Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata. Nuova ediz. 8882483959, 9788882483951

Questo volume, riproposto in una nuova e aggiornata versione, ricostruisce il contesto storico, sociale e politico della

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Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata. Nuova ediz.
 8882483959, 9788882483951

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Edizioni Bietti, Milano

Davide Steccanella

GLI ANNI DELLA LOTTA ARMATA Cronologia di una rivoluzione mancata

Edizioni Bietti, Milano

Editor e impaginazione: Studio Caio Robi Silvestro Esecutivo grafica della copertina: Alessandro Colombo © 2018 Edizioni Bietti - Società della Critica Srl, Milano www.bietti.it Prima edizione: marzo 2013. Seconda edizione: giugno 2013. Terza edizione: febbraio 2018. ISBN: 978-88-8248-395-1

«Che ti importa?» mi sfidò Vania, «M’importa, m’importa. Mi sto facendo la galera perché sono una cui importa». da “Certificato di esistenza in vita” di Geraldina Colotti

Indice

Roma, 16 marzo 1978

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Le origini della lotta armata in Italia

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1969 I GAP di Feltrinelli, la Banda 22 Ottobre, la strage di Piazza Fontana

33

1970 La nascita delle BR

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1971 I primi comunicati delle BR

63

1972 Le BR passano alla clandestinità e nasce la colonna di Torino

79

1973 Le BR sequestrano sindacalisti e dirigenti, da una scissione di Lotta Continua nascono i NAP

91

1974 Il sequestro Sossi, le stragi di Brescia e del treno Italicus, Dalla Chiesa arresta Curcio e Franceschini

105

7

1975 La evasione di Curcio, le “giornate di aprile”, la morte di Margherita Cagol

127

1976 Nuova direzione strategica delle BR, il “processo guerriglia”, nascita di Prima Linea

149

1977 Esplode la rivolta di un nuovo movimento giovanile

171

1978 Le Formazioni Comuniste Combattenti, l’attacco al “cuore dello Stato”

195

1979 Le BR uccidono un operaio comunista, Prima Linea un Giudice “di sinistra”, il “7 aprile”, i PAC

237

1980 Il primo “pentito”, il favoreggiamento di Cossiga, la Brigata 28 marzo, la strage di Bologna

269

1981 Il Partito guerriglia, il sequestro di Roberto Peci, la operazione Dozier

301

1982 Le torture e la “ritirata strategica”

332

1983 La fine della lotta armata diffusa

343

1984 Nasce la “seconda posizione”

353

8

1985 La pubblica dissociazione

361

1986 L’omicidio Conti

369

1987 La “campagna per la libertà”

375

1988 L’ultimo omicidio targato BR

383

1989 La caduta del muro di Berlino

391

1990-2017 Da un secolo all’altro

407

Appendice

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Dialogo con un “cattivo maestro” di Giovanni Sordini e Luca Colombo

449

Bibliografia

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Indice dei nomi

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Ad Ale e a tutti quelli che ho incontrato lungo questo approfondimento

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Premessa

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Qualcuno in una cella e in un esilio sconta il Novecento anche per me Erri De Luca

Roma, 16 marzo 1978 È un giovedì mattina quando dieci persone armate si recano all’angolo tra Via Fani e Via Stresa. Alcuni neppure si conoscono tra di loro; vivono da anni in clandestinità e usano nomi di battaglia. L’“attacco al cuore dello Stato” era stato accuratamente preparato da tempo e preannunciato con la Risoluzione strategica dell’aprile 1975, ma a questo documento non venne dato molto peso in precedenza. Ognuno di loro ha un compito ben preciso, mentre altri tre attendono l’esito in due case romane: una in Via Montalcini 8 e l’altra in Via Chiabrera 74. Un primo gruppo è composto da quattro uomini. Il ventiseienne Giuseppe è un ex contadino di Reggio Emilia, che nel 1960 ha visto uccidere in piazza cinque operai che protestavano contro il governo Tambroni, appoggiato dai fascisti. Arrestato a Torino il 30 ottobre del 1974 e processato due anni dopo con i componenti del gruppo storico delle Brigate Rosse, il 1° gennaio dell’anno prima era riuscito ad evadere dal carcere di Treviso, con altri 12 detenuti “comuni”, per poi unirsi alla colonna romana. Luigi è arrivato la sera prima con il treno da Milano ed è anche lui reggiano, ma più giovane: ha 22 anni, ed è già membro del comitato esecutivo delle BR. Figlio di due comunisti, diplomatosi alle scuole serali

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mentre di giorno faceva l’operaio alla Lombardini, a 19 anni ha deciso di entrare in clandestinità. Marcello è un altro ex operaio, ventiduenne, anche lui arrivato la sera prima in treno, ma da Torino. È un pugliese che non ha studiato, uno dei tanti emigrati di quegli anni, salito al Nord ancora minorenne, alla ricerca di quel lavoro che aveva trovato alla Breda di Sesto San Giovanni, in un reparto di verniciatura, dove gli addetti erano costretti ad ubriacarsi tutti i giorni, sin dalle prime ore del mattino, per evitare di rimanere intossicati. Pecos è l’unico romano dei quattro: è figlio di un falegname ed è quello più “esperto”, perché di anni ne ha già 29, con alle spalle un decennio di militanza nella sinistra più radicale, nel Movimento Studentesco e poi in Potere Operaio, con ripetuti contatti con i GAP di Feltrinelli. Prima di entrare nelle BR, Pecos aveva fondato il gruppo di guerriglia armata dei LAPP, insieme alla sua compagna, Alexandra, che è rimasta ad attendere in Via Chiabrera, nella casa in cui convivono e che in quei giorni fa da base per le riunioni della Direzione delle BR. Alexandra ha 26 anni, siciliana, proviene da una famiglia della media borghesia e si è trasferita a Roma per frequentare l’università; ha già una figlia di 7 anni, avuta con il precedente compagno, un dirigente di Potere Operaio, e per entrare in clandestinità ha affidato la bimba ai propri genitori. Qualche giorno prima è stata lei ad acquistare le divise da pilota dell’Alitalia che i quattro indossano quel mattino, per mimetizzarsi da eventuali passanti, mentre attendono l’arrivo delle due auto provenienti da Via Trionfale. Altri due uomini sono arrivati al volante di due Fiat. La prima vettura, una 128, servirà per bloccare all’in-

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crocio entrambe le macchine in arrivo, secondo lo schema militare usato qualche mese prima dai tedeschi della RAF, a Colonia, per il sequestro del Presidente degli industriali Hanns-Martin Schleyer; la seconda, una 132, servirà invece per la prima fase di trasporto dell’ostaggio, in caso di successo dell’operazione. A guidare la 128 è il più anziano del gruppo, un trentunenne ex operaio della Sit-Siemens, di origini marchigiane, ricercato da anni, perché alla fine del 1970 è stato uno dei fondatori delle Brigate Rosse a Milano; gli altri del gruppo originario, nel frattempo, sono stati arrestati o uccisi. Anche lui ha un figlio, Marcello, che tanti anni prima ha lasciato alla moglie, per entrare in clandestinità. Alla guida della 132 c’è un artigiano romano di 27 anni, Claudio, proveniente dal Comitato Comunista di Centocelle, dove ha militato insieme ad altri futuri brigatisti, tra cui la sua ex compagna, un’impiegata di 24 anni, orfana di entrambi i genitori; è lei che l’anno prima, insieme a tale Ingegner Altobelli, ha acquistato un appartamento in via Montalcini, dove dovrà essere condotto l’ostaggio. La donna non è ancora la clandestina Camilla e tutti i giorni si reca al lavoro, per non dare nell’occhio. In quella casa c’è anche un’altra persona proveniente dal gruppo di Centocelle: ha 27 anni, è stato convinto da Pecos e Claudio a partecipare a quel sequestro e, anche lui, non è ancora il clandestino Gulliver. Per 55 giorni abiterà in quella casa, fingendosi suo marito, perché Giuseppe, ricercato dopo l’evasione di Treviso, non poteva farsi vedere dai vicini. La copertura all’azione dei sei è fornita da due uomini e da due donne, posizionati in diversi punti lungo la strada.

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Il primo, Otello, ha 22 anni, è figlio di un esponente del PCI e di una cittadina svizzera e tre anni prima era stato coinvolto negli scontri studenteschi durante i quali morì il giovane missino Mikis Mantakas. Il secondo, Camillo, ha 27 anni ed è figlio di un soldato che ha vissuto la tragedia di Cefalonia del 1943, attuale collaboratore dell’Ufficio Stampa del Vaticano per L’Osservatore Romano. Dopo avere militato in Potere Operaio, è entrato nelle BR insieme alla sua compagna, Marzia, che è una delle due donne presenti quel mattino in Via Fani. Marzia ha solo 20 anni, romana; anche lei, come Camillo, ha militato nel collettivo autonomo di Via dei Volsci prima di entrare nelle BR. La decima infine, Sara, è un’ex insegnante per bambini disabili, di 27 anni, nata e cresciuta in un paesino del Lazio, Colleferro, interamente costruito intorno a una gigantesca fabbrica, dove la madre lavora come operaia. Dopo avere partecipato al sessantotto romano e avere militato in Potere Operaio, nel 1974, durante gli sgomberi delle case popolari nella borgata di San Basilio vede uccidere dalla polizia il diciannovenne Fabrizio Ceruso. Prima di entrare nelle BR ha fatto parte con altri futuri brigatisti del gruppo dei Tiburtaros. Tre operai, cinque borgatari romani, un contadino, una maestra, un’impiegata di origini proletarie e due ex studenti militanti. Il più giovane ha 20 anni e il più vecchio 31, ma quel giorno avrebbero potuto essercene altri, perché intorno a quei tredici stava succedendo tutto quello che succedeva in Italia da 10 anni e che sarebbe continuato a succedere per almeno altri cinque.

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I numeri di quegli anni riportano 269 sigle armate operanti alla fine del 1979, 36.000 cittadini inquisiti di cui 6.000 condannati, 7.866 attentati compiuti e 4.290 azioni di violenza ai danni di persone1. Eppure all’intero Paese, e soprattutto ai giovani che allora non c’erano, si continua a raccontare, con ben poche eccezioni2, la storia di un terrorismo avulso e isolato da tutto quello che ha contrassegnato un lungo periodo di storia nostrana, mediaticamente definito Anni di piombo, mal traducendo il significato del titolo di un film della tedesca Margarethe Von Trotta (1981), che si riferiva alla tetraggine del post nazismo. Si trattò dell’ultimo episodio di rivoluzione mancata del Novecento, il secolo che aveva visto spesse volte prendere il potere con la forza, e che si inserì in un più generale fermento internazionale di guerriglia. Per meglio capire in quale contesto mondiale ebbe a collocarsi l’inizio della lotta armata in Italia, vale la pena ricordare quanto stava accadendo, nel 1970, nel resto del mondo. Il 6 marzo nel Greenwich Village di Manhattan muoiono, dilaniati da un ordigno destinato al Club degli Ufficiali, tre militanti dei Weather Underground che si definiscono “Forza combattente bianca per la distruzione dell’imperialismo statunitense”. Il 31 marzo in Guatemala i guerriglieri del FAR (Fuerzas Armadas Rebeldes) sequestrano l’ambasciatore tedesco Karl von Spreti che verrà ucciso il 5 aprile. Il 14 maggio in Germania si costituisce la RAF, che si definisce “gruppo di guerriglia urbana comunista e anti-imperialista impegnato nella resistenza armata contro lo Stato fascista”. L’11 giugno, a Rio de Janeiro, la Unidade de Combate Juarez Guimares de Brito, che l’anno prima ave-

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va rapito l’ambasciatore americano Charles Elbrick, sequestra l’ambasciatore tedesco Ehrenfried von Holleben e ottiene la liberazione di quaranta detenuti politici. Il 12 luglio, a Buenos Aires i Montoneros uccidono il generale Pietro Aramburu. Il 31 luglio a Montevideo, i Tupamaros rapiscono il capo della sicurezza USA Dan Mitrione, che verrà ucciso il 10 agosto. Il 10 ottobre, a Quebec, in Canada, il FLQ (Fronte di Liberazione del Quebec) sequestra il Ministro del lavoro Pierre Laporte, il cui corpo viene fatto ritrovare sette giorni dopo nel bagagliaio di un’auto, e il 3 dicembre liberano il commissario al commercio britannico James Cross, in cambio di un salvacondotto per Cuba per cinque militanti della Cellula Chenier. Solo due anni prima, il 2 agosto 1968, a Irun, con l’uccisione della guardia civil Melitón Manzanas i baschi spagnoli dell’ETA avevano dato inizio alla pratica guerrigliera dell’omicidio politico, in Giappone si era formata l’Armata Rossa e a breve sarebbe scoppiato il conflitto nordirlandese dell’IRA. La prima edizione di questa cronologia è uscita agli inizi del 2013. Nella premessa raccontavo di essere rimasto colpito da un’intervista all’ex brigatista Prospero Gallinari3 che, presentando il proprio libro, Un contadino nella metropoli, spiegava di avere dedicato al sequestro Moro solo alcune pagine, perché «quella, per quanto importante, fu solo una delle tante azioni delle Brigate Rosse, la cui storia è durata almeno 15 anni». Gallinari diceva che intorno a loro vi era un consenso politico diffuso in vari settori e che i brigatisti “erano clandestini solo per il potere”, ricordando che

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quando fu arrestato e ferito trovò subito all’ospedale un’infermiera simpatizzante che lo protesse e che, durante il sequestro Moro, il Movimento dell’università romana ascoltava in assemblea le parole di Bruno Seghetti, “ben sapendo chi rappresentava”4. Da quell’edizione sono passati cinque anni, sono usciti volumi importanti come La lotta è armata di Gabriele Donato, La guerra è finita di Monica Galfré, Gli imprendibili di Andrea Casazza, Pronto, qui prima Linea di Michele Ruggiero e Mario Renosio, I nemici della Repubblica di Vladimiro Satta, Correvo pensando ad Anna di Pasquale Abatangelo, La zona grigia di Massimiliano Griner, Il proletariato non si è pentito di Adriana Chiara e Brigate Rosse (volume primo) di Marco Clementi, Paolo Persichetti e Elisa Santalena, mentre è stata istituita un’ennesima Commissione Moro. Nel frattempo mi sono confrontato direttamente anche con chi quella lotta armata contro lo Stato l’aveva combattuta ma, come nella precedente edizione, ho ritenuto di riferire solo i fatti storicamente accaduti, lasciando eventuali giudizi agli analisti di professione. Ho dato così ulteriore spazio alle note che costituiscono il “cuore pulsante” di questo lavoro5.

NOTE 1. Dati tratti da nota ministeriale del 30 dicembre 1979, La Mappa Perduta, Sensibili alle foglie, 2006, articolo 18 maggio 2004 su Liberation a firma Nanni Balestrini e Toni Negri, sito web di La storia siamo noi, Rai Edizioni.

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2. Bisognerà attendere fino al 1993 per trovare un testo scritto da un ex protagonista che non sia un dissociato (A viso aperto, intervista di Mario Scialoia a Renato Curcio ed. Mondadori), seguito l’anno successivo da Una storia Italiana (ed. Anabasi) che riporta una lunga e sofferta intervista di Rossana Rossanda e Carla Mosca a Mario Moretti, e quindi da Compagna Luna di Barbara Balzerani (ed. Feltrinelli). Per una compiuta analisi di alcuni testi usciti sull’argomento vd. Libri di piombo di Giuliano Tabacco, ed. Bietti, 2008. 3. Deceduto il 14 gennaio 2013 all’età di 62 anni, a Reggio Emilia a causa di un arresto cardiaco mentre si trovava in detenzione domiciliare per motivi di salute. 4. L’intera intervista a Gallinari, realizzata nel 2006, si può vedere nel DVD dal titolo Una storia del ‘900 editato nel 2007 dal centro sociale di Torino Askatasuna. 5. «Nel quadro fosco degli “anni di piombo” così come ci è stato consegnato dalla pubblicistica di Stato quel che manca è l’umanità di cui erano pieni quegli uomini e quelle donne che facevano scelte drammatiche con la morte nel cuore come per esempio la clandestinità» Corrado Alunni (cfr. introduzione a Clandestina di Teresa Zoni Zanetti, ed. DeriveApprodi, 2000, pag. 6).

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Le origini della lotta armata in Italia

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Sulla quarta di copertina del recente volume editato da DeriveApprodi si legge: «Le Brigate rosse nacquero dentro la crisi della vecchia società fordista dalla quale scaturirono nuovi movimenti portatori di inedite forme di rivendicazioni e di lotte». Se è vero che la più longeva organizzazione armata italiana è nata nelle fabbriche di Milano, è altrettanto vero che le Brigate Rosse non furono l’unica realtà guerrigliera di quegli anni e che, anche al loro interno, convivevano diverse “anime”, soprattutto nella seconda metà della decade, con il radicamento in territori privi di addensamenti industriali. Illuminante è la visione del documentario “Donne e uomini delle Brigate Rosse”, realizzato nel 1990 da Bernardo Iovene, in cui sei detenuti in permesso esterno raccontano la propria storia, molto diversa l’una dall’altra1. Ritengo pertanto che, come scrivevo nella precedente edizione, le origini e le singole motivazioni iniziali del fenomeno siano state plurime, come diverse e ulteriori saranno quelle che negli anni a venire ne determineranno la sua prosecuzione. La Rivoluzione cubana e quella culturale di Mao Tse-tung avevano fornito alle nuove generazioni di comunisti un modello alternativo a quello sovietico, segnato dalla “primavera di Praga”.

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Alla stagione californiana dell’amore del 1967 era seguita l’anno dopo una gigantesca ribellione generazionale che, oltre agli studenti americani, messicani e francesi, avrebbe in breve coinvolto gli studenti di tutto il mondo, compresi quelli della Sapienza di Roma, che con la “Battaglia di valle Giulia” del 1° marzo daranno inizio al lungo sessantotto italiano. L’anno dopo si verificano a Torino i violenti scontri di Corso Traiano, dove gli operai Fiat per la prima volta gridano lo slogan vogliamo tutto! e, dopo l’estate, le lotte per il rinnovo dei contratti collettivi si salderanno con quelle degli studenti, determinando quel drammatico scontro a sinistra, da alcuni definito “il parricidio”, che si consumerà nel passaggio da una decade all’altra2. In questi anni si assiste alla nascita di formazioni molto più radicali rispetto al PCI e le più significative, in ordine cronologico, sono: il Movimento Studentesco3, il Manifesto4, Potere Operaio5, Lotta Continua6 e Avanguardia Operaia7. Non va peraltro dimenticato che, a quei tempi, il nostro Paese si distingueva dal resto del mondo occidentale per due caratteristiche storiche ben precise, ossia per avere avuto prima una ventennale dittatura fascista e, dopo la liberazione, un Partito Comunista numericamente molto rappresentativo, ma rimasto sempre all’opposizione; questa combinazione produsse in molti giovani di allora il mito della cosiddetta “Resistenza tradita”. Inoltre, la prosecuzione della lotta partigiana secondo un modello guerrigliero non era concetto del tutto estraneo al DNA comunista, non solo perché all’interno dello stesso partito c’erano dirigenti come Pietro Secchia che, come titola un importante libro a

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lui dedicato, sognava la lotta armata, ma anche perché c’era stato il precedente della Volante Rossa, operativa a Milano e dintorni fino a tutto il 19498. Nel 1960 si era aggiunta la grande onta di rivedere al Governo del Paese proprio quei fascisti cacciati, nel corso della tristemente nota esperienza Tambroni (“fiduciato” grazie ai voti del MSI), che aveva determinato indignate rivolte di piazza a Genova e a Reggio Emilia, dove il 7 luglio cinque operai (Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli) erano stati uccisi dalle forze dell’ordine. La stessa situazione europea confinante era resa minacciosa dalla mantenuta presenza al potere dei regimi fascisti di António de Oliveira Salazar in Portogallo, Francisco Franco in Spagna e dei colonnelli in Grecia. Come se ciò non bastasse, proprio nel momento cruciale di questo delicato passaggio di decade, piombano come un macigno e senza soluzione di continuità le stragi di Stato, il fallito golpe Borghese, i moti di Reggio Calabria, la vittoria politica delle destre e le bombe fasciste9; a quel punto il nostro Paese diventerà per molti anni un gigantesco campo di battaglia10 in cui prende corpo l’antifascismo militante e slogan come “strategia della tensione” e “opposti estremismi”11 diventeranno le parole chiave di quel periodo. Il 12 dicembre del 1969 si compie a Milano la strage di Piazza Fontana, fatto che, per unanime opinione, determinerà la gran parte degli avvenimenti dei successivi dieci anni, anche perché viene vissuta come un’operazione dei “servizi deviati” dello Stato, con l’obiettivo di stroncare con una bomba le lotte

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del biennio, gettando sugli anarchici la responsabilità del massacro. In Italia nascono le prime organizzazioni armate, i GAP di Feltrinelli e la 22 ottobre di Genova, ed è in questo contesto insurrezionale che si incontrano a Milano le diverse anime di una giovane generazione in tumulto, che porta con sé un’insopprimibile voglia di cambiare le cose in modo radicale, in altre parole: di fare la rivoluzione. Le tante anime sono quella operaia delle grandi fabbriche del nord, quella studentesca dell’università di sociologia di Trento12, quella del sottoproletariato urbano di quartieri periferici come il Giambellino e quella della tradizione partigiana di Reggio Emilia, in dissenso con il locale PCI. Saranno costoro che, sulla scorta degli uruguagi Tupamaros13, daranno inizio a Milano, il 17 settembre del 1970, alla guerriglia urbana in Italia, incendiando in Via Moretto da Brescia l’autovettura di un dirigente della Sit-Siemens. Ma prima occorre fare un passo indietro...

NOTE 1. Si tratta di Prospero Gallinari, contadino reggiano del nucleo storico, Pasquale Abatangelo, ex nappista toscano, Francesco Piccioni, studente romano, Renato Arreni, del Comitato Comunista Centocelle, Teresa Scinica, sindacalista torinese del Partito Guerriglia e Geraldina Colotti, insegnante ligure, fondatrice delle UDCC.

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2. Sul punto si consiglia la lettura del monumentale L’orda d’oro di Nanni Balestrini e Primo Moroni, ed. Feltrinelli, 1988, recentemente ristampato ed integrato, e la visione del DVD 12 dicembre, ed. NdA Press, girato tra il 1970 ed il 1972 da Pier Paolo Pasolini in collaborazione con Lotta Continua. 2. Movimento più legato alla realtà universitaria che a quella “operaista” il MS è stato il protagonista assoluto del sessantotto milanese come in occasione della celebre contestazione alla prima della Scala del 1968. Nato all’Università Cattolica, sarà per alcuni anni anche la più importante realtà della Statale. Dotato di un servizio d’ordine molto agguerrito, i famosi “Katanga”, i suoi principali leader furono Mario Capanna e Luca Cafiero. Si consiglia la lettura di La banda Bellini di Marco Philopat, ed. Einaudi, 2009, Formidabili quegli anni, di Mario Capanna ed. Garzanti, 2007 ed il poco conosciuto Katanga: che sopresa, ed. Stampa Alternativa, 1998 scritto sotto pseudonimo da uno dei suoi leader di allora: Mario Martucci. 4. Nato come rivista mensile nel giugno 1969 su inziativa di un gruppo di dissidenti del PCI, tra i quali Rossana Rossanda, Lucio Magri, Luciana Castellina e Luigi Pintor, che in breve verrano radiati, il manifesto diventa in seguito quotidiano ed appoggia ad alcune elezioni il PDUP. Riferendosi alla esperienza delle Brigate Rosse, Rossana Rossanda parlerà di “album di famiglia del PCI” scatenando furibonde polemiche. Nell’aprile del 1987 sarà recapitata proprio al il manifesto la pubblica lettera dal carcere a firma Curcio, Moretti, Iannelli e Bertolazzi con la quale viene dichiarata «conclusa l’esperienza della lotta armata» e nel 1993 sarà sempre a Rossana Rossanda (e a Carla Mosca) che Mario Moretti affiderà la propria lunga intervista che verrà pubblicata l’anno dopo nel libro edito da Anabasi Una storia italiana. Dagli anni duemila, scontata la propria pena, verranno assunti a scrivere sul quotidiano anche gli ex brigatisti Francesco Piccioni e Geraldina Colotti. Nonostante vari periodi di “crisi” ha continuato, a differenza di tutti gli altri giornali militanti di quegli anni, le sue pubblicazioni.

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5. Nato nel settembre 1969 da un gruppo legato alla rivista La Classe, POTOP diventerà in breve tempo il gruppo della sinistra extraparlamentare più rappresentativo dell’operaismo, la corrente marxista che faceva capo in particolare a Mario Tronti che negli anni sessanta aveva proposto con Operai e Capitale una innovativa lettura de Il capitale di Marx. Sarà la prima organizzazione a dotarsi di una struttura illegale e parallela sia a Milano che a Roma e quest’ultima si renderà protagonista del rogo di Primavalle del 1973 che sarà tra le cause dello scioglimento di POTOP al termine del convegno di Rosolina dello stesso anno. I suoi principali leader erano stati Franco Piperno, Oreste Scalzone e Toni Negri; quest’ultimo diventerà il leader di Autonomia Operaia, mentre dalla struttura romana nascerà la base di reclutamento per la futura colonna romana delle BR. La storia di Potere Operaio è ricostruita dalle dirette parole dei protagonisti nel libro Insurrezione armata di Aldo Grandi, ed. BUR. 2005, dove compare, tra gli altri, una bellissima testimonianza di Oreste Scalzone e in Potere Operaio: le teorie e la storia, AA.VV, ed DeriveApprodi, 2012. Si consiglia anche la lettura di due articoli pubblicati sul numero 2/2012 della rivista Ricerche di Storia Politica, il primo di Matteo Battistini dal titolo “Un mondo in disordine: le diverse storie dell’Atlantico” ed il secondo di Antonio Lenzi dal titolo: “Contributo allo studio di Lotta Continua: nuovi documenti dell’esperienza pisana”. 6. Nato a Torino nell’autunno “caldo” del 1969 quale foglio di sostegno alle lotte operaie, LC diventa subito un movimento che si espanderà su tutto il territorio nazionale come una delle più rilevanti realtà della sinistra extraparlamentare dei primi anni settanta, ed in particolare in Toscana. Responsabile, secondo un giudiziale accertamento, dell’omicidio a Milano del commissario Calabresi nel 1972, da una prima scissione interna del 1973 si formeranno i NAP. Presentatosi alle elezioni politiche del 1976, dove la lista comune con PDUP, MLS e AO ottiene un risultato fallimentare, si scioglie definitivamente al termine del congresso di Rimini nel novembre dello stesso anno e da quello sciogli-

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mento nascerà Prima Linea, nome tratto da quello del servizio d’ordine di LC. I suoi principali leader furono Adriano Sofri, Marco Boato, Mauro Rostagno, Mimmo Pinto e Guido Viale ma in questa formazione ebbero a militare alcuni dei più apprezzati giornalisti italiani come Paolo Mieli, Gad Lerner, Enrico Deaglio, Paolo Liguori e Giampiero Mughini. Si veda Lotta Continua: gli uomini dopo di Corrado Sannucci, ed. Fuorionda, 2012. 7. Nata sul finire degli anni sessanta e legata alla realtà operaia milanese dei CUB, AO assumerà rilevanza nazionale dal 1972 in avanti dotandosi di un importante giornale “Il quotidiano dei lavoratori”. Molto attiva sul fronte dell’antifascismo militante, nel corso della primavera milanese del 1975 un suo gruppo, proveniente dalla facoltà di medicina, si rese responsabile dell’omicidio di Sergio Ramelli e dell’assalto al Bar di Largo Porto di Classe. Partecipò alla disastrosa lista comune alle lezioni del 1976 ed i suoi principali leader furono Massimo Gorla, Silverio Corvisieri, Aurelio Campi, Luigi Cipriani e Luigi Vinci. 8. Comandata dal “tenente Alvaro”, soprannome di Giulio Paggio e composta da ex partigiani e operai, il cui nome deriva da un reparto che operava nella zona dell’Ossola, la Volante rossa aveva base nei locali della ex Casa del Fascio di Lambrate in via Conte Rosso 12, trasformata dopo il 25 aprile in Casa del popolo. Le prime azioni vennero rivolte a persone legate al regime fascista, come l’uccisione, il 4 novembre 1947, del dirigente del MSI Ferruccio Gatti, per poi rivolgersi anche contro dirigenti e capi reparto delle fabbriche milanesi ritenuti responsabili di vessazioni ai danni degli operai. Nel 1949, dopo che alcuni membri furono tratti in arresto, l’attività dell’organizzazione cessò. Il processo si svolse nel 1951, presso il Tribunale di Verona, con 27 imputati detenuti e 5 latitanti, e si concluse con 4 condanne all’ergastolo. Eligio Trincheri rimase in carcere fino al 1971, quando fu graziato dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, mentre Giulio Paggio, Paolo Finardi e Natale Buratto, fuggiti in Cecoslovacchia, verranno graziati nel 1978 da Sandro Pertini.

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9. Sul fatto che in Italia la violenza “fascista” sia stata cronologicamente anteriore a quella antifascista vedasi Delitto Verbano: una ferita ancora aperta, di Marco Capoccetti Boccia, ed. Castelvecchi, 2011. 10. Per una cronologia completa con tutte le foto dei giornali dell’epoca si veda L’Italia del terrorismo di Federico Gennaccari, ed. Curcio, 2008 11. La dizione strategia della tensione è attribuita a Giangiacomo Feltrinelli dopo la strage di piazza Fontana, mentre quella di opposti estremismi è di origine “governativa”. 12. Vd. Vietato obbedire di Concetto Vecchio, Rizzoli, 2005. 13. Guerriglieri urbani sudamericani dell’Uruguay MLN (Movimento de Liberacion Nacional), movimento fondato all’inizio degli anni ’60. Nel 1963 la loro prima azione di rilievo fu l’attacco a un club svizzero di tiratori. I Tupamaros raggiunsero l’apice nel 1970 e il 6 settembre del 1971 daranno vita alla più spettacolare evasione della storia carceraria, quando a Punta Carretas le guardie si accorgeranno che al rientro dai lavori forzati mancavano all’appello ben 106 detenuti, tra i quali il fondatore Raúl Sendic. Il 29 novembre 2009 l’ex leader José Mujica, detto “Pepe”, diventerà Presidente dell’Uruguay.

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1969 Esce “Abbey Road” dei Beatles e “Oliver” di Carol Reed vince l’Oscar. In Italia lo scudetto viene vinto dalla Fiorentina e Iva Zanicchi e Bobby Solo vincono il festival di Sanremo con “Zingara”.

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I primi segnali della nascita della lotta armata in Italia cominciano nel 1969, con la sigla di rivendicazione dei GAP (Gruppi di Azione Partigiana) del noto editore Gian Giacomo Feltrinelli1, amico personale di Fidel Castro, Che Guevara2 e Regis Debray. Feltrinelli (19 giugno 1926), nome di battaglia Osvaldo, entrato da tempo in dissenso con il PCI, poiché rimproverava a Togliatti la “resistenza tradita”, fu il primo ad entrare ufficialmente in clandestinità nel 1969 dopo la strage di piazza Fontana, utilizzando nel suo comunicato la frase strategia della tensione e concluderà la propria esperienza rivoluzionaria il 14 marzo 1972, a Segrate, in un fallito tentativo di fare saltare l’illuminazione di Milano3, fatto che darà non pochi ulteriori spunti alla implementazione della rivolta armata, fino a quando nel 1979 Renato Curcio dirà: «Osvaldo non è una vittima ma un rivoluzionario caduto combattendo».4 L’azione più eclatante dei GAP sarà quella di inserirsi abusivamente, per sette volte dal 16 aprile 1970 al 18 febbraio 1971, nel canale audio del telegiornale nazionale per proclamare slogan come: «Attenzione! Sono i GAP che vi parlano! È nata una nuova resistenza di massa, è nata la ribellione operaia al padrone e allo Stato dei padroni... sono nate le Brigate

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Rosse e si sono ricostituite le brigate GAP... le brigate partigiane, i lavoratori, i braccianti, gli studenti rivoluzionari marceranno compatti e uniti fino alla vittoria!». Nei GAP, milita Giovanbattista Lazagna di Genova, medaglia d’argento della Resistenza, sucessivamente arrestato per sospetta appartenenza alle Brigate Rosse e condannato a 4 anni al termine del processo di Torino. La scelta del nome si ispirava a Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, che nel 1967 aveva pubblicato, proprio per la Feltrinelli Editore, un volume dal titolo Senza Tregua - La Guerra dei GAP. In questa opera, che racconta alcune azioni compiute da lui e dai suoi compagni a Torino e Milano dal 1943 al 1945, si leggono frasi come: «Ho preso la mia decisione. Agirò senza chiedere l’ordine al comando»; «Le rappresaglie non possono fermare la nostra azione»; «La nostra legge è di non dar tregua al nemico. Di non farsi intimidire dal nemico. È l’unico modo per mantenere in efficienza le nostre forze e far capire al nemico l’inutilità della sua ferocia». Per l’appartenenza ai GAP verranno inquisite in totale 65 persone5. Prima della strage di Piazza Fontana (12 dicembre), in Italia erano accaduti i seguenti fatti: L’8 aprile a Battipaglia (Salerno), durante uno sciopero contro la chiusura di due stabilimenti, la polizia carica i manifestanti e restano uccisi l’operaio Carmine Citro e l’insegnante Teresa Ricciardi6. A maggio nelle fabbriche della cintura milanese (Pirelli, Magneti Marelli, Sit-Siemens, Alfa Romeo)

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protagoniste dell’autunno caldo, si formano i Collettivi Unitari di Base (CUB) e le Assemblee Autonome che organizzano e dettano le linee guida della lotta operaia. Nei quartieri della periferia (Quarto Oggiaro, Lorenteggio, Baggio) i Collettivi Autonomi fanno altrettanto sul piano delle lotte sociali. L’8 giugno, a Milano, oltre 3.000 studenti del neonato Movimento Studentesco assaltano in serata la sede del Corriere della Sera, diretto da Giovanni Spadolini, e ne seguono violenti scontri con più di 5.000 poliziotti, in quella che in L’orda d’oro di Balestrini e Moroni verrà definita “La Battaglia di via Solferino” Il 3 luglio a Torino avviene la rivolta di Corso Traiano7. La “primavera di Mirafiori” era iniziata l’11 aprile ’69, con il primo sciopero interno da 20 anni, per protestare contro i fatti di Battipaglia. Il sindacato convoca uno sciopero generale sulla questione della casa, per cercare di riprendere la propria egemonia sulle lotte in corso. Data questa occasione, l’assemblea operai-studenti decide di costruire un corteo dal basso e lancia il ritrovo davanti alla porta 2 di Mirafiori. Altri devono arrivare dal Lingotto e altri ancora da Nichelino. La polizia attacca il corteo prima ancora che parta, con una forza spropositata. I lavoratori si ricompattano a poche centinaia di metri in Corso Traiano. Qui iniziano a costruire le barricate, su cui apparirà per la prima volta lo slogan Cosa vogliamo? Vogliamo tutto. Intanto la gente del quartiere inizia ad affluire in massa per dare man forte ai manifestanti ed iniziano le sassaiole, alle quali la polizia risponde con un fittissimo lancio di lacrimogeni. Gli scontri ormai comprendono tutto il quartiere di Mirafiori e

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alle 17 «Corso Traiano è [...] completamente in mano ai dimostranti, comincia ad imbrunire e si diffonde il rumore del martellare ritmico delle pietre che i dimostranti battono sull’acciaio dei pali dei lampioni» (da Il giorno più lungo. La rivolta di corso Traiano, di Diego Giachetti, BFS edizioni, Pisa 1997). Il bilancio della giornata sarà di 200 fermati, 29 arresti e un centinaio di poliziotti feriti. Il 1° settembre inizia “l’autunno caldo”. A Torino scioperano le officine 32 e 33 della Fiat Mirafiori, mentre a Modena gli operai manifestano per ottenere i delegati di linea. Scioperano anche la Pirelli di Settimo Torinese, l’Italsider di Bagnoli e la Sit-Siemens di Milano. Il 15 settembre a Padova muore, precipitando dalle scale che stava lavando, il portinaio Alberto Muraro, ex carabiniere, che aveva rivelato ai giudici d’avere visto un ragazzo con una pistola ed una bomba uscire dall’appartamento di Massimiliano Fachini, consigliere comunale missino, amico di Franco Freda e di Giovanni Ventura; proprio il giorno dopo avrebbe dovuto presentarsi al procuratore della Repubblica Aldo Fais per confermare quell’episodio. Il 18 settembre esce il primo numero di Potere Operaio, che cesserà le pubblicazioni alla fine del 1973. A causa di un articolo dal titolo “Sì alla violenza operaia”, del 30 ottobre, il direttore Franco Tolin verrà arrestato e condannato a 1 anno e 5 mesi per “istigazione degli operai alla rivolta contro lo Stato”. I tre principali leader sono Franco Piperno, Toni Negri e Oreste Scalzone8.

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Sempre a settembre, a Milano si costituisce il Collettivo Politico Metropolitano (CPM) in un teatro di via Curtatone, a Milano, a due passi da Porta Romana. Il CPM è il coordinamento di alcune delle formazioni nate e operanti nell’ambito del ciclo di lotte operaie e studentesche del biennio ‘68-69 e diventa un punto di incontro, un luogo di elaborazione e di ricerca che ambisce a creare una piattaforma capace di mettere insieme soggetti e realtà differenti. Il 22 ottobre9 si costituisce a Genova un secondo gruppo armato, in qualche modo collegato ai GAP di Feltrinelli e che prende il nome proprio da questa data. Si tratta della Banda 22 Ottobre, guidata da Mario Rossi (Genova, 19 agosto 1942), e ne fanno parte tra gli altri Augusto Viel, Giuseppe Battaglia, Gino Piccardo, Diego Vandelli, Rinaldo Fiorani, Adolfo Sanguinati e Cesare Maino10. Per l’appartenenza alla 22 Ottobre verranno inquisite 26 persone. Il 27 ottobre a Pisa, durante una manifestazione contro la locale sede del MSI, lo studente Cesare Pardini viene ucciso da un candelotto sparato dalla polizia. Il 1° novembre esce con una tiratura di 65.000 copie il primo numero del settimanale Lotta Continua, che si propone di saldare le lotte operaie con quelle dei tecnici, degli studenti, dei proletari più in generale, in una prospettiva rivoluzionaria. L’inno gridato durante le manifestazioni di piazza recita: «Lotta! Lotta di lunga durata, lotta di popolo armata: lotta continua sarà».

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In novembre si tiene il convegno del CPM a Chiavari, presso la pensione Stella Maris11. Nell’occasione viene redatto il celebre libretto giallo, dal titolo Lotta sociale e organizzazione nelle metropoli (per alcuni, vedi Giorgio Galli, autore di Piombo Rosso, Dalai 2007, un vero e proprio manifesto costitutivo della lotta armata) in cui si può leggere: «Ogni alternativa proletaria al potere è, fin dall’inizio, politico-militare. La lotta armata è la via principale della lotta di classe. La città è il cuore del sistema, il centro organizzativo dello sfruttamento economico-politico deve diventare per l’avversario un terreno infido: ogni gesto può essere controllato, ogni arbitrio denunciato. La lunga marcia rivoluzionaria nella metropoli deve cominciare qui e oggi». Tema centrale del convegno è la discussione sulla violenza politica e sull’ipotesi della lotta armata, dove si confrontano le due anime del Collettivo: quella maggioritaria, che predica la “gradualità” dell’azione politica e della eventuale iniziativa armata, e quella minoritaria convinta che la lotta armata subito sia ipotesi già percorribile; lo sviluppo di questo dibattito porta un gruppo del CPM a separarsi, per dare vita a Sinistra Proletaria. Il 16 novembre a Milano, nel corso di violenti scontri di piazza in via Larga, rimane ucciso il giovane agente di polizia Antonio Annarumma. Il 12 dicembre a Milano si compie la strage di Piazza Fontana, dove muoiono 17 persone ed altre 88 rimangono gravemente ferite. L’esplosione avvenne alle ore 16:37, presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Una seconda bomba

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viene rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vengono eseguiti i rilievi previsti e successivamente viene fatta brillare, distruggendo in tal modo elementi probatori di possibile importanza per risalire all’origine dell’esplosivo e a chi abbia preparato gli ordigni. Una terza bomba esplode a Roma alle 16:55 dello stesso giorno, nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo 13 persone. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento in piazza Venezia, ferendo 4 persone. Si contano dunque, in quel tragico 12 dicembre, cinque attentati terroristici, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpiscono contemporaneamente le due maggiori città d’Italia. Questo evento traumatico, per unanime ricordo di tutti i protagonisti di allora (in molti parleranno di perdita dell’innocenza12), fungerà da vero e proprio detonatore di tutte le tensioni fino a quel momento manifestatesi lungo un intero biennio e, così, il dibattito sulla necessità della violenza politica troverà impulso e alimento nella sua ipotesi più radicale e immediata13. Le indagini milanesi si concentrano immediatamente sugli anarchici milanesi e vengono arrestati, tra gli altri, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Il primo muore in questura la notte del 15 dicembre, precipitando dalla finestra dell’ufficio del dr. Luigi Calabresi, che lo stava interrogando14; il secondo verrà scarcerato oltre due anni e mezzo dopo ed in seguito definitivamente prosciolto da ogni accusa. Pur essendo rimasta scandalosamente a tutt’oggi una

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“strage senza autori”, anche l’ultima e definitiva sentenza della Corte di Cassazione ha confermato che: «l’eccidio del 12 dicembre 1969 fu organizzato da un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo e capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura».

NOTE 1. «La figura di Feltrinelli è stata quasi sempre osteggiata, sottovalutata, dileggiata a destra e a manca. Soltanto questa convergenza degli opposti luoghi comuni dovrebbe dire della sua grandezza. A dare fastidio è l’incontro tra la sua ricchezza, la sua capacità innovativa e il suo essere rivoluzionario sul piano culturale e poltico» (Sergio Segio, Una vita in prima linea, ed. Rizzoli, 2006, pag. 38). 2. Fu lui a consegnare in Francia a Monika Ertl, figlia di un tedesco compromesso col nazismo, quella pistola Colt Cobra 38 Special con cui la stessa nel 1971 ucciderà nel consolato boliviano di Amburgo l’ufficiale dei servizi segreti boliviani Quintanilla Pereira, responsabile della morte di Che Guevara. 3. Nell’azione era coinvolto Carlo Fioroni detto “il professorino”, che in seguito sarà in assoluto il primo “pentito” di questa lunga storia, con un ruolo di non secondaria importanza nella celebre inchiesta denominata 7 aprile del 1979. 4. Per i contatti tra Feltrinelli ed i dirigenti romani di Potere Operaio si può leggere un interessante carteggio con Franco Piperno, nel libro Pentiti di niente di Antonella Beccaria, ed. Stampa Alternativa, 2008; mentre, per quelli con le nascenti Brigate Rosse vedasi Mara, Renato ed Io di Alberto Franceschini, ed. Mondadori, 1988.

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5. Per appartenenza ai GAP il PM milanese Guido Viola, contesterà l’art. 270 del codice penale a Giovanbattista Lazagna, Italo Saugo, Giuseppe Saba, Verena Vogel, Franco Marinoni, Carlo Fioroni, Enzo Fontana, Enea Fanelli, Mario Galluccio, Leopoldo Leon, Marco Pisetta, Augusto Viel, Aristo Ciruzzi, Emilio Parissinotti, Agostino Marchelli, Vittorio Togliatti. Enzo Fontana, in seguito militerà nelle Brigate rosse e arrestato il 19 febbraio 1977 a Cascina Olona, in occasione del conflitto a fuoco in cui muore il maresciallo Lino Ghedini, verrà condannato a 26 anni di reclusione. In carcere, Fontana prenderà due lauree, scrivendo nel 1988, insieme ad altri detenuti politici (Giorgio Semeria, Francesco Bellosi, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli e Vincenzo Scaccia) il testo teatrale Labirinto, messo in scena al Teatro Pier Lombardo di Milano. Il 3 aprile del 1990, mentre si trovava in semi-libertà, viene riarrestato a Rovello Porro (CO), unitamente a Giorgio Giudici, per un tentato furto; nel 1996 pubblica Tra la perduta gente con Mondadori. «Nel supercarcere dell’Asinara la Commedia mi veniva concessa a brani, qualche pagina alla volta, strappata qua e là secondo gli umori del direttore Cardullo”, dirà in un’intervista del 1996 al Corriere della Sera, aggiungendo: «Dante mi è padre. Quella sua vita, così tormentata, faticosa, somiglia per tanti versi alla mia. Considerato traditore, condannato prima all’esilio, poi alla morte. Certo, lo so bene: lui era innocente, io no. Ma la sofferenza è la stessa che accomuna tutti coloro che cadono in disgrazia. Approfittando di una licenza sono andato a Ravenna, sulla sua tomba. Mi ha accompagnato il direttore della Classense, Donatino Domini. Era l’una di pomeriggio, tranne noi non c’era nessuno. Uno strano silenzio, un irreale senso di pace. Mi è parso che in quel sepolcro ci fossero le ossa della poesia». Alla domanda su dove si sentisse più a suo agio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, ha risposto: «All’inferno per la compagnia e in paradiso per il clima. L’inferno non è poi difficile da concepire: basta guardarsi attorno e dentro, nel profondo. La selva oscura in cui tutti ci perdiamo altro non è che la nostra condizione umana».

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6. Il 2 dicembre dell’anno precedente c’era stata la strage di Avola (Siracusa) dove la polizia aveva sparato contro i braccianti in rivolta provocando due morti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia e 48 feriti, di cui 5 gravi: Salvatore Agostino, detto Sebastiano, Giuseppe Buscemi, Giorgio Garofalo, Paolo Caldaretta, Antonino Gianò; alla fine dell’anno, durante la protesta organizzata a Viareggio dai successivi fondatori toscani di Lotta Continua, fuori dal noto locale “La Bussola”, la polizia aveva sparato contro i dimostranti, lasciando paralizzato il giovane Soriano Ceccanti. 7. L’8 luglio 1962 c’era stata, sempre a Torino, la rivolta di Piazza Statuto, dove oltre 7.000 operai di Mirafiori avevano dato l’assalto alla sede della UIL. Alla fine dei disordini, gli arrestati e i denunciati furono un migliaio. Piazza Statuto fu secondo molti il luogo nel quale si ebbe una delle prime e più significative esplosioni conflittuali di cui fu protagonista l’operaio massa. Dopo quei tre intensissimi giorni, si legge su Quaderni Rossi: «decidere tocca a voi, voi dovete prendere in mano il vostro destino. Questo sciopero è una grande occasione per far fare un passo avanti alla organizzazione della classe. Da questa lotta potrete uscire avendo fatto di ogni squadra, di ogni reparto, di ciascuno degli stabilimenti Fiat la realtà di una organizzazione, di una disciplina operaia capace in ogni momento di contrapporsi allo sfruttamento, agli arbitrii, al dispotismo del padrone e dei suoi lacchè». 8. Franco Piperno (Catanzaro, 5 gennaio 1943), laureato in Fisica a Pisa, si trasferisce a Roma dove frequenta il gruppo che pubblica “Classe Operaia”, rivista formatasi intorno a Mario Tronti autore di Operai e capitale. Tra i principali esponenti del Sessantotto romano, durante l’estate del 1969 partecipa alle lotte operaie in Fiat, scrivendo per “La Classe” e poco dopo fonda Potere Operaio. Dopo lo scioglimento di Potop al termine del convegno di Rosolina del 31 maggio del 1973, per insanabili dissidi con la linea di Toni Negri, diventa Professore all’Uni-

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versità della Calabria di Arcavacata, ma non cessa la militanza politica. In un Promemoria per la discussione sul giornale, datato 10 marzo 1977, rinvenuto all’interno della sua abitazione romana di Via Coronari 99, si leggono le premesse alla successiva pubblicazione di “Metropoli”: «il giornale deve essere interno al movimento e per questo è necessario che si realizzi un accordo politico tra il più largo numero di organismi, frazioni o gruppi che compongono l’autonomia operaia». Nell’aprile del 1978 tenta, insieme a Lanfranco Pace, su richiesta del PSI, di instaurare una vana trattativa con i brigatisti Morucci e Faranda per la liberazione di Aldo Moro e nel 1979, per evitare l’arresto in occasione del blitz del 7 aprile, fugge in Francia, e quindi in Canada, dove viene raggiunto da un ulteriore mandato di cattura per il “progetto Metropoli”. Desta un certo scalpore un passo che si legge in un suo articolo, Dal terrorismo alla guerriglia, pubblicato sul supplemento Pre-Pint al primo numero di “Metropoli”: «Ecco perché coniugare insieme la terribile bellezza di quel 12 marzo del 1977 per le strade di Roma con la geometrica potenza dispiegata in via Fani diventa la porta stretta attraverso cui può crescere o perire il progetto rivoluzionario». Condannato in primo grado a 10 anni nel processo Metropoli, in appello vedrà ridotta la pena a 4 anni; rientrato in Italia il 27 gennaio 1988, verrà scarcerato dopo la sentenza del 19 maggio 1988. Il 12 settembre 2001 fa nuovamente discutere un suo editoriale sul “Quotidiano di Calabria” in cui definisce l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre “un evento dalla bellezza sublime”. Antonio Negri (Padova, 1 agosto 1933), professore di filosofia politica alla facoltà di Scienze Politiche di Padova, partecipa attivamente alle battaglie operaie di Porto Marghera e, dopo lo scioglimento di Potere Operaio, sarà uno dei fondatori dell’Autonomia Organizzata, pubblicando numerosi libri, tra cui Il dominio e il sabotaggio per Feltrinelli, dove si legge: «Immediatamente risento il calore della comunità operaia e proletaria tutte le volte che mi calo il passamontagna. Questa mia solitudine è

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creativa. ogni azione di distruzione e di sabotaggio ridonda su di me come segno di colleganza di classe. Né l’eventuale rischio mi offende: anzi mi riempie di emozione febbrile come attendendo l’amata». Trasferitosi a Milano, dove, in Via Disciplini 2 aveva sede la rivista “Rosso”, verrà arrestato il 7 aprile 1979 in occasione del blitz Calogero, rimanendo in carcere per più di 4 anni in attesa di giudizio e rischiando di essere ucciso, come rivelerà anni dopo Enrico Fenzi a Sergio Zavoli, per avere sollecitato da Palmi un dialogo con il Giudice Sica, ritenuto secondo molti anticipatore del successivo fenomeno della “dissociazione”. Uscito dal carcere il 26 giugno 1983, perché eletto deputato nel Partito Radicale, il 19 settembre dello stesso anno ripara a Parigi per evitare il riarresto votato dal Parlamento. Condannato in primo grado a 30 anni, vedrà cadere numerose accuse in appello e la pena ridotta 12 anni. Rientrato in Italia nel 1997 per scontare il residuo, chiuderà i propri conti con la giustizia nel 2003 e pubblicherà Impero con Michael Hardt, testo di riferimento del movimento mondiale dei No global. Nel 2015 ha pubblicato l’autobiografia Storia di un comunista, per Ponte alle Grazie, mentre la sua storia è raccontata anche nel filmdocumentario L’eterna rivolta e nel libro della figlia, Anna Negri, Con un piede impigliato nella storia, 2009 Feltrinelli. Oreste Scalzone (Terni, 26 gennaio 1947) partecipa con Piperno al sessantotto romano. Il 16 marzo 1968 viene ferito in modo permanente alla schiena da un panca lanciata dai fascisti, asserragliati dentro l’Università durante l’occupazione successiva alla battaglia di Valle Giulia. Dopo lo scioglimento di Potere Operaio si trasferisce a Milano dove, insieme a un gruppo di Autonomi provenienti da Senza Tregua, darà vita, insieme a Piero Del Giudice, ai CoCoRi. Arrestato in occasione del blitz del 7 aprile 1979, dopo due anni viene scarcerato per motivi di salute e, grazie all’aiuto di Gian Maria Volonté, riesce a fuggire in Francia, «su una barca a vela con la quale raggiungemmo prima la Sardegna e poi la Corsica», come dichiarerà il giorno

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dopo la morte dell’attore, il 6 dicembre 1994. Condannato in primo grado a 20 anni per il processo 7 aprile e a 11 anni per il processo Co.Co.Ri, in appello vedrà ridotta la pena a 8 anni per associazione sovversiva dichiarata estinta il 17 gennaio 2007 dalla Corte d’Assise di Milano. Dalla Francia ha pubblicato su il manifesto un appello a favore dell’amnistia e contro la dissociazione, insieme ad alcuni militanti che si definivano “I 12 della componente fuggiasca” (Paolo Azzaroni, Sergio Beneduci, Sebastiano Brunetto, Antonio De Muro, Giovanni Miagostovich, Giulio Riva, Luigi Rosati, Roberto Silvi, Marisa Spina, Giovanni Stefan e Sergio Tornaghi), in risposta a una “Lettera aperta a Oreste Scalzone” comparsa sullo stesso giornale a firma Bellosi, Segio e Fontana. 9. La storia di questo gruppo di proletari genovesi è raccontata in La Banda 22 Ottobre di Paolo Piano, ed. DeriveApprodi, 2005, che allega anche un DVD con tre lunghe interviste a Rossi, Battaglia e Piccardo e in Animali di periferia di Donatella Alfonso, ed. Castelvecchi, 2012. 10. Cesare Maino, coetaneo di Mario Rossi, già arrestato dopo i fatti di Genova del 30 Giugno 1960, abbandonerà il gruppo dopo il sequestro Gadolla del 5 ottobre 1970; a seguito degli arresti per la rapina allo IACP del 26 marzo 1971 fuggirà in Belgio, dove verrà catturato e estradato. Condannato il 18 aprile 1973 dalla Corte di Assise di Genova, il 16 febbraio 1981 riesce ad evadere dall’Ospedale Maggiore di Parma, ma viene ripreso il 13 giugno 1981 su un pullman di linea IvreaBiella, insieme a Marina Premoli, una delle quattro militanti che l’anno dopo verranno fatte evadere dal carcere femminile di Rovigo. Nel corso del processo torinese del 1984 a Prima Linea manifesta la propria dissociazione, scrivendo a pagina 12 di una memoria difensiva riportata in un articolo di Repubblica del 12 luglio 1984: «Auspichiamo un sistema di regole di valori universalmente riconosciuti entro cui mediare e riconquistare critica e confronto. In questi confini mai più potrà esserci guerra...».

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Spiega, inoltre, di «non chiedere assegni in bianco», ma di offrire un «concreto risarcimento alla società offesa nell’impegno trasformativo e nel recupero delle nostre energie». È morto il 22 maggio 1993. 11. Oltre a Curcio e alla Cagol, sono presenti anche i futuri militanti delle Brigate Rosse Arialdo Lintrami e Giorgio Semeria. «Ho partecipato a quel convegno. Se è stato allora che sono nate le BR, beh, vuol dire che l’evento storico mi è passato accanto senza che me ne accorgessi» (Antonio Saporiti, tecnico della Sit-Siemens in una intervista a Massimo Cavallini, in Le Brigate Rosse a Milano di Andrea Saccoman, ed. Unicopli, 2013, pag. 36) 12. In realtà non tutti concordano con questa definizione, ricordando come ormai da tempo il crinale della violenza nella contrapposizione politica avesse già preso piede in Italia, come dimostra peraltro quanto qui descritto in cronologia. 13. Sugli effetti dirompenti che ebbe su gran parte della sinistra extra PCI la strage di Piazza Fontana e sul conseguente timore diffuso di un imminente golpe militare di stampo fascista in Italia, ne hanno parlato un po’ tutti i futuri protagonisti della lotta armata. Renato Curcio: «Nel collettivo con sede in un vecchio teatro in disuso di via Curtatone si cantava, si faceva teatro, si facevano mostre di grafica. Era una continua esplosione di giocosità e invenzione. Con la strage il clima improvvisamente cambiò» (da A viso aperto, 1993, ed. Mondadori, pag. 27). Mario Moretti: «Tutto il movimento ha sentito la bomba alla banca dell’Agricoltura come un attacco, è una percezione quasi fisica: qualcosa, lo Stato, qualcuno che non è soltanto la controparte in azienda, ti mette nell’angolo. Non hai più da scontrarti solo con il padrone o con le istituzioni, partiti e sindacati, c’è dell’altro, c’è lo Stato. L’autonomia degli operai, la spontaneità non bastano più. Le Brigate Rosse in fabbrica nascono così» (da Brigate Rosse: una storia italiana, 1994, ed. Anabasi, pag. 22). Per comprendere il “clima” particolare di quegli

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anni, si veda anche il film “I primi della lista” di Roahn Johnson (2011), tratto da un episodio vero accaduto a tre ragazzi di Pisa che, nel dicembre del 1970, convinti che si stesse abbattendo un golpe militare fascista, abbandonarono in tutta fretta l’Italia, oltrepassando il confine austriaco. In effetti proprio l’8 dicembre 1970, come si legge nei titoli di coda del film, fallirà il Golpe di Junio Valerio Borghese. 14. Vd. Una storia quasi soltanto mia di Licia Pinelli e Piero Scaramucci, ed. Feltrinelli, 2009, e La finestra è ancora aperta di Gabriele Fuga e Enrico Maltini, Colibrì, 2016. La sentenza del dr. D’Ambrosio attribuirà la causa della caduta mortale a un malore, che a pag. 39 viene definito: «Il collasso che si manifesta con l’alterazione del centro di equilibrio cui non segue perdita del tono muscolare e cui spesso si accompagnano movimenti attivi e scoordinati».

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1970 Esce “Deja vù” di Crosby, Stills, Nash & Young, “Un uomo da marciapiede” di John Schlesinger vince l’Oscar. Il Brasile vince in Messico la coppa Rimet. In Italia il Cagliari vince lo scudetto e Adriano Celentano e Claudia Mori conquistano Sanremo con “Chi non lavora non fa l’amore”.

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Dal 9 all’11 gennaio si tiene a Firenze, nei locali del circolo Faliero Pucci in via Marconi, il convegno costitutivo di Potere Operaio1. Il 22 luglio a Gioia Tauro un attentato al treno “Freccia del sud” provoca la morte di 6 persone ed il ferimento di altre 50. Il 30 luglio, a Trento, dopo il ferimento degli operai Adriano Mattevi e Paolo Tenuta allo stabilimento Ignis di Gardolo, il consigliere regionale del MSI Mitolo e il sindacalista della CISNAL Del Piccolo vengono fatti sfilare per le vie della città con le mani sopra la testa e al collo il cartello “Siamo fascisti. Oggi abbiamo accoltellato tre operai”. Il 5 agosto, a Porto Marghera (VE), nel corso degli scontri per la ribellione dei cosiddetti “negri” dell’Italsider viene distribuito un volantino dove si legge: «Il diritto di sciopero non si difende con le petizioni in parlamento, ma con l’organizzazione di lotta rivoluzionaria del proletariato». Dopo la prima metà del 1970 all’interno di Sinistra proletaria sono ormai insanabili gli orientamenti che hanno per oggetto sempre il solito tema: la necessi-

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tà (o meno) di passare a forme di lotta più incisive e organizzate (nonché clandestine). Nel numero 1-2 di settembre sulla rivista che porta il suo nome si leggono articoli di Renato Curcio, Vanni Mulinaris e Corrado Simioni2. Il 17 agosto si tiene un Convegno di tre giorni alla trattoria “Da Gianni” a Costaferrata (Pecorile), sulle colline di Reggio Emilia, dove partecipano oltre 100 persone arrivate da diverse parti d’Italia e dove fanno da principali relatori Renato Curcio e Corrado Simioni3. Al termine del convegno si compie la prima scissione di quelle che saranno le future Brigate Rosse, perché una minoranza capeggiata da Corrado Simioni, Vanni Mulinaris e Duccio Berio dà vita al cosiddetto superclan, che successivamente fonderà a Parigi la scuola di lingue Hyperion, secondo alcuni un «centro di coordinamento e di influenza di tutti i gruppi terroristici di sinistra europei e medio-orientali per conto dei servizi segreti occidentali4». Inizialmente, anche Prospero Gallinari aderisce al Superclan, ma in breve si ricompatterà con le BR. Il gruppo dei militanti che si riconosce nelle figure di Renato Curcio5, Alberto Franceschini6, Margherita Cagol e Mario Moretti7 decide così di dare inizio alla lotta armata metropolitana per occuparsi delle lotte di fabbrica, ed è in questo frangente che alla alla Sit-Siemens e Pirelli di Milano nasce la prima Brigata Rossa (ancora al singolare). 2 settembre, Atene: una Volkswagen azzurra con targa svedese esplode davanti all’ambasciata americana

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in Grecia. I ragazzi all’interno dell’auto vengono identificati, da un impiegato dell’albergo nel quale i due erano alloggiati, in Maria Elena Angeloni, milanese di 31 anni, e Giorgio Tsekouris, cipriota con passaporto svedese, di 258. Il 17 settembre, a Milano, in via Moretto da Brescia, si compie il primo atto delle BR: si tratta dell’incendio dell’automobile di Giuseppe Leoni, dirigente della Sit Siemens, poche righe su pochi giornali per il nuovo simbolo, quella stella a cinque punte, che fa così la sua prima comparsa “ufficiale”. Alberto Franceschini, uno dei fondatori storici delle Brigate Rosse, ha raccontato in una intervista a Blu Notte di Lucarelli di come si arrivò a quel nome ed a quello stemma con la stella un po’ sghimbescia e che in seguito diventerà noto a tutti. Il nome Brigata richiamava la lotta partigiana di cui si sentivano figli (lui dice che nella zona di Reggio Emilia erano tutti figli o nipoti di partigiani), mentre la stella a cinque punte, che richiamava il già citato gruppo guerrigliero uruguagio dei Tupamaros, venne così disegnata per essere facilmente riproducibile da chiunque. Qualche giorno dopo avviene il primo rapimento a scopo di finanziamento politico, ma non è ad opera delle BR, bensì del già citato gruppo genovese della 22 Ottobre, che il 5 ottobre sequestra il figlio dell’industriale Gadolla, Sergio. Il 27 novembre e l’8 dicembre le BR incendiano le autovetture di due capi servizi della Pirelli, Ermanno Pellegrini ed Enrico Loriga.

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Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre fallisce il colpo di Stato fascista di Valerio Junio Borghese9. Proseguono intanto senza sosta in Calabria i violentissimi “moti di Reggio”, iniziati nel luglio del 1970 e che si protrarranno fino al febbraio del 1971, capeggiati dal MSI e dal dirigente missino della CISNAL Ciccio Franco, che rilancerà il boia chi molla di dannunziana memoria quale slogan per “cavalcare la tigre” della protesta dei reggini che si opponevano alla scelta di Catanzaro come capoluogo. Il 12 dicembre a Milano, nel corso dei violenti scontri con la polizia avvenuti in via Larga in occasione della prima commemorazione della strage di Piazza Fontana, rimane ucciso in via Bergamini lo studente di 23 anni del Movimento Studentesco Saverio Saltarelli.

NOTE 1. Toni Negri conclude il proprio intervento ponendo l’attenzione sulla proposizione “rifiuto del lavoro”, spiegando in particolare i tre significati che questi termini assumevano: il rifiuto operaio ad accettare il lavoro come sistema di fabbrica, il rifiuto del sistema capitalistico in quanto tale e quindi dello sviluppo, il rifiuto della fatica che abbruttisce le vite, e si soffermò quindi sulla conseguente volontà di aspirare ad una società nuova. 2. «Scorrendo le librerie che diffondevano Sinistra Proletaria è impressionante constatare la capillarità della diffusione: da Alessandria a Caltanisetta, da Bolzano a Lecce, oltre cento librerie

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in tutta Italia distribuivano la rivista». (cfr. La fuga in avanti di Manolo Morlacchi, ed. Agenzia X, 2007, pag. 76). 3. L’episodio è ricostruito nel film Il sol dell’avvenire di Fasanella e Pannone del 2007, dove Alberto Franceschini, Tonino Paroli e Roberto Ognibene, del gruppo reggiano dell’appartamento, in cui si riunivano i giovani dissidenti dal PCI, si ritrovano dopo 35 anni a mangiare e ricordare nella stessa sala di quella Trattoria da Gianni dove si era tenuto quello “storico” convegno, durato 3 giorni. Il documentario verrà pesantemente boicottato dal ministro Bondi, dal PD e dalla Associazione delle Vittime del Terrorismo in occasione della sua presentazione al festival di Locarno e di base non verrà più distribuito. 4. Renato Curcio, in A viso aperto di Mario Scialoja: «Tutto cominciò da uno scontro di potere al convegno di Pecorile. Corrado Simioni arrivò con l’intenzione di conquistarsi una posizione egemonica all’interno dell’agonizzante sinistra proletaria: pronunciò un intervento particolarmente duro, e sostenne che il servizio d’ordine andava ulteriormente militarizzato. La sua operazione non riuscì, ma una volta tornato a Milano non si diede per vinto: propose attentati inconcepibili per una organizzazione ancora inserita in un movimento molto vasto e, praticamente, aperta a tutti. Margherita, Franceschini e io ci trovammo d’accordo nel giudicare le sue idee avventate e pericolose. Decidemmo così di isolarlo assieme ai compagni che gli erano più vicini, Duccio Berio e Vanni Mulinaris: li tenemmo fuori dalla discussione sulla nascita delle Brigate Rosse e non li informammo della nostra prima azione, quella contro l’automobile di Pellegrini. Simioni radunò un gruppetto di una decina di compagni, tra cui Prospero Gallinari e Francoise Tusher, nipote del celebre Abbé Pierre: si staccarono dal movimento sostenendo che ormai non erano altro che cani sciolti. C’erano però degli amici comuni che ci tenevano informati delle loro discussioni interne e conoscevamo il loro progetto di creare una struttura chiusa e sicura, super-clandestina, che potesse entrare in azione come gruppo armato in un secondo

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momento: quando noi, approssimativi e disorganizzati, secondo le loro previsioni saremmo stati tutti catturati». 5. Renato Curcio, nato a Monterotondo il 23 settembre 1943, nella seconda metà degli anni sessanta si iscrive all’Università di Sociologia di Trento, dove fonda il gruppo “università negativa”. Terminati tutti gli esami non si laurea e dopo avere sposato Margherita Cagol al santuario di San Romedio il 1 agosto 1969 (testimone Vanni Mulinaris), si trasferisce a Milano dove organizza il CPM di via Curtatone. Dopo i convegni di Chiavari e di Costaferrata nel 1970 fonda le Brigate Rosse con Margherita Cagol e Alberto Franceschini. Arrestato una prima volta a Pinerolo l’8 settembre 1974, il 18 febbraio 1975 viene fatto evadere dal carcere di Casale da un gruppo guidato da Margherita Cagol, per essere defintivamente arrestato a Milano il 18 gennaio del 1976. In carcere non si è mai dissociato e dopo avere ottenuto la semi-libertà l’8 aprile del 1993 ha scontato interamente la propria pena. Nel 1990 ha fondato la casa editrice “Sensibili alle foglie” e nel 1993 ha pubblicato per Mondadori con il giornalista Mario Scialoja A Viso aperto, dove dichiara: «Vorrei però che sia ben chiara una cosa. Io avevo grandi responsabilità nella creazione del fenomeno armato e facevo parte di una organizzazione che non era una squadra di bocce, dalla quale tirarsi fuori come niente fosse (…). Credo di non dover spendere molte parole per spiegare che da parte mia sarebbe stata una buffonata irresponsabile. Ancora oggi nel 1993 non ho fatto una scelta di questo tipo. Ed è proprio per questo che sono rimasto in carcere». Nel 1995 ha sposato l’ex militante dei Nuclei Comunisti Maria Rita Prette e scrive libri sul mondo del lavoro, sulla condizione carceraria, su internati nei manicomi giudiziari e persone disabili. Il 24 agosto 2007 esce sul settimanale A del gruppo Rizzoli una intervista a Fanny Ardant che scatena furibonde polemiche, perché l’attrice francese dichiara: «Per me Renato Curcio è un eroe. Lui non è diventato un uomo d’affari come è successo in Francia ai poeti del ‘68 che ora sono i più grandi uomini d’affari! Ho

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sempre considerato il fenomeno Brigate Rosse molto coinvolgente e passionale». Qualche giorno dopo, dovendo presenziare alla mostra del cinema di Venezia, dove era in programma un film che la vedeva protagonista, l’attrice dichiarerà al TG1: «Le mie parole hanno fatto soffrire quelli che hanno già sofferto, e per questo chiedo perdono». 6. Alberto Franceschini, nato a Reggio Emilia il 25 ottobre 1947, famiglia di tradizione comunista e partigiana, nel 1969 rompe con la FGCI in occasione di una manifestazione contro le basi NATO e costituisce con altri reggiani il “gruppo dell’appartamento”. Dopo i convegni di Chiavari e Costaferrata, fonda nel 1970 a Milano le Brigate Rosse insieme a Renato Curcio e Margherita Cagol ed è l’organizzatore del sequestro Sossi del 1974. Arrestato a Pinerolo insieme a Curcio l’8 settembre 1974, in carcere sarà uno dei più irriducibili, aderendo nel 1981 al Partito della guerriglia di Senzani ed il 21 febbraio 1987 sarà l’unico tra i “capi storici” BR a dissociarsi. È uscito definitivamente dal carcere nel 1992 e ha lavorato presso l’ARCI di Roma. Nel 1988 ha pubblicato per Mondadori Mara Renato e Io e nel 2004 per Rizzoli Cosa sono le BR con Giovanni Fasanella, da cui è stato tratto il film-documentario Il sol dell’avvenire di Fasanella e Pannone del 2007. 7. Mario Moretti (Porto san Giorgio, 16 gennaio 1946), dopo il diploma si trasferisce a Milano per lavorare alla Siemens, dove conosce i futuri brigatisti Giorgio Semeria, Corrado Alunni e Paola Besuschio,ì e frequenta il CPM di Via Curtatone di Curcio e Cagol. Dopo l’esperienza della Comune di Piazza Stuparich aderisce alle BR, di cui assumerà la dirigenza dopo l’arresto di Curcio e Franceschini e la morte di Mara Cagol, e nel 1978 sarà l’organizzatore del sequestro di Aldo Moro. Arrestato a Milano il 4 aprile 1981, subirà un grave attentato due mesi dopo nel carcere di Cuneo dal detenuto Figueras e non aderirà mai a nessuna delle fazioni interne alle BR che si creeranno dopo il suo arresto. Nel 1994 ha pubblicato per Anabasi Una storia italiana ed è uno dei

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pochissimi a non avere mai chiesto la liberazione condizionale, per cui ancora oggi rientra tutte le sere al carcere di Opera. 8. Secondo Alberto Franceschini l’azione sarebbe stata progettata da Corrado Simoni che si sarebbe rivolto a Maria Elena Angeloni solo dopo il rifiuto di Mara Cagol. La vicenda di Maria Elena Angeloni è raccontata in Non per odio ma per amore di Haidi Giuliani e Paola Staccioli, ed. DeriveApprodi, 2012. 9. Dal nome di Junio Valerio Borghese, militare italiano già sostenitore della Repubblica di Salò e successivamente a capo di diversi gruppi armati legati ad Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale. Il piano, progettato nei dettagli da diverso tempo, prevedeva l’occupazione dei Ministeri dell’Interno e della Difesa e di sedi televisive e giornalistiche, oltre alla deportazione di alcuni parlamentari. Nelle intenzioni dei golpisti c’erano probabilmente anche il rapimento di Giuseppe Saragat, allora capo dello Stato, e l’assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. Il golpe avrebbe dovuto essere guidato da diversi gruppi clandestini (in primo luogo quello neofascista conosciuto come “La rosa dei venti”) in collaborazione con reparti delle forze armate. In casa di Borghese viene trovato un foglietto con scritto il proclama che i golpisti avrebbero dovuto leggere dalla sede occupata della Rai a cose fatte: «Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le Forze Armate, le Forze dell’Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono con noi; mentre, dall’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intendersi, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo Stato che insieme creeremo, sarà un’Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso Tri-

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colore! Soldati di Terra, di Mare e dell’Aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d’amore: Italia! Italia! Viva l’Italia!».

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1971 Esce “Imagine” di John Lennon e “Patton generale di acciaio” di Franklin Schaffner vince l’Oscar. In Italia l’Inter vince lo scudetto e Nada e Nicola di Bari vincono a Sanremo con “Il cuore è uno zingaro”.

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Il 25 gennaio del 1971 otto bombe incendiarie vengono collocate sotto altrettanti autotreni, fermi sulla pista di Lainate dello stabilimento Pirelli, e l’attentato comincia ad attirare l’attenzione dei media sulle fantomatiche Brigate Rosse1. Al Congresso di Bologna, Lotta Continua ufficializza l’inizio della campagna volta a distruggere il regime carcerario: ogni compagno arrestato dovrà d’ora in poi entrare in carcere con l’obiettivo di svolgervi un preciso lavoro politico; una organizzazione esterna appoggerà le rivendicazioni e le proteste dei carcerati. Tale impostazione si svilupperà per tutto il ‘72 e il ‘73, gli anni del fuochismo di LC al termine del quale Lotta Continua scioglie la commissione carceri, producendo anche per questo motivo una profonda spaccatura interna, che porterà alla costituzione dei NAP i Nuclei armati proletari. A seguito di una inchiesta a carico di alcuni militanti di Lotta Continua, un nutrito gruppo di intellettuali italiani sottoscrive una autodenuncia indirizzata al procuratore della Repubblica di Torino dove, tra le altre cose, si legge: «quando i cittadini da lei imputati affermano che in questa società l’esercito è strumento del capitalismo, mezzo di re-

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pressione della lotta di classe, noi lo affermiano con loro. Quando essi dicono se è vero che i padroni sono ladri è giusto andare a riprendersi quello che hanno rubato, lo diciamo con loro. Quando essi gridano lotta di classe armiamo le masse, lo gridiamo con loro. Quando essi si impegnano a combattere un giorno con le armi in pugno lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento, ci impegnamo con loro» (Tra i firmatari: Elio Aloisio, Giulio Carlo Argan, Tinto Brass, Mario Ceroli, Lucio Colletti, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Natalia Ginzburg, Carlo Gregoretti, Paolo Mieli, Franco Mulas, Paolo Portoghesi, Giovanni Raboni, Sergio Saviane, Pasquale Squitieri, Saverio Tutino, Cesare Zavattini). 4 febbraio: a Catanzaro, dopo una manifestazione antifascista, contro la folla viene lanciata una bomba che uccide l’operaio socialista Giuseppe Malacaria e provoca il ferimento di altre 7 persone. 14 febbraio, Marina di Pisa: lo studente Giovanni Persoglio Gamalero muore dilaniato da un ordigno posizionato fuori dalla macelleria di Aldo Meucci, reo di non avere aderito a uno sciopero Fiat. L’attentato venne organizzato nell’Osteria dell’Archetto di Luciano Serragli, ritrovo di anarchici e militanti di estrema sinistra e verranno condannati a 9 anni Vincenzo Scarpellini e Alessandro Corbara, nel cui diario era scritto «si saluta con esultanza il nascere e l’avanzare dei gruppi rivoluzionari” 26 marzo: a Genova, durante una rapina2 della “22 ottobre” ai danni dell’istituto case popolari muore il

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portavalori il portavalori Alessandro Floris. La foto di Rossi in lambretta che si gira e spara a Floris a terra sarà per molti anni l’immagine “icona” degli “anni di piombo”, prima di essere definitivamente soppiantata dalla ancor più celebre foto del 1977 che ritrae Giuseppe Memeo, coperto da un passamontagna, che spara ad altezza uomo in via De Amicis a Milano. Il 23 aprile e il 1° luglio le BR incendiano le autovetture di Franco Moiana e Paolo Romeo della Giovane Italia (MSI) e di Carmelo La Malfa segretario dell’Onorevole Servello del MSI. Ad aprile possiamo leggere uno dei primi documenti redatti dalle BR dal titolo: Molti compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria, che viene distribuito in molte fabbriche. BRIGATE ROSSE, “MOLTI COMPAGNI O GRUPPI DELLA SINISTRA RIVOLUZIONARIA...”, MILANO, APRILE 1971 Molti compagni o gruppi della sinistra rivoluzionaria, sono intervenuti su differenti questioni sollevate dal nostro lavoro. Non sempre però ci è sembrato che il riferimento al nostro reale discorso fosse sufficientemente preciso. Per facilitarne quindi la comprensione e per evitare ‘interpretazioni’ più ispirate all’immagine che il potere ha tentato di fornire di noi che alla nostra reale e modesta statura, rispondiamo ad alcune domande dominanti. 1) Le Brigate Rosse sono o non sono l’embrione del futuro esercito rivoluzionario?

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Che lo siamo noi non lo abbiamo mai affermato, anche perché nella nostra prospettiva politica non riusciamo a distinguere con sufficiente chiarezza, come forse capita ad altri, la formazione di un “futuro esercito rivoluzionario”. Ci sembra che la linea di tendenza porti piuttosto alla formazione di un’organizzazione politica armata, che risolve in sè i vecchi termini della eterna questione, il partito e l’esercito rivoluzionario, il partito e la guerriglia. Ma ancora non ci sembra che si possa dire che le Brigate Rosse siano gli “embrioni” del “futuro partito guerriglia”. 2) Le Brigate Rosse sono o non sono “organismi militari”? Non sono “organismi militari” ed è completamente estraneo al nostro lavoro quello di “dividere” gli “organismi politici” dagli “organismi militari”. Il principio da altri formulato, che deve essere la politica a guidare il fucile, è da noi inteso e praticato in un senso preciso e cioè sollecitando in ogni compagno ed in ogni nucleo di compagni un approfondito chiarimento politico a guida, fondamento e scelta del proprio comportamento rivoluzionario, all’occorrenza anche “militare”. 3) Sono le Brigate Rosse un “inizio burocratico e minoritario di una fase della lotta di classe in cui l’offensiva avrebbe dovuto esprimersi anzitutto sul piano della violenza clandestina”? Che la lotta rivoluzionaria assuma spesso la forma dell’azione diretta organizzata clandestinamente è un fatto che non dipende tanto da noi quanto dall’organizzazione repressiva dei padroni. Che l’offensiva proletaria si esprima anche sul piano dell’azione diretta organizzata clandestinamente è una ovvietà che non abbiamo inventato noi ma che chiunque segua un po’ d’appresso lo scontro di classe non fatica a scoprire. Noi pensiamo – questo sì – che l’offensiva proletaria sia oggi estremamente ricca e che tra le molte forme

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della sua espressione vi sia anche quella dell’azione diretta organizzata clandestinamente. E di questo non ci scandalizziamo. 4) “C’è stata una valutazione completamente errata dei rapporti di forza esistenti tra proletariato e borghesia, e cioè della fase di lotta che stiamo attraversando, che è sì è in una fase di offensiva proletaria, ma non certo sul piano militare”. Diversa è qui evidentemente la nostra sensibilità politica da quella di chi ci ha mosso questo appunto. La fase che lo scontro tra le classi oggi attraversa, noi riteniamo sia quella della conquista degli strumenti d’organizzazione e di accumulazione delle forze rivoluzionarie capaci di reggere lo scontro e preparare l’offensiva di fronte al progredire di un movimento di reazione articolato sino al limite della controrivoluzione armata. E cioè del passaggio necessario dalla risposta spontanea e di massa anche se violenta, all’attacco organizzato, che sceglie i suoi tempi, calcola la sua intensità, decide il terreno, impone il suo potere. 5) Cosa sono dunque le Brigate Rosse? Sono gruppi di proletari che hanno capito che per non farsi fregare bisogna agire con intelligenza, prudenza e segretezza, cioè in modo organizzato. Hanno capito che non serve a niente minacciare a parole e di tanto in tanto esplodere durante uno sciopero. Ma hanno capito anche che i padroni sono vulnerabili nelle loro persone, nelle loro case, nella loro organizzazione; che gruppi clandestini di proletari organizzati e collegati con la fabbrica, il rione, la scuola e le lotte, possono rendere la vita impossibile a questi signori.

30 giugno: Mario Moretti e Pierino Morlacchi compiono la prima rapina di autofinanziamento in una

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piccola Banca di Pergine, in Valsugana (TN), che frutta 9 milioni di lire3. Ma il vero e proprio manifesto delle Brigate Rosse è quello di novembre, significativamente titolato Un destino perfido. UN DESTINO PERFIDO, BRIGATE ROSSE, NOVEMBRE 1971 Quando il 25 aprile del ‘45 i partigiani, i gappisti festeggiarono la “vittoria dell’insurrezione”, la “liberazione”, non sapevano ancora quale perfido destino li stava attendendo. Ciononostante, quasi per istinto, i comunisti rivoluzionari non consegnarono le armi. Le tennero a portata di mano ben sapendo che quelle erano il fondamento del loro potere e rimasero pazientemente in attesa di un grido di rivoluzione che il Partito Comunista si guardò bene dal dare. Nel ‘48 con l’attentato a Togliatti, esplose la rabbia per non essere andati fino in fondo tre anni prima. L’odio proletario contro i padroni e contro lo Stato rimbalzò di città in città, di piazza in piazza. Ancora una volta i partigiani impugnarono le armi e rimasero in attesa di “istruzioni”, di indicazioni rivoluzionarie. E ancora una volta il loro partito raccomandò la calma, li invitò a ritornare alle loro case, a ritornare nelle fabbriche dei padroni. Da quel momento le idee di liberazione che avevano armato il braccio e il cuore delle masse proletarie italiane si infransero, sempre più duramente, contro la muraglia legalista, elettoralista e riformista che il Partito andava innalzando fra l’autonomia e il potere. Il disarmo fu totale. Disarmo politico. Disarmo militare. Questo era ciò che

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volevano i borghesi che si trovavano al governo dello stato. Seguirono anni tremendi: il post fascismo e la ricostruzione. Mentre Valletta ritornava con l’aiuto delle “forze alleate” alla digressione della Fiat, liquidava i Consigli di gestione, licenziava centinaia di avanguardie operaie e ne metteva nei “reparti confino” altre centinaia, la polizia scelbiana picchiava nelle piazze e assassinava i contadini nel meridione. Con salari di fame e sottoposti al terrorismo più brutale i proletari italiani trangugiarono il fiele della “ricostruzione” dell’Italia dei padroni del vapore. Le forze reazionarie intanto andavano ricostruendo la loro dittatura all’ombra dei grandi padroni e con la protezione dello stato. Fu così che Tambroni nel luglio ‘60 e De Lorenzo quattro anni dopo, provarono a dare uno sbocco a quelle spinte autoritarie-fasciste che mai erano state del tutto distrutte. Il gioco allora non riuscì, era troppo grezzo, ancora prematuro. Ci vollero le possenti lotte operaie e studentesche del 6869-70, per portare a galla tutto il lerciume reazionario che si era accumulato, tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60, al fondo delle nostre istituzioni. Furono queste lotte infatti, che riproponendo al proletariato italiano nuovi e profondi contenuti di liberazione, costrinsero i padroni a stringersi in una nuova unità, intorno ad un progetto di reazione, di riorganizzazione anti-proletaria, repressiva e neofascista del potere. Con la strage del 12 dicembre questo lugubre disegno prese forma, acquistò peso e sul cadavere di 16 lavoratori iniziò la costruzione del nuovo Stato: lo stato della violenza antioperaia, della repressione e della crisi. Ma le bombe di piazza Fontana sortirono un esito imprevisto: invece di affossare il movimento rimbombarono come campane a morto per l’intero regime degli ultimi 25 anni; invece di sbarrare la strada alla avanzata proleta-

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ria misero a nudo la crisi di regime che lacerava il nostro paese. Crisi di regime, crisi strutturale, risultato tanto delle contraddizioni interne al blocco imperialista quanto dell’incapacità dimostrata dalle classi dirigenti a promuovere una politica economico-sociale di interesse popolare; tanto del rifiuto opposto dalle avanguardie rivoluzionarie alle linee difensive e legaliste proposte dalle organizzazioni riformiste, quanto del livello raggiunto dall’autonomia operaia nelle grandi fabbriche e sui grandi temi della lotta per il potere. E sono proprio i venti della crisi che ridanno fiato alle trombe (ed ai tromboni) del fascismo. Infatti, è proprio in una situazione di diseguale sviluppo economico, nell’aggravarsi degli squilibri tra Nord e Sud, nel tracollo della piccola e media industria, nella disoccupazione crescente, nell’opposizione livida e violenta degli agrari, degli industriali, degli speculatori allo spettro delle riforme di struttura, nella crescita incontrollata dei prezzi, nell’aumento delle tasse, nella ribellione di settori proletari sempre più vasti alla politica criminale dei padroni, che trova alimento la ripresa neofascista nel nostro paese. Ma il neofascismo, questo figlio e becchino del centrismo e del centrosinistra è un male diffuso che non risparmia alcuna istituzione. Non è solo la “repubblica di Sbarre”, o il Congresso del MSI, la campagna de “Lo Specchio” contro Mancini o le bombe di Catanzaro, il siluro tattico contro Borghese o le manifestazioni della maggioranza silenziosa, il neosquadrismo o il neocorporativismo. Non sono solo i 150 attentati terroristici o le 250 aggressioni avvenute a Milano in questi ultimi due anni. Neofascismo è anche, e soprattutto, l’uso antioperaio della crisi: la “normalizzazione” della cassa integrazione per

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migliaia di lavoratori, il licenziamento di massa a scopo intimidatorio nei confronti dell’intera classe operaia, la non applicazione delle conquiste contrattuali, l’uso massivo dello spionaggio politico nelle grandi aziende a scopo di controllo... . Neofascismo è anche e soprattutto la volontà terroristica di considerevoli porzioni della magistratura, e vogliamo dire di quei magistrati che “ammazzano con calma” tenendo rinchiusi in qualche galera, nonostante la palese innocenza i Pietro Valpreda, o che si trastullano coi processi politici contro i compagni dei gruppi rivoluzionari e le avanguardie di lotta del movimento. Neofascismo sono i Guida, i Vittoria, i Calabresi, i Mucilli, i Panessa delle varie Questure della nostra penisola. Neofascismo sono gli Amati, i Caizzi, gli Occorsio, i Colli, i Calamari e i porci di questa fatta nei vari tribunali della penisola. Ma neofascismo sono anche i Piccoli o i Misasi, gli Agnelli o i Pirelli con la lurida catena dei loro servi, dei loro cani da guardia, dentro e fuori i cancelli delle fabbriche e delle scuole. Oggi una lotta è in corso tra le forze politiche che siedono in parlamento per chi debba rappresentare la sintesi suprema di questa immensa miseria: la carica di Presidente della Repubblica. Ai candidati sono richieste tre fondamentali qualità: la ferma volontà di distruggere l’autonomia operaia; l’intransigente decisione a decimare le avanguardie politiche della sinistra rivoluzionaria; l’ostinata vocazione ad impedire la nascita di una nuova sinistra armata. Al futuro manovratore della macchina statale i suoi grandi elettori chiedono: ordine, produttività, repressione. Discutere sulla rosa dei candidati è dunque un fatto secondario.

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Non un fatto inutile, ma secondario. Moro, Fanfani o la riconferma del Presidente della strage non sono che varianti tattiche dello stesso gioco. Il “fanfascismo” altro non può essere che l’interpretazione, forse più estrosa, di un copione comunque obbligato. Di fronte a questa scadenza la nostra reale preoccupazione è dunque quella di intravedere, tra le ombre e tra i giochi coperti, i fili dell’offensiva tattica della borghesia contro il movimento di lotta e le sue avanguardie. Perché, spezzare questa offensiva tattica, noi siamo convinti è il compito principale delle forze rivoluzionarie in questo momento. Ma ciò presuppone chiarezza su almeno due questioni centrali. La prima è che non sono più i tempi dello “sviluppo”, tempi in cui la generalizzazione dei contenuti dell’autonomia proletaria nel movimento era di per sé una forza produttiva rivoluzionaria. La seconda è che in questa fase di “crisi” il destino della lotta proletaria è consegnato all’organizzazione e alla capacità di attacco in primo luogo delle avanguardie rivoluzionarie. Questo per noi vuol dire che per spezzare questa offensiva tattica della borghesia è necessario innanzitutto accelerare quel processo già in atto, di trasformazione delle avanguardie politiche che il movimento ha formato in questi ultimi anni, in avanguardie politiche armate. Il problema che abbiamo dinnanzi è dunque in primo luogo una questione di strategia. La sinistra rivoluzionaria deve dichiarare, messa alle strette dal torchio del potere, da che parte combatte. I margini per l’opportunismo pratico sono sempre più ristretti ed i sabotatori della rivoluzione sempre più scoperti. Dobbiamo averlo chiaro: extraparlamentare oggi non vuol dire più nulla. La discriminante è sempre più nitida e

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passa tra chi intende costruire una sinistra armata e chi intende prolungare l’infanzia impotente dei gruppi; tra chi vuol conservare la matrice sessantottesca e chi si batte per una rifondazione dell’avanguardia di classe come avanguardia politica e armata; tra chi intende separare il “politico” dal “militare” e chi intende elaborare una strategia unica politico-militare e quindi costruire un’unica organizzazione proletaria politica e armata. Le “Brigate Rosse” lanciano in questi giorni una campagna di lotta contro il neofascismo; lasciano ad altri il terreno delle grandi campagne di opinione per praticare quello dell’azione diretta. Le “Brigate Rosse” intendono proseguire nel “processo popolare contro tutti i fascisti” e realizzare altri momenti di giustizia proletaria; intendono dare ulteriori contenuti alla parola d’ordine: niente resterà impunito. Le “Brigate Rosse” vogliono riversare sulle carogne del neofascismo e dello Stato che lo produce tutto l’odio proletario, concentrato e organizzato, che anni di impotenza hanno accumulato. Ma soprattutto le Br puntano, facendo questa scelta d’attacco, a rafforzare i primi nuclei di potere proletario armato che si sono organizzati nei più importanti rioni popolari e nelle più grandi fabbriche metropolitane. Compagni, LA RIVOLUZIONE COMUNISTA È IL RISULTATO DI UNA LUNGA LOTTA ARMATA CONTRO IL POTERE ARMATO DEI PADRONI! Questo è l’insegnamento fondamentale che ci viene dalla Comune di Parigi, dalla rivoluzione bolscevica, dalla rivoluzione cubana e da quella cinese, dal Che e dal Vietnam, dalle forze che oggi combattono nei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e dai gruppi rivoluzionari combattenti delle grandi metropoli imperialiste. Questo è il contenuto fondamentale di liberazione che è stato definitivamente

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abbandonato dalle organizzazioni storiche del movimento operaio italiano. Le “Brigate Rosse” alzano questa bandiera contro il neofascismo, contro lo Stato che lo produce, per la liberazione, per il comunismo! POTERE AL POPOLO! Brigate Rosse, novembre 1971

Alla fine dell’anno, Arcana Editrice pubblica con grande successo il provocatorio Ma l’amor mio non muore, curato nella veste grafica da Gianni Emilio Simonetti, dove per la prima volta vengono pubblicati su un libro i testi delle BR, nonché consigli su come difendersi dai gas lacrimogeni ed installare un ripetitore pirata, che riesce a sfuggire ai sequestri perché distribuito attraverso canali non ufficiali4.

NOTE 1. «Al Giambellino, in Piazza Tirana, le Brigate Rosse tenevano comizi pubblici. Quando Curcio parlava i compagni presidiavano la piazza armati. La polizia sapeva, ma restava a debita distanza» (cfr. La fuga in avanti di Manolo Morlacchi, ed. Agenzia X, 2007, pag. 86). 2. Il ricorso alla rapina come forma di “autofinanziamento” delle varie organizzazioni rivoluzionarie sarà un metodo molto diffuso negli anni a venire. Sul punto si suggerisce la lettura di La rapina in banca di Klaus Schonberg, 2003, ed DeriveApprodi, che si apre con una celebre domanda di Bertolt Brecht «È più criminale fondare una banca o rapinare una banca?» e dove com-

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paiono anche due racconti di Corrado Alunni e Gian Antonio Zanetti, militanti delle Formazioni Comuniste Combattenti. 3. Pietro Morlacchi (1938-1999), detto Pierino, cresciuto nel periferico quartiere milanese del Giambellino e figlio di una famiglia proletaria di tradizioni comuniste e numerosa, tra cui i fratelli Angelo ed Emilio, anche loro condannati per appartenenza alle Brigate Rosse, viene arrestato una prima volta il 15 febbraio 1975 a Bellinzona, dopo una lunga latitanza all’estero, a seguito della scoperta del covo milanese di Via Boiardo, ed una seconda volta a Milano il 1 maggio del 1980, mentre affigge volantini in ricordo dell’eccidio genovese di Via Fracchia. Sposato con una tedesca di Dresda, Heidi Ruth Peusch (1941-2003), a sua volta arrestata due volte, ha avuto due figli: Manolo (1970) ed Ernesto (1974), ed è morto il 9 gennaio del 1999. La storia di tutta la famiglia Morlacchi e delle varie vicissitudini di Pierino e di Heidi, tra cui un fallito tentativo di ottenere asilo politico nella Germania dell’Est, è raccontata nel citato libro La fuga in avanti, scritto dal figlio Manolo, ed. Agenzia X, 2007 e dedicato ai suoi genitori, e dove in apertura si legge: «Noi Morlacchi, e per Morlacchi intendo i proletari, intendo le classi subalterne, intendo gli sconfitti della storia, abbiamo fatto un passo da giganti in avanti. Ci avete sconfitti? Va bene! Siete più forti? D’accordo! Ma intanto abbiamo fatto un epocale passo in avanti…». Nell’agosto 2003, il giorno dei funerali di Heidi Ruth Peusch, su un muro di Via Segneri al Giambellino qualcuno ha scritto: «La rivoluzione è un fiore che non muore. Ciao Heidi». Nel 2010 anche Manolo Morlacchi verrà arrestato con l’accusa di banda armata nel processo “Fallico più altri” e scarcerato dalla Cassazione per “assenza di indizi”, dopo sei mesi di carcere preventivo, e quindi assolto all’esito sia in primo che in secondo grado “perché il fatto non sussiste” (vd. infra). Mario Moretti, in Brigate Rosse una storia italiana, ed. Anabasi, 1994, raccontando la rapina di Pergine (che non fu mai rivendicata, perché ancora non ritenuta “comprensibile” come azione “rivoluzionaria”), così descrive Heidi Ruth Peusch ed il piccolo Manolo: «i soldi li abbiamo lasciati a una compagna che aspetta ai margini del paese con in braccio il

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suo bambino, un tedeschino biondo, molto bello, che rientrerà con i pannolini appesantiti dalle banconote che ci abbiamo infilato». 4. Ristampato nel 1997 da DeriveApprodi andrà in breve di nuovo esaurito.

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1972 Esce “Foxtrot” dei Genesis e “Il braccio violento della legge” di William Friedkin vince l’Oscar. In Italia la Juventus vince lo scudetto e Nicola di Bari vince a Sanremo con “Erano i giorni del’arcobaleno”.

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Il 20 gennaio le BR incendiano le auto dei missini Attilio Carelli e Ignazio La Russa, il 19 febbraio a Quarto Oggiaro quelle di Casagrande e Liparoti e il 3 marzo effettuano sempre a Milano il loro primo sequestro lampo, ai danni di Idalgo Macchiarini dirigente della Sit-Siemens, con successivo documento di rivendicazione; la foto dell’ostaggio sotto lo stemma della stella a cinque punte, con la pistola puntata sulla faccia sopra lo slogan colpirne uno per educarne cento, viene pubblicata da tutti i giornali e crea grande sconcerto nell’opinione pubblica. Alberto Franceschini ricorda che quella pistola gliela aveva consegnata un vecchio partigiano di Reggio e che lui sperava che costui, vedendo quella foto su tutti i giornali, la riconoscesse, e Mario Moretti ha dichiarato in una recente intervista che appare nel DVD francese Les Brigades Rouges1, che in realtà il senso di quel sequestro “mordi e fuggi” era proprio quello di fare quella foto da divulgare ai media come monito ai “padroni”. L’11 marzo a Milano, nel corso di violenti scontri tra estremisti di destra e la polizia dopo il divieto di una manifestazione della “maggioranza silenziosa”, viene colpito a morte il pensionato Giuseppe Tavecchio, mentre transita nelle vicinanze di piazza della Scala.

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Il 13 marzo a Cesano Boscone le BR sequestrano e fotografano Bartolomeo Mino vice-segretario della locale sezione del MSI. Il 14 marzo Giangiacomo Feltrinelli viene trovato dilaniato da una bomba presso un traliccio di Segrate. La sua identificazione non è immediata, perché essendo da tempo entrato in clandestinità aveva con se un documento di identità falso intestato a tale Vincenzo Maggioni. Il 21 marzo il gruppo argentino Esercito Revolucionario del pueblo (ERP) rapisce il direttore generale della Fiat-Concord Oberdan Sallustro ed in cambio chiede la liberazione di 50 guerriglieri detenuti. Il governo argentino rifiuta ogni trattativa ed il 10 aprile Sallustro viene ucciso. «Di sicuro anche questo episodio, ampiamente coperto dai mezzi di comunicazione italiani, regalava l’illusione che la scelta della lotta armata potesse avere una qualche legittimità perché inserita in un ciclo storico mondiale» (cfr. Andrea Saccoman, Le Brigate Rosse a Milano, ed. Unicopli, 2013, pag. 77) Il successivo mese di aprile, le BR diffondono un documento dal titolo alquanto significativo: “Il voto non paga, prendiamo il fucile!” . In esso si legge: «C’è chi dice che con le elezioni si possono cambiare le cose, che la “rivoluzione” si può fare anche con la scheda elettorale. Noi non ci crediamo. L’esperienza già fatta dopo la guerra di liberazione partigiana non può essere nascosta. La conosciamo tutti: abbiamo consegnato il fucile e da quel momento ci hanno sparato addosso! Quanti

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morti nelle piazze dal ‘45? Quale il nostro potere oggi? L’esperienza della lotta di classe nell’epoca dell’imperialismo ci insegna che la classe operaia e le masse lavoratrici non possono sconfiggere la borghesia armata senza la potenza dei fucili. Questa è una legge marxista, non una opinione. Non siamo astensionisti. Non siamo per la scheda bianca. Ma diciamo a tutti i compagni, con chiarezza, che il voto oggi divide inutilmente la sinistra rivoluzionaria; che il voto non paga la nostra richiesta di potere; che non è col voto che si combatte la controrivoluzione che striscia in tutto il paese. Unire la sinistra rivoluzionaria nella lotta armata contro il neofascismo e contro lo Stato che lo produce, è il compito attuale dei militanti comunisti. Ma le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare combattere. Combattere armati. Perché nessun nemico è mai stato abbattuto con la carta, con la penna o con la voce; e a nessun padrone è mai stato tolto il suo potere con il voto!». Lo Stato a questo punto cerca di correre ai ripari e grazie all’infiltrato Marco Pisetta, individua il 2 maggio a Milano le basi di via Boiardo e via Delfico, arrestando alcuni militanti2 e determinando così il definitivo passaggio dei brigatisti alla completa clandestinità, con relativa riorganizzazione della struttura interna, che prevede nuovi arruolamenti ed autofinanziamenti. «Rimaniamo in 5: Io, Morlacchi, Curcio, Cagol e Franceschini, ma paradossalmente ogni volta che subivamo un colpo apparentemente mortale ci rialzavamo e diventavamo più forti», dirà molti anni dopo Mario Moretti nel citato Les Brigades rouges.

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Il 5 maggio a Pisa, mentre partecipa con altri compagni ad un presidio antifascista contro il comizio dell’on. Beppe Nicolai del MSI, Franco Serantini viene circondato da un gruppo di poliziotti del Secondo e del Terzo plotone della Terza compagnia del I° Raggruppamento celere di Roma sul lungarno Gambacorta e brutalmente picchiato. Trasferito prima in una caserma di polizia e poi al carcere Don Bosco, accusa un malore che il medico del carcere, dottor Mammoli, non giudica serio, e il 7 maggio, dopo due giorni di agonia, viene trovato in coma nella sua cella e trasportato al pronto soccorso del carcere, dove muore alle 9,45. Il 7 maggio alle elezioni politiche “anticipate” l’MSI, il partito di ispirazione fascista di Almirante, raccoglie la più alta percentuale di voti della sua storia, arrivando ad ottenere il 9% dei voti Il 17 maggio a Milano Luigi Calabresi, commissario di polizia in forza alla Questura di Milano, incaricato di indagare sulla strage di piazza Fontana e ritenuto da molti responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dalla finestra della sua stanza nella notte del 15 dicembre, viene ucciso davanti alla propria abitazione di via Cherubini. Per questo omicidio verranno condannati molti anni dopo Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani tutti ex dirigenti di Lotta Continua, a seguito delle dichiarazioni accusatorie del pentito Leonardo Marino. «L’assassinio di Luigi Calabresi è il primo anello della catena che riaccende la guerra civile italiana combattuta con le armi nel biennio 1943/45, rin-

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focolata sulle piazze nel tempo della guerra fredda e poi esplosa a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80» (Aldo Cazzullo ne Il caso Sofri, ed. Mondadori, 2004, pag. 114). Il 31 maggio 1972, a Sagrado di Peteano (Gorizia) muoiono il brigadiere Antonio Ferraro e due carabinieri, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni, mentre altri due carabinieri rimangono gravemente feriti. Sempre a maggio, da una idea di Dario Fo e Franca Rame3, già attivi fin dal ‘68 con il collettivo teatrale La Comune, nasce ufficialmente a Milano “Soccorso Rosso militante”, a favore dei militanti arrestati. Lo scopo è quello di rompere l’isolamento dei detenuti politici nelle carceri, garantire loro un’indipendenza economica nei confronti della realtà carceraria e fornire assistenza legale; in seguito Soccorso Rosso sarà anche oggetto di indagini per associazione sovversiva4. Nell’estate del 1972 il primo esecutivo delle Br composto da Renato Curcio, Alberto Franceschini, Mario Moretti e Pierino Morlacchi, decide di dividersi per moltiplicarsi, al punto che le colonne di Milano e Torino si dedicheranno da qui in avanti al consolidamento nei rispettivi territori, secondo la nuova distinzione tra forze regolari (i militanti clandestini) e forze irregolari (militanti del tutto organici all’organizzazione, ma senza essere clandestini). Mara Cagol e Renato Curcio si trasferiscono così da Milano a Torino, per portare la propaganda armata all’interno della Fiat, in occasione della verten-

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za sindacale sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici ed ivi costituire la “colonna torinese”. Il 25 agosto, a Parma, fuori dal cinema Roma, il giovane Mariano Lupo di Lotta Continua viene aggredito ed ucciso a coltellate da un gruppo di fascisti. Al processo, Edgardo Bonazzi verrà condannato a undici anni e otto mesi per omicidio preterintenzionale e Andrea Ringozzi e Luigi Saporito rispettivamente a sei anni e a quattro anni per concorso. La notte del 4 settembre, a Monaco, un gruppo armato di palestinesi dal nome “Settembre nero” penetra nel villaggio olimpico e dopo avere ucciso due atleti della compagine Israeliana, ne tiene in ostaggio per alcuni giorni altri nove, dando inzio ad una drammatica trattiva che comprende anche la richiesta di liberare i detenuti della RAF5. Il tutto si concluderà con una strage finale all’aereoporto, nella quale muoiono tutti gli atleti sequestrati, cinque fedayyin ed un poliziotto tedesco. Il 26 novembre, a Torino, le BR incendiano le auto di 9 “quadri” della Fiat Alla fine dell’anno Feltrinelli pubblica L’evasione impossibile, di Sante Notarnicola, che diventerà in breve il libro cult dei tanti prigionieri politici degli anni a venire6.

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NOTE 1. Si tratta di un documentario di Mosco Levi Boucault che raccoglie recenti e lunghe interviste a quattro protagonisti della “operazione Moro” (Mario Moretti, Prospero Gallinari, Valerio Morucci e Raffaele Fiore). 2. Il reperimento di alcune fotografie del sequestro Macchiarini dove risultava effigiato determina pochi giorni dopo l’arresto dell’ex partigiano Giacomo “Lupo” Cattaneo, ad opera del maresciallo Pagnozzi, che era presente in Questura la notte in cui morì Pinelli. Condannato ad 8 anni ed in seguito riarrestato altre due volte e per brevi periodi, colpito da un primo infarto nel 1986, Cattaneo morirà a 54 anni il 30 marzo 1987. 3. Il 9 marzo 1973 Franca Rame subirà una prolungata violenza sessuale di gruppo da parte di 5 estremisti di destra che l’avevano attesa con un furgone sotto la sua casa di Milano. «L’azione fu ispirata da alcuni ufficiali dei carabinieri della divisione Pastrengo» dirà tanti anni dopo l’estremista di destra Biagio Pitarresi al Giudice Salvini. 4. In quegli anni verranno arrestati molti legali: la prima, nel 1973, fu la giovane studentessa di Legge, pavese, Irene Invernizzi, a causa della pubblicazione per Einaudi di Il carcere come scuola di rivoluzione, con la prefazione di Norberto Bobbio. In seguito sarà il turno di Giovanbattista Lazagna, (arrestato due volte, febbraio 1972 e 9 ottobre 1974); Sergio Spazzali, (arrestato tre volte, 21 novembre 1975, 12 maggio 1977 e 19 aprile 1980); Giovanni Cappelli (arrestato il 12 maggio 1977); Saverio Senese (arrestato il 2 maggio 1977); Edoardo Arnaldi, che si toglie la vita (19 aprile 1980); Gabriele Fuga (arrestato due volte, 1 maggio 1980 e 13 luglio 1982); Luigi Zezza (16 gennaio 1981) che riesce a scappare; Rocco Ventre (arrestato il 20 maggio 1980); Eduardo Di Giovanni e Giovanna Lombardi (arrestati il 13 febbraio 1981) e del calabrese Tommaso Sorrentino, che si costituirà il 20 luglio del 1987, dopo 4 anni di latitanza.

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5. La Rote Armee Fraktion, abbreviata in RAF e conosciuta comunemente come Banda Baader-Meinhof, è stato uno dei gruppi rivoluzionari armati europei più importanti di quegli anni. Fondato il 14 maggio 1970 da Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin e Horst Mahler, si definiva un gruppo di «guerriglia urbana comunista e anti-imperialista impegnato nella resistenza armata contro lo stato fascista». Il 9 maggio 1976 Ulrike Meinhof viene trovata morta nella sua cella ed il 17 ottobre 1977 vengono trovati morti nelle rispettive celle anche Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe. Irmgard Moller, trovata in fin di vita e sopravvissuta, uscirà di prigione nel 1994, pubblicando un libro nel quale smentisce la versione del “suicidio collettivo”. Responsabile di molte azioni di sangue e della morte di 34 persone, la RAF dichiarerà il proprio scioglimento il 20 aprile 1988, con una lettera inviata via fax all’agenzia di stampa Reuters. Dopo il celebre film di Margaret Von Trotta “Anni di piombo”, del 1981, è uscito il più recente “La banda Baader-Meinhof ”, di Uli Edel, che ricostruisce l’esperienza di questa organizzazione che, come ricorda Valerio Morucci in una intervista che compare nei bonus del DVD, non aveva, a differenza delle BR, alcuna ispirazione marxista, ma solo anti-imperialista. Straordinaria l’analogia operativa militare del sequestro Schleyer del 1977 con il successivo sequestro Moro. 6. Sante Notarnicola, nato a Castellaneta il 15 dicembre 1938, trascorre l’infanzia in un istituto. A 13 anni emigra a Torino, dove vive la madre, e partecipa alla rivolta di Via Statuto del 1962. Iscritto alla FGCI e poi al PCI, si allontana presto dalla sinistra istituzionale per legarsi a gruppi rivoluzionari e anarchici. Nel 1963 inizia con la Banda Cavallero una serie di 18 “rapine rivoluzionarie”. Man mano che il numero delle rapine aumenta, la banda si fa più agguerrita: spara tra la folla, prende ostaggi. Il 16 gennaio 1967, nel corso di una rapina a Ciriè, la banda uccide il medico Giuseppe Gajottino. L’ultima impresa risale al 25 settembre 1967, quando prendono d’assalto il Banco di Napoli in largo

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Zandonai a Milano. La polizia interviene e dopo una sparatoria tra i passanti, inseguimenti e ben 4 morti, uno della banda viene arrestato. In seguito alla confessione di questi, Notarnicola insieme a Cavallero vengono arrestati il 3 ottobre, dopo una settimana di fuga. Il processo presso la Corte di Assise di Milano inizia il 3 giugno 1968 e dura 21 udienze; la sentenza dell’8 luglio, infligge l’ergastolo a Notarnicola, come pure a Cavallero e Rovoletto. In carcere studia e scrive e, anche per i legami che stringe con i detenuti più propriamente “politici”, diviene un’icona del movimento antagonista: Feltrinelli gli pubblica il suo primo libro (L’evasione impossibile, 1972), Gianfranco Manfredi e gli Onda Rossa Posse gli dedicano canzoni. Nel 1978 è il primo nella lista dei 13 nomi indicati dalle BR come detenuti da liberare in cambio del rilascio di Aldo Moro. Alla sua prima raccolta poetica, Con quest’anima inquieta (Torino, Senza galere, 1979), seguirà La nostalgia e la memoria (Milano, G. Maj, 1986), che diverrà anche il titolo di una canzone dell’album “Terra di nessuno” degli Assalti Frontali e nel 2013 la raccolta L’anima e il muro, Odradek.

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1973 Esce “The dark side of the moon” dei Pink Floyd e “Il Padrino” di Francis Ford Coppola vince l’Oscar. In Italia la Juventus vince lo scudetto e Peppino di Capri vince Sanremo con “Un grande amore e niente più”.

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Il 23 gennaio viene ucciso dalla polizia, nei pressi della università Bocconi di Milano, lo studente Roberto Franceschi, militante del Movimento Studentesco. Il 12 febbraio 1973, a Torino, le BR sequestrano Bruno Labate, segretario Cisnal; il 28 giugno, a Milano, è la volta dell’ingegner Michele Mincuzzi, dirigente dell’Alfa Romeo; infine, il 10 dicembre, ancora a Torino, tocca a Ettore Amerio, capo del personale della Fiat Mirafiori, sequestro che per la prima volta si protrarrà per 8 giorni. Ma “a latere” delle BR, accadono in Italia e nel mondo nuovi fatti drammatici. Il 21 febbraio, a Napoli, durante gli scontri di piazza con la polizia per una manifestazione contro il fermo di polizia, il diciannovenne studente di sinistra Vincenzo Caporale viene ucciso da un candelotto. Il 3 e il 4 marzo 1973 si tiene a Bologna, al circolo Serantini, la prima riunione nazionale delle “forme di Autonomia operaia organizzata”, cui partecipano più di 400 delegati delle grandi e medie fabbriche e dei maggiori servizi pubblici.

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Il 29 marzo a Torino: occupazione dei “fazzoletti rossi” a Mirafiori1. Il 12 aprile a Milano si svolge una manifestazione (non autorizzata) del MSI. Il corteo, guidato dai dirigenti nazionali Servello e Petronio, si scontra con la polizia. Nel corso degli scontri, violentissimi, vengono lanciate alcune bombe a mano contro le forze dell’ordine, provocando la morte dell’agente di polizia Antonio Marino. I colpevoli (Murelli e Loi) appartengono al gruppo milanese La Fenice, che risulterà avere piena legittimità all’interno del MSI. Il 15 aprile si verifica a Roma il rogo di Primavalle (dove muoiono carbonizzati all’interno della abitazione i fratelli Virgilio e Stefano Mattei), attribuito agli esponenti di Potere Operaio Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo2. Il 17 maggio avviene a Milano la strage alla Questura, per mano del sedicente anarchico Gianfranco Bertoli, proprio il giorno del primo anniversario della morte di Calabresi. Il 3 giugno, al convegno di Rosolina, si conclude per ormai irrisolvibili dissidi interni la significativa esperienza di Potere Operaio. L’11 settembre in Cile avviene il colpo di stato fascista militare del generale Pinochet. Il 20 dicembre, a Madrid, il Commando Txikia dell’ETA fa saltare per aria l’auto su cui viaggiava il primo ministro Carrero Blanco, con la scorta.

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Si verifica all’interno di Lotta Continua la spaccatura con coloro che premono per la svolta rivoluzionaria e che una volta fuoriusciti fondano i NAP (Nuclei armati proletari). È il toscano Luca Mantini (Firenze, 18 ottobre 1949), militante di Lotta Continua, arrestato a seguito degli scontri durante un comizio del MSI, a fondare nel carcere Le Murate di Firenze il Collettivo George Jackson che unisce per la prima volta i detenuti politici con quelli comuni, dando così inizio alla esperienza dei NAP che opereranno dal 1974 al 1977. I NAP sono in ordine cronologico la quarta organizzazione armata italiana (dopo GAP, 22 ottobre e Brigate Rosse) e nascono nelle carceri, raccogliendo le rivendicazioni e il bisogno di riscatto dei detenuti del cosiddetto proletariato extra-legale che, grazie al continuo contatto con i sempre più numerosi detenuti politici, era pronto a fornire un’ulteriore spinta rivoluzionaria all’ondata di quegli anni. Ispiratisi, come i detenuti neri USA, a I dannati della terra di Frantz Fanon, avranno vita breve e sfortunata per molti militanti, che resteranno uccisi in varie circostanze3. I principali componenti dei NAP sono stati Sergio Romeo, Luca e Annamaria Mantini, Nicola Pellecchia4, Claudio Carbone, Pietro Sofia, Giovanni Gentile Schiavone, Pasquale e Nicola Abatangelo5, Fiorentino Conti, Domenico Delli Veneri, Giorgio Panizzari6, Maria Pia Vianale, Franca Salerno7 e Antonio Lo Muscio. Dopo alcuni assalti contro diverse sedi del MSI, il 25 luglio 1974 sequestrano a scopo di autofinanziamento Antonio Gargiulo, figlio di un noto medico napole-

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tano, e il 25 luglio 1974, nell’ambito di una campagna di “rivolta contro le carceri”, fanno esplodere in contemporanea alcuni ordigni davanti ai penitenziari di Roma, Milano e Napoli, accompagnati da proclami provenienti da altoparlanti posizionati nei pressi dei tre Istituti. L’anno dopo, il 6 maggio 1975, mettono in essere la loro azione più eclatante sequestrando a Roma il giudice Giuseppe Di Gennaro, direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena del Ministero della Giustizia. La gestione del sequestro Di Gennaro si intreccia con la vicenda di tre detenuti del carcere di Viterbo, due fondatori dei NAP (Pietro Sofia e Giorgio Panizzari) e un “comune” politicizzatosi in carcere (Martino Zichittella). I tre, una volta fallita l’evasione (9 maggio), sequestrano alcuni agenti di custodia e rivendicano ai NAP il rapimento di Di Gennaro. La vicenda si conclude in pochi giorni, l’11 maggio, con il rilascio del magistrato, mentre i detenuti ottengono la diffusione per radio di un loro comunicato e il trasferimento in altri istituti di pena. Nel periodo a cavallo tra il 1975 e il 1976 i NAP intensificheranno le azioni contro personale e sedi del Ministero di Grazia e Giustizia. Si tratta di una vera e propria “campagna” contro le carceri, nel cui ambito i NAP intervengono anche d’intesa con le Brigate Rosse. Nella notte del 2 marzo 1976, in contemporanea in varie città (Firenze, Genova, Milano, Napoli, Pisa, Roma, Torino), vengono compiuti una serie di attentati contro caserme e incendiati mezzi militari dei carabinieri, rivendicati l’indomani con un volantino firmato congiuntamente dai due gruppi: “Per l’unità della guerriglia”. Per la prima volta si realizza una sorta di alleanza tra due formazioni che «nel rispetto della propria autono-

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mia» e diversità di prassi e genesi politica, dichiarano che «non esistono sostanziali divergenze strategiche» e si impegnano pertanto a praticare «comuni scadenze di lotta e realizzare una unità di azione in un unico fronte di combattimento», auspicando una riunificazione di tutto il movimento rivoluzionario; in questa ottica si colloca anche la prima significativa azione della neo-colonna romana delle BR che il 7 dicembre del 1976 compie un attentato incendiario alla autovettura di Vittorio Ferrari. Il 14 dicembre 1976, sempre a Roma, fallisce l’attentato all’alto funzionario del nucleo anti-terrorismo Alfonso Noce. Nel libro Vorrei che il futuro fosse oggi, di Valerio Lucarelli, si legge di come fu preparata l’azione. Originariamente il 13 dicembre 1976, davanti alla sua abitazione romana di via Bennicelli, avrebbero dovuto attendere 4 nappisti armati nascosti dentro un furgone, ma a causa della assenza di uno di loro, Ernesto Grasso, l’azione viene rimandata. Il giorno dopo, stante la ribadita assenza di Grasso, i nappisti decidono di agire ugualmente in tre; Antonio Lo Muscio rimane alla guida per la fuga e Martino Zichitella e Raffaele Piccinino scendono dal furgone, non appena Noce sale a bordo della macchina della scorta, e cominciano a sparare all’impazzata contro la stessa. L’idea era quella di fare avere simbolicamente le chiavi della vettura di Noce ai militanti NAP in carcere, nei cui confronti era in corso in quei giorni il processo di Napoli, azione che, se realizzata, «avrebbe inferto» secondo Schiavone, «un colpo mortale al nucleo antiterrorismo». Ma Noce riesce a dileguarsi e nel corso del furibondo conflitto a fuoco trovano la morte l’agente Prisco

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Palumbo e il nappista Martino Zichittella, colpito accidentalmente da un proiettile sparato da Piccinino. Il 1 luglio del 1977, con l’arresto a Roma di Maria Pia Vianale e Franca Salerno e l’uccisione di Antonio Lo Muscio si conclude l’esperienza dei NAP e quasi tutti i militanti in carcere aderiranno alle Brigate Rosse. Per l’appartenenza ai NAP verranno inquisite in totale 65 persone8. L’esperienza dei NAP verrà in un certo senso “ripresa” anni dopo dal futuro Partito Guerriglia di Senzani, che riproporrà l’opportunità di raccogliere in una unica insurrezione armata anche le forze proletarie della criminalità “comune”. Tornando alle Brigate Rosse si conclude qui, potremmo dire, la prima fase, quella dagli obiettivi più mirati e specificamente rivolti alle condizioni di lavoro nelle fabbriche. Sulla scorta del tragico golpe cileno, Enrico Berlinguer rilascia alla rivista Rinascita quella celebre intervista ove dichiara, come ricordava sempre Moretti, che «il PCI non avrebbe potuto andare al governo del paese neppure con il 51 %», nel senso che proprio con quella intervista il segretario del Partito Comunista Italiano lanciava le basi per quel successivo “compromesso storico” con la DC, inteso come la necessaria alleanza tra le due principali forze popolari del paese. A quel punto «se il voto non basta più occorre», come diranno in molti, «prendere il fucile» e così, nel 1974, le BR decidono di andare “oltre” le fabbriche e di dar vita al primo grande “attacco al cuore dello Stato”, con quella Operazione Girasole che darà loro anche una enorme e definitiva risonanza mediatica.

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NOTE 1. Dopo cinque mesi di lotta per il rinnovo del contratto e quasi duecento ore di sciopero, giovedì 29 marzo 1973 alla Fiat Mirafiori di Torino il primo turno aderisce alla nuova astensione dal lavoro proclamata dai sindacati. Circa diecimila operai formano un corteo interno, poi si dividono in diversi gruppi che bloccano i 12 cancelli d’ingresso nello stabilimento esponendo bandiere rosse, striscioni, cartelli. Il blocco della produzione e i picchetti ai cancelli continuano venerdì e proseguono fino lunedì. Nella tarda serata di lunedì la Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici e la Federmeccanica raggiunsero un accordo i cui punti salienti erano: abolizione delle categorie e delle qualifiche mediante l’inquadramento unico; aumento salariale di 16 mila lire al mese uguale per tutti; riduzione dell’orario di lavoro settimanale a 39 ore mediante la concessione di una giornata di riposo ogni otto settimane lavorative; una settimana in più di ferie; riconoscimento del diritto allo studio mediante l’ottenimento delle 150 ore retribuite. 2. È il futuro brigatista Valerio Morucci, all’epoca responsabile del settore illegale romano di POTOP, a raccontare di avere direttamente raccolto la confessione dei tre militanti al termine di un serrato interrogatorio, in Ritratto di un terorista da giovane, ed. Piemme, 1999. 3. Il 29 ottobre 1974, a Firenze, Luca Mantini e Giuseppe Romeo; l’11 marzo 1975, a Napoli, Vitaliano Principe; il 22 maggio 1975, ad Aversa, Giovanni Taras; l’8 luglio 1975, a Roma, Anna Maria Mantini; il 12 dicembre 1976, a Roma, Martino Zichittella; il 1° luglio 1977, a Roma, Antonio Lo Muscio. Il 28 dicembre 1980, a Napoli, muore suicida Alberto Buonoconto; il 30 luglio 1993 muore in carcere per un infarto Claudio Carbone e il 6 maggio 1997, Fiorentino Conti viene trovato privo di vita a Firenze, su una panchina. 4. Arrestato il 13 luglio 1975 e condannato al processo di Napoli, dopo una lunga carcerazione si è trasferito a vivere presso

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l’isola di Procida dove ha ricoperto l’incarico di presidente della Federpescatori locale. In Vorrei che il futuro fosse oggi di Valerio Lucarelli compare una sua intervista dove racconta di essere stato il “compagno” di Annamaria Mantini ed aggiunge. «Senza i Nap non ci sarebbe stata la riforma carceraria. Il primo regolamento di quella riforma fu scritto dalla commissione carceri dei detenuti di Poggio Reale di cui facevamo parte. Molti istituti innovativi, come la socialità, vennero pensati dalla commissione di Poggio Reale. Prima in carcere si parlava di “ricreazione”, come all’asilo. Venne istituzionalizzata la rappresentanza dei detenuti, poi recepita nel regolamento carcerario». Deceduto il 19 marzo 2013. 5. Pasquale Abatangelo (Firenze, 2 novembre 1950), figlio di meridionali emigrati in Grecia e trasferiti a Firenze, viene arrestato ingiustamente da minorenne e poi per una rapina. Alle Murate incontra l’ex LC Luca Mantini, che aveva creato il gruppo George Jackson, e quando esce di prigione fonda con lui la colonna dei NAP. Viene arrestato alla prima azione, in Piazza Alberti, il 29 ottobre 1974, in cui muoiono Luca Mantini e Sergio Romeo; poco dopo viene arrestato anche il fratello Nicola. Il 9 febbraio 1975 riesce a evadere dalle Murate insieme a Dante Saccani, ma il 25 febbraio viene ripreso a Parma, e da quel momento trascorre più di venti anni in carcere, aderendo alle Brigate Rosse, che nell’aprile del 1978 lo indicano tra i 13 militanti da liberare in cambio del rilascio di Aldo Moro. Nel 1995 ottiene la semi-libertà e nel 2001 la liberazione condizionale; inizia a lavorare come parcheggiatore nella cooperativa fiorentina SCAF, che dopo averlo eletto delegato sindacale nel 2002 lo nomina consigliere e, in seguito, costituisce con il Comune di Firenze una società mista, la SAS, che gestisce per conto di Palazzo Vecchio la segnaletica cittadina. Nel 2017 ha pubblicato con DEA Correvo pensando ad Anna, dedicato alla sua compagna, in cui racconta la propria storia e quella dei NAP e dove si legge: «Prendete un ragazzino e destinatelo alla povertà. Poi

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speditelo lontano da sua madre, in un posto dove non vuole stare e, se disubbidisce, punitelo severamente. Mettetegli davanti agli occhi dei vecchi abbandonati. Fategli anche subire qualche molestia dai preti. Quando diventa grande, mostrategli che la polizia e i carabinieri sono lì per fregarlo, in nome della legge e della sicurezza delle persone perbene. Cosa potete aspettarvi? Che si faccia sfruttare contento? Che vi dica grazie? Appena può, quell’animale morderà. Non penserà nemmeno di essere una vittima. Morderà e basta». 6. Giorgio Panizzari (Torino, 11 ottobre 1949) nato “in una delle barriere operaie e popolari di Torino”, si legge su un articolo di Carmilla a firma Fiorenzo Angoscini, a 15 anni finisce nel carcere minorile Ferrante Aporti. Dopo essere scappato dalla Casa Benefica per giovani derelitti di Pianezza, viene assegnato come “socialmente pericoloso” alla Casa di rieducazione di Bosco Marengo (TO), nel giugno del 1967 con l’art. 10 di “irrecuperabilità sociale” al Ferrante Aporti e, infine, al Centro di osservazione manicomiale delle nuove. Nell’ottobre del 1967 viene arrestato con l’accusa di furto in un deposito di pellicce e nel 1969 viene mandato al Manicomio criminale di Montelupo Fiorentino per essere stato, in aprile, tra i protagonisti di una delle prime grandi rivolte carcerarie degli anni Settanta. Nel 1970 si costituisce per dimostrare la propria innocenza dall’accusa di omicidio a scopo di rapina dell’orefice torinese Giuseppe Baudino, ma nel 1973 la Corte d’Assise lo condanna all’ergastolo. In carcere incontra Adriano Sofri, Guido Viale, Pio Baldelli, Agrippino Costa e Fiorentino Conti e si rapporta con i primi collettivi carcerari interni (Le Pantere Rosse) ed esterni (I dannati della terra di LC e NAP) mentre a Porto Azzurro ritrova il torinese Martino Zichittella e conosce Sante Notarnicola. Nel 1974 organizza con Giuseppe Albanese la rivolta nel manicomio giudiziario di Aversa, dove sequestra due guardie, ferendone una, e nel maggio del 1975 rivendica dal carcere di Viterbo, insieme a Pietro Sofia e Martino Zichit-

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tella, il sequestro del giudice Di Gennaro da parte dei NAP. In seguito aderisce alle Brigate Rosse, che nell’aprile del 1978 lo indicano tra i 13 da liberare in cambio del rilascio di Aldo Moro e nel 1984 viene condannato a 5 anni per la rivolta nel carcere dell’Asinara dell’ottobre 1979, assieme a Renato Curcio e Alberto Franceschini. Nel novembre dello stesso anno mette in atto una clamorosa protesta dal carcere di Palmi, cucendosi la bocca. Nel 1993 ottiene la semilibertà e comincia a lavorare in una cooperativa informatica, ma l’anno dopo viene arrestato per alcune rapine, da cui verrà assolto, ma ormai la semilibertà era stata revocata; nel 1998, dopo 28 anni di carcere, ottiene la grazia dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, senza che sia lui a richiederla. Il 12 dicembre 2000 viene riarrestato per una rapina alla filiale di Todi del Monte dei Paschi di Siena, insieme a Roberto Viganò, fratello di Leonardo, negli anni ottanta coinvolto in un’indagine sui NAR, dall’ottobre 2017 è in regime di semilibertà. Ha pubblicato alcuni libri tra cui Il sesso degli angeli, Libero per interposto ergastolo, La danza degli aghi e, nel 2017, per Colibrì, una riedizione de L’albero del peccato, che affrontava il tema del proletariato extralegale come componente qualificata della sovrappopolazione carceraria e quello dell’istituzione penitenziaria come strumento di contenimento e di formazione sul corpo sociale. 7. Martino Zichittella (Marsala, 26 aprile 1936), trasferitosi a Torino dopo un passato anche nella legione straniera, appassionato di culturismo e dal fisico imponente, viene arrestato per rapina nel 1966 ed in carcere entra in contatto con i militanti di LC Bobbio, Viale, Bosio e Mochi Sismondi e quindi, tramite Panizzari, entra nei NAP ed evade dal carcere di Lecce il 20 agosto del 1976 (unitamente al bandito sardo Graziano Mesina). Di lui racconterà Panizzari: «Ci arrivò notizia dei violenti trattamenti carcerari che subiva, gli scrissi una lettera nella quale gli chiedevo perdono per averlo tirato dentro ai NAP, e mi rispose che nella vita aveva costruito molto ma la cosa più bella era

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quella che stavamo facendo. Stai tranquillo, mi scrisse, anche se quelli mi torturano io mi sento bene, allora non mi espropriano delle mie decisioni». 8. Per conoscere la storia dei NAP è molto utile leggere il libro Vorrei che il futuro fosse oggi, di Valerio Lucarelli, ed. L’Ancora, mentre per ulteriori approfondimenti sulle figure femminili di Maria Pia Vianale, Franca Salerno e di Antonio Lo Muscio (di cui parla anche Valerio Morucci in La peggio gioventù), consiglio di consultare il bellissimo sito web Polvere da sparo curato da Valentina (Baruda) Perniciaro.

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1974 Esce “It’s only Rock and roll” dei Rolling Stones, “La Stangata” di Gorge Roy Hill vince l’Oscar e la Germania Ovest vince i mondiali “casalinghi”. In Italia la Lazio vince lo scudetto e Iva Zanicchi vince Sanremo con “Ciao cara come stai”.

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13 Gennaio: il generale Amos Spiazzi viene arrestato per associazione sovversiva nel corso dell’inchiesta sul cosiddetto “Golpe Borghese”. 4 marzo: a Mestre le BR fanno irruzione nella locale sede della CISNAL. 18 aprile: a Genova le BR sequestrano Mario Sossi, capo della procura, che verrà liberato il 23 maggio; i carcerieri del giudice sono Alberto Franceschini, Margherita Cagol e Piero Bertolazzi1 ed è proprio durante i giorni del sequestro Sossi che il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa viene incaricato di formare a Torino il nucleo antiterrorismo. Con il sequestro Sossi le BR realizzano il primo “processo proletario” ad un rappresentante di quello Stato che intendono “rovesciare”, in una piena logica di risposta antagonista ai processi che quello Stato sta celebrando contro la rivoluzione e che loro non riconoscono; in questo caso il processo genovese a carico della banda 22 Ottobre. In questa precisa strategia si collocherà in seguito il sequestro di Aldo Moro nel 1978, mentre era in corso a Torino il processo al nucleo storico delle Brigate Rosse2.

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Il sequestro del Giudice Sossi, oltre a fare molto scalpore nell’opinione pubblica, avrà anche successivi riflessi tragici per le modalità seguite dallo Stato nella trattativa di “scambio” per il suo rilascio. I sequestratori, infatti, chiedono per il rilascio dell’ostaggio la liberazione dei detenuti “politici” della 22 Ottobre e, per la prima volta, lo Stato si divide sulla linea da tenere di fronte ad una tale richiesta, che oltretutto si inserisce proprio “a cavallo” del referendum sulla abrogazione del divorzio, che vedrà la finale vittoria dei No. Interviene un accorato appello del Papa e si cerca anche un accordo (fallito) con Cuba, per dare asilo ai prigionieri della 22 Ottobre in caso di loro liberazione. 2 maggio: a Torino le BR fanno irruzione nella sede del centro studi Sturziani, dove immobilizzano il segretario Vincenzo Pellegrini e portano via elenchi e registri; il giorno dopo, a Milano, perquisiscono gli uffici del CRD di Edgardo Sogno. 10 maggio: rivolta nel carcere di Alessandria. Il generale Dalla Chiesa decide la “linea dura” contro i detenuti rivoltosi e ordina l’irruzione delle forze antisommossa, che si conclude in strage: sette morti (tra cui cinque ostaggi) e 14 feriti. Il 16 maggio l’Espresso pubblica un intervista nella quale le BR, oltre a ripetere alcuni concetti già espressi nei due precedenti documenti politici, danno una spiegazione sugli obiettivi, le ragioni e i modi del sequestro Sossi. Il redattore Mario Scialoja sarà in seguito interrogato dal magistrato.

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D. Perché tra i rappresentanti della controrivoluzione avete scelto proprio Sossi? R. Per tre motivi: 1. Perché è contro il gruppo 22 Ottobre che per la prima volta si sono messe a punto le tattiche e le contromosse dell’antiguerriglia. Questi modi di operare del potere ci interessavano particolarmente. Sossi in quanto “uomo del potere” ne era al corrente. Dunque poteva raccontarceli. E ce li ha raccontati; 2. Perché Sossi è un magistrato e la magistratura in questo momento è l’anello più debole, anche se il più vivo, della catena del potere; 3. Perché Sossi è un bersaglio dell’odio proletario, avendo egli “fabbricato” le prove e le accuse contro i compagni comunisti del gruppo 22 Ottobre, ed essendo stato nella sua pur breve carriera un persecutore fanatico della sinistra rivoluzionaria. D. Quando avete deciso il sequestro? L’operazione è stata preparata a lungo? R. Abbiamo lavorato un anno a questa azione. Abbiamo atteso però le conclusioni del processo d’appello prima di metterla a segno, perché nella sinistra qualcuno credeva ancora possibile fare qualcosa legalmente. Non è stato così. I giudici non hanno neppure preso in considerazione la tesi dell’omicidio preterintenzionale, non hanno voluto saperne di scavare sulla questione Gadolla, e cioè hanno fatto la loro parte in quello che a tutti gli effetti può essere definito il primo importante processo di regime. Rossi e compagni sono stati condannati per motivi politici. La sentenza volutamente rispondeva al bisogno del potere di scoraggiare e terro-

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rizzare chiunque avesse per l’animo di intraprendere la strada della lotta armata. Bisognava invertire la tendenza e noi lo abbiamo fatto. D. Perché avete deciso di agire adesso? Solo per motivi tecnici oppure per un riferimento preciso al referendum? Oppure come i tupamaros pensate che il momento migliore per attaccare è quello in cui la credibilità delle istituzioni è scesa più in basso? R. Evidentemente non può essere un criterio esclusivamente tecnico a consigliare un’azione come l’arresto di Sossi e tutto ciò che ne è conseguito. Abbiamo deciso di intervenire in questo momento perché in questo momento si preparano i giochi per la seconda repubblica. E perché portare l’attacco allo Stato è oggi indispensabile per rompere l’accerchiamento della lotta operaia. Noi valutiamo che sia in incubazione un progetto di stravolgimento delle istituzioni repubblicane che va nel senso, pur salvando le apparenze e gli scenari della democrazia borghese, di realizzare nel periodo successivo al referendum una situazione che potremmo definire di “fascismo neogollista”. In questa luce vanno interpretate anche le perquisizioni alla sede dei centri Sturzo di Torino e del CRD (Comitato di Resistenza Democratica) di Milano. L’obiettivo fondamentale è stato quello di iniziare una ricostruzione organica di quelle forze, persone e organizzazioni che in questo momento stanno gettando “clandestinamente” le basi della seconda Repubblica. Ora però, questo progetto per compiersi ha bisogno di una condizione fondamentale: una forte concentrazione di tutti i poteri a partire da quello politico. Il referendum doveva perciò essere nelle intenzioni del “partito della seconda Repubblica” l’occasione per verificare le sue capacità di controllo e di manovra sulle forze dell’opposizione e il grado di accetta-

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zione e di subordinazione di queste ultime. Così è stato. La nostra organizzazione, però, rifiutando la scelta “tattica” del “compromesso”, propria dei partiti della sinistra costituzionale, con l’azione Sossi ha cercato di impedire la ricomposizione completa delle contraddizioni che si erano aperte nel regime in seguito alla repressione delle lotte operaie in questi ultimi anni. Se, come riteniamo, la crisi di regime è prima di tutto crisi di egemonia della borghesia sul proletariato, il compito delle forze rivoluzionarie deve essere quello di approfondire questa crisi e condurla verso il punto più basso, costruendo nello stesso tempo e nella lotta gli strumenti politico-militari necessari a consentire uno sbocco rivoluzionario. D. Come si è svolto il processo? R. Abbiamo interrogato il prigioniero Sossi sulle iniziative che ha preso e il significato politico di ognuna di esse. Non si è trattato tanto di un interrogatorio poliziesco ma di capire come ragionano gli uomini più esposti del potere e di che uomini si servano quelli meno esposti. Sossi è un buon “tecnico” ma non ha una grande autonomia politica. Un ottimo strumento per le sporche manovre. Attraverso gli interrogatori siamo riusciti a ricostruire fatti, persone e metodi propri del fascio di forze della controrivoluzione. D. Renderete noto l’interrogatorio? R. Renderemo noto volta a volta ciò che serve nella lotta che stiamo conducendo. Renderemo noti inoltre i nomi degli infiltrati e dei confidenti nei gruppi della sinistra extraparlamentare genovese. Sempre che a questi gruppi interessi saperlo!

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D. Vi sarà una sentenza? Sulla base di quali elementi deciderete cosa fare di Sossi e cosa chiederete in cambio? R. Una sentenza contro Sossi ne presuppone un’altra contro il potere che lo ha pilotato, e questa ancora un’altra contro lo Stato. È allo Stato perciò che abbiamo chiesto uno scambio tra il prigioniero politico Sossi e i compagni del 22 Ottobre. Non accetteremo controproposte. Rifiuteremo ogni offerta di un riscatto in denaro. La vita di un uomo non può essere comprata. D. Vi aspettavate da parte dei maggiori gruppi della sinistra extraparlamentare (Manifesto, Lotta Continua ecc.) una così violenta condanna? Come la spiegate? R. Nel ‘71 rispondendo ad un’altra intervista dicevamo: «Non ci interessa sviluppare una sterile polemica ideologica. Il nostro atteggiamento nei confronti dei gruppi extraparlamentari è innanzitutto determinato dalla loro posizione sulla lotta armata. In realtà nonostante le definizioni che essi si attribuiscono; al loro interno prospera una forte corrente neopacifista con la quale non abbiamo niente a che spartire ed anzi riteniamo che si costituirà al momento opportuno in una forte opposizione all’organizzazione armata del proletariato. Mentre invece un’altra parte di militanti accetterà questa prospettiva; con essi il discorso è aperto». Oggi possiamo aggiungere che a misura in cui il loro ruolo di forze subalterne ai partiti del Compromesso si è fatto più marcato ed evidente, la contraddizioni al loro interno si sono fatte più violente. Il caso Sossi ha messo in piazza la profondità di queste contraddizioni.

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D. Non vi ponete il problema, come si ponevano i tupamaros, di mantenere buoni i rapporti con le altre organizzazioni rivoluzionarie? R. I buoni rapporti con le altre organizzazioni rivoluzionarie presuppongono “altre organizzazioni rivoluzionarie”. Evidentemente non è il caso dei maggiori gruppi della sinistra extraparlamentare. Esiste però un’area di forze realmente rivoluzionarie, tutta interna al proletariato industriale delle grandi fabbriche, rispetto alla quale abbiamo stabilito un confronto politico ricco di sviluppi. D. Pensate che la lotta armata in un paese a capitalismo avanzato come l’Italia e con il partito comunista più forte d’Europa, abbia veramente delle possibilità di sviluppo e di successo? Perché? R. La lotta armata è oggi un’esigenza che nasce dalle grandi fabbriche urbane. È un bisogno politico di quelle avanguardie della classe operaia che hanno rifiutato il riformismo come progetto di stabilizzazione del sistema. Sono queste avanguardie che, con le loro lotte hanno incrinato la struttura di comando dei padroni nelle officine, fatto saltare i meccanismi del terrore e dell’egemonia borghese e cioè hanno aperto e resa acuta la crisi di regime. Inoltre andiamo incontro ad una radicalizzazione dello scontro politico e sociale e noi crediamo che la sinistra subirà inevitabilmente, con il progredire di questo scontro, un processo di polarizzazione in cui la discriminante sarà la posizione sulla lotta armata. In questo processo verrà coinvolto anche il PCI o per lo meno la sua anima comunista.

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D. Credete comunque che l’azione armata di un gruppetto di avanguardia sganciato dalle masse abbia un’utilità? R. L’azione armata di un gruppetto sganciato dalle masse certo non ha possibilità di sorta. Altro è l’azione di un’avanguardia armata anche se molto piccola. Le BR non sono un gruppo. La nostra iniziativa armata è il frutto di un costante lavoro all’interno dello strato più avanzato dell’autonomia operaia in tutte le più grandi fabbriche del Nord. Un lavoro cominciato 4 anni fa alla Pirelli. Un lavoro poco clamoroso ma certamente decisivo nel processo di formazione di una reale avanguardia rivoluzionaria. D. Pensate di poter costruire un’alternativa alla gestione sindacale? R. Non si tratta di costruire un’alternativa alla gestione sindacale ma di costruire un quadro politico strategico diverso entro il quale orientare la lotta sindacale. D. A quale tipo di organizzazione clandestina di fabbrica mirate? R. I nostri militanti nelle fabbriche operano per favorire la crescita a tutti i livelli dell’autonomia operaia. Siamo convinti, che questa crescita vada nel senso della costruzione di organismi di potere operaio. D. Come rispondete a chi, e sono quasi tutti, sulla base del ragionamento del “a chi giova?” sostiene che siete dei provocatori perché oggettivamente fate il gioco delle destre? R. Ci hanno mosso questa critica contemporaneamente il governo e l’opposizione, la destra e la sinistra, quasi tutti

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appunto! In generale chi ci muove queste accuse da sinistra parte da questo ragionamento: “Voi intervenite sempre in prossimità di importanti scadenze politiche, dunque...”. Ma può essere la tempestività del nostro intervento oggetto di una critica seria? Certamente no. Un intervento intempestivo sarebbe solo un intervento sbagliato. In realtà ci viene rimproverato il fatto che l’iniziativa armata introduce nel gioco politico istituzionale una variabile non prevista. Che questo faccia il gioco della destra è un’affermazione niente affatto dialettica. Chi fa il gioco della destra, e lo fa fino in fondo, è chi si rifiuta di vedere che è in atto un processo controrivoluzionario; è chi si pone di fronte ad esso compiti solo difensivi; è chi ha rinunciato a costruire e ad opporre un efficace movimento di resistenza. D. Come rispondete a chi accettando la vostra collocazione politica sostiene comunque che non vi è nessuna possibilità di sviluppo del vostro disegno rivoluzionario? R. Abbiamo fatto una scommessa con la storia e non l’abbiamo ancora vinta; questo è vero. Ma la nostra esperienza di questi ultimi due anni taglia corto con il pessimismo. È soprattutto esperienza delle lotte operaie: basti ricordare Mirafiori, il blocco di marzo-aprile ‘73, i “fazzoletti rossi” nell’ultimo contratto aziendale. Sono queste lotte, lo strato di avanguardie che esse hanno espresso, che stanno alla base dell’attuale possibilità rivoluzionaria nel nostro paese. D. Quali misure adottate per garantirvi dall’infiltrazione di elementi provocatori nel vostro gruppo? R. Il criterio fondamentale è il livello di coscienza politica e di militanza pratica che i compagni che si avvici-

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nano a noi hanno dimostrato nelle lotte di massa. Tutti i nostri militanti hanno lavorato a lungo nel movimento di massa. La composizione sociale della nostra organizzazione è precisa: la quasi totalità dei nostri quadri sono operai. Nessun criterio è però infallibile, dunque neppure questo. Provocatori e confidenti però devono sapere che alla nostra giustizia non si sfugge facilmente... . D. Spesso è stato detto che la vostra matrice ideologica è marxista-leninista, cattolica e operaista: vi riconoscete in questo impasto? R. La nostra matrice ideologica è comunista. I nostri punti di riferimento sono il marxismo-leninismo, la rivoluzione culturale cinese e le esperienze in atto dei movimenti guerriglieri metropolitani. D. È vero che il vostro modello politico-organizzativo è il movimento dei tupamaros? R. No, non è esatto. Nessuna esperienza è ripetibile e l’Italia non è l’Uruguay; della esperienza dei tupamaros abbiamo però tenuto presenti importanti principi di organizzazione come la costruzione per colonne e la compartimentazione. D. Potete delineare un vostro modello di organizzazione? R. Il nostro punto di vista è che la lotta armata in Italia debba essere condotta da un’organizzazione che sia diretta espressione del movimento di classe. Il popolo è all’origine di tutto dunque bisogna unirlo, mobilitarlo e armarlo. Lo sviluppo di una prima fase di guerra di

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guerriglia, in situazioni urbane e nelle grandi metropoli industriali europee ci sembra possibile guardando l’esperienza e i limiti dei primi gruppi armati tedeschi, francesi e italiani a due condizioni: la crescita di momenti reali di potere operaio armato nelle più grandi fabbriche, nei poli di classe più significativi e nei rioni popolari dove maggiormente si concentrano rivolte e sfruttamenti; la costruzione di una “forza regolare strategica” addestrata ad affrontare dal punto di vista della lotta armata tutti i compiti che si presentano ai diversi livelli di scontro.

Il 20 maggio la Corte di Appello di Genova concede la libertà provvisoria ai detenuti della 22 Ottobre, condizionandola alla liberazione dell’ostaggio “incolume” e il 23 maggio le BR rilasciano Mario Sossi3, ma il procuratore Generale Francesco Coco blocca all’ultimo momento la già disposta scarcerazione, sostenendone l’inapplicabilità per mancato verificarsi della condizione. Unanime nella successiva e diretta testimonianza dei vari Moretti, Bonisoli, Piccioni, Faranda ecc. il significato di tradimento attribuito dalle Brigate Rosse a questo “precedente” e che secondo i loro intendimenti, non avrebbe più né potuto né dovuto ripetersi. 27 maggio: prima cattura di un brigatista clandestino, Paolo Maurizio Ferrari4. 28 maggio, Brescia, strage di Piazza della Loggia. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti viene fatta esplodere mentre è in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista, con la presenza del sinda-

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calista della CISL Franco Castrezzati, dell’onorevole Adelio Terraroli del PCI e del segretario della Camera del lavoro di Brescia Gianni Panella. L’attentato provoca la morte di otto persone ed il ferimento di altre centodue5. 17 giugno a Padova: nel corso di un’incursione nella sede missina di via Zabarella da parte di militanti delle BR avviene un fatto di sangue non previsto: rimangono uccisi due iscritti al Movimento Sociale Italiano, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci6. Il 4 agosto 1974 una bomba esplosa sul treno Italicus Roma-Brennero provoca 12 morti e 48 feriti. L’attentato venne rivendicato da Ordine Nero: «Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti». “Vogliono l’Italia in preda alla paura”, titola su Il Corriere della Sera del giorno dopo un editoriale di Alberto Moravia. L’8 settembre a Roma, nel quartiere di San Basilio, durante la rivolta per il “diritto alla casa” viene ucciso Fabrizio Ceruso, di 19 anni7. Proprio mentre le BR stanno perfezionando i futuri contatti romani con Valerio Morucci e altri rappresentanti del disciolto Potere Operaio, per costituire una nuova colonna in vista dei successivi e previsti attacchi “al cuore dello Stato”8, il Generale Dalla Chiesa mette

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a segno, grazie ad un infiltrato, un colpo apparentemente in grado di annientare le BR. L’8 settembre a Pinerolo le forze dell’ordine, tramite il Capitano dei carabinieri Gustavo Pignero, arrestano i due fondatori delle BR Renato Curcio e Alberto Franceschini, grazie al celebre Frate Mitra, alias Silvano Girotto, controverso personaggio mitizzato a colpi di spot mediatici che si diceva avesse combattuto in Bolivia insieme al Che e che in una intervista rilasciata l’anno successivo nel “riparo” di Ginevra, dirà di «non essere in assoluto contrario alla lotta armata» ma che «in Italia non ce ne era bisogno». L’episodio sarà oggetto di interminabili discussioni e “dietrologie” anche “interne” alle Brigate Rosse, creando una diffidenza dei capi storici arrestati verso Mario Moretti, che di base non si supererà mai, e che in futuro avrà anche conseguenze esiziali sul destino dell’organizzazione, perché di quell’agguato era stato informato qualche giorno prima un medico della Camera del lavoro di Torino, il novarese Enrico Levati, il quale era riuscito ad avvisare Mario Moretti, ossia proprio colui che, a seguito di quei due arresti, sarebbe diventato il nuovo “capo” delle BR, fino al suo arresto dell’aprile del 1981. Sarà solo il primo dei tanti pseudo-misteri inventati intorno alla figura di Mario Moretti, definito “la sfinge” da Sergio Flamigni, e su questi pseudo-misteri si avrà modo di ritornare soprattutto in riguardo al caso Moro; indubbiamente questo episodio sarà una delle principali origini di quella successiva grande “spaccatura interna” che parecchi anni dopo si produrrà tra il cosiddetto nucleo storico, recluso da anni in carcere, e la leadership di Mario Moretti e che culminerà nella celebre diaspora di Giovanni Senzani con il suo parti-

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to guerriglia, episodio raccontato da Enrico Fenzi, che ne fu protagonista diretto, nel suo libro Armi e bagagli. Il 13 settembre l’Armata Rossa Giapponese, fondata nel 1971 da Fusako Shigenobu, assalta l’Ambasciata francese all’Aja e, in cambio della liberazione degli ostaggi, ottiene la scarcerazione di Yatsuka Furuya, 300.000 dollari e l’uso di un aereo per fuggire prima a Aden nello Yemen e quindi in Siria. Il 6 ottobre, a Fizzonasco di Pieve Emanuele (Milano), al deposito della Face Standard viene incendiato materiale telefonico per oltre 8 miliardi di lire di allora. Si tratta di una delle prime azioni illegali legate alla rivista milanese Rosso, con sede in Via Disciplini e che in seguito sarà l’epicentro della Autonomia milanese9. Intorno alla rivista Rosso, i cui principali rappresentanti saranno Raffaele Ventura (Coz), Pietro Mancini, Franco Tommei e Paolo Pozzi, gravitava infatti anche un gruppo illegale coordinato da Roberto Serafini10. Il 9 ottobre viene arrestato a Como come sospettato di fare parte delle BR l’ex partigiano e medaglia d’argento della resistenza Giambattista Lazagna, personale amico di Feltrinelli e collegato ai GAP. Il 15 ottobre i carabinieri del generale Dalla Chiesa irrompono nella base milanese di Robbiano di Mediglia, dove arrestano Piero Bassi e Roberto Ognibene11 (dopo un sanguinoso inseguimento nel quale rimane ucciso il maresciallo Felice Maritano) e quindici giorni dopo, a Torino, vengono catturati anche Prospero Gallinari e Alfredo Buonavita (da altre fonti citato come Bonavita).

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Si tratta di due figure importanti nella storia delle Brigate Rosse. Prospero Gallinari (Reggio Emilia, 1 gennaio 1951) “Giuseppe”, proveniente anche lui dal nutrito gruppo dei “reggiani” ed autore di Un contadino nella metropoli, ebbe inizialmente rapporti con il superclan di Corrado Simioni, per poi confluire nelle Brigate Rosse, scrivendo nel 1983 un importante documento dal carcere (“Politica e rivoluzione” con Coi, Piccioni e Seghetti). Dopo essere riuscito ad evadere dal carcere di Treviso il 2 gennaio 1977, sarà uno dei principali protagonisti del sequestro Moro (per anni gli verrà anche erroneamente attribuita la sua materiale esecuzione) e della colonna romana. Riarrestato il 24 settembre 1979 e gravemente ferito alla testa, non si è mai dissociato ed è deceduto il 14 gennaio 2013. Alfredo Buonavita (Avellino, 28 agosto 1948) , operaio di origini avellinesi iscritto al PCI ed alla CGIL, aveva lasciato partito e sindacato nel 1969, dopo essere entrato in contatto con Giangiacomo Feltrinelli. Nel 1971 era entrato in clandestinità, partecipando alla creazione della colonna di Torino e prendendo parte ad alcune azioni, tra cui una non eseguita azione punitiva in Germania, insieme ad Ognibene, contro l’ivi rifugiato Pisetta. Sarà in assoluto il primo “dissociato” delle BR (maggio 1981) e senza avere garantita in cambio dallo Stato alcuna contropartita in termini carcerari, fatto che gli costerà una pubblica lettera molto dura da parte dei suoi ex compagni. Ne spiegherà le personali ragioni a Sergio Zavoli, nel corso della nota trasmissione televisiva La notte della repubblica; ne consiglio la visione perché si tratta, a mio parere, della più “sincera” (insieme a quella di Moretti) tra le tante interviste di quel programma, molte delle quali destano oggi la impressione di es-

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sere state un po’ indotte a mo’ di necessario pedaggio del vinto alle celebrazioni di rito del vincitore. Il 20 ottobre a Lamezia Sergio Adelchi Argada, operaio militante del Fronte Popolare Comunista Rivoluzionario Calabrese (FPCR), viene ucciso a colpi di pistola dai fascisti Michelangelo De Fazio e Oscar Porchia. Il 29 ottobre a Firenze, nel corso di un tentativo di rapina alla Cassa di Risparmio, muoiono sotto i colpi dei carabineri i due nappisti Luca Mantini e Giuseppe Romeo. Il 20 novembre, a Savona, esplode una bomba ad altissimo potenziale. Per le ferite riportate una donna, Fanny Dallari, muore il giorno dopo. Viene creato il Comitato Unitario Antifascista per l’autorganizzazione popolare della vigilanza in città. Nonostante le rivendicazioni da parte di Ordine Nuovo e altre organizzazioni neo-fasciste, le indagini non arrivarono a nessun risultato, dopo aver seguito le piste più diverse. Il 23 novembre, a Pavia, le BR incendiano un magazzino della SNIA Viscosa Il 5 dicembre, durante una rapina allo zuccherificio SIIL di Argelato (BO), un commando di Autonomi uccide il carabiniere Andrea Lombardini12; Bruno Valli, arrestato insieme a Stefano Bonora e Claudio Vicinelli, operaio, militante comunista, si impicca nel carcere di Modena il 9 dicembre. L’11 dicembre, a Torino, doppia incursione delle BR al SIDA di Nichelino e Rivalta.

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NOTE 1. Piero Bertolazzi (Casalpusterlengo, 3 marzo 1950), detto “il nero”, ex impiegato della Gulf, arrestato nel novembre 1974 e condannato a 14 anni e 6 mesi di reclusione. Non si è mai dissociato e in Gli irriducibili di Pino Casamassima, ed. Laterza, 2012, dichiara: «Non esistono Le BR di prima e di dopo, ma la storia di un’unica organizzazione che si è mossa coerentemente. Nelle divisioni tipo PCC e Partito Guerriglia, l’organizzazione di Senzani passava per quella “movimentista”, anche se vorrei sapere dove fosse nascosto questo movimento. Erano quattro gatti senza base dietro». Secondo Franceschini all’azione di sequestro partecipò anche Francesco Marra, proletario milanese gravitante la zona di Quarto Oggiaro, al quale verranno in seguito mosse accuse mai dimostrate di essere un infiltrato e di avere avuto un qualche ruolo nella strage di Bologna del 1980. 2. Dirà Franco Bonisoli nel corso della sua intervista a La notte della Repubblica di Sergio Zavoli che loro volevano “soprattutto fare il processo proletario ad un grosso rappresentante di quello Stato che stava processando a Torino i compagni prigionieri” 3. Nel 2011 Mario Sossi è stato radiato dall’Ordine degli avvocati di Genova (cui si era iscritto terminata l’esperienza in Magistratura), perché colpevole di avere fabbricato, in concorso con il proprio cliente, prove false ai danni di una Giudice. 4. Maurizio Ferrari, detto “Mau” (Modena, 29 settembre 1945) ex Martinitt, orfano di entrambi i genitori, sarà il “portavoce” in aula degli imputati del nucleo storico in occasione del processo guerriglia di Torino del 1976. Uscito dal carcere dopo 30 anni di detenzione, senza avere mai usufruito neppure di un giorno di permesso, è stato nuovamente riarrestato nel 2012 nel blitz contro i “NO TAV”, richiesto dal procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli, ossia da quello stesso magistrato che lo aveva arrestato 38 anni prima.

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5. Cfr. I silenzi degli innocenti di Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, ed. BUR, 2006 6. vd. L’inferno sono altri di Silvia Giralucci, ed. Mondadori, 2011. Nel commando, oltre a Giorgio Semeria, Roberto Ognibene e Martino Serafini, vi erano due militanti che in seguito avrebbero lasciato le BR per altre organizzazioni armate: Susanna Ronconi, futura dirigente di Prima Linea, e Fabrizio Pelli, che avrebbe aderito al nuovo gruppo di Corrado Alunni. 7. Tra i manifestanti presenti quel giorno c’è anche la futura dirigente delle Brigate Rosse Barbara Balzerani. 8. Secondo il racconto di Prospero Gallinari, i primi a scendere a Roma per costituire una locale colonna erano stati Alberto Franceschini, Fabrizio Pelli e lui, ma poi il progetto verrà rimandato a causa degli arresti dell’8 settembre. 9. vd. Avete pagato caro non avete pagato tutto. La rivista Rosso (1973-1979) di Massimiliano Mita, Tommaso De Lorenzis e Valerio Guizzardi, ed DeriveApprodi, 2007 e Insurrezione di Paolo Pozzi, ed. DeriveApprodi, 2007 10. Roberto Serafini (Genova, 23 ottobre 1954), tra i principali responsabili della struttura illegale della rivista milanese Rosso sin dalle prime azioni di sabotaggio del 1974, definito da alcuni “il maestro dei novizi” perché fu lui ad iniziare alla guerriglia urbana molti studenti, tra cui Marco Barbone e Mario Ferrandi, in seguito entrerà in contatto con i clandestini Corrado Alunni e Antonio Marocco con i quali, dopo un primo arresto perché trovato con armi su un treno, militerà nelle Formazioni Comuniste Combattenti delle quali assumerà la direzione dopo l’arresto di Alunni del 1978. Dopo la fine delle FCC entrerà nella colonna Walter Alasia delle BR e verrà ucciso a Milano dai carabinieri l’11 dicembre 1980 insieme a Walter Pezzoli (Rho, Milano, 18 agosto 1957). 11. Piero Bassi (Casalpusterlengo, 17 marzo 1949), detto “il biondo”, ex studente della Statale di Milano e condannato a 21 anni e 3 mesi, fu lui nel 1972, insieme a Bertolazzi, a consenti-

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re la riorganizzazione delle BR, dando rifugio in una cascina in Pianello Valtidone nel Lodigiano a Moretti, Curcio, Cagol, Franceschini, Morlacchi, Pelli, Ognibene e Casaletti, dopo la scoperta delle basi milanesi indicate da Pisetta. Non si è mai dissociato e nel settembre del 1987 ha firmato con Cesare Di Lenardo e Franco Sinich un documento dal carcere di Cuneo contro la soluzione politica dove, rivendicando la rapina all’ufficio postale romano di Via Prati di Papa del 14 febbraio 1987, in cui furono uccisi gli agenti Rolando Lanari e Giuseppe Scravaglieri, si legge: «Dai sostenitori della soluzione politica viene espressa la tesi secondo cui la lotta armata sarebbe stata sconfitta come strategia politica e financo come pratica; che questa sconfitta avrebbe i suoi presupposti, ancor prima che nell’attacco militare portato dagli apparati repressivi dello Stato, nella sua impraticabilità politica in una società come quella italiana ormai “modernizzata”. La riflessione ci pare caratterizzata da un soggettivismo smisurato e fuori luogo che, analizzando la realtà presente delle cose a partire dal proprio bisogno di libertà, opera una lettura stravolta e capovolta degli avvenimenti e dei fattori economici, politici, militari, interni ed internazionali per giungere alla conclusione che oramai la “modernizzazione” avrebbe risolto tutti i problemi di fondo dell’occidente». Roberto Ognibene (Reggio Emilia, 12 agosto 1954), il più giovane tra i brigatisti del nucleo storico proveniente dal gruppo Reggio Emilia e figlio di un politico socialista, condannato per l’omicidio di Maritano, verrà gravemente ferito nel corso della rivolta del carcere di Nuoro del 1980. In seguito dissociatosi ha sposato la ex Br Nadia Mantovani. È uno dei tre protagonisti del citato Il sol dell’avvenire. 12. Per questo omicidio verrà ritenuto responsabile con sentenza definitiva quale mandante morale Toni Negri.

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1975 Esce “Born to run” di Bruce Springsteen e “Il Padrino parte 2” di Coppola vince l’Oscar. In Italia la Juventus vince lo scudetto e la sconosciuta Gilda vince Sanremo con “Ragazza del sud”.

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Il 2 febbraio a Torino le BR fanno incursione alla Singer. Il 12 febbraio a Bellinzona, in Svizzera, viene arrestato Pierino Morlacchi e successivamente, a Milano, Vincenzo Anastasi. Il 18 febbraio un commando BR guidato da Mara Cagol (e composto da Attilio Casaletti1, Pierluigi Zuffada, Tonino Paroli, Fabrizio Pelli e Mario Moretti) “occupa” il carcere di Casale Monferrato e riesce a liberare Renato Curcio. Per più di due mesi i brigatisti avevano studiato il piano per l’evasione: l’esterno e l’interno del carcere, la posizione dei fili del telefono e, soprattutto, vie e stradine per fuggire dopo l’azione e raggiungere, evitando i posti di blocco, la Liguria. Alcuni giorni prima della liberazione di Curcio avevano inoltre rubato una decina di macchine, poiché nella strada in cui avevano deciso di fuggire era presente un passaggio a livello, che sarebbe stato chiuso al momento dell’evasione, ed era quindi necessario attraversare i binari a piedi e salire su altre macchine. L’azione avviene nel pomeriggio di martedì, giorno di visita all’interno del carcere; il giorno prima i bri-

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gatisti avevano avvertito Curcio del loro arrivo con un telegramma che diceva «sta arrivando il pacco». Alle 16,15 circa, due auto, secondo le testimonianze riportate il giorno dopo su La Stampa, si fermano vicino al carcere, in via Leardi. Scendono un uomo e una donna, poi identificata in Margherita Cagol. La donna suona al campanello, annunciando di dover consegnare un pacco; quando l’agente di custodia apre la porta, si trova un mitra puntato allo stomaco. Subito dopo arrivano altri tre uomini, con una scala, che tagliano i fili del telefono a tre metri di altezza. La guardia viene costretta a chiamare il maresciallo, dal quale si fanno aprire tutte le porte fino alla cella di Curcio. Quella di Renato Curcio fu la seconda evasione di un militante politico di quegli anni. Nove giorni prima c’era stata quella del nappista Pasquale Abatangelo, che il 9 febbraio era fuggito dal carcere Le Murate a Firenze. In seguito vi saranno quelle di Martino Zichittella (20 agosto 1976) da Lecce, Prospero Gallinari (2 gennaio 1977) da Treviso, Antonio Marocco (5 gennaio 1977) da Fossombrone, Franca Salerno e Maria Pia Vianale (22 gennaio 1977) da Pozzuoli, Antonio Savino (2 giugno 1977) da Forlì, Alfeo Zanetti, Enzo Caputo e Emanuele Attimonelli (26 giugno 1977) da Asti, Daniele Lattanzio, di nuovo Emanuele Attimonelli e Giorgio Zoccola (12 marzo 1979) da Le Nuove di Torino, Daniele Bonato e di nuovo Antonio Marocco (28 aprile 1980) da Milano, Paolo Ceriani Segrebondi (24 maggio 1980) da Parma, Diego Forastieri (18 novembre 1980) da Piacenza, Cesare Maino (6 febbraio 1981) da Parma, Cesare Battisti (4 ottobre 1981) da Frosinone, Susanna Ronconi, Federica Meroni, Loredana Biancamano e Marina Premo-

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li (3 gennaio 1982) da Rovigo, Massimo Carfora e Dario Faccio (1983) da Piacenza, Calogero Diana e Giuseppe Di Cecco (23 settembre 1986) da Novara e di nuovo di Giuseppe Di Cecco (16 dicembre 1987) da Fossombrone. La risposta dello Stato sarà l’istituzione di carceri speciali e di massima sicurezza per i detenuti politici. Il 26 febbraio, a Milano, le BR fanno irruzione alla IDI. Il 27 febbraio, a Zehlendorf, il Movimento 2 giugno sequestra il candidato della Cdu Peter Lorenz e ottiene la scarcerazione di 6 militanti. 11 marzo: muore a Napoli il nappista Vitaliano Principe, mentre sta confezionando un ordigno esplosivo nel proprio appartamento ed il 22 maggio durante una manifestazione sul tetto del manicomio giudiziale di Aversa (CE) muore, sempre per l’esplosione di un ordigno, un altro nappista: Giovanni Taras. Il 19 marzo viene arrestata a Zurigo l’anarchica tedesca Petra Krause, per la cui liberazione si mobiliterà Soccorso Rosso. Estradata in Italia il 5 agosto del 1977, presso il carcere di Pozzuoli, il 28 agosto verrà scarcerata per l’aggravarsi delle condizioni di salute. Ma nel 1975 è l’intero paese Italia che sta cambiando e che si sta dirigendo sempre di più verso una collettiva ribellione generazionale che i politici di mestiere, ma in generale “gli adulti”, non saranno in grado né di comprendere, né tanto meno di intercettare.

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Le “Giornate di aprile” del 1975 registrano nelle piazze italiane un clima a dir poco incandescente: manifestazioni, scontri e agguati di natura politica si susseguono con una frequenza ed una metodicità che crescerà per tutto un biennio, fino al terremoto sociale del ‘77. Alle morti dei giovani studenti di destra Mikis Mantakas a Roma e Sergio Ramelli a Milano fanno seguito, sempre a Milano, quelle di Claudio Varalli (giovane esponente del Movimento Studentesco), dell’insegnante Giannino Zibecchi del Comitato antifascista e, quindi, di Roberto Brasili. Il dirigente di Lotta Continua Tonino Miccichè viene ucciso a Torino da una guardia giurata; Rodolfo Boschi, militante del PCI, cade a Firenze il 19 aprile per mano della polizia e il 17 giugno muore a Napoli, colpita da una molotov lanciata da neofascisti contro un corteo del PCI, Jolanda Paladino. Il 14 aprile viene messo in atto il sequestro di Carlo Saronio, seguito da lì a poco dalla morte di Alceste Campanile il 12 giugno. Si tratta di due episodi “particolari” che ad un dato momento parevano anche intrecciarsi tra loro, e se sul secondo è a lungo gravato il sospetto di una morte causata da “compagni”, poi definitivamente esclusa dalle confessioni del neo-fascista Bellini, per il primo è stata giudizialmente accertata la responsabilità del già citato Carlo Fioroni (detto “il professorino”), personale amico di Carlo Saronio. Carlo Fioroni (Cittiglio, 18 giugno 1943) nel 1979 sarà il primo “pentito” della storia della lotta armata (prima di Peci), visto che dal carcere di Matera dove era recluso addebiterà falsamente a Toni Negri pro-

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prio la responsabilità della morte di Saronio, accusa dalla quale Toni Negri verrà assolto in sede di appello dopo tanti anni, quando ormai era riparato a Parigi2. A questo punto è necessario interrompere momentaneamente questa cronologia del 1975, per dare spazio ad un capitolo che potrà farci meglio comprendere quello che nel prossimo futuro accadrà in Italia. La grande insurrezione armata di quegli anni non è stata, contrariamente a quanto oggi in molti potrebbero essere indotti a pensare, un monopolio quasi esclusivo delle sole Brigate Rosse, anzi. Le Brigate Rosse sono state di gran lunga l’organizzazione armata più duratura ed anche quella che, almeno nei primi anni, pareva seguire più di altre un progetto strategico ben preciso e finalizzato ad una vera e propria “rivoluzione”, nel significato più storico del termine, ma intorno ad essa il fermento di una ribellione collettiva di un largo strato generazionale del nostro paese si rappresentava in tante e diverse forme e in larga misura antitetiche a quelle stesse BR. Le Brigate Rosse, per usare le parole di Prospero Gallinari, sono state anche loro «figlie di quel clima» diffuso che ha attraversato il paese dal passaggio della decade 60/70 fino agli inizi degli anni ‘80 di cui si diceva all’inizio, e che ha generato anche un importante percorso armato del tutto alternativo a quello delle BR e di matrice assai poco marxista e leninista e molto più spontaneista ed “autonomo”. Questo avvenne in alcune città italiane e, in particolare a Milano, Padova, Bologna e Roma, ed è un percorso che in qualche modo collega in un filo sottile ma coerente la nascita di quelle tante prime sigle extra PCI del finale degli anni sessanta alla creazione

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prima di Potere Operaio e quindi di Autonomia Operaia, passando per lo scioglimento di Lotta Continua del 1976 ed il “Movimento del Settantasette” fino alle innumerevoli organizzazioni armate extra BR del finale degli anni settanta. Per meglio capire quel complesso percorso insurrezionale che nasce a Milano nel violento passaggio tra le due decadi, può essere utile leggere il resoconto della militanza di Francesco Bellosi, pubblicato nel libro Insurrezione armata, di Aldo Grandi, ed. BUR, 2005. Cecco Bellosi (Isola Comacina, 9 settembre 1948) cresce a a Colonno, un paesino sul lago di Como al confine con la Svizzera, battuto dai contrabbandieri in cerca di confine ma anche di grandi tradizioni partigiane, e di cui per tanti anni è stato apprezzato Sindaco il di lui padre, di antica fede socialista. Il giovane Francesco percorre una dopo l’altra tutte quelle tappe che in quegli anni hanno condotto molti giovani di allora all’appuntamento con quella storia che qui viene raccontata. Si iscrive alla federazione della FGCI del paese, partecipa insieme a molti altri volontari agli aiuti per la popolazione fiorentina flagellata dalla alluvione del 1966 e nel 1967 si iscrive alla Statale di Milano, dove nel 1968 prende parte alla prima occupazione organizzata dal MS di Capanna e Cafiero e ai successivi scontri di piazza del “sessantotto”. Nell’estate del 1969 incontra in Calabria Oreste Scalzone, che sta tenendo dei seminari sulle lotte operaie della primavera di Torino e al ritorno decide di aderire alla neo-nata cellula milanese di Potere Operaio prendendo parte alle varie battaglie urbane che subito gli costano varie denunce, fino a quando il 12 dicembre 1969 esplode a Milano la bomba di piazza

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Fontana, con tutto quel che ne consegue. Il 30 dicembre del 1969, in piena sindrome di quel timore ormai diffuso in quasi tutta la sinistra extra-parlamentare di un imminente golpe fascista in Italia, i vertici di POTOP lo incaricano di portare oltre il confine svizzero Gian Giacomo Feltrinelli, che re-incontrerà solo dopo l’estate del 1970, allorchè era diventato il comandante dei GAP, e con il quale manterrà uno strettissimo rapporto fino al giorno della sua morte a Segrate nel 1972. Prosegue la sua militanza nella struttura illegale milanese di POTOP, dove ha modo di relazionarsi con Scalzone, Morucci, Negri, Piperno, ma anche con Fioroni e Saronio, compiendo alcune importanti azioni di sabotaggio o danneggiamento, ed è sempre lui a fare superare il confine svizzero a Grillo e Clavo dopo il rogo romano di Primavalle. Nel periodo successivo allo scioglimento di Rosolina rimane vicino a Scalzone ed al gruppo milanese di Senza Tregua, senza tuttavia aderire alla Autonomia Operaia Organizzata di Toni Negri, specificando che dopo l’arresto del 1974 di Curcio e Franceschini non ebbe più modo di incontrare nessun brigatista, e nel 1975 ritorna a Como con la moglie e la figlia, dove inizia ad insegnare. Nel passaggio 1976/1977 ristabilisce i contatti con alcuni ex compagni milanesi che, dopo lo scioglimento di Lotta Continua hanno fondato Prima Linea, ed in particolare con Sergio Segio, per il quale costituisce una sorta di struttura logistica di servizio per l’acquisto di armi oltre confine. Dopo le drammatiche conseguenze del sequestro Moro su tutta la galassia dei movimenti extra BR e, quindi, dell’operazione padovana del “7 aprile”, cerca di riorganizzarsi con alcuni amici fidati per costituire un nuovo gruppo armato quando, nel gennaio del 1980, viene arrestato anche lui nell’ambito

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dell’inchiesta 7 aprile e resta in carcere fino alla fine dell’anno. Quando esce, all’inizio del 1981, si trova davanti alla duplice ed alternativa opzione di entrare con la propria squadra nel neo-gruppo di Sergio Segio, seguito allo scioglimento di Prima Linea, o nella colonna milanese della Walter Alasia, ormai del tutto autonoma dalle Brigate Rosse, e la maggioranza dei suoi opta per la seconda scelta. La militanza nella Alasia, dove ha modo di approfondire i rapporti con la dirigente Pasqua Aurora Betti, di cui conserva un ottimo ricordo, si conclude con il definitivo arresto del 19 giugno 1982 ed ha inizio la trafila di tutti i vari speciali di quegli anni, dove un giorno gli viene richiesto dai brigatisti di uccidere Toni Negri, fatto che lo induce a chiedere di essere messo in cella con detenuti “comuni”. Condannato in primo grado a 20 anni, ridotti in appello a 12 e mezzo, non si è mai dissociato ed è uscito dal carcere nel 1990; da allora si occupa di malati di AIDS, prima per la comunità “Il Gabbiano” e quindi per la società Lilia (la Lega italiana per la lotta all’Aids), di cui nel 1991 è stato tra i soci fondatori. Ha collaborato all’Annuario sociale e al Rapporto sui diritti globali 2003 (Edizioni Ediesse) e ha pubblicato Piccoli Gulag per DeriveApprodi e Con i piedi nell’acqua per Milieu. Riprendiamo ora la cronologia del 1975. Ad aprile viene distribuito il documento della Direzione strategica delle BR (l’ultimo elaborato con il contributo di Renato Curcio), dove compare per la prima volta il celebre acronimo SIM, Stato Imperialista delle Multinazionali, indicato come bersaglio della futura azione del partito armato.

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Il 2 maggio, a Torino, vengono arrestati Tonino Paroli e Arialdo Lintrami3. Nel corso di una intervista a Carlo Lucarelli, Tonino Paroli (Cassina, 17 gennaio 1944) racconta gli anni difficili della sua clandestinità in una città che non conosceva; oggi Paroli, che non si è mai dissociato e che reagisce con una certa veemenza all’appellativo di “ex terrorista”, che rifiuta («io ho fatto la lotta armata che è ben diverso, i terroristi sono quelli che lanciano le bombe e che colpiscono obiettivi indiscriminati»), fa il pittore a Reggio Emilia ed è uno dei tre protagonisti del già citato film-documentario di Fasanella e Pannone Il sol dell’avvenire, che rievoca 30 anni dopo quel citato convegno alla Trattoria da Gianni di Costaferrata del 1970, dove sostanzialmente nacquero le BR, e che proprio lui, Paroli, aveva messo a disposizione dei compagni venuti anche da altre parti d’Italia, in quanto personale amico dei gestori. Il 15 maggio, a Mestre, le BR attaccano la sede della DC e a Torino incendiano diverse auto di dirigenti Fiat. Sempre il 15 maggio, avviene a Milano il primo ferimento intenzionale delle BR, ai danni dell’emergente leader democristiano Massimo De Carolis, capo della cosiddetta maggioranza silenziosa di destra. Il 22 maggio, in risposta a quella che viene definita la “stagione dell’emergenza”, lo Stato introduce la famigerata (e che sarà oggetto di referendum abrogativo proposto dai radicali) legge Reale, n. 152, che impone misure più restrittive in materia di libertà e detenzione preventiva e sancisce il raddoppio delle pene nel caso di reati riconducibili all’appartenenza a gruppi armati.

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Il 4 giugno le BR sequestrano, per la prima volta con finalità di autofinanziamento, l’industriale Vallarino Gancia, che viene portato alla Cascina Spiotta di Arzello in Piemonte, un luogo scelto anni prima da Mara Cagol e che negli anni era diventato uno dei ritrovi preferiti dai militanti delle Brigate Rosse. Nel frattempo, i carabinieri che pattugliano la zona, fermano per puro caso una 124 guidata da Massimo Maraschi4, il quale, dichiarandosi subito “prigioniero politico”, fa immediatamente capire che la base delle BR si trova nei pressi. Il giorno dopo, il 5 giugno, in un mai del tutto chiarito conflitto a fuoco, nel corso del quale muore anche l’appuntato Giovanni D’Afonso e rimane ferito il Tenente Umberto Rocca, resta uccisa Margherita Cagol e viene liberato l’ostaggio. Mara Cagol è dunque la prima vittima tra i militanti delle BR 5. Un mese dopo, e precisamente l’8 luglio, a Tor di Quinto (Roma), viene brutalmente uccisa dalla polizia una seconda militante armata, la nappista Anna Maria Mantini (Fiesole, 11 aprile 1953), sorella di quel nappista Luca, morto l’anno prima a Firenze, durante una fallita rapina6. In questo clima infuocato, alle elezioni regionali del 15 giugno, il PCI arriva per la prima volta nella sua storia a toccare il 33% dei consensi, a fronte del 35% della DC, ed è ormai ovvio per tutti che il PCI di Enrico Berlinguer si candida ad essere a breve forza di governo. È proprio nell’estate del ‘75 che le BR cominciano a progettare quella che passerà poi alla storia come l’Ope-

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razione Fritz, che si concretizzerà tre anni più tardi con il sequestro dell’on. Aldo Moro. In questo frangente, secondo la testimonianza di Valerio Morucci e di Franco Bonisoli, viene deciso di aprire una base romana per preparare i futuri possibili obiettivi contro alti esponenti della DC, da loro inizialmente individuati in Giulio Andreotti e Amintore Fanfani. Nel mese di dicembre Mario Moretti e Carla Brioschi7 stipulano a Roma il contratto d’affitto della casa di via Gradoli 96 con Luciana Bozzi in Ferrero sotto il falso nome di Ing. Mario Borghi di Genova8, dove Mario Moretti unitamente a Barbara Balzerani andrà ad alloggiare durante i primi 30 giorni del sequestro Moro. Il 19 giugno, a Torino, avviene da parte delle BR la prima “gambizzazione” di un capo-reparto Fiat; si tratta di Paolo Fossat, dell’impianto di verniciatura di Rivalta. Il 15 luglio le BR rapinano la Banca Popolare Agricola di Lonigo (Vicenza). Il 7 ottobre, a Milano, le BR feriscono l’agente di custodia Cosimo Vernich. L’8 ottobre le BR rapinano la Cassa di Risparmio di San Martino (GE). Il 21 ottobre, a Torino, le BR sequestrano Enrico Boffa, dirigente della Singer. Il 22 ottobre, a Genova, le BR sequestrano Vincenzo Casabona, capo del personale Ansaldo.

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Il 29 ottobre, a Milano, le BR fanno incursione nel centro studi di Confindustria9. Il 22 novembre, a Roma, durante una manifestazione di protesta davanti alla ambasciata dello Zaire, a sostegno degli abitanti dell’Angola, viene ucciso dagli agenti delle forze dell’ordine il giovane militante di Lotta Continua Piero Bruno. Nel dicembre dell’anno successivo, i tre responsabili (i carabinieri Pietro Colantuono e Saverio Bossio ed il poliziotto Romano Tammaro) verranno archiviati dal giudice istruttore con la seguente ordinanza: «se per la difesa dei superiori interessi dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti ad una reazione proporzionata alla offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni ma non si possono ignorare fondamentali principi di diritto. La colpa della perdita di una vita umana è da ascrivere alla irresponsabilità di chi, insofferente della civile vita democratica, semina odio tra i cittadini”.10 Il 10 dicembre, a Milano, le BR attaccano la caserma dei carabinieri di via Montecatini. Il 17 dicembre, a Torino, le BR gambizzano Luigi Solera, medico della Fiat. Frattanto, tra giugno e dicembre, gli arresti tra le fila delle BR continuano in maniera costante e cadono nelle mani delle forze dell’ordine Pierluigi Zuffada11 e Attilio Casaletti, la sessantatreenne Cesira Carletti12, Paola Besuschio13, Carlo Picchiura e Luigi Despali14, Umberto Fagioli e Fabrizio Pelli15.

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NOTE 1. Attlio Casaletti di Reggio Emilia, operaio metalmeccanico, condannato a 16 anni, si è pentito nel 1982. 2. Cfr. Pentiti di niente di Antonella Beccarla, ed. Stampa Alternativa, 2008. 3 Arialdo Lintrami (Milano, 12 novembre 1947), studente sposato con un figlio e dipendente della Breda Cucine, deceduto a Imperia il 13 maggio 2007. Il suo nome verrà fatto tanti anni dopo dal controverso Ermanno Buzzi (neofascista accusato dell’attentato del 28 maggio di Piazza della Loggia a Brescia), sulla cui agenda sequestrata dagli inquirenti risultava annotato al giorno 30 maggio 74 il numero della casa milanese di sua madre. Buzzi ha sostenuto di aver fatto un viaggio con Lintrami il 30 maggio ‘74 e di essere uscito a Fano Romano per incontrare Esposti (che viene ucciso proprio quel giorno), ma di essere rientrato. Di questo viaggio non c’è mai stato alcun riscontro, ma nell’agenda di Gianadelio Maletti, ex numero due del SID, cittadino sudafricano, il 30 maggio 1974 c’è un appunto particolare “un nero oltre a un BR”. «Non ne so nulla, ma lo escludo», dichiarerà in aula Carmela Bandera, bresciana di origine, vedova di Lintrami, chiamata a testimoniare dai pm al processo a carico di Carlo Maria Maggi + altri. «La mattina della strage non eravamo a Brescia, dove vivevano i miei genitori: io, mio marito e nostro figlio arrivammo il giorno dopo. Me lo confermò anche mio fratello anni dopo: ricordo che a lui chiesi conto della terribile tragedia». 4. Maraschi verrà condannato a 30 anni di reclusione dalla Corte di Assise di Alessandria e il 5 gennaio 1977 verrà gravemente ferito dalle guardie nel corso di un’evasione di sei detenuti dal carcere di Fossombrone, in cui riuscirono a scappare in quattro, tra cui il futuro fondatore delle Formazioni Comuniste combattenti Antonio Marocco. 5. Margherita Cagol (Trento, 8 aprile 1945): iscritta alla facoltà di sociologia di Trento, frequentata in quegli anni anche da

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Mauro Rostagno e Marco Boato, il 29 luglio 1969 si laurea con il prof. Alberoni, saluta tutti con il “pugno chiuso” e due giorni dopo, il 1° agosto, si sposa in chiesa alle 5.30 di mattina con Renato Curcio presso il santuario di San Romedio (testimone dello sposo Vanni Mulinaris) per trasferirsi subito con lo stesso a Milano, e l’anno dopo fondare, insieme ad Alberto Franceschini, le Brigate Rosse. “Mara” Cagol è da sempre uno dei “personaggi” più studiati e commentati dell’intera storia della lotta armata e si consiglia la lettura di Nome di battaglia Mara di Stefania Podda, ed. Sperling&Kupfer, 2007. Di lei ne ha fornito a Sergio Zavoli un ritratto anche molto commovente l’ex compagno di università Marco Boato, e sempre a lei è stata di recente dedicata una interessante piece teatrale tratta principalmente dalle lettere che fino all’ultimo ha continuato a scrivere alla sua famiglia. Ne riporto l’estratto di una tra le tante, che fa riferimento alla morte di Fabrizio Ceruso, e che mi pare significativa per cercare di comprendere le ragioni della sua tragica scelta: «Cari genitori, vi scrivo per dirvi che non dovete preoccuparmi troppo per me. […] Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combattere questo potere borghese ormai marcio continuare la lotta. Non pensate per favore che io sia un’inco...sciente. Grazie a voi sono cresciuta istruita, intelligente e soprattutto forte. E questa forza in questo momento me la sento tutta. È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l’ha data alla Resistenza nel ‘45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo Stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano. In questi giorni hanno ucciso con un colpo di pistola un ragazzo, come se niente fosse, aveva il torto di aver voluto una casa dove abitare con la sua famiglia. Questo è successo a Roma, dove i quartieri dei baraccati costruiti coi cartoni e vecchie latte arrugginite stridono in contrasto alle sfarzose residenze dell’Eur. Non parliamo poi della disoccupazione e delle condizioni di vita delle masse operaie nelle grandi fabbriche della città. È questo il risultato della “rico-

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struzione”, di tanti anni di lavoro dal ‘45 ad oggi? Sì, è questo: sperpero, parassitismo, lusso sprecato da una parte e incertezze, sfruttamento e miseria dall’altra. […] Oggi, in questa fase di crisi acuta occorre più che mai resistere affinché il fascismo sotto nuove forme “democratiche” non abbia nuovamente il sopravvento”. 6. Il 9 febbraio 1976 un commando dei NAP, per vendetta, ferisce gravemente a Roma il brigadiere Antonio Tuzzolino, responsabile della morte di Anna Maria Mantini, che rimarrà paralizzato e, sempre a Roma, il 15 maggio 1976, il magistrato Paolino Dell’Anno accusato di avere nascosto la verità sulla morte di Anna Maria Mantini. 7. Carla Maria Brioschi (Monza, 19 febbraio 1952), componente dell’esecutivo ed in seguito dirigente della Walter Alasia, condannata all’ergastolo nel processo Moro, dove prenderà la parola una sola volta, per denunciare la scomparsa nel covo milanese di Via Montenevoso, scoperto il 1 ottobre 1978, di 50 milioni del sequestro Costa e di alcune pagine del memoriale di Moro. Non si è mai dissociata ed ha ottenuto l’11 ottobre 2008 la liberazione condizionale dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. 8 Per unanime dichiarazione ex post, tra tutte le leggi speciali proclamate in quegli anni dallo Stato contro l’emergenza “terrorismo” quella che si rivelò di gran lunga la più ostica per i militanti clandestini fu quella che impose la registrazione di tutti i contratti di affitto e che rese molto arduo da quel momento reperire nuovi alloggi. 9. Si tratta della prima azione cui partecipa il futuro “pentito” Patrizio Peci, che riferirà che insieme a lui facevano parte del commando Silvia Rossi Marchesa, all’epoca moglie di Vincenzo Guagliardo, Giorgio Semeria ed un altro operaio di cui non ricorda il nome. 10. Cfr. Gli occhi di Piero, di Massimliano Coccia, ed. Alegre, 2006. 11. Delegato di fabbrica alla Sit-Siemens, arrestato nella base di Baranzate di Bollate.

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12. Cesarina Carletti (Torino, 24 agosto 1912), titolare di un banco a Porta Palazzo a Torino, era conosciuta da tutti come Nonna Mao, perché al collo teneva una collanina dorata alla quale aveva appeso una piccola falce e martello. Figlia di un operaio anarchico ucciso di botte il 29 maggio 1940 dai fascisti della casa Littoria, era stata partigiana nelle valli di Lanzo nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Ferita il 10 dicembre 1943 a Mezzenile: «... siccome io avevo un odio terribile perché avevano ammazzato mio padre, ho fatto una sventagliata con il mitra e mi sono tirata su di scatto e... m’han colpita»; fu torturata per cinque giorni nella “casa littoria” e quindi trasferita nella caserma di via Asti, dove continuarono le torture e i durissimi interrogatori. Consegnata dai fascisti ai tedeschi presso il cui quartier generale venne ancora torturata, trascorse sette mesi alle “Nuove” e quindi la sua originaria condanna a morte fu tramutata nella deportazione nel lager tedesco di Ravensbruck. Entrata in rotta di collisione con i dirigenti del partito comunista, venne in contatto con Lotta Continua e Potere Operaio partecipando alla grande manifestazione di Corso Traiano: «...qui finalmente è arrivata la rivoluzione, perché una cosa come Corso Traiano... io non la vedrò mai più, una cosa così bella, mai più...», ricordò. Arrestata come sospetta brigatista per essere stata trovata in possesso di alcuni volantini e per la sua amicizia con Alfredo Buonavita, venne scarcerata due giorni dopo ed assolta al termine del processo di Torino. Cesarina Carletti è morta a Torino il 29 gennaio 1988. 13. Paola Besuschio (Verona, 15 novembre 1948), proveniente dall’università di sociologia di Trento insieme a Curcio e quindi dalla Simens con Moretti e Semeria, viene arrestata e ferita il 30 settembre a Altopascio (FI) e condannata a 15 anni. Nel 1978 assurgerà involontariamente agli onori della cronaca durante la trattativa per la liberazione di Moro, giacchè sembrava che il “cervellone” del Viminale avesse individuato in lei l’unica detenuta “liberabile” dallo Stato, ma poi, come lei stessa ebbe modo

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di ricordare nel corso della propria intervista a Sergio Zavoli, finì con lo scontare interamente la propria pena. 14. Nel conflitto a fuoco del 4 settembre che determina la loro cattura, muore a Ponte del Brenta l’appuntato Antonio Niedda. Carlo Picchiura (Brescia, 31 gennaio 1950), detto “Picchio”, studente di filosofia, tra i fondatori della colonna veneta delle BR, dopo avere fatto parte del gruppo Ferretto di Mestre, verrà condannato a 26 anni di reclusione e sarà tra i protagonisti della rivolta nel carcere di Trani del dicembre del 1980. Il 25 agosto 2013 è morto a Bologna per sclerosi amiotrofica. 15. Fabrizio Pelli (Reggio Emilia, 11 luglio 1952), anche lui reggiano proveniente dal gruppo dell’appartamento, morirà in carcere quattro anni dopo l’arresto, l’8 agosto 1979, per una grave forma di leucemia. Così lo ricorda Renato Curcio in Gli sguardi ritrovati da Il Progetto Memoria: «Ho conosciuto Fabrizio, Bicio per gli amici, nel 1969. Aveva 17 anni ma, a Reggio Emilia, già da tempo aveva fatto parlare di sé. “Per un colpo di flobert indirizzato ai glutei di un politico del partito liberale”, mi dissero, tra l’ammirato e l’ironico i suoi compagni di allora. Non aveva ancora 18 anni quando venne a Milano con tutte le sue curiosità per la metropoli. Ma ciò che veramente lo spingeva, in verità era una cosa sola: l’impegno militante a fianco di studenti e operai, di chiunque in qualsiasi modo lottasse, per cambiare le cose. Si sentiva un po’ anarchico ma il fascino della rivoluzione bolscevica era su di lui così potente che trascorreva infinite notti a leggere, oltre ai testi canonici, qualsiasi saggio, opuscolo, libello che in qualche modo potesse arricchire le sue conoscenze. E se qualcuno per caso citava un’opera che gli era sfuggita, s’infuriava, non sembrandogli lì per lì possibile che quell’opera esistesse veramente. Se non era a volantinare, in qualche manifestazione o a organizzare qualche azione di lotta, potevi star sicuro che il suo tempo era speso in letture, politiche, s’intende. Una dedizione totale, senza mezze misure. Senza concedere a se stesso nemmeno gli spazi dell’esplorazione della vita. Quando entrò

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nella lotta armata, nel 1971, se non era il più giovane certo si contendeva il primato. Proprio in relazione alla sua giovanissima età, con altri due compagni ci chiedemmo se fosse il caso di accoglierlo nella vita clandestina che, per ovvie ragioni, non è tra le più permissive. Ma a Bicio il carattere non faceva difetto e non ne volle sapere di tutti gli argomenti che gli mettevamo davanti per dissuaderlo. Era molto orgoglioso e un po’ testardo. Capitava così che non accettasse di buon grado che altri gli insegnassero qualcosa. Ricordo che una volta si infuriò con un militante: non ritenendolo adeguatamente colto in dottrina marxista, gli negava il diritto di insegnarli a guidare l’automobile. L’altro, naturalmente, lo mollò giù dalla macchina, in piena campagna, dicendogli “Beh, ora vado a studiare, tu raggiungimi a piedi!”. Quando, nel 1975, dopo l’evasione da Casale, lo incontrai di nuovo, a Milano, Fabrizio si era innamorato. Nella sua vita era la prima volta. E il calore di questa nuova e magnifica esperienza scioglieva tumultuosamente tutte le sue rigidezze. Della sua proverbiale rigorosità, in quei giorni non rimase traccia. A metà della riunione più delicata, lui si alzava e borbottava “Scusate…”, in pieno candore se ne andava a telefonare. Alla vita clandestina il suo stato di grazia causò qualche problema, ma alla sua vita personale certo fece un gran bene. Ho appreso la notizia del suo arresto alla radio, pochi giorni prima di essere a mia volta arrestato. L’ultimo nostro incontro, dunque, avvenne in carcere, all’Asinara. Alcune divergenze politiche che poco prima del suo arresto lo avevano portato a distaccarsi dalle Brigate Rosse non avevano in alcun modo intaccato il nostro affetto. I giorni trascorsi nella stessa cella, al bunker dell’isola, furono così pieni di confidenze sulla nostra vita privata. Giocammo a scacchi – costruiti con la mollica di pane – ridendocela a più non posso sul nostro incontro qualche anno prima, con quel gioco, nel tempo della clandestinità, a Torino. Sull’onda del duello tra Carpov e Fisher Bicio aveva deciso di “sapere tutto” sugli scacchi, proprio come qualche anno prima aveva fatto con la rivoluzione bolscevica. S’era quindi comperato

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una scacchiera, tanti libri, riviste e s’era sprofondato nello studio. Venne finalmente il giorno della prima prova. Si sentiva pronto e col sorriso diceva: adesso ti faccio vedere… Ci provai col fatidico “scacco del barbiere”: scacco matto in pochissime mosse. E la sua inesperienza ebbe la peggio. Come al solito andò su tutte le furie e per un bel po’ di tempo di scacchi preferimmo non parlarne più. All’Asinara mi disse anche dei malori che poco dopo lo portarono, rapidamente, alla morte. Ma di cosa effettivamente si trattasse, in quel carcere senza alcuna servizio medico, non fu possibile stabilirlo. Non si lamentò mai delle mancate cure: per lui era scontato. E anche questo, ricordando Bicio, non può essere più dimenticato».

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1976 Esce “Desire” di Bob Dylan e “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman vince l’Oscar. In Italia il Torino vince lo scudetto e Peppino di Capri vince Sanremo con “Non lo faccio più”.

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Il 12 gennaio: la lotta dei Proletari in divisa. In quasi tutte le caserme del Nord Italia moltissimi soldati scendono in sciopero bianco contro i trasferimenti. È solo il primo episodio di lotta di un anno che vedrà numerose iniziative tra i militari: volantinaggi, interventi pubblici, cortei e scioperi del rancio. Il 13 ed il 14 gennaio le BR attaccano due caserme dei carabinieri a Quarto Oggiaro (MI) e a Genova, distruggendo alcuni mezzi militari, ed il 1 marzo danno l’assalto ad una caserma di Rho1. Il 18 gennaio vengono arrestati in poche ore Angelo Basone2, Vincenzo Guagliardo3, Silvia Rossi Marchesa, Giuliano Isa (Todi, 6 giugno 1952), Adriano Colombo e Antonio Morlacchi, e in un appartamento milanese di via Maderno nuovamente e definitivamente Renato Curcio insieme a Nadia Mantovani4. La morte di Margherita Cagol, l’arresto definitivo di Renato Curcio, e due mesi dopo (22 marzo) di Giorgio Semeria5 alla stazione centrale di Milano (il brigadiere Benito Atzori gli spara un colpo di pistola alla schiena, che in un primo momento lo fa ritenere morto), determinano la definitiva ristrutturazione del partito armato, e si delineano così le “nuove Brigate

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Rosse”, con la dirigenza di Mario Moretti, Lauro Azzolini e Franco Bonisoli.6 A Primavera, secondo il progetto dell’operazione Fritz, Moretti e Bonisoli scendono nella capitale per perfezionare i contatti con Valerio Morucci, Adriana Faranda e Bruno Seghetti, esponenti di punta del “movimento romano”.7 Il 25 marzo si tiene a Milano una imponente manifestazione degli autonomi e un gruppo legato alla rivista Rosso irrompe armi in pugno nella sede della Confapi di via Mozart, devastandola. Il 7 aprile, il militante di estrema sinistra Mario Salvi viene ucciso a Roma dall’agente di custodia Domenico Velluto, mentre partecipa a una manifestazione contro la sede del Ministero di Grazia e Giustizia. Il 14 aprile, a Torino, Giuseppe Borello capo-reparto a Mirafiori viene ferito dalle BR. Il 21 aprile, a Roma, il Presidente della Unione Petroliferi Italiani Giovanni Theodoli viene ferito da un commando delle Formazioni Comuniste Armate8. Il 26 aprile, a Milano, le BR feriscono il Presidente dei medici mutualisti Roberto Anzalone. Il 27 aprile, a Milano, viene ucciso Gaetano Amoroso, aggredito in via Uberti insieme ad altri compagni del Comitato Rivoluzionario Antifascista di Porta Venezia da un gruppo di fascisti (Cavallini, Folli, Cagnani, Pietropaolo, Terenghi, Croce, Fraschini, Forcati), tutti provenienti dalla sede del MSI di via Guerrini.

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In risposta il 29 aprile, a Milano, viene assassinato il consigliere missino Enrico Pedenovi; l’omicidio Pedenovi non verrà mai rivendicato, ma in sede giudiziaria verrà attribuito a militanti dell’estrema sinistra gravitanti intorno a quell’area che poi confluirà in Prima Linea (Bruno Laronga, Enrico Galmozzi e Giovanni Stefan). Il 17 maggio, a Torino, davanti alla Corte di Assise di Torino presieduta dal dr. Barbaro, si apre il primo processo contro la banda armata denominata “Brigate Rosse”. Gli imputati all’inizio sono 23, undici dei quali detenuti: Piero Bassi, Pietro Bertolazzi, Alfredo Buonavita, Renato Curcio, Valerio De Ponti, Paolo Maurizio Ferrari, Alberto Franceschini, Prospero Gallinari, Arialdo Lintrami, Roberto Ognibene, Tonino Paroli. Sin dalla prima udienza gli imputati revocano i propri difensori di fiducia e dichiarano di rifiutare la difesa d’ufficio, minacciando in caso contrario vendette e dando vita al cosiddetto processo guerriglia, mutuato dalla precedente esperienza dei ribelli algerini processati in Francia9. Si tratta di una vera e propria azione rivoluzionaria compiuta da “dentro”, ossia una ribellione dei prigionieri volta ad impedire allo Stato l’esercizio della giurisdizione, in strategica sinergia con le azioni di attacco compiute dai compagni “fuori”10. Il 28 maggio al termine di un comizio del missino Sandro Saccucci a Sezze Romano (LT) un gruppo di manifestanti spara a Luigi Di Rosa, militante della FGCI, uccidendolo.

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L’8 giugno, a Genova, si compie l’assassinio del procuratore Generale Francesco Coco e della sua scorta (il brigadiere Giovanni Saponara e l’appuntato Antonio Deiana). È il primo omicidio premeditato delle BR11. Prospero Gallinari, che lesse il comunicato in aula a nome di tutti gli imputati, e Alberto Franceschini, intervistato nel DVD Avvocato!, di Melano e Bronzino, hanno dichiarato di avere rivendicato quell’omicidio dalle gabbie prima ancora di avere la certezza che fossero effettivamente state le BR. Il processo viene dunque rinviato all’anno successivo dove, come si vedrà, dovrà subire un ulteriore rinvio, per quindi definitivamente concludersi solo il 23 giugno 1978 con 29 condanne e 16 assoluzioni (nel frattempo si erano aggiunti altri imputati)12. Il 14 giugno, a Roma, il commerciante di carni Giuseppe Ambrosio viene sequestrato dalle Unità Comuniste Combattenti13. “Lo uccideremo se le macellerie non venderanno manzo a 1.500 lire” (cfr. Il Corriere della Sera del 15.06.1976); l’associazione di categoria accetta le condizioni e il giorno dopo impone una vendita forzata a 71 botteghe delle borgate romane. 20 giugno: il PCI trionfa alle elezioni, perse dalla sinistra antagonista (Lotta Continua, Avanguardia Operaia, PDUP, che insieme ottengono pochi voti), e Berlinguer inaugura la scelta astensionista del PCI decidendo, per la prima volta dal 1947, di non votare contro un governo democristiano. Inizia così quel percorso politico che porterà due anni dopo i comunisti ad entrare per la prima volta nella mag-

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gioranza di un governo monocolore DC anche se questo, come si vedrà, avverrà proprio il giorno del rapimento del principale artefice di questo percorso. La frattura che si verifica nel 1976 tra il PCI e tutti i gruppi della sinistra antagonista non poteva dunque risultare più clamorosa e definitiva, e le conseguenze di tutto ciò saranno, come si vedrà, davvero devastanti per l’intera storia italiana, anche in relazione alla futura scelta della lotta armata sia da parte di alcuni brigatisti “delusi” dal PCI, sia da parte di tutti quegli “autonomi” che invece da quel PCI non avevano nulla da aspettarsi. Dal 26 al 30 giugno, al Parco Lambro di Milano si tiene la sesta festa del proletariato giovanile, organizzata dalla rivista satirica Re Nudo, diretta da Andrea Valcarenghi14, che nel ricordo di molti ha rappresentato l’anticipazione di gran parte di quello che poi sarebbe stato il successivo “movimento del settantasette”15. Il 1° settembre, a Biella, due militanti delle BR (Calogero Diana e Lauro Azzolini) a bordo di una autovettura fermata per un controllo uccidono il vice-questore Francesco Cusano. A settembre si costituisce ufficiosamente l’organizzazione comunista combattente Prima Linea (dal nome dato al servizio d’ordine di LC perché durante le manifestazioni si trovava “in prima linea”), proprio mentre a Rimini, al congresso di Lotta Continua, si conclude l’esperienza di quella che fu l’organizzazione egemone del movimento dal ‘68.

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Anche PL nasce a Milano nel bacino di fabbriche di Sesto San Giovanni, detta la “Stalingrado d’Italia”, ma del tutto diversi, rispetto alle Brigate Rosse, sono i percorsi politici dei suoi membri, gli obiettivi e le modalità operative. L’ambito di provenienza è quello dei dissidenti di Lotta Continua, di matrice “autonoma”, e legati al giornale “Senza Tregua” e a quelli che in futuro diventeranno i CoCoRi. Non prevede compartimentazione, proclama la reversibilità della lotta armata e all’inizio rifiuta la clandestinità, per mantenere una presenza nei luoghi di lavoro e nei movimenti della sinistra extraparlamentare. “Il doppio livello”, si legge nelle note di Pronto qui prima linea di Ruggiero e Renosio, «ha costituito uno dei pilastri su cui l’organizzazione è stata edificata per raggiungere l’obiettivo che si era preposto: la modifica dei rapporti di forza nella società italiana attraverso l’alterazione dei comportamenti in una visione prettamente e primordialmente anticapitalista». «Credevamo che il momento fosse rivoluzionario, cioè aperto ai cambiamenti molto radicali e non avevamo nessuna idea di rivoluzione secondo quelli che erano stati gli schemi classici di rivoluzione. L’idea che avevamo era quella di un’apertura progressiva, sempre crescente, di quelli che chiamavamo spazi di liberazione. Il nostro tema di fondo era liberarsi dalla costrizione del lavoro salariato e recuperare per tutte le persone degli spazi di vita» dirà Susanna Ronconi in Do You Remember Revolution di Loredana Bianconi. Tra i suoi principali militanti troviamo Roberto Rosso (Opedaletti IM, 1949), Enrico Baglioni (Milano, 1949), Bruno Laronga (San Severo FG, 1953), Enrico Galmozzi (Monza, 1951), Sergio Segio16 (Pola Jugoslavia, 1955), Maurice Bignami (Mevilly Francia,

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1951), Sergio D’Elia (Pontecorvo, 1952), Susanna Ronconi (Venezia, 1951), Silveria Russo (Bologna, 1951), Giulia Borelli (Novara, 1953), Maurizio Costa (Sesto San Giovanni MI, 1948), Diego Forastieri Molinari (Roma, 1950), Vincenza Fioroni (Montefalco, 1950), Maurizio Rotaris (Milano, 1954), Roberto Sandalo (Torino, 1957), Marco Donat Cattin (Torino, 1953), Massimo Libardi (Levico Terme, 1953), Liviana Tosi (Medicina, 1951), Fabrizio Giai (Torino, 1958), il bergamasco Michele Viscardi e i fiorentini Nicola e Marco Solimano. Sulla data effettiva di nascita riferisce Enrico Galmozzi, uno dei fondatori: «La prima conferenza dell’organizzazione si tenne a Marchirolo il 16 ottobre 1976, dove venne formalizzato il primo comando nazionale composto da me, Marco Scavino, Massimo Libardi, Pietro Villa e Enrico Baglioni, al quale, a seguito del suo arresto a Verbania nel 1977, subentra Roberto Rosso, mentre alla fine del 1976 a Salò si tenne la prima conferenza operaia». Sempre Galmozzi, in Noi terroristi l’ha raccontata così a Giorgio Bocca: «Già da un anno noi lavoravamo alla conquista politica dei punti nevralgici di Senza tregua emarginando gli oppositori, facendo e disfacendo, senza curarci dei restanti quattro quinti della direzione. Era Scalzone che pensava che il politico avrebbe controllato il braccio armato, ma i quadri combattenti non sopportavano padroni. Questo fu in sostanza il golpe dei sergenti». Con un documento del giugno 1983 dal titolo “Sarà che nella testa avete un maledetto muro”, firmato dal carcere di Torino, i principali militanti di PL daranno vita alla dissociazione collettiva. Per appartenenza a PL verranno inquisite 923 persone e 10 militanti gravitanti intorno a quell’organizzazione troveranno la morte

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in giovane età. Si tratta di: Romano Tognini, morto il 19 luglio 1977 nel corso di una rapina ad una armeria di Tradate (VA); Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi, uccisi da una pattuglia di Polizia il 28 febbraio 1979 a Torino all’interno del Bar dell’Angelo; Luigi Mascagni, trovato morto al Parco Lambro il 27 giugno 1979; Roberto Pautasso, morto il 14 dicembre 1979 a Rivoli (TO) durante una rapina; Giorgio Soldati, ucciso il 10 dicembre 1981 nel carcere di Cuneo; Lucio Di Giacomo, morto il 21 gennaio 1982 a Monteroni di Siena dopo una rapina; Rocco Polimeni, morto suicida a Milano il 15 luglio 1982; Gaetano Sava, morto a Milano il 17 settembre 1983 e Ciro Rizzato, morto a Parigi il 15 ottobre 1983 nel corso di una rapina. La storia del gruppo è raccontata in Il tempo del furore del Giudice Luigi Guicciardi, che aveva scritto la sentenza del processo milanese di Appello, Il mucchio selvaggio di Giuliano Boraso, Miccia corta e Una vita in prima linea di Sergio Segio, dal primo dei quali è stato tratto il film La prima linea di Renato De Maria, e Pronto qui Prima Linea di Michele Ruggiero e Marco Renosio. Ad ottobre scoppia in Italia lo “scandalo Lockheed”, che disvela il pagamento di cospicue tangenti pagate dalla multinazionale americana ad intermediari e componenti del Governo italiano. Una commissione parlamentare, appositamente costituita dopo essersi recata in America, dichiara ufficialmente aperta l’inchiesta nei confronti dei deputati in carica Rumor, Gui e Tanassi. Il fatto determinerà due anni dopo anche le dimissioni del Presidente della Repubblica Giovanni Leone.

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Il 15 ottobre a Torino avviene l’irruzione, firmata Squadre proletarie armate, di un commando di 5 persone nel Centro studi Donati, sede della corrente democristiana “Forze Nuove” di Carlo Donat Cattin, mentre a Milano si costituiscono i CoCoRi (Comitati Comunisti Rivoluzionari) per opera di Oreste Scalzone e Piero Del Giudice17. A novembre, all’interno dell’area che fa riferimento al periodico Rosso e alle sigle “Senza Tregua” e “Lotta armata per il comunismo”, si consolida una formazione specifica che in seguito rivendicherà le sue azioni con la sigla Brigate Comuniste. Il 29 novembre a Torino c’è la prima azione rivendicata ufficialmente da Prima Linea; si tratta dell’assalto all’Associazione dirigenti Fiat di via Carlo Alberto. Dice il volantino: «Prima linea non è l’emanazione di altre organizzazioni armate come BR e NAP, ma l’aggregazione di gruppi guerriglieri che hanno finora operato sotto diverse sigle». Il 7 dicembre a Milano: assalto per il boicottaggio di massa della prima della Scala di “Otello” di Verdi, diretta da Carlos Kleiber e per la prima volta trasmessa in Eurovisione sulla Rai. I Circoli del proletariato giovanile davano così inizio ad una serie di rivendicazioni caratterizzate da un invito esplicito all’esproprio proletario: «alla riappropriazione cioè di quegli oggetti – vestiti, dischi, libri – attraverso i quali organizzazioni mafiose ci sfruttano (…). Nell’orgia consumistica del Natale vogliamo anche noi il diritto al regalo (…). La logica dei sacrifici dice: ai proletari la pastasciutta, ai borghesi il caviale.

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Noi rivendichiamo il diritto al caviale: perchè siamo arroganti, perchè nessuno potrà mai convincerci che in tempi di sacrifici i borghesi possono andare in prima visione e noi no, che loro possono mangiare il parmigiano e noi no, o addirittura a costringerci a digiunare. I privilegi che la borghesia riserva per se sono i nostri, li paghiamo noi. Per questo li vogliamo conquistare e ne facciamo una questione di principio». Il 14 dicembre, a Roma, muoiono in uno scontro a fuoco il nappista Martino Zichittella e l’agente Prisco Palumbo di scorta al capo del SDS Alfonso Noce, che rimane ferito. Il 15 dicembre a Sesto San Giovanni (MI), in uno scontro a fuoco avvenuto nella casa dove viveva con i suoi genitori, e dove rimangono uccisi anche due poliziotti (Vittorio Padovani e Sergio Bazzega), perde la vita il giovane militante brigatista Walter Alasia18.

NOTE 1. A questa azione partecipa un gruppo formato da Patrizio Peci, Lauro Azzolini e due giovanissimi militanti: il figlio di Petra Krause, Marco e Walter Alasia. 2. Angelo Basone (Adrano, 14 luglio 1948), emigrato a Torino, operaio alle Presse della Fiat di Mirafiori e molto apprezzato per le sue doti politiche e sindacali si vide proporre dall’allora giovane responsabile di fabbrica per il PCI torinese Giuliano Ferrara di diventare il nuovo segretario, ma rifiutò. Condannato a 15 anni di reclusione è deceduto il 7 gennaio 2012.

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3. Vincenzo Guagliardo (Bou-Arcoube, 2 maggio 1948), nato nel 1948 in Tunisia e tornato in Italia con la sua famiglia nel 1962, operaio della Magneti Marelli di Milano, uscito dal carcere dopo il processo di Torino, parteciperà all’omicidio di Guido Rossa del 1979 ed in seguito verrà incaricato di dirigere la colonna veneta unitamente alla ex dirigente della colonna torinese Nadia Ponti, che diverrà sua moglie. Riarrestato a Torino insieme a Nadia Ponti nel 1980, non si è mai dissociato ed ha ottenuto, dopo oltre 31 anni di carcere, la liberazione condizionale grazie all’interessamento di Sabina Rossa con la quale ebbe un incontro personale ben descritto nel libro di Giovanni Bianconi Il brigatista e l’operaio del 2011. Nel 2002 ha scritto per la editrice Colibrì un libro molto importante Di sconfitta in sconfitta recentemente rieditato. 4. Nadia Mantovani (Sustinente, MN, 16 aprile 1950), figlia di contadini, cattolica, frequenta la parrocchia del paese dove insegna catechismo ai bambini. Iscrittasi alla facoltà di medicina di Padova, milita in Potere Operaio di Mestre prima di entrare nelle Brigate Rosse nel 1973. Inviata al soggiorno obbligato presso Sustinente (MN), passa alla clandestinità fino al secondo arresto presso il covo di Via Montenevoso il 1° ottobre 1978. Dissociata nel 1985 e da tempo libera, in carcere è diventata molto amica di Francesca Mambro dei NAR, con cui ha tenuto conferenze congiunte sul tema degli anni della lotta armata. Vive a Bologna insieme al marito, l’ex brigatista Roberto Ognibene, dove ha fondato l’associazione “Verso casa”, che si occupa del reinserimento dei detenuti ed è una delle quattro donne intervistate nel documentario francese del 1997 Do You Remember Revolution di Loredana Bianconi. 5. Giorgio Semeria (Milano, 3 novembre 1950), figlio di un dirigente della Sit-Siemens e studente di sociologia a Trento, dopo un primo arresto del 3 marzo 1972 in occasione delle indagini su Feltrinelli, organizza la colonna veneta insieme alla quale partecipa all’azione presso la sede del MSI di Padova del 1974 e poi tor-

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na a Milano. Arrestato il 22 marzo 1976 alla stazione di Milano e gravemente ferito, sarà tra i protagonisti della rivolta dell’Asinara del 2 ottobre 1979. Trasferito nel carcere di Cuneo, partecipa il 10 dicembre 1981 all’assassinio del militante di PL Giorgio Soldati, sospettato di delazione, ma in seguito si dissocia e farà il volontario presso il carcere di San Vittore per diventare consulente del risparmio energetico. È morto a Varese il 10 marzo 2013 e lunghi stralci di una sua intervista rilasciata a Giorgio Bocca si possono leggere in Noi terroristi e di lui parla anche Patrizio Peci in Io, l’infame, 1983, perché fu il suo primo referente delle BR quando arrivò a Milano. 6. Lauro Azzolini, nato a Casina il 10 settembre 1943, dopo una militanza nella FGCI di Reggio Emilia, con cui partecipa alla dimostrazione di piazza contro il governo Tambroni dove rimangono uccisi sotto i colpi delle forze dell’ordine 5 dimostranti, e quindi al CPOS (Collettivo Politico Operai Studenti) di Franceschini, lavora come operaio presso la Lombardini di Reggio Emilia, azienda produttrice di motori industriali fino al 1975, quando entra in clandestinità. La scoperta della base di via Monte Nevoso si deve anche alla sua disattenzione, perché le chiavi dell’appartamento furono trovate in un suo borsello, da lui dimenticato su un tram di Firenze. Di lui parla Patrizio Peci nel citato Io l’infame, descrivendolo come uno sempre molto attento a curare il proprio aspetto fisico. Condannato a quattro ergastoli ed in seguito ammesso al lavoro esterno a Milano. Franco Bonisoli (Reggio Emilia, 6 gennaio 1955) “Luigi”, detto “il rossino” per il colore di capelli, entrato molto giovane nella Direzione Strategica delle BR partecipa il 2 giugno 1977 al ferimento di Indro Montanelli e l’anno seguente al gruppo di fuoco dell’azione di via Fani. Condannato all’ergastolo, si è dissociato e da tempo lavora in una società di servizi ambientali. Oltre ad avere rilasciato una lunga intervista a Sergio Zavoli in La notte della Repubblica, molto critica verso la sua esperienza armata, è stato l’ultimo a lasciare la camera ardente di Indro Montanelli,

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scrivendo sul registro delle partecipazioni «Grazie Indro. Grazie di cuore, di tutto. Con affetto». 7. Adriana Faranda (Tortorici, 7 agosto 1950) “Alexandra”, moglie di Luigi Rosati in seguito esule a Parigi, milita in Potere Operaio fino al 1973 e quindi fonda insieme ad altri il gruppo estremistico LAPP (Lotta Armata Potere Proletario). Nel 1976 entra insieme al suo compagno Valerio Morucci nelle Brigate Rosse, dove viene chiamata a fare parte della Direzione Strategica. Partecipa al sequestro Costa e quindi fa parte della Colonna romana che organizza e gestisce il sequestro Moro, durante il quale svolge il ruolo di “postina” per recapitare le varie lettere di Moro. Contraria come Morucci all’uccisione dell’ostaggio, alla fine del 1978 abbandona insieme a lui le Brigate Rosse per seguire formazioni legate a Franco Piperno, tentando senza successo di creare una nuova formazione di lotta armata. Arrestata il 29 maggio 1979 nell’abitazione di Giuliana Conforto, in seguito aderisce alla dissociazione accettando di deporre al processo di appello Moro nel 1985, ottenendone i previsti sconti di pena. Libera dal 1993, ha scritto due libri, L’anno della tigre nel 1994 ed Il volo della farfalla nel 2006; nel 2015 partecipa con Agnese Moro a Il libro dell’incontro (Guido Bertagna, Adolfo Ceretti, Claudia Mazzucato). Valerio Morucci (Roma, 2 luglio 1949) “Pecos”, con frequenti contatti con Gian Giacomo Feltrinelli, dopo la militanza nel settore illegale di Potere Operaio entra nelle Brigate Rosse nel 1976. Nel gruppo di fuoco di via Fani, è l’autore della telefonata del 9 maggio al prof. Tritto, in cui comunica dove si trova la Renault rossa con il corpo di Moro. Arrestato il 29 maggio 1979, il 12 aprile 1984 un suo “programma per la soluzione politica” arriva al direttore del SISDE Vincenzo Parisi; nel 1985 depone all’appello Moro; nel 1987 si dissocia e nel 1988 redige un memoriale che il 13 maggio 1990 il direttore de Il Popolo, Remigio Cavedon, invia a Cossiga, dopo averlo ricevuto da Suor Teresilla Barillà. In libertà dal 1994, ha scritto ha scritto A guerra finita, Ritratto di un terrorista da giovane, La peggio gioventù e Patrie galere.

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Bruno Seghetti, nato a Roma il 13 aprile 1950, dapprima impegnato nelle lotte per la casa nel Comitato Comunista di Centocelle (Co. Co. Ce.) e poi simpatizzante di Potere Operaio, milita dal 1976 nella colonna romana delle Brigate Rosse con il nome di battaglia di Claudio. È lui a coinvolgere nell’operazione Moro la ex compagna Anna Laura Braghetti e l’amico di sempre Germano Maccari. Il 16 marzo 1978 è alla guida della Fiat 132 su cui venne caricato il Presidente della Democrazia Cristiana dopo l’agguato di via Fani ed in seguito partecipa attivamente a gran parte delle azioni della colonna romana delle BR, tra cui l’assalto alla sede della DC in Piazza Nicosia. Nel dicembre 1979 entra a far parte del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse, l’organo direttivo più importante dell’organizzazione, composto in quel momento anche da Mario Moretti, Rocco Micaletto e Riccardo Dura. Viene arrestato a Napoli il 19 maggio 1980 durante una drammatica fuga, seguita all’uccisione dell’assessore regionale democristiano Pino Amato, dove viene ferito dai colpi sparati dal suo autista. Condannato all’ergastolo, svolge un ruolo molto attivo nel dibattito politico sviluppatosi tra le varie anime delle Brigate Rosse negli anni Ottanta ed è tra gli autori di Politica e Rivoluzione del 1983. Ammesso nell’aprile del 1995 al lavoro esterno, ottiene la semilibertà nel 1999, che gli viene revocata per avere voluto presenziare ai funerali dell’amico Germano Maccari. Alla figura di sua madre “mamma Clara”, molto attiva nelle battaglie per i diritti dei detenuti sottoposti al regime speciale dell’art. 90 e scomparsa nel settembre del 2012, è dedicato un capitolo di Dall’altra parte di Prospero Gallinari e Linda Santilli, ed. Feltrinelli, 1995. 8. Per l’appartenenza alle FCA verranno inquisite in totale 21 persone. Tra le azioni più significative attribuite ai militanti di questa organizzazione si ricordano gli attentati a Roma il 4 aprile 1975 alla Centrale SIP all’Eur, a Firenze il 14 aprile 1976 alla Texano Oil ed a Roma il 29 maggio 1976 alla sede Rai di Via Teulada. 9. Strategia per la verità già adottata due mesi prima dai NAP

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all’udienza del 20 marzo del primo processo napoletano a loro carico. 10. L’effetto “sorpresa” e la gigantesca fatica per organizzare una reazione efficace a questo duplice attacco è ben ricostruito nel DVD documentario Avvocato! realizzato in occasione dei 25 anni dalla morte di Fulvio Croce da un giovane avvocato del foro di Torino, Alessandro Melano (regista Marino Bronzino), in collaborazione con il locale Ordine, e che riporta filmati d’epoca ed interviste ai protagonisti di quella incredibile vicenda processuale durata per oltre tre anni e che tutt’oggi risulta priva di paragone alcuno, e che verrà distribuito come allegato al quotidiano La Stampa. 11. Per l’omicidio Coco venne accusato Giuliano Naria a seguito di un identikit. Naria (Genova, 1 febbraio 1947), operaio all’Ansaldo di Genova, licenziato da Casabona per avere fatto timbrare da un altro il proprio cartellino, ex Lotta Continua, arrestato una prima volta il 9 giugno per il sequestro Casabona e rilasciato il giorno seguente, viene riarrestato il 27 luglio 1976 in Val d’Aosta per l’omicidio di Coco. Trascorrerà oltre 9 anni in carcere prima di essere mandato agli arresti domiciliari nel 1985, per gravi motivi di salute in quanto anoressico (pesava 35 Kg), su pressioni di grandissima parte del Paese per il suo caso di detenuto in una lunghissima attesa di giudizio. La sua vicenda fu occasione di un durissimo scontro tra i giudici e i politici. Alla fine tutti i reati contestatigli sono caduti, tranne una condanna a cinque anni per banda armata. Tornato definitivamente libero, pubblicherà La casa del nulla con Rosella Simone e morirà di cancro a 50 anni il 29 giugno 1997. Nel 2012 il figlio del Giudice Coco, Massimo, ha pubblicato un libro molto duro dal titolo Ricordare stanca, ed. Sperling&Kupfer, dove rivendica il “diritto di non perdonare”. 12. Curcio e Bassi 15 anni ciascuno; Bertolazzi 14 anni e 9 mesi; Franceschini 14 anni e 6 mesi; Ferrari 13 anni; Semeria, Paroli e Gallinari 10 anni; Lintrami 9 anni e 6 mesi; Buonavita

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9 anni e lire 600.000 di multa; Ognibene 8 anni; Farioli 7 anni; Basone, Isa e Levati 6 anni; Mantovani, Guagliardo, De Ponti, Micaletto, Moretti e Pisetta 5 anni; Lazagna, Savino, Adriano Carnelutti e Giacomo Cattaneo 4 anni; Giovanna Legoratto e Riccardo Borgna 3 anni; Giuseppe Muraca e Paolo Raffaele 2 anni e 3 mesi. Stralcio per Fabrizio Pelli e assolti, con formule varie, il sindacalista Alberto Caldi di Borgomanero, Annamaria Bianchi, Maria Carla Brioschi, Cesarina Carletti, Francesco Cattaneo, Marinella Gassa, Maria Grazia Grena, Annamaria Pavia, Vittorio Ravinale, Pietro Sabatino, Francesco Sangermano, Italo Saugo, Roberto Vho, Vladimiro Zola e Antonio Morlacchi. 13. Per l’appartenenza alle UCC verranno inquiste in totale 102 persone. Tra le azioni più eclatanti attribuite ai militanti di questa organizzazione si ricordano l’aggressione a Roma, il 10 novembre 1976, all’Onorevole Di Giesi del PSDI, il sabotaggio a Milano il 18 dcembre 1976 del Centro dati della Montedison, il ferimento a Roma, il 29 marzo 1977, del direttore generale del Poligrafico di Stato Vittorio Morgera, l’incendio a Prato il 29 marzo 1977 del Laboratorio di analisi della Tecotessile ed il danneggiamento a Palermo, il 1 luglio 1977, della sede della Intersind. 14. Arrestato per obiezione di coscienza nel giugno del 1967 con Andrea Vassallo di Onda Verde, fonda a Milano “Gli studenti della città”, il primo mensile del nascente movimento studentesco, e viene condannato a 7 mesi per possesso di droga. Nel 1970 fonda “Re Nudo”, che dirige per 10 anni e con cui organizza dal 1971 al 1976 i pop festival di Ballabio, Alpe del Viceré, Zerbo e gli ultimi tre a Milano. Nel 1977, insieme a Mauro Rostagno e Carlo Silvestro va in India e diventa neo-sannyasin di Osho Rajneesh col nome di Swami Deva Majid, e pubblica Alla ricerca del D/io perduto. Al suo ritorno a Milano rileva da Rostagno l’ex Macondo, che trasforma nel centro di meditazione Vivek, e nel 1982 si trasferisce in provincia di Siena nella Comune neo-sannyasin Osho Miasto. Nel 1986, da “ambasciatore” di Osho per l’Italia, inizia una battaglia con il governo per il visto d’ingresso per il suo

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maestro e, dopo la sua morte, pubblica per Feltrinelli, insieme ad altri, Politica e Zen, ristampato per Re Nudo Edizioni con il titolo Lo Zen e la manutenzione della politica. In seguito scrive con Ida Porta Operazione Socrate, raccontando perché Osho sarebbe stato avvelenato dal governo di Ronald Reagan durante il suo soggiorno americano, e dal 1989 al 1996 ha collaborato a “Cuore”, settimanale satirico fondato da Michele Serra, firmando la rubrica Religione. 15. Cfr. Nudi verso la follia, il film documentario di Angelo Rastrelli del 1976 e il libro DVD di Matteo Guarnaccia Re Nudo Pop e altri festival, edito da Feltrinelli nel 2011. 16. Sergio Segio (Pola, 24.11.55) cresce nella zona di Sesto San Giovanni (MI), dove inizia la militanza politica in Lotta Continua. Nel 1974 aderisce con alcuni compagni a Senza Tregua, si iscrive all’Università Statale e il 2 aprile 1976 partecipa al ferimento del responsabile del servizio di vigilanza della Magneti Marelli Matteo Palmieri. Il 10 maggio 1976 viene arrestato e picchiato dalla Polizia, che gli danneggia per sempre un orecchio, e l’anno dopo, quando viene scarcerato, entra in Prima Linea; alla riunione di Firenze del maggio del 1977 fa parte del Commando nazionale, insieme a Marco Donat Cattin e Roberto Rosso. Assume il nome di battaglia Sirio e il 24 gennaio del 1979 fa parte del commando che uccide a Milano il giudice Alessandrini e, l’anno dopo, di quello che uccide il giudice Galli. Dopo avere abbandonato l’organizzazione, costituisce insieme a Diego Forestieri i Nuclei Comunisti con i quali, insieme ai COLP (Comunisti organizzati per la Libertà del Proletariato), il 3 gennaio 1982 fa evadere dal carcere di Rovigo quattro militanti, tra cui la sua compagna Susanna Ronconi, che qualche anno dopo sposerà in carcere. Sarà uno degli ultimi ad essere arrestato, il 15 gennaio 1983 a Milano, grazie al pedinamento di Daniela Figini, giovane militante della Walter Alasia, la quale, dopo essersi dissociata e laureata in carcere, è oggi un apprezzato avvocato del foro di Milano. Sarà anche uno dei principali fautori della dissociazione

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di gruppo, cui dedicherà quasi metà di Una vita in prima linea e l’11 marzo 1988 è uno degli ex PL che vengono simbolicamente “consegnati” dal detenuto in permesso Sergio D’Elia al Partito Radicale della non violenza al Congresso romano all’Hotel Ergife. L’11 maggio 1997 è tra i firmatari a Torino, con altri 62 detenuti politici di diversa provenienza, tra cui Lauro Azzolini e Corrado Alunni, di un appello dal carcere che chiede di “mettere la parola fine alla Storia infinita”, rivolgendosi: «a una democrazia matura, una classe politica e una Repubblica che vogliono davvero rinnovarsi». Nel 2004 ha terminato di scontare la pena e, oltre ad occuparsi del sociale con l’organizzazione del sacerdote torinese Don Ciotti, ha scritto due libri, Miccia Corta e Una vita in prima linea. Nel primo, per sintetizzare la loro sconfitta, afferma: «Avevamo confuso l’alba con il tramonto»; nel secondo racconta la storia del padre, internato da Tito a Goli Otok. Cura un proprio blog dal nome Miccia Corta e la pubblicazione annuale del Rapporto sui Diritti globali per conto della Società Informazione Onlus, giunto alla 15° edizione. 17. I Comitati Comunisti Rivoluzionari (CoCoRi), per cui verranno inquisite 92 persone, si formano a Milano nel contesto dei Comitati Comunisti per il Potere Operaio e di altri comitati di fabbrica (Comitato Operaio Marelli, Comitato Operaio Falk) e di quartiere e l’area di riferimento politico-culturale è quella delle riviste “Linea di Condotta” (1975) e “Senza Tregua” (1975-1978). In Pronto qui prima linea di Michele Ruggiero e Marco Renosio si ricostruisce la scissione con Piero Del Giudice e Oreste Scalzone ,da cui nascerà Prima Linea. Secondo la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio del 16 luglio 1983 del Tribunale di Milano, ad essi fanno riferimento nuclei armati che rivendicano i loro attacchi con sigle diverse. Tra le azioni attribuite ai CoCoRi i ferimenti: a Milano di Valerio De Marco, 11 novembre 1975, capo del personale della Leyland Innocenti, rivendicato con la sigla Per il potere proletario armato; del dirigente della Philco di Brembate, Dietrich Ercher, 26 marzo 1976, rivendicato con la sigla Lotta Armata per

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il Comunismo; di Paolo Fossat a Torino, 19 giugno 1976, capo reparto alla Fiat Rivalta, rivendicato con la sigla Guerra di Classe per il Comunismo; del professor Ezio Riondato, docente di filosofia morale alla facoltà di lettere di Padova, del 22 aprile 1979. Negli anni successivi i CoCoRi compiono numerose rapine e conducono campagne contro il lavoro nero, lo spaccio dell’eroina e per la casa. Il 9 giugno 1978, a Lissone (Milano), nel corso di una rapina alla Banca Nazionale della Agricoltura di Piazza Libertà, la guardia giurata Benito Gallo uccide il militante Francesco Giurì, venticinquenne ex operaio della Breda di origini calabresi. Sempre nel corso di due rapine, il 23 febbraio 1979 a Barzanò (CO) muore la guardia giurata Rosario Scalia, mentre il 18 dicembre 1980, a Zinasco (PV), resta uccisa la guardia giurata Alfio Zappalà. Il 13 giugno 1984, Ernesto Balducchi si farà promotore dal carcere della consegna delle armi dei CoCoRi al Cardinale Martini. 18. Walter Alasia (Milano, 16 settembre 1956) “Luca”, la sua storia è raccontata in Indagine su un brigatista rosso di Giorgio Manzini, ed. Einaudi, 1978. Questo il ricordo della sua compagna di allora, Ivana Cucco, tratto da Gli sguardi ritrovati de “Il Progetto memoria”: «Allora l’accusa si reggeva sostanzialmente sul mio rapporto con Walter, rapporto che è stato per me un’esperienza ricchissima e importante e che è stato ridotto a capo di imputazione e a una specie di marchio negativo. Un rapporto criminalizzato, forse perché è inconcepibile amare un brigatista. Il brigatista doveva essere presentato come una specie di mostro, un individuo senza radici e senza ragioni, senza legami e senza valori positivi. Chi l’ha conosciuto, sa invece che Walter era una persona meravigliosa: due occhi azzurri come il cielo sereno e una gioia di vivere che gli sprizzava da tutti i pori. Dopo la sua morte si sono sprecati fiumi di inchiostro sul suo conto. È stata persino scritta una biografia che faceva scempio della sua identità e della sua storia. Ogni pezzettino della sua vita è stato radiografato e vivisezionato al fine di scoprire l’origine della sua malattia, per trovare una spiegazione plausibile alle sue scelte di vita e di lotta; una motivazione raziona-

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le al fatto che un ragazzo di vent’anni possa essere ucciso sotto casa mentre cerca di sottrarsi all’arresto in una mattina di dicembre. Tutte cose da mass media e da sociologia da strapazzo. Walter non era figlio di nessuna variabile impazzita. Era figlio del suo tempo e di Sesto San Giovanni, la rossa Sesto, la grossa cittadella operaia impregnata fino in fondo e in ogni ambito della vita sociale della cultura operaia comunista. Walter è nato e cresciuto dentro a questa cultura e questo sistema di valori. Ha respirato da sempre quest’atmosfera. La sua vita si è snodata tutta dentro il clima di tensione di quegli anni e di quell’ambiente. Sono gli anni delle grandi lotte operaie, delle stragi di stato, delle rivolte studentesche, del Cile, del Portogallo, dell’antifascismo militante, dei gruppi extraparlamentari, delle occupazioni di case. Tutte esperienze che Walter ha attraversato fino alla scelta e alla militanza nella lotta armata, che era comunque una scelta di vita, non di morte. Una scelta e un bisogno di liberazione tanto forte e irrinunciabile da arrivare anche a giocarsi la vita. Walter non era diverso da molti altri perché quelle stesse tensioni di esperienze sono appartenute a migliaia di persone, sono state lo scenario dentro cui si è affermata ed espressa un’intera generazione di soggetti che aspiravano a un cambiamento radicale di questa società.[…] Walter fu il più bello degli incontri, quello che ancora oggi mi porto dentro. Non solo i suoi compagni hanno pianto la sua morte. C’era Sesto San Giovanni. Dai ragazzi di vent’anni come lui ai vecchi operai cinquantenni. Non è stato sepolto né come un mostro né come un orfano. Anche allora, anche il suo funerale, è stato oggetto di criminalizzazione. Ci fu, in particolare, una martellante campagna condotta da Leo Valiani sulle pagine del Corriere della Sera, in cui sosteneva che si sarebbero dovuti schedare e arrestare tutti i presenti in quell’occasione, tutti quelli che avevano sfidato il clima di terrore e la militarizzazione a tappeto, per andare a urlare il loro amore e il loro dolore per la sua morte. Il 15 dicembre 1976, il giorno della morte di Walter, sono stata arrestata».

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1977 Esce “Hotel california” degli Eagles e “Rocky” di John Avildsen vince l’Oscar. In Italia la Juventus vince lo scudetto e “Bella da morire” degli Homo Sapiens vince Sanremo.

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La grande “rivolta del ‘77” nasce nelle università (e per la precisione a Palermo) in risposta alla riforma del ministro Malfatti, ma a breve si allarga ad una più generale protesta generazionale contro l’intero sistema, che vedrà il suo principale epicentro nelle città di Roma, Bologna e Milano, sostanzialmente messe “a ferro e a fuoco” per un anno intero. Sul movimento del ‘77, sintetizzato come il movimento dei “non garantiti”1, che nulla aveva a che vedere con quello del ‘68, si trovano oggi in commercio tantissimi libri, per lo più usciti in occasione del suo trentennale; i più interessanti a mio parere, a parte il mitico L’orda d’oro di Balestrini e Moroni, sono 1977 di Lucia Annunziata, La banda Bellini di Marco Philopat, Insurrezione di Paolo Pozzi, Rose e pistole di Stefano Cappellini, Una sparatoria tranquilla scritto a più mani ed edito da Odradek, Avete pagato caro non avete pagato tutto: la rivista Rosso, Storia di una foto e Daddo e Paolo tutti editi da DeriveApprodi, L’aspra stagione di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale, L’odore acido di quei giorni di Paolo Grugni, Ma chi ha detto che non c’è di Gianfranco Manfredi. Il 2 gennaio Prospero Gallinari evade dal carcere di Treviso ed andrà a rinforzare la colonna romana in vista dell’operazione Fritz.

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Il 4 gennaio, a Torino, nuova azione di Prima linea: stavolta l’attacco è sferrato alla sede dell’Associazione piccola industria in Corso Galileo Ferraris. Il 12 gennaio, a Genova, le Brigate Rosse sequestrano Pietro Costa, che verrà rilasciato 81 giorni dopo in seguito al pagamento di un riscatto stimato in circa 1 miliardo e mezzo di vecchie lire, denaro che servirà al sostentamento dell’organizzazione fino al 1981, e con il quale verrà pagato l’appartamento di via Montalcini, dove nel 1978 sarà tenuto in ostaggio Aldo Moro. Il 1° febbraio all’università di Roma alcuni estremisti di destra feriscono gravemente alla testa lo studente Guido Bellachioma; è l’inizio della “guerra” di piazza. Il giorno dopo negli scontri a fuoco restano feriti l’agente Domenico Arboletti ed i due militanti Leonardo Fortuna e Paolo Tomassini, rimasti immortalati dalla “storica” foto di Tano D’Amico, che verranno arrestati e condannati a più di 12 anni, mentre su tutti i muri della città si legge la scritta divenuta celebre “Paolo e Daddo liberi”2. L’Italia diventa una sorta di polveriera ed esplode il fenomeno collettivo della autoriduzione in nome del soddisfacimento per tutti dei “bisogni”, e che in breve tempo coinvolge bollette, spesa, case, cinema, ristoranti (anche di lusso) ed anche i concerti, al punto che tutti gli artisti stranieri cesseranno per qualche anno di esibirsi in Italia3. Il 13 febbraio la colonna romana delle Brigate Rosse (che l’anno prima aveva operato in unione con i NAP) rivendica il ferimento di Valerio Traversi, dirigente del Ministero di Grazia e Giustizia.

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Il 17 febbraio, a Roma, gli autonomi irrompono durante il comizio di Luciano Lama alla Sapienza, assaltando il palco e costringendo il segretario generale della CGIL alla fuga. L’eclatanza di questo fatto, per quei tempi “enorme”, è raccontato come una tappa decisiva in tutti i libri che hanno ricostruito la storia del movimento del ‘77, ma forse la frase chiave che meglio sintetizza il senso di quel “parricidio” generazionale a sinistra, è quella scritta da Lucia Annunziata, ai tempi govane cronista de il manifesto, nel suo libro 1977, edito da Einaudi in occasione del trentennale: «quello che in quel momento né mio padre né Rossana Rossanda potevano capire era che a me di Luciano Lama non me ne fregava niente». Il 19 febbraio, fermato per un controllo dalla Polizia Stradale in località Cascina Olona (Settimo Milanese), l’ex gappista Enzo Fontana uccide il maresciallo Lino Ghedini e ferisce l’appuntato Adriano Comizzoli e poco dopo viene arrestato con Renata Chari. Tra febbraio e marzo le BR feriscono: il 17 ed il 19 febbraio, a Torino, Mario Scoffone, capo del personale di Rivalta, e Bruno Diotti, caporeparto della Fiat; il 4 marzo, a Milano, Guglielmo Restelli, caposquadra della Breda; il 30 marzo, a Pisa, Azione Rivoluzionaria spara al medico delle carceri Alberto Mammoli. Il 5 marzo, a Roma, la polizia interviene violentemente sui manifestanti che protestano contro la condanna a 9 anni e 6 mesi di reclusione di Fabrizio Panzieri, per concorso morale nell’uccisione dello studente greco del FUAN Mikis Mantakas.

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L’11 marzo 1977 è una data tragica per Bologna: durante gli scontri di polizia nel corso di una manifestazione di Comunione e Liberazione presa di mira dagli autonomi, muore lo studente Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua. Seguono ore di autentica guerriglia per le strade di Bologna. Stessa situazione, il giorno dopo, nelle strade di Roma, dove una manifestazione di 50.000 giovani dà vita, con il concorso determinante della polizia, alla più aspra giornata di guerriglia dal dopoguerra. Emblematiche le immagini dei carri armati che pattugliano le vie del centro di Bologna, inviati subito dopo dal ministro Cossiga su richiesta del sindaco comunista Zangheri e la registrazione in diretta della chiusura forzata di Radio Alice (fino a quel momento punto di riferimento di tutto il movimento, non solo bolognese)4, condotta dal mitico Franco Berardi detto Bifo5. Il 12 marzo, a Torino, il brigadiere di Ps Giuseppe Ciotta viene ucciso da un commando delle Brigate comuniste combattenti (altra sigla da ricondurre alla galassia Prima linea, nel momento in cui l’organizzazione non firma ancora gli attentati mortali)6. Il 23 marzo, a Roma, l’agente di polizia Claudio Graziosi, dopo averla riconosciuta in un autobus, tenta di arrestare Maria Pia Vianale, militante dei NAP, evasa il 22 gennaio dal carcere di Pozzuoli insieme a Franca Salerno; ma viene ucciso da Antonio Lo Muscio, che a sua volta verrà ucciso tre mesi dopo, il 1° luglio, sempre a Roma, dal brigadiere dei carabinieri Fortunato Massitti.

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Il 31 marzo, a Bologna, le BR incendiano l’auto del Giudice Antonio Trizzino, presidente della Corte che deve giudicare Renato Curcio ed altri brigatisti per gli episodi accaduti in aula nel corso del processo torinese. Il 20 aprile, a Torino, viene ferito Dante Notaristefano, segretario generale capo della Procura generale di Torino e il 22 aprile, sempre a Torino, Antonio Munari, capofficina Fiat. Il 21 aprile, in seguito alla morte dell’agente Settimio Passamonti, colpito durante gli scontri tra forze dell’ordine ed autonomi nel quartiere romano di San Lorenzo, il ministro degli Interni Cossiga vieta tutte le manifestazioni di piazza fino al 31 maggio seguente. Il 22 aprile, nei pressi di Verbania, vengono arrestate sette persone armate al rientro da un’esercitazione militare in Val Grande. Tra loro, il delegato di fabbrica della Magneti Marelli di Sesto San Giovanni Enrico Baglioni, ritenuto tra i fondatori di Prima Linea, e che rimarrà in carcere fino al 30 marzo 1978. Il 28 aprile, a Torino, viene assassinato7 Fulvio Croce, Presidente dell’Ordine degli Avvocati, incaricato dalla Corte di scegliere gli avvocati difensori d’ufficio per gli imputati del gruppo storico. Il 3 maggio, a Torino, nel corso del processo al nucleo storico delle BR, 16 giurati popolari (comuni cittadini) rifiutano di presentarsi in aula, adducendo una “sindrome depressiva” testimoniata da autentici certificati medici: “A Torino vince la paura. Mancano

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i giudici: rinviato il processo alle BR,” titola la Repubblica del 4 maggio 1977. In seguito, come ricorderà l’allora giudice istruttore di Torino Gian Carlo Caselli in un’intervista, dovrà essere reclutata tra i giurati popolari l’allora segretario del partito radicale Adelaide Aglietta7 perché in tutta Torino non si trovavano sei giurati: «ripeto sei, non cinquanta o cento…».9 Sempre a maggio si costituisce a Firenze il “commando nazionale” di Prima Linea tra i quali troviamo Sergio Segio, Marco Donat Cattin, Roberto Sandalo e Roberto Rosso. Il 12 maggio, a Roma, durante una manifestazione promossa dal Partito Radicale viene uccisa da un colpo di arma da fuoco la studentessa diciannovenne Giorgiana Masi. Le celebri foto di Tano D’Amico che ritraggono in piazza l’agente armato Giovanni Santone, mimetizzato da manifestante, daranno ulteriore spinta alla rivolta contro la repressione violenta dello Stato, nel senso che alle armi a quel punto, e secondo molti, non resta che rispondere con le armi. Il 14 maggio a Milano, in seguito all’arresto di alcuni militanti di “Soccorso Rosso” (tra cui gli avvocati Sergio Spazzali e Nanni Cappelli10), viene convocata una manifestazione dall’area gravitante intorno a tutta l’Autonomia milanese, con riferimento in particolare alla rivista Rosso. Un gruppo armato (armi procurate da Corrado Alunni) facente parte del collettivo Romana-Vittoria con sede in via Fogazzaro, fondato da Marco Barbone, arrivato all’altezza del carcere di San Vittore

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si stacca dal corteo e comincia a sparare. In seguito agli scontri che ne derivano, muore in via De Amicis il brigadiere Antonino Custra. Il gruppo di fuoco era formato da Enrico Pasini Gatti, Giancarlo De Silvestri, Marco Barbone11, Giuseppe Memeo12, Luca Colombo13, Mario Ferrandi14 e da tre giovanissimi ragazzi dell’istituto tecnico Cattaneo (Maurizio Azzollini15, Massimo Sandrini e Walter Grecchi), che qualche giorno dopo verranno arrestati e condannati. È nel corso di questa manifestazione che viene immortalato Giuseppe Memeo che punta l’arma ad altezza uomo, in una delle foto simbolo di questa stagione di sangue, anche se molti anni dopo l’indagine giudiziaria condotta dal Giudice Guido Salvini16 appurerà che a sparare il colpo mortale era stato Mario Ferrandi. Su quel pomeriggio milanese del 1977 è stato di recente pubblicato un libro fotografico edito da DeriveApprodi Storia di una foto, curato da Sergio Bianchi e che tuttavia espone a mio parere una tesi di fondo un tantino ardita, ossia che in pratica quel fatto di sangue avrebbe determinato la fine dello spontaneismo organizzato di massa, attribuendo un po’ tutta la colpa della “fine del sogno” a quel 14 maggio 197717. In quei giorni le BR danno inizio alla “campagna contro la stampa”, ferendo in soli tre giorni e precisamente in data 1, 2 e 3 giugno i noti giornalisti Vittorio Bruno, Indro Montanelli ed Emilio Rossi. A giugno Renato Curcio viene trasferito nel carcere dell’Asinara, ancor prima dell’inaugurazione della sezione di massima sicurezza voluta da Dalla Chiesa. Viene così inaugurato il cosiddetto “circuito dei ca-

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mosci”, espressione utilizzata per designare le carceri speciali con le quali lo Stato intende rispondere alle evasioni di massa messe in atto dai detenuti politici negli anni precedenti. Il 2 giugno a Torino, festa della Repubblica, alcuni militanti di Prima Linea tentano di emulare le azioni dei GAP narrate nel libro Senza tregua di Giovanni Pesce, ma alcuni degli autori del sabotaggio all’azienda comunale dei pullman vengono arrestati in flagrante. Si dichiarano militanti dei Comitati comunisti per il potere operaio, organizzazione – dicono – a cui fa capo Prima linea: è la prima volta che la sigla di PL compare in un’ordinanza giudiziaria. Il 21 giugno, a Roma, le BR entrano in Università unitamente ad un gruppo di Autonomi e feriscono il prof. Remo Cacciafesta, Preside della facoltà di Economia e commercio. Il 30 giugno, a Milano, le BR feriscono al mattino Luciano Marraccani della IVECO e, nel pomeriggio, a Torino, Franco Visca, capo-reparto alle presse di Mirafiori. Il 7 luglio, a Venezia, le BR gambizzano Antonio Granzotto, direttore de Il Gazzettino. L’11 luglio, a Roma, le BR gambizzano il segretario del Lazio di Comunione e Liberazione Mario Perlini. Il 13 luglio, a Torino, le BR gambizzano il democristiano Maurizio Puddu.

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Il 19 luglio, nel corso di un assalto ad una armeria di Tradate (VA), muore il piellino Romano Tognini (Milano, 31 maggio 1947) . Il 5 settembre, il commando Siegfrid Hausner della RAF sequestra a Colonia il capo degli industriali Martin Schleyer. Il 13 ottobre, a Palma di Maiorca, un gruppo di quattro guerriglieri palestinesi dirotta un Boeing 737 della Lufthansa, prendendo in ostaggio 91 persone e chiedendo la liberazione dei militanti RAF in carcere. Il 17 ottobre la squadra anti-terrorismo GSG-9 assalta l’aereo sulla pista dell’aeroporto di Mogadiscio, libera gli ostaggi, uccide tre dirottatori e ferisce il quarto. La sera stessa, presso il supercarcere di Stammheim a Stoccarda, vengono trovati morti nelle rispettive celle Andreas Baader e Gudrun Ensslin, il primo ucciso da un colpo di pistola alla nuca e la seconda impiccata a un filo elettrico, mentre Jan-Carl Raspe, in fin di vita a causa di una botta in testa, muore il giorno seguente in ospedale. Il giorno dopo, 18 ottobre, la RAF fa ritrovare a Mulhouse il corpo senza vita di Schleyer nel bagagliaio di un’auto. Nei giorni 23, 24 e 25 settembre si tiene a Bologna un grande “convegno contro la repressione”, organizzato dall’Autonomia operaia e da tutta la sinistra extraparlamentare, con più di 60.000 giovani presenti, intensificando così il distacco tra gli autonomi e parti sempre più consistenti della sinistra extraparlamentare. Prende corpo la cosiddetta nebulosa terroristica, definizione data allora dalla stampa al fenomeno della sempre più massiccia implementazione di giovani de-

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diti alla lotta armata e sotto le più diverse sigle anche come gesto estremo di disperazione all’affievolirsi del movimento. Il 30 settembre, a Roma, un commando fascista uccide il militante di Lotta Continua Walter Rossi; il giorno dopo, ai margini di un corteo di protesta che sfila per le vie di Torino, un gruppo di autonomi lancia delle molotov in un bar frequentato da giovani di destra, “L’angelo azzurro”: muore nel rogo Roberto Crescenzio, studente lavoratore di 22 anni18. L’11 ottobre, a Torino, le BR feriscono il funzionario Fiat Rinaldo Camaioni. Il 24 ottobre, a Milano, le BR feriscono il democristiano Carlo Arienti. Il 26 ottobre, a Torino, le BR gambizzano il democristiano Antonio Cocozzello. Il 30 ottobre muore a Torino il giovane militante Rocco Sardone, a causa dell’esplosione di un ordigno rudimentale che stava trasportando a bordo di una Fiat 850, insieme ad altri due ragazzi, per una azione dimostrativa in risposta alle morti in carcere dei militanti della RAF. Il 2 novembre, a Roma, le BR feriscono il dirigente democristiano Publio Fiori. Il 10 novembre, a Torino, le BR feriscono il dirigente Fiat Pietro Osella.

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Il 16 novembre, a Torino, viene ferito mortalmente Carlo Casalegno, direttore de La Stampa, che aveva appena pubblicato un articolo molto critico verso l’organizzazione armata tedesca RAF, dopo che alcuni dei suoi militanti erano stati trovati “suicidati” nel carcere di Stammheim; lo sciopero indetto dal PCI a fine anno, in memoria della morte di Casalegno, fallisce per la scarsa partecipazione degli operai delle fabbriche. Il 17 novembre viene ferito a Genova il dirigente dell’ansaldo Carlo Castellano; all’azione partecipa il professore universitario Enrico Fenzi19, amico nonché collega del prof. Gianfranco Faina (Genova, 6 agosto 1956), tra i fondatori di Azione rivoluzionaria20, il quale contrarrà in carcere una grave forma tumorale che lo ucciderà nel 1981, due mesi dopo avere ottenuto la scarcerazione per gravi motivi di salute. Il 28 novembre, a Bari, viene ucciso dai fascisti Benedetto Petrone. Il 2 dicembre, a Torino, le SAP (Squadre Proletarie Armate)21 gambizzano il neuropsichiatra Giorgio Coda, condannato nel 1974 per violenze e soprusi su minori ricoverati presso il centro psico-medico-pedagogico di Collegno Villa Azzurra, di cui era stato direttore22. Il 26 dicembre, a Roma, il redattore di Radio Roma Città Futura Roberto La Spada22 viene ferito con diversi colpi di arma da fuoco.

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Lo stesso giorno, Mauro Larghi muore nel carcere di San Vittore, picchiato dalla Polizia, dopo l’arresto per il disarmo di un metronotte. 28 dicembre, Roma: in via Statella viene assassinato il missino Angelo Pistolesi. Il resoconto cronologico del 1977 in Italia assume le sembianze, come si è visto, di un vero e proprio bollettino di guerra, e così l’anno dopo se da un lato le BR sferrano il loro vero e proprio attacco al cuore dello Stato, dall’altro i gruppi armati del tutto alternativi alle Brigate Rosse si moltiplicheranno all’inverosimile, arrivando a sfiorare il centinaio. «“Io ho stroncato definitivamente l’autonomia: mandando i blindati a travolgere i cancelli dell’università di Roma e rioccuparla dopo la cacciata di Lama; poi inviando a Bologna, dopo la morte di Lorusso, i blindati dei carabinieri con le mitragliatrici, accolti dagli applausi dei comunisti bolognesi. Tollerammo ancora il convegno di settembre; poi demmo l’ultima spazzolata, e l’autonomia finì. Ma la chiusura di quello sfogatoio spostò molti verso le Brigate Rosse e Prima Linea”, “Sta dicendo che se potesse tornare indietro non manderebbe più i blindati all’università di Roma o a Bologna?”, “Mi farei più furbo. Incanalando la violenza verso la piazza, l’avremmo controllata meglio, e alla lunga domata. Riconquistando la piazza, si spinsero le teste calde verso la violenza armata». Dall’intervista di Francesco Cossiga ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del 25 gennaio 2007.

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NOTE 1. Per la verità la complessità del movimento del ‘77 non si esauriva certo al solo aspetto insurrezionale e violento, che pure lo ha fortemente contrassegnato, giacchè produsse anche l’importante emersione di nuovi movimenti socialmente creativi e non violenti come gli “Indiani metropoltani”, nonché la rivendicazione collettiva di nuovi diritti da parte dei gruppi delle “femministe” e del F.U.O.R.I, il primo movimento italiano a tutela degli omosessuali, a quei tempi non ancora “americanizzati” con il più mediatico termine di “gay”. 2. Vedasi Daddo e Paolo: l’inizio della grande rivolta, ed. DeriveApprodi, 2012. 3. Francesco Guccini farà una canzone molto critica contro gli autonomi dal titolo L’avvelenata, mentre Gianfranco Manfredi ne celebrerà le gesta con Ma chi ha detto che non c’è. L’embargo italiano durerà fino al 1980, quando Lou Reed prima e Bob Marley dopo raduneranno a Milano folle oceaniche, il primo all’Arena ed il secondo allo stadio Meazza gremito oltre l’inverosimile. 4. cfr ALICE È IL DIAVOLO: Storia di una radio sovversiva, a cura di Bifo e Gomma. Il 1977 è l’anno dove si diffonde in ogni città il “fenomeno” delle radio libere, oltre alla citata Radio Alice si ricordano Radio Sherwood a Padova, Radio Onda Rossa a Roma e quella Radio Aut a Terrasini (PA) creata da Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978, di cui al noto film I cento passi di Marco Tullio Giordana. 5. Franco Berardi (Bologna, 2 novembre 1949) verrà arrestato l’8 luglio a Parigi. Espulso dalla FGCI per “frazionismo”, dopo avere partecipato al movimento del ‘68 nella facoltà di lettere dell’Università di Bologna, aderisce a Potere Operaio, diventandone uno dei leader, dopo avere conosciuto nel 1967 Toni Negri; in seguito si laurea in Estetica con Luciano Anceschi. Dopo avere pubblicato Contro il lavoro per Feltrinelli, fonda nel 1975 la ri-

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vista “A/traverso”, espressione dell’ala “creativa” del movimento bolognese, dove definisce il centro della sua analisi “il rapporto tra movimenti sociali e tecnologie comunicative”. A Parigi frequenterà Félix Guattari e Michel Foucault, pubblicando Le Ciel est enfin tombé sur la terre (Éditions du Seuil); negli anni Ottanta si trasferisce a New York, per collaborare con le riviste “Semiotexte” e “Musica 80”. Dopo un periodo in California, dove pubblica alcuni saggi sul cyberpunk, ritorna a Bologna e partecipa al documentario Il trasloco di Renato De Maria, prodotto dalla RAI nel 1991, e collabora alla stesura della trasmissione “MediaMente”, condotta da Carlo Massarini e dedicata al mondo delle nuove tecnologie. Dal 2000 al 2009 cura Rekombinant con Matteo Pasquinelli e nel 2002 fonda Orfeo Tv, la prima televisione di strada italiana. Nel 2005 un suo pamphlet si scaglia contro le politiche sociali del sindaco di Bologna Sergio Cofferati e nel 2015 ha pubblicato Heroes: suicidio e omicidi di massa con Baldini & Castoldi. 6. In sede processuale Enrico Galmozzi si assumerà la responsabilità di tale azione, spiegando che «le azioni armate conseguivano a domande politiche di base» e che tale omicidio «interpretava il desiderio di rappresaglia per l’uccisione di Lorusso». 7. Il commando, secondo quanto in seguito dichiarato da Peci, era composto da Rocco Micaletto, Lorenzo Betassa, Raffaele Fiore e Angela Vai. 8. Nel 1982, a seguito delle indicazioni del pentito Daniele Bonato del Partito Guerriglia, verrà arrestato a Milano Dario Faccio (Milano, 6 agosto 1959), figlio della dirigente radicale Adele Faccio, per appartenenza alla Walter Alasia. Condannato a 8 anni riuscirà ad evadere dal carcere di Piacenza nel 1983 e verrà riarrestato a Parigi nell’ottobre del 1989, insieme ad Enzo Calvitti, condannato a 21 anni perchè responsabile degli attentati romani che costarono la vita a Raffaele Cinotti e a Sebastiano Vinci ed il grave ferimento di Nicola Simone. Enzo Calvitti a Parigi era a capo di un gruppo eversivo che, staccatosi dalle UCC, stava formando un nuovo nucleo di brigatisti.

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9. Sui principali giornali scoppia in quei giorni una furibonda polemica tra intellettuali che vide contrapporsi da una parte Alessandro Galante Garrone ed Italo Calvino e dall’altra Eugenio Montale e Leonardo Sciascia. Eugenio Montale, in una intervista al Corriere della Sera, alla domanda se avrebbe fatto il giudice in quel processo, rispondeva che «no, avrebbe avuto la stessa paura di tutti gli altri. Perché non si può chiedere a nessuno di essere un eroe». E, anzi, aggiungeva che si poteva praticare il precetto evangelico «Non giudicare». Galante Garrone risponde con un editoriale per La Stampa l’8 maggio, dal titolo “Il coraggio d’essere giusti”, in cui dichiarava che «la presa di posizione del poeta senatore a vita gli faceva pena» e citava, invece, un giovane torinese che aveva accettato di fare il giudice e a un giornalista che gli aveva chiesto come potesse fidarsi di uno Stato così poco efficiente aveva risposto: «Lo Stato siamo noi». Cinque giorni più tardi, Italo Calvino riprende la discussione sul Corriere della Sera con un articolo intitolato “Al di là della paura”, in cui si schiera con il «bell’articolo» di Galante Garrone argomentando che ci sono momenti in cui «la paura non è più un dispositivo naturale per la sopravvivenza dell’individuo e della specie, ma una causa di pericoli maggiori per sé e per gli altri». Momenti in cui «la sola paura salutare è la paura di aver paura»; la quale anzi «riesce a ridare coraggio anche a chi l’ha perduto». È proprio nei frangenti in cui lo Stato mostra tutta la sua debolezza che bisogna credere in un residuo sentimento di solidarietà civile, in un’ultima fiducia nell’organizzazione sociale e nelle regole collettive: «Lo Stato oggi consiste soprattutto nei cittadini democratici che non si arrendono». In questo senso, concludeva lo scrittore «lo Stato siamo noi». A quel punto Leonardo Sciascia interviene sul Corriere per scrivere che: «Come non capisco che cosa polizia e magistratura difendano, ancor meno capisco che io, proprio io, fossi chiamato a fare da cariatide a questo crollo o disfacimento, di cui in nessun modo e minimamente mi sento responsabile». Calvino e Galante replicano all’unisono. Scrive

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Calvino (“Il paese non può attendere”, 15 maggio): «Sbaglia di grosso Leonardo Sciascia a credere al crollo o disfacimento o suicidio di un sistema di potere lasciato a se stesso. Se ciò avvenisse vorrebbe dire soltanto la creazione automatica di una versione peggiorata dello stesso potere, con le stesse storture, se queste storture non è la società stessa a eliminarle, una a una». Scrive Galante su La Stampa del 29 maggio: «Qui si tratta di un dovere civico, di un dovere morale di solidarietà, di partecipazione operante alla vita della comunità. Caro Sciascia, responsabili ne siamo un po’ tutti. Lo Stato è fatto dei cittadini che non si arrendono». 10. Sergio Spazzali (Trieste, 16 agosto 1936) morirà di infarto il 22 gennaio 1994 a Miramas, in Francia, dove si era rifugiato a seguito di due condanne a 4 e a 6 anni, la prima per banda armata e la seconda per contrabbando di mine ed esplosivi sottratti da depositi dell’esercito svizzero insieme alla berlinese Petra Krause, Roberto Mander e ad alcuni anarchici svizzeri. Già arrestato nel 1976, il 24 gennaio di quell’anno era stato accoltellato nella cella del carcere di San Vittore insieme a Pasquale Sirianni di Lotta Continua, Piero Morlacchi e Giovanni Miagostovic, da un gruppo di detenuti comuni legati al mafioso Franco Guzzardo. L’avvocato Giovanni Cappelli verrà scarcerato dopo 37 giorni. Milanese, classe 1948, dopo avere difeso Dario Fo e Franca Rame e la brigatista Paola Besuschio, fuggirà in India da Mauro Rostagno dopo essere stato accusato dal pentito Marco Barbone di militanza armata, per fare ritorno solo nel settembre del 1999 dopo che la Corte di Appello ha dichiarato prescritta la condanna a 2 anni e 8 mesi inflittagli nel 1984. In quella occasione Cappelli racconterà a la Repubblica la sua incredibile storia. Con il nome di Steven Burgelin è oggi il proprietario del “Casanova” di Maui, uno dei ristoranti italiani più famosi di tutte le isole Hawaii. Racconta di essere stato arrestato dall’FBI nel 1993, dopo sei anni di vita sotto falso nome, ma che alla fine «il giudice federale mi dice che l’America ha bisogno di gente come me, che non ha paura

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di sgobbare sodo per ricostruirsi una vita, e che a lui che io mi chiami Giovanni o Steven o Nasid non gliene frega niente». E conclude: «Torno con lo spirito di chi torna a Itaca con addosso l’emozione di vedere come Itaca sia cambiata in vent’anni. Ma in tasca ho un biglietto di andata e ritorno, questo sia chiaro: quattro settimane, e poi si torna al mio ristorante. Perchè? Beh, a Milano una volta si diceva che se sgobbi duro alla fine i risultati arrivano. In America, ho scoperto che questa vecchia teoria ha ancora un senso» (cfr. la Repubblica: 30.08.1999 “L’ex terroristacuoco torna dopo 20 anni” di Luca Fazzo). 11. Marco Barbone (Bari, 17 settembre 1958), figlio di Donato Barbone, dirigente della editoriale Sansoni del gruppo Rizzoli, ex studente del Berchet, è già “operativo” insieme a Mario Ferrandi nelle prime azioni di sabotaggio del 1974 del gruppo illegale di Roberto Serafini, legato alla rivista Rosso. Dopo i fatti di via De Amicis entrerà in contatto con Corrado Alunni, partecipando alle prime azioni delle Formazioni Comuniste Combattenti. Dopo l’arresto di Alunni si rifiuta di entrare in clandestinità e di dare inizio ad una colonna romana insieme a Gianantonio Zanetti, come richiestogli da Roberto Serafini, che aveva preso il posto di Alunni, ed abbandona le FCC. Nel 1980, insieme all’amico Paolo Morandini e ad altri fuoriusciti di diversi gruppi armati, sempre di matrice “autonoma”, fonda la Brigata 28 marzo che il 29 maggio uccide il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi. Arrestato il 25 settembre dello stesso anno, si pentirà quasi subito raccontando agli inquirenti la storia dell’Autonomia milanese, facendo arrestare decine e decine di ex compagni ed ottenendo in breve tempo la libertà. 12. Giuseppe Memeo “Terrone” (Palazzo San Gervasio, PZ, 11 ottobre 1958): dopo i fatti di De Amicis entrerà nei Proletari Armati per il Comunismo (PAC) insieme a Gabriele Grimaldi e si renderà responsabile dell’omicidio Torregiani, per il quale è stato condannato anche il noto Cesare Battisti. Dopo la fine dei PAC entrerà in Prima Linea, per venire definitivamente arrestato alla

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fine del 1980. È la persona effigiata nella celebre foto di Paolo Pedrizzetti. 13. Luca Colombo “Svampa” (Milano, 2 aprile 1949): appassionato di canoa e di montagna ha insegnato per alcuni anni in una scuola media del quartiere residenziale di Brugherio. Dopo i fatti di De Amicis entrerà anche lui nelle FCC di Alunni e il 27 maggio 1979 verrà arrestato insieme ad altri compagni a Como, a seguito di una “soffiata” del confidente Ricciardi. Al termine del libro è stato inserito Dialogo con un “cattivo maestro” che riporta una conversazione avvenuta a distanza di 36 anni a Milano con un ex allievo di allora, Giovanni Sordini, che dopo avere militato nel Partito radicale milanese oggi fa il bibliotecario a Venezia ed è uno studioso di Dante. Poco dopo avere rilasciato quell’intervista, Luca Colombo si è trasferito a Gerusalemme e nel 2017 ha tradotto per Stampa Alternativa Il mare di Gerusalemme, in cui Thelma Eligon-Roz ha raccolto 18 racconti brevi di importanti scrittori israeliani. 14. Mario Ferrandi “Coniglio” (Milano, 12 dicembre 1955): ex studente del Manzoni, sin dai primi anni settanta opera insieme a Barbone sotto la guida di Roberto Serafini, rivendicando l’assalto alla Face Standard del 1974 e partecipando a quello alla sede di Assolombarda del marzo del 1977. Dopo i fatti di De Amicis entra in Prima Linea, dove ritrova il compagno Crippa, detto “Apache”, dopo l’arresto del quale, alla fine del 1979, fugge a Londra da dove l’anno dopo viene estradato ed in carcere si dissocia. Nel 2007, 30 anni dopo il fatto, avrà un incontro a Milano con Antonia Custra, la figlia del vice-brigadiere rimasto ucciso quel giorno in via De Amicis, al termine del quale Antonia Custra, prima di ripartire per Napoli dove abita, dirà: «Mi sono preparata per anni a questo appuntamento, alla fine l’ho affrontato con una serenità che non so nemmeno da dove mi sia venuta» (cfr. Il Giornale, “Qui trent’anni fa ho sparato a tuo padre” di Stefano Zurlo, 27.06.2007). Nel 2014 ha ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di Milano.

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15. Giudice istruttore presso il Tribunale di Milano che si occupò anche delle indagini su Piazza Fontana, Piazza della Loggia e omicidio di Ramelli. 16. È la tesi di Andrea Bellini, storica figura del servizio d’ordine milanese con la sua “Banda Bellini”, morto il 26 dicembre 2016, il quale sosteneva che in quel pomeriggio a Milano sarebbe «finito il sessantotto». Per spiegare agli studenti il senso di quella sua militanza, Andrea Bellini diceva che lui ed il suo gruppo non volevano «fare la rivoluzione, ma solo vivere meglio» perché, a differenza della gran parte degli amici del quartiere del Casoretto «non voleva andare a lavorare alla Innocenti» (cfr. La Banda Bellini, di Marco Philopat, ed. Einaudi, 2009). 17. L’episodio desterà molto sconcerto anche nei gruppi di estrema sinistra e Lotta Continua uscirà con un editoriale molto duro, dove affermava che il tragico evento di Crescenzio «non può essere mascherato come un errore imprevedibile» e che «le responsabilità politiche di quanto accaduto sono del movimento che non intende scaricarli su fantasmi o streghe». 18. Stimato professore di lettere all’Università di Genova, Enrico Fenzi (Bardolino, 19 febbraio 1939) entra nella lotta armata all’età di 40 anni, introdotto dal collega prof. Gianfranco Faina all’operaio Rocco Micaletto all’epoca dirigente della colonna genovese, che quando si trasferirà a Torino verrà sostituito da Francesco Lo Bianco. Arrestato una prima volta nel 1979, a seguito delle rivelazioni di Francesco Berardi, verrà assolto l’anno successivo ed entrerà in clandestinità andandosene da Genova e vivendo prima a Formia (dove ha modo di relazionarsi con il cognato Giovanni Senzani) quindi nel veneto, con Vincenzo Guagliardo, ed infine a Milano su incarico di Mario Moretti con il quale, dopo avere partecipato alle fallimentari riunioni estive del 1980 con la Walter Alasia, verrà riarrestato a Milano nell’aprile del 1981. Insieme a Moretti verrà ferito il 2 luglio 1981 nel cortile del supercarcere di Cuneo dal detenuto Salvador Farres Figueras, che il 27 settembre 1979 aveva giustiziato nel carcere Le

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Nuove di Torino Salvatore Cinieri, militante di Azione rivoluzionaria. Si dissocierà abbastanza in fretta, ottenendo i benefici di legge, pubblicherà il libro Armi e bagagli, dove racconta il diario della sua vita di brigatista e nel 1990 rilascerà una lunga intervista televisiva a Sergio Zavoli ne La Notte della Repubblica molto critica verso le BR. Ha gestito per anni, a Genova, il ristorante Ombre rosse con la compagna Isabella Ravazzi e qualche anno fa gli è stato impedito di tenere una già programmata conferenza all’Università di Genova su Petrarca, del quale è rimasto uno dei massimi esperti italiani. 19. Per l’appartenenza a AR, definita da Mario Moretti «organizzazione vicina a posizioni anarchiche e contraria a tutte le ideologie», verranno inquisite in totale 86 persone. Uno dei primi interventi di Azione Rivoluzionaria fu il ferimento del medico del carcere di Pisa, Alberto Mammoli (Pisa 30 marzo 1977), colpevole della morte dell’anarchico Franco Serantini (Pisa 5 maggio 1972). Con un ordigno esplosivo contro la sede torinese del quotidiano “La Stampa” (17 settembre 1977) e il ferimento di Nino Ferrero, giornalista de l’Unità (18 settembre 1977), AR dà avvio a una campagna nazionale contro “le tecniche di manipolazione finalizzate al consenso” per la gestione delle notizie relative alla morte, avvenuta a Torino il 4 agosto 1977, dei militanti Aldo Marin Pinones e Attilio Di Napoli. La campagna prosegue nel 1978 con l’attentato agli uffici amministrativi del Corriere della Sera (Milano, 24 febbraio 1978) e alla redazione di Aosta della “Gazzetta del Popolo” (Aosta, 29 luglio 1978), mentre il 19 ottobre 1977, a Livorno, si tenta di sequestrare l’armatore Tito Neri, ma gli autori vengono arrestati. Nell’aprile del 1978, a Roma, AR colloca tre ordigni esplosivi contro la sede del Banco di Roma, il concessionario della Ferrari e un autosalone di via Togliatti, mentre nel giugno firma, ad Aosta, un attentato contro la sede della Democrazia Cristiana, chiedendo nella rivendicazione che “venga revocato il permesso concesso al Movimento Sociale Italiano di continuare a parlare nella piazza di Aosta”. Le tesi generali di

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AR vengono esposte nel documento “Appunti per una discussione interna ed esterna”, redatto nell’estate del 1978, ma al processo che si tiene a Livorno fra il giugno del 1979 e il luglio del 1981 alcuni militanti presentano un documento in cui viene ufficialmente annunciato l’auto dissolvimento dell’organizzazione. 20. Unità di base collegate ai circoli autonomi e vicini a Prima Linea, costituite da nuclei territoriali temporanei con compiti di autofinanziamento. 21. Tra le “vittime” della metodologia del prof. Coda c’è anche un bambino di 8 anni, Albertino Bonvicini, la cui storia è raccontata nel libro DVD di Mirko Capozzoli Fate la storia senza di me (ADD editore, 2011). Dopo quella esperienza traumatica ed essere stato adottato dai coniugi Berlanda, Albertino si dedica alla militanza politica ed entra nel circolo giovanile di Torino Barabba. Arrestato ingiustamente il 2 maggio 1981, per l’incendio del bar Angelo azzurro costato la vita al giovane Crescenzio, viene scarcerato dopo quasi due anni e si trasferisce a Londra. Tornato in Italia viene assunto come giornalista prima da Enrico Deaglio e quindi da Giuliano Ferrara, con il quale collabora ad alcuni programmi televisivi di successo e muore nel 1991, dopo avere contratto l’Aids. La frase che da il titolo al libro prende spunto da una sua lettera, in cui dichiara di abbandonare ogni forma di impegno politico. 22. Il 23 dicembre era stato ferito con medesime modalità (stessa macchina, stessa moto, stessa pistola calibro 32) Massimo di Pilla, noto militante comunista della zona Nord di Roma ed il giorno seguente era stato ferito con due colpi d’arma da fuoco Mario Pucci, caporedattore de Il Secolo D’Italia e padre di Alessandro Pucci, militante missino. L’agguato a La Spada viene rivendicato come vendetta per l’attentato a Pucci con una telefonata alla redazione di Paese Sera firmata da Giustizia Nazionale Rivoluzionaria. Come lo stesso Alessandro Pucci spiegherà, la volontà era quella di colpire non un compagno qualsiasi, ma di individuare un colpevole ben preciso. La Spada viene considerato responsa-

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bile in quanto Radio Roma Città Futura, dopo l’agguato a Di Pilla aveva fatto i nomi di alcuni importanti esponenti dell’estrema destra romana tra cui, appunto, quello di Pucci. Pucci stesso, che partecipò all’azione e che rientrerà poi negli indagati della strage di Bologna, descrive l’attentato a La Spada come momento di svolta nell’estrema destra romana e come punto di nascita dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR).

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1978 Esce “Jazz” dei Queen, “Io & Annie” di Woody Allen vince l’Oscar e l’Argentina i mondiali “casalinghi”. In Italia la Juventus vince lo scudetto e i Matia Bazar Sanremo con “E dirsi ciao”.

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Il 3 gennaio, a Padova, “La notte dei fuochi”: 11 attentati contro sezioni della DC e caserme dei carabinieri, tutti rivendicati congiuntamente dalla “Organizzazione Operaia per il Comunismo”1. Il 4 gennaio, a Cassino, un commando di “Operai Armati per il Comunismo” uccide il dirigente della sorveglianza della Fiat Carmine De Rosa. Per questo delitto verrà condannato Paolo Ceriani Segrebondi2. Il 7 gennaio a Roma si compie la strage di Acca Larentia, davanti alla sede del MSI del quartiere popolare Tuscolano, dove restano uccisi tre giovani militanti del MSI: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, quest’ultimo a causa di un proiettile sparato dal carabiniere Edoardo Sivori. L’episodio determinerà di fatto l’inizio della sanguinosa operatività armata di un gruppo di giovani neofascisti formatosi nel quartiere romano “Trieste”, che si denominerà NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), la cui prima azione eclatante sarà l’uccisione il 28 settembre dello stesso anno di Ivo Zini ed il ferimento di Vincenzo De Blasio, colpiti da due ragazzi travisati in lambretta (da molti testimoni presenti identificati nei noti fascisti Alessadro Alibrandi e Mario Corsi, anche se il processo si concluderà senza colpevoli ac-

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certati) mentre erano intenti a leggere l’Unità esposta sulla bacheca della sede romana del PCI di Via Appia Nuova all’Alberone. In pochi anni di attività i NAR si renderanno responsabili di 33 omicidi e, secondo quanto stabilito da una sentenza da sempre molto discussa, della strage di Bologna del 19803. Il 10 gennaio, a Torino, le BR feriscono Gustavo Ghirotto, capo-sala a Mirafiori. Il 13 gennaio, a Roma, le BR gambizzano Gabriele De Rosa della SP. Il 18 gennaio, a Genova, le BR gambizzano il docente universitario democristiano Flippo Peschiera. Nello stesso giorno appare per la prima volta a Novara la nuova sigla FCC (Formazioni Comuniste Combattenti), nella rivendicazione di una azione contro il nucleo dei carabinieri in servizio di guardia esterna al carcere speciale di Novara. I due carabinieri, Claudio Persino e Guido Bressan si salvano per puro caso. Il 3 febbraio, visto che i media non hanno dato risalto alla loro azione, un commando delle FCC irrompe armato nella sede milanese di Radio Radicale ed impone l’immediata trasmissione del comunicato di rivendicazione. Le Formazioni Comuniste Combattenti, in precedenza Brigate Comuniste, sono l’ennesima sigla che nasce dall’impulso più armato del movimento di quegli anni, diretta emanazione del settore illegale della rivista milanese Rosso e non dissimile da Prima Linea per modello organizzativo ed obiettivi.

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Fondate dall’ex operaio brigatista Corrado Alunni4, che aveva conosciuto Moretti all’epoca in cui entrambi lavoravano alla Siemens, e che aveva da tempo abbandonato le Brigate Rosse, le FCC erano formate per la gran parte da giovanissimi provenienti dalle zone montane del varesotto e del comasco, anche se è proprio in questo nuovo gruppo che ritroviamo il già più volte citato Marco Barbone, che in seguito fonderà la brigata 28 marzo che nel 1980 ucciderà Walter Tobagi. Tra i componenti delle FCC, oltre ai già citati Corrado Alunni, Luca Colombo e Roberto Serafini, troviamo Teresa Zoni (18 novembre 1955) e la sorella Marina (28 luglio 1947), Gianantonio Zanetti (30 giugno 1955), Massimo Battisaldo (6 settembre 1956), Francesca Belleré (21 giugno 1953), Roberto Carcano (29 gennaio 1953), Maria Rosa Belloli (30 ottobre 1954), Fortunato Balice (21 aprile 1945), Valerio Guizzardi (7 settembre 1952) e Antonio Marocco5. A giugno alcuni militanti (tra cui Battisaldo, Belleré e Zanetti), unitamente ad altri membri di Prima Linea (tra cui Bignami e Segio), parteciparono a un campo d’addestramento militare organizzato dall’ETA al confine tra la Francia e la Spagna, come risultò dal materiale ritrovato il 13 settembre nella base milanese di Via Negroli, in occasione dell’arresto di Corrado Alunni. Il fatto verrà successivamente confermato agli inquirenti da un memoriale redatto in carcere dal pentito Fortunato Balice. Le FCC avranno vita breve anche perché verranno smantellate abbastanza in fretta dalle forze dell’ordine, prima con l’arresto nel 1978 del suo fondatore e quindi, nel 1979, di quasi tutti i principali militanti, grazie alle confidenze fatte ai carabinieri dall’infiltrato Rocco Ricciardi6; i pochi

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membri sfuggiti agli arresti (Gianantonio Zanetti, Antonio Marocco e Roberto Serafini) entreranno a fare parte delle BR. La loro azione più eclatante sarà l’omicidio dell’8 novembre del 1978, a Patrica, del procuratore di Frosinone Fedele Calvosa, dove muore Roberto Capone7. Per l’appartenenza alle Formazioni Comuniste Combattenti verranno inquiste in totale 121 persone. Il 20 gennaio, a Firenze, nel corso di un fallito tentativo di evasione dal carcere Le Murate, un commando di Prima Linea uccide l’agente Fausto Dionisi e ferisce Dario Atzeni. Il 24 gennaio, a Milano, le BR gambizzano il dirigente della Sit-Siemens Nicola Toma. Nel frattempo si perfeziona la Risoluzione strategica di febbraio, dove le BR teorizzano il salto di qualità: l’offensiva rivoluzionaria è destinata a esaurirsi se l’organizzazione non riuscirà a coinvolgere nella lotta armata larghi strati del Movimento. Il progetto ultimo è quello di portare l’attacco al cuore dello Stato; il nemico è lo Stato Imperialista delle Multinazionali (SIM), al cui centro – nel caso italiano – sta la Democrazia Cristiana. Alla stesura della risoluzione partecipano in maniera attiva e consistente i detenuti politici che in quei giorni sono sotto processo. Il 14 febbraio: le BR uccidono a Roma il consigliere di Cassazione Riccardo Palma, addetto anche alla gestione dei fondi per l’edilizia carceraria.

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Il 24 febbraio, a Milano, un gruppo di aderenti al MLS aggredisce a sprangate il giovane pittore di murales Fausto Pagliano, mentre è intento ad attaccare dei volantini nel quartiere ticinese. Il fatto provoca la definiva frattura con gli ex militanti di LC, il cui giornale esce il giorno dopo con un editoriale dal titolo “Questa è una storia mostruosa, non ci sentiamo di seguirla”. Il 28 febbraio, a Roma, viene ucciso da un gruppo di neofascisti il militante di sinistra Roberto Scialabba. L’8 marzo riprende il processo di Torino, ultimo atto del processo-guerriglia, in una città militarizzata all’inverosimile, e due giorni dopo, il 10 marzo, le BR uccidono a Torino il maresciallo della polizia della sezione antiterrorismo Rosario Berardi, proprio in risposta alla riapertura cittadina del processo. Il 15 marzo, a Napoli, scoppia un ordigno in un appartamento di Vicolo il consiglio di Liborio e vengono arrestati due giovani: Luigi Campitelli e Stefania Maurizio. L’indagine in breve conduce all’Università cosentina di Arcavacata e il 6 aprile vengono arrestati a Licola gli studenti Davide Sacco, Ugo Melchionda, Lanfranco Caminiti e Fiora Pirri Ardizzone, moglie di Franco Piperno e borsista al CNR. L’accusa è quella di avere formato la banda armata Primi Fuochi di guerriglia e di sabotaggio del centro di calcolo Italdiser di Taranto, Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania e centro RAI di Potenza8. Il 18 marzo, a Milano, un commando neo-fascista uccide con 8 colpi di pistola i diciottenni Fausto Ti-

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nelli e Lorenzo Iannucci, frequentatori del centro sociale “Leoncavallo”. L’incredibile scia di morti non si arresta e le BR uccidono due agenti carcerari in meno di dieci giorni: l’11 aprile, a Torino, Lorenzo Cotugno9 e il 20 aprile, a Milano, Francesco Di Cataldo. E sempre nei primi mesi del 1978 le BR feriscono nell’ordine: Giovanni Picco a Torino (24 marzo), Girolamo Mechelli a Roma (26 aprile), Sergio Palmieri a Torino (27 aprile), Alfredo Lamberti a Genova (4 maggio), Umberto Degli Innocenti a Milano (5 maggio), Mario Astarita a Milano (11 maggio),Tino Berardini a Milano (12 maggio); e Prima Linea a Torino l’agente Digos Roberto Demartini (17 maggio) Ma intanto sul fronte politico nazionale cosa succede? Il Presidente della DC Aldo Moro ha proprio completato in quei giorni il suo paziente lavoro con Enrico Berlinguer, volto ad ottenere per la prima volta nella storia italiana la creazione di un governo di solidarietà nazionale con il voto positivo (e quindi non più solo la astensione) dell’altra grande forza popolare italiana, ormai ritenuta forza di governo, ed il varo del nuovo monocolore Andreotti votato anche dal PCI è previsto per il giorno 16 marzo 1978. Il mattino del 16 marzo, in via Fani a Roma, le BR rapiscono Aldo Moro, uccidendo tutti e cinque gli uomini della sua scorta: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.

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L’azione riproduce nelle sue modalità quella messa in atto l’anno prima dalle RAF tedesche in occasione del sequestro dell’industriale Hanns-Martin Schleyer, e il commando presente in via Fani è composto da 10 militanti (Mario Moretti, Bruno Seghetti, Raffaele Fiore, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani, Rita Algranati, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri). Per la consistenza numerica del Partito armato nei giorni del sequestro Moro si veda la testimonianza di Mario Moretti: «I regolari sono sempre stati pochissimi, 120 in totale, tra colonne e fronti, mi sembra una cifra verosimile ma sicuramente per il nostro periodo migliore. Non ne occorrevano di più, avevamo attorno una rete enorme che gestiva i rapporti politici e tutto quel che accadeva… Per quantificare in maniera approssimativa questa rete fate il numero dei militanti arrestati, e moltiplicate per dieci: quella era la rete». Il giorno del rapimento le BR fanno recapitare il primo dei loro 9 comunicati: 16 MARZO 1978, COMUNICATO N. 1 SEQUESTRO ALDO MORO Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo ALDO MORO, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta di cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata. Chi è ALDO MORO è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino ad oggi il

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gerarca più autorevole, il “teorico” e lo “stratega” indiscusso di quel regime democristiano che da trent’anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la DC è stata artefice nel nostro paese, dalle politiche sanguinarie degli anni ‘50, alla svolta del “centro-sinistra” fino ai giorni nostri con “l’accordo a sei”, ha avuto in ALDO MORO il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. È inutile elencare qui il numero infinito di volte che Moro è stato presidente del Consiglio o membro del Governo in ministeri chiave, e le innumerevoli cariche che ha ricoperto nella direzione della DC, (tutto è ampiamente documentato, e sapremo valutarlo opportunamente), ci basta sottolineare come questo dimostri il ruolo di massima e diretta responsabilità da lui svolto, scopertamente o “tramando nell’ombra”, nelle scelte politiche di fondo e nell’attuazione dei programmi controrivoluzionari voluti dalla borghesia imperialista. Compagni, la crisi irreversibile che l’imperialismo sta attraversando mentre accelera la disgregazione del suo potere e del suo dominio, innesca nello stesso tempo i meccanismi di una profonda ristrutturazione che dovrebbe ricondurre il nostro paese sotto il controllo totale delle centrali del capitale multinazionale e soggiogare definitivamente il proletariato. La trasformazione nell’area europea dei superati Stati-nazione di stampo liberale in Stati Imperialisti delle Multinazionali (SIM) è un processo in pieno svolgimento anche nel nostro paese. Il SIM, ristrutturandosi, si predispone a svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi economici-strategici globali dell’imperialismo, e nello stesso tempo ad essere organizzazione della controrivoluzione preventiva rivolta ad annichilire ogni “velleità” rivoluzionaria del proleta-

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riato. Questo ambizioso progetto per potersi affermare necessita di una condizione pregiudiziale: la creazione di un personale politico – economico – militare che lo realizzi. Negli ultimi anni questo personale politico strettamente legato ai circoli imperialisti è emerso in modo egemone in tutti i partiti del cosiddetto “arco costituzionale”, ma ha la sua massima concentrazione e il suo punto di riferimento principale nella Democrazia Cristiana. La DC è così la forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato. Nel quadro dell’unità strategica degli Stati Imperialisti, le maggiori potenze che stanno alla testa della catena gerarchica, richiedono alla DC di funzionare da polo politico nazionale della controrivoluzione. È sulla macchina del potere democristiano, trasformata e “rinnovata”, è sul nuovo regime che essa ha imposto che dovrà marciare la riconversione dello Stato-nazione in anello efficiente della catena imperialista e potranno essere imposte le feroci politiche economiche e le profonde trasformazioni istituzionali in funzione apertamente repressiva richieste dai partner forti della catena: USA, RFT. Questo regime, questo partito sono oggi la filiale nazionale, lugubremente efficiente, della più grande multinazionale del crimine che l’umanità abbia mai conosciuto. Da tempo le avanguardie comuniste hanno individuato nella DC il nemico più feroce del proletariato, la congrega più bieca di ogni manovra reazionaria. Questo oggi non basta. Bisogna stanare dai covi democristiani, variamente mascherati, gli agenti controrivoluzionari che nella “nuova” DC rappresentano il fulcro della ristrutturazione dello SIM, braccarli ovunque, non concedere loro tregua. Bisogna estendere e approfondire il processo al regime che in ogni parte le avanguardie combattenti hanno già saputo indicare con la loro pra-

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tica di combattimento. È questa una delle direttrici su cui è possibile far marciare il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo, su cui sferrare l’attacco e disarticolare il progetto imperialista. Sia chiaro quindi che con la cattura di ALDO MORO, ed il processo al quale verrà sottoposto dal Tribunale del Popolo, non intendiamo “chiudere la partita” né tantomeno sbandierare un “simbolo”, ma sviluppare una parola d’ordine su cui tutto il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più maturo, più incisivo e organizzato. Intendiamo mobilitare la più vasta e unitaria iniziativa armata per l’ulteriore crescita DELLA GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO. Portare l’attacco allo Stato imperialista delle multinazionali. Disarticolare le strutture, i progetti della borghesia imperialista attaccando il personale politico-economicomilitare che ne è l’espressione. Unificare il movimento rivoluzionario costruendo il partito comunista combattente.

Aldo Moro rimarrà ostaggio per 55 giorni, inviando dalla sua prigione ben 38 lettere a vari esponenti della DC e persino al Papa per promuovere una trattativa. Sin dall’inizio qualsiasi ipotesi di trattativa viene recisamente respinta dall’intera compagine politica italiana. Andreotti, appena confermato premier, conia la frase “capolavoro” per tutte le lettere di Moro dal carcere: materialmente ma non moralmente attribuibili a lui, e Luciano Lama tiene un improvvisato comizio di piazza di fronte ad una incredibile massa di persone e di operai, usando, nei confronti dei sequestratori di Moro “parole di fuoco”.

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È di tutta evidenza e sin da subito che se il progetto dei brigatisti era quello di coinvolgere “altri” nella loro azione di sfondamento, questo è miseramente fallito: il muro è totale e solo il giovane segretario del PSI, Bettino Craxi, si muoverà negli ultimi giorni di sequestro per vanamente cercare una soluzione transattiva, ricorrendo persino all’intermediazione di due ex leader del disciolto Potere Operaio (dove aveva a lungo militato il brigatista Valerio Morucci) Lanfranco Pace e Franco Piperno. Costoro, durante le fasi finali del sequestro, avranno più di un incontro in pieno centro di Roma con Valerio Morucci ed Adriana Faranda, per tentare in tutti i modi di trovare una soluzione che consentisse il rilascio del prigioniero vivo, secondo quelli che erano gli intendimenti del segretario del PSI, del quale si erano fatti portavoce Claudio Signorile e Antonio Landolfi. Il 14 aprile il quotidiano Lotta Continua pubblica in prima pagina un editoriale di Marco Boato, molto critico verso l’azione Moro e più in generale verso le Brigate Rosse dal titolo “Né con lo Stato né con le BR”, che negli anni successivi diventerà una sorta di slogan tormentone all’italiana che travisa completamente il reale e complesso significato di quell’articolo10. L’ultimo comunicato BR, e precisamente il n. 9, viene recapitato il 5 maggio 1978, ed è quello che contiene alla fine quella frase eseguendo la sentenza, che fornisce il titolo al libro di Giovanni Bianconi:

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5 MAGGIO 1978, COMUNICATO N. 9 SEQUESTRO ALDO MORO Alle organizzazioni comuniste combattenti, al movimento rivoluzionario, a tutti i proletari. Compagni, la battaglia iniziata il 16 marzo con la cattura di Aldo Moro è giunta alla sua conclusione. Dopo l’interrogatorio ed il Processo Popolare al quale è stato sottoposto, il Presidente della Democrazia Cristiana è stato condannato a morte. A quanti tra i suoi compari della DC, del governo e dei suoi complici che lo sostengono, chiedevano il rilascio, abbiamo fornito una possibilità, l’unica praticabile, ma nello stesso tempo concreta e reale: per la libertà di Aldo Moro, uno dei massimi responsabili di questi trent’anni di lurido regime democristiano, la libertà per tredici Combattenti Comunisti imprigionati nei lager dello Stata imperialista. LA LIBERTÀ QUINDI IN CAMBIO DELLA LIBERTÀ. In questi 51 giorni la risposta della DC, del suo governo e dei complici che lo sostengono, è arrivata con tutta chiarezza, e più che con le parole e con le dichiarazioni ufficiali, l’hanno data con i fatti, con la violenza controrivoluzionaria che la cricca al servizio dell’imperialismo ha scagliato contro il movimento proletario. La risposta della DC, del suo governo e dei complici che lo sostengono, sta nei rastrellamenti operati nei quartieri proletari ricalcando senza troppa fantasia lo stile delle non ancora dimenticate SS naziste, nelle leggi speciali che rendono istituzionale e “legale” la tortura e gli assassinii dei sicari del regime, negli arresti di centinaia di militanti comunisti (con la lurida collaborazione dei berlingueriani) con i quali si vorrebbe annientare la resistenza proletaria.

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Lo Stato delle multinazionali ha rivelato il suo vero volto, senza la maschera grottesca della democrazia formale è quello della controrivoluzione imperialista armata, del terrorismo dei mercenari in divisa, del genocidio politico delle forze comuniste. Ma tutto questo non ci inganna. La ferocia, la violenza sanguinaria che il regime scaglia contro il proletariato e le sue avanguardie, sono soltanto le convulsioni di una belva ferita a morte, e quello che sembra la sua forza dimostra invece la sua sostanziale debolezza. In questi 51 giorni la DC e il suo governo non sono riusciti a mascherare, nemmeno con tutto l’armamentario della controguerriglia psicologica, quello che la cattura, il processo e la condanna del Presidente della DC Aldo Moro, è stato nella realtà: una vittoria del Movimento Rivoluzionario, ed una cocente sconfitta delle forze imperialiste. Ma abbiamo detto che questa è stata solo una battaglia, una fra le tante che il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo sta combattendo in tutto il paese, una fra le centinaia di azioni di combattimento che le avanguardie comuniste stanno conducendo contro i centri e gli uomini della controrivoluzione imperialista, imprimendo allo sviluppo della Guerra di Classe per il Comunismo un formidabile impulso. Nessun battaglione di “teste di cuoio”, nessun super specialista tedesco, inglese o americano, nessuna spia o delatore dell’apparato di Lama e Berlinguer, sono riusciti minimamente ad arrestare la crescente offensiva delle forze comuniste combattenti. È questa in realtà la maggiore sconfitta delle forze imperialiste. Estendere l’attività di combattimento, concentrare l’attacco armato contro i centri vitali dello Stato imperialista, organizzare nel proletariato il Partito Comunista Combattente è la strada giusta per preparare la

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vittoria finale del proletariato, per annientare definitivamente il mostro imperialista e costruire una società comunista. Questo oggi bisogna fare per inceppare e vanificare i piani delle multinazionali imperialiste, questo bisogna fare per non permettere la sconfitta del Movimento proletario e per fermare gli assassini capeggiati da Andreotti. Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC, del governo e dei complici che lo sostengono e la loro dichiarata indisponibilità ad essere in questa vicenda qualche cosa di diverso da quello che fino ad ora hanno dimostrato di essere: degli ottusi, feroci assassini al servizio della borghesia imperialista. Dobbiamo soltanto aggiungere una risposta alla “apparente” disponibilità del PSI. Va detto chiaro che il gran parlare del suo segretario Craxi è solo apparenza perché non affronta il problema reale: lo scambio dei prigionieri. I suoi fumosi riferimenti alle carceri speciali, alle condizioni disumane dei prigionieri politici sequestrati nei campi di concentramento, denunciano ciò che prima ha sempre spudoratamente negato; e cioè che questi infami luoghi di annientamento esistono, e che sono stati istituiti anche con il contributo e la collaborazione del suo partito. Anzi i “miglioramenti” che il segretario del PSI come un illusionista cerca di far intravedere, provengono dal cappello di quel manipolo di squallidi “esperti” che ha riunito intorno a sé, e che sono (e la cosa se per i proletari detenuti non fosse tragica sarebbe a dir poco ridicola) gli stessi che i carceri speciali li hanno pensati, progettati e realizzati. Combattere per la distruzione delle carceri e per la liberazione dei prigionieri comunisti, è la nostra parola d’ordine e ci affianchiamo alla lotta che i

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compagni e il proletariato detenuto stanno conducendo all’interno dei lager dove sono sequestrati, e lo faremo non solo idealmente ma con tutta la nostra volontà militante e la nostra capacità combattente. Le cosiddette “proposte umanitarie” di Craxi, qualunque esse siano dal momento che escludono la liberazione dei tredici compagni sequestrati, si qualificano come manovre per gettare fumo negli occhi, e che rientrano nei giochi di potere, negli interessi di partito od elettorali, che non ci riguardano. L’unica cosa chiara è che sullo scambio di prigionieri la posizione del PSI è la stessa, di ottuso rifiuto, della DC e del suo governo, e questo ci basta. A parole non abbiamo più niente da dire alla DC, al suo governo e ai complici che lo sostengono. L’unico linguaggio che i servi dell’imperialismo hanno dimostrato di saper intendere è quello delle armi, ed è con questo che il proletariato sta imparando a parlare. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato. “P.S. – Le risultanze dell’interrogatorio di Aldo Moro e le informazioni in nostro possesso, ed un bilancio complessivo politico militare della battaglia che qui si conclude, verrà fornito al Movimento Rivoluzionario e alle O.C.C. attraverso gli strumenti di propaganda clandestini”.

Il giorno 9 maggio il cadavere di Aldo Moro viene fatto trovare dalle BR in un bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI. Con una telefonata, Valerio Morucci informa il professor Tritto (che scoppia in lacrime) che il corpo

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di Aldo Moro si trova nel bagagliaio di una Renault rossa parcheggiata in via Caetani, ed i suoi funerali, per espresso volere di Moro e della sua famiglia, verranno celebrati in forma privata, senza la partecipazione di alcun esponente della DC. In altra chiesa, solenne celebrazione del Papa alla presenza di tutti i notabili democristiani ma in assenza della bara di Aldo Moro, e Cossiga si dimette dal Ministero degli Interni. Come ricorderà anni dopo il Colonnello Di Petrillo, tra i principali collaboratori di Dalla Chiesa, nel corso di una intervista televisiva a Carlo Lucarelli, la vicenda Moro sconquasserà per sempre anche l’assetto dell’intera politica italiana; del resto, a Zaccagnini subentrerà il CAF e l’ipotesi del PCI al governo italiano verrà definitivamente accantonata. Ma anche per le Brigate Rosse il fatale esito della operazione Moro avrà pesanti ripercussioni, sia all’esterno che soprattutto al suo stesso “interno”, fatto che rappresenta, per quel momento, una vera e propria novità. Adriana Faranda e Valerio Morucci, in totale dissenso perché, come ha poi spiegato Morucci al processo, ritenevano «politicamente contraddittorio chiedere allo Stato nemico la liberazione dei compagni prigionieri e al contempo uccidere il loro prigioniero», messi in minoranza al momento della decisione di sopprimere Moro, l’anno dopo abbandoneranno le Brigate Rosse11. «Sono stati dieci proletari a rapire Moro» ribadiva Prospero Gallinari nel citato DVD francese, ad onta del fatto che sui tanti misteri del sequestro Moro

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ancora oggi si insiste, dopo che per anni si sono sbizzarriti in molti su quella che agli occhi dei più era sembrata una azione militare incredibile, e che ha determinato, politicamente parlando, forse la più decisiva pagina della storia italiana del dopoguerra, soprattutto per i suoi successivi effetti. Ma perché, su quello che è stato persino significativamente definito l’affaire Moro, si è scatenata in questi anni tutta questa “dietrologia” che ancora perdura? Piero Sansonetti, nel corso di una recente presentazione del libro pubblicato da DeriveApprodi, ha detto che le BR fecero un clamoroso errore politico nel «pensare che colpendo Moro avrebbero colpito il SIM (lo Stato Imperialista delle Multinazionali)», perché a suo parere hanno finito, invece, «con l’indebolire l’autonomia della politica nazionale, unico baluardo contro il potere finanziario internazionale». Anche qui, nonostante la pubblicazione di alcuni testi che avrebbero dovuto fare definitiva piazza pulita sui falsi misteri del caso Moro, come La pazzia di Aldo Moro di Marco Clementi, Il caso Moro e i suoi falsi misteri di Vladimiro Satta, Questi fantasmi di Gianremo Armeni, I nemici della Repubblica di Vladimiro Satta e Brigate rosse di Clementi, Persichetti e Santalena, le possibili ragioni sono più di una, che proviamo ad elencare. In generale tutte le forze democratiche e riformiste, soprattutto se di sinistra, faticano ad accettare politicamente il fatto che in un Paese occidentale a capitalismo avanzato abbiano potuto operare per lungo tempo organizzazioni rivoluzionarie di matrice spontanea.

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In particolare il PCI, che vide svanire nel modo più cruento un progetto a lungo preparato, colse l’occasione per propagandare la tesi delle BR “manovrate”, ed è il caso della dietrologia alla Flamigni, Priore e Imposimato o dei film di Ferrara e Martinelli, secondo i quali le BR sarebbero state “eterodirette”. Gli apparati dello Stato debbono in qualche modo “giustificare” la propria perdurante inefficacia nel fronteggiare un siffatto attacco e il suo esito catastrofico, dopo 55 giorni di “scacco” senza precedenti, fatto che mal si concilia con un’azione di dieci proletari, per usare le parole di Gallinari. Gli stessi familiari delle vittime, come confermatomi dal magistrato Armando Spataro in occasione della presentazione del suo libro Ne valeva la pena, si trovano nella comprensibile incapacità di accettare che la loro vita possa essere stata devastata da un gruppo spontaneo e ideologizzato di giovani e, così, alcuni di loro tendono a reclamare una sorta di mancata verità che si celerebbe “dietro”; a tale proposito, è indicativo leggere le testimonianze delle mogli degli agenti Dionisi e Graziosi in I silenzi degli innocenti di Fasanella e Grippo. Alla diffusa dietrologia ha contribuito anche uno storico fondatore delle BR come Alberto Franceschini, che ha ipotizzato quale fantomatico ispiratore quel Corrado Simioni che si era trasferito a Parigi a dirigere una scuola di lingue chiamata Hyperion, legata alla carismatica figura dell’Abbé Pierre12. In realtà, su quella tragica vicenda non resta alcun mistero. Come confermano tutti i protagonisti, l’operazione venne preparata almeno quattro anni prima,

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quando erano ancora liberi Curcio e Franceschini, contattando alcuni ex militanti romani del disciolto Potere operaio, anche se trova la sua prima attuazione con l’affitto nel dicembre 1975 della casa di Via Gradoli 96, dove alloggeranno Moretti e la Balzerani durante il sequestro. Morucci, Bonisoli e Franceschini hanno detto che si era pensato alternativamente ad Andreotti o a Fanfani, ma che poi fu scelto Moro per ragioni meramente operative; che la scelta di quel giovedì, ovvero proprio il giorno in cui Andreotti andava a giurare per quel governo voluto da Moro e votato dal PCI, fu in certo senso “casuale”, perché era il primo giorno che si appostavano in Via Fani; che il reale obiettivo era quello di processare la DC mentre lo Stato stava processando a Torino la rivoluzione. Sul numero degli effettivi partecipanti all’azione di via Fani, che peraltro riproduce nelle modalità operative il precedente sequestro Scheyler da parte della RAF, è da anni appurato che all’agguato parteciparono in dieci. Il gruppo di fuoco dei tiratori era composto da Raffaele Fiore, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Valerio Morucci; con altri compiti assegnati c’erano Mario Moretti, Bruno Seghetti, Barbara Balzerani, Alvaro Lojacono, Rita Algranati e Vladimiro Casimirri13. I dieci brigatisti presenti in Via Fani e gli altri tre che attesero l’esito in Via Montalcini 8 (Laura Braghetti e Germano Maccari) e in Via Chiabrera 74 (Adriana Faranda) verranno tutti arrestati, ad eccezione di Casimirri, riparato in Nicaragua. Bonisoli verrà arrestato l’1 ottobre dello stesso anno nella base milanese di Via Monte Nevoso,

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mentre Fiore, Morucci, Faranda e Gallinari verranno presi l’anno dopo, rispettivamente il 19 marzo a Torino, il 29 maggio a Roma e il 24 settembre sempre a Roma. Due anni dopo verranno arrestati Seghetti, il 19 maggio a Napoli, e Braghetti, il 27 maggio a Roma; tre anni dopo sarà la volta di Moretti, il 4 aprile a Milano. Balzerani verrà arrestata a Ostia il 19 giugno 1985; Lojacono a Lugano, l’8 giugno 1988; Maccari a Roma, il 13 ottobre 1993; Algranati all’Aeroporto de Il Cairo, il 14 gennaio 2004. Maccari è morto nel carcere di Rebibbia il 25 agosto 2001 e Gallinari il 14 gennaio del 2013, a Reggio Emilia. Sulle presenze di quella mattina in via Fani il testimone Alessandro Marini aveva riferito di una moto da cui sarebbero partiti dei colpi contro il suo parabrezza, ma le recenti fotografie pubblicate nel libro di Gianremo Armeni lo hanno smentito. Alcuni pentiti della ‘ndrangheta hanno detto che quel giorno in via Fani vi sarebbe stato persino il boss Antonio Nirta (non si capisce a fare che), ma nulla ha confermato tale circostanza. Laura Braghetti14, uno dei carcerieri di via Montalcini, ha sempre detto di non essersi mai mostrata a volto scoperto, perché l’idea originaria era di rilasciare vivo Moro dopo il sequestro e non certo di ucciderlo, fatto che non a caso provocherà la dipartita di due elementi storici del sequestro, ovvero Morucci e Faranda, segno evidente che l’omicidio non era stato preventivato, come peraltro hanno sempre ribadito tutti. Quanto ai carcerieri di Via Montalcini, è vero che solo nel 1993 verrà individuato il quarto uomo in Germano Maccari15, che tre anni dopo confesserà

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al processo di essere stato quel falso ingegner Altobelli che aveva stipulato il contratto di luce e acqua dell’appartamento, ma questa reticenza da parte degli ex BR appare comprensibile nell’ottica di evitare la galera a un ex compagno. In merito alla linea della “fermezza” sono stati sollevati dubbi sulla frase “senza condizioni”, inserita dal Papa nella sua celebre lettera agli “uomini delle brigate rosse” che, a detta di tutti, fornì l’argomento decisivo per far prevalere all’interno delle BR la linea dell’inevitabile soppressione dell’ostaggio. Altri dubbi riguardano la rigidità nel non voler liberare il nappista Alberto Buonoconto, gravemente malato, ma si confondono due cose di significato molto diverso. È abbastanza evidente che lo Stato fece ben poco per cercare di liberare Moro o di farlo rilasciare vivo dalle BR e che, ad un certo punto, se non sin dall’inizio, fossero in molti a ritenere preferibile che Moro non ritornasse più da quel sequestro, ma questo non autorizza a sostenere che si trattò di un’azione militare etero-diretta o anche solo “suggerita”. Tutti i brigatisti hanno successivamente confermato di aver avuto la netta impressione che la DC volesse Moro morto, ma nessuno di loro ha mai neppure ipotizzato, anche a fronte di successive scelte processuali molto diverse, che quel delitto fosse stato commissionato da altri. A distanza di 40 anni pare abbastanza sterile insistere ancora su alcuni episodi un po’ grotteschi, come il pendolino di Prodi, la doccia di Gradoli, il falso comunicato numero 7 o il cassonetto di Monte Nevoso, quando solo nel 1982 sarà possibile individuare l’appartamento di Via Montalcini, grazie alle confessioni del pentito Antonio Savasta e, anco-

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ra oggi, l’unico brigatista detenuto è proprio quello che i dietrologi hanno definito “ambiguo”. Con la “vicenda Moro” ha ufficialmente inizio la stagione dell’emergenza: il governo introduce delle norme restrittive che saranno successivamente estese e radicalizzate. Del 30 agosto l’emanazione (violando l’art. 77 della Costituzione) di un decreto segreto che attribuisce al Generale Dalla Chiesa poteri speciali per combattere il terrorismo. Il decreto non viene trasmesso al Parlamento e viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale soltanto un anno dopo. Le “leggi Cossiga” del triennio ‘78-’80 individuano nuove configurazioni delittuose e criminali. Vengono inoltre gettate le basi della cosiddetta legislazione premiale che, mediante il principio della dissociazione, mira ad annientare, eliminare alla radice il fenomeno sovversivo16. Nei mesi successivi il bilancio è tragico, prende corpo la cosiddetta stagione del terrorismo diffuso. Le BR compiono 5 omicidi (Antonio Esposito, Pietro Coggiola, Girolamo Tartaglione, Salvatore Lanza e Giuseppe Porceddu) e 8 ferimenti (Antonio Cazzotti, Gavino Manca, Aldo Ravaioli, Ippolito Bestonso, Vincenzo Garofano, Mario Marchetti, Antonio Pellegrini e Giuseppe Rainone); Prima Linea un omicidio (Alfredo Paolella) e 5 ferimenti (tra cui Salvatore Russo di Grugliasco, in quanto “commerciante” il giorno dell’anniversario della morte del militante Tognini, ucciso l’anno prima dal titolare di una armeria); le Squadre proletarie di combattimento per l’Esercito di Liberazione comunista compiono il ferimento di Giacomo Ferrero e l’omicidio di Giampiero Grandi; le Formazioni comuniste combattenti gli agguati mortali ai danni di Fedele

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Calvosa, Giuseppe Pagliei e Luciano Rossi; la Guerriglia Comunista gli omicidi di Giampiero Cacioni, Maurizio Tucci, Enrico Donati e Saaudi Vaturi; i Proletari Armati per il Comunismo l’omicidio di Antonio Santoro. Frattanto il 13 settembre viene arrestato a Milano, nel covo di via Negroli, Corrado Alunni ed il 1° ottobre 1978, sempre a Milano, gli uomini dell’antiterrorismo fanno irruzione nel covo di via Monte Nevoso. Nel corso dell’intera operazione (che si sviluppa anche in altri appartamenti) nove brigatisti vengono tratti in arresto, tra cui i dirigenti dell’esecutivo Bonisoli e Azzolini, oltre a Nadia Mantovani, Antonio Savino, Paolo e Bianca Amelia Sivieri ed al tipografo Flavio Amico17. In via Monte Nevoso viene trovato il dattiloscritto di parte del memoriale di Moro anche se 12 anni più tardi, in quello stesso appartamento – durante dei lavori di ristrutturazione, dietro un tramezzo – verranno scoperte le copie dell’intero memoriale18. 5 ottobre: la Digos identifica per la prima volta la figura di Giovanni Senzani19. 24 ottobre, Genova: l’operaio-sindacalista comunista dell’Italsider Guido Rossa denuncia l’operaio Francesco Berardi, sorpreso nell’atto di distribuire volantini delle BR in fabbrica. Berardi viene arrestato la sera stessa. Novembre: Mario Moretti e Laura Braghetti si trovano a Parigi, al Cafè de la Paix in Place de l’Opera, con lo stewart di Alitalia Carlo Brogi, per una concordata consegna di tre passaporti falsi destinati a militanti del-

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la RAF, con cui le BR erano intenzionate ad allacciare rapporti. A tal fine, sempre Brogi, tramite la Braghetti, affitta a suo nome per qualche mese un appartamento a Parigi in rue des dames20. Il 17 novembre, a Torino, un commando di Prima Linea ferisce l’architetto Mario Deorsola, progettista del restauro della ex caserma Lamarmora dove si è celebrato il processo alle BR. 1 dicembre 1978: strage di Via Adige a Milano. Al termine di una lite in un bar, Domenico Bornazzini, Antonio Magri e Carlo Lombardi vengono uccisi dai PL Oscar Tagliaferri e Maurizio Baldasseroni, che poi scappano all’estero. Di Baldasseroni, del quale se ne sono perse le tracce dal 14 novembre 2002, il Tribunale ha avviato nel 2014 un procedimento per la dichiarazione di morte presunta, cui si sono opposti i familiari delle tre vittime. 15 dicembre, a Torino, le BR uccidono i poliziotti Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu, di guardia all’interno di un blindato davanti alla ex caserma Lamarmora. 21 dicembre, Roma: attentato di un commando BR composto da Faranda, Algranati, Casimirri e Gallinari all’auto della scorta dell’onorevole Giovanni Galloni della DC. Se il 1978 è contrassegnato dal più eclatante episodio dell’intera storia della lotta armata in Italia, il successivo 1979 sarà quello della sua massima espansione.

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NOTE 1. Furono numerose le “notti dei fuochi” che si susseguirono a Padova negli anni ‘70, tra cui il 31 gennaio 1978, giornata in cui il sostituto procuratore Pietro Calogero chiede il rinvio a giudizio di 35 militanti di Autonomia Operaia, il 13 aprile 1978, il 12 luglio 1978, il 18 dicembre 1978, l’8 aprile 1979, a seguito della operazione giudiziaria 7 aprile (vd. infra), e in quella sera furono attaccate una ventina di caserme dei carabinieri, il 30 aprile 1979 ed il 3 dicembre dello stesso anno. 2. Figlio di Fulvia Dubini e Giorgio Ceriani Segrebondi, importante figura della resistenza milanese, laureato in fisica elettronica, insegna alla Sapienza di Roma quando, il 18 novembre 1978, viene arrestato e gravemente ferito mentre cerca di recuperare l’auto utilizzata dal commando delle FCC per l’attentato di Patrica al Procuratore di Frosinone Calvosa. Qualche giorno dopo compare su la Repubblica un’intervista di Carlo Rivolta a sua madre, che racconta che Paolo: «Era andato a stare a Vibo Valentia come un bracciante, scegliendo di vivere con 50.000 Lire al mese per trovare così un’identità di classe diversa. Non era tra quelli che magari lottavano per il proletariato vivendo in case di lusso, non negandosi nulla di quello che la loro origine sociale gli aveva concesso». Condannato in primo grado a 10 anni per partecipazione a banda armata, in appello verrà condannato all’ergastolo sulla base delle dichiarazioni di Marco Barbone del quale il suo legale, avvocato Alberto Pisani, come si legge nell’articolo de l’Unità del 6 dicembre 1980, aveva detto alla Corte, : «Il suo volto è pulito e sbarbato, ma le sue mani sono lorde di sangue». Verrà poi condannato a un secondo ergastolo per l’omicidio di Carmine De Rosa. Il 24 maggio 1980 evade dal carcere di Parma calandosi con una corda dalla finestra e l’Unità, riprende il gossip delle sue origini nobiliari, titola: “Dai salotti buoni al fiancheggiamento del terrorismo”, citando il fratello Stefano, a sua volta coinvolto nella vicenda della stampatrice trovata

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nella tipografia romana delle BR di Via Foà. Nel maggio del 1987 viene arrestato a Parigi insieme alla compagna Paola De Luca e a Vincenzo Olivieri, ma l’anno dopo la Corte francese negherà all’Italia l’estradizione. In una nota del 9 febbraio 1994 il capo della polizia Vincenzo Parisi segnala al Ministro Nicola Mancino l’esistenza di una «cellula per la costituzione del partito comunista combattente organizzata dal circuito clandestino francese» e tra i nominativi di “soggetti pericolosi” si indicano quelli di Paolo Ceriani Segrebondi e Paola De Luca. 3. I principali rappresentanti dei NAR furono Valerio detto “Giusva” Fioravanti, Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Massimo Carminati, Alessandro Alibrandi, Mario Corsi, Pasquale Belsito, Gilberto Cavallini, Franco Anselmi, Beppe Dimitri e Massimo Sparti. Per la storia dei NAR vedasi: Giovanni Bianconi, A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti, terrorista neo-fascista quasi per caso, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007. 4. Corrado Alunni (Roma, 12 novembre 1947), cresciuto a Centocelle, nell’estate del 1967 si trasferisce a Milano per andare a lavorare alla Siemens, che lascia nel 1974 per entrare in clandestinità. Nel 1975 abbandona le Brigate Rosse con Fabrizio Pelli e Susanna Ronconi; ricercato dopo la scoperta a dicembre della base di Pavia in cui viene arrestato Pelli, insieme ad alcuni militanti autonomi gravitanti intorno alla rivista Rosso fonda le Brigate Comuniste, che nel 1977 diventeranno le Formazioni Comuniste Combattenti. Arrestato il 13 settembre 1978 nella base di Via Negroli 30/2, unitamente alla sua compagna Marina Zoni, il 28 aprile del 1980 è tra gli organizzatori, insieme a Renato Vallanzasca e Emanuele Attimonelli dei NAP, di una clamorosa evasione in pieno giorno dal carcere di San Vittore. Alle 13.15 durante l’ora d’aria, un gruppo di detenuti muniti di tre pistole prende in ostaggio il brigadiere Romano Saccoccio per farsi strada fino all’uscita del penitenziario, sparando ai due agenti di guardia. Si scatena una sparatoria per le vie del centro di Milano,

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nella quale Alunni viene colpito allo stomaco da due colpi di mitra e Vallanzasca viene ferito alla testa. Dirà in seguito«A causa di un processo in programma a Milano nel braccio speciale di San Vittore, ci siamo ritrovati insieme io e Vallanzasca. Le armi ce le siamo fatte venire da fuori, ma reali appoggi esterni non ne avevamo. E ce ne importava poco. L’essenziale era riuscire a scappare, superando tutte le barriere di uomini e di strutture. Anche se poi è finita male, debbo dire che la prima prova l’abbiamo vinta». Condannato a più di 50 anni di carcere, il 18 marzo 1987 durante il Processo Moro ter si dissocia e nel 1989 ottiene la semi-libertà. 5. Antonio Marocco (Torino, 7 maggio 1953): entrato come “comune” e politicizzatosi in carcere, evaso il 5 gennaio 1977 da Fossombrone si era quasi subito unito al gruppo di Alunni. Nuovamente arrestato il 1° febbraio 1979 unitamente a Daniele Bonato in una trattoria di Bagnolo Cremasco, dopo una breve fuga seguita ad un posto di blocco, è tra i pochi che riescono a completare la celebre evasione da San Vittore del 28 aprile 1980, organizzata da Alunni e Vallanzasca. Dopo la fine delle FCC fonderà i Reparti comunisti d’attacco e, in seguito, aderirà alle BR Partito Guerriglia per essere definitivamente arrestato alla fine del 1982; immediatamente “pentitosi” verrà condannato a 12 anni. Teresa Zoni ce ne parla ampiamente nel citato Clandestina, dato che all’epoca della sua evasione intratteneva con lui una relazione sentimentale. 6. Su La Stampa del 30 maggio 1979 si legge «Stavano preparando attentati le persone arrestate a Como: La Procura della Repubblica di Milano ha convalidato il fermo dei sette giovani arrestati domenica scorsa nel retro di un bar di Como nell’ambito di una operazione anti-terrorismo condotta dagli uomini del generale Carlo Aberto Dalla Chiesa. Il provvedimento è stato preso per cinque di essi: Fabio Brusa, Roberto Carcano, Francesca Bellerè, Antonio Orru, Luca Colombo». 7. Nell’attentato muoiono anche i due agenti della scorta: Luciano Rossi e Giuseppe Pegliei. Roberto Capone (Milano, 22 apri-

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le 1954) è uno studente di sociologia all’Università di Salerno; gli altri due membri del commando, Rosaria Biondi, 23 anni, appena laureata in legge, figlia di un preside di un Istituto tecnico di Avellino e Nicola Valentino, 24 anni, figlio di un pensionato, cui mancano pochi esami per laurearsi in medicina, trasportano il compagno lontano dal luogo dell’azione e il suo corpo viene ritrovato nella Fiat 125 usata per l’attacco, in un bosco a un chilometro di distanza. Le FCC rivendicarono l’azione con una telefonata e un volantino, mentre nei giorni successivi comparve la scritta “Roberto Capone vive nei nostri cuori” sui muri che circondano la villa comunale di Avellino. Nicola Valentino e Rosaria Biondi saranno arrestati a Torino, due mesi dopo, il 26 gennaio 1979. 8. Per l’appartenenza agli PFDG verranno inquisite in totale 30 persone. Fiora Pirri Ardizzone (Roma, 6 luglio 1950), verrà inizialmente accusata anche di avere partecipato all’agguato di Via Fani. Condannata il 19 gennaio 1980 dalla Corte di Assise di Napoli a più 9 anni di reclusione, subirà un brutale pestaggio dalle guardie del carcere di Messina, che le romperanno una gamba; il 24 maggio 1985 otterrà dal Presidente Pertini un provvedimento di grazia che scatenerà furibonde polemiche, tanto da costringere l’allora segretario Maccanico ad assumersene la responsabilità. Per la storia di Fiora Pirri Ardizzone, Petra Krause, Monica Giorgi, Cesarina Carletti e Caterina Picasso vd. Le indomabili di Davide Steccanella, ed. Pagina Uno, 2017. 9. Nel corso dell’azione viene gravemente ferito il brigatista Cristoforo Piancone, che viene lasciato dai compagni al Pronto Soccorso della Astanteria Martini dove appena giunto dichiara «sono stato colpito durante una azione di guerra, mi considero un prigioniero di guerra». Finita di scontare la propria pena, Cristoforo Piancone verrà riarrestato nel 2007 a causa di una rapina nei pressi di Siena, riaprendo così sui giornali la polemica in merito agli asseriti fallimenti della legge Gozzini. 10. La frase venne per anni erroneamente attribuita a Leonardo Sciascia solo perché lo stesso si rifiutò in più occasioni di “unirsi

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al coro” degli sdegnati democratici dell’emergenza, da intellettuale scomodo quale era e sempre sarà anche in future occasioni emergenziali, con prese di posizione pubbliche che pure non mancheranno di scatenare ulteriori polemiche. 11. “No al fermo di polizia” lasceranno scritto al momento della loro “fuga”. Le BR risponderanno con un documento durissimo, scritto in collaborazione con i detenuti del nucleo storico in carcere, che li definiva «zanzare da schiacciare». 12. Corrado Simioni (Venezia 1934 – Truinas 2008) alla fine degli anni ‘50 aveva militato nella gioventù socialista milanese insieme a Bettino Craxi e sarà proprio Craxi a parlare nel 1980 di un “grande vecchio” dicendo: «bisognerebe andare indietro con la memoria, ripensare a quei personaggi che avevano cominciato a fare politca con noi, che avevano mostrato di avere qualità, doti politiche, e che poi all’improvviso sono scomparsi. Gente di cui si parlava una decina di anni fa… Certo molti di loro avranno smesso, si saranno accontentati di una sistemazione qualsiasi, qualcuno sarà anche morto. Però, dico, ci sarà pure chi invece ha continuato nella clandestinità, magari oggi starà a Parigi, a lavorare per il partito armato…». 13. Vladimiro Casimirri (Roma, 2 agosto 1951) “Camillo” si è rifugiato in Nicaragua e Rita Algranati (Roma, 12 gennaio 1958) “Marzia” è stata arrestata all’aeroporto de Il Cairo il 14 gennaio del 2004, dopo una lunga latitanza. Più complessa la vicenda di Alvaro Lojacono (Roma, 7 maggio 1955): fuggito in Algeria nel 1980, dopo la condanna in appello a 16 anni per l’uccisione del missino Mikis Mantakas, dopo 4 anni si trasferisce a Rio de Janeiro, dove rimane fino a quando in Svizzera esce una legge grazie alla quale, in quanto figlio della svizzera Ornella Baragiola, può ottenere la nazionalità elvetica; nel 1986 assume quindi il cognome materno, lavorando per Radio Ticino. L’8 giugno 1988 viene arrestato a Lugano su richiesta della A.G italiana, con l’accusa di avere fatto parte della colonna romana delle Brigate Rosse con il nome di battaglia “Otello” e di avere concorso sia nel seque-

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stro di Aldo Moro che nell’omicidio del Giudice Tartaglione. In assenza di testimoni disposti a deporre in Svizzera sul suo coinvolgimento nel sequestro Moro, il 29 maggio 1989 l’Autorità elvetica sospende il processo per i fatti di Via Fani e lo processa per l’omicidio del giudice Tartaglione, condannandolo il 6 novembre all’ergastolo, che in seconda istanza viene commutato a 17 anni. Nel 1997 viene ammesso alla semi-libertà e nel 1999 viene dichiarata estinta la pena. Il 14 maggio 1997 la Corte di Cassazione aveva reso definitiva la sua condanna all’ergastolo per il sequestro di Aldo Moro e, in forza di un mandato di cattura internazionale, nel giugno 2000 Lojacono viene nuovamente arrestato in Corsica; dopo 4 mesi di isolamento nel carcere di Bastia, il 12 ottobre 2000 la Francia non concede però all’Italia l’estradizione e Lojacono torna in Svizzera. L’Italia chiede di riaprire il processo per il sequestro di Aldo Moro, ma la Svizzera rigetta la domanda italiana perché, si legge nella risposta del 1° ottobre 2002 del Presidente del Consiglio di Stato, all’interrogazione del 30 marzo 2002 del deputato Roger Etter: «Comporterebbe un onere importante nell’ordine di settimane di lavoro a tempo pieno di un magistrato, con un interesse relativo per la nostra giustizia che, in caso di condanna, porterebbe ad una pena irrisoria, visto che si tratterebbe di una pena aggiuntiva a quella di 17 anni di reclusione già inflitta a Baragiola». Nel 2005 l’Italia fa una nuova istanza sulla base della legge appena approvata sull’assistenza giudiziaria, chiedendo alla Svizzera di commutare la pena inflitta in Italia con una pena da scontare in territorio elvetico, ma dopo un primo diniego, cui segue un’ulteriore richiesta italiana, e dopo un trasferimento di competenza dal Ticino a Berna, dovuto al trasloco di Alvaro Lojacono-Baragiola, nel 2008 la Svizzera respinge definitivamente la richiesta. 14. Germano Maccari (Roma 16 aprile 1953) “Gulliver”, cresciuto nel quartiere di Centocelle, dopo avere militato nei primi anni ‘70 nella struttura illegale di Potere Operaio e quindi nei LAPP con Valerio Morucci, Adriana Faranda e Bruno Seghetti si

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ritira dalla politica militante iscrivendosi all’università. Nel 1978 fu convinto, dopo molte “resistenze”, da Bruno Seghetti e Valerio Morucci a partecipare alla imminente operazione Moro, al termine della quale abbandona le Brigate Rosse. Dopo un primo arresto del 3 marzo 1982, il 13 ottobre 1993 viene nuovamente arrestato, perché sospettato di essere il quarto uomo di Via Montalcini, circostanza confermata il 22 ottobre al capo della Digos di Roma Marcello Fulvi da Adriana Faranda, che dichiara di averlo saputo da Morucci. A fronte dell’accusa di essere il materiale esecutore di Moro, il 24 ottobre Rossana Rossanda rilascia un’intervista su il manifesto in cui rivela di avere raccolto invece la confessione di Moretti. Scarcerato dopo un anno dal Tribunale del riesame, Maccari per oltre 3 anni nega strenuamente ogni responsabilità, anche in occasione del confronto processuale del 19 marzo 1996 con la Faranda davanti alla Corte d’Assise del Moro Quinques; all’udienza del 19 giugno confessa e il 16 luglio viene condannato all’ergastolo, ridotto in appello a 23 anni. Quando il 14 novembre 2000 la condanna diventa definitiva, Maccari entra nel carcere di Rebibbia dove, il 25 agosto 2001, muore a seguito di un aneurisma cerebrale dovuto ad una rissa di qualche giorno prima. libro di Bianconi Mi dichiaro prigioniero politico ed alla sua figura è ispirato il protagonista di un romanzo molto originale dal titolo Il contratto di affitto, scritto dall’esordiente Marco Passeri, ed. Bietti 2011. 15. Anna Laura Braghetti “Camilla”, nata a Roma il 3 agosto 1953, viene coinvolta da Bruno Seghetti per intestarsi e gestire l’appartamento di via Montalcini dove verrà tenuto prigioniero Aldo Moro e dal quale esce tutti i giorni per recarsi al posto di lavoro. Solo in seguito entra in clandestinità, partecipa ad alcune azioni della colonna romana, tra cui l’assalto alla sede DC di Piazza Nicosia e l’assassinio alla sapienza di Vittorio Bachelet e accompagna più volte Moretti a Parigi, in virtù della sua conoscenza della lingua francese. Arrestata il 27 maggio 1980, l’anno dopo sposa in carcere Prospero Gallinari, trascorre alcuni anni di

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dura detenzione nello speciale del carcere di Voghera e nel 1993 accetta di parlare al processo Moro quater. Nel 1998 pubblica per Mondadori con Paola Tavella Il prigioniero, da cui verrà tratto il film di Bellocchio Buongiorno notte, rieditato da Feltrinelli nel 2003, e nel 2002 ottiene la liberazione condizionale. Dopo anni di volontariato alla organizzazione “Ora d’aria”, viene assunta nel 2007, durante il governo Prodi, a “Italia lavoro” agenzia del Ministero del Lavoro. 16. Quella di “avere distrutto il movimento” è stata una delle accuse più di sovente mosse alle BR da parte di molti di quelli che in quegli anni avevano militato a sinistra del PCI, e viene ripresa anche nel libro L’aspra stagione di De Lorenzis-Favale, ed. Einaudi, 2012, ma viene altrettanto diffusamente respinta da tutti gli ex lottarmatisti. In particolare da Prospero Gallinari, che ribatte che basta confrontare i voti alla sinistra alle elezioni di quegli anni con quelli degli anni successivi per verificare che era il “clima” di allora ad essere cambiato, indipendentemente dalle BR, tanto è vero che quando loro sono stati sconfitti, nessuno a sinistra, PCI compreso, ha vinto. Anche Enrico Fenzi nell’appendice finale di aggiornamento alla seconda edizione del suo libro Armi e bagagli, dichiara che pretendere di riscrivere la storia della sinistra di quegli anni senza la lotta armata è operazione falsa e tendenziosa. 17. Paolo Sivieri (Castelmassa, Rovigo, 2 ottobre 1954), fratello di Biancamelia Sivieri (Castelnovo Bariano, Rovigo, 31 maggio 1949), arrestato nell’appartamento di Via Olivari 9, si suiciderà il 25 gennaio 1989 a 35 anni nella sua casa di Castelmassa, in provincia di Rovigo, dove si trovava in detenzione domiciliare per una grave forma di psicosi depressiva con rifiuto di cibo. In Le scarpe dimenticate di Armando Lanza (ed. Lulu, 2017) si legge: «In quei giorni arrivò da un carcere di massima sicurezza Paolo Sivieri, un compagno della Walter Alasia arrestato nel 1978. Era un giovane dalla faccia pulita e i modi gentili. Quando si dissociò fu lasciato dalla sua fidanzata e anche i suoi genitori non

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compresero il suo gesto. Abbandonato da tutti, Paolo si chiuse in se stesso e cadde in depressione. A Belluno l’incontro con i “moralisti” piemontesi fece il resto. Lo si vide sempre meno in cortile nell’ora d’aria, finché non vi rinunciò del tutto. Non mangiava più e pensava soltanto al suicidio. Ci provava tutti i giorni con le lenzuola: ne strappò così tante, che alla fine lo lasciarono soltanto con le coperte». Quanto a Flavio Amico (Caltanissetta, 27 luglio 1955), titolare della tipografia di Via Buschi 23, è reperibile su youtube un video dal titolo “Storia di un terrorista”, che riporta una lunga intervista di Enzo Biagi ai suoi genitori. Scarcerato per decorrenza termini di custodia, Flavio Amico verrà nuovamente arrestato a Milano il 21 dicembre 1981, insieme a Pasqua Aurora Betti e condannato a 18 anni di reclusione per appartenenza alla Walter Alasia. 18. Il 20 giugno 2012 sul blog “Insorgenze” Paolo Persichetti ha pubblicato un articolo dal titolo: Cosa leggeva un brigatista nel settembre 1978?: «Nonostante la semplicità della domanda pochi se la sono posta. Eppure la risposta avrebbe aiutato moltissimo a comprendere meglio la storia di una delle componenti politiche più importanti che hanno dato vita alla lotta armata in Italia tra gli anni 70 e 80. I materiali ci sono, una documentazione immensa, repertata nelle migliaia di procedimenti penali e verbali di sequestro realizzati nel corso di oltre 20 anni di inchieste, operazioni di polizia e processi. Basterebbe andarli a cercare, leggerli, studiarli. Quanti lo hanno fatto? Io ne conosco solo due che hanno lavorato in questo modo: Marco Clementi e Miguel Gotor. Agli antipodi, ma non importa. Cosa si ricava dal ricorso al metodo storiografico? Si smontano molte leggende, fandonie, luoghi comuni, crolla l’intera impalcatura dietrologica. La presenza di un libro della Kollontaj ridimensiona persino la critica femminista che tacciava la lotta armata di “machismo” (anche se nei gruppi armati di sinistra la presenza femminile è stata di gran lunga più alta di qualsiasi altra formazione politica, extraparlamentare o istituzionale). Nell’appartamento di via Montenevoso

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8, a Milano, c’erano i libri (sarebbe stato interessante poterli riavere tra le mani per osservarne le sottolineature, i commenti a margine, ma molto probabilmente saranno finiti al macero o forse in qualche armadio dei reparti antiterrorismo, i cui membri saccheggiavano senza scrupoli le librerie dei militanti arrestati) impiegati come fonti per la realizzazione dei comunicati scritti durante il sequestro (il ritratto biografico-politico di Aldo Moro ripreso da un volume di Aniello Coppola, pubblicato da Feltrinelli due anni prima del rapimento) ed altri utilizzati per redigere le domande al prigioniero. Spiccano due assenze: non c’era L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels, il libro de chevet dell’ex maoista Marco Bellocchio infilato come i cavoli a merenda in una scena demenziale del suo film (quella del mantra) sul rapimento Moro, Buongiorno notte (2003); non c’erano neanche liriche inneggianti al calibro ben oliato o bottiglie di Veuve Cliquot che riempivano i frigoriferi della case dove si nascondeva Sergio Segio. Ancora più interessante è la genealogia della cultura politica brigatista che si può ricavare da queste letture. Certo è solo un primo elemento che andrebbe sovrapposto ad un lavoro di analisti dei testi. È l’inizio di una possibile, anzi utile pista di ricerca. In ogni caso è evidente come l’album di famiglia stalino-togliattiano richiamato come immagine dalla Rossanda, a dire il vero per polemizzare con chi diceva che i brigatisti erano dei “fascisti travestiti di rosso”, “agenti provocatori sotto controllo della Cia”, non era esatto. Altri dati poco studiati, le rilevazioni sociologiche sulle biografie politiche, ci dicono che la provenienza degli imputati per appartenenza alle BR non è riconducibile all’image d’Épinal del gruppo di fuoriusciti dalla FGCI di Reggio Emilia o agli studenti un po’ cattolici dell’università di sociologia di Trento. Ci sono le fabbriche milanesi, torinesi e genovesi. La diaspora di Potere Operaio e di altre formazioni che operavano nelle borgate romane. L’onda lunga del 77. Pezzi di Autonomia veneta, Porto Marghera. L’area napoletana. E poi ancora le periferie romane degli anni 80. Basta avere voglia di fare

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ricerca vera, libera, fuori dai preconcetti delle baronie universitarie lottizzate, dagli anatemi di re Giorgio e da chi ha messo in piedi quella rete di controllo della memoria che è il portale promosso dall’archivio Flamigni con la bendizione del Quirinale. Ma torniamo al questito iniziale: cosa leggevano i brigatisti? È la domanda a cui risponde Miguel Gotor esaminando con gli occhi dello storico il materiale repertato dai nuclei speciali del generale Dalla Chiesa dopo l’irruzione nell’appartamento di via Montenevoso 8, a Milano, il 1° ottobre 1978. Quella di Montenevoso era una base importante, una sorta di archivio delle Brigate Rosse, scelta per conservare e preparare l’opuscolo che avrebbe dovuto raccogliere i materiali dell’interrogatorio (il cosiddetto “memoriale”) del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Al suo interno vivevano due esponenti dell’esecutivo nazionale della Brigate Rosse: Lauro Azzolini e Francesco Bonisoli, entrambi “clandestini”. Il primo, trentacinquenne ex operaio della Lombardini di Reggio Emilia; il secondo, ventitreenne ed anche lui di Reggio Emilia, aveva preso parte nel marzo precedente all’azione di via Mario Fani, dove venne prelevato Aldo Moro. Insieme a loro da pochi giorni era arrivata anche Nadia Mantovani, venticinquenne, originaria di Padova e studentessa in medicina, latitante da poche settimane dopo che si era sottratta al domicilio coatto (confino) a cui era stata assegnata dopo un primo arresto. L’appartamento era stato individuato in agosto e tenuto sotto stretta sorveglianza per alcune settimane, il tempo di agganciare gli altri contatti, scoprire altre basi e farvi irruzione. Dalle sessanta fitte pagine del verbale di sequestro, redatto dai carabinieri dei reparti speciali che occuparono l’appartamento nei 5 giorni successivi, prima di essere sloggiati con modi alquanto bruschi da altro personale dell’Arma appartenente alla struttura territoriale di Milano che faceva capo alla caserma Pastrengo si ricava un interessante profilo della bibliografia brigatista che Miguel Gotor descrive in questo modo (cfr. Il memoriale della Repubblica, Einaudi 2011, pp. 51-54): «oggetti comuni a un’intera generazione di gio-

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vani: non marziani, come sono diventati lentamente nel ricordo obliquo e reticente dei loro compagni di strada, man mano che costoro si separavano da quell’esperienza umana e politica che li aveva lambiti come un’onda improvvisa, senza travolgerli. Più che dalle intenzioni, spesso salvati dal puro caso: un appuntamento mancato, un amore improvviso, un figlio inatteso, la cartolina del servizio militare». Nella base i militi «trovano centinaia di dattiloscritti fitti di analisi economiche e numerose rassegne stampa, in particolare sulla realtà industriale lungo l’asse MilanoTorino, non solo auto, ma anche chimica e siderurgia. Diari mensili riguardano lo stabilimento della Lancia di Chiasso (maggio e giugno 1978), una Relazione Fiat Mirafiori carrozzeria e presse, uno scritto intitolato “La Fiat degli Agnelli”, un documento politico sull’Ansaldo, il cui stabilimento è adesso a Milano uno spazio espositivo per l’alta moda. E poi i libri: non molti, ma ben scelti. Una piccola biblioteca portatile di edizioni recenti. Un vero e proprio campionario dell’internazionalismo rivoluzionario operaio e studentesco, oggi sopravvissuto tra le bancarelle dei bibliofili o negli scomparti virtuali di eBay a testimonianza di un’antica vitalità ormai dispersa; ieri strumenti preziosi per capire un mondo in ebollizione tra rivolte anticapitaliste, resistenze a regimi dittatoriali neofascisti e processi di decolonizzazione in atto con le loro speranze di giustizia e di riscatto: un altro socialismo sembrava ancora possibile. Tupamaros, Kollontaj, Pisacane, Weather Underground, Bettelheim, Brecht, Mao… Lotta armata in Iran di Bizhan Jazani, teorico socialista iraniano morto nel 1975; La resistenza eritrea di Piero Gamacchio e, dentro un baule, Prateria in fiamme, ossia il programma politico dei “Weather Underground” il movimento di ispirazione marxista statunitense; Tupamaros: libertà o morte di Oscar José Dueñas Ruiz e Mirna Rugnon de Dueñas; La rivoluzione in Italia di Carlo Pisacane, eroe risorgimentale che la riscoperta resistenziale di Giaime Pintor aveva riportato alla considerazione dei movimenti rivoluzionari italiani in maniera ben più radicale di quanto la scolastica

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Spigolatrice di Sapri avrebbe mai lasciato supporre con la sua apparentemente innocua cantilena. E poi l’edizione einaudiana del Dialoghi di profughi di Bertolt Brecht a cura di Cesare Cases e il classico del femminismo Vassilissa: l’amore, la coppia, la politica. Storia di una donna dopo la rivoluzione dell’eroina sovietica Aleksandra Kollontaj. Non manca l’attenzione al tema delle partecipazioni statali e della riorganizzazione dell’impresa pubblica italiana (Lo Stato padrone, La borghesia di Stato), al mondo della nuova televisione (L’antenna dei padroni), alla realtà delle multinazionali quando il termine globalizzazione non era ancora entrato in voga (Multinazionali: tutto il loro potere in Europa, a cura di Stephen Hugh-Jones, e Multinazionali e comunicazioni di massa del sociologo francese Armand Mattelart). In camera, in un comodino di fianco al letto, numerose riviste pornografiche, una Settimana enigmistica, la Lotta di classe in Urss con annotazioni del marxista critico Charles Bettelheim e le Opere scelte di Mao Tse-tung. Occhieggia persino “un libro dal titolo Carabinieri (di barzellette)”, come registra con involontario senso dell’umorismo il verbalizzante, quello illustrato da Bertellier e pubblicato da Samonà e Savelli, forse come omaggio all’abusato slogan di quegli anni: “una risata vi seppellirà”. Materiali e libri che servirono da fonti per redigere i comunicati e preparare le domande a Moro. Alla luce della lettura dei comunicati brigatisti divulgati nel corso dei cinquantacinque giorni non meraviglia la presenza della biografia di Aldo Moro scritta da Aniello Coppola, dal momento che il profilo dell’uomo politico contenuto nel secondo messaggio sembrò agli osservatori più attenti ripreso proprio da quel libro. E neppure stupisce, se si fa riferimento alle parti dell’interrogatorio in cui Moro fu costretto a rispondere sulle attività di antigueriglia della Nato in Italia e sulla cosiddetta strategia ella tensione, il rinvenimento di una relazione sulla “Rosa dei Venti”, e di una copia del libro Il sangue dei leoni, edito nel 1969 da Feltrinelli. Il volume pubblicava nella prima parte un lungo discorso del leader congolese Édouard-Marcel Sumbu, ma dissimulava al suo

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interno il ben più intrigante “Manuale delle Special Forces”, in cui erano riassunte le principali tecniche di antiguerriglia e di sabotaggio messe in pratica dai “Berretti verdi” statunitensi nei quadri bellici non convenzionali della guerra fredda. Desta interesse la copia di un discorso di Umberto Agnelli del 1976, poiché una delle domande a cui Moro dovette rispondere riguardò proprio i meccanismi che portarono alla sua elezione nelle file della DC in quell’anno. Una serie di riscontri occasionali che confermano i rapporti organizzativi intercorsi lungo la linea Roma-Milano, via Firenze, tra il nucleo operativo che gestì il sequestro e l’interrogatorio di Moro e il comitato esecutivo di cui facevano parte anche Azzolini e Bonisoli, ossia gli occupanti di via Montenevoso. Genealogia politico-culturale della rivoluzione brigatista: non c’erano Togliatti e Zdanov, anzi non c’era nemmeno “l’album di famiglia”, di cui scrisse Rossanda, ma le correnti del neomarxismo degli anni 60 del Novecento. Si tratta di un pachetto di libri assai lontani dall’armamentario tipico del militante comunista iscritto al PCI, piuttosto sono letture tipiche della nuova sinistra extraparlamentare di quel decennio, con suggestioni anticapitalistiche, terzomondiste, trockjiste, maoiste, guevariste, genericamente rivoluzionarie e libertarie, di sicura ispirazione antistalinista. Ben lungi quindi dall’immagine dell’album di famiglia – il sapore staliniano e zadnoviano degli anni Cinquanta avvertito da Rossana Rossanda nel linguaggio del secondo comunicato delle BR dopo il rapimento di Moro – un’immagine che tanto consenso trasversale e duraturo ebbe presso l’opinione pubblica italiana da cui fu utilizzata per accreditare la tesi di una filiazione diretta della Brigate Rosse dal PCI. La formula ebbe un successo propagandistico duplice che meriterebbe di essere approfondito nel suo sviluppo e radicamento nel dibattito nazionale: alla destra del PCI, perché amplificava una generale ossessione anticomunista e permetteva di riattualizzare lo stereotipo della doppiezza togliattiana; alla sinistra di quel partito, in quanto consentiva di rimuovere, o almeno stemperare in una vaga aria di famiglia, il

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nodo centrale del rapporto di contiguità culturale e generazionale tra il variegato mondo extraparlamentare, la lotta armata e la pratica della violenza politica nel suo complesso. Un nodo intricato e scivoloso, strettosi sempre più nel corso degli anni anche grazie a una serie di ambiguità, reticenze, omissioni e qualche indulgente connivenza. Zdanov e il Moloch sovietico degli anni Cinquanta, in realtà c’entravano assai poco e rischiavano di trasformarsi in un comodo alibi catarchico per non guardare in faccia la realtà[…]. Anzi, quei libri sono lì a ricordare che quel manipolo di giovani brigatisti era a modo suo, con granitica intransigenza e allucinata coerenza, dentro la cultura, le letture, le pratiche politiche e valoriali del movimento, come se le due realtà fossero attraversate da uno stesso sistema di vasi comunicanti. Quanto accadeva in Italia rifletteva un contesto sovversivo insurrezionale di dimensione europea. Non a caso, due fitte pagine del verbale raccolgono i documenti della tedesca “Rote Armee Fraktion”, ad attestare la solidità dei rapporti con le BR: strutture del gruppo, atti relativi al processo di Stammheim, dichiarazioni dei detenuti dell’organizzazione del 1977 fra cui Andreas Baader, lettere dattiloscritte di Ulrike Meinhof e altri, una pubblicazione in lingua tedesca datata settembre-ottobre 1977, una cartella contenente documenti relativi alla storia della RAF (memoriali, verbali dibattimentali, strategie di guerriglia), due “cassette di cui una iniziata con una voce femminile che parla lingua tedesca”». 19. Giovanni Senzani (Forlì, 21 novembre 1943), cognato di Enrico Fenzi, laureato in legge e sociologia, si trasferisce a Roma nel 1969 e dopo avere insegnato nei primi anni settanta in USA all’Università di Berkeley, diventa uno stimato docente di criminologia e collaboratore del Ministero di grazia e giustizia. Entra nelle BR nel 1976, frequentando il comitato toscano, quando viene arrestato per la prima volta da Vigna. Dopo la scarcerazione diventerà il capo della colonna napoletana e del Fronte delle carceri, gestendo con Moretti il sequestro D’Urso; all’arresto di Moretti fonda il Partito Guerriglia, che trova l’appoggio di gran

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parte del nucleo storico in carcere, prima di venire definitivamente arrestato il 9 gennaio 1982 a Roma, nella base di via Ugo Pesci. Non si è mai dissociato e nel 2004 ha ottenuto la liberazione condizionale. 20. La circostanza è riportata nella motivazione della Sentenza della Corte di Assise di uno dei tronconi Moro in quanto direttamente riferita al processo da Carlo Brogi, divenuto successivamente “pentito”.

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1979 Esce “London Calling” dei Clash e “Il Cacciatore” di Michael Cimino vince l’Oscar. In Italia il Milan vince lo scudetto e lo sconosciuto Mino Vergnaghi vince Sanremo con “Amare”.

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4 gennaio: viene arrestata insieme al marito Luigi Novelli, Marina Petrella1. Il 19 gennaio, a Torino, Prima Linea uccide Giuseppe Lorusso, agente di custodia presso il carcere “Le Nuove”. Il 20 gennaio, sempre a Torino, le BR feriscono gli agenti di PS Francesco Sanna e Angelo Calì. Il 23 gennaio, a Napoli, le BR gambizzano il medico Mauro Carmagnoli. 24 gennaio: le BR uccidono a Genova Guido Rossa. All’agguato prendono parte Vincenzo Guagliardo, Riccardo Dura2 e Lorenzo Carpi: l’intento è quello di gambizzare il sindacalista ma, dopo il primo colpo alle gambe sparato da Guagliardo, Dura decide di tornare sui propri passi e di giustiziare Rossa, colpevole di delazione3. Rossa è un operaio iscritto al PCI e alla CGIL, fatto lascia attoniti milioni di italiani di sinistra; ai suoi funerali la piazza è gremita di operai che salutano il loro compagno a pugno chiuso. Il 26 gennaio a Torino viene localizzata una base delle BR in via Industria 20, dove vengono arresta-

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ti Rosaria Biondi, Nicola Valentino e Inge Kitzler4, compagna di Andrea Coi, che viene arrestato lo stesso giorno presso il reparto militare di Arezzo, dove stava svolgendo il servizio di leva. All’interno viene trovato un manoscritto redatto da Coi e relativo ad una inchiesta sul quotidiano La Stampa e sulla figura di Casalegno. Cinque giorni dopo l’omicidio di Guido Rossa ad opera delle BR un commando della diversa organizzazione di Prima Linea capitanato da Sergio Segio e da Marco Donat Cattin, figlio dell’onorevole democristiano già militante del partito della fermezza durante il sequestro di Moro, compie una azione ancora più clamorosa. Il 29 gennaio, a Milano, Prima Linea ammazza il giudice di Piazza Fontana Emilio Alessandrini. L’agguato desta grande impressione in tutto il paese. Viene infatti colpito un giudice ritenuto di sinistra, in quanto era stato quello che per primo era riuscito a svelare le trame nere dietro l’organizzazione della strage del 12 dicembre 1969. Il giorno dopo il quotidiano Lotta Continua titola: “Ucciso il Giudice Alessandrini. Dai fascisti? No, da Prima Linea”. Anche qui il passaggio in cinque anni da Sossi ad Alessandrini è evidente: come non si colpiscono più i padroni ma gli operai, così ora non si colpiscono più i Giudici reazionari ma quelli riformisti, e l’anno dopo toccherà al Giudice Guido Galli, il cui omicidio verrà rivendicato da PL con uno scritto che ancora oggi sembra il più straordinario degli encomi5. In realtà, dietro agli omicidi di Alessandrini e di Galli vi era una precisa ragione, assai poco ideologica; si trattava infatti dei due Magistrati che si stava-

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no direttamente occupando dell’indagine successiva all’arresto di Corrado Alunni, il cui gruppo (le FCC) era molto collegato ad alcuni militanti milanesi di Prima Linea. 1° febbraio: a Torino le “squadre armate per l’esercito di liberazione comunista” gambizzano il dottor Grazio Romano, medico alle Carceri Nuove. 5 febbraio: a Torino un commando di sole donne di PL ferisce Raffaella Napolitano, vigilante alle Nuove. 15 febbraio: a Torino viene distribuito dalla giunta comunista che governa la città (tra cui un giovane Giuliano Ferrara) un questionario per promuovere la mobilitazione di massa contro il partito armato; l’iniziativa è promossa dal Consiglio di circoscrizione di Madonna di Campagna e viene approvata dall’Assemblea dei presidenti dei Consigli di circoscrizione. Alcune circoscrizioni di centro non aderiscono; altre lo fanno senza l’adesione della DC e delle destre. Vengono distribuite oltre 100 mila copie del questionario; ne vengono restituite 12.676, ma solo in 35 di queste è data risposta alla domanda: «Avete da segnalare fatti concreti che possano aiutare gli organi della magistratura e le forze dell’ordine a individuare coloro che commettono attentati, delitti, estorsioni?». Il 23 febbraio, a Barzanò (CO), un commando dei Comitati Comunisti Rivoluzionari uccide nel corso di una rapina la guarda giurata Rosario Scalia.

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28 febbraio, Torino: la strage del bar dell’Angelo, episodio che ha una coda nei successivi 9 marzo e 18 luglio. Muoiono in uno scontro a fuoco i piellini Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi6 mentre si accingevano a compiere un attentato presso la sede della circoscrizione di Madonna di Campagna al consigliere comunista Michele Zaffino, promotore del suddetto questionario. Per capire davvero il “clima” di allora in Italia, vale la pena soffermarsi a riflettere su una delle tante fotografie scattate durante i funerali bolognesi di Barbara Azzaroni, oggi facilmente accessibili sul web. Quelle immagini del 6 marzo 1979 ci mostrano un imponente agglomerato di folla con la bandiera rossa che saluta con il pugno chiuso il passaggio della bara di una rivoluzionaria armata, uccisa in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, ed il fatto venne visto come del tutto naturale per “quei” tempi. Il successivo 9 marzo un commando di PL guidato da Maurice Bignami attrae in un tranello una pattuglia presso una bottiglieria di Via Millio e nello scontro a fuoco muore il passante Emanuele Jurilli e, quindi, il 18 luglio un commando di PL uccide il proprietario del bar dell’Angelo, Carmine Civitate, accusato erroneamente di delazione. Il 4 marzo, a Roma, le BR gambizzano l’agente di custodia Ciro Renzaglia. 13 marzo: militanti di Guerriglia proletaria (formazione vicina a Prima Linea) uccidono nel suo studio il medico delle carceri di Bergamo Pier Sandro Gualteroni e l’appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri.

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Il 14 marzo, a Torino, le BR feriscono Giuliano Farina, funzionario alle presse della Fiat. 17 marzo: arresto a Torino di Raffaele Fiore7 e di Vincenzo Acella, tra i più importanti militanti della locale colonna BR. 21 marzo: primo arresto di Giovanni “Emiliano” Senzani, per ordine del procuratore Vigna, che lo accusa di aver dato ospitalità a Salvatore Bombaci, brigatista membro del comitato toscano. Il 24 marzo a Genova le BR gambizzano il democristiano Giancarlo Moretti. Il 26 marzo, a Casoria (NA), le BR gambizzano l’agente di custodia Giacomo Vegliante. Il 29 marzo, a Roma, le Brigate Rosse uccidono il consigliere regionale della Democrazia Cristiana Italo Schettini8. 7 aprile: il dottor Pietro Calogero, della Procura di Padova, decapita i vertici dell’Autonomia padovana con una retata che avrà un grandissimo risalto mediatico, ipotizzando – nel celebre “Teorema Calogero” – una connessione diretta tra il disciolto Potere Operaio, l’Autonomia Organizzata ed il partito armato; lo stesso giorno il Giudice romano Achille Gallucci arresta altre 24 persone, accusando Toni Negri di essere il capo delle Brigate Rosse e attribuendogli persino la paternità della telefonata di Mario Moretti a Eleonora Moro. Oltre a Negri, tra gli arrestati vi sono Luciano Ferrari Bravo, Emilio Vesce, Oreste

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Scalzone, Mario Dalmaviva, Giuseppe Nicotra, Nanni Balestrini, Alisa Del Re, Guido Bianchini, Sandro Serafini, Carmela Di Rocco, Ivo Gallimberti, Massimo Tramonte e l’8 giugno Lucio Castellano, Paolo Virno e Lanfranco Pace, mentre Franco Piperno riesce a fuggire in Canada. Un secondo ed ancor più eclatante blitz verrà effettuato in varie città di Italia il 21 dicembre dello stesso anno, grazie alle rivelazioni del “pentito” Carlo Fioroni, rinchiuso nel carcere di Matera per il sequestro Saronio, e tra i 79 arrestati vi sono Franco Tommei, Jaroslaw Novak, Caterina Pilenga, Mauro Borromeo e Francesco Cavazzeni e il medico Giorgio Raiteri9. Ulteriori blitz contro l’Autonomia avverranno anche il 24 gennaio 1980 (12 arresti), il 10 marzo 1980 (25 arresti), nel marzo 1981 (17 arresti), nel febbraio 1982 (40 arresti) ed il 23 giugno 1983 (6 arresti). Sulla celebre inchiesta del PM Calogero sono stati scritti miriadi di libri e tra tutti vale la pena di leggere il libro-raccolta edito da il manifesto in occasione del trentennale Il 7 aprile, che raccoglie le testimonianze dirette della gran parte degli arrestati e dei loro conoscenti10; sta di fatto che a distanza di anni quella operazione ebbe effetti non di poco conto su tutto il “movimento”, ma secondo alcuni anche su molte delle successive “storture” del nostro sistema giustizia. Fu il primo blitz indiscriminato con tantissimi arrestati per reati di natura associativa con migliaia di fascicoli, centinaia di imputati, secoli di detenzione preventiva, maxi-processi, aule bunker, tempi dilatatissimi e tutto quello che ciò comporta in termini di minorata difesa del singolo che magari ha avuto la sventura di finirci dentro per sbaglio.

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Inaugurò la prassi di una dubbia competenza territoriale dell’inquirente, che poi necessariamente determina un successivo giudizio “altrove” e guarda caso per indagini di ampia risonanza mediatica. Introdusse quella prassi perversa dell’intreccio continuo procura/media laddove l’uno traeva giornaliera linfa dall’altro e viceversa, cosicché quando finalmente gli imputati pervengono al doveroso Processo di merito, la gran parte della pubblica opinione (e inevitabilmente anche chi giudica) si è già fatta un idea. Inaugurò la “stagione dei pentiti” con quel “singolare” Fioroni che, dopo avere accusato Negri e compagni di ogni peggiore nefandezza, in corso di istruttoria inibita al contraddittorio con la difesa, si sottrasse ad ogni pubblico confronto fino al giudizio di Appello riparando all’estero, ed evitando di scontare la pena per i propri comprovati delitti. Inaugurò un certo utilizzo “politico” delle indagini della magistratura per colpire l’avversario di turno, sostituendo al dibattito sul programma ed anche sulle idee quello sugli avvisi di garanzia grazie all’anticipo mediatico dello scontro al momento non già della eventuale condanna bensì dell’apertura dell’indagine. Inaugurò il tifo da stadio del giustizialismo popolare più bieco, che si compiace nel vedere ingabbiato il potente o il famoso di turno e così, dopo i “cattivi maestri” di Autonomia, verranno Tortora ed il ciclone “Mani pulite” con i capannelli davanti ai Tribunali e le forche in parlamento e i tanti additati alla gogna mediatica, magari alla fine risultati inutilmente innocenti. Infine, inaugurò la successiva rimozione dello sbaglio che pure è umano che accada, al punto che la presunta colpevolezza diventerà più diffusa della ac-

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certata innocenza, e non solo per la mancata sanzione a quei magistrati che ebbero a commettere errori davvero clamorosi poi proseguendo nella loro inarrestabile carriera (vd. tutti quelli del caso Tortora), ma anche per la verificata possibilità ancora oggi di leggere quinci e quivi dichiarazioni di compiaciuta rivendica davvero avvilenti. L’11 aprile, a Thiene in provincia di Vicenza, esplode un ordigno in un appartamento in via Vittorio Veneto 48. Muoiono dilaniati dall’esplosione tre militanti dei Collettivi Politici Veneti11, Maria Antonietta Berna (22 anni), Angelo Del Santo (24 anni) e Alberto Graziani (25 anni). L’esplosione è provocata dallo scoppio accidentale della pentola a pressione piena di polvere di mina, con cui stanno preparando un ordigno in risposta agli arresti del 7 aprile. Il 12 aprile 1979 i tre giovani vengono ricordati in un volantino intitolato “Ci sono morti che pesano come piume e vite che pesano come montagne”. I tre militanti, dice il comunicato, «sono morti esprimendo la rabbia, l’odio, l’antagonismo di classe contro questo Stato, contro questa società fondata ed organizzata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo». L’intestatario dell’appartamento, Lorenzo Bortoli, anch’egli militante dei CPV, viene arrestato insieme ad altri tredici militanti nell’inchiesta apertasi in seguito all’esplosione, e morirà suicida in carcere il 19 giugno 1979. Il 13 aprile, il giorno dei funerali di Maria Antonietta Berna, sepolta a Thiene, e di Angelo Del Santo che sarà seppellito in una frazione vicina, a Chiuppano,

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la polizia ha militarizzato l’intera area impendendo l’accesso al cimitero. Parecchie centinaia di giovani riescono comunque ad avvicinarsi alla chiesa utilizzando piccole strade che passano attraverso i campi, per dare l’ultimo saluto a pugno chiuso al militante morto, e la stessa cosa si verificherà il giorno dopo ai funerali a Sarcedo di Alberto Graziani. Il 19 aprile, a Milano, l’agente della Digos Andrea Campagna viene ucciso dai PAC (Proletari Armati per il Comunismo), ennesima formazione armata nata in quegli anni e dove ha militato il noto Cesare Battisti12. Di Cesare Battisti (Cisterna di Latina, 18 dicembre 1954), condannato in Italia con sentenze passate in giudicato, si è molto parlato a seguito del rifiuto alla sua estradizione (31 dicembre 2010) da parte del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che ha scatenato una unanimità di furibonde proteste da parte di tutti come rare volte in precedenza era accaduto nel nostro paese13. Battisti, dopo alcuni precedenti “minorili”, fu arrestato per rapina nel 1977 e rinchiuso nel carcere di Udine, dove entrò in contatto con Arrigo Cavallina, ideologo dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo), che lo accolse nell’organizzazione. I Proletari Armati per il Comunismo furono un gruppo armato di estrema sinistra che si formò in Lombardia nel 1977 e ne facevano parte, oltre al già citato Cavallina (Verona, 17 ottobre 1945), Sebastiano Masala (Nule, 17 novembre 1954), Giuseppe Memeo (Palazzo San Gervasio, 11 ottobre 1958), Roberto Silvi14 (Napoli, 31 maggio 1952), Pia Ferrari, Sante Fatone (Milano, 5 ottobre 1959), Pie-

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tro Mutti (Milano, 14 aprile 1954), Luigi Bergamin (Cittadella di Padova, 31 agosto 1948), Paola Filippi (Padova, 09 aprile 1953), Silvana Marelli (Milano, 20 gennaio 1940), Claudio Lavazza15 (Cerro Maggiore, 4 ottobre 1954), Gabriele Grimaldi16 (Bergamo, 1 maggio 1951), Diego Giacomini (Albignasegro, 30 maggio 1957), Enrica Migliorati (Malcesine, 7 settembre 1955), Maria Cecilia Barbetta (Verona, 28 settembre 1953), Marina Premoli (Genova, 21 novembre 1941), Sisinnio Bitti (Nule, 30 ottobre 1947), Massimo Tirelli (Vicenza, 18 maggio 1955) e Adriano Carnelutti (Buia, 16 novembre 1946). Le prime azioni dei PAC furono di appoggio alle rivendicazioni operaie, come l’8 maggio 1978 il ferimento del medico dell’Inam Diego Fava e il sabotaggio allo stabilimento all’Alfa Romeo di Milano. Ma gli obiettivi più importanti dei Proletari Armati per il Comunismo furono la lotta alle strutture carcerarie, da cui l’uccisione ad Udine, il 6 giugno 1978, di Antonio Santoro, maresciallo nel carcere di Udine, e contro coloro che venivano giudicati membri o collaboratori delle forze dell’ordine, da cui la duplice uccisione nello stesso giorno, il 16 febbraio 1979, prima del gioielliere Luigi Torregiani a Milano e quindi del macellaio Lino Sabbadin a Santa Maria di Sala nei pressi di Venezia. Ambedue le vittime erano commercianti che mesi prima avevano sparato contro dei rapinatori uccidendoli (Sabbadin aveva sparato durante una rapina presso la sua macelleria, Torregiani era intervenuto durante una rapina in corso nel ristorante in cui si trovava). La contemporaneità dei due omicidi aveva lo scopo di aumentare l’effetto mediatico e ridurre drasticamente le reazioni per legittima difesa durante

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le rapine, favorendo le attività della “piccola malavita”. L’obiettivo degli omicidi era dunque colpire chi si faceva giustizia da sé. Nel corso dell’assassinio di Pierluigi Torregiani venne coinvolto anche suo figlio Alberto, che da quel giorno vive paralizzato su una sedia a rotelle per un colpo sparato dal padre durante il conflitto a fuoco con gli attentatori17. In seguito al duplice omicidio scattarono indagini serrate che portarono a una serie di arresti tra i membri dell’organizzazione. Alcuni dei fermati del collettivo milanese della Barona18 lamentarono di aver subito delle torture ed in risposta a questi fatti il 19 aprile 1979 i PAC uccisero a Milano l’agente della Digos Andrea Campagna. Battisti venne arrestato poco tempo dopo insieme a quasi tutti i membri del PAC e rinchiuso nel carcere di Frosinone, mentre i pochi militanti del PAC rimasti liberi confluirono in Prima Linea. Battisti venne condannato a 13 anni e 5 mesi come co-ideatore e co-organizzatore (e non come autore materiale) dell’omicidio a Milano del gioielliere Pierluigi Torreggiani. Il 4 ottobre 1981 Battisti riuscì ad evadere dal carcere di Frosinone e a fuggire dapprima in Messico e quindi in Francia, dove ha pubblicato alcuni libri tra i quali una sorta di autobiografia L’ultimo sparo, edita in Italia da DeriveApprodi, per poi fuggire in Brasile dove attualmente risiede. In Italia Cesare Battisti è stato poi processato in contumacia e condannato all’ergastolo come concorrente morale e materiale anche per gli altri tre omicidi, principalmente sulla base delle dichiarazioni del discusso pentito Mutti.

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Battisti, pur riconoscendo la sua militanza nei PAC all’epoca di tali omicidi (1978-79), ha sempre dichiarato la propria estraneità agli stessi. «Riaffermo la mia condizione di perseguitato politico, non sono responsabile per nessuna delle morti di cui sono accusato» scriverà il 30 gennaio 2009 dal carcere di Rio de Janeiro, dove era rinchiuso in attesa di estradizione, aggiungendo che i responsabili degli omicidi per i quali è stato condannato sarebbero quattro suoi ex compagni dei PAC: «Giuseppe Memeo, Sante Fatone, Sebastiano Masala e Gabriele Grimaldi, tutti pentiti». Lapidaria la risposta di Laura Grimaldi, nota giallista e madre di Gabriele Grimaldi, nel frattempo deceduto, ed autrice, a suo tempo, di un libro di denuncia sulle torture subite dai ragazzi del Collettivo Barona19: «Spero solo che il signor Cesare Battisti sia estradato». Per l’appartenenza ai PAC verranno inquisite in totale 60 persone. Il 24 aprile a Genova le BR gambizzano il democristiano Giancarlo Dagnino e, a Torino, il giornalista della Rai Franco Piccinelli. Il 25 aprile a Torino le “squadre armate proletarie di combattimento” feriscono l’ostetrica Domenica Nigra, accusata di praticare aborti clandestini20. 3 maggio, Roma: un commando BR compie un assalto alla sede del comitato regionale della DC di piazza Nicosia durante il quale muoiono i 2 carabinieri Antonio Mea e Pietro Ollanu. Il 17 maggio, durante il blitz a Genova contro gli autonomi, vengono arrestati Giorgio Moroni, Luigi

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Grasso, Massimo Selis, Paolo La Paglia, Gino Rivabella e Isabella Ravazzi; il giorno dopo è la volta di Silvio Jenaro, Mauro Guatelli, Andrea Tassi, Claudio Bonamici, Enza Siccardi. Angelo Rivanera, Bruno Profumo e Vincenzo Masini. La gran parte di loro verrà assolta il 3 giugno del 1980, e tra loro anche il Prof. Enrico Fenzi, facendo commentare al generale Dalla Chiesa: «l’ingiustizia che assolve»; anni dopo, nel corso della sua lunga intervista a Sergio Zavoli a La notte della Repubblica, Fenzi dirà: «Dalla Chiesa aveva ragione, ma continuo a pensare che con quel materiale accusatorio nessun giudice avrebbe potuto decidere diversamente». Il 27 maggio, a Como, sul retro del Bar Umberto I di Piazza Matteotti i carabinieri del nucleo del generale Dalla Chiesa, sulla base delle indicazioni dell’infiltrato Rocco Ricciardi (Fisciano, 25 ottobre 1950), arrestano Francesca Belleré, Luca Colombo, Roberto Carcano, Antonio Orru, Fabio Brusa, Massimo Battisaldo e Sandra Piroli, militanti delle Formazioni Comuniste Combattenti. Il 29 maggio presso l’appartamento romano intestato a Giuliana Conforto vengono arrestati Valerio Morucci e Adriana Faranda. Lo stesso giorno, a Torino, le BR gambizzano il democristiano Enrico Ghio. Il 31 maggio, presso l’università di Genova, le BR gambizzano il prof. Fausto Cuocolo. A giugno esce il primo numero della rivista Metropoli (sottotitolo L’autonomia possibile), con il

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seguente incipit: «Questo giornale è redatto a vario titolo da un collettivo di compagni che, nel suo insieme, ha attraversato il ’68, l’autunno caldo delle lotte di fabbrica; poi ancora l’esperienza breve e felice di Potere Operaio, l’area dell’autonomia e dintorni; successivamente il movimento del ’77 e in particolare la sua ala beffarda e creativa. Come dire: dieci storici, indimenticabili anni di scontro sociale, politico, culturale». Compaiono un articolo di Paolo Virno, dal titolo “Piazza Nicosia, cominciamo a discuterne” e un fumetto di Beppe Manaudo, dal titolo “16 marzo”, che ripercorre alcune fasi del sequestro Moro, indicando come prigione un garage. Due giorni dopo tutte le copie verranno sequestrate21. L’8 giugno, a Torino, le BR feriscono Giovanni Farina, sorvegliante ai cancelli Fiat di Mirafiori. 13 luglio: le BR uccidono a Roma il tenente colonnello dell’Arma dei carabinieri Antonio Varisco, nell’ambito della campagna brigatista contro le carceri speciali. Nello stesso giorno, a Druento (TO), il vigile urbano Bartolomeo Mana rimane ucciso nel corso di una rapina di uomini di PL (a sparargli è il futuro pentito Roberto Sandalo). A ridosso dell’estate il grosso dei regolari dell’organizzazione delle BR si trasferisce in Sardegna per progettare e portare a compimento entro l’estate l’evasione dei compagni prigionieri all’Asinara. Il progetto viene rimandato all’estate successiva e questo, secondo le dichiarazioni di Moretti e Braghetti, causa grosse frizioni tra i detenuti e l’organizzazione.

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In luglio i detenuti BR dell’Asinara fanno pervenire all’esecutivo un documento di 120 pagine (il cosiddetto “documentone”, pubblicato poi nel 1980 con il titolo “L’ape e il comunista” da Corrispondenza Internazionale, rivista diretta da Carmine Fiorillo), che illustra le loro tesi politiche e le linee da seguire per il “dopo Moro”. Il documento non è condiviso dall’esecutivo22. Agosto: a bordo del Papago, un equipaggio brigatista con a bordo Moretti, l’ex marinaio Riccardo Dura, Sandro Galletta e condotto dallo psichiatra di Ancona Massimo Gidoni, che fa da skipper, si muove dal porto di Numana per recarsi al largo del Libano per un carico d’armi di provenienza palestinese da nascondere sul suolo italiano: esplosivo al plastico, mitra e missili anticarro terra-terra. È uno dei pochi risultati concreti delle relazioni internazionali instaurate dalle BR con le organizzazioni straniere (RAF, ETA, OLP, IRA) ed il fatto è descritto nel citato libro di Bianconi su Rossa e Guagliardo, perché fu proprio Vincenzo Guagliardo a curare nel veneto insieme a Nadia Ponti la regia dello scarico delle armi in Italia23. 9-10 settembre, Bordighera: dopo gli arresti di Russo Palombi e Waccher, si riunisce il comando nazionale di Prima Linea. Sono presenti Roberto Rosso, Maurice Bignami, Sergio Segio, Marco Donat Cattin, Susanna Ronconi, Silveria Russo, Giai e Massimo Prandi. Donat Cattin e Prandi comunicano la loro decisione di abbandonare Prima Linea, in disaccordo con le ultime scelte del gruppo dirigente. L’organizzazione comunque prosegue ed il 21 settembre uccide il responsabile della pianificazione Fiat, ing. Carlo

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Ghiglieno, in risposta ai 61 licenziamenti predisposti dall’azienda nei confronti di operai sospettati di rapporti con il terrorismo. Il 18 settembre, a Torino, le BR gambizzano l’agente di custodia Giuseppe Rovito. Il 24 settembre, a Roma, dopo uno scontro a fuoco viene arrestato per la seconda volta e definitivamente Prospero Gallinari24 che, ferito gravemente alla testa, viene ricoverato in coma; nelle sue tasche le forze dell’ordine trovano una mappa dettagliata dell’isola e del carcere dell’Asinara. Questo fatto, unito ad altre considerazioni sulle grandi difficoltà operative legate a un’azione come quella progettata per la liberazione dei detenuti dell’Asinara, convincono le BR a rimandare il progetto all’estate successiva. La reazione all’interno del carcere tra i detenuti politici è violenta e ad ottobre chiedono le dimissioni dell’esecutivo. Fenzi dirà che la percezione di come fosse l’Italia da parte di quelli in carcere era del tutto “folle”, in quanto costoro erano convinti che le frenesie militari di Moretti frenassero un intero paese ormai pronto per la rivoluzione. 27 settembre: presso il carcere di Torino, Salvatore Cinieri, tra i fondatori insieme a Gianfranco Faina di Azione Rivoluzionaria, viene ucciso a coltellate dal detenuto comune Figueras. Il 4 ottobre, durante un’udienza del processo, i suoi compagni presenteranno un documento dal titolo “Rendiamo onore alla memoria del compagno Salvatore Cinieri”, in cui scriveranno, tra l’altro: «Non abbiamo eroi da celebrare, non ne vogliamo neppure. Ma pretendiamo

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il rispetto della verità d’un percorso umano che sappiamo senza ombre, che sappiamo cristallino nelle sue sofferenze, nei suoi slanci, nelle sue miserie, nelle sue grandezze. Non siamo abituati alla retorica e non abbiamo da esibire nulla di spettacolare. Intendiamo soltanto i momenti della vita di un proletario come tanti altri, un proletario determinato a porre fine allo stato presente delle cose». 2 ottobre, i detenuti del supercarcere dell’Asinara distruggono la sezione Fornelli per ribellarsi al direttore Luigi Cardullo, che il 31 luglio 1987 verrà condannato a 5 anni per truffa e corruzione. Il 4 ed il 5 ottobre a Torino le BR feriscono Cesare Varetto della Fiat e Prima Linea Piercarlo Andreoletti della Praxi. 9 ottobre: offensiva della Fiat che licenzia 61 operai accusati di violenza politica all’interno della fabbrica25. Fallisce lo sciopero di solidarietà indetto dai sindacati. 24 ottobre, Cuneo: si suicida in carcere Francesco “Cesare” Berardi, il brigatista arrestato in seguito alla denuncia di Guido Rossa, prima tenta il suicidio tagliandosi le vene e poi si impicca.Il 5 ed il 24 novembre, a Torino, doppio assalto delle BR ad un blindato dei carabinieri posizionato davanti alla ex caserma Lamarmora, dove si è celebrato il processo al nucleo storico. 7 Novembre 1979: arresto di Daniele Pifano, Luciano Nieri e Giorgio Baumgartner, militante di Au-

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tonomia Operaia nel collettivo Policlinico e medico della clinica ortopedica dell’Università di Roma26. 9 novembre: le BR uccidono a Roma l’agente del nucleo di polizia giudiziaria Michele Granato. Il 21 novembre, a Genova, le BR uccidono in un bar di Sampierdarena i carabinieri Vittorio Battaglin e Mario Tusa. Il 27 novembre, a Roma, le BR uccidono il maresciallo Michele Taverna e pochi giorni dopo, il 7 dicembre, il maresciallo Mariano Romiti. Il 30 novembre, a Torino, le BR gambizzano il medico Giulio De Fabritiis. Il 7 dicembre, a Torino, le “Ronde Proletarie” gambizzano Pietro Orecchia titolare della Falchera. 11 dicembre, Torino: assalto di Prima Linea nella Scuola di Formazione Aziendale di via Ventimiglia. Il commando occupa militarmente la scuola, raduna studenti, insegnanti e personale nell’aula magna e tiene un breve comizio propagandistico, mentre nell’aula attigua i dirigenti Fiat e Olivetti e cinque studenti scelti a caso, vengono feriti intenzionalmente alle gambe. Dalla Chiesa assume il comando della divisione Pastrengo a Milano e viene approvato il decreto legge del 15 dicembre 1979 (divenuto legge n. 15, la cosiddetta “legge Cossiga”, il 6 febbraio 1980): l’art. 270 bis estende il fermo di polizia a 48 ore, più altre 48 ore a

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disposizione per giustificare il provvedimento. L’art. 9 autorizza le perquisizioni per causa d’urgenza anche senza mandato; l’art. 10 estende di un terzo, per ogni grado di giudizio, i termini della carcerazione preventiva per i reati di terrorismo; l’art. 11 introduce un elemento di retroattività della legge, ordinando di applicare i nuovi termini della carcerazione preventiva anche ai procedimenti già in corso. Il 14 dicembre, a Rivoli (TO), nel corso di un conflitto a fuoco con la polizia rimane ucciso il piellino Roberto Pautasso27; a Torino le BR gambizzano il caporeparto Fiat Adriano Albertino e, nel corso di un inseguimento sull’autostrada per Milano dopo una rapina a Rivalta, rimane ferito il sorvegliante Michele Sacco. Il 16 dicembre, a Sa Janna Bassa (Nuoro), i carabinieri uccidono in uno scontro a fuoco Francesco Masala e Giovanni Bitti e resta ferito il Capitano Enrico Barisone28. Il 20 Dicembre, a Torino, vengono arrestati Giuseppe Mattioli, Angela Vai29, Antonio Delfino e i gemelli Giuseppe e Carmela Di Cecco della colonna torinese delle Brigate Rosse. Il 21 dicembre avviene a Torino quello che sarà l’ultimo ferimento di un capo-reparto Fiat: Ezio Gavello. Il 30 dicembre il Ministero dell’Interno rende noto che sono 269 le sigle di formazioni armate operanti in Italia.

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Sempre a dicembre si riunisce a Genova la Direzione strategica delle BR, che sostanzialmente sconfessa il documento di critica del nucleo storico in carcere e chiede l’allineamento alle posizioni dell’organizzazione da parte di tutti i detenuti. È il primo segnale della crisi che rompe gli equilibri interni dell’organizzazione tra i detenuti e i militanti ancora liberi, ma l’anno successivo la più potente organizzazione armata di quegli anni dovrà subire un colpo ancora più duro ed imprevisto: il tradimento di un compagno di lotta.

NOTE 1. Nata a Roma il 23 agosto 1954 e sorella di Stefano Petrella che aderirà al Partito Guerriglia, viene rilasciata nel 1980 per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva con obbligo di residenza nel comune di Montereale, in provincia di Chieti, da cui evade il 12 agosto 1980. Nuovamente arrestata il 7 dicembre 1982, a Roma, dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri su un autobus e nuovamente scarcerata il 13 giugno 1986, nel 1993 si rifugia in Francia prima della sentenza definitiva per il sequestro di Aldo Moro. Dopo la richiesta di estradizione da parte del governo italiano del 2002 la polizia francese la arresta, senza alcuna resistenza da parte sua, in un controllo stradale il 21 agosto 2007 ad Argenteuil nel dipartimento della Val d’Oise alla periferia nord di Parigi. Il 14 dicembre 2007 la Corte di Appello di Versailles concede l’estradizione. Il 5 agosto 2008 Marina Petrella, detenuta nel carcere di Fresnes, e in uno “stato depressivo gravissimo”, incompatibile con la detenzione, viene scarcerata dalla Corte di Appello di Versailles e posta in stato di libertà vigilata

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all’ospedale Sainte Anne di Parigi, in attesa di estradizione. Il 12 ottobre 2008 il Presidente Sarkozy ha reso nota al primo ministro Francois Fillon la decisione di non applicare il decreto di estradizione per “ragioni umanitarie”. 2. Riccardo Dura, nato a Roccalumera il 12 settembre 1950, marinaio ed ex militante di Lotta Continua, entra nelle Brigate Rosse nel 1976 per fondare la colonna genovese insieme a Mario Moretti, Rocco Micaletto, Livio Baistrocchi, Francesco Lo Bianco e Fulvia Miglietta, che diventerà la sua compagna di vita. Dopo gli arresti del 1978 di Azzolini e Bonisoli, entra a far parte del Comitato Esecutivo insieme a Rocco Micaletto e nell’agosto del 1979 partecipa con Mario Moretti al rifornimento di armi in Libano con l’imbarcazione il Papago. Rimane ucciso il 28 marzo 1980 nella irruzione di via Fracchia e la sua identificazione avverrà solo a seguito di un volantino dei suoi compagni. 3. Sulla vicenda Rossa è stato scritto tantissimo, ed è stato realizzato anche un film, ma io consiglio di leggere L’operaio e il brigatista di Giovanni Bianconi, anche per avere modo di apprezzare gli scritti ed il pensiero del sindacalista Guido Rossa e di capire i termini veri dello straordinario incontro avvenuto nel 2005, dunque più di 25 anni dopo il fatto, tra la figlia di Guido, Sabina Rossa (oggi parlamentare per il PD) e l’ex brigatista Vincenzo Guagliardo, autore del bellissimo libro Di sconfitta in sconfitta e che solo nel 2011 ha ottenuto, unitamente alla moglie Nadia Ponti (Torino, 26 ottobre 1949), la liberazione condizionale dopo 33 anni di carcere, grazie anche all’impegno in questi anni profuso proprio da Sabina Rossa. 4. Presso quella base per qualche tempo aveva alloggiato Patrizio Peci, che descrive Inge Kitzler in un capitolo di Io, l’infame. 5. «Galli appartiene alla frazione riformista e garantista della Magistratura, impegnato in prima persona nella battaglia per ricostruire l’ufficio istruzione di Milano come un centro di lavoro giudiziario efficiente» (volantino di rivendicazione del 19 marzo 1980).

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6. Barbara Azzaroni (Rimini, 2 febbraio 1950), insegnante all’asilo Ercolani di Bologna, madre di una bimba, sorella di Paolo, rifugiato dal 1981 a Parigi, era figlia del Professor Alfredo, compagno di Anna Maria Granata che, come lui, insegna all’Istituto Donatelli di Milano e che l’11 aprile 1979 verrà arrestata nell’ambito dell’indagine di Calogero. Cresce nella zona di San Vitale, dove conosce Maurice Bignami, con il quale milita prima in Potere Operaio e quindi nell’Autonomia. L’11 marzo 1977 prende parte alle rivolte cittadine, a settembre al Convegno contro la repressione e il 15 maggio del 1978 ferisce l’ingegnere della Menarini, Antonio Mazzotti. Dopo avere militato nelle Formazioni Comuniste Combattenti, entra in clandestinità a seguito dell’arresto di Alunni e aderisce a Prima Linea con il nome di battaglia Carla, trasferendosi a Torino, in una base con Liviana Tosi. Il 19 gennaio 1979 partecipa all’uccisione della guardia carceraria Giuseppe Lorusso e il 5 febbraio, con altre tre militanti donne, al ferimento della sorvegliante delle Nuove Raffaella Napolitano. La sua storia è raccontata in Sebben che siamo donne di Paola Staccioli Matteo Caggegi (Catania, 21 febbraio 1959), emigrato a Orbassano e figlio di un muratore catanese condannato all’ergastolo per l’omicidio del 23 maggio 1975 del costruttore Mario Ceretto, a Courgnè. Frequenta per qualche anno il liceo Tazzioli, militando in Lotta Continua e poi il circolo Cangaceiros; il 14 aprile 1978 viene assunto come operaio in Fiat a Rivalta, dove partecipa attivamente alle lotte di fabbrica. Ai funerali del 3 marzo, gli amici diffondono un volantino firmato “I compagni di Orbassano”: «C’è chi dirà che era un clandestino, chi lo definirà un’assenteista, o chi tirerà in ballo la mafia a causa del padre (condannato all’ergastolo per omicidio): per noi, per chi lo ha conosciuto e ha lottato con lui, era un compagno. La sua scelta, quella della lotta armata contro i padroni, non pregiudica certo il nostro dolore e la nostra rabbia per la sua morte: non intendiamo nasconderci, come oggi fanno troppi compagni, dietro il silenzio, soltanto perché è morto con la pistola in pugno anziché essere assassinato dai fascisti».

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7. Raffaele Fiore (Bari, 7 maggio 1954), trasferitosi giovanissimo al nord per fare l’operaio alla Breda, dapprima aderisce all’estremismo militante di sinistra e quindi entra nella colonna torinese delle Brigate Rosse con il nome di battaglia Marcello; la sua prima azione è il ferimento del capo-officina Fiat Antonio Munari del 22 aprile 1977. Fa parte del gruppo di fuoco in via Fani e sale sulla Fiat 132 con a bordo Moro; era sua la famosa impronta della “manona” sulla portiera dell’auto che dette la stura a numerose ipotesi dietrogiche (Fiore era di corporatura molto robusta). Condannato alla pena dell’ergastolo, non si è mai dissociato ed è in libertà condizionale dal 1997. Ha sposato la ex BR Angela Vai e la sua storia è descritta in L’ultimo Brigatista di Aldo Grandi del 2007. Divise l’alloggio torinese con il pentito Patrizio Peci, che io Io l’infame ne parla in modo pessimo. 8. Si trattava di un ex avvocato, diventato nel tempo amministratore di numerosi condomini e pluriproprietario di case, condannato per bancarotta fraudolenta e più volte inquisito per concussione, calunnia, falso in bilancio e malversazione, definito in un articolo pubblicato su Lotta Continua del 30 marzo 1979, un “ras di borgata”, dove si legge: «Chi è stato un suo affittuario lo conosce meglio come Jack lo sfrattatore o il pescecane». 9. Oncologo, Raiteri (Genova, 20 gennaio 1947) è tra gli animatori del COP, il gruppo di medici che si occupava della salute in fabbrica e della nocività delle lavorazioni. Scarcerato il 27 aprile 1982 per una grave poliomelite, viene condannato in primo grado a 4 anni dalla Corte di Assise di Roma al processo 7 aprile, per avere «promosso, costituito, diretto ed organizzato un’associazione politico militare denominata Potere Operaio e altre analoghe associazioni variamente denominate, ma collegate tra loro e riferibili tutte alla cosiddetta Autonomia Operaia Organizzata, miranti a provocare la guerra civile e l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato». Verrà assolto dalla Corte di Appello, riprendendo a fare il medico. Alla sua morte, nel settembre del 2012, sull’edizione locale de la Repubblica di Genova, Donatella D’Alfonso ha

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pubblicato un articolo dal titolo “Addio Raiteri, medico dei vicoli e della passione civile”, dove si legge: «La sua storia l’aveva portato a scegliere di essere, lui così capace, un semplice medico di base, e proprio nei vicoli, dove più difficili sono le realtà. Tanti, tra chi l’aveva conosciuto anche negli anni della militanza, i suoi pazienti che magari risiedono a Roma, Milano o viaggiano per il mondo: ma per ogni dubbio sulla propria salute sapevano di poter ascoltare al telefono quella voce calda: “ma cosa vuoi avere”». 10. Alla 69° Mostra del cinema di Venezia è stato presentato un film-documentario di Luca Ricciardi e Silvia Giralucci, figlia del militante missino ucciso a Padova dalle BR nel 1974, dal titolo Sfiorando il muro che ricostruisce la vicenda padovana mediante interviste a Pietro Calogero, al pentito Antonio Romito, al docente Guido Petter che fu ferito dagli autonomi e all’esule parigino Raul Franceschi. 11. Per l’appartenenza ai CPV verranno inquisite in totale 205 persone. 12. Sulla storia dei PAC si consigliano L’ultimo sparo di Cesare Battisti, DeriveApprodi, 2008, Gli amici del terrorista di Giuseppe Cruciani ed. Sperling&Kupfer, 2010, il sito web carmillaonline ed il libro scritto dal magistrato Giuliano Turone Il Caso Battisti, ed. Garzanti, 2011 13. Anche il solitamente molto sobrio e riflessivo Claudio Magris scrisse all’indomani del definitivo rifiuto estradizionale del Brasile un articolo ferocissimo sul Corriere della Sera dal titolo “Le vacanze dell’assassino” dove, richiamandosi alla sua omonimia con il martire irredentista trentino, lamentava sostanzialmente che era stato impiccato il Cesare Battisti sbagliato. 14. Deceduto il 1 aprile 2008. 15. Arrestato nel 1996 a Cordova (Spagna) per una rapina compiuta con alcuni anarchici, è stato condannato a 60 anni di reclusione. 16. Figlio della nota giallista Laura Grimaldi e sposatosi in carcere con Pia Ferrari, è deceduto nel dicembre 2006.

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17. In sede giudiziaria verrà appurato che il volantino di rivendicazione pubblicato sui giornali era stato dettato da Giuseppe Memeo al giornalista di Repubblica Giovanni Cerruti, che si era incontrato con lui un paio di volte a seguito della intermediazione di Mario Ferrandi. Il giornalista, che si era difeso sostenendo di avere agito sotto minaccia, verrà prosciolto dall’accusa di favoreggiamento, oggi scrive su La Stampa di Torino ed è stato lui a pronunciare a Milano il discorso di commemorazione ai funerali del collega Guido Passalacqua, che nel marzo 1980 era stato ferito dalla Brigata 28 marzo. 18. Trattasi di Sisinnio Bitti, Umberto Lucarelli, Roberto Villa, Gioacchino Vitrani, Annamaria e Michele Fatone (vd. infra sulle torture ai militanti arrestati). Per approfondimenti sul Collettivo della Barona (da cui provenivano Fatone e Masala) vedasi Primo Maggio, rivista quadrimestrale primavera 1984 n. 21 Collettivo Autonomo Barona: appunti per una storia impossibile a cura di Paolo Bertella Farnetti-Primo Moroni e i due romanzi Non vendere i tuoi sogni, mai (1987) e Ser Akel va alla guerra (1991) (Tranchida editore, ripubblicato da Bietti ed. 2009) di Umberto Lucarelli. 19. Processo all’istruttoria di Laura Grimaldi, ed. Milano Libri, 1981. 20. Patrizio Peci dichiarerà in seguito che si trattava proprio della stessa ostetrica cui si rivolgevano anche le brigatiste della colonna torinese in caso di gravidanza inaspettata. 21. Il numero 2 uscirà nell’aprile del 1980, il 3 nel febbraio 1981, con “Il dilettevole gioco dell’oca”, ispirato ai metodi di fuga dalle carceri speciali. Nel numero 4, in aprile, viene pubblicato un polemico editoriale di ringraziamento al «senatore Spadolini e al dottor Di Bella, direttore del Corriere della sera e capofila della fermezza» perché, si legge, «farneticando a proposito dei suoi finanziamenti occulti avete contribuito al finanziamento legale di Metropoli. Quello per intendersi che proviene da una straordinaria vendita nelle edicole». Il 5 giugno 1981 si rivendica che «Metropoli continui ad uscire, nonostante metà della reda-

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zione si in esilio e l’altra metà in una libertà provvisoria contestata e matura per la revoca». Il 31 marzo 1981 il Giudice istruttore di Roma Francesco Amato emette Ordinanza di rinvio a giudizio (1018 pagine) per associazione sovversiva, banda armata e concorso nel sequestro di Aldo Moro, contestando ai redattori di Metropoli di avere intrattenuto rapporti organici con le Brigate Rosse e di aver progettato la rivista con il proposito di unificare le principali formazioni armate operanti in Italia. Oltre a Franco Piperno e Lanfranco Pace, riparati rispettivamente in Canada e a Parigi, nell’elenco si leggono i nominativi di Giorgio Accascima, Paolo Zapelloni e Stefania Rossini della cooperativa Linea di condotta, proprietaria della rivista con sede a Roma in Piazza Cesarini Sforza 28. Il processo si aprì il 26 giugno 1986, davanti alla prima Corte di Aassise di Roma presieduta da Severino Santiapichi, a latere Fernando Attolico. Al termine di un lungo dibattimento, il PM Antonio Marini sostenne in requisitoria che: «Metropoli deve considerarsi una vera e propria banda armata, come dimostrano le dichiarazioni di diversi pentiti che hanno rivelato che la rivista si finanziava, tra l’altro, con i proventi delle rapine compiute dai Comitati Comunisti Rivoluzionari (Co. Co.Ri.)». La sentenza del 16 maggio 1987 assolse Pace e Piperno dall’imputazione di concorso nel sequestro di Aldo Moro (Pace per insufficienza di prove), condannandoli a 10 anni di reclusione per banda armata, mentre assolse gli altri tre. Secondo i primi giudici, «il tenore di molti articoli (inneggianti alla lotta armata, all’uso della violenza per disarticolare il sistema e “allargare le crepe” apertesi “nel cuore dello Stato”)”, legittimava a ritenere che “la funzione speculare” sia di “Metropoli” che di “Pre-print” fosse quella di “diffondere” il programma antistituzionale, di sostenere, collegare, aggregare i più vari gruppi armati e non, che costituivano ed alimentavano in Italia la sovversione, la violenza politica a tutti i livelli, il terrorismo». La sentenza di Appello del 19 maggio 1988 assolverà Piperno e Pace dal reato di banda armata, riducendo la pena a 4 anni ciascuno per associazione

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sovversiva e concedendo a Piperno, che il 27 gennaio 1988 si era costituito, la libertà provvisoria, confermata dalla Corte di Cassazione il 5 ottobre 1988. Poiché nessuno dei redattori era iscritto all’Ordine dei giornalisti, ogni numero aveva come Direttore responsabile un giornalista che si prestava “in nome della libertà di stampa”. Il primo fu Alfredo Azzaroni, il secondo Giancarlo Smidile, il terzo Carlo Emanuele Rivolta, il quarto Luigi Manconi e l’ultimo Paolo Hutter. In L’aspra stagione di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale si racconta che, per questo fatto, Carlo Rivolta entrò in pesante conflitto con il direttore de la Repubblica, per cui scriveva sin dalla sua fondazione. 22. Il Documentone dell’Asinara verrà pubblicato l’anno successivo con il titolo “L’ape e il comunista” sulla rivista trimestrale Corrispondenza internazionale, diretta da Carmine Fiorillo, che per questo verrà arrestato e processato. Scritto principalmente da Renato Curcio e Alberto Franceschini, rappresentò la prima “spaccatura interna”, rompendo una regola fino a quel momento ferrea, per cui non potevano essere i militanti detenuti a suggerire la linea operativa e politica a quelli fuori, se non per le problematiche carcerarie. Il successivo fallimento della progettata evasione estiva indurrà i prigionieri alla rivolta del 2 novembre e, alla fine dell’anno, quel documentone verrà respinto da una riunione allargata convocata da Moretti a Genova. L’anno successivo ci sarà la scissione della Walter Alasia, l’anno dopo quella del Partito Guerriglia e nel 1983 verranno pubblicati dal carcere due documenti in evidente contrasto tra loro: “Goccie di sole nella città degli spettri” a firma Curcio e Franceschini e “Politica e rivoluzione” a firma Coi, Piccioni, Gallinari e Seghetti. L’ape e il comunista è stato ristampato nel dicembre del 2013 dalla casa editrice Pigreco, dal gruppo Resistenze metropolitane: «Abbiamo voluto restituire la parola direttamente ai militanti rivoluzionari e all’espressione del loro pensiero e della loro azione. Una scelta che riporta quell’esperienza alla sua concretezza e alla sua materialità, lontana dalle pastoie della dietrologia e della cosiddetta

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“memoria condivisa”, che generano confusione e appiattiscono ogni processo storico a una lettura univoca e grossolana della realtà». 23. Il racconto dettagliato di quella esperienza è riportato nel libro Papago: Barche che hanno incontrato la storia di Achille Cappai, ed. Nutrimenti, dove Massimo Ghidoni, condannato a 24 anni dalla Corte di Assise di Macerata, scrive: «Da quei giorni sono passati ormai più di 30 anni. Non sono più salito su una barca a vela e quella fu la mia ultima traversata. Del nostro equipaggio, di quei tre compagni con cui passai decine di giorni e notti di navigazione ininterrotta, avrei rivisto solo Mario. Riccardo fu ucciso pochi mesi dopo, Sandro scomparve». Sandro Galletta, impiegato comunale veneziano che ebbe un ruolo importante come “tecnico” nella colonna venetà delle Brigate Rosse, si dissociò nell’82, rese molte confessioni ai magistrati, tra cui la vicenda del Papago, e dal 1983 è latitante. 24. Nella occasione viene arrestata anche Mara Nanni che era entrata a fare parte delle BR nell’ottobre del 1978, dopo avere subito un lungo arresto durato 11 mesi dopo gli scontri nella manifestazione di Roma del 12 marzo 1977. In seguito dissociata, è uscita dal carcere nel 1994 ed ha pubblicato nel 2002 un libro scritto a due mani con Stefano Pierpaoli dal titolo E allora? ed. Interculturali. Sulla sua storia è uscito anche un libro a fumetti di Paolo Cossi dal titolo La storia di Mara, ed. Lavieri, 2006. 25. Tra i “61” vi è la operaia Ines Arciuolo, che in seguito si trasferirà per alcuni anni in Nicaragua, partecipando alla rivoluzione sandinista. Autodefinitasi una “comunista eretica” nel 2007 ha pubblicato per la casa editrice Stampa Alternativa A casa non ci torno. 26. Contattato telefonicamente da un esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), che usa il nome italiano di Fausto e che Baumgartner conosceva bene, avendo già collaborato con lui per la raccolta di medicinali da inviare nei campi profughi palestinesi. Si trattava di recuperare d’urgenza

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una grossa cassa depositata in un punto preciso dell’autostrada Roma-Pescara e trasportarla ad Ortona, in provincia di Chieti. Baumgartner decide di farsi aiutare dagli altri due compagni di Via Dei Volsci. I tre vengono fermati poco prima dello scambio e portati in questura per accertamenti ed il nome di Pifano, comunicato in centrale, fa sì che venga richiesto un controllo più accurato: a questo punto nel camper viene rinvenuta la cassa contenente due lanciamissili SA-7 Strela. Insieme ai tre militanti viene anche arrestato Saleh Abu Anzeh, militante dell’FPLP incaricato di gestire il travagliato passaggio di mani dei lanciamissili. Successivamente nel corso del processo ai quattro imputati per introduzione nel territorio nazionale e detenzione e trasporto di armi iniziato il 14 gennaio 1980 arrivò, per mezzo dell’avvocato Mauro Mellini, un comunicato ufficiale dell’FPLP dove si assicurava che i missili erano di proprietà del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che si trattava di missili inefficienti, in quanto rotti, il cui utilizzo in territorio italiano non era mai stato contemplato e si precisava inoltre che la presenza di Pifano e Nieri non era stata richiesta dall’FPLP, il quale aveva contattato esplicitamente solo Giogio Baumgartner, e che queste informazioni furono recapitate al governo italiano pochi giorni dopo l’accaduto. La sentenza definitiva, emessa il 25 gennaio, condannò tutti e quattro gli imputati a sette anni di reclusione. 27. Roberto ‘Berto’ Pautasso, nato ad Avigliana il 9 agosto del 1958 in una famiglia operaia, la madre malata di sclerosi multipla, due fratelli e una sorella, tutti abitanti nelle case popolari di Condove, inizia a lavorare a 14 anni come operaio generico nelle boite della valle ed in seguito milita nei collettivi autonomi della Val di Susa e in particolare del Centro di Documentazione di Condove, che produce il giornale Senza padroni. Nel 1978 era stato arrestato perché sorpreso ad affiggere manifesti che chiedevano la liberazione di alcuni compagni dell’autonomia. 28. Il capitano dell’arma dei carabinieri Enrico Barisone era giunto nella notte con una squadra nei pressi dell’ovile di tale

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Coccone, vicino Orune perché sapeva che in quella sede si riuniva un gruppo di militanti vicini a Barbagia Rossa ed agli ambienti antagonisti e indipendentisti dell’isola. Il conflitto si concluse con la cattura di dieci persone e la morte di Masala e Bitti, che era fuggito dal carcere di Alghero pochi anni dopo essere stato accusato di un omicidio che non aveva comesso. In un documento firmato da dieci imputati al processo contro Barbagia Rossa nel 1983 si legge: «Sa janna Bassa è fine ed inizio del progetto della borghesia sul territorio. Fine perchè sancisce un punto di non ritorno, oltre il fallimento delle illusioni pacificatrici affidate alle soluzioni economiche; inizio perchè a partire da quel momento lo Stato articolerà tutta una serie di iniziative [...] tese a scorporare e disperdere la solidarietà dell’habitat sociale entro cui l’antagonismo esprimeva le sue iniziative e la propria identità». 29. La figura di Angela Vai (19 dicembre 1951), nome di battaglia Augusta, maestra diplomata di origini molto povere con madre gravemente malata ed alcuni fratelli minori a carico, ex di LC con Betassa e quindi entrata nella colonna torinese delle BR e divenuta compagna di Raffaele Fiore (con cui è tuttora sposata), è ben tratteggiata in Mi dichiaro prigioniero politico di Giovanni Bianconi e in Donne di piombo di Pino Casamassima, dove per lei viene citata la frase di una nota canzone di Fabrizio De Andrè: «Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente di altri paraggi». Infine, la Vai è citata anche nel livoroso libro Io l’infame di Patrizio Peci, che la descrive in termini talmente spregiativi da arrivare a definirla Mangusta in luogo di Augusta. Scontata interamente la propria pena, oggi Angela Vai tiene dei corsi per bambini di danza-terapia.

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1980 Esce “The Blue Mask” di Lou Reed e “Kramer contro Kramer” di Robert Benton vince l’Oscar. In Italia l’Inter vince lo scudetto e “Solo noi” di Toto Cotugno il Festival di Sanremo.

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8 Gennaio: la colonna Walter Alasia delle BR uccide a Milano, in via Schievano, l’appuntato Antonio Cestari, l’agente Michele Tatulli ed il brigadiere Rocco Santoro; «Benvenuto il generale Dalla Chiesa» si legge all’inizio del volantino di rivendicazione lasciato dai brigatisti l’11 gennaio davanti ad una fabbrica1. Il 19 gennaio la colonna veneta delle BR uccide Sergio Gori, vicedirettore del Petrolchimico di Marghera. Il 22 Gennaio a Roma, la polizia, su mandato del giudice Priore, procede alla chiusura della sede di Radio Onda Rossa in Via dei Volsci 56 e all’arresto dei redattori Claudio Rotondi, Vincenzo Miliucci, Giorgio Trentin e Osvaldo Miniero, mentre Riccardo Tavani e Giorgio Ferrari si rendono latitanti. L’intervento fu conseguenza dello sviluppo del cosiddetto teorema Calogero, secondo cui l’Autonomia Operaia rappresentava la testa pensante delle Brigate Rosse; le accuse a carico degli arrestati furono di “istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato” e di “apologia di delitti”, reati commessi, stando agli atti della magistratura, diffondendo radiofonicamente comunicati delle BR e diffamando continuamente lo Stato, la magistratura e le forze di polizia. Il giorno successivo

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l’Unità titolò in prima pagina “Chiusa l’ultima voce dell’Autonomia”. Successivamente vi sarà l’assoluzione di tutti gli imputati e Radio Onda Rossa continua tutt’oggi a trasmettere. Il 25 gennaio la colonna Francesco Berardi delle BR uccide a Genova l’appuntato Antonino Casu ed il colonnello Emanuele Tuttobene. Il 31 gennaio, a Torino, nel corso di un attentato alla Framtex del Gruppo Fiat, il sorvegliante Carlo Ala2 resta ucciso da un commando dei Nuclei Comunisti Territoriali. Il 5 febbraio Prima Linea uccide a Monza Paolo Paoletti, il direttore della Icmesa, la fabbrica di Seveso dalla quale il 10 luglio 1976 si era sprigionata una nube tossica di diossina. 7 febbraio, Milano: viene assassinato William Waccher, militante di Prima Linea arrestato nel luglio ‘79 ed accusato dai suoi compagni di essersi spontaneamente costituito in Prefettura. Il 10 febbraio, a Milano, il dirigente Mario Miraglia viene ferito dai Reparti Comunisti di Attacco3. 12 febbraio, Roma: le BR uccidono il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet. Il fatto avviene all’università davanti agli occhi di una giovane Rosi Bindi che era una sua allieva, il fratello Adolfo, sacerdote, sarà tra i principali fautori della successiva opera di riappacificazione con i dete-

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nuti politici, e sarà proprio lui a volere incontrare in carcere uno dei due membri del commando di fuoco, per trasmettere il proprio perdono cristiano (il fatto lo racconta Anna Laura Braghetti nel libro Il prigioniero, dove ricostruisce la propria esperienza nelle BR)4. Il 19 febbraio, vengono arrestati a Torino Patrizio Peci ed il capocolonna Rocco Micaletto5. Il 21 febbraio, a Milano, le BR gambizzano il dirigente dell’Alfa Romeo Pietro Dellera. 22 febbraio, Roma: tre giovani armati e coperti da un passamontagna entrano in casa della famiglia di Valerio Verbano, al quarto piano di via Monte Bianco 114, nel quartiere Monte Sacro, dichiarando ai genitori del giovane di essere suoi amici; armati di pistole con silenziatore, dopo essere entrati immobilizzano i genitori nella loro camera ed attendono Valerio, dicendo di voler parlare con lui. Valerio non è ancora tornato da scuola; quando tornando apre la porta di casa è subito assalito dai tre. Ne segue una colluttazione durante la quale Verbano riesce anche a disarmare uno dei tre assalitori; il ragazzo tenta di fuggire dalla finestra dell’appartamento ma è raggiunto da un colpo di pistola alla schiena che gli perfora l’intestino. Morirà poi nell’ambulanza che lo stava trasportando all’ospedale. Seguendo una consuetudine diffusa nella sinistra extraparlamentare, Verbano aveva condotto indagini personali e redatto un fascicolo, poi detto dossier NAR, nel quale aveva raccolto molte informazioni e documentazione fotografica sull’estremismo di destra romano (NAR, Terza Posizione ed ambienti affini), con molti nomi, foto, luoghi di riunione, amicizie po-

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litiche e presunti legami con gli apparati statali. Tuttora non si conoscono né gli autori, né i mandanti del suo omicidio6. Il 10 marzo, a Roma, i “Compagni Organizzati per il Comunismo”uccidono Luigi Allegretti, ma in sede di rivendicazione diranno che l’obiettivo era invece il segretario del Movimento sociale del quartiere Flaminio Gianfranco Rosci. L’11 marzo viene ucciso a Bari da militanti del MSI lo studente Martino Traversa ed il 12 marzo, a Roma, il segretario della sezione del MSI di Talenti Angelo Mancia. Sempre a marzo le BR uccidono a Roma altri due magistrati, Nicola Giacumbi il 16 e Girolamo Minervini il 18. Nel supercarcere di Palmi i componenti del “gruppo storico” delle BR trasferiti dall’Asinara si uniscono ai membri dell’Autonomia arrestati dopo il 7 aprile: viene creato un comitato di campo con rappresentanti di entrambi i gruppi. 19 marzo, Milano: un commando armato di Prima Linea composto da Sergio Segio, Michele Viscardi, Maurice Bignami e Franco Albesano uccide all’università statale di Milano il Giudice Guido Galli, che aveva ereditato da Alessandrini l’indagine sui gruppi eversivi milanesi collegati a Corrado Alunni7. Nel Tribunale di Milano una lapide in suo ricordo, posizionata vicino a quello che era il suo Ufficio, riporta una frase scritta l’anno dopo dalla sua famiglia:

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«Avete semplicemente annientato il suo corpo, ma non riuscirete mai a distruggere quello che lui ha dato per il lavoro, la famiglia, la società. La luce del suo spirito brillerà sempre annientando le tenebre nelle quali vi dibattete». 28 marzo, Genova: Peci8, ha cominciato segretamente a parlare e a seguito delle sue dichiarazioni i carabinieri fanno irruzione in piena notte nel covo di via Fracchia, dove freddano tutti e quattro i brigatisti Riccardo Dura (Roccalumera, 12 settembre 1950), Lorenzo Betassa (Torino, 30 marzo 1952), Annamaria Ludman9 (Chiavari, 9 settembre 1947) e Piero Panciarelli (Torino, 29 agosto 1955) i quali, a vedere le agghiaccianti foto che solo successivamente verranno pubblicate, sembrerebbero essere stati colti quasi “nel sonno”. Mario Moretti, nel citato libro Una storia italiana, dirà che avevano le chiavi del covo in quanto erano state trovate addosso a Rocco Micaletto al momento del suo arresto e che fu Peci a rivelarne l’esatta ubicazione, perché qualche mese prima aveva partecipato a quella riunione allargata del comitato esecutivo che doveva discutere i documenti di critica provenienti dal nucleo storico in carcere. L’identificazione di Riccardo Dura viene fatta successivamente dai suoi compagni delle BR con il seguente volantino: Roberto: operaio marittimo, militante rivoluzionario praticamente da sempre, membro della direzione strategica della nostra organizzazione. Impareggiabile è stato il suo contributo alla guerra di classe che i proletari in questi anni hanno sviluppato a Genova. Dirigente

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dell’organizzazione che oggi è intitolata alla memoria di Francesco Berardi, con generosità e dedizione totali ha saputo fornire a tutti i compagni che hanno avuto il privilegio di averlo accanto nella lotta un esempio di militanza rivoluzionaria fatta di intelligenza politica, sensibilità, solidarietà, vera umanità, che le vigliacche pallottole dei carabinieri non potranno distruggere.

«Se c’è stata una volta in cui ho pensato al suicidio», dirà più tardi Patrizio Peci, «è stata quella volta lì, anche se non mi ritengo responsabile dei compagni morti n via Fracchia». La colonna genovese verrà smantellata dopo l’estate, a seguito degli arresti tra il 18 ed il 24 settembre di Roberto Garigliano, Carlo Bozzo e Gialuigi Cristiani che faranno arrestare quasi tutti, anche se l’ultima azione armata sarà il tentato ferimento di Carlo Cattaneo dell’Italsider, il 19 giugno 1981. Tra i pochi che riusciranno a fuggire all’estero Livio Baistrocchi (Genova, 1945), Lorenzo Carpi, Gregorio Scarfò e Enrico Porsia. Per la storia della colonna genovese si consiglia Gli imprendibili di Andrea Casazza, DeriveApprodi, 2013 1° aprile: Patrizio Peci inizia formalmente a verbalizzare con conseguenze, per le BR, micidiali (70 arresti, covi scoperti e l’esempio del primo “pentito”). A fronte di questo («l’alternativa per i reati che avevo commesso sarebbe stata quella di uscire di galera a più di 50 anni» dirà in una futura intevista ad Enzo Biagi), il vice-capo della colonna torinese delle BR che prese parte a ben 7 omicidi, fra i quali quello di Casalegno, uscirà definitivamente di prigione dopo soli 3 anni e mezzo10.

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Sempre il 1° aprile, in risposta ai fatti di via Fracchia, un commando BR assalta a Milano la sede DC di Via Mottarone 5 e gambizza Antonio Iosa, Eros Robbiani, Emilio De Buono e Nadir Tedeschi11. Il 10 aprile le Ronde Proletarie uccidono a Torino la guardia giurata Giuseppe Pisciuneri. Il 18 aprile, a Torino, vengono arrestati come sospetti brigatisti i sindacalisti Piero De Rosa, Mario Mirra, Serafina Nigro e Giorgio Caralli. Il 19 aprile, a Milano e a Genova, vengono arrestati gli avvocati di Soccorso Rosso Sergio Spazzali e Edoardo Arnaldi; quest’ultimo si suicida nella sua abitazione dopo essere stato raggiunto dal mandato di arresto per partecipazione a banda armata su denuncia di Patrizio Peci.12 IL FAVOREGGIAMENTO DI COSSIGA Fra i tantissimi nomi fatti da Patrizio Peci agli inquirenti spicca un cognome davvero eccellente, ossia quello di Marco Donat Cattin (nome di battaglia “Alberto”), figlio del noto dirigente democristiano Carlo. Peci dichiara che secondo quanto gli avrebbe riferito il piellino Roberto Sandalo, con il quale si era incontrato due volte per le intenzioni di Sandalo di abbandonare PL ed entrare nelle Br, Marco Donat Cattin sarebbe uno dei massimi dirigenti di Prima Linea, anche se in posizioni dissidenti rispetto all’esecutivo. 24 aprile, Roma: il senatore democristiano Carlo Donat Cattin incontra il Presidente del Consiglio

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Francesco Cossiga per parlare del figlio Marco. 25 aprile, Torino: Carlo Donat Cattin chiede a Roberto Sandalo di rintracciare Marco, e di avvertirlo che il pentito Patrizio Peci ha fatto il suo nome. 29 aprile, Torino: sulla base delle dichiarazioni di Peci viene arrestato anche Roberto Sandalo, che a sua volta si “pente” rivelando, due giorni dopo il proprio arresto, il presunto favoreggiamento dell’allora Presidente del Consiglio Cossiga nei confronti di Donat Cattin. Le confessioni di Sandalo proseguono per 14 giorni. 2 maggio: il vice-capo del Sisde Silvano Russomanno consegna al giornalista Fabio Isman – che li pubblica sulle pagine de il Messaggero a partire dal 4 maggio – i verbali delle confessioni di Peci. Il verbale non è completo, mancano alcune pagine e, in particolare, manca proprio la pagina 50, che contiene le rivelazioni di Peci a proposito di Marco Donat Cattin. 7 maggio: Lotta Continua, che ha avuto da Fabio Ismam copia dei verbali dell’interrogatorio di Peci, esce con un supplemento di 16 pagine e nello stesso giorno Paese sera esce nell’edizione pomeridiana con il titolo “Peci: il figlio di Donat Cattin fa parte di Prima Linea.” Fabio Ismam viene tratto in arresto dai carabinieri e viene spiccato un mandato di cattura ai danni di Marco Donat Cattin. L’11 maggio Marco Donat Cattin parte per la Francia, destinazione Parigi; nello stesso giorno, i giornali pubblicano la notizia che lo stesso Marco Donat Cattin faceva parte del commando di Prima Linea che uccise il giudice Alessandrini. 13 maggio, Roma: viene arrestato anche Silvano Russomanno.

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21 maggio, Roma: inizia il processo di Primo Grado a carico di Silvano Russomanno, Fabio Ismam e Vittorio Emiliani, direttore de il Messaggero. 30 maggio, Roma: il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga viene interrogato dalla Commissione Inquirente sul caso Donat-Cattin. È la prima volta che un Presidente del Consiglio è sospettato di aver tradito la Costituzione. 31 maggio, Roma: con 11 voti favorevoli contro 9 la Commissione Inquirente sancisce l’archiviazione del procedimento relativo all’accusa di tradimento della Costituzione mossa al presidente del Consiglio Francesco Cossiga; Carlo Donat Cattin si dimette da vicesegretario della DC. La questione passa ora nelle mani del Parlamento in seduta comune, essendo il procedimento di archiviazione stato votato da una maggioranza inferiore ai 4/5 dei membri della Commissione. 23 luglio, Roma: seduta comune della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica con all’ordine del giorno “La relazione della Commissione parlamentare per i procedimenti di accusa sugli atti del procedimento n. 274/VIII concernente il deputato Francesco Cossiga, nella sua qualità di Presidente del Consiglio, in relazione agli articoli 326 e 378 del codice penale”. 27 luglio, Roma: il Parlamento in seduta comune decide di archiviare il caso Cossiga-Donat Cattin, respingendo con voto della maggioranza assoluta il rinvio del Presidente del Consiglio davanti all’Alta Corte Costituzionale per i reati di favoreggiamento e violazione del segreto d’ufficio. Marco Donat Cattin verrà poi arrestato a Parigi il 18 dicembre, la Chambre d’Accusation di Parigi conce-

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derà l’estradizione il 25 febbraio 1981, escludendo il giudizio per il reato di appartenenza a banda armata e consegnandolo il 27 febbraio 1981 all’autorità italiana. Dopo essersi dissociato, Marco Donat Cattin tornerà libero nel 1988 facendo il volontario presso la comunità di Don Mazzi, ma il 19 giugno dello stesso anno verrà mortalmente investito in autostrada nei pressi di Verona, dove si era fermato a prestare soccorso ad un incidentato. Qualche anno fa Francesco Cossiga ritornerà su quell’episodio con una lunga intervista ai media, dove ammetterà di essere stato effettivamente lui a dare la notizia a Carlo Donat Cattin, ma al solo fine di fargli consigliare al figlio Marco di costituirsi e di assumersi le proprie responsabilità. A quella intervista risponderà, sempre a mezzo stampa, Roberto Sandalo, il quale riferirà di avere avuto ospite a casa propria dopo quell’incontro tra Carlo Donat Cattin e Cossiga la madre di Marco la quale ad un certo punto ricevette una telefonata che le confermava che suo figlio era riuscito a scappare in Francia13. Riprendiamo la cronologia. 7 maggio a Milano: la neo-nata Brigata 28 marzo ferisce il giornalista di Repubblica Guido Passalacqua. 12 maggio: le BR uccidono a Venezia l’agente Digos Alfredo Albanese. 17 maggio, Roma: le BR gambizzano il democristiano Domenico Gallucci.

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19 maggio, Napoli: la neo-nata colonna napoletana delle BR uccide Pino Amato, assessore regionale della DC, nella circostanza vengono arrestati Bruno Seghetti, Luca Nicolotti (Torino, 28 settembre 1954) e Maria Teresa Romeo. 27 maggio, Roma: vengono arrestati Anna Laura Braghetti, Gianantonio Zanetti e Salvatore Ricciardi14, mentre stavano preparando l’omicidio del procuratore capo di Roma Giovanni De Matteo. 28 maggio, Milano: la Brigata 28 marzo che aveva già ferito il giornalista Passalacqua di Repubblica, uccide il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi. Ultima nata in ordine di tempo, la Brigata 28 marzo, organizzazione armata milanese che prendeva il nome dal recente eccidio genovese di via Fracchia, per volere di Marco Barbone (tra i “protagonisti” armati del 14 maggio milanese del ‘77, di via de Amicis, nonché per breve tempo militante delle FCC), al fine di mettere in atto una “campagna contro la stampa” esaurirà il proprio breve percorso pochi mesi dopo, con l’arresto del suo fondatore il 25 settembre. Gli uomini di Dalla Chiesa fanno emettere un fermo nei confronti di Marco Barbone per i reati di associazione sovversiva, banda armata, rapina aggravata, sequestro di persona, detenzione di armi, incendio doloso, danneggiamenti e altri reati, tutte attività inerenti le sigle Guerriglia Rossa e FCC. Nel mandato di cattura non si accenna ancora alle responsabilità di Barbone per l’assassinio Tobagi ma, secondo le ricostruzioni fatte, i CC sono già certi della responsabilità del fermato anche per il delitto Tobagi.

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Marco Barbone si “pente” quasi subito, confessa l’omicidio di Walter Tobagi e fa arrestare in pochi giorni tutti i suoi (pochi) compagni. Oltre a Marco Barbone (figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della Sansoni del gruppo Rizzoli) si trattava di: Paolo Morandini (Milano, 5 luglio 1959), studente universitario e figlio del noto critico cinematografico Morando; Manfredi De Stefano (Ippo), operaio salernitano ex militante di LC e quindi dei Reparti Comunisti di Attacco, che il 6 aprile 1984 morirà nel carcere di Udine; Daniele Laus (detto anche Gianni, Roma, 26 marzo 1958), un romano di 22 anni, studente d’architettura a Firenze e figlio di un dirigente industriale e di una insegnate di lingue; Mario Marano (detto anche Fabio, Milano, 22 novembre 1953), anche lui studente d’architettura con il padre dirigente d’azienda; Francesco Giordano (Paolo detto anche “Cina”, Zungri, 15 dicembre 1952), calabrese, operaio, collaboratore di una impresa che distribuisce giornali e che oggi lavora per una cooperativa che si occupa del recupero dei ragazzi tossico-dipendenti ed è impegnato nella difesa dei diritti della popolazione palestinese. Entrambi questi ultimi due provenienti dalle Unità Combattenti Comuniste di Guglielmo Guglielmi, il quale, fuggito dall’Italia nel 1979 perché ricercato per l’omicidio di Pier Luigi Torregiani, otterrà il 20 novembre 1989 la cittadinanza del Nicaragua Costoro verranno processati e condannati nel processo milanese denominato “Rosso-Tobagi”15, il cui esito scatenerà non poche polemiche, soprattutto tra i socialisti. Le polemiche, tanto per cambiare, erano dovute al fatto che intorno all’omicidio Tobagi vi sarebbe-

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ro state, secondo alcuni, inquietanti “zone d’ombra”, tesi poggiante principalmente su tre ordini di argomentazione. Il testo della rivendicazione appariva troppo elaborato per essere opera di un gruppo di “ragazzotti”, mostrando perizia e cognizione più da addetto ai lavori (giornalista); il rinvenimento di una nota 13 dicembre 1979 del Brigadiere Dario Covolo (soprannome Ciondolo) indirizzata al capitano Ruffino, di “confidenze” del già citato Rocco Ricciardi (che nel maggio 1979 aveva già fatto arrestare alcuni compagni delle FCC), il quale aveva indicato espressamente Walter Tobagi come obiettivo prima delle FCC già dal 1978 e quindi dei Reparti Comunisti di Attacco, per averglielo detto Pierangelo Franzetti; infine, il troppo mite trattamento sanzionatorio riservato a Marco Barbone unito alla totale impunità per la sua fidanzata, Caterina Rosenzweig, che pure risultava avere partecipato ad alcune azioni. Per l’appartenenza a questa organizzazione verranno inquisite in totale 19 persone16. Il 3 giugno, a Martinafranca, nel corso di una fallita rapina ad una banca i militanti di Prima Linea uccidono l’appuntato dei carabinieri Antonio Chionna. Il 18 giugno, a Pontenure (PC), vengono arrestati Ugo Armenise, Patrizia Ferronato e Maria Teresa Zoni dei Reparti Comunisti d’attacco. Il 19 giugno ed il 2 luglio, rispettivamente nelle carceri nuove di Torino e di Cuneo, vengono uccisi come delatori Pasquale Viale e Ugo Benazzi.

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27 giugno: un aereo di linea Douglas DC-9, in volo tra le isole di Ustica e Ponza, con a bordo 81 persone, si squarcia all’impovviso e scompare in mare. Solo il 28 gennaio del 2013 la Cassazione riconoscerà validità alla tesi secondo cui ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile, condannando al risarcimento lo Stato Italiano. Il 19 luglio, durante una burrascosa riunione della direzione strategica BR a Tor San Lorenzo, sul litorale romano vicino ad Ardea, si consuma la scissione della colonna milanese Walter Alasia17. 29 luglio, si suicida nel carcere di Velletri l’imbianchino Marino Pallotto (Macerata, 19 luglio 1956), arrestato il 28 dicembre 1979 insieme a Bruno Marrone e Paolo Santini per appartenenza al MRPO, gruppo collegato alla colonna romana delle BR operante a Monte Mario, sigla apparsa per la prima volta il 15 novembre 1979 con un’irruzione alla filiale dell’immobiliare Gabetti. Paolo Santini verrà scarcerato dopo un mese e mezzo, perché era stato “infiltrato” nel MRPO dal Colonnello Antonio Cornacchia. Ma in Italia sta per consumarsi una ennesima strage e sarà la più terribile di tutte. A distanza di 11 anni da Piazza Fontana, nel nostro paese si compie un ennesimo grande attentato terroristico, il pìù tragico. Il 2 agosto alla Stazione di Bologna muoiono 85 persone ed altre 200 restano gravemente ferite. Per questa strage verranno ritenuti responsabili, con sentenza passata in giudicato, i militanti dei NAR Valerio Fioravanti e Francesca Mambro18.

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11 agosto: i carabinieri Cuzzoli e Cortellessa vengono uccisi da un commando di Prima Linea nei pressi di Viterbo. 10 settembre, Torino: la Fiat annuncia 15 mila licenziamenti e la cassa integrazione per 23 mila dipendenti. Il 26 settembre Berlinguer è ai cancelli di Mirafiori per dare il sostegno del partito allo sciopero ad oltranza degli operai Fiat. Ai conseguenti blocchi organizzati dagli operai risponde, il 14 ottobre, la marcia dei 40mila colletti bianchi: è il tramonto delle lotte operaie e per molti è la fine di un’epoca19. 11 settembre, Pieve di Cadore (Belluno): si suicida l’autonoma padovana Miriam Corte, coinvolta insieme al marito Giorgio Mignone nell’inchiesta del 7 aprile e divenuta testimone di accusa. 3 ottobre, Genova: viene scoperto un covo delle BR dove aveva abitato Riccardo Dura e di proprietà di Caterina Picasso, di anni 73, che al momento dell’arresto si definisce militante delle BR. Il 7 ottobre, sulla base delle rivelazioni di Roberto Sandalo vengono arrestate a Milano e a Torino 22 persone per partecipazione a Prima Linea (tra cui Paolo Zambianchi e Massimo Libardi), dopo che già l’8 maggio a Milano, nella base di via Lorenteggio 236, erano stati catturati Bruno Laronga e Silveria Russo. Il 13 ottobre a Sorrento vengono arrestati Teresa Conti e Michele Viscardi, il quale si rende immediatamente collaborativo20, determinando nei giorni successivi una serie di arresti su tutta la penisola, tra cui quelli di Susanna Ronconi (3 dicembre) e Roberto Rosso

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(4 dicembre), e la scoperta di 5 appartamenti nella sola giornata del 6 dicembre (uno a Firenze, uno a Taranto e tre a Napoli). In seguito si pentirà anche Sergio Martinelli (Dalmine, 24 aprile 1953) e su alcuni organi di informazione del movimento compaiono i primi appelli all’abbandono della lotta armata, lanciati da ex piellini dissociati. L’anno dopo, tra i pochi rimasti ancora in libertà, Sergio Segio e Diego Forastieri costituiscono i Nuclei Comunisti (NC), mentre Giulia Borelli, con Francesco D’Ursi, Felice Maresca, Daniele Gatto e altri, formano i Comunisti Organizzati per la liberazione Proletaria (COLP). Il 27 ottobre esplode la rivolta nel carcere di Bad ‘e Carros di Nuoro, capeggiata da Valerio Morucci, e nel corso dei violenti scontri per ripristinare il controllo del carcere viene gravemente ferito Roberto Ognibene e restano uccisi in un regolamento di conti i detenuti comuni Biagio Iaquinta e Francesco Zarrillo. 12 novembre, Milano: prima azione autonoma della Walter Alasia (attentato mortale al dirigente industriale della Marelli Renato Briano). All’azione partecipano Sergio Tornaghi (Milano, 24 marzo 1958) e Roberto Serafini. 23 novembre: viene istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso-Moro. 28 novembre: seconda azione autonoma della Walter Alasia ai danni di Manfredo Mazzanti, dirigente della Falk di Sesto San Giovanni. All’azione partecipano Sergio Fagetti (Milano, 6 giugno 1943), Vittorio Alfieri, Pasqua Aurora Betti e Roberto Adamoli.

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Il 1° dicembre la colonna Walter Alasia uccide a Roma Giuseppe Furci, direttore sanitario di Regina Coeli. 11 dicembre, Milano: Walter Pezzoli21 e Roberto Serafini, militanti della colonna Walter Alasia, vengono uccisi da una pattuglia dei carabinieri in via Varesina, fuori dalla bocciofila Cagnola. L’episodio viene descritto in modo toccante da Teresa Zoni nel citato libro Clandestina di DeriveApprodi, allorché riferisce del ruolo che ebbe anche in questa occasione il già più volte citato confidente dei carabinieri Rocco Ricciardi22. 12 dicembre, Roma: le BR sequestrano il magistrato Giovanni D’Urso, direttore dell’Ufficio III della DGIPP (Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena), operazione che in seguito verrà definita da Mario Moretti un “capolavoro di guerriglia”. L’operazione è diretta e gestita insieme a Giovanni Senzani, che era stato rilasciato dopo il suo citato arresto del marzo del ‘79. 20 dicembre: muore suicida nella casa della propria madre, a Napoli, Alberto Buonoconto, nappista, arrestato nel ‘75 e a lungo sottopposto ad una dura carcerazione speciale. Il nome di Buonoconto era ritornato alle cronache durante il sequestro Moro, come possibile “scambio” con il presidente DC. Il 23 dicembre, con l’Opuscolo n. 10, l’esecutivo brigatista decreta ufficialmente l’espulsione della colonna Walter Alasia.

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28 dicembre: rivolta nel carcere di Trani 23. 31 dicembre: viene assassinato dalle BR il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile dell’assalto al carcere di Trani del 29 dicembre. I detenuti del “gruppo storico” elaborano un opuscolo intitolato “L’albero del peccato” sul cosiddetto “proletariato extralegale” e sull’ipotesi che gruppi di malavitosi autonomi possano allearsi al proletariato rivoluzionario nell’ambito di specifiche azioni di guerriglia. Il documento non è che un’ulteriore conferma del sodalizio tra il gruppo storico in carcere (Curcio e Franceschini in testa) e la linea Senzani all’esterno. Negli ultimi due mesi del 198024 si erano verificate anche le uccisioni di due militanti del “Movimento Comunista Rivoluzionario”25, Claudio Pallone (2 novembre 1954) e Arnaldo Fausto Genoino (30 gennaio 1946) il 13 novembre a Civitella Alfadena (AQ), nel corso di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, dell’agente di polizia Filippo Giuseppe da parte di un commando di Prima Linea il 28 novembre a Bari e, infine, della guardia giurata Alfio Zappalà il 31 dicembre a Zinasco (PV) durante una rapina dei Co-Co-RI.

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NOTE 1. In sede giudiziaria l’azione è stata attribuita a Nicola De Maria, Barbara Balzerani, Mario Moretti e Nicola Giancola; quest’ultimo morirà il 24 gennaio 1992 all’età di 41 anni per un infarto, mentre si trovava detenuto presso il carcere di San Vittore. 2. Per l’appartenenza ai NCT verranno inquisite in totale 42 persone. 3. Fondati nel 1978 da Antonio Marocco e Daniele Bonato (Jerago, 30 maggio 1956) fuoriusciti delle FCC, per l’appartenenza ai RCA verranno inquisite in totale 24 persone. Tra le azioni di questa organizazione si ricordano il ferimento a Milano del medico di San Vittore Mario Marchetti (il 13 novembre 1978) e del dirigente Mario Miraglia (il 10 febbraio 80) e l’assalto a Torino il 5 maggio 1980 della sede Rai. Il 17 luglio 1988 si suicida nel carcere di Busto Arsizio il miltante Dario Bertagna. Nato a Comerio (BG) l’8 luglio 1950, dopo avere lavorato presso una ditta di vernici di Vimercate entra nei RCA e viene arrestato il 23 giugno 1980, a Milano, con Guido Felice. Condannato a 15 anni di reclusione, dopo 8 anni di carcere il Tribunale di sorveglianza di Torino gli nega la semi-libertà, nonostante gravi motivi di salute. Giulio Petrilli lo ricorda così: «Dario l’ho conosciuto esattamente il 6 gennaio 1981, in una cella del secondo raggio di San Vittore. Iniziò a raccontarmi della sua vita fuori; era tecnico di una piccola azienda di elettrodomestici, vicino a Milano; mi raccontò del paese vicino Varese, dove abitava, e quando ne parlava si capiva che lui preferiva vivere lì e non in una grande città, anche perché da piccolo aveva vissuto in un paesino del bergamasco. Poi mi raccontò della sua esperienza politica a Milano, la sua politicizzazione passata attraverso la sindacalizzazione nella fabbrica dove lavorava, i contratti, le lotte, l’inasprimento del padronato, la coscienza sempre più approfondita che lui anda-

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va maturando, lo scontro con le logiche di totale mediazione, che lui chiamava “arrendevolezza del vertice del sindacato”, il suo travaglio e la rottura completa con il sindacato. La sua incredulità nel raccontare che molti dirigenti d’industria e capi reparto tra i più duri erano iscritti al PCI. Da lì maturò la scelta della lotta armata. E questa sua scelta, maturata proprio partendo dall’avversione verso la cultura stalinista e produttivista del PCI, se l’è portata dietro sempre, con coerenza fino alla fine. Dario era chiuso, un po’ introverso, ma estremamente determinato e lucido; io non concordavo su alcune questioni del suo ragionamento ma in fondo ero con lui, soprattutto in quegli anni a San Vittore. Poi le nostre strade si sono divise, ci siamo scritti qualche lettera, lui non concordava sulla mia scelta critica al metodo della lotta armata, che secondo me non si adattava più, ma c’è sempre stato dell’affetto. Poi siamo nati lo stesso giorno, l’8 luglio festeggiavamo i compleanni insieme, sognavamo insieme, io ci scherzavo un po’ su, sulla sua rigidità. Abbiamo studiato tanti libri, documenti, insieme, nelle lunghe e interminabili discussioni e passeggiate nel cortile, dove lui, tra una sigaretta e l’altra, si faceva chilometri a piedi, molto spesso da solo, assorto nel suo mondo. E io scherzavo dicendo: “Torna in terra, vieni a giocare a pallavolo, a correre”. Con l’ironia e lo scherzo molto spesso comunicavo con lui , con quel suo modo d’essere reticente nel parlare anche della sua vita privata, dei suoi amori. Con quel suo bene grande che voleva alla sorella, che spesso veniva a trovarlo, portandogli anche dei pacchi che consumavamo insieme. Nel maggio dello scorso anno, sfogliando una pagina del libro La mappa perduta, ho letto il suo nome e l’ho rivisto nel cuore, in quel suo grande cuore che non voleva mai manifestare, che voleva quasi coprire, proteggere, con un po’ di scontrosità”. 4. Lo stesso giorno Luciano Lama ritorna dopo la “cacciata” di 3 anni prima alla Sapienza scortato dalla polizia, intervengono mezzi blindati e migliaia di studenti vengono sottoposti al

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controllo dei documenti. L’episodio scatena un comunicato di dura critica alle Brigate Rosse da parte dei Comitati Autonomi Operai di Via dei Volsci, che parla di «revisionismo armato, che soggettivamente, addizionando una sull’altra le attività di mera propaganda con le armi, crede di aver inaugurato la guerra di classe, ma che in realtà sortisce solo terrorismo. E il terrorismo, è oggi, come già si è verificato in altre occasioni storiche, totalmente arretrato rispetto al livello dello scontro in atto, ed anzi più se ne allontana, più costituisce un ostacolo e una negazione per lo sviluppo di un nuovo ciclo di lotte». 5. Rocco Micaletto (Taviano, 12 agosto 1946) si trasferisce in giovane età nel torinese, dove trova lavoro presso lo stabilimento Fiat di Rivalta diventando un rappresentante sindacale della CISL fino al 1973. Entrato nella colonna torinese delle Brigate Rosse insieme a Betassa, Panciarelli, Ponti, Vai, Fiore e Peci, va a Genova per ricostituire la locale colonna e quindi torna a Torino diventando membro del Comitato esecutivo fino al suo arresto insieme a Peci. Non si è mai dissociato e dopo 24 anni di carcere è stato sottoposto alla libertà vigilata per 5 anni ed attualmente si occupa del sociale. 6. Cfr. Delitto Verbano: una ferita ancora aperta di Marco Capoccetti Boccia, ed. Castelvecchi, 2011 e Piombo di Duccio Cimatti, ed. Piemme, 2005. 7. In seguito il pentito Marco Barbone rivelerà che anche il suo gruppo stava contemporaneamente preparando quella medesima azione. 8. Il “merito” di avere convinto in carcere Patrizio Peci a collaborare è sempre stato rivendicato dal maresciallo Angelo Incandela, che ha rilasciato un lungo racconto sulla sua vita nel libro-intervista Agli ordini del generale Dalla Chiesa di Pino Nicotri, ed. Marsilio, 1994. 9. «Certi ti vedranno come un mostro, altri ti hanno già messo sui loro altarini insanguinati Io non so se hai ammazzato; so solo che ti hanno ammazzato e che questo poteva essere

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evitato. Ho pensato, ho sperato che tu non sapessi niente di quello che succedeva nella casa di Oregina. Mi si dice che è impossibile, che c’era un arsenale, che sei morta con una bomba in mano. Allora? non capiscono quelli che ti hanno conosciuto... Io ti ricorderò sempre per quella che eri: una brava e simpatica donna incasinata, fregata dal perbenismo del tuo ambiente, in quella maledetta città, fregata dall’ultima moda in fatto di perbenismo totale e rassicurante: il terrorismo» (Liliana Boccarossa, in ricordo di Annamaria Ludmann). 10. Patrizio Peci (Ripatransone, 9 luglio 1953) una volta uscito con identità protetta ha pubblicato un libro dal titolo Io l’infame, dove scrive le peggiori cose su tutti gli ex compagni che si trovavano in carcere, anche sui loro aspetti personali ed umani, al punto di appellare più volte come Rospoli la ex fidanzata Maria Rosaria Roppoli (21 luglio 1952), per significarci anche quanto fosse esteticamente brutta. Maria Rosaria Roppoli, che il Peci aveva “coperto” omettendo di denunciarla, appena giunta notizia del pentimento del suo compagno si costituì spontaneamente, il 21 aprile, per manifestare pubblicamente dal carcere il proprio dissenso alla sua scelta collaborativa, andando così incontro a molti anni di galera. 11. Il commando era composto da 4 persone, tra cui Pasqua Aurora Betti e Roberto Adamoli. L’episodio è raccontato da Antonio Iosa nel libro Milano e gli anni del terrorismo, ed. Fondazione Perini, 2010, da lui stesso curato con Giorgio Bazzega, figlio del Maresciallo Sergio Bazzega, ucciso a Milano nel 1976 nel conflitto a fuoco dove morì Walter Alasia. 12. Tra i tantissimi militanti arrestati nel 1980 a seguito delle dichiarazioni di un pentito nell’ambito della “Operazione Peci” c’è anche Mario Fracasso (Alessano, 1 settembre 1951) , operaio, emigrato a Torino, mai dissociatosi, che in seguito pubblicherà alcuni libri tra cui Percorso di vita di un Brigatista Rosso, che si chiude con la citazione di una frase di Che Guevara: «l’uomo deve camminare con il volto rivolto verso il sole, in modo che

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questo bruciando lo segni delle sua dignità. Se l’uomo abbassa la testa perde la sua dignità» (pag. 207). La sua storia viene descritta in un volantino da lui letto nel corso di una udienza del processo alla colonna torinese delle BR tenutasi in data 17 maggio 1981: «Alla classe operaia (di cui sono parte integrante), a tutto il movimento rivoluzionario, al proletariato metropolitano. Voglio rivolgere questo mio comunicato per chiarire il perché mi trovo in quest’aula. Pur non essendo un militante delle BR (Brigate Rosse), mi trovo in quest’aula di tribunale speciale per essere processato sul mio percorso di operaio, di avanguardia di lotta e di comunista! Come milioni di proletari, alla fine degli anni ‘60, sono stato deportato a Torino, dove da subito mi sono scontrato con la ferocia del capitalismo, lottando per non subire passivamente lo sfruttamento del lavoro salariato. Trovando lavoro solo da una boita (piccola fabbrica) all’altra, nel ‘73 vengo finalmente assunto da una grande fabbrica, la multinazionale Singer. Qui sono eletto delegato e nella lotta divento comunista. Lotto contro la ristrutturazione, la cassa integrazione, i licenziamenti, e mi approprio, in questo processo, degli strumenti politici necessari ad ogni proletario per la conquista della sua autonomia di classe. Scioperi interni, manifestazioni di piazza, occupazioni di aeroporto, stazioni ferroviarie, strade, municipi, sono le tappe del ciclo di lotte che, per tre anni la classe operaia sviluppa contro la multinazionale Singer, per la difesa del posto di lavoro. In uno dei tanti accordi-truffa, cui ci hanno ormai abituato, le organizzazioni sindacali svendevano tre anni di lotta della C.O., non solo della Singer ma, anche, nazionale, con l’introduzione della mobilità esterna, con i corsi professionali che di fatto hanno sancito il licenziamento di migliaia di operai. La ricerca di un posto di lavoro, naturalmente, in questa società basata sullo sfruttamento del lavoro salariato, non è facile per qualsiasi proletario: per un’avanguardia di lotta impossibile! Infatti, alla Fiat Mirafiori la mia assunzione è respinta per il mio passato di

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lotta e dietro indicazione del PCI e sindacato; la lotta proletaria impone alla Fiat di assumermi, anche se vengo sbattuto in uno dei diversi stabilimenti-confino all’Abarth. Solo che anche qui, i padroni e i loro servi sbagliano i conti. Dove c’è sfruttamento c’è resistenza, c’è lotta. Vengo eletto delegato, nonostante che l’FLM minacci di non darmi la copertura in quanto avevo un procedimento penale in corso per aver scritto su un muro di Caselle nel ‘74 “Contro l’Imperialismo e la Cassa Integrazione costruiamo Nuclei Armati Clandestini” (anche se questo non è mai stato appurato). Organizzo e sono protagonista, assieme ai compagni di lavoro, scioperi, cortei, manifestazioni contro lo sfruttamento padronale. Ma questo sistema capitalistico, che sa dare ai proletari solo miseria, morte, disoccupazione, licenziamenti, trova sempre una cella delle sue galere per chi lo combatte, per chi lotta per il Comunismo! Il 28 Aprile 1980 vengo prelevato sul posto di lavoro alle ore 10 da 3 carabinieri in borghese. Con la scusa di dover fare degli accertamenti, vengo portato nelle celle di isolamento di Via Valfrè. Prendono le chiavi della macchina e della casa e vanno a perquisirle. Mi fanno firmare un mandato di cattura e mi buttano nelle celle. Dopo 12 giorni e 2 interrogatori di Caselli e Giordano (G.I. di Torino), sono trasferito al campo di concentramento di Cuneo, sempre con la tuta addosso, e, anche qui, mi tengono 2 giorni in cella di isolamento e il maresciallo Incandela, con le sue “furbate”, prova a “farmi parlare”. Dopo 2 giorni sono trasferito in sezione, dove sono rimasto per un anno. Ma anche in quest’anno di prigionìa, se lo Stato borghese si aspettava, con l’introduzione dell’art. 4, di poter comperare i proletari, non ha avuto successo. Il fermo di polizia, il prolungamento della carcerazione preventiva non sono altro che strumenti dei carabinieri e del Ministero di Grazia e Giustizia da usare come esperimento per la distruzione psico-fisica; come la stragrande maggioranza dei proletari prigionieri, ho continuato, insieme agli altri, il mio impegno nel percorso di lotta, da comunista.

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Questo percorso non solo mio ma, oggi più che mai, diventa obbligato per tutta la classe, dato lo sviluppo della crisi strutturale del modo di produzione capitalistico. La lotta per i bisogni immediati di noi operai, proletari, diventano immediatamente scontro di potere (vedi 35 giorni di lotta a Mirafiori, Rivalta, Lancia, lotte a Napoli). Anche perché si vede sempre più chiaro che per noi proletari non ci sono soluzioni: o accettare lo scontro per vincere, o la schiavitù nelle fabbriche, nei quartieri, nelle galere! Io sono qui perché questo scontro l’ho accettato insieme alla classe operaia con cui ho lottato in tutti questi anni; e se c’è qualcuno a cui devo rispondere è solo al proletariato e non a voi che, accusando me, cercate inutilmente di mettere sotto accusa 10 anni di lotta a cui ho partecipato. Per questo non accetto di difendermi di fronte a questo tribunale speciale perché io, operaio, avanguardia di lotta e comunista, non ho niente da cui difendermi! Ho solo il dovere di rivendicare il mio percorso che mi ha visto protagonista delle lotte che in questi 10 anni la classe operaia ed il proletariato metropolitano hanno portato avanti. Sono prigioniero per il mio passato di lotta, ma una cosa è chiara, a me e a tutti i proletari: solo con un presente ed un futuro di lotta, i proletari possono liberarsi da tutte le catene e dalla schiavitù del lavoro salariato. Kampo Le Vallette Torino 13 Maggio 1981». 13. Vedasi Armi in pugno di Pino Casamassima, ed. Stampa Alternativa, 2010. 14. Salvatore Ricciardi (Roma, 17 settembre 1940), dopo avere scontato interamente la propria pena, ha pubblicato nel 2011 per DeriveApprodi un libro molto importante dal titolo Maelstrom (nome norvegese di un pericoloso mulinello marittimo vicino alla costa che i pescatori locali debbono ogni giorno attraversare), dove racconta la propria esperienza di militante dalle prime lotte operaie degli anni sessanta al suo successivo ingresso nelle BR e che si chiude con la citazione di una frase di Samuel Beckett: «Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non

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discutere. Prova ancora. Fallirai ancora. Fallirai meglio» (pag. 387). Nel 2015 ha pubblicato, sempre per DeriveApprodi, Cos’è il carcere. 15. Marco Barbone e Paolo Morandini verranno condannati a 8 anni e 9 mesi al Processo Rosso-Tobagi; Mario Marano, condannato in primo grado a 20 anni e 4 mesi, vedrà ridotta in appello la pena a 12 anni, perché dissociato; Daniele Laus, condannato in primo grado a 27 anni e 6 mesi, vedrà ridotta la pena in appello a 16 anni, mentre Francesco Giordano verrà condannato a 30 anni. Manfredi De Stefano (Salerno, 23 maggio 1957), figlio di operai emigrati ad Arona sul lago Maggiore, dopo avere militato nel Movimento Studentesco frequenta la sinistra operaia Aronese, da cui nascerà la prima sezione locale di Lotta Continua. Dal 1973 al 1977 lavora alla IRE di Varese e in occasione di alcune azioni dimostrative compiute coi compagni di fabbrica (incendio delle auto dei capireparto) conosce alcuni dei futuri fondatori della Brigata 28 marzo. Arrestato insieme a tutti gli altri componenti il 7 ottobre del 1980 e condannato in primo grado a 28 anni e otto mesi, nel febbraio 1982 invia una lettera da San Vittore in cui scrive di essersi pentito di aver «consegnato nelle mani del nemico di classe, oltre alla mia storia personale, anche alcuni passaggi organizzativi del proletariato combattente». Il 6 aprile del 1984 viene trovato morto per un aneurisma nel carcere di Udine. Sulla storia della Brigata 28 marzo si consiglia Ragazzi di buona famiglia di Fabrizio Calvi, ed. Piemme, 1982, mentre sulla vicenda Tobagi Come mi batte forte il tuo cuore della figlia Benedetta Tobagi, ed Einaudi, 2009. 16. Dopo anni di silenzio, in occasione della morte di Carlo Maria Martini, Marco Barbone ha rilasciato il 4 settembre 2012 una intervista a Davide Perillo su Tracce per specificare che, contrariamente a quanto veniva in quei giorni riportato sui vari media, non era stato il Cardinale di Milano a celebrare le sue nozze eccelsiastiche il 9 settembre 1986 bensì Don Giovanni

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Barbareschi, aggiungendo di averlo effettivamente incontrato a Milano una sera del 1985 in piazza Fontana e che in quella occasione commentarono il Salmo n. 50. 17. Oltre a Fenzi e Moretti a quella riunione erano presenti Francesco Lo Bianco, Gianni Cocconi e Angela Scozzafava per la colonna genovese, Vincenzo Guagliardo, Nadia Ponti, Antonio Savasta e Cesare Di Lenardo per quella veneta, Barbara Balzerani e Carlo Iannelli per quella romana, Antonio Chiocchi e Vittorio Bolognese per quella napoletana, mentre per la dissenziente colonna milanese erano presenti Pasqua Aurora Betti (Roma, 6 aprile 1947), Nicola De Maria (11 febbraio 1951) e Vittorio Alfieri (Pero, Milano, 11 agosto 1956). A settembre vi sarà un secondo incontro a Santa Marinella e, quindi, la Walter Alasia (molto presente all’Alfa e al Policlinico) si renderà autonoma dalla direzione nazionale muovendosi, secondo Andrea Saccoman, autore di Le Brigate Rosse a Milano (ed. Unicopli, 2013), in un ottica di “sindacalismo armato”. In Armi e bagagli, Fenzi racconta di essere stato lui a comunicare a Roberto Adamoli (Treviso, 6 gennaio 1960), che sarà uno degli ultimi militanti ad essere arrestati nel giugno del 1983, l’avvenuta espulsione della colonna. In Noi terroristi, Vittorio Alfieri dirà a Giorgio Bocca: «La nuova Walter Alasia non solo si è radicata nelle lotte spontanee nelle fabbriche, ma le ha deliberatamente provocate. Distribuivamo all’interno della fabbrica un migliaio di volantini. Non è mai successo che un mucchietto sia rimasto lì, intatto. Non è affatto vero che eravamo marziani, gente tenuta in disparate. Eravamo persone normalissime che facevano certe cose perché c’erano i motivi per farle». Per appartenenza alla Walter Alasia sono state inquisite 113 persone, che verranno processate dalla Corte di Assise di Milano in un unico maxiprocesso, durato dal 7 marzo al 6 dicembre 1984, che comminerà 19 ergastoli e pene per complessivi 840 anni di carcere, che per alcuni, in seguito dissociati, verranno ridotte in Appello con la sentenza del 28 novembre 1985, confermata in Cassazione il 4 novembre 1986.

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18. Nel 2012 il deputato “finiano” Enzo Raisi ipotizzerà responsabilità a carico di Mauro Di Vittorio, un ragazzo romano legato a Lotta Continua e morto a causa dello scoppio, cui risponderà con un dettagliato articolo di contro-inchiesta di smentita dal titolo “l’ultimo depistaggio” il manifesto del 18 ottobre (cfr. il sito web insorgenze.webpress.com). 19. Giorgio Cremaschi, ex leader della FIOM, ha detto di recente, alla presentazione del libro su Marchionne di Maria Elena Scandaliato La strategia del maglione (ed. Aliberti, 2011), che quella vicenda «ha cambiato la storia del capitalismo italiano gettando le basi per tutto quello che poi sarebbe successo nei successivi 30 anni» mentre Alberto Franceschini, nel corso della sua prima intervista a Giovanni Minoli del 1988, ha detto che «quell’episodio ha sconfitto socialmente le Brigate Rosse». Da vedere il bellissimo film Signorinaeffe di Wilma Labate, con Flippo Timi e Valeria Solarino. 20. A seguito delle confessioni di Viscardi, il 15 ottobre viene arrestato a Bologna l’ex partigiano settantenne Torquato Bignami, padre di Maurice Bignami, per avere affittato a suo nome la base di Sorrento dove era stato ricoverato Viscardi, rimasto ferito dopo la rapina di Viterbo dell’11 agosto. Nonostante varie petizioni per ottenere la sua liberazione, Torquato Bignami sconterà una condanna a 6 anni di reclusione e morirà a 90 anni. La sua storia partigiana è raccontata dal figlio nel libro Uomini eguali, ed. Bietti, 2005. 21. Walter Pezzoli era stato arrestato nel 79, processato ed assolto nel 1980 a Genova nello stesso processo in cui erano imputati Luigi Grasso, Giorgio Moroni, Enrico Fenzi e la sua compagna Isabella Ravazzi. 22. «Eppure neanche quell’avvisaglia lo salvò anni dopo da una morte atroce, e ancor più dilaniante perché avvenuta proprio per responsabilità di quella stessa persona che tanto tempo prima, in una sera di brume, di laghi e di mal di pancia, a costo di forzare cento posti di blocco lo avrebbe portato sano e salvo

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fino all’altra parte del mondo» (pag. 20). Nella recensione del libro di Armando Spataro Ne valeva la pena, pubblicata sul sito Miccia Corta il 26 luglio 2000, Francesco Bellosi scrive: «Il termine “ammazzati come cani” non è gergale: quella sera, sotto la gragnuola di colpi, fu ucciso anche un cane. Ridotto in un tale stato che i giornali del giorno dopo non riuscirono a stabilire se si trattasse di un dobermann o di un pastore tedesco. Rocco Ricciardi aveva detto ai suoi padroni che Roberto era un buon tiratore, e tanto era bastato per quella mattanza». 23. Per una dettagliata descrizione di questo importante episodio di rivolta contro le carceri speciali si legga il citato Maelstrom di Salvatore Ricciardi, ed. DeriveApprodi, 2011; mentre sulla rivolta nel carcere di Bad ‘e Carros del 27 ottobre, si veda Patrie galere di Valerio Morucci, ed. Il ponte delle grazie, 2008. 24. Nel corso di due irruzioni nel biellese fra il 27 e il 28 marzo nelle case di Sergio Corli, Pietro Falcone e Giuseppina Bianchi, Mauro Curinga e Maria Cristina Vergnasco, Edoardo Liburno e Loredana Casetti, i carabinieri trovano armi, documenti e schedari delle BR. I giornali pongono l’accento sulla “normalità” delle coppie coinvolte, sul fatto che quasi tutte hanno dei figli giovanissimi e sulle condizioni economiche agiate. «Biella è sconvolta perché l’operazione del generale Dalla Chiesa ha portato alla luce una immagine, sconvolgente dei presunti brigatisti» da La Gazzetta del Popolo del 30 marzo 1980. 25. Gruppo nato l’anno precedente nel contesto delle occupazioni di case nel Lazio da alcuni settori dell’Autonomia Organizzata. Per l’appartenenza al MCR verranno inquistite in totale 67 persone.

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1981 Esce “Faith” dei Cure e “Gente comune” di Robert Redford vince l’Oscar. In Italia la Juventus vince lo scudetto e Alice vince Sanremo con “Per Elisa”.

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L’11 gennaio Bobby Sands, che si trova da ormai quattro anni nel carcere nordirlandese di Long Kesh con l’accusa di possesso d’armi di fuoco, incontra i funzionari della struttura penitenziaria nel tentativo di trovare un accordo in merito alle rivendicazioni che da anni porta avanti insieme agli altri detenuti dell’IRA, mirate a riacquisire lo status di detenuti politici, abolito in Inghilterra il 1° marzo 19761. 15 gennaio, Roma: Giovanni D’Urso viene liberato anche perché le Brigate Rosse ottengono per il rilascio dell’ostaggio la pubblicazione dei verbali del suo interrogatorio e la chiusura del carcere speciale della Asinara2. 31 gennaio: la Procura di Roma spicca un ordine di cattura nei confronti di Giovanni Senzani per banda armata, associazione sovversiva e sequestro di persona in relazione al sequestro D’Urso. 17 febbraio: a Milano le BR Walter Alasia uccidono il direttore sanitario del Policlinico Luigi Marangoni. A marzo, presso il carcere femminile di Messina, nasce il primo figlio di militanti detenuti. I genitori sono Francesca Belleré3 e Fabio Brusa, arrestati en-

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trambi il 27 maggio 1979 nel corso del blitz di Como contro le FCC. Due anni dopo, durante il processo fiorentino di Prima Linea, Giulia Borelli e Enrico Galmozzi concepiranno due gemelli, che il 13 aprile del 1984 verranno battezzati dal Cardinale Martini presso il carcere di San Vittore. 4 aprile, Milano: vengono arrestati Mario Moretti e per la seconda volta Enrico Fenzi, oltre a Tiziana Volpi e Silvano Fadda. L’arresto di Moretti fu reso possibile da un infiltrato, tale Longo, a seguito di una operazione organizzata da un poliziotto della questura di Pavia, tale Filippi, che in seguito verrà accusato di collusioni criminali. Enrico Fenzi, nel corso di un’intervista che compare nello special di Carlo Lucarelli, racconta la fase del suo arresto dicendo che aveva notato uno strano tipo con la coppola aggirarsi vicino al bar dove si trovavano lui e Moretti, ma di avere ricevuto rassicurazioni dallo stesso Moretti sul fatto che si trattava di vano timore, «e invece» continua Fenzi «avevo ragione io». Le BR a questo punto si spaccano, addirittura in 3 diverse organizzazioni autonome, seppure con la stessa sigla della stella a 5 punte, giacchè alla già autonoma colonna milanese Walter Alasia si aggiunge ora quella napoletana di Giovanni Senzani che tenta, come ai tempi dei NAP, di riprendere – ampliandola – la collaborazione con la malavita organizzata. Si costituiscono così le Brigate Rosse – Partito della Guerriglia, nate dall’accorpamento della colonna di Napoli con il Fronte Carceri. Questo fatto ovviamente non viene reso immediatamente “pubblico” e, pertanto, si verifica una certa cesura tra il reale ed il percepito anche in termini di

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consistenza e forza attuale delle BR nel momento in cui di lì a breve l’Italia assisterà sgomenta alla gestione in contemporanea di ben 4 sequestri di persona firmati con la stella a cinque punte. In realtà, ormai si trattava di tre organizzazioni assolutamente diverse ed autonome, e non più di un unico partito armato. Mario Moretti, che non aderirà mai a nessuna delle diverse sigle conseguenti alle tante spaccature interne successive al suo arresto, dirà: «ormai le parole di ciascuno erano diverse da quelle dell’altro ma come sono diversi i rivoli di un fiume che sta per essere ingoiato dalla sabbia del deserto» (cfr. Brigate Rosse, una storia italiana, ed. Anabasi e poi Mondadori). 7 aprile: le BR uccidono a Roma Raffaele Cinotti agente di custodia a Rebibbia. 27 aprile, Napoli: il Partito Guerriglia sequestra l’assessore regionale ai lavori pubblici e alla ricostruzione post-terremoto della regione Campania Ciro Cirillo, uccidendo l’agente della sua scorta Luigi Carbone e l’autista Mario Cancello. 20 maggio, Mestre: sequestro del Direttore del Petrolchimico di Marghera Giuseppe Taliercio (che verrà ucciso il 5 luglio), gestito dalla colonna veneta “Annamaria Ludmann” in collaborazione con quella romana, che rivendica una continuità con la direzione di Moretti. Il 26 maggio, a Napoli, vengono scarcerati dopo 3 mesi (erano stati arrestati il 24 febbraio dai giudici Pace e Mancuso) Salvatore Amura, Pietro Basso,

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docente universitario, Michele Castaldo, cantierista, e Franco Vicino, medico, ed è revocato il mandato di cattura contro Raffaele Piccolo, l’unico ancora latitante. L’accusa era quella di avere partecipato alle proteste per la situazione creatasi dopo il terremoto, e che il 20 maggio aveva visto alcune migliaia di disoccupati, precari e senza tetto manifestare davanti al Municipio. 3 giugno, Milano: sequestro Sandrucci, ingegnere dell’Alfa Romeo, progettato e gestito dalla colonna “Walter Alasia”. 3 giugno: a Settimo Milanese un commando di Prima Linea uccide il guardiano dell’Alfa Romeo Antonio Frasca. 10 giugno, San Benedetto del Tronto (AP): il Partito Guerriglia sequestra Roberto Peci, fratello del “pentito” Patrizio. IL SEQUESTRO E L’OMICIDIO DI ROBERTO PECI L’intera vicenda è ricostruita in un film dal titolo L’infame e suo fratello, trasmesso in Italia nel corso di una puntata di La Storia siamo noi di Giovanni Minoli; si tratta, lo diciamo subito, di un capitolo della storia delle Brigate Rosse ancora oggi non privo di qualche irrisolto mistero. Patrizio e Roberto Peci sono due fratelli che crescono insieme alle loro due sorelle a San Benedetto del Tronto nelle Marche, figli tutti di una di quelle tipiche famiglie di onesti lavoratori che in quegli anni del

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boom riservato a pochi eletti arrivano, tra mille ingiustizie sociali, con fatica a fine mese, come ci racconta nel film suindicato Gad Lerner, che ai tempi ebbe a occuparsi direttamente di questa storia. La rivolta dei lavoratori del porto, sfruttati, come tanti altri, dai padroncini del luogo, in occasione del naufragio di un peschereccio fa scoprire al maggiore della famiglia Patrizio la strada comune in quegli anni dell’impegno politico nei movimenti dell’estrema sinistra; dopo avere fatto tutta la trafila del cosiddetto anti-fascismo militante, ad un certo punto Patrizio parte per quel Nord dove a quei tempi sembrava avvenire tutto, e lì incontra il quasi conterraneo Mario Moretti (di Porto San Giorgio) che gli propone di entrare nelle Brigate Rosse. Patrizio Peci dopo avere trascorso un periodo iniziale a Milano si trasferisce a Torino, dove diventa in breve uno dei principali militanti della locale colonna. Quando, durante i giorni del sequestro Moro, alcuni giornali dell’epoca pubblicano le fotografie dei più pericolosi terroristi ricercati dal Viminale, la brava ed onesta famiglia marchigiana subisce un colpo, poiché compare a tutta pagina la foto di Patrizio con tanto di nome e cognome. Quando due anni dopo Patrizio viene arrestato, la famiglia, racconterà la sorella Ida, si premura di fargli subito visita in carcere, ma poco tempo dopo per la famiglia Peci compare su tutti i giornali la seconda notizia “bomba”: Patrizio Peci ha deciso di denunciare tutti i propri compagni, che vengono arrestati a decine e decine e quattro di loro muoiono, in occasione della scoperta del covo genovese di Via Fracchia rivelato dal Peci.

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Ricorda Gian Carlo Caselli che mentre raccoglievano in una caserma i verbali fiume di Peci, Dalla Chiesa attendeva con i suoi uomini nella stanza attigua i fogli che ad uno ad uno gli venivano consegnati «come se si trattasse di una sala parto», per fare immediatamente partire le necessarie operazioni di polizia prima che fosse troppo tardi. Roberto intanto si è sposato, vive e lavora a San Benedetto e, alla fine del 1980, la moglie rimane incinta della loro prima figlia, ma la famiglia Peci non sa che si appresta a vivere una delle più mostruose e laceranti tragedie che possano capitare ad una famiglia. Non era mai accaduto che un compagno tradisse, dirà in seguito Francesco Piccioni; la confessione di Patrizio Peci sconvolse tutta l’organizzazione perché da quel momento, dice sempre Piccioni, nessuno poteva più fidarsi di nessuno. La fine della lotta armata in un certo senso comincia proprio da Peci; poi ne arriveranno tanti altri, perché lo Stato capisce che l’unico modo per sconfiggere la lotta armata è minarla al suo interno e, quindi, apre ponti d’oro al nemico che si pente. È la prova generale del fenomeno del pentitismo premiale che verrà in seguito utilizzato anche per la lotta alla mafia. Le BR si rendono conto che il colpo potrebbe essere mortale e l’anno dopo decidono di compiere una azione che risulta essere, agli occhi dell’opinione pubblica, di tipico stampo mafioso e non avere nulla a che vedere con la lotta rivoluzionaria per il trionfo del proletariato. Moretti è stato da poco arrestato a Milano insieme al professor Enrico Fenzi e un altro professore, il criminologo Giovanni Senzani, capo della colonna

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napoletana nonché teorico della collaborazione con la malavita organizzata, ha “spaccato” le BR fondando il Partito della Guerriglia, solo che all’esterno nessuno sa che se è vero che in soli due mesi le BR mettono a segno ben tre sequestri (Cirillo a Napoli, Taliercio a Mestre e Sandrucci a Milano), in realtà si tratta ormai di tre diverse organizzazioni. Il 10 giugno un commando armato sequestra a San Benedetto Roberto Peci, prelevandolo dal luogo di lavoro e in breve arriva a tutti i media la terribile rivendicazione: il tribunale del popolo ha deciso di processare Roberto Peci per tradimento. Roberto Peci resterà prigioniero per 54 giorni, uno solo in meno di Aldo Moro, solo che questa volta i brigatisti non fanno richieste per uno scambio con i loro prigionieri né mandano lettere o foto ai giornali, ma un video che riprende il processo e del quale viene diffusa a tutti i media anche la sua drammatica conclusione. «Non ho mai capito se è stato un clamoroso errore di Senzani o se ci fosse dietro qualcuno» dirà più tardi, a proposito della vicenda Peci, lo storico fondatore delle BR Franceschini, «quel fatto ha distrutto pubblicamente l’immagine delle BR facendoci passare per pazzi sanguinari, cosa che avevamo sempre cercato di evitare» mentre Adriana Faranda, arrestata nei primi mesi del 1979 insieme a Morucci, racconta nel suo libro Il volo della farfalla, ed. Rizzoli, che fu proprio quando dal carcere ove si trovava e vide in televisione quella azione che iniziò a maturare in lei la futura dissociazione dalla lotta armata. In realtà il “disegno” delle Brigate Rosse di Senzani era quello di screditare pubblicamente il pentimento di Patrizio Peci e le figure di Dalla Chiesa e del Giudi-

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ce Caselli, sostenendo che si tratterebbe di un grande falso che cela gravi menzogne dello Stato italiano; siccome oggettivamente qualcosa della vicenda del pentimento di Patrizio Peci non torna, basti pensare al fatto che il suo primo verbale collaborativo data 1° aprile, ossia qualche giorno dopo l’eccidio di via Fracchia del 28 marzo, nasce il mistero del doppio arresto del Peci. Roberto Peci viene filmato mentre, rispondendo alle domande di Stefano Petrella, confessa di essere in realtà stato lui a rivelare nel dicembre del 1979 ai carabinieri di Dalla Chiesa, in cambio della sua liberazione, il luogo dell’appuntamento che aveva con il fratello ricercato, consentendone un primo arresto tenuto segreto. A quel punto sarebbe scattato un “patto” sinallagmatico con Dalla Chiesa, che prevedeva l’immediato rilascio di Patrizio Peci affinché, in cambio di futuri benefici, lo stesso si trasformasse in una sorta di infiltrato per consentire l’acquisizione di nuovi dati utili alle ricerche degli altri brigatisti, fino al successivo arresto ufficiale che sarebbe stato “concordato”. Ora tu riprendi a fare quello che facevi prima, avrebbe detto Dalla Chiesa a Peci, e poi ti faremo sapere quando verrai arrestato e se ti chiedono di compiere azioni tu falle. La circostanza, se vera, avrebbe del clamoroso, avendo Patrizio Peci direttamente compiuto molte azioni, alcune delle quali, a questo punto, sarebbero state consentite proprio dallo Stato. Effettivamente scorrendo a ritroso la cronologia, si può notare come proprio nel dicembre del 1979 viene inferto un durissimo colpo alla colonna torinese dagli uomini di Dalla Chiesa, visto che vengono ar-

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restati in un colpo solo Mattioli, Angela Vai, Delfino e i gemelli Di Cecco. In pratica restano liberi quasi solo Micaletto e Peci, e sarà proprio a Micaletto che Peci darà quell’appuntamento fatale in piazza del 19 febbraio, che determinerà oltre che il suo anche l’arresto di Micaletto. Ci sarebbe un modo molto semplice da parte dello Stato per smentire in radice una siffatta ed inquietante ipotesi: rivelare cioè una buona volta le effettive modalità con le quali si pervenne all’arresto del 19 febbraio di Patrizio Peci, visto che è proprio l’unica operazione degli uomini di Dalla Chiesa di cui non è mai stata rivelata la genesi, a parte la storia un po’ inverosimile secondo cui i carabinieri si sarebbero trovati lì per caso, perché stavano seguendo il piellino Filippo Mastropasqua. Anche perché emerge che, in realtà, anche il fratello Roberto aveva avuto, prima di sposarsi, una iniziale e poi abbandonata esperienza brigatista, e per questa era stato arrestato due volte, l’ultima delle quali il 26 ottobre del 1979, seguita da una assai rapida scarcerazione. Sta di fatto che lo Stato non lo fa… Caselli si limiterà a dichiarare che si trattò di una normale operazione di polizia giudiziaria ma è del tutto evidente che, essendo egli il Giudice Istruttore, ebbe a vedere il fascicolo Peci solo dopo l’arresto del 19 febbraio; quindi non poteva certo sapere quello che era effettivamente accaduto “prima” coi carabinieri del nucleo speciale. Del resto in quegli anni di “emergenza”, ha ricordato anche il Giudice torinese Bernardi, era ben possibile che i carabinieri seguissero talvolta procedure “anomale”, pur di raggiungere gli scopi prefissati ed

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in seguito, con i casi del pentito di mafia Contorno, la cosa emergerà in tutta la sua evidenza. Patrizio Peci a sua volta, nello smentire subito pubblicamente il fratello, dice in realtà una cosa che successivamente, leggendo il suo libro, appare falsa. Il grande argomento di smentita di Peci al suo asserito doppio arresto è sempre stato quello, non privo di logica, secondo cui mai uno come Dalla Chiesa avrebbe rimesso in libertà un criminale come lui, sospettato persino del caso Moro. Tuttavia, nel suo libro Io l’infame, Patrizio Peci racconta che in realtà da alcuni mesi prima del suo arresto del febbraio era pedinato proprio dal maresciallo che poi lo arrestò il 19 febbraio; il che significa che una volta individuato nel 1979, era stato in qualche modo lasciato libero di muoversi nonostante fosse un noto assassino. Inoltre, sempre Peci racconta nel libro che proprio il mattino del suo arresto era passato dalla fidanzata (Roppoli) con cui aveva appena litigato, ma di non averla trovata, e aggiunge che una volta deciso di collaborare avrebbe incaricato proprio il fratello Roberto di avvisarla, per tranquillizzarla sul fatto che non avrebbe fatto il suo nome; al che sorge spontaneo domandarsi cosa mai volesse dirle il giorno del suo arresto. In cambio del rilascio dell’ostaggio, le BR chiedono che la Rai trasmetta gli interrogatori di Roberto Peci e, come per il caso Moro, parte l’inutile trattativa e si ripete il copione già visto: le BR fanno scrivere all’ostaggio le loro richieste; chi le riceve dice che l’ostaggio scrive sotto tortura e quindi non è attendibile; la famiglia tenta vanamente di dire la sua; lo Stato, questa volta nelle persone di Spadolini e di Pertini,

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non vuole neppure incontrare i familiari, Bettino Craxi contesta apertamente questa decisione di totale rigidità ed un gruppo raccolto intorno a Marco Boato decide in tutti i modi di cercare di dare voce alla famiglia Peci. Ma su quei filmati scatta la censura più totale, prima fra tutte quella di Sergio Zavoli, nonostante il precedente D’Urso (in quel caso la pubblicazione dei suoi verbali consentì la liberazione dell’ostaggio), con l’argomento che quel filmato potrebbe scoraggiare altri futuri “pentimenti”, solo Radio Radicale li manda in onda in diretta audio, ottenendo, ricorda Lino Jannuzzi, un incredibile balzo degli ascolti. La famiglia Peci è disperata perché, ricorda Marco Boato, anche il solo incontrare la sorella Ida era ritenuto a quei tempi un “cedimento”. Nel corso di una pubblica conferenza stampa organizzata dai radicali, Ida Peci divulga a tutti i media la versione di Roberto del doppio arresto di Patrizio, versione che viene definita, come nel caso delle lettere di Moro, falsa perché estorta, e pochi giorni dopo Patrizio Peci scrive dal carcere un memoriale che smentisce il fratello4. Dopo 54 giorni le BR fanno trovare il cadavere di Roberto Peci in un casolare dismesso nei pressi della periferia di Roma; Patrizio Peci dopo poco più di 3 anni di carcere andrà a vivere in località protetta e Giovanni Senzani, arrestato l’anno dopo, otterrà la semi-libertà nel 1999. Carlo Alberto Dalla Chiesa verrà assassinato a Palermo dalla mafia nel 1982 proprio lo stesso anno in cui uno dei 4 carcerieri di Peci, Ennio Di Rocco, viene assassinato dai compagni nel carcere di Trani, in quanto accusato di delazione ai danni del Senzani.

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Natalia Ligas, altra carceriera di Roberto Peci, nonché attentatrice all’avvocato De Vita, verrà accusata falsamente di delazione nel 1982 e solo il suo arresto la salverà dalla già organizzata azione punitiva del partito guerriglia, mentre il quarto carceriere di Roberto Peci si pentirà dopo l’arresto, ed otterrà così una pena più bassa. La figlia Roberta, nata orfana di padre, ha ribadito in numerose interviste che non riesce a non pensare ogni volta che «se quello se ne stava zitto oggi mio padre sarebbe qui con me» ed ha anche scritto una pubblica ed accorata lettera a Senzani, il giorno della sua liberazione, dove chiedeva di spiegarle perché le aveva ucciso il padre, lettera a cui il prof. Senzani non ha ritenuto di rispondere5. Riprendiamo adesso la cronologia. Il 5 luglio viene fatto trovare il cadavere di Taliercio, il 23 ed il 24 luglio vengono liberati Sandrucci e Cirillo ed il 3 agosto viene rinvenuto il cadavere di Roberto Peci. Il 13 luglio la Corte d’Assise di Livorno condanna a 12 anni e 6 mesi di carcere la campionessa di tennis Monica Giorgi (Livorno, 1946), arrestata il 30 aprile dell’anno prima sulla base delle dichiarazioni dei pentiti Enrico Paghera e Vincenzo Oliva con l’accusa di tentato sequestro dell’industriale Tito Neri, eseguito dall’organizzazione anarchica Azione Rivoluzionaria il 19 ottobre 1977. L’anno dopo verrà assolta in appello. Il 18 settembre a Milano viene ucciso il vice-direttore degli agenti di custodia presso il carcere di San

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Vittore Francesco Rucci; l’azione viene rivendicata dalla sigla “Nucleo di Comunisti”. Ottobre-novembre: a seguito di ulteriore scissione, nasce la colonna autonoma veneta 2 agosto. Nello stesso mese si tiene a Padova una riunione della Direzione Strategica delle BR che, per distinguersi dalle altre sigle formatesi dalle varie scissioni, cambiano nome e diventano così le Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente. Il gruppo dirigente è composto da Barbara Balzerani, Antonio Savasta, Francesco Lo Bianco, Luigi Novelli, Remo Pancelli, Marina Petrella, Piero Vanzi6; dall’interno del carcere aderiscono con un documento Iannelli7, Piccioni8, Seghetti e Gallinari9. In una successiva riunione dell’esecutivo a Milano, in via Verga 22, viene programmata la campagna contro il generale NATO James Lee Dozier. A dicembre: le Brigate Rosse – Walter Alasia diffondono la loro prima Risoluzione Strategica. Le Brigate Rosse – partito della guerriglia di Giovanni Senzani teorizzano con un ulteriore documento il “salto del partito”, grazie alla mobilitazione di “organismi di massa rivoluzionari” che si orienterebbero verso la “guerra civile”. 17 dicembre, Verona: viene rapito il Generale James Lee Dozier. L’azione è rivendicata dalle Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente. Nel corso del 1981 vanno anche ricordati: i ferimenti a Napoli dell’assessore Umberto Siola (6 giugno); l’uccisione a Roma del vice-questore Sebastia-

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no Vinci (19 giugno) da parte delle BR; la morte a Como, mentre cercava di disinnescare un ordigno delle “Brigate Operaie per il Comunismo”, dell’artificiere Luigi Carluccio (15 luglio); l’uccisione a Cagliari dell’appuntato dei carabinieri Santo Lanzafame (11 agosto) da parte di “Barbagia Rossa”10 e a Milano dell’agente Eleno Viscardi (13 novembre) da parte di Prima Linea. In quest’ultima occasione viene arrestato Luca Soldati (Rivoli, 1 gennaio 1946), che il 10 dicembre verrà giustiziato nel carcere di Cuneo perché accusato di delazione.

NOTE 1 (dal sito web Infoaut): «I carcerati chiedono di non indossare l’uniforme carceraria, non svolgere i lavori previsti dal regolamento, libertà di associazione, maggiori attività educative e ricreazionali e più corrispondenza con l’esterno, il ripristino delle riduzioni di pena perdute a causa delle precedenti proteste. I detenuti, in questa contrattazione con le autorità, accettano di pulire le celle, interrompendo così la dirty protest (protesta dello sporco), con la promessa che avrebbero riottenuto i loro abiti entro la fine della settimana. La richiesta non accettata di utilizzare i propri abiti in carcere aveva dato il via alla blanket protest che prevedeva di non indossare la divisa carceraria come i detenuti comuni ma soltanto una coperta, per rivendicare lo status di prigionieri politici. La direzione del carcere inizia a rimandare la restituzione degli abiti dei prigionieri e dopo due mesi di cooperazione e due richieste da parte dei detenuti, la direzione risponde che i vestiti verranno restituiti solo se i detenuti cominceranno a rispettare il regolamento. I prigionieri, ormai esasperati, deci-

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dono di distruggere il mobilio presente nelle celle, provocando così una durissima reazione delle autorità carcerarie: 80 detenuti vengono picchiati e lasciati in celle con il pavimento coperto di urina senza lenzuola, né coperte. Il 5 febbraio i detenuti repubblicani annunciano un nuovo sciopero della fame, che dovrà cominciare il 1° marzo. Il primo sciopero era stato portato avanti per cinque settimane nel 1972; il secondo invece era iniziato il 27 ottobre 1980 e concluso 53 giorni dopo con un detenuto in fin di vita, ma con la promessa, mai mantenuta, del governo britannico, di soddisfare le 5 richieste. L’idea di Bobby Sands, che era diventato l’Officer Commanding dei detenuti alla fine del secondo sciopero della fame, era che i prigionieri si sarebbero dovuti unire allo sciopero ad intervalli regolari in modo che ci fossero prigionieri che peggioravano e che morivano per molti mesi. Il 1° marzo 1981 Bobby Sands inizia lo sciopero della fame. Poco dopo l’inizio dello sciopero, muore un deputato anti-unionista del parlamento inglese e Bobby Sands annuncia la sua candidatura. Il 30 marzo rimane l’unico candidato anti-unionista della sua circoscrizione, dopo il ritiro della candidatura da parte di due candidati dello SDLP, che chiede ai suoi sostenitori di boicottare le elezioni. Il 15 Aprile Bobby Sands, ormai al 45° giorno di sciopero della fame, è eletto a Westminster con 30.492 voti contro i 29.046 del candidato dell’Ulster Unionist Party. Il suo mandato sarà uno dei più brevi della storia, di soli 25 giorni. Pochi mesi dopo il governo britannico cambierà la legge impedendo ai detenuti di candidarsi e richiedendo un periodo di 5 anni prima che un ex detenuto potesse farlo. Ma intanto la situazione sta rapidamente peggiorando. Nelle aree nazionaliste cresce la tensione tra giovani nazionalisti e forze di sicurezza, con l’aggravarsi delle condizioni di Sands. Il 15 aprile un quindicenne muore colpito al volto da un proiettile sparato da un agente, quattro giorni dopo due ragazzi vengono investiti ed uccisi da una jeep dell’esercito inglese lanciata ad lata velocità contro un gruppo di giovani nazionalisti. Tre deputati irlandesi incontrano Sands,

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ormai in gravissime condizioni, per convincerlo a sospendere lo sciopero. Subito dopo chiedono un incontro a Margaret Tatcher che glielo nega, e dichiara, in una conferenza stampa: “Non sono pronta a prendere in considerazione l’idea di concedere lo status politico a gruppi di persone che sono state condannate per aver commesso dei crimini. Un crimine è un crimine; non ha nulla di politico”. Neanche il tentativo di far intervenire la Commissione europea per i diritti umani, come richiesto al premier irlandese dalla sorella di Sands, sortisce il suo effetto; Sands ribadisce le sue posizioni e la sua volontà di continuare lo sciopero. Il 3 maggio Bobby Sands entra in coma, dall’inizio dello sciopero aveva avuto 3 attacchi di cuore. Morirà 2 giorni dopo, nella notte tra il 4 e il 5 maggio, dopo 66 giorni di sciopero della fame. Più di centomila persone si schiereranno nel percorso del suo funerale, dalla sua casa a Twinbrook, West Belfast, al cimitero di MillTown, dove sono sepolti tutti i militanti dell’IRA di Belfast. Dopo la morte di Sands altri 9 detenuti moriranno tra il maggio e l’agosto dello stesso anno». 2. Si tratta, come si vedrà, dell’ultima azione “unitaria” delle Brigate Rosse, perché da lì a breve verrà arrestato Mario Moretti e Giovanni Senzani fonderà il Partito Guerriglia. 3. Francesca Belleré è morta a poco più di 60 anni nel gennaio 2016. Sul sito di DeriveApprodi si legge una commovente dedica dell’ex compagna di militanza, Teresa Zoni: «Non riesco a pensarci senza di lei, irriducibile e gentile compagna di vita. Francesca nel nostro cuore è lì, intensa, rivoluzionaria quando tutta la sua generazione lo è stata, entusiasmo, speranze, lotte, rigore morale e onestà, cruda e sostanziale onestà verso se stessi e gli altri: come siamo venuti su noi, a vent’anni era impossibile negarsi, far finta di niente, girarsi dall’altra parte, si doveva e si poteva cambiare questo mondo e Francesca non si è certo tirata indietro. Francesca nel nostro cuore è lì, intensa, madre, contro tutto e contro tutti, madre dell’impossibile, madre coraggio, forza e incontenibile gioia insieme. Nell’amore Francesca non si è

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mai risparmiata, generosa e delicata, eppure presente tutta intera, senza mezze misure, Fabio e le ragazze lo sanno bene. Così nella vita Francesca non si è mai risparmiata, incurante di sé, come se fosse inesauribile, ha provato a vivere senza sconti e senza alcuna scorciatoia una propria etica e una propria intuizione di vita. Una piccola attenta e gentile combattente, discreta, misurata eppure indomabile testa contraria. Non riesco a pensarci senza di lei, irriducibile e gentile compagna di vita. Francesca, per favore, insegnaci lo stesso a diventare vecchi, insieme». 4. Il 19 giugno a Roma un commando del Partito Guerriglia formato da Antonio Chiocchi, Vittorio Bolognese e Natalia Ligas (che rimane ferita) fallisce l’attentato all’avvocato De Vita, difensore di ufficio di Patrizio Peci. 5. Nel 2012 sul settimanale Oggi è apparsa una intervista a Patrizio Peci il quale, a distanza di più di 30 anni, ha ritenuto di specificare che anche suo fratello Roberto era un brigatista e che, quindi, non è vera la storia del fratello buono e di quello cattivo. 6. A breve, ed anche per le “ragioni” che si diranno, tutti i membri del direttivo verranno arrestati. Antonio Savasta il 28 gennaio 1982 a Padova, in occasione dell’irruzione per liberare il generale Dozier; Francesco Lo Bianco, storico fondatore della colonna genovese, a Milano il 23 aprile 1982; Umberto Catabiani, ucciso dopo un lungo inseguimento il 24 maggio 1982 a Vecchiano in provincia di Pistoia; Remo Pancelli il 7 giugno 1982; Sandro Padula il 14 novembre 1982 a Castel Madama, in provincia di Roma; Luigi Novelli e Marina Petrella il 7 dicembre 1982 a Roma e, infine, Pietro Vanzi sempre a Roma il 24 giugno 1983. Solo Barbara Balzerani riuscirà a rimanere latitante fino al giugno del 1985. 7. Maurizio Iannelli, nato a Roma il 20 dicembre 1952, ex membro della colonna romana delle BR, oggi è un apprezzato regista e scrittore. Condannato a 2 ergastoli nei processi Moro Bis e Moro Ter, nel 1987 è tra i quattro sottoscrittori (con Renato Curcio, Piero Bertolazzi e Mario Moretti) della celebre lettera al

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quotidiano il manifesto, dove era teorizzata la conclusione della lotta armata e si proponeva lo «sbocco politico e sociale al ciclo di lotte maturato negli anni settanta». Dopo aver conosciuto la transessuale Fernanda Farias De Albuquerque scrisse per lei e con lei il romanzo autobiografico Princesa che ha ispirato a Fabrizio De Andrè l’omonima canzone di “Anime salve”. Da alcuni anni collabora con la Rai a programmi di successo come ”Sfide” e con altre televisioni in qualità di autore e regista. Fra i suoi lavori più apprezzati Un bel ferragosto, film-documentario sulla fine di un amore di una giovane coppia romana (spogliarellista lei, disoccupato lui) che nel 2001 ha vinto un premio speciale a Torino Film Festival, Residence Bastoggi, una docufiction in 8 puntate realizzata per Rai Tre sulla storia di una baby gang romana, che viveva a Bastoggi un quartiere periferico della Capitale, Liberanti, docufiction in 10 puntate realizzata in carcere per Foxcrime e Cult, Reparto Trans, una docufiction in 10 puntate realizzata per Cult sulla storia di alcuni transessuali detenuti nel carcere romano di Rebibbia e Città Criminali, due serie di docufiction per raccontare la lotta fra legalità e illegalità in Italia, tra cui una puntata dedicata a Taranto premiata quale miglior documentario al Roma Fiction Festival del 2008. 8. Nome di battaglia “Michele”, la militanza di Francesco Piccioni (Napoli, 24 giugno 1951) nelle Brigate Rosse comincia nel 1976 e diventa clandestina all’indomani del sequestro Moro. Da sempre nome di spicco della sinistra extraparlamentare romana, dopo il “salto” nella clandestinità brigatista Piccioni partecipa ad alcune tra le azioni più eclatanti della colonna romana, in cui milita dal 1978 al 1980, anno del suo arresto. È nel gruppo di fuoco che il 3 maggio 1979 assalta la sede del comitato regionale della Democrazia Cristiana in piazza Nicosia, conclusa con l’uccisione di due uomini delle forze dell’ordine. La sua militanza nel partito armato continua anche all’interno del carcere, da dove partecipa in maniera attiva prima alle rivolte (è tra i principali ispiratori e responsabili della rivolta nel carcere di Trani nel dicembre ‘80) e a

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numerosi tentativi di evasione, e poi ai dibattiti tra le diverse anime del movimento rivoluzionario nel corso degli anni Ottanta. Dopo la frattura interna alle BR tra l’ala movimentista del Partito Guerriglia e quella militarista delle Br – Partito Comunista Combattente sceglie di aderire a quest’ultima sigla. In collaborazione con i compagni Andrea Coi, Prospero Gallinari e Bruno Seghetti è autore di Politica e rivoluzione del 1983. Nel 1987 pubblica il fumetto Alla prossima volta. BR – La tentata evasione scritto insieme al compagno Francesco Lo Bianco e nel 1997 compare sul libro edito da Odradeck Una sparatoria tranquilla una sua intervista a Francesco Cossiga. Sconta sedici anni di detenzione, quattordici dei quali in regime speciale e nel 1999 ottiene la semi-libertà. Oggi fa il giornalista e scrive su il manifesto. 9. Tutta questa vicenda è raccontata dal pentito Antonio Savasta nel recente libro di Nicola Rao Colpo al cuore ed. Sperling&Kupfer, ma è molto bene analizzata anche da Marco Clementi in quello che fino ad oggi è probabilmente il testo più completo sulla storia delle BR edito da Odradek e dal titolo Storia delle Brigate Rosse, 2001 10. È l’ultima azione di Barbagia rossa. La sigla GABR (Gruppi Armati Barbagia Rossa) aveva fatto la sua prima apparizione il 30 dicembre del 1977, dando fuoco alla porta del Tribunale di Nuoro, cui seguirono gli attentati del 25 marzo 1978 a un cellulare adibito al trasporto detenuti e del 2 novembre 1978 alla stazione radar di Simanna. Il 18 dicembre 1979 a Sassari viene bloccata un auto con quattro giovani armati (Angelo Pascolini, Luciano Burrai, Carlo Manunta, Antonio Solinas) che vengono accusati di associazione a fini eversivi e il giorno dopo, 17 dicembre, avviene la sparatoria di Sa Janna Bassa, in cui muoiono Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti e vengono arrestati Carmelino Coccone, Sebastiano e Pietro Masala, Pietro Malune, Antonio Contena, Mario Calia, Mauro Mereu e Melchiorre Deiana. Il 15 febbraio 1980, alla stazione ferroviaria di Cagliari vengono fermati Antonio Savasta e Emilia Libera, che riescono a fuggire, e il 9 giugno

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1981 a Orune Barbagia Rossa uccide per errore l’insegnante della colonia penale di Mamone Nicolino Zidda, mentre si trovava con il brigadiere Salvatore Zaru. Nel febbraio del 1982, a seguito delle confessioni del pentito Savasta, vengono arrestati Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè) e Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres). Per l’appartenenza a Barbagia rossa verranno inquisite in totale 28 persone.

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1982 Esce “Chronic Town” dei R.E.M., “Momenti di gloria” di Hugh Hudson vince l’Oscar e l’Italia conquista in Spagna la Coppa del mondo di calcio. In Italia la Juventus vince lo scudetto e Riccardo Fogli con “Storie di tutti i giorni” vince Sanremo.

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3 gennaio: un commando “misto” formato da uomini dei Nuclei Comunisti e dei Comitati Organizzazione Liberazione Proletaria1, guidato da Sergio Segio e composto da Pasquale Avilio, Giulia Borelli, Gianluca Frassinelli, Lucio Di Giacomo, Massimo Carfora, Diego Forastieri e Rosario Schettini, fa saltare un muro esterno del carcere di Rovigo consentendo la fuga, dopo una sparatoria, di Susanna Ronconi e delle pielline Loredana Biancamano, Marina Premoli e Federica Meroni. Un passante, Angelo Furlan, muore di infarto. 6 gennaio, Roma: le BR feriscono il vice-questore Nicola Simone. 9 gennaio, Roma: nella base romana di via Ugo Pesci viene catturato Giovanni Senzani e lo stesso giorno vengono arrestati Lino Vai, Gino Aldi, Pasquale Giuliano, Giuseppina Delogu, Susanna Berardi, Luciano Farina, Roberto Buzzati, Massimo Buzzati e Franca Musi. La colonna napoletana porta a compimento altre quattro azioni mortali (vengono uccisi l’assessore Delcogliano e l’agente di scorta Iermano il 27 aprile, il capo della squadra mobile Ammaturo ed il suo autista agente Pasquale Paola il 15 luglio) per poi trasferirsi a Torino e venire infine smantellata a fine anno. Le

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forze di sicurezza individuano la base di Senzani, in seguito alle rivelazioni fatte da Ennio Di Rocco, arrestato il 4 gennaio insieme a Stefano Petrella, mentre stavano preparando il sequestro di Cesare Romiti. I due denunceranno di avere subìto torture al giudice Sica e Di Rocco verrà assassinato in carcere a Trani il 27 luglio dello stesso anno come “traditore” dai suoi stessi compagni. Il 21 gennaio, a Monteroni, vicino Siena: nel corso di un conflitto a fuoco a seguito di una attività di controllo rimangono uccisi i carabinieri Giuseppe Savastano, Euro Tarsilli e il militante dei COLP Lucio Di Giacomo. Viene ferita Giulia Borelli che, trasportata a Roma, verrà arrestata tre giorni dopo insieme a Pietro Mutti. A sparare ai due carabinieri era stato Daniele Sacco Lanzoni, che a fine ottobre verrà arrestato a Milano; pentitosi, farà arrestare il 28 ottobre, in un bar di Via Biondi, Susanna Ronconi e Maria Grazia Grena, con le quali aveva un appuntamento. 22 gennaio, Roma: accordo sindacati-confindustria sulla riduzione della scala mobile ed anche questo è un ulteriore tassello che dimostra come si stia via via sgretolando tutto quel fronte compatto di lotta che aveva così fortemente caratterizzato la precedente decade. Il 24 gennaio Lotta Continua pubblica una “memoria offensiva” del professor Alberto Magnaghi, arrestato nel blitz del 21 dicembre 1979, che denuncia «le parole del giudice al mio difensore “avvocato, gli faccia dire qualcosa che glielo metto fuori”, con riferimento alla legislazione premiale per i delatori. Chi

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non ha nulla da confessare e nessuno da accusare? La cultura del sospetto vuole che sia inevitabilmente colpevole: colpevole appunto, di non collaborazione». L’8 giugno 1987 la Corte di Assise di Appello di Roma assolverà Magnaghi per non aver commesso il fatto. Il 26 gennaio, a Verona, una “squadra speciale” UCIGOS diretta da Umberto Improta e Gaspare De Francisci, composta da Salvatore Genova, Nicola Ciocia, Oscar Fioriolli e Luciano Di Gregorio, fa irruzione nella casa di Elisabetta Arcangeli, il cui nome era stato fatto da Paolo Galati, fratello del brigatista Michele in carcere. I militari trovano anche Ruggero Volinia che viene torturato insieme alla compagna finché, la notte del 27, ammette di fare parte delle BR con il nome di Federico e di avere guidato il furgone che il 17 dicembre 1981 aveva trasportato il sequestrato Dozier a Padova, in Via Pindemonte (cfr. Colpo al cuore di Nicola Rao, ed. Sperling&Kupfer). 28 gennaio, Padova: il generale Dozier viene liberato dalle forze dell’ordine e con la cattura di Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella, Cesare Di Lenardo e Giovanni Ciucci. Il capo colonna Antonio Savasta a seguito delle torture inflitte a lui ed alla sua compagna Emilia Libera sarà il secondo, ed esiziale, grande pentito delle BR. Cesare Di Lenardo denuncia sin sa subito le pesanti torture subite per indurlo a fare i nomi dei compagni e a consentirne la cattura (evidenziate da alcune foto raccapriccianti) ed il fatto viene confermato dalle testimonianze del capitano Ambrosiani del SIULP e dell’agente Trifirò, ucciso 4 anni più tardi in seguito

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a un misterioso conflitto a fuoco. Il giornalista Buffa de l’Espresso, che aveva raccolto il dossier sulle torture inflitte ai brigatisti arrestati, viene a sua volta arrestato, ma in breve nasce un tale clamore pubblico che verrà istruito un apposito processo a Verona per le torture inflitte a Di Lenardo, che si concluderà in Appello con la prescrizione dei reati contestati agli agenti, senza la presenza del loro comandante Salvatore Genova che aveva usufruito della immunità parlamentare, in quanto prontamente eletto dal PSDI. In precedenza c’era stata la denuncia del tipografo romano Enrico Triaca (che per avere riferito delle torture da lui subite nel 1978 fu condannato per calunnia2), era uscito Processo all’istruttoria di Laura Grimaldi, dove si riferiva delle torture inflitte ai ragazzi della Barona in occasione dell’inchiesta milanese sull’omicidio Torregiani e, il 21 febbraio, Lotta Continua aveva pubblicato una lettera inviata al proprio legale dalla brigatista Paola Maturi, arrestata a Roma il 1° febbraio, che denuncia le torture subite in Questura dopo l’arresto. In seguito vi sarà la pubblica denuncia di Sandro Padula in occasione del suo arresto alla fine del 1982 e, quindi, la cooperativa editrice Sensibili alle foglie fondata da Renato Curcio raccoglierà nell’apposito volume del Progetto Memoria, Le torture affiorate, alcune testimonianze di ex lottarmatisti sottoposti a tortura dopo l’arresto. Anche Mario Moretti, nel citato libro Una storia italiana, aveva raccontato che Maurizio Iannelli, arrestato a Roma alla fine del 1980 mentre stava rubando un’auto che sarebbe dovuta servire per il sequestro D’Urso, gli aveva detto in carcere di essersi dovuto buttare contro una finestra della Questura per rompere il vetro e far sanguinare entrambi i polsi per un ricovero di

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urgenza che lo sottraesse alle pesanti torture cui era sottoposto da ore, affinché rivelasse il covo romano “dove abitava Moretti”. È stato necessario attendere anni, ossia che l’ex commissario Salvatore Genova decidesse di “vuotare il sacco” in una intervista rilasciata al Secolo XIX e quindi la recente uscita del libro “Colpo al cuore” di Nicola Rao, edito da Sperling&Kupfer, perché anche la nostrana televisione pubblica si occupasse del caso con una puntata di Chi l’ha visto su Rai tre. In essa, tra le altre cose, compare una lunga intervista ad Enrico Triaca, il tipografo romano arrestato nel 1978 dopo il sequestro Moro, che ha raccontato i metodi “argentini” seguiti già da allora dalla squadra speciale del prof. De Tormentis, con tanto di pratica di waterboarding; ai tempi, per avere denunciato tale fatto, fu condannato per calunnia. Oggi sappiamo che quel famigerato prof De Tormentis era l’alto funzionario dell’UCIGOS Nicola Ciocia, che già si era occupato della colonna napoletana dei NAP e che compare vicino al ministro Cossiga nelle immagini scattate in via Caetani il giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro e che lo stesso, dopo essersi dimesso dalla polizia, si è iscritto all’albo degli avvocati di Napoli, dove ha esercitato la libera professione fino al 2011. I nominativi dei miltanti che hanno dichiarato di essere stati “torturati” (evidentemente c’è anche chi non lo ha detto…), oltre a quelli del collettivo Barona3 di Milano in occasione dell’indagine milanese sull’omicidio Torregiani (e di cui parla il libro Processo all’istruttoria della Grimaldi), sono Alberto Buonoconto, Enrico Triaca, Luciano Farina, Nazareno Mantovani, Francesco Giordano, Maurizio Iannelli,

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Michele Galati, Elisabetta Arcangeli, Ruggero Volinia, Fernando Cesaroni, Vittorio Bolognese, Gianfranco Fornoni, Armando Lanza, Ennio Di Rocco, Stefano Petrella, Anna Maria Sudati, Cesare Di Lenardo, Emanuela Frascella, Antonio Savasta, Emilia Libera, Giovanni Ciucci, Alberta Biliato, Roberto Vezzà, Paola Maturi, Giovanni Di Biase, Annarita Marino, Lino Vai, Sandro Padula, Giustino Cortiana, Daniele Pifano, Arrigo Cavallina, Luciano Nieri, Giorgio Benfenati, Aldo Gnommi, Federico Ceccantini, Adriano Roccazzella. Per questi fatti nessuno è stato dichiarato responsabile, mentre Cesare Di Lenardo si trova tuttora in carcere senza avere mai usufruito di neppure un giorno di permesso dal gennaio del 1982. Grazie anche al paziente lavoro del giornalista di Liberazione Paolo Persichetti è stata presentata nel 2012 una interpellanza parlamentare dalla Onorevole Rita Bernardini del Partito Radicale, ossia di quel partito che ai tempi si era sentito rispondere dall’allora sdegnato ministro Rognoni che mai nessuno in Italia tra le forze dell’ordine aveva usato metodi illegali.4 Da qui alla la metà di febbraio le BR subiscono perdite determinanti e decisive (basi scoperte e centinaia di arresti); vengono arrestati quasi tutti i dirigenti storici ancora in libertà ed è in questo frangente che l’organizzazione superstite, di cui ha preso il comando Barbara Balzerani, riuscita a sfuggire agli arresti e che verrà catturata solo nel 1985, comincia ad introdurre nei suoi documenti la parola d’ordine della ritirata strategica, ovvero la necessità di un periodo di generale riadeguamento dell’avanguardia rivoluzionaria a seguito dei rovesci registrati5.

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Si registrano all’interno dell’organizzazione delle divisioni tra una “maggioranza”, guidata da Barbara Balzerani, ed una “minoranza” che condurrà ad un ulteriore dibattito interno tra una “prima” e una “seconda” posizione e che sfocerà nella ennesima futura frattura tra i “militaristi” delle BR-PCC ed i “movimentisti” che daranno vita alle BR-UDCC. Il 4 febbraio viene arrestato il sindacalista Luigi Scricciolo, protagonista, suo malgrado, di una sconcertante vicenda processuale che potremmo definire in certo senso “emblematica” di quegli anni della cosiddetta emergenza6. Il 12 febbraio, a Firenze, viene arrestato Michele Galli, che gestiva la base della Walter Alasia di via Cesare da Sesto a Milano e che subito si pente, facendo catturare nei giorni seguenti Franco Grillo, Nicola De Maria, Nicola Giancola e Ada Negroni, dopo che il 24 ottobre dell’anno prima era stato arrestato a Settimo torinese anche Vittorio Alfieri. 3 marzo, Roma: viene arrestato per la prima volta Germano “Gulliver” Maccari. Le accuse a suo carico non contemplano ancora la partecipazione al sequestro-omicidio di Aldo Moro (l’arresto e la condanna per tali accuse avverranno 11 anni più tardi). 14 aprile, Roma: ha inizio il primo grado del processo Moro. 22 aprile, Milano: viene arrestato Francesco Lo Bianco7.

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24 maggio, Vecchiano (PI): Umberto Catabiani (Pietrasanta, 10 novembre 1950), membro della Direzione strategica delle BR-PCC, viene ucciso dai carabinieri al termine di un inseguimento iniziato alle 8 del mattino e conclusosi cinque ore più tardi. 29 maggio, la legge n. 304, “Insieme di misure a difesa dell’ordine costituzionale”, la cosiddetta “legge sui pentiti”, introduce alcune ipotesi di non-punibilità per i reati di associazione. Tale legislazione, lamentarono i giudici milanesi, spogliò il magistrato «della sua dote più sacra, l’imparzialità assoluta nei confronti di chiunque e comunque delinqua» (cfr. Sentenza 20/83, pag. 99). 29 maggio: a Roma, in via San Francesco a Ripa, vengono arrestati Roberta Cappelli (5 ottobre 1955) e Marcello Capuano (18 ottobre 1953) che viene gravemente ferito in una sparatoria dopo un inseguimento. Roberta Cappelli, scarcerata nel 1985 per scadenza termini nel 1993 è riparata a Parigi dove tuttora risiede. 16 luglio, Lissone (MI): le BR uccidono il Maresciallo dei carabinieri Valerio Renzi. 23 luglio, Milano: nei pressi di un bar rimane ucciso dalla polizia il militante della Colonna Walter Alasia Stefano Ferrari8. 27 luglio: viene ucciso nel carcere di Trani Ennio Di Rocco, brigatista del Partito Guerriglia arrestato in gennaio. L’accusa mossa a Di Rocco, principali fautori Giovanni Planzio e Antonino Cacciatore, è quella

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di aver favorito l’arresto di Giovanni Senzani. La sua vicenda apre all’interno delle carceri, tra i prigionieri politici, un lungo e travagliato dibattito intorno ai problemi della tortura e della desolidarizzazione9 all’interno delle organizzazioni. Sui barbari regolamenti di conti in carcere di quegli anni ne parleranno in molti, tra cui Enrico Fenzi e Tonino Paroli il quale, nel citato film Il sol dell’avvenire, riferirà, senza trattenere le lacrime, di avere personalmente assistito nel carcere di Cuneo alla drammatica richiesta del giovane di Prima Linea, Giorgio Soldati, prima di essere strangolato: «cercate almeno di non farmi troppo male»10. 19 agosto: a Castel Decima (Roma), un commando BR attacca il centro radio di Ciampino disarmando 11 avieri della VAM e trafugando armi. I militari verranno successivamente condannati per “violata consegna”. 26 agosto, Salerno: un nucleo delle BR-Partito Guerriglia attacca due vetture dell’esercito con 11 militari a bordo al fine di espropriare delle armi. La volante di scorta al convoglio risponde al fuoco e restano uccisi gli agenti Antonio Bandiera e Mario De Marco. Il soldato di leva Antonio Palumbo, rimasto gravemente ferito, morirà il successivo 23 settembre. L’8 ottobre a Rocca Canavese (TO) resta ucciso in un conflitto a fuoco con militanti di “Potere Rosso” il vice-brigadiere Benito Atzei. 14 Ottobre, Torino: la vicenda di Natalia Ligas, esponente di punta della colonna partenopeo-torinese, sospettata di essere un’infiltrata11 ed entrata così

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nel mirino dei suoi ex-compagni che ne progettano il sequestro. La Ligas viene però arrestata alla stazione di Porta Nuova e la colonna decide così di dare risalto al comunicato con cui denunciano l’ex compagna con una azione. Il 21 ottobre un commando di 5 persone assalta l’agenzia del Banco di Napoli di via Domodossola a Torino, stendono a terra due guardie della Mondialpol Antonio Pedio e Sebastiano D’Alleo e le uccidono con un colpo alla nuca. Nel documento che rivendica l’azione viene appunto denunciata l’infiltrata e delatrice Natalia Ligas. Un gruppo di brigatisti detenuti, tra i quali Prospero Gallinari, decidono di prendere la parola dalle gabbie dell’aula bunker dove è in corso il primo processo Moro per dire: «Alcuni episodi recentemente accaduti, che nella totale confusione ed ambiguità coinvolgono la sigla delle Brigate Rosse, ci inducono a riaffermare nei confronti del proletariato la nostra identità politica. Dichiariamo con forza la nostra completa estraneità a tutte quelle pratiche ed azioni che, lontane da ogni problematica attuale interna al movimento di classe, sono solo il frutto di logiche gruppistiche, inevitabilmente ripiegate su se stesse. Per tutto questo è abissale la nostra estraneità ad una pratica come quella di Torino”12». A quella azione partecipano Clotilde Zucca, Marcello Ghiringhelli, Antonio Chiocchi, Francesco Pagani Cesa e Teresa Scinica. 13 novembre, Milano: a seguito delle rivelazioni del pentito Antonio Marocco, i carabinieri fanno irruzione nel covo di via Terenchi a Cinisello Balsa-

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mo ed arrestano i militanti della Walter Alasia Massimo Bellosi, Daniele Bonato ed Ettorina Zaccheo, ex infermiera del Policlinico ricercata per l’omicidio del direttore Luigi Marangoni del 17 febbraio 1981. Maurizio Biscaro muore cadendo da un cornicione mentre tenta di sfuggire alla cattura13. Il 1982 può essere considerato a tutti gli effetti l’ultimo di quelli che sono stati definiti dai principali media italiani come gli “anni di piombo”. In realtà, ormai è proprio l’Italia ad essere profondamente cambiata, sotto tutti i punti di vista. L’impegno politico degli anni settanta sembra diventato un lontano ricordo: sono gli anni ottanta del riflusso dove regna il più assoluto disimpegno non solo politico ma soprattutto culturale; è cominciato quel lungo periodo di generale torpore ideologico di cui a tutt’oggi non si intravede la fine. Pare che sia stata una lettera scritta agli inizi degli anni ottanta da una casalinga al Corriere della Sera, dove chiedeva di occuparsi anche di cose private e più leggere, ad aprire ufficialmente l’era del disimpegno diffuso, ed è come se di colpo la gente, forse stremata da quel decennio micidiale, abbia detto stop14; sta di fatto che poi, passato il periodo di pausa, non è più stato trovato nulla di sostitutivo. Il resto lo ha fatto quel sempre più incontrollato fenomeno di diffusione di massa della droga, a tutti i livelli ed a tutti i prezzi, che ha flagellato in breve tempo interi quartieri e devastato la vita di migliaia di ragazzi, soprattutto quelli più “deboli”, di colpo privati di una qualsivoglia possibile propettiva futura o anche solo di una forma qualsiasi di aggregazione sociale diversa da quella di… “farsi”15.

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Tempo fa mi trovavo ad una riunione del Naga, una onlus che si occupa di fornire generale assistenza agli extracomunitari irregolari, ed una signora mi disse che il volontariato ha da tempo sostituito per molti l’impegno del movimento. Da questo momento, essendosi nel frattempo dissolte tutte le altre organizzazioni armate che avevano proliferato nel post ’77, quel che resta delle residue Brigate rosse prosegue anche se si sta prosciugando quell’acqua dove per anni “avevano potuto nuotare i pesci”16.

NOTE 1. Per l’appartenenza ai COLP verranno inquiste in totale 149 persone. 2. Il 15 ottobre 2013 la Corte di Appello di Perugia, accogliendo la richiesta di revisione di Enrico Triaca, revoca la condanna a suo tempo inflittagli per calunnia, riconoscendo, sulla base delle testimonianze di Salvatore Genova, Nicola Rao e Matteo Indice, che quando fu arrestato il 17 maggio 1978 per la tipografia di via Pio Foà 31 a Monteverde, un gruppo di agenti capitanati dall’allora dirigente UCIGOS Nicola Ciocia lo aveva sottoposto a tortura con il metodo del waterboarding. 3. Sisinnio Bitti, Umberto Lucarelli, Roberto Villa, Gioacchino Vitrani, Annamaria e Michele Fatone presenteranno un esposto all’Autorità Giudiziaria. 4. Nel 2012 la polizia di Stato ha scelto per dirigere la nuova “Scuola di formazione per la tutela dell’ordine pubblico” il pre-

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fetto Oscar Fioriolli, il quale sottopose a tortura Elisabetta Arcangeli, arrestata il 27 gennaio 1982 («Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina» cfr. “Ex Commissario Digos Salvatore Genova” su l’Espresso del 6 aprile 2012). Nel gennaio 2013 Oscar Fioriolli è stato arrestato per sospetta corruzione in appalti pubblici. 5. La proposta di una “ritirata strategica” non verrà per nulla condivisa dai detenuti storici, che stileranno un duro comunicato da Palmi dove si legge «Lasciamo alla classe morente i dibattiti sulla ritirata strategica, buttiamo nella spazzatura quelle linee che scambiano la propria sconfitta per la disfatta della strategia rivoluzionaria. Chi le porta avanti, cieco di fronte ai possenti movimenti di massa, vede e ragiona ormai con il cervello della borghesia» cfr. Il Bollettino, a cura del “Coordinamento dei Comitati contro la repressione” n. 5, Milano, 1982. 6. Il suo arresto avviene durante un convegno della UIL dedicato all’attualità connessa all’esplosiva situazione polacca. L’incontro, presente Lech Walesa, era stato organizzato proprio da lui nella veste di responsabile internazionale del sindacato di Giorgio Benvenuto. Scricciolo, co-autore del libro La strage di Stato (una controinchiesta che fece scalpore sulla bomba di piazza Fontana, edita da Savelli & Samonà, 1970), prima di approdare ai vertici della UIL era stato militante del Movimento Studentesco e quindi fra i fondatori di Democrazia Proletaria. Le accuse che lo riguardano si riferiscono a “organizzazione di banda armata”, “corruzione del cittadino da parte dello straniero”, “tentativo di spionaggio politico”, “attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato” a cui si aggiunge – durante la detenzione – anche il “concorso esterno in sequestro di persona” per il rapimento del generale Dozier. Prima che venga riconosciuta la sua completa innocenza – senza che nemmeno si riesca mai a istruire un processo nei suoi confronti – e dopo un tentativo di suicidio,

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uno sciopero della fame quasi letale e una carcerazione preventiva vissuta fino all’ultimo minuto previsto dai termini di legge, dovranno passare ben 7.171 giorni, che Scricciolo ha descritto nel libro Venti anni in attesa di giustizia (Memori editore, 2006). Luigi Scricciolo è morto il 24 marzo 2009 a 61 anni per un aneurisma addominale e nel 2010 è stata costituita a Roma una associazione nazionale a suo nome. 7. Nato nel 1958 a Paola, in provincia di Cosenza, e trasferitosi a Genova con la famiglia, lavora come operaio all’Ansaldo quando entra nelle Brigate Rosse e nel 1979 passa in clandestinità, con il nome di battaglia Giuseppe. Con il trasferimento a Torino di Rocco Micaletto prende il suo posto nella direzione della colonna genovese insieme a Dura, Baistrocchi e Miglietta e, dopo un periodo nella colonna veneta, è tra gli ultimi dirigenti del Partito Comunista Combattente, fino al suo arresto a Milano, su indicazione del pentito Enrico Fenzi, in zona San Siro, nei pressi dell’appartamento di via Civitali, abitato da Gioia De Carli e Riccardo Galli, operaio Alfa. Condannato a più ergastoli non si è mai dissociato e in carcere ha conseguito 5 lauree. L’11 luglio 2014 il manifesto ha pubblicato un articolo a firma Ugo Mattei e Michele Spanò dal titolo “Francesco Lo Bianco condannato alla ruminatio”, dove si legge che i detenuti del carcere di Alessandria hanno commentato: “Ha superato persino Mandela”. 8. Tre poliziotti in borghese, «per caso di passaggio nel bar» (secondo quanto dichiarato dal pentito Ivan Formenti), vengono insospettiti da una accesa discussione presso il Bar Rachelli, all’angolo tra via Plinio e via Eustachi. Ne scaturisce un conflitto a fuoco al termine del quale vengono arrestati Mario Protti (Gravedona, 4 luglio 1955) e Vincenzo Scaccia (Panottieri, 9 settembre 1952), mentre Stefano Ferrari (Milano, 24 maggio 1955), colpito da un proiettile alla testa, morirà in ospedale il 31 luglio. Di Stefano Ferrari “Rico” ne parla Francesco Bellosi nel Progetto Memoria, ricordando che veniva dal Grattosoglio e che il padre Piersante era chiamato “l’avvocato dei detenuti”, perché aveva

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aiutato moltissimi carcerati a scrivere lettere e istanze di vario genere. Sposato e padre di una figlia piccola di nome Maria, si era trasferito al Giambellino lavorando prima alla Snam di Agrate e poi alla Calzoni, esercitando dal 1979 al 1981 attività sindacale per il coordinamento ENI. 9. Intendendosi l’annientamento come traditori anche dei militanti arrestati che avevano collaborato dopo essere stati sottoposti a tortura. 10. Oltre a quello di Giorgio Soldati del 10 dicembre 1981 a Cuneo si ricordano gli omicidi di Salvatore Cinieri alle Nuove di Torino nel 1979, di Pasquale Viele a Torino il 19 giugno 1980, di Ugo Benazzi a Cuneo il 2 luglio 1980, di Iaquinta e Zarrillo a Nuoro il 27 ottobre 1980 (dove nel corso della rivolta era rimasto gravemente ferito anche Roberto Ognibene) e di Ennio Di Rocco a Trani il 27 luglio del 1982, e le quasi mortali aggressioni di Mario Moretti ed Enrico Fenzi a Cuneo il 2 luglio 1981, di Immacolata Gargiulo al carcere femminile di Palmi l’8 febbraio 1982, di Maria Grazia Biancone al femminile di Latina il 4 agosto 1982 ed il tentato strangolamento nel novembre del 1982 presso il carcere femminile di Voghera di Maria Giovanna Massa. 11. Natalia Ligas (Bono, 21 dicembre 1958), entrata nelle BR nel 1979 in occasione della fallita preparazione dell’evasione di massa dal carcere dell’Asinara, successivamente aderente al Partito Guerriglia, rimase ferita in occasione del fallito attentato all’avvocato De Vita a Roma dell’anno precedente. Trasferitasi a Torino nell’estate del 1982 con Francesco Pagani Cesa e Flavia Nicolotti, verrà successivamente “scagionata” a seguito di indagine “interna” e riammessa a fare parte del gruppo degli “irriducibili”, dai quali non si sarebbe mai più separata. Nel 1992 viene mandata nel carcere speciale di Messina, dove può trascorrere solo un’ora d’aria, nel 1996 le viene negato il permesso di partecipare ai funerali della sorella e l’11 dicembre dello stesso anno Giuliano Pisapia di Rifondazione Comunista presenta un’interrogazione parlamentare, sulla base di quanto riferito dal difensore Caterina

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Calia, che aveva denunciato sui media: «Il trasferimento punitivo perché la detenuta non ha mai parlato, né abiurato il suo passato». 12. Cfr. Il Bollettino n. 7, Milano 1983. 13. Nato a Milano il 4 maggio 1957, dopo essersi diplomato all’Istituto linguistico internazionale collabora alla rivista Controinformazione e per alcuni anni è membro del consiglio di zona 13 per Democrazia Proletaria. La madre Vittoria Dilda Biscaro dirà: «Arrivata a Lambrate, trovo la cassa mortuaria sotto una volta del cimitero, sola, abbandonata. Con il mio arrivo si avvicinano molte persone, tutte con un garofano rosso in mano. Gli operai che avevano diviso le fatiche con mio figlio, quando faceva il muratore, erano tutti lì, con il pianto negli occhi. Erano stati loro a trovare i fiori e lo sa Iddio dove, perché al lunedì il cimitero è chiuso, per cui non arrivano i mezzi pubblici e non ci sono banchetti di fioristi. Ma loro li avevano trovati e distribuiti alle persone presenti». 14. Nel 2005 per la editrice Piemme è uscito Piombo, un libricino autobiografico molto amaro scritto dal fotografo di cinema Duccio Cimatti, che ci racconta come ha vissuto la violenza di quegli anni un adolescente nato nel 1961 e cresciuto nel quartiere periferico romano di Montesacro, dove ha visto morire i due suoi giovani amici Stefano nel 1979 e Valerio nel 1980, l’uno per mano di miltanti di sinistra e l’altro per mano di militanti di destra. Si legge «Non credo nei finali, perché non finisce mai niente, anche la rabbia non finisce. Non mi abituerò mai. Così come non mi scorderò mai di voi. È una promessa. Non vengo a trovarvi sulle vostre lapidi, i cimiteri non servono a ricordare, solo a seppellire. E io ancora non ho seppellito nessuno». 15. Illuminante sul punto il citato L’aspra stagione di De Lorenzis-Favale, ed. Einaudi, 2012, che ricostruisce la vita del giornalista Carlo Rivolta, morto a Roma per una crisi di astinenza da stupefacente il 18 febbraio 1982. Merita di essere visto anche il DVD del film Fame chimica di Antonio Boccola e Paolo Vari del 2003.

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16. «Della decennale ricchezza culturale e politica di un movimento sociale, sicuramente il più ampio e irriducibile prodotto dal mondo occidentale dal dopoguerra in poi, alla fine degli anni settanta rimarranno appena qualche sacca di resistenza civile e degli sparuti fuochi di guerriglia. Lo Stato che aveva vigliaccamente fatto ricorso alle bombe stragiste per contenere le masse in rivolta, infine vittorioso, si sentiva più che mai legittimato ad agitare lo spauracchio del terrorismo rosso contro la democrazia. Una volta rotto il vincolo di solidarietà che ci legava al mondo operaio e intellettuale, le organizzazioni armate e i comitati autonomi si dispersero nella sterilità di mille rivoli divergenti» da L’ultimo sparo di Cesare Battisti, 2008, ed. DeriveApprodi.

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1983 Esce “Let’s dance” di David Bowie e “Ghandi” di Richard Attenborough vince l’Oscar. In Italia la Roma vince lo scudetto e la sconosciuta Tiziana Rivale con “Sarà quel che sarà” vince Sanremo.

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A Gennaio vengono arrestati a Milano Sergio Segio e gli ultimi componenti della colonna “Walter Alasia”, tra cui, il 31 a Cremona, Ario Pizzarelli, che troveremo a rivendicare dal carcere le azioni di inizio anni Novanta contro la base NATO di Aviano, e la sua compagna Patrizia Sotgiu, entrambi provenienti dal gruppo NAPO (Nuclei Armati per il Potere Operaio) di Brescia; sempre del gennaio è il documento della Walter Alasia “Ancora un passo”. 24 gennaio, Roma: si conclude il primo grado del processo Moro con 32 ergastoli. 28 gennaio: a Roma viene prima sequestrata e quindi uccisa Germana Stefanini, agente penitenziario del carcere di Rebibbia; l’azione viene rivendicata da “Potere Proletario Armato”1. 4 febbraio, Roma: presso la Corte di Assise presieduta da Severino Santiapichi comincia il processo di primo grado per gli arresti del “7 aprile” (spezzone romano); al termine del processo, Negri e Scalzone verranno condannati rispettivamente a 30 e 20 anni di carcere. Condanne anche per gli altri imputati. In appello la sentenza verrà stravolta.

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Primavera-estate: processo alla colonna torinese delle BR. Durante le udienze, i brigatisti emettono 5 comunicati, i primi 4 di piccole dimensioni, mentre l’ultimo, il quinto, molto più voluminoso e raccolto nel volume Politica e rivoluzione, di Coi, Gallinari, Piccioni e Seghetti. Il documento traccia un bilancio politico delle Brigate Rosse e, in generale, di tutte le Organizzazioni Comuniste Combattenti, e rappresenta anche una critica serrata alle tesi esposte in altri documenti (vedi soprattutto Gocce di sole nella città degli spettri) da alcuni membri del “gruppo storico”, tra i quali Curcio e Franceschini. 3 maggio, Roma: viene gambizzato Gino Giugni (socialista, consulente dei sindacati e del Ministero del Lavoro), tra i promotori dell’accordo sulla “scala mobile” del gennaio 1982. 24 giugno, Roma: viene arrestato Pietro Vanzi della colonna romana, che morirà in carcere il 5 agosto 20032. 28 giugno, Roma: si concludono i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, dopo 2 proroghe, 3 presidenti e 50.811 pagine pubblicate in 72 volumi. 9 luglio, Voghera: violenti scontri alla manifestazione organizzata dai Comitati dei familiari dei detenuti nel supercarcere, con un bilancio finale di 300 fermi di polizia. In un incidente provocato da un TIR muoiono carbonizzati tre giovani provenienti da Roma, tra cui Valeria Scialabba, sorella di quel Roberto assassinato dai fascisti il 28 febbraio 1978 nel quartiere Don

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Bosco, mentre occupava lo stabile di via Calpurnio Fiamma. Il 17 settembre, a Milano, i carabinieri bloccano in via San Gimignano un’auto con due persone a bordo. Ne nasce un conflitto a fuoco in cui resta ucciso il guidatore Gaetano Antonio Sava, mentre l’altro viene arrestato dopo un inseguimento. Si tratta di Francesco Fiorina, uno degli ultimi militanti dei COLP, che il 3 giugno di quello stesso anno aveva partecipato, con Rita Argano3 e Vincenzo Spano, a una rapina del gruppo Action Directe a Parigi, in cui erano morti due poliziotti. 4 ottobre: il Giudice Istruttore Rosario Priore fa arrestare il medico Domenico Pittella, ex senatore socialista e vice-presidente della Commissione Sanità del Senato, per avere curato nel 1981 presso la propria clinica di Lauria (PZ) la brigatista Natalia Ligas, rimasta ferita nel corso del fallito attentato romano all’avvocato Antonio De Vita, difensore di Patrizio Peci. Dopo più di 2 anni di carcerazione preventiva, Pittella verrà condannato a 12 anni di reclusione nel processo Moro Ter. Riparato all’estero nel 1993, si costituirà nel 1998 ed otterrà la grazia (parziale) dal Presidente Ciampi il 17 febbraio 20004. 20 ottobre, Milano: le BR incendiano 11 mezzi della ditta Astra. 22 ottobre, Pisa: le BR attaccano la base aerea di San Giusto. 7 dicembre, Nuoro: Alberto Franceschini, Franco Bonisoli, Roberto Ognibene, Rocco Micaletto, Clau-

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dio Pavese e Massimo Gidoni iniziano uno sciopero della fame contro l’art. 90 e tre giorni dopo scrivono una lettera al cappellano Salvatore Bussu il quale, dopo Natale, dichiarerà di interrompere il servizio pastorale presso il carcere se non verranno accolte le richieste dei sei detenuti.

NOTE 1. Nella sua prefazione a Cronaca di un’attesa di Barbara Balzerani, Adele Cambria, che aveva conosciuto Germana Stefanini prima che la stessa venisse assunta come agente penitenziaria a Rebibbia, racconta che nel cortile del reparto femminile del carcere vi è una statua che la ricorda. 2. Pietro Vanzi (Roma, 18 giugno 1956), aveva frequentato il Liceo ginnasio statale Terenzio Mamiani di Roma nei primi anni settanta, senza conseguire il diploma, per poi aderire quasi subito al gruppo extraparlamentare “Viva il comunismo”(Co. co.ro.- Comitato comunista marxista leninista). Quando verso la fine del 1975 Mario Moretti (BR) dette inizio al reclutamento romano in vista della costituzione della colonna con cui organizzare la futura “campagna di primavera”, Viva il comunismo fu uno dei gruppi che contribuì all’ampliamento della nuova colonna con Luigi Novelli, Marina Petrella, Stefano Petrella, Francesco Piccioni, Maurizio Iannelli e Marcello Capuano. Nel 1978, dopo l’operazione Moro, numerosi giovani andarono ad ingrossare i quadri del movimento e tra costoro anche Pietro Vanzi. Durante le fasi del Processo Moro, i brigatisti “pentiti” Antonio Savasta ed Emilia Libera indicarono Vanzi come partecipante alle rapine nelle autorimesse di Via Magnaghi e Via Chisimaio (insieme a Bruno Seghetti e Piccioni), alla rapina in danno della Banca

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Nazionale delle Comunicazioni (insieme a Seghetti, Arreni, Piccioni, Pancelli, ed altri) e al ferimento (insieme a Iannelli e Padula) di Pericle Pirri, direttore dell’Ufficio Regionale del Lavoro, il 7 maggio 1980. Ciò fu sufficiente, nei vari gradi di giudizio, a considerare Vanzi colpevole di “concorso morale” nell’omicidio Moro e della sua scorta, facendo parte tale evento «di un più ampio e complessivo disegno eversivo, mirante al cuore dello Stato» e questo comportò la condanna del Vanzi ad un primo ergastolo, confermato in tutti e tre i gradi di giudizio. Alla fine del 1980 contribuisce alla ricostituzione della colonna romana che aveva subito molti arresti a seguito del pentimento di Peci, insieme a Luigi Novelli, Marina Petrella, Remo Pancelli, Emilia Libera ed altri, la cui azione più clamorosa fu l’omicidio (31 dicembre 1980) del generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, vice comandante dell’Ufficio per il coordinamento dei servizi di sicurezza nelle carceri, braccio destro del Generale Dalla Chiesa prima e del Generale Risi, che aveva avuto un ruolo di primo piano durante la repressione della rivolta nel carcere di Trani. In seguito Vanzi partecipò (Mestre 21 maggio 1981), insieme a Savasta, Francescutti e Lo Bianco, al sequestro di Taliercio, direttore dello stabilimento petrolchimico della Montedison, che venne poi uccisio da Savasta il 5 luglio 1981, fatto per il quale a Savasta, esecutore materiale e leader della colonna BR venne inflitta una condanna a dieci anni di reclusione “per l’eccezionale contributo” dato alle indagini grazie alla sua confessione, mentre a Vanzi ed altri 8 brigatisti fu comminato l’ergastolo. Nell’ottobre 1981, a Padova, si riunì la Direzione strategica delle Brigate Rosse, deliberando la trasformazione del movimento in “Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente”; ad esso aderirono, tra gli altri, Barbara Balzerani, Antonio Savasta, Francesco Lo Bianco, Luigi Novelli, Remo Pancelli, Marina Petrella, e Pietro Vanzi. Dal carcere fecero pervenire la loro adesione anche i detenuti Iannelli, Piccioni, Seghetti e Gallinari. In una successiva riunione dell’esecutivo, in via Verga 22, a Milano, venne pianificato il

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rapimento del generale statunitense James Lee Dozier, in servizio nella base NATO di Verona, che avvenne in Lungadige Catena il 17 dicembre 1981. 42 giorni dopo, il 28 gennaio 1982, gli uomini dei NOCS fecero irruzione in un condominio di Padova in Via Ippolito Pindemonte, nel quartiere Guizza, e riuscirono a liberare il prigioniero e ad arrestare Savasta, la Libera, Di Leonardo, Ciucci e Manuela Frascella, mentre Vanzi riuscì miracolosamente a sfuggire alla cattura e per il delitto connesso sarà condannato ad altri 26 anni e mezzo di reclusione. Il 24 giugno 1983, a Roma, in Via Silla, Pietro Vanzi fu riconosciuto e arrestato. Dal momento della sua cattura e per tutti gli anni ‘80 e i primissimi anni ‘90, Vanzi prese parte a tutti i processi che hanno coinvolto le Brigate Rosse, sedendo nel settore degli “irriducibili” e, in molti casi, fu incaricato dai compagni di fare da “portavoce” per la lettura dei comunicati. In carcere Pietro Vanzi si avvicinerà molto alla pratica sportiva che divenne progressivamente l’esperienza centrale della sua giornatae così quando dopo 12 anni (grazie ad un irreprensibile comportamento), gli fu concesso il regime di semilibertà egli si dedicò all’arrampicata sportiva. Nel 1997, insieme a Marcello Capuano (ex BR in regime di semilibertà) curò la pubblicazione di un volume concernente il valore umano della pratica sportiva per i soggetti condannati a lunghe pene detentive, ed in particolare sulla capacità dello sport di insegnare la disciplina interiore nel detenuto e contemporaneamente di valorizzarne la socializzazione anche all’esterno del carcere. Pietro Vanzi è morto a Roma, a soli 47 anni, il 5 agosto 2003, dopo mesi di malattia, e le sue ossa si trovano in un ossario comune presso il cimitero di Campo Verano. 3. Ex militante di Prima linea, arrestata nel febbraio del 1984 a Milano unitamente ad Elvira Arcidiacono; si trattava degli ultimi ancora liberi di quella ormai da tempo disciolta organizzazione. 4. La richiesta a Pittella fu fatta da un avvocato di Soccorso Rosso di Cosenza, Tommaso Sorrentino, a sua volta contattato da Giovanni Senzani. Anche Sorrentino riparerà all’estero a se-

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guito di un mandato di cattura per partecipazione a banda armata e si costituirà nel luglio 1987. «Ho commesso un grave errore, non certo un reato, per non essere andato immediatamente dal magistrato quando riconobbi la Ligas in una foto sul giornale. Fui arrestato il 4 ottobre del 1983 e sono stato due anni e nove mesi tra arresti domiciliari e carcere duro a Regina Coeli, un lager, il peggiore che io abbia mai visitato» dirà in seguito il dr. Pittella.

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1984 Esce “Like a Virgin” di Madonna e “Voglia di tenerezza” di James L. Brooks vince l’Oscar. In Italia la Juventus vince lo scudetto e Al Bano & Romina Power il Festival di Sanremo con “Ci sarà”.

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14 febbraio: il “decreto di San Valentino” blocca la scala mobile; duro scontro a sinistra tra PSI e PCI e anche all’interno del sindacato. 15 febbraio, Roma: nell’ottica di un nuovo progetto volto a creare un Fronte Internazionale Antimperialista, le BR-PCC uccidono il diplomatico americano Ray Leamon Hunt, responsabile della forza multinazionale nel SINAI. 24 marzo: la misteriosa rapina al deposito romano della Brink’s Securmark (bottino di 35 miliardi), inizialmente rivendicata dalle BR e poi attribuita a quello stesso Tony Chichiarelli, autore del falso comunicato n. 7 del sequestro Moro. La rapina costituirebbe secondo alcuni la fatua ricompensa ai servizi resi da Chichiarelli allo Stato. Chichiarelli verrà ucciso sotto la sua abitazione romana da un killer ignoto il 28 settembre di questo stesso anno. Maggio: alcuni militanti delle BR-PCC assumono la denominazione di Seconda Posizione; si costituisce l’UDCC (Unione dei comunisti combattenti) tra cui le militanti Geraldina “Paola” Colotti e Wilma “Roberta” Monaco1.

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Il 26 maggio il manifesto pubblica un articolo con il titolo “La Loggia dei trentasei un documento segreto”, indirizzato un mese prima da 36 magistrati al presidente del Consiglio Bettino Craxi, al vicepresidente del Consiglio della magistratura Gian Carlo De Carolis, al ministro di Grazia e giustizia Mino Martinazzoli, al ministro degli Interni Oscar Luigi Scalfaro, al capo della polizia Rinaldo Coronas, al comandante generale dei carabinieri Riccardo Bisogniero e al direttore del SISDE Emanuele De Francesco, in cui si lamenta «un diffuso senso di smobilitazione rispetto all’impegno che, con i noti risultati, era stato profuso nella lotta al terrorismo e all’eversione», e si criticano «progetti di legge tesi a ridurre le pene anche a dissociazioni meramente verbali e/o di principio dal terrorismo e dalla pratica eversiva» e l’«eccessivo abbattimento di taluni livelli di sicurezza raggiunti in passato all’interno delle cosiddette carceri speciali». 13 giugno a Milano: un militante dei Co.Co. Ri consegna a Monsignor Paolo Cortesi, segretario dell’Arcivescovo Carlo Maria Martini, due borse contenenti «2 mitragliatori Ak 47 Kalashnikov con relativi caricatori e 1.240 proiettili, un fucile mitragliatore Beretta, un moschetto automatico, 3 pistole, 4 bombe a mano e un razzo per bazooka»2. La “consegna” («verranno a consegnarti delle armi» aveva annunciato il Cardinale Martini a Cortesi) era stata preceduta da una lettera scritta il 27 maggio dal carcere di San Vittore da Ernesto Balducchi che aveva incontrato il Cardinale in occasione di una sua visita ai detenuti nel natale 1983. «La riflessione sulla dissociazione tra di noi era matura da tempo. Nacque l’idea di dare un riconoscimento a quella posizione di dialogo ma

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interlocutori non ne trovavamo. Lo Stato voleva solo che facessimo arrestare migliaia di persone, Martini parlava del recupero del peccatore», spiegherà il 2 settembre 2012 a la Repubblica in occasione della morte di Carlo Maria Martini lo stesso Ernesto Balducchi, che il 28 ottobre dell’anno dopo verrà scarcerato e oggi gestisce a Milano Radio Service, una piccola ditta di consegne. 12 luglio: la polizia francese scopre a Parigi un covo di “Action Directe” (il disciolto gruppo di estrema sinistra dai numerosi collegamenti con organizzazioni armate, alcune delle quali italiane) nei pressi dell’Avenue Trudaine, la via dove nel il 3 giugno dell’anno prima3 vennero uccisi due agenti di polizia, forse per mano di un gruppo di militanti di “Action Directe”. 27 luglio, Roma: attentato BR contro l’abitazione di Leonetto De Leon direttore di Notizie NATO. 3 dicembre: si apre il grado di appello del processo Moro (Moro due) con i nuovi contributi di Faranda e Morucci4, arrestati nel ‘79 e nel frattempo dissociatisi dalla lotta armata. 15 dicembre: nel corso di un tentativo di rapina, un orefice di Bologna spara ed uccide l’autonoma Laura Bartolini. 23 dicembre: un micidiale attentato al treno rapido 904 nella galleria di Val di Sambro provoca 16 morti e 277 feriti.

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NOTE 1. Per l’appartenenza alle UDCC verranno inquisite in totale 75 persone. Geraldina Colotti (Ventimiglia, 12 aprile 1956), studentessa a Genova, dove frequenta i corsi di Faina e Fenzi, e poi insegnante di filosofia, ha vissuto per lungo tempo in Francia, a Montreuil, dove si è occupata dei problemi sul lavoro delle persone provenienti dalle ex colonie francesi, prima di costituire le UDCC e rientrare in Italia alla fine del 1984. Arrestata e ferita il 22 gennaio 1987, in Via Nomentana, e condannata a 27 anni, dopo avere scontato la pena ha lavorato alla coop romana 32 dicembre e dal 1996 presso la redazione de il manifesto. Ha pubblicato racconti, poesie, romanzi per ragazzi e testi comici, tra cui Versi cancellati (1996), Sparge rosas (2000), Il segreto (2003), Certificato di esistenza in vita (2005) e Talpe a Caracas (2017). Da sempre tra i massimi esperti della questione boliviana, nel 2017 ha trasmesso le cronache quotidiane dal Venezuela durante il referendum promosso dal Presidente Nicolas Maduro. La sua storia, raccontata in Mi dichiaro prigioniero politico di Bianconi, emerge anche da un suo libro di racconti Certificato di esistenza in vita, pubblicato nel 2005 per Bompiani. Ritratti umani di donne diverse con una loro storia, alcune filtrate dal racconto in presa diretta dell’autrice che volta a volta con loro si relaziona in diversi momenti della propria vita (a dir poco straziante e commovente quello dell’incontro sulla spiaggia con l’amica di infanzia che esce dal mare e chiama la sua bambina con il nome di Roberta), e altre in presa diretta e tutte in qualche modo legate alla lotta armata. Memorabile (nel suo dramma) quella del padre che necessita del certificato che fornisce il titolo del libro, e veramente straordinario il finale che un po’ riassume il tutto tornando all’autrice. È in questo libro che si trova la frase che dice la protagonista all’altra detenuta Vania «mi sto facendo la galera perché sono una cui importa», che sintetizza come poche altre a mio parere quella intensa fase storica del nostro novecento.

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2. Cfr. Verbale di sequestro della Digos. 3. Il racconto della propria dissociazione Valerio Morucci lo fa nel libro molto polemico soprattutto verso Mario Moretti La peggio gioventù, ed. Rizzoli, 2004, dove arriva espressamente a rimpiangere di essere entrato nelle BR per non avere saputo attendere solo un anno quando «anche a Roma sarebbe arrivata Prima Linea».

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1985 Esce “We are the world” USA for Africa e “Amadeus” di Milos Forman vince l’Oscar. In Italia il Verona vince lo scudetto e “Se mi innamoro” dei Ricchi e Poveri vince Sanremo.

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19 gennaio: nell’aula bunker del Foro Italico, dove è in corso il processo d’appello per il caso Moro, Valerio Morucci e altri 170 detenuti brigatisti annunciano la loro dissociazione e firmano un documento di addio alla lotta armata. La legge n. 34 verrà approvata due anni dopo, il 18 febbraio 1987 e, per avere riconosciuti i benefici di legge, occorre firmare un apposito documento che Alberto Franceschini, l’anno dopo averlo sottoscritto a Rebibbia il 21 febbraio 1987, ha reso pubblico nel suo libro Mara, Renato ed Io, editato da Mondadori nel febbraio 1988. In esso si legge che il dissociato dichiara di: 1) avere defintivamente abbandonato ogni organizzazione o movimento di carattere terroristico od eversivo; 2) essere disposto ad ammettere le attività effettivamente svolte nell’ambito terroristico ed eversivo; 3) ripudiare la violenza come metodo di lotta politica; 4) voler sottoporre al vaglio delle Autorità competenti il proprio comportamento, ritenendolo oggettivamente ed inequivocabilmente incompatibile col permanere di qualunque vincolo associativo di carattere terroristico o sovversivo; 5) essere dunque dissociato dal terrorismo ai sensi dell’art. 1 della legge “Misure a favore di chi si dissocia

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dal terrorismo”, recentemente approvata e della quale chiederà per sé l’applicazione ai Giudici competenti. 9 marzo: agenti della Digos uccidono a Padova l’autonomo disarmato Pietro Greco. 15 marzo: si conclude il grado di appello del processo Moro, con una riduzione degli ergastoli da 32 a 22 (confermati successivamente dalla Cassazione). 27 marzo, Roma: omicidio dell’economista di area CISL Ezio Tarantelli, tra i massimi sostenitori della riduzione e del successivo blocco della scala mobile, il tipico rappresentante intellettuale di quella razionalizzazione riformista contro la quale il partito armato ha indirizzato le sue ultime azioni. Il nuovo attentato è attribuito alla ristrutturata colonna romana, che si riteneva erroneamente fosse ancora guidata da Alessio Casimirri e sua moglie Rita Algranati (che invece erano da tempo riparati all’estero), mentre in seguito si accerterà che a sparare fu Antonino Fosso, arrestato nel 1988. Viene diffusa la risoluzione strategica n. 20; il testo, che si collega al documento “Politica e rivoluzione”, ha grande spazio e risalto nella stampa (vedi il Corriere della Sera del 30 marzo). Seguono numerosi altri arresti tra le fila dell’organizzazione, tra cui quelli di Roberto Rinaldi e Raimondo Etro. 19 giugno: viene arrestata ad Ostia insieme a Gianni Pelosi, Barbara Balzerani “Sara” 1; da questa data, e per tutta la seconda metà dell’anno, le azioni targate BR si riducono a due sole rapine (a Tivoli e a Roma) e a un’altra fallita a Milano.

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Ad agosto due ex militanti di Prima Linea, Francesco D’Ursi (arrestato il 3 dicembre 1981) e Daniele Gatto (arrestato il 14 novembre 1981), che già il 30 marzo 1984 avevano scritto dal carcere di Cuneo all’ex sindaco Diego Novelli, inviano dalle carceri Nuove una seconda lettera al Prof. Nicola Tranfaglia2. 7 novembre: un commando di quattro combattenti palestinesi squestra la nave da crociera italiana Achille Lauro al largo delle coste egiziane; gli ostaggi vengono liberati il 9 novembre. A Reagan, che ne chiede la consegna per farli processare in America, Craxi risponde che sono colpevoli di reati commessi in acque internazionali su una nave italiana e che quindi la competenza è della magistratura italiana. I combattenti vengono portati nel carcere di Siracusa e negli anni successivi saranno processati e condannati. 14 dicembre: a Roma muore in un conflitto a fuoco con la polizia, durante il tentativo di rapina a un furgone portavalori, Antonio Giustini, membro delle Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente. Ferite le guardie Carmelo Caruso e Carlo Lai e la militante Cecilia Massara.

NOTE 1. Barbara Balzerani (Colleferro, 16 gennaio 1949) “Sara”, arriva a Roma alla fine degli anni sessanta e partecipa alle varie rivolte di quartiere, tra cui quella di San Basilio, dove nel 1974 rimane ucciso il giovane Ceruso. Entrata nelle BR nel 1975 e,

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arrestata dopo 10 anni di militanza clandestina, ha ottenuto nel 2011 la liberazione condizionale ed è da tempo affermata e valente scrittrice, avendo pubblicato a tutt’oggi sei libri: Compagna luna, ed. Feltrinelli; “La sirena delle cinque”, ed. Jaka book; Perché io, perché non tu, Cronaca di un’attesa, Lascia che il mare entri e L’ho sempre saputo per DeriveApprodi. In Perché io, perché non tu è straordinario come l’autrice sia riuscita a raccontare così tante cose e a trasmettere così tante emozioni in, tutto sommato, poche pagine. Non c’è una parola in più né una in meno in ogni singolo momento della sua storia, come quando affronta in non più di dieci righe tre argomenti “giganteschi”, su ciascuno dei quali si potrebbero scrivere interi libri, ossia la desolidarizzazione verso i compagni incapaci di resistere alle torture, le inarrestabili “spaccature interne” dei primi anni ottanta e la odiosa imposizione dell’invio di una lettera alle vittime per accedere dopo 26 anni di carcere alla liberazione condizionale prevista per legge. Il suo primo romanzo Compagna Luna non verrà più ristampato da Feltrinelli, nonostante un più che lusinghiero successo di vendite, anche a causa di una recensione molto critica e stroncante di Antonio Tabucchi apparsa sul Corriere della Sera, all’indomani della sua pubblicazione e così nel 2013 il libro viene rieditato da DeriveApprodi. Erri De Luca le ha dedicato la bellissima Ballata per una prigioniera: «Era pericoloso lasciarle mani franche senza ferri avvitati intorno ai polsi quando rivide spazio, alberi, strade, al cimitero dove portavano suo padre. Dieci anni già scontati, ma contarli non serve, l’ergastolo non scade, più vivi più ci resti. Era pericoloso permetterle gli abbracci, e da regolamento è escluso ogni contatto. Era pericoloso il lutto dei parenti, di fronte al padre morto potevano tentare chissà di liberare la figlia irrigidita, solo per pareggiare la morte con la vita. Spettacolo mancato la guerriera in singhiozzi, ma chi è legato ai polsi non può sciogliere gli occhi. Per affacciarsi, lacrime e sorrisi, debbono avere un po’ d’intimità perché sono selvatici, non sanno nascere in stato di cattività. Non si è più stati insieme, vero, babbo? Prima la lotta,

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gli anni clandestini, neppure una telefonata per Natale, poi il carcere speciale, la tua faccia, rivista dietro il vetro divisorio, intimidita prima, poi spavalda e con una scrollata delle spalle dicevi: “muri, vetri, sbarre, guardie, non bastano a staccarci, io sto dalla tua parte anche senza toccarti, anzi, guarda che faccio, metto le mani in tasca”. Porta pazienza, babbo, anche stavolta non posso accarezzarti tra i miei guardiani e i ferri. Però grazie: di avermi fatto uscire stamattina, di un gruzzolo di ore di pena da scontare all’aria aperta. Ora la puoi incontrare la sera quando torna a via Bartolo Longo, prigione di Rebibbia, domicilio dei vinti di una guerra finita, residenza perpetua degli sconfitti a vita. Attraversa la strada, non si gira, compagna Luna, antica prigioniera che s’arrende alle sbarre della sera». 2. Nascerà il progetto di un seminario di circa due anni cui parteciperanno 17 dissociati, i cui atti verranno pubblicati nel volume edito nel 1988 da Garzanti Vite sospese, ristampato nel gennaio 2014 da Baldini & Castoldi, che riporta gli interventi di 13 ex PL: Federico Alfieri (arrestato il 2 febbraio 1982), Loredana Biancamano (arrestata il 15 aprile 1982), Paolo Cornaglia (arrestato il 28 ottobre 1980), Marco Fagiano (arrestato il 20 dicembre 1980), Susanna Ronconi (arrestata il 28 ottobre 1982), Adriano Roccazzella (arrestato il 31 agosto 1979), Roberto Rosso (arrestato il 4 dicembre 1980), Sergio Segio (arrestato il 15 gennaio 1983), Liviana Tosi (arrestata l’8 ottobre1980), Claudio Waccher (arrestato il 6 luglio 1979), Paolo Zambianchi (arrestato nell’ottobre 1980 e deceduto il 26 gennaio 2012) e di 3 ex BR: Silvia Arancio (arrestata il 28 marzo 1980), Barbara Graglia (arrestata il 13 novemnre 1982), Maria Rosaria Roppoli (arrestata il 21 aprile 1980) e di Carlo Molinetto dei NCT (arrestato il 15 dicembre 1980).

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1986 Esce “You can leave your hat on” di Joe Cocker, ”La mia Africa” di Sidney Pollack vince l’Oscar e l’Argentina i mondiali messicani. In Italia la Juventus vince lo scudetto ed Eros Ramazzotti il Festival di Sanremo con “Adesso Tu”.

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30 gennaio, Padova: assoluzione parziale in primo grado (“spezzone padovano”) per il gruppo Negri. Cade il “teorema Calogero”: l’autonomia padovana non è al vertice delle Br, né a Potere Operaio né ad Autonomia Operaia viene riconosciuto lo status di “banda armata”; tale è considerata solo l’organizzazione Fronte Comunista Combattente, mentre ai collettivi politici veneti viene attribuito il reato di associazione sovversiva. Febbraio, Napoli: inizia il processo a Giovanni Senzani e alle Brigate Rosse - Partito della Guerriglia. 10 febbraio, Firenze: omicidio dell’ex Sindaco di Firenze Lando Conti. L’attentato è rivendicato dalle Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente. Viene ancora diffusa nella circostanza la Risoluzione n. 20. 21 febbraio, Roma: prima azione dell’UDCC: attentato ai danni di Antonio Da Empoli, nel corso del quale muore Wilma Monaco1. Nella borsa di Wilma Monaco viene ritrovato un documento intitolato Manifesto e tesi di fondazione, datato “ottobre 1985”: «sotto l’impulso e l’iniziativa

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di alcuni ex-militanti delle Brigate Rosse fuoriusciti da questa organizzazione in seguito alle loro battaglie per l’adozione delle tesi politiche enunciate nella cosiddetta “seconda posizione”, nel mese di ottobre 1985, si è costituita la Unione dei Comunisti Combattenti»2. 15 giugno, Roma: si apre il processo Moro-ter. Il 10 ottobre, a Trino (Vercelli), nel giorno di una grande mobilitazione antinuclearista organizzata in varie parti d’Italia, un corteo entra direttamente nel cantiere della centrale nucleare di Trino vercellese, occupandolo. Ruspe e altri macchinari vengono danneggiati e messi fuori uso per danni calcolati in 500 milioni di lire di allora. Il giorno dopo la Stampa titolerà “Autonomi si scatenano a Trino”. Il 9 dicembre, a Montalto di Castro (VT), è indetta una grande manifestazione antinucleare contro la costruzione della nuova centrale. A seguito di violente cariche da parte della polizia, alla fine della giornata si conteranno una decina di fermati e centinaia di feriti, tra cui un manifestante con un’emorragia ai polmoni, causata da un lacrimogeno sparato in pieno petto, e un altro colpito da un proiettile ad una gamba3.

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NOTE 1. Wilma Monaco, nome di battaglia Roberta, nata a Roma il 28 ottobre 1958 nel quartiere Testaccio, diplomata al liceo linguistico, milita in gioventù prima nel Movimento Proletario di Resistenza Offensiva e quindi nei Nuclei Clandestini di Resistenza. Separatasi dal marito Gianni Pelosi, arrestato nel 1985 insieme a Barbara Balzerani, era riparata a Parigi nel 1984, perché denunciata da un pentito, dove insieme ad alcuni ex brigatisti aderenti alla “seconda posizione” aveva contribuito a fondare le UDCC. 2. Nelle UDCC milita anche Claudia Gioia, attuale direttrice del Macro museo di arte contemporanea di Roma. 3. È l’ultima manifestazione di una lunga serie dopo quelle di Caorso, Trino Vercellese, il Pec del Brasiamone, perché il 1986 è stato un anno di campeggi e cortei contro il nucleare in Italia, al punto che in seguito verrà anche indetto un referendum popolare.

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1987 Esce “Bad” di Michael Jackson e “Platoon” di Oliver Stone vince l’Oscar. In Italia il Napoli vince lo scudetto e Gianni Morandi, Umberto Tozzi ed Enrico Ruggeri vincono Sanremo con “Si può dare di più”.

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A Gennaio con una lunga intervista dal carcere rilasciata al giornalista Mario Scialoja, Renato Curcio interrompe il lungo silenzio, e lancia la “campagna di libertà”, per una soluzione sul terreno politico del problema dei detenuti e degli esuli politici. 22 gennaio, Roma: arresto di Geraldina “Paola” Colotti, Paolo Cassetta e Fabrizio Melorio, militanti delle UDCC. L’11 febbraio, anticipata da un’intervista di Curcio all’Espresso, Bertolazzi, Curcio, Iannelli e Moretti inviano una lettera al quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto in cui dichiarano la fine dell’esperienza della lotta armata, proponendo l’oltrepassamento come «soluzione politica per le centinaia di militanti in carcere che non intendono dissociarsi»; ad aprile il testo verrà pubblicato da Rossana Rossanda su il manifesto. 14 febbraio, Roma: la strage di S. Valentino. Durante una rapina in via Prati di Papa, un nucleo delle BR-PCC uccide 2 agenti portavalori, Roberto Lanari e Giuseppe Scravaglieri. Per questo delitto verranno incriminate 8 persone, tra cui Vincenza Vaccaio.

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18 febbraio: approvata la legge n. 34 sulla dissociazione. 18 marzo: nel corso di un affollato congresso del Partito Radicale, tenutosi a Roma all’Ergife Hotel, il detenuto in permesso Sergio D’Elia “consegna” a nome di tantissimi ex militanti di Prima Linea, la predetta organizzazione armata al partito della non violenza,1. leggendo ad alta voce e visibilmente commosso un testo che comincia così: «Vi consegniamo Prima Linea, ci aspettiamo una tecnica della speranza e della nonviolenza. Questa volta, ragazzi, non siamo venuti all’Ergife Hotel a testimoniare col cuore in mano la nostra fedeltà alla democrazia. Non siamo venuti a manifestare la nostra incondizionata simpatia al partito che della democrazia ha fatto una bandiera e un’arma…» e si conclude così: «… Oggi, vogliamo offrirvi qualcosa di più, vogliamo offrirvi tutta la nostra storia, la parte luminosa e quella buia, consegnarvela e liberarcene. Siamo venuti all’Ergife Hotel per rinnovare un impegno e per fare una consegna. In questa Convenzione Democratica, noi vi consegniamo un’organizzazione terroristica, nuda, mani e piedi, cuore e anima finalmente liberati. Noi abbiamo sciolto la banda armata Prima Linea nel 1983, oggi ve la consegniamo pura moralità e patto di non indifferenza, vi consegniamo uomini e donne armati di compassione e tolleranza, per tornare a vivere e lottare con le ragioni e nelle speranze del Partito della Vita e della Nonviolenza. Vi consegniamo: Sergio Segio e Susanna Ronconi, Roberto Rosso e Liviana Tosi, Nico Solimano e Barbara Graglia, Ciro Longo e Alba Donata Magnani, Salvatore Carpentieri e Elvira Arcidiacono, Paolo Cornaglia e

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Federico Alfieri, Paolo Zambianchi e Adriano Roccazzella, Bruno Russo Palombi e Ernesto Grasso, Roberto Marrone e Raffaele Iannelli, Marco Solimano e Luca Frassineti, Nando Cesaroni e Zazà Calmieri, Roberto Vitelli e Giancarlo Scotoni, Fausto Amadei e per ultima Mariateresa Conti. Vi consegniamo Prima Linea, però vogliamo un riscatto. Vi abbiamo offerto disposizione dello spirito e piena dedizione, da voi ci aspettiamo un dono più grande, ci aspettiamo una tecnica della speranza e della nonviolenza, un sentimento della politica e della conoscenza, ci aspettiamo una filosofia politica e una educazione sentimentale finalmente al servizio della Democrazia, firmato Maurice Bignami». 20 marzo, Roma: agguato mortale a Licio Giorgieri (direttore della sezione costruzione armi e armamenti aeronautici e spaziali dell’aeronautica) da parte delle UDCC. Il 1° maggio si suicida in carcere Mario Scrocca, 28 anni, infermiere ed ex militante di Lotta Continua, accusato di avere partecipato al duplice omicidio di Acca Larentia del 7 gennaio 1978. Qualche giorno dopo il Tribunale della Libertà di Roma, decidendo sulla posizione di Daniela Dolci, stabilirà che il suo arresto era illegittimo perché basato su dichiarazioni “de relato” di Livia Todini, che all’epoca dei fatti aveva 15 anni. 27 maggio, Roma: il Giudice Sica arresta Maurizio Locusta, Francesco Maietta, Daniele Mennella, Claudia Gioia e Paolo Persichetti delle UDCC per l’omicidio del generale Licio Giorgieri

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8 giugno, Roma: sentenza d’appello nel procedimento relativo al troncone romano dell’inchiesta del “7 aprile”. La sentenza di primo grado viene completamente riformulata: confermate le sentenze di condanna per i soli Negri e Scalzone (ma con forti sconti di pena), mentre vengono assolti tutti gli altri imputati condannati in primo grado. Il superpentito Carlo Fioroni, protagonista del processo d’appello, viene ritenuto attendibile per alcuni fatti (la rapina di Argelato, ad esempio, per la quale Negri viene condannato in qualità di mandante) ed inattendibile per altri (il sequestro Saronio). A settembre 5 brigatiste detenute presso il carcere di Voghera (Laura Braghetti, Fernanda Ferrari, Caterina Francioli, Inge Kitzler e Patrizia Sotgiu)2 diffondono un comunicato dal titolo “La nostra memoria storica: la scelta di rottura radicale con lo Stato”, molto polemico nei confronti di quegli ex lottarmatisti che hanno proposto pubblicamente una “soluzione politica”. In esso, tra le altre cose, si legge: «Liberazione degli anni ‘70 in cambio di un ritorno alla “normalità democratica” di una società pacificata. Rientro – per «ambedue» le parti – nelle regole del gioco; accidentalmente accantonate per un duro ma indispensabile lasso di tempo. Tra il combattente e il disertore, l’incorruttibile e il rinnegato, esiste quindi una terza via? Sembra la fine di un’epoca. Un’epoca di speranze e di sogni di chi voleva “fare la rivoluzione”. Ora siamo diventati grandi e con molto realismo politico dovremmo constatare che un’altra società è impossibile: il capitalismo è l’unica forma di società pensabile. Altro che pura e semplice delegittimazione della guerriglia, quello che ci chiedono è di sostenere che il comunismo è impossibile!».

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NOTE 1. Oggi Sergio D’Elia, responsabile del tentato assalto al carcere di Firenze nel corso del quale venne ucciso l’agente Dionisi, si occupa da anni dell’associazione volontaristica “Nessuno tocchi Caino”, per la quale collabora anche Giusva Fioravanti, ed è uno dei massimi dirigenti del Partito Radicale. Qualche anno fa si scatenò una furibonda polemica per la sua indicazione a vicePresidente della Camera. La sua storia viene narrata in un lungo film-intervista a cura del Partito Radicale dal titolo Il giuramento di Sergio. 2. Fernanda Ferrari, colonna genovese, moglie del brigatista Francesco Lo Bianco e che anni dopo denuncerà le torture subite in un libro La tomba vuota con nome con la prefazione di Paolo Dorigo, Caterina Francioli, militante della Walter Alasia, arrestata insieme a Patrizia Sotgiu il 31 gennaio 1983 e deceduta nel 2012.

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1988 Esce “I don’t want your love” dei Duran Duran e “L’ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci vince l’Oscar. In Italia il Milan vince lo scudetto e Massimo Ranieri il Festival di Sanremo con “Perdere l’amore”.

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Prosegue il dibattito sulla concessione o meno dell’indulto per tutti coloro che si trovano detenuti per avere commesso reati per finalità “politiche”, ipotesi che sarà destinata a non raggiungere mai la sua attuazione. 14 gennaio: in applicazione della legge premiale sulla dissociazione viene concessa la semilibertà ad uno dei fondatori storici delle BR, Alberto Franceschini, detenuto dall’8 ottobre 1974. Dopo 4 anni di lavoro alla cooperativa “ora d’aria”, Franceschini si vedrà riconosciuto, con provvedimento in data 29 giugno 1992 dell’Autorità Giudiziaria di Cagliari, il “fine pena” e così, dopo quasi 18 anni, è a tutti gli effetti un uomo libero. Pochi mesi dopo tuttavia, su provvedimento emesso dalla Procura Generale di Venezia che, sulla base di un diverso “conteggio” rispetto a quello della Procura di Cagliari, ritiene che debba ancora scontare 8 anni di pena per la condanna quale concorrente morale per il duplice omicidio di Padova di Mazzola e Giralucci del 17 giugno 1974, Franceschini viene nuovamente arrestato in data 29 ottobre 1992. A quel punto scattano varie interpellanze parlamentari, Franceschini minaccia lo sciopero della fame, interviene a suo favore anche il parlamentare comunista Ugo Pecchioli, ed il 9 novembre 1992 la Corte di Assise di Venezia conferma il provvedimento di Cagliari, ed Alberto Franceschini viene definitivamente scarcerato.

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Il 21 marzo Renato Curcio, Mario Moretti e Barbara Balzerani dichiarano la «fine della lotta armata» in un servizio al Tg2 di Ennio Remondino: «Lo scontro sociale dell’ultimo quindicennio si è esaurito nei presupposti di classe che lo hanno determinato, nelle condizioni internazionali che lo hanno favorito, nella cultura politica che lo ha caratterizzato, negli specifici progetti di organizzazione rivoluzionaria di cui si è servito». 16 aprile, Forlì: agguato mortale delle BR-PCC al senatore democristiano Roberto Ruffilli. L’omicidio Ruffilli porta alla ribalta della cronaca la terza generazione delle BR: numerosi arresti ai danni delle “nuove BR”. Il 26 aprile un comunicato firmato da Susanna Berardi, Vittorio Bolognese, Lorenzo Calzone, Luciano Farina, Natalia Ligas e Giovanni Senzani afferma: «Come comunisti prigionieri vogliamo esprimerci sul processo Moro-ter sull’azione dell’organizzazione Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente contro il senatore democristiano Roberto Ruffilli: noi riteniamo importante appoggiare tutte quelle pratiche e forze rivoluzionarie che si muovono nella direzione della guerriglia metropolitana per il comunismo. A nostro avviso questo attacco mette in luce uno dei nodi su cui la borghesia cerca di riadeguare il suo sistema di potere per funzionalizzare l’insieme delle strutture e articolazioni dello Stato ai processi di integrazione economico-politico-militare dell’imperialismo occidentale.”

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15 giugno: a Milano in via Dogali, dopo una lunga indagine nei confronti dei tipografi Ernesto Renna e Cinzia Antinori, indicati nel 1986 come fiancheggiatori delle BR dal pentito Enrico Fenzi, vengono trovate le armi usate per le recenti azioni contro Giugni, Tarantelli, Conti e Ruffilli. Nell’occasione i carabinieri arrestano anche Tiziana Cherubini, Franco Galloni e Rossella Lupo. 19 giugno, presso Verona: Marco Donat Cattin viene travolto da un’auto mentre, per soccorrere un ferito, tenta di fermare una macchina in corsa. 7 settembre, Roma: una maxi operazione delle forze dell’ordine cattura 21 brigatisti collegati al gruppo ritenuto responsabile degli omicidi Tarantelli, Conti e Ruffilli. Tra gli arrestati figurano Marco Venturini, Daniele Bencini, Dario Grilli, Alberto Ciappetta, Maurizio Mariani, Cesare Prudente1, Giuseppina Delogu, Francesco Morabito, Carlo Pulcini2, Mario Caponi e Lucilla Nobili. Il 26 settembre viene assassinato per mano mafiosa a Lenzi di Valderici, in provincia di Trapani, l’ex leader di LC Mauro Rostagno che aveva ivi fondato la comunità Saman. Sul finire degli anni sessanta Mauro Rostagno aveva frequentato l’università di sociologia di Trento insieme a Renato Curcio a proposito del quale la figlia Maddalena, autrice del bellissimo libro Il suono di una sola mano (ed. Il saggiatore, 2011), dirà, dopo la morte del padre, che: «Negli ultimi anni le due persone per lui più importanti sono state suo padre e Renato Curcio. Si scriveva molto con Renato, un vero e proprio rapporto epistolare».

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12 ottobre: si conclude il Moro-ter. Il 23 ottobre dal carcere viene reso pubblico un documento a più firme tra cui quelle di Gallinari, Piccioni e Seghetti, dove si afferma che le Brigate Rosse coincidono con i prigionieri politici delle Brigate Rosse. Nel corso della lunga intervista che compare nel documentario di Lucarelli, Francesco Piccioni, capo della colonna romana, arrestato nel 1980 dal Colonnello Di Petrillo, e mai dissociatosi dalla lotta armata, ha dichiarato che vi era ormai l’esigenza di in qualche modo tutelare da “dentro” il “marchio” BR per evitare che “da fuori” chiunque se ne potesse appropriare, «anche perché» dice sempre il Piccioni «magari potrà anche essere un compagno in buona fede ma io non posso sapere nulla di lui».

NOTE 1. Cesare Prudente oggi vive a Perugia ed ha scritto un romanzo ispirato alla propria esperienza dal titolo Nell’incavo dell’onda dove, a pag. 71, scrive: «Il peso della vita concreta è sempre più forte delle teorizzazioni della sociologia e della antropologia. Ma è la realtà: anche se, debbo dirlo: io sono contento di averci almeno provato a cambiare la realtà. Di avere avuto questa vena di follia! Oltre che il vincere o perdere, una persona deve anche avere qualche ragione per alzarsi la mattina, guardarsi nello specchio e non sputarsi in faccia». Il libro è stato pubblicato nel 2014 da Morlacchi, con il contributo di Pietro Cappannini e Paolo Giovagnoni.

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2. Carlo Pulcini (Monterosi, 21 gennaio 1942) morirà il 22 marzo del 1992 nel carcere di Cuneo per una grave forma tumorale. Il 7 settembre dello stesso anno verrà ricordato con un comunicato al processo di Firenze per l’omicidio Conti: «Lo ricordiamo operaio edile, avanguardia di classe nelle fortissime lotte che gli edili di Roma e provincia hanno sviluppato negli anni ’60 e ’70 contro il supersfruttamento che allora, come oggi, caratterizza questo settore. Avanguardia di quella classe operaia che in prima fila ha affrontato i governi più reazionari, dal governo Tambroni ai governi Moro. Carlo possedeva il pregio delle avanguardie proletarie conseguenti, sapeva sempre da che parte stare, sapeva riconoscere la sua barricata senza la benché minima esitazione. Conosceva bene la controparte, conosceva bene il suo nemico, il nemico di tutti i proletari e sapeva individuarlo immediatamente per schierarsi e combattere con le armi in pugno».

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1989 Esce “Batdance” di Prince e “Rain man” di Barry Levinson vince l’Oscar. In Italia l’Inter vince lo scudetto e Anna Oxa e Fausto Leali vincono Sanremo con “Ti lascerò”.

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1° marzo, a Roma, nell’aula bunker di Rebibbia si realizza in un aula di tribunale quello che sembrava impossibile: riunire in un unico fronte della sovversione le diverse anime del terrorismo italiano; dal Partito armato brigatista alle mille facce del Movimento armato (Prima Linea, Formazioni Comuniste Combattenti, Brigate Comuniste ecc.). Per i 253 imputati la Pubblica Accusa ipotizza il reato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato. 6 marzo, Napoli: comincia il processo Cirillo. Nell’aula bunker di Poggioreale inizia il dibattimento contro gli esponenti di spicco della nuova camorra organizzata accusati di estorsione ai danni dello Stato. Sul banco degli imputati ci sono Raffaele Cutolo, ovviamente, e i suoi luogotenenti (Corrado Iacolare, Enrico Madonna, Giovanni Pandico). Secondo l’accusa Don Raffaele, per il suo intervento nella trattativa, chiese una contropartita stimabile in due miliardi di lire più la concessione di appalti per la ricostruzione post terremoto. La cifra da addebitare sulle casse delle Brigate Rosse per la liberazione di Cirillo viene invece quantificata intorno al miliardo e mezzo di lire. 5 settembre, Parigi: un’operazione congiunta tra carabinieri e polizia francese porta all’arresto di 5 briga-

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tisti dell’ultima generazione, sospettati di essere tra gli ideatori e gli esecutori degli omicidi Tarantelli, Conti e Ruffilli. Le persone fermate sono: Simonetta Giorgieri, Carla Vendetti, Marcello Tammaro Dall’Omo e Nicola Bortone. 13 ottobre, Forlì: per l’omicidio Ruffilli vengono rinviati a giudizio Maria Cappello, Fabio Ravalli, Stefano Minguzzi, Franco Grilli, Franco Galloni, Rossella Lupo, Marco Venturini, Vincenza Vaccaro e Fulvia Matarazzo. 13 ottobre, Roma: «Assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Questa è stata la sentenza, pronunciata ieri dalla seconda Corte di Assise contro i 253 brigatisti rossi, accusati di insurrezione armata contro i poteri dello Stato e guerra civile, reati che sono puniti con la pena dell’ergastolo. La decisione dei giudici, togati e popolari, era più che scontata dopo la requisitoria del pm Nitto Palma che si era conclusa con la richiesta dell’assoluzione con formula piena» (fonte: la Repubblica, 14 novembre 1989). 25 ottobre: la sentenza di primo grado del processo Cirillo. Dei 15 imputati solo 5 vengono condannati e per quattro di loro la pena è sospesa. Il presidente della quinta sezione penale accoglie le richieste del pm Barbarano, secondo il quale non c’è stata nessuna trattativa Stato-NCO-BR. A Raffaele Cutolo vengono inflitti 2 anni e 10 mesi di prigione per falso e tentata estorsione. La pena è di dieci mesi al direttore del carcere di Ascoli, Cosimo Giordano e otto mesi a tre guardie carcerarie.

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Il 9 novembre con la caduta del muro di Berlino milioni di telespettatori di tutto il mondo seguono in diretta mondovisione immagini che sembrano veramente contrassegnare la fine del novecento, o quantomeno di una sua parte importante. Il 5 dicembre gli studenti della facoltà di lettere di Palermo iniziano una occupazione contro la riforma del ministro socialista Antonio Ruberti e più in generale per il disastroso stato della università. È l’inizio di una nuova stagione di mobilitazione studentesca, che si allargherà in numerose altre sedi italiane e che verrà denominato il movimento della “Pantera”1; dopo una imponente manifestazione tenutasi il 17 marzo 1990 a Napoli, con oltre 50.000 studenti, si concluderà nella seconda metà del 1990. Il 12 dicembre, nell’anniversario della strage di Piazza Fontana, la Rai manda in onda la prima delle 20 puntate di La notte della Repubblica di Sergio Zavoli, che proseguirà anche per quasi tutto il successivo 1990. Ogni puntata conteneva un filmato in bianco e nero di riprese dell’epoca e si concludeva con le finali interviste in studio del conduttore ad alcuni protagonisti di quel periodo. Alberto Franceschini, l’unico tra i fondatori delle BR ad essersi dissociato in carcere nel 1987, intervistato in merito all’ultimo omicidio del senatore Ruffilli, dirà che: «Le BR sono state socialmente sconfitte ma proprio per questo possono ancora essere politicamente usate». Buona parte del materiale trasmesso verrà trascritto nel libro di Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Roma-Milano, Nuova Eri-Mondadori, 1992.

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La “rilettura” della storia 30 anni dopo «non è una storia da chiudere soltanto con gli ormai non più giovani protagonisti di allora: è una storia che il paese deve chiudere con se stesso. Non c’entra il dolore delle famiglie, privato ed insanabile che non merita di essere usato per nascondere l’incapacità pubblica di leggere quel che è avvenuto. Tantomeno c’entra il diritto, che da tempo ha elaborato il delitto politico. C’entra uno Stato che era debole, è diventato guasto, non ha un’idea di se sufficiente a darsi un profilo storico e umano di qualche caratura. La dura Germania c’è riuscita, perché noi no?» (Rossana Rossanda su il manifesto del 2 agosto 1997) Alla luce di quanto si è fin qui cercato di riportare, è possibile evidenziare alcune falsità della ricostruzione storica successivamente operata (come sempre succede e sempre succederà) dai “vincitori”. Non è vero che si trattò di una deriva isolata di pochi violenti, che si inserì in un contesto pacifico; questo lo dicono sia la cronologia storica dei fatti accaduti in Italia dal 1969 al 1983, sia i numeri sulla lotta armata raccolti da varie fonti. Non è vero che fu una guerriglia condotta da annoiati studenti radical chic istigati da cattivi maestri, ed anche questo lo dicono i dati sulla provenienza sociale raccolti, dove si può vedere come la grande maggioranza dei lottarmatisti fosse di origine operaia e proletaria, così come lo confermano anche le tante auto o etero biografie pubblicate in questi anni. Non è vero che la lotta armata, e più in generale la violenza politica, non trovò mai adesione in una considerevole parte della società italiana di quegli anni, ivi compresa la classe operaia; questo lo dicono sia le

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tante storie personali, sia il racconto di episodi storici che ormai si trovano in diverse pubblicazioni, sia le tante interviste ai protagonisti dell’epoca2. Non ci furono solo le Brigate Rosse e Prima Linea ad attaccare militarmente lo Stato: dopo il 1977 in Italia si formarono almeno un centinaio di gruppi armati nella stagione del “terrorismo diffuso”. Non è neppure vero che furono le Brigate Rosse a dare inizio alla violenza politica; basta consultare la cronologia prima del 1976, anno in cui si compì il primo omicidio delle BR. Non è vero che la stessa storia delle Brigate Rosse sia sempre stata la medesima: erano diversi i percorsi di provenienza dei tanti militanti, basta confrontare la storia del gruppo dei reggiani con quella dei romani o dei trentini o degli operai emigrati, e sono state diverse anche le strategie guerrigliere adottate nel corso degli anni e che hanno condotto, non a caso, a tutte quelle plurime spaccature “interne” dopo il 1980. Non è vero che le Brigate Rosse furono “manovrate” da misteriosi poteri occulti nell’operazione Moro, intorno alla quale non residua nessun mistero, e su questo sono stati citati i testi di riferimento oltre alle unanimi dichiarazioni di tutti i diretti protagonisti, sul punto concordi, indipendentemente dalle successive scelte operate, oltre che le varie sentenze divenute definitive. Non è vero che il movimento del ’77 era figlio di quello del ’68: basta leggere i resoconti dei protagonisti di allora; e non è vero che ci fu un “unico disegno comune di insurrezione armata” sotto diverse sigle. Coloro che provenivano dall’esperienza del ’77 e della Autonomia non avevano nulla a che spartire con le BR, sia per ideologia che per operatività organizzativa.

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Non è vero che lo Stato sconfisse la guerriglia senza ricorrere a leggi speciali e persino a metodi extra-legali: basta ricostruire alcuni episodi, da via Fracchia alle torture inflitte nel 1982 agli arrestati, oppure la diffusa promulgazione di leggi speciali, gli arresti ingiustificati3 e le condanne sommarie, fino alle tante premialità giudiziarie in favore dei dissociati a discapito di chi non lo fece. Non è vero che tutti coloro che ai tempi si erano armati si sono poi dissociati, a parte pochi “irriducibili” (terminologia invero infelice): basta leggere o ascoltare le molte testimonianze di chi ha scontato l’intera pena e dopo 30 anni è libero4. Infine, quasi tutti quei giovani che allora decisero di armarsi contro lo Stato giustizia sociale, anche se in seguito dissociati, non hanno cambiato “idea”, e dopo il carcere hanno continuato, evidentemente con diverse modalità, a profondere il proprio impegno in mestieri socialmente utili. «I valori e le aspirazioni che ci muovevano non sono cambiati. Li ritrovo dentro di me così come nei compagni con i quali ho condiviso quelle esperenze e con tanta altra gente con la quale condivido il presente» (Corrado Alunni in Introduzione a Clandestina di Teresa Zoni Zanetti, ed. DeriveApprodi, 2000, pag. 5). «E così un’esperienza armata indubbiamente minoritaria e perdente ma fortemente indicativa del livello di assenza di governo delle contraddizioni sociali che l’avevano generata, è stata trasformata ad esclusivo problema di ordine sociale, da processare, seppellire sotto secoli di galera e collocare storicamente fuori da ogni dinamica politica comprensibile. L’unico brigatista buono, dopo quello morto, doveva apparire

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come una figura ambigua, figlia di nessuno, eterodiretta e, soprattutto, isolata dai movimenti di massa” (Barbara Balzerani in Compagna luna, ed. DeriveApprodi, 2013, pag. 123). Carole Jane Beebe Tarantelli, vedova di Ezio Tarantelli ucciso dalle BR il 27 marzo del 1985, dirà che «l’impulso a prendere le armi, che pure ha avuto conseguenze politiche incalcolabili, non era un progetto politico in senso bismarckiano: era piuttosto un inscenare sulla ribalta politica certe condizioni primitive dell’inconscio. Vista la disparità delle forze in campo e la impossibilità oggettiva di costruire il potere politico o guidare il movimento rivoluzionario fino a una guerra civile, i brigatisti hanno ripiegato sulla più agevole propaganda armata che tradotta in termini reali significa distruggere persone e cose»5. Sul diverso destino giudiziario degli ex militanti, «anche in questo la storia della lotta armata ribadisce la sua diversità totale; pene scontate, come dice Macbeth, fino all’ultima sillaba degli anni. Si tratta di campioni della specialità penitenziaria, atleti del gran fondo detentivo, a volte morti in carcere come Germano Maccari o appena fuori dal muro come Piero Vanzi. E tutta questa pena già scontata è perfettamente vana. Essa non ha pareggiato il debito per il quale era stata erogata, non ha permesso ai prigionieri saldatori del conto di ritornare cittadini interi come è diritto di chi paga. Si è ancora al giorno uno di una storia bloccata, ma bloccata non solo per loro: di più per la pubblica salute di un paese che non si è più disintossicato dall’emergenza e continua a inventarsene, a spacciarne, a iniettarsele in vena. Siamo un paese di bambini invecchiati, bisognosi di mostri» (Erri De Luca).

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Tra le tante reazioni legislative adottate dallo Stato per stroncare il fenomeno della lotta armata e prevenirne una sua futura riproduzione, vi fu quella di promulgare numerose leggi premiali ispirate al noto principio “ponti d’oro al nemico che fugge”, anche per fare pervenire “all’esterno” un messaggio di ripudio proveniente dagli stessi protagonisti sconfitti, il che ha comportato una notevole differenza del trattamento sanzionatorio a seconda delle scelte dagli stessi maturate in carcere. Fu quindi istituita per legge la “nuova” figura giuridica del pubblicamente dissociato, che concedeva ampi sconti di pena a tutti coloro che sottoscrivevano un documento nel quale giuravano futura fedeltà allo Stato democratico, abiurando ogni azione di sovversione violenta6. Si tratta, lo diciamo subito, di cosa affatto diversa dal fenomeno dei cosiddetti pentiti che avevano ottenuto svariati benefici a fronte di una “collaborazione” con l’autorità giudiziaria determinando l’arresto dei compagni di lotta, come furono i casi di Carlo Fioroni, Patrizio Peci, Roberto Sandalo, Marco Barbone, Antonio Savasta, Michele Viscardi e Pietro Mutti per ricordare quelli più famosi; in pratica, il dissociato si limitava a ripudiare la lotta armata senza fare i “nomi” di altre persone, e quindi, in certo qual modo, senza compiere “tradimenti” personali. L’operazione dello Stato si rivelò efficace perché è fuor di dubbio che se il numero dei “pentiti” fu tutto sommato abbastanza esiguo, quello dei dissociati andò via via sempre più aumentando, soprattutto quando le condizioni sociali e politiche del paese avevano ormai evidenziato l’irreversibilità della sconfitta della lotta armata. Nel caso dell’organizzazione

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di Prima Linea vi fu, come si è detto, una sorta di dissociazione di massa, nel senso che quasi tutti gli ex militanti scelsero insieme di distribuire documenti di pubblica critica alla propria esperienza, mentre nel caso delle Brigate Rosse il fenomeno fu più individuale e meno diffuso, anche se non mancarono alcuni nomi di rilievo. Il primo in assoluto, lo si è detto, fu uno degli storici BR Alfredo Buonavita che si dissociò nel 1981 prima che venissero promulgate le leggi premiali; il più eclatante, perché si trattava di uno dei fondatori storici delle BR nonché tra i più “decisi” durante la lunga detenzione negli speciali, fu Aberto Franceschini; i più “noti” furono Valerio Morucci ed Adriana Faranda che, tuttavia, avevano abbandonato le BR per pesanti dissensi ancor prima di essere arrestati; il più “rapido” fu il professor Enrico Fenzi. Molti altri tuttavia, e va ricordato, scelsero invece di farsi tutta la galera prendendo semplicemente atto della loro sconfitta. Oggi la maggior parte di loro è in libertà dopo avere seguito il percorso di permessi, liberazione anticipata ecc. ma per qualcuno il periodo di detenzione non è ancora finito, anche perché, in oltre 30 anni, lo Stato “vincitore” non ha mai ritenuto, nonostante più volte e da più parti richiesto, di “chiudere i conti” con il proprio passato, liberando i prigionieri residui. I due casi più significativi che vengono in mente sono quelli un po’ diversi di Mario Moretti (in semilibertà con rientro notturno presso il carcere di Opera) e di Cesare Di Lenardo (che non ha mai usufruito neppure di un singolo permesso), in prigione rispettivamente dal 1981 e dal 1982 e che forniscono spunto ad una ulteriore osservazione sul destino giudiziario

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dei detenuti politici non dissociati, ossia a quella particolare procedura richiesta dai magistrati di sorveglianza per concedere la liberazione condizionale prevista per legge per tutti i condannati all’ergastolo che abbiano scontato almeno 26 anni di pena7. Tra coloro che risultano ancora detenuti “a tempo pieno” si ricordanol’ex militante della Walter Alasia Nicola De Maria (arrestato il 23 febbraio 1982) e Francesco Donati del Movimento per il potere proletario armato, arrestato il 17 maggio 1983 nel corso di una rapina a un ufficio postale di Roma, dopo che vi si era barricato con alcuni ostaggi. Altri ancora, infine, scelsero di espatriare e di non fare più ritorno in Italia, la maggior parte, soprattutto tra i militanti della Autonomia, in Francia, dove come noto vigeva la dottrina Mitterand8 (che fu “violata” solo nei casi di Persichetti9 e Battisti), in attesa dell’estinzione della pena, a parte Toni Negri che anni fa scelse di rientrare per scontare il residuo ed oggi è un uomo libero. Ovviamente verso gli “esuli” l’atteggiamento “comune”, anche a distanza di anni, non è certo “tenero” come si è visto nel caso Battisti, e sul punto un libro assai interessante da leggere è Il nemico inconfessabile di Oreste Scalzone e Paolo Persichetti scritto nel 1999 e pubblicato in Italia da Odradek. Sulle diverse scelte processuali dei vari militanti il già citato Francesco Bellosi ha scritto: «rimane il fatto che gli imputati del 7 aprile e di PL hanno fatto la scelta della dissociazione collettiva, che ha avuto delle ricadute positive anche su chi, come me, non si è dissociato. E che i loro generali, Toni Negri e Sergio Segio concretamente e simbolicamente sono stati gli

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ultimi a uscire di galera mentre nella scelta soggettiva dei brigatisti, alcuni generali sono usciti prima di molti soldati, alcuni dei quali sono ancora in galera» (pag. 51 Insurrezione armata di Aldo Grandi, BUR, 2005). Sulla quarta di copertina di Il volo della farfalla di Adriana Faranda si legge: «Voi non avrete mai le nostre ragioni più profonde né il nostro spirito di ribellione contro le ingiustizie. Non avrete neppure più la nostra vita, di speranza e di sogni, perché non siamo più disposti a ucciderla nell’odio». Negativo il giudizio della brigatista Cecilia Massara (arrestata a Roma il 14 dicembre 1984 dopo un conflitto a fuoco seguito alla rapina in viale Marconi, in cui venne ucciso il brigatista Antonio Giustini), la quale, nel corso di un’intervista rilasciata il 21 marzo 2014 a Carla Bini, pubblicata su Donne e lotta armata in Italia, 2017, DeriveApprodi, ha dichiarato: «Da un punto di vista politico non faccio una grossa distinzione tra dissociati e pentiti, perché, anzi, politicamente, secondo me i primi hanno fatto grandissimi danni forse più dei secondi, come attacco politico, a un certo modo di stare nella lotta armata, di concepire i rapporti». Alla domanda di Carla Mosca e Rossana Rossanda a conclusione del citato libro Una storia italiana se avrebbe preferito «da un angelo cattivo libertà e oblio oppure carcere e memoria» Mario Moretti ha risposto: «gli direi dammi libertà e memoria. Se non sei capace di tanto, mio caro angelo, allora voli basso, neanche all’altezza della nostra sconfitta».

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NOTE 1. Il nome deriva dallo slogan «la pantera siamo noi» usato dagli studenti romani che stavano occupando l’Università della Sapienza nei giorni in cui in via Nomentana era stata avvistata una pantera ed a cui la polizia stava inutilmente dando la caccia. Sulla storia della “pantera” e più in generale su tutti i più recenti movimenti di contestazione fino ai giorni nostri vd. Movimenti di Pino Casamassima, ed. Sperling & Kupfer, 2013. 2. Non convince del tutto infatti la successiva e generale “presa di distanza” da parte di tutti coloro che in quegli anni avevano ricoperto ruoli dirigenziali all’interno della variopinta galassia della sinistra italiana, perché tutte le più importanti formazioni armate sono state figlie dirette della delusione di precedenti esperienze. Le prime BR nacquero negli anni del diffuso dissenso al nuovo corso del PCI di Berlinguer, dallo scioglimento di Potere Operaio nasceranno da un lato gli Autonomi, da cui partiranno alcune formazioni armate del finale degli anni settanta, e dall’altro la futura colonna romana delle BR, mentre sia i NAP che Prima Linea provenivano da due scelte di scioglimento di Lotta Continua, la prima nel ‘73 del fronte carceri e la seconda nel ‘76 del Partito. 3. Emblematica la vicenda della farmacista Maria Vittoria Pichi, arrestata a Padova il 28 dicembre del 1981 insieme al suo compagno Paolo per il possesso di alcuni volantini nell’ambito delle operazioni di polizia sucessive al sequestro Dozier, tenuta in carcere per oltre sei mesi ed assolta al termine del processo. La sua storia («una come tante», si legge nella postfazione) ce la racconta lei stessa nel libro Come una lama ed. Italic, 2011. 4. I principali dirigenti delle BR (Curcio, Moretti, Balzerani e Senzani) non si sono mai dissociati e dei 10 facenti parte del commando di via Fani solo in due (Bonisoli e Morucci). 5. Vedasi Figli della notte di Giovanni Bianconi (ed. Dalai, 2012) dove nella quarta di copertina si legge: «Con gli attentati, rimu-

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ginava quel bambino diventato uomo e padre, è stata inquinata la vita democratica e si sono spente passioni, fino al riflusso dei decenni successivi e alla trasformazione della vita pubblica in gestione degli affari privati. Non fosse stato per quelle maledette bombe e per gli spari che si trascinarono dietro per oltre un decennio, forse l’Italia di quella stagione era persino migliore di quella in cui sarebbero cresciuti i suoi figli». 6. Secondo il giornalista Pino Casamassima, autore di numerosi libri sulla lotta armata, lo Stato avrebbe fatto propria l’idea di Toni Negri che, quando si trovava in carcere aveva proposto pubblicamente la necessità di mediare una sorta di resa collettiva dei movimenti insurrezionali, per consentire la scarcerazione delle ormai centinaia di militanti detenuti negli speciali. Toni Negri, che per questa ragione subì anche un “processo” al carcere di Palmi da Franceschini, ha sempre respinto questa interpretazione, rivendicando oggi il fatto di «esserne uscito senza dissociarsi» (cfr. L’eterna rivolta di Alexandra Weltz e Andreas Pichler) 7. Poiché l’art. 176 c.p. stabilisce che «il condannato a pena detentiva che durante il tempo di esecuzione della pena abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento può essere ammesso alla liberazione condizionale se ha scontato almeno la metà della pena inflittagli qualora il rimanente pena non superi i 5 anni e 26 in caso di condanna all’ergastolo» si chiede che il ravvedimento venga comprovato dall’avvenuto invio, da parte del condannato, di una lettera di contatto o di scuse ai familiari delle vittime del delitto per il quale era intervenuta condanna. È significativo annotare come il testo originale dell’art. 176 del Codice Rocco non prevedesse il termine “ravvedimento”, che venne introdotto nei primi anni sessanta, ed ecco la ragione per la quale Antonio Gramsci durante il fascismo potè farvi ricorso senza doversi produrre in abiure. 8. Vd. il discorso di Mitterand del 1° febbraio 1985 al Palazzo dello sport di Rennes, nonché il testo redatto il 22 febbraio 1985 a seguito di un incontro avvenuto all’Eliseo tra l’allora Presiden-

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te francese ed il Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi e ribadito dallo stesso Mitterand il 20 aprile 1985 durante un congresso della Lega per i diritti umani: «Ho detto al Governo italiano che gli italiani che hanno rotto con la macchina infernale nella quale si erano impegnati sono al riparo dalla estradizione, noi estraderemo solo quelli che continuano con i metodi che noi condanniamo» (da Comprendere l’affaire Battisti di Marie Simon in L’Express del 31 dicembre 2010).

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1990-2017 Le brevi carriere di Kurt Cobain ed Amy Winehouse segnano due decadi; “Titanic” e “Avatar” battono tutti i record di incasso nella storia del cinema. Dal Napoli di Maradona alla Juve di Conte in campionato, mentre Sanremo apre le porte al fenomeno dei talent show. L’Italia ospita il Mondiale del 1990 e vince quello del 2006.

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Negli anni novanta, se nel mondo è caduto il muro di Berlino, anche in Italia accadono altre cose che monopolizzano la decade, le due principali sono la sanguinosa lotta alla mafia, che vede la morte sul campo dei giudici Falcone e Borsellino e la clamorosa rivoluzione dell’assetto politico nostrano a seguito della micidiale inchiesta “Mani Pulite”, che svela il gigantesco livello di corruzione cui era ormai arrivata la politica nostrana. Nascerà così la “seconda Repubblica”, con l’avvento di Silvio Berlusconi e gli anni settanta sembrano diventare sempre più una pagina ingiallita della nostra storia1. 1° febbraio 1990, Firenze: per l’omicidio Conti viene chiesto il rinvio a giudizio per Fabio Ravalli, Maria Cappello, Michele Mazzei, Daniele Bencini e Marco Venturini, militanti delle BR- PCC. 11 ottobre 1990, Milano: in via Montenevoso, durante i lavori di ammodernamento dei locali, nell’appartamento-covo delle Brigate Rosse scoperto nell’ottobre 1978 viene ritrovata una versione più completa del memoriale Moro. Il testo è nascosto dietro un termosifone situato nella cucina dell’appartamento.2

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Agosto 1991: tutto il mese è caratterizzato dal dibattito aperto dalla lettera dal carcere di Renato Curcio sull’opportunità di dichiarare conclusa la stagione del brigatismo. A Curcio risponde il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che propone la grazia per il capo storico delle BR come atto simbolico di chiusura di una stagione oramai giunta a compimento. Le reazioni e i contributi al dibattito sono numerosissimi. 22 maggio 1992, Firenze: la Corte d’Assise di Firenze condanna all’ergastolo Michele Mazzei, Maria Cappello, Fabio Ravalli e Marco Venturini con l’accusa di aver progettato, realizzato e gestito l’assassinio dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti. 31 luglio 1992, Roma: Governo e parti sociali (Sindacati confederali e Confindustria) sottoscrivono il “Protocollo sulla politica dei redditi, la lotta all’inflazione e il costo del lavoro”, vero caposaldo della politica economica di Giuliano Amato, tesa a risanare i conti pubblici e permettere al paese l’ingresso nell’Unione europea. 22 settembre 1992, Firenze: in Piazza Santa Croce è in programma una grande manifestazione della CGIL, sale sul palco il segretario generale Bruno Trentin per ufficializzare il NO del sindacato alla manovra finanziaria appena varata e per spiegare le ragioni di quella firma posta in calce al Protocollo del 31 luglio. Aggredito fin dal suo arrivo nelle vicinanze della piazza, Trentin cerca di portare avanti il proprio intervento nonostante una contestazione durissima, scandita da lanci di uova e bulloni; artefici

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della protesta sono i militanti dei COBAS, le frange più estreme del sindacalismo autonomo, uomini di Rifondazione Comunista e cani sciolti del sindacato confederale. È il primo atto dell’autunno dei bulloni: episodi simili nei giorni successivi si verificheranno in molte altre piazze (il giorno seguente, a Milano, il segretario confederale della UIL Silvano Veronese abbandona il palco dopo un comizio lampo di quattro minuti, travolto dal lancio di bulloni); il risveglio della classe operaia viene registrato con toni sensazionalistici dalla stampa nazionale, lo sciopero in Fiat del 25 settembre registra a Torino una adesione record del 90% (“roba da anni Settanta” dicono i giornali). E poi, il ritorno della violenza di piazza: il 2 ottobre è il giorno dello sciopero generale del pubblico impiego contro la finanziaria del governo Amato, sfila fino a San Giovanni un corteo di 100 mila persone, è in programma il comizio unitario della triade sindacale, Bruno Larizza (segretario generale UIL) ha appena iniziato a parlare, quando nella piazza succede il finimondo, tra cariche indiscriminate della polizia e reazione a catena dei manifestanti. 18 ottobre 1992, Roma: ritornano a farsi sentire i Nuclei Comunisti Combattenti che rivendicano l’attentato (fallito) alla sede romana della Confindustria. «Questa iniziativa politico-militare – recita il documento di rivendicazione – sebbene riuscita solo parzialmente a causa di problemi tecnici, rappresenta per noi un primo momento del più generale e complesso rilancio della iniziativa rivoluzionaria che le Avanguardie Comuniste Combattenti devono sapere operare all’interno del processo di guerra di classe di lunga durata aperto a suo tempo, con la proposta

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aperta a tutta la classe della Strategia della Lotta Armata». 21-22 novembre 1992, Viareggio: nascono i Comitati di Appoggio alla Resistenza Comunista (CARC)3. 23 gennaio 1993: mentre Mario Moretti lascia per la prima volta il carcere, grazie a un permesso di 4 giorni, si rianima il dibattito sull’opportunità di chiudere con un provvedimento di clemenza la stagione degli “anni di piombo” e si discute soprattutto intorno alla figura di Renato Curcio, in semilibertà dall’8 aprile. 16 luglio 1993, Napoli: ritorna il caso Cirillo. La prima sezione della Corte d’Appello di Napoli (presidente Enrico Valanzuolo) emette la sentenza d’Appello sulle trattative che condussero alla liberazione dell’esponente politico campano. Viene respinta la richiesta di una nuova istruttoria sul caso, la Corte d’Appello respinge tutte le richieste di rinnovazione del dibattimento, ma allo stesso tempo e contrariamente alla sentenza di primo grado, si accertano le responsabilità dei vertici della Democrazia Cristiana che trattò con le BR-PDG la liberazione del sequestrato, grazie all’intercessione della Nuova camorra organizzata di Cutolo. Le motivazioni della sentenza, depositate in quell’autunno, avvallano l’impianto accusatorio del Giudice Alemi. 2 settembre 1993, Aviano (PN): attentato contro la base NATO rivendicato il 13/09 dalle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente; colpi di pistola contro il muro di cinta della caser-

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ma e lancio di una bomba a mano contro la facciata esterna di edificio destinato agli alloggi dei militari. Con una telefonata al quotidiano la Repubblica, gli attentatori fanno trovare un documento di rivendicazione. L’attentato verrà rivendicato anche un mese più tardi (il 14/10) da alcuni detenuti irriducibili responsabili della strage di via Prati di Papa a Roma. Le indagini condotte dalla polizia consentono di giungere all’identificazione ed all’arresto di 14 persone, implicate a vario titolo nell’azione. I massimi responsabili del gruppo (4 irriducibili noti per la pregressa militanza nelle BR-PCC), detenuti, avvaleranno dal carcere la rivendicazione dell’omicidio D’Antona. 14 ottobre 1993: viene arrestato Germano Maccari, il presunto ing. Altobelli del sequestro Moro. 27 ottobre 1993: cinque arresti nell’ambito delle indagini sull’attentato alla base NATO di Aviano, finiscono in cella Paolo Dorigo, Clara Clerici, Francesco Aiosa, Aldo Berti e Angelo Della Longa. A questi si unisce il 21/11 Ario Pizzarelli, “irriducibile” della colonna “Walter Alasia”. 10 gennaio 1994, Roma: attentato alla NATO Defence College rivendicato, con un documento di otto pagine, dai Nuclei Comunisti Combattenti: «All’interno dell’attuale fase di Ritirata Strategica che connota la situazione delle forze rivoluzionarie nello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione, gli NCC collocano la propria offensiva antimperialista nel quadro della complessa ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria e del più generale processo di ricostruzione delle forze».

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1° maggio 1994: esce dal carcere Prospero Gallinari per motivi di salute. 13 febbraio 1995: vengono arrestati due appartenenti agli NCC, Fabio Mattini e Luigi Fuccini. Quest’ultimo è stato il compagno di Nadia Desdemona Lioce, già ritenuta dalla Digos appartenente al gruppo sovversivo e irreperibile proprio dal ‘95. 9 marzo 1995: l’ex direttore del Sisde, Riccardo Malpica, nel corso di una intervista al settimanale Panorama, indica nel professor Alberto Asor Rosa il “suggeritore” delle Brigate Rosse, ovvero colui che redigeva i documenti dell’organizzazione. L’inchiesta che ne scaturisce viene immediatamente archiviata per l’evidente assurdità della sua tesi di fondo. 7 aprile 1995: emerge l’ipotesi che a scrivere alcuni documenti falsi delle Brigate Rosse possa essere stato il Sisde: «I testi con la stella a cinque punte fabbricati dagli 007 sarebbero almeno quattro, firmati con sigle molto diverse l’una dall’altra e tutti, all’epoca, attribuiti – pur con qualche scetticismo – a vari satelliti del partito armato. Il primo risale al febbraio ‘81 con la sigla “Reparti Combattenti Comunisti, Brigata Gianfranco Faina”, il secondo è di un mese dopo, attribuito al “Moro” in risposta al primo (a quanto pare il Sisde cercava di far scoppiare “contraddizione interna” alla organizzazione). Un terzo volantino fu firmato Colonna 28 marzo e riguardava il rapimento del direttore del Petrolchimico di Porto Marghera Giuseppe Taliercio. Infine il più importante, quello attribuito al “Fronte carceri” durante il caso Cirillo, un capolavoro di equilibrismo

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linguistico mutuato dal gergo sinistrese del movimento. Fu sfornato nel luglio 1981 mentre l’ostaggio era ancora nella prigione del popolo con l’intento – ma qui siamo ancora sul piano delle ipotesi investigative – di convincere, usando argomentazioni “dall’interno”, i rapitori dell’ex assessore DC della Regione Campania a rilasciare l’ostaggio» (la Repubblica, 7 aprile 1995). 23 febbraio 1996, Roma: due chili di tritolo vengono fatti esplodere nei pressi di una palazzina del Comando dell’Aeronautica, in viale dell’Università. L’attentato è ancora rivendicato dalla sigla NCC, Nuclei Comunisti Combattenti. 19 giugno 1996, Roma: Germano Maccari confessa di essere il “quarto uomo” di via Montalcini; verrà condannato all’ergastolo il 16 luglio nell’ambito del quinto processo Moro. 11 maggio 1997, Torino: «63 ex terroristi delle Brigate Rosse, di Prima Linea e di altri gruppi firmano per la prima volta dopo molti anni un appello che chiede di mettere la parola fine alla “Storia infinita”». Così s’intitola l’appello indirizzato «a chiunque voglia ascoltare». Da Lauro Azzolini a Sergio Segio, da Corrado Alunni a Susanna Ronconi, da Giulia Borelli a Roberto Rosso, i 63, più o meno noti, più o meno responsabili di gravi fatti eversivi, si rivolgono a «una democrazia matura, una classe politica e una Repubblica che vogliano davvero rinnovarsi». 2 dicembre 1997: viene concessa la semilibertà a Mario Moretti.

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28 marzo 1998: Edoardo Massari, detto “Baleno”, viene trovato impiccato nella cella del carcere delle Vallette di Torino e l’11 luglio 1998 si impicca, nella casa in cui era agli arresti domiciliari, anche la sua compagna Maria Soledad Rosas, detta “Sole”. Entrambi erano accusati di avere fatto parte di una associazione sovversiva che negli anni ’90 si era resa responsabile di alcuni sabotaggi in Val di Susa contro trivelle e cantieri dell’Alta Velocità. Anche il gestore della comunità Enrico De Simone si suiciderà il 23 settembre. 30 marzo 1998: muore a Milano Primo Moroni, importantissima figura del Movimento milanese e fondatore della Libreria Calusca4. 29 gennaio 1999: dopo 17 anni di carcere viene concessa la semilibertà a Giovanni Senzani. Ma proprio quando ci si stava avviando, in altri fronti impegnati, alla fine del novecento, e quindi all’inizio del nuovo millennio, ritorna improvviso come un fantasma ormai dimenticato, il marchio delle Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente. 20 maggio, Roma 1999: viene assassinato, in via Salaria, il professor Massimo D’Antona, consulente del Ministero del Lavoro nel governo D’Alema. A tre giorni dal delitto il ministero invia un fonogramma urgente a tutti gli istituti di pena «per ricostruire con esattezza la posizione carceraria dei 171 terroristi detenuti, di cui 80 in semilibertà» e dispone decine di perquisizioni nelle carceri di Roma,

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Cuneo, Alessandria, Palmi, Trani tra cui la cella di Rebibbia di Vittorio Antonini, ex membro della colonna romana delle BR- PCC ed arrestato nel 19855. 30 giugno 1999, Milano e Roma: dopo 40 giorni di silenzio successivi all’agguato di via Salaria, le Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente tornano a farsi sentire distribuendo in diversi punti delle due città decine di copie dello stesso documento di rivendicazione dell’omicidio D’Antona. Una settimana più tardi l’operazione viene ripetuta in altre otto città. Il 24 agosto 1999 gli USA consegnano allo Stato italiano, tra mille polemiche, Silvia Baraldini, che era detenuta dal 9 novembre 1982 nei penitenziari americani6. 19 ottobre 1999: perquisizioni in tutta Italia ai danni di militanti dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza Comunista). Tra i nominativi indicati nelle ordinanze, anche quello di Giuseppe Maj, fondatore e ideologo del gruppo, irreperibile. La Procura della Repubblica di Roma dispone la perquisizione con l’imputazione di cui agli artt. 270 e 270 bis c.p. «per aver organizzato una associazione sovversiva denominata (Nuovo) Partito Comunista in forma clandestina, la quale si propone il compimento di atti di violenza al fine di eversione dell’ordine democratico». La stessa Procura chiederà poi al GIP l’archiviazione dell’indagine, pronunciata il 4 settembre 2001. Il documento costitutivo del (Nuovo) partito comunista appare molto critico nei confronti delle BR-PCC.

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Viene recapitato al consigliere di Rifondazione Comunista Umberto Gay, presso la sede di Radio Popolare a Milano, un documento di 70 pagine intitolato “La Voce”, sottotitolo: “Nuovo Partito Comunista” che contiene e illustra le linee guida per la costituzione di un nuovo soggetto politico comunista capace di riprendere l’iniziativa e di riunire le forze soggettive della rivoluzione sociale. Il documento si occupa anche del caso D’Antona affermando che, pur essendo condivisibili le motivazioni che hanno portato all’uccisione del consigliere del ministro Bassolino, non è tuttavia con azioni una tantum che si procede verso la rivoluzione, bensì riaggregando tutte le forze ostili allo Stato sotto un nuovo partito comunista capace di dirigere e coordinare la lotta. Questo partito opererà in clandestinità e, secondo il dettato leninista, sarà costituito da piccoli nuclei capaci di unire teoria e pratica di lotta. 30 novembre – 1 dicembre 1999: a Seattle durante il WTO Millenium Summit migliaia di manifestanti provenienti da tutte le parti del mondo danno vita ad una gigantesca protesta che determina violenti scontri con le forze dell’ordine, che si concludono con 600 arresti e centinaia di feriti. Le “giornate di Seattle” vengono generalmente riconosciute come quelle che diedero il via al ciclo di mobilitazioni contro i vertici internazionali, due anni dopo ci saranno i “fatti di Genova”. 2 febbraio 2000: nuovo documento delle BR-PCC con il quale viene annunciato l’innalzamento del livello dello scontro e nuove azioni di guerriglia. La dichiarazione programmatica è contenuta nel vo-

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lantino di 24 righe recapitato per posta all’ANSA, preso seriamente in considerazione dagli inquirenti che indagano sull’omicidio D’Antona. Le avanguardie combattenti – dice il documento – attraverso la ripresa dell’attacco rivoluzionario, hanno assunto l’incarico strategico di elevare lo scontro nel contesto della guerra di classe di lunga durata. La ripresa della lotta deve necessariamente sfociare nell’offensiva alle strutture di direzione degli apparati repressivi quali emanazione operativa di un esecutivo che si protrae verso il consolidamento del sistema borghese imperialista. Le aspettative generali del proletariato sono sistematicamente disattese da uno Stato che merita di essere esposto all’aggressione prolungata e disarticolante dell’iniziativa rivoluzionaria. 15 maggio 2000, Roma: prime indiscrezioni sulla presunta svolta nelle indagini sull’omicidio D’Antona. Il quotidiano la Repubblica intitola: “Svolta sul caso D’Antona. Si chiude il cerchio intorno ai basisti”. Il giorno successivo, lo stesso quotidiano preannuncia “Arresti in vista”. 17 maggio 2000, Roma: viene arrestato Alessandro Geri, il presunto telefonista delle BR-PCC nell’omicidio D’Antona. L’inchiesta si rivelerà un clamoroso fiasco e Geri verrà scarcerato a fine maggio, non essendo emerso nulla a suo carico. La vicenda Geri è la prima di una lunga serie di grotteschi buchi nell’acqua compiuti dagli investigatori. 19 maggio 2000, Roma: un non meglio definito Nucleo di Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria (NIPR) rivendica l’ordigno esploso quattro giorni prima nel-

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le sede della Commissione antisciopero in via Po, a Roma. 22 giugno 2000, Riva Trigoso (Genova): cinque fogli dattiloscritti vengono recapitati tramite posta prioritaria alla rappresentanza sindacale unitaria della Fincantieri di Riva Trigoso. Contengono frasi inquietanti, minacce ed esortazioni agli operai affinché riprendano la lotta armata. Il documento, firmato con una stella a cinque punte simbolo delle Brigate Rosse posta sotto la dicitura Nucleo di Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria, sarebbe stato inviato dall’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma. La busta giunge anche ad altre aziende italiane, tra cui l’Ilva di Genova. 5 luglio 2000: documento del Nucleo di Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria (Nipr). 18 luglio 2000: rivelazioni inedite sulla presunta abitazione in cui si riuniva il vertice delle BR durante il sequestro Moro, contenute nella relazione finale dei lavori della commissione stragi presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino, ribadite nel suo libro Segreti di Stato, dove si può leggere a pag. 225: «Da un’indagine giudiziaria fiorentina, mai utilizzata nei processi Moro celebrati a Roma, abbiamo finalmente accertato che, durante i 55 giorni del sequestro, il comitato toscano delle BR, composto tutto da irregolari, aveva a disposizione un unico covo […] Si trattava della casa di un architetto, Gianpaolo Barbi, membro del comitato toscano delle BR […] Di quel comitato, secondo il giudice Chelazzi, faceva parte anche Giovanni Senzani, sin dal 1977».

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19 luglio 2000, Roma: volantini con la stella a cinque punte delle Brigate Rosse vengono recapitati, con posta prioritaria, nella sede di alcuni quotidiani romani. I volantini, in più copie e composti di un foglio scritto molto fitto, contengono minacce. La Digos acquisisce nella sede del quotidiano Il Tempo un volantino di circa 50 righe, a firma BR-PCC in cui si parla della necessità di un intervento armato per neutralizzare le iniziative dell’azione operativa, di chi – viene indicato nel volantino – nella CISL e nella CGIL sta contrastando la strategia antimperialista e la costruzione del PCC. 13 maggio 2001, Roma: arrestati otto militanti del gruppo Iniziativa Comunista. Norberto Natali, la sorella Sabrina e Rita Casillo sono indagati per l’omicidio D’Antona. Il 19 maggio, tre degli otto indagati vengono scarcerati. Anche questa inchiesta si rivelerà un fiasco totale. 25 maggio 2001: Ario Pizzarelli, Cesare Di Lenardo, Francesco Aiosa e Stefano Minguzzi rivendicano in aula la paternità dell’omicidio D’Antona: ci identifichiamo nella linea, nell’impianto strategico e nell’intera storia trentennale delle Brigate Rosse. Rivendichiamo la valenza politica dell’azione del 20 maggio 1999 contro D’Antona […] azione che ha rappresentato un salto di qualità per il rilancio del processo rivoluzionario e dell’impianto delle Brigate Rosse. 19/22 luglio 2001, i “fatti di Genova”: durante la programmata riunione del G8 migliaia di militanti del movimento “No global” e di pacifisti danno vita

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ad imponenti manifestazioni di piazza che determinano violenti scontri con le forze dell’ordine nel corso dei quali, venerdì 20 luglio, muore Carlo Giuliani per mano del carabiniere Mario Placanica. Nella notte tra il 21 ed il 22, prima presso la scuola Diaz e quindi presso la caserma di Bolzaneto, la polizia italiana si renderà responsabile di incredibili ed indiscriminate violenze su centinaia e centinaia di manifestanti provenienti da tutto il mondo e che faranno paragonare l’Italia all’Argentina o al Cile7. 19 settembre 2001, Roma: Simonetta Giorgieri, Carla Vendetti e Nicola Bortone – tutti irreperibili – sono condannati dalla terza Corte d’Assise rispettivamente a otto anni e sei mesi, otto anni e quattro mesi e cinque anni e sei mesi per appartenenza all’organizzazione eversiva BR-PCC. Bortone verrà arrestato a Zurigo il 10 marzo 2002 e nell’aprile del 2005 verrà liberato per fine pena dal Tribunale di sorveglianza de L’Aquila. 1° ottobre 2001, Roma: Rita Casillo, militante di Iniziativa Comunista arrestata nel maggio precedente, viene identificata dal supertestimone del delitto D’Antona come la donna che avrebbe fatto parte del commando delle BR-PCC. Durante un successivo confronto all’americana, il supertestimone del delitto D’Antona non riconosce Rita Casillo, indicando un’altra delle cinque donne presenti al riconoscimento. 13 novembre 2001, Roma: la Procura di Roma chiede la riapertura delle indagini sui CARC. Il GIP la autorizza con provvedimento del 17 dicembre 2001.

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19 marzo 2002, Bologna: in via Valdonica viene assassinato il prof. Marco Biagi, consulente del Ministero del Lavoro del Governo Berlusconi. «Siamo le Brigate Rosse. Rivendichiamo l’attentato al professor Biagi. Seguirà comunicato» è il contenuto di una telefonata giunta alle 16.28 alla redazione de Il Resto del Carlino. Il 24 agosto 2002 la Francia, che fino a quel momento aveva sempre adottato nei confronti dei rifugiati italiani la cosiddetta dottrina Mitterand, consegna a sorpresa, e tra mille polemiche, all’autorità giudiziaria italiana Paolo Persichetti8, che si trovava a Parigi da circa 10 anni, a seguito della condanna per l’omicidio del generale Licio Giorgieri. In seguito, per il caso di Marina Petrella, la Francia bloccherà all’ultimo momento e per ragioni di salute, la già quasi concessa estradizione. Il 2 marzo 2003 avviene su un treno interregionale che viaggia dalle parti di Castel fiorentino una tremenda sparatoria che costa la vita al sovrintendente di polizia Emanuele Petri, nonché a quel Mario Galesi già sospettato di appartenenza a banda armata ed entrato in clandestinità dopo essere evaso dagli arresti domiciliari. Ma l’operazione comporta la cattura di Nadia Desdemona Lioce, che si rivelerà fare parte del commando armato che ha ucciso sia D’Antona che Biagi. Nadia Lioce è nata a Foggia il 29 settembre 1959 e quando avvenne il sequestro Moro aveva 19 anni. Di lei si sa che entrò in clandestinità nel 1995, a seguito della cattura del suo compagno Luigi Fuccini, lasciando la sua macchina a Firenze e quindi sparendo dalla circolazione.

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Il 16 marzo 2003, a Milano, fuori da un locale del ticinese, viene assassinato a coltellate Davide Dax Cesare, giovane militante del centro sociale O.R.S.O., da un terzetto composto da Giorgio Morbi e dai due figli Federico e Mattia. Sul luogo del delitto arrivano per prime numerose pattuglie di polizia e carabinieri che rendono difficoltoso l’arrivo del personale medico ed al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo alcuni ragazzi sconvolti dalla notizia della morte dell’amico vengono picchiati dalle forze dell’ordine. Frattanto, grazie alle tracce lasciate sul telefono palmare della Lioce, gli inquirenti riescono a risalire agli ultimi rappresentanti delle nuove Brigate Rosse con un blitz in data 24 ottobre 2003: si tratta di Paolo Broccatelli, 35 anni, dipendente di una ditta di pulizie all’interno dell’Università dove insegnava D’Antona, Marco Mezzasalma, di Tripoli, Alessandro Costa, romano, Laura Proietti, 30 anni, romana, degli ospedalieri Roberto Morandi, 43 anni, di Firenze e Cinzia Banelli, 40 anni, di Pisa, che in breve diventerà la nuova “pentita” delle nuove BR, di Federica Saraceni di Roma, di Simone Boccaccini ed infine di Diana Blefari Melazzi, che morirà suicida nel carcere di Rebibbia il 31 ottobre 2009, dove venne testardamente mantenuta nonostante le numerose perizie che ne segnalavano l’ormai compromesso stato mentale. A causa del proprio umano interessamento per l’amica, in evidente crisi, verrà arrestato e tenuto in detenzione per più di due anni ingiustamente Massimo Papini, prima di essere completamente assolto da ogni imputazione dalla Corte di Assise di Roma.

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Giorgio Bocca, autore tra l’altro del bel libro Noi terroristi uscito proprio agli inizi degli anni ottanta ed oggi fuori catalogo, in una intervista televisiva definirà le nuove BR «un cascame misero di quello che era stato il terrorismo degli anni di piombo che compie alcune singole azioni isolate ed eclatanti prive di alcun senso politico solo per fare vedere che esiste». La pentita Cinzia Banelli dichiarerà: «Io non ho mai pensato di fare la rivoluzione, ma di riproporre il patrimonio politico-teorico delle Brigate Rosse, la strategia della lotta armata a prescindere dalla lotta di classe diffusa che non c’era come non c’era già al tempo dell’omicidio Ruffilli. Non conta il contesto ma la strategia che si fa testimonianza: la volontà di tenere accesa una fiaccola, di dire che c’è ancora spazio per un’opposizione combattente, anche se non arriverà la vittoria». Le ormai da tempo divenute definitive condanne di tutti i militanti della nuova organizzazione capeggiata da Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi non sembrano tuttavia avere ancora del tutto esaurito i capitoli di questa “storia italiana” per usare il sottotitolo del citato libro di Mario Moretti. Con due blitz ordinati dalle Procure di Milano (2007) e di Roma (2009) sono stati infatti arrestati numerosi militanti gravitanti nella cosiddetta “area antagonista” ed ogni volta con l’accusa di “volere ricostruire le Brigate Rosse”, blitz che hanno condotto alla celebrazione di nuovi processi per “banda armata con finalità di terrorismo” e che sembrano ricalcare stancamente rituali ormai obsoleti (detenuti in gabbia che fanno rivendicazioni eversive, revoche

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dei difensori di fiducia, articoli di stampa allarmisti, condanne pesanti ecc.)9. La grande differenza, e peraltro non di poco momento, è che in questi processi sembrano più processarsi le idee che le azioni delittuose, che il più delle volte risultano solo “pensate”. Il processo intentato dalla Procura di Milano a carico di Davide Bortolato, Claudio Latino (ritenuti rispettivamente alla guida delle cellule padovane e milanesi) più altri, e che configurava quale azione più eclatante la programmazione di un futuro attentato al noto economista Pietro Ichino, ha comportato condanne esemplari nei due giudizi di merito ma il verdetto è stato annullato dalla Corte di Cassazione con rinvio per un nuovo giudizio di appello. Con sentenza in data 28 maggio 2012 la Corte di Assise di Appello di Milano ha escluso la “finalità di terrorismo”, riducendo le originarie pene infilitte agli imputati, assolvendo Salvatore Scivoli e scarcerando, per intervenuta decadenza dei termini di custodia preventiva, Massimiliano Gaeta. La sentenza è divenuta definitiva a seguito della conferma della Corte di Cassazione in data 12 settembre 2012. Il processo intentato dalla Procura di Roma a carico di Luigi Fallico10 più altri ha avuto un iter ancora più complesso, che vale la pena di brevemente riassumere. Il 10 giugno 2009 vengono arrestati con l’accusa di avere ricostruito le Brigate Rosse Partito Comunista Combattente e di avere progettato attentati eversivi contro lo Stato, tra cui uno alla Maddalena per il previsto (e poi saltato) G8, Luigi Fallico,

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Bruno Bellomonte, Bernardino Vincenzi, Riccardo Porcile e Gianfranco Zoja. Presso il genovese Renato Porcile, viene reperito un volantino dove si legge «individuare e colpire il personale politico economico e militare dell’imperialismo e delle sue strutture; individuare e colpire il personale politico economico e militare del progetto di ristrutturazione dello Stato e le sue articolazioni; guerra alla guerra imperialista». Il 1° ottobre 2009 viene arrestato con la medesima accusa Massimo Papini, a causa del suo attivo interessamento alle condizioni carcerarie dell’amica Diana Blefari Melazzi. Nel gennaio 2010 vengono arrestati anche Costantino Virgilio e Manolo Morlacchi e richiesto l’arresto (non concesso dal GIP) di Maurizio Calia e Vincenzo Paladino. Il 18 giugno 2010 la Corte di Cassazione scarcera Manolo Morlacchi e Costantino Virgilio, per assenza di gravi indizi di colpevolezza, in ordine al reato associativo dopo 6 mesi di carcere preventivo. Il 23 marzo 2011 la Corte di Assise di Roma assolve “perché il fatto non sussiste” Massimo Papini dopo quasi due anni di carcere. Il 23 maggio 2011 muore in carcere, stroncato da una malattia per la quale i difensori ne avevano più volte sollecitato il ricovero in struttura sanitaria adeguata, Luigi Fallico11.

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Il 1° agosto 2011 l’ex PL Guido Manina pubblica una lettera su Repubblica dove scrive: «martedì 26 luglio è stato pubblicato un articolo dal titolo “Gli ex terroristi arruolati tra i NO TAV”. Non voglio fare neanche un rigo di commento ad un articolo il cui scopo è chiaramente di danneggiare il movimento della Valle di Susa. Le azioni a me riferite sono da addebitare a Fabrizio Giai, colui che nel 1980 ha collaborato al nostro arresto e che ne ha ricevuto vantaggi. Io ho terminato la mia storia penale nel 1996. Ho diritto di occupare posto nel nostro prossimo corteo senza che qualcuno si senta in diritto di sbattere il mio nome in prima pagina, attribuendomi nefandezze altrui». Il 21 novembre 2011 la Corte di Assise di Roma assolve “perché il fatto non sussite” Manolo Morlacchi, Costantino Virgilio e Bruno Bellomonte (in carcere da più di due anni), esclude per tutti il reato di banda armata e condanna per il diverso reato di cui all’art. 304 c.p. (cospirazione mediante accordo) Riccardo Porcile, Gianfranco Zoja e Bernardino Vincenzi12. 26 gennaio 2012: nell’ambito di una indagine coordinata dal procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli, viene eseguito all’alba un imponente blitz che porta all’arresto di 26 persone del movimento No TAV13 in relazione agli incidenti avvenuti il 3 luglio 2011 a Chiomonte in Val Susa, contro la linea ferroviaria TAV Torino-Lione. Tra gli arrestati, esponenti dei Centri sociali come Giorgio Rossetto del torinese Askatasuna e Niccolò Garufi del milanese Zam Racaille, e due ex lotta-armatisti:

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Maurizio Paolo Ferrari, 66 anni, del nucleo storico delle Brigate Rosse e Stefano Ginetti, 58 anni, ex di Prima Linea. Il 1° febbraio 2012 il Corriere della Sera pubblica un articolo di Giovanni Bianconi, dove si legge che un ex lotta-armatista, oggi docente universitario associato di economia politica presso l’Università di Pisa, ha fatto richiedere, tramite il proprio avvocato, la rimozione dal centro di documentazione della fondazione Flamigni ogni riferimento alla sua “passata esperienza”, rivendicando il “diritto all’oblio”. Il suo nominativo verrà reso noto in un articolo molto critico, pubblicato il giorno successivo sul web da un altro ex lotta-armatista, sul presupposto che «la storia non si imbavaglia e tantomeno si rimuove, ma si elabora» e successivamente anche dal sito dell’Aviter. Si tratta di Marcello Basili, ex componente della Brigata romana di Torre spaccata, arrestato nel 1982 ed in seguito pentitosi. Il 22 febbraio 2012 scoppia a Milano il “caso Azzollini”. Un portone si stacca all’improvviso in via Agnello ferendo lievemente i collaboratori del vicesindaco di Milano Mariagrazia Guida, tra i quali il suo capo di gabinetto, che viene immortalato da una foto che compare sui giornali mentre riceve i primi soccorsi. Il consigliere comunale PDL Carmine Abbagnale, ex poliziotto, lo riconosce e scatena sui media una furibonda polemica contro la neo Giunta Pisapia. Si tratta di Maurizio Azzollini, dal 1982 stimato impiegato al Comune di Milano quale esperto di giustizia riparativa, che quando aveva 16 anni faceva parte di quel gruppo armato che aveva

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sparato durante la manifestazione del 14 maggio del 1977 in via De Amicis, nella quale era rimasto ucciso il vicebrigadiere Antonio Custra. Per quel fatto Azzollini era stato arrestato il giorno dopo, processato e condannato dal Tribunale minorile. «Azzollini non riveste un ruolo politico. Il suo è un incarico di tipo organizzativo e amministrativo per cui fornisce un supporto prettamente operativo. È entrato al Comune di Milano nel 1982. Ha sostenuto tre concorsi ottenendo l’assunzione in ruolo, la carica di istruttore direttivo e poi quella di funzionario» risponderà Maria Grazia Guida, «la Costituzione italiana all’articolo 27 chiede alla pena di “tendere alla rieducazione del condannato”. Credo dunque sia motivo di soddisfazione verificare che il ravvedimento possa portare a un reinserimento sociale pieno e pubblico che, per me, è anche un punto che qualifica la mia coscienza di credente. Nella vicinanza e rispetto della vittima credo che il ravvedimento e la riabilitazione siano un segno di offerta riparativa alla società tutta», aggiungerà il Sindaco Giuliano Pisapia14. Il 7 maggio 2012, la gambizzazione a Genova del dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi, scatena su tutti i principali media nostrani la rievocazione degli “anni di piombo”. Qualche giorno dopo l’attentato viene rivendicato con un volantino firmato dalla cellula OLGA del FAI (Federazione Anarchica Informale), dove Adinolfi viene definito: «grigio assassino, prima che il nucleare ricadesse in disgrazia è stato tra i maggiori responsabili insieme a Scajola del rientro del nucleare in Italia». Il neonato Nucleo Olga aggiunge: «Potevamo colpire alla ricerca del

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“consenso”, per esempio qualche funzionario Equitalia, ma con questa azione non siamo alla ricerca del consenso. Con il ferimento di Adinolfi proponiamo una campagna di lotta contro Finmeccanica piovra assassina che ci porterà una Fukushima europea. Oggi l’Ansaldo nucleare domani un altro dei suoi tentacoli, invitiamo tutti i gruppi e singoli Fai a colpire tale mostruosità con ogni mezzo necessario». Il 14 settembre vengono arrestati i due anarchici piemontesi Nicola Gai e Alfredo Cospito. Il 23 maggio 2012 il Sindaco di Torino Piero Fassino, a seguito di una lettera molto dura dei familiari di Pietro Coggiola, rinuncia a celebrare le nozze comunali di Nicola D’Amore, che nel 1978 faceva parte del commando che lo aveva ucciso a Torino e che aveva finito di scontare la propria pena nel 2000. Il 28 maggio 2012 il prestigioso Liceo Ginnasio Parini di Milano decide di affiggere una lapide in ricordo dell’ex allievo Walter Tobagi, che viene “scoperta” nel corso di una cerimonia ufficiale cui viene invitata anche la figlia Benedetta, sulla stessa si legge: “ucciso dalle Brigate Rosse il 28 maggio 1980”. Ai vari media che il giorno dopo stigmatizzano il clamoroso errore, la professoressa di Storia Teresa Summa risponde che «si è trattato di una scelta ponderata perché ci siamo chiesti: tra 30 anni chi saprà chi era la Brigata XXVIII Marzo, mentre BR è un concetto quasi universale». 4 settembre 2012: su BresciaOggi compare un articolo a firma Franco Mondini dal titolo “Di Fronte Rosso le pistole per anni celate in Maddalena”. In

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esso si fa riferimento alla scoperta da parte della guardia forestale, durante una bonifica di un area interessata ad un incendio estivo, di «un bidone di plastica alto 60 centimetri sotterrato nell’area dove sarebbero stati custoditi per oltre trent’anni una risma di materiale propagandistico del gruppo, nato dalla scissione dei NAPO-NAC, con il simbolo della falce e del martello, una sessantina di proiettili per pistola e quattro pistole, due revolver e due semiautomatiche» Fronte Rosso, si legge, era un’organizzazione dell’estrema sinistra bresciana che si rese responsabile di una bomba collocata nella sede della DC in via Tosio nel 1979, che esplodendo provocò solo lievi danni, o l’attentato alla casa dell’allora sindaco Bruno Boni. Furono presi di mira anche dirigenti e funzionari della Lucchini e della Caffaro. 10 settembre 2012: muore a Roma Otello Conisti “il roscio” ex militante dei MRPO (Movimento Proletario di Resistenza Offensivo), arrestato nel 1982 e condannato a 15 anni di reclusione al termine del processo Moro bis e che aveva lavorato per la editrice “Sensibili alle foglie”15. 11 novembre 2012: su il Giornale compare un articolo a firma Gian Marco Chiocci dal titolo “Stragi e BR, quei depistaggi tra Bologna e Brescia” dove si denuncia l’avvenuto depistaggio istituzionale (si cita l’allora ministro Taviani) sulle stragi di Brescia e di Bologna affinché risultassero falsamente di “matrice fascista”, evocando, attraverso le figure degli ex brigatisti defunti Arialdo Lintrami e Pietro Morlacchi, oltre che di Francesco Marra, l’esistenza di un “incrocio brigatista lungo l’asse Milano-BresciaBologna.”

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Il 4 dicembre 2012 i giornali danno la notizia della morte, avvenuta a Manciano in Maremma, dell’avvocato toscano Attilio Baccioli di 79 anni, storico difensore di molti militanti delle Brigate Rosse, l’ultima dei quali era stata Nadia Desdemona Lioce. Il 19 gennaio 2013 al cimitero di Coviolo (RE) più di un migliaio di persone partecipa ai funerali di Prospero Gallinari, morto il 14 gennaio. Tutti i principali media danno ampio risalto alla notizia (pubblicando foto, video ecc.) e la presenza di Alberto Ferrigno e Claudio Grassi di Rifondazione Comunista scatena la polemica della coordinatrice provinciale dell’IDV Liana Barbati, che minaccia di uscire dall’alleanza del comitato reggiano per la “Lista Ingroia” perché: «Chi ricopre cariche politiche o è candidato alle elezioni non dovrebbe neanche a titolo personale partecipare al funerale di chi ha rappresentato un periodo così buio e triste per la nostra Repubblica». Replica Grassi: «Penso che quando si conosce una persona, anche se non se ne condividono le idee e ciò che ha fatto nella vita, nel momento in cui muore sia un atto di umanità partecipare a un funerale. Così è stato per me». 1° marzo 2013, Roma: nel corso di una rapina in via Carlo Alberto viene ucciso Giorgio Frau, 56 anni con precedenti per rapina, e i giornali titolano “Il rapinatore è un ex BR”. In gioventù aveva militato in Lotta Continua a Roma Sud e riparato a Parigi dopo la scoperta di una borsa contenente armi nella sua cantina, nel 1984 si era avvicinato alle UCC. Il suo complice Claudio Corradetti era un militante della estrema destra che stava scontando una condanna a 20 anni.

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11 maggio 2013, “caso Moro”: la Procura di Roma iscrive a notizie di reato per calunnia l’ex brigadiere della GDF Giovanni Ladu e, l’anno dopo, l’ex artificiere Vitantonio Raso. 19 agosto 2013: “Sangue”, il film di Pippo Delbono, vince al festival di Locarno il premio Don Chisciotte ma non troverà distribuzione in Italia a causa della partecipazione dell’ex brigatista Giovanni Senzani che, in occasione della successiva uscita del libro, il 5 ottobre 2014 rilascia un’intervista alla Giornalista Katia Ippaso de Il Garantista, nella quale smentisce alcun ruolo nel sequestro Moro. 6 novembre 2013: il Procuratore di Torino Gian Carlo Caselli si dimette da Magistratura Democratica, in polemica con la pubblicazione sull’annuale agenda di corrente di un articolo di Erri De Luca, “Notizie su Euridice”, dove si legge: «La mia generazione è scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro». L’agenda 2014 non verrà più distribuita. 10 gennaio 2014: nel carcere di Parma muore a 57 anni il pentito di Prima Linea Roberto Sandalo, che stava scontando una condanna a 9 anni per avere preparato nel 2008 ordigni esplosivi contro Moschee islamiche. 10 marzo 2014: muore a Parigi Giovanbattista Marongiu, storico esponente di Autonomia operaia. Di origini sarde, era riparato in Francia dopo essere sta-

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to accusato nell’inchiesta “7 aprile”, da cui era stato prosciolto. È stato per 20 anni redattore culturale di Libération. 26 luglio 2014: l’esponente PD di L’Aquila Giulio Petrilli scrive una lettera al Premier Matteo Renzi, lamentando il mancato risarcimento per ingiusta detenzione di quasi 6 anni quando, arrestato il 23 dicembre 1980 dalla Procura di Milano per appartenenza a Prima Linea, era stato assolto in Appello nel maggio del 1986. 3 settembre 2014: il Tribunale di sorveglianza di Roma concede la liberazione condizionale all’ex BR Vittorio Antonini, detenuto dal 1985; solo qualche mese prima, lo stesso beneficio era stato concesso a Sandro Padula, detenuto dal novembre 1982. Secondo i dati ministeriali nel settembre 2014 risultavano ancora detenuti nelle carceri italiane 30 condannati per lotta armata: dieci a Siano (Nicola De Maria, Fabrizio Donati, Stefano Scarabello, Bruno Ghirardi, Vincenzo Sisi, Davide Bortolato, Gianfranco Zoja, Franco Galloni, Carlo Garavaglia e Simone Boccaccini), 6 a Terni (Cesare Di Lenardo, Antonino Fosso, Fabio Ravalli, Franco Grilli, Michele Mazzei e Stefano Minguzzi), cinque a Latina (Maria Cappello, Susanna Berardi, Rossella Lupo, Barbara Fabrizi e Vincenza Vaccaro), tre a Rebibbia (Rita Algranati, Laura Proietti e Federica Saraceni), Francesco Lo Bianco ad Alessandria, Mario Moretti a Opera, Pietro Coccone a Badu’e Carros, Nadia Lioce a l’Aquila, Marco Mezzasalma a Cuneo e Roberto Morandi a Spoleto, questi ultimi 3 in regime speciale ex art. 41 bis.

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2 ottobre 2014: prima riunione della nuova Commissione Moro, istituita a seguito di un dossier presentato dai parlamentari democratici Marco Carra e Gero Grassi. Il Presidente eletto, Giuseppe Fioroni, dopo aver premesso che «si può cambiare verso se si chiudono i conti con il passato», ha dichiarato: «oggi ci sono le condizioni per scrivere la verità». I membri designati sono 60, 30 deputati e 30 senatori. 12 novembre 2014: il Sostituto Procuratore presso la Corte di Appello di Roma Luigi Ciampoli chiede di procedere per l’omicidio Moro a carico dell’ex funzionario USA Steve Pieczenik, affermando che anche a carico del defunto colonnello del Sismi Camillo Guglielmi vi sarebbero gravi indizi di colpevolezza. 4 gennaio 2015: tra gli atti del Tribunale del riesame relativi alla vicenda romana di presunte corruzioni per le cooperative gestite da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi compaiono due intercettazioni che coinvolgono l’ex BR PCC Franco La Maestra, arrestato nel 1989 e condannato nel 1991 per banda armata, e tra i firmatari dal carcere di un volantino di rivendicazione dell’omicidio D’Antona del 1999. 20 febbraio 2015: a Rocca di Botte muore Teresa Scinica, di 54 anni, schiacciata dalla propria auto sulla rampa del garage. Ex operaia Fiat e in seguito militante del Partito Guerriglia, era stata condannata all’ergastolo per la rapina al Banco Napoli di via Domodossola a Torino del 21 ottobre 1982. Aprile 2015: la casa editrice Tra le righe libri pubblica un libro di Gianremo Armeni dal titolo Questi

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fantasmi. Il primo mistero del caso Moro che, con l’ausilio delle fotografie originali, “smonta” la testimonianza resa il 5 aprile 1978 dal teste Alessandro Marini. Le foto mostrano il parabrezza del motorino intonso e lasciato incustodito in via Fani la mattina del 16 marzo. Il reperto consegnato alla Digos da Marini in due frammenti, il 27 settembre 1978 era stato inviato dall’allora giudice Imposimato all’ufficio corpi di reato, fino alla sua distruzione del 9 ottobre 1997. Il 21 luglio 2015 la Corte di Assise di Appello di Milano condanna all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte per la strage di Brescia del 28 maggio 1974; la condanna verrà confermata due anni dopo dalla Cassazione. Novembre 2015: Il Saggiatore pubblica Il libro dell’incontro, che riporta il percorso di mediazione svoltosi per anni fra vittime e militanti della lotta armata, curato da Guido Bertagna, Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato. Tra i partecipanti: Agnese Moro, Adriana Faranda, Valerio Morucci e Franco Bonisoli. Il 7 gennaio 2016 muore Paolo Pozzi, redattore della rivista Rosso, che nel 2007 aveva pubblicato Insurrezione per DeriveApprodi, che si concludeva con la frase: «Ce l’hanno fatta pagare, ma ci siamo divertiti un casino»; il 20 luglio muore Mario Dalmaviva suo coimputato nel processo 7 aprile. Il giorno dopo, su il manifesto, Alberto Magnaghi scrive che: «La statistica dei compagni del Processo 7 aprile 1979 che hanno subìto una ingiusta carcerazione preventiva (fino a 5

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anni e 4 mesi, come Mario) e sono morti prematuramente per malattia è impressionante: Luciano Ferrari Bravo, Augusto Finzi, Guido Bianchini, Franco Tommei, Emilio Vesce, Sandro Serafini, Giorgio Raiteri, Paolo Pozzi, Gianmario Baietta, Antonio Liverani… insomma, la galera uccide». Nel maggio 2016 l’archivio Primo Moroni pubblica sul web l’esito di un lavoro dal titolo “La pentola e i coperchi”, che raccoglie materiale su pentitismo e dissociazione. Si legge: «Hanno creato cesure e generato solchi tanto profondi da avere definitivamente impedito una narrazione da parte del soggetto sociale. Il fenomeno della dissociazione, operando un’apparente “pacificazione”, sul piano individuale, con i soggetti consenzienti, ha contribuito a ridurre la rappresentazione della lotta armata a una congerie di scelte individuali, a rimuovere la dimensione conflittuale della storia e a “coperchiare” le dinamiche di classe già indebolitesi, per una somma di motivi che è qui impossibile riassumere, nel corso di quegli anni». 9 luglio 2016, Milano: abbattendo un’intercapedine di una zona dismessa del Policlinico, i muratori trovano un fascicolo impolverato sulla cui copertina è disegnata la stella a cinque punte, con dentro volantini, documenti e altro materiale riconducibile a una cellula operativa nel 1975, tra cui un tesserino dell’avvocato democristiano Massimo De Carolis, che il 5 maggio 1975 era stato il primo ferito intenzionale delle BR. 31 gennaio 2017: la Repubblica pubblica un articolo dal titolo “Le brigatiste irriducibili che non voglio-

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no uscire dal carcere”, che parla di Susanna Berardi, Maria Cappello, Barbara Fabrizi, Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro. Si legge: «Sono sulla sessantina, non parlano con nessuno che rappresenti, in qualche modo, un’istituzione e, a guardarle, sembrano tranquille signore che si avviano alla terza età e che, in qualche modo, cercano di curare aspetto e forma fisica (qualcuna non rinuncia a truccarsi). Per il resto, chiusura totale. Negli ultimi mesi, al gruppo si sono unite altre due detenute politiche, Anna Beniamino e Valentina Speziale, provenienti dalle file del terrorismo anarchico». Il 20 marzo 2017, a Lecce, muore Agrippino Costa, poeta e intellettuale con un passato da militante dei NAP e poi delle Brigate Rosse durante la sua lunga detenzione. Fu il primo a intervenire a difesa di Moretti dall’aggressione nel carcere di Cuneo. Di origini siciliane ma da decenni residente a Lecce, dopo una giovinezza estremamente movimentata, tra viaggi rocamboleschi, rapine e passione estrema per la politica, nel docufilm “Ossigeno”, a lui dedicato nel 2015 dal regista Piero Cannizzaro, disse di “essere stato salvato dalla poesia”. Il 15 giugno 2017 il direttore del Sisde, Franco Gabrielli, denuncia al Copaco, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, “il pericolo” che dopo 35 anni di detenzione possa uscire dal carcere l’ex BR Cesare Di Lenardo, perché «assieme ad altri irriducibili già liberi, potrebbe saldare un pericoloso fronte eversivo con i nuovi antagonisti e i militanti dei centri sociali più duri». Gabrielli cita i casi di ex brigatisti liberi che hanno rivendicato gli omicidi

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D’Antona e Biagi, come Francesco Aiosa, Ario Pizzarelli e Fausto Marini e quello di Tiziana Cherubini, condannata all’ergastolo per la rapina di via Prati di Papa a Roma del 14 febbraio 1987, in sospensione pena per motivi di salute. A dimostrazione del pericolo ha richiamato «la manifestazione del 3 giugno all’Aquila, quando circa duecento persone hanno sfilato contro il 41 bis e si sono radunate davanti al carcere cittadino per manifestare solidarietà a Nadia Desdemona Lioce, dove tra gli animatori del corteo c’era Paolo Maurizio Ferrari, uno dei capi storici delle Brigate Rosse, uscito nel 2005 dopo circa 30 anni di carcere, tra i promotori del movimento Olga (Ora di liberarsi dalle galere)”. 11 agosto 2017: il direttore de Il Dubbio, Piero Sansonetti, pubblica un editoriale in cui chiede ai propri lettori se “è giusto?” che più di 30 persone siano ancora in carcere da quasi 40 anni per avere fatto parte delle Brigate Rosse, citando gli esempi di Nicola De Maria, Susanna Berardi e Cesare Di Lenardo. 26 agosto 2017: la Procura della Repubblica di Genova apre un fascicolo per l’omicidio di Riccardo Dura del 28 marzo 1980, in Via Fracchia, a seguito di un esposto presentato da Luigi Grasso, uno degli autonomi arrestati nel blitz genovese del maggio del 1979 e poi assolto, che ha rintracciato una perizia che stabiliva che Riccardo Dura era morto per un unico colpo alla nuca. 4 ottobre 2017: Cesare Battisti viene arrestato nella città di Corumbà, alla frontiera con la Bolivia. Due giorni dopo viene rilasciato dal giudice José Marcos

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Lunardelli, del Tribunale regionale federale, e il Presidente Michel Temer manifesta l’intenzione di revocare il provvedimento del suo predecessore. 14 dicembre 2017: la Commissione Moro convoca una conferenza stampa per commentare la produzione di un elaborato di 300 pagine che, a pag. 275, si conclude così: «Le attività condotte restituiscono a Moro un grande spessore politico e intellettuale e fanno emergere il suo martirio laico, nel quale si evidenziarono le sue qualità di statista e di cristiano».

NOTE 1. Sulle attività negli anni novanta degli “autonomi” romani e più in generale sulle lotte antagoniste di quel decennio, vd. Scontri di piazza: autonomi senza autonomia di Marco Capoccetti Boccia, ed. Lorusso editore, 2012. 2. In seguito a questo ritrovamento scoppia il “caso Gladio”. 3. In seguito accusati di essere il baluardo di congunzione tra le vecchie BR e quelle cosiddette nuove BR che faranno la loro comparsa alla fine del millennio. 4. Nato a Milano il 17 giugno 1936, figlio di ex contadini emigrati dalla Toscana, inizia a lavorare molto presto e, dopo avere preso la tessera della FGCI, nel 1951 si trasferisce nel Bottonuto, quartiere malavitoso nel centro di Milano, abbattuto negli anni sessanta e descritto da Giovanni Raboni in Le case della Vetra. Nel 1960 è in piazza a Genova, durante gli scontri contro il governo Tambroni; tre anni dopo è presente agli scontri a Milano in Piazza Duomo, quando viene ucciso lo studente Giovanni Ardizzone. Dopo avere fondato il “Si o si Club”, un circolo culturale

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con quasi quattromila soci che organizza concerti, spettacoli e dibattiti, nel 1971 si trasferisce nel quartiere Ticinese, dove fonda la Libreria Calusca, dal nome dell’omonimo vicolo, e che diventa in breve tempo «punto di riferimento dei non organizzati, dei cani sciolti, di quest’area indefinibile che va dai bordighisti ai protosituazionisti, ai consiliari agli internazionalisti agli anarchici agli anarco-comunisti ai comunisti libertari» e dove hanno sede parecchi comitati, da quello per il Portogallo a quello per il Vietnam e a Soccorso Rosso, nel quale collabora con Sergio Spazzali. Scrive su molte riviste d’editoria militante come L’abbraccio, Primo Maggio e Controinformazione, si dedica alla produzione di fogli, opuscoli e ciclostilati e nel 1974 organizza alla Palazzina Liberty, con la PiùLibri di Sauro Sagradini, un convegno per “Un’editoria e un circuito di diffusione per una cultura alternativa nella scuola e nella società”, da cui nasce il Consorzio dei Punti rossi, che arriverà a coprire più di cento librerie e a diventare il principale canale di comunicazione scritta del Movimento del 77. Nel 1975 appoggia l’occupazione del Centro Sociale Leoncavallo e nel 1979 collabora con la rivista 7 aprile, che prende il nome dal maxi-processo contro l’Autonomia Operaia e che nel 1981 organizza un convegno da cui nascerà il Coordinamento dei comitati contro la repressione. Nel 1988 pubblica con Nanni Balestrini L’orda doro per SugarCo, rieditato nel 1997 da Feltrinelli, e quindi La luna sotto casa. Milano tra rivolta esistenziale e movimenti politici, scritto con John Nicolò Martin. Accolse con entusiasmo la critica dei media portata avanti da Radio Alice e la controcultura cyberpunk e si adoperò nel tentativo di introdurre nel Movimento italiano la pratica dell’impresa sociale nel contesto dei centri sociali. Dal 1992 il suo archivio è custodito presso il centro sociale CSOA COX 18, di via Conchetta, dove il giardino di fronte è dedicato al suo nome. 5. Nel febbraio del 2008 Vittorio Antonini verrà invitato a presentare al Teatro Ridotto di Bologna Gli invincibili, unitamente ad Erri De Luca. Il fatto scatena furibonde critiche sia del

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Sindaco Sergio Cofferati sia della giornalista Miriam Mafai su la Repubblica e così la partecipazione di Antonini viene annullata. 6. Nata il 12 dicembre 1947 a Roma e traferitasi in USA all’età di 13 anni, viene arrestata a New York il 9 novembre 1982 con l’accusa di avere concorso all’evasione di Assata Shakur (Joanne Chesimard), considerata l’anima del Black Liberation Army (BLA) e di fare parte del movimento “19 maggio”, era stata condannata ad oltre 40 anni di reclusione. Francesco Guccini le ha dedicato una bellissima canzone, “A Silvia”, dove dice che «non si possono rinchiudere le idee in una galera». La sua storia è raccontata in Sebben che siamo donne, DeriveApprodi, 2014. 7. Nel 2011 sono usciti due film-documentari che ripropongono quanto accadde quella notte Diaz, non pulire questo sangue di Daniele Vicari e Black Block di Carlo A. Bachschmidt e nel luglio del 2012 la Corte di Cassazione ha messo la parola fine, con due sentenze che hanno scatenato molte polemiche, alla lunga odissea giudiziaria scaturita dalle indagini condotte dalla Procura di Genova su quella “mattanza”. Nessuna pena detentiva da scontare per gli agenti ed i dirigenti di P.S. ritenuti responsabili per i fatti accaduti alla scuola Diaz, mentre 5 degli oltre 300.000 manifestanti finiscono in carcere con pene pesantissime per il reato di “devastazione e saccheggio”, che non era stato applicato neppure in occasione dei riferiti moti di Reggio Calabria del 1970. 8. Paolo Persichetti (Roma, 6 maggio 1962) entra nelle Brigate Rosse nel 1987, unendosi alla frazione UDCC, nata due anni prima in Francia, e di cui fanno parte Paolo Cassetta, Geraldina Colotti e Wilma Monaco. Il 29 maggio dello stesso anno viene arrestato, ma due anni dopo viene scarcerato e assolto al processo di primo grado. Condannato in appello a 22 anni e 6 mesi per concorso nell’omicidio Giorgieri del 20 marzo 1987, nel settembre del 1991 ripara in Francia. Nel novembre del 1993 viene arrestato a Parigi, nella prefettura di Place d’Italie, mentre sta ritirando il visto di soggiorno come studente, ma rifiuta l’estradi-

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zione, appellandosi alla dottrina Mitterand, e nasce un conflitto tra il Presidente socialista e il Premier gollista Balladur. Dopo oltre 14 mesi di detenzione a Santé e uno sciopero della fame di 19 giorni, viene scarcerato nel gennaio 1995 per decisione presidenziale, mentre alle successive elezioni Balladur viene sconfitto da Chirac, favorevole alla dottrina Mitterand. Tornato in libertà, pubblica con Oreste Scalzone Il nemico inconfessabile, per Odradek, e terminati gli studi universitari ottiene un dottorato di ricerca presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Paris VIII, dove nel 2001 inizia a insegnare come docente a contratto, fino alla sera del 24 agosto 2002, quando viene consegnato alle autorità italiane sotto il tunnel del Monte Bianco. In Italia passa dal carcere di Viterbo a quello di Rebibbia e nel 2005 pubblica Esilio e castigo per La città del sole, dove racconta i retroscena della sua estradizione. Nel giugno del 2008 ottiene la semi libertà e va a lavorare per il quotidiano Liberazione. Nel 2013 ottiene l’affidamento e il 22 marzo 2014 finisce di scontare la propria pena. Cura il blog “Insorgenze”, dove si occupa dei militanti ancora in carcere e delle torture subite, e nel 2017 ha pubblicato, unitamente a Marco Clementi e Elisa Santalena, Brigate Rosse. Volume primo per DeriveApprodi. 9. Dal sito web di la Repubblica in data 23 gennaio 2009: «Insulti a Ichino, BR allontanati dall’aula. Momenti di forte tensione al processo di Milano contro le nuove Brigate Rosse». 10. Titolare di una bottega di corniciaio nel quartiere periferico di Casal Bruciato a Roma. 11. «Il compagno Gigi è morto. Gigi è stato arrestato il 10 giugno 2009 con l’accusa di associazione sovversiva ed era da allora detenuto, senza che nessuna sentenza fosse ancora stata emessa. È stato trovato cadavere questa mattina dalle guardie, all’apertura della cella, a causa di un infarto. Erano almeno cinque giorni che accusava forti dolori al petto ed aveva la pressione sanguigna alle stelle, 190 su 110. Noi lo ricordiamo semplicemente come uno di noi che ci è stato tolto dalla repressione.

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È morto in attesa di giudizio, detenuto preventivamente da due anni, e senza potersi curare. Ora più che mai, anche per Gigi, fino alla vittoria!» cfr. Assemblea contro il Carcere e la Repressione, 24 maggio 2011. 12. Il 7 novembre 2012 la Corte di Assise di Appello di Roma conferma le assoluzioni di primo grado e riduce la pena a Porcile e Vincenzi. 13. Da molti anni è in corso in Val di Susa una serrata lotta di resistenza da parte degli abitanti della valle contro i lavori di costruzione del collegamento ferroviario ad altà velocità tra Torino e Lione, e da tempo a loro sostegno sono intervenuti moltissimi volontari, militanti di centri sociali, ambientalisti ecc. che vengono comunemente definiti il movimento NO TAV. La data storica è quella dell’8 dicembre 2005, quando vi fu la “liberazione di Venaus”, al termine della quale il movimento NO TAV ha scritto: «La Valle di Susa si è ripresa Venaus, questa è il dato di fatto di quell’8 dicembre, nel nome della dignità di un popolo che diventa comunità in lotta, che sa diventare movimento, che se serve sa come e quando combattere». 14. L’anno prima Giuliano Pisapia era stato a sua volta oggetto di una furibonda polemica in occasione della campagna elettorale per la elezione del Sindaco di Milano, allorché il Sindaco uscente Letizia Moratti lo accusò, nel corso di un pubblico dibattito, di avere riportato in gioventù una condanna prescritta a seguito di una frequentazione con futuri militanti di Prima Linea. Come subito emerse si trattò di un madornale errore giudiziario, poiché Pisapia fu effettivamente arrestato a Milano insieme ad altre 10 persone il 9 ottobre del 1980 a causa delle rivelazioni del pentito Roberto Sandalo, che aveva riferito di un incontro che sarebbe avvenuto nel 1977 presso l’abitazione di Pisapia con Marco Donat Cattin, Roberto Rosso e Massimiliano Barbieri e dove si sarebbe ipotizzato di infliggere una punizione a William Sisti, ai tempi capo del servizio d’ordine del Movimento dei Lavoratori per il Socialismo. Scarcerato

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nel febbraio del 1981, Pisapia venne prosciolto in istruttoria dall’imputazione di banda armata e quindi definitivamente assolto nel merito anche dal residuo reato di furto, dopo avere espressamente rinunciato alla amnistia. 15. L’ex BR Sandro Padula gli ha dedicato un sentito ricordo dal titolo “L’ironia contro le carceri e le leggi speciali”.

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Appendice

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Dialogo con un “cattivo maestro” Giovanni Sordini e Luca Colombo

PREMESSA Luca Colombo (Milano 1949) è stato tra i fondatori delle FCC (Formazioni Comuniste Combattenti), una delle organizzazioni che parteciparono alla lotta armata negli anni ‘70. Dall’1 di ottobre del 1975 al 3 giugno del 1977 è stato mio professore di lettere nella seconda scuola media di via Kennedy a Brugherio (MB). All’epoca del suo insegnamento, sul piano didattico un misto di innovazione e tradizione, nulla lasciò trasparire riguardo alla sue scelte estreme di militanza politica. Nessuno di noi, allievi, genitori o professori immaginò la sua successiva partecipazione alla lotta armata, né intuì le sue origini ebraiche insieme all’agiatezza della sua famiglia. Tutti coloro che lo amavano o lo contestavano come insegnante erano affascinati in egual modo dalla sua persona. Era difficile rimanere indifferenti alla sua preoccupazione costante per gli “ultimi” e alla sua disponibilità a parlare sempre e comunque con tutti. Affascinava uomini e donne anche grazie ad una particolare ironia che non saprei oggi come definire se non “ebraica”, ad una apertura mentale e ad una costante disponibilità verso l’altro. Ci insegnò

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un atteggiamento critico verso la realtà, comunicandoci una entusiastica volontà di comprendere il mondo e gli altri, confrontandosi non solo su basi teoriche ma soprattutto attraverso l’esperienza pratica. Alcuni anni dopo appresi dai giornali che era stato arrestato, che era un terrorista e un “cattivo maestro”. Ripresi successivamente i contatti con lui quando si trovava da qualche anno nel carcere di Cuneo. Ero però troppo giovane per comprendere l’intransigenza delle sue scelte e, a mia volta intransigente nel rifiuto della violenza come strumento di lotta politica, cessai rapidamente ogni rapporto con lui subordinando la mia solidarietà alle sue e mie scelte politiche. Serbai però di lui un buon ricordo, offuscato da ciò che non potevo capire e che nel tempo si sarebbe confuso in una memoria incerta tra realtà e sogno. L’incontro a tanti anni di distanza non ci sarebbe mai stato senza l’interesse e le amichevoli pressioni di Davide Steccanella, che mi ha persuaso una volta di più che la realtà è sempre migliore di qualunque sogno. Questo breve scritto nasce dalla mia esigenza di comprendere le scelte del mio professore di allora. È il frutto di cinque conversazioni avvenute fra l’ottobre del 2011 e il settembre del 2012 ed è stato steso volutamente non utilizzando delle registrazioni, ma basandosi unicamente sulla mia memoria. Giovanni Sordini

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Arrivo a casa sua alle 16 in punto di venerdì 14 ottobre 2011 come concordato. La mattina l’ho trascorsa ad un convegno sul processo alle BR del 1976, dov’era presente una parte della magistratura che lo aveva combattuto e condannato. Esco dall’ascensore e la porta è già aperta. Mi attende alcuni metri prima della soglia seduto sopra una sedia a rotelle. Non ci riconosciamo. Poi mi avvicino e ritrovo il suo sorriso abbozzato simile ad una smorfia. Capelli corti bianchi invece della folta criniera riccia di un tempo e niente baffi, ma il viso è ancora il suo, quasi inalterato. Un viso sereno dagli occhi sempre rivolti verso l’istante che verrà. Anche il suo corpo, benché smagrito e provato dalle malattie, sembra sempre sul punto di scattare verso il futuro. … come Garrone del libro Cuore ho portato le foto, i quaderni e l’appello con i nomi dei compagni di classe di 36 anni prima. Lui si racconta. Ho vissuto molte vite… il primo periodo, la scuola, poi ho fatto la lotta armata, quindi il magazziniere, poi il programmatore di computer… Volevo chiederti se hai mai scritto qualcosa sulla lotta armata, sugli anni Settanta, se hai rilasciato delle interviste… Io non so scrivere. Scrivo sempre sotto l’impulso di un’emozione. Nella mia vita ho scritto delle lettere d’amore . Poi ho provato a scrivere qualcosa di quegli anni, ma non mi é parso interessante. Non ho mai incontrato nessuno che mi facesse delle domande intelligenti…

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Per esempio: «perché uno come me che veniva dalla scuola migliore di Milano, il Berchet, ricco di famiglia, laureato, sposato, con un posto come insegnante, insomma con una “posizione” ha deciso di fare la lotta armata?». Già, perché? … Per prima cosa devo dirti che noi eravamo molto colpiti e delusi dall’inerzia dei nostri padri nel periodo del fascismo. Che si fossero mossi tutti solo quando erano arrivati gli americani. Tutti erano rimasti inerti e avevano subìto quel regime. All’epoca c’erano la Spagna di Franco in cui si garrotava la gente, il Cile di Pinochet, la Grecia dei colonnelli, l’Argentina… Insomma molti paesi per tanti versi simili all’Italia in cui c’era il fascismo. Noi pensavamo che il fascismo potesse ritornare anche in Italia. Poi c’era un clima di violenza allucinante. Si andava alle manifestazioni con chiavi inglesi lunghe così, rischiando di ammazzare e mandando all’ospedale un sacco di gente. C’erano quelli dei servizi d’ordine dei cortei che alimentavano questa violenza. C’erano giornali che sostenevano questa violenza. Ricordi cosa scrisse Lotta Continua quando fu ucciso Calabresi? Sì, in sostanza che avevano fatto bene… Ecco, c’era insomma un movimento molto grande di giovani, almeno nelle grandi città, che aveva bisogno di valori, di essere indirizzato politicamente.

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Al Berchet, devo dirlo, molto onestamente, gli unici che mi consentivano di parlare della realtà e non solo di Tucidide erano quelli di CL. Da loro potevo andare a dire le mie cazzate. Poi Giussani faceva il riassunto della riunione e io non ero mai d’accordo. Però il giorno dopo tornavo da loro, perché lì potevo parlare. Malgrado fossi ebreo con loro ho fatto anche del volontariato in quelle zone a sud di Milano che allora venivano definite “la bassa”. Insomma, nessuno parlava con noi. Ricordo come un evento straordinario che un solo politico venne una volta ad una nostra assemblea. Era Aldo Aniasi, il sindaco di Milano. Non ricordo assolutamente cosa disse ma lo ascoltammo in silenzio stupefatti che fosse venuto a parlarci. E il PCI? Non potevamo avere nessun rapporto con loro. Per noi Togliatti era un criminale. Era gente che non aveva mosso un dito per l’Ungheria e poi per la Cecoslovacchia. Ma allora… Allora il nostro vuoto di valori fu riempito dal comunismo. Pensavamo che il comunismo fosse il bene e il capitalismo fosse il male. Naturalmente non il comunismo della Russia ma quello di Mao… [sorride]. Nessuno ci spiegò allora cose che ho imparato dopo. Che ci sono degli aspetti positivi nel capitalismo, nello stato liberale. Per esempio, come dico sempre ai miei amici, che esiste un’etica delle ban-

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che, un’etica del mutuo. Che il mutuo è un fattore di libertà. È la conditio sine qua non perché esista un’etica pubblica. Sai cosa succede nei paesi dove non c’è il mutuo? No, ma in che paesi ad esempio? Ad esempio in Egitto, ma anche in certe zone dell’Italia meridionale... Il mutuo è la maggior quantità di soldi di cui in genere una persona ha bisogno nel corso della sua vita. Da noi si va in banca. In Egitto si va dai parenti e ogni parente ti dà un po’ di soldi che poi tu devi restituire. Così se tu sgozzi uno in mezzo alla strada pensi che i suoi parenti ti denuncino? Se lo fanno e tu vai in prigione perderanno tutti i loro soldi e dunque non ti denunciano. Non è un buon momento per le banche… Proprio in questo momento in cui le banche sono oggetto di ogni attacco bisognerebbe ricordare quanto esse rappresentino una garanzia per l’etica pubblica. Senza le banche si cade in un familismo amorale, in una cultura molto simile a quella mafiosa. Mi pare interessante che mentre in Germania per anni hanno realizzato un telefilm come Derrick contro il “familismo etico” e per il prevalere dell’etica pubblica sugli interessi familiari e personali, da noi c’è “Un posto al sole”. Paradossalmente oggi direi che si potrebbe misurare il grado di civiltà di un paese dalla capacità di denunciare un proprio familiare se commette un reato.

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Mi hai detto del fascismo e del clima di violenza, ma come hai deciso di fare la lotta armata? Proprio per insofferenza a quella violenza senza senso e allucinante. Perché dovevo spaccare la testa a un fascista che mi viene incontro in un corteo che non so neanche chi è? Allora a quel punto mi parve meglio razionalizzare quella violenza, usare una pistola e decidere se sparare alle gambe o uccidere qualcuno che si sapeva chi fosse. Volevi fare la Rivoluzione? Guarda, per me uno delle BR era come un marziano. Pensare di instaurare un regime comunista in Italia? Non eravamo mica matti. Come si poteva pensare che gli americani che avevano battuto Hitler non avrebbero battuto le BR? Mai pensato di fare la Rivoluzione. E allora? Come ti ho detto temevamo il ritorno del fascismo e volevamo essere pronti. Volevamo essere armati e resistere. C’erano un sacco di gruppi un po’ folli tipo Servire il popolo dove facevano i matrimoni rossi, c’erano i leninisti … Io venivo dall’area di Toni Negri e nella lotta armata il mio gruppo, le Formazioni Comuniste Combattenti, era vicino a Prima Linea. Quindi l’area più movimentista mentre le BR erano più organizzate, più partito? Sì. E poi io non ho mai fatto il clandestino, se non quando ero ricercato. Prima facevo una vita assolu-

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tamente normale. Eravamo persone assolutamente normali. A Milano c’era questo clima, poi venivo a Brugherio a insegnare a voi e spariva tutto: a Brugherio non c’era niente. Io ho un ricordo di te come di una persona non particolarmente violenta anzi… Nel mio gruppo, circa una trentina di persone, non potrei dire che ci fossero persone particolarmente violente. A parte forse ***, uno con una intelligenza superiore, in cui ho visto un po’ di violenza cattiva e anche un filo di follia. Tutti gli altri, se devo essere sincero, tutti quelli che ho incontrato facendo la lotta armata erano [ride] “delle brave persone”. Gente che finita la lotta armata e la galera non ha mai fatto più nulla di male a nessuno. E poi c’era il fatto che la violenza era compiuta collettivamente. Perché non vuoi fare i nomi dei tuoi compagni? Sono passati trent’anni e non ho nessuna voglia di fare polemiche, soprattutto non intendo nominare i pentiti. Come mai? Io non ero allora nel loro animo e nella loro testa. Chi sono io oggi per giudicare oggi quel che decisero di fare allora? Se cioè fossero mossi da puro tornaconto personale o dal desiderio di impedire altre violenze. Considera poi che non era nelle loro possibilità non usufruire dei benefici della legge sui pentiti.

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Se uno pensa che la violenza sia comunque qualcosa di turpe non è illogico fermarla con la delazione. Dicevi della violenza compiuta colletivamente… Volevo dire che quando progetti un’azione il gruppo si muove come un corpo solo [gli brillano gli occhi al ricordo] e tu come individuo sparisci nell’azione collettiva. Capisco benissimo, è una sensazione che talvolta ho provato in contesti differenti. Poi c’è stata la vita in galera. Un giorno se vuoi ti racconto della Galera. Volentieri… Ecco, in galera, dopo sette anni ho deciso di uscire dalla lotta armata esattamente il giorno dopo aver conosciuto un camorrista. Cioè? Nelle carceri speciali eravamo separati dai detenuti comuni, ma nei primi tempi venivamo messi assieme alla criminalità organizzata e alle BR. Le BR con l’idea di utilizzare la camorra a fini antistatali avevano rapporti con i camorristi. Il giorno stesso che ho conosciuto un camorrista ho pensato che fra lui e un carabiniere sceglievo il carabiniere. Così ho iniziato a pensare di dissociarmi.

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Ma cosa faceva questo tizio? Ad esempio trovava accettabile la vendetta trasversale. Lo Stato, invece, non si è mai vendicato sui familiari. In un’ottica tipicamente familista e mafiosa invece si andavano a colpire i familiari. Perciò fra un camorrista e un carabiniere io scelsi il carabiniere. Tornando alla lotta armata, forse ora ti è chiaro perché noi che eravamo molto giovani e che vivevamo a Brugherio difficilmente potevamo capire la tua scelta. Mi chiedo però, se all’epoca, se avessi saputo che facevo la lotta armata mi avresti denunciato. Mi avresti denunciato? Non so, probabilmente no. Ecco. Ci hanno insegnato che l’amore, l’amicizia, la famiglia stanno sopra tutto. Tutte stronzate. Ma scusa, se sai che un tuo amico stupra i bambini per strada tu non lo denunci? Ma i tuoi genitori come presero la tua scelta? Quando lo seppero mi coprirono e non mi denunciarono mai. Ma una cosa mi ha molto colpito ed è che parecchie persone quando ero ricercato mi ospitarono e c’era pure chi mi teneva delle armi in casa sua… Io andavo in giro a sparare addosso alla gente: è mai possibile che nessuno abbia pensato a fermarmi?

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Io oggi mia figlia la denuncerei… A parte che oggi non c’è nessun movimento e cosa fa un giovane? Entra in Forza Italia? Entra nel PD? … Era presente una cultura politica nella tua famiglia? No. I miei genitori usciti dalla guerra si erano occupati sostanzialmente di costruire il loro e il nostro benessere. Non si parlava di politica. Hai voglia di dirmi qualcosa sulla galera? È difficile parlare della galera. Cosa posso dirti… La prima cosa che si pensa è che la maggiore sofferenza sia causata dalla riduzione dello spazio. Stavate molto stretti? Di solito sono stato in cella con tre persone. Volta a volta eravamo in tre, in due, da solo, oppure in cinque. Ma non è quella la questione. Almeno non lo era per noi che al massimo siamo stati in cinque e non in undici come leggo che accade oggi in certe carceri. Meglio stare in cinque stretti in pochi metri piuttosto che in due, in una cella larghissima ma con un rompicoglioni: uno stronzo ti rende la vita impossibile. In realtà ciò che fa soffrire assai di più della riduzione dello spazio è la diversa dimensione del tempo. Il tuo tempo diviene quello del carcere. Ogni atto ed evento avvengono in tempi molto più lunghi rispetto alla vita reale. Per un colloquio, per andare dal dentista, per andare ad un processo passano mezze giornate e giornate intere. Alle 6 per esempio vengono a battere le sbarre.

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Cosa? Sì. Per tre volte al giorno passano a battere le sbarre per vedere che non siano state tagliate. Se uno le ha tagliate suonano diversamente. E in otto ore non hai tempo di tagliarle senza che ti scoprano al giro successivo. Dicevo che alle 6 ti svegliano battendo le sbarre. Se si è in tre in cella ora che ti alzi, ti vesti, vai in bagno facendo il turno arrivano rapidamente le 9. Sono passate tre ore per una faccenda che nella vita reale richiede mezz’ora. Ti devi dunque adattare e piegare ad un tempo che non è più tuo ma è il tempo dell’istituzione, il tempo del carcere. E come vengono messi nelle celle i detenuti, a caso? È il solito caos italico… No. I carcerati vengono messi in modo che succedano meno casini possibili. Il carcere è organizzato perché non succeda nulla. Perché la gente sconti tranquilla la sua pena, perché non evada, perché rientri dai permessi. La storia dei carcerieri aguzzini è fantasia dei film. Se talvolta c’è qualche guardia carceraria rompicoglioni o crudele viene isolata dai suoi stessi colleghi perché crea problemi: tutto deve restare il più tranquillo possibile. Allora da cosa dipende la durezza di un carcere e tu in quali sei stato? La mia storia carceraria corrisponde quasi perfettamente alla mia storia processuale. Sono stato spostato in funzione dei processi e ho girato molte carceri. Da

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San Vittore a Cuneo, da Rebibbia a Nuoro il carcere più duro di tutti. Ma allora c’era anche una logica legata alla pena? Più duro all’inizio e più aperto alla fine? Non proprio così. Sono passato da San Vittore, un carcere normale ad uno speciale come Cuneo fino a Nuoro, che è stato il più duro di tutti. Comunque, in linea di massima sono stato prima in carceri più chiuse e poi più aperte. Ci sono carceri dove stavi in isolamento per ventitré ore, da solo, e avevi due ore d’aria in un cortile di 10 metri quadri coperti da una grata con altri tre detenuti e carceri dove le porte delle celle erano sempre aperte tranne che di notte e c’erano palestre, campi da pallone e da tennis, laboratori. Spiegami meglio. Praticamente tu sei in un raggio che è un lungo corridoio con tante celle e quello è il tuo mondo. Possono esserci nel raggio dieci celle da una parte e dieci dall’altra. Queste possono essere chiuse completamente con grata e porta blindata, può esserci solo la grata chiusa e allora tu vedi quello di fronte e ti fai dei carrellini di corda e ti passi la roba oppure le grate sono aperte, le celle sono aperte. Però contrariamente a quel che si può pensare tu puoi passare degli anni senza entrare nelle altre celle, anche se sono aperte. Sono spazi molto ben definiti e in alcune celle non solo non ci entri mai ma non guardi nemmeno cosa c’è dentro. Entri al massimo in due o tre altre celle di gente che conosci oltre alla tua.

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Perché Nuoro era il più duro? Perché i sardi sono stranieri. Ti senti in un paese straniero. Parlano poco. Trattano gli uomini come le pecore. Parlano fra di loro una lingua che non capisci. Cucinavano bene e trattavano con cura il loro gregge, ma era come stare su Marte. Poi era lontano e complicato da raggiungere per le visite. Inoltre le guardie erano tutte sarde. Cosa manca di più oltre alla dimensione del tempo? La figa e l’identità sono le due cose che perdi entrando in carcere. Tieni presente che noi eravamo dei privilegiati rispetto alle guardie, perché più istruiti e anche rispetto ai comuni perché in qualche modo più consapevoli della nostra scelta. Quando fai la lotta armata metti in conto due cose. Che puoi essere ammazzato e che puoi finire in galera. Con la galera però non sai, non hai coscienza che perderai anche il sesso e la tua identità: non potrai più dormire con una donna e non saprai più esattamente chi sei. Leggendo le lettere dell’epistolario che mi hai regalato ho avvertito anche una certa disperazione per una sorta di fine-pena-mai: una grande incertezza sui tempi della scarcerazione. La disperazione passa presto. All’inizio con ventisette anni da scontare ti sembra di impazzire. Poi ti guardi intorno e capisci che il sistema italiano consente di uscire. D’altronde se levi la speranza rischi di creare dei mostri che alla prima occasione fanno

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una strage. Invece tutti hanno la loro meta, la loro speranza di uscire. Incontri uno che aveva da scontare quattordici anni e ne ha già scontati otto e capisci che è possibile. Cominci a contare gli anni uno ad uno e ti sembra possibile. Poi c’è anche chi si uccide a tre mesi dalla scarcerazione o chi passa talmente tanti anni in carcere che non sa più cosa fare fuori, ma la maggioranza spera. Dopo un anno, due, vivendo in carcere capisci che la pena finirà. Dicevi del sesso… Le donne sono la cosa che manca di più. Sai che una volta ho scopato in carcere? Una volta in sette anni. Una fortuna pazzesca… È così difficile? È quasi impossibile. Capita una volta ogni sette anni a uno su migliaia di detenuti. Come vincere a una lotteria. E come è successo? È stato un attimo. Eravamo ad un colloquio e siamo rimasti soli. C’era un punto cieco nella sala e ne abbiamo approfittato. Pochi secondi. Poi si sono accorti che non vedevano nessuno e che eravamo dentro ancora in due e ci hanno beccati. Volevano processarmi per questo. Io avevo una voglia matta di essere processato per questo fatto, ma era appena successa la storia della “banda” e hanno pensato bene di lasciar perdere.

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Già. La “banda”. Sei stato famoso per quella trovata, i tuoi compagni ne parlano ancora oggi… mi puoi spiegare meglio? Dovrebbe esserci un resoconto piuttosto dettagliato che uscì sul Corriere della Sera. Comunque tu sai qual era la faccenda? Sì. Tu fai una dichiarazione paragonando la Banda armata a una Banda musicale o meglio dicendo che non avevi messo insieme una Banda armata ma una Banda musicale. Già. In sostanza su questa cazzata poi ho affabulato e costruito tutto un discorso ironico che però fu capito perfettamente lì dentro solo dal procuratore D’Ambrosio. Nemmeno io compresi esattamente quello che stavo dicendo. Ha a che fare con la dissociazione? È tutto un po’ più complesso. Dicevamo prima della mancanza delle donne… Già… Un giorno viene a trovarmi in carcere la mia ex moglie e mi dice: «se uscito dal carcere la fai finita con la lotta armata io ti aspetto». Avevo sempre pensato che una cosa del genere fosse una frase da film, invece dopo essere stato in carcere per un po’ avevo capito che era vera. Che era una cosa possibile, che c’erano delle donne che aspettavano. Io però in quel momento non ero pronto. Volevo stare di nuovo con

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lei, ma in quel momento non potevo prometterle di farla finita con la lotta armata. Pochi mesi dopo intervengo al processo con il discorso della Banda musicale e capisco che posso fare la promessa che Paola mi chiedeva. Ma sai come sono le donne… quando gli gira diversamente non c’è verso e così mi dice che è troppo tardi e che lei ha cambiato idea. Ma allora quel discorso della Banda? In sostanza fu da parte mia una scelta, quella di fare dell’ironia. Fare dell’umorismo su dei morti non era certo elegante, ma continuare a fare dei morti mi sembrava peggio. Volevo dire che la lotta armata per me era finita e non trovai al momento niente di meglio che scherzarci sopra. I tuoi compagni la intesero come una ironia nei confronti del giudice che non capiva e ne furono entusiasti. Già, ma l’ironia era soprattutto verso di noi. Non me la sentivo di dire “abbiamo sbagliato tutto e la lotta armata è finita” così mi venne quel modo per dirlo. Ma allora la tua dissociazione… La dissociazione in Italia è avvenuta in due modi: il rifiuto della violenza e il superamento politico della lotta armata. Il primo ha a che fare con molte conversioni di compagni in carcere che riscoprivano la religione e ricominciavano ad andare a messa. Sostenevo allora e sostengo anche adesso che violenza e terrorismo non sono dei mali in sé ma vanno giudica-

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ti in base all’uso che se ne fa. L’uso della violenza che avevamo fatto era sbagliato e il terrorismo ne era stata una conseguenza accidentale e non voluta. Io non ho mai provato piacere nell’esercitare la violenza, lo ritenevo un dovere. Non sono contento della violenza che ho fatto a certe persone, a volte ci penso… Ma intendo dirti: la guerra di secessione americana è stata un male? Per me è stata un bene. Il più grande atto di terrorismo della storia fatto dagli americani, la bomba atomica, per me è un bene. Se buttavano l’atomica sulla Germania di Hitler era un male? La violenza fa parte della storia umana e come tale è presente nella cultura ebraica. A me questo pacifismo cattolico sapeva e sa di mistificazione. Non potevo basare la mia dissociazione sul rifiuto di una violenza che ci circondava, la nostra violenza, quella dello Stato. Tutti eravamo violenti e non capivo come si potesse non esserlo se non fingendo. E il terrorismo? Terroristi fu un’etichetta appiccicata, ma noi ci definivamo “combattenti”. Il terrorismo era una conseguenza non voluta delle nostre azioni. Volevamo colpire degli obiettivi precisi, non degli innocenti. E il secondo modo di dissociarsi, il superamento politico della lotta armata? Quel che ci caratterizzava e che caratterizza anche oggi la sinistra italiana era il fatto di ritenerci detentori dell’etica. Proprietari, detentori esclusivi del Bene. Alcuni di noi ancora legati a questa logica infatti sono passati direttamente dall’omicidio al volontariato:

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convinti di fare del bene allora ammazzando e convinti di fare del bene oggi aiutando gli altri. Una divisione netta fra bene e male dove i ricchi e le banche sono cattivi e i poveri e gli operai sono comunque buoni. La mia dissociazione è passata anche attraverso la rivalutazione di alcuni aspetti “morali” del capitalismo e del pensiero liberale. Ma i tuoi compagni di allora? Alcuni sono dei nostalgici di quel periodo, altri sono rimasti comunisti, ma nessuno che io sappia è diventato per esempio liberale… Sono rimasti lì, convinti che a sinistra ci sono i buoni e a destra i cattivi, che l’evasione fiscale a sinistra è giustificabile e a destra è cattiva. C’era la *** una mia compagna nella lotta armata che era convinta che noi sparavamo ai poliziotti perché erano cattivi e io già allora le spiegavo che non erano cattivi, che erano come noi… Nelle lettere di *** mi pare che anche lui cerchi una strada diversa per la dissociazione ma soprattutto per far capire che la lotta armata era finita. Sì, ma io fui molto isolato dagli altri per queste mie posizioni. Gli ultimi due anni di carcere furono brutti e pesanti da questo punto di vista. Poi a questo isolamento politico si aggiunse altro. L’antisionismo c’era sempre stato ma a questo si aggiunse l’antisemitismo. L’origine di questo antisemitismo è curiosa. Di solito gli ebrei vengono accusati di essere ricchi.

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La ricchezza di cui ero accusato era quella della identità. “Noi siamo qui a sbatterci a cercare una nuova identità e tu hai già bella e pronta quella dell’ebraismo. Gli ebrei sono i soliti fortunati”. Si finisce sempre lì, salta sempre fuori: è una presenza costante nella cultura cattolica e nella cultura marxista del nostro paese. Basato poi su stereotipi assolutamente ridicoli come la presunta unità degli ebrei. Hai presente il ghetto di Venezia? Ci abito accanto. Hai visto quante sinagoghe ci sono? Una piazzetta da nulla e cinque sinagoghe. E nessuno che entra nella sinagoga dell’altro. Litigano da secoli [ride]. Riguardo all’antisemitismo poi devo dirti che penso fosse molto legato alla perdita di identità. L’identità era ciò che mancava di più in carcere e dunque la mia identità ebraica era oggetto di invidia: in realtà soffrivo come gli altri anche se l’identità ebraica non l’avevo mai perduta. Ma alla fine cosa pensi sia rimasto di positivo della lotta armata, di quel periodo? Forse mi illudo, ma credo che la classe politica si sia presa uno spavento tale che ora sarebbe più attenta ad ascoltare i giovani e che non rifarebbe come allora.

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Indice dei nomi

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A Abatangelo Nicola 95, 100, 485 Abatangelo Pasquale 21, 28, 100, 130 Accascima Giorgio 264 Acella Vincenzo 243 Adamoli Roberto 286, 292, 297 Aglietta Adelaide 178 Agnelli (gli) 73, 232 Agnelli Umberto 234 Agostino Salvatore 44 Aiosa Francesco 413, 421, 440 Alasia Walter 124, 136, 143, 160, 169, 186, 191, 271, 286, 287, 292, 303, 304, 306, 315, 332, 335, 345, 381, 413, 471 Albanese Alfredo 280 Albanese Giuseppe 101 Al Bano & Romina Power 353 Albertino Adriano 257 Albesano Franco 274 Aldi Gino 325 Alemi Carlo 412, 473 Alessandrini Emilio 167, 240, 274, 278

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Alfonso Donatella 47, 481 Algranati Rita 203, 215, 216, 220, 225, 364, 435 Alibrandi Alessandro 197, 222 Alice (Carla Bissi) 301 Allegretti Luigi 274 Allen Woody 195 Aloisio Elio 66 Alunni Corrado 22, 59, 77, 124, 168, 178, 189, 190, 199, 219, 222, 223, 241, 260, 398, 415 Amadei Fausto 379 Amato Francesco 264 Amato Pino 164, 281 Ambrosiani Riccardo 327 Ambrosio Giuseppe 154 Amerio Ettore 93 Amico Flavio 219, 229 Amoroso Gaetano 152 Amura Salvatore 305 Anastasi Vincenzo 129 Anceschi Luciano 185 Andreoletti Piercarlo 255 Andreotti Giulio 139, 202, 206, 210, 215 Angeloni Maria Elena 55, 60 Angoscini Fiorenzo 101 Annarumma Antonio 40 Annunziata Lucia 173, 175, 478 Anselmi Franco 222 Antinori Cinzia 387 Antonini Vittorio 417, 435, 442 Anzalone Roberto 152 Aramburu Pietro 20 Arancio Silvia 367

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Arboletti Domenico 174 Arcangeli Elisabetta 327, 330, 337 Arcidiacono Elvira 350, 378 Arciuolo Ines 266 Ardant Fanny 58 Ardizzone Giovanni 441 Argada Adelchi Sergio 122 Argan Carlo Giulio 66 Argano Rita 347 Arienti Carlo 182 Armeni Gianremo 213, 216, 436 Armenise Ugo 283 Arnaldi Edoardo 87, 277 Arreni Renato 28, 349 Asor Rosa Alberto 414 Assalti Frontali (Gli) 89 Assata Shakur 443 Astarita Mario 202 Attenborough Richard 343 Attimonelli Emanuele 130, 222 Attolico Fernando 264 Atzei Benito 333 Atzeni Dario 200 Atzori Benito 151 Avildsen John 171 Avilio Pasquale 325 Azzaroni Alfredo 260, 265 Azzaroni Barbara 158, 242, 260 Azzaroni Paolo 47, 260 Azzolini Lauro 43, 152, 155, 160, 162, 168, 219, 231, 234, 259, 415 Azzollini Maurizio 179, 429

489

B Baader Andreas 88, 181, 235 Baccioli Attilio 433 Bachelet Vittorio 227, 272 Bachschmidt Carlo A. 443 Baglioni Enrico 156, 157, 177 Baietta Gianmario 438 Baistrocchi Livio 259, 276, 338 Baldasseroni Maurizio 220 Baldelli Pio 101 Balducchi Ernesto 169, 357 Balestrini Nanni 29, 37, 173, 244, 442, 471, 475, 477 Balice Fortunato 199 Balladur Édouard 444 Balzerani Barbara 22, 124, 139, 203, 215, 216, 289, 297, 315, 319, 330, 331, 348, 349, 364, 365, 373, 386, 399, 404, 474, 476, 479, 480 Bandera Carmela 141 Bandiera Antonio 333 Banelli Cinzia 424, 425 Baragiola Ornella 225 Baraldini Silvia 417 Barbaro Guido 153 Barbati Liana 433 Barbetta Maria Cecilia 248 Barbieri Massimiliano 445 Barbone Donato 189, 282 Barbone Marco 124, 178, 188, 189, 190, 199, 221, 281, 282, 283, 291, 296, 400 Bari Nicola di 63, 79 Barillà Teresilla 163 Barisone Enrico 267

490

Bartolini Laura 357 Basili Marcello 429 Basone Angelo 160, 166 Bassi Piero 120, 124, 153, 165 Basso Pietro 305 Battaglia Giuseppe 39, 47 Battaglin Vittorio 256 Battisaldo Massimo 251 Battisti Cesare 130, 189, 247, 249, 250, 262, 341, 402, 406, 440, 474, 480, 481 Battistini Matteo 30 Baudino Giuseppe 101 Baumgartner Giorgio 255, 266, 267 Bazzega Giorgio 292, 480 Bazzega Sergio 160, 292 Beatles (The) 33 Beccarla Antonella 141, 479 Beckett Samuel 295 Bellachioma Guido 174 Belleré Francesca 223, 251, 303, 318 Bellini Andrea 191 Bellini Paolo 132 Bellocchio Marco 228, 230 Belloli Maria Rosa 199 Bellomonte Bruno 427, 428 Bellosi Francesco 43, 134, 299, 338, 402 Bellosi Massimo 47, 335 Belsito Pasquale 222 Benazzi Ugo 283, 339 Bencini Daniele 387, 409 Beneduci Sergio 47 Benfenati Giorgio 330 Beniamino Anna 439

491

Benton Robert 269 Benvenuto Giorgio 337 Berardi (Bifo) Franco 176, 185 Berardi Francesco 191, 219, 255, 272, 276 Berardi Rosario 201 Berardi Susanna 325, 386, 435, 439, 440 Berardini Tino 202 Bergamin Luigi 248 Berio Duccio 54, 57 Berlinguer Enrico 98, 138, 154, 202, 209, 285, 404 Berna Maria Antonietta 246 Bernardi Alberto 311 Bernardini Rita 330 Bertagna Dario 289 Bertagna Guido 163, 437 Bertella Paolo 263 Berti Aldo 413 Bertolazzi Piero 107, 123, 124, 319, 377 Bertoli Gianfranco 94 Bertolucci Bernardo 383 Bestonso Ippolito 218 Besuschio Paola 59, 144, 188 Betassa Lorenzo 186, 268, 275, 291 Betti Pasqua Aurora 136, 229, 286, 292, 297 Biagi Enzo 229, 276 Biagi Marco 423, 440, 476, 477 Biancamano Loredana 130, 325, 367 Bianchi Annamaria 166 Bianchi Sergio 179, 478, 480, 481 Bianchini Guido 244, 438 Biancone Maria Grazia 339 Bianconi Giovanni 268, 429 Bianconi Loredana 156, 161

492

Bignami Maurice 156, 199, 242, 253, 260, 274, 298, 379, 477 Bignami Torquato 298 Bigonzetti Franco 197 Biliato Alberta 330 Bindi Rosi 272 Bini Carla 403 Biondi Rosaria 224, 240 Biscaro Maurizio 335 Bisogniero Riccardo 356 Bitti Giovanni Maria 321 Bitti Sisinnio 248, 263, 336 Blanco Carrero 94 Blefari Diana 424, 427 Boato Marco 31, 142, 207, 313 Bobbio Norberto 87, 102 Bocca Giorgio 157, 162, 297, 425, 471, 472, 473 Boccaccini Simone 424, 435 Boccarossa Liliana 292 Boccola Antonio 340 Boffa Enrico 139 Bolognese Vittorio 297, 319, 330, 386 Bombaci Salvatore 243 Bompressi Ovidio 84 Bonamici Claudio 251 Bonato Daniele 130, 186, 223, 289, 335 Bonazzi Edgardo 86 Bondi Sandro 57 Boni Bruno 432 Bonisoli Franco 43, 117, 123, 139, 152, 162, 203, 215, 219, 231, 234, 259, 347, 404, 437 Bonora Stefano 122 Bonvicini Albertino 193

493

Boraso Giuliano 158, 477 Borelli Giulia 157, 286, 304, 325, 326, 415 Borello Giuseppe 152 Borghese Julio Valerio 27, 49, 60, 72, 107 Borgna Riccardo 166 Bornazzini Domenico 220 Borromeo Mauro 244 Bortolato Davide 426, 435 Bortoli Lorenzo 246 Bortone Nicola 394, 422 Boschi Rodolfo 132 Bosio Luciano 102 Bossio Saverio 140 Boucault Mosco Levi 87 Bowie David 343 Bozzi Luciana in Ferrero 139 Bozzo Carlo 276 Braghetti Anna Laura 164, 215, 216, 227, 273, 281, 475 Brasili Roberto 132 Brass Tinto 66 Brecht Bertolt 76, 233 Bressan Guido 198 Briano Renato 286 Brioschi Maria Carla 166 Broccatelli Paolo 424 Brogi Carlo 219, 220, 236 Bronzino Marino 154, 165 Brooks James L. 353 Brunetto Sebastiano 47 Bruno Piero 140 Bruno Vittorio 179 Brusa Fabio 223, 251, 303 Buffa Pier Vittorio 328

494

Buonavita Alfredo 120, 121, 144, 153, 401 Buonoconto Alberto 99, 217, 287, 329 Buratto Natale 31 Burrai Luciano 321 Buscemi Giuseppe 44 Bussu Salvatore 348 Buzzati Massimo 325 Buzzati Roberto 325 Buzzi Ermanno 141 Buzzi Salvatore 436 C Cacciafesta Remo 180 Cacciatore Antonino 332 Cacioni Giampiero 219 Caggegi Matteo 158, 242, 260 Cagnani Walter 152 Cagol Margherita 8, 48, 54, 58, 59, 60, 83, 85, 107, 125, 129, 130, 138, 141, 142, 151 Caizzi Giovanni 73 Calabresi Luigi 30, 41, 73, 84, 94, 452, 478 Caldaretta Paolo 44 Caldi Alberto 166 Calì Angelo 239 Calia Caterina 339 Calia Mario 321, 322 Calia Maurizio 427 Calmieri Zazà 379 Calogero Pietro 221, 243, 244, 260, 262, 271, 371, 480 Calvino Italo 187, 188 Calvitti Enzo 186

495

Calvosa Fedele 200, 219, 221 Calzone Lorenzo 386 Camaioni Rinaldo 182 Cambria Adele 348 Caminiti Lanfranco 201 Campagna Andrea 247, 249 Campanile Alceste 132 Campi Aurelio 31 Campitelli Luigi 201 Campus Roberto 322 Cancello Mario 305 Cannizzaro Piero 439 Canu Gianni 322 Capanna Mario 29, 134 Capoccetti Boccia Marco 32, 291, 441, 481 Capone Roberto 223 Caponi Mario 387 Caporale Vincenzo 93 Capozzoli Mirko 193, 480 Cappai Achille 266 Cappannini Pietro 388 Cappelli Giovanni 87, 188 Cappelli Roberta 332 Cappellini Stefano 173, 478 Cappello Maria 394, 409, 410, 435, 439 Capri Peppino di 149 Capuano Marcello 332, 348, 350 Caputo Enzo 130 Caralli Giorgio 277 Carbone Claudio 95, 99 Carbone Luigi 305 Carcano Roberto 199, 223, 251 Cardullo Luigi 255

496

Carelli Attilio 81 Carfora Massimo 131, 325 Carletti Cesarina 144, 166, 224 Carluccio Luigi 316 Carmagnoli Mauro 239 Carminati Massimo 222, 436 Carnelutti Adriano 166, 248 Carpi Lorenzo 239, 276 Carpentieri Salvatore 378 Carra Marco 436 Caruso Carmelo 365 Casabona Vincenzo 139 Casagrande Remo 81 Casalegno Carlo 183 Casaletti Attilio 125, 140 Casamassima Pino 123, 268, 295, 405, 477, 479, 480, 481 Casazza Andrea 21, 276 Caselli Gian Carlo 123, 178, 294, 308, 310, 311, 428, 434, 480 Casillo Rita 421, 422 Casillo Sabrina 421 Casimirri Alessio 203, 364 Casimirri Vladimiro 215, 220, 225 Cassetta Paolo 377, 443 Castaldo Michele 306 Castellano Carlo 183 Castellano Lucio 244, 472 Castellina Luciana 29 Castrezzati Franco 118 Castro Fidel 35 Casu Antonino 272 Catabiani Umberto 319, 332

497

Cattaneo Carlo 276 Cattaneo Giacomo “Lupo” 87, 166, 179 Cavallero Pietro 88, 89, 108 Cavallina Arrigo 247, 330 Cavallini Gilberto 222 Cavallini Massimo 48, 152, 471 Cavazzeni Francesco 244 Cavedon Remigio 163 Cazzotti Antonio 218 Cazzullo Aldo 85, 184 Ceccanti Soriano 44 Ceccantini Federico 330 Celentano Adriano e Claudia Mori 51 Ceretti Adolfo 163, 437 Ceretto Mario 260 Ceriani Segrebondi Giorgio 221 Ceriani Segrebondi Paolo 130, 197, 222 Ceriani Segrebondi Stefano 221 Ceroli Mario 66 Cerruti Giovanni 263 Ceruso Fabrizio 18, 118, 142, 365 Cesare Davide Dax 424 Cesaroni Fernando 330, 379 Cestari Antonio 271 Cherubini Tiziana 387, 440 Chiara Adriana 21 Chiari Renata, 175 Chichiarelli Antonio 355 Chiocchi Antonio 297, 319, 334 Chiocci Gian Marco 432 Chionna Antonio 283 Chirac Jacques 444 Ciampi Azeglio 347

498

Ciampoli Luigi 436 Ciappetta Alberto 387 Ciavardini Luigi 222 Ciavatta Francesco 197 Cimatti Duccio 291, 340, 477 Cimino Michael 237 Cinieri Salvatore 192, 254, 339 Cinotti Raffaele 186, 305 Ciocia Nicola 327, 329, 336 Ciotta Giuseppe 176 Cipriani Gianni 475, 476 Cipriani Luigi 31 Cirillo Ciro 305, 309, 314, 393, 394, 412, 414, 473 Ciruzzi Aristo 43 Citro Cesare 36 Ciucci Giovanni 327, 330, 350 Civitate Carmine 242 Clash (The) 237 Clavo Marino 94, 135 Clementi Marco 21, 213, 229, 321, 444, 475, 478 Clerici Clara 413 Cobain Kurt 407 Coccia Massimiliano 143, 478 Coccone Carmelino 321 Coccone Pietro 435 Cocconi Gianni 297 Cocker Joe 369 Coco Francesco 117, 154, 165 Coco Massimo 481 Cocozzello Antonio 182 Coda Giorgio 183, 193 Cofferati Sergio 186, 443 Coggiola Pietro 218, 431

499

Coi Andrea 121, 240, 265, 321, 346, 472 Colantuono Pietro 140 Colletti Lucio 66 Colombo Adriano 151 Colombo Luca 9, 190, 199, 223, 251, 449 Colotti Geraldina 5, 28, 29, 355, 358, 377, 443, 477 Comizzoli Adriano 175 Conforto Giuliana 163, 251 Conisti Otello 432 Conte Antonio 407 Contena Antonio 321, 322 Conti Fiorentino 9, 95, 99, 101, 285, 371, 379, 387, 394, 409, 410 Conti Lando 389 Conti Teresa 285 Contorno Totuccio 312 Coppola Francis Ford 91 Corbara Alessandro 66 Cornacchia Antonio 284 Cornaglia Paolo 367, 378 Coronas Rinaldo 356 Corradetti Claudio 433 Corsi Mario 197, 222 Corte Miriam 285 Cortellessa Ippolito 285 Cortesi Paolo 356 Cortiana Giustino 330 Corvisieri Silverio 31 Cospito 431 Cossi Paolo 266, 477 Cossiga Francesco 8, 163, 176, 177, 184, 212, 218, 256, 277, 278, 279, 280, 321, 329, 410 Costa Agrippino 101, 439

500

Costa Alessandro 424 Costa Maurizio 157 Costa Pietro 143, 163, 174 Cotugno Lorenzo 202 Cotugno Toto 269 Covolo Dario 283 Craxi Bettino 207, 210, 211, 225, 313, 356, 365, 406 Cremaschi Giorgio 298 Crescenzio Roberto 182, 191, 193 Crippa Giuseppe 190 Cristiani Gialuigi 276 Croce Fulvio 152, 165, 177 CSN&Y Crosby, Stills, Nash & Young 51 Cross James 20 Cruciani Giuseppe 262, 480 Cucco Ivana 169 Cuocolo Fausto 251 Curcio Renato 7, 8, 22, 29, 32, 35, 48, 54, 57, 58, 59, 76, 83, 85, 102, 119, 125, 129, 130, 135, 136, 142, 144, 145, 151, 153, 165, 177, 179, 215, 265, 288, 319, 328, 346, 377, 386, 387, 404, 410, 412, 473, 479 Cure (The) 301 Cusano Francesco 155 Custra Antonia 190 Custra Antonio 179, 190, 430 Cutolo Raffaele 393, 394, 412 Cuzzoli Pietro 285 D Da Empoli Antonio 371 D’Afonso Giovanni 138

501

Dagnino Giancarlo 250 D’Alema Massimo 416 D’Alfonso Donatella 261 Dalla Chiesa Carlo Alberto 7, 107, 108, 118, 120, 179, 212, 218, 223, 231, 251, 256, 271, 281, 291, 308, 309, 310, 311, 312, 313, 349 Dallari Fanny 122 D’Alleo Sebastiano 334 Dall’Omo Marcello Tammaro 394 Dalmaviva Mario 244, 437, 438 D’Ambrosio Gerardo 49 D’Amico Tano 174, 178 D’Amore Nicola 431 D’Antona Massimo 413, 416, 417, 418, 419, 421, 422, 423, 424, 436, 440 Deaglio Enrico 31, 193 De Andrè Fabrizio 320 De Blasio Vincenzo 197 Debray Regis 35 De Buono Emilio 277 De Carli Gioia 338 De Carolis Gian Carlo 356 De Carolis Massimo 137, 438 De Fabritiis Giulio 256 De Fazio Michelangelo 122 De Francesco Emanuele 356 De Francisci Gaspare 327 De Gasperi Alcide 203 Degli Innocenti Umberto 202 Deiana Antonio 154 Deiana Melchiorre 321 Delbono Pippo 434

502

Del Giudice Piero 46, 159, 168 D’Elia Sergio 157, 168, 378, 381 Della Longa Angelo 413 Dell’Anno Paolino 143 Dellera Pietro 273 Delli Veneri Domenico 95 Delogu Giuseppina 325, 387 De Lorenzis Tommaso 124, 173, 265, 481 De Lorenzo Giovanni 71 Del Piccolo Gastone 53 Del Re Alisa 244 Del Santo Angelo 246 De Luca Erri 15, 366, 399, 434, 442, 473 De Luca Paola 222 De Marco Mario 333 De Marco Valerio 168 De Maria Nicola 289, 297, 331, 402, 435, 440 De Maria Renato 158, 186 Demartini Roberto 202 De Mauro Tullio 66 De Muro Antonio 47 Deorsola Mario 220 De Ponti Valerio 153, 166 Deroma Giuliano 322 De Rosa Carmine 197, 221 De Rosa Gabriele 198 De Rosa Piero 277 De Silvestri Giancarlo 179 De Simone Enrico 416 Despali Luigi 140 De Stefano Manfredi 282, 296 De Vita Antonio 314, 319, 339, 347 Diana Calogero 131, 155

503

Di Bella Franco 263 Di Biase Giovanni 330 Di Cataldo Francesco 202 Di Cecco Carmela 257, 311 Di Cecco Giuseppe 131, 257 Di Gennaro Giuseppe 96, 102 Di Giacomo Lucio 158, 325, 326 Di Giesi Michele 166 Di Giovanni Eduardo 87 Di Gregorio Luciano 327 Dilda Biscaro Vittoria 340 Di Lenardo Cesare 125, 297, 327, 328, 330, 401, 421, 435, 439, 440 Dimitri Beppe 222 Di Napoli Attilio 192 Dionisi Fausto 200, 214, 381 Diotti Bruno 175 Di Petrillo Domenico 212, 388 Di Pilla Massimo 194 Di Rocco Carmela 244 Di Rocco Ennio 244, 313, 326, 330, 332, 339 Di Rosa Luigi 153 Di Vittorio Mauro 298 Dolci Daniela 379 Domini Donatino 43 Donat Cattin Carlo 159, 278, 279, 280 Donat Cattin Marco 157, 159, 167, 178, 240, 253, 277, 278, 279, 280, 387, 445 Donati Enrico 219 Donati Fabrizio 435 Donati Francesco 402 Donato Gabriele 21 Dongiovanni Franco 85

504

Dorigo Paolo 381, 413 Dozier James Lee 327 Dubini Fulvia 221 Dura Riccardo 164, 239, 253, 259, 275, 285, 338, 440 Duran Duran 383 D’Ursi Francesco 286, 365 D’Urso Giovanni 235, 287, 303, 313, 328 Dylan Bob 149 E Eagles (The) 171 Eco Umberto 66 Edel Uli 88 Ehrenfried von Holleben 20 Elbrick Charles 20 Eligon-Roz Thelma 190 Emiliani Vittorio 279 Ensslin Gudrun 88, 181 Ercher Dietrich 168 Ertl Monika 42 Esposito Antonio 218 Etro Raimondo 364 Etter Roger 226 F Fabrizi Barbara 435, 439 Faccio Adele 186 Faccio Dario 131, 186 Fachini Massimiliano 38 Fadda Silvano 304 Fagetti Sergio 286 Fagiano Marco 367

505

Fagioli Umberto 140 Faina Giancarlo 183, 191, 254, 414 Fallico Luigi 77, 426 Fanelli Enea 43 Fanfani Amintore 73, 139, 215 Fanon Frantz 95 Faranda Adriana 45, 117, 152, 163, 207, 212, 215, 216, 220, 226, 227, 251, 309, 357, 401, 403, 437, 473, 477 Farias Fernanda De Albuquerque 320 Farina Giovanni 252 Farina Giuliano 243 Farina Luciano 325, 329, 386 Farioli Lauro 27, 166 Fasanella Giovanni 57, 59, 124, 137, 214, 475, 476, 477, 479 Fassino Piero 431 Fatone Michele 247, 250, 263, 336 Fatone Sante 247 Fava Diego 248 Favale Mauro 173, 228, 265, 340, 481 Fazzo Luca 189 Felice Guido 289 Feltrinelli Giangiacomo 32, 35, 39, 42, 82, 89, 120, 121, 135, 161, 163 Fenzi Enrico 46, 120, 191, 228, 235, 251, 254, 297, 298, 304, 308, 333, 338, 339, 387, 401, 472, 474 Ferrandi Mario 124, 179, 189, 190, 263 Ferrara Giuliano 160, 193, 241 Ferrara Giuseppe 214 Ferrari Bravo Luciano 243 Ferrari Fernanda 380, 381 Ferrari Giorgio 271

506

Ferrari Luciano 243 Ferrari Maria 339 Ferrari Maurizio 117, 123, 153, 429, 440 Ferrari Pia 247, 262 Ferrari Piersante 338 Ferrari Stefano 332, 338 Ferrari Vittorio 97 Ferrari Bravo Luciano 438 Ferraro Antonio 85 Ferrero Giacomo 139, 218 Ferrero Nino 192 Ferrigno Alberto 433 Ferronato Patrizia 283 Figini Daniela 167 Figueras Farres Salvador 191, 254 Filippi Ettore 304 Filippi Paola 248 Filippo Giuseppe 288 Fillon Francois 259 Finardi Paolo 31 Finzi Augusto 438 Fiorani Rinaldo 39 Fioravanti Cristiano 222 Fioravanti (Giusva) Valerio 222, 284, 381 Fiore Raffaele 87, 186, 203, 215, 216, 261, 268, 291 Fiori Publio 182 Fiorillo Carmine 253, 265 Fiorina Francesco 347 Fioriolli Oscar 327, 337 Fioroni Carlo 42, 43, 132, 135, 157, 244, 245, 380, 400 Fioroni Giuseppe 436 Fioroni Vincenza 157 Flamigni Sergio 119, 214, 231, 429, 473, 474, 476

507

Filippi Paola 248 Floris Alessandro 67 Fo Dario 85 Fogli Riccardo 323 Folli Luca 152 Fontana Enzo 43, 47, 175 Forastieri Molinari Diego 130, 157, 286, 325 Forcati Claudio 152 Forman Milos 361 Formenti Ivan 338 Fornoni Gianfranco 330 Fortuna Leonardo 174 Fossat Paolo 139, 169 Fosso Antonino 364, 435 Foucault Michel 186 Fracasso Mario 292 Franceschi Raul 262 Franceschi Roberto 93 Franceschini Alberto 7, 42, 55, 57, 58, 59, 60, 81, 83, 85, 102, 107, 119, 123, 124, 125, 135, 142, 153, 154, 162, 165, 214, 215, 265, 288, 298, 309, 346, 347, 363, 385, 395, 401, 405, 473, 476 Franchi Ovidio 27 Francioli Caterina 381 Franco Francesco (Ciccio) 56 Franco Francisco 27 Franzetti Pierangelo 283 Frasca Antonio 306 Frascella Emanuela 350 Fraschini Luigi 152 Frassinelli Gianluca 325 Frassineti Luca 379 Frau Giorgio 433

508

Freda Franco 38, 42 Friedkin William 79 Fuccini Luigi 414, 423 Fuga Gabriele 49, 87 Fulvi Marcello 227 Furci Giuseppe 287 Furlan Angelo 325 Furuya Yatsuka 120 G Gabrielli Franco 439 Gadolla Sergio 47, 55, 109 Gaeta Massimiliano 426 Gai Nicola 431 Galante Garrone Alessandro 187, 188 Galati Michele 327, 330 Galati Paolo 327 Galesi Mario 423, 425 Galfré Monica 21 Galletta Sandro 253, 266 Galli Giorgio 473, 476 Galli Guido 167, 240, 259, 274 Galli Michele 331 Galli Riccardo 338 Gallimberti Ivo 244 Gallinari Prospero 20, 22, 28, 54, 57, 87, 120, 121, 124, 130, 133, 153, 154, 164, 165, 173, 203, 212, 214, 215, 216, 220, 227, 228, 265, 321, 334, 346, 349, 388, 414, 433, 472, 474, 478 Gallo Benito 169 Galloni Franco 387, 394, 435 Galloni Giovanni 220 Gallucci Achille 243

509

Gallucci Domenico 280 Galluccio Mario 43 Galmozzi Enrico 153, 156, 157, 186, 304 Galvaligi Enrico 288, 349 Gancia Vallarino 138 Garavaglia Carlo 435 Gargiulo Antonio 95 Gargiulo Immacolata 339 Garigliano Roberto 276 Garofalo Giorgio 44 Garofano Vincenzo 218 Gatti Ferruccio 31 Gatto Daniele 286, 365 Gavello Ezio 257 Gay Umberto 418 Genesis (The) 79 Gennaccari Federico 32, 479 Genoino Arnaldo Fausto 288 Genova Salvatore 327, 328, 329, 336, 337 Geri Alessandro 419 Ghedini Lino 43, 175 Ghiglieno Carlo 254 Ghio Enrico 251 Ghirardi Bruno 435 Ghiringhelli Marcello 334 Ghirotto Gustavo 198 Giachetti Diego 38 Giacomini Diego 248 Giacumbi Nicola 274 Giai Fabrizio 157, 253, 428 Giancola Nicola 289, 331

510

Gidoni Massimo 253, 348 Gilda 127 Ginetti Stefano 429 Ginzburg Natalia 66 Gioia Claudia 373, 379 Giordana Marco Tullio 185 Giordano Cosimo 394 Giordano Francesco 282, 294, 296, 329 Giorgi Monica 224, 314 Giorgieri Licio 379, 423, 443 Giorgieri Simonetta 394, 422 Giovagnoni Paolo 388 Giralucci Graziano 118, 385 Giralucci Silvia 124, 262 Girotto Silvano 119 Giudici Giorgio 43 Giugni Gino 346, 387 Giuliani Carlo 422 Giuliani Haidi 60, 481 Giuliano Pasquale 325 Giurì Francesco 169 Giustini Antonio 365, 403 Gnommi Aldo 330 Gori Sergio 271 Gorla Massimo 31 Gotor Miguel 229, 231 Graglia Barbara 367, 378 Gramsci Antonio 405 Granata Anna Maria 260 Granato Michele 256 Grandi Aldo 30, 134, 261, 403, 475, 478 Grandi Giampiero 218 Granzotto Antonio 180

511

Grassi Claudio 433 Grassi Gero 436 Grasso Ernesto 97, 379 Grasso Luigi 250, 298, 440 Graziani Alberto 246, 247 Grazio Romano 241 Graziosi Claudio 176, 214 Grecchi Walter 179 Greco Pietro 364 Gregoretti Carlo 66 Grena Maria Grazia 326 Grilli Dario 387 Grilli Franco 394, 435 Grillo Franco 331 Grimaldi Gabriele 189, 248, 250 Grimaldi Laura 262, 328, 329, 472 Griner Massimiliano 21 Grippo Antonella 124, 214, 477 Grouès Henri Antoine, detto Abbé Pierre 214 Grugni Paolo 173, 480 Guagliardo Vincenzo 143, 161, 166, 191, 239, 253, 259, 297, 475 Gualteroni Pier Sandro 242 Guarnaccia Matteo 167 Guatelli Mauro 251 Guattari Félix 186 Guccini Francesco 185, 443 Guevara Ernesto Che 42, 292 Guglielmi Camillo 436 Guglielmi Guglielmo 282 Gui Luigi 158 Guicciardi Luigi 158, 473 Guida Maria Grazia 429, 430

512

Guizzardi Valerio 124, 199 Gurrieri Giuseppe 242 Guzzardo Franco 188 H Hardt Michael 46 Hill Gorge Roy 105 Homo Sapiens (Gli) 171 Hudson Hugh 323 Hunt Ray Leamon 355 Hutter Paolo 265 I Iacolare Corrado 393 Iannelli Carlo 297 Iannelli Maurizio 29, 319, 328, 329, 348, 349 Iannelli Raffaele 377, 379 Iannucci Lorenzo 202 Iaquinta Biagio 286, 339 Ichino Pietro 426, 444 Iermano Aldo 325 Impastato Giuseppe 185 Imposimato Ferdinando 214, 437 Improta Umberto 327 Incandela Angelo 291, 294 Indice Matteo 336 Invernizzi Irene 87 Iosa Antonio 277, 292, 480 Iovene Bernardo 25 Iozzino Raffaele 202 Isa Giuliano 151 Isman Fabio 278

513

J Jackson Michael 375 Jannuzzi Lino 313 Jenaro Silvio 251 Johnson Roahn 49 Jurilli Emanuele 242 K Kitzler Inge 259, 380 Kleiber Carlos 159 Krause Marco 160 Krause Petra 131, 160, 188, 224 L Labate Bruno 93 Labate Wilma 298 Ladu Giovanni 434 Lai Carlo 365 Lama Luciano 175, 184, 206, 209, 290 La Maestra Franco 436 La Malfa Carmelo 67 La Malfa Ugo 67 Lamberti Alfredo 202 Lanari Roberto 377 Lanari Rolando 125 Lanza Armando 330 Lanza Salvatore 218, 220 Lanzafame Santo 316 Lanzoni Daniele Sacco 326 La Paglia Paolo 251 Laporte Pierre 20

514

Larghi Mauro 184 Larizza Bruno 411 Laronga Bruno 153, 156, 285 La Russa Ignazio 81 La Spada Roberto 183, 193, 194 Latino Claudio 426 Lattanzio Daniele 130 Laus Daniele 282, 296 Lavazza Claudio 248 Lazagna Giovanbattista 36, 43, 87, 120, 166 Leali Fausto 391 Legoratto Giovanna 166 Lenci Sergio 473 Lennon John 63 Lenzi Antonio 30, 387 Leon Leopoldo 43 Leonardi Oreste 202 Leone Giovanni 158 Leoni Giuseppe 55 Lerner Gad 31, 307 Levati Enrico 119, 166 Levinson Barry 391 Libardi Massimo 157, 285 Libera Emilia 321, 327, 330, 348, 349, 350 Ligas Natalia 314, 319, 333, 334, 339, 347, 351, 386 Liguori Paolo 31 Lintrami Arialdo 48, 141, 153, 165, 432 Lioce Nadia Desdemona 414, 423, 424, 425, 433, 435, 440 Liparoti Mario 81 Liverani Antonio 438 Lo Bianco Francesco 191, 259, 297, 315, 319, 321, 331, 349, 381, 435

515

Locusta Maurizio 379 Loi Vittorio 94 Lojacono Alvaro 203, 215, 216, 225 Lollo Achille 94 Lombardi Carlo 220 Lombardi Giovanna 87 Lombardini Andrea 122 Lo Muscio Antonio 95, 97, 98, 99, 103, 176 Longo Ciro 378 Longo Renato 304 Lorenz Peter 131 Loriga Enrico 55 Lorusso Francesco 176, 184, 186 Lorusso Giuseppe 260, 239 Lucarelli Carlo 55, 137, 212, 304, 388 Lucarelli Umberto 263, 336, 472, 473 Lucarelli Valerio 97, 100, 103, 477, 480 Ludmann Annamaria 292 Lula da Silva Luiz Inácio 247 Lunardelli José Marcos 440 Lupo Mariano 86 Lupo Rossella 387, 394, 435, 439 M Maccari Germano 164, 215, 216, 226, 227, 331, 399, 413, 415 Macchiarini Idalgo 81, 87 Madonna Enrico 393 Madonna Louise Veronica Ciccone 353 Maduro Nicolas 358 Mafai Miriam 443, 472 Maggi Carlo Maria 437

516

Magnaghi Alberto 326, 437 Magnani Alba Donata 378 Magri Antonio 220 Magri Lucio 29 Magris Claudio 262 Mahler Horst 88 Maietta Francesco 379 Maino Cesare 47, 130 Maj Giuseppe 89, 417 Malacaria Giuseppe 66 Maletti Gianadelio 141 Malfatti Franco Maria 173 Malpica Riccardo 414 Maltini Enrico 49 Malune Pietro 321 Mambro Francesca 161, 222 Mammoli Alberto 84, 175, 192 Mana Bartolomeo 252 Manaudo Beppe 252 Manca Gavino 218 Mancia Angelo 274 Mancini Giacomo 72 Mancini Pietro 120 Mancino Nicola 222 Manconi Luigi 265 Mander Roberto 188 Manfredi Gianfranco 89, 173, 185, 483 Manina Guido 428 Mantakas Mikis 18, 132, 175, 225 Mantini Anna Maria 99, 100, 138, 143 Mantini Luca 95, 99, 100, 122 Mantovani Nadia 125, 161, 166, 219, 231 Mantovani Nazareno 329

517

Manunta Carlo 321 Manzanas Melitón 20 Maradona Diego Armando 407 Marangoni Luigi 303, 335 Marano Mario 282, 296 Maraschi Massimo 141 Marchelli Agostino 43 Marchetti Mario 218, 289 Marelli Silvana 248 Maresca Felice 286 Mariani Maurizio 387 Marini Alessandro 216, 437 Marini Antonio 264 Marini Fausto 440 Marino Annarita 330 Marino Antonio 94 Marino Leonardo 84 Marinoni Franco 43 Maritano Felice 120, 125 Marley Bob 185 Marocco Antonio 124, 130, 141, 199, 200, 223, 289, 334 Marongiu Giovanbattista 434 Marra Francesco 123, 432 Marraccani Luciano 180 Marrone Bruno 284 Marrone Roberto 379 Martinazzoli Mino 356 Martinelli Renzo 214 Martinelli Sergio 286 Martini Carlo Maria 169, 224, 296, 356, 357 Martucci Mario 29

518

Masala Francesco 257, 321 Masala Pietro 321 Masala Sebastiano 247, 250, 263, 268, 321 Mascagni Luigi 158 Masi Giorgiana 178 Masini Vincenzo 251 Massa Maria Giovanna 339 Massara Cecilia 365, 403 Massari Edoardo 416 Massarini Carlo 186 Massitti Fortunato 176 Mastropasqua Filippo 311 Matarazzo Fulvia 394 Matia Bazar 195 Mattei Stefano 94 Mattei Ugo 338 Mattei Virgilio 94 Mattevi Adriano 53 Mattini Fabio 414 Mattioli Giuseppe 257, 311 Maturi Paola 328, 330 Maurizio Stefania 201 Mazzanti Manfredo 286 Mazzei Michele 409, 410, 435 Mazzi (don) Antonio 280 Mazzola Giuseppe 118, 385 Mazzotti Antonio 260 Mazzucato Claudia 163, 437 Mea Antonio 250 Mechelli Girolamo 202 Medde Pierino 322 Meinhof Ulrike 88, 235, 478 Melano Alesandro 154, 165

519

Melchionda Ugo 201 Mellini Mauro 267 Meloni Giovanni 322 Meloni Mario 322 Melorio Fabrizio 377 Memeo Giuseppe 67, 179, 189, 250, 263 Mennella Daniele 379 Mereu Mauro 321 Meroni Federica 130, 325 Mesina Graziano 102 Meucci Aldo 66 Mezzasalma Marco 424, 435 Miagostovich Giovanni 47, 188 Micaletto Rocco 164, 166, 186, 191, 259, 275, 291, 311, 338, 347 Miccichè Tonino 132 Mieli Paolo 31, 66 Miglietta Fulvia 259, 338 Migliorati Enrica 248 Mignone Giorgio 285 Miliucci Vincenzo 271 Mincuzzi Michele 93 Minervini Girolamo 274 Minguzzi Stefano 421, 435 Miniero Osvaldo 271 Mino Bartolomeo 82 Minoli Giovanni 298, 306 Miraglia Mario 272, 289 Mirra Mario 277 Mita Massimiliano 124 Mitolo Andrea 53 Mitrione Dan 20 Mitterand Francois 405, 406, 423, 444

520

Moiana Franco 67 Molinetto Carlo 367 Moller Irmgard 88 Monaco Wilma 86, 371, 373, 443 Montale Eugenio 187 Montanelli Indro 162, 179, 473 Morabito Francesco 387 Morandi Gianni, Umberto Tozzi & Enrico Ruggeri 375 Morandi Roberto 375, 424, 435 Morandini Paolo 189, 282, 296 Moratti Letizia 445 Morbi Federico 424 Morbi Giorgio 424 Morbi Mattia 424 Moretti Giancarlo 243 Moretti Mario 22, 29, 48, 59, 69, 77, 81, 83, 85, 87, 98, 117, 119, 121, 129, 139, 144, 152, 164, 166, 191, 192, 199, 203, 215, 216, 219, 227, 235, 243, 252, 253, 254, 259, 265, 275, 287, 289, 297, 304, 305, 307, 308, 318, 319, 328, 329, 339, 348, 359, 377, 386, 401, 403, 404, 412, 415, 425, 435, 439, 473, 476 Moretti Valerio 125 Morgera Vittorio 166 Morlacchi Antonio 151, 166 Morlacchi Manolo 57, 76, 77, 83, 427, 428, 479 Morlacchi Pietro 69, 77, 85, 87, 129, 188, 432 Moro Agnese 163, 437 Moro Aldo 21, 45, 59, 73, 87, 88, 89, 100, 102, 107, 119, 121, 135, 139, 143, 144, 163, 164, 174, 202, 203, 204, 206, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 215, 218, 219, 226, 227, 228, 230,

521

231, 233, 234, 236, 240, 243, 252, 253, 261, 264, 286, 287, 307, 309, 312, 313, 320, 329, 331, 334, 345, 346, 347, 348, 355, 357, 363, 364, 372, 388, 389, 397, 413, 414, 415, 420, 423, 432, 434, 436, 441, 471, 474, 475, 477, 478, 481 Moro Eleonora 243 Moroni Giorgio 250, 298 Moroni Primo 29, 37, 263, 416, 438, 475 Morucci Valerio 45, 87, 88, 99, 103, 118, 135, 152, 163, 203, 207, 211, 212, 215, 216, 227, 251, 286, 299, 309, 359, 363, 401, 437, 473, 475, 476, 479 Mosca Carla 22, 29, 403, 473 Mucilli Pietro 73 Mughini Giampiero 31 Mujica José (detto Pepe) 32 Mulas Franco 66 Mulinaris Vanni 54, 57, 58, 142 Munari Antonio 177, 261 Muraca Giuseppe 166 Muraro Alberto 38 Murelli Maurizio 94 Musi Franca 325 Mutti Pietro 248, 249, 326, 400 N Nada Malanima 63 Nanni Mara 266 Napolitano Raffaella 241, 260 Naria Giuliano 165 Natali Norberto 421 Negri Anna 46, 479

522

258, 319, 349, 409, 437,

139, 226, 404,

Negri Toni 30, 38, 44, 45, 56, 125, 132, 133, 135, 136, 185, 243, 245, 345, 371, 380, 402, 405, 455 Negroni Ada 331 Neri Tito 192, 314 Nicolai Beppe 84 Nicolotti Flavia 339 Nicolotti Luca 281 Nicotra Giuseppe 244 Nicotri Pino 291 Niedda Antonio 145 Nieri Luciano 255, 267, 330 Nigra Domenica 250 Nirta Antonio 216 Nobili Lucilla 387 Noce Alfonso 97, 160 Notaristefano Dante 177 Notarnicola Sante 86, 88, 89, 101 Novak Jaroslaw 244 Novelli Diego 365 Novelli Luigi 239, 315, 319, 348, 349, 473 O Occorsio Vittorio 73 Ognibene Roberto 57, 121, 124, 125, 153, 161, 166, 286, 339, 347 Oliva Vincenzo 314 Olivieri Vincenzo 222 Ollanu Pietro 250 Onda Rossa Posse (Gli) 89 Orecchia Pietro 256 Orru Antonio 223, 251

523

Osella Pietro 182 Osho Rajneesh 166 Oxa Anna 391 P Pace Lanfranco 45, 207, 264 Padovani Vittorio 160 Padula Sandro 319, 328, 330, 349, 435, 446 Pagani Cesa Francesco 334, 339 Paggio Giulio 31 Paghera Enrico 314 Pagliano Fausto 201 Pagliei Giuseppe 219 Paladino Jolanda 132 Paladino Vincenzo 427 Pallone Claudio 288 Pallotto Marino 284 Palma Riccardo 200 Palmieri Matteo 167 Palmieri Sergio 202 Palumbo Antonio 333 Palumbo Prisco 97 Pancelli Remo 315, 319, 349 Panciarelli Piero 275, 291 Pandico Giovanni 393 Panella Gianni 118 Panessa Vito 73 Panizzari Giorgio 95, 96, 101, 102 Pannone Marco 57, 59, 137, 479 Panzieri Fabrizio 175 Paolella Alfredo 218 Paoletti Paolo 272

524

Paolo Raffaele 166 Papini Massimo 424, 427 Pardini Cesare 39 Parisi Vincenzo 163, 222 Parissinotti Emilio 43 Paroli Tonino 57, 129, 137, 153, 165, 333, 479 Pascolini Angelo 321 Pasini Gatti Enrico 179 Pasolini Pier Paolo 29 Paola Pasquale 325 Pasquinelli Matteo 186 Passalacqua Guido 263, 280, 281 Passamonti Settimio 177 Passeri Marco 227, 480 Pautasso Roberto 158, 267 Pavese Claudio 347 Pecchioli Ugo 385 Peci Patrizio 143, 160, 162, 259, 261, 263, 268, 273, 276, 277, 278, 291, 292, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 313, 319, 347, 400, 472 Peci Roberto 306, 309, 310, 312, 313, 314 Pedenovi Enrico 153 Pedio Antonio 334 Pedrizzetti Paolo 190 Pegliei Giuseppe 223 Pellecchia Nicola 95, 99 Pellegrini Antonio 218 Pellegrini Ermanno 55 Pellegrini Vincenzo 108 Pelli Fabrizio 124, 125, 129, 145, 166, 222 Pelosi Gianni 364, 373 Pereira Quintanilla 42 Perlini Mario 180

525

Perniciaro Valentina (Baruda) 103 Persichetti Paolo 21, 213, 229, 330, 379, 402, 443, 474, 477 Persino Claudio 198 Persoglio Gamalero Giovanni 66 Pertini Sandro 312 Pesce Giovanni 36, 180, 475 Peschiera Flippo 198 Petrella Marina 258, 315, 319, 348, 349, 423 Petrella Stefano 258, 310, 326, 330, 348 Petri Emanuele 423 Petrilli Giulio 289, 435 Petrone Benedetto 183 Petronio Franco 94 Petter Guido 262 Peusch Heidi Ruth 77 Pezzoli Walter 124, 298 Piancone Cristoforo 224 Piano Paolo 47, 477 Picasso Caterina 224, 285 Piccardo Gino 39, 47 Picchiura Carlo 140, 145 Piccinelli Franco 250 Piccinino Raffaele 97 Piccioni Francesco 28, 29, 117, 121, 265, 308, 320, 346, 348, 349, 388, 472 Picco Giovanni 202 Piccolo Raffaele 306 Pichi Maria Vittoria 404, 480 Pieczenik Steve 436 Pierpaoli Stefano 266 Pierre Abate 57 Pietropaolo Antonio 152

526

Pietrostefani Giorgio 84 Pifano Daniele 255, 267, 330 Pignero Gustavo 119 Pilenga Caterina 244 Pinelli Giuseppe 41, 49, 84, 87 Pinelli Licia 49 Pink Floyd (The) 91 Pinochet Augusto 94, 452 Pinones Aldo Marin 192 Pinto Mimmo 31 Pintor Luigi 29 Piperno Franco 30, 38, 42, 44, 46, 135, 163, 201, 207, 244, 264, 265 Pirelli (i) 73 Piroli Sandra 251 Pirri Pericle 349 Pirri Ardizzone Fiora 201, 224 Pisani Alberto 221 Pisapia Giuliano 339, 429, 445, 446 Pisciuneri Giuseppe 277 Pisetta Marco 43, 83, 121, 125, 166 Pistolesi Angelo 184 Pitarresi Biagio 87 Pittella Domenico 347, 350, 351 Pizzarelli Ario 345, 413, 421, 440 Placanica Mario 422 Planzio Giovanni 332 Podda Stefania 142, 478 Polimeni Rocco 158 Pollack Sidney 369 Ponti Nadia 161, 253, 259, 291, 297 Porceddu Giuseppe 218 Porceddu Salvatore 220

527

Porchia Oscar 122 Porcile Renato 427, 428, 445 Porsia Enrico 276 Porta Ida 167 Portoghesi Paolo 66 Poveromo Donato 85 Pozzi Paolo 120, 124, 173, 437, 438, 478 Prandi Massimo 253 Premoli Marina 47, 130, 248, 325 Prette Maria Rita 58 Prince 391 Principe Vitaliano 99, 131 Priore Rosario 214, 271, 347, 480 Prodi Romano 217, 228 Profumo Bruno 251 Proietti Laura 424, 435 Protti Mario 338 Prudente Cesare 388 Pucci Alessandro 193 Pucci Mario 193 Puddu Maurizio 180 Pulcini Carlo 387, 389 Q Queen (The) 195 R Raboni Giovanni 66, 441 Rainone Giuseppe 218 Raisi Enzo 298 Raiteri Giorgio 244, 261, 438 Ramazzotti Eros 369

528

Rame Franca 85 Ramelli Sergio 31, 132, 191, 477 Ranieri Massimo 383 Rao Nicola 321, 329, 336, 480 Raso Vitantonio 434 Raspe Jan-Carl 88, 181 Rastrelli Angelo 167 Ravaioli Aldo 218 Ravalli Fabio 394, 409, 410, 435 Ravazzi Isabella 192, 251, 298 Ravinale Vittorio 166 Reagan Ronald 365 Recchioni Stefano 197 Redford Robert 301 Reed Carol 33 Reed Lou 185 R.E.M. (The) 323 Remondino Ennio 386 Renna Ernesto 387 Renosio Marco 158, 168 Renosio Mario 21, 156 Renzaglia Ciro 242 Renzi Matteo 435 Renzi Valerio 332 Restelli Guglielmo 175 Reverberi Emilio 27 Ricci Domenico 202 Ricciardi Luca 262 Ricciardi Rocco 199, 251, 283, 287, 299 Ricciardi Salvatore 281, 295, 299, 480 Ricciardi Teresa 36 Rinaldi Roberto 364 Ringozzi Andrea 86

529

Riondato Ezio 169 Risi Cosimo 349 Riva Giulio 47 Rivabella Gino 251 Rivale Tiziana 343 Rivanera Angelo 251 Rivera Giulio 202 Rivolta Carlo 221, 265, 340 Rizzato Ciro 158 Robbiani Eros 277 Rocca Umberto 138 Roccazzella Adriano 330, 367, 379 Rognoni Virginio 330 Rolling Stones (The) 105 Romeo Giuseppe 99, 122 Romeo Paolo 67 Romeo Sergio 95, 100 Romeo Teresa 281 Romiti Cesare 326 Romiti Mariano 256 Romito Antonio 262 Ronconi Susanna 124, 130, 156, 157, 167, 222, 253, 285, 325, 326, 367, 378, 415 Roppoli Maria Rosaria 292, 312, 367 Rosati Luigi 47, 163 Rosci Gianfranco 274 Rosenzweig Caterina 283 Rossa Guido 161, 219, 239, 240, 255, 259, 478 Rossa Sabina 161, 259, 478 Rossanda Rossana 22, 29, 175, 227, 230, 234, 377, 396, 403, 473 Rossetto Giorgio 428 Rossi Emilio 179

530

Rossi Luciano 219, 223 Rossi Mario 39, 47, 66, 109 Rossi Silvia Marchesa 143, 151 Rossi Walter 182 Rossini Stefania 264 Rosso Roberto 156, 157, 167, 178, 253, 285, 367, 378, 415, 445 Rostagno Maddalena 387 Rostagno Mauro 31, 142, 166, 188, 387 Rotaris Maurizio 157 Rotondi Claudio 271 Rovito Giuseppe 254 Rovoletto Adriano 89 Ruberti Antonio 395 Rucci Francesco 315 Ruggiero Michele 21, 156, 158, 168 Rumor Mariano 158 Russo Palombi Bruno 253, 379 Russo Salvatore 218 Russo Silveria 253, 285 Russomanno Silvano 279 S Saba Giuseppe 43 Sabatino Pietro 166 Sabbadin Lino 248 Saccani Dante 100 Sacco Davide 201 Sacco Michele 257 Saccoccio Romano 222

531

Saccoman Andrea 48, 82, 297, 481 Saccucci Sandro 153 Sagradini Sauro 442 Salazar António de Oliveira 27 Saleh Abu Anzeh 267 Salerno Franca 95, 98, 103, 130, 176 Sallustro Oberdan 82 Saltarelli Saverio 56 Salvi Mario 152 Salvini Guido 87 Sandalo Roberto 157, 178, 252, 277, 278, 280, 285, 400, 434, 445 Sandrini Massimo 179 Sandrucci Renzo 306, 309, 314 Sands Bobby 303, 317, 318 Sangermano Francesco 166 Sanguinati Adolfo 39 Sanna Francesco 239 Sannucci Corrado 31 Sansonetti Piero 213, 440 Santalena Elisa 21, 213, 444 Santiapichi Severino 264, 345 Santilli Lidia 164, 474 Santini Paolo 284 Santone Giovanni 178 Santoro Antonio 219, 248 Santoro Rocco 271 Saponara Giovanni 154 Saporiti Antonio 48 Saporito Luigi 86 Saraceni Federica 424, 435 Saragat Giuseppe 31 Sardone Rocco 182

532

Sarkozy Nicolas 259 Saronio Carlo 132, 133, 135, 244, 380 Satta Vladimiro 21, 213, 475, 478 Saugo Italo 43, 166 Sava Gaetano Antonio 158, 347 Savasta Antonio 217, 297, 315, 319, 321, 327, 330, 348, 349, 350, 400 Savastano Giuseppe 326 Saviane Sergio 66 Savino Antonio 130, 166, 219 Scaccia Vincenzo 43, 338 Scalfaro Oscar Luigi 102, 356 Scalia Rosario 169, 241 Scalzone Oreste 30, 38, 46, 134, 135, 157, 159, 168, 244, 345, 380, 402, 444, 474 Scandaliato Maria Elena 298 Scarabello Stefano 435 Scarpellini Vincenzo 66 Scavino Marco 157 Schaffner Franklin 63 Schettini Italo 243 Schettini Rosario 325 Schiavone Gentile Giovanni 95, 97 Schlesinger John 51 Schleyer Hanns-Martin 17, 181, 203, 215 Schonberg Klaus 76, 476 Scialabba Roberto 201, 346 Scialabba Valeria 346 Scialoja Mario 57, 58, 108, 377, 473 Sciascia Leonardo 187, 188, 224, 475 Scibilia Giuseppe 44 Scinica Teresa 28, 334, 436

533

Scoffone Mario 175 Scotoni Giancarlo 379 Scozzafava Angela 297 Scravaglieri Giuseppe 125, 377 Scricciolo Luigi 331, 337, 338 Scrocca Mario 379 Secchia Pietro 26 Seghetti Bruno 21, 121, 152, 164, 203, 215, 216, 226, 227, 265, 281, 315, 321, 346, 348, 349, 388, 472 Seghetti Clara 164 Segio Sergio 42, 47, 135, 136, 156, 158, 167, 178, 199, 230, 240, 253, 274, 286, 325, 367, 378, 402, 415, 476, 478 Selis Massimo 251 Semeria Giorgio 43, 48, 59, 124, 143, 144, 161, 165 Sendic Raúl 32 Senese Saverio 87 Senzani Giovanni 59, 98, 119, 123, 191, 219, 235, 243, 287, 288, 303, 304, 308, 309, 313, 314, 315, 318, 325, 326, 333, 350, 371, 386, 404, 416, 420, 434

Serantini Franco 84, 192 Serra Michele 167 Serragli Luciano 66 Serri Marino 27 Servello Franco 67, 94 Shigenobu Fusako 120 Sica Domenico 46, 326, 379 Siccardi Enza 251 Signorile Claudio 207

534

Sigona Angelo 44 Silvestro Carlo 166 Silvi Roberto 47, 247 Simioni Corrado 54, 57, 121, 214, 225 Simone Nicola 186, 325 Simone Rosella 165 Simonetti Gianni Emilio 76, 471 Simon Marie 406 Sinich Franco 125 Siola Umberto 315 Sirianni Pasquale 188 Sisi Vincenzo 435 Sismondi Mochi 102 Sisti William 445 Sivieri Biancamelia 219, 228 Sivieri Paolo 125, 219, 228 Sivori Edoardo 197 Smidile Giancarlo 265 Sofri Adriano 31, 84, 85, 101 Sogno Edgardo 108 Soldati Giorgio 158, 162, 333 Soldati Luca 316 Soledad Maria Rosas 416 Solera Luigi 140 Solimano Marco 157, 379 Solimano Nicola 157, 378 Solinas Antonio 321 Solo Bobby 33 Sordini Giovanni 9, 190, 449, 450 Sorrentino Tommaso 87, 350 Sossi Mario 7, 59, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 123, 240, 471

535

Sotgiu Patrizia 345, 380, 381 Spadolini Giovanni 263, 312 Spano Vincenzo 347 Sparti Massimo 222 Spataro Armando 214, 479 Spazzali Sergio 87, 178, 188, 277, 442 Speziale Valentina 439 Spiazzi Amos 107 Spina Marisa 47 Spreti Karl Von 19 Springsteen Bruce 127 Squitieri Pasquale 66 Staccioli Paola 60, 260, 481 Steccanella Davide 224 Stefan Giovanni 47, 153 Stefanini Germana 345, 348 Stone Oliver 375 Sudati Anna Maria 330 Summa Teresa 431 T Tabacco Giuliano 22, 479 Tabucchi Antonio 366 Tagliaferri Oscar 220 Taliercio Giuseppe 305, 309, 314, 349, 414 Tambroni Fernando 15, 27, 71, 162, 389, 441 Tammaro Marcello 140, 394 Tammaro Romano 140 Tanassi Mario 158 Tarantelli Carole Jane Beebe 399 Tarantelli Ezio 364, 387, 394, 399

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Taras Giovanni 99, 131 Tarsilli Euro 326 Tartaglione Girolamo 218, 226 Tassi Andrea 251 Tatcher Margaret 318 Tatulli Michele 271 Tavani Riccardo 271 Tavecchio Giuseppe 81 Tavella Paolo 475 Taverna Michele 256 Tedeschi Nadir 277 Temer Michel 441 Tenuta Paolo 53 Terenghi Danilo 152 Terraroli Adelio 118 Theodoli Giovanni 152 Tinelli Fausto 201 Tirelli Massimo 248 Tobagi Benedetta 296, 479 Tobagi Walter 189, 199, 281, 282, 283, 296, 431, 472, 475, 479 Todini Livia 379 Togliatti Palmiro 35, 70, 234, 453 Togliatti Vittorio 43 Tognini Romano 158, 181, 218 Toma Nicola 200 Tomassini Paolo 174 Tommei Franco 120, 244, 438 Tondelli Afro 27 Tornaghi Sergio 47, 286 Torregiani Alberto 249 Torregiani Pier Luigi 189, 248, 249, 282, 328, 329 Tortora Enzo 245, 246

537

Tosi Liviana 157, 260, 367, 378 Tramonte Massimo 244 Tramonte Maurizio 437 Tranfaglia Nicola 365 Traversa Martino 274 Traversi Valerio 174 Trentin Bruno 410 Trentin Giorgio 271 Triaca Enrico 328, 329, 336 Trincheri Eligio 31 Tritto Franco 163, 211 Trizzino Antonio 177 Tronti Mario 30, 44 Trotta Margarethe Von 19, 88 Tsekouris Giorgio 55 Tse-tung Mao 25, 233 Tucci Maurizio 219 Turone Giuliano 262, 480 Tusa Mario 256 Tutino Saverio 66 Tuttobene Emanuele 272 Tuzzolino Antonio 143 V Vaccaio Vincenza 377 Vaccaro Vincenza 394, 435, 439 Vai Angela 186, 261, 268, 291, 311, 330 Vai Lino 325, 330 Valanzuolo Enrico 412 Valcarenghi Andrea 155 Valentino Nicola 224, 240

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Vallanzasca Renato 222, 223 Valletta Renato 71 Valli Bruno 122 Vandell Diego 39 Vanzi Pietro 319, 346, 348, 349, 350, 399 Varalli Claudio 132 Varetto Cesare 255 Vari Paolo 340 Varisco Antonio 252 Vassallo Andrea 166 Vaturi Saaudi 219 Vecchio Concetto 32, 476, 478 Vegliante Giacomo 243 Velluto Domenico 152 Vendetti Carla 394, 422 Ventre Rocco 87 Ventura Giovanni 38, 42 Ventura Raffaele 120 Venturini Marco 387, 394, 409, 410 Verbano Valerio 32, 273, 291 Vernaghi Mino 237 Vernich Cosimo 139 Veronese Silvano 411 Vesce Emilio 438 Vezzà Roberto 330 Vho Roberto 166 Viale Guido 31, 101, 102 Viale Pasquale 283 Vianale Maria Pia 95, 98, 103, 130, 176 Vicari Angelo 60 Vicari Daniele 443 Vicinelli Claudio 122 Vicino Franco 306

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Viel Augusto 39, 43 Vigna Pierluigi 235, 243 Villa Pietro 157 Villa Roberto 183, 263, 336 Vincenzi Bernardino 427, 445 Vinci Luigi 31 Vinci Sebastiano 186, 315 Viola Guido 43 Virgilio Costantino 427, 428 Virno Paolo 244, 252 Visca Franco 180 Viscardi Eleno 316 Viscardi Michele 157, 274, 285, 298, 400 Vitelli Roberto 379 Vitrani Giacchino 263, 336 Vogel Verena 43 Volinia Ruggero 327, 330 Volonté Gian Maria 46 Volpi Tiziana 304 W Waccher Claudio 367 Waccher William 253, 272 Walesa Lech 337 Winehouse Amy 407 Z Zaccagnini Benigno 212 Zaccheo Ettorina 335

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Zambianchi Paolo 285, 367, 379 Zanetti Alfeo 130 Zanetti Gian Antonio 77, 189, 199, 200, 281 Zanetti Zoni Teresa 22, 77, 189, 199, 200, 223, 281, 283, 287, 318, 398, 474, 475 Zangheri Renato 176 Zanicchi Iva 33 Zapelloni Paolo 264 Zarrillo Francesco 286 Zaru Salvatore 322 Zavattini Cesare 66 Zavoli Sergio 46, 121, 123, 142, 145, 162, 192, 251, 313, 395, 473 Zezza Luigi 87 Zibecchi Giannino 132 Zichittella Martino 96, 97, 98, 99, 101, 102, 130, 160 Zidda Nicolino 322 Zini Ivo 197 Zizzi Francesco 202 Zoccola Giorgio 130 Zoja Gianfranco 427, 428, 435 Zoni Marina 199, 222 Zucca Clotilde 334 Zuffada Pierluigi 129, 140 Zurlo Stefano 190

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Fuori Collana

VOLUMI PUBBLICATI 1. Giovanni Tonzig L’intimo intreccio 2. Sante Anfiboli Il canto delle gru 3. Claudio Zanini Il posto cieco 4. Roberta Deiana Piccolo ricettario per cuochi perdigiorno 5. Silvio Raffo Eros degli inganni 6. Claudio Zanini Nero di seppia 7. Umberto Lucarelli Rivotrill 8. Paolo Bianchi Inchiostro antipatico

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9. Flavia Vento Parole al Vento 10. Davide Steccanella Gli anni della lotta armata 11. Claudio Zanini La scimmia matematica 12. Giuseppe Magnarapa Nemico assoluto. Fenomenologia dell’antiberlusconismo militante 13. Bruna Magi Prima pagina 14. Emanuele Mastrangelo & Enrico Petrucci Wikipedia. L’enciclopedia libera e l’egemonia dell’informazione 15. Silvio Raffo Lo schermo oscuro. Cinema noir e dintorni 16. Franco Palmieri Superman è nato in Egitto 17. Paolo Parigi Contro la lettura. Per una pedagogia del semianalfabetismo 18. Marco Cimmino Il flauto rovescio

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19. Nick Bollettini Il parto dei preti 20. Bruna Magi Vietato al padre 21. Ludovica Manusardi Carlesi Eroi della scienza. Esploratori dell’ignoto 22. Valeria Poggi Longostrevi Voglio rivedere papà

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Finito di stampare nel febbraio 2018 da Prontostampa, Bergamo.

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