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Italian Pages 304 [154] Year 2020
Quodlibet Fernando Pessoa Teoria delPeteronimia
Saggi 40
Fernando Pessoa
Teoria dell'eteronimia
Prefazione di Fernando Cabrai Martins A cura e con un saggio di Vincenzo Russo
Quodlibet
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La spiegazione dell'eteronimia è uno dei compiti critici a cui Pessoa si dedica, cosciente come è della sorpresa e dell'enigma che essa comporta. Nulla è più utile e rivelatore, dunque, di un volume tematico che raccoglie i momenti fondamentali di questa spiegazione o delle sue varie versioni. Ecco cosa fa in modo chiaro e sistematico questo volume. Qui si possono trovare le chiavi di lettura di questo strano e complesso caso di poesia. In effetti, è dagli albori del Romanticismo che la questione dell'autore si pone in maniera ossessiva, e Pessoa, attribuendo la sua poesia a vari autori eteronimi, conduce questo processo alla sua massima estremizzazione. Almeno fino ali'anticlimax rappresentato dagli anni Settanta del Novecento in cui, uno dopo l'altro, Barthes e Foucault hanno annunciato la morte di questa entità immortale che è l'autore, dissolvendolo in un mero effetto. Eppure, c'è un altro scrittore che rivaleggia con Pessoa sull'importanza accordata al concetto di autore. E non penso a Ezra Pound, Paul Valéry o Antonio Machado: ma anzitutto a Jorge Luis Borges e ai suoi personaggi Pierre Menard e Cèsar Paladión. Si tratta, in Borges, di trasformare la coscienza della finzione dell'autore in qualcosa di più profondo dell'illusione e del gioco di specchi che sembra essere. Pessoa a malapena accresce la metamorfosi ultima di questa finzione, celebrando l'unione tra il vissuto e l'immaginato.
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FERNANDO CABRAL MARTINS
Ciò che conta, per i vari autori della sua singolare letteratura, non è la dimensione autobiografica, né la categoria dell'espressione, ma la raffigurazione della condizione antropologica dell'uomo moderno: misto di corpo e di immagine, transitorio, eterno, frammentato e mutante. Le Notaspara a Recordafào do Meu Mestre Caeiro del 19301932, uno dei testi capitali sui rapporti tra Fernando Pessoa e gli eteronimi, è lì a dimostrare una perfetta equivalenza tra l'autore reale e gli autori inventati. Nell'insieme di queste Notas, poste in bocca a Alvaro de Campos, lo stesso Fernando Pessoa appare come un personaggio. In questo momento, l'eteronimia raggiunge la massima efficacia trasformatrice, dal momento che la stessa esistenza dell'autore diventa immaginaria. A tal punto che Pessoa potrà dire, nella lettera a Adolfo Casais Monteiro1 sulla genesi degli eteronimi, che Alberto Caeiro è il suo maestro, diventando così il primo uomo che è discepolo di un personaggio. Tutto nei termini di una finzione che si mescola con la vita. Ben più semplice è la lettura secondo la quale l'eteronimia è soltanto un'altra forma di poesia drammatica, che ha il suo modello in Shakespeare, come Pessoa sostiene in vari passaggi. Altri modelli sono i monologhi drammatici di Browning o i monodrammi di Tennyson, solo per restare nella tradizione inglese. Eppure Pessoa si spinge un po' più in là quando propone di considerarsi «un poeta drammatico che scrive poesia lirica», aggiungendo, quale risultato necessario, che ogni poeta deve essere «vari poeti»2. E altro risultato eminente è anche «la fusione di tutta la poesia, lirica, epica e drammatica in qualcosa che va al di là di tutte queste poesie»3. Niente di meno. E, in questo punto di fusione, l'esito della scrittura eteronimica è ineguagliabile. 1 Poeta e saggista portoghese (1908-1972), legato dapprima alla rivista «Presenta», si esilia in Brasile in aperta opposizione al regime di Salazar. Pessoa e Casais Monteiro hanno avuto una intensa corrispondenza. È del 13 gennaio 1935 la nota lettera sulla genesi degli eteronimi (vedi infra, testo 98, pp. 197-206). * Fernando Pessoa, Teoria da Heteronimia, edicào Fernando Cabrai Martins e Richard Zenith, Aitino & Alvim, Lisboa 2012, p. 269. 3 Ivi, p. 265.
PREFAZIONE
Infine, qualunque sia il modo di intendere l'eteronimia, è importante sottolineare il momento in cui essa si rivela una teoria della letteratura. Per esempio, possiamo leggere in una lettera del io agosto del 1925 a Francisco Costa: «l'arte è essenzialmente drammatica, e il più grande artista sarà colui che [...] più intensamente, profusamente e complessamente esprimerà tutto quanto in verità non sente, o, in altre parole, sente solo per esprimere»4. Ossia, la scrittura eteronimica non può essere intesa solo come un effetto poetico-finzionale che attraversa tutta l'opera di Pessoa, e nemmeno come una opzione per il genere drammatico, ma deve essere intesa prima di tutto come una esposizione dei meccanismi della mimesi poetica. In una chiave rigorosamente modernista, dice Pessoa che la poesia - come tutta l'arte, «essenzialmente drammatica» - è tutto tranne che una espressione sincera: il «più grande artista» è colui che esprime «tutto quanto in verità non sente». Il poeta è come un attore - che è chi finge di essere un altro -, ma è un attore, o un fingitore, in grado di sentire completamente ciò che un altro sente, cioè, che giunge, di fatto, a identificarsi con un altro. Lungi dall'esibizione di un virtuosismo formale o da un certo gusto per l'insolito, si tratta del riconoscimento dell'altro. Al posto della «scomparsa illocutoria» del poeta dissolto nella sua scrittura, di cui parla Mallarmé, qui si tratta dello svelamento del poeta interamente cosciente del suo processo di scrittura.
4 Fernando Pessoa, Carrespondénda 1923-1935, edÌ9ao Manuela Parreira da Silva, Assirio & Alvim, Lisboa 1999, pp. 84-8 5.
Nota ai testi
Questo volume raccoglie per la prima volta tutti i frammenti in prosa che Ibernando Pessoa, nell'intera sua opera, ha dedicato al tema dell'eteronimia, il progetto letterario che consiste nella creazione di opere per autori fittizi dotati di personalità e biografie autonome. Esso si basa sull'edizione portoghese dal titolo Teoria da Heteronìmia a cura di Fernando Cabrai Martins e Richard Zenith (Assìrio & Alvini, Lisboa 2012). Nella loro selezione i curatori del libro hanno integrato ai testi già presenti nelle edizioni di riferimento vari inediti rintracciati tra le carte dell'autore, riscontrando ciascun brano sugli originali manoscritti e dattiloscritti; ne sono derivate lezioni filologicamente più attendibili, talora notevolmente divergenti da quelle proposte in precedenza. I testi qui pubblicati sono distribuiti in due sezioni: la prima, Idee, contiene pensieri di natura critico-teorica, estratti dagli scritti in prosa e dai documenti epistolari, in cui Pessoa riflette sul tema della spersonalizzazione; la seconda, Storie, presenta brani narrativi dove è messa in scena quella che l'autore chiama «discussione in famiglia», in cui si confrontano le posizioni letterarie e filosofiche dei principali eteronimi. Dei 99 frammenti della sezione Idee, 16 sono stati scritti da Pessoa in inglese (1-5, 22, 25,40,46,49,55, 74, 78, 79,91,92). Dei 6 brani della sezione Storie, solo il numero 3 è in inglese. In tutti gli altri casi il testo originale è in portoghese. Nell'£/e«co degli eteronimi e altri autori fittizi si offrono 46 brevi profili dedicati ai firmatari delle opere pessoane (sui 106 censiti nell'edizione portoghese, che include molti personaggi minori dalla fisionomia appena accennata); essi sono disposti secondo la data di «apparizione» indicata dall'autore o ricostruita dalla critica. I frammenti sono presentati in ordine cronologico. Ogni frammento è sempre preceduto da un numero progressivo e dalla datazione, certa o presunta (in quest'ultimo caso, seguita da un punto interrogativo). Quando possibile si indicano il nome dell'autore eteronimo accertato e/o il titolo in corsivo del brano se presente nell'originale. In alcuni casi si è ritenuto opportuno fornire anche una didascalia esplicativa sulla tipologia del testo («Risposta a un'inchiesta», «Lettera a un editore inglese» ecc.). Tutte le note a pie di pagina sono del curatore.
NOTA AI TESTI
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Segni convenzionali utilizzati:
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Spazio lasciato in bianco nell'originale Separazione tra frammenti che fanno parte dello stesso testo Illeggibile nell'originale
Edizioni di riferimento delle opere di Fernando Pessoa Correspondència (1905-1922), edicào Manuela Parreira da Silva, Assirio 8t Alvini, Lisboa 1999. Correspondència (1923-1935), edic.ào Manuela Parreira da Silva, Assfrio & Alvim, Lisboa 1999. Escritos Autobiograficos, Automaticos e de Reflexào Pessoal, edicao Richard Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa 2003. Fernando Pessoa e a Filosofia Hermética - Fragmentos do Espólio, edic.ào Yvette Centeno, Presenca, Lisboa 1985. Heróstrato, edigào Richard Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa 2000. Livro do Desassosego, edicào Richard Zenith, io" ed., Assfrio & Alvim, Lisboa 2012. Notas para a Recordacào do Meu Mestre Caeiro, edic.ào Teresa Rita Lopes, Estampa, Lisboa 1997. Obra Essencial de Fernando Pessoa, j volumes, edic.ào Richard Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa 2006-2007. Obras de Antonio Mora, edicào Lufs Filipe B. Teixeira, IN-CM, Lisboa 2002. Os Trezentos e Outros Ensaios, edicào Yvette Centeno, Presenfa, Lisboa 1998. Paginas de Estètica e de Teoria e Crìtica Literaria, edigào Georg Rudolf Lind e Jacinto do Prado Coelho, Atica, Lisboa 1966. Paginas Intimas e de Auto-interpretacào, edifào de Georg Rudolf Lind e Jacinto do Prado Coelho, Atica, Lisboa 1966. Pessoa inèdito, edicào de Teresa Rita Lopes, Livros Horizonte, Lisboa 1993. Pessoa por Conhecer li - Textos para um Nova Mapa, edic, ào Teresa Rita Lopes, Estampa, Lisboa 1990. Poemas Completos de Alberto Caeiro, edi§ào Teresa Sobral Cunha, Presenca, Lisboa 1994. Prosa de Alva.ro de Campos, edifào Jerónimo Pizarro e Antonio Cardiello, Atica, Lisboa 2012. Rttbaiyat, edic.ào Maria Alhete Galhoz, IN-CM, Lisboa 2008. Sensadonismo e Outros Ismos, edicào Jerónimo Pizarro, IN-CM, Lisboa 2009. Textos Filosóficos i e n, edi§ào Antonio de Fina Coelho, Atica, Lisboa, 1968. Teresa Rita Lopes, Fernando Pessoa. et le drame symboliste: héritage et création, Fondation Calouste Gulbenkian, Paris 1977. V. R.
Teoria delPeteronimia
I. 1906?
Come si realizza l'infinito? Infinitamente, dal momento che non possiamo concepire un limite per il numero. Ma se, realizzandosi, si realizza, in sé, l'infinito, nel diventare un altro differente, non esce da sé, continua a essere sé stesso nell'altro. Non è l'infinito l'idea di numero? Idea di numero = idea di pluralità. L'idea è una, la pluralità è molti. Nell'idea di pluralità, uno = molti.
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
1DKE
2. 1907.'
Ho sempre preso in considerazione un caso estremamente interessante, e che solleva un problema non meno interessante. Ho riflettuto sul caso di quell'uomo che diventa immortale con uno pseudonimo e che lascia occulto e ignoto il suo vero nome. Pensandoci bene, costui considera immortale non sé stesso, ma solo uno sconosciuto. E soprattutto, cos'è il nome? Se ci pensate, assolutamente nulla. Cos'è allora, mi sono detto, l'immortalità in arte, in poesia, in un'altra cosa qualsiasi?
Migliaia di teorie grottesche, straordinarie, profonde, sul mondo, sull'uomo e su tutti i problemi che riguardano la metafisica hanno attraversato il mio spirito. Ho coltivato in me migliaia di filosofie e mai due concordavano tra loro come se fossero reali. Tutte le idee che ho avuto, se le avessi scritte, sarebbero state un assegno lasciato alla posterità; tuttavia, a causa della peculiare costituzione della mia mente, appena una teoria o un'idea mi colpiva subito si dissolveva, e spesso mi sono dolorosamente accorto che già un istante dopo non ricordavo nulla - assolutamente nulla di ciò che avrebbe potuto essere. Così la memoria, come tutte le altre mie facoltà, mi ha predisposto a vivere in un sogno.
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4' 1907?
Ci sono cose in me che avrei voluto poter trasformare in uomini, solo per poterle affrontare faccia a faccia. Avrei detto loro: «Non sono vostro schiavo!». Ma quando queste cose sono dentro di noi non esiste negazione, né coraggio. Obbedendo a esse, obbediamo a noi stessi; obbedendo a noi stessi, obbediamo a esse. Sono queste le cose cattive.
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51908?
Se ogni cosa deriva da un Dio infinitamente buono, allora il bene deve essere in ogni cosa. La pluralità discende da questa unità; la pluralità è male? E se dicessimo che il tempo e lo spazio che rendono il mondo così com'è sono princìpi del male, da dove provengono? Se da un Dio buono, sono buoni. Se da un'altra cosa, esistono allora due princìpi, come affermò Zarathustra. O ancora il male, si dice, è il risultato della nostra condizione terrena, l'imperfezione è il risultato della creazione. Ma se la creazione è di Dio, la creazione non può essere il male, poiché Dio è considerato buono. Ancora, si potrebbe sostenere, il mondo è una manifestazione. Dunque, la caratteristica di una manifestazione è che essa è opposta alla cosa manifestata. L'uno si manifesta come i molti, l'immutabile come ciò che è in movimento. Quindi, il bene si manifesta come male. La spiegazione mi pare buona. Ma se così fosse esisterebbe, vi sarebbe qui una legge della manifestazione. Dio sarebbe allora governato da una legge? Il Fatum dei romani, l'Ananke dei greci è dunque più grande di Dio stesso? Dio allora non sarebbe l'Essere Supremo"} La contraddizione della personalità infinita. Una personalità infinita non è affatto una personalità. Esiste un vuoto tra il male e il bene?
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6. 1-2-1913 Lettera a Mario Beirào1
Sto attualmente attraversando una di quelle crisi a cui, in agricoltura, si da il nome di «crisi di abbondanza». Ho l'anima in uno stato di velocità creativa così intenso che ho bisogno di un quaderno di appunti per la mia attenzione, e anche in questa maniera le pagine da riempire sono così tante che alcune si perdono, per quante sono, e altre non si riescono poi più a leggere per esser state scritte di fretta. Le idee che perdo mi provocano una tortura immensa, sopravvivono in questa tortura, come fossero oscuramente altre. Difficilmente lei immaginerà che Rua do Arsenal, in materia di movimento, è stata la mia povera testa. Versi inglesi, portoghesi, raziocini, temi, progetti, frammenti di cose che non so cosa sono, lettere che non so come iniziano o finiscono, lampi di critica, borbottii di metafìsiche... Tutta una letteratura, mio caro Mario, che dalla nebbia va - verso la nebbia - attraverso la nebbia... Tra le cose psichiche che hanno avuto luogo in me evidenzio il seguente fenomeno che trovo curioso. Lei sa, credo, che delle varie fobie che ho avuto conservo unicamente quella assai infantile dei temporali. L'altro giorno il ciclo minacciava pioggia e io mi stavo avviando verso casa: era tardi e non c'erano taxi. Alla fine il temporale non arrivò, ma era imminente e iniziò a piovere - quelle gocce gravi, calde e larghe - mentre ero a metà
' Mario Beirào (1890-1964), scrittore portoghese legato al gruppo della Renascenca Portuguesa per cui il giovane Pessoa nutre una notevole ammirazione.
IDEE
strada tra la Baixa e casa mia. Mi rifugiai in casa andando quasi di corsa, con una tortura mentale che lei immaginerà, turbatissimo, tutto sconfortato. E in questo stato di spirito mi metto a comporre un sonetto - l'avevo terminato a pochi passi dal portone di casa -, a comporre un sonetto di una tristezza dolce, calma, che pare scritto da un crepuscolo di ciclo limpido. E il sonetto è non solo calmo, ma anche più coeso e connesso di certe cose che ho scritto. Il fenomeno curioso dello sdoppiamento è qualcosa che mi capita abitualmente, ma mai lo avevo avvertito con questo grado di intensità. Come prova del genere calmo del sonetto, glielo trascrivo: Abdicazione Prendimi fra le braccia, notte eterna, e chiamami figlio tuo. 10 sono un re che volontariamente ha a 11 proprio trono di sogni e di stanchezze. La spada mia, pesante in braccia stanche, l'ho confidata a mani più virili e calme; 10 scettro e la corona li ho lasciati nell'anticamera, rotti in mille pezzi. La mia cotta di ferro, così inutile, e gli speroni dal futile tinnire, 11 ho abbandonati sul gelido scalone. La regalità ho smesso, anima e corpo, per ritornare a notte antica e calma, come il paesaggio, quando il giorno muore
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71913? Maniera di ben sognare nei metafisici
Ragionamento, [ ] - tutto sarà facile e [ ], perché tutto per me è sogno. Mi ordino di sognarlo e lo sogno. A volte creo in me un filosofo, che mi illustra meticolosamente le filosofie mentre io, pagano [ ], corteggio sua figlia, l'anima di lei che divento, alla finestra della loro casa. Le mie conoscenze ovviamente mi limitano. Non posso creare un matematico... Ma mi accontento di ciò che ho, che basta per combinazioni infinite e sogni senza numero. Del resto, chissà se a forza di sognare non riuscirò a ottenere ancor di più... Ma non ne vale la pena. Mi basto così. Polverizzazione della personalità: non so quali sono le mie idee, i miei sentimenti, né il mio carattere... Se sento una cosa, la sento nella persona vista in una creatura qualsiasi che appare in me. Ho sostituito i sogni a me stesso. Ognuno è soltanto il sogno di sé stesso. Io non sono neppure questo. Non leggere mai un libro fino alla fine, né tutto di seguito e senza saltare pagine. Non ho mai saputo cosa sentivo. Quando mi parlavano di questa o quella emozione e la descrivevano, ho sempre sentito che descrivevano qualcosa della mia anima, ma poi, ripensandoci, ne ho sempre dubitato. Non so mai se sono realmente quello che sento di essere, o se soltanto credo di esserlo. Sono un personaggio dei miei drammi. Lo sforzo è inutile, ma almeno passo il tempo. Il ragionamento è sterile, ma divertente. Amare è noioso, ma è forse preferibile a non amare. Il sogno, però, sostituisce tutto. In esso
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può entrare tutta la nozione di sforzo senza lo sforzo reale. Dentro il sogno posso partecipare a battaglie senza il rischio di provare paura o di essere ferito. Posso ragionare senza aver per obiettivo quello d'arrivare a una verità, a cui mai giunga; posso ragionare senza risolvere un problema che mi rendo conto di non saper risolvere; senza che [ ]. Posso amare senza che mi respingano o mi tradiscano o si stufino. Posso cambiare amata e lei sarà sempre la stessa. E se voglio che mi tradisca o che mi eviti, basta che ordini che questo mi accada e accadrà sempre come voglio, sempre come mi va. In sogno, posso vivere le maggiori angosce, le maggiori torture, le maggiori vittorie. Posso vivere tutto ciò come se appartenesse alla vita; dipende solo dalla mia capacità di rendere il sogno vissuto, nitido, reale. Questo esige studio e pazienza intcriore. Esistono vari modi di sognare. Uno è abbandonarsi ai sogni, senza cercare di renderli nitidi, lasciarsi andare nella vaghezza e nel crepuscolo delle loro sensazioni. È un modo mediocre di sognare e annoia, perché è monotono, sempre lo stesso. C'è poi il sogno nitido e orientato, ma in questo caso lo sforzo di orientare il sogno ne rivela l'artificio. Il sommo artista, il sognatore come lo sono io, si sforza solo di volere che il sogno sia tale, che assuma tali fantasie... e quello si svolge davanti a lui come lo aveva desiderato, ma non come lo avrebbe potuto concepire se si fosse impegnato a farlo. Voglio sognarmi re... Lo voglio di colpo. Ed eccomi subito re di un paese qualsiasi. Quale, di che specie, il sogno me lo dirà... Perché io ho ottenuto questa vittoria su ciò che sogno: che i miei sogni mi portino sempre inaspettatamente quel che voglio io. Molte volte riescono a perfezionare, rendendola nitida, l'idea di cui avevano ricevuto soltanto un ordine vago. Sono totalmente incapace di pensare in modo cosciente ai medioevi di diverse epoche e diversi paesi che ho vissuto in sogno. Mi stupisce l'eccesso di immaginazione che non conoscevo in me e sto vedendo. Lascio andare i miei sogni.., Ma li conservo così puri che superano sempre ciò che mi aspetto da loro. Sono sempre più belli di quanto voglio. Ma questo può sperare di ottenerlo solo il sognatore raffinato. Ho impiegato anni a cercare di essere un sognatore così. Oggi ci riesco senza sforzo...
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II modo migliore di cominciare a sognare è tramite i libri. I romanzi vanno molto bene per i principianti. Imparare a abbandonarsi totalmente alla lettura, a vivere appieno con i personaggi di un romanzo: ecco il primo passo, La nostra famiglia e le sue afflizioni ci sembrano garrule e disgustose di fronte a essi: ecco il segno del progresso. Bisogna evitare di leggere romanzi letterariamente ricercati nei quali l'attenzione sia attratta verso la forma del romanzo. [ ] Non provo vergogna di confessare che ho iniziato così. È curioso, ma i romanzi polizieschi, quelli [ ] che è per una [ ] intuizione leggevo. Non sono mai riuscito a leggere con attenzione i romanzi d'amore. Ma è una questione personale, poiché non possiedo un'indole amorosa, nemmeno nei sogni. Ciascuno, tuttavia, coltivi l'indole che ha. Ricordiamoci sempre che sognare è cercare noi stessi. Il soggetto sensuale dovrà scegliere letture opposte alle mie. Quando si prova una sensazione fisica, si può dire che il sognatore ha superato il primo grado del sogno. Cioè, quando un romanzo su combattimenti, fughe, battaglie, ci lascia il corpo realmente ammaccato, le gambe pesanti... il primo grado è assicurato. Nel caso del soggetto sensuale, dovrà avere un'eiaculazione senza alcuna masturbazione se non mentale quando uno di questi momenti occorrerà nel romanzo. Dopodiché, cercherà di tradurre tutto ciò in qualcosa di mentale. L'eiaculazione, nel caso del soggetto sensuale (che scelgo come esempio, perché è il più violento e adatto allo scopo), dovrà essere sentita senza che si sia verificata. La stanchezza sarà molto più grande, ma il piacere estremamente più intenso. Nel terzo grado, ogni sensazione diverrà solo mentale. Aumenta il piacere e aumenta la stanchezza, ma il corpo non sente già più nulla e, invece delle membra, saranno l'intelligenza, l'idea e l'emozione a diventare fiacche e mosce... Arrivato a questo punto, è tempo di passare al sommo grado del sogno.
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II secondo grado è inventare romanzi per sé stessi. Bisogna tentare questo stadio solo quando il sogno è completamente mentalizzato, come ho detto prima. Altrimenti, lo sforzo iniziale di creare romanzi ostacolerà la perfetta mentalizzazione del godimento. Terzo grado. Una volta educata l'immaginazione, basta volere ed essa si prenderà carico di costruire i sogni per noi. A questo punto, la stanchezza, anche quella mentale, sarà quasi nulla. Si assiste a una dissoluzione assoluta della personalità. Siamo mera cenere dotata di anima, senza forma - nemmeno quella dell'acqua, che è poi quella del recipiente che la contiene. Ben allestita questa [ ], drammi possono apparire in noi, verso dopo verso, svolgendosi in modo estraneo e perfetto. Forse non avremo più la forza di scriverli, ma nemmeno questo sarà necessario. Potremo creare di seconda mano: immaginare in noi un poeta che scrive con un proprio stile, e un poeta scriverà in un modo, un altro poeta scriverà in un altro... Io, avendo perfezionato molto questa facoltà, posso scrivere in innumerevoli modi diversi, ognuno dei quali originale. Il grado più alto del sogno si raggiunge quando, creato un quadro con personaggi, viviamo tutti loro allo stesso tempo siamo tutte quelle anime insieme e interattivamente. È incredibile il grado di spersonalizzazione e di polverizzazione dello spirito a cui questa pratica porta, ed è difficile, lo confesso, sfuggire a una stanchezza generale di tutto l'essere nel farlo... Ma il trionfo è tale! Questo è l'unico ascetismo possibile. Non prevede né fede né Dio. Dio sono io.
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1913?
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Metafisica (note)
Non possiamo affermare che la coscienza è molteplice. Gli individui sono molteplici, ma è una constatazione materiale. Ogni individuo non vede, in quanto a coscienza, se non quella sua propria. Vuoi dire che egli ha una coscienza? O vuoi dire che la coscienza ha coscienza di lui in un certo modo, differente dalla coscienza che ha degli altri, naturalmente^ La coscienza individuale sarebbe un modo che la coscienza ha di sentire l'individuo materiale, tanto che in proporzione al suo sviluppo materiale come cervello lo sente complessamente. Il come di questa specifica presa di coscienza? Se la coscienza di ogni individuo fosse cosciente, ci sarebbe una coscienza cosciente di sé stessa, il che sarebbe assurdo, perché nulla possiamo affermare sulla coscienza se non che essa è cosciente della materia. La coscienza che ha coscienza di sé stessa sarebbe un tutto che si contiene come tutto.
... Essendo così spontanei c'era da aspettarsi che gli spasmodici fossero dei buoni lirici: invece è proprio ciò che non sono. [...] Sono poeti di frasi, alcune straordinariamente belle, di epiteti, alcuni bizzarramente adeguati - nient'altro. Analizzando meglio, si capisce che questo esclusivismo è frutto di una facilità di adattare la facciata superficiale al genio degli altri poeti o a quanto di formale galleggia nell'ambiente artistico e letterario; sono realmente dei pasticheurs, più o meno abili. E il pasticheur è un uomo che adatta a sé il pensiero o il sentimento di un altro solo nella forma. Se lo adatta nella sua essenza non è più un pasticheur, ma un potentissimo intuitivo, che deve intraprendere la via del dramma, dove il suo genio deve realizzarsi. Questa imitazione o adattamento formale ha del resto i suoi limiti. Se è molto esatta o molto prolungata, non è più imitazione formale, ma essenziale, e torniamo ad avere un'altra volta l'intuitivo.
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io. 1913?
Rimarrò l'Inferno di esser Io, il Limite Assoluto, Espulsione-Essere dell'Universo lontano! Diventerò né Dio, né uomo, né mondo, mero vuoto-persona, infinito di un Nulla cosciente, sgomento senza nome, esiliato dallo stesso mistero, dalla stessa vita. Abiterò eternamente il deserto morto di me, errore astratto della creazione che mi ha lasciato indietro. Brucerà in me eternamente, inutilmente, l'ansia sterile di un ritorno all'essere. Non potrò sentire perché non avrò materia con cui sentire, non potrò respirare allegria, o odio, o orrore, perché non avrò neppure la facoltà con cui sentire, coscienza astratta nell'inferno del non contenere nulla, Non-Contenuto Assoluto, Soffocamento assoluto e eterno! Vacuo di Dio, senza universo, [ ] Un grido unanime di orrore eruppe da noi come da uno solo. Morendo, egli sparì, [...] e solo sparì l'Uomo, la figura, l'essere. In aria, nello spazio, nell'anima, il mio essere MANCAVA!
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ii. 1914
L'arte è artificiale e insincera; la morale è naturale e sincera. La vetta dell'arte è la poesia drammatica, cioè quello che non sentiamo, scritto nel modo in cui noi non parliamo.
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12. 1914?
Estetica dell'artificio
La vita impedisce l'espressione della vita. Se io vivessi un grande amore, non potrei mai raccontarlo. Io stesso non so se questo io, che vi espongo in questa serie di pagine che scorrono, esista realmente oppure sia soltanto un concetto estetico e falso che ho creato di me stesso. Sì, proprio così. Mi vivo esteticamente in un altro. Ho scolpito la mia vita come una statua fatta di materiale estraneo al mio essere. A volte non mi riconosco, tanto mi sono collocato all'esterno di me stesso, e per quanto puramente ho impiegato in modo artistico la mia consapevolezza di me stesso. Chi sono dietro a questa irrealtà? Non lo so. Qualcuno dovrò pur essere. E se non cerco di vivere, di agire, di sentire, è solo - credetemi - per non turbare le linee tracciate della mia supposta personalità. Voglio essere tale e quale ho sempre voluto essere e non sono. Se io vivessi, mi distruggerei. Voglio essere un'opera d'arte, o almeno di anima, giacché non posso esserlo di corpo. Per questo mi sono scolpito con calma e estraneità e mi sono sistemato in una serra, lontano dall'aria fresca e dalle luci generose - dove la mia artificialità, fiore assurdo, fiorisca in distante bellezza. A volte penso a come sarebbe bello, unendo fra loro i miei sogni, se potessi crearmi una vita continua in cui si succedano, nello scorrere dei giorni, convivi immaginari con persone inventate, e vivere, soffrire, godere, questa vita falsa. Laggiù mi accadrebbero disgrazie; grandi gioie mi pervaderebbero. E
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nulla di tutto ciò sarebbe reale. Ma tutto avrebbe una logica superba, propria; tutto accadrebbe secondo un ritmo di voluttuosa falsità, tutto accadrebbe in una città fatta della mia anima, IH Telata fino al molo in riva a una baia calma, molto lontano KE
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neppure come una ventata, una minima nozione della gravita e del mistero della Vita. Perciò è autentico tutto ciò che ho scritto sotto il nome di Caeiro, Reis, Alvaro de Campos. In ciascuno < l i loro ho messo un concetto profondo della vita, diverso in i Litti e tre, ma in tutti gravemente attento all'importanza misteriosa dell'esistere. E perciò non sono seri i Pauis}, né lo sarebbe il Manifesto intersezionista di cui una volta le ho letto alcuni brani. In queste due composizioni il mio atteggiamento verso il pubblico è quello di un pagliaccio. E oggi sono molto lontano dal trovare divertente un atteggiamento di questo genere. Come è confuso e nebuloso tutto ciò! Ma devo scriverle tutto rapidamente: oggi è il 19 e non voglio tralasciare di parlare con lei delle cose che mi premono. Come ho già detto, lei è l'unico dei miei amici ad avere, oltre all'apprezzamento delle mie qualità che le permetterà di non giudicare questa lettera lo scritto di un megalomane, una profonda religiosità, e la convinzione del doloroso enigma della Vita, così da poter simpatizzare con me in tutto ciò. Evito ora di spiegarle quanto questo atteggiamento - che io d'altronde non rivelo per varie ragioni, sia perché è un fatto intimo sia perché sarebbe incomprensibile alla sensibilità delle persone che frequento - crei in me una incompatibilità con coloro che mi circondano. Non una incompatibilità violenta, come le ho già detto; è piuttosto una insofferenza verso tutti quanti fanno arte per fini inferiori, come chi gioca, o come chi si diverte, o come chi si arreda un salotto con gusto - un genere di arte che rende perfettamente l'idea di quanto voglio esprimere, perché non ha un «Oltre», né un altro proposito se non quello, per così dire, decorativamente artistico. E da ciò tutta la mia «crisi». Non è una crisi di cui mi possa lamentare. È la crisi di chi si trova solo perché è troppo avanti rispetto ai compagni di viaggio - di questo viaggio che gli altri fanno per distrarsi e che invece io trovo così grave, che ci impone tanto impre3 La poesia Pnuis [Paludi] è da Pessoa considerata il manifesto del Paulismo, estetica creata da Pessoa, diretta erede del simbolismo e fautrice di una poesia smaltata, evocatrice e dai toni indolenti.
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scindibilmente di pensare alla sua fine, che ci fa riflettere su ciò che. idiremo all'Ignoto verso la cui casa la nostra consapevolezza . . . v -C guida i nostri passi... E un viaggio, mio caro amico, fra anime e stelle, attraverso la Foresta delle Paure... e Dio, fine di questa strada infinita, ci attende nel silenzio della sua grandezza. Bene o male - sicuramente male - le ho esposto tutto. Sono contento di averle parlato così, anche perché so che il suo spirito accoglie con simpatia e amicizia queste mie tristezze del momento. È inutile che le chieda di mantenere il segreto... Del resto, a chi lo potrebbe raccontare? [...]
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'9^-4-1915
Cronaca
Recentemente, nel polverone che alcune campagne politiche 11,inno sollevato, ha ripreso rilevanza quella volgare polemica i I io giudica negativamente una persona che cambia partito, una volta o anche più di una volta, o che frequentemente si contradi l i i e. Le persone inferiori, che sono solite giudicare, continuano A utilizzare questo argomento come se fosse dispregiativo. Ma lurse non è ancora tardi per applicare, su un così delicato assunto di taglio intellettuale, un vero atteggiamento scientifico. Se esiste un fatto strano e inspiegabile, è che una creatura inii-lligente e sensibile rimanga sempre della stessa opinione, e sempre coerente con sé stessa. La costante trasformazione di ogni i-osa avviene nel nostro corpo e, di conseguenza, anche nel nostro cervello. Come si fa allora, se non per una malattia, a pensare oggi la stessa cosa di ieri, quando non solo il cervello di oggi non è più quello di ieri, ma neanche il giorno di oggi è uguale a quello ili ieri? Essere coerenti è una malattia, un difetto atavico, che forse risale all'epoca degli animali preistorici, al cui stadio evolutivo una tale disgrazia sarebbe stata del tutto naturale. La coerenza, la convinzione, la certezza sono, oltretutto, prove evidenti - e quanto mai superflue - di scarsa educazione. E una mancanza di cortesia nei confronti degli altri essere sempre lo stesso ai loro occhi; significa infastidirli, importunarli con la nostra mancanza di diversità. Un individuo dal carattere moderno, con una intelligenza non offuscata, con una sensibilità desta, ha l'obbligo mentale di cambiare opinione e certezze varie volte in uno stesso giorno.
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Non deve avere convinzioni religiose, opinioni politiche, gusti letterari, bensì sensazioni religiose, impressioni politiche, impulsi di ammirazione letteraria. Certi stati intimi della luce, certi aspetti del paesaggio hanno, soprattutto se eccessivi, il diritto di esigere, da chi sta di fronte a loro, determinate opinioni politiche, religiose e artistiche, quelle che essi suggeriscono e che cambieranno, come c'è da aspettarsi, a seconda dei mutamenti esterni. L'uomo disciplinato e colto fa, della propria sensibilità e della propria intelligenza, gli specchi di un ambiente transitorio: è repubblicano di mattina e monarchico la sera; ateo all'aria aperta e cattolico ultramontano in certe ore di ombra e silenzio; e - non potendo conoscere, se non Mallarmé, quei momenti dell'imbrunire cittadino in cui si accendono le luci - deve considerare l'intero simbolismo come l'invenzione di un pazzo quando, dinnanzi alla solitudine del mare, egli non sappia dire niente di più di quanto già detto nell'Odissea. Solo gli individui superficiali hanno convinzioni profonde. Coloro i quali non prestano attenzione alle cose, che sembrano vederle solo per non andarci a sbattere contro, hanno sempre la medesima opinione, sono individui integri e coerenti. La politica e la religione consumano questa stessa legna, per questo ardono così male di fronte alla Verità e alla Vita. Quand'è che ci renderemo conto che politica, religione e vita sociale non sono altro che gradi inferiori e plebei dell'estetica - l'estetica di chi ancora non la possiede? Solo quando una umanità libera da pregiudizi riguardo alla sincerità e alla coerenza si sarà abituata alle proprie sensazioni, a vivere in modo indipendente, potrà ottenere dalla vita un che di bellezza, di eleganza e di serenità.
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io. 1915
Così pubblicherò, sotto vari nomi, varie opere di varie spe< io, in contraddizione le une con le altre. Ubbidisco, così, a una necessità da drammaturgo, a un dovere sociale. Ciò che domina, in fin dei conti, sono le correnti sociali ret10 e sospinte da leggi che disconosciamo. Per questo creo personalità che interpretano varie correnti, per chiarire a sé stessi irrti temperamenti in cui queste correnti siano incoscienti. (Diventerò io stesso tutta una letteratura). Allo stesso modo proverò a dar coscienza a correnti sociali opposte che non ne hanno. Non pubblico tutto con il mio nome, perché sarebbe coni raddirmi. E la contraddizione è un'inferiorità. Le tesi più sintetiche, quelle che si situano in una linea equilibrata di orientamento, e dunque espressione più consona al mio temperamento, le pubblicherò con il mio nome. Ma non si deve considerare che io le reputi più vere di quelle che pubblicherò con nomi inventati.
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22. 24-7-1915
Lettera a Alfred H. Barley1
Ciò che è necessario è che ognuno si moltipllchi per sé stesso.
Mi prendo la libertà di scriverle, senza essere in grado di invocare nessun'altra giustificazione se non quella di essere uno M udente di astrologia. È mia intenzione, rivolgendomi a lei, chiederle che mi invii, se possibile, l'oroscopo di Francis Bacon. Nel suo libro 1001 Notable Nativities si riferisce due volte all'oroscopo di Bacon (in nota), ma non lo include nelle mappe .istrologiche presentate. Sono estremamente interessato a questa mappa, e le sarei grato se potesse inviarmi, in una cartolina, l'indicazione delle cuspidi e dei pianeti, secondo il sistema adottato nel suo libro, ma includendo, se possibile, le posizioni della Testa di Drago, Iside e Osiride, e fornendo, se le avesse, anche le posizioni delle cuspidi e dei pianeti con i minuti. Il mio interesse per l'oroscopo di Francis Bacon si deve a varie circostanze, tra le quali la controversia Shakespeare-Bacon è solo una. Il principale interesse deriva da un desiderio di verificare fino a che punto l'oroscopo di Bacon segnali la sua caratteristica peculiare di saper scrivere in stili diversi (un fatto che anche i non-baconiani ammettono) e la sua facoltà generale di transpersonalizzazione. Possiedo (in che misura e qualità non sta a me dirlo) la caratteristica a cui alludo. Sono uno scrittore e ho sempre ritenuto cosa impossibile scrivere nella mia personalità; mi sono sempre
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Alfred H. Barley (1872-?), autore inglese di testi di teosofia e astrologia.
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ritrovato, coscientemente o incoscientemente, ad assumere il carattere di qualcuno che non esiste, attraverso la cui mediazione immaginaria io scrivo. Desidero studiare a cosa devo tutto questo, per posizione o aspetto, e sono quindi interessato all'oroscopo di un uomo che è conosciuto per aver posseduto questa facoltà al massimo grado. Mi scuserà, spero, per il cattivo gusto di aver fatto un riferimento a me stesso. Sono stato indotto a farlo, tuttavia, solo per poterle spiegare l'intenzione della mia lettera. Per questo stesso motivo, le mando anche il mio oroscopo, il quale, almeno per le ragioni suddette, può avere qualche interesse per lei.
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- Cosa vuole «Orpheu»?1 - Creare un'arte cosmopolita nel tempo e nello spazio. La nostra è l'epoca in cui tutti i paesi, più concretamente che mai, < per la prima volta intellettualmente, esistono tutti dentro ciascuno di essi, in cui l'Asia, l'America, l'Africa e l'Oceania sono l'Europa, e esistono tutti dentro l'Europa. Basta un qualsiasi mulo europeo - anche quello di Alcantara - per aver di fronte unta la terra in lungo e in largo. E se lo chiamo europeo, e non .i(nericano, ad esempio, è perché l'Europa, e non l'America, è la l
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Appartengo a una generazione che deve ancora venire, la cui anima non conosce più, realmente, la sincerità e i sentimenti sociali. Per questo non comprendo come possa una creatura essere declassata, o come possa avvertire di essere declassata. P, svuotata di senso, per me, tutta questa [ ] delle convenienze sociali. Non sento cos'è l'onore, la vergogna, la dignità. Sono per me, come per coloro del mio stesso livello nervoso, parole il i una lingua straniera, come un suono soltanto anonimo. Se mi dicono di avermi declassato, intendo che stanno parlando di me, ma il senso della frase mi sfugge. Assisto a ciò che ini accade, da lontano, con distacco, sorridendo leggermente delle cose che accadono nella vita. Oggi, ancora nessuno sente lutto questo; ma un giorno verrà chi sarà in grado di capirlo. Mai ho avuto un'idea su un argomento qualsiasi, senza che subito ne cercassi altre. Ho sempre trovato bella la contraddizione, così come essere un creatore di anarchie mi è sempre parso un compito degno d'un intellettuale, dal momento che l'intelligenza disintegra e l'analisi fiacca. Ho sempre cercato di essere uno spettatore della vita, senza restarne invischiato. E così, a quanto mi accade nella vita assisto rome un estraneo, se non fosse che dai poveri avvenimenti che mi circondano estraggo un'acre voluttà di [ ] Non ho alcun rancore verso chi ha provocato ciò. Non ho né rancori né odii. Tali sentimenti appartengono a coloro che hanno un'opinione o una professione o un obiettivo nella vita.
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Io non ho nessuna di queste cose. Ho per la vita l'interesse di un decifratore di sciarade. Mi fermo, decifro e vado avanti. Non uso alcun sentimento. Non ho neppure princìpi. Oggi difendo una cosa, domani un'altra. Ma non credo in quello che difendo oggi, né domani avrò fede in quello che difenderò. Giocare con le idee e i sentimenti mi è sempre parso un destino supremamente bello. Provo a realizzarlo per quanto posso. Non mi ero mai sentito declassato. Come sono grato a chi mi ha somministrato un tale piacere! È una dolce voluttà, quasi lontana... Non ci capite, lo so bene...
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(ottr childhood's playing with cotton reels, etc.)
Non ho fatto altro che sognare. È stato questo, e questo soltanto, il senso della mia vita. Non ho mai avuto altra vera preoccupazione se non la mia vita intcriore. I più grandi dolori della mia vita si attenuano quando, aprendo la finestra che da dentro di me, posso dimenticare me stesso alla vista del suo movimento. Non ho mai preteso di essere altro che un sognatore. A chi ini ha detto di vivere non ho mai prestato attenzione. Sono sempre appartenuto a ciò che non esiste dove io esisto, e a ciò che non ho mai potuto essere. Tutto ciò che non è mio, per quanto infimo, è sempre stato poesia per me. Non ho mai amalo nulla. Non ho mai desiderato niente se non quello che non potevo immaginare. Alla vita non ho mai chiesto altro che di passarmi accanto senza che la sentissi. Dall'amore ho preteso soltanto che non cessasse mai di essere un sogno distante. Nei miei stessi paesaggi interiori, irreali tutti, è stata sempre la lontananza ad attirarmi, e gli acquedotti che quasi svanivano nella distanza dei miei paesaggi sognati avevano una dolcezza di sogno se paragonati a altre parti del paesaggio, una dolcezza che me li faceva amare. La mia mania di creare un mondo falso mi accompagna ancora, e solo alla mia morte mi abbandonerà. Oggi nei miei cassetti non allineo i rocchetti di filo e le pedine degli scacchi con un alfiere o un cavallo che casualmente spuntano - ma mi dispiace non farlo... e allineo nella mia immaginazione - comodamente, come chi d'inverno si scalda accanto a un focolare - le
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figure, costanti e vive, che abitano nella mia vita interiore. Ho un mondo di amici dentro di me, con una vita propria, reale, definita e imperfetta. Alcuni hanno problemi, altri hanno una vita bohémìenne, pittoresca e umile. Ve ne sono altri che sono commessi viaggiatori (potermi immaginare commesso viaggiatore è stata sempre una delle mie grandi ambizioni - purtroppo irrealizzabile!). Altri vivono in villaggi e cittadine verso i confini di un Portogallo dentro di me; vengono in città, dove li incontro casualmente e li riconosco, aprendo loro le braccia, con una emozione... E quando sogno tutto questo, passeggiando nella mia stanza, parlando a alta voce, gesticolando. . . quando sogno questo e ho una visione di me che li incontro, mi rallegro tutto, mi sento realizzato, palpito, mi brillano gli occhi, allargo le braccia e provo una felicità enorme, reale, incomparabile. Ah, non c'è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state! Quello che sento quando penso al passato che ho avuto nel tempo reale, quando piango sul cadavere della vita della mia infanzia passata... proprio questo non raggiunge il fervore doloroso e tremulo con cui piango sull'irrealtà delle umili figure dei miei sogni, le stesse figure secondarie che ricordo di aver visto solo una volta, per caso, nella mia pseudovita, girando un angolo della mia visione, passando accanto a un portone in una strada che ho risalito e percorso in sogno. La rabbia che la nostalgia non possa far rivivere e rinascere non è mai così piena di lacrime contro Dio, che ha creato cose impossibili, come quando rifletto sul fatto che i miei amici di sogno, con i quali ho vissuto tanti dettagli di una vita immaginata, con i quali ho avuto tante conversazioni illuminate, in caffè immaginari, dopo tutto non hanno fatto parte di nessuno spazio dove poter esistere, realmente, indipendenti dalla consapevolezza che ho di loro! Oh, il passato morto che porto con me e non è mai stato che con me! I fiori del giardino della casetta in campagna che non è mai esistita se non in me. Gli orti, i frutteti, la pineta della tenuta che è stata solo un mio sogno! Le mie villeggiature immaginarie, le mie passeggiate in una campa-
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Hiui che non è mai esistita! Gli alberi lungo la strada, i sentieri, i lassi, i contadini che passano... tutto questo, che è sempre stato ••«lo un sogno, è impresso nella mia memoria per provocare < lo I ore, e io, che ho passato ore a sognarlo, passo poi a ricordare « l i averlo sognato e, a dire il vero, la nostalgia che ne ho è un passato che rimpiango, una vita-reale morta che fisso, solenne iH'Ila sua bara. Ci sono anche i paesaggi e le vite che non sono state interamente interiori. Certi quadri, di scarso valore artistico, certe oleografie alle pareti con cui ho convissuto molte ore - denno di me sono diventati realtà. Era una sensazione diversa, più pungente e triste. Mi bruciava tanto non poter essere lì, reali o meno che fossero. Fossi stato io, almeno, la figura più rapprelentata accanto a quel bosco al chiaro di luna che era in una piccola incisione di una camera dove ho dormito ormai non più bambino! Non poter pensare che ero lì, nascosto nel bosco sulla riva del fiume, sotto quell'eterno chiaro di luna (seppur disegnato male), a osservare l'uomo in una barca che passa sotto le fronde di un salice! Allora non poter sognare completamente un faceva male. Le forme della mia nostalgia erano diverse. I gesti della mia disperazione erano differenti. L'impossibilità che mi torturava era di un altro ordine di angoscia. Ah, che tutto rio possa avere un senso in Dio, una realizzazione in sintonia con lo spirito dei nostri desideri, non so dove, per un tempo verticale, consustanziale alla direzione delle mie nostalgie e dei miei vaneggiamenti! Che vi sia, almeno solo per me, un paradiso fatto di queste cose! Che possa incontrare gli amici sognati, passeggiare per le strade che ho creato, svegliarmi, fra il baccano del gallo e delle galline e il rumoreggiare mattutino di-Ila casa, nella casa di campagna in cui mi sono immaginalo... e tutto questo perfettamente organizzato da Dio, messo in quell'ordine perfetto per esistere, in quella forma, per me precisa, che neanche i miei sogni attingono, se non in mancanza di una dimensione dello spazio intimo che intrattiene queste povere realtà...
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Alzo la testa dal foglio su cui scrivo... È ancora presto. È da poco passato mezzogiorno ed è domenica. Il male di vivere, la malattia dell'essere coscienti, mi entra nel corpo e mi turba. Perché non esistono isole per gli inconsolabili, viali vetusti introvabili dagli altri per chi è isolato nel sogno? Dover vivere e, anche per poco, dover agire; dover sfiorare il fatto che esistano altre persone, anche loro reali, nella vita! Dover stare qui a scrivere questo, per il fatto che per me è necessario farlo per l'anima, e non poter solo sognare proprio questo, non poterlo esprimere senza parole, neanche senza coscienza, con una costruzione di me stesso in musica e sfumature, in modo che mi salgano le lacrime agli occhi solo nel sentirmi esprimere e io fluisca sempre più, come un fiume incantato, lungo i lenti declivi di me stesso, verso l'incosciente e il Distante, senza alcun senso all'infuori di Dio.
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Educazione sentimentale
Per chi fa del sogno la vita, e della coltura in serra delle sue sensazioni una religione e una politica, per costoro il primo passo, quello che fa sentire nell'anima che si è fatto il primo passo, è il sentire le cose minime in maniera straordinaria e smisurata. (Questo è il primo passo, e il passo semplicemente primo non è altro che questo. Saper assaporare una tazza di té con l'estrema voluttà che l'uomo normale riesce a trovare solo nella grande ,i I legna che proviene dall'ambizione all'improvviso complei amente soddisfatta, o dalla nostalgia svanita da un momento all'altro, o ancora dagli atti finali e carnali dell'amore; riuscire A trovare nella visione di un tramonto o nella contemplazione di un dettaglio decorativo quelle sensazioni esasperate che in genere riesce a darci solo non ciò che si vede o che si ode, bensì i u> che si odora e che si gusta, quella vicinanza con l'oggetto della sensazione che soltanto le sensazioni fisiche - il tatto, il gusto, l'olfatto - scolpiscono nel contorno della coscienza; poter rendere la vista intcriore, l'ascolto del sogno - tutti i sensi immaginati e dell'immaginato - ricettivi e tangibili come sensi rivolti all'esterno; scelgo queste, e se ne possono immaginare di analoghe, fra le sensazioni che il cultore del sentire, ormai educato, riesce a provare, perché diano una nozione concreta e vicina a ciò che sto cercando di dire. Il raggiungimento di questo grado di sensazione, tuttavia, trasporta nel dilettante delle sensazioni il peso corrispondente o il gravame fisico con cui egli sente, con l'identica esasperazione inconscia, ciò che di doloroso gli capita dall'esterno; e tal-
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volta anche all'interno, nei suoi momenti di massima attenzione. Ed è così che constata che sentire in maniera eccessiva, se a volte significa godere in eccesso, altre volte vuoi dire soffrire in abbondanza, ed è perché lo constata che il sognatore è portato a compiere il secondo passo nell'ascesa verso sé stesso. Tralascio il passo che potrà compiere o meno, e che, a seconda che egli 10 compia o meno, determinerà questo o quell'altro comportamento, ritmo di marcia nei passi che farà, a seconda che sia in grado o meno di isolarsi totalmente dalla vita reale (se è ricco o meno - questo è scontato). Perché suppongo che sia inteso fra le righe di ciò che racconto che il sognatore, a seconda che gli sia o meno possibile isolarsi e abbandonarsi a sé stesso, con maggiore o minore intensità dovrà concentrarsi sull'obiettivo di risvegliare morbosamente il funzionamento delle sue sensazioni delle cose e dei sogni. Chi deve vivere attivamente fra gli uomini, incontrandoli - in realtà è possibile ridurre al minimo l'intimità che si è costretti a instaurare con essi (l'intimità, e non 11 mero contatto con le persone, ecco cosa bisogna evitare) -, dovrà far gelare l'intera superficie della sua convivenza in modo che ogni gesto fraterno e sociale che gli viene fatto scivoli via senza imprimersi. Sembra molto, ma è poco. Gli uomini sono facili da allontanare: basta non avvicinarsi. Dunque, sorvolo su questi punti e riprendo ciò che stavo spiegando. Creare acutezza e complessità immediata per le più semplici e fatali sensazioni conduce, come ho detto, all'aumento smodato del piacere che offre il sentire, ma anche ad accrescere in modo spropositato la sofferenza che proviene dal sentire. Perciò il secondo passo del sognatore dovrà essere evitare la sofferenza. Non dovrà evitarla come uno stoico o un epicureo prima maniera - snaturandosi troppo -, poiché in tal modo si renderà insensibile al piacere come al dolore. Al contrario, dovrà andare alla ricerca del piacere nel dolore; e in seguito educarsi a sentire il dolore in maniera falsa, ovvero a provare un qualche piacere nel sentire il dolore. Per questa attitudine esistono vari percorsi. Uno è applicarsi in modo esagerato all'analisi del dolore, avendo preliminarmente disposto lo spirito non ad analizzare il dolore, bensì soltanto a sentirlo; chiaramente è un atteggiamento
più facile di quanto sembri a parole, ma per gli esseri superiori. Analizzare il dolore e abituarsi ad affidare il dolore all'analisi ugni volta che si manifesta, istintivamente e senza pensarci, agKÌunge a ogni dolore il piacere dell'analisi. Una volta elevati al massimo il potere e l'istinto di analisi, in breve il loro esercizio assorbirà tutto e del dolore resterà soltanto una materia indefinita per l'analisi. Un altro metodo, questo più sottile e più difficile, consiste nell'abituar si a incarnare il dolore in una determinata figura ideale. Creare un altro Io che sia l'incaricato di soffrire in noi, di soffrire ciò che soffriamo. In secondo luogo creare un sadisino intcriore, tutto masochista, che goda della propria sofferenza come se fosse altrui. Questo metodo - che a una prima impressione, a parole, sembra qualcosa di impossibile - non è facile, ma per coloro che sono avvezzi alla menzogna intcriore è ben lungi dal contenere difficoltà. Sicuramente è realizzabile. E dunque, una volta ottenuto, che sapore di sangue e malattia, che strano sentore di godimento remoto e decadente assumeranno il dolore e la sofferenza! Provare dolore somiglia all'inquieto e penoso culmine dell'estasi. La sofferenza, la sofferenza lunga e lenta, ha il giallo intimo della vaga felicità propria delle I convalescenze profondamente sentite. E una raffinatezza logora di inquietudine e malattia avvicina questa sensazione complessa all'inquietudine che il piacere causa per la consapevolezza che esso svanirà, e alla pena che il godimento trae dalla primitiva stanchezza nata dal pensiero della stanchezza che ne conseguirà. Esiste un terzo metodo per sublimare in piacere il dolore e trasformare dubbi e inquietudini in un soffice talamo. Consiste nell'attribuire alle angosce e alle sofferenze, attraverso un'applicazione eccitata dell'attenzione, un'intensità così vasta che dall'eccesso stesso si tragga il piacere dell'eccesso, così come - a chi per abitudine e per educazione dell'anima si vota e si dedica al piacere - dalla violenza si offrano il piacere che fa male perché è troppo, il godimento che sa di sangue perché ferisce. E quando, come in me - raffinatore come sono di false raffinatezze, architetto che si costruisce con le sensazioni stilizzate attraverso l'intelligenza, l'abdicazione alla vita, l'analisi e il dolore stesso
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, unti e tre i metodi sono impiegati congiuntamente, quando un dolore appena percepito viene immediatamente analizzato lino alla radice e senza indugiare in strategie intime, sistemato in un Io esteriore alla tirannia, e sepolto in me fino all'apice del suo dolore, allora io mi sento veramente il trionfatore e l'eroe. Allora si ferma la vita, e l'arte si prostra ai miei piedi. Tutto ciò costituisce soltanto il secondo passo che il sognatore deve compiere verso il suo sogno. Il terzo passo, quello che conduce alla ricca soglia del Tempio - chi l'ha saputo compiere se non io? Questo sì che costa caro, poiché esige quello sforzo intcriore che è immensamente più difficile dello sforzo nella vita, ma che offre all'anima compensazioni che la vita non potrà mai offrire. Avvenuto tutto questo, portato a termine integralmente e congiuntamente tutto questo - sì, impiegati i tre metodi sottili, e impiegati fino all'esaurimento -, questo passo consiste nel condurre la sensazione immediatamente attraverso l'intelligenza pura, filtrarla attraverso l'analisi superiore, in modo che si realizzi come forma letteraria e assuma fattezze e rilevanza propri. Allora l'avrò fissata del tutto. Avrò reso reale l'irreale e avrò dato all'irraggiungibile un piedistallo eterno. Allora sarò diventato io, incoronato dentro di me, l'Imperatore. Perché non crediate che io scriva per pubblicare, per scrivere o per fare arte. Scrivo perché questo è il fine, la suprema raffinatezza, la raffinatezza illogica per temperamento, [ ] della mia cultura degli stati d'animo. Se prendo una mia sensazione e la disfo fino a poterle tessere attorno la realtà intcriore che chiamo la Foresta dello Straniamente o il Viaggio Mai Compiuto, vogliate credere che lo faccio non perché la prosa risuoni lucida e fremente o forse perché io goda della prosa - nonostante sia ciò che di più desidero e aggiunga questo tocco finale, come un bel calar di sipario sui miei scenari sognati -, ma perché dia completa esteriorità a ciò che è intcriore, perché così realizzi l'irrealizzabile, coniughi il contraddittorio e, rendendo il sogno esteriore, gli dia il suo massimo potere di puro sogno, stagnante di vita quale io sono, bulinatore di inesattezze, paggio insano della mia anima Regina, leggendole al crepuscolo non le poesie
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, In- si trovano nel libro, aperto sulle mie ginocchia, della mia Viia ma le poesie che vado costruendo e fingendo di leggere e , hi- lei finge di ascoltare, mentre la Sera, là fuori, non so come ,„• dove, addolcisce su questa metafora eretta dentro di me m Kr.iltà Assoluta la luce tenue e ultima di una misteriosa giorna1.1 spirituale.
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La mia vitale abitudine a non credere in nulla, specialmente nell'istinto, e la mia naturale attitudine all'insincerità sono la negazione degli ostacoli alla quale io ricorro costantemente. In fondo succede che faccio degli altri il mio sogno, piegandomi alle loro opinioni per renderle mie, ampliandole con il mio raziocinio e la mia intuizione (non avendo io opinioni, posso avere le loro come qualsiasi altra) per piegarle al mio gusto e fare delle loro personalità cose simili ai miei sogni. Antepongo a tal punto il sogno alla vita che nel comportamento verbale (non ne ho altri) riesco a continuare a sognare e a mantenermi, attraverso le opinioni e i sentimenti degli altri, nella linea fluida della mia individualità amorfa. Ognuno di loro è un canale o un solco dove l'acqua del mare scorre solo secondo il loro volere, segnando, con lo scintillio dell'acqua al sole, il corso ricurvo del suo orientamento in modo più vero di quanto potrebbe fare se fosse asciutto. A volte potrebbe sembrare dalla mia rapida analisi che io sia un parassita degli altri, ma in realtà quanto accade è che obbligo loro ad essere parassiti della mia posteriore emozione. Il mio vivere abita nell'involucro delle loro individualità. Faccio il calco dei loro passi nell'argilla del mio spirito e così, incorporandoli all'interno della mia coscienza, ho compiuto i loro passi e ho percorso i loro cammini più di quanto abbiano fatto loro. Di solito, per l'abitudine che ho - sdoppiandomi - di seguire allo stesso tempo diverse operazioni mentali, mentre mi adatto in eccesso e lucidità al loro sentire, analizzo in me il loro sco-
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nosciuto stato d'animo, facendo l'analisi puramente obiettiva di cosa siano e cosa pensino. Così, tra i sogni, e senza abbandonare il mio ininterrotto vaneggiamento, non solo vivo l'essenza perfezionata delle loro emozioni a volte spente, ma comprendo e classifico le logiche interconnesse delle varie forze del loro spirito che a volte giacciono in uno stato elementare della loro anima. E in tutto questo non mi sfuggono la loro fisionomia, il loro portamento, i loro gesti. Vivo allo stesso tempo i miei sogni e l'anima dell'istinto, il corpo, gli atteggiamenti loro. In una grande dispersione unificata, mi rendo ubiquo in loro e io creo e sono, in ogni momento della conversazione, una moltitudine di esseri, coscienti e incoscienti, analizzati e analitici, riuniti come un ventaglio aperto.
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L'unica maniera per avere nuove sensazioni è costruirti una nuova anima. Il tuo è uno sforzo inutile, se vuoi sentire cose diverse senza sentirti diverso, e sentirti diverso senza cambiare anima. Perché le cose sono come noi le sentiamo - da quanto tempo lo sai senza saperlo? - e l'unico modo per avere nuove cose, è che sia nuova la maniera di sentirle. Cambia anima. Come? Scoprilo tu. Da quando veniamo al mondo fino al momento di morire, la nostra anima, come il corpo, cambia lentamente. Trova il modo di rendere rapido questo cambiamento, perché come in talune malattie o in certe convalescenze, il corpo si modifica rapidamente.
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L'arte è una menzogna che suggerisce una verità. La verità è però solo un concetto che ci costruiamo dell'oggettività. L'opera d'arte è dunque una menzogna con un carattere oggettivo. Le caratteristiche dell'oggettività sono (i) la molteplicità, perché nella misura in cui mi sento Uno, sento l'universo come Molti; (2) l'indipendenza della mia personalità, perché sento die ho un dominio su di me, ma non sulle cose; (3) la fatalità, perché, malgrado in coscienza mi senta libero, mi sento oppresso come membro dell'Universo, quell'Universo fuori di me che io sento schiavo di leggi immutabili. So bene che queste mie impressioni sono false: che io non sono uno, né libero, né mi domino; ma del resto, poiché si tratta di una sensazione, non si cerchi la verità al di là di essa.
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Anarchismo
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Shakespeare è parte di me. Per me ha lavorato Cromwell quando architettò l'Inghilterra. Rompendo con Roma, Enrico vili mi lia reso oggi ciò che io sono. Per me ha pensato Aristotele e ha cantato Omero. In questo senso mistico e davvero profondo e nella più reale delle verità, Cristo è morto per me. Un mistico indiano che non so se sia esistito, 2000 anni fa ha collaborato con il mio essere attuale. Confucio ha predicato la morale alla mia presenza di oggi. Il primo uomo che ha scoperto il fuoco, quello che ha inventato la ruota, il primo che ideò la seta: se oggi io sono, è perché costoro sono esistiti.
La Notte e il Caos sono parte di me. Risalgo a uno stadio anteriore alla Realtà. Appartengo al silenzio delle stelle. Sono l'effetto di una causa della dimensione dell'Universo e che forse lo eccede. Per ritrovarmi devo cercarmi nei fiori, e negli uccelli, nei campi e nelle città, nelle azioni, nelle parole e nei pensieri degli uomini, nella luce del sole e nelle macerie dimenticate di mondi che sono ormai morti. Quanto più cresco, meno sono io. Quanto più mi ritrovo, più mi perdo. Quanto più mi sento, più vedo che sono fiore e uccello e stella e Universo. Quanto più mi definisco, meno limiti ho. Tracimo Tutto. In fondo sono uguale a Dio. Della mia presenza odierna fanno parte le età anteriori alla Vita, i tempi più antichi della Terra, le voragini dello spazio prima che il Mondo esistesse. La notte in cui sono nate le stelle ho iniziato a costellarmi di essere. Non c'è unico atomo della più distante stella che non abbia collaborato con il mio essere. Perché Afonso Henriques è esistito, io sono. Perché Nun'Alvares ha combattuto, io esisto. Sarei altro - dunque, non sarei - se Vasco da Gama non avesse scoperto la Rotta per le Indie, o Pombal non avesse governato 27 anni1. Eroi della storia nazionale: il re della fondazione del Portogallo, Afonso Henriques (1109-1185); Nun'Alvares Pereira (1360-1431), il cosiddetto Santo Condestàvel, il generale artefice della difesa del regno contro gli eserciti castigliani nella famigerata 1
battaglia di Aljubarrota (1385); Vasco da Gama (1469-1524), il celebre esploratore e cir< uni navigatore dell'Africa approdato in India nel 1498; infine il Marquès de Pombal, il l'i imo ministro plenipotenziario del Settecento portoghese, riformatore e protagonista della ricostruzione di Lisbona dopo il terremoto del 1755.
TEORIA DELL'ETERONIMIA
3531-4-1916 Risposta a un'inchiesta letteraria
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36. 1915?
// Sensazionismo
Trovo che tutto il futuro dell'arte europea sia nel movimento sensazionista1. Bisogna, ora, spiegare cosa sia ciò che io chiamo il Movimento Sensazionista. [] A un'arte così cosmopolita, così universale, così sintetica, è evidente che nessuna disciplina può esser imposta se non quella di sentire tutto in tutti i modi, di sintetizzare tutto, di sforzarsi in tal modo per esprimersi che in una antologia di arte sensazionista ci sia tutto quanto di essenziale hanno prodotto l'Egitto, la Grecia, Roma, il Rinascimento e la nostra epoca. L'arte, invece di aver regole come le arti del passato, ne ha solo una: essere la sintesi di tutto. Che ognuno di noi moltiplichi la sua personalità per tutte le altre personalità.
1 II Sensazionismo è, con il Paulismo e l'Intersezionismo, uno dei tre «-ismi» creati da Fernando Pessoa. L'estetica sensazionista, oltrepassando il Futurismo, avrebbe dovuto rappresentare un'arte «somma-sintesi» che canta le accelerate e molteplici sensazioni della vita moderna.
Sentire è creare. Ma cos'è sentire? Sentire è pensare senza idee, e per questo sentire è comprendere, visto che l'Universo non ha idee. Avere opinioni è non sentire. Tutte le nostre opinioni sono degli altri. Pensare è voler trasmettere agli altri quello che si ritiene di sentire. Solo ciò che si pensa si può comunicare agli altri. Ciò che si sente non si può comunicare. Si può comunicare solo il valore di ciò che si sente. Si può far sentire solo ciò che si sente. Non che il lettore senta la stessa cosa. Basta che senta allo stesso modo. Il sentimento apre le porte della prigione in cui il pensiero chiude l'anima. La lucidità deve giungere solo fino alle soglie dell'anima. Nelle anticamere stesse del sentimento è proibito esser espliciti. Sentire è comprendere. Pensare è errare. Comprendere ciò che l'altra persona pensa è discordare da lei. Comprendere ciò che un'altra persona sente è essere lei. Essere un'altra persona è di una grande utilità metafisica. Dio è tutti. Vedere, ascoltare, odorare, gustare, toccare: sono gli unici comandamenti della legge di Dio. I sensi sono divini perché sono la nostra relazione con l'Universo, e la nostra relazione con l'Universo è Dio. Anche se appare strano, è possibile ascoltare con gli occhi, vedere con le orecchie, vedere e ascoltare e toccare aromi, as-
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
saporare il gusto di colori e di suoni, ascoltare saporì, e così all'infinito. Bisogna solo allenarsi. Agire è rinnegare. Pensare è errare, Solo sentire è fede e verità. Nulla esiste al di fuori delle nostre sensazioni. Per questo, agire è tradire il nostro pensiero, nostro perché non si tradisce con il pensiero. La politica è l'arte di governare le società quando non si sa come esse si governano. Avere idee politiche è il modo più semplice di non avere idee. L'unico modo di guidare le società è disprezzare gli altri. La fraternità nasce dal disprezzo reciproco. Il progresso è la meno nobile delle bugie superflue. Anche senza pensare al progresso, la gente ha cessato di progredire. Il sentimento scrive dritto sulle righe storte della materia1. La sensazione è il tunnel senza fondo con il quale i «critici» diventano Danaidi. L'individualità è inesauribile perché ogni individuo che nasce è uno in più. La logica è un muro che non ostruisce alcunché. Disprezzare chi lavora e lotta, abominare chi si sacrifica, avere orrore per chi spera e confida: ecco il dovere artistico. Voler ristabilire la tradizione è voler appoggiare una scala su un muro che è già caduto... È interessante, perché è assurdo, ma ne vale la pena solo perché non ne vale la pena. Non c'è alcun criterio di verità se non quello di non concordare con sé stessi. L'universo non concorda con sé stesso, perché passa. La vita non concorda con sé stessa perché muore. Il paradosso è la formula tipica della Natura. Per questo ogni verità ha una formula paradossale. Tutti questi princìpi sono veri, ma anche i princìpi contrari tono veri come i primi. (Affermare è sbagliarsi di porta).
1 Riscrittura di un popolare proverbio portoghese: «Deus escreve certo por linhas tortas» («Dio scrive dritto su righe storte»).
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Pensare è limitare. Raziocinare è escludere. Ci sono molte n>,se a cui è meglio pensare, perché ci sono momenti in cui è miglio limitare e escludere. (ìli apostoli - politici, sociali, religiosi - sono [ ]. Non pre« I il/are il bene o il male, la virtù o il vizio, la verità o l'errore, la bontà o la crudeltà. Predica te stesso, a grandi urla, al mondo intero. Questa è l'unica verità e l'unico errore, l'unica moralità e l'unica immoralità, [ ] che hai da predicare, che puoi predicaK\e devi predicare. Sostituisciti a te stesso. Non sei abbastanza per te. Sii sempre imprevisto a te stesso. Fa' accadere te stesso dinnanzi a te. Che le me sensazioni siano puro caso, avventure che ti succedono... 1 >cvi essere un universo senza leggi per poter essere superiore. Sono questi i princìpi essenziali del sensazionismo. I prin* ipi contrari sono ugualmente princìpi essenziali del sensazionisino. Non predicare la virtù, perché tutti coloro che predicano, l.i predicano; non predicare il vizio, perché tutti lo praticano. Non predicare la verità, perché nessuno la può raggiungere; non predicare l'errore perché facendolo starai predicando una verità. Predica te stesso, che è ciò che nessuno ancora sa se non tu, che è ciò che nessuno è se non tu, che [è] ciò che nessuno [ ] Predica te stesso con assiduita, scandalo e raffinatezza. L'unica cosa che tu sei, sei tu. E per esserlo, sii come un pavone; alla grande, a piene mani verso l'Altro. Fa' della tua anima una metafisica, un'etica e un'estetica. Sostituisciti a Dio indecorosamente. È l'unico atteggiamento davvero religioso (Dio è dappertutto tranne che in sé stesso). Fa' del tuo essere una religione atea, delle tue sensazioni un rito e un culto. Vivi perpetuamente nell'ostia sollevata nella messa rossa del tuo convento di te stesso. Vivere non è necessario. Sentire è necessario. Nota bene che questa frase è del tutto assurda. Dedicati a non comprendere con tutta la tua anima.
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TEORIA DELL'ETERONIMA
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I .1 politica è un errore di vanità di coloro che nascono per tare i carrettieri. La tua anima è un tuo pseudonimo. Dio è un tuo pseudonimo. Dio è un nostro pseudonimo.
17 1916 1 .ettera al Direttore di «O Heraldo»
Tutti noi abbiamo momenti futuristi, come quando, per esempio, inciampiamo in un sasso. L'arte è una maniera di ammirarci. Per questo la moda, il vestito, è l'arte spontanea della gente semplice. Il pensiero è lo specchio dell'anima; per questo l'espressione delle nostre sensazioni, che costituisce l'arte, essendo una interpretazkme delle sensazioni attraverso il pensiero, è un guardarci spiritualmente allo specchio. La cosiddetta «necessità di creare» non è altro che la necessità di ammirarci.
I-] Il cosmopolitismo si esprime in letteratura non attraverso u i LI preoccupazione cosmopolita (non sarebbe espressione, ma spiegazione), bensì attraverso l'ammissione in ambito letterario Ji lutte le forme di sensazione, di tutte le forme di letteratura. Cioè, il cosmopolitismo, fenomeno che avviene nello spazio, è rappresentato da un fenomeno letterario che avviene nel tempo: l.i scuola letteraria che voglia rappresentare la nostra epoca deve essere quella che proverà a realizzare l'ideale di tutti i tempi, di essere la sintesi viva di tutte le epoche passate. Le epoche passate sono dunque per noi semplicemente due: il classicismo, in cui l'espressione è dell'universale e dell'astratto, e il «romanticismo» (pessimo nome, ma codificato), in cui l'espressione è del personale e del concreto. L'arte moderna deve, quindi, cercare di esprimere al contempo l'universale e il personale, l'astratto e il concreto.
TEORIA DELL'ETERONIMIA
38. 1916 Ricardo Reis
La letteratura moderna è una letteratura di masturbatori. Quella del Rinascimento era di amanti decadenti. Quella dal Romanticismo in poi, di masturbatori. Vediamo: Esistono 3 fenomeni sessuali distinti: (i) la sessualità normale; (z) l'omosessualità; (3) la monosessualità o masturbazione. Il (3) include 3 elementi. (A) il sogno, in cui è rappresentato l'altro elemento della copula; (B) lo sdoppiamento dell'Io, dal momento che l'individuo figurerà come due nello stesso; (C) l'ornamento, dal momento che l'atto sessuale deve essere abbellito di varie cose per non [ ]
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II limite della preoccupazione scientifica in arte - ma in questo caso ormai inammissibile, cosciente e fin troppo volontario e lo spaventoso atto O Teatro da Alma [Le quinte dell'animo] i l i Kvreinov1 in cui la scena è «l'interno dell'anima umana» e i personaggi, designati come A1, A2 e A3, etc., sono le varie sotto individualità componenti di questo pseudo-semplice che si i Marna spirito. Ma in questo caso, l'autore ha inserito più intelligenza e meno arte nell'opera, che appartiene, come la maggior parte delle innovazioni letterarie e artistiche moderne, non .il l'arte ma alle curiosità dell'intelligenza, come gli anagrammi, t ome i disegni a tratto unico e le poesie monovocaliche.
Come la masturbazione conduce alla pederastia. Differenza tra la pederastia propriamente detta e quella prodotta dalla masturbazione. Differenza tra l'omosessuale antico e moderno.
' Nikolaj Evreinov (Mosca, 1879 - Parigi, 1953) è stato un drammaturgo e regista teatrale russo.
TEORIA DELI/ETERONIMIA
40.
Lettera a un editore inglese
I tre princìpi dell'arte sono: (i) ogni sensazione deve essere pienamente espressa, cioè, la coscienza di ogni sensazione deve essere esaminata fino in fondo; (2) la sensazione deve essere espressa in modo tale che abbia la possibilità di evocare - come un'aureola intorno a una luce centrale definita - il maggior numero possibile di altre sensazioni; (3) l'insieme così prodotto deve aver la maggior somiglianzà possibile con un essere organizzato, perché è questa la condizione della vitalità. A questi tre princìpi do il nome di (i) Sensazione, (2) Suggestione, (3) Costruzione. Quest'ultimo, il grande principio dei greci - il cui grande filosofo considerava la poesia «un animale» -, ha ricevuto un trattamento poco accorto dalle mani dei moderni. Il romanticismo ha sregolato la capacità di costruire che, per lo meno, il basso classicismo aveva. Shakespeare, con la sua fatale incapacità d'intravedere insiemi ben organizzati, è stato una cattiva influenza a tal rispetto (si ricorderà che l'istinto classico di Matthew Arnold gli ha permesso di intuirlo). Milton è ancora il grande Maestro di Costruzione in poesia. Personalmente, confesso che tendo, sempre più, a collocare Milton al di sopra di Shakespeare come poeta. Tuttavia - devo confessare, nella misura in cui io possa essere qualcosa (e mi sforzo di non essere la stessa cosa per più di tre minuti, perché sarebbe una cattiva igiene estetica) -, io sono un pagano, e sono dunque più vicino all'artista pagano Milton che all'artista pagano Shakespeare. Tutto questo, però, è passim, e spero che mi si scusi per l'inciso in questa sede.
85 Affermo, a volte, che una poesia - avrei potuto anche dire ini quadro o una statua, ma non considero arti la scultura e la pittura, bensì solo un raffinato lavoro di artigianato - è una persona, un essere umano vivo, che appartiene, per la sua prelenza corporea e per la sua reale esistenza carnale, a un altro Biondo sul quale la nostra immaginazione la proietta, essendo il suo aspetto, per noi che la leggiamo nel mondo, nient'altro clic l'ombra imperfetta di quella realtà di bellezza che è divina in un altro luogo. Ho la speranza di ritrovare un giorno, dopo morto, nella loro presenza reale, i pochi figli che ho allevato e spero di ritrovarli belli nella loro immortalità di rugiada. Forse ci si meraviglierà del fatto che uno che si dichiara pagano sottoscriva tali fantasie. Ero pagano, però, due capoversi fa. Non lo sono già più mentre scrivo ora. Alla fine di questa lettera, spero di essere già qualcos'altro. Traduco in pratica, tanto quanto mi è possibile, la disintegrazione spirituale che proclamo. Se a volte' sono coerente, è solo per incoerenza rispetto all'incocrenza.
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
1916? Antonio Mora
Viviamo di finzioni, ma non in maniera fittizia. Al di fuori di noi apprendiamo soltanto una realtà esteriore e un destino immutabile, né giusto né ingiusto, estraneo al bene come al male, tanto a noi quanto alla realtà stessa. Tutto il resto lo fingiamo o lo sogniamo, è sogno cosciente o incosciente. Fingiamo e sogniamo per poter vivere. Così come non mangiamo la maggior parte degli alimenti, allo stesso modo non vediamo mai senza inganno la maggior parte di ciò che chiamiamo fatti. Sono tre i tipi di finzione che fabbrichiamo per poter vivere. Le prime, e più semplici, sono quelle della memoria, che è la percezione di ciò che non c'è, ma che «c'è stato». Le seconde, e già più complesse, sono quelle dell'immaginazione, che è percezione di ciò che non c'è e di ciò che non c'è mai stato - il concreto traslato. Le terze, e di maggior complessità, sono quelle dell'intelligenza, che è la percezione di ciò che non può esserci: l'assoluto, che per sua natura è irreale. Non è sogno la vita: lo è, invece, tutta l'interpretazione della vita. E la memoria, l'immaginazione, l'intelligenza sono interpreti. Solo la sensazione è la vita. E siccome né la memoria, né l'immaginazione, né tanto meno l'intelletto sono sensazioni, delle tre cose nessuna è la vita: sono appena un fantasma o un suo sogno obliquo. La realtà esteriore possiamo rappresentarcela solo in un modo, cioè così come la vediamo: solo in questo modo può con un certo margine di sicurezza essere da noi rappresentata. Il Destino, però, poiché è occulto nella realtà, non è possibile
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Uppresentarlo così. Sappiamo di essere servi. Anche quando vogliamo, pur senza desiderarlo, cerchiamo una legge che non possiamo alterare. Scegliamo secondo una legge la cui nozione non può ostacolare davvero nulla. Per orientarci nella vita, è obbligatorio fingere questo destino in uno dei tre modi in cui possiamo fingere - o creando una finzione della memoria, il destino analogo al concreto; o creando una finzione dell'immaginazione, il destino analogo al concreto traslato; o creare una finzione dell'intelligenza, il destino analogo all'astratto. Nel primo caso, creare il Destino a somiglianzà del concreto: un multiplo retto da una legge, e così abbiamo istituito il politeismo; dèi che il Destino regge. - Finzione dell'immaginazione: dèi non retti da un Destino, ma essi stessi destino. E siccome il Destino non li regge, ogni cosa può essere molte cose in una; e abbiamo così i politeismi o multiteismi. [ ] - Finzione dell'intelligenza: creiamo finzioni pure, «forza», «materia» [ ] - cose che non sono niente, che niente rappresentano, che a niente corrispondono: il materialismo e l'idealismo, fratelli gemelli, diversi solo perché non sono uno solo. Forza, materia, atomi, tutto è finzione, e della finzione più forte che si possa avere, la finzione dell'astratto che si giudica concreto. Se dobbiamo scegliere, e dobbiamo, uno solo di questi concetti, scegliamo il più semplice, il più vicino al Reale. [ ] Se proprio non possiamo farne a meno, prendiamo concetti multipli, amorali, esterni a noi in quanto Realtà; sudditi come noi di un Destino immutabile, né giusto né ingiusto, estraneo al bene e al male. Il paganesimo, o il politeismo determinista, è la più logica delle finzioni di cui abbiamo bisogno per vivere. Se la necessità della Ragione è di regolare i sensi, che essa ci somministri almeno questo insegnamento: che gli dèi del paganesimo sono gli unici con diritto alla realtà, essi e il Destino che li corregge e li feconda. Sensi e intelligenza, ecco quello che siamo. Sensi che ci danno la nozione della realtà, ma non di quella esteriore; l'intelligenza che ci da la nozione di [ ]
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
L'intelligenza serve per ordinare, comparare e regolare le sensazioni; così come per riconoscere all'esterno il rigore di un ordine: la Legge. Falsamente creiamo l'idea di una realtà intcriore. La Realtà è, dunque, una contraddizione in termini. L'idea di Realtà coincide con quella di esterno. All'esterno la dobbiamo. All'esterno la vediamo. Il bambino, non appena prende coscienza, è dall'esterno che la prende. Avere coscienza di sé stessi è invecchiare. Il processo per cui ci pensiamo esistenti è traslato e fittizio. Penso, dunque esisto ha detto Cartesio. Si pensa, avrebbe dovuto dire. Dicendo penso, il filosofo introduce insensatamente nel pensiero una conoscenza dell'io la cui comparsa nella frase nessuna intelligenza può giustificare. Viviamo attraverso i sensi, conviviamo attraverso l'intelligenza. Sciolta, infatti, dai sensi, poiché esiste solo per crearli, l'intelligenza opera nel vuoto; è nel vuoto dei sensi che conviviamo, e che ci intendiamo gli uni con gli altri. La vita sociale è una finzione. La sensazione è intrasmissibile.
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42. 1916?
Antonio Mora Prolegomeni
Una corrente letteraria non è altro che una metafisica. Una metafisica è una maniera di sentire le cose - questo modo di sentire le cose può, secondo il temperamento dell'individuo, assumere un carattere filosofico, o un carattere artistico; nella sua forma più bassa, assume un carattere religioso. Quando hanno accusato Lamartine di essere panteista, egli si è difeso esponendo il suo pensiero spiritualista, ortodosso. Non vi è ragione per dubitare di quanto ha detto; ma, parimenti, non vi è ragione per dubitare che egli fosse, nel suo temperamento artistico, e dunque in tutto il suo temperamento, un panteista. La sua generazione sentiva panteisticamente, in qualunque modo pensasse. Ma il pensiero panteista non è altro che un modo più intenso di sentire l'universo. Le metafisiche hanno una gradazione; sono modi più o meno intensi, più o meno lucidi di sentire l'Universo. Il materialismo si trova al livello più basso, rappresenta una sensibilità minima di fronte all'Universo, un concetto estetico ridotto, perché non vive la vita delle cose al grado superiore. Per questo motivo non ci sono grandi poeti materialisti (giacché Lucrezio è un filosofo materialista), né i poeti materialisti utilizzano immagini originalmente o caratteristicamente brillanti. Spetta al neo-pagano compiere tutto ciò, coscientemente. Egli ammette tutte le metafisiche come accettabili, esattamente come il pagano accettava tutti gli dèi nell'ampia vastità del suo
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pantheon. Non tenta di unificare in una metafìsica le sue idee filosofiche, ma di realizzare un eclettismo che non cerca di conoscere la verità, dal momento che considera tutte le filosofìe ugualmente vere. Il neo-pagano si convincerà che, scrivendo, realizza il suo sentimento della Natura. In conformità con l'intensità di questo sentimento, differente sarà la metafisica su cui si baserà. Certe ore della Natura richiedono una metafisica diversa da quella che altre esigono.
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1916? Antonio Mora Ritorno degli dèi - Estetica
Si obietterà, senza dubbio, che, avendo sentimenti vaghi, pensieri confusi, impulsi dello spirito che nel confondersi con .litri non ci si presentano chiari, è abusivo esigere dall'artista che li delinei come nitidi, come qualcosa che non sono. La risposta a questa osservazione sta nella domanda se questi stati d'animo siano legittimamente rappresentabili nell'arte. [,'artista soggettivo parte dal principio che il fine della sua arte sia esprimere le sue proprie emozioni. Criterio, questo, che l'artista oggettivo non accetta, e non lo accetta con assoluta ragione, perché l'arte oggettiva è l'arte, ed è per questo che è una cosa realizzata, che avviene al di fuori dell'artista, e non resta in lui, come l'emozione che la produce. Di fatto, chiediamo, perché un pensiero è confuso, perché un sentimento è vago, per quale ragione un impulso volitivo non si presenta nitido? Per tutti la ragione è una: il pensiero non si è messo in contatto con la realtà, il sentimento non si è confrontato con la sua realizzazione, la volontà non si è misurata con l'esterno. Un'opera d'arte è un oggetto esterno, ubbidisce alle leggi cui sono sottomessi gli oggetti esterni, in quanto oggetti esterni. L'artista non esprime le sue emozioni. Non è questo il suo bisogno. Esprime, delle sue emozioni, quelle che sono comuni agli altri uomini. Paradossalmente parlando, si limita ad esprimere, fra le sue emozioni, quelle che sono degli altri. L'umanità intera non ha niente a che vedere con le emozioni che sono proprie dell'artista. Se un errore della mia vista mi fa vedere az-
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TEORIA DELL' ETERO NI MIA
zurro il colore delle foglie, che interesse c'è a comunicarlo agli altri? Perché gli altri vedano azzurro il colore delle foglie? Non è possibile, perché è falso. Perché loro sappiano che io vedo azzurre le foglie? Non ce n'è bisogno poiché non ha nessuna importanza. Tutt'al più il fenomeno è curioso, e curioso è sentirlo; ma a sentirlo, lo sento io, non gli altri. Quanto c'è di realmente estetico, infatti, nelle sensazioni estranee, è che ognuno le conservi per sé, gustandole in silenzio, se questo gli da piacere. Così, il primo principio dell'arte è la generalità. La sensazione espressa dall'artista deve essere tale che possa essere sentita da tutti gli uomini in grado di comprenderla. Il secondo principio dell'arte è l'universalità. L'artista deve esprimere non solo ciò che è di tutti gli uomini, ma anche ciò che è di tutti i tempi. Il soggettivismo cristista, al di là dell'errore personalista, ha prodotto questo altro errore, la preoccupazione di interpretare l'epoca. La frase di Goethe, spesso citata sull'argomento, è da maestro; in effetti, un uomo di genio è della sua epoca solo per i suoi difetti. La nostra epoca ci giudica dall'umanità. Siccome l'artista deve cercare di ergersi al di sopra della sua personalità, deve cercare di elevarsi al di là della sua epoca.
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441916?
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Ecco che siamo giunti a un'epoca particolare, in cui ci appaiono tutte le caratteristiche di una decadenza unite a tutte le caratteristiche di una vita intensa e progressiva. La morale familiare e sociale è ridiscesa al livello della decadenza dell'impero romano. Il mercantilismo politico, la dissoluzione nazionale hanno toccato il fondo. Eppure, progredivano le industrie, si moltiplicava il commercio, la scienza continuava le sue scoperte, giorno per giorno aumentavano i vantaggi e le complessità della vita diventavano più complesse. Come segno distintivo della decadenza, solo un fenomeno inequivocabile era palese - l'abbassamento di livello degli uomini rappresentativi. Nessuno, in letteratura, al livello dei grandi romantici, o dei maestri realisti. In arte, stessa identica penuria. Idem, in politica. E così in tutto. Anche nella scienza, così inferiore rispetto al suo livello abituale, e così tipica del secolo, lo stesso dislivello, lo stesso logoramento nella superiorità dei dirigenti. Ecco allora che ognuno di noi nacque infettato da tutta questa complessità. In ogni anima girano i volanti di tutte le fabbriche del mondo, in ogni anima tutti i treni del globo, tutti i viali di tutte le grandi città sboccano in ognuna delle nostre anime. Tutte le questioni sociali, tutte le perturbazioni politiche, per quanto poco ci importino, entrano nel nostro organismo psichico, nell'aria che respiriamo psichicamente, si riversano nel nostro sangue spirituale, diventano, inquietamente, nostre come qualsiasi cosa che è nostra.
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Se il valore dei movimenti letterari è dato dalla cifra di novità che essi apportano, è indubbio che il movimento Sensazionista portoghese è il più importante dell'attualità. È tanto modesto per numero di seguaci quanto immenso in bellezza e vita. Ha solo tre poeti e un precursore incosciente. A delineare il movimento senza volerlo è stato Cesàrio Verde1. Lo ha fondato Alberto Caeiro, glorioso e giovane maestro. Lo ha reso, logicamente, neoclassico il Dott. Ricardo Reis. Lo ha modernizzato fino al parossismo - in verità, pervertendolo e deformandolo quello strano e intenso poeta che è Alvaro de Campos. Questi quattro, questi tre nomi sono tutto il movimento. Ma questi tre nomi valgono un'intera epoca letteraria. Ognuno di questi tre poeti realizza una cosa che da molto si cercava in tutta Europa, e invano. Caeiro ha creato, una volta per sempre, la poesia della Natura, la vera poesia della Natura. Ricardo Reis ha finalmente trovato la formula neoclassica. Alvaro de Campos ha rivelato ciò che tutti i futuristi, parossisti e modernisti vari, andavano da anni cercando. Ognuno di questi poeti è supremo nel suo genere.
1 Poeta portoghese (1855-1886) del realismo urbano, autore del Limo de Cesàrio Verde (i$8?).
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46. 1916?
Il sensazionismo rappresenta la forma estetica in tutto il suo splendore pagano. Non rappresenta nessuna di quelle cose minori: l'estetismo di Oscar Wilde, o l'Arte per l'Arte di altri individui traviati, con una visione plebea della vita. Sa vedere 1.1 bellezza della morale, così come sa comprendere la bellezza della sua assenza. Per il sensazionismo nessuna religione è vera, e nemmeno falsa. Un uomo può percorrere tutti i sistemi religiosi del mondo m un unico giorno, in perfetta sincerità e con tragiche esperienze spirituali. Deve essere un aristocratico - nel senso in cui noi usiamo la parola - per poterlo fare. Ho affermato un giorno che un uomo colto e intelligente ha il dovere di essere ateo a mez/ogiorno, allorché il chiarore e la materialità del sole penetrano tutto, e di essere un cattolico ultramontano in quell'ora precisa, subito dopo il tramonto, in cui le ombre ancora non hanno finito di avvilupparsi del tutto intorno alla presenza nitida delle cose. Qualcuno ha pensato che si trattasse di uno scherzo. Eppure, non facevo altro che tradurre in prosa rapida (l'affermazione venne riportata da un giornale) una personale esperienza comune. Essendomi abituato a non avere credenze né opinioni, se non quando il mio sentimento estetico si indebolisce, in breve ho finito per non avere alcuna personalità, eccetto una personalità espressiva, e mi sono trasformato in una macchina atta a esprimere stati di spirito talmente intensi che si sono convertiti in personalità, e che hanno fatto della mia anima un
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
MUTO involucro della loro comparsa casuale, così come i teosoli dicono che la malizia degli spiriti della natura li conduce, a volte, a occupare cadaveri astrali abbandonati dagli uomini, e a spassarsela coperti dalle loro sembianze d'ombra. Ciò non significa che il sensazionista non debba avere opinioni politiche; significa che, come artista, è obbligato a averle tutte e nessuna. La giustificazione di Marziale che suscitò l'ira di molti estranei al [ J dell'arte lasciva nobis pagina, vita proba per cui benché la sua arte fosse impura, non lo era la sua vita, più avanti riprodotta da Herrick1, che scrisse, parlando di sé, «His muse was jocund, but his life was chaste», costituisce il vero dovere dell'artista verso sé stesso. La sincerità è il grande reato artistico. L'insincerità è il secondo grande reato. Un grande artista non dovrebbe mai avere un'opinione fondamentale e sincera sulla vita. Il che dovrebbe dargli la capacità di sentire sinceramente, o meglio, di essere assolutamente sincero circa qualsiasi cosa in un determinato spazio di tempo, quello necessario - diciamo - per concepire e scrivere una poesia. £ forse necessario sottolineare che bisogna essere artisti prima di poter tentare di fare ciò. Serve a poco cercare di essere aristocratici se si nasce nella classe media o se si è plebei.
' II verso del poeta inglese Robert Herrick (1591-1674), esponente della scuola dei Poeti Cavalieri recita: «Jocund his Muse was but his life was chaste».
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Fare una cosa al contrario di come tutti gli altri la fanno è i|u,isi così sbagliato come fare una cosa perché tutti la fanno. K i vela a un tempo una preoccupazione verso gli altri e un bivi^no della loro opinione: un indubbio carattere di assoluta inferiorità. Abomino per questo motivo gente come Oscar Wilde, e quanti altri si preoccupano di apparire immorali o infami, o di licitare paradossi e opinioni deliranti. Nessun uomo superiore si abbassa al punto da dare all'opinione altrui un'importanza tale da preoccuparsi di contraddirla. Per l'uomo superiore non esistono gli altri. Egli è l'altro di se stesso. Se vuole imitare qualcuno, è sé stesso che cerca di imitare. Se vuole contraddire qualcuno, è sé stesso che proverà A contraddire. Cerca di ferire sé stesso in ciò che di più intimo possiede... Si fa gioco delle sue opinioni, intesse lunghe conversazioni colme di disprezzo e [ ] con le sensazioni che sente. Ogni uomo che esiste sono Io. Ogni società è dentro di me. lo sono i miei migliori amici e i miei più veri nemici. Il resto - ciò che è fuori, dalle pianure e i monti fino alle persone e alle [ ]f tutto questo non è che Paesaggio... Il grande difetto del lavoro e dello sforzo è che possono diventare abitudine... Lo stesso difetto appartiene all'inazione. Tende a diventare un'abitudine. Non avere abitudini, né opinioni, né un'individualità fissa è l'esatto contrario dell'uomo superiore...
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II che non significa non avere opinioni o abitudini per sorriderne fra quelle degli altri... Avere un carattere fisso, abitudini consolidate, opinioni costanti è appartenere a sé stessi. Dobbiamo sempre cambiare d'opinione, di carattere e di proposito senza che questa opinione o questa [ ] coincida con quella degli altri.
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Alvaro de Campos
Ultimatum
Ogni opera dell'uomo superiore deve porsi come fine il voler dimenticare che il mondo esteriore esiste... L'Europa ha sete di crearsi, ha fame di Futuro! L'Europa vuole grandi Poeti, vuole grandi Statisti, vuole grandi Generali! Vuole il Politico che costruisca coscientemente i destini inI coscienti del suo popolo! Vuole il Poeta che cerchi ardentemente l'immortalità, e non ! si preoccupi della fama, che è per le attrici e per i prodotti farmaceutici! Vuole il Generale che combatta per il Trionfo Costruttivo, non per la vittoria in cui solamente si sconfiggono gli altri! L'Europa vuole molti di questi Politici, molti di questi Poeti, molti di questi Generali! L'Europa vuole la Grande Idea che stia dentro questi Uomini Forti - l'idea che sia il Nome della sua ricchezza anonima! L'Europa vuole l'Intelligenza Nuova che sia la Forma della sua Materia caotica! Vuole la Volontà Nuova che faccia un Edificio, con le pietre i poste a caso, di ciò che è oggi la Vita! Vuole la Sensibilità Nuova che riunisca dall'interno gli egoii smi dei lacchè dell'Ora! L'Europa vuole Padroni! Il Mondo vuole l'Europa! L'Europa è stanca di non esistere ancora! È stanca di essere ! solo il sobborgo di sé stessa! L'Era delle Macchine cerca, a tentoni, la venuta della Grande Umanità! L'Europa ambisce, almeno, a Teorici del ciò-che-'Sarà, a Cantori-Veggenti del suo Futuro!
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Date degli Omeri all'Era delle Macchine, oh Destini scientifici! Date dei Milton all'epoca delle Cose Elettriche, oli Dèi interni alla Materia! Dateci dei Possessori di sé stessi, Forti, Completi, Armonici, Sottili! L'Europa vuole passare da semplice designazione geografia a persona civilizzata! Ciò che qui fa marcire la Vita è al limite concime per il Futuro! Ciò che c'è qui non può durare, perché non è nulla! Io, della Razza dei Navigatori, affermo che non può durare! Io, della Razza degli Scopritori, disprezzo quanto sia minore della scoperta di un Nuovo Mondo! C'è qualcuno in Europa che almeno sospetta dove sia il Nuovo Mondo da scoprire ora? Chi sa stare in una Sagres qualunque? Io, almeno, sono una grande Ansia, dell'esatta misura del Possibile! Io, almeno, sono della statura dell'Ambizione Imperfetta, ma dell'Ambizione per Padroni, non per schiavi! Mi alzo davanti al sole che cala, e l'ombra del mio Disprezzo cala su di voi! Io, almeno, basto a indicare il Cammino! Ecco il Cammino!
ATTENZIONE! Proclamo in primo luogo
La Legge di Malthus della Sensibilità Gli stimoli della sensibilità aumentano in progressione geometrica; la sensibilità solo in progressione aritmetica. Si capisce l'importanza di questa legge. La sensibilità - intesa nel senso più ampio possibile - è la fonte di ogni creazione di civiltà. Ma questa creazione può avvenire completamente solo
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listorio concludere, nel caso posto, una delle due cose: (i) la manifestazione non implica ribassamento, nemmeno metafisico (e il ribassamento metafisico, in fin dei conti, è un criterio morale applicato a un caso puramente metafisico); (2) non c'è manifestazione, propriamente parlando: la manifestazione è uguale al manifestato. L'apparente è il reale.
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In me l'intensità delle sensazioni è sempre stata minore dell'intensità della loro consapevolezza. Ho sempre sofferto più per la consapevolezza di soffrire che per la sofferenza di cui avevo consapevolezza. La vita delle mie emozioni si è spostata, fin dalle origini, nelle sale del pensiero, e là ho sempre vissuto con maggiore ampiezza la conoscenza emotiva della vita. E poiché il pensiero, quando accoglie l'emozione, diventa più esigente di essa, il regime di coscienza nel quale ho preso a vivere ciò che sentivo mi rendeva più quotidiano, più epidermico, più stimolante il modo di sentirlo. Pensando, mi sono creato eco e abisso. Approfondendomi, mi sono moltipllcato. Il più piccolo episodio - un'alterazione della luce, la caduta a spirale di una foglia secca, il petalo che si stacca ingiallito, la voce dall'altra parte della parete o i passi di chi la emette accanto a quelli di chi deve ascoltarla, il cancello socchiuso di una vecchia tenuta, il cortile che si apre su un arco di case agglomerate al chiaro di luna - tutte queste cose, che non mi appartengono, catturano la mia sensibile immaginazione con corde di risonanza e di nostalgia. In ognuna di quelle sensazioni sono un altro, in ogni indefinita impressione mi rinnovo dolorosamente. Vivo di impressioni che non mi appartengono, dissipatore di rinunce, altro nel mio modo di essere.
Dichiarare cosa sopravviverà per la sua rappresentatività è più difficile che dichiarare cosa soprawiverà per la sua perfezione, poiché mentre la perfezione ha un suo tipo determinato i- mìa sua logica, la rappresentatività esiste in funzione diretta di ciò che viene rappresentato, ed è solo nella misura in cui ciò che è rappresentato si rivela importante che l'arte rappresentativa sopravvive. Ma è estremamente difficile sapere, in realtà, ciò che è rappresentativo; è estremamente difficile determinare quali siano gli elementi importanti che debbano essere rappresentati. La rappresentatività deve essere generale per poter sperare, sotto questo aspetto, nella sopravvivenza. L'artista deve sintetizzare tutta un'epoca per vivere oltre di essa. Tutti gli artisti secondari e perituri rappresentano correnti particolari; ma l'artista che sopravvive, sotto questo aspetto, deve rappresentare la corrente che soggiace a tutte. La caratteristica comune a tutti gli artisti rappresentativi è includere ogni specie di tendenza e corrente. Il tipo più elevato d'artista di questo genere è Shakespeare. Keats è un poeta di tipo superiore a Shakespeare, tuttavia non lo ha superato. Keats era un creatore; Shakespeare era solo un interprete. Ma Keats occupa una posizione relativamente bassa tra i creatori; mentre Shakespeare ha una posizione molto alta - la prima, io credo - tra gli interpreti. Un tipo magnifico di poeta che sopravviverà per la sua rappresentatività è Walt Whitman. Whitman racchiude in sé tutti i tempi moderni, dall'occultismo all'ingegneria, dalle tendenze
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umanitarie alla durezza, intellettuale - contiene in sé tutto questo. È molto più durevole di Schiller o Musset, per esempio. È i] veicolo dei Tempi Moderni. Il suo potere espressivo è completo quanto quello di Shakespeare. (Arte rappresentativa: URig-Veda, la Bibbia. Cioè: o un poeta multipersomle - drammatico come Shakespeare, o lirico come Walt Whitman - o un poeta «collettivo»: il Rig- Veda, o la Bibbia).
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Il movimento letterario solitamente chiamato romanticismo si contrappone in tre modi al classicismo che lo aveva precedu10. Alla ristrettezza e sicumera dei procedimenti classicisti si sostituisce l'uso dell'immaginazione, liberata, per quanto possibile, da altre leggi che non siano le proprie. Alla limitatezza speculativa dell'arte classica, in cui l'intelligenza appare solo come elemento formativo, e mai come elemento sostanziale, si sostituisce una letteratura fatta di idee. Alla classica subordinazione dell'emozione all'intelligenza si sostituisce, invertendola, la subordinazione dell'intelligenza all'emozione, e del generale al particolare. I primi due procedimenti rappresentano una innovazione, e un rinvigorimento dell'arte: il terzo è puramente morboso. Secondo quel movimento ciclico che pare essere proprio di tutta la civilizzazione, il romanticismo, nei suoi due procedimenti davvero innovatori, non fa che riadattare l'ellenismo, contro la formula classica, più latina che greca. In questi due punti, del resto, il romanticismo è continuatore di ciò che il Rinascimento ha portato di nuovo - ma anche di ellenistico - alla letteratura d'Europa. In ciò che gli è proprio, ovvero la sostituzione dell'ordine dell'intelligenza con l'emozione, il romanticismo è stato un semplice fenomeno di decadenza; e poiché non ha mostrato quella terza caratteristica, il Rinascimento ha potuto attingere un livello poetico più alto, dacché nel romanticismo non esiste un Dante o un Milton, tale è il fallimento costruttivo da cui era inquinato il nuovo sistema.
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Nella sua evoluzione il romanticismo, che nacque infermo, si è sgretolato. Si è disintegrato nei suoi tre elementi compositivi, e uno ognuno di essi ha iniziato a aver vita propria, a formare una corrente separata dalle altre. Dalla sostituzione dell'immaginazione allo scrupolo imitativo nacque tutta la letteratura della Natura che contraddistinse il secolo scorso. Dall'introduzione della speculazione nella sostanza dell'arte nacque tutta la letteratura realista e [ J. Dall'inversione delle posizioni mentali dell'intelligenza e dell'emozione nacquero tutto il movimento decadentista, simbolista, e quelli successivi. È chiaro che questi elementi, sebbene creassero correnti che si possono dire separate, non sono separati; e la maggioranza dei cultori delle letterature nate dai primi due sono condizionati dal preconcetto personalista che è la base inferma del terzo. Il ventesimo secolo ha trovato dinnanzi a sé, erede del secolo che lo aveva preceduto, un problema fondamentale - quello della conciliazione dell'Ordine, che è intellettuale e impersonale, con le acquisizioni emotive e immaginative dei tempi recenti. È impossibile risolvere questo problema, come vorrebbero gli integralisti francesi, attraverso la soppressione di uno dei suoi termini. È altrettanto impossibile da risolvere accettando la predominanza dell'emozione sulla ragione, perché, una volta accettata, sparisce l'ordine, e il problema resta da risolvere. Evidentemente una soluzione c'è: elevare la personalità dell'artista al grado astratto, affinchè possa contenere in sé la disciplina e l'ordine. Così l'ordine sarà soggettivo e non oggettivo. Rendere l'immaginazione astratta, rendere l'emozione astratta, è il cammino. Drammatizzazione dell'emozione. Gli uomini del Rinascimento già la possedevano; la loro poesia dell'emozione è impersonale e umanamente universale. Emozione dell'astratto.
IDEE
La letteratura di fantasia che irruppe ,edeschi e in seguito nei due grandi poem, di Coleridge. Questo elemento è di origine medievale. Per drammatizzazione dell'emozione intendo lo spogliare IVmozione di tutto quanto è accidentale e personale, rendendola astratta-umana.
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Ogni volta che viaggio, viaggio molto. La stanchezza che riporto da un viaggio in treno per Cascais è come quella d'aver percorso, in quel breve tempo, i paesaggi di campagna e di città di quattro o cinque paesi. In ogni casa dove passo, in ogni chalet, in ogni casetta isolata dipinta di bianco e di silenzi - in ciascuna di esse mi immagino in un attimo di vivere, all'inizio felice, poi annoiato, infine stanco; e, provando il sentimento dell'abbandono, porto con me una enorme nostalgia del tempo in cui vi ho vissuto. Così tutti i miei viaggi sono un doloroso e felice raccolto di grandi allegrie, di enormi tedii, di innumerevoli false nostalgie. Poi, passando davanti alle case, alle ville, agli chalet, vivo in me tutte le vite delle creature che vi abitano. Vivo tutte quelle vite domestiche allo stesso tempo. Sono il padre, la madre, i figli, i cugini, la domestica e il cugino della domestica, allo stesso tempo e tutto insieme, grazie alla capacità particolare che ho di sentire allo stesso [tempo] varie sensazioni diverse, di vivere allo stesso tempo - e allo stesso tempo dall'esterno, vedendole, e dall'interno, sentendole come mie - le vite di varie creature. Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente delle personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è immediatamente incarnato in un'altra persona, che incomincia a sognarlo, e non in me.
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Per creare, mi sono distrutto; dentro di me mi sono così esteriorizzato, che dentro di me non esisto se non estenormente Sono la nuda scena su cui passano vari attori che recitano dran mi diversi.
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58. 26-4-1919 Lettera a Francisco Fernandes Lopes1
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_ È ottimo aprire con uno studio distruttivo su qualche vivo vivente; il suo studio sul pragmatismo sarebbe di prim'ordine, così come quello su Bergson, se riesce a procurarselo. Gli articoli possono essere quanti lei vorrà, pubblicati consecutivamente oppure no, conclusi in un solo testo o continuativi. Faccia come crede. Quanto agli pseudonimi, può usare quelli che vuole. È essenziale, però, che siano nomi portoghesi (la rivista è fatta solo da portoghesi), tranne nel caso in cui voglia usare un qualche pseudonimo universale - cioè un termine latino o greco. È conveniente, nel caso si usino pseudonimi, farlo secondo un sistema, dando a ogni pseudopersonalità un certo numero di attribuzioni costanti; ciò per non distruggere l'estetica della pseudonimia e, se gli pseudonimi sono nomi portoghesi, che abbiano parvenza di nomi reali per mantenere il carattere drammatico che questa opera impone, l'intermezzo delle diverse «persone». Quanto a me, ho trovato curiosissimo che mi rivolgesse la domanda; nel primo numero della rivista appare, naturalmente, il mio compagno di psichismo Alvaro de Campos.
' Medico e docente (1884-1969), originario dell'Algarve dove insegnò molti anni; conobbe Pessoa ai tavoli della Brasileira, il caffè degli intellettuali di Lisbona.
Prefazione Generale. 1. Alberto Caeiro (1889-1915) - O Guardador de Rehanhos e outros poemas efragmentos [II guardiano di greggi e altre poesie e frammenti]. 2. Ricardo Reis: Odes [Odi]. 3. Antonio Mora: Alberto Caeiro e a renova^ào do paganismo [ Alberto Caeiro e il rinnovamento del paganesimo]. 4. Alvaro de Campos: Arco de Triunfo, Poemas [Arco di trionfo, poesie]. 5. Vicente Guedes: Livro do Desassosego [Libro dell'inquietudine].
L'atteggiamento da tenere verso i libri qui pubblicati è quello di chi non abbia dato questa spiegazione e li abbia letti, avendoli comprati, uno a uno, dai tavoli di una libreria. Altra non deve essere la condizione mentale di chi legge. Quando leggete l'Amleto, non cominciate a stabilire nel vostro spirito che quell'intreccio non è reale. Avvelenereste così il piacere stesso della lettura che in essa ricercate. Chi legge, smette di vivere. Provate adesso, a sperimentarlo. Smettete di vivere, e leggete! Cos'è la vita? Ma qui, più intensamente che nell'opera drammatica di un poeta, dovete contare sul rilievo reale dell'autore supposto.
TEORIA DELL'ETERONIMIA Ni ni vi assiste il diritto di credere nella mia spiegazione. Dovete .n| iporre, appena letta, che ho mentito; leggete opere di diversi I iodi, o di scrittori diversi, attraverso i quali possiate cogliere le loro emozioni, o i loro insegnamenti, a cui io, salvo che come editore, non aderisco e con i quali non collaboro. Chi vi dice che questo atteggiamento non sia, alla fine, il più giustamente conforme all'ignorata realtà delle cose? Nella mia opera personale ci saranno cose che assomiglieranno a quanto si trova in queste opere. Non vi meravigliate. Sono legittime influenze letterarie: o le mie su di loro, o le loro su di me. Non c'è somiglianzà o coesistenza di personalità. Ognuna di queste personalità - badate - è perfettamente unica in sé stessa, e là dove esiste un'opera ordinata cronologicamente, come in Caeiro o Alvaro de Campos, l'evoluzione della persona morale e intellettuale dell'autore è perfettamente definita. Vedete come ciò avviene in Caeiro. All'interno del Gu-ardador de Rebanbos [II guardiano di greggi], dalla limpidezza primitiva (che io mai sono arrivato a comprendere o a sentire) dell'impressione nativa, l'evoluzione è diretta all'approfondimento filosofico. Il breve episodio - espressione di una qualche realtà dell'autore, che ignoro - del Pastor Amoroso [Pastore Amoroso] interviene e differenzia. In seguito, con il sopravvento della malattia, il perfetto scintillio immaginativo o sensibile si spegna e abbiamo, nelle frammentarie poesie finali del libro, in alcuni punti la continuazione di quello sviluppo, attraverso l'evoluzione dello spirito del poeta, in altri uno sconvolgimento dell'opera, dovuta alla malattia finale, reale come le mie mani, alla quale - provocandomi un dolore che ho sfogato in lacrime - il grande poeta ha ceduto. Fingo? Non fingo. Se volessi fingere, perché scriverei ciò? Queste cose sono avvenute, lo garantisco; dove siano avvenute non lo so, ma sono avvenute alla stessa maniera in cui ogni cosa avviene in questo mondo, dentro case reali, le cui finestre danno su paesaggi realmente visibili. Non vi sono mai stato: ma per caso sono io chi scrive ?
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Nella nostra vita pratica, piena di cose impossibili, non safebbero mai potute accadere; nella nostra vita sentimentale, «lomestica o personale, piena di cose emotive che mai si sono M mite in questo mondo, ci sono per caso realtà così presenti come queste, che forse giudicate indefinite? Ah, ombre siete voi e le vostre sensazioni. La realtà, in quanto veritiera, è così < onie questi me l'hanno descritta, poiché questi che me l'hanno descritta, sono stati veri. Non mi dite che sono il medium di spiriti estranei alla terra. Insieme alla terra mi voglio, e insieme al suo spazio azzurro. L'orizzonte include quanto io includo; il resto sono i cattivi sogni che ognuno ha da solo con sé stesso.
La complessa opera, di cui questo è il cui primo volume, è eli sostanza drammatica, sebbene di forma varia - qui, passi in prosa; in altri libri, poesia o filosofia. È, non so se un privilegio o una malattia, la costituzione mentale che la produce. Ciò che è certo, però, è che l'autore di queste righe - non so bene se l'autore di questi libri - non lia mai avuto una sola personalità, non ha mai pensato, né ha sentito se non drammaticamente, ovvero, tramite una persona, o una personalità supposta, che più propriamente di lui stesso avesse potuto avere questi sentimenti. Ci sono autori che scrivono drammi e novelle; e in questi drammi e novelle attribuiscono sentimenti e idee alle figure che li popolano, e molte volte si indignano se questi sono presi per sentimenti e per idee loro. Qui la sostanza è la stessa, anche se la forma è diversa. A ogni personalità più duratura che l'autore di questi libri è riuscito a vivere dentro di sé, egli ha dato una indole espressiva, e ha fatto di questa personalità un autore, con un libro o dei libri, con le idee, le emozioni e l'arte con cui egli, l'autore reale (o forse apparente, perché non sappiamo cosa sia la realtà), non ha niente a che vedere, salvo esser stato, scrivendole, il medium di queste figure che egli stesso ha creato.
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Né quest'opera né tanto meno quelle che seguiranno hanno qualcosa a che vedere con chi le ha scritte. Egli non concorda con ciò che in esse è scritto, e neppure discorda. Come se gli venisse dettato, scrive; e come se gli venisse dettato da chi fosse suo amico, e dunque a buon diritto gli chiedesse di scrivere ciò che detta, trova interessante - forse solo per amicizia - quanto va scrivendo su dettato. L'autore umano di questi libri non conosce in sé stesso alcuna personalità. Quando, per caso, sente emergere dentro di sé una personalità, si accorge subito che è un ente differente da lui, anche se simile; figlio mentale, forse, e con qualità ereditate, ma con la differenza di essere un altro. Che tale qualità sia nello scrittore una forma d'isteria, o della cosiddetta dissociazione della personalità, l'autore di questi libri non lo contesta, né lo difende. A niente gli servirebbe, schiavo come è della molteplicità di sé stesso, concordare con questa o con quella teoria sui risultati scritti di questa molteplicità. Che questo processo artistico causi straniamento non meraviglia; meraviglia come non ci sia niente che ormai causi straniamento. Alcune teorie che l'autore attualmente possiede gli sono state ispirate dall'una o dall'altra personalità che per un momento, per un'ora, per un certo tempo, ha attraversato consustanzialmente la sua personalità, se davvero questa esiste. Affermare che questi uomini tutti differenti, tutti ben definiti, che gli hanno attraversato l'anima incorporatamente, non esistono - non può farlo l'autore di questi libri; perché non sa cosa sia esistere, né chi, tra Amieto e Shakespeare, sia più reale, o veramente reale. Questi libri, per ora, sono i seguenti: primo, questo volume, Livro do Desassosego [Libro dell'inquietudine], scritto da chi dice di chiamarsi Vicente Guedes1; poi O Guardador de ' Come si leggerà qui nell'Elenco degli eteronimi, il Libro dell'inquietudine è stato variamente attribuito. Vicente Guedes cominciò a firmare le pagine diaristiche di quel work in progress che è il Li-uro sin dal 1915 per poi cedere l'autorialità al semi-eteronimo Bernando Soares a partire dal 1929.
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(tbanhos [II guardiano di greggi] e altre poesie e frammenti di •Alberto Caeiro (anche lui, e allo stesso modo, scomparso), nato [vicino a Lisbona nel 1889 e morto dove era nato nel 1915. Se un dicessero che è assurdo parlare così di chi non è mai esistito, risponderei che non ho alcuna prova che Lisbona sia mai esistila, o che esisto io che scrivo, o che esista qualunque altra cosa. Tale Alberto Caeiro ha avuto due discepoli e un continuatore filosofico. I due discepoli, Ricardo Reis e Alvaro de Campos, hanno seguito cammini differenti; il primo ha intensificato e reso artisticamente ortodosso il paganesimo scoperto da Caeiro, mentre il secondo, basandosi su un'altra parte dell'opera di Caeiro, ha sviluppato un sistema completamente differente, ,c fondato sulle sensazioni. Il continuatore filosofico, Antonio Mora (i nomi sono inevitabili, imposti dall'esterno così come le personalità), ha uno o due libri da scrivere, dove proverà completamente la verità metafisica e pratica del paganesimo. Un secondo filosofo di questa scuola pagana, il cui nome, però, ancora non è apparso alla mia visione o alla mia audizione intcriore, sosterrà una difesa del paganesimo basata interamente su altri argomenti. È possibile che, più tardi, altri individui di questo stesso genere di vera realtà appaiano. Non lo so; ma saranno sempre benvenuti nella mia vita intcriore, dove convivono meglio con me di quanto io sappia vivere con la realtà esterna. È inutile dire che con una parte delle loro teorie concordo, e che non concordo con altre parti. Queste cose sono perfettamente indifferenti. Se essi scrivono cose belle, queste cose sono belle indipendentemente da ogni considerazione metafisica sui loro autori «reali». Se, nelle loro filosofie, dicono qualche verità - se verità ci sono in un mondo che è il non esserci nulla - queste cose sono vere indipendentemente dalla intenzione o dalla «realtà» di chi le ha dette. Diventando così, almeno un pazzo che sogna ad alta voce, o al più non un solo scrittore, ma tutta una letteratura, anche se ciò non servisse che a divertirmi, il che per me sarebbe già
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molto, contribuisco forse a ingrandire l'universo, perché chi morendo lascia scritto un solo verso bello rende più ricchi i eieli e la terra e più emotivamente misteriosa la ragione di esistere delle stelle e della gente. Con l'assenza di letteratura che c'è oggi, cosa può fare un uomo di genio, se non convenirsi, lui solo, in una letteratura? Con la mancanza, di gente «coesistitale», come c'è oggi, cosa può fare un uomo di sensibilità se non inventare i suoi amici o, quanto meno, i suoi compagni di spirito? Ho pensato, dapprima, di pubblicare anonimamente, in relazione a me, queste opere, e per esempio di stabilire un neopaganesimo portoghese con vari autori, tutti differenti, che collaborassero al progetto e lo estendessero. Ma essendo troppo ristretto l'ambiente intellettuale portoghese perché si potesse mantenere la maschera, anche evitando indiscrezioni, sarebbe stato inutile lo sforzo mentale necessario a mantenerla. Nella mia visione che chiamo interiore solo perché chiamo esteriore un determinato «mondo», ho pienamente fisse, nitide, conosciute e distinte le linee fisionomiche, le qualità caratteriali, la vita, l'ascendenza, in alcuni casi la morte, di questi personaggi. Alcuni si sono conosciuti fra di loro; altri no. Personalmente non mi ha conosciuto nessuno, tranne Alvaro de Campos. Ma se un giorno, viaggiando per l'America, incontrassi all'improvviso la persona fisica di Ricardo Reis che, a mio vedere, vive là, nessun suo gesto mi uscirebbe dall'anima verso il corpo; è tutto esatto, ma, già prima di questo, era tutto esatto. Cos'è la vita?
La serie, o la collezione, la cui pubblicazione inizia con questi libri, rappresenta non un processo nuovo in letteratura, ma una maniera nuova di utilizzare un processo già antico.
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Desidero essere un creatore di miti, che è il mistero più alto I che un uomo possa compiere. La preparazione di queste opere non manifesta nessuno Itato di opinione metafisica. Voglio dire: con lo scrivere questi • aspetti» della realtà, realizzati in persone che li abbiano avuti, non pretendo di avere una filosofia che insinui come, di reale, ti sia solo il fatto che esistano aspetti di una realtà illusoria o inesistente. Non ho né questa credenza filosofica né quella contraria. Rispetto al mio mestiere, che è quello letterario, sono un professionista nel senso superiore del termine; cioè, sono un lavoratore scientifico, che non permette a sé stesso di avere opinioni estranee alla specializzazione letteraria a cui si consegna. Non avere né questa né quella opinione filosofica a proposito della preparazione di queste persone-libri non deve parimenti indurre a credere che io sia uno scettico. La questione si colloca su un piano dove la speculazione metafisica, proprio perché non entra legittimamente, non ha bisogno di avere queste o quelle caratteristiche. Come il fisico non ha metafisica nel suo laboratorio, e non ce l'ha il clinico nelle diagnosi che fa, non perché non l'abbia come uomo, né perché non la possa avere, ma perché [ ]; così il problema metafisico mio non esiste, perché non può, né deve esistere all'interno dei margini di questi miei I ibridi altri.
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Intervista alla «Revista Portuguesa»1
Ho creato per me stesso, obbrobrio fastoso, uno sfarzo di dolore e di estinzione. Non ho fatto del mio dolore un poema, ma un corteo. E dalla finestra che da dentro di me contemplo, con stupore, i tramonti violacei, i crepuscoli vaghi di dolori immotivati dove, nelle cerimonie del mio smarrimento, passano i paggi, le divise, i pagliacci della mia nativa incompetenza nei confronti dell'esistere. Il bambino, che niente in me è riuscito a uccidere, assiste ancora con febbre e nastrini al circo che mi regalo. Ride dei pagliacci senza che ci sia un circo là fuori; rivolge lo sguardo di chi contempla la vita intera ai giocolieri e agli acrobati. E così, senza allegria eppur contenta, tra le quattro pareti della mia stanza, dorme, innocente, con la sua povera carta brutta e logora, tutta l'angoscia insospettata di un'anima umana che trabocca, tutta l'irrimediabile disperazione di un cuore abbandonato da Dio. Cammino, non per strada, ma nel mio dolore. Le case allineate sono le impossibilità che mi circondano, nell'anima; [ ] i miei passi risuonano sul marciapiede come un ridicolo rintocco a morto, un rumore di spettri nella notte, definitivo come una ricevuta o una fossa. Mi separo da me e mi accorgo di essere il fondo di un pozzo. È morto colui che non sono mai stato. Dio ha dimenticato chi avrei dovuto essere. Solo un vuoto interludio. Se fossi un musicista scriverei la mia marcia funebre, eccome se la scriverei!
[.-.] Il popolo portoghese è essenzialmente cosmopolita. Mai un vero portoghese è stato portoghese: è sempre stato tutto. Essei r tutto in un individuo è essere tutto: essere tutto in una collettività significa che ciascun individuo non è nulla. Quando l'atmosfera della civiltà è cosmopolita come nel Rinascimento, il portoghese può essere portoghese, può quindi essere un individuo, può quindi avere un'aristocrazia. Quando l'atmosfera