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Italian Pages 304 [306] Year 2020
Qyodlibet Fernando Pessoa Teoria dell'eteronimia
Saggi 40
Fernando Pessoa
Teoria dell'eteronimia
Prefazione di Fernando Cabrai Martins A cura e con un saggio di Vincenzo Russo
Quodlibet
Volume pubblicato con il sostegno della Direçao Gera! do Livro, dos Arquivos e das Bibliotecas (DGLAB) di Lisbona. Traduzione di Vincenzo Russo © 2020 Quodlibet srl Macerata, via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, www.quodlibet.it
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Prefazione di Fernando Cabrai Martins
L'autore come personaggio
La spiegazione dell'eteronimia è uno dei compiti critici a cui Pessoa si dedica, cosciente come è della sorpresa e dell'enigma che essa comporta. Nulla è più utile e rivelatore, dunque, di un volume tematico che raccoglie i momenti fondamentali di questa spiegazione o delle sue varie versioni. Ecco cosa fa in modo chiaro e sistematico questo volume. Qui si possono trovare le chiavi di lettura di questo strano e complesso caso di poesia. In effetti, è dagli albori del Romanticismo che la questione dell'autore si pone in maniera ossessiva, e Pessoa, attribuendo la sua poesia a vari autori eteronimi, conduce questo processo alla sua massima estremizzazione. Almeno fino all'anticlimax rappresentato dagli anni Settanta del Novecento in cui, uno dopo l'altro, Barthes e Foucault hanno annunciato la morte di questa entità immortale che è l'autore, dissolvendolo in un mero effetto. Eppure, c'è un altro scrittore che rivaleggia con Pessoa sull'importanza accordata al concetto di autore. E non penso a Ezra Pound, Paul Valéry o Antonio Machado: ma anzitutto a Jorge Luis Borges e ai suoi personaggi Pierre Menard e César Paladi6n. Si tratta, in Borges, di trasformare la coscienza della finzione dell'autore in qualcosa di più profondo dell'illusione e del gioco di specchi che sembra essere. Pessoa a malapena accresce la metamorfosi ultima di questa finzione, celebrando l'unione tra il vissuto e l'immaginato.
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FERNANDO CABRAL MARTINS
Ciò che conta, per i vari autori della sua singolare letteratura, non è la dimensione autobiografica, né la categoria dell'espressione, ma la raffigurazione della condizione antropologica dell'uomo moderno: misto di corpo e di immagine, transitorio, eterno, frammentato e mutante. Le Notas para a Recordaçào do Meu Mestre Caeiro del 193019 32, uno dei testi capitali sui rapporti tra Fernando Pessoa e gli eteronimi, è lì a dimostrare una perfetta equivalenza tra l'autore reale e gli autori inventati. Nell'insieme di queste Notas, poste in bocca a Alvaro de Campos, lo stesso Fernando Pessoa appare come un personaggio. In questo momento, l'eteronimia raggiunge la massima efficacia trasformatrice, dal momento che la stessa esistenza dell'autore diventa immaginaria. A tal punto che Pessoa potrà dire, nella lettera a Adolfo Casais Monteiro' sulla genesi degli eteronimi, che Alberto Caeiro è il suo maestro, diventando così il primo uomo che è discepolo di un personaggio. Tutto nei termini di una finzione che si mescola con la vita. Ben più semplice è la lettura secondo la quale l'eteronimia è soltanto un'altra forma di poesia drammatica, che ha il suo modello in Shakespeare, come Pessoa sostiene in vari passaggi. Altri modelli sono i monologhi drammatici di Browning o i monodrammi di Tennyson, solo per restare nella tradizione inglese. Eppure Pessoa si spinge un po' più in là quando propone di considerarsi «un poeta drammatico che scrive poesia lirica», aggiungendo, quale risultato necessario, che ogni poeta deve essere «vari poeti» E altro risultato eminente è anche «la fusione di tutta la poesia, lirica, epica e drammatica in qualcosa che va al di là di tutte queste poesie» 3• Niente di meno. E, in questo punto di fusione, l'esito della scrittura eteronimica è ineguagliabile. 2•
' Poeta e saggista portoghese (1908-1972), legato dapprima alla rivista «Presença», si esilia in Brasile in aperta opposizione al regime di Salazar. Pessoa e Casais Monteiro hanno avuto una intensa corrispondenza. È del 13 gennaio 1935 la nota lettera sulla genesi degli eteronimi (vedi infra, testo 98, pp. 197-206). 'Fernando Pessoa, Teoria da Heteronimia, ediçao Fernando Cabrai Martins e Richard Zenith, Assìrio & Alvim, Lisboa 2012, p. 269. 1 lvi, p. 265.
PREFAZIONE
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Infine, qualunque sia il modo di intendere l'eteronimia, è importante sottolineare il momento in cui essa si rivela una teoria della letteratura. Per esempio, possiamo leggere in una lettera del 10 agosto del 1925 a Francisco Costa: «l'arte è essenzialmente drammatica, e il più grande artista sarà colui che[ ... ] più intensamente, profusamente e complessamente esprimerà tutto quanto in verità non sente, o, in altre parole, sente solo per esprimere» 4 • Ossia, la scrittura eteronimica non può essere intesa solo come un effetto poetico-finzionale che attraversa tutta l'opera di Pessoa, e nemmeno come una opzione per il genere drammatico, ma deve essere intesa prima di tutto come una esposizione dei meccanismi della mimesi poetica. In una chiave rigorosamente modernista, dice Pessoa che la poesia - come tutta l'arte, «essenzialmente drammatica» - è tutto tranne che una espressione sincera: il «più grande artista» è colui che esprime «tutto quanto in verità non sente». Il poeta è come un attore - che è chi finge di essere un altro -, ma è un attore, o un.fingitore, in grado di sentire completamente ciò che un altro sente, cioè, che giunge, di fatto, a identificarsi con un altro. Lungi dall'esibizione di un virtuosismo formale o da un certo gusto per l'insolito, si tratta del riconoscimento dell'altro. Al posto della «scomparsa illocutoria» del poeta dissolto nella sua scrittura, di cui parla Mallarmé, qui si tratta dello svelamento del poeta interamente cosciente del suo processo di scrittura.
'Fernando Pessoa, Correspondencia r9.23-r935, ediçao Manuela Parreira da Silva, Assiria & Alvim, Lisboa 1999, pp. 84-8 5.
Nota ai testi
Questo volume raccoglie per la prima volta tutti i frammenti in prosa che Fernando Pessoa, nell'intera sua opera, ha dedicato al tema dell'eteronimia, il progetto letterario che consiste nella creazione di opere per autori fittizi dotati di personalità e biografie autonome. Esso si basa sull'edizione portoghese dal titolo Teoria da Heteronimia a cura di Fernando Cabrai Martins e Richard Zenith (Assfrio & Alvim, Lisboa 2012). Nella loro selezione i curatori del libro hanno integrato ai testi già presenti nelle edizioni di riferimento vari inediti rintracciati tra le carte dell'autore, riscontrando ciascun brano sugli originali manoscritti e dattiloscritti; ne sono derivate lezioni filologicamente più attendibili, talora notevolmente divergenti da quelle proposte in precedenza. I testi qui pubblicati sono distribuiti in due sezioni: la prima, Idee, contiene pensieri di natura critico-teorica, estratti dagli scritti in prosa e dai documenti epistolari, in cui Pessoa riflette sul tema della spersonalizzazione; la seconda, Storie, presenta brani narrativi dove è messa in scena quella che l'autore chiama «discussione in famiglia», in cui si confrontano le posizioni letterarie e filosofiche dei principali eteronimi. Dei 99 frammenti della sezione Idee, 16 sono stati scritti da Pessoa in inglese (1-5, 22, 25, 40, 46, 49, 55, 74, 78, 79, 91, 92). Dei 6 brani della sezione Storie, solo il numero 3 è in inglese. In tutti gli altri casi il testo originale è in portoghese. Nell'Elenco degli eteronimi e altri autori fittizi si offrono 46 brevi profili dedicati ai firmatari delle opere pessoane (sui 106 censiti nell'edizione portoghese, che include molti personaggi minori dalla fisionomia appena accennata); essi sono disposti secondo la data di «apparizione» indicata dall'autore o ricostruita dalla critica. I frammenti sono presentati in ordine cronologico. Ogni frammento è sempre preceduto da un numero progressivo e dalla datazione, certa o presunta (in quest'ultimo caso, seguita da un punto interrogativo). Quando possibile si indicano il nome dell'autore eteronimo accertato e/o il titolo in corsivo del brano se presente nell'originale. In alcuni casi si è ritenuto opportuno fornire anche una didascalia esplicativa sulla tipologia del testo ( «Risposta a un'inchiesta», «Lettera a un editore inglese» ecc.). Tutte le note a piè di pagina sono del curatore.
NOTA AI TESTI
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Segni convenzionali utilizzati: []
*
t
Spazio lasciato in bianco nell'originale Separazione tra frammenti che fanno parte dello stesso testo Illeggibile nell'originale
Edizioni di riferimento delle opere di Fernando Pessoa Correspondéncia (1905-1922), ediçào Manuela Parreira da Silva, Assirio & Alvim, Lisboa 1999. Correspondéncia (1923-1935), ediçào Manuela Parreira da Silva, Assirio & Alvim, Lisboa 1999. Escritos Autobiogrdficos, Automdticos e de Reflexao Pessoal, ediçao Richard Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa 2003. Fernando Pessoa e a Filosofia Hermética - Fragmentos do Esp6lio, ediçào Yvette Centeno, Presença, Lisboa 1985. Her6strato, ediçào Richard Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa 2000. Livro do Desassosego, ediçao Richard Zenith, 10• ed., Assfrio & Alvim, Lisboa 2012. Notas para a Recordaçao do Meu Mestre Caeiro, ediçao Teresa Rita Lopes, Estampa, Lisboa 1997. Obra Essencial de Fernando Pessoa, 7 volumes, ediçào Richard Zenith, Assfrio & Alvim, Lisboa 2006-2007. Obras de Antonio Mora, ediçao Lufs Filipe B. Teixeira, IN-CM, Lisboa 2002. 0s Trezentos e Outros Ensaios, ediçao Yvette Centeno, Presença, Lisboa 1998. Pdginas de Estética e de Teoria e Critica Literdria, ediçào Georg Rudolf Lind eJacinto do Prado Coelho, Atica, Lisboa 1966. Pdginas f ntimas e de Auto-interpretaçli,o, ediçao de Georg Rudolf Linde Jacinto do Prado Coelho, Atica, Lisboa 1966. Pessoa inédito, ediçao de Teresa Rita Lopes, Livros Horizonte, Lisboa 1993. Pessoa por Conhecer Il - Textos para um Novo Mapa, ediçao Teresa Rita Lopes, Estampa, Lisboa 1990. Poemas Completos de Alberto Caeiro, ediçao Teresa Sobral Cunha, Presença, Lisboa 1994. Prosa de Alvaro de Campos, ediçao Jeronimo Pizarro e Antonio Cardiello, Atica, Lisboa 2012. Rubaiyat, ediçao Maria Alhete Galhoz, IN-CM, Lisboa 2008. Sensacionismo e Outros Ismos, ediçao Jer6nimo Pizarro, IN-CM, Lisboa 2009. Textos Filos6ficos re n, ediçao Antonio de Pina Coelho, Atica, Lisboa, 1968. Teresa Rita Lopes, Fernando Pessoa et le drame symboliste: héritage et création, Fondation Calouste Gulbenkian, Paris 1977. V. R.
Teoria dell'eteronimia
Idee
Come si realizza l'infinito? Infinitamente, dal momento che non possiamo concepire un limite per il numero. Ma se, realizzandosi, si realizza in sé, l'infinito, nel diventare un altro differente, non esce da sé, continua a essere sé stesso nell'altro. Non è l'infinito l'idea di numero? Idea di numero = idea di pluralità. L'idea è una, la pluralità è molti. Nell'idea di pluralità, uno = molti.
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
2.
1906?
Ho sempre preso in considerazione un caso estremamente interessante, e che solleva un problema non meno interessante. Ho riflettuto sul caso di quell'uomo che diventa immortale con uno pseudonimo e che lascia occulto e ignoto il suo vero nome. Pensandoci bene, costui considera immortale non sé stesso, ma solo uno sconosciuto. E soprattutto, cos'è il nome? Se ci pensate, assolutamente nulla. Cos'è allora, mi sono detto, l'immortalità in arte, in poesia, in un'altra cosa qualsiasi?
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3. 1907?
Migliaia di teorie grottesche, straordinarie, profonde, sul mondo, sull'uomo e su tutti i problemi che riguardano la metafisica hanno attraversato il mio spirito. Ho coltivato in me migliaia di filosofie e mai due concordavano tra loro come se fossero reali. Tutte le idee che ho avuto, se le avessi scritte, sarebbero state un assegno lasciato alla posterità; tuttavia, a causa della peculiare costituzione della mia mente, appena una teoria o un'idea mi colpiva subito si dissolveva, e spesso mi sono dolorosamente accorto che già un istante dopo non ricordavo nulla - assolutamente nulla di ciò che avrebbe potuto essere. Così la memoria, come tutte le altre mie facoltà, mi ha predisposto a vivere m un sogno.
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Ci sono cose in me che avrei voluto poter trasformare in uomini, solo per poterle affrontare faccia a faccia. Avrei detto loro: «Non sono vostro schiavo!». Ma quando queste cose sono dentro di noi non esiste negazione, né coraggio. Obbedendo a esse, obbediamo a noi stessi; obbedendo a noi stessi, obbediamo a esse. Sono queste le cose cattive. [ ... ]
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5. 1908?
Se ogni cosa deriva da un Dio infinitamente buono, allora il bene deve essere in ogni cosa. La pluralità discende da questa unità; la pluralità è male? E se dicessimo che il tempo e lo spazio che rendono il mondo così com'è sono princìpi del male, da dove provengono? Se da un Dio buono, sono buoni. Se da un'altra cosa, esistono allora due princìpi, come affermò Zarathustra. O ancora il male, si dice, è il risultato della nostra condizione terrena, l'imperfezione è il risultato della creazione. Ma se la creazione è di Dio, la creazione non può essere il male, poiché Dio è considerato buono. Ancora, si potrebbe sostenere, il mondo è una manifestazione. Dunque, la caratteristica di una manifestazione è che essa è opposta alla cosa manifestata. L'uno si manifesta come i molti, l'immutabile come ciò che è in movimento. Quindi, il bene si manifesta come male. La spiegazione mi pare buona. Ma se così fosse esisterebbe, vi sarebbe qui una legge della manifestazione. Dio sarebbe allora governato da una legge? Il Fatum dei romani, l' Ananke dei greci è dunque più grande di Dio stesso? Dio allora non sarebbe l'Essere Supremo? La contraddizione della personalità infinita. Una personalità infinita non è affatto una personalità. Esiste un vuoto tra il male e il bene?
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6. 1-2-1913
Lettera a Mario Beirao'
[... ] Sto attualmente attraversando una di quelle crisi a cui, in agricoltura, si dà il nome di «crisi di abbondanza». Ho l'anima in uno stato di velocità creativa così intenso che ho bisogno di un quaderno di appunti per la mia attenzione, e anche in questa maniera le pagine da riempire sono così tante che alcune si perdono, per quante sono, e altre non si riescono poi più a leggere per esser state scritte di fretta. Le idee che perdo mi provocano una tortura immensa, sopravvivono in questa tortura, come fossero oscuramente altre. Difficilmente lei immaginerà che Rua do Arsenal, in materia di movimento, è stata la mia povera testa. Versi inglesi, portoghesi, raziocini, temi, progetti, frammenti di cose che non so cosa sono, lettere che non so come iniziano o finiscono, lampi di critica, borbottii di metafisiche ... Tutta una letteratura, mio caro Mario, che dalla nebbia va - verso la nebbia - attraverso la nebbia ... Tra le cose psichiche che hanno avuto luogo in me evidenzio il seguente fenomeno che trovo curioso. Lei sa, credo, che delle varie fobie che ho avuto conservo unicamente quella assai infantile dei temporali. L'altro giorno il cielo minacciava pioggia e io mi stavo avviando verso casa: era tardi e non c'erano taxi. Alla fine il temporale non arrivò, ma era imminente e iniziò a piovere - quelle gocce gravi, calde e larghe - mentre ero a metà
' Mario Beirào ( 1890-1964), scrittore portoghese legato al gruppo della Renascença Portuguesa per cui il giovane Pessoa nutre una notevole ammirazione.
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strada tra la Baixa e casa mia. Mi rifugiai in casa andando quasi di corsa, con una tortura mentale che lei immaginerà, turbatissimo, tutto sconfortato. E in questo stato di spirito mi metto a comporre un sonetto - l'avevo terminato a pochi passi dal portone di casa -, a comporre un sonetto di una tristezza dolce, calma, che pare scritto da un crepuscolo di cielo limpido. E il sonetto è non solo calmo, ma anche più coeso e connesso di certe cose che ho scritto. Il fenomeno curioso dello sdoppiamento è qualcosa che mi capita abitualmente, ma mai lo avevo avvertito con questo grado di intensità. Come prova del genere calmo del sonetto, glielo trascrivo:
Abdicazione Prendimi fra le braccia, notte eterna, e chiamami figlio tuo. Io sono un re che volontariamente ha abbandonato il proprio trono di sogni e di stanchezze. La spada mia, pesante in braccia stanche, l'ho confidata a mani più virili e calme; lo scettro e la corona li ho lasciati nell'anticamera, rotti in mille pezzi. La mia cotta di ferro, così inutile, e gli speroni dal futile tinnire, li ho abbandonati sul gelido scalone. La regalità ho smesso, anima e corpo, per ritornare a notte antica e calma, come il paesaggio, quando il giorno muore. [... ]
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7. 1913?
Maniera di ben sognare nei metafisici
Ragionamento, [ J- tutto sarà facile e [],perché tutto per me è sogno. Mi ordino di sognarlo e lo sogno. A volte creo in me un filosofo, che mi illustra meticolosamente le filosofie mentre io, pagano [],corteggio sua figlia, l'anima di lei che divento, alla finestra della loro casa. Le mie conoscenze ovviamente mi limitano. Non posso creare un matematico ... Ma mi accontento di ciò che ho, che basta per combinazioni infinite e sogni senza numero. Del resto, chissà se a forza di sognare non riuscirò a ottenere ancor di più ... Ma non ne vale la pena. Mi basto così. Polverizzazione della personalità: non so quali sono le mie idee, i miei sentimenti, né il mio carattere ... Se sento una cosa, la sento nella persona vista in una creatura qualsiasi che appare in me. Ho sostituito i sogni a me stesso. Ognuno è soltanto il sogno di sé stesso. Io non sono neppure questo. Non leggere mai un libro fino alla fine, né tutto di seguito e senza saltare pagine. Non ho mai saputo cosa sentivo. Quando mi parlavano di questa o quella emozione e la descrivevano, ho sempre sentito che descrivevano qualcosa della mia anima, ma poi, ripensandoci, ne ho sempre dubitato. Non so mai se sono realmente quello che sento di essere, o se soltanto credo di esserlo. Sono un personaggio dei miei drammi. Lo sforzo è inutile, ma almeno passo il tempo. Il ragionamento è sterile, ma divertente. Amare è noioso, ma è forse preferibile a non amare. Il sogno, però, sostituisce tutto. In esso
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può entrare tutta la nozione di sforzo senza lo sforzo reale. Dentro il sogno posso partecipare a battaglie senza il rischio di provare paura o di essere ferito. Posso ragionare senza aver per obiettivo quello d'arrivare a una verità, a cui mai giunga; posso ragionare senza risolvere un problema che mi rendo conto di non saper risolvere; senza che [ ]. Posso amare senza che mi respingano o mi tradiscano o si stufino. Posso cambiare amata e lei sarà sempre la stessa. E se voglio che mi tradisca o che mi eviti, basta che ordini che questo mi accada e accadrà sempre come voglio, sempre come mi va. In sogno, posso vivere le maggiori angosce, le maggiori torture, le maggiori vittorie. Posso vivere tutto ciò come se appartenesse alla vita; dipende solo dalla mia capacità di rendere il sogno vissuto, nitido, reale. Questo esige studio e pazienza interiore. Esistono vari modi di sognare. Uno è abbandonarsi ai sogni, senza cercare di renderli nitidi, lasciarsi andare nella vaghezza e nel crepuscolo delle loro sensazioni. È un modo mediocre di sognare e annoia, perché è monotono, sempre lo stesso. C'è poi il sogno nitido e orientato, ma in questo caso lo sforzo di orientare il sogno ne rivela l'artificio. Il sommo artista, il sognatore come lo sono io, si sforza solo di volere che il sogno sia tale, che assuma tali fantasie ... e quello si svolge davanti a lui come lo aveva desiderato, ma non come lo avrebbe potuto concepire se si fosse impegnato a farlo. Voglio sognarmi re ... Lo voglio di colpo. Ed eccomi subito re di un paese qualsiasi. Quale, di che specie, il sogno me lo dirà ... Perché io ho ottenuto questa vittoria su ciò che sogno: che i miei sogni mi portino sempre inaspettatamente quel che voglio io. Molte volte riescono a perfezionare, rendendola nitida, l'idea di cui avevano ricevuto soltanto un ordine vago. Sono totalmente incapace di pensare in modo cosciente ai medioevi di diverse epoche e diversi paesi che ho vissuto in sogno. Mi stupisce l'eccesso di immaginazione che non conoscevo in me e sto vedendo. Lascio andare i miei sogni ... Ma li conservo così puri che superano sempre ciò che mi aspetto da loro. Sono sempre più belli di quanto voglio. Ma questo può sperare di ottenerlo solo il sognatore raffinato. Ho impiegato anni a cercare di essere un sognatore così. Oggi ci riesco senza sforzo ...
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Il modo migliore di cominciare a sognare è tramite i libri. I romanzi vanno molto bene per i principianti. Imparare a abbandonarsi totalmente alla lettura, a vivere appieno con i personaggi di un romanzo: ecco il primo passo. La nostra famiglia e le sue afflizioni ci sembrano garrule e disgustose di fronte a essi: ecco il segno del progresso. Bisogna evitare di leggere romanzi letterariamente ricercati nei quali l'attenzione sia attratta verso la forma del romanzo. [ ] Non provo vergogna di confessare che ho iniziato così. È curioso, ma i romanzi polizieschi, quelli [ ] che è per una [ ] intuizione leggevo. Non sono mai riuscito a leggere con attenzione i romanzi d'amore. Ma è una questione personale, poiché non possiedo un'indole amorosa, nemmeno nei sogni. Ciascuno, tuttavia, coltivi l'indole che ha. Ricordiamoci sempre che sognare è cercare noi stessi. Il soggetto sensuale dovrà scegliere letture opposte alle mie. Quando si prova una sensazione fisica, si può dire che il sognatore ha superato il primo grado del sogno. Cioè, quando un romanzo su combattimenti, fughe, battaglie, ci lascia il corpo realmente ammaccato, le gambe pesanti ... il primo grado è assicurato. Nel caso del soggetto sensuale, dovrà avere un'eiaculazione senza alcuna masturbazione se non mentale quando uno di questi momenti occorrerà nel romanzo. Dopodiché, cercherà di tradurre tutto ciò in qualcosa di mentale. L'eiaculazione, nel caso del soggetto sensuale (che scelgo come esempio, perché è il più violento e adatto allo scopo), dovrà essere sentita senza che si sia verificata. La stanchezza sarà molto più grande, ma il piacere estremamente più mtenso.
Nel terzo grado, ogni sensazione diverrà solo mentale. Aumenta il piacere e aumenta la stanchezza, ma il corpo non sente già più nulla e, invece delle membra, saranno l'intelligenza, l'idea e l'emozione a diventare fiacche e mosce ... Arrivato a questo punto, è tempo di passare al sommo grado del sogno.
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Il secondo grado è inventare romanzi per sé stessi. Bisogna tentare questo stadio solo quando il sogno è completamente mentalizzato, come ho detto prima. Altrimenti, lo sforzo iniziale di creare romanzi ostacolerà la perfetta mentalizzazione del godimento.
Terzo grado. Una volta educata l'immaginazione, basta volere ed essa si prenderà carico di costruire i sogni per noi. A questo punto, la stanchezza, anche quella mentale, sarà quasi nulla. Si assiste a una dissoluzione assoluta della personalità. Siamo mera cenere dotata di anima, senza forma - nemmeno quella dell'acqua, che è poi quella del recipiente che la contiene. Ben allestita questa [],drammi possono apparire in noi, verso dopo verso, svolgendosi in modo estraneo e perfetto. Forse non avremo più la forza di scriverli, ma nemmeno questo sarà necessario. Potremo creare di seconda mano: immaginare in noi un poeta che scrive con un proprio stile, e un poeta scriverà in un modo, un altro poeta scriverà in un altro ... Io, avendo perfezionato molto questa facoltà, posso scrivere in innumerevoli modi diversi, ognuno dei quali originale. Il grado più alto del sogno si raggiunge quando, creato un quadro con personaggi, viviamo tutti loro allo stesso tempo siamo tutte quelle anime insieme e interattivamente. È incredibile il grado di spersonalizzazione e di polverizzazione dello spirito a cui questa pratica porta, ed è difficile, lo confesso, sfuggire a una stanchezza generale di tutto l'essere nel farlo ... Ma il trionfo è tale! Questo è l'unico ascetismo possibile. Non prevede né fede né Dio. Dio sono io.
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Metafisica (note)
Non possiamo affermare che la coscienza è molteplice. Gli individui sono molteplici, ma è una constatazione materiale. Ogni individuo non vede, in quanto a coscienza, se non quella sua propria. Vuol dire che egli ha una coscienza? O vuol dire che la coscienza ha coscienza di lui in un certo modo, differente dalla coscienza che ha degli altri, naturalmente? La coscienza individuale sarebbe un modo che la coscienza ha di sentire l'individuo materiale, tanto che in proporzione al suo sviluppo materiale come cervello lo sente complessamente. Il come di questa specifica presa di coscienza? Se la coscienza di ogni individuo fosse cosciente, ci sarebbe una coscienza cosciente di sé stessa, il che sarebbe assurdo, perché nulla possiamo affermare sulla coscienza se non che essa è cosciente della materia. La coscienza che ha coscienza di sé stessa sarebbe un tutto che si contiene come tutto.
IDEE
9. 1913?
[...] Essendo così spontanei c'era da aspettarsi che gli spasmodici fossero dei buoni lirici: invece è proprio ciò che non sono. [ ... ] Sono poeti di frasi, alcune straordinariamente belle, di epiteti, alcuni bizzarramente adeguati - nient'altro. Analizzando meglio, si capisce che questo esclusivismo è frutto di una facilità di adattare la facciata superficiale al genio degli altri poeti o a quanto di formale galleggia nell'ambiente artistico e letterario; sono realmente dei pasticheurs, più o meno abili. E il pasticheur è un uomo che adatta a sé il pensiero o il sentimento di un altro solo nella forma. Se lo adatta nella sua essenza non è più un pasticheur, ma un potentissimo intuitivo, che deve intraprendere la via del dramma, dove il suo genio deve realizzarsi. Questa imitazione o adattamento formale ha del resto i suoi limiti. Se è molto esatta o molto prolungata, non è più imitazione formale, ma essenziale, e torniamo ad avere un'altra volta l'intuitivo. [ ... ]
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IO.
1913?
Rimarrò l'Inferno di esser Io, il Limite Assoluto, Espulsione-Essere dell'Universo lontano! Diventerò né Dio, né uomo, né mondo, mero vuoto-persona, infinito di un Nulla cosciente, sgomento senza nome, esiliato dallo stesso mistero, dalla stessa vita. Abiterò eternamente il deserto morto di me, errore astratto della creazione che mi ha lasciato indietro. Brucerà in me eternamente, inutilmente, l'ansia sterile di un ritorno all'essere. Non potrò sentire perché non avrò materia con cui sentire, non potrò respirare allegria, o odio, o orrore, perché non avrò neppure la facoltà con cui sentire, coscienza astratta nell'inferno del non contenere nulla, Non-Contenuto Assoluto, Soffocamento assoluto e eterno! Vacuo di Dio, senza universo, [] Un grido unanime di orrore eruppe da noi come da uno solo. Morendo, egli sparì,[ ... ] e solo sparì l'Uomo, la figura, l'essere. In aria, nello spazio, nell'anima, il mio essere MANCAVA!
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I I.
1914
L'arte è artificiale e insincera; la morale è naturale e sincera. La vetta dell'arte è la poesia drammatica, cioè quello che non sentiamo, scritto nel modo in cui noi non parliamo.
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TEORIA DELL'ETERONIMIA
Estetica dell'artificio
La vita impedisce l'espressione della vita. Se io vivessi un grande amore, non potrei mai raccontarlo.
Io stesso non so se questo io, che vi espongo in questa serie di pagine che scorrono, esista realmente oppure sia soltanto un concetto estetico e falso che ho creato di me stesso. Sì, proprio così. Mi vivo esteticamente in un altro. Ho scolpito la mia vita come una statua fatta di materiale estraneo al mio essere. A volte non mi riconosco, tanto mi sono collocato all'esterno di me stesso, e per quanto puramente ho impiegato in modo artistico la mia consapevolezza di me stesso. Chi sono dietro a questa irrealtà? Non lo so. Qualcuno dovrò pur essere. E se non cerco di vivere, di agire, di sentire, è solo - credetemi - per non turbare le linee tracciate della mia supposta personalità. Voglio essere tale e quale ho sempre voluto essere e non sono. Se io vivessi, mi distruggerei. Voglio essere un'opera d'arte, o almeno di anima, giacché non posso esserlo di corpo. Per questo mi sono scolpito con calma e estraneità e mi sono sistemato in una serra, lontano dall'aria fresca e dalle luci generose - dove la mia artificialità, fiore assurdo, fiorisca in distante bellezza. A volte penso a come sarebbe bello, unendo fra loro i miei sogni, se potessi crearmi una vita continua in cui si succedano, nello scorrere dei giorni, convivi immaginari con persone inventate, e vivere, soffrire, godere, questa vita falsa. Laggiù mi accadrebbero disgrazie; grandi gioie mi pervaderebbero. E
IIH·'.E
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nulla di tutto ciò sarebbe reale. Ma tutto avrebbe una logica 1mperba, propria; tutto accadrebbe secondo un ritmo di voluttuosa falsità, tutto accadrebbe in una città fatta della mia anima, perduta fino al molo in riva a una baia calma, molto lontano dentro di me, molto lontano ... E tutto nitido, inevitabile, come nella vita esterna, ma estetica distante[?] dal Sole.
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Estetica dell'indifferenza
Quello che il sognatore deve cercare di sentire di fronte a ogni cosa è la nitida indifferenza che essa, in quanto cosa, gli causa. Essere capaci di distillare, con un istinto immediato, da ogni oggetto o avvenimento ciò che esso può avere di sognabile, lasciando morto nel Mondo Esteriore tutto quanto esso ha di reale: ecco che cosa l'uomo saggio deve cercare di realizzare. Non vivere mai i propri sentimenti con sincerità ed esaltare il proprio pallido trionfo fino a poter guardare con indifferenza le proprie ambizioni, le proprie ansie e i propri desideri; sfiorare le proprie allegrie e le proprie angosce come chi sfiora una persona che non gli interessa ... Il più grande dominio di noi stessi consiste nell'indifferenza verso noi stessi, il considerarci, anima e corpo, come la casa e il parco dove il Destino ha voluto farci passare la vita. Trattare i nostri sogni e i nostri desideri più segreti in modo altero, en grand seigneur, porre un'intima delicatezza nel non averne cura. Avere il pudore di noi stessi; capire che in nostra presenza non siamo soli, che siamo testimoni di noi stessi, e che perciò è importante agire al cospetto di noi stessi come al cospetto di un estraneo, con una condotta esteriore studiata e serena, indifferente perché aristocratica, e fredda perché indifferente. Per non degradarci ai nostri stessi occhi è sufficiente abituarsi a non avere ambizioni, passioni e desideri, né speranza, né impulsi, né inquietudine. Per conseguire questo scopo, per poter essere a nostro agio, dobbiamo ricordarci sempre che sia-
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mo costantemente alla presenza di noi stessi, che non siamo mai soli. E in tal modo domineremo le passioni e le ambizioni, poiché passioni e ambizioni significano esporre noi stessi; non avremo desideri né speranze, poiché desideri e speranze sono gesti bassi e privi di eleganza; né avremo impulsi e inquietudini, poiché la precipitazione è una forma di indelicatezza nei confronti degli altri, e l'impazienza è sempre grossolanità. L'aristocratico è colui che non si dimentica mai di non essere solo; perciò la prassi e il protocollo sono appannaggio delle aristocrazie. Dobbiamo imparare l'aristocrazia interiore. Strappiamola ai saloni e ai giardini e trasferiamola nella nostra anima e nella nostra coscienza di esistere. Stiamo sempre al cospetto di noi stessi con protocolli e prassi, con gesti studiati e fatti per gli altri. Ognuno di noi è un'intera società, un intero quartiere del Mistero, converrebbe almeno rendere elegante e distinta la vita di questa società, converrebbe che nelle feste delle nostre sensazioni ci fosse raffinatezza e riserbo, e una sobria pompa e cortesia nei banchetti dei nostri pensieri. Intorno a noi le altre anime potranno innalzare i loro quartieri sporchi e poveri; demarchiamo nitidamente i confini del nostro quartiere, in modo che dalla facciata dei nostri sentimenti fino alle alcove delle nostre timidezze tutto sia aristocratico e sereno, scolpito nella sobrietà e nella riservatezza. Saper trovare per ogni sensazione una realizzazione serena; fare in modo che l'amore si riassuma soltanto nell'ombra di un sogno d'amore, il pallido e tremulo intervallo fra le creste di due piccole onde illuminate dalla luna; rendere il desiderio una cosa inutile e inoffensiva, in una specie di sorriso delicato dell'anima a tu per tu con sé stessa; fare di essa un qualcosa che non sia mai possibile realizzare o esplicitare. E addormentare l'odio come un serpente prigioniero e dire alla paura che conservi, dei suoi gesti, soltanto l'agonia nello sguardo: lo sguardo della nostra anima, unico atteggiamento compatibile con l'estetica.
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Creare dentro di me uno Stato completo di politica, partiti e rivoluzioni, e essere tutto questo, essere un Dio nel panteismo reale di questo popolo-io, essenza e azione dei suoi corpi, delle sue anime, della terra che calpestano e degli atti che compiono. Essere tutto, essere loro e non loro. Povero me! Questo è un altro dei sogni che non riuscirò a realizzare. Se lo realizzassi, forse morirei, non so perché, ma non si deve poter vivere dopo una simile impresa, poiché è enorme il sacrilegio commesso contro Dio, enorme l'usurpazione del potere divino di essere tutto. Quanto mi piacerebbe creare un gesuitismo delle sensazioni! Vi sono metafore che sono più reali delle persone che camminano per strada. Vi sono immagini nelle pieghe recondite dei libri che vivono più chiaramente di molti uomini e di molte donne. Vi sono frasi letterarie che possiedono una individualità assolutamente umana. Vi sono brani scritti da me che mi raggelano di sgomento, da quanto nettamente li sento persone, così definite contro le pareti della mia stanza, di notte, nell'ombra, []. Ho scritto frasi il cui suono, se lette a voce alta o bassa - è impossibile sottrarre loro il suono-, è senza alcun dubbio quello di qualcosa che ha acquisito un'esteriorità assoluta e un'anima completa. Perché espongo di tanto in tanto i procedimenti contraddittori e inconciliabili del sognare e dell'imparare a sognare? Perché probabilmente mi sono a tal punto abituato a sentire il falso come il vero, la cosa sognata chiara come quella vista, che ho perso la distinzione umana, falsa credo, tra verità e menzogna.
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Mi basta vedere qualcosa nitidamente, con gli occhi o con le orecchie, o con un altro senso qualsiasi, per sentirla reale. Mi può anche accadere di sentire allo stesso tempo due cose inconciliabili. Non importa. Esistono creature capaci di soffrire per lunghe ore perché non possono essere una figura di un quadro o di un mazzo di carte. Fsistono anime su cui pesa come una maledizione non riuscire a essere oggi individui del Medioevo. Un tempo anch'io ho provato questa sofferenza. Oggi non mi accade più. Mi sono perfe:iionato superando tutto questo. Tuttavia, mi continua a dolere, per esempio, non riuscire a sognarmi come due re in due regni diversi che appartengono, per esempio, a universi con diverse specie di spazi e tempi. Non riuscirvi fa davvero male. È come se soffrissi la fame. Riuscire a sognare l'inconcepibile visualizzandolo è uno dei grandi trionfi che io, pur essendo così grande, solo rare volte raggiungo. Sì, sognare di essere, per esempio, simultaneamente, separatamente, inconfusamente, l'uomo e la donna di una passeggiata che un uomo e una donna fanno sulla riva di un fiume. Vedermi al contempo, con uguale chiarezza, allo stesso modo, non mescolato, come due cose, ugualmente integrato in ciascuna: una nave cosciente in un mare del sud e una pagina di un libro antico. Come sembra assurdo! Ma tutto è assurdo, e magari il sogno è ciò che lo è di meno.
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Sii plurale come l'universo!
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Lo sdoppiamento dell'io è un fenomeno, in un gran numero di casi, di masturbazione.
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Ho le opinioni più contraddittorie, le fedi più diverse ... Il fatto è che non penso mai, né parlo, né agisco ... Un mio sogno qualsiasi, in cui mi incarno momentaneamente, pensa, parla e agisce sempre al mio posto. Comincio a parlare ed è questo altro io che parla. Di mio, sento soltanto un'enorme incapacità, un'immensa vacuità, un'incompetenza nei confronti di tutto ciò che è la vita. Non conosco i gesti di nessun atto reale, [] Non ho mai imparato a esistere. Tutto ciò che voglio, lo ottengo, a patto che sia dentro di me. Voglio che la lettura di questo libro vi lasci l'impressione di aver attraversato un incubo voluttuoso. Ciò che prima era morale, oggi per noi è estetico ... Ciò che era sociale, oggi è individuale ... Perché guardare crepuscoli se ho in me migliaia di crepuscoli diversi - alcuni dei quali neppure lo sono - e se, oltre a guardarli dentro di me, io stesso li sono, dentro di me?
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18. 19-1-1915 Lettera a Armando Cortes-Rodrigues'
[... ] È da molto - da quando le promisi questa lettera - che ho voglia di parlarle intimamente e fraternamente del mio «caso», della natura della crisi psichica che da tempo attraverso. Nonostante il mio riserbo, sento la necessità di parlarne a qualcuno, e questo qualcuno non può che essere lei: perché lei solo, fra tutti quelli che conosco, ha un concetto di me perfettamente all'altezza della mia realtà spirituale. Questa sua capacità di comprensione deriva dal fatto che lei è, come me, uno spirito fondamentalmente religioso; e, per quanto concerne coloro che mi sono vicini nell'attività letteraria, lei sa bene che, per quanto superiori come artisti, come anime propriamente non contano, poiché nessuno di loro ha la consapevolezza (che in me è quotidiana) della terribile importanza della Vita, questa consapevolezza che a noi rende impossibile il fare meramente arte per l'arte, senza la coscienza di un dovere da compiere verso noi stessi e verso l'umanità. In questa spiegazione apparentemente preliminare è già esposta gran parte del problema. Non so come potrei esporglielo ordinatamente, in modo perfettamente lucido. Ma, dato che questa è una lettera, glielo esporrò come potrò; e lei ordinerà dopo nel suo spirito gli elementi sparsi e alterati. 'Armando Cortes-Rodrigues (1891-1971), scrittore azzorriano. Prima modernista, in seguito più tradizionalista, fu amico e interlocutore intellettuale di Pessoa per molti anni.
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La mia crisi è del tipo delle grandi crisi psichiche, che sono sempre crisi di incompatibilità, quando non con gli altri, certamente con noi stessi. La mia, ora, non è di incompatibilità con me stesso; l'autodisciplina che ho gradualmente conquistato è riuscita a unificare dentro di me tutti quegli elementi divergenti del mio carattere che erano suscettibili di essere armonizzati. Ho ancora molto da intraprendere nel mio spirito; perciò sono ancora molto lontano da quell'unificazione che vorrei. Ma, come ho detto, non è da qui che provengono i motivi del mio attuale sconforto. La crisi di incompatibilità con gli altri, sia chiaro fin d'ora, non è una incompatibilità violenta come se risultasse da divergenze nitide e dichiarate di entrambe le parti. Si tratta di ben altro. La crisi di incompatibilità è sentita da me, dentro di me, ed è in me che sta tutto il peso della mia divergenza da chi mi circonda. Il fatto che io ora mi trovi a vivere solo, perché non ho qui vicino la mia famiglia (mia zia, presso cui abitavo, si è trasferita in Svizzera dalla figlia, che si è sposata da poco con uno studente, borsista del governo), viene ad aggravare questo mio stato di spirito, perché mi lascia a nudo con la mia anima, senza affetti e senza interessi familiari vicini che possano sviare da me la mia attenzione. Si aggiunga poi che mi trovo a vivere da mesi in una continua sensazione di profonda incompatibilità con le persone che mi circondano - perfino con quelle vicine, amici, letterati, è ovvio, perché gli altri non sono individui con cui io abbia o possa avere intimità spirituale e perciò, dato che quanto a relazioni sociali io vado d'accordo con tutti, vado d'accordo anche con loro. In nessuno di quanti mi circondano trovo un atteggiamento verso la vita che sia in sincronia con la mia intima sensibilità, con le mie aspirazioni e con le mie ambizioni, con tutto quanto costituisce il fondamento e l'essenza del mio essere spirituale. Trovo, questo sì, qualcuno in accordo con attività letterarie che appartengono solo ai sobborghi della mia sensibilità. E questo non mi basta. Dimodoché, per la mia sensibilità sempre più profonda, e per la mia consapevolezza sempre maggiore della missione terribile e religiosa che ogni uomo geniale riceve
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da Dio insieme al suo genio, tutto quanto sia futilità letteraria, mera arte, mi appare sempre più in maniera falsa e ripugnante. A poco a poco, ma con sicurezza, nel divino e intimo compimento d'una evoluzione i cui fini mi restano sconosciuti, sto arrivando a elevare i miei propositi e le mie ambizioni sempre più all'altezza delle qualità che ho ricevuto. Esercitare un'influenza sull'umanità, contribuire con tutta la potenza del mio sforzo alla civiltà stanno diventando per me i fini gravi e pesanti della mia vita. E, così, fare arte mi sembra una cosa ogni volta più importante, una missione più terribile da dover compiere con difficoltà, monasticamente, senza distogliere lo sguardo dallo scopo creatore di civiltà di ogni opera artistica. E, per questo, persino il mio concetto puramente estetico dell'arte si è innalzato e si è reso più difficile; esigo ora da me molta più perfezione e elaborazione scrupolosa. Fare arte, rapidamente, seppur bene, mi pare poco. Devo alla missione che sento in me una perfezione assoluta nella realizzazione, una serietà totale nello scrivere. Si è estinta in me la gretta ambizione di brillare per brillare, e quell'altra, grettissima e di un plebeismo artistico insopportabile, di voler épater. Non penso più con nessun ardore né entusiasmo all'idea di lanciare l'Intersezionismo È una questione che in questo momento analizzo e verifico fra me e me. Ma, se deciderò di lanciare questa «quasi-blague» sarebbe a questo punto non più la quasi-blague che avrebbe potuto essere, ma una cosa diversa. Non pubblicherò il Manifesto «scandaloso». Forse l'altro, quello con i grafici. La blague, solo per un momento, in maniera passeggera, per un morboso periodo transitorio di volgarità (per fortuna non tipico), mi ha attratto e mi è piaciuta. Forse sarebbe utile, penso, lanciare questa corrente come corrente, ma non con fini meramente artistici bensì, ragionandoci bene, come una serie di idee a cui è urgente fare pubblicità perché possano agire sulla psicologia nazionale, che è necessario sollecitare e fecondare con nuove correnti di idee 2•
'Una delle correnti poetiche create da Pessoa, volta alla ricerca di un'espressione in grado di rendere la dinamicità delle intersezioni fra realtà e sensazione.
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ed emozioni che ci possano smuovere dalla nostra immobilità. Difatti, l'idea patriottica, sempre più o meno presente nei miei propositi, assume ora in me particolare rilievo; e non penso a fare arte se non meditando di farlo per tenere alto il nome del Portogallo attraverso le mie possibili realizzazioni. È una conseguenza del fatto di affrontare sul serio l'arte e la vita. Altro atteggiamento non può avere verso la propria nozione-del-dovere chi guardi con senso di religiosità lo spettacolo triste e misterioso del Mondo. Le ho spiegato tutto questo molto male. Quasi quasi sarei tentato di strappare questa lettera, nella quale, fra l'altro, mi sono trattato con poca giustizia. Ma lei capirà ciò che sento e, credo, gioirà con me, per l'amicizia che mi porta, di questa evoluzione ascendente che avviene in me. Ma ritorno a me. Per alcuni anni ho viaggiato e ho raccolto modi di sentire. Ora, dopo aver visto tutto e sentito tutto, ho il dovere di chiudermi in casa nel mio spirito e lavorare, per quanto e in quanto è in mio potere, al progresso della civiltà e all'allargamento della coscienza dell'umanità. Voglia il cielo che il mio pericoloso temperamento, troppo multilaterale, adattabile a tutto, sempre estraneo a sé stesso e intimamente sconnesso, non mi distolga dal mio progetto. Naturalmente mantengo il mio proposito di pubblicare pseudonimamente l'opera di Caeiro-Reis-Campos. Questa è tutta una letteratura che io ho creato e vissuto, che è sincera perché è sentita, e che costituisce una corrente che può avere un'influenza incontestabilmente benefica sugli animi altrui. Ciò che io definisco letteratura insincera non è la letteratura simile a quella di Alberto Caeiro, Ricardo Reis o Alvaro de Campos (il suo uomo, quest'ultimo, quello della poesia sulla sera e sulla notte). Per quanto riguarda la loro opera, si tratta di cose sentite in altrui persona, cioè scritte drammaticamente; e sono così sincere (nel senso profondo che io do alla parola) come è sincero ciò che dice il Re Lear, che non è Shakespeare, ma una sua creatura. Definisco insincere sia le cose fatte per stupire sia quelle - lo noti, è importante - che non contengono una fondamentale idea metafisica, attraverso le quali cioè non passa,
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neppure come una ventata, una minima nozione della gravità e del mistero della Vita. Perciò è autentico tutto ciò che ho scritto sotto il nome di Caeiro, Reis, Alvaro de Campos. In ciascuno di loro ho messo un concetto profondo della vita, diverso in tutti e tre, ma in tutti gravemente attento all'importanza misteriosa dell'esistere. E perciò non sono seri i Pauis3, né lo sarebbe il Manifesto intersezionista di cui una volta le ho letto alcuni brani. In queste due composizioni il mio atteggiamento verso il pubblico è quello di un pagliaccio. E oggi sono molto lontano dal trovare divertente un atteggiamento di questo genere. Come è confuso e nebuloso tutto ciò! Ma devo scriverle tutto rapidamente: oggi è il r 9 e non voglio tralasciare di parlare con lei delle cose che mi premono. Come ho già detto, lei è l'unico dei miei amici ad avere, oltre all'apprezzamento delle mie qualità che le permetterà di non giudicare questa lettera lo scritto di un megalomane, una profonda religiosità, e la convinzione del doloroso enigma della Vita, così da poter simpatizzare con me in tutto ciò. Evito ora di spiegarle quanto questo atteggiamento - che io d'altronde non rivelo per varie ragioni, sia perché è un fatto intimo sia perché sarebbe incomprensibile alla sensibilità delle persone che frequento - crei in me una incompatibilità con coloro che mi circondano. Non una incompatibilità violenta, come le ho già detto; è piuttosto una insofferenza verso tutti quanti fanno arte per fini inferiori, come chi gioca, o come chi si diverte, o come chi si arreda un salotto con gusto - un genere di arte che rende perfettamente l'idea di quanto voglio esprimere, perché non ha un «Oltre», né un altro proposito se non quello, per così dire, decorativamente artistico. E da ciò tutta la mia «crisi». Non è una crisi di cui mi possa lamentare. È la crisi di chi si trova solo perché è troppo avanti rispetto ai compagni di viaggio - di questo viaggio che gli altri fanno per distrarsi e che invece io trovo così grave, che ci impone tanto impre' La poesia Paùis [Paludi] è da Pessoa considerata il manifesto del Paulismo, estetica creata da Pessoa, diretta erede del simbolismo e fautrice di una poesia smaltata, evocatrice e dai toni indolenti.
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scindibilmente di pensare alla sua fine, che ci fa riflettere su ciò che diremo all'Ignoto verso la cui casa la nostra consapevolezza guida i nostri passi ... È un viaggio, mio caro amico, fra anime e stelle, attraverso la Foresta delle Paure ... e Dio, fine di questa strada infinita, ci attende nel silenzio della sua grandezza. Bene o male - sicuramente male - le ho esposto tutto. Sono contento di averle parlato così, anche perché so che il suo spirito accoglie con simpatia e amicizia queste mie tristezze del momento. È inutile che le chieda di mantenere il segreto ... Del resto, a chi lo potrebbe raccontare? [ ... ]
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Cronaca della vita che passa...
Recentemente, nel polverone che alcune campagne politiche hanno sollevato, ha ripreso rilevanza quella volgare polemica che giudica negativamente una persona che cambia partito, una volta o anche più di una volta, o che frequentemente si contraddice. Le persone inferiori, che sono solite giudicare, continuano a utilizzare questo argomento come se fosse dispregiativo. Ma forse non è ancora tardi per applicare, su un così delicato assunto di taglio intellettuale, un vero atteggiamento scientifico. Se esiste un fatto strano e inspiegabile, è che una creatura intelligente e sensibile rimanga sempre della stessa opinione, e sempre coerente con sé stessa. La costante trasformazione di ogni cosa avviene nel nostro corpo e, di conseguenza, anche nel nostro cervello. Come si fa allora, se non per una malattia, a pensare oggi la stessa cosa di ieri, quando non solo il cervello di oggi non è più quello di ieri, ma neanche il giorno di oggi è uguale a quello di ieri? Essere coerenti è una malattia, un difetto atavico, che forse risale all'epoca degli animali preistorici, al cui stadio evolutivo una tale disgrazia sarebbe stata del tutto naturale. La coerenza, la convinzione, la certezza sono, oltretutto, prove evidenti - e quanto mai superflue - di scarsa educazione. f: una mancanza di cortesia nei confronti degli altri essere sempre lo stesso ai loro occhi; significa infastidirli, importunarli con la nostra mancanza di diversità. Un individuo dal carattere moderno, con una intelligenza non offuscata, con una sensibilità desta, ha l'obbligo mentale di cambiare opinione e certezze varie volte in uno stesso giorno.
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Non deve avere convinzioni religiose, opinioni politiche, gusti letterari, bensì sensazioni religiose, impressioni politiche, impulsi di ammirazione letteraria. Certi stati intimi della luce, certi aspetti del paesaggio hanno, soprattutto se eccessivi, il diritto di esigere, da chi sta di fronte a loro, determinate opinioni politiche, religiose e artistiche, quelle che essi suggeriscono e che cambieranno, come c'è da aspettarsi, a seconda dei mutamenti esterni. L'uomo disciplinato e colto fa, della propria sensibilità e della propria intelligenza, gli specchi di un ambiente transitorio: è repubblicano di mattina e monarchico la sera; ateo all'aria aperta e cattolico ultramontano in certe ore di ombra e silenzio; e - non potendo conoscere, se non Mallarmé, quei momenti dell'imbrunire cittadino in cui si accendono le luci - deve considerare l'intero simbolismo come l'invenzione di un pazzo quando, dinnanzi alla solitudine del mare, egli non sappia dire niente di più di quanto già detto nell'Odissea. Solo gli individui superficiali hanno convinzioni profonde. Coloro i quali non prestano attenzione alle cose, che sembrano vederle solo per non andarci a sbattere contro, hanno sempre la medesima opinione, sono individui integri e coerenti. La politica e la religione consumano questa stessa legna, per questo ardono così male di fronte alla Verità e alla Vita. Quand'è che ci renderemo conto che politica, religione e vita sociale non sono altro che gradi inferiori e plebei dell'estetica - l'estetica di chi ancora non la possiede? Solo quando una umanità libera da pregiudizi riguardo alla sincerità e alla coerenza si sarà abituata alle proprie sensazioni, a vivere in modo indipendente, potrà ottenere dalla vita un che di bellezza, di eleganza e di serenità.
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lO.
1915
Così pubblicherò, sotto vari nomi, varie opere di varie specie, in contraddizione le une con le altre. Ubbidisco, così, a una necessità da drammaturgo, a un dovere sociale. Ciò che domina, in fin dei conti, sono le correnti sociali retl'e e sospinte da leggi che disconosciamo. Per questo creo personalità che interpretano varie correnti, per chiarire a sé stessi certi temperamenti in cui queste correnti siano incoscienti. (Diventerò io stesso tutta una letteratura). Allo stesso modo proverò a dar coscienza a correnti sociali opposte che non ne hanno. Non pubblico tutto con il mio nome, perché sarebbe contraddirmi. E la contraddizione è un'inferiorità. Le tesi più sintetiche, quelle che si situano in una linea equilibrata di orientamento, e dunque espressione più consona al mio temperamento, le pubblicherò con il mio nome. Ma non si deve considerare che io le reputi più vere di quelle che pubblicherò con nomi inventati.
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[... ] Ciò che è necessario è che ognuno si moltiplichi per sé stesso.
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24-7-19 1 5 Lettera a Alfred H. Barley'
[... ] Mi prendo la libertà di scriverle, senza essere in grado di invocare nessun'altra giustificazione se non quella di essere uno studente di astrologia. È mia intenzione, rivolgendomi a lei, chiederle che mi invii, se possibile, l'oroscopo di Francis Bacon. Nel suo libro 1001 Notable Nativities si riferisce due volte all'oroscopo di Bacon (in nota), ma non lo include nelle mappe astrologiche presentate. Sono estremamente interessato a questa mappa, e le sarei grato se potesse inviarmi, in una cartolina, l'indicazione delle cuspidi e dei pianeti, secondo il sistema adottato nel suo libro, ma includendo, se possibile, le posizioni della Testa di Drago, Iside e Osiride, e fornendo, se le avesse, anche le posizioni delle cuspidi e dei pianeti con i minuti. Il mio interesse per l'oroscopo di Francis Bacon si deve a varie circostanze, tra le quali la controversia Shakespeare-Bacon è solo una. Il principale interesse deriva da un desiderio di verificare fino a che punto l'oroscopo di Bacon segnali la sua caratteristica peculiare di saper scrivere in stili diversi (un fatto che anche i non-baconiani ammettono) e la sua facoltà generale di transpersonalizzazione. Possiedo (in che misura e qualità non sta a me dirlo) la caratteristica a cui alludo. Sono uno scrittore e ho sempre ritenuto cosa impossibile scrivere nella mia personalità; mi sono sempre
' Alfred H. Barley ( 1872-?), autore inglese di testi di teosofia e astrologia.
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ritrovato, coscientemente o incoscientemente, ad assumere il carattere di qualcuno che non esiste, attraverso la cui mediazione immaginaria io scrivo. Desidero studiare a cosa devo tutto questo, per posizione o aspetto, e sono quindi interessato all'oroscopo di un uomo che è conosciuto per aver posseduto questa facoltà al massimo grado. Mi scuserà, spero, per il cattivo gusto di aver fatto un riferimento a me stesso. Sono stato indotto a farlo, tuttavia, solo per poterle spiegare l'intenzione della mia lettera. Per questo stesso motivo, le mando anche il mio oroscopo, il quale, almeno per le ragioni suddette, può avere qualche interesse per lei. [ ... ]
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- Cosa vuole «Orpheu» ? - Creare un'arte cosmopolita nel tempo e nello spazio. La nostra è l'epoca in cui tutti i paesi, più concretamente che mai, e per la prima volta intellettualmente, esistono tutti dentro ciascuno di essi, in cui l'Asia, l'America, l'Africa e l'Oceania sono l'Europa, e esistono tutti dentro l'Europa. Basta un qualsiasi molo europeo - anche quello di Alcantara - per aver di fronte tutta la terra in lungo e in largo. E se lo chiamo europeo, e non americano, ad esempio, è perché l'Europa, e non l'America, è la fans et origo di questo tipo di civiltà, la regione che dà il modello e la direzione a tutto il mondo. Per questo, la vera arte moderna deve essere snazionalizzata al massimo - accumulare dentro di sé tutte le parti del mondo. Solo così sarà tipicamente moderna. Che la nostra arte sia una sola dove la sofferenza e il misticismo asiatico, il primitivismo africano, il cosmopolitismo delle Americhe, l'esotismo estremo dell'Oceania e il macchinismo decadente dell'Europa si fondano, si incrocino, si intersechino. E, fatta questa fusione spontaneamente, il risultato sarà un'arte-tutte-le-arti, un'ispirazione spontaneamente complessa ... 1
' Rivista del primo Modernismo portoghese, uscita in due numeri nel 1915.
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Quando ero bambino, giocavo con i rocchetti di filo. Li amavo con un amore doloroso (me ne ricordo bene) perché provavo un'immensa compassione per il fatto che non fossero reali ... Quando un giorno riuscii ad avere in mano alcuni pezzi degli scacchi, che allegria ho provato! Ho trovato subito un nome per quelle figure e sono entrate a far parte del mio mondo di sogno. Quelle figure si definivano chiaramente. Avevano una vita propria. Uno - il cui carattere avevo deciso che fosse violento e sportivo - abitava in una scatola che stava sopra il mio comò, sul quale passeggiava di pomeriggio, quando io, e poi lui, tornavamo da scuola, un tram fatto di scatole di fiammiferi legate da non so quale marchingegno di fil di ferro. Lui saltava sempre giù, col tram in movimento. Oh, infanzia mia, morta! Oh, cadavere sempre vivo nel mio cuore! Quando mi ricordo di questi miei giocattoli di bambino cresciuto, la sensazione delle lacrime mi riscalda gli occhi e una nostalgia acuta e inutile mi rode come un rimorso. Tutto questo è passato, è rimasto in piedi e visibile, visualizzabile nel mio passato, nella mia idea perpetua della mia stanza di allora, attorno alla mia persona visibile di bambino, vista da dentro, che andava dal comò alla toilette, e dalla toilette al letto, conducendo per aria, immaginandolo parte della linea dei binari, il tram rudimentale che portava a casa i miei ridicoli scolari di legno. Ad alcuni attribuivo vizi - fumo, furti -, ma, non avendo indole sessuale, non attribuivo loro atti sessuali, salvo, mi pare, la predilezione, che mi sembrava solo un gioco, di baciare le
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ragazze e di sbirciar loro le gambe. Facevo fumar loro pezzi di carta arrotolata, dietro una grande scatola che stava sopra una valigia. A volte, arrivava un maestro. E, con loro immensa rmozione, che io mi sentivo obbligato a sentire, buttavo via la sigaretta falsa e mettevo il fumatore, vedendolo curiosamente distaccato, all'angolo in attesa del maestro e glielo facevo salutare, non mi ricordo bene come, quando inevitabilmente passava ... A volte, erano lontani l'uno dall'altro e io non potevo manovrarli entrambi con un braccio solo. Dovevo farli avanzare alternati. Ma mi dispiaceva, come oggi mi dispiace non poter dare espressione a una vita ... Ah, ma perché me ne ricordo? Perché non sono rimasto per sempre bambino? Perché non sono morto allora, in uno di quei momenti, preso dall'astuzia dei miei scolari e dall'arrivo, come fosse inaspettato, dei miei maestri? Oggi non posso più farlo ... Oggi possiedo solo la realtà, con cui non posso giocare ... Povero bambino esiliato nella .~ua virilità! Perché sono dovuto crescere? Oggi, quando me ne ricordo, provo nostalgia di molte più cose di tutto questo. È morto in me qualcosa in più che il mio passato.
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Note personali
[... ] Il genere definito della letteratura, l'ho quasi abbandonato. Posso ancora leggerla per imparare o per gusto. Ma non ho nulla da imparare, e il piacere che discende dai libri è di un tipo che può facilmente essere sostituito dal piacere che il contatto con la natura e la contemplazione della vita mi possono direttamente offrire. Mi trovo ora in pieno possesso delle leggi fondamentali dell'arte letteraria. Shakespeare non può più insegnarmi a essere sottile, né Milton a essere completo. Il mio intelletto ha raggiunto una plasticità e una dimensione che mi permettono di assumere qualsiasi emozione io desideri ed entrare con agio in qualsiasi stato di spirito. Quanto a quello per cui si lotta sempre con sforzo e angoscia, la completezza, non c'è libro che basti. Non significa che io mi sia liberato dalla tirannia dell'arte letteraria. L'accetto solo se si assoggetta a me stesso. [... ]
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Non so chi sono, che anima ho. Quando parlo con sincerità non so con che sincerità parlo. Sono variamente altro rispetto a un io che non so se esista. Sento convinzioni che non ho. Mi incantano ansie che respingo. La mia perpetua attenzione su di me mi indica perpetuamente i tradimenti dell'anima nei confronti di un carattere che forse non ho e che essa non mi attribuisce. Mi sento multiplo. Sono come una stanza con numerosi specchi fantastici che distorcono in falsi riflessi un'unica realtà centrale che non è in nessuna stanza ed è in tutte. Come il panteista si sente onda e astro e fiore, io mi sento vari esseri. Mi sento vivere vite altrui, in me, incompletamente, come se il mio essere partecipasse di ogni uomo, di ognuno in modo incompleto, individuato da una somma di non-io sintetizzati in un io posticcio.
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Tutte le sensazioni sono buone qualora non si tenti di ridurle in azione. Un atto è una sensazione che si butta via. Devi agire all'interno, cogliendo con le mani dello spirito i fiori sul ciglio della vita. Combattere la schiavitù mentale rappresentata dall'associazione di idee. Imparare a non associare idee, a fare a pezzi l'anima. Saper rendere simultanee le sensazioni, disperdere lo spirito in sé e per sé, sparso e disperso. Abbiamo per la vita sociale e politica una grande indifferenza dinamica. Per quanto ci interessino queste cose, ci interessano solo per costruirvi teorie passeggere, ipotesi inespresse.
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Appartengo a una generazione che deve ancora venire, la cui anima non conosce più, realmente, la sincerità e i sentimenti sociali. Per questo non comprendo come possa una creatura essere declassata, o come possa avvertire di essere declassata. È svuotata di senso, per me, tutta questa [ ] delle convenienze sociali. Non sento cos'è l'onore, la vergogna, la dignità. Sono per me, come per coloro del mio stesso livello nervoso, parole di una lingua straniera, come un suono soltanto anonimo. Se mi dicono di avermi declassato, intendo che stanno parlando di me, ma il senso della frase mi sfugge. Assisto a ciò che mi accade, da lontano, con distacco, sorridendo leggermente delle cose che accadono nella vita. Oggi, ancora nessuno sente tutto questo; ma un giorno verrà chi sarà in grado di capirlo. Mai ho avuto un'idea su un argomento qualsiasi, senza che subito ne cercassi altre. Ho sempre trovato bella la contraddizione, così come essere un creatore di anarchie mi è sempre parso un compito degno d'un intellettuale, dal momento che l'intelligenza disintegra e l'analisi fiacca. Ho sempre cercato di essere uno spettatore della vita, senza restarne invischiato. E così, a quanto mi accade nella vita assisto come un estraneo, se non fosse che dai poveri avvenimenti che mi circondano estraggo un'acre voluttà di [] Non ho alcun rancore verso chi ha provocato ciò. Non ho né rancori né adii. Tali sentimenti appartengono a coloro che hanno un'opinione o una professione o un obiettivo nella vita.
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Io non ho nessuna di queste cose. Ho per la vita l'interesse di un decifratore di sciarade. Mi fermo, decifro e vado avanti. Non uso alcun sentimento. Non ho neppure princìpi. Oggi difendo una cosa, domani un'altra. Ma non credo in quello che difendo oggi, né domani avrò fede in quello che difenderò. Giocare con le idee e i sentimenti mi è sempre parso un destino supremamente bello. Provo a realizzarlo per quanto posso. Non mi ero mai sentito declassato. Come sono grato a chi mi ha somministrato un tale piacere! È una dolce voluttà, quasi lontana ... Non ci capite, lo so bene ...
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(our childhood's playing with cotton reels, etc.)
Non ho fatto altro che sognare. È stato questo, e questo soltanto, il senso della mia vita. Non ho mai avuto altra vera preoccupazione se non la mia vita interiore. I più grandi dolori della mia vita si attenuano quando, aprendo la finestra che dà dentro di me, posso dimenticare me stesso alla vista del suo movimento. Non ho mai preteso di essere altro che un sognatore. A chi mi ha detto di vivere non ho mai prestato attenzione. Sono sempre appartenuto a ciò che non esiste dove io esisto, e a ciò che non ho mai potuto essere. Tutto ciò che non è mio, per quanto infimo, è sempre stato poesia per me. Non ho mai amato nulla. Non ho mai desiderato niente se non quello che non potevo immaginare. Alla vita non ho mai chiesto altro che di passarmi accanto senza che la sentissi. Dall'amore ho preteso soltanto che non cessasse mai di essere un sogno distante. Nei miei stessi paesaggi interiori, irreali tutti, è stata sempre la lontananza ad attirarmi, e gli acquedotti che quasi svanivano nella distanza dei miei paesaggi sognati avevano una dolcezza di sogno se paragonati a altre parti del paesaggio, una dolcezza che me li faceva amare. La mia mania di creare un mondo falso mi accompagna ancora, e solo alla mia morte mi abbandonerà. Oggi nei miei cassetti non allineo i rocchetti di filo e le pedine degli scacchi con un alfiere o un cavallo che casualmente spuntano - ma mi dispiace non farlo ... e allineo nella mia immaginazione- comodamente, come chi d'inverno si scalda accanto a un focolare - le
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figure, costanti e vive, che abitano nella mia vita interiore. Ho un mondo di amici dentro di me, con una vita propria, reale, definita e imperfetta. Alcuni hanno problemi, altri hanno una vita bohémienne, pittoresca e umile. Ve ne sono altri che sono commessi viaggiatori (potermi immaginare commesso viaggiatore è stata sempre una delle mie grandi ambizioni-purtroppo irrealizzabile!). Altri vivono in villaggi e cittadine verso i confini di un Portogallo dentro di me; vengono in città, dove li incontro casualmente e li riconosco, aprendo loro le braccia, con una emozione ... E quando sogno tutto questo, passeggiando nella mia stanza, parlando a alta voce, gesticolando ... quando sogno questo e ho una visione di me che li incontro, mi rallegro tutto, mi sento realizzato, palpito, mi brillano gli occhi, allargo le braccia e provo una felicità enorme, reale, incomparabile. Ah, non c'è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state! Quello che sento quando penso al passato che ho avuto nel tempo reale, quando piango sul cadavere della vita della mia infanzia passata ... proprio questo non raggiunge il fervore doloroso e tremulo con cui piango sull'irrealtà delle umili figure dei miei sogni, le stesse figure secondarie che ricordo di aver visto solo una volta, per caso, nella mia pseudovita, girando un angolo della mia visione, passando accanto a un portone in una strada che ho risalito e percorso in sogno. La rabbia che la nostalgia non possa far rivivere e rinascere non è mai così piena di lacrime contro Dio, che ha creato cose impossibili, come quando rifletto sul fatto che i miei amici di sogno, con i quali ho vissuto tanti dettagli di una vita immaginata, con i quali ho avuto tante conversazioni illuminate, in caffè immaginari, dopo tutto non hanno fatto parte di nessuno spazio dove poter esistere, realmente, indipendenti dalla consapevolezza che ho di loro! Oh, il passato morto che porto con me e non è mai stato che con me! I fiori del giardino della casetta in campagna che non è mai esistita se non in me. Gli orti, i frutteti, la pineta della tenuta che è stata solo un mio sogno! Le mie villeggiature immaginarie, le mie passeggiate in una campa-
Kna che non è mai esistita! Gli alberi lungo la strada, i sentieri, i •usi, i contadini che passano ... tutto questo, che è sempre stato 110!0 un sogno, è impresso nella mia memoria per provocare dolore, e io, che ho passato ore a sognarlo, passo poi a ricordare di averlo sognato e, a dire il vero, la nostalgia che ne ho è un passato che rimpiango, una vita-reale morta che fisso, solenne 11dla sua bara.
Ci sono anche i paesaggi e le vite che non sono state interamente interiori. Certi quadri, di scarso valore artistico, certe oleografie alle pareti con cui ho convissuto molte ore - dentro di me sono diventati realtà. Era una sensazione diversa, più pungente e triste. Mi bruciava tanto non poter essere lì, reali o meno che fossero. Fossi stato io, almeno, la figura più rappre.1cntata accanto a quel bosco al chiaro di luna che era in una piccola incisione di una camera dove ho dormito ormai non più hambino! Non poter pensare che ero lì, nascosto nel bosco sul1.t riva del fiume, sotto quell'eterno chiaro di luna (seppur di-~egnato male), a osservare l'uomo in una barca che passa sotto le fronde di un salice! Allora non poter sognare completamente mi faceva male. Le forme della mia nostalgia erano diverse. I gesti della mia disperazione erano differenti. L'impossibilità che mi torturava era di un altro ordine di angoscia. Ah, che tutto ciò possa avere un senso in Dio, una realizzazione in sintonia con lo spirito dei nostri desideri, non so dove, per un tempo verticale, consustanziale alla direzione delle mie nostalgie e dei miei vaneggiamenti! Che vi sia, almeno solo per me, un paradiso fatto di queste cose! Che possa incontrare gli amici sognati, passeggiare per le strade che ho creato, svegliarmi, fra il baccano del gallo e delle galline e il rumoreggiare mattutino della casa, nella casa di campagna in cui mi sono immaginato ... e tutto questo perfettamente organizzato da Dio, messo in quell'ordine perfetto per esistere, in quella forma, per me precisa, che neanche i miei sogni attingono, se non in mancanza di una dimensione dello spazio intimo che intrattiene queste povere realtà ...
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Alzo la testa dal foglio su cui scrivo ... È ancora presto. È da poco passato mezzogiorno ed è domenica. Il male di vivere, la malattia dell'essere coscienti, mi entra nel corpo e mi turba. Perché non esistono isole per gli inconsolabili, viali vetusti introvabili dagli altri per chi è isolato nel sogno? Dover vivere e, anche per poco, dover agire; dover sfiorare il fatto che esistano altre persone, anche loro reali, nella vita! Dover stare qui a scrivere questo, per il fatto che per me è necessario farlo per l'anima, e non poter solo sognare proprio questo, non poterlo esprimere senza parole, neanche senza coscienza, con una costruzione di me stesso in musica e sfumature, in modo che mi salgano le lacrime agli occhi solo nel sentirmi esprimere e io fluisca sempre più, come un fiume incantato, lungo i lenti declivi di me stesso, verso l'incosciente e il Distante, senza alcun senso all'infuori di Dio.
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Educazione sentimentale
Per chi fa del sogno la vita, e della coltura in serra delle sue sensazioni una religione e una politica, per costoro il primo passo, quello che fa sentire nell'anima che si è fatto il primo passo, è il sentire le cose minime in maniera straordinaria e smisurata. Questo è il primo passo, e il passo semplicemente primo non è altro che questo. Saper assaporare una tazza di tè con l'estrema voluttà che l'uomo normale riesce a trovare solo nella grande allegria che proviene dall'ambizione all'improvviso completamente soddisfatta, o dalla nostalgia svanita da un momento all'altro, o ancora dagli atti finali e carnali dell'amore; riuscire a trovare nella visione di un tramonto o nella contemplazione di un dettaglio decorativo quelle sensazioni esasperate che in genere riesce a darci solo non ciò che si vede o che si ode, bensì ciò che si odora e che si gusta, quella vicinanza con l'oggetto della sensazione che soltanto le sensazioni fisiche - il tatto, il gusto, l'olfatto - scolpiscono nel contorno della coscienza; poter rendere la vista interiore, l'ascolto del sogno - tutti i sensi immaginati e dell'immaginato - ricettivi e tangibili come sensi rivolti all'esterno; scelgo queste, e se ne possono immaginare di analoghe, fra le sensazioni che il cultore del sentire, ormai educato, riesce a provare, perché diano una nozione concreta e vicina a ciò che sto cercando di dire. Il raggiungimento di questo grado di sensazione, tuttavia, trasporta nel dilettante delle sensazioni il peso corrispondente o il gravame fisico con cui egli sente, con l'identica esasperazione inconscia, ciò che di doloroso gli capita dall'esterno; e tal-
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volta anche all'interno, nei suoi momenti di massima attenzione. Ed è così che constata che sentire in maniera eccessiva, se a volte significa godere in eccesso, altre volte vuol dire soffrire in abbondanza, ed è perché lo constata che il sognatore è portato a compiere il secondo passo nell'ascesa verso sé stesso. Tralascio il passo che potrà compiere o meno, e che, a seconda che egli lo compia o meno, determinerà questo o quell'altro comportamento, ritmo di marcia nei passi che farà, a seconda che sia in grado o meno di isolarsi totalmente dalla vita reale (se è ricco o meno - questo è scontato). Perché suppongo che sia inteso fra le righe di ciò che racconto che il sognatore, a seconda che gli sia o meno possibile isolarsi e abbandonarsi a sé stesso, con maggiore o minore intensità dovrà concentrarsi sull'obiettivo di risvegliare morbosamente il funzionamento delle sue sensazioni delle cose e dei sogni. Chi deve vivere attivamente fra gli uomini, incontrandoli - in realtà è possibile ridurre al minimo l'intimità che si è costretti a instaurare con essi (l'intimità, e non il mero contatto con le persone, ecco cosa bisogna evitare) -, dovrà far gelare l'intera superficie della sua convivenza in modo che ogni gesto fraterno e sociale che gli viene fatto scivoli via senza imprimersi. Sembra molto, ma è poco. Gli uomini sono facili da allontanare: basta non avvicinarsi. Dunque, sorvolo su questi punti e riprendo ciò che stavo spiegando. Creare acutezza e complessità immediata per le più semplici e fatali sensazioni conduce, come ho detto, all'aumento smodato del piacere che offre il sentire, ma anche ad accrescere in modo spropositato la sofferenza che proviene dal sentire. Perciò il secondo passo del sognatore dovrà essere evitare la sofferenza. Non dovrà evitarla come uno stoico o un epicureo prima maniera - snaturandosi troppo -, poiché in tal modo si renderà insensibile al piacere come al dolore. Al contrario, dovrà andare alla ricerca del piacere nel dolore; e in seguito educarsi a sentire il dolore in maniera falsa, ovvero a provare un qualche piacere nel sentire il dolore. Per questa attitudine esistono vari percorsi. Uno è applicarsi in modo esagerato all'analisi del dolore, avendo preliminarmente disposto lo spirito non ad analizzare il dolore, bensì soltanto a sentirlo; chiaramente è un atteggiamento
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più facile di quanto sembri a parole, ma per gli esseri superiori. Analizzare il dolore e abituarsi ad affidare il dolore all'analisi ogni volta che si manifesta, istintivamente e senza pensarci, aggiunge a ogni dolore il piacere dell'analisi. Una volta elevati al massimo il potere e l'istinto di analisi, in breve il loro esercizio assorbirà tutto e del dolore resterà soltanto una materia indefinita per l'analisi. Un altro metodo, questo più sottile e più difficile, consiste nell'abituarsi a incarnare il dolore in una determinata figura ideale. Creare un altro Io che sia l'incaricato di soffrire in noi, di soffrire ciò che soffriamo. In secondo luogo creare un sadismo interiore, tutto masochista, che goda della propria sofferenza come se fosse altrui. Questo metodo - che a una prima impressione, a parole, sembra qualcosa di impossibile - non è facile, ma per coloro che sono avvezzi alla menzogna interiore è ben lungi dal contenere difficoltà. Sicuramente è realizzabile. E dunque, una volta ottenuto, che sapore di sangue e malattia, che strano sentore di godimento remoto e decadente assumeranno il dolore e la sofferenza! Provare dolore somiglia all'inquieto e penoso culmine dell'estasi. La sofferenza, la sofferenza lunga e lenta, ha il giallo intimo della vaga felicità propria delle convalescenze profondamente sentite. E una raffinatezza logora di inquietudine e malattia avvicina questa sensazione complessa all'inquietudine che il piacere causa per la consapevolezza che esso svanirà, e alla pena che il godimento trae dalla primitiva stanchezza nata dal pensiero della stanchezza che ne conseguirà. Esiste un terzo metodo per sublimare in piacere il dolore e trasformare dubbi e inquietudini in un soffice talamo. Consiste nell'attribuire alle angosce e alle sofferenze, attraverso un' applicazione eccitata dell'attenzione, un'intensità così vasta che dall'eccesso stesso si tragga il piacere dell'eccesso, così come - a chi per abitudine e per educazione dell'anima si vota e si dedica al piacere - dalla violenza si offrano il piacere che fa male perché è troppo, il godimento che sa di sangue perché ferisce. E quando, come in me - raffinatore come sono di false raffinatezze, architetto che si costruisce con le sensazioni stilizzate attraverso l'intelligenza, l'abdicazione alla vita, l'analisi e il dolore stesso
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, tutti e tre i metodi sono impiegati congiuntamente, quando un dolore appena percepito viene immediatamente analizzato fino alla radice e senza indugiare in strategie intime, sistemato in un Io esteriore alla tirannia, e sepolto in me fino all'apice del suo dolore, allora io mi sento veramente il trionfatore e l'eroe. Allora si ferma la vita, e l'arte si prostra ai miei piedi. Tutto ciò costituisce soltanto il secondo passo che il sognatore deve compiere verso il suo sogno. Il terzo passo, quello che conduce alla ricca soglia del Tempio - chi l'ha saputo compiere se non io? Questo sì che costa caro, poiché esige quello sforzo interiore che è immensamente più difficile dello sforzo nella vita, ma che offre all'anima compensazioni che la vita non potrà mai offrire. Avvenuto tutto questo, portato a termine integralmente e congiuntamente tutto questo - sì, impiegati i tre metodi sottili, e impiegati fino all'esaurimento -, questo passo consiste nel condurre la sensazione immediatamente attraverso l'intelligenza pura, filtrarla attraverso l'analisi superiore, in modo che si realizzi come forma letteraria e assuma fattezze e rilevanza propri. Allora l'avrò fissata del tutto. Avrò reso reale l'irreale e avrò dato all'irraggiungibile un piedistallo eterno. Allora sarò diventato io, incoronato dentro di me, l'Imperatore. Perché non crediate che io scriva per pubblicare, per scrivere o per fare arte. Scrivo perché questo è il fine, la suprema raffinatezza, la raffinatezza illogica per temperamento, [ Jdella mia cultura degli stati d'animo. Se prendo una mia sensazione e la disfo fino a poterle tessere attorno la realtà interiore che chiamo la Foresta dello Straniamento o il Viaggio Mai Compiuto, vogliate credere che lo faccio non perché la prosa risuoni lucida e fremente o forse perché io goda della prosa - nonostante sia ciò che di più desidero e aggiunga questo tocco finale, come un bel calar di sipario sui miei scenari sognati -, ma perché dia completa esteriorità a ciò che è interiore, perché così realizzi l'irrealizzabile, coniughi il contraddittorio e, rendendo il sogno esteriore, gli dia il suo massimo potere di puro sogno, stagnante di vita quale io sono, bulinatore di inesattezze, paggio insano della mia anima Regina, leggendole al crepuscolo non le poesie
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d1e si trovano nel libro, aperto sulle mie ginocchia, della mia
Vita, ma le poesie che vado costruendo e fingendo di leggere e 1.:he lei finge di ascoltare, mentre la Sera, là fuori, non so come 11é dove, addolcisce su questa metafora eretta dentro di me in Realtà Assoluta la luce tenue e ultima di una misteriosa giornalil spirituale.
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La mia vitale abitudine a non credere in nulla, specialmente nell'istinto, e la mia naturale attitudine all'insincerità sono la negazione degli ostacoli alla quale io ricorro costantemente. In fondo succede che faccio degli altri il mio sogno, piegandomi alle loro opinioni per renderle mie, ampliandole con il mio raziocinio e la mia intuizione (non avendo io opinioni, posso avere le loro come qualsiasi altra) per piegarle al mio gusto e fare delle loro personalità cose simili ai miei sogni. Antepongo a tal punto il sogno alla vita che nel comportamento verbale (non ne ho altri) riesco a continuare a sognare e a mantenermi, attraverso le opinioni e i sentimenti degli altri, nella linea fluida della mia individualità amorfa. Ognuno di loro è un canale o un solco dove l'acqua del mare scorre solo secondo il loro volere, segnando, con lo scintillio dell'acqua al sole, il corso ricurvo del suo orientamento in modo più vero di quanto potrebbe fare se fosse asciutto. A volte potrebbe sembrare dalla mia rapida analisi che io sia un parassita degli altri, ma in realtà quanto accade è che obbligo loro ad essere parassiti della mia posteriore emozione. Il mio vivere abita nell'involucro delle loro individualità. Faccio il calco dei loro passi nell'argilla del mio spirito e così, incorporandoli all'interno della mia coscienza, ho compiuto i loro passi e ho percorso i loro cammini più di quanto abbiano fatto loro. Di solito, per l'abitudine che ho - sdoppiandomi-di seguire allo stesso tempo diverse operazioni mentali, mentre mi adatto in eccesso e lucidità al loro sentire, analizzo in me il loro sco-
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nosciuto stato d'animo, facendo l'analisi puramente obiettiva di cosa siano e cosa pensino. Così, tra i sogni, e senza abbandonare il mio ininterrotto vaneggiamento, non solo vivo l'essenza perfezionata delle loro emozioni a volte spente, ma comprendo e classifico le logiche interconnesse delle varie forze del loro spirito che a volte giacciono in uno stato elementare della loro amma. E in tutto questo non mi sfuggono la loro fisionomia, il loro portamento, i loro gesti. Vivo allo stesso tempo i miei sogni e l'anima dell'istinto, il corpo, gli atteggiamenti loro. In una grande dispersione unificata, mi rendo ubiquo in loro e io creo e sono, in ogni momento della conversazione, una moltitudine di esseri, coscienti e incoscienti, analizzati e analitici, riuniti come un ventaglio aperto.
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L'unica maniera per avere nuove sensazioni è costruirti una nuova anima. Il tuo è uno sforzo inutile, se vuoi sentire cose diverse senza sentirti diverso, e sentirti diverso senza cambiare anima. Perché le cose sono come noi le sentiamo - da quanto tempo lo sai senza saperlo? - e l'unico modo per avere nuove cose, è che sia nuova la maniera di sentirle. Cambia anima. Come? Scoprilo tu. Da quando veniamo al mondo fino al momento di morire, la nostra anima, come il corpo, cambia lentamente. Trova il modo di rendere rapido questo cambiamento, perché come in talune malattie o in certe convalescenze, il corpo si modifica rapidamente.
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[... ] L'arte è una menzogna che suggerisce una verità. La verità è però solo un concetto che ci costruiamo dell'oggettività. L'opera d'arte è dunque una menzogna con un carattere oggettivo. Le caratteristiche dell'oggettività sono ( 1) la molteplicità, perché nella misura in cui mi sento Uno, sento l'universo come Molti; (2) l'indipendenza della mia personalità, perché sento che ho un dominio su di me, ma non sulle cose; (3) la fatalità, perché, malgrado in coscienza mi senta libero, mi sento oppresso come membro dell'Universo, quell'Universo fuori di me che io sento schiavo di leggi immutabili. So bene che queste mie impressioni sono false: che io non sono uno, né libero, né mi domino; ma del resto, poiché si tratta di una sensazione, non si cerchi la verità al di là di essa.
...
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Anarchismo
La Notte e il Caos sono parte di me. Risalgo a uno stadio anteriore alla Realtà. Appartengo al silenzio delle stelle. Sono l'effetto di una causa della dimensione dell'Universo e che forse lo eccede. Per ritrovarmi devo cercarmi nei fiori, e negli uccelli, nei campi e nelle città, nelle azioni, nelle parole e nei pensieri degli uomini, nella luce del sole e nelle macerie dimenticate di mondi che sono ormai morti. Quanto più cresco, meno sono io. Quanto più mi ritrovo, più mi perdo. Quanto più mi sento, più vedo che sono fiore e uccello e stella e Universo. Quanto più mi definisco, meno limiti ho. Tracimo Tutto. In fondo sono uguale a Dio. Della mia presenza odierna fanno parte le età anteriori alla Vita, i tempi più antichi della Terra, le voragini dello spazio prima che il Mondo esistesse. La notte in cui sono nate le stelle ho iniziato a costellarmi di essere. Non c'è unico atomo della più distante stella che non abbia collaborato con il mio essere. Perché Afonso Henriques è esistito, io sono. Perché Nun' Alvares ha combattuto, io esisto. Sarei altro - dunque, non sarei - se Vasco da Gama non avesse scoperto la Rotta per le Indie, o Pombal non avesse governato 27 anni'. ' Eroi della storia nazionale: il re della fondazione del Portogallo, Afonso Henriques (1109-1185); Nun'Alvares Pereira (1360-1431), il cosiddetto Santo Condestavel, il generale artefice della difesa del regno contro gli eserciti castigliani nella famigerata
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Shakespeare è pane di me. Per me ha lavorato Cromwell quan-
do architettò l'Inghilterra. Rompendo con Roma, Enrico vm mi ha reso oggi ciò che io sono. Per me ha pensato Aristotele e ha cantato Omero. In questo senso mistico e davvero profondo e nella più reale delle verità, Cristo è morto per me. Un mistico indiano che non so se sia esistito, 2000 anni fa ha collaborato con il mio essere attuale. Confucio ha predicato la morale alla mia presenza di oggi. Il primo uomo che ha scoperto il fuoco, quello che ha inventato la ruota, il primo che ideò la seta: se oggi io sono, è perché costoro sono esistiti.
hattaglia di Aljubarrota ( 138 5); Vasco da Gama ( 1469-1524), il celebre esploratore e cir,·umnavigatore dell'Africa approdato in India nel 1498; infine il Marquès de Pombal, il primo ministro plenipotenziario del Settecento portoghese, riformatore e protagonista d~lla ricostruzione di Lisbona dopo il terremoto del 175 5.
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3 5· 31-4-1916 Risposta a un'inchiesta letteraria
[... ] Trovo che tutto il futuro dell'arte europea sia nel movimento sensazionista'. Bisogna, ora, spiegare cosa sia ciò che io chiamo il Movimento Sensazionista. [] A un'arte così cosmopolita, così universale, così sintetica, è evidente che nessuna disciplina può esser imposta se non quella di sentire tutto in tutti i modi, di sintetizzare tutto, di sforzarsi in tal modo per esprimersi che in una antologia di arte sensazionista ci sia tutto quanto di essenziale hanno prodotto l'Egitto, la Grecia, Roma, il Rinascimento e la nostra epoca. L'arte, invece di aver regole come le arti del passato, ne ha solo una: essere la sintesi di tutto. Che ognuno di noi moltiplichi la sua personalità per tutte le altre personalità.
' Il Sensazionismo è, con il Paulismo e l'lntersezionismo, uno dei tre «-ismi» creati da Fernando Pessoa. L'estetica sensazionista, oltrepassando il Futurismo, avrebbe dovuto rappresentare un'arte «somma-sintesi» che canta le accelerate e molteplici sensazioni della vita moderna.
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Il Sensazionismo
Sentire è creare. Ma cos'è sentire? Sentire è pensare senza idee, e per questo sentire è comprendere, visto che l'Universo non ha idee. Avere opinioni è non sentire. Tutte le nostre opinioni sono degli altri. Pensare è voler trasmettere agli altri quello che si ritiene di sentire. Solo ciò che si pensa si può comunicare agli altri. Ciò che si sente non si può comunicare. Si può comunicare solo il valore di ciò che si sente. Si può far sentire solo ciò che si sente. Non che il lettore senta la stessa cosa. Basta che senta allo stesso modo. Il sentimento apre le porte della prigione in cui il pensiero chiude l'anima. La lucidità deve giungere solo fino alle soglie dell'anima. Nelle anticamere stesse del sentimento è proibito esser espliciti. Sentire è comprendere. Pensare è errare. Comprendere ciò che l'altra persona pensa è discordare da lei. Comprendere ciò che un'altra persona sente è essere lei. Essere un'altra persona è di una grande utilità metafisica. Dio è tutti. Vedere, ascoltare, odorare, gustare, toccare: sono gli unici comandamenti della legge di Dio. I sensi sono divini perché sono la nostra relazione con l'Universo, e la nostra relazione con l'Universo è Dio. Anche se appare strano, è possibile ascoltare con gli occhi, vedere con le orecchie, vedere e ascoltare e toccare aromi, as-
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saporare il gusto di colori e di suoni, ascoltare sapori, e così all'infinito. Bisogna solo allenarsi. Agire è rinnegare. Pensare è errare. Solo sentire è fede e verità. Nulla esiste al di fuori delle nostre sensazioni. Per questo, agire è tradire il nostro pensiero, nostro perché non si tradisce con il pensiero. La politica è l'arte di governare le società quando non si sa come esse si governano. Avere idee politiche è il modo più semplice di non avere idee. L'unico modo di guidare le società è disprezzare gli altri. La fraternità nasce dal disprezzo reciproco. Il progresso è la meno nobile delle bugie superflue. Anche senza pensare al progresso, la gente ha cessato di progredire. Il sentimento scrive dritto sulle righe storte della materia'. La sensazione è il tunnel senza fondo con il quale i «critici» diventano Danaidi. L'individualità è inesauribile perché ogni individuo che nasce è uno in più. La logica è un muro che non ostruisce alcunché. Disprezzare chi lavora e lotta, abominare chi si sacrifica, avere orrore per chi spera e confida: ecco il dovere artistico. Voler ristabilire la tradizione è voler appoggiare una scala su un muro che è già caduto ... È interessante, perché è assurdo, ma ne vale la pena solo perché non ne vale la pena. Non c'è alcun criterio di verità se non quello di non concordare con sé stessi. L'universo non concorda con sé stesso, perché passa. La vita non concorda con sé stessa perché muore. Il paradosso è la formula tipica della Natura. Per questo ogni verità ha una formula paradossale. Tutti questi princìpi sono veri, ma anche i princìpi contrari sono veri come i primi. (Affermare è sbagliarsi di porta).
' Riscrittura di un popolare proverbio portoghese: «Deus escreve certo por linhas tortas» («Dio scrive dritto su righe storte»).
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Pensare è limitare. Raziocinare è escludere. Ci sono molte wse a cui è meglio pensare, perché ci sono momenti in cui è meglio limitare e escludere. Gli apostoli - politici, sociali, religiosi - sono [ ]. Non pre,licare il bene o il male, la virtù o il vizio, la verità o l'errore, la hontà o la crudeltà. Predica te stesso, a grandi urla, al mondo intero. Questa è l'unica verità e l'unico errore, l'unica moralità r l'unica immoralità, [] che hai da predicare, che puoi predicare, che devi predicare. Sostituisciti a te stesso. Non sei abbastanza per te. Sii sempre imprevisto a te stesso. Fa' accadere te stesso dinnanzi a te. Che le tue sensazioni siano puro caso, avventure che ti succedono ... Devi essere un universo senza leggi per poter essere superiore. Sono questi i princìpi essenziali del sensazionismo. I princìpi contrari sono ugualmente princìpi essenziali del sensazio111smo. Non predicare la virtù, perché tutti coloro che predicano, la predicano; non predicare il vizio, perché tutti lo praticano. Non predicare la verità, perché nessuno la può raggiungere; non predicare l'errore perché facendolo starai predicando una verità. Predica te stesso, che è ciò che nessuno ancora sa se non tu, che è ciò che nessuno è se non tu, che [è] ciò che nessuno [] Predica te stesso con assiduità, scandalo e raffinatezza. L'unica cosa che tu sei, sei tu. E per esserlo, sii come un pavone; alla grande, a piene mani verso l'Altro. Fa' della tua anima una metafisica, un'etica e un'estetica. Sostituisciti a Dio indecorosamente. È l'unico atteggiamento davvero religioso (Dio è dappertutto tranne che in sé stesso). Fa' del tuo essere una religione atea, delle tue sensazioni un rito e un culto. Vivi perpetuamente nell'ostia sollevata nella messa rossa del tuo convento di te stesso. Vivere non è necessario. Sentire è necessario. Nota bene che questa frase è del tutto assurda. Dedicati a non comprendere con tutta la tua anima.
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I .a politica è un errore di vanità di coloro che nascono per fare i carrettieri. La tua anima è un tuo pseudonimo. Dio è un tuo pseudonimo. Dio è un nostro pseudonimo. Tutti noi abbiamo momenti futuristi, come quando, per . . . . . esempio, mc1amp1amo m un sasso. L'arte è una maniera di ammirarci. Per questo la moda, il vestito, è l'arte spontanea della gente semplice. Il pensiero è lo specchio dell'anima; per questo l'espressione delle nostre sensazioni, che costituisce l'arte, essendo una interpretazione delle sensazioni attraverso il pensiero, è un guardarci spiritualmente allo specchio. La cosiddetta «necessità di creare» non è altro che la necessità di ammirarci. [ ... ]
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37. r916
Lettera al Direttore di «O Heraldo»
[... ] Il cosmopolitismo si esprime in letteratura non attraverso una preoccupazione cosmopolita (non sarebbe espressione, ma 11piegazione), bensì attraverso l'ammissione in ambito letterario Ji tutte le forme di sensazione, di tutte le forme di letteratura. Cioè, il cosmopolitismo, fenomeno che avviene nello spazio, è rappresentato da un fenomeno letterario che avviene nel tempo: la scuola letteraria che voglia rappresentare la nostra epoca deve essere quella che proverà a realizzare l'ideale di tutti i tempi, di essere la sintesi viva di tutte le epoche passate. Le epoche passate sono dunque per noi semplicemente due: il classicismo, in cui l'espressione è dell'universale e dell'astratto, e il «romanticismo» (pessimo nome, ma codificato), in cui l'espressione è del personale e del concreto. L'arte moderna deve, quindi, cercare di esprimere al contempo l'universale e il personale, l'astratto e il concreto.
[... J
TEORIA DELL'ETERONIMIA
38. 1916
Ricardo Reis
La letteratura moderna è una letteratura di masturbatori. Quella del Rinascimento era di amanti decadenti. Quella dal Romanticismo in poi, di masturbatori. Vediamo: Esistono 3 fenomeni sessuali distinti: ( 1) la sessualità normale; (2) l'omosessualità; (3) la monosessualità o masturbazione. Il (3) include 3 elementi. (A) il sogno, in cui è rappresentato l'altro elemento della copula; (B) lo sdoppiamento dell'Io, dal momento che l'individuo figurerà come due nello stesso; (C) l'ornamento, dal momento che l'atto sessuale deve essere abbellito di varie cose per non [ ] Come la masturbazione conduce alla pederastia. Differenza tra la pederastia propriamente detta e quella prodotta dalla masturbazione. Differenza tra l'omosessuale antico e moderno.
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[ ... ] Il limite della preoccupazione scientifica in arte - ma in queno caso ormai inammissibile, cosciente e fin troppo volontario -è lo spaventoso atto O Teatro da Alma [Le quinte dell'animo] di Evreinov' in cui la scena è «l'interno dell'anima umana» e i personaggi, designati come A', A e Ai, etc., sono le varie sotto-individualità componenti di questo pseudo-semplice che si 1.:hiama spirito. Ma in questo caso, l'autore ha inserito più intelligenza e meno arte nell'opera, che appartiene, come la mag~ior parte delle innovazioni letterarie e artistiche moderne, non i\ll'arte ma alle curiosità dell'intelligenza, come gli anagrammi, 1.:ome i disegni a tratto unico e le poesie monovocaliche. [... ] 2
' Nikolaj Evreinov (Mosca, I 879 - Parigi, 195 3) è stato un drammaturgo e regista lcatrale russo.
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40. 1916?
Lettera a un editore inglese
[... ] I tre princìpi dell'arte sono: (r) ogni sensazione deve essere pienamente espressa, cioè, la coscienza di ogni sensazione deve essere esaminata fino in fondo; (2) la sensazione deve essere espressa in modo tale che abbia la possibilità di evocare - come un'aureola intorno a una luce centrale definita- il maggior numero possibile di altre sensazioni; (3) l'insieme così prodotto deve aver la maggior somiglianza possibile con un essere organizzato, perché è questa la condizione della vitalità. A questi tre princìpi do il nome di (1) Sensazione, (2) Suggestione, (3) Costruzione. Quest'ultimo, il grande principio dei greci - il cui grande filosofo considerava la poesia «un animale» -, ha ricevuto un trattamento poco accorto dalle mani dei moderni. Il romanticismo ha sregolato la capacità di costruire che, per lo meno, il basso classicismo aveva. Shakespeare, con la sua fatale incapacità d'intravedere insiemi ben organizzati, è stato una cattiva influenza a tal rispetto (si ricorderà che l'istinto classico di Matthew Arnold gli ha permesso di intuirlo). Milton è ancora il grande Maestro di Costruzione in poesia. Personalmente, confesso che tendo, sempre più, a collocare Milton al di sopra di Shakespeare come poeta. Tuttavia - devo confessare, nella misura in cui io possa essere qualcosa (e mi sforzo di non essere la stessa cosa per più di tre minuti, perché sarebbe una cattiva igiene estetica) -, io sono un pagano, e sono dunque più vicino all'artista pagano Milton che all'artista pagano Shakespeare. Tutto questo, però, è passim, e spero che mi si scusi per l'inciso in questa sede.
ll)[E
Affermo, a volte, che una poesia - avrei potuto anche dire un quadro o una statua, ma non considero arti la scultura e la pittura, bensì solo un raffi.nato lavoro di artigianato - è una persona, un essere umano vivo, che appartiene, per la sua presenza corporea e per la sua reale esistenza carnale, a un altro inondo sul quale la nostra immaginazione la proietta, essendo il suo aspetto, per noi che la leggiamo nel mondo, nient'altro 1.:he l'ombra imperfetta di quella realtà di bellezza che è divina in un altro luogo. Ho la speranza di ritrovare un giorno, dopo morto, nella loro presenza reale, i pochi figli che ho allevato e spero di ritrovarli belli nella loro immortalità di rugiada. Forse 1.:i si meraviglierà del fatto che uno che si dichiara pagano sottoscriva tali fantasie. Ero pagano, però, due capoversi fa. Non lo sono già più mentre scrivo ora. Alla fine di questa lettera, spero di essere già qualcos'altro. Traduco in pratica, tanto quanto mi è possibile, la disintegrazione spirituale che proclamo. Se a volte sono coerente, è solo per incoerenza rispetto all'incoerenza. [ ... ]
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41. 1916?
Antonio Mora
Viviamo di finzioni, ma non in maniera fittizia. Al di fuori di noi apprendiamo soltanto una realtà esteriore e un destino immutabile, né giusto né ingiusto, estraneo al bene come al male, tanto a noi quanto alla realtà stessa. Tutto il resto lo fingiamo o lo sogniamo, è sogno cosciente o incosciente. Fingiamo e sogniamo per poter vivere. Così come non mangiamo la maggior parte degli alimenti, allo stesso modo non vediamo mai senza inganno la maggior parte di ciò che chiamiamo fatti. Sono tre i tipi di finzione che fabbrichiamo per poter vivere. Le prime, e più semplici, sono quelle della memoria, che è la percezione di ciò che non c'è, ma che «c'è stato». Le seconde, e già più complesse, sono quelle dell'immaginazione, che è percezione di ciò che non c'è e di ciò che non c'è mai stato- il concreto traslato. Le terze, e di maggior complessità, sono quelle dell'intelligenza, che è la percezione di ciò che non può esserci: l'assoluto, che per sua natura è irreale. Non è sogno la vita: lo è, invece, tutta l'interpretazione della vita. E la memoria, l'immaginazione, l'intelligenza sono interpreti. Solo la sensazione è la vita. E siccome né la memoria, né l'immaginazione, né tanto meno l'intelletto sono sensazioni, delle tre cose nessuna è la vita: sono appena un fantasma o un suo sogno obliquo. La realtà esteriore possiamo rappresentarcela solo in un modo, cioè così come la vediamo: solo in questo modo può con un certo margine di sicurezza essere da noi rappresentata. Il Destino, però, poiché è occulto nella realtà, non è possibile
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rappresentarlo così. Sappiamo di essere servi. Anche quando vogliamo, pur senza desiderarlo, cerchiamo una legge che non possiamo alterare. Scegliamo secondo una legge la cui nozione non può ostacolare davvero nulla. Per orientarci nella vita, è obbligatorio fingere questo destino in uno dei tre modi in cui possiamo fingere - o creando una finzione della memoria, il destino analogo al concreto; o creando una finzione dell'immaginazione, il destino analogo al concreto traslato; o creare una finzione dell'intelligenza, il destino analogo all'astratto. Nel primo caso, creare il Destino a somiglianza del concreto: un multiplo retto da una legge, e così abbiamo istituito il politeismo; dèi che il Destino regge. - Finzione dell'immaginazione: dèi non retti da un Destino, ma essi stessi destino. E siccome il Destino non li regge, ogni cosa può essere molte cose in una; e abbiamo così i politeismi o multiteismi. [] - Finzione dell'intelligenza: creiamo finzioni pure, «forza», «materia» [ ] - cose che non sono niente, che niente rappresentano, che a niente corrispondono: il materialismo e l'idealismo, fratelli gemelli, diversi solo perché non sono uno solo. Forza, materia, atomi, tutto è finzione, e della finzione più forte che si possa avere, la finzione dell'astratto che si giudica concreto. Se dobbiamo scegliere, e dobbiamo, uno solo di questi concetti, scegliamo il più semplice, il più vicino al Reale. [ ] Se proprio non possiamo farne a meno, prendiamo concetti multipli, amorali, esterni a noi in quanto Realtà; sudditi come noi di un Destino immutabile, né giusto né ingiusto, estraneo al bene e al male. Il paganesimo, o il politeismo determinista, è la più logica delle finzioni di cui abbiamo bisogno per vivere. Se la necessità della Ragione è di regolare i sensi, che essa ci somministri almeno questo insegnamento: che gli dèi del paganesimo sono gli unici con diritto alla realtà, essi e il Destino che li corregge e li feconda. Sensi e intelligenza, ecco quello che siamo. Sensi che ci danno la nozione della realtà, ma non di quella esteriore; l'intelligenza che ci dà la nozione di [ ]
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L'intelligenza serve per ordinare, comparare e regolare le sensazioni; così come per riconoscere all'esterno il rigore di un ordine: la Legge. Falsamente creiamo l'idea dì una realtà interiore. La Realtà è, dunque, una contraddizione in termini. L'idea di Realtà coincide con quella di esterno. All'esterno la dobbiamo. All'esterno la vediamo. Il bambino, non appena prende coscienza, è dall'esterno che la prende. Avere coscienza di sé stessi è invecchiare. Il processo per cui ci pensiamo esistenti è traslato e fittizio. Penso, dunque esisto ha detto Cartesio. Si pensa, avrebbe dovuto dire. Dicendo penso, il filosofo introduce insensatamente nel pensiero una conoscenza dell'io la cui comparsa nella frase nessuna intelligenza può giustificare. Viviamo attraverso i sensi, conviviamo attraverso l'intelligenza. Sciolta, infatti, dai sensi, poiché esiste solo per crearli, l'intelligenza opera nel vuoto; è nel vuoto dei sensi che conviviamo, e che ci intendiamo gli uni con gli altri. La vita sociale è una finzione. La sensazione è intrasmissibìle.
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42. 1916? Antonio Mora
Prolegomeni
Una corrente letteraria non è altro che una metafisica. Una metafisica è una maniera di sentire le cose - questo modo di sentire le cose può, secondo il temperamento dell'individuo, assumere un carattere filosofico, o un carattere artistico; nella sua forma più bassa, assume un carattere religioso. Quando hanno accusato Lamartine di essere panteista, egli si è difeso esponendo il suo pensiero spiritualista, ortodosso. Non vi è ragione per dubitare di quanto ha detto; ma, parimenti, non vi è ragione per dubitare che egli fosse, nel suo temperamento artistico, e dunque in tutto il suo temperamento, un panteista. La sua generazione sentiva panteisticamente, in qualunque modo pensasse. Ma il pensiero panteista non è altro che un modo più intenso di sentire l'universo. Le metafisiche hanno una gradazione; sono modi più o meno intensi, più o meno lucidi di sentire l'Universo. Il materialismo si trova al livello più basso, rappresenta una sensibilità minima di fronte all'Universo, un concetto estetico ridotto, perché non vive la vita delle cose al grado supenore. Per questo motivo non ci sono grandi poeti materialisti (giacché Lucrezio è un filosofo materialista), né i poeti materialisti utilizzano immagini originalmente o caratteristicamente brillanti. Spetta al neo-pagano compiere tutto ciò, coscientemente. Egli ammette tutte le metafisiche come accettabili, esattamente come il pagano accettava tutti gli dèi nell'ampia vastità del suo
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pantheon. Non tenta di unificare in una metafisica le sue idee filosofiche, ma di realizzare un eclettismo che non cerca di conoscere la verità, dal momento che considera tutte le :filosofie ugualmente vere. Il neo-pagano si convincerà che, scrivendo, realizza il suo sentimento della Natura. In conformità con l'intensità di questo sentimento, differente sarà la metafisica su cui si baserà. Certe ore della Natura richiedono una metafisica diversa da quella che altre esigono.
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43. 1916?
Antonio Mora
Ritorno degli dèi - Estetica
Si obietterà, senza dubbio, che, avendo sentimenti vaghi, pensieri confusi, impulsi dello spirito che nel confondersi con altri non ci si presentano chiari, è abusivo esigere dall'artista che li delinei come nitidi, come qualcosa che non sono. La risposta a questa osservazione sta nella domanda se questi stati d'animo siano legittimamente rappresentabili nell'arte. L'artista soggettivo parte dal principio che il fine della sua arte sia esprimere le sue proprie emozioni. Criterio, questo, che l'artista oggettivo non accetta, e non lo accetta con assoluta ragione, perché l'arte oggettiva è l'arte, ed è per questo che è una cosa realizzata, che avviene al di fuori dell'artista, e non resta in lui, come l'emozione che la produce. Di fatto, chiediamo, perché un pensiero è confuso, perché un sentimento è vago, per quale ragione un impulso volitivo non si presenta nitido? Per tutti la ragione è una: il pensiero non si è messo in contatto con la realtà, il sentimento non si è confrontato con la sua realizzazione, la volontà non si è misurata con l'esterno. Un'opera d'arte è un oggetto esterno, ubbidisce alle leggi cui sono sottomessi gli oggetti esterni, in quanto oggetti esterni. L'artista non esprime le sue emozioni. Non è questo il suo bisogno. Esprime, delle sue emozioni, quelle che sono comuni agli altri uomini. Paradossalmente parlando, si limita ad esprimere, fra le sue emozioni, quelle che sono degli altri. L'umanità intera non ha niente a che vedere con le emozioni che sono proprie dell'artista. Se un errore della mia vista mi fa vedere az-
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zurro il colore delle foglie, che interesse c'è a comunicarlo agli altri? Perché gli altri vedano azzurro il colore delle foglie? Non è possibile, perché è falso. Perché loro sappiano che io vedo azzurre le foglie? Non ce n'è bisogno poiché non ha nessuna importanza. Tutt'al più il fenomeno è curioso, e curioso è sentirlo; ma a sentirlo, lo sento io, non gli altri. Quanto c'è di realmente estetico, infatti, nelle sensazioni estranee, è che ognuno le conservi per sé, gustandole in silenzio, se questo gli dà piacere. Così, il primo principio dell'arte è la generalità. La sensazione espressa dall'artista deve essere tale che possa essere sentita da tutti gli uomini in grado di comprenderla. Il secondo principio dell'arte è l'universalità. L'artista deve esprimere non solo ciò che è di tutti gli uomini, ma anche ciò che è di tutti i tempi. Il soggettivismo cristista, al di là dell'errore personalista, ha prodotto questo altro errore, la preoccupazione di interpretare l'epoca. La frase di Goethe, spesso citata sull'argomento, è da maestro; in effetti, un uomo di genio è della sua epoca solo per i suoi difetti. La nostra epoca ci giudica dall'umanità. Siccome l'artista deve cercare di ergersi al di sopra della sua personalità, deve cercare di elevarsi al di là della sua epoca. [... ]
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44. 1916?
[ ...] Ecco che siamo giunti a un'epoca particolare, in cui ci appaiono tutte le caratteristiche di una decadenza unite a tutte le caratteristiche di una vita intensa e progressiva. La morale familiare e sociale è ridiscesa al livello della decadenza dell'impero romano. Il mercantilismo politico, la dissoluzione nazionale hanno toccato il fondo. Eppure, progredivano le industrie, si moltiplicava il commercio, la scienza continuava le sue scoperte, giorno per giorno aumentavano i vantaggi e le complessità della vita diventavano più complesse. Come segno distintivo della decadenza, solo un fenomeno inequivocabile era palese - l'abbassamento di livello degli uomini rappresentativi. Nessuno, in letteratura, al livello dei grandi romantici, o dei maestri realisti. In arte, stessa identica penuria. Idem, in politica. E così in tutto. Anche nella scienza, così inferiore rispetto al suo livello abituale, e così tipica del secolo, lo stesso dislivello, lo stesso logoramento nella superiorità dei dirigenti. Ecco allora che ognuno di noi nacque infettato da tutta questa complessità. In ogni anima girano i volanti di tutte le fabbriche del mondo, in ogni anima tutti i treni del globo, tutti i viali di tutte le grandi città sboccano in ognuna delle nostre anime. Tutte le questioni sociali, tutte le perturbazioni politiche, per quanto poco ci importino, entrano nel nostro organismo psichico, nell'aria che respiriamo psichicamente, si riversano nel nostro sangue spirituale, diventano, inquietamente, nostre come qualsiasi cosa che è nostra. [ ... )
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45. 1916?
Se il valore dei movimenti letterari è dato dalla cifra di novità che essi apportano, è indubbio che il movimento Sensazionista portoghese è il più importante dell'attualità. È tanto modesto per numero di seguaci quanto immenso in bellezza e vita. Ha solo tre poeti e un precursore incosciente. A delineare il movimento senza volerlo è stato Cesario Verde'. Lo ha fondato Alberto Caeiro, glorioso e giovane maestro. Lo ha reso, logicamente, neoclassico il Dott. Ricardo Reis. Lo ha modernizzato fino al parossismo - in verità, pervertendolo e deformandolo quello strano e intenso poeta che è Alvaro de Campos. Questi quattro, questi tre nomi sono tutto il movimento. Ma questi tre nomi valgono un'intera epoca letteraria. Ognuno di questi tre poeti realizza una cosa che da molto si cercava in tutta Europa, e invano. Caeiro ha creato, una volta per sempre, la poesia della Natura, la vera poesia della Natura. Ricardo Reis ha finalmente trovato la formula neoclassica. Alvaro de Campos ha rivelato ciò che tutti i futuristi, parossisti e modernisti vari, andavano da anni cercando. Ognuno di questi poeti è supremo nel suo genere.
' Poeta portoghese ( 18 55- 1886) del realismo urbano, autore del Livro de Cesario Verde ( 1887).
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[... ] Il sensazionismo rappresenta la forma estetica in tutto il 11uo splendore pagano. Non rappresenta nessuna di quelle cose minori: l'estetismo di Oscar Wilde, o l'Arte per l'Arte di altri individui traviati, con una visione plebea della vita. Sa vedere la bellezza della morale, così come sa comprendere la bellezza della sua assenza. Per il sensazionismo nessuna religione è vera, e nemmeno falsa. Un uomo può percorrere tutti i sistemi religiosi del mondo in un unico giorno, in perfetta sincerità e con tragiche esperien7,e spirituali. Deve essere un aristocratico - nel senso in cui noi usiamo la parola - per poterlo fare. Ho affermato un giorno che un uomo colto e intelligente ha il dovere di essere ateo a mezzogiorno, allorché il chiarore e la materialità del sole penetrano tutto, e di essere un cattolico ultramontano in quell'ora precisa, subito dopo il tramonto, in cui le ombre ancora non hanno finito di avvilupparsi del tutto intorno alla presenza nitida delle cose. Qualcuno ha pensato che si trattasse di uno scherzo. Eppure, non facevo altro che tradurre in prosa rapida (l'affermazione venne riportata da un giornale) una personale esperienza comune. Essendomi abituato a non avere credenze né opinioni, se non quando il mio sentimento estetico si indebolisce, in breve ho finito per non avere alcuna personalità, eccetto una personalità espressiva, e mi sono trasformato in una macchina atta a esprimere stati di spirito talmente intensi che si sono convertiti in personalità, e che hanno fatto della mia anima un
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involucro della loro comparsa casuale, così come i teosoli conduce, ,1 volte, a occupare cadaveri astrali abbandonati dagli uomini, e a spassarsela coperti dalle loro sembianze d'ombra. Ciò non significa che il sensazionista non debba avere opinioni politiche; significa che, come artista, è obbligato a averle tutte e nessuna. La giustificazione di Marziale che suscitò l'ira di molti estranei al [] dell'arte lasciva nobis pagina, vita proba per cui benché la sua arte fosse impura, non lo era la sua vita, più avanti riprodotta da Herrick', che scrisse, parlando di sé, «His muse was jocund, but bis life was chaste», costituisce il vero dovere dell'artista verso sé stesso. La sincerità è il grande reato artistico. L'insincerità è il secondo grande reato. Un grande artista non dovrebbe mai avere un'opinione fondamentale e sincera sulla vita. Il che dovrebbe dargli la capacità di sentire sinceramente, o meglio, di essere assolutamente sincero circa qualsiasi cosa in un determinato spazio di tempo, quello necessario - diciamo - per concepire e scrivere una poesia. È forse necessario sottolineare che bisogna essere artisti prima di poter tentare di fare ciò. Serve a poco cercare di essere aristocratici se si nasce nella classe media o se si è plebei. 111EE
Dare a ogni emozione una personalità, a ogni stato d'animo
. un ' amma. [... ]
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Omar Khayyam
Omar' aveva una personalità; io, per buona o cattiva sorte, non ne ho nessuna. Da ciò che sono un'ora mi separo nell'ora seguente; di ciò che sono stato un giorno mi dimentico il giorno dopo. Chi, come Omar, è chi è, vive in un solo mondo, quello esteriore; chi, come me, non è chi è, vive non solo nel mondo esteriore ma in un successivo e diverso mondo interiore. La sua filosofia, benché aspiri a essere la stessa di Omar, necessariamente non potrà esserlo. Così, senza che io davvero lo voglia, ho in me, come se fossero anime, le filosofie che critico; Omar può rigettarle tutte perché a lui sono esterne; io non posso rigettarle perché esse sono me.
'Omar Khayyam (1048-1131) è stato un matematico, astronomo e filosofo persiano, autore delle celebri Rubti'iyyat che Pessoa amò e tradusse.
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Questo indica bene che l'ordine di pubblicazione deve esser il seguente: (r) Caeiro, completo; (2) Ricardo Reis, vari libri di Odi; (3) Note in ricordo del mio maestro Caeiro (in cui si parla dello stesso Campos); (4) un libro di Alvaro de Campos; (5) una discussione in famiglia.
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Ho assistito, ignoto, al graduale fallimento della mia vita, al lento naufragio di tutto ciò che ho voluto essere. Posso dire, con quella verità che non necessita di fiori perché si sappia che è morta, che non c'è cosa che io abbia desiderato, o in cui abbia riposto, anche per un momento, il sogno di quel solo momento, che non mi si sia disfatta in polvere giù dalle finestre come terra caduta da un vaso su un piano alto. Sembra, addirittura, che il Destino abbia sempre cercato, innanzitutto, di farmi amare o desiderare ciò che esso aveva disposto in modo tale che capissi, il giorno seguente, che non lo avevo o non l'avrei avuto. Spettatore ironico di me stesso, non mi sono stancato, però, di assistere alla vita. E, dato che ormai oggi so che qualsiasi vaga speranza verrà delusa, provo il gusto speciale di assaporare la delusione con la speranza, come l'amaro con il dolce che rende il dolce dolce rispetto all'amaro. Sono uno cupo stratega che, avendo perso tutte le battaglie, traccia fin da subito, sul foglio dei suoi piani, assaporandone lo schema, i particolari della sua fatale ritirata, alla vigilia di ogni nuova battaglia. Mi ha perseguitato, come un'entità maligna, il destino di poter desiderare solo sapendo che mi toccherà non avere. Se a un certo momento vedo per strada la figura di una ragazza nubile e, che lo sia o meno, suppongo per un momento cosa accadrebbe se fosse mia, è sicuro che, a dieci passi dal mio sogno, quella ragazza incontra l'uomo che riconosco come il marito o l'amante. Un romantico ne farebbe una tragedia; un estraneo vedrebbe la cosa come una commedia: io, però, mescolo le due
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cose, poiché sono romantico dentro di me cd l'str.111t·11 .1 1111· Mtesso, e volto pagina verso un'altra ironia. Certi dicono che senza speranza la vita è impossibile, ali n che con la speranza essa è vana. Per me, che oggi non spero l' 110n dispero, è un semplice quadro esteriore, che include anche me e a cui assisto come a uno spettacolo senza trama, fatto solo per divertire gli occhi - un balletto senza senso, un muoversi di foglie al vento, nuvole a cui la luce del sole fa cambiare colore, vecchie strade tracciate, casualmente, in punti insoliti della
città. Sono, in buona parte, la prosa stessa che scrivo. Mi snodo in periodi e paragrafi, mi trasformo in punteggiatura e, nella distribuzione successiva delle immagini, come i bambini mi vesto da re con carta di giornale o, allo stesso modo in cui trovo il ritmo d'una serie di parole, mi adorno, come i pazzi, di fiori secchi che nei miei sogni sono freschi. E, soprattutto, sono tranquillo, come un pupazzo di segatura che, prendendo coscienza di sé, ogni tanto scuote la testa in modo che il sonaglio sulla punta del berretto (parte integrante della testa stessa) faccia suonare qualcosa, vita tintinnante del morto, avviso minimo al Destino. Quante volte però, nel pieno di questa tranquilla insoddisfazione, poco a poco emerge nella mia emozione cosciente il sentimento del vuoto e del tedio di pensare così! Quante volte, come chi sente parlare attraverso suoni che si interrompono e ricominciano, assaporo l'amarezza sostanziale di questa vita estranea alla vita umana - vita dove non succede niente, salvo che nella coscienza di essa! Quante volte, svegliandomi da me stesso, dall'esilio che io sono intravedo quanto sarebbe stato meglio essere il nessuno di ognuno, l'uomo felice che perlomeno prova l'amarezza reale, l'uomo contento che sente la stanchezza invece del tedio, che soffre invece di pensare che soffre, che si uccide davvero, invece di lasciarsi morire! Sono diventato la figura di un libro, una vita letta. Quello che sento (senza che lo voglia) lo sento per scrivere che l'ho sentito. Ciò che penso è messo subito in parole, mescolato a immagini che lo disfano, aperto a ritmi che sono qualcos'altro. A forza di ricompormi mi sono distrutto. A forza di pensarmi,
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io ormai sono i miei pensieri, ma non io. Mi sono sondato e ho fatto cadere la sonda: vivo pensando se sono profondo o no, adesso senza nessuna altra sonda che lo sguardo che mi mostra, nitido e scuro nello specchio del pozzo profondo, il mio stesso volto che mi contempla mentre lo contemplo. Sono una specie di cana da gioco, di un seme antico esconosciuto, che rimane l'unica di un mazzo perduto. Non ho senso, non conosco il mio valore, non ho un termine di paragone per ritrovarmi, non ho niente che possa servire per farmi riconoscere. E così, nelle immagini in successione con cui mi descrivo - non senza verità, ma con delle menzogne - resto più nelle immagini che in me stesso, dicendomi persino che, scrivendo con l'anima come inchiostro, non servo che a scrivere con essa. Ma la reazione finisce e mi rassegno di nuovo. Torno in me, a quello che sono, anche se non sono niente. E qualcosa come lacrime senza pianto arde nei miei occhi induriti, una sorta di angoscia inesistente si rigonfia aspramente nella mia gola secca. Ma a quel punto, non so quanto avrei pianto se avessi pianto, e non so neanche perché non ho pianto. La finzione mi accompagna come la mia ombra. E quello che voglio è dormire.
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[ ... ] Nei frammenti e nelle opere brevi pubblicati in riviste, ci sono brani e composizioni firmate con il nome di Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Alvaro de Campos. Questi nomi, però, non sono pseudonimi: rappresentano persone inventate come figure di un dramma, o personaggi che declamano isolati in un romanzo senza intreccio.
TEORIA DELL'ETERONIMIA
86. 1-12-1931
L'arte consiste nel riuscire a far sentire agli altri quel che noi sentiamo, liberarli da sé stessi, proponendo la nostra personalità come liberazione speciale. Quel che sento, nella vera sostanza in cui lo sento, è assolutamente incomunicabile; e tanto più è incomunicabile quanto più profondamente lo sento. Dunque, perché io possa trasmettere a un altro ciò che sento, devo tradurre i miei sentimenti nel suo linguaggio, dire cioè tali cose come se fossero quelle che sento, in modo che lui, leggendole, senta esattamente quello che ho sentito io. E siccome gli altri, nell'ipotesi dell'arte, non sono questa o quella persona, ma tutti, e cioè quella persona comune a tutte le persone, in fondo quello che devo fare è convertire i miei sentimenti in un sentimento umano tipico, pur pervertendo la vera natura di quello che ho sentito. Ciò che è astratto è difficile da capire, perché è difficile riuscire a ottenere l'attenzione di chi legge. Fornirò, perciò, un semplice esempio, in cui si concretizzano le astrazioni da me elaborate. Supponiamo che, per un motivo qualsiasi, che può essere la stanchezza di fare calcoli o il tedio di non aver da fare, cada su di me una tristezza vaga della vita, un'angustia di me stesso che mi turba e mi inquieta. Se traduco questa emozione con parole che la descrivono da vicino, quanto più da vicino la descrivo, più la presento mia, e meno quindi riuscirò a comunicarla agli altri. E, se non la si vuole comunicare agli altri, sarebbe più giusto e facile sentirla senza scriverla. Supponiamo comunque che desideri trasmetterla ad altri, cioè, farne arte, dato che l'arte è comunicare agli altri la nostra
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intima identità, senza la quale non c'è comunicazione né necesisità di farla. Cerco quale sarà l'emozione umana comune che abbia il tono, il tipo, la forma di questa emozione in cui adesso mi trovo, per le ragioni inumane e particolari di essere un aiuto contabile stanco, o un lisbonese annoiato. E verifico che il tipo di emozione comune che produce nell'anima comune questa stessa emozione è la nostalgia dell'infanzia perduta. Ho la chiave per la porta del mio tema. Scrivo e piango la mia infanzia perduta; mi dilungo commosso sui particolari delle persone e della mobilia della vecchia casa di provincia; evoco la felicità di non avere né diritti né doveri, di essere libero per non saper pensare e sentire - e questa evocazione, se sarà ben fatta quanto a stile e immagini, risveglierà nel lettore esattamente l' emozione che io ho provato e che non c'entra nulla con l'infanzia. Ho mentito? No, ho capito. Perché la menzogna - salvo quella infantile e spontanea, nata dal desiderio di sognare - è soltanto la nozione dell'esistenza reale degli altri e della necessità di adattare a quell'esistenza la nostra, che non si può adattare ad essa. La menzogna è semplicemente il linguaggio ideale dell'anima. Infatti, come ci serviamo di parole, che sono suoni articolati in un modo assurdo per tradurre in linguaggio reale i più intimi e sottili movimenti dell'emozione e del pensiero, che le parole necessariamente non potranno mai tradurre, così ci serviamo della menzogna e della finzione per intenderci gli uni con gli altri, cosa che con la verità, personale e non trasmissibile, non si potrebbe fare mai. L'arte mente perché è sociale. Ci sono unicamente due grandi forme di arte - una che si rivolge alla nostra anima profonda, l'altra alla nostra anima attenta. La prima è la poesia, la seconda il romanzo. La prima inizia a mentire nella sua stessa struttura; la seconda comincia a mentire nella sua stessa intenzione. L'una pretende di darci la verità per mezzo di righe diversamente allineate che falsificano la connessione del discorso; l'altra pretende di darci la verità per mezzo di una realtà che, lo sappiamo tutti bene, non è mai esistita. Fingere è amare. Non vedo mai un bel sorriso o uno sguardo degno di nota senza subito pensare, non importa a chi appar-
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tenga il sorriso o lo sguardo, quale sia, in fondo all'anima il cui viso sorride o guarda, lo statista che ci vuole comprare o l.1 prostituta che vuole essere comprata. Ma lo statista che ci com pra ha amato, almeno, il fatto di comprarci; e la prostituta chr compriamo ha amato, almeno, il fatto che l'abbiamo comprata. Per quanto lo desideriamo, non sfuggiamo alla fraternità uni versale. Ci amiamo tutti gli uni con gli altri, e la menzogna è il bacio che ci scambiamo.
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87. II-12-1931
Lettera a Joao Gaspar Simòes'
[... ] Non ho mai avuto nostalgia dell'infanzia; in verità, non ho mai avuto nostalgia di nulla. Sono, per indole, e nel senso proprio della parola, un futurista. Non sono capace di pessimismo né so guardare all'indietro. Che io sappia o senta, soltanto la mancanza di denaro (sul momento) o un tempo che minaccia tempesta (finché dura) sono capaci di deprimermi. Ho, del passato, nostalgia solo delle persone scomparse che ho amato, non nostalgia del tempo in cui le ho amate: oggi le vorrei vive, e con l'età che avrebbero oggi, se fino ad oggi fossero vissute. Il resto sono atteggiamenti letterari, intensamente sentiti per istinto drammatico, sia che li firmi Alvaro de Campos sia che li firmi Fernando Pessoa. Si trovano sufficientemente rappresentati, in tono e verità, in quella mia breve poesia che inizia «6 sino da minha aldeia ... » [Oh, campana del mio villaggio ... ]. La campana del mio villaggio, Gaspar Simòes, è quella della chiesa dei Martiri, allo Chiado. Il villaggio in cui sono nato era il Largo di Sao Carlos, oggi del Direttorio, e la casa in cui sono venuto al mondo era quella dove più tardi (al secondo piano, io sono nato al quarto) si sarebbe installato il Direttorio Repubblicano. (Nota: la casa era destinata a essere famosa; speriamo però che il 4° piano risulti essere migliore del 2°). [ ... ] Il punto centrale della mia personalità di artista è che
' Saggista e primo biografo di Pessoa, Joào Gaspar Simòes (1903-1987) è stato il più influente critico letterario del Modernismo portoghese.
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sono un poeta drammatico: ho incessantemente, in tutto quello che scrivo, l'intima esaltazione del poeta e la spersonalizzazione del drammaturgo. Altro volo, ecco tutto. Dal punto di vista umano - che al critico non compete affrontare, perché non gli serve a nulla - sono un istero-nevrastenico, con predominanza dell'elemento isterico nell'emozione e dell'elemento nevrastenico nell'intelligenza e nella volontà (minuziosa l'una, tiepida l'altra). Una volta che il critico si è convinto che sono essenzialmente un poeta drammatico, egli ha la chiave della mia personalità per quel che può interessare a lui o a qualsiasi altro che non sia uno psichiatra, vale a dire ciò che il critico non deve essere. Munito di questa chiave, egli può lentamente aprire tutte le serrature della mia espressione. Sa che come poeta sento; che come poeta drammatico sento staccandomi da me; che come drammatico (senza poeta) automaticamente trasformo ciò che sento in un'espressione estranea a ciò che ho sentito, costruendo così nell'emozione una persona inesistente che davvero senta ciò che io ho sentito e che perciò possa, come per derivazione, sentire emozioni che io, strettamente io, ho dimenticato di sentire. [... ]
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88. 21-12-1931
Sono quasi convinto di non essere mai sveglio. Non so se non sogno quando vivo, se non vivo quando sogno, o se il sogno e la vita in me non siano che cose mescolate, intersecate, da cui il mio essere cosciente si formi per interpenetrazione. A volte, nel mezzo della piena vita attiva in cui, naturalmente, sono cosciente di me come tutti gli altri, una strana sensazione di dubbio si affaccia alla mia supposizione; non so se esisto; mi sembra possibile che io sia un sogno altrui; mi sembra, quasi carnalmente, che potrei essere il personaggio di un romanzo, muovendomi fra le onde lunghe di uno stile, nella verità costruita di un grande racconto. Ho notato spesso che certi personaggi di romanzo assumono per noi un'importanza che non potrebbero mai raggiungere coloro che conosciamo e che sono nostri amici, coloro che parlano con noi e che ci ascoltano nella vita visibile e reale. E questo fa sì che sogni la domanda se la totalità del mondo non sia tutto una serie intrecciata di sogni e romanzi, come scatole dentro scatole più grandi - una dentro l'altra e queste dentro ad altre-, tutto una storia con più storie, come le Mille e una notte, che si snoda falsa nella notte eterna. Se penso, tutto mi sembra assurdo; se sento, tutto mi sembra strano; se voglio, chi vuole è qualcosa dentro di me. Ogni volta che in me c'è un'azione, riconosco che non sono stato io. Se sogno, sembra che mi scrivano. Se sento, sembra che mi dipingano. Se voglio, sembra che mi mettano in un veicolo, come merce spedita, e che parta con un movimento che credo mio,
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pt'r il luogo dove non sono voluto andare solo dopo essermi trovato in quel luogo. Che confusione totale! Quanto è meglio vedere che pensare, e quanto è meglio leggere che scrivere! Quello che vedo, può essere che mi inganni, però non lo credo mio. Quello che leggo, può essere che mi pesi, ma non ho il turbamento di averlo scritto. Quanto tutto fa male, se lo pensiamo consapevoli di pensare, come esseri spirituali in cui è avvenuto quel secondo sdoppiamento della coscienza attraverso il quale sappiamo di sapere! Nonostante la giornata sia bellissima, non posso smettere di pensare così... Pensare o sentire, o una terza cosa fra gli scenari messi da parte? Tedii del crepuscolo e del turbamento, ventagli chiusi, stanchezza di aver dovuto vivere ...
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89. 28-7-1932
Lettera ajoào Gaspar Simòes
[...] Sto cominciando - lentamente, non è una cosa che si possa fare r.:on rapidità- a classificare e rivedere le mie carte al fine di pubblicare, per la fine dell'anno in corso, uno o due libri. Saranno probabilmente entrambi in versi, non conto infatti di preparare nient'altro così in fretta - s'intenda, prepararlo nel modo in cui io voglio. In origine, era mia intenzione iniziare le mie pubblicazioni da tre libri, nell'ordine seguente: (1) Portugal, che è un libro piccolo di poesie (ne ha solo 41), di cui Mar Portugués (uscito in «Contemporanea», 4) è la seconda parte; (2) Livro do Desassosego [Libro dell'inquietudine] (Bernardo Soares, ma accessoriamente, infatti Bernardo Soares non è un eteronimo, ma un personaggio letterario); (3) Poemas Completos de Alberto Caeiro [Tutte le poesie di Alberto Caeiro] (con la prefazione di Ricardo Reis, e, come postfazione, le Notas para a Recordaçào [Nate in ricordo del mio maestro Caeiro] di Alvaro de Campos). Più tardi, il prossimo anno, seguirebbe, da solo o con un altro libro, il Cancioneiro [Canzoniere] (o un altro titolo ugualmente evocativo), in cui riunirei (in «Livros I a III» o «I a V») varie delle molte poesie sparse che ho e che sono, per loro natura, inclassificabili se non in questo modo inespressivo. Succede, però, che nel Libro dell'inquietudine ci sono ancora molte cose da equilibrare e da rivedere, non potendo io calcolare come si deve se mi richiederà meno di un anno a farlo. E, quanto a Caeiro, sono indeciso. Anche qui c'è qualcosa da rivedere, ma poco. A parte ciò, è - si può dire - completo,
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sebbene alcuni «poemas inconjuntos» [poesie sparse] e una o l'altra nota di alterazione da fare nelle prime poesie (Guardador de Rebanhos [Il guardiano di greggi]) siano dispersi fra le mie carte. Ritrovati però questi elementi dispersi, il libro può essere completato rapidamente. C'è un problema: è quasi impossibile che abbia successo, e dunque sarà un libro da pubblicare con un sacrificio materiale. Il sacrificio materiale dipende, è chiaro, dalle mie condizioni materiali del momento. In ogni caso, in questa revisione e classificazione delle mie carte, sto cercando e ordinando ciò che appartiene a Caeiro. Non so se le ho già confidato che gli eteronimi (secondo l'ultima intenzione che mi sono fatta rispetto ad essi) devono essere pubblicati da me con il mio nome (è tardi ormai, e dunque assurdo, per la simulazione assoluta). Formeranno una serie intitolata Ficçoes do Interludio [Finzioni dell'Interludio], o un'altra cosa che di meglio mi capiterà. Così, il titolo del primo volume sarebbe più o meno: «Fernando Pessoa -Ficçoes do Interludio - I. Poemas de Alberto Caeiro [Poesie di Alberto Caeiro] (1889-1915)». E i seguenti nello stesso modo, includendone uno, ma molto più difficile da scrivere, che contenga il dibattito sull'estetica fra me, Ricardo Reis e Alvaro de Campos, e forse anche altri eteronimi, dal momento che ce ne sono ancora uno o due (includendo un astrologo) che devono apparire. Del resto, la cosa più probabile è che, quanto al primo libro degli eteronimi, contenga non solo Caeiro e le Notas [Note] di Alvaro de Campos ma anche 3 o 5 «libri» delle Odes [Odi] di Ricardo Reis. Il volume così conterrà l'essenziale per comprendere l'inizio della «scuola»: le opere del Maestro e alcune del discepolo diretto, includendo (nelle Notas [Note]) anche qualcosa dell'altro discepolo. Vi è qui anche un elemento materiale che mi induce a determinare così il volume: solo con Caeiro e le Notas [Note] verrebbe un libro né piccolo (tipo Portugal) né di dimensioni normali (300 pagine, poco più o poco meno) come il Canaoneiro. Con l'inserimento - logico, in fondo, come le ho spiegato -, anche di Ricardo Reis, il volume avrà una sua normalità. L'intenzione, probabilmente provvisoria, a cui sono giunto ora è quella di pubblicare, se fosse possibile quest'anno o tra
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questo e il prossimo, Portugal e Cancioneiro. Il primo è quasi pronto ed è il libro con più possibilità di successo, che nessuno degli altri ha. Il secondo è pronto: basta scegliere e collocare. [... ]
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Way of the Serpent
Considerare tutte le cose come accidenti di un'illusione irrazionale, sebbene ognuna si presenti razionale di per sé: in ciò consiste il principio della saggezza. Ma questo principio di saggezza non è che la metà della comprensione delle cose stesse. L'altra parte della comprensione consiste nella conoscenza di queste cose, nella loro partecipazione intima. Dobbiamo vivere intimamente quello che ripudiamo. Non costa nulla ripudiare il Cristianesimo a chi non è in grado di sentire il Cristianesimo; ciò che costa è ripudiarlo, come tutto, dopo averlo davvero sentito o vissuto o dopo esser stati cristiani. Ciò che costa è ripudiarlo, o saper ripudiarlo, non come forma della menzogna, ma piuttosto come forma della verità. Riconoscere la verità come verità, e allo stesso tempo come errore; vivere i contrari, non accettandoli; sentire tutto in tutti i modi, e non esser nulla, alla fine, se non la comprensione di tutto - quando l'uomo si innalza a queste vette è libero, e come su ogni vetta è solo, e come su ogni vetta è tutt'uno con il cielo, a cui mai si unisce, come su ogni vetta. La luce falsa della realtà, la luce falsa della finzione, la luce falsa dell'iniziazione e del segreto - giorno, crepuscolo, notte, cosa sono per chi contempla la Ragione pura, il Serpente strisciante attraverso qualcosa che è più grande dei mondi? Il Serpente è più in alto degli ordini e dei sistemi, e sebbene s'innalzi come il loro senso, dispensa le linee e i cammini. Il suo movimento, a destra nell'ordine inferiore delle cose e degli
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esseri, è tale solo perché possa esserlo a sinistra in un ordine superiore a essi. Ciò che gli uomini non possono raggiungere se non sopraffacendosi reciprocamente, se non congiungendosi o imponendosi, lo raggiunge il Serpente da solo nella sua libertà. Per lui, comandare è subordinarsi all'idea di comandare; libero e cauto, esso procede strisciando attraverso il mondo e lo spirito fino a uscire dal mondo e dallo spirito. Esso unisce i veri contrari perché, mentre i cammini del mondo sono a destra, a sinistra o in mezzo, egli segue un cammino che li attraversa tutti e non è nessuno di essi. Egli parte, come il cammino di destra o di sinistra, dall'Istinto in direzione di Dio, ma non si spezza dove i triangoli si uniscono, non forma angoli con sé stesso. (Non lo tracciano i simboli se non in forma di O o di S, limitando o evitando il mondo). Eppure non ascende senza rompersi, come il cammino mediano, dall'Istinto in direzione di Dio. Conoscendo che esistono altri cammini, oltre al mediano, esso li riconosce, devia dal mediano, e li ripudia, non seguendo nessuno di essi. Fuoriuscendo dal vertice istintivo in direzione del vertice divino, egli sfiora la curva della vescica a spirale, e così mostra di conoscerla; ma la sfiora e prosegue, e non segue la sua curva né la sua direzione. Si distingue così da tutti i modi e condizioni di Dio e degli Esseri. Dove pare uguale è differente, e i due (per così dire) che lo formano sono opposti per dimensione e natura. Nel mondo inferiore esso è luna crescente, nel mondo superiore è luna calante ... Esso non conosce i misteri ma li include, devia dai cammini e dalle iniziazioni; lascia la scienza là dove passa; nega la magia che attraversa; e quando giunge a Dio non si ferma.
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Initiation (Occident)
È difficile, ovviamente, comprendere ciò che si intende per Unione con Dio, ma possiamo avere una certa idea di cosa si vuol con ciò significare se consideriamo che, qualunque sia stato il modo (indipendentemente dall'errore dell'uso di un tempo verbale che implica il tempo) con cui Dio ha creato il mondo, la sostanza di questa creazione è stata la conversione, effettuata da Dio, della propria coscienza nella coscienza plurale degli esseri separati. Il grande lamento della Divinità indiana «Oh, potessi io essere molti!», dà l'idea senza l'idea di realtà. L'Unione con Dio significa, dunque, la ripetizione da parte dell'Adepto dell'Atto Divino di Creazione per il quale esso è identico a Dio in atto o in un modo dell'atto, ma, al contempo, un'inversione dell'Atto Divino con cui esso continua a esser separato da Dio o a esser opposto a Dio; altrimenti, sarebbe Dio stesso e non sarebbe necessaria alcuna unione. L'Adepto, se ottiene l'unità tra la sua coscienza e la coscienza di tutte le cose, se riesce a trasformarla in una incoscienza (o incoscienza di sé) che è cosciente, ripete dentro di sé l'Atto Divino, che è la conversione della coscienza individuale di Dio nella coscienza plurale di Dio negli individui. Ma così egli attinge la pluralità che Dio ha attinto quando fece il tutto di cui egli è parte e, al ripetere l'Atto di Dio, egli lo sta realmente invertendo, e invertendolo, sta facendo il cammino di ritorno a Dio, e raggiungendo così l'Unione con Dio. Se rappresentiamo tutto questa schema con due triangoli equilateri con la stessa base, ognuno, per così dire, opposto
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all'altro, avremo un'idea chiara, o chiara il più possibile, del metodo con cui si ottiene l'Unione con Dio. Dio, vertice del triangolo superiore, apre alla base e la base si restringe fino al vertice rivolto verso il basso del triangolo inferiore. Dal vertice del triangolo inferiore c'è ascensione verso la linea base di entrambi: così la discesa di Dio è ripetuta nel senso ascensionale e, al contempo, c'è ascensione verso Dio. Dunque, in qualunque modo venga considerato, ciò ci conduce alla teoria peculiare di tre tipi di coscienza: la Coscienza Divina, la Coscienza del Mondo e la Coscienza Individuale. Nella prima l'identità è assoluta, non essendoci né soggetto né oggetto. Nella seconda il soggetto ha fatto di sé il proprio oggetto, e, essendo infinito in quanto indivisibile, diventa oggettivamente infinito, cioè infinito perché infinitamente divisibile. Nella terza, il soggetto ha fatto di sé stesso come oggetto il suo oggetto e ha preso coscienza di sé, e dunque coscienza di sé in ogni elemento infinitesimale di questo oggetto. Quanto più ogni soggetto infinitesimale fa di sé un oggetto di per sé, tanto più si avvicina al primo passo indietro verso la Suprema Coscienza. Da qui passerà eventualmente all'annullamento e al ritorno allo stadio originale della Coscienza Divina.
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The Essay on Initiation
[... ] Qualunque sia il numero di gradi, esteriori o interiori, sulla scala di ascensione alla Verità, essi possono essere considerati tre: Neofita, Adepto e Maestro. In realtà, i gradi sono dieci: quattro per il Neofita, tre per l'Adepto e tre, per così dire, per il Maestro. In verità, sono cinque per il Neofita, ma il primo non è numerato. Ci sono anche due imergradi tra il primo e il secondo, e tra il secondo e il terzo ordine, ma anche essi non sono numerati. I gradi non numerati sono gradi del noviziato, mentre gli altri sono, ognuno nella sua misura, gradi di realizzazione.
Il Neofita, lungo i gradi descritti da questa espressione, è essenzialmente un apprendista; il suo cammino è indirizzato alla conclusione della conoscenza nella sfera esteriore. Nell' Adepto, lungo i suoi tre passi, c'è un progresso nell'unificazione della conoscenza con la vita. Nel Maestro c'è, o si dice vi sia, una distruzione dell'unità finalmente raggiunta in virtù di una unità più elevata. Un paragone con cose più semplici renderà tutto ciò più chiaro. Supponiamo che scrivere grande poesia sia il fine dell'iniziazione. Il grado di Neofita sarà l'acquisizione degli elementi culturali che il poeta dovrà maneggiare per scrivere poesia, i quali sono, grado per grado e con un'analogia che pare esatta: (o) la grammatica, ( r) la cultura generale, (2) la cultura letteraria specifica, (3) [] Il grado di Adepto sarà, impiegando l'analogia allo stesso modo, ( 5) lo scrivere semplice poesia lirica come un comune
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poeta lirico, (6) lo scrivere poesia lirica complessa, come in [ ], (7) lo scrivere poesia lirica ordinata o filosofica come in un'ode. Il grado di Maestro sarà, allo stesso modo, (8) lo scrivere poesia epica, (9) lo scrivere poesia dramma tic a, ( 1 o) la fusione di tutta la poesia, lirica, epica e drammatica in qualcosa al di là di esse. Al lettore di questa antologia letteraria occorreranno tre osservazioni. La prima è che si può esser poeta senza i gradi di Neofita, e Adepto di primo grado, senza aver «preso» il primo grado di Neofita. La seconda è che la progressione descritta non corrisponde a quella che abitualmente avviene nella vita, sia quella di un poeta o di una persona qualsiasi. La terza è che la fusione di tutta la poesia - lirica, epica e drammatica - in qualcosa che vada al di là di esse è una conquista che eccede la comprensione. (... ]
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Essendo noi portoghesi, conviene sapere ciò che siamo: a) adattabilità, che sul piano mentale dà instabilità, e quindi implica la diversificazione dell'individuo dentro di sé. Il buon portoghese è varie persone; b) il predominio dell'emozione sulla passione. Siamo teneri e poco intensi, al contrario degli spagnoli - i nostri assoluti contrari - che sono appassionati e freddi. Cosa che a livello mentale superiore significa che [ ] c)[] Mai mi sento così portoghesemente me stesso come quando mi sento differente da me - Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Alvaro de Campos, Fernando Pessoa, e quanti più ce ne siano, ce ne siano stau o ce ne saranno.
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Il primo grado della poesia lirica è quello in cui il poeta, di temperamento intenso e emotivo, esprime in maniera spontanea o riflessiva quel temperamento e quelle emozioni. È il tipo più comune di poeta lirico; ed è anche quello di minor merito, come tipo. L'intensità dell'emozione deriva, in genere, dall'unità del temperamento; e così questo tipo di poeta lirico è in genere monocorde, e le sue poesie ruotano intorno ad un determinato numero, in genere piccolo, di emozioni. Perciò questo genere di poeti è facile da definire, perché a ragione si nota che uno è «un poeta d'amore», un altro «un poeta della nostalgia», un terzo «un poeta della tristezza». Il secondo grado della poesia lirica è quello in cui il poeta, perché più intellettuale o immaginativo, forse anche solo perché più colto, non ha più la semplicità delle emozioni, o la loro limitazione, che contraddistingue il poeta del primo grado. Anche questo sarà tipicamente un poeta lirico, nel senso comune del termine, ma non sarà più un poeta monocorde. Le sue poesie abbracceranno temi diversi, seppur unificati nel temperamento e nello stile. Pur essendo diversificato nei tipi di emozione, non lo sarà nella maniera di sentire. Così uno Swinburne, tanto monocorde nel temperamento e nello stile, può nondimeno scrivere con lo stesso rilievo una poesia d'amore, una languida elegia, una poesia rivoluzionaria. Il terzo grado della poesia lirica è quello in cui il poeta, ancor più intellettuale, incomincia a spersonalizzarsi, a sentire non
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più perché sente, ma perché pensa di sentire; a sentire stati d'animo che non prova realmente, semplicemente perché li comprende. Siamo nell'anticamera della poesia drammatica, nella sua intima essenza. Il temperamento del poeta, qualunque sia, è dissolto dall'intelligenza. La sua opera risulterà unificata solamente nello stile, ultimo fortino della sua unità spirituale, della sua coesistenza con sé medesimo. Così è Tennyson, mentre scrive ugualmente Ulysses e The Lady ofShalott, così, e di più, è Browning, mentre scrive quelle che chiamò «poesie drammatiche», che non sono dialogati, ma monologhi che rivelano anime diverse con le quali il poeta non s'identifica, non pretende di identificarsi, e il più delle volte non vuole identificarsi. Il quarto grado della poesia lirica è quello, molto più raro, in cui il poeta, più intellettuale ancora ma ugualmente immaginativo, entra nella piena spersonalizzazione. Non soltanto sente, ma vive gli stati d'animo che non prova direttamente. In un grande numero di casi cadrà nella poesia drammatica propriamente detta, come fece Shakespeare, poeta sostanzialmente lirico elevatosi a drammatico per lo straordinario grado di spersonalizzazione a cui pervenne. In un caso o nell'altro, continuerà ad essere, anche se drammaticamente, poeta lirico. È questo il caso di Browning ecc. (ut supra). Né ora lo stile definisce l'unità dell'uomo: solamente ciò che nello stile vi è di intellettuale la denota. Così è in Shakespeare, in cui il rilievo inatteso della frase, la sottigliezza e la complessità del dire sono l'unica cosa che avvicina il modo di parlare di Amleto a quello di Re Lear, quello di Falstaff a quello di Lady Macbeth. E così è Browning in Men and Women e nei Dramatic Poems. Supponiamo, però, che il poeta, evitando sempre la poesia drammatica esteriormente tale, avanzi ancora di un passo nella scala della spersonalizzazione. Certi stati d'animo, pensati e non sentiti, sentiti immaginativamente e perciò vissuti, tenderanno a definire per lui una persona fittizia che li senta sinceramente.
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95. 1932?
Aristotele ha diviso la poesia in lirica, elegiaca, epica e drammatica. Come tutte le classificazioni ben pensate, questa è utile e chiara; come tutte le classificazioni è falsa. I generi non si separano con tanta intima facilità e, se analizziamo bene ciò di cui si compongono, verificheremo che dalla poesia lirica alla drammatica c'è una gradazione continua. Difatti, andando alle origini stesse della poesia drammatica - Eschilo, per esempio -, sarà più corretto dire che vi troviamo poesia lirica posta sulla bocca di diversi personaggi. Il primo grado della poesia è quella in cui il poeta, concentrato nel suo sentimento, lo esprime. Se egli è però una creatura dai sentimenti variabili e vari, esprimerà una sorta di molteplicità di personaggi, unificati solo dal temperamento e dallo stile. Un passo in più e, nella scala poetica, abbiamo il poeta che è una creatura dai sentimenti vari e fittizi, più immaginativo che sentimentale, e che vive ogni stato d'animo più attraverso l'intelligenza che l'emozione. Questo poeta si esprimerà come una molteplicità di personaggi, unificati non più dal temperamento e dallo stile - il temperamento è difatti sostituito dall'immaginazione, e il sentimento dall'intelligenza - ma dal solo stile. Un passo ancora, nella stessa scala di spersonalizzazione, ossia di immaginazione, e abbiamo il poeta che in ognuno dei suoi stati mentali vari si integra a tal modo in sé stesso che si spersonalizza totalmente, in maniera che, vivendo analiticamente questo stato d'animo, lo rende come una sorta di espressione di un
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altro personaggio, e, dunque, lo stile stesso tende a variare. Si faccia poi il passo finale, e avremo un poeta che sarà vari poeti, un poeta drammatico che scrive in poesia lirica. Ogni gruppo di stati d'animo più vicini diventerà insensibilmente un personaggio, con uno stile proprio, con sentimenti magari differenti, perfino opposti, a quelli tipici del poeta in persona. E così si sarà portata la poesia lirica - o una qualche forma letteraria analoga nella sua sostanza alla poesia lirica - fino alla poesia drammatica, senza tuttavia darle la forma del dramma, né esplicitamente né implicitamente. Supponiamo che un supremo spersonalizzato quale Shakespeare, piuttosto che creare il personaggio di Amleto come parte di un dramma, lo avesse creato come un semplice personaggio, senza dramma. Avrebbe, per così dire, scritto un dramma di un solo personaggio, un monologo prolungato e analitico. Non sarebbe legittimo ricercare in questo personaggio una definizione dei sentimenti o dei pensieri di Shakespeare, tranne nel caso in cui il personaggio fosse malfatto, perché il cattivo drammaturgo è quello che si rivela. Per qualche motivo temperamentale che non mi propongo di analizzare, né mi interessa farlo, ho costruito dentro di me vari personaggi distinti tra di essi e da me, personaggi a cui ho attribuito poesie varie che non sono come io le scriverei, con i miei sentimenti e idee. Così le poesie sono da considerarsi di Caeiro, di Ricardo Reis e di Alvaro de Campos. Non bisogna ricercare in nessuna di queste poesie idee o sentimenti miei, in quanto la maggior parte di esse esprimono idee che non accetto, sentimenti mai provati. C'è da leggerle semplicemente così come sono, che è del resto come si deve sempre leggere. Un esempio: ho scritto con un sussulto e con una certa ripugnanza la poesia ottava del Guardador de Rebanhos [Il guardiano di greggi] con la sua bestemmia infantile e il suo antispiritualismo assoluto. Nella mia propria persona, apparentemente reale, con cui vivo socialmente e obiettivamente, non sono solito alla bestemmia, né sono un antispiritualista. Alberto Caeiro,
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però, così come l'ho concepito, è così: così deve scrivere, che io
lo voglia o no, che io pensi come lui o no. Negarmi il diritto di fare questo sarebbe lo stesso che negare a Shakespeare il diritto Ji dar espressione all'anima di Lady Macbeth, sapendo che egli non era una donna, né - che si sappia - isterico-epilettico, o attribuirgli una tendenza allucinatoria e un'ambizione che non indietreggia davanti al crimine. Se è così per i personaggi fittizi tli un dramma, è ugualmente lecito per i personaggi fittizi senza dramma, dunque è lecito perché sono fittizi e non perché sono in un dramma. Pare inutile spiegare una cosa di per sé così semplice e intuitivamente comprensibile. Si dà il caso, tuttavia, che la stupidità umana sia grande e la bontà umana non altrettanto grande.
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Le spiego il modo di comporre le figure che traccio dentro di me. Si deve intendere questa spiegazione come lo sdoppiamento analitico di un fenomeno più o meno inconscio. Sarebbe stato impossibile comporre queste personalità attraverso un impulso determinato della ragione. Sono psichiatricamente considerato ciò che si definisce un isterico-nevrastenico. L'isteria-nevrastenia è comunemente la sovrapposizione di uno stato generale nevrastenico a uno stratificato stato isterico. In molti casi lo stato nevrastenico è acquisito o sopraggiunge. Nel mio caso, che è di autentica istero-nevrastenia - quella temperamentale-, i due fenomeni coesistono dalla nascita, formano un blocco e al contempo non lo formano, visto che sono distinti, e pertanto distinguibili. Come naturalmente sa, l'isteria (la cui esistenza come specie nosologica è da alcuni contestata, il che non interessa nel nostro caso) dà, nei casi tipici, un'oscillazione straordinaria della sensibilità, una capacità intensa di sensazione e sentimento rapidi, profondi finché durano, però incapaci di prolungarsi, la tendenza alla divagazione e all'inazione, []
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97. 25-2-1933 Lettera a Joao Gaspar Simòes
[ ... ] Voglio, ora, riferirmi alla questione che ho lasciato in sospeso: la questione di un mio libro per la collana di «Presença». Riflettendo - che era quanto intendevo fare-, ho trovato qualcosa da preferire a uno dei libri del Cancioneiro. Da preferire in tre sensi: più breve (benché, è chiaro, non di molto), molto superiore, e di certo più adeguato alla pubblicazione di cose «nuove» come è intenzione dei libri previsti. Propongo di darle O Guardador de Rebanhos di Caeiro, completo, con le sue 49 poesie. Si trova nelle condizioni che le dicevo prima ed è pronto, a parte l'eventuale revisione verbale che si può sempre fare quando si passa il testo in bella. La mia intenzione originaria, quanto a Caeiro, era di pubblicare in un solo libro i Poemas Completos (Guardador de Rebanhos, O Pastor Amoroso, Poemas Inconjuntos). Il fatto è però che ancora non ho raccolto tutti i poemas inconjuntos, né prevedo quando riuscirò a farlo; e, comunque, avrebbero bisogno di una revisione d'altro tipo, non verbale ma psicologico. Cosa che invece, come ho detto sopra, non succede con O Guardadar de Rebanhos, come del resto non succede neppure con le cinque o sei poesie del Pastor Amoroso ... [ ... ] Difatti, e per dire una cosa vicina alla verità, vorrei che voi pubblicaste O Guardador de Rebanhos. Avrei tanto piacere che foste voi a presentare il meglio di ciò che ho fatto: un'opera che, anche se dovessi scrivere un'altra Iliade, non potrebbe, in un
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certo senso intimo, essere uguagliata, perché è frutto di un grado e di un tipo di ispirazione (mi passi l'espressione, qui esatta) che eccede ciò che io razionalmente avrei potuto generare dentro di me, il che non è mai vero per le Iliadi ... [ ... ]
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98. 13-1-1935
Lettera a Adolfo Casais Momeiro
Lisbona, 13 gennaio 19 J 5 Mio stimato compagno, molto la ringrazio per la sua lettera, a cui rispondo d'immediato e per intero. Prima però di iniziare, voglio chiederle scusa se scrivo su questo foglio da minuta. Ho finito la carta buona, è domenica, e altro non trovo. Ma meglio, credo, un foglio scadente che rimandare a un'altra volta. In primo luogo, voglio dirle che non vedrei mai «altre ragioni» in qualunque cosa lei scrivesse, di discorde, nei miei confronti. Sono uno dei pochi poeti portoghesi a non aver decretato la propria infallibilità, né prende le critiche che gli sono fatte come un atto di lesa divinità. Inoltre, per vari che siano i miei difetti mentali, è inesistente in me la tendenza alla mania di persecuzione. A parte ciò, conosco ormai a sufficienza la sua indipendenza mentale che, se mi posso permettere, molto approvo e lodo. Non mi sono mai proposto di essere Maestro o Chef Maestro perché non so insegnare, e nemmeno so se dovrei farlo; Chef perché non so neppure friggere un uovo. Non si preoccupi mai, quindi, di ciò che dovrà dire di me. Io non vado in cerca di cantine nei piani nobili. Concordo con lei quando dice che non è stato felice l'esordio, che di me ho fatto, pubblicando un libro come M ensagem [Messaggio]. Sono, del resto, un nazionalista mistico, un seba-
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stianista razionale. Ma sono, a parte questo e persino in contraddizione con questo, molte altre cose. E queste cose, per la natura stessa del libro, Mensagem non le contiene. Ho iniziato con questo libro le mie pubblicazioni per la semplice ragione che è stato questo il primo libro che sono riuscito, non so perché, a organizzare e a preparare. E poiché era pronto, mi hanno spinto a pubblicarlo: accettai. Non l'ho pubblicato, bisogna dirlo, con gli occhi puntati al possibile premio del Segretariato ché se ci avessi pensato non sarebbe stato comunque un peccato intellettuale. Il mio libro era pronto in settembre, e io ritenevo addirittura che non potesse partecipare al premio, dato che ignoravo che il termine per la consegna dei libri, inizialmente fissato per la fine di luglio, era stato prorogato alla fine di ottobre. Dato però che a fine ottobre avevo già esemplari pronti di M ensagem, ho consegnato le copie richieste. Il libro aveva tutte le qualità (nazionalismo) per concorrere. Partecipai. Quando a volte pensavo all'ordine della futura pubblicazione delle mie opere, un libro come Mensagem non figurava mai al numero uno. Esitavo se iniziare con un libro di versi grande - un libro sulle 3 50 pagine - che avrebbe inglobato le varie sottopersonalità di Fernando Pessoa-lui stesso, o con una novella poliziesca che ancora non sono riuscito a portare a termine. Concordo con lei, dicevo, sul fatto che non è stato felice l'esordio, che di me ho fatto, pubblicando Mensagem. Ma concordo sul fatto che è stato il miglior esordio che avrei potuto fare. Proprio perché questo aspetto - in un certo modo secondario - della mia personalità non si era mai sufficientemente manifestato nelle mie collaborazioni a riviste (tranne che nel caso di «Mar Portugues», una parte di questo stesso libro), proprio per questo conveniva che apparisse e che apparisse ora. Ha 1:
'Mensagem fu preparato da Pessoa per concorrere al premio di poesia istituito d.,I Secretariado de Propaganda Nacional (SPN) diretto dall'amico e modernista della prima ora Antonio Ferro. Nonostante la prima edizione uscita a fine novembre del 19,4 per i tipi della Parceria Antonio Maria Pereira constasse di 104 pagine, a Memagem non fu attribuito il premio della categoria «libri di versi con oltre cento pagine» ma il premio Antero de Quental per la categoria «poema o poesia sciolta».
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coinciso, senza che lo pianificassi o lo premeditassi (incapace come sono di premeditazione pratica), con uno dei momenti critici (nel senso originario del termine) di riconfigurazione del subconscio nazionale. Ciò che ho creato per caso e si è realizzato in seguito a chiacchiere scambiate era stato esattamente progettato, con Squadra e Compasso, dal grande Architetto. (Interrompo. Non sono matto né ubriaco. Sto scrivendo direttamente, tanto rapidamente quanto la macchina me lo permette, e mi vado servendo delle espressioni che sovvengono, senza badare a fare letteratura. Supponga - farà bene a supporlo, perché è vero - che io stia semplicemente conversando con lei). Rispondo ora direttamente alle sue tre domande: r) piano futuro della pubblicazione delle mie opere, 2) genesi dei miei eteronimi, 3) occultismo. Fatta, nelle condizioni appena descritte, la pubblicazione di Mensagem, che è una manifestazione unilaterale, ho intenzione di proseguire in questo modo. Sto portando a termine una versione del tutto ristrutturata del Banqueiro Anarquista [Banchiere anarchico]; sarà pronta a breve e conto, non appena pronta, di pubblicarla immediatamente. Se è così, traduco subito in inglese questo scritto e vedo se è possibile pubblicarlo in Inghilterra. Così come sta venendo, ha delle chances europee (non prenda questa frase nel senso di Premio Nobel imminente). In seguito - e rispondo più propriamente alla sua domanda che riguarda la poesia - ho intenzione, per l'estate, di riunire il cosiddetto grande volume di poesie brevi di Fernando Pessoa lui-stesso, e vedere se riesco a pubblicarlo alla fine dell'anno in corso. Sarà il volume tanto atteso da lei, Casais Monteiro e quello che io desidero tanto che si faccia. Sarà dunque il volume che conterrà tutti gli aspetti, a eccezione dell'aspetto nazionalista presente in Mensagem. Mi sono riferito, come vede, al solo Fernando Pessoa. Non so nulla invece di Caeiro, di Ricardo Reis o di Alvaro de Campos. Quanto a pubblicarli, non potrò far nulla se non quando (si veda sopra) mi sarà dato il Premio Nobel. Eppure- lo penso con tristezza - ho messo in Caeiro tutto il mio potere di spersonalizzazione drammatica, in Ricardo Reis tutta la mia disci-
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plina mentale, vestita dalla musica che le è propria, ho messo in Alvaro de Campos tutta l'emozione che non do a me né alla mia vita. E pensare, mio caro Casais Monteiro, che dovranno essere snobbati, nella pratica della pubblicazione, per far posto a Fernando Pessoa, impuro e semplice! Credo di aver risposto alla sua prima domanda. Se ho omesso qualcosa, me lo dica. Se posso rispondere, risponderò. Altri piani non ho, per il momento. E sapendo cosa sono e come finiscono i miei piani, è proprio il caso di dire: Grazie a Dio! Rispondo ora alla sua domanda sulla genesi dei miei eteronimi. Vediamo se riesco a risponderle completamente. Comincio dalla parte psichiatrica. L'origine dei miei eteronimi sta nel forte tratto di isteria che c'è in me. Non so se sono semplicemente isterico, se sono più propriamente un isterico-nevrastenico. Tendo verso questa seconda ipotesi, perché in me ci sono fenomeni di abulia che l'isteria, in quanto tale, non implica nel registro dei suoi sintomi. Comunque sia, l'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni- per fortuna per me e per gli altri- si sono mentalizzati in me: voglio dire che non si manifestano nella vita pratica, esterna e di relazione con gli altri; fanno la loro esplosione all'interno e li vivo da solo con me stesso. Se fossi donna - nella donna i fenomeni isterici erompono in attacchi e cose simili-, ogni poesia di Alvaro de Campos (il più istericamente isterico di me) sarebbe un allarme per il vicinato. Ma sono un uomo - e negli uomini l'isteria assume principalmente aspetti mentali; così tutto finisce in silenzio e poesia ... Questo spiega, tant bien que mal, l'origine organica del mio eteronimismo. Le faccio ora la storia mirata dei miei eteronimi. Comincio da quelli che sono morti, e da alcuni che nemmeno ricordo: coloro che giacciono perduti nel passato remoto della mia infanzia quasi dimenticata. Sin da piccolo ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a attorniarmi di amici e conoscenti che mai sono esistiti. (Non so, beninteso, se davvero non siano esistiti, o se sono io che non esisto. In queste cose, come in tutte, non
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dobbiamo essere dogmatici). Dacché mi conosco w111t· coh11 che chiamo io, mi ricordo di disegnare mentalmente, in f·igu ra, movimenti, carattere e storia, varie figure irreali che erano per me così visibili e mie come le cose che chiamiamo, magari abusivamente, la vita reale. Questa tendenza, che mi viene da quando mi ricordo di esser un io, mi ha accompagnato sempre cambiando un poco il tipo di musica con cui mi incanta, ma non alterando mai il suo modo di incantare. Ricordo, così, quello che mi pare essere il mio primo eteronimo, o meglio, il mio primo conoscente inesistente, un certo Chevalier de Pas dei miei sei anni per il quale scrivevo lettere sue a me stesso, e la cui figura, non interamente vaga, ancora conquista quella parte della mia affezione che confina con il rimpianto. Mi ricordo, con meno nitidezza, di un'altra figura di cui non mi sovviene il nome, che era comunque straniero e era una specie, non so bene come, di rivale dello Chevalier de Pas ... Cose che accadono a tutti i bambini? Senza dubbio, o forse. Ma a tal punto le ho vissute e ancora le vivo, che se le ricordo così mi è necessario uno sforzo per non credere che siano state realtà. Questa tendenza a creare intorno a me un altro mondo, uguale a questo ma con altra gente, non è mi è mai uscita dall'immaginazione. Ha avuto varie fasi, tra le quali questa, occorsa già in età adulta. Mi sovveniva un motto di spirito, assolutamente estraneo, per un motivo o l'altro, a quanto sono o a quanto suppongo di essere. Lo dicevo, immediatamente, spontaneamente, come fosse di un mio amico, e ne inventavo il nome, gli associavo una storia, e la figura - volto, abito e gesti - immediatamente la vedevo dinnanzi a me. E così ho costruito e propagato vari amici e conoscenti che non sono mai esistiti, ma che ancora oggi, a quasi trenta anni di distanza, odo, sento, vedo. Ripeto: odo, sento, vedo ... E ne ho nostalgia. (Quando comincio a parlare - e scrivere a macchina per me è parlare - mi è difficile mettere un freno. Basta annoiarla, Casais Monteiro! Comincio subito con la genesi dei miei eteronimi letterari che è quanto, in fondo, a lei interessa. In ogni caso, ciò che è detto in cima è la storia della madre che li ha dati alla luce).
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Verso il 1912, salvo errore (che non può mai esser grande), mi occorse l'idea di scrivere alcune poesie di indole pagana. Abbozzai certe cose in versi irregolari (non nello stile di Alvaro de Campos, ma in uno stile di media regolarità) e abbandonai il caso. Mi si era abbozzato però, in una penombra appena accennata, un vago ritratto della persona che stava scrivendo quelle cose. (Era nato, senza che lo sapessi, Ricardo Reis). Un anno e mezzo o due dopo, mi sovvenne di fare uno scherzo a Sa-Carneiro: inventare un poeta bucolico, di specie complicata, e presentarglielo, più non ricordo come, sotto forma di realtà. Impiegai alcuni giorni a elaborare il poeta, ma a nulla giunsi. Un giorno in cui avevo ormai desistito - era 1'8 marzo del 1914 - mi avvicinai a un alto comò, e, prendendo un foglio, iniziai a scrivere, in piedi, come scrivo ogni volta che posso. E scrissi trenta e più poesie di seguito, in una sorta di estasi, la cui natura non riuscirei a definire. Fu il giorno trionfale della mia vita, e mai potrò averne un altro così. Iniziai con un titolo, O Guardador de Rebanhos [Il guardiano di greggi]. E ciò che ne seguì fu l'apparizione di qualcuno in me a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Mi scusi l'assurdo della frase: era apparso in me il mio maestro. Fu questa la sensazione immediata che ebbi. E fu così che, scritte quelle trenta e più poesie, immediatamente presi un altro foglio e scrissi, ancora di seguito, le sei poesie che costituiscono la Chuva Obliqua di Fernando Pessoa. Immediatamente e totalmente ... Fu il ritorno di Fernando Pessoa Alberto Caeiro a Fernando Pessoa lui-solo. O meglio, fu la reazione di Fernando Pessoa contro la sua inesistenza come Alberto Caeiro. Apparso Alberto Caeiro, badai subito a scoprirne - istintivamente e subcoscientemente - i discepoli. Estrassi dal suo falso paganesimo il Ricardo Reis latente, ne scoprii il nome e glielo adattai perché allora io già lo vedevo. E, d'un tratto, in derivazione opposta a quella di Ricardo Reis, mi apparve impetuosamente un nuovo individuo. Di getto, alla macchina da scrivere, senza interruzioni né correzioni, nacque la Ode Triunfal di Alvaro de Campos, l'Ode con questo nome e l'uomo con il suo nome.
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Avevo creato dunque una coterie inesistente. Fissai tutto in gradi di realtà. Calibrai le influenze, conobbi le amicizie, ho sentito, dentro di me, le discussioni e le divergenze di criteri, e in tutto questo mi pare di esser stato io, creatore di tutto, il minore di quanti lì si trovavano. Pare che tutto avvenne indipendentemente da me. E pare che ancora sia così. Se un giorno avrò la possibilità di pubblicare la discussione estetica tra Ricardo Reis e Alvaro de Campos, vedrà come sono differenti e come io non sono nulla in materia. In occasione dell'uscita di «Orpheu», ci fu bisogno, all'ultima ora, di trovare qualcosa per completare il numero di pagine. Suggerii allora a Sa-Carneiro che io avrei composto una poesia «all'antica» di Alvaro de Campos: una poesia quale Alvaro de Campos avrebbe potuto scrivere se non avesse conosciuto il maestro Caeiro e non avesse subìto la sua influenza. E così composi Opidrio, in cui cercai di dare tutte le tendenze latenti di Alvaro de Campos, come poi si sarebbero rivelate, ma senza la benché minima traccia di contatto tra lui e il maestro Caeiro. Fu, di quelle che ho scritto, la poesia che più lavoro mi ha richiesto per il doppio potere di spersonalizzazione che ho dovuto metterci. Ma, insomma, credo che non sia venuta male, e che riveli l'Alvaro de Campos in nuce ... Credo di aver spiegato l'origine dei miei eteronimi. Se c'è però qualche punto per cui lei necessiti di qualche chiarimento - sto scrivendo in fretta e quando scrivo in fretta non sono molto lucido -, mi dica, ché di buon grado le risponderò. E a mo' di complemento vero e isterico (è la verità!): scrivendo ceni brani delle Notas em Recordaçào do Meu Mestre Caeiro [Note in ricordo del mio maestro Caeiro] di Alvaro de Campos, ho pianto lacrime vere. È solo perché sappia con chi ha a che fare, mio caro Casais Monteiro! Altri appunti su questa materia ... Io vedo davanti a me, nello spazio incolore ma reale del sogno, i volti, i gesti di Caeiro, Ricardo Reis e Alvaro de Campos. Ne ho disegnato età e vita. Ricardo Reis nacque nel r 887 (non mi ricordo del giorno e del mese, ma li ho da qualche parte), a Oporto, fa il medico e si trova attualmente in Brasile. Alberto Caeiro nacque nel r 889 e
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morì nel 1915; nacque a Lisbona, ma visse quasi tutta la vita in campagna. Non ebbe professione e nessuna educazione. Alvaro de Campos nacque a Tavira il 15 ottobre del 1890 (all'una e trenta del pomeriggio, mi dice Ferreira Gomes, e è vero: gli ho fatto l'oroscopo per quell'ora ed è corretto). Questi, come sa, è un ingegnere navale (a Glasgow), ma ora se ne sta a Lisbona in inattività. Caeiro era di statura media e, sebbene realmente fragile (morì tubercolotico), non sembrava così fragile qual era. Ricardo Reis è un poco, ma molto poco, più basso, più robusto, ma asciutto. Alvaro de Campos è alto (1 metro e 75 di altezza, due cm più di me), magro e un poco tendente a curvarsi. Testa rapata tutti: Caeiro biondo senza luce, occhi azzurri; Reis di un vago scuro; Campos tra il bianco e il bruno, tipo vagamente di ebreo portoghese, con i capelli però lisci e normalmente pettinati di lato, monocolo. Caeiro, come detto, non ebbe quasi educazione, solo istruzione primaria; presto gli morirono il padre e la madre e se ne rimase in casa vivendo di piccole rendite. Viveva con una vecchia zia, una prozia. Ricardo Reis, educato in un collegio di gesuiti, è, come detto, un medico; vive in Brasile dal 1919 quando spontaneamente espatriò perché monarchico. È un latinista per educazione altrui e un semiellenista per educazione propria. Alvaro de Campos ha ricevuto una comune educazione da liceo; dopo fu mandato in Scozia a studiare ingegneria, prima meccanica poi navale. Durante certe ferie, fece un viaggio in Oriente da cui scaturì Opidrio. A insegnargli il latino fu uno zio prete della Beira. Come scrivo in nome di questi tre? ... Caeiro per pura e inattesa ispirazione, senza sapere né calcolare cosa scriverò. Ricardo Reis, dopo una astratta deliberazione, che da subito si concretizza in un'ode. Campos, quando sento un improvviso impulso a scrivere e non so cosa. (Il mio semieteronimo Bernardo Soares, che d'altronde in molte cose somiglia a Alvaro de Campos, appare mentre sono stanco e insonnolito, quando le mie qualità di ragionamento e di inibizione sono un po' affievolite; quella prosa è un vaneggiamento costante. È un semieteronimo perché, pur non essendo la sua personalità la mia, dalla mia non è diversa, ma ne è una semplice mutilazione. Sono io senza il ra-
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ziocinio e l'affettività. La prosa, eccetto la finezza che il raziocinio conferisce alla mia prosa, è uguale alla sua, e il portoghese perfettamente uguale. Mentre Caeiro scrive male il portoghese, Campos lo scrive ragionevolmente, ma con delle sviste come se dicesse «me proprio» invece di «me stesso», etc. Reis scrive meglio di me, ma con un purismo che trovo eccessivo. La cosa difficile per me è scrivere la prosa di Reis - ancora inedita - o di Campos. La simulazione è più facile, anche perché più spontanea, in versi). In questo momento, lei, Casais Monteiro, starà pensando quale cattiva sorte le è toccata di trovarsi, leggendo, nel bel mezzo di un manicomio. In ogni caso, ciò che è peggio è l'incoerenza con cui le scrivo. Ripeto però: scrivo come se stessi parlando con lei, per poter scrivere immediatamente. Se non fosse così, sarebbero passati mesi senza che io riuscissi a scrivere. Resta da rispondere alla sua domanda sull'occultismo. Mi domanda se io credo nell'occultismo. Fatta così la domanda non è ben chiara; comprendo però l'intenzione e provo a rispondere. Credo nell'esistenza di mondi superiori al nostro e di abitanti di questi mondi, in esistenze di diversi gradi di spiritualità, che assottigliandosi giungono a formare un Ente Supremo che presumibilmente ha creato questo mondo. Può essere che ci siano altri Enti, ugualmente Supremi, che abbiano creato altri universi, e che questi universi coesistano con il nostro, in modo interpenetrato oppure no. Per queste ragioni, e altre ancora, l'Ordine Esterno dell'occultismo, ossia la Massoneria, evita (tranne la Massoneria anglosassone) l'espressione «Dio», date le sue implicazioni teologiche e popolari, e preferisce dire «Grande Architetto dell'Universo», espressione che lascia in bianco il problema se Egli sia Creatore, o semplice Governatore del mondo. Date queste scale di esseri, non credo nella comunicazione diretta con Dio, ma che, a seconda del nostro affinamento spirituale, possiamo comunicare con esseri sempre più perfetti. Ci sono tre cammini per l'occulto: il cammino magico (includendo pratiche come quella dello spiritismo, intellettualmente al livello della stregoneria, che è ancora magia), cammino estremamente pericoloso, in tutti i sensi; il cammino
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mistico, che non conosce propriamente pericoli, ma è incerto e lento; e quello che si chiama il cammino alchemico, il più difficile e più perfetto di tutti, perché implica una trasmutazione della propria personalità che la prepara, senza grandi rischi, anzi con difese che gli altri cammini non hanno. Quanto all'"iniziazione" o meno, posso solo dirle che, non so se risponde alla sua doman da, non appartengo a nessun Ordine Iniziatico. La citazione in epigrafe alla mia poesia Eros e Psiche di un brano (tradotto, infat ti il Rituale è in latino) del Rituale del Terzo Grado dell'Ordim· Templare del Portogallo indica semplicemente - ed è un fatto - che mi è stato permesso di sfogliare i Rituali dei primi tn· gradi di quest'Ordine, estinto, o dormiente da almeno il I 888. Se non fosse dormiente, non avrei citato il brano del rituale, dal momento che non si devono citare (indicando l'origine) brani di Rituali che sono in essere. Credo così, mio caro compagno, di aver risposto, pur con certe incoerenze, alle sue domande. Se ce ne sono altre che desidera rivolgermi, non esiti a farlo. Risponderò come posso e al meglio. Potrà accadere tuttavia, e mi scuserà sin d'ora, che non risponderò così in fretta. L'abbraccia il compagno che molto la stima e l'ammira. Fernando Pessoa
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Lettera a Adolfo Casais Monteiro
Lisbona, 20 gennaio 1935 Mio caro compagno, grazie mille per la sua lettera. Per fortuna sono stato capace di dirle qualcosa che davvero le interessava. Ho perfino dubitato di riuscirci, per il modo precipitoso e spedito con cui le ho scritto, al ritmo di una conversazione mentale che facevo con me stesso. Rispondo con la stessa spontaneità, e quindi mancanza di metodo e sistematicità, alla sua lettera appena ricevuta. Ma comunque rispondo. Seguo a caso i punti su cui mi sollecita. Quanto al suo studio su di me, di cui sin d'ora, per l'onore che mi dà, le sono molto grato, le consiglio di rimandarlo per quando avrò pubblicato il libro grande in cui riunirò la vasta estensione autonima di Fernando Pessoa. Salvo qualche complicazione imprevista, dovrei aver il libro pronto e stampato in ottobre di quest'anno. Sarà allora che lei avrà i dati sufficienti: questo libro, la dorsale accessoria rappresentata da Mensagem, e il necessario, ormai pubblicato, degli eteronimi. Con questo materiale, lei, Casais Monteiro, potrà avere una «visione di insieme», sempre che in me ci sia qualcosa di così definito come un ms1eme. Mi riferisco semplicemente alla poesia. Non mi limito però solo a questo genere, sorriso delle lettere. Quanto alla prosa, mi conosce ormai, e ciò che è pubblicato è sufficiente. Fino alla data
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che ho indicato come probabile per l'uscita di questo libro più grande, dovranno uscire il Banqueiro Anarquista (in un nuovo formato e redazione), una novella poliziesca (che sto scrivendo e che non è quella che riferisco nella lettera precedente), qualche: altro scritto ulteriore che le circostanze potranno evocare. È straordinariamente ben posta la sua osservazione sul fatto che in me è assente ciò che può legittimamente definirsi evolu zione. Ci sono poesie mie scritte a venti anni che sono uguali per valore - per quanto sia in grado di apprezzare - a quelle che seri vo oggi. Non scrivo meglio di allora, se non per la conoscenza della lingua portoghese (caso culturale e non poetico). Scrivo in modo diverso. Forse la soluzione del caso è la seguente. La mia essenza sta nel fatto che sono - al di là delle maschere del poeta, del pensatore e di tutto il resto - un drammaturgo. I I fenomeno della mia spersonalizzazione istintiva, a cui ho alluso nella lettera precedente per spiegare l'esistenza degli eteronimi, conduce naturalmente a questa definizione. Così, non evolvo, VIAGGIO. (Per un errore sul tasto delle maiuscole, mi è uscita così, senza che volessi, questa parola in maiuscolo. È corretto, c dunque la lascerò.) Vado mutando di personalità, vado (qui può esserci evoluzione) arricchendomi della capacità di creare nuove personalità, nuovi modi di fingere che io comprenda il mondo, o meglio, di fingere che lo si possa comprendere. Perciò ho comparato questa marcia in me non tanto a una evoluzione ma a un viaggio: non sono salito da un piano all'altro; ho avanzato in piano, da un luogo all'altro. Ho perduto, è vero, certe semplicità e ingenuità che c'erano nelle mie poesie dell'adolescenza; ma questa non è evoluzione, è invecchiamento. Credo di aver dato, con queste parole affrettate, almeno un riflesso dell'idea nitida che mi fa concordare e accettare il suo criterio per cui in me non ci sarebbe propriamente evoluzione. Mi riferisco, adesso, al caso della pubblicazione di libri miei in un futuro prossimo. Non c'è motivo di preoccuparsi per le eventuali difficoltà. Se volessi davvero pubblicare Caeiro, Ricardo Reis e Alvaro de Campos potrei farlo immediatamente. Succede però che temo di non riuscire a vendere libri di questo genere e tipo. È solo qui l'esitazione. Quanto al libro grande di
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versi, questo, come altri, ha sin d'ora la pubblicazione garantita. Se penso più a quello che a un altro, è perché ritengo che abbia maggior vantaggio materiale una sua pubblicazione e meno rischi di insuccesso editoriale. Quanto all'uscita del Banqueiro Anarquista in inglese, anche Il credo, ma per altre ragioni, che non ci saranno notevoli difficoltà. Se l'opera sarà in grado di interessare il mercato inglese, l'agente letterario a cui la invierò la piazzerà presto o tardi. Non sarà necessario ricorrere all'aiuto di Richard Aldington e la ringrazio per la segnalazione. Gli agenti letterari (rispondo ora alla sua domanda su ciò che essi sono) sono individui o imprese che piazzano i libri o gli autori presso editori o direttori di giornali, che gli agenti stessi, più degli autori, giudicano quali debbano essere, dietro una commissione, in genere del dieci per cento. In questo senso, so cosa devo fare e a chi mi devo rivolgere, cosa rara, del resto, in ogni circostanza pratica della mia vita. La abbraccia il compagno amico e ammiratore, Fernando Pessoa
Storie
Nella casa di cura di Cascais
- Il più interessante, tuttavia, è Antonio Mora. È, per lo meno, il più originale di tutti. - Il più originale? - Sì, personalmente originale, originale come persona, non clinicamente originale. Clinicamente non si discosta affatto dal tipo di paranoico, o dalla tendenza conosciuta della paranoia. La verità è che non è semplicemente un paranoico. È anche un isterico. Ma la paranoia è a volte accompagnata da una psiconevrosi intercorrente. Non c'è da meravigliarsene. Non c'è nulla di strano. Non è in questo che è originale. È nella specie del suo delirio, nel suo contenuto, che risiede tutto l'interesse. E non ti dico altro ... Vedrai. E preparati a perdere del tempo con lui, perché, vedrai, ne resterai davvero interessato. -Vedremo. - Ti assicuro. Non ci sarà bisogno di indicartelo. Lo riconoscerai subito dalla toga. - La toga? Cosa! Il tipo va in giro in toga? Ma ha a che vedere con il delirio ... ? - Vedrai, vecchio mio, vedrai ... Non ti voglio dire niente. Non ti voglio togliere interesse alla sorpresa.
Giunti alla stazione di Cais de Sodré, il dott. Gomes mi parlava così:
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- La ragione per cui la voglio portare là, fino alla casa di salute, è che vi si trova internato un pazzo del suo genere. Poi, accorgendosi della gaffe, sorrise e si corresse. - «Del suo genere» non significa che lei sia pazzo. Volevo solo dire che la pazzia di costui riguarda questioni alle quali lei è interessato ... - Delirio sociologico? chiesi. Il dott. Gomes si allontanò dalla biglietteria e, fra lo strappo dei due biglietti, mi rispose, voltandosi: - Sì, e no. È delirio sociologico e non lo è. Quello che di valido c'è nel suo delirio non riguarda la sociologia. Non parla molto di sociologia. Le teorie sono interessanti ... - Entrammo lentamente sulla banchina ... - Vedrà, vedrà ... E salimmo allora sul treno. Appena seduti, ripresi la conversazione. - Chi è l'uomo? - chiesi. - È il dott. Gama Nobre ... 1 - Dottore? davvero? - Diritto ... laureato; del resto, il «dott.» si usa ormai per tutti ... ma- stavo dicendo -è un tal dott. Gama Nobre-il «dott.» gli dona - che la famiglia fece internare poiché riteneva pericolosa la direzione che stava prendendo la sua mania di persecuzione ... - Ma questa sua mania ha a che vedere con la sociologia di cui lei parla? - Più o meno ... Si crede perseguitato da tutto quanto è moderno e opera di scienza. Da una lampada elettrica a un vapore all'orizzonte, tutto questo lo perseguitava e a volte ancora lo perseguita ... Un piatto di alluminio è come fargli uno scherzo ... Possiede un istinto bruscamente sicuro verso tutto ciò che è moderno. Alle cose minime, cui nessuno ormai pensa se siano moderne o antiche, egli fa caso. E nei momenti di crisi è il diavolo, a volte. Un misoneismo spaventoso. - Ah ... e le teorie sociologiche riguardano l'odio verso ciò che è moderno ... ' Il protagonista del racconto, nei frammenti diversi che lo compongono, ha du(" nomi: dott. Gama Nobre e Antonio Mora.
STORIE
- Precisamente ... Ma quello che è interessante è il modo in cui architetta queste teorie. È uno di questi ragionatori ... È il più ragionatore che conosco. Quel potere di argomentazione impiegato in cose utili, mio caro ... le dico che ce ne sarebbe da discutere ... ce ne sarebbe da discutere per quanto ha prodotto ... vedrà .. . L'insegna «Pedrouços»' lampeggiò attraverso il finestrino.
* Mi sorprese all'improvviso, emanando un leggero chiarore, una figura imponente che, con una toga romana, la chioma interamente bianca, artistica nei suoi vuoti, recitava ad alta voce («Bella voce!» dissi io al dott. Gomes) l'inizio del lamento di Prometeo del dramma di Eschilo. Avvicinandosi, ci vide e, affrettando leggermente la declamazione per giungere alla fine del periodo, si volse verso di noi e, conclusa la frase, salutò il mio accompagnatore. Vidi allora bene l'internato. Alto e di una bizzarria con la quale il suo antico abito meravigliosamente quadrava, capelli tutti bianchi, bianca interamente la barba e uno sguardo vivo e altero, in cui forse solo un osservatore prevenuto avrebbe riscontrato una qualche luce che ne tradisse l'alienazione dello spirito. Il dott. Gomes me lo presentò; fui salutato in maniera grave e rispettosa, e confesso di aver sentito, accanto a quella pur minima vaga inquietudine e a quel timore che i pazzi sono soliti ispirare, un non so che di rispetto, quasi di venerazione per quella nobile figura. Ci incamminammo giù per la strada, in mezzo il dott. Gomes, io a destra, parlando all'inizio di cose insignificanti: io e l'alienista, dal momento che il visitato rispondeva poco o distrattamente. lo, che dopo averlo visto ero più ansioso di ascoltare da lui l'esaltazione dell'antichità, portai infine la conversazione nei pressi del mio desiderio, riferendomi al brano di
' Quartiere di Lisbona situato sulla linea ferroviaria per Cascais.
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Eschilo che il nostro arrivo aveva sorpreso sulla bocca del dott. Gama Nobre. Il mio riferimento ebbe l'effetto desiderato. -Ma Eschilo, disse Gama Nobre, Eschilo - la Grecia, da cui viene l'antichità classica, l'unica e vera civiltà per giungere alla quale il mondo è rimasto nelle tenebre fin dalla sua creazione, e dopo la quale è tornato nelle tenebre. Tutto, prima di essa, fu preistorico; tutto, dopo di essa, fu protostorico! E si fermò in una esaltazione rattristata, il viso offuscato e lo sguardo [ ] e brillante. - A questo mio amico, disse il dott. Gomes, naturalmentt piacerebbe sentirla parlare in modo circostanziato della civiltà antica. Potrebbe, forse, ricordandola oggi, farne addirittura propaganda (Gomes mi fece l'occhiolino) ai degenerati uomini d'oggi ... - Propaganda? esclamò il dott. Gama Nobre, Propaganda! Non c'è nessuna propaganda da fare! C'è solo da rimpiangere il bene perduto e [ J il male presente. Siamo degenerati, perché è da venti secoli che stiamo degenerando: una cosa del genere non si cura. Non c'è rimedio oggi. Arrangiamoci per quanto possiamo nella nostra decadenza e nella nostra oscurità. Ciò che è stato, è stato. Ciò che è perduto, è perduto. Propaganda?! e fece un sorriso triste e un'alzata di spalle tra lo sdegnoso e il categorico. - Ma almeno, intervenni, vorrei che lei mi spiegasse in cosa siamo decadenti e all'oscuro. Io non capisco bene così alla prima ... - Se vuole avere la pazienza di ascoltarmi, e di dedicare la sua attenzione al mio ragionamento dall'inizio alla fine ... -Come no? ... - Bene ... Non c'è pericolo, dottore, di essere interrotti? Non mi piacciono le interruzioni ... Un ragionamento è un ragionamento ... Per poter parlare ... No, non ci sediamo (diretto a me, che avevo guardato una panchina), facciamo i peripatetici. Camminando si pensa meglio che seduti. Nessun pensatore concepisce seduto idea alcuna degna di esser concepita. Si siedono per scrivere e-poveri loro! - come viene fuori, quest'idea scritta!
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Il dott. Gama Nobre ricompose la toga con un gesto dignitoso e, alzando un poco il tono, come a incutere più chiarezza al pensiero ponendo più chiarezza nella voce, cominciò la sua esposizione. Non so quanto tempo - ore o minuti - durò quel []memorabile.Per me il tempo si era dissolto. Non so che giri facemmo nel corso di quel ragionamento. Lo spazio era cessato per me. Il mio sorriso iniziale sparì poco a poco. So che era ormai l'inizio del crepuscolo quando terminai di ascoltarlo. E ascoltai come in un sogno, sentendo, come in sogno, frantumarsi intorno a me tutta la struttura [ ], che io avevo ricevuto come solida, della civiltà moderna. Ma mi ricordo nitidamente di tutto ciò che disse l'argomentatore. Il rievocatore dell'antichità parlò così: - Le chiedo che mi ascolti quanto più possibile senza stupirsi, e il meno possibile attento alla quotidianità[ ... ] [] delle cose che demolirò. Immagini, se le è possibile, di essere un abitante di un altro pianeta, giunto oggi qui per una strana caduta. Supponga quanto più può che la vita di oggi non sia per lei l'essenza del suo psichismo, la base occlusiva della sua stessa assunta ideazione. Glielo chiedo perché misuri il più possibile i miei ragionamenti non in quanto stranezze o novità, ma solo come ragionamenti. Solo lealtà verso la logica le chiedo. Stabilito ciò, entro nella mia tesi.
Principio d'insieme. La nostra civiltà consiste in un movimento di progresso (per così dire) costituito da tre strati o tappe, che distinguerò per i loro punti culminanti, chiamandoli Cristianesimo, Rinascimento e Europa Moderna, intendendo con quest'ultima l'Europa uscita dal periodo in cui avviene il fenomeno rappresentativo della Rivoluzione Francese.
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L'attuale civiltà è del, per il o con il cristianesimo. Pertanto i suoi elementi sono i seguenti: (1) l'egoismo basilare in tutta la vita umana (sociale); (2) l'umanitarismo caratteristico dell'ideazione cristiana umanitarismo la cui influenza non si può negare né ritenere disprezzabile, o addirittura limitata; (3) l'ipocrisia che produce l'adattamento di una cosa all'altra.
1 ° Il mondo moderno è nato da un movimento che il cristianesimo rappresenta; dunque il cristianesimo è decadentista nell'essenza perché tale dall'origine, nato tra rozzi ignoranti, cresciuto tra schiavi, ladri, prostitute e gente corrotta. Si sono originati da esso 2° la democrazia - (critica); 3° la scienza che ( 1) non è vera, (2) né è morale (buona), (3) né è utile; 4° la morale cristiana - (critica).
Scienza Il cristianesimo ha portato, nella vita sociale, il principio di uguaglianza, nella vita del pensiero il principio della fede, nella vita morale il principio dell'umanità. Dall'uno è scaturito l'errore democratico, dall'altro la fiducia della fede nei forti, dall'altro ancora il declino del valore individuale. Gli stoici giunsero, erano quasi giunti all'atteggiamento positivo contro la disgrazia, ma il cristianesimo li ha assorbiti. - [ ... ] Ha già riflettuto su questo - su questo fatto unico-, che proprio una società che muore dà più segnali di vita e di salute? Cosa le dice tutto ciò se non che il sostituto era inferiore, ignobile, figlio di schiavi e ubriachi, nutrito da prostitute, vestito dalla mano di [ ]. Un sistema di civiltà già nell'infanzia marcio e stupido! Un aborto. E un aborto sempre. Ogni volta che desideravo vita, mi ricordavo della vita antica. Guardi il Rinascimento ... Guardi perché da allora a oggi è grande e bello.
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Guardi da dove provengono le idee di bellezza, e le idee che rendono la società mezza marcia di cristianesimo. Il coraggio, la fermezza e [ ] la bellezza fisica e morale - questo è pagano tutto. Povera civiltà cristiana che vive solo per dimenticarsi di esserlo!
Basata su un'astrazione avanzata e lucida, la religione antica era astratta dalla morale e dalla politica: due vantaggi essenziali, perché lasciavano ai popoli la morale che l'intuizione delle cose sociali naturalmente ispirava loro, e nelle cose politiche la libera azione, senza altro fine che quello dell'azione politica, né altro pensiero oltre a quello che fosse sul momento il pensiero dell'azione politica. Con il cristianesimo tutto è collettivo. La sua morale ha perturbato e perturba tutta la nostra vita. [] Guardi nel nostro Paese l'uomo esemplare. Guardi quello che siamo diventati a partire dalle scoperte, per non avere avuto unità e naturalezza di pensiero politico. Noti come i popoli moderni non sono mai stati austeri. Socialismo, anarchismo - tutto ciò non è altro che cristianesimo puro-, male cristiano e vizio cristiano d'intromettere nella pratica della vita altri princìpi rispetto a quelli che la sua analisi avrebbe fornito.
Libertà, uguaglianza e fratellanza - vuole qualcosa di più cristiano?
[ ... ] ... Del resto, il cristianesimo è un arretramento rispetto al sistema religioso pagano. - Eh? dissi io involontariamente.
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-Certo. Analizziamo bene. La religione non è altro che una filosofia popolare. Non importa come nasca: importa solo cosa essa sia. È una filosofia popolare. E questo concetto è talmente esatto da aiutarci ad acquisirne un altro, il quale a sua volta delucida il primo. La filosofia [ ... ] è il prodotto di facoltà o funzioni chiamate astrazioni. Quanto più una filosofia è astratta, tanto più è elevata. Applichiamo questa idea alle religioni. La prima forma di religione è quella del feticcio, della consustanzialità del dio e dell'idolo. È l'adorazione, propria del culto selvaggio, di una pietra di forma strana. L'astrazione è ancora così piccola che l'idea di stranezza (o un'altra simile) astrae l'oggetto dagli altri. È un'astrazione puramente materiale. Segue lo stadio più strettamente religioso o astratto, in cui l'astrazione concepisce un'entità interna all'oggetto dell'adorazione, ma non separata da esso se non per essere interiore ad esso (la sua anima). Esiste poi il concetto di un Dio dell'oggetto, Dio non-interno a esso, ma astratto da esso. - Corrispondono, in filosofia, al [] il materialismo che consustanzia anima e corpo, lo spiritualismo che unisce anima e corpo, l'idealismo che fa in modo che l'anima trascenda il corpo. Il Dio-Padre del cristianesimo non è nient'altro che l'idea di uomo, non l'idea di uomo astrattamente concepito, ma l'idea di uomo consustanziata all'uomo. L'idea di uomo in quanto idea e astrazione non contiene niente dell'idea di forza, vendetta o giustizia. Anche nell'idea, implicita all'idea di uomo, l'astrazione di uomo - l'uomo maschio, e pertanto creatore.forte, giustiziere come i forti, occasionalmente come i forti misericordioso, come i forti vendicativo, [ ] - tutto questo secondo il concetto che ogni popolo o ognuno ha del maschio-tipo, relativo all'idea di uomo che ognuno o ogni razza ha. - Il Dio-Figlio è una mescolanza di due elementi-l'idea di uomo secondo un altro concetto, il concetto nullo e soave dei popoli decadenti, e la nozione retrograda, che proviene dal precedente periodo di astrazione, della consustanzialità (Uomo-Dio) dell'idea di uomo con l'idea di Dio, o in ultima analisi, dell'idea-di-uomo-tipo con l'idea di uomo. È un modo ingenuo di provare quanto abbiamo detto. L'idea di Cristo esiste, corpo e anima, consustanzialmente nella storia, e, si dice, sincronicamente palpitante in essa, tanto sul
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piano logico quanto su quello sociale, poiché appartengono entrambe allo stesso genere di astrazione inferiore. - Finalmente lo Spirito Santo - questo [] Ecco così riuniti tre periodi di ideazione-Dio-Padre è quello della consustanzialità dell'idea di uomo con l'uomo, Dio-Figlio quello della coesistenza dell'idea di uomo con l'uomo, lo Spirito Santo la dissociazione dell'idea di uomo dall'uomo. In tal modo la Trinità cristiana è evolutiva, lo stereotipo indica tre stati di ideazione diversi e successivi.
Il progresso umano, dalla Grecia a oggi, è stato un malgrado, è stato una serie di errori di origine sentimentale. Tutto questo è derivato dal fatto di esserci consegnati al sentimento per ogni cosa. Non sorprende [] constatare che viviamo in parte, per quanto riguarda alcuni nostri sentimenti, purtroppo fondamentali, nella decadenza dell'impero romano ... - Addirittura ... - Colga il fatto flagrante. Non siamo forse cristiani o con sentimenti ancora imbevuti di cristianesimo? E vuole una causa maggiore del cristianesimo per la decadenza dell'impero romano? Dalla Grecia a oggi, abbiamo agitato idee e teorie, ma nil novum, nil novum ... Negli aspetti secondari abbiamo costruito, costruito ... In quelli essenziali non siamo avanzati affatto, affatto ... L'abolizione della schiavitù è quasi soltanto sorta in noi dal nostro crimine contro la natura: ci condanna a un vizio perpetuo di schiavo nella nostra anima, nella nostra anima che, del resto, discende dagli schiavi e dalle prostitute dell'impero romano in decadenza. Abbiamo nello spirito la macchia del proletario; non produciamo, riproduciamo. Non creiamo, copiamo, perfezioniamo a sufficienza la nullità essenziale del dettaglio. Il nostro sentimentalismo ci impone di rivoluzionare, di abolire, laddove dovremmo riformare, alterare, perfezionare. Cerchiamo di creare, distruggendo. A perdere siamo comunque
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noi; lungi dal renderci [ ], ci rende realmente incapaci di creare.
Si sarebbe dovuto riformare la schiavitù; ma era più semplice abolirla. Cosa c'era del resto da aspettarsi dalla gretta combinazione di schiavi, prostitute, di messia ubriachi e onanisti ... ? ... Il sig. Gama Nobre balbettò un poco. - Qui ho ecceduto, è chiaro. Ma ne elimini l'enfasi e la foga, e i fatti stanno là, sono sotto i nostri occhi. - Il cristianesimo, credo, non si meravigli, per lo meno non sempre, ha attaccato la schiavitù ... La Chiesa cattolica ... - Ah, sì, sì! Ma io credo più nell'intuizione sociale della Chiesa, che era già Stato, socialmente cosa, che nel balbettio ingenuo e [ ] dei poveri diavoli nelle cui anime si fonda il cristianesimo. - Chi dice schiavitù, per noi, dice tortura, maltrattamenti .. . tutto ciò, infatti, avrebbe richiesto riforma, non abolizione .. . Guardi il puritanesimo che c'è, guardi. Oggi, neppure con una rosa si picchia una donna ... [ ... ]. - I Greci, caro signore, accettavano la Natura come era; non le imponevano Verità a cui essa è superiore, né logica a cui non ubbidisce.
Grandezza delle nazioni in un'epoca aristocratica, già mezza democratica, quando la gente è in una sorta di schiavitù (l'Inghilterra in età elisabettiana).
A quei tempi, la vita fu supremamente felice, e supremamente grande, perché fu supremamente vita ...
Il repubblicanesimo greco ha unito al massimo grado felicità e progresso, cosa che noi non abbiamo potuto, né potremo mai fare.
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[ ... ] - Ma la loro «mentalità artistica» era una mentalità di pederasti. -E la nostra?-di onanisti. Alla nostra stessa copula normale apportiamo una mentalità di onanisti.
Siamo egoisti, ma con il sentimento degli altri. Viviamo confusi, perché disintegrati. Non viviamo la nostra vita; la nostra vita è ciò che ci vive. Le nostre vite sessuali determinano in noi una mentalità di onanisti. Anche nel nostro amplesso, il sentimento che abbiamo è quello di onanisti. La copula è per questo un onanismo mascherato.
Mancanza di semplicità e nudità. Bugiardi sempre, viviamo mentendo (indignazione della donna verso le prostitute ecc. - ogni nostro discorso sociale, tanto dell'uomo, quanto della donna - è menzogna). La donna non ha idee.
È nonostante e non a causa della democrazia che la società moderna progredisce - anche se in gran parte illusoriamente in ciò in cui progredisce. Caspita! Ma noi viviamo dei resti della civiltà greca, di quanto la Grecia ci consegna attraverso Roma. Idee religiose, idee morali, [ ] - tutto è estraneo a noi, alla nostra pseudo-civiltà. Ma non era già indi-ana prima di essere greca, e con rispetto per il greco? No, fra tutte le civiltà anteriori alla greca e quella greca esistono differenze radicali.
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Il nostro stesso Cristo non è altro, nella sua visione e nella sua individualità apocrifa, che resti di leggende pagane, unificate dallo spirito nullo e [ Jdella decadenza del paganesimo e della sua civiltà. Tutto questo a causa della confusione mentale delle decadenze mescolata con elementi ebraici, indiani, egizi ecc. mescolanza di cose eterogenee - [ ] come l' haggis3 scozzese. Il signore ha già provato l'haggis?
- Ma la vita politica greca non era così perfetta ... - Ma io non ho detto che erano perfetti. Ho detto che erano quelli che più si avvicinavano alla perfezione, quelli che maggiormente hanno legato la felicità alla cultura e alla grandezza; dico che, mentre noi orientiamo la nostra vita imperfetta su princìpi mentali imperfetti e falsi, essi regolavano la loro vita imperfetta su princìpi perfetti, logici e giusti. Da qui scaturisce la loro superiorità ... [ ... ]
La nudità greca! Non la nudità greca come la intendono oggi alcuni. Al contrario, la nudità dell'anima, anche in una civiltà vestita, deriva dal fatto che non dimentica che le cose e gli uomini sono nudi per natura.
' Manicaretto della tradizione scozzese che consiste in un misto di interiora (cu