Leopardi e «le ragioni della verità». Scienze e filosofia della natura negli scritti leopardiani
 8843028189, 9788843028184

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STUDI STORICI CAROCCI

/ 47

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Gaspare Polizzi

Leopardi e «le ragioni della verità» Scienze e filosofia della natura negli scritti leopardiani Prefazione di Remo Bodei

Carocci editore

edizione, novembre 2003 © copyright 1003 by Carocci editore S.p.A., Roma 18

Finito di stampare nel novembre 2003 dalle Arti Grafiche Editoriali srl, Urbino ISBN 88-430-:lliiB-9

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge :1:1 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vieta to riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione

IX

di Remo Bodei Premessa

1

Avvertenza

5

Parte prima Leopardi e le scienze naturali. Filosofia della natura e complessità

l.

Le scienze naturali negli scritti giovanili

9

1. 1 . 1.2.

Le Disserta:donifilosofiche La Storia della Astronomia e il Saggio sopra gli erroripopolari degli antichi

9

2.

Scienze naturali e concezione della natura nello

2. 1 . 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8.

17

Zibaldone

La ragione scientifica e f.ùosofica moderna e l'«ultraf.ùosofia>> La lingua scientifica e filosofica: 'termini' al posto di 'parole' Logica e conoscenza Matematica 'astratta' e matematica 'sublime' Echi dalle scienze fisiche 2.5.1. Ast:J:onomia l 2.5.2. Fisica l 2.5.3. Chimica Anima, corpo e biologia Macchine e paragoni scientifici Sviluppo della scienza, errore e facoltà naturali

63 63 69 72 73 77 80 82 84

VIII

2.9. 2.10.

3.

LEOPARDI E «LE RAGIONI DEllA VERITÀ»

'Scienza negata' e varietà perfetta della natura Relativismo e contingenza nel sistema materialistico della natura

88

Echi della concezione leopardiana delle scienze naturali nei Canti e nelle

Operette morali

31 3.2.

Le Operette morali e la scienza I Canti e la scienza

4.

La scienza nei

.

87

110 110 1 20

Paralipomeni

140

Parte seconda Filosofia delle circostanze e immagini della scienza nello

1.

Zibaldone

Circostanze e congiunture della formazione leopardiana: la Biblioteca e le opere filosofiche francesi

3.

Andatura circostanziale dello

161

Zibaldone:

aspetti strutturali

185

3.

Circostanze amichevoli: gli amici scienziati

203

4.

Conoscenza delle circostanze: la scienza e la natura

225

Indice dei nomi

281

Prefazione

1 . Sin dai prinù scritti dell'adolescenza, Leopardi ha tendenzialmente consi­ derato le vicende wnane su scala cosmica, come se le osservasse da distanze siderali. La storia wnana gli appare così incastonata all'interno di quella dell'intera natura. Solo l'abitudine ci impedisce di cogliere appieno il senso e le conseguenze di un simile sguardo. Tranne che in grandi eccezioni (ad e­ sempio, in Lucrezio o, a modo suo, in Dante), i poeti hanno soprattutto in­ quadrato il rapporto tra l'individuo e la società, lasciando, sfuocati, margina­ li o in funzione puramente decorativa, il mondo di mondi che ci circonda: la luna, i pianeti, le stelle. Certo, la natura immediatamente percepita, i pae­ saggi ameni, i cieli tenebrosi, le montagne che si ergono imponenti costitui­ scono una componente essenziale della poesia e della letteratura in genere, in chiave lirica, epica o sublime. Eppure, raramente avviene che la rappresentazione artistica della natura - dalla Terra come pianeta che si è formato attraverso cataclismi, degli astri che punteggiano il cielo o delle nebulose che si estendono per l'universo sia sorretta da una cultura scientifica così articolata come quella di Leopardi. Ha dello straordinario la sua precoce capacità di unire l'erudizione alla scienza, la dimensione wnanistica a quella dello studioso di filosofia natura­ le, nella Storia della Astronomia dalla sua origine fino all'anno MDCCCXJ (del 1 81 3, ma la prima stesura è del 1 8 1 1) e nella Dissertarjone sopra l'origine e i primi progressi dell'Astronomia (del 1 81 4) . L"enciclopedissimo' giovane ha co­ gnizioni ampie dell'astronomia, che vanno da Tolomeo a Copernico e da Galilei a Newton (il «genio più sublime che sia giammai comparso sulla ter­ ra>>) . Temperando l'esplicita adesione alla razionalità con qualche riser�ra dovuta alla sua formazione cattolica, ancora operante, Leopardi accetta le teorie esposte nei Principia mathematica di Newton, apprese anche grazie al commento di Francisque Jacquier. Tuttavia, come nota acutamente Gaspare Polizzi, queste nozioni relativamente vaste di astronomia non son sorrette

x

LEOPARDI E «LE RAGIONI DELLA VERITÀ»

da un'adeguata conoscenza della matematica e, in particolare, del calcolo infinitesimale, che lo taglia fuori dalla sistematizzazione della disciplina condotta da Laplace. L'astronomia resta, comunque, l'ambito scientifico più familiare a Leo­ pardi, sebbene suggestioni nate dai Yari saperi scientifici si ritroYino, oltre che nello Zibaldone e nelle Operette morali, nei Canti (soprattutto nel Canto not­ turno di un pastore errante dell'Asia, cui Polizzi dedica una lucida analisi), nei Paralipomeni e nella Batracomiomachia. Nello Zibaldone campeggiano così le fi­ gure di Copernico e di Fontenelle, in una prospettiya non immemore del Pascal dei Pensieri sulla miseria della condiifone dell'uomo, posto in un buio 'car­ cere' e nella 'sentina' periferica dell'uniYerso. n primo «abbassa l'idea dell'uomo, e la sublima», adombrando l'ipotesi che esistano altri pianeti abi­ tati. n secondo negli Entretiens sur la pluralité des mondes (1 686), gli spalanca la Yisione della «moltiplicità dei mondi», che permane come sottofondo in molti componimenti e riflessioni o affiora spesso in maniera esplicita, ad esempio, nel canto Alla sua donna: «o s'altra terra ne' superbi giri l fra' mondi innumerabili t'accoglie l e più Yaga del Sol prossima stella l t'irraggia, e più benigno etere spiri» (vY. 50-53) . Ciò conduce Leopardi- di­ ce Polizzi - a un «ridimensionamento delle aspettatiYe progressiYe e (reli­ giose) sulla centralità degli uomini>), che non ha soltanto esiti nichilistici, ma che sYela anche le potenzialità della mente («Stretto è il mondo l largo il pensiero», suona un distico di Schiller) . Per Leopardi la teoria copernicana ha anche un rileYante impatto morale: «insegna l'uguaglianza dei pianeti allo stesso modo in cui ragione e natura insegnaYano l'uguaglianza naturale degli uomini>) (Zib, 9751 22 aprile 1 821). Tale uguaglianza diYenta però indifferenza della natura rispetto all'uomo. La machina mundi è impersonale, senza Yolto o con tutti i Yolti e gli aspetti possibili (incluso il nostro) . Agisce ateleologicamente, ossia senza intenzioni finalizzate al benessere e alla felicità dell'uomo. Accade, sostiene Leopardi - alludendo forse, con tragica parodia, al mitico episodio della mela di Newton - come quando un frutto, per la sua sola maturità e au­ mento di peso rispetto al picciòlo che lo tiene attaccato all'albero cade, per forza di graYità, su un formicaio proYocando morte e distruzione tra i suoi abitanti: Non ha natura al seme / Dell'uom più stima o cura/ Che alla formica: e se più rara in quello l Che nell'altra è la strage, l Non avvien ciò d'altronde l Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde (La ginestra, V strofa) .

PREFAZIO�"E

XI

Reagendo all'angoscia dinanzi a un universo infmito e senza centro, che ha spodestato l'uomo dalla sua carica di «Vicerè dell'Altissimo», come lo defi­ niva Francesco Bacone, i contemporanei di Leopardi hanno progressiva­ mente perso di vista la natura in favore di una glorificazione dell'uomo, di un antropocentrismo che confina con l'esaltazione. Leopardi è, appunto, un poeta del cosmo, perché, al pari di Goethe, inserisce la storia umana nella prospettiva di lenti processi naturali: Sta natura ognor verde, anzi procede l Per sì lnngo cammino, l Che sembra star. Caggiono i regni intanto, l Passan genti e linguaggi: ella nol vede l E l'uom di e­ ternità si arroga il vanto (La ginestra, vv. 292-296).

I liberali napoletani e fiorentini, esaltatori del progresso, nel «secol superbo e sciocco», non hanno saputo attribuire all'uomo il suo giusto valore e lo hanno esaltato oltre misura. Da tutt'altro punto di vista, anche Hegel ha proclamato il patriottismo della civiltà umana, deprecando le fantasie not­ turne di chi ama perdersi con l'immaginazione negli spazi cosmici o medita­ re contemplando le stelle, che non sono altro, per lui, che «un'eruzione cu­ tanea luminosa del cielo»!. Pur non conoscendo la filosofia e la scienza tedesca, Leopardi non ne aveva alcuna stima. Gli sembrava che fossero fumose e tendessero all'autoesaltazione della Germania: Che non provan sistemi e congetture l E teorie dell'alemanna gente? l Per lor, non tanto nelle cose oscure l L'un dì tutto sappiam, l'altro niente, l Ma nelle chiare an­ cor dubbi e paure l E caligin si crea continuamente: IPur manifesto si conosce in tutto l Che di seme tedesco il mondo è frutto l (Paralipomeni, I, 17).

Di questo atteggiamento Leopardi offre una spiegazione, che richiama la sua giovanile scelta, in favore della «quotidiana, volgare esperienza>> associa­ ta a una sobria razionalità: La 11inna società dei letterati tedeschi, e la loro vita ritirata e indefessamente studio­ sa e di gabinetto, non solo rende le loro opinioni e i loro pensieri indipendenti dagli uomini (o dalle opinio11i altrui), ma anche dalle cose. Laonde le loro teorie, i loro sistemi, le loro fùosofie, sono per la più parte (a qualunque genere spettino: politi­ co, letterario, metafisica, morale, ec. e anche fisico) poemi della ragione. In fatti delle grandi vere e sode scoperte sulla natura e sulla teoria dell'uomo, de' governi ec. ec., la fisica generale ec., n'han fatto gl'inglesi (come Bacone, Newton, Locke), i francesi (come Rousseau, Caba11is) e anche qualche italiano (come Galilei, Filangie­ ri ec.), ma i tedesclli nessuna (Zib, 2618130 agosto 1 822).

XII

LEOPARDI E «LE RAGIONI

DELLA VERITÀ»

2. Gaspare Polizzi ha indagato, con acume e profondità, l'insieme delle co­ noscenze che Leopardi possedeYa nel campo della matematica, della fisica, della chimica, della biologia e, più in generale si è domandato quali idee egli avesse elaborato sul ruolo della tecnica (delle macchine), degli esperimenti e degli avanzamenti delle scienze. Polizzi non solo documenta il genere e l'estensione del sapere che Leopardi ayeya acquisito in tali discipline, ma ci offre una straordinaria narrazione, di stile quasi teatrale, di una serata orga­ nizzata a Firenze il 25 giugno 1 827, dal Vieusseux per festeggiarne il venti­ noYesimo compleanno del poeta. Attraverso gli amici e gli ospiti raccolti le cui biografie e competenze scientifiche vengono minuziosamente descrit­ te - si riesce a capire l'insospettata ampiezza, per molti, delle relazioni per­ sonali e degli interessi di Giacomo. A palazzo Buondelmonti si ritrovano, tra gli altri, il fisico e chimico pisano Gaetano Cioni; il famoso giurista Gio­ vanni Carmignani; il fisico e medico pesarese conte Domenico Paoli, amico di famiglia di Leopardi; Francesco Orioli, professore di fisica a Bologna; Guglielmo Libri, che è succeduto a Pisa alla cattedra di fisica teorica genera­ le a Pisa a Ranieri Gerbi; il figlio di Luciano Bonaparte e nipote di Napole­ one Carlo Luciano, principe di Musignano, espetto di botanica e di zoolo­ gia, diYenuto «ornitologo di fama internazionale». Uno dei meriti maggiori del libro di Polizzi consiste però nel «distingue­ re nettamente la sfera semantica della lingua poetica e letteraria da quella della lingua scientifica e razionale, dando luogo a una vera e propria teoria estetica del linguaggio», la cui importanza si riverbera anche sul versante della teoria della conoscenza e del metodo scientifico. D linguaggio scienti­ fico è, infatti, costituito da 'termini', che delimitano in maniera sostanzial­ mente uniYoca il loro significato, mentre quello scientifico è formato da 'parole', che mantengono un carattere polisemico, sufficientemente Yago. Per questo «bruttissima e inanimata quella lingua che è definitamente ma­ tematica» (Zib, 643/1 1 febbraio 1 821). Nel denunciare la distruzione della Yarietà delle cose per effetto delle a­ strazioni (non solo della matematica, ma della ragione scientifica e di quella filosofica quando vuole imitare il rigore delle scienze fisico-matematiche) Leopardi accentua la presenza determinante del caso e delle 'circostanze', pur senza regredire, parafrasando Koyré, dall', Giardini, Pisa 1 989, pp. 57-80, Giro­ lamo Saladini, professore di 'calcolo sublime' a Bologna, autore di w1a Geometria degli infinite­ limi (1 760) e poi delle Institutiones anafyticae (1765), affermava perentorio: «tutti i metodi in cui si usano queste quantità minori di qualunque data, ossiano intinitesime, si dimostrano facil­ mente esatti ricouendo al principio di contraddizione, d'altro canto, i metodi sono per lo più di felice riuscita, specialmente nella geometria sublime [ . . . ]. Dw1que l'uso di queste quantità non è possibile che sia trascurato senza detrimento delle matematiche esatte, come non lo è presentemente» (citato da Bottazzilli alla p. 98); cfr. anche dello stesso La meccanka ra�onale, in Paolo Rossi (a cuca di), Storia della .rr:itnza moderna e contemporanea, cit., vol. I, pp. 503-33 e La matematim e le sue «utili applica�onb> nti congressi degli sden�ati italiani, 1839- 1847, in G. Pancaldi (a cuca di), I congressi degli scien�ati italiani nell'età delpositi#smo, CLUEB, Bologna 1 983, pp. 1 168. In quest'ultimo saggio Bottazzini rile\•a il carattere 'applicato' della matematica italiana tra Settecento e Ottocento («Come risulterà chiaro, se si pensa alla matematica come "matema­ tica pura" quale oggi siamo forse abituati ad intendere, ci si accorgerà che questa è concezio­ ne largan1ente inadeguata per la realtà dell'epoca, quando con matematica si abbraccia\•a uno spettro estremamente ampio di discipline matematizzate; infatti oltre all'analisi, la geometria e la teoria delle equazioni, anche la meccatlica e l'idraulica, per esempio, o la geodesia teorica e l'astronomia rappresentavano allora una parte cospicua del lavoro di ricerca e degli interes­ si del matematico», p. 1 2) . 1 8. Nel ricordato saggio del 1 989 Bottazzhli rileva la scarsa presenza di matematici ita­ liani di livello europeo, richiamando un'espressione di Pietro Paoli, professore allo Studio pisano e Sovraintendente agli Studi del Granducato di Tosca11a, contenuta nella Prefa�ont degli Elementi di algebra finita t infinituimalt (1794): «al primo leggere dei libri degli Euler, dei D'Alembert, dei Lagrange, [11 matematico] si abbatte in difficoltà insuperabili» (riportato in

38

PARTE PRIMA

Bottazzini, Immagini della matematica italiana all'epoca della 14 riunione degH scien!?fali a Pisa, in Dc­ legazione Pisana dell'A.I.T0.:\1. (a cura di), LA sitNa!?fone delle scienze al tempo della (rprima n'unione degli sden!?fali italianiJ>, cit., p. 60) . Il manuale di Paoli fu apprezzato dai matematici italiani c diffuse in Italia le concezioni analitiche di Giuseppe Luigi Lagrangc, che riteneva - nella nota Théorie desfonctions anafytiques (1797) - che il calcolo si potesse ridurre all'analisi algebrica di quantità finite c che lo elogiò come un buon risultato nella direzione della riduzione del cal­ colo infin.itcsimalc all'algebra. L'adcsio11c di Paoli alle concezioni di Lagrangc testimonia di una linea intcrprctativa, prevalente nel secondo Settecento italiano c sviluppata anche dal principale allievo di Paoli, Vincenzo Brunacci, docente di matematica e nautica all'Istituto della Marina di Livomo e dal 1 801 di calcolo sublime all 'Università di Pavia, che, nel Corso di matematica sublime (1 804-08) esprime un 11etto rifiuto degli infinitesimi sia in u1alisi che in meccanica (un numero infinitamente piccolo viene presentato, con un'espressione di Leib­ n.iz, come >, in quanto tale procedura è contraria alla natura dell'uomo e del mondo (Zib, 1 60/8 luglio 1 820) e con­ durrebbe a «un popolo tutto ragionevole o filosofo», costitutivamente de­ bole e inattivo (Zib, 270/ 1 1 ottobre 1 821), bisogna allora integrare la ragio­ ne nel sentimento, superare la ragione con l'entusiasmo (come mostrano di fare gli uomini grandi, tra i quali sono implicitamente inclusi anche gli uo­ mini di scienza) (Zib, 261 0/22 agosto 1 822). Chi possiede soltanto la ragio­ ne può sì analizzare la natura, ma non ne coglie la vera intenzione, le verità generali, in quanto la natura così analizzata - decomposta quasi chimica­ mente - non differisce da un corpo morto, da un puro meccanismo del quale non si intende la Yita (Zib, 3239/22 agosto 1 823) . La ragione produce «operazioni materialiss. e matematiche che si potrebbero attribuire in qual­ che modo anche alla materia»; come la materia, neppure la ragione 'sente' la nullità delle cose, che può essere colta soltanto da un sentimento innato dell'animo umano (a questa data - 1 820 - per Leopardi non ancora inteso come propriamente materiale) (Zib, 1 07/ 1 5 aprile 1 820). I filosofi moderni vogliono imporre la ragione, ma «Non bisogna estinguer la passione colla ragione, ma convertir la ragione in passione» (Zib, 294/22 ottobre 1 820) 1 1 : uno scritto filosofico sarà rigoroso e argomentato, m a la sua verità non può essere intesa senza essere 'sentita', in quanto c'è un senso del vero come un senso del bello, e per intendere i filosofi, come i poeti, ci vuole «tanta forza d'immaginazione, e di sentimento, e tanta capacità di riflettere» (Zib, 349/22 novembre 1 820) . Leopardi mantiene la propria convinzione sull'esistenza di un piacere del vero, «ancorché brutto e misero e terribile sia questo tal ve­ ro» (Zib, 2653/ 1 3 dicembre 1 822), anche se esso allontana gli uomini dalla possibilità stessa della felicità: la più perfetta filosofia arriverà infatti a con-

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PARTE PRIMA

eludere che la cognizione del vero è nemica della felicità (Zib, 638/10 feb­ braio 1 820) . In definitiva, più che di una pienezza razionale, si ha bisogno di una «mezza filosofia»: mentre «l'intiera filosofia è del tutto inattiva», la mezza filosofia è compatibile con l'azione in quanto non è pura verità ed è madre di «errori semifilosofici» che «possono essere vitali» (anche se oggi la filoso­ fia si va perfezionando e la mezza filosofia perde fautori) (Zib, 520-2/1 7 gennaio 1 821). Soltanto la «mezza filosofia» può produrre uno stato piace­ vole (Zib, 1 792-3/26 settembre 1 821), anche se il mezzo filosofo combatte le illusioni e quindi mostra di essere egli stesso illuso (Zib, 1 7 1 5/ 1 6 settem­ bre 1 821)12_ La «mezza filosofia» muove dal riconoscimento che si ha biso­ gno di credenze per vivere, piuttosto che di cognizioni, e che quindi biso­ gna chiedersi quali credenze siano vantaggiose (Zib, 437-9/22 dicembre 1 820) 13; essa permette di cogliere l'effetto poetico generale proprio della na­ tura, che la pura ragione, , «consiste a conoscere la di lei propria inutilità», la sommità della filosofia sarà allora data dalla sua capacità di liberarci dalla filosofia (Zib, 305/7 novembre 1 820) . Con un effetto paradossale Leopardi ne con­ clude che se la perfezione della ragione consiste nel richiamare l'uomo al suo stato naturale (Zib, 407/9- 1 5 dicembre 1 820), «il miglior uso ed effetto della ragione» è quello di distruggere nell'uomo la ragione (Zib, 1 1 63/1 3 giugno 1 821) e la semplicità sottilissima della somma sapienza consiste nel conoscerne l'inutilità (Zib, 27 1 1 /21 maggio 1 823); «Dunque chi non ragio­ na, o per dirlo alla francese, non pensa, è sapientissimo», ribadirà con un gesto à la Nietzsche, guardando al fanciullo o al selvaggio della California (Zib, 27 1 2/21 maggio 1 823). L'>, rivelando una pluralità di mondi, mostrando che l'uomo non è unico e che non è unica la terra e aprendo all'ipotesi dell'esistenza di altri pianeti abitati (Zib, 84)38_ Si tratta di un'indicazione ri­ levante sul piano filosofico, di una 'rivoluzione copernicana' nel rapporto tra uomo e natura, in quanto ·viene riconosciuta la piccolezza umana, insie­ me al carattere 'periferico' della terra, nella direzione di un ridimensiona­ mento delle aspettative progressive e (religiose) sulla centralità degli uomini. Tale ridimensionamento può condurre, come è stato asserito, a una visione nichilistica della realtà, ma svela anche l'ape1tura di uno spazio mentale sulla pluralità dei mondi che rende conto - con una sottolineatura estetica che troverei kantiana - delle immense potenzialità della mente (Zib, 3 1 7 1 -2/ 1 2 agosto 1 823)39_ Anche in direzione morale il sistema di Copernico produce un insegnamento durevole: insegna l'uguaglianza dei pianeti allo stesso mo­ do in cui ragione e natura insegnavano l'uguaglianza naturale degli uomini (Zib, 975/22 aprile 1 821). n capovolgimento di prospettiva imposto dalla rivoluzione astronomica offre motivi per ripensare alla stabilità della configurazione terrestre; ne emerge un cenno sul mutamento geologico che potrebbe rientrare in un quadro fissista, aggiornato con gli studi di Georges Cuvier sulle catastrofi, o rinviare a un vago orientamento evoluzionista, almeno nella forma cosmo­ logica e geologica fornita dall'Histoin natunlle di Georges-Louis Ledere Conte di Buffon, ben nota a Leopardi, secondo il quale va accolta l'ipotesi dell'esistenza di altre epoche della terra e di grandi rivoluzioni (Zib, 1 331 / 1 6 luglio 1 821)40. 2.5.2. Fisica

Neppure i riferimenti diretti ad aspetti determinati delle scienze fisiche sono numerosi nello Zibaldone. Si possono rintracciare due notazioni generali sul procedimento della conoscenza, nelle quali da un lato si osse1va - secondo un orientamento aristotelicamente volto a orientarsi verso l'ignoto a partire dal noto - come la fisica scomponga la realtà naturale e ne inglobi aspetti ignoti all'interno di forze note, talché una nuova forza fisica emerge come parte ignota di una forza fisica nota (Zib, 1 424/31 luglio 1 821), e dall'altro si

2. SCIENZE N.ATI-'RALI E CONCEZIONE DELLA NATURA NELLO ZIB.4LD01\iB

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rileva come una grande scoperta fisica acquisti la sua efficacia grazie alla comunicazione universale (Zib, 1 583/29 agosto 1 821). Segnalerei altri tre richiami specifici. Uno concerne l'ottica e rimarca come essa asserisca che la visione varia nei diversi individui, a seconda della differenza degli organi visivi (Zib, 1 437-8/2 agosto 1 821). Il secondo osser­ va che l'elettricità è stata a lungo celata dalla natura agli uomini per il suo carattere di materia 'terribile', come era prima avvenuto per il fuoco (Zib, 3645/ 1 1 ottobre 1 823), il cui uso è spiegato antropologicamente come frut­ to dell'abbandono delle prime popolazioni dalle loro zone geografiche d'origine (alla stessa stregua dell'invenzione della navigazione) (Zib, 36634/ 1 1 ottobre 1 823). Il terzo mette in rapporto l'esperienza dell'esistenza di corpi 'gra\'i' con la nascita nel bambino dell'idea di gravità, avvalorandone un'origine sperimentale in piena corrispondenza con la concezione newto­ niana ed estendendo per analogia la notazione anche alle idee morali (Zib, 4253-4/9 marzo 1 827)41 . Sottolineo come l'attenzione all'ottica e alla mec­ canica sia ben inquadrata nel saldo contesto formativo newtoniano e come l'interesse per l'elettricità sia il frutto di curiosità 'elettriche' che abbiamo visto ben presenti nel giovane Leopardi e che rispondono ampiamente allo spirito del tempo. 2.5.3. Chimica Si è già notato quanto abbia pesato nella stessa concezione leopardiana del linguaggio la 'riforma' della nomenclatura chimica e quanto la nuova chimi­ ca sia stata assunta a modello di scienza moderna. Aggiungo il richiamo ad altre tre riflessioni dello Zibaldone. La prima utilizza il sapere chimico come paradigma di una conoscenza analitica rigorosa: «[ . . . ] secondo i chimici tut­ to il mondo e tutti i diversissimi corpi si compongono di un certo tal nume­ ro di elementi diversamente combinati, e noi medesimi siamo così composti e fatti anche nell'ordine morale [ . . . ]» (Zib, 808/ 1 8 marzo 1 821), scrive Leo­ pardi nel 1 821 . La sottolineatura della rilevanza della combinazione chimica per la comprensione delle stesse azioni umane, della combinazione com­ plessa degli elementi messi in gioco nella configurazione del comportamen­ to, costituisce una luminosa anticipazione delle affermazioni nicciane sulla «chimica della morale», oltre che una vaga intuizione della complessità e plasticità cerebrale oggi messa in luce dalle neuroscienze42• Il secondo pensiero ribadisce la valorizzazione del sapere degli antichi rispetto a quello dei moderni e rientra nel movimento di pensiero che rin­ traccia le radici della scienza moderna nel sapere greco, dimodoché la scien­ za moderna non ha fatto altro che perfezionare le cognizioni presenti nel

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PARTE PRIMA

sapere degli anticlù: «Tutto quel ch'ha fatto è stato di perfezionar le antiche, o di farne delle analoghe (come quella della polvere fulnùnante) che non si sarebbero fatte se le antiche non fossero state già conosciute. E quel che dico della Chimica dico delle altre scienze» (Zib, 2605/10 agosto 1 822). Un'ulteriore riflessione utilizza le prime, incerte acquisizioni chimico­ fisiche sugli atomi per asserire, metafisicamente e classicamente, che la ri­ trovata semplicità degli elementi primi della materia è garanzia della sua pe­ rennità, perché > (Zib, 3509-1 4/24 settembre 1 825) . La presenza nell'uomo del massimo livello di vita e, con esso, del massimo grado di infelicità (Zib, 3927/27 novembre 1 823)48. 2.7 Macchine e paragoni scientifici

A margine delle annotazioni relative alla conoscenza scientifica possono es­ sere segnalate quelle che si soffermano sulla tecnologia, o meglio sul mac­ chinismo e sul ruolo delle macchine e degli automi nella società moderna. Leopardi mostra di conoscere le tecniche di fabbricazione degli automi meccanici, veri oggetti di sYago per ricchi amatori che furono sicuramente esperiti direttamente dal gimrane conte49• In perfetto stile meccanicistico e senza alcuna nuance negativa, tali automi meccanici sono assunti a modello di comprensione scientifica della natura: «Il mondo è come quelle macchine che si muoYono per molle occulte, o quelle statue fatte camminare da per­ sone nascostevi dentro. E il mondo umano è divenuto come il naturale, bi­ sogna studiare gli a·vvenimenti come si studiano i fenomeni, e immaginare le forze motrici andando tastoni come i fisici» (Zib, 1 20/ 10 giugno 1 820). Proprio questo paragone rende conto della difficoltà di comprendere i complessi meccanismi della natura: il sistema della natura non può essere

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sezionato analiticamente pe.r essere compreso, in quanto ne verrà fuori una «macchina dimezzata», p.roprio come quando si scompone e poi si .ricom­ pone una macchina complicatissima (Zib, 1 237-8/4 ottobre 1 821). In defi­ nitiva, trovare il centro del sistema della natura è come trovare > della ragione, si apre un baratro che renderà vana l'intera ricerca leopardiana di un 'sistema della natura'; non si tratta più di riconoscere la dissonanza tra i fini individuali e quelli complessivi della natura, bensì di ac­ cettare qualcosa che va contro lo stesso principio di comprensione, accetta­ re che la stessa cosa sia e insieme non sia: «Contraddizione evidente e inne­ gabile nell'ordine delle cose e nel modo della esistenza, contraddizione spa­ ventevole; ma non per ciò men vera: misterio grande, da non potersi mai spiegare, se non negando (giusta il mio sistema) ogni verità o falsità assolu­ ta, e rinunziando in certo modo anche al principio di cognizione, non potest idem simul esse et non esse>> (Zib, 41 29/5-6 aprile 1 825) . L'ordine stesso della natura, il suo fine universale contiene in sé la produzione, la conservazione e la distruzione di ogni vivente (Zib, 41 30/ 5-6 aprile 1 825), sfuggendo così a ogni comprensione e conducendo a negare la possibilità stessa di una veri­ tà stabile e unica66. L'incomprensibilità del sistema della natura (Zib, 4205/25 settembre 1 826) promuove in primo luogo un esito relativistico, disarmando l'impegno cognitiYo del quale lo Zibaldone risulta intessuto, e conduce infme a una Yisione allarmata e nichilistica della stessa natura: l'universo è un or­ dine sia buono che cattiYo (per noi), forse mirabile ma certamente non lo­ devole (Zib, 4258/21 aprile 1 827); in esso i giovani sono stimolati a distrug­ gere per farsi spazio, i yecchi a conservare per lasciare qualcosa dietro di sé (Zib, 4232/1 2 dicembre 1 826) e l'esistenza non ha per fine l'esistente, ma la vita stessa, la conservazione della specie (Zib, 41 69/ 1 1 marzo 1 826) . In secondo luogo, con un movimento progressivo lungo passaggi conti­ nui e non sempre ben individuabili tra la visione della 'natura benigna' e quella della 'natura maligna', il relativi.smo diviene cupo nichil.i.smo: non so-

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lo il male è mistero, ma lo è anche ciò che a noi pare bene (Zib, 4248/1 8 febbraio 1 827), tutto infatti è male e l'esistente è una mostruosità («[ . . . ] in­ finità vera, p. dir così, del non esistente, del nulla») (Zib, 41 7 4/22 aprile 1 826)67. Per necessità la natura è nemica di tutti gli individui (Zib, 44856/ 1 1 aprile 1 829) e , F. Abbri, Le teorie chimiche, in Paolo Rossi (a cura di), Storia tklla scienza moderna e contemporanea, cit., Yol. L, p. 545; «cavarle di bocca [alla natura] a marcia forza i suoi segreti» è espressione che mi richiama il famoso passo della Prtja�one alla seconda edi�one (1787) della Critica della Ragion P11ra nel quale Kant, con altro tono, a proposito di Galilei, Torricelli e Stahl asserisce: «Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con principi de' suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande>>, Kant, Critica della Ragion p11ra, cit., vol. I, pp. 1 8-9; la frase sui «filosofi che piangono l'uomo dirozzato e ripulito» rinvia a una vulgata russoiana; ; tuttavia l'a,"Vicinamento programmatico tra Leopardi e Platone rischia di condurre il pe11siero leo­ pardiano verso una deriva 'mistica' che non ha quasi mai seguito, cfr. G. Carchia, La moltipli­ ca!{jone dell'assoluto. Note sull', ed. cit., p. 314. 32. L'idillio L 'infinito è composto nel 1 819, ben sette aruu prima delle pagine dello Zibal­ done qui menzionate. Impossibile richiamare qui il rilievo dell'idea di influito nell'estetica leo­ pardiana; nella numerosa letteratura sul tema mi limito a ricordare, per la finezza esegetica, A. Prete, Finitudine t infinito. Su Leopardi, Feltrinelli, !\filano 1 998, pp. 38-49, ma anche quanto scrive ltalo Calvino sul senso del vago nella poesia leopardiana, che rinvia alla dimensione della razionalità scientifica e al problema speculativo dell'infinito: « Copernico è la versione italiana degli En­ tretien.r sur la pluralité des mondes di Fontenelle; cfr. Damiani, Commento, Ì11 Leopardi, Zibaldone, cit., vol. m, p. 3264. L'ipotesi dell'esistenza di altri pianeti abitati estende quella relativa alla pluralità dei mondi già espressa nelle Dimrta�one Sopra l'astronomia (cfr. supra, cap. l, nota 42) . .Mi pare si trovi soltanto nello Zibaldone l'unica notazione negativa sulla figura di Coper­ nico che, in quanto tedesco, è ritenuto poco filosofo e il cui sistema non è molto originale: «non fece altro che colle sue meditazioni lunghe e profonde, coltivare e stabilire ec. w1a veri­ tà già saputa o immaginata da' Pitag. da Aristarco di Samo, dal Card. di Cusa ec.» (Zib,

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1 858/5-6 ottobre 1 821). Questo parziale ridimensionamento dell'importanza di Copernico si inquadra in una riflessione storico-antropologica sul rapporto tra popoli e razionalità fllosofi­ ca alla quale può non esso:e estranea una letnu:a non illuministica della storia dell'astronomia (vista come il ritorno ciclico di idee antichissime) legata al manuale di Bai.lly (cfr. supra, cap. 1 , note 35 e 62); Leopardi asserisce con una buona dose di nazionalismo - a differenza di altri luoghi (ad esempio nella tesi sulla lingua tedesca come lingua fllo sofica, cfr. supra, nota 1 7) - il carattere non filosofico del popolo tedesco. Un'affermazione molto forte, che viene parzialmente rie­ quili.brata dalle aru1otazioni sul giovamento apportato dai tedeschi ai progressi della metafisi­ ca e delle scienze esatte, compensato dall'incapacità di realizzare nessuna grande scoperta per la prevalenza di una minuta analisi senza colpo d'occhio (Zib, 1 850-5/5-6 ottobre 1 821); nel­ lo stesso pensiero Leopardi ironizza sulla vocazione sistematica della filosofia tedesca scri­ ''endo che se un tedesco pensa a un grande sistema delira perché mette insieme troppe anali­ si e poca immaginazione, costruendo un sistema falso fatto di parti vere. 39. È sufficiente richiamare la notissima chiusa della Critica della Ragion P11ra, che dinanzi all'infinità dell'universo apre al sentimento della potenza della ragion pura nella sua sfera pra­ tica e al sentimento del sublime. Su questo aspetto rim'io alla ricostruzione del rapporto di Leopardi con il criticismo gnoseologico di Kant condotta da Antimo Negri in Leopardi t la .filosofia di Kant, in "Trimestre", V, 1979, 4, pp. 475-91 ; mentre per una ricognizione a vasto raggio sull'estetica del sublime in Leopardi cfr. ora anche R. Gaetano, Giacomo Leopardi e il s11blime. Archeologia e percorsi di 11na idea estetica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003. Di notevole rilievo teoretico le annotaziotù di Bodei. sulla concezione leopardiana della «natura bifronte» del desiderio, nella inesauribile emergenza del limite, insieme «ponte e barriera», nel quadro di una visione 'estetica' dell'«ultrafilosofia>>, che «rompe l'isolamento tra ragione e inlmagina­ zione» e consente la «sublime verticalità del soccombere in piedi»; cfr. R. Bodei., Pensieri im­ mensi. Leopardi t l'>). Si tratta di problemi che richiedono l'uso delle cognizioni sviluppate da Huygens a proposito della forza centrifuga e cen­ tripeta. Le discussioni intorno all'anello di Saturno, che affascinano il gio­ vane Leopardi fin dalla Disserlaifone Sopra l'astronomia, vengono proposte per avvalorare la teoria della deformazione e della successiva dissoluzione della terra che «[ . . . ] ridotta per cotal modo a figura di uno anello, ultimamente andrà in pezzi [ . . . ]», in quanto Leopardi accetta l'ipotesi (anch'essa oggi confermata) che «[ . . . ] il detto anello fosse da principio uno dei pianeti mi­ nori destinati alla sequela di Saturno [ . . . ]». Il procedimento per analogia viene applicato anche in rapporto a Giove, il cui mutamento nella figura «[ . . . ] così manifesto agli occhi [ . . . ]» può far immaginare il futuro cambia­ mento della forma della terra, e più estensivamente la distruzione futura di tutti i pianeti che ruotano intorno alle altre stelle. Le notizie astronomiche sostengono così la visione di un irreversibile destino di distruzione univer­ sale che l'ordine stesso della natura porta con sé: «In tal guisa adunque il moto circolare delle sfere mondane, il quale è principalissima parte dei pre­ senti ordini naturali, e quasi principio e fonte della conservazione di questo universo, sarà causa altresì della distruzione di esso universo e dei detti or­ dini>>. La variabilità della conformazione terrestre e universale testimonia la progressiva trasformazione del cosmo, ma indica anche - nella perpetua consistenza della materia - la direzione di un processo di distruzione dell'attuale forma della terra e dell'universo che non ammette ritorno. Il Copernico (no, pp. 1 66-7 1), ultima tra le Operette 'astronomiche' ruota tutto intorno al capmrolgimento della teoria tolemaica e all'affermazione di quella copernicana e porta alla più alta espressione la critica radicale

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dell'antropocentrismo. Importante appare nel dialogo il chiarimento del rapporto tra scienza o filosofia (che qui si configura come astronomia) e poesia, da intendersi come ve.ra chiave di comprensione dello scritto: il .ra­ gionamento del Sole intorno alla capacità persuasiva dei poeti e dei filosofi si .risolve nel privilegiamento della filosofia, pensiero dell'umanità matura, volta alla .ricerca dell'utile e più adatta ai tempi moderni («[ . . . ora che io so­ no maturo di tempo, e che mi sono Yoltato alla filosofia, ce.rco in ogni cosa l'utilità, e non il bello [ . . . ]»; «Questa mutazione in me, come ti ho detto, ol­ tre a quel che ci ha cooperato l'età, l'hanno fatta i filosofi; gente che in que­ sti tempi è cominciata a montare in potenza, e monta ogni gio.rno di più»). Copernico viene presentato mentre scruta il cielo notturno con un «[ . . . ] cannoncello di carta; perché non e.rano ancora inventati i cannocchiali», come 'uomo ragionevole' che pe.rò conosce le 'faYole antiche' e che, dinanzi all'inspiegabile '.ritardo' nell'apparizione del Sole, si trova a dubitare delle sue certezze («Ora che io m'aYVeggo che la ragione e la scienza non rileYa­ no, a di.r p.rop.rio, un'acca [ . . . ]»). n .rovesciamento dello spirito dei tempi è ben identificabile nella contrapposizione t.ra gli antichi tempi poetici e i moderni tempi filosofici, ma esso non prospetta più una netta contrapposi­ zione tra verità ed errore: nella modernità è necessario un filosofo che con­ vinca la Te.r.ra a girare into.rno al sole, così come un tempo i poeti hanno convinto che il sole girava intorno alla tena. In entrambi i casi si tratta di 'convinzione', di stabilire 'credenze', .ritenute p.rima utili pe.r gli uomini («[ . . . ] la Terra si è creduta sempre di essere imperatrice del mondo [ . . . ]»), quindi 'più razionalmente' '\·antaggiose per il Sole. Gli effetti del cope.rnica­ nesimo sono per Leopardi propriamente metafisici, toccano . La scienza, come ogni conoscenza, non si sottrae insieme a ogni altro evento umano all'inarrestabile usura dei tempi. n Dialogo di Federico Rnysch e delle sue mummie (1 6-23 agosto 1 824, 1LO, pp. 1 34-7) possiede un fascino arcano variamente sottolineato. Esso si basa su una pratica anatomica che Leopardi aveva conosciuto tramite Fontenelle, come attesta un suo .richiamo a margine, e precisamente leggendo il suo É­ loge de mons. Rnysch, oppure il più frequentato Éloge de Descartes di Antoine­ Léonard Thomas, che ne riferisce dettagliatamente. F.redrik Ruysch, medico e anatomista olandese, aveva .realizzato un preparato che permetteva una buona conservazione dei cadaveri; le sue 'mummie', chiamate in linguaggio scientifico 'preparazioni anatomiche', erano famose e suscitavano nell'inunaginazione l'idea, colta al volo da Leopardi, che si trattasse di uomini addormentati. La discussione intorno al problema se in punto di morte gli uomini provino piacere o dolore era ben nota fin dal 1 820, come testimonia un pensiero dello Zibaldone16. Due ultimi cenni all'Elogio degli uccelli (29 ottobre - 5 novembre 1 824, 1LO, pp. 1 52-6) e al Dialogo di un venditore di almanacchi e un passeggere (1 832, 1LO, pp. 1 79-80) . Il primo per segnalare la dimestichezza leopa.rdiana con le fonti di storia naturale, testimoniata nell'ampia manipolazione di conoscen­ ze ornitologiche, non tutte tratte da fonti antiche: è sicuro l'uso del Discours sur la nature des oiseaux presente nel Tome v dell'Histoire nature/le di Buffon. n

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secondo per richiamare quanto è stato di recente sostenuto stÙ ruolo delle conversazioni recanatesi del 1 825-26 con quella «società di liberi pensatori», che annoverava tra gli altri l'amico Francesco Puccinotti, che avrebbero fa­ vorito la stesura del DialogoL7. 3.2

I Canti e la scienza

Ancora più evanescente appare la trama delle occorrenze di voci e nozioni scientifiche nei Canti. Mi sentirei di sostenere che se il sapere scientifico è posto ancor più nell'ombra nei Canti, non rutima è la motivazione legata alla teoria estetica leopardiana che sostiene l'inconciliabilità tra le 'parole' della poesia e i 'termini' rigorosi della scienza, tra la coerenza logica delle teorie scientifiche e la vaghezza evocativa dell'immaginario poeticoLB. Non è pos­ sibile tuttavia in questa sede procedere a un'analisi di tale assunto; messa da parte ogni velleità filologica e interpretativa, mi limito qui a render conto di alcune occorrenze lessicali ed espressioni di chiara ascendenza scientifica, richiamando per una prospettiva interpretativa le notazioni sulla persistenza di temi ed echi degli scritti 'scientifici' S\"Ìl.uppate da vari studiosi e riservan­ domi soltanto qualche osservazione in merito alle due epistole A Carlo Pepo­ li e Palinodia al Marchese Gino Cappom19. Tralascio le occorrenze relative a termini di largo uso poetico, come stel­ le - che ricorre venti volte - e Luna - presente con venticinque occorrenze e tale di motivare più di una ricerca20 - e mi limito a segnalare qualche figu­ ra ascrivibile all'immaginario scientifico leopardiano. lnunagini come quella della canzone All'Italia (settembre-ottobre 1 81 8) («Divelte, in mar precipitando, l spente nell'imo strideran le stelle», 11.0, vv 1 21 - 1 22) o come in Bruto minore , «0 mia diletta luna»> (Alla luna, 1LO, vv. 1 e 10); «0 cara lu­ na»>, «salve, o benigna l delle notti reina»> (LA vita solitaria, estate 1 82 1 , 1LO, vv 70 e 74-75), che diventa altissima poesia nel Canto notturno di un pastore etTante dell'Asia (22 ottobre 1 829 - 9 aprile 1 830). Soffermiamoci brevemente su questo straordinario ultimo Canto recana­ tese, la cui origine antropologica risale a un articolo del '1ournal des Sa­ vants" del settembre 1 826, trascritto nello Zib (4399-400/3 ottobre 1 828) e riportato nella Nota al canto, nel quale si cita un'osservazione tratta dal libro del barone Meyendorff, VV'age d'Orenbourg à Boukhara, fait en 1820, Paris 1 826, secondo la quale molti popoli nomadi dell'Asia, e in specie i kirghisi, passano la notte a guardare la luna e a cantare delle arie molto tristi. I canti orali dei popoli più primitivi diventano il modello del Canto notturno, del tut­ to consapevolmente avviato da una accorata quanto inefficace invocazione alla luna, che verrà variamente reiterata («Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa hma.�>, , «Intatta luna»>, «giovinetta immortal», «candida luna»>, 1LO, vv 1 -2, 1 6, 37, 57, 99 e 1 38); il motore del Canto sembra risiedere quindi in un 'errore popolare' per giunta dislocato tra i più primitivi e lontani popoli della terra e in una cornice paesaggistica del tutto insolita. La luna, saldamente risolta in persona, rappresenta l'unico in­ terlocutore del solitario pastore, un interlocutore tanto presente allo sguar­ do quanto silenzioso e lontano nella sua vera realtà di astro tra gli astri, in­ serito in un incomprensibile circuito universale fatto di un fumamento di stelle e di eterni moti celesti («e quando miro in cielo arder le stelle» «di tanti .

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moti l d'ogni celeste, ogni terrena cosa, l girando senza posa, l per tornar sempre là donde son mosse» «degli eterni giri», «e noverar le stelle ad una ad una», TLO, vv 84, 93-96, 1 01 e 1 35). Ma rispetto a tale incognito paesaggio celeste dominato dalla luna e alla sua condizione antropologica indiscuti­ bihnente 'primitiva' il pastore dimostra di essere più moderno che antico, in quanto non si fa scudo delle favole e guarda al cielo con lo stesso irrisolto sforzo conoscitivo dell'astronomo, fmo a immaginare di poter 'contare' le stelle mettendo > (TLO, Yv. 79, 1 1 7 e 1 04). .

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Mentre da un lato è marcato il più conseguente distacco dal «secol su­ perbo e sciocco» che inneggia con Terenzio Mamiani della Rovere alle «ma­ gnifiche sorti e progressive», ponendo la scienza sotto l'ala di una visione spiritualistica (le «superbe fole») e vacuamente trionfale della civiltà indu­ striale e moderna, che «di fetido orgoglio empie le carte» e promette «eccelsi fati e nmre felicità», e rendendo «servo» il pensiero, il , dall'esigenza 'illuministica' nella sua accezione più propria, di render conto attraverso il ragionamento dell'assurdità stessa dell'ordine della natura, del criticare con il raziocinio di una 'ragione ragionevole' e non più succube delle mire di dominio dell'illuminismo progressivo, e del convincere con gli argomenti del discor­ so logicamente conseguente (TLO, vv 1 5 1 , 78-80 e 1 1 5). Un'esigenza che si ritrmra anche nella più alta espressione poetica, che si ritrova nella Ginestra, assunta giustamente a simbolo di uno sforzo di convincimento che è e­ spressione conseguente di una vivida f.ùosofia pratica e che si ritrova ben oltre il silenzio forzato e fallimentare dello Zibaldone, fin negli ultimi giorni di vita, a sostenere uno sforzo 'eroico' di convinzione e di denuncia dinanzi al 'secol superbo e sciocco', e che continua oltre gli stessi Canti nelle parole dettate forse sul letto di morte dei Paralipomeni della Batracomiomachia. Passiamo infme alle due epistole, che per il loro stesso genere permetto­ no al poeta una espressione franca e razionalmente controllata delle proprie concezioni 'f.ùosofiche' rivolta a due nobili amici, ritenuti in grado di com­ prenderla23. L'epistola bolognese Al Conte Carlo Pepoli (marzo 1 826) non è rilevante nella nostra prospettiva per il rapido cenno alla inconsistenza dell'attivismo proprio della nuova ci\"Ìl.tà industriale («ozio il perenne l sudar nelle offici­ ne», TLO, vv 1 9-20), ma per i suoi versi conclusivi nei quali \"Ìene presenta­ to un vero e proprio programma di riflessione f.ùosofi.ca: .

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altri studi men dolci, in ch'io riponga l l'ingrato avanzo della ferrea vita, / eleggerò. L'acerbo \•ero, i ciechi / destini investigar delle mortali l e dell'eterne cose; a che prodotta, /a che d'affanni e di miserie carca l l'umana stirpe; a quale tùtimo intento l lei spinga il fato, e la natura; a cui l tanto nostro dolor diletti o giovi: /con quali ordini e leggi a che si \•oh•a / questo arcano universo; il qual di lode / colmano i saggi, io d'ammirar son pago. l In questo specolar gli ozi traendo l verrò: che co­ nosciuto, ancor che tristo, /ha i suoi diletti il vero (TLO, vv . 138-1 52) .

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LE SCIEXZE NATURALI NEI C4.i\'TI E �'ELLE OPBRBTTB 2'v!ORAU

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La dichiarazione d'intenti filosofici è presentata come un'alternativa 'forza­ ta' all'impegno poetico, che non può più levarsi alla «caduca virtù del caro immaginan>, persa «per volger d'anni» (vv. 1 1 1 - 1 1 3) ; ma sappiamo quanto in realtà tale alternativa non si sia realizzata, vista la ripresa potente della vena poetica a partire dal 1 828. Colpisce maggiormente la trama del 'programma' fùosofico, innanzitut­ to per la netta rivendicazione della centralità della ricerca del 'vero', che pur essendo 'acerbo' e 'tristo' e comportando 'studi men dolci' di quelli letterari possiede 'i suoi diletti': la ricerca della verità, obiettivo primario e ineludibile della filosofia, è ricompensa gradita, ancorché amara. È lo stesso >: falli sce l'estremo tentativo leopardiano di porre con le Operette la propria 'filosofia' al confronto con il suo tempo; cfr. anche il commento dello stesso in G. Leopardi, Operette mo­ rali, B. Mondadori, 1\:lilano 1 99 1 . Su un versa11te diverso richiamo le ossen•azioni di Galim­ berti - cfr. C. Galimberti, Un libro metajìsico (1977-85, Introduzione notevolmente ampliata e interamente rifusa), in G. Leopardi, Operette morali� a cura di C. Galimberti, Guida, Napoli 19985 (1 977 1), pp. 5-47, nella quale, a partire dalla definizione di «libro di argomento profon­ do e tutto fùosofico e metafisico» presente nella lettera Ad Antonio Forf11nato Stella, Recanati 6 Decembre 1 826, EPIST, n. 1 026, p. 1273) il noto leopardista afferma: , n..o, V\•. 23-24). Anche il Frammento XXXIX Spento il diurno raggio (dicembre 1 8 1 6, prima parte del canto I dell'Appressamento della morte) richiama nettamente, dal "lrerso 28 all'ultimo (\•. 76), un passo della descrizione del temporale presente nel Capo XII (Del tuono) del Saggio, che riporto per agevolare il confronto: > (; cfr. P. Pelosi, Leopardift.rico e metaft.rico, cit., pp. 89 e 1 1 7-8 e per la citazione p. 1 1 8). Rota per parte sua si sofferma sui 'punti' dei veni 1 67-1 68 e 1 80-1 83, ritrovandoli nel Newto­ niani.rmo per le Dame di Algarotti; cfr. Rota, Ltne leopardiane, cit., pp. 84-5. Infme richiamo l'esegesi di Liana Cellerino, che fermandosi anch'essa, tra l'altro, sulle parole 'stelle', 'punto' e 'globo' trova nei versi 1 58-201 una nascosta 'risposta' di Leopardi alle scorrettezze di Théo­ dore S. Jouffroy; cfr. L. Celleri.no, L'io del topo. Pensieri e letture de/1'11/timo Leopardi, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, pp. 1 1 9-22 (per la ricostruzione del contrasto co11 Jouffroy cfr. infra, cap. 4, nota 8). Mi pare per i 'punti' della Ginestra si sconti un eccesso di acribia: le attri­ buzioni sono decisamente troppe, anche se confermano l'inesauribile apertura della grande poesia. 23. Lw1ga e accesa è stata la discussione sulle forme del rapporto di Leopardi con Cap­ poni (cfr. anche infra, Parte seconda, cap. 3), di recente riconsiderato sotto una luce di"l•ersa e a mio avviso più convincente da Gino Tellini in Leopardi, Capponi e la Palinodia, in Melosi (a cura di), Leopardi a Fireni!, cit., pp. 425-46; secondo Telli.ni. «Gli orientamenti di Capponi e Leopardi divergono profondamente: da una parte, pessimismo cattolico e impegno per un'educazione religiosa ma anti.gesuitica; dall'altra parte, pessimismo materialistico, ateismo, impegno per un'educazione laica e antispiritualistica [ . ·h tutta\"Ìa «[ . . . ] i loro "sistemi" so­ no lontani, ma concordano in un "punto capitale">>, ovvero sulla visione pessimistica della realtà (ivi, p. 437). Per questo motivo e per i profondi legami di amicizia tra i due >, 11.0, p. 995. Il più giova­ ne Cattaneo collaborerà a partire dal 1 832 agli "Annali uni·1rersali di statistica" fondati nel 1 823 dal suo maestro Romagnosi - per il quale cfr. supra, cap. 2, nota 1 5 - e nella rivista che fonderà nel 1 839, ''Il Politecnico", dal significati,•o sottotitolo «repertorio me11Sile di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», dedicherà ampio spazio alla statistica e alle sciellZe

3. LE SCIE..'iZE NAT!.JRAU NEI CA.ì\'TI E �'ELLE OPBRBTIE MORALI

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sociali; il primo fascicolo della rivista vertà significativamente distribuito al co11gresso degli scienziati del 1 839 (e ne ospiterà alcune memorie); cfr. Alippi Cappelletti, Il contributo alla zoo­ logia, alla anatomia comparata t alla embriologia dato dagli sden�ati italiani a congrmo dal 1819 al 1841, in Delegazione Pisana dell'A.I.T0.:\1. (a cura di), La litua�one delle sden� al tempo della ) (TLO, Canto IV, ott. 1 7, vv. 5-8). Il disarmato riconoscimento di un primato delle credenze che possono far accantonare la drammatica p.recarietà della condizione umana da un lato .richiama (se pure inconsapevolmente) proce­ dure critiche humiane, dall'altro introduce un collegamento fra il perpetuar­ si delle credenze astronomiche, degli 'errori popolari' che fanno pensare a un illusorio movimento delle stelle, e quello delle credenze sulla centralità della funzione degli uomini nella natura, avvalorate da 'nuove' filosofie. A conclusione di tale confronto fra le verità, ancorché amare, della fùosofia .razionale ed empirica illuministica e le credenze fallaci ma consolatorie dello spiritualismo e dell'idealismo di primo Ottocento Leopardi .ripropone la propria teoria della conoscenza, incardinata sull'affermazione dell'uso criti­ co della ragione fùosofico-scientifica, che distrugge i pregiudizi e gli e.r.rori dovuti alle opinioni più inveterate e insensate (secondo quel movimento di pensiero che abbiamo visto .ribadito nel tempo, e presente in nuce negli scrit­ ti scientifici giovanili, che vede nell'> una riflessione natura­ listica che può essere ritenuta l'acmé teorica della 'metafisica' naturale di Leopardi. Dedalo è un 'fùosofo naturale' esperto di «fisiche e meccaniche dottrine» coltivate, come il giovane Leopardi, «presso al confme l di puber­ tà» nel suo studio e biblioteca ( si presenta come un graduale consoli­ damento di un diuturno esercizio intellettuale, lungo la via aperta dall'abitudine3s. In secondo luogo assume un rilievo particolare il senso del distacco dalla filosofia del proprio tempo (si presume la filosofia idealistica tedesca, ma anche le teorie dei philosophes) i cui pensieri sono ritenuti noiosi, anzitutto perché sono espressi in uno stile lontano da quel gusto letterario e umani­ stico coltivato dal giovane Leopardi, che viene consolidato dal pregiudizio diffuso sul distacco del sentimento dalla ragione. Oltre al riconosciuto debito nei riguardi di Madame de StaiH, che certa­ mente esprime uno stile fùosofico diverso da quelli dei filosofi professiona­ li, siano essi illuministi o idealisti, il punto più importante del passo emerge quando la propria vicenda formativa viene interpretata alla luce di una sicu­ ra consapevolezza gnoseologica sullo sviluppo delle facoltà intellettuali in funzione delle inclinazioni circostanziali che si avvicendano nella formazio­ ne culturale, anche contro le proprie precedenti convinzioni («�e facoltà] non son prodtJtte (gli altri dicono sviluppate) se non dalle letture, e dagli studi, e dalle circostanze diverse, anche contro l'espettazione, e la stessa decisa inclinazione che l'uomo aveva contratta, e supponeva innata in se stesso»).

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PAR.TE SECONDA

Soltanto le circostanze indirizzano un grande talento ad applicarsi in una direzione piuttosto che in un'altra, facendo sì che si producano certe peculiari qualità di stile e di gusto, contribuendo a formare un poeta piuttosto che matematico, due attività considerate nel profon­ do tra le più alte per «tutti gli uomini sommi)). Così - alla fine del 1 82 1 - Leopardi riconosce, a partire dalla sua singolare esperienza formativa, il legame contingente fra la poliedricità dell'ingegno e le determinazioni prodotte delle circostanze. Note

1 . È noto il passo della letteta A Carlo Pepoli [s.d., ma Bologna, ottobte 1 826] , EPIST, n. 1 006, pp. 1 257-8: «Ptecettori non ebbe se 11on pet li ptimi rudimenti che apptese da pedago­ ghi, mantenuti esptessamente in casa da suo padte. Bensì ebbe l'uso di una ticca biblioteca nccolta dal padte, uomo molto amante delle lettere. In questa biblioteca passò la maggiot parte della sua vita, finché e quanto gli fu petmesso dalla salute, distrutta dai suoi studi; i quali cominciò indipendentemente dai precettori in età di anni 1 O, e continuò poi sempre senza riposo, facendone la sua unica occupazione. Apptesa, senza maestro, la lingua gteca, si diede seriamente agli studi filologici, e �i per­ sevetò per sette anni; finché, tovinatasi la vista, e obbligato a passare Wl anno inteto senza leggere (1 819), si volse a pensare, e si affezionò natutalmente alla filosofia; alla quale, ed alla bella lettetatuta che le è congiunta, ha poi quasi esclusivamente atteso fino al ptesente». 'Fi­ losofia' e 'bella letteratuta' vengono congiunte in una dmevole predilezione che, vedtemo, accompagnetà tutta la vita di Leopardi. 2. Gli scritti logici e ontologici riassumono la Logicae et Ontologiae di Del Giudice e le I.rti­ flltiones philosophicae ad studia theologica potissimum accomodatae di J acquiet, mentre la Di.rserla�one sul quesito .re la Logica sia necessaria allo sflldio della Filosofia è Wla parafrasi delle parti introdutti,re della Logique di Arnauld e Nicole (cfr . .rupra, Parte prima, cap. l, note 7 e 45). Le cinque «produzioni» sono elencate nell 1ndice delle produ�oni di me Giaromo Leopardi dall'anno 1809 in poi, vol. VI, ai numeri 1 8, 26, 27, 28 e 30; cft. Indici delle opere romposte da Giacomo Leopardi rompi­ lati da lui stesso, TLO, pp. 997-98. 3. >, e aggiunge «[ . . . ] non poniamo Ìll opera, se non quello, che han­ no sopra di ciò pensato gl'i11telletti più ragionevoli, ed i popoli meglio informati del passa­ to[ . . . ]>>, qui11di sostiene che > (ivi, vol. I, pp. 5, 6 e 8). ll Libro primo tJ:atta del «cielo poetico>>, Ì11 quanto rintJ:accia l'origine dei nomi 'poetici' dati alle stelle e ai pianeti; il secondo libro presenta il cielo ,,.;,sto dai fùosofl, illustJ:a le opinioni fùoso­ flche più celebri e confuta gli errori di alcuni filosofi 'materialisti', quali Epicuro e Cartesio (, ivi, vol. I, p. 9) . «Il terzo Libro sarà Ì11titolato la Fisica di Mosè, perché in esso si ,.a mostJ:ando, che il buon giudizio e l'esperienza guidano a persuadere che la creazione de' corpi sì organici, co­ me elementari fatta siasi per \•olontà speziali, e appunto nel modo che Mosè ha descritto. Da questo parallelo della Fisica Sacra con la Profana si conseguisce il poter conoscere con maggiore esattezza il valore ed i confini della umana scienza, ed il ridurla quindi alla sua misrua, ed al suo vero oggetto, mercè lo studio delle cose alla pratica pertinenti, e togliendo­ ne tutto quello che ne fa errare Ìll vano, o che alle nostJ:e forze è superiore. E quello è lo scopo della Storia presente.

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PAR.TE SECONDA

Per lo più le osservazioni, ond'ella è composta, son venute schierandosi quali dietro alla Fisica esperimentale e Sistematica, con la quale ho finito l'ottavo Tomo dello Spettacolo del­ la Natura>> (ivi, vol. I, p. 1 3). Nel Libro seconth troviamo tre capitoli dedicati ai sistemi filosofici di Cartesio e di New­ ton: il cap VDI. IlMonth dei Cartesio; il cap. IX. Il Mondo di Ne11fon (dove Pluche afferma: «Ma la Fisica del Sig. Neuton pare, che si accordi perfettamente e con Mosè, e con l'esperienza. Egli non contradice a questa in conto alcw1o, perocchè tutta la sua Fisica riducesi a stabilire un'azione generale, che possa essere mostrata nella Natura dall'esperie11za, senza iru1oltrarsi a volerne assegnare la causa. S'accorda altresì perfettamente coll'isteria Mosaica, perocchè il Sig. Neuton deduce, siccome ha fatto Mosè, da tanti peculiari comandi o volontà del Creato­ re, e non da veruna causa fisica, la produzione de' varj elementi, e l'organizzazione del tut­ to»), e il cap. X. Vad gi11di!{j intorno alia Fiska del Ne11fon (i,i, \•ol. I, pp. 1 68-210, 21 1 -24 e 22449, la citazione è alla p. 21 1). Numerose le affinità fra !'!storia del cielo e il Saggio: entrambi gli autori sostengono che gli antichi hanno commesso troppi errori e che essi sono giw1ti fmo ai tempi moderni, ragion per cui è necessario conoscerli per poterli superare, e ribadiscono la centralità dell'esperienza rispetto ai discorsi dei filosofi. Più in generale la critica di Pluche a Cartesio per il suo mec­ canicismo materialistico e l'accettazione del sistema di Newton, che si accorderebbe con l'esperienza e con la 'fisica' di 1\llosè, corrisponde alla centralità che acquista la sintesi newto­ niana negli 'scritti scientifici' di Leopardi e ai suoi propositi di 'illuminista cattolico' (cfr. 111pra, Parte prima, cap. l , nota 63). Propongo, a titolo esemplificativo, Wl confronto testuale, richiamando due passi delle ri­ spettive dichiarazioni d'intenti: nel Capo I (Idea dell'opera) Leopardi asserisce: (cfr. in.fra, nota 28) inizia con le seguenti parole: «Il celebre Algarotti compose dialoghi ad irnmita­ zione di Fontenelle ; ru1o ne scrissi io ad irnmitazione di Roberti. Questi fe' il Dialogo sopra il lusso per difendere un suo libro; io questo composi per confutare un Libro altnJ.i>,, n.o, p. 573. Nella Lettera sopra l'uso della fisica nella poesia Wieland viene apprezzato per «ben congiu­ gnere ne' suoi versi la poesia, e la filosofw1 e vengono avvicinati tre audons della formazione

giovanile leopardiana «Il P. Regnaut ne' suoi Dialoghi, l'Abate Pluche nello Spettacolo della natura, il Sign. Fontanelle [sic] nella Pluralità de' mondi hanno potuto scrivere la Fisica poe­ ticamente in prosa: e perché non si potrà, e non si dovrà scrivere poeticamente in versi?», Opm dell'Abate Giambati.rta Conte Roberti, terza edizione ''eneta cit., tomo m, p. 30. Si tratta di tre auctores indiscussi della formazione leopardiana (cfr. anche supra, Parte prima, cap. 3, nota 18 e cap. 4, nota 3); la pista segnata da Roberti è ancora in gran parte da esplorare. 1 8. Serbanesco indica, tra i riferimenti alle fonti del Saggio, l'Hùtoire du oradu (1 701) di Fontenelle, autore dei più volte ricordati Entretiens sur la pluralité des monde.r; cfr. Serbanesco, Leopardi et la France, cit., p. 104 (cfr. supra, Parte prima, cap. l, nota 42). Richiamandosi anche alle osservazioni espresse da Cesare Galimberti nell 'introduzione alla citata edizione delle Operette morali - Un libro metafisico, pp. 5-47 - Bronzini rimarca: «E più in generale è ravvisabile nel corso dell'azione del pensiero leopardiano il recupero del nesso primitivo natura-cultura, errore-ragione, e quindi l'uso di una ragione così riabilitata per combattere non più gli errori degli antichi, che si dimostrano sempre più falsi errori (er­ rori in qua11to '•isti dall'alto), ma gli errori "partoriti dal predominio della ragione stessa e che hanno preso corpo soprattutto negli istituti sociali"», Leopardi, Saggio, cit., p. 28. 19. lvi, p. 63. 20. lvi, p. 269 e 267. La critica del deismo è qui netta, ma rimane molto forte ancora nel­ le pagine dello Zibaldone del 1 820, dove ad esempio - sulla scia delle considerazioni svolte nell'Essai sur l'indi.ffirence en matière de reli§'on di Hugues-Félicité-Robert de Lamennais (per il quale cfr. infra, nota 37) Leopardi rintraccia nella riforma protestante l'origine storica del deismo e la matrice della «febbre divorante e consunti\•a della ragione e della filosofia», che ha tro\•ato particolare ambientazione in Germania; cfr. Zib, 349-5 1 /23 no�rembre 1 820. L'uso del termine 'filosofo' in Leopardi e in questo saggio rinvia sempre sia al philosophe illu­ minista, sia al 'filosofo naturale' espresso dalla scienza e dalla fllo sofia moderne (cfr. supra, Parte prima, cap. l , note 4 e 77). 21. Leopardi, Saggio, cit., p. 66. 22. lvi, p. 65. 23. Cfr. Bronzini, Introdu�'one, in Leopardi, Saggio, cit., pp. 46-5 1 . Ricordo anche le 'legge­ re' annotazioni di Cal,>ino sulla contemplazione leopardiana della luna; cfr. supra, Parte pri­ ma, cap. l , nota 62. Damiani ha rintracciato nel Saggio altri tasselli del pensiero leopardia110 in nuce, quali l'affermazione del potere conoscitivo dell'analogia, Wl abbozzo di riflessione sul concetto di spirito, la considerazione critica sulla funzione del filosofo, nella prospettiva di una conciliazione fra filosofia rettamente intesa e fede cristiana, che non rappresenterebbe soltanto un'eco della cultura monaldiana, ma un convinto tentativo di mediazione ancora non abbandonato; cfr. Darnia1U, L 'impero della ragione, cit., pp. 36, 41 e 49. 24. Va segnalata la riflessione di Antonio Negri sull'«intenzione metafisica a determina­ zione pratica» espressa nel Saggio e attestata nel Rifacimento, che indicherebbe w1'etica «che controlla, e comunque organizza, le dimensioni ontologiche del tempo»: «tempo della demi­ stificazione; tempo del lavoro critico, tempo della verità». Tale scavo ontologico sulla dimen­ sione temporale viene osservato anche nella Storia della Astronomia, nella torsione di Wl tem­ po fisico frutto del bilanciamento dell'attività filologica con l'applicazione naturalistica; Il volume di Antonio N egri è volto a seguire la triplice qualificazione del pensiero leopardiano fra sensismo e materialismo settecenteschi, tradizione umanistica e attualità critica della ri­ flessione sull'artificialità, che sfocia in wu materialistica «metafisica dei costumi>>: «Un radica­ le umanesimo, ri\•oluzionario e collettivo, OrglllÙZZa la poesia leopardia11a, il SUO processo: Wl -

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PAR.TE SECONDA

umanesimo distruttore di ogni ipocrita favola di limitate libertà e di enorme progresso, costi­ tutivo di un fondamento antagonistico e di indefinito desiderio, produttore di un materiali­ stico progetto di solidarietà». Negri mette in chiaro il percorso della critica leoparcliana delle scie11ze della natura, inclirizzatasi infu1e ''eno il «con,•incimento della possibilità e della ne­ cessità di una duplice lettura del mondo: di quella parziale ed esatta, indispensabile per agire e per vivere, e di quella poetica, non meno indispensabile per non eludere, pur senza dar loro una risposta, le grandi ed eterne domande sul destino dell'uomo nel mondo»; cfr. Antonio Negri, Lenta §ilestra. Saggio sull'ontologia di Giacomo Leopardt� Sugarco Edizioni, Milano 1987, pp. 29-3 1 (le citazioni sono alle pp. 29 e 1 8). 25. Damiani ricorda - e l'edizione fotografica dell'autografo dello Zibaldone curata da Pe­ ruzzi conferma agevolmente - che il titolo «zibaldone eli Pensieri>> apposto alla pagina 4295 del manoscritto dopo la compilazione dell'indice tematico testimonia del rilievo della parola «Pensieri>>, posta al centro della riga in posizione più accentuata rispetto a «zibaldone>>; cfr. Damiani, Commento, in Leopardi, Zibaldone, cit., vol. m, p. 3707. 26. Ancora Se�:banesco tramite il vaglio del Catalogo della Biblioteca ha sostenuto, mi pare a ragione: «La plupart des livres clidactiques, scientifiques et philosophiques qui appar­ tenaient à Monaldo sont des traductions du français ou des li\'Ies français>>, Serbanesco, Leo­ pardi et la France, cit., p. 1 1 6. 27. Il Dialogo .filosofico polemizza contro l'Analisi del/t idee ad uso della §oZJtntù (i\IIacenta 1 808) del bamabita Mariano Gigli, che aveva negato il libeJ:O arbitrio e che viene di conse­ guenza accusato eli «fatalismo»; cfr. Frattini Leopardi e gli ideo/o§ francesi del Settecento, in Id., Letterafllra e scienza in Leopardi e altd studi leopardiani, cit., pp. 60-4 e Casini, Leopardi apprrndista: scienza e .filosofia, ci t. Casini ha rilevato nel Dialogo filosofico l'uso eli w1a «tecnica compositiva a intarsio>> che prende a prestito argomenti da varie fonti e li collaziona tra di loro {non dissi­ mile da quella messa in atto nelle Dilserta!(joni.filosofiche) e ha riconosciuto Wl equilibrio fra le parti in discussione, se pure spezzato dall'adesione all'ortodossia cattolica, per concludere che l'itinerario conoscitivo di Leopardi riproduce il percorso filosofico di Voltaire: «[ . . ] è sorprendente il fatto che il giovanissimo poeta, in anni di ostentata ortodossia cattolica, ri­ calcò inconsapevolmente nel proprio Dialogo l'intero pe�:corso delle ugomentazioni di Vol­ taire commentatore di Newton e dei deisti, che sarà più volte nominato nello Zibaldone come letterato, poeta e drammaturgo>>; cf�:. i'�• pp. 430-5 (e per la citazione la p. 434) e cf�:. anche supra, Parte prima, cap. l, note 1 2 e 47. Il Dialogo filosofico meriterebbe un approfondimento, per i riferimenti metodologici sul rapporto tra fisica e metafisica e pe1: le modalità d'uso delle teorie astronomiche modeme. 28. Sulla 'segreta' incertezza di questa datazione ricordo l'ù1teressat1te, e discussa, ipotesi Marcello Verdenelli nell'uticolo Cronistona dell'idea leopardiana di «Zibaldone», in "Il Veltro. Rivista di cultura italia11a", XXXI, 1 987, 5-6, (fascicolo monognfico dal titolo Giacomo Leopardi 1831- 1 987), pp. 591 -62 1 . Ve�:denelli valorizza il ruolo del ca110nico alsaziano Giuseppe An­ tonio Vogel, studioso di grandissima erudizione conosciuto a Recanati nel 1 806, che contd­ buisce, ben più eli Sanchini e Torres, ad avviue il giovane Leopucli agli studi eruditi oltre che a sollecitugli l'idea dello «zibaldone>>. La datazione della prima pagina del «caos scritto>> (co­ me Vogel definiva lo «zibaldone>>) potrebbe segnare un tacito ricordo della morte di Vogel, avvenuta il 26 agosto 1 817. 29. Damiani ricostruisce con grande attenzione il peso clelJe opere di de St:aèl nell'elaborazione del pen­ siero leopucliano, andando ben oltre la Corinne ed esaminando il ruolo giocato da Delphine e in seguito dalle Lettrrs surJean-]acques &111seau e da De I'Aiemagne, anche nella direzione degli .

stimoli fonùti per ulteriori importanti letture (prima fra tutte quella dell'opera di Rousseau, che compare per la prima \•olta nell'E/eneo di kffllre del maggio 1 829 al 472 con Les pensées de J.J. Rou.ueau), ma naturalmente i riferimenti a Rousseau se pure indiretti sono ben prece­ denti e risalgono alla Dimrla�one Sopra l'anima delle bestie (1 812); cfr. supra, Parte prima, cap. 3, nota 9. Damiani ricotda inoltte l'adetenza esistenziale al modello e la cotrispondenza fra i due più intensi momenti di identificazione: l'estate del 1 8 1 9, con il fallito tentativo di fuga, e il novembte del 1 828, con la parallela crisi legata a un ritomo a Recanati che Leopardi ritiene defuùtivo. A Damiani si deve anche una scrupolosa discussione delle intetptetazioni sui nes­ si teorici e sui tta\•asi scritturali che legano Leopardi a de Stael, a partite dal pio1ùetistico vo­ lume di Sofia Ravasi Leopardi et Madame de Staèl del 1910; cfr. R. Dami&ù, All'ombra di Madame de Stael (saggio già pubblicato con il titolo Leopardi e Madame de Stael, in "Lettete Ita­ liane", XLV, 1993, pp. 538-61), ora in Id., L 'impero della ragione, cit., pp. 1 57 e 1 53-4. Ricordo anche, fra gli altti, il saggio di Anna Dolfi Leopardi e ilpensarftlosoftco di Madame de Stael, in F. Musarta e S. Van,•olsem (a cura di), Leopardi e la cultura europea, Bulzoni-Leu\•en Uni,renity Ptess, Roma-Leuven 1 989, pp. 1 9 1 -205. 30. In Wl lw1go passaggio del 22 novembre 1 820, nel quale confronta le buone poesie con gli scritti filosofici Leopatdi sostiene che enttambi possono essete intesi supetficialmen­ te da tutti, ma che non saranno comptesi in ptofondità: «Del testo pet intendere i filosofi, e quasi �:li � è � a:me per ilmxlete i poeti, :n� tllllla fOa:a d'immaginazione, e di senti­ mento, e tanta capacità di riflettete, da potetsi porte nei panni dello scrittore, e in quel pwlto preciso di \ri.sta e di situazione, i.n cui egli si ttovava nel considetare le cose di cui scrive; al­ ttimenti non trovetete mai ch'egli sia chiato abbast&lZa, pet quanto lo sia in effetto», Zib, 349/22 no\'embte 1 820. 3 1 . Damiani, L 'impero della ragione, cit., p. 1 49, 11ota 1 . 32. lvi, p . 1 62. Andtebbe aggiw1ta anche una notazione su wu prima ptesa di distanze dalla fiducia piena nel cristianesimo; petaltto Damiani vede la collocazione defuùtiva del pensiero di de Stael nell'orizzonte meditativo leopardi&lo all'intemo dello «sttato!Ùsmo» e della «filosofia dolotosa»: �. -

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PAR.TB SECONDA

Sappiamo come siano stati numerosi i tentativi di rifacimento e di riela­ borazione dello Zibaldone, che si addensano in concomitanza con lo sforzo creativo di composizione delle Operette morali. Dai Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura del novembre-dicembre 1 823, al raggruppamento, attraverso un'attenta schedatura, di 58 lemmi tra il luglio e l'agosto 1 824 (intitolato, dal contenuto del pensiero di pagina 1 02, Danno del conoscere la propria età), allo sviluppo progressivo del proposito di ricaYare dallo «scartafaccio» un Di�o­ natiofilosofico efilologico o una Enciclopedia o Di�onatio delle cose inutil� e delle cose che non si sanno, fino alla costruzione di un Indice del mio Zibaldone di Pensieri, basato su uno schedario di 555 schede (le Poliz:dne richiamate) cui si dedica dall'l l luglio al 1 4 ottobre 1 827 , Leopardi si affanna in un lavoro di si­ stemazione dei materiali dello Zibaldone al fine di ricaYarne possibili pubbli­ cazioni. È stata di recente enfatizzata anche la stesura delle Polii!(jne a parte o 'non richiamate', schede tematiche composte insieme a quelle da usare per l'Indice, che costituiscono un catalogo alfabetico conYogliato su sette argo­ menti che avrebbe dovuto costituire la struttura formale del mai realizzato progetto di Di�onatio o Enciclopedia per l'editore Antonio Fortunato Stella, e che spazia dalla poesia, alle culture classiche e moderne, dalla fllologia e lin­ guistica, alla teologia, dalla politica, all'estetica e alla storia delle idee4. La gran quantità di Disegni letterati posteriore al completamento dell'Indice nel 1 827 riprende spesso temi già schedati nello Zibaldone, dimostrando co­ me quest'ultimo rimarrà una fonte possibile per ulteriori lavori («castelli in aria», come li chiamerà nel 1 829)5: tra di essi è stata rintracciata l'ipotesi, a lungo coltiYata, di un romanzo autobiografico (Storia di un 'anima) che a­ Yrebbe dovuto raccogliere passi dello Zibaldone intitolati Memorie della mia vita e che indica uno sbocco diYergente rispetto a quello dell'E nciclopedia Anche i 1 1 1 Pensieri sono - è noto - ricaYati da passi e concetti dello Zibaldone, il pro­ getto, fOJ:Se .ideato nel 1831 e completato nel 1835 a Napoli, avrebbe dovuto confluire in un trattato Yariamente intitolato6. I sondaggi fllologici sulla struttura dello Zibaldone, ormai molto dettaglia­ ti e raffmati, ci illuminano sul possibile uso che Leopardi voleYa farne, spe­ cie in Yista di pubblicazioni future, e sul suo carattere di 'opera aperta' de­ stinata a fungere da 'tesoro' per progetti di diYerso spessore, ma soltanto indirettamente chiariscono il carattere e lo stile della sua filosofia, o meglio consentono di acce1tare la presenza o meno di un sistema fllo sofico leopar­ diano. Tuttavia contribuiscono a pone il problema in termini del tutto di­ Yersi rispetto a quelli proposti dalla critica idealistica a partire da Benedetto Croce e da GioYanni Gentile. Alcuni punti fermi risultano ormai condiYisi: lo sforzo di pensiero che Leopardi esprime in molte pagine dello Zibaldone non conduce a un risultato compiuto, uniYoco o comunque ben definito; la -

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2. ANDATURA CIRCOSTANZIALE DELLO ZIBALD01\'B

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lettura delle note dello Zibaldone fa emergere senza equivoci l'andatura di un 'pensiero in movimento' (secondo la ricordata espressione di Sergio Solmi), che tende a una prospettiva sistematica mai raggiunta. E ciò avviene per motivi innanzitutto strutturali: le annotazioni sono sempre espressione di un confronto, di un'indicazione di accordo o disaccordo con altre filosofie e altri pensatori. In defmitiva, ci troviamo dinanzi a una 'struttura circostan­ ziale', che vive di subitanee annotazioni che fissano momenti di un pensiero sempre mosso di riflesso, di brusche accelerazioni e di lunghi silenzi, a se­ conda delle letture e della tensione conoscitiva e argomentativa del momen­ to. Leopardi guarda al sistema intendendolo come sbocco tendenziale della sua ricerca filosofica, ma in realtà nei 'fùosofi' che lo hanno ispirato (da de Stael a Rousseau e a Montesquieu) non ha trovato alcun modello di 'trattato filosofico', e non intende redigerne uno nelle forme canoniche della filoso­ fia moderna. Basterebbe ricordare il suo disprezzo per gli sforzi sistematici della fùosofia tedesca a lui contemporanea, Kant compreso (che gli costerà la perdita di ogni contatto diretto con le esperienze fùosofiche più rilevanti del proprio tempo)7. Inoltre non emerge dallo Zibaldone una conoscenza di­ retta dei principali trattati filosofici che segnano la grande stagione della fi­ losofia moderna, da Cartesio a Kants. Forse, per cogliere il valore attribuito da Leopardi alla propria fùosofia, bisognerebbe prestare più attenzione all'accezione del termine 'filosofo' diffusa nel Settecento. È filosofo (o me­ glio philosophe) colui che ragiona e riflette, interessandosi ad argomenti ca­ nonici della cultura filosofica nella direzione della saggezza e dell'agire mo­ rale, ma evitando quell'esprit de !)'Sfème che gli illuministi - e in generale i filo­ sofi del Settecento - aborrivano. E la filosofia di Madame de Stael testimo­ nia proprio di tale visione aperta, dialogica e in gran parte 'narrativa' della filosofia, nella quale l'argomentazione razionale convive con l'introspezione sentimentale e con la descrizione di casi e di vicende umane. Certamente Leopardi non aveva ricevuto quella solida e profonda formazione scientifica che fece sì che i maggiori filosofi della modernità fossero anche insieme scienziati di livello elevato; certamente gli mancò la coerenza e la cogenza argomentativa dei trattati di Cartesio, di Spinoza o di Kant. E tuttavia pro­ prio a partire dai limiti intrinseci nelle modalità del pensiero leopardiano si riconosce l'originalità di una riflessione 'circostanziale', sempre ripresa, ri­ corsivamente annodata su se stessa. Se non può dirsi, in defmitiva, che vi sia nello Zibaldone un sistema inteso secondo il 'genere letterario' del sistema metafisica e del trattato filosofico, e si può ipotizzare che mai Leopardi avrebbe realizzato un'opera avvicinabi­ le alle grandi opere filosofiche della modernità, si deve invece valutare con attenzione l'ordine di temi filosofici ricorrenti che emergono dallo Zibaldone,

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PAR.TB SECONDA

secondo forme senz'altro nuove, assimilabili a quelle di alcuni scritti di Nie­ tzsche, ma presenti anche nella tradizione moderna (si pensi alle Pensées di Pascal o agli Essais di Montaigne, due opere che pare abbiano avuto un ruo­ lo nel pensie.ro leopardiano)9 , e si pensi anche agli scritti di Leibniz, fùosofo dalla indubitabile vocazione sistematica che non è mai stato sistematico nel­ la sua sc.rittura!O. Quindi Leopardi è fùosofo tendenzialmente sistematico sul piano dell'elaborazione tematica: mi.ra al sistema, alla defmizione di un orizzonte di verità consistente e inefutabile (ma, in defmitiva, c'è fùosofia senza tensione sistematica?) . E con ogni evidenza non lo .realizza, né si può presumere che lo avrebbe mai .realizzato. La sua andatura sistematica si me­ scola al gioco delle circostanze disegnando un 'sistema delle circostanze'. Tali considerazioni trmrano conforto nei .riferimenti al sistema fùosofico presenti nello Zibaldone come veri punti di snodo. Seguiamoli brevemente. Si è già accennato alla prima presentazione del «mio sistema intorno alle cose ed agli uomini», esposta nel lungo passaggio del 9-1 5 dicembre 1 820, in .relazione alla preoccupazione, ancora molto forte a quella data, di trovare una maniera di conciliare la p.rop.ria filosofia con il Cristianesimo. Si tratta di un'argomentazione in undici punti, nella quale sono rilevanti le asserzioni sull'identità fra natura e Dio (di tono panteistico) (primo punto) e sulla «corruzione dell'uomo, e il suo decadimento dallo stato primitivo, stato di felicità», orientate dal conf.ronto con Rousseau, nell'identificazione della lo­ ro causa nell'affermarsi deDa conoscenza razionale (punti 2 e 3); l'affermazione del ca­ rattere materiale e sensibile dei pjaceri umani (quinto punto), dell'impossibilità di rag­ giungere la felicità naturale dopo che si è costituito l'impero della .ragione (sesto punto) e della necessità di uno stato '.religioso' «che dia un corpo e una verità alle illusioni, senza le quali non c'è felicità» (nono punto) . In con­ clusione (undicesimo punto), Leopardi ritiene di aver trovato un accordo fra il suo sistema e il cristianesimo, che «può supplire a spiegare quella parte della natura delle cose che nel mio sistema .resta intatta, ovve.ro oscura e dif­ ficile», cioè l'origine del mondo e dell'uomo spiegata dalla creazione e la perdita dello stato di perfezione naturale .ricondotto al peccato (cfr. Zib, 393-420). In effetti si tratta di punti sui quali Leopardi non è pervenuto a una chiara soluzione, a dimostrazione del carattere ancora del tutto instabile della sua ricerca filosofica e della permanenza nel suo pensie.ro di aspetti fideistici e .religiosi. In due pensieri di qualche mese successivi torna a imporsi tuttavia l'equazione fùosofia-sistema, con un .riferimento molto netto alla tradizione filosofica. Egli non dubita (cfr. Zib, 946-9/ 1 6 aprile 1 821) 1 1 che «qualunque vero pensato.re, non può assolutamente a meno di non formarsi, o di non seguire, o generalmente di non avere un sistema». Questa affermazione si

2. ANDATURA CIRCOSTANZIALE DEllO ZIB.-il.D01\'B

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distacca risolutamente dallo spirito del tempo, che condanna «l'amor de' si­ stemi, siccome dannosissimo al vero», e si richiama ai più grandi filosofi moderni - si citano Cartesio, Malebranche, Newton, Leibniz, Locke, Rous­ seau, Cabanis, Destutt de Tracy, Vico, Kant - che, in ciascuna branca della filosofia, «hanno avuto ciascuno il loro sistema». Leopardi dà ragione di tale esigenza sistematica sostenendo che soltanto chi non pensa da sé potrà contentarsi di verità particolari, tratte da diversi sistemi (e comunque sem­ pre collegate in un qualche ordine o sistema), mentre Egli [il pensatore] cerca naturalmente e necessariamente un filo nella considerazio­ ne delle cose. È impossibile ch'egli si contenti delle nozioni e delle Yerità del tutto isolate. E se se ne contentasse la sua fùosofia sarebbe triYialissima, e meschinissima, e non otterrebbe nessun risultato. Lo scopo della filosofia (in tutta l'estensione di questa parola) è il trovar le ragioni delle verità. Queste ragioni non si troYano se non se nelle relazioni di esse verità, e col mezzo del generalizzare. Non è ella, cosa notissima che la facoltà del generalizzare costituisce il pensatore? Non è confessato che la fùosofia consiste nella speculazione de' rapporti? Ora chiunque dai particola­ ri cerca di passare ai generali, chiunque cerca il legame delle verità (cosa inseparabi­ le dalla facoltà del pensiero) e i rapporti delle cose; cerca un sistema; e chiunque è passato ai generali, ed ha troYato o creduto di trovare un sistema, o la conferma e la prova, o la persuasione di un sistema più o meno esteso, più o meno completo, più o meno legato, armonico, e consentaneo nelle sue parti. 3. Il male è quando dai generali si passa ai particolari, cioè dal sistema alla con­ siderazione delle verità che lo debbono formare. Ovvero quando da pochi ed incer­ ti, e mal connessi, ed infermi particolari, da pochi ed oscuri rapporti, si passa al si­ stema, ed ai generali.

Si tratta di una riflessione molto chiara sul compito della filosofia e in gene­ rale del pensiero, che consiste nel «trovar le ragioni delle verità», ovvero nell'argomentare con coerenza passando dal particolare al generale, dai fe­ nomeni alle cause, con lo scopo, saldamente aristotelico, dello scire per causas. La tensione al sistema è quindi inseparabile dall'abito del pensare e si ritrova anche nei sistemi che negano tutti i sistemi (come lo scetticismo o lo stesso illuminismo), semmai il pericolo consiste nell'atteggiamento dei «piccoli spi­ riti», che formano sistemi poco coerenti e poco attinenti alla varietà del .rea­ le, nei quali ), S. Solmi, La vita e il

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PAR.TE SECONDA

pensiero di Leopardi (inizialmente pubblicato come saggio introduttivo in G. Leopardi, Opere, Ricciardi, l\:lilat1o-Napoli 1 966, tomo II; quindi in Id., Studi e nuovi studi leopardiani, Ricciardi, Milano-Napoli 1975), ota in Id., Studi leopardiani, cit., pp. 61 -2. Galimberti evidenzia a titolo di w1 intervento che apre la sua ultima raccolta di scritti leopardiatu un'espressione di Gior­ dani («Sommo poeta e sommo filosofo», 1 845) che rimane ancora una traccia forte di lettura dell'insieme dell'opera leopardiat1a; cfr. C. Galimberti, Sommo poeta e sommo filosofo, in "50 rue de Varenne", 29, 1 989, pp. 40-5, ora in Id., Cose the non son rose, cit., pp. 1 3-22. In Galimberti l'intreccio poesia-filosofia viene espresso con wu predilezione per il piano metafisico e con una lettura di stampo 'dualistico': «Perché un punto va chiarito sùbito: la posizione di Leo­ pardi s'irradierà tutta, at1che nei momenti più teneri e abbandonati, da w1 ardente fulcro di pensiero, arricchito da suggestioni religiose, f!l.osofiche e letterarie di prove1uenza assai varia. E sarà pensiero pe.r eccellenza, di un metafisico, non di un moralista)); e l'ambiente fiorentino deii', pp. 97-138 e R. Darni.ani., All'apparir del vero. Vita di Giacomo Leopardi, Mondadori, .1.\li.lano 1998 (che rivede e aggioma la Vita di Leopardi, Mondadori, Mila.tlo 1992 dello stesso). Le presenze di Maurizio Brighenti, Dansi, Porri e Puccinotti sono fittizie, sicure quelle di Vieusseux e Paoli, probabili quelle di Carlo Luciano Bonaparte, Cappotù, Ci.otli, Libri e Orioli.

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PAR.TE SECONDA

3. Partiunno il 9 no\•embre e la reside11Za di Leopardi a Pisa durerà fino al 7 giugno dell'anno successivo: «Egli ebbe buonissimo viaggio, e per niente faticoso», comunica Ciotù a Vieusseux (UI Gaetano Cioni a Giovan Pietro VieHsseux, (Pisa] 1 4 Novembre 1 827, VIEUS I, p. 93). L'amico curerà che Giacomo viva a Pisa nelle condizio1Ù più confortevoli, facendolo alloggiare in casa di Giuseppe Soderini, in \"Ìa Fagiuoli (poi della Faggiola) al numero 1062, a pochi passi da casa sua, sita al numero 1 055, in cui abita con il figlio Girolamo, iscritto all'Università e che il padre seguirà da vicino negli studi. Scrivendo a Vieusseux Cioni testi­ monia la cura attenta e amorevole espressa per rendere gradito e agevole il soggiorno pisano di Leopardi: ,, ivi, pp. 232 e 234. Inoltre �, ivi, p. 349. I contributi scientifici di Libri per l'antologia sono i seguenti: G. Libri, Memoria sopra la fiamma, m "Antologia", XXV, 1 827, gennaio, pp. 73-83; Id., Saggio d'esperienze elettrometriche del prof Marianini, Ìll "Antologia", xxv, 1 827, maggio, pp. 145-53; Lettera di G. Libri al Direttore dell'Antologia Intorno ad alcuni oggetti difisica, Ìll "Antologia", XXVII, 1 827, luglio, pp 135-40; Lettera di G. Libri al Direttore dell'Antologia Sull'apparenza luminosa, in "Antologia", xxx, 1 828, aprile, pp. 1 30-2; Id., Memoria de/ sig. Schultz sopra le drrola!done de/ sugo nelle piante, in "Antolo­ gia", XL, 1 830, luglio, pp. 64-8; Memoria letta da/ sig. Libri all'Accademia delle sdtn!(J di Parigi in­ torno alla scala del termometro dell'Accademia del Cimento, in "Antologia", XLI, 1 830, luglio, pp. 140-3; Discorso di Guglielmo Libri intorno alla storia scientifica della Toscana, m "Antologia" , XLIV, novembre, 1831, pp. 1-1 7; Id., Memon'a letta all'Accademia delle Sden!{! di Parigi intorno alla solu­ !done di due problemiproposti già parecchi anni sono ne' giornali tedeschi dai sigg. Gauss e Jacobi, in "An­ tologia", XLVD, 1 832, settembre, p. 1 84. Nessun riferimento a Libri compare nello Zibaldone; mentre nell'Epistolario abbiamo la lettera Di Guglielmo L'bri, (Firenze, Di Casa I0• Agosto 1 828] , EPIST, 1 327, pp. 1 540- 1 , Ìll cui si richiede w1a consulenza per la stampa delle Vite de' Santi Padri, e un Frammento di lettera, datato maggio 1 831 e non mviato, cui Libri fa riferimento nella lettera a Vieusseux riportata supra, nota 1 7, nel quale si invita calorosamente Leopardi a recedere dal suo proposito di ab­ bandonare le lettere. 1 8. Sui problemi meteorologici l'Antologia presenta un articolo - cfr. Pictet, Sulle varia!do­ ni corrispondenti dei barometri a distanza e la loro influenza sulle misure barometriche delle alttz!(!, Ì11 "Antologia", m, 1 82 1 , luglio, pp. 148-61 - e Ì11troduce periodiche rilevazioni dei fenomeni atmosferici. 19. Giuseppilu Rossi ha rievocato la storia della «prima riunione degli scienziati italiani», ventilata già nel 1 822 in una proposta di Tommaseo, sostenuta da Vieusseux, promossa mfi­ ne da Carlo Luciano Bonaparte grazie al favore dd Granduca Leopoldo II, che ne emise il manifesto di convocazione il 28 marzo 1 829, pur non figurandovi. Nel Comitato promotore troviamo alcuni noti studiosi fiorentini e pisani, scelti in quanto non compromessi con la politica: Vincenzo Anti11ori, direttore dd Museo di fisica e storia naturale di Firenze, Giovan Battista Amici, astronomo di corte, direttore della Specola Fiorentina dal 1 83 1 e grande otti­ co, Maurizio Bufalini, professore di clinica medica all'ospedale fiorenti11o di S. Maria Nuova, Gaetano Giorgini, provveditore dell'wuversità di Pisa e Paolo Savi, figlio del noto naturalista Gaetano, professore di storia naturale a Pisa (cfr. supra, Parte prima, cap. l , nota 43) . Alla sua apertura, il 1 ° ottobre 1 839, si contano 421 convenuti, m prevalenza tosc:uu (con un gr:u1 numero di soci del Gabinetto Vieusseux e dell'Accademia dei Georgofi.li); non manc:u1o gli stranieri (in numero di 40, tra quali il naturalista tedesco Lorenz Oken, promotore di prece­ denti congressi scientifici i11 Germania) ; presidente generale del congresso è Gerbi, già do.

3. GU AMICI SCIENZIAn

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cente di fisica a Pisa e autore di Ulla Storia delle Seienze Italiane, segretario il professore di geo­ metria Corridi. La Sezione di agronomia e tecnologia è presieduta da Ridolfi, agronomo dei Georgofili, fondatore del "Gionule Agrario Toscano" con Vieusseux, collaboratore dell'Antologia, e promotore della scuola agraria di Meleto, la prima scuola agraria italiana per i contadini. : si è già costituita la società italiana per il progresso delle sciellZe che promuoverà i congressi successivi; Cfr. G. Rossi, La prima riunione degli seien�ati italiani a Pisa (18J9), in Delegazione Pisana dell'A.I.TO.M. (a cura di), La situa�one delle seitn!{! al tempo della «prima riu­ nione degli seien�ati italiani!>, cit., pp. 1 1 -23. Nel &go/amento delle riunioni è dichiarato lo scopo dei Congressi scientifici: «il fine delle riwuoni dei cultori di scienze naturali si è di giovare ai progressi e all a diffusione di tali scienze e delle loro utili applicazioni)), Atti della prima riunione degli seien�ati italiani tenuta in Pisa nell'ottobrr dei 18J9, Nistri, Pisa 1 840, cit. in Botta.zzi.tu, La matematica e le sue «utili applica�'oni>> nei rongrrs.ri degli .reien�ati italiam; 18)9- 1841, in Pancaldi (a cura di), I rongrrssi degli .reien�ati italiani nell'età delpositi11i.rmo, ci t., p. 1 1 . 20. Cfr. Alippi Cappelletti, Il rontributo alla �ologia, alla anatomia romparata e alla embriologia dato dagli .reien�ati italiani a rongrrsso dal 18)9 al 184 7, in Delegazione Pisana dell'A.I.TO.:!>!. (a cura di), La .ritua�one delle .reien!{! al tempo della «prima riunione degli .rden�ati italiani», cit., pp. 24971 e G. Pancaldi, Un linguaujo per la �ologia, in Id. (a cura di), I rongrrs.ri degli seien�ati italiani nell'età delpo.ritivi.rmo, cit., pp. 135-52 (che riporta la significativa frase usata da Cado Luciano Bonaparte per chiudere i lavori della sezione di zoologia del congresso di Genova del 1 846 «parlamento della sapienza italiana)), ivi, p. 1 39; la citazione nel testo sulla sua fama di onuto­ logo è alla p. 1 45). Bonaparte è tra i più costanti nella partecipazione attiva ai Congressi scientifici: «Carlo Luciano Bonaparte, per esempio, oltre a essere il principale promotore dei congressi, ricopri più volte la carica di presidente della sezione di zoologia e wu volta quella di segretario)), F. 1\finuz, A. Tagliavi.tli, sulla possibilità di fenomeni anche in

4. CONOSCENZA DELLE CIRCOSTANZE

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contraddizione con il meccanicismo, come è il caso del mesmerismo38. Ma l'aspetto più significativo di questo pensiero, che sigilla - sulla scia di Bayle - la critica leopardiana della conoscenza, si ritrova nella sottolineatura del carattere 'distruttivo' della ragione scientifica, che consiste «nel conoscere sempre più di non conoscere», che conduce non all'accrescimento di cono­ scenze, ma piuttosto al socratico 'sapere di non sapere'39. Da tale considerazione della dispersione casuale e della contraddittorietà delle conoscenze umane possono emergere gli spunti di una filosofia delle circostanze, alternativa al razionalismo meccanicistico e 'distruttivo' e più consona a una ·visione antimeccanicistica della scienza (rimasta tuttavia in gran parte virtuale e implicita nel pensiero leopardiano). Raccolgo a tal fine i luoghi che riclùamano nello Zibaldone il termine e il concetto di 'circostan­ za'. Il primo riferimento si presenta alla pagina 56, dove Leopardi ragiona sulla scontentezza propria dell'esistenza umana e - seguendo la frase di Rousseau secondo la quale «lout homme quipense est un etre coTTOmpro>40 - ritiene che sia concepibile allo stato naturale una «felicità e contentezza sempre, più o meno, uguale e temperata» simile a quella delle bestie, ma che tale sta­ to è però ormai impossibile, a motivo dello sviluppo del pensiero. «Si po­ trebbe pensare - conclude - che la differenza di ·vita fra le bestie e l'uomo sia nata da circostanze accidentali e dalla diversa conformazione del corpo umano più atta alla società ec.» (Zib, 56) . Le circostanze accidentali, e sol­ tanto esse, hanno distinto gli uomini come creature pensanti dalle bestie. Il richiamo alle circostanze ritorna alle pagine 76-9 nella considerazione del sentimento dell'infelicità legato allo sviluppo della sensibilità, «facoltà natu­ ralissima», presente anche negli antichi, ma soltanto in potenza, mentre nei moderni essa si è sviluppata grazie alle circostanze, specie intellettuali, quali la fùosofia, con la sua «cognizione dell'uomo, e del mondo, e della vanità delle cose, e della infelicità umana»; «è cosa provata che le diverse circo­ stanze sviluppano le diverse facoltà naturali dell'anima, che restano nascose e inoperose mancando quelle tali circostanze, fisiche, politiche, morali, e soprattutto, nel nostro caso, intellettuali» (Zib, 76-9). Tale indicazione viene ribadita in un passo del luglio 1 820 (Zib, 1 77-79)41• Non soltanto quindi si deYe alle circostanze la differenziazione fra uomini e animali, ma anche lo sviluppo delle funzioni psichiche nel corso della storia dell'umanità. Alle origini dello Zibaldone e del progetto sistematico della sua fùosofia Leopardi pone subito il problema del carattere circostanziale della condizione umana. Il primato delle circostanze mette in discussione - in due pensieri immedia­ tamente successivi del 1 3 e 14 agosto 1 820 - ogni logica dell'assoluto; «Non solamente il bello ma forse la massima parte delle cose e delle Yerità che noi crediamo assolute e generali, sono relatiye e particolari» e ciò è doYUto alla

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PARTE SECONDA

nostra assuefazione rispetto a facoltà e conoscenze che sono state prodotte dalle circostanze, unita alle «opinioni i climi i temperamenti cotporali o spi­ rituali», per cui «ascriviamo a leggi eterne e immutabili, a sistema naturale, a Provvidenza ec. l'opera del caso e delle circostanze accidentali e arbitrarie» (Zib, 208/ 1 3 agosto 1 820)42. Tale primato pone anche dinanzi a una que­ stione 'metafisica' sull'efficacia dello sviluppo storico e sociale per il benes­ sere degli uomini, alla quale - è noto - Leopardi fornisce una risposta nega­ tiva: «Or dico io: perché la perfezione cioè il vero modo di essere del solo genere umano fu abbandonato dalla natura al caso? È questo un privilegio, o un immenso svantaggio?» (e la perfezione peraltro «non poteva esser sicu­ ra che l'uomo vi arrivasse mai, essendo stata opera di circostanze non mai essenziali, tutti i pretesi progressi che si son fatti») (Zib, 161 1 -2/2 settembre 1 821). Vi è inoltre una conseguenza di tale relativismo critico delle circostanze che spiace a uno spirito intriso di grandi idealità, il ridimensionamento della grandezza del singolo. Leopardi lo ricorda il 20 agosto 1 82 1 , dopo aver riaf­ fermato che la ragione fa credere «effetto ed opera della natura, quello ch'è puro effetto ed opera dell'assuefazione, e a creder facoltà o qualità congeni­ te quelle che sono meramente acquisite». Ma egli è ben ·1rero - aggiunge con un ripensamento problematico - che questa considerazione estingue il bello e il grande: e quel sommo ingegno, o quella somma virtù considerata come figlia delle circostanze e delle abitudini, non della natura; perde tutto il nobile, tutto il mirabile, tutto il sublime della nostra immaginazione.

A mo' di esempio viene menzionato Newton che «si riconoscerebbe supe­ riore solo per caso al più povero fisico peripatetico» (Zib, 1 527-8/20 agosto 1 821). Nello stesso torno di tempo, nell'importante pensiero del 5-7 settembre 1 82 1 , la filosofia delle circostanze tocca risolutamente la questione teologi­ ca43. Se tutto è relativo, anche la rivelazione divina «non è necessaria pri­ mordialmente, ma stante le convenienze relative, originate dal semplice vo­ ler di Dio», che «si è rivelato perché lo ha voluto e l'ha stimato convenien­ te», «secondo le diverse circostanze delle sue creature». L'intrinseca possibi­ lità del divino contrasta con ogni asserzione sull'assolutezza della legge natu­ rale e di quella morale, secondo 1e 1inee di un conseguente relativismo etico: variando le circostanze, e quindi le convenienze, varia ancor la morale, né v'è legge alcuna scolpita primordialmente nei nostri cuori; [ . . . ] molto meno v'è una morale

4. CONOSCENZA DELLE CIRCOSTANZE

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eterna e preesistente alla natura delle cose, ma [ . . . ] ella dipende e consiste del tutto nella volontà e nell'arbitrio di Dio padrone [ . . . ] .

Dio è dichiaratamente identificato con la natura e appare privo di una mo­ rale eterna e necessaria, in quanto la morale viene creata e mutata, anche in modo drastico, secondo le circostanze. Inoltre, in Dio Leopardi presenta l'ordine del possibile sul piano stesso della costituzione dell'universo e dei suoi mondi, integrando così una singola religione, quale è il cristianesimo, nella sua più generale fùosofia delle circostanze: La pluralità de' mondi, quasi fisicamente dimostrata, come si può accordare col Cristianesimo fuori del mio sistema, il quale dimostra che le creature possono esser d'infinite specie, e che Dio esistendo verso noi come la religione insegna, esiste an­ cora in tutti i possibili modi, e può avere avuto ed avere con diversissime creature, diversissimi e contrari rapporti, e non averne alcuno? Quante verità fisiche, metafi­ siche ec. ripugnano alla religione, fuori del mio sistema che nega ogni verità e falsità assoluta, ammettendo le relative, e in queste la religione? (Zib, 1 637-45/5-7 settem­ bre 1 821).

Tramite tale procedura di inglobamento il relativismo generalizzato delle possibilità ammette la compresenza di ateismo e cristianesimo, di natw:ali­ smo e trascendenza, nello sforzo di inverare in termini non assoluti, ma sol­ tanto relativi, il cristianesimo: Il mio sistema abbracciando e ammettendo quasi tutto il sist. dell'ateismo, negando tutti i sistemi ec. e pur facendone risultare l'idea costante di Dio, religione, morale ec. mi par l'ultima e decisiva prova della religione; o se non altro che non può per ragioni esser dimostrata falsa quella rivelazione, che d'altronde aYendo pro\•e di fat­ to, si deYe tenere per vera, perché il fatto nel mio sistema decide, e la ragione non se gli può mai opporre.

Al di là delle difficoltà logiche implicite nello sforzo leopardiano di unire il relativismo circostanziale di una visione rigorosamente immanentistica e naturalistica con il creazionismo personalistico del cristianesimo, va sottoli­ neata l'incidenza metafisica che acquista in questa pagina la teoria delle cir­ costanze: il principio degli eventi, nel mondo fisico come in quello morale, coincide con la loro molteplicità possibile e l'ordine del mondo si configura come la sommatoria delle contingenze spazio-temporali. Questo principio metafisica del possibile comporta una significativa conseguenza per ciò che riguarda la distinzione e la netta contrapposizione

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PAR.TB SECONDA

fra ragione e immaginazione, fra filosofia e scienze da un lato e arti e poesia dall'altro, espressa lo stesso giorno in cui viene completato il precedente pensiero sul divino (la medesima linea di riflessione è presente in un pensie­ ro del 20 novembre dello stesso anno)44. Se il filosofo (e lo scienziato) non si limita a una astratta ricognizione analitica delle singole parti della natura, ma si innalza alla «facoltà di scoprire e conoscere i rapporti, di legare insie­ me i particolari, e di generalizzare», che è la vera facoltà filosofica, egli si fa 'poeta', in quanto si serve eminentemente dell'immaginazione. n grande po­ eta, di converso «in diverse circostanze avria potuto essere un gran filosofo, promotore di quella ragione ch'è micidiale al genere da lui professato che permette la scienza dei rapporti». In altri termini, se si verifica la felice con­ vergenza circostanziale fra ragione analitica e immaginazione avremo la grande filosofia e insieme la grande poesia, avremo il modello di pensatore perseguito da Leopardi in tutta la sua opera. Una riflessione che converge soltanto parzialmente con altre considerazioni sul rapporto fra il genio e la verità45. L'immaginazione proposta da Leopardi non si identifica però con l'immaginazione scientifica quale era pure concepita da Galilei, che la accet­ tava purché fosse integrata in una 'necessaria dimostrazione', in quanto per Leopardi l'immaginazione, nella sua vaghezza, risulta alternativa rispetto alla conoscenza esatta della scienza, precede la cognizione del Yero muovendosi in direzione dei rapporti e delle analogie, secondo un processo di divinazio­ ne intuitiva del senso della natura che appare alternativo all'analisi delle sue distinzioni e partizioni. Proprio per questi motivi a Leopardi manca l'interesse di rendere funzionale la sua potente immaginazione alla sua al­ trettanto solida ragione analitica, nella direzione di una sYolta 'scientifica' nella concezione della natura46. In verità una buona caratterizzazione della visione anti.meccanicistica che Leopardi fornisce della conoscenza della natura può trovarsi nella dire­ zione della riflessione biologica. Di qualche rilievo possono essere a tale proposito le annotazioni intorno all'opera di Buffon. Leopardi è attratto dal naturalista francese innanzitutto per l'efficacia del suo stile, che, accanto a quello di Galilei, gli pare la migliore espressione di una letteratura scientifi­ ca. Un pensiero del 30 maggio 1 823 è dedicato alla ricognizione dello stile letterario degli scienziati. n «buono stile>> non è proprio degli scienziati che conducono «studi diversissimi» dall'arte dello scrivere, che richiede per par­ te sua «tanti studi, esercizi, e fatiche»; e specialmente nelle scienze matema­ tiche o fisiche «non abbiamo buoni ed eleganti scrittori né antichi né mo­ derni, se non pochissimi>>. Se si escludono alcuni greci, che «trattaYano que­ ste scienze in modo mezzo poetico, perché poco sperimentavano e molto immaginavano» (e che comunque non appaiono molto eleganti, come te-

4. CONOSCENZA DELLE CIRCOSTANZE

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stimonia la prosa di Aristotele e di Teofrasto), non troviamo esempi signifi­ cativi. Qui Leopardi si esprime molto negativamente sullo stesso Galilei, che altrove aveva apprezzato per la precisione ed eleganza del suo stile, in polemica con alcune considerazioni di Pietro Giordani («Il nostro Galileo lo chiami elegante chi non conosce la nostra lingua, e non ha senso dell'eleganza») . L'unico scienziato moderno che offre un chiaro esempio di bello stile rimane Buffon, ma con qualche limite dovuto da un lato all'oggetto scientifico considerato (la storia naturale) e dall'altro alla presen­ za nella sua opera di digressioni 'filosofiche': n Buffon sarebbe unico fra' moderni per il modo elegante di trattare le scienze e­

satte: ma oltre che la storia naturale si presta all'eleganza più d'ogni altra di queste scienze; tutto ciò che è elegante in lui, è estrinseco alla scienza propriamente detta, ed appartiene a quella che io chiamo qui filosofia propria, la quale si può applicare ad ogni sorta di soggetti.

Buffon è stato abile nell'ornare una materia scientifica, ma non ha esposto i dogmi della sua scienza: n Buffon adornò la scienza con pensieri filosofici, e a questi pensieri non sommini­

strati ma occasionati dalla storia naturale, applicò l'eleganza delle parole, perch'essi n'erano materia capace. Ma i fisici, i matematici ordinariamente non possono e non vogliono andar dietro a tali pensieri, ma si ristringono alla sola scienza. Chiamo qui scienze esatte tutte quelle che ancorchè non sieno ancora giunte a un cotal grado di perfezione e di certezza, pure di natura loro debbono esser trattate colla maggior possibile esattezza, e non danno luogo all'immaginazione (della quale il Buffon fece grandissimo uso), ma solamente all'esperienza, alla notizia positiva delle cose, al calcolo, alla misura ec. (Zib, 2725-3 1 /30 maggio 1 823)47 •

In altri termini, Buffon è stato efficace perché è stato poco scientifico nella sua trattazione, non ha esposto rigorosamente i «dogmi» della storia natura­ le, ma si è fatto trascinare dalla forza della sua immaginazione, presentando­ si quindi più come poeta che come scienziato. Buffon viene ancora ricordato il 21 maggio 1 824, a sostegno della con­ cezione leopardiana sul rapporto proporzionale fra la durata della vita e la felicità, che verrà sostenuta nel Dialogo di un Fisico e di un Metafisica (scritto qualche giorno prima, il 1 4- 1 9 maggio): gli animali che vivono meno sono «tutti di mano in mano più e più disposti naturalm. alla felicità che non è l'uomo, non astante che la brevità della vita loro sia nella stessa proporzio­ ne» (Zib, 4092/21 maggio 1 824)48. E il 1 8 febbraio 1 825 viene ancora citata

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PARTE SECONDA

l'Hùtoire nature/le a proposito della teoria dei «mori bianchi>) (gli albini), di­ scussa da Voltaire e presente anche negli scrittori antichi, teoria che condur­ rà a sostenere la tesi 'razzistica' della preesistenza del colore bianco rispetto a quello nero (non ricordata, e con suo merito, da Leopardi; cfr. Zib, 41 25/ 1 8 febbraio 1 825)49. Tuttavia, nonostante l'evidente riconoscimento dell'opera scientifica e letteraria di Buffon, Leopardi non recepisce le sue tesi evoluzionistiche e ancor meno fa leva sulla prospettiva biologica e vita­ listica che ne deriva per scardinare il primato delle scienze newtoniane. Ve­ de anzi nelle ricerche biologiche un limite qualitativo che le allontana dall'esattezza meccanica e matematica delle scienze fisiche. Da una lato l'opera di Buffon testimonia la possibilità di una scienza naturale di tipo qualitativo, aliena dal considerare le matematiche come linguaggio reale del mondo e attenta alle differenze di forme e funzioni e propone una direzio­ ne dell'evoluzione indirizzata al mutamento delle specie (senza alcun ruolo per gli individui) e un'immagine dinamica e vitalistica della natura che arri­ va fino a Diderot; dall'altro nel vitalismo naturalistico Leopardi riscontra un deficit di meccanicismo e la mancanza di una vera individuazione delle cau­ se dei fenomeni vitali. Se l'incontro con la scienza moderna non è aV\•enuto neppure sul terre­ no più propizio del sapere biologico, non è mancata - a mio avviso - in Leopardi una sensibilità per una scientificità non newtonianaso. Vorrei co­ gliere nello Zibaldone qualche segno delle possibili premesse teoriche per una scienza non meccanicistica. Partiamo dalla mirabile riflessione dell'8 set­ tembre 1 823, che si potrebbe confrontare per importanza e incisività con il pensiero sul divino del 5-7 settembre 1 82 1 ; essa espone una concezione della catena degli esseri nella natura partendo dal concetto di possibilità di essere. Qui Leopardi intende come convergenti nella potenzialità della natu­ ra le disposizioni a essere e quelle a poter essere e vede negli uomini gli or­ ganismi viventi nei quali prevale la possibilità di essere: Una stessa disposizione è ad essere e a poter essere. In quanto ella è ad essere, l'uomo, seguendo le inclinazioni naturali, e non influito da circostanze non naturali, non acquista che le qualità destinategli dalla natw:a, e diYiene quale ei de\•'essere, cioè quale la natura ebbe intenzione ch'ei diYenisse, quando pose in lui quella di­ sposizione. In quanto ella è disposizione a poter essere, l'uomo influito da Yarie circostanze non naturali, siano intrinseche siano estrinseche, acquista molte qualità non destinategli dalla natw:a, e diviene qual ei non dev'essere, cioè quale la natw:a non intese ch'ei divenisse, nell'ingenerargli quella disposizione. Egli però non di­ vien tale per natw:a, benchè questa disposizione sia naturale: perocchè essa disposi­ zione non era ordinata a questo ch'ei divenisse tale, ma era ordinata ad altre qualità, molte delle quali affatto contrarie a quelle che egli ha per detta disposizione acqui-

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stato. Bensì s'egli non avesse avuto naturahnente questa disposizione, egli non sa­ rebbe potuto divenir tale. Questa è tutta la parte che ha la natura in ciò che tale ei sia divenuto.

La duplicità delle disposizioni presenti negli uomini li distingue dagli altri animali, rispetto ai quali l'uomo può acquistare altre qualità al posto di quel­ le del suo essere naturale. Guardando all'intera catena degli esseri, prosegue Leopardi, «troverete che le naturali disposizioni sono di mano in mano sempre maggiormente ad essere che a poter essere, cioè si restringono)) sino a enti che non hanno disposizioni ma solo qualità. Gli enti privi di disposi­ zioni sono queDi che meglio configtumo forcline meccani.co dell'universo: si potrà dire che di tal genere sia questo nostro globo tutto insieme considerato e rispetto al sistema solare o universale, e similmente i pianeti e il sole e le stelle e gli altri globi celesti. Ne' quali e ne' moti loro, e per dir così, nella vita, e nell'esistenza rispettiva degli uni agli altri, niun disordine si può trovare, niuna irregolarità, niun morbo, niuna ingiuria, tùun accidente, successo o effetto che sia contro né fuori delle intenzioni a·o;1ute dalla natura nel porre in essi le qualità che ci ha posto; dico le qualità rispettive che hanno gli uni verso gli altri, le quali negli effetti e nell'uso loro sempre e interamente corrispondono alle primitive destinaziotù della natura, e im­ mutabilmente serbano ed efficiunt quell'ordine dell'universo che la natura volle e­ spressamente e vuole, e quella vita o esistenza ch'essa natura gli ha destinata, e tale né più né meno quale ella intese e ordinò che fosse». Viceversa, seguendo la scala dell'essere dalle qualità alle disposizioni, si assisterà a un incremento della variabilità delle disposiziotù e con essa dell'adattamento alle circostanze: «troveremo sempre di mano in mano decrescere secondo l'ordine delle specie e de' generi, il numero e l'efficacia e importanza delle qualità ingenerate in ciascun di essi generi o specie dal­ la natura, e crescere altrettanto il numero o l'estensione, la varietà o piuttosto la va­ riabilità o adattabilità delle disposi�oni in esse dalla natura ingenerate: e queste dispo­ sizioni esser da principio solamente, o quasi del tutto, ad essere, poscia eziandio a poter essere, e ciò sempre più, salendo pe' vegetabili ai polipi, indi per le varie spe­ cie d'atùmali fino alla scinùa, e all'uomo selvatico, e da queste specie all'uomo. Nel­ la cui parte che si chiama morale o spirituale, troveremo, come ho detto, che la na­ tura non ha posto di sua mano quasi veruna qualità deternùnata, se non pochissi­ me, e queste, semplicissime: tutto il resto disposizimù, non solo ad essere, ma a po­ ter essere tante cose, ed acquistare tanto varie qualità, quanto niun altro genere di enti a noi noti». Più crescono le disposizimù a poter essere, maggiore è il «numero e la grandezza de' disordini, delle irregolarità de' morbi, de' casi, degli accidenti, de' successi non naturali, non voluti o espressam. disvoluti dalla natura». L'esempio principe di tale incremento del disordine a discapito della necessità meccanica della natura è il vivente, «e tra' viventi l'uomo in massimo grado», «e la vita si può, se­ condo le fin qui dette considerazioni, definire una maggiore o nùnore conformabi­ lità, un numero e valore di disposizioni naturali prevalente in certo modo (più o

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PARTE SECONDA

meno) a quello delle ingenite qualità. Massime rispetto allo spirituale, all 'intrinseco, a quello che, propriamente parlando, vive; a quello in che sta propriamente e si e­ sercita la vita, in che siede il principio vitale, e la facoltà dell'azione sia interna sia esterna, cioè la facoltà del pensiero e della sensibile operazione. ec. Nella qual facol­ tà consiste propriam. la vita ec. (Zib, 3374-82/8 settembre 1 823).

Alla vita degli organismi si contrappone l'esistenza delle cose «le meno con­ formabili naturalmente))Sl. In questo pensiero è scomparso ogni tentativo di conciliazione con il creazionismo cristiano e la natura appare nel suo siste­ ma complesso, seguendo una catena degli esseri che da un lato conduce al meccanicismo perfetto degli astri, dall'altro alla straordinaria capacità adatti­ va degli uomini. Colpisce la chiara visione di una coesistenza, si direbbe di un'alleanza, fra uomini e natura all'interno di un equilibrio instabile che sul versante umano corrisponde a quella tendenza all'incremento del disordine che la termodinamica ha descritto con il principio di entropia 52• Leopardi ha colto, pur mancando degli adeguati strumenti analitici, le forme di una complessità propria della natura fisica e vivente che la scienza attuale può descrivere soltanto in una prospettiva antimeccanicistica. Ci sono gli ele­ menti per una comprensione 'scientifica' della complessità, che però non può essere ancora raggiunta rimanendo all'interno del meccanicismo ne­ wtoniano. Ci sono gli elementi per una svolta concettuale, ma - come te­ stimonia la pagina del 1 9 settembre 1 923 - il quadro di riferimento rimane risolutamente newtoniano (e sul piano metodologico anche aristotelico). Dopo aver trascritto un brano da Corinne sulla difficoltà della conoscenza dell'animo umano, Leopardi rimarca Ciò vuol dire che l'uomo è sommamente e infinitamente o indeterminatamente conformabile, e non è possibile conoscer mai tutti i modi e tutte le differenze in cui lo spirito degl'individui, secondo la diversità delle circostanze (ch'è infmita o inde­ terminabile), si conforma o si può conformare; per la stessa ragione per cui non si possono conoscere tutte le circostanze possibili ad aver luogo, che possono influire sullo spirito degl'individui, nè tutte quelle che hanno effettivam. influito su tale o tale indi"lriduo determinato, nè le loro combinazioni scambievoli, nè le loro minute diversità che producono non piccole differenze di carattere ec. La maggior cogni­ zione adunque che si possa avere dell'uomo è di sapere perfettam. e ragionatamen­ te che gli uomini non si possono mai ben conoscere, perché l'uomo è indefmita­ mente variabile negl'individui, e l'individuo stesso per se.

Se soltanto Dio «può conoscere e conosce tutti i possibili)) - secondo quan­ to aveva sostenuto il 5-7 settembre - «Or gli uomini non si possono perfet­ tamente conoscere, chi non conosca poco men che tutti i possibili, dico, i

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possibili di questa natura e di questa terra» (Zib, 3643-72/ 1 9 settembre 1 923) . La riflessione appare particolarmente chiara nell'adesione a un'idea deterministica della scienza come conoscenza delle .relazioni necessarie fra causa ed effetto. Ancora più netta è un'affermazione di poco successiva (in­ serita nel piccolo 'saggio' del 25-30 ottobre 1 823, .riportato in parte in nota 51): La natura è w1 canone generale e costante, indipendente dall'arbitrio, poco soggetta agli accidenti (rispetto alla dipendenza che hanno dagli accidenti e circostanze le opere ec. dell'uomo), una da per tutto, una sempre rispetto a ciascuna specie, con­ sistente in leggi certe ed eterne, ec. La società, opera dell'uomo, dipendente dalla volontà che non ha tùuna legge certa, altrimenti non sarebbe volontà, arbitraria, incostante, varia secondo gli accidenti e le circostanze de' tempi, de' luoglù, de' vo­ leri, delle mille cose che cagionano e che determinano la sua forma e il modo del suo essere, non è una in se stessa, perché ha avuto ed ha necessariamente infllÙte forme, e queste sempre variabili e variate; non è una in nessuna delle sue forme, perché in ciascuna eli queste v'ha mille varietà che diversificano l'una dall'altra ne­ cessariamente le parti che la compongono, clù comanda da clù ubbidisce, clù con­ siglia da chi è consigliato, ec. ec. Nella società l'uomo perde quanto è possibile l'impronta della natura. Perduta questa, ch'è la sola cosa stabile nel mondo, la sola universale, o comune al genere o specie, non v'ha altra regola, filo, canone, tipo, forma, che possa essere stabile e comune, alla quale tutti gl'individui agguagliando­ si, sieno conformi tra loro ec. ec. (Zib, 3773-81 0/25-30 ottobre 1 823).

Qui la descrizione del sistema della natura risalta per lo stridente contrasto con la confo.rmabilità umana, a motivo della quale gli uomini si differenzia­ no ir.reve.rsibilmente, e con la variabilità delle società in base alle circostan­ ze. «Canone generale e costante» «consistente in leggi certe ed eterne» la na­ tura, «ch'è la sola cosa stabile nel mondo, la sola universale», viene .rappre­ sentata nello spirito del più conseguente e deterministico meccanicismo. Tale determinismo non esclude - è vero - un .radicale 'contingentismo', in quanto l'ordine della natura trova la propria .ragion d'essere nel caso, si pre­ senta di fatto ma non è giustificato di diritto53. Ma la linea di una contrap­ posizione .radicale fra natura e società, se appare funzionale alla tesi di fon­ do di Leopardi sull'infelicità umana, non permette di affrontare nei termini unitari della creatività scientifica la questione della complessità naturale e umana. Dinanzi alla molteplicità delle variabili coinvolte nella defmizione dei comportamenti umani, posti alla soglia più elevata dell'adattabilità alle circostanze, Leopardi esibisce uno scetticismo che aprirà le pot'te a un ni­ chilismo temperato dalla '.ragione .ragionevole', non concepisce la possibilità

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PARTE SECONDA

di una conoscenza determinata e giocoforza abbandona l'idea stessa di una possibile conoscenza. La sfida della 'scienza della complessità' si presenta proprio nell'ipotesi di poter integrare parametri altamente instabili e variabili tramite un appara­ to matematico a carattere statistico, al fme di descrivere i fenomeni più co­ munemente osservati all'ordine di grandezza wnano54. Da un lato Leopardi non è soddisfatto della 'limitatezza' della razionalità scientifica moderna, non accetta che si rinunci alla conoscenza delle cause fmali della realtà, e rimane persuaso che non si dia conoscenza se non come comprensione del­ la totalità dell'ordine della natura. Dall'altro, però non coglie la possibilità di una visione 'scientifica' della totalità complessa della natura, che trovi un equilibrio fra una scienza (deterministica) dei vincoli e una conoscenza (probabilistica) delle circostanze. Tuttavia Leopardi non accetterà mai una scientificità risolta in statistica, che faccia astrazione dall'indagine su rappor­ ti determinati e sosterrà viceversa che proprio l'impossibilità di cogliere in modo causale tale trama complessa di rapporti naturali costituisce il limite invalicabile della conoscenza scientifica. Vincoli e circostanze che sono in­ globati nella 'scienza della complessità', a partire ad esempio dalla stessa ri­ cognizione sintetica della odierna biologia molecolare: Tutto l'uni\•erso e gli oggetti che esso contiene, vi\•enti e non, sono considerati il prodotto di processi evoluti\':i nei quali intervengono due tipi di fattori: da una par­ te i \':incoli che fissano le regole del gioco e defmiscono i limiti del possibile; dall'altra le circostanze che dirigono il corso reale degli avvenimenti, vale a dire la storia della partita così come è stata giocata. Nella maggior parte dei casi, i vincoli possono essere determinati: tutto quello che ne deriva può dunque essere previsto con un'elevata probabilità. La parte della storia, al contrario, può solo essere regi­ strata e qualche volta spiegata. Chiaramente, però, non possiamo prevedere gli e­ venti che seguiranno e che farann o la storia di domani. Questo aspetto delle forze che modellano il nostro mondo è totalmente contingente55.

La possibilità di tale coesistenza fra contingenza e necessità, di una 'numra alleanza' fra natura e uomini, non è colta da Leopardi, che piuttosto esalta drammaticamente il senso della frattura tra la natura e l'uomo prodotta dalla conoscenza analitica e protesta in nome di un'istanza unificante che ripri­ stini il rapporto ·vitale fra uomo e natura, ma che pone al di sopra e al di fuori della scienza, nell'immaginazione del metafisica e del poeta56• L'irreversibilità e l'indeterminismo costituti�ri dei comportamenti umani e biologici potrebbero trovare una spiegazione rigorosa sul piano di una 'fi­ sica del caos', che riconosce - con Leopardi - l'impossibilità di pervenire a

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una conoscenza completa delle variabili complesse che .regolano i fenomeni viventi (e quelli umani in pa.rticola.re), ma che - diversamente da Leopa.rdi ­ accetta la 'sfida della complessità' affinando gli strumenti teorici per avvici­ narsi il più possibile a un sapere probabilistico, ma rigoroso, delle circostan­ ze e auspicando l'apertura di uno spazio per una 'nuova alleanza' che avvi­ cini la freddezza della physù e il pathos dell'umano nel segno di una ragione .ragioneYole, priYa di tendenze assolute e imperative57• Nonostante le .reite­ rate affermazioni sul «canone generale e costante» della natura, Leopa.rdi è però ben consapevole che non si possono chiudere i fenomeni del «mondo morale» in un ambito circoscritto e del tutto estraneo rispetto all'ordine na­ turale. La sua immaginazione calcolante non può sottoscrivere senza riserve la fiduciosa immagine dell'universo laplaciano e, almeno sul piano descritti­ vo, si apre alla ricchezza complessa della natura con quella sincera vocazio­ ne conosciti"'Ta che non lo abbandona mai e che in altri tempi storici lo a­ vrebbe condotto a una trama diYersa di cognizioni sul mondo. Questa moltiplicità incalcolabile di cause e di effetti ec. nel mondo morale - dichia­ ra alla fine di un anno così importante per il suo destino di pensatore e di poeta non deve nè parere assurda o difficile ad ammettersi nè far meraviglia a chi consi­ deri com'ella si trova evidentemente, e del pari infinita e incalcolabile nel mondo fisico. Nè la medicina, nè la fisiologia, nè la fisica, nè la chimica, nè 'lreruna anche più esatta e più materiale scienza che tratti delle più sensibili e meno astruse parti ed effetti della natura, non possono mai specificare nè calcolare nemmeno per ap­ prossimazione, se non in modo larghissimo, nè il numero nè il grado e il più e il meno, nè tutti i rapporti ec. delle infitùte diversità di effetti che secondo le infinite combinazioni e rapporti scambievoli ec. e influenze e passiotù scambievoli ec. che possono avere ed hanno effettivamente luogo, risultano dalle cause anche più sem­ plici più poche e limitate, che dette scienze assegnano; nè le infitùte modificazi01ù di cui dette cause, secondo esse combinaziotù, sono suscettibili, ed a cui sono effet­ tivamente soggette. E non per tanto, almeno in grandissima parte, esse cause non si possono volgere in dubbio, e nessuno dalla detta impossibilità di specificare e cal­ colare esattamente e pienamente, risolve ch'esse cause non sieno le Yere, e moltis­ sime sono evidenti e sotto gli occhi, e così il loro modo di agire, le loro relazioni cogli effetti ec., i quali tuttaYia non sono più calcolabili nè numerabili. Basti sola­ mente osservare le cause e gli effetti che agiscono ed haw1o luogo nel corpo uma­ no, e le infuùte diversità ed anche contrarietà che per differenze, sovente impercet­ tibili, di combinazioni, hanno luogo negli accidenti e passiotù d'esso corpo anche in indiYidui conformissimi, in un tempo medesimo, in circostanze che possono parere conformissime, in un med. individuo ec. N è per tanto si può dubitare di quelle cau­ se, purchè d'altronde ec. nè se ne dubita, nè si condannano quei sistemi e quei me­ todi ec. de' quali in quanto a questo particolare tùuno uomo potrebbe pensame o usame un migliore (Zib, 3977-8/ 1 2 dicembre 1 823).

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PARTE SECONDA

Queste considerazioni sono oggi traducibili, all'interno delle scienze del complesso, nel concetto di 'effetto farfalla', secondo il quale in un sistema instabile (quali sono quasi tutti i sistemi fisici macroscopici) la sensibilità alle condizioni iniziali fa sì che un impercettibile mutamento delle condizioni di equilibrio possa produrre effetti 'catastrofici' nel tempo e nello spazio; !"effetto farfalla' è diventato una felice metafora tardo-moderna che sosti­ tuisce la metafora moderna dell'universo-orologio. Sul piano della ricerca matematica si è sviluppata una 'geometria dei frat­ tali', ovvero di figure irregolari (come una costiera frastagliata), non dotate in alcun punto di tangente, generabili in base a un algoritmo, ma non deri­ vabili. Sul piano della modellizzazione fisica si parla anche di 'caos determi­ nistico', per intendere la configurazione delle leggi dei 'sistemi caotici', in­ terpretate come generalizzazioni a livello statistico delle leggi della dinamica classica, che contengono equazioni detenninistiche daDe quali si generano comporta­ menti aleatori; il concetto fisico di 'caos deterministico' permette di descrive­ re con rigore analitico un universo dinamico in termini di instabilità associa­ ta all a non integrabilità5s. Prendono oggi corpo scienze che cercano proprio di «specificare» e «calcolare» «per approssimazione» i che chiamano viva, nella quale non manca l'affermazione del ptimato di una conoscenza empirica e fattuale in senso newtoniano (cfr. s11pro, Parte prima, cap. l , nota 9 e cap. 2, nota 1 1) . È stata riconosciuta la troppo facile consonanza fra le pagine di Zanotti su assuefazione, nulla e annichilazione, scelte pet la sezione di Filosofta .rpemlativa della Crutoma­ �'a della prosa e le concezioni leopatdiane sulla distruttività della natura. Ma Lucio Felici ha anche messo in guardia dalla tentazione di riduue le scelte antologiche al pensieto dell'autote, dimenticando che «La Crutomazja è w1 libro di spiccata originalità e autonomia, che serve pet capire Leopatdi, la s11a lingua, il 1110 stile, la s11a patticolate classicità tesa a fat coincidere il veto con il bello, l'antico con il moderno [ . . . ]», ovveto dimenticando che essa propone ptoblemi di stile e di letteratura, oltre che di pensieto; cfr. L. Felici, La Crestomazia italiana della prosa. Un 'opero controromnte, in Melosi (a CUia di), Leoparrli a Finn�, cit., pp. 1 88-9 (la citazione è alla p. 1 89). 14. Cfr. É Bonnot de CondiDac, La lo§IZI o iprimi J1.iiJippi dell'ari# delpen.rare, parte II, cap. v, in Id., Opm, introduzione cli C. A. VtanO, tr. it cli G. VtanO, UIET, Torino, 1976, pp. 742-3. 1 5. Si tratta di pensieri che si distendono lungo il 1 820, anno di intense riflessioni anche sulle forme della conoscenza scientifica. 16. A proposito dell'esempio del contate con le cinque dita della mano Damiani richia­ ma un passo simile del russoiano Disroflf'S Sflf' l'origine et /es fondements de I'Inégalili pam�i /es Hommes; cft. Damiani, Commento, in Leopatdi, Zibaldone, cit., \•ol. ID, p. 3373. Considetazioni simili si ritrovano nel pensiero del 28 maggio 1 821, nel quale il riconoscimento della quantità di cose e idee che si concepiscono chiatamente mediante l'idea dei numeri conduce a dimo­ sttare quanto influisca «Wl linguaggio distinto e preciso ne' segni» sulle idee e le cognizioni umane; cft. Zib, 1 1 01-2/28 maggio 1 821. 17. Tale riflessione, debitrice - come molte altre intorno alle idee - a Un Ess� conmning H11man H11nderstanding di Locke (l'influenza del quale è ricordata su questo punto anche da Ftanco Lo Pipato; cfr. Damiani, Commento, in Leopatdi, Zibaldone, cit., vol. m, pp. 3448-9), prosegue trattando delle idee complesse e ricotdando come i fanciulli non concepiscono quantità troppo grandi finché la loro mente non si è abituata ad ascendete gradatamente dall'idea di una diecina a quella di due, tre, ecceteta. La difftcoltà non è però presente in tutte le idee composte, ma soltanto in quelle astratte (e propriamente nelle matematiche): «Molte idee, ancorchè compostissime, le concepisce l'uomo chiatamente e facilmente in un tratto, petché il soggetto loro non è composto in manieta che l'idea non ne possa risultate se non dalla concezione particolate e immediata di ciascw1a sua parte. P. e. l'idea dell'11omo è compo­ sta, ma la mente senza andate per le patti, le concepisce tutte in Wl solo subbietto in Wl solo corpo, e quindi in un solo momento, e dal subbietto discende poi, se vuole, alle patti. Così accade in tutte le cose materiali ec.». Alla ftne del 1 821 alle considerazioni sopra menzionate Leopatdi aggiw1ge riflessioni di tipo antropologico e pedagogico legate all' osseC\�zione

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PAR.TE SECONDA

dell'apprendimento dei numeri presso i «popoli scusi di fa,•ella» (per i quali cita il romanzo di Daniel Defoe Robinson Cru.roe) e nei fanciulli ; cfr. Zib, 21 86-7/28 novembre 1 82 1 . Lo Zi­ baldone torna sul problema dei numeri con un pensiero dell'anno successivo (il 30 luglio), nel quale si confronta la mente umana con quella degli animali, rilevando il nesso fra linguaggio articolato e idea della quantità: «Da quello che altrove ho detto de' numeri ec. si deduce che gli animali, non avendo lingua, non sono capaci di concepir quantità determinata ec. se non menoma, e ciò non per difetto di ragione, e .insufficienza e scarsezza d'intendimento, ma per la detta necessarissima causa. [ . . ] . Onde l'idea della quantità determinata (benchè cosa mate­ rialiss.) è esclusivamente propria dell'uomo», Zib, 2588/ 30 luglio 1 821. Molto più tudi (il 7 maggio 1 829) Leopudi annota sullo stesso tema una considerazione linguistica che ipotizza un'origine comw1e e, si potrebbe dire, a priori della numerazione decimale: «La stupenda conformità radicale tra i nomi della più parte de' 1 O primi numeri nelle lingue più dispuate, sembra provue wutà d'in\•enzione e d'origine de' nomi numerali, e conseguentemente della numerazione», Zib, 4500/7 maggio 1 829. 1 8. Come attesta l'E/enro di letture, dal dicembre 1 827 al maggio 1 828 Leopudi è inlmerso nella lettura di ben 1 8 titoli. di scritti di d'Alembert, a partire dai 422. D 'Aiemberl. Discours préli.minaire de l'Encyclopédie e 423. D 'Aiemberl. Préface du 3° volume de l'Encyclopèdie (dicembre 1 827) e dagli Eloges - genere 'letterario' puticolarmente sentito - riportati al 425. D 'Aiemberl. Éloges de MM. Jean Bemouilli., l'abbé Terrasson, le président de Montesquieu, l'abbé Mallet, Du Musais, précédés de réflexions sur les éloges académiques, et accompa­ gnés d'w1e analyse de l'Esprit des lois (ge1U1aio 1 828). Fra dicembre e muzo risultano sol­ tanto titoli. di d'Alembert, che torna a maggio - dopo il 429. Manzoni. Inni Sacri e il 5 maggio e il 430. Platoni.t Cratylus - con 12 titoli, tra i quali al 432. D'A/emberl. Réflexions sur l'usage et sur l'abus de la philosophie dans les matières de gout, al 433. D 'A/emberl. De l'abus de la critique en matière de religion, al 434. D 'Aiemberl. Essai sur les éléments de philosoplue ou sur les principes des connaissances humaines, al 435. D 'Aiemberl. Réflexions sUI les éléments de philosophie ou sur les principes des co1u1aissances humaines, al 436. D 'Aiemberl Ré­ flexio11S sUI la poesie, al 437. D'Aiemberl Réflexions sur l'lustoire, al 441 . D 'Aiemberl. Lettres à M. Rousseau, al 442. D 'Aiembert. Eclaircissements sur différents endroits des Éléments de Philosophie, talché nei mesi di gew1aio, febbraio, maggio 1 829 risultano soltanto titoli. di d'Alembert. Ricordo anche il contributo determinante fornito da d'Alembert (scienziato au­ torevole, molto apprezzato da Federico II di Prussia e membro dell'Acadimie des Sciences dal 1 741, a soli. 24 anni) all'Enrydopédie, che Leopudi ebbe presente molto presto per i suoi studi 'scientifici'; tra le voci curate dallo scienziato parigino vanno menzionati, oltre al Di.tcours pri­ liminaire, lemmi che il giovane studioso non poteva ignorate, quali Attra�one, Carltsianesimo, Coptrniro, Dinamica, Elementi di scienze, Geometria, Grallita�one, Newtonianesimo, Sperimentale. La frase di d'Aiemberl - ia canonicamente a Émile Boutroux, a partire da De la contingence de.r lois de la nafllre (1 874). 25. Fù1 dai primi studi scientifici Leopardi ebbe conoscenza diretta degli scritti galileiani, presenti in un'edizione completa delle Opere nella biblioteca patema e sicuramente letti e a­ mati anche per la partecipazione emotiva al dramma della sua persecuzione da parte della Chiesa (cfr. sNpra, Parte prima, cap. l, note 34 e 39 e cap. 2, nota 36). Bellone mette bene in chiaro la centralità della figura di Galilei a partire dall'analisi del Copernico: lo scienziato pisano è mnanzitutto visto come modello della solitudù1e mtellettuale dello studioso che non cerca «cllÙllere», quù1di come lo scopritore della verità della natura, che non può essere subordilla­ ta alla >. Cfr. Zib, 102-4/s.d., ma gennaio 1 820 e 1 79-8 1 /s.d., ma luglio 1 820. La distinzione fra una 'filosofia analitica' interna alla tazionalità scientifica che non va ol­ tre lo «scomporre e risolvete la natuta ne' suoi menomi ed ultimi elementi, e ch'egli ottenga­ no di conoscete ciascwu da se tutte le parti della natuta>> e una 'filosofia metafisica e poeti­ ca', che con l'immaginazione e il cuote penetra «addentro ne' grandi misteri della vita, dei destini, delle intenzioni sì genetali, sì anche particolari, della natuta>> è opetata chiaramente nel noto pensiero di Zib, 3237-45/22 agosto 1 823 e mette in tensione l'idea settecentesca di fùosofia sulla quale Leopardi si era formato. Bisogna aggiungere che il 'salto' dalla poesia alla fùosofia convergerà - in un altro noto passo del 26 agosto 1 823 - verso una figura di «uo­ mini di genio e sensibili» dai tratti anche mistici. Il poeta-filosofo scopre rapporti nascosti e lontani, richiamando l'ispirazione arcaica della 'mania' greca, come testimonia: «Il poeta lirico nell'ispirazione, il fùosofo nella sublimità della speculazione, l'uomo d'immaginativa e di sen­ timento nel tempo del suo entusiasmo, l'uomo qualunque nel punto di una forte passione, nell'entusiasmo del pianto; ardisco anche soggiw1gere, mezzanamente riscaldato dal vino, vede e guarda le cose come da un luogo alto e superiore a quello in che la mente degli uo­ mini suole ordinariamente consistete. [ . . . ]. Ond'è ch'egli ed abbia in quel momento una straordinaria facoltà di generalizzare [. . .] e ch'egli l'adoperi; e adopetandola scuopra di quelle verità genetali e perciò veramente grandi e importanti, che indarno fuori di quel punto e di quella ispirazione e quasi mania e furore o filosofico o passionato o poetico o altro [ . . . ]», Zib, 3269-7 1 /26 agosto 1 823. Non è però questo il luogo per discutere dello sviluppo di wu concezione 'metafisica' della fùosofia nella poesia di Leopardi, mi limito a rinviare al compianto Angelo Marchese per Lopardi metajìsko, in "Humanitas", XLVD, 1 992, 1 , pp. 77-98 e Lopardi, Montale e la poesia metafisica, in "Otto/Novecento", XVII, 1 993, 6, pp. 1 1 9-34 e ad A. Folin, Pensarr per affetti. Lopardi, la natura, l'immagine, 4. Dall'immagine all'>, Marsilio, Venezia 1 996, pp. 7 1 - 1 1 0. Sull'entusiasmo poetico come chia\•e per la comprensione del mondo e l'amore universale cfr. L. Nocenti, presente nella prosa di Galilei; cfr. Zib, 1 3 1 2-3/ 1 3 1uglio 1 82 1 . Polato h a indagato su queste differenze di prospettiva, fornendone una spiegazione ge­ netica nel quadro dello sviluppo della riflessione leopatdiana sullo stile letterario italiano: , anzi la grandezza del genio emerge proprio nella sua capacità di vedere quello che il 'volgo' non vede, ma ciò che accomuna ogni esperienza cognitiva umana è la sensazione, la possibilità stessa di vedere lo stesso 'fenomeno' 'isto da Newton. 51. Il riconoscimento della varietà della conformabilità umana '\•a di pari passo con l'indicazione dei suoi limiti, anche fisici e geografici. Un lwtgo pensieco dell'H ottobre 1 823 si interroga su w1a tra le scoperte più originarie per la specie umana, quella del fuoco, rile­ vandone il carattere casuale e tardi,•o nella storia dell'umanità, contrario al disegno della na­ tura: «Il fuoco è w1a di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natu­ ra sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo, dove essa 'ita e la \•egetazione e la '1-ita totale della natura ha principalmente luogo, per non manifestarlo o lasciado manifestare che nelle CO!l\rulsioni degli elementi e ne' fenomeni accidentali e particolari, com'è quello de' '\'\Ùcani, che sono fuor dell'ordine generale e della regola ordinaria della natura». Se il fuoco ha wu funzione così necessaria per gli uomini moderni, esso era però nascosto agli uomini primiti­ vi, aì quali la natura non lo ha fonùto così facilmente perché le stesse circostanze della loro Yita non lo esigeYano; non si può infatti credere, ricorda Leopardi, che la specie umana deb­ ba appropriarsi di tutto ciò che esiste sulla terra e che essa esista al fine unico di senrire all'uomo. E non si può neppure ritenere che gli uomilù avrebbero dovuto naturalmente pro­ pagarsi in tutto il globo: «Mentre pertanto non si può dubitare che la natura, quanto a se, ha limitato ciascwu specie di a1ùmali, di vegetabili ec. a certi paesi e non più; nel tempo stesso, al modo che nelle altre cose non si vuol riconoscere alcwu proporzione e analogia tra la specie umana e le altre specie di esseri terrestri o mondani, così si pretende che la natura no11 abbia limitato la specie umana a niun paese, a niw1a qualità di paesi; e a differenza di tutte l'altre specie terrestri, a ciascuna delle quali la natura ha destinato sol piccolissima parte del globo, si \ruol ch'ella abbia destinato all a specie umana tutta quanta la terra. Che l'uomo in­ fatto l'abbia occupata tutta, non si può negare. Così egli ha fatto milioni d'altre cose CO!ltra­ rie alla natura propria ed all'universale». La difficoltà con la quale gli uomilù sono arrivati a conoscere il fuoco testimo1Ùa della loro lontananza dalla natura, che «non ha voluto che l'uomo vivesse e abitasse in luoghi dove gli facesse bisogno di fuoco)). «Ed in verità, ragio­ nando anche astrattamente, - chiede Leopardi con un tono apertamente dialogico - non ,.j

4. CONOSCENZA DELLE CIRCOSTANZE

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par egli assurdo, e fuot d'ogni o,•erisimiglianza, e d'ogni proporzione o cotl\•enienza o simili­ tudine con quello che in tutte l'altre cose veggian1o, che la natuta abbia destinato una mede­ sima e identica specie d'animali a nascere e vivere e prosperare indifferentemente in tante e così immense divenità di climi e di qualità di paesì, quante si trovano in questa tena, quanta è quella (per considerate una sola di tali infinite dio,•enità, cioè quella del caldo e del freddo) che passa tra le regioni polari e l'equinoziale?». Peraltro nuove testimonianze antropologiche, come quelle sui «californiani>> ci fanno notare popoli forti e sani che non usano il fuoco per­ ché si troo,•ano in favorevoli condizioni climatiche. «lo dico dw1que per fermo, - sottolinea con forza - che la specie umana per sua natuta, secondo le intenzioni della natuta, volendo poter conservare il suo ben essere, non dmreo,•a propagarsi più che tanto, e non era destinata senon a certi paesi e certe qualità di paesi, de' limiti de' quali non doveva natutalm. uscire, e non usci che contro natura». Se si vuole poi richiamare la diffusione di altre scoperte fra molti popoli, anche i più selvaggi, bisogna però ricordare biblican1ente che l'origine di tutte le nazioni è unica e non esiste più un popolo 'natutale', perché tutti hanno origine da un me­ desimo popolo che sì corruppe in tempi primordiali. Senz'altro questa corruzione ha avuto gradi diveni nei diversi popoli, secondo le diverse circostanze naturali o accidentali, ma le scoperte hanno avuto una sola origine e sono state conosciute per gli scambi instaurati tra le nazioni, Zib, 3466-8/ 1 1 ottobre 1 823. Riflessioni simili si ritrovano in un altro lw1go testo continguo, dedicato a deftnire il ca­ rattere innaturale dei rapporti sociali e i limiti delle «società strette», nel quale l'uomo viene descritto come