La vera scienza. Natura e modelli operativi della prassi scientifica


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La vera scienza. Natura e modelli operativi della prassi scientifica

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A Joan, Nel cuore, nell'anima e nello spirito

Prefazione

I semi di questo libro furono gettati quarant'anni fa, epoca in cui ero affascinato dalla scienza e sedotto dalla filosofia. Mi sembravano fatte l'una per l'altra - e per me. Man mano che approfondivo la mia conoscenza scientifica, mi resi conto però che i filosofi non raccontavano la scienza come realmente è. Poi, all'incirca nel 1959, mi venne chiesto di recensire 1A conoscenza personale1 di Michael Polanyi e 1A logica della scoperta scientifica2 di Karl Popper. Ognuno di questi importanti libri afferma cose rilevanti sulla scienza, ma in entrambi notai una gran quantità di lacune. Che ne era della rete di lezioni, conferenze, esami, seminari, colloqui, articoli, citazioni, libri, resoconti di «referee», consultazioni private, appuntamenti, premi, ecc. di cui la mia vita come scienziato era intessuta? Di sicuro, tutto ciò doveva avere una qualche influenza sul lavoro che stavo facendo. Così, nelle interviste radiofoniche e nei miei articoli iniziai a sostenere strane cose, del tipo «la scienza è sociale» e «la ricerca è una professione»3 • Erano parole avventate per un giovane aspirante fisico senza credenziali ufficiali né in filosofia né in sociologia. Nondimeno, l'eterodossia fu tollerata e la mia carriera accademica prosperò. Anche i libri nei quali ho sviluppato questo tema - Public knowledge4, Reliable Knowledge' e An lntroduction to science studies6 - furono accolti con favore, e sono tuttora letti e citati. In realtà, molte delle nozioni che germinarono in quei libri sono state da allora piantate in modo più formale da altri studiosi, e proprio come avevo previsto, la sociologia ha preso il posto della filosofia nel cuore teorico degli «studi sulla scienza». 7

La rivoluzione metascientifica ha certamente dischiuso la scien-

za a una pili ampia e approfondita indagine delle sue dinamiche, ma lo spirito con cui questa indagine è stata condotta ha in realtà allargato il dì\'ario fra coloro che fanno scienza e coloro che ne osservano l'nttivìtì\. Per di più, come ho sottolineato in dettaglio in Promethe11s bo111uf' e Of 011e 111i11d8, In scienza stessa sta mutando rapidamente come professione e come istituzione. Che cosa sta accadendo? Dove ci stiamo dirigendo? Ora pili che mai, gli scienziati, gli utenti della scienza e gli spettatori della scienza necessitano di una chiara visione di come effettivamente funziona e di ciò che può effettivamente fare. Ma proprio quando dovrebbero ricevere comunicazioni accessibili e ben informate dai loro colleghi metascienziati, si vedono offrire poco pili che dubbio e decostruzione. Mi sembra, ciononostante, che un modello dì scienza molto più solido e robusto possa essere individuato e messo a fuoco a partire dal confuso ronzio dei moderni studi sulla scienza. Che cosa posso dunque fare ora per portare alla luce questo modello, per aiutare la scienza a capire se stessa? In conclusione, siamo di nuovo alle prese con la stessa domanda fondamentale: si deve credere nella scienza - e se sì, in quale accezione? Questa domanda è molto più sottile di quanto solitamente sembri. Nonostante le loro fatiche, i filosofi non sono riusciti a individuare un semplice principio generalmente condiviso su cui fondare saldamente la fiducia nella scienza. Ma le critiche sociologiche sono vacue senza riferimento ai contesti specifici che ospitano e producono convinzioni e credenze. Quando dico che la scienza è sociale, intendo affermare che questo contesto include l'intera rete di pratiche sociali ed epistemiche entro la quale le credenze scientifiche di fatto emergono e sono alimentate. Il problema è che questa rete non è retta da alcun singolo principiò o «principe». Per apprezzare il significato della conoscenza scientifica, si dovrebbe intendere la natura della scienza come un tuno complesso. Ecco perché ho deciso, circa cinque anni fa, di ricominciare a scavare e lavorare sistematicamente sull'argomento. Come in tuni i miei scritti sulla scienza, volevo mostrare che questo tema non necessitava di una grande conoscenza scientifica in quanto tale, ma poteva essere presentato in termini assolutamente chiari nel linguaggio quotidiano del lettore comune. La linea argomentativa di questo libro è articolata e si sofferma su molti

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differenti aspetti del mondo accademico, ma non è in alcun caso tecnica o circonvoluta dal punto di vista intellettuale. Volevo altresl mostrare che questa linea di ragionamento non è più una fantasia personale. Il resoconto naturalistico della scienza che presenterò in questo libro è accettato - almeno tacitamente - da numerosi studiosi di fama. Ciò appare chiaro dall'entità della bibliografia, benché quest'ultima non abbia la pretesa di esaurire l'intera letteratura tradizionale metascientifica. In verità, questo libro non raggiungerebbe mai una conclusione se dovessi esporre e /o confutare tutto ciò che è stato scritto sulla natura della scienza, e che appare per lo più irrilevante o tangente al mio tema principale. Ma questa scelta mi ha lasciato con un problema pratico. Desiderando esprimere i miei pensieri con le mie parole, in che modo allora queste dovevano essere messe in relazione con le parole e i pensieri di cosl tanti altri autori? Un mosaico di citazioni testuali avrebbe immensamente appesantito la lettura, e anche la pratica diffusa fra gli studiosi di citare ogni autore per nome ali' interno del testo - per esempio, «Come Tadpole & Taper (1843) hanno mostrato (vedi anche Disraeli 1844)... » - avrebbe interferito con il flusso di idee, e respinto i lettori non accademici a cui questo libro è principalmente indirizzato. D'altra parte, la pigra abitudine di menzionare per nome solo alcuni dei «soliti sospetti» - Karl Popper, Thomas Kuhn, Robert Merton, Donald Campbell, e così via non rende giustizia ai molti studiosi meno noti le cui idee non furono meno percettive e originali nella loro epoca. Ossia, per· dirla in altro modo, ciò che in realtà conta è l'idea stessa, non se questa sia comunemente associata a qualche nome famoso. Ciò che ho fatto, quindi, è stato indicare l'insieme di queste correlazioni nel testo principale mediante discreti apici facenti riferimento a note suddivise per capitolo e riportate in calce al libro. Per evitare di appesantire queste note con esplicite informazioni bibliografiche, tendenzialmente molto ripetitive e di difficile consultazione, ho scelto di compattare la bibliografia in un esauriente elenco di riferimenti in ordine alfabetico, direttamente accessibile a partire dalle note mediante il nome dell'autore e la data. Per di più, poiché ad ogni voce in questo elenco è associato un riferimento che rimanda indietro alle varie note in cui è citata, la bibliografia funziona anche come indice dei nomi per il libro nel suo complesso. 9

Ma cos'altro dovrebbero contenere queste note, oltre a tali indicatori bibliografici? In linea di principio, sono tollerante in questo senso. e ho sempre amato leggere (e persino comporre) tutti gli addenda. qualificnnda. divertenda, dectraenda, joculanda, ecc., con i quali un libro un po'indigesto può essere reso più appetibile. In pratica, tuttavia, l'utilizzo delle note spesso e volentieri sfugge di mano: le note a piè di pagina ingombrano la pagina stampata, e le note a fine capitolo sono fuori contesto. Una più austera tradizione accademica limiterebbe le note alla loro evidente funzione di correlare i contenuti delle opere citate al punto esatto del testo in cui vengono citate. Così, oltre a registrare priorità intellettuali, do,Tebbero dare al lettore un'indicazione dell'atteggiamento dell'autore citato riguardo al punto in questione, sia esso di accordo entusiastico, accettazione con riserva o categorica opposizione. Ma come ho tristemente osservato quando il mio lavoro è stato citato da altri, ciò raramente può essere fatto in modo accurato o equo in poche parole. Supponiamo, per esempio, che voglia citare Kuhn (1963) a proposito dei «paradigmi». D'accordo, Kuhn dovrebbe vedersi certamente attribuito il merito di aver formulato per primo questo prezioso concetto - ma intendeva esattamente quello che in questo momento sto proponendo? Non dovrei almeno accennare a una qualche diversa sfumatura mediante una citazione testuale? E che dire poi delle sue successive repliche all'insieme dei saggi critici di cui ha stimolato la produzione? In che modo altri studiosi hanno interpretato questo concetto - e così via? Prima ancora di sapere a che punto sei, la tua nota è diventata un piccolo saggio. Se adotti la stessa scrupolosità per centinaia di altri autori ugualmente prestigiosi, il tuo libro sarà di nuovo sommerso di note. Presentare i rimandi in nota in modo soddisfacente è un problema complesso in un libro non accademico. Così, ho tagliato il nodo gordiano, e incluso nelle note null'altro che i formali riferimenti bibliografici. Questi potrebbero far riferimento tanto a un saggio apologetico quanto a un'antitetica divagazione, ma indicano almeno una correlazione, una certa congruenza di interessi, un segno di riconoscimento per un pellegrino in cammino attraverso la foresta, un invito ad approfondire il discorso su un tema di reciproco interesse intellettuale. Gli accademici non perdoneranno mai, naturalmente, la violazione di questa solida prassi attuale, ma 10

coloro ai quali il libro è effettivamente rivolto mi saranno forse grati per tutte quelle pagine non scritte che non hanno dovuto comperare o fingere di leggere. Per concludere, sento l'obbligo di esprimere la mia gratitudine a tutte le amabili persone che hanno contribuito alla creazione di questo libro, ahimè troppo numerose per essere elencate una per una. Come ho detto, ho iniziato a pensare e ad affrontare questi argomenti anni fa, e ne ho discusso personalmente, sotto i più svariati punti di vista, con moltissimi studiosi animati da simili interessi. In realtà, questo elenco includerebbe circa la metà degli autori che ho citato nella bibliografia - benché sospetti che alcuni di essi non sarebbero lieti di sapere che mi hanno davvero aiutato a portare queste idee alla luce! Lasciatemi dire soltanto «Grazie a tutti!» per la disponibilità, convivialità, collegialità e sincera amicizia che hanno favorito quelle innumerevoli conversazioni e comunicazioni. Oaldey, Agosto 1998

John Ziman

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Capitolo primo

Una istituzione peculiare

1.1. Difendere una leggenda La scienza è sono attacco: la gente sta perdendo fiducia nei suoi poteri, le credenze pseudo-scientifiche prosperano, oratori anti-scientifici hanno la meglio nei dibattiti pubblici, l'industria fa un uso improprio della tecnologia, i legislatori mettono il morso agli esperimenti, i governi tagliano i fondi per la ricerca. Persino gli studiosi stanno diventando scettici riguardo ai suoi annunci 1• Eppure, i sondaggi d'opinione riferiscono regolarmente di vaste maggioranze a suo favore, l'istruzione scientifica si diffonde a tutti i livelli, scrittori e presentatori radiotelevisivi arricchiscono la comprensione pubblica della scienza. Eccitanti scoperte e utili invenzioni provengono dai laboratori di ricerca, imponenti strumenti di ricerca sono costruiti col denaro pubblico, e la scienza non è mai stata cosi popolare e influente. Questa non è una contraddizione. La scienza è sempre stata sotto attacco: è ancora una novizia per vaste aree della nostra cultura. Man mano che si diffonde e si radica sempre più profondamente, va a toccare ambiti dove la sua competenza è più incerta, e presta quindi il fianco a critiche fondate, poiché le pretese scoperte scientifiche sono spesso altamente discutibili. Un acceso dibattito su alcune particolari questioni non è tuttavia sintomo di malattia, e significa piuttosto salute mentale e vigore morale. Una generale ostilità alla «scienza» è un altro paio di maniche. Alla lettera, sarebbe altrettanto priva di senso dell •ostilità alla 13

«legge» o nll' «ane», o persino alla «vita» stessa. Un simile atteggiamento di fotto indica che certe caratteristiche generali della scienza sono considernte discutibili in teoria, o inaccettabili in pratica. Queste caratteristiche sono ritenute cosi fondamentali che la scienza in quanto tale viene rifiutata in fnvore di alcuni altri sistemi presumibilmente olistici. Gli argomenti che favoriscono atteggiamenti «anti-scientifici» sono spesso devianti, fonte di fraintendimenti e possono diventare dnnnosi. ciononostante hnnno un peso sorprendente nella società in generale. Quelli di noi che non condividono questi atteggiamenti hanno il dovere di combatterli: ma su quali basi la scienza dovrebbe essere difesa? Molti sostenitori della scienza mettono semplicemente in discussione le varie obiezioni puntuali avanzate dalle numerose scuole di anti-scienza. Nel far questo, tuttavia, assumono solitamente che le caratteristiche generali sotto accusa siano, in verità, essenziali per la scienza. Possono riconoscere, per esempio, che la conoscenza scientifica è arcana ed elitaria, e poi cercare di mostrare che ciò non rappresenta necessariamente un serio svantaggio nella pratica2• Il pericolo di questo tipo di difesa è che accetta in maniera acritica un'analisi che può essere profondamente sbagliata. In molti casi, la caratteristica opinabile è a torto attribuita alla «scienza», o tutt'altro che essenziale per quest'ultima. Una difesa accanita di ogni caratteristica della «Leggenda» 3 - lo stereotipo della scienza che idealizza ogni suo aspetto - è tanto dannoso quanto l'attacco che presume di schivare.

1.2. Scienza: cos'è e come opera Alla lunga, la scienza deve sopravvivere grazie ai suoi meriti e deve essere tenuta cara per quello che è, e ciò che può fare. La base morale della difesa della scienza deve essere una chiara comprensione della sua natura e delle sue possibilità. Forse qualcuno ha pensato che questa comprensione fosse già largamente condivisa, soprattutto fra gli scienziati. Purtroppo, le cose non stanno così. La maggior parte di coloro che hanno riflettuto sulla questione sono consapevoli che l'idea di un «metodo» intellettuale infallibile è solo una leggenda. Leggenda ridotta a un colabrodo, ma

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quelli non sanno come ripararla o sostituirla, hanno molti dubbi sulle certezze del passato, ma anche una grande incertezza riguardo a ciò in cui ora dovrebbero credere. Una «teoria della scienza»4 più aggiornata e convincente è necessaria per svariate altre ragioni. Il posto che la scienza occupa nella società non è soltanto questione di gusti personali o tradizione culturale: è una voce nel bilancio nazionale, poiché esistono crescenti tensioni nelle relazioni fra la scienza e altre forme di conoscenza e prassi, come la tecnologia, la medicina, la legge e la politica. Agli scienziati, gli studenti chiedono se la preparazione che viene loro impartita è in vista di una vocazione o di una professione. Ci si aspetta che la gente prenda decisioni razionali che derivano dinamicamente da mutamenti radicali nel modo in cui la scienza è organizzata e attuata. Le incertezze e la confusione non sono state dissolte dai sociologi che hanno preso il posto dei filosofi al cuore degli «studi sulla scienza». Al contrario, le svariate scuole di «relativismo» e «costruttivismo» sociologico emerse negli ultimi vent'anni5 sembrano spesso essere ostili alla scienza, e impazienti di disprezzarne le capacità. Nella loro frenesia di mettere in mostra le aspirazioni della scienza all'obiettività e alla verità, esagerano le genuine incertezze e perplessità della ricerca scientifica6, e diffondono uno stereotipo ugualmente falso e dannoso di cinismo e dubbio pervasivi. Nonostante ribadiscano ripetutamente che anch'esse amano la scienza e non mettono di fatto in discussione nella pratica i suoi enunciati, rafforzano gli studiosi di scienze naturali nella loro sfiducia verso le scienze sociali, e sembrano spesso allearsi con un populismo antiscientifico. Occorre sottolineare, tuttavia, che questa posizione scettica non permane incontestata nel mondo degli studi sulla scienza. Molti metascienziati - cioè filosofi, sociologi, esperti di scienze politiche, economisti, antropologi e altri studiosi che analizzano la scienza considerandola un'attività umana - hanno evidenziato la fragilità di tale atteggiamento. Cercano di capire quale percezione gli scienziati abbiano della propria attività quando si dedicano alla ricerca e quanto peso dovrebbe essere dato ai loro risultati. Sono interessati ad analizzare come lavorano gli scienziati, sia in gruppo che singolarmente, e come ciò influenza le loro scoperte. Forse non accettano la conoscenza scientifica come assolutamente vera 15

e reale, ma la considerano un peculiare prodotto umano meritevole di uno studio speciale. Queste spedizioni nel cuore ignoto della scienza si diramano in tutte le direzioni'. I metascienziati fanno le loro osservazioni sulla scona di strumenti intellettuali di molte e diverse discipline, e analiuano ciò che vedono su molti e diversificati piani d'indagine. Lo studio di ognuno dì questi aspetti è diventato di diritto un argomento specialistico di ricerca, con risultati che sono spesso scarsamente comprensibili al dì fuori dì quella specialità. Le informazioni a nostra disposizione sulla scienza sono oggi molto più numerose e possono essere riunite in un'immagine esauriente e coerente. Il pluralismo metascientifico rappresenta un accono passo indietro rispetto ai tentativi eccessivamente ambiziosi di racchiudere una complessa impresa umana in un'unica formula. I numerosi attuali resoconti della scienza non sono tuttavia scorrelati gli uni dagli alni, ma iniziano con l'esplorare Io stesso gruppo di idee, attività ed istituzioni, e spesso si ritrovano con scoperte affini. In ogni caso - questo è il modo in cui lavorano gli studiosi - tendono a imprimere un personale effetto di interpretazione a queste scoperte, anche se spesso si scopre che il racconto narrato da viaggiatori che si mettono in viaggio con scopi intellettuali molto difformi è essenzialmente lo stesso•. Queste scoperte sono coerenti con una visione complessiva relativamente semplice, in prima approssimazione, di ciò che la scienza è e fa. Di fatto, una dimensione sociologica viene introdotta non tanto per rimpiazzare la tradizionale dimensione filosofica, quanto per ampliarla. Le idee sono viste sia come elementi culturali che come entità cognitive. I singoli atti di osservazione e spiegazione acquistano significato scientifico grazie a processi collettivi di comunicazione e critica generale9• Il concetto di «metodo» scientifico esce dunque dai confini del laboratorio per interessare un'ampia gamma di prassi sociali. E così via. Questa nuova immagine della scienza è in un certo senso più complicata dello stereotipo fuori moda. Non è cosi rigidamente definita, non rivendica una competenza assoluta, considera la conoscenza umana come un prodotto del mondo naturale, non ha la pretesa di essere immune ad uno scetticismo o un cinismo assoluti, esige maggiore modestia e tolleranza di quelle che gli scienziati hanno solitamente riservato a se stessi e alla loro attività. Fornisce

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però una solida difesa intellettuale e morale della scienza al livello delle questioni umane ordinarie - là dove nulla è assoluto o eterno, benché dimentichiamo spesso che la vita è breve, e ripensiamo con passione a tempi passati che non abbiamo vissuto di persona, o facciamo coscienziosamente progetti per il futuro benessere di persone che mai conosceremo.

1.3. Una peculiare istituzione sociale L'aspetto più tangibile della scienza è eh~_ s!__~a~~!.?_na jstituzione sociale, che coinvolge grandi numeri di particolari perso~e _le q-~a!f ·es~g!!~