Lettera agli Ateniesi 9788838936371

"Ha senso riproporre oggi l'opera dell'imperatore Giuliano dai cristiani detto «l'apostata »? Lo scr

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Lettera agli Ateniesi
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Giuliano Imperatore

Lettera agli Ateniesi

Sellerio editore Palermo

Giuliano Imperatore

Lettera agli Ateniesi

a cura di Paolo Fai con una nota di Luciano Canfora testo greco a fronte

Sellerio editore Palermo

2017 © Sellerio editore via Enzo ed Elvira Sellerio 50 Palermo e-mail: [email protected] www.sellerio.it

Questo volume è stato stampato su carta Grifo vergata prodotta dalle Cartiere di Fabriano con materie prime provenienti da gestione forestale sostenibile.

lulianus, Flavius Claudius Lettera agli Ateniesi l Giuliano Imperatore ; a cura di Paolo Fai ; con una nota di Luciano Canfora ; testo greco a fronte. - Palermo : Sellerio, 2017. (La città antica l collana di retta da Luciano Canfora; 35) EAN 978-88-389-3637-1 I. Fai, Paolo. SBN Pal0295795 885.01 CDD-23 CIP - Bzblioteca centrale della Regione siciliana «Alberto Bombace»

Titolo originale: AEJHNAJQN THI BOYJ1HI KAI TQI L1HMQJ Traduzione di Paolo Fai

Indice

Lungimiranza di Giuliano di Luciano Canfora Introduzione di Paolo Fai

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Lettera agli Ateniesi IOYAIANOY ATIOKPATOPOI: A8HNAION THI BOYAHI KAI TOI �HMOI

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Giuliano Al Senato e al Popolo di Atene

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No�

79

Apparato

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Lungimiranza di Giuliano di Luciano Canfora

Ha senso ripropmTe oggi l'opera dell'imperatore Giuliano dai cristiani detto «l'apostata»? Lo scritto di lui che qui presentia­ mo è il suo manifesto programmatico diramato al momento della presa del potere dopo che l'esercito aveva 'liquidato ' il suo predecessore nonché congiunto, Costanzo II (autunno 361 d. C.). Nello spirito del suo vagheggiamento dell'antica cultura greca, Giuliano sceglie di indirizzarsi ad alcune città greche, simbolo di un glorioso passato remotissimo ma a suo modo tut­ tora vivente: Atene, Sparla, Corinto (Zosimo, III, 10, 4). Atene aveva ancora le sue istituzioni plurisecolari, «il Consiglio (Boulé) e l'assemblea popolare», che funzionavano senza avere più il senso e il peso che avevano secoli prima. Ma era pur sem­ pre un luogo di cultura significativo: se, due secoli dopo Giu­ liano, Giustiniano sentirà il bisogno - nel suo rigido dogmati­ smo -di chiudere la scuola neoplatonica di Atene, ciò vuoi di­ re che essa significava qualcosa, qualcosa di disturbante per il cristianissimo marito della non meno devota Teodora. Per imperatori di molto anteriori a Giuliano, da Nerone ad Adriano, indirizzare messaggi alle città simbolo del mondo greco era stata una prassi ovvia e autogratificante. Per Giulia­ no si tratta di un gesto polemico verso il dilagante predominio cristiano� dall'amministrazione alla religiosità pubblica, alla scuola. E evidente che l'obiettivo di queste lettere alle anti­ che città greche è quello di giustificare la propria azione poli­ tica e militare (in sostanza un ammutinamento divenuto col­ po di Stato), ma raccontar/o a quelle tre città greche era di per

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sé una scelta ideologica: rilanciare quel passato glorioso di per sé antitetico (nella mente di Giuliano) rispetto alla incom­ bente minaccia cristiana di fare tabula rasa di quel passato. Delle lettere ufficiali inviate alle città greche ci è giunta quel­ la agli Ateniesi: forse la più significativa e la più elaborata. Ma possiamo supporre che almeno in parte (/atti salvi alcuni elementi specifici) il testo fosse, nella sostanza, il medesimo; e che perciò se ne sia salvata solo una -quella agli Ateniesi nella molto ordinata raccolta degli opuscoli di Giuliano. Dicevamo di questa ampia raccolta superstite, un vero e pro­ prio corpus, dell'opera di Giuliano: probabilmente ordinato da lui stesso, secondo una intuizione che fu di Carlo Ferdinan­ do Russo («Belfagor» 1966). Tutto sembra essersi salvato, tranne lo scritto polemico Contro i cristiani che conosciamo in frammenti perché Cirillo, il terribile vescovo di Alessandria, gli destinò una violenta replica ricca di citazioni dal testo preso di mira. La distruzione degli scritti Contro i cristiani (per esempio quelli di Celso e di Por/irio, oltre che di Giuliano) fu decisa dall'autorità imperiale - ne è chiara l'indicazione nel codice teodosiano -; non fu distrutta invece la restante opera di Giuliano, giuntaci di fatto intera, evidentemente perché un fi­ lone filelleno, magari opportunisticamente pronto ad una este­ riore adesione al cristianesimo ma geloso tutore della tradizione sua propria, non s'è mai estinto. Ed è notevole che ciò abbia comportato la salvezza anche di opere come il Misopogon o la prolissa satira Cesari che culmina in un finale duramente e sprezzantemente anticristiano. Del resto un vescovo colto e ap­ passionato di classici, come Areta di Cesarea (X secolo), legge attentamente Luciano di Samosata, magari lo insulta (negli scolii marginali che si sono conservati) come scettico, raziona­ lista e anticristiano, ma ha contribuito a salvame l'opera. Era anche questo un modo tortuoso di essere file/leni. Dunque Giuliano, quantunque l'opera sua sia stata amputata del trattato più esplicito e battagliero, si pone ancora oggi di

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fronte a noi come artefice di un grande tentativo di /reno al­ l' ondata vincente della «nuova fede». Proprio per questo Giuliano è considerato per lo più (a parte celebri estimatori come Voltaire) un sognatore anacronistico, invaghito di un passato ormai sepolto né più recuperabile. Si perde, così, l'aspetto più importante: la rivendicazione, da parte di Giuliano, di un valore che, col trionfo del cristiane­ simo, andrà perdendosi e che il cristianesimo stesso rivendica­ va quando era perseguitato: la tolleranza. E troppo facile obiettare che Giuliano 'scopre' la tolleranza perché è in posi­ zione di debolezza. Ma sarebbe osservazione generica e ap­ propriata a tante altre situazioni conflittuali ricorrenti nel corso della storia, e dunque poco utile. Il vero errore di valutazione di Giuliano non fu di illudersi su di una eventuale rinascita del tradizionale culto degli dei. Fu il non aver capito che il cristianesimo si stava ormai esso stes­ so paganizzando, sia pure a prezzo di una banalizzazione del­ la cultura antica; nel che risiedeva la sua maggiore chance di successo presso le masse. Il cristianesimo vinceva presso i ceti alti rivestendosi a suo modo di pensiero greco, soprattutto neoplatonizzante quando non «ermetico», e presso i ceti po­ polari riproponendo a piene mani la superstizione, i culti spe­ cifici di tantissime 'divinità minori' (i santi), il profluvio di entità «intermedie» (gli 'angeli'), nonché la antichissima de­ vozione per una nuova Magna Mater. Nella storia finora co­ nosciuta, nessuna rivoluzione ha prevalso e lasciato traccia se non adattandosi alla forza irresistibile della continuità.

LUCIANO CANFORA

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Introduzione di Paolo Fai

l. Che il IV secolo d.C. abbia costituito, nella storia del­ l'umanità, una svolta epocale, una cesura rispetto ai secoli precedenti, nessuno tra gli studiosi e gli uomini di cultura osa metterlo in discussione. Fu infatti lungo quei cento an­ ni che si attuò, in tre tempi, la più duratura rivoluzione fi­ nora conosciuta, almeno nel mondo occidentale, greco-ro­ mano . 1 Prima, la religione del Dio uno e trino, del mono­ teismo trinitario (che, in sé, è un bell'ossimoro), la religio­ ne il cui profeta era stato il galileo Gesù Cristo, morto in croce, ai tempi di Tiberio, fra il 3 0 e il 33 e. v., in virtù del­ l'Editto di Milano, 2 promulgato dagli imperatori Costanti1 (H. Bloch, La rinascita pagana in Occi· dente alla fine del secolo IV, in Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, a c. di A. Momigliano, Einaudi, Torino 1968 [1975], p. 201). 2 Nel febbraio 313 Costantino >: Giuliano, ep. 1 14, 438b (195, 13-15 Bi­ dez). E, nel breve ma incisivo ritratto che ne schizzò nel suo Breviario X 16, 3 lo storico Eutropio, suo ammiratore, che aveva partecipato alla spe­ dizione contro i Parti, Giuliano risulta sl , severo persecutore della

religione cristiana, ma tuttavia non fino ad arrivare allo spargimento di sangue. 17 Goffredo Coppola, La politica religiosa di Giuliano l'Apostata, Edizioni di Ar, 2006, p. 17 . Dell'amnistia generale godette anche Atanasio, il vin­ citore del Concilio di Nicea, poi caduto in disgrazia, il quale poté rientra­ re ad Alessandria.

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tanto si preoccupa della dottrina quanto dei costumi degli insegnanti, e soprattutto afferma il diritto dello Stato di im­ pedire che siano abilitati all'insegnamento uomini che non corrispondono moralmente alla qualità del maestro».18 Era certo un atto ostile ai cristiani, dallo stesso Ammiano, lo storico che di Giuliano subiva il prestigio ideale,19 defi­ nito « tirannico, nel senso che non mai prima di allora lo Stato aveva avocato a sé la cultura ». 2 0 Chiarirà, poi, Giuliano le ragioni del suo editto nell' Epi­ stola 6 1 , quando scriverà che, tra i mores e la facundia, «la differenza consiste in questo, che si può essere abilissimi insegnanti senza però avere le doti di una buona educazio­ ne che è bt.ét8wLv uyu"] vouv ÈXOlJOTlç btavoìaç, armo­ nica fusione delle facoltà intellettive, e, come noi direm­ mo, umanità. Credere una cosa e professarne un'altra, ecco per Giuliano il delitto da punire negli insegnanti cristiani e quindi la necessità di circoscrivere il diritto dell'insegna­ mento ai soli pagani e di abolire la libertà fino ad allora do­ minante nel mondo della cultura» .21 Giuliano lasciava ai cristiani la libertà di insegnare i testi cristiani, di commen­ tarli e di diffonderli, ma, «data l'incessante denigrazione 18

Id., op. cit. , p. 20. A tal segno da non esitare a definire Giuliano > (Valentina Caruso, in , Anno 2015, fase. 1-2, p. 81). «Nel primo, del 356-7, al di là degli elogi propri di una pubblica cerimonia, Giuliano vede nell'imperatore colui che sa pratica­ re la clemenza, la magnanimità, il disinteresse. Nel secondo, scritto due an­ ni dopo, Giuliano enuncia il suo manifesto di 'regalità filosofica', che vede nobile e libero solo il saggio; il re, "sacerdote e profeta", deve rimanere fe­ dele al culto stabilito dalla legge, deve "fissare lo sguardo sul re degli dei" >> (L. E. Rossi, Letteratura greca, Le Monnier 1995, p. 782). Sindrome di Stoc­ colma o pura e semplice adulazione? O che altro?

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1 1 8C, D, ribadirà che « da allora non cessò mai di conside­ rare suoi giorni migliori quelli vissuti nella patria di Socra­ te, in mezzo a uno stuolo di giovani assetati di conoscenza, con la barba intonsa e il mantello del filosofo ».33 Pur costretto da Costanzo a subire un'educazione cristia­ na34 (allontanato da Costantinopoli, fece i primi studi a Ni­ comedia, sotto la direzione del vescovo ariano Eusebio, e poi a Macellum, in Cappadocia, dove ebbe il vero pedagogo in Mardonio, che guidò il ragazzo nella lettura canonica dei testi classici), Giuliano aveva avvertito lo studio degli auto­ ri antichi non come vacuo esercizio di retorica, né come ini­ ziazione alla dimensione estetica. «> (p. 39). E, nella nota 6, Kojéve aggiunge: (Riccardo Di Giuseppe in Premessa a Salustio, Sugli dèi e il mondo, Adelphi 2000, pp. 34-35 passim) . " Fu, come Massimo, uno dei "direttori spirituali" (Bidez) di Giuliano. Fu da lui chiamato in Gallia e fu partecipe dei suoi arcana religiosi. Forse fu lui il vero iniziatore di Giuliano alla teosofi� di Giamblico. Nel raccon· to ammianeo dell' exitus di Giuliano, l'imperatore morente è descritto, co· me Socrate, come Seneca, , che con i filoso/i Massimo e Pri­ sco disputava profondamente sulla nobiltà dell'animo (Ammiano, XXV, 3, 23, trad. di A. Selem). Ma Socrate, nel Fedone platonico, e Seneca, negli Annali di Tacito, sono i maestri che, in punto di morte, consolano amici e discepoli. In Ammiano, è il discepolo che non consola, ma rimprovera i maestri e gli amici in lacrime (Id., XXV 3, 22). L'avverbio perplexius indica più oscurità che profondità, ma, pur perplesso, ho lasciato la traduzione di Selem (ma, forse, andrebbe tradotto meglio con minuziosamente).

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'riformate' su filosofia e retorica, due discipline considera­ te il nucleo essenziale dell'educazione classica e avvertite come contrassegno identitaria dei valori del paganesimo. Si capisce, allora, l'accanimento dei cristiani contro l'impe­ ratore che non si era rassegnato alla fine degli dèi pagani e aveva lottato contro l'annuncio, riportato da Plutarco nell" operetta morale' De defectu oraculorum, che "il grande Pan è morto" ,46 rivendicandone anzi la vitalità e, special­ mente, la "razionalità " , rispetto alla dottrina cristiana che, 46

A questo riguardo, non sarà senza significato che l'ultimo imperatore a inviare un messo per consultare l'oracolo di D elfi fu proprio Giuliano, nel 362. Egli, ai responsi di Apollo Lossia, ci credeva ancora. Diversamente dal solito, non era affatto ambiguo il "segno" che quella profezia, che fu l'ultima, la malandata Pizia rivelò: «Annuncia al re che la bella dimora è crollata, e Apollo non ha più un tetto, l'alloro sacro è appassito, le sorgen­ ti e i ruscelli profetici tacciono per sempre». Come lo interpretò Giulia­ no? Non è dato saperlo. Eppure quel 'segno' era di facile lettura: gli preannunciava, prima che il crollo definitivo del paganesimo, la disfatta imminente del suo breve regno. Da li a qualche mese, infatti, Giuliano sa­ rebbe morto, il 26 giugno 363, presso Maranga, nella Mesopotamia cen­ trale (hostili manu inteifectus est VI Kal. Iul. , Eutropio, Breviario, X, 16, 2), in quella spedizione militare contro i Parti di Sapore II che, in caso di vittoria, gli avrebbe dato gloria maggiore del suo idolo Alessandro Magno. Su quella spedizione, funesta per Giuliano, sappiamo da Ammiano che «fu costituito un regolare ufficio di aruspici ed auguri che doveva assiste­ re Giuliano, accompagnandolo lungo la spedizione [partica]; ma poiché in scienze cosi arcane esistevano varie scuole o correnti, si fece liberamente posto un po' a tutte. Pare che i gruppi principali fossero due, gli aruspici 'etruschi' che seguivano le tradizioni italiche, e i 'filosofi' come li chiama Ammiano (XXIII 5, 1 0- 1 1), che andavano più volentieri appresso alle norme caldaiche e teurgiche . . . Fra le due scuole pare che sorgessero fre­ quenti contrasti, e allora Giuliano nella sua convinzione di essere l'eletto e fiduciario degli dèi si regolava con assoluta indipendenza da libri e re­ sponsi sacri. Ad esempio, poco prima di iniziare la spedizione, giunsero lettere le quali comunicavano che i libri Sibillini, depositati a Roma, fatti consultare appositamente da Giuliano e la cui autorità era somma, la proi­ bivano apertamente (aperto prohibuisse responso, XXIII l, 7): ma tanta era la fermezza di Giuliano nella sua decisione che intraprese egualmente la spedizione>>. (G. Ricciotti, L'Imperatore Giuliano l'Apostata, Mondadori, Milano 1956, pp. 209 sgg.). Ma quella fermezza gli fu fatale.

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invece, gli appariva « sommamente irrazionale » (Mazzari­ no), specie in merito al «Logo incarnato (sarkotheìs) del 4° Vangelo » (Mazzarino).47 Ma è proprio cosl radicale la differenza tra cristianesimo e "giulianismo" ? Secondo Luciano Canfora, che riprende un giudizio di E. Gibbon, no. Gibbon, infatti, in una « si­ gnificativa pagina» della sua Storia del declino e caduta del­ l'impero romano, «pone l'accento su di una non trascura­ bile affinità tra Giuliano e i suoi avversari: affinità nella credenza " superstiziosa"48 che, per entrambi, si mescola a un credo filosofico. Ma l'affinità - soggiunge Canfora potrebbe estendersi, a ben vedere, anche alla stessa base filosofica, cosl simile nonostante la contrapposizione fron­ tale. Contrapposizione che è accentuata dalla immagine dell'avversario che i contendenti si scagliano addosso. Giuliano [ . . . ] dà dei suoi avversari la rozza immagine dei " Galilei" ignoranti e rissosi e volutamente rimuove la loro graduale assimilazione ' filosofica ' al pensiero greco: allo stesso modo che i suoi avversari danno di lui una superfi­ ciale immagine di ostinato adoratore di idoli e non si dan­ no, certo, pensiero di affrontare le sue effettive vedute sincretistiche e, al fondo, monoteistiche, incentrate sul culto solare ». 49 Il paganesimo di Giuliano non fu dunque un puro ritorno alle divinità olimpiche, ma fu complicato da misteriosofia ed esoterismo, magia e divinazionè (cui era nimium dedi­ tus, attesta Ammiano), almeno quanto alle dottrine. Sul piano pratico, invece, «il pluralismo religioso ha un con47

G. Giannelli-S. Mazzarino, Trattato di storia romana, vol. II, L'impero romano, a c. di S. Mazzarino, Tumminelli, Roma 1962, p. 466.

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Del resto, lo stesso Ammiano, che lo conosceva bene (fu alto ufficiale nel· la spedizione partica) e che non giudica da moralista, ma valutando i fatti, lo definl «Superstitiosus magis quam sacrorum legitimus observaton>, più superstizioso che osservante sincero delle disposizioni religiose (XXV 4, 1 7). 49 L. Canfora, op. cit. , p. 630.

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creto significato politico, ben presente alla mente di Giu­ liano: convogliare intorno al potere imperiale le simpatie degli altri culti, pur sempre vitali: rilancio o rivitalizzazio­ ne dei culti e degli dèi "nazionali" che non risponde solo al convincimento secondo cui uno itinere non potest perve­ niri ad tam grande secretum [Simmaco] ma che mira a to­ gliere spazio al predominio cristiarto instaurato da Costan­ tino e dai suoi eredi immediati. E in questo quadro che Giuliano si volge anche agli Ebrei, ben consapevole, tra l'altro, della particolare (e imbarazzante) connessione op­ positiva che collega i cristiani, anche sul piano dottrinale, alle matrici ebraiche ».50 6. «La tragedia della riforma del Paganesimo [. . . ], dei m8i]­ KWV f.HflTJflaTa, degli scimmiottamenti di Giuliano, come Gregorio di Nazianzo [Orat. IV, 1 12] definisce sprezzante­ mente le riforme religiose dell'odiato avversario,51 è soprat­ tutto in questo, che Giuliano non si accorge che il grandioso sogno politico denunzia la fine del Paganesimo. « Le sue riforme constatano che il Paganesimo morente si adatta da sé ai costumi del Cristianesimo, ne accetta le or­ ganizzazioni, ne ammira la legge. Comincia da ora, quan­ do i cristiani costituiscono ancora una minoranza, la drammatica sostituzione del Cristianesimo al Paganesimo, e l'uno cede all'altro qualcosa di suo. Rovinano i templi degli Dèi, ma le colonne, le pietre, le suppellettili servono ai templi cristiani, i martiri cristiani sono adorati come santi e sostituiscono nel nuovo politeismo gli Dèi spode­ stati, poiché l'immaginazione popolare ripopola la terra e il cielo di una moltitudine di figure animate. Lo stesso ' 0 Id., op. cit., p. 63 1 . " Non solo l a moralizzazione dei sacerdoti pagani, che amavano gozzovi­ gliare e svolgere mestieri turpi e vergognosi (ep. 89, 304B), ma anche il suggerimento (ep. 84. 430C) di un piano di beneficenza, affine a quello che vedeva attuato dalla Chiesa cristiana, con l'istituzione in ogni città di molti ospizi, atti ad accogliere non solo i pagani, ma tutti i bisognosi.

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Giuliano vive la stessa vita di asceta ed ha la stessa ener­ gia di fede che Basilio il Grande, suo contemporaneo >>.52 Ma la specularità tra "giulianesimo" e cristianesimo non spiega la ragione del fallimento della grande illusione giulianea . Se Giuliano non fosse morto nelle sabbie in­ fuocate della lontana Partia e avesse continuato a regna­ re, la sua costruzione avrebbe retto alla sfida dei cristia­ ni ? La storia controfattuale è un esercizio di begli spiriti che non approda a nulla. A Giuliano si deve applicare la frase latina "simul stabunt, simul caden t " : la sua costru­ zione durò finché egli visse; morto lui, quel castello di sabbia si sbriciolò all'istante. Non poteva durare, quel neopaganesimo, perché troppo aristocratico, troppo col­ to, troppo distante dal soddisfare i nuovi bisogni spiri­ tuali delle masse . Giuliano aveva infatti «ripristinato so­ lo gli aspetti formali ed esteriori di un sistema religioso, il politeismo pagano, in cui lo stesso imperatore non cre­ de più, di averlo trasformato in una filosofia, seppure su­ blime e ricca di "poesia " , ma di non averne fatto, come in passato, l'anima vivente degli uomini, il centro del lo­ ro agire e del loro pensiero. Le forme dell'antica religio­ ne sono state, quindi, svuotate del loro contenuto e non dicono più nulla a una "multitude" a cui il misticismo solare, impregnato di neoplatonismo, di Giuliano è del tutto incomprensibile », sicché «la sua riforma politico­ religiosa è stata accolta e compresa solo da un ristretto numero di persone elette>> . 53 Per le folle, per le moltitudini di condizioni sociali molto basse e per lo più illetterate, il messaggio del profeta di Galilea aveva un impatto emotivo immediato per la sem­ plicità delle sue parabole e dei suoi discorsi, che promet­ tevano giustizia e riscatto morale, che aprivano ad una fratellanza universale nel segno dell 'amore. Se è ancora " G. Coppola, op. cit., pp. 23-24. 53 F. Sandrelli, op. cit., pp. 18-20 passim.

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valida l'idea di Gibbon, che « vi è un diretto rapporto tra il trionfo del cristianesimo e la decadenza dell'Impero ro­ mano », si deve pur dire che il cristianesimo non fu solo «una potenza puramente distruttrice », ma « originò un nuovo modo di vita, creò nuovi legami, suggerl nuove am­ bizioni e nuove soddisfazioni »,54 modificando la struttura della società romana. La letteratura cosiddetta alta e i libri di filosofia non sfio­ ravano nemmeno la "gente comune" che in massa si face­ va cristiana. Era, intanto, avvenuta un'altra rivoluzione: il passaggio del libro dalla forma del rotolo (volumen) alla « forma del codice, cioè del libro più solido, più trasporta­ bije, più "povero" . « E in questa forma che i libri dei cristiani, che raccon­ tavano in modo semplice, narrativo e avvincente, i fatti di Gesù e dei martiri sacrificatisi in suo nome, hanno incontrato un pubblico familiare ormai col codice e avi­ do di "storie" . Fu cosl che si venne man mano produ­ cendo una generale trasformazione, una "rivoluzione " , che poggiava sulla diffusione d i u n libro: quello che, ad un certo punto, "canonizzato " , viene definito Nuovo Testamento, ma che opera e si diffonde dapprima e per una lunga fase senza rigidità canoniche . . . L'ironia della storia volle che questa alfabetizzazione, inattesa a dire il vero e legata alla nuova religione, avesse conseguenze radicali, addirittura rivoluzionarie, sulla stabilità socia­ le dell' impero » . 55 Alla luce di queste persuasive osservazioni, si può acquisi­ re come verisimile l'ipotesi, avanzata da Alfred de Vigny ( 1 797- 1 863) nell'incompiuto romanzo Dafne (pubblicato postumo nel 1 9 1 2 ) , sulla fine dell'imperatore Giuliano: «Questi, in sostanza, viene presentato come un visionario " A. Momigliano, Il cristianesimo e la decadenza dell'Impero romano, in Il conflitto etc., cit., p. l O . " L. Canfora, Libro e libertà, Laterza 1994 [2005, d a cui s i cita], p. 73.

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che, visto fallire il suo disegno di restaurazione della reli­ gione pagana, sceglierà una morte in battaglia, equivalen­ te a un suicidio ». 56 P. F. 56 F. SandreUi, op. cit. , pp. 10- 1 1 . Il racconto ammianeo (XXIV 7, 3) ci dice che « Giuliano, spinto sempre dall'avidità di ulteriori successi, tenne in poco conto i consigli di quanti lo sconsigliavano [di inseguire i nemici] e rimproverò i capi dicendo che per l'inerzia ed il desiderio d'ozio lo esor­ tavano a perdere il regno di Persia ormai quasi conquistato» (trad. A. Se­ lem) e, più avanti (XXV, 3), che, « temerariamente e senza lorica, si getta in combattimento per respingere i Persiani incalzanti d'ogni parte, [e] vie­ ne ferito da una lancia>>. Quello che si agitava nella mente e nel cuore di Giuliano in quel suo gesto giudicato temerario da chi lo vide, nessuno sto­ rico mai potrà e saprà dircelo. Sulla morte di Giuliano non c'è certezza di chi sia stato a dargliela. Ammiano (XXV 3, 6) dice che «improvvisamen­ te, non si sa donde provenisse [incertum unde], una lancia della cavalleria [nemica] gli sfiorò il braccio ed attraverso le costole gli si conficcò fra i lo­ bi più bassi del fegato>> (trad. A. Selem). Eutropio, Le. (vedi supra n. 46), dice semplicemente che «hostili manu interfectus est>>, fu ucciso da mano nemica. Libanio, Or. XXIV, 6, invece dice che era stato ucciso da un sol­ dato ausiliario dei Taieni che esegul l'ordine datogli da chi aveva interesse che Giuliano fosse ucciso. Ma, nell'Or. XVIII 275, si era chiesto: «A chi Giuliano non giovava da vivo ? A coloro che vivevano in modo contrario alle leggi, e che da tempo gli tendevano insidie e che tentarono in quel momento il misfatto, offrendosene la possibilità. Li spingeva a ciò la loro ingiustizia - tenuta a freno sotto il regno di lui - e soprattutto il ripristino del culto degli dèi che andava in direzione opposta rispetto alle loro aspi­ razioni>> (L. Canfora, Antologia della lett. , ci t., vol. III, pp. 834-83 7). Gore Vidal, nel romanzo storico Giuliano (1964, ed. ital. Fazi 2003), 'in­ venta' un personaggio, Callisto, domestico personale di Giuliano, cristia­ no, che sempre lo accompagnava. Anche nel momento della sua avventata uscita senza corazza contro i Persiani. Prisco, che, dopo alcuni anni, viene a sapere che Callisto si trova, ricco, a Filippopoli, va a trovarlo, per ap­ prendere dalla sua bocca gli ultimi momenti di Giuliano vivo. Messo alle strette da Prisco, alla fine CaUisto confessa che ad uccidere Giuliano è sta­ to lui, esecutore di una congiura di un alto numero di ufficiali cristiani dell'esercito. Fu lui, CaUisto, a condurre Giuliano, senza corazza, nel bel mezzo della mischia. Ma i Persiani, terrorizzati al solo vederlo, fuggirono: > (pp. 563-564 passim).

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Lettera agli Ateniesi

IOYAIANOY ATIOKPATOPOL: A8HNAION THI BOYAHI KAI TOI llHMOI

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ti di questo genere: «Possa tu avere dei figli come eredi, 49 possa Dio concederti questo e altro, purché tu mi rimandi a casa il più presto possibile ». Sospettavo però che fosse rischioso mandare una lettera alla reggia per la moglie del­ l'imperatore;50 perciò pregai gli dèi di rivelarmi durante la notte se dovessi inviare il mio biglietto all'imperatrice. Gli dèi mi minacciarono una morte assai vergognosa, se glielo avessi inviato. Che io qui sto scrivendo la pura ve­ rità, chiamo a testimoni tutti gli dèi. Mi astenni dunque dall'inviare la lettera. Poi, da quella notte, si fece strada in me un ragionamento, che forse merita di essere ascolta­ to anche da voi. « Ora », mi dissi, «io ho in animo di op­ pormi agli dèi, e m'immagino di provvedere a me stesso meglio di quelli che tutto sanno ?5 1 Eppure l'umana sag­ gezza, che riesce a vedere solo il presente [276], a stento e a mala pena riuscirebbe ad essere infallibile solo per po­ co tempo; per questo motivo non c ' è nessuno che deliberi per eventi che vedranno la luce fra trecento annP2 né per avvenimenti già passati (questa cosa è superflua, l'altra impossibile) , ma per fatti che sono a portata di mano e di cui ci sono già, in qualche modo, gli inizi e i germi. La sag­ gezza degli dèi, invece, che mira molto lontano, anzi su tutto, insegna in modo retto e agisce per il meglio. Infatti, come essi sono artefici delle cose che sono, cosl lo sono anche di quelle che saranno; di conseguenza è naturale che essi abbiano del presente piena conoscenza ». Fin qui, dunque, secondo questa valutazione la seconda delibera­ zione mi sembrava più saggia della precedente;53 poi, con­ siderando la questione dal punto di vista della giustizia, subito54 mi dissi: « Tu ti arrabbi se qualcuno dei tuoi beni materiali vuole privarti dei suoi servizi o se, anche se tu lo richiami, fugge via , che sia un cavallo, una pecora, un bue; e tu, che vuoi essere un uomo, né della massa né della feccia, ma di quelli ragionevoli ed equilibrati, privi gli dèi del tuo servizio e non permetti loro di servirsi di te per quello che essi vogliono ? Sta' attento a non agire con 55

wv TWV 7t Q Ò ç 8 wù ç ò,\LywQWç 7t Q ll n1J ç . 'H b t àvbQE(a 1toù Kaì. TLç, yt:Aoiov· EToq.wç yoùv d Kaì. 8w7tEÙaaL KaÌ. KOÀaKEÙGaL bin TOÙ eavawv, U,òv aTtaVTa KaTa6aÀ ELV Ka Ì. TOLç 8 E oiç È TI LT Q É \)J a L 7tQllnHV W ç f3ouÀOV'raL, ÒLEÀOf1EVOV 7tQÒç aÙTOÙç TTJV È 7t lf1ÉÀ E LaV TTJV É aUTOÙ, Ka8a1tEQ KaÌ. O L.w­ KQUTT)ç t'Jl;_(ov, KaÌ. Tà f1ÈV ÈTIÌ. GOÌ. 7tQlln ELV Wç lXV ÈvbÉXT]TaL, TÒ bÈ OÀOV È7( ÈKELVOLç 7tOLELG8aL, KE­ KTTJG8m bt f1T]bÈv f1T]bÈ àQTia(;nv, Tà bLMf1Eva bt TiaQ' aùTwv àacpaAwç bixw8aL>>. 7 TaVTT]V Èyw VOf1LGaç OÙK àacpaAfJ f10VOV, à..\..\à

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troppa sconsideratezza e a non tenere in poco conto i giu­ sti doveri verso gli dèi. E il tuo coraggio, dov'è e qual è ? Ridicolo. Ecco che sei pronto perfino a lusingare e ad adu­ lare55 per paura della morte, mentre ti sarebbe possibile gettarti tutto dietro le spalle e lasciar fare agli dèi secondo la loro volontà, dividendo con loro la cura della tua perso­ na, proprio come anche Socrate suggeriva, 56 e fare quanto dipende da te nel modo migliore possibile, ma affidare tutto l'insieme a loro, non possedere né rubare niente, ma accettare con sicurezza quel che essi concedono ». 7 Giudicando questa opinione non solo scevra da rischi, ma anche conforme a un uomo moderato, poiché anche i presa­ gi degli dèi la confermavano e per di più confermata anche dagli indizi divini [277] (infatti, andare a gettarsi in un peri­ colo vergognoso e manifesto ,57 per guardarsi dalle insidie fu­ ture, mi appariva una prospettiva veramente inquietante) , cedetti e obbedii. E in un baleno vengo decorato col titolo e col mantello di Cesare; e però, sotto questa veste, quanta e quale schiavitù, per Eracle, quanta e quale paura sospesa ogni giorno sulla mia testa! Porte inchiavardate e sorveglia­ te, le mani dei miei domestici perquisite perché nessuno po­ tesse consegnarmi un biglietto da parte dei miei amici, servi stranieri. A stento riuscii a portare con me, perché mi accu­ dissero nel mio più personale servizio, quattro miei servi, due proprio ragazzini e altri due più anziani. Di essi uno so­ lo era anche consapevole del mio culto per gli dèi e, per quanto era possibile, segretamente condivideva le mie prati­ che religiose;58 la custodia dei miei libri59 l'avevo affidata a un medico, che era l'unico con me dei miei molti compagni e amici fedeli, e che, poiché si ignorava che mi fosse amico, mi aveva accompagnato nel viaggio.60 Avevo tale paura di queste cose e davanti ad ogni minimo rumore trasalivo a tal punto, che a molti dei miei amici che volevano farmi visita arrivavo, pur controvoglia, a vietare di farlo. Certo, deside­ ravo vederli, ma temevo di diventare, per loro e per me stes57

a8m UV !-LOQWV ainoç. AAAà '[(ll}'[(l 1-!ÈV n;.w8 Év Èan, Tà bÈ Èv aùwiç wiç 71QUY1-!GtGL. TQLaKoa(ovç ÉçiJKOVTa 1-!0L boùç aTQan�J'taç Eiç TÒ Twv KEATwv i: Svoç àvaHTQGl !-l !-LÉvov EO"THÀ E, 1-! Eaouvwç iJbTJ TOU XHI-lwvoç, oÙK UQXOV'ta 1-làt\Aov Twv ÈKEiaE GTQGlT071Ébwv lì Toiç ÈKEiaE GTQGlTTJYOiç vTiaKm)ao­ VTa. f ÉYQGl71 'tO yàQ GlÙ'tOlç KGll ÈVE'tÉ'tGlÀ'tO D LGlQ­ QtlbTJV OÙ 'tOÙç 710ÀEI-! LOVç 1-!àÀÀOV lì È !-LÈ 71GlQGlV­ Àa't'tE LV, wç àv 1-LTJ VEW'tEQOV '[l 71QUE.aL1-il· ToU'tWV bÈ ov ETJV 'tQ0710V YEVO�-LÉVWV, 71€Ql Tàç 'tQ071àç Tàç 8EQLVàç È71LTQÉ71H 1-!0l �abl[,E LV E Lç 'tcX O"'tQGl't071Eba 'tÒ axfJ I-la KGll 'tfJV E LKOVGl 71€QLOLO"OVn 'tTJV Éavwv· KGlÌ. yé 8 EWV, t mEbEt:,ét1--!TJ V 1--! È V 1--! 0iQav mù I:aAluJV f:8vouç, Xa1-1ét6ouç bÈ i t;f]Aaaa, noAAàç [3oùç Kaì. yvvaLa 1--! E 'rÌl naLba­ Q LWV avAAa6wv. Oihw bÈ nétvmç È66Tjaa Kaì. na­ Q EUKEvaaa Ka'ra1t'rij t;,a t 'rtlV É !-!tl V f:obov, WU'rE naQaXQiì l-l a Aa6Eiv Ò!-!TJQOuç Kaì. 'rlJ mwn o 1-1 n [q: naQaaxEiv àaaAij KO!-!Lbf]v. MaKQOV Èan nétv1:a ànaQL81-!Eia8at KaÌ. 'rÌl Ka8' EKaU'rOV yQétcpnv, oaa È v ÉV Lauwiç E nQat;a 'rÉnaQUL, 1:à KEétAa La b É · 'rQL'rOV É7tEQatW8T]V KaiaaQ e n 1:òv 'Pijvov· bLGI-!UQL­ ouç àmJ'rT]Ua naQà 1:wv [3aQ6étQWV imÈQ 1:òv 'Pijvov òv1:aç a ixl-!aÀ�nouç· ÈK buoiv àywvo Lv Ka ì. 1--! Làç n oÀWQK[aç XLÀ Lou ç É t; EAwv È l;; w yQT] Ua, ov 1:t'jv cXXQT]U'rOV TJÀLKLav, avbQaç bÈ i]6wv'raç· E1tE!-1tPa 'rcfl Kwva'raV'rL f3a:alA E La TCEQLElATJ TC'rO, KO:l È6ÒwV TCcX­ V'rEç, f'[L (Aov naaxnv i'] 71QlX"C"CE LV, wç a Ì.UXQÒV àvavbQ [q tjJuxf)ç Ka ì. bwvo(aç à f..L a 8 (q i] 71Àrl8 H bUVlXf..L E Wç àa8EVÉU"CEQOV aÙ"CC V q>avf)vat· VUV f..L È V yàQ E L "Ccfl 71Àrl8EL KQa"CrlUELEV, OÙK ÈKELVOU 1:Ò EQyov, àMà 1:f)ç noAuxnQ[aç Èa1:ì.v· E i bÈ Èv miç faMtaLç 71EQLf..L ÉVOV"ClX f.! E KaÌ. "CÒ l:f) v àyanWV"Ca KaÌ. bLaKAlvov1:a 1:òv Ktvbuvov ànav1:axo8Ev 71EQLKo­ tjJaç Ka"CÉAa6E, KVKÀ(,ù f.! ÈV unò 1:wv [3aQ6étQWV, Ka"Cà U"CO fla bÈ vnò "CWV aÙ"COV U"CQa"C071 Ébwv, "CÒ na8Eiv "CE OLflaL "Cà eaxa"Ca 71QOafjv «KaÌ. f"[L iJ "CWV 71QaYfllX"CWV a Ì.UXVVT] oÙbE f..L Làç ÈÀlX"C"CWV (T] f..L iaç "Coiç YE awq>QOUL». Taù"Ca bLaVOT] 8 E Lç, avbQEç A8Tjvaio L, wiç "CE av­ U"CQa"CLW"Catç wiç È f..LOiç bu'jt\8ov KaÌ. 71QÒç KOLVOÙç "CWV nétv"CWV 'EAAr1vwv noAl1:aç yQétq>w. 8wì. bÈ oi nétv1:wv KVQLOL UVflflax(av iJf..Liv 1:i]v ÉaV"CWV, wanEQ vnÉU"CT]Uav, E iç 1:ÉAoç boiEv Ka ì. naQétaxoLEV 1:aiç A8r1vatç ucp' TJ f..LWV "CE E iç oaov MvaflLç EV na8Eiv KaÌ. "CC LOV"CC V ç UXELV Èç àEì. "COÙç aÙ"COKQlX"COQaç, o'L fllXÀLU"Ca Kaì. bLaq>EQOV"CWç aù"Càç E LUOV"Cat KaÌ. aya­ nr1aovmv.

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e poiché i presagi furono favorevoli, 129 lo stesso giorno in cui avevo in animo di parlare ai soldati sulla marcia che ci aveva condotto fino a quel punto, al fine di garantire la mia perso­ nale salvezza e molto più ancora la prosperità pubblica e la li­ bertà di tutto [287] il genere umano e quella della nazione degli stessi Galli, che già due volte Costanzo aveva abbando­ nato ai nemici, senza riguardo per le tombe dei suoi antena­ ti, 130 mentre riservava un culto speciale agli stranieri, 13 1 cre­ detti allora necessario assicurarmi il concorso di genti fra le più potenti, 132 nonché risorse di denaro, giustificatissime, dalle miniere d'argento e d'oro. 133 Tuttavia, ancora adesso, se egli si mostrerà disponibile a un accordo con me, io mi li­ miterò alle posizioni acquisite, ma se egli intende fare la guer­ ra senza rinunciare ad alcuna delle sue antiche pretese, sono pronto a fare e a soffrire tutto quello che agli dèi piacerà. 134 Infatti, sarà per me motivo di maggior vergogna apparire in­ feriore a lui per viltà d'animo e per mancanza d'intelligenza che per il numero dei combattenti, perché, nel caso che ades­ so egli la spuntasse per la moltitudine dei soldati, il merito non sarebbe suo, ma della quantità di braccia di cui dispone. Invece, se egli mi avesse sorpreso mentre stavo ancora nelle Gallie e amavo il quieto vivere ed evitavo il pericolo, bloc­ candomi da ogni parte, con i barbari ai fianchi e alle spalle e con tutte le sue truppe di fronte, 135 ne sarebbe conseguito, per me, credo, non soltanto patire l'estrema rovina «ma an­ che in più la vergogna delle mie azioni, che, almeno per gli uomini assennati, è la peggiore delle punizioni». 1 36 Queste sono, Ateniesi, le riflessioni che allora esposi ai miei commilitoni e che ora scrivo per i concittadini comu­ ni di tutti i Greci. Che gli dèi, signori di tutto, mi conce­ dano la loro assistenza, come mi promisero, fino alla fine e concedano ad Atene sia di godere di tutti i benefici che da parte nostra sarà possibile elargirle, sia di avere in per­ petuo imperatori che sapranno conoscerla e amarla con una predilezione particolare.

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Note

«Scritto durante i quartieri invernali del 3 6 1/2 a Naisso, in Illiria [odierna Nis, in Serbia), insieme con altri simili indirizzati a Sparta e a Corinto (Mamert., Grat. act. , 9; Ammiano, XXI, 12; Libanio, XVIII, 1 15; Zosimo, III, 10; qui 287C). L'autore, proclamato Augusto nel pro· nunciamento militare di Parigi, è in guerra con Costanzo Il. Si è portato con incredibile velocità nel cuore dell'Impero (269D), a non molta distan­ za da Costantinopoli. Qui, durante l'attesa, rende conto dei propri atti e rifà», quasi un'autobiografia, (CMH, 1 9 1 1 , 1913, trad. it. 1978, vol. l, p. 95). Sulle modalità di pubblicazione del Messaggio al senato e al popolo di Ate­ ne interessanti osservazioni svolse C.F. Russo in un articolo (apparso in «Belfagon> 1966) che discuteva l'interpretazione della formazione del corpus degli scritti giulianei fornita da L 'editore principe di Giuliano (questo il titolo dell'articolo), cioè Joseph Bidez, nel libro La tradition manuscrite et !es éditions des discours de l'empereur Julien, Gand 1929. Se­ condo Russo, III) a) la pubblicazione, e la pubblicazione come opuscolo, della lettera agli Ateniesi (luliani imperatoris ad senatum populumque A theniensem e non già, epistolarmente, luliani etc.) fu di certo decisa dall'autore e non da un editore post-giulianeo, e tale decisione comportò la non pubblicazione delle lettere ai Corinzi e ai Lacedemoni, ché, in tutte queste lettere "scritte a Sirmio [verso il 1 0- 1 3 .X.361), Giuliano chiariva i motivi della propria venuta [in Oriente)" (Zosimo III 10, 4), *

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"si giustificava di fronte a tutti" (Libanio, oratio XII 64); III b) nel pub­ blicare come opuscolo la sola lettera agli Ateniesi (pp. 268A-287D), l'autore vi prepose un preambolo più filellenico che filateniese e in cui non rievocò il proprio memorabile e trimestrale soggiorno in Atene del 3 5 5 : vi prepose appunto, in luogo di quello filateniese e autobiografico premesso alla lettera da Sirmio agli Ateniesi, il nostro filellenico preambo­ lo alla relazione dei fatti, che "l'autore rendeva nota agli Ateniesi e, per loro tramite, agli altri Elleni" (270B; il preambolo occupa le pp. 268A270B. "Da parte di padre viene a me l'amicizia per voi, ché il padre mio presso di voi dimorò etc . " , aveva scritto invece Giuliano nello stesso momento ai Corinzi, nella lettera che Libanio gli ricorda alla fine del ep. 20 Bidez di Giuliano; la varietà e di­ 362 nell'oratio XIV 29-30 versa estensione dei preamboli sono ricavabili anche dall'oratio XII 64 di Libanio» (pp. 65-67). Sulla data di pubblicazione del Messaggio, utili indicazioni fornisce Isabel­ la Labriola in I due autoritratti di Giuliano imperatore, in >. 1 Cf. Isocrate, Panegirico, 52 sgg. 2 I retori e i sofisti sono un bersaglio prediletto di Giuliano, che non lesina loro critiche anche in altri suoi scritti e definisce 'sottili' e 'ignorantissi­ mi' . È tuttavia innegabile che «tutta questa introduzione, sebbene anima­ ta da uno speciale affetto di Giuliano per Atene e imperniata intorno ad una idea di interesse immediato - la giustizia della propria causa , è con­ dotta secondo i criteri formali della Sofistica» (A. Rostagni, op. cit. , p. 144, n. 1). 3 Giuliano qui si riferisce a Deioce, « fondatore del regno dei Medi (708656 a.C.), i quali per merito suo si liberarono dal giogo assiro. Era giudice in un cantone della Media, quando la sua popolarità e il suo amore del giu­ sto lo portarono al trono (cf. Erodoto, I, 96-101). Il rimprovero di egoismo che gli rivolge Giuliano è desunto da Erodoto, il quale, nel luogo citato, scrive che Deioce "aspirava alla tirannide" e "ambiva al potere" . Abari, sa;

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cerdote di Apollo, che ha lasciato traccia di sé in varie leggende e luoghi della Grecia. Anacarsi, il noto filosofo scita, uno dei Sette savii, che fu pa­ recchio tempo ad Atene>> (A. Rostagni, op. cit. , pp. 144-45, n. 2). 4 Atena. Tutta la storia sembra presa in prestito da Plutarco (Vita di Te­ mistocle, 20; Vita di Aristide, 22). 5 « È evidente che qui lo scrittore allude a se stesso e alla velocità della propria marcia dalla Gallia all'Illirico: tanto più se si confronti con Am­ miano XXII 2, 5 >> (A. Rostagni, op. cit. , p. 146, n. 1). 6 L'Epistola agli Ateniesi avrebbe dunque preceduto i manifesti indirizzati alle altre città della Grecia, specialmente ai Corinzi. Cf. Giuliano, ELF, n. 20 sgg. 7 Giulio Costanzo, padre di Giuliano, e Costantino I il Grande, padre di Costanzo II, erano figli da diverse madri di Costanzo I Cloro, imperatore morto nel 306. 8 «tAav8QWTiéna1:oç era epiteto cui molto ambiva Costanzo, preteso filosofo, come si arguisce dai Panegirici di Temistio e da quelli stessi di Giuliano, nonché da Gregorio Nazianzeno. Temistio aveva perfino intito­ lato mQ i cptAav8QW7Itaç il suo primo elogio di Costanzo ( Or. I), da Giu­ liano in altri tempi imitato>> (A. Rostagni, op. cit. , p. 147, n. 2). 9 Dalmazio I, che fu ucciso con i suoi due figli, Annibaliano e il Cesare Dalmazio (vedere Zosimo, II, 40 e RE, t. IV, 2456, 13 sgg.). 1 0 Di questo non si ha nessun'altra notizia. Le fonti, numerose, sono rac­ colte da O. Seeck, Gesch. d. Unterg. IV, p. 3 9 1 . 11 Gallo fu mandato ad Efeso (Socrate, III, l ) ; Giuliano a Nicomedia. 1 2 « L'esilio si considera durato per entrambi fino all'uscita da Macellum ­ di cui si dirà in seguito -, quando Gallo fu nominato Cesare per essere, dopo tre anni, messo a morte a Pola, verso la fine del 354>> (A. Rostagni, op. cit. , p. 148, n. 2). l J Giuliano cita le parole del verso 14 dell' Oreste di Euripide: > (A. Rostagni, op. cit., p. 148, n. 3). 1 4 Cf. Vita di Giuliano, sull'uccisione di Gallo, pp. 97 sgg. 15 Non lo si poteva dunque chiamare 1-'aKaQL't:flç, "beato". Sulle iscrizioni, il nome di Gallo fu scolpito solo eccezionalmente (RE, t. IV, 1099, 40). 1 6 > (A. Rostagni, op. cit. , p. 152, n. 1).

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28 Furono: Scudilione, tribunus scutariorum; Barbazione, domesticorum co­ mes; Apodemio, agens in rebus; Pentadio, notarius; Eusebio, già citato (si veda Ammiano XIV 1 1 , 1 1-24). Costanzo aveva dato in sposa a Gallo la propria sorella Costanza (o Co­ stantina, cosl la chiama Ammiano). vedova di Annibaliano, donna crude­ lissima (Ammiano XIV, l, 1). Egli stesso, prima di Eusebia, aveva sposato una sorella di Gallo, della quale si ignora il nome. 30 Si tratta qui della sorveglianza cui Giuliano fu sottoposto allorché fu mandato a Milano e a Como: Ammiano XV, 2, 8; Libanio, Or. XII 35; Lettera a Temistio 259D. 3 1 La seconda moglie di Costanzo, alla quale Giuliano espresse la sua gra­ titudine con un Panegirico (Orat. III: v. specialmente 1 1 8 sgg.). 32 > (A. Re­ stagni, op. cit. , p. 154, n. 1). ' 6 (A. Rostagni, op. cit. , p. 154, n. 2). 37 Durante un pranzo offerto a Sirmio da Africano, rector secundae Panno­ niae, il vino dette libero sfogo a troppe lamentele e desideri di cambia­ mento. Il delatore Gaudenzio, agens in rebus, uno dei convitati, avverti il prefetto Rufino, che si recò subito a corte. Il tribune Marino, uno degli imprudenti chiacchieroni, finl per suicidarsi; ma, più fortunati di lui, i suoi complici, dopo tortura e processo, furono graziati (Ammiano, XV 3, 7-9; XVI 8, 3). Quanto a Felice, non possiamo precisare niente. 29

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18 «Allude all'altra famosa congiura, di Silvano, rector pedestris militiae in Gallia, accusato, mediante falsi documenti, da Dinamio, actuarius sarcina­ lium iumentorum principis. Fu poi ucciso a tradimento, quando cercò la sua salvezza nelle armi: v. Ammiano XV 5; Giuliano, Orat. I 43; II 38-9>> (A. Rostagni, op. cit., p. 155, n. 1). J 9 Non più di due o tre mesi, dall'agosto (data della ribellione di Silvano) all'ottobre 355 (richiamo a Milano). 40 A Macellum, durante il viaggio che Costanzo fece in quegli anni da An­ tiochia a Costantinopoli. 41 A Milano, nel 354-5, dove era stato chiamato da Costanzo dopo l'ucci­ sione di Gallo e tenuto, per sei mesi, in sospeso della vita. 42 Eusebio, di nuovo. 43 Eusebia era morta nel 360. 44 Dopo la sua campagna dell'estate del 355, Costanzo era tornato trion­ fante a Milano «per passarvi l'inverno>> (cf. par. 6, righi 5-1 1). 45 « L'origine di questo proverbio, che Giuliano adopera in un'altra occa­ sione (Orat. I 32A, non ci è nota; ma il significato s'intuisce>> (A. Rosta­ gru, op. cit., p. 1 56, n. 2). 46 Mardonio. (A. Rostagni, op. cit., Appendice I, pp. 363-64). 47 Giuliano era perseguitato dalla paura di subire un giorno la sorte di suo fratello Gallo. Vedere la Vita di Giuliano, p. 1 19. 4 8 (A. Rostagni, op. cit., p. 157, n. 2). Ma si veda anche l'opuscolo Contro il cinico Eraclio, dove Giuliano svolge un'invettiva contro lo zio Costantino il Grande, il quale - scrive Giuliano - abbandonando Helios TqàAAwt uyi]ç ? Hertlein; an àrrò U'tQct'toùç (ve! 'tQctXEiaç) uyi]ç ? Il 26 btbaaKaAiwv cod ., corr. Petau Il 27 ouç Cobet: Wç cod. Il 28 bu:iyovnç ? Hertlein Il o[ Reiske: ov cod. Il 29 fl'lbEvoç Hertlein Il 34 oubdç Hertlein. V - 4 'tÒV' Petau: 't�JV cod. Il 5 b[Katoç Petau: btKa[wç cod. Il 8 iE,à­ V't'l, 't4l bÈ Peta: dE,avn 'tWbE cod. Il •àrroE,a9aq9i]vat> oùbdç ve! si­ mile quid Reiske; an ÈvÉbWKE ? cf. p. 22, 9 Il 19 ctKQL'tOUç [cf. supra p. 2 1 5 , § 3 8] Cobet Il 23 •Kal> Petau. V - 29 àvbqoyuvou scii. Eusebii Il 3 1 'ti]ç àbcAi]ç scii. Constantiae Il 32 àbcAtbi]ç Petau: àbcAtboùç cod. Il 33 't�V àbcA�v scii. Gallae filiam Il 36 EflQOUQOV Lennep Il 37 Kàya9�v Cobet Il 38 ['t�V 'touwu yaflE'ti]v] Cobet; an ['t�V] ? Il 40 abcA> Reiske Il 45 é\crwv Cobet: 9EWV cod.« v - 48 oùbE Cobet: oun cod. 5 l •flÈV> Cobet Il 3È:fl6aAwv cod., corr. Reiske Il 4 i]Kovaan Reiske: -

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àKoùcrau cod. Il bÈ cod.: bi] Hertlein Il 6/7 T!QàY!-ICl'm EQQCllPEV btavoui-IÉvmç Cobet: T!QàY!-Iacrtv EQQlPEV - btavooui-IEvoç cod . , T!Qàyl-la cruvÉQQCllPEV - btavooul-livotç Valois ad. ammian. /./. Il 8 ouKouv Hertlein: oÙKoùv cod. Il 9 cplAT]l;. cod. Il 12 -ròv I:.t.Aouavòv aù-rt;J TIOÀÉ!-ILOV Valois: -roù vELAou Kaù Èv aù-rw noÀE!-IOV cod.; cf. infra v. 29 Il 17/18 8ClQQTJGaL!-1L Petau Il 18n6Atv scii. Nediolanum Il 19 8EàcrEcr8m Cobet: 8Eàcracr8at cod. V - 4 1 l;,uvqU:lQTJGCl ? Il 42 Ò!-IWQòcpLOç Cobet Il oÙK Cobet. V - 4 7 ÌKEuùwv Hertlein Il 4 7 et 5 1 oÌKÉTTJV cod., corr. Petau Il 5 1 i:n€bnl;.Ev cod.; a n ì:bnl;.Ev ? Hertlein Il 5 2 -roùç post cpuAaKaç transp. Boulenger. 6 4 yQà4'aç Co be t Il 6/7 ò 8Eòç cod . : 8E6ç crm Suidas Il 1 1 YQCl!-1!-ICl'l:EÌov Cobet I l 1 2 b t Cobet: bi] cod. Il 196Aiyov Hertlein: òAi­ ymç cod. V - 20 oùbElç Hertlein Il Hertlein, perperam Il 26 bi] cod.; bÈ Hertlein Il 30 d n Petau: d ne; cod. Il 3 1 /32 ànobtbQàaKEL cod . , corr. Petau Il 32 TUXTJ Hertlein: -ruym cod. Il 34 cruQcpE-rwbwv Reiske Il 35 Éau-roù cod . : crm8-roù Hertlein Il 38 yEAoìov •Eimiv> ? Reiske Il d Petau: d cod. Il 45 àcpEAwç Cobet. V - 2 Petau Il 15 ÈvbÉXETO cod. Il 15/16 Èmn [cruuw Hertlein Il 17 dç ìaTQÒc;, scii. Oribasius Il 21 flAA' aKulV Cobet: flàÀCl ÈKU:lV cod. Il 23 -rà bt cod.: -ra bt Hertlein. V - 27 unaKouov-ra Hertlein Il ÈyÉyQan-ro Hertlein Il 3 1 8EQLVàc; cod.; XELflEQLVàç Petau, sed 8EQtvàc; recte defendit Valois ad Amm. Mare. XVI, 2, 2 Il 32 ax� 1-1a Valois [ibid.]: ÒXTJI-Ia cod . Il 35 K01-iLOùv-ra où spanheim: KOf.LLOùv-ra ? V Il 36 T!Qax8iv-roc; Petau Il 40 aÌTTJ8Eic; Petau: Èmudc; cod. Il 46 ò - d:Qxwv scii. Marcellus l 50 Petau. V - 53 wu-rwv Cobet: TOUTW cod. Il 54 òAlyov ? Hertlein Il 57 àQX01-iÉVOU V Il 60 an 'l:ETTClQLXKov-ra ? Il -rà doc . : TE Reiske Il 61 an ÈÀa-r­ -ròvwv ? Il 62