248 49 12MB
Italian Pages 784 [776] Year 2001
LETTERA AGLI EFESINI Ernest Best Edizione italiana a cura di
Donatella Zoroddu
PAIDEIA EDITRICE
ISBN
88 3 94 063 1 X
Titolo originale dell'opera: A Criticai and Exegetical Commentary on Ephesians
by Emest Best (The International Criticai Commentary, Edinburgh) Traduzione italiana di Vincenzo Gatti Revisione di Donatella Zoroddu ©T. & T. Clark, Edinburgh 1 99 8 © Paideia Editrice, Brescia 200 1
ALL'UNIVERSITÀ DI GLASGOW
PREMESSA
La lettera agli Efesini non è un testo su cui sia facile scrivere un commento. Goodspeed I la definisce « la Waterloo dei commentatori. Li sconcerta». La seconda di queste affermazioni è senz'altro vera; quanto alla prima, il mo do di intenderla cambia a seconda che si sia inglesi o francesi. Non è neces sario elencare qui gli aspetti che rendono così ardua l'interpretazione della lettera, giacché emergeranno presto dalle considerazioni esposte nell'intro duzione. Nel complesso gli studiosi protestanti preferiscono scrivere sulle epistole ai Romani e ai Galati e quando, spesso con riluttanza, passano a Efesini, di norma ne propongono una valutazione in termini paolini. È ve ro peraltro che, per effetto del movimento ecumenico, negli ultimi anni i protestanti hanno prestato maggiore attenzione a questa lettera. Se si deve trattare della natura della chiesa, è pressoché impossibile prescinderne. Poi ché tradizionalmente la chiesa ha avuto un ruolo centrale nella loro teolo gia, gli studiosi cattolici hanno affrontato la lettera agli Efesini con molto maggior entusiasmo, ed è stato uno studioso cattolico, H. Schlier, a contri buire più di ogni altro a orientare e ispirare il dibattito moderno sull'epi stola, benché le sue posizioni principali non siano sempre condivisibili. Oggi vi sono commenti a Efesini di ogni indirizzo confessionale e il loro numero elevato costituisce già di per sé una difficoltà per chi intenda scrivere sull'ar gomento. John Eadie pubblicò la prima edizione del suo commento nel 1 8 54. L'ope ra conobbe più edizioni, sia prima sia dopo la morte dell'autore, sopraggiun ta nel 1 876. Se non nella penultima, quantomeno nella sua ultima edizione Eadie cita circa un centinaio di commenti precedenti sulla lettera. Da allo ra sono trascorsi oltre centovent'anni e tenere il conto di quelli ora in cir colazione è impossibile. Si dice spesso che il numero degli scienziati viventi supera il numero totale degli scienziati morti. Certo questo vale per i neote stamentaristi. Personalmente ho letto solo una parte esigua dei commenti attualmente editi e nel mio ne menziono meno di quanti ne abbia letti. Mol ti sono divulgativi: è possibile che alcuni presentino spunti interessanti che mi sono sfuggiti, ma è impossibile leggerli tutti, se si vuole scrivere qualco sa. Oltre ai commenti, c'è un profluvio in continua crescita di monografie e articoli su riviste scientifiche. r E.J. Goodspeed , The Meaning of Ephesians, Chicago I933, I 5·
IO
PREME S SA
Ciò solleva il primo serio problema per un commentatore: I quanto deve essere completa l'elencazione dei nomi degli studiosi che aderiscono a un determinato punto di vista ? Talvolta gli elenchi di Eadie, per quanto limi tati alla menzione dei soli nomi degli autori senza ulteriori indicazioni, vanno ben oltre le due righe. Se oggi si dovessero elencare tutti i nomi de gli studiosi corredati degli opportuni dati bibliografici secondo la forma attualmente in uso, lo spazio richiesto sarebbe cospicuo e troppi alberi an drebbero tagliati per fornire la carta necessaria. Perciò non ho fatto alcun tentativo di essere esauriente nell'enumerare gli autori. In effetti, pochi pro pongono idee innovative. Non sarà dunque sufficiente indicare il nome del primo che ha introdotto una prospettiva nuova ? Molto spesso si tratterà di un Padre greco o latino, e non di qualche studioso del tardo xx secolo che la riscopre (si veda la nota su Sampley a proposito di 5,3 3 ) . Si può es sere d'altronde quasi certi che le ragioni a sostegno dei punti di vista dei Padri hanno subito modificazioni o alterazioni nel corso delle ricerche. Ri tengo più importante esporre gli argomenti pro e contro un'idea che elen care nomi. La mancanza di spazio mi ha talora costretto a rinviare i lettori a commentatori precedenti, che hanno fornito una meticolosa rassegna di tutte le opinioni espresse anteriormente. Ovviamente i nomi possono esse re di grande aiuto per giovani ricercatori che credono di dover prendere in esame tutti i libri e gli articoli degli ultimi dieci anni e commentare tali scritti anziché il testo. Per loro vi sono in ogni caso modi migliori di repe rire la bibliografia che non quello di esaminare elenchi di rimandi nei com mentari. Ho dunque cercato di ridurre al minimo i rinvii ad altri studiosi in nota, badando tuttavia di elencare all'inizio di ciascuna sezione tutta la bibliografia pertinente di rilievo. In queste liste non mancano peraltro la cune: alcuni articoli non vi compaiono perché non ne sono venuto a cono scenza, o perché, pur avendone avuto notizia, non vi ho avuto accesso, o anche perché, dopo esserne stato informato e averli letti, non li ho trovati sufficientemente chiarificatori. C'è una quantità considerevole di scritti che propongono un adattamento delle idee degli studiosi a predicatori e inse gnanti di religione: essi svolgono una funzione molto utile, ma raramente sono significativi per questo tipo di commento. Ho voluto disporre gli elen chi bibliografici in ordine cronologico, e non alfabetico, perché, mentre il secondo non è indicativo, il primo consente allo studioso attento di con statare come gli autori siano stati influenzati o meno dai loro predecessori, e magari di ricostruire una storia degli effetti ( Wirkungsgeschichte). Prima di abbandonare l'argomento dei commenti merita dire che tutti i commentatori si ergono sulle spalle di chi li ha preceduti. Sono grato ai I
Ho cercato di proporre qualche considerazione sul modo in cui si dovrebbero scrivere commenti in
The Reading and Writing o{ Commentaries: ExpT 107 (1995-1996) 358-362.
PREMESSA
II
molti che prima di me hanno scritto sulla lettera agli Efesini, specie a Gnil ka e Schnackenburg, anche se non sempre ho concordato con loro. Il nu mero delle occorrenze dei loro nomi nell'indice degli autori non rispecchia adeguatamente la profondità con cui il loro pensiero ha permeato e stimola to il mio. Le citazioni di questi due autori e di altri commentatori sono ra re e sporadiche a motivo della mia propensione a leggere le loro monografie pertinenti e gli articoli scientifici e ripensare quanto letto per poi riformula re con parole mie ciò che intendevo dire. Ho rinunciato a fornire un elenco completo dei commenti a Efesini, poiché compilarlo avrebbe richiesto trop po spazio e troppo tempo, preferendo citare perlopiù solo quelli cui rinvio. Ogni tipo di esegesi è condizionato dalla situazione in cui opera il suo autore: egli inevitabilmente vedrà il testo sul quale lavora secondo l'ottica del tempo in cui vive e ciò può indurlo a coglierne nuovi aspetti e a porgli nuovi interrogativi. Sarà inoltre condizionato dalla sua eventuale fedeltà al la chiesa, elemento rilevante nel caso della lettera agli Efesini, che della chie sa tratta ampiamente. Le lenti colorate che si portano, di solito senza ren dersene conto, influiscono sul modo in cui si leggono i testi. Non sempre mi sono trovato d'accordo con la maggioranza dei commentatori, ma quan do ho osato prenderne le distanze, l'ho fatto solo dopo lunga riflessione e con molta esitazione, benché questa non sempre trapeli dal modo in cui mi sono espresso. Una serie di varianti secondarie nella trattazione di un tema può finire col modificare la visione globale, sicché, se da parte mia vi è sta to qualche contributo riguardo alla concezione generale di Efesini, è soltan to in virtù di una moltitudine di differenze minori. In misura forse supe riore rispetto alla gran parte dei commentatori ho tentato di rilevare quan to nella lettera non viene detto, nella persuasione che ciò possa contribuire non poco a collocare in una prospettiva corretta quanto in essa si dice. Si deve far cenno qui a qualche altra questione. Poiché non penso che la lettera agli Efesini sia stata rivolta principalmente a una comunità di Efe so, non mi sono dedicato a un esame approfondito della situazione religio sa, sociale, economica e politica di quella città, sebbene di questi aspetti vi sia menzione, dato che si tratta di una città situata nell'area in cui viveva no i destinatari di Efesini, e la vita in essa non può essere stata molto di versa da quella nel resto dell'Asia Minore. Quando adduco esempi di regole grammaticali e sintattiche, li traggo in genere dal N.T. È senz'altro possibile che tali regole siano valide per tutto il greco o per il greco ellenistico in particolare, ma poiché chi studia la let tera ha in mano il N.T., non tenerne conto e proporre paralleli da altri au tori greci significa creare inutili disagi. L'uso di esempi neotestamentari non vuole tuttavia far pensare che ci fosse una speciale forma canonica di greco o che un esempio tratto dal N.T. abbia più peso di uno d'altra provenienza.
12
PREMESSA
Nel libro mi riferisco sempre all'estensore della lettera definendolo sem plicemente «l'autore di Efesini >> , lasciando ai lettori la facoltà di interpreta re l'indicazione come vogliono, sostituendovi, se credono, il nome di Paolo o di un altro a loro preferenza. Sempre più forte si è fatta in me la convin zione che non sia stato Paolo a scrivere Efesini. In numerose occasioni mi sono visto costretto ad affermare che Paolo avrebbe potuto esserne l'auto re se avesse mutato, sviluppato o modificato in altro senso i contenuti noti dalle sue epistole maggiori. Vi è un limite alla frequenza con cui ciò è pos sibile senza diventare irragionevole. Solo nel cap. 3 la decisione sulla pater nità condiziona in modo rilevante l'interpretazione del testo cui si pervie ne. Considerazioni analoghe mi hanno indotto a parlare semplicemente del l' «autore di Colossesi >> . Per i libri biblici sono ricorso alle abbreviazioni correnti, utilizzando anche qr e B11cr. quando volevo richiamare l'attenzio ne segnatamente sul testo greco dell'A.T. Il testo di riferimento è la ventisettesima edizione del N.T. di Nestle Aland; per i nomi dei Padri si sono impiegate le sue abbreviazioni nell'am bito di discussioni critico-testuali, utilizzando però quelle comuni o la for ma estesa nel commento contenutistico ai versetti. I commenti sono indicati con il solo nome dell'autore e, salvo diversa specificazione, si rinvia al loro commento al versetto in questione. Quando un commentatore è autore anche di un altro volume e ci si riferisce a que sto anziché al commento, si cita una parola del titolo. Non mi resta che ringraziare il professor Cranfield per avermi invitato a redigere il commento. Scriverlo è stato piacevole, tanto più per la libertà di procedere ciascuno a proprio modo concessa da lui e dal professor Stanton ai collaboratori del commentario, e ho apprezzato che non mi sia stata fat ta fretta per condurre a termine il lavoro. Sono altresì riconoscente agli edi tori del commentario per le utili osservazioni espresse sulla prima stesura. Devo un ringraziamento anche alle biblioteche e ai bibliotecari delle Uni versità di Glasgow e St. Andrews. Per finire, la mia gratitudine va soprattutto al professore emerito J.C. O'Neill che, quando seppe che ero stato malato, si offrì di aiutarmi nella correzione delle bozze. Non c'è amore più grande da parte di uno studioso per un collega che quello di proporsi volontariamente per rileggerne le boz ze. Se sono rimasti refusi o errori la responsabilità ricade peraltro su di me. Dedico questo commento all'Università di Glasgow, dove tenni le prime lezioni sulla lettera agli Efesini e ricevetti dal personale della biblioteca un aiuto cordiale e sollecito. Questo vuoi essere inoltre un segno di gratitudi ne per il titolo di dottore in teologia conferitomi dall'Università in occasio ne della Commemorazione, nel giugno del 1 997.
INDICE DEL VOLUME
9 I5 23 29 29 35 67 72 77 79 93 98 III I I9 I3I
Premessa Bibliografia Abbreviazioni e sigle Introduzione I . I destinatari 2. La paternità della lettera agli Efesini 3 · Una scuola paolina 4· Ritratto di Paolo 5· Dove e quando è stata scritta la lettera agli Efesini 6. n pensiero 7. n carattere letterario 8. Scopo e occasione 9· Materiale preformato IO. n retroterra I I . n teStO LETIERA AGLI EFESINI
I 33 I42 I99 244 283 345 39I 411 4I4 4I4 432 476 507
1 . I l saluto ( I , I -2) 2. Dio, il benedetto, benedice ( I ,3-I4) 3 · Preghiera per la conoscenza ( I , I 5-23 ) 4· Dalla morte alla vita ( 2, I - IO) 5 · Giudei e gentili: uno in Cristo ( 2, 1 1-22) 6. Paolo e i gentili ( 3 , I - I 3 ) 7 · Intercessione e dossologia { 3 , 14-2 I ) 8 . La parenesi {4,I-6,2o) 9· Unità e diversità (4, I - I 6 ) A. L'unità (4,I-6) B. Unità e crescita della chiesa {4,7- I 6 ) IO. Dal vecchio al nuovo {4, I 7-24) I 1. Comportatevi in modo da salvaguardare l'unità (4,25-5,2)
I4
INDICE DEL VO LUME
54I
I 2. Dalla lussuria alla luce ( 5 , 3 - I 4 )
572
I 3 . Siate saggi e riempiti dallo Spirito ( 5 ,I5-21 )
592 6oo 63 7 646
1 4· Il comportamento nella famiglia cristiana ( 5 ,22-6,9) A. Mariti e mogli: Cristo e la chiesa ( 5 ,22-3 3 ) B. Genitori e figli ( 6, I -4) C. Padroni e schiavi ( 6, 5 -9 )
66o
I 5 . Il conflitto ( 6, 1 0-20)
69 I
I6. Informazioni e saluti finali ( 6,2I -24)
I55 I96 220 23 6 3 I9 592
Excursus 1 . I cieli 2. In Cristo 3 . Le potenze 4· Il corpo di Cristo 5 . Israele e la chiesa 6. Il codice domestico
703 724
Appendici 1. La chiesa 2. L'insegnamento morale
745 75 5 769
Indice analitico Indice dei passi citati Indice degli autori moderni
BIBLIOGRAFIA
COMMENTARI
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=
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CNT Conc CQR CR CRINT CSEL CTM DPL
ABBREVIAZIONI E S I G LE
Commentaire du Nouveau Testament Concilium Church Quarterly Review Corpus Reformatorum Compendia Rerum Iudaicarum ad Novum Testamentum Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum Concordia Theological Monthly Hawthorne, G.F. - Martin, R.P. - Reid, D.G. (edd.), Dictionary of Pau/ and his Letters, Leicester 1993 DR Downside Review EDNT Balz, H. - Schneider, G. (edd.), Exegetical Dictionary of the New Testa ment (tr. ingl.), 3 voli., Edinburgh 1990-1992 EKK Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament ERE Encyclopaedia of Religion and Ethics, Edinburgh - New York 19081921 e rist. EstBib Estudios biblicos EstT Estudios teol6gicos ETL Ephemerides theologicae Lovanienses Études théologiques et religieuses ETR EvQ Evangelical Quarterly EvT Evangelische Theologie Exp Expositor ExpT Expository Times FRLANT Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments GCS Die griechischen christlichen Schriftstelier der ersten drei Jahrhunderte GNB Good News Bible GraceTJ Grace Theological Journal Greg Gregorianum GuL Geist und Leben HAW Handbuch der Altertumswissenschaft Hennecke-Schneemelcher Hennecke, E.- Schneemelcher, W. (edd.), New Testament Apocrypha (ed. ingl. a c. di R. MeL. Wilson), 2 voli., London "1991-1992 Handbuch zum Neuen Testament HNT History of Religions HR HTK Herders theologischer Kommentar zum Neuen Testament HTR Harvard Theological Review ICC lnternational Criticai Commentary IDB Buttrick, G.A. (ed.), The Interpreter's Dictionary of the Bible, 4 voli. e suppl., New York - Nashville 1962 -1976 IKZ Internationale kirchliche Zeitschrift Int Interpretation IrishBS Irish Biblica! Studies JAAR Journal of the Arnerican Academy of Religion JAC Jahrbuch fur Antike und Christentum JBL Journal of Biblica! Literature JETS Journal of the Evangelica! Theological Studies Jewish Quarterly Review JQR
ABBREVIAZIONI E SIGLE
JSNT Journal for the Study of the New Testament JSNTSup JSNTSupplement Series JTS Journal of Theological Studies KEK H.A.W. Meyer (ed.), Kritisch-exegetischer Kommentar iiber das Neue Testament KJV King james Version, 16 I I LCL Loeb Classical Library LD Lectio Divina Lipsius-Bonnet Lipsius, R.A. - Bonnet, M. (edd.), Acta Apostolorum Apocrypha, 2 voli., Lipsiae 1891-1903 LJ Liturgisches Jahrbuch LS Louvain Studies LSJ Liddell, H.G. - Scott, R. - Jones, H.S. - McKenzie, R. (edd.), Greek-Eng lish Lexicon, Oxford 1951 LTJ Lutheran Theological Journal LV Lumière et Vie Metzger Metzger, B.M., A Textual Commentary on the Greek New Testament, London 1971 Moulton, J.H. - Howard, W.F., A Grommar o( New Testament Greek MH n, Edinburgh 1929 MHT Moulton, J.H.- Howard, W.F.- Turner, N., A Grommar o(New Testa ment Greek 111, Edinburgh 1963 MM Moulton, J.H. - Milligan, G., The Vocabulary o( the Greek Testament, London 1914-1929 Moule Moule, C.F.D., An Idiom Book o( New Testament Greek, Cambridge 195 3 Moulton-Turner Moulton, J.H. - Turner, N., A Grommar o( New Testament Greek IV, Edinburgh 1976 NA Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece New Century Bible NCB New English Bible, 1961-1970 NEB NedGTT Nederduitse gereformeerde teologiese tydskrif Neot Neotestamentica NICNT The New lnternational Commentary on the New Testament NIDNTT Brown, C. (ed.), The New International Dictionary o( New Testament Theology, Exeter - Grand Rapids 1975-1978 NN New International Version, 1978 NJB New jerusalem Bible, 1985 NRSV New Revised Standard Version, 1989 La nouvelle revue théologique NRT NT Novum Testamentum NTD Das Neue Testament Deutsch NTOA Novum Testamentum et Orbis Antiquus NTS New Testament Studies OGI Dittenberger, W. (ed.), Orientis Graeci Inscriptiones Selectae, Leipzig 1903-1905 Ohio Journal of Religious Studies OJRS PG Migne, J.-P. (ed.), Patrologia Graeca PL Migne, J.-P. (ed.), Patrologia lAtina
ABBREVIAZIONI E S IGLE
Preisendanz Preisendanz, K. (ed.), Papyri Graecae magicae. Die griechischen Zauberpapyri, Leipzig-Berlin 1928Preisigke-Kiessling Preisigke, F., Worterbuch der griechischen Papyrusurkunden, ed. E. Kiessling, 3 voli., Berlin 1925-1931 PSV Parola Spirito Vita Questiones Disputatae QD RAC Reallexikon fur Antike und Christentum RB Revue biblique Pauly-Wissowa, Realencyclopiidie der Classischen Altertumswissen RE schaft REB Revised English Bible, 1989 RefR Reformed Review RefTR Reformed Theological Review RelSB Religious Studies Bulletin Restoration Quarterly RestQ Revista Biblica RevB RevEtudAug Revue des études augustiniennes RevExp Review and Expositor RGG Galling, K., et al. (edd.), Die Religion in Geschichte und Gegenwart, Tiibingen '1909-, •1927-, 31957Revue d'histoire et de philosophie religieuses RHPR RHR Revue de l'histoire des religions Rivista biblica RivBibl RNT Regensburger Neues Testament Robertson Robertson, A.T., A Grammar of the Greek of the New Testament in the Light of Historical Research, New York 31919 Revue des sciences philosophiques et théologiques RSPT Recherches de science religieuse RSR RSV Revised Standard Version, 1946-1957 RThom Revue Thomiste SANT Studien zum Alten und Neuen Testament SB Strack, H.L. - Billerbeck, P., Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, Miinchen 1922-1961 SBE Semana biblica espaiiola SBFLA Studii biblici Franciscani liber annuus SBL Society of Biblica! Literature SBLDS SBL Dissertation Series SBLMS SBL Monograph Series SBL Sources for Biblica! Study SBLSBS Stuttgarter Bibelstudien SBS SBT Studies in Biblica! Theology Sources chrétiennes se ScEc Sciences Ecclésiastiques ScEs Science et esprit Scr Scripture SE Studia Evangelica Svensk exeegetisk Arsbok SEA Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften SHAW Studies in Judaism in Late Antiquity SJLA
ABBREVIAZI ONI E S I G LE
Scottish Journal of Theology Studien zum Neuen Testament Society for New Testament Studies Monograph Series Society for Promoting Christian Knowledge Studia theologica Studien zur Umwelt cles Neuen Testaments NT Supplement Series Southwestern Journal of Anthropology Symbolae biblicae Upsalienses The Bible Today Theologie und Glaube Theologische Blatter Thrall, M.E., Greek Particles in the New Testament, Leiden 1962 Trinity Journal Theologische Literaturzeitung Theologische Quanalschrift TRE Krause, G. - Miiller, G., et al. (edd.), Theologische Realenzyklopiidie, Berlin - New York 1976TSK Theologische Studien und Kritiken Trierer theologische Zeitschrift TTZ Texte und Untersuchungen TU Kittel, G. - Friedrich, G. (edd.), Theologisches Worterbuch zum Neuen TWNT Testament, Stuttgan 1933Tyndale Bulletin TynB TZ Theologische Zeitschrift United Bible Societies, The Greek New Testament UBS Untersuchungen zum Neuen Testament UNT Union Seminar Quanerly Review USQR Uni-Taschenbiicher UTB Uppsala Universitets Arsskrift uuA Vigiliae christianae ve Verbum Caro VCaro VD Verbum Domini VoxEv Vox Evangelica WD Won und Dienst WMANT Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament Westminster Theological Journal WTJ Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament WUNT Zerwick Zerwick, M., Biblica/ Greek (ed. ingl. a c. di J. Smith), Roma 1963 Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft ZNW Zeitschrift fiir Religions- und Geistesgeschichte ZRGG Zeitschrift fiir Theologie und Kirche ZTK S]T SNT SNTSMS SPCK ST SUNT SupNT SWJT SymBU TBT TG! ThBI Thrall T] TLZ TQ
Le abbreviazioni di testi antichi sono di norma quelle impiegate in Balz, H. - Schneider, G. (edd.), Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, 2 voli., Brescia 1 995-1998.
INTRODUZIONE
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Poiché quasi tutti i commenti nell'introduzione trattano i n misura più o me no ampia i terni affrontati nel prosieguo, non li si è elencati né in questa bibliografia né in quelle premesse alle singole sezioni. Una panoramica sto rica del dibattito sulla lettera agli Efesini svoltosi a partire dalla nascita del metodo storico-critico è stata fornita da Merkel e viene quindi omessa in questo studio. I . I DESTINATARI I . I . Si possono qui prendere in considerazione soltanto i destinatari cui l'autore di Efesini ha pensato come lettori del suo scritto, senza perciò esclu dere che anche altri l'abbiano letto. La lettera agli Efesini era diretta a cre denti, i quali non necessariamente vivevano a Efeso (v. a 1,1 s.), ma erano o a) membri di un gruppo di comunità cristiane che non è dato identificare e che si trovavano probabilmente in Asia Minore ( cf. 1 Pietro) e forse in-
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INTRODUZIONE
eludevano la comunità di Efeso; oppure b) cristiani in generale, anche se ve risimilmente quelli presenti in un'area circoscritta quale l'Asia Minore. L'epistola di per sé non fornisce informazioni sufficienti a consentire una decisione definitiva tra queste possibilità, né tanto meno a stabilire l'esatta collocazione geografica dei lettori. A favore della prima ipotesi vi è la cir costanza che Tichico era stato incaricato di consegnare la lettera ( 6,21 s.) e doveva quindi sapere dove recarsi; ma è possibile che il riferimento a Ti chico sia solo parte della cornice pseudonima voluta dall'autore della lette ra. A favore della seconda ipotesi vi sono l'assenza di qualsivoglia forma di saluto, nonché la natura molto generica sia dell'indirizzo ( ) sia della conclusione ( ) . È probabile, ma nient'affat to sicuro, che si debba preferire questa seconda ipotesi; se tuttavia si opta per la prima, le comunità che l'autore ha in mente erano verisimilmente una serie di chiese situate in diverse città piuttosto che svariate chiese do mestiche presenti in una città particolare. È improbabile che la lettera sia stata fatta circolare di casa in casa, poiché vi erano circostanze in cui i membri di tutte le chiese domestiche di una città si riunivano (cf. I Cor. 14,23 ), offrendo così un'occasione adeguata alla lettura del testo. A Colos si erano presenti chiese domestiche (4,1 5 ), eppure l'epistola inviata a quel la comunità era destinata a una lettura da parte della chiesa nel suo insie me. La lettera agli Efesini non contiene alcuna traccia concernente un'ere sia o una persecuzione con contorni precisabili che possa fornire informa zioni sui suoi destinatari. È possibile che l'area in cui vivevano i lettori non fosse vasta, poiché, per quanto nella lettera si faccia uso di brani tradizio nali (v. sotto, 9.2), non pare tuttavia che la loro conoscenza fosse diffusa. Non v'è attestazione della loro presenza in altri scritti cristiani del tempo, il che fa pensare a un'area ristretta. L'autore nondimeno verisimilmente presumeva che tutti i cristiani fossero al corrente di queste tradizioni. Egli scriveva pensando a lettori credenti, ma non a ogni tipo di credenti, poiché pone l'accento su quelli di origine gentile ed esclude coloro che sono stati convertiti dalla predicazione di Paolo ( 1 , 1 5 ). 1 .1.1. In realtà forse l'autore di Efesini non sapeva molto dei suoi letto ri. Nel codice domestico (Haustafel) di 5,22-6,9 tratta soltanto di mariti e mogli, di genitori e figli, di padroni e schiavi che vivono in famiglie intera mente cristiane. È estremamente difficile credere che vi fosse allora, o vi sia mai stata, una comunità cristiana nella quale ogni membro di ciascuna fa miglia fosse credente. Documentano l'esistenza di famiglie spaccate I Cor. 7, 1 2- 1 6; I Pt. 2, 1 8-3 ,6. Vista la scarsa conoscenza dell'autore della lettera sulla reale situazione delle famiglie nelle sue comunità, occorre dunque con siderare con estrema prudenza ogni informazione da lui fornita sui propri lettori. Che egli non abbia una percezione corretta di come si viveva intor-
I DESTINATARI
no a lui risulta evidente anche dal modo in cui presenta il mondo secolare (4, ! 7- 1 9 ) . I non cristiani nel mondo antico non avrebbero accettato le tin te forti di tale descrizione. In questo caso peraltro l'errore dell'autore è forse più giustificabile (v. a 4 , I 7- 1 9 ) . Per inciso, la rappresentazione con tenuta in 4,17- 1 9 escluderebbe per i lettori non giudei qualsiasi precedente legame con una sinagoga in qualità di . Benché in quasi tutti gli altri scritti neotestamentari si vedano i cristiani sottoposti a pres sioni esterne, se non a persecuzioni, questo aspetto non è rispecchiato in nessuno dei consigli che l'autore dà ai suoi lettori, il che dovrebbe indurre a valutare con attenzione lo scopo della lettera (v. sotto, 8 ) . r.2. I n mancanza d i informazioni precise sulla situazione dei lettori si possono ricavare poche notizie sulla loro composizione sociale. Alcuni co noscevano il greco, anche se forse non tutti lo usavano come prima lingua (cf. Atti 14, r r ). È possibile che la lettera sia stata tradotta da chi sapeva il greco a beneficio di chi non lo sapeva. Che vi fossero schiavi fra quanti, nelle previsioni dell'autore, avrebbero letto o ascoltato l'epistola è confer mato dal suo rivolgersi a costoro (6,5-8), ma ciò non dimostra che vi fos sero pure famiglie abbienti, poiché anche quelle di condizione relativamen te umile avevano uno o due schiavi, e qualunque attività, ancorché mode sta, ne richiedeva l'impiego. I peccati dai quali l'autore s'aspetta che essi si affranchino, ora che sono credenti, non sono affatto eccezionali: insinceri tà, iracondia, furto, parlare osceno e scandaloso (4,2 5-3 1 ), fornicazione, adulterio e cupidigia ( 5,3-5). 1 . 3 . S i può presupporre che i suoi lettori fossero battezzati (4,5; 5,26). Mentre nella chiesa dei tempi successivi i candidati ricevevano un'istruzione catechetica prima del battesimo, non ci sono motivi per ritenere che questa prassi fosse in uso già all'epoca dell'autore di Efesini. In nessuno dei casi di battesimo menzionati negli Atti degli Apostoli si parla di un periodo di istruzione tra la richiesta del battesimo e il battesimo stesso. L'istruzione catechetica doveva essere successiva al battesimo. I destinatari della lettera erano probabilmente convertiti da un periodo più o meno lungo. 4,21 im plica che essi abbiano già ricevuto qualche forma di istruzione. È impossi bile dire da chi o quando fossero stati evangelizzati; non certo da Paolo, a prescindere dalla paternità di Efesini ( r , r 5 ; 3 ,2). Usami, passim, sostiene che l'autore avesse in mente due gruppi, i •• noi >> e i ••voi >>, da distinguersi in base a quando risaliva la loro adesione al cristianesimo: i ••noi >> da pri ma dei ••voi >> , che sarebbero cristiani convertiti di recente. Il gruppo dei «noi >> avrebbe compreso giudeocristiani ed etnicocristiani di lunga data. Ma non può esserci stata una separazione così rigida tra questi due gruppi presunti, poiché le conversioni erano continue. Vi sono altre spiegazioni, molto più plausibili, del passaggio dalla prima alla seconda persona plurale.
INTRODUZIONE
I ·4· I lettori sono cristiani da un periodo abbastanza lungo da lasciar presumere che accettassero l'A.T. come guida autoritativa per la propria condotta, quantomeno in alcuni ambiti della vita { 5,3 1 ; 6,2 s.). Visto che, oltre alle citazioni veterotestamentarie esplicite, all'A.T. si allude in manie ra sistematica e lo si utilizza nel corso dell'argomentazione ( ad es. ls. 5 7, 1 9 in 2, 1 2- ! 7), l'autore doveva essere convinto che alcuni lettori ne aves sero una conoscenza ragionevolmente approfondita (cf. sotto, 9 . 1 ) . Si fa uso anche della tradizione cristiana {9.2 ) . Poiché nell'istruzione postbatte simale doveva esserne trasmesso qualche elemento, non c'è motivo di ritene re che tutti i destinatari fossero cristiani da lungo tempo. L'uso del linguag gio liturgico da parte dell'autore {ad es. 1,3- 14; 3 , 1 4-2 1 ) dimostra solo la sua predilezione per questo modo di esprimersi, ma non rivela alcunché sul conto dei suoi lettori. Analogamente, il suo ricorso ad argomentazioni com plesse {ad es. 1 ,9 s.) nulla dice sulle loro capacità intellettuali. È normale che i predicatori parlino a un livello molto superiore a quello dell'intelli genza degli ascoltatori. L'uso dell'A.T. da parte dell'autore di Efesini po trebbe implicare che i lettori fossero giudeocristiani, ma poiché una sezione cospicua dell'argomentazione sviluppata nella lettera riguarda l'ammissio ne dei gentili come credenti e poiché ci si rivolge alla seconda persona plu rale a gentili che hanno abbandonato le strade dei pagani { 2, 1 s.; 3 , 1 ; 4, 17), la maggior parte dei lettori doveva essere costituita da gentili. Si può tuttavia sostenere che fra loro non vi fossero credenti giudei {cf. Barth, 10; Id., Israel und die Kirche, Miinchen 1 9 5 9, 7· 3 0 ) ? Molti dei termini usati in relazione ai lettori (ad es. 1 , 1 : santi, fedeli) erano stati inizialmente im piegati da giudeocristiani per definire se stessi. Talora ci si rivolge ai gentili alla terza persona { 3 ,6.8) (cf. Roels, I I 7- I I 9). L'autore stesso era un giu deocristiano (v. sotto, 2.2.2). Vi era in effetti una nutrita popolazione giu daica in Asia Minore, probabile area di destinazione dell'epistola. È diffici le credere che anche verso la fine del 1 secolo, se Efesini è stata scritta così tardi, esistessero chiese in cui non c'erano giudeocristiani. 1 . 5 . L'Asia Minore è generalmente ritenuta la sede geografica dei lettori, benché la lettera in sé, data la sua natura assai generale, non offra indizi decisivi a tal riguardo. Non vi sono allusioni a episodi esterni, quali una persecuzione o un'eresia, che possano consentire di collegarla a un luogo, o quantomeno di eliminare alcune possibili aree. L'autore intendeva trat tare della vita interna delle comunità cristiane. La tradizione che vuole nel l' Asia Minore la collocazione dei destinatari si è sviluppata nel lungo pe riodo durante il quale non si nutrivano dubbi sull'autenticità del testo di 1 , 1 che contiene la menzione di Efeso. Ma ora che questa lezione non è più accettabile {v. a 1 , 1 ) , è ancora possibile considerare l'Asia Minore il luogo in cui vivevano i destinatari della lettera ? A un dato momento in 1 , 1 è sta-
I DESTINATARI
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to inserito un toponirno e la scelta di Efeso mostra che chi ne fu responsa bile pensava all'Asia Minore come regione in cui il testo circolava. Anche l'opinione di Marcione che I , I contenesse il nome di Laodicea si potrebbe addurre a sostegno dell'idea che l'Asia Minore fosse l'area di destinazione. 1 . 5 . 1 . Se l'autore di Efesini si è servito di Colossesi (ma v. sotto, 2. 5 ), si potrebbe supporre che sia venuto in contatto con quella lettera nella re gione alla quale era stata inviata e che quindi abbia scritto la propria de stinandola al medesimo ambito regionale. Le più antiche attestazioni di co noscenza della lettera si trovano in Ignazio e Policarpo. Policarpo fu vesco vo di Smirne in Asia Minore e Ignazio attraversò la zona nel suo viaggio verso Roma. Tichico è l'unico cristiano menzionato in Efesini. Il suo nome ricorre anche in Co/. 4,7 s. Se la lettera ai Colossesi fu inviata a Colossi, Tichico è stato legato a questa regione almeno per parte della sua vita. A t ti 20,4 implica che vi fosse nato e anche 2 Tim. 4,12 ve lo associa. D'altro canto, Tit. 3 , I 2 (cf. I , 5 ) presuppone che egli abbia vissuto per un certo pe riodo a Cipro. 1. 5 .2. Se si riuscissero a individuare affinità della lettera agli Efesini con altri scritti propri dell'Asia Minore, ciò potrebbe contribuire a definirne la localizzazione/ Kirby, I 66- I 68, ha sostenuto la presenza di numerosi pun ti di contatto con il vangelo di Giovanni, come il ricorso al contrasto fra luce e tenebra, la delimitazione dell'amore ai membri della stessa comuni tà, l'esigenza di unità al suo interno, l'accento posto sull'importanza della conoscenza. Non v'è dubbio che queste idee siano comuni ai due scritti, ma sono condivise anche da molti altri del N.T. che non appartengono al l'area microasiatica. In effetti tutti gli scritti neotestamentari hanno in co mune un numero considerevole di concetti, sicché per provare la stretta re lazione fra due testi non basta indicarne le affinità ma occorre altresì di mostrare che esse si riscontrano esclusivamente fra questi. È vero che l'edi zione finale del vangelo di Giovanni può essere stata redatta in Asia Mino re; ma vi sono stati probabilmente vari stadi di composizione ed è possibi le che essa abbia acquisito le presunte somiglianze in altre aree. Anche fra la lettera agli Efesini e la prima di Pietro, che è destinata a una regione pressoché analoga, è stata ravvisata una stretta affinità. Per alcuni studiosi, invero, l'una dipende dall'altra (v. sotto, 2.4 . 5 .6), ma tale dipendenza è improbabile in entrambe le direzioni, e I Pietro, benché forse destinata alla medesima area, fu verisimilmente scritta a Roma. Fra le due lettere inter corrono anche differenze non trascurabili: in particolare, in I Pietro sono frequenti gli accenni alla persecuzione dei credenti, argomento questo as sente in Efesini; il codice domestico di I Pietro ( 2, I 3 - 3 ,7 ) è molto diverso 1
Sullo sviluppo di
te, spec.
somiglianze e differenze tra gli scritti neotestamentari v. Berger, Theologiegeschicb r 83 s. 2.74- 2.76. 42.5-42.7. 5 2.1-52.3 . 543-547 per la lettera agli Efesini.
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INTRODUZIONE
da quello di Efesini ( 5,22-6,9; cf. Best, Haustafe/) e non pare che uno dei due possa essere derivato dall'altro. Anche l'Apocalisse è uno scritto sicu ramente collegato all'Asia Minore, come si vede dai nomi delle sette chiese. Analogamente a I Pietro e diversamente da Efesini, questo scritto presup pone che la persecuzione fosse diffusa. L'eresia è un tratto caratteristico del cristianesimo del 1 secolo avanzato in Asia Minore, come si constata in I Giovanni, Apoc. 2; 3 e Ign. Tra/l. IO; Sm. 2; 5; ?; Eph. 9,I; Magn. IO; Phld. 6, ma non tutte le eresie sono dello stesso tipo e se l'autore di Efesini intendeva raggiungere i cristiani di un'area vasta, deve aver deliberatamen te evitato di menzionare eresie e persecuzioni, giacché era interessato alla condizione interna delle comunità che avrebbero ricevuto la sua lettera. I . 5 · 3 · Per Arnold (passim, ma spec. 5-40) molti aspetti di Efesini - la menzione della magia e delle «potenze » fra gli altri - si spiegano facilmen te se si parte dal presupposto di uno sfondo microasiatico. L'affermazione di Arnold risponde al vero, ma gli si possono muovere le stesse critiche già rivolte a Kirby: l'Asia Minore potrebbe fornire uno sfondo adatto a Efesi ni, ma egli non ha dimostrato che non vi siano altre aree con gli stessi re quisiti. La nostra conoscenza approfondita della magia è dovuta princi palmente a rinvenimenti papiracei in Egitto, e non in Asia Minore. Le «po tenze >> sono in primo piano in Rom. 8,3 8 s., e difficilmente Paolo le avreb be menzionate, se non fosse stato convinto che i cristiani di Roma avreb bero capito il cenno. Faust, I 5 n. 4 3 , dà per scontato che la lettera agli Efe sini provenga dall'Asia Minore e si fonda su questo presupposto per getta re luce su 2, I I-22. Ma la sua argomentazione dipende in larga misura da eventi che sono accaduti nel più vasto ambito dell'impero romano, i quali avranno avuto la medesima influenza in molte sue regioni. Anche in que sto caso la non è sufficientemente rigorosa. I . 5 ·4· In definitiva, i tratti che Efesini ha in comune con Colossesi costi tuiscono l'argomento più forte in favore della localizzazione in Asia Mino re, ma se ne richiede una formulazione attenta. Se l'autore di Efesini si è servito di Colossesi, si potrebbe concludere che in un dato periodo della sua vita egli risiedesse a Colossi o in un'altra città della zona, che sia venuto a conoscenza di quella lettera e abbia indirizzato la propria alla medesima regione. È tuttavia possibile (v. sotto, 2. 5 ) che l'autore di Efesini non dipen da da Colossesi in un senso letterario diretto. Può darsi che tanto lui quan to l'autore di Colossesi appartenessero alla stessa scuola paolina (v. sotto, 3 ) , che forse aveva il suo centro in Efeso. Essi condividono parte del mede simo materiale tradizionale, come il codice domestico e gli elenchi di vizi. Di solito si ricorre alla tradizione nella speranza che sia riconosciuta come tale e corrobori un'argomentazione. Vi è un aspetto secondario di Efesini che potrebbe avvalorarne la provenienza dall'Asia Minore: questa è l'unica
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area in cui [LEa6-rmxov sia attestato come termine architettonico (v. a 2, 1 4). 1 . 6. Sarebbe errato concludere che è possibile stabilire in modo definiti vo che l'autore di Efesini scrisse per lettori residenti in Asia Minore, ma a favore di questa localizzazione depongono argomenti più forti che per qualunque altra ed è probabile che vi si debba riconoscere la regione dei destinatari della lettera. A dire il vero, se Efesini fosse stata indirizzata al trove, non vi sarebbe molta differenza ai fini dell'interpretazione. Conside rata l'Asia Minore come area di provenienza, è impossibile valutare il nu mero dei credenti che vi si trovavano a quell'epoca. La predicazione evan gelica ha avuto inizio al tempo di Paolo. Secondo quanto asserisce Plinio, Epist. r o,9o, nel periodo in cui scrive c'erano molti cristiani. Il testo qui in esame si situa in un momento compreso fra l'età di Paolo e quella di Pli nio. In questo periodo la chiesa doveva essere in crescita. Plinio dice che ai tempi vi era già chi rinunciava alla fede. In Efesini non vi è tuttavia alcun sentore di una tendenza, sia pure incipiente, di allontanamento dal cristia nesimo cui l'autore voglia opporsi. 2 . LA PATERNITÀ DELLA LETTERA AGLI EFESINI
Percy, passim; j.N. Sanders,
The Case for the Pauline Authorship, in Cross, 9-20; D.E. Nineham, The Case against the Pauline Authorship, in Cross, 2 1 - 3 5 ; H.j. Cadbury, The Dilemma of Ephesians: NTS 5 ( 1 9 5 8- 1 9 5 9 ) 9 1 - 1 02; L. Cerfaux, En faveur de l'authenticité des épitres de la captivité, in Littérature et Théologie Pauliniennes, Bru ges 1 9 60, 5 9-7 1 ; R. Kasser, L 'autore dell'Epistola agli Efesini: Protestantesimo 1 7 ( 1 962) 74-84; j . Murphy-O'Connor, Who wrote Ephesians ?: TBT 1 8 ( 1 96 5 ) 1 20 I 1 209; J.I. Cook, The Origin and Purpose o( Ephesians: RefR 1 8 ( 1 9 6 5 ) 3 - 1 8; Va n Roon, passim; Caragounis, 3 5 - 5 6; j.B. Polhill, An Introduction to Ephesians: RevExp 76 ( 1 979) 465-4 80; G.A.M. Vleugels - j.C. Coetzee, Onderzoek naar de synoptische rela tie van de brieven aan de Efeziers en aan de Kolossenzers: In die Skriflig 22 ( 1 9 8 8 ) 3 746; M.D. Goulder, The Visionaries of Laodicea: JSNT 43 ( 1 99 1 ) 1 5 -39; j.H. Roberts,
The Enigma of Ephesians - Rethinking some Positions on the Basis of Schnackenburg and Arno/d: Neot 27 ( 1 99 3 ) 9 3 - 1 06.
2. r. Affrontare questo argomento comporta che si contemplino numero si temi: la documentazione esterna, il rapporto con Colossesi, il rapporto con le epistole paoline, il lessico, la sintassi, lo stile, il pensiero. Prima di vol gersi a tali ambiti è importante presentare le principali alternative: r . sia Colossesi sia Efesini sono state scritte da Paolo; 2. entrambe le lettere sono state scritte da una stessa persona, che però non è Paolo; 3· Paolo ha scritto Colossesi; l'autore di Efesini è sconosciuto; 4· Paolo ha scritto Efesini; l'autore di Colossesi è sconosciuto; 5· le due lettere sono state scritte da due autori diversi, entrambi scono sciuti.
2.2. Profilo dell'autore. Sulla forma epistolare Demetrio osserva: La lettera, analogamente al dialogo, dovrebbe fornire molte informazioni sul carattere. Si può dire che ciascuno rivela nelle proprie lettere la sua anima. È possibile discernere il carattere dello scrittore in qualsiasi altra forma di com posizione, ma in nessuna con tanta chiarezza come nella corrispondenza epi stolare. I
Se Demetrio ha ragione, prima di affrontare direttamente la questione del l'identità dell'autore, dovrebbe essere possibile proporre un rapido schizzo del tipo di persona che ci si deve aspettare. 2.2. r . Quasi certamente l'autore è un uomo. In 6, 1 3 ss. si raffigura la lotta nella quale i cristiani sono coinvolti in termini maschilisti. In 4,I 3 l'au tore usa àv�p dove sarebbe più opportuno av-8pw7toç. In 5.3 I il matrimo nio è presentato come iniziativa del marito, senza alcun cenno a una parte attiva della moglie. L'ubriachezza ( 5 , 1 8 ) è un peccato più frequente fra gli uomini che fra le donne. In 5,5 si usa il maschile 7tClpvoç mentre esiste un femminile m)pvl) (cf. I Cor. 6, I 5 ). In 4,28 per indicare il ladro è impiegato un termine maschile al singolare (i plurali valgono spesso per entrambi i sessi ). Per gli uomini che mirano a guadagni illeciti è più probabile ricorre re al furto che per le donne, le quali, se ne hanno bisogno, si procurano il denaro esercitando piuttosto la prostituzione. Dopo aver nominato in ge nerale i genitori, in 6,4 l'autore concentra l'attenzione sui padri. Sono troppo esigue le testimonianze letterarie del tempo di mano femminile oggi note per sapere se le donne avrebbero impiegato termini maschili alla ma niera degli scrittori contemporanei dell'altro sesso, ad esempio usando il maschile per entrambi i generi. L'autore di Efesini era dunque quasi certa mente un uomo, sicché si utilizzeranno pronomi maschili per indicarlo. Sebbene sia un uomo e faccia uso di immagini marziali in 6, I 3 ss., questo non è un motivo per supporre che abbia servito nell'esercito romano. In Asia Minore i giudei erano di norma esenti dal servizio militare. 1 I partico lari dell'equipaggiamento militare romano erano verisimilmente noti a tut ti, come i ragazzi di oggi conoscono gli ultimi modelli di aerei militari. Ov vio che se fosse Paolo, non vi sarebbe alcun bisogno di provare che l'auto re era un uomo. 2.2.2. L'autore era un giudeocristiano.3 Egli utilizza spesso la prima per sona plurale per indicare che sia lui sia i suoi lettori sono cristiani. A volte tuttavia l'uso della prima plurale instaura una contrapposizione fra lui e i gentili, cui si rivolge con tale appellativo ( 2, I -3 . 1 1 - I 4. I 9-22; 3 , I ss. ). Se peI
De elocutione 1 27 (trad. Loeb, a c. di W. Roberts).
1 Cf. Trebilco, x 6-19. 1 7 1.
3 M.B. Pedersen , Jode el/er Hedning? - Efeserbrevets forfatter: Dansk Teologisk Tidsskrift 5 1 ( 1 9 8 8 ) 177-188, i l quale, basandosi sul cambiamento di persona i n I , I 1 - 1 4, afferma che l'autore d i Efesini
era un gentile (ma v. ad loc.), costituisce un'eccezione.
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rò l'autore d i Efesini non fosse Paolo e stesse cercando deliberatamente di lasciar intendere il contrario, quasi certamente avrebbe tracciato tale distin zione. In ogni caso la sua identità di giudeo trova sostegno per altre vie. Kuhn, 3 34 s., richiama l'attenzione sulla lingua, il modo di esprimersi e il tipo di esegesi ( per esempio il suo impiego di ls. 5 7 in 2,11 ss. ), sulla co noscenza delle idee qumraniche o di concezioni analoghe, sul modo in cui, a prescindere dalle citazioni dirette, si avvale dell'A.T. e dei concetti vete rotestamentari per la propria argomentazione, nonché sul rilievo dato ad Israele come realtà alla quale i credenti sono vincolati. Quantunque fosse giudeo e mostrasse familiarità con le idee riscontrate negli scritti di Qum ran, nulla autorizza a ritenere che egli abbia mai fatto parte di quella co munità (cf. sotto, 1 0 . 5 .2). La sua identità giudaica emerge anche dall'uso di forme liturgiche giudaiche, quali l'eulogia ( 1,3 ss.) e la dossologia ( 3 ,20 s.), e sarebbe ulteriormente ribadita se fosse vero che ha tratto 4,8 diret tamente da un targum (ma v. ad loc. ) . Se era giudeo, quasi di sicuro appar teneva al giudaismo ellenistico, come si arguisce dalla sua dimestichezza con lo stoicismo e concezioni a questo riconducibili, e forse anche dalla sua conoscenza della retorica ellenistica (v. sotto, 2.2. 3 ) . Anche qui, la sua identità giudaica non richiederebbe dimostrazione, se si fosse certi che l'au tore della lettera è Paolo. In caso contrario egli si colloca nella tradizione paolina, come risulta dal rapporto fra la sua lettera e le principali epistole paoline e dal ricorso a idee paoline (v. sotto, 2.6). 2.2. 3 . Che cosa rivela il suo scritto sulle sue qualità intellettuali? Egli ha piena competenza linguistica del greco, ma il suo stile è complesso, non semplice e diretto. Molti periodi sono lunghi e sovraccarichi di subordina te la cui precisa relazione reciproca e con l'insieme è spesso ardua da defi nire. Raramente l'autore usa un unico vocabolo quando può impiegarne due, unendo sovente i sinonimi con una «e>> o in un nesso genitivale (ad es. 1,4. 8 . 1 1 . 1 9 ) . Può darsi che, nonostante la sua profondità di pensiero, egli non sia in grado di esprimersi in forma piana (cf. Kant), oppure che il suo pensiero sia confuso. Quale delle due ipotesi è vera ? Una risposta compiu ta la si potrà dare solo dopo un'analisi accurata di tutta la lettera. Per ora si può dire che è più verisimile la prima. Spesso nei punti in cui è complessa, la lingua presenta anche accenti li turgici: l'autore era forse abituato a presiedere a uffici cultuali e ciò può aver influenzato il suo stile, che non è peraltro quello di una persona incol ta. Egli gioca sulla radice di eÙÀoyÉw in 1 , 3 , di x.ciptc; in 1,6 s. (cf. 2,4; 4, 1 ), di CÌ'(cX1tlJ in 2,4, di xaÀÉw in 4 , 1 e di �aivw in 4,9 s. (cf. 5 ,2. 1 5 s.). C'è una allitterazione di 1t in 1 ,23 (cf. 3 , 1 2; 6, 1 2d) e di lJ in fine di parola in 4,9; il suono x ricorre in tutto 4,24, nonché in 4,28 ( ove si noti anche il x.) e in 5,23 s. In 5 , 1 5 si ha l'antitesi aao�ot/ao�oL auv è usato con efficacia in 2,6
INTRODUZIONE
e 3,6; il gruppo -mx- percorre l'intero passo 2, 1 9-22 (cf. -òu- in 6, 10 s. ). ou e w riecheggiano lungo 3,9, come u e ex in 4,2; 1t!iç ed eiç dominano rispetti vamente in 4,6 e 4, 1 2 s. I vv. 2, u-22 e 5,23 s. presentano una struttura chiastica, come forse anche 1,3-3,21 (così Roberts). C'è un parallelismo di proposizioni in 1 , 1 3; 1 , 1 8; 4,22-24. Per valutare correttamente questi ele menti bisogna ricordare che l'autore di Efesini scriveva pensando che il te sto venisse ascoltato piuttosto che letto in silenzio. De Zwaan I riscontra in tutta la prima parte della lettera una logica ritmica nella composizione del le frasi analoga allo stile della poesia ebraica. Alcuni punti deboli nella for ma dipendono forse dal retaggio culturale dell'autore, che è insieme giu daico e greco. Nonostante le prove di una buona sensibilità stilistica, egli non sembra aver prestato sufficiente attenzione a qualche aspetto più gene rale inerente alla composizione: la parentesi di 3,2- 1 3 compare dal nulla, quasi fosse stata inserita in seguito a una decisione dell'ultimo momento. L'insegnamento etico è in massima parte lineare, dacché si limita a trat tare di doveri banali (v. appendice 2, « L'insegnamento morale •• ). Questo era forse ciò che l'autore considerava necessario per i suoi lettori, ed è sen z'altro vero che in nessun punto ai credenti viene richiesto di andare oltre la necessità di impegnarsi nell'adempimento dei doveri più semplici. Sorgo no tuttavia dubbi quando si giunge al codice domestico, i cui consigli sono destinati esclusivamente a quanti vivono in famiglie interamente cristiane (v. a 5,22-6,9 ). Un codice domestico analogo si trova in Colossesi ( 3 , 1 84,1 ) e probabilmente entrambe le lettere fanno uso di una forma preesi stente. 2 Si direbbe che l'autore di Efesini non si renda conto dell'inadegua tezza delle sue direttive per molti dei lettori ed è difficile immaginare un er rore simile da parte di Paolo. L'autore d'altro canto dimostra talora sensi bilità verso i lettori greci: in 2,8-9 esprime con un linguaggio che essi dove vano comprendere il nucleo dell'insegnamento paolino sulla giustizia; in 4, 24 ricorre a un'espressione ellenistica, anziché a una giudaica, per proporre una formulazione sintetica del ben comportarsi. Nei primi tre capitoli l'autore conduce un'argomentazione chiara nelle sue linee principali, seppure complessa nei particolari. Egli tratta problemi che in precedenza non sono stati sviluppati adeguatamente in relazione al la chiesa, e in 2, u-22 fornisce un nuovo argomento in risposta all'annosa questione del rapporto fra credenti giudei e credenti cristiani. È nella pare nesi degli ultimi tre capitoli che il suo insegnamento appare talvolta stan co e non all'altezza. Le direttive, ancorché semplici, mancano di incisività. L'unico punto nel quale la sua argomentazione acquista vivacità è quello in J. de Zwaan, Le «Rhythme logique• dans l'épitre aux Éphésiens: RHPR 6 ( 1 92.7) 5 5 4-565; cf. Van I Roon, Authenticity, 1 2. 1 ss. 2. V. Best, Hausta(el, e sotto, excursus 6, • Il codice domestico • .
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cui sviluppa la prima sezione del codice domestico, includendo ulteriori in segnamenti sulla chiesa. Nella trattazione della lotta dei credenti con le po tenze egli rielabora l'immagine corrente dell'armatura del cristiano. Traspa re qui una tensione irrisolta del suo pensiero fra quella che si potrebbe de finire la posizione «teologica » dei credenti ( essi siedono nei cieli: 2,6; le po tenze sono state sconfitte: 1 ,20 s.) e la loro posizione > (essi so no tuttora soggetti a comportamenti peccaminosi: 4,2 5 ss.; devono ancora combattere le potenze: 6, 1 0 ss. ). Questa tensione affiora anche in altri pas si, per esempio nell'insegnamento sull'unità della chiesa (v. sotto, 6.4). 2. 3 . C'è un ultimo problema preliminare: se l'autore di Efesini non è Pao lo, perché scrive sotto questo nome? Non è forse un comportamento diso nesto ? È impossibile affrontare compiutamente la questione, sulla quale molto è stato scritto. 1 Senza dubbio, nel mondo antico esisteva la pseudo nimia, che è bene distinguere rispetto ad altre categorie: I . paternità ano nima (si dovrebbe ammettere la possibilità che a libri oggi considerati ano nimi fosse in origine connesso un nome che non è sopravvissuto); 2. uso del nome d'arte, vale a dire l'adozione da parte d'un autore di un nome di verso dal proprio sotto il quale scrivere; 3 . plagio, quando un autore fa passare per suo proprio uno scritto altrui apponendovi il proprio nome. Un'opera è invece pseudonima allorché l'autore decide di scrivere col no me di una persona già nota e rispettata dai lettori, che in genere è morta. Quando si parla di paternità pseudonima, bisogna evitare la parola «falsi ficazione >• , poiché implica sfumature emotive di segno negativo, anche se, una volta che si sia esaminato lo scritto, l'uso del termine può risultare 1 Si può elencare solo una parte esigua della bibliografia al riguardo: J.A. Sint, Pseudonimitiit im Al tertum. lhre Formen und ihre Grnnde, Innsbruck 1 9 60; K. Aland, The Problem of Anonymity and Pseudonymity in Christian Literature of the First Two Centuries e D. Guthrie, The Development of the Idea of Canonica/ Pseudepigrapha in New Testament Criticism, entrambi in K. Aland et al., The Authorship and Integrity of the New Testament (SPCK Theological Collecrions 4), London 1965; D. Guthrie, Introduction, 671-684; H.R. Balz, Anonymitiit und Pseudepigraphie im Urchristentum: ZTK 66 ( 1 969) 403 -43 6; W. Speyer, Die literarische Fi:ilschung im heidnischen und christlichen Al tertum (HAW 1/2), Miinchen 1971; K. v. Fritz (ed.), Pseudepigrapha 1 (Fondation Hardt, Entretiens 18), Genève 1 972; M. Rist, Pseudepigraphy and the Early Christians, in D.E. Aune (ed.), Studies in New Testament and Early Christian Literature (Fs A.P. Wikgren; SupNf 3 3 ), Leiden 1972, 75-9 1 ; B.M. Metzger, Literary Forgeries and Canonica/ Pseudepigrapha: JBL 9 1 ( 1 972) 3 -24; W . Trilling, Untersuchungen zum Zweiten Thessalonicherbrief, Leipzig 1 972, 1 3 3 - 1 5 8; N. Brox, Falsche Verfas serangaben. Zur Erkli:irung der friihchristlichen Pseudepigraphie (SBS 79), Stuttgart 1973; K.M. Fi scher, Anmerkungen zur Pseudepigraphie im Neuen Testament: NfS 23 ( 1 976- 1 977) 76-8 1 ; N. Brox (ed.), Pseudepigraphie in der heidnischen und iiidisch-christlichen Antike (Wege der Forschung 484), Darmstadt 1977; J. Zmijewski, Apostolische Paradosis und Pseudepigraphie im Neuen Testa meni: BZ 23 ( 1 979) 1 6 1 - 1 7 1 ; F. Laub, Falsche Verfasserangaben in neutestamentlichen Schriften: TTZ 89 (1 980) 228-24 1 ; A. G. Patzia, The Deutero-Pauline Hypothesis. An Attempt at Clarification: EvQ 52 ( 1 980) 27-42; D.G. Meade, Pseudonymity and Canon. An Investigation into the Relation ship of Authorship and Authority in Jewish and Earliest Christian Tradition, Grand Rapids 1 9 87; R. Bauckham, Pseudo-Apostolic Letters: JBL 1 07 ( 1 9 8 8 ) 469-494.
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corretto. Per quanto concerne la Scrittura, non si può aggirare il problema affermando che si tratta di scritti canonici, e perciò ispirati, e quindi asso lutamente esatti in ogni loro asserto, in particolare in quelli relativi alla paternità. Un atteggiamento siffatto significherebbe semplicemente accet tare una delle conclusioni possibili prima di esaminare i dati concreti. Ben ché per secoli si sia pensato che la lettera agli Ebrei fosse stata scritta da Paolo, il rendersi conto del contrario non ha diminuito il rispetto per que sto testo: quello che importa è il suo contenuto. Anche se la lettera agli Efe sini non fosse di Paolo, non per questo il suo contenuto cesserebbe di esse re veritiero e utile ai credenti. 2.3 . 1 . Non si può negare che nel mondo antico esistessero scritti pseudo nimi: i discepoli di Pitagora scrissero molti testi che attribuirono a lui; fu rono composti testi teatrali sotto il nome dei grandi drammaturghi greci del passato; è comunemente riconosciuto che Platone non sia l'autore di tutte le lettere attribuitegli, anche se non vi è accordo su quali siano autentiche. Non è del resto verisimile che gli scrittori neotestamentari fossero a cono scenza di tali testi pseudonimi e li abbiano deliberatamente imitati. È più importante chiedersi se quello dello scritto pseudonimo fosse anche un fe nomeno del 1 secolo nell'ambito del retaggio culturale giudaico dei credenti. 2.3 .2. In genere si riconosce che molti libri veterotestamentari non sono stati composti interamente dagli autori presunti. Isaia può aver scritto par te delle profezie a lui attribuite, ma vi sono state aggiunte di altri. È ben difficile che i cristiani del 1 secolo ne fossero consapevoli. Essi avevano pe rò familiarità con scritti pseudonimi giudaici più recenti, che hanno visto la luce ai loro tempi o all'incirca in quel periodo. Tra questi vi erano testi apocalittici, come gli scritti di Enoc e il Quarto libro di Esdra e alcuni altri che si ponevano entro il solco della tradizione sapienziale; benché non sia esplicitamente affermato che Salomone compose la Sapienza di Salomone, l'attribuzione si può dedurre dai contenuti (l'opera è scritta da un re che costruì un tempio e narra eventi accaduti durante la vita di Salomone) . So no pseudonime anche le Sentenze dello Pseudo-Focilide, scritte in dialetto ionico fra l sec. a.C. e l d.C. n processo di produzione di letteratura pseu donima era dunque in atto tra i giudei ai tempi o pressappoco nel periodo in cui veniva redatta la lettera agli Efesini, il cui autore è giudeo. 2. 3 . 3 . Nel secolo successivo a Cristo anche i cristiani produssero lettera tura pseudonima. Il Kerygma Petri, di cui restano solo frammenti, voleva essere un resoconto della predicazione di Pietro e per qualche tempo alcuni credenti lo accolsero come tale. Gli ultimi versetti del Vangelo di Pietro at tribuiscono a lui questo scritto. Col. 4, 1 6 ha indotto alla composizione di una presunta lettera di Paolo ai laodicesi. Il Protevangelo di Giacomo è at tribuito a Giacomo. Nella sua forma attuale il Vangelo di Tommaso è for-
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se molto più tardo di queste opere, ma costituisce chiaramente lo sviluppo di una versione precedente. Oltre a redigere scritti propri, i cristiani hanno in qualche caso interpolato libri giudaici, come per il Martirio e l'Ascensio ne di Isaia, e hanno inserito almeno alcune frasi nel Testimonium Flavia nu m, in las. Ant. 1 8,63 s. I cristiani hanno continuato a lungo dopo il n secolo a produrre letteratura pseudonima. 2.3 -4- Se i cristiani sono vissuti in un ambiente giudaico che produceva letteratura pseudonima, e nel II secolo hanno dato vita anch'essi a lettera tura di questo tipo, ci si deve chiedere se sia impossibile che lo abbiano fatto già nel I. 2 Tess. 2,2, a prescindere dalla paternità paolina di quella lettera, dimostra l'esistenza di una tale produzione nel I secolo. 2 Pietro sa rebbe accolta dalla maggioranza degli studiosi come un'ulteriore prova di questo fatto, ma non la si può addurre in questa fase della trattazione, poi ché chi nega che i cristiani abbiano scritto in forma pseudonima, repliche rebbe sostenendo che la lettera è di Pietro. 2.3 - 5 - Per tornare all'interrogativo iniziale: uno scritto pseudonimo sti lato da un cristiano del I secolo è da considerarsi un atto disonesto ? La domanda può essere acuta, dato che l'autore di Efesini pone l'accento sulla sincerità (4, 1 5 . 2 5 ; 6, q ) . La necessità di essere veridici è fuori discussione, ma la percezione di ciò che la verità è varia a seconda delle epoche e delle culture. È quindi sbagliato esprimere giudizi sul I secolo partendo dai no stri criteri di verità. Lasciando da parte la questione della paternità, è mol to facile constatare che l'inganno è ammesso come comportamento appro priato in alcuni luoghi dell'A.T., ad es. Gen. 20,2; 27, 1 ss.; Gios. 2, 1-7; 2 Re 10, 1 5-27. Se questi esempi appaiono distanti dal I secolo, si trova pe raltro la medesima approvazione dell'inganno in Filone, Quaest. Gen. 4, 67.206, e in Origene, Ce/s. 4,19. Se dunque lo scritto pseudonimo era ac cettabile per i giudei del tempo e l'autore di Efesini era giudeo, e se era pa rimenti accettabile per i cristiani del II secolo, ci si deve forse aspettare un criterio di verità differente in autori del I secolo i cui scritti sono stati ac colti nel canone? Non ci si può attendere dagli scrittori neotestamentari un principio di onestà diverso da quello normale nella loro cultura giudaico cristiana. Se si accetta quanto l'autore di Efesini scrive riguardo alla schia vitù, specie che non la condanni, senza cercare di espungere dalla lettera il passo perché non concorda con le nostre idee di libertà, non si devono for se accettare anche i criteri di onestà del suo tempo per quel che concerne la paternità letteraria ? Se all'autore di Efesini o ad altri scrittori cristiani pseudonimi del I seco lo fosse stato chiesto di giustificare il loro agire, avrebbero forse risposto che non stavano facendo niente di diverso dai loro contemporanei e che scrivevano per aiutare altri credenti, senza alcun profitto personale. L'au-
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tore di Efesini, in particolare, avrebbe potuto difendersi anche adducendo come motivazione che nelle occasioni in cui Paolo non era stato in grado di visitare le sue chiese, aveva inviato qualcuno appartenente alla cerchia dei suoi aiutanti a rappresentarlo. È perfino possibile che l'autore sia stato in passato membro di quella cerchia e che abbia svolto attività missionaria per Paolo. Egli inoltre non scrive certo con l'intenzione di ingannare, ma soltanto allo scopo di istruire i cristiani nelle situazioni nuove in cui veni vano a trovarsi come avrebbe fatto Paolo se fosse stato ancora in vita. Che l'insegnamento dell'autore diverga a volte da quello paolina non invalida questa conclusione, poiché tutti gli scritti del N.T. differiscono tra loro su alcuni punti. Se a Tertulliano avessero detto che la lettera agli Efesi ni era stata redatta da un discepolo di Paolo, non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad accettarla, così come accettò il vangelo di Marco e quello di Luca per ché erano stati scritti da discepoli rispettivamente di Pietro e di Paolo, as serendo che le opere che pubblicano i discepoli appartengono ai loro mae stri (Mare. 4,5,3-4). È vero che col m secolo vari scritti pseudonimi vennero condannati, in quanto non erano stati composti da coloro di cui recavano il nome, o per ché non erano ortodossi sul piano teologico, ma ciò è avvenuto qualche tempo dopo. L'autore della lettera di Giuda sembra accettare I Enoc come opera di Enoc; più tardi Tertulliano, Cult. Fem. r , 3 , accoglie questo libro, benché Origene, Cels. 5 , 5 4, manifesti i propri dubbi. Se si ammette per il momento che l'autore di Efesini non sia Paolo, come mai la sua paternità non paolina non fu scoperta e la lettera stessa non venne rifiutata come accadde per la Terza lettera ai Corinti e per la Lettera ai Laodicesi? Nel lasciar da parte la congettura di Goodspeed, probabilmente non ri spondente a verità, secondo cui Efesini sarebbe stata scritta per introdurre la prima raccolta di epistole paoline (v. sotto, 8 . 3 . r ), merita ricordare che quando la lettera cominciò a circolare non esisteva ancora una raccolta completa, o anche parziale, di epistole paoline. Efesini era semplicemente un'altra lettera, e perciò, nella situazione fluida del canone anteriore alla fine del I secolo, poté essere accettata come paolina. Il suo insegnamento era in linea di massima compatibile con quello delle altre epistole paoline e non vi si leggeva nulla sul conto di Paolo che contraddicesse quanto si sa peva della sua attività. Finora ci si è limitati a trattare aspetti generali, prospettando la possibi lità che cristiani del I secolo abbiano scritto in forma pseudonima. Ciò non dimostra tuttavia che un determinato libro sia pseudonimo. Ma una volta ammessa tale eventualità, bisogna esaminare singolarmente i libri neotesta mentari per verificare se la documentazione esterna e interna relativa a cia scuno implichi o meno che esso non sia stato scritto dall'autore cui è attri-
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buito. Ora dunque si rivolgerà l'attenzione specificamente su Efesini, per ve dere se contenga argomenti a favore della paternità paolina o di altri.
2.4. Documentazione esterna T. Zahn, Geschichte des neutestamentlichen Kanons I, Erlangen 1 8 88, 8 1 6 ss.; West cott, xxv-xxx n ; Abbott, IX-XII; The New Testament in the Apostolic Fathers, Oxford 1 905; Schmid, 1 6- 3 6; A.E. Bamett, The Use of the Letters of Pau/ in Pre-Catholic Lit erature, Chicago 1 9 3 2; Id., Pau/ becomes a Literary Influence, Chicago 1 94 1 ; Mitton, Epistle, 1 60- 1 69; Hendriksen, 54- 5 6; Gnilka, 1 5 -20; Van Roon, Authenticity, 3 7·44; A. Lindemann, Paulus im iiltesten Christentum (BHT 3 8 ), Tiibingen 1 979, 1 74-23 2. 263 -290; Best, in ANRW n, 2 5 .4, 3 2 5 7·3 263 .
2.4. 1 . L'esame della documentazione esterna riguardo all'epoca in cui si cominciò a conoscere la lettera agli Efesini vale in effetti anche come di scussione della datazione più tarda per la sua composizione. 2.4.2. Le prime attribuzioni a Paolo note si riscontrano in Ireneo (Haer. r ,8,5; 5,2,3 ; 8 , 1 ; 14,3; 24,4) e in Marcione, secondo la testimonianza di Tertulliano, Mare. 5 , 1 7 (naturalmente per Marcione la lettera era stata scritta ai laodicesi). Nel m secolo Efesini fu ampiamente utilizzata sia da gli autori ortodossi sia dai loro avversari eretici ed è regolarmente attribui ta a Paolo. Non si dovrebbe evincere che quanti se ne servirono prima di Ireneo non la considerassero paolina, giacché nella letteratura cristiana del l'epoca non era consuetudine identificare le fonti. In un primo tempo Efesi ni faceva parte della tradizione in via di sviluppo e veniva affiancata alla perdurante tradizione orale. 2-4·3 · Se non la sua attribuzione a Paolo, quantomeno l'uso della lettera si può far risalire al periodo precedente a Ireneo e Marcione. Su questo punto occorre cautela, poiché l'affinità tra Efesini e un altro testo può es sere sorta dal debito che entrambi hanno contratto indipendentemente nei confronti della tradizione orale - del credo, catechetica o liturgica - o an che nei confronti di altro materiale scritto. Non è sufficiente neppure se gnalare paralleli di un'espressione di Efesini ma si deve dimostrare altresì che ulteriori paralleli dell'espressione sono rari in un ambito letterario più vasto. Oggi il computer consente una conoscenza molto maggiore della let teratura antica. Basti un esempio: a proposito del rapporto tra Ef 4,24 e Le. I ' 7 5 ' due passi in cui si trovano collegati i termini ÒtXtttoO"UVYJ e ocrto '"Yìç, Mitton, Epistle, 2o r , afferma che . L'affermazione di Ignazio in Eph. 1 2,2 è una tipica esage razione epistolare ( «Paolo vi menziona in tutte le sue lettere>> ) e non si deve tradurla in modo da far pensare che Paolo parlò di loro in tutta la lettera agli Efesini (v. Abbott, rx-x; Schmid, 28 s. ). lgn. Eph. 9,1, ricorda Ef. 2,20-22 nel suo uso di immagini edilizie, ma esse erano frequenti e non vi sono affinità les sicali manifeste. In effetti la somiglianza con I Cor. 3 ,9 è ugualmente spiccata. Sia Eph. 4,2 sia Tra/l. I 1,2 definiscono i cristiani membra di Cristo, ma lo spun to potrebbe essere stato ricavato da I Cor. 6, I 5 e Rom. I 2,4 s. altrettanto fa cilmente che da Ef. 5,20. Per quanto riguarda lgn. Eph. 1 , 1 ed Ef. 5 , 1 , quello dell'imitazione era un topos ampiamente diffuso nel mondo antico. Ignazio, I Cf. D.A. Hagner, The Use of the Old and New Testaments in Clement of Rome (SupNT 34), Lei den 1 973; A. Lindemann, Die Clemensbriefe (HNT 1 7 ), Tiibingen 1 992., e Id., Paulus, 177-199· 2. Cf. Lindemann, Paulus, 199 ss.
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Eph. 2o, I , parla di «persona nuova » identificandola con Cristo, ma questo non è l'uso dell'espressione né in Ef. 2, 1 5 né in 4,24. Egli rispecchia piuttosto l'idea di Cristo quale secondo Adamo. Sono state individuate numerose affini tà tra la Lettera agli Efesini di Ignazio e l'eulogia di Ef. 1 , 3 - 1 4 e si è sostenuto che Ignazio conoscesse la lettera agli Efesini canonica e vi abbia attinto per far colpo sugli efesini. Ciò implicherebbe che egli possedesse una copia della lette ra agli Efesini canonica in cui figurasse « Efeso» in I , l , mentre non si ha alcu na certezza sull'esistenza di una copia siffatta in questa fase. I punti di con tatto, se vi sono, consistono nell'impronta fortemente liturgica del linguaggio e non comportano necessariamente la conoscenza da parte di Ignazio della let tera agli Efesini canonica. ' Asserendo che i credenti devono amare le proprie mogli come il Signore ama la chiesa lgn. Poi. 6,2 sembra dipendere da Ef. 5, 25, ma non c'è uno sviluppo della metafora coniugale analogo a quello di Efe sini e per «moglie» si usa un termine diverso, a-tJt.t.�toç. Nella Lettera a Policar po Ignazio parla dell'armatura del cristiano così come Ef. 6,14- 1 7, solo che i pezzi dell'armatura non sono gli stessi e non sono spiritualizzati nello stesso senso (v. anche I Tess. 5 , 8 ) . Non vi sono altri probabili paralleli, ma questi, considerati nel loro insieme, danno adito a una discreta possibilità che Ignazio conoscesse la lettera agli Efesini. In tal caso, si ha una prova concreta che ne fa risalire l'esistenza fin verso il I I o. 2.4. 3 - 3 - Policarpo. Vi sono uno o due passi da cui si può evincere che Poli carpo conoscesse la lettera agli Efesini. Polyc. Phil. I,3 potrebbe richiamare Ef. 2, 5 .8.9 (v. a 2,9 ), ma è del pari possibile che entrambi si siano rifatti a una tradizione. L'espressione e:!òOnc; o·n di Policarpo fa pensare che nel suo caso sia stato così. Il suo oùx È� Épywv può derivare da Ef. 2,9, benché per chi aves se una conoscenza generale del pensiero di Paolo questa fosse un'aggiunta na turale. Policarpo inoltre non utilizza altro materiale di Ef. 2,8-10 che sarebbe stato adeguato al suo scopo. Più probabile la sua dipendenza da Ef. 4,26 in 1 2, 1 . � Entrambi citano Sal. 4,5 menzionando di seguito l'invito a non permet tere che il sole tramonti sulla propria ira, per quanto non vi fosse un nesso ne cessario tra questo e l'esortazione principale. Harrison ha sostenuto che la let tera di Policarpo è una combinazione di due lettere 3 e ciò gli consente di col locare questa possibile citazione nella più tarda, che egli data intorno al I 3 3 d.C., ma questa tesi non può essere dimostrata in via definitiva. In ogni caso sembrano sussistere pochi dubbi che Policarpo conoscesse Efesini, il che non ne riconduce peraltro la conoscenza a un'epoca anteriore alle lettere di Igna zio, poiché 9, I implica che Ignazio sia già stato martirizzato. 2.4.3 -4- La Seconda lettera di Clemente. 2 Clem. I4,2 parla della chiesa co me corpo di Cristo, nonché di Cristo come maschio e della chiesa come fem mina (cf. Ef. 5,22 ss. ). I termini apa-YJV e ..9ijJ..uc; per maschio e femmina non sono quelli di Ef. 5,22 e non si fa cenno di un rapporto coniugale. Qui non vi r V. inoltre Best, in ANRW 11, 2 5 .4, 3 2 59 s. � Cf. C.M. Nielson, Polycarp, Pau/ and the Scriptures: ATR 47 ( 1 965) 1 99-:1.16. 3 V. P.N. Harrison, Polycarp's Two Epistles to the Philippians, Cambridge 1 9 3 6, 16. 268.
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è dunque dipendenza, come del resto neppure fra 2 Clem . 19,2 ed Ef. 4 , 1 8, poiché l'ottenebramento intellettivo è un'idea comune e le affinità lessicali non sono sufficienti a inferire una derivazione diretta. 2.4- 3 - 5 . Did. 4,10 s. e Barn. 1 9,7 trattano del comportamento reciproco di padroni e schiavi, ma non necessariamente dipendono da Ef. 6,5 -9, poiché il codice domestico era ben noto nel cristianesimo primitivo e le disposizioni sul rapporto fra padrone e schiavo erano imprescindibili. B arn. 1 6,8-10 paragona la chiesa a un tempio e potrebbe quindi dipendere da Ef. 2,1 9-22, ma l'imma gine è ampiamente in uso e non vi sono effettive analogie lessicali; x�X-rotx rrrrr ptov, benché raro nel N.T., è frequente nei LXX. L'inabitazione mistica di Cri sto è un'idea neotestamentaria comune. 2.4.3 .6. Herm. Mand. 3 , 1 -4, contiene una serie di istruzioni etiche, alcune delle quali vicine a quelle riunite in Ef. 4,25-30; ma sono entrambe raccolte eterogenee e una sovrapposizione non è sorprendente. Sullo Spirito santo Mand. 10,2, 1 -6 non presenta alcuna analogia reale con Ef. 4,30. Sim. 9, 1 3 , 5 e 9,1 8,4 parlano di un solo Spirito e un solo corpo, ma il possibile parallelo in Ef. 4,4-6 è costituito da materiale tradizionale, sicché non si può dimostrare una dipendenza. 2.4-3 -7· I testi di Nag Hammadi non presentano alcun caso chiaro di dipen denza, se non in relazione a 6,1 2: Hyp. Arch. 11,4 8 6,20-27; Ex. An. n,6 1 3 1 , 9- 1 3 ; Si/v. vn,4 1 1 7, 14 s.; Test. Ver. IX,J 3 2,28. Ev. Phil. 11,3 76, 1 1 e 2 Log. Seth vn,2 59,4 potrebbero essere vaghe reminiscenze rispettivamente di 1 , 2 1 e 4,24. Poiché nessuno di questi scritti si può datare prima della seconda metà del n secolo, non è comunque possibile risalire più indietro rispetto alle infor mazioni già fornite dai Padri apostolici. 2.4.4. Dall'esame delle opere dei Padri apostolici emerge una discreta possibilità che Ignazio o Policarpo o entrambi conoscessero la lettera agli Efesini, che quindi era verisimilmente nota intorno al 1 1 0 d.C. e perciò de v'essere stata composta qualche tempo prima. Ciò condurrebbe a una data zione anteriore al 90 d.C. 2.4. 5 . Se si volge l'attenzione agli scritti neotestamentari, si entra in un terreno più difficile, poiché eventuali punti di contatto fra la lettera agli Efe sini e un altro testo si potrebbero spiegare partendo dal presupposto che sia Efesini ad averlo utilizzato. Ovviamente si possono ignorare gli scritti neotestamentari composti prima della lettera, come le epistole paoline pre cedenti. Dato che inoltre, a quanto sembra, nessuno ha mai congetturato una dipendenza in un senso o nell'altro fra Efesini e i vangeli sinottici, non occorre prenderli in considerazione. 2.4. 5 · 1 . Provenendo dalla medesima area di Efesini, l'Asia Minore, l'Apo calisse è un testo nel quale ci si potrebbe aspettare di trovare passi paralleli al la lettera. ' Mentre vi sono però analogie nell'impiego di alcuni concetti, come r.
V. Minon, Epistle, 1 70- 1 7 3 .
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tra Apoe. 3 , 2. 1 ed E(. 2,6, tra Apoe. 7,2-3 ed E(. 4,30; 1 , 1 3 (uso di crqlpayi�w), le affinità lessicali sono rare. È più probabile che Apoe. 1 8,4 ed E(. 5,I I ab biano attinto entrambi da Fil. 4, 14 che l'uno dall'altro. I saluti conclusivi (Apoe. 22,2 1 ; E(. 6,23 s.) sono simili, ma lo sono anche rispetto a quelli pre senti in quasi tutte le epistole neotestamentarie. Sia Apocalisse sia Efesini uti lizzano immagini coniugali, ma Apocalisse le usa in senso escatologico, risul tando così più vicina a 2 Cor. I 1,2 che a Efesini. Si riscontrano dunque conce zioni affini, ma non affinità lessicali e quindi neppure una dipendenza di Apo calisse da Efesini o viceversa (cf. Gnilka, 1 9 ) . 2.4. 5.2. A prima vista, fra l e lettere pastorali e quella agli Efesini sembra es servi un numero considerevole di parallelismi, ma nessuno è stretto. Mitton, Epistle, 173-175 (cf. Hendriksen, 3 5-3 8 ), sfronda notevolmente gli elenchi forniti da studiosi precedenti, ma anche i casi superstiti non superano l'esame. Sia 2 Tim. 2, 1 5 sia E(. 1 , 1 3 utilizzano l'espressione > . E tuttavia le aggiunte e le varianti tra i due bra ni restano ancora un problema. È possibile che il segretario li abbia altera ti di propria iniziativa ? Non avrebbe forse chiesto istruzioni precise su co me modificare quello che aveva già scritto? Ciò induce a ritenere più sem plice l'ipotesi che non vi sia l'intervento di un segretario. È del resto possi bile che l'eventuale autore comune ricordasse quanto aveva scritto in una lettera e ne abbia fatto uso nell'altra, purché le due epistole siano state sti late in rapida successione. In tal caso, è più probabile che sia stata scritta I Si deve respingere l'ipotesi di M. Kiley, Colossians as Pseudepigraphy, Sheffìeld 1 986, 4 1 , secondo cui Efesini presenterebbe una divergenza maggiore rispetto al modello normale delle epistole paoline e deve quindi essere più tarda di Colossesi. La divergenza è dovuta semplicemente al carattere genera· le della lettera agli Efesini.
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prima la lettera agli Efesini e che, quando l'autore si mise a scrivere la let tera ai Colossesi, abbia chiarito la forma incòndita di Ef. 6, 2 1 e accentua to le parole di elogio su Tichico. Si tenga presente che supporre il ricorso a segretari nelle questioni di paternità letteraria è sempre problematico (sul l'uso di segretari v. sotto, 2.7.6). 2. 5 . 8 - 3 - V i sono altre possibilità. Van Roon, Authenticity, 426 ss., so stiene che Paolo scrisse una bozza originaria di lettera, che fu quindi riela borata da segretari, i quali redassero le attuali epistole agli Efesini e ai Co lossesi. Essi si avvalsero anche di materiale supplementare appartenente al la cerchia paolina, costituita da Paolo, Timoteo e due segretari. Non si trat tava dunque di una cerchia postpaolina. Se spiega senz'altro le convergen ze tra Ef. 6,2 1 s. e Col. 4,7 s., questa soluzione sembra tuttavia lasciare ir risolte molte altre questioni. Klijn, 1 il quale riconosce che dall'analisi dei passi paralleli' non è possibile affermare una dipendenza a senso unico, pro pone una soluzione analoga congetturando l'esistenza di un terzo testo da cui dipenderebbero sia l'autore di Colossesi sia quello di Efesini. Ma le tesi che chiamano in causa testi ignoti sono sempre avventate. 2.5.9. Dopo l'indagine condotta in questa sezione restano dunque in pie di le tre soluzioni possibili con le quali si è esordito (v. sopra, 2. 5 . 3 ) . Prima di poter decidere fra queste mette conto tuttavia esaminare altri ambiti. Si è nondimeno sottratto un argomento importante a chi crede si possa asse rire senza ombra di dubbio la paternità non paolina di Efesini sulla base dell'utilizzo di Colossesi in questa lettera. Se l'autore non è Paolo, è pres soché impossibile identificarlo. Goodspeed fa il nome di Onesimo; Mitton, Epistle, 27. 268, quello di Tichico; R.P. Martin (in vari scritti) quello di Lu ca (ma secondo D.J. Rowston, Changes in Biblica/ Interpretation. The Ex ampie of Ephesians: BTB 9 [ 1979] 1 2 1 - 1 25, la proposta fu avanzata prima da P. Jones); R. Scott, 23 s., pensa a Sila.
2.6. La lettera agli Efesini e le restanti epistole paoline (esclusa la lettera
ai Colossesij . 2 L'autore della lettera agli Efesini ha conosciuto o utili zzato qualcuna delle altre epistole paoline precedenti ? Da una semplice scorsa emerge che i paralleli tra queste lettere ed Efesini sono molto meno frequen ti e puntuali che quelli tra Efesini e Colossesi. Il problema ovviamente non si pone se l'autore è Paolo: la minore quantità di luoghi paralleli si spieghe rebbe in tal caso con un intervallo di tempo intercorso fra la composizione di Efesini e delle lettere precedenti più ampio di quello tra Efesini e Colos sesi. Se l'autore di Efesini non è Paolo, quali sono gli indizi di un'influenza paolina su di lui ? Nella presunzione - ragionevole se non è sua la paternità 1 1
A.J.F. Klijn, An lntroduction to the New Testament, Leiden 1 967, 102. Cf. Minon, Epistle, 98-1 s 8; Goodspeed, Meaning, 7 7 ss.
INTRODUZIONE
della lettera - che Paolo sia morto, qualunque sua influenza sull'autore de v'essere passata attraverso la memoria orale che se ne tramandava o una conoscenza effettiva acquisita grazie ad alcune delle sue epistole. È abbastanza facile constatare che l'autore di Efesini è al corrente delle principali idee paoline non riscontrabili in Colossesi né comuni nelle parti non paoline del N.T., e che le condivide: 2,8- ro rivela la conoscenza degli insegnamenti paolini sulla salvezza grazie alla fede e non alle opere; 4,r7r9 riflette la visione di Paolo di un mondo dei gentili irredento esposta in Rom. r,2r-24. Molto più arduo risolvere la questione della conoscenza da parte dell'autore di Efesini di specifiche epistole di Paolo distinguendola dalla conoscenza generale delle idee paoline. Qui le affinità lessicali sono importanti. Non è d'altronde necessario chiedersi quale sia la direzione della dipendenza, visto che Efesini è più tarda delle principali lettere paoli ne, fatta salva la possibile eccezione di Rom. r 6,25-27, aggiunta non pao lina alla lettera ai Romani. Come nella trattazione del rapporto tra Efesini e Colossesi, alcune analogie si possono ignorare senza rischio di errore. Le formule dell'epistolario paolino variano e l'uso da parte dell'autore di Efe sini di una formula simile non prova la dipendenza da una specifica lettera di Paolo. Lo stesso vale per alcune forme liturgiche (dossologie: 6,24 e 3,20 s., berakot: r ,3 ss.; v. ad loc. ). Anche il tipo di transizione dall'argo mentazione teologica alla parenesi (4, r ) è paolino, sebbene la sua struttura non coincida precisamente con quella riscontrabile in alcuna epistola pao lina. Quanto alle formule proprie del credo, possono anche essere prece denti a Paolo, pur ricorrendo nelle sue lettere ( 5,2.25 e Gal. 2,20; forse 2, 5 ), sicché la loro presenza in Efesini non costituisce una prova di dipen denza. Il brano di 4,4-6 include sezioni tradizionali, ammesso che non sia esso stesso un credo. In questo ambito l'unico passo che potrebbe rivelare la conoscenza di una lettera specifica di Paolo è r , r 5 - r 7, che presenta spic cate analogie lessicali con Film. 4-6. La conoscenza di questa lettera da parte dell'autore di Efesini non sorprenderebbe, alla luce del suo legame con l'autore di Colossesi, cui quasi certamente era nota. In alcuni luoghi l'affinità linguistica può essere puramente fortuita, poi ché si tratta di parole usuali (per i singoli casi v. ai passi relativi ) : così per > ). È possibile che alcune espressioni siano tratte direttamen te dall'A.T., anziché indirettamente per il tramite di Paolo (ad es. 5,2: l'of ferta profumata; 5,3 1 e l'uso di Gen. 2,24). Si riscontrano inoltre somi glianze che si possono trascurare perché derivanti dalla cultura giudaica o ell enistic a ( 5,23 : il marito capo della moglie o superiore a lei). Analoga mente si possono ignorare i termini greci comuni utilizzati nella loro acce
zione corrente: in 2,3 &:vaa"tpÉq>w non dipende da 2 Cor. 1 , 1 2, né 7tapplJaia e il verbo corradicale ( 3 , 1 2; 6, 1 9 s.) si rifanno a I Tess. 2,2. 2.6. r . Più in positivo, non sembra vi sia ragione di negare che l'autore di Efesini conoscesse: a) la lettera ai Romani: la terminologia che Paolo utilizza per descrivere il mondo pagano in Rom. 1,2r .24 e il pensiero sono molto vici ni a Ef. 4,17-19; l'insegnamento sulla fede e le opere in 2,8-ro, ancorché ri conducibile a Galati, sul piano lessicale è più contiguo a Romani, tanto più che è difficile individuare altri luoghi che possano denunciare un debito nei confronti di Galati; l'insegnamento sulle membra e il corpo di Cristo è affine a quello di Romani; Luz 1 elenca inoltre una serie di passi in cui l'autore di Efe sini può dipendere da Rom. 1 2; b) la prima lettera ai Corinti: l'insegnamento di Efesini sul corpo e le sue membra (4, 1 r ; 5,30) rispecchia, ancor più da pres so che Romani, quanto si legge in 1 Corinti ( 1 2,12.28); l'idea della chiesa co me edificio, e in particolare come tempio santo (2,20-22), è vicina a I Cor. 3,9-17; l'uso della metafora dell'edificare per indicare la crescita spirituale in 4,12. 1 6 è analogo a quello di I Cor. 14,3 · 5 · 1 2.26; l'origine dell'elenco di vizi, di cui si hanno riflessi in Ef. 5 · 3 · 5 · potrebbe trovarsi in I Cor. 5,1 1; 6,9; alla base di I Cor. 1 5 ,27 e di Ef. 1,22 c'è la stessa forma di Sal. 8,7 non apparte nente alla versione dei LXX e l'idea dell'assoggettamento delle potenze; la di scordanza di Ef. 2,6 con I Cor. 4,8, induce tuttavia a pensare che, se l'autore di Efesini ha letto I Corinti, non l'ha pienamente compresa; c) la seconda let tera ai Corinti: la presenza in 2 Cor. 1,22 ed Ef. 1 , 1 3 s. di un forte nesso tra sigillo e àppa�wv non sembra casuale; una volta ammesso il contatto qui, è possibile ravvisarlo in altri punti (ad es. Ef. 6,20 e 2 Cor. 5,20), benché in nes suno sia così stretto. È interessante notare che i passi di 2 Corinti che più pro babilmente hanno influenzato la lettera in esame provengono dai primi nove capitoli: è possibile che l'autore di Efesini non abbia avuto a disposizione quell'epistola nella forma attuale; d) la lettera a Filemone: la lingua dei vv. 4-6 è abbastanza vicina a quella di Ef. 1,1 5 - 1 7 da far pensare a un influsso, ma Fi lemone è uno scritto così breve che è difficile trarre conclusioni certe; e) per quanto concerne Galati, Filippesi, 1 e 2 Tessalonicesi, è impossibile individua re chiaramente una dipendenza di Efesini da queste lettere. L'equipaggiamento del soldato in Ef. 6, 14-17 è diverso da quello di I Tess. 4,8; il camminare in modo degno (E{. 4, 1; I Tess. 2, 1 2) è una combinazione di idee ovvia; è possir U. Luz, Rechtfertigung bei den PaulusschU/ern, in J. Friedrich - W. Pohlmann - P. Sruhlmacher (edd.), Rechtfertigung (Fs E. Kiisemann), Tiibingen 1 976, 3 6 5 ·3 8 3 .
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bile che E{. 3 , 8 somigli a Gal. I, I 5 s., ma per qualsiasi discepolo di Paolo la predicazione ai gentili costituiva una parte importante della sua vita; Gal. 2,9 è analogo a E{. 3 ,2, ma l'influsso può essere ugualmente dovuto a I Cor. 3 , 1 0.
È pertanto ragionevolmente sicura la conoscenza da parte dell'autore di Efesini della lettera ai Romani e della prima ai Corinti, e probabile quella della lettera a Filemone e di alcune parti della seconda ai Corinti, ma non si può essere certi che abbia conosciuto la lettera ai Galati, quella ai Filip pesi, la prima e seconda ai Tessalonicesi. In ogni caso la sua conoscenza di queste epistole è molto meno precisa di quella del contenuto di Colossesi. D'altronde Efesini è breve ed è possibile che il suo autore non riveli qui tutto quanto sapeva delle lettere paoline. Si hanno comunque elementi suf ficienti per concludere che egli si pone all'interno della tradizione paolina. È importante altresì ricordare che, oltre a conoscere l'insegnamento di Pao lo, l'autore di Efesini l'ha adattato e sviluppato. 2. 7. Lessico, sintassi e stile Moffatt, 3 8 5-3 89; Schmid, 1 3 1 ss.; Percy, 1 79-25 2; Merklein, Amt, 1 9 - 2 5 ; Moulton Turner, 84 s.; Van Roon, Authenticity, 1 00 ss.
Già molto prima che nascesse il metodo storico-critico, Erasmo, nelle po che parole di introduzione al suo commento, fece notare la differenza di sti le tra Efesini e le altre epistole paoline. Non sorprende dunque se oggi si presta sistematica attenzione a questo aspetto. Benché sia talora arduo di scriminare lingua e stile, si prenderanno le mosse dalla considerazione dei tratti relativi anzitutto alla lingua. Si escludono dal confronto Colossesi e le lettere pastorali. È interessante osservare che Efesini e Colossesi hanno in comune circa ventuno termini che non ricorrono nel resto del N.T. (cf. Van Roon, Authenticity, I 7 3 n. I ). Si tratta di una proporzione insolita mente elevata, che conferma lo stretto rapporto fra le due epistole, nelle quali, del pari, manca una serie di vocaboli che sono invece frequenti nelle altre paoline. I 2.7. 1 . Gli hapax legomena sono spesso considerati un aiuto nella defini zione della paternità di uno scritto, ma di fatto raramente costituiscono una buona guida, poiché l'argomento trattato condiziona le scelte termino logiche. Così, nella lettera agli Efesini un numero considerevole di hapax legomena si trova in 6, I 4- 1 7, brano che parla di equipaggiamento milita re, una materia che Paolo non tratta altrove in modo tanto minuzioso. Il numero di hapax legomena in Efesini non è in realtà eccezionale e perciò non dice niente in merito alla paternità paolina del testo. La presenza di I Cf. R. Morgenthaler, Statistik des neutestamentlichen Wortschatzes, Ziirich 1 9 5 8 , 1 84.
LA PATERNITÀ DELLA LETTERA AGLI EFESINI
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termini comuni a Paolo è prevedibile, che si consideri autore della lettera Paolo stesso o un esponente della sua scuola. 2.7.2. A volte a tradire la presenza di autori diversi è il loro uso dei si nonimi. Paolo utilizza aa'ravliç mentre in Efesini si trova òtci�oÀoç. Paolo ricorre peraltro a una gamma svariata di termini per indicare il diavolo: o m:tpcit;wv ( I Tess. 3 , 5 ) , o 7tOVlJp6ç (2 Tess. 3,3; cf. Ef. 6, 14), �EÀtcip (2 Cor. 6, 1 5 , se chi scrive è Paolo), sicché questa specifica variante può non essere significativa. L'autore di Efesini utilizza Èv 'roi:ç È7toupaviotç cinque volte ( I , 3 . 20; 2,6; 3 , I o; 6, I 2); l'espressione non si trova in Paolo, che usa invece Èv ·mi:ç oùpavoi:ç (2 Cor. 5 , I ; Fil. I,2o; cf. Col. I , 5 . I 6.2o; in questo caso meri ta osservare anche la differenza rispetto a Colossesi). Paolo impiega tuttavia l'aggettivo È7toupcivwç cinque volte in I Cor. I 5 ,40-49 e una volta in Fil. 2, 10. Dove usa oùpavoç, l'autore di Efesini ha il plurale ( I ,Io; 3 , I 5 ; 4,Io; 6, 9), mentre in Paolo di norma vi è il singolare. aw'r�ptov (Ef. 6 , I 7 ) non compare in Paolo, che ha aw'rl)pta, ma quest'uso dell'autore di Efesini si dovrebbe tenere in minor conto perché compare nella citazione di Is. 59, 17. Quantunque Paolo adoperi una serie di termini per indicare le potenze e l'idea sia comune a lui e all'autore di Efesini, non usa mai xoafLoxpci'rwp (Ef. 6, 1 2), né, allo stesso scopo, 7tVEUfLIX'rtx6ç, che pure utilizza regolarmente in altri nessi come aggettivo. Per significare l'elargizione di un dono Paolo non ha mai xapt'row (Ef. I ,6), ma 'X,cXptc; con un verbo, e non usa òwpov (Ef. 2,8), anche se ricorre a una serie di sostantivi corradicali. Può accade re che impieghi ÀÉye:t per introdurre citazioni, ma in tal caso esplicita sem pre il soggetto, a differenza dell'autore di Efesini, che lo usa in 4,8 e 5,I4 (v. a 4,8 ). Pur utilizzando &ywç come aggettivo (ad es. Rom. I ,2; 7, 1 2; il termine manca nella lezione migliore di I Tess. 5 , 2 7 ) , Paolo lo riferisce so lo a concetti, oggetti e luoghi e mai a persone, come fa invece l'autore di Efesini in 3 , 5 . La successione delle parole nella locuzione IXtfLIX xat acipl; (Ef. 6, I 2) è insolita: in Paolo si ha l'ordine inverso, più normale ( I Cor. I 5 , 50; Gal. I , I 6). Kuhn, 3 3 4 s., sostiene che i semitismi sono molto più fre quenti in Efesini che in Paolo. Bujard I ha mostrato che sia in Colossesi sia in Efesini, in rapporto alla loro estensione, si riscontra rispetto a Paolo un uso sporadico di numerose particelle connettive (òÉ, CÌÀÀci, ycip, oòv), e un uso eccessivo di xaL Colossesi ed Efesini presentano inoltre un impiego del l'infinito diverso dalle altre lettere paoline (Bujard, op. cit., 5 3 - 5 8). Efesini prepone l'articolo a "X,Pta'roç molto più spesso di Paolo; CÌÒe:Àcpoç in relazio ne ai credenti e non a un legame biologico si trova solo 2 volte nella lettera in esame ( 6,2 1 . 2 3 ) , mentre ricorre in circa I 20 casi nelle restanti epistole paoline (più 5 volte in Colossesi e 4 nelle pastorali ) . I W . Bujard, Stilanalytische Untersuchungen zu m Kolosserbrief als Beitrag zur Methodik von Sprach vergleichen (SUNT I I ), Gottingen 1975, 2.4- 5 3 ·
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2.7- 3 - Pertiene più direttamente all'ambito dello stile l'elevata presenza di periodi lunghi: secondo la lista di Moffatt, I,3- 14; I , I 5-22; 2, I-7; 2, I I I 3 ; 2, J4- I 6; 2,I9-22; 3 , I -7; 3 ,8-I 2; 3 , I 4- I 9; 4,I-6; 4,I I - I 6; 4, I 7- I 9; 4, 2 2-24; 5,3-5; 5 , I 8-23; 5,2 5-27; 6, I-3; 6,5-8; 6, I4-20. I n molti d i questi periodi è difficile districarsi, a motivo della congerie di proposizioni al loro interno. È degno di nota anche il numero di sequenze di genitivi. Percy, I 8 8 s., annovera: I ,9; I , I 3 ; I , I 7; I , I 8; 2,2; 2,3; 2, I 2; 2, I 5; 3 ,2; 3,7; 3 ,9; 3 , I I ;
3 , 2 1 ; 4,3; 4,4; 4, I 2; 4, I 3 ; 4,I4; 4,22; 4,24; 4,29; 4,30; 5 ,6; 5,8; 5,9; 5 , I I ; 5,26; 6, r 2; 6, I 5; 6, I9. In Efesini si ha una sola interrogativa ( 4,9 ) , mentre in Paolo sono frequenti. 2.7-4- Sanday e Headlam (Romans [ICC], Lv), che ritengono autentica la lettera agli Efesini, sintetizzano bene la differenza tra questa e Romani: La differenza non è tanto di idee e di vocabolario, quanto piuttosto di struttu ra e composizione ... La sensazione di diversità si fa fortissima allorché si volge l'attenzione dai materiali (se così ci si può esprimere) stilistici al modo in cui essi vengono combinati. [In contrasto con la vivacità della lettera ai Romani] si ha una massa che avanza lentamente, come un ghiacciaio che si fa strada centimetro dopo centimetro discendendo verso la valle. I periodi sono di am piezza ingombrante; lo scrittore sembra barcollare sotto il suo carico.
2. 7. 5. In risposta a questi attacchi mossi alla paternità paolina di Efesini sulla base dello stile si fa notare che anche le epistole paoline autentiche contengono periodi ampi (ad es. 2 Tess. I ,3 - r 2; r Cor. 1 ,4-8; Rom. 3,2126; 4, I 6- 1 8; 9,22-24; I 6,25-27; Fil. I,3-7; Film. 8-14 ) , m a essi ricorrono con una frequenza che non è in alcun modo paragonabile a quella in Efesi ni. Van Roon sostiene che nelle lettere paoline autentiche si possono indi viduare passi con tratti stilistici analoghi a quelli di Efesini. Rom. 4,r r-5, 2 I non presenta frasi interrogative e non compare il termine à:òeÀ!po� (Ef. 4,1 6), di difficile interpretazione in questa lettera. Ma una volta compreso che si tratta di un vocabolo in uso all'interno del gruppo, il suo significato si evince chiaramente da Co/. 2, 1 9 . Il gruppo era abituato a utilizzare questa parola, e l'autore di Efesini semplicemente non si è reso conto che i suoi lettori non sarebbero stati al corrente del dibattito interno al gruppo. 3 .2.4. Se è vero che i gruppi condividono determinate idee, possono tut tavia esprimerle con una terminologia differente. Così, l'autore di Efesini e quello di Colossesi si valgono di sinonimi per esprimere i concetti di «ve glia >> (Ef. 6, 1 8; Col. 4,2), di «nuovo >> (Ef. 4,24; Col. 3 , IO), di > (Ef. 3,3; Col. 1 ,26). 3.2. 5 . I gruppi recepiscono formule tradizionali e le usano in base alle proprie esigenze. Non sorprende dunque che i due autori ricorrano alla stes sa forma del codice domestico benché ne esista un'altra ( I Pt. 2, 1 3 -3 ,7). L'autore di Efesini amplia la prima e la seconda sezione, mentre quello di Colossesi non lo fa; entrambi sviluppano la parte conclusiva, usando a questo scopo (v. a 6,5-9) un linguaggio simile ma applicandolo in maniera diversa. Ambedue le lettere dipendono dal medesimo catalogo di vizi (v. a 5,3-5 ) e una tradizione preformata comune soggiace a Ef. 2, 1 . 5 e Col. 2,1 3 (v. a 2, 1 ). Se tuttavia si considera tradizione anche l'A.T., si riscontra una differenza lampante nell'uso che i due autori ne fanno, molto più re golare in Efesini che in Colossesi. Ciò non sorprende, poiché uno dei temi principali dell'autore di Efesini è la chiesa che si pone su una linea di con tinuità rispetto a Israele. L'omissione dell'autore di Colossesi è tuttavia inattesa, se nella teologia degli avversari da lui presi di mira era forte l'e lemento giudaico. Può darsi che i suoi lettori richiedessero una confutazio ne , mentre, nel caso si fosse rivolto direttamente agli avversari, probabilmente avrebbe utilizzato l'A. T. Al pari dell'autore di Efesini, quel lo di Colossesi presenta contatti, ma in misura minore, col pensiero e la forma espressiva della letteratura qurnranica (si veda l'indice dei rinvii a Qumran in Lohse, Colossians, 222). Entrambi utilizzano &ytot per indica re coloro che dimorano nei cieli ( Co/. 1 , 1 2; Ef. 1 , 1 8; 2, 1 9 ) . Sarebbe logico immaginare che tutti i membri del gruppo fossero a conoscenza delle stesse epistole paoline: l'autore di Efesini presumibilmente conosceva Romani, 12 Corinti, Filemone (v. sopra, 2.6.6); l'autore di Colossesi sembra conosce re Romani, 1-2 Corinti, Galati, Filippesi, Filemone (v. Lohse, Colossians, 1 82). Poiché entrambe le lettere sono di estensione limitata, non sorpren de che nell'una o nell'altra non traspaia familiarità con alcune delle lette-
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re brevi di Paolo; tutti e due conoscono le stesse epistole paoline più lunghe. 3 . 2.6. Come ha dimostrato Percy, si nota una certa affinità stilistica tra Efesini e Colossesi, per esempio nell'uso dei genitivi dipendenti e di sinoni mi non necessari. Entrambe hanno un tono magniloquente e liturgico che potrebbe essere dovuto alla collaborazione fra gli autori. 3 - 3 - Tutto ciò non significa che non vi siano vere differenze tra le due let tere, ma molte sono conseguenza dei diversi obiettivi dei loro autori. Non dimeno, uno degli ostacoli più grossi che si incontrano nel considerarli membri del medesimo gruppo può sembrare la somiglianza lessicale di Ef. 6,21 s. e Co/. 4,7 s., ma, come si è visto, essa costituisce una difficoltà per tutte le teorie sulla paternità di Efesini, e non crea problemi maggiori a chi sostenga l'idea della loro appartenenza allo stesso gruppo di quanti ne rap presenti per i fautori di tutte le altre ipotesi volte a spiegare i rapporti tra i due scrittori. È possibile che abbiano discusso insieme come concludere le loro lettere, col risultato di esprimersi in termini quasi uguali, benché non identici. Un altro ostacolo alla comune appartenenza a una scuola è l'as senza in Colossesi di riferimenti allo Spirito. Può darsi che l'autore li abbia evitati perché i suoi avversari attribuivano allo Spirito grande importanza. 3+ Anziché pensare a una scuola paolina, si dovrebbero forse ricon durre i punti di contatto fra le due lettere a una paternità comune, di Pao lo o di qualcun altro ? Se si riesamina la documentazione, si constaterà che molte delle affinità rilevate sono connesse a differenze che è improbabile dipendano dallo stesso autore. Per questo motivo la tesi di una paternità comune delle due epistole diversa da quella paolina è stata sposata di ra do. Se la paternità paolina non è accettabile, merita del resto notare che chi ha affrontato il problema con metodi statistici giungendo a negare la paternità paolina di Efesini, ha respinto anche la tesi di una paternità co mune per le due lettere.
4·
RITRATTO DI PAOLO
Percy, 34 2-3 5 3 ; Fischer, 9 5 - 1 08; Merklein, Amt, 3 3 5 - 3 4 5 ; C.K. Barrett, Pauline Con troversies in the Post-Pauline Period: NTS 20 ( 1 97 3 - 1 974) 229-24 5; H.-M. Schenke, Das Weiterwirken des Paulus und die Pflege seines Erbes durch die Paulus-Schule: NTS 21 ( 1 974- 1 9 7 5 ) 505-5 1 8; M. de Boer, Images of Pau/ in the Post-Apostolic Period: CBQ 4 2 ( 1 980) 3 5 9-3 80; H. Merklein, Paulinische Theologie in der Rezeption des Ko losser- und Epheserbriefes, in K. Kertelge (ed.), Paulus in den neutestamentlichen Spiit schriften (QD 89), Freiburg-Basel-Wien 1 9 8 1 , 25-69, spec. 29-3 7; j. Gnilka, Das Pau lusbild im Kolosser- und Epheserbrief, in P.-G. Miiller - W. Stenger (edd.), Kontinuitiit und Einheit (Fs F. Mussner), Freiburg-Basei-Wien 1 9 8 1 , 1 79- 1 9 3 ; MacDonald, 1 231 3 6; F. Montagnini, La figura di Paolo nelle Lettere ai Colossesi e agli Efesini: RivBibl 34 ( 1 9 86) 429-449; U. Luz, Oberlegungen zum Epheserbrief und seiner Pariinese, in H. Merklein (ed.), Neues Testament und Ethik (Fs R. Schnackenburg), Freiburg-Basei Wien 1 989, 3 76-3 96.
RITRAITO DI PAOLO
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Se la lettera agli Efesini non è di Paolo, egli ne è senz'altro l'autore ap parente. Qual è allora il ritratto di Paolo dipinto dall'autore reale? Coinci de con l'immagine che si ricava dalle epistole sicuramente autentiche? 4. 1 . In I , I Paolo è definito apostolo di Gesù Cristo. Con questo appella tivo egli stesso si presenta in I e 2 Corinti, in Romani e in Galati, ma non in I Tessalonicesi, Filippesi, Filemone e in 2 Tessalonicesi, ammesso che questa lettera non sia pseudonima. Non è dunque un titolo cui egli attri buisse grande valore in relazione alla sua persona. Da un esame dei luoghi delle sue lettere nei quali Paolo si definisce apostolo, esclusi gli indirizzi, emerge che ciò avviene soprattutto in contesti circoscritti. Non vi è un pas so in cui impartisca istruzioni ad altri in forza del suo essere apostolo (cf. Best, Authority). Quando esercita la propria autorità sui cristiani da lui convertiti, non muove dalla posizione di apostolo, bensì da quella di padre (cf. Best, Converts, 73-96). Se si presenta come apostolo, è sempre in cir costanze particolari: in 1 e 2 Corinti e in Galati c'era chi negava che egli lo fosse, intendendo con questo titolo una persona nella stessa posizione di Pietro; quella ai Romani è una lettera scritta a una chiesa che Paolo non aveva mai visitato e, poiché gli attacchi contro di lui erano diffusi in tutte le chiese, sente la necessità di sottolineare sin dall'inizio la propria pari di gnità rispetto a Pietro. Quando l'autore di Efesini lo definisce apostolo nel l'indirizzo della lettera, significa che attribuisce a Paolo la medesima con dizione di ciascuno dei dodici, conferendo in tal modo autorevolezza a quanto viene proposto come suo insegnamento. Era evidentemente impos sibile presentarlo come «padre >> , poiché i lettori di Efesini non erano cri stiani da lui convertiti. Per un motivo analogo Paolo evita di definirsi quando scrive ai cristiani di Roma. 4.2. Che l'autore di Efesini abbia deciso di scrivere sotto il nome di Pao lo implica che tanto lui quanto i destinatari della lettera nutrivano nei suoi confronti sentimenti di riverenza. Il perdurare del rispetto e dell'ossequio per Paolo nella parte finale del 1 secolo si può evincere dalla circostanza che gli vengano attribuiti vari scritti: Colossesi, le epistole pastorali e, nel caso non sia paolina, 2 Tessalonicesi. Che abbiano forma di lettera signifi ca altresì che era viva anche la sua fama di epistolografo. Ciò vale in parti colar modo nel caso di Efesini, poiché non si tratta realmente di una lette ra nel senso comune del termine (v. sotto, 7). Sarebbe tuttavia un errore pensare che l'alta considerazione di Paolo fosse universalmente diffusa in tutti gli ambienti della chiesa. L'autore dell'Apocalisse lo scredita annove rando solo dodici porte d'accesso al cielo, corrispondenti ai dodici apostoli (Apoc. 2 I , 1 2- 1 4 ) . Luca esita a chiamarlo apostolo, e quando lo fa, lo pone sullo stesso piano di Barnaba (Le. I4,4 . I 4 ) , il che può essere indizio di una certa confusione in merito alla sua posizione.
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4-3- In 3 , 1 e 4,1 l'autore di Efesini definisce Paolo prigioniero, il che non fornisce nessuna informazione di cui non si fosse già al corrente dalle epi stole paoline autentiche e dagli Atti degli Apostoli. Il versetto 3 , 1 introdu ce a un passo importante, 3 ,2- I 3, sul quale si tornerà, di cui Paolo è la fi gura centrale. L'ultima menzione di Paolo compare nella conclusione della lettera (6, 1 9 s.), ove si chiede di pregare per lui quale missionario che pro clama l'evangelo. Che egli venga presentato come missionario, benché a ciò non si dia particolare risalto in Efesini, concorda ancora una volta con quanto è noto da altri scritti. La sua richiesta di pregare per lui fa inoltre emergere un altro aspetto del ritratto: Paolo uomo di preghiera. Tutte le sue epistole contengono passi in cui egli prega per i suoi destinatari, ma l'ele mento della preghiera ha una presenza più diffusa in Efesini ( I ,3-I4· I 523; 3 , 1 4-2 1 ) che in qualsiasi altra lettera. Si deve infine rilevare in negativo come, sebbene Paolo sia presentato quale prigioniero e missionario, non si faccia nulla per dare rilievo al suo ruolo di eroe della fede. Senza dubbio non era necessano. 4-4- Ef. 3,2- 1 3 è il passo più importante su Paolo, nel quale egli figura come prigioniero e quindi sofferente ( 3 , 1 . 1 3 ), il che corrisponde a quanto si sa da altri scritti (v. a 3 , 1 ). Non si soffre senza una ragione, si tratti di conservare un'alta opinione di sé o di rifiuto ostinato della sottomissione forzata. Di Paolo si dice che soffre per altri (cf. 2 Cor. 1 ,6; 4, 1 2) . Gli «al tri >> in 3 , 1 3 non sono un gruppo limitato appartenente a una singola co munità, bensì i gentili. Talora le sue sofferenze sono definite apostoliche, il che non è preciso, poiché il soffrire fa parte del destino di tutti i cristiani e non esclusivamente degli apostoli, e il Paolo storico ha votato la propria esistenza cristiana, non solo quella di apostolo, alla causa della predica zione dell'evangelo presso i gentili ( Gal. 1 , 1 6; 2,7- 10; Rom. n , 1 3 ), e l'et ye di 3 ,2 mostra come i lettori ne fossero già consapevoli. Ef. 3,3 fa risalire la sua missione ai gentili a una rivelazione ricevuta. Da questo breve cenno non è possibile stabilire se secondo l'autore tale rivelazione fosse stata fatta a Paolo direttamente in occasione dell'esperienza vissuta sulla via di Dama sco, o fosse frutto di una deduzione ricavatane, oppure se avesse avuto luo go in qualche altra circostanza, poiché l'autore pone qui l'accento su Paolo destinatario della rivelazione piuttosto che sul missionario attivo. Il suo ri cevere la rivelazione significa che Dio gli ha riservato un posto nel compi mento del proprio piano ( 3 ,2), idea questa che si trova anche in lettere pre cedenti (Gal. I , I I s. 1 5 s.; Rom. 1 , 5 s.; n , 1 3 ). L'autore di Efesini, tutta via, sa bene che, secondo la tradizione, Paolo non è l'unica persona ad ave re ricevuto una rivelazione riguardo ai gentili, e perciò aggiunge un cenno agli apostoli e profeti ( 3 , 5 ; v. Best, Revelation). Presumibilmente si rende conto che almeno qualcuno dei suoi lettori può conoscere questa seconda
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tradizione. Non fa però menzione alcuna di persone come Barnaba e i cre denti di Antiochia (Atti u , 1 9 ss. ), che probabilmente avevano preceduto Paolo nella predicazione ai gentili, forse perché non ne è al corrente (non ha letto gli Atti ). Quasi certamente le informazioni di cui dispone gli sono giunte, direttamente o indirettamente, dallo stesso Paolo, che nelle epistole autentiche si attribuisce una posizione particolare in relazione ai gentili. 4 · 5 · In 3 , 1 - 1 3 l'autore di Efesini definisce Paolo otcixovoç ( 3 , 7 ), termine che qui non ha necessariamente il senso di servizio umile, benché abbia senz'altro quello di servizio (v. a 3,7), in questo caso quello che consiste nel portare l'evangelo ai gentili. In tal modo l'autore sottolinea ancora una volta che Paolo non si è imbattuto per caso in questa attività, né l'ha ela borata come un proprio grande progetto personale, ma vi è stato destinato in modo speciale da Dio, presumibilmente in maniera diversa da ogni al tro. In quanto incaricato da Dio, gli è stata data la forza di assolvere tale compito. Forse è questo termine, otcixovoç, associato com'è a un servizio umile, che induce l'autore di Efesini a introdurre un altro aspetto del suo ritratto di Paolo, per così dire agli antipodi rispetto a quello di apostolo: Paolo è l'ultimissimo (comparativo di un superlativo) fra tutti i credenti (3,8). In questo «sminuirsi >> di Paolo l'autore riprende un motivo già pre sente nelle epistole paoline autentiche ( r Cor. 1 5 , 9 ), anche se lo radicalizza (v. a 3,8). A quanto pare, Paolo considerava la propria posizione di infe riorità rispetto ai dodici come condizione dovuta alla sua attività di perse cutore dei credenti precedente alla conversione. L'autore di Efesini non in dica su quali basi si fondi tale inferiorità. 4.6. Il piano di Dio comporta la predicazione della salvezza non solo ai gentili, ma anche alle potenze ( 3 , 10). Si può dire che l'autore di Efesini preveda per Paolo un ruolo particolare a tal riguardo ? Certo Paolo non può essere escluso da questo processo, poiché è membro della chiesa che com pie il piano di Dio. Ma nel contesto egli è più di un semplice membro, giac ché è sua la responsabilità della forma assunta dalla chiesa che attua la pre dicazione, in quanto costituita sia da gentili sia da giudei, ed è questa chie sa unificata a rappresentare parte dell'annuncio alle potenze, se non la sua totalità. 4·7· L'autore di Efesini, intenzionalmente o meno, presenta Paolo anche con notazioni più generali: I . come maestro, in quanto l'insegnamento che costituisce il contenuto della lettera è a lui ascritto. Ciò è in piena sintonia con l'immagine di Paolo che emerge dalle sue epistole autentiche; 2. come autore capace di uno stile di scrittura molto più meditativo, riflessivo e li turgico di quello delle sue lettere autentiche. Alcuni (v. sopra, 2.7. 5 ) attri buiscono tale caratteristica di Efesini all'età avanzata di Paolo o alla lunga durata del suo periodo di prigionia, nel quale non poté svolgere alcuna at·
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tività missionaria; 3 · come persona che non è al corrente della realtà dei credenti, vista la sua convinzione (si pensi al codice domestico) che tutti i cristiani vivano in famiglie completamente cristiane, dato questo che non concorda con la consapevolezza di Paolo, nota da altre lettere, delle tensio ni che potevano prodursi all'interno di famiglie nelle quali non tutti i com ponenti erano cristiani; 4· in negativo, l'autore di Efesini non propone Pao lo né a) quale modello di comportamento per i credenti, come invece fa Pao lo stesso presentandosi come persona da imitare ( I Cor. 4,I6; I I , I ; Fil. 3, I?), né b) quale eroe della fede. 4.8. A questo punto si può tornare all'interrogativo iniziale: il ritratto di Paolo delineato in Efesini è in armonia con quello che egli stesso fornisce di sé nelle sue lettere sicuramente autentiche? La risposta non può che es sere in larga misura positiva. Determinati aspetti si potrebbero dire un po' più rimarcati, per esempio la convinzione di occupare un posto esclusivo nel piano divino, o il rappresentarsi come inferiore a tutti i credenti e non solo agli apostoli, ma è facile immaginare che Paolo avrebbe potuto svi luppare il proprio pensiero in tali direzioni. Quanto alla sua convinzione di occupare un posto esclusivo nel piano di Dio, essa emerge, in altra for ma, anche nelle epistole paoline autentiche, ove Paolo afferma di essere stato l'ultimo al quale Gesù risorto apparve e si esprime in termini tali da lasciar intendere che non apparirà a nessun altro dopo che a lui ( I Cor. I 5,8); esorta i cristiani da lui convertiti a imitarlo (Fil. 3 , I 7; I Cor. 4,16; I I , I ; in quest'ultimo passo stabilisce un parallelismo tra se stesso e Cri sto); dichiara la propria versione dell'evangelo l'unica corretta (Rom. 2, I 6; Gal. I ,7-9 ) e afferma di essere l'unico al quale è stato affidato il compito di annunciarlo ai gentili ( Gal. 2,7) . D'altro canto, l'unicità del ruolo che Paolo rivendica per sé è in altre lettere controbilanciata in forme assenti in Efesini, visto che ivi si pone sullo stesso piano degli altri cristiani chiaman doli ripetutamente e, se Rom. 7,7 ss. è un passo in qualche modo autobiografico, egli mostra consapevolezza del proprio peccato. L'unico punto in cui si riscontra una differenza netta riguarda l'idea manifestata in Efesini di chiese costituite solo da famiglie interamente cristiane. È ovvio che debbano esservi discrepanze fra l'immagine di Paolo in Efesini e quella delle altre epistole, semplicemente perché questo è uno scritto breve e non può presentare un ritratto a tutto tondo, come accade nelle lettere più lun ghe. È inoltre naturale che l'immagine che emerge da ciascuna epistola ri sulti in ogni caso inferiore a quella completa.
5 . DOVE E QUANDO È STATA SCRITTA LA LETTERA AGLI EFESINI Haupt, 70 ss.; Ewald, 1 -7; Abbott, XXIX-XXXI; G.S. Duncan, St Paul's Ephesian Minis try, London 1 9 29; Id., Were Paul's lmprisonment Epistles written from Ephesus?: ExpT 67 ( 1 9 5 5 - 1 9 5 6 ) 1 6 3 - 1 66; Percy, 4 67-474; Bo Reicke, Caesarea, Rome and the Captivity Epistles, in W.W. Gasque - R.P. Martin (edd.), Apostolic History and the Gospel (Fs F.F. Bruce), Exeter 1 9 70, 277-286.
È bene prendere in considerazione tali questioni partendo sia dal pre supposto della paternità non paolina sia da quello della paternità paolina. Si è già affrontato in parte il problema della datazione in 2.4, ove si è so stenuto che la lettera agli Efesini è stata scritta probabilmente prima del 90 d.C. È possibile essere più precisi al riguardo, alla luce del contenuto della lettera e muovendo anzitutto dal presupposto della paternità non pao lina ? 5 . 1 . Tanto l'Apocalisse quanto la prima lettera di Pietro, scritte approssi mativamente per la stessa area dell'Asia Minore alla quale è destinata Efe sini, documentano l'esistenza della persecuzione, laddove Efesini non ne fa parola. Ciò implica forse che questa lettera sia stata composta prima del suo deflagrare? D'altro canto, gli Atti mostrano come vi siano state perse cuzioni e vessazioni fin dai primi giorni di vita della chiesa ed è assai ardua la datazione precisa di quelle cui si accenna in Apocalisse e in I Pietro. Nel secondo caso, quantomeno, è probabile che si trattasse non di persecuzioni statali, ma dovute piuttosto a tumulti popolari o all'iniziativa di autorità civiche e limitate ad aree circoscritte. Può darsi altresì che l'autore di Efesi ni fosse così interessato alla vita interna delle comunità alle quali scrive e all'effetto delle azioni di ciascuno dei membri sugli altri, da non aver spa zio o tempo per prendere in considerazione fattori esterni che potevano tur bare tali comunità. Paolo ha fatto esperienza di vari tipi di violenza di piazza, come pure di vessazioni da parte di autorità cittadine, durante tut ta la sua attività missionaria. Ma che dire della prigionia ? L'autore di Efe sini ritrae Paolo come prigioniero. Se si deve credere agli Atti, Paolo è sta to in carcere più volte, ma la lettera non fornisce indizi di sorta per indivi duare il luogo della prigionia. Uno scritto che si occupa della chiesa uni versale piuttosto che delle singole comunità si addice al periodo che prece de la fine del 1 secolo. 1 Nel complesso, nulla qui induce a mutare il giudizio espresso sopra sulla datazione della lettera, da collocarsi fra So e 90 d.C. 5.2. Ma se dalla prigionia dell'autore apparente si passa a quella del l'autore reale, partendo dal presupposto che si tratti di Paolo, è forse pos sibile ottenere un quadro più chiaro del luogo e del tempo in cui la lettera fu scritta, due aspetti che sono connessi. Gli Atti registrano varie carcera zioni di Paolo, a Filippi ( 1 6,23 -40), a Cesarea ( 2 1 , 3 3 ss. ) e a Roma (28, 1
Cf. C.R. Bowen, The Piace of •Ephesians» in the Letters o( Pau/: ATR 15 ( 1 9 3 3 ) 2.79-2.99.
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r 6). Paolo si definisce prigioniero non solo in Efesini, ma anche in Colos sesi, Filippesi e Filemone. Inoltre, in 2 Cor. r r ,23 afferma di aver subito numerosi imprigionamenti. Alcuni furono probabilmente di breve durata, come quello di Filippi, e non devono avergli dato né il tempo né l'occasio ne di scrivere lettere. Malauguratamente non si conoscono i luoghi e le da te di tutte le sue carcerazioni, né la loro durata. Quelle di Cesarea e di Ro ma sono state abbastanza lunghe da consentirgli di comporre una o tutte le cosiddette lettere della prigionia. Si è asserito che Paolo fosse prigioniero anche durante il lungo periodo di permanenza a Efeso. I Non c'è bisogno di prendere in esame la verisimiglianza di tale carcerazione: giacché non si può dimostrare che non è avvenuta, è necessario tenerne conto. 5 - 3 - La lettera agli Efesini è talmente sprovvista di notazioni personali, che da sola non fornisce alcun indizio sul luogo e il tempo della prigionia, ma, come si è visto, è strettamente connessa a Colossesi, e questa epistola fornisce informazioni molto più ampie. Colossesi è legata pure a Filemone, che contiene a sua volta informazioni personali al riguardo. 2 Quanto a Fi lippesi, lo scritto non ha alcun legame con questi tre ed è impossibile pro vare che la prigionia ivi menzionata sia quella di cui si parla nelle altre tre lettere, anche se la tradizione le accomuna tutte e quattro sotto la defini zione di epistole della cattività. Nella trattazione sul luogo di prigionia di Paolo non si terrà dunque in considerazione Filippesi e si partirà inoltre dal presupposto che egli sia l'autore di Colossesi e Filemone, nonché di Efe sini. Da Colossesi e Filemone si evince che per Paolo non fosse difficile comunicare con Colossi e l'area circostante. In Film. 22 Paolo chiede che gli si prepari una camera per quando tornerà in libertà, e questo fa pensare a un breve intervallo di tempo fra il rilascio e l'arrivo con Filemone, il che sarebbe inverisimile se egli stesse scrivendo da Cesarea o da Roma. Questi elementi, e altri ancora, depongono a favore di Efeso quale luogo di pri gionia. Ve n'è d'altro canto uno contrario, rilevante, costituito dall'argo mento usato da molti sostenitori della paternità paolina di Efesini: la diffe renza di stile rispetto a quello vigoroso delle lettere precedenti dipendereb be dall'età avanzata di Paolo che, come è prevedibile, scrive ora con mag giore pacatezza. Se la prigionia avesse avuto luogo a Efeso, non sarebbe sta to abbastanza vecchio per questo. Una carcerazione a Efeso non lascia inol tre un lasso di tempo sufficiente allo sviluppo della sua teologia, segnata mente riguardo alla tematica della chiesa, che in Efesini e Colossesi è più I Questa tesi è stata sostenuta in modo assai articolato da Duncan, op. cit., il quale fornisce una sto ria dell'idea nel suo sviluppo antecedente a lui. 2 La questione del luogo della prigionia è trattata molto più diffusamente nei commenti a Colossesi che presuppongono la paternità paolina della lettera, e di questi si raccomanda la consultazione. Qui si possono esporre solo alcune tra le argomentazioni più importanti.
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avanzata rispetto a quanto si legge nelle epistole precedenti. Si passi dun que all'esame degli elementi in favore della prigionia a Roma o a Cesarea. Se si mettono insieme le informazioni personali contenute nelle tre lettere, sembrerebbe emergere che, al tempo in cui sono state scritte, Paolo fosse accompagnato da un largo seguito di persone, o quantomeno fosse con queste in contatto regolare, il che è più probabile sia avvenuto a Roma che non a Cesarea. Ancora: è più verisimile che uno schiavo fuggiasco come Onesimo si rifugi a Roma, dove sarebbe potuto restare nell'anonimato tra le folle della grande città. Pare inoltre che a Roma Paolo abbia goduto di una libertà molto maggiore, perlomeno durante una parte della sua carce razione, di quanto sia normale attendersi per un prigioniero (Atti 28,30). L'eventualità che Paolo a Roma abbia subito due imprigionamenti è irrile vante ai fini di questa disamina. D'altro lato, la distanza fra Roma o Cesa rea e Colossi è superiore a quella fra Colossi ed Efeso. Non si può dire che la questione del luogo della prigionia sia definitivamente risolta, ma la col locazione tradizionale a Roma è presumibilmente da preferirsi. Una volta individuato il luogo della prigionia, risulta ovviamente stabilita anche la data. Qualora la città sia Roma o Cesarea, è un periodo tardo nella vita di Paolo, e in tal caso la lettera agli Efesini sarebbe stata scritta agli inizi de gli anni 6o. 6 . IL PENSIERO
Nella bibliografia elencata sotto, alcuni libri e articoli presuppongono che Pao lo non sia autore di Efesini, e sono i contributi più utili. Altri ritengono che eg l i ne sia l'autore e, pur non distinguendo nettamente fra il materiale conte nuto in Efesini e quello delle altre lettere, presentano spesso considerazioni in teressanti, ma data la mancata distinzione del materiale, può risultare difficile sceverarlo. Non vengono qui indicate le sezioni dei commenti che trattano l'argomento. F.C. Baur, Pau/. His Life and Work n, London 1 8 7 5 , 1 -44; O. Pfleiderer, Paulinism. A Contribution to the History of Primitive Christian Theology n, London 1 877, 1 621 9 3 ; B. Weiss, Biblica/ Theology of the New Testament n, Edinburgh 1 8 8 5 , 7 5 - 1 24; H.J. Holtzmann, Lehrbuch der neutestamentlichen Theologie n, Freiburg i.Br. - Leipzig 1 897, 225-25 8; F. Mussner, Die Geschichtstheologie des Epheserbriefes: BibLeb 5 ( 1 9 64) 8- 1 2; F.F. Bruce, Pau/ in Rome 4· The Epistle to the Ephesians: BJRL 49 ( 1 9661967) 3 0 3 -3 22; R. Baulès, L 'insondable richesse du Christ (LD 66), Paris 1 9 7 1 ; H. Ridderbos, Pau/. An Outline of His Theo/ogy, Grand Rapids 1 9 7 5 ; B. Corley, The Theology of Ephesians: SWJT 22 ( 1 979) 24-3 8; H. Merklein, Paulinische Theologie in der Rezeption des Kolosser- u. Epheserbriefes, in K. Kertelge (ed.), Paulus in den neu testamentlichen Spatschriften, Freiburg i.Br. 1 9 8 1 , 2 5 -69; R.E. Brown, The Churches the Apostles left behind, London 1 9 84, 47-60; Collins, op. cit. ; A.T. Lincoln, in A.T. Lincoln - A.J.M. Wedderburn, The Theology of the Later Pauline Letters, Cambridge 1 9 9 3 , 7 5 - 1 66; K. Berger, Theologiegeschichte des Urchristentums, Tiibingen-Basel
1994. 543-547·
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INTRODUZI ONE
Se non fu Paolo a scrivere Efesini, il pensiero di questa lettera merita atten zione per se stesso e non semplicemente alla luce della sua eventuale sinto nia o divergenza da Paolo. Nel prosieguo si farà brevemente cenno a nu merosi passi di Efesini, senza addentrarsi in un'interpretazione puntuale; la giustificazione dei punti di vista adottati si troverà nel commento. Il con tributo teologico principale dell'autore di Efesini consiste nella delineazio ne della natura della chiesa e del comportamento che i suoi membri do vrebbero tenere nel loro rapporto reciproco. Questi due aspetti della sua teologia richiedono un'approfondita disamina, sicché non vengono trattati qui, ma in due appendici distinte: « La chiesa >> e « L'insegnamento morale» . 6. L Collocazione cosmica. La teologia della lettera agli Efesini è espres sa secondo i modi della devozione e della preghiera ( 1 ,3 - 1 4 . 1 5-23; 3 , 1 4- 2 1 ) piuttosto che d i uno sviluppo logico o della polemica e del confronto con opinioni altrui. Poiché una parte dell'insegnamento sulla natura della chie sa riguarda l'unione fra credenti giudei e gentili, ci si sarebbe potuto aspet tare che questa teologia fosse inquadrata entro la cornice di una storia del la salvezza, come accade nella lettera ai Galati, ove si parla dei credenti gen tili che divengono figli di Abramo ( 3 ,29). La cornice di Efesini è invece co smica (B. Corley, art. cit. ), e si estende da prima della fondazione del mon do ( 1 ,4) sino alla sua consumazione ( 1 , 1 0) . Il creatore di tale cornice è Dio e la sua posizione di preminenza in rapporto a questa è affermata fin dal principio ( 1 , 3 ) . La cornice contiene un piano di redenzione, che ora viene rivelato tramite Cristo ( 1 , 3 - 1 4 ) e che include i gentili tanto quanto i giudei ( 2, I I - 22; 3 , 1 - 1 3 ) . 6.2. Se la cornice è cosmica, allora l'autore d i Efesini sarà interessato al rapporto dei credenti con Dio, ma anche con il cosmo stesso. Il cosmo è creazione di Dio ( 3,9) ed egli lo ha predisposto prima che esistesse ( 1 ,4 s.); pure la sua consumazione è quindi nelle sue mani ( 1 , 10). Esso è costituito non solo dall'universo materiale, ma anche dagli esseri umani e dalle po tenze soprannaturali ( 1 , 2 1 ; 2,2; 3 , 1 0; 6, 1 2), alcune delle quali possono es sere totalmente contrapposte a Dio, a differenza degli esseri umani, talora in contrasto con lui e talora no. Da un punto di vista fisico il cosmo consta di due parti, la terra e il cielo, che interagiscono pur essendo distinte. Si immaginerebbe che l'umanità sia relegata sulla terra, ma i credenti, pur con tinuando a vivere fisicamente quivi, siedono già nei cieli ( 2,6). Gli incredu li, confinati sulla terra, si trovano sotto il controllo delle potenze sopran naturali ( 2,2); i credenti sono in lotta con queste stesse potenze ( 6, 1 0 ss. ). 6.2. 1 . I credenti sono tali non perché abbiano deciso di credere, ma per ché Dio li ha eletti prima che il mondo avesse origine ( 1 ,4 ) . Ciò peraltro non
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implica che essi esistessero prima di nascere: Dio sa che nasceranno e de termina quella che sarà in seguito la loro vita. In modo in un certo senso analogo la chiesa non preesiste all'incarnazione, se non nella misura in cui è identificabile con Israele (v. appendice r, « La chiesa » ) . La maggior parte dei termini che l'autore di Efesini utilizza per significare elezione e prede stinazione si trovano anche altrove nel N.T., in particolare in (altri luoghi di? ) Paolo: ÈxÀÉ-yo(J-at ( r,4; r Cor. r,27.28), .SÉÀYj(J-a ( r , r . 5 ·9- I I ; I Cor. r, 1; 2 Cor. 8,5; Gal. 1 ,4), 7tpoop (�w ( 1 , 5 . r r ; Rom. 8,29 s.), EÙÒox (a ( 1,5.9; Fil.
2,1 3 ), 7tpo-rt.SE(J-at, 7tpo-8Eatc; ( 1 ,9; Rom. 3,25; 8,28), �ouÀ� ( 1 , r r ; Atti 2,23; 20,27), xÀ'ijatc; ( 1 , 1 8; I Cor. 1 ,26; Fil. 3 , 1 4), 7tflOE"rOt(J-tX�w ( 2,10; Rom. 9,23 ). 6.2.2. I gentili che entravano nella chiesa non dovevano provare mera viglia al sentire che le loro vite erano governate da forze esterne non uma ne, considerato che nel mondo antico era pressoché generale la persuasio ne che il corso della propria esistenza fosse controllato dagli astri, da varie divinità e sottodivinità e da poteri magici esercitati da altre persone. Il fa to, � d(J-ap(J-ÉV"Yj, determinava quanto sarebbe dovuto accadere. Le potenze soprannaturali di cui parla l'autore di Efesini rispondono a questo modello di controllo non umano. Più tardi, in molta parte del pensiero gnostico si asserì la predeterminazione della natura di ogni vita umana, nel senso che gli individui rientravano in due categorie, chi si sarebbe salvato e chi non si sarebbe salvato; era talora prevista anche una terza categoria, il cui de stino restava indeterminato. La credenza nel fato, del resto, è sempre stata una componente forte della religiosità popolare: «Su quella pallottola c'era scritto il suo nome>> . L'autore di Efesini cerca di liberare i suoi lettori dal fato in svariati modi. Sostiene che Cristo ha posto fine al dominio delle po tenze ( 1 , 1 9-23 ), che l'elezione dei credenti è determinata da Dio in Cristo ( 1 ,4 s.), che Dio non è una figura lontana e severa che agisce in maniera arbitraria, bensì un padre ( 1 ,2. 3 ; 3 , 1 4; 4,6; 5,20; 6,23 ) al quale essi hanno accesso ( 2, 1 8; 3 , 1 2). Dio, soprattutto, è pieno di misericordia, li ama ( 2,4; 4.3 2; 6,2 3 ) e il suo agire nei loro confronti è ispirato alla grazia ( 1 ,2; 2,8
3,2.7). 6.2.3 . L'elezione da parte di Dio dimostra che egli non opera guidato dal caso, ma secondo un piano prestabilito ( 1 , ro), che, sebbene in passato fosse nascosto, ora è stato rivelato ( 1 ,9 ) e riguarda la redenzione. I creden ti, e in quanto individui e nel loro complesso come chiesa, ne sono parte, è stato loro assegnato il posto in quel piano prima che Dio creasse il mondo ( 1 ,4), e sono stati eletti per essere suoi figli ( 1, 5 ) . Anche le loro opere buo ne sono state predeterminate ( 2,10). Ogni piano ha un suo inizio: quello di Dio ha avuto principio prima della fondazione del mondo ( 1 ,4 s.), ma è ri masto nascosto fino a quando egli lo ha reso noto a Paolo e agli apostoli e profeti ( 3 ,3 · 5 ) . Tale disegno prevede, fra l'altro, l'accettazione dei credenti
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gentili alla stessa stregua dei credenti giudei ( 2, 1 1 -22), e questo non è un ripensamento inteso a correggere un difetto nell'attuazione del piano. Un progetto con un punto di partenza non procede in modo tortuoso e senza meta, ma ha obiettivi definiti; i suoi esiti sono intrinseci nella sua concezio ne. L'autore della lettera agli Efesini indica in r , r o (cf. 3,2r ) il risultato del piano di Dio, che concerne inoltre l'intero universo, non esclusivamente i credenti, e non prevede solo la redenzione di pochi eletti, con l'abbandono del resto del cosmo. Che l'autore della lettera sia consapevole delle dimen sioni cosmiche del disegno di Dio risulta chiaro dal suo interesse costante per le potenze, che pure appaiono ostili. La posizione occupata da Cristo all'interno del piano è quella di elemento primario. L'autore non formula alcun enunciato esplicito sulla sua preesistenza, ma se i credenti sono stati eletti in lui prima della fondazione del mondo, ne consegue che egli esiste va prima che Dio pensasse ai credenti, ed era quindi preesistente, 1 come è confermato in 4,9. Cristo era nel disegno fin dal principio e lo sarà alla sua conclusione, poiché tutte le cose dovranno essere ridotte sotto un capo in lui ( r ,ro). Si potrebbe a buon diritto affermare che il piano di Dio sia « in Cristo >> .
6-3- Cristo. La cornice è cosmica; al piano presiede Dio; la figura cen trale è Cristo. Sebbene Cristo preesistesse al cosmo, non gli viene attribui to alcun ruolo nella sua creazione, come accade invece in Gv. r , r -4; Col. r , r 5-17, ma gli è assegnato un posto nella sua consumazione ( r , ro; cf. I Cor. 1 5,20-28; Fil. 2,9- 1 1 ) . Nel N.T. il suo legame con la fine è più fre quentemente presentato nei termini di un suo ritorno in veste di salvatore. 6.3 . 1 . Come in altre lettere paoline, a Cristo sono attribuiti titoli che gli sono consueti nel N.T. : figlio di Dio, Signore, messia ( Cristo); ma - ancora una volta in sintonia con Paolo - egli non è detto figlio dell'uomo. L'auto re di Efesini si distingue invece da Paolo e da molte altre parti del N.T. per il suo completo disinteresse verso il concetto di Cristo servo (Fil. 2,7; Mc. 10,45; Gv. 1 3 , 1 -20; cf. 2 Cor. 8,9) e, benché in 4,9 si faccia implicito cen no all'incarnazione, ciò avviene però solo incidentalmente, mentre si sta trattando un altro argomento. L'autore differisce da Paolo per la maggiore frequenza con cui prepone l'articolo a > , il che indica che non sem pre considera il termine > un nome, ma lo usa anche come titolo (v. a 1 , 1 0): egli ricorda così ai suoi lettori gentili che ora appartengono a una comunità le cui origini affondano nel giudaismo. È possibile che l'idea di Cristo quale secondo Adamo sia sottesa ad alcuni passi, come a 1,22, ove si utilizza il salmo 8, e forse anche a 5,22-3 3 , se questo passo contiene un'allusione ad Adamo ed Eva (ma v. ad lo c. ) , però essa non ha qui il ri1 Contro ].D.G. Dunn, ChristoloKY in the Making, London 1 9 80, 23 s .
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salto con cui compare nelle epistole paoline autentiche. L'autore di Efesini si discosta da Paolo anche per la sua più esplicita connessione di Cristo al l'elezione dei credenti da parte di Dio ( I ,4 s.). È peraltro vicino a Paolo nel non porre l'accento su alcun evento della vita terrena di Gesù all'infuori dell'incarnazione (4,9), della morte e della risurrezione ( I ,20; 2, I6; 5,2). 4,2I rivela presumibilmente che l'autore sa che Gesù era anche maestro, per quanto non riporti nessuno dei suoi insegnamenti. Rispetto a Paolo, egli menziona e dà proporzionalmente molto più rilievo all'ascensione di Cri sto ( I ,2o; 4,8 ) . Tale sottolineatura è connessa al tema per lui centrale della chiesa, poiché è il Cristo asceso al cielo che elargisce alla chiesa i doni del ministero (4, 8 ) . In Paolo ( I Cor. I 2,28; Rom. I 2,3 ss. ) è invece Dio a farlo tramite lo Spirito. I credenti sono ascesi con Cristo per stare con lui nei cieli (2,6). 6. 3 . 2. Il principale contributo cristologico dell'autore di Efesini consiste nel modo in cui associa Cristo alla chiesa, benché qualcuna delle sue af fermazioni comparisse già in forma latente in Paolo. Nella raffigurazione della chiesa come edificio, Cristo, che in I Cor. 3 , I I ne costituisce il fonda mento, è ora identificato con maggior precisione, in Ef. 2,20, quale sua pie tra angolare, termine che - quale che sia il suo significato (v. a 2,20) - in dica senz'altro una posizione esclusiva in relazione alla chiesa. Nell'A.T. l'immagine coniugale era applicata al rapporto tra Jahvé e Israele; in Efe sini Cristo diventa lo sposo o marito della chiesa, che è sua sposa o mo glie. Già Paolo s'era mosso in questa direzione (2 Cor. I I,2). Come il ma rito ama la moglie e la guida, così Cristo, in quanto suo capo, ama e guida la chiesa ( 5 ,22 s.), il che dà luogo a una netta distinzione fra Cristo e la chiesa. Cristo è capo non solo della chiesa, ma anche del cosmo ( I ,22), e questo è ulteriore indizio di una cristologia cosmica. Come capo del corpo costituito dalla chiesa, Cristo è connesso ai credenti in modo più stretto che non come capo dell'universo. Nelle lettere paoline autentiche Cristo è legato ai credenti da molti punti di vista diversi: essi sono battezzati in lui, sono in lui, muoiono con lui e risorgeranno con lui; egli è il secondo Ada mo, il cui destino condiziona i loro. Questo consente di parlare di un Cri sto corporato, ' il che vale anche per Efesini, benché in modo meno accen tuato, poiché qui non si dice che i credenti muoiono con lui, e tuttavia si afferma che con lui risorgono e ascendono al cielo ( 2,6), e sono in lui (4, 1 7; 6, I . 2 I ). L'aspetto corporato della formula «in Cristo >> è comunque me no frequente che nelle epistole paoline autentiche (v. excursus 2, «In Cri sto>> ). Il minor rilievo dato alla corporatività è in sintonia con la presenta zione di Cristo quale sposo o marito della chiesa, poiché quest'immagine traccia una linea fra Cristo e i credenti. La vicinanza di Cristo alla chiesa 1
Cf. C.F.D. Moule, The Origin of Christology, Cambridge 1 977, 47-96.
INTRODUZIONE
si rivela anche nel suo riempire la chiesa ( I ,2 3 ; cf. 3 , I 7- I 9), sebbene nulla autorizzi a considerare la chiesa completamento di Cristo (v. a I , 2 2 s.) o a pensare che egli cresca quando la chiesa cresce o matura (4, I 2- I 6 ): siffatte concezioni mal s'accorderebbero con la distinzione istituita dall'autore di Efesini fra Cristo e la chiesa. 6.3 . 3 . Si può dire in conclusione che il senso della cristologia di Efesini, pur non discrepante da quella delle altre epistole paoline, e anzi della mag gior pane del N.T., è ecclesiologico, così come il suo insegnamento sulla chiesa può essere definito cristologico. Tuttavia, il nesso fra la prima sezio ne della lettera, teologica, e la seconda, parenetica, non è cristologico (cf. Collins, I 59) ma ecclesiologico. 6.4. La salvezza L. Morris, The Apostolic Preaching of the Cross, London 1 9 5 5 ; Id., The Cross in the New Testament, Exeter 1 967, 1 80-259; V. Taylor, The Atonement in New Testament Teaching, London 1 940, 5 5 - 1 0 1 .
La lettera agli Efesini concorda con il resto del N.T. nel ritenere che la salvezza umana sia compiuta da Dio tramite Cristo, ma l'autore, come al tri autori neotestamentari, dà un'espressione personale a questo concetto. 6.4. I . Secondo lui la salvezza non è frutto di un ripensamento successi vo, ma fa pane del piano divino sin dal principio ( 3 ,9), anche se il rendere noto come la salvezza di Dio si estenda fino a includere pure i gentili costi tuisce una nuova fase all'interno di tale disegno ( I ,9 s.; 3 , 5 ). Come in altri luoghi del N.T., la morte di Gesù è centrale per la comprensione della sal vezza ( I ,?; 2, I 3 . I 6) . Nel modo in cui presenta questa morte, peraltro, l'autore di Efesini non sviluppa una teologia della redenzione, sia essa for mulata in termini di sostituzione, espiazione, propiziazione, o riparazione vicaria, se non nell'affermare che è una morte subita per altri ( 5 ,2). Le sue parole sono sufficientemente generiche da adeguarsi a qualsiasi teoria. Dai cenni al sangue ( I ,?; 2, I 3 ) e al sacrificio ( 5,2) si può dedurre che la sua vi sione era fondamentalmente giudaica, il che non sorprende se egli era un giudeocristiano, ma d'altronde nemmeno i gentili avrebbero avuto difficol tà ad accettare tale prospettiva. 6.4.2. Uno dei modi principali in cui Paolo esprime il concetto di reden zione è il ricorso alla radice ÒtXI%tO-, intesa in senso giudaico piuttosto che nella sua normale accezione greca di carattere profano. L'autore di Efesini utilizza questa radice a proposito della redenzione una sola volta (6,I4; in 4,24; 5,9 è impiegata per indicare il comportamento retto). Egli usa tutta via a��w ( 2,8) per trasmettere un insegnamento analogo a quello di Paolo, verisimilmente perché convinto che il termine sia più facilmente intelligibi le a lettori gentili. La salvezza significa che i credenti: a) sono perdonati dei
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loro peccati ( I ,?) - un modo questo di parlare della salvezza che è più luca no (Atti 2,3 8; 5,3 1 ; I0,4 3 ) che paolino, per quanto il Paolo di Atti si espri ma al riguardo in questi termini ( I 3 , J 8 ; 26, I 8 ) -; b) sono liberati dal do minio delle potenze maligne soprannaturali dalle quali erano controllati prima della conversione ( 2,2; 6, I I . I 2), e in tal modo sono condotti dalle te nebre pagane alla luce di Dio (4, I 8 s.; 5,8. I I ; 6, r 2); c) se appartengono ai gentili, sono riconciliati con i credenti giudei. Paolo aveva ovviamente po sto in rilievo questo aspetto mediante il suo insegnamento sulla giustifica zione; l'autore di Efesini parla in modo più diretto di giudei e gentili ricon ciliati gli uni con gli altri (2,I 6); d) ricevono doni spirituali da utilizzare al servizio della chiesa (4,7). La salvezza è sempre liberazione da qualcosa: in Paolo è liberazione dal peccato e dalla maledizione della legge; l'autore di Efesini parla molto meno di Paolo del peccato e della legge, e molto più di lui della liberazione dalle potenze, pur non ignorando la salvezza dal pec cato ( I ,?). Egli attribuisce maggiore importanza alla vittoria conseguita da Cristo ( I ,2o) sulle potenze e alla lotta contro di loro che i cristiani affron tano (6, I 2- I ? ). È interessante notare come non faccia parola della neces sità di combattere la tentazione. 6.4. 3. Se per Paolo la salvezza è corporata in quanto i credenti divengo no membri della chiesa, egli di fatto non dice mai - come invece fa l'autore di Efesini - che Dio redime la chiesa nel suo complesso ( 5 ,25). Non sorpren de quest'affermazione da parte dell'autore di Efesini, considerato quanta importanza annetta alla chiesa. Ma egli non ignora la salvezza del singolo, poiché 5,25 è controbilanciato da 5,2 e oggetto dell'elezione sono i singoli individui ( I,4 s.). Per lui la sfera della redenzione si estende oltre la chiesa, dacché l'intera creazione rientra nel suo orizzonte: in 3,10 l'evangelo è re so noto alle potenze, e questo non accadrebbe se esse fossero incapaci di redenzione; in r , r o Cristo è definito ricapitolazione di tutto ciò che esiste, il che implica la riconciliazione ultima di ogni realtà con Dio (v. a r , Io). Che l'autore di Efesini abbia in mente l'intera creazione non significa pe raltro che interpretasse tale ricapitolazione come ricreazione di una origi naria unità (v. a I , Io), giacché egli non fa mai menzione di una unità sif fatta, ma anzi sottolinea come tramite Cristo sia avvenuto qualcosa di nuovo (cf. 4,24 ) . Quel che si produce attraverso la redenzione è qualcosa che non è mai esistito prima. 6-4-4. Quando afferma che i credenti sono stati salvati ( 2,8, si noti l'uso del perfetto), l'autore di Efesini pone la loro salvezza nel passato più sal damente di quanto faccia Paolo, il quale considera la salvezza o in fieri o come evento futuro. Paolo usa a tal riguardo un verbo al passato solo in Rom. 8,24, ove la salvezza è vista correlata alla speranza. In generale l'au tore di Efesini pone l'accento sulla collocazione nel presente della nuova
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vita dei credenti con maggiore insistenza rispetto a Paolo: essi godono già del perdono ( r ,7) e dell'accesso a Dio ( 2, r 8; 3 , 1 2). L'affermazione più pronunciata in tal senso si legge in 2,6, ove è detto che i credenti sono stati risuscitati con Cristo e siedono con lui nei cieli. Ne risulta una soteriologia pienamente realizzata. È questa un'espressione più appropriata per definire la posizione di Efesini rispetto alla formula più usuale di «escatologia rea lizzata >> , ' poiché l'autore mostra scarso interesse per l'escatologia e ricorre di rado ai termini tradizionali a questa inerenti ( fa eccezione il riferimento alle due età in 1 , 2 1 ), mentre mostra grande interesse per la soteriologia. Riguardo alla posizione dei credenti si sottolinea talvolta l'antitesi allora/ ora, ma per l'autore di Efesini la vera antitesi è fuori/dentro: un tempo i credenti erano fuori della chiesa, mentre ora sono al suo interno. Di nor ma Paolo parla della risurrezione dei credenti come di un evento futuro, ma in Colossesi è già considerata un fatto compiuto ( 2, 1 2; 3 , 1 ) . L'autore di Efesini fa un ulteriore passo avanti quando presenta non solo la risurre zione ma anche l'ascensione quale fatto compiuto ( 2,6; la precisazione «in Cristo Gesù » non modifica affatto il dato, con buona pace di Arnold, 1 4 8 ) . Sui motivi che lo inducono a compiere questo passo ulteriore s i veda a 2,6. Per Paolo il dimorare con il Signore, che si presume implicito nell'ascen sione, è un fatto del futuro ( I Cor. r 5 ,49; 2 Cor. 5 ,6-8 ): il rapimento in cie lo da lui vissuto (2 Cor. 1 2,2 s.) è stato soltanto un episodio temporaneo, e Fil. 3 ,20 rinvia a una parusia futura. In Efesini i credenti sono già concit tadini dei santi, che sono o angeli o credenti glorificati (v. a r , r 8 e 2, 19). L'autore non menziona la parusia, e la vittoria di Cristo sulle potenze, che in Paolo è un dato futuro ( I Cor. 1 5 ,24), per lui è già compiuta ( 1 ,20-23 ). Anche r,ro sembra implicare l'attuazione nel presente del piano divino. 2, 20 fa pensare a un edificio finito, giacché Dio vi abita, conclusione che ri sulta rafforzata se la pietra angolare è la pietra di chiusura. La necessità di vigilanza (6, 1 8 ) non è più legata all'attesa della parusia (Mc. 1 3 ,3 3 ; I Tess. 5 ,6 s.). Si nota su questo punto una variazione importante rispetto a Paolo, il quale si era premurato di respingere l'idea che i credenti avessero già raggiunto il loro obiettivo di regnare in cielo ( I Cor. 4,8; cf. 2 Tim. 2, r 8 ) . Si potrebbe dire che per Paolo la salvezza piena sia «avanti •• , alla fine del tempo, per l'autore di Efesini esiste già «sopra » , in cielo. 6.4 - 5 - D'altro canto, molte delle sue affermazioni non sono facilmente conciliabili con questa prospettiva. Se i credenti sono già nei cieli, e perciò presumibilmente perfetti, perché dovrebbero aver bisogno di un insegna ' Sulla possibile escatologia realizzata di Efesini v. Steinmetz, passim; Lindemann, Aufhebung, pas sim; Lona, :1.4 1 ss.; Arnold, 1 4 5 ss.; Lemmer, passim; P. Benoit, L'évolution du language apocalypti que dans le corpus paulinien, in Apocalypses et théologie de l'espérance (LD 9 5 ), Paris 1 977, :1.993 3 5 ; H.R. Lemmer, A Multifarious Understanding of Eschatology in Ephesians. A Possible Solution to a Vexing lssue: Hervormde Teologiese Studies 46 ( 1 990) 10:Z.- 1 1 9.
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mento morale, al quale l'autore dedica metà del suo scritto ? Perché mette re in guardia i lettori dal rischio di ricadere nel loro passato pagano (2,1 ss.; 2, n ss. ) ? Se le potenze sono già assoggettate a Cristo, perché dare consigli ai lettori sul modo di combatterle ( 6, 1 0 ss. ) ? L'ultimo punto può non esse re rilevante, giacché le potenze sono nei cieli e i credenti, se vi si trovano anch'essi, si confronterebbero di necessità con loro. La difficoltà qui consi ste nel senso da attribuire all'espressione « i cieli>> (v. excursus 1 ), che certo non coincidono col concetto di cielo frequente nella religiosità moderna. Vi sono peraltro indicazioni più esplicite che l'autore di Efesini non ha ri nunciato a credere nel futuro e nella sua importanza. I credenti attendono di ricevere un'eredità ( 1 , 1 4. 1 8; 5 , 5 ) e l'eredità riguarda sempre il futuro; hanno già ricevuto una caparra ( 1 , 1 4 ) , il che implica che qualcos'altro de ve ancora venire. La chiesa alla quale appartengono non ha ancora rag giunto la maturità e deve crescere ( 2, 2 1 ; 4, 1 6; cf. 3 , 1 9), e così i suoi singo li membri (4, 1 3 ). Ai credenti viene detto che vi è per loro una speranza ( 1 , 1 8; 4,4 ), e ciò ancora una volta comporta che vi sia qualcosa di meglio nel futuro. Il loro nuovo essere è in fieri (4,2 3 s.; cf. per contro Col. 3 , ro). In 4,30, diversamente che in 1 ,7, il giorno della redenzione sembra essere futuro. Se col giorno malvagio menzionato in 6, 1 3 ci si riferisce all'ultimo giorno, i credenti stanno già vivendo nel periodo che conduce a quello e c'è un giorno futuro della salvezza. 6,8 s. implica una resa dei conti con Dio e mentre l'ira di Dio ( 5,6) potrebbe essere una realtà presente, la resa dei conti dev'essere futura. 6-4-6. La lettera agli Efesini presenta dunque due tendenze difficili da conciliare: da un lato l'autore riprende l'idea tradizionale che prevede un obiettivo futuro da raggiungere; dall'altro sottolinea che ciò che la tradi zione attendeva è già realtà presente. È impossibile eliminare dalla sua let tera le attestazioni a sostegno dell'una o dell'altra posizione. La prima, am piamente condivisa, fa parte del retaggio cristiano ricevuto dall'autore. Se avesse voluto rifiutarla, avrebbe dovuto essere più esplicito. Scrivendo sot to il nome di Paolo, doveva sapere che questi aveva condiviso tale punto di vista. Nel rivolgersi a un vasto pubblico, non può non essersi reso conto che anche la maggior parte dei suoi lettori aveva verisimilmente accolto la posizione tradizionale, che di fatto si riscontra in quasi tutti gli scritti neo testamentari sia precedenti sia successivi a Efesini. Tale idea può essere eli minata solo dal vangelo di Giovanni supponendo al suo interno vari strati di sviluppo. Se l'autore di Efesini non credeva nella parusia, perché non l'ha respinta esplicitamente? Quanto all'altra possibile concezione, vi era chi la sosteneva, come di mostra il suo rifiuto da parte di Paolo in I Cor. 4,8. Può darsi fosse nata da un fraintendimento delle affermazioni paoline sulla risurrezione dei ere-
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denti. Cristo è morto, i credenti sono morti con lui; Cristo è risorto, i cre denti devono essere risorti con lui - così Col. 2, 1 2 s.; 3 , 1 -; Cristo è asceso al cielo; i credenti devono essere ascesi al cielo con lui (Ef. 2,6). Si ha qui una sorta di progressione logica che muove dall'insegnamento di Paolo e approda a quanto si legge in Efesini. Ogni elemento inteso a evidenziare la realtà dell'esistenza attuale dei credenti dev'essere andato a sostegno di que sta progressione, e c'era molto in tal senso: i credenti erano definiti creatu re nuove (2 Cor. 5 , 1 7; Gal. 6, 1 5 ), sono rinati e godono nel presente della vita eterna (si veda il vangelo di Giovanni ) . Il ritardo della parusia avrà inol tre spostato l'interesse dalla concezione che prospettava una nuova epoca posta avanti nel tempo a quella di un cielo che sta al di sopra, con un pas saggio dall'uso di categorie temporali a quello di categorie spaziali per esprimere la fede (cf. Lindemann, Aufhebung, 49-66). I Tess. 4,1 3 ss. mo stra che c'erano credenti preoccupati di quel che sarebbe loro accaduto do po la morte: un cielo in alto cui andare avrebbe fornito una soluzione. Se si tiene conto di tali idee, è possibile spiegare la soteriologia realizzata di Efesini senza ricorrere all'ipotesi di un influsso gnostico. 6.4.7· Una volta ammessa la possibilità di spiegare la coesistenza in Efe sini di queste due prospettive evidentemente contrastanti, resta il problema del perché l'autore non ne abbia ravvisato l'incompatibilità. Forse tutto ciò che si può dire è che la compresenza di idee incompatibili è fenomeno co mune a organismi in crescita che si adattano a situazioni nuove. L'autore di Efesini potrebbe semplicemente non aver rilevato la contraddizione, che è forse radicata nella fede cristiana più profondamente di quanto spesso ci si renda conto: il regno di Dio è qui, e tuttavia deve ancora venire; i cre denti sono figli di Dio, e nondimeno peccano.
6. 5. Lo Spirito santo H.B. Swete, The Holy Spirit in the New Testament, London 1 909, 23 1 - 242; P.-A. Har lé, Le Saint-Esprit et I'Église chez saint Pau/: VCaro 1 9 (74) ( 1 9 6 5 ) 1 3 -29; Adai, pas sim; Lemmer, passim; G.D. Fee, God's Empowering Presence. The Holy Spirit in the Letters of Pau/, Grand Rapids 1 994, 6 5 8-7 3 3 .
6. 5 . 1 . In generale, anche se non sempre, l a fede giudaica considerava lo Spirito santo quale dono escatologico di Dio. I cristiani credevano che lo Spirito fosse già operante in loro. È dunque appropriato trattare il ruolo dello Spirito santo nella lettera agli Efesini subito dopo quello di una sote riologia realizzata. 7tVEU(J.Il. è termine ambiguo, e dalla presente analisi ven gono esclusi i passi in cui indica forze soprannaturali maligne ( 2,2; 6, 1 2 ) , o è utilizzato in senso antropologico (4,23 ) . È difficile capire se ci si debba riferire allo Spirito con un pronome neutro, maschile o femminile, ma vi sto che in Efesini non pare sia attribuito allo Spirito carattere personale (il
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passo in cui ci si spinge più avanti in tale direzione è 4,30), si adotterà ora il pronome personale, ora il neutro. Sono rimaste tracce dell'orientamen to escatologico dello Spirito in 1 , 1 3 s., ove esso è . 1 6.6. L 'esistenza cristiana. L'autore di Efesini spiega la vita dei cristiani sempre in relazione a Dio o a Cristo, o alle potenze, o agli altri cristiani, mai però, curiosamente, agli increduli. 6.6. r . Nella sua visione i credenti vivono in un mondo soggetto al con trollo di esseri soprannaturali, secondo una prospettiva difficile da capire appieno per i moderni lettori occidentali. Per i gentili le stelle prefigurava no l'avvenire; essi ricorrevano alla magia per influire sulla propria e l'altrui vita; catastrofi naturali, carestia, peste, inondazioni erano dovute non a cause naturali, ma soprannaturali. A dominare era il fato. Una volta di venuti cristiani, il soprannaturale non cessava di governarli, ma ora esso promanava da Dio. Ciò induce a un confronto tra la loro vita precristiana e quella cristiana, e l'autore di Efesini lo svolge. Secondo il quadro di 4,!719, l'esistenza pagana è vissuta nella tenebra, senza rapporto con Dio e priva di una comprensione vera della vita. Essa è interamente dedita alle più spregevoli forme di peccati sessuali e d'altro genere ed è sotto il con trollo del diavolo ( 2,2). Alla persona vecchia che viveva in tal modo è ora subentrata la nuova (4,22.24). La vita cristiana è una vita nuova (cf. 2, 1 5 ). Un tempo ai gentili mancavano i «conforti >> di cui godevano i giudei, i quali non erano mai vissuti completamente senza Dio, avevano sempre nu trito la speranza ed erano sotto la sua protezione ( 2, 1 2). Gli etnicocristiani sono stati ora posti sotto la medesima protezione ed è stata loro concessa la stessa speranza di cui beneficiavano i giudei. I credenti giudei e gentili sono insieme destinatari dell'unica vera salvezza, adorano il medesimo Dio e partecipano della stessa speranza. 6.6.2. L'autore di Efesini spiega l'esistenza cristiana non in relazione al
1 J.W. Bowman, The Epistle to the Ephesians: lnt 8 ( 1 9 5 4 ) 1 8 8-2.05.
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mondo, bensì alla chiesa. Prima della conversione i credenti dovevano esse re stati membri di numerose forme di associazioni, nella sfera della fami glia, dell'attività lavorativa, delle autorità civili, della religione. Fra questi ambiti, l'autore mostra interesse esclusivamente per la famiglia e la chiesa. La nuova vita dei credenti si deve dunque intendere in rapporto a quella degli altri credenti. Egli non elabora questa tematica in termini teologici, come fa Paolo in L Cor. 1 2, 1 2 ss. e in Rom. 1 2,3-8 (v. appendice r , «La chiesa » ) , ma in termini pratici, rivolgendosi al comportamento da tenere reciprocamente (v. appendice 2, « L'insegnamento morale>> ). I credenti so no divenuti cristiani attraverso la fede e il battesimo (4,5; 5,26), e la fede caratterizza non soltanto la loro risposta iniziale, ma tutta la loro esistenza cristiana ( r, r 9; 2,8; 3 , I 2. 1 7) . In quanto membri della chiesa, i credenti so no legati non solo agli altri credenti, ma anche a Dio che li ha eletti ( 1 ,4). Sono suoi figli ( 1, 5 ; 5,1; cf. 5,8), sono accolti da lui come santi ( 1, 1 . 1 8 ecc.), e come santi e irreprensibili ( 1 ,4); i loro peccati sono perdonati ( 1 ,7; 2,5 ); essi sono «luce >> ( 5, 8 ) e sono saggi ( 5 , 1 5 ); è dato loro comprendere ciò che Dio compie ( r , r 8; 3 , 1 8 s.; 5,8-ro). Sono uniti in comunione con Cri sto (2,1 3; 2,5 .6; 3 , 1 7; cf. la formula ), sono stati con lui risusci tati e con lui sono ascesi al cielo. Fortificati dallo Spirito ( 3 , 1 6), sono stati rinnovati per un'esistenza nuova (4,23 s. ) . La loro vita quotidiana è de scritta essenzialmente in due modi: come un (1tEpt7t�X'téw: 2, ro; 4, 1 . 1 7; 5,2.8. 1 5 ) - il che fa pensare a un progresso lento ma costante -, e come una lotta (6,ro ss. ), poiché devono combattere per mantenere la po sizione contro gli attacchi soprannaturali. Non compare invece la connota zione di servizio umile propria di molta parte del N.T. (ad es. Mc. 9,3 5; 10,43 s.; Le. 22,26 s.; Gv. 1 3 , 1 2- 1 6; Fil. 2,5 ) . La scarsa attenzione per que sto aspetto è conforme alla cristologia dell'autore di Efesini, nella quale (v. sopra, 6.3 . 1 ) Cristo non è presentato come servo. Nella propria vita il disce polo dovrebbe seguire il modello del suo Signore: è questo un ulteriore esempio della coerenza dell'autore. I credenti si collocano entro una tradi zione (si noti nella lettera l'uso di forme e concetti tradizionali) che sono chiamati a difendere. Per loro sono stabilite norme morali (v. appendice 2, > , che il muro tra cielo e terra fosse stato infranto, da cristiani si ritenevano già elevati al cielo ( 2,6). Ma poiché l'autore di Efesini condivide con Colossesi la fede nell'avvenuta risurrezione dei credenti ( Col. 3 , 1 ), questa non può esse re stata introdotta in Efesini rifacendosi a un presunto gruppo di giudei «spiri tuali >> . Per l'autore di Efesini, inoltre, il muro si frappone tra giudei e gentili, non tra cielo e terra. Ancor più improbabile l'idea di Cornelius, 1 secondo cui la lettera sarebbe stata scritta per essere diffusa a Roma, allo scopo di sostene re Paolo contro quanti affermavano la superiorità di Pietro. Per Lindemann, il complesso di immagini incentrate sul combattimento in 6,10- 1 7 indica che la chiesa sta subendo una persecuzione e che la lettera sarebbe stata scritta per confortare i credenti oppressi) 6, 1 0- 1 7 rappresenta tuttavia solo un aspetto limitato di Efesini ed è arduo collegare il resto dello scritto alla persecuzione. Beatrice 4 considera il passo di 6, 1 0- 1 7 indirizzato contro avversari giudei sa tanici, ma è difficile cogliervi elementi di antigiudaismo. Goulder, art. cit., 21, sostiene che la lettera fosse rivolta contro giudeocristiani visionari, ma nello svolgere tale argomentazione si richiama a posizioni normalmente rigettate: che &ytot designi un gruppo elitario; che in 2 Cor. 1 2, 1 ss. Paolo non parli di sé; che Efesini sia stata scritta specificamente per la chiesa di Laodicea e per nessun'altra. Il grado di probabilità raggiunto dalla combinazione di queste idee, che considerate singolarmente sono meno che probabili, è assai basso. Nel delineare lo sfondo della speculazione giudaica, per di più, Goulder attin ge a materiale da datarsi posteriormente alla lettera. Ultima e forse più impor tante obiezione, egli non dà conto del cospicuo elemento parenetico di Efesini. 8 . 3 . 3 . Fischer ravvisa nella lettera una duplice tendenza polemica. I . ( pp. 2 1 - 3 9 ) I titoli dei ministri in 4, I I non rispecchiano quelli prevedibili nel pe riodo postpaolino. Risalgono grosso modo agli stessi anni le pastorali, Atti 20, 1 8-3 5 e 1 Clem. 4 2,4, testi che rivelano l'emergere di un ministero non carismatico di vescovi, anziani e diaconi. La menzione da parte dell'autore I D.C. Smith, The Ephesian Heresy: SBL Papers ( 1 974) 4 5 -54; Id., The Ephesian Heresy and the Origin of the Epistle to the Ephesians: OJRS 5 ( 1 977) 78-103 . 1 F. Cornelius, Die geschichtliche Stellung des Epheserbriefes: ZRGG 7 ( 1 9 5 5 ) 74-76. 3 A. Lindemann, Bemerkungen zu den Adressaten und zum Anlass des Epheserbriefes: ZNW 67 ( 1 976) 2.35-2.5 1 . 4 P.F. Beatrice, I l combattimento spirituale secondo san Paolo. Interpretazione di Ef 6,ro-r7: Studia Patavina 19 ( 1 972.) 3 5 9-42.2..
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di Efesini di evangelisti, maestri e pastori è un tentativo di opporsi a questo nuovo tipo di ministero per continuare quello di Paolo. Ma: a) l'autore di Efesini non pone in particolare rilievo la natura carismatica delle figure elencate in 4,I I (v. a 4,7- I I ), quanto piuttosto quella di tutti i credenti; b) «evangelista » non è uno dei titoli presenti nelle epistole paoline autentiche per indicare i ministri, sicché non si può dire che difendendo l'uso di que sto appellativo l'autore sarebbe stato fedele alla tradizione paolina; c) il mi nistero si trova in una situazione fluida al tempo di Efesini: r Pt. 5,1-5, per esempio, parla di anziani, ma non di vescovi; manca qualsiasi riferimento al ministero in Colossesi, ove l'autore aveva ampia opportunità di farvi cenno nei saluti finali ( 3 ,7 ss. ) . I titoli non potevano dunque avere tale as soluta importanza; d) il brano in cui si trova 4,1 r non è sufficientemente polemico per indurre a ritenere che l'autore mirasse a escludere un nuovo tipo di ministero. 2. (pp. 79-94) Gli studiosi riconoscono spesso una ten denza polemica nelle considerazioni su giudeocristiani ed etnicocristiani; Fischer però non vi legge un tentativo di persuadere i primi ad accettare gli altri, quanto l'opposto. Sospettando che gli etnicocristiani si fossero insu perbiti per la propria posizione all'interno della chiesa, l'autore di Efesini scrive per ricordare loro che anche i giudeocristiani hanno diritto di farne parte. Ma le prove a sostegno di questa tesi sono semplicemente irreperibi li in Efesini (v. a 2, r 5 b). Secondo Pokorny, 4 1 ss., i destinatari cui la lette ra si rivolge sono cristiani che hanno perduto l'entusiasmo iniziale e rischia no di abbandonare l'eredità paolina. In Asia Minore alcuni credenti rico noscevano a Giovanni una posizione superiore a quella di Paolo, fino al punto di escludere lo stesso Paolo dal novero degli apostoli (Apoc. 2 r ) . La tradizione paolina nell'insegnamento di Efesini è presentata come indispen sabile per l'unità della chiesa nonché fondata sulle sue basi storiche e non su idee spiritualistiche o sincretistiche. Se però l'autore della lettera avesse voluto sottolineare la posizione di Paolo, meglio avrebbe fatto a non scrive re 3,5, che assegna a Giovanni un ruolo quantomeno pari a quello di Paolo. 8.3.4· Poiché Efesini presta tanta attenzione al rapporto fra giudeocri stiani ed etnicocristiani, per molti il suo obiettivo è proprio la trattazione di questo rapporto. Al tempo della sua composizione c'era in Asia Minore una popolazione giudaica cospicua, che ovviamente divenne in parte cri stiana. Tutti i primi credenti erano stati altresì giudei e molti si erano op posti all'ammissione dei gentili nella chiesa su un piano di parità. È possi bile che le controversie in materia non si fossero del tutto spente al tempo dell'autore di Efesini, il quale scriverebbe pertanto sia per rassicurare i let tori gentili sulla piena legittimità del loro posto all'interno della chiesa 1 sia r Per es. J.B. Polhill, An lntroduction to Ephesians: RevExp 76 ( 1 979) 465-480. W. Grundmann, Die v�r:toL in der Urchristlichen Pariinese: NTS 5 ( 1 958-1959) 1 88-2. 1 5 , prospetta (p. 194 n. r ) la
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per giustificare l'opera di Paolo a sostegno della loro ammissione. Non si può negare la possibilità che l'autore scrivesse avendo di mira il rapporto fra giudei e gentili all'interno del cristianesimo, e questo potrebbe essere sta to un obiettivo accessorio della lettera, ma vi occupa un posto proporzio nalmente troppo esiguo per poterne costituire lo scopo primario. In parti colare, non c'è nulla nell'ampia sezione parenetica che si ricolleghi, anche soltanto lontanamente, con la questione del rapporto fra giudei e gentili. A Paolo è certo riservata un'attenzione considerevole, ma non si dà evidenza all'indicazione che le comunità non fondate personalmente da lui debbano imparare a considerarlo loro fondatore (cf. Kiirnmel) . Secondo Chadwick/ ai frequenti cenni ai giudei presiede uno scopo del tutto diverso. Nel mon· do antico le idee nuove erano sospette: era una lunga storia alle spalle a conferire importanza a popoli e concetti. T aie concezione si trova esempli ficata nel Contra Apionem di Flavio Giuseppe, ove l'autore sostiene per mo tivi apologetici che i giudei sono una stirpe antica. Agli occhi dei greci vi era quindi il rischio che la chiesa potesse essere disdegnata perché recente. Contro questo rischio, l'autore di Efesini afferma che la chiesa è su una li nea di continuità con Israele e può perciò rivendicare alle proprie spalle la storia di Israele. I suoi membri, per giunta, sono stati eletti ancor prima della fondazione del mondo. La chiesa non merita dunque disprezzo, ben sì un posto d'onore. Ma i giudei non erano popolari nel mondo antico, e l'essere associati a loro poteva non essere di alcun vantaggio per i cristiani. Anche in questo caso, se non si può negare che l'interesse per il giudaismo e i giudei costituisca un motivo sussidiario che ha indotto a scrivere la let tera, non vi si può scorgere l'obiettivo principale, poiché tanta parte del suo contenuto risulterebbe non pertinente. Per Schmithals :z. l'occasione del la lettera fu l'espulsione dalla sinagoga dei giudeocristiani e il suo «scopo primario ... era garantire che gli etnicocristiani delle comunità paoline ac cettassero i loro fratelli cristiani che provenivano dalla sinagoga, e al tem po stesso far conoscere a costoro la tradizione paolina » . È tuttavia diffici le individuare nella lettera dati specificamente orientati a questo obiettivo: mancano in essa molte importanti idee paoline, e in base a questa ipotesi la parenesi risulta priva di attinenza. 8 . 3 . 5 · Chadwick ha scorto il fattore fondamentale che ha indotto a scri vere Efesini in considerazioni culturali esterne. Anche se la sua tesi specifipossibilità che, dopo la rivolta in Palestina negli anni 66-70 d.C., vi sia stato un afflusso di giudei in Asia Minore che ridiede vita alla riflessione sul rapporto fra giudei e gentili. L'eventualità di un tale afflusso non contrasta in alcun modo le obiezioni di carattere generale sollevate contro questa tesi. 1 H. Chadwick, Die Absicht des Epheserbriefes: ZNW 5 1 ( 1 960) 1 4 5 - 1 5 3 . 2 W . Schmithals, The Corpus Paulinum and Gnosis, i n A.H.B. Logan - A.j.M. Wedderbum (edd.), The New Testament and Gnosis (Fs R. MeL. Wilson), Edinburgh 1 9 8 3 , 107- 1 l.4 : 1 2:z..
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ca viene respinta, possono esservi state altre circostanze esteriori alle quali con questo scritto si intendeva reagire (cf. Gnilka, 4 7; Schnackenburg, 3 5; Lona, 43 5 s. ) . In Asia Minore in questo periodo si viveva in una temperie cosmopolita, con una situazione economica e politica in rapido mutamen to. Alle città veniva ricordato di continuo che non potevano determinare autonomamente le proprie sorti, in quanto inserite nel più vasto organismo dell'impero. In ambito religioso predominava il sincretismo. In questo sta to di totale incertezza i credenti avevano bisogno di vedere nella loro fede un elemento di stabilità. L'autore di Efesini non presta però attenzione a quanto sta accadendo al di fuori della chiesa e si mostra indifferente alla situazione esterna di precarietà. Se veramente fosse stata in atto all'esterno una crisi che preoccupava i credenti, ci si aspetterebbe di riscontrarne indi zi anche in altri scritti cristiani risalenti allo stesso periodo, ma, a parte la minaccia di persecuzione, tali indizi sono assenti. Quando i cristiani sono esortati a restare saldi ( 6, 1 0 ss. ), non è alla luce della situazione politica ed economica, o delle varie religioni nuove, ma nel quadro di forze celesti che cercano di allontanarli dalla fede. È peraltro possibile che le circostanze esteriori non fossero quelle relative alla sfera economica e politica, bensì concernessero la situazione generale della chiesa (cf. Houlden, 2 5 3 ; Martin, Foundations, 23 3 ) . Il pensiero teologico del vangelo e delle lettere di Gio vanni e dell'Apocalisse, tutti scritti che circolavano pressappoco nella stes sa area di Efesini, non riserva alcuno spazio a Paolo. L'Apocalisse, ponen do l'accento sul numero «dodici >> (dodici porte e dodici apostoli, Apoc. 21, 1 2-14), esclude esplicitamente un tredicesimo apostolo, vale a dire Paolo. È dunque possibile che la lettera in esame intenda contrastare un senti mento antipaolino. D'altro canto, 1 Pietro, che appartiene alla stessa area, ha punti di contatto molto forti con il pensiero paolina, sicché forse l'anti paolinismo non era così diffuso. La posizione di Paolo è in effetti sottoli neata solo in una parte ridotta della lettera, ragion per cui non si può rico noscere nella volontà di consolidarla il suo obiettivo principale. 8.3 .6. Secondo una spiegazione diffusa, lo scopo di Efesini è da vedersi sullo sfondo di Colossesi. Eadie, LI, immaginava che Paolo, scoraggiato in seguito agli avvenimenti di Colossi, effondesse in questa lettera i suoi inti mi pensieri sulle dottrine trascendenti dell'evangelo. Bruce, 24 1 , esprime la stessa idea definendo Efesini la di Colossesi in quan to analogamente a ciò che Colossesi aveva fatto per quello di Cristo. Queste e altre congetture similari sullo sco po della lettera sono state di solito avanzate da chi ne accetta la paternità paolina, ma anche fra coloro che l'hanno respinta vi è chi si pronuncia al riguardo in maniera analoga. Moffatt, 3 9 3 , la definiva «versione cattoli cizzata di Colossesi >>, espressione ripresa e utilizzata da molti. Ma questa
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soluzione al problema dello scopo è impossibile nel caso che le due lettere non siano di uno stesso autore, ovvero che l'autore di Efesini non si sia servito di Colossesi. Benché diffusa, tale spiegazione non è esente da serie difficoltà. Esistono, è vero, affinità concettuali fra le due lettere (v. sopra, 2. 5 e 3 ) , ma vi sono anche differenze che non si spiegano facilmente par tendo dal presupposto di una generalizzazione. Colossesi è rivolta contro un'eresia specifica, Efesini no, eppure nella chiesa del tempo dilagavano eresie di varie specie, talché sarebbe naturale aspettarsi da parte dell'auto re di Efesini qualche enunciazione generale su come sconfiggere l'eresia, per esempio restando saldamente vincolati a Cristo (cf. Col. 2 , 1 9 ) . Colos sesi propone una concezione affatto generale dell'eguaglianza di tutti gli uomini dinanzi a Dio ( 3 , n ); l'autore di Efesini propugna solo l'eguaglian za tra giudei e gentili ( 2, 1 I ss. ), anche se afferma in qualche misura una eguaglianza tra padroni e schiavi ( 6,5-9). La constatazione di Co/. 4,5 che i credenti debbono interessarsi del loro rapporto con il mondo esterno è ignorata dall'autore di Efesini. È arduo asserire che l'attenzione con cui è trattata in questa lettera la tematica della chiesa costituisca un'estensione, uno sviluppo o una cattolicizzazione di quanto si trova in Colossesi, per ché Efesini si muove in una direzione diversa. L'introduzione in Ef. 2,8-ro di cenni alla salvezza tramite la grazia non si riallaccia in nulla a Colossesi, ma indica che Efesini, al pari di Colossesi, rappresenta uno sviluppo o un adattamento differente di Paolo. Su questo punto occorre tuttavia essere cauti. È possibile che Efesini sia uno sviluppo o un adattamento di Paolo, ma questo non costituirà in sé lo scopo della lettera, quanto semmai l'esito dello scopo proposto. L'obiettivo era affrontare una situazione nuova e per farlo l'autore, seguace del paolinismo, avrà attinto al suo maestro. Egli non ha cominciato dicendosi: «Devo ampliare il pensiero di Paolo >> , ma ha preso le mosse da una situazione che reputava necessitasse di attenzione e, come seguace di Paolo, la ha affrontata in termini paolini, ampliando in tal modo la teologia del maestro. Ovviamente, se l'autore è Paolo, si dovrà dire che è lui ad adattare e sviluppare, come è naturale, il proprio pensiero. 8. 3 . 7. L'interesse per la liturgia e la constatazione della presenza in Efesi ni di frammenti liturgici hanno indotto alcuni studiosi a considerare la let tera sotto questa angolazione. Dahl in particolare ha sottolineato la con nessione della lettera con il battesimo. 1 Rivolta a gentili battezzati piutto sto di recente, mira a ricordare loro il significato e l'importanza del batte simo ricevuto. Luz la definisce liturgia di rammemorazione del battesimo 1 N.A. Dahl, Adresse und Proomium des Epheserbriefes: TZ 7 ( 1 9 5 1 ) 24 1 -264; Id. Das Geheimnis der Kirche nach Eph. ;,8- I o, in E. Schlink - A. Peters (edd.), Zur Auferbauung des Leibes Christi (Fs P. Brunner), Kassel 1965, 63-75; Id., Interpreting Ephesians. Then and Now: Currents in Theology
and Mission 5 ( 1 978) 1 3 3-143·
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( Tauferinnerungsgottesdienst). I È vero che la lettera contiene una serie di possibili cenni al battesimo: 4,5; 5,26; r , r 3 ; 4,30; 4,22-24; ma solo il pri mo è sicuro, e 5,26 è altamente probabile; anche 5,14 può essere parte di un inno battesimale, mentre r , r 3 ; 4,30; 4,22-24 non alludono al battesi mo (v. ad /oc. ).2. Il passaggio dei credenti dal paganesimo al cristianesimo era incentrato su una cerimonia che sarà rimasta un evento significativo per tutta la loro vita. Non sarebbe affatto strano, per un predicatore o uno scrittore che tratti l'argomento della condotta di vita che i propri lettori devono tenere, rammentare loro il punto di partenza. La circostanza che l'autore della lettera agli Efesini rinvii, direttamente o indirettamente, al battesimo non basta a farne un discorso battesimale. Rispetto a molte al tre, la teoria di Dahl presenta nondimeno il vantaggio di rendere credibile la sezione parenetica, giacché diventando cristiani i gentili hanno abbrac ciato una nuova etica. Ma questa tesi non spiega perché l'etica concerna esclusivamente la vita interna della chiesa (v. appendice 2, «L'insegnamento morale» 3 ) . Se l'intento era quello di ricordare ai credenti che erano entra ti in un mondo nuovo, sarebbe stato naturale dire qualcosa sul loro rappor to col mondo che avevano abbandonato. Anche Kirby cerca di interpretare la lettera in chiave liturgica, e a tal fine la collega alla festività giudaica del la pentecoste, che con l'avvento dello Spirito santo era divenuta importan te anche per i cristiani. Dopo aver illustrato il significato della pentecoste per il giudaismo del tempo e i passi deii'A.T. utilizzati in relazione a quella festa, Kirby si volge alla lettera sostenendone il legame con essa. Egli os serva che Efesini contiene un numero relativamente maggiore di riferimen ti allo Spirito di qualsiasi altra epistola paolina, a parte quella ai Romani: quivi si tende però a raggrupparli, laddove in Efesini sono disseminati lun go tutto lo scritto. Il nesso veterotestamentario più rilevante fra la lettera e la pentecoste è il salmo 68, al quale si allude forse in 4,8, ma non è così palmare che qui il suo uso sia consapevole (v. a 4,8 ), e i rinvii agli altri pas si veterotestamentari associati con la pentecoste sono ancora meno sicuri. Dato il carattere vago delle allusioni e l'imprecisione con cui è citato Sal. 68,r9, è assai dubbio che i lettori di Efesini si sarebbero resi conto di tro varsi di fronte a un discorso pentecostale. Oggi, inoltre, rispetto a quando scriveva Kirby, si è molto meno persuasi dell'esistenza di lezionari giudaici e di un canone liturgico giudaico nel 1 secolo. 3 I
U. Luz, Oberlegungen zum Epheserbrief und seiner Pariinese, in H. Merklein (ed.), Neues Testa und Ethik (Fs R. Schnackenburg), Freiburg-Basei-Wien 1 9 89, 3 76-396. 2. Cf. Wamach, art. cit.; R. Fung, The Doctrine of Baptism in Ephesians: Studiae Biblicae et Theolo gicae I ( I 97 I ) 6-14. 3 Cf. P. Bradshaw, The Search {or the Origins of Christian Worship, London I992, I ss.; J. Heine mann, Prayer in the Talmud. Forms and Patterns, Berlin - New York 1977; Id., The Triennial Lec tionary Cycle: JTS I9 ( 1 968) 4 1 -48. meni
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8 . 3 . 8 . Si è talora avanzata l'ipotesi che i lettori di Efesini si trovassero in uno stato di crisi spirituale, che la lettera intendeva affrontare (ad esempio Schnackenburg, 34; Lincoln, 440). I Crisi è una parola forte. Tutte le co munità vivono sempre crisi di qualche tipo, sia pure perlopiù di modesta entità. La crisi può venire dall'esterno, provocata da una situazione cultu rale, economica, politica o sincretistica. Di pressioni di tal fatta si è tratta to sopra ( 8 . 3 . 5 ), negandone la presenza. Se una crisi era in corso, è più pro babile riguardasse la o le comunità al proprio interno, e coinvolgesse gli am biti del pensiero eretico, della condotta morale, del culto o delle posizioni di guida, ma nessuno di questi possibili ambiti di discussione è in primo piano in Efesini. Non ci sono inviti a una celebrazione più sistematica del culto, o a partecipare all'eucaristia, o a pregare più spesso. I capi sono men zionati ma non si hanno indizi che la loro autorità non sia tenuta in debito conto. Benché si prenda atto del dibattito fra credenti giudei e gentili, que sto non appare un fattore effettivamente operante. L'ampiezza della sezio ne parenetica e il suo contenuto potreb bero far pensare che non sempre tra i credenti intercorressero buoni rapporti, ma non vi sono segnali di di visioni profonde. Da ultimo, l'idea che l'epistola sia stata scritta per far fronte a una crisi seria deve rispondere all'obiezione che si tratta di una lettera di carattere generale e non rivolta a una situazione particolare. È difficile che una stessa crisi radicale colpisca contemporaneamente più co munità. In ogni caso, affermare che Efesini sia stata stilata a motivo di una crisi spirituale o di altro genere non basta a chiarirne lo scopo. Prima bi sogna precisare la natura della crisi, indi la lettera può risultare una rispo sta a questa crisi specifica e non semplicemente a una crisi. In una variante di questa tesi si è talora detto che l'autore, constatata l'immaturità dei suoi potenziali lettori, si sforzava di intervenire al riguardo. È vero, ma questa affermazione in concreto significa qualcosa? Quale predicatore che si ri volga ai credenti neghereb be che il proprio sermone sia destinato ad aiu tarli a maturare nella loro fede e nella loro vita ? 8 . 3 . 8 . r . Arnold, r 6 s - r 7 r , propone una variante dell'idea di una crisi spi rituale, supponendo che i lettori temessero le forze soprannaturali associa te alle potenze, che si manifestavano nella magia e nella stregoneria. È sen z'altro vero che in Efesini le potenze appaiono in maggiore evidenza che in altre lettere e che la sezione conclusiva ( 6, r o-2o) è incentrata sulla loro at tività e sul modo in cui i credenti possono affrancarsene, tuttavia la parte principale del testo non ha nulla a che fare con le potenze, ma è invece in teressata alla natura della chiesa e al tipo di comportamento che ci si atI Lincoln manca di coerenza, poiché nella sua introduzione prospetta un altro e più ragionevole sco po della lettera; v. sotto, 8+ Ovviamente è possibile che l'autore di Efesini si proponesse più di un
obiettivo.
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tende dai credenti. Sotto questo aspetto la lettera risulta coerente. In essa le potenze non figurano mai in relazione diretta con la chiesa; rappresen tano, piuttosto, un fattore rilevante nell'ambiente dei lettori, che è cosmico e soprannaturale, e non solo economico, politico, scientifico, artistico, fat tore che perciò non può essere ignorato. L'insegnamento morale sul modo in cui i credenti debbano vivere all'interno della chiesa non è direttamente correlato al male soprannaturale, fatta salva l'esortazione generale di 4,27. Il peccato ha un aspetto umano oltre che un aspetto soprannaturale e deve essere combattuto a livello umano. Di qui le esortazioni che non menzio nano potenze soprannaturali e l'assenza di un invito ai credenti a pregare per chiedere aiuto contro la tentazione della menzogna, del furto, della lussuria, ecc. La trattazione in Efesini della lotta contro le potenze costitui sce un obiettivo accessorio, non quello principale. 8 . 3 . 8 . 2. Penna, 5 8, parla della mancanza nei lettori di Efesini d'una com prensione piena della nuova natura della chiesa, che riunisce giudei e genti li, e del nuovo insegnamento morale connesso con la loro fede. Egli ritiene che le due metà della lettera siano tenute insieme dall'idea della ( 2, 1 5; 4,24; cf. 3 , 1 6; 4, 1 3 ) . Ma è un nesso che spiega il legame sul piano formale, non su quello sostanziale. 8 -4- Per individuare lo scopo della lettera, la si deve considerare nel suo insieme, evitando di elevare a una posizione primaria interessi e sezioni se condarie. Merita inoltre tenere conto di ciò che, alla luce delle conoscenze sul cristianesimo delle origini, sarebbe prevedibile trovare nello scritto e invece manca: i credenti non sono esortati a una vita di sofferenza nella se quela di Cristo, a rendere una ferma testimonianza della loro fede dinanzi a un mondo pagano, o a perseverare finché giunga la fine. Nondimeno, gli elementi presenti sono tra loro coesi: la prima metà espone l'insegnamento sull'unità della chiesa e il suo rapporto con Cristo; la seconda istruisce i credenti su come devono convivere gli uni con gli altri all'interno delle co munità cristiane. Lincoln, LXXVI II s., non è distante da tale posizione quan do afferma che l'autore di Efesini serive sia per rafforzare l'adesione dei lettori alle convinzioni cristiane, sia per incoraggiarli a vivere secondo i va lori cristiani. 1 Ma egli non coglie adeguatamente la coerenza della lettera. Se se ne tiene conto, si può dire che l'autore scrive per assicurare la matu rità corporata dei credenti e lo fa chiarendo la natura del corpo al quale si sono congiunti allorquando hanno abbandonato il mondo pagano, nonché il tipo di comportamento che è in grado di produrre una vera crescita nelle 1 M. Breeze, Hortatory Discourse in Ephesians: Joumal of Translation and Text Linguistics 5 ( 199:1.) 3 1 3 , sçorge il raccordo fra le due parti della lettera, ma ritiene che la prima parte sia intesa a motiva
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la seconda. La prima metà, teologica, ha tuttavia valore in sé; se non altro, costituisce la base logi della seconda.
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loro comunità. Trattandosi di gentili, è inevitabile per l'autore toccare la questione del rapporto tra giudei e gentili. Non c'è mai stato un gruppo cristiano cui non si sia reso necessario rammentare l'esigenza di maturare, ed è tale esigenza il fattore contingente che ha condotto alla stesura della lettera e alla presentazione di una teologia di tipo paolina allo scopo di ri spondervi. Tutto ciò è inserito entro una cornice soprannaturale o cosmi ca, dalla quale, attraverso il ricordo della loro elezione e del loro battesi mo e mediante la preghiera e il culto, i credenti ricevono l'amore e la forza per crescere. Che a volte il contenuto dell'insegnamento morale possa ap parire ai nostri occhi non all'altezza di quello di Gesù e di Paolo è irrile vante: è chiaro che per l'autore esso soddisfaceva allo scopo. Il concentrar si dell'autore sulla vita interna della comunità cristiana non significa che egli non avrebbe potuto scrivere una parte ulteriore sul comportamento dei credenti verso il mondo esterno. Non l'ha fatto, ma ha deciso di foca lizzare l'attenzione su un altro ambito della vita cristiana. Il proposito che ha ispirato la lettera non postula una situazione particolare, poiché in ogni tempo e in ogni luogo è necessario ricordare alle comunità cristiane il do vere di agire come un tutto unitario e non come gruppi di individui, e di resistere saldamente alle forze soprannaturali. A questo punto si può men zionare l'opinione di Beker, I secondo cui è difficile individuare un fattore contingente alla base della lettera agli Efesini. Ma la sua idea di ciò che co stituisce un fattore contingente è troppo angusta: le contingenze vanno da un'intima esigenza dell'autore a una situazione culturale generale, e non ne cessariamente s'incentrano sui problemi particolari di una comunità parti colare. I sermoni che la maggior parte dei ministri di culto tengono dome nica dopo domenica non sono legati a carenze specifiche delle loro comu nità, ma sono di carattere generale e intendono aiutare i fedeli a maturare. 8 .4. 1 . Fin qui si sono identificati una serie di possibili obiettivi accesso ri, ma non lo scopo principale. C'era una situazione generale tale da indur re alla stesura della lettera ? Si può solo azzardare una congettura. Tutti coloro che entravano a far parte della chiesa provenendo da una realtà pa gana erano stati membri di associazioni disparate: gruppi legati all'attività professionale, come le corporazioni; gruppi interessati in vario modo allo svolgersi della vita nella comunità; associazioni cultuali (v. sotto, 10.3 ) . Es si dovevano aver partecipato almeno a qualcuno di questi. Ora, come cri stiani, sono entrati a far parte di un nuovo gruppo, ed è importante che comprendano la sua natura e la condotta loro richiesta al suo interno. Que sto nuovo gruppo ha tanto una collocazione eterna, quanto - trattandosi di gentili - una collocazione in rapporto a Israele. Era necessario sottoli neare anche la posizione di Paolo, poiché è alla sua attività missionaria che I
J.C. Beker, Heirs o( Pau/, Minneapolis 1 9 9 I , 68-7 1 .
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III
essi devono il proprio rapporto con Israele, per quanto possano non essere stati convertiti da lui. Il rapporto con Israele e il riferirsi a Paolo costitui scono dunque obiettivi accessori. 8.4.2. Si può notare che questa conclusione soddisfa la gran parte dei re quisiti presentati in 8.2. Se questo era lo scopo della lettera, non c'era bi sogno di menzionare la fine. Poiché la persecuzione non condizionava ne cessariamente la vita interna delle comunità, poteva essere ignorata. Un in vito a proclamare l'evangelo agli esterni potrebbe concernere la dimensio ne di una comunità, ma non la sua natura. L'unico elemento importante nell'elenco di 8 . 2 che non abbia avuto spiegazione è la restrizione del codi ce domestico a famiglie interamente cristiane, benché la presenza di tale co dice sia senz'altro appropriata, visto che tratta del comportamento reci proco dei credenti. Tanto la sua presenza quanto il suo orizzonte ristretto possono essere forse dovuti all'uso che se ne faceva all'interno della scuola paolina, alla quale appartenevano l'autore di Efesini e l'autore di Colasse si. È possibile che nessuno dei due si sia reso conto di questo limite. Taie carattere ristretto, peraltro, era senza dubbio consono all'obiettivo genera le dell'autore di Efesini, poiché trattare il rapporto tra coniugi cristiani e pagani avrebbe significato introdurre la questione del rapporto della chiesa con il mondo esterno, argomento che l'autore aveva deciso di ignorare. 9· MATERIALE PREFORMATO Schmid, 3 I 3 -3 3 I; C. H. Dodd, According to the Scriptures, London I 9 5 2; E. E. Ellis, Paul's Use of the Old Testament, Edinburgh I 9 5 7; H. LOe, Christus und die Christen.
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Tutti gli scrittori sono debitori verso chi, in precedenza, ha trattato il lo ro stesso argomento, in quanto ne riprendono e sviluppano le idee. Essi inoltre sono soliti citare o alludere a materiale già esistente, vale a dire pre formato.
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9 . 1 . Per gli scrittori neotestamentari la prima fonte ovvia di materiale di tal fatta è l'A.T. La definizione di «Antico Testamento >> è qui impiegata in modo generico, giacché non è a rigore quella corretta sotto la quale classi ficare il tipo di materiale cui si sta pensando. Ai tempi in cui l'autore di Efesini scriveva non era in uso tale espressione per designare ciò che oggi si chiama A.T., poiché non vi era un N.T. dal quale occorreva distinguer lo. Non è altresì corretto parlare in simile contesto di «canone » dell'A.T., poiché questo non era un termine impiegato per indicare una raccolta au toritativa di scritti. Tutti gli scritti contenuti in quello che si definisce cano ne ebraico erano certo accettati come autoritativi sia dai giudei sia dai cri stiani del periodo in questione. Ma ve n'erano altri che i cristiani conside ravano a tale stregua ? La lettera di Giuda, a quanto sembra, riconosce una autorità siffatta a I Enoc, o a sue parti (vv. I4 s.). Paolo utilizza amplia menti della storia veterotestamentaria diffusi in cerchie giudaiche ma as senti propriamente dall'A.T. come se per lui fossero altrettanto autoritati vi del testo veterotestamentario ( I Cor. 10,4; Gal. 4,29 ) . Nell'introdurre il passo di I Cor. 2,9 egli ricorre alle stesse parole con cui presenta un bra no veterotestamentario, anche se esso non corrisponde con esattezza ad al cun luogo dell'A.T. La citazione in Mt. 27,9 non è nel nostro libro di Ge remia, quantunque nel testo dell'evangelista compaia come se lo fosse. È pertanto possibile che i vari autori neotestamentari si avvalessero di o raccolte di scritti autoritativi dell' A.T. diversi sia tra loro sia da quello oggi accolto come tale. Quando dunque si parla dell'uso dell'A.T. da parte dell'autore di Efesini, s'intende ciò che viene ora così designato, op pure quelli che egli avrebbe considerato scritti giudaici autoritativi ? Si dan no pure varianti fra T.M. e LXX, che tuttavia non causano problemi, giac ché l'autore della lettera usa sempre i LXX e non rinvia mai a passi in cui la differenza tra T.M. e LXX sia significativa. Vista l'esiguità dei richiami ai LXX, non si può sapere con certezza quale tradizione manoscritta egli seguisse. Per il tipo di discrepanza rispetto al T.M. i LXX sono talora simi li a un targum. Agli occhi dell'autore di Efesini i targumim avevano la stes sa autorità del T.M. o dei LXX ? È questo un interrogativo non trascura bile, perché la citazione in 4,8 è molto più vicina a quanto si trova in un targum che non al T.M. o ai LXX (v. ad loc. ). Dove è utilizzato un testo veterotestamentario sospetto è importante altresì chiedersi se i lettori sareb bero stati in grado di riconoscerne la fonte e a tale fonte avrebbero accor dato autorità. 9. I . I . Qual è il grado di variazione ammissibile in una citazione vetero testamentaria per continuare a considerarla tale? Paolo è solito cambiare i tempi e i modi dei verbi, modificare la persona o trasformare il singolare in plurale (v. Koch, I I O- I I 5 ) , di norma per adattare le citazioni alla fun-
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zione che svolgono all'interno della sua argomentazione. Tal ora la modifi ca influisce sul significato effettivo, come quando alla citazione di Is. 28,16 in Rom. 10, 1 I egli aggiunge miç (che invece non inserisce citando lo stesso passo in Rom. 9,3 3 ). Nel citare Sal. 68, 1 9, d'altro canto, Ef. 4,8 presenta una profonda alterazione sia rispetto ai LXX sia al T.M., in quanto dice che è Cristo a fare doni, anziché Dio a riceverli, come si legge nel T.M. e nei LXX. Se la sostituzione di Dio con Cristo non è insolita rispetto a va riazioni simili nella citazione di luoghi veterotestamentari, lo è il passaggio dal ricevere al fare doni. Come reagirebbero i bambini se nel giorno del lo ro compleanno si sentissero dire che non riceveranno doni dagli zii e dal le zie, ma dovranno essere loro a farli? È meglio pertanto non considera re veterotestamentaria questa citazione. A.T. Hanson osserva saggiamente che se si è (lnterpretation, 7). Quan do giunge a trattare il caso di Ef. 4,8, tuttavia egli scrive: «Si ha qui una citazione assolutamente esplicita di Sal. 68, 1 9 ... A colpire immediatamente è come l'autore abbia evidentemente alterato il salmo per adeguarlo al si gnificato che intendeva ricavarne >> ( Utterances, 98 s.). Qui si prende per buona la prima affermazione di Hanson, e perciò non si considera l'uso di Sal. 68, I 9 in 4,8 alla stregua di citazione scritturistica. 9 . 1 .2. Nel citare l'A. T. in Ef. 5,3 I e 6,2 s. l'autore omette di darne avver tenza con una formula introduttiva. Devono essere numerosi i testi giudai ci oggi non conservati o la cui forma attuale differisce da quella del 1 seco lo. È possibile che l'autore di Efesini citi in altri passi scritti siffatti e che noi non si sia in grado di riconoscere né i testi citati e neppure che si tratta di una citazione ? È questo un interrogativo al quale, data la sua stessa na tura, è impossibile rispondere. 9. 1 . 3 . Oggi si è soliti distinguere fra materiale della chiesa primitiva rela tivo al credo o liturgico e materiale veterotestamentario. Esisteva per l'au tore di Efesini una differenza siffatta ? Tali materiali erano ai suoi occhi ugualmente autoritativi ? Quando Paolo cita il credo di I Cor. I 5,3-5, que sto gode per lui della medesima autorità di un passo veterotestamentario ? Allorché in I Cor. ?, Io impartisce istruzioni alle persone sposate presen tandole come provenienti «dal Signore>> e non come proprie, significa che devono essere giunte dal Signore tramite Paolo. L'autore di Efesini avrebbe posto un ammaestramento di questo genere sullo stesso piano di uno vete rotestamentario? L'attuale distinzione relativa al materiale preformato fra quello derivante dall'A.T., e magari da altri scritti giudaici, e quello pro veniente dalla chiesa delle origini è una distinzione che forse l'autore della lettera non avrebbe inteso. Per dirla in altri termini: quando egli cita quella che ora si considera Scrittura veterotestamentaria, è consapevole di citare
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l'A.T. oppure ritiene di utilizzare materiale cristiano preformato ? È questo un problema di difficile soluzione, poiché molto materiale veterotestamen tario era penetrato nel linguaggio cristiano tanto che i cristiani che lo uti lizzavano potevano talora non essere consapevoli di quale fosse la sua fon te originaria. Non sempre si è dunque in grado di distinguere tra uso diret to e indiretto deii'A.T. da parte di un autore, data la possibilità che le pa role veterotestamentarie in questione fossero già divenute parte del lin guaggio cristiano. 9· 1.4. Ef. 5,3 r e 6,2 s. rappresentano due casi evidenti in cui l'autore ci ta consapevolmente I'A.T. Nessuna delle due citazioni è introdotta formal mente come tale, ma entrambe dovevano essere familiari ai lettori (v. ad /oc. ) e non richiedevano perciò una formula introduttiva. 6,2 s. è reso fun zionale all'argomentazione con l'omissione di un'espressione appartenente al testo originale (Es. 20, 1 2). In 5,3 I Gen. 2,24 è applicato al matrimonio umano, giusta il suo significato originario, ma è usato anche, in un senso non previsto nell'A. T., in relazione a Cristo e alla sua chiesa, in quanto for nisce la base scritturistica per l'associazione istituita dall'autore di Efesini tra il matrimonio umano e quello di Cristo con la chiesa. Si potrebbe dire che questo è il testo su cui si fonda il brano di 5,22-3 3 . Alla base di 2, I 7 e probabilmente di 2, I 3 c'è una combinazione di Is. 5 7, 1 9 e 5 2,7: a questi passi viene attribuito un nuovo significato così da fornire un argomento a favore dell'ammissione dei gentili nella chiesa e verisimilmente l'autore è consapevole di citare e al tempo stesso adattare il senso della citazione. In 4,25 cita Zacc. 8,I6 senza una formula introduttiva, ma i capitoli finali di Zaccaria erano largamente utilizzati nel N.T., e visto che questo specifico passo è citato anche in Test. Dan 5,2, probabilmente l'autore di Efesini era conscio che fosse una citazione, come pure forse i suoi lettori. Lo stesso vale per il suo impiego di Sal. 4,5 in 4,26, giacché questo salmo compariva probabilmente nella tradizione etica giudaica, in buona parte fatta propria dai primi cristiani. Sal. r r o, I e Sal. 8,7 soggiacciono a I,2o.22; il riscon tro, specie nel caso di Sal. I IO, I , è breve. I due salmi si trovavano già col legati nel pensiero cristiano ( I Cor. I 5 ,25 .27). Sal. r ro, I è citato secondo quello che sembra essere stato l'uso cristiano anziché nei termini precisi dei LXX. È dunque del tutto plausibile che qui l'autore di Efesini adotti un linguaggio cristiano piuttosto che citare consapevolmente l'A.T. Egli coglie così nei salmi un senso cristologico. Alcune delle parole finali di 5,2 richia mano Es. 29, I 8 ed Ez. 20,4 I , ma l'espressione nel suo insieme è di stampo liturgico e probabilmente l'autore della lettera l'ha tratta dal suo impiego nel culto cristiano e non direttamente dali'A.T. Nella sua descrizione del l'armatura cristiana ( 6,I4-I7) in una serie di punti egli dipende presumi bilmente da Isaia, al pari di Zaccaria uno dei libri veterotestamentari più
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noti nella chiesa delle origini. La spiritualizzazione dei vari pezzi dell'arma tura compariva già ivi e in alcuni dei passi pertinenti già in uso presso i cristiani ( I Tess. 5 , 8 ) . È possibile che l'autore di Efesini, partendo dalla traccia di r Tess. 5,8 (cf. Sap. 5 , 1 8 ), abbia cercato in Isaia gli altri brani. In tutto ciò non vi è alcun aspetto nel quale egli si discosti dal modo in cui gli altri scrittori neotestamentari utilizzano l'A.T., se non in quanto non ricorre mai a una formula introduttiva per segnalare una citazione. 9.2. Vi è anche materiale preformato di origine cristiana. Paolo, che era in effetti un cristiano della seconda generazione, si è servito di questo tipo di materiale (ad es. I Cor. 1 5 ,3-5; Fil. 2,6- I I ), e l'autore di Efesini avrà fatto lo stesso. Non viene qui considerata la sua dipendenza dalle lettere di Paolo in termini generali, il suo uso di metafore e concetti paolini, o la sua dipendenza particolare da Colossesi, se c'è stata (6,2 1 s. è un caso a sé, v. ad loc. ). Analogamente, si tralascia l'impiego di espressioni liturgiche co me > o «amen», e di forme epistolari ( 1 , 1 s.) e liturgiche come la dossologia ( 3 ,20 s.), la benedizione (6,23 s. ) e l'eulogia ( 1 ,3 ss. ) . 9.2. 1 . Gli autori utilizzano materiale preformato per svariati motivi: 1 . con la speranza d i impreziosire i l loro scritto, come nel caso d i un verso di poesia; 2. nella convinzione che il materiale preformato esprima quel che intendono dire meglio di quanto potrebbero comunque fare; 3· citando l'affermazione di un avversario per confutarla; 4· tale materiale funge in qualche modo da testo a partire dal quale sviluppare le proprie idee; 5 · es so sintetizza quanto l'autore stava cercando di dire; 6. egli è persuaso che la sua citazione eserciti una certa autorità presso i lettori; 7· questo mate riale offre una forma convenzionale per esprimere ciò che si desidera dire, come nel caso dell'indirizzo di una lettera. Per quanto concerne l'autore di Efesini, si può affermare con certezza quasi assoluta che non vi sono chiari esempi per i punti 1 e 2, a meno che si considerasse poetica la citazione in 4,8; il caso contemplato in 3 non è presente perché la lettera non è uno scritto polemico; l'uso di forme convenzionali (punto 7) rivela poco del l'autore e di ciò che sta scrivendo; non sembra vi siano esemplificazioni del punto 5 · Restano i casi 4 e 6. Non occorre segnalare le citazioni, se si può presumere che i lettori le riconoscano, ragion per cui in 5,3 1 e 6,2 s. l'au tore di Efesini non dichiara che sta citando. Nel valutare se il materiale preformato potesse essere noto ai lettori, è opportuno ricordare che l'auto re non sta scrivendo a una singola comunità da lui fondata, che di conse guenza conoscerebbe il suo insegnamento, bensì a una cerchia molto più vasta. Se si fosse certi, e non Io si è, che tutti i convertiti ricevessero esatta mente la medesima istruzione quando diventavano cristiani, questa difficol tà sarebbe eliminata.
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9.2.2. Nel caso dell'uso dell'A.T. da parte dell'autore di Efesini, giacché si dispone della fonte, si può sapere con sicurezza quando sta citando. Non così per il materiale cristiano anteriore all'autore, a parte le lettere di Paolo, il che ne rende molto più ardua l'individuazione. Vi sono elementi di riscontro che possono aiutare a riconoscerlo, come un'interruzione pre cedente e successiva nel corso della trattazione del tema, o l'impiego di un lessico estraneo all'autore. Non è necessario fornire un ·elenco di tali ele menti, poiché è stato già compilato da molti. 1 Si prenderanno in conside razione solo i passi in cui gli esegeti, alla luce di questi segnali, hanno rav visato una seria possibilità che vi sia materiale preformato. Di conseguen za non si esamineranno r,3- r 4; r,20-23; 2,4-ro; 2,r 4- r 8; 2,1 9-22; 3,5; 5,2 5-27; per l a loro esclusione s i rimanda al commento i n proposito e a Best, Use. Si troverà altresì nel commento, e viene perciò tralasciato qui, l'esame dell'origine e del precedente contesto di tale materiale. 9.2. 3 . Sono solo due i punti, 4,8 e 5, 14, in cui l'autore segnala che sta utilizzando materiale preformato. Per quanto concerne 4,8, non l'ha tratto direttamente dal salmo 68, ma presumibilmente lo conosceva quale fram mento di una tradizione fluttuante (che dipende in ultima analisi da Sal. 68, 19; v. ad loc. ). Se però i suoi lettori avessero consultato il T.M. o i LXX, non ve lo avrebbero certamente trovato. Poiché lo introduce con un ÒtÒ ÀÉ yEt, mentre in 5,3 r e 6,2 s. non usa né questa né formule di altro genere per introdurre il luogo veterotestamentario, è probabile che i suoi lettori, o quantomeno alcuni di loro (la cerchia cui si rivolge è vasta ), non lo cono scessero. 5,14 è verisimilmente un passo proveniente da un inno battesi male (v. ad loc. ). In entrambi i casi la formula introduttiva serve a conferi re autorità ai brani, che i lettori li conoscessero o meno. 4,8 è usato per con fermare 4,7, piuttosto che per fungere da base a quanto segue. 5 , 1 4 riepi loga l'argomentazione precedente. 4,4-6, se si omettono alcune parole del v. 4 che lo collegano alla parte anteriore (v. ad loc. e Best, Use), è materia le preformato innico o di un credo, e come tale era verisimilmente noto ai lettori. Le parole aggiunte al v. 4 servono per raccordarlo ai vv. r-3 e chia riscono l'argomento lì toccato, ossia l'unità dei credenti. La citazione co stituisce inoltre un fulcro per quanto si dice nel prosieguo della lettera su questo tema. Probabilmente sia a Ef. 2, r . 5 sia a Co/. 2, 1 3 (v. a 2,r ) è sot teso un distico: XIXt Ù(J.Iiç Ov-tiXç 'IIExpoÙ designa generalmente uno dei dodici, e benché in Atti 14,4. 14 Paolo sia detto apostolo, nello stesso luogo anche Barnaba è così denominato. Dall'altro lato la parola significa semplicemente ( Gv. 1 3 , r 6; Fil. 2,25 ; 2 Cor. 8,23 ) . Fra questi due estremi, Andro nico e Giunia sono considerati apostoli (Rom. r 6,7) e Paolo parla di sé co me di un apostolo, ma pone accanto a sé nella medesima categoria Silvano e Timoteo ( I Tess. 2,6). In Rom. r , r e Gal. r , r egli si definisce apostolo, e così pure in I Cor. r , r ; 2 Cor. r , r , ove, pur associando a sé altre persone, non attribuisce a queste tale appellativo. In Fil. r , r ; I Tess. r , r ; 2 Tess. r, 1 (se autentica ); Film. r Paolo non usa affatto il vocabolo. In quali circo stanze dunque se ne serve? 1 È possibile che lo abbia impiegato dapprima in I Tess. 2,7 per indicare che egli era stato inviato da Cristo. Altrove sem bra usarlo quando si avvede che la sua posizione è contestata da quanti so stengono la sua inferiorità rispetto ad altri capi, in particolare rispetto ai dodici ( r e 2 Corinti, Galati) . Paolo avanza la stessa rivendicazione nell'e pistola ai Romani, ma al tempo in cui scrisse questa lettera a persone alle quali non aveva mai fatto visita sapeva che vi era chi metteva in discussio ne la sua posizione e avvertiva perciò la necessità di dire loro che non era in alcun modo inferiore a quanti si attribuivano sistematicamente questo
I Dell'ampia bibliografia su questo termine è sufficiente segnalare H. Mosbech, Apostolos in the New Testament: ST z. ( 1 94 5 ) 1 6 5 -Z.oo; P.-A. Harlé, IA notion biblique d'apostolicité: ETR 40 ( 1 965) I 3 3-148; W. Schmithals, The O{fice of Apostle in the E.arly Church, London 1 969; C.K. Barrett, The Signs of an Apostle, London I 970; R. Schnackenburg, Apostles before and during Paul's Time, in W.W. Gasque - R.P. Martin (edd.), Apostolic History and the Gospel (Fs F.F. Bruce), Exeter 1970, z.87-3 03. Merklein, Amt, z.88-3o6; J.A. Kirk, Apostleship since Rengstorf. Towards a Synthesis: NTS u ( I 974-1975) 149-265; J.H. Schiitz, Pau/ and the Anatomy of Apostolic Authority (SNTSMS 2.6), Cambridge 1975; J.D. Biihner, in EDNT I, 142.- 1 46; W.A. Bienert, The Picture of the Apostle in E.arly Christian Tradition, in Hennecke-Schneemelcher, I, 5 ss. z. Per una trattazione completa v. Best, Authority.
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titolo. Sembra che egli abbia sentito sempre più il bisogno di riferire a sé tale appellativo, ma in nessuno di questi casi egli impartisce ordini o diret tive ai destinatari. Si può discutere se, qualora gli fosse stato chiesto di op tare per un termine che lo definisse, egli non avrebbe preferito > o ( I Cor. 4,14 ss.; Gal. 4,19; I Tess. 2,7. u ; 2 Cor. 6, 1 3 ; 1 2, 14; Fil. 2,22; Film. ro), o un vocabolo appartenente al campo semantico di Òta xov- (cf. Rom. 1 5,25; I Cor. 3 . 5 ; 2 Cor. 3 ,6 ss.; 4,I; 5 , I 8; 6,3 s.; I I,8.23 ). I n Ef. r , r l'autore ricorre al termine > presumibilmente perché sa che Paolo se n'era servito negli indirizzi di alcune delle sue lettere e perché al tempo in cui egli scrive la parola indica personaggi importanti e autore voli all'interno della chiesa. Il suo uso terminologico è tuttavia incoeren te, poiché in 3 , 5 (v. ad loc. ) egli menziona un gruppo, gli apostoli e profeti, di cui Paolo (cf. 3 , 3 ) non fa chiaramente parte e ove gli apostoli sono i do dici. Ciò vale verisimilmente anche per 2,20 (v. ad loc. ): Paolo non era ele mento costitutivo della fondazione della chiesa come i dodici, i quali era no stati selezionati dal Cristo incarnato. Tutto questo rende difficile com prendere che cosa intenda l'autore di Efesini quando in r , r chiama Paolo apostolo. Certamente egli considera il suo apostolato derivato da Cristo Ge sù: Paolo non è figura a sé stante che attinge da sé la propria autorità. L'au tore sembra inoltre presumere che un apostolo sia persona dotata di auto rità, talché diviene garante della tradizione (Merklein, Amt, 342). In tutto il N.T. l'ordine in cui sono disposti i termini Gesù e Cristo varia. Qui Cristo precede Gesù in 1)46 B D P 3 3 pc lat sy h; Ambst, mentre si riscontra l'ordine inverso in N A F G 'F C]l it vg d sy P. Barth reputa che, quando Cristo è al primo posto o è preceduto dall'articolo determinativo, l'autore di Efesini in tenda riferirsi a Cristo come al messia giudaico. Considerato il cambiamento sistematico dell'ordine e nella fattispecie la variazione che interviene fra que sto luogo e il v. 2, è impossibile sostenere tale interpretazione; v. anche a r , ro.
Che l'uso cristiano del termine apostolo derivi o meno dall'ebraico sa lia�, Paolo si considerava rappresentante o ambasciatore di Cristo. Non si è assegnato da sé tale ruolo; Dio lo ha scelto ( Gal. r , r . r 2 s.; cf. Ef. 4, u ). Egli rappresenta Cristo per volontà di Dio. La sua autorità non si basa sul la sua rivendicazione di essere uguale a Pietro, Giovanni e Giacomo, ma sulla designazione da parte di Dio ( Rienecker). L'espressione òtà .S.Eì.. l](J.a toç ·.9e:ou è applicata all'apostolato di Paolo anche in I Cor. r , r ; 2 Cor. r, r ; Col. r , r . Probabilmente era quella accolta nelle scuole paoline in rela zione alla sua posizione (cf. I Tim . r , r ; 2 Tim. r , r ). Gal. r , r enuncia la stessa idea ma in forma diversa. Dio non solo ha designato Paolo, ma ha pred isposto tutto ciò che è accaduto o dovrà accadere ( I ,5·9· I r ), incluso ciò che dovrà accadere a Paolo. Egli è dunque parte del progetto globale di
IL SALUTO
Dio e la posizione peculiare da lui occupata in esso è rivelata, almeno par zialmente, in 3,2 s.7 ss. Non è necessario partire dal presupposto che l'autore di Efesini abbia copiato l'indirizzo da Co/. 1 , 1 s., poiché in questo caso nulla giustifica l'omissione del cenno a Timoteo. Egli conserva quello a Tichico in 6,2 1 . In tutte le altre lette re paoline, fuorché in quella ai Romani, Paolo nel suo indirizzo associa a sé qualcun altro. Ove si sia persuasi che l'autore di Efesini o quello di Colossesi abbia copiato l'altro, parrebbe più ragionevole supporre che l'autore di Colos sesi si sia reso conto che la lettera agli Efesini non somigliava alle altre epistole paoline quanto alla presenza di un nome aggiuntivo nell'indirizzo e ne abbia inserito uno. Secondo l'epistolografia antica, dopo essersi presentato, lo scrivente in dica altresì l'identità di coloro ai quali sta scrivendo; e l'autore di Efesini lo fa qui, ma l'identificazione è incerta, poiché la tradizione testuale varia. I Manoscritti e Padri in larga maggioranza leggono 'toic; a:yiotc; 'toic; (om D) oùatv Èv 'E�Éa(fl xcxì. 1tta'toic; (il testo A), ma N * B* 6, 4 24c 1 73 9; Orig (Mar cione? ) recano 'toic; &yiotc; 'toic; oùatv xcxì. 1tta'toic; (il testo B). Diverge da en trambi 1)4 6' ove si legge 'tOtc; ocyiotc; oùatv xcxì. 1tta'toic; (il testo P). Merita inoltre notare che tutte le tradizioni testuali presentano la superscriptio .z. Nell'accingersi a esprimere un giudizio su queste testimo nianze, è importante rendersi conto che l'autore era persona in grado di scrivere in maniera intelligibile e perciò deve aver scritto qualcosa di ragio nevole, tale da risultare facilmente comprensibile ai lettori. Qualunque co sa egli abbia scritto, dev'essere pertanto in sintonia con il tenore non speci fico che caratterizza complessivamente il contenuto della lettera. Benché il testo A sia traducibile, è molto difficile attribuirgli un senso soddisfacente. Esso connette il nome della località solo ai « santi •• (diversa mente da Co/. 1 ,2), creando in tal modo due gruppi, i santi che sono in Efe so e i credenti che sono in Cristo Gesù. Nella lettera non si incontrano al trove tracce di due gruppi, a parte quelli costituiti da giudei e gentili, o da giudeocristiani ed etnicocristiani. È però impossibile riferire le due espres sioni a questi gruppi, poiché quando l'autore di Efesini in altri luoghi usa &ytot, include sia i giudeocristiani sia gli etnicocristiani ( 1 , 1 8; 3 ,8; 4, 1 2; 5, 3 ). Non ci sono dunque motivi per cui a un gruppo debba essere assegnata una collocazione geografica e all'altro una teologica. È ancor più difficile accogliere questa lezione che menziona Efeso se si presume che l'autore sia Paolo, poiché a lui si doveva in larga parte l'esistenza della chiesa in Efeso, I Per una trattazione esauriente sul modo in cui è stato valutato questo materiale v. Best, Ephesiam i. I ed Ephesians i. I again. z. In assenza del manoscritto usato da Marcione, non si sa quale intestazione recasse, anche se è pro babile fosse «Ai laodicesi» .
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mentre l'autore della lettera non conosce i suoi lettori, né questi conosco no lui ( 1 , 1 5 ; 3 ,2; 4,20 s.). Limitando i lettori a una sola chiesa si incontra inoltre la difficoltà derivante dal carattere non specifico del contenuto della lettera. Quasi tutte queste osservazioni conservano il loro valore anche re putando, con Marcione, che la lettera sia stata scritta per Laodicea. Per superare tali problemi è stata avanzata l'ipotesi che si trattasse di una let tera circolare, I e che là dove ora si legge « in Efeso » vi fosse uno spazio vuoto. Portando la lettera da una chiesa all'altra, Tichico riempiva lo spa zio inserendovi il nome appropriato, che nella copia posseduta da Marcio ne doveva essere Laodicea. Persistono tuttavia la maggior parte delle diffi coltà elencate sopra. Per giunta nel mondo antico non si riscontra alcun esempio di uno spazio vuoto di tal fatta/· e in ogni caso l'iv sarebbe dovu to restare per indicare a Tichico dove inserire il nome delle varie località. Se la menzione di Efeso, o di qualche altra città, fosse stata presente in ori gine per essere eliminata in un secondo momento, ci si sarebbe aspettata anche l'eliminazione di -.oic; oòaw, poiché se è difficile tradurre il testo A, è pressoché impossibile tradurre il testo B, come mostrano le considerazioni di Origene in proposito. Nonostante le intense ricerche e le numerose con getture, non è stata proposta alcuna soluzione soddisfacente. 3 Se fosse sta to possibile tradurre il testo B, non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere un toponimo. La ragione della comparsa del testo A a partire dal testo B è quindi ovvia. Nel caso Efeso fosse presente in origine, è altresì arduo com prendere per quale motivo sarebbe stato eliminato. Black, art. cit., suppone che si intendesse così universalizzare la lettera, ma il contenuto mostra che il suo autore l'aveva già pensata come lettera di tenore generale e, se per lui era accettabile che il toponimo fosse collegato a una lettera di simile ca rattere, non ci sono motivi per pensare che non lo fosse per altri. La tradi zione manoscritta induce a ritenere che si debba considerare il testo B an teriore al testo A. Quanto al testo P, si può dire che sia sostenuto da D nell'omissione di -.oic;, ed è possibile tradurlo (cf. MHT, 1 5 2 ) interpretan do oòatv come espressione ridondante del «burocratese>> , che non occorre rendere, o nel senso di «locale » , vale a dire > considerata nel suo insieme appartiene anch'essa allo stesso campo semantico. «In Cristo GesÙ>> gravita su entrambi i nomi e non sui «credenti >> soltanto (Bouttier) : l'uso di èv in relazione a persone di seguito a una forma derivata dalla radice ma't- è insolito nel N.T. (solo Gv. 3 , I 5 v.f.; in Mc. I , I 5 l'oggetto non è una persona, ma l'evangelo; v. anche a I , I 3 ) . A « in Cristo GesÙ >> , che si riferisce a entrambi i sostantivi, si deve attribuire uno dei suoi significati normali (v. excursus 2, «In Cri sto>> ). Il suo impiego qui è analogo a quello in Fil. I , I ; 2 Cor. 1 2,2; Rom. 8,I, e implica un rapporto personale con Cristo, anche se non necessaria mente dei credenti nel loro complesso, quantunque il plurale possa sugge rire questa accezione. 2. L'autore di Efesini esprime qui in forma stereotipata l'augurio che Dio benedica i suoi destinatari. I xtiptc; e elp�vY), due concetti fondamentali della teologia paolina, si trovano uniti nelle prima lettera scritta da Paolo ( r Tess. I , I ) . Che sia stato lui o qualcun altro a combinarli (l'origine della formula qui non interessa), Paolo ha continuato a usarli come sua espressione cor rente (2 Tess. I ,2; r Cor. I,3; 2 Cor. I ,2; Gal. I , 3 ; Fil. I ,2; Film. 3 ; Rom. 1 ,7; Col. r,2 ) , e l'autore di Efesini, se non è Paolo, non ha fatto che adot tarla. Il suo carattere stereotipato risulta dall'assenza di articoli. Se dunque si tratta di una formula, è inutile cercare una connessione tra grazia e pace da un lato e il contenuto di quanto segue dall'altro, anche se è vero che en trambi i termini ricorrono poi nel corso della lettera ( «grazia >> : r ,6.7; 2,5. 7.8; 3 ,2.7.8; 4,7.29; 6,24; « pace>> : 2, I4. I 5 . I 7; 4,3 ; 6, 1 5 .23; per il signifi cato dei vocaboli si vedano i passi). In ogni caso «grazia >> è un concetto importante in ciascuna delle epistole paoline e si trova come espressione a sé stante e costituisce una risposta a una determinata si tuazione descritta nel contesto (cf. Sal. 4 1 , 14; 68,3 6; 89, 5 3 ; 106,48; 1 1 9, 1 2; Neem. 9,5; I Cron. 1 6, 3 6; Tob. 3 , 1 1 ) . Qui e in altri scritti giudaici ' compare anche in forma più strutturata, seguita da una o più frasi, che for niscono il motivo dell'esclamazione. Vi sono esclamazioni brevi di ringra ziamento a Dio per la liberazione dai nemici (Es. 1 8, 10; I Sam. 25,39; 2 Sam. 1 8,28; Sal. 3 1 ,21 s.; 1 24,6; Gdt. 1 3 , 1 7; 1 QM 1 4,4 ). Ma non c'è solo la liberazione da nemici materiali ( 1 QM 1 8,6 ss. ) . Altre circostanze posso no indurre a una berakah ( « benedizione, eulogia» ): il dono di un figlio co me successore di Davide sul trono di Israele ( I Re 1 ,48; 5,21 (7); 2 Cron. 2, n . 1 2; cf. I Re 1 0,9; 2 Cron. 9,8), il dono della sapienza, della rivelazio ne e dell'intelligenza ( I Esd. 4,4o. 6o; 1 QS 1 1 , 1 5 ; 1 QH 10,14; 1 1 ,27.29; cf. Esd. 7,27), il soccorso nel tempo del bisogno (Sal. 28,6; 1 QH 5,2o; Tob. 1
J. Heinemann, Prayer in the Talmud. Forms and Patterns, Berlin 1 977, 77-103.
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u , r 3 ), benedizioni non precisate (Sal. 66,20; 72, 1 9 s.; 1 44, 1 s; Ps. Sal. 6, 6; r QH r 6,8). In risposta all'agire di Dio le eulogie sono espresse sia alla seconda sia alla terza persona. Vi è una serie di berakot ( « benedizioni >> ) di ampia estensione in cui la risposta a Dio copre diversi ambiti e ne viene for nita più di una motivazione ( I Re 8 , 1 5 ss. 5 6 ss.; I Cron. 29, 10 ss.; 2 Cron. 6,4 ss.; Tob. 8,5 ss. r s ss.; 1 3 , 1 ss.; Dan. 3 ,26 ss. (LXX). 5 2 ss. (LXX); I Macc. 4,30 ss.; Le. 1,6 8 ss.; r QapGen 20, 1 2 ss.; r QM r 8,6 ss. ). Nelle be rakot estese può succedere che la « sfumatura della benedizione» venga meno nel corso del brano che procedendo passa ad altri ambiti di preghie ra. È questo il caso delle due altre berakot epistolari del N.T. (2 Cor. 1,3 ss. :, I Pt. r ,3 ss. ) . Anche se verso la fine divaga, Ef. 1 , 3 - 1 4 si mantiene con maggiore coerenza entro la sfera della benedizione. Nel culto giudaico erano d'uso abituale berakot 1 (ad es. Shemoneh 'es reh), soprattutto in occasione dei pasti. Gesù• deve averne pronunciato una quando nutriva le folle e mangiava con i suoi discepoli, in particolare nel l'ultima cena (Mc. 14,22; Mt. 26,26). In tal modo le berakot sono passate nel culto cristiano, incluso quello eucaristico. e:ÙÀoye:iv è usato in I Cor. ro, 1 6 in relazione all'eucaristia e nei racconti di nutrimento delle folle, abitual mente intesi in senso eucaristico (Mc. 6,4 r ; 8,7; Mt. 1 4 , 1 9 ; Le. 9 , 1 6). Non compare invece nel racconto paolino dell'ultima cena ( I Cor. u,22 ss. ) e venne gradualmente sostituito da e:Ù'X.r%f!La't'e:i v in contesti eucaristici. � È possibile che nella comunità dell'autore di Efesini si recitassero bera kot in ambito eucaristico, il che può averlo indotto a usarne una qui. Un'al tra possibilità è che abbia imitato 2 Cor. r ,3 ss., ma ciò è meno probabile, giacché, anche se egli conosceva la seconda lettera ai Corinti (v. intr. 2.6. 3 ), Ef. 1,3 ss. ha uno sviluppo diverso rispetto a 2 Cor. 1,3 ss. e, a differen za di quello, il brano in esame è seguito da una normale sezione di ringra ziamento. Se vi è un rapporto con I Pt. 1 , 3 ss., la dipendenza è dalla parte dell'epistola di Pietro ( intr. 2.4 · 5 . 6 ) . Altrove l'autore di Efesini mostra di conoscere usanze giudaiche e il ricorso a una forma giudaica sarebbe stato naturale per lui. Sono numerosi i casi di lettere giudaiche al di fuori del N.T. che iniziano con una berakah ( I Re 5 , 2 1 s., 2 Cron. 2, 10 s.; Eus. Praep. Ev. 9,34; Ios. Ant. 8,5 3 ; cf. Dahl, art. cit., 250 s. ) . Benché derivino tutti da I Re 5 , 2 1 ss., ciò non significa che a uno scrittore antico essi si proponessero come un unico esempio, come sostiene Gnilka, il quale ha peraltro ragione quando afferma che tali casi non rivelano una forma epi stolare fissa, e tuttavia la loro esistenza mostra che la berakah era un mo do corrente di iniziare una lettera (Dahl, 2 5 1 ; il loro numero è però troppo 1 Cf. S. Lyonnet, art. cit.
� Cf. j.M. Robinson, Die Hodaiot-Formel in
Gebet und Hymnus des Frnhchristentums, in W. Elte· ster - F.H. Kettler (edd.), Apophoreta (Fs Emst Haenchen), Berlin 1 9 64, 1 94-�3 5 .
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esiguo per poterli classificare nella forma di «eulogia di introduzione epi stolare >> [Briefeingangs-Eulogie], Dahl, 250). Se, com'è probabile, I Pt. I,J ss. non dipende né da 2 Cor. 1,3 ss., né da Ef. 1,3 ss./ aumenta la proba bilità che la forma fosse in uso presso i cristiani. Benché neli'A.T. essa ri corra perlopiù alla terza persona, la maggior parte dei casi coevi presenta vano la seconda. 2 Anche nel N.T., a prescindere dalle introduzioni episto lari, è impiegata la terza persona (Le. 1 ,68 ss.; Rom. 1,25; 9,5; 2 Cor. 1 1 , 3 1 ). Se questo dato tende forse a indebolire l'argomento in favore della de rivazione dall'uso liturgico giudaico corrente, è difficile immaginare come ci si potesse esprimere in una lettera se non in terza persona. In ogni caso ciò non toglie validità all'argomento suddetto. A questo riguardo mette conto rilevare l'elevato numero di concetti giudaici presenti nell'eulogia, che emer gerà dall'esegesi. Quando le berakot sono seguite da frasi che forniscono i motivi della be nedizione, essi sono espressi mediante participi, proposizioni relative o in trodotte da congiunzioni causali. Il motivo può estendersi al di là della semplice ragione iniziale, come accade in Ef. 1,3 ss., e può essere ricollega to direttamente a una situazione specifica, oppure essere più generale, co me in Ef. 1 , 3 ss. Quanto si dice in questo passo può scaturire dalla situa zione della morte, risurrezione e ascensione di Cristo, ma non è legato a una situazione concreta nella vita di un determinato gruppo di cristiani (ad esempio la liberazione da una particolare persecuzione); vale invece per tut ti i cristiani e riguarda tutta la loro esistenza. Fin dove arriva l'eulogia ? Mentre la maggior parte delle berakot passano quasi impercettibilmente ad altri ambiti, 1,3-14 fornisce per tutta l'esten sione del brano motivazioni per la benedizione iniziale. Benché il tono cam bi dopo il v. 10 e ancor più nei vv. 1 3 s., ove lo stile liturgico è meno evi dente, i vv. 1 1- 1 4 continuano a presentare motivi per benedire Dio. L'inte ro passo ha una tale compattezza, che probabilmente è meglio considerar lo come eulogia nel suo complesso, contrariamente a Caragounis, 47 ss., il quale, limitando l'eulogia ai vv. 3 - 1 0, insiste su una sua definizione rigoro sa e ristretta. Kirby, 1 29 ss., ritiene che l'eulogia si estenda oltre il v. 14, e vi annette 2, 1 - 1 0; 2,n -22; 3 , 14-2 1 , facendo propria l'idea che 2,4- 10; 2, 14-18; 2, 1 9-22 avessero in origine carattere di inno. Ma 1 , 1 5-23 non può farne parte, poiché nessuna lettera paolina contiene sia una berakah sia un ringraziamento; 3,2- 1 3 è, dal canto suo, un brano chiaramente paren tetico. Questa ampia berakah era destinata «all'utilizzo nel culto pubblico, forse durante l'eucaristia >> ( 1 3 8 ). Per ciò che concerne 1 , 1 5-23, è vero che 1
V. L. Goppelt, Der erste Petrusbrief, Gottingen 1 978, 48-5 1 . Cf. W.S. Towner, «Biessed be Yahweh» and «Biessed a rt thou, Yahweh» . The Modulation of a Bibliall Formula: CBQ 30 ( 1 968) 3 86-3 99. 2
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nessuna lettera paolina contiene sia una berakah sia un ringraziamento, ma Efesini non è una lettera paolina; il loro numero è troppo ridotto per trame conclusioni sicure in merito a una prassi generale; l'inclusione di una berakah è essa stessa insolita, e chi scrive lettere è libero di introdurre varianti a modelli consolidati. È improbabile che 2,4-10; 2, 14- 1 8; 2, 1 9-22 in origine fossero inni (v. ad loc. e Best, Use). Non vi sono motivi panico lari per collegare 2,1-22 a 1,3-14. Non si può negare che le berakot fosse ro adatte al culto pubblico, ma non vi è nulla in questa berakah di ampie dimensioni che suggerisca una connessione con l'eucaristia. La maggior pane delle epistole paoline inizia con un ringraziamento. Per ché Efesini ricorre dunque a una eulogia? Non pare possibile - come sug gerisce Schubert 1 - che le eulogie siano appropriate a circostanze in cui ci si deve confrontare con un uditorio ostile (il che non vale nemmeno per 2 Corinti ), o quando si deve scrivere una lettera generale (se la prima di Pie tro può essere tale, non lo è la seconda ai Corinti). Può essere vero che si ricorre all'eulogia quando bisogna esaltare le azioni di Dio piuttosto che le esperienze dello scrivente o dei lettori (cf. Dahl, 25 ! s.), ma ciò non ri sponde alla domanda sul perché l'autore di Efesini decida di celebrare nel la sua lettera le azioni di Dio. O'Brien, 2. seguendo uno spunto di Schenk, 3 sostiene che si impiegano le berakot quando si rende grazie a Dio in rispo sta a benedizioni di cui godono sia l'autore sia i lettori, mentre si utilizza no i ringraziamenti quando si rende grazie per gesti di misericordia usati ai lettori. Senza dubbio la maggior pane delle berakot giudaiche includono chi parla tra coloro che sono stati benedetti. Ma neppure così si risponde completamente all'interrogativo sul motivo per cui l'autore di Efesini ab bia voluto una eulogia per iniziare la sua lettera, visto che vi inserisce an che un ringraziamento ( 1 , 1 5 ss.). Forse tutto quello che si può dire è che il numero delle lettere contenenti un'eulogia è troppo ridotto perché se ne possa ricavare una norma generale e che la risposta può trovarsi nella psi cologia personale dell'autore: egli ama il linguaggio liturgico e l'eulogia vi si presta meglio di una preghiera diretta. 2. Ef. r,J-14 è un periodo lungo, con un complesso dispiegamento di proposizioni subordinate e locuzioni di cui è spesso difficile precisare il rap porto reciproco. Molti l'hanno giudicato duramente, ad esempio E. Norden, che lo definisce « il coacervo di frasi più mostruoso in cui mi sia mai imbat tuto nella lingua greca >> .4 Sono state espresse anche valutazioni più elo giative, per esempio: «opera d'arte di superiore bellezza >> (Rendtorff, 6 1 ). 1
P. Schubert, Form and Function ofthe Pau/ine Thanksgivings, Berlin 1 9 3 9, 1 8 3 s. P.T. O'Brien, Introductory Thanksgivings in the Letters of Pau/ (SupNT 49), Leiden 1 977, 2.39. 3 W. Schenk, Der Segen im Neuen Testament, Berlin 1 967, 99 s . 4 Agnostos Theos, Leipzig-Berlin 1 9 1 3 , 2. 5 3 . 1
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Robbins 1 sostiene che dal punto di vista della retorica antica si tratta di una « autentica creazione artistica >> . Egli suddivide il brano in otto periodi (non frasi), ciascuno di estensione tale da essere pronunciato senza biso gno di riprendere fiato, e nota che esso comprende ai vv. IO e I 3 due disti ci di buona fattura. Hendrix 2 critica giustamente Robbins segnalando co me i suoi otto periodi risultino di lunghezza diseguale. L'intricato rapporto tra proposizioni e locuzioni raccordate fra loro in modi disparati non è se mitico, benché vi siano numerose locuzioni e concetti che di per sé appaio no più semitici che ellenistici. Non è semitica l'assenza di paratassi, di asin deti e del parallelismus membrorum. L'eulogia contiene anche concetti ed espressioni ellenistiche. F.W. Danker 3 sostiene che lo stile è simile a quello che si riscontra in iscrizioni dedicate a benefattori, solitamente composte di periodi lunghi e intricati. Poiché tali iscrizioni erano collocate in luoghi pubblici, l'autore di Efesini le avrà senz'altro viste ed è possibile che il loro stile lo abbia influenzato. Le iscrizioni che Danker chiama in causa non ri velano tuttavia la presenza di espressioni ripetute come accade nell'eulo gia, talché il loro influsso può essere stato soltanto molto lieve. Danker si muove su un terreno ancor più malsicuro quando prospetta la possibilità che anche i concetti utilizzati in queste iscrizioni abbiano esercitato una lo ro influenza. Tutti i testi intesi a ringraziare qualcuno per le buone azioni compiute conterranno lo stesso tipo di idee e di linguaggio. Ma, nel caso di Efesini, idee e linguaggio presentano una tale affinità con quanto si ri scontra in altri luoghi neotestamentari, che è innaturale andare al di là del N.T. per cercarne le fonti. È molto più probabile che la forma complessiva dell'eulogia sia una combinazione del normale stile innico greco e semitico, il secondo dei quali si può individuare nelle parole che rivelano che si è in presenza di una berakah (v. 3a). Il modo in cui De Zwaan 4 è riuscito ad articolare il brano evidenzia connessioni con lo stile ebraico, anche se la spe cifica disposizione da lui proposta non è accettabile. Le idee sono affastel late alla maniera semitica, come negli inni di Qumran,5 benché il modo con creto in cui sono collegate l'una all'altra sia greco. La ripetizione di con cetti simili è semitica piuttosto che greca (Va n Roon, I 3 5 ss. ), così come l'uso di preposizioni (Van Roon, I 2 I - I 28). 1
C.J. Robbins, The Composition o(Eph I :J·I4: JBL 1 0 5 ( 1 986) 677-687. H. Hendrix, On the Form and Ethos o(Ephesians: USQR 4 2 ( 1 9 8 8 ) 3 - 1 5 . 3 F.W. Danker, Sacrai-Bureaucratic Factors. A K ey to Ephesians. Una prima bozza d i questo studio è stata letta in un seminario nell'ambito dell'assemblea generale della SNTS tenutasi a Cambridge nel 1 988. Non sono riuscito a rintracciame la successiva pubblicazione. Senza riferimenti diretti a Efesi ni, molte idee di questo studio ricorrono anche nello scritto di Danker, Benefactor: Epigraphic Study of a Graeco-Roman and New Testament Semantic Fie/d, St Louis, Mo. 1 982. 4 J. de Zwaan, Le «Rhythme logique» dans l'épitre aux Éphésiens: RHPR 6 ( 1 927) 5 5 4-5 65. 5 Cf. Kuhn; Mussner, Beitriige. 2
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Che l'eulogia sia costruita con cura si può constatare dal v. 3, dove e:ù Àoy- compare tre volte, nonostante dopo la prima occorrenza si potessero usare sinonimi. Vi sono locuzioni ricorrenti: xcx-rà -r�v e:ùòoxicxv {[3ouÀ�v) -rou .Se:Àlj!J.cx-roc; cxù-rou {vv. 5·9- I I ), dc; t7tcxtvov òo�lJc; {vv. 6. I 2); èv e xcx-rti sono usati frequentemente, il primo in particolare nell'espressione èv Xpt a-r� con le sue varianti; tiyiouc; e tX!J.W!J.Ouc; suonano bene insieme. Tre parti cipi significativi {e:ÙÀoyljacxc;, 7tpoopiacxc;, yvwpiacxc;, vv. 3 · 5 ·9 ) costituiscono altrettanti passaggi nell'argomentazione dei vv. 3 - I o; dal v. I I in avanti i verbi sono alla prima persona plurale. Sono stati compiuti numerosi tenta tivi di discernere una struttura strofica all'interno dei vv. 3 - 1 4 interpre tando questi verbi come sue spie, ma non si è raggiunto un accordo gene rale, e il verdetto di J.T. Sanders: « ... qualsiasi tentativo di individuare una struttura strofica per Ef. I,3-I4 è destinato al fallimento» , I resta valido anche per i tentativi fatti in seguito (ad es. Fischer, I I I - 1 1 8). Alla luce di questo fallimento e della ripetizione di locuzioni, si deve pensare che l'au tore di Efesini abbia adattato ai propri scopi un inno z. che le conteneva ? Le ricostruzioni di un inno siffatto sono state tanto difformi e tanto dipen denti dal punto di vista dei singoli studiosi, che nessuna è riuscita a riscuo tere il consenso generale. Il materiale che un autore ha utilizzato viene di solito individuato grazie alle deviazioni dal suo stile, dalla sua lingua e dal la sua teologia normali, e cercando di rilevare qualche stacco netto che ne segni l'inizio e la fine. Nella eulogia di Efesini ci sono in effetti cesure chia re prima e dopo, ma non trovano applicazione gli altri criteri di verifica. Ochel, I 9-3 2, è stato uno dei primi a tentare di individuare un « inno» sog giacente: ha eliminato da I,3-14 quei passi che si potevano considerare di pendenti da Colossesi nell'enunciazione o nel pensiero, modo di procedere questo inaccettabile, se non si ritiene che Efesini dipenda da Colossesi. Il risultato al quale Ochel perviene distrugge il gioco di parole su e:ÙÀoyÉw al v. 3 e sulla radice lCXfr ai vv. 6 s. Sotto l'aspetto linguistico e stilistico l'eu logia non è dissimile dal resto della lettera, che contiene altri periodi lun ghi e complessi { I, I 5-23; 2, I4- I 8; 3,2-7; 3 ,8-1 2; 3 , 1 4- I 9; 4,1 1- I 6). La teo logia di I,3-I4 non è in disaccordo con quanto segue. Molti autori sono invero convinti che serva a introdurre gli argomenti principali della lettera {v. sotto, 4). Se l'autore di Efesini non ha adottato e modificato un inno preesistente, allora è improbabile che si sia servito di una berakah tratta da una liturgia battesimale o eucaristica. 3 L'eulogia si presta forse a entramI
J.T. Sanders, Hymnic Elements in Ephesians 1-3 : ZNW 56 ( 1 9 6 5 ) 2 1 4-23 2.. Sulla forma dell'• inno• v. K. Berger, in ANRW 11, 25.2, I I 49 ss. e la bibliografia citata a p. I I 49· V. anche S.E. Fowl, The Story of Christ in the Ethics of Pau[ USNTSup 3 6), Sheflìeld 1 990, 3 1 ss. 3 K. Gamber, Ankliinge an das Eucharistlichgebet bei Paulus und das ;udische Kiddush: Oestkirkli· che Srudien 9 ( 1 960) 25 4-264, ritiene che parti dell'eulogia siano tratte da una compilazione cristiana molto più ampia influenzata da preghiere giudaiche. 2
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bi gli scopi e l'autore della lettera può aver presieduto al culto della pro pria comunità rimanendo influenzato da quanto faceva in tali circostanze, il che non equivale però ad asserire che l'eulogia è parte di una liturgia. Il linguaggio altisonante e solenne può essere spontaneo, indotto dall'occa sione, piuttosto che tratto deliberatamente da una fonte. 3 · Se dunque l'autore di Efesini non ha adattato un inno preesistente e non ne ha creato uno, la struttura dell'eulogia si deve cercare nel suo con tenuto anziché in un modello formale. Vi sono una serie di idee guida che forniscono la base più soddisfacente per un'analisi, anche se bisogna evita re di isolarle eccessivamente l'una dall'altra. L'eulogia costituisce un com plesso coerente, che inizia e termina con una lode di Dio. Il motivo della lode riecheggia lungo tutto il brano in quanto le ragioni che la giustificano, basate in ultima analisi sul piano di Dio ispirato all'amore, sono introdotte da diverse angolature. Le idee si affastellano l'una sull'altra e la difficoltà di districarsi dipende in parte dal profluvio di termini quasi sinonimici. Il v. 3 introduce l'argomento della benedizione di Dio. Il modo in cui be nedice è descritto minutamente nel prosieguo. Questo versetto mostra al tresì che egli è il vero soggetto di tutto ciò che viene detto successivamente. La sua volontà è sottolineata ripetutamente, una volontà governata non dall'arbitrarietà bensì dall'amore e dalla grazia. Dio ha dunque un piano ' per il cosmo, che è stato tenuto nascosto, ma che ora è rivelato tramite suo figlio (Atti 22, 1 4 s.; Mt. u,25-27; cf. Sap. 9, 1 3 - 1 8; 2 Esd. 6,20). Tale pia no riguarda non soltanto la storia, ma include anche il cosmo e la sua re denzione. Un aspetto del progetto, l'accettazione dei gentili, non è menzio nato nell'eulogia, ma compare in 2,u-22; 3 , 1 - 1 3 . Il v. 3 indica inoltre che sono i membri della chiesa i destinatari della sua azione benedicente. Cri sto dal canto suo fa da intermediario per noi delle benedizioni di Dio, co me è sottolineato dai ripetuti cenni a lui, soprattutto tramite pronomi per sonali e relativi, ed è descritto nei suoi ruoli tanto di redenzione quanto cosmico: l'eterna volontà di Dio è compiuta mediante Cristo e il cosmo è ricapitolato in lui; la salvezza giunge attraverso la sua morte. a) Le benedizioni di Dio hanno avuto inizio prima della storia (vv. 4 s.), poiché nel suo amore - e la sua volontà è governata dal suo amore - egli ci ha scelti e predestinati affinché abbiamo di fronte a lui la posizione di figli. b) Perché possiamo ottenere una tale posizione i nostri peccati devono es sere perdonati (vv. 7.8a); anche questo è un atto della grazia di Dio. c) Ma le benedizioni di Dio non ci collocano in una sola posizione al suo cospet to in quanto da lui redenti: egli ci accorda la comprensione (vv. 8b- 1o) del 1 Cf. G. Lohfìnk, Der priiexistente Heilsplon und Hintergrund des dritten Vaterunserbitte, in H. Merklein (ed.), Neues Testament und Etbik (Fs R. Schnackenburg), Freiburg-Basei-Wien 1989, 1 I O•
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suo progetto globale per il cosmo, segreto in precedenza tenuto nascosto a tutti. L'eulogia tocca qui una sorta di culmine, raggiunto il quale ricomin cia l'ascesa, come ripartendo da metà della salita (vv. n - I 4 ) . d) Anche se ogni cosa può essere ricapitolata in Cristo, ai credenti è necessario ricorda re che è stato loro assegnato un posto in tutto ciò che Dio fa ( vv. I I s.), così da fortificarne la speranza. e) Infine l'autore applica ai suoi lettori tut to quello che ha detto, passando dalla prima alla seconda persona (vv. I 3 s.), ed evidenziando a un tempo ulteriori aspetti della benedizione di Dio. In quanto credenti, i suoi lettori hanno ricevuto lo Spirito, che è un antici po di doni venturi ancora più grandi. Si va dunque dalle benedizioni di Dio cominciate prima dell'inizio del tempo, attraverso il presente, a quelle che devono ancora arrivare nella loro pienezza. 4· Se l'autore di Efesini non ha adottato materiale preformato, è possi bile che egli abbia scritto l'eulogia per introdurre il resto della lettera. Al cuni studiosi (come Dahl, art. cit.; Schlier, 72; O'Brien; Maurer; Castelli no; Caragounis, 45 ss. ) ravvisano uno stretto rapporto fra l'eulogia e quan to segue, sostenendo che vi sono già suggeriti i temi dell'epistola. Su questo aspetto è importante essere cauti. Un conferenziere che introduce l'argo mento di cui intende trattare può indicare brevemente ed esplicitamente i punti che poi svilupperà. Non è certo ciò che ha fatto l'autore di Efesini. È anche possibile che uno scrittore, avendo deciso quanto dirà nella parte principale del suo scritto, consapevolmente o inconsapevolmente lasci che ciò dia un'impronta alla propria introduzione con l'impiego di idee o paro le chiave. A questo riguardo l'uso di determinati vocaboli non è importan te quanto quello di determinate idee: la circostanza che l'autore di Efesini opti per un termine insolito per indicare i cieli (v. 3 ) e lo usi di nuovo più avanti non significa che vi sia un nesso tra l'eulogia e il resto della lettera, ma solo che gli piace ricorrere a questa voce quando parla del cielo. Se pe raltro nella pane successiva egli sviluppa idee da lui formalmente introdot te nell'eulogia, in tal caso si potrebbe ritenere che l'eulogia introduca il pen siero esposto nel prosieguo. Le idee dominanti dell'eulogia sono la scelta dei credenti da parte di Dio, il suo disegno che presiede a tutto ciò che fa, la sua adozione dei credenti e la loro liberazione dal peccato, la sua rivela zione di un mistero che contiene la ricapitolazione di tutto in Cristo, la sua consegna ai credenti di un'eredità e di una caparra nello Spirito santo a ga ranzia che più tardi essi riceveranno tale eredità. Non si può dire che la scelta o elezione dei credenti e la loro adozione da parte di Dio, o che l'accento posto sulla sua volontà, o su ciò di cui lo Spirito santo è pegno, siano ulteriormente sviluppati, mentre lo sono la li berazione dal peccato e il posto del credente nel piano attuale di Dio. Quanto al disvelamento del mistero della ricapitolazione di tutto in Cristo,
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si può dire che esso preannuncia l'unione di giudei e gentili ( 3 , 1 - 1 3 ), e il mistero appare di nuovo in 6, 19. Ma prima di accettare troppo facilmente l'idea che l'autore di Efesini abbia inteso anticipare nell'eulogia ciò che se gue, vale la pena di ricordare che molti temi comuni all'eulogia e al corpo della lettera facevano parte del patrimonio di idee condiviso nel N.T., co me la liberazione dal peccato, l'adozione dei credenti, la grazia, il ruolo di capo di Cristo, se di questo si parla in 1 , 10. Bengel ha definito i vv. 3-14 un compendium evangelicum. Non sorprende che parole e locuzioni come > ricompaiano nel prosieguo, se sono i modi in cui l'autore di Efesini si esprime. «In Cristo >> è un'espressione appartenente al la scuola paolina, come pure la parola « mistero>> considerata alla luce del suo uso in Colossesi; l'impiego di È7toupcivtoç anziché oùpcivtoç mostra sem plicemente la preferenza dell'autore per il primo termine. Nessuno di que sti dati dimostra che l'autore intende instaurare una stretta connessione fra l'eulogia e quanto segue. Si nota infine come temi importanti trattati nel corpo della lettera non siano menzionati nell'eulogia. La chiesa è uno di questi, e il gruppo dei credenti è variamente definito chiesa, corpo, edifi cio, sposa, ma nell'eulogia non ricorre nessuno di tali termini. Sono invece utilizzate la prima e la seconda persona plurale e fra gli studiosi si hanno opinioni divergenti sull'opportunità di leggere nell'espressione «in Cristo >> un significato corporato, interpretazione che nel caso si può giustificare sol tanto alla luce dell'insegnamento sulla chiesa esposto successivamente. Ci sono buoni motivi per ritenere che l'eulogia sia fondata su basi cristologi che piuttosto che dominata dall'ecclesiologia del resto della lettera. 1 Meri ta infine rilevare che l'eulogia non fa cenno alla parenesi, che occupa metà dell'epistola. L'eulogia non è dunque un'introduzione tematica alla lettera. 3· Come si è visto, l'autore di Efesini ha ripreso e rimodellato una for mula liturgica giudaica. Le berakot giudaiche possono parlare di Dio sim pliciter - «benedetto " è (sia) il Signore >> (ad es. Es. 1 8, 1 0; I Sam. 25,39) -, o lo possono identificare con maggiore precisione - «benedetto è (sia) il Signore, il Dio di Israele>> (ad es. I Sam. 25,3 2; I Re 1 ,48); I Cron. 29,10 presenta Dio come padre in un'eulogia. In Ef. 1,3 egli è identificato come «il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo >> , vale a dire in termini cri stiani. I cristiani adorano lo stesso Dio dei giudei, ma lo considerano in modo nuovo. Tra la fede dell'Antico Testamento e quella del Nuovo vi è dunque una relazione tanto di continuità quanto di discontinuità. ' Così F. Montagnini, Christological Features in Ep I :J -I4, in Lorenzo De Lorenzi (ed.), Pau/ de
Tarse. Apotre du notre temps, Roma 1 979, 5 29-5 3 9 · 1
Sulla forma di EÙÀoylì-r&; v . Caragounis, 79 n.
3·
1 52
DIO, IL BENEDETIO, BENEDICE
'tou xuptou lJfJ.WV 'I l)aou Xpta'tou va probabilmente raccordato sia a .f}e:oc; sia a 7tCX't�p. Molti commentatori del passato (come Teodoro di Mopsuestia), pre occupati delle possibili conseguenze di questa lettura sulla dottrina trinitaria, hanno collegato l'espressione soltanto a 7tCX't�p e, considerando il xcxi epesege tico, hanno tradotto: «Dio che è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo >> . I L'autore di Efesini non può aver nutrito tali preoccupazioni, poiché in I , I 7 parla del Dio d i Gesù Cristo. L'espressione completa figura anche i n 2 Cor. 1,3; I I ,3 1; Rom. 1 5,6; I Pt. 1,3 (il testo è incerto in Col. I,3 ), il che fa pensa re che si tratti di un elemento liturgico. « Dio>> e «Padre>> sono strettamente connessi anche in Gv. 20, 1 7; I Cor. 1 5 ,24; Gal. I ,4; E(. 5,20; Fil. 4,20; I Tess. 3 , r r ; Apoc. 1 ,6. Giacché Dio dà avvio al piano salvifico di cui si parla nell'eulogia, egli può essere detto giustamente il Dio del Signore nostro Gesù Cristo. La frase iniziale manca del verbo e può essere tradotta o . Nei due soli passi neotestamentari (Rom. I,25; 2 Cor. r r , 3 I ) in cui il verbo è espresso da una voce di e:l vcxt la resa corretta è con . Ciò risulta appropriato al contesto di r ,3 - I4, perché pone al principio del brano l'affermazione di un fano anziché l'espressione di un desiderio, dato che tutto quel che segue dipende dall'affermazione iniziale del di Dio. La preghiera viene dopo nel corso della lettera; I , 3 - 14, pur usando il linguaggio della preghiera, dice piuttosto ciò che Dio ha fano per i credenti. Solo B omet te xcxl 7tcx't�p, lezione inaccettabile, come pure l'omissione più estesa in 1)46, dove l'occhio del copista deve essere saltato dal Xpta'tou finale del v. 2 alla stessa parola nel v. 3 . I motivi della berakah sono introdotti da o e:ÙÀoyljcrcxç e spiegati nel pro sieguo; il v. 3 b è in fatti troppo generico per consentire di individuarli. Il mutamento di significato di e:ùì..o ye:iv avrebbe sconcertato lettori che non avessero familiarità col greco giudaico. Mentre l'uso di questo verbo nel senso di > (v. 3 a ) appartiene al greco comune, non è così per l'accezione > , che compare nel v. 3 b. Essa deriva dall'ebraico brk, che ha entrambi i significati. Ciò ha condotto all'impiego di e:ùì..o ye:iv in tutti i LXX con ambedue le accezioni e a un uso analogo nel cristianesimo delle origini (cf. Le. 2,34; Atti 3 ,26; Rom. I 5 ,29; Gal. 3 ,9. 14; Ebr. 7, r . 6; 1 2, 1 7; I Pt. 3 ,9 ) . Per cristiani maturi sarebbe stato facile cogliere il gioco di parole su questo verbo. Il triplice utilizzo della radice al v. 3, che abbraccia entrambe le accezioni, è un esempio della qualità lette raria dell'autore di Efesini. •••
È peraltro possibile che tale triplice utilizzo della radice di e:ùì..oye:iv al v. 3 co stituisca un «ebraismo secondario» (MH, 4 8 5 ), che chiunque avesse familiari tà con il greco giudaico avrebbe potuto impiegare (cf. Gen. 27,4 I ; 49,2 5; lub. 22,30). Poiché e:ùì..o yicx è senza articolo, 7tlicrcx dovrebbe voler dire « ogni >> piut tosto che , ma nel greco ellenistico questa regola non era rigida (Moule, I
Cf. Best, Fashions in Exegesis: Ephesians I,J, in Id., lnterpreting Christ, Edinburgh 1 99 3 , r 60- 177.
93 ss.; MHT, I99 ss.; BDR, § 27 5; Robertson, 7?I ss. ) e in Efesini vi è una se rie di casi in cui è difficile decidere: 2,2 1 ; 3 , I 5 ; 6, I 8 ( 3 ,8 ? ) . ' «Tutto» è chia ramente l'interpretazione corretta in I,8; 4,2.3 I; 5,9, ove i nomi sono privi di articolo e astratti. Al v. 3b eÙÀoytcx è probabilmente astratto (così di solito nel N.T., ma non in 2 Cor. 9,6). Se al suo posto fossero stati usati xaptcr[J.cx o òw pov, nessuno dei due termini sarebbe stato astratto. Se non si dovrebbe intendere troppo alla lettera, poiché nelle epistole paoline questa voce e i suoi composti sono usati regolarmente nel passaggio dall'indi rizzo al corpo della lettera in maniera non letterale. L'interpretazione «tutta» è d'altro canto più appropriata al contesto, poiché il seguito del passo conside ra l'intero complesso dell'economia divina più che specificare benedizioni par ticolari (cf. Rom. I 5,29: «pienezza della benedizione » ) .
1tVtU(J-Gt'ttxii è stato interpretato i n svariati modi. All'inizio, come h a rile vato Origene, era usato erroneamente per distinguere i doni dei due Testa menti, quindi per differenziare i doni non materiali da quelli materiali o da ciò che «è terreno e riguardante i sensi » (Westcott). Non significa «miste riosa, trascendente, non dell'ordine umano » (Dacquino, 476). Più corretta mente Alford afferma (cf. Cambier, 64 ) : (v. excursus 2 , ), terzo complemento del versetto intro dotto da Èv, è la specificazione conclusiva. Con che termine lo si deve costruire e in che modo va inteso ? Èv è la preposizione preferita dall'autore di Efesini che spesso la impiega due o più volte nel giro di poche parole ( 1 ,20; 2,2.3+ 5.6. 1 3 . 1 5.21.22; 4.14; 6, 1 8 ). Sia > sia «nei cieli >> sono locuzioni ri petute in 2,6, il che fa pensare a una loro stretta connessione. Ciò non signifi ca che i cieli sono in Cristo, poiché in 1,20 si dice che Cristo è in essi; né si può considerare > una ridefinizione dei «cieli» (così, a quanto pare, Schlier), il che sarebbe superfluo. potrebbe essere altresì inte so in senso strumentale, in dipendenza da e:ÙÀoyia (Dibelius, cf. Allan, «In Christ» ) : la benedizione spirituale che i credenti ricevono è portata a compi mento da Dio tramite Cristo. Non è chiaro che cosa verrebbe così aggiunto a quanto si è già detto, benché questa non rappresenti necessariamente un'obie zione fondamentale, considerato lo stile ridondante dell'autore. Cristo è già stato menzionato in relazione a Dio e i cristiani non avrebbero potuto pensa re al 7tve:li(J.a separato da lui. •• In Cristo •• potrebbe essere costruito anche con e:ÙÀoy�craç (Gaugler, Barth), nonostante la distanza costituisca un ostacolo. Barth sostiene che il verbo seguito dalla preposizione che regge un nome si trova anche in Gen. I 8, 1 8 (cf. 1 2,3 ) in relazione ad Abramo, e attribuisce a Cristo «una simile funzione passiva e attiva, parabolica e dinamica >> (p. 78), come quella di Abramo. In entrambi i passi della Genesi, a differenza che in questo, il pronome che indica Abramo non è separato dal verbo, ma lo segue direttamente. L'aggiunta di •• in Cristo •• può comunque essere stata influenzata dai passi della Genesi in cui si dice che la benedizione è in Abramo (cf. Gal. 3,14). D'altro canto, il significato locale di èv nella precedente espressione «nei
EXCURSUS I
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cieli » induce a ritenere che èv debba essere interpretato in modo analogo an che nella locuzione « in Cristo•• (così Schlier). Tale accezione sarebbe in linea con l'uso paolino dell'espressione, che presenta i credenti come « in Cristo••, quali membra del suo corpo (Belser; Dahl, Auslegung, 1 8 ; Bouwman). I cri stiani sono benedetti perché sono uniti a Cristo. Il v. 3 costituisce un'affermazione molto generale, che dà l'intonazione a ciò che segue lasciando però imprecisata la natura della benedizione spirituale. Il suo contenuto è integrato nei vv. 4 ss.: l'elezione eterna di Dio nel passato (VV. 4- 5a), concretizzata nell'esistenza presente (vv. 5b-8, I I-q), è destinata a essere consumata nel futuro (vv. 9-10). Sebbene Dio, Cristo e lo Spirito figuri no tutti nel v. 3 , sarebbe errato pensare che l'autore di Efesini abbia deliberata mente creato una formulazione trinitaria. Egli peraltro non può definire ade guatamente la benedizione di Dio senza introdurre tutte e tre le persone della trinità. EXCURS US I
I CIELI ' Il N.T. non presenta un concetto univoco del cielo. Esso non può essere de finito come il luogo in cui Dio risiede o dove vivono i giusti defunti. Viene inteso in modo diverso nei diversi libri neotestamentari e talora anche all'in terno dello stesso libro. In Ebr. 8,1 (cf. 9,24) si dice che Cristo siede alla de stra di Dio nei cieli, ma in 4,14 si legge che egli attraversa i cieli per arriva re a Dio e in 7,26 che egli è al di sopra dei cieli. Tanto il plurale quanto il singolare sono usati evidentemente per dire la stessa cosa (Ebr. 8,1 e 9,24). Sulla base del pensiero giudaico, secondo il quale possono esservi molti cie li, l'idea della pluralità può anche essere espressa esplicitamente (2 Cor. 1 2, 2). Poiché, sempre secondo il pensiero giudaico, ci dovranno essere un cie lo nuovo e una terra nuova (ls. 66,22), il cielo non dev'essere considerato perfetto. Per indicare il cielo, il N.T. si serve di due termini o gruppi di termini distinti nelle loro forme aggettivali in È7toupcivtoc; e oùpcivtoc;. Questa secon da forma è di gran lunga la più frequente; la prima ricorre solo in venti ca si, concentrati principalmente in scritti o passi particolari: cinque in I Cor. 1 5,40-49, cinque in Efesini e sei in Ebrei. Nella lettera in esame si trova 1 V. R.M. Pope, Studies in Pauline Vocabulary of the Heavenly Places: ExpT 3 3 ( 1 9 1 2) 3 6 5 ss.; H. Odeberg, The View of the Universe in the Epistle to the Ephesians, Lund 1 9 3 4; Mussner, Christus, I I ss.; Percy, 1 80- 1 8 3 ; Van Roon, Authenticity, z.t 3 -: u s; Gibbs, n8- 1 3 z.; H. Traub - G. von Rad, in TWNT v, 495-543; Lindemann, Aufhebung, 49-56; A.T. Lincoln, A Re-examination of «The Heaven lies» in Ephesians: NTS 1 9 ( 1 97Z.-1 973 ) 468-4 8 3 ; Caragounis, 146-1 5 z.; W.H. Harris, « The Heaven lies» Reconsidered: oùpcxvO.; and Èn:oupavtoç in Ephesians: BSac 148 ( 1 9 9 1 ) 7z.-89. Per gli aspetti più generali v. H. Bietenhard, Die himmlische Welt im Urchristentum und Spiitjudentum (WUNT z.), Tiibingen 1 9 5 1 e M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion 11, Miinchen 1 9 6 1 , 70Z.-7 I I .
I CIELI
solo nell'espressione iv 't'otc:; i1toupavtotc:; (dove può essere maschile o neu tro), che appare quindi formula fissa, benché non ricorra altrove nel N.T. iv sembrerebbe denotare un'indicazione locale e r,2o; 2,6; 3 , r o; 6, r 2 si pre stano senza difficoltà a questa lettura. Il caso di r,3 è più complicato ed è stato variamente interpretato. Rifiutando il significato locale, Crisostomo lo ha considerato riferito alle realtà celesti che sono immutabili. La larga maggioranza dei commentatori cerca però di conservare in qualche modo il valore locale. Lightfoot ha parlato del «cielo che sta dentro e attorno al vero cristiano >>; per Caird la locuzione vale «per l'ambito invisibile e spiri tuale dell'uomo •>; Scott ritiene che la migliore resa nella nostra lingua sia «nel mondo invisibile » . Tutte queste interpretazioni sono state influenzate da concezioni greche spiritualeggianti. Anche la spiegazione di Gibbs, se condo cui l'espressione «non rinvia a un luogo specifico, in senso letterale, quanto all'ambito della sovranità di Dio » , benché formulata in termini dif ferenti, sembra fornire una interpretazione analoga. Siffatte interpretazio ni sono veri e propri tentativi di demitologizzare il cielo, anche se beninte so entro una cornice non esistenzialista. Schlier (45-48 e Kirche, r - r 8 ) pun ta più esplicitamente verso la demitologizzazione, nella convinzione che l'uso della locuzione da parte dell'autore di Efesini derivi da idee gnostiche e concordi con un'immagine gnostica del mondo. Si ha una pluralità di cie li, nel più alto dei quali si trova Cristo; sotto di lui c'è la chiesa; opposte alla chiesa, ma ancora all'interno dei cieli, vi sono le potenze. I cieli rap presentano la dimensione del trascendente nella vita umana, attraverso cui si aprono possibilità di esistenza, impersonate da Cristo e dalle potenze, e nei confronti delle quali occorre prendere una decisione. Optando per Cri sto, i credenti si trovano sia nei cieli sia al di sopra di essi, poiché sono nel corpo di Cristo e sotto la sua autorità di capo. Odeberg (cf. Lona, 297-30 1 ) nega l'equivalenza dei due vocaboli greci indicanti il cielo e sostiene che 't'èt i1toupcivta comprende ciò che si trova i1tÌ 't'ijc:; yijc:;. Diviene perciò «termine che designa la realtà spirituale nel suo complesso » (p. 1 2). Di conseguenza, > . L'autore di Efesini la uti lizza per porre in rilievo la sovranità di Dio, idea che riaffiora nel risalto dato alla sua volontà, ai vv. 5 ·9- I I . Nulla di quanto è accaduto dal mo mento della creazione in avanti ha indotto Dio a eleggere il suo popolo. La sua elezione non è stata una risposta al peccato umano (menzionato per la
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prima volta a l v . 7), o all'insuccesso di Israele, ma è stata voluta sin dal tempo in cui egli ha voluto l'universo. Dio non è un giocatore di scacchi che compie la mossa successiva soltanto dopo aver visto l'ultima dell'av versario. Egli opera secondo un progetto (cf. 1 QH 1 3 , 10; CD 2.,7; Philo Op. Mund. 1 6 ss. ) e tale progetto include sempre la chiesa. La chiesa non è dunque semplicemente un fenomeno sociale, che fa la sua comparsa col prodursi di condizioni appropriate. Dicendo che Dio opera secondo un piano si deve tuttavia riconoscere che per l'autore di Efesini egli non è an zitutto un grande architetto, bensì un Padre amorevole. L'elezione pretem porale del suo popolo è solo un aspetto di un'immagine complessa di Dio. Dell'elezione si dice che è «in Cristo» , connessione che in Rom. 8,:z.8-3o non viene attuata. Qual è il suo significato ? In rapporto a Cristo l'afferma zione implica che egli ha avuto un ruolo più ampio di quanto sia quello di redimere l'umanità tramite la propria incarnazione, morte e risurrezione. Come in Col. 1 , 1 5 ss., egli svolge un ruolo nella creazione (cf. 3 ,9; Roels, 25 s. ). Il v. 4 prepara dunque la strada al v. 1 0. Della preesistenza di Cri sto si parla in molti passi neotestamentari, in particolare nell'inno di Col. 1 , 1 5 ss., che probabilmente l'autore di Efesini conosceva come elemento della tradizione (cf. Gv. 1 7,5; 1 Pt. 1 ,20). Se perciò la chiesa è scelta in Cri sto ed egli esisteva prima della creazione, se ne inferisce l'esistenza pretem porale della chiesa ? Potrebbe esservi soggiacente l'idea di Cristo come figu ra vicaria o inclusiva (v. excursus 2, > ), e ciò fornisce forse il mo tivo per cui l'autore di Efesini pensò all' «elezione in Cristo >> . D'altro can to, sarebbe possibile anche un'interpretazione strumentale del complemen to > 5). È in ogni caso improbabile che «in Cristo >> sia inteso in contrasto con la scelta di Israele in Abramo ( G en . r. 44 [ :z.7a], v. SB, III, 579), scelta che non fu pretemporale, ma ebbe luogo nella storia, e nella quale i giudei sono coinvolti a motivo della loro discendenza fisica da Abramo. L'introduzione del cenno a Cristo ha un ulteriore significato. L'elezione è correlata a colui che è morto, risorto e asceso. Ciò rende noto il suo amo re e mostra che l'azione di Dio è compiuta nell'amore (cf. Rom. 9, 1 8.25). L'introduzione di Cristo congiunge pertanto due idee che possono parere incompatibili: Dio ci elegge prima che esistiamo e senza il nostro consenso; noi rispondiamo liberamente a questa iniziativa in Cristo. In questo, Cristo è il fattore unificante. Dio non opera senza un obiettivo e la sua scelta deve avere uno scopo o effetto (e:lvcxt può essere finale o consecutivo; qui la differenza è poca), rap1 La lezione mtrtq. di F G è chiaramente errata; vorrebbe dire presurnibilmente che Dio ci ha scelti per sé, sicché Cristo verrebbe escluso.
DIO, IL BENEDETIO, BENEDICE
presentato al v. 4 dal fatto che i credenti siano santi e senza macchia e di vengano suoi figli. Benché 2, 1 0 possa far pensare che per i cristiani sono state preparate in anticipo «opere buone», non viene prospettata l'idea che Dio abbia visto che questo popolo particolare sarebbe stato buono e perciò lo abbia scelto. Sia &ytoc; sia &!J.WIJ.Oc; sono termini derivati dal culto (per il secondo v. Num. 6,q; 19,2; Es. 29,37 s.; Ebr. 9,14), che col tempo venne ro usati entrambi in senso più generale in relazione al comportamento mo rale (ancora per il secondo vocabolo v. 'F q,2; 1 7,24; Sir. 3 1 ,8; 40, 19; Ef. 5,27; Fil. 2,1 5; Gd. 24; Apoc. 14,5)! Qui peraltro la loro origine cultuale non è andata perduta del tutto, poiché si tratta della santità e irreprensibi lità dinanzi a Dio (per xtx't'Evw7ttov v. BDR, § 2 1 4 n. 8; Robertson, 644). In genere si reputa che l'autore d i Efesini dipenda qui da Co/. 1 ,22: 7ttxptxa"tlì crcxt U!J.Iic; &:yiouc; xcxi t:ÌIJ.W(J.Ouc; xexi t:ive:yx À�'t'ouc; xcx't'e:vw7ttov cxÙ't'ou, congettu rando che egli abbia omesso l'ultimo aggettivo perché privo di retroterra cul tuale. Nei LXX il termine figura solo in 3 Macc. 5,3 1 ; esso ha accezione mo rale in L Tim. 3 , 1 0; Tit. 1,6 s. ed escatologica in L Cor. r,8. Si suppone altresì che l'autore di Efesini abbia sostituito e:fvcxt a 7ttxptxcr'tljcrcxt. Ma a priori vi è la stessa possibilità che sia stato invece l'autore di Colossesi ad aggiungere un ul teriore aggettivo al testo che egli leggeva in Efesini e a cambiare il verbo vo lendo accentuare la sfumatura giuridica (cf. i commenti di Lohse, Martin, O'Brien). Rispetto a queste due, una soluzione più probabile consiste nel rico noscere àyiouc; xcxi t:Ì(J.W(J.ouc; come espressione liturgica invalsa nella scuola paolina cui appartenevano l'autore di Efesini e quello di Colossesi; essa ri compare in 5 ,27 e in forma analoga in r Pt. 1 , 1 9. L'uso liturgico dell'espres sione sarebbe in sintonia con la sua origine cultuale e risulterebbe del tutto na turale l'aggiunta di un richiamo a Dio, xcxnvw7ttov txÙ'tou, a un'espressione li turgica (cf. Holtzmann, 47 s. e Best, Who used Whom?). La locuzione non ha dunque sapore anzitutto morale, e questo vale anche per l'occorrenza di 5,27. Che cosa intende dire l'autore di Efesini usando tali aggettivi ? A questi si deve attribuire il senso di qualcosa di compiuto - i credenti sono già san ti e immacolati proprio come sono già giustificati - oppure si ha un'esorta zione implicita - i credenti sono stati eletti perché possano impegnarsi a es sere santi e immacolati ? Un'affermazione che raccomanda una determina ta condotta morale non sarebbe appropriata all'interno di un'eulogia, al contrario di una che asserisce la condizione e la posizione di fronte a Dio di coloro che sono stati eletti. Il tenore generale del brano induce a ritenere che l'autore di Efesini impiegasse l'espressione con l'intento di evidenziare la posizione attuale dei cristiani. I credenti sono già santi e senza macchia dinanzi a Dio, come lo è la chiesa ( 5 ,27). Ciò concorda con il senso cultua le delle parole ed è conseguente all'elezione dei credenti da parte di Dio. r Sul mutamento delle concezioni di purità v. M. Newton, The Concept of Purity at Qumran and in the Letters of Pau/ (SNTSMS 5 3 ), Cambridge 1 9 8 5 , passim.
Che Dio abbia eletto i credenti deve infondere in loro fiducia di fronte alle potenze cosmiche avverse ( 6, 1 2 ss.) e affrancarli dall'idea di essere alla mercé di un destino senz! volto. Spesso una persona che pare inadeguata a ricoprire un posto importante, quando viene elevata a tale incarico, rivela improvvisamente capacità ignote; risponde allo stimolo della sua nuova posizione e ne trae fiducia. Allo stesso modo, i credenti gentili ai quali pen sa l'autore di Efesini ricevono in quanto eletti da Dio nuova fiducia per af frontare tutto ciò che capiti loro. Come mostra il successivo cenno all'amo re, l'elezione di Dio, ovvero la sua predestinazione, è connessa con il su o amore ( 5 ,2 ) . Il comprendere che Dio li ama e li ha scelti fa di loro persone nuove (4,24) all'altezza di nuovi compiti. 5· Questo versetto e il seguente ampliano il pensiero espresso al v. 4, e l'elezione vi è considerata come una predestinazione all'adozione.
Si discute se Èv àya7t"(l 1 graviti su quanto precede o su quanto segue. Questi sono i motivi per cui è stato collegato al v. 4: a) è associato a quanto precede in 4,2. 1 5 . 1 6; 5,2; b) in Efesini àya7t'"IJ denota di consueto l'amore umano ( 1 , 1 5 ; 3 , 1 8; 4,2. 1 5 . 1 6; 5,2; 6,23 ); c) Paolo parla raramente dell'amore d i Dio; d ) an che rifiutandone il senso umano, l'espressione potrebbe comunque essere col legata al v. 4 e associata a È�EÀÉ�1uo (Dio elegge a motivo del suo amore) o a 1tpoopiarx> (Lyall, op. cit., 8 3 ). Egli si trovava ora sotto l'autorità del nuovo padre e doveva render conto a lui soltanto; ma poteva anche diventare suo erede, I Epict. Diss. I , } ,:t afferma che è un grande onore essere figlio di Dio, ma per lui tutti sono figli di Dio (cf. Atti I 7 ,2.8 ), e non soltanto il gruppo circoscritto dei credenti. z. V. W.H. Rossell, New Testament Adoption - Graeco-Roman or Semitic?: JBL 71 ( 1 9 5 1) 1 3 3 -134; M.W. Schoenberg, St Pau/' Notion of the Adoptive Sonship o( Christians: Thomist :t8 ( 1 964) p-75; S. Drago, La nostra adozione a figli di Dio in Ef. 1,5: RivBibl 19 ( 1 9 7 1 ) :t03 -:t19; J.I. Cook, The Concept of Adoption in the Theology of Pau/, in Id. (ed.), Saved by Hope (Fs Richard C. Ouders luys), Grand Rapids 1978, 1 3 3 - 1 44; F. Lyall, Slaves, Citizens, Sons. Lega/ Metaphors in the Epistles, Grand Rapids 1 9 84, 67-99; B. Byme, Sons of God - Seed of Abraham (AnBib 8 3 ), Roma 1 979; J.M. Scott, Adoption as Sons of God (WUNT :t• s. 4 8 ), Tiibingen 1 991; T.J. Burke, The Characteristics of Pau/'s Adoptive Sonship (huiothesia) Moti(: IrishBS I 7 ( 1 9 9 5) 61-7 4·
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come solitamente accadeva ( 1 , 1 1 ) . Si tratta ovviamente di un termine orien tato in senso maschile, per cui vi erano alternative (ad esempio 7tcxtòcx 7tot Eta-8-cxt) prive di tale orientamento, la responsabilità del quale, in ogni caso, se il termine è stato scelto in precedenza da Paolo, non si potrebbe ascrive re all'autore di Efesini. Poiché questi si serve del concetto di adozione metaforicamente, occorre guardarsi dall'insistervi troppo sopra. Non c'è una contrapposizione con i «figli dell'ira >> ( 2,3 ) e non se ne può dedurre alcunché sulla è qualificato da . Ciò potrebbe indicare Cristo come strumento della redenzio ne, ma poiché tale concetto è espresso mediante la menzione del sangue, è più probabile che la locuzione significhi l'inclusione in lui: i credenti con seguono la redenzione vivendo in comunione con Cristo. Si ha qui un pas saggio temporaneo del verbo alla prima persona plurale, mentre altrove nei vv. 3 - 1 0 il soggetto dei verbi è Dio. Il verbo è inoltre al presente/ in contrasto con la prevalenza di aoristi. Il tempo presente implica che la re denzione e il perdono sono beni presenti, idea in sintonia con l'accento po sto dall'autore di Efesini sulla natura attuale della salvezza (v. intr. 6.4.4).
Il v. 7a è simile a Co/. 1 , 1 4 ma con due differenze: l'aggiunta della menzione del sangue, che, secondo Mitton, Epistle, 28 1 , l'autore di Efesini potrebbe ave re tratto da Col. 1 ,20, e la sostituzione di 7tcxpcx7t'tw!J.a'twv ad cX!J.CXp'ttwv. È co mune a entrambi i luoghi la presenza della redenzione e del perdono, nonché di Cristo, anche se in questo caso ci si esprime in termini lievemente diversi ( «figlio del suo amore » in Co/. 1 , 1 3b, > in Ef. 1 ,6). La connessione del con la salvezza comparve presto nella tradizione cristiana (Mt.
Cf. G. Vermes, Scripture and Tradition in Judaism, Leiden I 9 6 I , 194 ss. L'è:crx.op.tv di �e• o• q· I 04 I 505 pc co; Ir1•• P' è la lezione più debole: essa colloca la redenzione e il perdono del peccato nel passato, presumibilmente al momento della conversione/battesimo. I
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26,28; Rom. 3 , 2 5 ; 5,9; I Cor. 1 0, 1 6; 1 1 ,2 5 . 27); l'autore di Efesini la stabilisce anche in 2, 1 3 ; non è dunque necessario scorgere qui l'influenza di Col. 1,20, che in ogni caso è parte di un inno tradizionale che l'autore di Efesini può aver conosciuto indipendentemente da Colossesi. L'elemento essenziale che Efesini condivide con Col. 1 , 1 4 è Èv ci> EXO!J.EV 't�v à7toÀu'tpwatv, 't�v èitpe:atv. à7toÀU 'tpwatç e èitpe:atç erano vocaboli ricorrenti nel cristianesimo primitivo; Èv cj) co stituiva un nesso necessario sia in Efesini sia in Colossesi, giacché il contesto era cristologico. Dato che l'autore di Efesini altrove usa il termine &!J.ap'tta (2,1 ), è difficile capire perché qui dovesse sostituirlo con 7tapcl7t'tW(la. La mor te di Cristo fu posta in relazione col peccato in un momento assai precoce del la chiesa, considerato che si riscontra all'interno di materiale prepaolino (ad es. I Cor. 1 5,3; Rom. 3 ,24 s.; in questo secondo passo compaiono sia ). È dunque più facile immaginare che l'autore di Efesini abbia costruito l'espressione a partire da una terminologia comune con la qua le tanto lui quanto l'autore di Colossesi avevano familiarità, anziché supporre che copiasse da Colossesi. IÌ7toÀu'tpwatç è usato in due accezioni: 1 a) nel senso di rilascio, ad esempio di un prigioniero, con pagamento di un riscatto; b) nel senso di liberazione in generale. Pur non essendo frequente nel greco non biblico, il termine di norma ha il significato a, conferitogli dalla sua radice fondamentale. Se si guarda al greco biblico, il quadro cambia. Data l'influenza del contesto e l'ebraico sog giacente, Àu'tpouv e le voci corradicali hanno di regola il significato b, benché vi siano possibili eccezioni, come Mc. 10,4 5; I Pt. 1 , 1 8 . Il composto con à1t6, incluse le forme corradicali, nell'A.T. ricorre solo tre volte, di cui due (So(. 3 , 1 ; Dan. 4,34 LXX) nell'accezione b e una (Es. 2 1 , 8 ) nell'accezione a . Alla luce di questo impiego gli scrittori neotestamentari erano liberi di adottarle entrambe. A prescindere da Efesini e Colossesi, sembrano aver preferito la b, benché Rom. 3 ,24 possa costituire un'eccezione. L'uso generale peraltro, quan do è poco frequente, non può determinare da solo il significato del termine in esempi particolari. Ciascun caso dev'essere esaminato a sé. Non c'è nulla in Col. 1 , 1 4 o nelle altre due occorrenze di Efesini ( 1 , 14; 4,20) che indichi il pa gamento di un riscatto. E tuttavia, non è possibile che esso sia rappresentato dal «sangue >> di 1,7 (così molti commentatori, da Origene in poi)? Quando l'autore menziona il sangue (assente in Col. 1 , 14), non intende forse presenta re la morte di Cristo quale prezzo pagato per la redenzione dei credenti ? In tal caso, sarebbe stato normale usare il genitivo di prezzo e omettere òtci. Il com portamento diverso dell'autore giustifica il rifiuto di questa interpretazione e l'assunzione del significato b, il che evidentemente non vuoi dire che l'idea di riscatto non sia presente altrove nel N.T. (ad es. I Pt. 1 , 1 8 ) . S e l'a utore di Efesini ha utilizzato qui IÌ7toÀu'tpwatç senza pensare al paga mento di un riscatto, non significa che i suoi lettori abbiano inteso il termi' Cf. L. Morris, The Apostolic Preaching of the Cross, London 1 9 5 5, 9 ss.; D. Hill, Greek Words and Hebrew Meanings (SNTSMS 5 ), Cambridge 1967, 49 ss.; K. Kenelge, in EDNT 1, 1 3 8-140; G. Friedrich, Die Verkiindigung des Todes Jesu im Neuen Testament, Neukirchen/VIuyn 1982, 82-86.
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ne in tal senso. Se erano abituati a collegare il vocabolo a un prezzo da pa gare e se erano cristiani da poco tempo e non avevano colto la peculiare in terpretazione giudaica del termine, è possibile che abbiano pensato al «san gue>> come al riscatto da pagare per la loro redenzione. Quanti erano cri stiani da più tempo e avevano avuto modo di conoscere meglio l'A.T. sa ranno passati gradualmente da questa interpretazione a quella che vede in 1Ì1toÀu-rpwcnc; un vocabolo che indica la liberazione senza implicare l'idea di pagamento. La seconda espressione del v. 7, che riguarda il perdono ' dei peccati, è parallela alla prima e può fungere da sua spiegazione, come in Col. I , I 4 «il perdono dei peccati >> chiarisce il significato di . È possibile che gli eretici di Colossi avessero una loro concezione della liberazione e la considerassero anzitutto liberazione dalle potenze (Abbott; Gnilka a Col. I , I4), idea che l'autore di Colossesi contesta chiamando in causa il perdo no, ma non ci sono motivi per ritenere che usando la medesima espressio ne l'autore di Efesini intenda opporsi a una falsa credenza di tal genere. Prima della loro conversione i credenti erano morti in colpe e peccati ( 2, I ); ora sono liberati. L'uso di «colpe >> e non di da parte dell'autore non è significativo (cf. Best, Dead); a quanto pare egli ama il secondo ter mine (cf. 2, I . 5 ); per il significato di entrambi si veda a 2, I . Il contenuto della > non è peraltro definito compiutamente dal , come si può constatare da I , J 4; 4,30. Paolo usa raramente il termine &cpe atc;, caro invece a Luca (Atti 2,3 8; 5,3 I ; I 0,4 3 ; I 3 ,38; 26, I 8 ; Le. I ,77; I?, 3 s.; 24,47), che lo correla al pentimento e all'inizio della vita cristiana (cf. Mc. I,4 ) . Qui non viene stabilita la connessione col pentimento, che sareb be inopportuna all'interno di una sezione incentrata sull'iniziativa di Dio. Può sembrare che il perdono riguardi solo il passato mediante la rimozione della colpa, ma tale rimozione consente a chi è liberato di vivere una vita nuova sgravata dal peso del passato. Può darsi che l'autore di Efesini ab bia preferito la parola «perdono >> al linguaggio paolina della giustificazio ne, ritenendo il vocabolo più facilmente comprensibile a lettori greci. Se non indica il riscatto pagato, che cosa significa? z. Il vocabo lo è entrato nell'uso cristiano prima di Paolo (Rom. 3 ,25 ) e, benché egli non lo impieghi regolarmente (Rom. 5,9), a prescindere dai riferimenti all'eu caristia (che qui non è il caso di scorgere), il suo utilizzo si fece gradual mente più esteso ( Col. I,2o; E(. I,?; 2,I 3 ; I Pt. I ,2; I Cv. I ,?; 5,6-8 ), so prattutto in Ebrei. Esso comporta sempre un'allusione alla morte di Cristo, 1
Cf. V. Taylor, Forgiveness and Reconciliation, London 1941, 1 ss.; R. Bultmann, in lWNT I, 506 ss. Cf. H.W. Robinson, in ERE n, 714-719; W.D. Davies, Pau/ and Rabbinic Judaism, London 1948, >.p ss.; J. Behm, in TWNT I, 171-175; J.H. Waszink, in RAC n, 459-473; H. Weissemann - O. 110-
1.
cher, in TRE VI, 71.7-736; O. Bòcher, in EDNT I, 3 7-39; F. Laubach, in NIDNTT I, 1.1.o-1.2.4.
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ma è improbabile si limiti a connotarla come cruenta e violenta. Nella mag gior parte delle culture il termine contiene sfumature relative a potere, con taminazione, purificazione ecc. (per es. I Re 22,3 8, il tauro boli o, il bere sangue, il sangue mestruale), e in particolare è collegato al sacrificio. Meu zelaar, reo, suggerisce invero la possibilità che la sua introduzione qui sia stata influenzata dai precedenti a')'tOuç xcxt &.(J.W(J.OU> di questa grazia 1 è inesauribile e illimitata. 2 è uno dei termini preferiti dall'autore di Efesini ( r, r 8; 2,7; 3 ,8 . 1 6; sul genere di 7tÀou'toc:; v. BDR, § p .2; Robertson, 261 s.). Può darsi fosse un vocabolo in uso nella scuola paolina, poiché anche l'autore di Colossesi se ne serve ( r , 27; 2,2). Non è frequente i n Paolo (solo sei occorrenze) . Gli scritti d i Qum ran sottolineano l'abbondanza della misericordia e della grazia di Dio ( r QS 4,3 - 5 ; r QH 4,3 2; 7,27; n,28; 1 2, 1 4; r 8, 14; fr. 2,5; cf. Deichgraber, 74). Non solo Dio libera tramite la sua grazia, ma coloro che sono liberati so no in grado di lodarlo per tale grazia e per la profondità della sua compas sione. La loro liberazione non è il risultato della loro iniziativa, bensì di quella di Dio. Ogni esistenza cristiana principia e termina nella grazia.
8. In quanto ricco di grazia, Dio l'ha concessa (�c:;, al genitivo per attra zione, è l'oggetto del verbo) in abbondanza a tutti i credenti; 7tEptaaeU€tv, 1
La v./. XPlJI1":MlJ":O> è riferito abitualmente a Dio ( «onnipotente>> , «onni sciente>> ; cf. I Clem. 3 5, 3 : «tutto santo>> ; 5 5,6: «che tutto vede>> ). La logi ca rigorosa può non essere in questo caso la guida migliore. Se 8b si con nette a Sa, è difficile seguire il corso del pensiero. Che cosa abbonda nella grazia ? Il significato dev'essere che la grazia abbonda in forma di sapienza e prudenza, ma tale interpretazione legge nelle parole più di quanto effetti vamente vi sia e sposta repentinamente l'attività della grazia dalla liberazio ne al conferimento della sapienza. �ç è l'oggetto del verbo e non serve nul l'altro per completarlo (Gnilka ). Da ultimo, parole attinenti alla sapienza si accordano bene con un termine che indica il render noto un mistero (v. 9). «Chi manifesta (un mistero) seleziona sapientemente il proprio uditorio e sceglie con prudenza il tempo, il luogo e il metodo opportuni per le pro· prie rivelazioni >> (Eadie). In tal caso, pare più saggio associare la menzione della sapienza al v. 9 e considerarla relativa alla sapienza di Dio. Qualun· que cosa Dio compia, la compie con sapienza e discernimento. Nonostante
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nel giudaismo si fosse molto speculato intorno alla sapienza ed essa fosse talora considerata un'ipostasi preesistente, questo aspetto è qui assente (v. inoltre a 1 , 1 7 e 3 ,10).
9· Mitton avanza l'ipotesi che nei vv . 8b.9a l'autore d i Efesini abbia com binato Col. 3 , 1 6; 1 ,9.28 - tutti versetti che contengono la locuzione i:v 1taa11 aotpiq. - con il concetto del rendere nota la sapienza presente in Col. 1 ,27. Ma Èv 1taa11 aotp iq. è espressione frequente nei LXX ( Giob. 26,3; 'l' 106,27; Sir. r , r ; 37,2 1 ; Dan. 1 ,4. 1 7 ) e figura nel N.T. in Atti 7,22. L'autore di Efesini po trebbe averla adottata indipendentemente. È vero che in Co/. r ,27 si leggono termini analoghi a Ef. 1 ,9a, ma in Col. 1 ,27 essi non ricorrono insieme come in Ef. r ,9a. L'autore di Efesini ripete l'espressione in 3 · 3 · 5 • il che fa capire che si tratta di una locuzione per lui spontanea e non presa a prestito. yvwpi�w I è usato regolarmente in relazione al tema della rivelazione (Rom. 1 6,26; Ef. 3 , 3 · 5 · 10; Col. 1 , 2 7 ) e associato al disvelamento di miste ri. Benché possa essere segno della grazia di Dio rivelare i suoi misteri, qui il participio non dipende da È'X,1Xph·wae:v o da È7te:piaae:uae:v per indicare un secondo elemento nella grazia di Dio, ma rappresenta un nuovo passaggio nell'eulogia. I credenti, predestinati e già in possesso della loro liberazione, sono ora informati sul segreto che concerne il destino ultimo del cosmo. Tale conoscenza è comunicata a tutti i credenti e non è riservata a Paolo o agl i apostoli (così Tommaso), qualunque sia il significato corretto delle ri velazioni di 3 , 3 - 5 - Anche lì si presuppone che gli apostoli e profeti non ab biano tenuto per sé la comprensione del mistero che hanno ricevuto, ma l'abbiano resa nota a tutti i credenti. L'uso del termine «mistero>> nel N.T. è stato fatto risalire z. alle religioni miste riche o, più in generale, allo gnosticismo. Ma anche se questi furono i primi ambiti di utilizzo, ben prima del periodo qui considerato il suo impiego si era già ampiamente esteso in senso metaforico ad altri settori, come quello filosoLa lezione yvwp1acu è debolmente attestata - F G (latt) - e può essere ignorata. V. G. Bornkamm, in TWNT IV, 809-834; A. BOhlig, Mysterion und Wahrheit: Wissenschaftliche ZeiiSChrift der Universitiit Halle 4 ( 1 9 5 5 ) 361-3 74; K. Prumm, Zur Phiinomenologie des paulini schen Mysterion und dessen seelischer Aufnahme. Eine Obersicht: Bib 3 7 (1956) 1 3 5·161; K.G. Kuhn, 3 3 6; B. Rigaux, Révélation des Mystères et Perfection à Qumrlin et dans le N. T. : NTS 4 (I95 7-1 958) 23 7-262; J. Coppens, Le •mystère• dans la théologie paulinienne et ses parallèles qum raniens, in A. Descamps (ed.), Littérature et théologie pauliniennes, Bruges 1960, 142-165; L. Cer faux, Le Chrétien dans la théologie Paulinienne (LD 3 3 ), Paris 1961, 43 3-49 1; Id., L 'influence des •mystères• sur /es épitres de S. Pau/ aux Colossiens et aux Éphésiens, in Recueil Cerfaux m (BETL I 8 ), Gembloux 1 962, 279-z.85; R.E. Brown, The Semitic Background of the Term Mystery in the New Testament, Philadelphia 1968; Barth, Il.3-Il.7; Caragounis, passim; R. Penna, Il •Mysterion• paoli no, Brescia 1 978; A.E. Harvey, The Use of Mystery Language in the Bible: ]TS 3 1 ( 1980) 3 20-3 36; Bouttier, z.88-293; K.J. Cari, Mysterion in the New Testament: Bangolore Theological Forum I 6 ( 1 9 84) 1 1 9-139; Reynier, passim; M.N.A. Bockmuehl, Revelation and Mystery (WUNT 2• s. 56), Tiibingen 1 990. I
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fico. D'altronde i paralleli con l'uso neotestamentario individuati nel pensiero non biblico non sono affatto precisi come quelli riscontrati nell'A.T. e nel giu daismo. p.ua-r�pwv ricorre nelle traduzioni greche di Daniele quale resa dell'ara maico rz a proposito di segreti un tempo nascosti e ora rivelati. I testi di Qum ran forniscono ulteriori attestazioni a sostegno della tesi che il termine sia pe netrato nel cristianesimo direttamente dal suo retroterra giudaico. Caragounis singolarmente tiene ferma la presenza di un retroterra giudaico, ma trova po co a Qumran in appoggio del modo in cui l'autore di Efesini adopera il termi ne. Non vi è peraltro bisogno di esprimere una valutazione sulle asserzioni contrastanti che vogliono in Qumran o nel giudaismo apocalittico le fonti del termine, poiché l'uso che ne fa l'autore di Efesini dipende da quello cristiano precedente in Paolo e contemporaneo nei Colossesi. f: presente inoltre nel giu daismo e nel cristianesimo, ma anche in numerose altre religioni, l'idea di un Dio le cui vie sono imperscrutabili. Se dev'essere conosciuto e il suo mondo dev'essere pienamente compreso, egli deve disvelarsi; perciò il termine è asso ciato spesso a voci che indicano la rivelazione ( 1 ,9; 3 , 3 - 5 .9 s.; 6, 1 9 ; L Co r. 2, 6- 10; Rom. 1 6,25-27; Col. 1 ,26 s.; 4.3 s.). I credenti non hanno risolto il «mi stero>> da soli, né ne hanno decifrato il contenuto mediante la riflessione ra zionale. Inaccessibile alla ragione umana, il «segreto » è stato reso noto tramite l'iniziativa divina, di cui talora lo Spirito è definito l'agente ( I Co r. 2,6- 10}. In genere c'è anche un agente umano (ad esempio Daniele, Enoc, Paolo, i profeti, gli apostoli). Il «mistero» è rimasto nascosto per lungo tempo in Dio prima della sua rivelazione (I Cor. 2,7; Ef. 3 ,9; Rom. 1 6, 2 5 ) . A essere resa nota nel mistero può essere l'interpretazione d i u n sogno o di una visione (ad es. Dan. 2,1 9 ), la descrizione di come e quando arriverà la fine (Dan. 2 ,2 7 - 2 9 ; 2 Bar. 8 5 ,8 s s . ; 1 QpHab 7, 1 - 5 ), il disvelamento del la struttura divina del cosmo ( I Hen. 7 1 ,4; 2 Bar. 48,2 s.), la spiegazione dell'agire divino nelle faccende umane ( I Hen. 63,3; 1 QM 14,14; 1 QH 9, 23 s. ), oppure, al di fuori del giudaismo, nelle religioni misteriche, la cono scenza delle cerimonie e del rituale che conduce alla salvezza (cf. anche 1 QS 9, 1 8 s.). Ovviamente, il termine può essere usato anche in senso non religioso (Tob. 1 2,7. I I ; Gdt. 2,2). Le informazioni disponibili sulle reli gioni misteriche non sono molte, perché le loro pratiche e credenze erano effettivamente tenute segrete, ma nel complesso all'interno del giudaismo e del cristianesimo primitivo il contenuto della rivelazione non riguardava principalmente la natura di Dio (per esempio che egli ama oppure è geloso), o una cristologia antologica ( al v. 9 può anche es sere stato influenzato dalle connotazioni escatologiche che esso ha nel giu daismo, poiché il v. IO ha sapore escatologico. Ma perché in definitiva l'au tore di Efesini è ricorso a questo termine ? Il pensiero scorrerebbe altrettan to fluido anche senza: (lo stesso va le per 6, I9, dove sarebbe strettamente richiesto solo > e, vista la predilezione dell'autore per l'accumulo di sinoniI Per il rermine v. Dion, art. cit., 1 9-23 . tv aù-r / per introdurre il termine ci si dovrebbe aspettare xa'ta anziché elç. L'obiezione che xa'ta non suonerebbe bene dopo essere stato usato al v. 9 è assai poco convincente. Se il senso è quello di «piano >> , inoltre, tale piano consisterebbe nel ricapitolare tutto « in Cristo >> , ma l'autore ha già trattato questo aspetto ricorrendo al termine (LUO''t�ptov. Si accoglie pertanto l'ac cezione attiva assegnando a elç valore finale: «in vista del compimento del la pienezza dei tempi » . Si può altresì ritenere che se Dio amministra, lo fa secondo il proprio recondito piano, piano che include la scelta e la reden zione dei credenti (vv. 4-7) nonché la ricapitolazione del Tutto. 'tou 7tÀlJpW(LIX'toç (per il termine v. a 1,23; qui non è usato nella sua ac cezione teologica tecnica ) 'twv xatpwv non è la stessa formulazione di Gal. 4,4 e qui non presenta alcun riferimento all'incarnazione. «l tempi >> posso no essere o gli eventi che accadono nel tempo (Schlier), oppure i periodi di tempo che insieme costituiscono il tempo (così quasi tutti i commentatori). Tali periodi possono essere a loro volta i giorni, i mesi, gli anni nei quali il tempo è suddiviso (Haupt) o, più probabilmente, i periodi menzionati ne gli scritti apocalittici (Gnilka, Schnackenburg; cf. Tob. 14,5; 2 Esd. 4,3 7; 2 Bar. 14, 1 ; 2o,6; 40, 3 ; 8 1 ,4; 1 QpHab 7,2. 1 3 s.). In questo senso i «tempi >> non si possono propriamente distinguere dagli eventi che dovranno acca dere prima della fine. Diversamente dagli scritti apocalittici, la lettera agli Efesini non dice nulla su tali eventi. La loro pienezza indica un completa mento (cf. Lindemann, Aufhebung, 9 5 ), o un punto finale del tempo che sarà identico alla ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. È nella pienezza dei tempi che il tempo consegue il suo significato (Asmussen). Il v. I Ob riprende e dischiude il contenuto del mistero che è stato cono sciuto (9a): tale disvelamento costituisce il vertice verso il quale l'eulogia è stata progressivamente costruita. 2 Non c'è motivo di sospettare, con Barth, che l'autore di Efesini ricorra qui a una citazione. Le ragioni stilistiche ad dotte sono insufficienti. Il V. I Ob s'inserisce nel corso dell'argomentazione là dove si richiede un'identificazione del mistero in modo così appropriato che, anche supponendo che l'autore stia citando, ciò che cita non può esse re discorde da quanto intende dire. Chi o che cosa include 'tà 1taV'ta? In 3 ,9 il termine indica l'intera crea zione (v. 3 ,9 ed excursus I , > ; le realtà celesti non comprendono solo gli angeli, ma an che le potenze maligne, e quelle terrene includono gli increduli.
&:viXXE!piXÀIXwua.SIXt I è stato inteso in una serie di modi differenti, in base al senso dato ad &:va e a seconda che lo si consideri composto di xeipaÀIXtov o di XE!piXÀ�. Le attestazioni del suo uso indipendenti da questo versetto sono esi gue. I dati disponibili indicano che poteva essere utilizzato in relazione al sommare un insieme di cifre e, impiego più importante, al condurre a termine un'argomentazione mediante la ripetizione sommaria dei suoi punti o capi principali (i XE!paÀIXtiX). Non si ripete l'intera argomentazione, sicché il voca bolo non ha propriamente il senso di una ripetizione o ricapitolazione comple ta, benché questo valore possa subentrare qualora ad &:va venga attribuito il significato di «nuovamente » : entro una certa misura un sommario comporta sempre un elemento di ripetizione. Nel greco ellenistico, tuttavia, le preposi zioni all'interno dei composti non sempre conservano tutto il loro peso seman tico, ma sovente si limitano a indicare un'intensificazione del concetto conte nuto nella radice. Il senso del compendiare è chiaramente riconoscibile in Rom. 1 3 ,9; quello di ripetizione compare nel Protevange/o di Giacomo, 1 3 , 1 ; quello di ricapitolazione è un'idea centrale in Ireneo (v. Lawson, Dufort, McHugh). Nei Padri latini predomina il significato di restaurazione o rinnovamento. Que st'ultima interpretazione dice però solamente quale tra le varie accezioni possi bili sia stata assegnata al termine nel v. 10 da alcuni Padri e contribuisce poco a indicare quella voluta dall'autore di Efesini. Qualunque significato si adotti per la parola in r , r o, dovrà essere consono con l'insegnamento generale del l'autore. Le locuzioni 'ti% 1taV'tiX e 'ti% È1tÌ 'toi:c; oÙpiXvoic; XIXÌ 'ti% È1tÌ 'tlJ> (ad es. 1 , 3 . 20), o che abbia agito l'influenza del testo di Colossesi. I Sul termine v. J. Lawson, The Biblica/ Theology of Saint lrenaeus, London 1948, 140-1 98; Han san, 1 23-r z.6; Schlier, in lWNT m, 68 1 s.; W. Staerck, in RAC 1, 4 r r -4r4; Roels, 60-76; du Plessis, 63-69; Usami, 1 1 2-r z.4; J.-M. Dufon, La récapitulation paulinienne dans l'erégèse des Pères: ScEc 12 ( 1960) 21-38; ]. McHugh, A Reconsideration o{ Ephesians 1 . 1 ob in the Light of lrenaeus, in M.D. Hooker - S.G. Wilson (edd.), Pau/ and Paulinism (Fs C.K. Barrett), London 1982, 302-309; Schnak kenburg, 3 1 5-3 1 8; P.J. Hartin, 'AviXXE come in Co/. 1 ,20. 2. Se nel termine si ravvisa il senso di rinnovamen to o restaurazione, 3 si presuppone che sia ricreata o rinnovata una situa zione originaria, il che implica a sua volta che una situazione (o perfezio ne?) originaria debba essere stata distrutta. Concetti siffatti si trovano in Paolo (Cristo come secondo Adamo, la nuova creazione in Cristo) e si de vono pertanto reputare possibili nell'autore di Efesini, benché egli non li richiami esplicitamente altrove. Sebbene nell'epistola non si riscontri l'insi stenza gnostica su un mondo materiale decaduto, numerosi sono gli ele menti che denunciano una mancanza di armonia nel mondo esistente: giu dei e gentili devono essere riconciliati tra loro; il peccato umano richiede il perdono; le potenze sono attivamente ostili all'umanità. D'altro canto, nel l'uso contemporaneo del termine poco vi lascia intravedere le idee di rin novamento o restaurazione, che comportano entrambe ben più che una ri petizione. Se è presente, la nozione di ripetizione si deve far risalire al l'accezione retorica del vocabolo, indicante un riepilogo finale che ripete le idee principali di un'argomentazione. McHugh, art. cit., prospetta a tal proposito una soluzione complessa e inge gnosa, ricavata da Ireneo, secondo cui Cristo . Si conserva così il valore retorico del verbo, fuorché per la posizione dell'intestazione, di norma all'inizio di un'argomentazione e non alla fine. Hanson, I 27 s. (cf. Gibbs, r 2o), parla di Cristo come del «rappresentante >> del mondo, ma il termine è impreciso. I rappresentanti sono di solito designati da chi ne è rappresentato, mentre il cosmo non ha assegnato a Cristo una posizione; nel concetto è inoltre del tutto assente l'idea di «ricapitolazione>> . Questa, dal canto suo, pur includendo la no zione di creazione dell'unità (Salmond; Steinmetz, 79), va anche al di là. In che senso Cristo può essere la «ricapitolazione >> dell'universo? Forse nel senso in cui il progetto dell'architetto ricapitola ciò che si costruisce; la for ma di quel che viene alla luce è tanto ricapitolata nel progetto quanto da esso determinata. I primi cristiani giunsero gradualmente a interessarsi del rapporto di Cri sto col cosmo e ne riconobbero l'importanza in ambiti che trascendono il semplice perdono dei peccati. La natura cosmica del pensiero veterotesta mentario iniziò a manifestarsi in brani quali Is. I I ,6-9 ed Ez. 34,25-27 e si fece più esplicita nel motivo di un cielo nuovo e di una terra nuova (ls. 65,I7; 66,22). Alla luce di questo i cristiani hanno iniziato a collegare Cri sto sia alla creazione ( Gv. I , 3 ; I Cor. 8,6; Col. I , I 5- I 7; Ebr. I ,2 ) sia alla fine. R om . 8,I9-23 non fa espressamente questo secondo collegamento, che è però contenuto nel contesto; esso diviene esplicito in I Cor. I 5 ,20-28; Fil. 2,9- I I ; Col. I ,2o; Ef. I , I o, benché in ciascun caso in modo diverso. Al v. IO «in Cristo >> (v. excursus 2, «In Cristo >> ) può significare che Cristo com pie la ricapitolazione, ma più probabilmente che tutto confluisce in lui: ciò che è diviso trova unità in lui. Il senso del cosmo è reso noto in lui. È pos sibile che la natura cosmica della fede cristiana sia stata apprezzata dai gen tili in quanto riecheggiava l'idea di una futura età dell'oro (Verg. Ecl. 4,4Io; Ovid. Metam. I ,84 ss.; Horat. Epod. I 6). Per quanto riguarda il cri stianesimo primitivo, si deve riconoscere che nelle Scritture c'è anche una corrente, più ampiamente documentata, secondo cui parte della creazione è destinata alla fine a restare al di fuori dell'amore e della cura di Dio e di Cristo, riconoscendone forse la sovranità ma senza essere disposta a dimo-
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strare spontaneamente fedeltà. Là dove si afferma questa visione, l'accento è posto sulla sconfitta del male e non sulla sua ricapitolazione in Cristo. Si
deve accettare l'esistenza di entrambe le correnti, ma occorre domandarsi quale rappresenti più da vicino la tendenza centrale del N.T. Sembra sia Ef. 1 , 1 0. Ma è corretto parlare di un futuro nel quale il ma.ndo sarà ricapitolato in Cristo? Il verbo è un infinito aoristo, che ha propriamente valore atem porale, sicché non è necessario considerarlo (cf. Roels, 70) riferito all'even to passato della morte di Cristo come se riprendesse il v. 7· In quanto infi nito aoristo, potrebbe rinviare al futuro, ma sono numerosi gli elementi in Efesini che prospettano quello che si definirebbe futuro come già presente. In 1 ,20-23 Cristo tiene già le potenze in stato di soggezione; in 2,6 i cre denti siedono già con lui nei cieli. Non è dunque in contrasto con tali passi l'affermazione che l'universo è (cf. Lindemann, 96-99 ), e non sarà, ricapito lato in Cristo. La consumazione del Tutto è un evento che si pone al di fuori dei normali parametri temporali, proprio come la scelta e predestina zione dei credenti (vv. 4 s. ) . Il cosmo è ricapitolato «nel Cristo >> . Qual è i l significato dell'articolo ? I L'autore di Efesini premette l'articolo a > più spesso di quanto av venga in qualsiasi altro scritto della scuola paolina. Lo usa nella locuzione «nel Cristo>> in 1 , 1 0 . 1 2.20 e, al di fuori di questa espressione, in 2,5 . 1 3 ; 3 , 4. 8 . n . 1 9; 4,7. 1 2. 1 3 .20; 5,2. 5 . 14.23 . 24. 2 5 . 29; 6,5 . Molti d i questi casi ri entrano nella norma, come esempi dell'impiego dell'articolo col genitivo per la sua presenza nel sostantivo reggente. Ma anche prescindendo da que sti, resta rilevante il numero di allontanamenti dall'uso paolina consueto. Nelle epistole paoline autentiche l'articolo è utilizzato solo quattro volte con il dativo semplice, quattro con l'accusativo semplice, sette con il nomi nativo, di contro, rispettivamente, a tre, due, cinque casi in Efesini. La lo cuzione « in Cristo GesÙ >> in Paolo ricorre regolarmente, ma l'autore di Efesini talvolta tralascia «GesÙ » e usa l'articolo. Qui si è palesemente di fronte a un problema. Si sostiene in genere che nella chiesa primitiva «Cri sto>> cessò presto di essere un titolo e divenne un nome. L'impiego dell'ar ticolo nell'autore di Efesini induce a ritenere che egli fosse consapevole del carattere di titolo di . Ma perché avrebbe dovuto riesumare que sto valore? In nessuno dei passi in cui compare sembra aggiungere alcun ché al senso. 1 , 1 0 non acquista nulla dal richiamo ai lettori dell'idea della I V. Kramer, Christ, Lord, Son of God, 2.03 ss.; Overfield, 2.89 ss.; M. Hengel, Between ]esus and Pau/, London 1 9 8 3 , 65-77; N.A. Dahl, The Messiahship of ]esus in Pau/, nel suo ]esus the Christ, Minneapolis 199 1 , 1 5 -2.5. Per il retroterra del termine • messia » v. M. Karrer, Der Gesalbte (FRLANT 1 5 1 ), GOttingen 1 990; A. Chester, Jewish Messianic Expectations and Mediatorial Figures in Pauline Christology, in M. Hengel - U. Heckel (edd.), Paulus und das antike ]udentum (WUNT 5 8 ), Tiibingen 1 9 9 1 , 1 7-89.
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messianicità di Cristo, poiché sono pochi nella speculazione messianica giu daica gli elementi che propongono un collegamento del messia con la con sumazione del cosmo, distinto dalla sua posizione rispetto alla salvezza di Israele. Può darsi che l'autore di Efesini abbia semplicemente deciso di por re in rilievo l'aspetto giudaico di Gesù. In 2, I I ss., dove si preoccupa del rapporto tra giudei e gentili, egli indica la precedente superiorità della po sizione dei giudei nell'opera di Dio. Forse gli etnicocristiani correvano il ri schio di dimenticare troppo facilmente tale priorità. Il sottile richiamo al va lore di titolo dell'appellativo « Cristo >> probabilmente intende ricordare lo ro l'origine giudaica della loro fede. D'altro canto, quando ci si aspettereb be l'impiego dell'articolo perché l'autore sta parlando di credenze giudai che, esso è assente ( 2, I I ), benché compaia in 2, 1 2. Anche in passi come 4, I 5 e 5,3 2 si sarebbe potuta prevedere la presenza dell'articolo, visto che è impiegato con xe:cpcxÀ� e con ÈxxÀlJatcx. L'uso dell'articolo davanti a « Cri sto >> nell'autore di Efesini sembra dunque del tutto casuale e non è il caso di attribuirgli un significato particolare. I I . Sebbene appaia ridondante, Èv cxù-r� alla fine del v. IO getta un pon te verso la fase successiva dell'eulogia, in cui l'attenzione torna dalle bene dizioni cosmiche a quelle concesse più direttamente ai credenti. I due gene ri di benedizioni sono collegati tra loro mediante l'introduzione di un ele mento più escatologico in relazione ai credenti. Se il v. Io era il venice al quale si è saliti passando per i vv. 3 - 1 0, si ha ora l'impressione di discen derne, e tuttavia così non è, poiché inizia l'ascesa verso una nuova vetta. Ma si può dire che il passaggio alla prima persona plurale, che avviene qui, segnali il focalizzarsi dell'attenzione esclusivamente su alcuni credenti e non più su tutti ? I Una prima plurale si può interpretare in vari modi. «noi e voi » , «noi in contrasto con voi >> , «noi, il mio gruppo particolare>> (per esempio se in I , I s. s'è fatta menzione di più autori), o il «noi >> del l'autore. È il contesto a definirne il significato preciso in ciascuna occasio ne. xcx1 determina il verbo e non incide sull'identificazione del suo sogget to: in aggiunta ad altri doni riceviamo un'eredità. La larga maggioranza dei commentatori restringe le alternative ai creden ti giudei e a tutti i credenti. Molti, da Pelagio in poi (come Abbott, Beare, Banh, Hugedé), pensano che la prima persona plurale, ripresa dal v. 3, ove indicava tutti i credenti, ora muti il proprio referente e si applichi sol tanto ai giudeocristiani. I motivi di tale interpretazione sono i seguenti: 1 . il passaggio dal «noi » al > (v. 1 2) rimanda esplicitamente al messia giudaico (Barth, Beare); 3 . il cambiamento di referente facilita la comprensione di 7tpOlJÀm x6't'ac; al v. I 2, poiché in 2, I 2 si dice che i gentili non avevano speranza prima di diventare cristiani; 4· «a lode della sua gloria >> (v. 1 2 ) è una sosti tuzione etimologica di «giudeo >> (Barth); 5 . l'argomento della lettera è l'uni tà di giudeocristiani ed etnicocristiani, sicché la divisione in questo punto è naturale (Ernst). In risposta a questi argomenti si può affermare che, se al v. I I l'autore avesse voluto mutare referente, lo avrebbe fatto capire in modo più chiaro, come in 2,1 1 ; non c'è nulla in I , I I che induca a ritenere che il «noi » abbia un referente diverso da quello di I , 3 - I o; è vero che uno dei temi della lettera è l'unità di giudeocristiani ed etnicocristiani, ma que sta è una deduzione che si trae dopo la lettura; l'hanno forse in mente gli studiosi nel leggere il v. I I , ma l'autore scriveva la lettera nella prospettiva che venisse ascoltata dai destinatari, non notomizzata dagli studiosi. Solo alla fine del v. I 2 gli ascoltatori avrebbero avuto un indizio per capire che si parlava dei giudeocristiani; sarebbero quindi dovuti tornare mentalmen te indietro ripensando a quanto avevano sentito, per chiedersi se dovevano applicare il nuovo significato ai precedenti vv. 3 - I o. ' Per lo stesso motivo fallisce ogni tentativo di limitare il . Se così fos se, il v. ua sarebbe parentetico e figurerebbe più appropriatamente alla conclusione del versetto (Schnackenburg). Chi interpreta i vv. I I s. in rela zione ai giudeocristiani e i vv. 1 3 s. in relazione agli etnicocristiani reputa che il 7tpo- di 7tpOlJÀ7ttXO't'IXç alluda alla speranza nell'avvento di un messia nutrita dai giudei (Rom. 1 ,2; 3 , 2 1 ; 1 6,26) e non dai gentili (per esempio Westcott, Ernst), oppure alla fede dei giudeocristiani che ha preceduto nel vv.
.
1 Nel N.T. évepyÉw è riservato all'energia soprannaturale; cf. Robinson, Meaning of i:vepyÉw and xa-rtpyÉw in the N. T.: JBL 5 4 ( 1 9 3 5 ) 9 3 - 1 0 1 . 1
L'inserimento d i & oo d a pane d i D F
che è sottinteso.
:z.•. p -247;
K.W. Clark, The
G 8 1 104 3 6 5 1 1 75 p c a vgmss s a bom•; Ambst esplicita ciò
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tempo quella degli etnicocristiani ( Bruce, Scott). 1 La presenza dell'articolo con Xp1cr-rcjl non indica necessariamente che l'autore di Efesini stia pensan do al messia (v. a I , Io). Abbott sostiene che se l'autore avesse inteso par lare di tutti i credenti e dire che essi avevano sperato in Cristo a partire dal momento della loro conversione, sarebbe stato sufficiente il participio per fetto del verbo semplice senza 7tpo-. È tuttavia possibile che 1tpoe:À1ttl:e:1v avesse lo stesso significato del verbo semplice, poiché l'elemento espresso dal preverbio è già contenuto all'interno del verbo semplice. Ciò vale per l'uso di questo preverbio con altre radici (cf. Rom. I , 2 e Col. I , 5 ) . Spesso nel greco ellenistico i preverbi servono quasi soltanto a sottolineare la no zione fondamentale del verbo cui sono associati. Il termine è di per sé raro e i pochi altri casi noti sono in linea con questa interpretazione. � Talora il preverbio può indicare piuttosto che «priorità >> (cf. 3 , 3 ; 2 Cor. 1 2,2 1 ; I 3 ,2). A meno che dunque non gli si attribuisca il significato forte di «prima di altri >> , non c'è ragione di modificare la conclusione cui si è qui pervenuti secondo la quale i vv. I I s. non devono essere riferiti esclu sivamente ai giudeocristiani} Tale conclusione, che risale a Teodoro di Mopsuestia, permette anche di sottrarsi alla necessità di considerare «in Cristo >> oggetto di «sperarono >> . Di norma l'oggetto della speranza è espres so o dal dativo o da un complemento introdotto da preposizione ( I Cor. I 5, I 9 presumibilmente non fa eccezione) . Qui «in Cristo >> conserva così il suo valore di formula e indica l'unione dei cristiani in Cristo (Gnilka ), oppure fornisce il motivo della speranza (Masson; cf. Fil. 2, I 9 ) . Dal momento del la conversione tutti i cristiani nutrono speranza (v. anche a I , I 8 e 4,4 per il carattere di tale speranza) . Non è semplicemente la speranza nella paru sia o la speranza che tutta l'umanità può avere in una futura età dell'oro. Che tutti i cristiani continuino a nutrire speranza emerge in passi come I Cor. I 5, I 9; 2 Cor. I , I o; I Tim. 4,Io. I 3 . Se la linea di pensiero principale di questo versetto è chiara, Èv > o «parola >> ) del v. 1 3 a quale antecedente. Visto l'uso insistito lungo tutta l'eulogia di espressioni con Èv relative a Cristo, l'ultima possibilità è improbabile. Solo l'analisi del contenuto indi cherà quale delle altre sia preferibile. Qualunque sia la conclusione, il ver bo principale è Èacppayia.Sl)'te: (la proposta di Beare di estendere il verbo del v. I I alla proposizione relativa è assai poco plausibile) e le prime parole del v. I 3 non vanno intese come «nel quale siete anche voi >> (Alford, Mey er, Barth); se così fosse, necessiterebbe esplicitare il verbo e:fvat (Abbott) e il seguente 7tta'te:uaav'te:ç sarebbe superfluo (Haupt). Se, come si è già sostenuto (v. al v. u ), il passaggio al «voi >> 1 nei vv. I3 s. non indica che l'autore di Efesini si rivolge ora specificamente ai soli etni cocristiani, perché egli ha operato tale mutamento? Aveva in mente i neo battezzati tra i suoi lettori (Wilson, art. cit. ) ? Anche se si respinge la tesi generale secondo cui la lettera sarebbe un trattato battesimale, è vero che il v. I 3 utilizza il linguaggio dell'evangelizzatore e può essere diretto a neo convertiti, ma quasi tutti i cristiani a quel tempo erano neoconvertiti. Vi è chi, persuaso che l'autore di Efesini abbia utilizzato un inno preesistente come base per la sua eulogia, spiega il cambiamento di persona supponen do che i vv. I 3 s. costituiscano una sua aggiunta (per esempio Schille, 68 s. ), soluzione inammissibile se si attribuisce l'intera eulogia all'autore di Efesini. È più verisimile che questi voglia far comprendere ai propri lettori che non si limita a descrivere l'azione di Dio vista come in un vuoto, ma desidera che riconoscano il loro ruolo in essa. Il passaggio dalla prima alla seconda persona si riscontra più volte nella lettera e rappresenta proba bilmente un tipo di variazione che ogni predicatore attua nel corso di un sermone. I termini che ricorrono nel v. I 3 , « ascoltare, credere, parola, verità, evan gelo, salvezza >> , sono quelli della missione cristiana. L'evangelo è predica to, la gente ascolta, risponde e viene sigillata con lo Spirito. «La parola della verità >> significa la parola il cui contenuto è la verità e non «la parola veritiera >> ; l'espressione si trova anche in altra letteratura postpaolina ( Col. 1 , 5 ; 2 Tim. 2, I 5 ; Giac. I , r 8 ) e implica una oggettivazione dell'evangelo. Si r Il testo del versetto presenta varianti per i due pronomi di seconda persona, trasformati in prono mi di prima persona. Più consistente la documentazione a sostegno della prima variante: lt2 A K L lf' 3 26 629 630 1 24 1 2464 al. Sorprende che molti copisti che hanno modificato il primo pronome non abbiano fatto altrettanto col secondo. Furono probabilmente i numerosi casi di prima persona plura le nei versetti precedenti a indurre alla correzione.
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è talora sostenuto che l'autore di Efesini sia debitore a questo riguardo nei confronti di Colossesi, ma l'espressione, come si è visto, figura anche altro ve, entrambi i sostantivi sono molto comuni all'interno del N.T. e nulla nel contesto comporta che sia l'autore di Efesini a utilizzare Colossesi e non viceversa. È possibile che la locuzione appartenesse alla scuola paolina. I due sostantivi sono usati ampiamente, anche se separatamente, in relazio ne alla diffusione dell'evangelo. Allorché viene posto l'accento sulla verità, si è indotti a supporre sullo sfondo un possibile attacco contro la menzo gna. Poiché Efesini, a differenza di Colossesi, non è uno scritto polemico, non è affatto il caso di ravvisare qui un attacco latente all'eresia. I conver titi vivevano in un ambiente a schiacciante preminenza pagana e l'uso del termine avrà ricordato loro insistentemente la in ultima analisi è Cristo stesso (Gv. 14,6; cf. Gal. 5,7; 2 Tess. 2, 1 2 ) . In Cristo si trova la salvezza, sicché > è ridefinita come riprende il primo e non è l'oggetto del participio. ma-n:um + èv è inusuale sia nei LXX sia nel N.T.; nel N.T. si trova solo in Mc. 1 , 1 5 e in Gv. 3 , 1 5 v.l., e nel primo caso l'oggetto della fede non è Cristo ma l'evangelo. In entrambi i casi èv 4> è dunque in relazione col verbo princi pale: i credenti sono sigillati o nella partecipazione a Cristo o tramite Cri sto. L'indicativo e i due participi sono all'aoristo, ma non è necessario ve dere qui tre stadi successivi: l'ascoltare, il credere e l'essere sigillati. Come si è visto, l'ascolto è ascolto credente e i participi possono indicare un even to contemporaneo al verbo principale (cf. Mt. 1 9,27; 27,4; Atti 1 0,3 3 ; 27, 3 ) . Questo vale anche se l'impressione del sigillo viene intesa come metafo '
Cf. A. von Dobbeler, Glaube als Teilhabe (WUNT 1•
s.
11), Tiibingen 1 9 87, 1 8·15.
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ra del battesimo, in quanto, non essendovi nella chiesa primitiva un perio do di istruzione catechetica (cf. Atti 8,3 6-38; 1 6,3 1-3 3 ), si poteva dire che il battesimo coincideva con la fede. Ma è vero che il sigillo allude al battesimo o a qualche suo aspetto, co me l'imposizione delle mani ? Nell'immagine del sigillare ' in sé vi è poco che possa condurre ad accogliere o respingere l'una o l'altra idea. I sigilli so no impiegati per indicare proprietà (Apoc. 7,3-8; 9,4), per autenticare (Cv. 3,3 3 ; 6,27; I Cor. 9,2) e per proteggere ciò che viene sigillato (Mt. 27,66; Apoc. 20,3 ) . Dalla religione ellenistica si ricavano scarse informazioni ri guardo all'uso cristiano dell'immagine, benché, a prescindere da ciò che può aver avuto in mente l'autore di Efesini, non si possa ignorare l'even tualità che i suoi lettori abbiano inteso il sigillo come una forma di prote zione magica (cf. Pist. Soph. 1 9 5-197). L'immagine era in uso nel cristia nesimo prima di Efesini: in 2 Cor. 1 ,22 è connessa, come qui, con l'(ÌppCl �wv dello Spirito. L'argomentazione a sostegno della tesi che in 1 , 1 3 il si gillo indichi il battesimo è complessa e si fonda più su allusioni che su una documentazione diretta. Non si trovano prove esplicite fino a un'epoca successiva a Efesini (2 C/em. 7,6; 8,6; Herm. Sim. 8,2,3 s.; 6,3 ; 9,1 6,3 -7; 1 7,4; Act. Pau/. et Thec/. 25; Test. Ver. 1x,3 69,7- u ) . D'altro canto: r. in Rom. 4,1 1 (cf. Barn. 9,6) la circoncisione è detta sigillo .. e, benché le testi monianze giudaiche rimontino a un periodo molto successivo, non è irra gionevole supporre che Paolo utilizzi un'idea che gli era stata familiare du rante i suoi trascorsi giudaici (la descrizione della circoncisione come «se gno•• risale fino a Gen. 1 7 , I I- 1 3 ). 2. In Co/. 2,u s. battesimo e circoncisio ne sono strettamente accostati, ma non vi è affatto accordo fra i commen tatori sulla loro equivalenza (pro Gnilka, Lohse, Pokorny; contro O'Brien, Schweizer, Martin); anche se in Co/. 2, 1 r s. non sono equivalenti, è possi bile che l'autore di Efesini li abbia considerati tali. 3 · Il dono dello Spirito è regolarmente associato al battesimo (Atti 2,3 8; I Cor. 1 2, 1 3 ), ma anche all'imposizione delle mani come azione distinta dal battesimo (Atti 8,16; 19,6). Nel caso di Cornelio la discesa dello Spirito, rivelata nella glossola lia, è il segno che egli dev'essere battezzato (Atti 10,44-4 8). Nell'attività missionaria era questa probabilmente la prassi normale: le persone che mo stravano segni dello Spirito venivano battezzate. È certo possibile che tali persone, come Cornelio, fossero definite > ; per ulteriore documentazione a sostegno di questa interpretazione cf. Sellin), oppure - il che è leggermente più probabile - la promessa di una pienezza futura delle benedizioni di Dio che saranno impartite nei tempi escatologici (cf. 3,6).
14. cìppa�wv 1 (anche in 2 Cor. 1,22; 5,5; cf. Rom. 8,23 ), , è un termine legale e commerciale di origine semitica adottato dal greco (per la sua storia v. Abbott; MM e gli articoli in RAC e TWNT).2 Essa impe gna chi la dà e chi la riceve al rispetto di un accordo sotto pena di sanzio ne. Ma la caparra non è semplicemente pegno o garanzia di qualcosa che sarà dato successivamente; è essa stessa un dono parziale, sicché forse «an ticipo » è una resa migliore. È improbabile che vi sia qui una condanna del1 Se qui si legge &; come in K D 'l' 3 3 'lJl, il termine di riferimento è il 1tV€Uj.o.ll menzionato prima, col pronome relativo attratto al maschile da > (cf. Schlier, Masson), ma è più semplice attribuirgli lo stesso valore del secondo. La seconda espressione ne ripete una già usata (vv. 6 e 1 2 ) e costituisce la conclusione adeguata dell'intera eulogia: scopo ultimo di Dio è che la chiesa sia per la sua gloria. Se 1,10 rappresentava il vertice intellettuale, questo è quello liturgico. La prima frase è molto più difficile da costruire, poiché 7tEpmotl)atç J può essere inteso o a ) 4 con Schnackenburg, Schlier, Masson, Abbott, come 1 R. Stober, A Possible Link between the Epistle to the Ephesians and tbe Book of Ruth, in SE tv (TU IO:t), Berlin 1 968, 3 4 3 -346, individua in questo e altri termini una possibile connessione con
Rut, ma si tratta di una teoria eccessivamente ingegnosa. 1 Sull'uso del concetto di eredità in Paolo e in Efesini v. Herrmann e Foerster, in lWNT 111, 757 ss-; P.L. Harnmer, A Comparison o( Kieronomia in Pau/ and Ephesians: JBL 79 ( 1 96o) z.67-:t7:t; D R. Denton, Inheritance in Pau/ and Ephesians: EvQ 54 ( 1 981) I 57-I6:z. e, più in generale, J-0. Hester, Paul's Concept of lnheritance, Edinburgh I 968. J V. S. Lyonnet, in Lyonnet - L Sabourin, Sin, Redemption and Sacrifìce (AnBib 48), Roma I970, l I l.-I I8. 4 Quasi rutti i Padri s i sono pronunciati per l a possibilità a; v. D.A. Conchas, Redemptio acquisitionis: _
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nomen actionis (cf. I Tess. 5,9; 2 Tess. 2,I4; Ebr. 10,39), «l'acquisizione dell'eredità >> ; o b) con Dibelius, Cambier, Gnilka, come res acquisita, «la redenzione di Dio della sua eredità » (cf. I Pt. 2,9; la forma verbale com pare con questa accezione in Le. 1 7 , 3 3 ; Atti 20,28; I Tim. 3 , 1 3 ) . Se si op ta per a, il genitivo è presumibilmente epesegetico e fornisce una seconda formulazione di ti7toÀu-rpwc:rte; (per questo vocabolo v. a 1 ,7; qui, come in 4,30, si pensa alla salvezza finale e si ha un altro caso di inversione di geni tivi, così Sellin); se si predilige b, si tratterà di un genitivo dell'oggetto. Se questo è il senso, non si specifica di chi sia il possesso (in I Pt. 2,9 e Mal. 3 ,7 risulta chiaro dal contesto), ragion per cui si deve presumere che il te ma teologico del popolo di Dio come suo possesso fosse abbastanza noto da renderne non indispensabile l'esplicitazione. L'idea di Israele come pos sesso di Dio è espressa in altri modi (cf. ls. 43,21; Deut. 4,2o; 7,6), ma in Efesini non ve n'è traccia altrove ed è poco attestata nella letteratura giu daica del tempo. D'altro canto si può dire che è coerente con la parte pre cedente dell'eulogia, nel senso che il popolo di Dio è divenuto suo possesso poiché egli lo ha eletto e predestinato. Se si opta per il significato a, si deve intendere una seconda volta «eredità , ( «per la liberazione, vale a dire per il conseguimento dell'eredità » ). L'ostacolo non è insormontabile ed è que sta l'interpretazione adottata unanimemente dai Padri latini e da quasi tut ti i Padri greci, nonché probabilmente quella da preferirsi. EXCURS U S 2
IN CRISTO Best, One Body, I ss. (con rinvii a studi precedenti ); Percy, 2 8 8 ss.; C. Maurer, Der Hymnus von Epheser I als Sch/Ussel zum ganzen Briefe: EvT I I ( 1 9 5 1 - 1 9 5 2) 1 5 1 - 172; Allan, «In Christ»; F. Neugebauer, In Christus, Gottingen 1 9 6 1 , 1 7 5 - 1 8 1 ; M. Bout tier, En Christ, Paris 1 962; Roels, 44-47. 9 2-96; Gnilka, 66-69; Barth, 69-7 1 . 107108; C.F.D. Moule, The Origin of Christology, Cambridge 1 977; Adai, 63-65; Emst, 28 1 ss.; Usami, 9 1 - n 2; A.j.M. Wedderburn, Some Observations on Paul's Use of the Phrases «In Christ» and « With Christ» : JSNT 25 ( 1 9 8 5 ) 83-97.
La locuzione > , è perché lui e i suoi lettori sono membri della chiesa; non avreb-
IN CRI STO
be usato questa espressione se si fosse rivolto a non cristiani. Quando in 6,2 1 si dice che Tichico, fratello diletto e servo nel Signore, fornirà ai let tori informazioni, è più agevole legare > , giacché non vi sono altri nel contesto, né può gra vitare su «avendo sentito >> , poiché non c'è alcuna azione cui si sommereb be il «sentire » . Nonostante la distanza dai participi del v. 1 6, lo si dovreb be probabilmente intendere correlato a uno di essi: «io rendo anche grazie, faccio menzione>> , «io, che ho pronunciato l'eulogia, ho altro da dire » . Diversamente d a Col. r,8 e I Cor. I , I I , non s i specifica chi siano gli in formatori dell'autore di Efesini (di Paolo). L'assenza di indicazioni concor da col carattere generale della lettera: giacché è diretta a più di una chiesa, sarebbe stato necessario fare il nome di numerosi informatori. xa-&.'u�J.ac; è una circonlocuzione per UfJ.WV (BDR, § 224. 1 n. 3 ; Zerwick, § 1 3 0). Il par ticipio aoristo (si confronti il participio presente in Film. 5 ), considerato unitamente a 3 ,2 e 4,2o- 2 r , rivela che Paolo, o l'autore di Efesini, non ha mai fatto visita ai lettori. Secondo Atti 1 9 , 1 ss., Paolo trascorse un periodo notevolmente lungo a Efeso durante la sua visita principale, anche se vi era stata una breve visita iniziale ( r 8 , 1 9- 2 1 ) . Alla conclusione che l'autore non abbia mai visitato i destinatari, che si ricava dal versetto in esame, non si
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può opporre l'obiezione che qui l'autore parli solo della fede di coloro che sono stati convertiti dopo che egli ha lasciato Efeso (così Hodge), né che dall'epoca della sua ultima visita fosse trascorso un ampio lasso di tempo e che perciò egli avesse bisogno di essere aggiornato. 1 Nulla nel testo impli ca che egli pensasse a convertiti recenti e, anche se in ogni chiesa fondata da Paolo saranno comparsi nuovi convertiti dopo la sua partenza, in nes suna lettera egli si rivolge a costoro. Nulla nel testo induce inoltre a ritene re che sia trascorso un periodo di tempo lungo. Teodoreto sembra essere l'unico Padre della chiesa consapevole di questo problema, ma non ne of fre una soluzione ragionata. I commentatori antichi erano molto più inte ressati a comprendere l'uso degli appellativi «Dio» e «Padre>> al v. I 7- Le locuzioni dell'autore di Efesini sono stereotipate e abbastanza generiche da adattarsi a una lettera circolare o generica. Se lascia intendere che Paolo non ha sentito parlare della fede degli efesini, vuole effettivamente dire che egli stesso non aveva avuto quella informazione, oppure questo non è che un elemento della cornice pseudonima ? Mitton, Epistle, 65. 28 3 . 285, ritiene che i vv. I 5-I7 siano mutuati da Colos sesi. Non c'è dubbio che vi siano luoghi paralleli. 2 La proposizione che inizia con à.xouaaç è simile a Co/. I ,4, ma è anche simile alle proposizioni di Fil. 1 ,27; 2 Tess. 3 , I I , ed è una frase perfettamente normale, quando si deve far cenno a informazioni ricevute. La sua affinità con Col. I ,4 risulterebbe ancora più spiccata se la menzione dell'amore al v. I 5 fosse considerata originaria e non effetto dell'influsso di Co/. I ,4. In ogni caso, tuttavia, il nesso di fede e amore è normale (cf. Gal. 5,6; I Tess. 3 ,6; 5,8; I Tim. I, I4; 2,1 5 ; 4, 1 2; 2 Tim. I , J 3 ; 2,22; Tit. 2,2; Film. 5 ). Se si avverte la necessità di un cenno alla condizione spirituale dei destinatari, quello alla loro fede doveva essere abi tuale (Rom. I,8; I Tess. I,2 s.; 2 Tess. I,3). In Co/. I ,4 l'oggetto della fede è Cristo Gesù, mentre in Ef. I , I 5 è il Signore Gesù. Perché l'autore di Efesini avrebbe dovuto trasformare un suo modo di dire normale per definire Cristo in uno insolito, se dipendeva da Co/. I ,4, dove si trova quello normale ? La espressione >; « in >> indica il luogo del l'attività di Dio. Mitton, Epistle, 28 5, ritiene che qui l'autore di Efesini dipenda da Col. 2,1 2; 3 , 1 , dove parimenti si trovano la risurrezione di Cristo e un cenno alla destra espressi in termini molto simili. La risurrezione di Cristo è un tema proprio del credo ricorrente nel Nuovo Testamento, per il quale di solito si utilizzano, come in questo caso, le espressioni èye:tpe:tv ed èx ve:xpwv (ad es. Rom. 4,24; 6,4; 10 , 9 ; I Cor. 1 5 , 1 2; Gal. 1 , 1 ; I Tess. 1 ,ro). L'ascensione alla destra di Dio è anch'essa un argomento del credo. L'autore della lettera agli Efesini non aveva alcun bisogno di rifarsi alla lettera ai Colossesi per mutuare l'idea o la formulazione adatta. In D F G 1f CJJl b r; Ambst si legge l'indicativo aoristo èxli·thae:v, ma la do cumentazione - 1}91vid N A B 0278 3 3 8 1 ecc. - depone a favore del participio. Si spiega facilmente tanto la modifica in un senso quanto nell'altro, per influ enza rispettivamente del participio o dell'indicativo associati. Molte delle testi monianze a sostegno del participio inseriscono di seguito cxÙ'tov. Si tratta pro babilmente di un'aggiunta chiarificatrice operata da un copista, poiché di soli to si dice che è Cristo stesso a sedersi alla destra di Dio. La variante che pre senta la forma semplice oùpcxvotc; (B 3 6 5 629 pc sy P; MVict) è quasi certamente un errore dello scriba.
1 . Che Dio risuscitò Cristo dai morti era una convinzione fondamentale dei primi cristiani: si trova nelle prime formulazioni confessionali (ad es. r Cor. 1 5 ,4; I Tess. r , r o; Rom. ro,9) e in tutti gli strati del N.T. La specifi ca espressione «risuscitò dai morti >> è anch'essa diffusa (ad es. Rom. 4,24; 6,4; 8 , u ; ro,9; Gal. r , r ; r Pt. r , 2 1 ), con Dio come soggetto esplicito o im plicito (dove il soggetto è Cristo, solitamente si ha il verbo à:vta'tl)(J.t e non èydpw). È altresì usuale la connessione della risurrezione dei cristiani a quella di Cristo. Qui il legame non è esplicito, ma 2,6 parla tanto della richino alcuni testimoni importanti. Nel caso la si accolga, questa lezione esprimerebbe l'azione e i suoi effetti permanenti quanto al dominio che Cristo esercita ancora sulle potenze. L'aoristo, che vanta a sostegno una gamma molto più ampia di attestazioni, esprime l'unicità e definitività dell'intervento del potere abilitante di Dio. Per qualunque lezione si opti, il significato fondamentale resta immutato. r Sull'associazione assai precoce del nome • Cristo• con la risurrezione v. Kramer, 1 9-26.
EF. 1 , 1 5 - 2 3
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surrezione dei credenti quanto del loro essere assisi nei cieli e va concet tualmente ricollegato a I ,2o. ' 2. Dio ha fatto sedere colui che ha risuscitato alla sua destra nei cieli. Che in origine fossero distinte o meno (cf. Rom. 8,34; Fil. 2,9; Col. J , I ; 1 Tim. J , I 6 ) , al tempo in cui è composta la lettera agli Efesini l'ascensione e la risurrezione di Cristo sono considerate eventi diversi. Una volta ammes so che Cristo era apparso fisicamente dopo la sua risurrezione, era neces sario escogitare un sistema per spostarlo in cielo, dove si riteneva che ora dimorasse. Ciò ha condotto alla separazione della risurrezione dall'ascen sione. L'ascensione (e/o l'essere assiso in cielo) è talora semplicemente af fermata come dato di fatto; talaltra, come in questo caso, l'attenzione si incentra sull'attività di colui che è stato esaltato come dominio (cf. I ..Pt. 3, 2 2 ) o intercessione (Rom. 8,34). Soltanto in Atti I ,9- I I l'ascensione viene descritta in termini fisici. A volte di Cristo si dice che si siede alla destra di Dio (Ebr. I , J ; Io, 1 2); altre volte si dice che è Dio a farlo sedere alla sua destra (Atti 2,3 3 - 3 5 ; 5,3 I ) . La seconda formulazione si accorda meglio con Sal. uo, I ed è adatta al corso del ragionamento nel passo in esame. Se prima del cristianesimo probabilmente il salmo I I 0 2 non era considerato messianico, ben presto i credenti gli attribuirono tale significato. È il salmo del quale nel N.T. si trovano più citazioni o allusioni, in particolare a pro posito dell'assidersi in cielo, e fu collegato presto al salmo 8 (v. al v. 22). Che il salmo I I O abbia dato origine o forma a quella credenza, o che sia sta to semplicemente utilizzato per esprimerla, al tempo dell'autore di Efesini era accolto come profezia di quell'evento ed era usato per enunciarlo. Pro babilmente l'autore ha semplicemente recepito dalla tradizione sia l'idea della dimora celeste sia la sua connessione col salmo I Io, poiché designa la destra di Dio con Èv òe:�t�, che è la locuzione usata normalmente dalla tra dizione cristiana delle origini, quantunque la versione del salmo nei LXX dia Èx òe:�twv. La nozione dell'essere assiso alla destra di Dio è precisata in due modi: a) ha luogo nei cieli (v. excursus I , «I cieli >> ); b) nei cieli Cristo è al di so pra 3 delle «potenze>> (v. 2 I ) . «Al di sopra >> è una determinazione spaziale, come «nei cieli » , «alla destra >> , e (v. 22 ) . È difficile sapere se l'au' Sulla connessione v. T.G. Allen, Exaltation and Solidarity with Christ. Ephesians 1,20 and 2,6: JSNT 2.8 ( 1 986) 1 03 - 1 2.0; Ramaroson, art. cit. 2 Sull'uso del salmo v. SB, IV, 4 5 2.-460; Lindars, Apologetic, 45-5 1 ; Hahn, 101 ss.; D.M. Hay, G/ory at the Right Hand. Psalm u o in Early Christianity (SBLMS 1 8 ), Nashville - New York 1973; M. Gourgues, A la droite de Dieu. Résurrection de Jésus et actualisation du Psaume I 10,1 dans le Nou veau Testament, Paris 1978; W.R.G. Loader, Christ at the Right Hand - Ps. CX,I in the New Testa ment: NTS 2.4 ( 1 978) 1 99-2. 1 7 . 3 �vw non significa necessariamente •molto a l di sopra • , poiché nel greco ellenistico l'aggiunta di prefissi non influisce sempre sul significato della radice fondamentale; cf. Ebr. 9,5 e si veda BDR, S 2.1 5.2. n. 3 ·
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PREGHIERA PER LA CONOSCENZA
tore di Efesini abbia attribuito a questi termini un senso letterale o metafo rico. Origene, probabilmente influenzato da Filone, è senz'altro consape vole del problema. L'associazione del > continuò a essere utilizzato, ma mentre in origine indicava un angelo appartenente alla corte di Jahvé ( Giob. 1,6 ss. ), passò poi a de signare l'avversario soprannaturale di Dio. Nel giudaismo i referenti dei ter mini usati dall'autore di Efesini erano: a) in ambito politico, nel senso più lato, individui o organismi, quelle persone o quegli organismi che domina vano altre persone e altri organismi; b) esseri soprannaturali che esercita vano o tentavano di esercitare il controllo gli uni sugli altri e sul mondo creato, inclusa l'umanità. Si usa qui l'aggettivo per man canza di un termine migliore. Nel mondo antico il naturale e il sopranna turale non erano chiaramente distinti come oggi, ma strettamente intrec ciati. Nelle lettere alle sette chiese (Apoc. 2, 1-3 ,22) ci si rivolge all'angelo di ogni chiesa, ma è la chiesa stessa ad ascoltare la comunicazione e a esse re destinataria dell'invito all'azione. Analogamente, tra gli angeli dei popo li e le nazioni ai quali essi erano legati vi era possibilità di confusione. È co sì che termini fondamentalmente politici possono essere applicati a poten ze spirituali. All'inizio, a quanto sembra, i vocaboli presenti in 1,21 erano
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L E POTENZE
utilizzati in relazione a esseri soprannaturali buoni, in quanto designavano in generale tali esseri. Col tempo finirono tuttavia con l'indicare esseri so prannaturali maligni, come nel caso di Satana, e questo mutamento ebbe luogo prima di Paolo (cf. Wink, I 5 1 ss. ) . Il mito degli angeli decaduti ha probabilmente contribuito a tale spostamento. All'interno del giudaismo si trovano demoni che devono essere esorcizzati (cf. I Sam. 1 6, 1 4; 1 8, 1 o- 1 2; 19,8- Io e i racconti evangelici di esorcismi ), nonché spiriti associati a Sata na (ad es. 1QM). Che questi due aspetti non possano essere separati si de sume dall'espressione , che può designare sia demoni sia compagni di Satana. I giudei e i primi giudeocristiani consideravano la propria vita condizio nata, se non controllata, tanto da esseri soprannaturali ostili quanto da autorità e governi terreni. È questo che può averli indotti ad applicare alle potenze soprannaturali maligne termini quali àp"X,cxt e èipx.ov'teç. A facilitare questa identificazione può essere stata la credenza giudaica negli angeli dei popoli, i quali potevano essere considerati amici o nemici a seconda che le nazioni cui presiedevano fossero amiche o nemiche di Israele. Questo pun to di vista è comprovato dall'ambiguità di I Cor. 2,6-8. Se quei termini entrarono nell'uso in tal modo, si spiegherebbe la loro applicazione a po tenze sia amiche sia nemiche. Carr, 45 ss., ha contestato questa tesi, soste nendo che nel N.T. questa terminologia è sempre relativa a potenze àmi che, trattandosi degli angeli che adorano Dio e ne circondano il trono. Per provare questa sua opinione è costretto a negare che Ef. 6, 1 2 appartenga al testo originale della lettera (ma non ci sono testimonianze testuali a so stegno di tale affermazione) e si invischia in analisi quanto mai contorte di alcuni testi specifici (ad es. Col. 2, 1 5 ), volte a rimuoverne qualsiasi cenno a esseri ostili. La metodologia di Carr è scorretta. Se fosse partito da Ef. 6, 1 2, avrebbe potuto agevolmente trovare una conciliazione fra gli altri pas si e questo, ricorrendo a un'esegesi molto più semplice. I Basterà muovere dal presupposto che si parla di potenze ostili in Ef. 1 , 2 1 s.; 2,2; 3 , 1 0; 6, 12, e probabilmente anche in 4,8 (v. ad loc. ), nonché in Co/. 2, 1 5 . 1 8; I Cor. 1 5 ,24-28. Si tralasciano gli a'totx.eicx di Gal. 4,3 .9; Col. 2,8 . 20, poiché non è affatto sicuro che il termine denoti potenze spirituali. Si presume altresì che in Rom. 1 3 ,1-3 si alluda esclusivamente ad autorità «terrene>> . In Co/. 1 , 1 6 si dice che Cristo ha creato le potenze, il che non implica che siano amiche: nel giudaismo, e nel cristianesimo, non c'è un dualismo radicale. Satana non ha avuto principio indipendentemente da Dio. Pure le potenze angeliche ostili devono aver avuto origine in lui. Al pari di Satana, an ch'esse all'inizio sono state forse concepite come esseri non maligni. L'inno I Per le critiche a Carr v. Arnold: JSNT 30 ( I 987) 7 I -87; R.A. Wild, The Warrior and the Prisoner. Some Reflections on Ephesians 6:Io-zo: CBQ 46 ( 1 984) 2.84-2.98; Wink, 23-2.6.
EXCURSUS 3
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di Co/. 1 , 1 5-20 finisce con una riconciliazione di tutto in Cristo: non c'è motivo di concludere che il «tutto >> del v. 20 escluda le potenze di 1 , 1 6. Se devono essere riconciliate, devono essere state in qualche misura ostili. Nell'inno della lettera ai Filippesi, 2,6- I I , l'esito finale dell'opera di Cristo è che ogni cosa in cielo, sulla terra e sottoterra si prostra dinanzi a lui. Se è così, dev'esserci stato un tempo in cui esse non si prostravano, un tempo in cui alcune erano ostili. Quando i lettori ellenistici della lettera agli Efesini udivano i termini pre senti in 1 , 2 1 , che cosa veniva loro in mente? Avranno evidentemente pen sato al potere politico e sociale nelle sue numerose forme, ma è difficile si siano fermati qui, per quanto alcuni esegeti del passato abbiano cercato di sostenere questa interpretazione. Di norma in greco tali termini non hanno un referente soprannaturale, che perciò dev'essere stato desunto dal giudeo cristianesimo. Che cosa pensavano dunque i giudeocristiani, e più tardi gli etnicocristiani, nel sentire questi vocaboli ? È impossibile essere precisi. Sen za dubbio essi credevano in ogni genere di male soprannaturale. Per Paolo gli avversari che cercano di vanificare il lavoro da lui svolto a Corinto so no sotto il controllo di Satana (2 Cor. I I , 1 3 - 1 5 ); analogamente Luca (22,3 ) e Giovanni ( 1 3 ,2) ritengono che Giuda sia guidato da lui. C'erano demoni che causavano malattie e dovevano essere esorcizzati. I racconti di esorcismi non sarebbero stati conservati con tanta cura, se il problema non fosse stato avvertito sia nel mondo ellenistico sia in quello giudaico. Mar co aggiunse in effetti a un resoconto di esorcismo i vv. 9,28 s. per insegna re ai suoi lettori come comportarsi di fronte al soprannaturale. Il demone della tempesta dev'essere redarguito (Mc. 4,39 ) . Paolo personifica la legge, il peccato, la morte, la carne, trasformandoli così in forze soprannaturali, ma ciò non significa che si debbano « interiorizzare>> le potenze e trasfor marle in forze psichiche. Il potere dello stato è considerato benevolo in Rom. 1 3 , 1-7, ma non in Apoc. 1 3 , dove la sua ostilità è ricondotta a forze soprannaturali. Oltre a ciò, la magia con la sua dipendenza da un potere soprannaturale era una realtà onnipresente nel mondo ellenistico (ad es. Atti 19,19). Era facile spiegare le forze operanti in essa come forze demo niache (Iust. Apol. 1 , 5 6). I cristiani dovevano sconfiggere l'idolatria e so stenevano che gli dei adorati da altri erano demoni ( I Cor. 10,20). In quanto divennero oggetto di culto, anche gli imperatori saranno stati consi derati una forza soprannaturale maligna, con la duplice accezione di «do minatore>> in senso celeste e terreno. Gli dei pagani erano posti in relazione con le stelle, come le potenze (Rom. 8,3 8 s.), e l'astrologia era un fattore onnipresente e incisivo nell'indirizzare il comportamento. Il fato, nella mi sura in cui il mondo greco lo reputava in grado di controllare l'esistenza, era soprannaturale, talché lo si poteva considerare una potenza. Molte di
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LE POTENZE
queste idee approdarono a una formulazione più chiara nel n secolo, in particolare le correlazioni astrologiche delle potenze e l'interpretazione de moniaca del culto pagano. Ciò non significa che tali nessi non venissero instaurati già al tempo della lettera agli Efesini. Alcune o tutte queste forze che perturbavano il corso positivo e regolare dell'universo e, in particola re, rendevano difficile la vita ai cristiani potevano essere viste come sopran naturali. Esse non venivano necessariamente identificate con nomi specifi ci, come mostra l'autore di Efesini quando al suo elenco in I , 2 I aggiunge il rinvio ad ) e definitiva azione di Dio (v. 2 2b ) introduce la chiesa e le correla Cristo. Con questa metà versetto ha inizio una delle sezioni più difficili (vv. 22b-23 ) della let tera. Dio ha dato Cristo (a.ù"ov è in posizione rilevata ) quale, o «affinché sia», capo della chiesa; può essere inteso come apposizione o in W. Schmithals, Theologiegeschichte, s :z.-69; ]. Lambrecht, Paul's Christological Use o{Scripture Corinthians IJ,:z.o-:z.S, nei suoi Pauline Studies (BETL n s ), Leuven 1 994, 1 25-149·
, Cf.
in
1
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PREGHIERA PER LA CONOSCENZA
senso predicativo - la differenza di significato è poca. Vi sono due difficol tà. 1 . Nel greco biblico ÒtÒWfJ-t può voler dire non soltanto «dare >> , ma an che > (cf. Barth, Bouwman, ecc. ). Se gli si attribuisce questa seconda accezione, qui ci si dovrebbe aspettare il genitivo ÈxxÀl] alClç; inoltre la traduzione > contrasta nettamente con il v. 22a (du Plessis, 7 1 ) . Indipendentemente dal significato di ÒtÒWfJ-t, nulla lascia rite nere che l'autore di Efesini concepisse la chiesa come entità preesistente al la quale in un determinato momento Cristo è stato dato o s � lla quale è stato designato (v. appendice r, > 5 ) . Le quattro azioni di Dio nei vv. 20. 22 non sono temporalmente successive, ma simultanee. Il corpo di Cristo non poteva esistere prima di lui. 2. Qual è il nesso tra tntÈ:p 7ttXV"t'Cl e la proposizione cui appartiene ? Senza, non potrebbe essere posto direttamente in relazione a (v. 23 ), come in Col. r , r 8 . Per conser vare questo significato c'è chi (ad es. Barth, r 5 7 s. ) attribuisce all'espres sione un senso fondamentalmente aggettivale - -, rilevan do l'assenza dell'articolo; ma 7tav't'Cl era privo di articolo nella citazione del v. 22a, sicché può darsi benissimo che questo 7ttXV't'Cl riprenda il prece dente e che l'articolo non sia necessario (cf. Gnilka, Schlier, Masson) . An cora: se l'autore di Efesini intende dire che Cristo è «capo supremo >> , ciò implica un confronto con altri capi; ma a quale altro capo potrebbe pen sare? A 7ttXV't'Cl si deve perciò dare un medesimo referente sia al v. 22a sia al v. 22b. Questo significa che, nonostante l'assenza dell'articolo con xt tpClÀ l}v, il ruolo di capo di cui si parla al v. 22a è quello di capo del cosmo, I e Cristo ha una posizione cosmica. Perché è stato introdotto qui il concetto di ? (su «capo >> v. excur sus 4, > ) . È improbabile che sia un ricordo di r , r o, dove non costituiva l'elemento principale di IÌ:vClxttpClÀCltow. Il termine è natural mente associato a «corpo >> (v. 23 ). Capo, corpo e chiesa formano già un gruppo: tutti e tre figurano in Co/. r , r 8 e due di essi in Co/. r ,24; 2, 19. è stato dunque introdotto per preparare la menzione del nel v. 23 ? Sarebbe una soluzione soddisfacente, se il ruolo di capo cui si pensa fosse quello di capo della chiesa e non del cosmo. > potrebbe derivare da quanto precede. Cristo è stato dichiarato Signore di tutto; di qui a considerarlo capo di tutto, il passo è breve, col cenno ai «piedi >> che influisce sulla scelta di «capo» in luogo di > per esprimere tale concetto.2 È possibile che l'autore di Efesini abbia in mente la supremazia di Cristo tanto sul cosmo quanto sulla chiesa. 3 Nella sua grazia Dio ha da· I Cf. R. Penna, LA proiezione dell'esperienza comunitaria sul piano storico (E(. :z.,I I·:z.:z.) e cosmico (E(. z,:z.o·:z.J): RivBibl 26 ( 1 978) 163·1 86. :z. Così G. Howard, The Head/Body Metaphors of Ephesians: NTS :z.o ( 1 973·1974) 3 50-3 56. 3 Cf. Warnach, in Schlier-Warnach, 1 2; Pokorny, Gnosis, 70-76.
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to il Cristo, il capo cosmico, alla chiesa ed egli ne è quindi naturalmente il capo. Il carattere di questo suo ruolo di capo non è esaminato qui, ma ver rà trattato più avanti, in 4, 1 5 s.; 5,22 s. Non è certo semplicemente una signoria suprema analoga a quella che Cristo esercita sul cosmo, poiché ciò non implicherebbe che la chiesa sia il suo corpo. Si potrebbe dire, d'al tronde, che la chiesa, per parte sua, si trovi sotto la sovranità cosmica di Cristo in considerazione della sua unione organica con lui (cf. Caird). Ma la sovranità di capo esercitata da Cristo su di essa sarebbe differente (v. excursus 4, « Il corpo di Cristo >> e appendice 1, ( C v. 1 , 14) e di Spi rito santo (Le. 4, 1 ) . In Co/. 2,3 , benché il verbo non compaia, si dice che tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti in lui, ed è con cetto quasi identico. In 1 Cor. 1 ,24 Cristo è detto sapienza di Dio, il che deve significare che la sapienza di Dio lo riempie. In Col. 1 , 1 9; 2,9 tutta la pienezza di Dio abita in Cristo, ed è ancora una volta un'idea quasi identi ca. Nulla impedisce dunque di intendere che il participio significhi che Cri sto viene riempito. In tal caso -rà 7ttXV'tl2 Èv 1tliaw dev'essere considerato in senso avverbiale, ossia «totalmente >> , senza alcuna eccezione (Moule, 1 60). Dio non può essere inteso come oggetto del riempire, poiché egli riempie e non è riempito. Se allora Cristo viene riempito, con che cosa o con chi è riempito? Il te sto non lo dice. In Col. 1 , 1 9; 2,9 si dice che è Dio ad abitare in lui. Dinan zi a questa affermazione, non è difficile 1 ritenere che l'autore di Efesini concepisca Cristo totalmente riempito da Dio ( «totalmente>> corrisponde al 1tliv di Co/. 1 , 19; 2,9 ), per quanto vi sia anche la possibilità di conside rarlo riempito di ogni grazia e benedizione. Il participio presente indiche rebbe la continuità del riempire, e dunque un rapporto dinamico piuttosto che statico tra Cristo e Dio, e la locuzione avverbiale eviterebbe l'idea che Cristo fosse correlato a Dio in maniera inadeguata. Prima di concludere la trattazione del participio è bene rilevare che de la Potte rie prende le mosse dall'esclusione di un referente «umano» per sostenere che il participio funge da sostantivo neutro riferito a aw(liX, 2 con -rò 1tÀ �pw(.l-12 ap posizione di aù-rov e il v. 23a parentetico. Cristo in tal caso diventa sia la pie nezza della chiesa sia il suo capo. De la Potterie corrobora questa ipotesi con tre ulteriori argomenti. a) Altrove in Efesini e in Colossesi pleroma non indica la chiesa ma Cristo. Ma tutto ciò che si dice in Col. 1 , 1 9 ; 2,9; Ef. 3 , 1 9 è che «tutto il pleroma » abita in Cristo, e questo non significa identificare il piero ma con Cristo. Se qui il pleroma è da identificarsi con qualcuno, è senz'altro 1 1
Cf. Feuillet, art. cit., 4 5 8 . Hermans-Geysels, art. cit., l o considerano anch'essi neutro, m a riferendolo all'opera della salvezza.
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PREGHIERA PER LA CONOSCENZA
con Dio piuttosto che con Cristo. Non vi è inoltre alcun particolare rapporto del pleroma con Cristo in 1 , 10. L'unico esempio chiaro in tal senso si trova in 4, 1 3 . In 1 ,23 peraltro Cristo riempie il cosmo e non la chiesa, e il suo rappor to con la chiesa è diverso da quello con il cosmo. Questa è di conseguenza una base insufficiente per identificare Cristo e il pleroma. b) De la Potterie indivi dua una struttura letteraria bilanciata: il v. 22a si suddivide in due espressioni: egli ha posto tutte le cose l sotto i suoi piedi; così pure il v. 22b: e lo ha dato come capo l su tutto alla chiesa; il v. 2 3 a è parentetico, ma elementi in equili brio si ritrovano al v. 23 b: la pienezza l di ciò che è continuamente riempito in essa e in tutte le sue membra. Queste due frasi finali in corrispondenza rom pono tuttavia il ritmo a motivo della loro forte disparità di estensione e l'equi librio della seconda coppia nel v. 22b non sussiste se «capo su tutto>> costitui sce un'unità. La struttura dunque non mostra l'equilibrio presunto. c) Il suo terzo argomento si basa sullo stile generale della lettera agli Efesini, e non si può non riconoscere che nulla in questo stile obbliga a rigettare la funzione parentetica del v. 23a e l'idea che •Ò 1tÀ�pwtJ-cx sia apposizione di cxù•ov, per quanto, come si è detto, questa possa non essere l'interpretazione più sempli ce. Infine, se questa ipotesi è fondata ci si aspetterebbe il participio al femmini le, poiché il concetto principale è ÈxxÀYjcrtcx e non crwtJ-cx, che si trova soltanto all'interno di una parentesi (cf. Schnackenburg).
Lightfoot I e altri hanno sostenuto che 1tÀ -ljpw(J-cx sia da intendersi in senso passivo, dato il tipo di formazione, ma tale norma non si può appli care in maniera rigorosa. Soltanto il contesto può determinare di caso in caso se a questa formazione debba attribuirsi valore passivo o attivo. Nel N.T. la parola compare con numerose accezioni. Poiché figura due volte in Colossesi ( 1 , 1 9; 2,9 ) e quattro in Efesini ( 1 , 10.23; 3 , 1 9; 4, 1 3 ), si è talora affermato che in queste lettere ha un significato tecnico (Schlier, 97; ma cf. Roels, 234 s. ) e ciò è spesso posto in relazione con la sua origine, riguardo alla quale sono state chiamate in causa numerose fonti.
a) Lo gnosticismo (così Schlier). Il vocabolo ricorre come termine tecnico in alcuni dei sistemi gnostici del I I secolo, in particolare in quello valentiniano. Ma queste attestazioni sono troppo tarde per dare una qualche garanzia di certezza all'ipotesi che l'autore di Efesini e l'autore di Colossesi abbiano rica vato da qui il termine; è più probabile il processo inverso, che potrebbe essere stato favorito dall'idea, presente nella filosofia greca, di Dio che riempie l'uni verso, avendo lo gnosticismo carattere sincretistico. b) È possibile che l'autore di Colossesi abbia constatato che i suoi avversari, fossero o meno gnostici, si valevano di questo termine e lo abbia impiegato a sua volta contro di loro (così Lightfoot). 2. La lettura speculare è sempre un az zardo. Dalla circostanza che il codice domestico espone norme di compatta mento per famiglie totalmente cristiane non si può dedurre che nelle comunità I
J.B. Lightfoot, Colossians, :1.5 5-:1.7 1 .
z.
Cf. ibidem.
EF. r , r 5 - 2 3
23 3
alle quali l'autore di Efesini scriveva vi fossero solo famiglie siffatte. La suppo sizione che gli avversari dell'autore di Colossesi utilizzassero il termine è per tanto gratuita. Una cosa si può dire: se si parte dal presupposto che Col. 1 , 1 5 20 sia u n inno adottato dall'autore della lettera, i l termine era usato i n senso teologico già prima di Colossesi. Se in Efesini ha lo stesso significato - il che non è certo -, e se Efesini era in un certo senso una lettera di carattere genera le, allora, visto che l'autore non ne fornisce una definizione, ci sono buone possibilità che il suo impiego teologico potesse essere compreso senza necessi tà di spiegazioni da una cerchia piuttosto ampia di credenti in Asia Minore, i quali dovevano essere a conoscenza dell'inno della lettera ai Colossesi. Era dunque un termine corrente già prima che l'autore di Efesini scrivesse, il che peraltro non risolve la questione della sua origine. c) Lo stoicismo (così Ben oi t). 1 Qui è importante distinguere fra il termine e il concetto. Il termine non si trova nel primo o nel medio stoicismo,� ma com pare in Corp. Herm. 1 6, 3 ; 1 2, 1 5 ; 6,4. D'altro canto, l'idea che «Dio•• riempie tutte le cose con la sua presenza in modo tale che il cosmo è completamente pieno, senza alcun vuoto, è una dottrina fondamentale dello stoicismo. Questa spiegazione dell'origine del termine è più appropriata per Colossesi, ove l'inte resse è cosmico, che non per Efesini, ove l'interesse è ecclesiologico, e in effetti Benoit dedica molta più attenzione alla prima lettera. L'influsso stoico non può comunque essere ignorato, anche se i termini non corrispondono con esattez za. Quando un concetto ha ampia diffusione, può agire sul pensiero di quanti ne subiscono l'influenza culturale, col risultato che costoro possono essere più pronti a riprenderlo e utilizzarlo anche se non precisamente come è stato usato in precedenza. Forse 4 , 1 0 rivela una maggiore influenza stoica rispetto a 1,23, ove non si parla del riempimento del cosmo. Gli stoici concepiscono l'identifi cazione tra «Dio•• e l'universo in maniera diversa dal modo in cui l'autore di Efesini vede quella tra Cristo e la chiesa, poiché per lui Cristo ne è sia il capo sia la fonte. d) Il giudaismo ellenistico (Feuillet, Gnilka). Il vocabolo si trova nei LXX (ad es. Ger. 8 , 1 6; Ez. 19,7) e in Filone (ad es. Praem. 65; Spec. Leg. 2, 200. 2 1 3 ), e l'idea di Dio che riempie l'universo sarebbe prestoica in Ger. 2 3, 24 (LXX). Come il giudaismo, tuttavia, il giudaismo ellenistico distingueva chiara mente tra Dio e l'universo. Poiché inoltre nel giudaismo ellenistico il termine è usato con valore sia attivo sia passivo, non se ne ricava alcun aiuto per risol vere il problema in relazione a Efesini. Ne consegue che quando si giunge a esaminare il significato di pleroma in E{. 1 , 2 3 , lo si deve accogliere come termine che era già nell'uso teologi co ma era impiegato ampiamente anche senza tale valore. È associato al ver bo corradicale in 1 ,2 3 ; 3 , 1 9; Col. 2,9 s., il che induce a ritenere che il suo significato debba essere strettamente connesso a quello del verbo. In 3 , 1 9; SEÀ 49 ( 1 984) I 3 6- t 58; cf. Dupont, G nosis, 4 5 3 -4 7 1 . 1 Cf. Ernst, Pleroma, r 1 ; Overfield, art. cit., 309; Va n Roon, Authenticity, 2.2.9. t
23 4
PREGHIERA PER LA CONOSCENZA
Col. I, I9; 2,9 si legge 1tciv -cò 7tÀ�pw(Joot. Poiché questa espressione figura per la prima volta nell'inno contenuto nella lettera ai Colossesi ( I, I 9 ) e giac ché è parzialmente ridondante, considerato che pleroma in sé può implica re il senso della totalità, la locuzione in quanto distinta dal termine può es sere davvero «tecnica » . L'assenza di 1tciv -co in Ef. I,23; 4, I 3 può per con verso far pensare a un uso non tecnico. Non si può quindi partire dall'idea di un significato univoco del termine in Efesini (cf. I , Io), tanto meno in Efe sini e Colossesi. In 4, I 3 il pleroma è quello di Cristo, mentre in 3 , I 9 è quel lo di Dio (cf. Col. 2,9; in Col. I , I 9 resta indefinito). Ciò lascia ritenere che l'agente definitorio in I,23 possa essere sia Cristo sia Dio; esso è in effetti determinato dal participio del verbo corradicale, il cui soggetto (v. sopra ) è probabilmente Cristo. Una lettura risolutiva dell'intera espressione del v. 23 si ottiene conside rando Cristo completato dalla chiesa. Si attribuisce al sostantivo valore atti vo, nel senso di «completamento >> , ritenendolo apposizione di aw(Joot; il par ticipio è letto in senso passivo e la locuzione conclusiva è avverbiale. Questa interpretazione era diffusa tra i Padri (ad es. Crisostomo, Ecumenio, Ambro siaster), presso alcuni riformatori ( Calvino, Beza ) e più recentemente presso molti studiosi di lingua inglese sotto l'influsso di Robinson. Il capo e il cor po costituiscono una unità. Un capo è incompleto senza un corpo. La chie sa completa Cristo. Questa interpretazione non contravviene in alcun mo do alla grammatica del versetto. Le obiezioni si basano sui seguenti motivi: r . l'assenza di elementi che confortino tale tesi in altri luoghi di Efesini e del N.T.; non è possibile chiamare a sostegno Col. I,24, giacché il suo signifi cato (la chiesa, o Paolo, completano le sofferenze di Cristo ?) è troppo in certo (si vedano i commenti ) per potervi fondare una qualsiasi argomenta zione; 2. l'immediato contesto di Ef. I,23 non favorisce l'idea del comple tamento di Cristo, visto che si pone l'accento sulla sua grandezza e sarebbe sorprendente se ora si dicesse che egli necessita di completamento (Gros heide); 3 · anche se capo e corpo possono formare un tutto, il v. 2 2 non ri manda al ruolo di Cristo quale capo del corpo, ma a quello di capo del co smo, e sarebbe inappropriato presentare la chiesa come completamento di un ruolo siffatto; 4· più in generale, secondo il modello biblico sono le per sone a essere riempite da Dio o da Cristo (ad es. Ef. 3 , I 9 ) ; non si dice mai che sono loro a riempire Dio o Cristo; 5. se la chiesa completa Cristo, è difficile vedere come egli possa essere il capo della stessa chiesa e la fonte della sua esistenza (4, I 6), nonché amarla e dare se stesso per quella ( 5,25). Si potrebbe pensare che qualche aspetto della difficoltà teologica suscitata da questa teoria risulti eliminato sostituendo « integrazione >> a «completa mento >> : capo e corpo si integrano a vicenda; il corpo è lo strumento per l'esecuzione della volontà del capo. Ma ancora una volta non è questo il
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modo in cui la lettera agli Efesini concepisce il rapporto tra capo e corpo, I in particolare in questo passo, dove non si mostra interesse per l'attività dei credenti nel mondo, né sul piano individuale né nel loro insieme. Si sono fatti tentativi di superare l'obiezione all'idea della chiesa quale completamento o integrazione di Cristo, considerando Cristo come una personalità inclusiva. Secondo Y ates, 2 Cristo viene riempito totalmente, vale a dire reso completo, in quanto i credenti riconciliati sono incorporati in lui. Sono loro dunque il suo riempimento o completamento (pleroma ) nel mondo, poiché lo rappresentano tramite il suo corpo, la chiesa. È que sta una soluzione ingegnosa, ma l'introduzione dei credenti come coloro che riempiono il Cristo non ha alcuna base. Quando Cristo e i credenti sono riuniti in virtù di un riempire, è Cristo che riempie i credenti (Co/. 2, I o) e non l'inverso. Dato ancor più importante, non ci sono altri passi nei quali il concetto di personalità inclusiva o corporata sia spiegato col ricorso al l'idea del > . Il concetto in sé costituisce il fondamento di un set tore considerevole del pensiero biblico e primitivo, ma coloro della cui cul tura esso è parte non hanno mai bisogno di spiegarlo a parole. Sono gli oc cidentali moderni, con la loro concezione molto più individualistica della personalità, che necessitano di parole come > per avere un'imma gine di quello che il concetto significa. Una personalità inclusiva non è > in relazione alla comu nione dei credenti prima della trattazione di 1 2, 1 2 ss. L'origine dell'idea paolina della chiesa quale corpo di Cristo si radica dunque profondamente nella sua teologia e va ricollegata, tra l'altro, alla sua concezione del rapporto dei credenti con Cristo che ha inizio nella con versione/battesimo e continua tramite la partecipazione all'eucaristia. Pur in assenza dell'espressione , il concetto è presente in 6, 1 5 e I0, 1 7. A prescindere che nel secondo passo abbia o meno la me desima connotazione presente in I O, I 6, esso indica che i credenti formano un corpo ( Best, One Body, 8 8 ss. ) . In 6, 1 5 i corpi dei credenti, espressione che nella terminologia di Paolo significa semplicemente > , sono membra di Cristo (ibid., 74 ss. ) . È possibile che anche > in n ,29 si riferisca alla chiesa (ibid., 107 ss. ), mentre è improbabile che vi sia un'al lusione in proposito in I Cor. 1 , 1 2 s. e Gal. 3 , 1 6.28 s., per quanto questi passi riguardino la comunione dei credenti. Taie comunione è sottesa al pensiero di Paolo anche là dove egli usa espressioni come > , , o frasi che lo descrivono quale nostro rappresentante, e quando pensa a Cristo come al secondo Adamo. Si noti altresì che in I Cor. 1 2, 1 3 si dice che i credenti sono stati battezzati i n u n solo corpo e in Gal. 3,27 che il battesimo è in Cristo. Alla luce di tutto ciò non sorprende la presen za del cenno a Cristo in I Cor. 1 2, 1 2 e la scoperta della prima occorrenza esplicita dell'espressione «corpo di Cristo >> in I Cor. 1 2,27. L'aspetto più significativo nel suo uso non è quindi quello di un'unità che incorpora la diversità, bensì il rapporto della chiesa con Cristo. I credenti sono insieme in una comunione reciproca e con Cristo. Paolo può utilizzare l'espressio ne perché per lui non è semplicemente un concetto fisico; spesso equivale al pronome personale. I Questo argomento, derivato dall'impiego dell'espressione nella prima lettera ai Corinti, può essere comprovato sulla base dell'utilizzo in relazione a unità e diversità in Rom. 1 2,4 ss. Non aven1 Su •corpo • v. Kasemann, Leib, I-so; Best, One Body, 2. 1 5 ss.; Stacey, I 8 I ss.; jewett, 2.0 1 ss.; Gundry, passim.
IL CORPO DI CRI STO
do insegnato ai cristiani di Roma, Paolo non poteva sapere se avrebbero capito l'immagine del corpo di Cristo isolatamente. Poiché invece avrebbe ro compreso il concetto all'interno dell'apologo, egli ne può introdurre que sto aspetto. Dalla loro esperienza avrebbero potuto ricavare un'idea della comunione con Cristo. Nel suo scritto dunque egli parla di « un solo corpo in Cristo >> , poiché la comunione è legata all'essere in Cristo. implica sia la diversità nell'unità sia la comunione con Cristo. Si può concludere affermando che l'espressione «corpo di Cristo >> esisteva prima del suo sviluppo dovuto all'apologo (cf. Benoit, Corps, 1 1 8 ). Con siderato dunque che essa non è nata con l'apologo, che questo non ne tra smette il significato originario e che il tema della diversità nell'unità non è il suo senso fondamentale, si può constatare come, dove in Efesini l'argo mento dell'apologo non è preponderante (l'elemento delle « membra >> so pravvive ancora in 4,25; 5,30), il suo autore non si stia allontanando dal l'originario intento paolina. L'aspetto della diversità non è dominante per ché l'autore di Efesini non aveva motivo di servirsene nella propria argo mentazione: le divisioni che laceravano la chiesa di Corinto, benché esi stenti in alcune delle comunità che egli aveva in mente, non erano presenti in tutte. L'autore di Efesini non sta perorando l'unità come avviene nella lettera ai Corinti, ma la accoglie come qualcosa che Dio ha dato alla chiesa. Come si è osservato sopra, la principale differenza nella presentazione dell'immagine del corpo in Efesini rispetto a quella delle epistole preceden ti sta nell'identificazione di Cristo come capo. Poiché questa differenza va le anche per la lettera ai Colossesi, si può presupporre che essa si sia mani festata all'interno della scuola paolina alla quale appartenevano gli autori dei due scritti, anziché ritenere che costoro l'abbiano elaborata indivi dualmente. Il termine xecpa.À� 1 è usato in senso fisico per indicare la parte superiore del corpo e viene quindi applicato analogicamente, per esempio, alle cime dei monti. Qual è dunque il suo impiego metaforico? Qui il suo significato spazia da quello di signoria suprema a quello di fonte od origi ne. Tra queste accezioni, nella letteratura greca e romana la seconda è rara in relazione a persone, mentre ricorre più usualmente a proposito di fiumi: Grudem riporta solo quattro casi (Philo Congr. 6 1 ; Artemidoro Daldiano, Onirocriticus 1,2.3 5; 3 ,66). In riferimento a persone le due accezioni non sono prive di un rapporto reciproco: in una società patriarcale all'interno 1 V. J.M. Gonzalez Ruiz, Sentido soterio/6gico de Keq:>cxÀ-lj en la cristologia de San Pablo: Antho· logia Annua I ( I 9 5 3 ) I 85-2.24; S. Bedale, art. cit.; Van Roon, 2.75 ss.; Usami, 1 1 7- I 2.4; Miletic, 7487; W. Grudem, Does Kephale («Head•) mean «Source• or «Authority Over• in Greek Literature? A Survey of 2,3 3 6 Examples: TJ 6 ( I 9 8 5 ) 3 8-59; Id., The Meaning of Kephale («Head•). A Response to Recent Studies: T] I I ( I 990) 3-72.; R.E. Cervin, Does xeq:>cxÀT, mean «Source• or «Authority Over• in Greek Literature? A Rebuttal: TJ 10 ( I 989) S s · n :t; J.A. Fitzmyer, Another Look at Kephale in I Corinthians: NTS 3 5 ( I 989) 503·5 1 1 ; Id., Kephale in I Corinthians I I,J : lnt 47 ( I 9 9 3 ) 5 2.-59·
EXCURSUS 4
di una famiglia il marito funge sia da sua fonte biologica sia da guida. Se Cristo è inteso quale secondo Adamo, potrebbe essere considerato e origi ne e guida dei credenti. Parlando di Cristo capo della chiesa si affacciano pertanto due questioni: che cosa ha condotto all'identificazione di Cristo come capo ? qual è il significato di tale identificazione? La soluzione più semplice è presumere che l'idea di Cristo capo sia nata dal dibattito fra i credenti sulla sua relazione con la chiesa in quanto suo corpo. I convertiti greci non avrebbero avuto difficoltà a collegare l'apolo go alla varietà nell'unità tra un gruppo di persone. Procedere oltre e corre lare questo motivo ai membri del gruppo in quanto membra di una perso na specifica concepite alla stregua di suo corpo era però tutt'altra cosa. Per il pensiero greco infatti il corpo non è la persona, come poteva essere per i giudei (cf. Rom. I 2, I ; I Cor. I J ,J; Fil. I ,2o ecc.), ma è la parte meno im portante della persona. Corpo e anima formano un tutto, ma delle due componenti il corpo, essendo materiale, è inferiore. Per evitare che questa inferiorità intrinseca del corpo fosse trasferita alla rappresentazione della chiesa come corpo di Cristo, era necessario definire la posizione di Cristo in relazione al suo corpo. Ma anche se si ammette che sia questo il punto di partenza del dibattito che ha condotto da ultimo alla considerazione di Cristo quale capo, il dato in sé non spiega perché egli finì con l'essere de scritto come capo e non come qualche altra parte del corpo. Sarebbe anzi parso da escludersi l'uso di capo, visto che nell'immagine ampliata di I Cor. I 2, I 2 ss. erano già stati identificati col capo del corpo, ( I 2,21 ), non ché con gli occhi e le orecchie che sono parti del capo ( I 2, I 6), i membri comuni della chiesa. Il pensiero greco sarebbe stato in effetti più propenso all'idea, per esempio, di Cristo anima che non di Cristo capo. Nella letteratura greco-romana il cosmo era abitualmente presentato co me corpo e in quanto tale visto come > : 2, I - I O espone la vicenda del passag gio dei credenti gentili dal paganesimo al cristianesimo; 2 , I I-22 quella del loro passaggio al popolo di Dio; 3 , 2- I 3 considera la posizione speciale di Paolo rispetto a questo passaggio. L'autore apre 2, I - I O con un richiamo alla condizione dei suoi lettori pri ma che credessero (v. I ) e si ha l'impressione che intendesse passare imme diatamente a parlare del rimedio postovi da Dio, quando si rende conto di non avere descritto adeguatamente tale condizione: non basta un semplice cenno al peccato. Così interrompe quanto stava dicendo, dando luogo a un anacoluto. Irregolarità sintattiche di tal fatta non sono insolite in Pao lo, ma in questo egli non è affatto unico e la comparsa di un esempio qui non può essere utilizzata né a favore né contro la paternità paolina della lettera. L'autore di Efesini presenta la condizione precristiana dei propri lettori non solo come caratterizzata dal peccato (v. I ) , ma anche (v. 2 ) sot to il controllo di forze maligne soprannaturali: peccando, essi non erano padroni di se stessi, ma erano assoggettati a un controllo esterno. La di gressione prosegue al v. 3 , sottolineando come nel loro comportamento peccaminoso essi fossero sospinti da concreti impulsi devianti e facendo notare come così operando si siano esposti al giudizio di Dio. Con inizio nel v. 4 l'autore riprende uno dei suoi argomenti preferiti, la salvezza, ele mento che, in assenza della digressione, avrebbe costituito la proposizione principale del periodo iniziato al v. r . Con l'espressione del tema della sal vezza, ripete al v. 5 il concetto del v. I, aggiungendo l'affermazione essen ziale che quanti erano morti hanno ricevuto nuova vita in Cristo. Questa nuova vita è definita al v. 6 in termini che la collegano a ciò che era stato detto in I ,20 sulla risurrezione di Cristo e il suo essere assiso nei cieli. I credenti sono stati portati alla vita in quanto con Cristo sono stati risusci tati e, come a lui, è stato loro assegnato un posto nei cieli. La condizione mortale degli increduli differisce tuttavia da quella di Cristo: la sua morte è stata fisica, la loro spirituale. Da questa differenza è scaturito il v. I e la sua espansione nei vv. 2 s. C'è però un'affinità tra la condizione di risorti dei credenti e di Cristo, poiché essi sono stati risuscitati con lui quando hanno creduto e sono stati battezzati. Tale affinità si estende ulteriormente in quanto sono stati fatti sedere con lui nei cieli, sebbene non come lui alla destra di Dio. Essi perciò non regnano come egli regna. La loro nuova po sizione serve peraltro a mostrare la grazia di Dio agli «eoni » che si appros simano, talché i credenti ricoprono un ruolo nel rendere nota la salvezza su scala cosmica. Il tema della loro salvezza, enunciato la prima volta al v.
DALLA MORTE ALLA VITA
sb, viene ampliato e spiegato ( vv. 8-Io) in termini che generalizzano l'in segnamento di Paolo serbando tuttavia con quello un sostanziale contatto. La loro salvezza non è il risultato dei loro sforzi, ma è dono di grazia da parte di Dio. Nessuno può vantarsi di aver contribuito alla propria attuale posizione di credente. Essi sono creazione di Dio e anche le opere buone che compiono come cristiani erano state da lui predisposte per loro in an tecedenza . L'argomentazione passa dunque da una descrizione negativa della con dizione pregressa dei lettori, quando erano soggiogati dal peccato e dalle potenze del male, a una descrizione positiva della loro condizione attuale di salvati. È una sorta di racconto della vita del credente tipico (Penna). Questo cambiamento nella loro condizione deriva dal loro coinvolgimento in quanto è avvenuto a Cristo. In un certo senso l'autore di Efesini abban dona qui la sua tematica centrale della comunione dei cristiani, che ripren derà in 2,n -22, ma lo fa perché è necessario, prima di procedere oltre, spiegare in quale modo i suoi lettori sono diventati cristiani: la comunione nella chiesa è possibile soltanto ai cristiani. Questo passaggio è pertanto una preparazione indispensabile a quanto seguirà. Si è cercato di individuare materiale liturgico e appartenente al credo al l'interno di 2, I - I o, tentativi che saranno presi in esame quando si giungerà all'esegesi dei passi in questione (v. al v. I e prima del v. 4 ) . È anche possi bile la presenza di una glossa, che consterebbe dei vv. s b. 8 s. (v. ai vv. 8 s.). Il brano nel suo insieme può essere una inclusio, giacché ricorre 7te:pm�X-te:iv sia al v. 2 sia alla fine del v. IO. L'ipotesi sarebbe più facile da accogliere se la prima occorrenza del verbo si fosse trovata all'inizio del passo. A pre scindere da questo, il brano è internamente coeso grazie alla ripetizione, al v. s, di espressioni provenienti dal v. I e, al v. 8, della frase conclusiva del v. s, «salvati per grazia >> . La sua unitarietà è tuttavia turbata dal lungo ana coluto dei vv. 2 s. I . I Come accusativo, U(Jocic; esige un verbo reggente, che però non com pare fino al v. s, dove si ripete parte del v. I . Il x�Xt iniziale di entrambi i versetti crea problema. Al v. I potrebbe suggerire una stretta connessione con quanto precede: « anche voi essendo morti come Cristo era morto>> , ma la nostra morte non somiglia in nulla a quella di Cristo. Trattandosi della prima parola del periodo, è inoltre arduo attribuirle il senso di « anche, in particolare>> (così Barth) e riferirla ai soli gentili. «Voi >> qui indica i lettori, principalmente i gentili, ma sono compresi anche i giudei. In alternativa, xai potrebbe essere considerato in senso continuativo, con lo scopo di segnala re una nuova fase nell'argomentazione (cf. Atti I , I s; 2, I ; Rom. I 3 , n ; 1 I
Ho trattato questo versetto in maniera più esauriente in Dead.
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247
Cor. 2, I ; 3 , 1 ) . C'è un nesso tra la nuova vita di Cristo e le nostre, che sarà espresso più avanti nel passo. È molto più probabile che l'uso del xai deb ba essere posto in relazione con quello di Col. 2, I 3 a. Ne consegue che il ver setto in esame dipende da Co/. 2, I 3 ? Ma il xai iniziale è problematico an che in quel luogo (cf. Haupt, 9 I n. 2). Wengst ha perciò prospettato la pos sibilità che l'autore di Efesini si sia servito di un distico della tradizione: xai oV't'aç -lJ�J-ti> . Essa produce incredulità, co sì come l'obbedienza produrrebbe vita, sicché l'obbedienza non può essere lontana dalla fede e la disobbedienza dall'incredulità. I Spezzando la struttura del periodo in 2,2, l'autore deve essersi reso con to che qualificare la vita passata dei suoi lettori e quella attuale degli incre duli esclusivamente come morte nei peccati e nelle colpe non era sufficien te. Benché dica , e in Sib. 2,309, > : coloro che sono chiama ti così finiscono nella perdizione eterna. Questi paralleli suggeriscono che l'ira 3 cui si pensa in 2,3 sia l'ira escatologica di Dio, benché come tale essa non sia necessariamente futura e se ne possa fare esperienza già ora (cf. Rom. r , r 8 ss. 1 3 ,4 s. e v. a Ef. 5,6), visto che l'autore di Efesini propone I
Cf. W.D. Davies, Pau/ and Rabbinic Judaism, London 1948,
2.1 .
2 Sulla storia dell'interpretazione cattolica del v . 3 c (dice poco s u quella protestante) v. ] . Mehlrnann,
Natura Filii lrae (AnBib 6), Roma 19 57; per l'interpretazione protestante v. D.L. Turner, Ephesians 2:2c and Peccarurn originale: GraceTJ 1 ( 1 980) 1 9 5·219. 3 Sull'ira di Dio v . A.T. Hanson, The Wrath of the Lamb, London 1 9 5 7; L. Morris, The Apostolic Preaching of the Cross, London 1 9 5 5 , 1 6 1 ss.; Id., The Cross in the New Testament, Exeter 1976, 1 89-192; H. Kleinknecht et al., in TWNT v, 3 8 2-448; G.H.C. MacGregor, The Concept of the Wrath of God in the New Testament: NTS 7 ( 1 960- 1 96 1 ) 1 0 1 - 1 09; G. Bomkarnrn, The Reve/ation of God's Wrath (Romans I·J), nel suo Early Christian Experience, London 1 9 69, 47-70.
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2 59
un'escatologia realizzata. La si dovrebbe intendere come ira personale e non impersonale, anche se non si deve insistere troppo sul confronto con l'ira umana, poiché, diversamente da quella umana, la collera di Dio non è né malevola né astiosa. L'assenza qui di una menzione esplicita di Dio (pre sente nel passo parallelo di Col. 3 ,6) non è più sorprendente che nelle cita zioni della grazia ai vv. 5 e 8 . ' Che i credenti fossero un tempo, e gli incre duli siano ora, soggetti all'ira escatologica di Dio concorda col loro essere stati un tempo morti nelle colpe e nei peccati. In quale maniera la precisazione �uae:t :z. incide sul senso dell'espressione ? Il vocabolo non ha un equivalente nell'ebraico biblico e si trova solo nel greco giudaico tardo. Nel presente contesto potrebbe significare o «carat tere» o «costituzione » : figli dell'ira a motivo del loro comportamento o fi gli dell'ira in quanto esseri umani. Se il significato fosse il primo, ci si at tenderebbe l'affermazione di una qualità etica (cf. Ios. Ant. 14, 1 3 .44; Bel/. 1,204.2 5 5 ) ed Èytvo[J.e:.Sct sarebbe più appropriato di �[J.e:.Sct (Ewald). L'in terpretazione dell'intera espressione nel senso di «soggetti all'ira in quanto esseri umani » si accorda meglio al v. 1 . Gli increduli sono «morti >> non a causa di una successione di peccati che ha comportato la morte, ma perché non sono mai diventati vivi in quanto credenti. In quanto morti, sono sog getti al giudizio (cf. Gv. 3,3 6), cosicché si possono giustamente definire «sog getti all'ira >> . > non ha però significato letterale. Vi sono varie possibilità: 1 . il pec cato originale nel senso ereditario tradizionale; 2.. un coinvolgimento nel peccato dovuto alla o alla , considerata o in quan to conferisce un'innata propensione al peccato o come propria della natu1
Si
•
Su q>oo> , è soddisfacente se la conseguenza del peccato è il giudizio di Dio e non semplicemente «la puni zione che colpisce la trasgressione, sia che assuma la forma di una senten za giudiziaria emanata in un tribunale (Rom. I 3 ,4), di una catastrofe na zionale ( r Tess. 2, I 6), o di una progressiva degradazione morale (Rom. I , I 9-3 2 ) >> (Caird, ad loc. ). Respinta questa prospettiva, occorre chiedersi quando ha luogo il giudizio di Dio. Se per l'autore è possibile presentare i credenti già assisi nei cieli (v. 6), sembra possibile pensare agli increduli come già sottoposti al giudizio di Dio e già condannati. 2, I-3 spiega l'esistenza umana non cristiana in due modi: in quanto go vernata internamente dal peccato ed esternamente da potenze soprannatu rali maligne. È possibile conciliare queste due concezioni? Mentre possono venire dall'esterno pressioni economiche sulle persone come effetto della avidità umana di altri, non si può addebitare la costituzione genetica di una persona al peccato di altri. Probabilmente l'autore non prendeva molto in considerazione le pressioni economiche in quanto tali. È verisimile che egli ne avrebbe imputato le conseguenze sugli individui a forze soprannaturali maligne e, quanto ai peccati, con ogni probabilità li avrebbe del pari attri buiti sia alla natura umana, sia - insieme a tanta parte della teologia tradi zionale - a poteri esterni come il diavolo.
È possibile che ai vv. 4- Io sia sotteso un inno o un frammento di credo? Schille, 5 3 - 6o, individua un inno iniziante con ÒÉ al principio del v. 4 e terminante con l'interruzione anteriore al v. I I . A questo l'autore avrebbe aggiunto il v. se e i vv. 8 s. Non vi è dipendenza da Colossesi: le affinità vanno spiegate con l'impiego da parte di entrambi di una Vor/age comune. È però molto difficile ricavare una struttura strofica corretta per questo presunto inno. L'idea di essere resi vivi (v. 5 ) riprende quella di essere morti del v. I e l'idea di essere risuscitati e posti a sedere nei cieli con Cri sto è conseguenza della risurrezione e ascensione di Cristo in I ,2o. Il brano trova quindi agevole collocazione nel proprio contesto, il che induce a ere-
EF. 2, 1 - 1 0
dere che sia stato scritto per questo. D a ultimo, i l contenuto dei vv. 5c.8 s. è troppo importante per costituire un pensiero collaterale. Non c'è quindi
motivo di ravvisare qui l'utilizzo di materiale preesistente col quale tutti i lettori avrebbero avuto familiarità, benché sia impossibile negare la possi bilità che l'autore di Efesini abbia fatto uso di materiale liturgico a lui no to. Ciò significa, in particolare, che non si può sostenere di trovarsi qui di fronte a una parte di liturgia battesimale. Ricorrono molti termini che po trebbero avere connotazione battesimale, ma non necessariamente la han no. Per una trattazione più esauriente v. al v. 5 e Best, Use. 4· Se gli increduli erano un tempo morti nel peccato, sottoposti al pote re di esseri soprannaturali maligni, controllati dai loro desideri perversi e soggetti all'ira di Dio, non potevano aspettarsi alcuna misericordia da lui, però (ÒÉ) sorprendentemente non è così, perché Dio è ricco di misericordia. L'anacoluto dei vv. 2.3 non solo dunque sviluppa il v. I, ma dà anche più forte risalto al contrasto che emerge col v. 4· La nuova posizione dei cre denti è risultato soltanto della natura e dell'azione di Dio. Come al cap. I , pure qui l'iniziativa nella salvezza spetta a Dio e s i h a una teologia piutto sto che una cristologia. È probabilmente sbagliato sottolineare qui eccessi vamente l'antitesi fra •> (vv. 1 . 5 ) e la «vita >> (auvt'çwo7tOtl)atv, v. 5 ) . Esso è introdotto con un'afferma zione generale sulla natura di Dio: 7tÀouawç (termine caro all'autore di Efe sini - v. a I ,7 -, benché di norma egli prediliga il sostantivo neutro) wv Èv (per questa costruzione al posto del più comune genitivo v. Giac. 2, 5; I Tim. 6, 1 8 ; I Baa. 2,10) ÈÀÉtt. Poiché l'ultimo non è un concetto passivo, conduce naturalmente a una successione di verbi attivi. Alcuni commentatori (ad esempio Schlier, Conzelmann, Gnilka; per ul teriori rinvii v. Gnilka, 1 1 7 n. 5) hanno scorto una connessione fra l'uso di EÀtoç e il battesimo e citano come luoghi paralleli I Pt. I,3 e Tit. 3 , 5 . È possibile che tale nesso sia presente anche nei vv. 5 s., dove i temi dell'esse re morti ed essere risuscitati con Cristo sono forse correlati al battesimo tramite Rom. 6, 1 ss. e Col. 2,I 2, passo nel quale si allude chiaramente al battesimo. La connessione di eÀtoç con il battesimo è certamente presente in Tit. 3,5, mentre non è così in termini immediati in I Pt. I , 3 , a meno che non si consideri la lettera un sermone o una liturgia battesimale, il che è improbabile.' eÀtoç è usato anche in contesti di «elezione>> (Rom. 9,23; 1 V . Best (ed.), I Peter (NCB), London I 9 7 1 , 2.0-2.7; L . Goppelt (ed.), Der erste Petrusbrief (KEK), GOttingen I978, 3 7·40; C.F.D. Moule, The Nature and Purpose of I Peter: NTS 3 ( I 956) I-I I .
DALLA MORTE ALLA VITA
I I ,30-3 2; I Pt. I,J ) e poiché questo è un argomento di rilievo in I ,J- !4, ciò può aver determinato la preferenza per tale termine qui. È tuttavia più probabile che l'autore abbia optato per il vocabolo perché ricorre spesso nell'A.T. ed è sinonimo di cìya7tlJ, che userà tra poco. (Per il possibile rap porto dei vv. 5 s. col battesimo si veda la trattazione ad loc. ) Notando la paronomasia al v. 4b (cf. I,J ), è necessario domandarsi se la frase debba essere raccordata con quanto precede, al v. 4a, oppure con quanto segue, al v. 5 · Nel primo caso parlare dell'amore di Dio è un altro modo per dire che egli è misericordioso e l'aoristo I l]ya7tlJC'EV non sarebbe limitato all'even to della croce. Nel secondo caso l'aoristo avrebbe un senso di unicità e de finitività in relazione all'essenza dell'azione di Dio nella morte del figlio. Forse è sbagliato pronunciarsi per una di queste alternative. Il v. 4b costi tuisce piuttosto un anello di congiunzione fra il v. 4a e il v. 5 · L'amore di Dio nella morte del figlio fa parte del suo atteggiamento misericordioso verso gli uomini, che raggiunge il proprio culmine in quella morte, cosic ché per suo tramite quanti sono morti nel peccato sono resi vivi. In tal modo la nuova vita dei cristiani è connessa direttamente all'azione di Dio in Cristo piuttosto che alla sua natura misericordiosa. cxÙ-çou è omesso da 1)46 D * F G b; Ambr Aug, il che non incide sul senso. La variante "Ì]ÀÉ1Jatv, 1)46 b d; Ambst, nella quale si ha pure l'omissione di �v, è probabilmente dovuta al desiderio di fornire un verbo principale al v. 4, elimi nando così la difficoltà causata dal xcxt all'inizio del v. 5· Tale sostituzione in debolisce la frase e, benché crei un'altra paronomasia, coglierla non sarebbe facile come per quella tràdita nel testo, che gioca sulla radice cìycx1tcx-. cìya1tljV è accusativo dell'oggetto interno (Moule, 32; MHT, 24 5 ). Per posizioni e ar gomentazioni contrastanti su questa seconda variante si veda Ramaroson, art. cit., e Romaniuk, 2 I 2 s.
5· Qui, come al v. I , il xcxt iniziale è problematico e deriva probabil mente dall'uso di materiale preformato (v. al v. I ) . Questa ipotesi è prefe ribile all'interpretazione nel senso di > o all'attribuzione di un valo re concessivo. Come si è visto, i copisti hanno modificato il v. 4 in modo tale che il xcxt potesse avere il suo significato normale di . La soluzione migliore è probabilmente lasciarlo non tradotto e intendere le parole se guenti come oggetto di auvel:wo7tOtl)atv (studi approfonditi sui tentativi di trovare un significato per xcxt senza riconoscere l'uso di materiale preforma to sono in Ewald e Haupt). Questo versetto ripete essenzialmente il con tenuto del v. I , con l'omissione di ••peccati >> ,"" che nel v. I era un'aggiunta I
Aoristo di azione prolungata, Burton, S 39, o aoristo atemporale, Porter, 2.37. Per questo punto si ha una discreta serie di varianti: 1)46 presenta la lezione aw11> in Pao lo. Coglie senz'altro più nel segno Bruce, quando dice che la frase > (il corsivo è dell'autore). L'esame del significato dei cambiamenti si deve rinviare ai vv. 8-10. Per il momento si noti che il perfetto, e per di più un perfetto perifrastico (cf. Moule, 1 8 s.; Burton, § 84), fa pensare che l'autore abbia in mente > o ; al più potrebbe significare > è sempre fede in qualcuno o in qualcosa. Qui il suo oggetto non è definito, ma in 1 , 1 3 . 1 5; 3 , 1 2 è Cristo, e lo stesso si può pre sumere in questo caso. Nella locuzione òtèt 7ttanwc; compare il genitivo e non l'accusativo perché i credenti sono salvati non a motivo della loro fede ma tramite essa. È la loro risposta a ciò che Dio ha fatto; rappresenta la loro apertura alla sua azione. Non è qualcosa che, in combinazione con ta le azione, produce la salvezza. L'azione di Dio e la ricettività umana sono due facce della stessa medaglia. Paolo impiegava abitualmente il linguag gio della ••fede» per perorare la causa dell'ammissione dei gentili, ma è im probabile che qui l'autore pensi a questo aspetto, anche se in 2, I I-22 l'arr l commentatori della lettera ai Romani divergono al riguardo: Kasemann lo considera prepaolino; Cranfield no. Per una maggiore completezza di informazione sul dibattito v. U. Wilckens, Der Brief an die Romer 1 (EKK 6/1 ), Ziirich 1978, 1 8 3 n. 490. 1 A D• lf" 1 8 8 1 'lJl. Per l'espressione Ò1Òt 7ttauw.; in Paolo v. Rom. 3,:1.5.3 1 ; :z. Cor. 5,7; Gal. 3,1 4.:1.6; Fil. 3,9; cf. Col. :z.,u. L'autore di Efesini la usa di nuovo in 3 , 1 7 .
DALLA MORTE ALLA VITA
gomento trattato è l'unità di gentili e giudei in Cristo. Paolo non ha mai pensato, né lo pensa l'autore di Efesini, che soltanto i gentili, e non anche i giudei, debbano rispondere a Dio nella fede. Nel v. 8b l'autore riprende e sviluppa il v. 8a. Qual è il nesso ? A partire da Crisostomo, XIXt 'tou'to è stato di frequente riferito alla > è impossibile in 2, 1 2 per la presenza del successivo È7tcxyye:Àlaç, e se la resa «giuramenti >> è possibile tanto qui quanto in Rom. 9,4, sembra vi siano pochi motivi per preferirla a quella normale «patto •• . Ci sarebbe la possibilità di interpretare il rinno vamento del patto come indicante più patti (cf. 2 Macc. 8 , 1 5 ; Sir. 44, J 7· 45 ,26), ma è più probabile che i cristiani considerassero il nuovo patto di Ger. 3 1 ,3 1-34, alla luce del suo compimento in Cristo e della connessione con l'eucaristia, come un secondo patto, diverso da quello concluso con Abramo. Il patto stretto con Noè è irrilevante in quanto anteriore a quello I Israele può indicare la chiesa; v. P. Richardson, op. cit., 70 ss. Le difficoltà sollevate dall'intera espressione hanno indotto a emendamenti testuali: in F G si legge
:o
•promesse del patto�.
3 Sul concetto v. G. Quell - J. Behm, in TWNT I I , 105-1 3 7; G.E. Mendenhall, in IDB
1, 7 1 4·72.3; ). Guhtt, in NIDNIT 1, 3 65-3 72.; D.J. McCatthy, Old Testament Covenant. A Suroey of Cu"ent Opin· ion, Oxford 1 972.. Per il plurale •patti• v. C. Roetzel, �L11-Iìi)x11L in Romans 9,4: Bib 51 ( 1 970) 3 77-390.
4
EF. 2, 1 1 - 2 2
29 3
con Abramo e in ogni caso non è un patto concluso con Israele. L'autore di Efesini parla di una promessa (al singolare) associandola ai patti e, seb bene il termine promessa non sia frequente nell'A.T. - il numero di occor renze in Efesini giunge quasi a eguagliare quelle di tutto l'A.T. (cf. Sass, op. cit., 1 3 ss. ) -, c'è nei patti una prospettiva futura in relazione alla con tinuazione di Israele che potrebbe essere considerata alla stregua di una pro messa. Nell'ottica di tale prospettiva futura e quindi di tale promessa i gen tili sono stranieri. È possibile che l'autore pensi anche a passi veterotesta mentari che indicano che i gentili avrebbero partecipato al periodo messia nico futuro (Is. 42,6; 49,6), ma non è probabile, giacché, se così fosse, non avrebbe proseguito scrivendo che essi erano un tempo senza speranza. Le ultime due espressioni sono formulate in termini nei quali pare as sente qualsiasi richiamo a Israele (così Schnackenburg, Zur Exegese), quan tunque a un giudeo sarebbero apparse conseguenza naturale delle tre pre cedenti nel rappresentare la condizione > del v. I I e ••a quel tempo>> del v. 1 2. Il v. 1 3 non è più subordinato a (J.VlJ(J.OVEUE'tE, poiché ora non si richiede un atto di memoria, ma costituisce un nuovo periodo, che presenta la grande trasformazione operata da Dio nella posizione dei letto ri. Un tempo essi erano •• lontani » , ora invece sono ••vicini >> . Le conseguenze di questo mutamento, che qui si cominciano a considerare, saranno espo ste più compiutamente nei vv. 1 4- 1 8. Ai termini temporali vengono ora sostituiti quelli spaziali. 2 sono tratti probabilmente 1
Nell'uso dell'espressione vuvl òi l'autore della lettera agli Efesini non dipende da Co/. 1,u, come Mitton, 289: la locuzione è frequente in Paolo (quindici occorrenze). � Cf. Meuzelaar, 6o ss.; J.A. Loader, An Explanation of the Term proselutos: NT 15 ( 1 973) 270�77; W.C. van Unnik, The Redemption in I Peter I r B-19 and the Problem ofthe First Epistle ofPeter, nei suoi Sparsa Collecta n, Leiden 1 980, 3-82; Derwood C. Smith, The Ephesian Heresy: SBL Papers propone
( 1974) 4 5-54·
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da Is. 57,19, testo utilizzato in forma più diretta al v. 1 7 . Sal. 1 4 8 , 1 4 af ferma che Israele è vicino a Dio. In Is. 5 7, 1 9 sono contrapposti i giudei in esilio e quelli in patria (cf. 4 3 ,6; 60,4; Ez. 1 1 , 1 6 ecc.). È questo probabil mente il senso anche in Atti 2,39, ma non in Atti 22,2 1 . Nel giudaismo tardo ls. 57,19, o quantomeno la terminologia ivi impiegata, viene appli cato ai proseliti divenuti giudei. I Lincoln, The Church, nega che qui vi sia un'allusione a Is. 57,19, presupponendo che l'autore usi autonomamente la terminologia relativa ai proseliti. Se è vero che quella giudaica utilizzava queste voci, alla luce del v. 1 7 è però difficile credere che l'autore di Efesini non avesse in mente il passo di Isaia. Talora anche i gentili erano conside rati «lontani >> (Num. r. 8 [ 1 49d] ) . Di chi entra a far parte della comunità di Qumran si dice che si avvicina (qrb, 1QS 6, 1 6 . 1 9.22; 7,2 1 ; 8 , 1 8 ) . «Lontano >> e «vicino >> sono termini relativi che esigono un punto di ri ferimento fisso, che potrebbe essere il giudaismo, la chiesa o Dio. È difficile sia la chiesa, anche se nel v. 1 2 sono state descritte le caratteristiche del giudaismo assenti nei gentili, poiché quanti sono definiti sono in effetti nella chiesa e non solo «vicino >> a questa. L'alternativa è quindi fra il giudaismo e Dio. Poiché l'espressione > è usata di norma a proposito della redenzione, può sembrare meglio intendere la vi cinanza come vicinanza a Dio. Dato tuttavia che la menzione della vici nanza viene dopo il v. 1 2 e tali termini sono utilizzati al v. 1 7, resta anche l'idea che i gentili siano vicini a Israele. � C'è dunque un certo grado di am biguità o di ambivalenza che percorre i vv. 14- 1 8 , prodotto dalla difficoltà di separare il rapporto > . I vv. 14b- 1 5a constano di tre proposizioni participiali che hanno come soggetto Cristo. Di queste le prime due sono parallele, ma non è chiaro do1
m , 587; IV, 9 1 0 s. Non c'è alcun motivo per scorge un'allusione all'offena di pace; cf. F.D. Coggan, A Note on Ephesians z . 1 4 : ExpT 53 ( 1 941-
Per l'associazione del messia con la pace v. SB,
re
qui
1 9 4 2) 2 4 2-
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ve termini la seconda e cominci la terza. È appropriato che alla citazione del sangue di Cristo tengano dietro i participi aoristi, dacché l'azione che indicano è correlata alla sua morte. L'esistenza dei due gruppi, giudei e gentili, è già stata introdotta nei vv. 1 1 - 1 3 . Se è vero che il neutro, 't!Ì &!J- rponpa, può essere utilizzato per designare gruppi di persone (cf. Gal. 3 ,22; r Cor. 1,27 s.; Ebr. 7,7 e v. BDR, §§ 1 3 8 . 1 ; 263 .4; MHT, 2 1 ),t sorprende tuttavia trovarlo qui, perché nel prosieguo l'autore usa il maschile. La sua presenza è stata uno dei fattori che ha indotto a supporre che l'autore si sia servito qui di una tradizione preesistente (v. sotto), in cui il termine do veva comparire, ma riferito non a persone bensì alle sfere celeste e terrena. I maschili successivi sarebbero intervenuti allorché l'autore di Efesini in trodusse la menzione di giudei e gentili. Ma se egli inserì i maschili succes sivi e alterò notevolmente l'inno originario, perché non corresse il neutro in maschile per adattarlo a quanto seguiva ? Se non stava scrivendo su una falsariga, può darsi che abbia immaginato il neutro completato da un so stantivo, per esempio yÉvYJ o, più probabilmente, dato che nella frase se guente usa l'immagine spaziale di un muro, -x.wpta. È possibile altresì che sia ricorso al neutro perché esprimeva più chiaramente le due totalità dei giudei e dei gentili (Feine). Egli ha dunque in mente due popoli resi un solo popolo oppure due aree rese una sola area. I due gruppi non sono, a rigo re, giudei e gentili, sono cristiani di entrambi questi gruppi che vengono resi un nuovo gruppo. I giudei e i gentili in quanto tali continuano a esiste re come gruppi indipendenti. Si è considerata la seconda proposizione participiale parallela alla prima e sua continuazione, ma c'è chi (Schlier; Masson; Hugedé; Merklein, Chri stus, 3 r ; Salmond) ritiene ne costituisca la spiegazione. Ciò non è verisimi le, poiché tale senso sarebbe stato facile da esprimere senza ambiguità. Il verbo Àue:tv è impiegato abitualmente per significare la distruzione di og getti materiali ( Gv. 2, 19; Atti 27,4 1 ) e, quale che sia il valore di « muro in termedio,,, l'espressione fa pensare a un edificio reale o metaforico. Che cosa indica 'tÒ [J-e:ao'tot-x.ov 'tou rppay[J-ou (v. 1 4 ) ? I muri hanno diver se funzioni: possono essere volti a separare un gruppo di persone da un al tro, talora eretti a questo scopo da un terzo gruppo; possono essere co struiti da un gruppo che intende proteggersi da un altro, con accento posto o sull'esclusione dell'altro gruppo o sulla conservazione dell'identità di chi lo erige; oppure possono essere edificati per lasciare fuori altri o tenere den tro il proprio gruppo. La loro esistenza può causare inimicizia allorché escludono un gruppo da quella che i suoi membri considerano una propria 1 SuU'uso del neutro dove ci si aspetterebbe il maschile v. E. Pax, Stilistische Beobachtungen an neu tralen Redewendungen im Neuen Testament: SBFLA 17 ( 1 967) 3 3 5-347· Faust, 1 3 7, ritiene che l'uso di > relativo alla divisione si può vedere in CD 4 , 1 2; 8, r 2. 1 8, dove alcuni, probabilmente i farisei, sono accusati di costruire un muro. Come nel caso della prima soluzione, anche questa si adatta bene al contesto concernente una divisione tra giudei e gentili. Subito appresso, per di più, il v. 1 5 parla dell'annullamento della legge. A differenza che per la balaustrata del tempio, è più facile presumere che vi fossero in Asia Mi nore gentili che avessero una concezione della legge come ciò che li separa va dai giudei, suscitava l'impressione che quelli fossero arroganti ed esclu sivisti e li induceva a disprezzare i gentili. Alla fedeltà dei giudei alla legge era quindi attribuibile la responsabilità dell'erezione della barriera tra loro e i gentili. Malauguratamente, come nel caso delle altre soluzioni, le parole chiave del testo non compaiono mai in connessione con questo presunto muro. I passi della Lettera di Aristea sono quelli più affini, perché in essi ricorre 7te:ptcppri�w, verbo derivato dalla stessa radice di cpptXyfLoç. Pare im plicito in questa soluzione che si debba definire «inimicizia >> il muro che rappresenta la legge, o la legge stessa (l'opzione per una delle due alterna tive dipende dalla costruzione dell'ultima parte del v. 14; v. sotto), e non è facile immaginare come un seguace di Paolo, che cita il Pentateuco condi videndone i contenuti ( 5,3 1 s.; 6,2 s.), potesse accettare una simile idea. I V. SB, I, 693 s.; m, 5 8 8 . In mAb. 1 , 1 la legge non è un recinto, ma c'è un recinto attorno alla legge (la legge orale?) che la protegge da coloro che la insegnano.
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Lindemann obietta altresì che questa interpretazione capovolgerebbe la concezione giudaica della legge intesa come agente protettivo, trasforman dola in qualcosa che separa, il che sarebbe fortemente antigiudaico. Spesso peraltro le argomentazioni vengono rovesciate nel corso della trattazione. Se è vero che alcuni gentili che avevano familiarità con il giudaismo posso no aver condiviso l'idea che la legge li separasse dai giudei, è inimmagina bile che tutti la pensassero necessariamente così. A rigor di termini, il mu ro esisteva soltanto dal punto di vista giudaico. 4· Nessuna di queste soluzioni è del tutto soddisfacente. Per ciascuna il muro rappresenta qualcosa: in I un muro materiale nel tempio di Gerusa lemme; in 2 un muro «spirituale» o non materiale tra cielo e terra, e in 3 un concetto spirituale, la legge giudaica. È tuttavia possibile che si tratti della metafora comune di un muro che separa e che sia un errore cercarvi significati reconditi. I Quando non si è d'accordo, o ci si trova di fronte a persone in disaccordo, non è affatto insolito esprimersi come se ci fosse un elemento separatore ( « non riesco ad accostarmi a loro; è come se tra noi ci fosse un muro>> ). Si potrebbe quindi considerare il muro semplicemente metaforico e non indicante un concetto teologico. Giudei e gentili sono gruppi distinti. Erano molti gli aspetti che li dividevano. La letteratura gre co-romana mostra che i giudei erano disprezzati per le loro usanze partico lari e l'alta opinione che avevano di sé quale unico popolo di Dio. Questa loro convinzione li induceva a sdegnare chi non faceva parte del popolo di Dio. Essi rifiutavano ogni forma di assimilazione alla cultura prevalente e consideravano arroganti i romani che li opprimevano (per l'atteggiamento reciproco di giudei e romani cf. Ps. Sal. I ?). Da ambedue le parti vi erano fattori inibenti che portavano gli uni a guardare gli altri con alterigia e di sprezzo. In simili circostanze diventava assolutamente naturale per entram bi, non solo per i giudei, immaginare un muro che li divideva. Le mura di Mich. 7,I I ; CD 4,1 2; 8, 1 2. I 8 non sono la legge, bensì mura metaforiche. Ma perché si usa qui !J-Eao'tot 'X.ov? Si tratta di un termine impiegato co munemente in architettura senza alcuna connotazione religiosa necessaria, se si eccettua la possibilità di impiego nella descrizione di edifici religiosi. Come termine architettonico era ben conosciuto in Asia Minore, visto che si trova sette volte nelle istruzioni per l'erezione del tempio di Didima. 2. È utiI Cf. Robert Frost, La ripara, a indicare che il muro è l'inimicizia. Ma se a è apposizione del mu ro intermedio e b è anch'esso da unire al participio, sarebbe stato più facile se a avesse preceduto il participio in modo tale che il legame potesse risul tare più evidente (la iunctura di Àuw con ex;Spa.v non è sconosciuta: cf. Eur. Tro. so). 2. (v. Gnilka; Schlier; Masson; Schnackenburg; Merklein, Chri stus, 3 2) a ha la stessa funzione che in I e garantisce che il muro interme dio è inteso metaforicamente e non come un vero muro: è difficile capire come un muro divisorio materiale possa essere definito ostile. b precisa il momento di xa.-ta.py�aa.ç come l'evento Cristo concentrato nella sua mor te. 3 · (v. Ewald, Robinson, Beare, Bruce, Lindemann) a è in questo caso oggetto diretto di xa.-ta.py�aa.ç. Benché si affermi sovente che questo nome non può essere oggetto diretto del verbo, I Cor. I 5 ,26 dimostra il contra rio. ' c sarà dunque sua apposizione; ma mentre si può affermare che la legge ha causato l'inimicizia tra giudei e gentili, è difficile sia essa stessa l'inimicizia. L'apposizione sarebbe inoltre più semplice se tra a e c non ci fosse b, che occupa in effetti una posizione peculiare: starebbe meglio prima di a o, preferibilmente, subito dopo il participio. Come nell'interpretazione I, a e b non si possono considerare un'unica espressione. Depone a favore di questa soluzione la struttura chiastica che ne risulta nelle prime due pro posizioni participiali. 4· Può darsi che sia opportuno escludere b dalla co struzione: a questo punto della sua argomentazione, l'autore di Efesini si rende conto che non ha chiarito quando Cristo entra in azione, sicché inse risce un'espressione che connetta tutti e tre i participi all'evento Cristo. Se è così - ed è questo il modo in cui spesso si scrivono le lettere -, allora è probabile che abbia inserito l'espressione in un'interruzione nel corso del proprio pensiero, interruzione che vi sarebbe se a va con quanto precede e c con quanto segue. Si passi ora alle singole espressioni. La menzione dell'inimicizia non è in naturale dopo quella della pace. Dove vi è inimicizia occorre ben più che la cessazione dell'ostilità, occorre anche un'opera di risanamento. Il concetto semitico di «pace>> contiene entrambe le idee. Come si è visto, nel brano c'è ambiguità per quanto concerne la componente orizzontale e quella ver ticale della riconciliazione, per cui ci si deve domandare se l'inimicizia sia quella tra l'umanità e Dio (cf. Rom. 5,10) o quella tra gentili e giudei. Lo sviluppo del ragionamento fa pensare che a questo punto abbia maggiore importanza la seconda. L'accenno al muro intermedio implica inoltre che l'ostilità sia bilaterale, ma Dio non può essere considerato una delle due parti poiché egli non è ostile all'umanità. Ma «inimicizia >> non è termine troppo forte per indicare la differenza tra gentili e giudei? Sarebbe un gra ' Cf. A.T. Hanson, The Wrath of the Lamb, London 1957, ro6.
EF. 2,11-22
3II
ve errore supporre che ogni giudeo considerasse nemico ogni gentile e vi ceversa, ma la nazione giudaica suscitava odio e disprezzo in molti, r e nu merosi giudei, dalla propria posizione privilegiata di popolo di Dio, arri vavano a considerare nemici coloro che tenevano in spregio la legge di Dio. L'affermazione dell'ostilità è inoltre di un osservatore esterno, né giu deo né gentile (indipendentemente da ciò che era prima, l'autore di Efesini è ora cristiano), e sovente i punti di vista di osservatori esterni differiscono da quelli delle persone coinvolte e sono più drastici. Con l'abbattimento del muro intermedio l'inimicizia scompare, i due stanno insieme ed è im possibile dire, specie se il muro è «metaforico», chi venga prima dell'altro. Si è considerata «nella sua carne>> una parentesi, che indica dove e come viene compiuta l'azione dei participi. L'espressione ha così lo stesso valore del sangue al v. 1 3 e della croce al v. r 6. Ma perché l'autore usa «carne» e non un termine come «morte» (cf. Co/. r ,22) ? Poiché non c'è un inno sog giacente, non può essere quella la fonte della parola . Chi fa qualcosa lo fa sempre da sé o tramite sé. L'interpretazione strumentale implica certamente una distinzione netta fra Cristo e l'unico uomo nuovo, che concorda con quanto l'autore di Efesini scrive altrove sulla chiesa: essa è il corpo, Cristo è il capo; egli è il salvato re, la chiesa è salvata. 2. È meglio attribuire all'espressione il suo valore usuale, secondo cui i credenti sono , interpretando quindi: , vale a dire nella sua esistenza corporata. Co loro che sono sono esseri nuovi o, se l'unico essere umano nuovo è inteso in senso corporato, si considera Cristo come identificantesi con que sto essere nuovo. In entrambi i casi probabilmente Gal. 3 ,28 prefigura quanto si legge qui e il concetto è in linea con l'intimo rapporto fra Cristo e la chiesa che percorre l'intera lettera agli Efesini. L'espressione conclusiva 1totwv e:lpTjvYjv riconduce alle parole iniziali del v. I4 e al tema della pace. La creazione della persona nuova ha luogo con temporaneamente al fare pace (il participio presente non indica necessa riamente un'attività permanente, quasi che Cristo continui a fare pace, an che se ciò in realtà può essere vero). La pace di cui si parla è chiaramente quella tra giudei e gentili. Nel mondo antico il buon governatore stabiliva la pace (si pensi alla pax Augusta; v. Faust, passim), sicché viene trasferita a Gesù una virtù riconoscibile, seppure inserita in un contesto tutto nuovo. I In lt> D G 'l' 'lll latt; McionT Epiph si trova la variante bx.r.. F. Btichsel, «In Christus • bei Paulus: ZNW 42 ( 1 949) 1 4 1 - 1 5 8 : 1 4 5 ; Allan, In Christ.
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Faust, 4 1 2 ss., ravvisa invero una connessione soteriologica con alcuni ac cadimenti nel mondo romano, in quanto Vespasiano e Tito erano stati de signati al ruolo di dominatori del mondo da Giove e avevano superato la divisione del mondo sopravvenuta con la rivolta giudaica. I romani erano coinvolti nella crocifissione di Gesù, ed è per contro la sua umiliante croci fissione che porta realmente la pace. r6. Questo versetto non è consequenziale, ma parallelo al v. r sb. I ter mini sono in equilibrio (due-entrambi, creare-riconciliare, in lui - in un uni co corpo, fare pace - uccidere; cf. Bouttier). Come il v. r s b, esso dipende da t'vcx e fornisce un secondo scopo relativo al complesso dei vv. 14b r sa Diversamente dal v. r s b, che parlava dell'unificazione di giudei e gentili, il v. r 6 tratta del rapporto di entrambi con Dio. L'ambiguità fra dimensione orizzontale e verticale, iniziata al v. 1 3 , prosegue e allo stesso tempo viene risolta. Non solo giudei e gentili ( l'uso di o! à(J.qxhe:pot fa pensare che l'au tore di Efesini abbia in mente i due gruppi piuttosto che i singoli individui che li costituiscono; cf. BDR, § 274.3 ) vanno gli uni verso gli altri, ma en trambi vanno verso Dio. Non si può dire che uno dei due movimenti pre ceda l'altro o ne sia considerato il fondamento, a differenza che in Mt. 5, 23 s. (cf. m]oma 8,9), ove la dimensione orizzontale precede quella verti cale. Qui le riconciliazioni sono inseparabili come i due grandi comanda menti dell'amore. I due gruppi sono riconciliati con Dio grazie a Cristo; I non è Dio a essere riconciliato con loro. Altrove nel N. T. il composto dop pio à7toxcx't"cxÀÀacrcre:tv si trova solo in Co/. r,2o.22. L'inno dell'epistola ai Colossesi, che probabilmente l'autore di Efesini conosceva indipendente mente dalla sua presenza in quella lettera, può essere stato sua fonte, op pure è possibile che il termine fosse corrente nella scuola paolina. L'uso che ne fa l'autore di Efesini diverge da quello dell'autore di Colossesi in quanto introduce l'aspetto della riconciliazione tra gli uomini, facendo di Cristo, e non di Dio, il suo soggetto. Paolo impiega il semplice xcx't"cxÀÀacr-
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I Sulla riconciliazione v. V. Taylor, Forgiveness and Reconciliation, London 1941, 8 3 ·129; D.E.H. Whiteley, The Theology of St Pau/, Oxford 1964, 130-154; D. Liihrmann, Rechtfertigung und Ver· sohnung: ZTK 67 (1970) 43 7-4 5 2.; E. Kiisemann, Some Thoughts on the Theme ·The Doctrine o( Reconciliation in the New Testament», in J.M. Robinson (ed.), The Future of our Religious Past (Fs R. Bultrnann), New York 1971, 49-64; P. van der Bergh, Verzoening in de Biibel: Collariones :Z.I (1975) 2.2.-41; J.A. Fitzmyer, Reconciliation in Pauline Theology, in J.W. Flanagan - A.W. Robinson (edd.), No Famine in the Land (Fs J.L. McKenzie), Missoula, Mont. 1975, 1 5 5 -177; I.H. Marshall, The Meaning of •Reconciliation», in R.A. Guelich (ed.), Vnity and Diversity in New Testament Theo logy (Fs G.E. Ladd), Grand Rapids 1978, I I 7-13 2.; O. Hofius, Erwiigungen zur Gesta/t und Her· kunft des paulinischen Versohnungsgedankens: ZTK 77 ( 1 980) 186-199; Martin, Reconciliation; G. Friedrich, Die Verkundigung des Todes jesu im Neuen Testament, Neukirchen/VIuyn 198 2., 95-uS; C. Breytenbach, Versohnung. Eine Studie zur paulinischen Soteriologie (WMANT 6o), Neukirchen/ Vluyn 1989; S.E. Porter, in DPL, 695-699; Id., Xtx"ttxÀÀaaaw in Ancient Greek Literature with Refer· ence to the Pauline Writings, Cordoba 1994.
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ae:tv. Probabilmente il composto doppio è soltanto un'intensificazione del verbo paolina e non contiene in alcun modo l'idea di una restaurazione di un'unità perduta un tempo (come suppongono Crisostomo, Teofilatto, Cal vino, Harless). Ciò sarebbe stato possibile se il soggetto fosse stato Dio, poi ché un tempo, prima della caduta di Adamo, tutti erano in unità con lui.
Paolo presenta Dio come l'iniziatore della riconciliazione (2 Cor. 5,I 8-2o; Rom. 5,Io s.; n , I 5 ; in I Cor. 7,I I la riconciliazione è un'attività mera mente umana, concernente una separazione matrimoniale). L'autore di Efe sini concorda con Paolo e con l'autore di Colossesi nel correlare la riconci liazione alla morte di Cristo. Mentre in Col. I ,22 e «carne» sono connessi a tale idea, sono usati diversamente qui e al v. I4. Mitton mette il v. 1 6 in parallelo con Col. 1,20-22, rilevando l'impiego di espressioni comuni a entrambi: IÌ.7toxa"t'aÀÀacrcrw, Èv crw(LCX"t't, òtà "t'ou a"t'aupou. Le parole possono essere le stesse, ma il pensiero è differente: in Colossesi la riconciliazione è tra Dio e la terra, in Efesini tra giudei e gentili; in Colossesi il corpo è quello del Gesù incarnato, in Efesini è la chiesa; benché ambedue si ri chiamino alla croce, l'autore di Colossesi ne precisa l'idea menzionando il sangue, e non c'è motivo per cui l'autore di Efesini avrebbe dovuto eliminare questo concetto, giacché lo utilizza in I,?; 2, 1 3 . Nessuno ricorre a un testo per saccheggiarne le parole ignorandone il pensiero.
La riconciliazione degli esseri umani con Dio nel N.T. non è espressa al trove in modo così chiaro come in Paolo e nella sua scuola (i LXX usano il verbo a questo proposito in 2 Macc. I , 5 ; 5,20; 7,3 3 , dove l'oggetto della ri
conciliazione è Dio, non l'umanità; in 2 Macc. 8,2 9 ; ls. 9 ,4; Ger. 3 1 ,39 la riconciliazione è interamente su un piano umano). È possibile effettivamen te che l'idea sia stata introdotta nel pensiero cristiano da Paolo. La meta fora è tratta dalla sfera sociale e politica, dove indica il riunire coloro che per qualche ragione sono separati, ed è usata in tal senso in Mt. 5,2 3 s.; Atti 7,26; I Cor. ?,Io s. L'autore di Efesini fu il primo a impiegarla per de scrivere il nuovo rapporto tra giudei e gentili, e non è una metafora inade guata nel contesto della pace, ma egli non la utilizza direttamente per indi care la loro unificazione, idea che aveva trovato espressione differente al v. 1 5 b. Poiché tuttavia egli parla di gruppi e non di individui riconciliati, que sto aspetto non può essere lontano dai suoi pensieri. Quali che fossero i vantaggi di cui un tempo i giudei hanno goduto (v. 1 2), adesso non si fa alcuna distinzione tra i modi in cui essi e i gentili sono riconciliati con Dio. In Col. I,2o si dice che il cosmo è riconciliato con Dio. L'autore di Efesini è p iù vicino a Paolo nel circoscrivere la riconciliazione agli uomini (in 2 Cor. 5,18 il cosmo è il mondo dell'umanità), sennonché, a differenza di Paolo, egli pa rla della riconciliazione di gruppi, anche se ciò implicherà ovvia-
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mente la riconciliazione dei singoli individui entro i gruppi che rispondono all'azione divina. Cristo riconcilia i due gruppi «in un unico corpo>> (si confronti la me desima espressione in Co/. 3 , 1 5 , ove è già presente il nesso fra corpo e pa ce). Se si collega strettamente la menzione del corpo con quella della croce, il corpo del v. r 6 potrebbe essere il corpo fisico di Cristo che pende dalla croce (così Crisostomo; Teodoreto; Percy, 2 8 1 -286; Id., Leib Christi, 29; Bengel; Harless ecc.). Se così fosse, però, ci si aspetterebbe di leggere «nel suo corpo>>, o forse «in un (nel) corpo >> ed È1tt col dativo anziché òtci con il genitivo. Inoltre évi, che Mussner considera in rilievo, sarebbe superfluo. Poiché altrove l'autore con «corpo>> al singolare designa la chiesa, qui avrebbe probabilmente usato «carne >>, se avesse voluto intendere il corpo fisico di Cristo. I commentatori 1 convengono in larghissima parte che qui si alluda alla chiesa, il che vale anche qualora l' «unico uomo nuovo>> del v. r 5b venga interpretato in senso individualistico. Se si accoglie l'allusio ne alla chiesa, emerge come siano compiutamente presenti tanto la relazio ne verticale quanto quella orizzontale, giacché giudei e gentili sono contem poraneamente riconciliati con Dio e tra loro. Si guarda in primo luogo alla relazione verticale, poiché nell'altro caso anziché Èv si sarebbe usato dc;. L'assenza del pronome possessivo personale con corpo non significa che l'autore di Efesini concepisca il corpo e le sue membra solo nei termini della metafora sociale e politica, quasi si limitasse a dire che da due gruppi è stato formato un unico gruppo. L'impiego in senso corporato di nella letteratura paolina ha uno sfondo troppo consolidato perché il ter mine retroceda qui al suo semplice significato metaforico originario (se era quello originario). Col cenno alla morte di Cristo in croce un tema sotteso a tutta la parte precedente viene ora reso esplicito. Qui la redenzione è connessa alla croce e non alla risurrezione, che pure l'autore di Efesini non trascura. Il corpo, che è la chiesa, nasce mediante la morte di Cristo. Sarebbe possibile colle gare òtà -rou a-rcxupou con quanto segue (von Soden), ma si sovraccariche rebbe il participio e in tal caso Èv cx&t� non potrebbe essere riferito alla croce, ma riprenderebbe awtJ.IX'tt o si dovrebbe intendere in senso riflessivo (nessuna di queste possibilità viene peraltro eliminata se gravita su quanto precede). È questo l'unico accenno dell'autore di Efesini al modo in cui Cristo è morto (cf. Col. r ,2o; 2, 14), benché Paolo utilizzi regolarmente il verbo corradicale a tal riguardo e parta dal presupposto che la riconciliazione ha luogo tramite la morte di Cristo (Rom. 1 5,10 s.; 2 Cor. 5,r 8-2o; cf. Col. r,20.22). 1 Asmussen è l'unico che scorge una triplice allusione: al corpo crocifisso, al corpo eucaristico e al corpo della chiesa. Secondo Penna ve n'è una duplice, al primo e al terzo.
EXCURSUS
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Èv aù-.cjj potrebbe riferirsi: r . al corpo, che è però relativamente distante; o 2. alla croce, e uccidere e croce sono termini appartenenti al medesimo campo semantico; oppure 3 · potrebbe essere inteso in senso riflessivo, > , (Schnackenburg), come in alcuni manoscritti (F G pc latt) e se condo una possibilità già rilevata nel v. r sa. Se si opta per questa lettura, il complemento non si può vincolare troppo strettamente a , quasi che Cristo abbia eliminato un'inimicizia interna a sé, magari relativa alle tentazioni (così Barth). Un'interpretazione siffatta richiederebbe un ri chiamo esplicito, giacché né Paolo né l'autore di Efesini mostrano grande interesse per il Gesù storico. L'inimicizia non può essere neppure quella di coloro che hanno crocifisso Cristo (von Soden). Se l'ipotesi 3 è corretta, qual è dunque il significato? Il senso corporato, probabile al v. r s b, non sarebbe pensabile qui, perché non esiste in Cristo un'inimicizia fra giudei e gentili. Dovrebbe voler dire qualcosa come: > in 2, 1 3 il significato di vicinanza a Israele; 4· secondo 2, 1 -4 tanto i giu dei quanto i gentili prima di credere si trovavano sullo stesso piano di tra sgressori della volontà di Dio; entrambi devono essere trasformati per es sere entrambi redenti; 5 . l'autore di Efesini doveva sapere che c'erano giu dei increduli e tuttavia non si esprime in proposito. Ciò significa che li con siderava un gruppo distinto sia dai cristiani sia dai gentili; 6. se gli etnico cristiani fossero inglobati in Israele, si troverebbero a sottostare alla torà, mentre per la chiesa la legge è stata abrogata. Guardando il problema in termini più generali risulta chiaro che: r. l'au tore di Efesini valuta Israele positivamente, in termini che non applica ai gentili, come mostrano da un lato 2, 1 2 e il suo utilizzo dell'A.T. e dall'al tro il mancato utilizzo di testi profani. Egli concorda implicitamente con l'idea di Paolo che l'evangelo sia stato annunciato prima ai giudei e poi ai gentili. 2. L'autore di Efesini può anche essere critico verso Israele in quan to sminuisce il valore della circoncisione ( 2,n ) e parla dell'abrogazione della legge ( 2, 1 sa), critica che resta tale anche se rivolta esclusivamente al la legge rituale. La critica che egli muove a Israele non arriva però ad attri buire ai giudei la colpa della morte di Gesù (diversamente da r Tess. 2, 1 4r6). In Efesini non c'è polemica contro i giudei e 2, n s. implica che Dio li ha favoriti rispetto ai gentili. Poiché gli interessi dell'autore stanno altrove, non ha motivo di fare asserzioni sul loro destino ultimo. 3 . Mentre associa etnicocristiani e giudeocristiani ( 3 ,6), nulla attesta che faccia altrettanto per etnicocristiani e giudei non cristiani. Ciò significa che quantomeno per l'autore di Efesini la chiesa è in una linea di continuità con Israele in un senso che non vale per il mondo dei gentili: «la chiesa senza Israele sarebbe un'astrazione astorica >> (Mussner, 74 ) . 4· Fra Israele e la chiesa c'è anche di scontinuità, poiché la chiesa ha un accesso a Dio tramite Cristo che Israele non ha. 5 . Se la chiesa è la continuazione di Israele, ci si poteva aspettare che l'autore di Efesini riconoscesse in Israele il fondamento della chiesa, che invece egli individua negli apostoli e profeti ( 2,20 ) . 6. L'autore non opera
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mai un confronto diretto fra Israele e la chiesa né prospetta la superiorità della seconda. Rispetto a Paolo, il quale in Rom. I I afferma che Dio non ha rigettato i giudei increduli, l'autore di Efesini sembra ignorarli. Non si può sostenere che non fosse consapevole che continuassero a essercene: il numero dei giudei in Asia Minore era troppo elevato perché fosse possibile. Il diverso atteggiamento rispetto a Paolo è forse dovuto al suo minor coinvolgimento personale con i giudei. Ma più probabilmente rientra nella sua generale mancanza di interesse per il mondo al di fuori della chiesa. Egli mostra al trettanta indifferenza riguardo alla circostanza che sopravvivano ancora gentili increduli, tanto da non proporre neppure che i membri della chiesa debbano impegnarsi a convertirli. Poiché il suo obiettivo principale è l'edi ficazione della chiesa e la conservazione della sua unità, non ha alcun biso gno di richiamarsi alla persistenza di Israele. Giacché inoltre i giudei non paiono turbare l'armonia delle sue comunità, non ha alcun bisogno di es sere antigiudaico. Ignorando la posizione futura dei giudei increduli l'auto re non arriva certo al punto di Barn. I 3 , I ss., che li esclude esplicitamente dal patto, I né altresì alla forma di ostilità nei loro confronti che trova espres sione in Melit. Pasch. 42-43; 99· Egli può essere pertanto assolto da ogni accusa di antisemitismo come pure di antigiudaismo. Forse le preoccupa zioni sulla posizione dell'autore di Efesini derivano dalla constatazione che i giudei hanno continuato a esistere per due millenni, il che rende necessa ria qualche spiegazione. Per lui vi sono tre gruppi: i giudei, i gentili e la chie sa. Non avrebbe quindi respinto la definizione tradizionale attribuita alla chiesa: la terza stirpe, definizione che risale almeno al Kerygma Petri (Clem. Al. Strom. 6,39-4 I , GCS 4 5 I s.; cf. Diogn. I; in Aristid. Apol. 2 la versio ne siriaca aggiunge un quarto gruppo, i barbari). I 7. L'autore torna ora al tema della pace, annunciato la prima volta al v. 14a. Il versetto in esame potrebbe essere considerato parallelo ai vv. I 5b. 16 o a qualche loro parte, o dipendente da essi o, più probabilmente, come frase indipendente. Nell'ultimo caso, X(X� lo riallaccia al v. I4a. « Egli è la nostra pace ... e ha proclamato la pace>> . Nei vv. 14b- I 6 si dice che ha fatto pace, ma essere la pace e fare pace non sono di alcuna utilità o beneficio se la pace non è resa nota. L'autore di Efesini esprime questo concetto ricor rendo a Is. 57,I9, passo al quale aveva già alluso al v. I 3 (per i precedenti di questo impiego si veda ad loc. ) . Per dire che Cristo ha proclamato la pa ce, non si ferma a un vocabolo semplice, come XYJpuaaw, che indicherebbe senz'altro che Cristo ha annunciato la pace, e preferisce invece EÙ(XyyEÀt l:o!J.(Xt, che contiene in sé una valutazione dell'annuncio proclamato quale I Cf. D.D. Sutherland. art. cit.
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buona novella. Probabilmente l'autore ha mutuato il verbo da Is. 5 2,7,' do ve è connesso all'idea di pace. I cristiani hanno tradizionalmente tratto l'as sociazione della pace all'evangelo anche da altri passi veterotestamentari, ad es. Naum r , r s ; Is. 9,5 s.; r r ,6-9; 54,ro (così Roberts). Ci sono allusio ni a Is. 5 2,7 in Atti IO,J 6; Rom. IO, I 2. I 5 (cf. Faust, I 5 2- I 62), in entram bi i casi a proposito del posto occupato dai gentili all'interno della chiesa. Faust prospetta perciò la possibilità che Is. 5 2,7 fosse già in uso anterior mente all'autore di Efesini in relazione ai rapporti tra giudei e gentili. Può darsi che egli fosse consapevole di tale impiego, in quanto esponente di una scuola paolina. Faust, I 64-I 77, nota altresì che in Atti IO, J 6 e Rom. IO, 1 2. 1 5 sono gli apostoli che proclamano Dio come Dio di tutti e non sol tanto dei giudei. Egli inoltre ricollega l'annuncio paolino della pace all'at tività del logos filoniano in quanto artefice di pace (ad es. Her. 205 s.). La pace di Filone è quella tra cielo e terra. La pace è intesa ancora una volta nella sua accezione giudaica (v. al v. q), perché va oltre la cessazione delle ostilità per abbracciare il benessere complessivo di coloro ai quali è offerta. Non quindi semplicemente: . Nel citare Is. 57,I9 l'autore non segue né i LXX né il TM. r . Aggiunge UfJ.tV per adattare il testo alle proprie necessità e in tal modo lascia intendere che qui non è interessato al compimento delle promesse veterotestamenta rie (cf. Lincoln). 2. Scinde l'iterazione dell'A.T. «pace, pace» , distribuendo i due termini fra le due categorie, «lontano» e «vicino »/ e mostrando così che la pace esercita i suoi effetti su entrambi i gruppi alla stessa maniera. «Voi, i lontani » sono i gentili, ai quali l'autore si rivolge in prima battuta. È interessante notare come egli non abbia aggiunto un «a noi » a «vicini», senza pertanto associare se stesso a questo gruppo, i giudei. Come si è vi sto al v. I J , e «vicini >> in ordine inverso rispetto al v. 17. Come il suo maestro, inoltre, l'autore manifesta scarso interesse per l'attività terrena di Gesù. Anche il participio aoristo dovrebbe esprimere un'azione successiva, o quantomeno simultanea, a quella dei vv. 14- 1 6, la croce. Tale obiezione potrebbe essere evitata considerando il v. 1 7 una ripresa del v. r4a, e i vv. qb- r 6, con i loro cenni alla morte di Cri sto, parentetici. 4· La risurrezione come predicazione di Cristo (Ambrosia ster, Tommaso d'Aquino, Bengel, Murray, Van Roon, Caird) . La «venuta» è in tal caso un evento successivo alla morte. In 3 , 5 s. l'autore afferma che agli apostoli e profeti è stata fatta una rivelazione sull'inclusione dei gentili nel popolo di Dio, il che è in linea con la tradizione custodita in Mt. 28, r 6-2o; Le. 24,47-49; Atti r,8; Gv. 2o, 2 1 b,'" e forse egli riteneva che questo mandato fosse stato impartito da Gesù quando era apparso ai suoi disce poli nella risurrezione. Cv. 20,21-23 riporta in effetti un annuncio succesr
Si veda il suo ]esus Christ in the Old Testament, London 1 9 6 5 . E(. 3 ,3 rappresenta una tradizione differente sull'origine del mandato di portare l'evangelo a i gentili; v. Best, Revelation. l
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sivo alla risurrezione che riguarda la pace. E tuttavia, «venire>> non pare il termine atto a indicare la risurrezione; impartire il comando di predica re non equivale a predicare; e il comando è stato comunicato soltanto agli apostoli (e profeti), ossia soltanto a poche persone, nessuna delle quali po trebbe essere definita « lontana >> . 1 5 . Una predicazione di Cristo nella venu ta dello Spirito, quindi successiva alla sua morte (Meyer, Westcott, Hodge, Salmond, Alford). Se è vero che in Giovanni Gesù parla ripetutamente del l'avvento dello Spirito che viene a insegnare ai discepoli ( Gv. 14,25 s.; 15,26; 1 6, 1 4 s.) e che l'autore di Efesini crede nell'attiva presenza dello Spirito, nulla lascia ritenere che egli pensi a una sua effettiva venuta nella quale abbia luogo una proclamazione della pace a giudei e gentili. 6. Cri sto predica in quanto istruisce e ispira coloro che poi proclamano l'evan gelo a giudei e gentili. Poiché egli è il contenuto della loro predicazione, può essere considerato egli stesso il proclamatore (Abbott, Gnilka, Schnak kenburg). Tale predicazione è posteriore alla sua morte, e al tempo del l'autore di Efesini era rivolta tanto ai gentili quanto ai giudei. Un aspetto del compito dei missionari sarà inoltre quello di portare la pace (Mt. ro, 13) e quando i missionari vengono accolti, è come se fosse accolto Cristo (Mt. 10,40 s.; Le. 1o, r 6). Tale interpretazione impone peraltro una lettura troppo pregnante del participio. Se l'autore avesse voluto significare que sto, avrebbe potuto esprimersi molto più semplicemente: «inviando disce poli, egli proclamò ... >> . Ancora: il participio aoristo e il verbo principale fanno pensare a un'azione compiuta, mentre questa predicazione è tuttora in atto. 2 Questa soluzione è forse la più vicina al parallelo in ambito politi co, in quanto il nemico, la nazione giudaica, è stato dapprima conquistato e in seguito nel trionfo a Roma fu proclamata la pace (cf. Faust, 403-407). 7- L'ascensione del salvatore crocifisso attraverso la barriera cosmica rap presenta la sua predicazione e rivelazione ( Schlier). Se così fosse, il termine appropriato sarebbe stato &:va�OO; e prima sarebbe stato necessario un cen no a una discesa. I Pt. 3 , 1 9 non costituisce un passo parallelo, poiché trat ta di una predicazione agli « spiriti >> e non ai vicini e ai lontani. Le testimo nianze gnostiche e d'altra matrice che Schlier produce a sostegno della pro pria opinione sono anch'esse relativamente tarde. La sua interpretazione potrebbe forse essere stata valida nel presunto inno sotteso al passo (v. so pra), ave l'avvento si correla alla discesa del salvatore attraverso il muro intermedio cosmico. Ma in 2, 14- 1 8 il muro è distrutto nell'evento della 1
Houlden presenta una variante di questa interpretazione riferendola a una predicazione di Cristo celesti al momento della sua ascensione (cf. I Pt. 3 , 1 9). Ma l'idea del Cristo ascendente predicante non aveva larga diffusione; cf. Best, 1 Peter, r . p-1 46. 1 5 5-1 57· 2 Bouwman ritiene che ÈÀ&lJv sia di fatto privo di significato (cf. Le. 1 5,18; Atti 5 , 1 7; 8,27), ma se l'autore di Efesini è sovente prolisso nell'impiego di sostantivi sinonimici, non sembra usare participi superflui.
alle potenze come Cristo
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croce e non in una discesa o in un'ascesa. 8. La croce stessa potrebbe esse re la proclamazione (Merklein, Christus, 5 8 s.). Tale lettura sarebbe con sona all'aoristo del verbo principale, ma renderebbe inutile il participio. In alternativa, si potrebbe considerare l'intera vita di Gesù, dall'incarnazione alla morte, un'unità, che in quanto tale proclama la pace. Nessuna di queste soluzioni è pienamente soddisfacente e forse ha ra gione Barth, 28 5, quando afferma che è impossibile ricondurre l'allusione a un'unica interpretazione. I tentativi di combinarne diverse (Mussner, I Vo sté) non hanno avuto, a quanto sembra, miglior successo, anzi, non fanno che prestare ancor più il fianco ad argomenti negativi. Dovendo pronun ciarsi, probabilmente le soluzioni meno esposte a obiezioni sono la 3 e la 6. Quale che sia il senso, a essere predicato ai vicini, i giudei, e ai lontani, i gentili, è il medesimo evangelo. Anche se i giudei non sono dentro la chie sa, non sono al di fuori della portata dell'evangelo; sotto questo aspetto giudei e gentili sono uguali. r 8 . 2 Sebbene a o·tt si possa attribuire valore causale (Ewald, Schnacken burg, Salmond), è difficile considerare fornita nel v. r 8 la motivazione di qualche aspetto espresso nei versetti precedenti. Esso piuttosto riepiloga e spiega quanto è accaduto in precedenza (Gnilka, Haupt): l'evangelo della pace è l'accesso, comune a giudei e gentili (si noti la prima persona plurale, come al v. 14a), a i Padre, possibile solo dopo che l'inimicizia è stata ri mossa, che entrambi sono stati trasformati in un nuovo tipo di essere e formano un unico corpo e che è instaurata la pace. In Rom. 5 , 1 si trova la stessa stretta connessione della pace con l'accesso, e lì, come qui, il tempo presente indica un'esperienza continuativa da parte dei credenti (in contra sto col perfetto di Rom. 5,2). Ciò che continua a essere dipende da quanto accadde un tempo nella morte di Cristo, e per questo òt'cxttt ou è collocato in posizione rilevata all'inizio, poiché qui, come in tutto il corso dei vv. q I ?, Cristo è l'agente attivo della redenzione. 7tpoacxywy� può essere inteso o in senso transitivo (introduzione; così Barth), o in senso intransitivo (accesso; così Gnilka, Schnackenburg, Schlier, Abbott, Robinson). Nel N.T. il sostantivo figura tre volte: qui, in 3 , 1 2 e in Rom. 5,2; il verbo corradicale compare in r Pt. 3 , 1 8, dove è transitivo; in Rom. 5,2 il sostantivo potrebbe essere transitivo o intransiti vo; in Ef. 3 , 1 2 è possibile solo l'accezione intransitiva a causa del paralleli smo con 7tcxpp7Jatcx e dell'espressione qualificativa. In 2, 1 8 sul piano gram maticale sono ammissibili entrambi i significati. Se è intransitivo, allora Cri sto è colui che opera per creare l'accesso; se è transitivo, egli (tramite lui) è I La sua posizione nel commento è cambiata rispetto a quella sostenuta in Christus.
2 Su questo versetto v. Adai, r 6 r - r 78; Lemmer, 275-279; Fee, 68 2.-68 5 .
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colui che introduce i credenti a Dio. È preferibile la prima soluzione, dato l'uso del termine in 3 , 1 2 e la maggiore difficoltà di combinare la menzione dello Spirito con l'accezione «introduzione>> . Quanto al significato essenzia le, tuttavia, la differenza è minima: i credenti giungono a Dio soltanto tra mite ciò che Cristo ha fatto per loro o se è lui a introdurli. Nell'uso coevo questa radice è impiegata per indicare l'accostarsi delle persone a un'auto rità (v. LSJ) e - aspetto ancor più importante - per l'offerta di doni sacrifi cali (Lev. 1,2. 3 . 1 0 ecc. ). L'autore di Efesini ha optato dunque per un ter mine utilizzato comunemente nel culto, piuttosto che prenderne uno da Rom. 5 , 1 s. per adattarlo ai suoi scopi (Gnilka). Cristo presenta i credenti al Padre. Se si deve incontrare Dio, la via a lui dev'essere aperta, e non dal la nostra parte ma dalla sua (cf. Pokorny). Nonostante lo sfondo cultuale, qui Cristo non è tuttavia rappresentato, come nella lettera agli Ebrei, qua le sommo sacerdote, benché, come in quella lettera (9, 1 2; 10,19-22), l'ac cesso sia una conseguenza della croce. I sistemi religiosi e filosofici del mon do antico offrivano vie per giungere a Dio disparate e insoddisfacenti. Qui l'accesso non è concepito in senso individualistico, ove ogni uomo è sacer dote per se stesso, ma è un accesso di tutta la chiesa che include sia i giudei sia i gentili, un accesso di cui si fa esperienza nel culto. Mediante il loro culto i giudei avevano già una possibilità di accesso, per quanto di natura limitata; i gentili non ne avevano alcuna; ora entrambi hanno in egual mo do libero accesso. Si giunge qui al punto culminante dell'argomentazione dell'autore di Efesini. Sia pure non esplicitamente menzionatovi, l'accesso per i credenti era già contenuto in 2,6. Di esso si dice che è «in un unico Spirito» . Si tratta a) dello Spirito divi no (Crisostomo, Gnilka, Schlier, Schnackenburg, Adai, Lemmer), oppure b) dello spirito umano (Gerolamo, Scott, Haupt), o ancora c) dello spirito umano sotto l'influsso dello Spirito divino? Chi si pronuncia per la solu zione b probabilmente intende la c, poiché nello spirito umano dei credenti dimora sempre lo Spirito divino. Se si accetta la terza interpretazione (cf. Fil. 1,27), si intende un atteggiamento tenuto nel culto da coloro ai quali è dato accesso, o la loro consapevolezza di essere redenti, oppure si vuole si gnificare che giudei e gentili sono immersi nel medesimo spirito, una sorta di spirito di corpo. Si ha un certo parallelismo fra il v. 1 6 e il v. 1 8, poiché entrambi parlano di un rapporto con Dio, che nel v. 1 6 ha luogo «in un unico corpo>> , qui «in un unico Spirito» . Laddove, in 4,4, corpo e Spirito sono di nuovo connessi, l'autore pensa senza dubbio allo Spirito divino, ragion per cui si può presupporre che qui faccia altrettanto. Se il senso è quello prospettato al punto a ed esiste un rapporto tra il corpo di Cristo e lo Spirito, sarebbe semplicistico immaginarlo analogo a quello dello spiri to umano nel corpo umano. Il rapporto del corpo {la chiesa) con Cristo è
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complesso, come pure quello dello Spirito con lui. Introdurre lo Spirito a questo punto non è inopportuno per un autore appartenente alla scuola paolina, visto che Paolo aveva posto in relazione lo Spirito e l'adozione (Rom. 8,J4- I 6; Gal. 4,6). I figli hanno accesso ai loro padri. L'accesso a Dio Padre può essere dato tramite l'evento Cristo ma è mediato dallo Spi rito. I credenti godono delle benedizioni dello Spirito ( I ,3 ), sono sigillati dallo Spirito (4,30), lo Spirito opera in loro ( J , I 6), e sono edificati in abi tazione di Dio nello Spirito ( 2,22). Évt è importante, giacché, come giudei e gentili ricevono la redenzione tramite l'unico Signore, così hanno il mede simo accesso nello Spirito all'unico Padre nel culto e nel servizio. L'autore di Efesini non dice che i gentili hanno ottenuto un accesso che in preceden za apparteneva ai soli giudei, bensì che entrambi - giudei e gentili - hanno un accesso nuovo. C'è dunque qui una tensione irrisolta con il v. I 2, ove l'autore ha esposto i privilegi dei giudei. Lo Spirito è un potere unificante che imprime un movimento verso l'alto che conduce a Dio, in antitesi col movimento verso il basso di I,J (Adai, I 74 ) . Si noti infine come molti dei termini usati qui, come ). Da tutto quel che si sa sulla chiesa delle origini si deduce che non c'era pace tra essa e il mondo. I credenti subivano persecu zioni, ufficiali o occasionati. L'autore di Efesini non fa cenno al rapporto dei credenti con il mondo esterno alla chiesa. Se pace e riconciliazione van no di pari passo, non ci poteva essere riconciliazione fra la chiesa e il mon do, poiché il mondo non la permetterebbe. Le affermazioni di Gesù su se stesso e la pace non sono pertanto contraddette da quanto scrive l'autore di Efesini, il quale, asserendo che Gesù è la pace, intende dire che la fedeltà a Gesù dovrebbe avere come conseguenza la pace all'interno delle comuni tà cristiane. Egli non è interessato alla pace o all'unità tra le nazioni; non compare nella lettera un passo equivalente a Col. 3 , I I . La pace che propu gna non è stabilita con la forza delle armi né conservata con l'abilità diplo matica, come la pax Romana, ma scaturisce dalla debolezza di una croci fissione eseguita forse proprio per mantenere la pax Romana. Prima di passare a un esame approfondito dei vv. 19-22, si deve indagare se l'autore di Efesini dipenda qui da un brano tradizionale soggiacente, come propone W. Nauck. 1 Questi sostiene che i versetti sono basati su un inno bat tesimale analogo nel contenuto al presunto inno battesimale di I Pt. 2,4 ss., per l'esistenza del quale egli fa proprie le argomentazioni di Selwyn (I Peter, 268-28 1 ). A suo parere, anche Co/. r,( 1 2) I 3- 1 5, che contiene molti vocaboli e concetti affini al passo in questione, è basato su un inno battesimale. Gli argo menti addotti da Selwyn per sostenere che I Pt. 2,4 ss. sia un inno battesimale non sono stati peraltro accettati da tutti. l. Se si può ammettere che Col. 1, I 520 sia fondato su un inno, non è affatto certo che fosse un inno battesimale, e la sua affinità terminologica e contenutistica con Ef. 2, 19-22 è ridotta. A un esame 3 delle tre strofe in cui Nauck divide il suo inno, gli stichi risultano di lunghezza variabile e sono in massima parte assenti i criteri che segnalano di norma la presenza di un inno. La separazione di 7tliaa olxoÒofJ.� auvapfJ.OÀo youf1ÉVlJ... nella Seconda Strofa da au�Et nella terza disgrega il rappOrtO fra 1 1 J
Eph. 2, 19-22 - ein Tauflied?: EvT 1 3 ( 1 9 5 3 ) 3 62.-3 7 1 .
Cf. L . Goppelt (ed.), Der erste Petmsbrief (KEK), Gottingen 1 978, 1 3 9
Cf. Bankhead, LiturgiCill Formulae, 107
s.;
s.
Merkel, 3 2.3 5-3 2.37; Merklein, Amt, I I9
s.
3 30
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struttura strofica e struttura concettuale.' In 2,1 9-22 c'è inoltre poco che ri guardi direttamente il battesimo. Lo stile dei versetti non è dissimile da quello di altre parti della lettera. È molto più probabile che la somiglianza di 2,1 9-22 con I Pt. 2,4 ss. nasca dall'uso di immagini e concetti comuni al protocristia nesimo e quella con Co/. I , 1 2-2o dall'impiego indipendente da parte dell'au tore di Efesini dell'inno utilizzato dall'autore di Colossesi. Appare poi sempli cistico considerare i vv. 1 9-22 come uno sviluppo di Co/. 1,22b.23 (così Merk lein, Amt, 1 2 1 ). L'immagine dell'edificio e del suo fondamento e la definizione dei cristiani come &ywt erano già parte del pensiero cristiano. 19. èipcx oòv, combinazione usata spesso da Paolo (Rom. 5 , 1 8; 7,3 .25; 8, 1 2; 9 , I 6. I 8; J4, I 2. I 9; Gal. 6, Io; I Tess. 5,6; 2 Tess. 2, 1 5 ),2 è un (Eadie), trattati bene quando sono presenti ma dimenticati una volta partiti. La famiglia allargata era un'unità importante nella società del tempo e la predicazione cinico-stoica si serviva dell'immagine della fami glia (v. Hugedé, 9 I n. 87). I lettori gentili di Efesini non avrebbero dunque avuto difficoltà a cogliere questa idea, anche senza conoscerne lo sfondo ve terotestamentario. Ma dov'è l'abitazione di Dio e chi vi si trova? Consiste soltanto di cri stiani viventi ed è limitata a questo mondo, o esiste anche nei cieli e con tiene angeli e credenti defunti ? Si è già visto che è più probabile la seconda ipotesi. Che si tratti dell'interpretazione corretta è comprovato qui dalla mancata menzione di Cristo. Altrove nella lettera si sottolinea il rapporto dei cristiani con Cristo (ad esempio, essi sono in lui, sono risuscitati con lui, sono membra del suo corpo), rapporto correlato alla sua esistenza ter-
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rena, sia pure solo alla sua morte e risurrezione. Il nesso terreno non può essere predominante se si pensa a un rapporto con Dio. Ciò induce a rite nere più adeguato immaginare che la famiglia di Dio sia nei cieli e includa esseri celesti. In questo versetto l'autore di Efesini è dunque andato oltre la riflessione sul posto dei gentili nella chiesa e sta chiarendo quale sia il po sto di tutti coloro che, gentili e giudei, formano l'unica chiesa di Dio. Gli etnicocristiani, un tempo esuli, ora non sono più né senza casa né senza patria (cf. Stott). Quanti erano un tempo all'esterno ora sono all'interno. 20. Dopo essere passato dall'ambito dell'appartenenza a una città a quel lo dell'appartenenza a una famiglia, il linguaggio figurato si sposta ora sul l'edificio che contiene la famiglia, e coloro che ne fanno parte (v. 1 9 ) sono rappresentati come i mattoni con i quali esso è edificato. L'uso di immagi ni edilizie era stato preannunciato dal termine architettonico «muro inter medio>> (v. 1 4 ) . L'edificio ha un fondamento, gli apostoli e profeti, su cui i credenti sono edificati. Il participio aoristo, È1totxoÒO!J-lj-!Jéne:ç, indica un at to compiuto nel passato, presumibilmente la loro conversione/battesimo, e la diatesi passiva segnala che Dio è il costruttore (Cristo era il soggetto ai vv. 14-1 8 ) . Probabilmente il participio dovrebbe inoltre essere inteso in sen so causale. Il tempo passato vuole significare che l'edificio (la chiesa) esiste prima che vi fossero aggiunti i lettori, ma non dice nulla sul momento in cui la chiesa sorse inizialmente.
Le immagini edilizie a proposito delle comunità sono diffuse: cf. J. Bover, «In aedifìcationem corporis Christi». Eph 4, 12: EstBib 3 ( 1944) 3 r 3-342; Viel hauer; Pfammatter, Bau; Roberts, Opbou; O. Miche!, in TWNT v, 1 22-r6r; T . Schneider, in RAC 1, 1 265- 1 278; F . Schnider - W. Stenger, The Church as a Building and the Building up of the Church: Conc ro ( 1 972) 21-34; J. Renard, Tempie and Building in Pauline Images of Church and Community: Review of Religions 4 1 ( r982) 4 1 9-4 3 1 ; l. Kitzberger, Bau der Gemeinde, Wiirzburg 1 9 8 6; M. Barker, The Gate of Heaven, London 1 99 1 . Tale lin guaggio figurato si riscontra nell'A.T., con l'immagine della casa che indica un gruppo di persone ( Gen. 7,1; I Sam. 2o,r 6; Rut 4, 1 1 ; Num. 1 2,7; Ger. 3 1 ,4); in Qumran, con quella della città che indica un gruppo ( 1 QH 6,25-27; 7,8 s.; v. O. Betz, Felsenmann und Felsengemeinde: ZNW 48 [ 1957] 49-77: 50-54. 59-6 1 ) e nel giudaismo ellenistico (Philo Sobr. 66; Abr. 56). Nel greco profano l'immagine usata in senso metaforico per la comunità è quella della città piut tosto che quella della casa (v. LSJ). L'immagine edilizia è altresì utilizzata am piamente quando si parla di costruire o edificare i credenti (Rom. 1 5,2.20; 2 Cor. ro,8; 1 2,19; I J , r o; Gal. 2, 1 8; Co/. 3 , 1 6; I Tess. 5,1 1 ) e questo aspetto emerge in 4, 1 2. r 6. Si è sostenuto che l'uso della metafora in Efesini sia deter minato dall'influsso gnostico (Dibelius, Schlier), ma non è certo che le attesta zioni siano precristiane. Con ogni probabilità si tratta di una metafora «natu-
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rale», che compare in maniera indipendente in più ambiti. In ogni caso era già stata adottata dal pensiero cristiano prima della stesura di Efesini, mutuata pro babilmente dall'A.T. e dal giudaismo. La metafora della costruzione è usata in due modi diversi: in senso sta tico, per presentare un gruppo di persone come un edificio, e in senso dina mico, in relazione al maturare delle persone nella loro fede. Nel primo ca so il soggetto sottinteso che erige l'edificio è Dio o Cristo; nel secondo può essere Dio o Cristo, ma più comunemente sono i credenti a edificare se stessi o a edificarsi reciprocamente nella condotta e nella fede. L'immagine è usata nel primo senso in 2,20-22 (cf. I Cor. 3 ,9. 1 6) e nel secondo in 4,12. 1 6.29 (cf. I Cor. 10,23; 14,4-20; 2 Cor. 10,8; 1 2, 1 9; 1 3 , 10; I Tess. 5,1 1). In questo secondo uso, inoltre, non si fa cenno di norma al tipo di edificio che si erige: si tratta o della chiesa in quanto comunità dei credenti (non una struttura fatta di legno e pietra ) o dei credenti singoli. Questo impiego in senso dinamico è di gran lunga il più frequente nel corpus paolino ed è probabile derivi direttamente dall'Antico Testamento e non dall'uso in sen so statico. Non c'è motivo di pensare che il ricorso a È7totxoÒo(J.Éw da parte dell'autore di Efesini dipenda da Col. 2,7. Vi sono altrettante possibilità che il verbo sia trat to da I Cor. J , I o ss. L'autore di Colossesi lo combina con pt"çoo(J.at e se l'au tore di Efesini si stava servendo di Col. 2,7, sarebbe stato ovvio adottare an che questo verbo, nei confronti del quale non nutre riserve, visto che lo usa in 3·17· Anche il senso in cui il verbo è utilizzato nelle due lettere è diverso: l'au tore di Efesini lo usa qui in quello «statico>>; l'autore di Colossesi in 2,7 in quello . In Ef. 2,20 i credenti sono edificati sul fondamento di apo stoli e profeti, mentre in Co/. 2,7 sono edificati su Cristo. Come ogni costruzione, l'edificio del v. 20 ha un fondamento. In I Cor. 3, 10 si tratta di Gesù Cristo ed è gettato da Paolo, non da Dio. È possibile ravvisare anche qui un significato analogo e considerare gli apostoli e pro feti come coloro che gettano il fondamento. Così NEB: , versione modificata in REB, che propone la resa più corretta: . Al v. 20 Cristo, una persona, è una pietra nell'edificio ed è difficile vedere negli apostoli e profeti coloro che lo hanno incorporato nella costruzione. Sol tanto il desiderio di armonizzare il v. 20 con I Cor. 3 , 1 0 può aver condot to alla traduzione della NEB. Il genitivo è appositivo (cf. Robertson, 498; Pfammatter, Bau, 80-84; sono deboli le basi per considerarlo possessivo, insieme ad Alford). Anche se fosse Paolo l'autore di Efesini, non si vede per quale motivo non possa aver modificato il proprio uso della metafora della costruzione rispetto a I Cor. 3 , 10. È normale che gli autori apporti-
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no variazioni nella loro applicazione delle metafore. 1 Il fondamento non è ovviamente la roccia o il suolo su cui vengono poste le prime pietre o i primi mattoni, bensì il livello più basso dell'edificio su cui poggia il resto. Si sarebbe potuto prevedere che l'autore di Efesini dicesse che il fondamen to della chiesa è Israele anziché gli apostoli e profeti. Così facendo egli in dica che la chiesa non è una semplice continuazione di Israele. Ma chi sono gli apostoli e profeti e perché vengono introdotti? Certo non come grandi figure del passato che potrebbero svolgere il ruolo di modelli di comportamento per cristiani coscienziosi (cf. Ign. Eph. n,2; 1 2, 2; Polyc. Phil. 3,2; n , 3 ) . Apostoli e profeti rappresentano gruppi distinti e non - come potrebbe far pensare la mancata ripetizione dell'articolo - il medesimo gruppo definito da due titoli diversi, apostoli che sono anche profeti � (in Apoc. 2 1 , 1 4 gli apostoli soltanto sono il fondamento). Un sin golo articolo può introdurre due gruppi diversi (cf. Mt. 3 ,7; Le. 22,4; Atti 1 5 ,2) e qui il suo uso può far pensare a un'espressione formulare, spiega zione questa corroborata dalla circostanza che i due gruppi siano di nuovo abbinati in 3 , 5 (v. ad loc. ). Non c'è motivo evidente per cui gli apostoli deb bano essere chiamati profeti in 2,20. È palese che non sono tali nell'elenco di 4,1 1 . D'altro canto nulla autorizza a scorgere al v. 20 una forma abbre viata dell'elenco di 4, 1 1 , quasi che oltre a questi due gruppi il fondamento includesse altri. 3 I due gruppi sono del resto così strettamente uniti dalla presenza di un unico articolo, che chi, sulla base della menzione degli apo stoli come fondamento, vuole dedurre che la chiesa è apostolica, deve esse re parimenti disposto ad accettare che la chiesa è profetica. Né gli apostoli né i profeti vengono identificati con precisione dai loro titoli, poiché entrambi i termini sono usati in modo approssimativo. «Apo stolo>> (v. a 1 , 1 ) può avere un'accezione lata dai contorni indefiniti ed equi valere entro qualche misura a «missionario>> (Rom. 1 6,7; I Tess. 2,6), e un'accezione ristretta indicante i dodici o i dodici più Paolo. Può designare figure missionarie della prima generazione e includere Paolo e Barnaba (cf. Atti 14,4-14). Vi sono pochi elementi nel presente contesto da cui ricavare il senso in cui vi compare il termine, ma in 3 , 5 , dove si ha un uso parallelo, esso probabilmente significa i dodici senza Paolo, giacché questi figura se paratamente in 3 , 3 . Se è corretta, l'interpretazione proposta per «profeti >> (v. sotto) supporterebbe questa lettura. Si è talora sostenuto che Paolo non 1 Cf. P.L. Hammer, Canon and Theological Variety. A Study in the Pauline Tradition: ZNW 67 ( 1976) 83-89. 1 Così Harless; Pfammatter, 93-97; L. Cerfaux, Pour l'histoire du titre Apostolos dans le Nouveau Testament: RSR 48 ( 1 960) 73-9�. 3 Per un'analisi e una confutazione esaurienti dell'idea che apostoli e profeti siano le medesime perso ne v. R.F. White, Gaffìn and Grudem on Eph z:zo. ln Defense of Gaffìn's Cessationist Exegesis: WTJ H ( 1 992) 303-3 20.
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avrebbe mai potuto parlare di se stesso come di un fondamento e che da ciò si può desumere la paternità non paolina di Efesini, ma alla luce della posizione unica che talvolta egli si attribuisce (v. Best, Converts, passim), non è impossibile che si sia presentato quale parte del fondamento. Defini re qualcuno fondamento non implica inoltre che sia defunto e appartenen te a un gruppo del passato: «egli ha fondato la nostra società >> si può dire pure di una persona ancora in vita. «Un missionario moderno potrebbe par lare di sé e dei suoi colleghi come di pionieri, senza che nessuno lo accusi di vanagloria >> (Scott, 178). È relativamente facile comprendere come i dodici (gli apostoli) potessero essere considerati il fondamento della chie sa. Sono figure del passato. I Non sono stati semplicemente i primi membri della chiesa, ma fu dalla loro predicazione dopo la risurrezione che si svilup pò la chiesa. Si può anche dire che la loro predicazione ha dato forma alla chiesa, per quanto Paolo e Barnaba abbiano fatto altrettanto accogliendo i gentili come membri a pieno titolo. La loro posizione (dei dodici, o dei dodici più Paolo e Barnaba) sarebbe pertanto analoga a quella di Pietro se condo alcune interpretazioni che lo vedono come la roccia su cui la chiesa è edificata (Mt. r 6, r 8 ) . 2 Per Origene, Cant. 2 r , r r , GCS 3 3 , 1 5 7; Crisostomo; Teodoreto; Am brosiaster; Calvino; Beza; Roberts, Opbou, 1 22- 1 29, i profeti sono quelli dell'A.T. Marcione presumibilmente li intese in tal senso, poiché Tertullia no, Mare. 5,1 7,6, afferma che egli ne omise la menzione. Più comunemen te da Pelagio in avanti li si è identificati con i personaggi della chiesa pri mitiva che prevedevano il futuro (Atti r r,28; 2 r , r o s.) e/o proclamavano la verità di Dio in situazioni particolari. 3 Se l'autore avesse pensato ai pro feti veterotestamentari, l'ordine sarebbe stato « i profeti e gli apostoli >> (né Polyc. Phil. 6,3, né Ign. Phld. 5 , 1 s. costituiscono eccezioni effettive, poi ché in entrambi i casi risulta chiaro dal contesto che si pensa ai profeti del l'A.T.). Se l'autore di Efesini avesse voluto rinviare all'A.T., visto che si sta I G. Klein, Die Zwolf Apostel (FRLANT 77), Gtittingen r 9 6 r , 66-75, sostiene che gli apostoli e pro· feti non sono un gruppo del passato qui, in 3,5 o -4,1 r, ma un gruppo che continua a esistere (cf. Fi· scher, 3 3 -39). Come Cristo in quanto pietra angolare continua a essere in relazione con la chiesa, co· sì dovrebbe essere anche per gli apostoli e profeti. Vi sono tuttavia differenze importanti: gli apostoti e profeti non sono più vivi e quindi il loro rapporto con la chiesa appartiene al passato; Cristo è vivo. Se sono un gruppo che continua a esistere, hanno successori; la chiesa non ha successori. 2 Questa costituisce una rettifica considerevole della posizione da me sostenuta in One Body, r 62. 3 Sui profeti v. ad esempio E. Fascher, llpoqrlrnJ . L'immagine di una pietra in posizione elevata all'interno di un edificio concorda anclle con l'idea di Cristo capo del suo corpo, la chiesa. Giacché implica che Pedificio sia in fase avanzata di com pletamento, questa soluzione al significato del termine è tuttavia proble matica, visto che nel versetto successivo si sottolinea la crescita della chie sa. Gli edifici non crescono fino a raggiungere pietre che li sovrastano. Se ne dovrà inoltre inferire che non c'è posto per Cristo nella chiesa finché questa non sia parzialmente compiuta ? Dev'esserci tuttavia un senso in cui la chiesa è già compiuta, poiché il v. 22 afferma che essa è l'abitazione di Dio: si può immaginare che egli abiti in un edificio incompiuto? C'è nella lettera una forte presenza di escatologia realizzata (cf. intr. 6.4) e questo passo può esserne un esempio ulteriore. A sostegno di ambedue le interpretazioni della pietra angolare si posso no addurre testimonianze contemporanee, ma scarne, e ambedue incorrono in difficoltà teologiche. Allo stato attuale delle conoscenze il problema è for se insolubile. D'altro canto il contesto mostra con chiarezza che l'autore di Efesini intende riservare a Cristo nell'edificio un posto diverso da quello degli apostoli e profeti e più importante di quello occupato da entrambi. 2 1 . L'immagine muta nuovamente. Dell'edificio si dice che cresce e lo si identifica con un tempio. Sia questo versetto sia il v. 22 sono introdotti da Èv � e sono paralleli, ragion per cui il pronome relativo in tutt'e due i casi si riferisce probabilmente a Cristo piuttosto che al fondamento o alla pietra angolare, benché questa sia ovviamente Cristo. L'autore di Efesini inoltre predilige l'espressione «in Cristo>> o formulazioni a questa affini. Ma che cos'è che cresce « in Cristo>> ? olxoÒO(.L� può indicare una struttu ra concreta o il processo di edificazione. A prima vista la presenza del 7tli tia. qualificativo sembra condurre alla prima accezione, e quindi al signifi cato . Questa lezione produce il senso migliore, ma il sostegno testuale non è solido ed è difficile capire come sia nata l'altra, se questa era quella originaria. In una buona forma greca questo significato richiederebbe l'in serimento dell'articolo, ma non sempre il greco della koinè segue le regole del greco classico (cf. BDR, § 275 . 2 n. 4; Zerwick, § 1 90; Moule, 94 s.; MHT, 1 99 s.; Robertson, 772). Nel N.T. si riscontrano altri casi di assenza dell'articolo: Mt. 28, 1 8; Atti 1,21; 2,3 6; 7,22; 23 , 1 ; Col. 1 , 1 5 .23; 4,12; I Pt. 1 , 1 5 (Eadie elenca esempi tratti dal greco classico) . In nessun altro luo go della lettera l'autore, a differenza di Paolo, ha in mente singole comu-
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nità (ciascun edificio) e tanto meno singoli credenti, ma pensa sempre alla chiesa intera. Non è possibile aggirare questo dato prospettando l'idea che egli pensi a un tempio complesso, che comprenderebbe varie strutture, in quanto nel prosieguo definisce la struttura va.oc;, o santuario, che dev'essere un edificio singolo. Qui l'autore non sta dunque pensando alla crescita di ciascuna comunità distinta di credenti che riceverà la sua lettera, e ancor meno a giudei e gentili edificati insieme (Gerolamo, Tommaso d'Aquino), bensì all'unica chiesa di Dio. Sarebbe in ogni caso piuttosto assurdo con siderare apostoli e profeti come fondamenti di singole comunità (Gaugler). Negli edifici importanti dell'antichità le pietre erano accuratamente com paginate insieme, rruva.p(LoÀoyou(LÉVl] ' (altrove solo in 4, 1 6), in quanto le su perfici che dovevano combaciare venivano levigate e si praticavano fori at traverso i quali venivano inseriti perni di congiunzione. Le pietre che qui sono compaginate insieme (tempo presente) non rappresentano i due grup pi, i giudeocristiani e gli etnicocristiani, ma i singoli credenti. In tal modo l'argomentazione, che dai credenti come membri di una famiglia passava a parlare al v. 20 del materiale col quale la casa era fabbricata e indicava la posizione di apostoli, profeti e di Cristo, raffigura ora i credenti armonio samente legati agli altri credenti che si trovano a fianco, sopra e sotto di loro. Nessuna pietra dev'essere fuori posto (Orig. Cat. Cor., JTS 9 [ 1 9071908] 246). Poiché però di fatto non sempre i credenti stanno insieme in armonia, come emerge da 4,25 ss., la chiesa è raffigurata come dovrebbe es sere più che com'è. Dell'edificio si dice che cresce, a.u�e:t (per la forma v. BDR, § 101 n. 1 1 ). Benché la crescita venga solitamente associata alla vita organica, non è difficile vederla applicata metaforicamente a edifici in via di costruzione e r Cor. 3,6- 1 7 (cf. Ger. 3 1,28) mostra quanto sia semplice il passaggio dal la metafora organica a quella edilizia.' I Pt. 2, 5 parla di «pietre vive». Il concetto di «crescita » (si noti il tempo presente dell'indicativo e del partici pio) lascia intendere che non tutte le pietre sono state ancora inserite nella costruzione. I credenti vengono aggiunti alla chiesa giorno dopo giorno e la crescita si attua in senso estensivo nel numero piuttosto che in senso in tensivo nell'amore, come in 4, 1 6. Nell'idea di crescita è implicita quella di incompletezza, che si scontra con ogni eventuale immagine di Cristo qua le pietra finale e con una escatologia troppo realizzata. Il costruttore non viene identificato. In I Cor. 3 , 1 0 Paolo come costruttore getta il fonda' Cf. G.H. Whitaker, Studies in Texts: Theology 1 3 ( 1 916) 3 3 5 s.
Per la commistione di metafore relative alla costruzione e che riguardano il corpo v. Philo Ali. 1,6; Act. Thom. 6 s. (Lipsius-Bonnet, 1 09 s.); Herm. Vis. 9; 1 QS 8,5; 1 1 ,8; Od. Sal. 3 8,17. V. anche D.C. Smith, Cultic Language in Ephesians 2 : 1 9-22. A Test Case: RestQ 3 1 ( 1 989) 101-117. Schlier, 143· ' 4 5 > ravvisa nello gnosticismo un fattore che ha influito nella commistione delle metafore presso l'au tore di Efesini, ma la possibilità di datare le testimonianze gnostiche prima della lettera non è sicura. 1
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mento su cui altri costruiscono, benché subito prima si definisca Dio fonte della crescita ( I Cor. 3,6). Si può quindi presumere che al v. 2 1 il costrut tore ultimo sia Dio. D'altro canto sia il compaginare insieme sia la crescita avvengono «in Cristo>>, la pietra angolare. L'èv di èv � potrebbe essere inte so in senso strumentale, ma considerato il carattere corporato di tutta l'im magine, è meglio attribuirgli un significato corporato o locale. È difficile capire come le pietre siano armoniosamente congiunte in virtù del loro rapporto con la pietra angolare, e si deve postulare una commistione di me tafore. Forse s'intende che i credenti vengono modellati, levigati e congiun ti insieme in virtù del loro rapporto con Cristo, al quale devono somigliare (2 Cor. 3 , 1 8; Fil. 3 , 2 1 ) . L'immagine cambia d i nuovo e l'edificio è visto come u n tempio o san tuario (non c'è l'idea di una trasformazione graduale in un tempio). vaoç è il santuario vero e proprio in cui si può pensare dimori la divinità, distinto rispetto all'intero complesso templare, ,;Ò !epov (cf. I Cor. 3 , 1 6). Il passag gio metaforico dalla casa al tempio è reso più agevole dalla circostanza che il tempio di Gerusalemme era talora detto la casa di Dio e l'idea del tem pio era già stata spiritualizzata sia nel pensiero greco-romano sia in quello giudaico, I talché si potevano definire «tempio>> il mondo o un uomo o una parte dell'uomo (la mente o il cuore). Paolo aveva già applicato l'immagi ne del tempio alla comunità ( I Cor. 3 , 1 6 s.; 2 Cor. 6,1 6; cf. I Pt. 2,4 s.), insegnamento che aveva impartito durante il suo primo soggiorno a Corin to (si noti il «non sapete? >> di I Cor. 3 , 1 6), e di cui i discepoli dovevano essere al corrente. Probabilmente l'idea è sottesa anche a Gv. 2,1 3 -22 e al l'uso in Marco del logion di 14,5 8; 1 5,29. La si può far risalire alla comu nità di Qumran ( 1 QS 5 , 5 s.; 8,4- 10; n , 8 ) . 2. Qui i credenti sono presentati come il materiale col quale è costruita la comunità. I gentili, cui un tempo era vietato l'accesso al tempio di Gerusalemme, sono divenuti parte di questo tempio. La posizione dei credenti, qui materiale del tempio, è in con trasto con quella di I Pt. 2,4 s., ove essi servono nel tempio come sacerdo zio spirituale (ad es. Rom. 1 2, 1 s.; I Pt. 2,5; Ebr. 1 3 , 1 5 s.). Se l'autore di Efesini considera i cristiani già abitanti del cielo (v. al v. 19), è anche pos sibile che egli abbia in mente il tempio celeste) In quanto tempio, i cristiaI Cf. H. Wenschkewitz, Die Spiritualisierung der Kultusbegriffe Tempel, Priester und Opfer im Neuen Testament: Ang 4 ( 1 9 3 2. ) 77-2.30; ].C. Coppens, The Spiritual Tempie in the Pauline Letters and its Background, in SE VI (nJ 1 1 2.), Berlin 1973, 5 3 -66; McKelvey, op. cit., 4 2. ss.; Klinzling, op. cit., 50 ss.; D.C. Smith, art. cit.; E. Schiissler Fiorenza, Cultic Language in Qumran and in the New Testament: CBQ 3 8 ( 1 976) 1 5 9-1 77. 2. Cf. McKelvey, 46-5 3 ; Best, Following, 2. 1 3 -2.2.5; B. Gartner, The Tempie and the Community in Qumran and the New Testament (SNfSMS I ), Cambridge 1 9 6 5 , 47 ss.; Gaston, op. cit., 163 ss.; I.H. Marshall, Church and Tempie in the New Testament: TynB 40 ( 1 989) 2.03-2.2.2.. 3 Cf. McKelvey, op. cit., 2.5 ss.
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ni, giudei e gentili, sostituiscono ogni tempio terreno quale luogo di abita zione di Dio e contemporaneamente costituiscono il compimento del tem pio celeste atteso. Infine, si dice che il tempio santo è Èv xupicp. Qui, come altrove in Efe sini, il Signore è Cristo e non Dio (così Mussner, Christus, I Io, ed Ewald). L'esistenza della chiesa è incentrata su Cristo. Poiché Èv cP va con l'indica tivo e/o col participio, è più semplice collegare Èv xupicp al «santuario san to>> . Può riferirsi al santuario ( Cristo ne determina l'esistenza e la natura; Gnilka), o - più probabilmente - ad éiytov (il santuario è santo a motivo della sua connessione con Cristo). 22. Il versetto è in parte parallelo a quello precedente (Èv cP riprende Cri sto e non vaoç e, come al v. 2 I , all'espressione si deve attribuire un senso corporato; si notino anche i due composti con auv-) e in parte lo sviluppa, cosicché il tempio è identificato esplicitamente come il luogo in cui dimora Dio. Con il suo rinnovato e inatteso appello diretto ai lettori, il versetto co stituisce un punto culminante adeguato dell'intera sezione 2, I I-22. Ciò che nei vv. 20 s. era teoria, ora è applicato ai lettori. Essi non sono stati lascia ti fuori, ma sono stati edificati, insieme a coloro che già erano nella chiesa, sul fondamento degli apostoli e profeti e con Cristo come pietra angolare. Il tempio già esiste e i lettori vengono edificati (il verbo è hapax legome non nel N.T.; nei LXX ricorre solo in r Esd. 5,65, dove è attivo) in esso, presumibilmente da Dio. Ma se sono edificati in qualcosa che già esiste, che cos'è questo qualcosa (cui il auv- si richiama) ? a) Il popolo giudaico. Si è già scartata l'idea che i credenti gentili siano aggiunti al popolo giudaico per formare la chiesa (v. excursus 5, «Israele e la chiesa >> ) e nulla suggeri sce qui una rettifica di quel punto di vista. b) I primi giudeocristiani (Gnil ka). Nei vv I 4- I 8 l'accento è posto sull'unificazione dei due gruppi di giudeocristiani e di etnicocristiani in uno solo, sicché potrebbe non essere inopportuno considerare qui gli etnicocristiani edificati nel nuovo popolo giudeocristiano di Dio, e forse è questo il significato di auv- in 3 ,6. Contro questa prospettiva c'è il tempo presente del verbo. Nei vv !4- I ?, nel corso della trattazione sull'unità tra giudeocristiani ed etnicocristiani, si era usa to l'aoristo, presentando l'unificazione come compiuta sulla croce. Qui il presente implica che i gentili sono edificati in una chiesa che contiene già alcuni gentili. c) Gli apostoli, i profeti e Cristo. È improbabile che l'autore di Efesini pensi che i suoi lettori vengono aggiunti soltanto al fondamento e alla pietra angolare. d) La chiesa esistente, che consta già di credenti giu dei e gentili (cf. Schnackenburg). Il tempo presente del verbo fa pensare a un processo, nel quale i credenti vengono edificati insieme a coloro che già fanno parte dell'edificio, i credenti giudei e cristiani già esistenti. Il auv- di .
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questo verbo corrisponde allora al auv- di auvetpfLoÀoyoufLÉVlJ. Se si reputa che la chiesa contenga membri sia celesti sia terreni (v. al v. 19), questa in terpretazione non ne viene inficiata. È la più probabile. e) C'è peraltro una possibilità che il termine di riferimento di auv- sia Cristo soltanto, come in 2, 5 s. Il tempio viene ora identificato come il luogo nel quale Dio dimora. I I credenti sono edificati insieme con l'obiettivo (e:lç) di essere un luogo dove Dio abiti. Che le divinità abitino edifici terreni è un'idea largamente diffu sa nelle religioni del tempo e presente anche nell'A.T. (Es. 1 5, 1 7; 3 Baa. 8,1 3; in entrambi i passi si usa XCL't'OtXlJ't'�pwv; v. anche Mal. 3 , 1 ) 2. e altro ve nel N.T. ( I Cor. 3 , 1 6). Nell'A.T. vi sono altresì casi in cui si dice che Dio è in mezzo al suo popolo (Es. 25,8; 29,4 5 ; Lev. 26, 1 1; Ez. 3 7,27). Una volta identificati il popolo e il tempio, l'obiezione che Dio non può abitare in un edifico materiale viene meno. Se gli increduli indicano nei propri tem pli i luoghi in cui vivono i propri dei e chiedono ai cristiani dove si trovino i loro, essi possono rispondere dicendo che Dio dimora nella loro comuni tà. È vero che Dio può abitare anche in singoli individui e in chiese dome stiche locali, però qui si dà rilievo al suo dimorare nella comunità nel suo complesso. Ma può Dio vivere in ciò che è incompleto? Se la pietra ango lare intesa come pietra posta in alto è collocata nella posizione dovuta, si può presumere che in un certo senso l'edificio sia compiuto. Il dimorare di Dio è Èv 7tve:�CL't't (per il termine v. Adai, 178-193; Lem mer, 1 50- 1 54. 254-26 5 ) . Il parallelismo del versetto in esame con il v. 21, insieme alla collocazione conclusiva dell'espressione, indicano che qui si intende lo Spirito santo (cf. Sal. r 8,6; 27,4 s.; 46,5.7; 68,3 6). Ciò non vuoi dire che l'abitare sia semplicemente metaforico o non materiale. Una siffat· ta interpretazione di 7tve:U{J.et non aggiungerebbe nulla a un contesto già me taforico. È chiaro in ogni caso che il tempio del v. 2 1 , diversamente da quel· li dell'A.T. e delle città dove vivono i lettori di Efesini, non è materiale. 7tve:ufLCL non indica il costruttore, ma mostra la maniera in cui Dio opera o il modo in cui il suo dimorare è reso possibile. Lo Spirito è lo Spirito di po tenza e ciò conferisce un aspetto dinamico alla presenza di Dio nel tempio.J I B reca la lezione XJliO"Tou, che farebbe del tempio l'abitazione di Cristo, interpretazione teologica mente possibile ma improbabile in questo contesto. 2 Sul luogo e il modo della presenza di Dio in Israele v. R.E. Clements, God and Tempie, Oxford 19653 Per una storia degli effetti dell'idea della chiesa in quanto edificio v . Schnackenburg, 3 2.5-32.8.
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K. Sullivan, The Mystery Revealed to Paul - Eph. 3 : z - r 3 : Bible Today 1 ( 1 963 ) 2462.54; Merklein, Amt, 1 5 9-23 1 ; Caragounis, 9 6- 1 1 2; Lona, 277-308; Reynier, passim. 1
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Per questo io, Paolo, prigioniero di Cristo in favore di voi gentili Avete certo sentito parlare del piano di Dio riguardante la grazia che mi fu concessa per voi, ossia che per rivelazione Dio fece conoscere il mistero a me, come ho scritto in breve sopra, quando leggete la qual cosa siete in grado di capire la mia intellezione del mistero di Cristo, (un mistero) non reso noto in altri periodi all'umanità come è stato rivelato ora ai suoi santi apostoli e profeti tramite lo Spirito, che i gentili sono eredi insieme, membra dello stesso corpo, compartecipi della promessa in Cristo Gesù mediante l'evangelo di cui sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio data a me, in misura adeguata dall'operare della sua potenza. A me questa grazia fu concessa, a me, inferiore all'ultimo di tutti i santi, di proclamare ai gentili l'inimmaginabile ricchezza di Cristo, e di illuminare tutti riguardo al piano del mistero, nascosto nel corso delle ere in Dio che ha fatto ogni cosa, affinché l a molto variegata sapienza d i Dio sia resa nota ora tramite la chiesa alle potestà e alle autorità nei cieli,
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secondo il suo proponimento da prima delle ere, che egli ha disposto nel messia Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo ardire e accesso con fiducia tramite la sua fedeltà. Perciò prego che non vi perdiate d'animo alle mie tribolazioni in vostro favore vedendo che sono per la vostra gloria.
Completata la propria argomentazione teologica riguardante le basi per la redenzione dei gentili a fianco dei giudeocristiani, l'autore di Efesini passa all'intercessione in favore dei gentili ( vv. 1 . 1 4 ss.). La preghiera risulta na turale dopo la menzione del tempio ( 2,22). Accingendovisi, l'autore intro duce il nome di Paolo, il che lo porta a interrompere la transizione verso l'intercessione per trattare di come lo stesso Paolo sia stato strumento di divulgazione del piano di Dio per i gentili. Nel caso l'autore sia Paolo, il risalto dato a se stesso, «io, Paolo>>, ricorda ai lettori il ruolo da lui svolto nell'evangelizzazione dei gentili. 2, n -22 può averne gettato le basi teolo giche, ma occorre anche spiegare il processo storico, sicché chi scrive (Pao lo o un a l tro) interrompe il filo del discorso a tal fine e inserisce i vv. 2- 13, per tornare all'intercessione al v. 14· I vv . 2- 1 3 costituiscono dunque una ampia parentesi. Lingua e stile sono sufficientemente omogenei a quelli del resto della lettera da non far sospettare che si tratti di una glossa seriore. Che i vv. 2- 1 3 siano parentetici non significa che non siano importanti: forniscono invero i presupposti del diritto di Paolo di rivolgersi ai lettori. Paolo era un apostolo e si è già parlato della sua posizione personale: egli era parte del fondamento ( 2,20). Ma questo faceva di lui soltanto uno tra i molti apostoli e profeti. Egli tuttavia non era solo uno fra i tanti, ma occupava una posizione unica in rapporto ai gentili: Paolo è /'apostolo dei gentili. Quali sono i motivi per definirlo così? Non sono state né la com prensione dell'A.T., né una sua brillante intuizione personale a fargli capi re che l'evangelo deve includere i gentili. Dio gli ha concesso una rivela zione a questo scopo. L'inclusione dei gentili era stata parte del piano di Dio sin dal principio, ma in precedenza era stata tenuta segreta. Ora viene resa nota a Paolo (v. 3 ) e ad altri (v. 5 ) . A Paolo inoltre è stato dato di essere strumento primario per condurla in porto (vv. 7-8 ). I vv. 7 e 8 sono uniti, benché il v. 7 sia la conclusione del primo periodo principale (vv. 2-7) e il v. 8 l'inizio del secondo (vv. 8- 1 2). Essi fungono da transizione fra l'enun ciazione del posto occupato da Paolo nel piano di Dio e la delineazione dell'adempimento di questo suo ruolo. Vi è stata una rivelazione il cui contenuto era l'accoglienza dei gentili nel popolo di Dio (v. 6). Il piano di Dio ha peraltro un orizzonte cosmico ancor più vasto (v. 10), e questo era il suo proponimento sin dal principio mediante Cristo (vv. 1 1 - 1 2). Le sof-
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ferenze di Paolo sono quindi di scarso rilievo e non devono scoraggiare i lettori: in effetti sono state per il loro bene (v. I 3 ). Riaffiora qui lo schema «un tempo / ora >>, benché adesso non riguardi un cambiamento personale nei credenti, come in 2, I ss., ma l'operare di Dio nel nascondimento e nel successivo disvelamento della conoscenza. È questa la sezione più personale dell'epistola agli Efesini. Se fu Paolo a redigere tale sezione, essa permette di considerare Efesini una lettera e non un'omelia o un trattato teologico. Se è postpaolina, dev'essere vista quale parte dell'argomentazione teologica in cui si espone come Dio abbia scelto un essere umano particolare per porre in atto il proprio piano. Paolina o meno che sia, questa sezione contiene alcune asserzioni molto forti sul conto di Paolo, che gli attribuiscono una posizione assai elevata, se non unica. Tali asserzioni sono eguagliate soltanto dalla sua dichiarazione di es sere stata l'ultima persona a vedere Cristo ( r Cor. I 5,8) e dalla pretesa for se adombrata in Col. I,24 di una qualche connessione fra le sue sofferenze e quelle di Cristo a beneficio della chiesa. Può darsi che nel comporre que sta sezione l'autore di Efesini avesse in mente un'idea analoga a quella espressa in Co/. I,24. Sia l'autore di Efesini sia quello di Colossesi nutrono verso Paolo uguale venerazione e la loro scuola deve aver riflettuto in pro fondità sulla sua importanza. Merklein, Amt, I 6 I , considera 3,I-7 un'in terpretazione di Col. I ,24-28, mentre Bouwman sostiene che 2,n-22 ri prende Col. I,2I-23 e che 3,2- I 3 gioca sull'idea di Paolo «ministro>> e sul concetto di mistero tratto da Colossesi. Poiché tuttavia il concetto che le tribolazioni di Paolo vadano a beneficio dei suoi convertiti ha nelle sue let tere riscontro più ampio ( r Cor. 1,3-7; 2 Cor. 4,1 2), avrà influenzato i suoi seguaci. La presenza dei gentili nella chiesa è indissolubilmente legata alla posizione di Paolo nell'economia divina. Non è facile precisare il genere del passo (cf. Reynier, I s-28). Benché il v. 1 introduca quella che sembra una sezione liturgica, tale sezione di fatto non inizia fino al v. 14· La pericope in esame è narrativa, nella misura in cui si può definire così una parte di Efesini, poiché racconta un'azione del passato, una rivelazione, e un'attività che continua, la divulgazione della ri velazione. In quanto narrativa, è in parte autobiografica (si noti l'ampio uso della prima persona singolare), anche se, qualora Paolo non sia l'autore, sarebbe meglio definirla pseudoautobiografica. Non si tratta tuttavia di un «testamento >>, poiché non vi sono indizi che Paolo sia prossimo alla morte, né allusioni all'idea che questo potesse essere l'ultimo scritto ai propri let tori. Uno dei temi principali è la «rivelazione>>, ma essa è già stata manife stata e l'azione relativa ha già avuto luogo. Il genere non è quindi pura mente apocalittico. Si tratta forse di una mistione di apocalittica e pseudo autobiografia. Non necessariamente i generi sono «puri >> . Benché possa es-
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sere appropriato definire i vv. 2- 1 2( 1 3 ) una digressione, non è però una di gressione accuratamente preparata, per cui non si può parlare di digressio nel senso della critica retorica antica. Come digressione intesa nel senso co mune del termine, colma un vuoto essenziale nell'argomentazione e sareb be quindi un errore considerarla una glossa (cf. Kirby, 1 29- 1 3 2). L'inter ruzione dell'argomentazione a questo punto lascia ritenere che l'autore di Efesini non avesse predisposto un programma studiato di quanto si accin geva a scrivere. Si è tentato di individuare una struttura interna al passo. Lona, 277 ss., scorge un chiasmo nei vv. 2-7 e un altro nei vv. 8- ro, ma le sezioni che do vrebbero bilanciarsi a vicenda sono di estensione così differente da rendere quanto mai improbabile questa proposta. Reynier, 43 ss., cerca di correg gere i punti deboli di Lona con uno schema ancor più elaborato, tanto complicato che risulta incredibile la possibilità che sia frutto di una volon tà deliberata. È vero che il v. 5 contiene due proposizioni parallele e con trapposte, ma chi non ha scritto frasi di questo genere senza l'intenzione consapevole di ostentare maestria letteraria ? 1. Ci sono due questioni preliminari che riguardano la costruzione. I . Man ca il predicato. Alcuni settori della tradizione testuale cercano di porvi rimedio mediante l'introduzione di termini che possano fornirne uno (7tpta�tuw in D 104 • pc, xtxcxuxlJ!J.CXt in 2464 pc); nessuna di queste lezioni è sostenuta da at testazioni sufficienti; le possibilità sono esaminate in modo assai approfondi to e respinte da alcuni tra i primi commentatori moderni (Alford; Eadie ecc.). La soluzione migliore è considerare i vv . 2- 1 3 parentetici, con un anacoluto al v. I . È improbabile che questo versetto sia « l'intestazione di capitolo•• , come sembra intendere Usami, 1 5 2 s. L'autore di Efesini ha interrotto l'intercessione che stava per formulare perché la menzione contemporanea di Paolo e dei gentili gli ha fatto avvertire una lacuna nella sua argomentazione. Paolo stesso avrebbe potuto senz'altro interrompersi in questo modo, visto che nelle sue epistole sicuramente autentiche si incontrano sistematicamente anacoluti. Ce n'è uno anche in 2, 1 . Questa cesura non può pertanto essere considerata un elemento né pro né contro la paternità paolina dello scritto. D'altro canto, un autore pseudonimo avrebbe prodotto anacoluti? Forse, da scrittore di vaglia, l'autore di Efesini lo ha fatto per imitare volutamente Paolo (Bouwman), influenzato dal lessico e dalle idee della scuola paolina, rispecchiate anche in Col. 1,21 ss. Più verisimilmente l'anacoluto è nato perché l'autore si è reso conto di aver omesso qualcosa di importante ai fini della sua argomentazione. La presenza di anacoluti nella lettera segnala probabilmente che veniva detta ta. 2. Qual è il termine di riferimento di 'to&tou xaptv (l'espressione è ripetuta al v. 14)? Può riallacciarsi a) alla parte precedente; b) a quella successiva; op pure c) può essere una forma di transizione senza un referente preciso. L'ipo tesi b è improbabile perché nei vv. 2 ss. sono pochi gli elementi cui si potrebbe
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legare (per la trattazione in merito si veda Henle). La ripetizione dell'espres sione in 3,14 rende l'eventualità c, pur plausibile, inverisimile. Se dunque si opta per a, restano varie possibilità: è difficile riprenda l'intero cap. 2, poiché 2., 1-10 non è pertinente; è più probabile si riagganci a 2, 1 1 -22 e 2, 1 9-22, e la soluzione migliore è intenderla riferita a 2, 1 1 -22, con particolare rilievo su 2.,19-2.2. Non è chiaro se dopo Xptcr'tou si debba leggere 'I1Jcrou, con 1)46 N ' A B (C) D' 1f' 33 1739 (5630 1 8 8 1 al) > ( Col. 1 , 2 5 ) o di schiavo (Fil. 1 , 1 ) .
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Paolo è prigioniero in favore di altri, i gentili. È storicamente vero che è stato incarcerato più volte a causa della sua missione ai gentili, per quanto dal canto suo non instauri in nessun altro luogo un legame esplicito tra i due fatti. Secondo il racconto degli Atti, quando, predicando nelle sinago ghe, egli parlava dell'interessamento di Dio per i gentili, ciò suscitava talo ra disordini che conducevano alla sua carcerazione. Le ultime prigionie, a Cesarea e a Roma, erano state in sostanza la conseguenza della sua mis sione ai gentili. Vi è tuttavia anche la possibilità di intendere diversamen te l'espressione tntèp U!J-WV 'twv U:Jvwv, considerandola un aggancio al v. 14, come se la frase dovesse suonare: > . Tale lettura lascerebbe peraltro l'espressione in sospeso a questo punto, senza al cun nesso. È dunque meglio correlarla a quanto precede: . Poiché il brano termina (v. 1 3 ) par lando delle sue sofferenze per la gloria dei gentili (così Salmond), probabil mente il complemento introdotto da u1rÉp si può intendere più precisamen te (cf. Robertson, 630; per il significato di u1rÉp v. Mc. 9,4o; Col. 1,24; Rom. 8,3 2; Ebr. 5 , 1 ; cf. Salmond). Sul senso della sofferenza di Paolo per altri si veda al v. 1 3 . Paolo ha giocato un ruolo es senziale nella diffusione dell'evangelo ed è l'esigenza di porre in evidenza nei vv. 2 ss. questo aspetto, insieme ad altri, a indurre l'autore di Efesini a in terrompere il filo del discorso. Prima di lasciare il v. 1, merita osservare che il richiamo a non implica che si tratti di una lettera cattolica destinata a tutti i gentili (Beare), né indica che essa è diretta a singoli credenti (Hofmann) anziché a una o più chiese. Lo scritto è rivolto ai gentili di svariate chiese, identifica bili solo in quanto Paolo non ne era stato il fondatore. 2. La parentesi, o digressione, inizia qui. L'autore di Efesini ha già soste nuto ( 1,3- 14; 2,1 1 -22) che i gentili sono all'interno della chiesa perché que sto era ed è il modo in cui Dio ha disposto il suo piano di salvezza. Ora l'autore volge l'attenzione all'agente umano, Paolo, tramite il quale Dio ha compiuto il proprio piano, e sviluppa l'espressione (v. 1 ). Era anzitutto necessario che Paolo ricevesse la rivelazione del piano di Dio (vv. 2-7), prima di poter agire sulla sua base (vv. 8-1 2). L'autore di Efesini non considera se vi fossero gentili nella chiesa prima della missione di Pao lo o, in caso positivo, la rilevanza di questo dato per l'affermazione enun ciata qui sul suo conto. A differenza delle asserzioni fatte da Paolo in altre lettere sulla propria posizione in relazione ai gentili, i vv. 2- 1 3 non hanno alcuna punta polemica. Si può presumere (questo è il senso implicito di e:t ye:; v. BDR, § 439.3; Moule, 1 64; Abbott, I V . v . 78; Robertson, 1 147- 1 149; Thrall, 88) che i
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lettori sappiano già alcune cose di Paolo apostolo dei gentili (cf. Percy, 343 n. 6). Non ci sarebbe stato motivo per l'autore di Efesini di scrivere sotto il nome di Paolo se i suoi lettori non avessero mai sentito parlare di lui, e la notizia della sua attività tra i gentili era l'informazione che con maggiore probabilità sarà giunta a tutti. La conoscenza dei lettori doveva essere in diretta e non derivata da contatti personali, altrimenti l'autore avrebbe scritto: , Paolo non li aveva evangelizzati, né visitati di per sona. È molto difficile credere che, se fosse mai stato con loro, avrebbe ta ciuto della sua missione speciale ai gentili. È possibile peraltro, per quanto altamente improbabile, che dal tempo in cui era stato in loro compagnia, tutti quelli ai quali aveva predicato fossero morti e che fossero sorte comu nità completamente nuove. L'autore di Efesini non spiega come i destina tari della lettera siano giunti a conoscere Paolo. Egli usa la medesima par ticella introduttiva d y& riguardo all'istruzione catechetica in 4,21 e forse è questa la fonte delle loro nozioni (Gnilka), ma sono poche le prove che il mandato affidato a Paolo dell'evangelizzazione dei gentili abbia mai fatto parte dell'istruzione catechetica. In tal caso, dovevano esservene due for me, come si desume dal v. 5, giacché Mt. 28,1 6-20 e Atti 1,8 presentano l'incarico impartito non a Paolo bensì agli apostoli (cf. Best, Revelation). Probabilmente l'autore non intende dunque alludere a un espresso ammae stramento (�xoucra't& è termine assai generico). È possibile che ci sia stata in precedenza una breve comunicazione (cf. v. 3 ) . Quale che sia il modo in cui i lettori erano stati informati, si tratta ora di sviluppare l'argomento e di approfondire le loro conoscenze sul legame tra Paolo e la loro stessa pre senza nella chiesa. Il termine che crea difficoltà nel versetto è olxovo[L ia. Il modo migliore per affrontarlo è partire dall'espressione che lo accompagna, lJ "X,Iiptc; 't'Ou .S&ou i] òo.S&icrli (Lot, che ricompare al v. 7, suggerendo l'idea che il v. 2 e il v. 7 formino un'inclusio (Reynier, 6 1 -68). Negli scritti paolini indica di norma l'amore sorprendente, redimente di Dio, reso manifesto soprattutto nell'inserimento dei gentili nella chiesa (cf. Barth, 3 5 8 s.). Cri stiani si diventa per grazia di Dio. Ma qui non è la conversione di Paolo a essere connessa alla grazia. Si esprime piuttosto l'idea che Dio ha concesso a Paolo la grazia in relazione ai gentili, i quali ne sono i beneficiari ultimi, come indica dc; U(Lac;. A prescindere dal suo significato in rapporto all'amo re redimente di Dio, xliptc; ha talora un uso più concreto (cf. BAGD, s.v.), con un'accezione analoga a quella di xliptcr(La (cf. 4,7; I Pt. 4,10). Dio ha dato a Paolo un dono da impiegare a beneficio dei gentili, per quanto ov viamente la sfera d'azione dei doni carismatici non sia limitata a loro, vi sto che in 4,7 non vi si fa alcun cenno particolare. L'espressione sul dono della grazia è paolina ( 1 Cor. 3 , 10; cf. Rom. 1 2,3.6; Gal. 2,9). In I Cor. 1 5,
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ro e Gal. r , 1 5 s . Paolo ricollega la grazia di Dio al suo mandato e all'atti vità da lui svolta in relazione ai gentili (cf. Rom. 1 , 5 ) . L'autore di Efesini, consapevole dell'uso paolina dell'espressione, la utilizza qui, in modo non inappropriato, a proposito della misericordia di Dio verso i gentili. È in vir tù del suo essere destinatario del dono di Dio per i gentili che Paolo osa evangelizzarli e parlare con autorità non solo alle chiese che ha fondato, ma anche a quelle che non ha mai conosciuto né visitato. Qual è dunque il rapporto dell'espressione con olxovo(JotCX 1 e quale il signi ficato di olxovo(Joicx nel presente contesto (per il termine v. a 1,10)? Una lo cuzione simile e un uso analogo di olxovo(Joicx sono in Co/. 1,25, dove però ha un aspetto più paolina (Conzelmann). Il sostantivo può essere inteso in senso passivo o in senso attivo e possono esserne soggetto logico Dio o Paolo. Se è Paolo, è improbabile che il termine abbia un significato passi vo, poiché è Dio che pianifica, non Paolo. Se in Co/. 1,25 lo si intende in senso passivo, lì il soggetto è Dio. È più semplice ritenere Paolo il soggetto logico attribuendo al termine valore attivo: «la mia gestione del carisma datomi da Dio per voi » (cf. Barth; così anche Grosheide, Houlden, Van Roon, Lincoln), dacché è implicito che tale gestione è stata affidata a Pao lo da Dio (xcipt-roç in tal caso sarebbe genitivo dell'oggetto o forse epesege tico). Il termine ha un impiego analogo in I Cor. 9,17 e in I Cor. 4,1 . Pao lo si definisce olxovo(Jooç. Ma tanto in Ef 1 , 1 0 quanto in 3 ,9 il soggetto è Dio e, poiché il termine è utilizzato in maniera consapevole, molto depone a favore di un suo uso coerente (cf. Merklein, Am t, 1 74). Questa sezione del brano, inoltre, sottolinea l'impiego di Paolo da parte di Dio nella con versione dei gentili piuttosto che la sua missione in quanto attività sua propria. Il ruolo di Paolo viene espresso tramite xcipt-roç. Se il soggetto di olxovo(JotCX fosse Paolo, ci si aspetterebbe che venisse reso chiaramente com prensibile e anche che vi fosse òo-Beiacxv, poiché in realtà a Paolo viene data )'«amministrazione» piuttosto che la grazia (cf. Mitton, Epistle, 94). È me glio dunque considerare Dio soggetto di olxovo(Jotcx, con significato passivo o attivo.� I due significati non sono tanto distanti come potrebbe far pen sare la differenza tra attivo (Schlier, Scott, Masson, Schnackenburg) e pas sivo (Gnilka, Haupt, Gaugler). Se Dio amministra o dispone qualcosa, è pre sumibile che lo faccia secondo un piano. Che Dio operi secondo un piano è strettamente correlato all'idea della predestinazione (cf. 1,4. 5 ·9). Passivo 1 Probabilmente a ltlpL> , Quanto segue è anche in questo caso esplicativo del v. 2. Il significato non è condizionato dalla decisione di accogliere o respingere questa lezione.
A Paolo è stato reso noto un mistero xa"'à &7toxaÀu�tv. Il sostantivo pri vo di articolo non indica necessariamente > nelle due lettere (Mit ton, Epistle, 86-9 1, le esagera). Resta nell'ambito del possibile l'evenienza che una singola persona abbia utilizzato il termine con questa varietà di sfu mature, ma è più probabile che a farlo siano stati gli esponenti di una scuo la paolina. Questo brano sviluppa quanto l'autore di Efesini aveva delineato ante riormente in termini più concisi (7tpoypatpw può rinviare a un punto tocca to prima nel medesimo scritto: cf. MM, BAGD) sul «mistero >> e l'ammis sione dei gentili ( 1 ,9 s.; 2, n ss.). Nei passi precedenti l'autore aveva parla to della loro ammissione, ma non del ruolo di Paolo in essa (cf. Percy, 3 50). Vi è fra quanti identificano l'autore di Efesini con Paolo chi reputa che egli alluda qui alle sue lettere precedenti. Ciò comporterebbe che almeno una di queste, probabilmente Galati o Colossesi, fosse disponibile presso tutte le comunità alle quali Efesini fu inviata. Ma come poteva Paolo essere si curo che ogni comunità conoscesse il contenuto perlomeno dell'una o del l'altra epistola? Se è Galati il testo che si suppone noto, lo si sarebbe potu to definire « breve>> ? Se è Colossesi (così Bouwman), merita rilevare che ai suoi lettori si raccomandava di procurarsi la lettera inviata a Laodicea, mentre non si dice ai destinatari di Efesini di procurarsi quella a Colossi. Colossesi, per giunta, non era una lettera circolare. La stessa esortazione espressa in Col. 4, 1 6, di scambiarsi le lettere con Laodicea, indica che la circolazione delle epistole non era automatica. La soluzione migliore è dun que ritenere che, a prescindere dalla paternità paolina, il v. 3 rimandi a parti precedenti di questa lettera. Qui l'autore di Efesini è coerente nel non far dire a Paolo: «ricordatevi di ciò che vi ho detto quando ero con voi >>, considerato che altrove non parla mai di una presenza di Paolo fra loro. Chi, come Goodspeed (Meaning, 42 s.) e Mitton (Epistle, 233-23 6), sostie ne che Efesini sia stata scritta come introduzione alla prima raccolta di epi stole di Paolo, suppone che si rinvii a quella. Si è qui respinta questa loro teoria (v. intr. 8 .3 . 1 ) sulla base di considerazioni generali. Più in particola re, con riguardo a 3 , 3 , è arduo immaginare che l'autore di Efesini, che scri ve sotto il nome di Paolo e che ovviamente nutre per lui venerazione, possa presentare le sue lettere come scritte Èv ÒÀty� (espressioni analoghe in Ebr. 1 3 ,22; r Pt. 5 , 1 2 si riferiscono alle lettere in cui ricorrono). Persino le se1
Sull'uso che gli gnostici fecero della posizione speciale di Paolo
Gnostic Exegesis ofthe Pauline Letters, Philadelphia 1975, 1 2 1 s.
v.
E.H. Pagels, The Gnostic Pau/.
PAOLO E I GENTI LI
zioni delle varie epistole sull'ammissione dei gentili sono nel complesso mol to più ampie di quella dedicata all'argomento in Efesini. I 4· Questo versetto è collegato al v. 3 da 7tpÒç o, con un uso raro della pre posizione nel N.T. (Le. 1 2,47; 2 Cor. 5,10; Gal. 2, 14; anche Herm. Mand. u,3), ma classico (v. BDR, § 239.8). Il nesso è con il v. 3 b (cf. Gnilka, Schlier, Haupt ecc.) piuttosto che con il v. 3a, poiché non si è fatto in pre cedenza cenno a una rivelazione speciale a Paolo. Se i lettori di Efesini esa minano attentamente ciò che l'autore ha scritto (il v. 5 esclude ogni ipotesi che egli abbia in mente la lettura dell'A.T. )/ conosceranno il contenuto del mistero, se non il modo in cui è stato rivelato a Paolo. liv�Xytvwaxov'teç (il participio ha un tono quasi imperativo) significa semplicemente « leggere>>, non «leggere di nuovo » come intendendo che essi dovrebbero tornare in dietro e rileggere la prima parte della lettera. La lettura sarebbe stata fatta ad alta voce, come era consuetudine nel mondo antico, e probabilmente sarebbe avvenuta nel corso del culto ( Co/. 4, 1 6; I Tess. 5,27; Apoc. 1 , 3 ), il che può aver indotto all'adozione di un participio presente. Westcott e Beare sono in errore quando pensano a uno studio della lettera in privato. La lettura dell'epistola durante il culto le conferisce un determinato scopo; non è uno scritto effimero (cf. Ernst). Poiché la lettera non conteneva alcun cenno precedente, fuorché nel v. 3, a una rivelazione speciale a Paolo, risulta qui appropriato parlare della sua intellezione (auvecnc;) rispetto a quanto egli ha già scritto. fLOU non è vol to a suggerire un'antitesi fra Paolo e qualcun altro e non esprime una me· schina vanteria da parte sua, come potrebbe essere qualora tale intellezio· ne fosse meramente umana. auveatç ( auv tl]fL t ) iv non è classico e MM non lo elenca tra i costrutti presenti nei papiri. Probabilmente è tratto dal greco veterotestamentario, dove, specie in Daniele ( 1 ,4. 1 7; 9, 1 3 .23; 10, 1 . u ; si vedano sia i LXX sia Theod.), è usato esplicitamente a proposito della com· prensione di sogni e visioni ed è implicitamente associato a rivelazioni. Giacché qui si è in un contesto di rivelazione, non lo si deve intendere rife· rito all'intellezione umana, bensì a una comprensione concessa da Dio che ha per oggetto il suo mistero (v. anche Test. Rub. 6,4; Test. Lev. 2,3; 18,7; Col. 1,9; 2,2; 3 2 Tim. 2,7; Ign. Poi. 1 ,3 ; 1 QH 2, 1 3 ; 1 2, 1 3 ; cf. Kuhn). OvI L. Davies, •l wrote afore in Few Words• (Eph. Ill,J): ExpT 46 ( 1 93 4-I93 5 ) 568, avanza la propo sta che Rom. r 6,:z.5-17 sia stato scritto per Efeso e che sia questo il passo in questione. Non si può es sere certi del primo assunto e nemmeno che Efesini sia stata scritta alla chiesa di Efeso. :z. Come propone F.J.A. Hort, The Romans and the Ephesians. Prolegomena, London 1 89 5 , 1 50 s. 3 Nei passi di Colossesi l'intellezione non è limitata a Paolo come in Efesini, ma è qualcosa che tutti i cristiani possiedono. Quando Merklein, Amt, 1 6 3 , cerca di discernere fra questi due usi, affermando che l'autore di Efesini sta deliberatamente operando una distinzione, va oltre i dati fomiti dalla docu mentazione statistica.
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viamente l'intellezione cristiana non è mai meramente umana, poiché av viene in una mente aperta a Dio e illuminata dal suo Spirito. auveatc; riba disce dunque l'affermazione del v. 3· La rivelazione che Paolo ha ricevuto è penetrata in profondità nella sua mente fino a divenire parte di lui (cf. Bouttier). «lntellezione» è una definizione adeguata di tale processo. In 2, n-22 il concetto era espresso non nei termini di una rivelazione speciale, bensì di quanto si credeva nella chiesa. Merita altresì rilevare - ed è impor tante se l'autore è Paolo stesso - che non si richiama l'interesse su Paolo come persona o come apostolo, ma sulla rivelazione divina. Non c'è da parte di Paolo alcuna glorificazione di sé. Partendo dall'idea che l'autore di Efesini conoscesse Colossesi, Merklein, Amt, 2 1 6-21 8, considera 3.3b.4 una inserzione nella Vorlage costituita da Colasse si. Indi sostiene che il (LOU indica non Paolo bensì l'autore di Efesini, il quale in tal modo presenta una propria applicazione del pensiero paolina alla situazio ne contemporanea. Altrimenti - sostiene Merklein - il v. 4 risulterebbe ridon dante. Ma qui qualsiasi ridondanza non sorprenderebbe, giacché questo è un tratto comune dell'epistola. Lasciando da parte la questione generale del con tributo offerto dall'autore di Efesini al pensiero paolina, senz'altro riconosci bile lungo tutta la lettera, è necessario chiedersi se sia presente in particolare nel v. 4· L'autore di Efesini avrebbe riferito a se stesso un'espressione dalle sfumature apocalittiche, quale è auvecnc; Èv? Non avrebbe voluto dire collocar si fra gli apostoli e profeti? In tal caso, non risulterebbe più proponibile uno degli argomenti impiegati per sostenere che l'autore non è Paolo bensì uno scrittore seriore, ossia che gli apostoli e profeti sono un gruppo del passato. Se i vv. 3b.4 sono parentetici, non sarebbe opportuno aggiungere a questi il v. 5 ? Il v. 3 a si allaccerebbe bene al v. 6 (cf. Bratcher-Nida) e il v . 5 potrebbe essere considerato un ripensamento dell'autore di Efesini, sopraggiunto allorché gli sovvenne l'esistenza di un'altra tradizione (v. al v. 5 ) che legava la missione ai gentili a una rivelazione agli apostoli piuttosto che a Paolo. A quale mistero si rinvia qui (per il termine v. a 1 ,9 ) ? Col. 4,3 (cf. 2,2) usa la stessa espressione, > . Ma se ivi il mistero è Cri sto, non è così qui. Questo mistero dev'essere il medesimo del v. 3, l'unifi cazione dei cristiani gentili e giudei. Come tale, costituisce una parte del mistero più vasto dell'unificazione di tutte le cose in Cristo ( r,ro). L'unifi cazione di giudei e gentili si può designare come il mistero di Cristo perché è tramite lui che viene conseguita, giacché giudei e gentili sono ora entram bi nell'unico corpo di Cristo. Nondimeno è Dio che ha pianificato e com piuto il mistero. Il mistero di Cristo, pur non essendo identico al mistero di Dio, vi è contenuto. 4
5· o riprende 1:Ò (J.Ua1:-Y}ptov del v. 3 a o del v. 4· Nel primo caso, i vv. 3 b. si devono considerare parentetici (Bouwman) e il v. 5 deve essere proba-
PAOLO E I GENTI LI
bilmente unito a questi nella parentesi. Ma è più agevole il nesso con il v. 4, quantunque IÌ.7te:x1XÀ&p-8lJ richiami IÌ.7toxaÀu�tv del v. 3a. Questa soluzione non conduce di necessità a eliminare la parentesi. Il significato non risulta condizionato dal nesso, quale che sia quello per cui si opta. Il contenuto del mistero non è dichiarato fino al v. 6. Sul piano strutturale il v. 5 consta di due asserzioni in equilibrio fra loro, una negativa e l'altra positiva, cia scuna composta di tre elementi: un dato temporale, un verbo che denota rivelazione, e la menzione dei destinatari o non destinatari della rivelazio ne stessa. Barth è convinto che il v. 5 sia una citazione di un inno o di una confessione di fede antichi, e questo a motivo dell'equilibrio fra le due frasi e dell'uso di espressioni non paoline, quali «figli degli uomini», «santi apostoli e profeti>> . La presenza di espressioni non paoline è irrilevante se la lettera non è di Paolo. Nulla nella fraseologia stona rispetto allo stile liturgico usato normalmente dall'autore di Efesini. È vero che i destinatari della rivelazione del mistero non sono i medesimi del v. 3 , ma in proposito esistevano nella chiesa due filoni tradizionali e l'autore si rifà qui alla tradizione del secondo, sebbene non la ci ti in nessuna delle sue varianti note, tutte diverse l'una dall'altra (cf. Best, Rev elation). Le due metà del versetto sono collegate da wç. Esse segnalano una con trapposizione assoluta tra un passato di ignoranza, e un presente di cono scenza, ove il passato è di fatto quello deii'A.T. e il presente quello del N.T. Neii'A.T. vi era tuttavia ignoranza completa dei piani di Dio concer nenti i gentili ? Non è difficile incontrarvi passi che riservano loro un posto (Gen. 1 2,1-3; 1 8, 1 8; ls. 2,2-4; I I , IO; 3 4,22; 49,6; 6o,3; Ger. 3 , 1 7; Gion. 4; Zacc. 9,9 s.). Mare 1 rileva che alcuni di questi testi sono interpretati in tal senso nel N. T. (Is. 42,6; 49,6 in Le. 2,3 2; Gen. 1 2, 3 ; 1 7, 5 ; 28,14 in Gal. 3,7 s.29). Il N.T. contiene inoltre passi da cui emerge che gli autori vetero testamentari non erano del tutto ignari riguardo alle intenzioni di Dio nei confronti dei gentili (Rom. 1 ,2; 9,25 s.; 1 3 ,9 ss.; Gal. 3 ,8; Atti 1 5, 1 5 ss.; 1 7, I I ss.; 1 Pt. I , I o- 1 2) . Alla luce di queste considerazioni a wc; si potrebbe attribuire un significato comparativo, ossia «con la stessa chiarezza con cui » : neii'A.T. il disegno di Dio per i gentili non è stato inteso con la stessa chiarezza con cui lo si comprende ora, dopo la morte e risurrezione di Cri sto (così Abbott, Beck, Foulkes, Macpherson). Come si sposa una siffatta interpretazione con l'idea di rivelazione a Paolo del v. 3 ? lvi si prospettava qualcosa di nuovo, non che Paolo fosse giunto a comprendere una verità che era rimasta nascosta ai giudei benché contenuta nelle loro Scritture. Se così fosse stato, il v. 3 avrebbe dovuto recitare: «la comprensione del mi stero mi è stata resa nota per rivelazione» , e si sarebbe dovuto avere qual •
W.H. Mare, Pau/'s Mystery in Ephesians J: BETS 8 ( 1 9 6 5 ) 77-84.
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cosa di analogo qui e in 3 ,9 s. Poiché è pressoché impossibile trovare nel l'A.T. passi da porre in parallelo con 3 ,9 s., questi versetti non possono indicare la comunicazione di una retta interpretazione di brani già noti. Chi legge w� nel senso di «con la stessa chiarezza con cui» sostiene talora che la nuova rivelazione dice che i gentili sono ora inclusi nello stesso cor po in cui si trovano i giudei (Mussner, cf. Bruce), il che equivale a spaccare il capello in quattro. Si aggiunga che non ci sono validi appigli stilistici o grammaticali per modificare il carattere assoluto della contrapposizione data da w�. Tale carattere trova sostegno in 1,9 e si riscontra, o si può leg gere, in altre parti del N.T. (Rom. 1 6,25-27; Col. 1,26; Gal. 4,21-3 1; I Cor. 2,7 ss.; Tit. 1,2 s.; 2 Tim. 1 ,9 s. ). Nel mandato ai dodici (Mt. 28, 1 620; Atti 1,8) di andare in tutto il mondo, l'ordine è presentato come qual cosa di nuovo e non come l'esplicitazione di un segreto preesistente, sep pur celato. Per quanto concerne la rivelazione, Ef. 3,2 ss. si colloca entro lo schema generale dell' « un tempo nascosto - ora rivelato>>,' che sembra esclu dere una rivelazione veterotestamentaria. Tra l'Antico e il Nuovo Testamen to vi è sia continuità sia discontinuità. Questo passo sottolinea la disconti nuità, forse eccessivamente, ma trova attenuazione altrove nell'importanza attribuita all'A.T. dall'autore di Efesini quando lo cita. A non ricevere la rivelazione sono stati «i figli degli uomini>> , frequente locuzione idiomatica biblica per indicare l'umanità in generale, o Israele tutto ( Gen. 1 1,5; 1JI' 1 1, 2; Gl. 1 , 1 2; Ger. 3 8, 1 9; Dan. 3,82; Mc. 3 ,28), qualche volta anche -perso naggi specifici (lJI' 79, 1 8; Ez. 2, 1 . 3 , e spesso Ezechiele nel libro omonimo), in tal caso al singolare. L'uso veterotestamentario non autorizza peraltro a ritenere che al v. 5 l'espressione non includa i profeti e patriarchi (così Ge rolamo ed Ellicott, nel tentativo di evitare l'implicazione di un'ignoranza assoluta da parte dell'A.T.). Se afferisce a tutta l'umanità, in essa è com preso tutto Israele. Il passivo Èyvwp!a.SYj (il soggetto logico è Dio) significa che l'ignoranza umana a questo riguardo procedeva da Dio e non era sem plicemente il risultato della debolezza degli uomini. Il tempo della loro igno ranza è espresso in É-rÉpcxt� 2 )'EVEcxi:� (dativo temporale; cf. Moule, 4 3; MHT, 243; BDR, § 200.4; il sostantivo è usato in senso temporale in 3,21; Atti 14,16; 1 5,21; Col. 1 ,26; 1JI' 48, 1 2; 8 8,2; Le. 1, 50; Es. 1 7, 1 6). Sebbene )'E ve:a.1 possa essere usato per indicare le potenze spirituali, 3 qui non può es1
Cf. D. Liihrmann, Das Of(enbarungsverstiindnis bei Paulus und in den paulinischen Gemeinden
1
Alcuni gruppi gnostici paiono dipendere da una tradizione manoscritta che reca la variante -rai;
(WMANT r 6), NeukirchenfVluyn 1965, I I 7- I 22.
ltpO'tÉpttlc;: v. Hipp. Ref. 5,8,5 (89,2.7-90,1 ); 6,3 5 , 1 ( 1 64,7 ss.); 7,2.6,7 (2.05,6 ss.), a quel che sembra,
un
tentativo di evitare qualsiasi richiamo all'A.T.; cf. A. Orbe, Una variante heterodoxa de Eph. J, 3 7 ( 1 9 5 6) 201 - 2 1 9; Steinmetz, 57 s. J Cf. H. Jonas, The Gnostic Religion. The Message of the Alien God and the Beginnings of Chris tianity, Boston 1 9 5 8 (3 1 970), 5 1 ss. Tale accezione può essere più giustificata in Col. r,2.6.
5a: Greg
PAOLO E I GENTI LI
sere questo il suo significato, perché minerebbe l'antitesi studiatamente bi lanciata all'interno del v. 5, e giacché le potenze non sono introdotte fino al v. IO. Sulla base di s,8; 2,2 s.; 2, I I ss.; 3 .9 s., Steinmetz, s r-6?, è per suaso che la contrapposizione fra il v. sa e il v. sb non sia essenzialmente di carattere temporale, bensì di tipo teologico e afferisca alle forme di esi stenza (senza salvezza - nella salvezza). Se questa spiegazione può valere per 2,2 s. e 5,8, è difficile da sostenere in 3 , 5 (cf. Merklein, r 8 2- r 87), dove il contrasto non oppone chi è fuori e chi è dentro la chiesa, bensì chi ne è fuo ri e un gruppo circoscritto che ne è all'interno (apostoli e profeti), attra verso cui ora la conoscenza è trasmessa alla chiesa. Passando ora al v. sb, della rivelazione si legge che è fatta ,;o"tç ciytot� tÌ:7tocr,;oÀot.; cxù,;ou xcxi 7tpo rplj,;cxtç Èv 7tVEU!J-CX1:t. &ytot, a rigore aggettivo, nel N.T. è normalmente usato con valore sostantivato, il che potrebbe indurre a farlo seguire da una virgola (cf. Cerfaux, L'église, I04-1 06) e a tradurre > . Tale interpretazione si devè respin gere, perché ne consegue che soltanto gli apostoli e profeti sono santi. Se questo fosse stato il senso, ci sarebbe voluto un avverbio come !J-rZÀtcr't:cx a fornire una precisazione per apostoli e profeti (così Haupt). Alcuni mano scritti (B b; Ambst) evitano ogni possibile difficoltà omettendo la menzione degli apostoli, in modo tale che resta solo > ha condotto al suo uso qui, ove in tal modo l'aggettivo risulta applicato an che agli apostoli. Detto sia degli apostoli sia dei profeti, può indicare che essi occupano una posizione speciale nel piano salvifico di Dio, il che sa rebbe in linea con 2,20 (Van Roon, Authenticity, 3 89 , lo considera equiva lente a «chiamati>> ) . D'altro canto, se l'espressione è derivata da «santi pro feti >>, l'aggettivo perdeva già in essa molto del suo significato «teologico>> . In nessun luogo neotestamentario è usato per distinguere i profeti giudei o cristiani da quelli di altre religioni. Esso tendeva piuttosto a indicare una posizione di distinzione e importanza (cf. Ign. Magn. 3 , 1 : presbite ri). Mentre dunque il suo significato storico-salvifico resta sullo sfondo, poi ché da questo è ricavata la sfumatura di distinzione e importanza, è proba bilmente tale sfumatura a essere in primo piano qui. Sarebbe certamente scorretto ravvisare nell'aggettivo la suggestione che alcuni profeti e aposto li fossero « santi>> e altri no (cf. Van Roon, Authenticity, 3 90 ). Se per Pao lo l'esistenza di falsi apostoli era un problema (2 Cor. I I , 5 . 1 3 ), nulla in Efesini lascia credere che l'autore pensi affatto a quelli. Né 2,20 né 4,1 1 forniscono alcun sostegno a questa idea. La definizione degli apostoli co me «santi>> è stata spesso utilizzata nell'argomentazione contro la paterni tà paolina della lettera. Paolo si sarebbe conferito un tale segno di distin zione? Per evitare questa conseguenza, all'aggettivo si dovrebbe attribuire la sua piena accezione storico-salvifica. Se anche l'autore di Efesini fosse Pao lo, tuttavia, egli potrebbe aver riservato la designazione di apostoli (per il termine v. a 1 , 1 e 2,20) ai dodici, gruppo di cui chiaramente non fa parte, sicché l'aggettivo non varrebbe per lui. L'espressione non costituisce dun que necessariamente un ostacolo insormontabile alla paternità di Paolo, e cionondimeno la si capisce più facilmente se l'autore non è lui. Al v. 3 egli ha sottolineato la propria posizione di destinatario della rivelazione. Se fos se l'autore, sarebbe stato naturale che, sulla stessa linea, qui scrivesse: .
PAO LO E I GENTI LI
L'espressione conclusiva èv 7tVEU(J.CX't't è stata variamente correlata agli al tri termini (si confronti la medesima espressione in 2,22). Indica ovviamen te lo Spirito santo ed è stata connessa: 1 . al verbo; 2. a «i suoi santi apo stoli e profeti >> ; 3 · a «i profeti » soltanto. Se si opta per la soluzione 3 , risul terebbe naturale riferire cx1hou ai soli apostoli (Schnackenburg), ma i pro feti appartengono a Dio tanto quanto gli apostoli e giacché ogni profezia è «nello Spirito>>, il loro legame con lo Spirito non aveva certo bisogno di essere sottolineato. In 2,20 inoltre gli apostoli e profeti insieme formano un gruppo a sé. Non sembra quindi necessario distinguere qui tra loro qua lificandoli con espressioni diverse. L'ipotesi 2 implicherebbe l'esistenza di apostoli e profeti che non hanno relazione con lo Spirito, se occorre identi ficare come destinatari dello Spirito quelli qui menzionati. Nient'altro nel la lettera suggerisce l'esistenza di apostoli e profeti non spirituali. È dunque l'interpretazione I probabilmente la soluzione migliore. Anche in s , I 8 ; 6, I 8 l'espressione è legata al verbo (Reynier, I49). La rivelazione si ha tra mite lo Spirito (Adai, I 5 2 s.) . vuv deve indicare u n periodo i n cui esistevano apostoli e profeti, ma si tratta di un periodo da collocare nel passato o di quello in cui vive l'autore di Efesini? In 4,r r apostoli e profeti aprono un elenco che include poi evan gelisti, pastori, maestri, i quali sono chiaramente ancora operanti nella co munità, né si dice alcunché per distinguere il periodo del loro ministero da quello degli apostoli e profeti. 4,I I sarebbe dunque una spiegazione di 4,7. 1 In 4,7 si dice che tutti i cristiani hanno doni carismatici, e tuttavia 4, r r, se chiarifica 4,7, elenca soltanto pochi doni eccellenti (diversamente da Rom. 1 2,6-8; r Cor. I 2,4 ss.) e a rigore in 4,r r non si parla di doni che vengono elargiti agli apostoli ecc., bensì degli apostoli ecc. che rappresen tano doni per la chiesa (v. a 4,r r e Best, Ministry). 4,r r non è pertanto de lucidazione di 4,7. In 2,20 gli apostoli e profeti sono il fondamento della chiesa e ciò fa pensare a un gruppo appartenente al passato, o quantome no a un gruppo che avrebbe cessato di esistere una volta che i suoi membri originari erano morti (v. a 2,20). Non pare vi siano motivi per trarre qui conclusioni diverse. Difendendo la posizione da lui assunta riguardo al ver setto in esame, Klein (op. cit., 69-72) afferma erroneamente che il vero contrasto nel v. 5 non è fra passato e presente, bensì fra l'intero (i figli de gli uomini) e una parte (apostoli e profeti) . Se l'autore di Efesini avesse in teso porre in rilievo questo aspetto, avrebbe dovuto esprimersi più chiara mente. Qualora al v. sb avesse avuto in mente un gruppo di apostoli e pro1 Così G. Klein, Die zwolf Apostel (FRLANT 77), Gottingen 1 9 6 1 , 66-69. Fischer, 3 7-39, si schiera a favore di una interpretazione analoga di apostoli e profeti panendo da un punto di vista affatto di· verso: l'autore di Efesini scrive in un momento in cui sta emergendo un nuovo ordine episcopale e si oppone alla nascita dell'episcopato.
EF. 3,1-1 3
feti ancora esistente, sarebbe stato invero naturale l'uso del verbo al pre sente e non all'aoristo. Se ci si volge ad altri luoghi nel N.T., 1 si trova una tradizione solida secondo la quale la rivelazione della natura universale del l'evangelo è stata fatta a un gruppo pressappoco equivalente agli apostoli (cf. Mt. 28,1 6-20; Le. 24,47; Atti 1 ,8; Gv. 20,2 1 ). Tale rivelazione appar tiene al passato, al periodo immediatamente successivo alla risurrezione. Dalle varie affermazioni in proposito non è possibile recuperare una for mulazione verbale che possa essere considerata quella originaria. In verità, se al riguardo vi fosse stata una formulazione inequivocabile, è difficile ca pire perché la chiesa sia stata inizialmente così lenta ad accoglierla e ad am mettere nel suo seno i credenti gentili. Probabilmente l'idea che ci fosse una rivelazione precedette la sua formulazione precisa, cosicché essa finì con il trovare espressione in vesti differenti e ne vennero considerati destinatari gruppi lievemente diversi. L'unica variante significativa in E(. 3 , 5 è l'intro duzione dei profeti fra i destinatari. Del resto, all'interno della chiesa delle origini costoro erano destinatari di rivelazioni ( r Cor. 1 4,29-3 I ) e ciò può spiegarne la presenza al v. 5 · Nel ricevere rivelazioni gli apostoli agivano di fatto nel ruolo di profeti (per la connessione dei profeti agli apostoli v. an che a 2,20). Mette conto infine rilevare che 3 , 1 - 1 3 presenta due tradizioni sulla rive lazione concernente l'evangelizzazione dei gentili. In 3,3 l'autore di Efesini serba quella della scuola paolina in cui Paolo è raffigurato come destinata rio di tale rivelazione; in 3 , 5 ha aggiunto un altro filone tratto dalla tradi zione appartenente all'ambito più vasto della chiesa. Paolo non sembra fos se al corrente di questo filone più ampio quando scrisse Gal. 2, 1- 10. Se fu lui l'autore di Efesini, quando ne è venuto a conoscenza? È possibile che le tradizioni di 3,3 e 3 , 5 non fossero le uniche due circolanti, poiché in Atti 10,9 ss. Pietro riceve una rivelazione che lo spinge a portare l'evangelo a Cornelio, e ad Antiochia l'iniziativa di avvicinare i gentili sembra sia nata quasi spontaneamente (Atti u , 2o s.) e sia stata anteriore all'arrivo di Pao lo in quella città. Sul piano teologico tutto ciò che all'autore di Efesini ser viva dire era che una persona o un gruppo avevano ricevuto una rivelazio ne sull'ammissione dei credenti gentili nella chiesa, per giustificare così la loro presenza in essa. Taie esigenza era stata soddisfatta una volta menzio nato Paolo al v. 3 · In seguito però egli dev'essersi reso conto che i suoi let tori, o quantomeno alcuni tra loro, conoscevano presurnibilmente la tradi zione di una rivelazione ai dodici ed è stato quindi costretto a citarla. Si è trattato di un ripensamento? In tal caso sarebbe giustificato considerare i vv. 3 b- 5 parentetici. 1
V. Best, Revelation, dove tratto la questione in modo approfondito.
PAOLO E I GENTI LI
Vari commentatori ritengono che nei vv . 1-8 l'autore di Efesini dipenda da Col. 1,23-29 (v. spec. Lincoln, 1 69). Ci sono parecchie affinità (per ogni pun to si cita prima il luogo di Efesini e poi quello di Colossesi): a) Paolo scrive in prima persona ( 3 , 1 ; 1 ,23 ); b) u1tÈp UfJ-WV ( 3 , 1 ; 1 ,24 ); c) olxovo(J-t(X 't"ou -BEou 't"lJ, se ot &pxonec; allude a queste. In Ef. 3 ,9 è nascosto il mistero; in 1 (edd.), Israelite Wisdom (Fs Samuel Terrien), Missoula, Mont. 1978; J.L. Crenshaw (ed.), Studies in Ancient lsraelite Wisdom, New York 1 976; R.L. Wilken (ed.), Aspeas of Wisdom in Judaism and Early Christianity, Notre Dame - London 1 9 7 5 ; J.D.G. Dunn, Christology in the Making, London 1980, 163-u :z.; R.E. Murphy, The Tree of Life. An Exploration of Biblical Wisdom Literature, New York 1 990. I Sull'aggettivo v. H. Seesemann, in TWNT VI, 48 3 s.; Reynier, I s 8 - r 6o. La traduzione della Vulgata con multiformis fraintende il termine. 2 Ev. Ver. 1,3 r 8,r r - r 9 sembra denunciare la conoscenza di 3,9 s.
EF. 3,1-1 3
Cor. 2,7 è la sapienza di Dio. E nondimeno, poiché in 3,Io la sapienza de v'essere resa nota alle potenze, si può presumere che prima fosse celata a loro e, alla luce di I , I 7, probabilmente anche ai lettori. Si ha un'analoga connessione di idee in Col. I ,27 s.; 2,2 s., dove il mistero è posto in rela zione sia coi gentili sia con Cristo. In I Cor. I ,24 la sapienza e Cristo sono sullo stesso piano. Poiché dunque i gentili possono essere accolti per ciò che Cristo ha fatto, si può supporre che il mistero in 3 ,9 afferisca anche a lui, ma né il mistero stesso né la sapienza sono esplicitamente identificati con lui. In effetti l'aggettivo 7toÀu7totxtÀoc; risulterebbe strano riferito a Cristo. Il v. Io, pertanto, non identifica immediatamente Cristo e la sapien za . Il «nascondimento•• della sapienza è un motivo trattato nell'insegna mento sapienziale del giudaismo (ad es. Giob. 28, 1 2-28; Bar. 3,I4 ss.; 2 Bar. I4,9; 48,3 6). Ma la sapienza non è necessariamente nascosta, poiché è nota a coloro che amano Dio (Sir. I , Io), si trova in Israele (Sir. 24,8-23; Bar. 3,9-4,4 ) e abita con i giusti (Sir. 4, I 8; J 4,20- I 5,8; 5 1 , I 3-30; Sap. 7,27 s. ). Non si scopre la sapienza; essa va oltre le capacità di comprensio ne ( Giob. 28, 1 2 ss.; Sir. I , I -6; Sap. 9, I 3 ss. ) e dev'essere disvelata. Così qui essa è resa nota alle potenze. Di norma è Dio a dischiudere la sapienza. In 3,10 si dice che lo fa tramite la chiesa. Rispetto al contesto immediato la sapienza è correlata alla comune condizione di membri della chiesa dei gentili con i giudei, ma essa in sé non può essere circoscritta in questi ter mini. E tuttavia il v. IO non lascia spazio all'opinione che alle potenze ven ga manifestata una rivelazione più ampia della sapienza. Che la chiesa sia il tramite di tale disvelamento sembra limitare la loro conoscenza a questo solo aspetto. La sapienza di Dio è stata ora resa nota, yvwpta.Sfl. L'aoristo fa pensare a un'azione singola piuttosto che a un processo continuo di lenta rivela zione. Quando ebbe luogo il disvelamento? Poiché è legato alla chiesa, de v'essere in un tempo successivo alla nascita della chiesa e, visto che si trat ta della chiesa dei giudeocristiani e degli etnicocristiani, successivo alla crocifissione e risurrezione di Cristo. Nulla induce tuttavia a ritenere che il rendere noto appartenga al futuro, che sia un disvelamento alla fine del tempo. Il vi.Jv è l' «ora» della chiesa e il momento del rendere noto appar tiene al passato dell'autore di Efesini. Sarebbe un errore immaginare un processo a tre stadi in cui Paolo predica, giudei e gentili si uniscono per formare la chiesa e, una volta che essa è cresciuta fino a raggiungere una certa dimensione, la sapienza di Dio viene rivelata alle potenze. C'è un tempo di nascondimento, il periodo anteriore a Cristo o alla sua ascensio ne, e poi, «ora » , un periodo di disvelamento, il periodo degli apostoli, dei profeti e di Paolo. 1 1
Lindemann, Aufhebung,
:z.n
ss., ravvisa parallelismi e differenze tra 3 ,9 s. e 3,1 ss., il primo passo
PAO LO E I GENTI LI
Ma in che modo la sapienza di Dio è resa nota alle potenze tramite la chiesa ? Cristo l'ha rivelata quando è asceso ai cieli o, forse, quando è di sceso nell'Ade, come potrebbero prospettare alcune interpretazioni di I Pt. 3 , 1 9; 4,6? Poiché i credenti sono già nei cieli ( 2,6 ) , deve esserci pure la chiesa, che può quindi essere tramite adeguato per il disvelamento della sa pienza di Dio alle potenze, giacché anch'esse sono nei cieli. La chiesa sta inoltre in una certa continuità con Israele e la sapienza ha un rapporto spe ciale con Israele (Sir. 24, 8 . 23; Bar. 3 ,22 s. ). Finalmente, la sapienza è già stata disvelata alla chiesa ( r,8. r 7; 3 ,2 ss.; cf. Roels, r 69). Che gli angeli buoni sappiano ciò che accade sulla terra si può desumere da passi quali I Pt. r , r 2; Le. 1 5 , 7 · È dunque attribuibile anche alle potenze maligne la consapevolezza dell'esistenza della chiesa. Dev'essere così, del resto, se so no coinvolte nella guerra di 6,ro ss. In I Cor. 2,8 Paolo afferma che le potenze non avrebbero crocifisso Cri sto se avessero saputo chi era. Tale ignoranza apparteneva al periodo pre cedente la sua morte, quindi anche precedente il tempo della chiesa. Non c'è dunque alcuna incoerenza se si dice che esse ora sono pervenute alla conoscenza spirituale. Ovviamente la chiesa qui non è una comunità locale particolare, come sarebbe potuto essere se la lettera agli Efesini fosse stata scritta a una singola congregazione, ma è tutta quanta la chiesa, il corpo di Cristo. Mentre i vv. 8 s. parlavano dell'attività missionaria di Paolo, il v. ro non prospetta alcuna attività da parte della chiesa, per esempio, l'inse gnamento alle potenze. È l'esistenza stessa della chiesa, la chiesa costitui ta da giudei e gentili, in cui non vi sono divisioni, a dischiudere loro la sa pienza di Dio. Questa idea è affine a quella di Gv. r 7,2I, secondo cui il mondo è salvato se vede che i credenti sono una cosa sola. Se la divisione tra giudei e gentili fosse dovuta all'attività delle potenze, la sua rimozione risulterebbe per loro eloquente. I Definizioni della chiesa quale teatro di Dio (Bengel), o tentativi di spiegare come la chiesa ne proclami la sapienza (Barth), o di rappresentarla nell'atto di predicare agli angeli delle nazioni gentili (Wink, Naming, 89-96) sono pertanto fuori luogo. La chiesa ha una dimensione celeste e una terrena, la prima segnalata quando viene detta cor po di Cristo o sua sposa, e Cristo sua pietra angolare. Nonostante la possibilità che l'autore di Efesini sottolinei che la sapien za è stata resa nota alle potenze perché qualcuno forse riteneva - è il caso probabilmente degli eretici di Colossi - che le potenze fossero tramite della di stampo cosmologico e mitologico, il secondo ecclesiologico e storico. Egli riesce a operare questa distinzione solo perché omette •tutti• al v. 9, ritiene che qui gli eoni indichino le potenze e dissocia i vv. 9 s. dal v. 8. Se è vero che vi possono essere elementi cosmologici e mitologici nei vv. 9 s., tuna· via, qualora si legga •tutti• e si tenga conto del v. 8, non si può eliminare l'elemento storico. I V. P.S. Minear, The Vocation to Invisible Powers. Ephesians 3 :8-Io, nel suo To Die and to Live, New York I977, 89-IOO.
EF.
3,1-1 3
sapienza alla chiesa,' ciò non spiega appieno il significato del disvelamento della sapienza a quelle. Esso dipenderà in parte dal modo di intendere le potenze. Se queste, col loro dominio sull'universo, ne rappresentano «l'in sensatezza >> (Gnilka), la sapienza rivela a loro, e ovviamente all'universo, il senso divino dell'universo stesso. Se le potenze sono gli influssi che soggiac ciono alla storia del mondo o ne dispongono il corso (Schlier), la sapienza rivela il fine divino della storia. Se rappresentano le forze sociali, culturali e religiose, le istituzioni terrene che governano le esistenze umane, a queste «è offerta un'occasione unica da Dio: è dato di vedere in mezzo a loro l'ini zio di un cielo nuovo e di una terra nuova >> (Barth, 3 6 5 ) . Se le potenze so no «l'ambiente spirituale>> in cui le persone vivono e nel quale varie forze se ne contendono il controllo, ci si dà assicurazione che ••persino strutture di potere e autorità quali lo stato secolare possono essere ricondotte all'ar monia con l'amore di Dio>> (Caird). Se le potenze sono anzitutto responsa bili degli errori umani in materia di religione, è necessario rivelare loro la sapienza affinché il loro insegnamento fallace non possa più essere di no cumento agli uomini (Hugedé, I I 2 n. 56). Se le potenze sono intese come i potenti di I Cor. 2,8, che hanno crocifisso il Signore della gloria, ora quel grave errore viene contestato loro (Scott), senza che tuttavia risulti chiaro se ne consegua la riconciliazione o l'annientamento. Se le potenze sono quel le che dominano i gentili, con la costituzione della chiesa composta di giu dei e gentili la loro stretta viene spezzata: l'esistenza della chiesa rivela a quelle il loro fallimento (Mussner, Christus, 2 1 s. ). Si ha dunque un ribal tamento delle attese: non sono gli astri o le potenze celesti a dominare la vita umana, bensì è la vita umana, rappresentata dalla chiesa, che domina o dominerà le potenze. Nulla di tutto ciò chiarisce se, quando le potenze giungono a conoscere la sapienza di Dio, significa che esse sono state o saranno salvate. Avranno perduto la propria capacità di danneggiare l'umanità ? Nella letteratura sa pienziale giudaica chi conosce la sapienza è chi è fedele a Dio. Apprendere la sapienza non vuoi dire ricevere una selezione di informazioni interessan ti. Non è che alle potenze sia concessa qualche conoscenza in più su come funziona il mondo, ma viene offerto loro un modo di vivere: conoscere la sapienza significa vivere in quel modo. La riconciliazione tra giudei e gen tili nella chiesa è una sorta di progetto pilota in vista di una riconciliazione molto più estesa, in cui le potenze saranno a loro volta incluse (cf. Bruce). Ciò lascia presumere che quando la sapienza di Dio - si noti bene: non la sapienza umana - sarà fatta conoscere alle potenze, la loro risposta sarà positiva. Ma in 6, 1 2 esse sono ancora ostili verso i membri della chiesa. In 1,22 Cristo è il loro capo, al quale sono sottomesse, non colui con il quale 1
Cf. M. Tumer, Mission, 1 47.
PAO LO E I GENTI LI
sono riconciliate. D'altro canto, in I , I o si parla di una ricapitolazione di tutte le cose in Cristo, e in «tutte le cose>> devono essere comprese anche le potenze. Emergono qui due dati incoerenti: 1 . possono le potenze essere ancora attive se sono state sconfitte nella morte, risurrezione e ascensione di Cristo? Si tratta di una incoerenza che sembra appartenere alla struttura stessa del cristianesimo neotestamentario, parallela all'idea del regno di Dio insieme realizzato e ancora venturo; 2. la seconda incoerenza scaturisce dalla concezione di Dio: egli vince il male cosmico distruggendolo o conqui standolo a sé nell'amore ( Col. I ,2o) ? Si è visto sopra come diversi studiosi abbiano reinterpretato l e potenze e inteso di conseguenza il v. IO. Se le potenze non esistono, non possono es sere demitologizzate, e parlare del disvelamento a quelle della sapienza di Dio è privo di senso. Il passo in esame ha preso le mosse dal disvelamento a Paolo del mistero e termina con la vittoria sul cosmo, talché alla sua mis sione risulta conferita una dimensione cosmica (Sullivan, art. cit. ). La sua posizione, che all'inizio appariva unica in quanto egli per primo aveva portato la salvezza ai gentili, ora è considerata unica perché correlata alla salvezza, o alla distruzione, del cosmo. 1 1 . Dio è il soggetto di È7tOtlJaEv, nonché il soggetto logico di XCI'ti% 7tp08Eatv. I 'twv e1lwvwv potrebbe esserne il soggetto se gli eoni sono entità per sonali (così Schlier; Lindemann, Aufhebung, 228; Steinmetz, 64 s.), ma ne discenderebbe che siano stati essi stessi a stabilire che in un determinato momento il mistero dovesse essere rivelato loro! Si è già respinta un'inter pretazione in senso personale degli eoni al v. 9, ed è assai probabile che i termini qui abbiano lo stesso significato. Se l'autore avesse avuto in mente entità personali, avrebbe verisimilmente usato un pronome: « secondo il loro proponimento>> ( ripresa del v. Io), oppure avrebbe ripetuto qui una o en trambe le designazioni delle «potenze>> presenti al v. IO. Gli eoni sono dunque periodi di tempo nei quali abitano entità personali. Ciò lascia spa zio a una vasta gamma di significati possibili. D genitivo potrebbe essere ag gettivale (un semitismo? cf. BDR, § I 6 5 . I ) ed equivalere a ••eterna » (Bout tier), retto da un 7tpo- ricavato dal sostantivo (Sellin, che ravvisa l'influsso di I ,9. I I ), oppure, se si ignora l'azione del prefisso, potrebbe significare «per le ere>> (Ewald, Barth), «appartenente alle ere» (Haupt), o > non significa semplicemente continuare a esistere, ma vi vere in Cristo. Quando i filippesi lo sostengono con aiuti in denaro, è il lo ro amore che si riversa su di lui (Fil. 4, 1 5- I 7 ) e le loro preghiere lo aiutano in relazione alla sua salvezza ( I, I 9). Se questa reciprocità è presente negli scritti autenticamente paolini, non è chiaro tuttavia se l'autore di Efesi ni assuma lo stesso punto di vista. Non è dato sapere effettivamente come egli risponderebbe all'interrogativo iniziale, ma si può essere ragionevol mente sicuri che Paolo avrebbe affermato che, quando qualsiasi cristiano soffre nel ministero di Cristo, può recare gloria agli altri.
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INTERCESSIONE E DOSSOLOGIA ( J , I 4-2 I )
Percy, 3 02-3 1 2; Dupont, Gnosis, 4 7 1 - 5 2 8 ; Mitton, Epistle, 23 6-239; Mussner, Chri stus, 7 1 -74; G.T. Montague, Growth in Christ. A Study in Saint Paul's Theology of Progress, Kirkwood, Mo. - Fribourg 1 9 6 1 , 9 6- 1 1 2; P. Dacquino, Preghiera di S. Paolo per la perseveranza dei suoi cristiani: BeO 5 ( 1 9 6 3 ) 4 1 -46; C. Spicq, Agape in the New Testament n, St Louis, Mo. 1 9 6 8 , 2 5 8-268; Roels, 1 7 3 - 1 79; A. Feuillet, Le Christ, Sa gesse de Dieu, Paris 1 9 66, 292-3 1 7; Ernst, Pleroma, 1 20- 1 3 5 ; j. Pio Bonafont, Teolo gia del Sagrado Coraz6n en la Epistola a los Efesios (l-III): Miscelanea Comillas 5 3 ( 1 970) 7 5 - 1 26: 8 1 -92; Caragounis, 74-77; Overfield, Ascension, 203 - 2 1 2; Usami, 1 661 80; Adai, 8 6- 1 0 3 ; Lemmer, 1 5 8- 1 63 . 3 04-3 24; Arnold, 8 5 - 1 02.
Per questo motivo piego le ginocchia al Padre, d a cui trae nome ogni raggruppamento (sociale) in cielo e sulla terra, affinché egli vi conceda 16 secondo la ricchezza della sua gloria di essere fortificati potentemente per mezzo dello Spirito, in direzione della persona interiore, 17 ( e ) Cristo abiti nei vostri cuori tramite la fede - siete radicati e fondati nell'amore -, 18 affinché abbiate la capacità con tutti i santi di comprendere qual è la larghezza e lunghezza e altezza e profondità 19 e d i conoscere l'amore d i Cristo che oltrepassa la conoscenza, affinché siate riempiti per giungere alla pienezza totale di Dio. 20 Ora, a colui che è capace di fare in misura infinitamente superiore che noi chiediamo o pensiamo [a tutto ciò secondo la potenza operante in noi, 2.1 a lui è la gloria nella chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni per sempre e sempre. Amen. 14 15
L'autore di Efesini aveva aperto 3 , 1 come se volesse dare avvio a una pre ghiera connessa a quanto aveva appena scritto, e una preghiera sarebbe sta ta appropriata dopo la menzione del tempio ( 2,21 s.; Eadie) . Per qualche ragione però si fermò: prima di poter passare dalla trattazione dell'ammis sione dei gentili alla grazia di Dio alla propria preghiera altro doveva esser
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INTERCESS IONE E D O S S O LOGIA
detto, ed ecco il perché della parentesi dei vv. 2- 1 3 . In 3 , 1 si richiamano le sofferenze di Paolo in favore dei gentili e 3 , 1 3 si riaggancia a questo tema. La parentesi ha spiegato il coinvolgimento personale di Paolo come colui che ha ricevuto la rivelazione dell'ammissione dei gentili (v. 3 ) ed è stato altresì il primo a evangelizzarli, il che dà a lui più che a chiunque altro il diritto e il dovere di pregare per i gentili. Nella parentesi la connotazione cosmica della salvezza torna in primo piano (vv. 9 s.), e questo prepara al v. 1 5 . Respingendo l'idea che i vv. 2- 1 3 formino una parentesi, Macpherson è costretto a ricollegare più direttamente la preghiera a questi versetti, sen za però riuscire nell'intento. La preghiera, che, come la maggior parte di quelle neotestamentarie, è rivolta a Dio anziché a Cristo, costituisce un elemento di transizione dalla «teologia » della prima metà della lettera alla «parenesi » della seconda. Dopo un'apertura solenne (vv. 14 s.), diviene un'intercessione. ' Nella sua intercessione precedente ( 1 , 1 7 ss. ) l'autore aveva pregato perché i lettori comprendessero la loro salvezza. Ora egli si concentra piuttosto sulla loro esperienza personale, in modo che possano giungere a una maggiore pro fondità spirituale ed essere adeguatamente preparati alle esortazioni mora li che seguiranno. Soprattutto, se davvero devono essere tempio di Dio, è necessario che siano fortificati nell'amore, ed è questo il tema preponde rante della preghiera. Limitarsi a indicare loro in che cosa consista una condotta corretta non basta per l'autore di Efesini a garantire che essi se guiranno il suo consiglio e si comporteranno bene. I vv. 14- 1 9 costituiscono un periodo lungo e involuto, che ricorda il lin guaggio e lo stile dell'eulogia iniziale ( 1 , 3 - 1 4 ), il che peraltro non offre ap piglio all'ipotesi che l'autore stia utilizzando un brano appartenente a una tradizione preformata. I vv. 14 s. indicano a chi è rivolta la preghiera. Se gue il contenuto della preghiera in tre proposizioni successive (vv. 1 6 s.; r8I9a; r9b), ciascuna iniziante con t'va e dipendente in qualche misura dalla precedente. Le prime due hanno diverse specificazioni; la terza, breve, rap presenta l'acme. Il motivo dominante della preghiera è che la forza di Dio diventi la forza dei lettori, grazie alla mediazione dell'amore di Cristo in cui essi hanno già fondamento. Una dossologia corona la preghiera ed è chiusa da un solenne , ma con una locuzione più complessa, alla maniera paolina (cf. Rom. I ,9; Fil. I ,4; I Tess. I,2 ) , che tuttavia, diversa mente da I , I 6, non ricorda nessuna delle espressioni usate da Paolo. Di solito i giudei stavano in piedi durante la preghiera 2. (Mt. 6,5; Mc. u,25; Le. 18,I I . 1 3 ; I Sam. 1 ,26; I Re 8,14.22; Ios. Ant. 1 0,25 5; 1 2,9 8; tBer. 3,20; mBer. 5,1; mTa'an. 2,2); ma si conoscevano anche la posizione in ginocchio e Sui vv. 14 s. v. J. Heriban, •Da Dio ogni paternità prende nome• {Ef J,I4·IJ): PSV 14 ( 1 986) 1431 60. 2. SB, 1, 401 s.; Schiirer•, n, 448-450; E. van Severus, in RAC vm, 1 1 60 s.
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la prosternazione (non sempre è chiaro quale delle due sia indicata dalle paro le ed espressioni usate; I Cron. 29,20 LXX; ls. 45,23; Sal. 95,6; Dan. 6,I I Theod. LXX, «cadde sul volto »; Or. Man. I I ). In I Re 8,54; I Esd. 8,73; 3 Macc. 2, 1 la prosternazione in cui la fronte tocca il suolo è impossibile a mo tivo della posizione delle mani. La postura in ginocchio è quella con cui ci si accosta a Baal in I Re 19, 1 8, e può darsi fosse quella normale nel culto paga no, come quando ci si presentava a personalità importanti (2 Re 1 , 1 3 ; I Cron. 29,20), con un gesto che forse esprimeva sottomissione e conteneva insieme un'implorazione di aiuto. A prescindere da Ef. 3,14, nel N.T. la posizione in ginocchio è menzionata solo in citazioni dell'A.T. (Rom. 1 1 ,4; 14,1 1 ; Fil. 2, 10). Non si sa quale fosse la pastura normale dei fedeli in preghiera nella chiesa delle origini. Mc. 14,3 5; Le. 5,8; 22,4 1 ; Atti 7,6o; 9,40; 20,36; 21,5 non forniscono risposte chiare, benché non escludano la possibilità della posizione in ginocchio. Mt. 26,39 implica la prosternazione; in Mc. 1 5,19 i soldati si in ginocchiano dinanzi a Gesù ma per schernirlo e non in preghiera. Al tempo di Origene vi sono cenni sull'opportunità di inginocchiarsi (Horn. in Iud. 2,3, GCS 30, 475, 16). Quale che fosse la pastura assunta normalmente nella preghiera a quel tempo, il v. 14 parla di un inginocchiarsi mentale, non fisico, e questo non per mettere in discussione i trattati sulla preghiera che affermano l'impor tanza dell'atteggiamento esteriore. Poiché nel v. 1 4 non c'è alcun termine che indichi la preghiera, l'inginocchiarsi doveva essere immediatamente ri conoscibile come segno che sta per iniziare una preghiera. Se l'autore di Efesini avesse mostrato Paolo in piedi alla maniera giudaica, per i lettori gentili sarebbe stato forse necessario un riferimento esplicito alla preghie ra. Probabilmente l'inginocchiarsi comunicava loro un senso di umiltà mag giore che non lo stare in piedi. La preghiera è rivolta al (7tpoc;) « Padre>> . Soltanto qui e in 2, 1 8 figura il titolo di «Padre >> senza altra qualificazione. La variante che definisce il Padre aggiungendo , seppure sostenuta da qualche testimone valido ( N1 D F G lf 0278 1 881 'lJl lat sy), non è attestata ampiamente quanto la sua omissione ('.p46 N"" A B C P 6 3 3 8 1 3 6 5 1 1 75 1739 pc vgm• co; Or BasA Hier). La sua inserzione dove va servire a distogliere l'attenzione dal gioco di parole 7t1X'!Ép1X-7t1X'!fltci, limita la definizione di Dio come Padre alla sua paternità di Gesù laddove il v. 15 im plica un'estensione più ampia, e rompe la coerenza dell'argomentazione (Gra zio). È difficile capire perché si sarebbe omesso il complemento se fosse stato presente in origine, mentre è facile spiegarne l'aggiunta a opera di un copista poco accurato, abituato alla sua associazione con , o di uno che inten desse escludere deliberatamente l'idea di una paternità universale di Dio. La paternità di Dio espressa qui è stata intesa in vari modi. 1 . Gli ama nuensi che hanno aggiunto > pensavano
395 evidentemente che si parlasse di Cristo soltanto. Il rifiuto della variante comporta il rifiuto di questa prospettiva. 2. Si può intendere Dio in quanto Padre dei credenti. È questa l'interpretazione più comune di Dio Padre nel N.T., ma il gioco di parole con il v. 1 5 implica che qui la paternità di Dio abbraccia esseri che sono in cielo. 3 · Con ogni probabilità la paternità di Dio è pensata in termini cosmici, e coinvolge tutti gli esseri senzienti in cie lo e sulla terra (v. 1 5; cf. 4,6). Questa concezione (v. a 4,6) era ben nota nel mondo antico, in cui Dio era sovente considerato il progenitore di tutti gli esseri viventi. Per contro, quando la Bibbia intende esprimere l'idea di Dio Padre universale parla di lui come creatore e non come progenitore. Qui la definizione di Dio quale Padre lo sottrae al rischio di essere conside rato una divinità remota alla quale sarebbe impossibile rivolgere una pre ghiera. 1 5 . In quanto Padre Dio è colui che assegna i nomi (v. a 1 , 2 1 ) . Nel pen siero biblico ciò non comporta che coloro che Dio denomina assumano il suo nome. Il nome è strumento di identificazione, ma è anche molto di più. Nella storia della creazione ad Adamo è affidata la responsabilità di quan to Dio ha creato ed egli dà i nomi agli animali. L'azione di attribuire il nome è dunque associata alla creazione e possedere un nome vuoi dire esi stere (cf. Sal. 1 47,4; ls. 40, 1 6; Ecc/. 6, 10). Il nome è connesso anche alla re denzione, poiché i credenti sono battezzati nel nome di Cristo e rientrano in tal modo sotto la sua autorità. Il v. 1 5 dunque non dice semplicemente che Dio dà i nomi alle persone e alle cose: se non ci fosse altro, in luogo di ÈK sarebbe stato usato \mo. Qui a essere sottolineata è la fonte dell'assegna zione del nome piuttosto che l'azione del denominare. A ricevere il nome è ogni 7ta-rpta, 1 non l'intera 7ta-rpta, che sarebbe stato 1tliaa lj 7ta-rpta (cf. BDR, § 27 5 . 2; Robertson, 772; Moule, 94 s.). In ogni caso una simile interpretazione non si accorderebbe al contesto che, con il suo richiamo al cielo e alla terra, comporta che 7ta-rpta indichi una molte plicità. Ma una molteplicità di che cosa ? La Vulgata e la versione siriaca traducono il termine come se fosse un sostantivo astratto che significa «pa ternità >> e gli interpreti che le seguono (ad es. Percy, 277 n. 30; Bruce) giu stificano questa lettura sulla base del gioco di parole 7ta-r�p-7ta-rpta. Ma non è il caso di scorgere un gioco di parole così diretto. Dopo aver usato 1tcx-r�p, è possibile che all'autore sia naturalmente sovvenuto il termine 7tcx 't'ptli, mentre pensava a un vocabolo adatto a indicare un raggruppamento sociale (si confronti il mutamento di significato di eÙÀoyeiv in 1,3 e il gioco di parole al v. 20). Ma c'è un dato ancor più importante: non 1 Per il termine v. G. Schrenk, in TWNT v, 1 0 1 7- 1 02. 1 . Teodoro di Mopsuestia leggeva qui q>pnpt> . L'agente della fortificazione è lo Spirito di Dio, e lo Spirito è sistematicamente associato alla potenza ( I Cor. 2,4; 2 Cor. 6,6 s.; Rom. I ,4), nesso derivante dal veterotestamentario rua/:J. A dover essere fortificata è la persona interiore, écrw t1v.Spw7toc; (sull'uso
INTERCESS IONE E D O S S O LOGIA
aggettivale dell'avverbio v. Robertson, 766). Qui dc; può equivalere a Èv (cf. BDR, § 205; 207.4; MHT, 2 5 5 s.; Zerwick, § no; Robertson, 593 ), ma è improbabile. Ancor meno probabile la congettura di Barth, 3 90 ss., secondo cui si dovrebbe presupporre un riferimento alla crescita, la cresci ta della persona interiore, e la persona interiore sia da equipararsi a Cri sto. Ma la frase parallela, al v. 1 7a, impiega un altro termine antropologi co, cuore, il che comporta un'interpretazione antropologica della «persona interiore» (cf. Lincoln). L'espressione «persona interiore>> 1 ricorre anche in 2 Cor. 4, 1 6; Rom. 7,22. li concetto, per quanto non sempre espresso con tcrw, appare corrente nel pensiero ellenistico. Del resto è difficile immagi nare come una riflessione qualsivoglia sulla natura della persona potesse prescindere dall'idea, se non dall'espressione specifica. Di fatto essa rimon ta quantomeno a Platone (Resp. 9,5 89a), compare nel giudaismo ellenisti co (Philo Det. 23; Plant. 42; Congr. 97), nella gnosi ( Corp. Herm. 1 , 1 5; 9,5; 1 3 ,7; Iren. Haer. 1,21,4 s.; Hipp. Re(. 5 ,7,3 5 s.; Ep. Pt. vm,2 1 37,2022) 1 e poi assai di frequente nei Padri. 3 Per sua natura il termine suggeri sce una forma di dualismo, che nel pensiero greco sarebbe fondamental mente quello tra realtà spirituale e materiale, anche se non è presentato in modo uniforme. 4 Come termine ricorrente e invero ovvio per indicare l'a spetto morale e spirituale della persona, fu ripreso da Paolo che lo usò dapprima in 2 Cor. 4, 1 6 (non è importante sapere se lo abbia mutuato dai propri avversari corinti o meno) e quindi in Rom. 7,22. In 2 Cor. 4, 16 è contrapposto all'essere esteriore, che tuttavia non vi è svilito in quanto «materiale» ma è la parte di Paolo che soffre nelle sue tribolazioni missio narie. La persona interiore viene - a quel che sembra - comparata al cuore come ciò che Dio rinnova ogni giorno. In Rom. 7 ,22, dove non si menzio na l'antitetica «persona esteriore», la persona interiore è posta in parallelo con voiX; ed equivale quasi al pronome personale. Si tratta dunque dell'in tera persona considerata sotto un solo aspetto, quello sul quale lo Spirito può agire. È quel che le persone sono «nel profondo» di sé (Houlden), senza tuttavia costituire una definizione meramente psicologica, giacché abbrac cia la persona tutta. La persona interiore non è nata con il battesimo/con versione, ma in Efesini trova il proprio scopo e compimento in coloro che sono redenti (Rienecker). Non è la persona vecchia (4,22), ma se vi opera lo Spirito, si avvicina alla persona nuova (4,24; cf. 1 Pt. 3 ,4). L'autore di r
Cf. Stacey, 11 1 - 1 1 4; Jewett, 3 9 1 -401 ; Ernst, Pleroma, n6 ss.; T.K. Heckel, Der Innere Mensch
2
Schlier, Christus, 2.7 ss., n e individua l'origine nella gnosi.
(WUNT 2.• s. 5 3 ), Tiibingen 1 9 9 3 .
3 V. Biblia Patristica a E(. 3 , 1 6; Rom. 7,2.2 e 2 Cor. 4 , 1 6. 4 Cf. R. Reitzenstein, Die hellenistichen Mysterienreligionen, Leipzig J 1 9 2.7, 3 54 s. Secondo gli gno
stici a essere redenta è la persona interiore: lren. Haer. 1,2.1,5 (cf. 3 ,2.0,7); Hipp. Re(. 5,7,3 5; Tertul lian. Resurr. 40,4-
3 99 Efesini non impiega l'espressione esattamente nel medesimo senso di Pao lo. Trovatala nel lessico paolino, è riuscito ad adattarla ai propri fini per ché mancante di un significato tecnico definito, così come Paolo, se è l'au tore, era libero di adeguarne l'utilizzo. La circostanza che sia posta in pa rallelo con «cuore>> del v. 17 e che amore, potenza e intellezione siano pre senti nell'intercessione mostra come non necessitasse di un adattamento tanto profondo. 17. Poiché manca una particella che ricolleghi questo versetto al prece dente, esso è probabilmente parallelo, ma ne è anche chiarificazione. Il pa rallelismo emerge nei due complementi introdotti da òta (la fede e lo Spiri to sono connessi pure in 1 ,1 3 ) e in «persona interiore>> e «cuore». I due versetti esprimono inoltre lo stesso concetto. Il v. r 6 sarebbe stato inteso più agevolmente nel mondo ellenistico; il v. 1 7 è più semitico (Hugedé). Non c'è una distinzione temporale tra i due versetti, quasi che il v. r6 sia precondizione necessaria del v. 17. xa't"otxEiv indica di norma un risiedere per insediamento o colonizzazione che ha un principio e prosegue senza interruzione, distinguendosi in questo da 7tapotxEiv (v. 2, 19), che denota una condizione meno permanente. Se l'idea è questa, è possibile che la scelta del verbo specifico sia stata influen zata dall'uso del sostantivo corradicale in 2,22. Il verbo ricorre anche in Col. 1 , 1 9; 2,9, benché in quei versetti il contesto sia differente. Può darsi che si tratti di un termine non proprio di Paolo, ché egli non utilizza il composto bensì il semplice olxEiv, ma della sua scuola. Il momento dell'in sediamento o della colonizzazione sarà stato quello della conversione/bat tesimo. Da allora a risiedere in permanenza è stato Cristo. Rispetto a quel lo corporato di 2,22, il risiedere è ora individualizzato (Eadie). L'aspetto corporato e quello individuale della vita cristiana si bilanciano nel corso di tutta la lettera, e quello corporato riaffiora al v. 1 8. Paolo aveva già sostenuto che lo Spirito di Dio dimora nei credenti (Rom. 8,9. n ; I Cor. 3 , 1 6; cf. I Cor. 6, 19). Nell'A.T. si dice che la legge di Dio è scritta nei cuori delle persone (Ger. 3 1 ,3 I-34) e che il suo Spirito è in loro (Ez. 3 6,27). Dio inoltre vive e cammina in mezzo agli uomini (Es. 29,4 5; Lev. 26, 1 2). Da Sap. 1,4 si desume che la sapienza abita nell'uomo saggio. La letteratura giovannea esprime un concetto corrispondente a Ef. 2, 17 ricorrendo al verbo !J.ÉVEtv (Gv. q, r 7; 1 5,4-6; I Gv. 2, 14; 3 , 1 7.24; 4, 1 2. 1 5 s.), benché spesso ivi siano i credenti a dimorare in Dio o in Cristo. Ovviamente in Paolo è usuale l'asserzione che i credenti sono > , ma talora egli parla altresì di Cristo nei credenti (Rom. 8,ro; 2 Cor. 4,10 s.; 1 3 ,3 . 5 ; Gal. 2,20; 4,19; cf. Col. 1,27). In Paolo l'esperienza dei credenti in relazione allo Spirito e a Cristo è molto simile. Non sorprende perciò che
4 00
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l'autore di Efesini parli di Cristo nei cuori dei credenti. Dio non impone la inabitazione di Cristo nei credenti; essa ha luogo Òt� 'tijç 1tta'ttwç. Questa espressione ricorreva già in 2.,8 (per il significato v. ad loc. ) e in 3 , 1 2.. La fe de, che ha avuto inizio con la conversione/battesimo, prosegue lungo tutta la vita cristiana, e denota un rapporto fra persone. I credenti hanno fede in Cristo: tale rapporto elimina ogni idea di una mistica di Cristo, in cui la personalità dei credenti sarebbe assorbita in quella di Cristo, mentre l'ob bedienza resta sempre un aspetto essenziale del rapporto. ll Cristo entra nei credenti non da semplice ospite, ma da Signore (Rienecker). Ancora una volta i vv. 1 6 s. contengono il materiale grezzo che condurrà infine al la dottrina trinitaria. Dio concede tramite lo Spirito e Cristo inabita. Il v. 17b s'incentra su due participi perfetti, entrambi al nominativo, !ad dove ci si sarebbe atteso il genitivo o il dativo (sulla struttura grammaticale della frase v. BDR, § 468 n. 3; Moulton, 1 8 2.; MHT, 2.30; Moule, 105. 179 s.; Moulton-Turner, 8 9 ). Èv ciyil.1tTl gravita su entrambi i participi. I In 1 ,4 s., ave era problematico stabilire la collocazione di tale espressione, la si è con siderata unita alla pane seguente, soluzione che sembra la migliore pure qui (malgrado Robinson; Tertullian. Resurr. 40,4 ), poiché, anche se la si con nette a quanto precede, si hanno due complementi consecutivi introdotti da Èv e i participi restano del tutto isolati, mentre nel caso specifico richiedono qualche precisazione. D'altro canto, se si ritengono i participi specificazioni di quanto segue, allora tvcx avrebbe dovuto precederli: nonostante la possi bilità di trovare paralleli in cui ciò non accade, l'effetto sarebbe incòndi to (malgrado Origene). La frase si dovrebbe dunque reputare indipenden te (Eadie) o parentetica (Ewald). Il tempo perfetto dei participi indica una condizione che si è creata nel passato e continua a sussistere. Essi non fanno quindi parte della preghiera - in altri termini: l'autore di Efesini non sta pregando perché i suoi lettori siano saldamente fondati nell'amore - né han no valore imperativo: «siate saldamente fondati nell'amore» . Affermano invece che i credenti sono stati e continuano a essere ben fondati nell'amore. In quanto potenziati dallo Spirito e inabitati da Cristo, essi sono stati radi cati e fondati nell'amore e sono perciò in grado di comprenderne la natura, talché si troveranno in condizione di osservare le direttive esposte nella se conda pane della lettera. I participi, la cui dipendenza da Co/. 2.,7 e Co/. 1 ,2.3, come si è visto, non ha ragion d'essere, offrono due immagini distinte ma collegate, l'una bota nica e l'altra architettonica. Non è esatto definirle una metafora mista, co me fa notare Ellicott. La prima, rara nel N.T. ( Co/. 2.,7), ricorre in scritti giudaici ( Ger. 1 2.,2.; Sir. 2.4, 1 2.; 1 QS 8,5; 1 1 ,8; 1 QH 6, 1 5 s.; 8,4- I I ) ed è in I Sull'uso di à.ya7tl) nei vv. 1 7- 1 9 ( 1 974) 79-1 2.7: I l I - 1 2. 1 .
v.
V. Estalayo-Aionso, Agape in la carta a los Efesios: EstT 1
EF. 3, 1 4-2 1
40 1
relazione con l'immagine del piantare ( .r Cor. 3,5-9). La seconda (v. a 2,20) più diffusa nel N.T. (Mt. 7,25; Le. 6,48 s.; .r Cor. 3 , 1 0- 1 2; Ef. 2,20; Col. 1,23 ; Ebr. 6, 1 ; .r Pt. 5 , 1o; 1 QS 5 , 5 ) ed è in relazione con l'immagine della costruzione o edificazione ( .r Cor. 14,3-5; Ef. 2,20-22; 4 , 1 2. 1 6.29). En trambe ricorrono in .r Cor. 3 ,9. L'autore di Efesini aveva già detto ai suoi lettori che essi fanno parte di un edificio il cui fondamento sono gli apostoli e profeti ( 2,20). Qui il fondamento è l'amore. Ma si tratta dell'amore divino o dell'amore umano? A favore del primo depongono i seguenti dati: l'amore umano è incapace di fornire rassicurazione; al v. 19 l'autore ha in mente senza dubbio l'amore di Cristo; la salvezza dei credenti scaturisce dall'amo re di Dio e non dall'amore umano; se si intende l'amore umano, potrebbe derivarne che l'amore è precondizione della salvezza; dovendo indicare una qualità umana, sarebbe stata più appropriata la «fede», alla luce della pri ma parte del versetto. D'altro canto, se si allude all'amore di Dio, poiché non si ha ctÙ'tou come in 2,4 (Haupt) ? In Efesini &yci1tlJ è usato più sovente per designare l'amore umano ( 1 , 1 5; 4,2. 1 5 . 1 6; 5,2) che quello divino ( 1,4; 2,4; 3,19), ma quando sussistono entrambe le possibilità le statistiche non dimostrano niente. A decidere il significato dev'essere il contesto. Forse ta lora la differenza dell'amore umano da quello divino è poca, se il primo è il risultato della presenza del secondo nel credente (Rom. 5 , 5 ) . Nondimeno, se la presente analisi della costruzione del brano è corretta, sembra neces sario pronunciarsi in favore dell'amore divino. è
18. Dopo la breve parentesi del v. 17b l'intercessione viene ripresa. Ben ché potenziati dallo Spirito e inabitati da Cristo i lettori mancano ancora di qualcosa (Ewald) e, come si vedrà alla fine, non si tratta della gnosi ma dell'amore. Questa proposizione con tvct presuppone quella del v. 16 e la sviluppa. Quantunque sorretti dall'amore, i credenti necessitano di una sua comprensione più piena. Nella Scrittura il verbo iniziale È�ta'X,Uetv compare altrove solo in Sir. 7,6, ma non è inconsueto nel greco extrabiblico (LSJ, BAGD). Presenta la connotazione della capacità di raggiungere un obietti vo, che qui è quello di capire o comprendere qualcosa per se stessi (può es sere questo il senso implicito nel medio xct'tctÀct�Éa.Sctt; il verbo ha un am pio spettro di significati, su cui gioca Gv. 1 , 5 ) . ' Sulla base di Fil. 3 , 1 2 s. a xtx't'ctÀct�Éa.Sctt è talora attribuita un'intonazione mistica (Dibelius), senso che non appare qui necessario (Dupont, Gnosis, 501 s.). Esso è impiegato spesso anche per significare il trarre una conclusione a partire da elementi di prova (Atti 4, 1 3 ; 10,34; 25,25 ), ma qui non sono presentate prove, sic ché è bene attribuire al verbo l'accezione più lata di «comprendere» . Esso dunque differisce poco da yvwvctt (v. 19). L'oggetto di conoscenza è l'amo •
Per una disamina approfondita del suo significato v. Dupont, Gnosis, )OI-) 2 1 .
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re. Se è questo il suo obiettivo ultimo, il verbo non può denotare un pro cesso puramente intellettuale e, poiché a dover essere compreso non è l'a more in sé bensì la sua estensione, non può essere inteso in senso esisten ziale, come vorrebbe Schlier. Si tratta dello stesso tipo di conoscenza di cui si parla in 1 , 1 8; Col. 1 ,27, una conoscenza possibile solo perché lo Spirito ha fortificato i lettori e Cristo inabita in loro ( Lemmer). È inoltre una cono scenza in comune condivisa crùv 1tli.crtv 'totç &yiotç, e questo sia che &ytot indichi i soli credenti, 1 sia che includa anche esseri celesti (Dahl, Houlden). Poiché si impara da altri, la conoscenza è in genere un bene comune, il che vale in particolare riguardo all'amore, la cui natura può essere compresa esclusivamente tramite l'interazione con altri. La vera comprensione del l'amore di Cristo non è pertanto un'esperienza individuale, ma ha luogo al l'interno della comunità. L'ultima quadruplice espressione è problematica. È sbagliato parlare di quattro dimensioni, come fanno molti commentatori: le dimensioni spazia li sono solo tre." Qui larghezza e lunghezza sono due misure ad angolo ret to sullo stesso piano, altez1:a e profondità due misure ad angolo retto ri spetto a quel piano ma n, ,ressa dimensione verticale e indicano quindi una sola dimensione. D · - punto di vista geometrico l'espressione è dunque scorretta, un errore che nessun greco colto avrebbe commesso. È stata for se questa difficoltà a indurre a invertire i due ultimi sostantivi in N A lf' ( 1 505 ) 1739 1 8 8 1 CJ.Jl sy h ; (Or) HierPt (cf. Zuntz, 1 5 3 n. 5 ) . I quattro so stantivi sono retti da un unico articolo, il che indica che li si deve conside rare un'unità e non interpretare separatamente. Può darsi che l'autore di Efesini si serva di una formula preesistente. Poiché è impossibile che pensi a misure fisiche concrete, bisogna interpretare l'espressione in senso meta forico. Ma qual è la metafora chiamata in causa ? Eadie fornisce un elenco e un rapido esame delle interpretazioni proposte prima di lui, che perlopiù si possono senz'altro accantonare. a) Considerata la dipendenza del N.T. dall'A.T., sembra questo l'ambito ovvio da cui cominciare la ricerca (cf. Feuillet, Le Christ, 292- 3 1 9, e L'Égli se plérome du Christ d'après Éphés., /,23 : NRT 78 [ 1 9 5 6] 449-472. 5 9 3 610). Sebbene ricorra a immagini spaziali per esprimere l'onnipresenza di Dio, 1F I 3 8,8- 1o non impiega nessuno dei presenti termini. Am. 9,2 s. usa solo �ci·.9oç. Giob. u,7-9 ne utilizza uno, un corradicale di un altro, non ché (J.ctxpoç. Sir. 1,3 ne contiene due. In tutti questi casi le parole non sono accostate fra loro come nel v. 1 8, ma figurano in espressioni o frasi distin te. Quando nell'A. T. si trova una serie di quattro elementi, si tratta di quat1 L. Cerfaux, Le Chrétien dans la théologie paulinienne (LD 3 3 ), Paris 1 9 6 1 , 447, pensa qui ai primi credenti di Gerusalemme. 2 Tre era il numero usuale nel pensiero greco; cf. Knox, Genti/es, 1 9 :>.
EF. 3,14-21
tro regioni - cielo, terra, mare e sheol - e non di quattro misure. Al di fuo ri della Scrittura, ma ancora nell'ambito del giudaismo palestinese, si in contra l'idea di misura in diverse direzioni ( .r Hen. 6o, n; 9 J , I I - ! 4; 2 Bar. 54, 1-4), ma l'uso non è metaforico. b) Poiché non c'è alcun parallelo giudaico adeguato, occorrerà rivolgersi al mondo ellenistico, dove sono state suggerite varie possibilità. In qualche sistema filosofico, in particolare nello stoicismo (cf. Dupont, Gnosis, 481489), si pensa che l'anima cammini (metaforicamente) in cielo e, vedendo e comprendendo le sue dimensioni, comprenda la grandezza di Dio (Cic. Nat. Deor. 1 , 5 3 s.; Tusc. 1 ,64.69 s.; 5,69; Plut. Mor. 93 9a; Sen. Nat. 1 , 1 2 s.; Corp. Herm. 1 0,25; 1 1 ,20; Asci. 6; Pist. Soph. 1 3 3 ). Ma non si trova mai la formula quadruplice e gli scrittori classici non avrebbero probabilmente mai pensato a quattro dimensioni spaziali. A prescindere dai riscontri nel Corpus Hermeticum, assai deboli, tutti afferiscono alla capacità umana di conoscere e non a una conoscenza rivelata (cf. Schnackenburg; l'ipotesi è trattata più esaurientemente e respinta in Feuillet, op. cit., 29 5 ss. ). Dahl ' sostiene che la formula quadruplice si deve far risalire a discussioni presen ti in varie fonti sulla grandezza del cosmo e indica «la conoscenza rivelata delle dimensioni incommensurabili dell'universo» . Egli tuttavia non indivi dua alcuna attestazione precisa della formula e - dato più rilevante - non spiega come la sua interpretazione si inserisca nell'immediato contesto. Se l'autore di Efesini avesse voluto dire questo, avrebbe concluso il v. 1 8 con tou xoa(J.oÙ. Il parallelo verbale più vicino si trova in un papiro magico del IV secolo, Preisendanz, IV, 964-974. 979-9 8 5 . Sebbene lo abbiano rilevato numerosi commentatori, è stato soprattutto Arnold, 9 1 s., a chiamarlo in causa con più insistenza. Il papiro contiene la formula quadruplice ma alla serie dei quattro sostantivi ne collega altri due, tpwç, a.ùy�, che non sono di carattere spaziale, sicché si ha di fatto una formula con sei elementi che pertanto non costituisce un parallelo vero e proprio. Arnold cerca di supe rare la difficoltà dovuta alla sua datazione tarda supponendo che i testi esi stessero prima della lettera agli Efesini che usò l'espressione, ma non pro duce alcuna documentazione a sostegno della sua congettura. Egli giustifi ca l'affinità con Efesini affermando che sia in questo punto della lettera sia nel papiro l'argomento principale è il potere. In Efesini però il potere è con cesso soltanto affinché l'amore venga compreso: è l'amore il tema princi pale. Dibelius si rifà a questo parallelo insieme ad altri possibili paralleli negli scritti gnostici e, rilevando l'uso gnostico di xa.'t'etÀet(J.�> ; la particella 'tÉ, che li colle I Sulla croce cosmica
v.
J. Daniélou, The Theology ofJewish Christianity, London 1 964, :t79-:t92.
EF. 3, I 4-2 I
ga, comporta una connessione un po' più stretta rispetto a xoci (Robertson, 1 1 78 s.; cf. BDR, § 443; MHT, 3 3 8 s. ). Sono due i concetti principali, la conoscenza e l'amore, che sarebbero potuti essere ambedue l'oggetto delle misure del v. 1 8b. Se tuttavia fosse stata la conoscenza, sarebbe stato logi co che il v. 19 iniziasse con (-rijç) yvwae:wç e che il -rÉ fosse omesso; yvW a-e:wç inoltre occupa una posizione subordinata nella frase. yvwvoct ha qua si lo stesso significato di xoc-rocì.oc�a.Soct del v. 1 8 . {me:p�ciì.ì.e:tv può essere usato assolutamente, come in 1 ,I9; 2,7; 2 Cor. 3 , 10, o in senso compara tivo come qui. I credenti devono comprendere l'intensità con la quale Cri sto li ama ( «l'amore di Cristo>> non è il loro amore per lui, bensì il suo amore per loro, come in 5,2.25; cf. Romaniuk, 25-27). Questo amore tra scende qualunque normale sistema di misurazione, a tal segno che non può essere compreso appieno. Esso oltrepassa la conoscenza. Qui l'autore di Efesini non disprezza la conoscenza, quasi stesse attaccando una forma ar caica di gnosi, né pone a confronto amore e conoscenza. Nel secondo caso, la conoscenza ne uscirebbe male, al pari di tutte le altre virtù con le quali l'amore venisse eventualmente raffrontato (cf. r Cor. 1 3 ). In un certo sen so amore e conoscenza sono incomparabili, perché la conoscenza è umana e l'amore è divino. La conoscenza è ovviamente necessaria, altrimenti non ci si potrebbe appropriare della rivelazione ( 1 ,9; 3,3 ss. ), né capire l'amore. Nondimeno l'amore di Cristo non potrà mai essere compreso pienamente sul piano intellettuale o su quello esistenziale. Altrove e con varie immagi ni Paolo cerca di spiegare la vastità dell'amore di Cristo e dell'amore di Dio, affermando che esso si estende ai peccatori (Rom. 5,6), supera ogni ostacolo (Rom. 8,3 5 ss.), sospinge i credenti (2 Cor. 5,14). Qui l'autore di Efesini ha in mente gli effetti dell'amore sui credenti. Quando l'amore go verna la loro vita, essi sono in grado di affrontare i doveri morali che l'au tore sta per prescrivere nella parte restante della lettera. La preghiera dell'autore di Efesini è stata accuratamente costruita in pre parazione dell'intercessione conclusiva del v. 19b. I credenti possono com prendere la vastità dell'amore di Cristo solo se sono stati fortificati nel lo ro intimo dallo Spirito; Cristo è venuto ad abitare nei loro cuori ed essi so no sorretti dall'amore. L'interpretazione del v. 19b è controversa (per una rassegna delle soluzioni possibili v. Ernst, Pleroma, 1 2 1 - I 2 5 ) e le difficoltà che suscita hanno condotto a una variante testuale di grande rilevanza. In 'P46 B 0278 3 3 (che aggiunge e:lc; t)v.cic;) 1 1 75 pc sa si legge 7tÀlJpw-8ii 1tciv -rò l':À�pwp.oc; questa lezione omette il problematico dc; ( 3 3 gli cambia posizione), ma le attestazioni che sostengono il testo accolto sono ampie e includono mol ti testimoni di spicco: N A C D F G 'Y ( 8 1 ) 1 739 1 8 8 1 > . Non ci sono motivi sufficienti per adottarla (cf. Metzger). Vi sono diverse altre va-
INTERCES S IONE E D O S S O LOGIA
rianti minori, la più importante delle quali è quella di 1 8 8 1 , che reca "X,Ptcr-rou in luogo di -8tou, quasi certamente sotto l'influsso di 4, 1 3 . L'intento ultimo della preghiera è che i credenti siano riempiti. E poiché non c'è un'affermazione esplicita che spieghi con che cosa debbano essere riempiti, occorre dedurlo dal contesto. La risposta sarebbe semplice se si potesse attribuire a e:lc; il significato di -, ove Dio funge da soggetto logico. Alla luce del ri lievo costantemente attribuito da parte dell'autore alla forza di Dio, è pre feribile l'ultima interpretazione (Barth). 2 1 . L'estensione del primo elemento della dossologia costringe l'autore a riprendere l'espressione di indirizzo con a.Ù'ttfl, termine comune nelle intro duzioni alle dossologie. La copula sottintesa, come in 1 , 3 , è all'indicativo, e non all'ottativo, giacché si ha l'asserzione di un dato di fatto piuttosto che l'enunciazione di un desiderio o di una preghiera (BDR, § 1 28.5; MHT, 296 s.; Robertson, 3 9 5 s. ). Dio ha già la gloria e non occorre pregare per ché la riceva. La òo�a. (v. a 1,6) appartiene a Dio ( 3 , 1 6). È perché egli l'ha resa nota, così come ha fatto conoscere la sua potenza e il suo amore, che gli esseri umani possono affermare la sua gloria e lodarlo per essa (si con fronti il ritornello nell'eulogia, 1 ,6. 1 2. J4).
Il secondo elemento della dossologia è ampliato. Cristo, se non come de stinatario della dossologia, appare spesso come il tramite attraverso cui ac costarsi a Dio (Rom. I 6,27; I Pt. 4, I I; cf. Mart. Poi. I4,3 ). Qui invece si dice che la gloria è «in lui>> e quindi, sorprendentemente, la chiesa è posta in parallelo con Cristo.
parallelismo tra la chiesa e Cristo ha fatto sorgere varianti: n� 1F CJJl vgmss sy sa mss bo mss; Cass omettono xai, probabilmente per evitare ogni implicazione di eguaglianza o identità tra Cristo e la chiesa. D* F G; Ambst MVict inverto no l'ordine dei sostantivi, verisimilmente nell'intento di conservare il primato di Cristo. Nessuna delle due varianti è attestata solidamente come il testo ac colto, che si dovrebbe considerare lectio diffìcilior. Il
Nell'espressione «nella chiesa e in Cristo GesÙ>>, a Èv si deve attribuire lo stesso significato in entrambi i casi, e poiché è difficile abbia un valore di verso da quello locale in relazione alla chiesa, dovrà avere lo stesso senso
anche riferito a Cristo. Tale valore si riscontra altrove con l'espressione «in Cristo>> (v. excursus 2, «In Cristo>> ). Qui l'autore, a quanto sembra, arriva quasi a porre sullo stesso piano Cristo e la chiesa, ma altrove distingue chiaramente l'uno dall'altra: Cristo è capo e sposo; la chiesa è il suo corpo e la sua sposa o moglie. Quanto all'anteposizione della chiesa a Cristo, si incontra lo stesso ordine in 4,4 s. Al v. 2 I è possibile che l'autore ricerchi un effetto di climax. xa1 non implica necessariamente eguaglianza. La glo ria di Dio dev'essere lodata nella chiesa e può essere vista nella chiesa, poi ché questa è in relazione con la pienezza di Cristo ( I ,23), e ne è corpo e sposa. In tanto in quanto è degna, pura e immacolata - e tale è ( 5,27) -, la chiesa manifesta la gloria di Dio e da essa le potenze la apprendono. È il luogo in cui Dio dimora nello Spirito (2,22; L Cor. 3 , I 6), e là dove egli di mora, dimora la sua gloria, come accadeva nel tempio di Gerusalemme. La chiesa peraltro non ha alcuna gloria umana, dacché è, in sé e per sé, debole e peccatrice. La gloria di Dio si trova certamente in Cristo e può essergli attribuita ( L Cor. 2,8; 2 Cor. 3 , I 8; 4,4; 8,2 3 ; Fil. 4,I9). Non è quindi eccezionale l'af fermazione che la gloria di Dio è da vedersi nella chiesa, né quella che è da vedersi in Cristo, quanto la loro collocazione. Riguardo a questa, nella let tera Cristo e la chiesa sono sistematicamente correlati: in I,23 la chiesa è la pienezza di Cristo; in 2,21 Cristo è la sua pietra angolare; in 4, I 5 s. egli è il capo del suo corpo, che è la chiesa; in 5,22 ss. Cristo è lo sposo (mari to) della chiesa che è sua sposa (moglie). La loro stretta relazione ha indot to a porli in parallelo: «la gloria che appartiene al capo riempie il corpo; la gloria che appartiene al marito risplende in sua moglie, la cui condizione è determinata da quella di lui. Così, la gloria che si vede nella chiesa non è sua propria, ma deriva da quella di Cristo>> (Best, One Body, I 76). Forse
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INTERCESS IONE E D O S S O LOGIA
l'autore è stato spinto dal suo uso entusiastico delle parole a esprimersi in termini che travalicano il rigore logico. Anche il terzo elemento della dossologia è insolitamente lungo, a sotto lineare così il valore perpetuo della gloria di Dio. Una generazione, ye:veli, è un periodo limitato; molte generazioni costituiscono un periodo di dura ta indefinita e il plurale è impiegato in tal senso nell'A.T. (Es. 40, 1 5 ; '1. 105, 3 1 ; Dan. 6,27 LXX; Is. 5 1,8; Gl. 2,2) e, seppure non così abitualmente, anche nel N.T. (Le. 1 ,50). Qui è più usuale il plurale di a.lwv (Mt. 2 1 , 1 9; Mc. 3,29; Rom. 1 ,25; I I,3 6; I Cor. 8 , 1 3 ), o l'espressione ampliata o! 1XtW ve:c; 't"wv 11lwvwv (Rom. 1 6,27; Gal. 1 , 5 ; Fil. 4,2o; I Tim. 1 , 1 7; 2 Tim. 4, 1 8). Il singolare del sostantivo seguito dal plurale, come qui, ricorre in 1J' 9,6. ye:ve:li e 11lwv sono spesso congiunti in espressioni che indicano un pe riodo illimitato (Es. 40, 1 5; '1. 105,3 1 ; Is. 5 1 ,8; Gl. 2,2; 4,20; Dan. 6,27 LXX). La locuzione precisa del v. 2 1 non si riscontra altrove, ma un nu mero considerevole di varianti ne utilizza i due sostantivi. Probabilmente l'autore di Efesini ha composto l'espressione secondo il suo tipico stile ple roforico. Non è il caso di leggere significati reconditi nei singoli vocaboli ma si deve considerare l'espressione nel suo complesso. Nel N.T. cX[J.�v ' ricorre regolarmente come parola finale in dossologie e preghiere (ad es. Mt. 6, 1 3 ; Rom. 1,25; 9,5; I I, 3 6; 1 5 , 3 3 ; 1 6,27). Se può anche indicare la risposta di un'assemblea che esprime il proprio assenso a una preghiera che è appena stata recitata, è difficile che sia questa la sua funzione qui, come invero in numerosi altri luoghi neotestamentari. Quan do una lettera veniva letta ad alta voce in una assemblea cristiana, a me no che non la conoscessero bene, i credenti non avrebbero saputo dove e quando rispondere con il loro . Si tratta piuttosto del modo in cui l'autore asserisce l'importanza di quanto ha appena detto - «questo è ve ro>> - dandogli ulteriore risalto. D'altro canto è possibile che un lettore esperto, rendendosi conto del cambiamento di argomento imminente, abbia ritenuto che questo fosse il punto opportuno per fermarsi un momento e riprender fiato, e che nel breve intervallo i fedeli rispondessero con il loro «amen>> al suo. 1 Cf. P. Glaue, in RAC 1, 378 ss.; H. Bietenhard, in NIDNIT 1, 97-99; J. Jeremias, in TRE 11, 3 893 9 1 ; Delling, op. cit., 7 1 s.; R.P. Martin, Worship in the Early Church, Grand Rapids 1 974, 36 s.
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LA PARENESI (4, 1 - 6 ,2 0 )
In 4 , I il tono della lettera muta. Finora è stato fondamentalmente dottri nale, pur includendo ampi brani liturgici; adesso l'insegnamento su Dio e la sua lode lasciano il posto all'interesse per il comportamento, quantunque, dato che il tipo di condotta richiesto è strettamente correlato all'insegna mento precedente, tale aspetto continui a emergere. Si ha anche un signifi cativo mutamento di stile, poiché, a prescindere da 4, I I- I 6, i lunghi perio di involuti dei capitoli anteriori scompaiono per essere sostituiti da un'im postazione più sobria, basata in prevalenza su frasi concise. 4,2 s. rappre senta il perno su cui si articola il cambio di soggetto, giacché introduce la necessità del tipo di comportamento atto a rinsaldare l'unità di un gruppo. Gli snodi tematici in 4,I appaiono simili a quelli di Rom. 1 2, I : in entram bi i casi l'invito a un contegno conveniente è seguito anzitutto da una esor tazione generale ma breve (Ef. 4,2 s.; Rom. I 2, I s.), quindi da un cenno alla chiesa (Ef. 4,4- I 6; Rom. 1 2,3-8), prima che siano impartite istruzioni etiche circostanziate. Cambiano tuttavia gli equilibri, poiché in Romani l'esortazione è relativamente molto più ridotta, rispetto alla lunghezza del la lettera, che in Efesini, dove occupa metà dello scritto. Quella ai Romani è l'unica epistola di Paolo in cui questa partizione netta risulti evidente. In Galati, nonostante vi sia un cambio di argomento, l'insegnamento etico è tuttavia espresso in termini più generali che in Efesini. Nella prima lettera ai Tessalonicesi molta parte del contenuto dottrinale segue la transizione di 4,I, mentre le sezioni precedenti sono personali piuttosto che dottrinali. Nelle altre epistole dottrina, ragguagli personali ed esortazione sono in trecciati tra loro. È possibile che l'autore di Efesini sia a conoscenza della lettera ai Romani e cerchi di imitarla, o altrimenti che, come esponente di una scuola paolina, sappia che Paolo basava l'istruzione inerente al com portamento sulla dottrina e sviluppi una tendenza presente nell'opera del suo maestro che si era appalesata nel modo più chiaro nel suo ultimo scrit to. Se poi è Paolo stesso l'autore, può darsi che stia semplicemente seguen do un modello che con l'andar del tempo ha trovato vieppiù utile. Se Ber ger, in ANRW n, 25 .2, I 3 J I , è nel giusto quando afferma che le lettere profane non contenevano parenesi, è possibile che sia da attribuirsi a Pao lo l'introduzione nella forma epistolare di questo genere di discorso, che ha ovviamente larga diffusione negli scritti filosofici.
412
LA PARENESI
Il comportamento è quindi considerato in Efesini sia la risposta a quan to Dio ha compiuto in Cristo sia l'accompagnamento adeguato alla lode di Dio, ossia i due temi presenti nei capp. 1-3. Gli etnicocristiani dovrebbero essere particolarmente pronti in tal senso, visto che, come si è sostenuto nei capp. 2 e 3, Dio ha fatto tanto per loro. D'altro canto, la dottrina di cui la condotta è il corrispettivo non manca nei tre capitoli conclusivi (v. 4,4- 1 6; 4,3 2; 5,23-3 2), così come non è del tutto assente dai capp. 1 2-1 5 di Romani (v. 1 2,3-8; 1 3 ,1-6; J 4,9. 1 4 . I 7). Ma perché l'autore, dopo aver iniziato la sua parenesi (vv. 2 s.), la in terrompe con considerazioni sulla chiesa (vv. 4- 1 6 ) ? Forse si rende conto di non aver detto sulla sua natura abbastanza da fornire una base appro priata all'istruzione sul modo in cui i cristiani devono vivere insieme. La na tura della chiesa è infatti l'argomento di 4,4- 1 6, sebbene il termine «chie sa » non venga usato. Le virtù menzionate nei vv. 2 s. sono quelle che s'ad dicono a tale argomento e il bisogno di in esse suggerito è ribadito dall'iterazione di «uno » nei vv. 4-6. I vv. 7- 1 6 sviluppano ulteriormente il tema, mostrando come la diversità possa essere conciliata con l'unità, ben ché questa preceda quella. Dell'unità si era già parlato in 2, I I -22, ma ivi si considerava l'unità fra giudeocristiani ed etnicocristiani, ora quella fra tut ti i credenti, senza riguardo per l'origine etnica o religiosa (cf. Percy, 284). La condizione interna della chiesa è così trattata in relazione ai singoli in dividui in quanto compresi in essa. Solo dopo è opportuno riflettere speci ficamente sul comportamento dei cristiani nei loro rapporti reciproci (4, 17-5,14). L'unità interna e la forza della comunità danno ai credenti la ca pacità di vivere gli uni con gli altri. In tal modo 4,2- 1 6 pone tutto quel che segue entro una cornice di riferimento di corporatività. L'autore di Efesini ha intuito il pericolo di un individualismo eccessivo, che nasce forse da uno gnosticismo incipiente? Ma l'individualismo è sempre insito nel comporta mento: in Romani si manifesta in atteggiamenti differenziati riguardo al cibo e ai giorni. Efesini ha però tenore troppo generale per consentire di ci collegare il rischio di individualismo a influssi particolari. n motivo parenetico di 4,2 s. sembra scomparire in 4,4- 1 6, benché, co me si vedrà, non ne sia del tutto assente, per ridivenire esplicito da 4,17 in avanti. In 4,17-24 l'autore contrappone la vita attuale dei credenti gentili con la loro vita pagana di un tempo. In 4,2 5-5,2 indica alcuni peccati, in cui i credenti possono incorrere, in grado di sconvolgere la vita della co munità, mentre evitarli contribuirebbe a edificarla. È questo in larga misu ra anche l'argomento affrontato in 5 ,3- 14, dove i peccati sono visti sotto la luce del giudizio divino (vv. 3-7) e viene evidenziata la necessità che la comunità si confronti con chi pecca perché questi possa emendarsi. In 5,1 5-21 si trovano di nuovo riuniti una serie di moniti relativi alla condot-
EF.
4 , 1 -6,20
ta, ora con l'invito a tenere presente l'aiuto che può venire dal culto cele brato insieme. 5,21 -6,9 tratta alcuni specifici ambiti del comportamento concernenti le famiglie singole anziché la comunità nel suo complesso. 6, ro20 indica l'equipaggiamento devozionale personale necessario ai credenti per vivere secondo i dettami esposti dall'autore. 1 Nel corso di 4,1 -6,20 compaiono una serie di termini che si ritrovano anche nelle sezioni parenetiche delle lettere neotestamentarie seriori ( I Pie tro, Colossesi, Giacomo), come svestire/rivestire, resistere, essere soggetti a. Molti, in particolare Carrington e Selwyn, 2. hanno cercato su questa base di sostenere l'esistenza di una forma primitiva di catechismo cristiano, con siderandolo in relazione col battesimo. Sono senz'altro presenti motivi co muni. Le prime comunità cristiane devono essersi trovate in aree diverse ad affrontare le medesime problematiche generali riguardanti la condotta, come, per esempio, la necessità di resistere alla tentazione e di smettere va rie specie di peccati. Non sorprende quindi che ci sia stato un insegnamen to comune, per quanto non necessariamente coordinato o espresso in una forma orale o scritta comune, né è da supporsi che precedesse il battesimo: nei racconti di conversione contenuti negli Atti il battesimo segue imme diatamente il sorgere della fede senza un previo periodo di istruzione. Il ma teriale parenetico in Efesini è di natura così generale ed è condiviso da tan ti altri scritti neotestamentari, che è difficile individuare una situazione pre cisa alla quale possa applicarsi, ragion per cui non è di nessun aiuto nel de finire datazione o destinazione della lettera. T aie materiale, per giunta, non tradisce alcun interesse per la condotta cristiana relativa al mondo esterno alla chiesa, né per gli effetti degli accadimenti esterni sulla chiesa, ma è to talmente concentrato su quanto avviene al suo interno. È questo probabil mente il motivo per cui l'autore della lettera agli Efesini decise di aprire que sti capitoli con una trattazione sulla natura della chiesa nella quale si ma nifesterà la condotta. 1 Sulle forme e i topoi della parenesi v. J.I.H. McDonald, Kerygma and Didache (SNfSMS 37), Cam bridge I 980, 69- I oo. l
P. Carrington, A Primitive Christian Catechism, Cambridge 1 940; Selwyn, I Peter, 363 ss.
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UNITÀ E DIVERSITÀ (4 , 1 - 1 6 )
T. Soiron, Die Kirche als der Leib Christi, Diisseldorf 1 9 5 1 , 1 50- I 67; Hansen, 148I 5 5 ; J.M. Gonzalez Ruiz, Los «logos» de unidad en Ef 4. 1-r6, in XV SBE, Madrid I 9 5 5 , I - I ?; R. Schnackenburg, Christus, Geist und Gemeinde (Eph 4 : r - r 6), in B. Lin dars - S.S. Smalley (edd.), Christ and Spirit in the New Testament (Fs C.F.D. Moule), Cambridge I 973, 279-296; H.-J. Klauck, Das Amt in der Kirche nach Eph 4,r-r6: Wissenschaft und Weisheit 36 ( I 97 3 ) 8 1 - 1 10; Halter, 242-24 8; T.G. Allen, cap. 111, 178 ss.; H.P. Hamann, Church and Ministry. An Exegesis of Ephesians 4:r-r6: LTJ I6 ( I 982) I 2 I - 1 28; S. Basevi, La missione di Cristo e dei cristiani nella lettera agli Efesini. Una lettura di Ef 4, 1-25: RivBibl 3 8 ( I 990) 27- 5 5 ; Lemmer, 1 66- 1 7 3 ·
L'autore di Efesini dà qui avvio alla trattazione sull'unità della chiesa non ché sul modo in cui essa è costruita e salvaguardata tramite l'attività dei suoi funzionari e membri. In 4,4-6 l'unità è descritta come una realtà già esistente e perfetta e 4,7- 1 6 mostra come debba essere continuata e condot ta a compimento. 4,1- 1 6 si apre (4,2 s.) e si chiude (4,4- 16) con un'esorta zione esplicita (Lemmer, 1 67). Più di una volta l'autore comincia un argo mento, lo lascia cadere e poi lo riprende. Così l'intercessione, iniziata in I, 16 s., è ripresa in 3 , 14, con J , I 3 s. che riprende 3 , 1 ; e ancora, 2,5 riprende 2, 1 . Qui 4,2 s. è ripreso in 4, 1 7 ss., benché non vi sia anacoluto, com'era invece in 3 , 1 . Vista l'attenzione riservata ai pochi versetti finali di questa sezione nella chiesa dei giorni nostri in relazione all'unità, sorprende con statare quanto siano rare le citazioni del passo nei primi Padri. I vv. 4 e 5, che parlano di un unico battesimo, furono importanti nelle dispute sulla questione se gli eretici dovessero essere ribattezzati (sinodo di Cartagine, nel settembre del 256) e i vv. 9 e I O ebbero rilievo in ambito cristologico, a motivo delle notazioni su quanto avvenne a Gesù dopo la morte. A. L'UNITÀ
( 4 , 1 -6)
E . Kasemann, Epheser 4, 1-6, i n Id., Exegetische Versuche und Besinnungen gen I 964, 284-287; Roels, 1 79 · 1 84. 1 2
1,
Gottin
lo, il prigioniero del Signore, vi esorto perta nto a vivere in maniera degna della chiamata con la quale foste chiamati con ogni umiltà e gentilezza, con pazienza, prestando attenzione l'uno all'altro nell'amore,
3 4
5
6
operando con zelo per preservare l'unità dello Spirito per mezzo della pace che vincola. Un solo corpo e un solo Spirito così come foste anche chiamati in una sola speranza della vostra [chiamata, un solo Signore una sola fede un solo battesimo un solo Dio e Padre di tutto che è sopra tutto e attraverso tutto e in tutto.
4,1 -6 contiene tre brevi sezioni: il v. I ricorda ancora una volta che Paolo prigioniero e impiega una delle sue espressioni preferite per introdurre l ins egn a mento etico; i vv. 2.3 espongono in termini generali come i lettori debbano rispondere se si vuole conservare l'unità della chiesa; i vv. 4-6 ri prendono il tema dell'unità presentando una serie di enunciazioni, in cia scuna delle quali è sottolineata l'unità tramite il ricorso al termine , e il dominio totale di Dio mediante l'uso della parola > (Rom. 1 2,1; 1 5 ,30; 16,17; I Cor. 1 6, 1 5 ; I Tess. 4,1o; 5 , 14), ma il termine manca in Efesini con questa funzione. La sua assenza accresce l'autorità e diminuisce il tono amichevole della locuzione. Questa attenua zione dell'aspetto confidenziale emerge anche nell'uso della forma sempli ce Èv xupiq.� in luogo degli ampi complementi introdotti da preposizione aggiunti più comunemente all'espressione. Queste modifiche sono coerenti con la natura generale della lettera. Diversamente da quanto accade nella maggior parte delle occorrenze della formula, qui il soggetto è identificato enfaticamente (altrove soltanto in 2 Cor. 10, 1 ; Film. 9): > ! ), mentre è importante mantenere il medesimo valore per tutto il passo. Il nesso tra i vv. 4-6 e i vv. 2.3 è dunque causale (Abbott)? In tal caso solo il primo elemento della lista (un solo corpo) sarebbe pertinen te e ci si aspetterebbe un yap iniziale. È meglio considerare i vv. 4-6 come preparazione di quanto segue nei vv. 7- 1 6 e continuazione dell'argomento dell'unità che è già presente. Prima di iniziare a trattare della diversità al l'interno della chiesa, l'autore ne sottolinea l'unità. Anche sotto questa pro spettiva «un solo corpo» potrebbe sembrare l'unico elemento pertinente, ma l'uso insistito di « uno>> pone in evidenza il tema dell'unità. Come si è detto, è probabile che l'autore si serva di un brano tradizionale preesisten te, e poiché lo usa per intero anche se può non essere strettamente perti nente in ogni sua parte, suscita echi nella mente dei lettori, echi che s'in centrano su « uno>> e di conseguenza sull'unità. Dacché l'autore sta utiliz zando materiale preformato, non è necessario ritenere che sia influenzato da Col. 3 , 1 4 s. Dal punto di vista stilistico i vv. 4-6 sono un'acclamazione o proclamazione. La prima espressione, « un solo corpo >>, richiama 2, 1 6; Co/. 3 , 1 5 ; Rom. 1 2,5; e non ci possono essere dubbi sul fatto che l'autore l'intenda in rela zione alla chiesa e non all'eucaristia o al corpo fisico di Cristo. È un esor dio appropriato dell'elenco, poiché il seguito riguarda la chiesa e la vita al suo interno. Di norma allorché l'autore di Efesini parla del corpo annette un rimando chiaro a Cristo, quando non la sua citazione diretta, in modo tale che il corpo risulta identificabile come il suo (cf. 1,23; 2, 1 6; 4, 1 2. 1 6; 5,23 .30). L'assenza qui di un'indicazione di tal fatta è probabilmente con seguenza dell'uso della tradizione (Schnackenburg). Ma perché un ( «uno>> vuoi dire «uno soltanto>> , cf. Klauck, art. cit. ) corpo? Efesini non è uno scritto polemico in cui si metta in contrasto il corpo autentico dei credenti con l'altro di eretici, che pretendono di costituire l'unico vero corpo. Forse l'accento su è antitetico alla varietà all'interno del corpo della quale l'autore tratterà poi (vv. 7- 1 6; cf. Rom. 1 2,5; I Cor. 1 2, 1 2 ss.): il corpo è uno a fronte di questa varietà. Sarebbe tuttavia un uso insolito di > indica ovviamente il rito cristiano di iniziazione co stituito dal battesimo nell'acqua e non il battesimo nello Spirito, anche se evidentemente i due non possono essere dissociati. I primi due termini del v. 5 sono collegati al terzo in quanto i credenti sono battezzati nel o nel (nome di Cristo il) Signore (Atti 8, I 6; I9,5 ) e confessano la propria fede in lui mediante una formulazione verbale contenente il termine «Signore>> (ad es. Rom. I0,9.Io ) . Il battesimo è collegato anche allo Spirito e al corpo (I Cor. 1 2, I 3 ) , giacché i credenti diventano membra del corpo quando sono battezzati e in seguito lo Spirito dimora in loro ( I Cor. 3 , I 6; Rom. 8,9 ) ed essi partecipano ai doni dello Spirito ( I Cor. 1 2,7 ) . In quanto battezzati ora sono uniti gli uni agli altri ( I Cor. I 2, I 2 s.; Gal. 3,26 ss. ); inoltre ora hanno una speranza che non avevano da gentili non convertiti. Perché il bat tesimo dev'essere definito uno solo? È difficile che sia tale in contrasto con le abluzioni di Qumran (cf. Ebr. 6,2), delle religioni rnisteriche o dello gno sticismo (lren. Haer. I,2I ,2). Né > vuoi dire « una volta per tutte•• , a indicare che il battesimo è irripetibile, posizione questa adottata talvolta dai pedobattisti contro gli anabattisti, poiché ciò è implicito in un rito di iniziazione. «Uno>> non rappresenta nemmeno il tentativo di affermare che i credenti sono battezzati tutti con lo stesso battesimo (Van Roon; Gros heide), né rinvia a un atto onnicomprensivo di Cristo nel suo battesimo e nella sua morte. I Probabilmente l'autore di Efesini usa l'aggettivo perché compariva già nella formula, ove aveva forse la funzione di serbarne la sim metria. È questo l'unico passo dell'epistola in cui il battesimo sia menzio nato esplicitamente, e non fornisce un fondamento sufficiente per ritenere I Così J.A.T. Robinson, The One Baptism: SJT 6 ( 1 9 5 3 ) 2. 5 7-2.74; egli è giustamente criticato da W.E. Moore, One Baptism: NTS IO ( 1 963-I 964) 504-5 1 6.
EF.
4,1-6
che essa sia o incorpori u n trattato battesimale, n é tanto meno per conside rare i vv. 4-6 una confessione battesimale. Sorprende che nell'elenco dei vv. 4 · 5 sia omessa l'eucaristia, che in I Cor. 10, 1 7 (cf. Did. 9,4) è connessa al concetto di unità. L'espressione > sarebbe stata del tutto consona a questa formula. Se il battesimo può essere definito il sacramento dell'unità perché grazie a quello i cristiani sono uniti, l'eucaristia è il sacramento che conserva tale unità. Individuare rapporti tra questo e gli altri elementi menzionati nei vv. 4-6 è altrettanto agevole che per il battesimo. È difficile sia stata omessa la menzione del l'eucaristia in base alla considerazione che, trattandosi di un rito ripetuto regolarmente, non si potrebbe dire > che vengono dati alla chiesa. Tale mutamento suscita alcuni proble mi. Viene poi espresso (v. 1 2) il compito di costoro nei confronti degli altri credenti, nonché l'obiettivo al quale tutti devono mirare, dapprima in po sitivo (v. I 3 ), quindi in negativo (v. 14). Il complesso dei vv 1 2- 1 6 dipen de dal v. I I . L'enumerazione per nome dei funzionari indica che tra loro e i membri ordinari della chiesa intercorre una differenza, che in seguito si evolvette in quella tra clero e laicato, benché l'autore non sminuisca o sva lorizzi in alcun modo i membri ordinari o laici della chiesa. In un ceno senso i vv. 7- I4 sono descrittivi; l'elemento direttamente parenetico, sep pure latente lungo tutto il brano, riemerge nei vv I 5 . I 6. I vv. I I- I 6 costi tuiscono un unico periodo e forniscono un esempio ulteriore dello stile com plesso e farraginoso tipico dell'autore della lettera agli Efesini, nel quale lo.
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43 5 cuzioni preposizionali si intrecciano a proposizioni subordinate e participi. L'unità che la chiesa possiede non si è prodotta perché la chiesa si è con formata alle norme della società, o si è sottomessa alle potenze, o ha accet tato un falso insegnamento, o ha sottovalutato la propria diversità, ma sca turisce dalla sua posizione rispetto a Dio e a Cristo (vv. 4-6). La chiesa può anche avere una sua organizzazione, ma non è semplicemente un'orga nizzazione sociale. La chiesa è il corpo di Cristo. 7· Il ÒÉ segnala un cambio di argomento ed é:vi riprende l'uso di «uno » nei vv. 4-6, accrescendo forse un poco l'intensità dell'appello ai singoli cre denti, visto che é:xcia't> . La donazione non è casuale, ma conforme al piano di Cristo, il quale distribuisce doni ai credenti.J Le grazie non sono elargite ai cre I È opportuno accogliere nel testo l'articolo. Probabilmente è stato omesso da uno o più antenati di B o• F G L p• 1f o82 6 p .6 1 505 1 7 3 9 1 8 8 1 al co, per il sospetto di una dittografìa dell'l) prece
dente di èòO-Sl). 2 Sul termine v. C.E.B. Cranfìeld, MÉ-rpov 7tLa-:t� in Romans Xll.J : NTS 8 ( 1 96 1 - 1 962.) 345-3 5 1 . 3 Alcuni gnostici influenzati dal cristianesimo s i sono valsi anch'essi del concetto d i doni d i grazia, ad es. Inter. XI,I I 5 ,2J - I 6, 1 9; r 6,2.8-3 I ; 17,J6-r 8,I I .
437 denti per un certo grado di fede presente in loro, sono doni, non il risulta to delle opere (cf. Origene, Crisostomo). Sono esse concesse per integrare i talenti naturali che i credenti già possiedono? L'autore di Efesini non af fronta tali questioni, ma l'accento posto sulla natura di dono porta a rite nere che non lasciasse spazio all'idea che il talento innato o i risultati con seguiti grazie all'educazione fossero fattori in grado di prestabilire chi do vesse ricevere ogni singolo dono. Le grazie, d'altro canto, non distruggono mai la personalità dell'individuo e che siano concesse secondo misura do vrebbe salvaguardare i credenti dall'invidia per i doni accordati ad altri. 8. Se l'autore di Efesini cita spesso senza segnalare che lo sta facendo (ad es. 4,2 5; 5,3 1 ; 6,2 s.), qui il suo ÒtÒ ÀÉ:yet indica chiaramente che sta con sciamente introducendo una citazione, di fronte alla quale sorgono imme diatamente numerosi interrogativi: da dove cita ? perché? qual è il soggetto di ÀÉ:yet ? Partiamo dall'ultima domanda. Paolo usa questo verbo, o uno equivalen te, per introdurre citazioni veterotestamentarie, di norma specificandone il soggetto: la Scrittura in Rom. 4,3; 9, I 7; IO, I I; Gal. 4,30; Dio in Rom. 9, r s; 2 Cor. 6,I 6; Davide in Rom. 4,6 s.; I I ,9; Isaia in Rom. IO, I 6; I 5, 1 2; Osea in Rom. I I , 2 5 . Soltanto in 2 Cor. 6,2 (cf. Giac. 4,6) si legge un semplice ÀÉ:yet. Ancorché in assenza di soggetto espresso, la citazione di Gal. 3 , I 6 è identificata come veterotestamentaria dalla menzione di Abra mo, e in Rom. I 5,IO grazie al yé:ypct7t'tGtt precedente. L'autore di Efesini usa di nuovo il semplice ÀÉ"(EL in 5,14, che non è una citazione scritturisti ca ma è probabilmente parte di un inno cristiano (v. ad loc. ). A tutta pri ma 4,8 sembra una citazione di Sal. 68,I9, ma si è visto che non è così (v. intr. 9. 1 . I ; 9.2.3 ), non solo per la differenza più vistosa tra «ricevere•• e > ), in luogo delle due di Mosè. Eppure sarebbe stato facile per l'autore di Efesini presentare Cristo che riceve da Dio i do ni che dà ai credenti. ll targum, nella forma a noi nota, è tardo, ma po trebbe conservare una tradizione più arcaica, risalente al periodo interessa to. In altre fonti giudaiche (Midr. Ps. 68 § n , 1 6oa; Ex. r. 28,1 ; Ab. R. Nat. 2 ( 2a); cf. SB, m, 596- 5 9 8 ) si riscontrano attestazioni a sostegno del l'interpretazione targumica del salmo. 3 Quando descrive Mosè, Filone gli r Cf. M. McNamara, The New Testament and the Palestinian Targum to the Pentateuch (AnBib 27), Roma 1 966, 3 8 ss.; Moore, ]udaism l, 302. ss.; Schiirer, I, 99 ss.; P.S. Alexander, Jewish Aramaic Translations of the Hebrew Scriptures, in M.J. Mulder - H. Sysling (edd.), Mikra, Assen-Maastricht 1988, 2. 1 7-2 5 3 ; R. Le Déaut, The Targumim, in W.D. Davies - L. Finkelstein (edd.), Cambridge His tory of]udaism, Cambridge 1 9 89, 563-590. l La traduzione è conforme a quella di M. McNamara, op. cit., 79· Ho aggiunto la punteggiatura e risistemato la disposizione del testo perché corrispondesse ai due stichi di lf• 67, 1 9 nella forma in cui compaiono normalmente nei testi greci. 3 Sulla questione se i testi siriaci fossero simili al targum v. E. Nestle, Zum Zitat in Eph 4,8: ZNW 4 ( 1 903 ) 344 s.; cf. Lindars, 52 n. 2, il quale ritiene che dietro al targum e a 4,8 ci fosse un testo ebrai co discrepante, riconoscendo peraltro che ciò non può essere provato.
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attribuisce una dimensione quasi mistica ed è possibile che i suoi scritti fos sero noti a giudei ellenisti viventi in Asia Minore. R. Rubinkiewicz sostie ne che la lettura del targum sia soggiacente a Test. Dan s,ro s., I e ci sono molti paralleli tra Efesini e i Testamenti dei dodici Patriarchi. Giustino Martire, Dia/. 3 9,4; 87,6, conosce la forma di Sal. 68, 1 9 presente in Efesi ni, ma non dà segno di una conoscenza della lettera. È dunque possibile che la tradizione targumica si sia diffusa presto e abbastanza ampiamente. Vi sono, a quanto sembra, due possibilità. L'autore di Efesini, o un pre decessore, ha sostituito Jahvé con Cristo nel TM o nei LXX del salmo e ha al tempo stesso alterato il verbo, oppure ha sostituito Mosè con Cristo nel pensiero espresso dal targum e insieme ha rimosso la menzione di Mosè, della legge e della ricezione della legge. Sembra più probabile la seconda eventualità, poiché l'ipotesi che due pensatori indipendenti abbiano modi ficato il verbo del salmo alla stessa maniera nello stesso periodo o quasi e uno abbia sostituito Jahvé con Cristo e l'altro abbia introdotto Mosè è po co credibile. È possibile che la tradizione targumica fosse nota presso qual che gruppo giudeo in Asia Minore da dove sarebbe stata ripresa o da etni cocristiani oppure, molto più probabilmente, da giudeocristiani, e quindi adattata ai loro propositi. I primi cristiani citavano l'A.T. con libertà mol to maggiore degli studiosi moderni. Il pronome personale di Ab. 2,4 è omesso da Paolo (Rom. 1 , 1 7; Gal. 3 , u ), il che consente di riferire il testo alla fede dei credenti. Citando Deut. 30, 1 2-14 in Rom. ro,6-8 Paolo eli mina tutti i cenni originari al comandamento della legge. 1 Questa libertà nei confronti del testo vi è anche all'interno dell'A.T.: il Cronista modificò il materiale dei libri di Samuele e dei Re (o viceversa, se i Re fecero uso di 1-2 Cronache). Se si devono convincere i lettori che un testo alterato con tinua a godere di autorità, è necessario supporre che essi lo conoscano nel la sua forma alterata, e in questo caso ciò dovrebbe valere non soltanto per un gruppo limitato all'interno di una chiesa, ma nelle chiese sparse in un'area relativamente ampia alle quali la lettera è indirizzata. È possibile che la forma alterata di Sal. 68, 1 9 alle orecchie di lettori gentili suonasse come linguaggio biblico e fosse quindi per loro accettabile. Non ci si pote va aspettare che conoscessero i LXX in ogni particolare. Tutto ciò induce a ritenere preferibile supporre che non sia stato lo stesso autore di Efesini a modificare il testo, ma che abbia usato una tradizione nota a lui e ai suoi lettori, quantunque forse non relativa a Cristo e alla concessione di doni. 3 I PS LXVIII 19 (= EPH IV 8). Another Textual Tradition or Targum?: NT 17 ( 1 9 7 5 ) 2 1 9·224.
1 Sui modi in cui Paolo modifica le citazioni veterotestamentarie v. D.-A. Koch, Die Schrift als Zeuge des Evangeliums (BHf 69), Tiibingen 1 986, 102- 1 9 8 . 3 Cf. T . Moritz, The Use o f lsrael's Scriptures in Ephesians, diss., King's College, University o f Lon· don 1 994.
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La formula introduttiva utilizzata dall'autore di Efesini è vaga e si limi ta a informare i lettori che quanto segue è una citazione. Se un giudeo o un giudeocristiano avesse osservato che essa differiva dal salmo originario, l'autore si sarebbe potuto difendere dicendo che non aveva affatto espres so la pretesa di citare la Scrittura. La citazione che segue la medesima for mula introduttiva in 5,14 non è scritturistica, ma appartiene probabilmen te a un inno cristiano (v. a 5,14). Qui tuttavia è bene essere cauti. Noi cer to non considereremmo 5,14 come Scrittura, ma l'autore di Efesini ? Non è dato saperlo. Giuda cita r Enoc come se fosse un testo scritturistico. L'au tore della seconda lettera a Timoteo attinge dalla tradizione giudaica i no mi di Iambres e Iannes avversari di Mosè e sembra ritenerli menzionati nell'A.T. ( 3 , 8 ) . Se l'autore di Efesini usa la stessa formula vaga qui e in 5, 14 e se 5,14 non è Scrittura, si deve concludere che egli non considera 4,8 una citazione scritturistica? Nondimeno si tratta di una citazione prove niente da qualche parte, ma da dove? Era parte di un inno cristiano, come propone McNamara (op. cit., 8 1 n. 28; non vi sono appigli per la sua con gettura ulteriore secondo cui apparteneva al medesimo inno di 5,14) ? ' Non si può dire. Certo il passaggio dal verbo finito al participio civcx�liç e dalla seconda alla terza persona deporrebbe a favore di questa ipotesi. Quale che sia la fonte della citazione, il fatto chiaro è che l'autore ha repu tato fosse esattamente quanto gli serviva per comprovare la propria affer mazione del v. 7, secondo cui Cristo elargisce doni ai credenti. Si è data risposta al primo e al terzo dei quesiti posti in principio. Resta il secondo. In base a quanto si è detto, l'autore di Efesini in ogni caso usa la citazione (si rende conto che proviene dal salmo 6 8 ? ) per confermare l'asserzione del v. 7 e non per anticipare il v. u , poiché in quello Dio (Cri sto) non dà doni alle persone ma dona persone alla chiesa. È altresì possi bile che l'autore di Efesini l'abbia utilizzata perché si prestava a uno svi luppo, che egli compie ai vv. 9 s., in relazione all'ascensione di Cristo. For se aveva avuto un'interpretazione preesistente, che egli ha sentito di dover rettificare, motivo per cui ha scritto i vv. 9 s. La citazione in sé richiede poche note di commento. 2 La duplicazione della radice cxl 'X.IJ.cxÀ- è semitica. L'applicazione del testo a Cristo è in con sonanza con molta teologia neotestamentaria. Ma chi sono i prigionieri che Cristo conduce in prigionia ? Giacché probabilmente l'autore non ha rica vato il versetto 8 direttamente dal salmo 68, questo non può fornire alcu1 Fischer, r 39, ritiene che possa essere appartenuto a una raccolta di testimonia; cf. E. E. Ellis, Paul's Use ofthe 0/d Testament, Edinburgh 1 9 5 7, r 6 . l L'aggiunta di xa! i n N 1 B c • · 3 o • 't 1 7 3 9 r88r 'lJl sy; MVict all'inizio del secondo srico non influì· sce sul significato ma semplifica un po' la sintassi per chi non abbia familiarità col modo in cui la poe sia ebraica connette gli srichi senza congiunzioni. L'aggiunta di tv prima di "toi� in F G 6 1 4 630 2464 pc vgms; HierP' può essere una reminiscenza dell'iv dei LXX.
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na risposta. L'autore stesso non offre indizi espliciti ed è forse sbagliato persino porsi la d omanda. Leivestad (cf. Mitton) ritiene che non vi abbia mai nemmeno pensato. Poiché tuttavia la maggior parte dei commentatori tenta in qualche modo di rispondere, si dovrebbe probabilmente fare al trettanto. Qualsiasi risposta è inevitabilmente legata all'interpretazione dei vv. 9 s. Quasi certamente si deve ritenere che il participio iniziale esprima un'azione simultanea rispetto al verbo principale, così da significare ch e i prigionieri sono condotti verso l'alto con Cristo che ascende e non che en trano in scena alla fine della sua ascesa. Se la sua discesa implica il viaggio nell'Ade, da lì egli avrà portato i prigionieri, che possono senz'altro essere le anime dei defunti o, in termini più generali, i prigionieri di Satana. Que sta è l'opinione della maggior parte dei Padri. Se si pensa invece all'ascesa sulla croce (così Ecumenio, Ambrosiaster), alla luce di Col. 2, 14 s. i pri gionieri sarebbero le potenze. Se la discesa di cui parla il v. 9 è sulla terra nell'incarnazione, e l'ascesa è l'ascensione, in base a 1 , 2 1 s. anche in questo caso i prigionieri saranno le potenze. T aie soluzione risale fino a Ireneo, che li chiama angeli ribelli (Epid. 8 3 ). A suo sfavore si può osservare che le potenze dimorano nei cieli e tuttavia la sfera della loro attività in cui inter feriscono con i credenti è la terra. Anche se l'autore non identifica i prigio nieri, identifica però nei vv. 7.I I il bottino, ossia ciò che il conquistatore secondo il costume antico distribuisce al proprio esercito, e si tratta dei doni carismatici (v. 7), oppure dei capi della chiesa (v. I I ), o più probabil mente di entrambi. 9· L'livtx�aç della citazione viene ora ripreso e sviluppato, con quella che appare una deviazione dal tema principale dei doni di Cristo alla chiesa, al quale si torna nel v. I I . Può darsi che, se l'autore e i suoi lettori associa vano Mosè al salmo 68, fosse necessario mostrare come tale salmo poteva essere interpretato più appropriatamente in relazione a Cristo. 1
L'unica frase interrogativa presente in Efesini si trova i n questo versetto, sebbe ne Paolo ne faccia uso frequente. L'articolo -ro (cf. Gal. 5 , 1 4; Rom. 1 3 ,9; BDR, § 267.1; MHT, 1 5 2; Robertson, 766) è utilizzato per riproporre una parte della citazione. -r1 Èa-rt ha il senso di «che cosa implica questo? •• (Salmond). 7tpw-rov figura in N � B O lJ' CJ1l f m c vg sy sa mss; Eus. Si tratta probabilmente di un'aggiunta esegetica intesa a chiarire che la discesa ha preceduto l'ascesa e, forse, a indicare che la discesa di Cristo fu nell'Ade. È improbabile che sia sta to omesso se in origine compariva. !J.ÉplJ viene omesso da '.l)46 D * F G it; Ir 1•1 C l ex Thd Ambst; la sua presenza o assenza - forse la lezione migliore è quella in cui manca - non condiziona affatto il significato. x Stranamente l'idea della discesa e del condurre in alto i prigionieri viene applicata a Paolo in Apoc. P/. V,l. l.J , I J - 1 6.
44 3 Cristo è il soggetto di àvÉ�YJ (si noti il ritorno alla forma finita del verbo data nel salmo, benché, diversamente da quella, alla terza persona ) e per ciò anche di xcnÉ�YJ: la medesima persona ascende e discende. L'idea del l'ascensione di Cristo (per riscontri v. a I,2o) è comune nel N.T., e corona la sua incarnazione in maniera vittoriosa. Se Cristo è asceso al cielo, dove è disceso e quando? La risposta quasi unanime dei Padri è che Cristo è disceso nell'Ade dopo la morte: così, ad es., Ireneo, Epid. 8 3 ; Origene, Hom. in Ex. 6,6, GCS 29, 198,2; Tertulliano, Prax. 30; Crisostomo; Gerolamo (Teodoro di Mopsue stia e Ambrogio, Epist. 76, I o, sembrano le uniche eccezioni). xct-rw-re:pct -r'ijc; y'ijc; (genitivo partitivo) indica, secondo loro, un luogo più in basso rispet to alla terra e in antitesi a tnte:pcivw. Nell'ascesa dall'Ade Cristo ha portato con sé le anime dei defunti, o il diavolo, la morte, il peccato, la maledizio ne. Questa opinione è sostenuta anche da alcuni interpreti moderni, ad es. Selwyn, I Peter, 3 14-3 62; Beare; Robinson; Arnold, 57; A.T. Hanson. ' Anche se nessuno di costoro probabilmente considererebbe la testimonian za pertinente, l'interpretazione ha ricevuto nuovo impulso nel passaggio dallo scorso a questo secolo dalla scuola di storia delle religioni, nell'ambi to della sua teoria della discesa e ascesa del salvatore celeste (v. l'opera di W. Bousset e altri). 2 Benché non sia dato provare un'influenza diretta, è tut tavia difficile negare l'esistenza di storie contemporanee di redentori che di scendono e ascendono, che avrebbero predisposto i credenti gentili ad ac cettare l'idea in relazione a Cristo. Essa era già comparsa, indipendentemen te o per influsso analogo, in passi del vangelo di Giovanni (ad es. 3 , 1 3 ; 6, 3 5 ss. ) e in Fil. 2,6- I r . I Padri trovarono sostegno alla loro convinzione che Cristo dopo la morte e prima della risurrezione ha compiuto un viag gio nel luogo dei defunti in I Pt. 3 , I 9 (hanno spesso letto in tal senso anche Rom. 10,6-8). L'idea venne infine incorporata nel credo apostolico, ben ché un'attestazione effettiva della sua accettazione inizi a comparire sol tanto alla metà del n secolo (lust. Dia/. 72; Ev. Petr. IO [4 I s.] ). È possibi le che l'inserimento di 7tpw-rov in alcuni testi (v. sopra) fosse volto ad ap poggiare tale teoria. A.T. Hanson fa osservare che Paolo non usa mai xct tc.t�cttvw per l'incarnazione, il che è vero, ma i suoi cenni all'incarnazione non sono molto frequenti ed egli potrebbe aver modificato la propria ter minologia. L'argomento è in ogni caso irrilevante se non è stato Paolo l'autore di Efesini. In questa teoria xct-rw-re:pct e tme:pcivw sono intesi come termini antitetici - sotto la terra e sopra il cielo -, presupponendo così una rappresentazione del cosmo a tre strati (cielo, terra, Ade), come in Fil. 2, r
The New Testament Understanding of Scripture, London 1 9 80, 1 26·1 4 1 .
•
C . Colpe, Die re/igionsgeschicht/iche Schule, Gtittingen 1 9 6 1 , 203-208. 1 6 1
M. Schenke, Der Gott «Mensch» in der Gnosis, Gtittingen 1 962, 1 5 5
s.
ss.;
Gnilka, 33-45; H.
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IO. Tale immagine è discordante rispetto a quella fornita altrove in Efesi ni, che prevede due strati (cielo, terra), con le potenze maligne non sotto, ma sopra la terra. Esse vengono sottomesse in cielo e non nell'Ade (cf. I , I0.20 s.; 2,2; 6, Io e v. excursus I , >, bensì piuttosto «diede coloro che sono . . . >> . Il (.LÉV iniziale non pone gli apostoli in contrasto con quelli che seguono nell'elenco (checché ne pensi Schnackenburg; si confrontino le enumerazioni di Mt. 1 3 ,4-7; 1 3 ,8; 1 6, 14; 21,3 5 ). Se qui l'autore avesse voluto stabilire un'antitesi, per distinguere il primo nome dal resto avrebbe usato una particella più forte o un nuovo (.LÉv seguito da oÉ... òÉ... per differenziare gli altri nomi l'uno dall'altro. Inoltre in 2,20; 3 , 5 apostoli e profeti sono tenuti insieme come un unico gruppo.
Se l'autore di Efesini è Paolo, si sarebbe classificato tra gli apostoli (cf. r,I), benché in 3,3 scorga una certa distinzione fra sé e gli altri apostoli: egli ne differisce in quanto è stato chiamato dal Signore esaltato e non, co me loro, dal Gesù terreno. Se l'autore non è Paolo, avrebbe senza dubbio posto Paolo nella stessa categoria, ma in quale si sarebbe collocato egli stesso? tra gli evangelisti, i pastori, i maestri ? È impossibile dirlo poiché, come si vedrà, i ruoli non sono chiaramente distinguibili. Apostoli e profe ti in 2,20 e in 3,5 erano figure del passato, anche se qui non si può addurre a sostegno di questa affermazione l'uso dell'aoristo eowxe:v, poiché in tal caso gli evangelisti, i pastori e i maestri sarebbero essi pure relegati nel pas sato. Il titolo di apostolo non era limitato ai dodici: ancora all'inizio del II secolo c'erano personaggi così denominati (v. a I , I ; cf. Did. I I,3-1 2); nel periodo neotestamentario risultano comunemente attive figure di profeti. Apostoli e profeti del v. I 1 occupano dunque un ruolo permanente all'in terno della chiesa? I missionari che portano l'evangelo in nuove terre non possono essere considerati apostoli iniziatori o fondatori? Non è dato trar re questa conclusione. Se è Paolo l'autore, vuoi dire che è ancora in vita, se invece l'autore di Efesini scrive sotto il nome di Paolo, deve porsi nella prospettiva che Paolo sia ancora in vita. Così di fatto nella cornice tempo rale interna alla lettera tutti e cinque i «ministri >> sussistono ancora, ben ché 2,20 e 3 , 5 suggeriscano per apostoli e profeti un ruolo del passato. In I Cor. 1 2,28, come nel caso in esame, l'elenco si estende oltre apo stoli e profeti. Qui la prima categoria aggiunta è quella degli evangelisti. 1 Occorre stare attenti a non proiettare in Efesini accezioni moderne di que sto termine. Esso non indica: r . gli autori dei vangeli, significato che gli è sta to attribuito solo più tardi, di cui compaiono le prime attestazioni in 1
Per il termine v. G. Friedrich, in TWNT n, 734 s.
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Hipp. Antichr. 56 e in Tertullian. Prax. 23; 2. chi guida missioni in nazio ni già cristiane; 3 · chi viaggia come missionario per portare l'evangelo in nuove terre, nonostante Eusebio lo impieghi con tale significato (Hist. Ecc/. r , r 3 ,4; 3 ,3 7,2; 5 , r o,2 ecc.). In questo senso gli evangelisti sono stati consi derati successori degli apostoli. Anche se tale interpretazione fosse accetta bile, non vi sono le basi per andare oltre, con Klauck, e supporre che pa stori e maestri siano subentrati ai profeti nella loro opera. Coerentemente con la sua opinione che apostoli e profeti occupino una posizione fondante nella chiesa, l'autore non lascia spazio al proseguire di un'attività profetica all'interno delle comunità, benché da tutto il resto del Nuovo Testamento si evinca il contrario. Il N.T. menziona gli evangelisti solo altre due volte. In Atti 21,8 Filippo, la cui attività di missionario itinerante è raccontata in Atti 8,4 ss., è defini to con questo termine, anche se in Atti 2 r ,8 non è più in viaggio ma dimo ra stabilmente in una casa insieme alla sua famiglia. In 2 Tim. 4,5 si esorta Timoteo a svolgere l'opera di evangelista, compito che pare equiparato al l'adempimento del suo ministero, senza essere inteso come titolo di un ufficio (cf. Merklein, Amt, 346). La prima e la seconda epistola a Timoteo espongo no quanto si richiedeva a Timoteo: egli deve restare a Efeso ( r Tim . 1,3) ed esercitare un ministero fra i già cristiani. 2 Tim . 4,2 riassume i termini del suo ministero circoscrivendolo come interno alla chiesa. Questo è in li nea con l'uso del termine in Ef. 4,1 r , poiché 4, 1 2 mostra che il ministero di coloro che sono elencati in 4,1 1 è rivolto ai credenti. L'impiego neotesta mentario del termine non attesta pertanto un'applicazione a un ministero esterno alla chiesa. Non manca qualche conferma che per un certo tempo si continuò a riferire il termine a «ministri >> operanti all'interno della chie sa: i «lettori >> , con funzioni assai più ampie della mera lettura ad alta voce delle Scritture durante il culto, erano talvolta detti «evangelisti >> . I La paro la eùrx.yyÉ:Àtov, donde deriva il vocabolo in questione, getta ulteriore luce sul suo significato. Se di solito indica il contenuto di ciò che è proclamato agli increduli, tuttavia è utilizzato anche in relazione a quanto avviene al l'interno della comunità credente (Rom. r , r 6; r Cor. 9, 1 4; 2 Cor. I I ,?; Gal. 2, r 4; Fil. r ,27). Marco lo usa per definire ciò che ha scritto ( r , r ), e si sta rivolgendo a credenti. Lo impiega anche nel suo appello ai credenti per una dedizione più piena della loro vita ( 8,3 5 ; 10 , 29) . In effetti, quasi a far si beffe delle nostre accurate differenziazioni tra ministri, l'azione evange lizzatrice di Paolo nei confronti di Sergio Paolo è detta insegnamento (Atti 1 3 , 1 2). L'evangelo parla invero tanto agli increduli quanto ai credenti, i quali necessitano di continuo di essere ricondotti a ciò che inizialmente li Si veda A. Harnack, Die Quellen der sogenannten apostolischen Kirchenordnung (TU n/s ), Leipzig I 8 86. I
45 1 ha indotti a divenire cristiani. Non c'è alcun momento nella loro vita in cui possano trascendere le basi fondanti dell'evangelo. L'autore di Efesini richiama di fatto i lettori all'evangelo in 5,2, prospettando loro le legittime rivendicazioni di Dio sulle loro esistenze. Tale conclusione secondo cui parte del ministero degli evangelisti attiene alla vita interna della comunità, nonché, forse, al reclutamento nelle sue fila, concorda con quanto segue al v. 1 2, dove il ministero di tutti e cinque i funzionari menzionati è rivolto verso la comunità. Ovviamente sarebbe un errore anche escludere gli evan gelisti dall'attività indirizzata verso gli increduli. In veste di predicatori essi si rivolgono sia a non convertiti sia a convertiti (Belser). L'apostolo Paolo esercitava lo stesso duplice ruolo e in questo senso gli evangelisti potrebbe ro essere considerati successori degli apostoli. x.a.i e l'uso di un solo articolo connettono i due ultimi sostantivi in elen co, pastori e maestri. Si tratta di due gruppi di persone che svolgono cia scuno un ruolo separato e distinto, oppure di un unico gruppo di persone che esercitano due ruoli? Si potrà dare risposta a questo interrogativo sol tanto dopo aver identificato i due ruoli. I maestri 1 sono elencati dopo apostoli e profeti in I Cor. 1 2,28 (cf. 14, 2 6 ) e la loro attività figura tra i carismi di Rom. 1 2 , 7 . Non tutti possiedo no il carisma dell'insegnamento. L'esistenza di maestri «specializzati » è confermata da Gal. 6,6; Giac. 3 , 1 ; Barn. 1,8; 4,9; Herm. Sim. 9,1 5,4· L'in segnamento è presentato come parte importante dell'attività di Timoteo e di Tito (ad es. I Tim. 4,6. I L I J . I 6; Tit. 2, L7). Lo stesso autore di Efesini scrivendo la sua lettera assolveva il compito di maestro (cf. Merklein, Amt, 3 50). I maestri avranno da un lato trasmesso e interpretato la tradi zione veterotestamentaria e protocristiana (cf. Rom. 6, 1 7; I Cor. 4,17; Col. 2,7; 2 Tess. 2, 1 5 ), dall'altro ne avranno ricavato lezioni nuove per situa zioni inedite. Il loro compito doveva tuttavia andare oltre la comunicazio ne di informazioni e l'apertura di nuove strade del pensiero, per includere l'esortazione a tradurre nella vita concreta il loro insegnamento. È interes sante notare come nessuna delle figure elencate al v. I I sia definita specifi camente come capo, benché in altre lettere compaiano termini denotanti il ruolo di capo ( I Tess. 5 , 1 2; I Cor. 1 2,28; Rom. 1 2,8). È quindi possibile che tale ruolo, inteso in senso stretto come ciò che serve a tenere unita la comunità e a dirigerla, appartenesse in vario modo a evangelisti, maestri e pastori. Apostoli e profeti devono essere esclusi perché non più attivi, ma in caso contrario, avrebbero anch'essi avuto parte in questa funzione diret tiva. Per tornare più specificamente al ruolo dei maestri, quando divennero 1
V. A.F. Zimmermann, Die urchristlichen Lehrer (WUNT 2.• s. 1 2), Tiibingen 1 9 84, spec. 92.-I I8; . . und Lehrer», nelle sue Orientierungen am Neuen Testament, Diisseldorf 1 978,
H. Scbiirmann, I I 6-1 5 6 .
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cristiani i gentili avranno avuto molto da imparare. In 4,20 l'autore di Efe sini parla di «imparare» Cristo. A parte i maestri designati, a tutti i cristia ni si richiedeva di essere attivi nell'insegnamento (Ebr. 5 , 1 2; Co/. 3 , r 6). Fin qui sembra relativamente chiaro, ma non altrettanto si può dire di 7tot!J.Évec;. La traduzione ••pastori » resta la migliore, poiché conserva l'im magine originaria sottesa, purché si eviti di cogliervi l'accezione moderna di ••ministro del culto>> . Probabilmente l'immagine del pastore si è intro dotta nel pensiero giudaico a partire dal suo impiego nel Vicino Oriente in relazione a governanti che guidavano il proprio popolo, 1 per essere poi adottata dai cristiani. Era una metafora ovvia, compresa senza difficoltà dai lettori gentili dell'epistola. Nell'A.T. è applicata a Dio ( Gen. 49,24; Sal. 23,r; 8o, r; Is. 4 o , u ) a indicare la sua cura e protezione del proprio popolo (cf. I Sam. r 7,34 ss. ), e nel N.T. viene trasferita a Cristo ( I Pt. 2,25; Ebr. r 3 ,20; Gv. r o, r - r o; Mc. 6,34; 14,27; Mt. 2 5 , 3 2 ) . Nell'A.T. è riferita anche ai capi di Israele ( 2 Sam. 5 ,2; Sal. ?8,? I ; Ger. 2,8; 3 , I 5; Ez. 34,2) e nel N.T. ai capi della chiesa ( Gv. 2 r , r 6; Atti 20,28; I Pt. 5,2), con la chiesa stessa definita gregge di pecore ( Gv. ro,2 ss.; 2 r , r 6; Atti 20,28; I Pt. 5,2; cf. Ger. 23,2 s.; 50,6. r 7). Efesini è l'unico passo neotestamentario in cui questo sostantivo sia utilizzato a designare capi. L'immagine è vaga. Dal suo uso veterotestamentario e preveterotestamentario parrebbe evin cersi che venisse privilegiato quale elemento saliente quello del pastore co me colui che guida (in Oriente egli non sospinge il gregge ma lo guida), si prende cura di quanti gli sono affidati e li protegge. Ma per assolvere tutti questi compiti i pastori nella chiesa non avrebbero dovuto anche predicare e insegnare, vale a dire svolgere un'attività analoga a quella degli evangeli sti e dei maestri? Se occorre distinguere tra questi gruppi, nel caso dei pa stori è probabilmente corretto sottolineare o la loro identità di capi o quel la di sorveglianti (Atti 20,28; I Pt. 5,2; ma è arduo ricondurre Gv. 2 r , r 6 a una di queste). Il tentativo di tracciare distinzioni rigide tra evangelisti, pa stori e maestri potrebbe tuttavia essere sbagliato. Nella chiesa moderna ogni sacerdote o ministro riveste tutti e tre i ruoli. Sarebbe invece bene considerare l'attività dell'evangelizzatore, quella del pastore e quella del maestro alla stregua di tre funzioni ministeriali essenziali. C'è qualche diffe renza fra l'azione evangelizzatrice da un lato e quella pastorale e didattica dall'altro, in quanto queste ultime due funzioni sono esercitate interamen te all'interno della comunità, mentre l'altra è svolta sia dentro sia fuori. 1 Sull'immagine v. J. Jeremias, in 1WNT VI, 484-501; J.G.S.S. Thomson, The Shepherd-Ruler Con cept in the OT and its Application in the NT: SJT 8 ( 1 9 5 5 ) 406-4 1 8; R. Schnackenburg, Episcopos und Hirtenamt. Zu Apg 2 0 . 28, nelle sue Schriften zum Neuen Testament, Miinchen 1 9 7 1 , 1 47·267; K. Kertelge, Offene Fragen zum Thema • Geistliches Amt» und das neutestamentliche Verstiindnis von der •Repraesentatio Christi•, in R. Schnackenburg J. Emst - J. Wanke (edd.), Die Kirche des Anfangs (Fs H. Schiirmann), Freiburg-Basei-Wien 1 978, 5 8 3 ·6os . ·
453 Questa impostazione fornisce forse la chiave per risolvere la questione se i pastori e i maestri costituiscano un solo gruppo (spiegazione che risale a Gerolamo) oppure due. L'attività pastorale e quella didattica sono fun zioni diverse, che tuttavia possono essere esercitate di volta in volta dalle medesime persone. La funzione direttiva comporta un insegnamento veri dico, poiché i capi devono indicare la giusta direzione da seguire, e l'inse gnamento implica una funzione direttiva, poiché si deve vedere il maestro percorrere la strada che addita. Questa spiegazione è preferibile a quella che considera pastori e maestri come funzionari locali laddove gli evange listi operano in un'area più vasta, interpretazione questa che rimonta a Cri sostomo e Teodoreto. La presenza di un solo articolo per introdurre i no mi di pastori e maestri non li identifica come un gruppo unico, poiché ac cade altrettanto per apostoli e profeti in 2,20, che pure formano due grup pi. Peraltro, se si ammette l'esistenza di due gruppi, non si dovrebbe pen sare a una rigida separazione tra loro. In movimenti nuovi la funzione di capo nei suoi vari aspetti - e insegnamento ed esortazione si devono inclu dere tra questi - è flessibile e si cristallizza in categorie fisse solo' col passar del tempo. Senz'altro la chiesa in seguito registra lo sviluppo di categorie molto più specializzate, ma non serve qui percorreme il manifestarsi. Basta dire che l'autore non intende offrire un modello per il ministero futuro del la chiesa. Si può affermare che l'autore presenta qui un elenco esauriente di fun zionari e funzioni? Egli non menziona presbiteri, diaconi e vescovi. Dacché quando lo desidera, sa far capire con chiarezza che i suoi elenchi non sono completi (v. 1 , 2 1 ; 6, 1 2), probabilmente intende il presente elenco in senso esclusivo. Sarebbe nondimeno un errore seguire Fischer (v. intr. 8.3 . 3 ) e concludere che l'omissione da parte sua dei vescovi era un tentativo di pre servare la concezione paolina del ministero. Se l'elenco è esauriente, si do vrà concludere che la predicazione, l'attività di guida e l'insegnamento fos sero gli unici ministeri nella chiesa di quel tempo in quella regione? Cer tamente sembrano ministeri, o funzioni, comunque li si definisca, che la chiesa ha sempre avuto. La loro natura è permanente, anche se i titoli usati non lo sono. Tutti e tre si potrebbero considerare ministeri a orientamento prevalentemente verbale, ma certo vi saranno aspetti non verbali del mini stero. I Pt. 4,1 I distingue fra l'ambito della parola e quello del servizio pra tico, il quale figura come forma di ministero in Rom. 1 2,7 s.; I Cor. 1 2,9 s.28. La ÒltXxovitX in quanto servizio caritativo riassume tale tipo di mini stero. Nella parenesi successiva verrà richiesta a tutti i credenti (4,28.3 2; 6, r 8 ), ma - almeno sembra - senza essere inclusa nelle mansioni di funzio nari specifici, come in Atti 6, 1 -6. Grozio, rilevando l'omissione degli ope ratori di miracoli, la giustifica osservando che la loro attività non contri-
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buiva in alcun modo a equipaggiare o preparare i santi. Se tuttavia questo è vero per chi guarisce o parla in lingue (e non tutti ne converrebbero), non si può estendere a tutte le forme di assistenza caritativa. Secondo la congettura di Schnackenburg, 190 s., il ministero dell'insegnamento e quel lo pastorale sono menzionati a causa del rischio di false credenze (cf. v. 4), ma i ministeri con la loro carità esercitano anche una sal vaguardia su altri da sbandamenti nell'errore, specie se tali deviazioni at tengono a problemi di condotta piuttosto che a questioni dottrinali (v. al v. 14). In questa lettera al problema della falsa dottrina non viene mai as segnato un posto preminente. Secondo 4, 1 2 i ministri esistono per edificare la comunità e tenerne uniti i membri, ma il servizio caritativo contribuirà a questo scopo tanto quanto l'insegnamento e l'attività pastorale. Il culto svolge la stessa funzione e in 5,19 sembra un'attività che coinvolge tutti i credenti. La preghiera è un ministero aperto a tutti ( 6, 1 8 s.). Non vi è menzione dell'eucaristia, che ricorre con tanta regolarità nelle trattazioni moderne sulla chiesa, né si accenna alla questione se evangelisti, maestri o pastori debbano presiedervi. Analogamente, l'autore non fa parola su chi debba impartire il battesimo. Ciò significa che Efesini non fornisce orienta menti per il ministero moderno. In linea con questa posizione è l'assenza di qualsivoglia istruzione sul modo di selezionare e designare pastori, evange· listi e maestri. Non c'è ragione di dubitare che vi fossero uno o più metodi (cf. Atti I J , I · J ; r Tim. 4,14), ma il silenzio dell'autore di Efesini sulla ma teria suggerisce che non la riteneva importante. Poiché usa sempre il plura· le, è impossibile stabilire se riservi ai soli uomini queste cariche. Se avesse avuto in mente sia uomini sia donne, avrebbe impiegato ugualmente il ma schile plurale, e merita altresì notare che Giunia, una donna, in Rom. 16, 7, è definita . Il N.T. ricorda anche donne che profetizzano (At ti 21,9) e insegnano (Atti 1 8,26). I Quanti detengono incarichi di evangelisti, maestri e pastori sono chia ramente distinti dai credenti in generale e si direbbero perciò «funzionari>> permanenti, introducendo i quali l'autore di Efesini si può affermare abbia accelerato la separazione fra clero e laicato, abbia dato avvio alla sacraliz zazione del ministero e abbia prospettato la necessità di un ministero di na tura permanente e non spontanea. Mette conto infine notare come l'autore non adduca alcun argomento in favore dell'esistenza del ministero, che se ne evince - non era in questione nelle comunità alle quali egli scrive. Quanto allo scopo del ministero, ne parlerà nel versetto seguente. Era importante, a loro incoraggiamento, che quanti erano evangelisti, I E. Schiissler Fiorenza, Women in the Pre-Pauline Churches: USQR 3 3 ( I 97 5 l I n - r 6 s , sostiene che in seguito la chiesa ha deliberatamente soppresso il ruolo svolto dalle donne nel cristianesimo del 1 secolo.
455 pastori e maestri sapessero di essere stati scelti e dati alla chiesa da Cristo. I dodici devono averlo capito. È difficile dire come altri avrebbero potuto raggiungere la medesima consapevolezza. Nulla di ciò che l'autore scrive induce a pensare che essi si siano eletti da soli, né egli indica che la loro posizione dipende in ultima analisi dalle opzioni o dalla benevolenza delle rispettive comunità. La dipendenza da Cristo li avrebbe resi capaci di re stare saldi di fronte alla difficoltà e avrebbe eliminato qualsiasi motivo di vanto per la loro posizione. Non si lascia aperta alcuna via alla rivendica zione di prerogative (Salmond). Che la selezione di costoro fosse dovuta a Cristo avrebbe inoltre aiutato le comunità ad accettarli e a rispettarli, an che se talvolta le loro parole e azioni suscitavano malcontento. Se all'autore di Efesini fosse stato chiesto di definire il proprio ministe ro, per quale termine avrebbe optato? Se si fosse trattato di Paolo, avrebbe potuto applicare a se stesso tutte le funzioni e i ministeri elencati. Egli era apostolo ( 1 , 1 ) , profetizzava ( .r Cor. 14 ) ; era evangelista, predicatore del l'evangelo e missionario presso gli increduli (v. Atti) e i credenti (in tutte le sue lettere basa ciò che ha da dire sugli elementi portanti dell'evangelo); scriveva lettere e visitava le comunità da lui fondate per esercitare sui loro membri la funzione pastorale e quella didattica. Se l'autore di Efesini non era Paolo, probabilmente non si sarebbe definito apostolo, nel caso si rico noscesse nel termine l'indicazione di un rango uguale a quello dei dodici, per quanto egli possa aver pensato a se stesso come a un apostolo di grado inferiore. Non c'è nel suo scritto niente di «profetico>> nel senso in cui l'au tore usa il termine in 2,20. Egli tuttavia proclama gli elementi fondamen tali dell'evangelo ai propri lettori, fornisce loro insegnamenti relativi al l'A.T. ed espone e applica la tradizione precedente. Non si sa abbastanza sulla sua concezione del «pastore>> per stabilire se ritenesse di esercitare su loro attività pastorale, ma probabilmente è così. 1 12.1 Lo scopo per cui Cristo dona funzionari alla chiesa viene chiarito ora attraverso tre espressioni preposizionali, il cui significato di superficie risulta chiaro nel suo complesso, ma il cui rapporto reciproco è problema tico. Non v'è appiglio per considerarle, con Barth, parte di un inno prece dente a Efesini: egli non fornisce alcuna attestazione al riguardo e la giu stapposizione delle tre espressioni è pienamente consona allo stile dell'au tore della lettera. Si esamina qui anzitutto il significato emergente di ciascu na espressione. Nel v. 1 2 compare l'unico impiego neotestamentario del sostantivo xa1 Schnackenburg, 3 1.8-3 3 1 , delinea una storia degli effetti dell'interpretazione di questo versetto nella chiesa. 1 Sul versetto v. T.G. Gordon, «Equipping» Ministry in Ephesians 4?: JETS 37 ( 1 994) 69-78.
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'tctp'ttatJ.oç, anche se il verbo corradicale ricorre regolarmente. LSJ presenta quattro accezioni per il sostantivo: 1 . restaurazione, riconciliazione; 2. ag giustamento di ossa rotte; 3 · dotazione, preparativi; 4· formazione, discipli na. L'accezione I, se intesa nel senso di «riparazione>> , è quella del verbo in Mt. 4,2 I ; Mc. I , I 9; 2 Cor. I 3 , I I ; Gal. 6,I ; I Pt. 5,Io, ma questo signi ficato è improprio nel contesto del v. I 2. L'accezione 2 non è pertinente. La 3 e la 4 sarebbero entrambe adatte al contesto. LSJ non fornisce atte stazioni per la 4, ma ne adduce per i termini corradicali (cf. Le. 6,40). L'as sunzione di questo significato raccorderebbe il sostantivo solo all'ultimo «funzionario» menzionato al v. I I e non agli altri. È dunque preferibile l'accezione 3 , ma richiede un oggetto. Si è dotati o preparati a uno scopo, che potrebbe essere espresso al v. 1 2b, se qui si parla di un'attività dei san ti, I in vista della quale i capi della chiesa devono prepararli o equipaggiarli. Al v. 1 2b Ép-yov è da intendersi in senso attivo, come in I Cor. I 5,58; Fil. 2,30; I Tess. I,3; 2 Tim. 4,5; oppure gli si deve attribuire il significato correlato di «ciò che è stato fatto», come in I Cor. 3 , I 3 · I 5 ; 9,1 (cf. Rom. I4,20). Al v. I 2 non è usato come termine morale, ma definisce un'attività in corso in quanto espressa nel servizio. La voce Òtctxovtct (per il termine v. a 3 ,7) è accompagnata di solito da qualche parola o espressione che la spe cifica e indica la natura del servizio, che altrimenti può essere determinata dal contesto (ad es. Atti 6, 1 .4; Rom. I I , I 3 ; I 5,3 I ; I Cor. 4 , I ) . Qui la spe cificazione si può trovare al v. I 2C (un ministero che opera per l'edificazio ne della chiesa). Soltanto in Rom. 1 2,7; I Cor. I 2,5 Òtctxovtct manca di una definizione qualificante e in entrambi i passi, come qui, il contesto è cari smatico (v. 7). La radice è usata spesso da Paolo a proposito del suo mi nistero della predicazione (cf. Schnackenburg) tanto all'interno quanto al l'esterno della chiesa (ad es. 2 Cor. 3 ,6-8; 4 , I ; 5 , I 8), il che corrispondereb be all'attività dell'evangelista (v. I r ). Non è tuttavia il caso di ridurre la pre dicazione ai funzionari ecclesiastici. Collins, op. cit., 2 3 3 s., che ritiene la radice connessa alla comunicazione, ricollega il termine all'attività dei mae stri. Ma, a quanto sembra, non ci sono motivi per cui cristiani «laici » non debbano comunicare tra loro, e 5 , I 9 rivela che lo fanno. Più in generale, è un errore vincolare il significato solo a uno dei ministeri del v. I I . Certa mente il termine non ha qui il significato > significa tutti i credenti e non tutte le persone come sostiene Gerolamo. L'idea dello sforzo è in sintonia con il senso esortativo di 4,1-6,20. o! 7tclV'tEç potrebbe sembrare superfluo, ma impedisce da un lato che tale impegno sia eccessi vamente individualizzato, quasi si dicesse «ciascuno di noi >>, e dall'altro che sia spersonalizzato, quasi si dicesse « le nostre comunità >> , Il secondo pe1 Per il verbo v. O. Miche), in TWNT m, 62.5-62.8; l. Peri, Gelangen zur Vollkommenheit. Zur latei nischen Interpretation von xot-:otvt> per indicare il salvatore celeste, in alcuni dei quali compare effettivamente l'espressione « uomo perfetto ( ma turo) >> (alle citazioni di Schlier si aggiungano Ev. Phil. 11,3 5 5 , r 2; 75,20-24; 8o,4; Ev. Mar. BG 8 5o2, r r 8, r 6). Malauguratamente si tratta perlopiù di esempi tardi e, se l'idea generale può essere antica, è possibile che le occorI Cf. G. Delling, in 1WNT vm, so-8 8; McRay, art. cit.; P.C . du Plessis, Teleios. The Idea of Perfec· tion in the New Testament, Kampen I 9 5 9· 2. Origene, che dà nel complesso un'interpretazione individualistica, è consapevole del carattere ma· schile dell'immagine e come equivalente dell'uomo perfetto propone •vergine• : Comm. in Mt. 1 5 ,2.5, GCS 40, 42.4,2.2. ss.
renze concrete dell'espressione derivino dall'uso cristiano. Non si può ne gare però che il salvatore celeste è sovente considerato corporato, il che sembra valere anche per Cristo nella letteratura paolina. Come il primo Adamo in un certo senso contiene tutta l'umanità entro se stesso, così il secondo Adamo contiene tutti i credenti. Forse non è dunque necessario ri collegarsi qui a testi seriori. Se è vero che nel significato corporato sarebbe stato normale il termine &v.f)pw7toc:;, anche cìvf.p può avere questo valore (cf. 2 Esd. 3 , 1 ; 1 8, 1 ). Peraltro, una soluzione in senso corporato come que sta presenta le sue difficoltà, poiché sarebbe stato naturale che il sintagma fosse introdotto dall'articolo determinativo. Anche questo dato depone con tro una semplice equazione dell'espressione con la chiesa in virtù del paral lelo di 2, 1 5 > (Best, One Body, 1 4 1 ) . Questa tensione è del resto normale nella lettera. Il risultato da conseguire è dunque la misura, probabilmente come al v. 7 la misura pie na, della maturità o della statura di ciò che Cristo riempie. Usato a propo sito di persone, i)Àtxia. può indicare o l'età o la dimensione del corpo, e il suo significato si deve stabilire in base al contesto. Spesso il suo significato è in effetti ambiguo (ad es. Mt. 6,27; Le. 2,5 2; 1 2,25), poiché età (ad es. Cv. 9,2 1 .2 3 ; Ebr. u , u ) e dimensioni fisiche (ad es. Le. 1 9.3; Ez. 1 3 , 1 8 ) sono in rapporto. L'accezione «età >> è favorita dal contesto generale dato il suo accento sulla maturità: gli adulti sono più maturi dei bambini; sareb be inoltre appropriata l'antitesi fra vf.7ttot (v. 14) e il concetto di maturità,
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ma quel sostantivo è al plurale. Il contenuto del v. 13 non deve peraltro essere necessariamente determinato dal v. I4· Che l'autore di Efesini, alla ricerca di un termine atto a definire al v. I 4 chi ha opinioni erronee, abbia optato per v�mot potrebbe far pensare che aveva in mente il concetto di «età>> . D'altro canto, riempire ed edificare sono metafore spaziali e l'idea di dimensione è più appropriata dopo (J.É>tpov. Una taglia del corpo grande denota un adulto maturo. È difficile decidere tra le due interpretazioni e forse è il caso di considerarle entrambe presenti. Può sembrare che le tre espressioni preposizionali prospettino tre mete differenti, ma la meta può essere una sola, ragion per cui le si deve leggere come espressione di tre aspetti differenti di un unico obiettivo (cf. Roels, 199 s.). Qual è il loro rapporto reciproco? Quale questo obiettivo unico? Poiché il periodo prosegue fino al v. 1 6, non si è tuttavia ancora giunti al punto in cui si potrà dare risposta al secondo di questi interrogativi. Il v. 16 induce a intendere che lo scopo sia la crescita completa del corpo di Cristo, il che non discorderebbe con quanto si è appreso dalle tre espres sioni. Quanto poi al primo quesito, ogni locuzione del v. 1 3 contiene un ri mando a Cristo, implicando una comprensione di lui e un rapporto con lui. Anche la chiesa è coinvolta, quale corpo di cui egli è capo e come colei che lo capisce ed è chiamata a raggiungere la maturità tramite il rapporto con lui. È per conseguire questo obiettivo che il ministero deve operare, coinvolgendo tutti i membri della chiesa in modo che anch'essi occupino il proprio posto nell'impegno diretto a tal fine. Giacché si tace dell'attività missionaria del ministri o dei credenti in generale, l'obiettivo dev'essere la maturità interna e non una espansione numerica verso l'esterno (Gnilka). Ciò non significa che a questa l'autore di Efesini non sia interessato, ma non è questo l'argomento trattato qui. Se una crescita di quel tipo non ci fosse stata, le chiese alle quali l'autore sta scrivendo non sarebbero mai sor te. Una volta sorte, non possono ancora fermarsi, ma devono maturare, pe na il regresso. La meta, come tutte le mete, dovrebbe apparire futura, ma vi è altresì un senso in cui è stata già raggiunta. La chiesa è una, il corpo di Cristo esiste, e non può esistere se non in una forma matura e perfetta. È questo un altro aspetto della tensione che percorre tutta la lettera. Se l'obiet tivo è posto nel futuro, sorge l'interrogativo sul tempo in cui esso sarà con seguito (!J.ÉXPt implica che la questione si pone realmente). L'autore di Efe sini non dà lumi sulla risposta, benché qualche risposta sia stata fornita: per Crisostomo il traguardo è raggiunto in questa vita; per Teodoro di Mopsuestia in quella futura. L'autore della lettera certo non dice: . Una simile affermazione potrebbe svigorire l'impegno, lasciando intendere che non si può avvicinare la meta perché dipende da un fattore soprannaturale ed esterno.
14· È questo il terzo versetto successivo retto dal v. I I (Gnilka, Schlier e la maggior parte dei commentatori). Diversamente dal v. I 3 , il v. I4 è for mulato in termini negativi. Il ministero è stato dato non solo per porre la chiesa in grado di crescere, ma anche perché essa sia capace di opporre re sistenza a tutte le forze che potrebbero corromperla o distruggerla. Non sono i ministri stessi gli agenti diretti di questa resistenza; tutti i credenti sono chiamatj a tale impegno. Se uno dovesse venir meno, l'unità potrebbe degenerare in caos. La struttura del v. 14 non è affatto semplice e sono molti i modi di correlare le varie espressioni l'una all'altra (Haupt fornisce una trattazione completa delle varie possibilità), ma il pensiero fondamen tale è chiaro, il che peraltro non significa che tutto ciò contro cui l'autore si scaglia possa essere identificato con certezza. Il linguaggio è impreciso e, coerentemente con lo stile dell'autore di Efesini, pleroforico (Schlier), con ricorso a una serie di immagini: i bambini, una tempesta marina, il gioco dei dadi. !J.lJXÉ-rt non si rifà al periodo anteriore alla conversione dei lettori (come immagina Teodoreto; si confronti Lindemann, il quale quindi consi dera questo versetto come «missionario» in quanto ritrae la vita precri stiana), bensì al periodo successivo alla conversione e precedente questa lettera, poiché prima della conversione i lettori non erano bambini imma turi, v1ptt o t,' bensì morti nel peccato e sottomessi al potere di Satana ( 2, I J ). La loro condizione ·precristiana è descritta anche i n 4,17-I9, dove il peccato è di nuovo in primo piano. Corrispondentemente, l'autore definisce la loro condizione cristiana im matura anziché peccaminosa ( Grosheide). Potrebbe essere questo il motivo per cui usa la prima persona plurale includendo se stesso. Nel N.T. l'im magine del bambino è variamente utilizzata per indicare convertiti recenti o convertiti che non hanno compiuto progressi nella loro fede come avreb bero dovuto ( I Cor. 3 , I s.; I 3 , I I ; I4,2o; Ebr. 5 , I 3 ; affatto differente l'im piego in Mt. I I ,2 5 ; I 8,3; Mc. IO, I 3 ; Le. Io,2 I ). I bambini tendono a esse re volubili nelle loro convinzioni e i lettori potrebbero risultare instabili, stolti e incapaci di comprendere la verità, in contrasto con la notazione sulla conoscenza al v. I 3 . Il plurale « bambini >> è probabilmente orientato in senso individualistico, in opposizione alla comunione che dovrebbe es servi fra i credenti. L'individualismo infantile separa le persone e frantuma l'unità. Forse all'immagine dei bambini immaturi è sottesa quella della ri nascita: i lettori sono nati nuovamente, ma devono ancora crescere fino al l'età adulta. A questo punto l'autore cambia metafora e introduce il mare e le sue tem1 Il termine è usato sistematicamente in senso metaforico; v. W. Grundmann, Die v-ipttOL in der ur chrìstlichen Pariinese: NTS 5 ( 1 9 5 8- I 9 5 9 ) r 8 8 -2o5; S. Légasse, La Révélation aux v-i;r.wt: RB 67 ( 1 960) J 2 I·J 48.
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peste. Neli'A.T. i pericoli dei viaggi per mare servivano a rappresentare la vita vissuta lontano da Dio (Sal. 107,23-27; Is. 5 7,20 s.) e nel mondo anti co viaggiare per mare era generalmente considerato rischioso. Paolo stesso ha constatato di persona quanto ciò rispondesse al vero: nei suoi viaggi sperimentò almeno tre naufragi (2 Cor. 1 1 , 2 5 ) e gli Atti ne descrivono un altro occorsogli durante la sua traduzione da prigioniero verso Roma (27, r ss. ). Nonostante la sua vivida esperienza dei pericoli del mare, è questa l'unica occasione (presupponendo che sia lui l'autore di Efesini) che Paolo sfrutta l'idea in senso metaforico (per l'ampio uso coevo delle immagini le gate alla tempesta v. Hugedé, 1 70 nn. ro6-ro8). Il verbo xÀuÒwvil;; w ha un impiego metaforico in Is. 57,20 e in Ios. Ant. 9,239. Il sostantivo corradi cale compare in Giac. r ,6 a proposito della tempesta che coinvolge i cre denti (cf. Gd. 1 2 s.). Per 7tEpttpÉpw v. Simpson, 97 n. 27. Non è chiaro pe raltro se l'autore raffiguri onde sconvolte dalla bufera o navi sballottate dalla bufera. L'effetto è il medesimo. I venti sono quelli del falso insegna mento. Il singolare òtòacrxaÀta con l'articolo potrebbe a tutta prima inten dersi riferito all'insegnamento cristiano (Merklein, 107; Schnackenburg), ma la specificazione 7tav-rt con tivÉ!J-cp indica una varietà di venti e perciò probabilmente una varietà di insegnamenti. Ciò non significa peraltro che i venti del falso insegnamento soffino nella chiesa dall'esterno. Il N.T. mo stra come, riguardo alla definizione del vero insegnamento, i credenti fos sero sotto continua pressione da parte di altri cristiani o apparentemente tali. Ogni maestro avrà preteso che quanto diceva fosse vero. Al tempo di Efesini non era ancora stato formulato in modo compiuto e chiaro quello che più tardi sarebbe stato accolto come vero insegnamento. Paolo ovvia mente in cuor suo non ha mai avuto dubbi su che cosa fosse vero. La va rietà d'insegnamenti costituiva una minaccia continua all'unità. La novità dottrinale (cf. Macpherson) era normale in questo periodo iniziale della chiesa. Qui dunque l'autore allude probabilmente alla molteplicità di inse gnamenti all'interno della chiesa piuttosto che a false filosofie e teologie che vi penetravano dall'esterno. Visto che il resto della lettera è dedicato all'am maestramento etico, si può pensare che il falso insegnamento concernesse il comportamento. L'assenza di una condotta amorevole e onesta aveva di sgregato o indebolito più chiese che l'insegnamento eretico nel senso stret to di insegnamento dottrinale. Il fallo della chiesa di Pergamo era dovuto alla consumazione di cibo sacrificato agli idoli e al lassismo sessuale (Apoc. 2,14; cf. 2,20 per la chiesa di Tiatira). Gli errori della chiesa di Roma (Rom. 14, 1 - 1 5,6) erano in parte di carattere etico e riguardavano il cibo. Quando le cose vanno male i teologi tendono a individuare un punto debole nel l'ortodossia piuttosto che nell'ortoprassi. È vero che l'astinenza da cibi particolari può sembrare un problema dottrinale, ma il suo versante etico
era importante. Chi apparteneva a corporazioni di commercianti non di rado si sarà trovato nella condizione di dover decidere se consumare o me no determinati cibi. Aveva il coraggio morale di differenziarsi rispetto agli altri membri della propria consorteria ? È possibile che alcuni nuovi cristia ni avessero introdotto nelle loro comunità troppi elementi tipici del loro ambiente pagano precedente e della sua cultura. L'autore di Efesini mette semplicemente in guardia contro il pericolo permanente della perversione della vera prassi e del vero insegnamento cristiano. L'indeterminatezza del le sue allusioni non consente di farsi un'idea di quanto aveva in mente, an che nel caso pensasse a un'eresia particolare. Un cenno ulteriore all'insegna mento ingannevole ( 5 ,6) non fornisce informazioni più utili per facilitarne l'identificazione. Il senso plurale di > appare più spesso nell'uso di «in Cristo>> , non è del tutto assente quando viene impiegata la forma in esame (cf. Rom. 16,2; 1 Cor. 7,39 ) . precisa il verbo in quanto l'autore sta scrivendo a correligionari cristiani. L'espressione ricorda loro il legame tra Paolo e il suo Signore e quindi quello tra il loro Signore e loro stessi. Tan to l'autore quanto i suoi lettori sono membra del corpo di Cristo ed egli cer ca di edificarli nella fede (4,1 2 s.). È possibile che l'espressione serva altresì a rammentare loro l'autorità del Signore cui sono sottoposti. Il loro comportamento (per 7tEpt7t1X'tEtv v. a 2,2) non deve più essere quello di
un tempo. Il significato preciso di (J.lJXÉ'tt non è chiaro: potrebbe significare che essi non devono ricadere negli atteggiamenti anteriori alla conversione, ma più probabilmente indica che non devono insistere in costumanze che evi dentemente non hanno abbandonato del tutto una volta convertiti, giacché questo sembra essere il significato del termine al v. 14. Tale interpretazione ri conosce come non siano divenuti perfetti non appena sono divenuti cristiani. Non devono più vivere come (xiX( rafforza xiX.Swc; ed è meglio ometterlo nella traduzione; cf. MHT, 3 3 5 ) fanno i pagani (il verbo è al singolare, giusta le norme classiche, per quanto il sostantivo abbia spesso un predicato al plurale; cf. BDR, § 1 3 3 n. 3 ). La lezione di �p D' 'F 'lJl vgm• sy, che aggiunge Àoma, è scarsamente attestata e probabilmente è stata inserita per influsso di Rom. I , I J . Sottolinea il rapporto dei convertiti con la loro cultura precedente.
La condotta della loro nuova vita, espressa in termini positivi in 4,2 s., adesso è esposta in termini negativi: essi non devono più vivere come 'ttÌ WvlJ, voce il cui significato necessita sempre di una definizione basata sul contesto. Era impiegato dai giudei per differenziarsi dai non giudei sotto il profilo religioso, etnico e culturale, con accentuazione variabile su tale ele menti. Questo uso è passato nel primo cristianesimo e si riscontra in 3 , 1 .6. 8 . Costoro, non giudei per etnia o conversione religiosa, sono potuti diven tare membri della chiesa su un piano di eguaglianza rispetto ai giudeo cristiani. I giudei giudicavano degradati i parametri morali dei gentili in ge nerale, e i primi cristiani, tutti giudei di nascita, permasero in questa con vinzione, talché applicarono il termine a chi non era né cristiano né giu deo, anche se all'interno della chiesa la distinzione tra giudei e non giudei stava scomparendo. Per conseguenza, non c'è nella nostra lingua un unico vocabolo che si possa adottare in ogni occasione per tradurre la parola, ma è il contesto che deve determinarne la resa. Al v. 1 7 la traduzione sarà o , visto che si pone l'accento sulla natura non giudaica della cultura dalla quale i lettori sono stati convertiti. L'autore di Efesini
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ritrae ora in breve quella cultura. I peccati con i quali la caratterizza sono in larga misura gli stessi usati dai giudei per definire la cultura gentile (Sap. 1 2- 1 5 ; 1 8,10- 1 9; Ep. Arist. 1 3 2- 1 3 8; 1 40; 277; Sib. 3 ,8-4 5 .220-23 5 ; lub. 22, 1 6- 1 8; Test. Neph. 3,3 ). Era usuale per gli scrittori giudei esortare i propri correligionari a non vivere come i gentili (Lev. 20,23; Deut. 1 8,9). La prima caratteristica della cultura che i lettori si sono lasciati alle spal le è individuata in un atteggiamento mentale. I «Mente>> qui non denota «la mente o l'intelletto come facoltà specifica, ma il conoscere, comprendere e giudicare che sono propri dell'uomo in quanto tale e determinano l'atteg giamento da lui adottato >> . 2. L'autore dunque non sta segnalando una ca renza nella capacità di ragionare dei suoi lettori, ma rappresenta la loro > . Come nel caso dei participi perfetti del v. 1 8, qui si presuppone uno stato permanente. Nessun potere esterno (Dio o Sata na? ) ha inflitto loro tale condizione, ma essi stessi vi si sono consegnati. Il soggetto di 1ttXpÉÒwx!Xv qui sono i gentili, diversamente da Rom. 1,24.26. 28, dove è Dio. Questa variazione rende una volta di più improbabile l'uso diretto della lettera ai Romani da parte dell'autore di Efesini, come suppo ne Mitton, Epistle, 1 20. 148, benché mostri come questi conoscesse il pen siero paolina. Bouwman afferma che qui egli sta demitologizzando l'idea r
V. L. Cerfaux, «L 'aveuglement d'esprit• dans l'évangile de saint Mare, in Recueil Lucien Cerfaux Gembloux 1 9 54, r· ro; Braun, Qumran, 2.1 8 s.; H. Riiisanen, The Idea o( Divine Hardening, Hel sinki 1976, 4 5 ss.
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espressa in Romani e Lindemann che la sta respingendo. Questa seconda congettura non pare plausibile, giacché i participi presenti nel contesto so no probabilmente passivi divini. Forse l'autore di Efesini desidera sempli cemente evidenziare con maggiore chiarezza la responsabilità degli incre duli per la condizione in cui versano. ' La differenza intercorrente fra il re putare la condizione dei gentili come colpa loro oppure come inflitta dal l'esterno ( 2,2; 4,I 8 ) è analoga a quella per cui i credenti ora ritengono di credere grazie all'azione di Dio ( I ,4; 2, 1a. 5 . I 3 ecc.), ora in seguito a una loro decisione ( I , I 3 ). L'interrelazione fra elezione divina e scelta umana costituisce un problema teologico persistente. L'autore di Efesini tende a porre l'accento sul primo fattore, sebbene il mutamento introdotto qui ri spetto a Rom. I,24 mostri come si renda conto che possa esservi al riguar do un'insistenza eccessiva. Insensibili alle distinzioni richieste da una vera morale, gli increduli si sono consegnati al peccato, ora definito da tre sostantivi, il cui significato preciso è difficile da individuare, poiché ciascuno di essi presenta tanto un impiego estensivo, che abbraccia un ampio ventaglio di peccati, quanto uno più circoscritto in relazione a peccati specifici. Anche il rapporto del l'ultimo sostantivo con i due precedenti è problematico. à:crÉÀ:ye:ux figura si stematicamente in cataloghi di vizi (Mc. 7,22; Rom. I 3 , I 3 ; 2 Cor. 1 2,2I; Gal. 5, I9; I Pt. 4,3; Sap. I4,26; Test. Iud. 23,I; Test. Lev. I 7,n; Herm. Sim. 9,I 5,3 ), ma è usato anche con accezione più generale ( 2 Pt. 2,2. I 8; Gd. 4; Herm. Vis. 2,2,2; 3 ,7,2; Mand. 1 2,4,6; Philo Vit. Mos. I,305; 3 Macc. 2,26). Nei cataloghi il termine si trova normalmente nell'area in cui sono elencati i peccati sessuali (Mc. 7,22 fa eccezione; in Test. lud. 23,I è connesso all'idolatria) ed è possibile che questo ne sia il senso anche quan do è usato più genericamente (ad es. Ios. Ant. 8,3 I 8; 20, I I 2) per indicare il peccato sessuale di vario tipo. Poiché tuttavia ci sono pure casi evidenti in cui s'intende una condotta indisciplinata senza un'esplicita connotazione sessuale (los. Ant. 4,I 5 I; 8,25 2), l'interpretazione migliore è probabilmen te quella di una condotta indisciplinata specialmente, ancorché non esclu sivamente, di carattere sessuale. Anche à.xa.Sapaia compare in cataloghi di vizi (2 Cor. 1 2,21; Gal. 5,I9; Col. 3,5; Prov. 6, I 6; Ef. 5,3), talora accanto ad cicrÉÀye:ta ( 2 Cor. 1 2,21; Gal. 5,I9). Il termine è raro nel greco classico. Nel Levitico (spec. cap. I 5 ) rimanda di norma all'impurità rituale. A parte questo uso ristretto, in alcu ne occorrenze scritturistiche sembra avere connotazione sessuale (spec. Gal. 5,19; Col. 3 , 5 ), il che vale anche quando figura isolatamente ( I Tess. 4,7; Test. Iud. I4,5; Barn. 1o,8. I 8 ), benché possa avere un referente più gene' � affatto improbabile che usando 1trzp> . La chiave di un'esegesi più appropriata sta nell'attenersi al senso di «nel Signore>> al v. 17. L'autore di Efesini par la con autorità ai suoi lettori poiché entrambi sono uniti nel Signore. An che i lettori e quanti li hanno istruiti erano uniti nel Signore, sicché il loro insegnamento era «in Cristo>> e, come nel caso dei due verbi precedenti, la menzione di Cristo si può leggere in maniera pregnante, nel senso che Cri sto viene insegnato in modo tale che il loro rapporto con lui risulta appro fondito. Questa esegesi verrebbe corroborata intendendo il verbo come passivo divino: «foste istruiti da Dio in Cristo >> . L'insegnamento rientre rebbe così nel modo dell'agire di Dio nei loro confronti informato alla gra zia (ad es. 1,4.6; 4,3 2). Il rapporto dell'espressione conclusiva del versetto con quanto precede e segue è stato oggetto di molte discussioni. ' xa.Swc; comporta spesso un significato comparativo (v. BAGD), ma è difficile individuare qui un termine di confron to. Se riprendesse il v. 20, questo sarebbe stato senza meno formulato in ter mini positivi e non negativi (cf. C.A. Scott, art. cit. ). Tale interpretazione ren de inoltre parentetico il v. 21a, che ha tuttavia peso maggiore del v. 21b. È molto meno plausibile la congettura di Barth secondo cui la congiunzione sa rebbe da considerarsi introduttiva a una citazione (un impiego consueto, cf. Mc. 1,2; Rom. 1,17) che inizia con le parole «la verità in Gesù» e prosegue at traverso i vv. 22-24. Altrove, quando la congiunzione ha questa funzione, è seguita da un verbo che segnala che si sta facendo una citazione. Talvolta xCl -8wc; introduce il contenuto del discorso dopo un verbum dicendi (Atti 15,14; 3 Cv. 3 ) e si potrebbe assegnare a òtòciaxe:tv questo valore. In tal caso la pro posizione indicherebbe il contenuto dell'insegnamento. Questa accezione della congiunzione è peraltro rara e il significato del verbo risulterebbe forzato. Non molto distante da questa interpretazione, e molto più probabile, è l'idea I v. spec. C.A. Scott, Ephesians IV. Z I . «As tbe Truth is in jesus» : Expositor s• s. 3 ( 1 9 IZ.) 178- • S s; l. de la Potterie, Jésus et la vérité d'après Éph 4,Z I , in Studiorum Paulinorum Congressus I 961 (An Bib 1 7· 1 8 ), 2 voli., Roma 1963, n, 4 5 -57. Harless offre una rassegna assai ampia di tutte le opzioni
proposte fino ai suoi tempi.
49 3 di attribuire senso causale alla congiunzione, come in 1 ,4; 4,3 2. Intesa così, la proposizione potrebbe dipendere da È!J.cX-8t'tt, con il v. 21a eventualmente pa rentetico, ma più verisimilmente dipende da èòtòcix-8YJn. La proposizione conclusiva solleva due problemi: a) qual è il soggetto di Ea'ttv? b) che cosa vuole significare l'uso del nome Gesù? 1 a) Per norma l'assenza dell'articolo davanti ad tiÀ-f}.Se:tcx implicherebbe che sia nome del predicato, ma a questa regola non ci si attiene rigorosamente nel caso di so stantivi astratti (BDR, § 2 5 8; MHT, u 6 ss. 1 77 s.). È preferibile dunque tradurre «la verità è in Gesù ••, piuttosto che «c'è verità in Gesù » o «egli (Cristo) è verità in GesÙ >> . La seconda soluzione è piuttosto banale e lascia aperta la possibilità che vi siano altri luoghi o persone in cui si può trovare la verità. Quando si tratta di Gesù l'autore di Efesini si esprime sempre in termini assoluti. La terza ha senso solo se la si immagina come una difesa contro un attacco mosso da chi distingueva tra Gesù e Cristo, posizione sostenuta da taluno animato da tendenze gnostiche e avversata nella prima lettera di Giovanni. A differenza di quella, tuttavia, Efesini non è un'epi stola polemica e del resto l'autore non dà mai altrove segno di vigilanza verso il rischio di separare Cristo e Gesù. La verità, che dev'essere sempre verità su qualcosa, qui è quasi equivalente all'evangelo {v. a 1 , 1 3 ; cf. Rom. 2,8; 2 Cor. 1 3 ,8; Col. 1 , 5 ) . b ) Non s i può liquidare l'uso dell'appellativo > quasi si trattasse di una variazione stilistica {Lincoln); per questo sarebbe bastato un pronome. L'autore di Efesini dunque si è premurato di introdurre il nome (probabil mente l'uso dell'articolo non è significativo; cf. BDR, § 260 n. 7; MHT, 106 s.). Il nome di Gesù figura di rado nel corpus paolina (Rom. 3 ,26; 8,1 1; I Cor. 1 2,3 ; 2 Cor. 4,5 . 1 0. 1 1 . 1 4; u ,4; Gal. 6, 1 7; Fil. 2, 1 0; I Tess. 1, ro; 4, 14). La sua presenza qui esclude affatto l'idea che l'istruzione concerna esclusivamente il Cristo esaltato {per esempio il suo intercedere in cielo per i credenti). Se si va, per così dire, all'estremo opposto, merita osservare che probabilmente non si vuole indicare che l'istruzione è basata sulla vita e l'insegnamento del Gesù storico. Quando la lettera passa all'istruzione mo rale articolata, non c'è, conformemente alla tendenza normale del corpus paolina, alcun tentativo di legare tale insegnamento al Gesù terreno. E tut tavia l'uso di > fa pensare al personaggio storico. Al tempo in cui è stata scritta la lettera agli Efesini, supposto che l'autore non sia Paolo, esi stevano già sia il vangelo di Marco sia la doppia tradizione. Intorno a que sto periodo dunque si impartiva verisimilmente una forma di istruzione sulla vita di Gesù e sul suo insegnamento {cf. Schnackenburg). Al v. 24 ai credenti si dice di rivestire la persona nuova. Può darsi che la menzione di 1 Sulla proposta di porre una virgola dopo aì-i)&1a si veda il dibattito fra Westcott e Hort nel reso conto di Westcott, 70 s.
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Gesù qui dia una certa concretezza al significato di questa espressione, come all'apparenza avviene tramite l'uso del nome in 2 Cor. 4, 1 o. I I ; Gal. 6, 1 7. Il modello non è costituito da un Cristo ideale, bensì dal Gesù incar nato. Forse dunque il nome indica che la tradizione insegnata si richiama alla figura terrena e si fonda su di lui (Larsson}. È possibile che il nome Gesù sia più appropriato all'istruzione etica rispetto a Cristo con le sue im plicazioni cristologiche (Halter, 2 5 2 } . I 22. Il versetto inizia con quella che si presenta come una costruzione con accusativo e infinito, e tuttavia, se i vv. 22-24 dipendono da iòtòax.SYJ't"E (v. 21}, u[J.a> ). È affatto evidente che l'autore non si limita a dare informazioni. Se dunque agli infiniti si assegna valore imperativo, ne consegue di neces sità che si riferiscano al futuro e non al passato. Lo svestirsi della persona vecchia e il rivestire la nuova non possono rinviare semplicemente al batte simo, benché tale coimessione sia stata stabilita sin dai tempi antichi (Cri sostomo, Teodoro di Mopsuestia, Ev. Phil. n,3 7 5,22-24). Quale che sia l'azione indicata, è posta nel futuro. La metafora dello svestirsi e rivestirsi degli abiti è il fulcro dei vv. 2 2-24. È una metafora ovvia perché le persone manifestano il loro carattere nel loro abbigliamento. La metafora era ben nota nel mondo antico (ad es. Plat. Resp. 5,457a; Eur. Iph. Taur. 6o2; Dion. Hai. Ant. Rom. 9,5; Lib. Epist. 968), in particolare in scritti religiosi (Apul. Met. u ,24; Act. Thom. 3 6. 66; Corp. Herm. 7,2), nei I'A.T. (ad es. Giob. 29,14; 3 5,26; Sal. 1 3 2,9; Is. 59, 1 7; 61, 10) e nel giudaismo (ad es. Sir. 4 5 ,8; Philo Fug. uo; Ebr. 86; Test. Lev. 8,2; Asc. Is. 7,22; 9,1; I Hen. 62, 14- 1 6; 1 QS 4,8). Alla luce di questo impiego diffuso, non è necessa rio, per trovare la fonte del suo uso da parte dell'autore di Efesini, ricorrere 1 alla gnosi o ai misteri, che non presentano invero paralleli pertinenti. Nel N. T., a prescindere dal passo in esame e da Col. 3,8-1 2, la metafora è utilizza ta, probabilmente in ambito catechetico, 1 in relazione al rivestire e deporre varie virtù e vizi (Rom. 1 3 , 1 2; I Pt. 2, 1 ; Ebr. 1 2, 1 ; Giac. 1,21; I Tess. 5,5; E(. 6, u; cf. I Clem. 1 3 , 1 ; 5 7,2) e alla natura della vita dopo la morte ( I Cor. 1 5, 53 s.; 2 Cor. 5,2-4), ma non è impiegata a proposito del corpo come rivesti mento dell'anima. 3 In Rom. 1 3 , 14; Gal. 3,27; Ef. 4,22-24; Col. 3,9 s. ciò di cui ci si sveste e riveste è definito in termini personali. È difficile rintracciare paralleli per questo uso. I più affini sono quelli segnalati sopra in Dionigi di Alicarnasso e in Libanio, nonché in un frammento di Aristocle conservato in Eus. Praep. Ev. 14,1 8,26 (v. V an der Horst, art. cit. ). Al tempo in cui l'autore di Efesini scriveva, la metafora era ben nota an che negli ambienti cristiani ed era già stata applicata al rivestire o depor1
V. Schlier, Christus, 59; P. Pokomy, Epheserbrief und gnostische Mysterien: ZNW 53 ( 1962.) r 86 s. Cf. Selwyn, I Peter, 3 9 3 -400; P. Carrington, A Primitive Christian Oltechism, Cambridge 1 940, J2.-J 7· 3 Per questo uso v. Kiisemann, Leib, 87-94. Per un rifiuto del suo punto di vista v. Fischer, 1 5 3 . 1
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re . Compare anzitutto in Paolo in relazione al rivestire Cristo (Rom. 1 3 , 14; Gal. 3 ,27; cf. Ev. Mar. BG 8 502, 1 1 8, 1 6), prima di essere usata per la persona vecchia e nuova in Col. 3 ,9 s.; Ef. 4,22.24 (cf. , Col. 2, u ) . Non serve dunque cercare nel mondo non cristiano paralleli che possano aver influenzato l'autore di Efesini. In Gal. 3,27; Col. 2,u s. la metafora è connessa al battesimo. ' Tale nesso è presente qui? 2 È senz'altro assente nell'uso profano e veterotestamentario e nei casi neotesta mentari in cui si parla dell'aldilà. È difficile ravvisarlo anche quando la me tafora è applicata al rivestire o svestire virtù e vizi o un'armatura. Essa non ha dunque una connessione automatica con il battesimo e ciascuna occor renza dev'essere esaminata singolarmente per stabilirne l'eventuale presen za. In 4,22-24 si può addurre a sostegno l'espressione . Questo giudizio concorda con la teoria secondo cui l'autore di Efesini e l'autòre di Colossesi appartenevano alla medesima scuola paolina e ne hanno usato le immagini in modi diversi. Holtzmann, 52·54, riteneva che in questo punto Colossesi dipen desse da Efesini. Se il rivestirsi e svestirsi in Ef. 4,22-24 rimandasse a un atto che ha avuto luogo nel battesimo, il v. 24 seguirebbe immediatamente il v. 22 (Haupt). Può essere ovviamente vero che in passato vi era stato un insegnamento (v. 1 P. Bradshaw, The Search for the Origins of Christian Worship, London 1 992, . p , sulle orme di R. Scroggs - K.L. Groff, The Flight of the Naked Young Man (Mark 14:5 1-z.): CBQ 41 ( 1 979) 4 1 2-4 18, individua negli episodi di Mc. 14,p s. e 1 6,5 un sostegno a favore dell'allusione battesimale. Questi passi marciani sono notoriamente di difficile interpretazione. M.D. Hooker, The Gospel according to St Mark, London 1 99 1 , 5 5 2, parlando di 14,5 1 s. asserisce che tali versetti sono un •enigma totale•; cf. Best, Mark. The Gospel as Story, Edinburgh 1 9 8 3 , 26 s. z.. Così jervell, 236 ss.
497 2.1) relativo al deporre e rivestire, impartito probabilmente al tempo del bat tesimo e della conversione. 1 Emergono difficoltà anche nell'esposizione di Colossesi, dove in 3,8 si esortano i credenti a deporre svariati vizi e in 3,12 a rivestire diverse virtù, in 3 ,9 si dice loro che hanno svestito la persona vec chia e in 3 , 1 0 che hanno rivestito la nuova. Ma sono i vizi a rendere vec chia la persona vecchia e le virtù a rendere nuova la persona nuova. Il de porre la vecchia e il rivestire la nuova dev'essere pertanto un processo gra duale, che avviene tramite un rinnovamento. Il v. 23 consente all'autore di evitare le difficoltà antologiche di Colossesi e di concentrare la propria at tenzione sul procedimento etico concreto. Egli s'era peraltro avvicinato a un'asserzione antologica in 2, 1 5, ove ciascun credente è definito «persona nuova >> . Il rapporto fra 2, 1 5 e il presente passo consiste nel fatto che il credente può soltanto svestirsi della persona vecchia perché in un certo sen so è già stato trasformato in persona nuova. Gli infiniti aoristi non sono in conflitto con questa lettura in quanto indiéhereb bero un'azione momentanea nel passato: infinito, imperativo e congiuntivo ao risto non comportano le stesse signifìcazioni temporali di indicativo e partici pio.1 Forme indefinite dell'aoristo si trovano in Rom. 1 3 , I 2. J4; Ef. 3 , 1 6. 1 7; 6, n, e non implicano un richiamo diretto né al passato,3 né al battesimo. Gli aoristi di Ef. 4,2.2.24, perciò, non rinviano necessariamente al battesimo. Ef. 4,2. 3 reca tuttavia un infinito presente: si sta forse operando una distinzione intenzionale? Mutamenti analoghi di tempo tra aoristo e presente ricorrono in altre sequenze verbali (cf. Mc. 8,34; Mt. 1 6,24; 6,2.5-34; Le. 9,23; 2 Tim. 4,5; r Pt. 2,1 7), in cui sarebbe naturale attendersi una coerenza interna. Talora si è ricondotta l'origine dell'impiego della metafora del vestire al modo in cui i credenti si spogliano prima del battesimo e dopo il battesimo indossano abiti nuovi. 4 Questa usanza - il cambio degli abiti vecchi in nuo vi, non il togliersi i vestiti per indossare di nuovo gli stessi - non si può far risalire a un periodo antecedente al n secolo inoltrato. In ogni caso non c'è 1 Bruce aggira invero questa difficoltà palmare presumendo che l'autore scriva a nuovi cristiani al tempo del loro battesimo. Mancano però prove sufficienti che Efesini sia rivolta a cristiani appena battezzati. 1 Sull'aoristo v. Burton, SS 3 5 ss. 98; Robertson, 8 2 1 -9 1 0; BDR, SS 3 3 2. 3 3 5-3 37; F. Stagg, The Absurd Aorist: JBL 9 1 ( 1 972) 222-23 r; K.L. McKay, On the Perfea and Other Aspects in New Testa ment Greek: NT 23 ( 1 98 1 ) 2.89-3 29; Id., Time and Aspect in New Testament Greek: NT 34 ( 1 992.) 109-228; Fanning, 3 5 9-3 64; Porter, 3 2. 1 -40 1 . J Fanning, 3 6 1 , l i definisce aoristi • ingressivi • i n quanto indicano una rottura effettiva col passato e l'inizio di una nuova vita. Tali inizi necessitano di essere ripetuti poiché il cristiano •deve lasciare progressivamente dietro a sé aspetti della 'vita vecchia' e aspirare nuovamente alle sole cose degne della vita nuova in Cristo • . Questa è più una descrizione che una spiegazione del motivo per cui sono stati usati gli aoristi. 4 Cf. W.A. Meeks, The Image of the Androgyne. Some Uses of a Symbol in Early Christianity: HR I } ( 1974) 1 65-208: 1 83 - 1 89.
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bisogno di ricorrere a una siffatta teoria, poiché la metafora era ben nota nel mondo antico. Visto il modo in cui l'autore di Efesini ha abbinato la persona vecchia e la nuova, occorre rimandare la trattazione sulla natura della persona vec· chia fino a quando le si potrà considerare unitamente al v. 24. Qui, al v. 22, vi sono due espressioni qualificative. Pure ammesso che la metafora sia sta ta mutuata dalla tradizione catechetica, poteva non essere compresa appie no da tutti i lettori di Efesini e richiedeva qualche supplemento. La prima locuzione ricollega la persona vecchia al suo stile di vita precristiano: xa't!Ì (qui quasi equivalente al genitivo; Zerwick, § 1 3 0) 't�v 7tpo'tÉpav ( ; non più il primo di due, benché qui di fatto si considerino solo due elementi; BDR, § 62 n. 1 ; Robertson, 280. 662) &:vaa'tpocp�v (per la radice v. a 2,3 ). Il primo stile di vita è già stato descritto ai vv. 1 7- 1 9 (cf. 2,1 s.) e si possono ricavare molti altri dati al riguardo dal resto della lettera, in quanto un determinato comportamento non è più considerato conveniente ai credenti. La seconda espressione ritrae la persona vecchia come coinvol ta in un processo di corruzione - cp-Be:tpo[J-e:vov (participio presente) - a ope ra dei desideri 1 della carne. l ! tempo presente indica un processo continuo, dalla qual cosa consegue che l' non è un difetto ereditato, bensì qualcosa che i credenti si creano da sé. Poiché in 2, 1 nella loro con dizione precristiana essi erano considerati morti nel peccato, è possibile che qui affiori un'incoerenza, che nasce forse dall'uso da parte dell'autore di filoni diversi della tradizione: in questo stadio del cristianesimo non tut to è stato interamente ripensato. Se 2, 1 presentava una morte escatologica compiuta, 4,22 presenta una morte escatologica nel suo compiersi. La cor ruzione di cui si parla qui non è evidentemente una distruzione della perso na vecchia, ma ne indica invece il grado crescente di realtà. Ciò conduce ine vitabilmente alla corruzione completa nella morte, e non semplicemente al la morte fisica, bensì a quella eterna. La corruzione ha luogo a opera di de sideri ingannevoli. &:mi'tlJç (v. Spicq, 1, u 6- u 8 ) è un genitivo di definizio· ne o genitivo aggettivale, forse un semitismo (cf. MH, 485; Moule, 174· 1 76). Questa interpretazione è preferibile a quella di chi lo considera sog gettivo, così l'inganno: l'inganno non produce desideri; sono i desideri che possono ingannare. Le È7tt-8v(J-tett riprovevoli (per il ter mine v. a 2,3 ) sono seducenti (cf. Rom. 7,u ), ma alla fine non fanno che ingannare e non riescono a procurare quel che promettono, come Adamo ed Eva constatarono nell'Eden ( Gen. 3 , 1 ss.; cf. Van Roon). In 2,3 i deside ri erano considerati peccaminosi e legati alla carne. In quanto tali, non pos sono fare altro che portare corruzione e la distruzione definitiva. 1 Il singolare, È1tt-8utJ.t> è parola am bigua. Se si pone l'accento su àvtX-, può indicare la restaurazione di una con dizione precedente (cf. Est. 3 , 1 3 b; r Macc. 1 2, 10; 14, 1 8.22), ma nel greco ellenistico i preverbi sovente non avevano altra funzione che quella di in tensificare il significato della radice verbale. È improbabile che qui si vo glia intendere una restaurazione, giacché mai altrove l'autore presenta la re stituzione dei gentili a una condizione di cui avrebbero goduto un tempo e che hanno perduto. Il nuovo essere di cui si parla al v. 24 non è equiparato né al primo né al secondo Adamo. I gentili non si sono mai trovati in una condizione paradisiaca, ma sono sempre stati estranei alla misericordia pro fusa da Dio nella sanzione del patto. Del pari, rinnovamento non significa ringiovanimento (con trattamenti a base di ghiandole di scimmie o di ormo1
v.
Mentre il greco anteriore distingueva fra xtXt..6c; e véoç, la differenza era sparita al tempo di Efesini; R.A. Harrisville, The Concept of Newness in the New Testament: JBL 91 ( 1 972) 222-23 1 .
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ni?), come propongono Barry e Foulkes, quasi che ora si possa dare un ap porto di energie giovanili nello svolgere il compito di rivestire l'essere nuovo. Qual è il ruolo del 7tv&u!J.CX nel rinnovamento? È stato interpretato o come Spirito santo, e inteso come dativo strumentale (Origene, Teofilatto, Ecu menio), oppure come spirito umano, 1 come la sfera nella quale ha luogo il rinnovamento. Giacché il termine può avere entrambi i significati, non ba sta contare le occorrenze e rilevare che altrove in Efesini o nel corpus pao lina un'accezione si presenta con maggiore frequenza dell'altra. Si può lan ciare in aria una moneta per sei volte e per sei volte può venire testa. La possibilità che venga testa alla settima è ancora una su due, come all'inizio della sequenza. A decidere il significato dev'essere il contesto, non il nume ro di occorrenze. Depongono per la menzione dello Spirito santo i seguenti elementi: a) si richiede una potenza in grado di determinare il rinnovamen to e sarebbe lo Spirito santo (cf. Tit. 3 , 5 ). Ma l'infinito potrebbe essere un passivo divino e Dio, quindi, colui che rinnova; b) poiché lo sfondo della metafora dello svestirsi e rivestirsi potrebbe essere il battesimo e lo Spirito viene dato ai credenti nel battesimo (ad es. I Cor. 1 2, 1 3 ; Atti 2,3 8), risulta appropriato un richiamo allo Spirito santo. Non è però affatto sicuro che l'autore di Efesini consideri il battesimo come sfondo della metafora in 4, 22-24; c) Masson suppone che egli abbia iniziato a scrivere , quindi, ricordando Rom. 1 2,2, abbia aggiunto «della vostra mente>>, dando così luogo all'ambiguità. È difficile giudicare la validità di un argomento siffatto. Queste le considerazioni a favore della menzione dello spirito umano: a) «lo spirito della vostra mente>> è espressione del tut to in sintonia con lo stile dell'autore di Efesini che ama accostare termini approssimativamente sinonirnici di cui uno al genitivo (cf. Percy, 1 86. 196); b) se si voleva intendere lo Spirito divino, il genitivo vo6c; sorprende. È dun que probabile che si alluda allo spirito urnano. 1 Si può discutere se l'autore di Efesini abbia operato una distinzione rigorosa tra questo spirito e il voUç. Entrambi rinviano alla persona interiore piuttosto che a quella esteriore. Nelle epistole paoline chi non è ancora stato rigenerato può essere consi derato come una persona che ha uno «spirito>> , ancorché incapace di com prendere le cose di Dio ( I Cor. 2, 1 0- 1 6). Esso non è necessariamente cat tivo, anche se può agire in modo cattivo (2 Cor. 7, 1 ), come pure lo spirito dei credenti ( I Cor. 7,34). Dei credenti si asserisce di norma che possiedo no un 1tV&UIJ.CX (Rom. 8 , 1 6; Gal. 6, 1 8; I Tess. 5,23 ), tramite il quale rispon dono a Dio. Sono rinnovati in esso (in Col. 3 , 1 0 a essere rinnovata è la per1 La variante che reca èv prima del termine, seppure ben documentata (1)4� B 3 3 1 1 75 1739 1 8 8 1 pc), rappresenta probabilmente un tentativo d i risolvere i l problema. 1 V. E. Schweizer, in lWNT VI, 3 94-449; J.D.G. Dunn, in NIDNTI 111, 693-707; Stacey, 1 18-145; jewett, 1 67-100.
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sona nuova) come nella mente (per « mente» v. a 4, 17) da Dio, che opera attraverso il suo Spirito. In un certo senso lo spirito e la mente rappresen tano la componente della persona vecchia che permane nella nuova, benché siano stati mutati nel loro permanere. 24. Come lo svestirsi della persona vecchia era precisato mediante due espressioni, così anche il rivestire 1 la nuova (per la metafora v. al v. 22). La prima indica che la persona nuova è stata creata, x'tta.SÉv'tiX (cf. 2, 10 per il concetto applicato a persone). Dio è il vero soggetto logico di questo participio. L'aoristo indica il momento del battesimo/conversione. Dio, che un tempo creò nell'Eden ( Gen. 1,27), crea di nuovo ciò che è stato deterio rato dal peccato (4,17-19). Vari termini usati qui ricorrono anche in Col. 3,10, ma sono impiegati diversamente, e una parola, elxwv/ che in Colos sesi è importante, qui manca, talché non si ha alcun cenno diretto a qual cosa cui la persona nuova possa somigliare. XIX'ta potrebbe denotare (cf. 2 Cor. 7,9- 1 1 ) il modo della creazione - «creati nel modo in cui Dio crea » (cf. Ewald) -, ma ciò non fornisce alcuna informazione significativa: è difficile che Dio possa creare in una maniera che non sia divina. Più proba bilmente l'idea espressa qui è analoga a quella di Col. 3 , 1 0 (e di Gen. 1,26 s.), con il complemento introdotto dalla preposizione che significa (cf. I Pt. 1 , 1 5 ; Ebr. 8,5; v. Moule, 59; MHT, 268 ). Si tor nerà sull'argomento dopo aver esaminato la seconda espressione qualifica tiva. Questa si può ricollegare all'infinito direttamente o indirettamente per il tramite del participio. L'opzione per l'una o per l'altra possibilità non dovrebbe condizionare il significato. La locuzione presenta il risultato, o il risultato pensato, dell'atto creativo di Dio, non il modo della creazione. Òtxcuoauvl] e oatO'tl]c; e i loro aggettivi e avverbi corradicali sono usati insieme come definizione globale di una vita virtuosa 3 tanto nel greco profano quanto in quello giudaico (cf. intr. 2.4. 3 ) . Talora le due voci vengono distinte riferen do la prima al comportamento verso altri esseri umani e la seconda verso gli dei (Plat. Gorg. 5 07 a b; Resp. 10, 6 1 5 b; Leg. 2 66 3 b; los. Ant. 8,24 5 ), ma di norma non è così (Plat. Theaet. 1 76b). Anche se si potrebbe conservare tale distinzione, non è il caso di esserne indotti a considerare (con Calvino) i due termini come esemplificazione delle due tavole del decalogo. L'impiego di oat6'lJc; divenne molto più frequente nelle sezioni seriori dell'A.T., come si evince ,
' Ricompare come variante dell'infinito l'imperativo, qui attestato meglio rispetto a quello del v. 2.3: recano i.vòooa.> , che riepilogherebbe la condotta cristiana in modo più adeguato. La presenza dell'amore nei due grandi comandamenti (Mc. 1 2,29-3 1 ) mostra come esso copra l'intera atti vità umana e in Paolo è la virtù suprema ( r Cor. 1 3 , 1 3 ). Lo stesso autore di Efesini lo menziona sovente. Forse è stato l'uso profano della coppia di termini a indurre l'autore a preferirla qui. Se è così, se ne ricava un'intui zione interessante del suo atteggiamento nei confronti dei lettori: egli ri corre a una terminologia che li ponga in grado di coglierne bene il senso. Tali vocaboli sono inoltre sufficientemente generali perché il suo pubblico vi possa leggere il proprio ideale cristiano di comportamento. Collegando la coppia di parole direttamente alla nuova esistenza cristiana l'autore ha tracciato un profilo più etico della persona nuova di quanto non faccia l'au tore di Colossesi (cf. Wild, art. cit. ), e ciò gli consente di passare senz'altro alla sua parenesi particolareggiata (4,25-6,20). L'ultimo termine dell'espres sione, liÀTj.Sda.ç, è parallelo ad &7tcX'tTJç, alla fine del v. 22, e precisa entram bi i sostantivi precedenti. 2 È possibile ravvisare nella parola un significato pregnante, poiché l'evangelo è verità (cf. 1 , 1 3 ; 4,21 ; Col. 1 , 5 ) , e giustizia e santità sono fondate sull'evangelo; ma è più naturale intenderla come quaI Sull'uso della radice in Efesini v. Spicq, m, 1 2o-1 5 1 ; Reumann, Righteousness, 92 (S 1 67); Ziesler, Righteousness, 1 53 s. 2 La variante xal > rifletta la medesima anti tesi riscontrata nei testi di Qumran (ad es. I QS 4,2- I I ) . 1 In tal caso 't'ljc; li).l) ·9dl7.c; sarebbe un genitivo soggettivo: la giustizia e la santità che la verità produce (si vedano le osservazioni su li1ta't'l)c; del v. 22). Tale lettura peral tro dà troppa rilevanza alla verità come agente ed è dubbio che lettori gre ci potessero facilmente comprendere la contrapposizione in questi termini. Le traduzioni di &v.Spw1toc; variano. Nella nostra lingua non è più possi bile la resa «uomo» nel senso di « maschio>> . «Essere>> e sono troppo astratti e abbracciano un ambito esistenziale più esteso di quello meramente umano. e in alcuna forma che la scinda dalle parole, dalle azioni e dai pensieri della persona concreta. Nel concepire la persona vecchia come quella peccaminosa e la nuova come quella giusta, si deve comunque badare a non asserire che l'una sia totalmente peccamino sa e l'altra totalmente giusta, cautela sulla quale tuttavia non è il caso di insistere eccessivamente, dacché in 4,17-19 l'autore è arrivato a dipingere un quadro così foseo del mondo dei gentili non cristiano e in 2, 1 a definire 1 J.R. Diaz, Palestinian Targum and New Testament: NT 6 ( 1 963 ) 75-80, propone per lo svestire e il rivestire un parallelo con il gesto di Dio che spoglia Adamo dell'abito glorioso anteriore alla caduta, ma appare troppo forzato perché i lettori di Efesini potessero coglierlo.
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i non credenti morti, al punto che potrebbe aver considerato la persona vecchia come persona del peccato e la nuova come persona della giustizia. Per quanto concerne la seconda, del resto, egli fornisce nel prosieguo indi cazioni minuziose sulla condotta che auspica nei suoi lettori, lasciando così inferire di non considerarli totalmente giusti. Per passare a un linguaggio più moderno e cercare di esprimere il significato di persona vecchia e per sona nuova, si potrebbe parlare di mentalità vecchia e mentalità nuova, o di stile di vita vecchio e stile di vita nuovo. L'autore di Efesini ha ora gettato le basi della propria posizione etica. I credenti sono persone nuove chiamate a vivere nella giustizia e nella santi tà. In 4 , 2 5 ss. esplicita tutto ciò in termini pratici in relazione al loro rap porto reciproco.
11 COMPORTATEVI IN MODO DA SALVAGUARDARE L'UNITÀ (4, 2 5 - 5 , 2 ) E.F. Klug (v. pericope precedente); M. Coune, L 'Épitre (Ep 4,23 -28). Revetir l'homme nouveau: AsSeign 74 ( 1 963 ) r 6-22; J. Gnilka, Paranetische Traditionen, 403-405; Hal ter, 2 5 6-269; G. Agnell, Work, Toil and Sustenance, Lund 1 976, 1 26- r p; F. Monta gnini, Echi di parenesi cultuale in Ef 4,25-3 2: RivBibl 3 7 ( 1 989) 2 5 7-282.
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2.6 2. 7 28
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Deponendo quindi la menzogna ciascuno dica la verità al prossimo poiché siamo membra gli uni degli altri. Se adirati, non peccate, non lasciate che il sole tramonti mentre siete ancora irritati e non date spazio al diavolo. Il ladro non rubi più ma piuttosto si affatichi lavorando onestamente con le proprie mani per il bene (comune) in modo da avere (qualcosa) da condividere col bisognoso. Non lasciate che dalla vostra bocca esca alcuna parola cattiva ma soltanto tutto ciò che è buono per edificare dove è necessario al fine di recare una benedizione a chi ascolta. E non contristate lo Spirito santo di Dio nel quale foste sigillati per il giorno della liberazione. Ogni forma di acrimonia e collera e ira e schiamazzo e oltraggio con ogni malizia. [sia bandita da voi Siate invece buoni gli uni verso gli altri, compassionevoli, perdonandovi [a vicenda proprio come Dio ha perdonato voi in Cristo. Siate dunque imitatori di Dio come (suoi) figli diletti e comportatevi amorevolmente, proprio come Cristo ha amato noi, e ha dato se stesso a nostro beneficio, ablazione e sacrificio di profumo soave a Dio.
L'autore di Efesini comincia ora a definire gli aspetti in cui la persona vec chia dovrebbe differire dalla nuova e che cosa comporti essere una persona
nuova, questo nel contesto dell'esigenza di conservare l'unità della comuni tà. Ha spiegato la teologia dell'unità; ora passa alla sua pratica. Gli impe
rativi fondamentali sono stati espressi in 4,2 s.22-24; enunciati imperativi minori li sostanziano ora nei particolari. I moniti e le esortazioni dell'auto re sono così generali, che è impossibile ricavarne un quadro della situazio-
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SALVAGUARDARE L'UNITÀ
ne dei lettori. Seppure di carattere generale, non sono tuttavia vaghi ma concreti, e sotto questo profilo differiscono dall'impostazione più teologica di 4,1 7-24. Qui e nelle pericopi successive l'autore di Efesini ha ripreso ma teriale etico che ha origine nel giudaismo, se non nel mondo secolare, e lo ha cristianizzato, di solito tramite la motivazione fornita. Le sue esortazio ni afferiscono alla vita interna della comunità (cf. 4,2), come viene imme diatamente chiarito in 4,25b, e non al comportamento dei cristiani verso i non cristiani. Si potrebbe dire che se la comunità deve avere un impatto evangelico sulle persone dintorno, i suoi membri dovrebbero unire i loro sforzi, ma l'autore non è interessato a questo aspetto della loro esistenza. S. Basevi, art. cit. {v. a 4, 1-6), lega il v. 2 5 a 4, 1 -24, tracciando una demarca zione importante dopo anziché prima del v. 2 5, dacché tale versetto prosegue la trattazione del tema della verità contenuto in 4 , 1 5 .21 .24. D'altro canto, il v. 25 espone con chiarezza la posizione che sta alla base di quanto segue per ché riguarda la condotta fra credenti e, in qualità di direttiva, fornisce lo sche ma per quelli dati in 4,26 ss. Se si accetta che il versetto 25 costituisca l'esordio della pericope, proba bilmente si dovrebbe ritenere che prosegua fino a 5,2 (cf. Schnackenburg), piuttosto che farla terminare con 4,3 2, come potrebbe consigliare l'oòv al l'inizio di 5 , 1 , particella che introduce sovente sezioni nuove. 5 , 1 e 5,2 non riproducono il medesimo schema delle direttive precedentemente esposte in 4,25-3 2, poiché non si aprono con proibizioni (Barth, 5 5 5 ). D'altro can to il yivtcr8t di 5 , 1 riprende lo stesso verbo in 4,3 2, la cui conclusione in troduce adeguatamente alle esortazioni a imitare Dio ( 5 , 1 ) e alla sottolinea tura dell'amore di Cristo ( 5 ,2), che costituisce qui una sorta di acme. Il con tenuto di 5,2b è quasi identico a quello di 4,3 2b, ma ha una conclusione formulata in termini più esplicitamente cristiani. Per finire, 5,3, che inizia con l'avversativa ÒÉ, introduce un argomento nuovo, l'immoralità sessuale. 4,25-5,2 esordisce con quattro brevi esortazioni concernenti la menzo gna { 2 5 ), l'ira ( 26 s. ), il furto (28) e il parlare impuro ( 29 ) . Benché menzo gna e ira si trovino associate nel Testamento di Dan (v. al v. 27), non c'è motivo di supporre che l'ordine in cui l'autore presenta queste quattro esor tazioni fosse tradizionale o che egli stia ampliando un breve elenco di vizi contenente questi quattro soggetti. Sarà stata piuttosto la sua esperienza con i convertiti gentili a metterlo in guardia verso i peccati in cui essi cade vano più facilmente. Può darsi che la menzogna compaia in principio per ché immediatamente prima si menzionava la «verità >> (4,24). Il tentativo di J .P. Sampley I di considerare le prescrizioni legate tra loro dalla presenza di uno sfondo veterotestamentario è fallito per assenza di prove (per un altro I Scripture and Tradition in the Community as seen in Ephesians 4:25ff: ST 26 ( 1 972.) 101-109.
tentativo di fornire una spiegazione che le connette l'una all'altra v. a 4, 3 2, alla fine). Il loro ordine non sembra seguire uno sviluppo logico, il che vale anche per il resto del materiale nella pericope. Non ci sono, come in Mc. 9,3 3-50, termini chiave di raccordo, più propri della tradizione orale che di quella scritta. Il nesso che tiene insieme le varie direttive è costituito dalla loro tematica comune: il modo di trattare i propri correligionari. Cia scuna delle quattro esortazioni è controbilanciata da una motivazione per cui astenersi da quanto viene vietato, con un movimento dal negativo al positivo analogo a quello di 4,1 7-24 dalla persona vecchia alla nuova. È forse eccessivo definire cristiane tutte le motivazioni: alcune provengono dal giudaismo e altre sarebbero potute uscire dalle labbra di qualunque mo ralista dell'antichità. Queste quattro esortazioni sono seguite da un moni to più generale (v. 30) rivolto ai lettori perché si guardino dal contravveni re alla posizione cristiana adottata allorché hanno iniziato a credere. Se guono due brevi sommari collegati, il primo (v. 3 1 ), negativo, consta di un elenco delle manifestazioni dell'ira; il secondo (v. 3 2a) è una breve lista di virtù. Anche qui viene aggiunta una motivazione, al v. 3 2b, ma stavolta è indubbiamente cristiana. La pericope si chiude con due esortazioni positive (5,1.2a), la prima strettamente connessa per il contenuto a 4,3 2, ed ambe due sono avvalorate da un promemoria di quanto Cristo ha fatto per i let tori ( 5,3 2b). Benché le esortazioni sembrino elementari, non è il caso di dedurne che i lettori sono divenuti cristiani solo di recente. È possibile che alcuni si fos sero convertiti la settimana prima e avessero ricevuto fino a quel momento un'istruzione catechetica assai scarna, ma altri potevano essere credenti da un periodo ben più lungo. I cristiani non sono mai liberi dal peccato e se provengono da un mondo tanto peccaminoso come quello raffigurato dal l'autore in 4, 1 7- 1 9, è indispensabile ricordare loro le regole elementari di comportamento. Non c'è mai stato nella chiesa un momento in cui non fos sero necessarie esortazioni , nel senso di beni materiali, il singolare potrebbe avere la stessa accezione. È quanto propone jotion, senza peraltro fornire alcuna prova per quest'uso del singolare. L'interpretazione è inoltre analoga a quella di b, che d'altro canto conferisce al termine un valore troppo pre gnante ed è a un tempo piuttosto restrittiva (Lincoln). c in ultima analisi diverge molto poco da a, che tuttavia è da preferirsi per il contrasto che si stabilisce con la condotta di vita precedente della persona in questione. I Prima di concludere con questo versetto, merita osservare che l'autore di Efesini non parla del furto finanziario, fornisce qualche prova che continua va a esservi fra i primi cristiani una condivisione dei beni, ma non ne testi monia d'altro tipo, come quella delle mogli, e inoltre non condanna posse dimenti o ricchezze in quanto negativi in sé. Nel contesto complessivo di povertà del mondo antico, non si occupa dell'assistenza ai credenti in ge nerale nei periodi di difficoltà. Vi sarà stato fra l'altro chi, diventando cri stiano, è stato cacciato di casa e ha perso ogni fonte di sostentamento, e que sto a prescindere dalla povertà del mondo antico. Sarebbe stata pertinente alla tematica delle sue disposizioni qualche notazione a tal proposito. Ciò considerato, non sorprende dunque che non abbia nulla da dire sulla carità verso i non credenti. Si potrebbe persino osservare che avrebbe potuto chiu dere un occhio sul peccato di furto, dal momento che chi guadagnava de naro per questa via avrebbe però potuto aiutare i poveri, ma egli sa che il furto è un male in sé, sicché non può incoraggiare un atteggiamento del rubare ai ricchi per dare ai poveri. L'autore di Efesini non si interessa al problema pratico di che cosa po tesse esserne del ladro e della sua famiglia quando non avesse più potuto sostentarla col furto e non fosse riuscito a trovare lavoro. Costui e i suoi familiari, anziché contribuire alle necessità finanziarie della comunità, sa rebbero diventati un salassa delle sue risorse, data l'assenza di qualsiasi programma assistenziale su cui le vittime dell'indigenza potessero contare. La situazione è pertanto molto diversa da quella del mondo occidentale odierno, provvisto di qualche forma di sussidio sociale per chi è senza laI W.D. Morris, Ephesians IV.z8: ExpT 41 ( 1 929-1 930) 237, congettura una corruzione antica del testo in cui in origine si sarebbe letto -ròv >, deve denotare un peccato sullo stesso piano della menzogna e del furto (Robinson). Le parole cattive non solo nuocciono a chi le pronuncia - e probabilmente l'autore di Efesini non sta pensando a questo aspetto, che costituirebbe una motivazione essenzialmente egoistica -, ma danneggiano la comunità nella quale sono proferite (Barry). Al con trario di ciò che edifica, il parlare male distrugge (Gnilka) e corrompe la co munità. Si tratta quindi di un parallelo metaforico al suo impiego relativo a vegetali o pesci in decomposizione, ma lascia aperte ampie possibilità: poiché il v. 25 riguardava la menzogna, può riferirsi al pettegolezzo offensi vo/ all'oscenità, alla pornografia, all'eresia (cf. 2 Tim. 2, I4), al cinismo, al •••
.•.
I Cf. C. Lindhagen, Die Wurzel aar.- im NT und AT: UUÀ 40 ( 1 9 50) z.7-69.
2 L'ingiuria ai danni dei membri della propria comunità era vietata in alcuni gruppi dell'epoca, come
quello che si richiamava a Zeus Hypsistos citato nell'introduzione, I0.3.z..
sarcasmo, o all'attribuzione di intenzioni malevole a chi fa il bene. L'elen co si presta a un'estensione illimitata. La bocca dei credenti dovrebbe pronunciare (nel v. 29b si deve conside rare sottinteso lo stesso verbo principale) soltanto parole buone, che serva no a edificare chi le ascolta. Il tenore del versetto lo rende riferibile a chiun que, ma l'uso di due termini come olxoÒo�J.� e xciptc;, impiegati di norma a proposito della condotta all'interno della comunità, insieme al contesto ge nerale, inducono a credere che l'autore di Efesini consideri le parole pro nunciate dentro la comunità (diversamente da Co/. 4,6). Se il senso fonda mentale è chiaro, non è così per tutti i particolari, segnatamente per lPdac; (cf. Sellin, I02 s. ). La difficoltà di interpretare il termine ha condotto alla variante 7tta'te:wc; (D* F G pc it vgcl ; Tert Cyp Ambst) e a varie spiegazioni sofisticate (Findlay: « un detto incisivo>>; Hofmann: > ), che tuttavia, alla luce del suo uso al v. 28, si dovrebbero respingere (Barth), per quanto il suo significato nei due versetti possa non essere precisamente identico. È probabile, ma per nulla sicuro, che il significato da attribuirgli sia quello di «necessità >> o «opportunità >> : l'edificazione dell'altro ha luogo quando c'è la necessità e/o l'opportunità di agire in tal senso (cf. NRSV, REB, NJB). I credenti si edificano a vicenda nel culto attraverso ciò che di cono o cantano ( 5, I 9; I Cor. J4,J - 5 . I 2.26), o più in generale nella vita quotidiana (Rom. I4,I9), in cui le loro parole possono essere tramite di grazia (v. 29C). ÒtÒovat lclptv puÒ essere utilizzato con valore generico nel senso di fare un favore a qualcuno (Eadie e Harless producono riscontri classici), ma alla luce dell'uso cristiano di xciptc; è preferibile restringerne il significato al parlare che apporta benefici spirituali (cf. Le. 4,22; Ecc/. ro, I 2). L'interpretazione secondo cui viene indicato un modo di parlare gradevole (Teofilatto) è da rigettare, benché forse Co/. 4,6 s'avvicini a que sto senso. li parlare piacevole, a quanto sembra, non ha suscitato grande interesse nei primi cristiani, e se l'autore ha conosciuto Paolo e il suo mo do di esprimersi (cf. 2 Cor. Io,Io; I Cor. 2,4), è improbabile che qui stia facendo un'affermazione di carattere estetico, il che vale a più forte ragio ne se l'autore è Paolo stesso. Se si parla di benefici spirituali, non si deve intendere un'accezione ristretta di « spirituale>> : saranno incluse parole di conforto pronunciate in un tempo di dolore, di incoraggiamento in un tempo di dubbio, di buoni consigli in un tempo di incertezza nell'azione. In queste e altre maniere le parole di un credente possono comunicare gra zia a chi le ascolta. Tali parole soccorrevo li non sono circoscritte al culto corporato o riservate a funzionari religiosi, sebbene questa restrizione pos sa essere presente in 4, I 2.
5 24
SALVAGUARDARE L'UNITÀ
Il versetto 1 si discosta dalle disposizioni dei vv. 25-29 tanto nella struttura quanto nel contenuto. Presenta solo una frase negativa (l'omis sione di !L� si riscontra esclusivamente in '.J) 4 6 e si può accantonare alla stregua probabilmente di mero errore), non controbilanciata da una posi tiva. La motivazione dell'azione è espressa in una proposizione relativa ed è assente l'aspetto sociale. Il versetto ricorda il v. 27 in quanto si propone come un'esortazione di carattere generale e sposta la motivazione dall'in teresse per il bene della comunità a un livello più profondo (cf. I Tess. 4, 8), benché ovviamente lo Spirito sia sempre lo Spirito presente nella comu nità ( I Cor. 3 , I 6) e in generale correlato alla condotta (ad es. Gal. 5, I 6 . 2 5 ) . Al suo livello più profondo il versetto può essere applicato a tutto il comportamento cristiano. Prima di esaminare il suo inserirsi nel contesto, occorre investigarne il contenuto. 30.
Fee, 7 I 2-7 I 7, scorge qui una dipendenza da Is. 63 ,Io, idea a un primo sguar do apparentemente giustificata, sennonché l'affinità riguarda il contenuto in relazione al TM, laddove la concordanza verbale con i LXX è molto meno pronunciata. Vi è altrettanta analogia lessicale con 2 Bacr. I 3 ,21, ma è difficile che sia questa la fonte. In generale l'autore di Efesini dipende dai LXX piutto sto che dal TM, pe·r quanto, se egli ritiene 4,8 basato sul salmo 68, ciò mostri che potrebbe ignorare sia i LXX sia il TM e dia adito all'evenienza, ancorché improbabile, che l'autore possa aver avuto accesso a un'altra traduzione e tra dizione. Se non ci possono essere dubbi che l'autore di Efesini conoscesse Isaia nella forma dei LXX (v. a 2,14· 1 7; 6, I 4 - I ?), non vi sono prove che avesse fa miliarità con il testo ebraico. E anche se qui l'avesse usato, è improbabile che i suoi lettori gentili se ne sarebbero resi conto.
Per indicare lo Spirito l'autore usa un'espressione insolitamente comple ta. «Spirito di Dio>> e « Spirito santo >> sono le forme normali, che qui sono combinate insieme (cf. I Tess. 4,8). È possibile che egli sia ricorso a questa espressione elaborata per sottolineare l'importanza di quanto stava dicen do,� sempre che non si tratti semplicemente di un altro esempio della sua magniloquenza. Menzioni analoghe dello Spirito si riscontrano nel giudai smo (Test. Iss. 4,4o; Test. Dan 4, 5 ) , benché non si possa avere certezza che non abbiano risentito dell'influenza del cristianesimo; e l'idea riaffiora in Herm. Mand. 1 0,2, I ss.; 3 , 2 ss. I due passi di CD 5 , I I s.; 7, 1 2, talora citati come paralleli, non risultano pertinenti dal momento che concerno no lo spirito umano. Lo Spirito inoltre è collegato spesso alla gioia e non al dolore o all'afflizione (Rom. I4, I 7; Gal. 5 ,22; I Tess. I ,6) e alla speran za (Rom. I 5 , I 3 ). 1 V. Adai, 78 ss., e Lemmer, 3 7 4 ss. � In seguito l'espressione fu considerata un agraphon; v. Resch, op. cit.,
13 4 s., nr. 92.
5 25 Si affaccia una questione supplementare: qui viene attribuito allo Spirito carat tere personale? Nel resto della lettera vi sono pochi altri elementi che aiutino a dare una risposta precisa. Verso la fine del 1 secolo i cristiani guardano sempre più allo Spirito santo come a una persona, ma non in modo coerente e unani me. Probabilmente l'autore di Efesini è sulla strada che porta ad accettarne il carattere personale, e il v. 30 riflette questa posizione, sebbene non si possa forse dire lo stesso per il passo quasi parallelo di I Tess. 5 , 1 9 . Se qui lo Spirito è considerato persona, si ha un antropomorfismo allorché si parla di contri starlo. ' Molto di quanto si dice su Dio non può essere espresso se non in ter mini antropomorfici, anche se infrange le categorie umane entro le quali ci si esprime. I peccati umani del passo in esame non offendono solo gli altri cre denti, bensì lo Spirito divino (Teofilatto) che dimora sia in noi sia in quei membri della comunità contro i quali abbiamo peccato. Lo Spirito santo ha sigillato e autenticato i credenti in occasione della lo ro conversione/battesimo. Per Èacppayicn9lJ'tE v. a r , r 3 · Èv significa che lo Spirito santo è l'agente, quantunque possa essere strumentale, con Dio co me soggetto effettivo. L'impressione del sigillo non è connessa esclusiva mente al battesimo (v. a r , r 3 ), ma riconduce all'inizio della vita cristiana come la « liberazione» al suo termine (Stott). Ora i credenti appartengono a Dio e questo (elç) fino al tempo, o in vista della lJ!J.Épa à7toÀu'tpwaewç (per il termine v. a r ,7). L'espressione (v. Lindemann, Aufhebung, 197 ss. 230 ss.; Lona, 423 s. ) è hapax legomenon. Il è impreciso. Esso implica se non altro la liberazione da quei peccati e da quelle potenze maligne che li hanno irretiti nel passato e che in parte continuano a farlo. Come si inserisce questo versetto nel suo contesto ? Potrebbe essere consi derato isolatamente. A partire quantomeno dall'epoca di Tertulliano (Mart. I ,5 J ) predicatori e scrittori lo hanno estrapolato dal contesto e applicato a qualunque peccato stessero di volta in volta stigmatizzando. Ma questa soluzione non convince. Il xai indica qualche nesso col contesto. Non c'è un legame preciso fra i vv. 3 0 e 3 I (per una presunta connessione v. Pela gio, Schlier) o fra il v. 3 0 e i vv. 3 I ss. Sarebbe altresì insolito addurre la mo tivazione prima del vizio o della virtù alla quale essa è riferita (Gaugler). È dunque meglio raccordarlo a quanto precede (Abbott, Belser, Schnacken burg, Salmond, Lincoln), e questo per i seguenti motivi: r . la presenza del xai introduttivo; 2. l'associazione frequente dello Spirito alla parola ( 5 , I 8 s.; 6, 1 7 ), che era l'argomento del v. 2 9 ; 3 · l a natura dei peccati dei vv . 2529, che sono quelli che vanificano l'azione dello Spirito nell'edificazione della chiesa. La considerazione al punto 2 ha scarsa pertinenza, poiché lo Spirito santo è associato tanto all'agire quanto al parlare; 7te:pmaniv, ter mine frequente in Efesini (4, I 7; 5 , 2 . 8 . I 5 ) , è collegato allo Spirito in Gal. 5 , I 6.22. Quanto al punto 3 , visto che si tratta dello Spirito che opera nella comunità, tutto ciò che corrompe la vita comunitaria rende vana l'azione dello Spirito. I due versetti successivi rientrano anch'essi in questa linea di ragionamento: i peccati del v. 3 1 ostacolano l'edificazione della comunità da parte dello Spirito, mentre le virtù del v. 3 2 favoriscono quest'opera. Il v. 30 dunque, come il v. 27, esprime un tipo diverso di motivazione della condotta cristiana, senza parlare direttamente del recar danno alla comu nità. Esso pone l'attività dei credenti in relazione a Dio. Se i vv. 2 5 - 29 si muovono lungo il binario della seconda tavola del decalogo, il v. 30 corri sponde alla prima. Pokorny sostiene che la stessa impostazione concettuale sta forse alla base di quest'enunciato secondo la formulazione data nei van-
geli riguardo al peccato contro lo Spirito (Mc. 3 ,28 s.; Le. u, ro). Dopo il v. 30 la forma delle disposizioni dettate in 4,25 -29 muta e quelle che se guono sono più varie. In questo senso il v. 30 rappresenta una cesura nella parenesi, creando un ponte di passaggio da un tipo agli altri (Lemmer, 375, lo definisce un versetto «perno >> ) e può gravitare su quanto precede come su quanto segue (Zerwick) . 3 1 . Questo versetto h a forma negativa; i l v. 3 2a positiva; i l v. 3 2b for nisce una motivazione. Si segue in tal modo lo schema dei vv. 25-28 (Lin coln), sebbene i vv. 3 1 . 3 2a differiscano notevolmente dalle parti negative e positive dei precedenti poiché non trattano vizi singoli in maniera distinta, ma più vizi e virtù contemporaneamente. È dunque possibile che la somi glianza sia puramente causale. Finora l'autore ha impartito ai suoi lettori una serie di esortazioni e moniti ed è psicologicamente accorto passare dal negativo al positivo e aggiungere una motivazione. Poiché l'esortazione in positivo del v. 3 2 è relativa al comportamento all'interno della comunità ( «gli uni gli altri » ), sarà così anche per quella in negativo del v. 3 1 , che ri sulterà in tal modo in armonia con il resto della pericope. Il v. 3 r si apre con una pentade di sostantivi, tutti afferenti alla sfera dell'ira, e si chiude con un vocabolo di senso più generalizzato per indicare il vizio. Soltanto il quarto termine nella serie di cinque non è necessariamen te peggiorativo: xpauy�, la voce che si alza nel grido, un urlo che può esse re di aiuto o di vittoria o di rabbia. Poiché il termine ha connotazione neu tra, è il contesto a determinarne il significato, qui relativo all'ira. Qual è l'origine di questa pentade di vizi ? Un elenco in Col. 3,8 contiene il secon do, il terzo e il quinto termine, insieme al sesto (fuori della serie di cinque) e ultimo sostantivo del v. 3 r . L'ultimo vizio nella pentade, la �ÀaaqrrJ(.L ta, corrisponde all' a 1 a'X,PoÀoyia di Col. 3,8, parola di significato consimile. Ciò indurrebbe a supporre che l'impulso a definire l'ira valendosi di una serie di termini provenga da Col. 3 , 8 o dalla scuola paolina, alla quale ap partenevano l'autore di Efesini e l'autore di Colossesi. D'altra pane, la definizione dell'ira con una sequenza di termini si trova anche nello stoici smo ( Chrysipp. fr. 3 9 5 ; cf. 3 94; 3 9 6 s., v. Arnim, m, 96,3 ss.; Sen. Ira r ,4; cf. Philo Ebr. 223 ) . Per il suo elenco dunque l'autore potrebbe essere debi tore direttamente o indirettamente dello stoicismo. Al v. 24 egli ha definito la virtù in termini ellenistici. Forse ha deliberatamente selezionato vocaboli noti quantomeno ai più colti tra i suoi lettori. Il primo sostantivo, mxpia ( 1taaa vale per tutti e cinque i nomi e ha una funzione generalizzante: « ogni forma di » ), non si trova in Col. 3 ,8 ma com pare negli elenchi di Crisippo e di Filone. Voce poco frequente nel N.T. (Atti 8,23; Rom. 3 , 1 4; Ebr. r 2, r 5 ), il suo uso, a prescindere dal v. 3 1 , de-
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riva dai LXX. La radice è talora impiegata in senso materiale (Giac. 3 , u ; Apoc. 8 , u ; ro,9. 10), m a anche i n relazione a l vizio (Giac. 3 , 1 4; Co/. 3, 1 9 ) e due volte al pentimento di Pietro dopo il rinnegamento di Gesù (Mt. 26,7 5 ; Le. 22,62). Nel versetto in esame il termine indica il sentimento di acrimonia e risentimento latenti da cui scaturisce l'ira. Il secondo e il terzo termine sono designazioni normali dell'ira, distinti l'uno dall'altro da alcuni moralisti nelle loro trattazioni dell'argomento ( Chrysipp. fr. 3 9 5 ; Diog. Laert. 7 , I I 3 s.; Sen. Ira 2,3 6) , ma spesso impie gati come sinonimi (Rom. 2,8; Apoc. 1 4 , 1 0; Sir. 4 8 , r o; I Clem. 5 0,4). En trambi i termini sono riferiti all'ira divina ( Gv. 3 , 3 6; Rom. r , r 8 ; Ef. 5,6; Apoc. 19, 1 5 ; Apoc. 14,ro. r9; I 5 , 1 .7) e umana (Mc. 3 , 5 ; I Tim. 2,8; Giac. I , I 9 s.; Le. 4,28; Atti 1 9,28; 2 Cor. 1 2,20; Gal. 5 , 20). È pertanto difficile sostenere che l'autore di Efesini vi abbia scorto una grande differenza. Il loro ordine è rovesciato rispetto a quello di Col. 3 ,8, ma non è detto che l'autore di Efesini si sia attenuto a un disposizione corrente. Col. 3,8 segue l'ordine di Crisippo e Filone; Ef. 4,3 r quello di Herm. Mand. 5 ,2,4, anche se Erma potrebbe essere stato influenzato da Efesini. La differenza nella se quenza tra Colossesi ed Efesini rientra in quel tipo di variazioni prevedibili in scrittori che attingono a un medesimo serbatoio di materiale. Se si devo no distinguere semanticamente i due termini, .Su(J-Oç indica l'accesso violen to, òpy� il ribollimento interiore. Insieme esprimono la condanna da parte dell'autore di tutte le forme di ira, repressa o sfrenata. Per l'insegnamento giudaico ed ellenistico sull'ira v. al v. 26. Se il primo sostantivo suggeriva il sentimento interiore che provoca l'ira espressa dal secondo e dal terzo, il quarto e il quinto riguardano la mani festazione esteriore della collera. Le persone adirate spesso alzano la voce. Il quinto termine è comune a Col. 3 , 8 e può indicare il parlare contro Dio (Mc. 14,64; Le. 5 , 2 1 ; Atti 6, u ) o contro esseri umani (Mc. 7, 22; I Cor. ro,3o; I Tim. 6,4; 2 Tim. 3 ,2; Tit. 3 ,2). Benché il v. 3 0, collegato all'idea del peccato contro lo Spirito santo, nonché alla logica che sta alla base di Mt. 25,3 1-46, possa indurre a ritenere che qui si avesse di mira la bestem mia contro lo Spirito, dal tenore generale della pericope si evince che l'au tore pensa anzitutto a un peccato contro gli altri membri della chiesa. Chi è adirato urla e lancia ingiurie all'indirizzo dell'oggetto della sua collera. C'è dunque un movimento continuo da una disposizione d'animo rancoro sa all'esternazione verbale oltraggiosa. L'interpretazione dei cinque termini come sequenza in crescendo (la me desima idea è espressa in modo affatto diverso in Test. Dan 4,2-4) risale almeno a Crisostomo e descrive quello che può accadere durante un litigio (Murray). Soltanto l'eliminazione dell'acrimonia può garantire l'assenza de gli altri vizi. Data la progressione continua e la concentrazione su un vizio
soltanto, è dubbio se sia appropriata per i cinque sostantivi la classificazio ne di catalogo di vizi (per questa «forma >> v. a 5 , 3 ) , poiché solitamente i cataloghi elencano una varietà di peccati. L'ira con tutte le sue ramificazio ni dev'essere dunque bandita dai lettori. L'autore di Efesini usa qui cztpe:tv (per l'aoristo v. a 4,22- 24; probabilmente non è un passivo divino), mentre Col. 3 , 8 ha à.7to"t'We:cn9czt, il verbo col quale l'autore di Efesini ha iniziato il brano (v. 2 5 ) . Se avesse copiato da Colossesi, non avrebbe avuto alcun bi sogno di sostituire un verbo da lui usato sia in 4,22 sia in 4,2 5 in relazione all'allontanarsi dal peccato. La sua variazione è probabilmente stilistica. Ancora: se stesse copiando Col. 3 , 8, non avrebbe bisogno di dare ai so stantivi il ruolo di soggetti del verbo. I punti di affinità tra Efesini e Co lossesi sono qui dovuti a un serbatoio comune di materiale piuttosto che all'impiego di un testo da parte dell'autore dell'altro. L'espressione conclusiva del versetto riepiloga, amplia (7tacrTl) e conclude la trattazione. xczxlcz è termine generico per cattiveria, ma ve ne sono altri ugualmente generali. L'autore ha preferito questo probabilmente perché può avere anche un'accezione più ristretta, come mostra il suo uso accanto ad altri vocaboli (Rom. 1 ,29 s.; I Cor. 5,8; Col. 3 , 8; Tit. 3 . 3 ; Giac. I , 2 I ; L Pt. 2, 1 ). In questo contesto si deve forse ritenere che porti avanti il motivo del potere distruttivo che scaturisce dall'acrimonia e si trasforma in ira. Il rruv di connessione equivale verisimilmente a xczt; cf. Kuhn: NTS 7 ( I 960I96 I ) 3 3 7· La resa «malizia >> è probabilmente la migliore. L'autore di Efesini aveva già messo in guardia dall'ira in 4,26 s. Perché qui ritorna sull'argomento? Non lo fa per nessuno degli altri peccati dei vv. 2.5-29. Forse perché l'ira ha maggiore impatto distruttivo sui buoni rap porti all'interno della comunità rispetto a tutti gli altri peccati, e sul biso gno di unità egli ha costantemente insistito ( 2, n ss.; 4, 1 ss. ); oppure per ché, in quanto oggetto ricorrente di trattazione da parte dei moralisti greci e non ignorata da quelli giudaici, non può essere affrontata superficial mente; o ancora perché l'autore - e si sa tanto poco della sua situazione concreta - è appena stato testimone nella sua comunità di un caso concre to della forza dirompente della collera. 32. Dopo il v. 3 1 , questo versetto riprende lo schema dei vv. 2 5 -30, con i credenti come soggetto degli imperativi. Diversamente dal v. 3 r , è di in
tonazione positiva. Dopo le avversative nei vv. 27.28.29, probabilmente qui si deve leggere ÒÉ (1)49 N A D 2 'F 3 3 1 7 3 9 mg 'lJl lat syh; Tert) anziché oùv (D* F G 1 1 75 b). 'l\46 B 0278 6 104 • 1 73 9 • 1 8 8 1 t vgm•; Cl non recano alcuna particella. È possibi le che ÒÉ sia stato considerato un'avversativa troppo forte e sia stato quindi modificato od omesso. La parziale connessione con la metafora del vestire nel
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v. 3 1 ora viene meno. Se il v. 3 r tratta va di un peccato, l'ira, che distrugge la vita della comunità cristiana, il v. 3 2 identifica alcune delle virtù che la fanno fiorire. Col. 3 , 1 2 s. contiene un elenco molto più lungo, ma ivi le virtù sono espresse in forma di sostantivi e non di aggettivi. Non sembra vi siano motivi per cui l'autore avrebbe dovuto sostituirli con aggettivi, se stava copiando Co lossesi. Anche la motivazione è formulata in modo lievemente diverso. Che le virtù auspicate riguardino soltanto la vita interna della comunità risulta del tutto evidente dalla notazione «gli uni gli altri >> . ylverr·Se non si deve tradurre né «mostratevi » né «diventate », benché questo secondo senso caratterizzi di fatto la sezione parenetica della lettera.
XP'l'Jrr'to . Sebbene in Co/. 3 , 1 3 vi siano varianti testuali, dal con testo si deduce che > indica Cristo e non Dio (le attestazioni del la lezione non sono solide). L'aoristo induce a ritenere che il mo mento del perdono sia quello della conversione/battesimo, benché possa anche essere quello della morte di Cristo. Cristo rientra nel quadro in Efe sini perché Dio ha perdonato > . xcx.Swç xcxi • (cf. 1 ,4; 4,4; 5,2.25. 29 ) è senz'altro causale (perdonate perché Dio ha perdonato voi; l'azione di Dio in Cristo è la base del comportamento cristiano) . Può avere anche un valore comparativo (perdonate come Dio perdona; questo elemento comparativo emerge più chiaramente in 5 , 1 ), anche se la presenza di > parrebbe invalidare il paragone. Cristo è introdotto qui in maniera ana loga a 2 Cor. 5,19; il perdono di Dio è connesso a quanto è accaduto in Cristo (cf. 1,7). I due aggettivi del v. 3 2a esprimevano qualità che si po tevano attribuire sia a Dio sia agli uomini; ora la condotta umana è diret tamente raccordata a quella divina. La parabola del servo spietato (Mt. 1 8, 23-3 5 ) insegna che chi ha goduto del perdono dovrebbe a sua volta perdo nare. Analogamente in Gv. 1 3 ,34; I Gv. 4,I 1 . 1 9 (cf. Test. Zab. 7,2) l'essere 1 Sui vari significati di xa..Sw� nel corpus paolino v. K. Romaniuk, De usu particulae xa.-8� in epistulis Paulinis: VD 43 ( 1 96 5 ) 7 1-82.
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amati da Dio dovrebbe indurre l'amato ad amare. Il fondamento dell'agire dei cristiani sta in ciò che Dio ha fatto per loro. Qui c'è tuttavia una diffe renza, riguardo al perdono umano e divino, rispetto alla preghiera del Pa drenostro (Mt. 6, 1 2. 1 4; Le. n ,4; cf. Mc. 1 1 ,25; Test. Zab. 8 , r ) , dove il perdono umano precede quello divino, anche se non ne è la condizione. Bontà, compassione e spirito di perdono sono essenziali per chi vive in una comunità (cf. r QS 2,24 s.). Si nota ancora una volta una limitazione (cf. v. 25), in quanto il perdo no è diretto esclusivamente verso gli altri membri della comunità. I cristia ni appartengono tuttavia anche ad altri gruppi e comunità e sono impe gnati con i loro membri in attività di carattere commerciale, industriale e ricreativo, e le qualità richieste qui dovrebbero essere operanti in questo genere di rapporti come all'interno della chiesa. Barth difende questa re strizione alla chiesa osservando come sia più facile perdonare il cattivo lontano come Gengis Khan, che non il fratello che vive al proprio fianco. Questo è vero, ma al cristiano capita di vivere accanto a pagani e di essere coinvolto in faccende di vario tipo con loro come con altri cristiani. Il ver setto in esame esplicita il nuovo comandamento di Cristo (Gv. 1 3 ,34) e non quello di amare il prossimo. Montagnini, art. cit., rilevando che le direttive sembrano indipendenti l'una dall'altra e disposte secondo un ordine non logico, afferma che lo sfondo per 4,25-32 è un'assemblea della comunità radunata per il culto, probabilmente un culto eucaristico. Visti in questa luce, i moniti risultano tra loro congruen ti. Il richiamo iniziale all'immagine delle membra e del corpo al v. 25 sarebbe adeguato a tale contesto. Menzogna o inganno (v. 2 5 ) nel giudaismo erano sovente associati all'idolatria (ad es. Ger. 3,23; 23 , 1 4; 2 Cron. 30,40 LXX) e il culto cristiano ( « la verità >> ) è il contrario dell'idolatria. D'altronde nulla nel brano fa pensare a una contrapposizione fra il culto cristiano e pagano o alla esistenza di un pericolo reale che l'idolatria venisse introdotta in assemblee cri stiane. Il termine , inoltre, sarebbe strano per indicare un altro fe dele, né si può dire che sia imposto all'autore di Efesini da Zacc. 8,r6, poiché egli non aveva alcun bisogno di ricorrere a quel testo. L'immagine delle mem bra del corpo si riferisce certo alla chiesa, ma era largamente nota e usata nel mondo antico. I cristiani erano membra gli uni degli altri non solo nel culto, ma continuavano a esserlo anche quando non erano raccolti in assemblea cul tuale, e non avrebbero limitato l'applicazione dell'immagine al tempo del cul to. Montagnini sostiene altresì che la funzione del culto cristiano è l'edificazio ne (v. 29 ) della comunità (v. r Cor. 14). È vero, ma l'edificazione trascende il contesto cultuale (Rom. 1 5,20; I Cor. 8 , r . ro; 10,23; I Tess. 5 , n ) . Egli osser va inoltre che ÀaÀEiv, sia qui sia al v. 2 5 , indica la piuttosto che il mero parlare (se ne veda ancora una volta l'uso in I Cor. 14) e (v. 29) trova nel culto la sua collocazione appropriata. L'utilizzo del plurale
533 «ascoltatori>> nel v. 29 induce a pensare alla comunità, ma è ter mine ovvio in un contesto in cui l'argomento è il parlare, e non implica di per sé un ascolto in comune. �Àacrcp lJ!J.tiX (v. 3 I ) si può riallacciare a I Cor. 12,3, e costituire un nesso ulteriore col battesimo, ma così come figura nella sequen za del v. 3 1 , è indirizzata non contro Dio, come in I Cor. I2,3, bensì contro altri credenti, talché introdurre un peccato contro Dio non è pertinente. Per al tri versetti è ancora più arduo l'inserimento entro uno sfondo liturgico, su tutti il v. 28, con il suo discorso sulla necessità di evitare il furto ma lavorare e dare ai bisognosi. Qui Montagnini si rifà a Giustino Martire (Apol. I ,67), ove si legge che i ricchi aiutano i poveri nel contesto del culto (cf. I Cor. I I,2o s.), ma la spiegazione proposta qui, e in quasi tutti i commenti, è molto più sem plice. Perché tutti gli altri, eccetto i ladri, risultano esenti dal dovere di condi videre ? (Questo argomento non vale per l'interpretazione normale secondo cui ogni enunciato inizia con un'ingiunzione negativa per passare a una positiva; ci sono bugiardi, ladri e persone colleriche in ogni comunità ). È difficile inoltre comprendere perché i moniti sull'ira (vv. 26 s.3 I ) debbano avere un posto pre ponderante all'interno di un'istruzione riguardante il culto. Le assemblee era no forse ambienti di particolare litigiosità? Essere buoni verso gli altri (v. 32) allo stesso modo in cui lo è Dio si conviene alla condotta morale generale mol to più che alla situazione cultuale. Perché poi il non lasciare che il sole tra monti sulla propria ira dovrebbe addirsi a un servizio cultuale ? sarebbe semmai for mulazione più appropriata. La direttiva è per giunta del tutto fuori luogo per assemblee cultuali che si tenevano di sera, come sembra fosse il caso di quelle di I Cor. I I - I 4, cui Montagnini si richiama così strettamente. L'analisi del v. 3 2 ha rivelato una serie di affinità e di differenze rispetto a Col. 3,I2 s. Esse sono motivate probabilmente dalla comune appartenenza sia dell'autore di Efesini sia dell'autore di Colossesi alla medesima scuola paolina, piuttosto che dalla dipendenza dell'uno dall'altro (cf. Best, Who used Whom?). Può darsi che xapt�e:n Éau-roi:ç xa-8wç xat b -Be:òc; ('X.flta-rÒç) \Jv.i:v fosse un detto di quella scuola, che ciascun autore ha modificato per adattarlo alle proprie esigenze. 5 , 1 . L'idea di 4.3 2b - perdonate come Dio perdona - viene ora estesa all'imitazione di Dio e nel v. 2 all' «amore>> . Ovviamente un'estensione nel senso dell'imitazione può essere soltanto parziale, poiché è impossibile imi tare Dio sotto ogni punto di vista. In quanto parte della sua creazione, gli esseri umani non possono né creare lui né crearsi gli uni gli altri. È soltan to in 5 , I che il Nuovo Testamento parla esplicitamente dell'imitazione di Dio, ma il tema ' compare nella letteratura immediatamente successiva alla 1 Per il tema e il suo sviluppo v. W. Michaelis, in TWNT rv, 661-678; H.J. Schoeps, Von der Imita fio Dei zur Nachfolge Christi, in Aus Friihchristlicher Zeit, Tiibingen 1 950, 286-301; D.M. Stanley,
•Become lmitators of Me». The Pauline Conception of Apostolic Tradition: Bib 40 ( 1 959) 8 5 9-877; W.P. de Boer, The lmitation of Pau/, Kampen 1 9 6 2, 1 -So; A. Schulz, Nachfo/gen und Nachahmen
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lettera agli Efesini (lgn. Eph. r , r ; Tra/l. 1 ,2; Diogn. 10,4-6; Iren. Haer. 3, 20,2). (J.t[J.e:ta-81Xt e i corradicali sono rari nei LXX e dove ricorrono indicano la co struzione di oggetti a somiglianza di altri oggetti (Sap. 9,8; 1 5 ,9; cf. Ez. 2 3,14 Aq.), o a una persona che imita la condotta di un'altra (4 Macc. 9,23 ; 1 3 ,9; cf. Sap. 4,2; Ez. 16,61 Aq.; lJ' 30,6 v.l.; cf. Test. Ben. 3,1; 4, 1 ). Non è necessario risalire all'origine del concetto nel mondo greco, dove era diffuso, con applica zione nella filosofia (il mondo materiale è imitazione del mondo ideale, l'uomo microcosmo del macrocosmo), nell'arte (la creazione artistica imita la realtà), nei misteri (l'esperienza dell'iniziato imita quella del dio). In breve, un modello di qualche tipo viene proposto all'imitazione, e ciò in molteplici forme. Per il v. 1 sono importanti quei passi ove si presenta una persona che imita o è esor tata a imitarne un'altra: 1. i figli a imitare i padri (Ps.-Isocr. Dem on . 1 1 ); 2. i governati a imitare i governanti (Xenoph. Cyrop. 8,1,21.24); 3 · gli scolari a imitare i maestri (Dio Chrys. Or. 5 5 ,4·5; Sen. Epist. 6,5-6); 4· si devono altresì imitare i buoni (Isocr. Nicocl. 3 8; Cypr. 61 ). Nel giudaismo si trovano paralle li alla maggior parte di questi motivi: 1 . I Macc. 2,5 1 ; Philo Sacr. 64; 3 · Philo Vit. Mos. 1,1 58; 4· Test. Ben. 3,1; 4, 1; 4 Macc. 9,23 ; Philo Spec. Leg. 4,83. Ps.-Phocyl. 77 esorta più astrattamente a non imitare il male. Filone rappre senta, se non il tramite dal mondo ellenistico al giudaismo, un esempio di co me il giudaismo poté adottare il tema. I In lui si riscontrano tanto l'aspetto fi losofico e cosmologico quanto quello personale (in aggiunta ai riscontri segna lati sopra v. anche Congr. 59; cf. Ios. Ant. 3 , 1 23 ; Test. As. 4,3 ; Ep. Arist. 1 88; 210; 28 1 ). Determinati fattori sono stati d'ostacolo a che l'idea dell'imitazione di Dio trovasse spazio presso i giudei: il peccato originale di Adamo ed Eva come desiderio di essere uguali a Dio, l'esistenza del peccato umano, il se condo comandamento che vieta di approntare alcuna raffigurazione di Dio, l'uso ellenistico dell'imitazione in relazione alla scultura. In effetti il con cetto dell'imitazione del Dio invisibile è paradossale. Di conseguenza, fu solo verso la fine del I secolo che l'idea cominciò a farsi strada nel giudai smo palestinese (Abba Shaul in Midrash Sifre a Lev. 1 9,2; Tg. ]er. I Lev. 22,28; v. SB, I, 472 s.). Nessuno di questi passi impediva l'accettazione della somiglianza con Dio nel tempo a venire (cf. I Cv. 3 ,2). C'è chi ha so stenuto che nell'A.T. si possano individuare idee equivalenti a quella del l'imitazione di Dio (così Michaelis, art. cit.; contro De Boer, op. cit., 3 3 ss.), come quando si parla di seguire Jahvé, di camminare lungo le sue vie, (SANT 6), Miinchen I 962, I99-2 5 1 ; H. Kosmala, Nachfolge und Nachahmung Gottes (n. /m judi· schen Denken): ASTI 3 ( I 964 ) 6s-uo; H.D. Betz, Nachfolge und Nachahmung ]esu Christi im Neu· en Testament (BHT 37), Tiibingen 1 967, 48- 1 3 6. I V. R.A. Wild, «Be Imitators of God». Discipleship in the Letter to the Ephesians, in F.F. Segovia (ed.), Discipleship in the New Testament, Philadelphia 1 9 8 5 , 1 27-1 4 3 ·
535 È idee che tuttavia comportano un atteggiamento di obbedienza. possibile in effetti che proprio la centralità del motivo dell'obbedienza umana nel l'A.T. sia stata essa stessa un ulteriore fattore d'ostacolo all'ingresso nel giudaismo del concetto di imitazione di Dio. Lev. 19,2 può all'apparenza costituirne un parallelo, con la sua implicazione che i giudei dovrebbero mostrare la stessa santità di Dio, ed è senz'altro questa l'interpretazione data al passo in I Pt. 1 , 1 5 s., ma nel Levitico il rapporto è causale piutto sto che comparativo. I Pt. 1 , 1 5 s. (cf. Le. 6,3 6 s.; Mt. 5 ,44-4 8; Cv. 17, 1 r . 2 1 ; Col. 3 , 1 3 , se significa Dio; I Cv. 4,1 1 ) lo intende in senso comparativo, mostrando in tal modo come l'idea sia penetrata precoce mente nel cristianesimo, benché Ef. 5 , 1 ne costituisca l'unica enunciazione esplicita. Paolo scrive dell'imitazione di Cristo (I Cor. r r , 1 ; I Tess. 1,6) e invita i suoi convertiti a imitare lui stesso ( I Cor. 4, 1 6; 1 1 ,1; I Tess. 1,6; 2 Tess. 3 ,7.9; Fil. 3 , 1 7; cf. Gal. 4, 1 2) e gli altri cristiani ( I Tess. 1,6; 2,14; 2 Tess. 3 ,7-9 ). Nessuna meraviglia quindi se l'autore di Efesini parla di imi tazione di Dio. Così facendo, va oltre Paolo, perché più aperto di lui al pen siero ellenistico (Emst). Col. 3 , 1 0 non si può considerare preparazione alle parole dell'autore di Efesini, poiché a fondamento di quel versetto sta non l'imitazione nel comportamento, bensì il racconto della creazione della Ge nesi. È questa una differenza ulteriore tra Efesini e Colossesi (v. a 4,23 s.). Se l'idea di comparazione era assente in 4,3 2b e forse anche in 5,2, è pa lesemente presente in 5 , r . In tal caso, quali tratti dell'azione di Dio i cre denti dovranno imitare (cf. Mackay, 207-2 1 1 ) ? Il contesto, insieme a 4,3 2 e 5,2, suggerisce la disponibilità al perdono e all'amore, che è una generaliz zazione del perdono. Benché l'asserzione di Filone in Spec. Leg. 4,73 possa apparire analoga, il motivo che egli adduce è tuttavia l'essere creati da Dio e non l'esserne amati. In 5 , 1 i credenti sono definiti figli diletti di Dio (cf. 1,5 ) . àya7tlJ'toc; è attribuito sia a cristiani come gruppi e come singoli (Rom. 1 ,7; r r ,28; I Tim. 6,2; Rom. 1 6,5.8; Ef. 6,2 1 ) sia a Cristo (Mc. 1 , r r ; 9,7). Qual è il significato di questo appello? I credenti dovranno imitare Dio per ché sono suoi figli (Bouwman), oppure alla maniera in cui i figli devono imitare un genitore (Crisostomo), o sono presenti entrambe le idee (Sal mond) ? Come si è visto, il motivo dell'imitazione era adottato nel mondo antico a proposito di padri e figli (cf. I Cor. 4, 14.1 6). È questa la ragione per cui l'autore di Efesini introduce qui l'appellativo di figli? A differenza di Mt. 5 ,48, nel passo in esame manca una menzione esplicita di Dio come Padre, tuttavia quella dei credenti quali figli di Dio è una tematica impor tante della teologia paolina (Rom. 8,14-21; Gal. 3 ,26; 4,6 s.; Fil. 2, 1 5 ) e compare in Ef. 1 , 5 . Probabilmente è stato quindi il tema dell'imitazione filiale a indurre qui alla definizione dei credenti come figli, ma sarebbe az zardato andare oltre e ravvisare in questa espressione un implicito invito al-
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l'obbedienza o a un'altra forma di dovere. L'accento è posto in primo luo go sull'agire analogo a quello di Dio nel perdono e nell'amore. Parlare di imitazione di Dio sembra in certo senso più arido che non parlare di imitazione di Cristo, in particolare se questa è intesa come . Ma l'imitazione di Gesù per Paolo non è l'imi tazione del comportamento nella vita quotidiana del Gesù storico, ma ri guarda piuttosto la sua incarnazione e morte (Fil. 2, 5-n; 2 Cor. 8,9: Rom. 1 5,3·7). Può darsi sia questo a consentire all'autore di Efesini di passare direttamente dall'imitazione di Dio all'invito ad amare come Cristo (v. 2), transizione forse ispirata anche in parte dalla presentazione di Gesù come immagine di Dio nell'inno di Colossesi ( 1 , I 5 ), inno probabilmente noto al l'interno della scuola paolina. È tramite Cristo che l'amore e il perdono di Dio sono conosciuti ed è sostanzialmente in essi che l'imitazione dovrebbe attuarsi. 2. Dacché sono i figli che Dio ama (v. I ), l'amore (xai ha quasi il senso di ) dovrebbe caratterizzare il comportamento dei credenti (per 7tE:pma'te:tv v. a 2,2; 4, 1 .23; l'imperativo presente significa probabilmente «continuate a comportarvi >>; v. MHT, 7 5 ) . Quantunque si possa ritenere che il richiamo all'amore in Efesini provenga da Col. 3 , 14, è tale la centra lità di questo aspetto nell'esistenza cristiana (cf. 3 , I 4- 19), che la sua intro duzione qui risulta perfettamente naturale e non serve andare alla ricer ca di un versetto preciso di Colossesi da cui potrebbe essere stata attinta. L'amore edifica il corpo di Cristo (4, I 5 s.) e dal contesto precedente si evin ce che l'autore ha costantemente di mira la comunità cristiana. Qui ci si sof ferma poco sulla natura dell'amore come in Mc. I 2,3 I (al contrario che in r Cor. 1 3 , I ss. ), anche se una descrizione parziale è offerta dalle asserzioni positive di 4,25 ss. Al v. I non era stato stabilito alcun nesso diretto tra l'amore di Dio e quello dei credenti, che ora è collegato all'amore di Cristo (per l'uso dell'articolo con Cristo v. a I , I o). Il suo amore è la motivazione suprema dell'amore umano (cf. I Gv. 3 , 1 6).' Come in 4,3 2, xa.Swc; xai > può essere causale (l'amore di Cristo come motivazione), o comparativo (l'amore di Cristo come esempio), o una commistione di entrambi. Come in 4,3 2, è difficile intenderlo in senso meramente comparativo, poiché l'amore di Cristo, o l'amore di Dio in Cristo, è unico, in quanto Cristo ha dato se stesso per tutti. Il nostro amore non può condurci a operare sote riologicamente come ha fatto lui, benché nella disponibilità a dimenticare noi stessi e a porre gli altri al primo posto si possa dire che il nostro amore è simile al suo. 1
Cf. Schulz, op. cit., 2.75-2.77.
2.
Cf. Romaniuk, art. cit.; v. a 4,3 2..
537 Per i due pronomi contenuti nel versetto la tradizione manoscritta presenta varianti fra la prima e la seconda persona plurale. Data la loro vicinanza in proposizioni di contenuto analogo, è probabile che si debba leggere la stessa persona in entrambi i casi. Per la prima occorrenza, le attestazioni sono in re lativo equilibrio: lJ(J.Iiç: 1) 46 N ' D F G 'Y 0278 3 3 1 7 3 9 1 8 8 1 c:Dl lat sy; CW Hier; Ù(J.Iiç: N • A B P 0 1 59 8 1 3 26 1 1 7 5 1 24 1 5 pc it co; Cl P1 MVict Ambst Spec. Tale equilibrio non c'è invece per la seconda occorrenza, dove la docu mentazione in favore di Ùj.l.wv (B 0278c I I 7 5 pc b m• co; MVict Ambst Spec) è molto più debole che per lJ(J.WV: 1) 46• 49 N A D G K P q· 0 1 59 3 3 8 1 it vg syP· h; Cl Or Ambst Chr Hier). Per questo motivo qui si opta per la prima plu rale in ambedue i casi, lezione che si accorda meglio con la formula analoga di 5,25, riferita alla chiesa. Se b 'X,Ptcr-rÒç lJ(J.WV deriva in tutto o in parte da una formula tradizionale del credo, ciò funge da argomento a sostegno di questa lezione, poiché tali formule sono di solito alla prima persona plurale ( I Pt. 3, r 8 fa eccezione). Questo varrebbe altresì se - ma la cosa è affatto improbabile - parte del v. 2 fosse la citazione di un inno. L'uso coerente della seconda plu rale nei versetti dintorno potrebbe aver indotto erroneamente gli scribi ad adot tarlo al v. 2. Vi è inoltre la possibilità di confusione derivata dalla dettatura (v. a 4,3 2). Sulle lezioni v. Metzger, ad loc. La variante Ù1tÈ:p lJ(J.WV Èv tp.Sop� per Ù(J.tV 7tpocrtpopav ha un appoggio testuale assai debole e può essere ignorata, come pure la variazione dell'ordine delle parole. ..•
Al v. 2b l'azione è attribuita a Cristo. 1 Di norma si dice che è Dio ad amare gli uomini ed è stato lui o un suo agente umano ad aver consegnato Cristo alla morte (Rom. 8,32) . In tutti i luoghi in cui Cristo è soggetto di
mxpcxòtòovcxt (Rom. 4,25; I Cor. u,23; Mc. 9,3 1 ; 10,3 3 ; 14,4 1 ecc. ) di so lito il verbo è passivo e il soggetto effettivo è Dio o un uomo. Ma qui, co me in 5,25; Gal. 2,20, Cristo è il soggetto vero e proprio, i verbi sono atti vi e in tutti questi esempi i tempi all'aoristo si riferiscono al Cristo storico. Qui a essere amati da lui sono i credenti, in 5,25 è la chiesa e in Gal. 2,20 è Paolo. Ciò costituisce un forte indizio dell'esistenza di una formula con solidata (l'ipotesi risale almeno a von Soden). Popkes, op. cit., 3 3 8-34 1, considera l'intera espressione prepaolina ma è possibile sia tale solo l'uso di 7tcxpcxòtòovcxt (cf. Kramer; Perrin; Wengst, 60-77). Nella scuola paolina, o quantomeno nel gruppo al suo interno cui apparteneva l'autore di Efesi ni, ciò che Paolo aveva detto specificamente di sé ( Gal. 2,20) era stato ge neralizzato ponendo tutti i credenti al suo livello, non già che Paolo voles se intendere di essere l'unico oggetto dell'azione redentrice di Cristo. Se 1 Sul v. 2.b v. Romaniuk, L'amour, 3 6-4 5; E. Lohse, Miirtyrer und Gottesknecht (FRLANT 64), Got ringen 11963; Kramer, §§ 2.5-2.7; W. Popkes, Christus Traditus (ATANT 49), Ziirich 1 9 67; N. Perrin, The Use of (ncxp.x)Ò1Òovou in Connection with the Passion ofJesus in the New Testament, in E. Lohse (ed.), Der Rufjesu und die Antwort der Gemeinde (Fs J. Jeremias), Gorringen 1970, 2.02.-2.1 2.; Wengst, Forme/n; N.A. Dahl, jesus in the Memory of the Early Church, Minneapolis 1 976, 3-9; Schenke, ] 3 1 -3 3 3 ·
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dunque si tratta di una formula in uso nella scuola paolina, è più facile ac cettare la lezione che reca la prima persona plurale. Come formula è pos sibile che in origine fosse connessa con il battesimo (cf. 5,25; Tit. 2, 1 3 ), ispirata com'è a ls. 5 3 . 1 Cristo ci ha amati , cf. 4,22}, e quella attuale nella luce ( « la persona nuova » , cf. 4,24}. Sebbene possa a prima vista sembrare di cogliere un nesso fra malcostume sessuale e oscu rità fisica, non è il caso di insistere su tale aspetto, poiché prostitute e aman ti sono ugualmente frequentate tanto alla luce del giorno quanto di notte. L'oscurità è morale più che fisica. I due temi sono tuttavia collegati tra lo ro mediante l'idea della partecipazione, nei vv. 7. 1 1 . Questa pericope dif ferisce dalla precedente perché i peccati di cui si tratta non sono censurati per il danno che possono arrecare ad altri membri della comunità e non sono riallacciati al modello dell'amore di Dio in Cristo. Sono invece consi derati alla luce del rapporto dei credenti con Dio. Poiché né il peccato ses suale né la cupidigia coinvolgono necessariamente altri membri della comu nità, essi esigono una prospettazione e una motivazione differenti. I vv. 3 - 5 mostrano una patente affinità con Col. 3 , 5 -7, e concettuale e linguistica, mentre i vv. 8-14 non hanno alcun collegamento con Colossesi. Poiché Col. 3 , 5-7 dipende probabilmente da un catalogo di vizi (cf. O'Brien, Lohse, Gnilka ecc.}, è impossibile provare che l'autore dipende qui da Co lossesi e non direttamente da quel catalogo. Oltre a impiegare materiale analogo a quello di Col. 3 , 5 -7, l'autore di Efesini si vale di una serie di ter mini e concetti tradizionali (regno, eredità, ira di Dio, contrasto fra luce e tenebra e fra nascosto e disvelato}, e conclude al v. 1 4 con un versetto trat to da un inno o un canto. Kirby, q8, sostiene che 4,25-5,5 sia basato sul la seconda tavola del decalogo. Anche se molti dei peccati menzionati in questi versetti possono essere correlati ai comandamenti, non figurano tut tavia nel medesimo ordine, senza che vi sia ragione apparente per cui l'au tore non avrebbe dovuto attenersi all'ordine del decalogo, tanto più che talvolta il legame è blando. Non vi è inoltre una transizione brusca al v. 6: per quanto chi parla ingannevolmente non appartenga, o non pretenda di appartenere, alla comunità, non è vero che a questo punto si passi - co me afferma Lindemann - a una considerazione del rapporto dei credenti con il mondo. Nei vv. 6 ss. non si legge alcuna indicazione sull'atteggia mento che i credenti dovrebbero assumere nei confronti del mondo, se non il mero rifiuto delle sue vie. Non si raccomanda loro né di evangelizzare gli increduli né di trattarli gentilmente o duramente. Tale mancanza di solleci tudine per il mondo esterno trova conferma nell'assenza nei vv. 3 - 5 di qua-
54 3 lunque commento sull'effetto esercitato dai credenti sulle prostitute e sulle amanti da loro frequentate né essi mostrano interesse di sorta per la rea zione delle vittime della loro avidità. L'autore di Efesini considera per con tro l'effetto esercitato dai peccati dei credenti sul loro rapporto con Dio: essi cesseranno di essergli grati (v. 4) e perderanno la loro posizione nella chiesa (vv. 5 s.). Quel che interessa all'autore è la purezza di vita dei cre denti, talché non sia fatto nulla di disdicevole che possa nuocere alla co munità. La bontà dei singoli credenti e quella di tutta la comunità sono in correlazione. I vv . 6 ss. riguardano il modo in cui Dio tratterà i credenti impuri e come la comunità dovrebbe trattare i credenti che peccano. In ul tima analisi non è una questione di disciplina formale, ma di parlare e vi vere in modo tale che i «peccatori » all'interno della comunità siano indotti a rivedere la propria condotta. 3 · ' I vv. 3 ·4 sono probabilmente da leggere come un unico periodo in cui i sostantivi del v. 4 dipendono dal verbo del v. 3 · Il cenno all'amore al v. 2 può aver richiamato alla mente dell'autore quanto amore illecito sia praticato nel mondo che i membri della comunità hanno abbandonato e che potrebbe ancora attrarli. Inoltre egli passa dal tema del sacrificio di sé toc cato in 5,2 al pericolo rappresentato dall'indulgenza verso se stessi (Stott).
Si è talvolta sostenuto che la presenza della serie di tre sostantivi in questo versetto, con gli altri tre al v. 4 e nel v. 5 gli aggettivi corradicali ai termini del v. 3, nonché della serie di tre virtù al v. 9 segnali che qui l'autore attinge a qualcuno dei cataloghi di vizi e virtù diffusi nel mondo antico.� La questione se l'uso di questa forma presso i primi cristiani fosse dovuta più all'influenza del giudaismo o dell'ellenismo è irrilevante, poiché al tempo di Efesini tale forma era già ben radicata nell'insegnamento morale cristiano. Per elenchi di vizi v. Mc. 7,21 s.; Rom. 1,29-3 1 ; 1 3 , 1 2; I Cor. 5,10 s.; 6,9 s.; 2 Cor. 1 2,20; Gal. 5,19-21; e per elenchi di virtù v. 2 Cor. 6,6 s.; Gal. 5,22 s.; Fil. 4,8. Non c'è alcuna documentazione dell'esistenza di elenchi di base di vizi e virtù da cui siano state operate selezioni per creare gli elenchi neotestamentari attuali. • Su questo versetto v. E. Peters, «Nec Nominatur in Verbis ... (Ef J,J): Revista de Cultura Biblica 3 ( 1 9 59) 3 9"43 · 1 Sulla forma del catalogo v . B.S. Easton, New Testament EthiCJJ I Lists: JBL p ( 1 932.) 1 - 1 2.; A . Vogt le, Die Tugend- und Lasterkataloge im Neuen Testament, Miinster 1 9 3 6; S. Wibbing, Die Tugend und Lasterkataloge im Neuen Testament (BZNW 2. 5 ), Berlin 1 959; G.E. Cannon, The Use of Tradi tional Materia/s in Colossians, Macon, Ga. 1 9 6 3 , 5 1-94; E. Kamlah, Die Form der katalogischen Pa ranese im Neuen Testament (WUNT 7), Tiibingen 1 964; J. Thomas, Formgesetze des Begriffs-Kata log im N. T.: TZ 2.4 ( 1 968) 1 5-2.8; E. Schweizer, Gottesgerechtigkeit und Lasterkataloge bei Paulus [inkl. Kol und Eph}, in J. Friedrich - W. Pohlmann - P. Stuhlmacher (edd.), Rechtfertigung (Fs E. Ka semann), Gottingen 1 976, 4 6 1 -477; Id., Traditional EthiCJJI Patterns in the Pauline and Post-Pauline Letters and their Development [Lists of Vices and House-tables], in E. Best - R. MeL. Wilson (edd.), Text and Interpretation (Fs M. Black), Cambridge 1 979, 1 9 5 -2.09; Berger, Formgeschichte, 148-1 54; Id., in ANRW, 1088-1092.. •
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Pare tuttavia possibile che gli elenchi di Ef. 5,3 . 5 siano tratti dalla lista più lunga che soggiace a quella di Co/. 3 , 5 , anziché rivelare una conoscenza diret ta di Colossesi da parte dell'autore di Efesini. Se ha attinto da elenchi preesi stenti, egli ha dissimulato la forma catalogica del materiale ricorrendo a parti celle connettive e alle funzioni generalizzanti di mxç. Gli elenchi dei vv. 4·9 paiono sua creazione e non sembra dipendano in alcun modo da altri, tanto più che quello del v. 9 non contiene tre virtù distinte, ma tre modi di rappre sentare l'etica cristiana nel suo complesso. L'uso degli elenchi dovrebbe risul tare più adeguato a una lettera di carattere generale come Efesini che a una destinata a una situazione particolare. Tutti gli elenchi di Efesini sono brevi: nessuno supera i tre elementi. L'autore ama le triadi ( 1 , 1 8 s.; 3 ,6; 4•:Z.·4·5·6. I J . 1 7 s. 1 9 . 3 2; 5 ·3 + 5 ·9 · 1 9, e si confrontino le tre sezioni del codice domestico). Le triadi sono comuni nella letteratura di tutte le culture e figurano abitual mente nelle favole. Se l'uso di liste nell'istruzione etica non fosse stato noto, probabilmente i brevi elenchi di Efesini sarebbero passati inosservati per quan to riguarda la loro forma. L'elenco più lungo presente nella lettera, 4,3 1, con cerne un unico vizio, l'ira, non una molteplicità, come accade in altri elenchi consimili, ragion per cui si esita qui a classificare le triadi di Efesini esempi della « forma >> del catalogo, e si preferisce considerarle piuttosto prodotto dei meccanismi mentali dell'autore. Ne dà conferma il suo impiego di particelle connettive. È possibile che la compilazione di elenchi sia un fenomeno umano generale. Tutti si è soliti approntare elenchi di cose da comprare quando si va a far la spesa o da mettere in valigia quando si parte per le vacanze. Se è vero che elenchi etici compaiono nel giudaismo e nell'ellenismo, nonché nelle cultu re da cui essi dipendono, non è mai stato dimostrato che non ricorrano in cul ture del tutto indipendenti. Fino a quel momento, l'altra spiegazione secondo cui si tratta semplicemente di uno dei modi di operare della mente umana non può essere confutata. È interessante che nessuno, almeno pare, abbia mai defi nito la triade di virtù di 1 Cor. 1 3 , 1 3 un . Due dei tre vizi menzionati in 4,19 sono ora riproposti e il terzo è sosti tuito da 7topvdll., che esplicita la connotazione sessuale di axll.-IJ!l.pcrtll.. Una triade analoga si trova in CD 4, 1 7 s. con la > in luogo di uno dei due rimandi al peccato sessuale_ I 7topvEtil. ha un ampio spettro di significati relativi al comportamento sessuale, che comprende fornicazione, adulterio, omosessualità, prostituzione, incesto, l. sicché è una resa troppo riduttiva. Di norma il contesto indica il valo re specifico, ma poiché qui non è di alcun aiuto, si deve ritenere che il ter mine abbracci tutti i tipi di malcostume sessuale visto secondo una pro spettiva giudaico-cristiana, non ellenistica. I giudei in effetti erano persuasi V. H. Kosmala, The Three Nets of Belial: ASTI 4 ( 1 9 6 5 ) 9 1 - 1 1 3 . V . B . Malina, Does Pomeia mean Fomication?: NT I 4 ( I 972.) IO-I7; J. Jenson, Does Pomeia mean Fomication? A Critique of Bruce Malina: NT 2.0 ( I 97 8 ) I 6 I - 1 84; F. Hauck - S. Schulz, in 1WNT v1, 579-5 9 5 · I
2.
54 5 che i gentili non fossero puri per quanto concerne il sesso (mA.Z. 2, I ), ma non tutte le indicazioni di matrice ellenistica a proposito del comporta mento sessuale erano libertine. In un culto di Filadelfia (v. Barton-Horsley) ai membri maschi del gruppo sono vietati i rapporti sessuali con donne sposate, siano esse schiave o libere, al di fuori delle loro mogli; sono altresì proibiti anche i rapporti con ragazzi e vergini. Più restrittivo il regime im posto alle donne sposate, cui erano vietate relazioni sessuali con chicches sia fuorché col marito. Agli uomini non era generalmente interdetta la fre quentazione di prostitute. Musonio Rufo fa eccezione ( I 2, Hense, 64,5-I 2). Anche se i giudei sprezzavano il comportamento sessuale dei gentili, nella loro letteratura sono talmente frequenti i rimproveri mossi ai giudei stessi in materia, che non potevano legittimamente assumere un atteggiamento bacchettone. Vari peccati sessuali sono stigmatizzati non soltanto nell'A.T., ma anche in scritti seriori (ad es. Sir. 2 3 , I 6-27; Test. Sim. 5,3; Test. Lev. 14,5; Test. Iud. 14,2 ss.; CD 4,I7.20; I QS 4,9 ss.; Philo Spec. Leg. 3,5 I ) . La 7topve:icx figura regolarmente nelle liste neotestamentarie di vizi (Mc. 7,2 1; Gal. 5 , I 9; Col. 3 , 5 ) . Paolo vi si è scagliato ripetutamente contro (Rom. I, 26 ss.; I Cor. 5,I; 6, I 3 ss.; 7,2; Io,8; 2 Cor. I 2,2I; Gal. 5 , I 9; I Tess. 4.3 ). Come in 4,I9, anche qui 1tliacx è unito ad à.xcx"!9cxpatcx (per il termine v. a 4, I9), sostantivo associato a 7topve:icx in 2 Cor. I 2,2I; Gal. 5 , I 9; I Tess. 4, 3.7; Col. 3 , 5 . L'autore della lettera agli Efesini ha dunque in mente il più ampio spettro possibile di malcostume sessuale (Lev. 1 8,6-30 contiene un lungo elenco di impurità sessuali ) . Data questa «temperie» sessuale, l'intro duzione (analoga a 4, I 9 ) del terzo termine, 7tÀe:ove:!;icx, appare sorprenden te (per il suo significato e le sue connessioni v. 4, I9). Esso è affiancato agli altri due termini in forma disgiuntiva (-1}; cf. Meyer, Macpherson), a indi care che non si tratta di un peccato dello stesso tipo. Al v. 5 è legato al l'idolatria. Non è pertanto il caso di ravvisare qui un riferimento a una bra mosia sessuale sfrenata (Lincoln) o a un appagamento dei sensi a scapito di altri (Westcott), benché avidità e malcostume sessuale si trovino insieme (cf. Test. Lev. 14,6; Test. Iud. 1 8,2; 1 QS 4,9- u; CD 4, I 7 s., nonché in va ri elenchi di vizi). Nessuna di queste considerazioni basta a provare che 7tÀe:ove:!;icx abbia connotazioni sessuali. Al più ci si può spingere a osservare che il benessere consente la dissolutezza sessuale. Ovviamente la cupidigia è sistematicamente condannata dai moralisti profani, ad es. Dio Chrys. Or. 17, 1 - 1 I . I tre peccati del v. 3 , menzionati qui come possibili peccati dei credenti, sono i più , mentre quelli più sottili come l'orgoglio non sono citati. Questi possono essere persino più disgreganti per una comuni tà, ma l'autore è forse consapevole di avere già trattato di peccati siffatti in 4,2 s. e ora non si sta occupando di ciò che interferisce con l'armonia della comunità. L'obiezione che non sono menzionati orgoglio e peccati si-
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mili, tuttavia, può sorgere da un atteggiamento teologico che pone l'orgo glio fra i peccati peggiori e lo considera base e artefice di altri. D'altronde è forse proprio perché l'autore di Efesini considera l'avidità un peccato che può essere fonte di altri peccati, visto che l'amore del denaro è la radice di ogni male ( I Tim. 6, Io), che egli qui vi si concentra. Questa idea era am piamente condivisa nel mondo antico (per riscontri si vedano i commenti a I Timoteo) ed è penetrata nel giudaismo e nel cristianesimo (Philo Spec. Leg. 4,65; Decal. 173; Vit. Mos. 2, 1 8 6; Ps.-Phocyl. 42; Polyc. Phil. 4, 1 ). Agli occhi dell'autore di Efesini dunque può darsi che la cupidigia non sia apparsa quale uno dei peccati più , ma come uno dal quale ne ger minano altri. Nessuno dei tre peccati dovrebbe essere neppure menzionato ((J- YjÒÈ: òvo (J-CX'çÉcr'!9w; cf. Robertson, u 7 3 ). Con ciò l'autore pone in chiaro con incisi vità ancora maggiore che peccati del genere non devono essere commessi (cf. Ps.-Isocr. Demon. 1 5 ). Il divieto di menzionarli è presumibilmente da intendersi applicato all'interno della comunità, il che sottolinea l'interesse dell'autore per la salute spirituale della comunità stessa piuttosto che per la sua reputazione tra gli esterni. È tuttavia impossibile che nella comunità si eviti di citare i peccati: lo ha già fatto l'autore e a ogni lettura ad alta voce della sua epistola sarebbe accaduto di nuovo. Paolo non avrebbe po tuto trattare dei pervertimenti sessuali della chiesa di Corinto (cf. I Cor. 5; 6) se non avesse avuto la possibilità di indicarli col loro nome. I Padri li ci tano di continuo, come del resto hanno fatto i predicatori lungo i secoli. Non si può mettere in guardia contro tali peccati senza nominarli. L'affer mazione non è pertanto da prendersi alla lettera., ed è forse sorta da una combinazione del cenno all'idolatria e dei passi veterotestamentari secon do i quali le false divinità non devono nemmeno essere menzionate (Es. 23, 1 3 ; Os. 2, 1 7; Zacc. 1 3 ,2), ma si tratta di un atteggiamento naturale, che ricorre anche tra gli scrittori profani (Hdt. 2, 1 3 8, 1 ), sicché è facile sia nato spontaneamente. Si può considerare tale idea come un'esagerazione o co me il rilievo che il parlare di questi peccati quando non è indispensabile non fa che concentrare su di essi l'attenzione: > (Crisostomo). Oggi si sostiene spesso che l'ostentazione di sesso e violen za in televisione incrementi a sua volta sesso e violenza. L'autore adduce ora una motivazione per cui non si devono menzionare o commettere questi peccati: xcx'!9wç 1tpÉ1tEt &ylotç, motivazione ribadita al v. 4 in altri termini: a oùx &.vljxEV (per il tempo del verbo v. Burton, § 32; BDR, § 3 8 8.2; MHT, 90; Robertson, 9 1 9 s. ). Il concetto è tratto dal pen siero stoico, ove indicava la condotta adeguata a vari tipi di persone in si tuazioni differenti. ' Dato che figura solo nelle parti seriori del N.T. (I 1
Cf. M . Pohlenz, Tò 7tpÉ'ltOv: Nachrichten von der Gesellschaft der Wissenschaften in Gottingen, Phi-
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Tim. 2, 10; Tit. 2, r ; cf. Barn. 4,9 ), doveva essere familiare ai lettori greci. Qui il tipo di persone che l'autore ha in mente è specificato da &ywt, dove l'assenza dell'articolo pone l'accento non sull'appartenenza a un gruppo, > . Poteva definire . Può avere perciò senso negativo, proba bilmente associato al sesso. fu certa misura qui i due peccati del linguaggio esplicitano il cenno più generale contenuto in 4,29. La condanna dei peccati di lingua è un motivo etico popolare (ad es. Sir. 28, 1 3 ss.; Giac. 3 , 1 ss. ). Se è corretto leggere � 1 V. P. W. van der Horst, ls Wittiness Unchristian? A Note on tirtpontEÀLa in Eph. V. 4, in Miscella nea Neotestamentica 11 (SupNT 48), Leiden 1978, r 6 J - I 77, da cui sono tratte le citazioni nel testo.
54 9 fra il secondo e il terzo sostantivo, & oùx &:vi)xev (per l'espressione v. al v. 3 ) gravita probabilmente solo su questi due. Il versetto si conclude in forma positiva. Se si deve parlare nella comuni tà, ciò che si dice non deve essere osceno, sconcio o empio, bensì pieno di gratitudine, il che costituisce una buona antitesi a quanto precede. Orige ne, seguito da Gerolamo e da molti altri, legge eùx.cxpt'ttcx per eùx.cxptcr'ttcx, o interpreta eùx.cxptcr'ttcx nel senso di eùx.cxpt'ttcx, sostenendo che il contrario del linguaggio sconveniente è il parlare gradevole o affabile. 1 Ma non ci sono ragioni valide né per emendare il termine, né per interpretare eùx.cx pta'ticx nel senso del parlare amabile. «Gratitudine>> crea un contrasto mol to più forte con i termini precedenti (cf. 1 QS 10,21-24) ed è il significato normale del vocabolo nel N.T. (cf. 5,20; r Tess. 5 , 1 8; Col. 2,7; 3 , 1 5 ), do ve le lettere di Paolo contengono di solito una sezione dedicata ai ringra ziamenti (cf. 1 , 1 6). È inoltre probabile che non ci sia un gioco di parole con eÙ'tpCX7tEÀtcx. A differenza degli altri sostantivi nel v. 4, questo non do vrebbe essere unito al verbo del v. 3 , ma integrato con èv U(.LtV ed tcr'tw o ytvécr.Sw (Belser). Il ringraziamento sarà rivolto a Dio, il che imprime una lieve svolta all'argomentazione. Da 4,25 in avanti i pericoli che potrebbero disgregare la vita comunitaria sono stati in primo piano e hanno fornito la motivazione per stare lontani dal peccato e volgersi al bene. Ora viene in trodotto Dio e, come si avrà modo di vedere, diventa una presenza sempre più sensibile nei vv. 5 ss. L'etica, non più posta esclusivamente in relazione con la necessità di buoni rapporti comunitari, viene dotata di una prospet tiva divina, con un ritorno all'esortazione di 4,1 7-24. La riconoscenza ver so Dio sarà espressa all'interno della comunità nel culto ( 5 , 20) e nella vita quotidiana ( 1 , 1 6 ss. ). Come il destinatario, così non viene menzionato esplicitamente neppure il contenuto del ringraziamento. Dal resto della let tera si ricava che è relativo a quanto Dio ha fatto per i membri della co munità scegliendoli, perdonando i loro peccati, risuscitandoli con Cristo e rendendoli persone nuove. Non la concupiscenza sessuale e la cupidigia, ma il rendimento di grazie è la risposta adeguata alla bontà di Dio ed è fondante dell'esistenza cristiana. 5· La triade di vizi del v. 3 viene ora ripresa con la menzione delle per sone che li commettono o li incarnano, invece della ripetizione dei vizi in sé, e alla motivazione viene aggiunta una minaccia. Forse l'autore di Efesi ni ha preferito parlare di persone piuttosto che di peccati perché era inte ressato non a mancanze occasionali nella condotta, bensì a coloro che so no soliti abbandonarsi al sesso illecito e all'avidità. , Cf. O. Casei, E.JxiXpta't'lot..WXIXpt't'lot: BZ 1 8 ( 1 92.8) 84 s.
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tan si può intendere o come indicativo o come imperativo. Alla luce degli im perativi frequenti da 4, I9 in avanti e nei versetti che seguono, è migliore la se conda interpretazione (malgrado Bruce), anche se il parallelo apparente di 1 Cor. 6,9 ha l'indicativo (Gal. 5,21 implica un imperativo). Questa è stata la lettura normale a partire almeno da Clem. Al. Paed. 3,29,1, GCS 2 5 3 ,9 . Asso ciato a tan è il participio ytvwaxovnç, due termini difficili da distinguere se manticamente, sebbene molti vi abbiano tentato (ad es. Murray, Westcott, Hendriksen). Se li si differenzia, 't"Ou't"o si fa problematico (Hugedé). Il partici pio rafforza l'imperativo (BDR, § 422 n. 3; MHT, I 5 6 s.), forse a imitazione dell'uso ebraico in cui l'infinito assoluto è impiegato per rafforzare il verbo corradicale. Qui i verbi, pur avendo lo stesso significato, non sono corradica li e, nonostante gli esempi di I B1Xa. 20,3 e Gen. 3 J, I 5 (cf. Ewald; Zerwick, § 6I; MH, 444), questa soluzione è improbabile. Porter cerca di risolvere la difficoltà considerando i vv. 3-5 come un chiasmo. I I vv. 3 e 5 potrebbero cer to costituire quasi nella loro interezza gli elementi corrispondenti del chiasmo rispettivamente A iniziale e A' finale, ma Porter è costretto a trasporre parte di A' per formare il suo B'. 't"OU't"O tan (C) e ytvwaxovnç O't"t (C') sono i compo nenti in equilibrio della sua sezione centrale. Conseguenza di questa soluzione è la perdita del richiamo al ringraziamento come punto culminante dei vv. 34· I due cenni a una condotta di natura conveniente, che dovrebbero senz'al tro controbilanciarsi, figurano nella medesima sezione (B). Non è dunque dato individuare qui un chiasmo riuscito. Una corruzione originaria del testo (Mas son) è possibile ma troppo difficile da dimostrare e non c'è ragione di porre un punto fermo fra i verbi e collegare il primo al v. 4 (così Hofmann; yap lo im pedisce) o di supporre un anacoluto (Haupt). Deve esserci una soluzione più semplice, e probabilmente è meglio considerare l'uso dei due verbi diversi co me un altro esempio dello stile pleroforico dell'autore di Efesini, che conferi sce rilievo enfatico alle sue parole. Per enumerare la triade di peccatori si ri corre alla forma idiomatica 1taç ... où, che, ancorché semitica, è accettabile pu re in greco (BDR, § 302 n. 2; MH, 22 s. 4 3 4; MHT, I96; Robertson, 7 5 3 ) e la cui funzione è sottolineare l'importanza delle proprie parole.
Con 8 Èa't"tv 1 (cf. BDR, § 1 3 2.2) l'autore aggiunge un rinvio all'idolatria alla triade che comprende quanti si comportano in modo scorretto (per i singoli vizi v. a 4,19; 5,3 ). Esso vale solo per il membro finale o per tutta la triade? Si potrebbe ritenere che 7taç e 8, non 8ç (Moule, I J O), racchiu dano i tre vizi in un'unità. Nella tradizione giudaica sono molte le attesta zioni che correlano sfrenatezza sessuale e idolatria (si pensi a Israele che si prostituisce con altri dei, cf. Apoc. 2,20). Peccato sessuale e avidità sono I S.E. Porter, tan yt..Waxovt!ç in Ephesians J,J. Does Chiasm solve a Problem?: ZNW 8 1 ( 1 990) 170-176. 2 La variante � èa-:-tv di A D 01.78 'Dl; Cl è palesemente una correzione del neutro in maschile appor· tata nell'intento di inserire meglio l'espressione nel contesto. Se la si accogliesse, sarebbe acclarato il rapporto dell'idolatria con la sola cupidigia.
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spesso esplicitamente connessi (Sap. 14, 1 2; Test. Rub. 4,6; Test. Iud. 23,1; Test. Ben. 10, 1 0). Nell'idea dei lettori di Efesini la prostituzione rituale po teva altresì instaurare un legame fra peccato sessuale e idolatria. Del resto nella tradizione giudaica esiste anche un nesso fra cupidigia e idolatria (Test. Iud. 19, 1 ). In Co/. 3,5, che potrebbe rappresentare il pensiero della scuola paolina e quindi dell'autore di Efesini, l'idolatria è correlata solo al la cupidigia. È inoltre più facile guardare al denaro e alle proprietà come a idoli (cf. Mt. 6,24; Le. 1 6, 1 3 ), poiché si tratta di «cose>> . Il sesso o il desi derio sessuale non sono in sé una «cosa >> e non possono essere oggetto di venerazione, anche se possono esserlo determinati personaggi, considerati , Pure questi, tuttavia, non sono qualcosa che permane co me il denaro e le proprietà, ma cambiano costantemente. La concupiscenza sessuale può essere continua, ma non la persona che ne è oggetto. È meglio dunque associare l'idolatria solo all'avidità. Agli occhi dei giudei l'idola tria costituiva la forma più letale di allontanamento dalla via vera e sor prende constatare come qui sia introdotta soltanto in una proposizione su bordinata. Può darsi che l'autore non la consideri una tentazione diretta per i suoi lettori, ma se ne serva piuttosto per sottolineare la serietà di quelli che essi potrebbero considerare peccati minori, o forse omette di ci tarlo direttamente perché non è un peccato commesso tra i membri della chiesa bensì contro Dio. Molti commentatori dicono che peccato sessuale e cupidigia sono i peccati principali del mondo pagano, sostenendo che sia questo il motivo per cui l'autore vi attira l'attenzione. Ma non c'erano pec cati più seri? Che dire dell'orgoglio e dell'assenza di fede, speranza e amo re? Non sono forse più distruttivi per la vita comunitaria del sesso e della cupidigia ? Può darsi che l'autore stia considerando solo i peccati manifesti, tentazione questa nella quale i predicatori cadono da sempre. Origene con trappone la minaccia espressa contro queste tre categorie di peccatori al l'assenza di minaccia contro chi pecca nelle direzioni indicate al v. 4· Se l'autore pensava a una simile antitesi, avrebbe costituito così una gerarchia di peccati (cf. I Cv. 5 , 1 6 s. ). Tutto ciò solleva la questione se egli abbia veramente compreso la natura del peccato. L'assenza di amore e la presen za dell'orgoglio senza dubbio escluderebbero dal regno più rapidamente. I tre tipi di peccatori menzionati qui non hanno e non possono avere (Ellicott) alcuna eredità (per il termine v. a 1 , I I . J4. 1 8 ) nel regno, monito che potrebbe aver fatto parte dell'istruzione catechetica (così Dahl; cf. Gal. 5,19-2 1 ; I Cor. 6,9 s.). Il tempo presente di É"X,Et (per il singolare v. BDR, § 1 3 5 .4; Robertson, 405 s.) è coerente con l'escatologia realizzata dell'au tore di Efesini e indica che i credenti sono già entrati in possesso della loro eredità, così come sono già stati risuscitati con Cristo e siedono con lui nei cieli ( 2,6). Ma su questo punto non è il caso di insistere eccessivamente,
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poiché per sua natura l'eredità è qualcosa che può appartenere solo al fu turo. Forse ci si trova dunque di fronte a un altro aspetto della tensione fra soteriologia realizzata e soteriologia futura, rilevata altrove in Efesini (cf. intr. 6-4-4-7). L'avvertimento del castigo divino contro chi compie il male non è esclusivo appannaggio del cristianesimo, anche se altrove troverà espressioni religiose differenti. Ai membri del culto di Filadelfia (v. Barton Horsley) si ricordava che gli dei non tolleravano i trasgressori. «Il regno di Dio» è un'espressione frequente nel N.T. mentre non si può dire altrettanto per , che si incontra soltanto in scritti seriori (2 Tim. 4, 1 . I 8; 2 Pt. I , I I ); Co/. I , I 3 usa una locuzione grosso modo analoga, , il che potrebbe suggerire che l'idea di un regno associato a Cristo fosse un concetto tipico della scuola paolina. La fonte dell'idea è forse nello stesso Paolo, poiché in I Cor. I 5, 24 scrive che Cristo consegna un regno a Dio. In ogni caso, l'espressione completa è unica. Il suo equivalente più vicino è Apoc. I I, I 5 per quanto, come si è detto, le origini dell'idea siano forse in I Cor. I 5,24. Ovviamente il regno di Cristo non è la chiesa. Per la presenza dell'articolo con Cristo v. a I, Io. Qui non è eccezionale, poi ché il sostantivo che lo regge ha l'articolo. fhou è privo di articolo, ma è nor male con questo termine (MHT, 174; BDR, § 254. 1 ); inoltre l'articolo è rego larmente omesso nell'espressione > ( «figli della disobbedien za >> ), usando la medesima espressione di 2,2 (per la forma v. ad loc. ). lvi l'aveva applicata ai gentili che erano fuori della chiesa e soggetti alle po tenze del male; costoro avrebbero certo sperimentato l'ira di Dio. Qui l'au tore ha in mente gli stessi referenti? è un'espressione ge nerica e non un epiteto fisso dei gentili. Si presta dunque a impieghi diffe renti a seconda delle occasioni. Anche se con l'espressione l'autore intende va i , è un fatto che i credenti, nell'attaccare altri credenti in meri to alle loro credenze o al loro comportamento, li hanno regolarmente eti chettati con termini che di norma avrebbero attribuito agli increduli, allo scopo di sottolinearne la depravazione. I giudei, che ritenevano i gentili ciechi, assegnavano la stessa caratteristica a correligionari giudei, e analo gamente definivano sia i gentili sia altri giudei persone indurite o cocciute (per riscontri v. a 4, r 8 ). 4,25-5,5 ha mostrato che l'autore prevedeva la possibilità che i cristiani potessero peccare; essi non erano divenuti perfetti al momento della conversione/battesimo. Alcune delle pratiche e delle cre denze del mondo pagano continuavano evidentemente a essere presenti nel la chiesa ed erano tanto più pericolose se le argomentazioni a loro soste gno provenivano dall'interno della comunità. 5,6- r 4 non ha accenti mis sionari chiari e il v. 6 si spiega altrettanto bene partendo dall'idea che la comunità sia traviata da qualcuno al suo interno come da persone esterne. Se il suo sfondo è costituito da materiale catechetico inerente al battesimo, come ritengono molti commentatori, è difficile immaginare come i corrut tori di cui parla possano essere non cristiani. Ma soprattutto, la minaccia del v. 6 non avrebbe senso se rivolta a esterni, che non l'avrebbero mai sen tita. Così, insieme a Gnilka, Barth, Halter, qui si presuppone che a essere disobbedienti e a mettere a repentaglio la vita comunitaria siano persone al suo interno. Agli inizi del n secolo comparvero gruppi che si proclama vano cristiani ma le cui pretese erano contestate dalla chiesa del tempo. Già nel Nuovo Testamento si trovano tracce dell'esistenza di gruppi siffatti, dentro la chiesa o ai suoi margini. I gruppi sono variamente designati come gnostici, semignostici, protognostici, antinomisti, libertini, rigoristi, ascetici, giudaizzanti. Se dunque i disobbedienti sono dentro la co munità o ai suoi margini, è opportuno e legittimo chiedersi quale gruppo, o quali gruppi, l'autore abbia in mente, ma si tratta di un interrogativo cui è quasi impossibile dare una risposta, perché egli fornisce scarsissimi indizi che aiutino a identificare i sostenitori delle posizioni che rigetta. L'unico al tro punto dove si può dire vi faccia cenno è 4,!4 e, come si è visto, anche in quel caso le informazioni offerte non permettono alcuna conclusione. Per tanto è forse meglio rinunciare a tentativi di identificare a chi alluda l'auto-
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re in 5 ,6, per limitarsi invece a cercare di delineare in base al contesto le opi nioni e le pratiche specifiche contro le quali egli si scaglia (cf. Ernst). Àoyot potrebbe lasciar credere che combattesse anzitutto determinate teorie, ma è pressoché sicuro che sia interessato alle pratiche anziché alle credenze, giacché questo cenno rientra nella sezione parenetica della lettera e non in quella teologica. È vero ovviamente che prassi e teologia sono in ultima analisi inseparabili, ma ci si può concentrare più direttamente sull'una che sull'altra. L'autore di Efesini ha già elencato azioni che i cristiani devono evitare e, per quanto egli le presenti in termini assoluti, non appena i credenti si fos sero messi a riflettere sul loro significato concreto, avrebbero scoperto che non erano così semplici o assolute come apparivano. È vietato mentire, e tuttavia non ci sono forse occasioni in cui sarebbe meglio essere cauti con la verità e dire una bugia pietosa ? Rubare è male, ma che dire dell'occulta mento parziale del vero in trattative finanziarie ? Non si dovrebbe andare in collera, ma che dire dell'ira giusta ? Vi sono limiti per l'ira ? Se nel matrimo nio uno dei coniugi nega all'altro l'appagamento o commette adulterio, l'al tro non potrà permettersi qualche libertà ? La cupidigia è un male, ma crea re benessere non è forse cosa buona ? È facile constatare come con argomen ti speciosi si possa rapidamente minare un insieme di direttive etiche sempli ci. Si potrebbe giustificare l'intero processo con la rivendicazione che i cre denti vivono sotto la grazia e sono pertanto liberi da restrizioni morali (cf. Rom. 6, 1 . 1 5 ), o che non è importante la purezza del corpo o i rapporti este riori con gli altri, ma la purezza della vita interiore ( I Cor. 6, 1 2 ss.). Non si dispone di informazioni sufficienti per individuare il tipo di argomentazioni che venivano proposte e che allarmavano l'autore di Efesini. Quanto scrive è di necessità assai generico poiché non ha di mira una situazione particola re entro una singola chiesa, ma si rivolge a svariate chiese. Quali che siano le argomentazioni poste in campo, l'autore le definisce xevoi, che qui non si gnifica «senza senso» , ma > ( 1 QS 1 ,9; 2, 1 6; 3 , 1 3 . 24 s.; 1 QM 1 , 1 . 3 ) e il loro contrario « figli delle tenebre>> ( 1 QS 1 , 1 o; 1 QM 1 ,7 ecc.). Posto il debito contratto dal N.T. col giudaismo e l'A.T. riguardo all'antitesi tra luce e tenebre, essa tuttavia com pariva comunemente anche nella letteratura greca, talché i lettori di Efesini avrebbero potuto coglierla senza difficoltà. Poiché però la si incontra in tut te le correnti del cristianesimo delle origini, qui non c'è motivo di cercare per il N.T. una fonte al di fuori del giudaismo. In ogni caso, al tempo di Efesini era oramai un'antitesi cristiana affermata, applicata al pensiero e al comportamento, ed era forse adottata nell'istruzione catechetica dei nuovi credenti. Di conseguenza non poteva essere ignota ai lettori dell'epistola. Se per l'espressione si possono trovare paralleli, per la formulazione secca > 2 non pare possibile. Per l'autore di Efesini affermare che i lettori un tempo erano te nebra significa andare molto oltre quanto ha detto in 4,1 8, che un tempo le loro menti erano ottenebrate. La frase non vuoi dire semplicemente che essi un tempo appartenevano a una cultura «oscura>> , che è stata trasforma ta in una cultura della luce, giacché a essere cambiata non è la cultura, ben sì le persone che un tempo vi appartenevano. Definire le persone luce può significare o che procurano luce agli altri come luci che risplendono in un mondo oscuro (cf. Mt. 5 , 1 4- 1 6; Rom. 2, 1 9 ), oppure che danno luce a loro stesse. Qui viene sottolineato il secondo aspetto, dato che è arduo com prendere come si possa procurare tenebra agli altri e poiché il passo s'in centra interamente sul comportamento dei credenti (7te:pma-re:t-re:). In quan to luce essi sono persone illuminate; hanno in sé la luce, che li guida nella 1 Kuhn: NTS; H. Conzelmann, in TWNT VII, 424-446; rx, 3 02.-3 49; W. Hamisch, Eschatologische Existenz (FRLANT no), Gottingen 1973, 1 1 9-1 2. 1 . 2. Sulla contrapposizione • u n tempo / ora • v . Tachau, 1 2 5 s.; Lindemann, Aufhebung, 67-7 1 .
5 59 loro condotta. Sarebbe sbagliato negare che in quanto illuminati i creden ti forniscano luce agli altri, ma non è questo il punto qui sottolineato. Un tempo, da increduli, non avevano luce ed erano ciechi; ora hanno luce e possono vedere. Un tempo era la tenebra a caratterizzare la loro esistenza; ora è la luce. Se essi sono luce, donde proviene tale luce? L'autore non dice nulla di esplicito al riguardo, ma «nel Signore>> (v. excursus 2, «In Cristo>> ; qui l'espressione non è unita al verbo) lascia intendere una sua consapevo lezza della concezione protocristiana del Signore quale luce del mondo. Grazie al loro rapporto con il Signore i credenti hanno ricevuto la luce, il luminati nel loro intelletto ( r , r 7 s.). L'espressione «figli della luce>> è probabilmente penetrata nel cristianesi mo dal giudaismo coevo, 1 ma non è estranea alla lingua greca (cf. MH, 44 1 ; Robertson, 6 p ) e i lettori gentili d i Efesini dovevano quindi essere i n gra do di capirla. La trattazione di 2,2.3 ha mostrato che la forma «figli di, bambini di >> aveva due impieghi distinti: i «figli della disobbedienza >> ( 2,2) sono i disobbedienti, ma i > , nello stile consueto dell'autore, dall'altro riflette
l'uso paolino (Rom. I 3 , I 2 s.; Gal. 5 , I 9 ) . È interessante notare come non si dica che la tenebra produce un frutto cattivo o marcio (cf. Mt. 7, I7-I9; 1 2,3 3; Le. 6,43 s.), o non produce alcun frutto, due asserzioni che corri sponderebbero meglio alla teoria botanica. L'autore inoltre, a quanto sem bra, presume che il frutto sia o interamente cattivo o interamente buono, non deteriorato. Al v. 9 spiega in che cosa consiste il frutto buono, ma qui non fa altrettanto per quello cattivo, forse perché sarebbe disdicevole (v. I 2; così Fozio e altri Padri). Nulla autorizza a ravvisare in queste «opere della tenebra » un'allusione ai misteri (cf. Ambrosiaster al v. 8). ax1Xp7toç compa re solo nelle parti seriori del N.T. (Mc. 4, I9, presupponendo che l'inter pretazione della parabola dei vv. 3 - 8 sia stata aggiunta alla parabola origi naria; Tit. 3 , I4; 2 Pt. I ,8; Gd. 1 2) ed è usato in senso negativo. I credenti non devono prendere parte (auyxowwvetv; per il verbo e gli aggettivi corra dicali v. Rom. I I , I ?; r Cor. 9,23; Fil. I ,?; 4,I4; Apoc. I ,9; I 8,4 ) ad attivi tà infruttuose e peccaminose. Se lo fanno, non agiranno da soli ma si uni ranno ad altri, come rivelano sia il auv- del verbo sia il termine ax6-roç, usato al v. 8 quale definizione di persone. Ma chi sono questi altri? Nulla al v. 1 1a consente di distinguere tra credenti che hanno peccato, come nei vv. 3 - 5 (da altre parti del N.T. si evince che i credenti hanno effettivamen te peccato nei modi descritti qui ), e increduli, e perciò nulla lascia ritenere che qui l'autore intenda soltanto i secondi. Un enfatico (.LéiÀÀov ÒÈ xiXt, che introduce il v. 1 1 b, segnala un nuovo punto importante nella trattazione. I credenti non solo sono tenuti a evita re una condotta scorretta, ma devono farvi fronte allorché la constatano in altri. Anziché partecipare alle opere della tenebra, sono chiamati in po sitivo a muovere passi contro tali opere e contro chi le perpetra. L'oggetto di È:ÀÉ:yxe-re è indefinito: il v. 1 1a suggerirebbe di leggerlo come le opere della tenebra, il v. I 2 come coloro che le compiono. È:Àéyxetv, secondo i les sici, presenta una vasta gamma di accezioni. 1 Un possibile significato, ossia il castigare o punire coloro le cui opere appartengono alle tenebre, difficil mente si può applicare qui, dacché non vi è nel contesto alcun indizio in tale direzione. Se poi oggetto del verbo sono le opere, tale interpretazione risulta automaticamente esclusa. Numerosi commentatori e traduttori op tano per il significato di «smascherare, rivelare» , caso in cui oggetto del verbo sarebbero le opere della tenebra. I credenti in qualche modo, con la parola o con l'esempio, smascherano dinanzi a chi compie opere della te nebra la vera natura delle sue azioni. Se costoro sono credenti, tale disvela1 Sul termine v. T. Engberg-Pedersen, Ephesians J, I Z · I J : EÀÉ"yl.tLV and Conversion in the New Testa ment: ZNW So ( 1 989) 89- 1 10.
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mento avrà luogo o tramite la parola o tramite l'esempio, ma se sono in creduli, presumibilmente col solo esempio, per quanto I Cor. 14,24 s. pre veda lo «smascheramento>> degli increduli mediante la parola. Quel passo attiene però a una situazione molto particolare e non a una generale, come nel caso in questione. L'interpretazione come «disvelamento>> pare inserirsi bene nel corso dell'argomentazione, ove si pone l'accento sulla luce; e tut tavia anticiperebbe l'uso successivo di cpavepouv, priverebbe D É-y"f.Etv del suo peculiare significato e individuerebbe nelle opere della tenebra l'ogget to del verbo, il che, si veda sopra, non è affatto sicuro. Engberg-Pedersen indica in «porre di fronte >> il vero significato del ver bo, qui nel senso di «affrontare qualcuno o qualcosa allo scopo di mostra re che è, sotto un determinato aspetto, in errore>> (art. cit., 97). « Qualco sa >> è troppo vago. In base alle attestazioni prodotte da Engberg-Peder sen «qualcosa >> risulta limitato a gesti o azioni di persone, ragion per cui si può modificare la sua interpretazione in questi termini: «affrontare le per sone o i loro pensieri, parole e azioni, allo scopo di mostrare che sono, sot to determinati aspetti, in errore>> . Questa interpretazione si avvicina a due delle accezioni attribuite spesso al verbo: «convincere, dichiarare colpe vole>> e «riprovare, rimproverare>> . Entrambe implicano il porre di fronte, ed è difficile distinguerle con una linea netta. Se oggetto del verbo è chi compie le opere della tenebra, sono tutte accezioni plausibili (cf. Gv. 8,46; I Tim. 4,2). Qualora si tratti di increduli, ciò vorrebbe dire convincerli del loro peccato e condurli al pentimento e alla conversione secondo gli indi rizzi di I Cor. I4,24 s. (così Schlier), ma, lo si è già osservato, quel passo concerne una situazione molto circoscritta. Riguardo a un eventuale cenno alla conversione, Kirby, 142, nota che « un'idea espressa in modo così oscu ro [nei vv. I 1 . I 3] è difficile definirla un modo positivo di proporsi al l'estraneo>> . Qualora le persone in causa siano credenti, non è possibile che qui si pensi alla conversione. D'altro canto, per un credente convincerne un altro del suo errore potrebbe essere considerato un dovere cristiano, e ciò porrebbe l'accento sul significato di «rimproverare, riprovare>> . La ri provazione non sarebbe una mossa avveduta se ne fossero destinatari indi vidui increduli: nulla avrebbe maggiori probabilità di renderli ostili al cri stianesimo. Che membri della chiesa siano tenuti a rimproverarne, correg gerne o riprovarne altri è reputato un dovere cristiano in una serie di passi ( I Tim. 5,20; Giac. 5 , I 9 s.; in Tit. I,9. I 3 si parla della correzione di deter minate credenze piuttosto che del comportamento). È segnatamente un do vere imposto ai pastori (2 Tim. 4,2; Tit. 2, I 5 ) . In Mt. I 8, I 5 - I 7, dove si espone una procedura più formale per la correzione, è, come in Ef. 5,1 1, un dovere che spetta a tutti i credenti. La correzione dei difetti di un cre dente da parte di altri credenti all'interno di una comunità fortemente uni..
ta è prassi comunitaria normale, come mostra la documentazione di Qum ran ( r QS 5,23-6, r ; 9 , 1 7; CD 7,2 s.; 9,6-8; 20,4; cf. Test. Gad 6,3 .6; Test. las. 6,6). Did. 1 5 ,3 avverte che il rimprovero non dovrebbe essere mosso con asprezza, ma in pace. L'idea della riprensione all'interno della comuni tà risale all'A.T. (Lev. 1 9, 1 7; Prov. 9,7 s.; ro,ro; Sir. 19, 1 3 ss.). Engberg-Pedersen aggira il problema di chi abbia in mente l'autore di Efesini, se credenti o increduli, citando I Cor. 14,24 s. e Gv. 3,20 s. e sostenendo che in 5 , I I ss. le persone sono in realtà incoraggiate ad affrontare se stesse perché sono divise nel loro intimo. «Tenebra e luce stanno per atteggiamenti interio ri>> (art. cit., 104). Ma è difficile scorgere una coscienza lacerata in I Cor. 14, 24 s. o in Gv. 3,20 s. Entrambi i passi possono senz'altro essere riferiti alla conversione degli increduli, ma si tratta di un movimento dalla tenebra alla lu ce, non da una luce «scarsa >> a una luce . Inoltre non c'è nulla in Ef. s,8 che lasci pensare che gli atteggiamenti interiori siano un problema per i credenti, e nulla invero nel resto della pericope suffraga un'idea siffatta. Si è accennato in tutto il corso della trattazione al modo in cui si do vrebbero rimproverare e riprendere gli altri credenti. Poiché è vietato men zionare i peccati ( 5, 3 ) , si è sostenuto che qualsivoglia forma di correzione dev'essere non verbale. Ma 5,3 (v. sopra) non si può prendere alla lettera e lo stesso vale per 5 , 1 2 (v. sotto). L'autore di Efesini redarguisce e riprende di continuo i propri lettori verbalmente, e così fa Paolo nelle sue epistole. In Mt. r 8, I 5 - 1 7; 2 Tim. 4,2; Tit. 2, I 5 i rimproveri sono verbali. Nel N.T. in generale è:) Éyxew afferisce all'ambito della parola e non dell'azione (cf. Gnilka). Ovviamente, peraltro, c'è spazio anche per la riprensione non ver bale, nella misura in cui un comportamento corretto rappresenta in sé una critica al peccato (Mt. 5 , I 6; Fil. 2, I 5; I Tess. 4,1 2; I Pt. 2, 1 2). Se il rim provero dev'essere verbale, l'autore non dice che debba essere espresso pri vatamente, o pubblicamente all'interno della comunità. Egli non sembra consapevole del pericolo che si corre di mostrare atteggiamenti censori nel redarguire gli altri, rischio verso il quale Gesù mette in guarda (M t. 7, r- 5 ) e che diventa più che mai concreto nel caso d i rimproveri verbali. Merita infine rilevare che, mentre nelle lettere pastorali la correzione del prossimo è un compito dei pastori, l'autore di Efesini non riserva tale intervento diret to a un ministero «organizzato» . ..
I2. Se la traduzione d i questo versetto è a prima vista lineare, è difficile collegarne il contenuto a quanto precede e segue (NA 2.7 conclude il v. I I con un punto, UBS 3 con una virgola) . Potrebbe essere raccordato agevol mente al v. 1 1, se lo si intende in senso concessivo - «rimproverateli, an che se è disdicevole parlare di ... », ma il yap impedisce questa interpretazio ne -; oppure leggendolo come una parentesi - «giacché è disdicevole persi-
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no parlare di quello che essi hanno fatto di nascosto>> (Bratcher-Nida; il ylip introduce una parentesi al v. 9). Nel complesso è meglio probabilmen te interpretarlo in questo secondo senso, e inteso a sottolineare ÈÀÉY"J.E'tE. Le opere delle tenebre non possono restare senza riprovazione; d'altro can to stigmatizzarle pubblicamente significa ammetterne l'esistenza all'interno della comunità, ave non dovrebbero mai essere. È dunque vergognoso per sino (per l'uso rafforzativo di xa.i con ÀÉyetv cf. Plat. Resp. 5,465bc) do verne riconoscere l'esistenza. L'idea che alcune azioni possano essere trop po vergognose per poter essere menzionate si trova anche in moralisti non cristiani (Philo Op. Mund. 8o; Epict. Diss. 4,9,5; 1 ,6,20; 3 ,26,8; 4,1,177; cf. Demosth. Con. 1 262, 1 7). Dal v. 8 in avanti è stata tracciata un'antitesi fra luce e tenebra. Ora vie ne introdotto un nuovo contrasto, non senza rapporto col precedente: quel lo tra segreto e rivelato (Bouttier). Tale contrapposizione compare altrove nel N.T. (Mc. 4,22; Le. 1 2,2; Gv. 1 8,20; Rom. 2,1 6; 1 Cor. 4,5; 14,25). Ci sarà una rivelazione (v. 13) di quanto è stato fatto segretamente (xputpt è solo qui nel N.T., ma nei LXX ricorre in Es. 1 1 ,2; Deut. 28, 5 7; Giud. 4,2 1B; 9,3 1B ecc. ). Il vizio teme di essere smascherato dalla luce (cf. Rom. 1 3 , 1 3 ). Il cenno alla segretezza non è un attacco alle religioni misteriche, in cui secondo la convinzione diffusa, almeno presso i cristiani delle gene razioni successive, la perversione sessuale era dilagante. Se così fosse, il metodo utilizzato dall'autore di Efesini per affrontare il problema sarebbe quanto mai inadeguato (Gnilka). Non si può pensare, in alternativa, all'esi stenza di un gruppo scismatico di cristiani che s'incontravano in segreto e le cui pratiche erano inaccettabili (così Knox, Genti/es, 1 99; Beare). Il ca rattere generale della lettera vieta tale deduzione, poiché non è verisimile che ci fosse un gruppo siffatto in ogni comunità alla quale egli scriveva. Il suo attacco è mosso contro le opere infruttuose della tenebra (v. 1 1 ), che sono state compiute in segreto. Quanti agiscono di nascosto in tal modo (ù7t'llù -rwv, constructio ad sensum; BDR, § 282 n. 3 ; MHT, 40) sono «i disobbe dienti>> (v. 6). Se costoro fossero increduli, risulterebbe difficile capire per ché l'autore debba qualificare le loro azioni come compiute in segreto. Al trove lascia intendere che il comportamento dei gentili era sfrenato e sfac ciato nel fare il male (4, 1 7- 1 9.22). È molto più semplice inquadrare il cen no alla segretezza in relazione ai membri della comunità, alcuni dei quali si sono nascostamente abbandonati a vari tipi di peccati sessuali (non c'è al cun indizio che ciò debba essere avvenuto solo nell'oscurità della notte) e alla cupidigia ( 5.3-5 ), che, se implicava irregolarità finanziarie, doveva ne cessariamente essere occulta. È d'uopo che i membri leali della comunità rimproverino chi ha tralignato (v. n b) e ne portino allo scoperto i peccati, che è disdicevole menzionare, specie all'interno di una comunità cristiana.
1 3 · Ecco un altro versetto difficile da inserire nel corso dell'argomenta zione, difficoltà avvertita già dall'epoca dei primissimi commentatori pa tristici (per le varie soluzioni proposte da costoro e per tutte quelle succes sivamente avanzate fino ai suoi tempi v. Ewald). Questo versetto è raccor dato al v. u b dalla presenza di ÈÀÉy"'f.e:tv e all'idea di segretezza espressa al v. 1 2 da tp!Xve:pouv. Qualunque cosa i credenti riprovino o stigmatizzino è resa visibile o rivelata nel suo errore, perché i credenti sono essi stessi luce (v. 8). Che si dica 'ttÌ 7tcXV'tiX ÈÀE"'("'f.O(J.EVIX e non 7tcXV'tiX 'ttÌ ÈÀE"'("'f.O(J.EVIX indi ca che il v. 1 3 è un'asserzione generale, «tutto ciò che è stato riprovato (redarguito, corretto) dalla luce è rivelato>> , ma nell'argomentazione deve applicarsi ai rimproveri espressi da credenti ad altri credenti in relazione a quanto hanno compiuto in segreto (v. 1 2 ) . tJ7tÒ 'tou tpw'toç, complemento in posizione non rilevata, si potrebbe allacciare o a ciò che precede o a ciò che segue. I credenti sono luce (v. 8 ) e se redarguiscono, è la luce che redargui sce; oppure: tutto ciò che è riprovato è rivelato dalla luce (ossia dai cre denti). Comunque si interpreti, la rivelazione non comporta necessaria mente una confessione pubblica dei peccati da parte di chi si pente. Il rim provero smaschera il peccato mostrandolo per quello che è. Esso non è più chiuso nel segreto (v. 1 2 ) . Non si esplicita a chi sia fatta la rivelazione del peccato. Presumibilmente all'individuo interessato e, se la reprimenda è pub blica, alla comunità nel suo insieme. 14· In alcune versioni ed edizioni del testo greco i versetti sono suddivisi in modo differente e la proposizione 1tav yètp èa'ttv costituisce la fine del v. 1 3 . Se in sé sembra facile da tradurre ( ), anche in questo caso il problema è interpretarla inserendola nel l'argomentazione in corso. Di conseguenza le traduzioni proposte non so no letterali, come si può constatare da una selezione delle più recenti: «poi ché tutto ciò che è chiaramente rivelato diviene luce>> (GNB); «poiché è la luce che rende ogni cosa visibile>> (NIV); «e tutto ciò che è illuminato è es so stesso luce >> (NJB); «e qualunque cosa sia esposta alla luce diviene essa stessa luce>> (REB); «poiché tutto quel che diventa visibile è luce>> (NRSV). Alcune versioni precedenti, come la AV, hanno risolto la difficoltà leggen do q>IXve:pou(J.e:vov come medio con significato attivo: «poiché qualunque co sa che renda manifesto è luce>> . Mancano tuttavia attestazioni dell'uso del medio in senso attivo e al v. 1 3 il verbo è evidentemente passivo. Erasmo (come pure Fischer) riteneva che l'articolo fosse stato inavvertitamente spo stato da tpwç al participio, ma corruzioni originarie del testo sono difficili da provare, e bisogna accettare il testo così com'è. La traduzione letterale sembra un truismo: «tutto ciò che è portato alla luce è luce>>, il che non stonerebbe con lo stile generale dell'autore. Di fatto però non si tratta di •••
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un truismo. Il diavolo, allorché viene rivelato, non è luce e non lo diventa. Come dimostra la varietà di traduzioni, è necessario parafrasare in qual che modo la frase per adattarla all'argomentazione, che, secondo l'inter pretazione fornita qui, ha questo sviluppo: > ), 1 qui indicati come saggio e stolto (cf. I Cor. 1 ,1 8 -3, 2 3 ). La vita precristiana dei lettori era priva di sapienza; ora dovrebbe caratterizzarli la sua presenza. Il contrasto compariva già nella tradizione giudaica ( 1 QS 3 , 1 3 ss.; spec. 4,22.24 ) . Test. Lev. 1 3 ,7 associa la mancanza di sapienza alla cecità e all'empietà, che in Efesini contraddistin guono il mondo dei gentili. Sapienza è termine ampio, che necessita di es sere precisato in base al contesto. Qui non è in senso primario la capacità di comprendere l'operare di Dio ( 1 ,9 . 1 7; 3 , 10), ma è la sapienza pratica, che, derivata da tale capacità, afferisce alla condotta. A questo aspetto del la sapienza è dedicata molta parte della letteratura sapienziale giudaica. Laddove il pensiero giudaico la connetteva a una vita vissuta secondo la to rà, il pensiero cristiano la lega a Cristo che è la sapienza di Dio. 16. Un aspetto della sapienza pratica viene ora descritto al v. 1 6a. Il participio che introduce il versetto dipende da 7ttpma't't:i't't (v. 1 5 ). La diffi coltà insita nell'espressione del v. 1 6a, la stessa che si legge in Col. 4,5, è sta1 Si veda la bibliografia sugli elenchi di virtù e vizi fornita per 5,3 e M.J. Suggs, The Christian Two Way Tradition. lts Antiquity, Form and Function, in D.E. Aune (ed.), Studies in New Testament and
Ear/y Christian Literature, Leiden 1 972., 60-74.
EF.
5, 1 5-21
575 È ta riconosciuta a partire almeno dai tempi di Crisostomo. stata forse tale difficoltà a indurre l'autore di Efesini a spiegare l'espressione al v. I 6b. Tan to al v. I 6a quanto al v. 1 6b egli usa termini che designano il tempo, che si dovrebbero probabilmente intendere nello stesso senso generico. Si comin ci dal v. I 6b. Nel linguaggio protocristiano il «giorno>> (al singolare) significava il gior no del Signore, la parusia (cf. 6, I 3 ), ma il v. I 6b ha il plurale, il che peral tro non elimina necessariamente l'elemento escatologico, poiché si hanno espressioni come «gli ultimi giorni >> ( 2 Tim. 3 , I ; Giac. 5,3; 2 Pt. 3,3; Mt. 24,I9 ss.; cf. Test. Zab. 9,5 ss.; Test. Dan 5 ,4; Barn. 4,9) che indicano la fine e la dipingono come un tempo di grande male, il periodo delle doglie della nascita del messia (cf. Mc. I 3 ,9 ss. ). Quando però il plurale «giorni >> si riferisce alla fine, è chiarito dall'aggiunta di «ultimi >> o dal contesto (Mt. 24, I9 ss. ). Qui né il contesto né un'espressione qualificativa fanno pensa re che con i giorni malvagi l'autore intenda quelli della fine. Egli non af ferma mai una fine imminente e non tradisce il senso di urgenza che si ri scontra in I Cor. 7,26; Rom. I 3 , 1 1 . Non dice che il tempo (i giorni) è bre ve, come si legge in molti testi cristiani delle origini, bensì che il tempo è malvagio (Knox, Genti/es, I99). Per lui il mondo è un luogo più duraturo che non per Paolo (Lindemann, cf. il suo Aufhebung, 282-28 5 ). Perché dun que i giorni sono malvagi ? Non perché sono densi di catastrofi naturali, terremoti, carestie, inondazioni; o perché i cristiani sono oppressi e perse guitati (cf. Tertullian. Fug. 9,2), argomento del quale non c'è traccia in Efe sini, sebbene tali pressioni esterne sui cristiani fossero allora comuni; o per ché gli eretici stavano creando problemi (cf. Bouttier), dato che scarsi sono nella lettera gli indizi che l'autore sia seriamente impegnato a contrastare l'eresia, come invece ci si dovrebbe aspettare se l'eresia fosse presente, con siderato che i suoi consigli ai lettori riguardano in ampia misura il loro rapporto reciproco. L'autore però non si era peritato di dipingere la cultu ra gentile con le tinte più fosche ( 2, 1 2; 4,I7-I 9.22; 5,8): in questo senso per lui i giorni, i suoi tempi, erano malvagi, un periodo di decadenza mo rale. Ovviamente non sono i giorni in sé a essere malvagi - il tempo è una categoria neutra -, ma le persone e gli eventi che li riempiono (cf. Pelagio; Orig. Cat. Mt. I 34, I , GCS 4 1 , 67; Hom. in Iud. 1 , 1 , GCS 30, 467, I 5 ss.), né sono trasformati in giorni buoni (Gerolamo) da un impiego saggio del tempo. Le persone e gli eventi del mondo esterno restano gli stessi. È pos sibile che l'autore abbia considerato i giorni malvagi anche in un altro sen so, come periodo nel quale il maligno è attivo e che si trova sotto il con trollo delle potenze maligne ( 6, 1 0 ss.) . Che l'autore potesse avere in mente a un tempo entrambe queste prospettive si può constatare da 2,1 ss., dove si muove fra il peccato personale e il controllo delle potenze maligne. Forse
SIATE SAGGI E RIEMPITI DALLO SPIRITO
dunque l'espressione migliore per definire questi giorni è « senza Dio» (cf. Roberts). Se vi sono giorni detti , e poiché non sono adesso, devono essere nel futuro (cf. Origene). Qui c'è dunque un rimando implicito a un futuro per i credenti che si trova al di fuori e al di là del mondo esistente. Esclusa un'interpretazione principalmente escatologica dei «giorni», si può rivolgere l'attenzione al v. 1 6a. I Esso contiene un'espressione insolita, che si trova anche in Co/. 4,5, in entrambi i passi associata a 1te:pma-re:iv. Ma il verbo è comune nella parenesi neotestamentaria e l'espressione ha un uso diverso nelle due lettere: in Co/. 4,5 concerne la condotta verso quanti sono al di fuori della comunità e in Ef. 5 , 1 6 gli attuali giorni malvagi, sen za alcun riguardo per il comportamento nel mondo esterno. Si tratta di quel tipo di espressione a effetto che una volta formulata, per esempio nel la scuola paolina, è destinata a imprimersi nella memoria e a essere usata anche senza avere sempre il medesimo referente. Qui xatp6c;, secondo la premessa iniziale, è da intendersi quale termine che denota un periodo di tempo come i giorni, piuttosto che indicare un momento decisivo o un'op portunità unica, per quanto possano essere presenti entrambe le accezioni. La distinzione talora tracciata fra "{.POvoc; e xatp6c; non si può sostenere ri guardo al N.T./ ove i due termini sono spesso sinonimi. xatp6c; è un voca bolo di valenza neutra, che prende il suo significato dal contesto. Qui avrà qualcosa della sfumatura di «opportunità » . « Opportunità » di fare il bene si presentano in tutto il corso della vita dei credenti e non sono soltanto mo menti rari e occasionali. È!;ayop&.�e:tv (per la parola v. F. Biichsel, in TWNT 1, 1 26- 1 28 ) è un ter mine commerciale. È usato in senso soteriologico in Gal. 3 , 1 3 ; 4,5, ma ta le significato sarebbe fuori luogo qui e nell'unica altra occorrenza neotesta mentaria in Co/. 4,5. Qui sarebbe fuori luogo anche l'accezione «riscatta re» (cf. Robinson), poiché a essere riscattate sono persone e non oggetti o categorie. 3 Dan. 2,8 ha un'espressione analoga a quella in esame col signi ficato di «guadagnare tempo », ma qui il senso non può essere questo, né quello di Mart. Poi. 2,3 : «acquistando la vita eterna » . Non è chiaro se a Èx- si debba attribuire il valore semantico pieno nel verbo composto, inten dendolo quindi come «comprare da» (così MH, 3 09), oppure se vi si deb ba scorgere una mera intensificazione del significato della radice verbale. Quando si compra qualcosa - e sarebbe forzare troppo l'immagine chie dersi da chi si acquisti, e ancor più cercare di rispondere - di solito la si I Cf. R.M. Pope, Of Redeeming the Time: ExpT 22 ( I 9 I 0-1 9 1 I ) 5 5 2-5 54; A. Auer, •Kaufet die Zeit aus•, in J.J. Degenhardt (ed.), Die Freude an Gott - unsere Kraft (Fs O.B. Knoch), Stuttgart I 9 9 I , 43 9-444. 2. Cf. J. Barr, Biblica[ Words for Time (SBT 3 3 ), London 1 962, 2 0 ss. Moule, Colossians, a 4,5, critica duramente le opinioni di Robinson. 3
EF.
5,1 5-21
5 77
compra per se stessi (questo può essere il senso del medio). Si può dunque interpretare l'espressione in senso generico, quale indicazione che i creden ti devono impiegare il proprio tempo in modo saggio. Il suo utilizzo dovreb be essere disciplinato; non bisogna perdere le opportunità di compiere il be ne (Stott; sull'uso del tempo cf. Prov. 3 , 1 ss.; M. Aur. 2,4 s. ). Come una mas saia che esce a far la spesa con una limitata somma a disposizione, i creden ti dispongono di un periodo di tempo limitato, e sono tenuti a spenderlo saggiamente (Asmussen). Non devono contribuire al male dei giorni, ma fa cendo il miglior uso possibile del tempo, ne redimeranno qualche aspetto. In seguito, nel codice domestico l'autore tratterà di tre aspetti che necessi tano di redenzione. 1 7. Questa è la seconda antitesi, analoga nel contenuto alla prima (v. 1 5b). Probabilmente òtà 'tou'to la raccorda al v. 1 6b piuttosto che al v. 1 6a, che rappresenta in effetti una conseguenza dell'essere saggi (v. 1 5b) e non la sua base, oppure al v. 1 5 b, poiché il v. 17 riformula il v. 1 5b. Potrebbe forse essere altresì ricollegato al v. 1 5a, benché in tal caso non sia chiaro il motivo della presenza di òtà 'tOu'to. I lettori non devono «essere» o , ma contiene una componente «verticale >> (Miletic, 32 s.). La subordinazio ne della moglie è quindi un atto religioso e ha un contesto più ampio di quello della concezione patriarcale della famiglia propria dell'epoca. Le lettere paoline e deuteropaoline presentano atteggiamenti contrastan ti verso le donne e in particolare verso le mogli. Il rivolgersi direttamente alle mogli qui è in sintonia con Gal. 3 ,2 8, ove le donne sono considerate membri della chiesa sullo stesso piano degli uomini, e con I Cor. 7,3 ss., ove mariti e mogli hanno uguali diritti in ambito sessuale nel matrimonio e non si dice che il marito domina sulla moglie sotto questo aspetto. Un at teggiamento differente compare in misura parziale in I Cor. rr,2 ss., dove si legge che le donne possono partecipare al culto pubblico ma sono subor dinate ai mariti, atteggiamento più pronunciato in I Cor. 1 4.34-3 6. In 1 Cor. I2,rJ, diversamente da Gal. 3 ,2.8, non si menziona la parità tra uo mo e donna. Nelle pastorali predomina la posizione meno egualitaria e l'al tra viene esclusa. Non c'è tuttavia motivo di considerare Efesini dipenden te dall'atteggiamento indicato in I Cor. rr,2 ss., giacché questo era l'atteg giamento culturale prevalente.
1.3. Il versetto 22 sarebbe potuto comparire in una forma lineare di co dice domestico cristiano, come il suo parallelo in Co/. 3 ,r 8, ma per qual che ignota ragione, forse dovuta alla situazione che ha indotto alla stesura di questa lettera, si ha una «deviazione>> inattesa che conduce all'insegna mento sulla chiesa. ÈxxÀ l]aia è un termine impiegato nove volte in Efesini, sei delle quali in 5,22-3 3 . Nessun'altra pericope del N.T. ne ha una densità così elevata (Bouttier). Il rapporto reciproco tra marito e moglie è posto in parallelo con quello tra Cristo e la chiesa. Come nelle menzioni precedenti della chiesa in Efesini, l'autore non ha in mente le comunità singole, bensì la chiesa tutta. Nel primo caso, si potrebbe pensare a un'approvazione del la poligamia!
Una variante inverte l'ordine di Ècr-rlv e XEqlCIÀ�. Debole il supporto testuale: B 0278 I04 3 6 5 II75 pc lat; Tert; si tratta probabilmente di un errore del copi sta. Un'altra variante inserisce xai prima di aù-r6� e anche questa volta la do cumentazione è debole: N2 D' 1F 0278 CJJl (a b m vgmss) sy; in questo caso la lezione chiarisce il senso. civ�p è senza articolo, a significare il suo valore gene rico; yuvatxoç lo ha, a indicare che riguarda non le donne in generale, ma la donna che appartiene all' « uomo >>, vale a dire le mogli (cf. Henle, Salmond).
Il v. 23a fornisce il fondamento della subordinazione delle mogli ai ma riti (v. 22) ribadendo la superiorità del marito. Se può essere corretto defi nire assiomatica tale relazione (Ewald) nei termini della cultura del tempo (ad es. Aristot. Poi. I 2 5 3 b; Plut. Mor. 142e), tuttavia le attestazioni del l'uso di xtcpaÀ� per designarla sono insufficienti. Nei brani di Aristotele e Plutarco il paragone chiama in causa anima e corpo. Si tratta di un rappor to dualistico, e l'anima non occupa la medesima posizione del capo in rela zione al corpo. L'uso di xtcpaÀ� qui consente tuttavia all'autore di Efesini di passare alle sue considerazioni sulla chiesa, dacché egli ha già usato il termine a questo riguardo (4, I 5 s.). Il vocabolo era impiegato in modo ana logo in Col. I , I 8; 2, I9, il che implica che fosse una definizione vigente nel le chiese paoline e perciò nota ai lettori di Efesini (sul termine v. excur sus 4, «Il corpo di Cristo >> ). I Cor. I I,3 contiene la sequenza Dio-Cristo uomo-donna, in cui ciascuno dei soggetti è detto capo del successivo. Ma non è questa la fonte cui attinge l'autore per quest'uso, poiché: 1 . I Cor. 1 I,3 concerne l'uomo e la donna; l'autore di Efesini si riferisce al marito e al la moglie; 2. egli non definisce Cristo capo del marito; 3 · la subordina zione enunciata in I Cor. I I ,3 appartiene all'ordine della creazione ( I I,8 s.; cf. I Tim. 2, I I - I 3 ), mentre l'autore di Efesini, senza negare questo aspet to, visto che poi cita Gen. 2,24, passo di cui il giudaismo si serviva per da re fondamento al matrimonio nell'ordine della creazione, la considera ap partenente a quello della salvezza, come emerge dal resto del brano. Si può dire pertanto che Efesini conferisce una nuova legittimazione cristologica all'ordine della creazione (cf. Niederwimmer, 1 28 n. I9). Nel N.T. l'essere capo (per la bibliografia relativa v. a I,22 ed excursus 4, ) abbraccia un ventaglio di idee fra cui quelle di do minio, preminenza, fonte, quest'ultima che implica ovviamente l'idea di priorità. Queste sono state riscontrate tutte in I Cor. I I,3, mentre, se «pre minenza >> o « fonte>> sono possibili in Ef. 4,I 5 s., sono improbabili in I ,22 e verisimilmente anche in 5,23, dove il ruolo di capo del marito è legato al la subordinazione della moglie. Secondo Bedale,' invece, il significato in 5, 23 è , il che però sarebbe possibile solo qualora il marito fosse con' s. Bedale, The Meaning of KE> è sempre capo di una collettività e non di un in dividuo, e che 2. Cristo in quanto creatore della chiesa ( 2, I 5 b) ne è la fon te. Ma, quanto al punto I, alla luce dell'atteggiamento patriarcale del tem po riguardo al matrimonio, se l'autore avesse voluto affermare che il mari to è fonte della moglie, avrebbe dovuto dirlo in modo più esplicito; quanto al punto 2, il parallelismo istituito col rapporto Cristo-chiesa nella sua con cretezza non è perfetto, ma è in effetti di natura analogica ed è difficile trarre conclusioni sulla base di analogie. Nella seconda frase del versetto w> teologica di ciò che segue: questa è l'interpretazione migliore. È anche pos sibile che fornisca una spiegazione del ruolo di capo che spetta a Cristo (Bratcher-Nida): egli è capo perché è salvatore. Il referente più vicino di llù 'to> . z. Il significato varia. Indi ca, per esempio, l'azione quotidiana di protezione e cura esercitata dai so vrani terreni sui loro sudditi. Nel N.T. tuttavia è solitamente connesso alla morte di Cristo (implicita al v. 2 5 ), il cui significato salvifico era stato espo sto in 2, 1 4 ss. È dunque utilizzato sia per definire la funzione di Cristo sia come titolo. L'espressione «salvatore del corpo>> è unica nel N.T., ma l'idea di Cristo che salva e dei cristiani che sono salvati è diffusa e sulla scorta di questo concetto è facile comprendere come possa essere comparsa l'espres sione, in una maniera analoga a quella in cui 5,25 è scaturito da 5,2. La combinazione di salvatore e corpo conduce oltre il mero rapporto tra ma rito e moglie verso una trattazione su Cristo e la chiesa nei vv. 25 ss., in cui l'idea viene ulteriormente sviluppata. La signoria suprema di per sé non comporta un rapporto stretto fra il capo e i suoi sottoposti, ma capo e cor po sono strettamente connessi, e tuttavia non stanno su uno stesso piano per l'autore di Efesini: Cristo è il salvatore del corpo. Si traccia in tal mo do una distinzione netta fra Cristo e il corpo (la chiesa) nel momento stes so in cui si stabilisce uno stretto rapporto. Salvatore e servo (cf. Mc. 10,424 5 ) non sono concetti molto distanti. Quelli di servo e capo paiono contrap posti. In un certo senso capo e salvatore indicano altresì aspetti molto dif'V. W. Bousset, Kyrios Christos, Gottingen 31 92.6, 2.40 ss.; M. Dibelius, Die Pastoralbriefe, Tiibin gen 41 966, 74 ss.; O. Cullrnann, The Christology of the New Testament, London 1 9 5 9, 2.3 8-2.45; Schlier, Christus, 72. s.; W. Foerster, in TWNT vn, 1005 ss.; Fischer, I86- 1 9 1 ; J. Schneider - C. Brown, in NIDNTT m , 2. 1 6-2.2.1 . 1 A.D. Nock, Early Gentile Christianity and its Hellenistic Background, in A.E.J. Rawlinson (ed.), Essays on the Trinity and the Incamation, London 1 92.8, 5 1 - 1 s6: 92..
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MARITI E MOGLI: CRISTO E LA CHIESA
ferenti del rapporto di Cristo con la chiesa. Se egli è capo, la natura di que sta sua posizione si definisce nel suo essere anche salvatore, egli è cioè capo salvifico (T.G. Alleo, 278 ) . Se Cristo è salvatore del corpo, n e consegue che esistano due entità, un Cristo preesistente e una chiesa preesistente, riuniti sulla croce? L'autore di Efesini non avrebbe certo negato la preesistenza di Cristo. Ma questa non postula la preesistenza della chiesa? Per una trattazione al riguardo v. ap pendice r, «La chiesa » 5 ·
24. Dopo l a parentesi del v . 2 3 c l'autore torna alla sua parenesi e rifor mula le idee del v. 2 3 b, ma in ordine inverso, in modo tale che ne risulta una struttura chiastica (abeba ) ( 23a.23b.23C.24a.24b). Il contenuto della parentesi del v. 23c non influisce sul pensiero del v. 24, se non per contra sto, ma diviene importante dal v. 25 in avanti. Come nel v. 23, il fatto che Cristo sia capo della chiesa e la subordinazione della chiesa a lui sono dati per scontati e usati come base per argomentare in modo analogico il rap porto di subordinazione delle mogli ai mariti. tÌÀÀa suscita difficoltà, come emergerà da una panoramica delle traduzioni: AV «perciÒ>> ; NEB, REB «ma proprio come » ; RSV «come » ; NRSV «proprio come»; NJB ; GNB «e cosÌ»; NIV «ora, come » ; Moffatt, «come » . In un'utile nota Eadie riepiloga e discute le opinioni espresse fino ai suoi tempi. Miletic, 102 n. 6, sostiene, sulla scorta di MHT, 330, che la congiunzione può avere senso consecutivo e cita da MHT (fornendo un rimando sbagliato in due occasioni) una serie di possibili paralleli, in ciascuno dei quali è l'espressione che segue immediatamente CÌÀÀa a essere consecutiva, e qui sarebbe il v. 24a, mentre secondo l'argomentazione di Miletic dovrebbe essere il v. 24 b . In ogni caso MHT non elimina il senso avversativo poiché traduce sempre , e la sarebbe b, benché in effetti sia plausibile anche d. Nel caso l'espressione precisasse il verbo principale, sarebbe stata naturale una collocazione più vicina a quello e la si dovrebbe leggere in senso strumen tale. Ma il lavacro con acqua costituisce già una determinazione strumen tale del verbo. Probabilmente quindi l'interpretazione migliore è intendere èv p�!J.tX't'L come specificazione dell'espressione nominale, o forse dell'intera proposizione (Salmond), a significare la formula battesimale . Quale che sia l'opzione prescelta, è difficile fornire una traduzione, sicché si è ricorso a una resa piuttosto generica, al plurale, da to che p'ij!J.tX non necessariamente indica una singola parola. 27.' La seconda proposizione introdotta da �vtX apre il v. 27. La si è considerata parallela al v. 26 (Ewald) o sua conseguenza (Haupt, che pre senta una trattazione approfondita delle varie possibilità). La seconda in terpretazione è la migliore perché fa dipendere la presentazione della sposa dal suo > . Il v. 27 costituisce un passo ulteriore nell'argomenta zione e non una ripetizione del v. 26. Se le due frasi fossero state parallele, sarebbe stato più semplice far introdurre la seconda da xtXL Ovviamente il v. 27 dipende indirettamente dal v. 2 5 . In 2 Cor. I 1 , 2 Paolo ha già parlato della presentazione a Cristo della chiesa come sposa (sui possibili significati di 7ttXpta't'lJ!J.L cf. Sampley, 1 3 41 3 7; B. Reicke - G. Bertram, in TWNT v, 83 5-840), tuttavia intercorrono differenze importanti tra 2 Cor. n ,2 e il passo in esame: I. in 2 Cor. 1 1 ,2 Paolo presenta la chiesa a Cristo; qui Cristo presenta la chiesa a se stesso; 2. in 2 Cor. 1 1 ,2 la sposa è una singola comunità; qui è tutta quanta la chiesa; 3 · 2 Cor. 1 1 ,2 raffigura un fidanzamento, il contesto è escatologico e il matrimonio è futuro; altrove nel brano qui commentato il matrimonio è considerato già esistente. Alcuni di questi punti richiedono ulteriore de lucidazione. I. Non è del tutto chiaro chi nel costume antico presentasse la sposa allo sposo. 2 A volte poteva essere il padre, ma di solito era un amico 1 C. Joumet, Note sur I'Église sans tache ni ride: RThom 49 ( 1 949) 206-22 1 , fornisce una rassegna delle interpretazioni di questo versetto presso i Padri e i primi studiosi cattolico-romani.
V. SB, 2 80-97·
1,
45 ss. soo ss.; J. Schmid, in RAC n, 546-548; j.D.M. Derrett, WateTinto Wine: BZ 7 (1963)
619 dello sposo. Paolo si reputava padre dei suoi convertiti (Gal. 4,19; Film. 10; I Tess. 2,7. 1 1 ) , in particolare della comunità di Corinto ( I Cor. 4,14 s.; 2 Cor. 6, 1 3 ; 1 2, 1 4 ) , sicché era una persona adatta a presentare quella chie sa. Nell'A.T., quando si ricorre alla metafora nuziale per esprimere il rap porto tra Jahvé e Israele, l'evento del matrimonio non viene descritto e non si capisce chi presenta Israele a Jahvé. Poiché non si menziona nessun altro, è ovvio pensare che sia Jahvé colui che compie la presentazione. È pertanto possibile ritenere che nel passo in esame sia Cristo (etÙ'tÒç Éetu'tcjl ne sottolinea il ruolo) colui che presenta la chiesa a se stesso. 2. Il passag gio dalla singola comunità quale sposa alla chiesa intera è analogo a quel lo dalla formula tradizionale di segno individuale in 5,2 a 5,25. 3 · Vi è chi (come Bruce; Hendriksen; Barth; Muirhead; 1 Gaugler; Houlden; Jeremias, in TWNT IV, 1097 s.), nel tentativo di armonizzare 2 Cor. u,2 ed Efesini, sostiene che in Efesini il matrimonio è futuro, e in effetti escatologico. Poi ché la chiesa sulla terra è sempre imperfetta, è soltanto alla fine che la si potrebbe definire gloriosa e senza mende. Ma molto di quel che l'autore scrive nel resto della lettera induce a credere che egli non avrebbe avuto difficoltà a concepire un matrimonio già in atto tra Cristo e la chiesa glo riosa e senza mende. I credenti già ora siedono nei cieli con Cristo ( 2,6 ) e in loro si vede la gloria di Dio ( 1 , 1 2; cf. 1 ,4; 3 , 1 8 s.). 4· Nulla indica quando hanno avuto luogo le nozze. Giacché la chiesa in quanto sposa è definita priva di difetti, si può congetturare che sia stato al momento della crocifissione, perché è tramite la morte di Cristo che i credenti sono resi esenti da difetto e macchia. Una possibilità alternativa, seppure meno pro babile, sarebbe il momento del battesimo, ma non c'è un unico battesimo della chiesa, bensì una successione di battesimi individuali. Comunque sia, quanto accade nel battesimo accade come risultato dalla croce. Cristo presenta a se stesso una sposa che è Évòo�oç, termine il cui signifi cato preciso si deve ricavare dal contesto (Sampley, 67 s.). Non è il caso di cercare di interpretarlo su base etimologica, quasi fosse correlato alla «glo ria >> divina, in particolare alla gloria della fine (cf. Kahler, art. cit. , u 5 ) . Al v. 27 probabilmente significa « bella >> . Si presume che le spose siano bel le, quantomeno agli occhi dello sposo, e la bellezza della sposa è ampia mente celebrata nella letteratura (Cant. 4,7; Sal. 45,8- 1 1 . 1 3- 1 5; r QapGen 20, 1 ss.; v. Is. 62, 1 - 8 per la gloria di Israele). La «bellezza >> di una sposa è di norma sua propria, 2 ma qui è lo sposo che la rende graziosa. Egli, Cri sto, è l'estetista che ha preparato la sposa - come Dio ha abbellito Israele in Ez. 1 6, r o- 1 4 , poiché l'ha santificata e purificata (ecco un altro punto in cui l'analogia non tiene). Nulla si dice delle sue sembianze prima delle -
1
2
!.A. Muirhead, lt is only in the End that the Church becomes the Bride: S]T 5 ( 1 9 5 2) 1 75 - 1 87.
Locke osserva che le spose si preoccupano di agghindarsi!
620
MARITI E MOGLI: CRISTO E LA CHIESA
nozze e, come con tutte le analogie, sarebbe sbagliato spingere questa trop po oltre e immaginare che la chiesa esistesse in una forma difettosa prima che Cristo la rendesse bella (v. appendice 1 , «La chiesa » 5 ) . Egli l'ha crea ta, e l'ha creata «gloriosa » . Ciò che Cristo crea è buono, esattamente come ciò che Dio crea è buono (Gen. 1 , 1 ss. ). La bellezza della sposa, che è la chiesa, ovviamente non è fisica ma morale e spirituale. La purezza morale e spirituale è un tema paolino ( I Cor. 7,14; 2 Cor. 6, 14-7, 1 ; n ,2; I Tess. 4.3-8). La parte restante del versetto esplicita il senso di è:vòo�oç, dapprima in ne gativo, poi in positivo (per i vocaboli usati v. Sampley, 68 ss.). La descri zione in negativo si serve di una terminologia fisica: a7ttÀoç, macchia, indi ca probabilmente un difetto della pelle o a una imperfezione esteriore (2 Pt. 2, 1 3 ; Giac. 3,6; Gd. 23; in I Pt. 1 , 1 9; 2 Pt. 3 , 1 4 si trova aamÀoç); pu ·tiç, ruga, rinvia anch'esso alla condizione della pelle. Per la generalizzazio ne conclusiva v. 1,21; Gal. 5 , 2 1 . La condizione perfetta della pelle, che fa pensare a una donna giovane, si accorda con l'idea di una sposa. Ma la chiesa è giovane? In senso storico e dal nostro punto di vista allora si tro vava nella sua gioventù, e tuttavia l'autore di Efesini non poteva certo sa pere che avrebbe continuato a vivere per due millenni. La chiesa è giovane poiché è nata con la croce, ma è anche vecchia perché continuazione di I sraele. I suoi membri sono giovani in quanto sono stati convertiti di recen te, ma vecchi in quanto sono stati gli eletti di Dio da prima della fonda zione del mondo ( 1 ,4). Lungo i secoli si è posto l'accento tanto sulla vec chiezza quanto sulla giovinezza della chiesa (cf. Herm. Vis. 2,4,1 e 3 , 1 3 , 1 ). Il versetto si chiude con la terza proposizione introdotta da �viX, che espo ne lo scopo ultimo per cui Cristo ha eletto la chiesa a sua sposa. Qui si fornisce la descrizione in positivo della sposa (à.'H'i'viX anziché à).)..'oÙa!Xv), riproponendo quella dei credenti fatta in 1 ,4 (per i termini v. ad loc. ). È possibile che l'autore sia ricorso a questi due termini a causa dell'impiego di (.LW(.LO> e in r Cor. I 5,5 1 s. agli eventi della fine. Al v. 3 2 fa la sua comparsa un altro aspetto, viene rivela to un segreto particolare. La variazione nell'impiego del termine deriva pro babilmente dal mondo greco piuttosto che da quello semitico, il cui influs so è soggiacente negli altri passi di Efesini inerenti al . 2 Poiché gli estranei potrebbero fraintendere il linguaggio sessuale, occorre velarlo (cf. Philo Cher. 42 s.; Corp. Herm. I , I 6). Si è spesso sostenuto che, giacché è usato in senso semitico in altre parti della lettera, il suo impie go dev'essere lo stesso anche qui. Ma se un termine si può intendere in più di un modo, è un errore insistere nel pretenderne un'unica interpretazione. Dev'essere il contesto, non il conto delle occorrenze, a stabilirne l'accezione in ogni singolo caso. I Sul v. 32. v. O. Skrzypezak, •Eu, porém, digo... ». De Genese 2,24 para Efésios J,J 2 : Revista de Cultura Biblica 6 ( 1 969) 103-1 I4; A.S. Di Marco, • Mysterium hoc magnum est... » (Ef 5,3 2}: Laucen tianum 14 ( 1 973 ) 43 -80; A.J. Kostenberger, The Mystery of Christ and the Church. Head and Body, •One Flesh» : TJ 1 2. ( I 99 1 ) 79-94; B. Kaye, • One Flesh» and Ma"iage: Colloquium u ( 1 990) 46-57. 2.
Cf. A. E. Harvey, The Use of Mystery Language in the Bible: JTS 3 I ( I 98o) 3 2.0-3 3 6.
EF.
5 ,22-3 3
Non solo il termine «mistero», ma anche la proposizione conclusiva del v. 3 2, ove l'autore afferma che sta parlando di Cristo e della chiesa, inco raggia a cercare un significato più profondo in Gen. 2,24. A d� I viene so litamente attribuito il senso di «su, in relazione a •• (cf. Atti 2,25 ; Herm. Sim. 9,26,6). Di Marco, art. cit., sostiene invece che in Efesini la preposi zione è usata più dinamicamente con un senso di scopo: il vero fine di Gen. 2,24 concerne il rapporto tra Cristo e la chiesa e non il rapporto umano. Tuttavia non si può sopprimere tanto facilmente l'aspetto umano, se si tie ne presente il contesto complessivo. èyw è enfatico. Altrove, quando l'au tore utilizza la prima singolare, intende Paolo ( 3 , 1 ; 4,1; 6,21 ss.; la men zione iniziale di Paolo prigioniero in 3 , 1 serve a identificare come Paolo la persona di cui si parla in 4, 1; 6, 19 s.). Probabilmente dunque l'autore di Efesini attribuisce a lui questa interpretazione di Gen. 2,24, sottolineando che vi sovrintende la sua autorità. Paolo si rivolgeva ai suoi lettori appel landosi a gradi di autorità che appaiono variabili (ad es. I Cor. 7, 10. 1 2; v. Best, Converts, 73-9 5 ). Questa espressione è troppo vaga perché se ne pos sano trarre conclusioni sul suo grado di autorità o su una sua eventuale differenza da quello postulato nel resto dell'epistola. È possibile che la pri ma persona singolare intenda sottolineare che quanto si sta dicendo costi tuisce una delle asserzioni più importanti nella lettera. Insegnando ai cri stiani della sua comunità forse l'autore di Efesini si è accorto che quando citava Gen. 2,24 a sostegno della propria argomentazione sul rapporto fra Cristo e la chiesa (non c'è alcun nesso logico tra il rapporto coniugale e quello Cristo-chiesa), qualcuno degli ascoltatori poteva rilevare che Gen. 2, 24 non dice nulla in proposito. Per prevenire un'analoga obiezione da par te dei lettori, pone dietro le sue affermazioni l'autorità di Paolo e con il termine «mistero>> fa capire che in Gen. 2,24 c'è qualcosa che richiede una spiegazione. Così, se dietro alla sua interpretazione sta l'autorità di Paolo, nessuno oserà obiettare. Di norma qui al ÒÉ si attribuisce la funzione di in trodurre un elemento di antitesi (v. BDR, § 277. 1; MHT, 3 7; Robertson, 677 s.), ma spesso è usato come particella di prosecuzione. Se ha valore antitetico, si ignora con che cosa l'autore stabilisca un contrasto. Presumi bilmente i lettori lo sapevano. L'intera espressione èyw òè ÀÉyw indica for se che si sta opponendo a un'interpretazione corrente. 2 Filone e lo Pseudo Filone (v. sopra) hanno utilizzato Gen. 2,24 in senso allegorico e tipologi co. In seguito vi furono cristiani, le cui idee probabilmente non erano note lr I Il secondo el� è omesso da B K pc; PtoJ Ten Cyp Epiph. Al riguardo v. Zuntz, 2. 2. 1 . L'omissione non modifica il senso; l'inclusione si accorda allo stile pleroforico dell'autore. Le attestazioni a favore dell'omissione provengono perlopiù dai Padri e possono essere dovute a un errore di memoria nella citazione. 2.
Cf. Monon Smith, Tannaitic Parallels to the Gospe/s (SBLMS 6), Philadelphia 1 9 5 1 , 2.8.
MARITI E MOGLI: CRI STO E LA CHIESA
all'autore della lettera agli Efesini, che ne fecero un uso speculativo (v. sot to). Certo l'interpretazione e l'applicazione di Gen. 2,24 nella lettera dif feriscono da quelle di Mc. 10,7 s. e Mt. 19,5 s. e da quella sottesa a I Cor. 6, 16. D'altro canto difficilmente l'autore avrebbe discordato da quanto af fermato in quei passi. Qual è dunque il mistero che l'autore reputa disvelato in 5 , 3 2 ? Giacché -rou-ro è epanalettico, esso deve trovarsi al v. 3 I. Vi è, manifestata qui, una nuova interpretazione del matrimonio umano, oppure delle parole del te sto, o del rapporto fra Cristo e la chiesa ? Non è verisimile che si tratti del la prima possibilità, poiché da quando Gen. 2,24 fu scritto si sa che mari to e moglie sono una sola carne, e si sa altresì anche che le mogli devono obbedire ai mariti e i mariti amare le mogli, come dimostra il codice do mestico di Colossesi. Gen. 2,24 dovrà quindi contenere un significato sup plementare rispetto a quello pertinente al matrimonio umano. Viene dunque reso noto un senso di Gen. 2,24 in precedenza sconosciu to, 1 qualcosa di diverso dal significato esteriore concernente il matrimonio umano. Alcuni interpreti qumranici erano convinti di poter scoprire signi ficati nuovi in testi veterotestamentari ( 1 QpHab 7, 1 -2.4- 5; CD 1 , 1 3 - 14; cf. Bruce). Cristiani e giudei hanno ricavato significati dall'A.T. in vario modo. Un testo si può accogliere in forma diretta, come quando i profeti condannano l'ingiustizia sociale e la loro condanna viene applicata all'in giustizia sociale del proprio tempo; in questo caso tuttavia non si può par lare propriamente di disvelamento di un significato in precedenza ignoto. Vi è chi ha ravvisato nel versetto in esame una profezia dell'incarnazione (si notino i verbi al futuro), o della parusia (futura dal punto di vista del l'autore di Efesini), ma per entrambe le interpretazioni la menzione della madre crea una difficoltà insuperabile (per i tentativi di aggirarla v. sotto). Cristo ha abbandonato sua madre per venire sulla terra o torna da lei? I tempi al futuro in ogni caso appartengono al testo nella forma in cui l'au tore l'ha ricevuto e sarebbe stato difficile per lui modificarli. Il passo nel suo insieme inoltre indica un'unione fra Cristo e la chiesa nel presente. Probabilmente si tratta di futuri gnomici (Burton, § 69; BDR, § 349. 1 ) o di imperativi categorici (Zerwick, § 280; MHT, 9 6; Robertson, 942 s.; BDR, § 3 62). Giudei e cristiani si sono valsi di altre vie per trovare nuovi significati nei testi. In Gal. 4,2 1-3 1 Paolo legge allegoricamente il racconto di Sara e Agar e ne ricava un senso nuovo. Se l'interpretazione allegorica costituisca un metodo ermeneutico valido non è questione pertinente. Essa è presente nella Scrittura ed era impiegata da interpreti cristiani del tempo. In questo tipo di lettura si valorizzano tutti i particolari di un fatto o di un 1
V. A.T. Lincoln, The Use ofthe OT in Ephesians: JSNf 14 ( 1 982) 1 6-57, e Kostenberger, art. cit.
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racconto, cosa che però l'autore di Efesini qui non fa, e non potrebbe fare, giacché se si interpreta allegoricamente il marito come Cristo e la moglie come la chiesa è impossibile attribuire un significato alla madre. Non che non siano stati compiuti tentativi in tale direzione: Gerolamo e Agostino (lo. Ev. Tract. 9,10 a Gv. 2, 1-u ) vedevano nella madre la Gerusalemme celeste, ma ciò non è d'aiuto. Di solito gli scrittori che propongono letture allegoriche forniscono anche qualche indicazione sull'opportunità di rica vare dal passo biblico in causa un significato diverso da quello esteriore (cf. Gal. 4,24). L'interpretazione allegorica non è pertanto la chiave per smontare il v. 3 1 . Potrebbe essere plausibile un'interpretazione tipologica. In Rom. 5,12 ss. e 1 Cor. 1 5,20 ss. Adamo è tipo di Cristo; così marito e moglie di Gen. 2,24 sono stati intesi come Adamo = Cristo ed Eva = la chiesa. Questa proposta esegetica viene elaborata in modo assai articolato da Miletic. È vero che ci sono forse in Efesini passi in cui Cristo è visto quale secondo Adamo (ad es. 1,22). Paolo, che conosceva ebraico e greco, verisimilmente quando s'imbatteva nel termine &v.Spw7toç vi avrà visto adombrato Ada mo, 1 ma l'autore di Efesini probabilmente non è Paolo, e anche se era un giudeo, non si può presumere che avesse una conoscenza approfondita del la lingua ebraica. Egli attinge tutte le citazioni veterotestamentarie dai LXX. In quanto asserzione di carattere generale piuttosto che specifica mente relativa ad Adamo ed Eva, Gen. 2,24 non si presta a un'interpreta zione tipologica. Inoltre è dubbio che si debba individuare «Adamo» in tutti i luoghi di Efesini in cui Miletic ne sospetta la presenza. Sarebbe più facile ravvisare l'immagine del nuovo Adamo e della nuova Eva se si leg gesse il testo più lungo del v. 30, e in effetti l'interpretazione sorse in origi ne proprio quando si accoglieva come autentica la forma testuale più lun ga, e forse persiste tuttora quale spiegazione benché ne sia venuta meno la principale ragion d'essere. Gerolamo giunse a una conclusione affatto dif ferente: come la razza umana nacque da Adamo ed Eva, così i credenti so no nati da Cristo e dalla chiesa (cf. Ps.-Philo Ant. Bibl. 3 2, 1 5 , ove si dice che Israele discende da Eva, la costola tolta ad Adamo). È arduo ritenere che ciò abbia parte nel testo. Probabilmente per l'autore di Efesini il miste ro non consiste nell'uomo e nella moglie, bensì nell'unione tra Cristo e la chiesa. In seguito Gen. 2,24 sarà usato ampiamente da molti che l'orto dossia denuncerà come eretici. 2 In Ex. An. 11,6 1 3 2,7 ss. si parla di un ma trimonio dell'anima con suo fratello che è inviato dal cielo. Il matrimonio 1
Cf. C.K. Barrett, From First Adam to Last, London 1 962, 6.
1
V. E.H. Pagels, Adam and Eve, Christ and the Church. A Survey of Second Century Controversies concerning Ma"iage, in A.H.B. Logan A.j.M. Wedderbum (edd.), The New Testament and Gnosis (Fs R. MeL. Wilson), Edinburgh 1 9 8 3 , 146- 1 7 5 . •
63 2
MARITI E MOGLI: CRISTO E LA CHIESA
comune è una contaminazione ma c'è un vero matrimonio non contamina to che appartiene alla volontà (Ev. Phil. 11,3 8 2,4 ss. ). Questi sono alcuni dei molti modi d'interpretare l'Antico Testamento, e ciascuno conta nume rose varianti. La resa di (J.UCT't�ptov con sacramentum a opera della Vulgata produsse una concezione del tutto diversa, che ha condotto all'idea del matrimonio come sacramento. Benché molti continuino a considerare il matrimonio un sacramento, non adducono più a fondamento il v. 3 2. Il rifiuto di questa in terpretazione del versetto risale perlomeno a Erasmo. Sorgono difficoltà nel definire il matrimonio quale sacramento in quanto non vi è unanimità sul la definizione stessa di sacramento. La maggior parte dei protestanti postu lano il requisito dell'istituzione da parte di Gesù. I membri della Società de gli amici e qualche altro gruppo protestante considerano tutta la vita alla stregua di sacramento. Anche il tentativo di dedurre la natura sacramenta le del matrimonio dall'insieme del passo 5,22-3 3 va incontro a difficoltà, in quanto in esso non è fornita una compiuta descrizione neotestamentaria del matrimonio. A tal fine è necessario chiamare in causa altri brani. Forse dunque la soluzione migliore è rinunciare a riportare le parole del l'autore a un dato metodo ermeneutico o a un modello dogmatico prede terminato, ma ritenere semplicemente che stia fornendo una base scritturi stica e una giustificazione teologica per combinare il rapporto tra marito e moglie e quello tra Cristo e la chiesa, e stia al tempo stesso compiendo un passo avanti nell'insegnamento sulla stretta relazione della chiesa con Cri sto, relazione già definita dall'idea di «corpo » . L'autore usa il termine «mi stero» nel senso di segreto ora rivelato, perché è convinto che quanto dice non sia frutto di un suo ragionamento, ma provenga da Dio. 1
33· Questo versetto fornisce un riepilogo e una conclusione (per 7tÀ�v con questo valore v. BDR, § 449.2; MHT, 3 3 8; Robertson, I I 87; Thrall, 20-25; cf. I Cor. I I, I I; Fil. r , r 8; 3 , r 6; 4,14) del punto originariamente principale del codice domestico, relativo al rapporto tra marito e moglie, aspetto dal quale l'autore di Efesini si è staccato per affrontare il tema del rapporto tra Cristo e la chiesa. La struttura è chiastica: ora si parla di ma rito e moglie in ordine inverso rispetto ai vv. 22-3 2. cpo�lj't'ctt non è una ri presa di cpo�q.� del v. 2 r e non dà luogo a un'inclusio (v. al v. 2 r ); il verbo, inteso adeguatamente, si inserisce bene nel contesto. In questo sommario la prescrizione ai mariti viene espressa in forma enfa ticamente individualizzata - «ciascuno di voi » -, che si deve intendere com prensiva pure delle mogli. Nessun marito e nessuna moglie possono crede re che queste parole non valgano anche per loro. Pur avendo molto da dire I
Per una storia degli effetti dei
vv.
3 I s.
v.
Schnackenburg, 3 3 I - 3 3 9 ·
sulla chiesa nel suo insieme, l'autore sa bene che essa è formata da indivi dui che devono instaurare interrelazioni fra loro. Tale rapporto per quanto riguarda il marito è definito di nuovo in termini di amore, la cui partico lare rilevanza era dichiarata in due modi differenti nei vv. 2 5-27 e nei vv. 28-29, ma adesso viene apportata una variazione: in precedenza l'amore del marito per la moglie doveva essere simile a quello per il suo corpo (o per la sua carne) oppure all'amore di Cristo per la chiesa; ora deve essere simile all'amore per se stesso (cf. v. 28b). Svincolato dalla necessità di con servare il parallelismo fra il rapporto marito-moglie e Cristo-chiesa, l'au tore lascia cadere il termine crw�J.a. per usare il più semplice pronome rifles sivo. Come ha osservato Gerolamo, l'espressione risulta in certa misura analoga a quella di Lev. 1 9, 1 8. I Per la concezione giudaica e cristiana del «prossimo» v. a 4,25; qui, al v. 3 3 , la moglie, in quanto anche lei creden te, si può correttamente definire quale «prossimo >> . Il rapporto tra l'amore di sé e l'amore del prossimo è trattato da manuali di etica cristiana, e non occorre qui affrontare questo problema generale. Nei vv. 28 s. il prossimo è stato definito come appartenente al medesimo corpo o alla medesima carne del marito, ed è questa, non Lev. 19,1 8, la base per la prescrizione di amare. Certo ci dovrà pur essere una differenza tra il modo in cui un mari to ama la propria moglie e il modo in cui ama la moglie del suo prossimo. Potrebbe essere questo il motivo dell'éa.u't'ou qui e al v. 28. Da 1 Cor. 6, 1 6 s i evincerebbe i n ogni caso che egli non debba amare l a moglie del suo prossimo. L'amore per la propria moglie avrà legittimamente una com ponente sessuale (cf. I Cor. 7,3 ss.), che non sarà, o non dovrebbe essere presente nei suoi rapporti con altre donne. Se lo si considera come paralle lo, pertanto, bisogna trattare Lev. 1 9, 1 8 con estrema cautela. Mentre l'amore come atteggiamento del marito verso la moglie è espres so qui nella stessa forma adottata sopra, per caratterizzare l'amore della moglie verso il marito si opta per un termine diverso. A Ù7to't'acrcrw è sosti tuito tpo�Éo(La.t, due radici connesse al v. 2 1 . Anche nella costruzione si in serisce una variazione, analoga al v. 27b (cf. 2 Cor. 8,7; I Cor. 14,5; Gal. 2,10) con t'va. usato in senso imperativo (cf. BDR, § 3 87.3; MHT, 94 s.; Moule, 144 s.; Robertson, 9 3 3 · 994 ). 2 Lo spettro semantico di tpo[3Éo!J.a.t spazia dall'idea di terrore a quella di rispetto e reverenza. Poiché qui indi ca la risposta della moglie all'amore del marito, il suo significato non può Sampley, 30, sostiene a tono di essere stato il primo a notare questa somiglianza. Diversamente da I Gerolamo, runavia, egli produce riscontri a sostegno dell'osservazione: la donna corteggiata da colui che canta nel Cantico dei Cantici è dena :rcÀ1Jatov ( 1 ,9. 1 5 ; 2,2.. 1 0. 1 3 ; 4,1 .7; 5 ,2; 6,4). • Prossimo• era utilizzato pure nella letterarura rabbinica seriore in relazione al matrimonio: bQidd. 4 1 a; bNidd. 1 7a; bjeb. 3 7b. Anche se questo fosse stato l'insegnamento giudaico del tempo, i lettori gentili di Efe sini non sarebbero stati verisimilmente in grado di cogliere il collegamento. 2 Cf. W.G. Morrice, The Imperatival iva.: BT 23 ( 1 972.) 3 2.6-3 Jo.
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certo trovarsi nella sfera del terrore. La resa come reverenza non sarebbe peraltro precisa, giacché l'atteggiamento della moglie include l'obbedienza e la sottomissione. Il cpo�oç è una componente normale in tutte le strutture autoritarie (cf. Rom. I 3 ,3 +7·; 1 Pt. 2, I 8; Ef. 6, 5 ), anche se, allorché chi esercita l'autorità agisce in modo irragionevole, esso può degenerare in terrore. Nel caso in questione chi esercita l'autorità è ispirato all'amore. Co me rileva Bouttier, tutti i credenti sono esortati sia a temere sia ad amare Dio. La traduzione migliore è probabilmente «rispettare» . A sorprendere è l'assenza dell'invito alla moglie ad amare il marito. Non c'è una ragione logica che imponga di tracciare un parallelismo tra il rapporto fra Cristo e la chiesa e quello fra marito e moglie. Ciò risulta evidente una volta che si collochi il matrimonio entro una situazione cultu rale differente, per esempio di tipo matriarcale. L'autore di Efesini ha po tuto stabilire questo parallelismo soltanto perché viveva in una cultura pa triarcale. A favorirlo in questo è stato anche il genere femminile di èxxÀl) afa.. Se per designare i gruppi cristiani avesse usato 6 Àa.oç oppure '!Ò lepov, il parallelismo sarebbe stato impraticabile. In esso di fatto egli evidenzia esclusivamente gli elementi che si prestano allo scopo. Ignora la dote che la sposa usava portare allo sposo: menzionarla avrebbe comportato una dot trina delle opere. L'autore invero non argomenta mai il parallelismo, ma ne presuppone la conoscenza nei lettori (tramite 2 Cor. I I,2? Schlier, 264), e se ne serve, pur apportando modifiche nei particolari a 2 Cor. I I ,2. Per lo scopo che qui ci si propone è sufficiente sapere che il parallelismo era presente nella scuola paolina, ma una certa conoscenza del suo sfondo può aiutare a comprendere quale presa avrebbe avuto sui lettori. È dato ri scontrare altrove la formulazione del rapporto tra un singolo di natura su perumana e un gruppo di persone in termini coniugali? I precedenti sono stati ampiamente esaminati e valutati, senza un consenso apparente. 1 Poi ché il matrimonio è un'esperienza che appartiene alla vita della maggior parte delle persone, il suo utilizzo metaforico non dovrebbe suscitare stupo re. Esso in effetti compare nelle parabole di Gesù (Mt. 22, I - I4; 2 5, I · I 3 ) e in relazione a Gesù e a Giovanni il Battista (Mc. 2,I 8-20; Gv. 3,23-30). Tuttavia, benché nei vangeli Gesù sia presentato come sposo o marito, i discepoli non sono mai definiti sua moglie o sua sposa. L'analogia marito moglie è d'altro canto applicata alla chiesa in Apoc. I9,7·9; 2 1 ,2.9; 22, 1 7 (Rom. 7,4 non è pertinente). Nell'A.T. e nel giudaismo Jahvé è raffigurato r V. Chavasse, The Bride o( Christ, London s.d.; Schlier, 264 ss.; Id., Christus, 60·7 5; Mussner, Christus, r so· I 6o; Cambier, Mystère; Batey: NTS IO ( 1 9 6 3 - 1 964) I :tl - 1 27; Id.: NTS 13 ( 1 966· 1967) :t70·:t8 r ; Sampley, passim; Gnilka, 290 ss.; Niederwimmer, I J 4·r s r ; Fischer, r 6 s -:too; Emst, 389 ss.; Lincoln, 362-3 6 5 ; Gielen, :t68 ss.; Pokorny, n8-:t3 :t.
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come marito di Israele, che dal canto suo il più delle volte gli è infedele ( Os. 1-3; Ger. 3,8; Is. 54,1-8; Ez. 1 6,23 ). Due scritti (salmo 45 e Cantico dei Cantici), composti in origine come poemi sull'amore umano, finirono con l'essere riferiti all'amore di Dio per Israele. Ma erano tenuti a obbedire ai loro padri quando essi ordinavano loro di venerare gli dei domestici o di partecipare a una cerimonia pubblica in onore delle divinità cittadine? Problemi siffatti verisimilmente non si ponevano nel mondo pa gano, che non prevedeva saldi vincoli religiosi che rinforzassero quelli bio logici. Gesù mostra un'acuta consapevolezza delle tensioni che potevano sorgere in una famiglia quando un suo membro diveniva discepolo (Mc. I3, 1 2; Le. 9,59-62; 14,26). Nondimeno, anche se i credenti perdevano il loro posto all'interno della famiglia biologica, avrebbero trovato nuovi fratelli e sorelle nella famiglia cristiana (Mc. 3,3 1-3 5; 10,29 s.). L'autore di Efesi ni non offre indicazioni concrete sul modo di allevare i figli. Nel giudaismo il centro effettivo dell'educazione era la casa (Deut. 6,7; Prov. I 3,24; Sir. 30, I - I 3 ; Philo Hyp. 7,14; Ios. Ap. I ,6o)/ sebbene, come accadeva presso molte famiglie greco-romane, parte della formazione fosse affidata a scuo le all'esterno. Ciò vuoi dire che i figli di genitori cristiani erano mandati in scuole pagane? Probabilmente al tempo di Efesini doveva essere escluso che frequentassero le scuole della sinagoga. La presente sezione sul rappor to fra genitori e figli corrisponde in qualche modo alla trattazione sul rap porto tra credenti più anziani e credenti più giovani in I Pt. 5,5; I Tim . 5, I s.; Tit. 2,6. Nella società antica si aveva in realtà un rispetto generale per l'età avanzata. I vv. I e 2 sono similmente strutturati attorno a un imperativo, con le motivazioni espresse in proposizioni con Èa"tiv. La motivazione fornita al v. Ib conduce al v. 2, poiché la giustizia e la legge sono correlate. Il v. 3 offre una ragione ulteriore per la prescrizione del v. 2. Il v. 4 è strutturato in maniera diversa, con due imperativi contrapposti l'uno all'altro. 1 S. Safrai, Home and Family, in S. Safrai M. Stem (edd.), The Jewish People in the First Century (CRINT) n, Assen-Amsterdam 1 976, 7:1.8-79:1.: 7 7 1 . -
:z.
Cf. W . Pohlmann, Die verlorene Sohn und das Haus ( WUNT 6 8 ), Ti.ibingen 1 9 9 3 , 6 r ss.
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I. NA�7 racchiude tra parentesi quadre iv xuptcp. Lo si legge in '.p46 K A D ' 1F 0278 0285 33 1 739 1 881 cm a m vg sy co, ma è omesso in B D "' F G b; Mcion T vid Cyp Ambst. Entrambe le lezioni sono dunque ben attestate. Se non era presente in origine, l'espressione è un'aggiunta presumibilmente volta a la direttiva. Se fosse stata influenzata da Co/. 3,20, avrebbe specificato òlxcxtov; se avessero agito in tal senso 5,22 o 6,7, si dovrebbe avere wç 'lf> xuptcp. La presenza dell'espressione è in linea col suo impiego generale nella lettera (cf. 4, 1 7; 6, 1 0) e in Paolo. Se però era la lezione originaria, è ar duo comprendere perché la si sia omessa. Marcione offre l'attestazione più an tica della sua omissione e Masson ha suggerito che egli l'abbia tralasciata per ché trovò difficile associare xuptoç al decalogo. Ma questa è una mera conget tura e non serve affatto a spiegare l'omissione presso altri Padri della chiesa che non condividevano le opinioni di Marcione sull' A.T. Se egli avesse voluto modificare il testo, sarebbe stato più logico per lui omettere la citazione vete rotestamentaria. Qualora l'autore di Efesini avesse voluto indicare qui il Si gnore, non avrebbe forse usato wç come in 5,22; 6, 7 ? Ma c'era poi la necessi tà di menzionare il Signore? Le affermazioni dell'autore sull'obbedienza rice vono sufficiente sostegno dalla citazione del decalogo, che i suoi lettori avreb bero considerato alla stregua di disposizione divina. Ai giudei il comandamen to sarebbe suonato giudaico, ma i cristiani, che avevano adottato l'Antico Te stamento, l'avrebbero reputato cristiano. Pertanto, con non poca esitazione si preferisce qui accogliere il testo più breve. pid
Se si legge , il complemento deve specificare \maxouE"t€ e non 'toiç yovEuatv, e significherebbe che i figli sono tenuti a obbedire per ché sono cristiani. Se invece non lo si legge, il testo non dice nulla più di quanto avrebbe detto un moralista greco-romano o giudaico. In un certo senso il rimando alla divinità doveva essere implicito, poiché nel giudai smo, e anche in ambito più vasto, nella gerarchia dell'obbedienza i genitori vengono subito dopo Dio, e l'obbedienza dovuta a loro è strettamente connessa a quella dovuta a lui (Philo Decal. I I9 s.; Vit. Mos. 2, 198; Spec. Leg. 2,225.23 5; Ios. Ap. 2,2o6; Sib. 3,593 s.; Ps.-Phocyl. 8; Test. Rub. 3,8; Stob. 4,2 5 , 5 3 , Hense, 2,640 ss.; Cic. Off. 1,58; Diog. Laert. 7,108. uo; Epict. Diss. 2, 1 7,3 1 ; 3,7,26; Muson. 1 6, Hense, 8 2,3 - 5 ) . L'autore ha dun que basato la sua direttiva sulla connotazione morale generale di òlxawv e sul nesso particolare con il decalogo, che era ovviamente rivestito di gran de importanza per i lettori ed era da loro inteso come disposizione cristia na. Come si desume dal suo uso altrove, 'tÉxva comporta un legame biolo gico e non fornisce indicazioni sull'età. Può designare figli abbastanza grandi da essere credenti (Mt. 10,21 ), da lavorare nei campi (Mt. 21,28), o da essere ritenuti responsabili dei propri peccati (Mc. 2, 5 ; cf. Le. 1 5 ,3 1 ), e può essere utilizzato in senso metaforico, riferito a persone di ogni età ( Mt. 3 , 9; 23,37; Mc. 7,27; Le. 7,3 5 ) . I figli sono dunque membri a pieno titolo
GENITORI E F I G LI
della comunità e si presume abbiano un'età in cui potrebbe prodursi disac cordo con i genitori (qui si pensa ai genitori biologici e non ai «padri nella fede» ), poiché, anche se fossero già maggiorenni, sono ancora sotto la loro autorità. Qui, come in 6,5, si usa Ù7taxoUEtv invece dell'ù1to'tcl:aaEa'!9at di 5,21. Dato che in questo punto si riscontra una variazione analoga nel co dice domestico di Colossesi, essa era probabilmente già presente nella forma del codice domestico circolante nella scuola paolina, sicché non è il caso di attribuire alcun significato al cambiamento del verbo da parte del l'autore di Efesini. L'obbedienza ai genitori è definita òix.atov. Sebbene nell'insegnamento paolino la radice di questo termine sia fortemente connessa alla giustifica zione, qui il vocabolo compare in senso più lato e in accordo con il suo uso nell'insegnamento morale del mondo antico (cf. Epict. Diss. r,22,r; 2, 17,6), uso già incontrato in 4,24 (cf. Fil. r,7; 4,8; 2 Tess. r,6; Atti 4,19; 2 Pt. r,r 3 ; Col. 4, r ; Le. 1 2,57). Il passo parallelo, Co/. 3,20, ha EÙ!ipEa'tov, che l'autore di Efesini aveva già impiegato in s,ro. Egli non nutre quindi riserve contro questa parola e, se avesse copiato da Colossesi, non avrebbe avuto motivo per sostituirla. Rispetto a una volontaria alterazione di Co lossesi da parte dell'autore di Efesini, è più probabile che i due autori ab biano aggiunto alla tradizione, indipendentemente l'uno dall'altro, un ter mine qualificativo. In Efesini manca il x.a'tà 1tcl:v-ra di Co/. 3,20. Anche se l'autore dipendesse da Colossesi, sarebbe arduo immaginare che ometten dolo intendesse dire che ci sono occasioni nelle quali non è necessario ob bedire. I giudei che osservavano la legge sarebbero stati senz'altro definiti giusti (cf. Ios. Ant. 6, r 6 5 ; 8,208 ), il che valeva pure, presumibilmente, per i cristiani. Ma l'obbedienza è «giusta » anche a motivo del rapporto biolo gico tra genitori e figli. È importante notare l'assenza di quel tipo di moti vazioni addotte talora da qualche genitore: «abbiamo vissuto più a lungo nel mondo e sappiamo meglio che cos'è giusto>>; « tu ci devi molto, perché ti abbiamo messo al mondo>> .
2..3. Per porre in chiaro la propria affermazione sull'obbedienza, l'auto re cita ora il comandamento del decalogo (v. intr. 9. 1 per il suo uso nei I'A.T.), fornendo in tal modo una ulteriore motivazione per l'obbedienza stessa. 'tt(J-cl:w esprime un concetto più ampio e garbato rispetto a Ù1tax.ouw, I e implica, oltre al resto, la cura dovuta ai genitori anziani. È inoltre possi bile che richiami l'attenzione sull'atteggiamento interiore più che sui gesti concreti di obbedienza esteriore. Questa può scaturire dal timore della puSulla distinzione fra i due termini v. R.F. Collins, Obedience, Children and the Fourth Command I ment - A New Testament Note: LS 4 ( 1 97�) 1 5 7 - 1 7 3 ; sulla pietà filiale presso i giudei v. Moore, n, 1 3 1-134.
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nizione invece che dal vero rispetto. Il cambiamento del verbo non può pe raltro essere attribuito all'autore di Efesini (malgrado l'opinione di Groshei de), poiché è il verbo presente nel testo del comandamento. La citazione del comandamento è tratta da Es. 20, 1 2, passo al quale è più vicina che a Deut. 5 , 1 6.' L'unica variazione significativa rispetto a Es. 20, 1 2 è l'omissione dell'espressione finale che qualifica la implica inoltre una sequenza successiva, ma nel decalogo non compaiono dopo questo altri comandamenti con una promessa. Nel tentativo di supe rare tali difficoltà Origene - a quel che sembra, il primo a rendersene con to -, seguito da Gerolamo, suggerisce che > anzi ché su , l'ipotesi non tiene, tanto più che ci sono altri co mandamenti che concernono i figli (cf. Gielen, 297). Non è possibile sot trarsi alla difficoltà argomentando che è il primo comandamento che trat ta di figli al quale sia collegata una promessa (Grosheide). Questa soluzio ne lascia troppi aspetti impliciti. È difficile capire come l'affermazione (Es. 20,6) che accompagna il secondo comandamento si possa ritenere qualco sa di diverso da una promessa (Lincoln). E anche se lo si nega, ci sono co mandamenti precedenti accompagnati da promesse in Es. 1 2, 1 3 (al rigu rado in 1 2,17 si usa il termine ÈnoÀ�); 1 5,26; 19,5, che appartengono tut ti al periodo successivo all'esodo ma anteriore al decalogo. Infine, queste interpretazioni condividono tutte un punto debole: «primo>> indica che de ve seguire una serie di comandamenti accompagnati da promesse, che in vece è impossibile individuare nell'A.T. Se non si circoscrive il termine al decalogo, allora bisogna prendere in considerazione i comandamenti che lo precedono come quelli che lo seguono, e questo - a quanto sembra - costringe di nuovo ad attribuire a «primo>> un'indicazio ne di importanza. Per giustificarlo si è postulato l'uso di qualche attesta zione rabbinica (Deut. r. 6 a Deut. 22,6; SB, m, 694 ss. ) che considera il quinto comandamento come (Dibelius). Deut. 22,6 s. con tiene un'espressione analoga a Ef. 6.3 e poiché riguarda le uova nel nido di un uccello è relativamente irrilevante ed è perciò da giudicarsi come «il più leggero>> dei comandamenti. Il quinto, per contro, sarebbe dunque . Ma l'autore di Efesini - per tacere dei suoi lettori - poteva essere a conoscenza di una simile argomentazione (Gnilka, Schnackenburg, Lin coln) ? Alla fine, la soluzione più semplice non sarà forse intendere come designazione di un comandamento preminente, di grande rilievo per ché è incluso nel decalogo ed è accompagnato da una promessa ? A prescindere dal significato attribuito a «primo>> , è di maggiore impor tanza la natura della promessa. Al v. 3 L'va regge entrambi i verbi (cf. BDR, § 442 n. 8; per l'uso del futuro con L'va v. Burton, § 198; BDR, § 369.2; Robertson, 875. 954; per e:?i v. BDR, § 1 02.3 n. 3 ; Robertson, 299 ). In ori gine la promessa riguardava la residenza in Canaan dei discendenti di co loro che vi erano entrati dopo l'esodo ed era adeguatamente connessa al l'unico comandamento che presupponeva una continuazione di Israele. Una volta che i giudei iniziarono a vivere in altre regioni, questa limitazione
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geografica non ebbe più valore. y'i] era fortunatamente voce ambigua, che derivava il suo significato dal contesto. Nel giudaismo tardo la parola era non di rado omessa nei richiami al testo (SB, 1, 705-709; m, 614; è elimi nata in Sir. 3 , 1 - 1 6; Filone l'ha spiritualizzata in Spec. Leg. 2,262). L'auto re di Efesini conserva il termine ma lo lascia senza contesto, di modo che si può leggere nel senso di «terra, mondo>> , In entrambi i casi essa comporta ancora una connotazione materiale. Poiché l'autore ha già usato «eredità » ( 1 , 1 4; 3,6) con un'accezione non materiale, egli pensa qui a un significa to analogo (per un'accezione non materiale cf. Mt. 5 , 5 ) ? A cominciare da Origene (cf. Gerolamo, Tommaso) molti interpreti vi hanno scorto perciò un più profondo senso non materiale, di solito relativo alla vita eterna. La prima proposizione del versetto rende difficile questa interpretazione. Di per sé (J.IXXflOl@OVtoç si potrebbe leggere in questa chiave, ma non senza ri serve. Quando reinterpreta materiale preformato, inoltre, l'autore di Efesi ni lo segnala chiaramente (4,7- 10; 5 , 1 3 s.). Probabilmente dunque la solu zione migliore è prendere alla lettera la promessa del v. 3 · I figli che osser vano il quinto comandamento prospereranno (e:ù) e vivranno a lungo (Bel ser, Lincoln). Ciò concorderebbe con molta parte dell'A.T. e con l'etica più prudenziale delle pastorali (molti hanno seguito Harless nel citare I Tim. 4,8 a sostegno di questa esegesi). È questo un punto di vista che contrasta con l'attesa escatologica di una fine imminente tipica di gran parte del N.T., sul quale però i cristiani hanno abitualmente ripiegato. Non sorprende ve dere l'autore della lettera agli Efesini, la cui etica raramente raggiunge li velli di notevole profondità, muoversi nella medesima direzione. Il tentati vo di giustificare questa interpretazione orientata in senso «materiale» as serendo che chi conduce una vita familiare ordinata gode di una vita lun ga, a differenza di chi non lo fa ( «l'eccezione conferma la regola >> ), è arduo annoverarlo fra le argomentazioni.
4· Ora l'autore si rivolge ai padri (il xiXi vale quasi «e ora, quanto a voi padri>> ), che hanno bisogno di direttive quanto i figli. Secondo il costume antico, si indirizza solo a loro, senza menzionare le madri. È vero che 7tiX 't'Épe:ç può talvolta includere le madri (Ebr. 1 1 ,23 ), ma la variazione rispet to a «genitori>> del v. 1 è significativa. Se l'autore avesse voluto compren dere le madri, avrebbe dovuto dichiararlo esplicitamente, visto il modo di pensare del tempo. Il monito ai padri è lungo soltanto circa la metà di quel lo ai figli, che però conteneva un'ampia citazione veterotestamentaria. Co me Col. 3,21, il v. 4 si apre in forma negativa, ma, diversamente da quel passo, si chiude in forma positiva. Poiché nel mondo antico esercitavano una forte autorità sui figli, i padri potevano essere portati a intimidirli, a imporre le regole e così a esasperarli. Nel N.T. 7t1Xpopyi'çw si riscontra al-
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trove soltanto in Rom. 10,19, dove si cita Deut. 3 2, 2 1 , ma l'autore di Efe sini usa il sostantivo corradicale in 4,26. Col. 3 , 2 1 ha Èpe.Sl�w. È difficile capire perché, se l'autore di Efesini si serviva di Co/. 3 , 2 1 , ne avrebbe do vuto cambiare il verbo, come del pari per l'autore di Colossesi, se usava Ef 6,4. La differenza nei verbi, che pure esprimono un'idea analoga, è una indicazione ulteriore dell'indipendenza reciproca dei due scrittori e della loro comune appartenenza alla scuola paolina. Se i padri esasperavano i fi gli, l'effetto prodotto sarebbe stato l'opposto di quello voluto, poiché l'ira è peccato (4,26) e i figli esasperati avrebbero dunque commesso peccato. L'opinione dell'autore non è isolata nel mondo antico (cf. Plutarco, De li beris educandis, M or. 8f-9a; Menandro, in Stob. 4,26,4 ss., Hense, 2,6 so; Ps.-Phocyl. 207-217). Anche se l'età dei figli non è indicata, è più proba bile che siano esasperati da un padre irritante i figli più grandi, sebbene gli effetti successivi di tale atteggiamento su figli più giovani possano essere più pronunciati. L'atteggiamento positivo che i padri devono adottare è espresso prima in termini generali, con Èx-tpÉq>en, usato qui in modo diverso da 5,29 in quan to pertiene all'educazione e all'allevamento dei figli, e poi con due sostan tivi, natòda e vou.Seala, fra i quali è arduo tracciare una distinzione (così anche in Filone, che li usa insieme: Imm. 54; Spec. Leg. 2,239; 4,96). Il tentativo di stabilirla intendendoli relativi all'educazione tramite l'azione e tramite la parola risale a Grozio, ma è difficile sostenerla. Se è vero che il termine natòda (v. G. Bertram, in TWNT v, 596-624) è strettamente con nesso al processo educativo, il suo significato tuttavia non dovrebbe essere circoscritto all'apprendimento teorico. L'educazione greca comprendeva una formazione morale e filosofica. Nel mondo giudaico, dove era collega to alla sapienza, il vocabolo finì col comportare l'idea aggiuntiva di puni zione corporale in associazione con l'istruzione (ad es. Sir. 42,5; Prov. 1 3 , 24; 29, 19). Anche se i l ricorso a questa era comune nei sistemi educativi del mondo antico, è improbabile che tale sfumatura giudaica sia stata ri presa in Asia Minore: non la si riscontra in Atti 7,22; 22,3; 2 Tim. 2,25; 3, 1 6; Tit. 2, 1 2, sebbene compaia in Ebr. 1 2, 5 ss. (basato su Prov. 3,u ss.); I Cor. u,3 2; I Tim. 1,20; Le. 2 3 , 1 6.22; 2 Cor. 6,9. La correzione è eser citata talvolta da Dio, talaltra da uomini. Di norma dal contesto si desume chiaramente quando entra in causa l'elemento corporale. Alla parola nel v. 4 è opportuno attribuire l'accezione educativa più ampia, pur nella consa pevolezza che la formazione potrebbe implicare la disciplina correttiva. Nel N.T. vou.Seala compare soltanto in I Cor. ro, u ; Tit. 3 , ro, benché il verbo corradicale ricorra più spesso, in relazione all'ammaestramento ver bale (Atti 20,3 1; Rom. 1 5, 1 4; I Cor. 4,14; Col. r,28; 3 , r 6; I Tess. 5,12. 14; 2 Tess. 3 , 1 5 ), dove l'idea di punizione non trova evidentemente spazio.
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I due sostantivi insieme designano il processo educativo, ancorché non for niscano indicazioni sul suo contenuto. Non c'è nulla qui su cui basare una teoria educativa, se non che verrebbero escluse quelle teorie che permetto no ai figli di fare tutto ciò che vogliono. Non vi è inoltre alcun cenno di una raccomandazione ai padri di amare i figli, analoga a quella di amare le mogli. Crisostomo commenta che i padri amano per natura i figli, talché non occorre esortarli a farlo. Forse la stessa motivazione ha agito nell'omis sione di un richiamo alla patris potestas: a quel tempo era un dato così scontato, che non era necessario parlarne. Le disposizioni del culto di Fila delfia, esaminate da Barton e Horsley, si spingono al di là di quanto si legge qui, in quanto proibiscono ai genitori sia l'aborto sia la contraccezione. L'educazione dev'essere condotta xuplou. Il genitivo non può significare che si tratta di un'istruzione sul Signore, ma potrebbe voler dire o «tenen do presente il Signore>> , «alla luce del Signore>> (genitivo di qualità, cf. MHT, 2 1 2-214; BDR, § 1 65 ; così Gnilka, Schlier, Schnackenburg, Lin coln), oppure con il Signore considerato come l'istruttore ultimo, che ope ra tramite il padre (genitivo soggettivo; così Bouttier; Bertram, 623 ). Nel primo caso si otterrebbe un senso analogo a quello del v. 1, e tuttavia, se que sta fosse stata l'intenzione dell'autore, sarebbe stato logico avere la mede sima espressione. È pertanto preferibile la seconda interpretazione: il padre è tramite dell'educazione del Signore. I figli istruiti dal padre sono i suoi e presumibilmente anche quelli di sua moglie. Nulla si dice sull'educazione dei figli dei suoi schiavi e schiave (concubine?). Agli schiavi è rivolta un'al locuzione (v. 5 ), sicché essi vengono apparentemente trattati come esseri umani, ma non vi è cenno alla possibilità che abbiano famiglia. Ciò signifi ca disumanizzarli. L'invito ad allevare ed educare i figli induce a credere che l'autore di Efesini non ritenga che la fine stia per arrivare. Non si fa parola degli aspetti concreti dell'insegnamento che i genitori dovrebbero impartire ai figli. Verisimilmente sono tenuti quantomeno a trasmettere loro gli ammaestramenti che l'autore ha già esposto in prece denza nella lettera, inerenti sia alla natura della chiesa di cui sono membri, sia alla morale (dire la verità, non perdere il controllo, non fornicare ecc.). Ma questo non basta. È necessario occuparsi di ambiti tralasciati dall'au tore. Ai figli si dovrà dire come trattare coetanei e adulti che non appar tengono alla chiesa e quale sia l'atteggiamento adeguato da assumere verso le autorità esterne, nella scuola, nella città, nello stato. Nel N.T. ci sono tendenze di pensiero diverse riguardo al rispetto per i genitori. In Mc. 7, 10- 1 3 Gesù critica coloro che vi antepongono anguste normative religiose, ma in Mc. 1,20 induce Giacomo e Giovanni ad ab bandonare il padre (cf. 10,29 s.); in 3,34 s. mette i discepoli al posto della famiglia naturale e in Le. 9, 59 s. biasima l'uomo che vuole seppellire il pa-
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dre prima di farsi suo discepolo. Purché sia chiaro che l'autore di Efesini si rivolge a figli e figlie in famiglie già cristiane, non c'è differenza qui tra que sto indirizzo della tradizione evangelica e quanto egli scrive. Nel caso di una famiglia non cristiana, sarebbe stato forse opportuno per i nuovi credenti trascurare i loro doveri verso i genitori. C . PAD RONI E S CHIAVI
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Schiavi, obbedite ai vostri signori umani con timore e tremore, in semplicità di cuore, come (fosse) al Signore, non con impegno esteriore, come chi cerca di piacere ad altri, ma come schiavi di Cristo che compiono la volontà di Dio di cuore servendo con benevolenza, come al Signore e non a padroni umani, sapendo che ciascuno, sia schiavo o libero, che faccia qualcosa di bene, sarà ricompensato dal Signore.
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quanto a voi, padroni; trattateli similmente, senza minacce, sapendo che il loro e vostro Signore è in cielo, e che non fa distinzioni fra le persone.
La sezione finale del codice domestico tratta un terzo ordine di rapporti im portanti in molte famiglie antiche, quello tra schiavi e padroni. Come nelle altre sezioni, si comincia dal gruppo inferiore, gli schiavi, per passare a quello superiore, i padroni o proprietari. Sia agli schiavi sia ai padroni ci si rivolge inizialmente con un imperativo che viene sviluppato da proposizio ni participiali - parallele fra loro quelle del v. 6b e del v. 7 - e la proposi zione participiale conclusiva in entrambi i casi è introdotta da e:lòO"e:c;, due proposizioni, queste, che collocano schiavi e padroni insieme su un piano di eguaglianza dinanzi a Dio. Le due sottosezioni sono collegate da xeti, come nei vv. 1-4. Tutta la pericope è cristocentrica (Stott): Cristo vi è menziona to cinque volte. Era più s�mplice introdurlo in questa sezione che nella pre cedente, perché si poteva usare il termine «schiavo» per rappresentare la sua vita terrena, mentre egli non è mai stato né marito, né moglie, né padre. Vi sono vari altri passi del N.T. che si occupano degli schiavi (Col. 3, 22-24; I Cor. 7,21-24; Filemone; I Pt. 2, 1 8-25; I Tim. 6, 1 s.; Tit. 2,9 s.). La frequenza dei richiami suscita l'interrogativo se nella chiesa vi fossero schiavi che nella loro nuova libertà cristiana davano prova di indisciplina. Più probabilmente, il rilievo loro assegnato nel N.T. è conseguenza del lo ro numero, unitamente alla necessità di elaborare un rapporto soddisfa cente tra costoro e altri membri della chiesa. Quando schiavi e padroni vi vevano insieme per un certo periodo di tempo, i rapporti personali poteva no o intensificarsi o deteriorarsi. L'autore non considera questo aspetto, ma tratta solo della loro relazione « formale>> (Ernst). Poiché agli schiavi ci si rivolge in forma diretta, si può presumere che almeno alcuni fossero pre senti alla lettura dell'epistola nell'abitazione in cui s'incontrava la comuni tà cristiana. Ma saranno stati soltanto gli schiavi appartenenti a quella fa miglia? Ovviamente gli schiavi erano abituati a essere chiamati dai loro pa· droni e a ricevere ordini, ma probabilmente non a essere chiamati su un pia· no di parità con i loro padroni. Nell'affrontare il tema della natura della schiavitù nel mondo antico me rita ricordare che quasi tutte le informazioni al riguardo provengono da scrittori che vivevano in grandi famiglie con molti schiavi, e di ciò si do vrebbe tener conto ogni volta che si parla dell'argomento. Si conosce assai meno di famiglie piccole con uno o due schiavi, o di piccole imprese che ne impiegavano un numero ridotto. È bene altresì dimenticare quanto si sa sul trattamento degli schiavi nelle piantagioni situate nella parte meridionale
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degli Stati Uniti nonché l'idea che il diverso colore della pelle nel I secolo avesse la rilevanza che acquisì in connessione con la schiavitù negli Stati Uniti. L'autore non pone in discussione l'esistenza della schiavitù e non ne prende in esame l'origine (Agostino, Civ. D. 1 9, 1 5 , la attribuisce al peccato umano). Essa era parte essenziale della struttura economica e sociale del mondo antico, I ed era condannata solo dagli esseni e da gruppi analoghi (Philo Prob. 79; Vit. Cont. 70; Ios. Ant. 1 8,22), forse perché i loro membri, entrando nella comunità, rinunciavano a ogni avere. D'altro canto, è possi bile che esponenti di organizzazioni comunitarie che vivevano nella società normale, possedessero schiavi (CD u , 1 2; I 2,I I ) . I giudei in generale non si opponevano alla schiavitù (de Vaux, 80-90; Ep. Arist. 1 5; 1 2-27; Ps. Phocyl. 223-227; SB, IV, 728 ss. ). È stato stimato che più di un terzo della popolazione del primo impero romano fosse costituita da schiavi. Le gran di fattorie e proprietà terriere delle aree rurali dipendevano dal lavoro de gli schiavi e gli schiavi vi erano talvolta considerati poco più che animali, mentre nelle aree urbane, alle quali era destinata4questa lettera, essi erano non di rado esponenti importanti della famiglia. La durata della loro per manenza in famiglia era tuttavia molto minore rispetto a quella di mogli e figli. Una volta entratavi, la moglie, eccetto in caso di divorzio, vi sarebbe rimasta sempre; i figli nati in seno alla famiglia continuavano a farne parte fino a quando col matrimonio creavano la propria. Gli schiavi, dal canto loro, erano comprati e portati in casa e potevano essere venduti in qualsia si momento. I figli degli schiavi nati in casa potevano anch'essi essere ven duti e il loro rapporto con i genitori spezzato. Erano proprietà dei padro ni. Questo è, almeno in parte, il motivo per cui Paolo restituì Onesimo a Filemone: in tal modo non sarebbe stato passibile dell'accusa di furto. Ari stotele, Eth. Nic. I I 6Ia,J 3 -b, 1 o, assegna loro una posizione molto umile. In seguito però otterranno un trattamento più umano, come mostra la dot trina stoica (Sen. Ben. 3 , 1 8-28; Plin. Epist. 5 ,29; cf. Westermann, 107- 109). D'altronde, nella mentalità popolare prevalevano probabilmente idee più antiquate e rozze (cf. Iuv. Sat. 6,2 1 9-223; Sen. Ira 3 ,40,2- 3 ) . La condizio ne di fondamentale insicurezza degli schiavi è illustrata dal caso di Pedanio Secondo, senatore, che fu ucciso da uno dei suoi schiavi. Dopo un dibatti to, il senato riesumò una legge antica in forza della quale si dovevano giu stiziare tutti gli schiavi, circa 400, anche se l'assassino era stato uno solo (Tac. Ann. 1 4,4 3 -4 5 ) . Nei secoli precedenti s i veniva ridotti i n schiavitù dopo essere stati fatti prigionieri in guerra o dai pirati, ma nel più pacifico I sec. d.C. gli schiavi erano perlopiù i nati da genitori schiavi (i figli degli schiavi appartenevano I Secondo D.L. Balch, Let Wives be Submissive (SBLMS 26), Chico, Cal. 1 9 8 1 , 34, si trovano solo •tre o quattro casi di critica alla schiavitù in tutta la letteratura greca superstite».
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al proprietario dei genitori), o quanti non potevano pagare i debiti, erano venduti dai loro genitori, o esposti da bambini. C'era addirittura chi di ventava schiavo contraendo matrimonio con uno schiavo o vendendosi in schiavitù, perché tale condizione garantiva una certa sicurezza economica in tempi in cui come lavoranti a giornata si aveva difficoltà a trovare un impiego costante (v. a 4,28 ). Ciò significa che molti schiavi erano dotati di talento e competenze utili ai loro padroni, ed erano in grado di svolgere qualche mestiere o attività commerciale. Se nelle famiglie più grandi alcuni erano destinati al lavoro « sporco », altri si facevano strada come musicisti, consulenti medici, educatori, amministratori, governanti della casa, com pagnia per anziani. A volte i padroni li davano in prestito ad altri ed erano pagati per il lavoro svolto da loro. Gli schiavi che detenevano posizioni di responsabilità saranno stati trattati bene. Benché i padroni avessero potere assoluto su di loro, non conveniva dissipare un patrimonio prezioso. Nel mondo antico di rado si impartivano insegnamenti riguardo a un migliora mento della loro sorte, benché le argomentazioni di Seneca, Epist. 47, muovano in tale direzione. Nel giudaismo ai padroni e agli schiavi si da vano indicazioni su come vivere insieme (Sir. 4,30; 7,20 s.; 3 3 ,3 1; Philo Spec. Leg. 2,66-69.89-9 1 ; 3 , 1 3 7- 1 4 3 ; Ps.-Phocyl. 223 ss. ), anche se non sempre si richiedeva un atteggiamento umano da parte dei proprietari (Prov. 29,19. 2 1 ) . In generale, quando nella società gli schiavi occupavano posizioni di responsabilità, erano spesso ricompensati con la libertà o veni vano a trovarsi nelle condizioni di comprarsela. Pure da liberti, tuttavia, continuavano ad avere alcuni obblighi verso i loro proprietari ora in veste di patroni. L'autore di Efesini, o il codice domestico prima di lui, non con sidera la posizione degli schiavi affrancati, forse poco numerosi all'interno delle chiese. Paolo non incoraggiava la manomissione ( r Cor. 7,20-24), e ri mandò Onesimo al suo proprietario (cf. Ign. Poi. 4,3 ). Anche gli stoici, il cui insegnamento etico era assai vicino a quello cristiano, non reputavano importante la liberazione dalla schiavitù. L'importante era la libertà inte riore dalle contingenze e tragedie della vita (Epict. Diss. 4,1; 2, 1 ,27; sulle idee stoiche riguardo alla libertà cf. Gayer, 3 8 ss.; M. Pohlenz, Stoa 1, Got tingen .. 1948, 1 3 5 s.; Westermann, 39 s.). Non sorprende dunque che il N.T. non condanni l'istituzione della schiavitù. Gli schiavi erano accolti come membri a pieno titolo nella chiesa e inclu si tra i credenti chiamati « fratelli>> (Film. 1 6) . I cristiani tuttavia non erano gli unici ad accordare agli schiavi una posizione religiosa paritaria rispet to a uomini e donne liberi, visto che li si accettava come membri a tutti gli effetti in alcuni misteri pagani e in altri gruppi religiosi e semireligiosi. 1 1
V. R.L. Fox, Pagans and Christians, London 1 986, 84; Laub, 56
ss.;
Gayer, 54
ss.
PADRONI E SCH IAVI
Non c'è motivo di supporre che agli schiavi fossero precluse posizioni « mi nisteriali >> nella chiesa. Tra i requisiti per l'eleggibilità a vescovi e diaconi, le pastorali non menzionano la condizione di uomo libero. Plinio dice di aver esaminato sotto tortura due ancelle che ricoprivano una qualche posi zione ufficiale nella chiesa (Epist. 10,96,8). 6,5-9 costituirebbe u n caso esemplare per l'analisi del rapporto fra Efesini e Colossesi, r se si potesse essere certi che l'autore di Efesini e l'autore di Colos sesi non si rifanno indipendentemente a un codice domestico tradizionale. In misura maggiore che nelle altre due parti del codice domestico, le sezioni su schiavi e padroni sono di estensione analoga nelle due lettere. Molte parole ed espressioni figurano in entrambe, talora al medesimo posto nell'argomenta zione, come tntcxKoUE:n; talaltra sembra siano state spostate dalla loro posizio ne secondo un criterio puramente casuale, ad esempio 7tpocrw7tOÀ1J(J.\jltcx si tro va nella sezione sugli schiavi in Co/. 3,25, ma in quella sui padroni in Ef. 6,9; KO(J.tcre:'tcxt concerne la punizione in Co/. 3,25 ma la ricompensa in E(. 6,8 ; si deve temere il padrone secondo E(. 6,5, ma Cristo secondo Col. 3,22; il rilievo in negativo sull'agire male in Co/. 3,25 è in positivo sull'agire bene in E(. 6,8. È difficile spiegare adeguatamente queste varianti, e pochi commentatori lo fanno. Se l'autore di Efesini stava usando una copia di Colossesi, la natura delle modifiche lascia pensare che non l'avesse di fronte a sé mentre scriveva ma la stesse ricordando a memoria (cf. Percy, 400). Più probabile dell'utilizzo di Efesini da parte dell'autore della lettera ai Colossesi o viceversa è il ricorso da parte di entrambi a uno stesso brano tramandato, il codice domestico tra dizionale. Molte delle varianti riflettono il modo in cui espressioni udite o let te restano impresse nella mente per riemergere alla fine modificate. Ovviamen te ciò non esclude l'argomento che l'autore di Efesini sia Paolo, che ricorda espressioni da lui già usate e le riutilizza in modo diverso in contesti lievemen te differenti. Merklein elabora un'argomentazione più generale affermando che la posi zione del codice domestico in Efesini rivela la dipendenza dell'autore di questa lettera da Colossesi e non dalla tradizione stessa. 2 Per una critica circostanzia ta di questa ipotesi e dell'idea di Merklein che E(. 4, 1 -5,20 sia una trasforma zione di Co/. 3, 1 - 1 7 v. Best, Who used Whom?
5· Nei vv. 5-8 l'autore si rivolge agli schiavi partendo dal presupposto che siano moralmente responsabili. Nonostante la presenza del maschile, si può ritenere che, secondo l'uso consueto, esso valga anche per il femmi nile. Peraltro non viene chiarito se le schiave facciano in ultima analisi rifer Per uno srudio approfondito del rapporto fra le due lettere in questo punto Wbom?
v.
Best, Wbo used
2 H. Merklein, Epb 4, 1-J,2o als Rezeption von Kol J , l - 1 7 (zugleicb ein Beitrag zur Problematik des Epbeserbriefes), in P.-G. Miiller - W. Stenger (edd.), Kontinuitiit und Einbeit (fs F. Mussner), Frei· burg r 9 8 r , 1 94-2.10.
EF.
6, 5-9
65 1
rimento al marito ( 5 ,22 ss. ) o al padrone. Agli schiavi si ordina di obbedire (ù1taxouw come in 6,1 e in Col. 3 , 22 ) ai padroni con un'obbedienza volon taria e sincera. Il tema dell'obbedienza è sviluppato nei vv. 6-8. Tit. 2,9 s. indica il genere di tentazioni alle quali gli schiavi possono soccombere di ventando in tal modo disobbedienti. L'obbedienza ai padroni era quanto la società in generale si attendeva dagli schiavi e l'autore non dice nulla che possa far pensare che nelle famiglie cristiane le cose andassero diversa mente. È improbabile che in esse gli schiavi fossero chiamati ad assolvere obblighi religiosi cui fossero contrari in quanto cristiani. Per il fatto stesso di rivolgersi agli schiavi, l'autore di Efesini implica che la loro obbedienza debba scaturire volontariamente dalla fede cristiana e non essere forzata dai padroni (cf. Calvino, il quale peraltro va al di là delle affermazioni del testo quando afferma che è stato Dio a imporre agli schiavi la loro condi zione servile). Gli schiavi devono obbedire ai loro xuptot. Questo è un termine ambi guo, usato ampiamente nella Scrittura a designare Jahvé e Cristo. Alla fine del v. 4 è riferito a Cristo, ma non è questo il suo significato qui. Per ga rantire la sua interpretazione corretta, anche se il plurale dovrebbe da solo escludere il fraintendimento, l'autore lo precisa con l'espressione xa'tà crtXp xa. 1 Quantunque crapç possa avere connotazioni negative, qui è inteso sem plicemente a distinguere i padroni terreni dal Signore celeste (per l'uso del l'espressione in questo senso v. Rom . 1,3; 4,1; 9,3 . 5 ; I Cor. Io, r 8; 2 Cor. 5, 1 6; e per la bibliografia relativa v. a 2,3 ) . Ma perché l'autore si è valso del termine ambiguo «signore>> mentre aveva a disposizione il non ambi guo òe:cr7tO'tlJ> e aggiunge la medesima espressione di precisazione onde evi tare ambiguità. La risposta più probabile è che la forma precristiana del codice domestico conteneva xupto> può essere in teso come proprietario; il xcx"t'CÌ mina di Col. 3,22, inoltre, non sarebbe fuori luogo in un codice domestico non cristiano. Per l'autore di Efesini l'oggetto del timore è il proprietario (cf. 5,3 3 ) e non Dio, come accade in vece nell'uso paolino. Poiché i proprietari sono cristiani, il timore non è da intendersi nel senso di terrore quanto piuttosto di deferenza e rispetto. Al l'atteggiamento degli schiavi è attribuita l'ulteriore caratterizzazione della IZnÀO'tTJ> (per cui v. a r , r 8 ), a indicare così la sua natura interiore in relazione alla mansione svolta: 3 gli schiavi si dedichino di tutto cuore a qualunque incombenza i padroni affidino loro. I vv. 6 s. sviluppano l'idea implicita nel vocabolo (Haupt). Un orientamento cristologico, reso necessario per mostrare la natura cri stiana del codice domestico, conclude il versetto. Il padrone non sostituisce Cristo, né rappresenta Cristo per lo schiavo (cf. invece Did. 4,r r ; Barn. 19, 7), e Cristo non è il modello cui lo schiavo deve ispirarsi per la sua condot ta, come in I Pt. 2, r 8-25. Gli schiavi devono servire i loro padroni con la stessa devozione con cui servono Cristo. Così facendo essi in effetti servi ranno lui. L'autore avrebbe potuto proseguire - ma non lo fa - dicendo che in tal modo altri verrebbero attirati a Cristo. I
Cf. K. Romaniuk, Mnà
3
N 3 2 3 945 I 7 3 9 I 8 8 r al omettono l'articolo con x> . Questa sfumatura è pre sente al v. I I e il termine designa, come accade sovente, un complesso di armi ( 2 Bcxa. 2,2 1; 2 Macc. 3,25; 4 Macc. 3 , I 2A; Hdt. I,6o,4; 4,I 8o; Po lyb. 3,62,5; 4,56,3; Thuc. 3 , I I4, I ; Ios. Beli. 2,649; Ant. 7, Io4; 2o, r ro; Le. I I ,22). I particolari concreti elencati nei vv. 14-I7 non corrispondono con esattezza a uno specifico equipaggiamento noto di un soldato dell'eser cito romano o di altri eserciti, ma mostra l'affinità più stretta col soldato appartenente alla fanteria pesante romana. Benché Barth, 793 s., sostenga che dalla descrizione emerge lo splendore o la bellezza dell'equipaggiamen to, la maggior parte dei suoi argomenti non sono pertinenti. Scopo (7tpÒç 'to + infinito indica scopo; cf. BDR, § 402.4; MHT, I44; Robertson, I003 . I07 5 ) dell'armatura è porre i credenti in grado di stare saldi contro gli stratagemmi del diavolo. 2 òuvcx�J.cxt è solo un verbo servile ed è sbagliato in terpretarlo in senso etimologico come un altro termine che esprima l'idea di potere, e in tal modo conferirgli peso eccessivo (nonostante Arnold, I07). L'autore pone l'accento sulla necessità di mantenere la posizione e non di avanzare o attaccare. È probabilmente più difficile resistere e aspettare l'at tacco, forse portato con armi sconosciute, che lanciarsi all'attacco pieni di adrenalina. I credenti occupano postazioni avanzate, costantemente a ri schio di essere sbaragliate dalle forze del diavolo. Devono mantenersi sal di, anziché darsi alla fuga (per ta'tl)!J.t con questo valore v. Xenoph. An. I, Io, I ; 4,8, I9; Thuc. s,IOI-I04; Es. I 4, I 3 ; Naum 2,9 ). 3 La necessità che i cristiani stiano saldi è riconosciuta anche in Rom. 1 I,2o; I Cor. Io, 1 2; I S, I ; I 6, I 3 ; 2 Cor. I ,24; Gal. 5,I; Fil. I ,27 s.; 4, I ; Col. 4, I 2; I Tess. 3,8; 2 Tess. 2; 1 5, seppure in relazione a contesti e situazioni diverse. Ai credenti si contrappone il diavolo (v. a 4,27), che ha a disposizione una vasta gamma di tattiche ingannevoli (per !J.t'l9oòdcx v. a 4,I4; è qui la resa migliore, in sintonia con la metafora militare). Non viene precisato quali sono i trucchi del diavolo. Sono state avanzate con getture al riguardo: la persecuzione (Mart. Poi. 2,4; Cypr. Epist. passim), ma nella lettera non vi sono indizi in tal senso; l'idolatria (Crisostomo); la falsa dottrina (Ambrosiaster; cf. 2 Tim. 2,2 5 s.); la tentazione di Adamo da parte di Eva (Gen. 3 , 1 2); il censimento della popolazione voluto da Davide ( I Cron. 2 I , I , ma non 2 Sam. 14,I ); la spina nella carne di Paolo (2 Cor. I 2,7} o la sua impossibilità di far visita ai tessalonicesi, dovuta, V. A. Oepke - K.G. Kuhn, in TWNT v, 295-302. Kitchen, I 26, ravvisa nel cenno alla posizione eretta il rinvio a quella adottata nel culto pubblico, e 2 segnatamente nella preghiera. Il contesto però non è di preghiera ma di conflitto e ad > , 3 che potrebbe essersi resa necessaria se il termine era già in uso in alcuni ambienti, forse in relazione ad autorità terrene, senza una con notazione «maligna >> . Le comportano in sé l'idea del male (ad es. in 5,8) e, in un certo senso, sono anche connesse all'astronomia, poiché solo nell'oscurità i pianeti sono visibili. Le potestà del mondo appartengoI
'1)46 sostituisce
tu-lìoòtocç, ricavato dal v.
I I , ai primi due termini; non è chiaro il perché.
Cf. W. Michaelis, in 1WNT m, 9 I J ; Amold, 6 s -68; J.Y. Lee, lnterpreting the Demonic Powers in Pauline Thought: NT 12. ( I 970) 54-69; Schmid, I 4 5 · h"" 3 Dopo C'XO"tOU>; Beare suggerisce l'idea di un momento se gnato da un oroscopo negativo). D'altro canto, poiché giorni di tal fatta sarebbero ricorrenti, quest'interpretazione richiederebbe propriamente l'eli minazione dell'articolo e si dovrebbe avere «un giorno cattivo >> e non «il giorno cattivo>> . Probabilmente la soluzione migliore consiste nel ritenere che i credenti vivano già nel periodo che conduce alla fine, anche se l'auto re non fa mai cenno che essa sia vicina. Qualche incertezza circonda anche xcx'te:pycxaa!J.e:"ot. Il verbo può voler dire o «preparare>> (così la larga maggioranza dei commentatori), o «supe rare>> (Crisostomo, Scott, Schlier). Questa seconda interpretazione rende rebbe superflue le istruzioni seguenti sul rivestire l'armatura (perché prepa rarsi per una battaglia se il nemico è già sopraffatto? ) e lascia &xcxv'tcx pri vo di referente, poiché, se significa « sotto ogni aspetto >> , serve solo a raf forzare l'idea della totalità della vittoria. È pertanto opportuno accettare la prima interpretazione del verbo, che da un lato è congruente col conte sto e dall'altro rappresenta l'accezione di gran lunga prevalente nell'uso del termine in altri luoghi del N.T., dove compare ventun volte, dicianno ve delle quali nel corpus paolina e invariabilmente nel senso di prepara zione. I credenti devono essere pronti sotto ogni aspetto per la lotta pre sente e futura, in modo tale da essere in grado, equipaggiati come sono con armi soprannaturali, di resistere saldamente a tutti gli assalti dei nemi ci soprannaturali.
14. I vv. 1 4- 1 7 elencano alcuni dei singoli pezzi dell'equipaggiamento militare, ricavati in parte dall'A. T. e in parte dall'osservazione di soldati. Non sono tuttavia importanti le armi in sé, poiché non si tratta di una guer ra concreta, bensì le spiegazioni che ne dà l'autore, che non hanno una connessione logica con i singoli elementi. Le armi sono anzitutto di difesa, giacché si tratta di mantenere una posizione. È lasciato a Cristo qualsiasi
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attacco diretto alle potenze, che si concepisce come già avvenuto ( 1 ,2023 ). Si presuppone che l'armatura sia già ora pronta perché i credenti la ve stano (si notino i participi aoristi), ma solo indossandola i guerrieri cristia ni possono resistere al nemico. Il rivestirsene è condizione imprescindibile per stare saldi. L'aoristo imperativo del verbo principale è da distinguere dall'aoristo dei participi: l'equipaggiamento viene ricevuto una volta per tutte, ma è necessario stare saldi finché dura il conflitto (per l'uso dell'aori sto v. a 4,22-24 ). A differenza del rivestire la persona nuova, l'indossare l'armatura può essere considerato un passo ulteriore, che ha luogo in un momento successivo alla conversione. Il primo pezzo è la . Non è affatto chiaro che cosa s'intenda. La resa consueta in inglese «belt>> dà una connotazione troppo specifica ed è probabilmente erronea. L'origine della metafora che vi è associata rimon ta, almeno nel Vicino Oriente, alla «cintura da combattimento>> ,' e tutta via quando l'autore si servì della metafora, il pensiero della sua origine non ha probabilmente toccato né lui né i suoi lettori. La metafora era intesa in modi assai disparati sia nel mondo greco-romano sia in quello giudaico.� Quanto alla sua concreta identificazione, la «cintura » potrebbe essere: a) il grembiule di cuoio che si indossava sotto la corazza e garantiva una certa protezione alla parte inferiore dell'addome lasciando libertà di movimento e agilità di azione; b) la cintura da cui pendeva la spada; c) la fascia sul l'armatura che denotava colui che la cingeva come persona con funzioni di comando; d) la borsa legata attorno al corpo, che tuttavia non fa parte del l'equipaggiamento militare. Gli oggetti indicati in b e c erano indossati dopo, e non prima della corazza, che è il pezzo successivo e, per quanto riguarda c, nulla lascia credere che l'autore stia cercando di attribuire una posizione di riguardo ai credenti (checché ne dica Barth). a è dunque il significato più probabile. Alcuni dei Padri (come Origene, Gerolamo) hanno pensato che la cintura fosse intesa a controllare i «lombi » di chi la portava in mo do tale che la lussuria non lo sopraffacesse! A prescindere dall'abbiglia mento effettivo dei soldati, l'autore era soggetto· a un ulteriore influsso nel la sua descrizione, quello dell'A.T. Qui è significativo Is. 1 1 ,5, perché nel dipingere il messia sono citate le qualità di fedeltà e giustizia analoghe a quelle del versetto in questione. Del resto, l'importante non è l'identifica zione del pezzo dell'equipaggiamento militare, bensì la qualità a questo con nessa della , e tale nesso con la verità è mutuato probabilmente da Is. 1 1 , 5 . Si rimanda l'esame di quel che s'intende con «verità >> dopo la trat tazione sulla corazza. La corazza proteggeva chi la portava dalle spalle fino alla parte superio' Cf. E. Levine, The Wrestling Belt Legacy in the New Testament: NTS 28 ( 1 982) s 6o-564. > V. A. Oepke, in TWNT v, 302-308.
IL CONF LITIO
re delle cosce. 1 Qui la si interpreta come giustizia, sulle orme di Is. 59,17; Sap. 5 , 1 8; in I Tess. 5,8 rappresenta invece la fede e l'amore. Mentre talo ra l'armatura prevedeva una parte per la protezione della schiena, qui non se ne fa menzione, a indicare che se il guerriero cristiano non sta saldo ma si volta e fugge, è totalmente vulnerabile. Lo stesso dovrebbe valere per lo scudo (v. 1 6), che si impugnava tenendolo di fronte al corpo, o sopra la sua parte superiore. ÈvÒUro, usato qui con riguardo all'armatura, era impie gato in 4,24 per il rivestire la persona nuova, e lì, come qui, nel contesto si trova ÒtxcxtocruvlJ, il che suggerirebbe che al termine sia da attribuirsi il me desimo valore tanto qui quanto lì, ove indicava una qualità umana. D'al tronde in 4,24 (v. i rinvii ad loc. ) ÒtxcxtoauvlJ non è connesso a ÈvòUw, ma a x-na8Év'tcx, e il suo significato preponderante nel corpus paolino ne fa un dono di Dio piuttosto che una qualità umana. Qui, al v. 14, è ancora una volta dono di Dio e, benché si possa dire che la giustizia del comportamen to nei cristiani derivi in ultima analisi da lui, il dono della corazza viene elargito in modo più diretto. È difficile considerare l'evangelo della pace (v. 1 5 ), la salvezza (v. 17) e la parola di Dio (v. 1 7 ) attività umane. È me glio perciò intendere qui la giustizia come quella giustizia giustificante che costituisce il fondamento dell'esistenza cristiana (così Barth, Zerwick). È questa, e non semplicemente la defettibililità morale, a essere esposta agli attacchi del diavolo e delle sue potenze. Qual è dunque il senso di «verità » ? La maggior parte dei commentatori ritiene indichi qualcosa come sincerità, fedeltà, lealtà, integrità, collocando la nella sfera dell'attività umana ma lasciando aperto un ampio ventaglio di significati. Potrebbe tuttavia essere la verità di Dio, la verità dottrinale, l'evangelo. In Efesini à.À�8Etcx designa sia la virtù umana (4,24.25; 5,9) sia la verità di Dio ( 1 , 1 3 ; 4,2 1 ) . Soltanto il contesto può precisare quale sia il senso voluto, e il corso generale dei vv. 14- 1 7 induce a ritenere che qui s'in tenda la verità di Dio (cf. Gaugler). Questa fornisce una difesa contro l'ere sia, le false filosofie, le religioni pagane, tutte possibili armi usate dal dia volo per sedurre i credenti·distogliendoli dalla loro fede.
1 5 . Il testo non identifica il terzo pezzo dell'equipaggiamento, se non di cendo che si tratta di calzature. 2 I soldati armati alla leggera che avevano necessità di movimenti rapidi calzavano sandali. I legionari romani con ar matura pesante calzavano stivaletti pesanti (caliga). Poiché gli altri elemen ti dell'armatura sono quelli usati da questi ultimi, probabilmente qui si pen sa a stivaletti. Essi erano necessari per marce lunghe e - dato ancor più im portante in questo contesto - garantivano una presa ferma al suolo ponen r V. Oepke, art. cit., 308-3 ro. 2 Sulle possibili calzature v. Oepke, art. cit., 3 I 2-3 14.
EF.
6, 1 0-20
do in grado chi li calzava di stare saldo. Alcuni studiosi hanno individuato nel v. 1 5 l'influsso di ls. 5 2,7, per via della menzione dei piedi in associa zione con l'evangelo di pace. È possibile che ls. 5 2,7 abbia influenzato an che 2, 1 7. Un'influenza analoga potrebbe venire altresì da Naum 2, 1 . Chi ravvisa nel brano in esame la reminiscenza di questi passi deve inserire nel la traduzione un termine che suggerisca movimento. Il testo greco non pre senta un vocabolo siffatto, ma ha invece É'tOt(J.cxaicx, che nel N.T. si incon tra solo qui, benché ricorra con una certa regolarità nei LXX. Esso ha tre possibili significati pertinenti: prontezza, preparazione, saldezza. I commen tatori accolgono perlopiù uno dei primi due significati e lo considerano ri ferito alla prontezza o alla preparazione al movimento volto all'esterno ri chiesto dalla proclamazione della buona novella della pace. Se qui l'autore ha in mente la proclamazione dell'evangelo, quali devono esserne i destina tari? Nessun altro luogo nella lettera propugna il coinvolgimento dei letto ri nell'espansione missionaria. Il tema era esplicito solo in 3 , 10, dove è alle potenze che si proclama l'evangelo. Si potrebbe dire che l'idea è adeguata al presente contesto, in cui le potenze sono i nemici: occorre portare loro la pace. Tuttavia la lotta non verte né sulla diffusione dell'evangelo (nonostante il parere di Conzelmann), per quanto le potenze presumibilmente vorreb bero ostacolarne qualsiasi forma, né sulla salvezza delle potenze, ma con cerne il perdurare della salvezza di chi è già credente. È forse meglio dun que accettare il terzo significato, quello di saldezza. Buscault 1 lo ha studia to in modo approfondito, citando 2 Esd. 3,3 e lf' 8 8, 1 5 per l'accezione di «fondamento, base>> (v. anche Bengel, Lock, Barth). È degno di nota che Roels, 2 1 7 s., dal quale ci si poteva aspettare, alla luce della sua tematica centrale, che ravvisasse qui un rimando all'attività missionaria, opti anche lui per questa accezione. Westcott la combina con quella di preparazione. Gli stivaletti pesanti assicurano al soldato il fermo fondamento necessario per stare saldo. Tale interpretazione si accorda col fatto che nei vv. 1 1-17 sia dato il massimo risalto alla necessità di stare saldi e al carattere difen sivo dell'armatura, quantunque gli stivaletti pesanti si potessero usare an che in senso offensivo, nel combattimento ravvicinato. Questa soluzione, se la si accetta, implica che ls. 5 2,7 non sia sotteso al versetto. Introdurre a questo punto il concetto di pace può apparire paradossale, poiché il contesto è di guerra, ma i lettori erano in maggioranza gentili: l'evangelo tramite il quale erano diventati cristiani era un evangelo che fa ceva pace fra loro e Dio e fra loro e i credenti giudei. Il cenno è dunque ap propriato. I credenti sapevano, ed erano convinti, che questo evangelo avreb be respinto le potenze soprannaturali. L'evangelo della pace avrebbe neu tralizzato l'inimicizia delle potenze ostili (cf. Ign. Eph. 1 3 ,2). Esso rientra r
A.F. Buscault, The «Preparation• of the Gospel of Peace: ExpT 9 ( 1 897) 3 8 -40.
IL CONFLIITO
nel medesimo campo semantico di verità, giustizia (v. 14), fede (v. r 6), salvezza e parola di Dio (v. 17). r6. Il quarto pezzo dell'armatura è lo scudo, letto in chiave spiritualizza ta come fede. Quanto sia importante impugnarlo (per &.vaÀa(J.�tivw v. al v. 1 3 ) è posto in evidenza dall'èv 7ttiatv iniziale, quale che sia il significato che gli si attribuisce. Èv 7taan è problematico dal punto di vista sia del testo sia del senso, difficoltà la seconda che è probabilmente causa della prima. Sarebbe possibile collegare l'espressione alla conclusione del v. 1 5, ma tale aggiunta non sarebbe perti nente a quel versetto. A D F G lf 1Jl; Ambst Hier leggono È1tt anziché Èv, che tuttavia ha un solido sostegno testuale in 'P 46 M B P 0278 33 104 I I 75 1 739 r 8 8 r 2464 pc latt; Meth ed è da preferirsi. Lo si è variamente inteso come (vale a dire a tutti gli altri pezzi dell'equipaggiamento ) o > (cf. Joiion; Moule, 78, lo interpreta a quel che sembra nel sen so di •• soprattutto>> ).
Al v. r 6, come al v. 1 5, non ci si richiama esplicitamente all'A.T., anche se lo scudo I è una metafora veterotestamentaria frequente. Dio è lo scudo degli israeliti fedeli (ad es. Gen. r s , r ; Sal. r 8,3; 3 3 ,20). Di norma, quando nell'A.T. ••scudo>> è usato in senso metaforico ( ••il Signore è il mio scudo >> ) il termine dei LXX è U7tEpaama't�c;; in Sap. 5 , 1 9 è &.a7ttc;; .SupEoc; trova im piego metaforico soltanto in �· 34,2 (cf. anche Giob. 4 1,7 Aq., Sym.; 'l' 27, 7; 8 3 , 1 2 Aq. ). Il suo impiego qui non è pertanto mutuato dall'A.T. ma dal l'osservazione concreta dell'armatura dei soldati. Si tratta dello scudo lun go del legionario romano, che protegge gran parte della parte frontale del corpo contro le armi da lancio (per la sua descrizione e il suo uso v. Polyb. 6,23 ,2; Hdt. 7,9 1 ) . Se la sua presenza qui deriva dall'osservazione, sarebbe tuttavia un errore pensare che Paolo lo rilevi nell'equipaggiamento del sol dato che ha di guardia, giacché non poteva farne parte nel caso di un sol dato incaricato di custodire un singolo prigioniero. Lo scudo che mette in grado (òuv�aEa.SE; il futuro non ha valore escato logico ma indica l'effetto conseguente all'impugnare lo scudo) i credenti di mantenere la loro posizione è la fede (7tta'tEwc;, genitivo appositivo). Il ter mine potrebbe voler dire o > o . Nel primo caso, il suo og getto non è dichiarato, ma è presumibilmente Dio o Cristo (cf. r , r 3 . 1 5; 3 , 1 2; 4, 1 3 ; 6,23 ); non è la fiducia in se stessi. La fiducia in Dio o in Cristo era operante nella salvezza dei credenti ( 2,8) ed è per suo tramite che Cri sto abita nei loro cuori ( 3 , 1 7). Come per gli altri pezzi dell'equipaggiamen to, anch'essa è data da Dio. Quando i credenti confidano in Dio, è come se fossero circondati da uno scudo. Come Gesù nei racconti delle tentazioni I
Sugli scudi
v.
Oepke, art. cit., 3 1 2.-3 1 4 .
EF.
6, 1 0-20
ha respinto gli attacchi del diavolo (per o 7tOVYJp6ç, «il diavolo>>, v. Mt. 6, 1 3 ; 1 3 , 1 9·3 8; Gv. 17, 1 5; 2 Tess. 3,3; I Gv. 2, 1 3 s . ; 5 , 1 8 ) ricorrendo alla pa rola di Dio, vale a dire a Dio stesso, così i credenti per contrastare i proiet tili infuocati del diavolo dipendono da Dio. Poiché però 1tianwç è retto dal l'articolo, qui potrebbe designare , ciò in cui si crede. D'altro can to, il genitivo dipende da un sostantivo che ha già un articolo, sicché tale interpretazione non è obbligata. Se però la si accoglie, è da notare che > appartiene al medesimo campo semantico di verità, giustizia, evangelo, e pertanto la soluzione migliore è intendere il termine in tal senso. I proiettili del diavolo sono detti > . ' Nella guerra dell'antichi tà talora frecce, lance e altri proiettili erano rivestiti di pece e incendiati pri ma del lancio. Se colpivano il bersaglio, infliggevano ferite mortali. Lo scu do lungo offriva una buona protezione contro questi, ma soltanto se i sol dati restavano a piè fermo. Se iniziavano a retrocedere, non c'era scampo. Quando si prevedevano attacchi con proiettili infuocati, le parti in cuoio dello scudo venivano imbevute d'acqua poiché uno scudo asciutto non avrebbe spento un proiettile in fiamme, ma l'avrebbe soltanto deviato. Del resto neppure lo scudo inumidito vi riusciva sempre. Se il dardo non pene trava nello scudo, cadeva al suolo ed era relativamente innocuo. Se vi pe netrava, l'umidità avrebbe avuto qualche effetto nel contrastare la pece in fuocata. Uno scudo bagnato certamente non si sarebbe incendiato. L'imma gine non è del tutto soddisfacente (Conzelmann). (Sull'uso di proiettili in fuocati e sul sistema per difendersene v. Ios. Ant. 1 ,203; Hdt. 8,52; 1QH 2,26; CD 5 , 1 3 ; Sallust. Iug. 57,5 .6; Liv. 21,8,10- 1 2; Prov. 26, 1 8 ; in Sal. 7, 1 3 si dice che li usa Dio). Non viene precisata la natura dei dardi infuocati del diavolo che potrebbero annientare i credenti. Presumibilmente coincido no con i suoi stratagemmi (v. I I ).
17. Sono ora annoverati gli ultimi due elementi che compongono l'equi paggiamento militare. Il primo, l'elmo, riconduce all'A.T. e a Is. 59,17 (Sap. 5,1 8 lo definisce con un termine diverso e lo interpreta in modo diverso, co me anche Ign. Poi. 6,2). 2 In ls. 59,17 Dio, da guerriero vittorioso, indossa l'elmo della salvezza; qui lo dà ai credenti per loro protezione. Almeno qui, se non altrove, è dato constatare la dipendenza dell'autore di Efesini dall'A.T. per il significato che attribuisce a questo pezzo dell'equipaggia mento. In precedenza egli si era valso di una sequenza di participi dipen denti da a'tijn per specificare distintamente la composizione dell'equipagr Benché il greco corretto esiga la lezione con l'anicolo, qui 'tci è omesso da 'j)46 B o• F G; la sua pre senza può essere frutto di una correzione. 2 Con buona pace di Barth, l'uso rabbinico seriore non getta alcuna luce sul passo in questione; cf. SB, 111, 6 r 8 .
68o
I L CONFLITIO
giamento; ora introduce un nuovo verbo finito, òéç�Xcr-z9.e. 1 Il soldato, già parzialmente equipaggiato, riceve dal suo scudiero l'elmo 2 e la spada. Il cristiano riceve da Dio la salvezza e la sua parola. Ciò non deve far pensa re che egli si sia procurato da solo gli altri pezzi dell'equipaggiamento. Tut ta l'attrezzatura militare gli viene da Dio (cf. Gnilka, Schnackenburg ecc. ). L'elmo è presentato come salvezza. crw-r�ptov, aggettivo sostantivato (Moule, 96; MHT, 1 3 s.), è raro nel N.T., dal momento che compare solo in Le. 2, 30; 3,6; Atti 28,28, tutti passi in stretta dipendenza dall' A.T. Si trova più spesso nei LXX, ed è usato in Is. 59,17. Quando Paolo aveva utilizzato Is. 59, 1 7 in I Tess. 5,8, gli aveva però sostituito il sostantivo neotestamenta rio normale crw-rlJpia. Che l'autore di Efesini conservi il termine veterotesta mentario ne conferma la dipendenza qui da Is. 59,17. Paolo aveva intro dotto anche un'altra variazione rispetto ai LXX, definendo l'elmo la spe ranza della salvezza, e conferendo in tal modo all'espressione un sapore escatologico. Non si può ritenere che l'autore di Efesini, mantenendo il so stantivo originario dei LXX, stia correggendo I Tess. 5,8, che probabil mente non conosceva (v. intr. 2.6. 5 ), e quindi egli non sta deliberatamente riducendo l'elemento escatologico (tanto più che in 2 Cor. 6,2 Paolo cita, condividendone il contenuto, Is. 49,8, ove la salvezza è nel presente). Sa rebbe tuttavia un errore concludere in base a queste variazioni rispetto a Paolo nell'uso di Is. 59, 1 7 qui e al v. 14 che non sia stato Paolo l'autore di Efesini. Gli scrittori hanno il diritto di modificare le proprie metafore se ciò è necessario per esprimere il loro pensiero in un contesto differente. Questa modifica è soltanto un ulteriore argomento secondario contro la paternità paolina della lettera. Se gli attacchi delle potenze (per le quali v. ai vv. 1 1 s.) sono mossi contro l'esistenza cristiana dei credenti, ossia con tro la loro salvezza, essi potranno sopravvivere soltanto se la loro salvezza non dipende dai loro sforzi ma è qualcosa di «dato», e lo è da quando hanno iniziato a credere (cf. 2,5 . 8 ) . Il rilievo attribuito qui dall'autore alla natura presente della salvezza è in linea col suo modo usuale di concepirla (v. intr. 6.4). L'ultimo pezzo dell'armatura è la spada corta. 3 Non ci sono luoghi vete rotestamentari cui ispirarsi direttamente per questo passo (è difficile capire perché UBS 1 , ma non UBS 3 , abbia stampato le parole nei caratteri riservati alle citazioni veterotestamentarie), benché nell'A.T. si trovino tutti i suoi so stantivi, talora due uniti nel medesimo contesto, ma mai strettamente. ls. 1 1 ,4 connette «parola » , ma non çri)!J-11, e Spirito, ed è contiguo a 1 1, 5 , che probabilmente ha influenzato il v. 14· ls. 49,2 associa la spada e la bocca 1 Il verbo è omesso da n• F G b m • ; Cyp Ambst Spec. Non si tratta di attestazioni di peso, e l'assen za del verbo nulla toglierebbe all'idea che l'elmo e la spada provengono da Dio.
2 Sull'elmo v. Oepke, art. cit., 3 1 4 s.
3 V. W. Michaelis, in TWNT IV, 5 3 o-5 3 3 ·
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(dalla bocca escono parole), nesso che si riscontra anche in Ebr. 4,1 2; Apoc. r , r 6; 2, 1 2. r 6. r 9; 1 5,21 (sebbene in Apocalisse si usi un termine diverso per spada). È vero altresì che le parole di Dio possono uccidere (Os. 6, 5; cf. Sap. r 8, r 6; Od. Sal. 29,9- r r ; in questi luoghi tuttavia non si nomina la spada ). Sap. 5,20 ha un vocabolo diverso per spada ma lo pone in relazio ne con l'ira di Dio e non direttamente con le sue parole. Qui si gioca dun que su concetti derivanti dall'A.T. e dal giudaismo tardo, piuttosto che ave re una dipendenza diretta da un passo veterotestamentario preciso. La spa da è una componente normale dell'armatura del soldato e la si doveva in cludere. Non bastava una semplice menzione ma, come per gli altri pezzi dell'armatura, occorreva anche correlarla a qualcosa che viene da Dio, e la sua parola rispondeva a tale esigenza. I È possibile che Is. r r ,2.4 abbia in dotto a introdurre lo Spirito. lvi è un potere distruttivo, il che sarebbe ade guato a un contesto di conflitto con le potenze. La spada non è essa stessa lo Spirito, poiché i credenti non brandiscono lo Spirito; è la spada che lo Spirito fornisce o alla quale dà potere; la forza è necessaria per combattere e il potere è uno dei doni caratteristici dello Spirito. In entrambi i casi si intende una spada spirituale, ma non nel senso debole di una spada che appartiene alla sfera religiosa (malgrado l'idea di Haupt). La spada dello Spirito richiede un'identificazione ulteriore e le ultime pa role del versetto la forniscono (8 riprende l'espressione precedente nel suo complesso piuttosto che l'unico termine neutro che vi compare; cf. Burton, § 29 5; BDR, § 1 3 2.2; Robertson, 4 r r s. 7 1 2 s.). Che cos'è il pl](La .Stou? Qui dev'essere una parola che protegge chi la usa dalla distruzione a opera delle potenze. Non è pertanto la parola energica e creativa di Dio (Teodo ro di Mopsuestia), o la sua parola profetica (anche se in qualche occasione potrebbe essere una parola dei profeti), o l' A.T. nel suo insieme (Hodge), benché possa essere un detto tratto dall'A.T. (I Pt. r,25; Rom. ro,8). Po trebbe essere pure l'evangelo (Barry; Adai, 140), in quanto predicato (Tom maso) o riepilogato in una confessione o credo. In 5,26 la definizione del significato di pl](La proponeva qualche difficoltà. Là, come qui, manca l'ar ticolo. In 5,26 verisimilmente significava la formula battesimale «nel nome di GesÙ» . Qui probabilmente indica un detto o a una formula dietro la qua le sta Dio (Haupt), tratta dall'A.T. e il cui uso consente di opporsi al dia volo. Potrebbe essere anche una parola pronunciata da un profeta neotesta mentario adattata all'occasione. Tali parole di Dio sono tutte potenti per ché sono state ispirate dallo Spirito. È con parole siffatte che Gesù respinse il diavolo nei racconti delle tentazioni. La spada corta romana era indispen sabile nel combattimento ravvicinato; serviva a tenere a bada i nemici. Né questa, né del resto alcuno degli altri pezzi dell'equipaggiamento, ucciderà I
Knox, Genti/es, 2.03 n., afferma che nel giudaismo la spada e la parola sono spesso congiunte.
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I L CONFLITIO
il diavolo o qualcuna delle sue potenze. Solo Cristo può tanto ( 1 ,20 s.), ma ricorrendo a una parola di Dio i suoi seguaci possono sopravvivere agli at tacchi sferrati contro di loro.
1 8. I Questo versetto, con la quadruplice ricorrenza di 1tciç e il gioco di allitterazione di 1t, consta di due proposizioni participiali parallele, entram be con valore imperativo. Ma i participi dipendono da òé�oca·SE (v. 1 7; co sì, ad es., Gnilka), o da a'tij'tE (v. 14, così, ad esempio, Lincoln, Bruce) ? È difficile che possano essere del tutto indipendenti da quanto precede. In tal caso, allora i vv . 1 8-20 si dovrebbero considerare alla stregua di una peri cape a sé stante (così Adai, 234; Pokorny). I verbi del v. 14 e del v. 1 7 so no imperativi aoristi, atti a esprimere il concetto che l'armatura viene in dossata una volta per tutte, laddove i participi del v. 1 8 sono di tempo presente, adeguati all'idea di preghiera continua ma privi dell'indicazione del suo inizio. Non è il caso di pensare a «ciascun pezzo indossato con una preghiera >>, come nell'inno di George Duffield, e certamente non a una pre ghiera in relazione soltanto all'elmo o alla spada. Probabilmente a'tijn è ancora il verbo reggente. Lo stare saldi e il pregare dovrebbero continuare incessantemente. La preghiera non costituisce essa stessa un'altra arma. Bengel la identifica con la lancia, non altrimenti citata (cf. Fee, 729-73 2, che prospetta la possibilità che si tratti di preghiera in lingue). Se la pre ghiera o la vigilanza fossero un'arma, sarebbe collegata loro un'attività spi rituale, come accade per gli altri pezzi dell'armatura (v. Barth, 785 s., per una trattazione più esauriente), o fungerebbero esse stesse da caratterizza zione di pezzi dell'armatura materiale. Nondimeno, la preghiera ha un suo posto nella lotta (Rienecker), come mostra la preghiera di Gesù nel Getse mani. Essa esprime l'atteggiamento col quale si devono usare le armi, e presuppone che l'armatura sia stata indossata (Jones, art. cit. ) . Se i creden ti devono resistere saldamente alle potenze, è necessario sia che preghino sia che stiano all'erta. Alla fine del suo codice domestico l'autore di Colossesi passava diretta mente al tema della preghiera (4,2); l'autore di Efesini ha separato i due momenti con la sua esposizione sulla lotta contro le potenze. Le due lettere peraltro mostrano tanto affinità linguistiche e contenutistiche (in entrambi i casi si chiede di pregare per Paolo) quanto discrepanze (per la vigilanza so no usati verbi differenti). È inoltre diverso il contenuto delle preghiere: se condo Col. 4,2 s. si deve pregare non solo per Paolo ma anche per i suoi compagni, e si menziona il ringraziamento; Efesini non fa cenno né ai com pagni né al ringraziamento. La preghiera si addice alla conclusione di una I
Cf. P. Jones, La prière par l'Esprit. Éphésiens
6:1 8: Revue
Réformée 2.7 ( 1 976) 1 2.8- 1 3 9·
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lettera e in Efesini scaturisce in modo naturale dalla trattazione precedente, tant'è che la maggior parte dei commentatori considera come pericope com pleta i vv. I0-20, e non i vv. IO- I ?. In Colossesi tuttavia si ha una cesura netta nell'argomentazione. Probabilmente i membri della scuola paolina erano convinti che la collocazione appropriata per un invito alla preghiera e alla vigilanza fosse in prossimità della fine dell'epistola, ed entrambi han no terminato in tal modo la propria. Nulla autorizza a credere che mentre scriveva l'autore di Efesini avesse dinanzi a sé Colossesi o viceversa. Nella prima proposizione participiale i lettori sono esortati a pregare con (òtci esprime una circostanza accessoria; Moule, 57; MHT, 267; BDR, § 223.4) ogni genere di preghiera e richiesta. 7tpoaeux� è termine generale che abbraccia tutti i tipi di preghiera; ÒÉYjatç è di solito limitato alle preghie re che comportano petizioni. I I due termini si trovano insieme anche altro ve ( 3 Bcza. 8,4 5 ; 2 Cron. 6,I9; Atti I , I 4 (v.l. ); Fil. 4,6; I Tim. 2, I; 5.5; lgn. Magn. 7, I ) e possono formare una endiadi. Probabilmente l'autore di Efe sini li intende come espressione globale comprendente ogni tipo di preghie ra, anche se nel prosieguo sviluppa solo il secondo sostantivo. Si deve pre gare in ogni possibile circostanza opportuna (xc:upoç; per l'espressione v. Le. 2 I , 3 6; cf. 'F 3 3 , I ; I05,3; Prov. 6,I4; Ecci. 9,8; Sir. 29,3). Questa era la pratica seguita da Paolo da lui raccomandata ai credenti (ad es. Le. I 8, I; 24,5 3 ; Rom. 9,I; I 2, I 2; I Cor. I,4; I Tess. I,2 s.; 2, I 3 ; 3 , Io; cf. I Tim . 5,5). Essi necessitano di una preghiera ininterrotta perché la loro lotta con le potenze è senza fine. Non bisogna tuttavia prendere la direttiva così alla lettera da inferirne che i lettori debbano trascorrere tutto il loro tempo in preghiera. Quel che si richiede è un atteggiamento costante di dipendenza da Dio. Si deve pregare Èv 7tVEU(LIX'tt,2 notazione questa non intesa a con trapporre preghiera liberamente effusa dal cuore e preghiere formalizzate, ma a segnalare il rapporto con lo Spirito di Dio. L'autore aveva già usato l'espressione in 2, I 8 .22; 3 , 5 ; 5 , I 8 . Nonostante la relazione fra Spirito e preghiera, non è il caso di pensare al pregare in lingue, bensì a una pre ghiera condotta o guidata dallo Spirito (cf. Rom. 8, I 5 s.; Gal. 4,6; Gd. 20; I QH I 6, n ; I?,I?). Non si deve desistere con leggerezza dalla preghiera, ma occorre persistere in essa (per 7tpoaxczp'tÉp'Y)atç v. Spicq, n, 75 8-76 I; il sostantivo compare soltanto qui nel N.T.; il verbo corrispondente ricorre con maggiore frequenza ed è connesso non di rado alla preghiera: Atti 1, 14; 2,42; Rom. 1 2, 1 2; Co/. 4,2). La preghiera nello Spirito dev'essere accompagnata dalla vigilanza, dalI
Sui termini v. H. Greeven, in TWNT n, 3 9-4 2. 8o6-8o8; H. Schonweiss, in NIDNTI n, 86o-864.
2 Per il rappono fra lo Spirito e la preghiera v. O. Cullmann, Prayer in the New Testament, London I 9 9 5 . 7 2-80.
IL CONFLITTO
l'accortezza e dall'atteggiamento di chi sta all'erta: 1 questa potrebbe essere una prosecuzione della metafora militare (vigilanza e star saldi sono legati in I Cor. I 6, I 3 ; I Pt. 5,8 s.), ma probabilmente non è così, giacché pre ghiera e vigilanza sono associate spesso. D'altro canto à:ypu1tvÉw è meno usuale di ypljyopÉw a questo proposito (Mc. I 3 ,3 3 . 3 8; Le. 2 I ,3 6; Mt. 26, 4 I ; Col. 4,2; Barn. 20,2; I Esd. 8,58; 2 Esd. 8,29) e si potrebbe interpreta re come raccomandazione di una preghiera ••insonne>> o di veglie notturne (cf. Schlier). Queste divennero una caratteristica abituale in un momento successivo della vita della chiesa. Il primo riscontro sicuro - e riguarda una veglia pasquale, non le veglie in generale - si ha in Epistula Apostolorum I 5, del n secolo. È possibile che il passo in esame, unitamente a Sal. I I 9, 62; Le. 6, 1 2; Atti I 2, 1 2; I 6,25; I Tess. 3 , I o, abbia avviato questa prassi. La preghiera non può mai essere senza scopo, ma deve essere mirata. Qui il suo oggetto non è soltanto la capacità di chi prega di stare saldo contro il diavolo, ma si rivolge all'esterno ponendo l'accento sull'interces sione per i santi (i credenti e non gli angeli) e per Paolo (v. I9). L'autore di Efesini aveva già pregato per i santi ( I , I 6 ss.; 3 , I 4-I9), anche se non spe cificamente per Paolo. I santi, Paolo e quanti sono invitati a pregare per lo ro sono coinvolti nel medesimo conflitto con le potenze; devono restare in sieme e pregare insieme o cadranno insieme. Quando restano compatti, la chiesa viene sostenuta. Calvino ha suscitato la questione se i credenti deb bano pregare solo per i santi. Probabilmente è ciò che pensa l'autore. In ef fetti un ambito di preghiera così circoscritto è in sintonia tanto con l'obiet tivo generale della lettera quanto con il contesto immediato. Qui non si parla di preghiera per chi è al di fuori della chiesa (v. invece I Tim. 2,1-3 ). Per indicare i beneficiari della preghiera è usato m:pt, m a al v. I9, per Paolo, si trova il più normale imÉp (Rom. IO, I ; 2 Cor. I , I I ; 9,14; Fil. I ,4). Le due pre posizioni sono spesso sinonimiche (MHT, 269-27 I ; BDR, 229. 23 I ; Zerwick, § 96; Moule, 6 3 ; Robertson, 68 I ). 1tEpt è utilizzato per la preghiera di inter cessione in I Tess. 5,25; Le. 22,3 2; cf. Sir. 2 1 , 1 ) . Il cambiamento di preposi zione rivela probabilmente che Paolo è visto come persona speciale. I9. La lotta contro le potenze sembra ora passare in secondo piano, ma è tuttora presente in quanto la predicazione di Paolo, per la quale si inter cede, pertiene al mistero dell'evangelo, che dev'essere portato a conoscenza delle potenze (3,9. IO). L'autore di Efesini, se è Paolo, chiede ai suoi lettori di pregare per lui e, se non è Paolo, di pregare per Paolo. Tuttavia, se l'au tore di Efesini non è Paolo, vuoi dire che Paolo è morto: perché pregare per una persona morta ? La richiesta va dunque intesa come parte della cor' Cf. E. Liivestamm, Spiritual Wakefulness in the New Testament (Acta Universitatis Lundensis 5 5 [ 1 962.- 1 96 3 ) ), Lund 1 964.
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nice pseudepigrafa. Nel passo analogo di Co/. 4,3 non è Paolo soltanto a beneficiare della preghiera, ma Paolo e i suoi collaboratori. Un cenno ai collaboratori è normale nelle epistole paoline e la sua assenza qui può esse re dovuta al fatto che l'autore non ne menziona mai alcuno in tutta la let tera o che riserva a Paolo una posizione unica nell'economia della salvezza (3,3.8 ss. ). Altrove Paolo invita le sue chiese a pregare per lui e i suoi colla boratori (Rom. 1 5,30; 2 Cor. 1,9- 1 1 ; Col. 4,3; I Tess. 5,25; 2 Tess. 3 , 1 ) . Se si presuppone che l'autore d i Efesini stia usando Col. 4 , 3 , l a sua omissio ne di un cenno ad altri è sorprendente. Mentre si dice che i credenti devono intercedere per Paolo, non viene proposta una preghiera per la sua liberazione dal carcere. L'autore di Efe sini, se non è Paolo, si è forse reso conto che i suoi lettori sapevano che Paolo era morto durante la sua prigionia, o alla fine di essa, e non voleva inserire la raccomandazione di una preghiera che - i suoi lettori lo sapeva no - non sarebbe mai stata esaudita. Ciò che egli chiede per Paolo, o ciò che Paolo chiede per se stesso, è invece il dono di Dio (òo.Sii è un passivo divi no) della parola in relazione al mistero dell'evangelo. Àoyoç può, ma non necessariamente deve indicare il parlare glossolalico ( I Cor. 14,9. 19). Il linguaggio può essere di ispirazione divina senza essere in lingue (ad es. I Cor. 1,5; 1 2,8; Fil. 1,14; I Tess. 2, 1 3 ). L'«aprire la bocca>> era un'espres sione biblica (lF 50, 1 7; 77,2; Ez. 3,27; 29,21; 3 3 ,22; Dan. 3,25; 10, 1 6; Sap. 10,2 1 ; Sir. 5 , 1 5 ; 5 1,25), che è stata ripresa nel N.T. (Mt. 5,2; Atti 8,3 5; 10,34; 1 8,14; 2 Cor. 6, 1 1 ). C'è una differenza significativa rispetto a Col. 4,3 , che parlava dell'apertura di una porta. Dio potrebbe essere il sog getto effettivo di questa espressione solenne - «quando Dio apre la mia boc ca >> (così Westcott) -, ma se così fosse, se ne dedurrebbe che è Dio a forni re le parole e òo.fJii Àoyoç risulterebbe quindi superfluo. Contenuto della preghiera è che, ogni qual volta Paolo parla, Dio riempia la sua bocca, come ha riempito a suo tempo quella di Geremia (Ger. 1,9) e come ha promesso di fare in tempi di tribolazione (Mt. 10,19 s.; Mc. 1 3 , 1 1 ). Lem mer, 470 s., suppone una connessione soggiacente con il v. 17. Paolo ha bisogno della spada dello Spirito, una parola tempestiva di Dio. La preghie ra non è volta a ottenere un parlare eloquente o la capacità di esprimere l'inesprimibile (Caragounis, 28), ma l'ispirazione. Le parole ispirate posso no essere eloquenti, ma l'eloquenza non ne è caratteristica essenziale. La bocca di Paolo si deve aprire per rendere noto il mistero dell'evange lo Èv 7tctppYJcrt� (per il termine v. a 3 , 1 2 con la bibliografia ivi citata). Non è chiaro se l'espressione graviti su ciò che precede o su ciò che segue (Sal mond presenta una buona trattazione delle varie possibilità ). Comunque la si intenda, il significato del periodo verisimilmente non cambia. Il più am pio contesto del v. 20, che richiama l'attenzione su Paolo prigioniero, po-
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trebbe suggerire per il termine una connotazione nell'area semantica del coraggio (cf. Sap. 5,1 ), ma il cenno immediato al mistero implica l'idea di chiarezza, ossia che Paolo riesca a render chiaro il mistero dell'evangelo quando parla. Wild, art. cit., sottolinea l'aspetto della > appare indeterminato. Può dar si sia stato questo a indurre all'aggiunta di , ma in tal caso, si sa rebbe potuta prevedere la comparsa di una serie di aggiunte alternative (per esempio •• di Cristo >> ). D'altro canto, la sua presenza sarebbe in consonanza con la predilezione mostrata dall'autore per le espressioni prolisse e può essere stato omesso allo scopo di lasciare (J.UO"'t-ljpwv imprecisato in considerazione del le sue diverse connotazioni. Poiché la documentazione testuale è lievemente più forte a favore dell'inclusione, è meglio accogliere tale lezione. Si potrebbe di re che anche «evangelo >> resta indeterminato senza un'aggiunta esplicativa ma,
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a differenza di > , che comprende cre denti sia giudei (il primo popolo) sia gentili (il secondo popolo). 2, r r-22, pur essendo incentrato sull'idea del popolo di Dio, istituisce anche un nes so con un'altra idea nodale: giudei e gentili sono riconciliati nel corpo di Cristo, non nel suo corpo fisico bensì nel corpo che è la chiesa. I due corpi sono evidentemente in relazione, poiché, se non fosse per il corpo che muore sulla croce, non ci sarebbe una chiesa (2,r6). Paolo aveva già for mulato l'idea dell'unione di giudei e gentili in un unico corpo ( r Cor. r 2, r 3 ). L'aspetto corporato dell'unico popolo di Dio emerge anche nell'armo nioso compaginarsi delle pietre - vale a dire del popolo - nel tempio ( 2, 2 r ). Altri legami fra i due aspetti si manifestano nell'attribuzione della san tità, caratteristica propria del popolo di Dio (i suoi membri sono santi), al la chiesa come moglie o sposa di Cristo ( 5 ,27) e nell'essere i gentili sia co eredi (designazione del popolo di Dio) insieme ai giudei sia nel medesimo corpo ( 3 ,6). La chiesa in quanto popolo di Dio solleva drasticamente il problema del suo rapporto con Israele, il «vecchio>> popolo di Dio. C'è chiaramente un
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I
certo grado di continuità, altrimenti i termini veterotestamentari usati per Israele non sarebbero stati applicati alla chiesa e la chiesa non avrebbe guardato all'A.T. come a un libro autoritativo. Tuttavia non si fa parola di una continuazione materiale di Israele dopo la croce. L'autore di Efesini non mostra alcun interesse per tale Israele, ma d'altra parte è interessato soltanto all'unità della chiesa. In un certo senso una continuazione di Israe le non sarebbe diversa da una continuazione di non-Israele, i gentili: ambe due sono fonti di convertiti e i membri di entrambi necessitano della mede sima salvezza, che giunge attraverso la croce e risurrezione di Cristo. Efesi ni si discosta su questo punto da Colossesi, che asserisce ( 3 , r r ) l'abolizio ne all'interno della chiesa della distinzione fra schiavo e libero, barbaro e scita, come pure di quella tra giudeo e greco. In Efesini le differenze sociali non vengono abolite, ma è annullata soltanto la distinzione religiosa tra giudei e gentili. 3 . 2. La chiesa dello Spirito. Per Efesini, come per le epistole paoline si curamente autentiche, la sfera d'azione dello Spirito è la chiesa. Né Paolo né l'autore di Efesini ebbero occasione di considerare la natura dell'ispira zione nelle arti o nel pensiero filosofico e scientifico, e così sviluppano una teologia del ruolo dello Spirito nella società nel suo complesso. In realtà il quadro del mondo esterno alla chiesa dipinto dall'autore di Efesini (4, 17I 9 ) non concede spazio a tale azione, se non nella misura in cui si può im maginare che lo Spirito conduca gli increduli a cogliere la verità dell'evan gelo. Se nella società opera uno spirito, si tratta di uno o più spiriti maligni ( 2,2; 6, ro ss.) . Nella chiesa lo Spirito è uno solo (4,4 ) e le conferisce unità (4,3 ). I credenti sono sigillati con lo Spirito ( r , r 3 ; 4.30) ed è dato loro ac cesso a Dio ( 2, r 8 ) . Esso (non si hanno nozioni sufficienti per stabilire se l'autore abbia attribuito allo Spirito carattere personale, donde l'uso del pronome neutro anziché del maschile o femminile) li fortifica ( 3 , 1 6) e li ri empie ( 5 , 1 8); ne controlla e ispira il culto ( 5 ,19); guida le loro preghiere (6, r 8 ) . Nella loro lotta contro le potenze del male i credenti sono equipag giati con una spada cui è dato potere dallo Spirito ( 6,17). Se peccano con tro la vita della comunità (4,25-29), lo Spirito si contrista (4,3 0). In r Co rinti e in Romani, quantunque Dio o Cristo possano essere la fonte ultima dei carismi, questi di fatto sono presentati più direttamente come elargi zioni dello Spirito ( I Cor. 1 2- 14); in Efesini, benché non siano specificati, sono considerati dono di Cristo (4,7 s.). I preposti a cariche ufficiali sono anch'essi suo dono (4, u ) . Se in tal modo il ruolo dello Spirito può appari re sminuito, si deve ricordare che in 1 ,3 le benedizioni che Dio dà alla chie sa, pur non enumerate distintamente, sono associate allo Spirito. Ancora: lo Spirito è fonte di rivelazione ( 1,17) per la chiesa, che esso guida tramite i suoi capi originari all'accettazione dei gentili ( 3 , 5 ) . Dio dimora nella chie-
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LA CHIESA
sa nel suo Spirito ( 2,22), affermazione questa che costituisce una lieve va riante rispetto a I Cor. 3 , 1 6, secondo cui la chiesa è inabitata dallo Spirito di Dio. Corpo (la chiesa) e Spirito sono legati a proposito del tema dell'unità in 4,4. Tale nesso fornisce una transizione adeguata verso l'esame degli aspet ti più corporati della chiesa. 4 . 1 . La chiesa come edificio. Questa immagine, che Paolo ha tratto in ul tima analisi dal giudaismo, è giunta all'autore di Efesini tramite lui. Nono stante la sua indole giudaica, essa era presente in qualche misura anche nella cultura greco-romana, sicché poteva essere colta senza difficoltà pu re dai gentili. A differenza dei giudei, i cristiani la intesero legata specifi camente all'evento Cristo. Egli è la pietra angolare dell'edificio (per il ter mine v. a 2,20) e i suoi apostoli e profeti ne sono il fondamento. La chiesa ha quindi un fondamento diverso da quello in cui credeva il giudaismo, quale che fosse. Di conseguenza è essenzialmente un edificio nuovo, e in quanto tale può essere costruito con «pietre» gentili così come giudaiche. Che debba essere costruita con questi due tipi di pietre non è frutto di un ripensamento successivo al rifiuto di Cristo da parte del giudaismo, ma era destinato fin dall'inizio, anche se i gentili non sono stati ammessi immedia tamente. Sul fondamento degli apostoli e profeti con Cristo come pietra angolare i credenti sono compaginati insieme in modo tale che ne risulta si potrebbe dire - un edificio solido contro pioggia e tempesta. Non si trat ta tuttavia di un edificio qualsiasi, bensì di un edificio particolare, un tem pio in cui abita Dio. Quantunque tale edificio possa aver avuto inizio con l'evento Cristo ed essere immaginato in crescita, c'è anche una certa idea di completezza. Se non fosse completo, Dio non vi abiterebbe. È questa la tensione che percorre, come si è riscontrato, tutta la lettera agli Efesini: ciò che deve avvenire è pensato come già accaduto. L'edificio non è quindi im maginato semplicemente come una Gerusalemme celeste futura; esso esiste ora. La sua crescita inoltre non è numerica ma concerne la maturità. Con nessa a questa immagine dell'edificio, che non è circoscritta all'idea del tem pio, è l'immagine dell'abitazione familiare. I credenti sono la famiglia che la abita ( 2, 1 9 ) e la famiglia è la famiglia di Dio. Ciò suscita la questione inerente all'appartenenza alla famiglia di Dio e alla chiesa. Certo l'autore di Efesini accetta come membri quanti hanno fe de e sono stati battezzati. Non fornisce informazioni sufficienti da cui ca pire se prevedesse qualche altro requisito, come la partecipazione regolare all'eucaristia. L'assenza di cenni all'eucaristia è di per sé sorprendente, poi ché in I Cor. Io, I 6 s. Paolo la poneva in relazione all'unità dei credenti, tema centrale per l'autore di Efesini. Probabilmente però era solo a causa
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di problemi locali insorti a Corinto che Paolo aveva stabilito questo nesso. Non necessariamente esistevano problemi analoghi tra i cristiani ai quali scrive l'autore di Efesini. Ammesso che i suoi lettori rispondano a tutti i requisiti richiesti, sono loro i soli membri della chiesa ? In 2, 1 9 i credenti gentili sono definiti concittadini dei santi. Chi sono i santi ? Qui e in 1 , 1 8 sono verisimilmente esseri soprannaturali buoni, tra i quali forse i credenti defunti (v. a 1 , 1 8; 2, 19). In 2,6 si dice che i credenti sono già nei cieli e la chiesa ha una dimensione cosmica ( 3 , 10.2 I ). Così, la chiesa può annovera re altri membri oltre ai credenti sulla terra, ma non è rivolto a quelli l'inte resse primario dell'autore, le cui indicazioni vertono solo sul comportamen to dei credenti sulla terra. 4.2. La chiesa come corpo di Cristo (v. anche excursus 4, «Il corpo di Cristo >> ). Nei due passi principali in cui espone il proprio insegnamento sulla chiesa come corpo di Cristo ( I Cor. r 2, 1 2 ss.; Rom. 1 2,3 ss. ), Paolo prende in considerazione le varie funzioni dei credenti, che correla ai loro doni di grazia, nonché al loro rapporto reciproco. In questi due brani l'im magine ha valore parenetico. In Efesini non si specifica la varietà dei cari smi di cui godono i credenti, benché si dica che hanno doni da mettere in opera ( 4,7 ) . Alcuni, in verità, hanno doni speciali, o meglio sono essi stessi doni speciali e diversi fatti alla chiesa (4,n s.). L'accento parenetico è me no evidente nella lettera in esame, dove appare esplicito soltanto in 4,25. I credenti continuano tuttavia a essere considerati nel loro rapporto recipro co (4, 1 6. 2 5 ), ancorché questo aspetto non sia sottolineato altrettanto o al lo stesso modo che nelle lettere precedenti. Si dà risalto non alla comunio ne dei credenti in generale, ma a quella di giudei e gentili entro l'unico cor po ( 3 ,6) mediante la croce ( 2, 1 3 - 1 6). Mentre nelle epistole precedenti l'im magine era collegata specificamente a comunità particolari - il che peraltro non significa che sullo sfondo non ci fosse una prospettiva più ampia -, in Efesini è usata in relazione alla chiesa nel suo complesso. Nel suo anteriore impiego dell'immagine Paolo prendeva in considerazione solo il rapporto della chiesa con Cristo e non con il mondo. Efesini, in accordo con Colos sesi, prosegue lungo questa linea concettuale. D'altro canto in Efesini com paiono tre aspetti nuovi dell'immagine: il corpo cresce (4, 1 2. 1 6; cf. Col. 2, 1 9 ) , è presentato come moglie o sposa di Cristo ( 5,22 ss. ), e Cristo è dichia rato suo capo, aspetto, questo, che s'incontra anche in Colossesi. È natura le pensare alla crescita in relazione a organismi. Il corpo umano in quanto organismo è completo nel senso che ogni sua parte è in esso sin dalla nasci ta e tuttavia cresce dall'infanzia all'età adulta. La sua crescita è una matura zione delle potenzialità già presenti fin dall'inizio, non è una crescita dal caos all'unità. In modo in qualche misura analogo, la chiesa è tale sin dal l'inizio, ma matura e in tal senso cresce. Cristo è la fonte di ogni sua ere-
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scita (4, 1 5 s.; per il concetto di crescita v. 2,2 1 ). L'idea della chiesa come persona matura, se così si intende il significato di 4, 1 3 , concorda con que sto tipo di concezione. Una chiesa immatura potrebbe facilmente essere indotta in errore (4, 1 4 ) . 4.2. 1 . Era inevitabile che, una volta assimilata l a chiesa a l corpo d i Cri sto, sorgessero questioni intorno al rapporto di Cristo con il suo corpo. Se Paolo, o la sua scuola, non ha sollevato direttamente il problema, altri pos sono esservisi trovati di fronte. L'espressione non era facile da capire per quanti erano cresciuti nella cultura ellenistica, data la loro impostazione dualistica: il corpo era considerato materiale, l'anima o lo spirito non materiali; la persona era legata al corpo, e tuttavia gli era su periore. Oltre alla sua normale accezione fisica di parte superiore del corpo, xe:rpcxÀ� era impiegato metaforicamente in molti modi, due dei quali sono significativi per il pensiero biblico: «origine, fonte>> e ••signore supremo, dominatore>> . In teoria sarebbe possibile applicare entrambe le accezioni a Cristo in quanto capo del cosmo o capo della chiesa. Sia la tematica sia il contesto culturale di 5,23 implicano che sia la signoria suprema il senso in 5,22-33; il contesto tematico di 1,22 richiede la medesima connotazione. Merita rilevare incidentalmente che in questo secondo testo capo è usato senza alcun rimando diretto a un corpo, benché in qualche filone del pen siero coevo non cristiano il cosmo fosse considerato alla stregua di corpo. D'altronde, in 4,1 5 s. è possibile il significato «fonte>>, ancorché non neces sariamente se si identifica la fonte della crescita in Cristo piuttosto che nel capo. Non c'è del resto alcun motivo per non riscontrare entrambe le in terpretazioni del termine, purché plausibili, all'interno di un unico scritto. Ove le parole hanno più di un senso, è il contesto a dover decidere quale assumano. Non bisogna perciò imporre all'autore coerenza nell'attribu zione del significato, anche se egli può averla usata. In tal caso il senso sa rà «signore supremo» . Comunque, se Cristo è dominatore, non vuoi dire che egli detenga tale posizione come un presidente eletto che i votanti han no scelto entro una lista di candidati o come un monarca che governa per la pura fortuna di essere nato in una famiglia reale. Yorke elude lo spinoso problema del rapporto preciso tra Cristo e il suo corpo negando che nel corpus paolino la chiesa sia il corpo di Cristo. È semplice mente il corpo che Cristo possiede o che appartiene a lui; nell'espressione in esame 'X,Pta-rou è genitivo possessivo. Tuttavia: 1 . Y orke non analizza il signifi cato di «possedere>> o «appartenere a>> . Nelle frasi «io possiedo la mia mano>> e «io possiedo la mia penna >>, «possedere>> ha due sensi diversi, il che vale analogamente per «la mia mano mi appartiene » e «la mia penna mi appartie ne>>; 2. egli non chiarisce perché Cristo sia citato con tanta regolarità nei passi che presentano il corpo come la chiesa. Se l'opinione di Yorke fosse corretta,
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la menzione di Cristo in molti brani in cui ricorre in relazione al corpo non sa rebbe necessaria; 3 · nella sua trattazione egli isola la locuzione «corpo di Cri sto•• e non esamina gli altri tipi di connessione istituiti fra Cristo e la chiesa o Cristo e i credenti, fra i quali si annoverano espressioni come «in Cristo••, > , il ministero del «laicato>> è rivolto verso la vita interna della comunità e nessuno ne è esente. Dato il suo carattere di reciprocità fra i credenti, comprende sia il culto ( 5 , 1 9 s.) sia il servizio caritativo (4,3 2). 7.2. Nonostante alcune sezioni di Efesini siano espresse nel linguaggio del culto ( 1 ,3 - 14; 3 , 14-2 1 ), si dice poco sulla sua natura. I credenti canta no e pregano ( 5, 1 9; 6, 1 9 ss. ). Il battesimo è chiaramente importante, giac ché viene menzionato nel brano tradizionale citato in 4,5 (cf. 5,26), ma non si fa cenno all'eucaristia, il che ovviamente non significa che non fosse celebrata. Il battesimo è il rito dell'iniziazione (cf. L Cor. 1 2, 1 3 ), ma ciò non vuoi dire che l'immersione nell'acqua accompagnata da una determinata formula trasformasse un non credente in credente. Chi si propone per il battesimo sarà chi ha fede ( 1 , 1 . 1 3 . 1 5 . 19; 2,8; 3 , 1 7), e previa sia alla fede sia al battesimo è l'elezione da parte di Dio ( 1 ,4). 8. Conclusione. 8.1. Sarebbe stato possibile definire la chiesa come la co munità degli eletti, dei salvati, dei battezzati, poiché da costoro è senz'al tro costituita, invece in Efesini la si definisce in termini corporati, come cor po di Cristo, edificio, moglie, definizione che s'intende tuttavia nel senso di unione di credenti e non di una serie di comunità. Pur essendo parte del piano di Dio per la redenzione dell'universo, la chiesa non è presentata come l'anima o la coscienza della società. È posta assai poco in relazione con la società, lo stato o le autorità di governo, mentre la si correla a Cri sto, in quanto suo corpo e sua moglie o sposa. Essa è anche il popolo di Dio e il luogo in cui dimora lo Spirito. È in ogni tempo sottomessa a Cri sto suo Signore e marito. Vi è tensione fra le sue dimensioni celeste e ter rena: i suoi membri siedono già nei cieli ( 2,6) e rendono nota la sapienza di Dio alle potenze; alla chiesa è tributata gloria ( 3 ,2 1 ), eppure i suoi membri necessitano di essere istruiti sul modo di vivere gli uni con gli altri (4,25 ss. ). La natura celeste della chiesa non conduce quindi alla sua rimo-
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zione dalla storia. L'autore di Efesini dipinge una chiesa che, per così dire, ha gli occhi rivolti sia verso l'alto sia verso l'interno, ma non all'esterno. Lo sguardo rivolto verso l'interno è ovviamente conforme all'insegnamen to etico della lettera. Nonostante il risalto dato al comportamento recipro co dei membri, non si ha l'impressione di una mentalità del ghetto. Efesini è uno degli scritti neotestamentari più utili per chi sia interessato all'ecumenismo e per tutti coloro che desiderano riflettere sulla natura del la chiesa. È uno dei meno utili per quanti vogliano tracciare le linee lungo le quali i cristiani e la chiesa devono vivere all'interno della loro cultura. Sotto questo aspetto il suo quadro del mondo è troppo drastico: la società secolare vi appare dominata da potenze spirituali ostili e come luogo di te nebre. È arduo passare da una presentazione siffatta a una società postcri stiana in cui il cristianesimo è già penetrato modificandola, o a una società che ha invero aspetti positivi. 8.2. Tradizionalmente alla chiesa sono stati attribuiti quattro segni di stintivi: una, santa, cattolica e apostolica. 1 Considerando i termini nella lo ro accezione più semplice, non è difficile constatare come i primi tre si pos sano applicare senza esitaL-i ,me alla chiesa com'è raffigurata in Efesini. La chiesa è una (4,4 ) ed è santa ( 5 ,27) come i suoi membri ( 1 , 1 ); unità e santi tà le sono state entrambe elargite da Dio. È cattolica perché abbraccia tutti in sé, giudei e gentili ( 2, I I-22), uomini e donne ( 5 ,22-3 3 ), schiavi e liberi ( 6,5-9). Per il quarto segno, l'apostolicità, è più difficile trovare applicazio ne. La chiesa è senz'altro apostolica poiché gli apostoli sono parte del suo fondamento ( 2,20) e a loro è stata rivelata la pienezza della gloria dell'evan gelo ( 3 , 5 ) . Tuttavia, in questi due testi, gli unici che espongono una teolo gia dell'apostolicità, agli apostoli sono uniti i profeti, e ciò mediante un ar ticolo in comune che costituisce fra loro un vincolo molto stretto. Se dun que ci si avvale di questi testi per comprovare l'apostolicità della chiesa, si è costretti ad attribuirle del pari una natura profetica (cf. 4,I I ), e non c'è motivo di considerare la natura profetica della chiesa meno importante di quella apostolica. Ciò induce a reputare proprio della natura della chiesa un elemento di imprevedibilità, che è però sotto la guida non della tradi zione bensì dello Spirito santo, elemento che nel proclamare la volontà di Dio può turbare di continuo l'ordine consolidato della chiesa. Se si esami na la storia della chiesa, si vede in effetti come essa sia stata spesso sogget ta ad azioni perturbanti di tipo profetico, e come queste siano state per il suo bene. I profeti impediscono alla chiesa di sentirsi paga di sé e di ada giarsi compiaciuta su uno stile di vita abitudinario e conservatore. Proven gono dal suo interno e la scuotono, indirizzandola verso nuove strade. 1. Secondo Barth, lsrael, 6, in Efesini questi quamo segni distintivi della chiesa emergono con chia rezza maggiore che in qualsiasi altra epistola paolina; cf. Penna, 66 s.
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Nei cristiani ha sempre suscitato perplessità il contrasto fra ciò che la chiesa dovrebbe essere e ciò che effettivamente è, sicché hanno tentato di risolvere questa contraddizione contrapponendo la chiesa visibile e la chie sa invisibile. L'autore di Efesini sembra non avere contezza di questo pro blema. Da quel che scrive in 3 , 1-4. 1 6 si potrebbe desumere che avesse in mente la chiesa invisibile, eppure non stabilisce alcuna distinzione allorché nel prosieguo descrive le attività dei suoi membri. Credenti capaci di men tirsi a vicenda sono membri dell'unico corpo di Cristo (4,2 5 ); fra loro, per sone in grado di commettere fornicazione ( 5 ,3 · 5 ) appartengono alla sposa di Cristo, che è senza macchia o ruga ( 5 ,27); potenziali ladri (4,28) sono membri del popolo di Dio; persone che possono ubriacarsi ( 5 , 1 8 ) sono parte dell'edificio di Dio ove egli abita ( 2,2.2. ) . L'autore di Efesini ignora al riguardo la distinzione tra visibile e invisibile.
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L'INSEGNAMENTO MORALE
L.H. Marshall, The Challenge of New Testament Ethics, London 1 947, 2 1 7 ss.; M.S. Enslin, The Ethics of Pau/, Nashville 1 9 5 7; W. Lillie, Studies in New Testament Ethics, Edinburgh 1 9 6 1 ; V.P. Fumish, Theology and Ethics in Pau/, Nashville 1968; J.L. Houlden, Ethics and the New Testament, Harmondsworth 1 9 7 3 , 23 1 -244; Fischer, 147- 1 7 2; J.T. Sanders, Ethics in the New Testament, London 1 9 7 5 , 68-8 1 ; Halter, 227-286. 3 84-409; G. Strecker, Strukturen einer neutestamentlichen Ethik : ZTK 75 ( 1 978) r 1 7- 1 46; J. Gnilka, Das Akkulturationsproblem nach dem Epheser- und Kolos serbrief, in J.-D. Barthélemy (ed. ), Fede e cultura alla luce della Bibbia, Torino 1 9 8 1 , 23 5-247; W . Schrage, Ethik des Neuen Testaments, Gottingen 1 9 8 2; K . Mtiller, Die
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1. L'autore di Efesini non espone il proprio insegnamento morale in for ma più sistematica di qualsiasi altro scrittore neotestamentario. Mentre l'insegnamento etico contenuto in molte sezioni di altre lettere è general mente, ma non sempre, determinato in modo evidente dalla situazione dei lettori in risposta ai loro problemi specifici, è arduo individuare la situa zione particolare - se ce n'è una - cui l'autore intende rispondere. D'altro canto, se è difficile collegare le sequenze di disposizioni di Rom. 1 2,9 ss. e r Tess. 5,14 ss. ai temi principali di quelle epistole, la serie apparentemen te altrettanto casuale di Ef. 4,2 5-5,2 è in linea con il messaggio teologico centrale della lettera, che concerne la natura e l'unità della chiesa, e ciò va le altresì per quasi tutte le altre parti dell'insegnamento morale presente in Efesini. La coesione della sequenza di Mc. 9,3 3-50 è ottenuta mediante ter mini chiave di raccordo, a causa della sua natura originaria di insegna mento orale. La coesione di Ef. 4,25-5,2 è dovuta al suo contenuto, che ri guarda la vita all'interno della chiesa. Se la parenesi di Efesini non si può collegare facilmente a situazioni particolari dei destinatari, ciò è conforme al carattere generale della lettera. È implicito nel modo in cui l'autore for mula la sua parenesi un contrasto fra la condotta dei credenti prima della
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conversione/battesimo e quella che dovrebbero adottare dopo. I vv . 4, I ? I9 (cf. 2, r-3 ) dipingono la vita del mondo dei gentili fuori dalla chiesa e precedono opportunamente la concreta delineazione puntuale del nuovo comportamento che l'autore richiede ai suoi lettori. Nessuna di queste os servazioni implica che l'istruzione etica di Efesini sia vaga o imprecisa. Es sa tratta sempre ambiti di condotta che interessano molti credenti.
2. Ci si può peraltro chiedere a buon diritto se sia necessaria un'etica per credenti che siedono nei cieli ( 2,6): tale stato non implica che il loro com portamento sia già perfetto? Che, ciononostante, l'autore fornisca un inse gnamento morale è un aspetto di quella tensione che percorre tutta la let tera, espressa esemplarmente nella constatazione che Cristo ha sconfitto le potenze ( r ,20-23 ) e tuttavia esse sono ancora attive nel traviare i credenti (6,ro ss. ). Benché i lettori siano destinati a ( 5 , 1 ). Essi sono radicati e fondati nell'amore ( 3 , 1 7); l'amore li edifica conducen doli alla maturità (4, 1 6) . A rigore, però, oggetto dell'amore di Dio è la chie sa nel suo insieme ( 5,25), in seno alla quale sono amati i credenti come in dividui ( 5,2). Anche se l'autore di Efesini parla soltanto dell'amore di Dio verso i credenti, è possibile che, interrogato in merito, avrebbe risposto che Dio ama tutti. Poiché, secondo l'esposizione di Efesini, è stato il suo amore a indurlo a eleggere coloro che ama, è meglio presumere che l'autore non abbia mai riflettuto a fondo sul problema del rapporto fra amore ed ele zione. Visto l'accento posto sull'amore di Dio, non sorprende che, quando volge l'attenzione al modo in cui i credenti devono vivere, l'amore sia qua si il suo primo pensiero (4,2). Se la chiesa cresce, deve crescere nell'amore (4, 1 5 s.). Anche se in 4,3 2 l'amore non è nominato, ne costituisce però la base. Quando vuole definire il comportamento dei mariti verso le mogli, l'autore ricorre al termine amore ( 5,25.28 .3 3 ), e non può trattarsi dell'amo re erotico, giacché è identico a quello con cui Cristo ama la chiesa. Per l'au tore dunque l'amore è più che una virtù fra le altre: è la virtù che sostiene le altre. Quanto al contenuto, l'amore si dovrebbe intendere in termini di sacrificio di sé, poiché così viene presentato l'amore di Cristo ( 5,2). L'amore era centrale per l'etica di Gesù, ed è un amore che i suoi disce poli devono mostrare nei confronti di tutti (Le. 10,25-37). L'amore resta la chiave di volta dell'etica di Paolo, ma, a partire da lui, anche se in lui solo parzialmente, si osserva che l'amore verso tutti (Rom. 1 3 , 10; Gal. 5,14) viene circoscritto all'amore verso gli altri credenti (I Tess. 3 , 1 2; 4,9). Questa limitazione divenne normale in molti testi seriori del N.T. ( Cv. 13, 34 ss.; I Pt. 2, 1 7; I Gv. 3 , 1 1 .23 ); in Efesini è coerente con il modo in cui l'amore di Dio trova espressione nell'elezione. Peraltro, nell'occuparsi solo dell'amore verso gli altri credenti, l'autore non si spinge al punto di I Pt. 2, 1 7, che distingue fra l'atteggiamento dei credenti tra loro e quello verso i non credenti. L'amore, secondo l'autore di Efesini, tiene unita la comunità (4,2) e si esprime nelle varie virtù enunciate in 4,25 ss. Se 7tEpt7t1X'tÉw è il ter mine generale prevalente nella lettera per indicare la condotta ( 2,10; 4, 1 . 1 7; 5,2.8 . 1 5 ), è appropriato che in 5,2 sia associato all'amore, poiché l'amore è base e sostegno di ogni retto comportamento.
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3 . 2. Che l'autore di Efesini si concentri sul comportamento all'interno della comunità si può constatare in modo ancor più palese se si richiama quanto viene omesso nella concreta presentazione delle virtù da lui eviden ziate: si sottolinea l'importanza della sincerità se praticata verso gli altri membri nella comunità, ma non se ne fa parola in relazione agli estranei; il furto è censurato solo perché priva la comunità di denaro, non per la per dita subita dalla persona i cui beni sono stati rubati; non ci si cura del dan no arrecato alla persona di cui ci si è serviti nella fornicazione; il codice do mestico elenca esclusivamente doveri verso i correligionari cristiani. È vero che le altre lettere neotestamentarie prestano perlopiù maggiore attenzione alla condotta entro la comunità che a quella rivolta al mondo esterno, ma ciò si deve in larga misura alla circostanza che i loro autori trattano proble mi specifici sorti all'interno della comunità. Al tempo stesso, l'effetto del contegno dei credenti sulle persone esterne non viene mai del tutto ignorato. Per rendersi conto di quanto limitato sia l'orizzonte del suo interesse eti co, occorre guardare non solo agli ambiti contemplati dall'autore di Efesi ni, ma anche a quelli trascurati. Non si può pretendere - è ovvio - che si occupi di questioni scaturite dalla complessità della civiltà moderna, quali la legislazione sui sindacati, i problemi ecologici, la riforma sociale. È inde bito guardare le sue affermazioni dalla prospettiva dei nostri tempi e aspet tarsi condanne della schiavitù o del dominio maschile. Il punto è che ci so no aree di interesse riguardanti il suo tempo che egli non tocca. La fami glia è di palese importanza agli occhi dell'autore, eppure egli considera sol tanto famiglie i cui membri sono tutti cristiani, e anche allora non spende una parola sul rapporto tra fratelli o sulla posizione delle vedove 1 e dei nonni; non fa nulla per risolvere inevitabili elementi di tensione (la moglie dello schiavo deve obbedienza prima al marito o al padrone?). Il divorzio era frequente nel mondo antico. Forse il silenzio in materia si può giustifi care pensando che non si prevedesse il caso di divorzio in famiglie non mi ste. L'autore di Efesini avrebbe tuttavia potuto prestare una certa attenzio ne alle vittime dell'agire scorretto da parte di credenti, come la prostituta cui uno di loro sia ricorso ( 5, 3 . 5 ; v. invece Epict. Diss. 2,4,1 ss.; 2, 10,17; 3,24,23), o la persona derubata delle proprie sostanze (4,28; v. invece Le. 19,8). Quando affronta la questione se al cristiano sia lecito mangiare cibo sacrificato agli idoli, Paolo tiene conto dei possibili effetti che questo com portamento può avere sugli increduli ( I Cor. 10,27-29). È interessante no tare come Epitteto osservi che l'adulterio ha vasta incidenza sulla società ( 2,4, 1 ss.) e rende la vittima men che umana (2,10, 1 8 ) . A onor del vero, è importante ricordare che l a lettera agli Efesini è così 1 . Il trattamento delle vedove occupa ampio spazio nelle pastorali; d. Y. Redalié, Pau/ après Pau/, Genève 1 994, 4 3 8 .
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breve che sarebbe stato impossibile per l'autore trattare tutti i problemi, ma ci sono ambiti che è difficile capire come possano essergli sfuggiti. Ri guardano in larga misura l'interazione fra i credenti e il mondo esterno al la loro comunità. L'esigenza di rammentare ai credenti i rischi del culto ido latrico doveva essere quotidiana, ma l'idolatria è menzionata solo di pas saggio in 5,5 e come se si potesse dare per scontato che tutti la rifiutino. Se è corretta l'affermazione di Arnold, passim, secondo cui la magia costitui va un elemento di spicco sullo sfondo della lettera - e certo era una carat teristica saliente del mondo antico -, sorprende rilevare che non viene con dannata (cf. Atti 19, 1 9; 8,1 9-24; 1 3 ,4- 1 2; Gal. 5,2o; 2 Tim. 3,8. 1 3 ; Apoc. 9,2 1; 1 8,23 ). I cristiani dovevano venire a contatto col mondo esterno nel l'uomo della porta accanto, che poteva essere il negoziante che vendeva le proprie merci a tutti indistintamente o uno che le comprava ovunque fos sero in vendita. Tra gli increduli il fornicatore trovava la prostituta e il la dro il possidente. In famiglie miste il credente non poteva evitare incontri quotidiani con increduli. L'autore non prende in considerazione neppure la possibilità che gruppi familiari si spezzino per effetto della conversione al cristianesimo di un loro membro (Mc. 3,3 1-3 5; 10,29; Mt. 10,34 s.; Le. 1 2, 5 1- 5 3 ) . 3 . 2. 1 . Anche prescindendo totalmente da tali situazioni circoscritte e in dividuali, c'erano ambiti di primo piano, come si evince da altri scritti neo testamentari, in cui il mondo esterno influiva sui credenti ed era logico at tendersi qualche cenno al riguardo. a) I cristiani erano continuamente sottoposti a pressioni, se non attiva mente perseguitati, perché si conformassero alla cultura secolare. I vangeli profetizzano che la persecuzione colpirà i seguaci di Cristo (Mc. 1 3,9- 1 3 ; Mt. 5,10- 1 2). Anche se queste profezie sono creazioni post factum e non detti effettivi di Gesù, rappresentano l'esperienza dei primi credenti. Gli At ti raccontano molti casi di persecuzione a opera di giudei ( 5,17 s.; 8,3; 1 2, 1 - 5 ) e di autorità civiche e folle non giudaiche ( 1 3,50; 14,19; 1 6,19-24 ecc.). Le lettere e l'Apocalisse documentano questo stesso tipo di pressioni ( .r Tess. 2, 14 s.; 2 Cor. n,23 -27; Fil. 3 , 10; 6,9; 20,4 ). L'assenza di qualsi voglia menzione di pressioni esterne da parte dell'autore risulta perciò stu pefacente, tanto più che egli ritrae Paolo prigioniero e l'area di destinazio ne di Efesini appartiene a una regione adiacente, se non la stessa, a quella cui erano indirizzate la prima epistola di Pietro e l'Apocalisse. b) Efesini non contiene disposizioni sulla necessità di evangelizzare i pa gani in mezzo ai quali i credenti vivono. È vero che uno degli argomenti della lettera è l'evangelizzazione paolina dei gentili e 3,10 concerne l'effet to della chiesa sulle potenze, ma perché l'autore non accenna al suo effetto sul mondo pagano circostante? Sebbene nel resto del Nuovo Testamento,
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fatte salve le pericopi finali dei vangeli (Mt. 28,1 6-20; Le. 24,4 5 s.; Atti 1, 8; cf. Mc. 6,7 ss.), siano poche le direttive esplicite sulla predicazione evan gelica e Paolo di rado esorti i lettori in tal senso, pur sottolineando la pro pria attività missionaria (ad es. Gal. 2, 1- 10), le sue epistole documentano ampiamente che l'evangelizzazione era in atto ( I Cor. 14,22 ss.; Fil. 1,14 s.27-30; Col. 1,23 ). c) Oltre alle attestazioni d i una predicazione evangelica attiva, vi sono nel Nuovo Testamento numerose notazioni sull'influsso che il vivere dei cre denti produce sommessamente sugli altri (Mt. 5,14- 1 6; I Tess. 4,10- 1 2; Col. 4,5; I Tim. 3,7; I Pt. 2, 1 2; Tit. 3 ,2; Gv. 17,20 s.; cf. Atti 2,47; I Cor. 10,32 s.; I Pt. 3 , 1 5 s.). Efesini non fa parola di questa evangelizzazione negativa. Quando i credenti sono incoraggiati ad agire, è sempre nei con fronti di altri credenti. d) Altrove nel Nuovo Testamento sono proposti atteggiamenti disparati verso il mondo: Mc. 1 2, 1 3 - 1 7; Rom. 1 3 , 1 -7; I Pt. 2,1 3 - 1 7; Tit. 3 , 1 ; I Tim. 2, 1 s. implicano tutti, in maniera diversa, un rapporto positivo con l'auto rità civile. Efesini non suggerisce nessuno di questi atteggiamenti, nemme no in senso negativo. A tutti erano imposte le tasse, ma Efesini non offre indicazioni al riguardo, benché le questioni che ne scaturivano non fossero affatto locali bensì universali, e quindi non necessariamente da trascurare in una lettera di tono generale. Altrettanto si dica per il caso di cristiani preposti a cariche pubbliche. e) La necessità per i credenti di usare cautela nel rapporto con il mondo esterno crea loro problemi, come emerge, ad esempio, da I Cor. 5,9- 1 3 ; 6, 1-8; 7,3 1; 10,27-29; 2 Cor. 6, 14-7,1 ; I Gv. 2, 1 5- 1 7; Tit. 3,2; Gv. 1 7, 1 5 s. Che ciò potesse valere anche per i lettori di Efesini non emerge affatto dal la lettera. 4,17-19 è l'unico punto in cui si riconosce l'esistenza del mondo non cristiano e non giudaico, ivi dipinto con le tinte più fosche. Il contesto di questo passo non lascia pensare in alcun modo a un rapporto positivo con il mondo esterno. Lo si potrebbe leggere anzi come indicazione di un suo rifiuto totale. 3 · 3 · L'impressione complessiva che si ricava dagli ambiti della vita per i quali l'autore di Efesini fornisce direttive suggerisce che si potrebbe defini re la sua etica come un' , valida, cioè, per la vita all'in terno della chiesa, ma che non si occupa del rapporto della chiesa o dei suoi membri con ciò che accade nel mondo esterno. Qualificare l'insegnamento morale dell'autore di Efesini alla stregua di etica ecclesiastica non contra sta con il modo in cui egli, nel raffigurare la chiesa (v. appendice 1, ), si concentra sulla sua vita interna piuttosto che sul suo rapporto col mondo. Ciò non significa che, richiesto, non sarebbe stato disposto a de lineare un'etica mirata a orientare l'atteggiamento delle comunità cristiane
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e dei singoli cristiani nei confronti del mondo esterno alla chiesa. Ma per qualche motivo ha deciso che non era necessario. Alcuni aspetti del suo modo di presentare la chiesa e la sua vita mostrano che, se l'avesse fatto, la sua impostazione non sarebbe stata settaria. A differenza di alcuni grup pi cristiani di oggi, egli non fornisce un elenco di norme del tipo: non fu mare, non andare a ballare, accostati all'eucaristia almeno una volta al me se, credi che Gesù è Dio. Norme siffatte servono a distinguere i credenti dalla cultura in cui vivono e consentono interventi disciplinari quando non vengono osservate. Nella sua situazione l'autore avrebbe potuto vietare ai membri della comunità di mangiare cibo sacrificato agli idoli, frequentare il culto nel tempio o mettersi in affari con non cristiani. L'astenersi dal for nire un insieme di norme ecclesiastiche lo scagiona dunque dall'accusa di settarismo. 4· Direttive generali. 4. 1 . Né l'autore di Efesini né alcun altro scrittore neotestamentario è in grado di offrire un numero di regole tale da contem plare tutte le situazioni in cui si richiedono decisioni d'ordine morale. Chi passava dal giudaismo al cristianesimo disponeva già di direttive che pre vedevano una grande quantità di situazioni possibili, ma la maggior parte dei lettori dell'epistola proveniva dal mondo dei gentili con i suoi scenari religiosi e filosofici assai variegati, da quelli nei quali al comportamento non si annetteva importanza fino allo stoicismo, che invece gli dava note vole rilievo. I gentili che abbracciavano il cristianesimo avranno portato con sé l'etica della loro precedente cultura religiosa o filosofica. In molti casi (come per la sincerità, la gentilezza) vi era coincidenza con gli insegnamen ti della loro nuova fede, ma in altri dovevano esserci divergenze più o me no forti. È impossibile negare che l'autore di Efesini abbia fatto propria mol ta della cultura etica del suo tempo: in linea di massima, egli conserva la struttura patriarcale della società e accetta senza porla in discussione l'esi stenza della schiavitù. 4.2. 1 . Quali criteri di condotta l'autore suggerisce ai suoi lettori per so stenerli nel loro impegno di vivere nelle nuove comunità cristiane? Enun ciati generali e vaghi sul fare la volontà di Dio ( 5, I 7; 6,6), compiacere il Si gnore ( 5 , Io; cf. Rom. I 2,2), comportarsi saggiamente ( 5 , I 5 ), compiere ciò che serve a edificare la chiesa (4,2.3 . I 5 s.), o ciò che è conveniente ( 5.3 .4; a differenza di Paolo - I Cor. I I,2 sS. I4 ss.; I4,40 -, egli pensa solo a quel che si conviene alla chiesa e non alla società esterna), non sono realmente d'aiuto, anche quando siano tratti dall'A.T. o si trovino in altre pani del N.T. (Gen. 5,22.24; 6,9; Sap. 4,Io; Sir. 44, I 6; Rom. I 2, r ; 1 4, 1 8 ; 2 Cor. 5,9; Fil. 4,I 8; Col. 3 ,20; Ebr. I 3 ,21; cf. Test. Dan I,3). In che modo i suoi lettori devono passare da questi alle loro situazioni concrete? ·
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4.2.2. Occorrono criteri più pratici, non soltanto per chi, nuovo conver tito, si è appena allontanato dalla cultura pagana, ma anche per chi si è convertito da un certo tempo ma continua a vivere circondato da quella cultura. Attraverso i secoli la chiesa, rendendosi conto di questo problema, ha cercato di esprimere ciò che è gradito al Signore ponendo l'accento di volta in volta, o contemporaneamente, sul decalogo, l'esempio di Gesù, la condotta cristiana tradizionale nelle sue forme puritane o cattoliche. In al ternativa, si è fatto talora appello alla coscienza (cf. Rom. 9, I; I 3 , 5 ) . L'au tore di Efesini dal canto suo non adotta nessuna di queste impostazioni, e tuttavia non lascia certo che siano i lettori a stabilire da soli in ciascuna occasione quel che è gradito al Signore. La metà parenetica della sua lette ra è un'esposizione del tipo di condotta a suo credere gradita al Signore. Poiché il comportamento dev'essere sempre connesso alla situazione con creta in cui lo si tiene, ed egli sta scrivendo una lettera di carattere genera le, può limitarsi a un abbozzo a grandi linee. Non accade mai che esamini un caso nelle sue fattispecie, come fa Paolo in I Corinti riguardo al cibo sacrificato agli idoli, ma lascia ai suoi lettori il compito di condurre da soli tale disamina. Tratteggiare a grandi linee porta a vedere tutto in bianco e nero. Ma le decisioni concrete sono molto più complesse e spesso concedo no solo la possibilità di optare fra due soluzioni imperfette. 4.2.2. 1 . In aiuto ai lettori l'autore offre anzitutto le direttive precise im partite nella sua parenesi, che però non contemplano molte situazioni in cui occorre prendere decisioni. Un'analisi di tali disposizioni mostra che a volte egli basa i suoi consigli sull'A.T. Per un giudeo come lui, questo era il punto di riferimento ovvio in cui cercare una guida. Inserisce Zacc. 8,I6 in 4,25; Sal. 4,4 in 4,26 e il decalogo è sotteso a 4,28 ed è citato esplicita mente in 6,2 s. ( Gen. 2,24 non ha un impiego diretto in relazione al com portamento quando viene citato in 5,3 I ) . È interessante osservare che i mo ralisti pagani non avrebbero rigettato il contenuto delle sue affermazioni in tutti questi casi. Probabilmente egli si vale dell'A.T. nell'intento di raf forzare l'autorità delle sue parole, benché in 6,3 modifichi la citazione ve terotestamentaria per eliminarne una limitazione che non intende compro vare. Anche se introduce passi dell'A.T., non ha da dare indicazioni gene rali su dove seguire e dove ignorare il suo insegnamento. Non affronta mai il problema del rapporto fra la volontà di Dio e la legge di Mosè (cf. Schulz, 575-578). In 4,24 espone un principio generale di comportamento che po trebbe derivare da moralisti pagani, benché probabilmente lo mutui dal giu daismo ellenistico che lo aveva accolto (v. a 4,24). Perché qui non cita passi veterotestamentari come Os. 6,6 o Mich. 6,8 ? 4.2.2.2. Per aiutare i suoi lettori egli attinge anche alla tradizione cristia na corrente, come nel caso del codice domestico, e seleziona quello che gli
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serve dagli elenchi tradizionali di vizi e virtù. Anche in questo materiale è ben poco ciò con cui i moralisti pagani sarebbero stati discordi. Forse non avrebbero accettato la sua elaborazione della metafora del matrimonio in 5,22 ss., che peraltro l'autore sviluppa per scopi teologici più che etici. La tradizione accolta può anche cambiare: mentre Paolo credeva che questo mondo stesse finendo e la fine fosse prossima, e questa sua convinzione po té informarne alcuni giudizi (ad es. I Cor. 7,25 ss. ), per l'autore di Efesini il mondo è un luogo più stabile, sicché i giudizi sulla condotta non sono formulati partendo dalla persuasione che presto tutto sarebbe mutato. 4.2.2. 3 . I modelli di comportamento sono d'aiuto nell'istruzione etica, ma per proporli a cristiani occorre trarli da fonti cristiane, non pagane. Paolo si presenta personalmente come modello ( I Tess. 1,5-7; I Cor. 4, 17; 1 1, 1 ; Fil. 3 , 1 7), ma soltanto quando si rivolge a chiese in cui ha svolto il suo ministero. Se fosse stato lui a scrivere Efesini, gli sarebbe stato impos sibile, perché i lettori non lo conoscevano di persona. Se non è Paolo, l'au tore dell'epistola evidentemente sapeva che era inopportuno servirsi di Pao lo come modello. Oltre a se stesso, Paolo aveva attribuito questo ruolo a Cristo, e questo l'autore di Efesini poteva farlo e lo fece ( 5 ,2.25 ), come pu re con Dio ( 5 , 1 ). Ma il suo richiamo a Cristo e a Dio è in termini molto generali, e non avrebbe dato un giande appoggio nel prendere decisioni concrete. Sarebbe stato utile se avesse rinviato a episodi della vita di Gesù o a qualcuno dei suoi detti (cf. sotto, 6. 3 . 1 ) . Quanto al primo caso, viene menzionata solo la morte sacrificale di Cristo; quanto al secondo, in Efesi ni non è citato esplicitamente nessuno dei detti di Gesù, che in verità com paiono solo di rado in Paolo. Se però la lettera in esame è successiva a Pao lo, la tradizione su Gesù non doveva essere più nota ? È possibile che 4,20 s. segnali la conoscenza da parte dei lettori di tale tradizione. Se l'autore la conosceva, forse non ha potuto valersene perché, scrivendo a una regione vasta, presumibilmente non sapeva quali parti della tradizione fossero note a ogni specifica comunità cristiana. Forse una direttiva cristiana è implici tamente fornita in 4,7- 1 6, nel lasciare intendere che all'interno della comu nità si dovrebbe seguire una condotta che la aiuti a maturare. 4.2. 2-4- In generale, ai lettori è lasciato in larga misura il compito di prendere decisioni e a tale scopo, come emerge da 5,17 (cf. I Pt. 1,1 3 ), è ri chiesto un certo impegno intellettuale. L'uso di auvtlJ(J.t in 5,17 ne sottoli nea la necessità. Mentre in 3,4 il sostantivo corradicale indicava l'intelle zione concessa da Dio, il verbo in 5 , 1 7 attiene all'intellezione umana, che peraltro, se inserita in un contesto cristiano, non è mai puramente umana, ma è sempre guidata dallo Spirito santo. La vera comprensione della vo lontà del Signore non deve restare teorica, ma comporta l'esecuzione pra tica. Ciò significa che l'autore non può contemplare tutte le situazioni, poi-
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ché non conosce le condizioni precise in cui vivono i suoi lettori e non ha spazio sufficiente per trattare ogni aspetto. E neppure elenca una serie di assiomi guida che i credenti possano applicare alle proprie situazioni indi viduali. Dovranno essere loro a ragionare da soli su ciò che devono fare, imparando dalla propria continua esperienza e da quella degli altri mem bri della comunità. Può essere questo il motivo per cui l'autore dopo 5,17 passa nei vv. 19 s. al tema del culto comune. La transizione immediata è a 5,r8: l'indulgere smodato al vino può offuscare la mente! Se l'autore di Efesini non è stato in grado di fornire direttive rispondenti a tutte le situazioni dei suoi lettori, tanto meno ha potuto farlo per le no stre. Può avere, e invero ha molto da dirci su molte materie inerenti alla condotta personale, ma non offre alcun aiuto su questioni di più vasto re spiro, quali l'ambiente o la politica sociale. Anche se si accolgono le sue in dicazioni sulla sfera personale, ci si troverebbe a insistere su atteggiamenti patriarcali e ad accettare la schiavitù.
5 · Motivazioni. Una cosa è sapere che cosa fare, altro è farlo. Per questo l'autore di Efesini non solo indica quale sia la natura dell'agire propria mente cristiano, ma cerca anche di persuadere i lettori a comportarsi nel modo da lui proposto. Come lo fa ? Molti e disparati sono i fattori che in ducono le persone a compiere il loro dovere: serbare la propria integrità (non potrei mai più guardarmi allo specchio se facessi questo); lo stato di bisogno di altri (per fame, povertà, malattia) che commuove al punto che ci si sente in dovere di intervenire in aiuto. È anche possibile ignorare tali appelli. Può essere necessario un impulso iniziale dall'esterno, che non sem pre deve essere di matrice cristiana (4,2 5.26.28). Potrebbe trattarsi di una motivazione negativa, nata dal desiderio di non apparire egoisti agli occhi degli altri o dal timore della punizione. 5 . r . Tradizionalmente per molti cristiani un impulso esterno è stata la paura della punizione eterna (se un'azione indotta da paura sia moralmen te buona o meno è altra questione), ma questo non costituisce un fattore significativo in Efesini. Compare solo in 5,5 s. J4; 6,9, e il suo rovescio, la ricompensa per il comportamento corretto, in 6,8. È degno di nota come so lo 5,5 s. prospetti chiaramente una possibile azione punitiva da parte di Dio, nella fattispecie in risposta al peccato sessuale e alla cupidigia, che - è presumibile per il primo e possibile per il secondo - coinvolgono altre per sone esterne alla comunità. Ai peccati contro la comunità enumerati in 4, 25-5,2 non sono annesse sanzioni divine. Non si dice che la comunità in terviene o dovrebbe intervenire in relazione a questi. Poiché la fornicazione ha luogo al di fuori della comunità, è possibile che i suoi membri ne siano all'oscuro. 6,9 ricorda ai proprietari di schiavi la loro responsabilità di-
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nanzi a Dio: questo perché la comunità stessa era impotente di fronte al peccato commesso dai membri più agiati, o perché gli schiavi avrebbero esitato a denunciare i loro padroni? Che Dio punisca la cattiveria e ricom pensi la bontà è un'idea quasi universale. Probabilmente Paolo l'ha ricava ta dal giudaismo (cf. I Cor. 3 , 1 3 - I 5 ; 4 . 5 ; 2 Cor. 5,IO; cf. I Cor. 7,29 ). Per gli schiavi, del timore non di Dio ma dei loro padroni si parla in 6, 5 . An che la pubblica vergogna può condizionare il comportamento. Per i cre denti non sarebbe la vergogna al cospetto di tutti, ma di fronte agli altri credenti. Forse tale idea è sottesa all'indicazione dell'autore ( 5,3 s.) secon do cui una cena condotta non è conveniente fra i santi. Associata a questo può essere la sua insistenza sulla nuova posizione dei credenti, i quali non devono ricadere nei vecchi atteggiamenti propri della loro vita pagana pre cedente ( 2,3 ss.; 4 , 1 7 ss. ). Viene tracciata una netta demarcazione tra l'esi stenza cristiana e quella del mondo pagano (4, 1 7; 2,1 ss.; cf. I Tess. 4,1 2 ; I Cor. 5 , 1 ; Gal. 2, I 5 ). 5 .2. Fondamentalmente la motivazione essenziale del comportamento na sce dall'esistenza propria dei credenti, una esistenza basata su e ispirata a quanto Cristo e Dio hanno fatto per loro. Qui è meglio parlare in termini generali di esistenza cristiana piuttosto che di qualche suo elemento speci fico. Il battesimo sarà sempre rimasto un evento significativo per i creden ti, come pure le parole del predicatore dal quale avevano sentito per la pri ma volta l'evangelo. L'autore di Efesini tuttavia non attribuisce grande pe so a questi due aspetti, preferendo fare appello a considerazioni più globa li: essi sono stati chiamati, perdonati, innalzati ai cieli e sono membri della chiesa. L'ultimo elemento è forse il più importante ai suoi occhi. Qui è ri levante la separazione della trattazione teologica, che occupa la prima par te, da quella etica. Il passaggio dall'una all'altra avviene in 4,1 e contiene un richiamo ai credenti perché vivano una vita degna della chiamata che hanno ricevuto. La transizione è segnalata da otJv, come in altre lettere che presentano la separazione dell'elemento parenetico dalla trattazione ante riore, da cui quello dipende (Rom. 1 2, 1 ; I Tess. 4,1; Gal. 5 , 1 ; Col. 3 , 1 ) . La particella riconduce alla teologia dei capitoli precedenti, dai quali è ne cessario trascegliere i soli punti salienti sulle benedizioni che i credenti han no ricevuto da Dio ( 1 , 3 ) . Egli li ha scelti ( 1,4. 1 2) perché ricevessero la re denzione tramite il sacrificio di Cristo ( 1 ,7; cf. 5,2.25 ), e ne ha dato loro attestazione esaltandolo ( 1 , 1 9 ss. ). Da parte loro, essi non hanno rifiutato quanto Dio aveva fatto, ma hanno creduto ( I , I 3 . 1 8 ), hanno ricevuto lo Spirito santo e a loro è stata donata una speranza futura ( 1 , 1 3 s.). Un tem po erano morti nel peccato e soggetti al controllo del diavolo, ma ora sono stati resi vivi ( 2 , 1 . 5 ), risuscitati con Cristo ed esaltati con lui nei cieli (2,6). Nulla in loro avrebbe potuto produrre ciò, solo la grazia di Dio ( 2,8-1o).
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In verità, in quanto gentili non avrebbero nemmeno potuto aspettarsi tan to, poiché sembrava che Dio si interessasse esclusivamente dei giudei. Ora essi si trovano dinanzi a lui sullo stesso piano di costoro (2,1 1-22). La loro nuova posizione non è dovuta a un ripensamento da parte di Dio, ma rien trava nel suo piano eterno ( 3 ,2- 1 3 ). Comprendere tutto questo li indurrà a celebrare Dio nel culto ( 3 , 14-2 1 ) e quindi a vivere come egli vuole che vi vano. In termini teorici i primi tre capitoli della lettera presentano l'indica tivo dell'azione di Dio, gli altri tre l'imperativo, in quanto illustrano spe cificamente la condotta che ne dovrebbe seguire (per il concetto v. anche Gal. 5 , 1 . 1 3 ; Rom. 6,2 s. I I ss.; 1 2, 1 ss.; 1 3 , I I - 1 4 ) . D'altronde, mentre ci si muove nell'ambito dell' «imperativo>> , riaffiora di continuo l'indicativo, poiché i credenti non sono soli, ma sono stati congiunti in un unico corpo con un capo e sono destinatari del ministero di apostoli, profeti, evangeli sti, pastori e maestri (4, u ) . Immediatamente prima dell'esposizione pun tuale del loro nuovo stile di vita, ai lettori si ricorda che sono persone nuo ve (4,24). È solo crescendo fino a essere persone nuove che saranno in gra do di soddisfare le esigenze della loro nuova vita. La dialettica indicativo/ imperativo è ribadita lungo tutta la sezione parenetica, in vario modo. I cre denti devono perdonarsi ed essere benevoli gli uni con gli altri, perché Cri sto li ha perdonati (4,3 2), e devono vivere nel segno dell'amore perché Cri sto li ha amati ( 5,2; si noti l'uso di xa..Swc; in entrambi i versetti e in 5,25. 29 ). Sapere che si è amati aiuta ad amare. 5 · 3 · Se c'è una motivazione specificamente cristiana, l'autore suggerisce ai lettori risorse che li sostengano nel corrispondervi, dal momento che non è facile camminare amando e compiendo la volontà di Dio? La prima metà della lettera presenta la loro posizione cristiana, che li eleva al di là e al di sopra delle normali risorse interiori umane. Il sostegno giunge in quanto la loro salvezza ed elezione sono state doni ed essi sono risuscitati con Cristo e siedono con lui nei cieli. Possono perdonare perché sono stati perdonati (4,3 2); possono amare perché hanno sperimentato l'amore ( 5,2.25). Dio li ha equipaggiati con un'armatura in modo che siano in grado di stare saldi (6,10 ss. ). È stata data loro la sua verità e giustizia, e sono in pace con lui. Hanno la fede, la salvezza e la sua parola. Possono trovarsi nella necessità di combattere ma non lo fanno da soli, poiché sono membri della chiesa che è il corpo di Cristo e di cui egli è capo: questa verità è stata il motivo dominante dell'epistola. In tal modo essi sono inseriti nella rete della sal vezza corporata. Non dovrebbe pertanto sorprendere che all'inizio della parenesi l'autore non li esorti a chiedere pregando l'aiuto di Dio: già sanno che, grazie alla loro posizione, il suo aiuto è sempre presente. Solo alla fi ne, ma non per un ripensamento, si menziona la preghiera ( 6, 1 8 } . Le pre ghiere non dovranno essere egoisticamente orientate verso le loro necessità
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spirituali, m a dovranno essere per tutti i fratelli credenti, tra i quali Paolo occupa una posizione particolare (6,r9 s.). Alla preghiera si accompagna la necessità di essere vigili e di stare all'erta.
6. Continuità e discontinuità. 6. r . L'insegnamento morale, quand'è pro fondo, non solo riprende quanto trova di buono in quello corrente, ma in troduce anche innovazioni; parte da una concezione preesistente e la modi fica. Gesù nel suo insegnamento ha preso le mosse dalla tradizione giudai ca in cui è cresciuto, ma prosegue poi col criticarla e radicalizzarla (ad es. Mt. 5,21 ss. ). Che l'autore di Efesini si riagganci al retaggio ricevuto (v. intr. 9.2) emerge da molteplici aspetti. r . Egli incorpora nel suo insegna mento materiale giudaico (ad es. 4,2 5 ) . 2. Utilizza brani appartenenti alla tradizione cristiana, come il codice domestico, selezioni di elenchi di vizi e virtù, l'inno di 5 , 14. Nulla tuttavia autorizza a supporre che abbia mutua to un catechismo battesimale già esistente. 3 · Anche se può essersi servito di parti della tradizione provenienti dalla sua cultura cristiana, l'origine di qualche elemento risiede al di fuori del cristianesimo e del giudaismo, nel l'insegnamento morale greco-romano. A prescindere da brani tradizionali specifici, in qualsiasi cultura c'è anche materiale non esplicitamente formu lato che è accettato da tutti, e ogni gruppo ispirato a una visione sua pro pria all'interno di tale cultura attinge anche al patrimonio comune modifi· candolo secondo le sue esigenze peculiari. Nonostante la critica mossa alla propria cultura in 4, 1 7-I9, l'autore di Efesini vi attinge sistematicamente, o quantomeno nei suoi tratti più evoluti. Basti notare la frequenza con cui nell'esegesi si è richiamata l'attenzione su paralleli con la dottrina stoica (v. indice, s.vv. Epitteto, Seneca ecc. ). 4· L'autore ha conferito al tempo stesso una prospettiva nuova all'insegnamento da lui adottato. Così l'at teggiamento che prescrive tra marito e moglie, benché differisca poco da quello raccomandato in molta parte dell'insegnamento etico coevo, è visto in modo nuovo tramite il parallelismo fra Cristo e la chiesa. La principale discrepanza qui fra il suo insegnamento e l'etica tradizionale sta nella mo tivazione (v. sopra, 5 ), che scaturisce da questo parallelismo, e per alcuni ambiti del suo insegnamento è la differenza nella motivazione a distingue re sostanzialmente la sua etica da quella del mondo pagano del tempo. 6.2. Nel divenire cristiani i lettori gentili di Efesini avevano già un loro bagaglio di idee sul bene e sul male derivate dalla loro cultura, ma ora era no immessi nella corrente della tradizione che attraverso il giudaismo era confluita nel cristianesimo. L'insegnamento giudaico era di per sé critico nei confronti di alcuni aspetti di quello pagano, ad esempio rifiutava l'idola tria, sottolineava l'umiltà (-ret7te:tvocppoauvlJ, v. a 4,2) e stabiliva un nesso for te e sostanziale tra religione e morale. La larga presenza dell'elemento giu-
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daico nell'insegnamento dell'autore di Efesini si può constatare nel nume ro di paralleli che si riscontrano nella letteratura sapienziale, in Filone, nel lo Pseudo-Focilide, nei Testamenti dei dodici Patriarchi ecc. Se si eccettua Èv xup[cp di 6, 1, e la lezione non è sicura, 6, 1 -4 potrebbe essere stato scrit to integralmente da un giudeo, e il senso, se non la formulazione precisa, sarebbe stato condivisibile anche dalla maggior parte dei moralisti pagani. 6.3 . 1 . Se l'insegnamento dell'autore presenta molti aspetti di continuità sia con quello pagano sia con quello giudaico, mostra tuttavia discontinui tà nell'attingere ai filoni della tradizione che traggono origine da Gesù e da Paolo, benché ovviamente il contenuto dell'insegnamento di costoro dipen desse in parte da quello preesistente. Quei filoni tradizionali non erano in dipendenti fra loro: Paolo, ad esempio, risentiva dell'influenza di Gesù nel l'assegnare all'amore la sua posizione dominante. Egli peraltro riconosce di rado la propria dipendenza citando esplicitamente l'insegnamento di Gesù. In questo è seguito dall'autore di Efesini (forse un argomento a favore del la paternità paolina?), sebbene la sua lettera sia così breve che sarebbe in cauto concludere che egli non conosceva nessuno dei detti di Gesù. Ci so no tuttavia passi nei quali sarebbe stato opportuno ricorrervi, se li avesse conosciuti. Si sarebbero potuti citare Mt. 5,3 3-37 in 4,25 ; Mt. 5,21 s. in 4, 26 s.; Mc. 7, 1 5 in 4,29; Mc. 10,21 in 4,28. Mc. 3,3 1-3 5 e 10,28 s. avreb bero corroborato il suo insegnamento sulla comunione dei credenti nella chiesa. Se mancasse una sola di queste citazioni, non sarebbe sorprendente, ma lo è un numero così elevato di omissioni, e tanto più quanto più è tar da la datazione della lettera. La restrizione del comandamento dell'amore ai correligionari è la divergenza più stupefacente rispetto a Gesù, ma in questo l'autore di Efesini concorda con quasi tutto il pensiero cristiano del tardo 1 secolo. Egli sembra inoltre ignorare che Gesù era conscio di come la sua chiamata a seguirlo avrebbe provocato lo spaccarsi delle famiglie, poiché non impartisce un insegnamento per credenti singoli. Anziché con sigliare ai credenti, come fa l'autore di Efesini, di non accompagnarsi a chi non la pensa allo stesso modo (cf. Ef. 5,6 s.), Gesù si premurò di frequen tare pubblicani e donne immorali (Mc. 2, 1 6; cf. 9,3 8 s.). L'autore non in cita i suoi lettori a rinunciare a tutto per Cristo (Mc. 8,34-3 6; 10,2 1 . 29), a vivere nella fede come bambini (Mc. 10, 1 5 ), a donare fino al sacrificio (Mc. 1 2, 42-44 ), o a partire per la loro missione portandosi poco o nulla per viatico (Mc. 6,8 ). 6. 3.2. L'autore di Efesini è influenzato anche dal filone dell'insegnamento etico che trae origine da Paolo, specie nella sua impostazione di fondo im perniata su indicativo e imperativo e nel suo rifiuto del comportamento co me via per la salvezza. I particolari del suo insegnamento presentano inol tre molte affinità con Paolo, come risulta dal commento della sua parenesi,
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dove sono continui i rinvii alle epistole paoline, il che peraltro non sarebbe certo sorprendente se l'autore fosse Paolo. Se però si deve fornire un qua dro a tutto tondo, è bene affrontare il problema anche dal versante oppo sto. Partendo dalla lista di vizi in Gal. 5 , I 9-2I, si riscontra come molti ci compaiono in Efesini, ma si nota l'assenza di q>ctp(Lctxeia., che sarebbe logi co trovare se, come sostiene Arnold, la magia fa parte dello sfondo della lettera, e di �'ijÀoc; e q>.Sovoc;, vizi che distruggono lo spirito comunitario più di ogni altro menzionato nella lettera, poiché rappresentano elementi più profondi nel peccato umano. Dato il suo intento di porre in risalto l'unità cristiana, ci si poteva aspettare che l'autore li inserisse. Ma forse stupisce ancor più il silenzio su orgoglio e presunzione ( I Cor. I 3 ,5; Fil. 2,3; Gal. 6,3; Rom. I 2, I 6) e vanteria ( I Cor. I 3 ,4; 5 ,6; 2 Cor. IO, I 3 I 8; I I , I 6 s.), tutti atteggiamenti che corrodono gravemente i buoni rapporti comunitari. Oltre e al di sopra di questo, si avverte la mancanza di quel genere di pensiero che percorre molti incisivi versetti di Paolo: in Efesini non si legge niente di simile all'acuta penetrazione di Rom. I 2, I s.; I 5, I s.; I Cor. IO, 24; 9,22; 2 Cor. I 2,9; Gal. 6,2; Fil. 4,I I s., o dell'inno all'amore di I Cor. I 3 (l'abbia composto o meno, Paolo lo ha incluso nella sua epistola). Se le idee sulla donna dell'autore di Efesini appaiono di stampo patriarcale co me quelle paoline, sono tuttavia assenti nella lettera passi come quelli in cui Paolo lascia trasparire una concezione del rapporto tra marito e moglie su un piano di parità ( I Cor. 7,2-5; Gal. 3,28). Vi sono anche differenze significative rispetto a Paolo: questi attribuisce maggior valore al celibato che al matrimonio ( I Cor. 7,7.26.28.3 2 ss. ); per l'autore di Efesini il ma trimonio è la condizione normale e accettata. 6-4- Posto che l'autore di Efesini si colloca entro il filone della tradizio ne etica che deriva da Gesù e Paolo, non si può ignorare la mancanza nel suo insegnamento della loro perspicacia e capacità di presa. Si è già accen nato alla sua inferiorità a Paolo. Lo stesso si può dire nel raffronto con Ge sù. È assente la forza incisiva delle beatitudini, come pure l'efficacia di det ti quali Mc. 8,3 5; I0,4 2-4 5; I 2,4 I -44· Non c'è alcuna preoccupazione per le vittime dei peccati dei credenti (cf. Le. I9,8 s.). -
7· Conclusione. 7. r . L'insegnamento morale dell'autore di Efesini non prende le mosse da un assioma iniziale o da una proposizione come «ama il tuo prossimo >>, da cui dedurre la condotta appropriata nelle situazioni specifiche. Non significa che gli manchi un punto di vista complessivo: qualunque cosa i credenti facciano dev'essere gradita a Dio ( 5 , Io), confor me alla sua volontà ( 5 , I 7), consona al contesto della chiesa e quindi con veniente a persone che vivono tra i santi ( 5, 3 ) . È questa asserzione conclu siva a caratterizzare la sua concezione. Egli non si occupa di come i ere-
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denti si debbano comportare riguardo alla vita fuori dalla chiesa. Guarda al mondo non cristiano solo per ritrarne le tenebre e la depravazione. Al trove il N. T. tratta dell'atteggiamento dei credenti verso le autorità secola ri (Mc. I 2, I 3 - I ?; Rom. 1 3 , 1 -7; I Pt. 2, 1 3 - I ] ). La lacunosità dell'insegna mento di Efesini su questo punto si potrebbe giustificare adducendo l'im possibilità per i cristiani del tempo di influire sull'autorità secolare, che tuttavia deve aver esercitato la propria ingerenza nella vita dei credenti, e Paolo e Pietro non si sottrassero alla necessità di dire qualcosa in proposi to. Se tuttavia si poteva dare scarso rilievo al rapporto del comportamento cristiano con l'autorità secolare, ciò non era possibile per quello con i sin goli non credenti, coi quali si entrava in contatto quotidiano perché vicini di casa o persone da cui i credenti compravano e vendevano. Su questo punto l'impostazione dell'autore mostra una certa coerenza, in quanto nel codice domestico egli s'interessa soltanto alle famiglie cristiane e non a quelle in cui i credenti vivono accanto a non credenti. Al suo insegnamento morale si attaglia dunque, come si è detto ( 3 .3 ), la definizione di . 7.2. L'autore manifesta la propria coerenza sotto altra forma nel con centrare il proprio insegnamento in merito alla chiesa sulla sua natura in terna e non sul suo rapporto con il mondo. Questa doppia coerenza non può essere casuale, ma dev'essere il risultato di una decisione deliberata. Egli non può non essersi reso conto della difficile posizione dei credenti nel mondo, ma in questa lettera non ha voluto dar loro lumi su quale dovesse essere. Sarebbe sbagliato sostenere che non aveva opinioni al riguardo, ma è corretto affermare che ha scientemente deciso di non esprimerle. Nelle li nee portanti con cui si propone ai lettori, l'epistola è così coerente da in durre a concludere che la risoluzione di non trattare l'ambito del rapporto di chiesa e credenti col mondo sia stata consapevole. Se avesse voluto af frontare tale argomento, avrebbe potuto scrivere un'altra lettera, e forse l'ha fatto, ma non ci è rimasta. È impossibile dire perché si sia limitato alla vita interna della chiesa. Non perché, scrivendo una lettera di carattere ge nerale a diverse comunità la cui situazione rispetto alle autorità secolari doveva variare da città a città, non avrebbe potuto dare un indirizzo di va lore generale, giacché, quale che fosse l'atteggiamento adottato dalle auto rità locali verso il cristianesimo, quello dell'autorità imperiale sarà stato più o meno lo stesso ovunque. Aspetto ancor più rilevante, il rapporto per sonale tra credenti e increduli doveva presentare elementi costanti. Anche la prima epistola di Pietro è destinata a un'area vasta e non a una singola comunità, eppure si pronuncia sul modo in cui i credenti devono conside rare gli estranei, distinguendo di fatto il comportamento verso gli altri cre denti, che dev'essere guidato dall'amore, da quello verso i non cristiani che
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occorre rispettare ('tt !J.ciw, 2, 17). L'autore di Efesini non traccia una simile distinzione. Non è dato sapere se l'avrebbe fatto in caso di sollecitazioni in tal senso, o se invece avrebbe resistito alle pressioni. Non è neppure possi bile perdonare il suo silenzio su questa materia adducendo la motivazione che nessuno scrittore può contemplare tutti gli argomenti, poiché quello trascurato era un tema di primo piano. Altri scritti neotestamentari posso no anche concentrarsi sulla vita interna della comunità, ma perché hanno di mira situazioni particolari in una di esse. E tuttavia, pure in questo ca so, mostrano sempre un certo interesse per il mondo esterno. Certo, nulla si può dire per giustificare il modo in cui l'autore ignora il problema del comportamento entro famiglie miste. Si potrebbe affermare che il suo inse gnamento morale non è diretto alla trattazione di situazioni specifiche, ma la situazione può essere quella di una cultura anziché di una singola comu nità. Egli rivolge l'attenzione a menzogna (4,25 ), ira (4,26 s.), riluttanza al perdono (4,3 2), orgoglio e presunzione (4,2), dissolutezza sessuale ( 5 ,3 · 5 ), tutti comportamenti largamente diffusi nel mondo pagano e che rischiano di penetrare nella comunità o, più precisamente forse, di non essere depo sti dai convertiti. Non si può dire dunque che si esima dall'occuparsi di al cuni ambiti del comportamento generale. 7·3 · Il contenuto dell'insegnamento morale dell'autore di Efesini per i cre denti all'interno delle comunità risulta dall'analisi piuttosto banale e con venzionale, specchio forse di un periodo in cui la fiamma iniziale dell'entu siasmo si era smorzata. Non è un'etica per asceti né per un'élite di atleti in campo morale. Non vi è un appello a lasciare tutto e a seguire Cristo, co me in Mc. 1 , 1 6-20; 2,14; 10,2 1 . È vero che in origine questi passi poteva no essere un invito ai discepoli a lasciare il mondo, tuttavia Marco li ha mantenuti nel suo vangelo, che pure è destinato a chi è già credente. Non c'è una fase in cui ai credenti sia consentito ignorare tali richieste. Manca inoltre in Efesini l'esortazione a una generosità spinta al sacrificio (cf. Mc. 1 2,4 1 -44), anche se il richiamo al dono sacrificate di Cristo ( 5,2) può in qualche modo controbilanciare questa carenza. Certo i peccati che vengo no stigmatizzati, menzogna, ira, maldicenza, cupidigia, dissolutezza sessua le, sono quelli che hanno sempre piagato la chiesa. Può sembrare eccessivo il risalto dato alla lussuria, l'unico peccato, con la cupidigia, per cui si mi naccia direttamente il giudizio divino, ma stando così le cose, questa ac centuazione riflette probabilmente il desiderio di evitare il comportamento sessuale diffuso in alcuni settori del mondo antico, che peraltro era talora criticato (cf. Barton-Horsley e la dottrina stoica). Anche se l'etica è piutto sto convenzionale, e così sarà apparsa a giudei e stoici, può darsi che non sembrasse tale a molti dei convertiti gentili, che probabilmente non erano stati tutti toccati dall'etica stoica. Di sicuro, se 4, 1 7- 1 9 rappresenta la vera
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convinzione dell'autore riguardo al mondo esterno, egli non deve aver pen sato che avessero subito in precedenza l'influsso di quell'etica. D'altronde è possibile che l'insegnamento morale di Efesini fosse quello di cui c'era bi sogno in quel momento. L'unico punto in cui è senza dubbio non realistico e carente è nel codice domestico, dove l'autore tratta solo di famiglie non miste. È pretestuoso dire che qui espone la concezione ideale per famiglie cristiane. Le persone vivono in situazioni reali e non ideali, e necessitano di una guida per le loro situazioni reali, che in molti casi possono essere di fa miglie non cristiane. 7+ Per riepilogare, la critica principale da muovere all'insegnamento morale di Efesini è la mancanza di profondità e penetrazione, ove lo si con fronti con quello sia di Gesù sia delle epistole paoline autentiche. Le loro intuizioni più profonde sono assenti. D'altro canto, mentre Paolo immagi na solo un breve periodo prima della parusia e lascia a volte che la sua etica sia modellata da quest'idea, l'insegnamento dell'autore della lettera agli Efe sini è volto a una situazione duratura. La sua è un'etica che può valere per sempre da guida. Il matrimonio, per esempio, è riconosciuto come istitu zione permanente. 7 ·4· I . Nondimeno, seppure l'autore presume che il suo insegnamento mo rale costituisca una guida per ogni tempo, è realmente così? Non è forse troppo vincolato alla propria situazione culturale per essere di qualche aiu to al mutare della sua temperie? Oggi sono pochi i paesi in cui vi sia una chiesa cristiana nei quali si trovi ancora la schiavitù, e le prescrizioni di Efe sini a padroni e schiavi non possono essere trasferite a datori di lavoro e impiegati, tanto meno là dove i datori di lavoro sono istituzioni finanziarie anonime. Il rapporto tra uomini e donne nella cultura della gran parte dei paesi del mondo occidentale è profondamente diverso rispetto al tempo dell'autore di Efesini, che non fornisce indicazioni su come i credenti deb bano adattarvisi o su come contestarlo se lo ritengono sbagliato. Oggi gli individui non hanno modo di esimersi dal prendere decisioni in campo po litico; possono trovarsi a optare fra candidati alle elezioni; devono senz'al tro stabilire se votare. L'autore non offre indirizzi orientativi per tali deci sioni. Se la famiglia è ancora un'unità fondamentale nella società, è muta to il modo in cui è costituita: non ci sono schiavi; sono diffuse le famiglie con un solo genitore; i nonni vengono mandati negli ospizi. Esistono spazi nuovi nel divertimento, nello sport e nel lavoro che possono avere nell'im postazione del comportamento altrettanta influenza e peso dei tradizionali rapporti familiari. L'autore di Efesini non dice nulla che possa aiutare a ca pire se l'impegno primario dei credenti debba puntare a cambiare gli indi vidui oppure la società. In verità, non spende una parola sul cambiamento della società, sebbene forse lo si possa scusare dacché ai suoi tempi i ere-
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denti formavano un gruppo talmente esiguo da non poter agire su di essa. Tutto ciò potrebbe non contare tanto se l'autore avesse fornito una base da cui considerare e valutare una situazione sociale e culturale in muta mento. Ma egli non sembra rendersi conto che le situazioni culturali pos sono essere diverse, anche se deve aver avuto contezza della profonda dif ferenza tra cultura giudaica e pagana. Per quanto Paolo possa aver accet tato la cultura sociale del suo tempo, Gal. 3 ,28 lascia aperta una pro spettiva di formulazione di giudizi in situazioni culturali diverse. La circo stanza che l'autore stesse scrivendo una lettera di carattere generale e non rispondesse a problemi particolari avrebbe dovuto aumentare la sua con sapevolezza dell'esistenza di problemi generali. 7· 5 · È peraltro doverosa un'osservazione conclusiva a favore dell'autore di Efesini. Egli tratta tutti - donne, bambini e schiavi, come anche gli uo mini - alla stregua di persone moralmente responsabili. Si rivolge loro in modo diretto e non affida ai mariti il compito di istruire le mogli sui pro pri doveri, come farà di lì a pochissimo Clemente ( I Clem. 2 r ,6; è possibi le leggere la medesima restrizione anche in r Cor. 14,3 5 ). Di più: propone altresì a tutti gli stessi criteri di comportamento. In questo modo egli ha contribuito sia ad accrescere il senso di comunione dei credenti, sia, in ulti ma analisi, a preparare la strada verso una maggiore eguaglianza.
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Abramo, 1 54, 1 6 1 , 292 s., 296, 3 76, 7 1 6accesso (a Dio), 3 8 6 s. 717 Adamo, 8 2 s., 2 1 9, 248, 3 9 5 , 445, 462 s., 498 s., 504 s., 6 1 1 s., 63 1 , 668 Ade, 49, 442 ss.; v. anche infero, mondo adozione, 1 50 s., 1 5 9, 1 65 s., 1 8 8 Agostino, 63 1 , 648, 6 5 4 (v. anche indice dei passi) allegorica, interpretazione, 630 s. ambasciatore, 687 Ambrogio, 6 54 (v. anche indice dei passi ) Ambrosiaster, 1 74, 234, 3 2.4, 3 3 6, 423, 442, 5 6 3 , 64 1 , 668 amministrazione/gestione, ruolo di ammi nistratore, 1 80 s., 3 5 3 , 3 7 6 amore, 1 63 , 1 67 s . , :z.o4 s . , :z.o9, 3 92., 3 96 s., 401 -406, 469, 502, 5 1 3 · 5 3 6 ss., 5 5 1 , 5 89, 6 1 2-6 1 5, 6 2 1 s., 698 s., 726727 Anania, 3 5 5 Anania e Saffira, 5 1 2 angeli, 86, 1 8 2, 2 1 3 , 2 2 1 s., 273, 306, 3 79. 3 8 2, 3 96, 442. Antico Testamento, 40, I I I - I I 5, 1 1 7, 1 28, 1 3 1 , 1 5 1 , 1 8 8, 3 60 s., 3 74 s., 4 3 7 ss., 4 4 0 s . , 4 5 1 · s o8, 5 1 1 , 5 1 4· 5 2.4, 5 3 4 s., s 68, 6 1 9, 63o-632, 6 s 8, 679 s., 708 s., 7 1 4 , 7 3 2 Apocalisse, 73, 3 3 7 e d Efesini, 46 s., 1 1 7 apocalittica, 1 29, 208, 2 20, 347, 673 s. apostolato, 1 34 s., 205, 448 s., 4 5 5 apostoli, gli, 49, 7 3 , 1 3 5, 2 1 4, 3 5 :z. , 3 59, 362 ss., 449; v. anche dodici apostoli e profeti, 49, 64 s., 209, 3 46, 3 59 s., 3 62.-3 6 5 , 3 8 1 , 449 s., 720; v. anche profeti Aquinate, v. Tommaso d'Aquino ardire, 3 86, 688 Aristocle, 495
Aristotele, 5 9 3 , 607, 648 (v. anche indice dei passi) armatura, 667 s., 672-682 cintura, 67 5 corazza, 67 5 s. elmo, 679 s. scudo, 678 s. spada, 68o s. stivaletti, 676 s. ascensione, 86, 88, 269 di Cristo, 3 7 2., 442 ss., 445 Ascensione di Isaia, 4 1 (v. anche indice dei passi) Asia Minore, 3 2-3 5 , 3 6, 69, 77 - 79, 103 , 1 1 9 ss., 305, 439, 6o s , 63 5 associazioni volontarie, 1 2 1 - 1 23, 467, 707, 720 astrologia, 8 1 , 90, 1 64, 225, 3 8 3 , 671 ateismo, 293 s. Ateneo, 3 09 (v. anche indice dei passi) Atti degli Apostoli, 68 autore/paternità, 3 5-67, 3 60, 3 6 3 , 5 1 7, s 6o, 596, 700 s., 705 documentazione esterna, 43-50 giudeocristiano, 3 6 s., 84, 1 28 ss. ministero, 449 s. paternità paolina, 1 2, 3 5 , 43, 54 s., 596 1 , 289, 3 6 3 , 373 . 49 1 , 700 s., 705, 73 8 s. profilo, 3 6-39 scuola/gruppo paolino, 67-72 sfondo culturale, 1 1 8, 1 2 8 ss. uomo, 3 6 autorità, 5 89 avidità, v. cupidigia bambini, 465; v. anche figli Barnaba, 73, 3 3 6, 3 69 Barnaba, Lettera di, ed Efesini, 46 Baruc, Libro di, di Giustino gnostico, 6 3 5
INDICE ANALITICO
battesimale, scritto, Efesini come, I 07, I 94, 42.9, 5 I 4 battesimo, I06 s., u o, I 5 3 s., 2.6 I , 2.64, 395, 4 I 3 , 4 I 7, 4 I 9, 42.8 S. , 496 S. , 500 S., 6 I S-6 I 8, 6 54, 664 S. , 72. I , 73 5 di bambini, 638 e circoncisione, 2.4 7, 2.89 come contrassegno, 705 come illuminazione, 2.1 o s. inno battesimale, I I 6 e istruzione catechetica, 3 I s., I I 7 e perdono, 53 I e sigillo dello Spirito, I 9 3 s., 5 2. 5 v. anche conversione benedire Dio, I 5 1 s., I 54, I 5 9 benedizione d i Dio, I49 s., I 5 3 s., I 5 9 benedizioni, 696-700 prima, 696-698 seconda, 698-700 berakah, berakot, v. eulogia Beza, Teodoro di, 2.34, 3 3 6, 447, 489, 5 5 2. bontà, 5 3 0 Calvino, Giovanni, I 5 9, I 69, 2.0 5 , 2.34, 2.49, 3 I 7, 3 3 6, 3 3 9, 42.3, 4 3 8, 448, 4 6 I , 50I, 6 I 7, 6 5 I , 684, 697 camminare / movimento costante, 9 1 , 2.4 9, 662. canone, v. Antico Testamento canto, 5 8 I-5 8 5 ; v. anche inni caparra, 87, 89 capi, 448 s. capo, ruolo di, 607 s. carismatica, attività, 58 I carismatici, 5 89 carismi, v. doni carne, 2.56-2.58, 2.8 8 s., 62.3 cataloghi di vizi e virtù, I I 7, 543, 5 6 1 , 73 3 virtù, 5 6 1 vizi, 4 8 5 s., 5 2.7 ss., 542., 5 4 7 s. catechetica, istruzione, 3 I , I I 7, 3 5 2., 4 I 3 , 49 I , 509, 5 5 I , 5 5 4 · 5 5 8 cattolicità, 92., 3 5 1 , 460 cecità, 48 I ss., 5 54, 5 5 9 celibato, 66, 603 chiamata, 2.09, 4 1 9, 42.6 chiastica, struttura, 38, 2.86, 30I, 348, 446 s� s s o, s 88, 6o2., 6 I o, 6 3 2.
chiesa, 3 8 s . , 70, 83 s . , 9 2., 9 9 , I 0 8 s . , I 6o s., 2.0 I , 2.86, 4 I 2., 477 . 602. s., 62.0, 703 -72.3 passim capi, 448 s. comunità, 5 I 8-5 2.2. corpo, 89, 2.3 6-2.43, 372. costruzione/edificio, 4 5 7, 708, 7 I O s. e Cristo, 6o6 s., 6I9 ss., 62.7 ss. divisione, 4 2.4 elezione, I 6o s., 7 I 5 s. famiglia, 7 I 4 fondamento, 64, 3 64, 7 I O, 7 I 6 maturità, 2. 3 7 e morte di Cristo, 6 I 4 ss. natura corporata, 4 6 3 , 708 natura sociologica, 704 s. popolo di Dio, 708 s. preesistenza, S I , I 6 I , 6 I o, 6 I 5 , 7 I 5 s. segni, 7 2.2. e lo Spirito, 704, 709 s. sposa, 83, 3 8 2., 409, 6 I 4 s., 6 I 8 ss., 662., unità, I 84, 705 ss. 7I4 v. anche corpo di Cristo; Cristo capo cielo/cieli, So, 86 s., I 54 s., I S S- I 59• I 8 I s., I 8 5 , 2. 5 2., 2.60, 2.69-2.72., 3 79 . 442., 5 3 9. 6 I 9 , 664, 67 I s., 72.5 essere assiso nei cieli / dimora celeste, 2. I 7 s., 2.4 5 . 2.69 ss., 2.75 cintura, 67 5 Cipriano, 5 1 7 (v. anche indice dei passi) circoncisione, I02., 2.4 7, 2.88 ss., 2.97 Clemente Alessandrino, 3 84, 462., 6 I 2. (v. anche indice dei passi) Clemente Romano, 44, 2. I O, 743 (v. an che indice dei passi) Prima lettera ed Efesini, 44 Ps.-Ciemente Romano, 4 5 s., 63 (v. anche indice dei passi) Seconda lettera ed Efesini, 4 5 s. clero, v. separazione fra clero e laicato codice domestico (Haustafel), 3 0, 48, 76, I I I , I I 7 S ., I 2.7, 5 7 3 , 5 87, 592.-600, 6oo-659 passim, 7 3 2. collera (di Dio), v . ira divina colletta per le chiese, 5 2.0 Colossesi, rapporto con Efesini, 5 0- 5 5 , 65 S. , 67-72., 1 3 3 , 2.0 I , 2.03 S. , 2.05 , 2.08, 2. I I , 2. 1 6, 2.40, 2.60, 347. 3 5 6, 3 5 9. 3 6 2. s., 4 8 2., 499. 5 5 3 . 5 7 3 s., 594 ss.,
INDICE ANALITICO
[Colossesi, rapporto con Efesini] 650, 6 S 2. s . , 692. s . I ,7a - Col. I , I 4 : I 70 s . I , I o - Col. I , I 6. 2.o: I S 2. I , I 5 -2.3 - Col. I ,9-2.0: 2.00 I,2.2. s. - Col. I , I 7- I 9.2.4: 2.2.9 2., I - Col. 2., I 3 : 2.47 3 , I -S - Col. I,2.3-2.9: 3 6 6 3 , 1 4 - I 9 - Col. I , 2.9-2., I o: 3 9 3 4,2. s. - Col. 3 , 1 2.- I 5 : 4 I 6 4, I 6 - Col. 2., I 9 : 47I 4,2.5- 2.9 - Col. 3,S ss.: 5 1 0 4,3 2. - Col. 3 , I 2. s.: 5 3 3 5,3-5 - Col. 3 ,5-7: 542. 5 · 3 · 5 - Col. 3,5: 544 5 , I 6a - Col. 4 . 5 : 576 5 , I 9 - Col. 3 , I 6: 5 S 2. 6,I-4 - Col. 3 ,2.0 s . : 6 3 7 6,2.I-2.2. - Col. 4,7 s . : 6 9 2. s. Col. I , I 5 -2.0: 2. 3 3 Col. 3 , S : 5 2.7 ss. Col. 3 , 1 2.- I 4 : 4 2.0 combattimento, 669 comportamento, v. etico, comportamento comprensione/intellezione, 3 60 s., 4 S 2. comunitaria, vita / comunitarie, relazioni, 50S, 5 1 0, 5 2. 1 , 543 . 5 5 I , 5 5 3 . s s 6 s., 573 s., 5 S S-59o conflitto, v. lotta conoscenza, I 7 5, 2.06 s., 2.oS s., 3 6o, 3 70, 3 76, 40I s., 4 6 I consumazione, v . ricapitolazione in Cristo conversione, S9, 9 I , I 5 3 s., I 59, 2.4S, 4 I 9, 53 I; v. anche battesimo corazza, 67 5 s. I e 2. Corinti ed Efesini, 57 s. Cornelio, I 9 3 , 3 6 5 , 3 69 corpo, 62.I s. corpo di Cristo, 69, I 6o, 2.3 6-2.4 3 , 2.7 I , 3 72., 3 S 2., 409, 4 I 7, 4 3 4 . 4 5 7 . 472., 479. 5 I 2., 5 3 6, 5 3 9 . 6 I 4, 62. 1 s., 7 1 1 -7 I 3 membri/membra, 3 90, 434, 5 3 2. v. anche chiesa; Cristo, capo; u n solo corpo corporatività, 2. 3 5 , 3 99, 4 I 2., 46 3 , 473, 479, 72.I, 72.5, 7 3 6; v. anche credenti corporazioni, v. professionali, associazioni Corpus Henneticum, 403 (v. anche indice dei passi)
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correzione dei difetti, 5 64 s. coscienza, 4 S 3 cosmica, dimensione/cornice, So-S2., S 3, I I O, I S4, 2. S 5 , 3 7S, 3 S4, 39 2., 3 9 5 , 430 s., 62.3, 670, 6S9 cosmico, cristianesimo, 69 s. cosmo, 65, So, S 2. s., I 5S, I 6o, I S 2., 306, 3 S4, 403 , 469 s., 670 costruzione, v. edificazione creazione, S 2., I 6o, I S I , I S4, 2.63 (nuova creazione), 2.79 s., 37S, 607 credenti, So s., I 3 6, I 3 9 s. adozione, I 50 s., 5 3 S figli d i Dio, 9 I , I 6o, 5 3 5 s. guerrieri, 67 5 e il mondo, 542., 5 5 3 preesistenti, 7 I 6 s. purità, I 62., 543 risurrezione e ascensione, 69, S6 ss., I 02., 2.4 5 . 2.63 , 2.66, 2.6S s., 2.74 s., 5 3 S s., 5 70 s. come santi, 9 I , 2.04 s., 70S uso del tempo, 576 s. v. anche corporatività credo, formule del, 5 6, 1 1 3, 1 1 6, 2. I 4, 2. I 6, 2.2.6, 2.60, 2.99 . 4 I 7 crescita, 2. 3 7, 4 3 2.-4 7 5 passim, 4 77, 7 2.7; v. anche maturità Crisippo, 2.4 3, 5 2.7 s. (v. anche indice dei passi) Crisostomo, I 56, I 60, I 64, I 69, I 74, 2.0S, 23 4 · 254 · 2.7 1 , 276, 2.S7, 3 1 2., 3 1 7 s., 3 2.4, 3 2.7, 3 J I , 3 3 6, 3 3 9, 3 S4, 437, 443 . 4 5 3 . 4 5 S, 464, 470, 4S6, 495 . pS, 5 3 5 . 546, 575 · 5 S6, 604, 6oS, 6 I 7, 64 1 , 645, 6 5 6, 66S, 67 I , 674, 699 s. Cristo/cristologia, 64, S2-S4, 9 1 , 1 6 1 , 1 S 5 s., 6 5 2. ascensione, 64, S 6 , 92., I 4 5 , I 5 S, 2. 1 6 s., 22.6 s., 2.66, 3 S 2., 442. ss., 445 s. capo, 69, 1 S4, 22.S s., 2.34 s., 240-243 , 2.7 I , 3 S J, 409, 470 ss., p 2., 607 ss., 7 1 2 s. corporato, 463 discesa, 44 2-447 figlio di Dio, 4 6 1 incarnazione, 6 4 , S 3 , 1 S 3 , 4 4 6 s . , 5 3 6, 63 0
INDICE ANALITI CO
[Cristo/cristologia] insegnamento, I I 7, 489
S. ,
5 60, 598,
737 e Israele, 29 I s. marito/sposo, 83, 409, 460, 6 1 4 s., 6 1 9-
4 3 2-475 passim
622 modello di comportamento, 6 I 2 morte, 64, 8 3 , 92, 1 4 5 , I 7 3 , 262, 297,
53 I , 5 3 6
disciplina correttiva, 644 disegno di Dio, v. piano disobbedienza, 25 3 s., 5 54; v. anche ob bedienza diversità nella chiesa f individualismo, 4 I 2,
SS. ,
6I 5
S.
pietra angolare, 48 s., 8 3 , 86, 3 3 6, 3 3 8 s., 3 8 2, 409, 7 I O preesistenza, 8 2, I 6 1 , 446, 6Io regno futuro, 18 3 risurrezione, 64, 8 3 , 86, 92, 1 4 5 , I 8 3 ,
2 I 4 , 2 I 6, 266 ruolo cosmico, 65, 69 s., 83, 1 84 ss., 242 s., 469 s. salvatore, 6o8 ss., 6 1 2 secondo Adamo, 4 5 , 8 2 s., 1 8 3 , 2 1 9, 24 1 , 263, 463, 504 s., 6o8, 6 1 1 s. servo, 8 2, 609 s. titoli, 82 vita, 64, 1 8 3, 5 3 6, 678 s., 6 8 I v. anche chiesa; corpo d i Cristo; i n Cri sto culto, I45 s., 3 5 8, 3 9 3 s. (postura), 5 3 2 s.,
5 8 1 -5 87, 706, 72I cupidigia/avidità, 486, 542, 545 s., 5 5 0 s.,
553. 555 cura, 623 s. datazione di Efesini, 49 s., 67, 77-79, 448-
449 decalogo, s u , 5 26, 542, 627, 637, 639,
640-643 . 732 Demetrio, 3 6, 94 (v. anche indice dei passi) demoni, 223 desideri, 2 56 s. destinatari di Efesini, 29-3 5, I I 9- I 30 pas sim, I 3 3 s., 202 s., 3 5 2, 578 diavolo, 90, 250 ss., 256, 468, 5 I 6 s., 66I, 664, 667 ss., 67 I s., 679; v. anche Sa tana Didache ed Efesini, 46 digressione, 348 Dio Padre, v. paternità di Dio Dionigi di Alicarnasso, 49 5 ( v. anche in dice dei passi )
dodici, i, 49, 73, I 3 5 , 3 3 6, 4 5 5 ; v. . anche apostoli doni/carismi, 49, 8 3 , 89, I 5 2 s., 3 5 2 ss., 3 64, 4 3 3 •4 3 7. 444 s., 447 s., 4 5 7 s.,
709, 7 I I donne, 4 5 4, 488, 66 s dossologia, 200, 3 9 2 s., 406-4 I 0 dubbi, 672 durezza del cuore, 483 s. Ebrei ed Efesini, 48, 1 I 7 ecclesiologia, 84, 428 Ecumenio, 230, 234, 4 3 8, 442, 500, 6o8 edificazione/costruzione, 4 5 7 s., 462, 469,
5 2 3 , 5 3 2, 5 3 6 educazione, 644 s. Efesini e altre lettere paoline, 5 5 - 5 8 ; v. anche Colossesi Efesini e Paolo, v. autore/paternità Efeso, n, 34, 1 3 8 s. eletti/elezione, So ss., 8 5 , 9 1 , 1 5 0, 1 5 3 ,
I 59- I 6 3 , I 6 3
SS.,
620, 7 I 6
S. ,
727
ellenismo, 278, 403 s., 5 3 5 , 544 s. elmo, 679 s. Enoc, scritti di, 40, 42, I I 2, 44 I (v. anche indice dei passi) eoni, 24 5 , 250 s., 254, 272 ss., 3 66, 377 s., 3 84, 3 86, 407 s. Epitteto, 728, 7 3 7 (v. anche indice dei passi) Erasmo da Rotterdam, 5 8, 4 5 8, 473, 5 1 6,
5 67, 6o4, 6 3 2, 65 s , 673, 7oo
eredità, 87, 1 5 0, I 8 8 s., I 9 5 , 209, 2 I 2,
293 . 542, 5 5 I - 5 5 3 eresia, eretici / falso insegnamento, 34, 99, I 06, 269, 3 8 2, 425, 466 s., 5 5 4 s.,
575. 672, 7 I 6
Erma, 46, 5 2 8 ( v. anche indice dei passi) ed Efesini, 46 escatologia, 88 s., 99, I 78, I 8 8, 3 89, 5 2 5 s . , 6 I 8 s . , 65 5 , 6 7 3 s . , 6 7 8 , 68o realizzata, 86, I 7 3 , 220, 248, 55 I , 5 5 3 ,
556
INDICE ANALITICO
esistenza cristiana, 90-9 2 estraniazione da Dio, 286, 4 8 2 etico, comportamento, 66, I o8 s., 4 7 8 s., 730 s. direttive generali, 572-574, 73 I -?34 motivazione, 509, 5 1 3 s., 5 1 6 s., 5 24, 5 26 S. , 53 I , 541 S. , 5 7 2, 734-7 3 7 etico/morale, insegnamento, 3 8 , 4 I I , 72473 I , 7 3 7, 74 1 S. etnicocristiani / credenti gentili, 90, I02 s., 2 1 2., 284-287, 3 68, 428 s., 508, 677 eucaristia, 64, 144 ss., 4 29, 4 5 4, 5 3 2, 5 79, 5 87, 6 5 6, 7 1 0, 7 2 1 eulogia / berakah, berakot, I 4 3 - 1 5 1 , 200 Eusebio di Cesarea, 4 5 0 (v. anche indice dei passi) Eva, 498, 6 I 2, 63 1 , 668 evangelisti, I03, 449 ss., 454, 719 s. evangelizzazione / predicazione evangelica, 3 6 8 s., 7 I 8 ss., 729 s. evangelo, 75 , 3 5 6, 3 6 8 s., 378, 3 8 6, 4 5 0 S., 468 S. , 5 02, 6 I 7, 688 falso insegnamento, v. eresia famiglia, 396 famiglie, 30, 594 ss., 706, 740 fato, 8 1 , 90, 1 64 fecondità, 5 59 s. fede/fiducia, 204, 264, 2 7 5 s., 3 87, 42 7 s., 46 I s., 6?8 s., 696 fiducia, crisi di, 66 5 figli, 63 7-646, 465; v. anche bambini figli dell'ira / delle tenebre, 2 59 s., 55 8 s. figli della luce, 2. 1 0, 5 4 2, 5 5 7-5 59 Filemone, 648 Filemone ed Efesini, 57 Filippo, 4 5 0 Filone d i Alessandria, 4 1 , 4 3 , 1 30, 2.1 8, 2 3 3 · 2 5 2, 290, 296, 3 1 2, 3 14, 3 23 , J 3 2, 3 5 5 · 3 67, 439. 502, 5 27 s., 5 3 4 s., 579. 5 84, 6o s , 627, 629, 63 5 , 64 1 , 643 s., 669, 707, 738 (v. anche indice d. passi) Ps.-Filone, 627, 629 (v. anche indice dei passi) Filostrato di Lemno, 6 I (v. anche indice dei passi) fine, v. parusia Ps.-Focilide, 40, 1 3 0, 7 3 8 (v. anche indi ce dei passi )
749
fondamento, 3 3 4 ss. formula quadruplice, 403 s. forza, v. potenza Fozio, 563 fratelli/fraternità, 76, 649, 697 s . , 7 I 4 funerari, collegi, I 2 1 s . , 5 8 1 funerarie, associazioni, 707, 7 20 funzionari (con incarichi ufficiali), 434, 453 s., 459 s. furto/rubare, 5 1 8-5 2.2., 5 5 5 futuro, 86 s., I 84 s., 5 5 6 genere, v. letterario, carattere genitori, 63 7-64 3 ; v. anche madri; padri gentilezza, 4 2 I gentili, 70, 7 4 S . , 8 I , 89 S . , 246, 2 9 3 SS ., 304 s., 306-309, 346 s., 3 9 I s., 484 s., 499, 5 I I S. , 5 54, 708 SS . cecità, 4 8 I s. cultura, 4 79 s. estraniati da Dio, 28 6 missione ai g., 75 s., I77 s., 278, 346, 349. 3 6 5 s., 3 68 s. svantaggi, 290-294 v. anche pagani gentili, credenti, v. etnicocristiani Gerolamo, 1 4 1 , 1 60, 288, 3 27, 3 3 9, 3 4 1 , 3 6 I , 3 96, 4 4 3 , 4 4 8 , 4 5 3 , 460, 477, 5 n, 549, 5 p, s 6 I , 5 70, s 7 5 . s 86, 6 1 7, 625, 63 I, 6 3 3 , 64 I, 64 3 , 654, 6 5 6, 667, 67 I , 673, 675, 696 s. gestione, v. amministrazione Gesù, 493 s. gioco dei dadi, 467 s. giorno malvagio / giorni malvagi, 575 s., 579 s., 672 s. giovannea, letteratura, ed Efesini, 3 3 , 46 Giovanni, apostolo, I03 ss., I I ? Giovanni Damasceno, 309 Giovenale, 487 (v. anche indice dei passi) giudaismo ellenistico, 1 30, 2 3 3 , 398, 6o s , 609, ? 1 6, 7 3 2 giudei/giudaismo, I03 s., 1 2. 1 , 1 4 4 s., 2 5 5 s . , 43 9-44 I , 4 7 7 ss., 484, s o8, 5 22, 534 s., 544. 5 50 s., 5 74. 6 8 I , 7I6 giudei e gentili, 66, 68, 8 5 , 1 3 6, 1 5 1 , I 86 s., 2 5 5 s., 3 59. 367 giudeocristiani / credenti giudei, 3 2, 1 89, 2 1 2 s., 2 55 s., 429
750
INDICE ANALITI CO
giudeocristiani ed etnicocristiani, 1 03 s., 1 3 6, 283 -344 passim, 3 68, 3 74, 4 3 3 , 556 giudizio, I 64, 2 4 5 Giuseppe, Flavio, I 04, 1 3 0, 305, 3 09, 487, 605 (v. anche indice dei passi) giustificazione, 277 s., 6 5 5 Giustino gnostico, 63 5 Giustino Martire, 440, 5 3 3 (v. anche indice dei passi) giustizia, s 6o, 676 gloria, 206 s., 3 89 s., 3 97, 407 glossolalia l parlare in lingue, 5 80, 5 84, 682 s., 685 gnosi, I 20, 3 So, 49 5 gnostici/gnosticismo, 8 1 , 1 0 1 , 1 20, I 24 s., 2 3 2, 254, 273, 299, 3 0 1 , 306 S. , 3 7 5 , 3 78, 403 , 4 1 2, 43 1 , 4 8 2, 5 5 4 · 609, 627, 636, 672 grazia, 140 s., 1 67 ss., 1 7 3 , 2 1 3 , 265, 272274, 277 s., 3 5 2 s., 37I ss., 3 86, 4 3 6 s. greco ellenistico, 1 5 2, 1 90 greco giudaico, 1 5 2, 2 5 6 Grozio, Ugo, 3 7 I , 3 9 4 , 43 8, 447, 4 5 3 , 4 5 8 , 5 I 2, 608, 6 I 7, 644
hapax legomena, 5 8 , 62, 298 s., 3 00, 547 idolatria, 480, 488, 5 3 2, 545 s., 5 50 s. Ierapoli, 69 lerocle Stoico, 6 1 2 Ignazio, 3 3 , 4 4 ss., 6 3 , 67, 1 3 3 , 1 3 9, 306 s., 423 , 7 1 8 (v. anche indice dei passi) ed Efesini, 44 s. ignoranza, 483 illuminazione, 2 1 0 s., 3 7 5 s. imitazione di Cristo, 5 3 5 s. imitazione di Dio, 5 3 3- 5 3 6 immagine militare, 662 immagini femminili, 665, 689 immagini/linguaggio maschili, 662 s., 665, 689 imparare Cristo, 489 s. incarnazione, v. Cristo increduli, So, 1 5 9, 1 8 2 i n Cristo, 9 1 , 140, 1 50 s., 1 54 s., 1 70, I 89 s., 1 96- I98, 27 1 s., 29 1 , 298, 409, 4 1 6 s., 492, 5 3 1 , 7 1 2 s.; v. anche Cri sto
individualismo, v. diversità nella chiesa infero, mondo, 6 5 , 1 5 8, 444 s.; v. anche Ade inni, 260 s., 299; v. anche canto insegnamento, v. etico, insegnamento integrità di Efesini, 1 1 8- 1 19, 348, 5 9 5 s. intellezione, v. comprensione intercessione, 200, 3 9 2 s., 684 s.; v. anche preghiera ira/collera divina, 2 5 8 ss., 5 I 5 , 542, 5 54 ss., 6 8 1 umana, 5 1 4-5 1 7, 5 27-5 29, 5 5 5 Ireneo, 4 3 , 1 8 2 s., 442 s., 624 s. (v. anche indice dei passi ) Israele, I04, 1 6 1 , 1 6 5 , 29 1 ss., 3 I 9-344 passim, 63 5 , 708 s., 7 1 4, 7 1 6 istruzione, 644 ss.
Kerygma Petri, 40, 3 22 laicato, v. separazione fra clero e laicato Laodicea, 3 3 , 40, 4 3 , s o, 1 3 7, I 3 9, 3 5 7 lavoro, 5 1 9 ss. legge, 247, 276 ss., 294, 307 s., 4 3 9 s., 444 s., 477 lessico, 5 8-59, 276-279, 504, 5 24, 561 s., 573 Lettera di Aristea, 307 (v. anche indice dei passi) Lettera ai Laodicesi, 4 2 letterario, carattere/genere, d i Efesini, 9 3 9 8 , 1 3 3 s., 200 Libanio, 4 9 5 (v. anche indice dei passi) liberazione, 1 50 s., 1 7 1 ss., 5 2 5 s. libertà, 3 90, 4 1 9 liberti, 649 lingue, parlare in, v. glossolalia liturgia / linguaggio liturgico, 3 2, 3 7, 44 s., 56, 9 5 , 1 06 s., 1 1 3 s., n 8, I 46, 1 4 8 s . , 1 5 1 s . , 1 62, 1 67, 20 1 , 206, 246, 26 1 , 265 s., 347. 3 67, 3 77 s., 4 1 1 , 4 1 5 ss., 5 3 2 s., 665 lotta/conflitto, 66, 91, 661 -690 passim Luca, 471 Luca-Atti ed Efesini, 47 luce, 375 s., 482 s., 5 4 2, 5 5 7-5 7 1 passim, 5 80, 7 1 9 luogo di composizione d i Efesini, 77-79 Lutero, Martin, 594
INDICE ANALITICO
madri, 643; v. anche genitori maestri, 450, 4 5 1 s., 454 s., 720 s. magia, 34, 1 26 s., 223, 403 manomissione, 6 5 5 Marcione/marcionismo, 3 3 , 43, s o, I O I , I 3 6 s . , I 3 9. 2 8 8 , 29 5 . 3 3 6, 377 s . , 5 6 I , 639 marito, u 8, 590, 6 I 2-6 I 5 , 6 2 I -622, 624 come capo, 607 Mar Morto, rotoli del, I 29 Martirio di Isaia, 4 I maschile, credenti di sesso m., 462 matrimonio, 66, I I 4, I 29, 603 s., 6 I 6 fra Cristo e l a chiesa, I I 4 , 7 1 4 s. fra jahvé e Israele, 6 1 9, 7 1 4 matrimoni combinati, 6 1 3 matrimoni misti, 603 , 7 I 9 come sacramento, 63 2 v. anche Cristo marito/sposo maturità, 7 1 7; v. anche crescita Menandro, 644 menzogna, 5 1 0 ss., 5 I 4, 5 3 2 messia, 1 8 5 s., 286, 489, 5 7 5 , 609, 673 ministero, 102 s., 3 70 ss., 448-4 5 5, 6 s o, 706, 736 dell'autore di Efesini, 449 misericordia (di Dio), 26I s. misteriche, religioni / misteri, 1 26, I76 SS., 2 I I , 4 9 5 , 5 6 3 , 5 79, 649, 662 mistero, 68, 1 50 s., I 7 5 - 1 8o, 347, 3 54, 3 5 6 s., 3 5 9 s., 3 67-3 69, 3 76-378, 3 79 ss., 627 ss., 686 s. mistica di Cristo, 400 mito, 3 80, 663 s. modelli di comportamento, 73 3 mogli, 590 e mariti, 5 90, 602 ss. morale, insegnamento, v. etico, ins. morte, 244-282 passim, 482, 498, 5 69 ss. Mosè, 297, 3 1 2, 439, 440 ss., 444 ss. muro / muro intermedio, 3 5 , 49, I O I s., 3 00, 3 04-309 Musonio Rufo, 4 8 8, 5 4 5 ( v. anche indice dei passi) Nag Hamrnadi, testi di, ed Efesini, 4 6 Nestorio, 446 nomi f assegnazione dei nomi, 2 I 9, 3 9 5 non sposati, credenti, 5 9 8 s.
75 1
obbedienza, 209, 638; v. anche disobbe occasione di Efesini, v. scopo dienza Odi di Salomone, 268 (11. anche indice dei passi) Onesimo, 54 s., 79, 599, 648 s., 692 opere buone, I 6 2, 280 s., 634 opere della legge, 2 76 s. opere delle tenebre, 562 s. orgoglio, 54 5 s., 5 5 I Origene, 4 I s., I 3 7• I 5 3 , I 64, I 67, 1 69, I 7 I , I 74, 208, 2 I 8, 25 1 , 27 1 , 309, 3 3 6, 3 94. 400, 437. 443· 462, s oo, 5 1 5 . 5 3 1 , 549. 5 5 1 . 5 76, 64 1 , 643. 667, 67 1 s., 675· 689, 696 s., 700 (11. anche indice dei passi) pace, I 2 I , I40 s., 2 8 5 s., 302 s., 424 s., 676 s., 697 s. Padrenostro, 53 2 padri, 643 -646; v. anche genitori padroni/proprietari, 646-659 passim pagani / società pagana, 2 5 5 , 260, 294 s., 478, 479-4 89, S I I , 5 62, 73 2 s., 74 1 ; v. anche gentili paolina, scuola, 59. 67-72, r s 8, 209, 247. 348, 3 5 7· 3 66, 373 s., 3 79. 406, 4 1 7, 5 3 3 , 5 3 6, 5 5 2, 5 62, 573, 6 I, 2, 640, 6 8 3 , 693. 7 1 3 paolino, corpus, 90, I 3 8 s., 247, 249, 266, 429 Paolo, 72-76, 1 54, 346-390 passim, 466 ambasciatore, 687 apostolo, 73, 1 3 4 s., 346 , 3 5 2, 373 , 448449 autorità, 73, 629 conversione, 3 5 2, 3 5 5 s., 372 fondatore della chiesa, 64 gestione, amministrazione, ruolo di am ministratore, 3 5 3 , 3 76 insegnamento, 64, 349 s., 468 lessico, 58 ss., 276-279, 504, 5 23 , 561 s., 573 s. ministero, 4 5 5 missionario, 68, 346, 3 6 8 s., 372 s., 392, 3 9 8 modello di comportamento, 7 3 3 morte, 347 paternità di Efesini, r 2, 3 5, 4 3 , 54 s., 596 r , 289, 3 6 3 , 3 7 3 , 4 9 1 , 700 s., 705, 7 3 8 s.
75 2
INDICE ANALITI CO
[Paolo] e il piano di Dio, 74, 76, 346, 3 5 3 s., 3 76, 3 79 e le potenze, 7 5 e la preghiera, 74 prigionia e sofferenze, 50, 74, 77 s., 95, 346 s., 349 ss., 388 ss., 3 9 2, 629 ritratto in Efesini, 72-76 rivelazione a P., 74 s. ruolo soteriologico, 70 servo, 75 temi, 5 3 5 s., 620, 662, 727 Paolo di Samosata, 446 parenesi, 95, 98 s., 104, 1 29, 1 6 5 , 3 9 2, 4 1 1 -4 I 3 , 434 ss., 7 1 9 s. parlare, il, 5 22 s. parole / la parola, 6 1 7 s., 6 8 5 participi con valore imperativo, 5 10, 5 7 3 , 588 parusia/fine, 6 5 , 6 9 , 86 ss., 5 7 I , 5 7 5 , 6 I 9, 630, 666, 673 , 7 3 3 pastorali, lettere, 68, 643 ed Efesini, 47, I I 7 pastori, 4 50, 4 5 2 s., 4 5 4 s., 720 s. paternità (letteraria), v. autore paternità di Dio / Dio Padre, B I , I 28, I 4 1 , I 5 1 s., I 6 5 , 206, 3 94 s., 4 2 9 s., 5 3 5 , . 698 patriarcale, carattere, 59 5, 6I 3, 634, 73 I , 739 patto/promessa, 2 9 2 s., 296 pazienza, 42I s. peccato, 1 60, 259 s., 5 2 5 ss., 5 5 4 e morte, 246 ss. malcostume sessuale, 486, 542, 544 s., 5 5 3 · 598 s., 726 parlare impuro, s o8, 548 contro lo Spirito santo, 5 2 7 Pelagio, I 66, I 69, I 7 4, I 86, 3 3 6, 5 26, 575, 5 86, 6 I 7, 64 I , 672 pentecoste, 1 07, 444 s. perdono, 69, 86, I 59, I 70, I 7 2 s., 5 3 0 ss., 5 3 5 s., 736 persecuzione, 3 3 , 77, 1 1 1 , 729; v. anche vessazioni persone, 476-506 passim, 496 s., 507, 542 persona interiore, 397 ss. persona nuova, I09, 504 ss., 542, 5 70, persona vecchia, 542 736
Peshitta, 230 piano/disegno di Dio, BI s., 84, I 5 J , I 6o S., I 79 SS. , 346 S. , 3 5 3 S. , 3 76 SS. , 3 8 5 s., 688 e i gentili, 35 I , 35 6 pienezzafriempimento/pleroma, 229-2 3 6 passim, 405 s., 463 s., 662, 7 1 3 pietra angolare / pietra d'angolo, v. Cristo pietra angolare Pietro, 3 69, 5 28 I Pietro ed Efesini, 3 3 s., 48 s., 1 44 Platone, 40, 3 9 8 , 502 ( v. anche indice dei passi) pleroma, v. pienezza Plinio il Giovane, 3 5 , 650 (v. anche indi ce dei passi) Plutarco, 5 I 5 , 607, 622 ( v. anche indice dei passi) polemica, I O I ss. Policarpo, 3 3 , 4 5 s., 67, 278, 5 1 4 ( v. an che indice dei passi) ed Efesini, 4 5 popolo di Dio, 3 68, 708 s. Posidonio, 24 3 potenza, potere/forza, 2 I 3 -2I 5 , 3 72, 39 6 s., 403 , 408, 447 · 666 s. potenze, 39, 7 5 , So s., 86 s., I08 s., 168, I 72, I 8 I , 202, 2 I 8-227, 24 5 , 2 5 3 S. , 306, 3 7 5 , 3 77 SS., 3 8 1 SS., 39 6, 442, 66I-682 passim, 705 , 725 predestinazione, 8 I , 89, I 59, I 63 ss., I 67 s., 1 73 , 1 7 5 , 1 89, 282, 3 5 3 , 7 1 6 predicazione, 3 72 preformato, materiale, uso di, II I-I I 9, 20 I , 247, 262, 298-30 I , 406 S., 4 1 54 I 7, 6 1 2; v. anche tradizione preghiera / linguaggio della preghiera, 7 4, 97, 1 5 2, I99-243 · 3 9 1 -3 9 5 · 4 5 4 · 6826 8 5 , 687, 689, 7 3 6 s.; v. anche inter cessione prigionieri, 44 1 s. professionali, associazioni/corporazioni, 1 2 I s., 467, 707, 720 profeti/profezia, 3 3 6 ss.; v. anche apostoli e profeti promessa, v. patto proprietari, v. padroni proseliti, 296 prossimo, 5 1 2 s., 5 3 2, 63 3
INDICE ANALITI CO
Protevangelo di Giacomo, 40, 1 8 2. (v. an che indice dei passi) pseudonimia, 3 9-4 3 purifìcazione, 1 7 3 , 288, 2.90, 2.97, 6 1 5 s. Qu rnran, 37, 7 I , 1 2.2., 1 2.9, 147• 1 64, 1 7 3 , 1 76, 1 8 8, 2.09, 2. 1 3 , 2.2.2., 2. 5 4 , 2.68, 2.96 s., 3 3 2. s., 3 4 2., 3 5 5 . 397. 42.8, 503, 5 2.0, 548, 5 5 7, 5 6 1 , s 6 s , 5 8 3 , 5 8 5 , 6 6 2. (v. anche indice dei passi) rabbinico, insegnamento, 1 2.9 s., 2 5 7 s., reciprocità, 5 8 8-590 637 s. redenzione, 85, 87, 1 5 3 , 1 7o ss., 2. 1 2., 2.85, 2.94, 3 1 8, 3 76, 3 86, 6 1 7; v. anche sal vezza regno di Dio, 88, 5 4 2., 5 5 1 - 5 5 3 religiosi, culti e associazioni religiose, 1 2. 1 s., 707, 72.0 ricapitolazione in Cristo f consumazione, 8 2., 1 5 J , 1 79 . 1 8 2.- 1 8 6, 2. 1 8, 3 84 ricchezza, 2. 1 2., 3 7 4 s. ricompensa, 6 5 5 s. riconciliazione, 6 5 , 8 5 , 1 8 3 s., 2.84-2.87, 3 80, 3 8 3 . 3 8 6 ricordare, 2.87 riempimento, v. pienezza ringraziamento, 1 46, 1 99-2.3 6 passim rispetto, 6 3 3 s. risurrezione dei credenti, 86 ss., 1 02., 2.4 5 , 2.63, 2.66, 2.68 s . , 2.74 s . , 5 J 8, 5 70 s. rivelazione, 64 s., 89, 1 7 5 , 3 54-3 5 6 rivestire, v . svestire Romani ed Efesini, 57 s. rubare, v. furto Sabellio, 448 sacrificio, 84, 1 70, 53 8 s. Salmi di Salomone, 5 8 3 (v. anche indice dei passi) salvatore, 462. s. salvezza, 6 5 , 84-8 8, 1 06, 1 89, 2.4 5 s., 2.65 s., 2. 76 ss., 2. 79 s., 2.8 5 ; v. anche reden zione sangue, 84, 1 02., 1 7 2. s. della circoncisione, 2.97 di Cristo, 2.96, 304 e morte di Cristo, 2.97 e salvezza, 1 7o- 1 73
753
santi, 3 2., 1 29, 1 3 6, 1 3 9 s., 2.04 s., 2. 1 2., 2.69, 3 7 3 , 684, 7 1 1 , 7 1 8 santifìcazione, 5 4 2. s.; v. anche santità santità, 1 6 2., 362. s., 547, 708; v. anche santifìcazione sapienza, 89, 1 74, 2.07 s., 3 78-3 84, 573 s., 577 s. Satana, 1 5 8, 2.21 ss., 2. 5 2., 2.80, 2.82., 442, 4 6 5 , 484, p 6 s., 664; v. anche diavolo schiavi/schiavitù, 1 06, 1 1 7 s., 5 1 9, 649 s., 706 e padroni, 646-659 passim, 734 s. scopo/occasione di Efesini, 98-1 1 1 scudo, 678 s. segretario, 54 s., 6 1 semitico, influsso e USO, J 7, 1 4 7 , 1 5 2., 1 67, 1 94 . 2.49· 2.5 J , 3 87, 399 . 4 3 8 s., 44 1 , 486, 5 2.2., 5 5 0, 5 69, 5 7 1 , 670, 698 Seneca, 5 1 5 , 649, 6 5 7, 737 (v. anche indice dei passi) separazione fra clero e laicato, 454, 4 5 9, servizio, 7 5 , 3 70 s., 4 5 3 s. sessuali, trasgressioni, v. peccato Severiano, 5 69 sigillo, 89, 1 5 3 , 1 9 3 s., 5 2. 5 Silvano, 1 34 sinottici, vangeli, 46, 1 1 7 sofferenza, 2.69 sonno, 5 69 s. soprannaturale, il, 90, 1 2.3 s., 663, 669 soteriologia, 64, 5 3 8, 5 76, 627 ed ecclesiologia, 2.86 realizzata, 8 5 ss., 88, 5 1 7 sottomissione, 589 spada, 68o s. speranza, 87, 1 8 9 s., 2. 1 1 s., 2.93 s., 42.6 s. spiriti maligni, 2. 5 2. s., 67 1 spirito del tempo (Zeitgeist), 2.54 Spirito santo, 8 8 ss., 1 07, 15 3 s., 2.07 ss., 3 64, 3 9 8 , 401 s., 405 s., 42.6, 444 s., 5 2.4 s., 5 2.6 s., 578-584 e battesimo, 42.8, 6 1 6 carattere personale, 8 8 s., 5 2. 5 , 709 e corpo, 42.6 e culto, 5 8 1 - 5 84 peccato contro lo S., 5 2. 8 come pegno, 1 94 s. e preghiera, 68 3 s.
754
INDICE ANALITI CO
[Spirito santo] sigillo, I 5 3 , I 9 3 s., 5 25 e ubriachezza, 57S-5 S I e vino, 5 S o s. stare saldi, 673, 676-679, 6S4, 6S9 s. stato, 594 stile di Efesini, 37 s., 60-63, I46 s., I 54 s., I 67 S� I 70, I S I 1 346o 3 741 4 I I stivaletti, 676 s. stoici/stoicismo, 3 7, I 27 s., I 64, 2 3 3 , 259, 403 , 429, 469 s., 4S7, 5 1 4 . 5 27 . 546, 562, 649, 657, 737 storia della salvezza (Heilsgeschichte), 65, So, 363, 376 subordinazione, s SS s., 6o s , 7I4 svestire/rivestire, 49 5-49S targum, targumim, 37, r r 2, 43 S-440 tempi, i, I S I tempio, 294, 305 s., 30S s., 340-344, 3 S 6, 3 9 2, 7 I O tempo, 575-577 tenebre, 3 76, 54 I -5 7 I passim, 670 s., 7 I 9 tensioni i n Efesini, 462 s., 464, 5 5 2 s . , ? I O Teofilatto, 309, 3 I 7, 3 J I , 4So, s oo, 5 2 3 , 5 2 5 , 5 3 I , s s s , 672 Teodoreto di Ciro, 203 , 230, J ! S, 3 3 6, 43S, 4 5 3 . 465, 67 I Teodoro di Mopsuestia, I 5 2, I 74, I 90, 3 3 9. 395 . 443 . 464, 495 . s r r , 67 1 , 6 S I , 700 Tertulliano, 42 s., 3 3 6, 3 3 9, 443, 5 26, 67I (v. anche indice dei passi) Terza lettera ai Corinti, 42 2 Tessalonicesi, 6S Testamenti dei dodici Patriarchi, I 291 440, 73S (v. anche indice dei passi) Testamento di Dan, s oS Testamento di Salomone, 670 (v. anche in dice dei passi) testo, I 3 I s. Tichico, 30, 3 3 , 54 s., I 3 6 s., 1 9 S , 69 1 s., 693-696 timore, s SS, 590 s. Timoreo, I 34, I 54, 450 Tommaso d'Aquino, I 69, I75, 2 I 4, 27 I , 3 I I , 3 2 4, 3 3 9, 34 I , 4 23 , 5 3 S, 6o6, 6 43 1 6SI
tradizione, uso della, 5o, 5 2, 70 ss., I I 6 s., 260 s., 29S, 3 7 3 . 406 s., 430 ss., 4 3 S44 I , 4 5 1 , 4 5 5 , 47S, 50S, 5 1 4, 5 I 7, 5 3 7 s., s 6S s., 59 2-6oo, 6 I 4 s., 6 s o s., 7 3 S ; v. anche preformato, materiale tradizione testuale: I , I : I 3 6 - I , 3 : I 5 2 I ,4: I 6 I - I ,6: I 6S s. - I 17: I ?O - I , I O : I S 2 - I , r r : I S S s. - I , I s : 204 s. I , I ?: 207 - 1 , I 8: 2 1 0 s. - 2,4: 262 2,5 : 262 S., 264 S. - 2, I 4- I 8 : 298-30I - 3 , I - I 3 ! 34 8 S. - 3 ,9: 3 7 5 - 3 , I 3 ! 3 S7 SS. - 3 , I 4: 3 94 - 4,4-6: 430 SS. - 4,7: 4 3 6 - 4,9: 442 - 4,I I : 44S - 4,I 5 : 46S - 4 , I 6: 474 - 4,28: 5 I 8 - 4,3 2! 5 29 s. - 5,2: 5 3 7 - 5 ,4: 547 - s , s : 5 5 2 - s ,3 I : 626 - 6, I : 6 3 9 triadi, 544 trinità / pensiero trinitario, 90, I 5 2, I 5 5 , 208, 4 I 7, s S?, 6 I 7 ubriachezza, 57S-5 8 I ; v. anche vino umiltà, 1 27, 420 s., s 89, 7 3 7 unità, 3 68 s . , 4 1 4-475 passim; v. anche un solo corpo un solo corpo, 240, 4 I 5 ss., 425-427, 621 s.; v. anche corpo di Cristo; unità un tempo ... ora, 286, 288, 347
Vangelo di Pietro, 40 (v. anche indice dei passi)
Vangelo di Tommaso, 40 vantarsi, 2 76 s. vedove, 726 verità/vero, 468 s., 492 s., 502 s., 5 I 05 I 4, 5 5 5 , 675 S. vessazioni, 77, 729; v. anche persecuzione vestire, metafora del, 49 5 ss. viaggio per mare, metafora del, 465 s. vigilanza, 68 2 vino, 57S ss.; v. anche ubriachezza Virgilio, 4 8 S (v. anche indice dei passi) vita, 244-282 passim vita eterna, 3 89 volontà di Dio, 5 5 9 volontà umana, I 6 5
INDICE DEI PASSI CITATI
ANTICO E NUOVO TESTAMENTO
passi rilevanti (esclusi quelli di Efesini e Colossesi)
Genesi
Marco
2,23 : 624 2,24: 626-6 3 2 3 , I 6: 6o s
I 0,4 2-4 S = 6 s 9
Esodo 20, 1 2: 64 I
Levitico I 9,2: 5 3 S
Deuteronomio 5 , I 6: 64 I
Salmi 4.4: 73 2 4 . s : 1 1 4, 5 1 4 8,7: 1 1 4, I 3 0 68,I9: 107, I 29, 43 7-44 I I l O: 2 1 7 1 1 0, 1 : 1 1 4, I 3 0, 2 I 7, 227
Isaia I I , 5 : 67S S 2,7: I 1 4, 1 3 0, 677 S 7 , 1 9 : 3 2, I I 4, 1 3 0, 296 S 9, 1 7: 676 6 3 , 1 0: S 24
Zaccaria 8, 1 6: 5 3 2, 73 2
Sapienza s , I 8 : 676
Matteo 1 9,28: 270 28,I 6-20: 3 5 s. 6 I 7
Atti 1 ,8: 3 5 2 9,1 S s.: 3 5 S 1 0,9 ss.: 3 6 S I O,H-4 8: 3 69 1 1 ,2o s.: 3 6s , 3 69 1 9 , 1 ss.: 202 2 1 ,8 : 4SO 22,1 S : 3 5 S 22,2 1 : 3 S 5 26, 1 2 ss.: 3 5 5
Romani 1 ,24: 484 s. I ,26: 484 s. 1 ,28: 484 s. 6 , 1 ss.: 269 6,4: 269 6,6: 269 7,22: 3 9 8 8,I7: 269 9 . 4 s.: 290 s. I 6,2 S s.: 3 5 6
I Corinti
2,7- 10: 3 5 6 3 , I 6: 7 I O 4,8: 269 s. 7,3 ss.: 6o6 7,8 ss.: 603 7,2 S ss.: 603 ?,IO: I l 3 ?,2S ss.: 7 3 3 10, 1 6 S.: ? I O S. 1 1 ,2 ss.: 603 , 6o6
1 1 ,3 : 607 I 2, I 2: 2 3 8 1 2, 1 3 : 23 8 14,24 s.: s 6 s 14,3 4-36 : 603 I S ,3 - s = I l 3 I S,9= 3 73 s. I S ,20-28: 227 I S,23 ss.: 227 I S,24 ss . : 2 I 9 I S ,24-27: 227 I S ,49= s o s I S , 5 3 s.: 505
2 Corinti 1 ,3 SS.: 144
1 , 1 S-22: S I 4 4,I 6: 398 1 1 ,2: 6 I 8 s. 1 3 ,3: 2 I 3
Galati 1,1 1 s.: 3 S6 1 , 1 2 SS.: 3 55 2,20: 5 3 7 3 ,28: 6o6 3 ,29: So
I Tessalonicesi
5 ,s : 676
2 Timoteo
2, 1 8 : 269 s. 4,2: 4SO 4. s : 4 SO
Tito 3 , s : 261
756 r Pietro
I,3: 26I S. 2, 1 1 s.: 596
INDICE DEI PAS SI CITATI 2,I 3-3 . 7= 5 94 3 , I -6: 6o s 3,I9: 443
Apocalisse 2, I-3,22: 22I
SCRITTI DI QUMRAN CD I , I 3-I4: 630 2,7: I 6 I 2,I 7 s.: 484 3 ,5: 484 3,I I S.: 484 3 , I 5 : I 67 3,I9: 3 3 2 4, I 2: 307, 308 4,I7: 486, 545 4· 1 7 s.: 544· 545 4,20: 5 4 5 4,2 I : 627 5,1 1 s.: 5 24 5 , I 3 : 679 6,4 s.: 5 5 7 7,2 s.: 5 I 6, 5 6 5 7, I 2: 5 24 8,5: 486 8,8: 484 8,I 2: 307, 308 8,I8: 307, 308 9,2-8: p 6 9,6-8: s 6 s 9,I7 ss.: I 29 IO, I 7 s . : 5 2 2 l i , I 2: 648 I 2,2: 671 I 2,I I : 648 1 3 , I SS. : I 29 14,7- 1 2: 1 29 1 6,7 s.: 1 29 20,4: 5 65 r QapGen 20, 1 ss.: 6 I 9 20, I 2 ss.: I 44 r QH 1 , 1 3 S.: 3 77 1 ,22 s.: 483 1 ,28: 5 60 2, 1 3 : 3 5 5 , 3 5 8
2,26: 679 3 , 2 1 -23: 268 3,2I S.: 2I 3 3,22 s.: 2 I 3 4·7= 48 3 4,27: 5 7 I 4,3 I : I 64 4,3 2 s.: I 67 4,3 2: I73, 2 I 5 5,4: I 67 5,20: I43 6, I 5 s . : 400 6,25-27: 3 3 3 7,6 s.: 666 7,8 s.: 3 3 3 7, I 7 : 397 7,I9: 397 7,27: I73 8,4- 1 1 : 400 9,23 s.: I76 I O, I 4 : 143 I I ,9: I 67 I I , I O- I 4 : 24 8 u , r o- I 2: 268, 6 I 6 I I ,I I S.: 2 1 3 l l ,27: I 4 3 l l ,28: 1 7 3 l 1 ,29: 143 I 2, 1 1 s.: 209 I 2, I J : 3 5 8 1 2, 1 4: 1 7 3 I 2,J S : 397 1 3 , 10: 1 6 1 I 5 , 1 3-22: I 64 I 6,8: I44, 3 77 I 6, u : 683 1 7, 1 7: 683 r 8, r 4: I73 r 8 ,2o: 289 fr. 2,5 : I 7 3 I Qis• 6 I , IO: 63 5
I QM I,I: 558 I,3: s 58 I,s: I88 I ,7: 5 5 8 I , IO-I 3 : 673 I,l l : I88 4,2: I 8 8 4,4 s.: s 5 6 6,3 : 5 5 6 Io, s : 397 1 0,8 s.: 3 77 I0,9: I 5 9 l l,5: 2 I 5 I 2, I : 2 I 3 1 3 ,2: 67 1 I 3 ,4 : 67 I I3,5: I 8 8 1 4,4= 1 4 3 I4,I4: I 7 6 I 5 : 662 I 8,6 ss.: 143 , I44 r QpHab 7, I - 5 : I 7 6 7,I-2: 63 0 7,2: I 8 I 7,4- 5 : 63o 7 .4 s.: 3 5 5 7, 1 3 s.: I 8 1 1 1 , 1 3 : 289 1 QS I ,4 s.: 5 5 7 1,5: 561 I ,6: 484 r,8 s.: 5 5 9 1 ,9: 5 5 8 1 ,10: 5 5 8 I , I I SS.: 5 20 2,2: I 8 8 2,3 : 2 1 0, 5 7 I 2,4 s.: I 8 8
757
INDICE DEI PAS S I CITATI
[ I QS] 2,1 1 - I 9 : 672 2, I 4: 484 2, I 5 : 5 5 6 2, I 6 s.: 5 5 9 2, I6: s 5 8 2,24 s.: 4 2 I , 5 3 2 2,26: 484 3 . 3 : 4 8 I , 484 3 .4: 6 I 6 3 ,9: 6 I 6 3 · I 3 ss.: 254, 5 74 3,I3: 5s8 3 ,20 s . : 5 5 8 3 ,24 s.: 5 5 8 4,2 ss.: 209 4,2- 1 1 : 503 4,2 s . : 5 6 I 4,2: 2 1 0, 5 7 I 4,3 -s : 1 7 3 4.3 : 4 2 1 4,8: 495 4.9 ss.: 486, 5 4 5 4.9-1 1 : 5 4 5
4, I 8 : 3 80 4,22: 5 74 4,24: 5 6 I , 5 74 5 .3 : 42I 5 ·4= 484, s 6 I s.s s.: 342 5 . 5 : 289, 40 I 5 , I O S.: 1 29, 5 5 7 5 , I 9 : 480 5,23 -6, I : 5 6 5 5 · 2 3 s.: 1 29 5 ,26-6,I : 5 I 6 6,8 s . : I 29 6, I 3 -7,2: I 29 6, I 3 - I 5 : I 29 6, I 6: 296 6, I9: 296 6,22: I 29, 296 6,24 s s . : 5 5 7 7,9: 5 22, 5 4 8 7,I 4 s . : 548 7,2 1 : 296 8,2: s 6 I
8,4- IO: 342 8,5: 3 3 2, 3 4 I , 400 8 , I 8 : 296 9.4 s . : 5 3 9 9,I7: s 6s 9,I 8-2o: 3 5 5 9, I 8 s.: I 76 10,8: 5 3 9 . 5 60 IO, q : 5 3 9 1 0,21 -24: 549 I0,21-23: 548 I0,22: 5 1 1 , s 6o I 1 ,3-6: 57 I 1 1 ,7 s.: 2 1 3 , 268, 3 3 2 1 1 ,7: I 5 9 1 1 ,8: 3 4 1 , 342, 400 I I , I 5 : 143 I I ,20: 2I 5 I QSb I,2: I 59 4,27: 48I
SCRITTI GIUDAICI D I ETÀ ELLENI STICA
Libro delle Antichità Bibliche 3 2, I 5 : 627, 63 I
Apocalisse di Abramo I 9,8
s.:
673
Apocalisse di Mosè 3 ,2: 2. 5 8
Epistola di Aristea I 2-27: 648 I 5 : 648 I 3 2-I 3 8: 480 I 3 9 = 307 I 40: 480 I42: 3 07 I 5 2= 478 1 88 : 5 3 4 2 1 0: 534 277: 480 28 1 : 5 3 4
Ascensione di Isaia 7 . 9- I 2: 2 5 2 7,9: 67 I 7,22: 495 9 , I : 495 I0,29 s . : 2 5 2. I I,2.3 : 2 5 2, 6 7 I
2 Baruc
4,2 ss.: 3 3 2 I4,I: 1 8 I I4,9= 3 8 I 20,6: 1 8 1 25 : 673 40,3 : 1 8 I 48, 1 9 S.: I 5 9 48,2 s.: 1 7 6 48,24: 43 1 48,36: 3 8 I 54,1-4: 403 68: 673 78,2: 1 4 I
8 1 ,4: I 8 I 8 5 ,8 ss.: I 7 6 3
Baruc
2, I
ss.:
1 Enoc
306
I ,9: 2. 1 3 9 .5 : 3 77 I 2,2: 2 I 3 I 4,9= 306 I 5 ,4: 670 I 5 ,8- 1 2: 67 1 1 6,3 : 3 79 I 9 , I : 672 39,I: 2I3 5 5 .3 = 673 60, 1 1 : 403 6 1 , I O s.: 221 6 1 , I O: 2 2 1 , 396 62, J 4- I 6: 495 6 3 · 3 = I 76
758 [1 Hen.] 69,3 : 396 7 I ,4: I76 7 I ,6 ss.: 396 8 I ,3: 3 77 89,2.: 307 89,2.9 ss.: 3 3 2. 93 ,2.: I 59 93 ,6: 307 93,I I-I4: 403 96,2: 673 99 . 7= 67 I, 672 I03, I I : 2.43 I05,8: 698 I08,I 2: 268 2
Enoc
7, I - 5 : 2 5 2. I 8,3·6: 2 5 2 20-22.: 2.2. I 2.4, 3 = 3 79 2.9,4 s . : 67 I 2.9, 5 = 2 5 2. Pseudo-Focilide 7= 5 I 3 8: 639 2.2. ss.: 5 20 42.: 546 77= 534 I 5 3 ss.: 5 1 8 I75·2.2.7: 599 I 9 5 - I 97= 6 I 3 2.07-2 1 7: 644 2. 2. 3 ss.: 649 2.2.3 ·22.7: 64 8
Libro dei Giubilei I , I 6: 243 4,1 5 : 3 79 4,2 1 : 3 79 4,22: 3 79 5, I 6: 657 7,36 : 3 7 8 10,3 - 5 = 672 1 2,29: 1 4 1 I 8,30: 1 5 9 2.0,2: 5 1 3 22.,8 s.: I 4 1 2.2,9: I 5 9
INDICE DEI PAS S I CITATI
22, I 6- I 8 : 480 22,30: I 5 2. 23, I 3 ss.: 673 3 I , I 4 : 2I 3 3 6,4: 5 1 3 3 6,8: 5 1 3
Giuseppe e Asenet 8,9: 3 I 4 8,IO s.: 263 I 5,5: 3 14
Odi di Salomone 7·3 ss.: 490 8,2: 5 60 8,3 ss. : 5 7 I I I , I : 5 60 I I,I4: 2IO 1 1 ,2.3: 5 60 1 2,6: 3 7 5 29,9· 1 1 : 6 8 I 3 8 , 1 1 ss.: 63 5 3 8, I 7 : 3 4 I
Oracoli Sibillini 2,309: 2 5 8 3 ,8-4 5 = 480 3,220-2.3 5 : 480 3·3 5 6 ss . : 63 5 3 · 5 9 3 s.: 6 3 9 8,247= 2 I O 8,27 I : 2 I O
Testamenti dei XII Patriarchi Aser 4·3= 5 3 4
Beniamino 3,I: 534 3 .4= 2 5 2., 67 I 4, I : 534 4,2: 5 3 0 IO,IO: 5 5 I
Dan I,2.: 3 9 6 I , 3 : 5 I I , 5 I 4, 5 62, 73 I 2, I : 5 I I , 5 1 4 2,4: 4 8 I , 5 1 1 3 · 5 s.: 5 I4 4,2-4: 5 28 4·5= 5 24 4,6 s.: 5 I4 5 , I s.: 5 I 7 5,I: 5 I I, 514 5 , 2 : I I 4, 5 1 1 5 ·4= 5 7 5 5 , 5 -7: 4 8 6 5,6: 672 5 , I O s.: 440 6,2: 5 1 1 6,8: 5 I 4
Gad 4·7= 5.7= 6,2: 6,3 : 6,6:
5I3 483, 5 5 8 48I 565 565
Preghiera di Manasse
Giuda
6: 3 7 5 7= 5 3 0 1 1 : 394
I I ,2: 5 79 1 2,3 : 5 79 I 3 ,6: 579 I 4 , I : 5 79 14,2 ss.: 5 4 5 14·5= 485 I 6, I : 5 79, 672 I 7, I S.: 48 6 r 8,2: 486, 5 4 5 I 9 , I : 486, 5 5 1 20, I : 467 2 3 , I : 48 5 , 5 5 1
Salmi di Salomone 2, I 6: 657 4. 1 9 : 6 5 3 4·25: 698 4·7= 6 5 3 4,8: 6 5 3 6,6: 144, 698 1 7 = 308 1 7,30: 3 3 2 I 8,9: 5 r 6
Giuseppe 6,6: 5 6 5 1 7,2-8: 5 1 3
759
INDICE DEI PAS S I CITATI
[Test. XII Patr.] Jssacar 4,1 4: 5 2 2 4 , 1 ] : 5 22 4,40: 5 24 5 . 3 : 5 1 9 . 5 20 7·3 = 5 79 7 .4: 5 1 1 7 . s : 5 20 7,6: 5 1 3
Levi 2,3 : 3 5 8 3,1-3: 252 3 ,6: 5 3 9 s . s : 673 8,2: 4 9 5 13,1: 652 1 3 ·7= 5 74 1 4,4= 5 5 8 1 4,5 s.: 486 14·5= 545 1 4,6: 5 4 5 1 4 , 1 1 : 48 1
1 5 , 1 : 4 86 1 7,1 1 : 4 8 5 1 8 , 1 2: 67 1 1 8 ,7: 3 5 8 19,1: 5 58
Neftali 3,1: 5 5 5 3 . 3 : 480, 672 s, 5 : 623
Ruben 3 ,8: 4 8 1 , 6 3 9 3 .9= 5 1 1 4,1 : 6 5 2 4,6: 5 5 1 s.s: 595 6,4: 3 5 8 8,3-6: 672
Simeone 3.5 = 3 ,6: 4·4= 4.5 : 4·7=
671 698 5 30 652 513
4 .9: 67 1 5.3 : 545
Zabulon 1 , 5 : 48 3 5,1: 530 6, 5 s.: 5 20 7,2: 5 3 2 8 , 1 : 5 30, 5 3 2 9,4: 243 9 . 5 ss.: 575 9.7: 5 3 0
Testamento di Abramo [A] 3,3: 698 Testamento di Mosè 1 , 1 2 s.: 7 1 6 1 , 1 8: 673
Testamento di Salomone 8,2: 670, 672 1 8,2: 670 22,7 -23 , 3 = 3 3 9
FI LONE ALESSANDRINO
De Abrahamo
De Decalogo
De Gigantibus
s 6: 3 3 3 74= 24 1 99 ss.: 63 5 1 07: 468
8: 4 8 3 1 1 9 s.: 639 1 20: 63 7, 63 8 1 2 1 : 641 1 6 5 - 1 67: 594 1 67: 6 5 7 1 7 3 = 546
6: 2 5 2 1 2 s.: 716 47= 447 6 5 : 627
De Cherubim 18: 332 40 ss.: 63 5 4 2 s . : 628
De Confusione Linguarum 78: 3 3 2 93 s.: 609 1 3 6= 447 1 74-1 77= 2 5 2
De Ebrietate 30: 24 1 86: 495 147= 430 147-148: 5 s 1 223 : 5 27
In Flaccum 89: 6o s
D e Congressu Eruditionis Gratia
De Fuga et Inventione
59= 5 3 4 6 1 : 240 97= 3 9 8
6 3 : 502 1 10: 24 1 , 49 5 1 1 2: 4 24
Hypothetica 7 . 3 = 6os 7,14: 6 3 8
De Josepho 9 5 = 468
Legum Allegoriae 1 ,3 1 S.: 3 1 4 1,53-s s : 3 14 2,6: 3 4 1 2,49= 627 3·4= 447 J ,27: 609 3 , 1 04: 3 1 4 3 , 1 90: 669
7 60 De Migratione Abrahami
INDICE DEI PAS S I CITATI
2.I 9 s.: 2.4 I
Quod Deterius Potiori indisiari soleat
De Mutatione Nominum
2. 3 = 3 9 8 I 47= 430
I4: 669
De Opificio Mundi I 6 ss.: I 6 I So: 566 1 5 6: 6 s 2. I?0: 6 5 2.
Quod Deus sit Immutabilis 54= 644
Quod Omnis Probus liber sit
De Plantatione
79= 64S
I 4 : 2. 5 2. 42.: 39S I40-I47= 579
De Sacrifìciis Abelis et Caini
De Posteritate Caini 6: 430 1 2.: 3 3 2. I4= 447 30= 447 I 3 5 = 3 J 2.
De Praemiis et Poenis 65: 2.33 S I : I74 1 1 4: 2.43 · 3 67 1 2. 5 : 2.43 . 3 67
Quaestiones in Exodum 2.,2.9: 3 J 2. 2., I I 7: 2.43
Quaestiones in Genesin 2.,9: 2.43 2.,2.9: 2.96 2.,3 5 s.: 3 I4 4.6?: 4I 4,2.06: 4 I
Quis Rerum Divinarum Heres sit 62.: 430 I 5 5 = 2.4 I
3 2.: 467 57= 502. 64: 534
2.,2.62.: 64 3 3 ,2.: 2. I O 3.5 1 : HS 3,I3 I : 2.4 1 , 3 67 3 , I 3 7- I 4 3 : 649 3 , I 69: 6os 3 , I 7 I : 6o s 3 , I S4: 2.43 4.s : 4 S 6 4,6 5 : 546 4 ·7 3 = 5 3 5 4.S 3 : 5 3 4 4,9 I : 579 4.96: 644
De Virtutibus
De Sobrietate
47= 502. so: S02. I 03 : 3 67 I S 6: 307
IO: 502. 6 5 : 669 66: 3 3 3
De Vita Contemplativa
De Somniis I , I 3 4 ss.: 2. 5 2. I , 2.00: 63 5 2.,2.2.0-2.2. I : 447
D e Specialibus Legibus I,I s : 4S3 I,3 04: 502. I ,3 0 S : 2.S9 2.,4 s = 2. S 2. 2.,66-69: 649 2.,S9-9 I : 649 2.,2.00: 2. 3 3 2.,2.I 3 : 2.3 J 2.,2.2.5: 6 3 9 2.,2.3 S = 6 3 9 2.,2.39= 644 2.,2.4 2. ss.: 64 I 2.,2.6 I : 64 I
40-47= 47S 47= S 79 ?0: 64S 74= 5 79 So: s S4 S4: s S 3 s5: 5si 89: s S I
De Vita Mosis 2.,30: 2.43 2.,6o: 2.43 2.,6 5 : 2.43 I,I 5S: 534 I ,3 o 5 : 4 S 5 2.,1 77= 4 6 8 2., 1 8 6: 4S6, 5 4 6 2., 1 9 S : 639 2.,2. 1 2.: 4 67 2.,2.3 8 : 447
FLAVIO GIUS EPPE
Antichità Giudaiche I,2.03 : 679 4.4 5 = 2.9I
4,S8: 673 3 , 1 2. 3 : 5 3 4 4,I 5 I : 4 S 5
4,2.00 S.: 43 I 4,2.0 I : 42.9 5 , 1 9 5 = 2.73
7 61
INDICE DEI PAS S I CITATI
[los. Ant.] 6,23 : 273 6, I 44: 5 3 0 6, I 65 : 64o 7,I04: 668 8,5 3 : 144 8,67,3·68, I : 309 8,7 I ,2-72, I : 309 8, 1 7 I : 1 74 8,208: 640 8,24 5 = S O I , 502 8,25 2: 4 8 5 8,29 5 = 502 8,3 I 8: 4 8 5 9 . 3 5 = 502 9,239= 466 I O, I 04: 478 I0,2 5 5 = 393
I 2,98: 393 1 3 ,24 5 = 29I I 4, 1 3 : 2 5 9 I 4,44= 2 5 9 I 5 , 1 3 8: 502 I 5 ,4 I 7 : 305 I 8,22: 64 8 ! 8,63 s.: 4 1 20, 1 1 0: 668, 673 20, 1 1 2: 4 8 5
Contro Apione I ,6o: 6 3 8 2, I 4 8 : 294 2, I 90-2 I9: 5 94 2, I 9 3 : 43 I 2,2o i : 6o s
2,206: 639 2,225: 5 5 5 2,29 I : 5 1 9
Guerra Giudaica I , 204: 259 1,25 5 = 259 2, I 22: 5 20 2, I 5 4 s.: 7 I 6 2,649= 668 3·3 22: 468 4,6 5 I : 579 5 , I 9 3 - I 94= 305
Vita 1 2: 487 1 3 2: 468
SCRITTI RAB BINICI E TALMUDICI
Mishna
Ta'anit
Sabbat
2,2: 3 9 3
30b: 522 nb: 6 1 6
'Abodah zarah 2, I : 5 4 5
Talmud babilonese
A bot
Baba batra
I , l : 307 2,2: 5 I 9 3,I: 7 I 6 3 , I 8 : 307
Berakot
Abot de-r. Natan 2 ( 2a): 4 3 9 4I: 6I6
75b: 4o4
]ebamot
44 (27a): I 6 I , 7 I 7
3 7b: 6 3 3 62b: 6 I 3
Esodo rabbah
Niddah
Numeri rabbah
I 7a: 63 3
8 ( I 49d): 296
Pesapim
Deuteronomio rabbah 6 a Deut. 22,6: 642
68b: 444
Middot 2,3 : 305
Qiddusin 4 1 a: 6 3 3
Nedarim 3 , 1 1 : 297
Sanhedrin
Sanhedrin
3 8b: 3 9 6 98b: 3 9 6 99h= 396
3 · 3 = 467
3,20: 393
Midrashirn
]orna 8,9: 3 I 6
Berakot
I 7a: 396 24a: 622
Berakot s,I: 393
Tosefta
Genesi rabbah
28, I : 4 3 9
Midrash ai Salmi I 4 § I : 242 39 s 2 : 242 68 s I l : 4 3 9
Sifre Lev. 1 9,2: 5 3 4 Deut. S 47: 7 1 6
INDICE DEI PAS S I CITATI
Pesiqta rabbati 1 4 3 = 404
Targumim
5 1·5= 2 I 5
Targum di Isaia
Targum jerusha/mi l Lev. 22,28: 5 3 4
40, 10: 2 1 5
LETTERATURA CRI STIANA ANTICA
Acta Andreae 14: 404
Acta Pauli et Theclae 25: 193
Acta Petri 3 8 : 404
Acta Philippi 8: 503 I 40: 404
Acta Thomae I0: 2 5 2 34= 5 7 1 3 6= 495 6 s.: 341 66: 495 I I0: 5 7 I Agostino d i lppona
De Civitate Dei 19, 1 5 : 64 8
De Doctrina Christiana 2,4 1 : 404
In loannis Ev. Tractatus 9,Io: 63 1 1 1 8: 404 Ambrogio d i Milano
Epistulae 76, 10: 443 Aristidide Ateniese
Apologia 2: 3 22 Atanasio Alessandrino
De lncarnatione 1 6: 404
Barnabae Epistula 1 ,8: 4 5 1
2, Io: 5 3 9 4,9: 4 5 1 , 547, 5 7 5 4,10: 480 9,6: 1 9 3 10,8: 485 10, 1 8 : 4 8 5 1 3 , 1 SS.: 3 2 2 1 6,8-Io: 46 1 9,5-7= 599 I 9,7= 46, 6 5 2 20: 487 20, 1 : 4 8 6 20,2: 480, 5 1 1 , 684 Cipriano d i Cartagine
Epistulae 4,2: 5 1 7 Clemente Alessandrino
Excerpta ex Theodoto 47 . 3 = 48,2: 58,I: 64, 1 : 8o, I :
250 672 248 250 248
Paedagogus 3 ,29, 1 : 5 50 3 .9 5 , I : 6 1 2
Protrepticus 1 ,8, 1 : 2 5 1 9,84,2: 5 69
Stromata 3 ,70,2: 3 1 3 4, 1 3 2, 1 : 462 6,39-4 1 : 3 2 2 Clemente Romano
Epistula ad Corinthios 1,1: I ,J : 2,3 : 7,2:
133 594, 5 9 5 , 604 387 480
9, I : 480 I3,I: 495 1 4, 1 : 502 14,3 = 5 3 0 1 6, I : 42I 1 6, 1 7: 4 2 1 20, 5 : 3 7 5 20, I 2: 407 2I,I: 4I9 2 I ,6-9: 594, 5 9 5 2 I ,6: 604, 743 23,4= 460 3 0,3 : 42I 30,8: 42 1 3 2,4: 407 J 3 ,2-6: 3 7 8 J 5,2: 3 87, 5 I I 3 5 · 3 = 1 74 3 5· 5 = 4 8 6 3 6,2: 44> 2 I O 38,I: 44 3 8,2: 594 3 8,4: 407 4 2,4: 102 4 5 · 3 = 502 4 6,6: 44, 43 I 4 6,7: 44 50,4: 5 2 8 5 5,2: 6 5 6 5 5, 3 : 666 5 5 ,6: 1 74 5 7,2: 495 5 8,2: 407 59,2 s.: 1 69 59,3 = 4 4 , 2 1 0 62,3 : 494 6 3 , 1 : 460 64: 206 64, 1 : 44
Secunda Clementis 6,9: 5 0 2 7,6: 1 9 3
7 63
INDICE DEI PAS S I CITATI
[2 C/em.] 8,6: I 9 3
Epifanio d i Salamina
Eusebio di Cesarea
1 2,2.: 3 14 13,1: 653 14= 7I6 I 4,2.: 4 5 1 4 , 5 = 699 I 5 · 3 = 502. I 9,2.: 46 2.0, 5 : 699
Panarion
Historia Ecclesiastica
4 5 , 1 , 3 : 2.50
1 , 1 3 ,4: 450 3 . 3 ?,2.: 450 5 , 1 0,2.: 450
Epistula Apostolorum I 5 : 684 Erma, Pastore di
Mandata Didache XII Apostolorum 2.,5 : 5 s s 3 , I -6: 487 3,5: 5 19 4,9- I I : 594, 599 4 , I O s.: 4 6 , 65 I 4,IO: 6 5 7 4, I I : 65 2. 5 , I : 486 5,2.: 480, 5 I I 9,I-5: 587 9,2.: 407 9 . 3 : 407 9,4: 42.9 I 0,3 : 3 7 8 IO,?: 3 3 7, 5 8 7 1 1 ,3 - 1 2.: 449 1 1 ,7 SS.; 3 3 7 1 4, 1 : 5 8 7 I 5 ,3 = 5 6 5
Epistula ad Diognetum I : 322 8,2: 5 5 5 9 .5 : 3 7 5 1 0,4-6: 5 3 4 Dione Crisostomo
I , I : 378 3= SI I 3 , I -4: 46 3·2. ss . : 5 2.4 5,1,3: 5 1 7 5 ,2.,4: 5 2.8 6,2., 5 : 486 8,5: 486 I 0,2., I ss.: 5 2.4 I 0,2.,I-6: 46 I I,3: 3 5 8 I I,I3: 5 5 5 I 2.,2.,4: 662. I 2.,4,6: 48 5 I 2.,6,4: 494
Similitudines 1,8: 656 5 · 5 ·2: 378 6,3 : I 9 3 8,2,3 s . : 1 9 3 9,I I ,7: 3 77 9, I 3 , 5 : 46 9,I 5 , 3 = 4 8 5 9,I 5 ·4= 4 5 1 9,I 6,3-7: I 93 9,I ?,4: I 9 3 . 43 I 9,I 8,4: 4 6 9,26,6: 629 I 8,4: 43 I
Orationes
Visiones
2.,63 : 5 8 I ?,I I2 S,; 5 1 9 ? , I 2 3 s.: 5 1 9 I 7: 4 8 6 I ?, I - I I : 5 4 5 3 2,1 1 : 688 3 3 , I 6: 238, 242 5 5 .4= 5 34 5 5 .5 : 5 3 4
2,2.,2: 4 8 5 2,4 , I : 620, ? I 6 3,2,5: 404 3 . ?,2: 4 8 5 3 . 9 , 1 : 623 3 , 1 2,3 : 666 3 , I 3 , I : 620 9= 34 I
Praeparatio Evangelica 9 .34: I44 I4,I 8,2.6 (Aristocle): 49 5
Evangelium Petri IO ( 4 I S.): 443 Giustino Martire
Apologia 1 ,46: ? I 6 I , 5 6: 2.2.3 I,6I,3: 6I6 I , 6 I , I O: 6I6 I,6 I , I 2.: 2. I O, 6I 6 1 , 6 5 , I : 2. 1 0 1 ,66-6?: 587 1 ,6?: 5 3 3
Dialogus cum Tryphone Iudaeo 13,1: 6I6 I 4, I : 6 I 6 39 .4= 440 72.= 443 8?,6: 440 Ignazio d i Antiochia
Ad Ephesios praef. : I 64, I 69 1 , 1 : 4 4 , 534 4,2.: 44· 423 5 , I : 423 9, I : 34· 44 I I ,2: 3 3 5 I 2,2: 44. 3 3 5 1 3 , I : 5 87 I 3 ,2: 677 I 4 , I : 423 I 5 ·3= 699 I ? , I : 2 5 1 , 699 I 9, I : 25 1 20, I : 45
Ad Magnesios I, 2: 25 I 3 , I : 363 6,2: 699
INDICE D E I PAS S I CITATI
[Ign. Magn. J 7, I : 43 I , 683 7,2: 43 1 I0: 34
Ad Philadelphenses I , I : 699 2,2: 42 3 3,2: 423 4: 43 1 4 , I : 587 5,I s.: 3 3 6 5,2: 423 6: 34 6,I : 248 6,2: 2 5 2 9,2: 699 IO, I : 687
5.7.3 5 : 242, 3 9 8 5,8,5: 3 6 I 5,8,6 s.: 5 8 I 6, I 4,6: 250 6,29,6: 250 6,3 5 , I : 3 6 I 6,3 5,6: 248 7,26,7: 3 6 I Ireneo d i Lione
Epideixis 8 3 : 442, 443
Adversus Haereses
2: 34 5 : 34 7: 34 7, I : 587 8 , x : 587
I , I , I : 250 I , I ,2: 250 1 ,8,5: 43 I,I 3,3= 2I4 I , 2 I ,2: 4 28 I , 2 1 ,4 s.: 398 I , 2 I ,4: 2 I 4 I,2I,5: 398 I ,29,4= 2 5 2 I,30,2: 2 5 0 I ,30,I I : 250 2,2,6: 4 3 o 3,20,2: 5 3 4 3 , 20,7: 3 9 8 4,20,2: 4 3 o 4.3 7.4= 5 1 2. 5,2,2 s.: 624, 625 5,2,3 : 43 5,8,1 : 43 5 · 1 4 · 3 = 43 5 · I 7·4= 404 5 ,24,4= 43
Ad Trallianos
Martyrium Polycarpi
Ad Polycarpum I,3: 3 5 8 4,I-6, x : 594 4,3 : 649, 656 5 , 1 : 699 5,2: 599 6,2: 4 5 . 662, 679
Ad Romanos praef.: I 69 2, I : 6 5 3 4,2: 5 3 9 7, I : 2 5 2
A d Smyrnaeos praef. : 1 69, 580
1 ,2: 5 3 4 4,2: 2 5 2 9,I s.: 20 I IO: 34 l l ,2: 44 1 2,2: 4 I 8 1 3 , I : 373 lppolito Romano
2,3 : 576 2,4: 668 3,2: 294 9,2: 294 I4,I: 5 3 9 I 4,2: 5 3 9 . 699 I4,3= 409 I 9,2: 699
De Christo et Antichristo
Melitone di Sardi
56: 450
De Pascha
Refutationes
42-4 3 = 3 2.2. 99= 3 22
5 . 7 . 3 5 s.: 398
Nag Hammadi, Codici di
Apocalisse di Adamo (v, 5 ) 64, I I -66,4: 2 5 0
Apocalisse di Paolo (v,2) I 9,3 s.: 2 2 I 23 , I 3 - I 6: 4 4 2 23,20-22: 2 2 I
Apocalisse di Pietro (v11, 3 ) 78,25
s. :
559
Apocrifo di Giovanni (II, I ) 8 , I -9,26: 250 30,7-1 I : 484 3 1 , 5 ss.: 569 3 I , 5 s.: 5 7 I Asclepio (v1, 8 ) 76,2. 1-28: 2 5 2
Authentikos Logos (v1, 3 ) 2 8 , 3 2-3 4: 2 2 I
Insegnamenti di Silvano (v11,4 ) l I 4 , I - I O: 22I I I 7, I 4 - I 8 : 672 I I 7, I 4 - I 6: 22I, 2 5 2 I I 7,I 4 s. : 4 6
Interpretazione della Conoscenza (xi, I ) l 5,23 - 1 6, 1 9: 4 3 6 I 6,28-3 1 : 4 3 6 I 7 , 3 6- I 8, 1 1 : 43 6
Ipostasi degli Arconti (11,4) 8 6,20-2 7= 46 86,2 I - 2 5 : 2 2 1 86,23-3 5 : 6 7 2 9 2 , 2 2 ss.: 22I 9 5 , I 9-23: 252 96, I O- I 2: 252 97, 1 3 s.: 5 5 9
Lettera a Regino (1,4 ) 4 5 ,27: 270 49, I 6-28: 270
Lettera di Pietro a Filippo (vm,2) I 3 5,2: 2 2. 1 1 3 7, I 0-30: 1 3 7, 1 0- I 7: I 3 7,20-22: I 3 7,22-29:
672 22I 398 22I Melchisedek (IX, I ) 20,22-23 : 2 2 I , 672
INDICE DEI PAS S I CITATI
[NHC] Protennoia triforme (xlii, I )
3 s ,u ss . : 5 7 1 3 7 , 1 -3 9 , 1 4 : 2 5 0 J 7,I 8-20: 5 5 9 4 1 , 1 6: 5 5 9 42, 1 6: 5 5 9 44,J I -3 3 : 377 4 5 .3 2 s.: 5 5 9
Secondo logos del grande Seth (v11,2 ) 59,4: 4 6 60, 2 5 : 7 1 6 62, 1 9-2 1 : 5 1 3 6 s , 3 3 -66, 1 1 : 7 1 6
Origene Alessandrino
Commentarii in Ioannem 6,57: 437
Commentarii in Matthaeum 10,14: 27 1 1 3 2: 4 3 7 1 5 ,25: 4 6 2 1 6,23 : 672
Contra Celsum 4,19: 5,54: 6,3 1 : 7,52: 8,22: 8,J 5 :
41 42 252 25 1 271 252
Sentenze di Sesto (x11, 1 )
Homiliae in Ezechielem
7 : 248
1 ,6: 4 3 7
Testimonianza Veritiera
Homiliae in Exodum
(IX, 3 ) 3 2,5-8: 484 3 2,27 s.: 221 3 2,28: 46, 672 5 9 . 9 s.: 221 69,7- 1 1 : 1 9 3
4,2: 595 5,2: 4 1 9, 530 6, 1 : S JO 6,3 : 3 3 6 7, 1 : 467 9, 1 : 4 5 1 1 , 1 -4: 5 1 7 l 1 ,2: 486 1 1,3: 33 5 1 2, 1 : 5 1 4, 5 1 7
Protevangelo di Giacomo 13,1: 182
Salmi di Tommaso 1 ,27 s.: 5 59 8,2: 5 5 9 1 2,3 8 : 5 59
6,6: 443
Homiliae in Iesu Nave
Tertulliano
1 ,7: 5 69 9,9: 689
De Corona 1 5 : 662
Homiliae in librum Iudicum De Cultu Feminarum
Trattato Tripartito (1, 5 )
1,1: 575 2,3 : 3 94
57,3 3- s 9, 1 : 7 1 6
1 , 3 : 42
De Fuga in Persecutione
Homiliae in Lucam
9,2: 575
Trattato Valentiniano (x1,2)
27: 4 3 7
Adversus Marcionem
40,27-4 1 , 3 8 : 250
D e Principiis
Vangelo dell'anima (11,6)
2,3 , 5 : 272
I 3 0,3 5 - 1 3 I , 1 3 : 672 1 3 1 ,9- 1 3 : 46, 221 1 3 2,7 SS.: 63 I 1 3 2,21 - 1 3 J ,I I : 627 Vangelo di Filippo (11,3 ) 5 5 , 1 2: 462 7 5 , 20-24: 462 7 5 ,22-24: 495 76, 1 1 : 46 80,4: 462 8 2,4 ss.: 63 2
In Canticum Canticorum hom. 2 1 , 1 1 : 3 3 6 In Catenis Cor. : 3 4 1 Le. 246,6 s . : 672 Mt. I J 4, I : 5 7 5
3 ,7: 3 3 9 5 , 1 7: 4 3 5 , 1 7,6: 3 3 6 5 , 1 8 : 3 77, 671
Pistis Sophia I J 3 : 403 1 9 5 - 1 97: 1 9 3
Ad Martyras 1 , 5 3 : 5 26
Adversus Praxean 23: 450 30= 443
De Resu"ectione Mortuorum 40,4: 398, 400 4 5 : 494
Vangelo di Maria
Policarpo d i Smirne
(BG 8 502, 1 ) x 8, x 6: 462, 496
Ad Philippenses
Tolemeo Gnostico
1 , 3 : 4 5 , 278 2,1 s.: 201 2,2: 486 3,2: 3 3 5 3 , 3 : 699 4, 1 -6,3 : 5 94 4, 1 : 546, 662
Lettera a Flora
Vangelo di Tommaso (11,2) 22: 3 1 4 25: 5 1 3 77: 447
Vangelo della Verità (1,3 ) 1 8, 1 1 - 1 9 : 3 80
6,6: 3 1 2
S CRITIORI GRECI E LATINI
Apuleio
Pro Murena
Metamorphoses
p : 2.43
1 1 , 1 5 : 662. 1 1 ,2.4: 495 Aristide, Elio 46, 5 : 444 Aristofane
Ranae 340 ss.: 5 7 1 Aristotele
De Anima 4 1 13: 2.4 1
Ethica Nicomachea I I 2.5b,2.6-1 I 2.6b,9: 5 1 5 1 1 2.5b,2.6 ss.: 42.1 1 1 4 1 3: 1 74 I 1443,30: 2.10 1 1 6ob,3 2.-1 1 6 1 a,6: 6 1 3 1 1 6 ra,3 3-b, ro: 648 1 1 64b,2.2.- 1 1 6 5a,3 5 : 637
Politica r 2. 5 2.b: 6o5 I 2. 5 J b: 607 1 2. 54ab: 62.2. ns s b: 2.4 1 I 2.5 6b: 605 Artemidoro Daldiano
Onirocriticus 1 ,2.: 2.40 1,3 5: 2.40 3,66: 2.40 Ateneo
Deipnosophistae
De Natura Deorum I , 5 J s.: 403
De Offìciis 1,58: 639
Tusculanae Disputationes 1 ,64: 403 I ,69 s.: 403 5.69: 403
Corpus Hermeticum 1 ,9: 4 8 2. I , I 2: 482 1,I5: 398 I , l 6: 628 1 , I 9 : 248 1 ,27 s.: 5 7 1 4, I I : 2 I O 6,4: 2 3 3 7, I : 2 IO, 5 7 1 7,2: 248, 4 9 5 9,5: 3 9 8 1 0,2 5 : 403 I I , l l : 43 I 1 1 ,20: 403 1 2, 1 5 : 2 3 3 I 3 ,7: 3 9 8 , 4 8 3 , 4 8 6 1 3 ,8: 483 1 6, 3 : 2 3 3
Asclepius 6: 403 Crisippo
fr. 3 94: 5 27 fr. 3 9 5 : 5 27, 5 28 fr. 3 9 6 s.: 5 27 m,
7,14,2.8 rd: 309
von Arnim
Callicratida
Curzio Rufo I 0,9,4: 243
La felicità domestica 106, 1 - 1 0: 6 1 3 Cicerone
Ad Atticum
Diodoro Siculo 1 , 1 1 , 5 s.: 243
Demetrio
De elocutione 227: 3 6, 94
7. I7: 61
Demostene
Pro Fiacco
In Cononem
42.: 2.43
1 2.62, 1 7: 566
4: 243
Diogene Laerzio 1 ,27: 24 I 7,108: 63 9 7, 1 1 3 s . : 5 2 8 7,1 20: 6 3 9 8,3 2: 2 5 2 Dionigi d i Alicamasso
Antiquitates Romanae 6,86,2: 23 8 9 .5 : 495 Epitteto
Dissertationes I ,3 ,2: I 6 5 1 ,6,20: 5 6 6 I , 1 6, I 6 s.: 5 1 9 I , 20,7: 5 6 2 I,22, I : 640 I ,26,5-7: 48 3 2,1 ,27: 649 2,4,I ss.: 728 2, 1 o, I 8: 728 2, 1 2, I 4 s.: 5 1 5 2,I 7,6: 640 2,I 7,3 I : 639 2.,I 8,I 5 : 4 8 8 2, I 8, I 9 : 488 2, I 9,28: 467 2,23,6: 5 6 2 2,23 ,8: 5 6 2 3 . 7,2 1 : 4 8 8 3 . 7,26: 6 3 9 3 ,8,IO ss.: 5 I 8 3,22,26 s.: 688 3 ,22,69: 662 3 ,24, I 0: 43 I 3 ·24,23 : 728 3 ·24,34: 662 3,24,56: 4 20 3 ,26,27 s.: 5 1 9 3 ,26,8: 5 66 4 , I : 649 4 , 1 , I 22: 4 8 8
7 67
INDICE DEI PAS S I CITATI
[Epict. Diss.] 4, 1 , 1 77: 5 6 6 4, 5 , 1 6: 5 6 2 4,6, 1 3 : 5 6 2 4.7.40: 562 4,9,5 : s 66 4 , 1 3 , 1 SS.: 688 8,26,2 s.: 5 1 9 Eraclito
Epistula 7 : 487 Erodoto 1 ,60,4: 668 1 , 1 86,3 : 5 1 8 2,1 J 8 , 1 : 5 4 6 3 ,78,2: 673 4,1 80: 668 7,9 1 : 678 8, s 2: 679 Euripide
Li vi o 2,3 2: 2 3 8 2 1 ,8,10- 1 2: 679 Luciano
Bis Accusatus 1 6: 6 5 4
Demonax 3 : 68 8 Ma ero bio
Saturnalia 1,18,1: 581 Marco Aurelio 2,4 s.: 5 77 7,9: 43 0, 43 l 7, 1 3 : 5 1 4 9, 1 : S I I 9,42: 42 1 , 4 8 8
Filostrato di Lernno 2,28: 6 1
Musonio Rufo 2: 4 8 8 8: 4 8 8 I 2: 5 4 5 1 3 A: 6 1 2 14: 6 1 2 1 6: 639
Ipbigenia Taurica 602: 495
Troades s o: 3 1 o
Giovenale
Orazio
Satirae
Epodon liber
6,2 1 9-223 : 648
16: 1 84
Isocrate
Orfìci, Frammenti
[Platone]
Leges 2,663 b: 501 3 ,68ob: 6o s 1 2,964de: 243
Pbilebus 29e-30c: 24 1
Respublica 1 ,344b: 5 1 8 5 ,4 5 7a: 495 5,46 s bc: 566 7,5 1 9b: 2 1 0 7.5 3 J d: 2 1 0 7,54oa: 210 9,5 89a: 398 1 0,6 1 5 b: 501 1 0,61 6bc: 424
Tbeaetetus I ?6b: 501
Timaeus 3 0a-34c: 24 1 3 6e: 24 1 Plinio i l Giovane
Epistulae 5,29: 64 8 1 0,90: 3 5 1 0,96: 5 8 3 1 0,96,8: 6 s o Plutarco
Moralia
Libanio
Gorgias
7e: 6 5 7 8f-9a: 644 9 1 b: 467 1 4od- 1 44de: 604 1 4 2d: 604 14 2e: 607, 622 1 4 2ef: 622 274b: 2 5 2 3 29ab: 43 1 44Ia: 488 479 s.: 637 488bc: s r 6 6 1 4d-61 5C: 581 93 9a: 403 983C: 43 I
Epistulae
464b: 24 1 507ab: 501
Praecepta Coniugalia 3 3 -34 (Mor. 1 4 2ef): 24 1
Nicocles 38: 534
Nicocles sive Cyprii 61: 534
Panatbenaicus 1 2, 1 3 8: 24 1
Areopagiticus 7 , 1 4 : 24 1 Pseudo-lsocrate
Ad Demonicum I I : 534 1 5 : 546
968: 495
1 68,2: 243 1 68,6 s . : 43 1 1 68,9: 243 1 68,1 2: 243 Ovidio
Metamorpboses l ,84 SS.: l 84 Pausania 1 , I 5,2, 1 : 3 09 8,9, 1 , 1 S.: 309 Platone
? 68 [Plutarco]
Pompeius p ,2,646b: 243
Theseus
24, 1 : 43 1 Poli bio 3,62, 5 : 668 4,5 6,3 : 668 6,23,2: 678 Sallustio
De Bello Iugurthino 57.5 = 679 5 7,6: 679
INDICE D E I PAS S I CITATI
9 . 3 ss.: 4 8 8 47= 649 6 5,24: 24 1 7 5 . 7 ss.: 4 8 8 95= 5 14 107,9= 662
De Ira 1 ,4: 5 27 2,3 6: p8 3 ,24, 1 : 6 5 7 3 , 3 2, 1 : 6 5 7 3 ,40,2-3 : 648
Natura/es Quaestiones 1 , 1 2 s.: 403
Seneca
Seno fonte
De Benefìciis
Anabasis
2, 1 8, 1 ss.: 59 5 3 , 1 8-28: 648
1 , 1 0, 1 : 668 4,8, 1 9 : 668 7,6 ,4 1 : 5 1 8
De Clementia
Cyropaedia
Sesto Empirico
Adversus Mathematicos 9,78 s . (Posidonio): 24 3 9,8 5 : 24 1 Sto beo 4,22, 2 1 ss. (lerocle Stoico) : 612 4,2 5 , 5 3 = 639 4,26,4 ss. (Menandro): 644 Tacito
Anna/es 1 4,4 3 -4 5 = 648 1 4 · 44= 6 5 7 Tucidide 3 , 1 1 4, 1 : 668 5 , 1 0 1 - 1 04: 668 Vezio Valente 202,6: 46 7
1 ,4.3 = 243 1 ,5 , 1 : 24 1 2,2, 1 : 243
8 , 1 ,2 1 : 5 3 4 8, 1 ,24: 5 3 4
Epistulae
Oeconomicus
Eclogae
6,5-6: 5 3 4
1 2, 5,7= 6 5 4
4,4- 10: 1 84
Virgilio
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Aalen, S., 2.06, 2.2.9 Abbott, T.K., 43 · 44 · 47 · 48, 77. 1 3 2., 1 5 J , 1 72., 1 8 6, 1 90, 1 9 1 , 1 94, 1 9 5 , 2.09, 2. I 4, 2. I 5 , 2.5 J , 2. 5 5 · 2.80, 2.8 1 , 309, 3 1 9, 32.5, 3 2.6, 3 J I , 3 5 1 , 3 60, 3 79, 3 8 5 , 42.5, 444, 468, 473, 4 8 1 , 494, 5 1 4, s :z.6, 5 3 9, s s 6, 578, 6:z.:z., 6:z. s , 642., 699 Abramowski, L., I 4 2. Adai, J., 88, 1 5 3 , 1 9 3 , 1 94, 1 9 6, 2.09, 2.44, :z. s o, :z.s r , 3 2.6, 3 2.7, 3 2.8, 344, 3 62., 3 64, 3 9 1 , 42.2., 42.6, 445 · 5 2.4, 572., 5 87, 669, 68 1 , 682. Adam, A., 5 5 9 Adinolfi, M . , 2. 3 6 Agnell, G., 507, p 8, 5 2.0, 5 2. 1 Ahern, B.M., 2. 3 6, 703 Aland, K., 39, r o i Alexander, P.S., 4 3 9 Alford, H . , I S J , 1 5 7, I 68, I 74, 1 9 I , 2. 5 2., 3 2. 5 , 3 3 4. 348, 42.7, 6 5 3 . 6 5 6 Allan, J.A., I 5 4 , I 96, 2.98, 3 r 5 Allen, L.C., 1 64 Allen, T.G., 1 99, :z.o r , 2. 1 7, 2. 1 9, 2. 3 6, 2.44, 4 1 4, 4 3 :z., s 88, 6o i , 6 1 o, 7o4 Almquist, H., 4 3 I Ammassari, A., 601 Amstutz, J., 6 5 2. Andresen, C., 67 Applebaum, S., I 2.0 Arnold, C.E., 2.9, 34, 86, Io8, 1 2.6, I 2.7, 1 99 . 2. 1 5 , 2.2.0, 2.2.2., 3 9 1 , 403 , 404, 408, 443, 668, 669, 670, 72.9, 739 Asmussen, H., 1 8 I , 3 1 8 , 57I, 5 77, 6o8 Auer, A., 576 Aune, D.E., 39, 9 3 , 94, I 3 3 • 3 3 6, 5 74, 5 9 3 Ausejo, S. de, 4 2. 7 Baarda, T., 6:z. I Bacht, H., 6 5 2.
Backhaus, K., 6 8 Baena, G., 6oi Baker, W.R., 5 1 2. Balch, D.L., 5 9 2., 5 9 3 , 6 1 3 , 648 Balsdon, J.P.V., 604 Baltensweiler, H., 60 1 , 604 Baltzer, K., 2. 1 9 Balz, H .R., 3 9, :z. n, 5 69 Bankhead, R.C., 1 4 2., 3 2.9, 568, 5 7 1 Banks, R . , 704 Barbaglio, G., 2.44, 60 1 Barclay, W., 3 1 3 , 637 Barker, M., 3 3 3 Barkhuzen, J.H., I 42. Barnett, A.E., 4 3 , 44 Barr, J., 576 Barrett, C.K., 72., 1 34, 2.77, 63 1 Barry, A., s oo, 5 2.2., 6 8 I Bartchy, S.S., 646, 6 5 5 Barth, K., I 5 9 , r 6o, 4 19, 703 Barth, M., 3 2., r u , u 6, 1 3 5 , 1 5 4, 1 5 9, 1 60, 1 7 5 , 1 80, 1 8 I , 1 8 6, 1 87, 1 9 1 , I 96, :z.o 1 , :z.o s , :z.o9, :z. r s , :z.:z.8, 2.46, 2.47, :z. s s . :z.6s , 2.75, 2.78, :z.8 s , 2.90, 2.9 1 , 2.97. 2.99. J I4, 3 1 9, 3 2.0, 3 2. 1 , 3 2.6, 3 J I , 3 3 8, 3 5 2., 3 5 3 , 3 60, 3 67, 3 68, 3 77 . 3 78, 3 79 . 3 8 2., 3 8 3 , 3 84, 3 8 5 , 3 86, 398, 408, 4 1 7, 4JO, 4 5 5 · 460, 4 6 1 , 49 1 , 492., 494. s o8, 5 3 2., 548, 5 54, s 8 s , s 86, 5 8 8, 5 9 1 , 6o s , 6o8, 6 1 4, 6 r 6, 6 1 9, 6:z.:z., 667, 668, 67 5 , 676, 677, 682., 697. 703 , 72.2. Barthélemy, J.-D., 5 9 3 , 704, 72.4 Barton, s.e., 96, 1 2.2., 1 2.7, 488, 5 1 3 · 545 · 5 5 2., 5 5 7. 645 . 74 I Basevi, S., 4 1 4, 4 3 2., s o8, 72.0 Batey, R.A., 6oo, 6o r , 634, 63 5 Bauckham, R., 3 9 Bauder, W., 4 2. 1
77 0
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Bauernfeind, 0., 480, 662 Baulès, R., 79 Baumbach, G., 302 Baumgiirtel, F., no, 257 Baur, F.C., 79, 306, 3 3 7 Bayer, F.W., 471 Beare, F.W., 1 8 6, 1 87, 1 9 1 , 3 10 . 3 1 1 , 3 3 8, 3 5 1 , 3 5 8, 3 7 2, 3 7 8, 404, 4 1 8, 4 3 5 · 443 . 4 5 9 . 5 66, 5 74, 674 Beasley-Murray, G.R., 6 1 6 Beatrice, P.F., 1 02, 66o, 663, 667 Beck, H., 302 Beck, ]., 3 60 Bedale, S., 23 6, 240, 6o7, 625, 703 Behm, J., 1 72, 2 1 0, 257, 292, 480, 4 8 2 Beker, ].C., n o, 278 Belser, J., 15 5 , 227, 2 5 2, 280, 3 79, 406, 447, 4 5 1 , 5 26, 5 3 9, 547, 549, 64 3 , 666, 694 . 700 Bengel, j.A., 1 5 1 , 209, 3 1 8, 3 24, 3 3 1 , 3 8 2, 420, 494, 5 5 2, 6 1 o, 65 6, r. 7, 682, 699 Benoit, P., 29, 86, 1 3 1 , 1 3 2., 2. 1 2, 220, 229, 230, 23 3 , 23 6, 240, 244, 5 S J , 703 Berger, K., 3 3 , 79, 93, 94, 1 3 3 , 148, 407, 4 1 1 , 543 . 593, 69 1 , 703 Bernard, J.H., 27 1 Bertram, G., 2 1 5 , 5 77 , 6 1 8, 637, 644, 64 5 Betz, H.D., 5 3 4 Betz, 0., 290, 3 3 3 . 54 1 , 593 Beyer, H.W., 3 70, 5 22. , 568 Bianchi, U., :z.z.o, 267 Bieder, W., 4 1 9 Bienert, W.A., 1 3 4 Bieringer, R., 3 70 Bietenhard, H., 1 5 5, 2 1 9, 4 1 0, 5 8 6 Bigaré, C., 572 Billington, A., 1 8 3 Bjerkelund, C.J., 4 1 8 Black, D.A., 1 3 3 , 1 3 7, 203 Blass, F. - Debrunner, A. - Rehkopf, F. (BDR), 1 3 7 . I S J , 1 5 9, 1 62, 1 68, 1 73 , 202, 207, 2 1 7, 230, 2 5 3 , 276, 280, 288, 290, 292, 304, 3 1 6, 340, 34 1 , 3 5 1 , 3 5 8, 3 6 1 , 3 67, 3 7 1 , 3 7 3 , 3 74, 377 . 3 84, 3 89, 3 9 5 . 398, 400, 40 5 , 408, 4 1 8, 4 1 9, 4 2 2 , 442, 449· 460, 469, 479. 48 1 , 484, 486, 490, 493 .
494. 497. 498, 5 1 4, 5 1 9, 5 22, 546, 5 50, 5 5 1 , 5 5 2, 5 5 6, 5 66, 5 70, 5 8o, 5 8 3 , 604, 6 1 1 , 623, 626, 629, 630, 63 2, 6J 3 , 64 1 , 642, 64 5 · 654, 666, 668, 6 8 1 , 6 8 3 , 684, 695 Blinzler, J., 3 3 8 Blomberg, C.L., 9 3 BOcher, 0., 1 7 2, 590 Bockmuehl, M.N.A., 1 7 5 , 3 5 5 Bogdasavich, M., 229 BOhlig, A., 1 7 5 Bokser, B.M., 306 Bonafont, J. Pio, 1 63 , 3 89, 3 9 1 Bonhoeffer, D., 6o Bonner, S.F., 6 3 7 Bony, P . , 4 3 2 Bornkamm, G., 1 7 5 , 2 5 8 Bousset, W., 2 5 2, 3 78, 443, 609 Bourtier, M., 63, 1 40, 1 7 5 , 1 78, 1 8 3 , 1 86, 1 87, 1 96, 1 9 8 , 296, 3 1 4, 3 1 6, 3 5 9, 3 84, 4 1 7, 470, 5 66, 5 7 5 · 6o6, 622, 634, 64 5 · 6 54, 672, 688, 694, 698 Bouwman, G., 1 5 5 , 228, 3 2 5 , 3 3 1 , 3 3 8, 347 . 348, 3 5 7 · 3 5 9 · 3 7 3 · 408, 4 3 3 · 484, 5 3 5 · 6 2. 1 , 622, 699 Bover, J., 2 8 3 , 3 3 3 , 4 3 2, 703 Bowen, C.R., 77, 1 3 7 Bowman, J.W., 90 Boyd, R., alias Bodius, 3 9 6 Bradley, K.R., 646 Bradshaw, P., 1 07, 44 5, 496 Brandenburger, E., 302 Brandt, W., 3 70 Bra nt, E., 4 1 8 Bratcher, R.L., 269, 3 5 9, 3 8 6, 5 66, 6o8 Braun, H., 254, 467, 4 84, 54 1 Breed, J.L., 704 Breeze, M., 1 09 Breytenbach, C., 3 1 6 Brown, C., 2 1 2, 3 02, 4 2 1 , 609 Brown, R.E., 79, 1 7 5 Brown, R.H., 646 Brox, N., 39 Bruce, F.F., 79, 1 0 5 , 1 67, 1 79, 1 80, 1 90, 2 1 9, 2 5 5 , 266, 272, 3 1 0, 3 3 8, 3 6 1 , 3 78, 3 8 3 , 3 9 5 , 4 1 7, 497. 5 5 0, 5 87, 6 1 9, 630, 682 Brueggemann, W.A., 379 Biichsel, F., 2 5 6, 298, 3 1 5 , 576
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Btihner, J.D., 1 3 4 Bujard, W., 59 Bultmann, R., 1 72, 209, 24S, 4 So, 525 Bunn, J.T., s S r Bunyan, J., 6o Burger, C., 247, 29S, 299 Burgess, J., 29 Burke, T.J., 1 6 5 Burkill, T.A., 627 Burton, E. De Witt, 1 64, r S9, 207, 262, 266, 3 1 9, 4 S 1 , 497, 546, 6 1 5 , 623, 630, 642, 6S r , 695 Buscault, A.F., 677 Bussmann, C., 253, 476 Byrne, B., 1 6 5 Cadbury, H.J., 29, 3 5 Caird, G.B., 1 5 6, 220, 229, 230, 260, 264, 2SO, 2S9, 3 24, 3 3 1 , 3 5 3 . 3 5 5 . 3 6S, 3 S 3 . 4 3 2, 444 . 44 5 . 5 1 9, 6 I 7, 720 Cambe, M., 620 Cambier, J., 1 42, 1 5 3 , 1 74, 1 S7, 1 96, 43 2, 6oo, 6o2, 6o s , 6 r 7, 624, 634 Cameron, P.S., 9 6, 97 Cannon, G.E., 543, 593 Caragounis, C.C., 3 5 , 95, 1 4 2, 1 4 5 , 1 50, l p , 1 5 5 , 1 5 6, 1 63 , 1 7 5 , 1 76, 3 4 5 , 3 7 3 , 3 9 1 , 6S s , 6S6 Cari, K.J., 1 7 5 Carr, W., r r S, 2 1 S, 220, 222, 250, 3 79, 669 Carrez, M., r S6, 190 Carrington, P., 4 1 3 , 4 9 5 Carson, D.A., 220, 704 Casei, 0., 549 Castellino, G., 1 4 2, 1 50 Cerfaux, L., 3 5 , 1 7 5 , 3 3 5 , 3 3 S, 3 62, 402, 4 S 3 . 4 S4. 703 Cervin, R.E., 240 Chadwick, H., 1 04 Charlesworth, J.H., 3 20 Chavasse, C., 6oo, 625, 634 Chester, A., r S 5 Chmiel, J., 4 3 2 Cipriani, S., 3 79 Clark, G., 604 Clark, K.W., r S9, 2 1 5 Clark, M.L., 637 Clark, S.B., 5 S9, 6or
77 1
Clark, S.D., 4 3 2, 444 Clavier, H., 209 Clements, R.E., 344 Clowney, E.P., 704 Coenen, L., 4 I 9 Coetzee, J.C., 3 5 Coggan, F.D., 303 Collins, J.N., 3 70, 4 5 6 Collins, R.F., 29, 79, S4, 640 Colpe, C., 1 2 1 , 23 6, 23 S, 250, 443 Colwell, E.C., 3 7 1 Combrink, H.J.B., 3 70 Conchas, D.A., 1 9 5 Conzelmann, H., 67, 9 5 , 1 9 5 , 210, 25 1 , 2 6 1 , 2S s , 294 · 309, 3 3 S, 3 5 3 . 373 . 3 S 5 , 404, 430, 5 5 S, 677, 679 Cook, J.l., 3 5 , r 6 5 Coppens, J.C., 1 7 5 , 34 2 Corley, B., 79, So Cornelius, F., 102 Coune, M., 1 42, 494, 507, 5 1 2 Coutts, J., 142, 263, 5 5 3 Cranfield, C.E.B., 275, 4 3 6 Crenshaw, J .L., 3 S o Crockett, W.V., r S 2 Cross, F.L., 3 5 , 2S3 , 607, 625, 703 Crouch, J.E., 592, 593 Crowther, C., 276, 2S 1 Cullmann, 0., r S r , 6o9, 6S3 Culpepper, H.H., 720 Dacquino, P., 1 3 S, 1 4 2, 1 5 3 , r S S, 3 9 1 , 404, 5 4 1 Dahl, N.A., r o6, 1 07, 1 4 2, 1 44, 1 4 5 , 146, 1 5 0, 1 5 5, r S 5 , r S7, 3 79, 402, 403 , 472, 505, 5 3 7 . 5 4 1 , 5 5 1 , 703 Daniélou, J., 404 Danker, F.W., 96, 147, 2 5 3 Dassmann, E., 5 9 3 Daube, D . , 422 Dautzenberg, G., 2 1 0, 3 3 6, 593, 6or, 724 Davies, L., 3 5 S Davies, W.D., 1 72, 254, 2 5 S , 439 De Boer, M., 72 De Boer, W.P., 5 3 3 , 534 De Lorenzi, L., r p , 1 67, 274, 2S3, 302, 3 70, 3 72, 704 De Zwaan, J., 3 S, 147 Debrunner, A., 1 4 2
772
I N D I C E DEGLI AUTORI MODERNI
Degenhardt, j.j., 576 Deichgraber, R., I42, I 7 3 , 20 I , 298, 407 Deissmann, A., 2 53 Delling, G., 407, 4 I O, 462, 486, 5 3 8, s 83, s 8 s , 590 Delorme, J., 4 3 2 Deming, W., 6oi Denton, D.R., I 9 5 Derren, j.D.M., 6 I 8 Descamps, A., I 7 5 , 476 Di Marco, A.S., 1 20, 593, 628, 629 Diaz, J.R., 505 Dibelius, M., I 54, I 87, I 9 6, 20 I , 2 20, 273 > 306, 3 3 I , 3 3 3 . 3 3 8, 3 69, 3 77. 3 8 8, 40I, 403 , 404, 4 I 5 , 425, 429, 430, 4 5 8 , 490, 5 7 I , 5 9 2, 609, 6 I 7, 642, 667, 669, 700 Dieterlé, C., 6o I Dihle, A., 420 Diii, s., 1 2 I Dinkler, E., 302 Dion, H.-M., 1 5 9, I 64, I 7 3 , I79 Dobbeler, A. von, 1 92, 668 Dodd, C.H., I I I Doigon, J., 6 54 Donaldson, j., 604, 605 Donner, H., 592 Doré, j., I 90 Doty, W.G., 94, I 3 3 , I 99, 69 I Downing, F.G., 5 I Drago, S., I 6 5 Dreyfus, Fr., I 67 Dubois, j.-D., 468 Duffìeld, G., 682 Duff, A.M., 646, 6 5 5 Dufort, j.-M., I 8 2 Duling, D.C., I 22 Duncan, G.S., 77, 78 Dunn, J.D.G., 82, 23 6, 37I, 3 80, 426, 500, 5 84, 6 I 6 Dupont, j., 23 3 , 267, 3 9 1 , 401 , 403, 429, 43 I , 483 Eadie, j., 105, I 74, 208, 2 I I , 3 1 9, 3 3 2, J40, J48, 3 9 I , 396, 399 . 400, 402, 4 I 8, 4 3 3 , 486, 5 1 6, 5 23 , 6 1 0, 625 Easton, B.S., 543 Edwards, A.D., 28 3 , 296, 298 Eichholz, G., 703
Ellicon, C.j., 3 6 I , 400, 4 I 7, 43 8, 5 5 1 , 578, 669 Ellion, j.H., 268, 3 30, 593 Ellion, J .K., 1 3 I Ellis, E.E., I I I , 403, 44 1 , 695 Eltester, F.-W., 50I Eltester, W., I44, 23 6 Engberg-Pedersen, T., 5 6 3 , 5 64, 5 6 5 Enslin, M.S., 724 Erdman, C. R., 6 5 3 Ernst, J., I 87, I 89, I 96, 20 1 , 229, 23 6, 2 5 5 , 272, 298, 3 1 5 , 3 3 I , 3 67, 3 69, 3 78, 3 9 I , 3 9 8 , 405, 4 5 2, 469, 5 3 5 . 5 5 5 . 5 87, 6J4, 6 s 6, 697, 703 Esser, H.-H., 4 20 Estalayo-Alonso, V., I 63 , 400 Evans, P.W., I 9 3 Everling, 0 . , 220, 2 5 2, 3 96, 669 Ewald, P., 77, I 69, I 87, 205, 2I I, 2 5 3 , 2 5 5 , 259, 262, 288, 3 I O, 3 4 3 . 3 84, 3 8 5, 400, 40I, 4 6 I , 494, s o i , 5 1 4, s x 6, 5 50, s s 6, 607, 6 1 8, 622, 6 5 6
548,
23 3 , 3 5 8, 4 3 2, 647.
2 5 2, 3 26, 489, 5 67,
Falkenroth, U . , 4 2 I Fanning, B.M., 4 8 I , 497, 5 8o Fant, M.B., 604 Farmer, W.R., 695 Fascher, E., 3 3 6 Faust, E., 3 4 , 1 2 I , 1 87, 220, 2 8 3 , 2 8 5 , 29 I , 296, 303, 3 04, 3 1 2, 3 1 4, 3 I 5 , 3 I 6, 3 23 , 3 2 5 , 3 3 I , 3 62, 6o s , 66o, 666 Fee, G.D., 88, 1 9 3 , 208, 3 26, 5 24, 682 Feine, P., 2 8 3 , 304 Feldman, L. H., 3 1 I Fennema, D., 6o i Ferguson, E., 289 Festugière, A.-j., 293 Feuillet, A., 229, 23 1 , 23 3 , 248, 3 9 I , 402, 403 , 404 Fiddes, P.S., 4 I 8 Fiedler, P., 593 Findlay, G.G., 1 8 I , 28o, 5 23 Finkelstein, L., 4 3 9 Finley, M.l., 5 1 9, 646, 6 5 8 Fischer, K.M., 2 9 , 3 9, 6 7 , 7 2 , I 0 2 , 1 0 3 , I I I , I I 6, I I 9, I 4 2, I48, 1 99, 20 I ,
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
[Fischer, K.M.] 2 3 6, 2 3 8 , 244, 2 8 3 , 299 . 306, 3 3 6, 3 64, 44 I , 4 5 3 . 494, 495, 5 67, s 68, 5 7 I , 6o9, 63 s , 66o, 664, 674, 724 Fitzer, G., I 9 3 Fitzmyer, J.A., 240, 249, 3 I 6 Flanagan, J.W., 3 I 6, 6o i Flatt, J.F. von, 4 3 8 Flowers, J., I 99 Foerster, W., I 24, I 5 8, I 9 5 , 2 5 I , 302, 579 · 5 9 2, 609 Fohrer, G., 3 79 Fontenrose, J., 308 Foster, J., 5 8 5 Foulkes, F., 266, 3 60, 500 Fowl, S.E., I 1 1 , I 4 8 Fowler, R . , 229 Fox, R.L., 649 Frank, K.S., 593 Frankemolle, H., 267, 272, 278 Frede, H.J., I 3 I Friedrich, G., 1 40, 1 7 1 , 3 I 6, 449 Friedrich, J., 5 7, 244, 54 3 Fritz, K. von, 3 9 Frost, R . , 3 0 8 Fuller, R.H., 29 Fung, R.Y.K., 1 07, 43 2, 704 Funk, R.W., 695 Furnish, V.P., 29, 6 1 3 , 724
298, 476, 634,
2 5 2,
Gabathuler, H.J., 2 3 6, 243 Gamber, K., 1 4 8 Gammie, J.G., 3 79, 4 1 8 Garlan, Y., 646 Gartner, B., 3 4 2 Gartner, M . , 6 3 7 Gasque, W.W., 7 7 , I 34, 305 Gaston, L., 289, 3 3 8, 3 4 2 Gaugler, E . , 1 4 2, 1 54, 208, 2 5 5, 272, 3 3 I , 3 4 1 , 3 5 3 , 3 7 3 , 3 77, 4 2 5 , 430, 444, 5 26, 6o6, 6 I 9, 676, 694 Gayer, R., 646, 649 Georgi, D., 3 70 Gewiess, J., 229, 447 Geysels, L., 229, 230, 23 1 Giavini, J., 286, 301 Gibbs, J.G., 142, 1 5 5 , 1 5 6, 1 84 Gielen, M., 5 9 3 , 5 94, 5 9 6, 6o8, 6 I 5, 6 20, 634, 637. 642, 6 5 3
77 3
Giudici, G., 308 Glaue, P., 4 I O Gnilka, J., 29, 43, 47, 7 2 , IOS , 1 1 9, I44, I 5 3 , I 72, I 74, I 79, 1 80, I 8 I , 1 90, I 9 3 . I 96, 20 1 , 208, 209, 2 1 1 , 2 1 4, 227, 228, 230, 2 3 3 . 2 5 1 , 2 5 2, 2 5 3 , 2 5 6, 261, 272, 283, 29 I , 297 . 298, 299, 3 IO, 3 I 4, 3 I 9, 3 2 5, 3 26, 3 27, 3 3 I , 3 3 8, 343 · 349 . 3 5 2, 3 5 3 · 3 54. 3 5 8, 3 77 . 3 78, 3 80, 3 8 3 , 3 84, 3 8 5 , 424, 4 26, 4 27, 430, 443 · 464, 465, 475 · 476, 4 8 3 , 494. 507, 5 22, 54I, 542, 548, s 54, s 6 s , s 66, 57 I , 573, 583, 5 84, 5 87, 593 . 596, 6I3, 6I4, 622, 625, 634, 64 :z. , 64 5, 646, 67 I , 68o, 682, 694, 697, 699, 703 , 704, 724 Goeters, J.F.F., I 4 2 Goguel, M . , 2 9 , 4 8, 1 1 8, I 3 8, 3 7 9 Gonzalez Lamadrid, A., 283, 3 23 Gonzalez Ruiz, J.M., 240, 4 1 4 Goodspeed, E.J., 9, 42, s o, 5 5, Ioo, 3 5 7, 3 9 6, 4 5 9 Goppelt, L., 4 9 , I 4 5 , 26I, 3 2.9, 5 9 2 Gordon, T.G., 4 5 5, 4 5 9 Gore, C . , 4 8 7 Gosnell, P.W., 5 8 I Goulder, M.D., 3 5 , 62, I02 Gourgues, M., 2 I 7 Granskow, D . , 3 1 9 Grant, R.M., 2 5 9 Grasser, E . , 2 8 3 , 403 Greenwood, H.H., 6 3 Greeven, H., 669, 683 Grelot, P., 1 90 Gressmann, H., 2 5 2, 378 Grob, F., 704 Groenewald, E.P., 1 69 Groff, K.L., 496 Grosheide, F.W., 234, 2 5 3 , 25 5 , 3 1 3 , 3 3 I , 3 5 3 . 3 88, 4 :Z. 8 , 465, 6 I 3 , 6I4, 64 1 , Grudem, W., 240 642 Grundmann, W., 1 0 3 , 2 1 5 , 420, 465 Grzybek, S., 43 :z. Gubler, M.-L., 5 3 8 Guelich, R.A., 3 1 3 , 3 1 6 Guhrt, J., 292 Gundry, R.H., 239, 505, 622 Giinther, W., 6 1 3
77 4
INDICE DEGLI AUTORI MO DERNI
Gutbrod, W., 210, 257 Guthrie, D., 39, 67, 704 Gutierrez, P., 637 Haacker, K., 590 Hagner, D.A., 44 Hahn, F., 2I7 Hahn, H.C., 290 Hahn, W.T., 267 Hainz, j., 4 3 2 Hall, S.G., 5 7 I Halleux, A. de, 476 Halter, H., 244, 4 I4, 420, 476, 494 , 507, 540, 5 4 I , 5 5 4, 60I , 724 Hamann, H.P., 4 I4, 43 2, 4 5 8 Hammer, P.L., I 9 5 , 3 3 5 Hanhart, R., 5 9 2 Hanson, A.T., I I I , 1 1 3 , 2 5 8 , 2 5 9, 29 I, 3 I 0, 3 24, 443 . 445 . 5 5 6, 568, 6 I 6 Hanson, R.P.C., 5 6 8 Hanson, S., I 8 2, I 8 3 , I 84, 2 3 6, 2 8 3 , 292, 3 1 5, 3 3 8, 4 I 4, 4 1 7, 427, 43 I , 4 3 2, 600, 703 Harder, G., 480, 482, 699 Harlé, P.-A., 88, I 3 4, 703 Harless, G.C., I 5 3 , 289, 298, 3 1 2, 3 I7, 3 I 8, 3 24, 3 3 5 . 397, 469, 492, 5 2 3 , Hamack, A . von, 450, 66o 643 , 667 Hamisch, W., 5 5 8 Harris, W.H., I 5 5 , 444 Harrison, P.N., 4 5 Harrisville, R.A., 499 Hartin, P.J., I 8 2 Hartmann, L., 5 9 3 Han'ey, A.E., I ? S , 628 Hasenstab, R., 4 I 8, 4 I 9 Hatch, E., 502 Hatch, W.H.P., I 3 I Hauck, F., 4 2 I , 544 Haug, M., S 4 I Haupt, E . , 7 7 , I 79, I 8 I , I 87, I 9 I , 2 I I , 2I 4, 220, 247, 2 5 3 · 262, 276, 29 I , 309, 3 I9, 3 24, 3 26, 3 2 ?, 3 3 I , 340, 3 5 3 . 3 5 8, 3 62, 3 84, 3 8 5 , 3 9 3 . 40 1 , 408, 420, 426, 430, 4 5 6, 4 5 9. 465, 473, 489, 496, 5 so, 5 5 6, 6 I 8, 623, 6 5 2, 6 5 6, 6 8 I , 688, 693, 697 Hawthorne, G.F., 593 Hay, D.M., 2I7
Hays, R.B., 387 Headlam, A.C., 6o, 62 Heckel, T.K., 3 9 8 Heckel, U . , I 8 5 Hegermann, H., 206, 2 3 6 Heinemann, J., 1 07, I 4 3 , 445 Hendriksen, W., 4 3 , 47, 3 67, 4 27, 5 1 9, 5 50, 568, 5 79, 6 I9, 62 I , 664 Hendrix, H., 96, I47 Hengel, M., 1 8 s , 3 20, 3 89, 429, 5 3 8, 54 I , 579, 583 Henle, F.A. von, 206, 2 S 2, 266, 3 I 3 , 349, 60?, 666, 697 Heriban, J., 3 9 3 Hermans, R . , 229, 230, 23 I Herrmann, P., I 2 I , I 9 5 Hess, K., 3 70 Hester, J.D., I 9 5 Hezser, C., 5 1 9, 646 Hill, D., I ? I , 3 3 6 Hinks, S.W., 5 I S Hitchcock, A.E.N., 229, 230 Hofìus, 0., I 59, 3 I 6, 7 I 6 Hock, R.F. , po Hodge, C., 203 , 3 2 5 , 3 50, 3 9 6, 447, 6 8 I Hoffmann, P . , s 69 Hofmann, J.C.K. von, 3 24, 3 5 1 , 4 s 8, 460, 5 23 , 5 50, 5 S 6, s 8 2 Holtzmann, H.j., s o, 7 9 , 1 1 8, I 6 2, 3 66, 3 9 3 . 4 7 I , 496 Hooker, M.D., I 82, 2 I 2, 3 87, 496 Horn, F.W., I94 Horsley, G.H.R., 1 2 I Horsley, G.R.G., 96, I 22, 1 27, 488, 5 1 3 , 5 4 S . S S 2, 5 S ?, 64 S . 74 I Horst, J., 4 2 I Hort, F.j.A, 493 Hort, F.j.A., 3 5 8, 6 5 3 Houlden, J.L., I 0 5 , I 54, 3 I 5 , 3 2 5 , 3 5 3 , 3 54. 3 96, 398, 402, 430, 50S, 5 1 2, 6 I 9, 703 , 724 Howard, D., 29 Howard, G., 228, 3 87, 469, 470 Hiibner, H., 29, 278, 279 Hugedé, N., I 79, I 8 6, 209, 2 5 2, 3 04, 3 3 2, 3 3 8, 3 8 3 , 399 . 4 I 8, 466, 5 s o, 5 62, 6o8, 6 I 4, 6 2 1 , 674 Humphreys, W.L., 3 79 Hyon Suk Hwang, I 5 3
INDICE DEGLI AUTORI MOD ERNI
Innitzer, T., 1 4 2. Iovino, P . , 1 4 2. Isaacs, M., :z. 5 3 Jackson, F.J.F., 5 8 6 Jacob, E., 673 Jacobus, E.W., 5 68 Jankowski, A., I 90 Jastrow, M., 6 I 6, 6:z.:z. Jayne, D., 1 8 6, 1 90 Jenson, J., 544 Jentsch, W., 637 Jeremias, J., 3 3 8, 4 I O, 4 5 2., 6 I 9 Jervell, J. , :z. 3 6 , 4 76, 4 9 6 Jewett, R . , :Z. Io, 2. 3 6, 2.3 8, 2. 3 9 , 2.42., 2. 5 7, 3 9 8 , 4 80, 500, 622. Johnston, G., 703 Jonas, H., 3 6 I , 5 69, 5 7 I Jones, A.H.M., I 2 I Jones, P., 5 5 , 68 :z. Joiion, P., I 9o, 2. 5 5 , 3 I I , s :z. o, 5 2. 1 , 657, 678 Joumet, C., 6 I 8 Judge, E.A., I :Z. I , 706 Juel, D., 2.89 Kiihler, E., 6oo, 604, 6 I 9 Kallas, J., :z. 5 1 Kamlah, E., 5 4 3 , 5 90, 66o, 667 Kant, 1 ., 37 Karrer, M., I 8 5 , 5 3 0 Kiisemann, E . , 2 9 , 47, I 87, 2.3 6, 2.3 8, 2.39, 2 5 7, 275 . 309, 3 I 6, 4 I 4, 495 Kasser, R., 35 Kaye, B., 6:z.8 Keams, C., 703 Keathley, N.H., I 4 :Z. Keck, L.E., 47, I 87 Kee, H.C., 1 26 Kennedy, G.A., 93 Kenny, A., 6:z., 63 Kerr, A.J., I 94 Kertelge, K., 72., 79, I 7 I , 2.78, 3 0 I , 4 3 2., 4 5 2., 60 1 , 703 Kertler, F.H., I44 Kiley, M., 54, 67 King, A.C., I I I Kirby, J.C., 3 3 , 34, 47, 9 5 , I 07, 1 1 8, I 3 8, I 4 :Z. , I 4 5 · :Z.O I , :z.86, 2.97 . 3 0 1 , 348, 445 · 542., 5 64
77 5
Kirk, J .A., I 34 Kitchen, M., I 8 :z., 3 r:z., 66o, 66:z., 668 Kitzberger, 1 ., 3 3 3 , 4 5 7, 475 Klassen, W., 253, 302. Klauck, H.-J., 4 1 4, 4 I 8, 42.5, 450 Klein, G., 67, 3 3 6, 3 64 Kleinknecht, H., 2. 5 8 Klemm, M . , 302. Klijn, A.J.F., 55, 6:z. I Klinzling, G., :z.8 3 , 3 3 0, 3 4 2. Kloppenberg, J.S., I 2:Z. Klug, E.F., 476, 507 Knoch, 0., 49 Knox, W., :z. 5 :z. , 402., 42.9, 5 66, 5 68, 575, 6 6:z., 6 8 1 Koch, D.-A., I I I , 1 1 2., 440 Koester, H., 2.9, 1 1 9, 2.5 9 Konn, J., u o, :z.63 Koppe, J.B., I 54 Koskenniemi, K., 94 Kosmala, H., 5 34, 544 Kostenberger, A.J., 628, 630 Kotting, R., I 2 I Koulomzine, N., 703 Kriimer, H., I 4 2 Kramer, W., I 8 5 , 2.04, 2 1 6, 5 3 7 Krause, M . , 3 7 7 Krodel, G . , 2 9 Kruse, C . , I 9 6 Kuhn, K.G., 3 7, 59, I 29, 1 4 7 , I 7 5 , 2 I 4 , 3 5 8, 397 . 4 8 6 , 5 29, 5 4 I , 5 5 8, 5 7 1 , 6 I 6, 663, 668, 699 Kiimmel, W.G., 29, I04 Kuss, 0., 267, 3 3 8 La Bonnardière, A.M., 669 La Piana, G., I 2 I Lacey, W.K., 6 3 7 Lafuente, J.P., 66o Lake, K., 5 8 6 Lambrecht, J., 2.27, 3 70 Lampe, G.W.H., 1 9 3 , 3 3 8 Lane, A., 1 8 3 Lang, F., 1 4 2. Langton, E., 2 5 1 , 2 5 :z. Larsson, E., 264, 4:Z. I , 49 I , 494 Lash, C.J.A., 669, 67I Laub, F., 39, 594, 646, 649, 6 5 1 Laubach, F., I 7 2
INDICE DEGLI AUTORI MO DERNI
Lawson, E., I S2 Le Déaut, R., 4 3 9 Lee, E.K., 2S 3 Lee, j.Y., 2.20, 670 Lefkowitz, M.R., 604 Légasse, S., 465 Legido L6pez, M., 244 Leipoldt, j., 604 Leivestad, R., 4 3 2, 442, 66o, 66I Lemmer, H.R., S6, SS, 3 26, 3 27, 344, 3 9 I , 402, 4 I 4, 422, 423 , 42.6, 4 3 2., 445 · 446, 460, 5 24, 5 27, 572, s So, 6S s Levine, E., 675 Lewis, I. M., 5 S I Lewy, H., 5 S I Lietzmann, H., I 2 1 Lieu, j.M., 1 40 Lightfoot, j.B., I 5 6, 23 2, 473 Lillie, W., 7 2.4 Lincoln, A. T., 79, IoS, I09, I I I , I 3 S, I 5 5 , I 5 6, I 5 7 . 209, 244 . 2. 5 I , 2 5 2, 276, 2.7S, 2.S3, 2S6, 2S7, 2.96, 299, 3 0 1 , 3 I4, 3 I 9, 3 23 , 3 5 3 · 3 5 4 · 3 66, 377 . 379, 3 S 5 , 39S, 4 I 6, 43 0, 446, 472, 473 · 493 · 495. 5 2. 1 , 5 2.6, 5 2.7, 5 3 9 · 545, 547, 54S, 5 S 3 , 6o s , 6 1 2, 63o, 634, 64 I , 642., 64 3 , 64 5 , 6 5 2., 665, 674, 6S2. Lindars, B., 2. I7, 3 I 2., 4 I4, 439, 4 S 3 Lindemann, A . , 4 3 , 4 4 , 6 7 , S 6, SS, I O I , I02, I 42, 1 5 5 , 1 77, 1 S 1 , I S 5 , I 9 3 , I 9 5 . I99 . 2 I 9, 220, 226, 227, 229, 2.44 · 250, 2 p , 2 5 5 . 2 5 6, 265, 266, 272, 273 · 274. 2S3, 2SS, 294, 295 . 2.96, 29S, 299, 306, 30S, 3 IO, 3 I4, 3 3 1 . 3 3 S, 3 76, 377. 3 S I , 3 S4, 426, 430, 43 2, 447, 465, 4 S 5 , 4 9 I , 5 2 5 , 5 4 I , 542., s s S, 5 7 I , 5 7 5 . 5 90, 626, 64 I, 66o, 6S6, 694, 704 Lindeskog, G., 3 I 4 Lindhagen, C., 5 22 Ling, T., 2.5 1 Link, H.-G., 61 3 Lips, H. von, 593 Loader, j.A., 2.95 Loader, W.R.G., 2 1 7 Lock, W., 2.64, 3 6S, 4 3 S , 677 Locke, j., 1 77, 276, 444, 6 I 9 Uie, H., I I I
Logan, A.H.B., I04, 63 I Lohfink, G., I49 Lohmeyer, E., 142, 267 Lohse, E., 7 I , I 62, I So, I 9 3 , 2S9, 297, 5 3 7, 542, 5 S7, 5 9 3 , 6 I 3 , 660, 72.4 Lona, H.E., S 6, I 0 5 , I I 9, I 5 6, 1 9 5 , 244, 269, 2S7, 3 4 5 . 34S, 5 2 5 Longenecker, R.N., 6 1 , 724 Lovestamm, E., 6S4 LOwe, H., 2 1 2., 2 S 3 , 703 Liihrmann, D., 3 I 6, 3 6 I , 592, 5 9 3 , 646 Lund, N.W., 6o2 Luz, U., 5 7, 72, 92, 1 06, 1 07, 244, 27S, Lyall, F., I 6 5 , I 9 3 , I 94, 3 30 724 Lyonnet, S., I 4 2, 1 44, 1 9 5, 3 3 S Macarthur, S.D., 2.0S McCarthy, D.j., 292 McCasland, S.V., 249 McDonald, j.I.H., 4 1 3 MacDonald, M.Y., 72, 5 S4, 5 9 3 , 724 McEleney, N.j., 290, 3 I 2. McGlashan, A.R., 229 MacGregor, G.H.C., 2.20, 25 S McHugh, J., I S 2, 1 S 3 Mackay, j.A. , 5 3 5 McKay, K.L., 497 McKelvey, R.j., 3 3 S, 3 4 2 MacMullen, R., 4SS, 5 S 3 McNamara, M., 4 3 9 , 4 4 1 Macpherson, j., 2 6 3 , 266, J I 3 , 3 24, 3 60, 3 9 2, 4 27, 466, 4S9, 50 5 , 5 1 2, 5 4 5 · 590, 6 1 6 MacRae, G.W., 3 79, 5 69 McRay, j.R., 4 5 6, 462 Maillet, H., 5 S S, 6o i Malevez, L., 703 Malherbe, A.j., 94, 593 Malina, B., 544 Mann, U., 5 9 2 Mare, W.H., 3 60 Mariani, B., I 29 Marrou, H.I., 6 3 7 Marrow, S.B., 3 S 6 Marshall, I.H., 3 1 6, 3 4 2., 703 Marshall, L.H., 72.4 Martin, F., 4 1 7 Martin, R.P., 2.9, 47, 5 5 , 77, 1 0 5 , 1 3 4, I 62, I 79 . 1 9 3 . 2S3, 297 . 29S, 299 . 3 00, 305, 3 I 6, 4 I 0, 5 S 3 , 592, 6S6
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Martyn, J.L., 47, 1 S7 Marxsen, W., 29 Masson, C., 1 79, 1 90, 1 9 5 , 228, 2 5 3 , 2 5 6, 2S 1 , 290, 3 04, 3 1 0, 3 1 3 , 3 24, 3 3 1 , 3 3 S, 3 5 3 . 407, 4 3 6, 4 5 S, s oo, 5 1 9. 5 50, 625, 639, 6 5 6, 666, 667 Mattila, S.L., 5 1 Maurer, C., 1 42, 1 50, 1 96, 1 97 Meade, D.G., 3 9 Mealand, D.L., 6 3 Meeks, W.A., 23 6, 497, 594, 601 Mehl, U., 3 14, 504 Mehlmann, J., 2 5 S, 3 7 5 Mendenhall, G.E., 29 2 Merk, 0., 5 9 2 Merkel, H . , 2 9 , I O I , 1 1 1 , 1 1 9, 2 9 S , 3 2 5\_ Merklein, H., s S, 72, 79. 1 07, 1 3 4, 1 3 5 , I49, 229, 2 3 6, 2S3, 2 S 5 , 29 1 , 29S, 3 0 1 , 304, 3 07, 3 IO, 3 26, 3 29, 3 3 0, 3 3 I , 3 3 6, 3 3 7 . 3 3 S, 3 4 5 . 347 . 3 5 3 . 3 5 6, 3 5 S, 3 5 9. 3 62, 3 67, 3 7 1 , 4 3 2, 43 5 . 4 3 6, 44 5 . 44S, 4 50, 4 5 1 , 466, 467, 470, 476, 477, 593, 6o i , 650, 724 Metzger, B.M., 3 9, 1 94, 204, 3 1 5, 3 7 5 , 3 76, 377 . 4o s , s i S, s 3 7 · 5 74. 5 8 2 Meuzelaar, J.J., I 7 3 , 229, 2 3 6, 290, 29 5 , 3 3 1 , 4 3 2, 447> 4 6 1 , 601 Meyer, H.A.W., 1 54, 1 9 1 , 2 5 2, 264, 3 1 3 , 3 2 5 , 4 3 S , 4 s s, 54 5 . 5 s6, 62I Meyer, R., 257, 290 Meyer, R.P., 229, 4 3 2, 469, 720 Michaelis, W., 249, 5 3 3 , 5 3 4, 670, 6So Michaelson, S., 62 Miche!, 0., r So, r S r , 3 3 2, 3 3 3 , 3 54, 460, Michl, J., 220, 396 592 Miletic, S.F., 227, 240, 6o r , 6o6, 6oS, 6 I o, 6 1 1 , 6 I 2, 63 1 Milis, W.E., 5 S I Minear, P.S., 3 S 2, 5 1 3 , 703 Mitton, C.L., 43, 46, 47, 4S, s o, 5 1 , 5 2, 5 5 , I O I , 1 70, 1 7 5 , I SO, 203, l. I I , 2 1 6, 2 5 6, 29 5 , 3 1 1 , 3 I 7, 340, 3 5 3 , 3 5 7, 3 6 3 , 377 . 3 9 I , 396, 4 I 5 , 44:2., 467, 4 7 I , 4S4, 496, 5 I 2, 6 I 7 Moffatt, J., 29, 47, 4 S , s S, 6o, I o 5 , 6 Io, Moir, LA., I 3 I 700 Mollat, D., I 9 3 , 6 1 5 Moloney, F.J., 226
777
Moltagen, J., 4 I S Montagnini, F., 72, I p , 507, 5 3 :2., 5 3 3 Montague, G.T., I 99, 3 9 I Montgomery-Hitchcock, F.R., 2:2.9 Mooney, C.F., 703 Moore, G.F., 24S, 43 9, 444, 640 Moore, M.S., :2.9S Moore, W.E., 4 :2.S Morgenthaler, R., 5 S Moritz, T., I I I , 440 Morrice, W.G., 6 3 3 Morris, L., S 4 , I 7 I , 2 5 S Morris, W.D., 5 :2.1 Morrison, C.D., 220 Morton, A.Q., 62, 1 1 9 Mosbech, H., 1 34 Motyer, S., 593 Moule, C.F.D., S3, I 5 :2., I 67, I So, I 96, 206, 229, :2.30, 23 I, :2. 5 3 , :2.60, 26 1 , 262, 266, 277, 2So, :2.9:2., 297, 340, 3 5 1 , 3 6 1 , 3 7 1 , 3 9 5 , 400, 40S, 42:2., 4S4, 494 . 49S, SO I , 503, s s o, 569, 5 76, s So, 5 S7, 604, 6os , 6:2.6, 633, 6 5 3 , 666, 67S, 6So, 6S3, 6S4, 695, 703 Moulton, J.H., 400 Moulton, J.H. - Howard, W.F. (MH), 1 5 :2., 207, 2 5 3 , 290, 377 . 49S, s s o, 5 59. 5 70, 576 Moulton, J.H. - Howard, W.F. - Turner, N. (MHT), I 3 7 · I 5 3 , I 67, 1 74 . I S9, :2.07, uo, 23o, :2. 5 3 , :2.5 s, :2.62, 265, 279, l.So, 2SS, :2.90, :2.9:2., 304, 340, 3 6 1 , 3 7 1 , 3 7 3 . 3 74. 3 9 S , 400, 405, 40S, 4:2.:2., 44:2., 449 . 460, 479 . 4 8 1 , 4 84, 4S6, 493 . 494 . 5 0 1 , 5 2.:2. , 5 3 6, 546, s s o, s 5 2, 5 5 6, 566, 5 So, 5 S 2, 6o4, 6 I o, 6:2.3, 6:2.9, 630, 63 :2., 6 3 3 , 64 I , 64 5 , 6 5 4, 666, 66S, 6So, 6 S 3 , 684, 693 , 695 Moulton, J.H. - Milligan, G. (MM), I 94, 20 5 , :2.72, 3 5 7. 3 5 8, 474, 624, 654 Moulton, J.H. - Turner, N. (Moulton-Turner), 5 8 , 400, 4 2:2. Muirhead, LA., 6 I 9 Mulder, M.J., 4 3 9, 445 Miiller, K., 593, 6or , 724 Miiller, P.-G., 7:2., 476, 650 Miiller, U.B., 3 3 6 Mullins, T.Y., qo, 590, 697
INDICE DEGLI AUTORI MOD ERNI
Munro, W., u 8, 5 9 5 , 596 Murphy, R.E., 3 8o Murphy-O' Connor, J., 3 5 , 1 29, 503, 5 6 1 Murray, J.O.F., 47, 3 24, 5 10, 5 28, 5 50, 610, 6 1 1 , 663 Mussner, F., 79, 1 29, 147, 1 5 5 , 1 5 8, 2 1 8, 220, 229, 236, 244 · 2 5 2, 268, 2 8 3 , 29 1 , 2 9 8 , 3 1 3 , 3 1 5 , 3 1 8, 3 1 9 , 3 2 1 , 3 24, 3 26, 3 3 1 , 3 3 8, 3 4 3 , 3 5 5 , 3 6 1 , 3 67, 3 77, 3 8 3 , 3 9 1 , 404, 4 3 2, 43 5 , 462, 5 1 7, 6oo, 6o6, 609, 6 1 4, 624, 6J4, 704 Nauck, W., 3 29 Nélis, J., 248 Nestle, E., 439 Neugebauer, F., 1 9 6, 197 Neuhausler, E., 6oo Neumann, K.J., 63 New, S., 586 Newton, M., 1 62 Nickelsburg, G.W.E., 24 8 Nida, J.A., 269, 3 59, 3 86, 5 66, 6o8 Niebuhr, R.R., 695 Niederwimmer, K., 601 , 6o7, 634 Nielson, C.M., 4 5 Nilsson, M.P., 1 5 5 , 250, 637 Nineham, D.E., 3 5 Noack, B., 568, 5 7 1 Nock, A.D., 1 22, 2 50, 609 Norden, E., q6, 250 Noyen, C., 209, 2 1 0, 461 O'Brien, P.T., 1 4 2, 1 46, 1 50, 1 62, x 8o, 1 9 3 , 1 99, 220, 297, 542, 5 8 7 Oche!, W., s o, u 8, 1 42, 148, 1 99, 2 1 4 Odeberg, H . , 1 5 5, 1 5 6 Oepke, A., 5 69, 6 1 6, 663, 668, 675, 676, O'Hagan, A.P., 601 678, 68o Olbricht, T.H., 93, 97 Ollrog, W.-H., 68 Orbe, A., 3 6 x Oster, R.E., 1 20, 1 22 Overfìeld, P.D., 1 8 5 , 1 99, 2 1 5 , 229, 2 3 3 , 2J 5, 3 9 1 , 43 2 Pfitzner, V.C., 572, 66o, 662, 669 Pagels, E.H., 3 5 7, 604, 63 1 Paige, T., 236 Patzia, A.G., 39
Pax, E., 304 Pedersen, M.B., 3 6, 1 8 8 Pella, G., 601 Penna, R., 48, 1 09, 1 70, 1 7 5 , 200, 228, 246, 283, 302, 3 1 8, 3 1 9 , 3 3 0, 3 68, 407, 4 26, 5 8 6, 6o3 , 686, 722 Peradotto, J., 604 Percy, E., 3 5, 48, 49, s o, 5 8, 6o, 72, 77, 1 5 5 , x s 8, 1 5 9 . 1 67, 1 69, 1 74 . 1 89, 1 96, 202, 209, 2 1 3 , 2 1 4, 23 5, 2 3 6, 2 8 3 , 288, 289, 3 I I , J 1 8, 3 3 8, 340, 3 5 2, 3 5 3 . 3 5 7. 3 80, 3 87, 3 9 1 , 3 9 5. 404, 4 1 2, 4 1 9, 4 5 8, 462, 47 1 , 478, 4 8 1 , 483, 500, 5 20, 5 74, 65o, 669, Perdue, L.G., 4 1 8 694 Perels, 0., 703 Peri, 1., 460 Perrin, N., 5 3 7 Perrot, C., 287 Peters, A., 1 06, 3 79 Peters, E., 54 3 Peterson, E., 3 7 5 , 4 3 1 Petzer, J.P., 1 82 Pfammatter, J., 3 3 1 , 3 3 3 , 3 34, 3 3 5 , 3 3 8 Pfleiderer, 0., 79 Pierron, J., 66o Plessis, I.J. du, 1 42, 1 8 2, 228, 229, 2 3 6, 238 Plessis, P.C. du, 462 Pohlenz, M., 546, 649 Pohlmann, W., 57, 244, 4 29, 5 4 3 , 63 8 Pokorny, P., 1 0 3 , 1 89, 1 9 3 , 2 1 0, 2 1 1 , 2 1 3 , 228, 23 6, 23 8, 273 . 297 . 299 . 306, 3 1 1 , 3 27, 3 5 6, 407, 4 9 5 , 5 26, 5 7 1 , 5 8 1 , 5 8 7, 59 3 , 634, 6 8 2, 700, 7 1 8 Poland, F., 1 2 1 Polhill, J.B., 3 5, s o, 103 Pomeroy, S., 599, 6o 1 , 604 Pope, R.M., 1 5 5 , 576 Popkes, W., 537 Porter, C.H., 4 3 2, 444 Porter, S.E., 93, 97, 262, 3 1 6, 422, 4 8 1 , 497. 5 1 5 · s s o, 623 Potterie, I. de la, 229, 230, 23 1 , 23 2, 492 Prete, B., 700, 704 Preuschen, E., 3 67 Prumm, K., 1 7 5 Quell, G . , 1 5 9, 292, 6 1 3
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Rad, G. von, I 5 5 , 206, 302, 3 79, 446, Rader, W., 2 8 3 , 298, 3 I 2 673 Raisiinen, H., 484 Ramaroson, L., I 99, 2 I 7, 244, 262, 272, Ramsay, A.M., 206 283 Rawlinson, A.E.J., 609 Redalié, Y., 728 Redpath, H.A., 502 Reicke, B., 77, 2 I 9, 305, 6 I 8 Reid, J.T., 97 Reitzenstein, R., 250, 268, 273, 3 9 8 Renard, J ., 3 3 3 Rendtorff, H., I 46, 3 24 Rengstorf, K.H., 5 9 2, 5 9 3 Repo, E., 249 Resch, A., 5 1 4, 5 24 Rese, M., 29 I , 3 I 9 Reumann, J., 29, I SO, 244 · 3 54 · 502, s 6o Reuss, J., 2 3 6 Reynier, C . , I 7 5 , 34 5 , 3 47, 3 4 8, 3 5 2, 3 64, 3 67, 3 80, 704 Richards, E.R., 6 I Richards, G.C., 6 I 7 Richardson, P., 2 8 3 , 292, 308, 3 I 9 , 3 3 9, Ridderbos, H., 79, 703 340 Rienecker, F., I 3 5 , 398, 400, p o, 547, Rigaux, B., I 7 5 682 Rist, M., 3 9 Robbins, C.J., I 4 7 Roberts, C . , I 2 2 Roberts, J.H., 3 5 , 3 8, 226, 23 6, 2 8 3 , 3 23 , 3 3 3 · 3 3 6, 3 3 8, 4 3 2, 4 4 8 , 472, 478, 576, 5 89, 602 Robertson, A.T., 1 5 3 , I 62, I 7 3 , 206, 207, 279 . 280, 289, 292, 3 3 4. 340, 3 5 I , 3 8 8, 3 89, 3 9 s . 3 9 8 , 405, 408, 4 I 9, 442, 449 . 460, 469, 478, 490, 494. 497 . 498, 5 I 5 , 546, s s o, S S I , 5 5 2, 5 5 9, 570, 5 80, 5 8 2, 604, 6o s , 6 1 1 , 623, 626, 629, 630, 63 2, 6 3 3 , 64 I , 642, 668, 6 8 I , 684, 695 Robinson, A.W., 3 I 6, 6oi Robinson, D.W.B., 2 I 2 Robinson, H .W., I 7 2 Robinson, J.A., I78, 1 89, 209, 226, 229, 234• 290, 293, 305, 3 IO, 3 I I , 3 26, 3 5 3 , 3 84, 3 8 8, 400, 430, 443, 473, 483, 5 2 2, 5 7o, s 76, 6o8, 6 s 4, 699 Robinson, J.A.T., 29, 428
779
Robinson, J.M., I 44, 3 I 6, 58 3 Rodgers, P.R., 624 Roels, E.D., 3 2, I42, I 6 I , I 8 2, I 8 5 , I 96, 2 I 4, 229, 230, 23 2, 2 3 5 , 283 , 290, 3 1 4, 3 3 I , 3 8 2, 3 9 I , 4 I 4, 4 I7, 43 2, 446, 448, 464, 472, 476, 494 . s o s , 5 4 I , 5 6 2, s 68, 6oo, 66o, 677. 703 , Roetzel, C., 292, 3 1 2 720 Rogers, C.L., 5 79 Roller, 0., I 3 3 , I 3 7 Roloff, ]., 4 8 8 , 704 Romaniuk, K., 1 42, 1 67, 262, 405, 485, 5 3 I , 5 3 6, 5 3 7, 5 3 8, 6 5 � 663, 669 Rossell, W.H., I 6 5 Rostovtzeff, M., 3 3 0 Rowley, H.H., I 5 9 , 4 I 9 Rowston, D.J., 5 5 Rubinkiewicz, R., 440 Russell, D.S., 673 Sabourin, L., I 9 5 Safrai, S . , no, 3 1 1 , 6 3 8 Sahlin, H . , 283, 297 Salmond, S.D.F., I 59, I 84, 264, 280, 304, 309, 3 I 3 , 3 2 5 , 3 26, J S I, 420, 427, 442, 4 5 5 · 469, 495 . p 6, 5 26, 5 3 5 . 607, 6 I 5 , 6 I 7, 6 I 8, 624, 666, 685 Salom, A.P., 422 Sampley, j.P., 29, s o8, 589, 592, 6o 1 , 6 1 6, 6 1 8, 6 1 9, 620, 622, 627, 628, 633 · Sanchez Bosch, ]., 277 634 Sand, A., 257 Sanday, W., 6o, 62 Sanders, ].N., 3 5 Sanders, J.T., I I 1 , 1 4 2, 148, 20 1 , 298, 299 . 724 Sass, G., 29 1 , 293 Sasse, H., 250 Schafer, K., 695 Schafer, K.T., 3 3 8 Schafer, P., 220 Scharlemann, M.H., 220, 283 Schattenham, J., 142 Schelkle, K.H., 49, 3 3 8 Schenk, W., 1 4 6 Schenke, H.-M., 2 9 , 6 7 , 7 2 , 23 8, 2 9 8 , 443 Schenke, L., 53 7 Schille, G., 1 1 I , 1 1 6, 1 4 2, I 6o, I 9 I , 20 I , 244, 260, 298, 299
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Schlatter, A., 44 8, 67I Schlier, H., 9 S, I 34, I 50, I S 3 , I 54, l S S , r s 6, 1 67, 1 69, 1 79 . I 8o, r 8 r , 1 8 2, 1 94 . I 9 S . 20S, 208, 209, 2 1 1 , 2 1 4, 220, 228, 23 2, 23 6, 2 3 8 , 248, 2 S I , 2S 2, 2S S · 2 6 1 , 268, 273 · 29 1 , 298, 299, 304, 306, 307, J IO, 3 1 4, 3 2 S , 3 26, 3 27, 3 3 2, 3 3 3 . 3 4 1 , 3 5 3 · 3 s 8, 3 63, 3 67, 3 77. 3 78, 3 79 . 3 80, 3 8 3 , 3 84, 3 8 s , 3 8 6, 3 8 8, 3 9 8 , 402, 404, 4 1 8, 423, 427, 430, 43 2, 4 3 S . 444. 447 . 462, 46 s, 469, 472, 4 8 3 , 49S . S 26, 5 64, S 7 I , 5 8 3 , 5 84, 5 9 1 , 6o9, 6r4, 6 I 5, 623, 634, 63 5, 64 s, 662, 666, 673 . 674. 684, 688, 694. 699. 703 , 7 1 6 Schlink, E., ro6, 3 79 Schmahl, G., 270 Schmid, j., 43, 44, 47, 4S, 50, 5 S , I I I , 1 3 3 , 1 3 S, 1 96, 229, 467, 6 1 4, 6 1 8, 669, 670 Schmidt, K.L., 1 64, 267, 290, 29 1 , 3 30, 4I9 Schmidt, M.A., 3 3 0 Schmidt, P., 5 4 1 Schmithals, W., 104, 1 34, 227, 3 20, 704 Schmitz, C.A., 2 I 9 Schnackenburg, R., 1 0 5 , r o S , I 3 4• I 42, 1 6 5 , I 79, I S I , 1 S 2, 1 S 3 , 1 S9, 1 9 5 , 209, 230, 23 2, 244, 2 S I , 2 5 2, 2 5 S • 267, 273 . 2 S 3 , 29 1 , 293 . 29S, 3 07, 3 IO, 3 1 4, 3 1 9, 3 20, 3 25, 3 26, 3 27, 3 3 2, n s. 343, 3 44, 3 5 3 , 3 64, 3 77, 3 79, 3 s s, 396, 403, 404, 4 1 4, 423, 425, 430, 4 3 2, 449, 4 5 2, 454, 4 5 5 , 4 5 6, 466, 493 . 495 . soS, 5 26, 547 · s s 6, 56S, 5 7 I , 572, 57S, 6 1 5 , 63 2, 642, 645, 6s S, 673, 674, 6So, 69o, 703 , 704, 707, 7 I 6, 724 Schneider, j., 609 Schneider, T., 3 3 3 Schnelle, U., 29, 67 Schnider, F., I 3 3 , 3 3 3 , 69 1 , 695 Schoenberg, M.W., I 6 S Schoeps, H.J., s 3 3 Schonweiss, H., 6S3 Schrage, W., 420, 5 9 2, 613, 724 Schrenk, G., I 67, 3 9 5 Schroeder, D., 5 9 2, 593
Schroger, F., 704 Schubert, P., 1 4 6, I 99 Schultz, N., 194 Schulz, A., 5 3 3 , 5 3 6 Schulz, S., 4 2 1 , 544, 724, 73 2 Schunack, G., 24 S Schiirer, E., 1 20, 3 9 3 , 43 9 Schiirmann, H., 4 3 2, 4 5 1 , 6o r Schiissler Fiorenza, E., 3 42, 4S4, 6o r , 604, 6I I Schiitz, J .H., I 3 4 Schweitzer, W., 2 S 3 , 3 1 9 Schweizer, E., 1 So, I 9 3 , 23 6, 2 5 3 , 2 5 7, 267, 297 . 5 00, 5 4 3 . 5 S 7 . 5 9 2, 622, 703 Scott, C.A., 492 Scott, E.F., 1 00, 1 5 6, 1 90, 205, 220, 3 1 9, 3 27, 3 3 6, 3 5 3 , 3 S 3 , 3 S4, 5 0 5 , 5 S9, Scott, j.M., 1 6 5 674 Scott, R., 29, 5 5 , 2 S 1 Scroggs, R . , 496, 604 Seebass, H., 2 1 2 Seesemann, H., 3 So Segovia, F.F., 5 0 1 , 5 3 4 Seim, T.K., 60 1 Sellin, G., 1 94, I 96, 206, 3 I I , 3 S4, 4 I S, 463, 473 . 5 23 Selwyn, E.G., 4S, 49, 3 29, 4 I 3 , 4 22, 443, 495, p o, 5 9 2 Senior, D., 720 Sevenster, j.N., 294, 3 1 9 Shaw, R.D., 29 Siber, P., 263, 267, 26S, 5 6 S Sigal, P . , 3 I 9 Simpson, E.K., I 66, 2 5 6, 466, 5 3 S, 6 r 6 Simpson, R. L., 4 3 2 Sint, j.A., 3 9 Siotis, M.A., 2 7 4 Sjoberg, E., 3 1 4 Skeat, T.C., 1 22 Skrzypezak, 0., 62S Smalley, S.S., 4 I 4 Smallwood, E .M . , 294, 3 I I Smend, R., 5 9 2 Smith, C .R . , I 5 9 Smith, D.C., I o2, 2 S 3 , 29 5 , 297, 3 4 1 , 34 2 Smith, M., 629 Soden, H. von, 272, 29 1 , 309, 3 1 S, 3 1 9, 3 3 1 , 5 3 7· s S 2, 626, 670 Soiron, T., 4 I 4
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Sorg, T., 2 1 0 Speyer, W., 3 9 Spicq , C . , 4 9 , 1 67, 1 80, 2 5 6, 29 1 , 3 30, 3 9 1 , 406, 467, 486, 498, 502, 5 2 5 , 5 3 0, 5 60, 579, 60 1 , 604, 6 1 3 , 623, 6 5 2, 654, 683 Stacey, W.D., 2 1 0, 239, 242, 398, 480, 500, 622 Stackowiak, L.R., 54 1 Staerck, W., r 8 2 Stagg, F., 497, 5 9 2 Stahlin, G . , 3 3 0 Standhartinger, A . , 604 Stanley, D.M., 5 3 3 , 5 69 Stauffer, E., 293, 299, 6 1 3 Stead, G.C., 3 79 Stegemann, E., 494 Steinmetz, F.J., 86, 1 84, 208, 220, 250, 2 8 3 , 294, 3 6 1 , 3 6 2, 3 77, 3 84, 469, 5 5 2, 60 1 , 704 Stendahl, K., 254, 604 Stenger, W., 72, 1 3 3 , 3 3 3 , 476, 6 50, 69 1 , 695 Stem, M., 1 20, 3 I I , 6 3 8 Stewart, Z., 1 22, 250 Stober, R., 1 9 5 Storr, G.C., 4 3 8 Stott, J.R.W., 220, 224, 3 3 3 , 3 7 3 , 495, 5 2 5 , 543 . 577. 647 Stowers, S.K., 93 Strack, H.L. - Billerbeck, P. (SB), 1 6 1 , 1 9 3 , 2 1 7, 242, 2 5 2, 2 8 1 , 303, 307, 3 9 3 , 3 96, 4 3 9, 446, 467, 5 1 8, 5 3 4, 6 1 8, 642, 643, 648, 6?0, 679, 7 I 6, 7 I 7 Strathmann, H., 29 1 , 478 Strecker, G., 93, 593, 724 Strobel, A., 594 Stuhlmacher, P., 57, 244, 283, 287, 298, 5 4 3 , 646 Stuhlmueller, C., 720 Stuiber, A., 407 Stummer, R., 290 Suggs, M.J., 5 74 Sullivan, J.P., 604 Sullivan, K., 34 5, 3 84 Suski, A., 6 1 4 Sutherland, D.D., 3 20, 3 22 Swete, H.B., 8 8 Synge, F.C., 230 Sysling, H., 4 3 9, 445
Tachau, P., 250, 288, 294, 5 58 Talbert, C.H., 2 3 8 Tannehill, R.C., 267, 268 Taylor, R.A., 4 3 8 Taylor, V . , 8 4 , 1 7 2, 3 r 6 Tcherikover, V., 3 I I Tenney, M.C., 61 Testa, E., 1 29, 298, 299 Thackeray, H.St.J., 4 3 8 Theissen, G . , 3 20 Theobald, M., 601 , 636 Theron, P.F., 4 3 2, 444 Thiselton, A.C., 5 6 1 Thomas, J., 5 4 3 Thomas, R .E., 3 7 5 Thompson, G.H.P., 3 8 9 Thomson, I.H., 2 8 6 Thomson, J.G.S.S., 4 5 2 Thornton, L.S., 6oo, 6o8, 703 Thraede, K., 94, 593 Thrall, M.E., 3 30, 3 5 1 , 490, 63 2, 666 Thrower, J., 293 Tod, N.M., 1 2 1 Tooley, W., r 8o Towner, W.S., 1 45 Traub, H., 1 5 5 , 446 Travis, A.E., 66o Trebilco, P., 3 6, 439, 6os Treggiari, S., 646, 6 5 5 Trevijano Etcheverria, R., 1 4 2 Trilling, W., 39 Trobisch, D., 1 3 8 Troger, K.-W., 298 Tromp, S., 470 Tumer, D.L., 2 5 8 Tumer, M . , 1 83 , 3 8 3 Urbach, E.E., 646 Urban, A., 53 8 Usami, K., 3 1 , 1 4 2, 1 8 2, r 8 6, r 8 8, 1 96, 1 99, 2 I I , 240, 249, 283, 295, 348, 3 9 1 , 404, 476 Van der Bergh, P., 3 1 6 Van der Horst, P.W., 1 20, 1 2 1 , 444, 494, 495, 548 Van Engen, C., 704 Van Leuwen, W.S., 302 Van Rheenen, G., 220
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Van Roon, A., 3 5, 3 8, 43, s o, 5 5 , 58, 6o, 1 3 8 , I 47, I 5 5 , 230, 2 3 3 , 23 6, 240, 283, 3 24, 3 3 2, 3 5 3 . 3 5 4 . 3 6 3 , 3 80, 404, 428, 448, 469, 486, 494· 498, s 68, 573 . 6 I 6 Va n Severus, E., 3 9 3 Van Unnik, W.C., 295, 3 86, 6 2. 1 , 686 Vanhoye, A., 4 8, 277, 3 1 9 Vaux, R. de, 646, 648 Vennaseren, M.J., 267 Vennes, G., 1 70, 297 Vemer, D.C., 593 , 594, 597, 646 Vielhauer, P., 29, 3 3 1 , 3 3 3 , 3 3 8, 43 2 Villegas, B., I 42 Vleugels, G.A.M., 3 5 Vogt, J., 646, 6 5 8 Vogtle, A., 543 Vosté, J.-M., 3 26 Vriezen, T.C., I 59 Wagner, G., 267, 268 Wall, R. W., 6oi Wallace, D.B., 5 I 5 Wanke, J., 4 5 2, 703 Ward, J.M., 3 79 Wamach, V., 9 I , 1 07, 228, 309, 3 I 5, 4 3 2, 624, 703, 7 I 6 Waszink, J.H., I 2 I , I 7 2 Wedderbum, A.J.M., 7 9 , I04, I 96, 2 3 6, 244, 263 , 267, 269, S68, 5 7 I , 63 I Wegenast, K., I I I , 489, 490 Weidinger, K., 547, 5 92, 5 9 3 Weinrich, W.C., 283 Weiser, A., 593 Weiss, B., 79 Weiss, J., Ioo Weiss, J.G., 646 Weiss, K., 5 30 Weissemann, H., I 7 2 Welles, C.B., I 3 I Wendland, H.D., 5 9 2 Wengst, K . , 247, 298, 299, 302, 4 I 5 , 4 I 6, 420, 429, 5 3 7. 5 3 8 Wenschkewitz, H., 342 Wessels, F., 6oi Westcott, B.F., 43, I S J , I 89, 2. 1 5 , 3 2 5 ,
3 5 8, 3 72, 4 8 I , 493, 5 4 5 , 5 50, 5 6 I , 6 5 3 > 677, 68 s , 69 5 Westermann, W.L., 646, 648, 649 Whitaker, G.H., 3 4 I , 472 White, J.L., 94. I 3 3 , I 3 8, 69 I , 696 White, R.F., 3 3 5 Whiteley, D.E.H., I 59, 3 I 6, 669 Whittaker, M., 3 1 1 Wibbing, S., 5 4 3 Wickes, K. O'B., 6oi Wiedemann, T., 646 Wiegand, T., 308 Wikenhauser, A., 703 Wilckens, U., 275, 3 79 Wild, R.A., 222, 5 0 I , 502, 5 3 4, 66o, 686, 687 Wiles, G.P., 200, 392 Wilhelmi, G., 298, 299 Wilken, R. L., 3 So Wilkins, M.J., 236 Williams, S.K., 3 89, 5 3 8 Wilson, R . MeL., I 24, 3 77, 543 , 5 9 2 Wilson, R.A., I 86, I 9o, I 9 I Wilson, S.G., I 22, 1 8 2, 2 I 2, 3 I 9 Wink, W., 220, 222, 2 50, 2 5 1 , 3 79, 3 8 2 Wissmann, H., 290 Witherington, B., 5 9 3 , 604, 6 I 3 Wohlenberg, G., 489 Wolter, M., 283 Woschitz, K.M., 1 90, 2 1 1 , 293, 294, 426 Yarbrough, O.L., 604 Yates, R., 220, 229, 2 3 5 Yorke, G.L.O.R., 704, 7 1 2, 7 I 3 Zahn, T., 29, 4 3 Zeitlin, S., 646 Zepf, M., 250 Zerwick, M., 202, 265, 280, 283, 3 I 9, 3 40, 3 9 8 , 490, 492, 498, 5 1 9, 5 22, 5 27, 5 50, 5 5 2, 6 I 4, 630, 676, 684 Ziesler, J.A., 502, 5 6o Zimmermann, A.F ., 4 5 I Zmijewski, J ., 3 9 Zuntz, G., I 3 I , I 3 7, 3 54, 402, 5 8 2, 629, 665, 686