Ogni uomo è scienziato. Dialettica e scienze della natura nei Quaderni del carcere di Gramsci


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Ogni uomo è scienziato. Dialettica e scienze della natura nei Quaderni del carcere di Gramsci

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Indice

Abbreviazioni

Introduzione. Scienza e natura secondo Gramsci: una riconsiderazione 1. La societas rerum come problema 2. Scienza e natura negli studi gramsciani 3. Una proposta interpretativa 4. Corollari e implicazioni 1. Sulla dialettica come ''teoria della conoscenza" 1. Un «tema centrale» del marxismo teorico 2. La «quistione della "obbiettività" della conoscenza» 3. I dilemmi della dialettica 4. Dalla ''teoria della conoscenza" ai "rapporti di conoscenza" 5. Filosofia speculativa e filosofia della praxis 6. Conclusioni su dialettica e logica formale

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2. Sulla scienza come "rapporto di conoscenza" 1. Marxismo e scienza: il dilemma dell'autonomia 2. La ricchezza ambivalente del senso comune e il significato epocale dello sperimentalismo 3. Le sfide della "nuova fisica" e l'intersoggettività della scienza 4. Intermezzo: la filosofia della praxis e l'enigma delle scienze naturali 5. Oscillazioni: la scienza, il suo "ambiente", il suo nesso con la società 6. Ripartenze e prospettive: la (ri)scoperta del rapporto scienza/senso comune

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Conclusioni. Praxis o pragmatismo?

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Indice dei nomi

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Abbreviazioni

CF D EA

El

FP FS LC LGS LS Ml NM ON QC QT

SI S2

Antonio Gramsci, La cittàfutura (1917-1918), a cura di Sergio Caprioglio, Torino, Einaudi, 1982 Discussioni 1949-1953, edizione anastatica integrale, Macerata, Quodlibet. 1999 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione anastatica dei manoscritti in 18 volumi, a cura di Gianni Francioni, Roma-Cagliari, Istituto della Enciclopedia italianaL'Unione Sarda. 2009 Antonio Gramsci, Epistolario, a cura di Chiara Daniele, 1. Gennaio 1906-dicembre 1922, a cura di David Bidussa, Francesco Giasi, Gadi Luzzatto Voghera, Maria Luisa Righi, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2009 Antonio Gramsci, Filosofia e politica. Antologia dei Quaderni del carcere, a cura di Franco Consiglio e Fabio Frosini, Firenze, La Nuova Italia, 1997 Antonio Gramsci, Further selections from Prison Notebooks, edited and translated by Derek Boothman, Minneapolis-London. University of Minnesota Press-Lawrence & Wishart, 1995 Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Francesco Giasi, Torino, Einaudi, 2020 Antonio Gramsci, Tania Schucht, Lettere 1926-1935, a cura di Aldo Natoli e Chiara Daniele, Torino, Einaudi, 1997 Piero Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, introduzione e cura di Valentino Gerratana, Roma, Editori Riuniti, 1991 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica diretta da Gianni Francioni, 2, Quaderni miscellanei (1929-1935), 1, Quaderni 1-4, a cura di Giuseppe Cospito, Gianni Francioni e Fabio Frosini, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2017 Antonio Gramsci, n nostro Marx (1918-1919}, a cura di Sergio Caprioglio, Torino, Einaudi, 1984 Antonio Gramsci,L 'Ordine nuovo (1919-1920}, a cura di Valentino GerratanaeAntonio A. Santucci, Torino, Einaudi, 1987 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica diretta da Gianni Francioni, 1, Quaderni di traduzioni (1929-1932), a cura di Giuseppe Cospito e Gianni Francioni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2007 Antonio Gramsci, Scritti (1910-1926}, edizione critica diretta da Leonardo Rapone, 1, 1910-1916, a cura di Giuseppe Guida e Maria Luisa Righi, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2019 Antonio Gramsci, Scritti (1910-1926), edizione critica diretta da Leonardo Rapone, 2, 1917, a cura di Leonardo Rapone, con la collaborazione di Maria Luisa Righi e il contributo di Benedetta Garzarelli, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2015

Ringraziamenti Per ragioni in parte riconducibili all'avversità delle circostanze, il libro che sottopongo al giudizio del lettore ha avuto una gestazione lunga, tortuosa e discontinua. La si può riassumere osservando che, mentre l'interesse per le idee di Gramsci su dialettica, gnoseologia e scienze naturali rimonta agli anni del mio dottorato, il nesso che, almeno a mio avviso, le stringe mi si è chiarito solo in tempi recentissimi. Una tappa importante di questo lento processo di chiarificazione è stata la lezione da me tenuta nel novembre 2016 presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Pavia. L'oggetto di quell'intervento-La dialettica come teoria della conoscenza negli Appunti di filosofia di Gramsci - oggi mi pare assai più problematico che allora. Proprio per questo, debbo ringraziare i docenti coordinatori del Laboratorio di storia della filosofia, Gianni Francioni e Giuseppe Cospito, per la preziosa opportunità che mi diedero col loro invito, e i loro studenti di allora, per avermi spronato, con acute domande, a una riconsiderazione critica dei nodi che, in quell'occasione, avevo appena cominciato a mettere a fuoco. Nel gennaio 2023, mentre mi accingevo a completare la stesura e a rivedere alcuni passaggi cruciali dell'argomentazione, è stata fondamentale e feconda la partecipazione al seminario su ''Filosofia e senso comune" organizzato e coordinato da Roberto Gronda presso il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell'Università di Pisa: rivolgo, perciò, un sentito grazie a quello straordinario gruppo di lavoro, composto da Paolo Babbiotti, Guido Bonino, Carlo Gabbani, Federico Lijoi, Danilo Manca, Sarin Marchetti, Matteo Santarelli, Paolo Tripodi, Giacomo Turbanti. Sono grato a Giulio Azzolini, Mattia Di Pierro, Fabio Frosini, Roberto Gronda, Giuseppe Moro, Marcello Mustè, Vincenzo Orsomarso, Daniela Steila, Luca Timponelli, per la ricca messe di commenti, suggerimenti, osservazioni che mi hanno fatto pervenire e che io ho cercato di recepire al meglio delle mie possibilità. Questa pubblicazione deve moltissimo al generoso sostegno di Giuseppe Cospito, Gianni Francioni e Francesco Giasi, cui va la mia massima riconoscenza. Torino, maggio 2023

Introduzione. Scienza e natura secondo Gramsci: una riconsiderazione

I. La societas rerum come problema Le parole scelte come titolo del presente volume, e come punto d'avvio della ricerca che esso contiene, sono quelle con cui Gramsci, nel febbraio 1933,1 concludeva l'ultimo testo della rubrica Introduzione allo studio della.filosofia del Quaderno 10 e riassumeva il senso della risposta da lui data alla «domanda prima e principale della filosofia» da cui aveva, kantianamente, preso le mosse: «che cosa è l'uomo?».2 Quella risposta introduceva un elemento fortemente innovativo: che ogni uomo sia non soltanto un filosofo, come più volte asserito nei Quaderni, 3 ma anche uno scienziato, è tesi della quale, in ciò che Gramsci aveva scritto sino ad allora, è possibile trovare, al più, premesse, presuppo1. Per la cronologia dei Quaderni mi attengo, d'ora in avanti, a Giuseppe Cospito, Verso l'edizione critica e integrale dei Quaderni del carcere, in L'Edizione nazionale e gli studi gramsciani, in «Studi storici», 52 (2011). pp. 881-904: 896-904. 2. Q 10 (Il),§ 54, QC, p. 1343. Sulla provenienza kantiana (in particolare, dall'Introduzione alla Logica) di questo interrogativo, cfr. Giuseppe Cospito, «Che cos'è l'uomo?». Motivi kantiani negli scritti di Antonio Gramsci, in Prospettive su Gramsci, a cura di Antonio DiMeo. in «Il Cannocchiale». 32 (2012).n. 3, pp. 57-76: 74-75. 3. La tesi secondo cui «ogni uomo è un filosofo» veniva enunciata nel novembre 1930, nel contesto della riflessione sull'americanismo:«[ ... ] ogni uomo, all'infuori della sua professione, esplica una qualche attività intellettuale, è un.filosofo, partecipa di una concezione del mondo e quindi contribuisce a mantenerla, a modificarla, cioè a creare delle nuove concezioni» (Q 4, § 51, QC, p. 488 = Q 4[c], § 3, Ml, p. 790, corsivo mio); riemergeva un anno dopo, in relazione alla disamina critica dell'atteggiamento crociano nei confronti del "senso comune": cfr. Q 8, § 173, QC, p. 1045; era ripetuta nel febbraio-marzo 1932, in connessione con l'elaborazione della filosofia della praxis: cfr. Q 8, § 204, QC, p. 1063. Si veda Benedetto Croce, Filosofia e metodologia, in «La Critica», 14 (1916), pp. 308-315:

Ogni uomo è scienziato

sti, approssimazioni, ma non la letterale formulazione. Da questo punto di vista, l'interrogazione antropologica del § 54 (presente già nel § 48 dello stesso Quaderno 1Oe prima ancora nel § 35 del Quaderno 7)4 non serviva soltanto a riepilogare risultati acquisiti. Essa aveva carattere di ripartenza, individuava il terreno nuovo sul quale l'autore dei Quaderni cercava di risolvere un problema che lo aveva lungamente assillato e travagliato: tradurre in termini di «rapporti[ ... ] attivi e in movimento», senza residui speculativi, tanto la societas hominum quanto la societas rerum, ossia la natura.5 Una traduzione, questa, che, a sua volta, avrebbe consentito di ripensare lo "statuto" delle scienze naturali in termini congruenti con la filosofia della praxis. Il ricorso alle due espressioni latine (societas hominum e societas rerum) non costituiva una scelta del tutto neutra, dal momento che già Benedetto Croce le aveva utilizzate, nella Riduzione della.filosofia del diritto a/la.filosofia de/l'economia (1907), a proposito del rapporto tra uomo e natura. Nell'illustrare e difendere, in quella sede, la propria concezione del «diritto come pura economia», Croce si era soffermato sul punto di vista avverso secondo cui il fenomeno giuridico, in virtù del suo intrinseco carattere sociale, non avrebbe mai potuto essere ridotto alla scienza economica, che prendeva le sue mosse, anche nello studio del «valore economico», dai fatti «dell'economia isolata». 6 L'esame di questa veduta era, in realtà, poco più di un pretesto per chiarire meriti e limiti della «economia più recente», neoclassica o marginalista, con cui il :filosofo abruzzese aveva intrattenuto, nell'anteriore decennio, un rapporto tutt'altro che pacifico, intessuto di riconoscimenti, fraintendimenti, puntualizzazioni.7 Pur ammettendo che «il teorema 313: «[ ... ] filosofo è nella sua cerchia, angusta o larga che sembri, ogni uomo» (poi in Id., Teoria e storia del/astoriogrqfia, Bari, Laterza, 192'73, p. 144). 4. QC, pp. 884, 1337. 5. QC, p. 1346. 6. Benedetto Croce, Riduzione del/a.filosofia del diritto a/la.filosofia de/l'economia, ed. critica a cura di Carlo Nitsch, Milano, Giuffrè, 2016, p. 44. 7. Cfr. Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari, Laterza, 19214. pp. 32-33, nota 1; 70-78; 163-165, 172-173; 227, 236, 239-240, 244. Lo studio più ampio e sistematico sul rapporto di Croce con la scienza economica del suo tempo rimane quello di Emilio Agazzi, fl giovane Croce e il marxismo, Torino, Einaudi, 1962 (in particolare, le pp. 311-394). Uno studio più risalente, ma non privo di interesse, è quello di Aldo Mautino,Lafonnazione del/a.filosofia politica di Benedetto Croce, Torino, Einaudi, 1941, pp. 41-62. Per una letteratura più recente, cfr. invece Riccardo Faucci, Croce e la scienza

Introduzione

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dell'economia isolata è stato efficace istrumento di critica contro le concezioni troppo rozzamente politiche e sociali dell'economia», in quanto ha evidenziato il «carattere [ ... ] spirituale e individuale» dell' «attività economica», Croce metteva ora in guardia gli economisti dal «credere sul serio possibile o pensabile un'economia pienamente isolata o un individuo isolato». E soggiungeva: l'individuo vive nella società, societas hominum; e anzi, in quella più vasta società, societas rerum, che è la natura, e che include in sé l'altra. Isolato non è mai: tale non è neppure il Robinson dei romanzi e dei trattati di economia, non solo per la ragione detta più volte, che egli proviene da una societas e la serba nel suo spirito, ma per quella più fondamentale, che Robinson, anche senza Venerdì, è in relazione con animali, piante e fatti naturali, ossia con altrettante determinazioni dell'Idea, come a'\-Tebbe detto Hegel, o oggettivazioni della Volontà, come a'\-Tebbe detto Schopenhauer. 8

La conclusione era che l'azione economica, non meno dell'attività giuridica, dovesse essere riconosciuta quale «azione dell'individuo tra le azioni degli altri individui, ossia come forza tra le forze». 9 Croce ritornava sulla questione nella terza parte della Filosofia della pratica (1909), che della memoria del 1907 costituiva la rifusione. 10 In queste pagine era piuttosto la definizione della legge come «atto volitivo» avente «per contenuto una serie o classe di azioni» a essere estesa al "caso" dell'individuo isolato. Quest'ultimo, come già era accaduto dal lato economica: dal marxismo al purismo alla critica del liberismo, in «Economia politica», 20 (2003), pp. 167-184; Id., Croce e il marginalismo, in Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa, direzione scientifica a cura di Michele Ciliberto, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2016, pp. 85-90; Giorgio Lunghini, Benedetto Croce e l'economia politica, in «Economia politica», 20 (2003), pp. 185-200; Aurelio Macchioro, Croce e Labriola, in Antonio Labriola nella storia e nella cultura della nuova Italia, a cura di Alberto Burgio, Macerata, Quodlibet, 2005, pp. 227-247; Luca Michelini, Introduzione a Idealismo e marginalismo (1897-1924). Lettere di Maffeo Panta/eoni a Benedetto Croce, in «Il pensiero economico italiano», 6 (1998), n. 2, pp. 9-23; Aldo Montesano, Croce e la scienza economica, in «Economia politica», 20 (2003), pp. 201-224. 8. Croce, Riduzione della.filosofia del diritto alla.filosofia dell'economia, pp. 44-45. 9. lvi, p. 45. Non sarebbe privo di interesse indagare in che misura queste pagine crociane cercassero di assorbire, traducendolo in termini speculativi, il motivo marxiano del "ricambio organico" tra uomo e natura (Karl Marx, n Capitale. Critica dell'economia politica, Libro primo, a cura di Delio Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 218). 1O. Marcello Mustè, Filosofia della pratica, in Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa, pp. 183-193: 192.

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Ogni uomo è scienziato

della scienza economica, veniva considerato nulla più che un 'utile fictio. Il risultato del procedimento di astrazione era pur sempre la distinzione tra il significato empirico di "società" e quello filosofico: da un lato, la societas hominum, fondata sul «concetto naturalistico di medesimezza di specie» e riducibile a contingenza; dall'altro, la societas entium, ossia la «realtà tutta» di cui l'individuo, per quanto avulso dalla comunione coi suoi simili, è sempre e necessariamente partecipe.11 Con una differenza: nel testo più antico la societas rerwn pareva coincidere con la natura; in quello più recente, invece, la societas entium sembrava includere tanto il mondo naturale quanto quello soprannaturale e si identificava col concetto della realtà come spirito. I due testi devono essere considerati, pertanto, come momenti diversi del processo di superamento del dualismo di spirito e natura che residuava ancora nelle prime formulazioni dell'Estetica ( 1900-1902): 12 non è un caso che l'uno, diversamente dall'altro, attingesse al lessico e alle concettualità di due filosofi, Schopenhauer e Hegel, ai quali Croce, in seguito,13 avrebbe imputato quel medesimo dualismo che egli si era sforzato di ricomporre affermando, nella Filosofia della pratica, l'unità "circolare" di teoria e pratica nello spirito.14 Non risulta che la Filosofia della pratica, pur figurando tra i libri del Fondo Gramsci, sia stata assiduamente frequentata dall'autore dei Quaderni prima del novembre 1933.15 Mentre della memoria accademica, che 11. Benedetto Croce, Filosofia della pratica: economica ed etica, ed. critica a cura di Maurizio Tarantino, Napoli, Bibliopolis, 1996, pp. 317-319. Sui problemi dischiusi dalla "riduzione" crociana, cfr. Marcello Mustè, Croce, Roma, Carocci, 2009, pp. 118-123. 12. lvi, pp. 39-59. Sui «residui di un certo naturalismo» nelle Tesi fondamenta/i (1900) e nella prima Estetica (1902), si veda anche la posteriore autocritica di Benedetto Croce, Etica e politica. Aggiuntovi il «Contributo alla critica di me stesso», Bari, Laterza, 1931, p. 400. 13. Benedetto Croce, Recensione a Alessandro Chiappelli, La nuova filosofia dei valori, in «La Critica», 7 (1909), pp. 75-76 (poi in Id., Conversazioni critiche: serie seconda, Bari, Laterza, 1918, pp. 18-20); Id., Le due scienze mondane.L'estetica e l'economica, in «La Critica», 29 (1931), pp. 401-412: 409-410; Id., Etica e politica, pp. 402-403. 14. Croce, Filosofia della pratica: economica ed etica, p. 211. Cfr. Mustè, Filosofia della pratica, pp. 185-186. 15. L'esemplare della quarta edizione (1932) presente nel Fondo Gramsci esibisce sottolineature e glosse, ma non contrassegni carcerari (cfr. QC, p. 3128): è stato quindi ricevuto da Gramsci dopo il 19 novembre 1933. L'autore dei Quademiaveva programmato lo «studio della filosofia della pratica di Croce» sul finire del 1931 (cfr. QC, p. 2392), ma ancora nel maggio 1933, al momento di riesaminare il giudizio crociano sulla scienza economica (Q 15, § 43, QC, pp. 1802-1803), si basava sui «saggi di prima del 1900» (ossia su

Introduzione

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non vi è inclusa né nell'edizione originale del 1907 né nella ristampa del 1926, 16 egli può avere avuto una conoscenza indiretta (e parziale) negli anni della segregazione: infatti, il passaggio recante la distinzione tra societas hominum e societas rerum veniva ripreso verbatim in un saggio di Arnaldo Volpicelli sulla filosofia del diritto di Croce (1928), 17 già identificato come fonte del filosofema «dialettica dei distinti.>> 18 di cui Gramsci si era avvalso, in chiave anticrociana, a partire dal novembre 1930.19 Materialismo storico ed economia marxistica). Nei Quaderni esistono molteplici richiami a motivi della filosofia della pratica di Croce, a cominciare dalla dottrina dell'origine pratica dell'errore: l'espressione è presente (senza approfondimento) già in Q 3, § 48, QC, p. 329 = Q 3, § 49, Ml, p. 487 (giugno-luglio 1930), ma l'occorrenza si può ricondurre anche a testi differenti dalla Filosofia della pratica: cfr. ad esempio B. Croce, Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza, 1926 2, pp. 88-94, dove si parla di «motivi pratici degli errori» (p. 90). I riferimenti più precisi, da Q 8, § 61, QC, pp. 977-978 (febbraio 1932) in avanti, possono invece spiegarsi con il saggio La teoria del/'errore, presente in Benedetto Croce, Eternità e storicità della filosofia, Rieti, Bibliotheca, 1930, pp. 27-35. Tale ultimo volume, richiesto da Gramsci nella sua lettera a Tania Schucht del 1° dicembre 1930 (LC, p. 523), figura tra i libri del carcere. Per ciò che riguarda gli scritti giovanili, i riferimenti ravvisabili in Tre principi, tre ordini («La Città futura», 11 febbraio 1917, ora in CF, pp. 5-11;S2, pp. 84-92)e I/nostro .Marx(«ll Grido del popolo»,4 maggio 1918, orainNM, pp. 3-7) possono essere ricondotti a Benedetto Croce, La redenzione di un concetto condannato, in «La Critica», 14 (1916), pp. 477-484. Da ultimo, una eco della crociana Filosofia della pratica è stata ravvisata (S2, p. 400, nota 9) nell'affermazione gramsciana secondo cui «la vita è sempre rivoluzione», che chiude l'articolo I massimalisti russi («Il Grido del popolo», 28 luglio 1917, ora in CF, pp. 265-267). Ma pensieri analoghi a quelli che concludono la Filosofia della pratica - la non definitività dei sistemi filosofici come risvolto della non definitività della vita stessa - si trovano anche in altri scritti crociani; cfr. ad esempio Croce, Filosofia e metodologia, p. 312: «il perpetuo cangiare della filosofia col mondo che cangia in perpetuo non è già un difetto, ma è l'eterna natura del pensiero e del reale»; ivi, p. 313: «la storia, che esso pensa come sola verità, è opera del pensiero infaticabile, che condiziona l'opera pratica, come l'opera pratica condiziona la nuova opera del pensiero: cosicché il primato, che fu già attribuito alla vita contemplativa, viene ora trasferito non già alla vita attiva, ma alla vita nella sua integralità, che è ad una pensiero ed azione» (anche in Id., Teoria e storia della storiogrqfia, pp. 143, 144). 16. Curata da Adelchi Attisani e recensita da Ugo Spirito sul «Leonardo» del 20 giugno 1926. 17.Amaldo Volpicelli, La teoria del diritto di Benedetto Croce, in «Nuovi studi di diritto, economia e politica», 1 (1927-1928), pp. 241-278: 249. 18. lvi, pp. 246, 263. Il :filosofema compendiava l'interpretazione della :filosofia dello spirito di Croce come impossibile conciliazione di un atteggiamento «intellettualisticoempirico» con un' «esigenza speculativa» (ivi, pp. 262-263). 19.Apartire daQ4, § 56, QC, p. 503 =Q 4[c], § 8,Ml, pp. 810-811. L'identificazione è stata proposta, con riferimento al testo C, il§ 4lxdel Quaderno 10 (Il), inFP, p. 97,

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Ogni uomo è scienziato

D'altra parte, il ricorso gramsciano al binomio latino (o a forme equivalenti) risulta alquanto saltuario: ciò spiega perché le occorrenze rintracciabili nei Quaderni non siano state, sinora, oggetto di indagine ravvicinata e nemmeno di mero censimento. 20 Ma il dato quantitativo non è dirimente. Non impedisce, cioè, di sostenere che Gramsci si sia effettivamente posto il problema dello "statuto" del mondo naturale e delle relative scienze21 nota 18, ed è stata ripresa in Fabio Frosini, Gramsci e la.filosofia. Saggio sui Quaderni del carcere, Roma, Carocci, 2003, p. 130, e in Ml, p. 833, nota 76, dove è documentata anche la larga diffusione del filosofema tra gli interpreti (attualisti e no) di Croce. 20. Mario A. Manacorda, n principio educativo in Gramsci. Americanismo e conformismo, Roma, Armando, 2015, pp. 126, 178, 227, ha evidenziato la ricorrenza del binomio nelle note di argomento pedagogico. Dal novero delle occorrenze rilevanti mi sentirei di escludere il § 50 del Quaderno 15 (QC, p. 1811), che presuppone la distinzione (metodica) tra "società degli uomini" e "società delle cose" senza entrare nel merito del loro "nesso organico", e il§ 1 del Quaderno 22 (QC, p. 2139), che impiega lo stesso lessico ma nel senso del binomio engelsiano «governo sulle persone»/«am.ministrazione delle cose» (cfr. Friedrich Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 113; Id., Anti-Diihring, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 299). Diverso l'avviso di Franco De Felice nel suo commento ad Antonio Gramsci, Quaderno 22. Americanismo e fordismo, Torino, Einaudi, 1978, p. 6, nota 2. 21. Nel ripercorrere il confronto di Gramsci con le "scienze naturali", non ci si occuperà della matematica. Per certi aspetti, questa precisazione può apparire superflua, dal momento che la matematica, a rigore, non è una scienza naturale. Lo stesso autore dei Quaderni ha mostrato di esserne consapevole quando, nel § 32 del Quaderno 10 (II), in polemica con la concezione einaudiana e crociana della scienza economica, scriveva: «mi pare non sia da confondere la matematica e la fisica» (QC, p. 1277); e quando, criticando nel § 21 del Quaderno 11 il rapporto scienza/strumenti materiali articolato da Bucharin, puntualizzava che le «scienze matematiche [ ... ] sono esse stesse "strumento" di tutte le scienze naturali» (QC, p. 1422, corsivo mio). D'altronde, un equivoco può sorgere per il fatto che egli ha usato l'espressione "scienze matematiche" per designare sia le scienze naturali che si avvalgono (in diversa misura) di strumenti matematici sia la matematica in senso proprio. Nella prima direzione muoveva il § 3 8 del Quaderno 4, in cui si legge di un «rapporto delle forze sociali strettamente legato alla struttura[ ... ] che può essere misurato coi sistemi delle scienze esatte o matematiche» (QC, p. 457; la seconda redazione, Q 13, § 17, QC, p. 1583, recita: «scienze esatte o fisiche»). La seconda era invece percorsa in una serie di testi successivi al § 38 del Quaderno 4: il § 114 del Quaderno 5, sulla nozione di postulato (QC, p. 637); il§ 180 del Quaderno 6, nella parte riguardante gli sviluppi della logica simbolica in Peano e Russell (QC, p. 827); il § 42 del Quaderno 11, sul rapporto tra matematica e logica (QC, p. 1461 ). L'omogeneità tematica di questa sequenza testuale suggerisce che le idee gramsciane sulla matematica possano essere ricostruite seguendo il suo discorso sulla logica formale. L'identità tra scienze esatte e scienze matematiche ritornava in un testo tardissimo, il § 52 del Quaderno 17 (settembre 1934-giugno 1935), nel quale peraltro, si consideravano le scienze esatte (o matematiche) come un "sottoinsieme" delle

Introduzione

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in una filosofia della praxis; e che abbia cercato di districare questo nodo misurandosi con il dibattito epistemologico del suo tempo.

2. Scienza e natura negli studi gramsciani Il lessico impiegato nel § 54 del Quaderno 1O rinvia, dunque, a una questione - la concezione della natura e dei "saperi" a essa relativi - che è stata al centro di un prolungato e articolato dibattito interpretativo. Questo dibattito merita di essere ripercorso e conteshiaJizzato, quanto meno nei suoi momenti salienti, al fine di mostrare, in primo luogo, come le posizioni che lo hanno scandito siano state, almeno in una certa fase, influenzate, direttamente o indirettamente, dalla più ampia vicenda della politica culturale del Pci, dei suoi orientamenti teorici e delle sue finalità pratiche; e, in secondo luogo, come questo legame spieghi solo in parte le difficoltà incontrate dagli interpreti nel raggiungere conclusioni, se non condivise, almeno consonanti. Tali difficoltà, del resto, si sono ripresentate anche in tempi più recenti, per l'appunto contrassegnati dallo sciogliersi dell'intreccio fra la fortuna di Gramsci e l'esperienza storica del comunismo italiano. Il dibattito prendeva avvio già all'indomani della pubblicazione de Il materialismo storico e la.filosofia di Benedetto Croce (1948), secondo volume dell'edizione einaudiana delle Opere curata da Felice Platone sotto la «diretta supervisione» di Palmiro Togliatti. 22 Lo inaugurava Emilio Sereni, responsabile della Commissione culturale del Pci da poco istituita: 23 tra i comunisti italiani, forse il meno incline a cogliere e a valorizzare l'originalità, filosofica oltre che politica, del marxismo gramsciano. scienze naturali (QC, pp. 1947-1948), lasciando intendere che vi fossero scienze naturali non esatte, o quanto meno non interamente riducibili alla dimensione esatta, misurabile. 22. Guido Liguori, Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche (19222012), Roma, Editori Riuniti University Press, 2012, p. 80. Cfr. anche Id., Togliatti. L 'interprete e il "traduttore", in Id., Sentieri gramsciani, Roma, Carocci, 2006, pp. 124-139; Marcello Mustè, Aspetti della storicismo di Togliatti, in Marxismo e storicismo nella filosofia italiana, a cura di Marcello Mustè e Giulia Dettori, in «Filosofia italiana», 16 (2021), n. 1, pp. 47-62; Giuseppe Vacca, Togliatti editore delle Lettere e dei Quaderni, in Id., Appuntamenti con Gramsci, Roma, Carocci, 1999, pp. 107-149; ld.,lntroduzione, in Togliatti editore di Gramsci, a cura di Chiara Daniele, Roma, Carocci, 2005, pp. 13-54. 23. Abertina Vittoria, Togliatti e gli intellettuali: la politica culturale dei comunisti italiani (1944-1964), Roma, Carocci, 2014, p. 52.

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In effetti, Sereni non si prefiggeva un approfondimento filologico della concezione gramsciana della scienza e della natura. Egli intendeva soprattutto svincolare Gramsci da Croce, sgombrando il campo da ogni possibile equivoco in cui potesse incorrere un lettore frettoloso a causa di talune «screziature nella terminologia e nel linguaggio, facilmente comprensibili per chi tenga presenti le condizioni in cui Gramsci pensava e scriveva, fuori del vivo contatto con gli esempi nuovi del movimento operaio intemazionale»:24 a suo giudizio, l'autore dei Quaderni era stato tanto distante dal filosofo abruzzese quanto la critica marxista, scientifica, pratica, obiettiva, lo era dalla critica borghese, ideologica, solo teorica, astratta; e il crocianesimo, ben lungi dal costituire per Gramsci un' «eredità», doveva essere considerato piuttosto come il «clima culturale» nel quale questi aveva veduto «porsi attorno a sé i problemi caratteristici della nuova società italiana».25 Quanto alle principali e più innovative categorie gramsciane, a cominciare dall'egemonia, esse erano considerate altrettanti sviluppi e approfondimenti dell'ortodossia marxista-leninista. 26 Questa "sovietizzazione" dei Quaderni era del tutto in linea con l'indirizzo impresso da Sereni alla "battaglia delle idee": che doveva consistere, a suo avviso, nel proporre la produzione culturale sovietica quale matrice e orizzonte di un radicale rinnovamento della cultura italiana. 27 Ma non collimava con la chiave di lettura che l'edizione Togliatti-Platone intendeva fornire agli intellettuali italiani, rivendicando la radice autoctona del comunismo italiano e affermando l'appartenenza del pensiero gramsciano al patrimonio culturale mondiale, sia pure con qualche cautela ravvisabile soprattutto nella selezione e nell'ordinamento dei testi, nonché nella considerazione del lessico dei Quaderni in chiave prevalentemente dissimulatoria. 28 Non a caso, dopo le divergenze e le polemiche suscitate dal suo modo di intendere la "politica cultura24. Emilio Sereni, Gramsci e la scienza d'avanguardia, in «Società», 4 (1948), pp. 3-30: 9. Il saggio si legge anche in Id., Scienza, marxismo, cultura, Milano, Le Edizioni sociali, 1949, pp. 141-170. 25. Sereni, Gramsci e la scienza d'avanguardia, p. 8. 26. lvi, pp. 27-30. 27. Vittoria, Togliatti e gli intellettuali, pp. 54-55. 28. Cfr. Giuseppe Vacca, Che cos'è la politica culturale, in II "lavoro culturale". Franco Ferri direttore della Biblioteca F e/trinelli e dell'Istituto Gramsci, a cura di Fiamma Lussana e Albertina Vittoria, Roma, Carocci, 2000, pp. 17-71: 32-33; Vittoria, Togliatti e gli intellettuali, p. 14.

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le", Sereni sarebbe stato sostituito da Carlo Salinari nel 1951, all'indomani del VII Congresso del Pci. 29 Peraltro accadeva a Sereni di riscontrare nei Quaderni un «approfondimento della gnoseologia marxista», che, a suo dire, prometteva felici applicazioni alle scienze fisiche e naturali.30 Questo spunto veniva raccolto, due anni dopo, da Massimo Aloisi, medico, studioso di biologia e genetica, coinvolto, in quegli anni, nel dibattito sul "lysenkoismo", nei confronti del quale alternò dissensi e cautele, sfiorando talora la reticenza ma, in altri casi, incorrendo nella censura e rischiando persino l'espulsione.31 Fu suo il primo tentativo di ricostruire sistematicamente le idee gramsciane su scienza e natura. Le conclusioni di Aloisi si compendiavano in tre punti: innanzitutto, egli sosteneva che Gramsci, nell'affrontare i nodi dell'oggettività e della storicità del sapere scientifico, si fosse consapevolmente collocato nel solco del marxismo-leninismo, ammettendo «la realtà (e la storicità quindi) di un mondo prima della comparsa dell'uomo e da cui l'esistenza stessa dell'uomo dipende, onde ne dipende la sua storia»; 32 inoltre, e consequenzialmente, puntualizzava che il marxismo-leninismo, ben lungi dal separare l'uomo dalla natura, postulasse piuttosto la loro unità indissolubile e in tal modo si sottraesse, diversamente dal marxismo di Bucharin, alla critica gramsciana della "trascendenza"; 33 infine, derubricava i sospetti sull'idealismo di Gramsci a «equivoci», a «interpretazioni inesatte o contraddittorie», a «vere e proprie deviazioni»,34 derivanti dall'incomprensione del suo linguaggio o dalla superficiale considerazione della sua polemica contro le deformazioni «positivistiche, scientistiche e meccanico-deterministiche (per es. del Saggio popolare)>>3 5 che il marxismo aveva subito nella sua "fase" subalterna e popolare. 29. Ivi, pp. 15-16, 56-57, 61-63, 76-80, 88-89. 30. Sereni, Gramsci e la scienza d'avanguardia, p. 29. È stato osservato che «Sereni sottolineava elementi storico-teorici in buona parte veri e spesso lasciati in ombra in quegli anni», anche se il «significato politico della sua sottolineatura» consisteva nello svuotamento di «tutta l'elaborazione legata alla "via italiana">> (Liguori, Gramsci conteso, p. 106). 31. Per un profilo, cfr. Emilio Rosini, Massimo Aloisi, in «Belfagorn, 58 (2003), pp. 63 7-663; sul ruolo di Aloisinel "caso Lysenko" in Italia, cfr. Francesco Cassata, Le due scienze. Il «caso Lysenlco» inltalia, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 11-14, 52-61, 183-216. 32. Massimo Aloisi, Gramsci, la scienza e la natura come storia, in «Società», 6 (1950),pp. 385-410: 409. 33. Ivi, p. 393. 34. Ivi, p. 397. 35. Ivi, p. 410.

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L'ispirazione sereniana di queste tesi è limpida. E ciò le espose da subito a forti obiezioni. Già nel corso della discussione che seguì su «Società» emersero posizioni dissenzienti: da un lato, Armando Borrelli attribuiva a Gramsci un'inclinazione mai superata all 'idealismo; 36 dall'altro, Domenico Omero Bianca contestava che la postulazione di una realtà naturale extra- e pre-umana, caratteristica del materialismo dialettico, corrispondesse alla lettera e allo spirito del pensiero di Marx (e dell'autore dei Quaderni).37 In altra sede, Nicola Matteucci dubitava che «la sostituzione della dialettica alla meccanicità del materialismo» potesse «disancorarlo dagli scogli della meta:fi.sica»38 e contrapponeva la nozione gramsciana di "praxis" come "atto impuro" all'ontologia e alla gnoseologia del materialismo dialettico, accentuando i legami fra filosofia della prassi e storicismo crociano: «Ogni giudizio scientifico [ ... ] è un giudizio storico, in quanto è l'incontro di un momento rappresentativo-esistenziale con le categorie del pensiero, intese [ ... ] come categorie storiche».39 Ostile alla «interpretazione "staliniana" della filosofia della prassi» sarebbe stato, più tardi, anche Emilio Agazzi: questi, pur non considerando Gramsci come un intellettuale "crociano di sinistra", argomentava che la sua «"ritraduzione" del Croce esplicitamente programmata e puntualmente attuata» fosse stata negativamente condizionata dalla parallela esigenza di «inserire il pensiero marxista nella cultura italiana», di tradurre il «marxismo in italiano», e fosse perciò approdata a un marxismo inteso non come scienza ma di nuovo come "concezione del mondo" a carattere tendenzialmente speculativo. 40 L'intervento di Agazzi si collocava nel dibattito che i "marxisti critici" avevano sollevato intorno al saggio di Aloisi fin dalla sua pubblicazione. In particolare, il gruppo raccolto intorno al celebre foglio ciclostilato «Discussioni» (1949-1953) aveva criticato, per voce di Roberto Guiducci, la tendenza all' ontologizzazione della natura, considerandola in netto contrasto con !'«organica unità tra uomo e natura>> postulata dal giovane Marx 36. Scienza, storia e natura in Gramsci, in «Società», 7 (1951), pp. 105-114: 103-105. 37. lvi, pp. 105-106. 38. Nicola Matteucci, Gramsci e la conoscenza della natura, in ld.,Antonio Gramsci e lafi/osofia della prassi, Milano, Giuffrè, 1951, pp. 145-152: 151. 39. lvi, p. 152. Cfr. ora Luca Basile, Tra autonomia e traducibilità. Nicola Matteucci interprete di Antonio Gramsci, Milano, Mimesis, 2022. 40. Emilio Agazzi, Filosofia della prassi e filosofia dello spirito, in La città futura. Saggi su/lafigura e il pensiero di Antonio Gramsci, a cura di Alberto Caracciolo e Gianni Scalia, Milano, Feltrinelli, 1959, pp. 187-269: 208, 209-213, 215-216, 243, 251-252.

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nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844.41 Ne era scaturito, tra il 1951 e il 1952, un riesame delle soluzioni date al "cosiddetto problema del mondo esterno" da Engels e da Lenin. L'ontologizz.azione della natura (e dei risultati delle scienze) era considerata, in queste pagine un risvolto delle «alienazioni di una società a proprietà privata». 42 Le si opponeva convintamente il tema dell'intreccio tra prassi umana e «resistenza concreta delle cose», attraverso cui Guiducci si era sforzato di attingere una nozione di ''verità" e "oggettività" toto coe/o diversa da quella, assoluta e aprioristica, della filosofia tradizionale (e di certi versioni del marxismo). Peraltro, egli non riusciva ad andare molto al di là di un'interpretazione soggettivistica e "crociana'' del criterio pragmatistico di "successo operativo", che lasciava intatte (dichiarandole inattingibili) le accezioni tradizionali del ''vero" e dell'"oggettivo". Per un verso, quindi, egli si sforzava di risarcire lo iato tra teoria e pratica; ma, per un altro verso, finiva con il contrapporre la vocazione pragmatica della teoria al carattere meramente contemplativodescrittivo della.fi/oso.fia.43 Di questa problematica ricognizione il saggio Gramsci e la scienza: l'oggettività come conquista storico-socia/e del/ 'uomo (195 5), pur apparso in diversa sede e a distanza di qualche anno, costituì l'ideale coronamento e punto d'approdo. A prima vista, esso condivideva con lo studio diAloisi soltanto l'energica sottolineatura dello sforzo compiuto da Gramsci, con la sua meditazione epistemologica, di sottrarsi alle angustie del crocianesimo

41. Roberto Guiducci, Il cosiddetto problema del "mondo esterno" (Il pensiero di Marx) [«Discussioni», 3 (1951)], in D, pp. 225-233: 225-228. Cfr. Kart Mane, Manoscritti economico-filosofici del 1844, trad. di Norberto Bobbio, Torino, Einaudi, 1949, pp. 131-132. 42. Guiducci, Il considdetto problema del "mondo esterno" (Il pensiero di Marx), p. 228. 43. lvi, pp. 231-232; cfr. Roberto Guiducci, Il cosiddetto "problema del mondo esterno" (Il pensiero di Engels) [«Discussioni», 3 (1951)], in D, pp. 289-296: 293, 295-296; Id., Il cosiddetto "problema del mondo esterno" (Il pensiero di Lenin- parte]) [«Discussioni», 4 (1952)], ivi, pp. 313-323: 317,319; Id., I/ cosiddetto "problema del mondo esterno" (Il pensiero di Lenin- parte li) [«Discussioni», 4 (1952)], ivi, pp. 332-341: 337. Le difficoltà guiducciane sul nodo della verità venivano colte da Luciano Amodio, Contributi alla discussione sul "problema del mondo esterno" [«Discussioni», 4 (1952)], ivi, pp. 323-325. Sul tentativo guiducciano di conciliare Marx con Dewey si vedano Eugenio Garin, Cronache di.filosofia italiana 1900-1960, Bari-Roma, Laterza, 1997, pp. 573-575, che ha parlato di un «Dewey non meglio caratterizzato, né "periodizzato", ma ancora vicino all'età del primo pragmatismo» (p. 575), e Alessandro Pizzomo, Amici, riviste, idee negli anni del disgelo e del consumo, in «L'ospite ingrato», 2 (1999), pp. 33-64: 38, che ha invece insistito sul nesso fra 1' ideologia politica progressiva di Guiducci e le sue simpatie pragmatiste.

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e di reagire alla «svalutazione sistematica del valore gnoseologico dell'attività scientifica». 44 Se ne allontanava drasticamente, invece, nell'opporre all'ortodossia marxista-leninista un marxismo non dogmatico, privo di presupposti ontologici e di pretese gnoseologiche assolute, compatibile con (e soggetto a) l'autonomia di tutte le scienze, sociali e naturali: lo stesso Diamat era incluso fra le «ideologie» e le «teorie» che preferivano attribuirsi un'universalità presupposta ma fittizia, piuttosto che conseguire un'universalità reale a partire dal riconoscimento della propria parzialità.45 Guiducci adottava l"'autonomia della cultura" come chiave interpretativa dei temi scientifico-epistemologici dei Quaderni, inaugurando una delle direttrici di ricerca della rivista «Ragionamenti»: e cioè il nesso fra la prefigurazione di una nuova organizzazione della cultura marxista e la contestazione dell'immagine di Gramsci allora ritenuta corrente, ufficiale e maggioritaria.46 Non a caso, lo studio gramsciano veniva pubblicato su una delle "riviste del disgelo", «Questioni», che pochi mesi prima aveva ospitato La questione della cultura di sinistra, in cui Guiducci svolgeva tutte le implicazioni della distinzione tra politicità e partitarietà della cultura già messa a fuoco da Renato Solmi proprio su «Discussioni». 47 Non a caso, ancora, l'uscita di quello studio era accompagnata dalla pubblicazione, su «Nuovi argomenti», di due celebri pamphlet che approfondivano il tema della distinzione e della dialettica fra organizzazioni culturali e politiche48 44. Aloisi, Gramsci, la scienza e la natura come storia, p. 387. Si vedano le precisazioni sul carattere "convenzionale" della scienza sperimentale moderna in Roberto Guiducci, Gramsci e la scienza: l'oggettività come conquista storico-sociale dell'uomo, in «Questioni», 2 (1955), n. 4-5, pp. 29-45: 36. 45. lvi, pp. 32-34. Cfr. Roberto Guiducci, Storicità della scienza [«Discussioni», 1 (1949)], inD,pp. 13-14: 14: «Se il marxismo è anche un metodo perla scienza,nonc'è ragione perché non venga spontaneamente applicato». Sulla distanza del marxismo gramsciano dal materialismo dialettico, si veda anche Id., Influenze e controinfiuenze nella.filosofia contemporanea: Marx e Dewey, in «Nuovi argomenti», 2 (1954), n. 9, pp. 174-184: 182-183. 46. Cfr. Mariamargherita Scotti, Da sinistra. Intellettuali, Partito socialista italiano e organizzazione della cultura (1953-1960), Roma, Ediesse, 2011, pp. 189-240; Giuseppe Vacca, Il marxismo come sociologia (1954-1965), in Id., Storiogrqfia e vita nazionale. Liberalismo e marxismo nell'Italia del Novecento, Roma, Treccani, 2022, pp. 137-176: 139-144. 47. Roberto Guiducci,La questione della cultura di sinistra, in «Questioni», 1 (1954), n. 5-6, pp. 45-58. 48. Roberto Guiducci, Sulla dialettica politica-cultura, in «Nuovi argomenti», 3 (1955), n. 15-16, pp. 85-106; Id., Pamphlet sul disgelo e sulla cultura di sinistra, ivi, 3-4 (1955-1956), n. 17-18, pp. 83-108.

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e che avrebbero innescato, dopo la brusca stroncatura de «Il Contemporaneo», un franco dibattito fra intellettuali di sinistra, contraddistinto dalla critica della celebre "linea" De Sanctis-Labriola-Croce-Gramsci e dalla ricerca di un'eccedenza del pensiero gramsciano rispetto alle coordinate di uno storicismo d'ispirazione crociana.49 Peraltro, dal punto di vista dell'interpretazione dei Quaderni, i saggi di Aloisi e Guiducci condividevano più di quanto lasciasse presagire la diversità delle loro posizioni sui rapporti politica-cultura e dei rispettivi giudizi sul marxismo-leninismo. Entrambi valorizzavano il motivo gramsciano dell'«uni:fìcazione culturale del genere umano»;50 entrambi ritenevano che tale unificazione fosse incompatibile con le limitazioni e le distorsioni gnoseologiche derivanti dalla divisione della società in classi, ma prefigurabile sul terreno della scienza. 51 Certo, Aloisi sosteneva che gli scienziati avrebbero potuto operare praticamente in tale direzione solo deponendo l' «atteggiamento rinunciatario e misticheggiante» di matrice empiriocriticista e sposando senza esitazioni il materialismo marxiano-leniniano;52 laddove Guiducci argomentava che dovesse essere il marxismo ad assumere come proprio modello la scienza, la quale poteva anticipare un certo risultato storico perché «entro certi limiti» lo aveva «già conseguito»: ciò che, inultima analisi, aveva fatto Gramsci con la sua filosofia della prassi, accoglien49. Gli interventi sono raccolti, e pregevolmente contestualizzati, in Gli intellettuali di sinistra e la crisi del 1956: un'antologia di scritti del «Contemporaneo», a cura di Giuseppe Vacca, Roma, Editori Riuniti-Rinascita, 1978. 50. Q 11, § 17, QC, p. 1416. 51. Aloisi, Gramsci, la scienza e la natura come storia, pp. 386, 389; Guiducci, Gramsci e la scienza, p. 34. Sul tema delle "limitazioni gnoseologiche" di una società classista, cfr. anche Emilio Sereni, Cultura e scienza nuova nell'umanità socialista [1948], in Id., Scienza, marxismo, cultura, pp. 13-88: 68: «[ ... ] la divisione della società in classi non ha solo delle conseguenze economiche, politiche, sociali, culturali che sono quelle in cui tale divisione più immediatamente si esprime. Questo significa che tale intima dilacerazione dell'umanità pone dei limiti obiettivi alla capacità che l'umanità associata ha di prender coscienza del reale in una forma scientifica, coerente, obiettiva, universalmente valida. Questo significa che la divisione della società in classi pone all'umanità delle limitazioni che non sono solo economiche,politiche, sociali, culturali, ma addirittura gnoseologiche»; Id., La crisi della scienza e il marxismo [1948], ivi, pp. 89-140: 111: «Il fatto dell'accumulazione di ricchezza e di miseria scientifica ai due poli della società contemporanea, il fatto della separazione fra teoria e pratica scientifica, tra scienza e tecnica, non ha solo delle conseguenze economiche, sociali o politiche, ma[ ... ] conseguenze non meno gravi di ordine gnoseologico». 52. Aloisi, Gramsci, la scienza e la natura come storia, p. 403.

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do la nozione dell' oggettità come «accordo» degli uomini tra loro e verso le cose. 53 Ma questa differenza, di per sé tutt'altro che trascurabile, non poteva del tutto oscurare la convergenza delle loro conclusioni: secondo entrambi gli interpreti l'equazione gramsciana tra "oggettivo" e "universale soggettivo",54 considerata come trait d'union tra scienza e marxismo, poteva essere qualcosa di più di una traduzione dell'idealismo in termini politico-sociali grazie all'integrazione/giustapposizione di un "coefficiente" di realismo, fosse la natura pre- ed extra-umana di Aloisi o il minimale realismo empirico-esistenziale che, secondo Guiducci, ogni scienziato assumeva come presupposto delle proprie indagini e che consisteva in una postulazione di "cose" non interamente riducibili alla loro relazione con l'uomo ma nemmeno tematizzabili al di fuori di quella relazione.55 In altre parole, mentre Aloisi non era riuscito a sottrarsi, malgrado le intenzioni,56 a un'ontologizzazione della natura, Guiducci, nella sua aspirazione a liberare il marxismo da oggettività feticistiche, servitù ontologiche e verità assolute, non aveva potuto evitare, a dispetto delle citazioni gramsciane,57 il ripresentarsi di un ineffabile mondo di "cose in sé" extra-empiriche. 53. Guiducci, Gramsci e la scienza, p. 34. Cfr. anche Id., Storicità della scienza, pp. 1314. In una seconda versione del suo studio Guiducci avrebbe in parte corretto il suo giudizio, affennando che Gramsci aveva in realtà rinunciato all' «anticipazione scientifica dell'unificazione concreta del genere umano» nel momento in cui aveva collocato le scienze economicosociali (sociologia, economia politica) nel campo ideologico (negandone con ciò la