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Italian Pages 246 [247] Year 2008
LXVI
LUCREZIO LA NATURA E LA SCIENZA a cura di
MARCO BERETTA e FRANCESCO CITTI
Leo S. Olschki Firenze MMVIII
ISSN 1122-0910
LUCREZIO, LA NATURA E LA SCIENZA
LXVI
ISBN 978 88 222 5812 0
ISTITUTO E MUSEO DI STORIA DELLA SCIENZA FIRENZE
LXVI
LUCREZIO LA NATURA E LA SCIENZA a cura di
MARCO BERETTA e FRANCESCO CITTI
Leo S. Olschki Firenze MMVIII
Tutti i diritti riservati
CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it
Volume pubblicato con il contributo dell’Alma Mater Studiorum Universita` di Bologna - Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali
ISBN 978 88 222 5812 0
PREMESSA
Il presente volume nasce dagli interventi, profondamente rivisti e integrati, ad un seminario interdisciplinare su Lucrezio, tenutosi il 16 novembre 2006 a Ravenna, presso il Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Universita` di Bologna. L’iniziativa e` nata dal tentativo, che portiamo avanti da qualche anno, di coordinare le attivita` didattiche e di ricerca delle discipline di Storia della scienza e di Letteratura Latina nella nostra Facolta`, offrendo a studiosi e studenti una rivisitazione interdisciplinare dei testi scientifici latini. I molteplici livelli di lettura cui si prestano le opere scientifiche antiche, in particolar modo quella di Lucrezio, ci hanno indotto ad allargare l’orizzonte della nostra collaborazione e a chiedere l’intervento di altri studiosi, sempre in un’ottica interdisciplinare: ci auguriamo che le pagine che seguono possano essere utili a collocare il De rerum natura entro una prospettiva piu` ricca. Desideriamo dunque ringraziare gli autori per aver assecondato con entusiasmo il nostro disegno originario, e per averlo arricchito con il loro prezioso contributo. Tra gli studiosi che hanno partecipato attivamente al seminario vogliamo rivolgere un particolare ringraziamento a Francesca Romana Berno, Giuseppe Gilberto Biondi, Gian Biagio Conte, Andrea Cucchiarelli, Paolo Fedeli, Gianni Micheli, Marco Piccolino, Valentina Prosperi, Alessandro Schiesaro, Alessandro Tosi. Un aiuto determinante sia nella fase di progettazione, che nella successiva realizzazione dell’iniziativa e` venuto dagli amici del Centro Studi ‘‘La Permanenza del Classico’’, diretto da Ivano Dionigi, che da tempo promuove riflessioni sui rapporti tra i classici e la scienza. Senza il fattivo sostegno della Facolta` di Conservazione dei Beni Culturali, del CIRESS e del DISMEC dell’Universita` di Bologna, e della Fondazione Flaminia di Ravenna, non sarebbe stato possibile realizzare l’incontro; senza il contributo dell’Alma Mater Universita` degli Studi di Bologna, non avremmo — V —
PREMESSA
potuto pubblicare il presente volume. A tutti va il nostro piu` sentito ringraziamento. MARCO BERETTA – FRANCESCO CITTI
N.d.R. Uniformare compiutamente saggi di studiosi provenienti da diverse aree disciplinari non e` sempre facile: ci siamo attenuti per quanto possibile alle norme della collana, ricorrendo per gli autori antichi alle sigle del Greek-English Lexicon di Liddell-Scott, e del Thesaurus linguae Latinae. In corsivo sono le citazioni dei testi latini classici, mentre tra virgolette quelle moderne.
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ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI GLI EPICUREI E LA GEOMETRIA. UN PROGETTO DI GEOMETRIA ANTIEUCLIDEA NEL GIARDINO DI EPICURO?
Il soggetto del nostro intervento: «Gli Epicurei e la geometria. Un progetto di geometria antieuclidea nel Giardino di Epicuro?» puo` apparire a prima vista lontano, se non rispetto al tema del convegno «Lucrezio, la natura e la scienza», almeno al nome del suo protagonista. Si tratta tuttavia solo di una apparenza, e gli studiosi degli aspetti scientifici del De rerum natura di Lucrezio troveranno nella lettura delle nostre pagine un aiuto a comprendere, se non altro, lo sfondo culturale nel quale si collocano due passi famosi del primo libro del poema lucreziano. I risultati del progetto di una geometria antieuclidea, che gia` aveva impegnato Epicuro, e che venne sviluppato in particolare da Demetrio Lacone e da Zenone di Sidonio (due epicurei della generazione precedente Lucrezio), sono da presupporre a fondamento di un aspetto cruciale della dottrina atomistica, la cui trattazione occupa la parte centrale del I libro del De rerum natura (1,599-634 e 746-752): la discussione della teoria delle parti minime (ejlavcista, minima) degli atomi. In questa sezione del poema, Lucrezio utilizza evidentemente il locus classicus della Lettera a Erodoto di Epicuro (§§ 56-59), ma tiene anche conto probabilmente degli sviluppi di quella dottrina che sono da presupporre nelle opere di Demetrio e Zenone. Sono gia` passati venti anni da quando avemmo occasione di occuparci del pensiero matematico degli Epicurei e in particolare di Demetrio Lacone.1 In 1 ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI , ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’, Cronache Ercolanesi, 1987, 17: 89-103. A questo articolo rinviamo per una analisi piu` approfondita della questione (con discussione della precedente letteratura) e per l’edizione dei resti delle due opere ‘matematiche’ di Demetrio Lacone.
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ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI
quella circostanza, tracciammo non solo una breve storia degli studi ‘matematici’ nel Giardino di Epicuro, ma pubblicammo anche i frammenti (purtroppo assai scarsi) degli scritti che Demetrio Lacone aveva composto su questo soggetto e che ci sono giunti grazie alla scoperta dei papiri della biblioteca di Filodemo a Ercolano. E` nostra intenzione riprendere oggi in una rapidissima rassegna una sintesi di quei risultati, rivisti, dove necessario, alla luce del progresso della ricerca. Di due Epicurei delle generazioni piu` recenti, Demetrio Lacone e Zenone di Sidone (vissuti tra il 150 e 75 a.C.), si conservano ancora resti di opere di contenuto matematico-geometrico, che confermano l’interesse che essi portarono allo studio di queste discipline. I papiri della Biblioteca di Ercolano ci hanno conservato tracce di almeno due opere attribuite a Demetrio Lacone, intitolate rispettivamente Peri; gewmetriva" (Sulla geometria) e Pro;" ta;" Poluaivnou jAporiva" (non traduciamo, per il momento, questo titolo la cui interpretazione dipende da quanto diremo nelle pagine che seguono). Di Zenone Sidonio, il neoplatonico del V secolo d.C., Proclo ha tramandato (nel commento al I libro degli Elementi di Euclide) un largo estratto relativo a una aspra polemica sui principi geometrici (ajrcaiv) e la loro validita`, che avrebbe visto impegnati l’epicureo Zenone e lo stoico Posidonio. L’attribuzione di opere di argomento matematico a due filosofi epicurei ha suscitato a lungo forti dubbi quanto alla loro autenticita`: una parte della critica l’ha recisamente negata o giustificata supponendo l’appartenza dei loro autori al cosiddetto filone degli Epicurei ‘dissidenti’. In realta`, la presenza di scritti matematici attribuiti agli epicurei trova la sua giustificazione all’interno di una tradizione che, fino da Epicuro, si era espressa nei confronti della geometria ufficiale (o ‘euclidea’) in termini di netta opposizione, nell’ambito del piu` ampio rifiuto «di quella interazione tra ricerca filosofica e matematicogeometrica che dalla scuola pitagorica in poi e` ripercorribile nella storia del pensiero greco».2 La teoria stessa dei minima si puo` interpretare (con il von Arnim 3) come la conseguenza logica e necessaria di un sistema filosofico che tendeva a dimostrare un presunto finitismo all’interno del cosmo, in quanto essa presuppone il rifiuto del principio della divisibilita` all’infinito accolto dai geometri antichi in seguito alla acquisizione della teoria dell’incommensurabilita`. I geometri ammettevano che vi puo` essere una lunghezza l nella quale ANGELI – DORANDI, ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’ (cit. n. 1), p. 89. HANS VON ARNIM, ‘‘Epikurs Lehre von Minimum’’, Almanach der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, Wien, 1907, 57: 383-402. 2 3
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GLI EPICUREI E LA GEOMETRIA
q non e` contenuto un numero intero di volte, ma e` tale che l = nq + z; Epicuro sosteneva invece che la divisione all’infinito presuppone l’assurda riduzione dell’essere al non essere, per cui e` ammissibile solo una relazione del tipo l = nq. A tale relazione si perviene attraverso il seguente ragionamento per analogia: come la tomh; ejpi; tou[latton (la divisione all’infinito) si arresta a un minimo percettibile oltre il quale non si procede, cosı` nella scomposizione della realta` si deve giungere a una unita` minima di sostanza che e` l’atomo. Questa in quanto estesa e` dotata di parti teoricamente indivisibili che si susseguono all’interno dell’atomo senza coincidere ne´ sovrapporsi. I minima rappresentano per Epicuro le unita` minime di grandezza; gli atomi sono loro multipli integrali e a essi devono essere rapportate la solidita` e le differenti grandezze e forme atomiche. Secondo alcuni critici,4 questa teoria rappresenta la base sulla quale si costituı` nella scuola epicurea una sorta di geometria atomistica in alternativa alla geometria euclidea; secondo altri,5 essa venne applicata soltanto alla fisica. Per stabilire quale delle due ipotesi sia la piu` verisimile e` necessario riprendere uno studio sistematico delle testimonianze superstiti. Va comunque detto, fino da ora, che non e` corretto interpretare le fonti epicuree come se contenessero solo una semplice critica metodologica degli Elementi euclidei, solo che si consideri che le basi sulle quali Euclide aveva impiantato il suo pensiero erano strutturalmente incompatibili con i principi costitutivi della filosofia epicurea. Con la teoria dei minima, Epicuro aveva infatti posto le condizioni per uno sviluppo nel Giardino della sua utilizzazione anche nel campo matematico-geometrico. Dobbiamo pertanto supporre che l’atteggiamento degli Epicurei non si era limitato alla sola pars destruens, ma aveva compreso anche una fase costruttiva attraverso la proposta di un tipo di geometria ‘atomistica’ coerente con l’ontologia proposta dal fondatore del Giardino. In questo modo, si spiega senza sforzo la presenza nella storia dell’Epicureismo di figure quali Polieno, Basilide, Filonide, Protarco di Bargilia, Zenone Sidonio e Demetrio Lacone, autori tutti di opere matematico-geometriche o interessati a problemi legati a questa disciplina. 4 SALOMON LURIA, ‘‘Die Infinitesimaltheorie der antiken Atomisten’’, Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, 1932-1933, 2: 106-185; DAVID J. FURLEY, Two Studies in the Greek Atomists (Princeton: Princeton UP, 1967), pp. 3-158; JU¨RGEN MAU, Zum Problem des Infinitesimalen bei den antiken Atomisten (Berlin: Akademie Verlag, 1954, 19572) e ‘‘Was there a Special Epicurean Mathematics?’’, in Exegesis and Argument: Studies in Greek Philosophy Presented to Gregory Vlastos, edited by Edward N. Lee, Alexander P.D. Mourelatos, Richard M. Rorty (Assen: Van Gorcum, 1973), pp. 421-430. 5 GREGORY VLASTOS, ‘‘Zeno of Sidon as a critic of Euclid’’, in The Classical tradition. Literary and historical studies in honor of Harry Caplan, edited by Luitpold Wallach (Ithaca - New York: Cornell UP, 1966), pp. 148-159.
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ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI
Se cerchiamo di tracciare, ora, una sia pur sommaria storia degli studi matematico-geometrici all’interno del Giardino, la figura piu` sintomatica appare essere quella di Polieno (IV s. a.C.), che pur eccellente matematico rinuncio` a un certo momento alle sue ricerche scientifiche.6 Polieno fu l’autore di un’opera (perduta, ma ricostruibile per qualche aspetto grazie alla testimonianza di Demetrio Lacone) intitolata Aporie, che possiamo considerare come un ‘anticommentario’ agli Elementi di Euclide e che rappresenta probabilmente il modello cui si ispiro` Demetrio Lacone nel suo scritto Sulla geometria. Conosciamo il nome di altri epicurei intermediari fra Polieno e Demetrio e Zenone che si erano occupati di studi matematici; in particolare, Filonide di Laodicea a Mare (prima meta` del II s. a.C.). Filonide (a differenza di Polieno), continuo` sempre a coltivare questo campo di studi. Nella anonima e frammentaria Vita di Filonide (PHerc. 1044), si conserva un frammento assai interessante per definire quale tipo di geometria Filonide professo`.7 Vi si legge (fr. 13 inferiore14, 3): «(Filonide scrisse un’esegesi) al libro ottavo Sulla natura (di Epicuro) e molte altre svariate (esegesi) di carattere geometrico alla dottrina di Epicuro intorno al minimum (peri; ejlacivstou)». E` chiaro da questo frammento che Filonide propose la sua spiegazione della teoria dei minima su base geometrica e che tale base non poteva essergli di certo fornita dalla geometria tradizionale o ‘euclidea’. Meglio informati siamo sul pensiero matematico di Demetrio Lacone, autore di due opere specifiche consacrate alla geometria: il trattato Sulla geometria (PHerc. 1061) e i cinque libri del Pro;" ta;" Poluaivnou Aporiv j a".8 Nella colonna VIII dell’opera Sulla geometria,9 Demetrio contesta duramente la divisibilita` all’infinito presupposto della geometria euclidea perche´ incompatibile con la teoria epicurea dei minima: «...(ma neppure se) divideremo la retta data e la meta` di questa e di nuovo la meta` della mezza retta e questo sino all’infinito (l’aporia) potrebbe avere una soluzione; giacche´ verificandosi una diminuzione all’infinito, la divisione sara` all’infinito...». La coVedi Polieno. Frammenti. Edizione, traduzione e commento a cura di Adele Tepedino Guerra (Napoli: Bibliopolis, 1991). 7 La Vita di Filonide e ` disponibile nell’edizione, accompagnata da una traduzione italiana e da un commento, di ITALO GALLO (a cura di), Frammenti biografici da papiri, vol. 2 (Roma: Ateneo, 1980), pp. 21-166. 8 Sul personaggio, vedi TIZIANO DORANDI , ‘‘De ´ me´trios Lacon’’, in Dictionnaire des Philosophes Antiques, sous la direction de Richard Goulet (Paris: CNRS, 1994), vol. 2, pp. 637-641. 9 I resti dell’opera Sulla geometria sono pubblicati e tradotti in ANGELI – DORANDI , ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’ (cit. n. 1), pp. 92-95. 6
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GLI EPICUREI E LA GEOMETRIA
lonna VIII e` la prima che tramanda una porzione di testo leggibile dell’opera. Nella col. IX, leggiamo la definizione euclidea del cerchio; nelle colonne XXII viene discusso El. 1,9; nelle colonne XIII-XIV, El. 1,10; la col. XV e` troppo lacunosa; con la col. XVI, l’opera terminava. Non e` facile, considerata la frammentarieta` del papiro, cogliere in quale rapporto le colonne VIII-IX stessero con il discorso successivo e con la relativa discussione di El. 1,910. La discussione di El. 1,9 «Dividere per meta` un angolo rettilineo dato» e di El. 1,10: «Dividere per meta` una retta terminata data» e` comunque particolarmente interessante. E` probabile che, discutendo questi due teoremi, Demetrio si proponesse come scopo la demolizione dei principi (ajrcaiv) dei geometri su basi teoretiche e la confutazione di quelle proposizioni su basi metodologiche. Le colonne VIII-IX potrebbero pertanto essere la conclusione della sezione in cui Demetrio attaccava le ajrcaiv geometriche; in questo caso, la polemica della colonna VIII (impossibilita` della divisione all’infinito) non sarebbe stata diretta specificamente contro El. 1,10, analizzato poi nelle colonne XIII-XIV, ma si sarebbe rifatta, in una serie piu` ampia di ragionamenti condotti per absurdum, alla dicotomia della retta contro il principio della divisione all’infinito. Significative in questo senso sono le linee 9-12 della col. VIII: «giacche´ verificandosi una diminuzione all’infinito, la divisione sara` all’infinito...». La conseguenza di una ejlavttwsi" ejp j a[peiron (diminuzione all’infinito) – afferma Demetrio – e` sempre una ejp ja[peiron tomhv (divisione all’infinito), il che rende irrisolvibile l’aporia in questione. Trasferendo dunque al piano geometrico la critica di Epicuro alla tomh; eij" a[peiron e ejpi; tou[latton, Demetrio riusciva a dimostrare l’impossibilita` del processo di divisione all’infinito. Non possiamo escludere che Demetrio avesse, in precedenza, contestato le definizioni geometriche di punto e linea (El. 1, Def. 1 «Punto e` cio` che non ha parti» e Def. 2 «Linea e` lunghezza senza larghezza») che presuppongono la divisione all’infinito allo stesso modo di El. 1,9 e 1,10 discussi nelle colonne X-XIV. Altresı` interessante, e` notare come Demetrio Lacone con la sua discussione del divisibile all’infinito e di El. 1,10 si inserisca in una tradizione di pensiero la quale si era servita della dicotomia della retta ora come conferma ora come negazione della divisibilita` all’infinito. Si tratta di una tradizione di pensiero che aveva avuto come protagonisti, da un lato, l’anonimo autore del De lineis insecabilibus e Proclo nel Commento al I libro degli Elementi di Euclide (fautori della divisibilita` all’infinito); dall’altro Senocrate, Sesto Empirico e lo stesso Demetrio (sostenitori dell’impossibilita` di tale processo). Tutti questi autori possono essere considerati fonti di una polemica mai del tutto risolta ne´ appianata tra i due principi della divisibilita` all’infinito — 5 —
ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI
con la conseguente utilizzazione delle grandezze incommensurabili e dell’insecabilita`.10 Il pessimo stato di conservazione dell’altra opera di Demetrio Pro;" ta;" Poluaivnou Aporiv j a", impedisce di ricostruire, non fosse altro che nelle grandi linee, il contenuto dello scritto e di definirne le caratteristiche portanti.11 Il soggetto era sicuramente geometrico e in rapporto con gli Elementi di Euclide. Un aspetto sul quale dobbiamo concentrare l’attenzione e` la grande frequenza dei due termini ejlavciston e ajporiva: il primo riporta nel contesto della teoria dei minimi atomici (gia` presente nel libro Sulla geometria); il secondo mette in evidenza che uno (forse il principale) dei soggetti di quei libri era la soluzione di aporie presenti nell’opera (e nel pensiero) di qualcuno, forse Euclide.12 La parte conservata della colonna che chiude il quinto libro di quello scritto di Demetrio sembra orientare in questa direzione. Vi leggiamo: «...contenendo i primi (libri) anche argomenti eterogenei. Noi invece poiche´ miriamo sia a brevita` sia a una facile soluzione (luvsi") delle aporie (ajporivai), raccogliemmo quelle omogenee perche´ le soluzioni risultassero molto facili e di minor numero...».13 Demetrio, in nome della suntomiva (brevita`) si dichiara prossimo a concludere il suo trattato nei cui primi libri aveva discusso di argomenti eterogenei destinando l’ultimo all’analisi delle aporie omogenee. Tale distinzione aveva lo scopo di rendere piu` facili e in minor numero le soluzioni. Il problema consiste nel cogliere in quale senso e in riferimento a quale tipo di ajporivai si parli qui di luvsei". E` evidente che le difficolta` esaminate dal Lacone miravano a questioni matematico-geometriche. Se teniamo conto di cio` si prospettano due possibilita` interessanti: o intendiamo il titolo dell’opera Pro;" ta;" Poluaivnou jAporiva" nel senso di In favore delle ‘Aporie’ di Polieno e identifichiamo le Aporie ( Aporiv j ai, con l’alpha maiuscolo) nell’opera geometrica di Polieno rivolta contro la geometria euclidea, oppure lo intendiamo nel senso di Contro le aporie di Polieno dando a ‘aporie’ (con l’alpha minuscolo) il senso generico di incongruenze messe in evidenza da avversari epicurei nel pensiero matematico di Polieno. In questo secondo ANGELI – DORANDI, ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’ (cit. n. 1), pp. 95-99. I resti piu` significativi dell’opera Pro;" ta;" Poluaivnou jAporiva" sono pubblicati e tradotti in ANGELI – DORANDI, ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’ (cit. n. 1), pp. 99-103. Essi sono stati riproposti nella loro integralita` (come frr. 31-38) dalla TEPEDINO, Polieno. Frammenti (cit. n. 6), pp. 93-105 (testo), 124-125 (traduzione) e 180-185 (note). 12 ANGELI – DORANDI , ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’ (cit. n. 1), pp. 90-91. 13 Ibid., pp. 102-103. 10 11
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GLI EPICUREI E LA GEOMETRIA
caso, la scelta del titolo sembrerebbe poco felice per la sua forma brachilogica. Resta assai piu` verisimile la prima ipotesi. Nel suo scritto, Demetrio avrebbe preso le difese dell’opera di Polieno intitolata Aporie contro avversari Stoici (probabilmente Dionisio di Cirene) che l’avevano attaccata.14 Passiamo ora a esaminare la polemica che vide impegnati l’epicureo Zenone di Sidone e lo stoico Posidonio, quale lo conosciamo attraverso la testimonianza di Proclo.15 Niente possiamo ricavare dai miseri resti del PHerc. 1533, che avrebbe contenuto, se la ricostruzione della subscriptio proposta da Del Mastro e Kleve, e` corretta, un’opera di Zenone Sidonio intitolata A Cratero, contro il libro ‘Sulle dimostrazioni di geometria’ (Zhvnwno" / Pro;" to; Kratevrou Pro;" to; / Peri; twn~ gewmetrikwn~ / ajpodeivxewn).16 Veniamo a Proclo.17 Il filosofo neoplatonico dedica qualche pagina al pensiero ‘matematico’ di Zenone, e in particolare alle obiezioni mosse da costui contro alcune proposizioni euclidee. Il senso di questa polemica e` probabilmente da individuare nel fatto che Zenone aveva continuato a opporsi, nell’orma della tradizione del Giardino, alle ajrcaiv di Euclide: per dimostrare l’incongruenza dei principi geometrici, Zenone confutava certe proposizioni euclidee che presuppongono ajrcaiv non incluse nella parte preliminare della propria opera e che pertanto non possono avere alcun valore dimostrativo. Zenone non fu «un critico puramente metodologico di Euclide, che biasima le prove di Euclide, ma non fa alcuna critica essenziale, e in particolare nessuna che impugna la verita` dei principi di Euclide»; 18 ne´ tantomeno si puo` parlare della sua polemica come di un attacco che sarebbe scaturito semplicemente dall’insufficenza che aveva rilevato nelle ajrcaiv della geometria tradizionale.19 Proclo distingue tra (A) coloro che si opposero alla geometria, poiche´ dubitarono della validita` dei principi e (B) coloro che negarono la veridicita` delle ANGELI – DORANDI, ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’ (cit. n. 1), p. 102. ANNA ANGELI – MARIA COLAIZZO, ‘‘I frammenti di Zenone Sidonio’’, Cronache Ercolanesi, 1979, 9: 47-133. 16 KNUT KLEVE – GIANLUCA DEL MASTRO , ‘‘Il PHerc. 1533: Zenone Sidonio ‘A Cratero’’’, Cronache Ercolanesi, 2000, 30: 149-156. 17 Procl. In Euc., pp. 199, 3-200,6 e 214, 15-218, 11 Friedlein = Posid. frr. 46-47 EdelsteinKidd = Zen. Sid. fr. 27 Angeli Colaizzo. 18 VLASTOS, ‘‘Zeno of Sidon as a critic of Euclid’’ (cit. n. 5), p. 152. 19 DAVID SEDLEY , ‘‘Epicurus and the mathematicians of Cyzicus’’, Cronache Ercolanesi, 1976, 6: 23-59. 14 15
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ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI
proposizioni derivanti dalle ajrcaiv, a meno che non fosse stato ammesso tra i principi qualcos’altro. Al gruppo A appartengono (A’) gli Efettici che distruggono ogni possibilita` di conoscenza e (A’’) gli epicurei che invalidano soltanto i canoni della geometria. Al secondo gruppo (B) appartiene invece Zenone Sidonio. La distinzione in Proclo fra due gruppi di Epicurei, ha una sua veridicita` se viene valutata come testimonianza di un progresso nella storia della scuola, attraverso un approfondimento delle istanze gia` implicite nel primo epicureismo. Le posizioni degli Epicurei sulla geometria vennero attaccate da Posidonio, sostenendo il valore operativo dei principi della geometria. Contro di lui, Zenone aveva scritto un’opera nella quale non doveva essersi limitato a confutare le proposizioni euclidee, ma doveva aver discusso anche delle teorie proprie alla sua scuola. Stando al resoconto di Proclo, Zenone avrebbe in particolare contestato la costruzione del triangolo equilatero proposta da Euclide «cercando di confutare l’intera geometria». Il riferimento e` al primo elemento del I libro libro di Euclide: «Su una retta terminata data costruire un triangolo equilatero». Zenone – continua Proclo – «afferma che anche se accettassimo i principi dei geometri, non si potrebbero formulare le conseguenze, a meno che non si conceda a essi che non esistono segmenti comuni alle due rette; infatti, se cio` non fosse ammesso, la dimostrazione del triangolo equilatero non sarebbe possibile». «Anche se fossero ammessi i principi non ne seguono le conseguenze, a meno che non sia stato presupposto questo, che non ci siano segmenti comuni ne´ alle circonferenze ne´ alle due rette».20 Giunti a questo punto, possiamo tentare di riassumere in maniera ancora piu` sintetica i principali risultati raggiunti relativi alla posizione degli Epicurei nei confronti della geometria. Epicuro aveva eliminato i pericoli della divisibilita` all’infinito e della dottrina dell’incommensurabilita` ponendo alla base della sua cosmologia l’ejlavciston; Polieno aveva ricosciuto la geometria tradizionale incompatibile con la dottrina epicurea e l’aveva abbandonata. In seguito, Basilide, Filonide, Demetrio Lacone e Zenone approfondirono e affinarono la teoria dei minima, ponendo cosı` le fondamenta di un atomismo matematico. Lucrezio si pone alla fine di questa storia e ne riassume in maniera vigorosa e efficace i risultati. Non e` infatti possibile pensare che gli Epicurei piu` recenti non avessero cercato di risolvere «la contraddizione 20
ANGELI – COLAIZZO, ‘‘I frammenti di Zenone Sidonio’’ (cit. n. 15), pp. 63-68.
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GLI EPICUREI E LA GEOMETRIA
fra la geometria e la teoria dei minima» 21 ne´ che avessero abbandonato la teoria dell’ejlavciston, pilastro della loro dottrina. E ancor meno probabile risulta l’ipotesi che essi si fossero volti alla geometria tradizionale, pur restando fedeli all’epicureismo, se e` vero che i Greci attribuirono alla ricerca geometria un carattere speculativo.
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SEDLEY, ‘‘Epicurus and the mathematicians of Cyzicus’’ (cit. n. 19), p. 26.
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LISA PIAZZI ATOMISMO E POLEMICA FILOSOFICA: LUCREZIO E I PRESOCRATICI
All’interno del I libro del De rerum natura Lucrezio dedica quasi trecento versi alla discussione di alcune tra le principali dottrine presocratiche sui principi della materia: 1 si tratta di una sezione tutt’altro che marginale del poema, in cui si ritrovano, come vedremo, alcune delle fondamentali tematiche lucreziane. La stessa posizione di rilievo di questi versi nel libro proemiale, subito dopo l’enunciazione dei principi epicurei degli atomi e del vuoto e prima della famosa dichiarazione di poetica contenuta in 1,921 ss., dimostra la centralita` di questo passo, in cui Lucrezio definisce attraverso il confronto con i predecessori le specificita` e le novita` della dottrina atomistica, ma riflette anche, in maniera piu` o meno esplicita, su questioni di metodo (come ad esempio quale sia la corretta modalita` di divulgazione di una dottrina filosofica) o di rilevanza anche letteraria, come la poverta` del lessico filosofico latino o l’analogia tra parole e cose. Benche´ si presenti come una trattazione in gran parte faziosa e dogmatica, la polemica lucreziana attesta pur sempre un interesse di tipo ‘storico’ nei riguardi dei predecessori, i physiolo`goi greci che per primi si interrogarono sull’origine ultima del mondo e dei fenomeni senza ricorrere a spiegazioni di tipo magico o religioso: per questo, nonostante gli errori cui secondo Lucrezio andarono incontro, questi filosofi sono considerati in qualche modo precursori degli atomisti e di Epicuro stesso.2
1 Mi sono occupata piu ` estesamente di questo passo nel mio Lucrezio e i Presocratici. Un commento a De rerum natura 1, 635-920 (Pisa: Edizioni della Normale, 2005), da cui riprendo qui alcune osservazioni in forma abbreviata. Tutte le citazioni del testo di Lucrezio, salvo diversa indicazione, seguono l’edizione di Cyril Bailey (Oxford: Clarendon Press, 1947). 2 Un interesse per la storiografia filosofica non era estraneo alla scuola epicurea, come dimostra la figura di Filodemo, autore di una Suvntaxi" tw~n filosovfwn (cfr. D.L. 10,3), una sorta di manuale nel quale trovava spazio forse anche una trattazione della filosofia presocratica: cfr. TIZIANO DORANDI, ‘‘Filodemo storico del pensiero antico’’, in Aufstieg und Niedergang der Ro¨mischen Welt, hrsg. von
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LISA PIAZZI
1. I
BERSAGLI DELLA POLEMICA E L’IMPIANTO DOSSOGRAFICO
I tre filosofi nominati da Lucrezio, Eraclito, Empedocle e Anassagora, rappresentano tre soluzioni esemplari al problema dell’ajrchv. Eraclito, in quanto pone il fuoco come unico principio delle cose, e` esponente del monismo; Empedocle, con i quattro elementi, rappresenta una forma di pluralismo; Anassagora, con la sua teoria delle ‘omeomerie’ e del ‘tutto in tutto’, esemplifica un infinito pluralismo: e` possibile che Lucrezio abbia scelto tali bersagli polemici intendendoli anche come tre tappe di un percorso di progressivo avvicinamento alla verita` dell’atomismo, che la dottrina anassagorea, ponendo un numero infinito di principi, sembra in parte precorrere.3 La trattazione delle dottrine avversarie in ordine cronologico o in base al numero dei principi postulati (un principio, due principi, piu` principi, ecc.) avvicina il passo lucreziano alla letteratura dossografica, che seguiva appunto questo schema, risalente al I libro della Metafisica aristotelica. Se ci interroghiamo sulle fonti del passo in questione, l’ipotesi formulata da piu` parti e` che Lucrezio abbia attinto la sua polemica dai libri XIV e XV del Peri; fuvsew" di Epicuro, i cui frammenti attesterebbero l’adozione di un modello interpretativo della filosofia presocratica risalente alla scuola aristotelica, e in particolare alle Fusikw~n dovxai di Teofrasto.4 Cosı` si spiegherebbero alcune formulazioni lucreziane delle teorie dei Presocratici che risultano, per cosı` dire, anacronistiche e prive di riscontro nei loro frammenti superstiti, come l’idea della trasformazione del fuoco per condensazione e rarefazione attribuita ad Eraclito (De rerum natura 1,647-651) 5 o l’uso del termine homoeomeria per Wolfgang Haase, Hildegard Temporini (Berlin-New York: de Gruyter, 1990), vol. II.36.4, pp. 23282368; CESIRA MILITELLO, ‘‘Filodemo storico della filosofia greca’’, Cronache Ercolanesi, 2000, 30: 103-110; GRAZIANO ARRIGHETTI, Poesia, poetiche e storia nella riflessione dei Greci (Pisa: Giardini, 2006), pp. 388-395. 3 L’idea era gia ` in CYRIL BAILEY, The Greek Atomists and Epicurus (Oxford: Clarendon Press, 1928), p. 11. Su Anassagora come ‘precursore’ dell’atomismo cfr. PIAZZI, Lucrezio e i Presocratici (cit. n. 1), pp. 52-55, con la bibliografia ivi citata. 4 Cfr. DAVID SEDLEY , Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom (Cambridge: Cambridge UP, 1998), pp. 123-126 e 145-146. Per una ricostruzione dei libri XIV e XV del Peri; fuvsew" di Epicuro si vedano GIULIANA LEONE, ‘‘Epicuro, Della natura, libro XIV’’, Cronache Ercolanesi, 1984, 14: 17-107 e CLAIRE MILLOT, ‘‘E´picure, De la nature, livre XV’’, Cronache Ercolanesi, 1977, 7: 9-39. 5 L’Efesino concepiva effettivamente il fuoco come principio e attribuiva la nascita di tutte le cose a cambiamenti del fuoco (cfr. fr. B 30; 31 e 90 D.-K.), ma non parla mai di condensazione e rarefazione dell’elemento: sara` la letteratura dossografica di matrice aristotelico-teofrastea a interpretare i mutamenti del fuoco eracliteo in termini di puvknwsi" e mavnwsi" (o ajraivwsi"), come risulta da Simpl. in ph. 23,33 (= HERMANN DIELS, Doxographi Graeci, Berlin: Weidmann, 1879, p. 475) o da D.L. 9,8. Sulla possibilita` che la formulazione lucreziana della dottrina eraclitea dipenda dalla lette-
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definire la dottrina anassagorea (1,830 e 834).6 Per non dire di alcuni fraintendimenti e omissioni, come la mancata menzione di Filiva e Neik~ o" nell’attacco al pluralismo di Empedocle,7 o ancora l’interpretazione in senso puramente materialistico fornita da Lucrezio a proposito del fuoco di Eraclito, che per l’Efesino era invece espressione del logos divino e della legge che tutto governa piuttosto che elemento fisico concreto.8 All’influsso della letteratura dossografica si puo` ricondurre anche la ripetitivita` degli schemi ragionativi, quasi che Lucrezio ricorra a moduli prefissati, che applica indifferentemente ai tre filosofi confutati. A tutti e tre sono mosse due critiche di fondo: a) non hanno ammesso il vuoto; b) ammettono la divisibilita` infinita.9 Si tratta non a caso dei due elementi che maggiormente distinguono l’atomismo dalle dottrine precedenti: infatti solo l’ammissione del vuoto permette di concepire una teoria corpuscolare della materia, mentre la negazione della divisibilita` all’infinito consente di non ridurre al nulla i principi primi fissando una soglia, l’atomo appunto, oltre la quale la divisione non puo` procedere.10 ratura dossografica cfr. WOLFGANG RO¨SLER, ‘‘Lukrez und die Vorsokratiker’’, Hermes, 1973, 101: 48-64: 50. Una terminologia simile a proposito della trasformazione del fuoco e` ripresa anche nella cosmologia stoica, improntata in parte alla dottrina di Eraclito: si vedano ad es. SVF II 413 e 581 e, in generale sul debito degli Stoici verso l’Efesino, ANTHONY A. LONG, ‘‘Heraclitus and Stoicism’’, Philosophia, 1975-1976, 5-6: 133-156. 6 Il termine, assente nei frammenti superstiti di Anassagora, che pure impiega moira (cfr. frr. B ~ 6; 11 e 12 D.-K.), figura nei dossografi (cfr. le testimonianze raccolte in 59 A 45 D.-K.) ed e` impiegato dallo stesso Epicuro (fr. 29,27,7-9 Arr.), forse anche in un frammento del libro XV del Peri; fuvsew" che potrebbe essere in relazione proprio con Anassagora: cfr. MILLOT, ‘‘E´picure, De la nature’’ (cit. n. 4), pp. 27-28. Per una storia del termine si veda DIEGO LANZA, ‘‘Le omeomerie nella tradizione dossografica anassagorea’’, La parola del passato, 1963, 18: 256-293. 7 In 1,759 ss. Lucrezio osserva che i quattro elementi di Empedocle (aria, acqua, fuoco e terra) non possono combinarsi tra loro nei composti in quanto sono inimica... atque veneno: ma, mentre Empedocle attribuiva l’impossibilita` dell’aggregazione all’azione momentanea di Neik ~ o", Lucrezio, omettendo un tratto importante della teoria cosmologica dell’Agrigentino, sembra pensare a una intrinseca e permanente incompatibilita` degli elementi. 8 In 1,696-697 Lucrezio sostiene che Eraclito cade in contraddizione in quanto ammette che i sensi attestino l’esistenza del fuoco ma non quella di tutti gli altri corpi: ma il fuoco eterno e divino, giudice e principio ordinatore delle cose a cui pensava Eraclito (cfr. ad. es. frr. B 30; 64-67 D.-K.) aveva probabilmente poco a che vedere con il fuoco materiale di cui si ha esperienza quotidiana. In questo senso la confutazione di Lucrezio, fondata sulla rivendicazione del valore della conoscenza sensibile, appare pretestuosa e poco pertinente, in quanto applica al pensiero dell’Efesino categorie proprie del materialismo epicureo. 9 Sulla mancata ammissione del vuoto cfr. 1,655-664; 745; 843; sulla divisibilita ` all’infinito, ibid., vv. 746-752 e 844. 10 Vale la pena di ricordare come alcuni esponenti del Giardino abbiano applicato la teoria dei minima, pietra miliare della fisica epicurea, anche all’ambito geometrico-matematico, in polemica con la geometria euclidea che invece ammetteva la divisibilita` all’infinito: sulle Aporie di Polieno (probabilmente un anticommentario degli Elementi di Euclide) e sul Peri; gewmetriva" di Demetrio
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Certo, non si puo` neppure escludere una (almeno parziale) conoscenza diretta da parte di Lucrezio dei testi dei Presocratici, soprattutto nel caso di Empedocle, come dimostrerebbero i numerosi riecheggiamenti notati dagli interpreti anche in altri luoghi del poema.11 Inoltre le dossografie o i testi della scuola epicurea cui Lucrezio ha presumibilmente attinto potevano contenere citazioni che consentivano di conoscere anche lo stile degli autori confutati.12 In particolare Eraclito, come si vedra` piu` avanti, e` fatto oggetto di una polemica che investe, oltre ai contenuti della dottrina, anche le specificita` della sua scrittura e sembra dunque presupporre una conoscenza da parte di Lucrezio almeno di qualche parte dell’opera dell’Efesino.13 E` probabile che proprio l’attacco a Eraclito fornisca l’occasione per polemizzare indirettamente anche contro dottrine piu` recenti, e in particolare contro gli Stoici, divenuti all’epoca di Lucrezio i principali avversari dell’epicureismo: 14 come e` noto, gli Stoici avevano ripreso alcuni elementi della dottrina dell’Efesino, tra i quali il concetto del fuoco primigenio e quello del lovgo" universale. Lo conferma, tra le molte testimonianze, un passo del De natura deorum di Cicerone (dialogo che si immagina ambientato negli anni 70 del I seLacone si veda in questo stesso volume il contributo di Tiziano Dorandi, che riprende e sviluppa osservazioni contenute in ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI, ‘‘Il pensiero matematico di Demetrio Lacone’’, Cronache Ercolanesi, 1987, 17: 89-103. 11 Sul rapporto tra Lucrezio e Empedocle cfr. anche infra: all’interno dell’ampia bibliografia sull’argomento si vedano almeno WALTHER KRANZ, ‘‘Lukrez und Empedokles’’, Philologus, 1944, 96: 68-107; JEAN BOLLACK, ‘‘Lukrez und Empedokles’’, Die neue Rundschau, 1959, 70: 656-686; DAVID FURLEY, ‘‘Variations on Themes from Empedocles in Lucretius’ Proem’’, Bulletin of the Institute of Classical Studies, 1970, 17: 55-64; GEORG WO¨HRLE, ‘‘Carmina divini pectoris oder prodesse und delectare bei Lukrez und Empedokles’’, Wiener Studien, 1991, 104: 119-129; SEDLEY, Lucretius (cit. n. 4), pp. 1-34 e 44-46 e ID., ‘‘Lucretius and the New Empedocles’’, Leeds International Classical Studies, 2003, 2.4. 12 Restando nell’ambito della scuola epicurea si puo ` ricordare come proprio Empedocle fosse piu` volte citato nelle opere di Demetrio Lacone (cfr. ad es. le sue Aporie testuali ed esegetiche in Epicuro, a cura di Enzo Puglia, Napoli: Bibliopolis, 1988, pp. 167-168, 177, 181) o di Colote (cfr. Plut. adv. Col. 1113b). 13 Certo la qualifica di obscurus-skoteinov" su cui Lucrezio gioca in 1,639 era proverbiale nell’antichita` e non dimostra che il nostro avesse una conoscenza approfondita degli scritti dell’Efesino: ma, come si vedra`, Lucrezio sembra esplicitamente fare il verso ad alcune peculiarita` della lingua e dello stile di Eraclito, come l’impiego insistito delle antitesi e degli ossimori. 14 Sulla presenza di una polemica antistoica in Lucrezio cfr. JU ¨ RGEN SCHMIDT , Lukrez, der Kepos und die Stoiker. Untersuchungen zur Schule Epikurs und zu den Quellen von ‘‘De rerum natura’’ (Frankfurt am Main: Peter Lang, 1990), passim. Altri studiosi, affezionati all’idea di un Lucrezio ‘fondamentalista epicureo’, che avrebbe riproposto fedelmente e senza alcuna attualizzazione le polemiche condotte dal maestro, escludono che il nostro attacchi gli Stoici (che in effetti non sono mai nominati esplicitamente nel poema), in quanto essi divennero gli acerrimi nemici del Giardino solo in epoca successiva a Epicuro: cfr. SEDLEY, Lucretius (cit. n. 4), pp. 62 ss., che riprende in parte le conclusioni di DAVID FURLEY, ‘‘Lucretius and the Stoics’’, Bulletin of the Institute of Classical Studies, 1966, 13: 13-33.
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colo, all’incirca in contemporanea con la stesura del poema di Lucrezio), in cui l’accademico Cotta si rivolge allo stoico Balbo dicendo: «Sed omnia vestri, Balbe, solent ad igneam vim referre, Heraclitum, ut opinor, sequentes [...]» (3,35). Inoltre nel passo contro Eraclito Lucrezio si riferisce dapprima al solo Efesino (1,638-644), poi, argomentando contro l’ipotesi del fuoco-ajrchv, la attribuisce a una pluralita` di pensatori (dal v. 655 i verbi sono al plurale). Poiche´ Eraclito non ha fondato alcuna scuola e anzi si presenta come un filosofo isolato, aristocraticamente sprezzante verso il senso comune, si puo` pensare che questi successori siano proprio gli Stoici (sebbene gia` in Platone, ad esempio in Tht. 179e 4, si faccia riferimento agli «Eraclitei» al plurale). Anche l’epicureo tardo Diogene di Enoanda 15 fa seguire alla polemica contro i Presocratici un attacco agli Stoici (fr. 6 I,10 ss. Smith), confermando come la sequenza lucreziana dei ‘nemici’ della Scuola epicurea fosse probabilmente abbastanza codificata.
2. LE
FORME DELLA POLEMICA
Se dalla scelta dei bersagli si passa a considerare le motivazioni e le modalita` della polemica, balza agli occhi il tono spesso ironico e sarcastico che Lucrezio riserva ai suoi avversari. Eraclito, cui e` destinato senza dubbio l’attacco piu` virulento, e` considerato inanis (1,639), mentre la sua dottrina e` bollata come perdelirum (692), vanum... delirum (698), dementia (704) e i suoi epigoni sono definiti stolidi (641); per non dire dell’espressione clarus ob obscuram linguam di 1,639, che mette alla berlina lo stile eracliteo.16 Persino Empedocle, caldamente elogiato, come si vedra`, per ragioni sia ideologiche sia stilistiche, e` ironicamente posto tra coloro che, pur avendo fatto divine scoperte, nel determinare i principii delle cose fecere ruinas / et graviter magni magno cecidere ibi casu (1,740-741).17 15 Sui problemi posti dalla datazione di Diogene di Enoanda si veda l’introduzione dell’edizione di MARTIN FERGUSON SMITH, Diogenes of Oinoanda: The Epicurean Inscription (Napoli: Bibliopolis, 1993) e PIAZZI, Lucrezio e i Presocratici (cit. n. 1), p. 5, nota 5 con la bibliografia ivi citata. 16 Sulle implicazioni letterarie della polemica antieraclitea, che sottintende anche una riflessione sulle modalita` di esposizione di un messaggio filosofico cfr. infra. 17 L’espressione, improntata, come segnalano i commenti, alla formula omerica mevga" megalwsti;...keit~ o (Il. 16,776; 18,26-27; Od. 24,40), che descrive la caduta dei guerrieri in battaglia, concorre ad assimilare Empedocle e i filosofi naturalisti a eroi epici sconfitti nonostante la loro grandezza: nella iunctura non c’e` dunque soltanto ironia, ma anche riconoscimento del valore. Un altro caso di metafora militare applicata all’ambito della disputa filosofica (questa volta con intenzioni piu` decisamente sarcastiche) si ha in 1,638, dove Eraclito, assimilato a un generale, «scende per primo in battaglia» in testa alla schiera dei monisti (Heraclitus init quorum dux proelia primus).
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Ma e` soprattutto nella sezione relativa ad Anassagora che emergono i tratti distintivi della polemica lucreziana, e in particolare la tendenza a stravolgere e banalizzare le dottrine avversarie. Ai vv. 830 ss. Lucrezio prima enuncia la teoria di Anassagora in forma banalizzata, sostenendo che essa consiste nel ritenere che ogni corpo e` composto di particelle omogenee al tutto (il sangue di particelle di sangue, le ossa di particelle di ossa e cosı` via). Poi, dopo aver dimostrato le incongruenze insite in tale dottrina, ai vv. 875 ss. afferma che, per uscire dalle aporie, Anassagora dovrebbe afferrare l’unica via di uscita: supporre che tutte le cose siano impercettibilmente mescolate a tutte le cose, ma appaia solo quella le cui particelle sono in maggior numero e collocate in superficie.18 Ma questo e` appunto il genuino pensiero di Anassagora. Dunque Lucrezio prima stravolge la dottrina anassagorea, enunciandola in forma semplificata ed errata, poi, quasi che l’idea fosse venuta in mente a lui, suggerisce una scappatoia grazie alla quale l’avversario in difficolta` potrebbe salvarsi in extremis: ma questo ‘nascondiglio’ offerto ad Anassagora (latitandi... copia) e` in realta` proprio la genuina teoria del filosofo di Clazomene. Anche la seconda ‘via d’uscita’ proposta da Lucrezio, cioe` il ritenere che l’individualita` di una cosa dipenda dal prevalere in essa di un particolare tipo di seme, e` la corretta interpretazione del pensiero di Anassagora. Inoltre Lucrezio non concede agli spevrmata dell’avversario lo stesso ‘diritto’ all’invisibilita` che accorda ai propri atomi, quando osserva che, se davvero nei cibi che ingeriamo sono contenuti i germi delle sostanze in cui essi si trasformeranno, allora triturando il grano dovrebbero apparire gocce di sangue o altri tessuti del nostro corpo: 19 qui Lucrezio si appella a un rozzo senso comune, laddove spesso, parlando degli atomi di Epicuro, si preoccupa di avvertire il lettore della loro invisibilita`, che non deve tuttavia indurre a dubitare della loro esistenza.20 18 Linquitur hic quaedam latitandi copia tenvis, / id quod Anaxagoras sibi sumit, ut omnibus omnis / res putet immixtas rebus latitare, sed illud / apparere unum cuius sint plurima mixta / et magis in promptu primaque in fronte locata. La formulazione lucreziana e` vicina a quella dei frr. B 11 e 12 D.-K., in cui si compendia la teoria del ‘tutto in tutto’. Sulla polemica antianassagorea di Lucrezio cfr. anche ROBERT D. BROWN, ‘‘Lucretian Ridicule of Anaxagoras’’, Classical Quarterly, 1983, 33: 146-160. 19 Il ragionamento e ` sviluppato in 1,881-892 attraverso quattro esempi volti a dimostrare le conseguenze assurde cui la dottrina anassagorea porterebbe: se ogni corpo contenesse i semi di cio` in cui si trasformera`, le spighe di grano (che sono la base del cibo umano) una volta triturate dovrebbero emettere gocce di sangue; l’erba e l’acqua, alimento e bevanda degli animali, dovrebbero secernere gocce di latte; le zolle di terra sbriciolate dovrebbero rivelare la presenza delle piante che dalla terra nasceranno e nel legno spezzato dovrebbero apparire tracce delle fiamme e del fumo che si sprigioneranno dalla legna stessa quando sara` bruciata. 20 Cfr. ad es. 1,267 ss.: ne qua forte tamen coeptes diffidere dictis / quod nequeunt oculis rerum primordia cerni, / accipe praeterea quae corpora tute necessest / confiteare esse in rebus nec posse videri.
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Tale atteggiamento nei riguardi di Anassagora si spiega probabilmente col fatto che, dei tre filosofi confutati, egli e` quello che maggiormente aveva aperto la via all’atomismo, concependo un numero infinito di principi (i semi appunto), anche se poi era agli antipodi dell’atomismo in quanto supponeva semi eterogenei nella materia. Gia` Aristotele in Phys. 203a 19 accostava Anassagora a Democrito in quanto entrambi ponevano elementi illimitati, e Diogene Laerzio ci informa che Epicuro aveva grande considerazione per Anassagora.21 Pare quasi che Lucrezio si impegni a negare ogni punto di contatto con il filosofo di Clazomene e a marcare le distanze anche la` dove potevano essere colmate, pur di non riconoscere un debito filosofico nei suoi confronti. Questa forma di slealta` e faziosita` argomentativa – che e` l’opposto del fair play cui e` improntato il dialogo platonico e ciceroniano – si spiega anche con la ‘diversita`’ epicurea nel quadro delle filosofie di eta` romana.22 Se il metodo critico di Cicerone, quale e` chiarito nelle Tusculanae (5,83), consiste nel porre a confronto tesi diverse istituendo un dialogo sereno, senza asprezze polemiche ne´ prevenzioni di sorta, facendo attenzione a non interrompere o falsare l’altrui ragionamento, non sono certo queste ‘buone maniere’ a regolare la polemica lucreziana, che, rifiutando ogni mediazione, enfatizza gli elementi di diversita`, stravolge e ridicolizza la dottrina degli avversari per confutarla meglio, nega loro qualsiasi par condicio (come si e` visto ad esempio per la questione dell’invisibilita` dei semi di Anassagora). E` all’interno di questo quadro che non pare fuori luogo parlare di accenti ‘diatribici’ nella polemica lucreziana contro i Presocratici: 23 trattandosi di un Cfr. D.L. 10,12: mavlista ajpedevceto, fhsi; Dioklh"~ , twn~ ajrcaivwn Anaxagov j ran. Sulle modalita` della polemica filosofica all’interno del Giardino e in Lucrezio in particolare e` utile la sintesi di KNUT KLEVE, ‘‘The Philosophical Polemics in Lucretius’’, in Lucre`ce (VandœuvresGene`ve: Entretiens Fondation Hardt, 1978, 24), pp. 39-71. Le testimonianze di Cicerone, Diogene Laerzio e Plutarco hanno contribuito a delineare una immagine di Epicuro e degli epicurei come filosofi dogmatici, litigiosi e incapaci di comprendere le ragioni degli avversari: tale immagine e` stata parzialmente ridimensionata negli ultimi anni grazie ai nuovi ritrovamenti dei papiri ercolanesi, che attestano il carattere anche costruttivo delle polemiche epicuree, nonche´ la presenza di un interesse di tipo ‘storico’ da parte degli esponenti del Giardino nei confronti dei predecessori (cfr. supra, nota 2). Spunti interessanti al riguardo si leggono in GIULIANA LEONE, ‘‘Questioni di terminologia filosofica: una chiave di lettura delle polemiche di Epicuro’’, in Epicureismo greco e romano. Atti del Congresso Internazionale Napoli, 19-26 maggio 1993, a cura di Gabriele Giannantoni e Marcello Gigante (Napoli: Bibliopolis, 1996), pp. 239-259. 23 Tra gli studi dedicati all’influsso della diatriba sul poema lucreziano, incentrati prevalentemente sul II proemio e sul III finale, nei quali e` piu` evidente la presenza di temi e motivi derivati dalla filosofia popolare, ricordo ANDRE´ OLTRAMARE, Les origines de la diatribe romaine (LausanneGene`ve: Payot & C., 1926), pp. 111-115; PAUL VALLETTE, ‘‘Lucre`ce et la diatribe’’, Revue des E´tudes Anciennes, 1940, 42: 532-541; BRUNO LAVAGNINI, ‘‘Motivi diatribici in Lucrezio e in Giovenale’’, 21 22
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passo dedicato alla confutazione di teorie fisiche piu` che all’adhortatio morale, mancano in questi versi i temi tipici della diatriba, riscontrabili nei passi del De rerum natura che tradizionalmente vengono accostati ai modi della predicazione popolare. Sono invece presenti, accanto all’ironia e al sarcasmo riservati agli avversari, alcune marche formali di ascendenza diatribica,24 come l’introduzione per ben due volte nel giro di pochi versi, dell’interlocutore fittizio che muove obiezioni in 1,803 ss. e 897 ss.25 In entrambi i casi l’obiezione si apre con ‘At...’ che interrompe bruscamente la trattazione conferendo al discorso un andamento semidrammatico, segnalato dal parentetico inquis. Lucrezio sembra dapprima convinto della validita` dell’obiezione e adduce argomenti a sostegno di essa (la concessio e` introdotta da scilicet dei vv. 809 e 901), poi ne smaschera l’inconsistenza. Non manca neppure la prosopopea, tratto marcatamente diatribico dispiegato altrove da Lucrezio nel celebre passo del III libro in cui la Natura prende la parola ed esprime il proprio sdegno di fronte all’incontentabilita` dell’uomo e all’irragionevolezza della paura della morte.26 Proprio nella conclusione del passo polemico sui Presocratici, l’ipotesi assurda di attribuire ai primordia le stesse qualita` dei fenomeni e` ridicolizzata attraverso una surreale personificazione degli elementi primi umanizzati: 27 se infatti immaginiamo che i principi debbano avere le stesse proprieta` dei corpi che da essi derivano, dovremmo postulare atomi che sghignazzano e piangono come gli uomini, che sono appunto, aggregati di quei primordia. Spettacolare reductio ad absurdum Athenaeum, n.s., 1947, 25: 83-88; GIAN BIAGIO CONTE, ‘‘Il ‘Trionfo della morte’ e la galleria dei grandi trapassati in Lucrezio III 1024-1053’’, Studi Italiani di Filologia Classica, 1965, 37: 114-132 e ID., ‘‘ {Uyo" e diatriba nello stile di Lucrezio’’, Maia, n.s., 1966, 18: 338-368; EDWARD J. KENNEY, Lucretius, De rerum natura, Book III (Cambridge: Cambridge UP, 1971), pp. 17-20; BARBARA PRICE WALLACH, Lucretius and the diatribe against the fear of death (Leiden: Brill, 1976); TOBIAS REINHARDT , ‘‘The speech of nature in Lucretius’ De rerum Natura 3.931-71’’, Classical Quarterly, 2002, 52: 291-304. 24 Sugli aspetti stilistici e formali che si accompagnano al discorso diatribico si veda soprattutto CONTE, ‘‘Il ‘Trionfo della morte’’’ (cit. n. 23), pp. 115-116. 25 Lucr. 1,803 ss.: ‘At manifesta palam res indicat’ inquis ‘in auras / aeris e terra res omnis crescere alique; / et nisi tempestas indulget tempore fausto / imbribus, ut tabe nimborum arbusta vacillent / ...crescere non possint fruges arbusta animantes’. / Scilicet...; ibid. 897 ss. ‘At saepe in magnis fit montibus’ inquis ‘ut altis / arboribus vicina cacumina summa terantur...’. Scilicet... 26 Lucr. 3,931 ss. 27 Lucr. 1,915-920: denique iam quaecumque in rebus cernis apertis / si fieri non posse putas, quin materiai / corpora consimili natura praedita fingas, / hac ratione tibi pereunt primordia rerum: / fiet uti risu tremulo concussa cachinnent / et lacrimis salsis umectent ora genasque. Definirei paradossalmente il passo come una ‘prosopopea muta’, dal momento che i primordia umanizzati non parlano, ma si immagina che siano dotati di tratti fisiognomici (ora genasque) e di prerogative proprie dell’uomo.
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che non riguarda piu` solo la dottrina di Anassagora, ma suona come una condanna di tutta la speculazione filosofica che ha preceduto l’atomismo. Un altro procedimento largamente impiegato da Lucrezio nella discussione delle dottrine avversarie e` quello che Marouzeau ha chiamato «lec¸on par l’exemple»,28 ovvero un modo di esemplificare a livello formale e del significante i contenuti del discorso. Questo procedimento e` talora sfruttato ai fini della ridicolizzazione dell’avversario, come avviene nella confutazione di Eraclito, condotta attraverso uno stile ‘eracliteo’, basato su antitesi, ossimori e giochi di parole.29 Mentre critica l’Efesino, Lucrezio offre un saggio del suo stile proverbialmente oscuro. Altrove la «lec¸on par l’exemple» e` posta al servizio della chiarezza argomentativa e dell’esemplificazione didascalica, come accade per il ricorso frequente alla figura del polipto`to in particolare nella sezione su Anassagora, dove esso mira a visualizzare il principio del ‘tutto in tutto’ e a rendere iconicamente l’idea della crescita dei corpi a partire da principi omogenei.30
3. L’ANALOGIA
TRA PAROLE E COSE
Connessa alla modalita` espositiva della «lec¸on par l’exemple» e` una caratteristica che riguarda tutto il poema, ma in modo particolare il passo in questione, nel quale figurano alcune delle dichiarazioni lucreziane piu` esplicite circa l’analogia tra la formazione dei corpi attraverso la combinazione degli atomi e la formazione delle parole attraverso la combinazione delle lettere. In 1,814 ss. Lucrezio afferma che gli atomi, variamente commisti, danno luogo, attraverso movimenti e configurazioni diversi, alla varieta` dei corpi e dei fenomeni naturali. A partire dal v. 823 e` introdotto il paragone con la realta` linguistica: Cfr. JEAN MAROUZEAU, ‘‘La lec¸on par l’exemple’’, Revue des E´tudes Latines, 1936, 14: 58-64 e Revue des E´tudes Latines, 1948, 26: 105-108. ´tudes sur la poe´tique et la poe´sie de Lu29 Cfr. PIET H. SCHRIJVERS, Horror ac divina voluptas. E cre`ce (Amsterdam: Adolph Hakkert, 1970), p. 45. Tra i frammenti di Eraclito che maggiormente esemplificano questi tratti stilistici si possono ricordare i seguenti: B10, B 60, B 62 e 67 D.-K. I punti in cui Lucrezio ironizza apertamente su queste peculiarita` espressive sono 1,639 clarus ob obscuram linguam, dove si gioca sul duplice valore di clarus come «chiaro» e «famoso» (l’ambiguita` si puo` rendere con il nostro «illustre») e in 1,642 latitantia cernunt, dove cerno, che indica una visione lucida e distinta, e` associato a latitare e descrive la condizione paradossale dei seguaci di Eraclito, che, irretiti dal suo linguaggio oracolare, credono di cogliere verita` nascoste. 30 Cfr. Lucr. 1,835 ss.: ...ossa videlicet e pauxillis atque minutis / ossibus hic et de pauxillis atque minutis / visceribus viscus gigni sanguenque creari / sanguinis inter se multis coeuntibu’ guttis / ex aurique putat micis consistere posse / aurum et de terris terram concrescere parvis, / ignibus ex ignis; umorem umoribus esse... 28
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quin etiam passim nostris in versibus ipsis multa elementa vides multis communia verbis, cum tamen inter se versus ac verba necessest confiteare et re et sonitu distare sonanti.
L’ambito linguistico, in generale, e il poema stesso di Lucrezio, in particolare (nostris in versibus ipsis), diventano un grande paradigma, un simulacrum et imago, che illustra il fenomeno della combinazione degli atomi.31 Ma c’e` di piu`. In 1,901 ss. Lucrezio risponde all’obiezione di un immaginario interlocutore che volesse addurre l’esempio dell’incendio di un bosco come prova a sostegno della ‘omeomeria’ di Anassagora: 32 secondo tale teoria, dal momento che in ogni corpo sono presenti i semi di tutto cio` in cui quel corpo potrebbe trasformarsi, i semi del fuoco sono insiti nel legno. Lucrezio replica che non e` il fuoco a celarsi nel legno, ma vi sono molti elementi primordiali comuni, i quali mediante diversi movimenti e configurazioni formano il legno e il fuoco (ignes et lignum: 1,912): allo stesso modo – e qui scatta l’analogia con la realta` linguistica – anche le parole che designano fuoco e legno sono costituite dalle medesime lettere (elementa) di poco mutate tra loro.33 La paronomasia ignis / ligna viene dunque spiegata in termini atomistici, al pari del fenomeno fisico indicato dalle stesse parole. Ci si puo` domandare per quale motivo Lucrezio inserisca tante riflessioni sull’analogia tra verba e res proprio in questa sezione del poema, dedicata alla confutazione di dottrine avversarie. A parte l’indubbia centralita` del tema nella poesia lucreziana, occorre ricordare che i nemici dell’epicureismo ironizzavano sulla concezione ‘atomistica’ del testo (e del cosmo). Nel De natura deorum di Cicerone lo stoico Balbo dichiara, in evidente polemica con gli Epicurei, che chi attribuisce la nascita del cosmo a combinazioni fortuite di atomi dovrebbe considerare anche gli Annales di Ennio come un prodotto dell’incontro casuale di lettere, il che e` evidentemente assurdo. 34 Ancora 31 Sull’‘atomismo linguistico’ lucreziano e sul nesso tra ‘atomologia’ e ‘etimologia’ si vedano almeno PAUL FRIEDLA¨NDER, ‘‘Pattern of Sound and Atomistic Theory in Lucretius’’, American Journal of Philology, 1941, 62: 16-34; JANE M. SNYDER, Puns and Poetry in Lucretius’ De rerum natura (Amsterdam: B.R. Gru¨ner, 1980), IVANO DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (Bologna: Pa`tron, 20053), passim, cui si rinvia per una bibliografia completa sull’argomento, e il contributo dello stesso Dionigi in questo volume. 32 Sull’andamento semidrammatico e ‘diatribico’ del passo cfr. supra. 33 De rerum natura 1,912-914: quo pacto verba quoque ipsa / inter se paulo mutatis sunt elementis, / cum ligna atque ignis distincta voce notemus. 34 Cic. nat. deor. 2,93: hoc qui existimat fieri potuisse [scil. che il mondo sia il prodotto della collisione casuale degli atomi], non intellego cur non idem putet, si innumerabiles unius et viginti formae litterarum vel aureae vel qualeslibet aliquo coiciantur, posse ex is in terram excussis annales Enni ut deinceps legi possint effici; quod nescio an ne in uno quidem versu possit tantum valere fortuna.
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piu` provocatorio sara` Plutarco, che in De Pyth. Orac. 399 e ritorcera` contro gli epicurei la loro teoria, chiedendosi se anche gli scritti delle Sentenze Capitali di Epicuro siano frutto del caso. E` possibile quindi che la teoria della connaturalita` di parole e cose rappresenti un altro terreno di scontro con gli Stoici o con altri rivali e detrattori dell’Epicureismo. I quali del resto portano alla luce un elemento di effettiva contraddittorieta` presente nell’analogia tra verba e res, tra testo e cosmo: se infatti, come sostiene Lucrezio, il suo poema e` un simulacrum et imago del prodursi dei fenomeni della natura, il cosmo stesso dovrebbe essere il risultato ordinato e compatto dell’azione di un ‘demiurgo’, che corrisponde, nel modello analogico, all’autore dell’opera. L’analogia finisce insomma per ritorcersi contro la stessa dottrina epicurea, dimostrando l’impossibilita` di un mondo nato dal caso.35
4. QUESTIONI
LETTERARIE E POETICHE
Come si e` accennato all’inizio, la polemica contro i Presocratici non investe solo questioni di ordine filosofico e dottrinale, ma anche problemi di stile e di poetica, in particolare nelle sezioni dedicate a Eraclito ed Empedocle. In 1,639 Eraclito e` definito clarus ob obscuram linguam, con una antitesi che allude ovviamente alla qualifica di skoteinov" attribuita all’Efesino fin dall’antichita`, ma che ricorda anche la polarita` luce-tenebre, una delle coppie concettuali piu` ricorrenti nel poema, con particolare riferimento all’impegno profuso da Epicuro e da Lucrezio stesso nel rischiarare il buio dell’ignoranza e far luce sulla complessita` delle leggi della natura.36 L’aggettivo obscurus, qui riferito a Eraclito, quando ha significato traslato e` sempre usato nel De rerum Per questo aspetto cfr. CLARA AUVRAY-ASSAYAS, ‘‘Lucre`ce dans le De natura deorum de Cice´ron: une re´flexion sur les implications de la poe´tique atomiste’’, in Pre´sence de Lucre`ce, Actes du colloque tenu a` Tours (3-5 de´cembre 1998), a cura di Re´my Poignault (Tours: Centre de Recherches A. Piganiol, 1999), pp. 101-110. I passi di Cicerone e Plutarco sono brevemente discussi anche da DIONIGI, Lucrezio (cit. n. 31), pp. 21-22. Non sara` un caso che il motivo dell’omologia tra mondo e linguaggio, tra struttura del cosmo e struttura del testo che descrive quel cosmo si ritrovi in poemi di colorito stoico come quelli di Arato e Manilio: in particolare sul rapporto tra ‘verso’ e ‘universo’ in Arato si veda EMMA GEE, Ovid, Aratus and Augustus. Astronomy in Ovid’s Fasti (Cambridge: Cambridge UP, 2000), pp. 66-91. 36 A parte i luoghi programmatici come 1,136-137 e 1,933 s. (per i quali cfr. nota seguente), si dovranno ricordare almeno 1,146-148, versi ripetuti altre tre volte nel poema (hinc igitur terrorem animi tenebrasque necessest / non radii solis neque lucida tela diei / discutiant, sed naturae species ratioque) e 3,1 ss. O tenebris tantis tam clarum extollere lumen / qui primus potuisti inlustrans commoda vitae...(sulla scorta di SEBASTIANO TIMPANARO, ‘‘Lucrezio III, 1’’, Philologus, 1960, 104: 147-149 accolgo qui la variante o tenebris testimoniata dall’Oblongus e dalle Schedae Vindobonenses, diversamente da Bailey, che stampa la lezione e tenebris di un codice umanistico). 35
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natura in rapporto alla dottrina epicurea.37 Dunque, l’obscuritas non e` di per se´ negativa quando si riesca a dissiparla illuminando la verita`, come Lucrezio ritiene di fare a differenza di Eraclito. Anche il lepidus sonor (1,644) da cui gli stolti seguaci di Eraclito si lasciano affascinare, e` un esempio di cattivo uso del lepos, la grazia e il fascino poetico che Lucrezio pone invece al servizio della divulgazione dell’ostico ma salvifico verbo epicureo.38 L’Efesino diventa insomma una sorta di anti-Epicuro, che cela dietro alla sua compiaciuta oscurita` l’inconsistenza e la falsita` della sua dottrina: per questo Lucrezio gli contesta l’impiego dei mezzi letterari a cui egli stesso fa ricorso.39 La particolare carica polemica contro Eraclito e` confermata dal fatto che egli apre la sequenza dedicata ai Presocratici ed e` ridicolizzato attraverso la gia` ricordata immagine epica del dux che entra in battaglia, che potrebbe forse richiamare, volgendo il pathos in parodia, il duello ‘omerico’ tra Epicuro e la religio del I proemio (vv. 62-79).40 Anche Diogene di Enoanda apre la sua requisitoria contro i filosofi della natura polemizzando contro Eraclito, che fu probabilmente bersaglio delle critiche degli epicurei anche prima e dopo Lucrezio.41
5.
I MOTIVI DELL’AMMIRAZIONE PER
EMPEDOCLE
Tra i filosofi confutati nella sezione dossografica in esame, Empedocle e` l’unico a cui Lucrezio dedica un elogio quasi paragonabile a quelli tributati 37 Cfr. 1,933-934 (= 4,8-9) deinde quod obscura de re tam lucida pango / carmina; 1,136-137 nec me animi fallit Graiorum obscura reperta / difficile inlustrare latinis versibus esse e 1,921-922... et clarius audi. / Nec me animi fallit quam sint obscura... 38 Sulla possibilita ` che il passo lucreziano contro Eraclito adombri una polemica piu` specifica contro l’estetica stoica, che nel giudizio letterario sosteneva il primato del suono sul significato e svalutava i contenuti in favore dell’euphonı`a si veda lo studio, non privo di qualche forzatura, di GUIDO MILANESE, Lucida carmina. Comunicazione e scrittura da Epicuro a Lucrezio (Milano: Vita e Pensiero, 1989), pp. 125 ss. 39 La connessione implicita tra la dichiarazione di poetica di 1,921 ss. e la polemica antieraclitea e` co`lta da SCHRIJVERS, Horror ac divina voluptas (cit. n. 29), pp. 42-47, il quale osserva come anche Lucrezio ricorra al linguaggio figurato e agli strumenti offerti dalla poesia. Tuttavia, mentre Eraclito e` accusato di porre questi mezzi al servizio di una dottrina falsa (per falsa ad falsa, secondo la formula dello stesso Schrijvers), Lucrezio giustifica il proprio impiego della lingua poetica come strumento necessario a divulgare la verita` (per falsa ad vera). 40 L’idea di riconoscere dietro alla scontro tra Epicuro e la superstizione la ‘sceneggiatura’ dell’aristı`a di tipo omerico era proposta gia` da CONTE, ‘‘ {Uyo" e diatriba’’ (cit. n. 23), p. 356, nota 43. 41 Su Diogene di Enoanda cfr. fr. 6, col. I, 10 ss. e col. III, 7-9; si veda anche supra, nota 15. Sull’atteggiamento del Giardino nei riguardi dell’Efesino cfr. MARIO CAPASSO, ‘‘Epicureismo e Eraclito. Contributo alla ricostruzione della critica epicurea alla filosofia presocratica’’, in Atti del Symposium Heracliteum 1981, a cura di Livio Rossetti (Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1983), vol. 1, pp. 423-457.
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al maestro Epicuro: 42 tale ammirazione si spiega innanzi tutto come omaggio a chi si era cimentato in un poema scientifico-filosofico, costituendo per Lucrezio un modello e una giustificazione alla scelta – eccentrica in ambito epicureo – di scrivere in poesia.43 Piu` in generale Empedocle, al pari di Epicuro e di Lucrezio stesso, si presenta come un filosofo-profeta che annuncia verita` salvifiche per l’umanita`.44 L’assimilazione del filosofo a un dio e della sua dottrina ad un responso oracolare e` un tema forte anche nella scuola epicurea, come attestano le critiche degli avversari, testimoniate ad esempio da alcuni passi di Cicerone.45 In una delle Sentenze Vaticane (29) si legge e[gwge... fusiologw~n crhsmw/dei~n ta; sumfevronta pa~sin ajnqrwvpoi"... bouloivmhn e una immagine simile e` ripresa da Diogene di Enoanda, che dichiara di proclamare a gran voce a tutti i Greci (mevga ejmbown~ ) gli insegnamenti del maestro.46 Lucrezio, che piu` volte celebra il carattere divino di Epicuro e delle sue scoperte,47 impiega termini del linguaggio religioso anche per Empedocle e per altri filosofi della natura non esplicitamente nominati, i quali tutti ex adyto tamquam cordis responsa dedere / sanctius et multo certa ratione magis quam / Pythia quae tripodi a Phoebi lauroque profatur.48 Il confronto tra i filosofi, profeti della ratio, e la Pizia sottintende una polemica contro la religione tradizionale e un implicito confronto tra questa e i precetti molto piu` veri della filosofia: il fatto che Lucrezio altrove ripeta gli stessi versi in rapporto a se stesso (cf. 5,111-112) e` un’ulteriore prova del debito che egli riconosce di avere nei riguardi dei physiolo`goi greci, iniziatori di una tradizione proseguita con Epicuro. Ma proprio la confutazione contenuta nel nostro passo indica chiaramente che Lucrezio, pur attribuendo alla dottrina empedoclea la stessa superiorita` rispetto ai precetti della Pizia che rivendica per se´, si ritiene superiore all’Agrigentino. 42 Si vedano le espressioni impiegate ai vv. 1,729 ss. nil... viro praeclarius... / nec sanctum magis et mirum carumque... / carmina... divini pectoris vociferantur et exponunt praeclara reperta / ut vix humana videatur stirpe creatus. 43 Sul rapporto Lucrezio-Empedocle cfr. la bibliografia citata nella nota 11. 44 Penso soprattutto al celebre frammento B 112 D.-K., in cui Empedocle si rivolge ai concittadini di Agrigento, che lo seguono e gli domandano responsi e vaticini come se fosse un dio. 45 Cfr. Tusc. 1,21,48: ...soleo saepe mirari non nullorum insolentiam philosophorum, qui naturae cognitionem admirantur eiusque inventori et principi exultantes agunt eumque venerantur ut deum... Che qui ci si riferisca non solo agli epicurei in generale, ma in particolare agli elogi di Epicuro formulati da Lucrezio (nel prosieguo del passo Cicerone parla del timore della morte ed evoca gli Acherusia templa) e` sostenuto da LUCIANO CANFORA, Vita di Lucrezio (Palermo: Sellerio, 1993), pp. 78-80. Altrove, in de finibus 2,20, Cicerone scrive che Epicuro quasi oracula edidisse sapientiae dicitur. 46 Cfr. Diog. Oen. fr. 32 II, 10 ss. Smith. 47 A parte i notissimi proemi del III e V libro, ricordo, per l’immagine oracolare, 6,6 omnia veridico qui quondam ex ore profudit. 48 Sono i vv. 1,737-739.
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Sul piano stilistico-letterario Empedocle rappresenta per Lucrezio un modello di discorso alternativamente sublime e dimostrativo, giocato sul doppio registro dell’emotivita` e dell’argomentazione, del macro- e del microcosmo.49 Ma e` possibile che il debito di Lucrezio verso il precursore greco sia piu` profondo e investa anche alcuni aspetti della dottrina.50 Empedocle era stato il primo a formulare una teoria antiteleologica della crescita del cosmo a partire da elementi immutabili, cioe` i quattro rizo`mata: gia` Aristotele in un passo del De generatione et corruptione (1,8, 325b 5-17) accostava Empedocle a Leucippo e vedeva nell’empedoclea teoria dei po`roi una sorta di implicita ammissione dell’esistenza del vuoto.51 Inoltre, recentemente vari studi hanno posto l’accento sull’influsso che la zoogonia di Empedocle, quale si ricostruisce anche grazie ai nuovi versi del papiro di Strasburgo, ha esercitato su alcuni passi del V finale lucreziano, in particolare quello sui portenta, i primi esseri che la terra tento` di creare e di cui la natura impedı` la crescita, secondo un principio di selezione dei piu` adatti che e` stato piu` volte accostato al moderno darwinismo.52 Ma quel che soprattutto avvicina Lucrezio a Empedocle e contribuisce a spiegare la sua entusiastica ammirazione e` la dimensione etica che per entrambi i poeti-filosofi assume l’indagine sulla natura. I recenti studi su Empedocle ci hanno restituito una immagine unitaria dell’opera dell’Agrigentino e i nuovi frammenti del papiro hanno confermato il rapporto di complementarita` tra poema fisico e poema lustrale (Perı` Physeos e Katharmoı`), tra la vicenda cosmica della natura e quella individuale del daimon, che si puo` leggere come rispecchiamento del ciclo cosmico dal punto di vista del suo significato esiCfr. in proposito le osservazioni di GIAN BIAGIO CONTE, ‘‘Insegnamenti per un lettore sublime’’, Introduzione all’edizione del De rerum natura a cura di Luca Canali, Ivano Dionigi (Milano: BUR, 20002), pp. 7-47 (in partic. pp. 18-25). 50 Sulla possibilita ` che Empedocle sia apprezzato da Lucrezio non solo come modello letterario, ma anche per alcuni aspetti della sua dottrina (che pure nel complesso viene rigettata) cfr. FURLEY, ‘‘Variations’’ (cit. n. 11), pp. 60-61 e MONICA GALE, Myth and Poetry in Lucretius (Cambridge: Cambridge UP, 1994), pp. 59-74. 51 Per una discussione su questo passo in rapporto alla trattazione lucreziana della dottrina di Empedocle cfr. PIAZZI, Lucrezio e i Presocratici (cit. n. 1), pp. 170-171. Sulla genesi dell’interpretazione del pensiero empedocleo in termini ‘quasi-atomistici’ cfr. M. LAURA GEMELLI MARCIANO, ‘‘L’‘atomismo’ e il corpuscolarismo empedocleo: frammenti di interpretazioni nel mondo antico’’, Elenchos, 1991, 12: 5-37. 52 Cfr. Lucr. 5,837-854, con il recente commento di GORDON CAMPBELL, Lucretius on Creation and Evolution. A Commentary on De rerum natura, Book Five, Lines 772-1104 (Oxford: Oxford UP, 2003), in partic. pp. 98 ss. Campbell mostra come in realta` ne´ Empedocle ne´ Lucrezio possano essere considerati ‘evoluzionisti’, anche se entrambi attribuiscono un ruolo importante alla selezione naturale, che ha consentito lo sviluppo di alcune specie e ha invece bloccato la propagazione dei primi esseri incompleti, ibridi e incapaci di riprodursi. 49
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stenziale.53 Certo, la questione del rapporto tra i due versanti del pensiero di Empedocle (la teoria fisica, biologica e cosmologica da un lato e il mito orfico del daimon dall’altro) resta dibattuta e interessa piu` che altro gli storici della filosofia antica e gli studiosi di Empedocle: cio` che preme sottolineare qui e` che per entrambi gli autori la teoria fisica non e` fine a se stessa ma si traduce in un messaggio morale indirizzato anche a chi sta fuori dalla cerchia filosofica, un messaggio di liberazione rivolto a tutta l’umanita`.
53 Sull’integrazione tra fisica ed etica in Empedocle si soffermava gia ` CARLO GALLAVOTTI nell’Introduzione al suo Empedocle. Poema fisico e lustrale (Milano: Fondazione Lorenzo Valla, 19975), pp. XII ss. Sul papiro di Strasburgo e sulle nuove prospettive interpretative da esso aperte segnalo soltanto, oltre alla fondamentale edizione di ALAIN MARTIN – OLIVER PRIMAVESI, L’Empe´docle de Strasbourg (P. Strasb. gr. Inv. 1665-1666), Introduction, e´dition et commentaire (Berlin-New York: de Gruyter, 1999), alcuni contributi dedicati alla questione dell’unita` tra teoria fisica e demonologia: GIOVANNI CERRI, ‘‘Physika` e Katharmoı` di Empedocle’’, Aevum Antiquum, n.s., 2001, 1: 181-195; M. LAURA GEMELLI MARCIANO, ‘‘Le ‘demonologie’ empedoclee: problemi di metodo e altro’’, ibid.: 205-235; OLIVER PRIMAVESI, ‘‘La daimonologia della fisica empedoclea’’, ibid.: 3-68; ID., ‘‘Apollo and Other Gods in Empedocles’’, in La costruzione del discorso filosofico nell’eta` dei Presocratici. Atti del secondo Symposium Praesocraticum, Pisa, Scuola Normale Superiore, 16-18 settembre 2004, a cura di Maria Michela Sassi (Pisa: Edizioni della Normale, 2006), pp. 51-77; LIVIO ROSSETTI – CARLO SANTANIELLO (a cura di), Studi sul pensiero e sulla lingua di Empedocle (Bari: Levante, 2004).
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IVANO DIONIGI LUCRETIUS, OR THE GRAMMAR OF THE COSMOS*
1. To establish a new order, both moral and cosmic, Lucretius resorts to a new language and a new vocabulary (nova verba). He was obliged to take this course by the alarming novelty of the Epicurean message (novitas rerum) and by the inadequacy of the Latin language (egestas patrii sermonis).1 What is astounding – and must be properly understood – is not only the logos but also the rhythmos of the De Rerum Natura, namely the compound, dynamic and tremendously regular structure of Lucretius’ writing, as can be seen from literary devices ranging from the iteration of sounds (alliteration, rhyme, homeoteleuton, paronomasia) to the iteration of words (figura etymologica, pleonasm), iuncturae, hemistitchs, lines and entire sets of lines, up to the ideal union of the proems with the endings. What ensues is not only a phonic but also a visual structure, as Lucretius represents (also in an iconic way) what he says. Accordingly, one might say of the De Rerum Natura what Osip Mandelstam said of Dante’s Divine Comedy: 2 «the entire poem is but one single unified and indivisible stanza. Rather it is not a stanza, but a crystallographic figure, that is, a body... It is strictly a stereometric body, one continuous development of the crystallographic theme. [It is a] form of thirteen thousand facets, so monstrous in its exactitude... The most beautiful organic commentary [to the poem] is provided by a mineralogical collection».
* An earlier version of this paper was published in Italian as ‘‘Lucrezio ovvero la grammatica del cosmo’’, in Le jardin romain: E´picurisme et poe´sie a` Rome, Me´langes offerts a` Mayotte Bollack, textes re´unis par Annick Monet (Villeneuve d’Ascq: Presses de l’Universite´ Charles de Gaulle – Lille 3, 2003), pp. 227-232. I am grateful to Dr Antonio Ziosi for his help with the translation. 1 See 1,138 f. multa novis verbis praesertim cum sit agendum / propter egestatem linguae et rerum novitatem. See also THORSTEN FO¨GEN, «Patrii sermonis egestas»: Einstellungen lateinischer Autoren zu ihrer Muttersprache: ein Beitrag zum Sprachbewusstsein in der ro¨mischen Antike (Mu¨nchen: Saur, 2000), pp. 72-103. 2 OSIP MANDELSTAM, Conversation about Dante, in ID., Collected Critical Prose and Letters (London: Collins, 1991), pp. 409, 438.
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2. For a better understanding of such a way of writing, a few lines of the poem are of pivotal importance, and in particular 1,820 f.; 2,1015 f.; 2,1021. 1,820 f.
namque eadem caelum mare terras flumina solem constituunt, eadem fruges arbusta animantis 3
2,1015 f.
namque eadem caelum mare terras flumina solem significant, eadem fruges arbusta animantis 4
The enunciation of the principle of correspondence between the forming of bodies and the forming of words is clear from these two passages – and indeed these two passages are identical, with the only exception of the substitution of constituunt with significant in the latter. In the first citation, in fact, the prime physical principles are concerned, i.e. the atoms (primordia [see 817, 828], poetical synonym of elementa and also metrically equivalent to it) which ‘form’ (constituunt) the bodies. The latter couple of lines refers to the primary elements of writing, i.e. the letters of the alphabet that ‘signify’ (significant) those bodies. To the principle of correspondence between res and verba Lucretius promptly adds the principle of their reversibility. By resuming and improving Leucippus’ and Democritus’ theory – as handed down by Aristotle (Met. 985b 13 ff. [= 67 A 6 D.-K.]) – Lucretius singles out the following factors as laws that govern the atomic structure of reality: 5 2,1021
concursus motus ordo positura figura.
It will suffice to examine Heinrich Keil’s Grammatici Latini to prove that these five words are technical terms of the Latin (and, before that, Greek) rhetoric: not only the well known terms, such as ordo (tavxi", ‘order’),6 positura «For the same beginnings constitute sky, sea, earth, rivers, sun, the same make crops, trees, animals». English translation – as for all quotations hereafter – by WILLIAM HENRY DENHAM ROUSE (Cambridge, Mass.: Harvard UP, 1947). 4 «For the same letters denote sky, sea, earth, rivers, sun, the same denote crops, trees, animals». 5 For possible connections between Lucretius and Philodemus on this point see DAVID ARMSTRONG , ‘‘The Impossibility of Metathesis. Philodemus and Lucretius on Form and Content in Poetry’’, in Philodemus and Poetry: Poetic Theory and Practice in Lucretius, Philodemus, and Horace, edited by Dirk Obbink (Oxford: Oxford UP, 1995) and KNUT KLEVE, ‘‘Lucretius and Philodemus’’, in Lucretius and his intellectual background, edited by Keimpe A. Algra, Mieke H. Koenen, Piet Herman Schrijvers (Amsterdam: North-Holland, 1997), pp. 49-66. 6 It will suffice to recall Probus’ De ordine (GL IV 73,33-74,16), Priscianus’ De ordine litterarum (GL II 37,4-43,19), Charisius’ De ordinibus nominum (16,1-32,16 B.) and De ordinibus verborum (215,18-216,3 B.). 3
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(qevsi", ‘position’),7 figura (schm~ a, ‘form’),8 but also the more unusual ones, such as concursus (suvgkrousi", ‘collision’) 9 and motus (kivnhsi", ‘motion’).10 Lucretius applies these grammatical terms to the atoms, the principles of matter and of the cosmos. In doing so he establishes a close correspondence between the elementa vocis and the elementa mundi to such an extent that the poem takes the form of a grammatical ‘translation’ of the cosmos – as if to say ‘In the beginning was the Grammar’.11 Also Italo Calvino’s reading of Lucretius seems to hint at this: «then there is the thread of writing as a metaphor of the powder-fine substance of the world. For Lucretius letters were atoms in continual motion, creating the most diverse words and sounds by means of their permutations. This notion was taken up by a long tradition of thinkers for whom the world’s secrets were contained in the combinatoria of the signs used in writing... Writing as a model for every process of reality».12
Cfr. Probus’ De positione syllabarum (GL IV 256,15-258,15), Diomedes’ De diversa verborum positione and De dubia verborum positione (on the fluctuation of diathesis and conjugations, in GL I 381,20-382,7 and 382,8-388,9), as well as the numerous treaties called De posituris (GL I 437,19; IV 372,14, 427,36, 533,29; V 34,2, 133,3: ‘On punctuation marks’) and a work De positura (GL VI 273,1: ‘On punctuation’). 8 Sections named De figura, De figuris and De schematibus are frequent in grammatical works. Among them I refer to Quintilian’s De figuris sententiarum and De figuris verborum (inst. 9,2 s.), Diomedes’ De figura verborum and De figuris versus heroici (GL I 335,8-13 and 496,11-497,3). On the term figura in Lucretius, see CHANTAL KIRCHER-DURAND, ‘‘Sens et emplois de figura chez Lucre`ce’’, in Hommage au doyen Weiss, articles [...] re´unis par Michel Dubrocard, Chantal Kircher (Nice: Faculte´ des Lettres de Nice, 1996), pp. 321-331. 9 See the chapter De concursu et collisione vocalium, in Aphtonius’ Ars grammatica (attributed to Marius Victorinus, GL VI 66,4-67,11). The term concursus (as well as concursio) also denotes specific phonetic phenomena such as synaloefe, elision (e[kqliyi"), synizesis (sunekfwvnhsi") or sunaivresi". 10 Motus means the ‘inflection’ of the noun and especially of the verb (cfr. Priscianus in De generali verbi declinatione: GL II 452,12 ff. verba autem et in principio et in fine et in medio moventur, non tamen per singula tempora omnes motus necesse est pati); it also has the meaning of ‘rhythm’ (motus pyrrichii, GL VI 44,20; m. pedis, VI 40,15; m. carminis, VI 609,11 f.). For an analytic documentation of these five terms (concursus, motus, ordo, positura, figura) and their phonetic, morphologic, metrical and rhetoric role in the works of the Latin grammarians, see IVANO DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (Bologna: Patron, 20053), pp. 24-28. 11 For the predominance of the letter-elementum over the atom-elementum, i.e. the relationship between the grammatical and the physical code, see again DIONIGI, Lucrezio. Le parole (cit. n. 10), pp. 31-36. 12 ITALO CALVINO , Six Memos for the Next Millennium (London: Jonathan Cape, 1992), p. 26. Calvino again on the ‘combinatorial’ theory of writing: ‘‘Cybernetic and Ghosts’’, in The Literature Machine: Essays (London: Secker & Warburg, 1987): p. 8: «our minds are chessboards with hundreds of billions pieces»; p. 17: «writing is purely and simply a process of combination among given elements»; p. 18: «A thing cannot be known when the words and concepts used to say it and think it have not yet been used in that position, not yet arranged in that order, with that meaning». Already Varro in De lingua Latina (10,22) resorts to the comparison with the game of chess (ut in tabula solet in qua latrunculis ludunt) to explain that the declinatio develops according to two levels, a ‘transver7
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IVANO DIONIGI
3. The De rerum natura provides multiple examples of this kind of ‘reciprocity’ between the linguistic moulding and the moulding of the reality. Let us consider, first of all, words with a twofold meaning. Elementum, for instance, like the Greek stoiceio~ n, means both ‘atom’ and ‘letter of the alphabet’; 13 lepos, as in the first proem, is both a rule of the cosmos and a poetic principle; the clinamen (cf. 2,221 declinare) 14 is both the condition that allows the atomic joining and the principle that generates the bodies, as well as declinatio (cf. Varro, ling. 8,3) is both a general law of language and generative principle of vocabulary. In this respect, the explanation (in physical and atomic terms) of the figure of paronomasia is really meaningful: 1,911-914
(iamne vides)... eadem paulo inter se mutata creare ignis et lignum? Quo pacto verba quoque ipsa inter se paulo mutatis sunt elementis, cum ligna atque ignis distincta voce notemus.15
Here the relationship between the physical and the linguistic level, between nature and cosmos, between ‘atomology’ and etymology 16 is quite radical: such as ‘fire is not contained in the wood but there are many seeds of fire which come together by rubbing and make a conflagration among the forests’ (1,901-903... non est lignis tamen insitus ignis, / verum semina sunt ardoris multa, terendo / quae cum confluxere, creant incendia silvis), thus the words ‘igneous’ and ‘ligneous’, although not entirely identical, yet with the sole alteration of a single linguistic elementum, produce the figure of speech known as paronomasia. Lucretius establishes here a real arithmetic proportion: wood is to fire as ligneous is to igneous. sal’ one and a ‘perpendicular’ one (transversi sunt qui ab recto casu obliqui declinantur... derecti sunt qui ab recto casu in rectos declinantur), and intertwined (utrisque inter se implicatis forma). 13 On the semantic and functional equivalence of elementum and stoiceion, see GREGOR VOGT ~ SPIRA, ‘‘Vox und Littera. Der Buchstabe zwischen Mu¨ndlichkeit und Schriftlichkeit in der grammatischen Tradition’’, Poetica, 1991, 23: 295-327, as well as FRANC¸OISE DESBORDES, ‘‘Elementa. Remarques sur le roˆle de l’e´criture dans la linguistique antique’’, in Philosophie du langage et grammaire dans l’Antiquite´ (Bruxelles-Grenoble: E´d. Ousia - Universite´ des sciences sociales, 1986), pp. 339-355. 14 See DON FOWLER , Lucretius on Atomic Motion. A Commentary on De Rerum Natura Book Two, lines 1-332 (Oxford: Oxford UP, 2002), pp. 303 and 313. 15 «(Do you see now)... how the same elements a little changed in their relations create fires and firs? Even as those same words themselves consist of elements a little changed, although we mark fires and firs with a dinstinct name». 16 For the terminology, I refer here in particular to PAUL FRIEDLA ¨ NDER , ‘‘Pattern of Sound and Atomic Theory in Lucretius’’, American Journal of Philology, 1941, 62: 16-34, now reprinted in Oxford Readings in Lucretius, edited by Monica Gale (Oxford: Oxford UP, 2007), pp. 351-370.
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Even more eloquent is the verbal couple uvescunt / serescunt in 1,306: 1,305
denique fluctifrago suspensae in litore vestes uvescunt, eaedem dispansae in sole serescunt.17
In this passage the philosophical principle of the existence of matter’s invisible seeds is exemplified by a trivial comparison (i.e. the garments which now grow damp and now grow dry); here, however, Lucretius tightens the linguistic system almost up to a breaking point. He creates, in fact, two words: uvescunt and serescunt, the latter of which is destined to remain hapax legomenon, while the former to occur only twice more in the whole of surviving Latin literature (namely in Hor. serm. 2,6,70, in a figurative sense, and, with a literal meaning, in Avien. Arat. 1580). These two verbs, because of their opposite position (the beginning and the end of the line) and meaning (‘to grow damp’ / ‘to grow dry’), set up a rhyming isosyllabic couple which recalls the principle of Isonomy (see infra). Semantically wide apart but convergent in form as they are, uvescunt and serescunt suggest the concurrent action of two opposite physical principles (‘moist / dry’, already familiar from the Presocratic antithesis ‘to; uJgrovn / to; xhrovn’). Furthermore, whereas their position – at the opposite ends of the line – shows their balance, their progressive aspect (indicated by the -sco suffix) underlines their own dynamic equilibrium. Thus, the poetic line renders the physical level also in a visual way and the text becomes image and warranty of a cosmological principle. This sort of isomorphism between the elementa vocis and the elementa mundi proves to be fundamental also in the enunciation of the principle of isonomy (2,569-580): 570
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nec superare queunt motus itaque exitiales perpetuo neque in aeternum sepelire salutem, nec porro rerum genitales auctificique motus perpetuo possunt servare creata. Sic aequo geritur certamine principiorum ex infinito contractum tempore bellum. Nunc hic nunc illic superant vitalia rerum et superantur item. Miscetur funere vagor quem pueri tollunt visentes luminis oras; nec nox ulla diem neque noctem aurora secutast
17 «Again garments hung up on a surf-beaten shore grow damp, the same spread in the sun grow dry».
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IVANO DIONIGI
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quae non audierit mixtos vagitibus aegris ploratus mortis comites et funeris atri.18
Lucretius expounds the physical law of isonomy – namely the balance and compensation of the opposites 19 – by staging a duel between mortiferous motions and vital elements (motus exitiales / motus genitales), indeed an everlasting fight (ex infinito contractum tempore bellum) which is destined to see neither victor nor vanquished (aequo... certamine).20 The idea of the ‘opposites’ is enhanced and strengthened, also on a visual level, with the enunciation of contrary experiences both in terms of existence (the mingling of funus and vagor) and time (the alternation between nox and dies). What is even more interesting here, however, is the linguistic ‘retaliation’, so to speak, of the physical law according to which verba and res, elementa vocis and elementa mundi match each other. In the representation of this idea of the ‘opposites’ we find concurrent polarities of various kind; morphological, first (the antithesis of verbal voices superant / superantur); stylistic (the correlation nunc hic / nunc illic), and rhetoric (the morphological chiasmus and the lexical alternation nox / diem noctem / aurora). The canvas is crowned by a kind of isonomy at a textual level, parallel to the cosmic one. Funus and vagitus (579 ff.) recall funus and vagor (576) enacting a duplication which is obviously provoked by the pattern of line 576, where nox and dies are repeated. Finally, one could even consider the whole passage as a structural isonomy: it begins, in fact, by mentioning death (motus exitiales) and life (motus genitales), whereas its closure – with chiastic symmetry – refers to life (vagitus) and death (funus). 4. Gustave Flaubert wrote in his correspondence: «Les dieux n’e´tant plus, et le Christ n’e´tant pas encore, il y a eu, de Cice´ron a` Marc-Aure`le, un mo18 «And therefore, neither can death-dealing motions lord it for ever and for ever bury existence, nor further can motions that generate and give increase to things for ever preserve them when made. Thus the war of first-beginnings waged from infinity is carried on with doubtful issue: now here, now there the vital elements gain the mastery, and in like manner are mastered. With the funeral dirge is mingled the wail that children raise when they first see the light; and no night ever followed day, or dawn followed night, that has not heard mingled with their sickly wailings the lamentations that attend upon death and the black funeral». 19 For references to the isonomy (as cosmic, political, physical and textual law) see IVANO DIONIGI, ‘‘Il modello nella letteratura antica: l’esempio di Lucrezio’’, in Il ruolo del modello nella scienza e nel sapere (Roma: Accademia Nazionale dei Lincei, 1999), pp. 91-109 and JOHN L. PENWILL ‘‘Image, ideology and action in Cicero and Lucretius’’, Ramus, 1994, 23: 68-91, p. 91, n. 77. 20 The contrast between ‘life and death’, already stated by Ennius (sat. fr. 20 V.2 Mortem ac Vitam contendentes in satura tradit Ennius) becomes dramatically pivotal in the work of Lucretius (3,869 mortalem vitam mors cum immortalis ademit).
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ment unique ou` l’homme seul a e´te´».21 This humanistic and anthropocentric perspective, which interprets Roman culture with a one-sided Stoic slant, however, is of no help to us in understanding Epicureanism and Lucretius. No man is the hero of the De rerum natura but nature itself, and no longer the Stoic idea of a hierarchic nature but the homogeneous nature of the Atomists (see. 1,820 f. eadem... constituunt). Accordingly, the new ‘spokesman’ of the world, so to speak, is no longer a narrating voice but language itself: res et verba, and more precisely nova verba. One can see here – thoroughly learned – the lesson of the Master: not with weapons (arma) – as the heroes of the myth did – Epicurus vanquished the inner monsters but with words (dicta).22 The language of Lucretius is marked by a sense of responsibility: the author can boast the successful achievements of this language, but above all he atones for its failures. This language is ‘granular’ and severe, a language which is aware of the ethical laws and rounds upon every prophet of death and nothingness. As Elias Canetti suggests, «[the writer] will live by a law that is his own, but not tailored to him. This law is the following: One shall repulse nobody into nothingness who would like to be there. One shall seek nothingness only to find a way out of it and one shall mark the road for everyone. Whether in grief or in despair one shall endure in order to know how to save others from it, but not out of scorn for the happiness that creature deserve, even though they deface one another and tear one another to pieces».23 5. As long as the world is expounded in written characters, accordingly it must be legible and its message therefore one of calm. This is quite the contrary of the view put forward by some romantic and idealistic criticism, obsessed as it was by the ‘spectre’ of Lucretius as a poet maudit before his time, contradictory, pessimistic, without hope.24 Quoted in MARGUERITE YOURCENAR, Me´moires d’Hadrien. Suivi des Carnets de Notes des ‘‘Me´moires d’Hadrien’’ (Paris: Plon, 1958), p. 313. 22 5,49-51 Haec igitur qui cuncta subegerit ex animoque / expulerit dictis, non armis, nonne decebit / hunc hominem numero divum dignarier esse? 23 ELIAS CANETTI , ‘‘The Writer’s Profession’’, in ID., The Conscience of Words and Earwitness (London: Pan Books, 1987), p. 167. 24 This interpretation – suggested as known by St. Jerome’s uncertain and suspicious note regarding the suicide of Lucretius – particularly thrived in France. See for instance HENRI JOSEPH GUILLAUME PATIN, ‘‘Du poe`me de la nature. L’Antilucre`ce chez Lucre`ce’’, in ID., E´tudes sur la poe´sie latine (Paris: Hachette, 1868), vol. 1, pp. 117-137; BENJAMIN JOSEPH LOGRE, L’anxie´te´ de Lucre`ce (Paris: J.B. Janin, 1946). Cfr. also Marcel Schwob (1867-1905)’s original profile of Lucretius in his Vies imaginaires (on which see also JOSE´ KANY-TURPIN, ‘‘Lucre`ce poe`te, de Marcel Schwob. Un Poe`te au miroir de son œuvre’’, in Fiction d’auteur? Le discours biographique sur l’auteur de 21
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IVANO DIONIGI
At the core of the poem lies a passion for words, anchored to the compelling language of poetry, which aims, on the one hand, at ordering and, on the other hand, also at encompassing reality. Perhaps one might encapsulate this ‘strain for words’ of a poet who lived two thousand years ago in the words of a poet of our own day: I was convinced that like red-hot Adam Of Paradise, the poet alone may claim To bestow on everything within his reach Its uniquely fitting, never-yet-heard-of name ... The moon I know or the letters of its name Were created as a puzzle or a pun For the human need to underscore in writing Our untold strangeness, many or one.25
l’Antiquite´ a` nos jours, textes re´unis par Sandrine Dubel, Sophie Rabau [Paris: Champion, 2001] pp. 163-168), and LUCIANO PERELLI, Lucrezio poeta dell’angoscia (Firenze: La Nuova Italia, 1969). 25 «Pensabe que el poeta es aquel hombre / Que, como el rojo Adan del Paraiso, / Impone a cada cosa su preciso / Y verdadero y no sabido nombre. ...Se que la luna o la palabra luna / Es una letra que fue creada para / La compleja ecritura de esa rara / Cosa que somos, numerosa y una». JORGE LUIS BORGES, La luna, ‘The moon’ (English translation by Alan S. Trueblood) in ID., Selected Poems, edited by Alexander Coleman (London: Allen Lane, 1999).
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IL CONCETTO DI MACHINA MUNDI IN LUCREZIO
Con un tono particolarmente solenne, ai versi 93-104 del libro quinto Lucrezio annuncia la fine del mondo: le tre grandi strutture del mare, del cielo e della terra rovineranno in un solo giorno e crollera` la macchina del cosmo sostenutasi per tanti anni.1 Nelle pagine che seguono si cerchera` di mettere in luce il particolare legame, che attraversa l’opera di Lucrezio, tra alcune parti della filosofia atomista, il mondo dei tecnici e le macchine in modo particolare. L’immagine del mondo passata dalla civilta` classica all’Europa cristiana medievale e` quella, ampiamente influenzata dalle opere di Platone, Aristotele e Tolomeo, di un universo sferico con la terra al centro immobile e con le stelle fisse e i pianeti che ruotano attorno ad essa. All’esterno di questa sfera, niente che valesse la pena indagare. Solo tra il XVI e XVII secolo questa immagine mutera` in conseguenza di un periodo di straordinarie e innovative ricerche, la cui portata Alexandre Koyre´ ha ben sintetizzato nel celebre From the Closed World to the Infinite Universe.2 La teoria dell’esistenza di un universo infinito era comunque gia` stata anticipata nell’antichita` proprio dagli atomisti: indicativo il commento di Plinio il Vecchio (nat. 2,4) che a tal proposito e con tono polemico avrebbe dichiarato: 3 «E` una follia, ripeto una follia, uscire da questo mondo e studiare cio` che vi sia all’esterno come se tutto cio` che e` all’interno fosse gia` ben noto». 1 Lucr. 5,96 ss.: Quod superest, ne te in promissis plura moremur, / principio maria ac terras caelumque tuere; / quorum naturam triplicem, tria corpora, Memmi, / tris species tam dissimilis, tria talia texta, / una dies dabit exitio, multos per annos / sostentata ruet mole set machina mundi. 2 ALEXANDRE KOYRE´, From the Closed World to the Infinite Universe (Baltimore: Johns Hopkins UP, 1957). 3 Furor est, profecto furor, egredi ex eo et, tamquam interna eius cuncta plane iam nota sint, ita scrutari extera, quasi vero mensuram ullius rei possit agere qui sui nesciat, aut mens hominis possit videre quae mundus ipse non capiat.
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Attenendosi a Epicuro che parlava di ko´smos e to` pa´n, Lucrezio conferma la cosmologia del suo maestro distinguendo tra il cosmo, la summa rerum, e l’universo, la summa summarum dei singoli mondi che si trovano nello spazio infinito. Le stelle, che come dice l’autore del De mundo 4 «cantano e ballano in concerto intorno al cielo», costituiscono le flammantia moenia (1,73-75), il limite a partire dal quale gli atomisti ritenevano che cominciasse l’universo senza fine. La storia dell’universo e dei mondi che in esso si creano, crescono e muoiono e` nella vicenda di percorsi, moti e aggregazioni degli atomi, di congiunzioni che resistono per qualche tempo all’usura e agli urti, ma poi vengono frantumate e ricondotte alla nuvola atomica originaria.5 In questo scenario la densita` della materia dell’universo rimane stabile perche´ la proporzione tra atomi e vuoto e` sempre inalterata.6 Il moto e` il grande agente della natura: siamo davanti a una vera e propria mechane´, un ingegnoso espediente che garantisce che tra crolli e rinascite il numero di atomi nell’universo rimanga invariato e la summa summarum possa esistere stabilmente nei secoli. Il principio dell’universo stabile non vale quindi per le singole parti che lo compongono, i mondi, che non sono esenti dal divenire dei corpi sensibili e degli aggregati atomici. Nel turbinio di atomi in movimento in varie direzioni, tutto si muove verso l’equilibrio di costruzioni esatte e tra le tante combinazioni alcune danno principio a un mondo. La fabbrica dei nuovi mondi avviene negli spazi vuoti intramondani: l’universo risulta dunque essere frutto della meccanica e casuale aggregazione degli atomi che dopo l’urto si incontrano e si dispongono in una figura o in un’altra. E` curioso osservare che il linguaggio che descrive le aggregazioni in base alla forma, alle dimensioni e al diverso modo in cui gli atomi si agganciano gli uni agli altri sembra autorizzare un parallelo col mondo della tecnica del costruire, oggetto di secolari esperienze compiute da architetti e meccanici nel bacino del Mediterraneo. Quando Epicuro compone il poema sulla natura e ancora di piu` all’epoca di Lucrezio, l’immagine prevalente della tecnica era quella della costruzione: l’oggetto artificiale era essenzialmente fabbricato e l’abilita` del tecnico consisteva nell’accuratezza delle singole operazioni, nella Arist. mu. 399 a 12 = Apul. mund. 29 p. 355. Crescita, apice, declino e morte si susseguono come in un ciclo biologico. La nascita di un mondo si fonda innanzitutto sul processo di aggregazione dei simili e di separazione dei contrari: la terra si separa dal cielo e il mare dalla terra secondo un principio di uniformita` che ha nell’identita` della materia atomica il suo fondamento. 6 Lucr. 2,294: Nec stipata magis fuit unquam materiai / copia nec porro maioribus intervallis. 4 5
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regolarita` della loro successione, nella precisione esecutiva di quello che era a tutti gli effetti un grande gioco di incastri. Non e` forse un caso, allora, che Lucrezio definisca la natura daedala rerum, una sorta di architetto che costruisce le cose componendole pezzo su pezzo (5,228 ss.).7 Scegliendo di adoperare l’espressione daedala rerum per definire l’operato della natura, Lucrezio prende in prestito un concetto fondamentale dal mondo di quei technı´tai che da tempo avevano perfezionato un modo di operare basato su passaggi che essi spiegavano proprio col verbo daida´llo, ‘‘metto assieme’’, ‘‘compongo’’, ‘‘unisco’’. Con i vocaboli derivanti da questo verbo e con la figura di Dedalo (gia` Pausania – 9,3,2 – sapeva che Dedalo deriva da daı´dalon che a sua volta deriva da daida´llo), generazioni di tecnici hanno dato voce a un sapere basato su numeri, misure e geometria, ovvero su forme e dimensioni creando i presupposti per il notevolissimo sviluppo della ‘‘scienza tecnica’’ dei Greci. A partire da una rigorosa summetrı´a, nel senso greco del termine di ‘‘commisurazione tra le parti’’, alla base dell’aggregato di pezzi di ogni costruzione veniva posto un denominatore comune, il modulo, a cominciare dal quale erano determinate forma e dimensione del gioco di incastri proprio come la natura, daedala rerum, realizzava a partire dall’atomo indivisibile.8 La pratica del fare di generazioni e generazioni di tecnici, artigiani, meccanici e costruttori aveva insegnato che nel montaggio ragionato delle parti per costruire un edificio, una macchina, un’imbarcazione o un mobile era innanzitutto richiesta la congruita` dei materiali adoperati; analogamente si comportavano le varie specie di atomi «irregolari, uncinati, concavi, convessi...».9 con le loro diverse ma non infinite forme e il conseguente non illimitato numero di combinazioni possibili. In un noto passo del libro primo Lucrezio aveva chiarito che niente nasce dal niente e niente ritorna al niente, sottolineando che (1,215-224) «la natura scompone ogni corpo nei suoi elementi, ma non lo distrugge fino all’annien7 «Invece crescono le varie bestie, gli armenti e le fiere, / ne ´ vi abbisognano trastulli, ne´ vi si impiega la rotta / e carezzevole lingua della nutrice che allatta / ne´ vogliono vesti, a seconda delle stagioni, diverse, / ne´ con le mura e con le armi devono proteggere il loro / quando la terra medesima e la natura che crea / le cose a tutti con grande larghezza il tutto apparecchia». 8 Nell’opera di Epicuro vi sono poche, ma interessanti occorrenze del termine summetrı ´a. Nel secondo libro Della fisica (fr. 24,23 Arr.) Epicuro parla dei simulacri e dice che «(per mezzo) della disposizione reciproca degli elementi e dei rapporti armonici delle parti (i simulacri) riproducono quell’aspetto che dico...». Siamo davanti a reciproca disposizione e rapporti armonici. Di disposizione armonica Epicuro parla a proposito dei simulacri in un altro passo della stessa opera (fr. 24,46 Arr.); il termine ricorrera` ancora due volte a indicare la piu` adatta disposizione dei pori. 9 Simpl. in cael. 295,16 s.
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tamento...», mettendo cosı` in luce l’indistruttibilita` dell’atomo nella scomposizione delle cose, caratteristica fondamentale per la rinascita attraverso quelle mirate aggregazioni cui il mondo dei technı´tai offriva un’ottima analogia.10 E` gia` stato osservato 11 che nel De architectura Vitruvio valorizzera` la teoria degli atomi e delle loro aggregazioni come fondamento filosofico capace di spiegare il comportamento dei materiali da costruzione. Proprio per questa ragione, infatti, nel paragrafo primo del libro secondo Vitruvio premette all’esposizione sui materiali da costruzione una rassegna sugli elementi primari che compongono la materia.12 D’altro canto, le idee chiave del vuoto e dei principi di aggregazione tra gli atomi trovano un riferimento eccellente nell’immagine dello spazio interno dell’architettura e nella pratica del costruire attraverso l’unione di parti.13 La cultura greca aveva gia` operato una simile semplificazione riconducendo le fabbriche di edifici sacri a un ordine architettonico articolato nelle tre forme del dorico, ionico, corinzio, ma si trattava in fondo di una riduzione a un ordine unico dotato, come la materia, di proprieta` geometriche quali grandezza, figura e posizione che consentono un imprevedibile gioco di schemi. D’altro canto, quando Lucrezio scrive il De rerum natura le arti meccaniche avevano ormai raggiunto un notevole sviluppo. Nonostante le bocciature operate dalla cultura tradizionale, nel lavoro dell’artigiano era possibile individuare procedimenti razionali utili per la conoscenza del mondo naturale. Anche se una difesa delle arti meccaniche dalla accusa di indegnita` nel mondo antico non vi fu mai, e` chiara l’esistenza di una vasta categoria di persone che non credeva che la cultura coincidesse esclusivamente con le arti liberali. D’altro canto, pur mantenendo l’aristocratico disprezzo per questo settore della societa`, anche i filosofi avevano dedicato attenzione all’attivita` dei tecnici, come dimostra assai efficacemente un passo del Gorgia di Platone (503): Tutti gli artefici nell’attendere ognuno al proprio lavoro scelgono i materiali da impiegare in esso non a caso, ma in modo che l’opera risponda a un’idea. Guarda per esempio i pittori, gli architetti e i costruttori di navi. Guarda qualsiasi artigiano
Questo schema che vede nell’universo il luogo in cui il disordine diventa ordine ed equilibrio eterno nel tempo era gia` noto a Democrito, che considerava questa immutabilita` la caratteristica prima dei cieli, luogo in cui avviene un intreccio di situazioni continuamente ricorrenti e una successione di combinazioni che comunque portano alla stabilita`. 11 ELISA ROMANO , La capanna e il tempio. Vitruvio o dell’architettura (Palermo: Palombo, 1987), pp. 122 ss. 12 Le combinazioni tra i materiali da costruzione rendono possibili le fabbriche (2,1,9). 13 Per i legami tra l’opera di Democrito e l’architettura si veda GIORGIO DE SANTILLANA , Le origini del pensiero scientifico (Firenze: Sansoni, 1966), p. 152. 10
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con che ordine dispone le parti del suo lavoro e come cerca di ottenere che ogni parte si adatti e armonizzi con l’altra fino a che tutto risulta un’opera bella per ordine e proporzione.
Nell’operato di architetti e meccanici andava dunque prendendo piede una nuova considerazione del valore conoscitivo del lavoro e del sapere del tecnico: alla conoscenza della natura, oggetto di vivaci discussioni all’interno delle scuole di pensiero filosofiche, si opponeva la pratica del fare fondata sul lavoro, sulla precisione delle misure e sull’impiego degli strumenti necessari per conseguire tale risultato: nelle botteghe, negli arsenali, nelle officine e nei cantieri doveva apparire chiaro che la materia obbediva a norme che non venivano prese in esame dai filosofi nelle loro dispute. In questo scenario Lucrezio colloca la metafora della machina mundi, presentata nella parte del libro quinto in cui il crollo del cosmo e` annunciato come diretta conseguenza del progressivo consumarsi della sua struttura. Prima di introdurre questa metafora Lucrezio aveva fatto ricorso ad altre analogie con immagini di macchine e dispositivi, cosı` da spiegare in modo piu` efficace i contenuti dell’atomismo. Aveva infatti menzionato gru, carrucole e argani, aveva descritto edifici pericolanti per il cattivo uso degli strumenti di precisione. L’immagine degli atomi che martellando dall’esterno fiaccano ogni corpo e indeboliscono le mura del mondo fino a farle cadere in rovina e in polvere come una citta` sotto assedio allude al linguaggio della poliorcetica 14 e il modo in cui e` spiegata la successione di impulsi che porta l’uomo a muoversi (4,877 ss.), cioe` la serie di urti che partendo dai simulacri del moto giunge all’anima sparsa nelle membra e fa sı` che «tutta in tal modo a poco a poco la macchina e` spinta in avanti ed e` mossa» (4,888-890), rimanda al linguaggio della pneumatica e a quei dispositivi che impiegavano la pressione dell’aria al fine di ottenere una reazione. In un contesto in cui immagini di tecniche, apparati e dispositivi appaiono dunque essere funzionali al pensiero del poeta, la metafora della ‘‘macchina del mondo’’ si presta soprattutto a due considerazioni che qui cerchero` di sviluppare per grandi linee. Per quanto riguarda la prima occorre rifarsi a Epicuro, che aveva criticato gli allievi di Eudosso e Callippo attivi nella scuola di Cizico tra il 310 e il 306 14 Lucr. 2,1142-1149: «A ragione quindi periscono tutti i corpi quando col loro deflusso / si rarefanno e soccombono al tempestar dall’esterno. / Perche´ difetta, alla lunga naturalmente anche il cibo / e martellando gli atomi coi gravi colpi non cessano / mai dall’esterno di abbattere e di fiaccare ogni corpo. / Cosı` pertanto, espugnate tutto all’intorno cadranno anche le mura del vasto cielo in rovina e in polvere».
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a.C., per l’importanza da essi attribuita ai modelli meccanici dell’universo, o´rgana, termine che presumibilmente rimanda alle sfere armillari che essi adoperavano per studiare il cosmo. La lettura dei papiri di Ercolano aveva gia` consentito a D. Sedley di mettere in luce questa polemica, contenuta nei frammenti del libro undicesimo del Perı` fu´seos di Epicuro.15 Bersaglio di Epicuro era la dottrina di Eudosso, che aveva insegnato a leggere il cielo e a porvi un modello trattabile geometricamente, comprendente gli elementi di base di una sfera armillare costruita con pochi anelli. Con l’introduzione di questi modelli, i fenomeni celesti vengono spiegati come effetti visibili di moti di sfere e cerchi rispetto a altre sfere e altri cerchi.16 La polemica portata avanti da Epicuro verte sul fatto che i dispositivi usati nella scuola di Cizico non autorizzano il formarsi di un modello mentale dei fenomeni che essi cercano di spiegare; (3,18) inoltre, queste sfere armillari non riescono a rappresentare i moti dei corpi celesti facendoli apparire regolari (2 a,17-19) come era stato richiesto dall’ambiente dell’Accademia di Platone.17 Lucrezio scrive pero` circa duecentocinquanta anni dopo Epicuro, quando il concetto di macchina era diventato centrale nello sviluppo che la disciplina meccanica aveva avuto sia a livello teorico che pratico, a cominciare dalla stesura del trattato pseudo aristotelico risalente al principio del III secolo a.C. Alla meta` del I secolo a.C. erano da tempo in circolazione planetari meccanici che dovevano fare apparire assai antiquate non solo le immagini della tecnica attraverso le quali i primi filosofi avevano cercato di spiegare il funzionamento del cosmo, ma anche oggetti appositamente costruiti come i globi statici e le stesse sfere armillari, nonostante tra queste ultime vi dovessero essere, secondo Sedley, dispositivi piu` complessi e muniti di ruote dentate adoperati proprio nella scuola di Cizico.18 DAVID SEDLEY, ‘‘Epicurus and the mathematicians of Cyzicus’’, Cronache Ercolanesi, 1976, 6: 23-54: 31-43. 16 La redazione dell’opera di Eudosso e ` posta verso il 370-360 a.C., ma la fissazione istituzionale della sfera celeste che Eudosso insegna a leggere e` del 400 a.C. circa. Nei Fenomeni aveva raccontato cio` che era possibile vedere in cielo dando le posizioni delle costellazioni e degli astri. Su questo sfondo visibile Eudosso insegnava a ritrovare alcuni cerchi, l’equatore, l’eclittica, i tropici il coluro solstiziale e quello equinoziale. 17 Alla comprensione della mechane ´ dell’universo e delle infinite macchine di cui esso e` composto Epicuro non riteneva fossero in grado di giungere gli astronomi che seguivano gli insegnamenti attraverso i quali Eudosso aveva fornito le risposte che l’Accademia di Platone desiderava. Questi frammenti di Epicuro costituiscono anche una interessante conferma della tradizione, a noi nota attraverso un brano della vita di Marcello di Plutarco (Marc. 305 d-f), secondo la quale Eudosso e Archita sarebbero stati criticati da Platone per avere introdotto la organike´ nella geometria, ovvero avere corrotto la purezza della dimostrazione geometrica ricorrendo, per risolvere problemi complessi come la duplicazione del cubo, alla costruzione di modelli meccanici (organiko´n paradeı´gmaton). 18 DAVID SEDLEY , ‘‘Epicurus and the mathematicians of Cyzicus’’ (cit. n. 15). 15
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Il ritrovamento del congegno di Antikythera, la cui datazione ci porta tra l’altro proprio alla prima meta` del I secolo a.C., mostra come la precisione delle misure e la complessita` di calcolo non fossero estranei all’orizzonte concettuale degli antichi e alle loro possibilita` tecniche. D’altro canto, la complessita` di questa macchina non si spiega se non con i tentativi e le realizzazioni dei molti artefici di cui si e` persa la memoria e che pure si dovettero cimentare nell’antichissimo tentativo di dare movimento agli oggetti della tecnica. Questo meccanismo, tra l’altro, porta a ritenere plausibili le notizie fornite da Cicerone sul planetario meccanico costruito da Posidonio e, soprattutto, sulla sfera progettata e fabbricata da Archimede, poi portata a Roma dal console Marcello dopo la presa di Siracusa nel 212 a.C., la quale oltre ai moti dei corpi celesti riproduceva quelli degli astri.19 Quando la sfera celeste divenne una macchina di pubblico dominio, raffigurata spesso anche nella pittura e nella scultura, le ricerche di Archimede per giungere alla sua meccanizzazione irruppero in tutta la loro novita`. Ne´ la tanto famigerata crisi successiva alla presa di Siracusa da parte di Roma compromise questo nuovo campo di indagine, il cui interesse avrebbe portato anzi alla definizione dei fondamenti di una nuova disciplina, la sfairopoiı´a o ‘‘costruzione di sfere’’, che sarebbe entrata a fare parte delle grandi enciclopedie meccaniche redatte a partire dal primo ellenismo. Il planetario meccanico non poteva certo risolvere tutti i problemi su cui dibattevano gli astronomi del tempo, ma certamente contribuı` ad alimentare i 19 Cic. nat. deor. 2,97: «Chi potrebbe chiamare uomo colui che, alla vista di movimenti cosı` regolari del cielo, dell’ordine cosı` definito delle stelle e della perfetta reciproca correlazione e connessione di tutti i corpi celesti, nega che in tutto questo ci sia ragione e dice che avvengono per caso fenomeni la cui razionalita` supera la nostra capacita` di comprensione? Quando vediamo qualcosa muoversi per effetto di un meccanismo, ad esempio una sfera, un orologio e molti altri congegni, non dubitiamo che essi siano opera della ragione, quando invece vediamo la rotazione del cielo verificarsi a straordinaria velocita` e produrre con la massima regolarita` l’alternanza annuale delle stagioni con sommo benessere e conservazione di tutti gli esseri, dubitiamo che questi fenomeni siano il prodotto non solo di una razionalita`, ma di una razionalita` eccellente e divina?». Si veda anche Cic. nat. deor. 2,87 s.: «Come accordare il fatto che, quando si vedono una statua oppure un quadro, si riconosce l’intervento dell’arte, e quando si vede da lontano il movimento di una nave, non si dubita che essa si muova grazie alla ragione e all’arte, o quando si osserva un orologio disegnato o ad acqua, si comprende che esso indica le ore per arte e non per caso, con l’opinione che il mondo, che comprende queste stesse arti e i loro artefici e tutto il resto, e` privo di giudizio e di ragione? E se qualcuno portasse in Scizia o in Britannia la sfera recentemente costruita dal nostro amico Posidonio, le cui singole rotazioni riproducono il moto del sole, della luna e delle cinque stelle erranti che si verifica in cielo ogni giorno e ogni notte, chi, in quella regione barbara, dubiterebbe che quella sfera sia opera della ragione? Invece riguardo al mondo da cui tutto nasce e da cui tutto e` creato costoro si chiedono se esso sia il prodotto del caso o di una qualche necessita` o di una intelligenza e di una mente divine, e pensano che Archimede sia stato piu` abile nel riprodurre le rivoluzioni del cielo che la natura nel crearle: (opinione assurda), tanto piu` che esse sono state create molto piu` abilmente di quanto siano state imitate».
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dibattiti sulla natura della macchina del mondo, avviando, inoltre, un percorso fatto di interessantissimi tentativi di perfezionamento dei modelli tecnici ai quali ne era affidata la rappresentazione. Di grande giovamento erano, da questo punto di vista, i progressi compiuti nei settori della pneumatica e della costruzione di automi, due dei capitoli piu` significativi all’interno delle enciclopedie meccaniche portate a sistemazione in eta` ellenistica, a partire dal III secolo a.C. I passi del De natura deorum in cui Cicerone descrive i planetari meccanici di Posidonio e Archimede, a prescindere dalla data di stesura dell’opera che risale all’anno 45 a.C. ed e` quindi posteriore a Lucrezio, mostrano che la cultura elevata si serviva di queste macchine del mondo anche in merito alla polemica sulla natura dell’universo che chiamava in causa proprio il pensiero filosofico di Epicuro e della sua scuola. I modelli meccanici descritti da Cicerone evidenziano i complessi meccanismi di un cosmo perfetto nei suoi movimenti, senza niente all’esterno e realizzato da una mente divina che ha ordinato razionalmente il mondo per il bene dell’uomo: la natura divina degli astri si manifesterebbe quindi attraverso il ripetersi eterno di movimenti perfetti. La struttura, l’interdipendenza tra le sue parti e il modo in cui la macchina funziona costituiscono l’analogia attraverso la quale si vuole mostrare in che modo le cose funzionavano e avrebbero continuato a funzionare. Del resto, l’immagine del mondo macchina implica una concezione secondo la quale l’universo fisico e` visto come un dispositivo che, una volta messo in moto, in virtu` della sua stessa costruzione esegue l’opera per la quale e` stato creato. La costruzione di un modello meccanico mira a mettere in luce proprio la perfezione di una struttura complessa che funziona ripetendo i suoi movimenti sempre allo stesso modo.20 L’incessante ritorno degli astri nei cieli sembrava dipendere dall’obbedienza a leggi costanti che trovavano nella macchina la migliore esemplificazione e nella meccanica la disciplina che illustrava i principi che ne determinano il funzionamento. Trasferendo sulla terra i principi cosmologici del cielo meccanico, la macchina permette di conoscere quella natura di cui l’uomo diventa progressivamente padrone.21 D’altro canto, la familiarita` del mondo classico con una estesa varieta` di meccanismi e` nota e benche´ piu` complessi, questi modelli meccanici non coAncora oggi, anche se l’analogia meccanica e` stata sostituita dalla matematica, le formule numeriche rimandano al concetto di qualcosa che funzionera` sempre secondo i medesimi movimenti. 21 Il principio delle velocita ` degli astri e delle sfere proporzionali alle distanze era stato tradotto in quello equivalente della proporzionalita` inversa tra i pesi applicati in punti a diversa distanza dal centro e le distanze stesse, ovvero nel principio della leva. 20
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stituivano una novita`. Ai procedimenti della tecnica e ad alcuni dispositivi si era fatto ricorso da tempo per cercare di spiegare l’eterno movimento dei cieli. L’osservazione della natura che caratterizzava la speculazione dei filosofi della Ionia comprendeva un notevole interesse per le attivita` tecniche intese come chiave per la spiegazione dei fenomeni naturali. Il processo di umanizzazione delle tecniche, non piu` viste come dono degli dei e pertanto storicizzabili e cronologizzabili all’interno di una fiorente letteratura interessata alle scoperte dei primi inventori, sembrava confermare che tecnica e natura sono interscambiabili: anche l’ambiente naturale fornisce modelli e stimola nuove tecniche. Anassimandro aveva spiegato il fuoco degli astri con l’aiuto della tecnica del mantice del fabbro e vedeva il movimento del sole come qualcosa di simile alla ruota del vasaio, che diveniva il modello scientifico adottato per descrivere il moto dei cieli. Non a caso, Anassimandro fu il primo a concepire l’idea di rappresentare su tavolette la terra abitata; 22 infatti, secondo Diogene Laerzio (2,2), «egli fu il primo a disegnare il cerchio della terra e dell’acqua e anche a costruire un globo dei cieli». Ecco il modello scientifico descrittivo: la riduzione in scala delle dimensioni del cosmo ad una grandezza in cui il tutto e le sue parti possono essere comodamente studiate. Il fatto che Anassimandro si sia servito di un modello meccanico costituisce un enorme progresso rispetto alle mitologie cosmogoniche ancora in circolazione. Semplici immagini tecniche volte a nuovo uso divengono metafore della scienza: Anassimene spiegava la forza centrifuga dei corpi celesti attraverso l’esempio della fionda e descriveva i processi di condensazione e rarefazione degli elementi ispirandosi alla tessitura, mentre Eraclito si rifaceva alla tecnica della vagliatura. Nel IV secolo a.C. Empedocle, per spiegare come mai la terra resti al suo posto mentre l’universo ruota velocemente, si avvalse dell’esempio del secchio pieno d’acqua legato all’estremita` di una corda: Altri concordano con Empedocle nel ritenere che l’enorme velocita` del cielo nella sua rotazione lungo un cerchio sia cio` che impedisce il moto da parte della terra. Essi la paragonano all’acqua di un secchio la quale, in effetti, se facciamo girare circolarmente il secchio, risulta per la stessa causa trattenuta dal cadere, sebbene il secchio si trovi spesso capovolto e sia nella natura dell’acqua il muoversi verso il basso.23
22 Secondo Aezio (2,20,1) «Anassimandro diceva che il sole e ` un cerchio 28 volte maggiore della terra. E` simile alla ruota di un carro, il cui bordo cavo e` pieno di fuoco. Ad un certo punto il fuoco lampeggia attraverso un foro, come attraverso lo spiraglio di un mantice... Si ha una eclissi di sole quando si chiude l’apertura attraverso cui appare il fuoco». 23 Arist. cael. 295 a.
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In Vitruvio l’immagine della tecnica come mezzo conoscitivo raggiungera` il massimo riconoscimento. Dopo aver affrontato la materia del costruire nei primi otto capitoli del De architectura, Vitruvio tratta, seguendo un ordine che probabilmente non e` casuale, questioni di astronomia e di meccanica. In un noto passo del libro IX l’universo e` descritto come una macchina che ruota su due assi imperniati nell’immensa sfera delle stelle fisse (9,1,2): Ora, l’Universo e` il sistema che riunisce l’insieme di tutto cio` che compone la natura e inoltre il cielo, la cui forma e` data dalle costellazioni e dai movimenti delle stelle. Quest’ultimo ruota incessantemente attorno alla terra e al mare, facendo leva sui perni posti all’estremita` dell’asse. Tale e` infatti il congegno realizzato in questi punti dalla potenza della natura, la quale ha disposto questi perni con la funzione, per cosı` dire, di centri, l’uno nel punto piu` alto dell’Universo in rapporto alla terra e al mare, oltrepassate perfino le stelle dell’Orsa maggiore, l’altro esattamente all’opposto, sotto la terra nelle regioni meridionali. Attorno a questi perni essa ha realizzato come in un tornio attorno ai centri due anelli, detti in greco po´loi, attraverso i quali il cielo compie rapidamente il suo eterno movimento. Nel mezzo, la terra, che cosı`, insieme al mare, e` stata collocata dalla natura nel punto centrale del sistema.
Nel descrivere la conformazione dell’universo Vitruvio adopera l’espressione architectata, che implica un riferimento alla concezione del mondo come costruzione e l’asse del mondo attorno a cui ruota il tutto esemplifica al meglio l’idea della grande macchina.24 Vitruvio non lo dice espressamente, ma si capisce che considera l’asse del mondo fisso e privo di moto circolare. Anche Platone nel Timeo 25 aveva fatto riferimento ad un asse materiale «Quanto alla terra nostra nutrice, costretta attorno all’asse che si distende per l’Universo...», ma non mancava chi, come l’autore dell’aristotelico De mundo, l’aveva descritto come una retta immaginaria. Anche l’immutabilita` che a Democrito sembrava caratteristica dell’universo non era altro che l’intreccio di cose continuamente ricorrenti, la successione di combinazioni che si ripetono in modo identico o con modifiche in cui 24 A questo proposito si vedano anche Arat. 21 ss. e di conseguenza anche i traduttori di Arato, ovvero Cic. Arat. 296 ss.; Germ. 19 ss.; Manil. 1,275 ss.; ma si veda anche Ov. fast. 4,179. 25 Pl. Ti. 40b. Se anche il pensiero di Platone non e ` chiarissimo, egli considerava la rotazione di una sfera sul proprio asse come il piu` perfetto di tutti i movimenti. Si veda Pl. Lg. 967a: «Di questi due movimenti, quello che si fa attorno a un luogo deve necessariamente compiersi sempre attorno ad un centro, ad imitazione dei cerchi fatti dal tornio, ed essere interamente, per quanto e` possibile, simile e affine al movimento circolare dell’intelligenza... Se noi diciamo che l’intelligenza e il movimento che si compie in un solo luogo, da noi assomigliati ai movimenti di una sfera lavorata al tornio, si muovono l’uno e l’altro in uno stesso e identico modo e nel medesimo posto e attorno ai medesimi oggetti e in relazione ai medesimi, secondo un medesimo principio e un medesimo ordine, non mostreremo affatto con cio` di essere cattivi artefici in fatto di belle immagini».
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comunque si trova una stabilita`. Da cio` derivava la conclusione relativa all’eternita` delle cause e la conseguente fede in un ordine stabile delle cose del futuro. Anche senza forse averne coscienza precisa, l’immagine data da Democrito sembra avere il suo fondamento proprio nella analogia con la macchina. Aristotele confutera` questa teoria di Democrito, accusandolo in particolare di non interessarsi a cercare «la causa dell’eterno»: 26 d’altro canto, Democrito aveva gia` avuto modo di mettere in evidenza come le tecniche trovassero un’autogiustificazione sul piano naturale e dunque non richiedessero regolamentazioni esterne. I modelli meccanici di cui parla Cicerone sono ben lungi dal mostrare che questo cosmo e` nato cosı` perche´ certi atomi si sono incontrati in un certo modo e che in futuro tali atomi si disgregheranno e assumeranno un altro schema, creando un altro mondo possibile che niente ha a che vedere con il principio stoico dell’eterno ritorno dell’eguale, delle stesse cose e degli stessi eventi successivo alla conflagrazione universale. Se dal punto di vista della filosofia atomistica un modello meccanico a immagine dell’universo infinito sarebbe stato improponibile, un mondo macchina avrebbe potuto essere comunque visualizzato attraverso uno o piu` prodotti della tecnica umana. E` forse solo apparentemente contraddittorio che l’immagine della grande macchina del mondo, con i suoi movimenti regolari e ripetitivi, si manifesti in quell’atomismo la cui idea fondamentale prevede che tutti i processi che si svolgono nel mondo abbiano essenzialmente carattere irregolare. Eppure, il funzionamento del cosmo, parte di un piu` ampio disegno universale, puo` essere visualizzato attraverso la macchina che puo` spiegare alcuni dei fenomeni che appartengono alla sfera dei cieli anche nell’ottica della nuova cosmologia infinitista. D’altro canto, all’inizio della parte del de Architectura dedicata alle macchine, Vitruvio dichiara che il modello della macchina e` nella natura 27 e ispirandosi ad essa gli antichi hanno creato le prime macchine non solo per vincerne le resistenze, ma anche come fonte di conoscenza. Del resto, nella macchina la ragione aveva da tempo individuato le medesime leggi che regolano il funzionamento della natura. Cuneo, leva, vite, argano e carrucola, antichissimi dispositivi introdotti per vincere resistenze altrimenti insuperabili, al` del tutto erroneo il supporre di dare un principio sufficiente col dire che e` sempre o ac26 «E cade sempre cosı`: che e` la concezione a cui Democrito riconduce le cause della natura in base alla considerazione che i fenomeni del passato si sono prodotti nello stesso modo di ora; e la causa dell’eterno poi, non ritiene di dover ricercare» (Arist. Ph. 252a.). 27 Vitr. 10,1,4-6.
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tro non erano se non macchine ‘‘semplici’’, come semplice era la regola che ne determina il funzionamento rendendole applicabili alla realta`. Se la macchina rende possibile la coesistenza tra fabbricato dall’uomo e creato, la meccanica e` l’attivita` della tecnica capace di conciliare mondo della natura e mondo della tecnica sotto il linguaggio scoperto da questi tecnici. Nel suo percorso evolutivo l’uomo ha inventato le tecniche osservando la natura che, se guardata attentamente, appare regolata da leggi meccaniche. La Meccanica pseudo aristotelica aveva gia` da tempo insegnato a riconoscere nel modello teorico leva – bilancia – moto circolare il funzionamento di una serie di strumenti e dispositivi di uso comune, contribuendo a spostare la domanda da ‘‘come e` fatto’’, a ‘‘come funziona’’: l’oggetto artificiale cessa di essere una struttura statica per divenire una combinazione di moti, velocita` e squilibri controllabili, il cui funzionamento dipende da un principio interno. Tra l’altro, per giustificare il fatto che un piccolo impulso e` sufficiente a muovere il corpo umano, Lucrezio aveva gia` introdotto alcuni esempi cari alla tradizione della meccanica pseudoaristotelica attraverso i quali intendeva mostrare come il piccolo, con l’aiuto della tecnica, riuscisse a vincere enormi pesi: la vela che colpita dal vento fa avanzare la nave, il timone che consente di pilotarla, argani e carrucole che permettono alle gru di sollevare ingenti carichi.28 La macchina del mondo di Lucrezio non ha una fisionomia precisamente definibile: funzionale al pensiero del poeta, essa e` come una gigantesca bilancia a bracci uguali nei cui piatti vadano ponendosi nel tempo pesi talmente diversi da rompere l’equilibrio del sistema. Il continuo processo di entrata e di uscita degli atomi tra mondi e vuoto puo` mantenere l’equilibrio, ma puo` generare vantaggio oppure perdita scatenando effetti cinetici meccanici tali da portare alla rovina del sistema. La bilancia oscilla, inclina, poi tracolla. Piu` interessato al destino della macchina che al suo funzionamento, Lucrezio riesce a vedere il dispositivo meccanico, non il macchinista. L’immagine della macchina costituisce per Lucrezio un principio conoscitivo all’interno di un sistema razionale; essa consente di istituire una relazione tra ordini diversi divenendo a sua volta strumento di conoscenza. La seconda ipotesi che ritengo possibile avanzare parte dalla considerazione che, discostandosi da Epicuro nei cui frammenti non pare di cogliere questa indicazione, Lucrezio lascia intuire che il crollo della macchina del mondo 28 Lucr. 4,898-906: «Anche il vento sottile, benche ´ d’esigua materia, col grande sforzo sospinge la nave grande e la porta, a vada anche che voli basta una mano a dirigerla, e a piegarla dove piace basta un timone: ed un argano con le carrucole e i timpani riesce a smuovere molti enormi pesi e a sollevarli con piccolo sforzo».
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sia imminente. Del resto, lo aveva gia` preannunciato nel libro secondo, quando aveva paragonato la terra a un corpo giunto alla vecchiaia e non piu` in grado di assorbire cibo, anzi energia. Assottigliatasi per la perdita di atomi, la terra ha cominciato a cedere ai colpi provenienti dall’esterno indebolendosi sempre di piu` (2,1105-1149). Le prove di questa debolezza sono evidenti: la terra che prima produceva lussureggianti raccolti, adesso e` a malapena sufficiente per chi la lavora, il vecchio contadino si lamenta ricordando il non lontano passato, il vignaiolo ricorda come solo una generazione precedente piccoli appezzamenti di terreno rendessero piu` dei suoi, che pure sono piu` ampi. E` possibile che qui Lucrezio partecipi, tra l’altro, a una polemica che avrebbe trovato concordi molti scrittori del tempo e del secolo successivo contro la moda del latifondo: lo stato di sofferenza del suolo italico, il lamento del contadino e del vignaiolo danno voce alla condanna di quella che Livio avrebbe definito ingens cupido agros continuandi.29 Tuttavia, se nell’inno di apertura del poema, la Venus lucreziana era il simbolo dell’energia creatrice e ordinatrice di ogni bellezza e della forza della natura da cui tutto ha origine, adesso la smodata ambizione dell’uomo ha prodotto una sorta di frattura nell’ordine naturale degli eventi. All’immagine di una terra sofferente e stanca segue la storia del genere umano e del suo ambiguo progresso. Sorgono le citta`, si sviluppa il vivere civile, si dividono le terre, ma si creano squilibri. Ricchezza e potere recano disuguaglianze che scatenano contrasti e lotte intestine. Ogni nuova scoperta ha un rovescio della medaglia. Il progresso ha portato l’uomo all’ambizione e alla sete di possesso, la scoperta del metallo ha generato amore per l’oro e l’uso di nuove armi, piacere e benessere non sono serviti a evitare la follia massima, la guerra che incombe su tutto (5,9251457). Ricchezza e potere scavano i solchi di una distinzione che si aggrava sempre di piu`. Raggiunto l’apice del benessere, l’uomo vede realizzare il principio di una catastrofe piu` volte annunciata nel sottolineare il mancato equilibrio armonico nella vita civile. Liv. 34,4,8. Qui anche Lucrezio si attiene alla polemica che sul finire della Repubblica e poi per buona parte del I secolo d.C. avrebbe investito la politica agraria, cioe` il tentativo di ricreare la piccola proprieta` contro la moda del latifondo. Il fine, in Italia, era quello di ricreare la piccola e media proprieta` in un’eta` in cui invece dominava la moda del latifondo. Gli scritti che si sono susseguiti su questi temi, opera di Catone, Varrone, Virgilio, Columella, mostrano attenzione verso l’agricoltura vista come fonte di arricchimento. Quando Plinio lancera` la celebre accusa verso la politica del latifondo affermando che latifundia perdidere Italiam (Plin. nat. 18,35), l’accaparramento dei terreni ad opera delle classi benestanti era gia` divenuto una moda secondo la definizione di Livio. Gia` Cicerone aveva avuto modo di lamentare la solitudo Italiae (Cic. Att. 1,19,4) come aveva definito certe zone del nostro meridione da lui visitate, mentre, in epoca imperiale, Strabone descrive la campagna italica in grave abbandono. 29
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Lo squilibrio della societa`, non solo di quella romana in cui Lucrezio ha visto le vicende drammatiche della guerra civile, ma dell’intera societa` umana e` il medesimo della macchina, il crollo della quale allude alla rovina di un’umanita` che non ha saputo fare tesoro delle conquiste del vivere civile e del progresso. Lo stato degli uomini e` in questo momento una macchina in totale squilibrio, eventi del cosmo e vicende terrene corrispondono. Eppure, nato da calcolo e riflessione, anche lo stato e` opera della te´chne umana, realizzato da uomini la cui opera industriosa non si limita ai beni materiali, ma si estende alle strutture della vita in comune che stanno pericolosamente vacillando. Per usare il linguaggio della meccanica antica, lo stato non e` una macchina semplice, ma il risultato di una combinazione di dispositivi. Sulla natura di questa combinazione di dispositivi, ovvero di parti sociali, avevano gia` discusso filosofi e storici, da Platone a Aristotele e soprattutto Polibio che aveva formulato la teoria della costituzione mista in cui l’equa distribuzione di potere tra le parti sociali, egualmente rappresentate, garantiva quell’equilibrio di governo nel quale egli vedeva le cause del rapido successo di Roma; successo che pero` non avrebbe potuto evitare non solo allo stato romano, ma all’umanita` intera di cui Lucrezio ripercorre la storia nella ricostruzione del succedersi degli ordinamenti politici, il medesimo destino che il tempo ha sancito per tutte le cose. Distrutta la stabilita` interna, tutto il sistema sembra avviarsi verso un punto di rottura senza ritorno. Come gia` notato da L. Canfora, termini come equilibrio, squilibrio, sbilanciamento, armonia e concordia tra le parti ci portano nel vivo dei problemi meccanici, nel vivo dell’immagine della macchina e all’esempio fondamentale del funzionamento della bilancia: e` la grande mechane´ dell’arte politica.30 Negli storici di cui Lucrezio aveva letto le opere per riassumere le fasi evolutive dei governi, il verbo per indicare nella politica la rivoluzione, la discordia, la sovversione e` kine´in, che e` anche il verbo che nei trattatisti greci a lui precedenti che avevano trattato la fondamentale questione della leva sottoposta a carichi indica la rottura dell’equilibrio e il conseguente movimento di un sistema meccanico che puo` tracollare; identico l’uso di termini come rope´ – ‘‘peso’’ nel senso di forza che conferisce equilibrio oppure sbilanciamento e quel xuntivqhmi usato nel linguaggio della tecnica col significato di ‘‘mettere insieme i vari pezzi e disporli in modo consono al risultato atteso’’, presente nei 30 LUCIANO CANFORA , ‘‘Mechane ´ ’’, in Machina. Roma, 8-10 Gennaio 2004, XI Colloquio Internazionale, a cura di Marco Veneziani (Firenze: Olschki, 2005), pp. 61-68.
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frammenti di Epicuro col significato matematico di ‘‘addizionare’’ e infine adoperato dagli storici per indicare, nelle vicende politiche, gli spostamenti delle parti in gioco che fanno oscillare l’equilibrio del sistema. Si tratta di nozioni perfettamente note agli autori che in eta` ellenistica avevano cominciato a porre le basi di quella che nel medioevo sarebbe divenuta la scientia de ponderibus, a partire da osservazioni sull’equilibrio e squilibrio, ovvero tracollo, del sistema bilancia quando si aggiungono e sottraggono parti. Come la bilancia, l’enorme dispositivo del mondo crolla in conseguenza di uno squilibrio meccanico dovuto alla disordinata distribuzione di peso atomico nelle parti della grande macchina. Tra l’altro, Lucrezio aveva letto Tucidide e presumibilmente conosceva la grande ammirazione dello storico per l’operazione realizzata nell’anno 411 a.C. da Antifonte, destinato a divenire il protagonista del piu` clamoroso caso di legame tra linguaggio della politica e meccanica. Antifonte, infatti, con l’aiuto di pochi aveva tolto la liberta` al popolo ateniese. Col prevalere sui piu` numerosi avversari Antifonte fece cio` che somigliava molto al compito fondamentale della meccanica e presumibilmente per questa ragione l’autore delle Questioni meccaniche lo citera` nella pagina di apertura del trattato.31 Nel vivo di una stagione di grandi dibattiti, Lucrezio mostra con i versi del suo poema come l’inferno non fosse una spaventosa aspettativa ultraterrena, ma esistesse nella vita di ambizioni, paure e ignoranza della vera natura rerum scoperta dal maestro Epicuro, unica salvezza possibile per un’umanita` in bilico come le strutture pericolanti della grande macchina del mondo. La societa` romana, lo si e` cercato di dimostrare in studi recenti, ha prodotto anche una grande civilta` delle macchine.32 Erede del macchinismo ellenistico, la civilta` romana diviene la macchina del bene comune. Se Cicerone nel De re publica aveva stabilito una analogia tra la sfera di Archimede, con la riproduzione meccanica di movimenti celesti e lo stato romano che si estende fino alla porta del cielo, la metafora lucreziana sembra invece voler sottolineare che natura, macchina e societa` romana sono articolazioni di una sola grande realta` in cui storia dell’uomo, del cosmo e dell’universo camminano di pari passo. E` dunque proprio l’immagine della macchina a spiegare i rapporti politici e societari, esemplificando al meglio il destino delle strutture di governo e i 31
Tucidide (8,68,1), riferendosi ad Antifonte: «...fece quello che agli altri sarebbe parso impos-
sibile». 32 GIOVANNI DI PASQUALE, Tecnologia e meccanica. Trasmissione dei saperi tecnici dall’eta ` ellenistica al mondo romano (Firenze: Olschki, 2004).
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negativi rapporti tra gli uomini all’interno di esse. Un grande disegno domina la natura e le cose degli uomini. Per spiegarne l’esito finale, l’esempio in scala e` quello della riduzione del mondo a macchina, in una visione la cui coerenza e` garantita comunque dall’obbedienza alle leggi imposte dagli equilibri e squilibri atomici. Grazie ad una rinnovata visione, la macchina non e` intesa solo come costruzione statica, ma anche e soprattutto come un dinamico agglomerato di forze. La macchina diviene una specie di corpo animato provvisto di forti braccia, atte a reggere pesi ingenti fino al momento in cui l’enorme struttura non cede per il consumarsi di alcune sue parti. E` dunque la machinatio a suggerire le analogie piu` calzanti per spiegare, nell’ottica del pensiero atomista, il destino del mondo.
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ELISA ROMANO TEMPO DELLA STORIA, TEMPO DELLA SCIENZA: INNOVAZIONE E PROGRESSO IN LUCREZIO
1. IL
NUOVO FRA IRRUZIONE DEL NEGATIVO E IMPOSSIBILITA` DEL CAMBIAMENTO
La materia nel suo complesso non e` mai stata di quantita` superiore: niente si aggiunge ad essa e niente da essa viene meno. Cosı` pure il movimento degli atomi e` stato sempre uguale nel tempo trascorso e lo sara` in futuro.1 Ne´ alcuna forza puo` modificare l’insieme delle cose: non c’e` infatti nulla all’esterno ove possa fuggire dall’universo alcun genere di materia e non c’e` niente da cui una nuova energia possa sorgere, irrompere, cambiare tutta la natura e sconvolgerne i movimenti: nec rerum summam commutare ulla potest vis; nam neque quo possit genus ullum materiai effugere ex omni, quicquam est ,2 neque in omne unde coorta queat nova vis irrumpere et omnem naturam rerum mutare et vertere motus (Lucr. 2,303-307).
L’impossibilita` del cambiamento rispetto a una materia che si conserva sempre integra nella sua globalita` e ai movimenti sempre uguali degli atomi e` principio della fisica epicurea Si cita comunemente a questo proposito un passo dell’Epistola ad Erodoto: «tutto era sempre come e` adesso, e tale sara` sempre, poiche´ non c’e` nulla in cui cambiare. Al di fuori del tutto non c’e` nul1 Lucr. 2,294-302 Nec stipata magis fuit umquam materiai / copia nec porro maioribus intervallis. / nam neque adaugescit quicquam neque deperit inde. / quapropter quo nunc in motu principiorum / corpora sunt, in eodem ante acta aetate fuere / et posthac semper simili ratione ferentur, / et quae consuerint gigni gignentur eadem / condicione et erunt et crescent vique valebunt, / quantum cuique datum est per foedera naturai. 2 Extra e ` l’integrazione proposta da Munro per il verso, che nei manoscritti si presenta lacunoso (effugere ex omni quicquam est neque in omnes, con omnes corruttela facilmente emendabile in omne), su cui esprime perplessita` nella nota ad l. DON FOWLER, Lucretius on Atomic Motion. A Commentary on De rerum natura 2.1-322 (Oxford: Oxford UP, 2002), pp. 381 s., il quale ritiene altamente suggestiva la proposta di Polle immenso effugere ex omni.
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la che potrebbe provocare il cambiamento se vi si andasse incontro» (39,2-5 to; pa~n ajei; toiou~ton hj~n oiJ~on nu~n ejsti, kai; ajei; toiou~ton e[stai. oujqe;n gavr ejstin eij" o} metabalei~. para; ga;r to; pa~n oujqevn ejstin, o} a]n eijselqo;n eij" aujto; th;n metabolh;n poihvsaito). L’enunciato epicureo a sua volta richiama la teoria del cambiamen-
to esposta da Aristotele nel libro V della Fisica,3 e cio` fa pensare che Epicuro avesse ripreso in un’opera per noi perduta l’analisi aristotelica. Se il principio e` senz’altro epicureo, non e` tuttavia possibile stabilire se la sua formulazione nel libro II del De rerum natura, nel quadro della teoria del movimento degli atomi, anziche´, come nell’Epistola ad Erodoto, quale principio metafisico preliminare, direttamente conseguente alla negazione della creazione ex nihilo e della distruzione ad nihilum, sia un’innovazione di Lucrezio o si trovasse in altra opera di Epicuro a noi non pervenuta, o in successivo materiale dossografico epicureo.4 In ogni caso, al di la` dell’individuazione di una precisa fonte filosofica, nei versi lucreziani il concetto viene espresso entro una trama linguistica in cui si intrecciano alcuni campi metaforici ricorrenti nella rappresentazione dei concetti di cambiamento e di novita`. I commenti 5 segnalano l’uso frequente del verbo coorior, soprattutto nella forma del participio perfetto, per indicare sia fenomeni naturali improvvisi e violenti, come tempeste e incendi,6 sia attacchi militari e rivolte,7 sia, secondo un uso comune 8 attestato piu` di una volta in Lucrezio,9 l’insorgere improvviso di una malattia e, in particolare, di una epidemia pestilenziale,10 calamita` il cui inatteso manifestarsi viene a volte caratterizzato dall’aggettivo novus.11 L’irruzione di una forza esterna mediante il sostantivo vis e il verbo irrumpo o simili (in particolare, invado) puo` definire 3 Cfr. Arist. Ph. 5.1, 225a 1 ss. Fra le quattro categorie di cambiamento indicate da Aristotele – rispetto alla sostanza, alla qualita`, alla quantita`, o attraverso il movimento da luogo a luogo – gli atomi epicurei rientrano solo in quest’ultima (kata; to; pou)~ . 4 Cfr. FOWLER, Lucretius (cit. n. 2), pp. 366 ss. 5 Cfr. recentemente FOWLER, Lucretius (cit. n. 2), pp. 382 s. 6 Cfr. Lucr. 6,196; 458; 641; vd. Thesaurus linguae Latinae, IV 895,81 ss.; 896,5 ss. 7 Vd. Thesaurus linguae Latinae, IV 896,23 ss.; 27 ss.; 41 ss. A volte le due sfere, quella della violenza della natura e quella dell’attacco militare, si sovrappongono, come in Lucr. 5,1002 s.: sed temere incassum frustra mare saepe coortum / saevibat leviterque minas ponebat inanis. 8 Vd. Thesaurus linguae Latinae, IV 895,78 ss. 9 Cfr. Lucr. 4,664 quippe ubi cui febris bili superante coorta est; 6,656 accepit calido febrim fervore coortam. 10 Cfr. i versi iniziali dell’esposizione sulle epidemie in 6,1090-93 nunc ratio quae sit morbis aut repente / mortiferam possit cladem conflare coorta / morbida vis hominum generi pecudumque catervis / expediam. 11 Cfr. 6,1125 haec igitur subito clades nova pestilitasque.
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l’insorgere di una malattia, in senso letterale 12 o metaforico, come nel celebre excursus sallustiano sulle cause della congiura nei capitoli centrali del Bellum Catilinae (36-39), in cui l’aspirazione al cambiamento e l’ansia di novita` sono assimilate a una vera e propria peste che aveva aggredito la societa`: tanta vis morbi atque uti tabes plerosque civium animos invaserat (36,5). Tre campi d’immagine, lo sconvolgimento naturale, l’invasione militare e la malattia sono dunque riconoscibili nei versi lucreziani, che possono essere cosı` parafrasati: «non c’e` al di fuori dell’universo alcuno spazio in cui possa scoppiare una tempesta di atomi tale da creare un nuovo elemento, capace di invadere l’universo e, come una malattia, di alterarne l’equilibrio».13 Ma se nel linguaggio lucreziano e` implicito un collegamento fra sfera dello sconvolgimento nel mondo della natura, sfera del rivolgimento dell’ordine politico, sfera della rottura dell’equilibrio di un organismo per l’irrompere di una malattia fisica o di un turbamento psichico,14 allora il nuovo sembra presentarsi non soltanto come non-possibilita` determinata da leggi fisiche, ma anche come negativita`. Gli stessi registri semantici e lo stesso intreccio metaforico che caratterizzano i versi appena riportati si ritrovano tuttavia in un altro luogo della cosmologia lucreziana, che va in senso opposto, presentando un momento della storia del mondo in cui una novita` pote´ verificarsi. Si tratta di un passo del libro V dedicato al modo in cui gli atomi hanno prodotto i fenomeni visibili del nostro mondo; qui Lucrezio descrive quell’irrompere di una nuova energia che nei versi del libro II era negata, mostrando che la cosmologia democriteoepicurea ammetteva sul piano storico, in una fase originaria, quella possibilita` che sul piano teorico era negata. E` infatti una nova tempestas coorta all’origine della formazione delle parti del mondo: la terra, il mare, il cielo e l’aria sono l’esito della combinazione di atomi, i quali, dopo un iniziale ammasso caotico, si aggregarono in base ai principi della concordia e dell’attrazione fra simili. La formazione degli elementi segue ad un caos primordiale scatenato da una forza che irrompe, assimilata a un assalto militare che provoca battaglie: uno sconvolgimento, certo, ma produttivo di realta`.
Cfr. Thesaurus linguae Latinae, VII 111, 36 ss. Cosı` FOWLER, Lucretius (cit. n. 2), p. 382: «there is no place outside the universe where a storm of atoms could arise and create a new compound which could invade the universe and alter its constitution like a disease». 14 Secondo una rappresentazione diffusa della novita ` , che rinvia a una percezione profonda del nuovo come elemento di squilibrio; rinvio alle mie osservazioni in ‘‘L’ambiguita` del nuovo: res novae e cultura romana’’, Laboratoire Italien, 2005, 6: 17-35, pp. 32-33. 12 13
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Prima non era infatti possibile scorgere il disco del sole ne´ le stelle del firmamento ne´ il mare ne´ il cielo ne´ infine la terra ne´ l’aria, ne´ alcun’altra cosa simile a quelle a noi note. Finche´ non scoppio` una sorta di nuova immensa tempesta, l’irruzione di una massa di elementi seminali di ogni specie, il cui discorde tumulto sconvolgeva gli intervalli, le vie, le connessioni, i pesi, gli scontri, le convergenze, i movimenti, attaccando confusamente battaglie; poiche´ per le forme dissimili e le diverse strutture non potevano restare tutti uniti fra loro ne´ produrre fra loro movimenti concordi, prima che le particelle cominciassero a fuggire in ogni senso, le simili a congiungersi alle simili, configurando le grandi parti del mondo, separate fra loro, le terre il cielo il mare e l’etere: Hic neque tum solis rota cerni lumine largo altivolans poterat nec magni sidera mundi nec mare nec caelum nec denique terra neque aer nec similis nostris rebus res ulla videri, sed nova tempestas quaedam molesque coorta omne genus de principiis, discordia quorum [440] intervalla vias conexus pondera plagas [441] concursus motus turbabat proelia miscens, [442] propter dissimilis formas variasque figuras [443] quod non omnia sic poterant coniuncta manere [444] nec motus inter sese dare convenientis. [445] diffugere inde loci partes coepere paresque [437] cum paribus iungi res et discludere mundum [438] membraque dividere et magnas disponere partis, [439] hoc est, a terris altum secernere caelum, et sorsum mare, uti secreto umore pateret, sorsus item puri secretique aetheris ignes 15 (5,432-448).
Queste due testimonianze apparentemente contraddittorie, l’una in cui si teorizza l’impossibilita` di una nova vis, ovvero l’insussistenza teorica di un cambiamento che produca novita`, l’altra in cui si sottolinea il ruolo della nova tempestas rispetto al primordiale caos cosmologico, ovvero la determinatezza storica di cambiamento e novita`, si collocano entro una serie di passi che fanno di Lucrezio uno dei principali testimoni di un ‘‘pensiero della novita`’’, elaborato dalla cultura romana di eta` medio- e tardorepubblicana 16 per fornire 15 La trasposizione dei vv. 437-442 al posto dei vv. 440-445, operata da Lachmann su suggerimento di Reisacker, che ristabilisce un ordine nella materia trattata (prima il caos, poi la separazione degli elementi), e` accettata nell’edizione di CYRIL BAILEY (Oxford: Oxford UP, 1947) e da FOWLER, Lucretius (cit. n. 2), non da JOSEPH MARTIN (Leipzig: Teubner, 1963). 16 Quadro di riferimento per lo studio di questo tema e ` il dibattito storiografico sullo statuto teorico dell’innovazione e sulla categoria di ‘nuovo’ come discriminante fra mondo antico e moder-
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una giustificazione teorica a una diffusa pratica di resistenza all’innovazione in ogni campo, di diffidenza verso le novita`, di rifiuto dei cambiamenti e tendenza a mantenere l’ordine esistente.17
2. TEMPO
UMANO E TEMPO DIVINO: L ’INNOVAZIONE NELLA STORIA DEGLI UOMI-
NI E NELL ’ASSENZA DI STORIA DEGLI DEI
La svalorizzazione, fino al rifiuto e alla condanna piu` netta, della novita` nel mondo antico, e in quello romano in particolare, viene spesso collegata all’assenza di una idea di progresso come svolgimento lineare.18 Diventa allora di preliminare importanza verificare questo luogo comune storiografico su una delle poche rappresentazioni della storia dell’umanita` dalla quale, sia pur con apparenti contraddizioni, si delinea un processo che i moderni hanno riconosciuto come progresso. Particolarmente significativo e` in tal senso il passo del libro V in cui, agli inizi della vera e propria storia dell’umanita`, si racconta l’epoca delle scoperte, a partire da quella del fuoco: poi il sole insegno` la cottura del cibo al calore della fiamma, poiche´ vedevano nei campi molte cose maturare sotto la sferza dei suoi raggi e del suo calore. Di giorno in giorno, sempre di piu`, quelli che emergevano per intelligenza e forza d’animo insegnavano a mutare il precedente tenore di vita grazie alle nuove scoperte e all’uso del fuoco. I re cominciarono a fondare citta` e a porre fortificazioni, per difesa e per rifugio, e divisero i campi e il bestiame e li assegnarono a seconda della bellezza, dell’ingegno e della forza di ognuno; erano infatti molto apprezzate la bellezza e la forza. In seguito fu inventata la proprieta` e fu scoperto l’oro, che facilmente tolse prestigio alla forza e alla bellezza, poiche´ per lo piu` gli uomini si aggregano ai ricchi, benche´ forti e dotati di corpo robusto e avvenente. Ma se si conducesse la vita in modo razionale, la grande ricchezza per l’uomo sarebbe vivere sobriamente e con animo tranquillo, poiche´ nel poco non c’e` mai poverta`. Invece gli uomini vollero se stessi famosi e potenti, per avere una sorte duratura poggiata su solide basi e poter trascorrere da ricchi una placida esistenza: invano, perche´ mentre lottano per arrivare all’apice del
nita`, a partire da certe premesse ormai classiche nella storia concettuale di Reinhart Koselleck. Ho affrontato la questione in «‘‘Allontanarsi dall’antico’’. Novita` e cambiamento nell’antica Roma», Storica, 2006, 12: 7-42. 17 Sulle dinamiche del rapporto fra consuetudine e novita ` cfr. MAURIZIO BETTINI, ‘‘Mos, mores e mos maiorum. L’invenzione dei ‘buoni costumi’ nella cultura romana’’, in ID., Le orecchie di Hermes (Torino: Einaudi, 2000), pp. 241-292. 18 Classico in proposito RONALD SYME, The Roman Revolution (Oxford: Clarendon Press, 1939), p. 315: «lacking any perception of the dogma of progress – for it had not yet been invented – the Romans regarded novelty with distrust and aversion. The word ‘novus’ had an evil ring».
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successo si rendono da se´ la strada piena di pericoli, e talvolta l’invidia, come un fulmine, li colpisce facendoli precipitare con disprezzo giu` nel buio Tartaro: inde cibum coquere ac flammae mollire vapore sol docuit, quoniam mitescere multa videbant verberibus radiorum atque aestu victa per agros. Inque dies magis hi victum vitamque priorem commutare novis monstrabant rebus et igni ingenio qui praestabant et corde vigebant. condere coeperunt urbis arcemque locare praesidium reges ipsi sibi perfugiumque, et pecus atque agros divisere atque dedere pro facie cuiusque et viribus ingenioque; nam facies multum valuit viresque vigebant. posterius res inventast aurumque repertum, quod facile et validis et pulchris dempsit honorem; divitioris enim sectam plerumque sequuntur quamlibet et fortes et pulchro corpore creti. quod siquis vera vitam ratione gubernet, divitiae grandes homini sunt vivere parce aequo animo; neque enim est umquam penuria parvi. at claros homines voluerunt se atque potentis, ut fundamento stabili fortuna maneret et placidam possent opulenti degere vitam, nequiquam, quoniam ad summum succedere honorem certantes iter infestum fecere viai, et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos invidia inter dum contemptim in Tartara taetra (5,1102-1126).
Questi versi costituiscono un esempio significativo di quella che e` stata recentemente definita «una visione profondamente ambigua della storia della civilta`»,19 una rappresentazione non del tutto orientata secondo una linea ascendente, ma nemmeno secondo un movimento interamente discendente.20 Sia che tali ambiguita` siano dovute all’influsso di un relativismo interno all’etica epicurea sia che il pessimismo di Lucrezio sia effetto di uno sguardo prevalentemente rivolto alla storia recente e contemporanea,21 quello che 19 GORDON LINDSAY CAMPBELL, Lucretius on Creation and Evolution. A Commentary on De rerum natura 5, 772-1104 (Oxford: Oxford UP, 2003), p. 14: «a deeply ambiguous view of civilization itself». 20 CAMPBELL, Lucretius (cit. n. 19), p. 14: «there is not a neat upwards or downwards progression, but, in terms of justice at least, both a rise and fall over time». 21 Secondo ID. , Lucretius (cit. n. 19), p. 9 la storia dell’umanita ` lucreziana appartiene a una tra-
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emerge nettamente e` un atteggiamento contraddittorio rispetto alla scoperta, all’innovazione tecnica, ovvero alla realizzazione concreta, nella storia umana, del concetto astratto di novum / novitas. L’invenzione, anche quella che all’inizio appare piu` utile, si rivela foriera di sciagura, di infelicita` e di morte; ogni scoperta, se all’inizio svela nuove potenzialita` dell’inventivita` umana, incoraggia la fiducia nel progresso e da` luogo ad un susseguirsi di nuove scoperte, da` nello stesso tempo il via ad un perverso attivarsi di desideri innaturali che segna il deteriorarsi del rapporto dell’uomo con se stesso e con gli altri. A mano a mano che si realizza, mentre crea le premesse di sempre nuove innovazioni, l’innovazione si svuota cosı` del suo valore progressivo. Rispetto all’ambiguita` di cui si carica nella narrazione del tempo umano, diversa configurazione mostra la novita` nell’assenza di storia degli dei. Nel corso della polemica antiteologica contro il finalismo e il provvidenzialismo, che riprende la polemica epicurea contro l’antropocentrismo e il finalismo prevalentemente stoici, viene introdotto il seguente argomento: perche´ gli dei avrebbero dovuto fare qualcosa per gli uomini? Quale novita` avrebbe potuto allettarli e far desiderare loro di cambiare vita, di mutare la loro condizione di esseri felici e immortali? A compiacersi di una situazione nuova puo` essere solo chi riceve un danno dalla vecchia; ma a chi non e` accaduto niente di doloroso nel passato, e anzi ha trascorso un’esistenza beata, perche´ questo desiderio di novita` si dovrebbe accendere? quidve novi potuit tanto post ante quietos inlicere ut cuperent vitam mutare priorem? nam gaudere novis rebus debere videtur cui veteres obsunt; sed cui nil accidit aegri tempore in anteacto, cum pulchre degeret aevum, quid potuit novitatis amorem accendere talis? (5,168-173).
L’idea di novita` risulta inserita in una prospettiva perfettamente rovesciata rispetto a quella del passo del libro V prima esaminato, dove il desiderio di cambiare e` un incentivo al progresso per gli uomini che cercano di migliorare la propria condizione, con una specularita` corrispondente alla distanza che separa l’imperturbabilita` degli dei dalla faticosa esistenza degli uomini. Ma le dizione di narrazioni di preistorie in cui si riconosce piu` l’interesse dell’autore per il presente in cui vive che le sue idee sul passato.
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due rappresentazioni, del ‘nuovo divino’ e del ‘nuovo umano’, hanno alcuni tratti comuni: nell’una e nell’altra la novita` appare come una possibilita` esistenziale, come un nuovo ordine alternativo e sostitutivo rispetto al vecchio e come l’oggetto di un desiderio.
3. IL
NUOVO DAL VECCHIO : IL TEMPO DELLA NATURA
La dialettica fra cio` che appartiene a un ordine preesistente e il prodursi di una novita` in seguito a un cambiamento si presenta in termini del tutto diversi nell’ambito della natura. Qui il nuovo subentra al vecchio all’interno di un processo incessante che garantisce l’equilibrio complessivo, secondo il principio fisico enunciato nel passo del libro II precedentemente esaminato (2,303307). Nel libro I una dimostrazione concreta del principio che nulla ritorna al nulla (vv. 215-264) viene indicata da Lucrezio nel modo in cui la natura ripara incessantemente le perdite che subisce. Nel ciclo della vita animale e vegetale la distruzione di una cosa e` regolarmente seguita dalla generazione di un’altra: cosı` si disperdono le piogge quando il cielo le effonde nel grembo della madre terra, ma spuntano le messi e sugli alberi diventano verdi i rami, che fioriscono e si caricano di frutti, dai quali traggono alimento uomini e animali: per cui vediamo le citta` fiorire di bambini e suonare del canto di uccelli sempre nuovi, per cui le greggi distendendosi stanche lungo i pascoli producono latte, per cui una prole sempre nuova gioca sull’erba sulle zampe incerte, con le menti novelle inebriate da purissimo latte. Insomma, niente di cio` che vediamo perisce del tutto, poiche´ la natura ricrea una cosa dall’altra, e non ne fa nascere alcuna se non grazie alla morte di un’altra: postremo pereunt imbres, ubi eos pater aether in gremium matris terrai praecipitavit; at nitidae surgunt fruges ramique virescunt arboribus, crescunt ipsae fetuque gravantur. hinc alitur porro nostrum genus atque ferarum, hinc laetas urbes pueris florere videmus frondiferasque novis avibus canere undique silvas; hinc fessae pecudes pinguis per pabula laeta corpora deponunt et candens lacteus umor uberibus manat distentis; hinc nova proles artubus infirmis teneras lasciva per herbas ludit lacte mero mentes perculsa novellas. haud igitur penitus pereunt quaecumque videntur,
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quando alid ex alio reficit natura nec ullam rem gigni patitur nisi morte adiuta aliena (1,250-261).22
In polemica con chi (Anassagora, per esempio) riteneva gli esseri viventi composti di particelle sensibili, Lucrezio dimostra nel libro II (886-901) che i corpi dotati di senso sono formati da atomi privi di senso, portando a sostegno di questa tesi la trasformazione reciproca di elementi appartenenti a ordini diversi della natura: minerali, vegetali, animali. Questa trasformazione dal non sensibile al sensibile dipende dalla forma, dal movimento, dall’ordine, dalla posizione e dalla combinazione degli atomi (vv. 886-901): niente di tutto cio` si vede nel legno e nelle zolle, e tuttavia questi, quando sono quasi imputriditi a causa delle piogge, generano piccoli vermi, poiche´ i corpuscoli della materia, rimossi dall’antico ordine, si aggregano in un nuovo oggetto, in modo che ne nascano esseri viventi: quarum nil rerum in lignis glaebisque videmus; et tamen haec, cum sunt quasi putrefacta per imbris, vermiculos pariunt, quia corpora materiai antiquis ex ordinibus permota nova re conciliantur ita ut debent animalia gigni (2,897-901).
Il continuo processo in cui qualcosa di vecchio muore e qualcosa di nuovo nasce a sostituirlo, per cui il mare si riempie sempre di nuova acqua (5,261 s. umore novo mare flumina fontis / semper abundare), l’aria si trasforma (5,273 innumerabiliter privas mutatur in horas) e il sole alimenta subito la luce con nuova luce (5,283 suppeditatque novo confestim lumine lumen), puo` essere addotto anche come argomento a sostegno della mortalita` dei quattro elementi (5,235-305), che a sua volta costituisce una delle prove del fatto che il mondo ha principio e fine. Questo processo incessante, che vede il nuovo nascere dal vecchio, la vita dalla morte, garantisce l’equilibrio complessivo, mantenendo la situazione apparentemente paradossale per cui il cambiamento-trasformazione non produce una effettiva novita` (poiche´ nulla, come abbiamo visto, puo` aggiungersi dall’esterno), ma una novita` apparente, che non e` altro che riproposizione Cfr. anche l’argomentazione, alla fine del libro I, sull’infinita` della materia, composta da una quantita` innumerevole di atomi, per cui essa risorge sempre dallo spazio infinito, ponendo riparo a cio` che muore, come dimostra il continuo rinnovarsi della natura: efficit ut largis avidum mare fluminis undis / integrent amnes et solis terra vapore / fota novet fetus summissaque gens animantum / floreat et vivant labentes aetheris ignes; / quod nullo facerent pacto, nisi materiai / ex infinito suboriri copia posset, / unde amissa solent reparare in tempore quaeque (1,1031-1037). 22
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di un ritmo ciclico. Questo processo, cui e` sottoposta l’intera natura, puo` essere formulato come un principio fisico, e in quanto tale esso e` enunciato da Lucrezio in una sede che puo` essere definita programmatica. Si tratta dei versi, immediatamente successivi al proemio del libro II, in cui viene anticipata la dottrina del moto incessante degli atomi, grazie al quale i corpi nascono, crescono, diminuiscono e muoiono senza alterare un equilibrio perfetto: la materia non e` in se stessa compatta e unita: tutti infatti vediamo che ogni cosa si estenua, e vediamo il lento flusso con cui attraversa il tempo, e il tempo che passa sottrarla alla nostra visione, mentre la somma dell’universo rimane invariata, poiche´ le particelle elementari che si staccano da ciascun corpo riducono quello che lasciano, accrescono quello cui giungono, fanno invecchiare l’uno e fanno fiorire l’altro, senza trovare sosta. Cosı` l’insieme delle cose si rinnova sempre, e le creature mortali vivono in scambio reciproco. Certe specie si sviluppano, altre si estinguono, e in un breve arco di tempo cambiano le generazioni degli esseri viventi, e come staffette si passano la fiaccola della vita: 23 nam certe non inter se stipata cohaeret materies, quoniam minui rem quamque videmus et quasi longinquo fluere omnia cernimus aevo ex oculisque vetustatem subducere nostris, cum tamen incolumis videatur summa manere propterea quia, quae decedunt corpora cuique, unde abeunt minuunt, quo venere augmine donant, illa senescere at haec contra florescere cogunt, nec remorantur ibi. sic rerum summa novatur semper, et inter se mortales mutua vivunt. augescunt aliae gentes, aliae minuuntur, inque brevi spatio mutantur saecla animantum et quasi cursores vitai lampada tradunt 24 (2,67-79).
Se il principio fisico dell’equilibrio complessivo si realizza nella vita della natura attraverso un continuo rinnovamento, una analoga ciclicita` caratterizza il tempo umano: il principio della ‘‘staffetta della vita’’ viene ribadito come una necessita` assoluta all’interno del discorso pronunciato dalla Natura nel libro III. Il movimento circolare fra vetustas e novitas, inserito in una prospet23 Il paragone fra il susseguirsi delle generazioni umane e la gara della staffetta (lampadeforia o lampadedromia) e` tradizionale: si trova in Pl. lg. 777b e, in ambito latino, in Rhet. Her. 4,59 e Varro rust. 3,16,19. Cfr. FOWLER, Lucretius (cit. n. 2), pp. 160 s. 24 Una analisi delle simmetrie dell’espressione con cui Lucrezio descrive il passaggio perpetuo fra la vita e la morte si legge in SABINE LUCIANI, ‘‘Nouveaute´ et permanence chez Lucre`ce’’, Revue des E´tudes Latines, 1998, 76: 126-138, p. 128 e nota 6.
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tiva universale, diventa argomento per convincere l’uomo ad accettare la propria condizione mortale: cede sempre cio` che e` vecchio, estromesso dalla novita`, e tutte le cose vengono necessariamente rimpiazzate da altre; nessuno viene mai consegnato nell’abisso tenebroso del Tartaro. Occorre materia perche´ crescano le generazioni future, che pure, trascorsa la vita, seguiranno la stessa tua sorte e non meno di quelle cadute gia` prima di te cadranno a loro volta. Cosı` mai cessera` di prodursi una cosa dall’altra: la vita e` data in uso, non in possesso: cedit enim rerum novitate extrusa vetustas semper, et ex aliis aliud reparare necessest; nec quisquam in barathrum nec Tartara deditur atra. materies opus est ut crescant postera saecla; quae tamen omnia te vita perfuncta sequentur; nec minus ergo ante haec quam tu cecidere, cadentque. sic alid ex alio numquam desistet oriri vitaque mancipio nulli datur, omnibus usu (3,964-71).
Ma questa dialettica fra vecchio e nuovo si svolge al di fuori di qualsiasi intenzione degli uomini. Il tempo della natura e` separato dal tempo degli uomini, come piano delle leggi necessarie e oggettive rispetto al piano della soggettivita`, dell’intenzione, del progetto, del desiderio.25
4. LA
NEGATIVITA` DEL NUOVO
E` in questo scarto fra necessita` delle leggi di natura e soggettivita` umana che viene a insinuarsi una contraddizione decisiva. Se nel tempo della natura la novita` assume lo statuto quasi paradossale di una ripetizione, se la stessa ciclicita` della natura caratterizza il tempo umano, il valore del tutto relativo che il nuovo, per il fatto di essere una ripetizione, assume nella natura fisica sfugge pero` alla comprensione umana. Gli uomini non hanno consapevolezza del fatto che nessuna novita` puo` essere veramente tale, che non esiste un nuovo che non sia destinato a diventare vecchio, che non esiste un cambiamento che non sia destinato a consolidarsi come abitudine. E` questo il tema sviluppato in un passo del libro II, all’interno di un appello al lettore perche´ non rifiuti l’apprendimento di un principio razionale per timore di affrontare un argomento nuovo (2,1240 s. desine quapropter novitate exterritus ipsa / exspue25
Cfr. LUCIANI, Nouveaute´ (cit. n. 24), p. 126.
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re ex animo rationem). Infondata e` la paura che la novita` puo` provocare, come infondata e` la meraviglia che essa genera, destinata a trasformarsi in abitudine e indifferenza: perfino lo spettacolo del cielo, delle stelle, della luna e del sole non suscita piu` lo stupore di chi lo vide la prima volta, e che ancora susciterebbe se apparisse per la prima volta allo sguardo degli uomini, i quali invece non solo non provano piu` meraviglia, ma sono stanchi a sazieta` di guardarlo: Nunc animum nobis adhibe veram ad rationem. Nam tibi vementer nova res molitur ad auris accedere et nova se species ostendere rerum. sed neque tam facilis res ulla est quin ea primum difficilis magis ad credendum constet, itemque nil adeo magnum neque tam mirabile quicquam quod non paulatim minuant mirarier omnes. principio caeli clarum purumque colorem, quaeque in se cohibet, palantia sidera passim, lunamque et solis praeclara luce nitorem; omnia quae nunc si primum mortalibus essent, ex improviso si sint obiecta repente, quid magis his rebus poterat mirabile dici aut minus ante quod auderent fore credere gentes? nil, ut opinor: ita haec species miranda fuisset. quam tibi iam nemo, fessus satiate videndi, suspicere in caeli dignatur lucida templa! (2,1023-1039).
Nello spazio di questa lacuna conoscitiva la novita` si carica di un segno negativo. Il desiderio di cambiare e di innovare assume la forma di un male dell’anima, si manifesta come sintomo di quella mala cupido vitae che rende impossibile il godimento di qualsiasi novita` e cambiamento. L’essere inconsapevoli dell’impossibilita` di un vero cambiamento che produca una vera novita` porta gli uomini a concepire continuamente il desiderio di cambiare, inseguendo qualcosa di nuovo e poi ancora di nuovo. Cosı` nel finale del libro III quest’ultimo diventa oggetto di una patologia, di quella sete inestinguibile che si identifica con l’impossibilita` di godere: in realta`, ci si dibatte sempre continuamente nello stesso punto e non prende forma, vivendo, alcun nuovo piacere. Quando lo desideriamo, cio` che non c’e` ci sembra superare tutto il resto, ma poi, quando lo possediamo, vorremmo altro, e la stessa sete di vita ci tiene sempre in uno stato di insaziabile desiderio: praeterea versamur ibidem atque insumus usque nec nova vivendo procuditur ulla voluptas; sed dum abest quod avemus, id exsuperare videtur
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cetera; post aliud, cum contigit illud, avemus et sitis aequa tenet vitai semper hiantis (3,1080-1084).
A quel vero e proprio inganno della mente che e` l’idea del nuovo, errore percettivo che e` effetto della mancata coincidenza fra l’oggettivita` delle leggi fisiche e la soggettivita` del desiderio umano, e` la natura stessa a porre un limite. Se infatti il movimento con cui l’uomo insegue qualcosa di nuovo risulta un inutile affannarsi e` anche perche´ al desiderio degli uomini non corrisponde un uguale accrescersi di novita`, in quanto la natura non genera sempre qualcosa di nuovo. Uno dei principi che regolano la combinazione degli atomi e` infatti il numero non infinito di forme che essi possono assumere. Questa limitazione ha una duplice spiegazione: da un lato, l’aggregazione illimitata di atomi produrrebbe un aumento a dismisura dei corpi (2,495 s. ergo formarum novitatem corporis augmen / subsequitur), producendo mostruosita`. Dall’altro, la generazione senza limiti di forme sempre nuove incoraggerebbe gli uomini nell’errore di preferire sempre il nuovo al gia` conosciuto. In tal caso, le vesti straniere e la splendida porpora melibea ottenuta dal colore delle conchiglie tessaliche, e le razze dorate dei pavoni soffuse di grazie soccomberebbero, umiliate da nuovi colori, e sarebbero disprezzati il profumo della mirra e il sapore del miele, e il canto dei cigni e i versi apollinei intonati sulle corde tacerebbero anch’essi, cosı` superati. Infatti nascerebbe sempre una cosa superiore a cio` che esiste: iam tibi barbaricae vestes Meliboeaque fulgens purpura Thessalico concharum tacta colore, aurea pavonum ridenti imbuta lepore saecla, novo rerum superata colore iacerent et contemptus odor smyrnae mellisque sapores, et cycnea mele Phoebeaque daedala chordis carmina consimili ratione oppressa silerent; namque aliis aliud praestantius exoreretur (2,500-507).
Un errore di giudizio, derivante a sua volta da quell’inganno che consiste nel credere all’esistenza del nuovo, porta gli uomini a desiderare sempre qualcosa di meglio (e ancor di piu` li spingerebbe in tal senso, se la natura non avesse posto un limite alla produzione di oggetti e alla generazione di forme); in quanto meccanismo erroneo, potrebbe trascinarli, ancor piu` di quanto non succeda nella realta` storica, verso esiti negativi. Nell’insensata corsa verso il nuovo infatti, mentre si crede di andare verso il meglio, si puo` retrocedere verso il peggio, poiche´ quello puo` rivelarsi peggiore dell’esistente:
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cedere item retro possent in deteriores omnia sic partis, ut diximus in meliores (2,508-509).
La limitazione delle forme pone un limite, ma non impedisce la ricerca di forme nuove, che sosituiscano le precedenti: il tempo della storia e` segnato da continui cambiamenti in cerca di qualcosa di nuovo e di migliore. Lo dimostra il racconto relativo alla scoperta dei metalli, rame oro ferro argento piombo (5,1241 s. quod superest, aes atque aurum ferrumque repertumst / et simul argenti pondus plumbique potestas) e alle loro successive applicazioni, quando gli uomini pensarono di poterne ricavare attrezzi per abbattere i tronchi, lavorare il legno, levigare le travi. Dapprima impiegavano a tale uso l’oro e l’argento, che si rivelarono non resistenti; cosı` fu maggiormente apprezzato il rame, e l’oro rivelatosi inutile cadde in disuso. Ora invece il rame e` disprezzato e l’oro e` subentrato nel massimo prestigio. Cosı` lo svolgersi del tempo cambia a turno la stagione di ogni cosa. Cio` che prima fu apprezzato diventa di nessuna importanza; altro gli subentra, uscendo dal disprezzo di cui era oggetto, e ogni giorno di piu` si va alla ricerca di qualcosa, e la scoperta del momento fiorisce fra gli elogi e tra gli uomini ottiene straordinario onore: nam fuit in pretio magis aurumque iacebat propter inutilitatem hebeti mucrone retusum. nunc iacet aes, aurum in summum successit honorem. sic volvenda aetas commutat tempora rerum. quod fuit in pretio, fit nullo denique honore; porro aliud succedit et contemptibus exit inque dies magis appetitur floretque repertum laudibus et miro est mortalis inter honore (5,1273-1280).
Nei versi riportati l’ambiguita` del progresso umano e` messa a nudo in modo particolarmente incisivo: l’uso di ciascun metallo, se da un lato segna il succedersi di altrettante tappe dello sviluppo dell’umanita`, costituisce dall’altro una prova concreta della natura solo apparente del cambiamento. Sostituendo il vecchio col nuovo, gli uomini non fanno che assecondare la legge naturale dell’avvicendamento di tutto, che scorre inesorabile dietro ogni evoluzione.26 La loro inventivita` e` regolata in modo deterministico; le loro invenzioni, le scoperte, le fasi dell’evoluzione portano il segno ambiguo impresso da una lacuna conoscitiva e da un conseguente errore di giudizio. Da questo errore risulta viziata alla base l’aspirazione al miglioramento, destinata a trasformarsi 26
Cfr. LUCIANI, Nouveaute´ (cit. n. 24), pp. 132 s.
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in un’ansia incapace di discernere fra progresso reale e progresso apparente, fra il meglio e il peggio. I tratti essenziali di questa fenomenologia lucreziana della novita` – la ricerca dell’innovazione attraverso le acquisizioni dell’inventivita` umana, il carattere relativo del nuovo, che finisce per generare fastidio in una spirale inarrestabile di false opinioni e desideri ingannevoli – si ritrovano tutti nella rappresentazione efficacemente riassuntiva di un momento della civilizzazione umana: cio` che e` a portata di mano, se prima non abbiamo conosciuto qualcosa di piu` gradito, ci piace e ci sembra aver valore piu` di ogni altra cosa, ma la scoperta successiva di una cosa migliore lo fa scomparire e modifica il giudizio nei confronti del passato. Cosı` gli uomini cominciarono ad avere in odio le ghiande di cui prima si nutrivano, cosı` furono abbandonati i vecchi giacigli cosparsi di erbe e arricchiti di foglie. Cosı` cadde in dispregio la veste di pelle animale, che penso fosse stata scoperta, all’epoca, suscitando tale invidia che il primo che l’indosso` ando` incontro all’agguato e alla morte, e tuttavia, fatta a pezzi in una lotta cruenta fra costoro, ando` perduta e non pote´ tornare a beneficio di alcuno: nam quod adest praesto, nisi quid cognovimus ante suavius, in primis placet et pollere videtur, posteriorque fere melior res illa reperta perdit et immutat sensus ad pristina quaeque. sic odium coepit glandis, sic illa relicta strata cubilia sunt herbis et frondibus aucta. pellis item cecidit vestis contempta ferinae; quam reor invidia tali tunc esse repertam, ut letum insidiis qui gessit primus obiret, et tamen inter eos distractam sanguine multo disperiisse neque in fructum convertere quisse (5,1412-22).
L’idea di progresso trova un limite nello statuto ambiguo dell’innovazione, che si produce all’interno di un vistoso scollamento fra la soggettivita` umana e le leggi della natura, nella dissimmetria fra l’aspirazione al meglio entro un ideale movimento lineare e la ciclicita` ripetitiva di un equilibrio complessivo che non prevede reali novita`. Di qui l’uso cattivo dell’innovazione, che fa sı` che essa sia portatrice di insoddisfazione, di disordine, di violenza. La percezione del nuovo come negativita`, come pericolo e` comune in tutta la cultura romana, ma in particolare nella riflessione della tarda repubblica; non sara` un caso che alcuni momenti narrativi della storia dell’umanita` anticipino il pessimismo di Sallustio e la sua antropologia negativa dell’agire uma— 65 —
ELISA ROMANO
no.27 Ma in Lucrezio la sfiducia nei confronti della novita`, al di la` delle ragioni storiche, riceve una legittimazione teorica. La novita` si svuota di significato, viene privata di fondamento fisico e di statuto epistemologico, fino a diventare ripetizione: «le cose sono sempre le stesse» e` l’enigmatica affermazione della Natura nella gia` ricordata prosopopea del libro III: per quanto io mi sforzi di architettare ed escogitare, non c’e` piu` niente che possa piacerti: le cose sono sempre le stesse. Se il tuo corpo non marcisce gia` per gli anni e le tue membra stremate non languono, le cose tuttavia restano sempre le stesse. Anche se tu continuassi a vivere superando tutte le generazioni, anche se dovessi non morire mai: nam tibi praeterea quod machiner inveniamque, quod placeat, nil est; eadem sunt omnia semper. si tibi non annis corpus iam marcet et artus confecti languent, eadem tamen omnia restant, omnia si perges vivendo vincere saecla, atque etiam potius, si numquam sis moriturus (3,944-949).
Nello stesso momento in cui si qualifica come artefice e come inventrice (attraverso l’uso di due verbi inequivocabili come machinor e invenio), modello generativo di ogni invenzione e di ogni artificio, la Natura toglie valore a questa sua funzione, negando ogni relazione fra la propria inventivita` e la vita umana, che da quella ingegnosita` escogitatrice non riesce a trarre alcun senso. La novita` non e` tuttavia del tutto esclusa dal pensiero lucreziano. Torniamo alla gia` ricordata dimostrazione, nel libro V, della tesi epicurea secondo cui il mondo ha un principio e una fine (5,238 nativo ac mortali corpore). Fra le argomentazioni a sostegno di tale tesi, Lucrezio inserisce (vv. 324350) la recente origine della civilta`, misurata sulla brevita` della nostra memoria storica: davvero, credo, questo mondo e` nuovo e la natura e` recente e non ha avuto inizio da molto tempo. Percio` alcune tecniche vanno ancora oggi affinandosi e progrediscono ancora oggi; soltanto ora si aggiungono alle navi nuovi strumenti, da poco i musicisti hanno prodotto suoni melodiosi. Anche questa conoscenza razionale della natura e` stata scoperta da non molto, ed e` ora che io, proprio io, primo fra i primi, mi sono scoperto capace di tradurla nella lingua dei nostri padri: verum, ut opinor, habet novitatem summa recensque naturast mundi neque pridem exordia cepit. quare etiam quaedam nunc artes expoliuntur,
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Cfr. sopra, p. 53.
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nunc etiam augescunt; nunc addita navigiis sunt multa, modo organici melicos peperere sonores. denique natura haec rerum ratioque repertast nuper, et hanc primus cum primis ipse repertus nunc ego sum in patrias qui possim vertere voces (5,330-337).
L’idea di un progresso lento, graduale e faticoso, ma sicuramente orientato verso una meta viene ribadito alla fine del libro V, dove le ambiguita` del progresso sembrano sciogliersi nel quadro ottimista di un culmine raggiunto dall’umanita` grazie alle progressive acquisizioni delle arti, delle scienze, delle tecniche: la navigazione, l’agricoltura, la costruzione di mura, le leggi, le armi, le strade, gli abiti, e poi i raffinati piaceri della vita, la poesia, la pittura, la scultura, tutto cio` fu insegnato agli uomini dalla pratica e dall’esperienza della loro sempre attiva intelligenza, nel corso del loro graduale avanzare passo dopo passo. Finche´ col tempo tutto diventa piu` chiaro, finche´ la ragione non arriva a illuminare ogni cosa, finche´ grazie al progresso scientifico, tecnico, artistico non raggiunsero la vetta piu` alta: navigia atque agri culturas moenia leges arma vias vestes cetera de genere horum, praemia, delicias quoque vitae funditus omnis, carmina, picturas et daedala signa polita usus et impigrae simul experientia mentis paulatim docuit pedetemptim progredientis. sic unum quicquid paulatim protrahit aetas in medium ratioque in luminis erigit oras; namque alid ex alio clarescere corde videbant, artibus ad summum donec venere cacumen (5,1448-1457).
Si delinea cosı` la sola possibilita` di cambiamento e di innovazione che nel corso della sua storia l’umanita` e` riuscita a costruire: in uno spazio sottratto alla rigidita` delle leggi fisiche e liberato dagli errori della soggettivita` umana, in un tempo scandito dalla razionalita` della nuova scienza. E` il messaggio epicureo l’unica vera e radicale innovazione prospettata nel poema lucreziano.28
28 Sulla novitas del messaggio epicureo in rapporto alla rappresentazione lucreziana del tempo cfr. PHILIP HARDIE, ‘‘Time in Lucretius and the Augustan Poets: Freedom and Innovation’’, in La repre´sentation du temps dans la poe´sie auguste´enne. Zur Poetik der Zeit in augusteischer Dichtung, a cura di Ju¨rgen Paul Schwindt (Heidelberg: Winter, 2005), pp. 19-42.
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PHILIP HARDIE * LUCRETIAN MULTIPLE EXPLANATIONS AND THEIR RECEPTION IN LATIN DIDACTIC AND EPIC
The formal enumeration of two or more possible explanations for a phenomenon, an event, a word, an institution, is a feature of many kinds of ancient discourse. Often judgement is suspended between the competing claims to certainty or probability, what one might call a ‘habit of indecision’ that often appears to be a distinguishing feature of ancient styles of inquiry. We find it, for example, in the Peripatetic problema tradition, in religious exegesis, etymology, in textual commentary, in historiography. One factor contributing to the phenomenon is the doxographic impulse, in cases when the accumulation of previous attempts at explanation or exegesis is presented without a critical testing of the various possibilities.1 One school of philosophy, the Epicurean, made multiple explanation a central feature of its scientific method, in the case of phenomena distant, and so non-apparent (adela), by reason of space or time. For such phenomena a number of explanations may be given, each of which obtains in some particular instance of the general phenomenon, whether in this world or another world,2 although for the particular instance in question there is insufficient in* Earlier versions of this paper were delivered at the Leeds International Seminar, 13 May 2005; at the conference on «Lucrezio, la natura e la scienza», Ravenna, 15 November 2006, and in Cambridge; I am grateful for their advice and criticism to those present on those occasions, and for particular advice to Maria Luisa Delvigo and Andrew Zissos. 1 For a survey of some of the traditions see JOHANNA LOEHR , Ovids Mehrfacherkla ¨rungen in der Tradition aitiologischen Dichtens (Stuttgart: Teubner, 1996), pp. 174-190. For a typology of different attitudes to multiple explanation in Greek philosophy see IAN G. KIDD, ‘‘Theophrastus’, Meteorology, Aristotle and Posidonius’’, in Theophrastus. His psychological, doxographical, and scientific writings, edited by William W. Fortenbaugh, Dimitri Gutas (Rutgers Univ. Studies in Classical Humanities 5, New Brunswick and London, 1992), pp. 294-306, at pp. 303-304. On the historiographical use of multiple possible motivations see STEPHEN P. OAKLEY, A commentary on Livy, Books VII-VIII (Oxford: Oxford UP, 1997), on Livy 8,7,8, with further bibliography. 2 See ELIZABETH ASMIS , Epicurus’ scientific method (Ithaca-London: Cornell UP, 1984),
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PHILIP HARDIE
formation to decide between the multiple explanations. Lucretius gives many examples of multiple explanations for heavenly phenomena in DRN 5, and for the terrestrial phenomena of the Nile flood and of the bird-killing property of lake Avernus in DRN 6, as well as examples in the prehistory of mankind (the origin of fire, 5,1091-1101; the origin of the fires that led to the observation of molten metal, 5,1241-57).3 Lucretius also provides two statements of principle, DRN 5,509-33, 6,703-11; the second, using the example of the impossibility of determining the cause of death of a corpse seen at a distance, makes it clear that certainty as to a single cause could be achieved by closer observation (although this is not possible for human observers in the case of celestial or prehistoric phenomena): DRN 5,509-33 Motibus astrorum nunc quae sit causa canamus. principio magnus caeli si vertitur orbis, ex utraque polum parti premere ae¨ra nobis dicendum est extraque tenere et claudere utrimque; inde alium supra fluere atque intendere eodem quo volvenda micant aeterni sidera mundi; aut alium subter, contra qui subvehat orbem, ut fluvios versare rotas atque austra videmus. est etiam quoque uti possit caelum omne manere in statione, tamen cum lucida signa ferantur; sive quod inclusi rapidi sunt aetheris aestus quaerentesque viam circum versantur et ignes passim per caeli volvunt summania templa, sive aliunde fluens alicunde extrinsecus ae¨r versat agens ignis; sive ipsi serpere possunt, quo cuiusque cibus vocat atque invitat euntis, flammea per caelum pascentis corpora passim.
pp. 324-330; DAVID SEDLEY, ‘‘On signs’’, in Science and speculation. Studies in Hellenistic theory and practice, edited by Jonathan Barnes et al. (Cambridge: Cambridge UP, 1982), pp. 239-272, at pp. 267-268 (on epimarturesis and ouk antimarturesis); JAMES ALLEN, Inference from signs. Ancient debates about the nature of evidence (Oxford: Oxford UP, 2001), index s.vv. «explanation, multiple»; ALESSANDRO SCHIESARO, Simulacrum et imago. Gli argomenti analogici nel De rerum natura (Pisa: Giardini, 1990), pp. 66-71, 156, 165-168 (applied to the passage on the use of animals in war). 3 In book 6 there are also many examples of multiple explanations of meteorological phenomena, where we are dealing not with different possible explanations for a single phenomenon, but with «concurrent explanations of various varieties of the same phenomenon» (CYRIL BAILEY, Titi Lucreti Cari De rerum natura, libri sex. Vol. 3: Commentary on books 4-6 (Oxford: Oxford UP, 1947), p. 1567: e.g. thunder produced by a number of different causes); this is the kind of multiple explanation used in Theophrastus’ Meteorologica. For convenient lists of both kinds of multiple explanation in Lucretius see LOEHR, Ovids Mehrfacherkla¨rungen (cit. n. 1), pp. 175-188.
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LUCRETIAN MULTIPLE EXPLANATIONS
nam quid in hoc mundo sit eorum ponere certum difficile est; sed quid possit fiatque per omne in variis mundis varia ratione creatis, id doceo plurisque sequor disponere causas, motibus astrorum quae possint esse per omne; e quibus una tamen sit et haec quoque causa necessest, quae vegeat motum signis; sed quae sit earum praecipere haud quaquamst pedetemptim progredientis. DRN 6,703-11 Sunt aliquot quoque res quarum unam dicere causam non satis est, verum pluris, unde una tamen sit; corpus ut exanimum siquod procul ipse iacere conspicias hominis, fit ut omnis dicere causas conveniat leti, dicatur ut illius una. nam neque eum ferro nec frigore vincere possis interiisse neque a morbo neque forte veneno, verum aliquid genere esse ex hoc quod contigit ei scimus. item in multis hoc rebus dicere habemus.
For the Epicureans the use of multiple explanations is useful in preventing the temptation to ascribe a supernatural cause to phenomena otherwise inexplicable, in particular astronomical or meteorological events. This function is allusively apparent in the account of the two possible ways by which mankind might have acquired the use of fire, at Lucr. 5,1091-1101 (thunderbolt or rubbing branches), 1101 quorum utrumque dedisse potest mortalibus ignem. The language used in the first of the two possibilities, 1092-3 fulmen detulit in terram mortalibus ignem / primitus, suggests the mythological account that is not offered, the bringing by Prometheus of fire from heaven.4 In this paper I focus on the traces of Lucretian multiple explanations in later hexameter poetry, in texts that are not, for the most part, examples of scientific or philosophical didactic as narrowly defined. But the infiltration of scientific topics, and of the scientific habit of multiple explanation, into a wider cultural area can be exemplified in other genres. For example Pliny the Younger gives five possible scientific explanations for a marvellous spring, epist. 4,30. The letter is given prominence by its position at the end of a book, and is addressed to a prominent Roman, Licinius Sura, to whom Pliny sends 4
See MONICA GALE, Myth and poetry in Lucretius (Cambridge: Cambridge UP, 1994), pp. 177-
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pro munusculo quaestionem altissima ista eruditione dignissimam. At the end, in an elegant envoi, Pliny declines himself to press further an investigation into the cause, leaving that to the superior penetration of his addressee: scrutare tu causas (potes enim) quae tantum miraculum efficiunt; mihi abunde est, si satis expressi, quod efficitur. vale. Such material also enters declamatory rhetoric, as loca or problemata philosophumena, for example in a treatment by Arellius Fuscus of Agamemnon’s deliberation as to whether it is right to sacrifice Iphigenia, when Calchas says that only thus can the fleet sail, Seneca Suasoria 3,1: Non in aliam condicionem deus fudit aequora quam ne omnis ex voto iret dies; nec ea sors mari tantum est: ceterum ipsa non sub eadem condicione sidera sunt? alias negatis imbribus exurunt solum, et miseri cremata agricolae legunt semina, et haec interdum anno lex est. alias serena clauduntur, et omnis dies caelum nubilo gravat; subsidit solum, et creditum sibi terra non retinet; alias incertus sideribus cursus est, et variantur tempora, neque soles nimis urgent neque ultra debitum imbres cadunt: quidquid asperatum aestu est, quidquid nimio diffluxit imbre, invicem temperatur altero; sive ista natura disposuit, sive, ut ferunt, luna cursu gerit – quae sive plena lucis suae est splendensque pariter adsurgit in cornua, imbres prohibet, sive occurrente nubilo sordidiorem ostendit orbem suum, non ante finit quam lucem reddit –, sive ne lunae quidem ista potentia est, sed flatus qui occupavere, annum tenent: quidquid horum est, extra iussum dei tutum fuit adultero mare.
Despite the opening reference to divine agency, Arellius speaks very much in the Lucretian manner, listing a number of possible natural explanations for ta meteora, excluded only the supernatural explanation proffered by Calchas. The phrase quidquid est, summing up the multiple possibilities, is found in Lucretius. Nor is it perhaps coincidental that the mythological situation, the sacrifice of Iphigenia, is Lucretius’ prime exhibit of the mala religionis. Arellius Fuscus was the teacher of Ovid, who may have drawn on the rhetorical, as well as the poetic and philosophical, traditions for his own use of multiple explanations (on which see below).5 Multiple explanations are applied to another inaugural storm by Valerius Flaccus (an epic poet who is not otherwise as much given to multiple explanations as are Lucan and Statius).6 In this instance the use of multiple explanation is evoked by a degree of human ig5 Other examples of loca philosophumena: Sen. contr. 1,3,8 (Cestius criticizes Albucius for dwelling unduly long on such questions); 1,7,17. 6 But note Val. Fl. 3,372 tum secreta trahens Phoebeum ad litora Mopsum / ‘quaenam’ ait ‘ista lues, aut quae sententia divum? / decretusne venit fato pavor, an sibi nectunt / corda moras?’, a version of Nisus’ question at Aen. 9,184-5. Val. Fl. 2,616-20 combines a divine and a natural cause for the separation of lands by water, but not as an amphiboly. I am grateful to Andrew Zissos for help here.
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norance that will not be repeated, since this is the sailing of the first ship, and hence the first human experience of storm at sea. The discursive context is a prayer to the gods, and Jason, in a manner typical of epic practice, offers both a natural and a supernatural explanation (Argonautica 1,666-75): hac pelago libat latices et talibus infit: ‘‘di, quibus undarum tempestatisque sonorae imperium et magno penitus par regia caelo, tuque, fretum divosque pater sortite biformes, seu casus nox ista fuit seu, volvitur axis ut superum, sic stare operam tollique vicissim pontus habet, seu te subitae nova puppis imago armorumque hominumque truces consurgere in iras impulit, haec luerim satis et tua numina, rector, iam fuerint meliora mihi’’.
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The Lucretian use of multiple explanations is taken up in later Latin poetry, both in scientific didactic, where one would expect it, as well as in narrative epic. This is a sign of the contamination of narrative and didactic hexameter epos, to which a decisive impetus was given by the poet who had written a highly Lucretian didactic poem before turning to heroic epic, Virgil (see § 1). The post-Lucretian epic tradition is generally characterized by a renunciation of the Lucretian certainty that the one kind of explanation that can be excluded is a supernatural causation. This can be viewed as a retreat from the intellectual confidence of the arch-rationalist Lucretius; it also continues a practice that goes back to Homer whereby a character, or later the narrator, posits a supernatural and a natural cause for an action or event, without choosing between them (see § 2). In this paper I shall pay particular attention to the interaction between the natural-philosophical and the epic traditions of multiple, or alternative, explanation. In origin the two traditions have very different purposes: the former aims at an approach to certainty, whereas the latter admits to an obscurity in human apprehension of the world. I shall also occasionally glance at another tradition of multiple explanation that is important for epic, the historiographical.
1. THE
DIDACTIC HEXAMETER TRADITION :
IN THE
LUCRETIAN
MULTIPLE EXPLANATIONS
GEORGICS
Virgil uses a Lucretian-style multiple explanation prominently and programmatically, near the beginning of the instruction conveyed in the Georgics (1,84-93): — 73 —
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saepe etiam sterilis incendere profuit agros atque levem stipulam crepitantibus urere flammis: sive inde occultas viris et pabula terrae pinguia concipiunt, sive illis omne per ignem excoquitur vitium atque exsudat inutilis umor, seu pluris calor ille vias et caeca relaxat spiramenta, novas veniat qua sucus in herbas, seu durat magis et venas astringit hiantis, ne tenues pluviae rapidive potentia solis acrior aut Boreae penetrabile frigus adurat.
85
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Four possible causes are offered for the beneficial effects of stubbleburning. W. Richter (on 1,85 ff.) notes that this is the only place in the Georgics where such a compendious survey of a philosophical topos is undertaken; Richter points to the eclectic nature of the passage, combining material from the Peripatetic and Empedoclean traditions. He recognises the Epicurean colour of the listing of alternative explanations, although it is not very clear whether the different explanations are to be referred to different soils (in which case the passage would not be a pure case of an Epicurean multiple explanation).7 The language is heavily Lucretian, alluding to a number of passages including the account of the discovery of metals through fires started by a variety of causes (DRN 5,1241-57).8 Virgil transfers to his small-scale and everyday subject matter, the farm, a principle of multiple explanation often used of large-scale subterranean events, earthquake and volcanic eruption, or, as in the case of the Lucretian forest-fires, events that happened in a remote and lost prehistory.9 Within the economy of the first book of the Georgics, beneficial effects on the soil of the crackling flames of the stubble-burning are in the strongest contrast to the full-scale eruptions and earthquakes that mark the death of Caesar at the end of the first Georgic (471-5), events in the physical world described with strong echoes of Lucre7 HEYNE on 84 «Pro varia soli, vel mari vel uliginosi vel densi vel rari, natura, varias caussas subjicit». Richter thinks that the first two explanations, at least, refer to different soil-types. See also LOEHR, Ovids Mehrfacherkla¨rungen (cit. n. 1), pp. 186-188. Another oddity, if that is the right word, of this passage is that it presents a multiplicity of effects, not causes (causes only in the sense of causes of a benefit perceived by mankind): the Georgics is concerned with the goals of human activities more than with the causes of the natural world (and Virgil is doubtful about his own ability rerum cognoscere causas). 8 GALE, Myth and poetry (cit. n. 4), p. 60, n. 7 catalogues the Lucretian parallels. 9 With the contrast, much affected by Virgil between large and small scales compare, in lighter vein, the humorous comparison of farmyard pests with the Giants at georg. 1,184-5 quae plurima terrae / monstra ferunt.
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tian language,10 but given a pointedly un Lucretian, supernaturalist explanation. Christine Perkell discusses the passage on stubble-burning in The poet’s truth,11 and emphasizes what she sees as the «confusion» in these mutually exclusive causes; through this formally scientific language Virgil in fact, she claims, «illuminate[s] the pervasiveness of mystery in our experience».12 This goes too far – is stubble-burning really the kind of operation that we look to to open up the mysteries of human experience? Nevertheless an awareness of the contrast between the naturalist processes of stubble-burning and the supernatural disasters that mark the death of Caesar may serve retrospectively to qualify the reader’s confidence in the Lucretian explanatory model to which the stubble-burning passage adverts. The rationalist and materialist model of explanation is emphatically asserted in the account of the weather-signs provided by bird behaviour at Georgics 1,415-23: haud equidem credo, quia sit divinitus illis ingenium aut rerum fato prudentia maior; verum ubi tempestas et caeli mobilis umor mutavere vias et Iuppiter uvidus Austris denset erant quae rara modo, et quae densa relaxat, vertuntur species animorum, et pectora motus nunc alios, alios dum nubila ventus agebat, concipiunt: hinc ille avium concentus in agris et laetae pecudes et ovantes gutture corvi.
415
420
The rejection of a supernatural explanation in favour of a materialist one is very much in the manner of Lucretius. Divinitus is a catchword in the Lucretian denial of the divinity of the world, and there are other verbal echoes of Lucretius.13 Christine Perkell (op. cit., 172-6), tries to exploit for her argument GALE, Myth and poetry (cit. n. 4), pp. 120-122. CHRISTINE G. PERKELL, The poet’s truth: a study of the poet in Virgil’s Georgics (Berkeley and London: Univ. California Press, 1989), pp. 166-172 «Plural causes». 12 RICHARD F. THOMAS, Virgil. Georgics (Cambridge: Cambridge UP, 1988) on 84-93 is closer to the mark: Virgil «introduce[s] a theme which will concern him throughout: the interplay of hot, cold, wet and dry». DAVID O. ROSS, Virgil’s elements: physics and poetry in the Georgics (Cambridge: Cambridge UP, 1987) discusses the theme of contraries, but is not interested in the device of multiple explanation per se. 13 GALE, Myth and poetry (cit. n. 4), p. 85, n. 85 on the Lucretian pattern of argument here, the rejection of competing views, followed by verum, e.g. DRN 4,741 (true origin of images of Centaurs), 6,100 (thunder only from cloudy sky). Divinitus occurs x 8 in DRN (1,116, 150, 736; 2,180; 4,1278; 5,52, 198, 1215), only here in Virgil. 10 11
6
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what she calls the «vagueness» of the materialist explanation here, and the presence of Jupiter: to which one might reply that uvidus takes the divinity out of ‘Iuppiter’. As with the stubble-burning passage, contradiction is to be located not within the passage itself, but through juxtaposition with another passage with which it is regularly compared and contrasted, the account of the divine origin of the bees, inferred from the signs given by their behaviour, at 4,219-27 his quidam signis... dixere.14
2. THE
NARRATIVE EPIC TRADITION :
HOMERIC
AND
APOLLONIAN
ALTERNATIVE
EXPLANATIONS
It is in narrative epic that the conjunction of a supernatural and a natural cause, as two possibilities for the explanation of an action, is at home. This goes back to Homer, where a character (not the narrator) expresses uncertainty as to the motivation of another character: Od. 4,712-13 (Medon to Penelope about Telemachus) oujk oij~d j h[ tiv" min qeo;" w[roren, hj~e kai; aujtou~ / qumo;" ejfwrmhvqh i[men ej" Puvlon; Od. 7,263 (Odysseus on Calypso’s decision to send him on his way) Zhno;" uJp j ajggelivh", h] kai; novo" ejtravpet jaujth~"; Od. 9,339 (Odysseus on Polyphemus) h[ ti oji>savmeno", h] kai; qeo;" w}" ejkevleusen; 14,178-9 (Eumaeus) either a god or a man damaged Telemachus’ senses; 16,356-7 (Amphinomos) h[ tiv" sfin tovd j e[eipe qew~n, h] e[sidon aujtoi; / nh~a parercovmenhn. In the Iliad the only example is at 6,438-9 (Andromache on the reason for the Greeks’ attack) h[ pouv tiv" sfin e[nispe qeopropivwn eju>v eijdwv", / h[ nu kai; aujtw~n qumo;" ejpotruvnei kai; ajnwvgei.15 In Apollonius of Rhodes, Hypsipyle is in doubt as to the reason for the Lemnian men’s rejection of their womenfolk, in the first edition (proevkdosi") A.R. 1,803-4* (Hypsipyle) kai; tovt j e[peit j ajna; dh~mon ajavto" e[mpese luvssa, / oujk oij~d j h] qeovqen h] aujtw~n ajfrosuvnh/si; in the published text there is an implicit amphiboly in Hypsipyle’s narrative, as the Lemnians are motivated both by Aphrodite, 802-3 mh~ni" Kuvprido" / ...e[mbalen a[thn, and by their own folly, 805 h/J~ mativh/ ei[xante". At the beginning of book 4 the Apollonian narrator calls on the Muse to resolve a question of motivation, using language applied in the Homeric source to doubt in the mind of a character, Argonautica 4,1-5 Aujth; THOMAS ad loc. stresses the quidam. See the discussion in JAMES J. O’HARA ‘‘‘Some god... or his own heart’: two kinds of epic motivation in the proem to Ovid’s Metamorphoses’’, Classical Journal, 2004/05, 100.2: 149-161, with further references. 14 15
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nun~ kavmatovn ge qea; kai; dhvnea kouvrh" / Kolcivdo" e[nnepe Mous ~ a, Dio;" tevko". hj~ ga;r e[moige / ajmfasivh/ novo" e[ndon eJlivssetai, oJrmaivnonti / hje; tovg j h[ a[th" ph~ma dusimevrou hj~ min ejnivspw / fuvzan ajeikelivhn h/J~ kavllipen e[qnea Kovlcwn, based on Iliad 16,435-8 16 (Zeus) dicqa; dev moi kradivh mevmone fresi;n oJrmaivnonti, / h[ min zwo;n ejovnta mavch" a[po dakruoevssh" / qeivw ajnarpavxa" Lukivh" ejn pivoni dhvmw/, / hj~ h[dh uJpo; cersi; Menoitiavdao damavssw. A doubt in the Homeric god’s mind as to
a future course of action is transferred to a doubt in the narrator’s mind as to the motivation of an action in the past.17 We will see a comparable permeability of doubt between the supposedly omniscient primary narrator and his characters in Lucan and Statius.
3. EPIC
AND DIDACTIC ALTERNATIVE EXPLANATIONS IN THE
AENEID
The alternatives of supernatural and natural motivation are the subject of a hesitation as to the wellsprings of a character’s own action in the famous question of Nisus at Aen. 9,184-5 dine hunc ardorem mentibus addunt, / Euryale, an sua cuique deus fit dira cupido? – a question that has often been taken as applicable to the reader’s quest for an understanding of human motivation in the Aeneid.18 The collocation dira cupido is Lucretian (DRN 4,1090), found in a context of the ruthless demythologisation of desire, and coming shortly after a demonstration that Venus is nothing but a name for physiological processes. Furthermore, there is a dense network of further Lucretian allusion in the Nisus and Euryalus episode.19 I list other examples in the Aeneid where a character voices the uncertainty: Aen. 2,34 (Aeneas as internal narrator) sive dolo seu iam Troiae sic fata 16 Noted by ENRICO LIVREA , Apollonii Rhodii Argonauticon liber quartus (Firenze: Nuova Italia, 1973), who points out that ge indicates a preference for the second explanation, borne out by 11-12 and 22-3. 17 Cfr. also A.R. 4,1445 (Herakles finding water) ejpifrasqeiv", h] kai; qeou ejnnesivh/sin, in the ~ mouth of the narrator. Cfr. RICHARD L. HUNTER, The Argonautica of Apollonius: literary studies (Cambridge: Cambridge UP, 1993), pp. 108-109, on the use of pou, restricted to the speech of characters in Homer, by the Apollonian narrator. 18 DENIS C. FEENEY , The gods in epic (Oxford: Oxford UP, 1991), p. 180 «Nisus asks here of himself a question which characters in the Odyssey... pose of others’ actions». 19 See PHILIP HARDIE , Virgil. Aeneid IX (Cambridge: Cambridge UP, 1994) on 9,184-6, 197, 294, 441-2; JOSEPH FARRELL, ‘‘The Virgilian intertext’’, in The Cambridge Companion to Virgil, edited by Charles Martindale (Cambridge: Cambridge UP, 1997), pp. 222-238, at pp. 234-236; DON FOWLER, ‘‘Epic in the middle of the wood: mise en abyme in the Nisus and Euryalus episode’’, in Intratextuality. Greek and Roman textual relations, edited by Alison R. Sharrock, Helen L. Morales (Oxford: Oxford UP, 2000), pp. 89-113: 96-97.
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PHILIP HARDIE
ferebant; 2,738-40 heu misero coniunx fatone erepta Creusa / substitit, erravitne via seu lapsa resedit, / incertum; nec post oculis est reddita nostris; 9,211 ‘si quis in adversum rapiat, casusve deusve’.20 In the following cases supernatural and naturalist explanations are given without a formal disjunction: 2,54 et, si fata deum, si mens non laeva fuisset; 9,601 (Numanus) quis deus Italiam, quae vos dementia adegit; 10,72-3 quis deus in fraudem, quae dura potentia nostra, / egit? 21 The Virgilian narrator himself only once articulates the doubt as to a divine or human causation, 12,319-23 ecce viro stridens alis adlapsa sagitta est, / incertum qua pulsa manu, quo turbine adacta, / quis tantam Rutulis laudem, casusne deusne, / attulerit; pressa est insignis gloria facti, / nec sese Aeneae iactavit vulnere quisquam.22 There is one other example of narratorial doubt in the Aeneid, and that relates to two different naturalistic psychological motives; it is introduced in passing, although the issue raised, what to do with spoils, is a matter of crucial importance for the plot of the poem: Aen. 11,778-80 hunc virgo, sive ut templis praefigeret arma / Troia, captivo sive ut se ferret in auro / venatrix... sequebatur.23 Two of these conventional epic alternatives of either supernatural or human agency occur in a passage in Aeneid 2 in combination with a longer exploration of possible explanations that transfers Lucretian multiple explanation to the setting of legendary epic. In the hero’s narrative of the fall of Troy, Laocoon appears at a moment of doubt and bewilderment as to the significance of the Wooden Horse, and as to what to do with it, doubt still shared at the moment of narrating by Aeneas and given the form of an expres20 Aen. 9,211 need not be an amphiboly proper, since either chance or a god could be responsible in different circumstances. Cfr. from the Appendix Vergiliana: Culex 193-4 qui casus sociarit opem numenve deorum / prodere sit dubium, 347-8 cum seu caelesti fato seu sideris ortu / undique mutatur caeli nitor; Ciris 279 casusve deusve tulisset (LYNE compares, in addition to passages adduced already here, Ov. met. 14,162-3 quis te casusve deusve / servat, Achaemenide?); Ciris 456-7 vel fato fuerit nobis haec dedita pestis, / vel casu incerto, merita vel denique culpa, adduced by Bentley as a parallel for Hor. epod. 7,13-14 furorne caecos an rapit vis acrior / an culpa? 21 Cfr. Catull. 40,1-4 quaenam te mala mens, miselle Reavide, / agit praecipitem in meos iambos? / quis deus tibi non bene advocatus / vecordem parat excitare rixam? 22 RICHARD J. TARRANT, Virgil. Aeneid XII (Cambridge: Cambridge UP, forthcoming), ad loc. «V. may be adopting the pose of a historian whose ability to record the causes or agents of events is limited by his sources», with a range of Livian examples. Tarrant contrasts it with Aen. 9,446-9, and sees it in its way as as powerful a claim for the poet’s control of fama. For an example from later Greek epic, cfr. Quintus of Smyrna, Posthomerica 11,184-5 (in the mouth of the narrator) e[nqa ti" Argeivwn, h] kavrtei> pavgcu pepoiqw;", h] Moivrh" ijovthti... 23 Here too the colouring may again be historiographical: cfr. Liv. 8,30,8 magister equitum ut ex tanta caede multis potitus spoliis congesta in ingentem acervum hostilia arma subdito igne concremavit, seu votum id deorum cuipiam fuit seu credere libet Fabio auctori eo factum ne suae gloriae fructum dictator caperet nomenque ibi scriberet aut spolia in triumpho ferret.
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sion of uncertainty between two possibilities, Aen. 2,34 sive dolo seu iam Troiae sic fata ferebant: what could have induced Thymoetes to urge that the Horse be brought inside the city? Laocoon’s violent intervention would have saved the day, 54 si fata deum, si mens non laeva fuisset (although, as noted, in this case there is no formal disjunction between the two kinds of explanation, which may operate simultaneously). These two occurrences of the topos frame a much more elaborate passage on the subject of choosing between different possibilities (Aen. 2,31-58): pars stupet innuptae donum exitiale Minervae et molem mirantur equi; primusque Thymoetes duci intra muros hortatur et arce locari, sive dolo seu iam Troiae sic fata ferebant. at Capys, et quorum melior sententia menti, aut pelago Danaum insidias suspectaque dona praecipitare iubent subiectisque urere flammis, aut terebrare cavas uteri et temptare latebras. scinditur incertum studia in contraria vulgus. Primus ibi ante omnis magna comitante caterva Laocoon ardens summa decurrit ab arce, et procul ‘o miseri, quae tanta insania, cives? creditis avectos hostis? aut ulla putatis dona carere dolis Danaum? sic notus Vlixes? aut hoc inclusi ligno occultantur Achivi, aut haec in nostros fabricata est machina muros, inspectura domos venturaque desuper urbi, aut aliquis latet error; equo ne credite, Teucri. quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis.’ sic fatus validis ingentem viribus hastam in latus inque feri curvam compagibus alvum contorsit. stetit illa tremens, uteroque recusso insonuere cavae gemitumque dedere cavernae. et, si fata deum, si mens non laeva fuisset, impulerat ferro Argolicas foedare latebras, Troiaque nunc staret, Priamique arx alta maneres. Ecce, manus iuvenem interea post terga revinctum pastores magno ad regem clamore trahebant...
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Laocoon comes down from an arx that might be that of the philosopher, in a common image,24 to immerse himself in, and attempt to bring enlighten24
Philosophical arx: NISBET and HUBBARD on Hor. carm. 2,6,21-2 beatae... arces: note esp. Stat.
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PHILIP HARDIE
ment to, the bewildered vulgus (39). His first words place the audience of his fellow-citizens in the position of the pitiable addressees of the Lucretian didactic voice, in need of guidance, 42 ‘o miseri, quae tanta insania, cives?’ Compare for example DRN 2,14 o miseras hominum mentis, o pectora caeca (with FOWLER, ad loc.). The Trojans had been torn between conflicting views as to what to do with the Horse, of which the last expressed had been (38) aut terebrare 25 cavas uteri et temptare latebras. Opening up the hidden spaces is what Laocoon attempts to provoke with his spear throw, unsuccessfully: Aen. 2,53-5 insonuere cavae gemitumque dedere cavernae. / et, si fata deum, si mens non laeva fuisset, / impulerat ferro Argolicas foedare latebras. Laocoon is unable to achieve that which Lucretius promises to Memmius, should the latter show himself an energetic didactic addressee, at DRN 1,407-9 sic alid ex alio per te tute ipse videre / talibus in rebus poteris caecasque latebras / insinuare omnis et verum protrahere inde. But Laocoon is unable to insinuate himself into the secrets of the Wooden Horse, the truth is not dragged out: that this is so is the result of the words of a Greek who is now unexpectedly dragged forth (58 pastores magno ad regem clamore trahebant), and who is a master of rhetorical insinuatio (the indirect exordium), that enables him to weasel himself into the hearts of the Trojans and so open the walls of Troy to the Horse.26 A further Lucretian touch suggests that Laocoon is the would-be practitioner of a salvific revelation. At 2,45-9 Laocoon offers three explanations of the purpose of the Horse (aut... aut... aut...), followed by quidquid id est, «a Lucretian formula... following a number of alternative possibilities», as Austin notes.27 This is the Epicurean and Lucretian habit of multiple explanation. In response to the deliberative hesitation of his fellow-Trojans, in the face of something unexpected and inexplicable (36-9 aut... aut...), Laocoon uses the language of Lucretian multiple explanation, in an attempt to convince his audience that, whatever the actual cause of the Horse’s presence, it is a threat. But Laocoon is not quite in control of the method: rather than being mutually exclusive, all three of his proffered explanations are in fact true,28 silv. 2,2,131-2 tu celsa mentis ab arce / despicis errantis (in a strongly Lucretian context; see VAN DAM, ad loc.); see LYNE on Ciris 14-17. 25 Cfr. DRN 5,1268 et terebrare etiam ac pertundere perque forare (the only instance of terebrare in Lucr.). 26 JOHN PATRICK LYNCH , ‘‘Laoco ¨ on and Sinon: Virgil, Aeneid 2.40-198’’, in Virgil, edited by I. MacAuslan, P. Walcot (Greece & Rome Studies, Oxford: Oxford UP, 1990), pp. 112-120, 115-116; HEINRICH LAUSBERG, Handbuch der literarischen Rhetorik (Mu¨nchen: Max Hu¨ber, 1973), §§ 280-281. 27 Comparing DRN 3,135; 5,1252. 28 46 in nostros fabricata machina muros is proved true at 237 scandit fatalis machina muros, as Austin notes.
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LUCRETIAN MULTIPLE EXPLANATIONS
and the third, 48 aut aliquis latet error, hardly has the penetrative force of the inquiring philosophical mind. Important for the future history of multiple explanations in Latin epic is Virgil’s combination in the Laocoon passage of two Lucretian topics that are kept separate in the De rerum natura: firstly, the multiple explanation, and, secondly, the idea that the truth is something hidden that needs to be brought out into the light. The two are combined at the beginning of Manilius’ Astronomica, where, after the proem, the first subject of song, the origin of the universe, is handled through a doxographical list of six alternatives (1,122-48), ending in a very unLucretian form of non liquet, 145-6 semper erit pugna ingeniis, dubiumque manebit / quod latet et tantum supra est hominemque deumque. This is somewhat surprising, given the triumphalist imperialism of Manilius’ assault on the secrets of the universe elsewhere, especially 4,387-407 and 4,866-935: 883 iam nusquam natura latet, 922 quis putet esse nefas nosci, quod cernere fas est? 932 ratio omnia vincit.29
4. MULTIPLE
EXPLANATIONS IN
OVID’S METAMORPHOSES
Ovid, in his hybrid epic-didactic poem, uses multiple explanations prominently in the natural-philosophical ‘frame’ of the poem, the cosmogony of book 1 balanced by the Speech of Pythagoras in book 15.30 The most orthodox, and the longest, is the last, Pythagoras’ three possible reasons for the fiery eruptions of Aetna (adduced not in fact to explain the fieriness of the volcano, but to explain why at a future date the fieriness will cease, since Pythagoras’ subject is change), met. 15,340-55: nec quae sulphureis ardet fornacibus Aetne ignea semper erit; neque enim fuit ignea semper. nam sive est animal tellus et vivit habetque spiramenta locis flammam exhalantia multis,
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On this contradiction within Manilius’ didactic stance see KATERINA VOLK, ‘‘Pious and impious approaches to cosmology in Manilius’’, Materiali e Discussioni, 2001, 47: 85-117, pp. 112-114. Multiple explanations elsewhere in Manilius: 1,717 ff. causes of Milky Way x 5, followed by 758 ff. an..., theory that Milky Way is the abode of the virtuous dead. 1,817 ff. causes of comets, two materialist, one providentialist. 30 On multiple explanations in the Metamorphoses see ERNST A. SCHMIDT, Ovids poetische Menschenwelt (Heidelberg: Carl Winter, 1991), pp. 25-36, and (Schmidt’s pupil) LOEHR, Ovids Mehrfacherkla¨rungen (cit. n. 1), esp. pp. 161-174. On Ovidian practice see also JAMES J. O’HARA, Inconsistency in Latin epic. Studies in Catullus, Lucretius, Vergil, Ovid and Lucan (Cambridge: Cambridge UP, 2007), ch. 5, esp. pp. 123-125. 29
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PHILIP HARDIE
spirandi mutare vias, quotiensque movetur, has finire potest, illas aperire cavernas; sive leves imis venti cohibentur in antris saxaque cum saxis et habentem semina flammae materiam iactant, ea concipit ictibus ignem, antra relinquentur sedatis frigida ventis; sive bitumineae rapiunt incendia vires luteave exiguis ardescunt sulphura fumis, nempe, ubi terra cibos alimentaque pinguia flammae non dabit absumptis per longum viribus aevum naturaeque suum nutrimen deerit edaci, non feret illa famem desertaque deseret ignis.
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Ovid, in using the philosopher Pythagoras as his mouthpiece for an account of Aetna, sollemnis omnibus poetis locus (Sen. epist. 79,5), draws on Lucretian and Virgilian didactic models.31 Aetna is treated at length by Lucretius, although for Aetna Lucretius has only one explanation (subterranean winds, 6,639-702), followed immediately by a statement of the applicability of plural causes to other phenomena.32 Pythagoras offers three, mutually exclusive, naturalistic explanations, in contrast to the mythological version of Aetna at met. 5,352-5; 14,1. But, in Lucretian manner, verbal details point to rejected mythological explanations: fornacibus hints at the forges of the Cyclopes,33 and the picture of the living earth shifting (quotiensque movetur) may remind us of the image of Typhoeus at Aen. 3,581 quotiens mutet 34 latus. The Ovidian passage, coming almost at the end of the Metamorphoses, also functions as a pendant to Virgil’s longest essay in multiple explanations, the passage on stubble-burning near the beginning of the Georgics (1,84-93), and, as it were, restores Virgil’s small-scale exercise in the science of earth and fire to its vulcanological origins, sharing a number of details with that passage: spiramenta, the contrast of hot and cold, the idea of nutriment (georg. 1,86-7 pabula... pinguia ~ met. 15,352 alimentaque pinguia). A little earlier Pythagoras offers two explanations for the power of the water of the Clitorian spring to create an aversion to wine. But here the phi31 On Ovid’s imitation of Lucretius here see K. SARA MYERS, Ovid’s causes. Cosmogony and aetiology in the Metamorphoses (Ann Arbor: Univ. of Michigan Press, 1994), p. 140. 32 For other examples of multiple explanations applied to subterranean phenomena, see Aetna 94-117 (causes of subterranean caves); Sen. nat. 6,20 (earthquakes, with reference to Epicurus on multiple explanation). 33 Cfr. georg. 1,471-2, with the line-ending fornacibus Aetnam; Lucr. 6,681; Aetna 37. 34 motet is a textual variant in v. 581.
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LUCRETIAN MULTIPLE EXPLANATIONS
losopher is undecided between a natural and a supernatural, mythological, cause, met. 15,324-8: seu vis est in aqua calido contraria vino, sive, quod indigenae memorant, Amythaone natus, Proetidas attonitas postquam per carmen et herbas eripuit furiis, purgamina mentis in illas misit aquas, odiumque meri permansit in undis.
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The first example in the poem of a multiple explanation comes in the opening cosmogony. Two possible origins of mankind are given, but both of them working with supernatural causes, one divine and the other mythological, met. 1,78-88: 35 natus homo est, sive hunc divino semine fecit ille opifex rerum, mundi melioris origo, sive recens tellus seductaque nuper ab alto aethere cognati retinebat semina caeli, quam satus Iapeto mixtam pluvialibus undis finxit in effigiem moderantum cuncta deorum. pronaque cum spectent animalia cetera terram, os homini sublime dedit caelumque videre iussit et erectos ad sidera tollere vultus. sic modo quae fuerat rudis et sine imagine tellus induit ignotas hominum conversa figuras.
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More is at stake here than scientific open-mindedness; there will be further narratives of human origins in the poem, raising questions about the authority and reliability of the narrator of a kind also raised by the multiple aetiologies of the Fasti.36 Questions about narratorial authority are raised elsewhere in the Metamorphoses by an epic narrator far readier than those we have looked at so far to entertain alternative possibilities, sometimes with a formulaic sive... sive..., and to leave open questions as to the truth about events.37 The Ovidian narrator, as characterized by recent criticism, bears a close similarity to the To use the distinction made by ALESSANDRO BARCHIESI, Ovidio Metamorfosi. Volume I. Libri I-II (Milan: Mondadori, 2005), ad 1,76-9. 36 On «The repetition and variation of the theme of human creation» see STEPHEN M. WHEELER, Narrative dynamics in Ovid’s Metamorphoses (Tu ¨ bingen: Narr, 2000), pp. 32-37, with further bibliography on Ovid’s multiple explanations of origins of man. 37 JOSEPH K. SOLODOW , The world of Ovid’s Metamorphoses (Chapel Hill - London: Univ. of N. Carolina Press, 1988), pp. 65-68 «Teller detached from tale»; pp. 66-67 on sive... sive... 35
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PHILIP HARDIE
narrator of Heliodorus’ Aethiopica, a text that, like the Metamorphoses, has attracted the close attention of narratologists and post-modernists.38 In a classic article John Winkler discussed the frequent use in Heliodorus of competing explanations, typically a pair of one supernatural and one naturalist explanation, a feature which Winkler labels «amphiboly»,39 in some cases with a natural-philosophical colouring.40 For example, the first of eighteen such amphibolies that Winkler discusses, is a question as to the cause of the behaviour of birds (an interest shared by Virgil and Statius), triggered by a specification of the time, cock-crow, at which a character (Thyamis) has a dream, itself, significantly, requiring interpretation, Aethiopica 1,18,3: Kaq j o}n ga;r kairo;n ajlektruovne" a/[dousin, ei[te (wJ" lovgo") aijsqhvsei fusikh/~ th~" hJlivou kaq j hJma;" peristrofh"~ ejpi; th;n tou~ qeou~ provsrhsin kinouvmenoi, ei[te uJpo; qermovthto" a{ma kai; th~" peri; to; kinei~sqai kai; sitei~sqai qa~tton ejpiqumiva" tou;" sunoikou~nta" ijdivw/ khruvgmati ejpi; e[rgon ejgeivronte".
Winkler sees in these amphibolies a deliberate strategy on the part of the highly self-conscious narrator of thematizing issues of interpretation; they are, he claims, «reflexive allusions to the novel’s own structure of progressive and problematic intelligibility».41
5. LUCAN Lucan’s Bellum Civile is, like the Metamorphoses, an epic with a strong admixture of the didactic. Knowledge and certainty of knowledge come to be a central issue in this poem: amphiboly and multiple explanation are central devices in Lucan’s thematization of the issue. An uncertainty between natural and supernatural explanations marks the very first day of civil strife, 1,233-5:
JOHN MORGAN, ‘‘History, romance and realism in the Aithiopika of Heliodorus’’, Classical Antiquity, 1982, 1: 221-265, includes discussion of Ovid’s alternative explanations at pp. 229-232. This is just one of the intriguing parallelisms between the Metamorphoses and the novel. 39 The Greek verb is used at Hld. 7,10,2 (Charicleia) ajmfibavllein. 40 JOHN J. WINKLER , ‘‘The mendacity of Kalasiris and the narrative strategy of Heliodoros’ Aithiopika’’, Yale Classical Studies, 1982, 27: 93-158, at pp. 114-137 «Duplicity, amphiboly, and the need for interpretation». For a different approach to Heliodoran amphiboly as marker of an historiographical documentary verisimilitude see MORGAN, ‘‘History, romance and realism’’ (cit. n. 38). 41 WINKLER, ‘‘The mendacity of Kalasiris’’ (cit. n. 40), p. 122. 38
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LUCRETIAN MULTIPLE EXPLANATIONS
iamque dies primos belli visura tumultus exoritur; sed sponte deum, seu turbidus Auster inpulerat, maestam tenuerunt nubila lucem.
What might appear a casual space-filler assumes greater importance when the question of providential order or not is then raised twice, in another unresolved dichotomy, at the end of the first and beginning of the second books. The choice is here not between a divine and a natural cause, but between a world ruled by fate and a world ruled by chance. The doubt is first placed in the mouth of a character, Nigidius (a philosopher), and secondly in the mouth of the primary narrator, so effacing the boundary between inside and outside the text; as Denis Feeney says, «the poet enmeshes himself in the same difficulties as his characters and audience, deliberately refusing to stand outside his creation to provide a focus».42 1,642-5 (Nigidius’ astrology) ‘aut hic errat’ ait ‘nulla cum lege per aevum mundus et incerto discurrunt sidera motu, aut, si fata movent, urbi generique paratur humano matura lues.’ 2,4-15 cur hanc tibi, rector Olympi, sollicitis visum mortalibus addere curam, noscant venturas ut dira per omina clades? sive parens rerum, cum primum informia regna materiamque rudem flamma cedente recepit, fixit in aeternum causas, qua cuncta coercet se quoque lege tenens, et saecula iussa ferentem fatorum inmoto divisit limite mundum, sive nihil positum est, sed fors incerta vagatur fertque refertque vices et habet mortalia casus, sit subitum quodcumque paras; sit caeca futuri mens hominum fati; liceat sperare timenti.
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Lucan includes a number of full-dress multiple explanations of natural phenomena. In some cases a scientific suspension of judgement spills over into anxieties about events in the human world. The first raises a standard 42
FEENEY, The gods in epic (cit. n. 18), pp. 279-281.
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PHILIP HARDIE
natural-philosophical quaestio, the cause of Atlantic tides, in the course of the catalogue of Caesar’s troops, 1,409-19: quaque iacet litus dubium quod terra fretumque vindicat alternis vicibus, cum funditur ingens Oceanus vel cum refugis se fluctibus aufert. ventus ab extremo pelagus sic axe volutet destitvatque ferens, an sidere mota secundo Tethyos unda vagae lunaribus aestuet horis, flammiger an Titan, ut alentes hauriat undas, erigat Oceanum fluctusque ad sidera ducat, quaerite, quos agitat mundi labor; 43 at mihi semper tu, quaecumque moves tam crebros causa meatus, ut superi volvere, late.
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In this apparently neutral context the vehemence of the narrator’s desire that the cause should remain hidden (latere) is striking. The reason has something to do with the way in which the inconclusive struggle for control between sea and land picks up the political symbolism of geographical boundaries effaced, introduced with the comparison (1,100-3) of Crassus to the Corinthian Isthmus, separating Caesar and Pompey, a symbolism continued in the description of the shifting Syrtes at 9,303-18, a phenomenon itself provided with two alternative explanations, 9,303-18 causes of Syrtes: 44 Syrtes vel, primam mundo natura figuram cum daret, in dubio pelagi terraeque reliquit (nam neque subsedit penitus, quo stagna profundi acciperet, nec se defendit ab aequore tellus, ambigua sed lege loci iacet invia sedes, aequora fracta vadis abruptaque terra profundo, et post multa sonant proiecti litora fluctus: sic male deseruit nullosque exegit in usus hanc partem natura sui); vel plenior alto olim Syrtis erat pelago penitusque natabat, sed rapidus Titan ponto sua lumina pascens aequora subduxit zonae vicina perustae;
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43 CLAUDIA WICK , M. Annaeus Lucanus. Bellum civile, Liber IX. Kommentar (Mu ¨ nchen: K.G. Saur, 1994), ad loc. compares DRN 1211-14 (questions that assail the unenlightened on looking at the heavens); Prop. 2,34,51-2 harum nulla solet rationem quaerere mundi; / nec cur fraternis Luna laboret equis. 44 Excellent note with rich collection of materials in WICK , M. Annaeus Lucanus. Bellum civile, Liber IX (cit. n. 43), ad 9,303.
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LUCRETIAN MULTIPLE EXPLANATIONS
et nunc pontus adhuc Phoebo siccante repugnat, mox, ubi damnosum radios admoverit aevum, tellus Syrtis erit; nam iam brevis unda superne innatat et late periturum deficit aequor.
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The narrator’s refusal to learn the cause of tides foreshadows, and contrasts with, the attribution in book 10 by a character, the priest Acoreus, to another character, the political overreacher Caesar, of a cupido noscendi (268) in the scientific matters of the cause of the Nile flood and of the source of the Nile. Acoreus offers a number of different explanations, 237-61 quis causas reddere posset?... vana vetustas... ascripsit...; sunt qui spiramina terris / esse putent; ...rumor ab Oceano... nec non... Acoreus does express a preference for an explanation that stops short of certainty, 262-7 ast ego, si tantam ius est mihi solvere litem... Further beyond the reach of human knowledge to date, however, is the mystery of the source of the Nile, 271 vincit adhuc natura latendi. Caesar’s intellectual imperialism remains defeated, as had been the curiosity of earlier tyrants, by nature’s power to conceal herself. Pompey is far less thrusting in his search for knowledge. He himself uses a multiple explanation on one occasion, after the terrifying dream of his dead wife Julia, at 3,36-40: ille, dei quamvis cladem manesque minentur, maior in arma ruit certa cum mente malorum, et ‘quid’ ait ‘vani terremur imagine visus? aut nihil est sensus animis a morte relictum aut mors ipsa nihil’.
In this feeble attempt to arrive at a Lucretian conviction of the non-existence of the dead, Pompey offers two explanations that seem to come to the same thing.45 On the eve of Pharsalus Pompey has another dream, in which he sees himself sitting in his theatre at Rome, applauded by the crowd. This time it is the narrator who offers multiple explanations for the character’s experience, 7,19-25:
Taken separately the natural way to read both nihil est sensus animis a morte relictum and mors ipsa nihil (cfr. DRN 3,830 nil igitur mors est ad nos) would be «after death there is nothing». aut... aut... forces readers to look for different meanings, although none of the attempts are satisfactory: see HERBERT C. NUTTING, ‘‘Notes on Lucan’’, American Journal of Philology, 1931, 52: 49-56, at pp. 49-51; VINCENT HUNINK, Bellum Civile Book III (Amsterdam: Gieben, 1992), ad loc. 45
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PHILIP HARDIE
seu fine bonorum anxia mens curis ad tempora laeta refugit, sive per ambages solitas contraria visis vaticinata quies magni tulit omina planctus, seu vetito patrias ultra tibi cernere sedes sic Romam Fortuna dedit. ne rumpite somnos, castrorum vigiles, nullas tuba verberet aures.
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But what these three possibilities lead to is not a question on Lucan’s part as to the legitimacy or otherwise of seeking certain knowledge on such a question, but a wish that the character, Pompey, may be spared knowledge of his true situation by being allowed to sleep as long as possible. Another character is afflicted with an itch for certain knowledge as irresistible as that of Caesar, but for very different reasons. At 5,132-40 the Delphic priestess Phemonoe offers the degenerate Sextus Pompeius multiple explanations for the falling silent of the Delphic oracle. Indecision between the several possibilities is in contrast to the spes... improba veri (5,130) that impels her interlocutor to a cowardly desire to know the truth about the future. Phemonoe’s list of explanations is also a ruse, an attempt to use the weight of the plurality of reasons to deflect Sextus from what she knows to be the truth, that Apollo’s prophetic presence has not in fact disappeared from Delphi for good. In this non-Lucretian world multiple explanations cannot exclude the divine; Apollo may have been absent for a long time, but he returns.46
6. STATIUS’ THEBAID Like Lucan, Statius puts multiple explanations in the mouths of both the primary narrator and characters. I look first at cases that do not relate directly to loca philosophumena.47 At the beginning of book 2 as the ghost of Laius is led up by Mercury in order to inflame Eteocles against his exiled brother, one of the envious dead, The affinities of another instance of multiple explanation in Lucan are with the historian’s use of alternative explanations of an action: 5,244-8 (reasons for mutiny) destituere ducem, seu maesto classica paulum / intermissa sono claususque et frigidus ensis / expulerat belli furias, seu, praemia miles / dum maiora petit, damnat causamque ducemque / et scelere inbutos etiamnunc venditat enses. 47 For a general discussion of Statian practice see FERNAND DELARUE , Stace, poe `te e´pique. Originalite´ et cohe´rence (Paris: Editions Peeters, 2000), pp. 276-280 «La pluralite´ des hypothe`ses». 46
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who would also like to return to the world above, speeds him on his way, Theb. 2,19-22: ‘vade’ ait ‘o felix, quoscumque vocaris in usus, seu Iovis imperio, seu maior adegit Erinys ire diem contra, seu te furiata sacerdos Thessalis arcano iubet emigrare sepulcro...’.
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This ghost remembers both his Virgil and his Lucan. Behind the three possibilities here lies the dichotomy with which the Virgilian Sibyl classifies those who have succeeded in escaping from the underworld, Aen. 6,129-31 pauci, quos aequus amavit / Iuppiter aut ardens evexit ad aethera virtus, / dis geniti, potuere. It is indeed a question whether the Sibyl refers to two different groups, or to one group, to whose success might be ascribed either a divine (Iuppiter at line-beginning) or a natural (virtus at line-end) explanation, so yielding a supernatural/natural amphiboly. Statius, in keeping with a tendency observable elsewhere, expands two into three: 48 two divine agents, and one human but working through the supernatural. The reader still in the world above knows that Mercury acts on the orders of Jupiter (given at a council of the gods summoned, 1,197 Iovis imperio), but the envious shade’s limited perspective may contain an element of truth, in that the whole plot of the poem has been set in motion by the Fury called up by Oedipus. Maior also raises a crucial question about the relative responsibility of Heaven and Hell for what happens in the Thebaid, and indeed whether the two can be kept separate.49 The third possibility, while literally untrue, points to another of the poem’s confusions about agency, between the supernatural forces of the Underworld and human beings in the world above: the furiata sacerdos is possessed by a Furia: Lucan’s Erictho is a kind of Fury. When the sole survivor of the Theban posse sent to ambush Tydeus returns, he gives three possible explanations for what has happened, Theb. 3,59-62 (Maeon): ‘hanc tibi de tanto donat ferus agmine Tydeus infelicem animam, sive haec sententia divum, seu fortuna fuit, seu, quod pudet ira fateri, vis invicta viri’.
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48 Multiplication of causes beyond the two found in the epic tradition from Homer to Virgil (§§ 2, 3 above) may, in formal terms, owe something to the pressure of the Lucretian multiple explanation, typically offering more than two alternatives. 49 See PHILIP HARDIE , The epic successors of Virgil (Cambridge: Cambridge UP, 1993), pp. 7687 «The confusion of Earth and Hell, and of Heaven and Hell in post-Virgilian epic».
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PHILIP HARDIE
Here we have the Lucanian alternatives of divine providence or chance, expanded into a third, yielding a supernatural/natural opposition, divine or human causation.50 The narrator’s voice uses multiple explanations to mark two key moments in the history of the two brothers, two apparently chance events of portentous significance. The first is the moment when the aimlessly wandering Polynices decides to turn his steps towards Argos, Theb. 1,324-8: tunc sedet Inachias urbes Danaeiaque arva et caligantes abrupto sole Mycenas ferre iter impavidum, seu praevia ducit Erinys, seu fors illa viae, sive hac inmota vocabat Atropos.
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The narrator has shortly before revealed to us Jupiter’s irrevocable decision to involve Argos: immota... Atropos echoes the language of Jupiter’s oath by the Styx at 1,291-2 obtestor, mansurum atque irrevocabile verbum, / nil fore, quod dictis flectar. Like the envious shade, the narrator suggests the agency of either Hell or Heaven, here sandwiching the third possibility of blind chance. The effect is to cast some doubt on the reliability of the narrator’s account of the council of gods, although one might argue that the proximate causes of Jupiter’s final goal are not strictly predetermined by Jovian Fate. The second moment comes in the last, and posthumous, encounter of the brothers, when their wives unwittingly try to cremate the body of Polynices with a flame from the still glowing pyre of Eteocles, Theb. 12,420-3: stabat adhuc, seu forte, rogus, seu numine divum, cui torrere datum saevos Eteocleos artus, sive locum monstris iterum Fortuna parabat, seu dissensuros servaverat Eumenis ignes.
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This fourfold series is perhaps reducible to two. Dislocated word order separate the first pair from the second, which makes better sense as an expanded rephrasing of the first, Fortuna’s plan in line 422 personifying the bare forte in line 420, and Eumenis in line 423 specifying which numen might be 50 HARRY SNIJDER, Statius: Thebaid, a commentary on book III (Amsterdam: Hakkert, 1968), ad loc. on the theological/fatalistic/rationalistic alternatives: «The three explanations may cohere according to the Stoic view of the connectedness of all things, thus representing three aspects of the same occurrence».
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involved: had we been inclined to associate numen rather with the gods above, and with the nod of Jupiter in particular, our attention is drawn to the close similarity in sound between numine and Eumenis. Multiple explanation is used to give emphasis to a climactic moment in fighting at Thebes, and a point at which the poet must transcend his own epic powers to match the afflatus of his antihero Capaneus, Theb. 10,830-6: maior ab Aoniis poscenda amentia lucis: mecum omnes audete deae! sive ille profunda missus nocte furor, Capaneaque signa secutae arma Iovem contra Stygiae rapuere sorores, seu virtus egressa modum, seu gloria praeceps, et magnae data fama 51 neci, seu laeta malorum principia 52 et blandae superum mortalibus irae.53
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The four explanations are arranged chiastically, supernatural motivations at beginning and end framing naturalistic psychological motivation. The first and second alternatives, possession by a hellish furor and an excessive virtus, rework the question of the Virgilian Nisus as to the springs of heroic action – external or internal? The combination of psychological motivation (whether naturally or supernaturally instigated) with motivation in terms of the will of the gods may be paralleled in the historiographical tradition, for example Livy 8,7,8 (Manlius) movet ferocem animum iuvenis seu ira seu detractandi certaminis pudor seu inexsuperabilis vis fati.54 The effect of these multiple possibilities is to create the impression of a world where seemingly accidental or trivial events or coincidences may in fact contain much deeper meanings, where the supernatural waits to pounce when you least expect it. When put in the mouth of the narrator, multiple explanations suggest the abdication of narratorial omniscience and responsibility, in 51 See WILLIAM J. DOMINIK , ‘‘Fama or Fata? A note on Statius, Theb. 10,835’’, Liverpool Classical Monthly, 1994, 19.5 and 6: 82-4 (arguing for Fata, with some implausible grammatical analysis). 52 Ov. met. 7,518 flebile principium melior fortuna secuta est; followed by 796 gaudia principium nostri sunt, Phoce, doloris. 53 There are echoes of Aen. 11,443-4 nec Drances potius, sive est haec ira deorum, / morte luat, sive est virtus et gloria tollat. This, the end of Turnus’ speech, is followed immediately by 445 illi haec inter se dubiis de rebus agebant: the dubiae res are to be taken of the debate in the Council of Latins as a whole, but it is hard not to see in it also reference to the narrower question that has immediately preceded, sive... sive... A doubt raised in passing by a character in the Aeneid will turn into a central problem for the narrator of the Thebaid. 54 See OAKLEY , ad loc.
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the manner of Lucan, particularly with regard to the question of whether events and actions are motivated by human or supernatural causes, and, if supernatural, whether by the forces of heaven or hell.55 The Statian examples examined so far are not directly related to Lucretian multiple explanations. But one character in particular in the Thebaid is connected with natural questions. The prophet and seer Amphiaraus is involved in two of the most elaborate cases of multiple explanation in the Thebaid, in the first as mouthpiece for the interpretation of something miraculous, the power of birds to predict the future, in the second as the victim of an upheaval in the natural order, the chasm that opens in the earth to swallow him. Both cases involve events that are traditionally the subject of multiple explanation: at Georgics 1,415-23 Virgil opts for a materialistic rather than a supernatural explanation of the weather signs given by bird behaviour; the first of the 18 amphibolies in Heliodorus discussed by Winkler relates to the cause of the cock’s crow. The chasm in the earth that swallows Amphiaraus is a special case of the subterranean events of earthquake and volcanic eruption, one of the most frequent subjects for multiple explanation. In both cases the passage of multiple explanations is part of a larger structure dramatizing the human search for knowledge. Amphiaraus begins his augury with a prayer to Jupiter, Theb. 3,471-4: Iuppiter omnipotens – nam te pernicibus alis addere consilium volucresque implere futuri ominaque et causas caelo deferre latentes accipimus – ...56
Amphiaraus then shifts his ground, from a general belief that Jupiter has given birds the power to foretell the future, to two possible explanations, cerSee FEENEY (cit. n. 18), pp. 349-350, discussing Theb. 1,324-7, 2,19-22, 10,831-6, 12,420-3. Different uncertainties about divine agency are registered in two other places: (i) Theb. 10,160-3 ecce repens superis animum lymphantibus horror / Thiodamanta subit formidandoque tumultu / pandere fata iubet, sive hanc Saturnia mentem, / sive novum comitem bonus instigabat Apollo: uncertainty as between two gods. (ii) 10,632-5 Diva Iovis solio iuxta comes, unde per orbem / rara dari terrisque solet contingere, Virtus, / seu pater omnipotens tribuit, sive ipsa capaces / elegit penetrare viros, where the uncertainty may be connected to the problematic status of personifications within the ‘reality’ of the poem; alternatively the alternatives may not register uncertainty as to the manner of her agency, but depend closely on the previous line: she rarely visits earth, whether sent by Jupiter or out of her own choice (i.e. on different occasions). 56 Cfr. Aen. 3,32 causas penitus temptare latentis, phrasing that suggests Aeneas is the Lucretian inquirer into the secrets of nature. For an argument that Aeneas here displays a reprehensible «intellectual greed» see MICHAEL C.J. PUTNAM, Virgil’s Aeneid. Interpretation and influence (Chapel Hill and London: Univ. of N. Carolina Press, 1995), p. 52. 55
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tain knowledge in which is rightly the prerogative of Jupiter, while the proper knowledge of mankind are primordia of a historical, not a natural-philosophical, kind, Theb. 3,482-90 (Amphiaraus): 57 mirum unde, sed olim hic honor alitibus, superae seu conditor aulae sic dedit effusum chaos in nova semina texens,58 seu quia mutatae nostraque ab origine versis corporibus subiere notos, sed purior axis amotumque nefas et rarum insistere terris vera docent: tibi, summe sator terraeque deumque, scire licet: nos Argolicae primordia pugnae venturumque sinas caelo praenosse laborem.
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The omens they witness lead the two seers, Amphiaraus and Melampus, to wish that they had never sought this more limited kind of knowledge, in a combination of Horatian and Lucanian intertexts on the folly of seeking to know the future: 59 trepidos sic mole futuri cunctaque iam rerum certa sub imagine passos terror habet vates; piget inrupisse volantum concilia et caelo mentem insertasse vetanti, auditique odere deos. unde iste per orbem primus venturi miseris animantibus aeger crevit amor? divumne feras hoc munus, an ipsi, gens avida et parto non umquam stare quieti,60 eruimus quae prima dies, ubi terminus aevi, quid bonus ille deum genitor, quid ferrea Clotho
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57 Cfr. the play on Lucretian primordia at Ov. ars 3,337 et profugum Aeneas, altae primordia belli, with ROY GIBSON, Ovid Ars Amatoria Book 3 (Cambridge: Cambridge UP, 2003), ad loc.; PHI´senLIP HARDIE, ‘‘Time in Lucretius and the Augustan poets: freedom and innovation’’, in La repre tation du temps dans la poe´sie auguste´enne, edited by Ju¨rgen P. Schwindt (Heidelberg: Winter, 2005), pp. 19-42, 20. Statius uses the word at the very beginning of the Thebaid, 1,4 gentisne canam primordia dirae. 58 Reading SHACKLETON -BAILEY ’s sed in line 486. The two possible explanations have Ovidian overtones: cfr. met. 1,78-9 (creation of mankind, with two alternative explanations); superae... conditor aulae is Ovid’s opifex rerum; with semina cfr. met. 1,78 divino semine. The second of Amphiaraus’ explanations appeals to the Ovidian theme of metamorphosis: at Met. 1,87-8 it emerges that Prometheus’ creation of mankind out of mud is a kind of metamorphosis. 59 SNIJDER (cit. n. 50), ad loc. compares Hor. carm. 1,3; 1,9,13 quid sit futurum cras fuge quaerere; 1,11,1-3 tu ne quaesieris, scire nefas, ... Lucan. 2,4 ff.; 9,566 ff. (Cato). 60 553-4 introduce another supernatural/natural amphiboly, posed by the narrator as he criticises the itch to know!
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PHILIP HARDIE
cogitet? hinc fibrae et volucrum per nubila sermo astrorumque vices numerataque semita lunae Thessalicumque nefas. at non prior aureus ille sanguis avum scopulisque satae vel robore gentes mentibus his usae; silvas amor unus humumque edomuisse manu; quid crastina volveret aetas scire nefas homini. nos, pravum et flebile vulgus, scrutati penitus superos: hinc pallor et irae, hinc scelus insidiaeque et nulla modestia voti.
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Amphiaraus foresees his own death as the last of the bird omens (3,546-7 illum, venerande Melampu, / qui cadit agnosco). What he has ‘suffered certa sub imagine’ (548), he suffers in reality at the end of book 7, where the narrator offers no fewer than six possible explanations of the gaping chasm, Theb. 7,809-16: sive laborantes concepto flamine terrae ventorum rabiem et clausum eiecere furorem, exedit seu putre solum carpsitque terendo unda latens, sive hac volventis machina caeli incubuit, sive omne fretum Neptunia movit cuspis et extremas gravius mare torsit in oras, seu vati datus ille fragor, seu terra minata est fratribus...
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The six explanations range from the scientific to the animistic. The first three, moving through Earth, Water, Sky, offer natural explanations of the kind conventional in discussions of earthquake and volcano,61 before moving into an explanation which might just be an allegorical way of talking about a natural phenomenon – or might not – and ending with two throw-away suggestions of a personified nature interacting directly with humans. It is hard not to feel that Statius is being less than serious here. 61 Cfr. Ov. met. 15,340-55 (discussed above); Aetna 102-17. Cfr., contrariwise, for three purely supernatural causes (ironically in a context where multiple materialist causes are usually considered) Sen. Oed. 576-81 terra se retro dedit / gemuitque penitus: sive temptari abditum / Acheron profundum mente non aequa tulit, / sive ipsa tellus, ut daret functis viam, / compage rupta sonuit, aut ira furens / triceps catenas Cerberus movit graves. SMOLENAARS, in a good note (ad Theb. 7,809-16) on Statius’ use of Epicurean multiple explanation, compares Theb. 7,424-9 iam ripas, Asope, tuas Boeotaque ventum / flumina. non ausae transmittere protinus alae / hostilem fluvium; forte et trepidantibus ingens / descendebat agris, animos sive imbrifer arcus, / seu montana dedit nubes, seu fluminis illa / mens fuit obiectusque vado pater arma vetabat (cfr. Lucan. 1,217 ff., Rubicon, but with just one cause).
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The response to this possibly natural, possibly supernatural, event will be the prayer of Thiodamas to Tellus in the next book, in form a religiously serious hymnos physikos addressed to a version of the Lucretian Venus combined with elements of the Lucretian Magna Mater,62 and beginning, Theb. 8,303-13 (the main Lucretian parallels are in bold): ‘o hominum divumque aeterna 63 creatrix, quae fluvios silvasque animarum et semina mundo cuncta Prometheasque manus Pyrrhaeaque saxa gignis, et impastis quae prima alimenta dedisti mutastique viris, quae pontum ambisque 64 vehisque: te penes et pecudum gens mitis et ira ferarum et volucrum requies; 65 firmum atque inmobile mundi robur inoccidui, te velox machina caeli aere pendentem vacuo, te currus uterque circumit, o rerum media indivisaque magnis fratribus!
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Thiodamas is the successor to an Amphiaraus who earlier in the book has announced himself to the ruler of the Underworld as one (8,92) qui quondam causas elementaque noram. At the end of the prayer Thiodamas refers to the chasm where his teacher and predecessor Amphiaraus disappeared as a more potent source than the oracular chasm at Delphi, 8,329-38: ‘at tu, care deis, quem non manus ulla nec enses Sidonii, sed magna sinu Natura soluto, ceu te Cirrhaeo meritum tumularet hiatu, sic amplexa coit, hilaris des, oro, precatus nosse tuos, caeloque et vera monentibus aris concilies, et quae populis proferre parabas, me doceas: tibi sacra feram praesaga, tuique numinis interpres te Phoebo absente vocabo. ille mihi Delo Cirrhaque potentior omni, quo ruis, ille adytis melior locus’.
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62 With 311 ae ¨re pendentem vacuo cfr. Lucr. 2,602-3 ae¨ris in spatio magnam pendere docentes / tellurem. Statius also draws on the Hymn to Ceres at Ov. fast. 4,393 ff.: with Theb. 8,306-7 impastis quae prima alimenta dedisti / mutastique viris cfr. fast. 4,401-2 prima Ceres homine ad meliora alimenta vocato / mutavit glandes utiliore cibo. A syncretistic hymn, commenting on the syncretism in Lucretius and in the Fasti (versions of Venus in a month whose presiding deity, Venus, seems to exercise little influence). 63 Cfr. perhaps DRN 1,34 aeterno devictus vulnere amoris. 64 Cfr. Ov. met. 13,288-9, 14,585-6 (where there is allusion to DRN 139 circumfusa super). 65 DRN 6,94 Calliope, requies hominum divumque voluptas.
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Thiodamas diverts to his own ends the Lucretian comparison between the Delphic oracle and the superior wisdom of preSocratic philosophers and of his own materialist philosophy, DRN 1,737-9 [738-9 = 5,111-12]: ex adyto tamquam cordis responsa dedere sanctius et multo certa ratione magis quam Pythia quae tripodi a Phoebi lauroque profatur.
Thiodamas is no Lucretius however, but a vates, who immediately proceeds to make copious sacrifice, in the form of black sheep and cattle buried alive, to an underworld that had been exposed as fantastic by Lucretius, Theb. 8,338-41: haec ubi dicta, nigrantes terra pecudes obscuraque mergit armenta, ac vivis cumulos undantis harenae aggerat et vati mortis simulacra rependit.
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«He pays the seer the simulacra of death». (Shackleton-Bailey, citing Ha˚kanson «He imitates Amphiaraus’ own death, when he was buried alive»). In the contorted Statian world simulacra, for Lucretius insubstantial atomi phantoms of the living, are possessed of both body and life.66 The use of multiple explanations in connection with the augury of Amphiaraus and with his swallowing up by the earth, is part of a wider nexus formed around this character, a vates who sees further into the nature of the gods and the nature of things than do other characters in the Thebaid, and who is consequently the focus for an extensive reworking of the earlier tradition linking epic narrative with natural-philosophical explanation. But, as in the case of Virgil’s Lucretian Laocoon, the penetrative powers of mind of Statius’ Amphiaraus, and of his vatic successor Thiodamas, are of limited efficacy in an epic world where supernatural anger does control the course of events.
66 Cfr. DRN 1,123 simulacra modis pallentia miris, the kind of thing used by vates (102) to terrify mankind.
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FRANCESCO CITTI PIERIO RECUBANS LUCRETIUS ANTRO: SULLA FORTUNA UMANISTICA DI LUCREZIO Eidola atque atomus vincere Epicuri volam Lucil. 753 M.
1. I
MILLE VOLTI DI
LUCREZIO
Lucrezio 1 e` uno di quegli autori che non lasciano indifferenti: 2 la sua poesia – per dirla con Mario Luzi – «e` un vino puro e fortissimo da bere con parsimonia nei momenti di concentrazione. Non come L.S.D. o mescalina, sia chiaro: solo come una essenza. Produce anch’essa un effetto di dilatazione dell’io (del sentimento del nostro ‘individuo’), ma questo effetto non dipende da rottura o da alterazione, se mai da approfondimento del sistema concettuale e sensorio che ci e` proprio ed esercita un potere vivificante che a me e` sempre sembrato vertiginoso».3 E` innanzi tutto la «parola» lucreziana che colpisce il poeta moderno: «la parola in se´, profonda e aggrumata, germinale – idonea cioe` piu` a sprigionare forza che a depositare pensieri e sensi gia` vissuti».4 1 Per Lucrezio si segue il testo di CYRIL BAILEY , Titi Lucreti Cari De rerum natura libri sex, Edited with Prolegomena, Critical Apparatus, Translation, and Commentary (Oxford: Oxford UP, 1947), 3 voll., vol. 1; le traduzioni lucreziane sono tratte da Tito Lucrezio Caro. La Natura, a cura di Armando Fellin (Torino: UTET, 19762 = 2005). 2 «Anche il lettore riluttante presta orecchio alla voce suadente del profeta profondamente penetrato dalla verita` della dottrina» scrive di lui EDUARD NORDEN, La letteratura romana, prefazione di Sebastiano Timpanaro (Bari: Laterza, 19842, ed. or. Die ro¨mische Literatur, Leipzig: Teubner, 19545 = 19273), pp. 53-54, che pure da` un giudizio negativo del suo stile («assai inferiore a Cicerone per quanto riguarda la capacita` tecnica di impadronirsi del linguaggio poetico della filosofia greca»). 3 MARIO LUZI , ‘‘Leggere Lucrezio equivale’’, in Vicissitudine e forma. Da Lucrezio a Montale il mistero della creazione poetica (Milano: Rizzoli, 1974), pp. 71-76: 71. 4 ID., ibid. Ivano Dionigi, in questo volume, parla di «a crystallographic figure», e di parola «‘granular’ and severe», rifacendosi peraltro oltre che al giudizio su Dante di Osip Mandelstam, alle pagine lucreziane di un altro scrittore del Novecento italiano, Italo Calvino, ugualmente affascinato dalla concretezza e dalla lingua di Lucrezio, capace di esprimere «cio` che e` infinitamente minuto e
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FRANCESCO CITTI
Accanto all’innovatore della lingua, sono molteplici i volti di Lucrezio che parlano ai posteri, come emerge dai contributi di questo volume: e` il poeta e filosofo materialista e razionalista che sostiene «la verita` che ha conquistato sebbene essa si ritorca contro le illusioni e le speranze dell’uomo a cui niente viene promesso se non la pace della nullificazione»,5 ovvero l’eccelso poeta e filosofo, ma pieno di falsita`, e pur tuttavia stampato da Manuzio («et poeta et philosophus quidem maximus vel antiquorum iudicio, sed plenus mendaciorum»),6 o ancora lo scienziato atomista, avvertito come un precursore fino a tutto il Novecento.7 Ma, come ha osservato ancora una volta Luzi, «si dice lucreziano il determinismo materialistico della visione. Si dice lucreziana anche una certa etica severa dell’adeguamento alla ragione. Potrebbe tutto questo avere altri nomi»: 8 Lucrezio (cosı` come Epicuro) e` spesso ridotto infatti a un’immagine stereotipata,9 per cui si parla della «disperazione di Lucrezio o di Leopardi», di una «mescolanza di sublimita` e di pessimismo, qualche cosa che non sarebbe dispiaciuto ad un Lucrezio o ad un Leopardi», di «natura terribile e matrigna di Lucrezio e Leopardi».10 mobile e leggero», una poesia «dell’invisibile [...] delle infinite potenzialita` imprevedibili, cosı` come [...] del nulla»: cfr. ‘‘Leggerezza’’, in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (Milano: Mondadori, 1988), pp. 7-35, 13. 5 LUZI , ‘‘Leggere Lucrezio equivale’’ (cit. n. 3), p. 72: cfr. ancora NORDEN , La letteratura romana (cit. n. 2), pp. 53-54 «La ragione non ultima del fascino di questa poesia sta nell’antitesi per cui il mondo privato della divinita`, spogliato del suo alone fantastico, torna poi ad essere rivestito di belle sembianze da un poeta dotato di grande forza immaginativa e contemplativa – infatti come poeta egli era, per dirla con Aristotele, maniko;" kai; eu[plasto" –, e cio` attraverso un linguaggio improntato ad un realismo meravigliosamente corporeo». 6 La frase e ` tratta dalla prefazione all’aldina del 1515: qui Aldo si preoccupa di giustificare la stampa di quest’opera, molto piu` di quanto non avesse fatto nella prefazione all’edizione curata da Girolamo Avanzo nel 1500. Prosegue infatti dicendo: «Nam multo aliter sentit de Deo, de creatione rerum, quam Plato, quam caeteri Academici, quippe qui Epicuream sectam secutus est. Quamobrem sunt qui ne legendum quidem illum censent Christianis hominibus, qui verum Deum adorant, colunt, venerantur. Sed quoniam veritas, quanto magis inquiritur, tanto apparet illustrior et venerabilior – qualis est fides catholica, quam Iesus Christus Deus optimus maximus, dum in humanis ageret, praedicavit hominibus – Lucretius, et qui Lucretio sunt simillimi, legendi quidem mihi videntur, sed ut falsi et mendaces, ut certe sunt», cfr. Aldo Manuzio editore. Dediche. Prefazioni. Note ai testi, introduzione di Carlo Dionisotti, testo latino con traduzione e note a cura di Giovanni Orlandi (Milano: Il Polifilo, 1975), 2 voll., vol. 1, pp. 33-34 (ed. 1500), pp. 152-153 (ed. 1515); vd. anche CARLO DIONISOTTI, Aldo Manuzio umanista e editore (Milano: Il Polifilo, 1995), pp. 107, 120-121, 138. 7 Cfr. il saggio di Marco Beretta in questo volume, oltre alla sintesi di MONTE JOHNSON – CATHERINE WILSON , ‘‘Lucretius and the history of science’’, in The Cambridge Companion to Lucretius, edited by Stuart Gillespie, Philip Hardie (Cambridge: Cambridge UP, 2007), pp. 131-148. 8 LUZI , ‘‘Leggere Lucrezio equivale’’ (cit. n. 3), p. 76. 9 Si veda in proposito ‘‘Luigi Malerba incontra Epicuro’’, in Le interviste impossibili: ottantadue incontri d’autore messi in onda da Radio Rai (1974-1975), a cura di Lorenzo Pavolini (Roma: Radio Rai-Donzelli, 2006), pp. 68-75; l’intervista fu trasmessa in realta` il 22 marzo 1975. 10 Sono tutte citazioni da Alberto Moravia: rispettivamente da L’uomo come fine e altri saggi
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Tuttavia a colpire l’immaginario e` soprattutto il personaggio folle vissuto e morto in circostanze drammatiche e misteriose, a partire ovviamente dalle poche righe che Girolamo gli dedica nel Chronicon (a. Abr. 1923 = 94 a.C., p. 149,20 ss. H.) Titus Lucretius poeta nascitur. Qui postea amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insaniae conscripsisset, quos postea Cicero emendavit, propria se manu interfecit anno aetatis XLIV. In esse filtro d’amore e follia sono «evento capitale» e «tratto dominante» che regolano e determinano tutta l’esistenza di Lucrezio: 11 combinando l’insania di Girolamo con il docti furor arduus Lucreti di Stazio 12 non e` poi mancato chi sia giunto a pensare che il poeta si disponesse a comporre quando era in preda al furore dell’animo. «Solebat enim per intervalla temporum ad carmen accedere non sine quodam animi fuore, ut veteres auctores ostendunt»,13 scrive ad esempio il Crinito nel De poetis latinis, pubblicato a Firenze nel 1505. Ma, se pur non con toni cosı` paradossali, l’idea di un influsso della follia sull’opera lucreziana e` notoriamente alla base di letture di studiosi e psicologi, a partire dall’Antilucre`ce di Patin: 14 non ne e` immune il ritratto fornito dalla Storia della (Milano: Bompiani, 1964), p. 76; Lettere dal Sahara (Milano: Bompiani, 1981), p. 134; Passeggiate africane (Milano: Bompiani, 1987), p. 67, dove tuttavia non si tratta della tradizionale accusa contro la natura matrigna, ma di una paradossale contrapposizione tra la selvaggia natura africana e quella «domata e ben pettinata dell’Europa». Risponde ugualmente ad uno stereotipo l’accostamento tra Lucrezio e Leopardi, anche se gli studi piu` recenti propendono per una lettura diretta del De rerum natura, cfr. SEBASTIANO TIMPANARO, ‘‘Epicuro, Lucrezio e Leopardi’’, Critica Storica, 1988, 25: 359402, rist. in Nuovi studi sul nostro Ottocento (Pisa: Nistri-Lischi, 1995), pp. 143-197, ed anche EMANUELA ANDREONI FONTECEDRO , Natura di voler matrigna. Saggio sul Leopardi e su natura noverca (Roma: Kepos, 1993). 11 Cosı` LUCIANO CANFORA , Vita di Lucrezio (Palermo: Sellerio, 1993), p. 24, ma si vedano in generale i capp. IV, ‘‘Il racconto di Girolamo’’, pp. 23-30, e XVII, ‘‘La ‘follia’ di Lucrezio’’, pp. 99-105, per una ricostruzione dell’origine della notizia geronimiana, e un quadro del dibattito sull’argomento, tra la fine dell’Ottocento e la meta` del Novecento. 12 Stat. silv. 2,7,75 s. che in realta ` rispecchia l’idea della poesia come qeiva maniva: «con furor allude alla esaltazione poetica, con doctus al contenuto di pensiero; i due termini stanno tra loro come ingenium e ars nel giudizio di Cicerone», come osserva ALESSANDRO RONCONI, ‘‘Per la storia dell’antica critica lucreziana’’, in Interpretazioni letterarie dei classici (Firenze: Le Monnier, 1972), pp. 169188, p. 175. 13 CANFORA , Vita di Lucrezio (cit. n. 11), p. 26, GIUSEPPE SOLARO , Lucrezio. Biografie umanistiche (Bari: Dedalo, 2000), p. 38,8-10. 14 Cfr. HENRI JOSEPH GUILLAUME PATIN , Du poe `me de la nature. L’Antilucre`ce chez Lucre`ce, Discours prononce´ le 6 de´cembre 1859, pur l’ouverture du Cours de poe´sie latine a` la Faculte´ des Lettres de Paris (Paris: P.-A. Bourdier et Cie, 1860), rist. in E´tudes sur la poe´sie latine (Paris: Hachette, 1869), pp. 117-137, ed anche BENJAMIN CONSTANT MARTHA, Le poe`me de Lucre`ce: morale, re´ligion, science (Paris: Hachette, 1869); piu` recentemente EMILIO MORSELLI, Il pessimismo di T. Lucrezio Caro (Torino-Palermo: C. Clausen, 1892); BENJAMIN JOSEPH LOGRE, L’anxie´te´ de Lucre`ce (Paris: J.B. Janin, 1946), LUCIANO PERELLI, Lucrezio poeta dell’angoscia (Firenze: La Nuova Italia, 1969), su cui vd. IVANO DIONIGI, ‘‘Due interpretazioni unilaterali di Lucrezio’’, Studi Urbinati di storia, filosofia e letteratura, 1973, 47: 327-363, pp. 356 ss.; cfr. anche PIETRO FERRARINO, ‘‘Struttura e spirito del poema lucreziano’’, in Scritti scelti (Firenze: Olschki, 1986), pp. 278-300: 300-303.
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FRANCESCO CITTI
letteratura latina di Marchesi, per il quale «che un filtro abbia potuto creare l’insania di Lucrezio non e` probabile: ma che abbia potuto sinistramente operare nel suo temperamento malinconico ed eccitabile non e` da escludere». Egli era un isolato,15 un infelice: «gl’incubi visionari dei sogni e le allucinazioni delle veglie egli esprime con le parole di chi ha sperimentato e sperimenta».16
2. L’IMMAGINE
DI
LUCREZIO,
TRA BIOGRAFIA E POESIA
Follia e suicidio sono punti centrali del breve ritratto che Petrarca ne fa nelle Familiari (24,11,16-17): «Sic sua Lucretium mors abstulit ac ferus ardor / longe aliis, ut fama, locis habitare coegit», come pure nel De remediis utriusque fortunae (2,121: «amatorio poculo accepto in morbum rabiemque compulsus gladio ad postremum pro remedio usus est»), dove si precisa – come nella Vita Borgiana 17 – che Lucrezio si suicido` servendosi di una spada. Se poi consideriamo le menzioni di Lucrezio nella poesia posteriore alla riscoperta da parte di Poggio,18 l’elemento biografico continua a prevalere 15 «Si apparto ` dalla repubblica conquistatrice e penso`, in un angolo dell’urbe all’universo», cfr. CONCETTO MARCHESI, ‘‘Un canzoniere della vita al tempo di Domiziano’’, in Scritti minori di filologia e letteratura, a cura di Lucio Cristante, Giovanni Ravenna, Luigi Santo (Firenze: Olschki, 1978), 2 voll., vol. 1, p. 189. 16 CONCETTO M ARCHESI , Storia della letteratura latina (Messina-Roma: Principato, 19271 , 8 1950 ), 2 voll., vol. 1, p. 199. Ne sono influenzati anche i ritratti di Giovanni Papini, nel Giudizio universale, pubblicato negli Scritti postumi (Milano: Mondadori, 1966), 2 voll., vol. 1, pp. 10381040 e di Alberto Moravia, nel racconto Antico furore, in I sogni del pigro (Milano: Bompiani, 1940), pp. 56-62. 17 Cfr. SOLARO , Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 13), p. 33,39 ss.: «noxio tandem improbae feminae poculo in furias actus sibi necem conscivit reste gulam frangens vel, ut alii opinantur, gladio incubuit», e piu` in generale vd. pp. 18-22 e 98-99 sulle fonti di Petrarca e sul problema di una sua conoscenza diretta di Lucrezio, nonche´ LUIGI ALFONSI, ‘‘L’avventura di Lucrezio nel mondo antico... e oltre’’, in Lucre`ce. Entretiens pre´pare´s et pre´side´s par Olof Gigon (Vandoeuvres-Gene`ve: Fondation Hardt [= Entretiens 24], 1978), 271-321, pp. 307 s., che osserva come l’espressione ferus ardor non possa essere di diretta derivazione staziana. 18 Mi servo dei dati ricavabili dai ‘‘Poeti d’Italia in lingua latina tra Medioevo e Rinascimento’’ (www.poetiditalia.it). Dopo MAX LEHNERDT, Lucretius in der Renaissance (Ko¨nigsberg: Hartung, 1905), il capitolo su ‘‘Lucretius and the Renaissance’’, in GEORGE DEPUE HADZSITS, Lucretius and his Influence (London: G.G. Harrap & Co., 1935), pp. 248-283, e WOLFGANG BERNARD FLEISCHMANN, ‘‘Lucretius Carus, Titus’’, in Catalogus translationum et commentariorum: Medieval and Renaissance Latin Translations and Commentaries. Annotated Lists and Guides, a cura di Paul Oskar Kristeller (Washington D.C.: The Catholic University of America Press, 1971), vol. 2, pp. 349365, numerosi gli studi recenti sulla riscoperta di Lucrezio: in particolare vd. CHARLOTTE POLLY GODDARD, Epicureanism in the Poetry of Lucretius in the Renaissance (Cambridge: Corpus Christi College, 1991), SUSANNA GAMBINO LONGO, Savoir de la nature et poe´sie des choses: Lucre`ce et E´picure a` la Renaissance italienne (Paris: H. Champion, 2004), VALENTINA PROSPERI, Di soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di Lucrezio dall’Umanesimo alla Controriforma (Torino: Nino Aragno Editore,
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PIERIO RECUBANS LUCRETIUS ANTRO: SULLA FORTUNA UMANISTICA DI LUCREZIO
sui riferimenti precisi al contenuto dell’opera. Cosı` Pietro Odo da Montopoli – attivo presso lo Studium Urbis intorno alla meta` del ’400, e maestro fra gli altri di Pomponio Leto – nella sua Ovidiadis, un lungo carme elegiaco dedicato a Sulmona, patria di Ovidio, rinfaccia in tono sarcastico alla citta` di Roma il fatto che sia stata ostile proprio nei confronti degli intellettuali e letterati che l’hanno resa famosa: accanto al poeta elegiaco, ingiustamente esiliato, ci fu chi trovo` persino la morte, come Antonio e Cicerone, Lucrezio e Cornelio Gallo, morti entrambi suicidi: «philtra nec insani passa es virosa Lucreti / qualia vel Galli tristia fata dari».19 Il Landino, poi, nel terzo libro della Xandra, nomina Lucrezio in un componimento elegiaco Ad Petrum Medicem De laudibus Poggi, ricordando – con toni che sembrano alludere alla famosa epistola di Poggio a Guarino veronese, del 15 dicembre 1416 – la scoperta del De rerum natura accanto a quelle di Quintiliano, Silio, Columella (3,17,93 s.: «et te, Lucreti, longo post tempore tandem / civibus et patriae reddit habere tuae»).20 Non sorprende invece che il Pontano – che a Lucrezio ha dedicato anche la sua attivita` filologica – si soffermi piuttosto sulla sua opera: anzi, in un’elegia giovanile (1447) nel primo libro del Parthenopeus, si rammarica della debolezza della sua ispirazione, che percorre strade gia` percorse da altri poeti, a differenza di quanto fece Lucrezio: «Nam mihi iam pridem tenues agitantur amores, / attritamque sequor vatibus ipse viam, / intactos ausus necdum contingere fontes / arduus et summi carpere montis iter / hic, ubi Pierio recubans Lucretius antro / concinuit Latio carmina digna sono, / ac rarum Siculus foecundo pectore vates / rerum naturae condidit auctor opus» (1,6, 5-12). Tutto il passo e` intessuto di 2004), e i saggi compresi in The Cambridge Companion to Lucretius (cit. n. 7) di YASMIN HASKELL, ‘‘Religion and enlightemement in the neo-Latin reception of Lucretius’’, pp. 185-201; MICHAEL REEVE, ‘‘Lucretius in the Middle Ages and early Renaissance: transmission and scholarship’’, pp. 205-213; VALENTINA PROSPERI, ‘‘Lucretius in the Italian Renaissance’’, pp. 214-226. 19 Anche la notizia di Gallo viene probabilmente da Hier. chron. a. Abr. 1990 = 27 a.C., p. 164,6 ss. H. Cornelius Gallus Foroiuliensis poeta, a quo primum Aegyptum rectam supra diximus, XLIII aetatis suae anno propria se manu interficit. 20 Nelle opere esegetiche non mancano comunque allusioni all’opera di Lucrezio filosofo, cfr. Praefatio in Virgilio, in ROBERTO CARDINI, La critica del Landino (Firenze: Sansoni, 1973), p. 318,16 (da confrontare con Prolusione dantesca, ibid., p. 364,13), e p. 322,5 ss.: «At quis ignorat quanti Lucretium, qui Epicuream philosophiam carmine descripsit, Memmius ea tempestate in re publica princeps semper fecerit?» (da confrontare con Prolusione dantesca, ibid., p. 368,5-7) e innovatore della lingua, come sottolineato nella parte introduttiva del Comento di C. Landino fiorentino sopra la comedia di Danthe Alighieri (Firenze: per Nicolo` di Lorenzo della Magna, 1481), f. 7v: «Trovo` la latina Virgilio gia` elimata et exornata, et da Ennio, et da Lucretio, da Plauto, et da Terentio, et altri poeti vetusti amplificata. Ma innanzi a Danthe in lingua toscana nessuno havea trovato alchuna leggiadria, ne´ indocto elegantia o lume alchuno» (su cui vd. CARDINI, La critica del Landino, pp. 124 s. e 219-221), e nella nota a Inf. 1,79-81, ibid., f. 19v. Cfr. inoltre infra, § 3.
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stilemi lucreziani: l’immagine della via attrita, con cui Pontano parla di se´, e` un rovesciamento dei versi in cui Lucrezio si descrive impegnato a percorrere avia Pieridum [...] loca nullius ante / trita solo (1,926 s. = 4,1 s.), ad integros accedere fontis / atque haurire (1,927 s. = 4,2 s.),21 mentre il quadro bucolico del poeta latino circondato dalla natura, che canto` carmi degni della lingua latina, combina quegli stessi passi con l’oraziana grotta Pieria (carm. 3,4,40) e con il Titiro di Virgilio (ecl. 1,1). Cosı` pure il richiamo al poeta siculo Empedocle che compose il prezioso poema della natura delle cose sembra alludere all’incipit del libro V: Quis potis est dignum pollenti pectore carmen / condere pro rerum maiestate hisque repertis? (1 s.). Piu` direttamente legata all’antica critica lucreziana era invece la variante dei vv. 9-12, «unde sacri rediens sublimis Musa Lucreti / detulit in Latium carmina docta forum, / Aetnaeosque ignes dolitura volumina magni / Empedoclis Phoebi vera moventis opus»,22 che ricorda il sublimis Lucretius ovidiano 23 ed anche il doctus Lucretius di Stazio.24 Ma c’e` di piu`: Pontano si pone sulle orme di Lucrezio esattamente come il poeta latino si era posto sulle orme di Epicuro,25 e progetta di scrivere in vecchiaia un poema dedicato alla natura, ai quattro elementi empedoclei (vv. 27 ss.),26 ed in particolare alla posizione della terra nell’universo, alla machina mundi,27 all’origine e funzione dei semina: un progetto che sarebbe stato abbandonato, ma anche nel poema astrologico Urania sive de stellis affiorano tematiche del De rerum natura.28 Sul callimachismo di questi versi, vd. da ultimo MONICA GALE, ‘‘Lucretius and previous poetic traditions’’, in The Cambridge Companion to Lucretius (cit. n. 7), pp. 70-75. 22 Cfr. Ioannis Ioviani Pontani Carmina, testo fondato sulle stampe originali e riveduto sugli autografi, introduzione bibliografica ed appendice di poesie inedite a cura di Benedetto Soldati (Firenze: Barbera, 1902), vol. 2, p. 64; Ioannis Ioviani Pontani Carmina. Ecloghe, elegie, liriche, a cura di Johann Oeschger (Bari: Laterza, 1948), pp. 71-72. 23 Cfr. Ov. am. 1,15,23 s. carmina sublimis tunc sunt peritura Lucreti, / exitio terras cum dabit una dies. 24 Cfr. il gia ` citato passo di silv. 2,7,75 s. Cedet Musa rudis ferocis Enni / et docti furor arduus Lucreti (e vd. supra, n. 12). Come ha osservato la GODDARD, Epicureanism in the Poetry of Lucretius (cit. n. 18), p. 75, l’accenno ad Empedocle rinvia a Lucr. 1,716-733: in particolare «Aetnaeosque ignes» rinvia alla descrizione dell’Etna, ai vv. 722-724. 25 Cfr. LEHNERDT , Lucretius in der Renaissance (cit. n. 18), p. 11 e STEPHEN J. CAMPBELL, ‘‘Giorgione’s Tempest, Studiolo Culture, and the Renaissance Lucretius’’, Renaissance Quarterly, 2003, 56: 299-322, pp. 321 s. 26 Sulla critica di Lucrezio ai Presocratici, e ad Empedocle in particolare, cfr. il saggio di Lisa Piazzi in questo volume, oltre a Lucrezio e i Presocratici. Un commento a De rerum natura 1, 635-920, a cura di Lisa Piazzi (Pisa: Edizioni della Normale, 2005). 27 Altra immagine lucreziana (5,96) – divenuta peraltro d’uso comune (cfr. ThlL VIII 13,73 ss.) – su cui vd. il saggio di Giovanni di Pasquale in questo volume. 28 Cfr. oltre agli accenni in LEHNERDT, Lucretius in der Renaissance (cit. n. 18), p. 12, GODDARD , Epicureanism in the Poetry of Lucretius (cit. n. 18), pp. 79-99 e EAD ., ‘‘Pontano’s use of the didactic genre: rhetoric, irony and the manipulation of Lucretius in Urania’’, Renaissance Studies, 21
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PIERIO RECUBANS LUCRETIUS ANTRO: SULLA FORTUNA UMANISTICA DI LUCREZIO
Al mito biografico geronimiano si attiene Bartolomeo della Fonte, nei suoi due accenni al folle Lucrezio: nel c. 15 ad Giraldum del suo Saxetus afferma che i «Carmina vesani fuerant moritura Lucreti, / si non Memmiadae munere clarus erat» (vv. 17-18), cosı` come quelli di Virgilio sarebbero stati destinati a scomparire, senza il sostegno di Mecenate («Carmina divini fuerant peritura Maronis, / candide Maecenas, ni tua dona forent, vv. 19 s.), mentre nel c. 18, raccontando la propria giornata, tra le letture ricorda gli scritti divini Maronis, quelli di Silio, ed infine conclude presentando l’alternativa «insani vel me verto ad praecepta Lucreti».29 Non ci si meravigliera` poi che il lucreziano Marullo,30 nell’epigramma De poetis latinis (1,16), una specie di canone per generi letterari, lo ponga – come rappresentante della poesia della natura – accanto a Tibullo nell’elegia, a Virgilio nell’epica, a Terenzio nella commedia, ad Orazio nella satira: «Amor Tibullo, Mars tibi, Maro, debet, / Terentio soccus levis, / Cothurnus olim nemini satis multum, / Horatio satyra et chelys, / Natura magni versibus Lucretii». Ugualmente metaletterario e` il contesto delle menzioni di Lucrezio in Poliziano: nell’Elegia a Bartolomeo Fonzio considera le letture preferite dall’amico e scherza sulla inutilita` dei classici (da Virgilio, Cicerone, Gerolamo e Agostino fino agli elegiaci) per conquistare le ragazze, che preferiscono piuttosto doni preziosi (vv. 95 ss.), allude al suo desiderio di proseguire la traduzione di Omero («ego Maeonii divina poemata vatis, / ut coepi, in Latios vertere tendo modos», vv. 135 s.), ed infine passa a trovare gli amici, il pugnace poeta Mat1991, 5: 250-262, per la rappresentazione della primavera, dell’indigus homo, dell’origine della superstitio. Vale la pena ricordare inoltre l’elogio della poesia lucreziana, nell’Actius, compreso in Ioannis Ioviani Pontani opera omnia soluta oratione composita (Venetiis: in aedibus Aldi, 1518), 3 voll., vol. 2, pp. 153 s.: «Christe Optime, quid copiae, quid ornatus, quantus e clarissimis luminibus eius emicat, in altero [cioe` Lucrezio] splendor? Rapit quo vult lectorem, probat ad quod intendit, summa cum subtilitate et artificio, hortatur, deterret, incitat, retrahit, demum omnia cum magnitudine, ubi opus est atque decoro et hac de qua disputatum est admiratione, ut expurgatis rudioribus illis vetustatis numeris, quibus postea Vergilius Romanam illustravit Poeticam nihil omnino defuisse videatur». 29 Per la definizione, cfr. Quint. inst. 1,4,4 Varronem ac Lucretium in Latinis, qui praecepta sapientiae versibus tradiderunt, citato nella biografia di Leto, cfr. SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 13), pp. 27,32 s. e 3,1,4 qua ratione se Lucretius dicit praecepta philosophiae carmine esse complexum. 30 Cfr., tra gli altri, LEHNERDT, Lucretius in der Renaissance (cit. n. 18), pp. 13 s., CESARE FEDERICO GOFFIS , ‘‘Il sincretismo lucreziano-platonico negli Hymni naturales del Marullo’’, Belfagor, 1969, 24: 386-417; GIUSEPPINA BOCCUTO, ‘‘L’influsso di Lucrezio negli Inni Naturali di Michele Marullo’’, Rivista di cultura classica e medioevale, 1984, 26: 117-133; GODDARD, Epicureanism in the Poetry of Lucretius (cit. n. 18), pp. 101-125; ANDRE´ DOSSIER, ‘‘Le Lucre`ce de Marulle’’, in Pre´sence de Lucre`ce. Acte du colloque tenu a Tours (3-5 de´cembre 1998), a cura di Re´my Poignault (Tours: Centre de recherche A. Piganiol, 1999), pp. 281-297, IVANO DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (Bologna: Pa`tron, 20053), pp. 121-155, con bibliografia aggiornata, pp. 200-203.
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teo Franco, e quindi Marsilio Ficino, che gli parla di astrologia, metereologia, nonche´ di medicina, correggendo in senso provvidenzialistico e neoplatonico le teorie epicuree: «Impia non sani turbat modo dicta Lucreti, / imminet erratis nunc, Epicure, tuis» (vv. 173 s.). Lucrezio appare cosı` folle – secondo lo stereotipo geronimiano 31 – ed empio per le sue teorie, cui Ficino oppone l’idea di un’anima partecipe della natura divina, che si innalza progressivamente verso Dio («Hinc anima exeritur divinae conscia mentis», v. 179). E in effetti Ficino 32 non cesso` mai di ammirare il De rerum natura,33 anche se ne rifiutava la voluptas epicurea, e usava la notizia della follia dell’autore per screditarne la filosofia. Cosı` nella Theologia Platonica (14,10), scriveva: Unde impii homines plurimum vel ignavissimi sunt, qualis fuisse dicitur Epicurus, vel flagitiosi, qualis Aristippus, vel insani, qualis sectator eorum Lucretius, qui dum insania propter atram bilem concitaretur, animam suam primo conatus est verbis perdere in libro de natura rerum tertio, deinde corpus suum gladio perdidit. Ergo sicut de vini sapore non est aegrotanti credendum, sed bene valenti, ita de fine humanae vitae credendum est humano sanoque ingenio potius quam insano.34
E nel Libro dell’Amore (6,9), trattando in termini lucreziani dell’amore, osserva che la passione fa sı` che «le piu` sottili e piu` lucide parti del sangue tutto dı` si logorino, per rifare gli spiriti che continuamente volano fuori». Di conseguenza «el corpo si secca e impalidisce, di qui gli amanti divengono 31 Come ricorda HADZSITS, Lucretius and his Influence (cit. n. 18), p. 264, Poliziano nel ms. Firenze, Laurentianus 35,29 (S nella recente edizione lucreziana curata da Enrico Flores – per ora giunta al libro IV – Napoli: Bibliopolis, 2002) aveva annotato alcuni antichi testimoni, «quoting Eusebius, Ovid’s words (carmina sublimis etc.), Statius; citing Cicero’s Epistle and Cornelius Nepos; referring to Lactantius, and to Virgil’s heavy debt to Lucretius». Sul ms. vd. UBALDO PIZZANI, ‘‘Angelo Poliziano e il testo di Lucrezio’’, in Validita` perenne dell’Umanesimo, a cura di Giovannangiola Tarugi (Firenze: Olschki, 1986), pp. 297-311. 32 Per il complesso rapporto tra Ficino e l’epicureismo, Lucrezio in particolare, oltre alla nota di Bausi in Angelo Poliziano. Due poemetti latini. Elegia a Bartolomeo Fonzio. Epicedio di Albiera degli Albizi, a cura di Francesco Bausi (Roma: Salerno editrice, 2003), pp. 30 s., cfr. le lettere raccolte in Supplementum Ficinianum. Marsilii Ficini Florentini philosophi Platonici opuscula inedita et dispersa primum collegit et ex fontibus plerumque manuscriptis edidit [...] Paulus Oscarius Kristeller (Firenze: Olschki, 1937), 2 voll., vol. 2, pp. 81-87, EUGENIO GARIN, ‘‘Ricerche sull’epicureismo nel Quattrocento’’, in La cultura filosofica del Rinascimento italiano (Firenze: Sansoni, 1961), pp. 72-92, GIUSEPPINA BOCCUTO, ‘‘La presenza di Lucrezio negli scritti filosofici di Marsilio Ficino’’, Atene e Roma, 1987, 32: 152-156, GAMBINO LONGO, Savoir de la nature (cit. n. 18), in part. pp. 77-79 e 101-103, PROSPERI, Di soavi licor (cit. n. 18), pp. 158-164, in particolare sul Libro d’amore e il quarto libro lucreziano. 33 Tanto da comporre dei commentariola a Lucrezio, poi distrutti, cfr. epist. 11,25 «...tanta mihi semper cura fuit, non divulgare prophana, adeo ut neque commentariolis in Lucretium meis, quae puer adhuc, nescio quomodo, commentabar, deinde pepercerim, haec enim sicut et Plato tragoedias elegiasque suas, Vulcano dedi». 34 Cfr. SOLARO , Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 13), p. 19.
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malinconici». E di questo fenomeno richiama ad esempio proprio il poeta latino: «E questo advenne a Lucretio, philosopho epicureo, per lungo amore; el quale prima da amore, e poi da furore di stultitia angustiato, se´ medesimo uccise». Anche nell’epigramma satirico contro il poetastro Mabilio (44),35 Poliziano non insiste solo sul suo aspetto sporco e ripugnante, ma lo indica paradossalmente come imitatore delle caratteristiche peggiori degli autori classici. Quindi, se nega Dio e le potenze celesti, allora segue l’ateismo del poeta epicureo: «Coeli numina quod negas deumque, / Lucreti fuit hoc et Euripidis» (vv. 25).36 Nei Nutricia, poi, Lucrezio ritorna in un catalogo di poeti greci e latini: «Nec qui philtra bibit nimioque insanus amore / mox ferro incubuit, sic mentem amiserat omnem, / ut non sublimi caneret Lucretius ore / arcanas mundi causas elementaque rerum / doctus, et Arpino tamen exploratus ab ungui» (487-490).37 Accanto ai consueti riferimenti a pazzia e suicidio, mediante il gladio (come in Petrarca, nella Vita Borgiana e Ficino),38 ricorrono la ben nota definizione ovidiana di Lucrezio come poeta sublimis, combinata con l’aggettivo staziano doctus,39 ed inoltre la precisazione del ruolo di Cicerone, come editore del De rerum natura: 40 la notizia geronimiana si stempera cosı` in un 35 Su cui cfr. Poeti latini del Quattrocento, a cura di Francesco Arnaldi, Lucia Gualdo Rosa, Liliana Monti Sabia (Milano-Napoli: Ricciardi, 1964), pp. 1010-1013, con note e bibliografia. 36 La tradizione dell’ateismo di Euripide – che deriva probabilmente dalle critiche alla religione tradizionale, frequenti nelle sue tragedie, e dall’immagine parodiata offertane da Aristofane – era gia` consolidata al tempo di Luciano e Plutarco, e quindi presso i cristiani: cfr. le testimonianze 99-100 e 170-171b Kannicht (TrGF, vol. 5), nonche´ ALBRECHT DIHLE, ‘‘Das Satyrspiel ‘Sisyphos’ ’’, Hermes, 1977, 105: 28-42, pp. 33 s. e MARY R. LEFKOWITZ, ‘‘Was Euripides an Atheist?’’, Studi Italiani di Filologia Classica, 1987, 5: 149-166. 37 «Ne ´ il poeta che, folle di un amore smodato, bevve un filtro e si dette la morte, Lucrezio, a tal punto uscı` di senno da non poter cantare con stile sublime le occulte cause del mondo e gli elementi naturali; dotto, e nondimeno dalla lima arpinate corretto». 38 Cfr. CARLO PASCAL, ‘‘Un passo del Poliziano sopra Lucrezio’’, Athenaeum, 1920, 8: 171-173, UBALDO PIZZANI, ‘‘Angelo Poliziano e i primordi della filologia lucreziana’’, in Poliziano nel suo tempo. Atti del VI Convegno internazionale (Chianciano-Montepulciano, 18-21 luglio 1994), a cura di Luisa Secchi Tarugi (Firenze: Franco Cesati Editore, 1996), 343-355; SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 13), pp. 19 s.; Francesco Bausi (Angelo Poliziano, Silvae, a cura di F.B. [Firenze: Olschki, 1996], da cui e` tratta anche la citazione), nella nota ai vv. ricorda che anche nel Commento inedito a Stazio, a cura di Lucia Cesarini Martinelli (Firenze: Sansoni, 1978), p. 531, Poliziano cita il passo del Chronicon geronimiano, accanto ad altre testimonianze antiche su Lucrezio: Ovidio, Cicerone, Quintiliano. 39 Cfr. supra, riguardo il Parthenopeus 1,6,9 ss. 40 Anch’essa desunta da Gerolamo, Chron. a. Abr. 1923 = 94 a.C., pp. 149, 124 H. libros... quos postea Cicero emendavit: il verbo emendo e` ripreso nella postilla marginale «Cicero Lucreti libros emendavit»; la notizia peraltro e` riportata nelle varie vite umanistiche: cfr. SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 13), pp. 26,22 ss. (Leto), 36,43 ss. (Borgia), 38,18 ss. (Crinito), 45,30 s. (Pio), 50,20 s. (Candido), 54,11 s. (Giraldi); la questione dell’emendatio ciceroniana e` discussa da ETTORE PARATORE, ‘‘Emendo in Suetonio-Donato e S. Girolamo’’, in RICCARDO SCARCIA – GIO-
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elogio dell’arte del poeta, che pur tra gli intervalla insaniae riesce a produrre la sua opera. Notevole poi che nei versi immediatamente successivi, tra i precedenti greci, Poliziano accosti Lucrezio proprio a Empedocle, che morı` gettandosi nell’Etna, per mostrare la sua natura divina, e ad Eraclito, noto per l’oscurita` della sua lingua («cui de vocum tenebris cognomina flenti / addita», vv. 496 s.), richiamando cosı` la polemica contro i presocratici che occupa il finale del libro I: 41 che Lucrezio ispiri tutto il passo, lo dimostra il fatto che anche il verso di trapasso (492), «Scilicet et veteres naturam pandere Grai / carmine tentarunt celebri», e` una chiara eco di De rerum natura 5,54 atque omnem rerum naturam pandere dictis e 1,638-640 Heraclitus init quorum dux proelia primus, / clarus ob obscuram linguam magis inter inanis / quamde gravis inter Graios, qui vera requirunt, «E` loro capo Eraclito che entra primo in battaglia, illustre per l’oscura lingua piu` tra gli sciocchi che tra i savii Greci i quali ricercano il vero».42 Intorno alla meta` del ’500 l’interesse per gli elementi biografici sembra lasciare il posto all’atteggiamento riverente verso lo scienziato: Alessandro Paolini, scrivendo al figlio Fabio, che vuole descrivere in versi i segreti intimi della natura, lo chiama antonomasticamente «dotto Lucrezio» (carm. 32,5 s. «exemplum tibi scribendi quae arcana doceris / intima naturae, doctus Lucretius olim»). Giorgio Cichino ricorda – come esempi ancora attuali – accanto a Virgilio anche Lucrezio,43 il quale oso` raccontare ai mortali le cause della natura (carm. 2,1,14 s.): «Parnasique iugo residens Lucretius alto / dicere naturae est causas mortalibus ausus»; viene ancora una volta riecheggiato il verso ‘lucreziano’ di Virgilio, Georgiche 2,490 felix qui potuit rerum cognoscere causas,44 ed insieme l’elogio di Epicuro, il quale oso` alzare al cielo il suo sguardo D’ANNA – ETTORE PARATORE, Ricerche di biografia lucreziana (Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1964), pp. 135-159; CANFORA, Vita di Lucrezio (cit. n. 11), p. 69 ricorda che gia` gli umanisti, Borgia o il suo maestro Pontano «anziche´ ad un improbabile lavoro testuale esercitato da Cicerone sul testo del defunto poeta [...] pensarono ad una vera e propria lima che Cicerone avrebbe esercitato, in vita di Lucrezio, sull’opera sua». Per «arcanas mundi... rerum», cfr. in particolare Verg. georg. 2,490, cit. infra. 41 Cfr. PIZZANI , ‘‘Angelo Poliziano’’ (cit. n. 38), pp. 348 s. 42 Cfr. la annotazione marginale «Heraclitus Scotinus» (Skoteinov"): BAUSI , Angelo Poliziano, Silvae (cit. n. 38), p. 216, ricorda che «nei Miscell. I,51 si dice che Eraclito ‘‘ex obscuritate librorum Scotinos, hoc est tenebricosus, appellabatur’’». 43 Ma i suoi modelli sono soprattutto gli elegiaci e il Virgilio di Bucoliche e Georgiche, cfr. Georgii Cichini Carmina, introduzione e testo critico di Laura Casarsa (Trieste: Universita` degli Studi, Facolta` di Magistero, 1976). 44 Cfr. Lucr. 3,1072 naturam primum studeat cognoscere rerum, 5,1185 nec poterant quibus id fieret cognoscere causis, e la nota ad l. in Virgil Georgics, edited with a Commentary by Roger Aubrey Baskerville Mynors (Oxford: Clarendon Press, 1990), p. 169. VANNI
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contro la grave oppressione della religio (Lucr. 1,66 s. primum Graius homo mortalis tollere contra / est oculos ausus primusque obsistere contra). Ed anche il poeta spilimberghese Gian Domenico Cancianini, scrivendo ad Lucretium Atavum, che si dedica a ricerche geografiche, astronomiche e matematiche, ne fa un rivale di Archita, ed un seguace di Lucrezio: «Quid mare, quid terram, quid coelum atque aethera frustra / aemulus Architae usque remensus, / te similem, ut proestes Lucreti, adniteris illi / per numeros, mentemque fatigas?» (carm. 2,14,1-4): ma questa e` attivita` vana e persino nociva, e dunque lo invita piuttosto con Orazio a concentrarsi sul presente («laetum carpe diem proesenti credulus horae»).
3. LUCREZIO
LINGUISTA: IL RECUPERO DI HAPAX LUCREZIANI
Nei trattati cinquecenteschi di poetica, «Lucrezio e` auctoritas quando si debba affrontare la questione dei neologismi», ha osservato Valentina Prosperi,45 richiamando due passi di Robortello e Landino. Il primo, commentando la sezione dell’ars in cui Orazio tratta della legittimita` dei neologismi (vv. 48 ss.), l’accosta evidentemente all’orgogliosa rivendicazione lucreziana (1,136139) di avere fatto ricorso a nova verba per supplire alla poverta` della lingua patria: Altera causa, propter quam licet innovare verba, haec est, cum cogimur res obscuras, neque ab aliis ante dictas novis dictionibus explicare; hinc Ciceroni licuisse videmus, quamvis id pudenter faciat, et nisi petita prius venia, in philosophia veterum Graecorum mandanda literis Latinis, novas subinde proferre dictiones, quod ipsum etiam facit Lucretius; ne multa silere cogeretur. Propter egestatem linguae.46
Anche il Landino inserisce il richiamo a Lucrezio nel commento al medesimo passo oraziano: Et profecto antiqui nova verba aut fabricaverunt, aut a Graecis deduxerunt, quae deinceps a posteris trita sunt. Nam Cato de nuce pinea tempestivum dixit verbum hactenus incognitum. Et Lucretius delata tellus. Et reboant, ut illud Naec cithara reboant laqueata aurataque tecta.47
PROSPERI, Di soavi licor (cit. n. 18), pp. 121 s. FRANCESCO ROBORTELLO, ‘‘Paraphrasis in libellum Horatii, qui vulgo De arte poetica inscribitur’’, in Francisci Robortelli Vtinensis in librum Aristotelis De arte poetica explicationes (Florentiae: in Officina Laurentii Torrentini ducalis Typographi, 1548), p. 4. 47 Cfr. Christophori Landini Florentini in Q. Horatii Flacci libros omnes ad illustrissimum Guidonem Feltrinum magni Federici ducis filium interpretationes (Florentiae: per Antonium Miscomi45 46
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La citazione di Lucrezio non e` tuttavia diretta. Landino infatti rielabora qui materiali tratti dal libro sesto dei Saturnalia, in cui Macrobio vuole dimostrare che alcuni vocaboli, considerati per ignoranza innovazioni virgiliane, sono in realta` arcaismi (§§ 4,1-16): e` il caso di tempestivam... pinum di georg. 1,256, desunto da Catone.48 Lo stesso vale per una serie di grecismi (§§ 1723), tra i quali daedala Circe (Aen. 7,282), preceduto dal lucreziano daedala tellus (Lucr. 1,7 e 228); 49 reboant di georg. 3,223 (reboant silvaeque et longus Olympus) si giustifica infine quia est apud Lucretium: «nec cithara reboant laqueata aurataque tecta».50 Commentando poi il passo (ars 53-55) in cui Orazio rivendica a Virgilio e Vario la stessa liberta` concessa un tempo a Cecilio e a Plauto (quid autem / Caecilio Plautoque dabit Romanus ademptum / Vergilio Varioque?) Landino inserisce nel canone dei comici anche Lucrezio: Poetarum autem comicorum veterum iudicium dedit hoc pacto Sidigitus in libro de poetis, ut Cecilio primae partes darentur. Plauto secundae. Nevio tertiae. Livinio quartae. Attilio quintae. Terentio sextae. Turpilio septimae. Trabeae octavae. Lucretio nonae. Antiquitatis postremo causa Ennium decimum ponit.
Nell’epigramma di Volcacio Sedigito, la tradizione manoscritta e` concorde nell’attribuire il nono posto a Luscio Lanuvino (nono loco esse facile facio Luscium, fr. 1 Bl. = C. ap. Gell. 15,24),51 il malivolus vetus poeta ben noto dai prologhi terenziani: 52 difficile dire se il Lucrezio di Landino sia dovuto ad un intervento volontario, o a una erronea citazione mnemonica. In ogni caso avra` probabilmente avuto il suo peso la testimonianza di Fulgenzio, che parla di un ‘Lucrezio comico’ (serm. ant. 62: Delenificus dicitur blandilocus, unde et num, 1482): ho consultato l’edizione disponibile online, nel sito della BNF (Venetiis: per Joannem de Forlivio, 1483), s.n., ad ars 50. 48 Cfr. Macr. Sat. 6,4,16 «Et tempestivam silvis evertere pinum». Hoc verbum de pino tempestiva a Catone [agr. 31,2] sumpsit, qui ait, «pineam nuceam cum effodies, luna decrescente eximito post meridiem, sine vento austro; tum vero erit tempestiva cum semen suum maturum erit». 49 Il corrotto delata di Landino non e ` registrato, ne´ trova paralleli negli apparati delle edizioni di Macr. Sat. 6,4,20, di Franz Rudolf Eyssendhardt (Leipzig: Teubner, 1893), James Willis (Leipzig: Teubner, 19702). 50 Tecta e ` lezione di Macrobio (e di z, Vaticanus Latinus 1569, come segnala Flores in apparato a Lucr. 2,28), contro templa del resto della tradizione: cfr. ENRICO FLORES, Letteratura latina e societa` (quattro ricerche) (Napoli: Liguori, 1973), p. 33, n. 14. 51 Luscium e ` peraltro anche nell’edizione del 1493: Auli Gelli noctes Atticae lucidiores redditae, cum collatione veterum exemplarium, tum innumeris emendationibus ac conjecturis insigniorum aetatis nostrae criticorum (Venetiis: Martinum de Lazaronibus, 1493), s.n. 52 Cfr. Andr. 5 ss. nam in prologis scribundis operam abutitur, / non qui argumentum narret, sed qui malivoli / veteris poetae maledictis respondeat, Heaut. 22, Phorm. 1 e 13.
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Lucretius comicus in Nummolaria ait: ‘Nescio quorsum mihi eveniant tua verba tam delenifica’), una testimonianza riportata anche nelle biografie redatte da Crinito e Candido,53 senza particolari commenti, mentre Giraldi osserva che a suo parere si tratta di un alter Lucretius.54 D’altronde, come si e` visto, Landino – trattando di Dante innovatore della lingua – aveva fatto ricorso all’esempio di Lucrezio come predecessore di Virgilio,55 e ancora alla meta` del secolo successivo, Sperone Speroni richiamava il solito passo sulla «poverta` della propria lingua» per autorizzare il rinnovamento del volgare: Ne` perche´ il nostro comun romanzo non sia sı` ricco al presente, come puo` essere, e sara` certo a non lungo andare per la unione dell’altre lingue, si de’ lassar d’adoprarlo; anzi adoprandosi tuttavia, la sua virtu` non intera avanzera` sempremai, e piu` robusta diventara`. Scrivea Lucrezio Latin per patria latinamente come doveva quel suo poema, che fu poi tanto stimato; e lamentavasi a tempo e loco della fatica da lui sofferta nel fare i versi, che bisognava; dando la colpa di tutto cio`, parte per vero alla poverta` della propria lingua, e parte ancora alla novita` delle cose dette, non ben con essa significate. Non per cio` mai di tacer si penso`, abbandonando la impresa, ne´ di cangiare alla lingua Greca perfetta da lui saputa, la sua Latina imperfezzione.56
Se dunque a Lucrezio veniva riconosciuta l’abilita` nell’illuminare e nobilitare il pensiero di Epicuro con nuovi vocaboli,57 puo` essere significativo ve53 Cfr. SOLARO , Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 13), rispettivamente p. 39,44 ss.: «Inter alios veteres nominatur Lucretius poeta comicus, ut a Fulgentio relatum est in commentario de priscis verbis»; p. 51,49 ss. «Praeter alios autem veteres, ut est a Fulgentio in commentario de priscis verbis relatum, Lucretius recensetur poeta comicus». 54 Cfr. ID., p. 56,59 ss. «Tunc ego: fuit, inquam, et alter Lucretius comicus, cuius Planciades ad Chalcidium meminit». Per la problematicita` della testimonianza di Fulgenzio, cfr. Fabio Planciade Fulgenzio, Definizione di parole antiche, introduzione, testo, traduzione e note a cura di Ubaldo Pizzani (Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1968), pp. 209 s. 55 Cfr. supra, § 2, n. 20. 56 Dialogo della Istoria. Parte seconda, in Opere di M. Sperone Speroni degli Alvarotti tratte da’ mss. originali (Venezia: appresso Domenico Occhi, 1790), 5 voll., vol. 2, pp. 281 s.; cfr. anche PROSPERI , Di soavi licor (cit. n. 18), pp. 109 s. 57 Giovan Battista Pio (In Carum Lucretium poetam Commentarii a Joanne Baptista Pio editi, codice Lucretiano diligenter emendato, Bononiae: typis excussoriis editum in ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis Platonici, Bononiensis anno Domini MDXI [1511], kal. Maii) nel suo commento a Lucr. 1,136 ss., alterna una strenua difesa della lingua latina («Egestatem: penuriam linguae romanae; verecunde se attenuat poeta: non est egestuosa lingua romana. Immo ut censet Theodorus Gaza verba latina graecis respondent, sententiae sententiis», f. XVIIIr, e vd. soprattutto il commento a 1,831 s. nec nostra dicere lingua / concedit nobis patrii sermonis egestas, f. XLIIIr) ad un elogio dell’abilita` lucreziana: «Cum sit agendum multa: [...] difficilimum est nova cum nitore proferre. Est profecto arduum novis auctoritatem et obsoletis nitorem dare auctore Plinio [nat. praef. 15]», «Novitatem: omnia nova sunt obscuriora et difficiliora consui compingique carmine: quoniam in auctoritatem illis praestare debemus: sine qua versus nullus et si quis repudiandus omnino», f. XVIIIr.
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rificare l’influsso che i nova verba hanno avuto sulla poesia latina umanistica, ed esaminare in particolare quei termini che sono rimasti hapax nella letteratura latina almeno fino al Medio Evo. Non esiste peraltro un elenco criticamente attendibile delle neoformazioni lucreziane rimaste hapax assoluti, anche per la difficolta` di tenere conto – oltre che dei limiti cronologici – di elementi quali «le congetture, le varianti, le nuove accezioni, le attestazioni di lessicografi, scoliasti, grammatici, glossatori».58 Lo specifico studio di Wolff 59 ne annovera 176,60 ma alcuni di essi, per quanto rari, non sono in realta` hapax: e` il caso ad esempio di circumcaesura, contages, differitas, formatura, insensilis, nominito, pestilitas, repetentia, vocamen, attestati in Arnobio,61 di renuto, in Prudenzio; di vagor, remano, tudito impiegato gia` da Ennio,62 di amaror, ripreso da Virgilio,63 di opella, impiegato anche da Orazio (ep. 1,7,8). Non e` poi sempre attendibile l’elenco fornito nelle pagine che precedono il commentario di Cyril Bailey; 64 ed anche il piu` recente Swanson 65 risulta spesso lacunoso. Senza pretese di completezza, sono stati presi qui in esame 116 vocaboli, frutto di un incrocio della lista di Swanson con quelle di 58 DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), p. 52, che esamina in particolare le neoformazioni e gli hapax fonicamente significativi. 59 KARL WOLFF , De Lucretii vocabulis singularibus (Halae: Formis Ploetzianis, 1878). 60 Sono 49 sostantivi, 46 aggettivi, 25 avverbi, 56 verbi; Wolff esclude tonitralia di 1,1105, congettura di Lambino (-etalia OQG penetralia Q1L), e le congetture di Lachmann Alideusia di 4,1130 (Alidensia OQ), clarigitat di 5,947 (claricitati a te OQ clarigitat late Lachmann claricitat Bosius), decellere di 2,219, in luogo del tradito e particolarmente tormentato depellere (decedere Marullus [jrDrIr, come registrato dall’apparato di Flores, ad l.] se pellere Avancius). 61 Per circumcaesura, cfr. Lucr. 3,219 e Arnob. nat. 3,13; per contages, cfr. Lucr. 3,734; 4,311; 6,1242 e Arnob. nat. 7,40; per differitas, cfr. Lucr. 4,636 e Arnob. nat. 2,16; 5,36; 7,23; 7,27 (ThlL V/1 1069,6); per formatura, cfr. Lucr. 4,550; 4,556 e Arnob. nat. 2,23; per insensilis, cfr. Lucr. 2,866; 2,870; 2,888 e Arnob. nat. 6,15; per nobilito, cfr. Lucr. 3,352; 4,51; 6,374; 6,424; 6,702 e Arnob. nat. 7,46; per pestilitas, cfr. Lucr. 6,1098 e Arnob. nat. 7,43; per repetentia, cfr. Lucr. 3,851 e Arnob. nat. 2,26; 2,28; per vocamen, cfr. Lucr. 2,657; [Claud.] carm. min. 5,19 p. 417 Hall; Arnob. nat. 1,3; 2,35; 3,34 e 39, etc. 62 Cfr. Enn. ann. 422 V.2 = 409 Sk.; problematico il caso di aegror, di Lucr. 6,1132, restituito congetturalmente in Pacuv. trag. 275 R.3 maerore errore (aegrore Lachmann e R.2) macore senet, e in Acc. trag. 349 R.3 persuasit maeror anxitudo error (aegror Lachmann e R.2) dolor; per remano di Lucr. 5,269 e 6,635, cfr. ann. 69 V.2 = 5 Sk., e vd. The Annals of Q. Ennius, edited with introduction and commentary by Otto Skutsch (Oxford: Clarendon Press, 1985), pp. 158 s.; per tudito di Lucr. 2,1142 e 3,394, cfr. ann. 135 V.2 = 136 Sk. 63 Cfr. Lucr. 4,224; 6,929; Verg. georg. 2,247. 64 BAILEY , Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 1, pp. 132-139: 137 s.: non sono hapax, per fare qualche esempio, frugiferens (cfr. Iuvenc. 2,549 e ThlL VI/1 1405,3-6), genitaliter (cfr. ThlL VI/2 1816,36 ss.), moderatim (cfr. ThlL VIII 1220,54 ss.), vitaliter (piu` volte in Agostino, Cassiodoro ed Isidoro). 65 DONALD C. SWANSON, A Formal Analysis of Lucretius’ Vocabulary (Minneapolis: The Perine Book, 1962), pp. 182-184 (‘‘Appendix 3. Hapax Legomena’’).
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Bailey 66 e di Wolff; ho incluso non solo i vocaboli presenti soltanto in Lucrezio, ma anche quegli hapax che sono citati da grammatici e lessicografi: 33 sostantivi, in particolare neutri in -men e astratti maschili in -tus: adauctus; adaugmen; adhaesus (Non. p. 102,4 ss. L. adhaesum ab adhaerendo dixit Lucretius..., Gloss. V 637,30); aedituens (participio sostantivato, citato da Gell. 12,10,8 come lucreziano); auxiliatus (Non. p. 104,16 ss. L. auxiliatum, ut subpediatum, Gloss. V 638,14); 67 clinamen; commutatus; coortus; disiectus; dispositura; documen (Ter. Maur. 1932 impiega la forma docimen); eiectus; emissus; exesor; frustramen; haustrum (Non. p. 19,3 L. austra proprie dicuntur rotarum cadi, ab auriendo, Gloss. V 649,4, ThlL VI/3 2574,48 ss.); insilia (Not. Tir. 77,54 ensilia); intactus; lateramen; lavabrum; luela; mactatus; metutum; opinatus; postscaenium; refutatus; retinentia (2x); stringor; subortus; summatus; transpectus; variantia (Non. p. 270,8 L. variantia pro varietas); vexamen; 68 33 aggettivi, per lo piu` composti con secondo elemento verbale o nominale (cfr. -comus, -fragus), o con preverbio dis-, in-, o derivati da sostantivi e verbi (come mactabilis, summanis): alsius; auctificus; barbiger; bucerius; caecigenus (anche in Gloss. II 461,11 caecigena: tuflogenhv" e 570,40); deplexus; diffusilis; innubilus; innumeralis (Non. p. 190,5 s. L. innumerali pro innumerabili); inolens; 69 intactilis; labeosus; lauricomus; levisomnus; loquaculus; 70 mactabilis; multangulus; 71 multesimus (Non. p. 198,10 L. multesima pars nove posita, quantitas infinita); perdelirus; permitialis; semimarinus; sensifer (6x); silvifragus; simulus; suavidicus; summanis; tactilis; terriloquus; tonitralis; tripectorus; vitigenus (2x); vivatus; volgivagus (2x); 30 verbi, per lo piu` composti e spesso incoativi: 72 aboriscor; adopinor; adsugo; 73 cine66 Merrill, nell’introduzione alla sua edizione – T. Lucreti Cari De rerum natura libri sex, edited by William August Merrill (New York-Cincinnati-Chicago: American Book Company, 1907), p. 45, n. 7 – si limita ad un conteggio sulla base di Bailey: 27 sostantivi, 35 aggettivi, 18 avverbi, 39 verbi, per un totale di 119 hapax. 67 «Arnob. nat. 1,44 pro auxiliaribus vix recte Zink coni. auxiliatibus», osserva Mu ¨ nscher nella voce del ThlL II 1616,59 ss. 68 Indicato come hapax da SWANSON, A Formal Analysis (cit. n. 65), p. 183: ai nostri fini non e ` influente il fatto che compaia nel X sec., nella Vita Lamberti Leodiensis 15,196 PLMA vol. 4, p. 148. 69 Lucr. 2,850 e ` il solo esempio citato dal ThlL VII/1 1737,83 s.: ma cfr. (XII sec.) Historia Compostellana 2,92 propter guerras et prauas inolentes consuetudines destruebantur ove l’aggettivo significa ‘fetido’ e non ‘privo di odore’ come in Lucrezio. 70 Lucr. 4,1165 at flagrans, odiosa, loquacula Lampadium fit e ` la sola occorrenza segnalata dal ThlL VII/2, 1653,53 s.: si trova – forse come autonoma neoformazione – nel contesto paronomastico del Carmen de symonia et avaricia, 30,1 s., di Walter of Winborne (XII sec.) Non timet aliquem bursa causidicum / quamvis loquaculum, quamvis rethoricum. 71 Lucr. 4,654: Marziano Capella (2,138) e Boezio (arithm. 2,23 p. 109,12; 2,24 p. 110,21; 2,25 p. 111,6 e 12 Friedlein) impiegano la variante ortografica multiangulus, cfr. ThlL VIII 1581,55 ss. 72 Rispetto all’elenco di Swanson ho eliminato munifico di Lucr. 2,625 (impiegato anche nella Vetus, se pure con diverso valore, cfr. ThlL VIII 1652,39 ss.), remano di Lucr. 5,269 e 6,635, gia` in Enn. ann. 69 V.2, quindi in Vulg. Eccles. 50,3, Chalc. p. 14,15 Waszink (cfr. supra, n. 62) e torresco (Isid. orig. 13, 21, 2; diff. 244 PL 83, c. 35,24; nat. 44,5). 73 Cfr. ThlL II 936,67 ss. s.v. adsuo per «Cael. Aur. acut. 3,9,100 sartrix... quaedam, cum chla-
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facio (Non. p. 133,26 ss.); clarigito; 74 concrucio; condenseo; confervefacio; confulcio; deplecto; 75 diluvio; discrepito (ma cfr. Not. Tir. 89,35a); disserpo; egigno; generasco; interfugio (in tmesi in Lucr. 6,332); obretio (Gloss. V 508,7 s. obretus: implicatus, captus, impeditus); perfluctuo; perplico; praespargo; provomo; reconflo; redhalo; sentisco (cfr. Prisc. gramm. II 428,3 H.); 76 seresco (cfr. Non. p. 257,4 s. L. serescit positum pro siccatur, quod serenitas sicca sit); tardesco; tenerasco (cfr. Diom. gramm. I 343,8 K., Non. p. 265,3 L. tenerascere, tenerum esse); transvio; 77 transvolito; 78 vacefio; 13 avverbi, per lo piu` di tipo arcaico in -tim, oppure in -ter, derivati da aggettivi e forme verbali. Oltre agli hapax assoluti admoderate; adumbratim; conseque; contractabiliter; filatim; insedabiliter; perhilum; permananter; praemetuenter; praeproperanter; torte,79 ho considerato anche propritim (citato da Non. p. 822,16 L. propritim pro proprie) restituito congetturalmente in Ennio solo da Lucian Mu¨ller 80 e inferne (attestato anche in Schol. Stat. Theb. 4,518); 8 grecismi, di cui 5 concentrati nella sezione sull’amore del quarto libro: 81 acosmos
mydem scissam rabidis morsibus sarciendam sumeret atque ore stamina componeret et lingua pannorum suturas lamberet assuendo (vix assugendo), quo transitum acus faceret faciliorem, tertia die in rabiem venisse memoratur». 74 Lucr. 5,947: escluso da Wolff perche ´ congettura di Lachmann, cfr. supra, n. 60. 75 Cfr. Lucr. 5,1320 ss. (leae) nec opinantis a tergo deripiebant / deplexaeque dabant in terram vulnere victos, / morsibus adfixae: Wolff (cosı` come l’Oxford Latin Dictionary) fa derivare la forma dal medio deplector, forse anche sulla base di Gloss. II 43,46 deplectitur: perivkamptetai, desmei~tai, il ThlL da deplecto. 76 Compare tra gli altri in Odo Clun. occup. 5,169 e 178, Hrosv. Gong. 524, Pelag. 138, Sedul. Scot. Collect. Misc. 9,6, in Donat. art. 2, p. 210,16, Guibert de Nougent, Dei gesta 7,23,1203. 77 Cfr. Lucr. 6,348 s. incolumisque venit per res atque integra transit / multa, foraminibus liquidus quia transviat ignis, dove transviat e` determinato dalla «corrispondenza fonosintattica e fonosemantica con l’allitterante e sinonimico transit», secondo DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), p. 53: l’hapax e` ormai comunemente accolto (cfr. almeno Bailey, Ernout, Martin), ma e` stato assai tormentato: accanto alla congettura transvolat di Navagero (l’Aldina del 1515), ancora accolta da Konrad Mu¨ller (Zu¨rich: Hans Rohr, 1975), cfr. transfluit di Merrill e trameat del Gifanius, T. Lucretii Cari De Rerum Natura libri sex Mendis innumerabilibus liberati, & in pristinum paene, veterum potissime librorum ope ac fide, ab Oberto Gifanio Burano Iuris studioso, restituti (Antverpiae: ex officiana Christophori Plantini, 1566), p. 205, non transmeat come riporta Martin. 78 Lucr. 4,559 e 602, ma anche in 6,349 nell’Aldina di Navagero (cfr. supra, n. 77): si puo ` considerare hapax per la latinita` classica e cristiana; compare tuttavia in poesia dopo il X sec.: cfr. ecbasis captivi 446 stagnum Genesaret cum fulica transvolitaret, vita Gisleri 191 Flumen transvolitant, fugientem prendere certant, Sigebertus, Passio sanctorum 1,655 vocatae / paeninae a paenis quas hi quodammodo pennis / transvolitaverunt virtutis. 79 Che ritorna nel IX sec. in Anon. expossitio latinitatis (CC SL 133D) 9,175 figuratae (hoc est verbum significando, aut etiam torte ponuntur). 80 Cfr. Enn. ann. 95 s. V.2 = 90 s. Sk. conspicit inde sibi data Romulus esse propritim / auspicio regni stabilita scamna solumque, con le note di SKUTSCH, The Annals of Q. Ennius (cit. n. 62), p. 237. 81 «The most remarkable passage in the poem in its use of Greek words is iv. 1160-9, where Lucretius describes the endearing terms used by lovers to describe their beloved and gloss over their faults. In the space of ten lines he has melichrus, acosmos, Palladium, dorcas, chariton mia, cataplexis, Lampadium, ischnon, eromenion, rhadine, Iaccho, Silena, satura, philema, and even the verb traulizi (traulivzei). Here it is almost impossible to resist the conclusion that he is translating a Greek ori-
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(4,1157); cataplexis (4,1163); eromenion (4,1166); homoeomeria (1,830, citato da Serv. Verg. Aen. 4,625); 82 ischnon (5,1166); 83 mia (4,1162); philema (4,1169); scymnus (5,1036 cit. da Non. 732,14 s. L.).84
Le riprese nella poesia umanistica non sono molte: poco piu` di una decina, ma accanto a nomi attesi (Marullo, Pontano), ci sono anche meno noti frequentatori di Lucrezio, come Marco Antonio Flaminio o il Bargeo, o ancora Gian Domenico Cancianini.85 «C’est dans la cre´ation de termes abstraits que Lucre`ce a le plus innove´», osserva il commento di Ernout-Robin: 86 talora la creazione e` favorita dalla combinazione di suono e senso, come nel caso di retinentia (3,675). Per dimostrare che l’anima non e` immortale, e preesistente al corpo, Lucrezio argomenta che se non si conserva ricordo della vita precedente, e` perche´ l’anima si e` formata ora, assieme al corpo (vv. 672 ss.): cur super anteactam aetatem meminisse nequimus / nec vestigia gestarum rerum ulla tenemus? / nam si tanto operest animi mutata potestas, / omnis ut actarum exciderit retinentia rerum, / non, ut opinor, id ab leto iam longius errat; / qua propter fateare necessest quae fuit ante / interiisse, et quae nunc est nunc esse creatam.87 La creazione di reginal», osserva BAILEY, Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 1, p. 139, ipotesi seducente, rifiutata come «too extreme» da ROBERT DUNCAN BROWN, Lucretius on Love and Sex. A Commentary on De Rerum Natura IV, 1030-1287, with Prolegomena, Text and Translation (Leiden-New York-KøbenhavnKo¨ln: Brill, 1987), p. 281. Scettico DAVID SEDLEY, ‘‘Lucretius’ Use and Avoidance of Greek’’, in Aspects of the Language of Latin Poetry, edited by James Noel Adams, Roland George Mayer (Oxford: Oxford UP, 1999), 227-246: 238. 82 Per questo grecismo, oltre a DAVID SEDLEY , Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom (Cambridge: Cambridge UP, 1998), pp. 48 s., cfr. PIAZZI, Lucrezio e i Presocratici (cit. n. 26), pp. 54 s., ed il suo saggio in questo volume, in part. la n. 6. 83 In lettere greche si trova spesso nella trattatistica retorica come corrispondente del genus tenue, cfr. ad es. Quint. inst. 12,10,58 namque unum subtile, quod ijscnovn vocant, alterum grande atque robustum, quod aJdrovn dicunt, constituunt, tertium alii medium ex duobus, alii floridum (namque id ajnqhrovn appellant) addiderunt; Gell. 6,14,1; Fronto 3,17,2 p. 49,14 s. v.d.H.2, con il commento di MICHAEL P.J. VAN DEN HOUT (Leiden-Boston-Ko ¨ ln: Brill, 1999), pp. 133 s.; Serv. Verg. Aen. 1,701; Iul. Vict. p. 92,12, Fortun. rhet. 3,9, con la nota di LUCIA CALBOLI MONTEFUSCO (Bologna: Patron, 1979), pp. 448 ss. 84 Ho invece tralasciato da questo studio i nomi propri hapax – peraltro tutti grecismi – indicati da SWANSON, A Formal Analysis (cit. n. 65), p. 184: Heliconiades (che tuttavia non e` hapax, cfr. oltre a Lucr. 3,1037, Pers. prol. 4); Iphianassa (oltre a Lucr. 1,85, cit. da Prisc. gramm. II 285,10 s., si incontra anche nei commentatori virgiliani, cfr. Serv. Verg. ecl. 6,48, Philarg. Verg. ecl. 6,48); Memmiades (1,26, e cfr. anche Serg. gramm. IV 527,7 e 11); Scaptensula (6,810, cit. da Fest. p. 442,21 ss. L., Paul. Fest. p. 443,12 ss.); Silena (4,1169). 85 Ma per il Cancianini, cfr. anche supra, § 2. 86 ALFRED ERNOUT – LE´ ON ROBIN , Lucre `ce De Rerum Natura. Commentaire exe´getique et critique pre´ce´de´ d’une introduction sur l’art de Lucre`ce et d’une traduction des Lettres et Pense´es d’E´picure (Paris: Les Belles Lettres, 19622 = 1925-19281), 3 voll., vol. 1, p. 138. 87 «Perche ´ non possiamo ricordare anche la vita prima trascorsa, ne´ conserviamo alcuna traccia
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tinentia, nel senso di «memoria», e` stata favorita dall’allitterazione (retinentia rerum) e dal gioco etimologico con tenemus di due versi prima 88 anche per analogia con il nesso oblivia rerum che segue di lı` a poco (3,828 adde furorem animi proprium atque oblivia rerum; 6,1213), sempre nella medesima sede metrica.89 Marullo si appropria del vocabolo nell’inno a Saturno (2,4), «il primo dei pianeti secondo la cosiddetta serie platonica»,90 rivolgendosi al dio con un’aretalogia in forma di interrogative anaforiche (vv. 31 ss.): Quis aeque est alius potens, idem cuncta dare atque idem alere omnia, idem, cum libet, omnia Parcarum memori lege resolvere? Quis foecundior ingeni largitor, solidae quis retinentiae, Quis et pauperiem pati et niti melior cum duce, par duci? 91
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Il dio – che assume le qualifiche di «optimus maximus» e di «omnipotens genitor» tradizionali di Giove (vv. 53 s.) 92 – e` dotato di straordinaria memoria, «solidae retinentiae»; retinentia, impiegato con il medesimo valore lucreziano, appare comunque un recupero ‘extracontestuale’. Marullo non richiama tanto il testo di partenza,93 ma lo impiega in questo caso come delle azioni allora compiute? Ma se la facolta` dello spirito e` mutata cosı` profondamente, da esserne caduta ogni memoria delle cose passate, tale stato, mi sembra, non s’allontana ormai troppo dalla morte; quindi ti e` necessario riconoscere che l’anima che c’era prima si e` spenta, e quella che ora esiste, ora e` stata creata». 88 Cfr. DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), p. 58, per questo e per esempi analoghi; ERNOUT – ROBIN, Lucre`ce (cit. n. 86), vol. 2, p. 104. 89 Rerum in clausola di verso e ` un metrema favorito di Lucrezio (70 x), spesso preceduto da un sostantivo: in particolare 23x primordia, 11x semina, 2 copia, 4x exordia, e cfr. infra per variantia rerum. 90 Cfr. Michele Marullo Tarcaniota. Inni naturali, con testo a fronte. Introduzione, traduzione italiana e commento di Donatella Coppini (Firenze: Le lettere, 1995), p. 210: da qui traggo anche le traduzioni degli Inni. 91 «Chi altri e ` ugualmente potente insieme a dare tutto ed a nutrire tutto, insieme, se gli piace, a sciogliere tutto con la memore legge delle Parche? Chi piu` fecondo d’ingegno elargitore, chi di solida memoria, chi piu` capace di sopportare la poverta`, di resistere con un capo, uguale al capo?». 92 Cfr. GEORG APPEL , De Romanorum precationibus (Giessen: To ¨ pelmann, 1909), pp. 105 e 101; JESSE BENEDICT CARTER, Epitheta deorum quae apud poetas Latinos leguntur (Lipsiae: Teubner, 1902), p. 53, ma soprattutto l’Inno 1 di Marullo, per cui vd. infra. 93 Anche se nell’inno non mancano riprese di luoghi lucreziani, come ai vv. 13 ss. «Nil insigne nisi iuvat / Indictumque: iuvat dicere saecula / Fortunata dei...», in cui oltre al richiamo ad Hor. carm. 3,25,7 s. dicam insigne, recens, adhuc / indictum ore alio, iuvat e` la spia del riferimento al lu-
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una riserva lessicale: il vocabolo tornava infatti comodo per la fine dell’asclepiadeo. Talora, come nel caso di variantia – doppione metrico di varietas – 94 accanto all’impiego di un utile metrismo, sembra possibile individuare un’allusione al testo di partenza. Nel De rerum natura il vocabolo ricorre due volte, sempre nella clausola variantia rerum: la prima nell’ambito della confutazione della teoria di ascendenza eraclitea della condensazione e rarefazione del fuoco, elemento primigenio,95 per cui «non vi e` nulla che tu possa aspettarti da simili cause, non che tanta varieta` di cose possa derivare da fuochi condensati e rari» (1,652-654 Amplius hoc fieri nil est quod posse rearis / talibus in causis, nedum va rian tia re rum / tanta queat densis rarisque ex ignibus esse). La seconda quando, esaminando la diversita` di nature e caratteri degli uomini, Lucrezio – con una forma di recusatio – 96 afferma di non potere trattare in dettaglio le cause nascoste, «ne´ escogitare tanti nomi quante sono le forme dei principi, donde ha origine questa varieta` delle cose» (3,316-318 quorum ego nunc nequeo caecas exponere causas / nec reperire figurarum tot nomina quot sunt / principiis, unde haec oritur var iant ia reru m). Pontano fa suo il termine all’inizio del quinto libro dell’Urania, quando racconta del dio e fiume Melete che, innamorato delle Pieridi, soffre, ama ed insieme si strugge (vv. 46 s. «Concipit hic deus ardentis sub pectore flammas, / moeret, amat, soloque amens tabescit in antro»),97 e non puo` distinguere l’una dall’altra, Clio da Erato, Talia da Melpomene, perche´ le Muse sono uguali per aspetto, ed anche per la varieta` del loro canto: Virginibus facies eadem, atque eadem omnibus aetas, idem habitus, par et vox et variantia cantus, par amor in cunctas. Unam sequiturque, cupitque; una tamen quae sit, dubium, et sententia differt. Quae Clio fuit est Erato, quaeque ante Thalia
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creziano iuvat integros accedere fontis (1,927 = 4,2), cfr. COPPINI, Michele Marullo Tarcaniota (cit. n. 90), p. 212, ripreso anche in Instit. princ. 23 s. «iuvat irriguos accedere fontes / rursus et intacta crinem contexere lauro». 94 «Variantia est du reste forme ´ correctement sur varians, d’apre`s l’analogie constans | constantia, patiens | patientia, etc.», osservano ERNOUT – ROBIN, Lucre`ce (cit. n. 86), vol. 1, p. 138. 95 Sull’intero brano, cfr. PIAZZI , Lucrezio e i Presocratici (cit. n. 26), pp. 85 ss. 96 Cfr. Lucretius. De Rerum Natura. Book III, edited by Edward John Kenney (Cambridge: Cambridge UP, 1971), p. 117 (ad vv. 314-18). 97 Tabesco, detto dell’amore, sembra un’allusione al finale del quarto libro lucreziano: cfr. 4,1120 usque adeo incerti tabescunt vulnere caeco, mentre la fiamma che arde sub pectore richiama l’amore nascosto di Didone, Verg. Aen. 4,66 s. est mollis flamma medullas / interea et tacitum vivit sub pectore vulnus.
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Melpomene est; errant flammae, furit ardor in una, illa quidem incerta est; urit vagus ignis amantem.
Variantia cantus riprende dunque, per significato e posizione nel verso il modello lucreziano, ma lo trasferisce a ben altro tema. La ripresa dell’hapax pare inserita invece in un piu` ampio riferimento contestuale, nella discussione sugli effetti dei luoghi e del clima sulle varieta` di bestiame, messa in scena da Battista Mantovano nella decima ecloga della sua Adulescentia, dove Batrachus domanda polemicamente a Myrmix: «Cur Mutinensis agri pecudes sunt vellere fusco? / Cur Clitumnus habet niveas? Cur Mantua molli / lanitio excellit Veronaque proxima Manto? / Unde haec multiplici rerum variantia forma? / Non aliunde nisi a caelis, a gramine et unda» (vv. 88-92).98 La citazione lucreziana, non limitata al solo nesso «rerum variantia» (invertito rispetto all’originale), ma estesa anche alla domanda unde haec oritur, si inserisce cosı` in una disputa scientifico-naturalistica, se pur in un contesto di tipo pastorale. Il vocabolo compare ancora in Marullo, che lo impiega nella descrizione della creazione del mondo, dal Caos iniziale, ad opera di Giove Ottimo Massimo, sincretica divinita` demiurgica (cristiana e pagana insieme, in una sorta di «pax metafisica ipercristiana»),99 che separa le acque dalle terre: «appaiono improvvise, mirabili a dirsi, le terre, e dalle sue ricchezze e` presa la giustissima Terra e l’animo suo dalla bellezza e` mosso e varieta` delle cose» (Hymn. 1,1,73ss. «Apparent subitae, dictu mirabile, terrae, / divitiisque suis capitur iustissima Tellus / atque animum facies movet et variantia rerum»). Il recupero dell’intera clausola variantia rerum, nella medesima sede metrica, assieme ad altri nessi e concetti lucreziani,100 sembra rientrare nell’ambito di quella 98 Altre allusioni lucreziane in Battista Mantovano sono segnalate da WINFRED PIRT MUSTARD, ‘‘Humanistic imitations of Lucretius’’, Classical Weekly, 1918, 12: 7 e 48. 99 L’espressione e ` della COPPINI, Michele Marullo Tarcaniota (cit. n. 90), p. 161. 100 Cfr. COPPINI , Michele Marullo Tarcaniota (cit. n. 90), pp. 170 s., GODDARD , Epicureanism in the Poetry of Lucretius (cit. n. 18), pp. 121 s.; GOFFIS, Il sincretismo lucreziano-platonico (cit. n. 30), in part. pp. 409-412. Per i vv. 29 ss. «Nam simulac tenebris et inerti carcere clausi / mortiferum Stygiae somnum potavimus undae / excidit offecto solidum de pectore verum, / pro rebusque leves nequicquam amplectitur umbras, / antiquae patriae ac verae rationis inanes. / Hinc rapit ambitio, rapit hinc furiosa libido, / inde metus bella aspra movent et gaudia et irae / raraque in humanis non mendax gloria rebus», il commento della COPPINI, Michele Marullo Tarcaniota (cit. n. 90), p. 165, richiama «il prologo al III libro (vv. 41 ss.) del De rerum natura, ma anche quello al II, e la ‘‘dira libido’’ di IV 1046», mentre LOREDANA CHINES, ‘‘La ‘fabula’ di Michele Marullo fra fonti classiche e umanesimo filosofico: gli Hymni naturales’’, Schede umanistiche, 1988, 1: 75-119, pp. 84 s., indica notevoli consonanze con Pontano, Urania 737 ss.: «Purpura quin etiam ad summos ubi venit honores / ambitioque caput coelo intulit, hinc Hadrianos / et Nervas, hinc Caesareae tot numina gentis / et coluere quidem et templis posuere dicatis. / Heu, rerum ignarae mentes ignaraque veri / pectora, quid simulacra iuvant? Quid luce carentum / corpora?» Non escluderei tuttavia il ricordo dell’Ade
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dialettica continua che il tarcaniota ha coi suoi modelli, emulati per essere corretti: dal casuale verificarsi della varieta`, in tutte le cose ed in particolare nelle anime, si passa cosı` ad una varieta` originata da una creazione provvidenziale. Piu` significativo il caso di clinamen, un termine cosı` noto alla dossografia moderna – ha osservato Don Fowler – da farci dimenticare che e` hapax, «an impressive Lucretian neologism to close the paragraph»,101 collocato (De rerum natura 2,292) dopo una martellante insistenza sull’esistenza di una deviazione,102 causa ulteriore del movimento degli atomi (oltre al loro scontrarsi e al peso), che consente il dispiegarsi del libero arbitrio: pondus enim prohibet ne plagis omnia fiant externa quasi vi; sed ne res ipsa necessum intestinum habeat cunctis in rebus agendis et devicta quasi cogatur ferre patique, id facit exiguum clinamen principiorum nec regione loci certa nec tempore certo.103
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E` ancora Marullo che fa suo l’hapax,104 nelle incompiute Institutiones principales, poemetto didascalico sulla crescita e l’educazione di un principe,105 lucreziano, dove Tizio rappresenta la cupido amoris (3,984 ss.), Sisifo l’ambitio (3,995 ss.), mentre Tantalo (3,980 ss.), Cerbero, le Furie e il Tartaro il metus (3,1011 ss.), soprattutto se si tiene presente che l’episodio e` modello dell’epigr. 4,6 di Marullo: cfr. DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), pp. 121-155. 101 Cfr. DON FOWLER, Lucretius on Atomic Motion. A Commentary on De Rerum Natura Book Two, lines 1-332 (Oxford: Oxford UP, 2002), p. 366, che prosegue osservando che «Cicero had coined (?) the participle clinatus in his Aratea (53, 86, 259; with the latter cfr. Aratus 486 ejpikevklitai, though that is not what Cicero is translating)». Per la corrispondenza tra «linguistic moulding and moulding of the reality», in questo hapax, cfr. il saggio di Ivano Dionigi, in questo volume, § 3 e ID., Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), pp. 29-31. 102 Cfr. 2,222 quod nisi declinare solerent, omnia deorsum, 243 s. quare etiam atque etiam paulum inclinare necessest / corpora; 249 s. sed nil omnino regione viai / declinare quis est qui possit cernere sese?, 253 s. nec declinando faciunt primordia motus / principium quoddam, quod fati foedera rumpat, 259 s. declinamus item motus nec tempore certo / nec regione loci certa, sed ubi ipsa tulit mens? con il commento di FOWLER, Lucretius on Atomic Motion (cit. n. 101), in part. pp. 322339 per la struttura dell’argomentazione lucreziana, e le sue fonti. 103 «Il peso infatti impedisce che tutto si produca per gli urti, quasi per forza esterna. Ma che la stessa mente non segua in ogni sua azione una necessita` interna ne´, come sopraffatta, sia costretta a subire e a patire, questo ottiene la lieve declinazione degli atomi, in un punto indeterminato dello spazio e in un momento incerto». 104 Per la reinterpretazione moderna del clinamen, da parte di Marchetti e William Henry Bragg, all’inizio del ’900, cfr. il saggio di M. Beretta in questo volume. 105 «Equidem puto Marullum opus de Principe belli Neapolitani temporibus nullo alio profecto consilio aggressum esse nisi ut regi Carolio VIII librum ad filium etiam tunc adulescentulum instituendum maxime idoneum pararet; itemque suspicor eiusdem pueri mortem repentinam, quam die VI. Decembris accidisse satis constat, causam fuisse Marullo qua ab incepto opere desisteret at-
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che ha in Lucrezio un chiaro punto di riferimento, linguistico e polemico: il carme si apre con un’esortazione alla Musa perche´ prenda l’avvio a partire da Giove (vv. 1-3 «Ab Iove principium rursus cape carminis orsi, / Musa: decet vatem nil non Iove rite vocato / moliri et sanctum praefari in singula nomen»); 106 prende quindi in esame la prima infanzia, la fanciullezza del principe, che e` educato lontano da ogni eccesso («est fugienda omnis lascivia prorsus», v. 315), nell’approfondimento della morale, della fede, della scienza naturale, come pure dei doveri privati e civili («Sed neu relligio divum contempta iaceret, / neu virtus laudata parum, neu semina prima / ignorata vicesque astrorum et legifer axis / et quid quisque sibi aut patriae, quid debet amicis?», vv. 339-342).107 Prima di introdurlo ad un genere particolare di vita, e` necessario considerare le capacita` del fanciullo, prenderne in esame la natura profonda e le diverse disposizioni dell’animo («At vitae instituat quam quis genus, ante necesse est / ingeniumque capax pueri penitusque videre / naturam et quales animorum in singula vires», vv. 363-365): 108 l’uno potrebbe infatti essere piu` tagliato per la guerra, un altro per la vita tranquilla, un altro ancora per la dissimulazione. Infatti tali disposizioni sono attribuite ai nascituri dagli astri fatali e dall’ascendente del cielo influente, fin dal momento del concepimento, e permangono quindi quando siamo costretti a scendere dall’alto Olimpo, per sopportare i dolori della vita umana («Has leges fatale animis venientibus astrum / imposuit coelique ascendens hora potentis, / tempore quo primum gravidae pigra pondera matris / formamus miseri atque alto descendere Olympo / cogimur, humanae passuri incommoda vitae», vv. 376380). Dunque si dovranno considerare sino in fondo la natura e le capacita` innate del fanciullo, e le sue originarie disposizioni, i suoi clinamina prima, anque opusculum imperfectum relinqueret», osserva Perosa in Michaelis Marulli Carmina, edidit Alessandro Perosa (Turici: in aedibus Thesauri Mundi, 1951), pp. XXII s. 106 Variazione su jEk Dio;" ajrcwvmesqa di Arato 1,1 (tradotto da Cic. fr. 29 T.2 (= Arat. fr. 1) A Iove Musarum primordia e da Germanico, 1 s., con Ab Iove principium magno deduxit Aratus, / carminis), ripreso da Theocr. 17,1 jEk Dio;" ajrcwvmesqa kai; ej" Diva lhvgete Moi~sai e quindi da Verg. ecl. 3,60 Ab Iove principium musae: Iovis omnia plena; / ille colit terras; illi mea carmina curae (cfr. A Commentary on Virgil Eclogues, by Wendell Clausen, Oxford: Clarendon Press, 1994, p. 106), citato anche in hymn. 1,1 «Ab Iove principium. Iovis est quodcumque movemus», cfr. COPPINI, Michele Marullo Tarcaniota (cit. n. 90), pp. 161 s. 107 L’invito a non trascurare la «relligio» (e il «sacrum, coelestia dona, / carmen») ricorda il proemio del libro I, dove Lucrezio invita Memmio a non disprezzare i suoi doni (52 s. ne mea dona tibi studio disposta fideli, / intellecta prius quam sint, contempta relinquas): e` singolare che Marullo si preoccupi che essa non giaccia («neu iaceret»), messa da parte, mentre per Lucrezio e` la vita che giace, ad essa sottomessa (1,62 s. Humana ante oculos foede cum vita iaceret / in terris oppressa gravi sub religione). Anche i semina, poi, occupano un posto di rilievo nella fortuna di Lucrezio, cfr. il saggio di Beretta in questo vol., e la bibliografia cit. ivi, n. 24. 108 Necesse est (o necessest) e ` tipico stilema lucreziano: 91 occorrenze, di cui 83 in clausola.
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PIERIO RECUBANS LUCRETIUS ANTRO: SULLA FORTUNA UMANISTICA DI LUCREZIO
che se poi forse ne preferira` altre: bisognera` poi insistere su queste doti native, e non osare nulla contro il parere di Minerva: 109 Ergo, ubi naturam penitus perspexeris omnem ingenitasque artes pueri et clinamina prima, quamvis multa magis fortasse aliena placebunt, nativis tamen insistendum dotibus atque audendum nihil omnino pugnante Minerva.
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I «clinamina prima» sono dunque – come mostrano le espressioni sinonimiche «ingenitae artes» e «nativae dotes» – le disposizioni originarie dell’animo, su cui hanno influenza i segni zodiacali: d’altra parte declinare, inclinare ed inclinatio si riferiscono spesso alla «directio animi»,110 e il precedente lucreziano e` pur sempre riferito alla mens, costretta a ferre patique, proprio in ragione del clinamen. Consistente il gruppo degli astratti in -tus, come ad esempio adauctus, auxiliatus, commutatus, coortus, disiectus, e cosı` via, per i quali e` evidente «a more definite scansional reason for Lucretius’ preference, as the majority of these words are abstracts substantives, taking the place of normal formation in -tio, which is always impossible in a hexameter».111 Tra questi viene recuperato il solo summatus, che Lucrezio aveva impiegato nella descrizione delle lotte per il potere e la ricchezza che seguono al crollo delle monarchie: 112 res itaque ad summam faecem turbasque redibat, / imperium sibi cum ac summatum quisque 109 Per questa espressione proverbiale, cfr. Cic. off. 1,110 nihil decet invita Minerva ut aiunt id est adversante et repugnante natura, che lo scolio pseudoacroniano ad Hor. ars 385 p. 369,6 s. K. spiega: Invita autem Minerva facimus, quod est stultitiae, et est proverbium artificum, Erasm. Ad. 42 Invita Minerva; vd. inoltre AUGUST OTTO, Die Sprichwo¨rter und sprichwo¨rtlichen Redensarten der Ro¨mer (Leipzig: Teubner, 1890), p. 225, RENZO TOSI, Dizionario delle sentenze greche e latine (Milano: Rizzoli, 19911), nr. 1477. 110 Cfr. ThlL VII/1 939,77 ss. s.v. inclinatio; evitato per lo piu ` in poesia, si trova in Avieno, ma con il valore tecnico di moto celeste, cfr. Avien. Arat. 85 ponderis et proprii trahit inclinatio caelum, 1302 praecipitis teres inclinatio mundi. 111 BAILEY , Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 1, p. 135; in effetti, benche ´ sia possibile l’abbreviamento dell’-o¯ finale [cfr. ALFRED ERNOUT, Morphologie historique du latin (Paris: Klincksieck, 19743), p. 46], per evitare il cretico, Lucrezio adotta solo sostantivi di forma anapestica, come le˘gı˘o¯, ra˘tı˘o¯, re˘gı˘o¯, sta˘tı˘o¯, o coriambica come a¯mbı˘tı˘o¯, co¯ndı˘cı˘o¯, pu¯mı˘lı˘o¯, re¯llı˘gı˘o¯: paradigmatico 5,1361 At specimen sationis et insitionis origo: il Bailey (vol. 1, p. 132) cita il solo caso di homo per l’abbreviamento di sostantivi in -o¯. 112 Per gli elementi politici di questa sezione, cfr. LUCIANO CANFORA , ‘‘Lettura del quinto libro del De rerum natura’’, in Studi di storia della storiografia romana (Bari: Edipuglia, 1993), 291-301: pp. 297-301; ALESSANDRO SCHIESARO, ‘‘Lucretius and Roman politics and history’’, in The Cambridge Companion to Lucretius (cit. n. 7), 41-58, pp. 41-48; ID., ‘‘Didaxis, Rhetoric, and the Law in Lucretius’’, in Classical Constructions. Papers in Memory of Don Fowler, Classicist and Epicurean, edited by Stephen John Heyworth (Oxford: Oxford UP, 2007), 63-90, pp. 85 ss.
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petebat, «percio` le cose eran ridotte all’estremo della turbolenza e del disordine, mentre ognuno per se´ ricercava il potere e il primato» (5,1141 s.).113 Francesco Maria Molza 114 trasferisce il lessema – e il contesto dell’intera clausola – all’acceso conclave che porto` all’elezione di Alessandro Farnese, gia` cardinale d’Ostia, con il nome di Paolo III (eleg. 3,1 ad Alexandrum Farnesium Cardinalem amplissimum). I cardinali erano infatti incerti, e non vi era alcuno che fosse degno del papato; ciascuno con tutte le sue forze desiderava il potere, e la passione per il regno tormentava tutti quanti: «Nutabat patrum sententia, nec satis ullus / imperio dignus qui frueretur erat: / acri su mmat um studio si bi qu isqu e pe teba t, / et regni cunctos sollicitabat amor» (vv. 33-36). Nella sete di potere dei cardinali si proietta cosı` quel sentimento di invidia che caratterizzava gli uomini primitivi di Lucrezio: d’altra parte il Molza recupera nelle sue elegie anche il composto transvolito.115 Inoltre piu` sopra, in questa stessa elegia, l’invito ad apprendere – dalla lettura della poesia latina, di Tibullo, Virgilio, Persio – i principia che portano all’associazione e alla dissociazione delle cose (vv. 23 s. «Illinc principiis disces quibus omnia constent, / ortaque queis coeant, dissiliantque modis») sembra espresso con stilemi lucreziani.116 Tra gli aggettivi composti, interessante il caso di multesimus, formato con un suffisso analogo a centesimus, millesimus,117 a indicare il fatto che rispetto 113 Per ERNOUT – ROBIN, Lucre `ce (cit. n. 86), vol. 3, p. 157 «le rencontre summum... summatum paraıˆt involontaire»: sarei piu` possibilista, visto che il meccanismo etimologico e fonico e` spesso alla base delle creazioni lucreziane, cfr. DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), pp. 52 ss. Avra` avuto qualche influenza anche il successivo magistratum del v. 1143: inde magistratum partim docuere creare / iuraque constituere, ut vellent legibus uti. 114 Cfr. Francesco Maria Molza, Elegiae et alia, testo e note a cura di Massimo Scorsone, Rossana Sodano (San Mauro Torinese: Res, 1999), p. 61. 115 In luogo di tra ¯nsvo˘la¯nt, Lucrezio ricorre al frequentativo – come in generale per le forme ametriche di volo, cfr. BAILEY, Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 2, p. 656 – transvolitant in 1,354 s., trattando delle voci che si insinuano attraverso i muri, e volano per il vuoto attraverso le stanze chiuse (inter saepta meant voces et clausa domorum / transvolitant): difficile dire se il suo comparire nella poesia umanistica sia dovuto a ricreazione autonoma (sulla base sia di transvolo, che delle forme analoghe circumvolito, evolito, intervolito, involito, pervolito, supervolito). In ogni caso il verbo compare con diversi referenti in Ugolino Verino, Carlias 4,568 s. «Et volucres equites celeri per littora cursu / transvolitent tuto sub nigra silentia noctis»; Bartolomeo Fonzio, Saxettus 10,9 s. «Hunc tamen immites potuere absumere Parcae, / cuius transvolitat sidera magna anima» (di Donato Acciaioli); Francesco Maria Molza, elegiae 3,3,9 s. vv. 9 s. (per il favore dei venti che sospinge la nave su cui viaggia Paolo III) «Et qua vix ulli poterant procedere remi / transvolitat nullo remige nixa ratis»; 4,1,118 di una tortora che «puros transvolitat... lacus». 116 La clausola omnia constant ricorre 6 volte in Lucrezio (1,588; 1,1070; 2,337 = 694 = 724; 5,280), principia e` altresı` vocabolo lucreziano, unito a consto in 2,866 s. ex insensilibus tamen omnia confiteare / principiis constare e 4,533 s. 117 -esimus e ` un suffisso aggettivale «enlargement of -SIMVS used to form ordinal numerals from
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alla somma infinita di tutte le cose, il cielo visibile costituisce una parte molte volte piu` piccola, oggi diremmo «infinitesima»,118 dell’universo, cosı` come l’uomo e` piccolissima parte rispetto a tutta la terra: 6,647 ss. Hisce tibi in rebus latest alteque videndum / et longe cunctas in partis dispiciendum, / ut reminiscaris summam rerum esse profundam / et videas caelum summai totius unum / quam sit parvula pars et quam multesima constet / nec tota pars, homo terrai quota totius unus.119 Il singolare hapax e` impiegato da Poliziano nella traduzione di un carme sibillino citato da Zosimo (2,6), in cui sono illustrati i riti celebrativi per i Ludi saeculares: 120 sacrifici agli de`i, riti purificatori mediante l’uso di profumi, ed offerta delle primizie della terra. Giorno e notte continuamente, in massa, una folla si deve radunare presso i seggi degli de`i: [Hmasi d j e[stw / nuxiv t j ejpassutevrh/si qeoprevptou" kata; qwvkou" / pamplhqh;" a[guri" (vv. 3234), scrive Zosimo, che Poliziano traduce «tum digna sedilia divis / perque dies iuxta et noctes multesima turba / complento» (vv. 27-29), dando a multesimus un significato inatteso, tanto che i versi sono stati tradotti in italiano con «allora una piccola folla giorno e notte colmi i venerabili seggi degli dei».121 La forma corrispondente nell’originale, pamplhqh;" a[guri", tuttavia, sembrerebbe suggerire che qui multesima non si riferisca ad una folla «infinitesima», quanto piuttosto ad una «numerosa moltitudine»: Poliziano potrebbe aver voluto dare al composto un valore analogo a quello dell’italiano «ennesima», intendendo che ogni giorno si deve radunare ancora nuova folla, l’ultima di una serie molto lunga. I sensiferi motus che ritornano con insistenza nel solo terzo libro a indicare quegli elementi dell’anima che trasmettono le sensazioni,122 ulteriore creazione 20 to 1000; original in uicesimus [...] but extended to centesimus, millesimus, etc.; also multesimus», come osserva l’Oxford Latin Dictionary, edited by Peter Geoffrey William Glare (Oxford: Clarendon Press, 1982), p. 621. Cfr. il greco pollostov" creato a partire da poluv" analogamente ad eijkostov", triakostov", etc., e LSJ9, s.v., p. 1436. 118 Cosı` traducono in effetti GIAN BIAGIO CONTE – EMILIO PIANEZZOLA – GIULIANO RANUCCI, Il dizionario della lingua latina (Firenze: Le Monnier, 2004), p. 961. 119 Per il genitivo terrai, come in Lucr. 1,212; 1,251, etc. (15 occorrenze), cfr. n. 133. 120 La traduzione, originariamente compresa in una sezione dei Miscellanea 1,58 dedicata a «Origo et ritus ludorum saecularium, praetereaque ad id alia, citatum eo Sibylle oraculum mox et obiter quaedam rursusque alia refutata non inutiliter», e` riedita in Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini Poliziano, raccolte e illustrate da Isidoro Del Lungo (Firenze: Barbera, 1867), pp. 539-541. 121 Cfr. Agazio di Somma, Dell’origine dell’Anno Santo, edizione critica a cura di Pietro De Leo, con in appendice I giochi secolari di Onofrio Panvinio (Catanzaro: Rubbettino, 2000), p. 107. 122 Cfr. Lucr. 3,237 ss. iam triplex animi est igitur natura reperta; / nec tamen haec sat sunt ad sensum cuncta creandum, / nil horum quoniam recipit mens posse creare / sensiferos motus et mens quaecumque volutat; 3,245 sensiferos motus quae didit prima per artus; 3,272; 3,379; 3,570; 3,924.
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linguistica lucreziana,123 sono recuperati da Marco Antonio Flaminio in un singolare carme (2,35), De discordia ordinis parente ac mundi procreatrice, sulla «Discordia madre dell’ordine e creatrice del mondo», che trascrivo per intero: Nonne vides hanc molem, atque haec variantia membra? Nunc illa inter sese arcto coeuntia nexu exercent placidam felici foedere pacem; sensiferi unde vigent mortali in corpore motus: irarum ingenti nunc tempestate coorta incipiunt rimis agitata fatiscere, donec dissiliant duro vitai in litore fracta. Talibus inter se vicibus volvuntur in orbem et pecudes, et montivagum genus omne ferarum, et volucres pictis tranantes aera pennis, quaeque latent liquido Nerei sub gurgite monstra, velivolaeque rates et amantes aspera dumi.
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Non vedi questa mole, queste membra di vario aspetto? Ora esse, incontrandosi tra loro in uno stretto nesso, vivono una tranquilla pace in felice accordo: grazie ad essa nei corpi mortali prendono vigore sensibili movimenti, ora, in seguito allo scoppio di una grande tempesta di ira cominciano, agitate, a fendersi screpolandosi, finche´ si sfasciano, rotte, sul duro lido della vita. Con tali vicende si agitano alternativamente sia gli animali domestici, sia tutta la stirpe degli animali selvatici che si aggira sui monti, sia gli uccelli che si muovono per l’aria con le penne screziate, e i mostri che si nascondono nelle limpide profondita` del mare e le imbarcazioni mosse dalle vele e i cespugli che amano i luoghi scoscesi.
Si tratta in realta` – come si deduce dal sottotitolo – di una traduzione del frammento 20 DK di Empedocle, tramandato attraverso il commento di Simplicio alla Fisica aristotelica (p. 1124,9-18),124 in cui, a partire dall’osservazione Sulla predisposizione per gli aggettivi in -fer (cfr. florifer, falcifer, rorifer) e ad altri composti, cfr. BAILEY, Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 1, pp. 132-134; ERNOUT – ROBIN, Lucre`ce (cit. n. 86), vol. 1, pp. 5 s.; THOMAS LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar vornehmlich zum Wortschatz der Dichtersprache (Innsbruck: Institut fu¨r Sprachwissenschaft der Universita¨t Innsbruck, 1996), p. 171 (su sensifer in particolare) e ID., Lateinische Komposita. Morphologische, historische und lexikalische Studien (Innsbruck: Institut fu¨r Sprachwissenschaft der Universita¨t Innsbruck, 2002), pp. 276-278 (per i composti lucreziani). 124 Il carme ha come sottotitolo Carmen Empedoclis Poetae ac Philosophi a M. Ant. Flaminio ex Graeco in Latinum conversum: nella seconda edizione cominiana dei Carmina (Padova: Comino, 1743), segue la didascalia «Exstat in Paraphrasi eiusdem Flaminii in XII. Lib. Aristotelis de Prima Philosophia p. 9, edit., Paris, 1547», cfr. Marcantonio Flaminio, Carmina, testo e note a cura di Massimo Scorsone (San Mauro Torinese: Res, 1993), p. 99. La traduzione era gia` compresa nella prima edizione: M. Antonii Flaminii Paraphrasis in duodecimum Aristotelis librum de prima philosophia (Venetiis: in officina Ioannis Tacuini, 1536 mense Aprili), f. vii r. Su quest’introduzione cristiana alla fi123
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della mole delle membra mortali, si assiste all’applicazione dei due principi opposti, Neik~ o" e Filovth": l’amicizia conduce alla vita fiorente, mentre la contesa porta alla fine della vita (in maniera simile ad un naufragio sulle spiagge del mare, come suggerisce peri;rrhgmi~ni): e questo vale per tutti gli esseri, oltre che per i pesci, gli uccelli, le fiere che abitano i monti, anche per gli arbusti (qavmnoisi): tout~ o me;n ajn brotevwn melevwn ajrideivketon o[gkon. a[llote me;n Filovthti sunercovmen j eij" e}n a{panta gui~a, ta; sw~ma levlogce, bivou qalevqonto" ejn ajkmh~i. a[llote d j auj~te kakh~isi diatmhqevnt j jErivdessi plavzetai a[ndic j e{kasta peri;rrhgmin~ i bivoio. wJ" d j au[tw" qavmnoisi kai; ijcquvsin uJdromelavqroi" qhrsiv t j ojreilecevessin ijde; pterobavmosi kuvmbai". 125
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E` notevole osservare che, per tradurre questa tematica tipicamente empedoclea, lo scontro tra i due principi di Neik~ o" e Filovth" – che Lucrezio ha invece tralasciato nella sua trattazione dei presocratici 126 – Flaminio impieghi un linguaggio in gran parte lucreziano, risalendo per cosı` dire alle fonti stesse del De rerum natura. Il carme e` quasi un pastiche di tessere lucreziane e di altri autori classici: a partire dall’apostrofe iniziale «Nonne vides», tipica della letteratura didascalica (Lucr. 2,196 nonne vides etiam quanta vi tigna trabesque / respuat umor aquae?; 2,206, 2,263, etc.; Verg. georg. 1,56, 3,103, etc.), che rende esplicito il valore predicativo di ajrideivketon («c’est le cas chez..., on peut le voir dans», spiega il Bollack),127 mentre a brotevwn melevwn... o[gkon, la «massa delle membra mortali», corrisponde «molem... membra», coppia endiadica che in Virgilio indica il corpo massiccio del vecchio pugile Darete (5,431 hic membris et mole valens). losofia peripatetica, influenzata anche dall’ambiente del Fracastoro, cfr. ENRICO PERUZZI, ‘‘L’interesse di Flaminio per la filosofia: la Paraphrasis in duodecimum Aristotelis librum de prima philosophia’’, in Marcantonio Flaminio (Serravalle 1498 - Roma 1550) nel 5º Centenario della nascita. Atti del Convegno Nazionale, Vittorio Veneto, 27-28 novembre 1998, a cura di Alessandro Pastore, Aldo Toffoli (Vittorio Veneto: Comunita` Montana delle Prealpi Trevigiane, 2001), pp. 65-79. 125 «Questo e ` ben chiaro nella massa delle membra mortali: a volte grazie alla Concordia convergono in una sola unita` tutte le membra che hanno in sorte un corpo, al culmine della vita fiorente; a volte, separate da maligni Contrasti, vagano ognuna separatamente dall’altra fino all’estremita` della vita. E cosı` avviene agli arbusti e ai pesci che abitano nelle acque, e alle fiere che fanno la tana nei monti, e alle cimbe alate»: i versi si leggono ora anche nel P. Strasb. gr. inv. 1665-1666 c vv. 2-8. 126 Cfr. PIAZZI , Lucrezio e i Presocratici (cit. n. 26), p. 9. 127 Cfr. JEAN BOLLACK , Empe ´docle. III. Les origines. Commentaire 1 (Paris: Les e´ditions de minuit, 1969), p. 103.
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La versione non segue poi piu` da vicino il testo originale, ma lo amplifica, distaccandosene spesso, cosı` che ai 7 esametri di Empedocle ne corrispondono 12 di Flaminio: l’anafora incipitaria a[llote ...a[llote (2-4) viene cosı` diluita nel nunc... / ...nunc non piu` anaforico dei vv. 2-5. L’azione del riunirsi delle membra, che hanno avuto in sorte un corpo (sunercovmen j eij" e}n a{panta / gui~a, ta; sw~ma levlogce) e` visualizzata in un intrecciarsi («arcto coeuntia nexu») delle membra «inter sese».128 La semplice precisazione che le membra, gia` dotate di vita propria, raggiungono la loro piena bellezza bivou qalevqonto" ejn ajkmh~i, «al culmine della vita fiorente» (v. 3), si espande in Flaminio in un’immagine che occupa due versi: il verso 3 e` frutto dell’incastro tra il felici foedere di Catullo (64,373 accipiat coniunx felici foedere divam), il patto nuziale di Peleo e Teti, e la serena pace che Venere concede ai Romani (Lucr. 1,40 funde petens placidam Romanis, incluta, pacem), mentre al v. 4 sono i sensiferi motus lucreziani che danno forza al corpo mortale. La separazione ad opera dei maligni contrasti (kakhi~ si... jErivdessi, v. 4 ~ «irarum ingenti... tempestate coorta») prende a prestito la clausola con cui Lucrezio raffigura lo scoppio della tempesta – suscitata concretamente dai venti che addensano le nuvole (6,196 s. quas venti cum tempestate coorta / conplerunt), e la trasferisce al prevalere dell’ira che determina il progressivo screpolarsi e sfaldarsi dei corpi che «incipiunt rimis... fatiscere» (v. 6), come le navi troiane colte dalla tempesta, che fanno acqua da tutte le parti, mentre le falle si allargano (laxis laterum compagibus omnes / accipiunt inimicum imbrem rimisque fatiscunt, Verg. Aen. 1,122 s.): 129 un venir meno progressivo, rispetto al brutale ridurre a brandelli dell’originale (diatmhqevnt j), espresso se mai da «fracta».130 E cosı` si giunge allo sfasciarsi dei destini, come in un naufragio, sulla sponda estrema della vita (peri;rrhgmin~ i bivoio ~ «donec / dissiliant duro vitai in litore»). In Lucrezio dissiliant e` «terme surtout poe´tique (9 ex. dans Lucre`ce)» (rispetto ad 1 in Virgilio e 1 in Orazio), che traduce il sostantivo verbale ajpopalmov" di Epicuro, per indicare lo scontro degli atomi, come in 2,85 ss. nam cum cita saepe / obvia conflixere, fit ut diversa repente / dissiliant; neque 128 Inter sese e ` un poetismo, gia` arcaico, e non estraneo a Lucrezio (6 occorrenze: 2,445; 2,923; 3,258 etc.). 129 Ma fatisco e ` anche lucreziano con il valore proprio di «dissolvi, dilabi, frangi, findi [...] LVCR. 3, 458 pariter corpus et animam aevo fessa -i», cfr. ThlL VI/1 352,68 ss. 130 Recupero il «fracta» dell’edizione del 1536, laddove la cominiana, ed anche Scorsone (che si fonda su quella raccolta) stampano «fata»: lo consigliano il senso e la sintassi generale, nonche´ il confronto con l’originale greco. «Fata» sembra una corruzione nella tradizione a stampa, forse indotta dal precedente «fatiscere». Riguardo a diatmhqevnt j, BOLLACK, Empe´docle (cit. n. 127), p. 105, osserva che «Le verbe ne signifie ni couper en deux ni retrancher, mais de´pecher, de´chiqueter».
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enim mirum, durissima quae sint / ponderibus solidis neque quicquam a tergibus obstet («quando infatti nel muoversi piu` volte s’incontrano e s’urtano, avviene che in parti opposte rimbalzino a un tratto; ne´ fa meraviglia, perche´ sono durissimi per il loro peso solido e nulla a tergo li ostacola»).131 Qui, in Flaminio, e` il cozzare duro vitai in litore (v. 7), dove vale la pena sottolineare l’arcaismo morfologico vitai (15 volte in Lucrezio),132 un tratto stilistico che si incontra spesso come segno della imitatio Lucretiana.133 Un incipit virgiliano (Talibus inter se: cfr. Aen. 8,359 e 12,212), introduce il catalogo degli altri esseri, vegetali ed animali, cui si applicano i medesimi principi: lo studiato ordine empedocleo – che pone all’inizio gli esseri piu` radicati nelle loro sedi, e quindi in climax i pesci, che, pur muovendosi, dimoBAILEY, Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 2, p. 816 e FOWLER, Lucretius on Atomic Motion (cit. n. 101), p. 170 richiamano Epicur. Ep. Hdt. [= fr. 2 Arr.] 44 h{ te ga;r tou~ kenou~ fuvsi" hJ diorivzousa 131
eJkavsthn aujth;n tout~ o paraskeuavzei, th;n uJpevreisin oujc oi{a te ouj~sa poieis ~ qai. h{ te stereovth" hJ uJpavrcousa aujtai~" kata; th;n suvgkrousin to;n ajpopalmo;n poiei~, ejf j oJpovson a]n hJ periplokh; th;n ajpokatavstasin ejk th~" sugkrouvsew" didw~/, «infatti la natura del vuoto che separa gli uni dagli altri e` causa di tale fe-
nomeno non essendo tale da opporre resistenza, e d’altra parte la solidita`, che e` loro propria, e` causa del loro rimbalzare negli urti nei limiti in cui l’eventuale presenza di un intreccio di atomi non li rimette nella primitiva posizione turbata da tali urti» (trad. Arrighetti), dove ajpopalmovn corrisponde a dissiliant. 132 BAILEY , Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 1, p. 74 ss., in part. 76 ricorda che oltre a mateiriai (22 x) e animai (20 x), si incontrano soprattutto termini «such as viai 8 times, viae 0, aquai 20, aquae 10, terrai 15, terrae 18, vitai 15, vitae 29»; vd. anche le fini osservazioni su ‘‘arcaismi, volgarismi, dialettismi’’, in ETTORE BIGNONE, Storia della letteratura latina (Firenze: Sansoni, 1945), 3 voll., vol. 2, pp. 324 ss.: Bignone osserva che si tratta in particolare di due dei quattro elementi primordiali (aqua, terra), i maxima membra mundi che Empedocle considerava divini, mentre materia e` il loro complesso originario, fonte di vita, e anima si presta ad essere elevato stilisticamente in quanto connesso con la sfera religiosa. Per vitai, cfr. Lucr. 1,415, 2,79; 3,396; 3,859; 3,930; 3,956; 3,1007 etc.; e il De rerum natura e` il solo testo in cui la forma vitai ricorre – a stare alle banche dati BTL-4, CLCLT, EMGH, PLD, Poetria Nova – a parte i CLE 193,2; 362,2; 470,6. 133 Nonostante la forma in -ai sia stata «particulie ` rement me´connue par les scribes», come osserva AUGUSTIN CARTAULT, La flexion dans Lucre`ce (Paris: Ancienne Libraire Germen Baillie`re et Cie, 1898), p. 3 (un elenco completo delle forme alle pp. 3-9), era comunque una caratteristica ben riconoscibile della lingua lucreziana: materiai, ad es. ricorre in D’Arco num. 240,16 «esse sciat, causa mortalis materiai», Paling. zod. 7,173 «Quod tenue atque leve et subtilis materiai», entrambi luoghi che presuppongono Lucrezio come referente concettuale e linguistico; nel Palingenio, cfr. anche 5,777 «noxius est aer; est noxius humor aquai»; 6,602 «scatet hinc fons omnis stultitiai» (ricreazione arcaica non attestata); per aquai, vd. fra gli altri Gallo libell. 3,292 «et rerum causae creduntur aquai», Basinio astr. 1,325 «Tum cadit ad terras magnai flumen aquai», Pontano egl. 3,34 «sonat leve murmur aquai», Bargaeus Syrias 4,122 «non torrentis decursus aquai»; 6,177; 10,811. Quella di Flaminio e` l’unica occorrenza di vitai; per terrai, cfr. supra, n. 119. Numerosi i casi anche di forme di origine enniana (come silvai), e virgiliana (come aulai). «Angelinai» e` in Marrasio, Ang. 2,1 = 3,1 R., un autore che presenta numerosi lucrezianismi: cfr. ALFONSO TRAINA, ‘‘Note al testo del Marrasio’’, in Poeti latini (e neolatini). Note e saggi filologici. II (Bologna: Pa`tron, 19912), pp. 163-171: 168-171 e ‘‘Princeps philologiae. Gli Scritti di filologia classica di Scevola Mariotti’’, in La lyra e la libra. Tra poeti e filologia (Bologna: Pa`tron, 2003), pp. 325-332: 331 s. a proposito della congettura lucreziana «noenu» in Marrasio carm. var. 1,46 = 2,46 R. «me licet immensus numquam fefellit amor».
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rano nelle acque, ed infine le fiere e gli uccelli – viene liberamente scompaginato e integrato. Si avverte l’eco in primo luogo di passi lucreziani come 1,161 ss. e mare primum homines, e terra posset oriri / squamigerum genus e t v olucres erumpere caelo; / armenta atque aliae pecudes, genus omne ferarum, / incerto partu culta ac deserta tenerent («prima di tutto dal mare potrebbero scaturire gli uomini, dalla terra la razza squamosa, e gli alati erompere dal cielo; gli armenti e le altre greggi e ogni sorta di animali selvaggi partoriti a caso ingombrerebbero campagne e deserti») e 2,1080 ss. in primis animalibus indice mente / invenies sic mo ntiva gum genus e sse fe rarum, / sic hominum geminam prolem, sic denique mutas / squamigerum pecudes et corpora cuncta volantum («volgi prima la mente alle creature animate; troverai che e` cosı` per la razza delle fiere che vaga sui monti, cosı` per la gemina prole degli uomini, cosı` infine per i muti branchi degli esseri coperti di squame e per tutti i corpi dei volatili»), che si combina – nell’ultimo verso – con il notturno virgiliano Aen. 4,524 ss. Cum tacet omnis ager, p e c u d e s p i c t a e q u e v o l u c r e s , / quaeque lacus late liquidos quaeque a s p e r a d u m i s / rura tenent 134 («quando tace ogni campo, gli armenti e gli uccelli variopinti, quelli che abitano le ampie distese di acque, o campi irti di rovi»). La fedelta` al modello lucreziano e` tanto pressante che ojreilechv" non viene reso con il pur disponibile monticola,135 piu` vicino per senso, ma con montivagus,136 un aggettivo che la pubblicazione del P. Strasb. gr. inv. 1665-1666 a ii v. 26 ha dimostrato empedocleo: tou. ~ to me;n [a]n] qhrw~n ojriplavgktwn ajg[rovter j ei[dh,] / tou~to d ja]n ajnqrwv]pw. n divdumon fuvma, «cosı` le specie selvatiche delle fiere che vagano sui monti, cosı` la duplice prole degli uomini».137 Gli arbusti – spostati dall’ordinata gerarchia in cui Empedocle li aveva inseriti – sembrano perdere di senso, mentre le navi «velivolae» (v. 12) sono una interpretazione letterale delle pterobavmosi kuvmbai" (v. 7), dove kuvmbh, che in Empedocle ha il peculiare valore di «cimbe» (una specie di uccello), e` presa nella piu` comune accezione di «piccola barca».138 134 Cfr. anche Lucr. 4,1197s. Nec ratione alia volucres armenta feraeque / et pecudes et equae maribus subsidere possent e Verg. georg. 3,242 ss. omne adeo genus in terris hominumque ferarumque / et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres, / in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem. 135 Cfr. Ov. met. 1,193, LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar (cit. n. 123), p. 115. 136 Oltre che in Lucr. 1,404, anche in 2,597 e 1081; Cic. Tusc. 5,79; quindi in Seneca, e nella poesia argentea, cfr. LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar (cit. n. 123), p. 114 e ID., Lateinische Komposita. Morphologische (cit. n. 123), pp. 154 s. (sui composti in -vagus). 137 Cfr. GORDON CAMPBELL, Lucretius on Creation and Evolution. A Commentary on De rerum natura, Book Five, Lines 772-1104 (Oxford: Oxford UP, 2003), pp. 132-134. 138 Per il valore di kuvmbai", cfr. BOLLACK , Empe ´docle (cit. n. 127), pp. 106 s. L’aggettivo velivolus e` arcaico e generalmente poetico, gia` in Enn. ann. 388 V.2 = 380 Sk. navibus velivolis (che im-
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Un analogo meccanismo di oscuramento potrebbe essere avvenuto anche in Lucrezio 2,342-346 Praeterea genus humanum mutaeque natantes / squamigerum pecudes et lae ta armen ta feraeque / et variae volucres, laetantia quae loca aquarum / concelebrant circum ripas fontisque lacusque, / et quae pervolgant nemora avia pervolitantes («Ecco la razza umana e i muti nuotanti greggi di pesci squamosi e i lie ti ar bust i e le fiere e i diversi uccelli che affollano intorno alle rive i luoghi festanti delle acque presso le sorgenti e i laghi, e quelli che dei loro voli popolano i boschi solitari»): tutti gli editori, a partire da Bentley, correggono il concordemente tradito arbusta in armenta, che pare piu` consono al catalogo di animali.139 Tuttavia non e` da escludere – come propongono Martin e Primavesi – 140 che qui si debba conservare arbusta, se e` vero che Lucrezio riproduce, se pur in ordine modificato, ed escludendo gli dei, cinque delle sei categorie presentate da Empedocle nel papiro di Strasburgo: genus humanum (2 ajnevre" hjde; kai; gunai~ke"), natantes squamigerum pecudes (5 ijcquv"), arbusta (1 devndrea), ferae (3 qhr~ e"), variae volucres (4 oijwnoiv). In generale i composti ricevono una maggiore attenzione per la loro natura poetica, indipendentemente dal contesto originario: cosı` l’innubilus aether – l’etere privo di nubi e luminoso che, dileguate le barriere costituite dai moenia mundi, svela ad Epicuro le sedi serene degli de`i (3,18 ss. apparet divum numen sedesque quietae, / quas neque concutiunt venti nec nubila nimbis / aspergunt neque nix acri concreta pruina / cana cadens violat semperque inn ub ilus ae ther / integit et large diffuso lumine ridet) 141 – riappare nella Syrias, il poema del Bargeo dedicato alla prima crociata,142 a indicare una schiarita che svela i Francesi assedianti presso le mura di Gerusalemme (8,471 ss. «unde / excubiis Gallos positis obsidere iussit / moenia Goffredus, quos tunc inn ub ilus aet her / dispergens terras sublustri nocte patentes / prodidit et media piega anche velivolantis / navibus, scaen. 67 V.2 = trag. 45 s. J.) quindi in Lucr. 5,1442; Laev. fr. 11,2 Bl. velivola (di una barca); Verg. Aen. 1,224 mare velivolum; Ov. Pont. 4,5,42 velivolas... rates, cfr. LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar (cit. n. 123), p. 201; al v. 11 «Sub gurgite monstra» sembra richiamare gli armenti di Nettuno in Verg. georg. 4,394 s. immania cuius / armenta et turpis pascit sub gurgite phocas. 139 Cfr. Lucr. 4,1197 nec ratione alia volucres armenta feraeque; 5,228 at variae crescunt pecudes armenta feraeque. 140 Cfr. ALAIN MARTIN – OLIVER PRIMAVESI , L’Empe ´docle de Strasbourg (P. Strasb. gr. Inv. 16651666), Introduction, e´dition et commentaire (Berlin-New York: de Gruyter, 1999), pp. 185-186. 141 La formazione, corrispondente al greco ajnevfelo", sara ` stata favorita dal contestuale nec nubila, cfr. DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), p. 55 e SEDLEY, ‘‘Lucretius’ Use’’ (cit. n. 81), p. 238, n. 31. 142 Petri Angelii Bargaei Syrias hoc est expeditio illa celeberrima Christianorum Principum, qua Hierosolyma ductu Goffredi Bulionis Lottaringiae Ducis a Turcarum tyrannide liberata est (Florentiae: apud Philippum Iunctam, 1591).
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tacitas detexit arena / bellatricum oculis»). La derivazione lucreziana e` assicurata dall’identita` di referente anche per l’aggettivo lauricomus, che si riferisce ai boschi che coprono i monti nel De rerum natura 6,152 lauricomos ut si per montis flamma vagetur,143 cosı` come nei due reimpieghi del Flaminio (carm. 2,1,19-21 «nunc te / lauricomas inter silvas, citriosque nitentes / Musarum placidae traducunt otia vitae» e 5,29,11 s. «cano sub umbra / silvae lauricomae iacens»). Levisomnus, «dal sonno leggero», e` attributo poi dei cani dall’indole fedele in Lucr. 5,864 at levisomna canum fido cum pectore corda: 144 Marullo trasferisce l’aggettivo ai giovani marinai, che devono fare attenzione al viaggio (hymn. 3,2,33 s. «Levisomna pubes, navitae, umbras temnite, / temnite, viatores vagi»),145 mentre il referente originario e` recuperato nei Canes di Darcio da Venosa: «Namque alius (comperta loquor) levisomnus heriles / excubat ante fores, abigitque latratibus hostem» (vv. 32 s.).146 Quasi inevitabile che l’altro hapax lucreziano, suavidicus (4,180 = 909 suavidicis potius quam multis versibus edam), che ricorre piu` volte nei carmi di Giovanni Pietro Astemio e Giorgio Cichino, e pure nella Syrias del Bargeo, abbia mantenuto sempre il riferimento al canto: 147 e` notevole che il suo sinonimo suaviloquus, attestato solo in Marziano Capella (1,3),148 – e piu` volte impiegato nella poesia umanistica – 149 sia stato congetturalmente restituito da 143 Anche qui «Lucrezio sembra voler dar conto analiticamente della struttura» del composto, mediante l’accostamento di laurus (v. 154) a lauricomos (v. 152), cfr. DIONIGI, Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), p. 64. 144 Cfr. LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar (cit. n. 123), pp. 99 s. (per levisomnus e il primo elemento del composto) e ID., Lateinische Komposita. Morphologische (cit. n. 123), p. 146 (composti in -somnus), CAMPBELL, Lucretius on Creation (cit. n. 137), pp. 131 s. 145 Cfr. COPPINI , Michele Marullo Tarcaniota (cit. n. 90), p. 246. Giuseppe Scaligero – che cito da Orphica, cum notis H. Stephani, A. Chr. Eschenbachii, I.M. Gesneri, Th. Tyrwhitti, recensuit Godofredus Hermannus (Leipzig: Fritsch, 1805), pp. 564 s. – lo impiega invece nella versione latina dell’inno orfico alla luna: Orph.H. 9,7 «omnituens, levisomna, cluens stipantibus signis» che traduce panderkhv", f i l a v g r u p n e , kaloi~" a[stroisi bruvousa. 146 Anche la sezione sui molossi, vv. 221 ss. e ` di ascendenza lucreziana (5,1065 ss.), cfr. Giovanni Darcio da Venosa, Canes, item epistola Deidamiae ad Achillem cum aliquot epigrammatis, introduzione, edizione critica, traduzione a fronte e note di Maria Teresa Imbriani (Napoli: Edizioni scientifiche italiane, 1994), pp. 37 s. 147 Astemio carm. 1,71,19 «suavidicas... Camenas»; 1,84,8 «suavidico... ore»; 1,94,2 «inter suavidicos venustulosque [sc. amicos]; Cichino carm. 2,16,8 «suavidico... ore», 2,69,7 «Omnes suavidicique et integelli» [vv. 4 s. «Et Pontanus et ipse Gozedinus / Sporenusque»]; Bargaeus Syrias 3,522 «verbis... / suavidicis animos, plebemque in templa vocabat, 9,141 «suavidico... cantu». 148 Cfr. anche CLE 123,3 e in generale per i composti in suavi-, cfr. LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar (cit. n. 123), pp. 181 s. 149 Cfr. Pontano hendec. 2,22,72 «linguae suaviloquos strepant susurros», Mantov. adul. 4,8 s. «lepidissime et ore / suaviloquo», Cort. 118 «tantus lepor affuit ori / suaviloquo», Folengo, Zanit.
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Marullo nel testo di Lucrezio.150 Il filologo poeta ha infatti individuato una lacuna tra il verso 528 e il 529 del libro II sulla base dell’incongruenza sintattica (il tradito ostendam non e` sostenibile),151 e ha integrato un intero verso in questo modo: id quod non esse probavi. / [quod quoniam docui, nunc suaviloquis, age, paucis] / versibus ostendam. Uno dei piu` interessanti hapax, indotti dall’omofonia, e` seresco: Lucrezio, per dimostrare l’esistenza di corpi invisibili, ricorre all’esempio delle vesti che stese sul lido battuto dalle onde si inumidiscono, mentre distese al sole si asciugano, senza che ci si accorga di come il vapore acqueo sia penetrato in esse, e poi si sia dissipato (Denique fluctifrago suspensae in litore vestis / u vesc unt, eaedem dispansae in sole se rescunt, 1,305 s.). L’antitesi tra le due azioni, che corrisponde a quella tra i due principi di umido e secco, e` espressa mediante i due verbi incoativi, isosillabici e omeoptotici – entrambi neoformazioni lucreziane – posti agli estremi del verso 152 e collocati in un contesto di straordinaria forza linguistica, grazie alla rarissima neoformazione fluctifragus 153 e alla coppia parafonica suspensae / dispansae. Ben altro il contesto leggero dell’epigramma marulliano 2,9 ad Amorem,154 in faleci catulliani (ma di tipo catulliano e` anche la ripetizione verbale): 155 il 470 «suaviloquasque tuas inflare cicutas», Darcio, epigr. 2,20 «suaviloquum gracili promit ab ore melos». Piu` sorprendente che non sia reimpiegato suaviloquens, gia` enniano (ann. 303 ss. V.2 = 304 ss. Sk. Orator Cornelius suaviloquenti / ore), che ricorre nel notissimo passo in cui Lucrezio afferma di volere mescolare il miele delle Muse alla dottrina di Epicuro (1,945 ss. = 4,20 ss. volui tibi suaviloquenti / carmine Pierio rationem exponere nostram / et quasi musaeo dulci contingere melle), un passo che ha assunto «un valore di riferimento emblematico nella discussione sulla poesia e sulla giustificazione dell’attivita` poetica», come ha scritto la PROSPERI, Di soavi licor (cit. n. 18), p. 5, che a questo tema ha dedicato gran parte del suo saggio (pp. 3-95; 181-205). 150 Cfr. BAILEY , Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 2, p. 889. 151 Bailey, Ernout e Flores accolgono l’economica correzione ostendens di Munro, cfr. T. Lucreti Cari De rerum natura Libri sex, with notes and a Translation by H.A.J. Munro, 4nd edition finally revised (London: G. Bell and Sons, 1929 [1886]), 3 voll., vol. 1, p. 97. Martin indica la lacuna. 152 Un’analisi dettagliata della coppia in DIONIGI , Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), pp. 58 e 113-118, ed anche il suo saggio in questo volume, § 3. 153 Solo qui e nello pseudociprianeo carm. de Iona 39: cfr. per l’intero contesto DIONIGI , Lucrezio. Le parole e le cose (cit. n. 30), pp. 109-120 (su fluctifragus, pp. 110 s.); LINDNER, Lateinische Komposita. Ein Glossar (cit. n. 123), pp. 75 s. (per flucti-) e ID., Lateinische Komposita. Morphologische (cit. n. 123), pp. 99 s. (per -fragus). L’aggettivo e` ripreso dal Bargeo, Syrias 718 s. «cui late affusum magnis anfractibus aequor / fluctifragum glaucis aspergit littus ab undis». 154 L’epigramma e ` solo tradotto in Musae Reduces. Anthologie de la poe´sie latine dans l’Europe de la Renaissance. Textes choisis, pre´sente´s et traduits par Pierre Laurens avec la collaboration de Claudie Balavoine (Leiden: Brill, 1975), 2 voll., vol. 1, pp. 116-117. 155 Cfr. ALFONSO TRAINA , ‘‘La ‘ripetizione’ in Catullo. Risultati e prospettive di un libro’’, in Poeti latini (e neolatini). Note e saggi filologici, III (Bologna: Pa`tron, 1989), 35-54, a partire dal volume di JANINE E´VRARD-GILLIS, La re´currence lexicale dans l’oeuvre de Catulle (Paris: Les Belles Lettres, 1976), e ID., ‘‘Strutture catulliane: il c. 52’’, ibid., 83-89. Per la manieristica ricerca di simmetria negli epigrammi di Marullo, cfr. PIERRE LAURENS, L’abeille dans l’ambre. Ce´le´bration de l’e´pigramme
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Tarcaniota rivolge un’apostrofe al dio, che, sfrontato, infligge colpi qua e la` a uomini e de`i, e mai si trattiene dallo scagliare i suoi dardi, per domandargli chi gli fornisce tante frecce; egli riempie il cielo di lamenti, ugualmente sparge lacrime tra uomini e de`i, cosı` che non si asciugano mai le loro lacrime, rovesciando in qualche modo l’idea ovidiana che le lacrime favoriscono l’amore (ars 1,659 s. et lacrimae possunt (lacrimis adamanta movebis) / fac madidas videat, si potes, illa genas). Riporto per intero l’epigramma. A1
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«Cum tot tela die proterve spargas, tot figas sine fine et hic et illic infensus pariter viris deisque, nec unquam manus impotens quiescat, quis tot spicula, tot, puer, furenti lethales tibi sufficit sagittas? Cum tot aethera questibus fatiges, tot spargas lacrimas et hic et illic infensus pariter viris deisque, nec unquam madidae genae serescant, quis suspiria crebra, quis dolenti tam longas tibi sufficit querelas?» «At tu nec mihi tela, dum Neaera est, nec curas tibi crede defuturas».
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Come si vede, la struttura e` tripartita: alla domanda di Marullo (vv. 1-12, bipartita in due interrogative, vv. 1-6 = A; 7-12 = B) risponde il dio nel distico finale (13-14 = C). La prima parte, come evidenziato nel testo, e` marcata delle ripetizioni anaforiche, e dalle corrispondenze ordinate degli incipit per cui i primi cinque versi delle sezioni A e B iniziano con «Cum tot» (A1; B1), «tot» (A2; B2, cui si aggiunge «et hic et illic» in clausola), «infensus... deisque» (l’intero A3 = B3), «nec unquam» (A4; B4), «quis» (A5; B5). Al centro del sesto verso si ripete «tibi sufficit» (A6, B6). Questa serie di ripetizioni si accompagna ad uno studiato gioco di parafonie e antitesi (ad es. «figas», A2, si oppone all’isosillabico e omeoptotico «spargas», B2; «furenti», A5 a «dolenti», B6; «sagittas», A6, si oppone a «querelas», B6), che coinvolge in particolare i due verbi dei vv. 4 e 10 «quiescat» (A4) e «serescant» (B4), entrambi incoativi. Se pure in un contesto estremamente diverso, e con un gioco piu` di disposizione manieristica che di innode l’e´poque alexandrine a` la fin de la Renaissance (Paris: Les Belles Lettres, 1989), 413-417, ed in particolare in rapporto al modello catulliano, DONATELLA COPPINI, ‘‘Nimium castus liber: gli Epigrammata di Michele Marullo e l’epigramma latino del Quattrocento’’, in Poesia umanistica latina in distici elegiaci. Atti Convegno Internazionale (Assisi, 15-17 maggio 1998), a cura di Giuseppe Catanzaro, Francesco Santucci (Assisi: Accademia Properziana del Subasio, 1999), 67-96, in part. pp. 85 ss.
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vazione linguistica, viene recuperata la tensione che nel testo di partenza conferisce vivacita` icastica all’hapax, al centro della coppia verbale serescunt / uvescunt.156 Ancora diverso, ma non meno sorprendente, e` il recupero che del verbo troviamo, a inizio ’500, nello Stephanium di Giovanni Armonio Marso, una commedia dal sapore plautino, che oppone il senex avarus e il figlio innamorato, coadiuvato dal servo Geta. Questi risponde allo stereotipo del perenne affamato, alla ricerca di cibo che il padrone gli nega: non gli resta che augurarsi la rovina dei suoi padroni, in modo da prenderne il posto. Allora «il ventre non si seccherebbe cosı`, e non si nutrirebbe ogni giorno di cibo di fave»: Dii omnes perdant istos eros, ut quamprimum servi domini fierent. Non sic seresceret venter nec pabulo fabacio quottidie pascerer. Equidem postquam hac domo sum, numquam satur fui, esurio in dies acrius. Ibo intro, simul quantum quibo vetulae me insinuam, ut tantillum panis possim impetrarier.
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Se l’immagine del servo affamato e` topica nella palliata latina,157 il ventre disseccato, siccus per la fame rinnova una immagine di solito applicata alla sete (come nella Persa 822 Iam diu factumst, postquam bibimus: nimis diu sicci sumus). Anche qui al centro di un’opposizione (con il «pascerer» del v. 414), seresco assume un nuovo statuto, quello di comicismo, favorito forse anche dal notevole impiego in Plauto degli incoativi: basti ricordare la serie di Capt. 133 ss. Ego, qui tuo maerore maceror, / macesco, consenesco et tabesco miser: / ossa atque pellis sum miser a macritudine, in bocca al parasita Ergasilo.158 Sempre in bocca a Geta, si ritrova l’ultimo hapax di questa rassegna, il verbo cinefacio, che Lucrezio impiega per il corpo dissolto in cenere sul rogo, dopo la morte (3,906 horrifico cinefactum te prope busto), e che in Marso assume un valore metaforico: pensando al vecchio padrone, il servo si sente raggelare il sangue, gli si stringe il cuore, gli viene il batticuore per la paura, anzi si sente gia` trasformato in cenere: 156 Uvesco, che pure e ` ripreso da Hor. sat. 2,6,70 e in Avien. Arat. 1580, non ricompare nella poesia umanistica. 157 In particolare per il parasitus edax, cfr. OTTO RIBBECK , Kolax. Eine ethologische Studie (Leipzig: S. Hirzel, 1883), e GIANNI GUASTELLA, La contaminazione e il parassita: due studi su teatro e cultura romana (Pisa: Giardini, 1988), pp. 81 ss. 158 Per gli incoativi nella commedia, cfr. MADELEINE KELLER, Les verbs latins a ` infectum en -sc-. E´tude morphologique a` partir des formations atteste´es de`s l’e´poque pre´classique (Bruxelles: Latomus, 1992), passim, e le osservazioni di ALFONSO TRAINA, Forma e Suono. Da Plauto a Pascoli, nuova edizione rielaborata, accresciuta e aggiornata (Bologna: Pa`tron, 1999), passim, in part. pp. 157-159.
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FRANCESCO CITTI
Adhuc nullus sum, postquam illum perterrui, his ego perterritus sum. Nam cum cogito de sene, sanguis totus congelascit meus atque ita cor sese conglutinavit misere, ut iam pectus pultat prae timore frequens. Iam me sentio cinefactum fieri.
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Accompagnata da numerose figure di suono (il poliptoto «perterrui... perterritus», l’allitterazione («congelascit 159 ...conglutinavit», «pectus pultat prae»), la crisi di panico di Geta si conclude con la figura etimologica («cinefactum fieri»), combinata con l’allusione al catulliano nescio sed fieri sentio et excrucior (85,2). Ma, sia per seresco che per cinefacio, e` probabile la derivazione indiretta: Marso infatti traeva arcaismi, oltre che da Plauto, da lessicografi e trattatisti,160 e Nonio riporta entrambi i termini, assieme alle citazioni lucreziane.161 Nessuno degli otto grecismi hapax lucreziani (acosmos, cataplexis, eromenion, homoeomeria, ischnon, mia, philema, scymnus) e` invece reimpiegato: sono recuperate infatti le forme piu` conformi al paradigma linguistico, o perche´ comodi metrismi, o per la loro caratura stilistica. Non per niente Pietro Bembo, leggendo prima della pubblicazione il manoscritto del poema Syphilis sive morbus Gallicus di Girolamo Fracastoro – un’opera profondamente influenzata dal De rerum natura, sia a livello linguistico che concettuale, per la sua dottrina dei semina morbi veicolo di contagio – 162 annoto` l’abuso della parola contages, una neoformazione lucreziana che sostituisce contagio per motivi metrici.163 In margine al v. 1,294 s. «Ergo contagum quoniam natura genus159 Riferito al cuore, secondo il ThlL IV 272,82-273,18, si trova solo in Aug. in psalm. 124,1 cor eorum congelascit adversus deum et fit durum adversus imbrem gratiae eius. 160 Cfr. l’elenco di neoformazioni e arcaismi del Marso, in Il teatro umanistico veneto: la commedia, a cura di Graziella Gentilini (Ravenna: Longo, 1983), p. 72. 161 Cfr. Non. p. 257,4 ss. L. ‘Serescit’ positum pro siccatur, quod serenitas sicca sit. Lucretius lib. I (305): ‘denique fluctifrago suspensae in litore vestis uvescunt; eaedem candenti sole serescunt’; e p. 133,26 ss. ‘Cinefactum’, in cinerem dissolutum: figuratio, ut tepefactum et labefactum. Lucretius lib. III (906): ‘at nos horrifico cinefactum te prope busto’. 162 Cfr. ad es. Syph. 1,1 «semina morborum», 1,83 «primordia», 1,90 «coeunt genitalia semina», 1,112 «exordia prima», 1,136 «elementa»: al recupero linguistico corrisponde in Fracastoro una rielaborazione e un superamento dell’atomismo, cfr., oltre alle osservazioni ad ll. di GEOFFREY EATOUGH, Fracastoro’s Syphilis. Introduction, Text, Translation and Notes with a computer-generated word index (Liverpool: Francis Cairns, 1984), MARCO BERETTA, ‘‘The Revival of Lucretian Atomism and Contagious Diseases during the Renaissance’’, Medicina nei Secoli. Arte e Scienza, 2003, 15: 129-154; vd. inoltre GODDARD, Epicureanism in the Poetry of Lucretius (cit. n. 18), pp. 169-199. 163 Cfr. BAILEY , Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 2, p. 1117.
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que / tam varium est, et multa modis sunt semina miris» commenta infatti: «Semina contagum diversa: direi qui ‘morborum’, piu` tosto che ‘contagum’, per fuggire la tanta replicazione di quella uoce che e` piu` noua che non e` questa ‘morborum’».164 Nonostante l’osservazione, Fracastoro preferı` mantenere il termine per indicare la modalita` di trasmissione della malattia: in questo caso, anche se il termine non e` hapax,165 la derivazione lucreziana e` certa, e gli esempi si potrebbero moltiplicare.166
4. LE SPIEGAZIONI MULTIPLE: IL SYPHILIS SIVE MORBUS GALLICUS DI FRACASTORO Preferisco piuttosto accennare ad un’altra caratteristica dello stile lucreziano: il ricorso a spiegazioni multiple che l’epicureismo ha costituito «a central feature of its scientific method, in the case of phenomena distant, and so nonapparent (adela), by reason of space or time».167 Dunque questo procedimento serve ad evitare la tentazione di attribuire una causa soprannaturale a fenomeni altrimenti inspiegabili, come eventi astronomici o meteorologici. Philip Hardie ne ha offerto piu` di un esempio in Lucrezio, ed anche nella tradizione esametrica successiva, in Virgilio, Ovidio, Lucano e Stazio.168 Se ne possono individuare almeno un paio di casi nel poema di Fracastoro: nel libro primo, ai vv. 245 ss., dal suo trono solitario Giove, dopo aver osservato lo straordinario diffondersi della malattia sconosciuta, scuote la terra e tutto il cielo, e lo spazio vuoto si riempie della peste e della putredine: Assensere Dei reliqui: concussus Olympus intremuit, tactusque novis defluxibus aether. Paulatim aerii tractus, et inania lata accepere luem, vacuasque insuetus in auras
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Cfr. Girolamo Fracastoro. Scritti inediti, con introduzione, commenti e note a cura di Francesco Pellegrini (Verona: Edizioni Valdonega, 1955), p. 41. 165 Dopo Lucr. 3,734 (conta ¯ge¯); 4,311 (conta¯ge˘); 6,1242, e` ripreso gia` da Arnob. nat. 7,40. 166 Cfr. ad esempio il caso delle neoformazioni fluctifragus (anche in Carm. de Iona 39, cfr. ThlL VI/1 938,80-83) riprese dal Bargeo, Syr. 4,718 s. «Cui late affusum magnis anfractibus aequor / fluctifragum glaucis aspergit littus ab undis», frugiferens (anche in Iuvenc. 2,549, cfr. ThlL VI/1 1405,36) che compare nell’Augurelli, carm. 2,15,27 s. «large pecus omne pascet / frugiferentum». 167 La citazione e ` tratta dal saggio di Philip Hardie, in questo volume (paragrafo introduttivo). 168 La GAMBINO LONGO , Savoir de la nature (cit. n. 18), pp. 131 ss., illustra – in un capitolo dal significativo titolo ‘‘Corriger Aristote par Lucre`ce’’ – alcuni casi di ricorso alle spiegazioni multiple da parte dei lettori cinquecenteschi dei commentatori di Aristotele, per aggiornare le teorie metereologiche dello Stagirita, talora inaccettabili. Lucrezio fornisce non solo lo schema logico, ma anche spiegazioni di fenomeni come i terremoti o il propagarsi del fulmine. 164
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FRANCESCO CITTI
marcor iit, coelumque tulit contagia in omne. Sive quod ardenti tot concurrentibus astris cum Sole, e pelago multos terraque vapores traxerit ignea vis, qui misti tenuibus auris correptique novo vitio, contagia visu perrara attulerint: aliud sive aethere ab alto demissum late aerias corruperit oras. Quanquam animi haud fallor, quid agat, quove ordine coelum, dicere, et in cunctis certas perquirere causas, difficile esse: adeo interdum per tempora longa effectus trahit, interdum (quod fallere possit) miscentur fors, et varii per singula casus.
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Viene cosı` offerta una spiegazione bipartita (250 sive quod... 254 aliud sive...): 169 una prima, piu` articolata, che prevede l’influsso del calore del sole e degli astri sulla diffusione del morbo, e una seconda, solo accennata – e immediatamente smentita (vv. 256 ss.) – che riconduce il tutto ad un semplice movimento atomico del seme. La prima e` evidentemente preferita dall’autore, secondo il quale la «putrefazione e` causata da aliena caliditas, aria surriscaldata, particolarmente umida, inspirata o prodottasi nel corpo, ma a lui estranea, che fa evaporare il calore innato e dissolvere le particelle che compongono il corpo misto»: 170 queste particelle, corrotte ed infette, evaporano da un corpo per passare in un secondo, determinando cosı` il contagio. La seconda spiegazione sembra invece richiamarsi all’interpretazione atomistico-lucreziana, di cui Fracastoro non accettava tuttavia la totale casualita`.171 169 «Assentirono gli de ` i presenti; scosso, / tremo` l’Olimpo; e gia` novelli influssi / contaminavan l’etra; a poco, a poco, / d’ogni spazio nel cielo i larghi vuoti / furono infetti dalla lue e l’inane / aere fu invaso da siffatta labe, / il cielo tutto contagiando ovunque; / sia che tant’astri abbian concorso a unire, / gli effetti loro a quei del sole ardente. / Donde gran mole di calor traeva / vapori in copia delle terre e mari, / che, uniti poscia alle pur miti brezze / contaminate dalla nuova peste, l’insueto contagio avrian portato; / o che altro seme giu` dal ciel dimesso / sı` largo spazio abbia di quel corrotto. / Sebben non tema dir difficil cosa / saper che faccia, ed in qual modo, il cielo / e di tutto indagar le regioni certe. / Per lungo tempo differire infatti / puo` il ciel gli effetti, e mescolare a quelli / (causa ancor di error) la sorte e i fati». Le traduzioni sono tratte da Hieronymi Fracastori Syphilidis sive De morbo Gallico, Introduzione, versione e note di Francesco Pellegrini (Verona: Vita Veronese, 1956); il grassetto e` mio. 170 Cfr. CONCETTA PENNUTO , ‘‘La natura dei contagi in Fracastoro’’, in Girolamo Fracastoro. Fra medicina, filosofia e scienze della natura. Atti del Convegno internazonale di studi in occasione del 450º anniversario della morte, Verona-Padova 9-11 ottobre 2003, a cura di Alessandro Pastore, Enrico Peruzzi (Firenze: Olschki, 2006), pp. 57-71: 63 s. 171 Cfr. ancora PENNUTO , ‘‘La natura dei contagi in Fracastoro’’, per un esame dettagliato del modo in cui la casualita` lucreziana viene trasformata «in un processo cha aderisce alle leggi universali che regolano l’azione e la reazione fra i corpi: le leggi dell’analogia e della simpatia» (p. 71).
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Nel secondo libro, poi, analizzando l’efficacia dell’impiego del mercurio per la cura della sifilide, l’autore presenta diverse spiegazioni: Argento melius persolvunt omnia vivo pars maior: miranda etenim vis insita in illo est: sive quod id natum est subito frigusque caloremque excipere, unde in se nostrum cito contrahit ignem, quodque est condensum, humores dissolvit, agitque fortius, ut candens ferrum flamma acrius urit: sive acres, unde id constat compagine mira, particulae nexuque suo vinclisque solutae introrsum, ut potuere seorsum in corpora ferri, colliquant concreta, et semina pestis inurunt. Sive aliam vim fata illi, et natura dedere. Cuius et inventum medicamen munere Divum digressus referam. Quis enim admiranda Deorum munera praetereat? 172
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Una spiegazione multipla e` offerta anche nel corrispondente passo in prosa del De contagione: «sive quod (particulae) natae plurimum calefacere simul ac unitae et separatae ab aliis, sive quod minima omnia argenti vivi sint apta incalescere a calore nostro, et ob densitatem materiae mox etiam exurere, tum quidem et exsiccatio et exustio circa seminaria contigit»: 173 manca qui la causa divina che nel testo poetico («quis... Deorum / munera praetereat?», vv. 282 s.) e` indicata come imprescindibile, rovesciando cosı` la funzione di rifiuto di ogni spiegazione soprannaturale, tradizionalmente affidata al meccanismo delle spiegazioni multiple epicuree e lucreziane. Si rientrerebbe piuttosto – non so quanto consapevolmente – nella tipologia propria dell’epica, a partire da Omero: infatti, come ha osservato Philip Hardie, «it is in narrative epic that the conjunction of a supernatural and a natural cause, as two possibilities for the explanation of an action, is at home».174
«Ma meglio assai fanno risolver tutto / i piu` coll’uso dell’argento vivo; / mirabil forza esso possiede invero, / sia perche´ adatto a risentire tosto / il caldo e il freddo, onde a se´ presto attiva / ogni nostro calore e i condensati / umori scioglie, e fortemente agisce / piu` della fiamma che il candente ferro / arroventa, o sia pur perche´ le aguzze / minime parti onde composto e` in modo / mirabil tanto, dai legami sciolte / della lor coesion, nel corpo giunte, / di poter sciorre abbian virtude tosto / cio` che e` concreto e far estinti i germi della peste; o sia pur per altra forza / che a quel concessa han la Natura e il Fato / or riferire di tal cura voglio, / scoperta in grazia di virtu` celeste. / E chi dei Numi, i portentosi doni / tacer potrebbe?». 173 Traggo la citazione da EATOUGH , Fracastoro’s Syphilis (cit. n. 162), p. 158. 174 La citazione e ` tratta dal saggio compreso in questo volume, § 2. 172
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FRANCESCO CITTI
5. IL
MINIMUM DI
EPICURO
E DI
NAVAGERO
Veniamo infine ad un caso di applicazione del linguaggio lucreziano ad un contesto di parodia epicurea, ad opera di Andrea Navagero, curatore dell’Aldina del De rerum natura del 1515: si tratta del carme 68, pubblicato per la prima volta da Claudio Griggio,175 a partire dal manoscritto Ambrosiano J 48, e non compreso nell’edizione del Lusus stampata dagli amici, postuma, nel 1530. Il componimento e` un libero rifacimento – come era abitudine del Navagero 176 – di un epigramma di Lucillio (AP 11,103 = APl IIa 32,12), il terzo di una serie di testi (dopo AP 11,93 e 99),177 in cui l’autore greco si prende gioco 178 della dottrina dei minima, per cui non e` possibile la divisione all’infinito,179 perche´ l’atomo e` solido e indivisibile, per quanto costituito di partes minimae, prive di esistenza autonoma e inseparabili dall’atomo, ma solo logicamente distinguibili.180 Lucillio propone in vari epigrammi il paragone iperbolico tra un personaggio irriso per la sua piccolezza e gli atomi, paradossalmente troppo grandi per lui: Epicuro riteneva che non ci fosse nulla di piu` piccolo degli atomi (vv. 1-2). Se avesse conosciuto Diofante, avrebbe scritto o che l’universo e` fatto di Diafanti, che sono molto piu` piccoli degli atomi (vv. 3-4), oppure che gli atomi a loro volta sono costituiti da Diofante (vv. 5-6). Riporto il testo del carme di Navagero, assieme ad altre due traduzioni quasi contemporanee, di Thomas More 181 e Vincent Obsopoeus: 182 175 Cfr. CLAUDIO GRIGGIO , ‘‘Per l’edizione del «Lusus» del Navagero’’, Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, lettere ed arti, sc. mor., 1977, 135: 87-113, p. 113, che integra di 20 componimenti il corpus gia` edito, cfr. Andrea Navagero, Lusus, Text and Translation, Edited with an Introduction an with a Critical Commentary by Alice E. Wilson (Nieuwkoop: B. De Graaf, 1973). 176 Cfr. JAMES HUTTON, The Greek Anthology in Italy to the Year 1800 (Ithaca-New York: Cornell UP, 1935), pp. 189-192. 177 Cfr. anche AP 11,249. 178 Lucillio poteva conoscere la dottrina di Epicuro non solo attraverso gli scritti del maestro, ma anche attraverso il De rerum natura. Secondo GIDEON NISBET, Greek Epigram in the Roman Empire: Martial’s Forgotten Rivals (Oxford: Oxford UP, 2003), pp. 51-53 «we have no reason, and no real need, to assume that his own knowledge of Epicurean doctrine was at all profound – or even necessarily correct», ma in ogni caso e` evidente una conoscenza di base della teoria dei minima: anche AP 11,93 Tw~n jEpikoureivwn ajtovmwn pote; Mavrko" oJ lepto;" / th/~ kefalh/~ trhvsa" eij" to; mevson dievbh e` infatti basato sulla questione della divisibilita` dell’atomo. 179 Su questa teoria, e sulle sue conseguenze per il pensiero geometrico epicureo, cfr. l’intervento di Anna Angeli e Tiziano Dorandi in questo volume. 180 Cfr. Epicur. Ep. Hdt. [= fr. 2 Arr.] 55-59, frr. 267 s. Us. [=153 s. Arr.], 269 s. Us. e Lucr. 1,599-634 e 746-752, con le osservazioni di BAILEY, Titi Lucreti Cari (cit. n. 1), vol. 1, pp. 702-704, nonche´ T. Lucreti Cari De rerum natura libri sex, revisione del testo, commento e studi introduttivi di Carlo Giussani (Torino: Chiantore, 1921-19232), 4 voll., vol. 1 (= Studi lucreziani), pp. 56-78. 181 Epigrammata (Basileae: Froben, 1518), rilegati assieme all’Utopia e agli Epigrammata di Era-
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PIERIO RECUBANS LUCRETIUS ANTRO: SULLA FORTUNA UMANISTICA DI LUCREZIO
LOUKILLIOU jEx ajtovmwn jEpivkouro" o{lon to;n kovsmon e[grayen eij~nai tou~to dokw~n, [Alkime, leptovtaton. eij de; tovt j hj~n Diovfanto", e[grayen a]n ejk Diofavntou tou~ kai; tw~n ajtovmwn pouluv ti leptotevrou h] ta; me;n a[ll j e[graye sunestavnai ejx ajtovmwn a[n, ejk touvtou d j aujtav", [Alkime, ta;" ajtovmou".
Navag. Lusus 68 Esse atomos celeri tenuissima corpora motu, assidue immensum quae per inane meant, Cunctarum hinc visum est Epicuro exordia rerum, hinc elementa orbi prima fuisse novo; Scilicet exiguum quoddam minimumque requirens, his minus ille atomis credidit esse nihil. Marce, atomis minor est multoque minutior ipsis exilisque magis quam leuis umbra Lycus. Si visus foret hic Epicuro, hinc prima putasset principia, immensum hinc constituisse opus, Ni potius rerum ille atomos primordia et ipsas e multis atomos crederet esse Lycis. T. Morus epigr. 104 B.-L. In perpusillum, e Graeco Ex atomis Epicurus totum fabricat orbem, Alchime, dum nihil his credidit esse minus. Ex te fecisset, si tum, Diophante, fuisses, nempe atomis multo es tu, Diophante, minor. Aut forte ex atomis iam ceter scriberet esse, aut ipsas ex te scriberet esse atomos.
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V. Obsopoeus Ex atomis Epicurus ait consistere mundum, Alcime: quippe quibus nil minus esse putat.
smo; adotto il testo compreso in The Latin Epigrams of Thomas More, Edited with Translation and Notes by L. Bradner and C.A. Lynch (Chicago: University of Chicago Press, 1933), p. 52. Per Moro, e le raccolte cinquecentesche di traduzioni dall’Anthologia, vd. il mio ‘‘Gli epigrammi dell’Anthologia Graeca negli Adagia di Erasmo’’, Lexis, 2007, 25: 399-430. 182 Le traduzioni di V. Obsopoeus (Heydnecker) apparvero nel volume In Graecorum Epigrammatum libros quatuor Annotationes longe doctissimae, iam primum in lucem editae, Vincentio Obsopoeo autore... (Basel: Nicolaus Brylinger, 1540), cfr. HUTTON, The Greek Anthology in Italy (cit. n. 176), pp. 286-289. Traggo la traduzione da T. Lucreti Cari De rerum natura libri sex, ex editione Gilberti Wakefieldi cum notis et interpretatione in usum delphini variis lectionibus notis variorum recensu editionum et codicum... (Londini: A.J. Valpy, 1823), 3 voll., vol. 2, p. 936.
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FRANCESCO CITTI
Si tunc vixisset Diophantus, is ex Diophanto scriberet: his atomis nam minor esse solet. Ex atomis aut si vel caetera cuncta probasset, sed tamen ex illo diceret esse atomos.
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Il carme di Lucillio – che si apre e si chiude simmetricamente con la parola chiave dell’epicureismo, a[tomo" – e` suddiviso in tre distici, in cui le insistite ripetizioni sottolineano gli elementi del ragionamento. La traduzione di Moro, ma ancor piu` quella di Obsopeo, li pone in rilievo, conservando la disposizione di a[tomo" a cornice dell’intero epigramma insieme alla ripetizione di ejx ajtovmwn («Ex atomis... / Ex atomis... / ...esse atomos» vv. 1, 5 e 6) e il poliptoto in clausola leptovtaton / ...pouluv ti leptotevrou, cui corrisponde «nihil... esse minus / multo... minor» (vv. 2 e 4) di Moro, e il piu` simmetrico «nil minus esse putat / ...nam minor esse solet» di Obsopeo. Il verso 3, nella traduzione di quest’ultimo, «Si tunc vixisset Diophantus, is ex Diophanto / scriberet», e` quasi un calco dell’originale, di cui conserva l’iconico poliptoto. Moro invece preferisce trasformare tutto il distico centrale mediante un’apostrofe a questo «perpusillum». Entrambi sopprimono invece il vocativo del v. 6. Quello che colpisce in Navagero, tuttavia, non e` solo il fatto che dai 6 versi dell’originale si passi a 12, quanto che Lucrezio funzioni da repertorio lessicale e concettuale per la traduzione: 183 il semplice jEx ajtovmwn... o{lon to;n kovsmon... eij~nai (vv. 1-2) si espande in una spiegazione del rapido moto degli atomi attraverso il vuoto. Accanto al non lucreziano «atomus» 184 si incontrano cosı` i «tenuissima corpora», che innestano nei lucreziani parvissima corpora 185 l’aggettivo ugualmente lucreziano tenuissima (cfr. 5,556 s. Nonne vides etiam quam magno pondere nobis / sustineat corpus tenuissima vis animai). Essi si
183 Analogamente l’anonimo traduttore di Hom. Il. 14,315 s. ouj gavr pwv potev m j wJ~de qea" e[ro" ~ oujde; gunaiko;" / qumo;n ejni; sthvqessi periprocuqei;" ejdavmassen, vv. 383 s. «numquam mihi tanta me-
dullas / flamma subit domuitque animum tam dira libido», si e` servito della lucreziana dira libido (4,1046), conferendo all’originale una forza sconosciuta: cfr. RENATA FABBRI, Nuova traduzione metrica di Iliade XIV da una miscellanea umanistica di Agnolo Manetti (Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1981), pp. 35 e 97 e, per lo stilema lucreziano, ALFONSO TRAINA, ‘‘Dira libido (Sul linguaggio lucreziano dell’eros)’’, in Poeti latini (e neolatini). II (cit. n. 133), pp. 11-34. 184 L’avrebbero impiegato invece Lucilio e Cicerone: su atomus, corpora individua, individua e corpuscula, vd. TOBIAS REINHARDT, ‘‘The Language of Epicureanism in Cicero: The Case of Atomism’’, in Aspects of the Language of Latin Prose, edited by Tobias Reinhardt, Michael Lapidge, James N. Adams (Oxford: Oxford UP, 2005), pp. 151-177 ed anche SEDLEY, ‘‘Lucretius’ Use’’ (cit. n. 81), p. 230. 185 Cfr. Lucr. 1,615 s. Praeterea nisi erit minimum, parvissima quaeque / corpora constabunt ex partibus infinitis; 3,199 s. igitur parvissima corpora pro quam / et levissima sunt, ita mobilitate fruuntur.
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PIERIO RECUBANS LUCRETIUS ANTRO: SULLA FORTUNA UMANISTICA DI LUCREZIO
muovono «celeri motu»,186 e sempre lucrezianamente «meant per inane»; 187 Epicuro e` colto – come indicano assieme l’«hinc» anaforico 188 e «visum» – nel momento della sua rivelazione, quando scopre i principi di tutte le cose: la frase «Cunctarum hinc visum est Epicuro exordia rerum» (v. 3) dispone su un solo verso la formula divisa dall’enjambement in Lucr. 4,114-115 exordia rerum / cunctarum quam sint subtilia percipe paucis.189 Analogamente sono lucreziani gli «elementa prima» (v. 4),190 i «principia» (v. 10),191 i «rerum primordia» (v. 11) 192 e persino – non sara` un caso – il «minimum» (v. 5), con cui Lucrezio rende l’ejlavciston di Epicuro.193 Navagero dispiega cosı` una completa grammatica dell’atomo: 194 l’editore aldino, gareggiando col suo modello, gli conferisce un nuovo spessore tutto lucreziano, facendo emergere attraverso il lusus letterario la forza scientifica e insieme seducente del modello atomistico.195
186 Cfr. Lucr. 4,176 Nunc age, quam celeri motu simulacra ferantur e 4,210 quam celeri motu rerum simulacra ferantur. 187 Lucr. 2,157 s. at quae sunt solida primordia simplicitate, / cum per inane meant vacuum nec res remoratur ed anche 2,65 magnum per inane meandi; 2,151 per inane meat vacuum. Per immensum, cfr. ad es. magnum per inane 1,1018; 1,1103; 2,65; 2,105; 2,109. 188 Per cui cfr. ad es. Lucr. 1,254 s. hinc alitur porro nostrum genus atque ferarum, / hinc laetas urbes pueris florere videmus / frondiferasque novis avibus canere undique silvas, / hinc fessae pecudes pinguis per pabula laeta / corpora deponunt. 189 Cfr. anche Lucr. 2,333 Nunc age, iam deinceps cunctarum exordia rerum / qualia sint et quam longe distantia formis, / percipe; 3,31; 4,45, con exordia rerum sempre in clausola. 190 Cfr. ad es. Lucr. 4,940 s. perveniant plagae per parva foramina nobis / corporis ad primas partis elementaque prima; 6,1009 nec res ulla magis primoribus ex elementis. 191 Cfr. ad es. Lucr. 1,244 nexus principiorum; 1,483 s. Corpora sunt porro partim primordia rerum, / partim concilio quae constant principiorum. 192 Cfr. ad es. Lucr. 1,55; 1,210 (primordia rerum); 1,265; 1,483; 1,485; etc. 193 Cfr. 1,609 sunt igitur solida primordia simplicitate, / quae minimis stipata cohaerent partibus arte, 1,615 ss. Praeterea nisi erit minimum, parvissima quaeque / corpora constabunt ex partibus infinitis, / quippe ubi dimidiae partis pars semper habebit / dimidiam partem nec res praefiniet ulla. 194 Su cui vd. PIERRE GRIMAL , ‘‘Elementa, primordia, principia dans le poe ` me de Lucre`ce’’, in Me´langes de philosophie, de litte´rature et d’histoire ancienne offerts a` Pierre Boyance´ (Rome: E´cole Franc¸aise, 1974), pp. 357-366, rist. in Rome. La litte´rature et l’histoire (Rome: E´cole Franc¸aise, 1986), pp. 203-211. 195 Alla Venere lucreziana si ispirano d’altronde i carmi 25 e 41, nella numerazione di Wilson, di cui vd. le nn. pp. 88 e 92, e la introduzione, pp. 14 s.; quello di Venere e della primavera e` uno dei temi lucreziani piu` imitati: cfr. GAMBINO LONGO, Savoir de la nature (cit. n. 18), pp. 247-259 (pp. 254 s. su Navagero), GODDARD, Epicureanism in the Poetry of Lucretius (cit. n. 18), pp. 5460, 81-84, 116-117, 167-169 (su Navagero); PROSPERI, Di soavi licor (cit. n. 18), pp. 139-158; per i rapporti con l’iconografia, EDGAR WIND, Misteri pagani nel Rinascimento (Milano: Adelphi, 19997), p. 157, CAMPBELL, ‘‘Giorgione’s Tempest’’ (cit. n. 25), pp. 323 ss., MARCO BERETTA, ‘‘Lucrezio e la chimica’’, Automata, 2007, 2: 41-57: 44.
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MICHELE CAMEROTA GALILEO, LUCREZIO E L’ATOMISMO
Una disamina delle posizioni assunte da Galileo in merito alla questione dell’atomismo – e, piu` in generale, della struttura della materia – non puo` prescindere dal rilevare preliminarmente come, nell’ambito della sua lunga milizia intellettuale, l’autore del Dialogo sopra i due massimi sistemi non si sia mai soffermato ad illustrare in modo specifico ed analitico la propria concezione sull’argomento. Sollecitata dalle occasioni e, pertanto, sovente caratterizzata da accenti polemici debitamente mirati (argomentazioni ad hoc quando non ad hominem), l’illustrazione del tema ha accompagnato come un filo rosso l’intera vicenda scientifica del grande Pisano, senza trovare pero` mai una sede di apposito, dettagliato, approfondimento. Nonostante la disorganicita` ed il connotato rapsodico degli spunti sul tema, e` tuttavia indubbio che la teoria della materia galileiana sia caratterizzata da una complessiva, marcata ispirazione atomistica. Certamente, nelle varie sedi in cui Galileo ha espresso le proprie idee non mancano differenze (anche consistenti) di tipo concettuale e lessicale, ma, a ben vedere, tutte le oscillazioni sull’argomento sono in qualche modo riportabili nell’alveo di una direttrice teorica decisamente in linea con la prospettiva dell’atomismo classico piuttosto che con le tesi della tradizione aristotelica. Non a caso, fin dai primi studi di dinamica, i cosiddetti scritti De motu antiquiora – risalenti, con ogni probabilita`, al periodo in cui tenne la cattedra di matematica a Pisa, tra il 1589 e il 1592 – Galileo polemizzava duramente con lo Stagirita, responsabile di aver ingiustamente e a torto («inmerito») criticato, nel quarto libro del De caelo, gli antiquiores philosophi, sostenitori di una materia unica, comune a tutti gli elementi («totam elementorum communem materiam»), le cui particulae tendono a costituire corpi di diverso peso e densita` mediante una differente distribuzione spaziale: Cum enim, ut antiquioribus philosophis placuit, una omnium corporum sit materia, et illa quidem graviora sint quae in angustiori spatio plures illius materiae par-
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ticulas includerent, ut iidem philosophi, inmerito fortasse ab Aristotele 4 Caeli confutati, asserebant; rationi profecto consentaneum fuit, ut quae in angustiori loco plus materiae concluderent, angustiora etiam loca, qualia sunt quae centro magis accedunt, occuparent.1
Lo spunto galileiano concerne il giudizio polemico dato da Aristotele sulla concezione della ‘‘pesantezza’’ dei corpi sostenuta da Platone e dagli atomisti (cf. De caelo, 308b – 309b), una concezione che escludeva l’esistenza del «pesante e leggero assoluti» (aJplw"~ baruv kai; kouf~ on), fondamentali nell’assetto del mondo peripatetico. Contro tale dottrina il giovane Galileo si pronunciava con nettezza, destinando un intero capitolo 2 a confutare l’opinione aristotelica e a proclamare la propria adesione all’insegnamento dei pensatori ‘‘antichi’’ («Nos autem, antiquorum in hoc opinionem secuturi [...]»).3 Per quanto il lessico dei De motu non implichi, in senso stretto, l’adesione ad una concezione atomista (vi si parla sempre di particolae, mai di atomi), tuttavia l’idea di una materia a costituzione particellare comune a tutte le cose lascerebbe intendere che Galileo avesse maturato tesi congeneri a quelle degli antiquiores philosophi, da lui, come abbiamo visto, tenacemente difesi dagli strali del Filosofo. Inoltre, la stessa critica galileiana della tesi peripatetica che affermava la realta` di una ‘‘leggerezza’’ positiva e ‘‘assoluta’’ (levitas absoluta), richiama una concezione della materia unitaria e strettamente connessa all’attributo della gravitas, configurando una concezione in cui le distinzioni qualitative tendono a non giocare piu` un ruolo privilegiato. In tal senso, il paradigma dinamico dei De motu segna un primo passo in direzione di una rigorosa meccanizzazione del movimento, un’operazione scientemente condotta contra Aristotelem, nel segno di una decisa contestazione dell’impianto teleologico della fisica peripatetica. [«Poiche´ infatti, come vollero i filosofi piu` antichi, la materia e` unica, e, come ancora sostenevano gli stessi filosofi, forse a torto confutati da Aristotele nel quarto libro del De caelo, i corpi piu` pesanti sono quelli che in uno spazio piu` ristretto raccolgono un maggior numero di particelle di quella materia, fu dunque perfettamente conforme alla ragione che le cose che racchiudevano piu` materia in uno spazio piu` ristretto, andassero ad occupare i luoghi piu` angusti, quali sono quelli che piu` si approssimano al centro»]. GALILEO GALILEI, Opere, Edizione Nazionale, a cura di A. Favaro (Firenze: Giunti Barbera, 1890-1909; rist. 1968), I, pp. 252-253 (d’ora in avanti citeremo l’Ed. Naz. delle Opere, di Galileo semplicemente con la dicitura OG, cui fara` seguito, in numero romano, il riferimento al volume, e, in cifre arabe, alla pagina). 2 Cfr. «Caput... in quo contra Aristotelem concluditur, non esse ponendum simpliciter leve et simpliciter grave: quae etiam si darentur non erunt terra et ignis, ut ipse credit». OG, I, 289-294. 3 OG, I, 289-290. Cfr. inoltre quanto Galileo afferma nel capitolo, di una ulteriore stesura, intitolato «Gravitatis corpus nullum expers esse, contra Aristotelis opinionem»; OG, I, 355-361. 1
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GALILEO, LUCREZIO E L’ATOMISMO
Di fatto, per il giovane Galileo e` la differenza tra pesi specifici del corpo e del mezzo a determinare direzione e velocita` delle traslazioni, senza che si dia un termine proprio, un locus naturalis, quale esito finalistico del processo. La rinuncia alla prospettiva teleologica e` possibile in quanto, gia` nei De motu, le distinzioni qualitative tra materie non definiscono le attitudini cinetiche dei corpi, se non nel senso che corpi della stessa specie hanno il medesimo peso specifico,4 e, dunque, anche se di mole diversa, si muovono in un identico mezzo con eguale velocita`. Non e` difficile scorgere in quegli antiquiores philosophi che il giovane Galileo contrappone ad Aristotele l’ombra degli atomisti, in particolare di Democrito, le cui posizioni egli conosceva non solo a partire dai testi aristotelici, ma anche dalle opere di Galeno, al cui studio si era dedicato negli anni in cui era appunto studente di medicina a Pisa, negli anni tra il 1580 e il 1585. In tal senso, ancora nel 1590, Galileo – gia` docente di matematica nell’Ateneo pisano – chiedeva al padre di inviargli l’opera del medico di Pergamo, che possedeva in un’edizione in sette volumi (forse quella veneziana di Valgrisi del 1562-1563, o la giuntina del 1565).5 Mette altresı` conto ricordare come, nell’ambiente filosofico pisano della seconda meta` del Cinquecento e dei primi decenni del Seicento, le dottrine atomistiche fossero estesamente discusse e costituissero un tema ricorrente della riflessione dei professori del locale Studio. Cosı`, l’aristotelico Francesco Buonamici, docente di filosofia a Pisa nel lungo torno di tempo compreso tra il 1565 e il 1603, nonche´ autore di un ponderoso (1011 pagine in folio) trattato De motu (edito nel 1591) – ben noto a Galileo che lo citera` estesamente nel Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua (1612) – concedeva ampio spazio alla esposizione delle dottrine di Democrito ed Epicuro, attingendo alle testimonianze di Aristotele, di Diogene 4 Mette conto notare che non esiste nei De motu un apposito termine cui Galileo assegni la denotazione del concetto di peso specifico. Lo scienziato pisano continua, infatti, a significare il peso per unita` di volume mediante il generico termine gravitas. Solo piu` tardi, nell’ambito della matura analisi del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono (1612), egli si servira`, costantemente e consapevolmente, della piu` appropriata espressione gravita` in specie. Cfr. OG, IV, 67-68. Va anche osservato che Galileo non opera alcuna distinzione tra i moderni concetti di peso specifico assoluto (rapporto tra il peso e il volume di un corpo omogeneo) e peso specifico relativo (rapporto tra il peso di un corpo e il peso di un eguale volume di acqua distillata) equiparando la sua nozione di gravitas ad una sorta di approssimativa misura della densita` dei corpi. 5 «Ho hauto in questo punto una vostra, con la quale ditemi di mandarmi i Galeni et il vestito et la Sfera, le quali cose non ho ancora ricuperate: me le haro` ancora stasera. I Galeni non hanno ad essere altro che 7 tomi, sı` che staranno bene». Galileo a Vincenzo Galilei, 15 novembre 1590, in OG, X, 44.
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Laerzio, di Cicerone, e, soprattutto, di Lucrezio, i cui versi ricorrono frequentemente in molte parti dell’enorme volume del Buonamici.6 Pur nell’ambito di una orgogliosamente rivendicata fedelta` all’aristotelismo, nel decimo libro della sua voluminosa opera sul movimento, Buonamici delineava una concezione dell’essere divino come ente del tutto alieno da ogni attenzione alle vicende umane e mondane, apparentando esplicitamente questa immagine della divinita` (che identificava con quella di Aristotele) alla ‘‘predicazione’’ di Epicuro.7 In tale prospettiva egli procedeva, inoltre, a censurare la superstizione di coloro che, con le piu` varie intraprese, tentano di accattivarsi il favore divino, e ricordava in proposito il sacrificio di Ifigenia, citando i versi del primo libro del poema lucreziano e la loro drastica conclusione: Tantum religio potuit suadere malorum.8 Nella discussione delle questioni dinamiche – tema centrale del suo De motu – Buonamici evidenziava, peraltro, un indefettibile attaccamento alla fisica peripatetica, difendendone le fondamentali dottrine, sovente in polemica con il punto di vista degli atomisti. Al fine di meglio illustrare le opinioni di questi ultimi, il filosofo fiorentino si serviva non di rado dei versi del poema di Lucrezio, come nel caso dell’esame di quella teoria della gravita` discussa anche da Galileo nei suoi scritti giovanili sul moto: Alij vero Platone quidem vetustiores, attamen novis modis nec unquam excogitatis, de ipsorum [sc. gravium et levium] natura decrevere. Illa enim conficiebant ex pleno et vacuo, plenum gravitatis, vacuum vero levitatis caussam dicentes. Cum igitur corpus quoddam plus in se plenum contineret, grave ipsum esse testabantur,
6 Cfr., per es., FRANCESCO BUONAMICI , De Motu Libri X (Florentiae: apud B. Semartellium, 1591), part. Libro I, capp. 25-28 (pp. 108-120). Per una articolata disamina del pensiero del Buonamici, cfr. MARIO OTTO HELBING, La filosofia di Francesco Buonamici professore di Galileo a Pisa (Pisa: Nistri-Lischi, 1989). 7 «Ideque Peripateticorum schola sensisse videtur, quod praedicabat Epicurus. Quod aeternum beatumque sit, id nec habere ipsum negotii quicquam, nec exhibere alteri». BUONAMICI, De motu (cit. n. 6), p. 972. In proposito cfr. HELBING, La filosofia di Francesco Buonamici (cit. n. 6), pp. 331-342; SERGIO LANDUCCI, I filosofi e Dio (Roma-Bari: Laterza, 2005), pp. 72-73. Anche il collega e rivale del Buonamici, l’aretino Girolamo Borro (1512-1592) – professore di filosofia allo Studio di Pisa negli anni tra il 1533 e il 1559 e, ancora, nel periodo 1575-1586 – affermava, in stretto riferimento al dettato del dodicesimo libro della Metafisica di Aristotele (cfr. Metaph. 1074b 15-1075a 10), che la vita della divinita` si limitava ad un eterno esercizio di autocontemplazione: «Consistit ergo vita Dei perennis in actu intelligendi et amandi se ipsum; qui intelligendi et amandi actus est quieti similior quam motui». GIROLAMO BORRO, De motu gravium et levium (Florentiae: G. Marescottus, 1575), p. 59. 8 BUONAMICI , De motu (cit. n. 6), p. 973. Buonamici cita i vv. 95-101 del primo libro del De rerum natura: sublata virum manibus tremibundaque ad aras / deducta est, non ut sollemni more sacrorum / perfecto posset claro comitari Hymenaeo, / sed casta inceste nubendi tempore in ipso / hostia concideret mactatu maesta parentis, / exitus ut classi felix faustusque daretur. / Tantum religio potuit suadere malorum.
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cum vero contra plus vacui, leve. Horum caput Democritus, cuius simia fuit Epicurus. Nanque ex ipso Lucretius: Denique cur alias aliis praestare videmus pondere res rebus nihilo maiore figura? Nam si tantundem est in lanae glomere quantum corporis in plumbo est, tantundem pendere par est, corporis officium est quoniam premere omnia deorsum, contra autem natura manet sine pondere inanis.9
Buonamici avrebbe ben potuto continuare nella sua citazione, dal momento che i passaggi immediatamente successivi del testo lucreziano sono quelli che meglio chiariscono il concetto in questione. Ecco il dettaglio dei seguenti versi 364-369 del primo libro del De rerum natura: Ergo quod magnumst aeque leviusque videtur, ni mirum plus esse sibi declarat inanis; at contra gravius plus in se corporis esse dedicat et multo vacui minus intus habere. Est igitur ni mirum id quod ratione sagaci quaerimus, admixtum rebus, quod inane vocamus.10
Una simile, esplicita affermazione dell’esistenza del vuoto inter-particellare non si riscontra in alcun luogo dei galileiani De motu antiquiora. Galileo ritiene bensı` che il peso corrisponda ad una maggiore concentrazione di materia, ma non fa mai riferimento ad un vacuum disseminatum (per usare la nomenclatura scolastica) all’interno dei corpi, ma solo ad una piu` elevata presenza di particolae in un dato spazio. A parere dello scienziato pisano, infatti, 9 [«Altri pensatori, piu ` antichi di Platone e tuttavia con modi nuovi mai prima escogitati, giudicarono in merito alla natura dei corpi gravi e leggeri. Componevano, infatti, i corpi di pieno e di vuoto, sostenendo che il pieno fosse la causa del peso ed il vuoto la causa della leggerezza. Essi, dunque, dichiaravano un certo corpo pesante in quanto conteneva in se´ una maggiore quantita` di pieno; quando invece, al contrario, constava di piu` vuoto, lo definivano leggero. Il principale esponente di costoro fu Democrito, imitato da Epicuro. E appunto ispirato da questi, Lucrezio scrive: Infine perche´ vediamo dei corpi pesare piu` di altri corpi, sebbene non abbiano forma piu` grande? Se altrettanta materia c’e` in un globo di lana quanta in uno di piombo, e` giusto che pesi altrettanto, perche´ e` proprio della materia premere ogni cosa al basso, mentre la natura del vuoto e` esente da peso»]. BUONAMICI, De motu (cit. n. 6), p. 464. I versi citati da Buonamici corrispondono ai vv. 358-363 del primo libro del De rerum natura (la traduzione qui data e` quella di Armando Fellin, per cui ved. nota ss.). 10 [«Dunque cio ` che egualmente e` grande e appare piu` leggero dichiara per certo d’avere in se´ piu` vuoto; al contrario l’oggetto piu` grave rivela che e` in lui piu` materia e che ha dentro molto minor parte di vuoto. Esiste dunque certo, mescolato nei corpi, quel che cerchiamo con acuto ragionare e che diciamo il vuoto»]. Trad. di Armando Fellin, in Tito Lucrezio Caro. La Natura (Torino: UTET, 1997; rist. 2005), p. 89.
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debbono stimarsi piu` densi e pesanti quei corpi che, a parita` di dimensioni, inglobano un piu` alto numero di particelle.11 La variazione nell’occorrenza particellare in volumi eguali (condizione che pure lascerebbe pensare ad una implicita assunzione della presenza di vacua tra le particolae) spiega, dunque, le differenze di peso (specifico) caratteristiche delle diverse sostanze, costituendo cosı` il fattore determinante, in ultima analisi, il comportamento dinamico dei gravi. In sintonia con la dottrina atomista – oltre che con l’ispirazione archimedea che sostanzia l’intera dinamica dei De motu antiquiora – il giovane Galileo procedeva altresı` ad interpretare il motus sursum, il moto naturale verso l’alto, nei termini di un effetto della estrusione del mezzo nei confronti di un corpo di peso specifico minore.12 Ogni ente materiale ha, infatti, peso,13 da cui deriva la naturale tendenza a muoversi verso il basso; di conseguenza, non si puo` sostenere – come fa Aristotele – che esista qualcosa (nella fattispecie il fuoco) di assolutamente leggero.14 Il moto ‘‘verso l’alto’’ e` quindi prodotto dalla azione del mezzo, in quanto esso e` piu` pesante (in specie) della sostanza che vi si trova immersa.15 La critica galileiana alla concezione peripatetica del moto naturale sursum e` esplicitamente improntata alla difesa delle posizioni degli antiquores philosophi («Haec Aristoteles contra antiquos, et nos pro antiquis»),16 vale a dire, come gia` osservato, degli atomisti. Anche Lucrezio, nei versi 185-205 del secondo libro, aveva riportato il moto verso l’alto ad una forza esterna, sottolineando come nullam rem posse sua vi / corpoream sursum ferri sursumque meare. Secondo le sue parole:
«Eorum vero quae ex hac materia constituta sunt corpora, densiora illa dicta sunt quae, sub eadem mole, plures eiusdem materiae particolas coe¨gere; densiora autem graviora fuere». OG, I, 344. 12 «Motus sursum fit per extrusionem a medio gravi: sicut in lance minus grave sursum violenter a graviori movetur, ita mobile sursum violenter a graviori medio extruditur». OG, I, 414. 13 «non dabitur [...] quicquam gravitate ab omni immune»; «gravitatis nullum corpus expers esse». OG, I, 359, 360. 14 «Concludamus itaque, gravitatis nullum corpus expers esse, sed gravia esse omnia, haec quidem magis, haec autem minus, prout eorum materia magis constipata et compressa, vel diffusa et extensa, fuerit: ex quo sequitur, non posse dici ignem esse simpliciter leve, hoc est quod omni careat gravitate; hoc enim vacui est». OG, I, 360. 15 «Quando, igitur, in medio aliquo corpus aliquod ipso medio minus grave demersum fuerit, circumflui medii partes, gravitate sua prementes, tentant ex inferiori loco corpus illud expellere, ut ipsaemet humiliores occupent regiones. Quod si minor fuerit resistentia quam in corpore illo offenderint, quam sit vis qua ipsae premunt, vincunt illudque extrudunt: at minor erit resistentia mobilis ne attollatur, quotiescunque sua gravitas gravitate medii prementis fuerit minor: ergo tunc extrudetur». OG, I, 363. 16 OG, I, 359. 11
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Nunc locus est, ut opinor, in his illud quoque rebus confirmare tibi, nullam rem posse sua vi corpoream sursum ferri sursumque meare; ne tibi dent in eo flammarum corpora fraudem. Sursus enim versus gignuntur et augmina sumunt et sursum nitidae fruges arbustaque crescunt, pondera, quantum in se est, cum deorsum cuncta ferantur. Nec cum subsiliunt ignes ad tecta domorum et celeri flamma degustant tigna trabesque, sponte sua facere id sine vi subiecta putandum est. [...] nonne vides etiam quanta vi tigna trabesque respuat umor aquae? nam quo magis ursimus alte derecta et magna vi multi pressimus aegre, tam cupide sursum removit magis atque remittit, plus ut parte foras emergant exiliantque. Nec tamen haec, quantum est in se, dubitamus, opinor, quin vacuum per inane deorsum cuncta ferantur. Sic igitur debent flammae quoque posse per auras aeris expressae sursum succedere, quamquam pondera, quantum in sest, deorsum deducere pugnent.17
I versi appena citati presentano una interessante peculiarita`, che vale la pena di evidenziare anche a prezzo di una piccola digressione narrativa. Lucrezio vi adopera, infatti, per ben tre volte l’espressione quantum in se est (v. 190: pondera, quantum in se est, cum deorsum cuncta ferantur; vv. 201202: Nec tamen haec, quantum est in se, dubitamus, opinor, / quin vacuum per inane deorsum cuncta ferantur; v. 205: pondera, quantum in sest, deorsum deducere pugnent). Si tratta di tre occorrenze, delle complessive quattro presenti all’interno del De rerum natura,18 di una locuzione che ricorrera` identica 17 [«Ora, crederei, e ` tempo che nella mia dottrina io ti provi anche questo: nessuna cosa corporea puo` di sua forza sollevarsi e muovere verso l’alto; ne´ in questo ti facciano inganno i corpi delle fiamme. Su verso l’alto, e` vero, scaturiscono e acquistano slancio, e verso l’alto crescono le luminose messi e gli alberi, mentre i corpi pesanti, per quanto sta in loro, sono tutti trascinati verso il basso. Ma quando il fuoco si avventa ai tetti delle case e con la rapida fiamma lingueggia fra le assi e le travi, non e` da credere che lo faccia da solo, senz’essere spinto da una forza. [...] Non vedi anche con quanta forza il fluido dell’acqua risputa assi e travi? Quanto piu` le calchiamo dall’alto verticalmente nell’acqua e con gran forza in molti le affondiamo a fatica, con tanta maggior veemenza su le rigetta e le espelle, sicche´ piu` che a mezzo emergono e balzano fuori. Eppure non dubitiamo, credo, che questi corpi, per quanto sta in loro, nel libero vuoto tutti precipitino al basso. Cosı` dunque anche le fiamme potranno, sprigionate con forza, sollevarsi nell’aria, sebbene il loro peso di per se´ lotti per trascinarle al basso»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), pp. 143-144. 18 L’altra occorrenza dell’espressione in oggetto si trova ai vv. 246-247 del secondo libro: Namque hoc in promptu manifestumque esse videmus, / pondera, quantum in sest, non posse obliqua meare.
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nelle formulazioni del principio di inerzia enucleate da Descartes e Newton.19 Cio` ha portato ad istituire un nesso diretto tra la Prima lex naturae cartesiana (rubricata come Prima lex motus nell’opera di Newton) e il poema lucreziano.20 Tornando ora al nostro specifico argomento, occorre dire che, per quanto il discorso di Lucrezio concordi appieno con le tesi (di ascendenza atomistica) difese dal giovane Galileo al fine di negare l’esistenza di una levitas positiva e di un moto naturale sursum, tuttavia dal confronto tra l’esposizione dei De motu antiquiora ed i versi del De rerum natura non emergono riscontri lessicali o concettuali tali da far annoverare con sicurezza il testo lucreziano tra le fonti della prima elaborazione galileiana sul moto.21 19 «Prima lex naturae: quod unaquaeque res, quantum in se est, semper in eodem statu perseveret; sicque quod semel movetur, semper moveri pergat». RENE´ DESCARTES, Principia Philosophiae, II, xxxvii (corsivo mio). Cfr. Œuvres de Descartes, publie´es par Charles Adam et Paul Tannery (Paris: Editions du Cerf, 1897-1913; rist. Paris: Vrin, 1996), VIII, p. 62. «Materiae Vis Insita est potentia resistendi, qua corpus unumquodque, quantum in se est, perseverat in statu suo vel quiescendi vel movendi uniformiter in directum». ISAAC NEWTON, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, Definitio III (corsivo mio). Cfr. Isaac Newton’s Philosophiae Naturalis Principia Mathematica [reprinted] with variant readings assembled and edited by Alexandre Koyre’ and I. Bernard Cohen, with the assistance of Anne Whitman (Cambridge: Cambridge UP, 1972), I, p. 2. 20 Cfr. BERNARD I. COHEN , ‘‘Quantum in se est: Newton’s Concept of Inertia in Relation to Descartes and Lucretius’’, Notes and Records of the Royal Society of London, 1964, 19: 131-155. Cohen individua la radice della suggestione cartesiana e newtoniana nel commentario al De rerum natura di Denys Lambin (Lambinus), originariamente pubblicato a Parigi nel 1563-64. Cfr. ibid., pp. 146-147. Piu` recentemente, William Hine ha convincentemente sostenuto che la formulazione del principio di inerzia e la sua stessa connotazione in termini di ‘‘legge’’ data da Descartes e Newton furono in realta` ispirate dalla lettura del commento a Lucrezio di Giovanni Battista Pio, edito per la prima volta nel 1511. Cfr. WILLIAM L. HINE, ‘‘Inertia and Scientific Law in Sixteenth-Century Commentaries on Lucretius’’, Renaissance Quarterly, 1995, 48: 728-741. Sulla conoscenza dell’opera di Lucrezio da parte di Newton e sulla sua intenzione di citarne diversi brani in una nuova edizione dei Principia, cfr. inoltre PAOLO CASINI, ‘‘Newton: The Classical Scholia’’, History of Science, 1984, 22: 1-58, e il contributo di Marco Beretta in questo stesso volume. 21 Recentemente, Pietro Redondi ha sottolineato la similitudine tra uno spunto cosmogonico dei De motu antiquiora e alcuni versi del quinto libro del De rerum natura. Cfr. PIETRO REDONDI, ‘‘From Galileo to Augustine’’, in The Cambridge Companion to Galileo, a cura di Peter Machamer (Cambridge: Cambridge UP, 1998), pp. 175-210: 176. In effetti, il passo galileiano dei De motu antiquiora (da noi gia` citato; cfr. supra nota 1) rilevava come, in accordo con le posizioni degli antiquiores philosophi, le sostanze piu` pesanti – cioe` quelle che raccolgono un maggior numero di particulae in uno spazio piu` ristretto – andavano ad occupare gli spazi piu` vicini al centro («quae in angustiori loco plus materiae concluderent, angustiora etiam loca, qualia sunt quae centro magis accedunt, occuparent»). Cfr. OG, I, 253. Redondi evidenzia l’analogia con la cosmogonia atomistica descritta da Lucrezio nel quinto libro, in particolare, con i versi in cui Lucrezio affermava che i corpi di natura terrestre si congregano al centro e occupano i luoghi piu` bassi: Quippe etenim primum terrai corpora quaeque, / propterea quod erant gravia et perplexa, coibant / in medio atque imas capiebant omnia sedis, Lucr. 5,449-451. Tuttavia, e` questa l’unica suggestione che offre qualche (vaghissimo, invero) motivo di consonanza con i rilievi galileiani. Il resto del discorso lucreziano – dedicato ad illustrare il formarsi dl cielo, della terra, del mare e dell’etere – e`, infatti, assai lontano dalle notazioni del giovane Galileo.
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Cio` non significa che Galileo ignorasse il capolavoro di Lucrezio: e` del tutto possibile che lo conoscesse di gia` e lo avesse anche letto. Benche´, infatti, nell’ambito dell’intero corpus dei lavori galileiani il nome di Lucrezio non occorra mai,22 dall’accurata ricostruzione della biblioteca di Galileo svolta da Antono Favaro si desume con certezza che lo scienziato possedeva almeno due esemplari del De rerum natura (uno viene individuato in una copia dell’edizione lionese del 1558).23 Nondimeno, per cio` che attiene ai De motu antiquiora, e` piu` plausibile il ritenere che le posizioni espresse da Galileo nei primi studi di dinamica trovassero radici nel dibattito allora in corso all’universita` di Pisa, una controversia – concernente soprattutto il moto degli elementi – che oppose i titolari delle due principali cattedre di filosofia: Girolamo Borro, seguace delle tesi averroiste, e, con posizioni invece piu` prossime a quelle dei commentatori greci di Aristotele (in particolare di Simplicio), il gia` ricordato Francesco Buonamici.24 Proprio quest’ultimo attribuiva a Timeo di Locri, Stratone di Lampsaco ed Epicuro la spiegazione ‘‘estrusiva’’ del moto verso l’alto, di cui abbiamo poco sopra considerato l’analoga formulazione galileiana: Timaeus, Strato Lampsacenus et Epicurus – rileva Buonamici – existimaverunt omnia quidem esse gravia, nihil per se leve; duos autem esse terminos motus, alterum supremum, atque alterum oppositum illi infimum; sed unum, nempe deorsum et infimum, esse locum in quem omnia properent secundum naturam; alterum vero ad quem vi ferantur. Etenim cum omnia gravia sint, deorsum suapte natura feruntur; quod si quid ex his inferius est, aut superius, hoc non aliunde proficisci quam quod
22 Leonardo Olschki spiegava tale assenza con lo sceveramento, consapevolmente operato da Galileo, del piano scientifico da quello estetico-poetico: «The fact that Lucretius is never mentioned confirms the impression that Galileo held poetry and science to be fields distinct from one another. As he separated poetic attitudes and language from philosophical concepts, each to prosper or languish in its own proper sphere, he brought to completion the slow development of what we would call today the ‘‘aestethic approach’’ to ancient poetry». LEONARDO OLSCHKI, ‘‘Galileo’s literary formation’’, in Galileo Man of Science, a cura di Ernan McMullin (New York: Basic Books, 1967; repr. Princeton: The Scholar’s Bookshelf, 1988), pp. 140-159: 142-143. In realta`, l’opera lucreziana costituiva, al tempo di Galileo, oggetto di seria discussione teorica e, non di rado, rappresento` una importante fonte di suggestioni concettuali. L’interesse genuinamente ‘‘scientifico’’ per il poema avrebbe, peraltro, contrassegnato la ricezione del De rerum natura ancora per diversi decenni, come debitamente testimoniato dal caso di Descartes e Newton piu` sopra ricordato. 23 Cfr. ANTONIO FAVARO , ‘‘La libreria di Galileo descritta e illustrata’’, Bullettino di bibliografia e di scienze matematiche e fisiche, 1886, 19: 219-93, p. 275. 24 In proposito, cfr. MICHELE CAMEROTA – MARIO OTTO HELBING , ‘‘Galileo and Pisan Aristotelianism. Galileo’s ‘De motu antiquiora’ and the ‘Quaestiones de motu elementorum’ of the Pisan Professors’’, Early Science and Medicine, 2000, 5: 319-65.
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corpora graviora minus gravia premunt, et ideo subeunt illa, non quidem quia leve aliquid sit, propterea suopte nixu sursum feratur, sed utraque corpora sunt in genere gravium; alterum vero ex illis leve apparet, quoniam hoc gravissimum est, illud minus grave, et quoniam hoc gravissimum est, ideo premens illud quod est minus grave, subit ipsi, quod autem minus grave est, sic supereminet: quasi vero motus hic fit per extrusionem, quare, quo gravius est magis estrudit, magisque opprimens id quod est minus grave, eo etiam velocius fertur. Ob id velocitas huius motus non quidem ab interna caussa derivabitur, verum ab externa, et erit violenta, non autem naturalis.25
Dal canto suo, il rivale del Buonamici, Girolamo Borro, censurava anch’egli le posizioni degli atomisti, asserendo che esse erano contraddette dalla evidente esistenza di corpi ‘‘leggeri’’ ascendenti per una propria naturale inclinazione («cum plurima levia suopte nixu sursum ferri videamus, ergo falsa est eorum opinio, sensuique contraria»).26 Piu` in generale, Borro tendeva ad evidenziare, «adversus Leucippum, Democritum et Epicurum, quos imitatus est Lucretius», che il movimento degli atomi si configurava sempre come un moto ‘‘violento’’, senza che se ne individuasse un preliminare (logicamente e temporalmente) motus naturalis.27 Come si vede, dunque, il tema della concezione atomistica della materia e delle sue implicazioni dinamiche rappresentava un argomento largamente affrontato nel contesto culturale in cui Galileo stese i suoi primi scritti sul mo25 [«Timeo, Stratone di Lampsaco ed Epicuro ritennero che tutte le cose fossero pesanti e che niente fosse leggero di per se´; inoltre, due sono i termini del movimento: uno, il piu` alto, e l’altro, opposto a quello, il piu` basso. Ma solo uno, e precisamente il basso, e` il luogo a cui tutte le cose tendono secondo natura, mentre l’altro e` quello verso cui sono portate con forza. Infatti, poiche´ tutte le cose sono dotate di peso, si muovono per loro natura verso il basso. Pertanto, se qualcosa tra esse si trova piu` in basso o in alto, cio` scaturisce solo dal fatto che i corpi piu` pesanti esercitano una pressione sui meno pesanti, ponendosi cosı` al di sotto di questi ultimi, e non certo perche´ esiste qualcosa di leggero che per suo impeto naturale si muova verso l’alto. E invero entrambi i corpi appartengono al genere dei gravi. Ma uno tra loro sembra leggero in quanto l’altro e` il piu` pesante, ed esso risulta cosı` meno pesante. Ora, dal momento che il corpo molto pesante esercita una pressione sul meno grave, esso viene a sistemarsi al di sotto di questo, che, a sua volta, si pone al di sopra. Pertanto, questo moto [verso l’alto] viene operato per estrusione, poiche´, quanto piu` un corpo e` pesante tanto piu` estrude, premendo quello meno pesante, e nel far cio` si muove anche piu` velocemente. Per tale motivo, la velocita` di questo moto [verso l’alto] non derivera` da una causa interna, ma esterna, e sara` di natura violenta, niente affatto naturale»]. BUONAMICI, De motu (cit. n. 6), p. 410. 26 BORRO , De motu gravium et levium (cit. n. 7), p. 37. 27 «Violentum [...] illud est quod contra naturam fit; sed atomi aliae ab aliis violentia impelluntur; ergo atomi motum aliquem naturalem habent priorem, contra quem violentia impelli dicuntur. Nam si violentum id est quod contra naturam fit, naturale prius est violento; ergo tunc, cum naturalis motio violentam atomorum impulsionem natura praecedit, individua haec naturalia, Democriti, Leucippi, Epicuri et Lucretii elementa, naturalem ac proprium motum habere necesse est: quem eos nulla ratione novisse constat». Ibid., p. 18. Per altri analoghi spunti critici contro gli atomisti, cfr. pp. 11, 17, 36-39, 205, 212.
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vimento. Piu` che ad un influsso del poema lucreziano – che pure, come detto, a quel tempo lo scienziato pisano avrebbe ben potuto conoscere – la sua trattazione delle posizioni degli atomisti sembra, invero, da connettere alla discussione de motu avviata all’interno dello Studio di Pisa, un dibattito con cui l’elaborazione galileiana mostra una cospicua contiguita` tematica, ancorche´ contrassegnata da un atteggiamento fortemente critico e polemico nei confronti delle opiniones di marca peripatetica.28 Circa un ventennio piu` tardi, nel 1611-1612, Galileo si ritrovera` ancora a discutere di atomi nel corso di una aspra polemica con alcuni strenui difensori del ‘‘verbo’’ aristotelico: Ludovico delle Colombe, Giorgio Coresio, Vincenzo Di Grazia. Oggetto del contendere era la spiegazione del galleggiamento dei corpi e, in particolare, il ruolo giocato in esso dalla forma o figura del corpo galleggiante. Nel ribadire i principi dell’idrostatica archimedea di contro all’incrollabile fede peripatetica dei propri avversari, Galileo sosteneva che i mezzi fluidi – l’acqua nella fattispecie – non presentano alcuna resistenza alla 28 A testimoniare la notevole attenzione nei confronti delle tesi atomistiche all’interno dell’ambiente culturale pisano contribuisce anche l’esame di un interessante studio sulla filosofia pre-aristotelica del lettore di logica e filosofia Scipione Aquilani, discepolo del Buonamici. Si tratta del De placitis philosophorum qui ante Aristotelis tempora floruerunt che Aquilani pubblico` nel 1620 (fu poi riedito dal Brucker nel 1756). Cfr. SCIPIONE AQUILANI, De placitis philosophorum, qui ante Aristotelis tempora floruerunt, ad principia rerum naturalium, & causas motuum assignandas pertinentibus (Venetijs: apud Ioannem Guerilium, 1620); ID., De placitis philosophorum qui ante Aristotelis tempora floruerunt ad principia rerum naturalium et caussas motuum assignandas pertinentibus studio et opera Georgii Moralis medici ac philosophi ob singularem raritatem et vsum; ex scriniis paternis commentarios et illustrationes adiecit Philippi Iacobi Crophii; tractatione de gymnasiis litterariis Atheniensium annotationibus emendata auxit Carolus Fridericus Bruckerus Iacobi f.m.p. (Lipsiae: apud Ioannem Iacobum Korn, 1742-1767). Richiamandosi costantemente al pensiero dell’acerrimus Peripateticae doctrinae defensor (con questa definizione l’Aquilani qualificava Buonamici; cfr. ibid., p. 4) l’opera sviluppava un’ampia, dettagliata e molto precisa – in quanto supportata da puntigliosi riferimenti alle fonti – discussione delle problematiche dell’atomismo, dedicando ben nove capitoli all’argomento (cfr. ibid., pp. 47-102). L’analisi si soffermava su aspetti quali la distinzione tra atomi ed indivisibili, il rapporto tra struttura atomica della materia e qualita` sensibili, il moto degli atomi, la generazione delle cose ex atomis, tutti punti per la cui illustrazione Aquilani indulge in frequenti citazioni di passi del De rerum natura, appellandosi spesso alla Lucretii auctoritas. Non mancavano, tuttavia, spunti critici nei confronti del poeta latino, come quando, a proposito della questione se gli atomi siano dotati di qualita` sensibili o ne siano privi, Aquilani osserva: «Si Lucretium consulamus, in ancipiti versabimur; quia hac in re non sibi constans, primum videtur affirmasse, postea autem negasse. Affirmat (ut videtur) ubi ait: tactus corporibus cunctis, intactus inani. Et quamquam meminerit de tactu tantum, unde inferendum videatur, solas primas qualitates eis tribuisse: tamen vel dicendum ipsum cum tactilibus omnes alias qualitates intellexisse; vel saltem inferendum, Atomos non esse omnium qualitates expertes. Negat tamen alibi, et ab eis omnes qualitates seiungit, dum ait: Sed ne forte putes solo spoliata colore / corpora prima manere, etiam secreta teporis / sunt ac frigoris omnino calidique vaporis, / et sonitu sterila et suco ieiuna feruntur, / nec iaciunt ullum proprium de corpore odorem, / sicut amaracini blandum stactaeque liquorem». Ibid., pp. 70-71. I versi citati corrispondono a Lucr. 1,454; 2,842-847.
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penetrazione, in quanto la loro struttura materiale e` del tutto discontinua. L’acqua e gli altri fluidi, infatti, sono costituiti di parti «incapaci di esser divise per la lor tenuita`», simili a quelle «minime particelle», non ulteriormente divisibili, cui si arriva sottoponendo i corpi solidi all’azione disgregatrice di «sottilissimi e acutissimi strumenti, quali sono le piu` tenui parti del fuoco».29 Nel corso della discussione, che spazia su un ampio fronte di argomenti e prove sperimentali, Galileo ha modo di occuparsi piu` volte delle tesi atomistiche, difendendo dalle critiche di Aristotele la tesi democritea del sostegno esercitato da atomi di calore su corpi piatti appoggiati sulla superficie dell’acqua. L’adesione alla prospettiva atomistica e` efficacemente rivelata da uno spunto galileiano destinato a spiegare l’azione degli ‘‘atomi ignei’’: [...] se noi piglieremo un vaso, di vetro o di rame o di qual si voglia altra materia dura, pieno d’acqua fredda, dentro la quale si ponga un solido di figura piana o concava, ma che in gravita` ecceda l’acqua cosı` poco che lentamente si conduca al fondo, dico che, mettendo alquanti carboni accesi sotto il detto vaso, come prima i nuovi corpuscoli ignei, penetrata la sustanzia del vaso, ascenderanno per quella dell’acqua, senza dubbio, urtando nel solido sopraddetto, lo spigneranno sino alla superficie, e quivi lo tratterranno sin che dureranno le incursioni de’ detti corpuscoli; le quali cessando dopo la suttrazion del fuoco, tornera` il solido al fondo, abbandonato da’ suoi puntelli.30
«Atomi ignei», «atomi del fuoco», «atomi calidi», «sottilissimi atomi», «corpuscoli ignei»: la terminologia adottata nel Discorso sulle galleggianti e` esplicita nel richiamarsi alla concezione atomistica. Non a caso, nel corso della lunga diatriba con gli oppositori, Galileo si sofferma a chiarire in modo puntiglioso la nozione stessa di ‘‘atomo’’: gli atomi son cosı` detti – rilevava in margine al testo in cui il discepolo Benedetto Castelli rintuzzava gli attacchi dell’aristotelico Giorgio Coresio – non perche´ siano non quanti, ma perche´, sendo i minimi corpuscoli, non se ne danno altri minori da i quali possin esser divisi.31
OG, IV, 106. OG, IV, 132. Cfr. anche ibid., 654-655. 31 OG, IV, 281. Ritenendo, in generale, che, nell’ambito della polemica idrostatica, l’atomismo di Galileo costituisse «un’ipotesi ad hoc inventata allo scopo di salvaguardare i suoi principi archimedei del moto», William Shea ha considerato l’asserzione galileiana come l’espressione dell’adesione ad «una posizione simile a quella dei commentatori di Aristotele sui minima naturalia», cioe` ad una dottrina secondo cui «gli atomi erano praticamente, ma non necessariamente intrinsecamente, indivisibili». WILLIAM R. SHEA, ‘‘Galileo’s atomic hypothesis’’, Ambix, 1970, 17: 13-27; trad. it. in ID., Copernico, Galileo, Cartesio. Aspetti della rivoluzione scientifica (Roma: Armando, 1989), pp. 91-107: 94. In sostanza, l’indivisibilita` atomica rappresenterebbe il frutto di un deficit tecnico29 30
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Di ‘‘infiniti atomi non quanti’’, lo scienziato pisano avrebbe avuto modo di discorrere molti anni dopo, nella sua ultima grande opera, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, stampata nel 1638. In quella sede, l’indagine in merito alla struttura della materia si tramuta in una disamina geometrica delle proprieta` del ‘‘continuo’’, che approda all’affermazione di una «composizione del continuo di atomi assolutamente indivisibili».32 Galileo compie, dunque, una saldatura tra le precedenti prospettive atomistiche e la analisi matematica della struttura del continuo. Le conseguenza fisiche di questo ‘‘atomismo matematico’’ sono cosı` esplicitate: E questo, che si dice delle semplici linee, s’intendera` detto delle superficie e de’ corpi solidi, considerandogli composti di infiniti atomi non quanti: che mentre gli vorremo dividere in parti quante, non e` dubbio che non potremo disporle in spazii piu` ampli del primo occupato dal solido se non con l’interposizione di spazii quanti vacui, vacui, dico, almeno della materia del solido; ma se intenderemo l’altissima ed ultima resoluzione fatta ne i primi componenti non quanti ed infiniti potremo concepire tali componenti distratti in spazio immenso senza l’interposizione di spazii quanti vacui, ma solamente di vacui infiniti non quanti: ed in questa guisa non repugna distrarsi, v.g., un piccolo globetto d’oro in uno spazio grandissimo senza ammettere spazii quanti vacui; tutta volta pero` che ammettiamo, l’oro esser composto di infiniti indivisibili.33
Va detto che la dottrina della struttura della materia enunciata nei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze pone cospicui problemi di interpretazione, forse proprio a causa della duplice valenza (matematica e fisica) operativo dell’uomo, incapace di portare la risoluzione delle sostanze oltre un certo limite, ma non rifletterebbe affatto una proprieta` costituiva della struttura della materia. In verita`, questa interpretazione appare di problematico accoglimento, in quanto le parole di Galileo non sembrano esprimere precisamente il senso adombrato da Shea. Il rilievo mira, infatti, a sottolineare il significato della nozione di ‘‘atomo’’, definendola appunto – secondo l’accezione comunemente invalsa – nei termini di ‘‘minimo corpuscolo’’ non piu` divisibile. Nessun riferimento e` operato alla impossibilita` di ulteriori risoluzioni a causa dell’inadeguatezza mezzi tecnici dell’uomo, ma solo si constata che, pur occupando uno spazio (essendo, cioe`, ‘‘quanti’’), gli atomi non risultano per se stessi suscettibili di scomposizione. Pertanto, in tale prospettiva, l’indivisibilita` delle particelle prime componenti la materia rappresenterebbe un limite fisico in se´, presupposto prioritariamente, al di la` di ogni valutazione delle possibilita` umane di manipolazione della realta` materiale. A giudizio di Pietro Redondi, invece, la definizione piu` sopra richiamata enuclea una concezione per cui: «gli atomi galileiani sono [...] frammenti di materia, tali da non poter essere ancora separati senza mutare le loro proprieta` fisiche e geometriche: atomi quanti e sostanziali». PIETRO REDONDI, ‘‘Atomi, indivisibili e dogma’’, Quaderni Storici, 1985, 20: 529-71, p. 543. 32 OG, VIII, 93. 33 OG, VIII, 72.
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della teoria. Non ci addentreremo in una approfondita discussione di questo argomento, che costituisce uno dei capitoli piu` controversi e difficili della comprensione dell’opera di Galileo e involge considerazioni piu` generali sulla relazione tra matematica e realta` nell’ambito dell’epistemologia galileiana.34 Ricorderemo solo che persino un ammirato discepolo quale Vincenzo Viviani esprimeva dubbi circa la soluzione del Maestro, rilevando, a proposito dell’idea che una parte finita di materia risulti composta da infiniti «minimi» e «vacui», che «se sono infiniti e` necessario che non siano quanti, perche´ infiniti quanti fariano una estensione infinita: e pure poco avanti [...] gli fa quanti».35 Cio` che tuttavia ci interessa notare e` che le prospettive appena illustrate vengono da Galileo concepite come perfettamente in linea con le tesi dell’atomismo classico. Non a caso il commento al brano poco sopra citato e` affidato al seguente scambio di battute: Simp. Parmi che voi caminiate alla via di quei vacui disseminati di certo filosofo antico. Salv. Ma pero` voi non soggiugnete ‘‘il quale negava la Providenza divina’’, come in certo simil proposito, assai poco a proposito, soggiunse un tale antagonista del nostro Accademico. Simp. Veddi bene, e non senza stomaco, il livore del mal affetto contradittore: ma io non solamente per termine di buona creanza non toccherei simili tasti, ma perche´ so quanto sono discordi dalla mente ben temperata e bene organizzata di V. S., non solo religiosa e pia, ma cattolica e santa.36
Il ‘‘filosofo antico’’ qui richiamato non e` Democrito, come a suo tempo ritenuto da Adriano Carugo e Ludovico Geymonat nella loro edizione dei Discorsi,37 ma – come, piu` di recente, ha opportunamente e convincentemente osservato Pietro Redondi – Epicuro.38 34 Oltre ai pregevoli saggi di Shea e Redondi poc’anzi citati, cfr. HOMER EUGENE LE GRAND, ‘‘Galileo’s Matter Theory’’, in New Perspectives on Galileo, a cura di Robert E. Butts and Joseph C. Pitt (Dordrecht-Boston: Reidel, 1978), pp. 197-208; MARK A. SMITH, ‘‘Galileo’s theory of indivisibles: revolution or compromise?’’, Journal of the History of Ideas, 1976, 37: 571-588; CARLA RITA PALMERINO, ‘‘Una nuova scienza della materia per la Scienza nova del moto. La discussione dei paradossi dell’infinito nella Prima Giornata dei Discorsi galileiani’’, in Atomismo e continuo nel XVII secolo, a cura di Egidio Festa e Romano Gatto (Napoli: Vivarium, 2000), pp. 276-319. 35 VINCENZO VIVIANI , Postille ai Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. Gal. 79, c. 17r. 36 OG, VIII, 72. 37 Cfr. GALILEO GALILEI , Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, a cura di Adriano Carugo e Ludovico Geymonat (Torino: Boringhieri, 1958), p. 626. 38 Cfr. REDONDI , ‘‘Atomi, indivisibili e dogma’’ (cit. n. 31), part. pp. 555-558.
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Sotto le spoglie del ‘‘mal affetto contradittore’’, antagonista delle opinioni del ‘‘nostro Accademico’’ (cioe` di Galileo stesso), si scorge, infatti, la figura del gesuita Orazio Grassi, avversario galileiano in una dura polemica sulle comete. Grassi aveva etichettato le tesi sulla natura del calore esposte dallo scienziato pisano nel suo Il Saggiatore (1623) come opinioni di ascendenza epicurea: scholam illam, quam bonam praeclaro nomine appellat Galilaeus, Epicuri scholam fuisse, hominis eo omnia dirigentis, ut aut Deum tolleret, aut illum mundi cura levaret.39
Al di la` delle denunce di Grassi sulle conseguenze dell’atomismo galileiano nell’ambito dell’interpretazione del dogma eucaristico – aspetto su cui ha molto insistito Pietro Redondi nel suo famoso e assai discusso libro Galileo eretico – 40 va detto che la polemica tra Galileo e il rivale gesuita in merito alla struttura della materia fu caratterizzata da toni oltremodo aspri e pungenti. Di fatto, Il Saggiatore galileiano proponeva alcuni capitoli che, a partire da una articolata critica della tesi aristotelica del moto come causa del calore, sviluppavano un’interessante riflessione sulla composizione corpuscolare delle sostanze materiali, soffermandosi altresı` ad enucleare le implicazioni gnoseologiche di tale dottrina. Non a caso, in una lettera del 1636 al Peiresc, Tommaso Campanella riconosceva senza esitazione la natura atomistica delle speculazioni galileiane del Discorso idrostatico del 1612 e de Il Saggiatore, asserendone esplicitamente l’ascendenza democritea. Lo Stilese dichiarava, infatti, di esser: certissimo ch’il S.r Galileo in molte cose, massime nei principii, e` con Democrito e dal discorrere ch’ha fatto meco in Roma, e da quel che ne scrive nell’opuscolo De natantibus [il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua del 1612] e nel Saggiatore [...] 41
[«quella scuola che Galileo designa col nobile nome di ‘‘buona’’ fu la scuola di Epicuro, che necessitava a tal punto tutte le vicende umane da togliere di mezzo Dio o da allegerirlo del governo del mondo»]. ORAZIO GRASSI, Ratio ponderum librae et simbellae (Lutetiae Parisiorum: Sumptibus Sebastiani Cramoisy, 1626), cfr. OG, VI, 475-476. Ad una simile accusa Galileo replicava – nelle postille apposte in margine alla sua copia del libro del Grassi – dichiarando di ignorare le opere di Epicuro: «Io veramente, come quello che non ho mai studiato i libri d’Epicuro, non sapevo che esso ne fusse l’autore; ma il Sarsi, come molto pratico ne’ suoi dogmi, l’ha riconosciuto subito». OG, VI, 476. 40 Cfr. PIETRO REDONDI , Galileo eretico (Torino: Einaudi, 1983; nuova ed. Torino: Einaudi, 2004). 41 Tommaso Campanella a Nicolas Fabri de Peiresc, 19 giugno 1636; cfr. GERMANA ERNST – EUGENIO CANONE, ‘‘Una lettera ritrovata: Campanella a Peiresc, 19 giugno 1636’’, Rivista di storia della filosofia, 1994, 49: 353-366, p. 363. 39
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Alcuni stralci della discussione svolta da Galileo ne Il Saggiatore sono assai noti e ampiamente antologizzati. E` il caso del celebre brano in cui lo scienziato pisano distingue tra le qualita` ‘‘oggettive’’ e ‘‘soggettive’’ dei corpi: io dico – scrive Galileo – che ben sento tirarmi dalla necessita`, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella e` terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre e` grande o piccola, ch’ella e` in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella e` una, poche o molte, ne´ per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per se stessa non v’arriverebbe gia` mai. Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sı` che rimosso l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualita`; tuttavolta pero` che noi, sı` come gli abbiamo imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e reali accidenti, volessimo credere ch’esse ancora fussero veramente e realmente da quelli diverse.42
La distinzione di cui sopra ha radici atomistiche e Galileo, verosimilmente, potrebbe averla mutuata dalla testimonianza di Galeno, il quale attribuisce a Democrito lo sceveramento tra le qualita` sensibili esistenti solo «per convenzione» (novmw/) da quelle esistenti «in realta`» (ejteh/)~ . Ecco il passo del De elementis ex Hippocratis sententia nella traduzione latina di Vittore Trincavelli, pubblicata nell’edizione delle opere galeniche in sette volumi del Valgrisi (la stessa forse posseduta da Galileo): Nempe subicitur ab his omnibus, primum elementum usque adeo esse omni penitus qualitate vacuum, ut nullam vel albedinem innatam habeat, vel nigredinem, vel alium quempiam colorem, non dulcedinem, non amaritudinem, sed neque calorem, neque frigus et tandem ut cuiusvis alterius qualitatis sit omnino expers. Lege enim dicebat Democritus color est, lege amarum, lege dulce, atomus vero et vacuum vere est, ipse ejteiv" dixit. Credidit enim ille sensiles qualitates ex individuorum illorum corpusculorum conventu per solam ad nos, qui sentimus, collationem gigni: ipsa vero natura nihil esse album aut nigrum, flavum aut rubrum, amarum aut dulce. Quippe hoc illi lege significabat, ex nostra nimirum existimatione, non ex ipsa rerum natura, ita etiam illi ejteiv" nomen ab ejteovn deductum est, quod verum significat, ut universi sermonis illius est is sensus sit. Arbitramur quidem nos homines quippiam esse album vel nigrum, vel dulce, vel amarum et quaecumque alia huiusce generis sunt. Sed re
42
OG, VI, 347-348.
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vera omnia unum sunt et nihil: nam et ille hoc loquitur modo, qui atomos unum appellat, vacuum autem nihil. Itaque atomi omnes, quae exigua quaedam corpuscula sunt, omni prorsus qualitate vacant.43
Sulla (probabile) scia delle tesi democritee, Galileo riduceva dunque, la dimensione oggettiva della conoscenza ai «primi e reali accidenti» costituiti dalle «grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi e veloci», riservando un carattere meramente soggettivo ai colori, sapori, suoni e odori, «li quali – dichiarava – fuor dell’animale vivente non credo che sieno altro che nomi».44 L’assimilazione delle cosiddette ‘‘qualita` soggettive’’ a mere formule linguistiche e` ricorrente in queste pagine galileiane e merita di esser meglio vagliata ed approfondita. Galileo sembra ammonire a non cadere nell’errore di ritenere che si dia una qualche esistenza oggettiva al di la` dell’atto della nominazione, mettendo in guardia circa la fallacia del voler credere che, «sı` come gli abbiamo imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e reali accidenti», tali sensazioni «ancora fussero veramente e realmente da quelli diverse».45 Cosı`, chi venisse «toccato, verbigrazia, sotto le piante de’ piedi, sopra le ginocchia o sotto l’ascelle, sente, oltre al commun toccamento, un’altra affezzione, alla quale noi abbiamo imposto un nome particolare, chiamandola solletico: la quale affezzione e` tutta nostra, e non punto della mano».46 Pertanto, «quella titillazione [...] non e` piu` altro che un puro nome»; 47 si puo` dunque, in generale, concludere che le «qualita` risedenti ne’ soggetti 43 [«Di certo, tutto cio ` implica che l’elemento primo e` del tutto privo di qualunque qualita`, tanto da non avere alcuna innata colorazione di bianco o di nero, o di qualsivoglia altra tonalita`, ne´ da possedere il gusto del dolce o dell’amaro, e neppure l’esser caldo o freddo, e, in breve, da esser totalmente mancante di ogni altra qualita`. E infatti, Democrito diceva che il colore, l’amaro, il dolce esistono per convenzione, mentre l’atomo e il vuoto esistono in realta` (ejteiv" dice lui). Egli credette che le qualita` sensibili scaturiscano dall’incontro degli atomi, e attraverso questa sola riunione [di atomi] si producano per noi, soggetti percipienti, mentre in natura non vi e` nulla che sia bianco o nero, giallo o rosso, amaro o dolce. E, in effetti, con l’espressione ‘‘per convenzione’’ intendeva appunto ‘‘secondo la nostra opinione’’ e non ‘‘secondo la vera natura delle cose’’, come viene altresı` significato dal termine ejteiv", derivato dal vocabolo ejteovn, che significa vero. E il senso di tutto questo discorso e` il seguente: noi umani giudichiamo un qualcosa bianco o nero, dolce o amaro, e ogni altra determinazione dello stesso genere, mentre in realta` esistono solo l’ente e il nulla. Infatti, Democrito argomenta proprio in questo modo, chiamando ‘‘ente’’ gli atomi e ‘‘nulla’’ il vuoto. Pertanto, tutti gli atomi, che sono dei piccoli corpuscoli, mancano del tutto di ogni qualita`»]. GALENO, De elementis ex Hippocratis sententia libri duo, Victore Trincavelio interprete, in ID., Omnium operum prima classis (Venetiis: apud Vicentium Valgrisium, 1562), p. 2. 44 OG, VI, 350. 45 OG, VI, 348. 46 Ibid. 47 Ibid.
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esterni, non a`nno veramente altra essistenza che in noi, e fuor di noi non sono altro che nomi».48 La definizione delle ‘‘qualita` soggettive’’ in termini di ‘‘puri nomi’’ riflette le piu` generali posizioni galileiane di filosofia del linguaggio, contraddistinte da una forte accentuazione del carattere stipulativo delle determinazioni semantiche. Di fatto, la convenzionalita` dei codici di comunicazione verbale e` chiaramente affermata da Galileo in diversi luoghi della sua opera: «Io non fo un caso al mondo de i nomi», egli dichiarava contro al Di Grazia, e, replicando al Discorso apologetico del Delle Colombe, notava come «l’esplicazioni de’ termini son libere», talche´ e` «in potesta` di ogni artefice il circoscrivere e definire le cose [...] a modo suo».49 Ancora, nella Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, confessava di mettere «poca difficolta` sopra i nomi», sapendo «ch’e` in arbitrio di ciascuno l’imporgli a modo suo»; 50 infatti, spiegava, «i nomi e gli attributi si devono accomodare all’essenza delle cose, e non l’essenza a i nomi; perche´ prima furon le cose e poi i nomi».51 Di conseguenza, nella Terza Giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi, Galileo poteva qualificare come un retaggio dovuto al ‘‘battesimo iniziale’’ (per mutuare la terminologia di Saul Kripke), cioe` all’imposizione di un «solo puro ed arbitrario nome», la comune identificazione del nostro sito con l’elemento terra.52 Coerentemente con una simile prospettiva, il discorso galileiano de Il Saggiatore tende ad utilizzare la distinzione tra nomi e realta` concrete per richiamare l’attenzione del lettore sul carattere meramente interno alla coscienza delle ‘‘qualita` secondarie’’ (secondo la denominazione resa celebre dal successivo gergo filosofico di stampo lockiano). Non a caso Galileo si sofferma costantemente a precisare le condizioni negative che consentono di riconoscere i connotati di flatus vocis propri di tali qualita`: «rimosso l’animale», «rimosso il corpo animato e sensitivo» (in due occorrenze), «tolti via gli orecchi, le lingue, i nasi». Al di fuori della loro realta` come modificazioni della coscienza soggettiva, le qualita` sensibili esistono, dunque, solo come atti linguistici condivisi in base ad una originaria stipulazione denotativa. Alla radice della separazione galileiana tra le diverse qualita` stava l’idea che le sensazioni derivino dall’azione di «minime particelle» che, staccandosi 48 49 50 51 52
OG, VI, 350. Cfr. OG, IV, 741 nota 2; 631. OG, V, 229. Cfr. anche V, 257. OG, V, 97. Cfr. OG, VII, 429.
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dai corpi, «vanno a ferire» (secondo l’espressione di Galileo) i nostri organi di senso.53 Nel caso della sensazione del ‘‘caldo’’, per esempio, occorre pensare che: quelle materie che in noi producono e fanno sentire il caldo, le quali noi chiamiamo con nome generale fuoco, siano una moltitudine di corpicelli minimi, in tal e tal modo figurati, mossi con tanta e tanta velocita`; li quali, incontrando il nostro corpo, lo penetrino con la lor somma sottilita`, e che il lor toccamento, fatto nel lor passaggio per la nostra sostanza e sentito da noi, sia l’affezzione che noi chiamiamo caldo, grato o molesto secondo la moltitudine e velocita` minore o maggiore d’essi minimi che ci vanno pungendo e penetrando, sı` che grata sia quella penetrazione per la quale si agevola la nostra necessaria insensibil traspirazione, molesta quella per la quale si fa troppo gran divisione e risoluzione nella nostra sostanza: 54 sı` che in somma l’operazion del fuoco per la parte sua non sia altro che, movendosi, penetrare colla sua massima sottilita` tutti i corpi, dissolvendogli piu` presto o piu` tardi secondo la moltitudine e velocita` degl’ignicoli e la densita` o rarita` della materia d’essi corpi; de’ quali corpi molti ve ne sono de’ quali, nel lor disfacimento, la maggior parte trapassa in altri minimi ignei, e va seguitando la risoluzione fin che incontra materie risolubili.55
Come puo` facilmente notarsi, il discorso galileiano si fonda sull’assunzione di una materia agente attraverso le sue minime parti costitutive. All’interno de Il Saggiatore (1623) Galileo riproponeva, dunque, con piena consapevolezza di causa, una prospettiva atomistica che – va ricordato – conosceva proprio in quel torno di tempo (gli anni ’20 del diciassettesimo secolo) una notevole rinascita di interesse. Cosı`, nel 1621 un professore dell’universita` di Pisa, il medico Estevao Rodrigues de Castro, dava alle stampe un trattato De meteoris microcosmi, in cui 53 Cosı`, certi ‘‘minimi’’ «ricevuti sopra la parte superiore della lingua, penetrando, mescolati colla sua umidita`, la sua sostanza, arrecano i sapori, soavi o ingrati, secondo la diversita` de’ toccamenti delle diverse figure d’essi minimi, e secondo che sono pochi o molti, piu` o men veloci; gli altri, che accendono, entrando per le narici, vanno a ferire in alcune mammillule che sono lo strumento dell’odorato, e quivi parimente son ricevuti i lor toccamenti e passaggi con nostro gusto o noia, secondo che le lor figure son queste o quelle, ed i lor movimenti, lenti o veloci, ed essi minimi, pochi o molti. E ben si veggono providamente disposti, quanto al sito, la lingua e i canali del naso: quella, distesa di sotto per ricevere l’incursioni che scendono; e questi, accommodati per quelle che salgono: e forse all’eccitar i sapori si accommodano con certa analogia i fluidi che per aria discendono, ed a gli odori gl’ignei che ascendono». OG, VI, 349. 54 Nel Discorso delle comete (1619), scritto insieme al ‘‘discepolo’’ Mario Guiducci (e pubblicato a solo nome di quest’ultimo), Galileo aveva gia` avuto occasione di anticipare il concetto, notando che le «sottilissime parti» di un corpo caldo penetrano «per li meati della nostra carne», producendo in noi con il loro «toccamento», «secondo che saranno pochi o molti, tardi o veloci», «un certo grato diletico, che noi poi chiamiamo caldo soave, o vero una violenta dissoluzion di parti con molto nostro dolore, la quale scottamento o abbruciamento vien detto». OG, VI, 56. 55 OG, VI, 350-351.
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difendeva l’atomismo dalle critiche di Aristotele e Galeno. L’opera del medico portoghese presenta diversi spunti analoghi a quelli che abbiamo appena visto sviluppare da Galileo ne Il Saggiatore. A dimostrazione di cio`, ecco un significativo stralcio dove de Castro riporta anch’egli le sensazioni al diffondersi di corpuscula: Accedamus nunc ad calorem et frigiditatem; unde nam has duas qualitates agnosces? Nempe ex sensu tactus; at tactus non discernit an sint qualitates an substantiae. Sentit quidem molestiam aut delectationem, a molesto vel delectabili obiecto; sed utrum hoc sit qualitas, an substantia non discernit. Numquid impossibile iudicabis corpuscula exeuntia et tactui occurrentia esse, quae efficiunt sensationem, quam tu calorem et frigiditatem appellas? 56
Galileo doveva certamente conoscere l’opera di de Castro, che trattava argomenti (i fenomeni meteorici e cometari) per lui di grande interesse in quegli anni. La lettura del libro del professore portoghese potrebbe, dunque, aver confortato la sua gia` ferma adesione alla prospettiva atomistica. Vale inoltre la pena di notare come il testo di de Castro rechi non pochi rinvii a Lucrezio. In cio` esso condivideva una tendenza piuttosto diffusa al tempo, poiche´, proprio negli anni in cui Galileo redigeva Il Saggiatore (e proprio negli ambienti da lui frequentati), Lucrezio veniva diffusamente letto e persino imitato. Lo stesso destinatario de Il Saggiatore, monsignor Virginio Cesarini, maestro di camera del papa Urbano VIII e accademico Linceo, intratteneva – a quanto narra il suo biografo Justus Riquius – l’intenzione di scrivere un commento poetico al De rerum natura.57 Benche´ l’iniziativa non si realizzasse a causa della precoce morte del prelato (avvenuta nel 1624), le composizioni poetiche del Cesarini che ancora ci restano comprovano in modo indubitabile l’ispirazione lucreziana della sua penna.58 Forse non a caso, dunque, sul fron56 [«Veniamo ora al caldo e al freddo; da dove, infatti, deriva la conoscenza di queste due qualita`? Certamente dal senso del tatto; ma il tatto non discerne se siano qualita` o sostanze. Esso percepisce il fastidio o il piacere che vengono da un oggetto fastidioso o piacevole; ma non distingue se cio` sia una qualita` o una sostanza. Forse che allora giudicherai impossibile che siano corpuscoli che si dipartono dai corpi e incontrano il senso del tatto a produrre la sensazione che chiami caldo o freddo?»] ESTEVAO RODRIGUES DE CASTRO, De meteoris microcosmi libri quatuor (Florentiae: apud Iunctas, 1621), p. 17. Sul libro di De Castro e sulla possibile influenza sull’opera galileiana ha per primo richiamato l’attenzione Pietro Redondi nel suo Galileo eretico. Cfr. REDONDI, Galileo eretico (cit. n. 40), pp. 73-74. 57 «pari ratione fatalis illa tempestas iniuriae in Poeticos de Reurm Natura Commentarios desaevit, quos arduum illum Lucretianum imitatus subinde scriptitabat». JUSTUS RIQUIUS, De vita viri praestantissimi Virginii Caesarini Lyncei (Patavii: Thuilii, 1629), p. 12. 58 Si vedano i recenti contributi di E. Bellini e T. Bonaccorsi: ERALDO BELLINI , Umanisti e Lin-
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tespizio dell’orazione funebre destinata a ricordarlo, Alessandro Gottifredi fece incidere l’impresa della romana Accademia degli umoristi, con l’immagine di un mare sovrastato da una nube piovente accompagnata dai versi lucreziani Redit agmine dulci (De rerum natura 6,637).59 Anche l’opera di un altro Linceo, Johannes Faber, presenta tratti di ascendenza lucreziana, come rivela un’orazione manoscritta sulla natura del fuoco e dei metalli (datata 1622 e ora conservata alla Biblioteca Nazionale di Napoli),60 infiorata «di molte citazioni poetiche di Virgilio, di Orazio e, in particolare, di Lucrezio».61 Negli stessi anni, Giovanni Ciampoli, anch’egli Linceo e stretto sodale di Galileo e del Cesarini, si cimento` nella composizione del dialogo atomista Del sole e del fuoco,62 mentre ad un altro protagonista della scena culturale di quegli anni, il convertito cattolico Kaspar Schopp, si deve la stesura di un elaborato commento al poema lucreziano.63 Le Notae schoppiane al De rerum natura – rimaste manoscritte e basate sulla edizione plantiniana del 1566, a cura di Hubert van Giffen – 64 sono brevi glosse ai versi di Lucrezio, intese a chiarirne il significato anche attraverso riferimenti a luoghi di altri autori classici.65 cei (Padova: Antenore, 1997), pp. 286-292; TERESA BONACCORSI, «‘‘Clausos rerum aperire sinus’’. L’esperimento di un poeta linceo: Virginio Cesarini», Bruniana & Campanelliana, 2001, 7: 51-76. 59 Cfr. ALESSANDRO GOTTIFREDI , In funere Virginii Caesarini (Romae: apud Alexand. Zanettum, 1624). 60 Cfr. JOHANNES FABER , Oratio qua Ignis et Metallorum exemplo quam parum sciamus demonstratur, Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. VIII.D.13. 61 GIUSEPPE GABRIELI , Contributi alla storia della Accademia dei Lincei (Roma: Accademia dei Lincei, 1989), vol. 2, p. 1184. Sull’operetta del Faber, che rappresenta il testo di una orazione tenuta alla Sapienza nel novembre 1622, cfr. ora SILVIA DE RENZI, ‘‘Un Linceo alla Sapienza: la natura del fuoco e dei metalli in un’orazione di Johannes Faber’’, in All’origine della scienza moderna: Federico Cesi e l’Accademia dei Lincei, a cura di Andrea Battistini, Gilberto De Angelis e Giuseppe Olmi (Bologna: Il Mulino, 2007), pp. 271-316. 62 Cfr. FEDERICA FAVINO , ‘‘A proposito dell’atomismo di Galileo: da una lettera di Tommaso Campanella ad uno scritto di Giovanni Ciampoli’’, Bruniana & Campanelliana, 1997, 3: 265-82; EAD., ‘‘Deux dialogues retrouve´s de Giovanni Ciampoli’’, in Ge´ome´trie, atomisme et vide dans l’e´cole de Galile´e, a cura di Egidio Festa, Vincent Jullien e Maurizio Torrini (Fontenay-Saint-Cloud: Ens E´ditions, 1999), pp. 25-42. 63 KASPAR SCHOPP, Ad T. Lucretium Carum De rerum natura Notae, Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. V.B.39. 64 T. Lucretii Cari De Rerum Natura libri sex, mendis innumerabilis liberati & in pristinum paene veterum potissime librorum ope ac fide, ab Oberto Gifanio Burano Iuris studioso, restituti (Antuerpiae: Ex officina Christophori Plantini, 1566). 65 Ho intenzione di dedicare uno studio a questo interessante lavoro, che potrebbe recare qualche ulteriore lume in merito alla ricezione del poema lucreziano nell’ambito della cultura della Controriforma.
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Ora, la forte attenzione prestata al poema lucreziano negli ambienti culturali piu` prossimi a Galileo nel corso del terzo decennio del diciassettesimo secolo, corrobora l’ipotesi che, a dispetto dell’assenza di qualunque riferimento esplicito a Lucrezio,66 i capitoli 41-48 de Il Saggiatore – quelli in cui, tra l’altro, viene delineata la distinzione tra le qualita` ‘‘oggettive’’ e ‘‘soggettive’’ – debbano qualcosa alla lettura del capolavoro del poeta latino. In effetti, per quanto Galileo tenda a esplicitare assai di rado le proprie fonti di ispirazione, non sembra affatto implausibile ritenere che, nella stesura di queste sezioni della sua opera del 1623, egli abbia tratto stimolo anche dalla lettura del De rerum natura. Cosı`, l’idea galileiana che le sensazioni si riducano a «moto e toccamento» trovava sostegno in diversi passi del poema lucreziano, tra cui i versi 298-304 del primo libro, dove si esprime il concetto della natura corporea dell’odore, del calore, del freddo e della voce: Tum porro varios rerum sentimus odores nec tamen ad naris venientis cernimus umquam nec calidos aestus tuimur nec frigora quimus usurpare oculis nec voces cernere suemus; quae tamen omnia corporea constare necessest natura, quoniam sensus inpellere possunt: tangere enim et tangi, nisi corpus, nulla potest res.67
Tutto lo svolgimento della discussione del capitolo 48 de Il Saggiatore e` contraddistinto da un ampio ricorso al lemma ‘‘toccamento’’ (ricorre ben nove volte, tra singolare e plurale, nello spazio di tre pagine). Il contatto o ‘‘toccamento’’ che produce la sensazione porta Galileo ad enfatizzare il ruolo del tatto, strumento fondamentale della sensibilita` umana: Un corpo solido, e, come si dice, assai materiale, mosso ed applicato a qualsivoglia parte della mia persona, produce in me quella sensazione che noi diciamo tatto, la quale, se bene occupa tutto il corpo, tuttavia pare che principalmente risegga nelle
66 A menzionare esplicitamente l’opera di Lucrezio e ` invece il gesuita Orazio Grassi, che, proprio nelle pagine della sua Libra astronomica ac philosophica impugnate nei capitoli galileiani su cui ci stiamo soffermando, cerca di corroborare la propria argomentazione con l’ausilio di due passi del De rerum natura, concernenti il caso di proiettili che fondono durante il volo (Lucr. 6, 178-179, 306308). Cfr. OG, VI, 163. 67 [«Inoltre percepiamo i vari odori delle cose, eppure non li vediamo mai giungere alle nari, ne ´ scorgiamo le vampe del caldo, ne´ il freddo possiamo discernerlo con gli occhi, ne´ ci e` dato di vedere i suoni: eppure e` necessario che queste emanazioni siano tutte di natura corporea, perche´ possano stimolare i sensi. Toccare, infatti, ed esser toccato nulla puo` fuor che un corpo»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), p. 85.
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palme delle mani, e piu` ne i polpastrelli delle dita, co’ quali noi sentiamo piccolissime differenze d’aspro, liscio, molle e duro, che con altre parti del corpo non cosı` bene le distinguiamo [...].68
In questo generale contesto, la distinzione tra i vari tipi di sensi viene da Galileo riportata alla diversita` dei moti corpuscolari: esistono, infatti, «particelle minime» che «come piu` gravi dell’aria scendono al basso, ed altre, piu` leggeri, salgono ad alto».69 Queste ultime particelle attivano il senso dell’odorato, andando a «ferire alcune mammillule» che ne sono lo «strumento». I «minimi che scendono», a loro volta, «ricevuti sopra la parte superiore della lingua, penetrando, mescolati colla sua umidita`, la sua sostanza, arrecano i sapori, soavi o ingrati, secondo la diversita` de’ toccamenti delle diverse figure d’essi minimi, e secondo che sono pochi o molti, piu` o men veloci».70 Anche Lucrezio aveva attribuito alle differenti figure degli atomi la diversa qualita`, piacevole o repellente, del gusto. Cosı`, nei versi 398-409 del secondo libro aveva affermato: Huc accedit uti mellis lactisque liquores iucundo sensu linguae tractentur in ore; at contra taetra absinthi natura ferique centauri foedo pertorquent ora sapore; ut facile agnoscas e levibus atque rutundis esse ea quae sensus iucunde tangere possunt, at contra quae amara atque aspera cumque videntur, haec magis hamatis inter se nexa teneri proptereaque solere vias rescindere nostris sensibus introituque suo perrumpere corpus. omnia postremo bona sensibus et mala tactu dissimili inter se pugnant perfecta figura.71
OG, VI, 348-349. Ibid., 349. 70 Ibid. 71 [«A cio ` s’aggiunge che i liquidi del miele e del latte si assaporano in bocca con vivo piacere della lingua; invece la tetra natura dell’assenzio e l’acre centaurea fanno storcere la bocca col ripugnante sapore; ti e` facile cosı` riconoscere che d’atomi lisci e rotondi sono le sostanze che toccano gradevolmente i sensi, mentre tutte quelle che sembrano amare e aspre sono intessute di corpuscoli piu` uncinati, e per questo sogliono lacerare le vie dei nostri sensi e, nell’entrare, far violenza al corpo. Infine tutte le cose che sono buone ai sensi o cattive a toccarle, discordano fra loro perche´ sono composte di elementi di forma diversa»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), p. 155. 68 69
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E, ancora, nei versi 620-626 del quarto libro chiariva: Inde quod exprimimus per caulas omne palati Diditur, et rarae per flexa foramina linguae. Hoc ubi levia sunt manantis corpora suci, suaviter attingunt et suaviter omnia tractant umida linguai circum sudantia templa. At contra pungunt sensum lacerantque coorta, quanto quaeque magis sunt asperitate repleta.72
La sensazioni variano poi anche a seconda del grado di addensamento degli atomi. In tale prospettiva, Galileo aveva notato come il caldo si configurasse «grato o molesto secondo la moltitudine e velocita` minore o maggiore d’essi minimi che ci vanno pungendo e penetrando».73 In modo simile, Lucrezio, nei versi 650-651 del primo libro, spiega che: Acrior ardor enim conductis partibus esset, languidior porro disiectis disque sipatis.74
Inoltre, proprio come in Galileo «la diversita` de’ toccamenti delle diverse figure d’essi minimi» produce le differenti sensazioni, anche in Lucrezio la distinzione tra le modalita` sensoriali e` determinata dalla varia configurazione degli atomi; ecco quanto affermato nei versi 680-685 del secondo libro: Denique multa vides quibus et color et sapor una reddita sunt cum odore; in primis pleriqua poma. Haec igitur variis debent constare figuris; nidor enim penetrat qua fucus non it in artus, fucus item sorsum, sapor insinuatur sensibus; ut noscas primis differre figuris.75
72 [«Cio ` che di lı` [dal cibo che mastichiamo] spremiamo, tutto si diffonde nel condotti del palato e per gli attorti canali della lingua porosa. Per questo, quando sono lisci gli atomi del succo che filtra, soavemente toccano e vellicano tutt’intorno l’umido, trasudante ricettacolo della lingua. Invece gli atomi pungono il senso e irrompendo lo straziano, quanto piu` sono pieni di asperita`»]. Ibid., p. 297. 73 OG, VI, 350. 74 [«Piu ` vivo sarebbe il calore una volta addensate le parti, piu` languido invece quando fossero disunite e disperse»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), p. 105. 75 [«Infine molti corpi tu vedi ai quali il colore e il sapore sono dati insieme con l’odore: in primo luogo la maggior parte dei frutti. Essi devono dunque constare di atomi di varia figura; l’odore infatti penetra dove il colore non passa nelle membra, e per una sua via il colore, per un’altra il sapore s’insinuano nei sensi; da cio` puoi capire che differiscono per le forme dei principi»]. Ibid., p. 171.
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Anche la distinzione galileiana tra l’azione dei «minimi» che produce la sensazione e il contenuto soggettivo di quest’ultima trova qualche corrispondenza in passi lucreziani. A tal proposito, Galileo scriveva di ritenere che «tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non gia` gli odori ne´ i sapori ne´ i suoni».76 Analogamente Lucrezio, nei versi 842-846 del secondo libro, rilevava: Sed ne forte putes solo spoliata colore corpora prima manere, etiam secreta teporis sunt ac frigoris omnino calidique vaporis, et sonitu sterila et succo ieiuna feruntur, nec iaciunt ullum proprium de corpore odorem.77
E poco oltre, ai versi 854-867: propter eandem debent primordia rerum non adhibere suum gignundis rebus odorem nec sonitum, quoniam nihil ab se mittere possunt, nec simili ratione saporem denique quemquam nec frigus neque item calidum tepidumque vaporem, cetera; quae cum ita sunt tamen ut mortalia constent, molli lenta, fragosa putri, cava corpore raro, omnia sint a principiis seiuncta necesse est, inmortalia si volumus subiungere rebus fundamenta quibus nitatur summa salutis; ne tibi res redeant ad nihilum funditus omnes. Nunc ea quae sentire videmus cumque necessest ex insensilibus tamen omnia confiteare principiis constare.78
OG, VI, 350. [«Ma perche´ tu forse non creda che privi del solo colore sussistano i corpi primi, sono anche in tutto esenti da tepore, da freddo, da ardente calore, ed errano incapaci di suono e digiuni di sapore, ne´ emanano dal corpo un proprio odore»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), p. 179. 78 [«per la stessa ragione non devono i principi portare nella creazione delle cose un loro odore ne´ suono, perche´ nulla possono da se´ emettere, e allo stesso modo non devono avere nessun sapore, ne´ gelo, ne´ calore ardente o temperato, ne´ altre simili cose; ma poiche´ queste risultano mortali, le flessibili di sostanza molle, le fragili di friabile, le porose di sostanza rada, e` necessario che tutte siano disgiunte dai principi, se fondamenti immortali vogliamo assicurare alle cose, sui quali poggi la salvezza dell’universo, perche´ le cose non ti ritornino tutte, quante sono, al nulla. Ora, quanto alle cose che vediamo fornite di senso, devi ammettere che tuttavia sono composte di principi insensibili»]. Ibid. 76 77
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Mentre, ancora nei versi 891-896 del secondo libro, il poeta individuava nella ‘‘forma’’, oltre che nei «moti, ordini e positure» degli atomi, gli «elementi che creano il sensibile»: Illud in his igitur rebus meminisse decebit, non ex omnibus omnino, quaecumque creant res sensilia, extemplo me gigni dicere sensus, sed magni referre ea primum quantula constent, sensile quae faciunt, et qua sint praedita forma, motibus ordinibus posituris denique quae sint.79
Come si puo` notare, sussistono diverse sintonie teoriche tra Il Saggiatore galileiano e il De rerum natura. E` tuttavia oggettivamente difficile determinare al di la` di ogni ragionevole dubbio quanti degli spunti appena ricordati furono realmente suggeriti a Galileo dalla lettura dell’opera del poeta latino. In ogni caso, la valutazione degli eventuali motivi di affinita` tra l’elaborazione lucreziana e quella galileiana non puo` arrestarsi ai passi sopra citati. Senza pretesa di alcuna esaustivita`, e` lecito recare qualche ulteriore esempio, a partire dalla segnalazione di una curiosa peculiarita` espressiva. Nelle postille apposte in margine alla Libra astronomica ac philosophica del suo avversario Orazio Grassi, Galileo replicava al rilievo del gesuita di non esser riuscito a riscontrare il supposto flusso di particelle prodotte dalla percussione di un corpo, affermando che la bilancia non registra simili eventi. A sostegno di tale asserzione, lo scienziato pisano notava che il percuotere un oggetto d’oro gli avrebbe fatto perdere una quantita` di materia simile a quella consumata nel portare un anello al dito per diversi mesi: ex libra non percipias decrementum, mirum non est: puta enim ex auro per ictus horae dimidiatae tantum absumi, quantum ex anulo quem gestaveris per duos menses; cuius decrementum ex lance non percipies, licet revera absumatur.80
79 [«Ma a tale proposito converra ` ricordare, che non da tutte le sostanze che creano le cose sensibili dico che nascano senz’altro le facolta` dei sensi; ma che molto importa, da prima, come siano sottili gli elementi che creano il sensibile, e di qual forma siano dotati, infine quali siano per moti, ordini e positure»]. Ibid., p. 183. 80 [«non dobbiamo meravigliarci se non percepiamo la diminuzione alla bilancia: considera infatti che un pezzo d’oro battuto per mezz’ora subisce un consumo pari a quello di un anello che hai portato per due mesi; eppure non ne osservi alla bilancia nessuna diminuzione di peso, anche se, in realta`, esso si consuma»]. OG, VI, 161. Singolarmente, nel testo de Il Saggiatore l’esempio dell’anello viene riformulato, e si parla di un bottone dorato: «E prima, io domando al Sarsi, se pesato un bottone d’argento, e poi doratolo e tornato a pesarlo, ei crede che l’accrescimento fusse notabile e sensibile. Bisogna dir di no, perche´ noi veggiamo l’oro ridursi a tanta sottigliezza, che anco nell’aria quietissima si trattiene e lentissimamente cala a basso; e con tali foglie puo` dorarsi alcun metallo. In oltre, questo medesimo bottone verra` adoperato due o tre mesi, avanti che la doratura sia consumata; e pur
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GALILEO, LUCREZIO E L’ATOMISMO
Un esempio analogo occorre ai versi 311-313 del primo libro del De rerum natura, che recitano: Quin etiam multis solis redeuntibus annis anulus in digito subter tenuatur habendo, stilicidi casus lapidem cavat [...] 81
Forse si tratta di una semplice coincidenza, tanto piu` che l’esempio dell’anello potrebbe esser stato suggerito a Galileo dal noto passo ovidiano Gutta cavat lapidem, consumitur anulus usu (Ov. Pont. 4,10,5). Nondimeno, alla luce della indubbia sintonia teorica tra le dottrine gnoseologiche de Il Saggiatore e i gia` citati passi del De rerum natura, l’esempio dell’anello d’oro potrebbe, assai verosimilmente, esser considerato come un’ulteriore traccia di un influsso lucreziano su Galileo.82 Ancora, piu` in generale, merita di essere approfondito l’uso galileiano della voce simulacri (lat. simulacra), lemma e nozione di peculiare interesse nel contesto del lessico e del patrimonio concettuale del De rerum natura. Come e` noto, con tale espressione Lucrezio traduceva il termine epicureo ei[dwla, significando quelle sottilissime pellicole di atomi che, dipartendosi dai corpi, causano la visione. Benche´ lo scienziato pisano si serva del termine in diverse occasioni, l’accezione galileiana sembra pero` sempre estranea al significato tecnico imposto al nome dal poeta latino. Cosı`, proprio all’esordio della dedicatoria al Granduca di Toscana del Sidereus Nuncius – l’operetta con cui, nel 1610, Galileo comunicava al mondo la straordinaria novita` delle proprie scoperte telescopiche – si legge: Eiusmodi est enim humanae mentis conditio, ut nisi assiduis rerum simulacris in eam extrinsecus irrumpentibus pulsetur, omnis ex illa recordatio facile effluat.83
consumandosi finalmente, chiara cosa e` che ogni giorno, anzi ogn’ora, s’andava diminuendo». OG, VI, 332. 81 [«nel volgere di molti anni di sole l’anello al dito si logora sotto, al portarlo; il gocciare delle stille incava la pietra [...]»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), p. 87. 82 L’immagine lucreziana dell’anello d’oro venne, in quegli stessi anni, ripresa (con termini indubitabilmente mutuati dal dettato del De rerum natura) anche da Isaac Beeckman. Cfr. BENEDINO GEMELLI, Isaac Beeckman atomista e lettore critico di Lucrezio (Firenze: Olschki, 2002), pp. 49-50. 83 [«La condizione della mente umana e ` infatti di tal genere che, laddove essa non venga assiduamente eccitata dalle immagini delle cose che irrompono dall’esterno, ogni ricordo in lei facilmente si perde»]. OG, III, 55.
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MICHELE CAMEROTA
Commentando il passo, nella sua eccellente edizione del Sidereus Nuncius, Isabelle Pantin ha rilevato che «Galile´e ne donne pas a` ‘‘simulacra’’ le sens pre´cis qu’il a chez Lucre`ce».84 A giudizio della studiosa francese, Galileo usa il termine simulacra con una accezione equivalente alla generica e comune nozione di species.85 Le considerazioni della Pantin appaiono assolutamente condivisibili e sono rafforzate dalle altre occorrenze del vocabolo rilevabili all’interno del corpus dei lavori galileiani. Il Saggiatore e` l’opera in cui il lemma simulacro ricorre il maggior numero di volte: ben quarantotto tra forme singolari e plurali. Galileo si diffonde a parlare di «vani simulacri», «simulacri apparenti», «varie illusioni di simulacri diversi», trattando del «simulacro del Sole», e spiegando come «la cometa sia un simulacro intero, e non mutilato e tronco». Nel complesso, la valenza del termine e` quella, ordinaria, di ‘‘immagine apparente’’ (spesso fittizia), senza alcun legame evidente con il significato specificamente tecnico della voce lucreziana. Non sembra, pertanto, possa accreditarsi una qualche influenza del poema di Lucrezio sull’uso galileiano del termine, al di la`, forse, della volonta` di utilizzare un lemma proprio di una tradizione – quella atomistica – di cui si condivideva l’ispirazione di fondo. Come ha, infatti, notato Isabelle Pantin, commentando il passo poc’anzi citato del Sidereus Nuncius, «le mot [simulacra] conserve sa couleur e´picurienne, de meˆme que cette conception d’un esprit qui a constamment besoin d’eˆtre stimule´ de l’e´xte´rieur pour n’eˆtre vide et inerte».86 Sicuramente interessante sotto il profilo concettuale – benche´ l’effettiva scaturigine lucreziana dei rilievi in oggetto risulti egualmente incerta – e` anche la similarita` tra alcuni spunti galileiani e i versi del De rerum natura in cui Lucrezio propone un suggestivo argomento a sostegno dell’esistenza del vuoto. Il passo in questione corrisponde ai vv. 384-390 del primo libro: Postremo duo de concursu corpora lata si cita dissiliant, nempe aer omne necessest, inter corpora quod fiat, possidat inane. Is porro quamvis circum celerantibus auris confluat, haud poterit tamen uno tempore totum
84 GALILEO GALILEI , Sidereus Nuncius. Le messager ce ´leste, Texte, traduction et notes e´tablis par Isabelle Pantin (Paris: Les Belles Lettres, 1992), 51, nota 12. Il passo citato in trad. francese dalla Pantin corrisponde a Lucr. 4,50-53: ea quae rerum simulacra vocamus, / quae quasi membranae vel cortex nominitandast / quod speciem ac formam similem gerit eius imago / cuiuscumque cluet de corpore fusa vagari. 85 GALILEI , Sidereus Nuncius. Le messager ce ´leste, ed. Pantin (cit. n. 84), p. 51, nota 12. 86 Ibid.
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GALILEO, LUCREZIO E L’ATOMISMO
compleri spatium; nam primum quemque necessest occupet ille locum, deinde omnia possideantur.87
I versi appena citati hanno posto qualche problema di interpretazione, facendo registrare anche delle proposte di correzione.88 In generale, i duo corpora lata in concursu di cui parla Lucrezio sono stati intesi nei termini di due superfici piatte a contatto. Conformemente a tale opzione, gia` Alessandro Marchetti, nella sua settecentesca versione del De rerum natura, traduceva: S’alfin due piastre di lucente acciaio si combaciano assieme, indi in un tratto l’una dall’altra si solleva, e` d’uopo che vuoto resti l’interposto spazio; poiche´, quantunque d’ogn’intorno accorra l’aere per occuparlo, in un sol punto cio` far non puo`; ma che riempia e` forza i luoghi piu` vicini e poscia gli altri.89
Al di la` delle fantasiose ‘‘integrazioni’’ di Marchetti, che individua senza incertezze nel «lucente acciaio» la materia dei duo corpora lucreziani, le parole 87 [«Infine se due corpi estesi venuti a scontrarsi rimbalzano di colpo lontani, di necessita ` avviene che l’aria occupi tutto il vuoto che si fa tra i due corpi. Ma per quanto l’aria d’intorno confluisca con rapide onde, non potra` in un istante riempirsi tutto lo spazio: e` necessario ch’essa occupi il luogo che via via e` piu` vicino. Finche´ da ultimo possieda tutto lo spazio»]. Trad. di Armando Fellin, in TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (cit. n. 10), p. 91. 88 Cosı`, nel 1985, Shackleton Bailey ha suggerito di leggere late (invece di lata) al v. 384, intendendo altresı` il cita del v. 385 come un participio, con il significato di ‘‘messo in movimento’’ («set in motion»). Cfr. DAVID ROY SHACKLETON BAILEY, ‘‘Lucretiana’’, Phoenix, 1985, 39: 27-29. La modifica testuale di late ha trovato il consenso di Martin F. Smith, che, anche sulla base di alcune testimonianze manoscritte, la ha recepita nella sua revisione del 1992 dell’edizione Loeb del De rerum natura. In proposito cfr. MARTIN F. SMITH, ‘‘Notes on Lucretius’’, The Classical Quarterly, 1993, n.s. 43: 336-339. Un diverso punto di vista e` stato invece espresso da Ivars Avotin, che ha accuratamente rivisitato la questione rifiutando la proposta di Shackleton Bailey e Smith. Cfr. IVARS AVOTIN , ‘‘On Lucretius 1.384-397’’, Phoenix, 1997, 51: 38-43. 89 ALESSANDRO MARCHETTI , Della natura delle cose di Lucrezio, a cura di Denise Arico ` (Roma: Salerno, 2003), vv. 526-533, p. 33. Di ‘‘piatti che combaciano’’ parlano le versioni di Balilla Pinchetti e Enzio Cetrangolo; cfr. TITO LUCREZIO CARO, La natura, trad. di Balilla Pinchetti, introd. di Luca Canali (Milano: Rizzoli, 1953, sesta ed. 1986), p. 71; LUCREZIO, Della natura, trad. di Enzio Cetrangolo, introd. di Benjamin Farrington (Firenze: Sansoni, 1978), p. 27. Diversa la scelta di altri traduttori: come abbiamo visto, Armando Fellin associa al termine concursus l’idea di uno scontro tra i due corpi (cfr. supra, nota 87); analoga la soluzione adottata da Luca Canali, che rende i vv. 384-386 in questo modo: «Infine se due grandi corpi scontratisi tra loro rimbalzano / d’un tratto lontani, e` certo necessario che tutta l’aria / occupi l’intero vuoto che si produce tra loro». LUCREZIO, La natura delle cose, trad. di Luca Canali, introd. di Gian Biagio Conte, testo e commento a cura di Ivano Dionigi (Milano: Rizzoli, 1990; 200614), pp. 101-103. Combina le due immagini il piu` recente editore italiano, Titus Lucretius Carus De rerum natura, Edizione critica con Introduzione e Versione, a cura di Enrico Flores (Napoli: Bibliopolis, 2002), vol. 1, p. 71: «Infine, se due oggetti piatti dopo uno scontro / veloci rimbalzano...».
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del De rerum natura sembrano, in effetti, sostenere che, laddove si proceda alla separazione di due lastre combacianti, prima che il mezzo aereo sopravvenga ad occupare lo spazio lasciato libero, tra di esse si dara` il vuoto. L’aria, infatti, impieghera` un certo tempo ad interporsi tra le superfici, riempiendo preliminarmente le parti piu` esterne: bisogna dunque ammettere che, anteriormente alla saturazione dell’intervallo tra i corpi operato progressivamente dall’aria, lo spazio interstiziale risulti vuoto. Ora, in varie opere galileiane si ritrovano spunti analogamente concernenti il caso di superfici piatte o piastre a diretto contatto. Cosı`, Il Saggiatore discute di «due marmi ben piani e lisci» la cui aderenza e` tanta «che alzandone uno, l’altro lo segue», ancorche´, precisa Galileo, «se le superficie toccantisi non saranno ben bene equidistanti all’orizonte, ma un sol capello inclinate, subito il marmo inferiore sdrucciolera` verso la parte inclinata».90 Anche nel Discorso idrostatico del 1612, lo scienziato pisano aveva sviluppato considerazioni del medesimo tenore, rilevando come «i corpi solidi ancora, se saranno di superficie in tutto simili, sı` che esquisitamente si combacino insieme, ne´ tra di loro resti aria che si distragga nella separazione e ceda sin che l’ambiente succeda a riempier lo spazio, saldissimamente stanno congiunti, ne´ senza gran forza si separano».91 Nei passaggi appena citati la conformita` con l’argomento lucreziano risulta, invero, piuttosto labile, limitata com’e` al caso esemplare delle due superfici aderenti, senza che vi si affronti il tema fondamentale in discussione, quello dell’esistenza del vuoto. Non altrettanto puo` dirsi dello stralcio dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove in cui il personaggio di Salviati evoca «due piastre di marmo, di metallo o di vetro, esquisitamente spianate pulite e lustre», soggiungendo che, una volta poste le lastre l’una sull’altra, «senza veruna fatica se gli muove sopra strisciando [...], ma che volendo separarle, mantenendole equidistanti, tal repugnanza si trova, che la superiore solleva e si tira dietro l’altra e perpetuamente la ritiene sollevata». La circostanza serve a provare «l’orrore della natura nel dover ammettere, se ben per breve momento di tempo, lo spazio voto».92 Replicando ad una tale conclusione, un altro interlocutore del dialogo, Sagredo, opera un rilievo senza dubbio piu` prossimo a quello gia` enucleato da Lucrezio nel De rerum natura: 90 La conclusione sancisce pertanto che «al muover l’una superficie sopra l’altra non si trovera ` resistenza, ben che grandissima si senta nel volerle staccare e separare». OG, VI, 322-323. 91 OG, IV, 102-103. 92 OG, VIII, 59.
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il vedere come la piastra inferiore segue la superiore e che con moto velocissimo vien sollevata, – osserva Sagredo – ci rende sicuri che, contro al detto di molti filosofi e forse d’Aristotele medesimo, il moto nel vacuo non sarebbe instantaneo; perche´ quando fusse tale, le nominate due lastre senza repugnanza veruna si separerebbero, gia` che il medesimo instante di tempo basterebbe per la loro separazione e per il concorso dell’aria ambiente a riempier quel vacuo che tra esse potesse restare. Dal seguir dunque che fa l’inferior lastra la superiore, si raccoglie come nel vacuo il moto non sarebbe instantaneo; e si raccoglie insieme che pur tra le medesime piastre resti qualche vacuo, almeno per brevissimo tempo, cioe` per tutto quello che passa nel movimento dell’ambiente, mentre concorre a riempiere il vacuo; che´ se vacuo non vi restasse, ne´ di concorso ne´ di moto di ambiente vi sarebbe bisogno. Converra` dunque dire che, pur per violenza o contro a natura, il vacuo talor si conceda (benche´ l’opinion mia e` che nissuna cosa sia contro a natura, salvo che l’impossibile, il quale poi non e` mai).93
Come gia` nel poema di Lucrezio, anche in questo brano dei Discorsi si sostiene l’occorrere del vuoto «almeno per brevissimo tempo», prima che l’aria ambiente sopravvenga «a riempiere il vacuo». Identiche considerazioni, Galileo aveva gia` esposto negli studi giovanili di dinamica, i De motu antiquiora, nell’ambito di un ragionamento piuttosto conforme al discorso lucreziano: [...] libet etiam ex eorundemmet adversariorum argumento, quo vacuum dari tollere conantur, id ipsum elicere: nempe in vacuo motum fieri in tempore. Dicunt enim ipsi, quod si accipias duos lapides exactissime expolitos, quorum superficies ita congruant, inter se aptatae, ut nihil diversi generis inter ipsas relinquatur, tunc si conatus eris eas ad invicem separare, ita tamen ut semper aequidistent, te operam perditurum; natura enim vacuum, quod aliquando inter ipsas relinqueretur, nimium horret: ex quo colligunt, vacuum non dari posse. At si hoc verum est, uti certe verissimum extat, tunc sic arguo: lapides non possunt separari; ergo motus in instanti non fit in vacuo. Nam si lapides non possunt separari, ne quis locus vacuus relinquatur, iam separari poterunt cum vacuum non relinquatur: nam aer circumfluus in vacuum in instanti advolabit, et ita vacuus nunquam erit locus. Attamen quia lapides adhuc non disseparantur, signum est quod per aliquod tempus inter eas relinqueretur vacuum: quod quidem vacuum, ex eo quod per aliquod temporis spatium duraret, satis superque demonstrat, in se non instantaneum fieri motum sed successivum.94
OG, VIII, 60. [«[...] anche dall’argomento degli stessi avversari, con cui essi tentano di negare l’esistenza del vuoto, si puo` ricavare la medesima conclusione, vale a dire che il moto nel vuoto viene fatto in un certo tempo. Essi affermano, infatti, che se si prendono due lastre di pietra perfettamente levigate, le cui superfici, poste l’una sull’altra, siano cosı` combacianti che tra di loro non resti nulla di diverso genere, allora, se si tentera` di separarle in modo che rimangano sempre equidistanti, si fati93 94
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Al di la` delle indubbie somiglianze concettuali, e` pero` difficile dire se e quanto l’esposizione galileiana sia stata influenzata da Lucrezio. Il passo si connette, infatti, in modo esplicito ad un preliminare «adversariorum argumentum», che utilizzava l’esempio delle due lastre aderenti per sostenere l’impossibilita` del vuoto. Sembra, dunque, che Galileo utilizzasse (in modo critico e polemico) uno spunto mutuato da fonti, verosimilmente, coeve. E invero, il caso dei «duo lapides exactissime politi» venne discusso, in preciso riferimento al problema del vuoto, fin dal Medioevo, e fu poi al centro dell’attenzione di molti autori rinascimentali e della prima eta` moderna.95 Le radici della questione vanno rintracciate – oltre che negli argomenti contra vacuum del quarto libro della Physica aristotelica – in un passo del De anima e nel relativo commento di Averroe´, che enfatizzava l’impossibilita` di un contatto diretto ed ‘‘esattissimo’’ tra due corpi immersi in un mezzo ambiente.96 Conseguentemente, in diversi commentari cinquecenteschi e del primo Seicento alle opere di Aristotele si trova un’esposizione dell’argomento delle piastre aderenti, spesso allo scopo di confutarne la conclusione favorevole all’esistenza del vuoto.97 chera` invano. Cio` in quanto la natura ha troppo orrore del vuoto che per qualche tempo si creerebbe tra di esse. Da questo, gli avversari concludono che il vuoto non si puo` dare. Ma se il discorso e` vero, come certamente consta essere verissimo, allora io argomento in tale maniera. Le lastre non possono disgiungersi, dunque il moto istantaneo non ha luogo nel vuoto. Infatti, se le lastre non possono esser separate perche´ tra di esse non resti alcuno spazio vuoto, esse potranno staccarsi quando tra di loro non rimarra` alcun vuoto: e poiche´ l’aria circostante confluira` all’istante a riempire il vuoto, cosı` non vi sara` mai uno spazio vuoto. Ma la circostanza che le lastre non si separino ancora, indica che per qualche tempo tra di loro rimane il vuoto, il quale vuoto, durando per qualche spazio di tempo, dimostra piu` che a sufficienza che in esso il moto non e` istantaneo ma avviene successivamente nel tempo»]. OG, I, 394-395. 95 Per il dibattito medievale cfr. part. PIERRE DUHEM , Le syste `me du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon a` Copernic, 10 voll. (Paris: Hermann, 1913-1959), 8: pp. 142-144 (ma, in generale, ved. tutta la discussione sul vuoto, pp. 121-168); EDWARD GRANT, Much Ado about Nothing. Theories of Space and Vacuum from the Middle Ages to the Scientific Revolution (Cambridge: Cambridge UP, 1981), pp. 86-95. Per la discussione rinascimentale, cfr. CHARLES B. SCHMITT, ‘‘Experimental Evidence for and against a Void: the Sixteenth-Century Arguments’’, Isis, 1967, 58: 352-366. 96 «[...] impossibile est ut corpus siccum tangat corpus siccum in aqua, aut in ae ¨ re, nisi inter ea sit corpus aut ex aqua aut ex ae¨re». AVERROES, Commentarium in Aristotelis De Anima libros, in ARISTOTELIS , Opera cum Averrois Commentariis, 12 voll. (Venetiis: apud Junctas, 1562-74; Unvera¨nderter Nachdruch, Frankfurt am Main: Minerva G.m.b.H, 1962), suppl. II, 2, c. 110r. Per il passo aristotelico, cfr. De anima, 423a 22-423b 1. 97 Charles Schmitt, nel suo pregevole saggio sulle prove sperimentali cinquecentesche sul vuoto, menziona, per esempio, DOMINGO DE SOTO, Super octo libros physicorum Aristotelis quaestiones (Salmanticae: ex officina I. a Terranova et Neyla, 1582), c. 66r, e i CONIMBRICENSES, Commentarium Collegii Conimbricensis Societatis Iesu in octo libros physicorum Aristotelis Stagiritae (Lugduni: sumptibus Horatii Cardon, 1602), coll. 89, 95. Cfr. SCHMITT, ‘‘Experimental Evidence for and against a Void’’ (cit. n. 95), p. 365, nota 31. Ad attestare la diffusione dell’assunto delle due superfici,
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Peraltro, non mancano, nel vasto e variegato panorama della esegesi aristotelica della prima eta` moderna, i lavori in cui la discussione della tematica de vacuo fa ricorso alla citazione di passi lucreziani.98 Tuttavia, e` piu` plausibile ritenere che, almeno nel brano dei De motu poc’anzi ricordato, Galileo stesse intervenendo criticamente contro le tesi di avversari peripatetici, allo scopo di mettere in evidenza come, in contrasto con l’opinione di Aristotele, «in vacuo motum fieri in tempore». Se, dunque, non si puo` escludere che l’esempio delle lastre a contatto, cosı` ricorrente nelle opere galileiane, sia stato suggerito anche dai versi lucreziani, bisogna nondimeno concludere che esso trovava precisa occorrenza in testi che lo scienziato pisano conosceva fin dai tempi del proprio apprendistato filosofico,99 e contro cui, ben presto, cerco` di articolare una alternativa dottrina dinamica. Come si vede, a parte le suggestioni direttamente attinenti ad aspetti fondamentali della concezione atomistica e della relativa gnoseologia, non si riscontrano ulteriori, evidenti tracce di un influsso di Lucrezio nell’opera di Galileo. Mentre, infatti, i passi de Il Saggiatore concernenti la distinzione tra le qualita` ‘‘oggettive’’ e soggettive’’ possono ben essere ricondotte alla lezione del De rerum natura (ancorche´ la fonte di ispirazione piu` chiara e diretta sia, probabilmente, individuabile nelle testimonianze galeniche in merito all’obasti dire che, nel suo Cursus Thomisticus (1631), Giovanni di S. Tommaso (Joa˜o Poinsot) lo annoverava senza esitazioni tra gli «argumenta quae solent fieri ad probandum vacuum». Cfr. IOANNES a SANCTO THOMA, Cursus philosophicus thomisticus secundum exactam, veram, genuinam Aristotelis et Doctoris Angelici mentem, a cura di Beato Reiser (Torino: Marietti, 1930-37; seconda ed. 1948-50), vol. 2, p. 362. Ringrazio l’amico Mario Helbing per avermi segnalato il passo di Giovanni di S. Tommaso. 98 Schmitt cita in proposito le opere di Giulio Pace, Francesco Vimercati e Giulio Castellani. Cfr. SCHMITT, ‘‘Experimental Evidence for and against a Void’’ (cit. n. 95), p. 360, nota 19. 99 In tal senso, il gesuita Francisco Toleto (o Toledo; lat. Toletus), nel suo commentario alla Physica, che Galileo aveva, probabilmente, letto negli anni giovanili, rilevava: «Sumantur duo lapides plani, et unus sit alteri suppositus: tunc ex aequo superior elevetur; cum aer non possit in totum illud spatium, quod lapis occupabat, intrare ita cito, dabitur per aliquod tempus vacuum». FRANCISCUS TOLETUS, Commentaria una cum quaestionibus in octo libros Aristotelis De Physica Auscultatione (Venetiis: apud Iuntas, 1586), c. 131r. Toleto rispondeva all’argomento affermando che: «in illo casu unus lapis traheret alium, quod si parum oblique elevaretur unus, ut posset aer subentrare, tunc non esset difficultas». Ibid., c. 131v. Ricordiamo che il commentario di Toleto alla Physica e` stato individuato come una delle fonti degli Juvenilia galileiani. Cfr. ALISTAIR C. CROMBIE, ‘‘Sources of Galileo’s Natural Philosophy’’, in Reason, Experiment and Mysticism in the Scientific Revolution, a cura di Maria Luisa Righini Bonelli e William R. Shea (New York: Science History Publications, 1975), pp. 157-175; WILLIAM A. WALLACE, Galileo’s Early Notebooks: The Physical Questions (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1977), pp. 12-15; ADRIANO CARUGO – ALISTAIR C. CROMBIE, ‘‘The Jesuits and Galileo’s Ideas of Science’’, Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, 1983, 8: 3-67, pp. 5-6, 19-23; WILLIAM A. WALLACE, Galileo and His Sources. The Heritage of the Collegio Romano in Galileo’s Science (Princeton: Princeton UP, 1984), pp. 58-61.
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pinione di Democrito), le altre affinita` espressive e teoriche esaminate non appaiono ascrivibili ad una indubitabile matrice lucreziana. In conclusione, possiamo cosı` riassumere gli esiti della nostra (assai parziale e sicuramente bisognosa di ulteriori approfondimenti) indagine. In primo luogo, Galileo dimostro`, lungo tutto il corso della sua lunga e travagliata carriera scientifica, una sostanziale adesione alla dottrina degli atomi. Di fatto, pur con oscillazioni concettuali e terminologiche, la sua trattazione dei problemi attinenti alla struttura della materia tese costantemente a connotarsi nei termini di una riproposizione della prospettiva atomista. Certamente, lo scienziato pisano riscontrava nella concezione dell’atomismo classico un modello teorico facilmente integrabile (perche´ in decisa sintonia) con il proprio programma di sviluppo di una spiegazione quantitativa e meccanica dei fenomeni naturali, in contrapposizione all’approccio qualitativo e teleologico della tradizione aristotelica. Galileo si rivelo`, inoltre, ben consapevole delle implicazioni gnoseologiche della dottrina atomista, cui dedico` alcune delle piu` rilevanti pagine del suo Il Saggiatore. Proprio questi passi contengono gli spunti in cui una eventuale influenza lucreziana risalta con maggior perspicuita`. Come detto in precedenza, non e` affatto sicuro che i passi del capitolo 48 de Il Saggiatore sul meccanismo della percezione sensibile debbano qualcosa al De rerum natura. Ma, certo, l’affinita` teorica con alcuni stralci del poema e` notevole e lascia presumere il concorso di suggestioni tratte dal De rerum natura al costituirsi del discorso sviluppato da Galileo. Altri luoghi del corpus galileiano offrono ulteriori spunti di possibile ascendenza lucreziana. Nondimeno, almeno nei casi poc’anzi discussi, nessuno di essi si contraddistingue per una sicura derivazione dal De rerum natura. Insomma, anche sulla scia di una ferma adesione ad una teoria della materia di stampo atomistico, e` oltremodo probabile che Galileo abbia letto – e, certo, con grande interesse ed attenzione – il capolavoro lucreziano (di cui, lo ricordiamo, possedeva ben due esemplari), ricavandone argomenti e idee a sostegno della propria scelta teorica. Peraltro, nessuna esplicita menzione di Lucrezio venne da lui mai operata in alcuno scritto. Se, certamente, la pericolosa fama del poeta latino – tanto piu` temibile per chi, come Galileo, gia` non godeva di una reputazione ineccepibile – concorreva a sconsigliare citazioni dirette, il silenzio galileiano potrebbe altresı` spiegarsi alla luce di una tendenza piuttosto diffusa all’epoca (si pensi, solo per fare un esempio, al caso di Descartes), identificabile con la spiccata propensione a mostrarsi reticenti nei confronti delle proprie fonti e dei propri ispiratori. — 174 —
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Una simile attitudine appare, in qualche modo, in connessione con il drastico rifiuto di ogni concessione al principio d’autorita`. E forse, in tal senso, e` lo stesso Galileo a darci ragione delle larvate motivazioni del suo ‘‘riserbo’’ sulle fonti di ispirazione, quando, in un frammento steso in margine al testo del Dialogo sopra i due massimi sistemi, confessava: Molti si pregiano d’aver molte autorita` di uomini per confermazione delle loro opinioni; ed io vorrei essere stato il primo e solo a trovarle.100
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OG, VII, 540.
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MARCO BERETTA * GLI SCIENZIATI E L’EDIZIONE DEL DE RERUM NATURA Nunc facile est ex his rebus cognoscere quaeque LUCREZIO, De rerum natura 4,663
POESIA
E SCIENZA PRIMA DI
GASSENDI
Gia` dalla sua prima immediata diffusione, negli anni ’30 del quindicesimo secolo, il De rerum natura esercito` una notevole influenza sul pensiero scientifico europeo, fornendo molti argomenti ed idee che, inizialmente usati nella lotta contro l’aristotelismo, vennero poi presentati come i fondamenti dell’atomismo scientifico e, infine, come delle geniali anticipazioni della fisica moderna. Da molti punti di vista la riscoperta di Lucrezio rappresento` una vera e propria scoperta scientifica da cui uscı` rafforzata la convinzione che l’atomismo potesse avere delle feconde applicazioni nell’investigazione di molti fenomeni naturali. Inoltre, trattandosi di un poema e non di un trattato scientifico o filosofico, il De rerum natura si presentava come testo ambiguo che, senza arrogarsi il compito di offrire una refutazione puntuale della fisica aristotelica, illustrava una concezione del mondo alternativa sotto forma di immagini poetiche di grande fascino ed eleganza, rendendo cosı` difficile separare la forma dal contenuto. Nonostante il dogma nella mortalita` dell’anima e le feroci critiche mosse da Lucrezio contro la religione, fu proprio questa doppiezza dell’opera che, per tutto il periodo della controriforma, la salvo` dalle maglie della censura e ne favorı` un’ampia circolazione tra gli scienziati. Quando si affronta un tema complesso e filologicamente delicato quale quello della diffusione di un classico in un ambito disciplinare che, almeno in apparenza, non gli e` proprio, si corrono due rischi entrambi molto insidiosi. * Desidero ringraziare Franco Bacchelli, Michele Camerota, Antonio Clericuzio, Francesco Citti e Silvia De Renzi per i preziosi suggerimenti che hanno accompagnato la redazione del lavoro.
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Il primo, e piu` grave, e` quello di scambiare la retorica ammirazione per un autore classico per una dipendenza dottrinale, il secondo, simmetrico rispetto al primo, e` di concedersi l’ingenuita` di credere effettivamente che tali autori possano aver anticipato idee e scoperte effettuate oltre un millennio dopo la loro morte. Nel nostro caso specifico, un’ulteriore difficolta` e` determinata dall’enorme e ininterrotta popolarita` goduta da Lucrezio tra gli scienziati.1 Per evitare, almeno in parte, questi pericoli, ho preferito seguire l’influenza di Lucrezio esaminando le principali edizioni del De rerum natura che videro un coinvolgimento diretto o indiretto di filosofi naturali e scienziati e illustrarne la diffusione sulla comunita` scientifica loro coeva. In alcuni casi particolarmente rilevanti, ho preso in esame anche alcune imitazioni del poema lucreziano. Naturalmente, sono consapevole che dal Rinascimento, per tutto il Seicento e buona parte del Settecento, una netta distinzione tra uomo di lettere e scienziato e` storicamente discutibile, ma spero che la contestuializzazione dei testi presi in esame faccia emergere con chiarezza come il De rerum natura sia stato letto e studiato da molti intellettuali piu` come testo scientifico che come opera letteraria. Durante il medioevo, come confermato da recenti ricerche, il poema di Lucrezio non fu del tutto ignorato,2 e tra il sesto e l’ottavo secolo le scelte 1 Sull’influenza di Lucrezio sulla scienza moderna esistono molti articoli ma nessuno studio complessivo paragonabile al lavoro incentrato sull’influenza letteraria di GEORGE DEPUE HADZSITS, Lucretius and his Influence (London: G.G. Harrap & Co., 1935). Solo fare un elenco degli scienziati traduttori, commentatori e imitatori di Lucrezio potrebbe facilmente riempire un secondo volume dell’opera di Hadzsits. Nelle note che seguono ho citato alcuni dei numerosi studi monografici relativi a questa diffusione. Il recentissimo volume The Cambridge Companion to Lucretius a cura di Stuart Gillespie e Philip Hardie (Cambridge: Cambridge UP, 2007) contiene il breve saggio di MONTE JOHNSON – CATHERINE WILSON, Lucretius and the history of science (pp. 131-148) che non e` all’altezza del suo titolo e offre un riassunto, prevalentemente incentrato sul contesto inglese, di notizie gia` note. Per i numerosi riferimenti, molti dei quali originali, ai rapporti tra gli scienziati e Lucrezio, nello stesso volume si legge con maggior profitto il saggio di YASMIN HASKELL, ‘‘Religion and enlightemement in the neo-Latin reception of Lucretius’’ (pp. 185-201). ` per vari aspetti superata l’opinione secondo cui Lucrezio fosse conosciuto solo frammenta2 E riamente agli autori tardo antichi e medievali. Oltre a imitatori attenti come Lattanzio e Arnobio, vi furono alcuni lettori del poema anche in epoca carolingia, il momento a cui risalgono i codici piu` antichi. Cfr. WOLFGANG BERNARD FLEISCHMANN, ‘‘Lucretius Carus, Titus’’, in Catalogus translationum et commentariorum: Medieval and Renaissance Latin Translations and Commentaries. Annotated Lists and Guides, a cura di Paul Oskar Kristeller (Washington D.C.: The Catholic University of America Press, 1971), vol. 2, pp. 349-365; LEIGHTON D. REYNOLDS – NIGEL G. WILSON, Scribes and Scholars. A Guide to the Transmission of Greek & Latin Literature, Second Revised Edition (Oxford: Oxford University Press, 1974), pp. 89-91; HOWARD JONES, The Epicurean Tradition (London: Routledge, 1992); GIUSEPPE SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (Bari: Dedalo, 2000), pp. 95122. In un recentissimo contributo Michael Reeve e` ancora dell’opinione che a partire dal decimo secolo fino alla sua riscoperta nel 1417 il poema lucreziano era sconosciuto: MICHAEL REEVE, ‘‘Lucretius in the Middle Ages and early Renaissance: transmission and scholarship’’, in The Cambridge Companion to Lucretius (cit. n. 1), pp. 205-213.
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di Isidoro di Siviglia e di Beda il Venerabile 3 di intitolare le loro opere cosmologiche direttamente richiamandosi al De rerum natura, forse contribuirono a condizionare la lettura scientifica che del poema si diede nei secoli successivi. Fu comunque solo durante Rinascimento che si assistette ad una massiccia diffusione del poema in ambito scientifico. Dopo le tre edizioni del testo del poema apparse nel sedicesimo secolo (1473, 1486 e 1496), Geronimo Avancius pubblicava a Venezia nel 1500 la prima edizione Aldina introducendo le prime significative correzioni e nel 1511, per la cura di Giovan Battista Pio, usciva a Bologna dai torchi di Girolamo Benedetti, tipografo di Niccolo` Leoniceno, Berengario da Carpi e Alessandro Achillini, la prima edizione corredata da un ricco ed erudito commento. Il padre di Girolamo Bendetti, Giovanni Antonio, fondatore della tipografia, nel 1504 aveva pubblicato un interessante opuscolo del matematico e umanista fiorentino Raffaelle Franchi (noto sotto il nome di Francus) intitolato In Lucretium paraphrasis cum appendicem de animi immortalitatem. Nella prima parte di questo rarissimo libretto Franchi, che era lettore di logica presso l’Universita` di Bologna, illustrava alcuni temi cosmologici del De rerum natura innestandoli nell’emergente discussione filosofica che da piu` parti si andava affacciando. Sulla base di queste coincidenze e` possibile che l’edizione di Pio sia stata sollecitata anche dalla lettura dell’opera di Franchi. Nel 1512 Pietro Candido pubblicava a Firenze una nuova edizione del testo che, rifacendosi alle correzioni dell’amico umanista napoletano Giovanni Pontano e quelle di Michele Marullo, manifestava la connessione tra il contenuto del poema e un circolo di studiosi con interessi scientifici. Nel 1515 usciva per i tipi di Aldo Manuzio la celebre edizione a cura di Andrea Navagero, un colto umanista legato da intima amicizia al medico Veronese Girolamo Fracastoro che, se anche non ebbe ruolo in questa edizione, fu uno dei primi scienziati ad appropriarsi dello stile e dottrina lucreziana per spiegare, nel 1530, il contagio a distanza della sifilide, mettendo cosı` in discussione la teoria ippocratica e galenica delle epidemie.4 Durante lo stesso periodo anche degli 3 Isidoro aveva pubblicato un’opera dal titolo De natura rerum e nell’Etymologiae sive Origines (13,2) aveva dedicato un ampio resoconto dell’atomismo tratto da Lucrezio, tra l’altro citato in piu` occasioni. Anche Beda scrisse un’opera intitolata De natura rerum con qualche eco lucreziana nei capitoli dedicati ai terremoti e all’incendio dell’Etna. Echi di Lucrezio, pur indiretti, sono stati individuati anche nell’opera De rerum naturis (nota anche con il titolo di De universo) di Rabano Mauro. 4 Ho affrontato la relazione tra Fracastoro e Lucrezio nel saggio ‘‘The Revival of Lucretian Atomism and Contagious Diseases during the Renaissance’’, Medicina nei Secoli. Arte e Scienza, 2003, 15: 129-154. Per quanto riguarda la diffusione di Lucrezio nel Rinascimento italiano oltre al saggio di Francesco Citti in questo volume si veda il bel contributo di ALISON BROWN, ‘‘Lucretius and the Epicureans in the Social and Political Context of Renaissance Florence’’, I Tatti Studies. Essays in the
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umanisti con interessi scientifici per lo piu` eruditi come Antonio della Paglia, eretico meglio noto sotto il nome di Aonio Paleario, Giovanni Pontano e Scipione Capece, prendendo esplicitamente Lucrezio come loro modello, pubblicarono diversi poemi didascalici dedicati all’astrologia, alla meteorologia ed ad altri argomenti naturalistici. Nel suo De principiis rerum, pubblicato a Napoli nel 1534 e ristampato ben cinque volte durante il Sedicesimo secolo, Capece, dopo aver descritto nel dettaglio i principi della filosofia atomistica di Lucrezio, criticava la teoria dei quattro elementi di Aristotele, sostenendo l’aria come principio generatore. L’umanista napoletano avanzava anche delle riserve sulla corruttibilita` delle comete e la teoria aristotelica delle sfere. Pur rifiutando le conseguenze materialistiche del De rerum natura e la dottrina della mortalita` dell’anima Capece, conscio delle notevoli innovazioni contenute dottrina epicurea, si era servito di Lucrezio per delineare una filosofia della natura diversa, il cui linguaggio era direttamente riconducibile ai semina, gli exordia e i primordia rerum del suo modello. Dello stesso tenore, pur manifestando un maggior sincretismo, e` il trattatello De elementis et eorum mixtionibus libri quinque (Parigi, 1548), composto dell’influente cardinale Gasparo Contarini, autore in odore di eresia per aver lasciato non pochi spiragli a un accordo con i riformatori luterani. In quest’operetta, pubblicata postuma, Contarini riprendeva la teoria dei misti discussa da Aristotele nel De generatione et corruptione e la combinanava con il corpuscolarismo democriteo e lucreziano, rivelando come Aristotele avesse lasciato ampi margini di interpretazione nella sua dottrina sulla composizione ultima della materia e come tali lacune potessero essere felicemente riempite ricorrendo alla spiegazione che della struttura della materia avevano dato autori, come Lucrezio, che fino ad allora non avevano avuto goduto di alcun credito scientifico. Nonostante l’importanza culturale di questi tentativi, fu solo alla fine del secolo che Lucrezio incomincio` ad affascinare in modo piu` capillare la curiosita` di coloro che, insoddisfatti della filosofia della natura di Aristotele, trovarono nell’atomismo una nuova chiave di lettura dei fenomeni naturali. La critica lucreziana alle cause finali e alla conseguente istanza provvidenzialistica Renaissance, 2001, 9: 11-62. Anche se la tesi non e` pienamente convincente, la Brown attribuisce l’interesse degli intellettuali fiorentini per Lucrezio piu` alla fortuna che in quel momento avevano i dibattiti intorno all’immortalita` dell’anima e all’evoluzione dell’uomo dalle sue prime fasi primitive che a specifici temi scientifici. Di piu` ampio respiro sono la dissertazione dottorale di CHARLOTTE POLLY GODDARD, Epicureanism in the Poetry of Lucretius in the Renaissance (Cambridge: Corpus Christi College, 1991) e il recente studio di SUSANNA GAMBINO LONGO, Savoir de la nature et poe´sie des choses: Lucre`ce et E´picure a` la Renaissance italienne (Paris: H. Champion, 2004).
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che aveva reso necessaria in epoche recenti la subordinazione dell’indagine naturale alla teologia, lo sgretolamento dei confini di un cosmo ormai del tutto insufficiente a contenere la curiosita` naturale, l’intima connessione posta da Lucrezio tra il sostrato atomico della materia e la costante verifica osservativa o sperimentale volta alla sua dimostrazione empirica, l’uso costante, infine, dell’analogia quale metodo di indagine privilegiato dal poeta, non erano che alcuni temi che si prestarono immediatamente a guidare gli sforzi che i naturalisti della fine del Sedicesimo secolo stavano compiendo per indagare la natura su basi interamente nuove. Sul piano culturale molti temi affrontati da Lucrezio sembravano prestare il fianco a una reazione repressiva da parte della Chiesa. Anche se il poema sarebbe ufficialmente entrato nell’indice dei libri proibiti solo nel 1718, le autorita` ecclesiastiche, a partire dal sinodo fiorentino del 1517, avevano preso alcuni provvedimenti blandamente restrittivi, sufficienti tuttavia a impedirne la stampa su territorio italiano tanto che, dopo il notevole successo editoriale della prima edizione aldina (1500) e di quella citata di Navagero, tra il 1515 e il 1647 il De rerum natura conosceva una rinnovata fortuna solo grazie alle edizioni straniere, entrambe commentate e piu` volte ristampate, di Denys Lambin (1563-1564) 5 e di Obert van Giffen (1565-1566).6 Titi Lucretii Cari De rervm natvra libri sex a Dionysio Lambino... locis innumerabilibus ex auctoritate quinque codicum manuscriptorum emendati, atque in antiquum ac natiuum statum fere` restituti, & praeterea brevibus & perquam vtilibus commentariis illustrati (Parisiis et Lugduni habentur: in G. Rouillij et P.G. Rouillij aedibus, 1563). Il copioso commento di Lambin era, diversamente dal quello eruditissimo ma di scarso spessore teorico di Giovan Battista Pio (1511), pertinente all’esplicazione del testo e offriva ai lettori rinascimentali la prima guida efficace all’atomismo antico. Tra le altre cose Denys Lambin pubblico` anche l’edizione integrale delle opere di Cicerone e Orazio e l’amicizia stretta con il filosofo e matematico Pierre de La Rame´e (Petrus Ramus) assicuro` una prima penetrazione di Lucrezio nei circoli scientifici del Colle`ge Royal di Parigi. Su Lambin e Ramo si veda SIMONE FRAISSE, L’influence de Lucre`ce en France au seixie`me sie`cle (Paris: Nizet, 1962), pp. 53-63; vedi anche il saggio di LINTON C. STEVENS, ‘‘Denis Lambin: Humanist, Courtier, Philologist, and Lecteur Royal’’, Studies in the Renaissance, 1962, 9: 234-241. 6 T. Lucretii Cari De rerum natura libri sex, mendis innumerabilibus liberati; & in pristinum pæne`, veterum potissime` librorum ope ac fide, ab Oberto Gifanio Burano iuris studioso, restituiti (Antuerpiæ: Ex officina Christophori Plantini, 1566). L’edizione di van Giffen riporta alla carta 18v un epigramma del medico Iohannes Gropius Decanus, altrimenti ignoto e uno del medico Hadrianus Junius, erudito e umanista, autore di un fortunato libro di emblemi. L’edizione inoltre riportava una traduzione e l’originale delle opere di Epicuro (pp. 235-298), il testo greco della descrizione della peste di Atene di Tucidide (pp. 470-473) e un ricchissimo «Index, seu conlectanea potius, in quibus vocabula prisca, ac dictionis elegantiores commemorantur; & adductis aliorum scriptorum testimoniis, saepe explicantur» (pp. 299-468). Prodotta esplicitamente per competere con l’edizione di Lambin (cit. n. 5) quella di Giffen, pur ostentando un’apparente erudizione, e` meno incisiva nell’esplicazione delle dottrine scientifiche. Come poi ha dimostrato Munro (cit. n. 119, vol. 1), Giffen ‘‘saccheggio`’’ l’edizione di Lambin facendo proprie molte delle lezioni dell’umanista francese senza menzionarne l’autore e la sola ragione del suo successo fu dovuto alla sintesi che seppe portare al commento e, forse, alla splendida composizione tipografica 5
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Sul finire del sedicesimo secolo il gesuita Antonio Possevino, pur rilevando la manifesta empieta` di alcuni passi del terzo e quarto libro del De rerum natura, non riteneva di dissuadere la gioventu` cattolica dalla lettura di un testo classico cosı` importante,7 tanto lontana era ancora l’idea che da quest’opera si potessero trarre gli strumenti per distruggere i fondamenti filosofici della dottrina ecclesiastica. Fu forse solo con l’opera di Giordano Bruno che divenne pienamente evidente la forza dirompente dell’atomismo e la sua efficacia teorica nel generare una cosmologia che era contemporaneamente opposta a quella di Aristotele e compatibile con il copernicanesimo.8 Il tragico epilogo della persecuzione delle dottrine di Giordano Bruno non solo non spense l’interesse per le dottrine di Democrito, Epicuro e Lucrezio, ma nei primi decenni del Diciassettesimo secolo l’atomismo acquisı` nuova linfa, tanto che si moltiplicarono rapidissimamente i filosofi naturali impegnati a chiarire, commentare e riassumere gli scritti degli atomisti antichi. Nel 1619 Nicholas Hill, sotto l’influsso di Bruno, pubblicava una raccolta di testimonianze su Democrito e Epicuro che palesava un’attenta lettura del De rerum natura. 9 Un tentativo analogo di rivalutare l’atomismo classico attualizzandone i contenuti fu quello contenuto nell’opuscolo Democritus reviviscens,10 pubblicato nel 1646 da Jean Chrysostoˆme Magnen, professore di medicina all’Universita` di Pavia. Come ha giustamente sottolineato Ugo Baldini, in questo scritto, orientato rispetto a Hill a una piu` cauta adesione all’atomismo epicureo, le riflessioni erano piu` di carattere filosofico e ancora non adombravano l’intenzione di applicare i principi a precise questioni scientifirealizzata da Plantin. Lambin reagı` al plagio nell’edizione, aggiornata e aumentata, del 1570 (cit. n. 60) con una decisa ed efficace difesa. 7 ANTONIO POSSEVINO , Bibliotheca selecta de ratione studiorum in Historia, in Disciplinis, in Salute omnium procuranda (Venezia: Domenico Basa, 1593), vol. 2, p. 432. 8 PIETRO REDONDI , Galileo eretico (Torino: Einaudi, 1983), pp. 70 e ss. 9 NICHOLAS HILL , Philosophia epicurea, Democritiana, Theophrastica proposita simpliciter, non edocta (Coloniae Allobrogvm: prostant in officina Fabriana, 1619). Su questo libro cfr. SANDRA PLASTINA , ‘‘Nicholas Hill and Giordano Bruno: the new cosmology in the Philosophia Epicurea’’, Physis, 2001, 38: 415-432. 10 Io. Chrysostomi Magneni Democritus reviviscens, sive, De atomis addita vita et philosophia Democriti (Papiae: apud I.A. Magrium, 1646). Qualche anno prima un altro medico francese, Claude Guillermet de Be´rigard, di stanza a Pisa, aveva pubblicato un curioso opuscolo intitolato, Circulus Pisanus Claudii Berigardi... De veteri & peripatetica philosophia in priores libros phys. Arist. (Utini: ex Typographia Nicolai Schiratti, 1643), nel quale, pur adottando l’atomismo e citando spesso Lucrezio, negava con fermezza le conseguenze incompatibili con l’aristotelismo, in primis l’esistenza del vuoto. Sull’atomismo, in verita` piu` filosofico che scientifico, professato da questi due autori vedi l’ancora utilissimo saggio di UGO BALDINI, ‘‘Il corpuscolarismo italiano nel Seicento. Problemi di metodo e prospettive di ricerca’’, in Ricerche sull’atomismo del Seicento: atti del Convegno di studio di Santa Margherita Ligure, 14-16 ottobre 1976 (Firenze: La Nuova Italia, 1976), pp. 1-76.
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che e tanto meno sperimentali.11 Tra la pubblicazione del testo di Hill e quella di Magnen, si fece tuttavia largo l’idea di riprendere la principale fonte dell’atomismo classico, ovvero il De rerum natura, sostituendo l’approccio filologico erudito che aveva caratterizzato le edizioni commentate di Pio, Lambin e van Giffen con una lettura che tenesse conto delle applicazioni che l’atomismo stava conoscendo in numerosi ambiti della scienza moderna, dalla chimica alla fisica, dalla medicina alle scienze della vita. Questo progetto, come ha mostrato Pietro Redondi,12 vide nell’Accademia dei Lincei un contesto particolarmente favorevole. Nel 1616, Federico Cesi presento` al giovane duca Virginio Cesarini, un autorevole socio del consesso accademico, Galileo e – probabilmente su sua ispirazione – si immerse in ricerche chimiche volte all’analisi della struttura intima della materia e dei misti, adottando una filosofia corpuscolare.13 Non molto tempo dopo Cesarini incominciava a lavorare a un commento in versi al De rerum natura, uno scritto di cui si sono rapidamente perse le tracce e i cui contenuti sono quasi del tutto ignoti. Tuttavia, che l’atmosfera fosse favorevole a queste ricerche lo dimostra il caso di un medico di professione, Vicenzo Alsario della Croce, professore di medicina pratica presso la Sapienza a Roma che, secondo Allacci, intorno al 1632 aveva pronto uno scritto intitolato Ad Lucretii libros de Natura, Commentarius Iatro-physicus. 14 Prolifico autore di testi medici oggi dimenticati quanto il suo autore, Alsario 15 BALDINI, ‘‘Il corpuscolarismo italiano nel Seicento’’ (cit. n. 10), pp. 43-55. REDONDI, Galileo eretico (cit. n. 8). Vedi ora il contributo di Michele Camerota in questo stesso volume. E` interessante notare che la celebre Accademia degli Umoristi, fondata a Roma, come quella dei Lincei, nel 1603, e che avrebbe annoverato tra suoi membri molti scienziati tra cui anche il linceo Virginio Cesarini, aveva fatto proprio il motto rediit agmine dulci tratto dal VI libro (v. 639) del De rerum natura. E` utile poi ricordare che il linceo Johann Faber, che mirava a sostituire Alsario Della Croce nella cattedra di medicina alla Sapienza ed era amico di Cesarini, aveva nella sua biblioteca un’edizione in 4º (con tutta probabilita` quella Lambiniana del 1570) del De rerum natura: sulla biblioteca di Faber, SILVIA DE RENZI, ‘‘La Biblioteca di Johann Faber Linceo’’, Bibliothecae selectae da Cusano a Leopardi, a cura di Eugenio Canone (Firenze: Leo S. Olschki, 1993), pp. 515-524. 13 REDONDI , Galileo eretico (cit. n. 8), pp. 114-115. 14 LEONE ALLACCI , Apes Urbanae: sive de viris illustribus, qui ab anno MDCXXX per totum MDCXXXII Romae adfuerunt ac typis aliquid evulgarunt (Romae: excudebat Ludovicus Grignanus, 1633), p. 251. 15 Sono scarse le notizie su questo medico di origine genovese. Nato nel 1576, dopo aver esercitato la professione medica a Bologna e Ravenna, giunse a Roma per insegnarvi medicina presso La Sapienza, divenire medico di papa Gregorio XV e cameriere di Urbano VIII. Non si conosce la data di morte anche se era ancora vivo nel 1632. E` di questo periodo la sua nomina ad archiatra o medico del Granduca di Toscana Ferdinando II, dal che si deduce un suo soggiorno a Firenze. Su Alsario la biografia migliore e` ancora quella di Giammaria Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia cioe` notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei litterati italiani, 2 voll., vol. 1 (Brescia: Presso a G. Bossini, 1753-63), pp. 178 ss. Sul soggiorno fiorentino ed altre notizie vedi GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana nel corso degli anni LX del secolo XVII, 3 voll, vol. 3 (Firenze: Giuseppe Bouchard, 1780), pp. 140-150. 11 12
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aveva pubblicato nel 1632 un interessante resoconto dell’eruzione del Vesuvio avvenuta l’anno precedente.16 In questo opuscolo, dopo aver descritto il terremoto successivo all’eruzione, Alsario appoggiava senza riserve l’opinione di Lucrezio circa la natura del fulmine 17 e, pur senza aderire al corpuscolarismo, citava il De rerum natura in numerosissimi altri contesti,18 conferendo al poema un’autorita` scientifica superiore a quella degli altri testi classici. Il medico genovese doveva aver avuto qualche relazione con Virginio Cesarini e la corrispondenza lincea attesta dei tentativi di Giovanni Faber di succedergli nella cattedra medica alla Sapienza.19 E` interessante notare che il tentativo di recuperare l’opera di Lucrezio in ambito scientifico da parte di Alsario non discendeva, diversamente da quello linceo, da un’adesione all’atomismo ma, piu` prudentemente, dall’esigenza di allargare lo spettro delle fonti usate dagli scienziati di fede aristotelica. Il suo commento a Lucrezio, comunque, doveva essere abbastanza conosciuto perche´ Gabriel Naude´ ne accennava a Pierre Gassendi in una lettera della primavera del 1632, dove, tra le altre cose, lo informava che per non interferire con il grandioso progetto intrapreso dal filosofo di Digne, Alsario avrebbe volentieri desistito dal portarlo a termine e dal renderlo pubblico. La risposta di Gassendi mostrava che l’idea di commentare ex-novo Lucrezio era ormai nell’aria,20 e alla fine della risposta a Naude´ invitava il suo intermediario a metterlo in contatto con Alsario. La lettera di Naude´ pero` doveva essere l’ultima testimonianza relativa al progetto romano e del commento di Alsario si sono da allora perse le tracce. E` nel solco di questi tentativi di sintesi eclettica, tutt’altro che episodici come abbiamo visto, che va interpretata l’edizione illustrata del De rerum natura pubblicata a Firenze nel 1647 dal medico Giovanni Nardi. Era questa, 16 VINCENZO ALSARIO DELLA CROCE , Vesuuius ardens, siue, Exercitatio medico-physica ad rigopureton, idest motum & incendium Vesuuij montis in Campania XVI mensis Decembris anni MDCXXXI libris II comprehensa (Romae: ex Typographia Guilelmi Facciotti, 1632). 17 Ibid., pp. 124-126 e 153-155. 18 Curiosamente in un frangente (p. 168) Alsario citava la refutazione di Lucrezio dell’ade e dell’inferno. 19 GIUSEPPE GABRIELI , Il carteggio linceo (Roma: Accademia Nazionale dei Lincei, 1996), pp. 843, 847-854. 20 «Superest, ut indicem paucis quid lucis videatur Lucretio ex meis illis qualibuscumque lucubrationibus affulsurum. Id scilicet enixe` rogas, quo`d res sit praesertim futura, pergrata Carissimo Viro Alsario a` Cruce, bene merituro novis Commentariis de Lucretiana Philosophia. Faciam ergo ingenue`, sed prius testatus me nullas meas nugas tanti lucere, ut putem illas cum vigiliis, tam docti Viri comparandas. Tu me scilicet rubore suffundis, ac pene` dicam, enecas, cum scribis illum ab instituto, si ego quidem credam mea sufficere posse, Poe¨tae intelligendo, destiturum. Quasi vero` non ego potius retrahere pedem ab incoepto debeam, quam ut ille ab opere laudatissimo absterreatur?» PIERRE GASSENDI, Opera Omnia, 6 voll., vol. 6 (Lugduni: sumptibus Laurentii Anisson & Ioan. Bapt. Devenet, 1658), p. 49.
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dopo quella aldina del 1515, la prima edizione del testo Lucreziano ad apparire sul suolo italiano 21 ed era anche la prima in assoluto ad essere curata da uno scienziato e non da un umanista (Fig. 1). A causa delle curiose tavole in rame raffiguranti le mummie e i sarcofaghi della collezione egizia dei Medici, questa edizione viene considerata piu` per il pionieristico approccio all’archeologia egizia che per il valore filologico o per la pertinenza dei densi e verbosi commentari. In questo sembra aver nuociuto, oltre la notevole rarita` dell’edizione nardiana, il giudizio spregiativo formulato alla fine del Diciassettesimo secolo da Thomas Creech,22 la cui influenza ha indotto anche uno studioso solitamente attento come Gordon a segnalare l’opera solo per la curiosita` delle tavole.23 In realta` questa edizione contiene molte digressioni che per la prima volta mettevano pubblicamente in relazione il testo lucreziano con dottrine scientifiche moderne. Nel commento al primo libro, infatti, Nardi dedicava una delle sue numerose Animadversiones agli scritti del medico tedesco Daniel Sennert il quale aveva estensivamente usato il concetto lucreziano di semen combinandolo con la dottrina aristotelica delle forme sostanziali, un compromesso escogitato da molti naturalisti del tempo per spiegare l’insorgere e il diffondersi delle malattie senza ricorrere alla teoria galenica degli umori.24 Ma e` il commento al VI libro e alla descrizione lucreziaVa menzionata tuttavia la parafrasi del poema e della dottrina lucreziana pubblicata dal giurista Girolamo Fraschetta nel 1589 sotto il titolo di Breue spositione di tutta l’opera di Lucretio: nella quale si desamina la dottrina di Epicuro & si mostra in che sia conforme col vero & con gl’insegnamenti d’Aristotile & in che differente: con alcuni discorsi sopra l’inuocatione di detta opera (Venetia: appresso Pietro Paganini, 1589). Indipendentemente dallo scarso numero di edizioni apparse in Italia, il poema continuo` ad essere letto avidamente sia da scienziati sia da letterati. Per quanto riguarda la diffusione del poema tra i letterati si vedano i contributi citati alla nota 4 e il recente studio di VALENTINA PROSPERI, Di soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di Lucrezio dall’Umanesimo alla Controriforma (Torino: Nino Aragno Editore, 2004). Sull’edizione di Nardi si veda ora il breve saggio di Frank La Brasca, ‘‘Hinc mel, hin venenum: l’e´dition commente´e du De rerum natura par Giovanni Nardi (1647)’’, in Pre´sence de Lucre`ce. Acte du colloque tenu a Tours (3-5 de´cembre 1998), a cura di Re´my Poignault (Tours: Centre de recherche A. Pigainol, 1999), pp. 381-398. 22 Creech infatti si riferisce a Nardi come ad un «sexagenarius de ponte dejiciendus», citato da ALEXANDER COSMO GORDON, A Bibliography of Lucretius. Introduction and notes by E.J. Kenney, 2nd ed. (London: St. Paul’s Bibliographies, 1985), p. 75. 23 Ibid., p. 88. 24 Titi Lucretii Cari De rerum natura libri Sex. Una ` cum Paraphrastica Explanatione & Animadversionibus, D. Ioannis Nardii (Firenze: Amatoris Massae, 1647), pp. 35-37. Sull’atomismo eclettico di Daniel Sennert si vedano ALFRED STU¨CKELBERGER, ‘‘Lucretius reviviscens. Von der antiken zur neuzeitlichen Atomphysik’’, Archiv fu¨r Kulturgeschichte, 1972, 54: 1-25 alle pagine 14-17; CHRISTOPH MEINEL, ‘‘Early Seventeenth Century Atomism. Theory, Epistemology, and the Insufficiency of Experiment’’, Isis, 1988, 79: 68-103; ANTONIO CLERICUZIO, Elements, Principles and Corpuscles. A Study of Atomism and Chemistry in the Seventeenth Century (Dordrecht: Kluwer Academic Publishers, 2000), pp. 23-33; HIROSHI HIRAI, Le concept de semence dans les the´ories de la matie`re a` la Renaissance: de Marsile Ficin a` Pierre Gassendi (Turnhout: Brepols, 2005). 21
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Fig. 1. Frontespizio dell’edizione di Giovanni Nardi (Firenze, 1647).
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na della peste che costituisce il principale motivo di interesse di questa edizione e non solo per la dettagliata ricostruzione dell’epidemia di peste scoppiata a Firenze nel 1630, un evento che aveva sollevato un’aspra controversia scientifica tra i medici toscani, ma anche e soprattutto per il tentativo di Nardi di attribuire un’attualita` scientifica alla spiegazione atomistica del diffondersi dei morbi contagiosi e, piu` in generale, dei fenomeni atmosferici.25 La spiegazione lucreziana della peste di Atene costituı` un modello per altri medici e scienziati europei come attesta la pubblicazione nel 1659 da parte del futuro segretario della Royal Society di Londra Thomas Sprat di un fortunato libretto, a cui aveva tra l’altro collaborato anche Thomas Hobbes e che sarebbe stato ristampato molte volte prima della fine del secolo, contenente una traduzione dei passi di Tucidide e Lucrezio relativi alla diffusione delle epidemie.26 Pietro Redondi ha espresso un giudizio essenzialmente negativo su Nardi sottolineando come le critiche che quest’ultimo aveva mosso contro l’atomismo contemporaneo erano l’effetto di una pervicace difesa di retroguardia dell’aristotelismo.27 Se l’appartenenza di Nardi alla setta aristotelica non e` in discussione, e` altrettanto vero che la sua edizione di Lucrezio aveva radicalmente mutato la tradizione erudito-filologica precedente e partecipava di una tensione culturale legata, almeno indirettamente, alla scuola galileiana. Non e` poi di secondaria importanza il fatto che Nardi fosse stato allievo del celebre Girolamo Mercuriale il quale aveva piu` volte usato Lucrezio nelle sue opere mediche, e, in eta` matura, fosse stato prescelto come medico personale del Granduca di Toscana Ferdinando II, che, come e` noto, aveva attivamente promosso, sul solco di Galileo, una sistematica campagna per il rinnovamento della filosofia naturale e della medicina. 25 Il commento di Nardi, di oltre 100 pagine (cit. n. 24, pp. 524-627), e ` sfuggito a Gordon (cit. n. 22) ma non ai contemporanei del medico fiorentino. Su Nardi, il suo commento e la controversia medica sulla peste del 1630 cfr. GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana (cit. n. 15), vol. 1, pp. 353-355, vol. 3, pp. 29-31, 130-146 e 164-173. E` interessante notare l’amicizia che lego` Nardi al medico lusitano Estevao Rodrigues de Castro il quale, come rilevato da Redondi (cit. n. 8) e da Camerota (in questo volume), sembra aver influenzato Galileo nella sua scelta di esprimersi apertamente a favore dell’atomismo ne Il Saggiatore (1623). Come Nardi anche de Castro era un sostenitore dell’aristotelismo e la sua parziale concessione all’atomismo qualitativo di Lucrezio e` da inquadrare nel sincretismo scientifico che, come abbiamo visto nel caso di Alsario della Croce, stava caratterizzando molti altri medici. 26 THOMAS SPRAT , The Plague of Athens, which happened the second year of the Peloponnesian War. First described in Greek by Thucydides; Then in Latin by Lucretius (London: Henry Brome, 1659). Stante la prefazione Hobbes aveva tradotto Tucidide. Non mi sono chiari i motivi per cui Gordon, A Bibliography (cit. n. 22, p. 268) abbia eliminato la selezione di Sprat dalla bibliografia lucreziana. 27 REDONDI , Galileo (cit. n. 8), pp. 383-384
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In una lettera a Vincenzo Renieri del 27 aprile 1647 Evangelista Torricelli annunciava: «gli do nuova che sabbato sera si finı` in mia presenza la stampa del Lucrezio commentato dal S.r Medico Nardi».28 La stampa di Lucrezio, come di tutte le opere scientifiche di Nardi, era stata curata da Amadore Massa, gia` tipografo sia delle opere geometriche di Torricelli 29 sia di un’opera astronomica di Renieri 30 e dunque non estraneo alla scuola galileiana. Del resto l’aristotelismo di Nardi si era ormai edulcorato, come quello di Alsario qualche anno prima, con i principi della nuova filosofia naturale. L’ispirazione lucreziana si era gia` manifestata in un breve scritto intitolato De igne subterraneo physica prolusio (Firenze, 1641) nel quale Nardi aveva ipotizzato la presenza pervasiva di un fuoco sotterraneo capace di generare la maggior parte dei fenomeni geologici conosciuti, comprese le maree 31 e la cui causa veniva ricondotta anche all’azione del moto degli atomi. Questo opuscolo, tra l’altro, aveva attirato l’attenzione del vecchio Galileo il quale, contro quanto ne pensavano alcuni sui discepoli, ne aveva ammirato l’ingegno dell’autore.32 Che l’edizione di Lucrezio di Nardi avesse pretese di essere apprezzata anche da chi si dedicava a studi naturalistici e medici era del resto sottolineato dalle dediche al naturalista e collezionista linceo Cassiano Dal Pozzo (in apertura del libro V) e al medico Baldo Baldi, archiatra di Urbano VIII. Non sorprende dunque che il libro suscitasse ben piu` di qualche curiosita` tra i seguaci di Galileo i quali finalmente potevano accedere a un’edizione del testo lucreziano stampato nella citta` dove la controversia sull’atomismo scientifico, noLe opere dei discepoli di Galileo Galilei. Carteggio 1642-1648, a cura di Paolo Galluzzi e Maurizio Torrini, vol. 1 (Firenze: Giunti, 1975), p. 361. 29 EVANGELISTA TORRICELLI , Opera geometrica: De solidis sphaeralibus, De motu, De dimensione parabolae, De solido hyperbolico, cum appendicibus de cycloide & cochlea (Florentiae: typis Amatoris Massae & Laurentij de Landis, 1644). 30 VINCENZO RENIERI , Tabulae mediceae secundorum mobilium universales quibus per unicum prosthaphaereseon orbis canonem (Florentiae: typis novis Amatoris Massae, & Laurentii de Landis, 1639). 31 Anni prima, nel 1631 a Firenze aveva pubblicato forse il primo trattato dedicato al latte e ai suoi derivati (Lactis physica analisys), rarissimo opuscolo corredato di un frontespizio illustrato da Stefano Della Bella, artista impiegato anche da Galileo. Nardi e` autore pressoche´ sconosciuto ma ved. le utili ricostruzioni datane da GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana nel corso degli anni LX del secolo XVII (Firenze, 1780), vol. 1, pp. 356-357 e vol. 3, pp. 164-173. Si veda anche il breve profilo di ALEXANDER POGO, ‘‘Ioannes Nardius (ca. 1580 - ca. 1655)’’, Isis, 1937, 26: 326-329. 32 GALILEO GALILEI , Opere, 20 voll., vol. 18 (Firenze: Giunti-Barbe ` ra, 1968), p. 316. Nella sua opera pubblicata postuma intitolata Noctes geniales (Bologna, 1655), Nardi, professandosi aristotelico, critico` Galileo, senza argomenti particolarmente originali, accusandolo anche di plagio per la scoperta del telescopio da lui attribuita a Della Porta (p. 276). 28
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nostante la condanna di Galileo e la vigile censura delle autorita` ecclesiastiche, era tutt’altro che spenta. L’edizione di Nardi che, e` bene sottolinearlo, anticipava di due anni l’edizione ben piu` celebre di Pierre Gassendi, avrebbe esercitato una notevole influenza soprattutto in ambito medico. Mi pare probabile, a questo riguardo, che anche Giovanni Alfonso Borelli, un seguace di Galileo e, dopo Torricelli, forse il piu` autorevole scienziato italiano, avesse avuto per le mani questa particolare edizione quando, nel 1649, decideva di prendere in esame, in un breve scritto intitolato Delle cagioni de le febbri maligne di Sicilia, le principali cause di alcune febbri contagiose che avevano afflitto, con particolare violenza, le citta` di Palermo e Messina nel 1647 e 1648.33 Lo scritto di Borelli si caratterizzava per una marcata vis polemica. Borelli, infatti, manifestava il suo disappunto per le spiegazioni, saldamente ancorate alla tradizione medica Galenica e Ippocratica, che del fenomeno avevano dato i professori di medicina siciliani. Contrario all’ipotesi che le febbri pestilenziali potessero essere causate da una trasmutazione dell’aria atmosferica e dal conseguente disgregarsi dell’equilibrio degli umori, Borelli sferrava un attacco ancor piu` feroce contro la teoria che associava lo scoppio del contagio con i principi dell’astrologia giudiziaria. I segni premonitori del contagio, sia che si presentassero sotto forma di comete, sia che si manifestassero grazie a particolari congiunzioni planetarie, venivano derisi da Borelli con lo stesso sarcasmo col quale Lucrezio, forse con in mente il teleologismo degli stoici, aveva ricondotto queste credenze alla pura e semplice superstizione. Lucrezio veniva finalmente citato nella terza ed ultima parte dell’opera dedicata alla spiegazione delle cause del diffondersi delle febbri siciliane. Il loro insorgere non andava attribuito «all’intemperie dell’aria cagionata dalle prime qualita` elementari» e dal loro corrompersi, quanto piuttosto all’esalazione dalla terra di alcune particelle morbose: Ponghiamo – scriveva Borelli a pagina 113 – che nel cielo della Sicilia (per disgratia) dalle miniere di essa, o da altre cose velenose, o d’altrove, si siano radunate, e trattenute per la gran serenita` de’ tempi passati, in copia notabile l’esalationi velenose (le quali per l’avvenire chiameremo, ad imitatione di Lucretio Semi di Pestilenza) non di estrema malignita`, ma solamente atte a produrre negli huomini febbri maligne, si-
33 Delle cagioni delle febbri maligne della Sicilia negli anni 1647 e 1648. Discorso... diuiso in tre parti, con vna appendice della natura della febbre in comune. Et in fine si tratta della digestione de’ cibi con nuouo metodo (Cosenza: per Gio. Battista Rosso, 1649). Su questo importante scritto si vedano UGO BALDINI, ‘‘Giovanni Alfonso Borelli biologo e fisico negli studi recenti’’, Physis, 1974, 16: 234249 e ORESTE TRABUCCO, ‘‘Delle cagioni delle febbri maligne, di G.A. Borelli. Una lettura contestuale’’, Giornale critico della filosofia italiana, 2000, 79: 236-280.
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mili alle nostre: e che questi dissipati in varij fragmenti dall’agitatione dei venti, vengano cosı` disseminati e sparsi per aria, ad occupare buona parte del cielo della Sicilia e del mare che la circonda; & che in questo stato sopragiunga o una furiosa di pioggia, o pure il semplice freddo della notte; sara` egli necessario che i detti semi di pestilenza si comprimano, s’abbassino arrivando a toccare il suolo, diffondendosi per campagne e citta`.
Questo passo rievocava da vicino quei versi 662-664 del libro VI del De rerum natura nei quali Lucrezio ammetteva la possibilita` che dalle esalazioni della terra si disperdevano nell’atmosfera elementi morbosi, ma Borelli aveva anche tenuto conto dell’ampio commento di Nardi al fenomeno della peste e delle malattie contagiose. La varieta` delle pestilenze poteva essere cosı` spiegata ricorrendo alla varieta` delle esalazioni morbose e dei loro atomi costitutivi. Per ristabilire lo stato di sanita` Borelli proponeva l’uso, avversato dai medici accademici, di derivati dello zolfo, mostrando una sorprendente familiarita` con le opere chimiche di Jean Beguin, Andreas Libavius e Oswald Croll. Approfondire l’interesse di Borelli per la chimica paracelsiana potrebbe essere utile per comprendere la sua ammirazione per Lucrezio. I chimici infatti furono i primi ad abbracciare la dottrina della differenza qualitativa, e dunque terapeutica, delle particelle elementari che componevano i corpi misti, adottando, non sempre consapevolmente, l’opinione di Lucrezio secondo cui la materia e` composta da atomi di natura, figura e disposizione differenti.34 I semi di Lucrezio servivano a Borelli non solo per distruggere la spiegazioni classiche sul contagio, ma anche per interpretare le piu` recenti acquisizioni della fisiologia. Sulla base delle opere mediche di Santorio e Harvey, lo scienziato napoletano superava la teoria galenica degli umori affermando, seguendo Lucrezio, che l’essere vivente non era costituito da altro che da particelle in movimento. Inoltre, pur accettando la scoperta di Harvey sulla circolazione del sangue ne dava una spiegazione che vale la pena di riportare: Hor in questo giro [cioe` la circolazione sanguigna] occorre che per l’impulso conferito al sangue dal dibattimento delle arterie, scappino via dai pori e dalle estremita` di esse innumerabili particelle, che nel sangue erano contenute; le quali con l’impeto ricevuto, insinuandosi negli spati rimasti vacanti dopo la traspiratione d’altre particelle, vengono con artificio maraviglioso a conservare questo flusso e reflusso di parti, o quel movimento nel quale consiste la conservatione e la vita dell’animale (p. 159).
34 Ho affrontato questo tema nel saggio, ‘‘Lucrezio e la chimica’’, in Automata. Rivista di Natura, Scienza, e Tecnica del Mondo Antico, 2007, 2: 29-45.
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L’insorgere di patologie, come il coagularsi del sangue, veniva dunque spiegato da Borelli attraverso l’ipotesi dell’alterazione del moto corpuscolare. Inoltre, il ricorso ad un modello atomistico-meccanico gli permetteva di considerare la patologia non piu` come un generale sconcerto umorale afferente a tutto l’organismo, ma piu` precisamente come una lesione locale e circoscritta. Nel caso considerato, Borelli, attraverso la dissezione di alcuni cadaveri, aveva stabilito che i semi di pestilenza delle febbri siciliane avevano leso solo alcune parti del corpo, segnatamente i polmoni, lasciando inalterato il resto degli organi interni. Lo sforzo di Borelli di usare l’atomismo lucreziano per costruire una biologia meccanicistica trovo` numerosi seguaci ed entusiasti sostenitori. In primis Marcello Malpighi il quale, in una nota autobiografica rimasta a lungo inedita, ammetteva che era stato proprio Borelli a introdurlo a quella «filosofia libera e democritica» 35 che lo avrebbe aiutato, a partire dagli anni ’60, a comprendere la struttura microscopica delle parti anatomiche. Altri due allievi di Borelli, i medici Carlo Fracassati 36 e Lorenzo Bellini,37 avrebbero esaminato la struttura anatomica della lingua e gli organi del gusto richiamandosi ancora piu` esplicitamente alla dottrina lucreziana. Per questi medici l’ipotesi atomista, che grazie al microscopio sembrava poter essere rapidamente confermata empiricamente, aveva due vantaggi: da un lato forniva una spiegazione meccanica della fisiologia degli organi anatomici; dall’altra, sull’onda della diffusione dei rimedi iatrochimici, trasformava in una pratica terapeutica l’idea di poter intervenire con dei principi attivi tratti da sostanze chimiche particolari nella ricostruzione di tessuti malati che si credevano costituiti da particelle dotate di un numero finito di forme.
35 Nozze Boschi Tomba. Al Dottore Enrico Boschi nel giorno delle sue nozze con la gentile signorina Amelia Tomba, Cesare Zanichelli e la famiglia sua presentano stampato il frammento inedito dell’autobiografia di Marcello Malpighi (Bologna: Zanichelli, 1902), p. 13. Sull’atomismo di Malpighi si veda SUSANA GO´MEZ LO´PEZ, ‘‘Marcello Malpighi and Atomism’’, in Marcello Malpighi Anatomist and Physician, a cura di Domenico Bertoloni Meli (Firenze: Leo S. Olschki, 1997), pp. 175-189 con una bibliografia aggiornata sull’argomento. 36 CARLO FRACASSATI , Exercitatio epistolica de lingua (Bologna: typis hh. Victorij Benatij, 1665). 37 LORENZO BELLINI , Gustus organum nouissime deprehensum: praemissis ad faciliorem intelligentiam quibusdam de saporibus (Bologna: typis Pisarriani, 1664), pp. 14-15. Bellini fu scolare anche di Alessandro Marchetti sui cui ritorneremo nel seguito. Di Bellini vedi anche le Rime inedite a cura di Anna Dolfi (Urbino: Araglia Editore, 1975) corredata di un ampio commento e una ricca bibliografia e LORENZO BELLINI, Due discorsi di anatomia, a cura di Manlio Iofrida (Pisa: ETS, 1991).
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L’EDIZIONE
DI
GASSENDI
La tendenza all’attualizzazione scientifica del De rerum natura divento` evidente nella monumentale edizione della vita e opere di Epicuro pubblicata a Lione nel 1649 da Pierre Gassendi.38 In quest’opera il filosofo di Digne si proponeva di riabilitare la figura di Epicuro mostrando non solo il valore etico del suo pensiero, ma anche rivelando l’attualita` del suo approccio alla scienza e valorizzando, reinterpretandola in senso sperimentalista, la combinazione dell’atomismo qualitativo di Lucrezio al sensismo.39 Questo ambizioso programma era sostenuto dal non meno audace tentativo di neutralizzare il materialismo ateo e anti provvidenzialista di Epicuro e di renderlo perfettamente compatibile con la fede cattolica. Alla luce di studi recenti,40 sembra che l’ispiratore di questa iniziativa sia stato il fisico olandese Isaac Beeckman, gia` interlocutore privilegiato di Cartesio, attentissimo lettore di Lucrezio e autore del quale apprezzava le originali spiegazioni di fenomeni, in primis il moto dei corpi, che stavano interessando tutti quanti non volevano piu` riconoscere alla fisica aristotelica la chiave esclusiva per comprenderli. Gassendi aveva incontrato Beeckman nel 1629, quando il suo progetto era solo agli inizi e solo poco tempo dopo era in grado di delineare con chiarezza il profilo del suo Opus magnus. Nelle oltre 2000 pagine che compongono i tre volumi dedicati all’esposizione della filosofia di Epicuro pubblicati nel 1649, Gassendi aveva basato la sua disamina su una approfonditissima rilettura di Lucrezio, un autore che arrivo` presto a conoscere a memoria e di cui piu` di ogni altro suo predecessore PIERRE GASSENDI, Animadversiones in decimvm librvm Diogenis Laertii, qvi est de vita, moribus, placitisque Epicvri: continent autem Placita, quas ille treis statuit philosophiae parteis: I, Canonicam nempe, habitam Dialecticae loco; II, Physicam, ac imprimis nobilem illius partem meteorologiam; III, Ethicam, cuius gratiaˆ ille excoluit caeteras (Lvgdvni: apud Gvillelmvm Barbier, 1649), 3 voll. L’opera seguiva di due anni la pubblicazione di PIERRE GASSENDI, De Vita et moribus Epicuri libri octo (Lugduni: apud G. Barbier, 1647). Di quest’ultima Sylvie Taussig ha recentemente curato una traduzione commentata Vie et moeurs d’Epicure (Paris: Les Belles Lettres, 2006), 2 voll. 39 Sulla genealogia del progetto di Gassendi si vedano i lavori di BERNARD ROCHOT , Les travaux de Gassendi sur E´picure et sur l’atomisme: 1619-1658 (Paris: Libr. philosophique J. Vrin, 1944); OLIVIER BLOCH, La philosophie de Gassendi: nominalisme, mate ´rialisme et me´taphysique (La Haye: M. Nijhoff, 1971), pp. XXVII-XXXX; CARLA RITA PALMERINO, ‘‘Pierre Gassendi’s De philosophia Epicuri universe rediscovered: new perspectives on the genesis of the Syntagma philosophicum’’, Nuncius, 1999, 14: 263-294 e il citato commento (n. 38) di Sylvie Taussig a Gassendi (vol. 1, pp. I-LVII). Pur indifferente agli interessi scientifici di Gassendi e` ancora utile la consultazione dell’opera di RENE´ PINTARD, Le libertinage e´rudit dans la premie`re moitie´ du XVIIe sie`cle, Seconda edizione (Gene`ve: Slatkine, 1983). 40 BENEDINO GEMELLI , Isaac Beeckman. Atomista e lettore critico di Lucrezio (Firenze: Leo S. Olschki, 2002). 38
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esalto` il valore filosofico e scientifico.41 La lettura di Lucrezio era comunque strumentale alla piena comprensione e riabilitazione della filosofia di Epicuro ed e` per questa ragione che Gassendi decise di smembrare i versi del De rerum natura adattandoli alla tripartizione epicurea della filosofia in canonica, fisica ed etica. Quello che e` sfuggito agli studiosi e` che nella sua meticolosa ed eruditissima opera di ricostruzione, Gassendi di fatto utilizzo` quasi tutto il De rerum natura e che la Vita del 1649 e, in misura leggermente inferiore, la versione ampliata e modificata del 1658,42 possono essere considerate delle vere e proprie edizioni critiche del poema lucreziano. E` sorprendente che questo evento editoriale sia sfuggito agli storici poiche´ lo stesso Gassendi, in una lettera dell’11 maggio 1632 indirizzata a Gabriel Naude´ manifestava apertamente le sue intenzioni dichiarando che, per spiegare il significato delle massime di Epicuro, tutto Lucrezio sarebbe stato riversato nell’opera e la redistribuzione dei versi del poema avrebbe seguito l’ordine della filosofia del Giardino.43 Dunque oltre a cio` che rimaneva dell’opera di Epicuro, sostanzialmente le lettere pubblicate del decimo libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, Gassendi aveva aggiunto anche un’edizione ragionata e ampiamente commentata del De rerum natura.44 Se l’ordine particolare dato ai versi del poema lucreziano 45 invitava ad una lettura nuova, l’opera di Gassendi rivelava un’altra peculiarita` che avrebbe attratto l’attenzione dei suoi contemporanei e in particolare degli scienziati. Lucrezio da solo, infatti, non era sufficiente a 41 SYLVIE TAUSSIG , ‘‘Gassendi et Lucre ` ce dans les Lettres latines’’, Dix-septie`me sie`cle, 2002, 216: 527-543; ID., introduzione a GASSENDI, Vie et mœurs (cit. n. 38). Vol. XL. E` interessante notare che Gassendi non conosceva il greco e dunque nel suo commento si era principalmente affidato alle fonti latine e all’aiuto che gli veniva prestato da amici ed eruditi. 42 PIERRE GASSENDI , Syntagma philosophicum... pars prima-tertia, in ID., Opera (cit. n. 20), voll. 1-2. Sulla presenza di Lucrezio nel Syntagma si veda il saggio di E. WOLFF, ‘‘L’utilisation du texte de Lucre`ce par Gassendi dans le Philosophiae Epicuri Syntagma’’, in Pre´sence de Lucre`ce (cit. n. 21), pp. 327-336. 43 Riferendosi alla differenza di metodo nell’uso del poema rispetto a quella di Alsario, Gassendi cosı` scriveva a Naude´: «Sed erit forte, quod uterque in eodem campo decurramus, cum ille Lucretium ex serie contextus interpretatus sit, ipse methodo paullo immutata Lucretium producturus sim, ad explicationem, confirmationemque placitorum Epicureorum hinc totus quidem Lucretius in opellam mean transferetur; sed carminum ordo mihi perturbatus, planeque varius futurus est» (Corsivi miei). PIERRE GASSENDI, Opera (cit. n. 20), vol. 6, pp. 49-50. 44 Il nome di Gassendi pero ` e` assente dalle bibliografie lucreziane (cfr. GORDON, cit. n. 22). Munro (cit. n. 60, vol. 1) dava del Syntagma il giudizio seguente: «The two first of his huge folios are given to this philosophy [epicurean], and a large portion of them to the exposition of Lucretius. Much that is curios may be gathered from them [...]; but, to say the truth, I have not found much to my purpose in them». 45 Sono molteplici i passi delle Animadversiones (cit. n. 38) nei quali Gassendi cita nella stessa pagina versi lucreziani provenienti da libri diversi del De rerum natura (si vedano ad esempio, per limitarci al solo primo volume, le pp. 129, 266, 289, 292, 494, 502, 537, 660, 708, 728 e 739).
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dimostrare la validita` dei fondamenti teorici della filosofia epicurea e, soprattutto per quanto riguardava temi inerenti la fisica, Gassendi apriva delle digressioni tese a dimostrare come gli esperimenti prodotti dalla scienza a lui contemporanea avessero fornito delle inconfutabili prove empiriche della composizione atomica della materia, del moto degli atomi e, non da ultimo, dell’esistenza del vuoto. Cosı`, dopo aver riportato i versi di Lucrezio sul moto degli atomi nel vuoto e il ruolo del peso nel moto di questi attraverso mezzi piu` o meno densi,46 Gassendi aggiungeva un’approfondita appendice intitolata De nupero esperimento circa inane coacervatum 47 nella quale dava conto dei recenti esperimenti di Torricelli sul vuoto, e un’altra, ancora piu` lunga, intitolata De aequalitate motus atomorum ipsis concretionibus,48 ove esaminava le piu` recenti teorie sul moto dei corpi, in primis quella di Galileo, giungendo a formulare con maggior chiarezza rispetto ai suoi contemporanei il principio di inerzia.49 I due temi principali che durante il Seicento misero in discussione i cardini della fisica aristotelica erano, come noto, la questione del vuoto e la reinterpretazione della natura del moto dei corpi ed entrambi questi temi rappresentavano la parte costitutiva dell’atomismo lucreziano. Nel De rerum natura, infatti, gli atomi si muovono nel vuoto di moto prevalentemente rettilineo e la quantita` di moto nell’universo rimane costante. Il vuoto in Lucrezio e` la condizione del movimento e il suo esame dei moti e` dunque conseguente all’esistenza del vuoto, cosı` come la concezione del moto di Aristotele era l’effetto del cosiddetto horror vacui. Nella prima meta` del Seicento si innesco`, a seguito della scoperta di Evangelista Torricelli della pressione atmosferica, una nuova discussione, non piu` filosofica, sull’esistenza del vuoto. L’esito sensazionale degli esperimenti sul vuoto realizzati con lo strumento divenuto poi noto con il nome di barometro, veniva entusiasticamente annunciato in una lettera datata 11 giugno 1644 a Michelangelo Ricci, il quale, come molti suoi contemporanei, ne intuı` immediatamente la portata teorica e, nella sua sollecita risposta del 18 giugno cosı` scriveva a Torricelli: Fu opinione degli epicurei che non solo il vacuo naturalmente si potesse dare, ma che in effetti si ritrovassero nel mondo molti spazi vuoti, come V.S. si ricordera`, d’aver letto presso Lucrezio. [...] Il modo con che V.S. le esperienze fatte in riprova del
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Lucr. 2, 225-242. Animadversiones (cit. n. 38), vol. 1, pp. 424-445. Ibid., pp. 445-494. PETER ANTON PAV, ‘‘Gassendi’s Statement of the Principle of Inertia’’, Isis, 1966, 57: 24-34.
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vacuo, cioe` del salire le cose gravi contro sua naturale inclinazione, io lo giudico tanto piu` buono dell’altro [di quello adottato dai teologi per confutarne il fondamento], quantoche´ con questo ci conformiamo alla semplicita` della natura nelle opere sue.50
Torricelli, nella sua risposta, lascio` cadere l’argomento e possiamo ben comprendere i motivi per cui non si avventurasse a esprimere pubblicamente un’opinione favorevole a una dottrina pericolosa come l’atomismo. Sappiamo pero` che in privato il testo di Lucrezio non doveva essergli stato del tutto indifferente per aver atteso agli ultimi atti della stampa dell’edizione di Lucrezio con il commento di Nardi del 1647 51 e averla poi acquisita poco prima di morire.52 Scevro da questo tipo di remore, l’inserimento di Gassendi dell’esperimento torricelliano nel commento a Epicuro inquadrava questo sensazionale risultato dentro il perimetro dell’atomismo lucreziano, conferendogli una portata ideologica ben maggiore di quella che il suo autore sarebbe stato pronto a concedergli. Altri passi del testo di Lucrezio dedicati alle proprieta` della calamita, alle parti degli animali, alla generazione biologica, ai fenomeni meteorologici e alla composizione chimica dei corpi, erano egualmente usati da Gassendi per mostrarne il valore anticipatore sui risultati ottenuti dalla scienza sperimentale a lui contemporanea e, allo stesso tempo, per sottolineare la superiorita` scientifica dell’atomismo rispetto alla filosofia della natura aristotelica. Tali sorprendenti risultati, inoltre, si innestavano in un’etica che, diversamente da quanto era stato ingiustamente sostenuto dai detrattori di Epicuro, era perfettamente compatibile con principi della fede cristiana. Nonostante la non facile organizzazione dell’opera, spesso prolissa e di non facile lettura, le Animadversiones 53 e la successiva edizione del Syntagma pubblicato nella collezione delle opere del 1658, conobbero una fortuna immediata, tanto che nel 1727, quando Lucrezio era entrato gia` da 10 anni nell’Indice dei libri proibiti, appariva a Firenze, senza incorrere in alcuna forma di censura, una seconda edizione delle opere.54 Forse non ci si era avveduti, Le opere dei discepoli di Galileo Galileo. Carteggio 1642-1648, a cura di Paolo Galluzzi e Maurizio Torrini, vol. 1 (Firenze: Giunti-Barbe`ra, 1975), p. 125. La stessa associazione tra l’esperimento torricelliano e gli argomenti adottati da Lucrezio per dimostrare l’esistenza del vuoto veniva sottolineata dallo scienziato francese Franc¸ois du Verdus, ibid., p. 140. 51 Ibid., p. 361. 52 Ibid., p. 476. 53 Stampate ben tre volte nel Seicento. 54 PIERRE GASSENDI , Opera omnia in sex tomos divisa. Curante Nicolao Averanio (Florentiae: typis regiae celsitudinis apud Joannem Cajetanum Tartini, & Sanctem Franchi, 1727), 6 voll. 50
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allora come oggi, che il Syntagma conteneva un’edizione, pur sui generis, del De rerum natura. Eppure, la diffusione di Lucrezio, il suo significato scientifico e la sua attualita` nella lotta dei novatores contro Aristotele appariva nell’edizione di Gassendi molto piu` evidente di quanto lo fosse stato nelle edizioni rinascimentali. LUCREZIO
ALLA CONQUISTA DELLA SCIENZA
Una ragione non secondaria al successo riscosso dall’opera di Gassendi risiedeva, tra l’altro, nell’aver disinnescato le istanze eterodosse del poema lucreziano, introducendo l’ipotesi che gli atomi fossero stati creati da Dio. In questo modo l’atomismo diventava compatibile con i principi della teologia e parzialmente immune dalle insidiose censure che provenivano dai gesuiti. E` significativo a questo riguardo che il traduttore di Gassendi in inglese, il medico Walter Charleton, avesse pubblicato nel 1652 una refutazione atomista dell’ateismo 55 e, due anni dopo, la prima sintesi del pensiero di Epicuro fedelmente improntata alla strategia di Gassendi.56 L’opera di Gassendi fornı` l’occasione a molti altri naturalisti europei di attualizzare Epicuro e individuare, spesso con non piccole forzature, i punti di contatto tra l’atomismo classico e il corpuscolarismo cartesiano.57 I tempi erano dunque maturi perche´ anche Lucrezio venisse reinterpretato da altri scienziati e naturalisti, e l’Inghilterra fu il paese dove, a seguito delWALTER CHARLETON, The Darknes of Atheism dispelled by the Light of Nature. A PhysicoTheologicall Treatise (London: J.F. for William Lee, 1652). Il tentativo di Charleton era stato preceduto da Henry More il quale aveva cercato di conciliare l’atomismo epicureo con la dottrina platonica in un poema, di impronta lucreziana, intitolato Democritus Platonissans; or, an essay upon the infinity of worlds out of Platonick principles. Hereunto is annexed Cupid’s Conflict, together with the Philosopher’s Devotion (Cambridge, 1646). Sul significato di questo poema e dell’opera di Thomas Traherne Commentaries of Heaven (1660) si veda il saggio di STEPHEN CLUCAS, ‘‘Poetic atomism in seventeenth-century England: Henry More, Thomas Traherne and scientific imagination’’, Renaissance Studies, 1991, 5: 327-340. 56 WALTER CHARLETON , Physiologia Epicuro-Gassendo-Charltoniana: or a fabrick of science natural upon the hypotesis of atoms with indexes and a new introduction by Robert Hugh Kargon, Repr. from the London ed. 1654 (New York: Johnson reprint corporation, 1966). 57 Come ad esempio le opere di JEAN BAPTISTE DU HAMEL, De consensu veteris et novæ philosophiæ libri duo: In priori libro Platonis, Aristotelis, Epicuri, Cartesii, & aliorum de principiis rerum naturalium placita excutiuntur, ac physica generalis pene` tota pertractatur In posteriori agitur de elementis & chymicorum principiis, necnon de mixtione & dissolutione corporum, ubi chymia fere` universa explicatur (Oxoniæ: Excudebat W. Hall, impensis Joh. Crosley & Amos Curteyn, 1669); PIERRE DE VILLEMANDY, Manuductio ad Philosophiam Aristoteleam, Epicuream et Cartesianam (Amstelodami: Westenius, 1683); JAMES DALRYMPLE STAIR, Physiologia nova experimentalis in qua, generales notiones Aristotelis, Epicuri, & Cartesii supplentur (Lugduni-Batavorum: apud Cornelium Boutesteyn, 1686). 55
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l’immediata diffusione delle opere di Gassendi, ci si cimento` in questa impresa con importanti risultati. Del resto, il contesto britannico era da tempo ricettivo nei confronti dell’atomismo poiche´ la diffusione di Lucrezio aveva gia` conosciuto un notevole impulso con l’opera di Francis Bacon.58 Il contatto della cultura inglese con Gassendi, inoltre, era stato diretto e molto precoce. Il cosiddetto circolo di Newcastle, un gruppo di naturalisti e filosofi inglesi, tra cui spicca il nome di Thomas Hobbes, che ruotava intorno a William Cavendish, duca di Newcastle e che negli anni ’40 si era trasferito a Parigi, aveva intrattenuto una fitta rete di scambi filosofici e scientifici con Gassendi ed altri scienziati francesi.59 Molti erano i medici e i naturalisti in contatto con il gruppo e tra questi, oltre a Charleton e Kelnem Digby, si segnala John Evelyn, uno dei fondatori nel 1660 della Royal Society e, nel 1656, autore della traduzione inglese, corredata di un ampio commento, del primo libro del De rerum natura. Riconosciuto il proprio debito all’edizione di Gassendi 60 e alle opere di Charleton, Evelyn richiamava l’attenzione sull’affinita` di alcuni passi del poema latino con la filosofia della natura di Bruno e Cartesio.61 Per un credente come Evelyn la convincente neutralizzazione da parte di Gassendi e Charleton del materialismo eterodosso lucreziano, consentiva di appropriarsi di una dottrina quale l’atomismo che sembrava condurre le scienze sperimentali a risultati sempre piu` innovativi e sorprendenti. Tuttavia, consapevole delle ambiguita` contenute nel testo, nella prefazione alla propria traduzione Evelyn respingeva come detestabili le opinioni di Lucrezio sulla religione e la mortalita` dell’anima ed anche laddove confermava, sulla scia degli esperimenti di Gassendi, l’esistenza del vuoto, lo identificava con il caos descritto nella libro della Genesi. 62 Benche´ Evelyn avesse terminato anche i libri BENEDINO GEMELLI, Aspetti dell’atomismo classico nella filosofia di Francis Bacon e nel Seicento (Firenze: Leo S. Olschki editore, 1996). 59 Su questo gurppo e la sua adesione all’atomismo scientifico vedi ROBERT HUGH KARGON , Atomism in England from Hariot to Newton (Oxford: Clarendon Press, 1966) e soprattutto il recente saggio di STEPHEN CLUCAS, ‘‘The Atomism of the Cavendish Circe: A Reappraisal’’, The Seventeenth Century, 1994, 9: 247-273. 60 L’edizione tuttavia venne preparata sul testo latino di Denys Lambin: T. Lvcretii Cari De rervm natura, libri vi. a Dion. Lambino olim locis innumerabilibus ex auctoritate quinque codicum manuscriptorum emendati, ac fere` redintegrati... Accesservnt haec praeterea, Vita Lucretij, eodem Lambino autore (Lvtetiae: apud Ioannem Bene-natum, 1570). Secondo Amalia Perfetti Evelyn sarebbe stato influenzato nella sua impresa dall’edizione di Nardi del 1647: AMALIA PERFETTI, «John Evelyn e ‘The Rational Bruno’’», Bruniana e Campanelliana, 1995, 1: 233-248. 61 An essay on the first book of T. Lucretius Carus De rerum natura interpreted and made English verse by J. Evelyn (London: printed for Gabriel Bedle and Thomas Collins, 1656). Per i passi su Cartesio cfr. le pp. 114, 133 e 172 per quello su Bruno p. 120. 62 An essay (cit. n. 61), p. 170. 58
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II-VI della sua traduzione 63 non sono chiari i motivi per i quali rinuncio` alla loro pubblicazione, anche se l’entusiasmo manifestato dai seguaci della dottrina lucreziana nella loro lotta contro l’aristotelismo, dovette forse contribuire a farlo recedere da quello che gli sembrava un contributo troppo esplicito a favore di una concezione scientifica radicalmente nuova e fortemente critica nei confronti di qualsiasi forma di finalismo provvidenzialistico.64 Come e` stato opportunamente osservato, le annotazioni di Evelyn erano comunque piu` pertinenti e perspicue di quelle, pur destinate a diventare canoniche, di Thomas Creech.65 L’attenzione di Evelyn infatti piuttosto che rivolgersi a redimere questioni di carattere filologico era orientata a svelare il significato dei numerossissimi passi del poema che richiedevano competenze scientifiche e che solo un naturalista immerso nel dibattito che stava investendo la filosofia natura poteva spiegare in modo soddisfacente. Come gia` aveva mostrato Gassendi, tale operazione non poteva essere neutrale e la pubblicazione di una cosı` esplicita e documentata riabilitazione di Lucrezio si calava nella battaglia che i sostenitori dell’atomismo stavano muovendo contro la tradizione scolastica. Anche se Evelyn, interrompendo la sua traduzione, si ritirava prudentemente dalla lotta, molti autorevoli membri della Royal Society, da Boyle a Newton, da Sprat a Hooke, rivalutarono l’opera di Lucrezio facendola entrare legittimamente nel pantheon delle auctoritates della nuova scienza sperimentale.
63 I manoscritti di questi libri sono oggi conservati presso la British Libray di Londra. Ved. il numero monografico della rivista The Book Collector 44:2 (1995), pp. 147-238 intitolato John Evelyn at the British Library; vedi anche MICHAEL HUNTER, Science and the Shape of Orthodoxy. Intellectual Change in Late Seventeenth Century Britain (Woodbridge: Boydell & Brewer Ltd, 1995), pp. 87-92. 64 Che questa fosse la percezione comune lo dimostrano i versi che l’amico poeta Edmund Waller volle dedicare «To his Worthy Friend Maister Evelyn, upon his Translation of Lucretius: Lucretius with a Stork-like fate Born and translated in a State, Comes to proclaim in English Verse No Monarch rules the Universe; But chance and Atoms make this all...» An essay on the first book of T. Lucretius Carus (cit. n. 61), p. 3, corsivi miei. 65 «The notes [by Creech] are hostile and unintelligent, displaying far less understanding of Lucretius than Evelyn’s notes do», CHARLES TRAWICK HARRISON, ‘‘The Ancient Atomism and English Literature of the Seventeenth Century’’, Harvard Studies in Classical Philology, 1934, 45: 179 alla p. 64. Dello stesso autore vedi anche il saggio ‘‘Bacon, Hobbes, Boyle and the Ancient Atomism’’, Harvard Studies and notes in Philology and Literature, 1933, 15: 191-218.
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ALL ’INDICE
Di poco successiva alle edizioni di Gassendi ed Evelyn se ne segnala un’altra ad opera di uno scienziato, ancora una volta italiano, destinata a divenire la piu` celebre del diciassettesimo secolo. Alessandro Marchetti fu uno degli allievi prediletti di Giovanni Alfonso Borelli che, come abbiamo visto, era stato protagonista nel risvegliare, intorno alla meta` del secolo, un diffuso interesse per l’atomismo. E` probabile che sia stato proprio Borelli a spingere il suo scolaro, alla fine degli anni ’50, a tradurre il De rerum natura in Italiano, un’impresa ancora mai tentata.66 Nel 1659, non ancora laureato, Marchetti si era distinto per la pubblicazione, oggi andata perduta, di una difesa ex professo di settanta conclusioni filosofiche dirette contro Aristotele e accolte benignamente da Leopoldo de’ Medici, attivo mecenate della scienza galileiana e, in particolare, dell’Accademia del Cimento. Anche se Marchetti non fu membro dell’illustre consesso accademico, partecipo` su invito di Borelli e del granduca alle riunioni informali che, di quando in quando, si svolgevano a Pisa. Nel 1667 Marchetti otteneva a 34 anni la cattedra di filosofia ordinaria presso l’Universita` di Pisa. Benche´ non avesse ancora pubblicato alcuna opera scientifica di rilievo, la sua reputazione sembrava prefigurargli una carriera brillante. In quello stesso anno pero` l’atmosfera culturale toscana, fino ad allora ancora relativamente favorevole al sostegno dei Galileiani, doveva subı`re i primi segnali di irrigidimento. La pubblicazione dei Saggi di naturali esperien66 Tuttavia Girolamo Tiraboschi riporta la seguente testimonianza, ripresa anche da Gordon (cit. n. 22, p. 193): ‘‘Una traduzione di Lucrezio in versi sciolti avea intrapresa Gianfrancesco Muscettola, lodata in una sua lettera dal Minturno (Min. Lett. I. 5, lett. 7), che sol ne riprende il troppo saper di latino. Ma ella non venne a luce’’. (Storia della letteratura Italiana, Venezia: Giuseppe Antonelli, 1824, vol. 7, p. 1797). Di Muscettola si sa solo che era originario di Napoli e secondo un suo contemporaneo aveva fatto prova di essere ‘‘un uomo di belle lettere, ma di pronto e mordace ingegno’’ (ANTONINO CASTALDO, Dell’istoria di notar Antonino Castaldo: libri quattro nei quali si descrivono gli avvenimenti piu memorabili succeduti nel Regno di Napoli sotto il governo del vicere Pietro di Toledo e de’ vicere suoi successori fino al cardinal Granvela, Napoli: Giovanni Gravier, 1769, p. 71). La traduzione di Muscettola sembra dunque abbia avuto origine nel contesto napoletano. Su Marchetti e la sua traduzione vedi lo studio di MARIO SACCENTI, Lucrezio in Toscana: studio su Alessandro Marchetti (Firenze: Leo S. Olschki, 1966); PAOLO GALLUZZI, ‘‘La scienza davanti alla Chiesa e al principe in una polemica universitaria del secondo Seicento’’, in Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia et al. (Lecce: Conte, 1995), pp. 1317-1344. Per la pubblicazione di molti documenti sono ancora utili le ricostruzioni biografiche di Francesco Marchetti (figlio di Alessandro) Vita e poesie d’Alessandro Marchetti (Venezia: appresso Pietro Valvasense, 1755) e Risposta apologetica dell’avvocato Francesco del nobile Alessandro Marchetti da Pistoia nella quale si confuta il Saggio dell’istoria del secolo decimo settimo scritta in varie lettere dal signore Gio. Battista Clemente Nelli (Lucca: per Vincenzo Giuntini, 1762).
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ze sanciva infatti l’ultimo atto dell’Accademia del Cimento, e, dopo i dissidi emersi con Vincenzo Viviani, Borelli lasciava Pisa per fare ritorno alla natia Messina. Con la dipartita di Borelli i sostenitori dell’atomismo, quasi tutti concentrati nell’ateneo pisano, si rivolsero a Marchetti per continuarne l’opera e il giovane galileiano, senza perdere tempo, si impegnava a rendere ulteriormente esplicito e visibile l’atomismo scientifico del comune maestro. Gia` dal 1664 aveva cominciato la traduzione del De rerum natura per portarla a termine, almeno nella sua prima stesura, tre anni dopo. L’8 gennaio del 1667 Marchetti scriveva al Principe Leopoldo per sollecitare la stampa del Lucrezio e di un’opera di meccanica dal promettente titolo Galileo ampliato. 67 L’anno successivo inviava al Gran Duca Ferdinando II una Lettera nella quale si ricerca donde avvenga che alcune perette di vetro, rompendosi loro il gambo, tutte si stritolino 68 ove, per spiegare la peculiare la particolare solidita` di alcuni vetri donati al Granduca, le cosiddette lacrime di vetro, si rifaceva direttamente all’atomismo di Lucrezio, stabilendo la differente natura tra i minimi di fuoco o minimi ignei (definizione tratta dai lucreziani minima ignis) e quelli del vetro. Ricorrendo alla differente forma, figura e disposizione degli atomi, Marchetti dava una spiegazione corpuscolare della causa della sorprendente resistenza del vetro.69 Nel 1667, a poco meno di un anno dalla sua nomina a professore di logica a Pisa, Marchetti aveva dunque cercato di diffondere, attraverso diversi canali, i contenuti del De rerum natura adattandoli ai progressi della scienza galileiana. Sono di questi anni gli appunti, rimasti inediti, di alcune lezioni relative alla struttura della materia, nei quali lo scienziato toscano sosteneva che: 1. La materia era composta da un numero infinito di particulae la cui aggregazione si reggeva sul principio lucreziano secondo il quale nihil ex nihilo fit. 2. Gli 67 «Oltre all’operuccia del mio Lucrezio gia ` nota molto bene all’A.V.R., mi trovo ad aver composto in diversi tempi un trattatello di matematica intorno alle resistenze de’ corpi duri all’essere spezzati; nel quale non e` stato altro l’intento mio principale, che l’estendere ed ampliare... il nostro sempre ammirabile Galileo» cit. in SACCENTI, Lucrezio (cit. n. 66), p. 41. L’opera di Marchetti prese poi il piu` cauto titolo di De resistentia solidorum (Florentiae: typis Vincentij Vangelisti, & Petri Matini, typographi S.M.D., 1669) 68 Pubblicata pero ` solo nel 1677. A questo proposito Targiono Tozzetti scrive: «Qui e` il luogo di notare, che il Granduca [Ferdinando II] essendogli state mandate di Brussels nel 1662, e da Amburgo, quelle famose gocciole di vetro, che rotte in qualsiasi parte tutte quante si stritolino, state vedute in Francia fino del 1656, ordino` a diversi filosofi della sua Corte, che vi facessero sopra delle osservazioni, per rintracciare la cagione di quel mirabile fenomeno». GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Notizie (cit. n. 31), vol. 1, p. 258. 69 Sulla lettera di Marchetti e, piu ` in generale sul dibattito intorno alla natura delle lacrime vitree vedi SUSANA GOMEZ LOPEZ, Le passioni degli atomi. Montanari e Rossetti: una polemica tra galileiani (Firenze: Leo S. Olschki, 1997), pp. 175-176.
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atomi si muovevano sı` in linea retta, ma, scontrandosi, potevano dare luogo a moti diversi (spiegazione meccanica del clinamen). 3. Il moto degli atomi era causato da una forza interna alla loro struttura (Lucrezio e Borelli). 4. Gli atomi si muovevano nel vuoto, rivalutato da Marchetti contro gli argomenti plenisti addotti da Be´rigard e Cartesio. 5. I misti, cioe` i corpi, si dovevano risolvere, attraverso l’analisi chimica, negli atomi differenti che entravano nella loro composizione. Le lezioni di Marchetti avevano scatenato la reazione di Giovanni Maffei, professore di filosofia a Pisa, il quale, alla fine del 1669, denunciava, in una lunghissima lettera indirizzata al Granduca le insidie materialiste della filosofia di Democrito. Al fine di porre al bando l’insegnamento dell’atomismo dall’ateneo pisano, la denuncia di Maffei 70 ricorreva, tra le altre cose, all’autorita` ecclesiastica richiamando l’attenzione del sovrano sulle decisioni del Concilio Lateranense, celebrato da Leone X nel 1517, che esplicitamente condannavano l’opera di Lucrezio.71 All’attacco di Maffei Marchetti rispose all’inizio del 1670 con una lunghissima lettera, indirizzata al Cardinale Leopoldo, significativamente intitolata Risposta dei filosofi ingenui e spassionati falsamente detti democritici alle obiezioni e calunnie de’ peripatetici, nella quale ricordava che Aristotele stesso «lascio` scritto che i sensi erano il fondamento d’ogni discorso e che l’esperienza d’ogni cosa era maestra» e che l’insegnamento della nuova filosofia era stato non solo incoraggiato, ma anche adottato da Leopoldo e Ferdinando e che, in piu` di un’occasione, al fine di redimere questioni scientifiche, i sovrani avevano chiamato a corte Marchetti, Borelli, Bellini, Fracassati e Rossetti e non i peripatetici. «Dal che si puo` dedurre che la nostra filosofia e il nostro modo di professarla gli sia piaciuto piu` d’alcun altro».72 La polemica fu chiusa, forse con l’intervento mediatore di Francesco Redi, senza alcuna conseguenza apparente. Tuttavia, l’appoggio di Leopoldo alla stampa della traduzione Marchettiana di Lucrezio veniva revocato. InizialPubblicata in GALLUZZI, ‘‘La scienza davanti alla chiesa’’ (cit. n. 66), pp. 1325-1333. La condanna pero` era circoscritta al seguente punto: «Prohibet legi in scholis puerorum opera lasciva, & poemata Lucretii. Ut nullus de caetero ludi magister audeat in scholis suis exponere adolescentibus poemata, aut quaecumque alia opera lasciva & impia: quale est Lucretii poema, ubi animae mortalitatem totis viribus ostendere nititur; contrafacientes excommunicari, & in ducatis decem, carceribus stancharum applicandis, condemnari». Cit. in Sacrorum Conciliorum. Nova et amplissima collectio, a cura di Giovanni Domenico Mansi (Paris: Hubert Walter, 1902), vol. 35, p. 270. Sul significato di questa condanna si veda JOSEPH HILGERS, Der Index der verbotene Bu¨cher (Freiburg: Herdersche Verlagshandlung, 1904), p. 396. 72 La risposta di Marchetti e ` pubblicata in GALLUZZI , ‘‘La scienza davanti alla chiesa’’ (cit. n. 66), pp. 1334-1344. 70 71
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mente Leopoldo suggeriva a Marchetti di purgare il poema dai passi piu` empi, ma nel 1673 lo intimava a non stamparlo assicurandogli che la copia manoscritta custodita nella biblioteca granducale non avrebbe vanificato il lavoro. E` difficile comprendere come un poema che aveva passato indenne tutte le censure della controriforma venisse ora tanto osteggiato da chi aveva dato vita all’Accademia del Cimento. Secondo Marchetti dietro alla decisione di Leopoldo c’erano i «cattivi uffizi» di Vincenzo Viviani, che, da segretario di Galileo era divenuto amico dei gesuiti.73 Per superare degli ostacoli che sembravano orami insormontabili, Marchetti decise allora di ricorrere, attraverso la mediazione di Antonio Magliabechi, all’autorita` del nuovo Granduca, Cosimo III de’ Medici. La natura apparentemente malleabile e facilmente influenzabile del nuovo sovrano sembrava aprire nuovi spiragli perche´ la questione si risolvesse con la bramata concessione. Prima di procedere a nuova richiesta Marchetti si risolse di dedicargli la traduzione e di premettere una nota in cui si condannava con decisione l’empia filosofia degli epicurei. Questi espedienti pero` ancora non bastarono a convincere Cosimo III il quale, nel 1673, poneva come condizione per la pubblicazione, l’approvazione della Sacra Congregazione di Roma. Come ci si doveva aspettare, dalla capitale il responso fu negativo. La mancata pubblicazione della traduzione marchettiana non ne impedı` d’altra parte una notevole diffusione. Decine di copie circolarono manoscritte in tutta Italia suscitando grande interesse sia tra gli scienziati che tra i letterati e i filosofi. Borelli, Redi, Magalotti, Del Papa, Bellini, Rossetti, Michelangelo Ricci, Leonardo di Capua ne ebbero quasi certamente una copia, ma la diffusione deve essere stata molto piu` capillare di quanto lascino intendere i numerosi manoscritti ricopiati. La regina Cristina di Svezia, impegnata a sostenere i novatores della scienza sperimentale, sembra che avesse preso anche Marchetti sotto la sua protezione, favorendo cosı` la diffusione del Lucrezio proibito anche nella capitale della Controriforma.74 73 Sugli intrighi tramati da Viviani contro Marchetti si veda la ricca documentazione pubblicata da SACCENTI, Lucrezio in Toscana (cit. n. 66), pp. 42-47. 74 JOHAN ARCKENHOLTZ , Me ´moires concernant Christine reine de Sue`de, pour servir d’e´claircissement a` l’histoire de son re`gne et principalement de sa vie prive´e, et aux e´ve`nements de l’histoire de son tems civile et lite´raire, 4 voll. (Amsterdam et Leipzig: Pieter Mortier, Jan Schreuder, 1751-1760), vol. 4, pp. 50 e 251-255. Su Cristina e la scienza si veda il saggio di ANTONIO CLERICUZIO – MARIA CONFORTI, ‘‘Christina’s Patronage of Italian Science: A Study of Her Academies and of the Dedicatori Epistles to the Queen’’, in Sidereus Nuncius & Stella Polaris. Scientific Relations between Italy and Sweden in Early Modern History, a cura di Marco Beretta e Tore Fra¨ngsmyr (Canton Mass., Science History Publications/USA, 1997), pp. 25-36. Vale la pena sottolineare che una delle opere scientifiche dedicate a Cristina, il poema La luce di Michele Milani (Amsterdam: Starckio, 1698) riprendeva in versi l’ipotesi corpuscolare di Lucrezio per spiegare la natura della luce. Milani era un
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Ulteriori preziose testimonianze su tale diffusione ci vengono da due importanti provvedimenti giudiziari deliberati per impedire la diffusione dell’atomismo in Italia. Il 10 ottobre del 1691, su ordine di Cosimo III veniva ordinato che «da niuno dei Professori della sua Universita` di Pisa si legga ne´ si insegni, pubblicamente ne´ privatamente, in scritto o in voce, la filosofia democritica ovvero degli atomi, ma solo l’aristotelica: e chi in modo alcuno contravvenisse alla volonta` dell’A.S. s’intenda ipso facto licenziato dalla cattedra che tiene». Quasi contemporaneamente (1688) a Napoli, alcuni seguaci della locale Accademia degli Investiganti venivano chiamati dall’autorita` ecclesiastica a difendersi dalla gravissima accusa di ateismo. Il processo, durato quasi dieci anni, si chiudeva nel 1697 con l’abiura dei principali accusati, ma quello che ci interessa sottolineare e`, anche in questo caso, il ruolo, non secondario, della traduzione marchettiana di Lucrezio. Il 15 febbraio del 1693, l’arcivescovo di Napoli Giacomo Cantelmo ammoniva i suoi fedeli «della necessita` indispensabile di fuggire, come mostri velenosi, i libri infetti d’eresie e di infame ateismo, e specialmente l’empio Lucrezio traslato, per arte del demonio in metro italiani, pur troppo applaudito». Tanto acclamato che alcuni accusati ammisero al tribunale dell’Inquisizione di essere divenuti atei solo dopo aver letto la traduzione di Marchetti.75 Le persecuzioni contro i napoletani non furono senza conseguenze tanto che anche a Roma, a partire dal 1690, la vigilanza contro i medici che avevano manifestato simpatie per l’atomismo si inasprı` al punto da sfociare nella persecuzione. Divenne ormai chiaro a tutti i naturalisti italiani che non bastava piu` addurre il cattolicesimo di Gassendi quale argomento per poter difendere la legittimita` di una dottrina ormai considerata eretica.76 accademico umorista e, come abbiamo visto (n. 12), l’accademia romana aveva preso come motto un verso lucreziano. 75 Su questa vicenda e la documentazione annessa si veda LUCIANO OSBAT , L’inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti 1688-1697 (Roma: Edizioni di storia e letteratura, 1974). A Osbat e` sfuggito che nel 1693 veniva stampata a Napoli un’edizione illustrata dell’opera lucreziana con il titolo di T. Lucreti Cari de rerum natura Libri Sex. Cum Argumentis Mich. Du Fay & Castigationibus Tanaq. Fabri Accurante (Neapoli: Ex Officina Bulifoniana). Sarebbe interessante indagare sull’origine di questa edizione, che riproduce il testo dell’edizione ad usum Delphini del 1680 e che non lascia trapelare nulla delle persecuzioni contro gli atomisti italiani. Quel che si puo` succintamente dire e` che lo stampatore, Antonio Bulifon, aveva pubblicato opere di Giovan Battista della Porta, Leonardo di Capua, Marco Aurelio Severino e di altri sostenitori del rinnovamento culturale napoletano. La data poi di pubblicazione coincide, inoltre, con la messa all’indice, su richiesta dei Gesuiti dello scritto di LEONARDO DI CAPUA, Parere... divisato in otto ragionamenti nei quali partitamente narrandosi l’origine ed il progresso della medicina, l’incertezza della medesima si manifesta (1681). Sull’atomismo scientifico a Napoli si veda ANTONIO BORRELLI, ‘‘Medicina e atomismo a Napoli nel secondo Seicento’’, in Atomismo e continuo, a cura di Egidio Festa e Romano Gatto (Napoli: Vivarium, 2000), pp. 341-360 e del medesimo autore D’Andrea atomista. L’apologia e altri inediti nella polemica filosofica della Napoli di fine Seicento (Napoli: Liguori editore, 1995). 76 Sul caso romano si veda ora MARIA PIA DONATO , ‘‘L’onere della prova. Il Sant’Uffizio, l’a-
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Nel 1713 si annunciava, a Napoli, la stampa della traduzione, che, quasi certamente, doveva esser stata in preparazione da tempo ma che probabilmente non vide mai la luce.77 Nel 1717, esattamente 4 secoli dopo la scoperta di Bracciolini del primo codice manoscritto, la prima traduzione italiana di Lucrezio veniva pubblicata a Londra per i tipi di John Pickard 78 (Fig. 2). Marchetti era morto nel 1714 e fu solo grazie al poeta Paolo Rolli, residente a Londra, che fu possibile aggirare le numerose proibizioni e censure italiane. Non per molto pero`, perche´ poco dopo esser stato pubblicato, nel 1718, il De rerum natura tradotto veniva inserito, per la prima volta, nell’Index librorum prohibitorum.79 tomismo e i medici romani’’, Nuncius, 2003, 18: 69-87 In che misura la traduzione di Marchetti fosse circolata nei circoli scientifici romani non e` dato di sapere, anche se e` altamente significativo che la Regina Cristina di Svezia, dopo aver promosso la pubblicazione postuma dell’opera di Borelli De motu animalium avesse avuto tenuto una corrispondenza, oggi perduta anche con Marchetti. Data l’importanza, pur intermittente, dell’Accademia scientifica promossa dalla regina nel tutelare gli scienziati romani nelle loro autonomia di ricerca e` possibile che Marchetti abbia avuto un ruolo non del tutto secondario anche nelle vicende romane. 77 In una lettera di Antonio Vallisnieri ad Antonio Conti datata 21 novembre 1713 si legge infatti: «Sempreppiu` si incalza la lite tra i fiorentini e un certo Sig. Ferrari di Lucca, ed il Bertini scrive, e si veggono bellissime critiche, che daranno novita` mediche al Giornale. Le liti sono se l’olio di mandorle dolci convenga nelle febri, l’aciaio nell’idropisia, il latte nel mal caduco etc. Non si sono mai empiute le cattedre nuove. Io voleva tirare in quella della Matematica il S.r Alessandro Marchetti, ma non ha potuto disimpegnarsi. Hanno stampata a Napoli la sua traduzione di Lucrezio» ANTONIO CONTI, Scritti filosofici, a cura di Nicola Badaloni (Napoli: Fulvio Rossi, 1973), p. 383. Su Lucrezio a Napoli vedi la nota 78. 78 L’ipotesi proposta da alcuni storici (cfr. VINCENZO FERRONE , Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli: Novene, 1982, pp. 465-467) che l’edizione del 1717 fosse in realta` stampata a Napoli e, per di piu`, dall’editore Lorenzo Ciccarelli, proprietario di una «stamperia segreta», il quale nel 1710 aveva dato alle stampe un’edizione pirata del Diaologo di Galileo, e` priva di fondamento. Sarebbe stato sufficiente, per accorgersene, un confronto tra le vistose differenze tipografiche presenti nelle due opere e, contemporaneamente, la conformita` dei caratteri dell’edizione di Rolli con tutte le altre opere pubblicate dall’editore londinese Pickard a Londra. Tra il 1716 e il 1738, Pickard, su sollecitazione di Rolli, aveva pubblicato opere di Ariosto, Guarini, Berni, Salvini, Lami e dello stesso Rolli. Inoltre, che la traduzione di Marchetti fosse stata stampata a Londra era cosa nota agli addetti ai lavori. Rolli infine non aveva legami che saltuari con l’Italia e non si vede percio` il motivo per cui si fosse dovuto imbarcare in un’impresa tanto laboriosa quanto pericolosa quale quella di pubblicare un libro sul quale si era accesa un’attenta vigilanza da parte delle autorita` ecclesiastiche italiane quando la medesima operazione poteva farsi con facilita` e profitto nella sua citta` di residenza. 79 Cosı` scriveva l’erudito fiorentino e bibliofilo Anton Francesco Marmi (1665-1736) a Pier Caterino Zeno il 3 dicembre 1718 «con piu` strepitosa proibizione di quella usata da codesta saviissima Repubblica e` stata da Roma interdetta la lettura della traduzione di Lucrezio del nostro Alessandro Marchetti, e con ragione, poiche´ in Napoli anni sono la volevano pubblicare, e io l’impedii, e mi fu scritto che alcuni divennero ateisti per leggerla nel manoscritto, e fu creduto che la setta quivi allignata abbia avuto principio da questo libro, ma il maggior torto al Marchetti lo ha fatto il Rolli editore, e vi viene anche aserito da un prelato, che fu impedito, non ha gran tempo, che si stampasse in Olanda», DARIO GENERALI, ‘‘Pier Caterino Zeno e le vicende culturali del Giornale de’ letterati d’Italia, attraverso il regesto della sua corrispondenza’’, in Scienza, filosofia e religione tra ’600 e ’700 in Italia, a cura di Maria Vittoria Predaval Magrini (Milano: Franco Angeli, 1990), p. 173. Significativamente, la traduzione veniva messa al bando anche nelle sue eccessive edizioni come attesta ad esempio il Catalogus librorum a Commissione Caes. Reg. Aulica prohibitorum (Viennae: Typis Geroldianis, 1776), p. 186 dove veniva proibita l’edizione del 1761.
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Fig. 2. Vignetta raffigurante Venere e Marte tratta dalla rarissima edizione della traduzione italiana di Marchetti il cui testo fu interamente stampato su rame (s.l., 1763).
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I motivi che indussero le autorita` civili ed ecclesiastiche a deliberare misure repressive cosı` restrittive erano da ricercarsi nella crescente importanza filosofica dell’atomismo lucreziano in ambito scientifico. NEWTON, LUCREZIO
E L ’ILLUMINISMO
Per obiettivi e contenuto la traduzione di Marchetti si rifaceva alle opere di Gassendi 80 di recuperare l’atomismo qualitativo di Lucrezio e, principalmente, le sue applicazioni nell’ambito della medicina, della teoria della materia e dei fenomeni di fisica sperimentale, lasciando in secondo piano quei temi cosmologici intorno alla natura dell’universo che erano ancora troppo controversi e, come ci si ricordava ancora bene, erano costati la vita a Giordano Bruno. Tuttavia, il successo, almeno nei paesi protestanti, della neutralizzazione gassendiana dei contenuti eterodossi del poema permetteva a molti autori di aspirare alla costruzione di un nuovo atomismo, pienamente cristiano, capace di fornire una spiegazione della struttura intima dell’universo. Complementare a questo recupero, le opere di Galileo e Cartesio avevano fatto nascere l’esigenza di abbandonare l’atomismo delle qualita` e di individuare una base quantitativa e matematica che potessero assicurare alla dottrina lucreziana una scientificita` che, al momento, sembrava ancora ancorata a una logica fenomenica non troppo distante dal sensismo aristotelico.81 Tra questi autori quello che piu` di tutti dette un impulso duraturo a questa tendenza fu Isaac Newton 82 il quale, anche se non ebbe un ruolo diretto nella pubblicazione di una nuova edizione del De rerum natura, contribuı` indirettamente a fornire nuove interpretazioni filologiche di alcuni passi cruciali del poema che vennero fatte proprie dai filologi suoi contemporanei. Marchetti stesso, infatti, ampliando la sua traduzione, includeva a meta` del quinto libro i versi seguenti: «E finalmente / questa stessa cagione e questa stessa / Natura delle cose, ancorche´ molto / Sia che gia` fu trovata, omai del tutto / Quasi sepolta in sempiterno obblio, / Pur di fresco e` risorta, e viepiu` vaga, / E piu` bella che mai per le immortali / Opere del Gran Gassando onore e lume / del bel Paese ove la Senna inonda». ALESSANDRO MARCHETTI, Di Tito Lucrezio Caro Della natura delle cose libri sei (Londra: Giovanni Pickard, 1717), p. 270. A meta` del primo libro (ibid., p. 36) Marchetti aveva fatto un analogo onore al suo maestro Borelli. 81 Sulla tradizione galileiana, oltre al testo di Camerota contenuto in questo volume si veda il volume Geometria e atomismo nella scuola galileiana, a cura di Massimo Bucciantini e Maurizio Torrini (Firenze: Leo. S. Olschki, 1992). Pur molto datato, sulle differenze tra l’atomismo qualitativo di Gassendi e quello di Galileo e Cartesio e` ancora utile il saggio di ALEXANDRE KOYRE´, ‘‘Gassendi et la science de son temps’’ (1955), in ID., E´tudes d’histoire de la pense´e scientifique (Paris: Gallimard, 1973), pp. 320-333. 82 HENRY GUERLAC , ‘‘Newton et Epicure’’ (1963), in ID., Essays and Papers in the History of Modern Science (Baltimore and London: The Johns Hopkins University Press, 1977), pp. 82-106. 80
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Fig. 3. Incisione allegorica di Romeyn de Hooghe per la traduzione olandese del De rerum natura (De Werken van T. Lucretius Carus) pubblicata a Amsterdam nel 1701. Lo spirito di Lucrezio rappresentato sotto forma di una musa, osserva la Y pitagorica, simbolo della maturita` morale, che tiene con la mano vicino allo sguardo. Con l’altra mano svela il busto di Lucrezio collocato su un modello dell’universo ai piedi del quale c’e` una sfinge a simboleggiare i misteri della natura finalmente svelati. Ai piedi dello spirito lucreziano si intravede, tra gli altri simboli, la maschera dell’ipocrisia. A sinistra dello spirito, nella penombra, spicca una statua di Artemide che richiama il titolo del poema e sullo sfondo si intravedono Apollo e Pegaso.
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Nella tormentata vicenda relativa alla pubblicazione del capolavoro della rivoluzione scientifica, i Philosophiae Naturalis principia mathematica (1687), Newton evito` accuratamente di rivelare al lettore le ricerche storico-filologiche che stavano alla base dell’opera.83 Un indizio evidente dell’importanza attribuita a Epicuro e Lucrezio pero` e` gia` presente nell’ode In viri praestantissimi D. Isaaci Newtoni opus hocce matematico-physicum speculi gentisque nostrae decus egregium che l’astronomo Edmund Halley, il finanziatore dell’opera, aveva anteposto all’incipit, e in cui vi si parla delle leges introdotte dal Creator per regolare il moto dei primordia rerum e dove si ritrae Newton allo stesso modo in cui Lucrezio aveva rappresentato Epicuro nei suoi proemi.84 Nella corrispondenza dello scienziato inglese l’adesione all’atomismo lucreziano si era manifestata piu` esplicitamente. La legge di inerzia, gia` intuita da Cartesio,85 veniva ripresa da Newton 86 il quale, in una nota del 1684 destinata a essere pubblicata nel suo capolavoro 87 cosı` scriveva: Tutti questi antichi conoscevano la prima legge che attribuisce agli atomi di un vuoto infinito un moto rettilineo, estremamente rapido e perpetuo perche´ privo di resistenza. Questa e` l’opinione di Lucrezio 88 quando dice che la luce del sole e` rapidissima e tuttavia impedita nel suo moto.89
Come illustrato da PAOLO CASINI, ‘‘Newton: The Classical Scholia’’, History of Science, 1984, 22: 24-38. 84 WILLIAM R. ALBURY , ‘‘Halley’s Ode on the Principia of Newton and the Epicurean Revival in England’’, Journal of the History of Ideas, 1978, 39: 24-43. 85 Nel 1644, nella seconda parta dei Principia philosophiae, Cartesio aveva infatti stabilito che: «Prima lex naturae: quo`d unaquaeque res, quantum in se est, semper in eodem statu perseveret; sicque quod semel movetur, semper moveri pergat», RENE´ DESCARTES, Œuvres (Adam-Tannery) (Paris: Vrin, 1996), vol. 8, p. 62. Si tratta appunto della prima legge del movimento nota come principio di inerzia. Che l’enunciazione di questo principio derivasse direttamente da Lucrezio lo si evince dall’uso che Descartes fa dell’espressione quantum in se est che e` quella che usa il poeta latino al verso 190 del secondo libro dove scrive che «i corpi pesanti, per quanto sta in loro [e cioe` senza che intervengano cause esterne a deviarne la traiettoria], sono tutti trascinati verso il basso». Anche la terza legge enunciata nei Principia, quella tesa a stabilire «quando e come il movimento di ogni corpo possa essere accresciuto e diminuito dall’urto con altri» risultava nell’assunzione della conservazione della quantita` moto, un principio che sembra richiamare i versi 296-297 del secondo libro del De rerum natura dove Lucrezio, dopo aver stabilito l’immutabilita` della materia, sembra sostenere l’immutabilita` della quantita` di moto presente nell’universo. Su questo si veda WILLIAM L. HINE, ‘‘Inertia and Scientific Law in Sixteenth Century Commentaries on Lucretius’’, Renaissance Quarterly, 1995, 48: 728-741. Un importante saggio sull’atomismo di Descartes e` quello di SOPHIE ROUX, ‘‘Descartes atomiste?’’, in Atomismo e continuo, a cura di Egidio Festa e Romano Gatto (Napoli: Vivarium, 2000), pp. 211-273. 86 I. BERNARD COHEN , ‘‘Newton’s Concept of Inertia in Relation to Descartes and Lucretius’’, Notes and Records of the Royal Society of London, 1964, 19: 131-155. 87 Philosophiae naturalis principia matematica (Londini: Jussu Societatis Regiae ac typis Josephi Streater, 1687). 88 «Ma quel caldo che il sole irradia e quel lume sereno non traversano il libero vuoto: percio ` 83
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Tra il 1693 e il 1694 Newton, immaginando una seconda edizione dei Principia, scrisse gli scolii classici 90 nei quali intendeva finalmente mostrare l’antica prisca sapientia che aveva ispirato le principali proposizioni del suo lavoro e dove giungeva alla conclusione che «la filosofia di Epicuro e Lucrezio [era] antica e vera, ma erroneamente interpretata dagli antichi come ateistica».91 I fondamenti di tale filosofia erano da ricondurre alla struttura corpuscolare della materia, alle leggi che regolavano il moto degli atomi e allo spazio i cui connotati richiamavano il vuoto lucreziano. Avvertito dall’amico Richard Bentley,92 uno dei piu` illustri filologi di Oxford, dei pericoli insiti della dottrina epicurea, Newton decise alla fine di non pubblicare le sue note su Lucrezio. Nella sua celebre Boyle Lecture del maggio 1692 intitolata A Confutation of Atheism from the Origin and Frame of the World 93 Bentley avrebbe poi distinto l’atomismo newtoniano da quello, a suoi occhi molto piu` pericoloso, di Thomas Hobbes e degli altri filosofi epicurei. Inoltre, sollecitato dal fecondo scambio epistolare avuto con Newton, Bentley incomincio` a pensare a una nuova edizione di Lucrezio che, per ragioni probabilmente simili a quelle che indussero il grande scienziato alla prudenza, non vide mai la luce.94 Anche nell’Opticks, malgrado Lucrezio non venisse citato, la filosofia della materia espressa da Newton era debitrice su punti di cruciale importanza al[gli atomi] son costretti a procedere piu` lenti, mentre quasi fendono l’aria» (at vapor is, quem sol mittit, lumenque serenum / non per inane meat vacuum; quo tardius ire), Lucr. 2,150-151. 89 «Legem primam agnoverunt antique quotquot atomis in vacuo infinito motum rectilineaum longe velocissimum & perpetuum ob resistentiae defectum tribuerunt quam sententiam Lucretius cum dixerat lucem solis celerrime moveri & tamen in progressu suo impediri». Unpublished Scientific Papers of Isaac Newton, a cura di A. Rupert Hall & Marie Boas Hall (Cambridge: Cambridge UP, 1978), p. 309. 90 L’edizione integrale di queste note inedite e ` in PAOLO CASINI, ‘‘Newton: The Classical Scholia’’, History of Science, 1984, 22: 24-38. Sulla seconda edizione dell’opera e i collaboratori di Newton vedi A. RUPERT HALL, ‘‘Newton and his Editors’’, Notes and Records of the Royal Society of London, 1974, 38: 397-417. 91 «Epicuri et Lucretii philosophia est vera et antiqua, perperam ab illis ad Atheismus detorta». Da ISAAC NEWTON, The Correspondence (Cambridge: Cambridge UP, 1961), vol. 3, p. 335. 92 WILLIAM L. HINE, ‘‘Inertia and Scientific Law in Sixteenth Century Commentaries on Lucretius’’ (cit. n. 85), p. 728. 93 RICHARD BENTLEY , Sermons preached at Boyle’s Lectures (London: Francis MacPherson, 1838), pp. 119-200. 94 Le sue brillanti annotazioni al poema, per lungo tempo rimaste inedite, vennero pubblicate in appendice al quarto volume dell’edizione di Wakefield: T. Lucretii Cari De rerum natura libri sex; ad exemplar Gilberti Wakefield, A.B., cum ejusdem notis, commentarils, indicibus, fideliter excusi. Adjectae sunt oditionum quinque, in quibus Principis, Forrandi, lectiones variantes omnes; ut et integrae Ricardi Bentleii annotationes, illustrationes, conjecturae, 4 voll. (Glasguae: Bell & Bradfute, 1813), vol. 4, pp. 403-468.
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l’atomismo antico.95 Come non pensare a Lucrezio infatti quando, nella Query 31, si legge: Mi sembra probabile che Dio al principio del mondo abbia formato la materia di particelle solide, compatte, dure, impermeabili e mobili, dotate di date dimensioni e figure, di date proprieta` e di date proporzioni rispetto allo spazio.96
Come gia` aveva fatto Gassendi anche Newton intendeva neutralizzare la componente eterodossa e antifinalistica di Lucrezio, attribuendo a Dio la creazione degli atomi e dello spazio, distinguendo la materia dalla forza di gravita` (immateriale) che l’aveva messa in movimento e accogliendo l’idea di una provvidenza divina nel disegno armonioso dell’universo. E tuttavia, pur all’opposto di ogni sentimento epicureo, era costretto suo malgrado a riconoscere il valore scientifico del poema su alcuni punti centrali della sua fisica. Il risultato culturale di questa tormentata adesione non tardo` a farsi sentire tanto che Voltaire, di ritorno dal suo esilio in Inghilterra, nelle quattordicesima delle sue Lettere inglesi (1734) dichiarava: Un Francese che arriva a Londra si accorge che le cose sono molto cambiate, in filosofia come in tutto il resto. Ha lasciato il mondo pieno e lo trova vuoto.97
Il contenuto del poema non aveva mancato di attirare l’attenzione dei seguaci di Newton e, forse, di stimolare nuove edizioni del De rerum natura.98 Il Si pensi alla natura corpuscolare della luce. «It seems probable to me, that God in the Beginning form’d Matter in solid, massy, hard, impenetrable, moveable Particles, of such Sizes and Figures, and with such other Properties, and in such Proportion to Space, as most conduced to the End for which he form’d them» ISAAC NEWTON, Opticks, edited by I.B. Cohen (New York: Dover Publications, 1979), p. 400. 97 «Un Franc ¸ ais qui arrive a` Londres trouve les choses bien change´es en philosophie comme dans tout le reste. Il a laisse´ le monde plein, il le trouve vide». VOLTAIRE, Œuvres comple`tes, 52 voll., vol. 20 (Paris: Garnier Fre`res, 1877-1885), p. 127, trad. it. VOLTAIRE, Scritti politici (Torino: Utet, 1964), p. 264. E` significativo che Voltaire prendesse le difese di Lucrezio in un dialogo, composto nel 1756, intitolato Dialogues entre Lucre`ce et Posidonius. Alla voce Poe`tes del suo famoso Dictionnaire philosophique Voltaire non era altrettanto generoso e cosı` scriveva: «Lucre`ce e´tait un mise´rable physicien, et il avait cela de commun avec toute l’antiquite´. La physique ne s’apprend pas avec de l’esprit; c’est un art que l’on ne peut exercer qu’avec des instruments et les instruments n’avaient pas encore e´te´ invente´s. Il faut des lunettes, des microscopes, des machines pneumatiques, des barome`tres, etc., pour avoir quelque ide´e commence´e des ope´rations de la nature. Descartes n’en savait gue`re plus que Lucre`ce, lorsque ses clefs ouvrirent le sanctuaire; et on a fait cent fois plus de chemin depuis Galile´e, meilleur physicien que Descartes, jusqu’a` nos jours, que depuis le premier Herme`s jusqu’a` Lucre`ce, et depuis Lucre`ce jusqu’a` Galile´e». Nella stessa opera si veda anche l’aticolo Atomes. 98 Nel 1713 l’edizione londinese di Michael Maittaire (Titi Lucretii Cari De rerum natura Libri sex, Londini: Ex Officina Jabobi Tonson & Johannis Watts, 1713) era dedicata al medico bibliofilo inglese Richard Mead ed illustrata con un bel frontespizio, sulla traccia di quello apparso quasi 30 anni prima nella celebre edizione di Thomas Creech, ove appare Lucrezio mentre scrive il poema 95 96
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matematico ginevrino Nicolas Fatio de Duillier che, insieme a Bentley, avrebbe dovuto essere uno dei curatori della nuova edizione dei Principia, aveva composto un poema, in imitazione di Lucrezio, dedicato alla causa della gravita`.99 Le carte di Fatio, dopo varie vicissitudini, finirono nelle mani del fisico ginevrino Georges-Louis Le Sage che, nel 1784, pubblicava una memoria intitolata emblematicamente Lucre`ce Newtonien 100 nella quale, riprendendo delle suggestioni che gli venivano dalla lettura del poema, esordiva nel modo seguente: Mi propongo di far vedere che se i primi Epicurei avessero avuto sulla Cosmografia delle idee altrettanto buone di quelle di molti dei loro contemporanei, ai quali essi non prestavano alcuna attenzione; e, sulla geometria, una parte delle conoscenza che erano gia` comuni; ebbene, essi avrebbero molto probabilmente scoperto senza fatica la legge della Gravita` universale e la sua Causa meccanica. Legge la cui scoperta e la cui dimostrazione costituiscono la maggior gloria del piu` grande genio che sia mai esistito; e Causa che, dopo esser stata per cosı` lungo tempo l’ambizione dei piu` grandi Fisici, e` ora la disperazione dei loro successori. Cosı` che, per esempio, le famose regole di Keplero, scoperte meno di due secoli or sono, non sarebbero stati se non corollari particolari ed inevitabili delle illuminazioni generali che quegli antichi Filosofi avrebbero potuto (senza alcuna fatica) porre entro il meccanismo propriamente detto della natura. Conclusione che puo` applicarsi pure alla Legge di Galileo sulla caduta dei gravi sublunari, la cui scoperta e` stata ancora piu` tardiva e piu` contestata: e questo perche´ le esperienze su cui tale scoperta si fondava conducevano a dei risultati che erano necessariamente imprecisi e che consentivano, grazie all’ampiezza di tale impreattingendo ai testi di Empedocle ed Epicuro e sul davanzale della finestra c’e` un modello dell’universo che introduce lo spazio retrostante ove si possono distinguere degli atomi svolazzanti e, ben visibile sotto le nubi, la parola casus (Fig. 4). Su Maittarie e questa edizione si veda il saggio di F.J. LELIE`VRE, ‘‘Maittaire and the Classics in Eighteenth-Century Britain’’, Phoenix, 1956, 10: 103-115. Richard Mead, amico e medico personale di Newton, aveva scritto un trattato direttamente influenzato dalla fisica celeste di Newton intitolato De imperio Solis ac Lunae in corpora humana & morbis inde oriundis (1704) e uno nel quale sosteneva la diffusione corpuscolare dei contagi intitolato A short discourse concerning pestilential contagion, and the methods to be used to prevent it (1720). 99 «I did write in Imitation of Lucretius a Latin Poem wherein I explained the Cause of Gravity, after I had sent in prose to their Secretary a general Idea of that Theory of mine. To this first Letter I had a very kind Answer. But to my Letter sent with the Poe¨m, much shorter and much more imperfect than it is now, I had no Answer at all: I suppose because of some free Expressions, which probably they were offended at. For I gave them their full liberty to dispose of their Recompense as they pleased; and spoke freely about their Solemn Invitations to the Learned of all Nations whatsoever; when I knew their Recompenses were reserved in petto, for them that would favour Cartesianism most». Lettera del 20 agosto 1730 pubblicata in The Newton Project (www.newtonproject. sussex.ac.uk). Sul contenuto di quest’opera di Fatio si veda la trascrizione del documento ‘‘De la cause de la pesanteur: Nicolas de Fatio De Duillier, de la Socie´te´ Royale d’Angleterre’’, Notes and Records of the Royal Society of London, 1949, 6: 125-160. Sulle vicende del poema si veda anche PIERRE PRE´crits de Georges-Louis Le Sage (Gene`ve: J.J. Paschoud, 1805), pp. 67-70, VOST , Notice de la vie et des e 166-174 (con estratti dell’opera e il giudizio negativo sullo stile espresso da Boscovich). 100 La memoria pubblicata nei Nouveaux Me ´moires de l’Acade´mie Royale des Sciences et BellesLettres de Berlin (1782), pp. 404-432. Su Le Sage PIERRE PREVOST, Notice de la vie et des e´crits de Georges-Louis Le Sage (cit. n. 99).
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Fig. 4. Incisione pubblicata nell’edizione di Londinese (1713) curata Michael Maittaire.
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cisione, di interpretare quelle stesse esperienze in modi compatibili con diverse ipotesi; e pertanto non ci si stancava di opporsi a quella Legge: mentre, al contrario, le conseguenze dell’urto degli Atomi non avrebbero potuto che essere concordemente ed univocamente favorevoli al solo principio vero (delle Accelerazioni eguali in Tempuscoli uguali).101
Le Sage sviluppava una teoria atomica assai originale, supponendo che le particelle elementari fossero dotate di elasticita` e di una quantita` di energia gravitazionale costante. Queste particelle, entrando in collisione con altri corpi, perdevano la velocita` originaria e con essa subivano una progressiva perdita di energia. Seguendo lo spunto antropomorfico di Lucrezio secondo cui l’universo era destinato all’invecchiamento e alla morte (DRN 5,64-90), Le Sage ne dava una traduzione fisica il cui significato scientifico sarebbe stato apprezzato poco meno di un secolo dopo da Lord Kelvin nella sua teoria cinetica dei gas. Verso la fine del secolo, l’attenzione dei seguaci di Newton per Lucrezio ebbe un esito editoriale nell’edizione pubblicata a Bassano nel 1788 dal tipografo Remondini.102 Pur riproducendo il testo dell’edizione seicentesca di Michel Fay e alcune note di Giovanni Nardi, il testo era stato controllato, poco prima di morire, dal fisico Ruggiero Giuseppe Boscovich 103 il quale come e` noto vedeva negli atomi dei centri di forza capaci di trasformare massa in energia. Boscovich aveva collaborato con Remondini, che aveva gia` stampato la collezione in cinque volumi delle sue opere nel 1785, anche per la pubblicazione del suo trattato Theoria Philosophiae naturalis (Bassano, 1787) e la ristampa di Lucrezio sembra essere l’effetto di una campagna editoriale studiata nel dettaglio. Nel 1760, quando era ancora un gesuita, Boscovich aveva pubblicato, dedicandolo alla Royal Society di Londra, un poema latino in esametri in LE SAGE, Lucre`ce Newtonien (cit. n. 100), pp. 404-405. Titi Lucretii Cari De rerum natura libros sex. Interpretatione et notis illustravit Michael Fayus (Bassano: Remondini, 1788). 103 Sull’originale forma di atomismo professata da Boscovich nelle sue opere di fisica vedi il saggio di HENK H. KUBBINGA, ‘‘La the´orie de la matie`re de Boscovich: l’atomisme de points et le concept d’individu substantiel’’, in R.J. Boscovich: vita e attivita` scientifica: atti del Convegno, Roma 2327 maggio 198, a cura di Piers Bursill-Hall (Roma: Istituto della Enciclopedia italiana, 1993), pp. 281-306. Sul ruolo di Boscovich in questa edizione si veda GORDON, A Bibliography of Lucretius (cit. n. 22), pp. 301-303. L’edizione di Remondini pero` non e` riportata nel recente Catalogo delle opere a stampa di Ruggiero Giuseppe Boscovich (1711-1787), a cura di Edoardo Proverbio (Roma: Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, 2007). Remondini si era distino per aver pubblicato diverse opere di stampo newtoniano: oltre alla collezione delle opere dello stesso Boscovich (1785, 5 voll.), aveva pubblicato opere di s’Gravesande, Bailly, e Benjamin Martin. 101 102
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sei libri sulle macchie solari e i crateri della luna che pullula di imitazioni del De rerum natura. 104 Il significato di Lucrezio per Boscovich era, come era gia` stato per Newton, Fatio e Le Sage, funzionale a una reinterpretazione dell’atomismo entro la nuova cornice, interamente basata sulla matematica, della meccanica celeste. Per quanto lontano fosse dall’atomismo di Lucrezio, Boscovich aveva sentito l’esigenza di presentare la propria dottrina come la naturale evoluzione di nozioni e concetti contenuti nel De rerum natura. Gli ammiratori di Lucrezio non si trovavano solo tra i seguaci di Newton. Durante il Settecento non mancarono scienziati di diversa formazione che furono coinvolti nell’edizione del poema.105 Nel 1768 usciva a Parigi, per iniziativa del Barone d’Holbach, la traduzione francese del De rerum natura realizzata da Lagrange, precettore dei figli del barone, e commentata da Denis Diderot e Naigeon.106 L’edizione si inseriva in un programma promosso dal Barone di pubblicare i classici della scienza latina e, dopo Lucrezio, Lagrange avrebbe anche iniziato la traduzione delle Naturales quaestiones di Seneca, portata a termine nel
104 RUGGIERO GIUSEPPE BOSCOVICH , De solis ac lunae defectibus libri V (London: apud Andream Millar, 1760). Boscovich era stato ispirato nell’uso del modello lucreziano dal suo conterraneo, il ragusano Benedetto Stay il quale, nel 1744, aveva pubblicato a Venezia un fortunato poema in sei libri teso alla descrizione del sistema fisico di Cartesio (Philosophiae a Benedicto Stay Ragusino versibus traditae libri sex, Venezia: Sebastiano Coleti, 1744). Nel poema di Stay, dichiaratamente lucreziano nello stile, veniva anche descritto il sistema di Newton. Un recupero ‘poetico’ e lucreziano di Copernico veniva proposto ancora nel 1777 dal gesuita Camillo Carulli nell’opera Hypothesis copernicana cometae et elegiarum monobiblios ad Dominicum Spinuccium episcopum maceratensem et tolentinatem (Romae: excudebat Generosus Salomoni, 1777). Su Boscovich e Stay cfr. JOHN L. RUSSELL, ‘‘Catholic Astronomers and the Copernican System after the Condemnation of Galileo’’, Annals of Science, 1989, 46: 365-386 specialmente alla p. 384. Sulla poesia didascalica dei gesuiti si veda lo studio di YASMIN HASKELL, Loyola’s Bees: Ideology and Industry in Jesuit Latin Didactic Poetry (Oxford: Oxford UP, 2003). 105 SAMUEL GARTH , The Dedication for the Latin edition of Lucretius to His Highness the Elector of Hanover, now King of Great Britain, & c. Written... by Dr. Garth; and now made English by Mr. Oldmixon (London: J. Roberts, 1714), l’edizione originale latina di questo scritto, che non ho ancora potuto vedere porta il titolo Epitaphium Lucretii Editionis (London?, 1711). La dedica doveva servire d’introduzione a un’edizione del De rerum natura che, tuttavia, non vide mai la luce, forse per l’imminente pubblicazione dell’edizione curata da Maittaire (cit. n. 98). Garth era un membro di spicco del Royal College of Physicians e aveva scritto un poema satirico in sei canti intitolato Despensary contro la corporazione dei farmacisti. Il 9 maggio 1700 Garth aveva tenuto un’orazione funebre per John Dryden che alla fine del secolo precedente si era cimentato nella traduzione inglese di Lucrezio. Su Garth si veda C.C. BOOTH, ‘‘Sir Samuel Garth F.R.S.: The Dispensary Poet’’, Notes and Records of the Royal Society, 1986, 40: 125-145. 106 GUSTAV R. HOCKE, Lukrez in Frankreich von der Reinaissance bis zur Revolution (Ko ¨ ln: Buchdruckerei Dr. Paul Kerschgens, 1935), pp. 146-151; PIERRE NAVILLE, Paul Thiry d’Holbach et la philosophie scientifique au XVIIIe sie`cle (Paris: Gallimard, 1942), pp. 123-125.
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Fig. 5. Incisione pubblicata nell’edizione del 1794 (Parigi) della traduzione di La Grange. ‘‘Il genio di Epicuro svela la natura che il fanatismo e l’errore avevano offuscato’’.
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1778 dallo stesso d’Holbach con l’ausilio di due scienziati quali Desmarets e Darcet.107 Quando veniva pubblicata la traduzione di Lucrezio, il barone d’Holbach non era ancora il celebre autore del Syste`me de la nature, apparso anonimo nel 1770 e per decenni attribuito a Mirabaud, ma era universalmente noto come uno dei piu` prolifici collaboratori dell’Encyclope´die, con ben 427 articoli 108 prevalentemente dedicati alla geologia, la mineralogia e la chimica. Fin dal suo arrivo a Parigi nel 1748 d’Holbach aveva manifestato per queste scienze un vivace interesse e avrebbe raccolto nel suo celebre salon un animato gruppo di chimici e geologi che si erano distinti per la loro fede materialista ed eterodossa. A queste riunioni, partecipavano tra gli altri anche Gabriel Franc¸ois Venel, autore delle voci chimiche dell’Encyclope´die, i farmacisti Augustin Roux e Jean Darcet, tutti allievi di Guillaume Franc¸oise Rouelle e sostenitori del materialismo. Negli anni ’60 d’Holbach aveva anche promosso una sistematica campagna di diffusione e traduzione di opere chimiche e metallurgiche di autori svedesi e tedeschi, mostrando i progressi notevolissimi realizzati in queste scienze e favorendo l’insorgere in Francia di un serrato dibattito, connotato di notevole spessore teorico, sulla composizione chimica della materia.109 Non e` possibile comprendere il significato della pubblicazione del Syste`me de la nature se non si mette in relazione questo interesse scientifico con l’istanza filosofica, esplicitata con la traduzione del De rerum natura del 1768, di dare un indirizzo materialista alle ricerche di chimica e geologia. Tale esigenza si combinava anche con la consapevolezza dei limiti manifestati da una visione esclusivamente meccanicistica dell’universo e dal desiderio di trovare nell’idea di auto organizzazione della materia, derivata dalla chimica di Georg Ernst Stahl, un nuovo fondamento capace di spiegare anche i fenomeni legati al vivente. La sovrapposizione della chimica Stahliana alla fisica meccanicistica veniva sintetizzata da d’Holbach nel passo seguente: Riconosciamo dunque che la materia esiste da se stessa, agisce con la sua propria energia e non si annientera` mai. Diciamo che la materia e` eterna e che la natura e` stata, e` e sara` sempre occupata nel produrre, nel distruggere, nel fare e disfare, nel seguire le leggi che risultano dalla sua esistenza necessaria. Per tutto cio` che fa,
NAVILLE, Paul Thiry d’Holbach (cit. n. 106), pp. 123-125. JOHN LOUGH, Essays on the Encyclope´die of Diderot and d’Alembert (London: Oxford University Press, 1968), pp. 111-229. Il Lough ha aggiornato i dati riportati da Naville attribuendo a d’Holbach oltre 450 articoli apparsi senza la sigla (- - -). 109 RHODA RAPPAPORT, ‘‘Baron d’Holbach’s Campaign for German (and Swedish) Science’’, Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, 1994, 323: 225-246. 107 108
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la natura ha bisogno solo di combinare elementi e materie essenzialmente diverse, che si attirano e si respingono, si urtano o si uniscono, si allontanano o si avvicinano, si tengono insieme o si separano. E` cosı` che essa fa nascere piante, animali, uomini, esseri organizzati, sensibili e pensanti, come esseri sprovvisti di sentimento e di pensiero. Tutti questi esseri agiscono nella loro rispettiva durata secondo le leggi invariabili, determinati dalle loro proprieta`, dalle loro combinazioni, dalle loro analogie e dalle loro dissomiglianze, dalle loro configurazioni, dalle loro masse, dai loro pesi.110
L’enfasi vitalista che Lucrezio aveva dato all’atomismo epicureo dotandolo, con l’uso del felice termine di semen, di una nomenclatura biologica fu certamente un aspetto non secondario alla rivalutazione e reinterpretazione che ne diedero d’Holbach e Diderot.111 Se la rivalutazione di Lucrezio da parte di questi due autori si inseriva in una polemica contro la meccanica newtoniana e la conseguente introduzione nella fisica di un concetto, la forza di gravita`, impropriamente distinto dalla materia,112 un interessante tentativo di mediazione tra le posizioni di Newton e quelle di Stahl si manifesto` nel corpuscolarismo del chimico russo Mikail Vasil’evich Lomonosov il quale, influenzato in piu` punti della sua teoria, si cimento` intorno al 1750 nella traduzione dei versi relativi all’origine dei metalli del V libro del De rerum natura (1241-1257).113 Tentativo di recupero dello stesso tenore fu il poema giovanile composto da Alessandro Volta, in stile lucreziano, dedicato a fenomeni chimici ed elet«Reconnoisons donc que la matie`re existe par elle-meˆme, qu’elle agit par sa propre e´nergie et qu’elle ne s’ane´antira jamais. Disons que la matie`re est e´ternelle, et que la nature a e´te´, est et sera toujours occupe´e a` produire, a` de´truire, a` faire, et a` de´faire, a` suivre des loix re´sultantes de son existance ne´cessaire. Pour tout ce qu’elle fait elle n’a besoin que de combiner des e´le´mens et des matie`res essentiellement diverses qui s’attirent et se repoussent, se choquent ou s’unissent, s’e´loignent ou se rapprochent, se tiennent assemble´es ou se se´parent. C’est ainsi qu’elle fait e´clore des plantes, des animaux, des hommes; des eˆtres organise´s, sensibles et pensants, ainsi que des eˆtres de´pourvus de sentiment et de pense´e. Tous ces eˆtres agissent pendant le tems de leur dure´e respective suivant des loix invariables, de´termine´es par leurs proprie´te´s, leurs configurations, leurs masses, leurs poids, etc.» D’HOLBACH, Syste`me de la nature (1770) (Paris: Fayard, 1990), t. 2, p. 171, traduzione italiana, in ID., Sistema della Natura (Torino: UTET, 1978), p. 496. 111 Su questo specifico tema vedi MARCO BERETTA , ‘‘I Philosophes e la chimica. All’origine del materialismo scientifico’’, in Per una storia critica della scienza, a cura di M. Beretta, F. Mondella, M.T. Monti (Milano: Cisalpino, 1996), pp. 11-48 e ID., ‘‘Lucrezio e la chimica’’ (cit. n. 34). Su Diderot e Lucrezio JOHAN WERNER SCHMIDT, ‘‘Diderot and Lucretius: the De rerum natura and Lucretius’ legacy in Diderot’s scientific, aesthertic, and ethical thought’’, in Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, 1982, 208: 186-294. 112 «Si l’on eu ˆ t observe´ la nature sans pre´juge´, on se seroit depuis long-tems convaincu que la matie`re agit par ses propres forces, et n’ai besoin d’aucune impulsion exte´rieure pour eˆtre mise en mouvement», D’HOLBACH, Syste`me de la nature (Paris: Fayard, 1990), vol. 1, p. 56. 113 MIKAIL VASIL ’EVICH LOMONOSOV , Polnoe Sobranie Socienij. Tom pyatyj. Trudy po mineralogii metallurgii i gornomu delu (Moskva-Leningrad: Izd. Akademii nauk SSSR, 1954), p. 441 e 696. 110
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trici.114 Sulla scia di questi autorevoli contributi, non puo` dunque sorprendere che nelle scienze della vita e nella medicina, Lucrezio rappresento` un modello del pensiero illuminista e frequentissime furono le imitazioni.115 Emblematicamente il secolo si chiudeva, nel 1799, con la traduzione in inglese del medico John Mason Good, amico di Gilbert Wakefield, ed entusiasta aderente della filosofia naturale atomistica e newtoniana. La traduzione vedeva la luce a Londra nel 1805 in due eleganti volumi in 4º sotto il titolo di The Nature of Things: a Didactic Poem e il suo autore non mancava di sottolineare l’attualita` scientifica e filosofica di una dottrina che ormai non aveva piu` nulla di empio.
DALLA
FILOLOGIA ALLA SCIENZA E RITORNO
Durante il diciannovesimo secolo, nonostante la straordinaria influenza esercitata dall’edizione del De rerum natura di Karl Lachmann pubblicata a Berlino nel 1850 e dalla scientificita` che assunse il metodo filologico ivi proposto, non mancarono, anche da parte di insigni classicisti, nuovi tentitativi di attualizzazione scientifica del poema. Questo fu il caso della celebre edizione 114 ALESSANDRO VOLTA , Aggiunte alle Opere e all’epistolario (Bologna: Zanichelli, 1966), pp. 119-135; si veda anche ZANINO VOLTA, Il poemetto didascalico latino di Alessandro Volta (Pavia: Fratelli Fusi, 1899). 115 Pur essendo pubblicato alla fine del secolo precedente l’opera di BERNARD LE BOUYER DE FONTENELLE, Entretiens sur la pluralite´ des mondes (Paris: Vve C. Blageart, 1686) esercito` un’enorme influenza per tutto il Settecento. Oltre alle citate opere di Stay, d’Holbach e Boscovich, alcuni ulteriori esempi di imitazioni da parte di scienziati sono: JOHANN ERNST HEBENSTREIT, De usu partium carmen, seu, Physiologia metrica ad modum Titi Lucretii Cari De rerum natura (Lipsiae: apud Io. Christian. Langenhemium, 1739); MALCOM FLEMYNG, Neuropathia; sive, De morbis hypochondriacis, et hystericis (Eboraci, 1740); PIERRE LOUIS MOREAU DE MAUPERTUIS, Venus physique (1746); JULIEN OFFRAY DE LA METTRIE, Systeme d’Epicure (Londres: Jean Nourse, 1751); ETIENNE LOUIS GEOFFROY, Hygieine sive ars sanitatem conservandi. Poema (Paris: Petrum Gullielmum Cavelier, 1771); FRANC¸OIS PEYRARD, De la nature et de ses lois (Paris: Louis, 1793); ERASMUS DARWIN, The temple of nature; or, The origin of society: a poem, with philosophical notes (London: J. Johnson, 1803), pubblicato postumo e composto un decennio prima. Tra le imitazioni va annoverato anche il poema del cardinale MELCHIOR DE POLIGNAC, Anti-Lucretius, sive de Deo et Natura libri novem (Paris: Joannem-Baptistam Coignard et Antonius Boudet, 1747), 2 voll. In questo poema di enorme successo, tradotto in francese e in italiano, Polignac refutava, come gia` aveva fatto Stay, il credo epicureo difendendo una concezione della fisica cartesiana e il De rerum natura vi veniva confutato quasi verso per verso. L’opera di Polignac non era la prima del genere poiche´ gia` agli inizi del secolo il matematico gesuita Tommaso Ceva aveva pubblicato un poema in esametri intitolato Philosophia novo-antiqua (Milano, 1704) nel quale aveva confutato, imitandolo, Lucrezio. Agli inizi del secolo successivo un deciso cambiamento di rotta, teso alla rivalutazione in ambito medico, chimico e biologico, si manifesto` nell’opera del medico francese JEAN ANDRE´ ROCHOUX, De l’e´picurisme et des ses principales applications (Paris, 1831) ove le piu` recenti ricerche scientifiche venivano ricondotte all’atomismo biologico di Epicuro e Lucrezio.
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curata da Hugh A.J. Munro la cui storia si accompagna con gli sviluppi di una delle piu` importanti teorie scientifiche della seconda meta` dell’Ottocento. In apertura del congresso dei fisici tenutosi nel 1884 a Montreal, Lord Kelvin dichiarava: La teoria cinetica dei gas, oggi cosı` ben conosciuta, costituisce un passo talmente importante sulla via della spiegazione, mediante il moto, di proprieta` della materia che sono apparentemente di tipo statico, che risulta pressoche´ impossibile il saper prevedere [...] le caratteristiche di una teoria completa della materia in cui tutte le proprieta` di quest’ultima siano viste come semplici attributi del movimento. Se dobbiamo cercare le origini di questa concezione, dobbiamo allora andare all’indietro sino a Democrito, Epicuro e Lucrezio. Ma allora, almeno questa e` la mia impressione, possiamo compiere, senza alcuna perdita, un balzo di 1800 anni.116
Nell’estate del 1871 Kelvin aveva ricevuto da James Clerk Maxwell una manoscritto intitolato On the history of the kinetic theory of gases nel quale veniva riconosciuto in alcuni punti essenziali il debito della nuova teoria alla concezione di Lucrezio sul movimento degli atomi nel vuoto.117 In effetti, la teoria cinetica dei gas, almeno nelle modalita` sviluppate da Maxwell, doveva qualcosa alla lettura e rielaborazione del De rerum natura. 118 In una lettera del febbraio 1866 al celebre filologo inglese Munro, curatore di una fortunata edizione e traduzione del De rerum natura di cui era appena uscita a Cambridge la seconda edizione,119 Maxwell lo interrogava sulla correttezza della sua interpretazione di alcuni passi del poema, che, gli sembravano indicare la vera filiazione storica della teoria cinetica dei gas: Il moto delle particelle volando in tutte le direzioni come granelli di polvere tra i raggi di sole e causando, attraverso gli urti, il moto dei corpi piu` grandi, e` legato all’esposizione delle teorie di Democrito e Lucrezio, ma la natura degli urti e la devia-
116 «The now well known theory of gases is a step so important in the way of explaining seemingly static properties of matter by motion, that it is scarcely possible to help anticipating in idea the arrival at a complete theory of matter, in which all its properties will be seen to be merely attributes of motion. If we are to look for the origin of this idea, we must go back to Democritus, Epicurus and Lucretius. We may then, I believe, without missing a single step, skip 1800 years». W. THOMSON, Popular Lectures and Addresses (London: MacMillan, 1889), vol. 1, p. 218. 117 The scientific letters and papers of James Clerk Maxwell. Edited by P.M. Harman, vol. 2 (Cambridge: Cambridge UP, 1995), pp. 654-655. 118 In gioventu ` Maxwell aveva letto Lucrezio nell’edizione di Wakefield (1813) (cit. n. 94) e, gia` a partire dal 1848-49, aveva utilizzato alcuni passi per illustrare la moderna concezione sulla proprieta` della materia e del vuoto. The scientific letters and papers of James Clerk Maxwell. Edited by P.M. Harman, vol. 1 (Cambridge: Cambridge UP, 1990), pp. 110-113. 119 T. Lucreti Cari de rerum natura Libri Sex. With notes by [Hugh Andrew Johnstone] Munro, nd 2 edition revised throughout and enlarged (Cambridge: Deighton Bell, 1866), 2 voll.
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zione prodotta nella traiettoria delle particelle sono descritte in una lingua che dobbiamo interpretare alla luce delle concezioni fisiche dell’eta` dell’autore, cioe` a dire, dobbiamo liberarci di qualsiasi concetto fisico distinto che le sue parole possono suggerirci. E` questo un modo di dire troppo severo di un classico abile e intelligente? In particolare, gli atomi di Lucrezio sono dotati di uno stesso moto originario nella stessa direzione (verso il basso) e ugualmente accelerati (Lib. II, 238, 239),120 eccezion fatta quando deviano e solo ed esclusivamente in questa circostanza entrano in collisione tra loro (v. 220 &c),121 mentre (al v. 90) 122 spatium sine fine modoque est. Queste parole sono una tale buona illustrazione della teoria moderna (al v. 100 lib. II &c) 123 che sarebbe un peccato se significassero qualcosa di diverso. I grandi intervalli tra le collisioni nell’aria infatti sono circa 1/400000 di pollice, ma sono grandi se paragonati ad altri mezzi.124
Dunque, benche´ Maxwell fosse pienamente consapevole dei pericoli insiti nel paragone tra il pensiero di un autore classico e la cultura contemporanea, le affinita` della sua teoria con alcuni passi del De rerum natura erano troppo affascinanti per essere passate sotto silenzio. Il passo citato in effetti e` rivelatore anche se non chiarisce se la possibile corrispondenza tra il De rerum natura e la teoria di Maxwell aveva una valore 120 «Percio ` tutte le cose per l’immobile vuoto devono essere trascinate con eguale rapidita` da pesi ineguali» (omnia qua propter debent per inane quietum / aeque ponderibus non aequis concita ferri), Lucr. 2,238-239. 121 Una piccola deviazione «che basta per dire che e ` mutato il movimento» (tantum quod momen mutatum dicere possis), Lucr. 2,220. 122 «Lo spazio e ` senza fine e misura» (sine fine modoque: Lucr. 2,90) e per questo gli atomi si muovono senza sosta. 123 «Quelli che in piu ` ristretta compagine entro esigui intervalli si scontrano e balzano via, impacciati dalle loro stesse figure intricate, formano le radici robuste della pietra e le rudi masse del ferro e le altre cose simili a queste. Gli altri atomi, che vagano anch’essi per il grande vuoto, in piccolo numero saltano lontano e lontano rimbalzano a grandi intervalli» (et quae cumque magis condenso conciliatu / exiguis intervallis convecta resultant, / indupedita suis perplexis ipsa figuris, / haec validas saxi radices et fera ferri / corpora constituunt et cetera genere horum. / paucula quae porro magnum per inane vagantur, / cetera dissiliunt longe longeque recursant / in magnis intervallis) Lucr. 2,100-107. 124 «The motion of particles flying about in all directions, like motes in a sunbeam, and causing by their impact the motion of larger bodies is to be bound in the exposition of the theories of Democritus by Lucretius, but the nature of the impacts and the deviation produced in the path of the particles are described in language which we must get rid of every distinct physical idea which his words may have suggested to us. Is this saying too severely about a clever and intelligent ancient? In particular have the Lucretian atoms an original motion all the same and in the same (downward) direction and equally accelerated (Lib. II 238, 239) except insofar as they deviate, and so and only so come into collision (v. 220 & c.) whereas (at v. 90) spatium sine fine modo que est [space is without end and limit]. The words are such a good illustration of the modern theory at v. 100 lib. II & c. that it would be a pity if they meant something quite different. The great intervals between the collisions in air are in fact about 1/400.000 of an inch but they are great compared to those in other media». The Scientific Letters and Papers of James Clerck Maxwell, vol. 2 (Cambridge: Cambridge UP, 1995), p. 251.
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scientifico rilevante o rappresentava piuttosto un dispositivo retorico e culturale per rafforzare il valore persuasivo della teoria stessa. Nel diciannovesimo secolo, un periodo nel quale la scienza conosce la sua definitiva affermazione professionale ed istituzionale, avremmo dovuto aspettarci che gli scienziati non sentissero piu` il bisogno o la necessita` di trovare l’ispirazione nei versi di un poema composto quasi due millenni prima, mentre e` chiaro che le posizioni di Kelvin e Maxwell erano condivise da molti altri scienziati loro contemporanei.125 Non mi risultano altre edizioni del poema in cui gli scienziati furono coinvolti nella stessa misura anche se va almeno menzionata la celebre edizione tedesca del De rerum natura curata da Hermann Diels, che fu non solo uno dei piu` grandi filologi del tempo ma anche un attento storico della scienza antica. Il secondo volume di questa edizione reca una breve introduzione di Albert Einstein,126 nella quale si celebra l’atomismo di Lucrezio e se ne esalta l’intuito scientifico anticipatore. Una breve nota merita anche l’edizione dei frammenti di Democrito, del 1948, a cura del matematico Federigo Enriques, che riapriva il dibattito intorno al rapporto tra atomismo fisico e atomismo geometrico sollevato da un celebre saggio di Luria.127 Significativamente, al Nel 1867 il fisico inglese Fleeming Jenkin scrisse una lunghissima recensione della seconda edizione dell’edizione del poema di Munro (1866) con il titolo Lucretius and the atomic theory (in F. JENKIN, Papers Literary, Scientific & c., London: Longmans, 1887, vol. 1, pp. 177-214) nella quale riportava un fitto elenco delle anticipazioni scientifiche di Lucrezio. Uno dei fondatori di Nature, il fisico John Tyndall riteneva che Lucrezio con la sua dottrina dei primordia rerum avesse anticipato, astraendo dall’esperienza, le teorie molecolari delle scienze della vita; J. TYNDALL, Address delivered bifore the British Association assembled at Belfast (London: Longmans, 1874); su Tyndall vedi il saggio di MARIA YAMALIDOU, ‘‘John Tyndall, the Rhetorician of Molecularity. Part one. Crossing the Boundary towards the Invisibile’’, Notes and Records of the Royal Society of London, 1999, 53: 231-242; nel 1870 il fisico francese Fre´deric Andre´ pubblicava un lungo saggio sulla fisica di Lucrezio, mettendone in risalto gli aspetti anticipatori dell’atomismo moderno, nell’edizione della traduzione francese curata da Ernst Lavigne, Oeuvres comple`tes de Lucre`ce (Paris: Hachette, 1870); nel 1872, la rivista simbolo del positivismo, La philosophie positive (1876, 8: 469-480) curata da Emile Littre´, anticipava alcuni estratti della nuova traduzione francese di Andre´ Lefe`vre pubblicata nella sua interezza nel 1876. 126 T.L. LUCRETIUS CARUS, De rerum Natura. Lateinisch und Deutsch (Berlin: Weidmannsche Buchhandlung, 1924), vol. 2, pp. VIa-VIb. Su questa edizione WOLFGANG RO¨SLER, ‘‘Hermann Diels und Albert Einstein: Die Lukrez-Ausgabe von 1923/24’’, in Hermann Diels (1848-1922) et la science de l’antiquite´. Entretiens pre´pare´s et pre´side´s par William M. Calder III et Jaap Mansfeld (Vandoeuvres-Gene`ve: Fondation Hardt, 1999), pp. 261-288. 127 FEDERIGO ENRIQUES – MANLIO MAZZIOTTI , Le dottrine di Democrito d’Abdera. Testi e commenti (Bologna: Zanichelli, 1948). L’opera appariva dopo la morte di Enriques con una prefazione del matematico e storico Guido Castelnuovo. La pubblicazione di questa raccolta costituiva il punto culminante dello sforzo di Enriques, iniziato gia` negli anni ’30, di individuare nelle dottrine scientifiche dell’antica Grecia gli elementi di quelle moderne e contemporanee. Persuaso dell’unita` atemporale della ragione scientifico, Enriques vedeva cosı` nell’atomismo antico il prodromo della rivoluzione scientifica moderna. Su Enriques ved. GIANNI MICHELI, Scienza e filosofia da Vico a oggi, in Scienza e tecnica nella cultura e nella societa` dal Rinascimento a oggi. Storia d’Italia - Annali 3, a cura di Gianni Micheli (Torino: Einaudi, 1980), pp. 619-641: 636-638. Il saggio di S. Luria e` ‘‘Die Infinitesimallehre der antiken Atomisten’’, Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, 1933, 2: 106-185. 125
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fine di mostrare l’affinita` della scienza moderna con l’atomismo classico, Enriques affiancava i frammenti del filosofo greco a citazioni tratte dalle opere di Galileo, Gassendi, Cartesio, Leibniz ed altri protagonisti della rivoluzione scientifica. L’attenzione prestata da scienziati di professione al contenuto del poema non si limitava certamente alle edizioni che abbiamo enumerato. In realta` l’esigenza di invadere un campo non loro e cimentarsi nell’ardua impresa di curare un testo difficilissimo nasceva in primo luogo dall’interesse diffusissimo tra gli scienziati di appropriarsi e sviluppare alcuni temi specifici del De rerum natura che sembravano particolarmente fecondi. Accanto ai principi generali dell’atomismo, la lotta contro il finalismo, la difesa della ragione e la critica all’autoritarismo della metafisica e della religione, tutti temi in sintonia, anche se non tutti contemporaneamente, con la scienza moderna, c’erano molte singole osservazioni che, se approfondite, rivelavano nuove vie di indagine o, cosı` almeno venivano percepite, straordinarie anticipazioni di dottrine moderne. In tutti gli ambiti disciplinari ci fu un’appropriazione massiccia e, in molti casi, creativa. Durante i primi decenni del secolo scorso la passione per gli atomi antichi conobbe infatti nuove fortune. Le nuove e rivoluzionarie scoperte introdotte dalla meccanica quantistica e dalla teoria della relativita` offrirono freschi spunti ermeneutici attraverso i quali leggere con nuovi occhi il poema lucreziano. Un sintesi rivelatrice di questo approccio ci viene dal fisico inglese E. N. da Andrade, gia` autore di un fortunato libro intitolato The Atom, il quale pubblicava nel 1928 un saggio intitolato The Scientific Significance of Lucretius. Il saggio veniva inserito nel secondo volume di una ristampa dell’edizione del De rerum natura curata da Munro, filologo che abbiamo visto era stato contattato nel 1866 da Maxwell in merito a una questione attinente la teoria cinetica dei gas. In primo luogo Andrade dissuadeva il lettore dal credere, come la maggior parte dei suoi contemporanei, che l’opera di Lucrezio andasse apprezzata solo per «per i suoi meriti di poeta e non per le sue concezioni di fisico».128 Se, al contrario, si fosse prestata maggiore attenzione alla concezione scientifica del poeta latino ci sarebbe trovati di fronte «a delle precise e sorprendenti anticipazioni delle teorie moderne». Qui Andrade espone un lungo elenco di precorrimenti cominciando con l’asserire che «Lucrezio ha postulato la conservazione della materia. Ha considerato la radiazione come 128
T. LUCRETI CARI, De rerum natura libri sex, vol. 2 (London: G. Bell and Sons, 1928), p. V.
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GLI SCIENZIATI E L’EDIZIONE DEL DE RERUM NATURA
una specie di materia, e percio` non incontrerebbe problemi con le nostre moderne questioni einsteiniane sull’interrelazione tra massa ed energia radiante». Riprendendo la tesi sostenuta da alcuni filologi secondo cui gli atomi di Lucrezio erano composti da particelle piu` piccole prive di dimensioni, da lui designate con il termine minima partes, Andrade stabilisce una corrispondenza tra questi e gli elettroni «di cui e` costituito il nostro atomo del ventesimo secolo». L’introduzione di Andrade all’edizione del De rerum natura non era una mera manifestazione di interesse da parte di uno scienziato per la letteratura, ma si innestava in un revival lucreziano ben piu` vasto e significativo. Nel 1928, ad esempio, appariva su Nature un articolo dello zoologo scozzese D’Arcy W. Thompson sul significato anticipatore del poema latino nella biologia.129 Il movimento degli atomi in tutte le direzioni (2,80), veniva guardato da alcuni fisici entusiasti come l’anticipazione del moto browniano e delle scoperta realizzate 2000 anni dopo da «Smoluchowski, Einstein e Perrin».130 Il premio Nobel per la fisica William Henry Bragg pubblicava nel 1925 il testo delle lezioni sull’atomismo tenute alla Royal Institution sull’atomismo ispirandosi, fin dal titolo, al De rerum natura.131 Anche quelle ipotesi scientifiche che fino ad allora erano state considerate come degli errori grossolani di Lucrezio venivano rivalutati alla luce della nuova fisica. Cosı`, l’ipotesi del clinamen, cioe` della possibilita` degli atomi di deviare dalla traiettoria del moto rettilineo, veniva reinterpretata alla luce dei 129 «Only yesterday Crum Brown used to describe to us beginners the carbon atom, with its little hooks or ‘hands’, – as Kekule´’s flash of insight had conceived it. As for the smooth round atom to which Lucretius attributed the fluidity of a fluid, they come pretty near to Dr. Harold Jeffrey’s brand-new concept of the structure of a liquid, as formed of ‘units perhaps roughly spherical’ and mobile on one another [...] The hereditary germplasm of Waismann and Darwin’s ‘pangenesis’ are no other than the Lucretian doctrine of ‘primoridia’, which, variously combined, lurk hid within the parent’s body and are handed on from father to son». D’ARCY W. THOMPSON, ‘‘Lucretius’’, Nature, April 14, 1928, p. 567. Sull’influenza di Lucrezio sulla moderna biologia si veda anche il saggio di JOSEPH NEEDHAM, Lucretius redivivus or the Hope of a Chemical Psychology, in ID., The Sceptical Biologist (ten essays) (London: Chatto and Windus, 1929), pp. 131-155. 130 S.I. VALIVOV , ‘‘Lucretius’ Physics’’, Philosophy and Phenomenological Research, 1948, 9: 2140, citazione alla p. 30. La continuita` tra atomismo classico e la teoria atomica moderna e` contenuta, sia pur con accenti diversi, nei seguenti contributi storici; KURD LASSWITZ, Geschichte der Atomistik vom Mittelalter bis Newton, 2 voll. (Leipzig: Leopold Voss, 1926); ANDREW VAN MELSEN, From Atomos to Atom. The History of the Concept Atom (Pittsburgh: Duquesne UP, 1952); BERNARD PULLMAN, L’atome dans l’histoire de la pense ´e humaine (Paris: Fayard, 1995); HENK H. KUBBINGA, L’histoire du concept de mole´cule, 3 voll. (Paris: Springer, 2001). 131 WILLIAM HENRY BRAGG , Concerning the Nature of Things: Six Lectures Delivered at the Royal Institution (1925) (London: Bells & Sons Ltd., 1948). Pur denunciando alcuni limiti strutturali dell’atomismo qualitativo di Lucrezio rispetto ai risultati della fisica atomica, Bragg non rinunciava, fin dalle prime pagine del suo testo, a riconoscere nel De rerum natura un testo di ispirazione.
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MARCO BERETTA
progressi delle meccanica quantistica e, in modo particolare, come l’anticipazione del principio di indeterminazione. Questo assunto, introdotto da Werner Heisenberg, spiegava il moto apparentemente spontaneo durante la disintegrazione del nucleo di atomi di alcune sostanze radioattive e stabiliva conseguentemente che non era possibile conoscere simultaneamente posizione e quantita` di moto di un dato oggetto con precisione arbitraria. Benche´ i fisici atomici fossero consapevoli dell’enorme differenza tra una fisica qualitativa quale quella presentata nel De rerum natura e il sofisticato sostrato matematico e strumentale che aveva assicurato alla nuova meccanica di rivoluzionare la concezione atomica tradizionale, sono frequentissimi i richiami alla continuita` delle nuove idee sugli atomi e il loro moto e l’atomismo antico, tanto che Heisenberg, sottolineando la necessita` di superare le concezioni democritee che secondo lui non facevano che confondere le idee,132 riconosceva che era «estremamente difficile liberarsi dalla tradizione» 133 ancora considerata come un’autorevole fonte di idee da Erwin Schro¨dinger 134 ed altri fisici contemporanei. Ancora nel Novecento dunque era diffusa l’inclinazione a leggere il De rerum natura non tanto come un’opera letteraria di straordinaria ricchezza poetica ma come una fonte di idee e teorie scientifiche. E` difficile per uno storico della scienza stabilire i motivi della longevita` scientifica del De rerum natura e ancora piu` difficile precisare se questo peculiare modo di leggere il poema sia stato un totale travisamento del suo contenuto o, come credevano gli scienziati, la rivelazione del suo recondito significato. Quello che qui preme sottolineare e` che l’appropriazione di Lucrezio da parte degli scienziati rivela il carattere multiforme e interdisciplinare della cultura scientifica, mettendo in evidenza un volta di piu` l’inadeguatezza di chi guarda ancora oggi alla scienza della natura come una forma del sapere arido, specialistico e avulso dal proprio contesto culturale.
132 «It would be a crude error to see in Epicurus and Lucretius precursors of quantum mechanics; yet it is impossible to consider this degree in which the antique idea coincides with the modern one as altogether fortuitous», WERNER HEISENBERG, Encounters with Einstein. And Other Essays on People, Places, and Particles (Princeton: Princeton UP, 1989), p. 38. 133 «It is extremely difficult to get away from the tradition». Ibid., p. 16. La difficolta ` era manifesta anche nell’opera di Heisenberg tanto che in una conferenza del 1932 lo scienziato tedesco aveva sostenuto la continuita` storica tra l’atomismo degli antichi e le recenti scoperte realizzate nella fisica; cfr. WERNER HEISENBERG, Wandlungen in den Grundlagen der Naturwissenshaft (Leipzig: S. Hirzel, 1935), pp. 27-45. 134 Tra i molti contributi del fisico austriaco tesi a mettere in relazione le teorie atomiche moderne e quelle classiche si veda in particolare Nature and the Greeks (Cambridge: Cambridge UP, 1948).
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INDICE DEI NOMI
Acciaioli, Donato, 120n Achillini, Alessandro, 179 Adam, Charles, 148n Adams, James Noel, 113n, 138n Adriano, Publio Elio, 33n, 116n Aezio, 43n Aftonio, 29n Agazio di Somma, 121n Agostino, 103, 110n, 132n Albucio Silo, 72n Albury, William R., 208n Alembert, Jean-Baptiste Le Rond, d’, 216n Alfonsi, Luigi, 100n Algra, Keimpe A., 28n Alighieri, Dante, 27 e n, 97n, 101n, 109 Allacci, Leone, 183 e n Allen, James, 70n Alsario della Croce, Vincenzo, 183 e n, 184 e n, 187n, 188, 193n Anassagora, 12 e n, 13n, 16 e n, 17, 19, 20, 59 Anassimandro, 43 e n Anassimene, 43 Andrade, Edward Neville da Costa, 222, 223 Andre´, Fre´deric, 221n Andreoni Fontecedro, Emanuela, 99n Angeli, Anna, 1n, 2n, 4n, 6n, 7n, 8n, 14n, 136n Angeli da Barga, Piero, 113, 125n, 127 e n, 128 e n, 129n, 133n Antifonte, 49 e n Antonio, Marco, 101 Apollonio Rodio, 76, 77n Appel, Georg, 114n Apuleio, 36n Aquilani, Scipione, 151n Arato di Soli, 21n, 44n, 117n, 118n Archimede, 41 e n, 42, 49 Archita, 40n, 107 Arckenholtz, Johan, 202n Arico`, Denise, 169n Ariosto, Ludovico, 204n
Aristippo, 104 Aristofane, 105n Aristotele, 12 e n, 17, 24, 28, 35, 36n, 40, 43n, 44, 45 e n, 46, 48, 52 e n, 69n, 98n, 107n, 122 e n, 123n, 133n, 141, 142 e n, 143, 144 e n, 146, 149, 151n, 152, 160, 171, 172 e n, 173 e n, 180, 182n, 185n, 194, 196 e n, 199, 201 Armonio Marso, Giovanni, 131, 132 e n Armstrong, David, 28n Arnaldi, Francesco, 105n Arnim, Hans, von, 2 e n Arnobio, 110 e n, 111n, 133n, 178n Arouet, Franc¸ois-Marie, vd. Voltaire Arrighetti, Graziano, 12n, 125n Asmis, Elizabeth, 69n Astemio, Giovanni Pietro, 128 e n Atilio, Marco, 108 Augurelli, Giovanni Aurelio, 133n Augusto (imp.), 21n Aurelio Cotta, 15 Aurelio Fusco, 72 Austin, Reginald Percy, 80 e n Auvray-Assayas, Clara, 21n Avanzo, Girolamo, 98n, 110n, 179 Averani, Nicola, 195n Averroe`, 172 e n Avieno, Postumio Rufio Festo, 31, 119n, 131n Avotin, Ivars, 169n Bacchelli, Franco, 177n Bacon, Francis, 197 e n, 198n Badaloni, Nicola, 204n Bailey, Cyril, 11n, 12n, 21n, 54n, 70n, 97n, 110 e n, 111 e n, 112n, 113n, 119n, 120n, 122n, 125n, 129n, 132n, 136n Bailly, Jean-Sylvain, 213n Balavoine, Claudie, 129n Balbo, 15, 20 Baldi, Baldo, 188 Baldini, Ugo, 182 e n, 183n, 189n Barchiesi, Alessandro, 83n
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INDICE DEI NOMI
Bargeo, vd. Angeli da Barga, Piero Barnes, Jonathan, 70n Basilide, 3, 8 Basinio Basini da Parma, 125n Battista Mantovano, vd. Spagnoli Battista Battistini, Andrea, 161n Bausi, Francesco, 104n, 105n, 106n Beda il Venerabile, 179 e n Bedle, Gabriel, 197n Beeckman, Isaac, 167n, 192 e n Beguin, Jean, 190 Bellini, Eraldo, 160n Bellini, Lorenzo, 191 e n, 201, 202 Bembo, Pietro, 132 Benedetti, Giovanni Antonio, 179 Benedetti, Girolamo, 179 Bentley, Richard, 78n, 127, 209 e n, 211 Berengario da Carpi, vd. Berigazzi, Jacopo Beretta, Marco, 98n, 117n, 118n, 132n, 139n, 148n, 202n, 217n Be´rigard, Claude Guillermet, de, 201 Berigazzi, Jacopo, 179 Berni, Francesco, 204n Berno, Francesca Romana, V Bertini, Anton-Francesco, 204n Bertoloni Meil, Domenico, 191n Bettini, Maurizio, 55n Bignone, Ettore, 125n Biondi, Giuseppe Gilberto, V Bloch, Olivier, 192n Boccuto, Giuseppina, 103, 104n Boezio, 111n Bois, Sime´on, du, 110n Bollack, Jean, 14n, 123 e n, 124n, 126n Bollack, Mayotte, 27n Bonaccorsi, Teresa, 160n, 161n Booth, C.C., 214n Borelli, Giovanni Alfonso, 189 e n, 190, 191, 199, 200, 201, 202, 204n, 206n Borges, Jorge Luis, 34n Borgia, Girolamo, 100, 105 e n, 106n Borgia, Luigi, 199n Borrelli, Antonio, 203n Borro, Girolamo, 144n, 149, 150 e n Boschi, Enrico, 191n Boscovich, Ruggiero Giuseppe, 211n, 213 e n, 214 e n, 218n Bosius, vd. du Bois, Sime´on Boyance´, Pierre, 139n Boyle, Robert, 198 e n, 209 e n Bracciolini, Poggio, 100, 101, 204 Bradner, Leicester, 137n
Bragg, William Henry, 117n, 223 e n Brown, Alison, 179n, 180n Brown, Robert Duncan, 16n, 113n Brucker, Jakob, 151n Brucker, Karl Friedrich, 151n Bruno, Giordano, 182 e n, 197 e n, 206 Bucciantini, Massimo, 206n Bulifon, Antonio, 203n Buonamici, Francesco, 143, 144 e n, 145 e n, 149, 150 e n, 151n Bursill-Hall, Piers, 213n Butts, Robert E., 154n Calboli Montefusco, Lucia, 113n Calcidio, 109n, 111n Calder III, William M., 221n Callippo, 39 Calvino, Italo, 29 e n, 97n Camerota, Michele, 149n, 177n, 183n, 187n, 206n Campanella, Tommaso, 155 e n, 161n Campbell, Gordon Lindsay, 24n, 56n, 126n, 128n Campbell, Stephen J., 102n, 139n Canali, Luca, 24n, 169n Cancianini, Gian Domenico, 107, 113 e n Candido, Pietro, 105n, 109, 179 Canetti, Elias, 33 e n Canfora, Luciano, 23n, 48 e n, 99n, 106n, 119n Canone, Eugenio, 155n, 183n Cantelmo, Giacomo, 203 Capasso, Mario, 22n Capece, Scipione, 180 Caplan, Harry, 3n Cardini, Roberto, 101 e n Carisio, 28n Carlo VIII di Francia, 117n Cartault, Augustin, 125n Carter, Jesse Benedict, 114n Carugo, Adriano, 154 e n, 173n Carulli, Camillo, 214n Casarsa, Laura, 106n Casini, Paolo, 148n, 208n, 209n Cassiodoro, 110 e n Castaldo, Antonino, 199n Castellani, Giulio, 173n Castelli, Benedetto, 152 Castelnuovo, Guido, 221n Castro, Estevao Rodrigues, de, 159, 160 e n, 187n Catanzaro, Giuseppe, 130n
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INDICE DEI NOMI
Catone, Marco Porcio (il Censore), 47n, 107n, 108 e n Catone, Marco Porcio (l’Uticense), 93n Catullo, 78n, 81n, 124, 129n, 132 Cavendish, William, 197 e n Cecilio Stazio, 108 Celio Aureliano, 111n Cerri, Giovanni, 25n Cesare, Gaio Giulio, 74, 75, 86, 87, 88 Cesarini Martinelli, Lucia, 105n, 183 e n Cesarini, Virginio, 160 e n, 161 e n, 184 Cesi, Federico, 161n, 183 Cestio Pio, 72n Cetrangolo, Enzio, 169n Ceva, Tommaso, 218n Charleton, Walter, 196 e n, 197 Chines, Loredana, 116n Ciampoli, Giovanni, 161 e n Ciccarelli, Lorenzo, 204n Cicerone, 14, 17, 20 e n, 21n, 23 e n, 32 e n, 41 e n, 42, 44n, 45, 47n, 49, 97n, 99 e n, 101, 103, 104n, 105 e n, 106n, 107, 117n, 118n, 119n, 126n, 138n, 144, 181n Cichino, Giorgio, 106 e n, 128 e n Citti, Francesco, 177n, 179n Claudiano, 110n Claudio Marcello, Marco, 40n, 41 Clausen, Wendell, 118n Clericuzio, Antonio, 177n, 185n, 202n Clucas, Stephen, 196n, 197n Cohen, I. Bernard, 148n, 208n, 210n Colaizzo, Maria, 7n, 8n Coleman, Alexander, 34n Collins, Thomas, 197n Colote di Lampsaco, 14n Columella, 47n, 101 Conforti, Maria, 202n Contarini, Gasparo, 180 Conte, Gian Biagio, V, 18n, 22n, 24n, 121n, 169n Conti, Antonio, 204n Copernico, Nicolo`, 152n, 172n, 214n Coppini, Donatella, 114n, 115n, 116n, 118n, 128n, 130 Coresio, Giorgio, 151, 152 Cornelio Gallo, 101 e n Cornelio Nepote, 104n Cosimo III (Granduca di Toscana), 202, 203 Cotta, vd. Aurelio Cotta Crasso, vd. Licinio Crasso Creech, Thomas, 185 e n, 198 e n, 210n Crinito, vd. Del Riccio Baldi, Pietro
Cristante, Lucio, 100n Cristina di Svezia, 202 e n, 204n Croll, Oswald, 190 Crombie, Alistair C., 173n Croph, Philipp Jacob, 151n Crum Brown, Alexander, 223n Cucchiarelli, Andrea, V Cusano, Nicola, 183n D’Addario, Arnaldo, 199n Dal Pozzo, Cassiano, 188 Dam, Harm-Jan, van, 80 D’Andrea, Francesco, 203n D’Anna, Giovanni, 106n Darcet, Jean, 216 Darcio da Venosa, Giovanni, 128 e n., 129n D’Arco, Nicolo`, 125n Darwin, Erasmus, 218n, 223 De Angelis, Gilberto, 161n Degli Albizi, Albiera, 104n Delarue, Fernand, 88n De Leo, Pietro, 121n Della Bella, Stefano, 188n Della Fonte, Bartolomeo, vd. Fonzio, Bartolomeo Della Paglia, Antonio, 180 Della Porta, Giovan Battista, 188n, 203n Delle Colombe, Ludovico, 151, 158 Del Lungo, Isidoro, 121n Del Mastro, Gianluca, 7 e n Del Papa, Giuseppe, 202 Del Riccio Baldi, Pietro, 99, 105n, 109 Delvigo, Maria Luisa, 69n Demetrio Lacone, 1, 2 e n, 3, 4 e n, 5, 6 e n, 7 e n, 8, 13n, 14n Democrito, 17, 28, 38n, 44, 45 e n, 143, 145 e n, 150 e n, 155, 156, 157n, 174, 182 e n, 196n, 201, 219 e n, 220n, 221 e n De Renzi, Silvia, 161n, 177n, 183n De Santillana, George, 38n Desbordes, Franc¸oise, 30n Descartes, Rene´, 148 e n, 149n, 152n, 174, 192, 196n, 197 e n, 201, 206 e n, 208 e n, 210n, 214n, 222 Desmarets, Nicolas, 216 Di Capua, Leonardo, 202, 203n Diderot, Denis, 214, 216, 217 e n Diels, Hermann, 12n, 221 e n Digby, Kelnem, 197 Di Grazia, Vincenzo, 151, 158 Dihle, Albrecht, 105n Diogene di Enoanda, 15 e n, 22 e n, 23 e n
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INDICE DEI NOMI
Diogene Laerzio, 11n, 12n, 17 e n, 43, 143, 144, 192n, 193 Diomede (grammatico), 29n, 112 Dionigi, Ivano, V, 20n, 21n, 24n, 29n, 32n, 97n, 99n, 103n, 110n, 112n, 114n, 117n, 120n, 127n, 128n, 129n, 169n Dionisio di Cirene, 7 Dionisotti, Carlo, 98n Di Pasquale, Giovanni, 49n, 102n Dolfi, Anna, 191n Dominik, William J., 91n Donato, Elio, 105n Donato, Maria Pia, 203n Dorandi, Tiziano, 1n, 2n, 4n, 6n, 7n, 11n, 14n, 136n Dossier, Andre´, 103n Dryden, John, 214n Dubel, Sandrine, 34n Dubrocard, Michel, 29n Duhamel, Jean Baptiste, 196n Duhem, Pierre, 172n Eatough, Geoffrey, 132n, 135n Edelstein, Ludwig, 7n Einstein, Albert, 221 e n, 223, 224n Eliodoro, 84 e n, 92 Empedocle, 12, 13 e n, 14 e n, 15 e n, 21, 22, 23 e n, 24 e n, 25 e n, 43, 102 e n, 106, 122 e n, 124, 125n, 126, 127 e n, 211n Ennio, 20 e n, 32n, 101n, 102n, 108, 110 e n, 111n, 112 e n, 126n, 129n Enriques, Federigo, 221 e n, 222 Epicuro, 1, 2, 3, 4, 5, 7n, 8, 9n, 11, 12 e n, 13n, 14n, 16, 17 e n, 21, 22 e n, 23 e n, 32n, 33, 36, 37n, 39, 40 e n, 42, 46, 49, 52, 69n, 82n, 97, 98 e n, 99n, 102, 104, 106, 109, 113n, 124, 125n, 127, 129n, 136 e n, 137, 139, 143, 144 e n, 145 e n, 149, 150 e n, 154, 155 e n, 180n, 181n, 182, 185, 192 e n, 193 e n, 195, 196 e n, 206n, 208, 209 e n, 211n, 215, 218n, 219 e n, 224n Eraclito, 12, 13 e n, 14 e n, 15 e n, 19 e n, 21, 22 e n, 43, 106 e n Erasmo da Rotterdam, 119n, 136n, 137n Ernout, Alfred, 112n, 113 e n, 114n, 115n, 119n, 120n, 122n, 129n Ernst, Germana, 155n Erodoto (discepolo di Epicuro), 1, 51, 52, 125n, 136n Eschenbach, Andreas Christian, 128n Estienne, Henry, 128n
Euclide, 2, 3 e n, 4, 5, 6, 7 e n, 8, 13n Eudosso, 39, 40 e n Euripide, 105 e n Eusebio di Cheronea, 104n Evelyn, John, 197 e n, 198 e n, 199 E´vrard-Gillis, Janne, 129n Eyssendhardt, Franz Rudolf, 108n Fabbri, Renata, 138n Faber, Johannes, 161 e n, 183n, 184 Faber, Tanaquil, vd. Lefebvre, Taneguy Fabri de Peiresc, Nicolas-Claude, 155 e n Farnese, Alessandro, vd. Paolo III (papa) Farrell, Joseph, 77n Farrington, Benjamin, 169n Fatio de Duillier, Nicolas, 211 e n, 214 Favaro, Antonio, 142n, 149 e n Favino, Federica, 161n Fay, Michel, 203n, 213 e n Fedeli, Paolo, V Feeney, Denis C., 77n, 85 e n, 92n Fellin, Armando, 97n, 145n, 147n, 162n, 163n, 164n, 165n, 167n, 169n Ferdinando II (Granduca di Toscana), 183n, 187, 200 e n, 201 Ferrari, Giampaolo, 204n Ferrarino, Pietro, 99n Ferrone, Vincenzo, 204n Festa, Egidio, 154n, 161n, 203n, 208n Festo, Sesto Pompeo, 113n Ficino, Marsilio, 104 e n, 105, 185n Filargirio, 113n Filodemo, 2, 11n, 12, 28n Filonide di Laodicea, 3, 4 e n, 8 Flaminio, Marco Antonio, 113, 122 e n, 123 e n, 124, 125 e n, 128 Flaubert, Gustave, 32 Fleischmann, Wolfgang Bernard, 100n, 178n Flemyng, Malcom, 218n Flores, Enrico, 104n, 108n, 110n, 129n, 169n Fo¨gen, Thorsten, 27n Folengo, Teofilo, 128n Fonzio, Bartolomeo, 103, 104n, 120n Fortenbaught, William W., 69n Fowler, Don, 30n, 51n, 52n, 53n, 54n, 60n, 77n, 80, 117 e n, 119n, 125n Fracassati, Carlo, 191 e n, 201 Fracastoro, Girolamo, 123n, 132 e n, 133 e n, 134 e n, 135n, 179 e n Fraisse, Simone, 181n Franchi, Raffaele, 179 Franco, Matteo, 103, 104
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INDICE DEI NOMI
Francus, vd. Franchi, Raffaele Fra¨ngsmyr, Tore, 202n Fraschetta, Girolamo, 185n Friedlein, Gottfried, 7n, 111n Friedla¨nder, Paul, 20n, 30n Frontone, 113n Fulgenzio, Fabio Planciade, 108, 109 e n Furley, David J., 3n, 14n, 24n Gabrieli, Giuseppe, 161n, 184n Gale, Monica, 24n, 30n, 71n, 74n, 75n, 102n Galeno, 143 e n, 156, 157n, 160 Galilei, Galileo, 141-175, 182n, 183 e n, 187 e n, 188 e n, 189, 194, 195n, 200 e n, 202, 204n, 206 e n, 210n, 211, 214n, 222 Galilei, Vincenzo, 143n Gallavotti, Carlo, 25n Gallo, Egidio, 125n Gallo, Italo, 4n Galluzzi, Paolo, 188n, 195n, 199n, 201n Gambino Longo, Susanna, 100n, 104n, 133n, 139n, 180n Garin, Eugenio, 104n Garth, Samuel, 214n Gassendi, Pierre, 177, 184 e n, 185n, 189, 192 e n, 193 e n, 194 e n, 195 e n, 196, 197, 198, 199, 203, 206 e n, 210, 222 Gatto, Romano, 154n, 203n, 208n Gee, Emma, 21n Gellio, Aulo, 108 e n, 111, 113n Gemelli, Benedino, 167n, 192n, 197n Gemelli Marciano, M. Laura, 24n, 25n Generali, Dario, 204n Geoffroy, E´tienne Louis, 218n Germanico, Giulio Cesare, 44n, 118n Gerolamo, 33, 99 e n, 101n, 103, 105n Gesner, Johann Matthias, 128n Geymonat, Ludovico, 154 e n Giannantoni, Gabriele, 17n Gibson, Roy, 93n Gifanius, vd. Giffen, Hubert, van Giffen, Hubert, van, 112n, 161 e n, 181 e n, 183 Gigante, Marcello, 17n Gigon, Olof, 100 Gillespie, Stuart, 98n, 178n Giorgione (Giorgio da Castelfranco), 102n, 139n Giovanni di S. Tommaso, vd. Poinsot, Joa˜o Giovenale, 17n Giraldi, Giglio Gregorio, 105n, 109 Giulia (moglie di Pompeo), 87 Giulio Vittore, 113n
Giussani, Carlo, 136n Glare, Peter Geoffrey William, 121n Goddard, Charlotte Polly, 100n, 102n, 103n, 116n, 132n, 139n, 180n Goffis, Cesare Federico, 103n, 116n Goffredo di Buglione, 127 e n Gomez Lopez, Susana, 200n Good, John Mason, 218 Gordon, Alexander Cosmo, 185 e n, 187n, 193n, 199n, 213n Gottifredi, Alessandro, 161 e n Goulet, Richard, 4n Gozedinus, Iosephus, 128n Grant, Edward, 172n Granvela (cardinale), 199n Grassi, Orazio, 155 e n, 162n, 166 e n Gravesande, Willem Jacob, 213n Gregorio XV (papa), 183n Griggio, Claudio, 136 e n Grimal, Pierre, 139n Griopius Decanus, Ioannes, 181n Gualdo Rosa, Lucia, 105n Guarini, Guarino (Veronese), 101, 204n Guastella, Gianni, 131n Guerlac, Henry, 206n Guibert de Nougent, 112n Guiducci, Mario, 159n Guillermet de Be´rigard, Claude, 182n Gutas, Dimitri, 69n Haase, Wolfgang, 12n Hadzsits, George Depue, 100n, 104n, 178n Ha˚kanson, Lennart, 96 Hall, A. Rupert, 209n Hall, John Barrie, 110n Hall, Marie Boas, 209n Halley, Edmund, 208 e n Hamel, Jean Baptiste, du, vd. Duhamel, Jean Baptiste Hardie, Philip, 67n, 77n, 89n, 93n, 98n, 133 e n, 135, 178n Hariot, Thomas, 197n Harman, Peter Michael, 219n Harrison, Charles Trawick, 198n Harvey, William, 190 Haskell,Yasmin, 101n, 178n, 214n Hebenstreit, Johann Ernst, 218n Heisenberg, Werner, 224 e n Helbing, Mario Otto, 144n, 149n, 173n Hermann, Gottfried, 128n Heydnecker, Vincent, 136, 137 e n, 138 Heyne, Christian Gottlob, 74n Heyworth, Stephen John, 119n
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INDICE DEI NOMI
Hilgers, Joseph, 201n Hill, Nicholas, 182 e n, 183 Hine, William L., 148n, 208n, 209n Hirai, Hiroshi, 185n Hobbes, Thomas, 187 e n, 197, 198n, 209 Hocke, Gustav R., 214n Holbach, Paul-Henri Thiry, d’, 214 e n, 216 e n, 217 e n, 218n Hooghe, Romeyn, de, 207 Hooke, Robert, 198 Hubbard, Margaret M. A., 79n Hunink, Vincent, 87n Hunter, Michael, 198n Hunter, Richard L., 77n Hutton, James, 136n, 137n Imbriani, Maria Teresa, 128n Iofrida, Manlio, 191n Ippocrate, 156, 157n Isidoro di Siviglia, 110n, 111n, 179 e n Iuvenco, 110n, 133n Jeffrey, Harold, 223n Jenkin, Fleeming, 221n Johnson, Monte, 98n, 178n Jones, Howard, 178n Jonghe, Adriaen, de, 181n Jullien, Vincent, 161n Junius, Hadrianus, vd. Jonghe, Adriaen, de Kannicht, Richard, 105n Kany-Turpin, Jose´, 33n Kargon, Robert Hugh, 196n, 197n Keil, Heinrich, 28 Kekule´, August, 223n Keller, Madeleine, 131n Kelvin, Lord, 213, 219 e n., 221 Kenney, Edward John, 18n, 115n, 185n Kepler, Johannes, 211 Kidd, Ian G., 7n, 69n Kircher-Durand, Chantal, 29n Kleve, Knut, 7 e n, 17n, 28n Koenen, Mieke H., 28n Koselleck, Reinhart, 55n Koyre´, Alexandre, 35 e n, 148n, 206n Kranz, Walther, 14n Kripke, Saul, 158 Kristeller, Paul Oskar, 100n, 104n, 178n Kubbinga, Henk H., 213n, 223n La Brasca, Frank, 185n
Lachmann, Karl, 54n, 110n, 112n, 218 Lagrange, Joseph-Louis, 214, 215 Lamberto di Liegi, 111n Lambin, Denys, 110n, 148n, 181 e n, 182n, 183, 197n La Mettrie, Julien Offray, de, 218n Lami, Giovanni, 204n Landino, Cristoforo, 101 e n, 107 e n, 108 e n, 109 Landucci, Sergio, 144n Lapidge, Michael, 138n La Rame´e, Pierre, de, 181n Lasswitz, Kurd, 223n Lattanzio, 104n, 178n Laurens, Pierre, 129n Lausberg, Heinrich, 80n Lavagnini, Bruno, 17n Lavigne, Ernst, 221n Le Bouyer de Fontenelle, Bernard, 218n Lee, Edward N., 3n Lefebvre, Taneguy, 203n Lefe`vre, Andre´, 221n Lefkowitz, Mary R., 105n Le Grand, Homer Eugene, 154n Lehnerdt, Max, 100n, 102n, 103n Leibniz, Gottfried Wilhelm, 222 Leone X (papa), 201 Leone, Giuliana, 12n, 17n Leoniceno, Niccolo`, 179 Leopardi, Giacomo, 98, 99n, 183n Le Sage, Georges-Louis, 211 e n, 213 e n, 214 Leto, Pomponio, 101, 103n, 105n Leucippo, 24, 28, 150 e n Levio, 127n Libavius, Andreas, 190 Licinio Crasso, Marco, 86 Licinio Imbrice, 108 Licinio Sura, Marco, 71 Liddell, Henry George, VI Lindner, Thomas, 122n, 126n, 127n, 128n, 129n Littre´, Emile, 221n Livio, 47 e n, 78n, 91 Livrea, Enrico, 77n Loehr, Johanna, 69n, 70n, 74n, 81n Logre, Benjamin Joseph, 33n, 99n Lomonosov, Mikail Vasil’evich, 217 e n Long, Anthony A., 13n Lough, John, 216n Loyola, Ignazio, di, 214n Lucano, 72, 77, 81n, 84, 85, 86 e n, 87 e n, 88 e n, 89, 92, 93n, 94n, 133
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INDICE DEI NOMI
Luciani, Sabine, 60n, 61n, 64n Luciano di Samosata, 105n Lucilio, 97, 138n Lucillio (epigrammista), 136 e n, 137, 138 Lucrezio (autore di commedie), 108, 109 e n Luria, Salomon, 3n, 221 e n Luscio Lanuvino, 108 e n Luzi, Mario, 97 e n, 98 e n Lynch, Charles Arthur, 137n Lynch, John Patrick, 80n Lyne, Richard Oliver Allen Marcus, 78n, 80n Mabilio (forse pseudonimo di Marullo), 105 MacAuslan, Ian, 80n Machamer, Peter, 148n McMullin, Ernan, 149n Macrobio, 108 e n Maffei, Giovanni, 201 Magalotti, Lorenzo, 202 Magliabechi, Antonio, 202 Magnen, Jean Chrysostoˆme, 182 e n, 183 Maittaire, Michael, 210n, 211n, 212, 214n Malerba, Luigi, 98n Malpighi, Marcello, 191 e n Mandelstam, Osip, 27 e n, 97n Manetti, Agnolo, 138n Manilio, 21n, 44n, 81 e n Mansfeld, Jaap, 221n Mansi, Giovanni Domenico, 201n Manuzio, Aldo, 98 e n, 179 Marcello, vd. Claudio Marcello, Marco Marchesi, Concetto, 100 e n Marchetti, Alessandro, 117n, 169 e n, 191n, 199 e n, 200 e n, 201 e n, 202 e n, 203, 204 e n, 205, 206 e n Marchetti, Francesco, 199n Marco Aurelio, 32 Mariotti, Scevola, 125n Marmi, Anton Francesco, 204n Marouzeau, Jean, 19 e n Marrasio, Giovanni, 125n Martha, Benjamin Constant, 99n Martin, Alan, 25n, 127 e n Martin, Benjamin, 213n Martin, Joseph, 54n, 112n Martindale, Charles, 77n Marullo Tarcaniota, Michele, 103 e n, 110n, 113, 114 e n, 115n, 116 e n, 117 e n, 118n, 128 e n, 129 e n, 130 e n, 179 Marziale, 136n Marziano Capella, 111n, 128 Massa, Amadore, 188
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Mau, Ju¨rgen, 3n Maupertuis, Pierre-Louis Moreau, de, 218n Maxwell, James Clerk, 219 e n, 220 e n, 221, 222 Mayer, Roland George, 113n Mazziotti, Manlio, 221n Mazzuchelli, Giammaria, 183n Mead, Richard, 210n, 211n Mecenate, Gaio, 103 Medici, Leopoldo, de’, 199, 200, 201, 202 Medici, Piero, de’, 101 Meinel, Christoph, 185n Melsen, Andrew, van, 223n Memmio, Gaio, 35n, 80, 101n, 118n Mercuriale, Girolamo, 187 Merrill, William August, 111n, 112n Micheli, Gianni, V, 221n Milanese, Guido, 22n Milani, Michele, 202n Militello, Cesira, 12n Millot, Claire, 12n, 13n Mirabaud, Jean-Baptiste, de, 216 Molza, Francesco Maria, 120 e n Mondella, Felice, 217n Montanari, Geminiano, 200n Monti, Maria Teresa, 217n Monti Sabia, Liliana, 105n Morales, Helen L., 77n Morali, Giorgio, 151n Moravia, Alberto, 98n, 100n More, Henry, 196n More, Thomas, 136, 137 e n, 138 Morgan, John, 84n Morselli, Emilio, 99n Mourelatos, Alexander P.D., 3n Mu¨ller, Konrad, 112n Mu¨ller, Lucian, 112 Mu¨nscher, Karl, 111n Munro, Hugh Andrew Johnstone, 51n, 129n, 181n, 193n, 219 e n, 221n, 222 Muscettola, Gianfrancesco, 199n Myers, K. Sara, 82n Mynors, Roger Aubrey Baskerville, 106n Naigeon, Jacques-Andre´, 214 Nardi, Giovanni, 184, 185 e n, 186, 187 e n, 188 e n, 189, 190, 195, 197n, 213 Naude´, Gabriel, 184, 193 e n Navagero, Andrea, 112n, 136 e n, 137, 138, 139 e n, 179, 181 Naville, Pierre, 214n, 216n Needham, Joseph, 223n
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INDICE DEI NOMI
Nelli, Giovanni Battista Clemente, 199n Nerva, 116n Nevio, Gneo, 108 Newton, Isaac, 148 e n, 197n, 198, 206 e n, 208 e n, 209 e n, 210 e n, 211n, 213, 214 e n, 217, 223n Nigidio Figulo, 85 Nisbet, Gedeon, 136n Nisbet, Robin George Murdoch, 79n Nonio Marcello, 111, 112, 113, 132 e n Norden, Eduard, 97n, 98n Nutting, Herbert C., 87n Oakley, Stephen P., 69n, 91n Obbink, Dirk, 28n Obsopoeus, vd. Heydnecker, Vincent Oddone di Cluny, 112n Oeschger, Johann, 102n O’Hara, James J., 76n, 81n Oldmixon, John, 214n Olmi, Giuseppe, 161n Olschki, Leonardo, 149n Oltramare, Andre´, 17n Omero, 73, 76, 77n, 89n, 103, 135, 138n Orazio, 31, 78n, 79n, 93n, 103, 107 e n, 108, 110, 114n, 119n, 124, 131n, 181n Orlandi, Giovanni, 98n Osbat, Luciano, 203n Otto, August, 119n Ovidio, 21n, 44n, 72, 76n, 78n, 81 e n, 82n, 83 e n, 84n, 91n, 93n, 94n, 95n, 104n, 105n, 126n, 127n, 130, 133, 167 Pace, Giulio, 173n Pacuvio, 110n Palingenio Stellato, Marcello (Pier Angelo Manzoli), 125n Palmerino, Carla Rita, 154n, 192n Pantin, Isabelle, 168 e n Panvinio, Onofrio, 121n Paolini, Alessandro, 106 Paolini, Fabio, 106 Paolo III (papa), 120 e n Paolo Diacono, 113n Papini, Giovanni, 100n Paratore, Ettore, 105n, 106n Pascal, Carlo, 105n Pascoli, Giovanni, 131n Pastore, Alessandro, 123n, 134n Patin, Henri Joseph Guillaume, 33n, 99 e n Pausania, 37 Pav, Peter Anton, 194n Pavolini, Lorenzo, 98n
Pellegrini, Francesco, 133n, 134n Pennuto, Concetta, 134n Penwill, John L., 32n Perelli, Luciano, 34n, 99n Perfetti, Annalia, 197n Perkell, Christine G., 75 e n Perosa, Alessandro, 118n Perrin, Jean, 223 Persio, 113n, 120 Peruzzi, Enrico, 123n, 134n Petrarca, Francesco, 100 e n, 105 Peyrard, Franc¸ois, 218n Pianezzola, Emilio, 121n Piazzi, Lisa, 12n, 15n, 24n, 102n, 113n, 115n, 123n Piccolino, Marco, V Pickard, John, 204 e n Pietro di Toledo, 199n Pietro Odo da Montopoli, 101 Pinchetti, Balilla, 169n Pintard, Rene´, 192n Pio, Giovanni Battista, 105n, 109n, 148n, 179, 181n, 183 Pitagora, 81, 82 Pitt, Joseph C., 154n Pizzani, Ubaldo, 104n, 105n, 106n, 109 Plantin, Christophe, 182n Plastina, Sandra, 182n Platone, 15, 35, 38, 40n, 44 e n, 48, 60n, 98n, 104n, 142, 144, 145n, 172n, 196n Plauto, 101n, 108, 131 e n, 132 Plinio il Giovane, 71, 72 Plinio il Vecchio, 35, 47n, 109n Plutarco, 17n, 21 e n, 40n, 105n Pogo, Alexander, 188n Poignault, Re´my, 21n, 103n, 185n Poinsot, Joa˜o, 173n Polibio, 48 Polieno, 3, 4 e n, 6 e n, 7, 8, 13n Polignac, Melchior, de, 218n Poliziano, Agnolo (Angelo Ambrogini), 103, 104n, 105 e n, 106 e n, 121 e n Polle, Friedrich, 51n Pompeo, Gneo (Magno), 86, 87, 88 Pompeo, Sesto, 88 Pontano, Giovanni, 101, 102 e n, 103n, 106n, 113, 115, 116n, 125n, 128n, 179, 180 Posidonio di Apamea, 2, 7, 8, 41 e n, 42, 69n, 210n Possevino, Antonio, 182 e n Predaval Magrini, Maria Vittoria, 204n Prevost, Pierre, 211n
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INDICE DEI NOMI
Primavesi, Oliver, 25n, 127 e n Prisciano, 28n, 29n, 112, 113n Probo, 28n, 29n Proclo, 2, 5, 7, 8 Prosperi, Valentina, V, 100n, 101n, 104n, 107 e n, 109n, 129n, 139n, 185n Protarco di Bargilia, 3 Proverbio, Edoardo, 213n Prudenzio, 110 Puglia, Enzo, 14n Pullman, Bernard, 223n Putnam, Michael C. J., 92n Quintiliano, 29n, 101, 103n, 105n, 113n Quinto Smirneo, 78n Rabano Mauro, 179n Rabau, Sophie, 34n Ramus, Petrus, vd. La Rame´e, Pierre, de Ranucci, Giuliano, 121n Rappaport, Rhoda, 216n Ravenna, Giovanni, 100n Redi, Francesco, 201, 202 Redondi, Pietro, 148n, 153n, 154 e n, 155 e n, 160n, 182n, 183 e n, 187 e n Reeve, Michael, 101n, 178n Reinhardt, Tobias, 18n, 138n Reisacker, Anton Joseph, 54n Reiser, Beato, 173n Remondini, Giuseppe, 213 e n Renieri, Vincenzo, 188 e n Reynolds, Leighton D., 178n Ribbeck, Otto, 131n Ricci, Michelangelo, 194, 202 Richter, Will, 74 e n Righini Bonelli, Maria Luisa, 173n Riquius, Justus vd. Rycke, Josse, de Robin, Le´on, 113 e n, 114n, 115n, 120n, 122n Robortello, Francesco, 107 e n Rochot, Bernard, 192n Rochoux, Jean Andre´, 218n Ro¨sler, Wolfgang, 13n, 221n Rolli, Paolo, 204 e n Romano, Elisa, 38n Ronconi, Alessandro, 99n Rorty, Richard M., 3n Ross, David O., 75n Rossetti, Donato, 200n, 201, 202 Rossetti, Livio, 22n, 25n Rosvita, 112n Rouelle, Guillaume Franc¸oise, 216
Rouse, William Henry Denham, 28n Roux, Augustin, 216 Roux, Sophie, 208n Russell, John L., 214n Rycke, Josse, de, 160 e n Saccenti, Mario, 199n, 200n, 202n Sallustio Crispo, Gaio, 65 Salvini, Anton Maria, 204n Santaniello, Carlo, 25n Santo, Luigi, 100n Santorio, Santorio, 190 Santucci, Francesco, 130n Sarsi, Lotario, vd. Grassi, Orazio Sassi, Maria Michela, 25n Scaligero, Giuseppe Giusto, 128n Scarcia, Riccardo, 105n Schiesaro, Alessandro, V, 70n, 119n Schmidt, Ernst A., 81n Schmidt, Johan Werner, 217n Schmidt, Ju¨rgen, 14n Schmitt, Charles B., 172n, 173n Schopp, Kaspar, 161 e n Schrijvers, Piet H., 19n, 22n, 28n Schro¨dinger, Erwin, 224 Schwindt, Ju¨rgen Paul, 67n, 93n Schwob, Marcel, 33n Scorsone, Massimo, 120n, 122n, 124n Scott, Robert, VI Secchi Tarugi, Luisa, 105n Sedley, David, 7n, 9n, 12n, 14n, 40 e n, 70n, 113n, 127n, 138n Sedulio Scoto, 112n Seneca, 82 e n, 94n, 126n, 214 Seneca il Vecchio, 72 e n Sennert, Daniel, 185 e n Senocrate, 5 Sergio (grammatico), 113n Servio, 113 e n Sesto Empirico, 5 Severino, Marco Aurelio, 203n Shackleton Bailey, David Roy, 93n, 96, 169n Sharrock, Alison R., 77n Shea, William R., 152n, 153n, 154n, 173n Sigebertus di Gembloux, 112n Silio Italico, 101, 103 Simplicio, 12n, 37n, 122, 149 Skutsch, Otto, 110n, 112n Smith, Mark A., 154n Smith, Martin Ferguson, 15 e n, 23n, 169n Smolenaars, Johannes J. L., 94n Smoluchowski, Marian, 223
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INDICE DEI NOMI
Snijder, Harry, 90n, 93n Snyder, Jane M., 20n Solaro, Giuseppe, 99n, 100n, 103n, 104n, 105n, 109n, 178n Soldati, Benedetto, 102n Solodow, Joseph K., 83n Soto, Domingo, de, 172n Spagnoli, Battista, 116 e n, 128n Speroni, Sperone, 109 e n Sporenus, Iosephus, 128n Sprat, Thomas, 187 e n, 198 Stahl, Georg Ernst, 216, 217 Stair, James Dalrymple, 196n Stay, Benedetto, 214n, 218n Stazio, 72, 77, 79n, 84, 88 e n, 89, 90 e n, 91 e n, 92n, 93 e n, 94 e n, 95 e n, 96, 99 e n, 102 e n, 104n, 105n, 112, 133 Stevens, Linton C., 181n Strabone, 47n Stratone di Lampsaco, 149, 150n Stu¨ckelberger, Alfred, 185n Svetonio, 105n Swanson, Donald C., 110 e n, 111n, 113n Syme, Ronald, 55n Tannery, Paul, 148n, 208n Targioni Tozzetti, Giovanni, 183n, 187n, 188n, 200n Tarrant, Richard J., 78n Tarugi, Giovannangiola, 104n Taussig, Sylvie, 192n, 193n Temporini, Hildegard, 12n Teocrito, 118n Teodoro Gaza, 109n Teofrasto, 12, 69n, 70n Tepedino Guerra, Adele, 4n, 6n Terenziano Mauro, 111 Terenzio, 101n, 103, 108 e n Thomas, Richard F., 75n, 76n Thompson, D’Arcy Wentworth, 223 e n Thomson, William, vd. Kelvin, Lord Tibullo, 103, 120 Timeo di Locri, 149, 150n Timpanaro, Sebastiano, 21n, 97n, 99n Tiraboschi, Girolamo, 199n Toffoli, Aldo, 123n Toleto, Francisco, 173n Tolomeo, Claudio, 35 Tomba, Amelia, 191n Torricelli, Evangelista, 188 e n, 189, 194, 195 Torrini, Maurizio, 161n, 188n, 195n, 206n Tosi, Alessandro, V
Tosi, Renzo, 119n Trabea, Quinto, 108 Trabucco, Oreste, 189n Traherne, Thomas, 196n Traina, Alfonso, 125n, 129n, 131n, 138n Trincavelli, Vittore, 156, 157n Trueblood, Alan S., 34n Tucidide, 49 e n, 181n, 187 e n Turpilio, 108 Tyndall, John, 221n Tyrwhitt, Thomas, 128n Urbano VIII (papa), 160, 183n, 188 Valerio Flacco, 72 e n, 73 Valgrisi, Vincenzo, 143, 156 Valivov, S.I., 223n Vallette, Paul, 17n Vallisnieri, Antonio, 204n Vario, 108 Varrone, Marco Terenzio, 29n, 30, 47n, 60n, 103n Venel, Gabriel Franc¸ois, 216 Veneziani, Marco, 48n Verdus, Franc¸ois, du, 195n Verino, Ugolino, 120n Vico, Giambattista, 221n Villemandy, Pierre, de, 196n Vimercati, Francesco, 173n Virgilio, 47n, 72n, 73, 74 e n, 75 e n, 77 e n, 78 e n, 79, 80, 81 e n, 82 e n, 84, 89 e n, 91n, 92 e n, 96, 101n, 102, 103 e n, 104n, 106 e n, 108, 109, 110 e n, 113 e n, 115n, 118n, 120, 123, 124, 125, 126 e n, 133 Vitruvio, 38 e n, 44, 45n Vittorino, Mario, vd. Aftonio Viviani, Vincenzo, 154n, 200, 202 e n Vlastos, Gregory, 3n, 7n Vogt-Spira, Gregor, 30n Volcacio Sedigito, 108 Volk, Katerina, 81n Volta, Alessandro, 217, 218n Volta, Zanino, 218n Voltaire, 210 e n, 216n, 217n Waisman, C.E., 223n Wakefield, Gilbert, 137n, 209n, 218, 219n Walcot, Peter, 80n Wallace, William A., 173n Wallach, Barbara Price, 18n Wallach, Luitpold, 3n
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INDICE DEI NOMI
Waller, Edmund, 198n Walter of Winborne, 111n Waszink, Jan Hendrik, 111n Weiss, Jean-Pierre, 29n Wheeler, Stephen M., 83n Whitman, Anne, 148n Wick, Claudia, 86n Willis, James, 108n Wilson, Alice E., 136n, 139n Wilson, Catherine, 98n, 178n Wilson, Nigel G., 178n Wind, Edgar, 139n Winkler, John J., 84 e n, 92
Wo¨hrle, Georg, 14n Wolff, E´tienne, 193n Wolff, Karl, 110 e n, 111, 112n Yamalidou, Maria, 221n Yourcenar, Marguerite, 33n Zanichelli, Cesare, 191n Zeno, Pier Caterino, 204n Zenone di Sidonio, 1, 2, 3n, 4, 7 e n, 8 e n Ziosi, Antonio, 27n Zissos, Andrew, 69n, 72n Zosimo, 121
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INDICE
MARCO BERETTA – FRANCESCO CITTI, Premessa . . . . . . . . . . . . Pag.
V
ANNA ANGELI – TIZIANO DORANDI, Gli Epicurei e la geometria. Un progetto di geometria antieuclidea nel Giardino di Epicuro? . .
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1
LISA PIAZZI, Atomismo e polemica filosofica: Lucrezio e i Presocratici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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11
IVANO DIONIGI, Lucretius, or the Grammar of the Cosmos . . . . .
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27
GIOVANNI
PASQUALE, Il concetto di machina mundi in Lucrezio
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35
ELISA ROMANO, Tempo della storia, tempo della scienza: innovazione e progresso in Lucrezio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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51
PHILIP HARDIE, Lucretian multiple explanations and their reception in Latin didactic and epic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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69
FRANCESCO CITTI, Pierio recubans Lucretius antro: sulla fortuna umanistica di Lucrezio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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97
MICHELE CAMEROTA, Galileo, Lucrezio e l’atomismo . . . . . . . . .
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141
MARCO BERETTA, Gli scienziati e l’edizione del De rerum natura .
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177
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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225
DI
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CITTA` DI CASTELLO
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PG
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI OTTOBRE 2008