Storia dell'urbanistica. Il mondo greco
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Ema1zuele Greco Mario Torelli

Storia dell'urbanistica Il mondo greco

Editori Laterza

Emanuele Greco Mario Torelli

Storia dell'urbanistica Il mondo greco

Editori Laterza

1983

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 1983 nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-2290-7 ISBN 88420-2290-X

Storia dell'urbanistica Il mondo greco

L'introduzione, il saggio sugli studi moderni di urbanistica greca, i capitoli III, IV, V e VI sono di Emanuele Greco; i capitoli I, II e VI sono di Mario Torelli. I due autori hanno curato l'apparato illustrativo e la bibliografia dei rispettivi contributi. AVVERTENZA

Introduzione

Affrontare in un discorso di sintesi l'urbanistica del mondo greco richiede alcuni chiarimenti preliminari, necessari per esplicitare sia la sostanza sia la forma dell'approccio. Per quest'ultima non occorrono molte parole, perché siamo ben coscienti della vastità immane della materia, delle lacune della documentazione e della esiguità di concetti adeguati all'oggetto del nostro studio, che sovrastano di gran lunga gli elementi conosciuti e le certezze metodologiche; ma, nel rispetto della formula editoriale e senza pretendere di raggiungere l'esaustività, cercheremo di riassumere la maggior parte delle ricerche archeologiche significative che hanno considerevolmente arricchito il quadro di questi ultimi decenni, oltre che di tutti quei contributi portati alla lettura dei testi, delle re:::ltà materiali, delle più diverse situazioni storiche ed ambientali contraddistinte dall'esperienza greca. Di diversa natura è invece la riflessione che concerne la sostanza del discorso. Qui occorre procedere chiarendo subito i due termini essenziali: urbanistica e città. La necessità di definizione può a prima vista apparire banale, in quanto il primo dei due termini serve ad esplicare il secondo. Ma, tanto per cominciare, non esiste né un termine greco né un termine latino per esprimere lo stesso concetto. E questo è ovvio: urbanizzazione (e poi urba-

nistica) è una parola che è stata coniata soltanto nel secolo scorso ed appare per la prima volta nel libro di I. Cerdà, Teoria genera/ de la urbanizacion, pubblicato a Madrid nel 1867. Da quel momento in poi il termine è venuto ad assumere significati sempre più specifici, arricchendosi e producendo altri derivati (conurbazione, inurbamento, ecc.) grazie alla svolta impressa sul finire del XIX secolo dall'opera di C. Sitte. Come è ben chiaro a tutti, la temperie culturale in cui si colloca il fenomeno ' urbanistica ' come studio della città è il prodotto della rivoluzione industriale che ha trasformato gran parte della faccia della terra in modo impressionante, soprattutto se rapportata alla brevità di tempo entro il quale tale fenomeno si è verificato, rispetto alla lentissima evoluzione dei secoli precedenti. Senza contare lo straordinario sviluppo demografico che è la base principale della grande trasformazione urbana moderna: Vidal de la Blache e Sombart hanno calcolato che tra il VI secolo d. C. ed il 1800 l'indice demografico europeo si è attestato intorno ai 180 milioni di abitanti, senza mai superarlo, mentre tra il 1800 ed il 1914 l'Europa è passata da 180 a 460 milioni di abitanti, cui andrebbero aggiunti i circa 100 milioni passati in America. È più che scontato, a questo punto, e

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non solo per gli aspetti quantitauv1, ma per la radicale diversità del tipo di società e di sviluppo impresso dal modo di produzione capitalistico, che la città moderna è una creazione originale del nostro tempo, che non ha precedenti nella storia della umanità. Non è un caso, dunque, che l'urbanistica, in quanto scienza (o in quanto pretesa di essere tale), nasca nel momento in cui la società è chiamata a risolvere i grandi problemi dell'habitat urbano sollevati dalla società industriale. Oggi, ad un secolo di distanza, il dossier ha assunto proporzioni spaventose ed è venuto quindi il tempo per gli storici dell'urbanistica di riflettere sulle scuole, sulle tendenze espresse dal pensiero moderno sulla città. Si moltiplicano anche i punti di vista sulle diverse definizioni date all'urbanistica, se ne coniano delle nuove. Cosl l'urbanistica è la « scienza che studia i fenomeni urbani in tutti i loro aspetti, avendo come proprio fine la pianificazione del loro sviluppo storico, sia attraverso l'interpretazione, il riordinamento, il risanamento, l'adattamento funzionale di aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro crescita, sia attraverso l'eventuale progettazione di nuovi aggregati, sia attraverso la riforma e l'organizzazione ex-novo dei sistemi di raccordo degli aggregati tra loro e con l'ambiente naturale» (Astengo). :È quindi chiaro che solo retrospettivamente e per analogia si possono definire ' urbanistiche ' le forme di strutturazione dello spazio urbano. Sotto questo profilo, allora, la riflessione sulla città è ben più antica della nascita del termine ' urbanistica ', e non solo nei filosofi antichi, ma anche negli scrittori delle epoche successive; e qui basterà citare lppodamo di Mileto, Platone e Aristotele, su cui avremo modo di tornare molto più diffusamente,

Introduzione

Leon Battista Alberti, con il suo De re aedificatoria, e Thomas More, l'autore di Utopia. Ma c'è un aspetto della letteratura sull'urbanistica che traspare in modo evidente nella definizione sopra riportata: urbanistica è opera di pianificazione che si identifica sempre più con il progetto, l'intervento sulla città o sul territorio; urbanistica in quanto storia, in questo contesto, è solo uno sforzo di conoscenza adeguata alla stratificazione storica del tessuto in cui si viene ad operare. Cosl, per esempio, la necessità oggi sempre più avvertita di risanare o ' recuperare' un centro storico comporta l'obbligo di studiarne gli aspetti urbanistici, la storia, i monumenti; operazione che il più delle volte si identifica con la storia dell'architettura. F. Choay, molto opportunamente, chiarisce, nel suo recente libro La règle et le modèle (Paris 1980), che al centro della sua attenzione non è la città in quanto tale, con la sua storia, ma è la città come è stata immaginata nei trattati dei teorici come Alberti o More fino ai moderni Sitte, Le Corbusier, Alexander. In un precedente lavoro, la stessa autrice aveva prodotto :m'intelligente scelta antologica (L'urbanisme. Utopies et réalités, Paris 1965) portando alla conoscenza di un pubblico più vasto estratti di testi di autori del XIX e del XX secolo, di filosofi, architetti, sociologi, tutti finalizzati non allo studio dei modi in cui si è prodotto il fenomeno urbano, ma di quelli necessari ad assicurare all'umanità la forma abitativa meglio corrispondente ai suoi bisogni. Sotto il profilo più propriamente storico, una vera e propria svolta è invece segnata dall'opera di C. Sitte, che nasce dall'esigenza di opporsi con spirito di protesta vibrante alle grandi distruzioni operate nella Vienna della fine del secolo scorso e che, animata da un forte senso estetico,

Introduzione

produsse capitoli importanti sulla città medioevale. Lo studioso viennese può dunque figurare tra gli iniziatori moderni della storia dell'urbanistica che si rivolgerà non molto tempo dopo anche allo studio dell'antichità. In sostanza, per quanto si è finora affermato, appare chiaro che la riflessione sulla città ed il termine stesso che la indica riguardano essenzialmente la città moderna o l'ideale ' città del futuro ' che pone al centro dell'attenzione l'agglomerato urbano, in quanto spazio costruito. L'urbanistica, nel tentativo costante di darsi uno statuto scientifico, sempre combattuta tra l'aspetto edilizio-architettonico e quello storico-sociale, si interessa cosl alle componenti geografiche, ideologiche, sociologiche ed economiche, ma senza perdere mai di vista le esigenze tecnologiche e le preoccupazioni di ordine assistenziale, educativo, igienico, ecc. Devono passare cento anni prima che l'urbanistica si liberi da una concezione che la identifica con l'arte urbana, con la normativa edilizia. In Inghilterra e negli Stati Uniti il town-planning e il city-planning estendono presto il loro interesse ed il loro campo di studio al territorio ed all'ambito regionale; lo stesso avviene in Francia ed in Germania. M. F. Rouge propone nel 1947 il termine géonomie come corrispondente del tedesco Raumordnung. Non sfuggono naturalmente gli aspetti ideologici di molte di queste operazioni; se da un lato si pretende di far assumere all'urbanistico un carattere asettico ed imparziale, dall'altro è ben presente « la concezione etico-politica che ispira l'opera di un urbanista, al di fuori della quale l'urbanistica, che non è un'astrazione tecnica, non può operare» (Ragghianti). Questo aspetto vale anche, ed è inutile dirlo, per chi deve fare la storia di un agglomerato urbano, anche se non finalizzata al recupero di un

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centro storico, né può essere ignorato da chi deve pianificare nuovi quartieri o nuove città. Si diceva prima che, per le ragioni storiche stesse in cui l'urbanistica nasce e comincia a muovere i suoi passi, lo studio delle forme urbane precedenti l'era contemporanea si presenta come operazione analogica, di retrospettiva. Ma il passaggio non può essere compiuto con semplicità, trasferendo meccanicamente i concetti elaborati dagli studi e dalle riflessioni sulla città moderna. Il meccanismo presenta alcune analogie, e non per caso, con i procedimenti moderni applicati allo studio delle forme economiche antiche. Oggi, dopo un secolo di dibattiti, che sono serviti almeno a debellare tutte le velleità moderniste che tendevano a spiegare l'economia degli antichi utilizzando quella dei moderni, sappiamo con certezza che il funzionamento ' economico ' delle società antiche è profondamente diverso da quello delle società capitalistiche (v. M. I. Finley, L'economia degli antichi e dei moderni, trad. it., Roma-Bari 1974; D. Musti, L'economia in Grecia, Roma-Bari 1981 e M. AustinP. Vidal-Naquet, Economia e società nella Grecia antica, trad. it., Torino 1982). Viene allora da chiedersi se l'organizzazione dello spazio, che non è certamente l'ultimo degli aspetti materiali di una società, non debba alla stessa maniera dell'economia essere pensato diversamente. Anche in questo caso, tuttavia, il massimo che un'operazione del genere può raggiungere sarà quello di mostrare le differenze profonde tra tipi di società cosl distanti. Esaminando nelle pagine seguenti la non copiosissima bibliografia sull'urbanistica antica, vedremo come le tentazioni del modernismo affiorino costantemente sotto le forme più diverse. È giunto perciò il momento di passare al secondo dei termini su cui è necessario

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fornire dei chiarimenti preliminari: ' città ' Nessuna definizione, tra le moltissime coniate, può naturalmente essere comprensiva e spiegare la infinita varietà del manifestarsi del fenomeno urbano. E ciò vale anche per la città antica. Nel modo stesso di definirla, si tradiscono le forme dell'approccio che privilegia di volta in volta l'aspetto geografico o ambientale o quello socio-economico, in perfetta sincronia con la parcellizzazione accademica delle discipline che pongono la città al centro del loro interesse. « La realtà sostanzialmente unitaria della Città antica - pur nella infinita diversità in cui essa di volta in volta si presentava - viene spesso dissolta dagli studiosi delle tante discipline che alla Città si interessano » (Ampolo). Si tratta di un'affermazione che condividiamo, soprattutto perché individua le matrici di tanti fraintendimenti e confusioni di cui abbonda la nostra letteratura, specialmente quella strettamente archeologica. Perché è dell'archeologo scavare, descrivere ed interpretare i resti matériali di una città antica, impegno che la ben nota carenza di altre fonti di informazione rende più gravoso. Se si vuole procedere con chiarezza verso lo studio della città greca è necessario affrontare un problema di vocabolario: il greco utilizza il termine polis per indicare sia l'agglomerato urbano che la comunità dei cittadini. Dal punto di vista territoriale la polis, in quanto abitato, rappresenta solo una piccola parte di un ambito più vasto, il territorio (la chora) che faceva corpo unico con la città, in un'unità inscindibile sotto tutti i punti di vista. Di conseguenza, cittadini di pari dignità, purché di pieno diritto (al contrario degli stranieri, dei meteci e degli schiavi), erano sia quelli che abitavano in città, sia quelli che vivevano nel territorio. Il carattere essenzialmente agrario della società greca, la complementarità tra le attività

Introduzione

rurali e quelle cittadine, presupposte dalla divisione del lavoro tra città e campagna, determinavano, dunque, un'occupazione dello spazio che nel corso della storia greca ed a tutte le latitudini, dal Mar Nero al Golfo del Leone, si manifesta in forme molto diverse. Come vedremo in seguito, il modo antico di abitare dei Greci, come affermano Tucidide (I, 10) e Aristotele (Politica V, 1305 a ss.), era anzi segnato da una forma prevalente: quello di vivere « per villaggi » (katà kòmas). Considerazione che, se trova conferma solo parziale nella documentazione archeologica (a causa dello stato della ricerca), è perfettamente credibile e pone subito il problema dello sviluppo diacronico dell'abitato urbano, che non è il medesimo, sin dal suo primo manifestarsi, di quello che la nostra ellenofilia ci porta ad immaginare, avendo sotto gli occhi modelli come l'acropoli e l'agorà di Atene o la scacchiera di Priene. E la diversità non sempre è solo quantitativa (cioè crescita dello spazio urbano crescita demografica), ma corrisponde molte volte, a ben vedere, ad un diverso modo di occupare lo spazio, che è conforme alla strutturazione della società, alle sue articolazioni, ai suoi conflitti. Uno dei meriti della ricerca antropologica moderna è quello di aver chiarito che ogni società ha la sua propria organizzazione e rappresentazione dello spazio. Basterebbe questa semplice affermazione per far giustizia di una considerevole messe di studi che sono andati alla ricerca degli antecedenti dei fattori urbani greci, delle influenze, dei prestiti di una società ad un'altra, secondo una logica diffusionistica per cui una società inventa una forma culturale (dall'arte di fondere i metalli, a quella di pianificare le città), che si trasmette poi per ' diffusione ' ad altre civiltà. Non si giudicano qui gli aspetti tecnologici, naturalmente, ma sembra

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I ntrodu1.ione

assurdo pensare che non esista un rapporto diretto tra una società e la materializzazione del suo spazio. Oltre che con polis (o ptolis nella forma usata nei poemi omerici e nei lirici) l'abitato poteva essere a volte designato con il termine asty o polisma; ma a livello di vocabolario non si affermò mai una terminologia netta ed univoca che distinguesse tra la città in quanto spazio abitato e la comunità dei cittadini. Non è un caso che nei testi una azione che coinvolga i cittadini (una guerra, un trattato, la concessione di una onorificenza) non viene mai espressa con il nome della città, ma con il termine che designa al plurale la comunità interessata; vale a dire, per fare un esempio, che non è Sparta a dichiarare guerra ad Atene, ma gli Spartani agli Ateniesi. Di fronte ad una tale difficoltà, noi Italiani ricorriamo a parole composte come ' città-stato ', per indicare la comunità dei cittadini in contrapposizione alla città pura e semplice, quando non esista, come in francese ( ville o cité) o in inglese (town e city), altra possibilità. La diversità dei significati dello stesso termine, che genera confusione a causa della mancata articolazione del vocabolario (il che è già grandemente significativo, perché una lingua conia un'espressione nuova o carica di significato diverso una esistente non in maniera astratta, ma in rapporto ad esigenze realmente avvertite), era già chiara al primo grande storico moderno della città antica, N. D. Fustel de Coulanges, ed è stata ripresa in epoca più recente da A. Aymard, da M . I. Finley, fino alla recentissima messa a punto di C. Ampolo. Seguendo l'espediente utilizzato da quest'ultimo studioso, per evitare continue e fastidiose parafrasi, anche qui si scriverà ' Città ' con la maiuscola per indicare la comunità dei cittadini e ' città ' con la minu-

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scola per indicare l'agglomerato urbano. Ci troviamo così di fronte ad una situazione singolare: da un lato, oggetto di studio è la città antica che non può essere vista separatamente dalla Città; dall'altro, una disciplina che nasce, si sviluppa ed affina i suoi metodi in un contesto storico difierente, avendo come punto di riferimento una realtà totalmente diversa. Al di là dell'aspetto nominalistico, la questione è un'altra: si tratta della difficoltà di usare una terminologia che non risulta adeguata a dar conto di una realtà che si mostra molto più complessa e variegata di quanto il termine usato per definirla possa semplicisticamente fare apparire. E qui il discorso si fa più intricato perché si imbatte nel primo grande dilemma che è quello della nostra più volte avvertita difficoltà di definire il fenomeno urbano, o meglio di discernere ciò che è riconducibile all'urbano da ciò che non lo è. Molti autori !Jloderni ricorrono ad un celebre passo di Pausania (X, 4, 1) che esprime un punto di vista antico (ma di un antico del II secolo d. C.) che, di fronte alla pretesa degli abitanti di un piccolo centro della Focide di considerarsi abitanti di una città, ironizza affermando che non può considerarsi città un abitato nel quale manchino l'agorà, il teatro, gli edifici politici, ecc. È chiaro che la presenza di edifici pubblici, e meglio ancora il loro apparire rappresenta un coerente elemento di differenziazione, come è stato di recente affermato per Roma arcaica, rispetto ad una situazione in cui ciò non si verifichi o rispetto ad una realtà che ignori simili espressioni; e non certo solo per la monumentalità espressa dalle strutture urbane (agorà, pritaneo, bouleutèrion), ma per le funzioni pubbliche che esse sottintendono, presupponendo ovviamente un potere politico o giudiziario.

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È però più che naturale che la città non sia fatta solo di muri, ma anche di uomini (come affermava Tucidide, VII, 77, 7); ed è dunque nel sociale che va più opportunamente ricercato il fenomeno urbano: nella divisione del lavoro, nella separazione tra attività agrarie primarie e quelle (artigianato, scambio, culto, funzioni politiche e giudiziarie, militari) che specializzano lo spazio abitato che chiamiamo città. Volendo mostrare l'inadeguatezza delle concezioni correnti si potrebbe facilmente menzionare Sparta, che non fu una città come noi siamo abituati ad intendere usualmente questa espressione, ma nessuno potrebbe negare che fu una Città. Cosl come si potrebbe ricordare che vaste regioni del mondo greco, come l'Acarnania, l'Epiro, la Locride Occidentale, ecc., conobbero il fenomeno urbano solo nel IV secolo a. C. in seguito ad una serie di nuove fondazioni ed a quei processi sinecistici che in quelle zone caratterizzarono il quadro politico del1' epoca. Si vede bene dunque come il no• stro concetto di urbanistica risulti insufficiente dal punto di vista spaziale (il fenomeno si pone in forma diversa nelle varie aree del mondo greco) e temporale (perché non si realizza contemporaneamente). Bisogna allora procedere ad una scelta chiara del senso da dare al termine ' urbanistica ' È più che evidente che quasi tutti gli studiosi moderni lo hanno inteso nel senso più restrittivo. Nella prefazione alla seconda edizione della loro celebre Histoire de l'Urbanisme. Antiquité, che è del 1966, cosl scrivevano P. Lavedan e J. Hugueney: « La prefazione del 1926 [data della prima edizione dell'opera] indicava qual era il senso che noi diamo alla parola urbanisme. Pressoché nuova all'epoca, è stata in seguito molto volgarizzata, ma non precisata. La si confonde talvolta con l'aménagement du ter-

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rztozre, di cui è senza dubbio un elemento. Altri ne fanno un sinonimo di geografia urbana o di sociologia urbana. Qui, come nel 1926, non si tratterà che di architettura urbana, vale a dire du plan et de l'aménagement de la ville; in altri termini, urbanisme equivale per noi al town-planning degli Inglesi ed allo Stiidtebau dei Tedeschi. Beninteso, il sottofondo costituito dalla storia generale, soprattutto le condizioni demografiche ed economiche, non può essere omesso». Lo stesso punto di vista veniva espresso, sempre nel 1966, da A. Giuliano (Urbanistica delle città greche) che affermava: « Una storia dell'urbanistica delle città greche è, per la natura stessa dell'argomento, la storia delle poleis e della articolazione monumentale di esse ». Dal tono generale del discorso si comprende che polis per Giuliano, in questo caso, indica la città in senso stretto. Se la scelta deve procedere in questi termini allora bisogna rassegnarsi a tagliare dalla storia dell'urbanistica greca una grossa fetta, comprendente quasi tutta la storia arcaica, Sparta, le regioni occidentali, ecc., perché il senso dato all'urbanistica, rigorosamente identificato con lo spazio urbano abitato, non ammette altra scelta. A noi pare c.:he questo punto di vista, probabilmente viziato da concezioni moderniste, non debba essere condiviso. Allora, per poter procedere bisogna trovare un approccio più adeguato. Si diceva prima che uno dei meriti dell'antropologia è stato quello di aver contribuito a demolire il mito dello spazio assoluto e universale. Cosl ne deriva la necessità di studiare la « produzione di forme spaziali » (Castells), tenendo conto della struttura sociale che ne è alla base. E ciò è ancora più vero, tenuto conto che una delle indagini essenziali per la conoscenza di una .società è l'analisi della sua base terriera; « studiare la terra in qual-

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sivoglia società, significa definire il modo in cui una popolazione associa topografia, proprietà e relazioni spaziali » (Bohannan). La generalizzazione è valida ovviamente anche per il mondo greco, la cui espressione associativa, la città, che Marx accomunava alla città romana, era stata da lui definita, in un fugace appunto delle Formen, come una comunità fondata sulla proprietà terriera e sull'agricoltura. Ora, tutto sta a vedere come si considera, in rapporto alla città, il territorio nella sua interezza. Il vago accenno che troviamo nella citazione di Lavedan e Hugueney alla storia generale, alle condizioni economiche, non può che riguardare la terra; ma essa resta l'arrière-fond. Cosl nella valutazione di uno storico come A. Toynbee, il quale, pur riconoscendo l'importanza che il territorio ha come parte costituente dello Stato e della città stessa, considera la chora solo « in addition to the city's built-up area and i ts walled area » con la specificazione opportuna « (if the city has been walled) ». C'è dunque una tendenza a considerare il territorio come elemento subordinato, come appendice, come realtà sottoposta alla sovranità assoluta della città e non in opposizione dialettica, interna ad un sistema unitario, come ha ben chiarito E. Lepore discutendo a questo proposito le posizioni di E. Sereni. È ovvio che all'interno di questo sistema lo spazio abitato assume funzioni privilegiate, che si esprimono nell'ambito di una gerarchia di valori e di funzioni, ma che non corrispondono alla totalità, tanto più se tale caratterizzazione si esprime in epoche diverse o non si esprime affatto. Strettamente connesso al punto di vista finora espresso, anche perché alcune espressioni non sembrino troppo assiomatiche, è il problema demografico. Si tratta di un'antica crux che ha conosciuto alcune stagioni favorevoli, per la fiducia eccessiva che veniva

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assegnata alle nostre capacità di venirne a capo, di essere in grado di stabilirne gli aspetti. La prima massima espressione del pensiero moderno sulla demografia antica è stata l'opera di J. Beloch; oggi i dati ricostruiti dal grande storico tedesco appaiono ' gloriosi', ma superati, per cui non ha nessun senso riproporli. Non sono mancati anche tentativi di studio demografico limitati ad alcune regioni del mondo antico, particolarmente privilegiate dalle fonti, specialmente Atene e l'Attica, anche con risultati soddisfacenti. Molte conclusioni lasciano tuttavia perplessi, specialmente quando lo studioso moderno deve affidarsi a suoi personali criteri di verisimiglianza nel dare credito o meno alle cifre su contingenti militari, numero di schiavi, ecc., riportati dalla tradizione letteraria. Un giovane studioso italiano, L. Gallo, ha riassunto di recente in un articolo-rassegna poco meno di un decennio di bibliografia sull'argomento, mettendo bene in luce certe tendenze a mantenere valutazioni di approcci tradizionali ed un po' acritici, accanto ad alcune interessanti novità. Lo stesso studioso ha anche offerto un saggio delle possibilità di effettuazione di calcoli demografici, utilizzando dati archeologici (la capienza del teatro di Atene) e combinandoli con la tradizione (il teatro ateniese era spesso sede nel IV secolo dell'assemblea popolare - l'ekklesìa - cui avevano diritto di partecipare i cittadini maschi, adulti). Ma il problema che qui ci interessa maggiormente è quello di studiare lo sviluppo diacronico della città, ragione per cui l'aspetto che sarebbe interessante conoscere è il rapporto quantitativo tra la popolazione residente in città e quella sparsa per il territorio. Vedremo in seguito, attraverso alcuni esempi meglio conosciuti, di esaminare qualche caso, con la dovuta prudenza. E questo è

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ovvio: da un lato, è un tipo di accertamento quasi impossibile ad ottenere, dato il carattere della documentazione antica; dall'altro, la valutazione caso per caso è l'unica corretta, perché si tratta di un aspetto che non è lecito mai generalizzare. Si può tuttavia affermare, per grandi linee, che i fenomeni di inurbamento nella Grecia classica, quella del continente balcanico, sono una caratteristica del V secolo a. C. Solo da questa epoca in poi molte città diventarono grandi concentrazioni urbane. Significativo, a tal proposito, l'approccio antropogeografico del Kirsten, il quale denuncia chiaramente la difficoltà che trova a tradurre nella tedesca Stadt la greca polis; per lo studioso tedesco Stadt equivale a megalòpolis, perché solo quest'ultima espressione può rendere bene il concetto (anche qui si tratta del nostro moderno concetto di città, di Stadt). Ma il problema non è solo quantitativo - vale la pena di ripeterlo - , anche se tale aspetto ha una sua importanza, non in termini assoluti, con anacronistici raffronti con le nostre realtà attuali, ma relativi, cioè nel rapporto tra popolazione residente in città e quella sparsa per il territorio. Il problema coinvolge anche la diversa qualità della « produzione sociale dello spazio »: dei modi di distribuzione della popolazione nel territorio, delle forme di aggregazione (il podere, con la fattoria, il villaggio), della funzione dello spazio cittadino, delle oscillazioni nell'uso del medesimo suolo dovute ai fattori più disparati, dalle motivazioni politico-militari a quelle di ordine sociale e di grado di sviluppo tecnologico nella conduzione dei suoli agrari (rotazioni stagionali, controllo delle inondazioni, ecc.). Da tutti questi fattori emerge ormai chiaramente, sembra, la necessità di rompere con lo schematismo eccessivo che vuole identificare l'urbanistica solo con lo spazio ristret-

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to della città, ciò che porta in ultima analisi a far coincidere spesso l'urbanistica con l'architettura a causa dell'evidente, macroscopica differenza tra la monumentalità che l'età arcaica, soprattutto, riserva solo ai monumenti pubblici (in primis il tempio) e le dimensioni modeste dell'agglomerato di abitazioni private. Ma nel momento in cui si passa a fare una sintesi o bilancio, con il carattere di grande provvisorietà che caratterizza, pur non vanificandola, un'operazione del genere, molta parte del discorso è condizionata dallo stato della documentazione a cui bisogna attenersi, dal momento che la espressione dei desiderata, vale a dire di ciò che si desiàerebbe conoscere e non si sa (e spesso non si saprà mai) non è che un artificio retorico. Ora se ha un senso il discorso fatto fin qui e soprattutto se si crede, come noi crediamo, che nessuna operazione culturale, specie nelle scienze umane, è tecnicamente incolore e apolitica, si vedrà come tutto quello che si sa della città antica (e non è molto) è dovuto al criterio assurdo e selettivo con cui si è quasi sempre proceduto: solo quanto è racchiuso nella cerchia muraria (quando c'è una cerchia muraria) è meritevole di interesse; il resto non conta. Modo di procedere molto somigliante al selettivismo di altro genere, quello che si ritiene degno di recuperare e far figurare nei musei solo le opere d'arte. Va da sé che proprio da questo tipo di approccio abbiamo ereditato la documentazione disponibile, relativa esclusivamente all'abitato stricto sensu (un'eccezione, in realtà solo apparente, sono i grandi santuari dei territori, interessanti appunto perché dotati di monumenti e di ex-voto spesso eccezionali e accademicamente promettenti). Vale la pena, a questo punto, di riassumere anche alcuni aspetti riguardanti lo stato ed il carattere della documentazione.

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E questo si potrà fare solo per sommi capi perché è un argomento che richiederebbe un discorso molto lungo per le evidenti implicazioni che ha con lo studio e la ' riscoperta ' dei monumenti del mondo greco in tutto il Mediterraneo. Fenomeno che assume la sua rilevanza grazie all'impulso dato dalla « Società dei Dilettanti » fondata a Londra nel 173 3, nella quale fanno spicco le figure di J. Stuart e N. Revett che, tra il 1762 ed il 1816, pubblicano i quattro volumi delle Antiquities o/ Athens. È ovviamente Atene, come già era accaduto nei secoli precedenti, al centro delle attenzioni maggiori, sia per quanto riguardava gli aspetti puramente antiquari delle manifestazioni antiche, oggetto di una sempre crescente domanda di collezionismo, sia per Io studio ed il rilievo dei monumenti. Comunque il Revett con il filologo R. Chandler ed il pittore W. Pars produsse anche uno studio notevole sull'architettura dell'Asia Minore intitolato The Antiquities o/ Ionia (1769-97), in due volumi. Sul continente greco, agli inizi dell'800 lavora un gruppo di architetti inglesi, sotto la guida di C. R. Cockerell, che si dedica allo studio del tempio di Aphaia ad Egina (recuperando le sculture frontonali che sono attualmente a Monaco di Baviera) ed opera poi in Arcadia, a Basse, dove viene scoperto il tempio di Apollo con la sua decorazione scolpita. Si tratta di pochi, ma significativi esempi, che si sono voluti citare per mostrare che al descrittivismo largamente dominante la letteratura dei viaggiatori, quasi tutti dotati di buona cultura classica, l'attività pratica sul terreno oppone presto Io studio ed il rilievo dei grandi monumenti. Già nel 1821 l'inglese W. M. Leake pubblica una Topography o/ Athens che si distacca nettamente dalla produzione precedente per la qualità dello studio e delle

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interpretazioni. Un'altra impresa degna di menzione è quella condotta da un'équipc francese nel 1829 e poi illustrata nella Expédition scientiphique de Morée, a cura di A. Blouet, in 3 volumi: sulla base del testo di Pausania fu compiuta un'accurata perlustrazione, soprattutto nel Peloponneso, della situazione topografica e dei monumenti principali. Così, mentre da un lato le ultime opere di spoliazione sistematica (celebre quella di Elgin del Partenone) contribuivano, con un afflusso massiccio di opere ed oggetti artistici nei musei e nelle capitali europee, alla formazione di una nuova cultura e di un modo nuovo di entrare in contatto con il passato, la Grecia, raggiunta la sospirata indipendenza dai Turchi, organizza un proprio servizio mirante alla tutela dei monumenti e delle antichità nazionali che avevano in misura così cospicua sublto danni irreparabili o presa la via per i grandi musei europei. Bisognerà aspettare la fine del XIX secolo perché si avviino ricerche archeologiche importanti, tese anche allo studio delle relazioni topografiche dei monumenti, oltre che al sempre dominante desiderio di recuperare opere d'arte. In Occidente, la tradizione dei viaggiatori ha origini più antiche, precedenti il Grand Tour del Levante che aprl la strada alla scoperta dell'Oriente; una delle sue punte più alte fu il monumentale V oyage pittoresque de Naples et de Sicile dell'abate di Saint-Non, pubblicato a Parigi in 5 volumi in folio tra il 1771 ed il 1786. Ed è proprio in Sicilia che si organizzano le prime ricerche archeologiche o topografiche nei siti delle città greche. L'isola era stata peraltro studiata sotto il profilo topografico da un frate domenicano di Sciacca, Tommaso Fazello, vissuto tra il 1490 ed il 1570, autore di un'opera che si segnala per le numerose e geniali intuizioni e che ebbe

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notevole influsso, poi, sul geografo F. Cliiver. Ad un lavoro di raccolta antiquaria si dedicarono principalmente il Principe di Biscari e il Principe di Torremuzza; ma è con la creazione della Commissione per le Antichità e Belle Arti nel 1827 e l'assunzione della presidenza della Commissione da parte del Duca di Serradifalco che fu dato grande impulso a numerose ricerche sul terreno, in gran parte eseguite dall'architetto Cavallari. Anche in questo caso si tratta di piccoli scavi, ma soprattutto di rilievi e descrizioni di grandi monumenti, come l'anfiteatro, l'ara di Ierone a Siracusa, i teatri di Segesta, di Akrai, di Tindari; ed ancora nei decenni successivi, il tempio di Himera al Buonfornello, il tempio di Apollo a Siracusa, i monumenti di Selinunte, ecc. Cosl il Regno di Napoli, che con lo scavo di Pompei ed Ercolano aveva dato inizio alla prima esplorazione archeologica di una città antica, si dava gli strumenti legislativi e organizzativi per una intelligente opera di tutela dei monumenti storici che appare ancora oggi di sorprendente rigore. In breve si può dire che se la grande passione erudita, la moda delle relazioni di viaggio, le stampe, il gusto del collezionismo suscitano nell'aristocrazia europea una sempre crescente attenzione sulle località e sui monumenti archeologici, bisognerà aspettare la fine del XIX secolo per vedere avviate imprese di scavo sistematico. E queste non potevano che riguardare i grandi complessi, come i santuari (si pensi a Delfi e ad Olimpia), da cui le imprese archeologiche patrocinate dalle potenze europee si ripromettevano di trarre il prestigio che una scoperta archeologica eclatante solitamente conferisce, oltre ad essere ovviamente attratte dalla antica celebrità dei luoghi interessati. Solo nei primi decenni del nostro secolo comincerà, anche a livello archeologico, una

I ntrodu-z:ione

riflessione scientifica sulla città antica (e non solo sui grandi monumenti emergenti). Carattere scientifico moderno che si ritrova pienamente nelle Griechische Staedteanlagen di A. von Gerkan. Lo studioso tedesco poteva vantare una grande conoscenza dell'urbanistica greca grazie alla sua partecipazione e direzione dei famosi scavi tedeschi in Asia Minore, come quelli di Mileto e di Priene. La sua dimestichezza con gli aspetti tecnici dell'edilizia e dell'architettura, unita alla padronanza delle fonti letterarie, gli consentiva di spaziare su tutto il mondo greco di cui si aveva conoscenza all'epoca. Oltre che a Mileto e a Priene gli archeologi tedeschi lavorano nella prima metà del secolo a Larisa sull'Ermo e ad Heraclea al Latmo, per citare i siti più importanti che restituiscono informazioni essenziali per la conoscenza di una città antica di età classica. Ma è a Bayrakli (antica Smirne), nell'immediato dopoguerra, che una missione inglese diretta dal Cook porta alla luce i resti di una città di epoca molto arcaica, che testimonia con la sua primordiale organizzazione regolare uno dei primi esempi del genere. Nelle isole sono importanti i risultati ottenuti dalla breve esplorazione del Kinch a Vroulia (nell'isola di Rodi) già agli inizi del secolo, e poi, in ~poca molto recente, da quella dell'inglese Boardmann ad Emporion (nell'isola di Chio) e dell'australiano Cambitoglou a Zagora (nell'isola di Andros), che costituiscono a tutt'oggi gli esempi meglio conosciuti di organizzazione di abitato greco in età arcaica. Sul continente, mentre le celebri missioni cui si accennava prima, quella tedesca di Olimpia e quella francese di Delfi, si concentrano sui grandi santuari del mondo ellenico (ad esse bisogna accostare lo scavo dell'Heraion di Perachora compiuta dalla missione inglese di H. Payne e T. J. Dunbabin), grandi città come Atene,

Introduzione

che conosce l'esplorazione sistematica del1'acropoli da parte di archeologi tedeschi e poi greci, e dell'agorà, scavata sistematicamente dagli americani, o Corinto, indagata da una missione americana ancora molto attiva, forniscono una massa notevole di informazioni su quelle che sono definite le ' vecchie' città del mondo greco. È sempre sul continente greco, tra il 1928 ed il 1938, che l'americano Robinson dirige l'attività di scavo più celebrata ai fini della conoscenza dell'impianto urbanistico di una città greca: l'esplorazione di Olinto con il suo esemplare impianto regolare, databile alla fine del V secolo. La sua straordinaria documentazione archeologica è determinata da un evento storico importante: la distruzione della città da parte di Filippo II nel 347 a. C., e non seguita da alcuna rioccupazione; il che fornisce un prezioso terminus ante quem per tante classi di materiali archeologici, oltre a restituire intatto l'aspetto di una città greca classica, non contaminato da interventi di epoche successive. Tra le imprese più recenti degne di essere ricordate vanno citate: lo scavo francese di Thasos (soprattutto l'edizione dell'agorà dovuta a R. Martin); le ricerche della missione svizzera di Eretria (con le importanti ipotesi sullo sviluppo di una città greca arcaica formulate da C. Bérard); gli scavi greci di Pella; l'esplorazione del santuario di Zeus e Dodona e soprattutto quella compiuta dall'archeologo greco Dakaris e Cassope. Importantissime, ma divulgate in francese solo di recente dall'archeologa polacca A. Wasowiçz, sono le ricerche degli archeologi russi sul Mar Nero e nella penisola di Crimea. In Occidente (Magna Grecia e Sicilia), un antesignano della ricerca moderna sull'urbanistica greca (e non solo di questa) è stato P. Orsi: a lui si devono le prime esplorazioni ed osservazioni scientifiche su Sira-

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cusa e Megara Hyblaea, Locri Epizefiri, Caulonia. Nonostante ciò, l'interesse per l'urbanistica delle città grece d'Italia e Sicilia resta secondario e marginale sino all'apparizione della monografia di F. Castagnoli su Ippodamo di Mileto, che segna una svolta negli studi di urbanistica antica in Italia. Sono tutte del dopoguerra le imprese di scavo più importanti: in Sicilia l'esplorazione di Naxos e Camarina dovute a P. Pelagatti; quella di Eloro diretta da G. Voza; quella di Siracusa ed Akrai ad opera di L. Bernabò Brea. Il territorio di Gela viene per la prima volta esplorato sistematicamente da P. Orlandini e D. Adamesteanu: questa esperienza rimane a tutt'oggi un modello, oltre che uno dei rari esempi di studio di una realtà che investe lo spazio agrario al di fuori dell'abitato vero e proprio. Importanti elementi vengono infine dall'esplorazione di Himera, compiuta dall'Istituto di Archeologia dell'Università di Palermo, diretto da A. Adriani, prima, e da N. Bonacasa dopo. Ma tra tutte le città della Sicilia un posto a parte meritano Selinunte e la sua madrepatria Megara Hyblaea. Della prima, l'impianto urbano, talmente celebre da figurare a volte sulla copertina di libri dedicati all'urbanistica, è stato ed è sottoposto a studi e verifiche continue. Tra gli indagatori moderni si deve citare il Gabrici, che dedicò molta attenzione allo studio dell'impianto urbano e all'architettura templare; con gli scavi della Bovio Marconi, prima, e con quelli del Di Vita poi, il problema cominciò ad essere posto su basi scientifiche concrete e viene ora portato avanti con risultati importantissimi dalla missione francese diretta da R. Martin, cui collaborano J. de La Genière e D. Theodorescu. Megara Hyblaea, invece, è stata indagata accuratamente dai francesi F. Villard e G. Vallet; la recente esemplare edizione del quartiere dell'agorà

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arcaica, compiuta in collaborazione con P. Auberson, è di grande importanza per la conoscenza non solo di una città coloniale, ma di una città greca arcaica in assoluto. In Magna Grecia, oltre all'esplorazione di Locri, iniziata da P. Orsi ed ora portata avanti con serio impegno dalla missione dell'Università di Torino diretta da M. Barra e G. Gullini, bisogna ricordare soprattutto Metaponto, indagata sistematicamente e con risultati spesso eccezionali da D. Adamesteanu, D. Mertens e A. De Siena; Sibari, dove lo scavo diretto da P. Guzzo ha restituito importanti informazioni sull'urbanistica di Turi; Heraclea, esplorata da D. Adamesteanu. Sul Tirreno l'esplorazione di Paestum, iniziata dallo Spinazzola ai primi del secolo ma portata avanti in maniera decisiva solo dopo la fine della guerra da P. C. Sestieri, definisce gli aspetti essenziali dell'urbanistica della città, tema su cui lavora attualmente una missione italo-francese diretta da E. Greco e D. Theodorescu. Gli scavi della colonia focea di Velia, iniziati da A. Maiuri nel 1927 e proseguiti dal Sestieri, hanno ricevuto un impulso importante grazie all'impegno profuso da M. Napoli. In Libia la missione italiana a Cirene diretta da S. Stucchi ha compiuto negli ultimi anni ricerche di grande interesse, soprattutto nell'agorà, che sono riassunte con grande rigore e chiarezza nei volumi editi finora. Come si è detto prima, questa brevissima rassegna non ha assolutamente la pretesa di essere completa, ma solo quella di indicare i siti e le imprese di scavo che hanno fornito le informazioni più importanti sulla città greca. Strettamente connesso è il problema della informazione (vale a dire della pubblicazione) e della documentazione. Non è un mistero per nessuno che i ritmi della esplorazione archeologica sono immensamente più rapidi di quelli della pub-

Introduzione

blicazione. Anche se in parte il divario viene colmato dalla pratica ormai molto diffusa delle informazioni preliminari, dei bollettini, non si può fare a meno di notare che l'edizione scientifica degli scavi resta spesso insoddisfacente e non è sufficientemente rapida (senza contare gli scavi che sono rimasti inediti). A ciò si aggiunga il carattere spesso troppo schematico ed inutilizzabile della documentazione cartografica; e qui non si tratta solo delle vecchie piante di vecchissimi scavi, che andrebbero quasi tutte rielaborate o rifatte con i moderni sistemi di rilevamento, ma anche di risultati di imprese archeologiche più recenti. (È inutile dire che molte radicate opinioni su cronologie di impianti urbani, lettura di allineamenti di assi, ricerca di parallelismi o divergenze di orientamenti sono spesso inficiate da rilevamenti imprecisi che, se corretti, modificherebbero grandemente la sostanza di molti discorsi). Un contributo decisivo alla conoscenza sempre più precisa degli impianti urbani è stata fornita dalla fotografia aerea; vale qui la pena di ricordare il classico libro di J. Bradford Ancient Landscapes (London 1957) per il largo seguito e la risonanza che ha avuto. È soprattutto in Occidente, nelle colonie greche, che l'applicazione della fotografia aerea ha conosciuto le sue esperienze più importanti, grazie all'opera di D. Adamsteanu, prima organizzatore dell'Aerofototeca del Ministero dei Beni Culturali, e soprattutto di G. Schmiedt che ne ha applicato largamente l'uso allo studio delle città greche di Magna Grecia e Sicilia. Tra i primi esempi vanno citati quello dello Schmiedt e del Castagnoli sull'impianto di Paestum, poi quello dello Schmiedt e dello Chevalier su Caulonia e Metaponto e del Castagnoli su Metaponto fino alla importante edizione, dovuta allo Schmiedt, dell'Atlante delle sedi umane, edito dall'Istituto Geografico Militare tra il 1967 ed il 1970.

Introduzione

Un uso intelligente delle conoscenze derivate dall'impiego della fotografia aerea, dell'archeologia e delle fonti letterarie, è stato proposto di recente da D. Asheri per Himera. Lo studioso parte dalla cifra del contingente militare impiegato dagli lmeresi contro i Cartaginesi nel 409, unitamente alle cifre sul resto della popolazione della città greca, riportate da Diodoro Siculo; osserva poi che la foto aerea permette di calcolare le dimensioni dell'area contenuta entro il circuito murario; tiene conto, infine, che, possedendo le dimensioni degli isolati ed il numero delle case di ciascuno di essi, ed essendo quindi possibile calcolare la popolazione residente in ciascun isolato, si può giungere grosso modo ad un calcolo approssimativo del numero di persone che abitavano entro le mura di Himera nel V secolo. Il totale finale è nettamente inferiore a quello desumibile dalla fonte letteraria prima citata. Ciò porta lo studioso alla sorprendente conclusione che oltre la metà della popolazione imerese non viveva in città, ma era sparsa nel territorio. Si vede bene, dunque, come il mezzo tecnico, se impiegato accuratamente e con discrezione metodica, può fornire un ausilio importante anche per la comprensione di un fattore difficile come quello demografico. In ogni caso non va dimenticato che la fotografia aerea è un ausilio tecnico, anche se di straordinaria importanza, cui va affiancata la ricognizione sul terreno ed, in ultima istanza, lo scavo. Strumento di lettura decisivo è, come si è già detto, il rilevamento preciso delle emergenze monumentali. Solo con l'impiego della fotografia aerea e della pianta (o se si vuole con la integrazione dei due elementi) si può procedere allo studio di un impianto urbano. Primo elemento da verificare sono gli allineamenti (assi stradali e monumenti). Nel caso più semplice di assoluta congruità dei vari ele-

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menti, cioè quando si è in presenza di un solo allineamento, si sarà chiaramente di fronte ad un impianto concepito una sola volta e semmai accresciuto nel tempo, attraverso un processo che sarà possibile seguire con la cronologia di singoli monumenti o di gruppi di essi. In altri casi si potranno, invece, avere settori della città che mostreranno orientamenti differenti; bisognerà allora stabilire se si tratti di orientamenti concepiti contemporaneamente o se siano frutto di aggiunte successive nel tempo. In caso di contemporaneità, la diversità di orientamento potrà essere ricondotta a fattori naturali, come la presenza di aree di terreno accidentato, oppure a ragioni funzionali, come per esempio gli orientamenti dei templi difformi da quelli delle strutture urbane, ecc. Ovviamente questo si potrà accertare attraverso una indagine sistematica dei monumenti (tramite lo scavo stratigrafico per stabilirne la cronologia), in base alla quale sarà possibile fissare il termine cronologico cui riferi re l'impianto. Vale a dire che un allineamento è almeno contemporaneo (e dunque può essere anche precedente) al più antico elemento di cui si sia acclarata la congruità con quell'elemento. Naturalmente ciò vale anche per quelle situazioni che sono frutto di vicende successive (distribuzioni ulteriori di terreno, tramite l'ammissione nella cittadinanza di nuovi soggetti, per esempio). Altri due casi vale la pena di citare: le fondazioni coloniali sono avvenute quasi ovunque in aree già fisicamente occupate da precedenti abitanti o comunque da questi controllate; in nessun caso le preesistenze hanno in qualche misura condizionato i nuovi impianti urbani. Il secondo caso è quello di città nelle quali l'esplorazione archeologica consente di stabilire, nella dimensione verticale, un mutamento di orientamento dei suoi elementi costitutivi e dun-

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que, nella diacronia, un cambiamento radicale dell'assetto urbano. Ciò è spesso spiegabile per alcune situazioni storiche su cui torneremo in seguito, nelle quali si è avuta la distruzione totale di un abitato e la sua riedificazione ex-novo dopo un certo lasso di tempo (è il caso, per esempio, di Mileto, ricostruita dopo il 479 a. C., ma forse secondo gli assi che erano già della città precedente, o di Thurii, fondata nel 444 a. C. sopra la distrutta Sibari senza nessuna identificazione del nuovo impianto con il vecchio, a quanto è dato di sapere finora). Lo stesso vale per i monumenti presenti nella dimensione orizzontale: un caso tipo per la sua macroscopicità (ed anche perché ben conosciuto) è quello di Olinto, dove al vecchio nucleo furono affiancati i quartieri nuovi, scanditi da assi perfettamente ortogonali. Può accadere più spesso che lo scavo e l'esplorazione archeologica e topografica attestino tipi analoghi di trasformazione radicale dell'impianto urbano, senza che nessun documento storico fornisca elementi di aggancio, spiegazioni che aiutino a ricondurre il fenomeno a qualche 'evento' politico o bellico. Non è, forse, inutile tenere presente che è con una simile verifica archeologica, all'interno della città, cioè di uno spazio privilegiato per lo studio del quotidiano, delle strutture economiche e sociali, che si raggiungono risultati importanti per seguire

I ntrodui.ione

la storia di un abitato che non sia scandita dalle solite tappe degli avvenimenti politicomilitari. Mutare l'assetto di una città, o anche di un solo quartiere di essa, significa distruggere un ordine per sostituirlo con uno nuovo; e questa, che non è un'impresa da liquidare con poche battute, riconducendo il fenomeno alle soli te spiegazioni geomorfologiche. è un'occasione per sviluppare riflessioni storiche di grande importanza. Nello studio della pianta urbana è, inol4 tre, necessaria la determinazione dei sistemi lineari di misurazione impiegati sia nella ripartizione dei lotti sia nella edificazione di singoli edifici, e, soprattutto, il rapporto larghezza/lunghezza dei vari blocchi di isolati, comprese le strade che li suddividono, la dimensione degli spazi pubblici e delle aree sacre. Uno studio comparativo sincronico delle diverse situazioni urbane del mondo greco, a questo proposito, non è ancora stato condotto, anche per le obiettive carenze di documentazione. I casi più importanti sono esaminati nel manuale di R. Martin ed hanno consentito, unitamente a studi più recenti, al Castagnoli di rafforzare la ipotesi che numerosi impianti regolari sono stati realizzati in base a princìpi canonici, visto il ricorrere assai frequente non tanto delle stesse misure in assoluto quanto degli stessi rapporti.

Studi moderni sull'urbanistica greca antica

Per le ricorrenti ambiguità insite nella natura stessa dell'argomento, come si è cercato di mostrare sopra, la letteratura moderna sull'urbanistica antica è oggetto di interesse di numerose discipline. Innanzi tutto gli storici e gli archeologi che si occupano del mondo greco. È naturale che la distinzione tra ciò che riguarda l'aspetto materiale della città e la sua connotazione storica permane nella produzione scientifica che è frutto di specialismi ben individuati; qui non si potrà fare a meno di utilizzare anche una serie di contributi di natura più propriamente storica, per le implicazioni strettissime che hanno con il tema della città ed in genere della organizzazione dello spazio nel mondo greco. Peraltro assai considerevole è la produzione dovuta ad architetti o studiosi di sociologia urbana che muovono da esperienze nel campo della storia dell'architettura. È da questo settore che emerge più spesso l'esigenza di cogliere i fenomeni di continuità, di trasmissione della forma urbana da una civiltà all'altra e soprattutto di studiare la città antica come antecedente di quella medioevale e moderna. A questi studi manca, come si vedrà, molto spesso la prospettiva storica concreta, dal momento che i più aggiornati di essi, evidentemente convinti delle possibilità di autonomia dell'urbanistica (che non è una scienza, né tanto meno

una disciplina autonoma), mostrano una conoscenza della storia antica molto superficiale e che, anche a questo livello, rimane solo il pallido sottofondo di un discorso contraddistinto da un intricato gioco di possibilismi, verisimiglianze ed integrazioni arbitrarie. La letteratura ottocentesca di netta marca filologica è segnata dalle monografie di C. F. Hermann, Disputatio de Hippodamo Milesio ad Aristotelis Politicam II, 5 (Marburg 1841) e di M. Erdmann, Hippodamos von Milet und die symmetrische Stiidtebaukunst der Griechen (in « Philologus » XLII, 1884, pp. 193 ss.) che, soprattutto quest'ultima, hanno grande importanza per la sistematica raccolta della documentazione letteraria sull'architetto milesio, sin dall'inizio al centro della riflessione di quanti si occupavano della città greca. E questo sia perché Ippodamo è presentato dall'autorità di Aristotele come un innovatore, tanto da aver legato il suo nome ad una pratica urbanistica, quella detta appunto 'ippodamea' (termine che viene largamente usato anche per indicare impianti di città di altre aree geografiche e di epoche successive), sia perché quello che colpiva gli studiosi tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX era il problema della regolarità, dell'orientamento, della misurazione dello spazio. L'attenzione è dunque presto rivolta

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Studi moderni sull'urbanistica greca antica

al momento in cui molte civiltà del Mediterraneo, non solo quella greca, fanno sortire dalla nebulosa dell'irregolare, del caos, una forma geometricamente definibile, frutto di un intervento di pianificazione. Si manifesta sin dall'inizio ciò che verrà ben presto teorizzato, come vedremo in seguito, e c1oe l'individuazione delle due grandi categorie: la città ' irregolare ' e quella ' regolare ' Il dibattito si sposta presto sull'origine,

fig. 1. Babilonia, pianta generale.

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CITTÀ NUOVA

sull'invenzione del concetto di limitazione regolare (v. il classico libro di H. Nissen, Orientation, 1-111, Berlin 1906) che viene ripetutamente rintracciata in Oriente (Egitto e Mesopotamia), con o senza la mediazione fenicia; mentre la responsabilità della trasmissione del concetto di regolarità al mondo italico e romano veniva attribuita all'origine orientale degli Etruschi o ascritta, nel caso dei rapporti tra mondo greco e

Studi moderni sull'urbanistica greca antica

mondo italico, alle influenze della civiltà greca (Thulin). Lo sguardo al fenomeno dell'organizzazione dell'abitato antico, affrontato con grande entusiasmo, scavalca i secoli e coinvolge tutte le antiche civiltà del Mediterraneo. Tra i primi tentativi di affrontare il problema della città (quella antica in generale, non solo greca) c'è quello di F. Haverfield (Ancient Town-Planning, Oxford 1913). Il town-planning è per Haverfield un'arte « of intermittent activity », espressione che chiarisce subito il senso di estetica dell'architettura che veniva conferito all'urbanistica dei primi del '900. Con Haverfield il discorso prende le mosse dalle esperienze orientali: vengono cita ti i villaggi egizi di Kahun e di Tell-el-Amarna con il loro rigido schema regolare, viene citata la celebre descrizione di Erodoto (I, 180) di Babilonia, assunta presto come significativo ' antecedente' della città regolare. Le conoscenze archeologiche dell'epoca e soprattutto l'ignoranza pressoché completa che si aveva del mondo greco delle colonie induceva lo studioso inglese a concludere che il Greek town-planning comincia nell'epoca dello splendore della Grecia, nel V secolo a. C. Haverfield conosceva naturalmente l'articolo di Foucart sugli horoi del Pireo, su cui lo studioso francese basava la sua cronologia dell'attività ateniese di Ippodamo all'epoca di Temistocle; ciò nonostante, sembra propendere per un inquadramento di Ippodamo al tempo di Pericle. Nel 1924 appare l'importante libro di A. von Gerkan, Griechische Stiidteanlagen. Untersuchungen zur Entwicklung des Stiidtebaues in Altertum. Anche il von Gerkan utilizza il discrimine del V secolo. Il primo capitolo del libro è infatti intitolato La città prima del V secolo, mentre il secondo è dedicato alla formazione della città regolare (regelmiissige Stadt). È implicita in questa ripartizione della materia la prima grande

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oppos1z1one in cui la sistematica moderna suddivide la forma urbana antica: la città prima del V secolo è irregolare (unregelmiissige Stadi). L'impiego dei termini ' regolare ' e ' irregolare ' ricorrerà con grande frequenza in tutte le opere successive e riceve una prima trattazione complessiva, con importanti riflessioni critiche sulla proponibilità del concetto di irregolarità sia dal punto di vista artistico che scientifico, di Il a poco nel libro di J. Gantner, Grundformen der europiiischen Stadt, apparso a Vienna nel 1928, che reca il sottotitolo Versuch eines historischen Aufbaues in Genealogien. A parte ciò il libro del von Gerkan sancisce un modo di trattare la materia urbanistica che resterà canonico, al di là del naturale accrescimento della quantità di informazioni restituite dagli scavi del cinquantennio successivo e dell'altrettanto ovvio arricchimento concettuale di cui faranno mostra alcune delle migliori opere scritte in questo secolo sul tema dell'urbanistica. Da un lato, vi si trova la già menzionata separazione tra ciò che precede il V secolo e che appartiene alla Entstehung della città, di cui si indaga prevalentemente, e per ovvia necessità, l'ambiente naturale; dall'altro, la scansione più ricca dei paragrafi e dei capitoli che riguardano la città ' regolare ' Solo poche pagine sono dedicate alla colonizzazione, di cui non sfugge l'importanza; il migliore esempio conosciuto, Selinunte, veniva tuttavia datato in base alle ricerche di Hulot e Fougères ad epoca successiva alla distruzione del 409 (ciò che è, come vedremo, completamente inaccettabile oggi). Un'importanza centrale ha invece la Ionia e in particolare Mileto, cui sono dedicate pagine famose, specialmente in merito alla celebre pianta della città ricostruita dopo la distruzione del 479 a. C., che contiene numerose (forse troppe) integrazioni. Oggi essa viene

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Studi moderni sull'urbanistica greca antica

riesaminata dagli archeologi tedeschi alla luce delle ricerche più recenti, che ridimensionano alquanto la ricostruzione del Wiegand e dello stesso von Gerkan e soprattutto mettono in discussione il carattere innovativo rappresentato dalla nuova ripartizione della città ricostruita. Capitoli minuziosi e ricchi di informazioni sono ovviamente dedicati ad Ippodamo ed ai pensatori del IV secolo (Platone ed Aristotele) all'importanza della letteratura delle scuole mediche (cui si devono le raccomandazioni igieniche, i consigli sulla esposizione delle case, ecc.) fino a Vitruvio. La parte finale dell'opera è poi consacrata alla città italica . Oltre che per la trattazione degli aspetti generali, planimetrici, dei problemi della formazione e dello sviluppo, il libro del von Gerkan inaugura un'altra tendenza che ritroveremo in altri autori: l'esame puntuale delle singole parti costitutive della città che lo studioso tedesco può fornire in maniera brillante grazie al dominio degli aspetti archeologici del problema; cosl singoli capitoli sono dedicati alle strade, alle case, alle piazze, ai santuari, alle fortificazioni ed ai porti. Nel 1926 compare il primo volume, dedicato all'antichità, dell'Histoire de l'Urbanisme di P. Lavedan e J. Hugueney di cui si è già anticipato nelle pagine precedenti il tipo di approccio. Gli autori sotte>lineano con forza ancora maggiore l'opposizione tra la città irregolare, cui si attribuisec ora caratteristica di spontaneismo (in un altro lavoro, Geographie des villes, Paris 1924, il Lavedan aveva opposto la città spontanea a quella creata) . Il respiro dell'opera dei due studiosi francesi è notevole; lo stesso impianto è

Fig. 2 (a fronte). Mileto, restituzione ideale dell'impianto urbano.

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ambizioso: necessità di studiare l'organizzazione urbana, dalla preistoria all'era contemporanea, progetto e approccio metodologici nuovi, di cui sarebbe facile oggi mettere in risalto gli aspetti caduchi. È utile invece ricordare il grande salto di qualità, soprattutto tecnico, che viene compiuto con l'affinamento critico messo in opera nella lettura della pianta urbana, nella genesi e nello sviluppo delle sue direttrici, dei suoi elementi caratterizzanti, al di là degli aspetti meno rilevanti sul piano storico più generale. La prima parte dell'opera è dedicata all'Oriente antico e vi è discussa l'origine della città, a partire dal neolitico, senza il necessario approfondimento preliminare del concetto stesso di città. Anche l'urbanistica greca poi viene ricondotta ad una base religiosa, alla volontà di mettere la città in accordo con il movimento dell'universo. Ben documentate ed efficaci le poche pagine dedicate ad Ippodamo di Mileto, la cui originalità si collocherebbe secondo gli autori a metà strada tra le preoccupazioni religiose dell'Oriente e quelle estetiche dell'età ellenistica. È interessante notare - sono del resto gli autori stessi a dirlo esplicitamente l'influenza di A. Comte: il pensiero umano evolve dalla teologia alla metafisica, alla scienza. Nella storia dell'urbanistica Ippodamo rappresenterebbe l'aspetto laicizzante che diventerà scienza pura solo con i filosofi del IV secolo. Lavedan e Hugueney possono, insieme a M. Poete, autore di una Introduzione all'urbanistica. La Città antica, apparsa tra le due guerre (e tradotta in italiano nel 1958), figurare a buon diritto tra gli iniziatori di una tradizione di studi che dopo di loro, a dire il vero , non sempre può essere classificata a livelli di alta qualità; tradizione che muove dalle componenti architettoniche della città, intesa in quanto spazio costruito e concentra la sua attenzione sull'articolazione dei

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monumenti, sulla pianta in quanto schema e sull'urbanistica m quanto estetica della edilizia. La tendenza alla classificazione tipologica, anche delle città, con uso abbondante dei concetti di prestito, trasmissione e influenza, si trova nell'articolo di F. Tritsch (Die Stadtbildungen des Altertums und die griechische Polis, in « Klio » XXII, 1929, pp. l ss.) che fu molto criticato da V. Ehrenberg (When did the Polis rise, in « Journal of Hellenic Studies » LVII, 1937, pp. 147 ss. [ trad. it. in La città antica. Guida storica e critica, a cura di C. Ampolo, Roma-Bari 1980, pp. 109 ss.]), uno dei grandi storici moderni della città greca, proprio in relazione ai concetti di continuità, di influenza delle città minoiche e micenee per spiegare l'origine e lo sviluppo della polis nell'VIII secolo a. C. L'aspetto filologico del problema rice-

veva in quegli stessi anni la sua consacrazione nella voce Stiidtebau della Realencyclopiidie; autori ne furono il Fabricius per la parte greca, il Lehmann-Hartleben per quella romana. L'articolo del Fabricius è composto sulla falsariga del libro di A. von Gerkan. Anche qui, infatti, è importante la tradizione accolta da Tucidide sul modo di abitare degli antichi Greci, sparsi per villaggi, e naturalmente è decisivo il salto di qualità rappresentato dal V secolo e da Ippodamo di Mileto, di cui viene brevemente discussa la cronologia, senza novità rispetto al quadro ormai acquisito, tranne la critica (ovviamente degli aspetti filologici) del libro di G. Cultrera, Architettura ippodamea. Contributo alla storia dell'edilizia nell'antichità, scritto negli anni immediatamente precedenti la Grande Guerra, ma uscito solo nel 1924. In quest'opera, alla raccolta minuziosa delle fonti ed alla pedante disamina della bibliografia seguono giudizi ed inquadramenti storici del tutto personali, che non hanno

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avuto nessun seguito. Tutto il lavoro del Cultrera è pervaso dalla mistica dell'estetica: l'urbanistica di tipo ippodameo ne sarebbe la prova più evidente, dal momento che essa muoverebbe solo da esigenze di ordine estetico-architettonico. Il libro del Cultrera sposta la nostra attenzione sull'ambiente italiano. In un articolo del 1923, G. Calza, lamentando il ritardo accusato dagli archeologi nell'approdare ad una discussione sulla città antica, raccomandava la lettura di Sitte e Stubben (le cui opere erano state stampate verso la fine del XIX secolo) per la formazione di adeguate teorie estetiche, grazie alle quali si sarebbe potuto rivendicare alla città il diritto di essere considerata un organismo artistico. Bisognerà aspettare, però, il 194 3 perché in Italia il problema venga affrontato in un tentativo di sintesi organica. L'opera L'urbanistica dall'antichità ad oggi (Firenze 1943) scritta da Giovannoni, Lugli, Mariani, Paribeni, Petrucci, Piccinato e Solmi non ha un impianto di grosse dimensioni; si tratta piuttosto di una serie di brevi capitoli nei quali ciascun autore, muovendo dalla sua specializzazione, fa il punto della situazione. Per l'antichità R. Paribeni scrive il capitolo sull'Oriente antico e la Grecia e G. Lugli quello sul mondo etrusco, italico e romano. Per Paribeni, « l'urbanistica è in casa sua principalmente nei paesi per così dire a regime autoritario» (esemplare il « per così dire », vista l'epoca in cui il testo è stato pubblicato). Il concetto di regolarità attraverso l'esemplificazione orientale, va perciò ricondotto a quelle situazioni storiche nelle quali l'esistenza di una forte autorità centrale può esprimere ed imporre il suo modello di pianificazione. Naturalmente non può essere elusa l'esperienza del mondo coloniale, ma la sua importanza non sarebbe decisiva. La distribuzione dello spazio a

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pianta ortogonale in pianura o ad emiciclo in collina sarebbe infine il prodotto naturale e spontaneo imposto dalla situazione del terreno. Sulla situazione culturale italiana nel campo della storia dell'urbanistica sono rilevanti le riflessioni espresse da B. Zcvi al VII Congresso di storia dell'architettura tenuto a Palermo nel settembre del 1950 (ma i cui Atti furono pubblicati nel 1956). A parte il libro appena citato di Paribeni, Lugli ed altri, la povertà storiografica dell'Italia è grande: afferma giustamente Zevi che il grande sviluppo della rivoluzione industriale e dell'urbanesimo impongono una perlustrazione critica del passato che deve portare essenzialmente sul dimensionamento della città. Ma purtroppo manca all'urbanistica un sostegno culturale, cioè un apporto assiduo e costante di cultura storica e, tanto per esemplificare il ritardo italiano, Zevi ricorda che solo nel 1951 è stato pubblicato in Italia il libro di C. Sitte, ben 62 anni dopo la sua apparizione. Lo stesso Zevi, del resto, aveva indicato, in un altro scritto, alcuni indirizzi di ricerca e modi di concepire la storia dell'urbanistica: si tratta della recensione del libro di R. E. Wycherley, How the Greeks built cities, apparso nel 1948 e successivamente più volte ristampato. Wycherley affida ad un agile manualetto le sue concezioni di archeologo della città antica; ma - ha ragione Zevi - questa non è storia dell'urbanistica. Del resto, forse, lo stesso autore non pretendeva di dare tale taglio al suo lavoro; il libro, infatti, dopo un'introduzione assai sommaria, è in pratica l'esame anatomico della città: ogni capitolo è dedicato ad un quartiere, ad un pezzo della città (agorà, tempio, teatro, ecc.) come già van Gerkan aveva fatto nella seconda parte del suo volume. Non a caso Zevi inaugura la recensione affermando che Wycherley ha il merito di

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avere innestato le novità archeologiche sulle conclusioni di van Gerkan. Tuttavia Wycherley è importante per sfatare alcuni mltl, soprattutto quando afferma che la cultura greca non è esclusivamente urbana. Appare chiaro che qui non si fa sufficientemente attenzione alla distinzione tra città e Città (a Zevi, del resto, importa solo la città, lo spazio urbano costruito). Infatti il carattere non esclusivamente urbano della cultura greca sarebbe provato non dal tardo apparire della città come forma di aggregazione sociale in molte regioni del mondo greco, ma dal fatto che poche città arrivarono ad una popolazione di 10.000 abitanti. Lo stesso Ippodamo, nel fissarne il tetto a 10.000 unità, come tutti i razionalisti tenderebbe a risolvere gli aspetti tecnici del)' accrescimento urbano, senza porsi il problema stesso del processo di espansione e dei suoi limiti. Importante è poi l'affermazione dello Zevi per cui occorre liberarsi dai preconcetti evoluzionisti e stabilire connessioni tra urbanistica e situazioni politico-sociali, anche se lascia perplessi il suo distinguere ciò che precede le Guerre Persiane da ciò che segue: dopo la vittoria sui barbari i Greci avrebbero acquistato senso di sicurezza. E inoltre « la città greca va pensata come organicamente crescente dall'interno verso l'esterno e non come costruita nell'ambito di uno spazio chiuso dalla cinta di fortificazioni », per cui un processo organico si può concretizzare anche in un tipo di urbanistica rigida, ortogonale, come quella ippodamea. Zevi si scaglia, a tal proposito, e con infinita ragione, contro la pretesa di assimilare Ippodamo ad Hausmann (ma la differenza non sta soltanto, come egli afferma, nel fatto che Ippodamo pianificava città democratiche e Hausmann una capitale imperiale). Prendendo infine spunto dalla Genesi di Vienna del Wickhoff (Vienna 1895), in cui

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si distingue tra il modo distintivo di narrare dei Greci e quello continuo dei Romani, Zevi individua tre principali poetiche dell'urbanistica: l'ellenica, l'ellenistica e la romana. La prima avrebbe visuali sfocate, liberamente estese tra volumi architettonici isolati; la seconda comporterebbe la chiusura delle visuali, la rottura di una prospettiva infinita realizzata con le moltiplicazioni e le giustapposizioni degli edifici; la terza avrebbe come caratteristica la continuità spaziale. Il punto di vista, di grande importanza, di B. Zevi spinge l'urbanistica ad aderire più strettamente alla storia dell'architettura. Il fatto che nessuna delle preoccupazioni o dei problemi da lui cosl accennati siano minimamente sfiorati dal Wycherley, appare allo Zevi la prova più eloquente di quanto sia lontana la storiografia urbanistica dai problemi della moderna critica d'arte. Per parte nostra, a dire il vero, non sappiamo fino a che punto sia lecito avere un approccio storico-artistico con la città antica o fino a che punto un simile modo di accostarsi al problema non dipenda da giudizi di merito, di qualità, di selezione di gusti che privilegiano solo alcuni aspetti, anche molto parziali (i grandi monumenti), di una città antica. Con ciò non si vuole affermare, è ovvio, che il problema non esista, perché sarebbe negare l'evidenza: i programmi architettonici dei tiranni greci, la stessa acropoli dell'Atene periclea e giù fino alle realizzazioni delle monarchie ellenistiche ne sono una prova eloquente. Solo che l'approccio storico-artistico non può e non deve avere la pretesa di essere totalizzante. Motivazioni di ordine estetico, attenzione costante portata sul carattere monumentale, architettonico della composizione urbana, presenti ma armonicamente sostenute da una profonda cultura storica sono alla base dell'opera di R. Martin, che segna

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una tappa fondamentale negli studi di urbanistica antica. Nel 1951 appaiono le sue Recherches sur l'agora grecque, opera di grandissimo impegno per la vasta disamina della letteratura antica, delle testimonianze epigrafiche, dei complessi archeologici, al punto di rappresentare, a parte l'ovvio bisogno di aggiornamento relativo ad oltre trent'anni di scavi e scoperte, un punto di partenza ineliminabile per lo studio della piazza delle città greche, della sua fisionomia, dell'evolversi delle sue funzioni (religiose, giudiziarie, politiche, commerciali) in stretta connessione con lo sviluppo storico della polis. Nel 1956 R. Martin pubblica la prima edizione de L'Urbanisme dans la Grèce antique che è una delle pietre miliari nella storia degli studi sull'urbanistica antica. La prima parte del libro è tutta dedicata agli aspetti teorici, vale a dire alla riflessione antica sul fenomeno urbano (seguita attraverso l'esame delle fonti scritte), alla fondazione e allo sviluppo delle città fino all'importante capitolo dedicato ai regolamenti urbanistici, dei quali si traccia la sintesi muovendo innanzi tutto dagli aspetti giuridici, esaminati alla luce dei documenti epigrafici e letterari. Nella seconda parte, si passa all'aspetto architettonico della città greca. Anche il Martin distingue le città greche anteriori alle Guerre Persiane, da quelle databili dal V secolo in poi, per cui grande spazio è dedicato all'esame dell'urbanistica ionica, della scuola di Mileto e della sua influenza informatrice di gran parte del pensiero e della prassi urbanistica dell'età classica. Segue la trattazione dell'urbanistica monumentale, scenografica, che ha in Pergamo il suo esempio più importante, e della diffusione nel mondo ellenistico dei prindpi dell'urbamsuca regolare greca. La parte finale del volume, cosl come

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nel libro di Gerkan e di Wycherley, è dedicata ai singoli aspetti della composizione urbana, esaminati con grande padronanza delle fonti e con una conoscenza profonda e diretta dei monumenti, che pochi studiosi possono vantare di avere. È utile ricordare, a questo punto, anche se apparsa nel 1974, la seconda edizione dell'Urbanisme, nella quale il Martin, mantenendo inalterato l'impianto della prima edizione ha aggiunto due capitoli dedicati alle Nouvelles recherches, aggiornando la situazione dal punto di vista delle nuove scoperte (le ricerche dell'équipe Doxiadis in Grecia e le scoperte delle colonie greche sul Mar Nero ed in Magna Grecia e Sicilia). Mentre in Francia venivano pubblicati i libri del Martin, in Italia studiosi di storia dell'architettura affrontavano il problema da altra angolatura. In un articolo intitolato Origini ed evoluzione degli schemi urbanistici (in « Palladio» III, 1953, n. 1, pp. 21 ss.) M. Zocca riafferma l'opposizione tra le due grandi categorie in cui inquadrare lo schema urbano, la regolare e l'irregolare. La città irregolare sarebbe di formazione spontanea, quella regolare sarebbe la città fondata, concepita secondo una concezione prestabilita. Lo studioso trova naturalmente molto difficile stabilire una tipologia degli impianti irregolari, perché in essi interverrebbero troppi fattori di ordine particolare. Vale a dire che nell'impianto irregolare si avrebbe la prevalenza assoluta, determinante, della configurazione del terreno sull'aspetto delle città, rischio che invece non correvano i pianificatori di città costruite ex-novo. Siamo di fronte, ancora una volta, ad un modo semplicistico di categorizzare la realtà che, liquidando in modo sommario una parte considerevole di città antiche (quelle del continente greco per esempio), contiene una conclusione implicita: nella

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storia dell'urbanistica rientrano solo le città regolari. Temiamo che ciò dipenda dal fatto che l'approccio allo studio di queste è più facile, dal momento che si tratta di individuare i principi informatori di un atto cosciente, volontario, di pianificazione, in confronto alla complessità ed alla difficoltà, a volte inestricabile, di seguire la formazione e lo sviluppo di una città con diversa fisionomia, che solo schematicamente e per convenzione accettiamo di definire ' irregolare ', avvertendo sempre più l'insufficienza e l'inadeguatezza di un tale concetto. Zocca porta altri contributi al discorso che mira a sfatare l'originalità dell'impianto a scacchiera, ricordando Taidu, capitale del Catai nel Milione di Marco Polo, descritta « come una tavola a scacchi » e la capitale degli Aztechi, quale apparve agli Spagnoli di Cortez, « di pianta esattamente quadra, orientata ai quattro venti e divisa come una scacchiera da canali e da rette e larghe vie che giornalmente venivano spazzate e lavate ». L'aspetto unificante di esperienze cosl distanti nel tempo e nello spazio sarebbe il valore religioso, la stretta connessione tra astronomia ed urbanistica. Sorprendentemente lo Zocca, dopo aver mostrato il carattere autonomo dell'impianto ortogonale, noto alle più lontane e diverse civiltà del pianeta, spiega la diffusione dello schema in Occidente con le sopravvivenze medioevali. Il concetto verrà portato poco dopo alla esasperazione nell'articolo di S. Lang, Sull'origine della disposizione a scacchiera nelle città medioevali in Inghilterra, Francia e Germania (in «Palladio» n. s., V, 1955, nn. 3-4, pp. 97 ss) vero capolavoro di funanbolismo intellettuale, nel quale, alla fine dei conti, lo sviluppo della scacchiera delle bastides francesi, delle città britanniche e tedesche del XIII secolo dipenderebbe dal fatto che in quell'epoca si cominciò a tradurre Aristotele e che i pianificatori di città si

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ispirarono ad Ippodamo di Mileto. Peccato che, a parte il modo veramente singolare di trattare il problema, le prime traduzioni di Aristotele citate da Lang non diano molto conforto a questa ipotesi. Guglielmo di Moerbeke per esempio traduceva l'aristotelico « katà tòn neòteron kal ippodamelon tròpon » nel latino « secundum modum juniorum et domativum equorum » (sic!), cioè disposizione delle case non secondo il modo ippodameo, ma secondo la maniera di domare i cavalli (lppodamo alla lettera significa appunto « domatore di cavalli », ma ovviamente l'aggettivo ciò che sfuggiva ai dotti medioevali - deriva dal fraintendimento del nome dell'architetto e alla lettera non ha alcun senso). Nel commentario di Alberto il Grande, altra fonte citata da Lang, il « modo ippodameo » diventò il domicilium equorum. Aristotele letto in questo modo avrebbe, ciò nonostante, fornito il modello ippodameo di costruire città nel Medioevo. In quegli stessi anni appare il libro di R. D'Ambrosio, Alle origini della città. Le prime esperienze urbane (Napoli 1956) vero paradigma di improvvisazione e pasticcio. L'autore comincia la sua trattazione dalle glaciazioni, dall'era del matriarcato (che non è mai esistita) e, attraverso Stonehenge, i Nuraghi, l'Egitto delle Piramidi, Karnak e Tell-el-Amarna, arriva alla città omerica. Questa era un assommarsi di viuzze irregolari, senza servizi igienici, senza acqua e con i rifiuti scaricati sulle strade; e dove va il nostro autore a cercare un esempio di città omerica cosl concepita? A Dimini, che notoriamente è un abitato neolitico di qualche millennio più antico! Il geometrismo si manifesta in varie regioni del mondo, in Egitto, in Mesopotamia, nella valle dell'Indo: secondo d'Ambrosio, lppodamo non ha inventato un bel niente; egli adotta lo schema regolare per

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semplificare la rete stradale e sistemare razionalmente gli edifici. Certo è che se i precedenti fossero solo questi verrebbe davvero la voglia di proclamare I ppodamo inventore di una forma nuova. Ma, per fortuna, ed a riscatto della tradizione italiana di studi classici, contemporaneamente appare un'altra delle opere fondamentali, da cui non può prescindere chi oggi affronti lo studio della città greca: si tratta del libro di F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale (Roma 1956). Sin dal primo capitolo del libro viene introdotto un tipo di classificazione di notevole importanza, che serve a fare chiarezza nello studio degli impianti urbani: la distinzione netta tra gli impianti realizzati ad incroci ortogonali e le piante a reticolato. Con fermezza il Castagnoli invita a non considerare i due schemi come caratteristici di ambienti diversi, dal momento che sono storicamente attestati sia in Grecia sia nel mondo etrusco-italico; il sistema assiale corrisponderebbe ad un « criterio spontaneo di ordinamento» che può essersi sviluppato indipendentemente nei diversi ambienti. Molto ricca e ben documentata è poi la rassegna degli impianti a reticolo nella quale l'esame della situazione archeologica è sempre seguita da osservazioni e spunti critici di notevole rilievo. È il caso, per esempio, della discussione della celebre pianta di Mileto o della restituzione dell'impianto di Rodi da parte del Kondis. L'esame condotto parallelamente sia dell'ambiente greco, continentale e coloniale, sia dell'ambiente italico consente al Castagnoli di sottoporre a verifica numerose opinioni correnti sui rapporti tra i due mondi, di abbattere alcune inveterate opinioni comuni (per esempio, quelle sulla ' etrusca disciplina ', ciò che tornerà a fare con altre argomentazioni in una serie di articoli ap-

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parsi successivamente) e soprattutto di discutere criteri di attribuzione cronologica, grazie all'esame accurato dei dati archeologici o degli avanzi monumentali. Un capitolo breve ma efficace è dedicato ad Ippodamo, nel quale si riconosce incerta l'attribuzione della pianificazione di Rodi al milesio: ciò induce il Castagnoli ad accettare la cronologia (nascita di Ippodamo verso il 500 a. C.) proposta dal von Gerkan. Nello stesso capitolo viene, con una serie di argomentazioni rigorose, smontata qualsiasi pretesa di ipotizzare un tipo di impianto circolare e a raggiera, al quale molti moderni hanno rivolto attenzione, senza fondamento alcuno. La monografia si conclude con una rassegna delle città di IV secolo e di epoca ellenistica e con un denso capitolo sulle città romane. Anche del libro del Castagnoli esiste una seconda edizione, in inglese, dal titolo Orthogonal Town-Planning in Antiquity (Cambridge, Mass-London 1971 ), che contiene un'appendice di aggiornamento fino al 1970. Curiosamente, dunque, nello stesso anno sono apparse le due opere migliori che noi possediamo, e che sono ancora fondamentali, per lo studio dell'urbanistica greca. Sempre nel 1956 appare un altro contributo, che se non riguarda l'urbanistica stricto sensu, è interessante per il tipo di argomentazione che noi qui tentiamo di seguire, dal momento che porta l'attenzione sul paesaggio, sull'ambiente geografico della città greca: si tratta della memoria di E. Kirsten, noto studioso di geografia antica, dal titolo Die griechische Polis als historisch-geographisches Problem des Mittelmeerraumes (Colloquium Geographicum, V, Bonn 1956). Il Kirsten, formatosi alla scuola di A. Philippson, autore e curatore delle monumentali Griechische Landschaften, opera fondamentale di geografia storica della Grecia, e autore egli stesso con il Kraiker di un altro testo cele-

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bre, le Griechische Landeskunde, giovandosi dello sviluppo della cartografia moderna concentra il suo interesse sui luoghi degli insediamenti. L'esame prende le mosse dal neolitico; è naturale che il geografo trovi difficoltà ad usare il termine ' città ' per quest'epoca, cos} come fanno alcuni storici, ed è invece portato a parlare di borgo o di agglomerato. Nell'età del Bronzo, all'epoca dei regni micenei, quando si costituiscono alcuni tra i centri più importanti della Grecia, polis è l'insediamento collinare miceneo, il borgo ' indogermanico ' greco del II millennio (la terminologia tradisce le convinzioni razziali dello studioso). Si tratta di quello che viene assunto come il ' tipo ad acropoli ', cui si contrappone il tipo di insediamento in pianura, dorico, che fu però ben presto, con la sola eccezione di Sparta, soppiantato dall'insediamento collinare. Al di là della classificazione tipologica, a volte esasperata, l'approccio geografico è rilevante per definire la città greca. Kirsten ribadisce il carattere nettamente agrario dell'insediamento greco, spaziando largamente nel mondo coloniale, di cui esamina le caratteristiche geomorfologiche, riaffermando l'unità di città e territorio e trovando che le città senza hinterland sono l'eccezione e non la regola, con chiaro riferimento allo Hampl (Poleis ohne Territorium, in « Klio » XXXII, 1939, pp. 1 ss.) il cui approccio formalistico è stato criticato da molti. È importante notare come il Kirsten proceda nella parte finale del suo lavoro a sistemare gli insediamenti greci, non dal punto di vista strettamente cittadino, ma in una visione che ingloba l'abitato e lo spazio agrario. Cos} troviamo la polis che domina un territorio ristretto con un unico insediamento e la polis delle regioni nordoccidentali della Grecia, dove all'insediamento centrale sono collegate le kòmai

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(villaggi) fino allo sviluppo che provoca nel V e soprattutto nel IV secolo la formazione delle grandi città, di grandi Stati territoriali, tramite processi sinecistici o altre forme di aggregazione o annessione di altre poleis. È al sinecismo che il Kirsten guarda con maggiore attenzione in questo ed in un articolo successivo (Die Entstehung der griechischen Stadt, in « Archaologischer Anzeiger », 1964, coli. 892 ss.) per spiegare la formazione delle grandi città greche di età classica. Il libro di E. Egli (Geschichte des Stiidtebaues I, Die Alte W elt, Ziirich-Stuttgart 1959) è un'altra di quelle opere che si muovono in una prospettiva universale, ma questa volta senza averne il respiro. L'autore ricorre spesso al quadro storico generale, alla storia politica naturalmente, per scandire e periodizzare la ' sua ' storia dell'urbanistica. Cosl, dopo una preistoria ed una protostoria della città, si arriva ai diversi periodi della città classica. Il suo modello di sviluppo è lineare ed evoluzionistico. Nessuna rappresentazione geometrica in età arcaica: l'interno della città si organizza liberamente, le strade hanno andamento irregolare, lo spazio è definito senza che preoccupazioni artistiche giochino alcun ruolo. Diverso è l'aspetto dell'età classica dove si manifesta la tendenza alla regolarità ed al geometrismo. Per ciascun periodo esaminato l'autore procede con ampie esemplificazioni, riportando sotto forma di scheda le notizie storiche e monumentali principali dei numerosi siti che prende in esame. È tuttavia sommario (non sono infrequenti alcuni errori grossolani) come si deduce anche dalla scarna bibliografia riportata. Da un'ottica nettamente sociologica muove invece il celebre libro di L. Mumford, The City in History (New York 1961 [trad. it., Milano 19773 ]), nel quale si riscontra

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un difetto fondamentale e determinante: l'autore mostra di avere una informazione superficiale della storia antica e di non conoscere che pochissime situazioni monumentali. È una premessa ed un avvertimento che è doveroso fare se ci si accinge alla lettura di questo libro, per evitare il fascino di alcune interpretazioni seducenti, ma che non poggiano su alcuna documentazione seria. Ciò è d'altronde ovvio se si considera che ancora oggi siamo ben lontani, nonostante il grande sviluppo recente della ricerca sociologica ed antropologica applicata al mondo antico, dal ritenere il grado delle nostre conoscenze soddisfacente in questo campo. Il sociologo e storico dell'architettura Mumford possiede invece i meccanismi di interpretazione che gli consentono di accostarsi a tutte le realtà storiche ed ambientali dell'orbe terraqueo. La sua prospettiva, anche se elegantemente mascherata, è essenzialmente deterministica in rapporto ai condizionamenti geografici; su queste basi, tutto lo sviluppo della storia greca è pervaso da una serie di giudizi sommari, nei quali alla forma talvolta brillante, ma spesso contorta com'è proprio di certi linguaggi sociologici, corrisponde sempre una dimensione concettuale sconcertante. Per esempio: i Greci « sin dai primordi, avevano la duttilità e l'inventiva del dilettante restio a sacrificare una parte troppo grande della sua vita alla competenza specializzata ». Secondo Mumford, culla della città greca fu Creta dove il sistema palazzo-cittadella era frutto di un transfert geografico, dal momento che tutta l'isola montagnosa era essa stessa una immensa cittadella. Il pacifico isolamento cretese, che tanto aveva contribuito allo sviluppo della cultura greca fu spazzato via dalle « bande armate» micenee, composte dai maschi vigorosi e spavaldi dell'Iliade. La città greca in età arcaica sarebbe nata

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dall'unione più o meno forzata di villaggi, anche se il dominio della città non fu assoluto; questo è vero, ma nel senso che il sinecismo, almeno stando alla tradizione che noi possediamo, ebbe più spesso natura politica e non comportò conurbazione. Quindi non ha senso parlare di rifiuto dell'assoggettamento da parte dei poveri, che si sarebbero accontentati di vivere isolatamente e negli stenti, pur di non sottomettersi alla grande organizzazione collettiva. Per lo studioso americano, questa organizzazione, la polis, anche nei periodi di splendore non fruiva di grandi beni, ma aveva « solo eccedenza di tempo, cioè molto tempo libero, non impegnato come nell'America di oggi - in eccessivi consumi materialistici ». Anche nei casi di maggiore progresso, tuttavia, la cultura greca rimase tenacemente legata al villaggio, modello antico di autosufficienza e pacifica convivenza. Come i nazisti, gli Spartani fecero distmggere Mantinea dai suoi stessi abitanti che tornarono a vivere nei loro distretti rurali dai quali si erano a fatica distaccati in seguito al forzato sinecismo che aveva dato vita alla loro città. È il VI secolo il momento in cui sotto la spinta di « mercanti, banchieri, industriali ed artigiani » entra in crisi l'assetto arcaico, spingendo la cultura greca verso la piena consapevolezza delle sue possibilità creatrici. Per cui sarebbe un assurdo, secondo Mumford, liquidare sommariamente il sorriso delle statue arcaiche ritenendole (come invece è) il prodotto di un modo di esprimere la struttura del volto, senza profondità spaziale, e non volerle invece interpretare cOI~e « sincera espressione dell'intima fiducia dell'individuo». Di un sol colpo si annulla una conquista che aveva avuto bisogno di secoli di studi per essere raggiunta. Pausania (definito dal Mumford « tardo studioso di città greche ») ha torto quando deride gli abitanti di un centro della Focide

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che pretendono di chiamare città il loro villaggio, dal momento che è sprovvisto di monumenti pubblici, perché il germe della città greca era ben sviluppato nel villaggio, le cui caratteristiche tipiche erano già presenti nella fase di transizione al Neolitico. Ci sembra a questo punto provato il carattere avventuroso della parte dell'opera di L. Mumford dedicata alla città greca. Uno studioso di storia dell'architettura, M. Morini pubblica nel 1963 un Atlante di storia dell'urbanistica, concepito come strumento di lavoro e di raccolta sistematica della documentazione, dalla preistoria al XX secolo. Il progetto non è malvagio, ma il risultato è infelice, e non solo perché l'Atlante è invecchiato: la raccolta della documentazione per la parte antica procede senza alcun criterio apparente ed è sostenuta da sommarie didascalie ' storiche ' nelle quali molte e fastidiose sono le inesattezze. Di ben altra levatura è il contributo che viene poco dopo dall'opera di A. Kriesis, Greek Town Building (Athenai 1965), che riprende la relazione che lo stesso autore aveva tenuto nel 1958 a Copenhagen al II Congresso Internazionale di studi classici. Per Kriesis la preoccupazione principale è studiare l'assetto sociale in rapporto alla creazione urbana: egli tenta pertanto una definizione, accompagnata da uno schema, nella quale la città è un triangolo compreso tra economia e Stato, religione e arte, territorio e tecnologia. Il rapporto tra questi elementi non è rigido, ma viene alterato dalla dinamica sociale, dalla spinta dei fattori demografici. Sotto l'aspetto puramente formale, la città irregolare è, per Kriesis, il frutto di una percezione gentilizia, mentre la percezione individualistica, che presuppone una certa evoluzione dell'organismo sociale, crea la città regolare. Si potrebbe però obiettare che una larghissima parte di città ad impianto regolare,

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come le colonie, pur manifestando sin dalle origini la compattezza del corpo sociale, non erano certo aliene da una strutturazione gentilizia. In realtà, sono i condizionamenti di natura geografica, radicati nel carattere stesso della razza ellenica, a determinare il tipo della città irregolare, nella quale le abitazioni sono semplici e la cura architettonica maggiore è dedicata agli edifici pubblici. Diversa è la natura della forma regolare: relativamente ad essa, un conto sono le città regolari frutto di società rigorosamente verticali come quelle orientali, altro è la città ippodamea. Anche Kriesis dedica molta attenzione al pensiero della scuola milesia, patria della filosofia della natura (sulla scorta di B. Farrington, Greek Science) e Ippodamo è visto essenzialmente come un sociologo. Interessante, infine, è l'appendice del Kriesis, dove per la prima volta si riflette sul termine 'irregolare ' Per Kriesis, l" irregolare ' nasce in opposizione a ciò che appare geometrico; e ciò è naturale, perché gli studiosi, abituati al rigore geometrico dell'architettura greca hanno identificato l'irregolare con il non-geometrico. È un modo di categorizzare che rimane tuttavia formalistico, nonostante gli indubbi importanti contributi che si trovano nella riflessione del Kriesis. Forse il suo approccio sociologico, se portato avanti con più decisione avrebbe potuto consentirgli di approfondire maggiormente il concetto di città irregolare, partendo dallo spunto interessante della ripartizione dello spazio che muove da esigenze di una società ad organizzazione gentilizia. Il tema della rappresentazione e della organizzazione dello spazio viene sviluppato in due importanti monografie negli anni tra il '64 ed il '66. Nel 1964 appare Clisthène l'Athenién. Essai sur la représentation de l'espace et du temps dans la pensée politique grecque de

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la fin du V J• siècle à la mort de Platon di P. Léveque e P. Vidal-Naquet, un libro che affonda le sue radici nel clima intellettuale che caratterizza la scuola francese di antropologia e di psicologia storica della Grecia antica, che sulla scorta della produzione di L. Gernet ha in J.-P. Vernant, nello stesso Vidal-Naquet ed in M. Detienne gli esponenti più importanti. Gli autori partono dalla riforma di Clistene per analizzare le profonde modifiche apportate a quello che essi definiscono lo « spazio civico»; organizzazione territoriale funzionale ad un modello di società, quella ateniese della fine del VI secolo a. C., con cui nella mente del riformatore si intende annullare l'ordine gentilizio precedente. Nel testo sono largamente utilizzati anche i dati archeologici, specialmente lo sviluppo dell'agorà, lo spazio politico per eccellenza all'epoca della riforma. Il libro contiene inoltre un importante capitolo finale nel quale si procede alla disamina del pensiero utopistico antico da Ippodamo a Platone con tutte le implicazioni di ordine sociale, intellettuale e culturale dalle quali esso muoveva. Con questo saggio Vidal-Naquet e Léveque portano un altro importante contributo allo studio delle forme mentali del mondo greco, contributo che andrebbe valutato nel complesso di tutta la produzione della scuola francese, ma in una sede diversa da questa. Il fascino di questo tipo di approccio, portato unicamente sulle strutture mentali, sul modo intellettuale di rappresentarsi di una società, attraverso il mito, la religione, le forme artistiche, la poesia, ha tuttavia il rischio - come ha già autorevolmente sottolineato E. Lepore - di formalizzare la realtà entro schemi, di annullare la possibilità di sviluppo di un'analisi delle strutture concrete. Alle condizioni materiali dell'esistenza, in tutta la loro cruda evidenza, ci riporta,

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invece, la monografia di D. Asheri, Distribuzioni di terre nell'antica Grecia (Torino 1966), opera fondamentale ed ineliminabile punto di partenza per chiunque si occupi di storia agraria (e per molti versi si potrebbe dire di storia tout court) del mondo greco, per la disamina ricca e completa della letteratura e delle fonti epigrafiche. Oggetto di discussione sono invece, e ciò va a tutto merito dell'autore, le conclusioni dei diversi capitoli in cui l'opera è suddivisa; in particolare, qualche generalizzazione troppo netta, anche qui per le varie possibilità dialettiche che possono svilupparsi all'interno delle diverse forme di proprietà della terra che il mondo greco conosceva, nell'ambito, oltre tutto, delle infinite possibilità di combinazioni delle situazioni storiche e sociali più diverse. La produzione più strettamente archeologica e architettonica al servizio dello studio della città greca conosce una nuova impennata nella seconda metà degli anni Sessanta. A Madrid nel 1966 esce il libro di A. Garcia y Bellido, Urbanistica de las grandes ciudades del munda antiguo; già nel 1958 Io stesso autore aveva pubblicato un libro, con un testo poco differente, dal titolo Origines de la ciudad y su evolucion. Si tratta di due operette a carattere decisamente divulgativo, dal momento che non aggiungono praticamente nulla a quanto lo sviluppo degli studi aveva fino a quel momento prodotto; per i problemi urbanistici dell'età classica l'autore riassume ampiamente il libro di F. Castagnoli su lppodamo. Sempre nel 1966 viene pubblicato a Milano il libro di A. Giuliano, Urbanistica delle città greche, che gode di notevole fortuna tanto da diventare il manuale di urbanistica antica adottato in molte facoltà di Lettere e di Architettura, nelle università italiane. In un lavoro che rappresenta la sintesi delle conoscenze raggiunte sul piano stret-

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tamente archeologico, Giuliano tenta l'innesto di qualche motivazione di carattere economico. I concetti sono però, purtroppo, quelli ancora inadeguati di un incontrollato modernismo. Per Giuliano, infatti, « alla fine del II millennio si assiste ad un fenomeno caratteristico in tutto il bacino del Mediterraneo: lo squilibrio della bilancia commerciale, la interruzione dei traffici e delle relazioni tra Stati che determina il crollo di una più antica civiltà». Quello che segue sarebbe segnato dall'isolamento « culturale e commerciale » della Grecia e avrebbe favorito la nascita di una cultura greca autonoma; questa mostrerebbe sin dal periodo geometrico « un fermento verso forme di vita democratica», che in base ad una concezione teleologica della storia, attraverso oligarchie e tirannidi, giungerà finalmente alla democrazia del V secolo. Per queste ragioni, la città greca è qualcosa di diverso e di autonomo rispetto a qualsiasi forma di agglomerato urbano in tutto il Mediterraneo. È tuttavia inutile « cercare una forma stabile » per l'epoca più antica; tra Xl e VI secolo a. C., la città « è ancora in formazione [ ... ] si articola casualmente, senza un impianto urbano definito ». Troviamo, dunque, ribadita in queste prese. di posizione l'identificazione tradizionale della città arcaica con l'urbanistica irregolare, spontanea; al contrario il geometrismo della città orientale rispecchierebbe rigorosi rapporti gerarchici, come già aveva affermato, per esempio, R. Paribeni. Alla forma rigida dell'impianto ortogonale come espressione di assolutismo Giuliano è particolarmente legato, perché vi ritorna quando discute la nascita dell'urbanistica regolare. Essa si manifesterebbe per la prima volta in Asia Minore, « proprio perché il mondo ionico viveva nella consuetudine del rispetto del potere centrale (che caratterizzava l'impero achemenide) ». Sarebbero state le città della

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Ionia, dunque, a trasmettere alla Grecia « i modi delle più antiche civiltà orientali », mentre le colonie greche di Occidente trasmisero agli indigeni « mentalità e civiltà greche». Un lungo capitolo è dedicato alla colonizzazione greca. Esso appare, tuttavia, alquanto viziato, specialmente nei confronti della grecità di Occidente, da pregiudizi di provincialismo, di cultura periferica; e poi non si può seguire il Giuliano, quando afferma che « il fenomeno della colonizzazione corrisponde a precisi motivi economici: l'importanza sempre maggiore del commercio, l'accumulo del capitale nelle mani di pochi, il crollo di una economia limitata come quella del medioevo greco ». A parte questo tipo di valutazione, che non può essere accettato, il libro è corredato da illustrazioni grafiche accurate e contiene numerose schede di città antiche ben documentate. Ricco ed accurato nell'apparato illustrativo è pure il libro, in due tomi, di M. Coppa, Storia dell'urbanistica dalle origini ali' ellenismo (Torino 1968); ma questo è veramente il solo pregio del lavoro del Coppa. In un linguaggio contorto e involuto il libro procede attraverso affermazioni assiomatiche che con la loro perentorietà lasciano veramente perplessi. Un esempio: « La formazione della città greca non può disgiungersi dalla cipriota Enkomi-Alasia e dall'urartica Zernaki nei periodi preparatori alle affermazioni delle scuole egee nell'VIII-VII secolo prima dell'involuzione di Mileto ». Per non parlare poi del fatto che la civiltà urbana, le assegnazioni agrarie dell'età repubblicana (vale a dire del II-I secolo a. C.) si spiegano attraverso la mediazione italica della cultura elladica-ellenica. Senza la minima preoccupazione di usare un linguaggio degno di Wall Street, Coppa prende le mosse dal mesolitico, affermando che « l'età paleolitica ha preparato in più

Studi moderni sull'urbanistica greca antica

parti il successo materiale e intellettuale ai suoi discendenti neolitici, che attraverso una serie di piccole e praticissime applicazioni e nuove invenzioni riusciranno infine a modellare territori e città» (corsivo nostro). E poi « l'integrazione economica dell'età cakolitica si può dire compiuta al termine del IV millennio [ ... ] quando si passerà dallo scambio naturale e diretto allo scambio convenzionale ed indiretto con i sistemi di misurazione e di valutazione, si apriranno i negozi nei centri produttivi ed i depositi-agenzie in lontani mercati; da queste premesse, e più tardi dalla ridistribuzione dell'eccedente demografico, scaturiranno le colonie ed i quartieri dedotti ». Rigore e discrezione metodica, nel valutare gli antefatti pre-protostorici si ritrovano invece nel libro di G. A. Mansuelli, Architettura e città (Bologna 19ì0), in cui si invita a non generalizzare ed a tenere presenti i divari cronologici, specialmente tra le culture preistoriche dell'Oriente e quelle dell'Occidente. Il libro del Mansuelli è centrato essenzialmente sulla valutazione del ruolo dell'architettura, che l'autore trova errato separare dall'urbanistica; l'esame dello sviluppo monumentale, visto nel contesto urbano, è poi condotto dal Mansuelli con la ben nota competenza. Sotto il profilo più nettamente urbanistico, mentre le metropoli della Grecia conservano il carattere di centri cresciuti per aggregazione spontanea, con il V secolo, con lppodamo, abbiamo non solo il teorico della pianificazione ortogonale, ma anche quello della distribuzione funzionale. Il libro di J. B. Ward-Perkins, Cities of Ancient Greece and Italy: Planning in classica! Antiquity (New York 1974), pur avendo scopi chiaramente divulgativi è degno di considerazione per la grande competenza ed autorità dell'autore negli studi di urbanistica antica. Pur esistendo numerosi esempi di precedenti urbanistici non greci (l'autore

Studi moderni sull'urbanistica greca antica

ricorda specialmente la pianta di Babilonia descritta da Erodoto I, 180), le città dell'Oriente antico avevano ben poco da offrire al pianificatore greco. Secondo Ward-Perkins, anche per l'urbanistica, tuttavia, vale la regola secondo la quale i Greci trasformarono e adattarono stimoli provenienti da altre civiltà: insomma, « ideas of orderly planning were in the air ». Si comincia con i primi timidi tentativi di Smirne o con colonie come Megara Hyblaea; quando l'urbanistica regolare si afferma, le ' vecchie ' città non potevano realizzare « radical reconstructions», ma quando fondavano colonie potevano esportare il loro modello di civilizzazione urbana. Poi viene Ippodamo, il teorizzatore. Ward-Perkins, seguendo von Gerkan, ne pone l'attività principale nella prima metà del secolo e ipotizza un ruolo prevalentemente di codificatore, come già aveva fatto il Castagnoli, dell'architetto milesio. Interessante, infine, l'appendice sulla teoria e pratica nella urbanistica greca, dove muovendo da Erodoto (II, 109) che attribuisce la invenzione della geometria agli Egiziani, Ward-Perkins riassume gli studi antichi ed i rapporti tra astronomia, matematica, geometria e le misurazioni dei terreni sia nella prassi catastale, sia nell'utopia degli Uccelli di Aristofane o delle Leggi di Platone. Un approccio nuovo è invece quello tentato da J. Rykwert, The Idea of a Town. The Anthropology of Urban form in Rome, I taly and the Ancient W orld (Princeton 1976). La premessa è che, mentre lo spazio fisico, ecologico, è molto studiato, non si è prestata sufficiente attenzione allo spazio psicologico, culturale, religioso; la città è infatti uno strano tipo di artefatto che, se deve proprio essere messo in relazione con qualche aspetto fisiologico, è più simile ad un sogno che ad altro. Pur avendo al centro della sua attenzione il mondo etrusco e

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romano, l'interesse di Rykwert ed il tipo di approccio comparativo da lui tentato lo portano a spaziare, non solo nel mondo greco, ma anche nelle civiltà al di fuori del bacino del Mediterraneo, come fa nel capitolo dedicato ai Bororo, ai Sioux, ecc. L'aspetto degno di maggiore interesse di questo libro è la parte dedicata alla fondazione delle città e, soprattutto, ai culti eroici decretati ai fondatori dopo la morte; e fin qui va bene, ma non si può seguire il Rykwert quando spiega tutto in termini di rituale e di magia, di divina ispirazione, ecc. Ciò consegue, del resto, al tipo di approccio utilizzato, dal momento che per l'autore la città non deve essere monopolio d'indagine per archeologi, storici ed economisti, ma è un organismo cui ci si deve accostare con la psicologia e l'antropologia. Peccato che l'approccio, per così dire, onirico possa qualche volta indurre in errore: così avviene quando il Rykwert proclama i canali del Gaudo (presso Paestum) il primo esempio di ortogonalità in Italia (Il millennio a. C.), mentre non hanno alcuna relazione con la celebre necropoli eneolitica: infatti, in più di un caso tagliano non solo le tombe preistoriche, ma anche quelle di epoca più recente. Un accenno particolare meritano, in questa sommaria rassegna, alcuni importanti contributi storiografici sulla città antica, nei quali sono spesso esplicitati, per le strette relazioni con il tema, riferimenti al problema più strettamente urbanistico. Meritano di essere ricordati soprattutto: A. Momigliano, La città antica di Fustel de Coulanges (ora in Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1975, pp. 159 ss.); M. I. Finley, From Fuste[ de Coulanges to Max Weber and beyond (in Comparative Studies in Society and History, XIX, 3, pp. 305 ss .); il già citato volume antologico dal titolo La

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città antica, a cura di C. Ampolo (RomaBari 1980). Ed infine occorrerà citare una serie di contributi contenuti in volumi miscellanei, enciclopedie, storie generali. Del 1967 sono gli Atti del VII Convegno di Studi sulla Magna Grecia dedicati al tema La città ed il suo territorio con le importanti relazioni di E. Lepore, Per una fenomenologia del rapporto città-territorio in Magna Grecia e di G. Vallet, La cité et son territoire dans !es colonies grecques d'Occident, che costituiscono fino ad oggi la migliore trattazione esistente in materia; ad essi bisognerà accostare gli Atti di un convegno tenuto a Roayaumont nel 1969, pubblicati però nel 1973 a cura di M. I. Finley, dal titolo Problèmes de la terre en Grèce ancienne con la relazione di Lepore sulla terra nel mondo coloniale, quella di Martin sul rapporto tra sfruttamento del territorio e strutture urbane, che apre nuovi ed importanti orizzonti allo studio della città antica, la relazione di J. Pecirka sulle fattorie greche. Nel 1970 la rivista francese « Annales » dedica un numero unico al tema Histoire et Urbanisation con le importanti riflessioni metodologiche di F. Choay, M. Castells e con il contributo di Vallet e vmard allo studio dell'urbanistica di Megara Hyblaea. Altri convegni dedicati al tema della città antica sono quello di Bologna su La città etrusca e italica preromana, nei cui Atti si trova l'importante articolo di E. Sereni sul rapporto città/territorio; il convegno sulla città antica in Italia, tenuto a Milano-VarennaBrescia nel 1970 (Atti pubblicati nel 1971), a cura del Centro Studi e Documentazione sull'Italia Romana (Ce.s.d .I.r.), cui fa seguito quello intitolato Thèmes de Recherches sur les villes antiques d'Occident (Paris 1977) organizzato dal Comité international pour l'étude des cités antiques (C.I.C.A.); il volume, frutto di un apposito convegno, edito

Studi moderni sull'urbanistica greca antica

da P. Ucko, R. Tringham, G. W. Dimbleby, Man, Settlement and Urbanism (London 1972) in cui sono messi a confronto studi, approcci e specialismi di aree e di periodi diversissimi. Nel 1976 è, inoltre, apparso la Princeton Encyclopaedia of Classica! Sites, strumento di lavoro importante, nonostante il valore molto diseguale delle voci. Nella Storia e Civiltà dei Greci, l'opera diretta da R. Bianchi Bandinelli e apparsa tra il 1977 ed il 1979, si trovano numerosi contributi di grande pregio come quello di A. Mele, Elementi formativi degli « ethne » greci e assetti politico-sociali (voi. I, pp. 25 ss.), quello di L. Beschi, L'Atene Periclea (voi. IV, pp. 537), quello di D. Musti, L'urbanesimo e la situazione delle campagne nella Grecia classica (voi. VI, pp. 523 ss.) e quelli di R. Martin, Urbanistica e nuova tipologia edilizia (voi. VI, pp. 427 ss .), Città e campagna (voi. X, pp. 559 ss.). Un discorso a parte merita, per concludere, l'attività di ricerca e la produzione del gruppo che fa capo all'Athens Center of Ekistics fondato verso la fine degli anni Sessanta da C. A. Doxiadis. Il Centro ha finora pubblicato una serie di volumi sulla distribuzione degli insediamenti umani nella Grecia antica, sotto il titolo di Archaies Ellinikes Poleis (Città greche antiche) . Il primo volume è uno studio di A. Toynbee dal titolo An Ekistical Study of the Hellenic City-State; nel secondo lo stesso Doxiadis esplicita le modalità della ricerca e ciò che egli ritiene debba intendersi per ' ecistica '; il volume The Method far the Study of the Ancient Greek Settlement esce nel 1972. A partire dal terzo volume (M. Sakellariou - N. Faraklas, Corinthia-Cleonaea) comincia la serie dedicata ad una regione o al territorio di una città greca antica. A parte i volumi, il Centro ateniese pubblica una rivista, « Ekistics », che volge la sua attenzione agli insediamenti e, dun-

Studi moderni sull'urbanistica greca antica

que, all'architettura ed all'urbanistica. L'iniziativa presenta numerosi aspetti favorevoli, quale quello indubbio di fornire una raccolta sistematica di dati e soprattutto una cartografia archeologica che, nella stragrande maggioranza dei casi esaminati, viene a colmare, nonostante la sua relativa schematicità, un vuoto enorme. Discutibile è, invece, lo studio degli insediamenti cui si pretende di dare carattere decisamente demografico; soprattutto se si considera il punto di partenza, secondo il quale ci sarebbe corrispondenza tra i 6061 insediamenti di base attuali e quelli antichi, con la conclusione sorprendente - tenuto

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conto che molti di quegli insediamenti sarebbero nell'anticihità più estesi di quelli attuali - che la popolazione della Grecia antica sarebbe stata nettamente superiore a quella della Grecia contemporanea. A parte le giuste critiche già da altri avanzate ed alle quali rimandiamo, non si può fare a meno di notare un certo condizionamento ideologico su una impostazione di tal genere. Per quanto riguarda gli altri volumi della serie, le perplessità suscitate da alcune interpretazioni dei dati archeologici e delle situazioni storico-topografiche saranno discusse nel momento in cui il caso specifico si presenterà.

Capitolo I

l. Premessa

Una storia dell'urbanistica greca non può non prendere le mosse dalla splendida civiltà dell'età del Bronzo che ha preceduto sul suolo greco quella ellenica ed alla quale è stato dato il nome di civiltà micenea . Tale esigenza deriva non tanto da una lettura ' archeologica' dell'insediamento greco di epoca storica, da un debito formale verso una preesistenza qualunque, quanto piuttosto dalla coscienza del forte condizionamento esercitato su tutta la mentalità greca arcaica e classica da un retaggio complesso di una fase, quella micenea, di cui gli Elleni si sentivano eredi, senza soluzioni di continuità veramente radicali, senza cesure autenticamente profonde. L'età micenea, popolata di eroi, attraverso la continuità delle tradizioni gentilizie e religiose, attraverso il canto degli aedi, continuava ancora a vivere nel pieno del I millennio a. C. come un passato recente, del quale il presente era necessaria conseguenza ed effetto, talora, immediato ; l'età degli eroi precedeva sl quella degli uomini, ma era anche vero che gli eroi erano al fianco dei cittadini nella loro vita quotidiana e in guerra, a proteggere, a medicare, a consigliare, come avi attenti ai destini dei loro figli. La continuità tra passato e presente non era avvertita soltanto come un

L'età micenea

fatto ideologico, ma trovava un preciso riscontro nella continuità di tradizioni insediative. Se la Sparta di Eracle e degli Ippocoontidi, la Sparta dei Dioscuri era ritenuta la madre della Sparta di Leonida e di Pausania, Teseo era venerato come ktistes, come fondatore di Atene. I monumenti micenei erano la documentazione tangibile di quella storia passata, circondati di pio omaggio e di reverente attenzione da parte dei Greci di epoca storica che, per esempio, indicavano nel Pelargikon di Atene, il grande muro di cinta dell'acropoli micenea , alto ancora a metà del V secolo a. C. almeno 10 metri, uno dei luoghi leggendari più importanti della città . Ma ancor più centrali per le implicazioni urbanistiche successive sono le sepolture principesche dei signori dell'età micenea. Il periegeta Pausania nel II secolo d. C., descrivendo la ' capitale ' Micene sopravvissuta al disastro delle dinastie principesche fino alla distruzione voluta dagli Argivi nella prima metà del V secolo a. C., così si esprime : Rim:mgono, tuttavia , parti della cinta di mura ed una porta, sulla quale sono collocati dei leoni. Sono poste, dicono, ad opera dei Ciclopi , che hanno costruito per Proitos le mura a Tirinto. Nelle rovine di Micene è una sorgente detta Persea, ove sono anche le camere ipogee di Atreo e dei suoi figli, in cui ne erano riposti i tesori. C'è la tomba di Atreo, assieme a quella dei compagni di Agamennone ritornati

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con questi da Troia e assassinati a banchetto da Egisto [ ... ] Agamennone ha la sua tomba e cosl l'auriga Eurimedonte, mentre un'altra ospita Teledamo e Pelope, figli gemelli - si dice - di Cassandra, uccisi ancora infanti da Egisto dopo i genitori. Elettra ha la sua tomba, poiché Oreste la sposò a Pilade [ ... ] Clitennestra ed Egisto sono sepolti a qualche distanza dalle mura. Le grandi tombe dei dina~ ~:, ~ttr1Di.;;te agli eroi della saga di Atreo e dei loro discendenti, costituiscono non solo la nota dominante di un paesaggio di rovine, ma anche un insieme monumentale di primaria grandezza, attorno al quale la città storica di Micene ha continuato a vivere; ognuna di queste tombe è sede di memoria storica e di realtà mitiche e religiose centrali per la polis del I millennio. Laddove queste memorie storiche non sono presenti nella città, esse vanno ardentemente ricercate, perché l'eroe, fondatore o condottiero del popolo, sia al centro della vita cittadina. Così Atene, nel 475 a. C., cercherà e ' troverà ' le ossa di Teseo nell'isola di Sciro, per riportarle e tumularle solennemente in patria. E cosl, attorno a tombe eroiche, si svilupperanno le agorài delle città, trasformandosi da luoghi di antichissimo culto funerario in cuori pulsanti della istituzione urbana, affinché l'eroe possa essere sempre al centro dell'assemblea cittadina, portatore di aura numinosa e di ' buon consiglio' Ma le tradizioni religiose micenee vengono talora a condizionare fisicamente gli sviluppi urbani anche in altra maniera . Da un lato, l'antico culto del palazzo miceneo può restare o tornare ad essere centro religioso fondamentale della polis storica, all'interno della città, precostituendo così sviluppi urbani ben precisi; dall'aluo, intorno a luoghi di culto micenei esterni alle poleis storiche si possono costituire poli di sviluppo e direttrici di organizzazione del terri-

Storia de/l'urbanistica. Il mondo greco

torio, in relazione all'importanza che essi assumono nella vita economico-sociale e nella realtà ideologica di aree regionali o addirittura dell'intero mondo greco. Nel primo caso, come a Micene stessa, il tempio poliadico di età arcaica viene a collocarsi direttamente sul palazzo miceneo, continuandone il culto e riportando nella rocca, già dei principi dell'età del Bronzo, il fulcro ideale della vita cittadina. Nel secondo, santuari, come quello di Apollo Hyakinthos, già frequentati in epoca micenea, continuano la loro funzione - nel caso specifico, quella di ' confine ' ideale della chora - ancora nella piena età storica. Naturalmente questa continuità è lungi dall'essere ovunque esistita o provata. Il caso di Atene è illuminante: se il Pelargikon, con il suo spessore poderoso fino a 6 metri, costitul la difesa del palazzo e, dopo la fine di questo, dell'insediamento dei ' secoli bui ' forse fino alle Guerre Persiane, molto si è discusso sull'esistenza o meno del palazzo miceneo sull'acropoli, in relazione sia con la tradizione mitica, sia con gli usi religiosi di epoca storica , sia, infine, con i resti archeologici attribuibili ad epoca micenea. Eppure, non solo la memoria mitica che ambienta sull'acropoli una parte cospicua della saga attica, o l'arcaicità di sapore miceneo del culto stesso di Athena Poliàs o di Zeus Polieus e del rito in onore di quest'ultimo, praticato con la bipenne, parlano in favore dell'esistenza e del palazzo e della continuità della tradizione, ma gli stessi resti di edifici micenei - siano essi o non un vero mègaron di palazzo, come si è voluto interpretarli con la loro collocazione al di sotto del tempio di Athena Poliàs costituiscono un documento eccezionale in favore dell'esistenza di questa continuità. Se alcuni siti, dall' Amyklaion di Sparta e da Delos a Ceos, da Eleusi al santuario di Apollo Maleatas presso Epidauro, attestano

I. L'età micenea

una continuità o un deliberato ritorno ai luoghi sacri dell'età micenea, altri ancora dimostrano che il periodo travagliato tra XI e VIII secolo a. C., l" età oscura ' appunto, non è passato senza conseguenze sulla realtà ideologica ed insediativa greca, come le stesse parole della celebre archaiologia di Tucidide mettono a nudo, al di là delle reali o presunte ' invasioni ' di barbari di stirpe dorica. Ciò nonostante, il retaggio miceneo ha finito comunque con il pesare, nelle strutture sociali e nelle forme ideali della fase storica, in maniera tale su tutto il mondo greco e sulla sua organizzazione territoriale da indirizzare molti degli sviluppi del I millennio lungo binari già tracciati secoli prima. Né d'altra parte era da attendersi diversamente alla luce stessa della più antica testimonianza del patrimonio culturale greco, i versi dei poemi omerici, nei quali passato miceneo e presente della prima età del Ferro si intrecciano inestricabilmente in una visione organica che rappresenta, prima ancora che la volontà delle caste aristocratiche principali fruitrici di quel canto, una realtà pienamente operante. Senza perciò voler minimizzare le drammatiche rotture dell" età oscura ', sulle quali più tardi torneremo, la fase micenea, per tutti i motivi sopra ricordati, e non soltanto perché prodotta da genti di lingua greca, a pieno diritto inaugura la storia del popolo ellenico e costituisce la prima chiara testimonianza di un assetto della società, del suolo e delle forme insediative dell'Ellade.

2. La struttura socio-economica micenea La decifrazione delle tavolette in Lineare B, e cioè della scrittura sillabica usata nelle registrazioni contabili dei palazzi micenei, non ha soltanto restituito alla scienza un

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patrimonio linguistico inestimabile, ma anche una serie di informazioni preziose, proprio per il loro carattere amministrativocontabile, sulle strutture socio-economiche della civiltà micenea. Siamo ancora ben lungi dall'aver chiarito tutti gli aspetti connessi a queste informazioni, sia per la loro frammentarietà sia per i molti e difficili problemi derivanti da un'ermeneutica linguistica ancora non esente da incertezze ed ambiguità: nessun archivio miceneo ci è giunto nella sua interezza né tutte le proposte di lettura e di interpretazione di una lingua lontana dai suoi esiti storici noti e di una scrittura per molti versi imperfetta appaiono soddisfacenti o sicure. Ciò malgrado, un generale quadro d'insieme della società micenea, almeno nell'angolatura delle esigenze e degli impegni dell'amministrazione centrale fondata sui palazzi, è senz'altro possibile. Le tavolette degli archivi più grandi, ossia quelle di Pilo, di Cnosso e di Micene, anche se di epoche diverse fra loro, forniscono un'immagine abbastanza omogenea dei regni micenei, sotto la forma amministrativa di una vasta e articolata struttura gerarchica culminante nel palazzo, sul quale domina il wa-na-ka (greco classico, wanax), il « sovrano », munito di poteri ' politici ' e religiosi. Una sorta di aiutante del wanax è il ra-wa-ke-ta (greco classico, *lawagetas), residente - sembra - nello stesso palazzo, con funzioni, stando alla lettera del suo titolo, di « condottiero », anche se non sappiamo se tali funzioni, apparentemente di carattere militare, fossero dirette verso tutto il « popolo» (lawos) o soltanto verso una classe dominante cui eventualmente doveva spettare la milizia. Tale incertezza rivela subito le nostre non piccole lacune sul funzionamento del1'apparato statuale e sulla stessa struttura economico-sociale micenea, dal momento che

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il reclutamento militare, una delle spie pm evidenti di un assetto dei rapporti sociali di produzione, è ancora avvolto nell'oscurità. Di qui non solo le discussioni sulle possibili funzioni del lawagetas, ma anche le controversie sul presunto assetto ' feudale ' dei regni micenei. Queste le autorità centrali del palazzo, che, attraverso tributi ed obbligazioni religiose oggetto delle registrazioni degli scribi delle tavolette, controllano territori più o meno vasti organizzati in ' province ' Nel regno di Pilo, le ' province' sono due, dewe-ro-a-ko-ra-i-ja (denominata dagli studiosi comunemente 'Provincia Superiore') e pera-a-ko-ra-i-ja (o ' Provincia Inferiore'), identificate con vaste aree della Messenia occidentale, separate da una catena di colline. All'interno di queste province sono rispettivamente da sette a nove da-mo (greco classico, damos), nome che designa ad un tempo il « popolo » e il « demo » o « distretto ». Questi distretti sono a loro volta articolati in villaggi, dei quali il più importante dà nome al distretto di appartenenza ed il cui numero, in una serie di tavolette (la serie Na), ascende ad oltre settanta. Entro alcuni, almeno, di questi demi funzionano assemblee di anziani, dal nome di ke-ro-si-ja (greco classico, gerousia), destinate ad affiancare i qa-si-re-we, basilèis, il cui nome è ripetuto in greco classico dai ' re' delle città arcaiche. Costoro ci appaiono innanzi tutto come capi gentilizi possessori di terre, ai quali sono demandate anche funzioni religiose e - possiamo facilmente supporre - giudiziarie a livello locale. Le terre a loro volta appaiono divise in varie categorie. La categoria fondamentale è quella definita ko-to-na, che, sulla base di una glossa di epoca classica, va identificata con la ktoina, ossia « partizione di demo, connessa con un santuario». La terra ko-to-na è suddivisa in ki-ti-me-na (greco

Storia dell'urbanistica. Il mondo greco

classico, ktimena) ossia « terra coltivata » e ke-ke-me-na, termine assai discusso sia per il suo corrispondente greco classico sia, di conseguenza, per il suo significato nel sistema di proprietà miceneo. Esso dovrebbe designare, tuttavia, a giudicare almeno dall'opposizione al precedente termine, la « terra non (stabilmente) coltivata » e comunque diversa dalla terra ka-ma, affidata a wo-ro-kijo-ne (greco classico, worgiones), lavoratori non affiliati a gruppi gentilizi, o e-re-mo (greco classico, eremos), « deserta ». Un'altra interpretazione, quasi diametralmente opposta, vuole vedere invece nella ki-ti-me-na la terra in possesso privato e nella ke-ke-me-na la terra comune: ipotesi difficile da mantenere in presenza di benefici e redditi ben precisi nelle registrazioni palatine. I frutti di queste terre, nelle registrazioni di palazzo, sono almeno in parte attribuiti a « beneficiari », o-na-te-re (greco classico, onateres), designati anche come dama-te (greco classico, damartes), mentre dodici ko-to-no-o-ko (greco classico, ktoinouchoi), apparentemente da identificare o tutti o in parte con i te-re-ta (greco classico, telestai), percettori di benefici degli onateres, costituiscono una sorta di collegio amministrativo del damos. Il raccordo tra il palazzo e la rete dei villaggi appare assicurato grazie alla presenza di ko-re-te e di sostituti o aiutanti di questi, i po-ro-ko-re-te, funzionari con compiti ispettivi, cui è affidato un damos, un distretto ben preciso. Questa longa manus del palazzo nell'amministrazione delle terre all'interno del dominio è un tratto centrale della formazione economico-sociale micenea: non è un caso che una serie tra le più interessanti dei documenti di Pilo registri sotto il nome di un unico funzionario di palazzo il controllo su grano « ispezionato » nella Provincia Superiore, la « concessione » di materiale ad un aromatario e la « ri-

I. L'età micenea

cevuta » di altro materiale non identificato. Se in questo ambito palatino vadano inseriti anche altri dignitari come gli e-qe-ta, letteralmente i «seguaci», o gli je-re-we, i « sacerdoti », o piuttosto non facciano parte del sistema di potere locale, non ci è dato di sapere con esattezza. Il quadro si fa ancora più complesso, quando dal sistema ' politico ' si passa ai dati relativi all'economia e alle articolazioni produttive della società. Precisiamo innanzi tutto che nelle registrazioni delle tavolette distinguiamo varie operazioni, dai tributi e gli affitti agli elenchi di possessi (schiavi, oggetti), alle razioni di generi alimentari concesse ai dipendenti, all'affidamento di materie prime per la lavorazione. In altre parole, il palazzo si configura come centro amministrativo del regno, che riceve e redistribuisce, che tesaurizza e organizza la produzione e la difesa, ma anche come componente produttiva di fondamentale importanza nell'intero sistema. Tutto ciò consente di individuare, su grandi linee almeno, le principali attività economiche del mondo miceneo e la collocazione sociale delle forze produttive. Una delle principali fonti economiche del palazzo è data dall'allevamento del bestiame. Le registrazioni di greggi ovine, soprattutto, restituiscono cifre sul patrimonio di tal genere di bestiame, affidato a pastori sparsi nel territorio, i quali provvedono a dirottare al palazzo i capi più vecchi, ricevendone di giovani, e a soddisfare le previsioni degli amministratori relative all'ammontare della lana tosata. Questa lana serve ad alimentare l'attività di manifattura tessile, che, secondo i calcoli di L. Godart, ascenderebbe, per Cnosso e il suo territorio, ad almeno 5000 pezze di tessuto l'anno su di un patrimonio armentizio di circa 100.000 animali. Quanta parte di tale produzione fosse concentrata nel palazzo e quanta invece

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decentrata, non è facile stabilire. Certo è che questo dato spiega molto bene le tavolette con liste di donne, fanciulli e bambini, trovate in non trascurabile misura nei palazzi. Si tratta con grandissima verisimiglianza di schiave con i loro bambini, dislocate nei locali palatini per lo svolgimento delle attività produttive di quel grande òikos che è il palazzo, e in primo luogo della tessitura, attività - assieme a quella della preparazione del pane (macinatura e impasto) - delegata tradizionalmente alla donna in tutto il mondo arcaico. La struttura sociale si chiarisce cosl nel suo gradino elementare, quello del do-e-ro, del doulos, il « servo », al quale si affidano questi settori produttivi chiave, pastorizia, allevamento, manifattura tessile, confezione alimentare, che da un lato favoriscono un rapido processo di accumulazione primitiva di tipo assai arcaico, ma redditizio, dall'altro costituiscono una costante del mondo preclassico e classico, di cui già Omero ci fornisce un vivido quadro con la raffigurazione del palazzo di Odissea e dei suoi dipendenti. Sempre attorno al palazzo ruotano manifatture di più complesso significato, che investono la sfera sia della produzione sia dell'ideologia. Tra le più rilevanti è quella degli aromi, che il palazzo dispensa a santuari e dignitari religiosi o che distribuisce a fabbricanti di unguenti. Questo tipo di manifattura appare non interna al palazzo, ma esterna, come tutte le produzioni di beni che vengono distribuiti allo stato grezzo o semifinito a lavoranti, per poi ritornare sotto forma di prodotto finito. Esiste dunque una sfera produttiva non totalmente asservita al palazzo, ma che con questo opera in stretto collegamento ed è in linea di massima individuata da tµtte quelle tavolette che menzionano consegne di 'materie prime'; fra queste un posto particolare è occupato dal bronzo.

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Grazie alle analisi di M. Lejeune e di A. Mele, quello del ka-ke-u (greco classico, chalkeus), del « bronziere », appare come un ruolo assai peculiare, dotato di particolare ' libertà ' dal palazzo e perciò stesso di notevole rilievo socio-economico. Si tratta, è vero, di un gruppo di artigiani apparentemente non tutti su un piede di parità, dal momento che essi vengono talora distinti in ta-ra-si-jo e a-ta-ra-si-jo, e cioè in « tributari (di bronzo) » e « non tributari (di bronzo) », mentre altri vengono definiti come po-ti-nija-we-jo, e cioè « dipendenti della Potnia », la grande dea micenea. Ma è anche vero che questi bronzieri ricevono razioni alimentari spesso rilevanti dal palazzo e che l'appartenenza di taluni di loro alla sfera della proprietà sacra (fatto questo adombrato anche dalla tradizionale leggenda che faceva dei Dattili Idei, i mitici fabbri inventori della fusione, i protetti della Grande Madre Idea di Creta) ne fa delle figure sociali particolari, sottratte in buona misura al dominio uel palazzo. Sempre attorno al palazzo ruotano altre produzioni di lusso, che si evincono dalla presenza nelle tavolette di menzioni di materie prime preziose, come l'avorio, mentre forti incertezze sussistono sulla collocazione centrale, palatina, di attività produttive importanti quali la concia delle pelli, individuata dalla ricorrenza nei nostri documenti di materiali impiegati in questa produzione, come l'allume. Silenziose sono infine le tavolette sullo scambio a media e grande distanza. La presenza tuttavia di materiali micenei in quantità spesso notevoli in aree non micenee, sia del Mediterraneo orientale, dalla Siria all'Egitto, sia della penisola italiana, della Sicilia e della Sardegna, parlano in favore di un particolare interesse della società micenea per l'acquisizione di prodotti e di materiali di lusso provenienti dai grandi imperi

Storia dell'urbanistica. Il mondo greco

orientali e di materie prime - metalli, in primo luogo procacciate in prevalenza nelle terre barbare dell'Occidente. L'impressione, comunque, è che anche questa attività fosse marginale per il palazzo, sottratta alla sua sfera economica o delegata. Si è, è vero, molto insistito sulla raffigurazione di keftiu, di Cretesi (Minoici e Micenei), come tributari in tombe egiziani:! del XV secolo a. C., ma va ricordato anche che si tratta di tombe private di dignitari faraonici: quindi, anche da parte egiziana i rapporti con i regni micenei non erano gestiti direttamente dal centro (ove sarebbero invariabilmente apparsi sotto forma di tributi al faraone), ma si avvalevano di una vasta gamma di intermediazioni, peraltro trasparenti anche da altri documenti egiziani menzionanti i keftiu. Ancora un altro grande problema appare centrale per la comprensione della struttura economico-sociale del mondo miceneo: quello della condizione giuridica e sociale della forza-lavoro delle campagne. I testi, abbiamo visto, parlano di do-e-ro (greco classico, douloi), « servi », che talora sono servi di divinità in possesso di particolare qualificazione sociale: i gradi di dipendenza, anche per la servitù, sono dunque assai articolati. La stessa condizione dei damoi, quelle « popolazioni » che costituiscono i « distretti », è incerta; e parimenti, l'esistenza dell'alta carica di lawagetas presuppone dei lawoi (greco classico, laòi), « popoli », sottomessi al suo comando. La connotazione di questi lawoi, peraltro sconosciuti alle tavolette, ci sfugge completamente, anche se la funzione di « capo dei lawoi » del lawagetas, come si è detto sopra, sembrerebbe individuare in questi « popoli » la parte della popolazione micenea impegnata nell'esercito. Ma, al di là di questi pur centralissimi problemi, il mondo delle tavolette sembra

I. L'età micenea

configurare una realtà gerarchica della produzione e della società, ai cui estremi si collocano il palazzo e i villaggi, con una serie complessa di articolazioni intermedie basate sui benefici erogati o coonestati dal palazzo, direttamente o attraverso le strutture religiose, e su solidarietà gentilizie o di villaggio. Entro questo quadro, secondo A. Mele, si muovono due diversi rapporti di produzione, collegati a forme di manodopera stabile ed occasionale: quella stabile che consente di integrare attività agricole ed extragricole e, all'interno di quelle agricole, di praticare colture intensive; quella occasionale tendente a fornire al palazzo la possibilità di lavorare estensivamente terre in possesso precario. Corvées e tributi, da un lato, affluiscono al palazzo che li redistribuisce sotto forma di ' benefici ' e possessi stabili, intensivamente sfruttati, dall'altro, consentono uno sviluppo continuo di forze produttive. Tutto ciò rende per molti aspetti il mondo miceneo simile alle strutture dei grandi imperi orientali, dove realtà palatina e realtà di villaggio si intrecciano in un complesso meccanismo produttivo e di potere cementato da una forte ideologia. Tuttavia, rispetto agli imperi orientali, la situazione micenea si caratterizza per una minore emergenza ed autonomia della proprietà sacra e dunque per un minor peso dell'ideologia religiosa come fattore centralizzante o, viceversa, come punto di riferimento antagonista nei confronti del palazzo. D'altro canto, tutto questo era largamente ipotizzabile, tenendo conto della sovrapposizione delle genti achee sul preesistente mondo minoico, strettamente collegato con le zone più sviluppate del Mediterraneo orientale, e delle molteplici relazioni intrecciate dai Micenei con i loro vicini di Anatolia, di Siria e d'Egitto.

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3. I grandi palazzi a)

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PALAZZI MINOICI

La conquista di Creta da parte di st1rp1 di lingua greca attorno al 1470 a. C. metteva a disposizione dei vincitori non solo una vastissima isola dal grande potenziale economico e legata da traffici con tutto l'Oriente mediterraneo, ma anche una plurisecolare esperienza di governo, di sapere artigianale, di realizzazioni architettoniche. I grandi palazzi di Cnosso, di Festo, di Mallia, di Zakro, con le residenze minori come Hagia Triada, fornivano esempi straordinari da imitare, in alcuni casi già esistenti da mezzo millennio, e, con essi, il sistema di potere e di rapporti di produzione che quei palazzi presuppongono. Questi grandi palazzi erano sorti nella media età del Bronzo su nuclei abitativi precedenti e si erano rapidamente sviluppati in complessi colossali posti spesso su pendii collinari, di cui sfruttavano i dislivelli per articolare in più piani la costruzione e per creare accessi con monumentali scalinate. Se Festo ci rivela in miglior stato le fasi più antiche dei palazzi, è a Cnosso che le strutture palatine sono portate ai livelli di maggior complessità. Fulcro del palazzo è il vasto cortile centrale, orientato quasi perfettamente nordsud; l'accesso dall'esterno non era però diretto, ma avveniva attraverso intricati percorsi che muovevano da propilei posti accanto alla facciata occidentale e meridionale, quella dall'aspetto più imponente, e soprattutto, in maniera meno complicata, da una strada proveniente da nord. È interessante notare che proprio accanto all'ingresso settentrionale, adiacente al palazzo, ma in qualche modo da esso separato, si apre uno spazio scoperto con gradinate sui lati meridionale e orientale, identificato con un" area

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Fig. 3. Cnosso, pianta del palazzo.

teatrale ', uno spazio verosimilmente destinato a riunioni o a cerimonie pubbliche sacre, come la taurokathapsia, o volteggi ginnici con un toro, nota da affreschi di età . . . mmo1co-m1cenea. _!}_c_S>m_rlesso abitativo regio è senz'altro da identificare con un quartiere di almeno tre piani, organicamente disposto attorno pozzi di luce colonnati, che si appoggia alla parte più meridionale del lato est del cortile centrale, evidentemente quello dalla migliore esposizione. Una sala di rappresentanza e forse di culto (la cosiddetta ' Sala delle Doppie Asce') delimitata da un caratteristico gruppo di sottili pilastri ravvici-

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nati posti alle spalle di un portico, costituisce il cuore del quartiere, cui si appoggia un'altra sala più piccola (il cosiddetto ' Mègaron della Regina '), con adiacente stanza per i bagni, mentre nel recesso più intimo era la camera da letto reale. Tutto il quartiere domestico appare separato dal resto del palazzo, nel quale dominano strutture modulari a pianta rettangolare allungata con funzione di depositi spesso contenenti giganteschi pithoi o giare per derrate - per alimenti e materiali prodotti nel palazzo o ad esso consegnati come tributo. Tutto il lato occidentale, quasi per intero quello settentrionale

I . L'età micenea

e metà di quello orientale sono occupati da magazzini, mentre una grandiosa sala a pilastri all'accesso nord e soprattutto la ' ~al~ del Trono ', quasi all'angolo nord del lato occidentale, costituiscono gli spazi d_i rap- _ presen tanza. - Le funzioni di grandioso centro amministrativo svolte dal palazzo sono ancor più evidenti dalla scoperta di nuclei degli archivi in vari luoghi dell'edificio. L'archivio principale - com'è il caso dell'archivio recentemente scoperto nel palazzo della siriana Ebla, ancora del III millennio a. C. - era situato in prossimità dell'ingresso settentrionale; i magazzini del lato occidentale hanno restituito un'altra sezione dell'archivio collegata con le derrate ivi conservate; serie di ambienti collegati al palazzo e contenenti tavolette relative ad armi ed armamento sono state cosl identificate con l'arsenale . Il controllo personale del wanax sull'attività produttiva principale del palazzo, l'industria della lana, sembra confermata dalla presenza cli tavolette relative alle greggi ovine nello stesso appartamento reale; particolari sezioni dell'archivio, come quella della ' Stanza delle Tavolette dei Carri ', parlano in favore di specializzazioni amministrative delle varie parti del complesso, anche in funzione della ' burocrazia ' residente e più in generale della complessità della stratificazione sociale. A confronto con Cnosso, gli altri palazzi di Creta si presentano di struttura assai più semplice. Nel Sll__d_ cl_~U'isol~, 3-perto sulla fertile piana della Mesarà il II Palazzo_cH Pesto - di assai più completa lettura del I, risalente all'inizio del II millennio mostra il consueto grande cortile orienta_to nord-sud, accessibile da un maestoso propi·-'ieo con colonne e gradinata all'angolo nordovest; il lato occidentale, come a Cnosso, presenta un complesso di magazzini davanti ai quali è una sala colonnata, in posizione non dissimile dalla ' Sala del Trono ' di

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Cnosso e forse con eguale funzione. I quartieri di abitazione invece occupano il lato nord, separati dalla corte da magazzini e stanze di servizio; un secondo e più piccolo quartiere domestico reale è nell'angolo nordest del cortile. Ancor più semplice è la struttura del _palazzo d~ Malli~: il cortile orientato aveva magaizfoìa-dest e ovest, la sala di rappresentanza sempre sul lato occidentele ed un piccolo quartiere di abitazione reale presso l'angolo nord-ovest. Nel complesso, la lettura strutturale dei palazzi cretesi consente di visualizzare sia la collocazione socio-economica del principe, sia la funzione svolta dalla struttura palatina

Fig. 4. Cnosso, pianta del territorio.

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+ Fig. 5. Pesto, pianta del I Palazzo

nel meccanismo produttivo e nella realtà ideologica cretese. Innanzi tutto, gli enormi spazi destinati all'immagazzinamento delle derrate e dei prodotti: ~ano questi una testimonianza tangibile dell'estensione eh