastanza radicale: il rivoluzionario (scientificamente) Einstein era ancora legato alla concezione di un universo statico, immutabile cioè nel tempo, dunque eterno. Un tale universo però non si 100

può ottenere come soluzione della equazione di Einstein del campo gravitazionale e così egli propose di modificare le sue equazioni aggiungendovi, senza una vera giustificazione, un termine addizionale compatibile con la simmetria delle equazioni. Anni dopo, dirà, a proposito di questo termine, che tale aggiunta era stata il più grande sbaglio della sua vita7 • L'eternità e immutabilità dell'universo, che erano state l' idolum dei philosophes del XVIII secolo e, come ho detto, dello stesso Einstein, non avevano, a dir vero, alcuna base osservativa. Un giovane matematico russo, A. Friedmann, forse non devoto degli idoli, trovò una soluzione dipendente dal tempo delle equazioni originali di Einstein che rappresenta quindi un modello di universo evolutivo. Sebbene matematicamente interessante, la soluzione di Friedmann non aveva, quando fu proposta, alcun supporto osservativo: arrivò tuttavia nel momento in cui l'astronomia extragalattica stava facendo i suoi primi e rapidi passi e dimostrava l'esistenza di numerosi sistemi stellari, totalmente separati dal nostro (la Via Lattea), di cui si cominciavano a stimare le distanze. Solo sette anni dopo la pubblicazione del lavoro di Friedmann, E. Hubble, che forse neppure loconosceva, faceva quella che è probabilmente la più sensazionale scoperta del nostro secolo: le galassie si allontanano tutte da noi con velocità radiali che crescono proporzionalmente alla loro distanza. Naturalmente non si tratta di una fuga dalla nostra galassia, ma di una 7 Oggi l'aggiunta di questo termine è da taluni considerata come una conseguenza necessaria della fisica dei quanti. Il problema è aperto ma in ogni caso il termine cosmologico (così si chiama il termine di Einstein) non sembra avere un effetto determinante nelle attuali condizioni del cosmo.

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fuga di ciascuna galassia da ogni altra. Il fenomeno è simile a quello che si verifica quando si gonfia un pallone di gomma sul quale si sia dipinto un reticolo: man mano che il pallone si gonfia, il reticolo si espande e cresce così la distanza fra i nodi. Nel caso dell'universo, l'equivalente della superficie bidimensionale del pallone è, nel modello di Friedmann, lo spazio tridimensionale il cui raggio di curvatura varia nel tempo come quando si gonfia il pallone. La scoperta di Hubble, corroborata da moltissime e più accurate misure estese a distanze enormemente più grandi di quelle originariamente accessibili ad Hubble, costituisce in un certo senso la più straordinaria verifica della relatività generale e in particolare del modello di Friedmann basato sull'ipotesi di un universo omogeneo e isotropo. Così l'antico e nobile concetto di cosmogonia, relegato da tre o quattro secoli nel magazzino poetico e divertente delle concezioni primitive, ha riacquistato diritto di cittadinanza nell'empireo delle concezioni scientifiche. Infatti, se c'è evoluzione può esserci stato un inizio ed è pienamente concepibile ci sia un giorno una fine. È quindi giustificato cercare di conoscere la storia naturale di questo lunghissimo passato e indagare come il cosmo sia passato da quello che Lemaitre chiamava «l' atome primitif» alla complessa situazione attuale. Ci si può chiedere come siano nate le galassie e le stelle e più ancora come si sia formata la materia attuale la quale non poteva certamente esistere al momento della nascita esplosiva dell'universo a causa dell'elevatissima temperatura e dell'enorme pressione: non potevano esistere atomi né nuclei, ma solo un plasma di incerta composizione soggetto a forze di cui possiamo predire proprietà e intensità solo basandoci su estrapolazioni, di dubbia validità, da quanto conosciamo. 102

Questi dubbi e incertezze riguardano essenzialmente i primissimi istanti dopo la misteriosa nascita: già dopo un millesimo (o forse un decimillesimo) di secondo dall'inizio, l'espansione dell'universo ha fatto diminuire la pressione e la temperatura tanto che la fisica che conosciamo dalle esperienze compiute in laboratorio permette di predire con ragionevole sicurezza il comportamento della materia e della radiazione. Una conferma dell'attendibilità di questo modello evolutivo dell'universo è venuta negli anni Sessanta dalla scoperta di una radiazione elettromagnetica diffusa uniformemente nell'universo e la cui distribuzione di frequenze coincide con quella di un corpo nero alla temperatura di 2. 7 gradi Kelvin (la temperatura della stanza nella quale leggete questo libro è di circa 300° K). Tale radiazione, la cui esistenza era stata prevista più di dieci anni prima da G. Gamow, rappresenta una sorta di relitto archeologico dell'epoca (i primi tre minuti del titolo di un celebre libro di S. Weinberg) nella quale la materia e la radiazione si disaccoppiarono: dopo tale epoca la temperatura della radiazione andò man mano diminuendo a causa dell'espansione dell'universo. Ho detto che le nostre conoscenze della fisica dell'universo sono sufficienti a permetterci di dare una descrizione del comportamento e della evoluzione della materia pochi secondi dopo l'origine del tempo: l' affermazione contiene una notevole esagerazione in quanto le nostre conoscenze sui fenomeni collettivi determinati dalle forze gravitazionali sono ancora rudimentali e non consentono di descrivere la formazione delle strutture macroscopiche dell'universo attuale, galassie, gruppi di galassie, stelle, gas interstellare ecc. La nascita di queste strutture dalla oscurità uniforme della materia primordiale potrà forse leggersi un 103

giorno nelle piccole inomogeneità del fondo di radiazione a 2.7 gradi Kelvin. Per determinare se l'universo sia chiuso, come la superficie (tridimensionale) di una sfera, o aperto, come un iperboloide, occorre conoscere la sua massa totale. Misure recenti sulla dinamica delle galassie e dell'universo fanno sospettare che esista una enorme quantità di materia invisibile ma gravitazionalmente attiva sulla cui natura non sappiamo quasi nulla. È possibile che si tratti di materia normale distribuita in numerosi piccoli o piccolissimi pianeti invisibili ai nostri strumenti; ma è anche possibile si tratti di forme di materia mai fino ad ora osservate nei nostri laboratori su cui sono state avanzate numerose ipotesi (e scritto numerosissimi articoli) per le quali manca finora qualsiasi verifica sperimentale. Che questa materia oscura esista e sia estremamente abbondante è ormai quasi sicuro. Dal suo ammontare dipende il destino ultimo dell'universo: l'arresto (in un futuro lontano) dell'espansione a cui succederebbe una contrazione e la sparizione totale, owero, se la materia oscura non sarà sufficiente, una espansione senza limiti. Qualunque sia la soluzione, questo della materia oscura è uno dei problemi più affascinanti che il nostro secolo lascia all'ingegnosità dei nostri successon. Un altro problema per i nostri successori è quello di riconciliare la relatività generale con la meccanica quantistica. Infatti l'evoluzione dell'universo è un fenomeno tipicamente relativistico dominato dalla gravitazione, ma quest'ultima, nei primissimi istanti dell'universo, non può certo essere trattata come un campo classico, senza tener conto della quantizzazione. Tutti gli sforzi fatti per formulare una teoria quantistica del campo gravitazionale non hanno condotto a risultati significa104

tivi anche se una recente teoria, basata su una profonda modificazione del concetto di spazio, sembra offrire qualche speranza di condurre un giorno a una formulazione soddisfacente della gravitazione.

8.

L'eredità del Novecento

Nelle pagine precedenti ho riassunto, in maniera deliberatamente incompleta, i mutamenti che il Novecento ha portato nel nostro modo di pensare la natura. Mi sono limitato a quelle poche idee generali che, a mio parere, hanno cambiato qualitativamente la nostra visione della natura. Fra le tante lacune del libro, la maggiore forse è quella di non aver dato il giusto risalto allo straordinario ampliamento delle conoscenze empiriche che il Novecento ha prodotto. Non è esagerato dire che la natura che oggi conosciamo è una natura diversa, immensamente più ricca, più complessa e anche più misteriosa di quanto pensassero i nostri predecessori e ciò grazie ali' enorme perfezionamento degli strumenti di indagine. Non si è trattato solo di un puro aumento quantitativo di conoscenza: uscire dal proprio paesello, scoprire nuovi mondi, trovarsi di fronte a problemi di cui neppure si sospettava l'esistenza stimola il formarsi di idee nuove, aiuta a liberarsi da pregiudizi inveterati, obbliga ad imparare nuovi linguaggi. Tutto ciò è accaduto alla fisica durante questo seco107

lo. Partita all'esplorazione del microcosmo, fornita di uno straordinario equipaggiamento di raffinati spettroscopi, di sonde elettromagnetiche e corpuscolari e, più tardi, di giganteschi acceleratori capaci di penetrare nel più profondo della materia, la fisica è stata costretta ad abbandonare gli aspetti più ingenui del determinismo che l'esperienza acquisita nel limitato ambiente macroscopico le aveva fatto credere fosse parte integrante del pensiero scientifico. Ha così imparato ad esprimersi con un linguaggio più flessibile, e ad utilizzare concetti nuovi non sempre purtroppo comprensibili a chi è restato chiuso nel piccolo villaggio da cui l'esplorazione è partita. La fisica si è sprovincializzata e ha addirittura, con orrore di Einstein, cominciato a frequentare le case da gioco. Non c'è da stupirsi che sia diventata un po' più scettica sulla perennità della sua immagine del mondo, un po' più modesta nelle sue asserzioni, un po' più conscia della limitatezza delle sue conoscenze. Un simile ampliamento della nostra visione del mondo è venuto dall'esplorazione dettagliata dell'universo, resa possibile dal perfezionamento straordinario dei telescopi e dall'ampliamento della gamma delle frequenze osservabili. Sono cadute così vecchie opinioni che si consideravano ormai come solidamente acquisite: l'infinità dell'universo, la sua eternità e la sua immutabilità. L'universo quale ci appare oggi ha ben poco a che vedere con l'immagine che di esso si facevano i nostri predecessori. L'universo che lasciamo in eredità al XXI secolo ha una storia che richiama in qualche modo quella degli antichi miti, visti naturalmente sotto una luce completamente diversa. Le epoche oscure dei cosmologi moderni che precedevano la formazione di stelle e galassie, cioè l'epoca impenetrabile (per ora) della materia oscura dei primi trecento o cinquecentomila anni 108

dopo l'abbacinante lampo del «big bang», fanno ripensare a quella «terra invisibilis et incomposita» e a quelle «tenebrae super faciem abyssi» della Genesi (1.1, 1.2) o al «caos da cui nacque Erebo e la nera Notte» di Esiodo (Teogonia, 123 ), così come dal moderno caos informe nacquero le debolissime e antichissime galassie che il telescopio Hubble ci sta rivelando. Toccherà al nuovo secolo spiegare il sorgere di queste strutture dall'uniformità di quella materia oscura, esempio macroscopico del fenomeno di rottura spontanea della simmetria che il nostro secolo ha scoperto. Se viaggiare spesso stimola il sorgere di idee nuove, capita talvolta - anche se raramente in fisica - che queste nascano dalla meditazione solitaria di un pensatore che non ha mai abbandonato il paesello natio. Se volessimo affrettatamente generalizzare dovremmo concludere che l'osservazione di una caduta, di una mela per Newton o di un imbianchino per Einstein, sia lo stimolo necessario per suggerire al pensatore solitario concezioni nuove sullo spazio, sul tempo e sulla geometria. Nei due casi, di Newton e di Einstein, la meditazione ha prodotto concezioni profondissime che hanno aperto orizzonti nuovi sui rapporti fra spazio, tempo e materia, cioè sul quadro stesso nel quale organizziamo le nostre percezioni. Se le esperienze precedenti non ci avessero reso più modesti- una virtù che vorremmo davvero lasciare in eredità ai nostri successori - parleremmo di monumento più perenne del bronzo: ci limitiamo perciò a dire che si tratta di concezioni di grande bellezza. Torniamo un momento alla modestia che il lettore non sempre avrà ammirato nei toni trionfalistici di certe dichiarazioni dei fisici: errare humanum est. Sta di fatto però che gli scienziati più profondi sono oggi ben consci della limitatezza della nostra conoscenza della 109

natura. Ne era conscio Einstein quando diceva «Sottile è il Signore», con il che voleva dire quanto arduo sia scoprire i segreti della natura. Così arduo che alcuni - nel capitolo 1 ho citato Feynman - si domandano oggi se mai riusciremo a comprendere la natura pienamente. Un pensiero questo non nuovo, forse, ai filosofi, ma raramente contemplato dai fisici che ci hanno preceduto. Fiduciosi nella illimitata possibilità dell'ingegno umano, non sembra che essi si siano posti il problema se il nostro intelletto finito sia capace di elaborare tutta l'informazione occorrente a comprendere il mondo. Alla fine del secolo è lecito chiedersi se la fiducia dei nostri predecessori fosse giustificata. Un altro dubbio che sta emergendo alla fine di questo secolo riguarda il dogma della intrinseca bontà della scienza e quello della sua efficacia come strumento di innalzamento morale dell'umanità. Per quanto riguarda il secondo dogma, mi sembra che le vicende di questo secolo abbiano dimostrato ad abundantiam che progresso scientifico e innalzamento morale hanno poco a che fare l'uno con l'altro. Era bello pensare che la scienza ci avrebbe fatto diventare più buoni, ma purtroppo oggi sappiamo che era solo un'illusione. Il problema della intrinseca bontà della scienza è più sottile. Per affermare che essa è intrinsecamente buona bisogna invocare la distinzione fra l'indagine disinteressata della natura e le conseguenze derivanti da questa indagine: di solito gli scienziati si mettono la coscienza in pace dicendo che la prima, di per sé buona, riguarda lo scienziato, mentre le conseguenze, che possono anche essere perverse, non sono affar suo. Senza dirlo esplicitamente, riconoscono in Pilato il loro santo 110

protettore. Purtroppo il Novecento ha dimostrato che la distinzione è artificiosa: lo scienziato spesso è a conoscenza delle conseguenze buone e cattive che la sua ricerca può avere ed è quindi in un certo senso responsabile anche di esse. Del resto oggi le applicazioni di un risultato scientifico richiedono conoscenze così approfondite che solo gli scienziati le possiedono. L'intero progetto Manhattan, dalla ricerca fondamentale alla realizzazione pratica, è stato in mano agli scienziati, che sapevano perfettamente a cosa stavano lavorando. Qualcosa di simile sta avvenendo oggi, con conseguenze, forse, anche più dannose, nella ricerca biologica avanzata. Certamente anche nel passato i risultati della ricerca scientifica hanno condotto, accanto a grandi benefici, ad utilizzazioni perverse, raramente però dovute a scienziati. Quello che è nuovo in questo nostro secolo è non solo il coinvolgimento diretto degli scienziati, ma soprattutto le dimensioni dei danni che le applicazioni perverse possono provocare. Se ho accennato a questo problema, decisamente sgradevole per uno scienziato, non è certo perché io auspichi la limitazione o la regolamentazione della ricerca scientifica, cosa che, del resto, ritengo quasi impossibile. E neppure mi illudo che qualche bella predica sulla responsabilità morale che lo scienziato dovrebbe sentire lo trattenga da indagare fenomeni suscettibili di applicazioni dannose. Se ho menzionato questo problema è perché lo sviluppo della scienza nel Novecento ha messo in luce una situazione essenzialmente inesistente nei secoli precedenti, ma che noi e le prossime generazioni non possiamo più permetterci di ignorare. E un problema tremendo, per il quale forse non esiste soluzione. 111

Indici

Indice dei nomi

Alembert,Jean Le Rond D' (1717 1783), scrittore, matematico e filosofo francese, p. 8.

portanti nell'idrodinamica, p. 22. Besse!, F riedrich Wilhelm (17841846), astronomo tedesco; effettuò le prime misure precise delle distanze stellari e scoprì il carattere binario di alcune stelle, p. 86. Bohr, Niels (1885-1963), fisico teorico danese, Premio Nobel, scopritore della struttura quantistica dell'atomo, pp. 56-58, 64, 72-73. Boltzmann, Ludwig (1844-1906), fisico teorico austriaco, uno dei fondatori della meccanica statistica, pp. 23-24, 52-53, 88n. Born, Max (1882-1970), fisico tedesco; ha ricevuto il Premio Nobel per i suoi contributi alla meccanica atomica, p. 64. Broglie, Louis de (1892-1987), fisico teorico francese, Premio Nobel, fu uno dei creatori della meccanica ondulatoria, p. 74.

Balmer, Johan Jacek (18251898),fisicosvizzeroscopritore della relazione empirica fra le frequenze delle righe dello spettro dell'idrogeno, p. 56. Becquerel, Henri (1852-1908), fisico francese, Premio Nobel, scopritore della radioattività, p.55. Bernoulli, nome di una famiglia di scienziati e matematici di Basilea i cui membri più illustri furono: J acques Bernoulli (1654-1705), che risolse il problema della curva isocrona; Jean Bernoulli (1667-1748), fratello di J acques, che determinò, fra l'altro, le condizioni a cui deve soddisfare il cammino di un raggio di luce in un mezzo con indice di rifrazione variabile; Daniel Bernoulli (1700-1782), nipote dei precedenti, che ottenne risultati im-

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Curie, Marie (1867-1934), ricevette insieme al marito Pierre il Premio Nobel per la fisica per la scoperta del radio; nel 1911 le fu assegnato anche il Premio Nobel per la chimica, p. 55. Dalton,John (1766-1844), fisico e chimico inglese sostenitore della teoria atomica, p. 23. Darwin, Charles (1809-1882), naturalista inglese propugnatore della teoria dell' evoluzione, pp. 88, 91. Democrito, filosofo greco nato ad Abdera intorno al 480 a.C. e morto intorno al 360 a.C., fondatore della filosofia atomistica, p. 23. Dirac, Paul (1902-1984), fisicomatematico inglese a cui fu assegnato nel 1933 il Premio Nobel per la fisica per i suoi contributi fondamentali alla meccanica quantistica e alla teoria della radiazione, pp. 64, 68-69, 77. Eddington, sir Arthur Stanley ( 1882-1944), astronomo e fisico matematico inglese; portò contributi importanti a molti problemi di astrofisica e dicosmologia, p. 49. Einstein, Albert (1879-1955), fisico teorico tedesco poi emigrato negli Stati Uniti, Premio Nobel, pp. 28, 34-36, 38, 4346, 47n, 48-50, 54, 57, 64-65, 73-75, 85, 97, 100, 101 e n, 108-110. Eotvos, Roland (1848-1919), fisico ungherese che per primo

verificò accuratamente l'uguaglianza fra massa gravitazionale e massa inerziale, p. 45n. Euler, Leonhard (1707-1783), matematico svizzero la cui opera abbraccia quasi tutta la matematica e la fisica del suo tempo, pp. 7, 22. Faraday, Michael (1791-1867), fisico e chimico inglese, enunciò le leggi dell'elettrolisi, scoprì l'induzione elettromagnetica e il benzene, pp. 24, 40. Feynman, Richard Phillips (19181988), fisico americano, ricevette il Premio Nobel per i suoi lavori sull' elettrodinamica quantistica, pp. 9-10, 76, 110. Frank, James (1882-1964), fisico tedesco poi emigrato negli Stati Uniti, Premio Nobel, p. 57. Fraunhoffer, Josef von (17871826), fisico tedesco che per primo rivelò le righe dello spettro solare, p. 87. Friedmann, Aleksander (18881925), matematico e idrodinamico russo, propose il primo modello di universo dinamico, pp. 101-102. Gassendi, Pierre ( 1592-1655), filosofo, scienziato e matematico francese, sostenitore della teoria atomica della materia, p. 33. Hamilton, sir William (18051865), matematico e astrono-

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mo irlandese a cui si deve una formulazione particolarmente profonda della meccanica analitica, p. 22. Hawking, Stephen (1942-), fisico-matematico inglese autore di importanti ricerche sulla relatività generale e in particolare sui buchi neri, p. 99. Heisenberg, Wemer (1901-1975), fisico teorico tedesco. Gli fu assegnato il Premio Nobel (1932) per la scoperta della meccanica quantistica, pp. 6472, 74. Hertz, Gustav (1887-1975), fisico tedesco, divise con J. F rank il Premio Nobel per i suoi lavori sulla spettroscopia atomica, pp. 57, 73, 94n. Hubble, Edwin (1889-1953), astrofisico americano scopritore della vera natura delle galassie e della relazione lineare fra la loro distanza e la loro velocità di recessione da noi, pp. 101-102.

moso 'Programma di Erlangen' sulla caratterizzazione delle geometrie per mezzo del loro gruppo di invarianza, pp. 18, 34.

Jeans, sir James (1877-1946), astronomo, matematico e fisico inglese, p. 53. Jordan, Pascual (1902-1980), fisico teorico tedesco, portò importanti contributi alla meccanica quantistica, p. 64.

Lagrange, Joseph Louis (17361813), nato a Torino dove fondò l'Accademia delle Scienze, lavorò a Berlino e a Parigi. La sua opera più famosa è La méchanique analytique, ma contribuì a quasi tutti i campi della matematica della sua epoca, pp. 18, 22, 31. Laplace, Pierre Simon (17 491827), matematico e astronomo francese celebre per i suoi lavori sulla meccanica del sistema solare, sulla teoria della probabilità ecc., pp. 7-8, 22, 67, 72, 97n. Lemaitre, George (1894-1966), astrofisico belga autore di una teoria sull'espansione dell'universo, p. 102. Lie, Sophus (1842-1899), matematico norvegese a cui si deve la teoria dei gruppi continui di trasformazioni, p. 18. Lucrezio (ca. 98-55 a.C.), poeta romano autore del De Rerum Natura, nel quale espose la teoria atomica di Democrito, p. 23.

Kelvin, William Thomson (18241907), fisico britannico, diede importanti contributi in quasi tutti i campi della fisica, in particolare nella termodinamica, pp. 88, 91. Klein, Felix (1849-1925), matematico tedesco autore del fa-

Mach, Ernest (1838-1916), fisico e filosofo austriaco, p. 23. Maxwell, James Klerk (18311879), fisico scozzese fondatore della teoria del campo elettromagnetico e della teoria cinetica dei gas, pp. 22-23, 3436, 38, 40, 54, 80.

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Mendeleev, Dimitri lvanovic (1834-1907), chimico russo, scopritore della classificazione degli atomi (tabella di Mendeleev), pp. 55, 77. Michelson, Albert Abraham (1852-1931), fisico americano nato in Germania. Ottenne il Premio Nobel per le sue ricerche sulla velocità della luce, p. 35. Minkowski, Hermann (18641909), matematico tedesco che per primo diede la formulazione quadridimensionale della relatività speciale, p. 30.

tutti i campi della matematica, pp. 35-38, 40, 43, 46.

Pauli, Wolfgang (1900-1958), fi-

Rayleigh, John William (18421919), fisico inglese che ricevette il Premio Nobel per la scoperta dell'argon: contribuì a moltissimi campi della fisica, p.53. Riemann, Georg Bernard (18261866), matematico tedesco, fondatore della geometria che in suo onore è chiamata riemanniana; a lui si devono i fondamenti della topologia oltre alla teoria delle funzioni di variabili complesse, pp. 43-44. Rubens, Heinrich (1865-1922), fisico sperimentale tedesco che effettuò con la collaborazione di Kurlbaum misure precise dello spettro del corpo nero, pp. 27, 53. Rutherford, Ernst (1871-1937), fisico inglese scopritore del nucleo atomico e delle prime reazioni nucleari artificiali. Premio Nobel, pp. 55-56, 78.

sico austriaco, ricevette il Premio Nobel per la scoperta del principio di esclusione che permise di interpretare la tabella di Mendeleev, pp. 73, 77. Penrose, Roger (1929-), fisico e matematico inglese, p. 99. Planck, Max (1858-1947), uno dei creatori della fisica dei quanti per la quale ricevette il Premio Nobel, pp. 27-28, 5254, 57, 71-72, 81, 92. Poincaré, Henri (1854-1912), matematico e fisico francese i cui lavori spaziano su quasi

Schrodinger, Erwin (1887 -1961), fisico teorico austriaco autore della meccanica ondulatoria per la quale gli fu assegnato il Premio Nobel, pp. 71, 74. Schwarzschild, Karl (1873-1916), astronomo tedesco che diede la soluzione delle equazioni di Einstein nel vuoto, nel caso di un campo gravitazionale a simmetria sferica, pp. 97 e n, 98. Secchi, Angelo (1818-1878), gesuita e astronomo italiano,

Newton, lsaac (1642-1727), matematico e fisico inglese autore del famoso Philosophiae

Naturalis Principia Mathematica e del trattato Opticks, pp. 4, 7, 21-22, 24, 29, 36, 38, 4344,47,49-50, 73,81,87 en, 97, 109.

118

fondatore della spettroscopia stellare, p. 87. Sommerfeld, Arnold (18681951), fisico teorico tedesco alla cui celebre scuola a Monaco di Baviera si formarono, fra gli altri, i Premi Nobel P. Debye, W. Heisenberg, W. Pauli, p. 64. Stefan, Josef (1835-1893 ), fisico austriaco scopritore di una delle leggi della radiazione di corpo nero, pp. 52-53. Thomson, Joseph John (18561940), fisico inglese a cui fu attribuito il Premio Nobel per la scoperta dell'elettrone, pp. 24,55. Weinberg, Steven (1933-), fisico teorico americano, ha ottenuto il Premio Nobel per i suoi contributi alla teoria unificata delle interazioni, p. 103.

Weyl, Hermann (1885-1955), matematico e fisico-matematico tedesco emigrato negli Stati Uniti. Fondamentali sono le sue monografie Space, time, matter, Philosophy o/ Mathematics and the Natural Sciences, Symmetry, pp. 15, 21. Wheeler,John Archibald (1911-), fisico americano autore con Bohr della teoria della fissione nucleare e di molti profondi lavori sulla teoria della gravitazione, pp. 44, 99. Wien, Wilhelm (1864-1928), fisico tedesco, ricevette il Premio Nobel per le sue ricerche sulla radiazione di corpo nero, pp. 52-53. Witten, Edward (1951-), fisico e matematico americano a cui si devono profonde idee matematiche suggerite dalla teoria delle supercorde, p. 81.

Indice del volume

Avvertenza

-

2

1. La natura dei fisici

3

2. L'irragionevole efficacia della matematica nell'interpretazione della natura

13

1. L'astrazione, p. 13 - 2. La simmetria, p. 15

3. La concezione della natura nell'Ottocento

21

1. Lo schema concettuale della fisica dell'Ottocento, p. 21 - 2. L'atomismo, p. 23 - 3. L'ottimismo scientifico dell'Ottocento, p. 25

4. Spazio, tempo, materia: la relatività

'27

1. «Principio di secol novo», p. 27 - 2. Lo spazio e

il tempo, p. 28 - 3. La relatività speciale di Einstein, p. 34 - 4. La relatività generale, p. 40

5. Le umili origini della meccanica quantistica 1. Lo spettro del corpo nero, p. 51 - 2. Il modello planetario dell'atomo, p. 54 - 3. Il modello di Bohr, p. 56 - 4. La natura spettrale, p. 58

121

51

6. Una nuova possibilità di pensiero: la meccanica quantistica

63

1. La fine di un'illusione, p. 63 - 2. Il principio di indeterminazione, p. 66 - 3. La matematica della meccanica quantistica, p. 69 - 4. Il buon Dio forse gioca davvero ai dadi, p. 72 - 5. Le applicazioni della meccanica quantistica, p. 76 - 6. La ricerca del Santo Graal, p. 78 - 7. Le ricadute della conoscenza del microcosmo, p. 82

7. Il tempo riprende possesso dell'universo

85

1. L'astronomia è l'unica scienza comunicabile?, p. 85 -2. L'astronomia dell'Ottocento, p. 86-3. L'evoluzione dell'universo, p. 89 - 4. La produzione di energia nel Sole, p. 90 - 5. L'evoluzione stellare, p. 94 - 6. Nane bianche, stelle neutroniche, buchi neri, p. 95 - 7. L'evoluzione del cosmo, p. 100

8. L'eredità del Novecento Indice dei nomi

107

115

UL M. Bouloiseau La Francia rivoluzionaria. La Repubblica giacobina. 17921794 290 Aristofane Lisistrata 291 J.-M. Poursin - G. Dupuy Malthus 292 L. Canfora Teorie e tecnica della storiografia classica 293 R. Romeo Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale 294 J. Huizinga La scienza storica 295/296 G. Solari La filosofia politica: 295. Da Campanella a Rousseau; 296. Da Kant a Comte 297 W.H. Stahl La scienza dei Romani 298/300 G. Basile Il Pentamerone, 2 voli. 301 D. Dolci Esperienze a Partinico 302 Ch.R. Beye (a cura di) La tragedia greca. Guida storica e critica 303 R. De Fusco Storia del1' architettura contemporanea 304 W. Binni Preromanticismo italiano 305 D. Mack Smith Vittorio Emanuele Il 306 M. Detienne (a cura di) Il mito. Guida storica e critica 307 M.I. Finley Storia della Sicilia antica 308 R. Mandrou Dagli umanisti agli scienziati. Secoli XVI e XVII

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P. Murialdi Come si legge un giornale 310/311 L. Villari Il capitalismo italiano del Novecento, 2 voli. 312 J. Vogt La repubblica romana 313/314 R. Villari Storia dell'Europa contemporanea, 2 voli. 315 G. Cavallo (a cura di) Libri, editori e pubblico nel mondo antico. Guida storica e critica 316 G. Bachelard Epistemologia 317 L. Canali (a cura di) Potere e consenso nella Roma di Augusto. Guida storica e critica 318 N. Valeri Dalla «belle époque» al fascismo 319 C. Schmitt La dittatura 320 H.R. Trevor Roper Protestantesimo e trasformazione sociale 321/322 F. Jonas Storia della sociologia: 321. Dall'Illuminismo alla fine dell'Ottocento; 322. L'età contemporanea 323/324 A.J.P. Taylor Storia dell'Inghilterra contemporanea, 2 voli. 325 F. Di Franco Il teatro di Eduardo 326 B. Zevi Cronache di architettura: tomo 17: dall'inedito di Umberto Boccioni all'autolesionismo della Triennale; tomo 18: dal «Five

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Architects» newyorkesi a Bernini plagiario 327/328 M. Dal Pra Lo scetticismo greco, 2 voll. 329/330 M. Fublni Dal Muratori al Baretti, 2 voll. 331/332 Diogene Laerzio Vite dei filosofi, 2 voli. 333 M. Manieri Ella William Morris e l'ideologia dell'architettura 334 R. Bianchi Bandinelll Introduzione all'archeologia classica come storia del1'arte antica 335 L. Feuerbach Scritti filosofici 336 L. Caretti (a cura di) Manzoni. Guida storica e critica 337 R. Vlllari La rivolta antispagnola a Napoli 338 B. Farolfl Capitalismo europeo e rivoluzione 339 K. Lowlth Hegel e il cristianesimo 340 T.R. Malthus Primo saggio sulla popolazione 341 R. Lenoble Le origini del pensiero scientifico moderno 342 G. Grazzlni Gli anni Settanta in cento film 343/347 M. Daumas (a cura di) Storia della scienza: 343. Le scienze nell'Antichità e nel Medioevo; 344. Le scienze matematiche e l'astronomia; 345. Le scienze del mondo fisico; 346. Le scienze biologiche; 347. Le scienze dell'uomo

H.-J. de Vleeschauwer L'evoluzione del pensiero di Kant 349 E. Garln Lo zodiaco della vita. La polemica sulla astrologia dal Trecento al Cinquecento 350/351 L. Colletti Il marxismo e Hegel: 350. Sui «Quaderni filosofici» di Lenin; 351. Materialismo dialettico e Irrazionalismo 352 E.A. Thompson Una cultura barbarica. I germani 353/356 M. Duchet Le origini dell'antropologia: 353. Viaggiatori ed esploratori del Settecento; 354. L'ideologia coloniale del Settecento; 355. Buffon, Voltaire, Rousseau; 356. Helvétius e Diderot 357 W. Binni Poetica, critica e storia letteraria 358 V. Serge Vita e morte di Trotskij 359 E. Garin L'educazione in Europa. 1400/1600 360/361 G. Ritter La formazione dell'Europa moderna, 2 voll. 362/363 T. De Mauro Storia linguistica dell'Italia unita, 2 voli. 364/365 Ph. Ariès Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, 2 voll. 366 L. Quaroni Immagine di Roma 367 J.S. Mili Autobiografia 368/372 H.-C. Puech Storia delle religioni:

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UL 368. Egiziani e Sumeri; 369. Da Babilonia a Zoroastro; 370. Il mondo classico; 371. L'impero romano e l'Oriente; 372. Slavi, Batti, Germani e Celti 373 J. Freud Pareto. La teoria dell'equilibrio 374 E. Garln La cultura italiana tra '800 e '900 375/376 P. Bayle Dizionario storico-critico, 2 voli. 377/378 L. Febvre - H.J. Martin La nascita del libro, 2 voli. 379 B. Gentili Lo spettacolo nel mondo antico 380/381 C. Ghisalberti Storia costituzionale d'Italia 1848-1948, 2 voli. 382 P. Murray L'architettura del Rinascimento italiano 383 A. Petrucci (a cura di) Libri, editori e pubblico nell'Europa moderna. Guida storica e critica 384 H. Dieckmann Il realismo di Diderot 385 B. Munarl Fantasia 386 G.S. Klrk La natura dei miti greci 387 G. Maddoli (a cura di) La civiltà micenea. Guida storica e critica 388/389 F. Barone Il neopositivismo logico, 2 voli. 390 R. Villari Mezzogiorno e contadini nell'età moderna 391 Condillac Trattato dei sistemi

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R.A. Hlnde La natura della comunicazione 393 R.A. Hlnde La comunicazione animale 394 R.A. Hinde La comunicazione non-verbale nell'uomo 395/398 H.-C. Puech Storia delle religioni: 395. Il popolo d'Israele; 396. Il cristianesimo delle origini; 397. Gnosticismo e manicheismo; 398. L'Islam 399 G. Grazzlnl Gli anni Sessanta in cento film 400 F. De Stefano Storia della Sicilia dall'XI al XIX secolo 401 H. Gatti La poesia romantica inglese 402/403 P. Melograni Storia politica della grande guerra, 2 voli. 404/405 G. Bocca Palmiro Togliatti, 2 voli. 406 G. Fiori Baroni in laguna. La società del malessere 407/408 V. Padula Calabria prima e dopo l'unità, 2 voli. 409 G. Petronio (a cura di) Teorie e realtà del romanzo. Guida storica e critica 410/411 E. Clccotti Il tramonto della schiavitù nel mondo antico, 2 voli. 412/413 G. Llchtheim L'Europa del Novecento. Storia e cultura, 2 voli. 414/415 G. Tucci Storia della filosofia indiana, 2 voli. 416/418 H.-C. Puech Storia 392

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delle religioni: 416. Il Cristianesimo medievale; 417. Il Cristianesimo moderno e contemporaneo; 418. Esoterismo, spiritismo, massoneria 419 G. Cavallo (a cura di) Libri e lettori nel medioevo. Guida storica e critica 420 J. Habermas Storia e critica dell'opinione pubblica 421 /423 Aristofane Le commedie, 3 voll. 424 M. Dal Pra La dialettica in Marx 425 C. Calarne (a cura di) Rito e poesia corale in Grecia. Guida storica e critica 426/428 G.W.F. Hegel Scienza della logica, 3 voli. 429 G. Barraclough Il crogiolo dell'Europa 430 G.E.R. Lloyd La scienza dei Greci 431 J. Habermas Teoria e prassi nella società tecnologica 432 G.W.F. Hegel Lineamenti di filosofia del diritto 433 R. De Fusco Segni, storia e progetti dell'architettura 434 M. Daumas Breve storia della vita scientifica 435/436 Cartesio Discorso sul metodo, 2 voli. 437/439 H.-C. Puech Storia delle religioni: 437. Religione vedica e induismo; 438. Buddhismo indiano e jainismo;

UL 439. Tibet e Sud-Est asiatico 440 V. Quilici L'architettura del costruttivismo 441 G. Bachelard Il nuovo spirito scientifico 442 G. Duby Le origini dell'economia europea 443/444 G. Vico La scienza nuova, 2 voll. 445 G. Grazzinl Cinema '77 446 M. Simon - A. Benoit Giudaismo e cristianesimo 447/448 A. Gambino Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere D.C., 2 voll. 449/450 C. De Seta La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, 2 voli. 451 D. Hume Ricerche sull'intelletto umano e sui principii della morale 452/454 B. Zevi Cronache di architettura: 452. tomo 19: dalla conferenza di Vancouver alla scomparsa di Aalto; 453. tomo 20: dal bicentenario americano al Centre Beaubourg; 454. Indici 455 D. Hay Profilo storico del Rinascimento italiano 456/457 H.-C. Puech Storia delle religioni: 456. La Cina e la Corea; 457. Il Giappone 458/459 D. Hume Trattato sulla natura umana, 2 voli. 460 S. Bergia Einstein e la relatività

UL V. Knapp La scienza del diritto 462 E. Ennen Storia della città medievale 463 S. Moravia La scienza dell'uomo nel Settecento 464 J.Beattle Uomini diversi da noi 465/466 H.-C. Puech Storia delle religioni: I popoli senza scrittura, 2 voli. 467 J.O. La Mettrie Opere fi. losofiche 468/470 J. Lyons Introduzione alla linguistica teorica: 468. li linguaggio; 469. La grammatica; 470. La semantica 471/472 H.-C. Puech Storia delle religioni: Colonialismo e neocolonialismo, 2 voli. 473 A. Saitta Profilo di 2000 anni di storia. I. Cristiani e Barbari 474/486 W. Hingelmann - G. Ketterman - M. Hergt Geografia e storia del mondo: 474. Europa; 475. Mediterraneo; 476. URSS; 477. USA; 478. Centroamerica; 479. Sudamerica; 480. Africa; 481. Vicino Oriente; 482. India; 483. Sud-Est asiatico; 484. Cina; 485. Giappone; 486. Australia 487 M.I. Finley Il mondo di Odisseo 488 C. De Marzo Maxwell e la fisica classica 461

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T. Flore Un popolo di formiche 490 B. Zevi Cronache di architettura: tomo 21: da Brunelleschi anticlassico alla Carta del Machu Picchu 491/492 Seneca I dialoghi, 2 voli. 493 E.J. Hobsbawm Il trionfo della borghesia. 18481875 494 N. Merola (a cura di) D'Annunzio e la poesia di massa. Guida storica e critica 495 M. Freedman L'Antropologia culturale 496 R. Villari Mezzogiorno e democrazia 497 T. Hobbes Behemoth 498/499 A. Manzoni I Promessi Sposi, 2 voli. 500 G. Grazzini Cinema '78 501/502 G. Neppi Modona Sciopero, potere politico e magistratura. 1870-1922, 2 voli. 503 D. Hay La Chiesa nell'Italia rinascimentale 504 F. Boas L'uomo primitivo 505 A. Baracca - S. Ruffo - A. Russo Scienza e industria. 1848-1914 506 H. Muller-Karpe Introduzione alla preistoria 507/511 F.M. Heichelheim Storia economica del mondo antico: 507. La preistoria; 508. L'antico Oriente; 509. La Grecia; 510. La repubbli489

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ca romana; 511. L'impero romano 512 M. Vovelle Breve storia della Rivoluzione francese 513 R. Carnap - H. Hahn - O. Neurath La concezione scientifica del mondo. Il Circolo di Vienna 514/518 M. Lodi e i suoi ragazzi: 514. Le relazioni di lavoro del maestro ai genitori; 515. I giornalini della classe Il; 516. i giornalini della classe lii; 517. I giornalini della classe IV; 518; I giornalini della classe V 519 O. Calabrese - U. Volli Come si vede il telegiornale 520 G. Russo Baroni e contadini 521 F.H. Sandback Il teatro comico in Grecia e a Roma 522 G. Oldrini (a cura di) Chapliniana 523 L. Sturzo La battaglia meridionalista 524 G.M. Bravo Marx e la I Internazionale 525 G. Barbiellini Amldel - U. Bernardi I labirinti della sociologia 526/528 R. Mandrou Magistrati e streghe nella Francia del Seicento, 2 voli. 529 D. Mustl (a cura di) La storiografia greca. Guida storica e critica 530 S. Masuccio Il Novellino 531/532 C.R. Beye Letteratu-

UL ra e pubblico nella Grecia antica, 2 voli. 533 J. Habermas La crisi della razionalità nel capitalismo maturo 534/535 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: I precursori, 2 voli. 536/537 G.F. Straparola Le piacevoli notti, 2 voli. 538 E. Masi Breve storia della Cina contemporanea 539 G. Petronio (a cura di) Letteratura di massa. Letteratura di consumo. Guida storica e critica 540 C. Cesa (a cura di) Il pensiero politico di Hegel. Guida storica e critica 541 A. Saitta Profilo di 2000 anni di storia: voi. Il. Dall'impero di Roma a Bisanzio 542 A. Petrucci (a cura di) Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento. Guida storica e critica 543 B. Zevi Cronache di architettura: tomo 22: dalla National Gallery di I.M. Pei alla polemica sui «falsi» bolognesi 544 E. Kant Prolegomeni a ogni futura metafisica 545 F. Boll - C. Bezold - W. Gundel Storia dell'astrologia 546/547 P. Bayle Pensieri sulla cometa, 2 voli. 548/549 I. Sanesl (a cura di)

UL Commedie del Cinquecento, 2 voll. 550 D. Mack Smith Le guerre del Duce 551 E. Kant La religione entro i limiti della sola ragione 552/553 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: Marxismo e anarchismo, 2 voll. 554 G. Grazzlni Le mille parole del cinema. Dizionario portatile dello spettatore 555 L. De Rosa Rivoluzione industriale in Italia 556 V. Cuoco Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 557 G. Grazzini Cinema '79 558 M. Pozzi (a cura di) Trattati d'amore del Cinquecento 559/560 F. Furet - D. Richet La rivoluzione francese, 2 voll. 561/562 P. Casini Introduzione all'Illuminismo. Da Newton a Rousseau: voi. I. Scienza, miscredenza e politica; voi. Il. L'Enciclopedia e le riforme 563 lacopone da Todi Laude 564 A. Saitta Guida critica alla storia e alla storiografia 565/566 A. Segarizzl (a cura di) Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, 2 voli. 567 M.I. Finley La proprietà a

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Roma. Guida storica e critica 568/569 M. Maffi La cultura underground: voi. I. Dai beats agli hippies; voi. Il. Rock, poesia, cinema, teatro 570/571 A. Tassoni Prose politiche e morali, 2 voll. 572/574 J. Joll Cent'anni di Europa. 1870-1970, 3 voll. 575 C. Ampolo La città antica. Guida storica e critica 576 P. Aretino Sei giornate 577 F. Coarelll Artisti e artigiani in Grecia. Guida storica e critica 578 I. Kant Fondazione della metafisica dei costumi 579 A. Saitta Guida critica alla storia antica 580 L.B. Alberti De Pictura 581 F. Tonucci Guida al giornalino di classe 582 G.W.F. Hegel Vita di Gesù 583 B. Zevi Cronache di architettura: tomo 23: dal «rifiuto» dell'università al concorso per Les Halles 584 LA. Seneca La dottrina morale 585 T. Moro Utopia 586 A. Saitta Guida critica alla storia medievale 587 A. Saitta Guida critica alla storia moderna 588 D. Hume Storia naturale della religione e saggio sul suicidio 589 G. Grazzini Cinema '80

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E.A. Havelock-J.P. Hershbell Le arti della comunicazione nel mondo antico 591 A. Schopenhauer La libertà del volere umano 592 D. Musti L'economia in Grecia 593 M. Bretone - M. Talamanca Il diritto in Grecia e a Roma 594 A. Tanchis L'arte anomala di Bruno Munari 595 G. Petronio Teorie e realtà della storiografia letteraria. Guida storica e critica 596 C. Ampolo La politica in Grecia 597/598 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: La seconda internazionale, 2 voli. 599 D. Hume La regola del gusto 600 L. Feuerbach Essenza della religione 601 A. Schopenhauer La volontà della Natura 602 A. Schopenhauer Il fondamento della morale 603 B. Zevi Cronache di architettura: tomo 24: dal fallimento del post-modem all'impegno del design 604 A. Moscariello Come si guarda un film 605 F. Nietzsche La nascita della tragedia 606 G.W.F. Hegel lntroduzio-

UL ne alla storia della filosofia 607 G. Grazzini Cinema '81 608/609 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: Comunismo e socialdemocrazia, 2 voli. 61 O N. Borsellino Storia di Verga 611 L. Capogrossi Colognesi (a cura di) L'agricoltura romana. Guida storica e critica 612 G. Cavallo (a cura di) Libri e lettori nel mondo bizantino. Guida storica e critica 613 A. Saitta Profilo di 2000 anni di storia: voi. lii. Giustiniano e Maometto 614 H. Bergson Il riso. Saggio sul significato del comico 615 M.H. Crawford La moneta in Grecia e a Roma 616 E. Pentlraro A scuola con il computer 617 I. Magli Introduzione all'antropologia culturale 618 G. Grazzini Cinema '82 619 N. Borsellino Ritratto di Pirandello 620 J. Scheid La religione a Roma 621 M. Vetta (a cura di) Poesia e simposio nella Grecia antica. Guida storica e critica 622 A. De Grand Breve storia del fascismo 623 W. Ullmann Individuo e società nel Medioevo

UL 624/625 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: Socialismo e fascismo, 2 voli. 626 G. Cambiano La filosofia in Grecia e a Roma 627 M. Detienne Dioniso e la pantera profumata 628 E. Gebhart L'Italia mistica 629 D. Hume Dialoghi sulla religione naturale 630 F. Prinz Ascesi e cultura 631/632 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: Socialismo e fascismo, 2 voli. 633 M. Detienne I maestri di verità nella Grecia arcaica 634 S. Klerkegaard In vino veritas 635 A. Salsano (a cura di) Antologia del pensiero socialista: Socialismo e fascismo 636 D. Vera La società del Basso Impero. Guida storica e critica 637 D. Hume Estratto del Trattato sulla natura urnana 638 F. Prontera Geografia e geo~afi nel mondo antico. uida storica e critica 639 A. Saitta Profilo di 2000 anni di storia: voi. IV. L'Impero carolingio 640 I. Chirassi Colombo La religione in Grecia

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A. Saitta Guida critica alla storia contemporanea R. De Fusco Il progetto d'architettura J. Locke Saggio sull'intelligenza umana. Secondo abbozzo L. Benevolo La città e l'architetto E. Ghidetti (a cura di) Il caso Svevo. Guida storica e critica A.S. Eddlngton Filosofia della fisica G. Grazzini Cinema '83 M. Detienne Le astuzie dell'intelligenza L.A. Feuerbach La filosofia dell'awenire H. Relçhenbach Relatività e conoscenza a priori P. Omodeo Creazionismo ed evoluzionismo W. Ullmann Il pensiero politico del Medioevo G.W.F. Hegel Lezione sulle prove dell'esistenza di Dio I. Hacking (a cura di) Rivoluzioni scientifiche G. Berkeley Trattato sui principi della conoscenza umana T. Hobbes De homine E. Garln Vita e opere di Cartesio I. Kant Prima introduzione alla critica del giudizio G.W.F. Hegel Le orbite dei pianeti G.W.F. Hegel Rapporto dello scetticismo con la filosofia

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G. Caronla Ritratto di Michelangelo G. Salvioll Il capitalismo antico A. Comte Discorso sullo spirito positivo E. Cassirer Simbolo, mito e cultura L. Benevolo L'ultimo capitolo dell'architettura moderna G. Grazzlni Cinema '84 G. Petronio Il punto su: Il romanzo poliziesco J. Locke Saggio sull'intelligenza umana. Primo abbozzo K. Lowlth Storia e fede N. Goodman Fatti ipotesi e previsioni F. Nietzsche Teognide di Megara P. Chiarini L'espressionismo tedesco K. Marx-F. Engels Manifesto del Partito comunista I. Zannier Manuale del fotografo H. Reichenbach Da Copernico a Einstein AA.VV. Cento anni Laterza. 1885-1985 E.H. Gombrich Arte e progresso M. Heidegger Kant e il problema della metafisica K. Lowith Nietzsche e l'eterno ritorno V. Mastello Il punto su: Verga M. Montessori Educazione alla libertà

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A.J. Ayer Wittgenstein R. Luperini Storia di Montale G. Petronio Il punto su: Goldoni G. Grazzini Cinema '85 P. Matthiae Scoperte di archeologia orientale B. Russell Un'etica per la politica A. La Penna La cultura letteraria a Roma Proclo La provvidenza e la libertà dell'uomo G.W. Leibniz Monadologia e Discorso di metafisica G. Caronia Ritratto di Bramante Epicuro Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita E. Guagnini Il punto su: Saba S. Korner Kant A. Negri Hegel nel Novecento P. Janni Il romanzo greco. Guida storica e critica L. Vigone - C. Lanzetti (a cura di) L'insegnamento della filosofia G. Grazzlni Cinema '86 J. Milton Areopagitica G. Ferretti Ritratto di Gadda M. Detlenne Dioniso a cielo aperto G. Grazzlni Cinema '76 C. Benussl (a cura di) Il punto su: Moravia C. Bouton Il cervello e la parola

UL 705 A. Zadro Platone nel Novecento 706 F. Parenti Alfred Adler 707 H. Bergson Introduzione alla metafisica 708 G. Caronia Ritratto di Brunelleschi 709 G Berkeley Dialoghi fra Hylas e Philonous 710 G.W.F. Hegel Enciclopedia delle scienze filosofiche. Antologia 711 F. Graf Il mito in Grecia 712 F. Serpa Il punto su: Virgilio 713 M. Paladini Musitelli Il punto su: De Sanctis 714 B. Russell La visione scientifica del mondo 715 A. Plebe Breve storia della retorica antica 716 G. Grazzini Cinema '87 717 J.G. Merquior Foucault 718 G. Grazzini Cinema '75 719 F. Malcovati Stanislavskij. Vita, opere e metodo 720 A. Plebe e P. Emanuele Manuale di retorica 721 G. Mialaret (a cura di) Introduzione alle scienze dell'educazione 722 L. Mecacci Introduzione alla psicologia · 723 G. Arrighetti La cultura letteraria in Grecia 724 E. Sala Di Felice (a cura di) Il punto su: Manzoni 725 F. Senardi (a cura di) Il punto su: D'Annunzio 726 F. Dupont Teatro e società a Roma

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727 F. Frabboni - F. Pinto Minerva - G. Trebisacce (a cura di) Scuola '90 728 S. Givone La questione romantica 729 V. Fumagalli L'uomo e l'ambiente nel Medioevo 730 G. Querci Pirandello. L'inconsistenza dell'oggettività 731 F. Angelini (a cura di) Il punto su: Pirandello 732 P. Burke Una rivoluzione storiografica 733 F. Frabboni - F. Pinto Minerva - G. Trebisacce (a cura di) Scuola '91 734 J.-B. Pontalis La forza d'attrazione 735/740 L. Sturzo Opere scelte. 6 voli. 735. I. Il popolarismo; 736. IL Stato, Parlamento e partiti; 737. lii. Chiesa e Stato; 738. IV. La sociologia fra persona e storia; 739. V. Riforme e indirizzi politici; 740. VI. La comunità internazionale e il diritto di guerra 741 E. Berti Aristotele nel Novecento 742 P. Veyne La vita privata nell'Impero romano 743 J.C. Schmitt Medioevo «superstizioso» 744 D. Diderot Ritorno alla natura. Supplemento al Viaggio di Bougainville 745 F. Guicciardini Consolatoria Accusatoria Defensoria. Autodifesa di un politico

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746 F. Frabboni - F. Pinto Minerva - G. Trebisacce (a cura di) Scuola '92 747 L. Feuerbach Spiritualismo e materialismo 748 S. Albertazzi (a cura di) Il punto su: La letteratura fantastica 749 G. Traina La tecnica in Grecia e a Roma 750 C. Lanzetti - C. Quarenghi (a cura di) L'insegnamento della filosofia nelle scuole sperimentali. Rapporto della società filosofica italiana 751 F. Frabboni - F. Pinto Minerva - G. Trebisacce (a cura di) Scuola '93 752 Mt. Fumagalli Beonio Brocchieri - E. Garin L'intellettuale tra Medioevo e Rinascimento 753 V. Ferrone - P. Rossi Lo scienziato nell'età moderna 754 A. Giardina - A.Ja. Gurev1c Il mercante dal1' Antichità al Medioevo 755 E. Husserl La filosofia come scienza rigorosa 756 S. Bartolommei Etica e natura 757 M. Mori La fecondazione artificiale 758 Paracelso Contro i falsi medici 759 F. Frabboni - F. Pinto Minerva - G. Trebisacce (a cura di) Scuola '94 760 F.W.J. Schelling Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo

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G. Pontara Etica e generazioni future D. Neri Eutanasia Aristotele L'amministrazione della casa K. Jaspers La filosofia dell'esistenza E. Balducci L'insegnamento di don Lorenzo Milani R. Milani Il Pittoresco. L'evoluzione del Gusto tra classico e romantico D. Fisichella La rappresentanza politica P. Rossi Marxismo G. d'Annunzio Il caso Wagner J. Locke Saggi sulla legge naturale N.J. Smelser La sociologia J. Piaget La psicologia G. Pasquino 1945-1996. Profilo della politica in Italia F. Barone - C. Bernardini - E. Berti - R. Bodei U. Eco - D. Losurdo - F. Volpi Metafisica. Il mondo nascosto L. Battaglia Etica e diritti degli animali L. Ferrajoli La sovranità nel mondo moderno N. Borsellino Ritratto di Dante T. De Mauro Linguistica elementare L. Benevolo L'architettura nell'Italia contemporanea

Universale CL 20-5672-0

Attraverso un'esposizione avvincente e rigorosa, si mostra come la fisica del Novecento (relatività, meccanica quantistica, astrofisica) abbia radicalmente modificato la nostra concezione della natura, inserendoci . . m un umverso in continua evoluzione. Remo Bodei

Luigi A. Radicati di Brozolo è stato direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, di cui è attualmente professore emerito. È membro dell'Accademia dei Lincei. Per i nostri tipi ha curato, con S. Cotta, Il nuovo volto dell'universo (1994). In copertina: Disegno originale di Fabian Negrin.

ISBN 88-420-5672-3

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9 788842 056720

Lire 15000 (i.i.)